Niñas Mal

di Placebogirl_Black Stones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- No alla legge Rayleigh! ***
Capitolo 2: *** 2 - Capricci da pop star ***
Capitolo 3: *** 3 - Una ragazza per bene ***
Capitolo 4: *** 4 - Angelo custode ***
Capitolo 5: *** 5 - Bugie ***
Capitolo 6: *** 6 - Sesso e infedeltà ***
Capitolo 7: *** 7 - Hippie Borghese ***
Capitolo 8: *** 8 - Sull'orlo del collasso ***
Capitolo 9: *** 9 - L'alter ego ***



Capitolo 1
*** 1- No alla legge Rayleigh! ***


Niñas Mal

 

La piazza brulicava di giovani di diverse età, che tuttavia non superavano i venticinque.

Era fiera di aver organizzato quella manifestazione, anche se il vero motivo non era certo quello che sembrava.

Non che non le importasse di salvaguardare le zone verdi della città (ci aveva passato i pochi momenti felici della sua infanzia in quei parchi), ma la verità celata dietro a quell’evento era l’ennesima richiesta di attenzione dal padre.

Non lo avrebbe ammesso, perché altrimenti la sua credibilità di ragazza ricca e ribelle si sarebbe frantumata come un vaso di porcellana su un pavimento di pietra.

Agli occhi degli altri doveva sembrare solo un’eroina che difendeva i diritti dei giovani dall’uomo politico che li distruggeva per accrescere il suo potere.

Silvers Rayleigh, Senatore del paese, attualmente in carica per diventare Governatore, conosciuto da tutti come “Senatore Rayleigh”: questo era il volto di suo padre.

Dire che lo odiava sarebbe stato eccessivo, ma il loro rapporto era burrascoso da sempre.

La ricopriva di regali, convinto che potessero sopperire all’affetto che non le aveva mai dimostrato.

Da bravo uomo di politica, era convinto che tutto si potesse comprare con il denaro, anche l’obbedienza e il rispetto di una figlia.

Ma lei non si lasciava comprare, perché sapeva di valere molto di più.

Studiava attenta ogni sua mossa, dentro e fuori dall’ambito politico, per poterla contrastare come meglio poteva.

Più lui si infuriava, e più lei continuava.

Quel giorno non era diverso.

Sarebbe dovuto andare al Senato per approvare una legge da lui stesso proposta, una legge che prevedeva l’eliminazione di parte degli spazi verdi della città a favore della costruzione di nuovi edifici.

Non gli importava se i bambini o i giovani non avrebbero più avuto spazi in cui giocare: ciò che importava erano solo il progresso e gli affari, fulcro intorno al quale gira la vita di ogni politico.

D’altre parte, non gli importava nemmeno di lei, pretendere che si interessasse agli altri era chiedere troppo.

Così aveva deciso di fare l’ennesima bravata, organizzando una sommossa per impedire alla macchina del “Senatore” di arrivare a destinazione.

Ovviamente si era avvalsa dell’aiuto dei suoi fedeli e inseparabili amici, da sempre al suo fianco, pronti a sostenerla in ogni momento.

Erano loro la sua vera famiglia, quei tre ragazzi svitati e straccioni, ma con un cuore grande come il mondo.

Avevano fatto un patto di fratellanza da bambini, e da allora erano sempre stati inseparabili.

Teneva d’occhio l’allestimento della piazza, ricoperta di cartelli e striscioni che riportavano le scritte “NIENTE VERDE, NIENTE FUTURO” e “NO ALLA LEGGE RAYLEIGH”, mentre continuava la sua partita a poker con i tre scavezzacollo.

O meglio, la sua partita a strip poker.

Se non c’era il fascino del proibito, le cose non erano di suo gradimento.

Usando il cofano della sua costosa macchina (regalo del padre) come tavolino, avevano inscenato una partita senza esclusione di colpi, dal momento che nessuno dei quattro voleva perdere.

L’idea di trovarsi senza vestiti davanti a un gruppo di persone in una piazza non era il massimo delle aspirazioni.

Tuttavia, vedeva dallo sguardo dei tre furboni che avevano tutta l’intenzione di farla perdere, solo per poterla vedere mezza svestita.

Erano tre bamboccioni senza lo straccio di una ragazza, quindi ogni occasione che si presentava loro era oro colato e non andava sprecata.

Dal canto suo, non provava vergogna a togliersi una maglietta davanti a loro, sia per il suo carattere sfacciato e senza regole, sia perché li vedeva come dei fratelli davanti ai quali non sentiva nessuna malizia.

Lanciò un’occhiata a Sanji, che sorrideva soddisfatto della vittoria che stava per conseguire, mentre Rufy rimaneva fermo nella sua convinzione di essere lui quello più prossimo a batterli.

 

- Ne è venuta della gente, eh?- commentò Usopp, che di certo era il più pacioccone dei tre.

- Ovvio, se Nami si mette in testa una cosa nessuno può fermarla!- sorrise Rufy, che conosceva la rossa più di chiunque altro.

- Però non capisco perché fare una rivolta contro un uomo che ti compra una macchina del genere…- replicò Usopp, osservando con attenzione l’auto sulla quale stavano giocando: un auto che lui poteva guidare solo nei suoi sogni.

- Dovreste parlare meno e pensare di più, vi sto stracciando alla grande!- bloccò il discorso Sanji, che fra tutti era il più giudizioso.

- Calmati, non è ancora detta l’ultima parola!- si difese Rufy.

- Nami è quella messa peggio- sorrise Usopp - Le toccherà farci vedere le mutandine!-

 

Sorrise a quelle parole.

Di solito non perdeva mai, non era una che amava essere sconfitta.

Ma al momento aveva altro per la testa, e quel gioco era stato solo un pretesto per passare il tempo in attesa che la sommossa prendesse vita.

Aveva già perso il primo match, e con quello anche la sua maglietta: questo aveva reso i felici i tre, che si erano pregustati la visione del suo reggiseno di pizzo nero dal quale facevano capolino i suoi morbidi e prosperosi seni.

 

- A me non dispiace se ce le mostra!- fece il furbo Sanji.

- Davvero?- lo guardò maliziosamente, sorridendo malandrina ed estraendo dagli stretti jeans a sigaretta un lembo delle mutandine coordinate al reggiseno.

 

Ridacchiò guardando l’espressione da pesce lesso che si era dipinta sul volto di Sanji, il quale era smanioso di vedere di più.

La sua risatina fu accompagnata da quelle degli altri due amici, che iniziarono a provocarlo dandogli delle spintarelle.

Il giochino durò poco, quando si rimise la maglietta e radunò le carte.

Era arrivata l’ora di far partire la rivolta.

Presto il Senatore avrebbe attraversato la piazza sulla sua lussuosa auto, diretto al Senato.

Diede l’ordine a tutti di munirsi di cartelli e striscioni, formando una lunga fila che impedisse il passaggio del veicolo.

Lei stessa aveva preso un megafono, decisa a dominare quella sommossa.

Come previsto, dopo pochi secondi la limousine nera di suo padre fece capolino sulla piazza, infervorando ancor di più gli animi dei giovani.

 

- Forza ragazzi!- li incitava - Sdraiatevi tutti a terra!!!-

 

L’esercito di ragazzi obbedì al suo ordine, sdraiandosi sull’asfalto della piazza formando una lunga e composta fila, quasi come un recinto.

Spinta dalla determinazione quasi arrogante che da sempre la caratterizzava, camminò decisa fino alla macchina nera, simbolo dello sfarzo tipico degli uomini politici.

Ecco la dimostrazione di ciò che sosteneva da sempre: a suo padre non importava dei sentimenti, delle piccole cose che contano davvero nella vita.

La sua vita era la politica, con tutti i lati oscuri e corrotti che si portava dietro, con lo sfarzo e il lusso che servivano solo a commiserare le stesse persone per cui si diceva di fare del bene.

Pregiudizi, inganni, maschere dietro cui nascondersi: ecco cos’era il mondo in cui suo padre viveva e in cui desiderava che anche lei vivesse.

Non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione.

Lui non gliene aveva mai data una in diciott’anni di vita.

La limousine era ferma davanti a lei, impossibilitata ad avanzare.

Giunta  a pochi centimetri dall’auto, batté un pugno contro il cofano, guardando con sfida all’interno del vetro anteriore, cercando colui per il quale aveva organizzato tutto quello.

Il buio dei vetri oscurati le impediva, però, una visione nitida.

Se non poteva essere vista, allora l’avrebbe ascoltata.

 

- NO ALLA LEGGE RAYLEIGH! NO ALLA LEGGE RAYLEIGH!-  iniziò a inveire nel megafono, seguita dagli altri ragazzi, ancora sdraiati, che le facevano da coro.

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Utilizzerò questo angolo per chiarire alcune cose.

Questa è la mia prima AU, ispirata all’omonima telenovela colombiana (l’ho già detto nelle note ma lo ripeto a scanso di equivoci). So di non essere brava nelle AU, per questo non ne avevo mai fatte, ma ho voluto fare un ultimo tentativo prima di prendere una decisione. Vi chiederete di che decisione sto parlando, e ve lo dico subito: sto meditando di ritirarmi e lasciare efp. I perché sono tanti, ma vi elencherò i principali per chi li volesse sapere.

- Sono stanca di vedere ff scritte in una lingua che non può nemmeno definirsi italiano e di presunte “scrittrici” che rispondo male alle recensioni negative invece di capire che le facciamo per aiutarle e non per offenderle. Di avere a che fare con delle bambine dell’asilo mi sono stufata.

- Lo zonami è morto. Credetemi, è un colpo ammetterlo per una come me che ci crede da una vita e che continua a credere che siano la coppia più azzeccata di tutto OP, ma se una cosa è vera è inutile negarla. Io non capisco davvero come si fa a dire che ci sono solo zonami, quando sono due settimane che ne cerco una e non se ne vede l’ombra. Sono scomparse, perché la gente preferisce altri pairing. È inutile continuare a dire che è solo un momento e che passerà, perché un momento dura qualche mese, ma qui è da un anno che non riesce più a leggere zonami come si deve. E le poche zonamiste rimaste si sono date (Dio solo sa come) allo zosan o ad altro. Avevo iniziato a scrivere per le poche zonamiste che ancora un anno fa giravano su efp implorando di avere più ff, e così ho deciso di accontentarle, anche per non vedere questa coppia appassire. Ora quelle persone non ci sono più, o meglio non sono più interessate. Quindi io che ci sto a fare qui? A scrivere per Zomi, l’unica che con me è rimasta a shippare questa coppia? Ci scambiamo le ff noi due come due oche? No, mi spiace, non perdo tempo se a nessuno interessa.

Questo è in breve quanto avevo da dire. Perciò avverto che questa ff sarà come un esame finale di prova: se nei prossimi capitoli mi accorgerò che non sarà seguita, la sospenderò insieme alle altre che ho in corso e mi ritirerò definitivamente da efp in ruolo di scrittrice.
Ne approfitto anche per dirvi che la mia altra ff “Always You” rimane al momento sospesa, e deciderò solo più avanti se continuarla o se metterla incompleta. Per quanto riguarda “Stand By Me” invece, cercherò di portarla avanti, ma il discorso che ho fatto per questa vale anche per lei.
Mi sembra di aver detto tutto.
Spero che questa nuova AU vi piaccia e se sbaglio qualcosa non esitate a dirmelo apertamente, io a differenza di certa gente qua su efp so accettare consigli e critiche per migliorarmi.
Avverto anche che non ci sarà solo la coppia zonami, ma molte altre che elencherò nel prossimo capitolo sennò mi dilungo.
Detto ciò, a voi la scelta di continuare a leggerla oppure no.
Saluti
Place

 

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Capitolo 2
*** 2 - Capricci da pop star ***


Seduta dietro quel banco da liceale, con i suoi lunghi e perfetti capelli corvini acconciati da uno dei migliori parrucchieri del Giappone che le ricadevano morbidamente sulle spalle, indossava una divisa striminzita, che le dava l’aria di una scolaretta sexy.

Ma lei era sexy, perciò ogni cosa su di lei avrebbe assunto un aspetto assolutamente divino.

Si guardava intorno con aria di superiorità, la stessa che la accompagnava da quando era diventata la pop star più famosa del momento.

Pubblicità, copertine delle riviste, siti di gossip: tutto parlava di lei.

I paparazzi si uccidevano per avere una sua intervista esclusiva, le fan la osannavano seguendola in ogni dove.

Questo gonfiava il suo ego già alimentato dalla madre-manager che si trovava.

Si sentiva perfetta, ineguagliabile e irraggiungibile.

Eppure, quell’ambiente non aveva nulla di familiare per lei.

O meglio, ormai era abituata a stare sui set pubblicitari e fotografici, ma ciò che la disorientava era quell’allestimento modello classe di liceo.

Insolito, per una ragazza di diciotto anni.

Ma se la ragazza in questione non aveva mai messo piede in una scuola superiore, la faccenda cambiava eccome.

Già, perché lei non aveva frequentato il liceo come le ragazze della sua età.

La sua carriera di bambina prodigio non glielo aveva permesso.

Era andata ad una scuola pubblica fino all’età di sette anni; poi era arrivato il successo, e con lui tutto ciò che comporta il mondo dello spettacolo.

Fingeva che non le importasse, che la fama e i soldi compensassero ciò che da sempre le mancava.

Ma in cuor suo sapeva che la verità era un’altra.

 

- Sei pronta Boa?- la voce del cameraman la riportò alla realtà - Iniziamo le riprese!-

 

L’aria si riempì di una musica sensuale ma al tempo stesso ritmata, la classica musica che si ascolta nelle discoteche con gli amici.

Aveva provato la coreografia non ricordava nemmeno quante volte, ed ora si sentiva pronta per eseguirla alla perfezione.

Non capiva cosa c’entrasse il tema “scolarette sexy” con la pubblicità di uno shampoo, ma se era un’occasione per espandere la sua immagine, poco importava.

Iniziò ad eseguire quei movimenti semplici ma sensuali, ancheggiando e portandosi al centro del palco, seguita dalle ballerine che le facevano da contorno.

Si strappò la divisa, come previsto, e sotto comparve un altrettanto succinto completo dorato composto da top a forma di giacchetto e pantaloncini corti.

Una vera star doveva sempre avere un look da diva.

E lo stesso valeva per l’atteggiamento.

Fu così che iniziò a snobbare le ballerine co-protagoniste dello spot, rubando loro tutta la scena e atteggiandosi a gran donna di fronte alle telecamere.

Lei e solo lei era la star dello show: le altre non contavano nulla.

Erano pezzi dell’arredamento, come i banchi e l’attrezzatura tecnica.

Ballava, osservando decisa l’obiettivo e presentando con malizia quello shampoo per capelli setosi e brillanti, “Vital Essence”.

 

- Stop!- udì la voce del regista, seguita dallo stoppare della musica.

- Che succede?- chiese perplessa, convinta che la sua performance fosse assolutamente impeccabile.

- Che stai facendo, Boa? Non siamo ad un provino per fare l’attrice protagonista, stiamo girando lo spot di uno shampoo! Cerca di essere meno seria e di divertirti di più con loro- accennò alle ballerine dietro di lei - Non puoi lasciarle dietro la scena! Non sei mai andata in discoteca a divertirti con le amiche?- concluse, dandogli le spalle e tornando alla sua postazione.

 

Strinse i pugni, assumendo un’espressione scocciata e corrucciata.

Ma chi diavolo era quel tipo per permettersi di rivolgersi a lei con quel tono insolente?!

Lei era Boa Hankock, la più desiderata pop star di tutto il Giappone: nessuno osava controbattere al suo lavoro.

Che cosa pretendeva? Che lasciasse spazio a quelle insignificanti ragazzette di cui non conosceva nemmeno i nomi?

Era la sua faccia quella che contava!

 

- No!- rispose indietro, in modo insolente.

 

Di colpo sul suo volto si dipinse un' espressione triste, la stessa di chi realizza che la sua vita non è perfetta come sembra.

Non era il fatto che le avesse parlato in quel modo a darle fastidio.

Era la verità che si celava dietro alle sue parole a farle male.

Le capitava spesso di pensarci, ma in quel periodo era diventato come un chiodo fisso, un martello che le batteva incessantemente cuore e testa.

Aveva sempre avuto tutto quello che desiderava.

Tutto tranne la cosa più importante: una vita.

Lei non era andata alla scuola pubblica, non aveva mai avuto amici con cui uscire a divertirsi, non aveva mai conosciuto l’amore, non aveva mai avuto né un’infanzia né un’adolescenza.

Non aveva vissuto.

Era diventata vittima del personaggio che lei stessa aveva creato.

Chi poteva ridarle indietro ciò che aveva perso?

Chi poteva insegnarle come si balla in discoteca con le amiche?

Come si fa ad avere delle amiche?

Più ci pensava, e più sentiva la testa scoppiarle, la rabbia salire e la voglia si scomparire nel nulla come un fantasma.

Non poteva tenersi sempre tutto dentro.

 

- Ascoltami bene!- si avvicinò al regista con arroganza e superbia - Qui la star sono io, chiaro?! E decido io che cosa fare! Loro non sono nulla, l’unica che serve per questo spot sono io, mi hai capito bene?!-

 

Sputò quelle parole come veleno, esternando la rabbia che aveva accumulato.

Non poteva ammettere la sua sconfitta.

Una star se ne va sempre a testa alta.

Lanciò un’ultima occhiata di sfida all’uomo che aveva osato umiliarla, prima di uscire a passi lunghi e veloci dallo studio.

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Ed ecco il secondo capitolo, a tempo di record direi! Bella forza, direte, la trama è già fatta! E avete ragione, ma credetemi: è difficilissimo riportare un personaggio dei fumetti dentro uno reale! Anche se in questo caso la protagonista della telenovela, Nina, è davvero simile a Boa.
Nel prossimo capitolo conosceremo la terza e ultima protagonista principale della serie, ovvero Tashigi.
Vi illustro in breve le coppie che saranno presenti in questa ff, come vi avevo già accennato nel capitolo precedente, così siete liberi di continuare a seguire oppure no.

- Zoro x Nami

- Boa x Rufy (ma non fissa)

- Tashigi x Law (ma non fissa)

- Tashigi x Smoker

- Usopp x Kaya

- Sanji x Nojiko (ma non fissa)

- Nojiko x Nico Robin (ma non fissa, unica coppia yuri della storia)

Questi sono i pairing principali, ma ce ne saranno altri meno importanti che riporterò più avanti con la comparsa dei personaggi, anche perché li devo ancora scegliere.
So che alcuni sembrano strani, ma ho cercato di adattare i personaggi per similarità di carattere con i protagonisti reali, e questo è uscito.
Mi sto dilungando troppo, quindi ne approfitto per ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto nel capitolo precedente, in particolare Rolochan, che sa già che la adoro! Senza di lei non sarei qui a scrivere questa ennesima storia!
Grazie di cuore my dear! <3
Questa ff la dedico a te, regina delle AU zonami!
Baci
Place

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 3 - Una ragazza per bene ***


Corsetti, lingerie e reggicalze di pizzo, intimo di ogni genere, costumi provocanti per notti di passione.

Ovunque girasse lo sguardo si trovava davanti a indumenti che scatenavano i pensieri meno puri, il genere di cose che poteva indossare solo una donna dedita alla perdizione.

Si sentiva a disagio, in quell’ambiente così poco consono alla sua persona.

Lei era una ragazza per bene, educata nel migliore dei modi, figlia di una famiglia benestante e dal cognome illustre.

I suoi sani principi le impedivano di concepire quel lato così carnale dell’amore.

Per lei amore significava dedizione alla persona con cui si sceglie di condividere la vita, rispetto reciproco e dolcezza.

Era su questo che si basava il rapporto con il suo fidanzato, Law.

L’ennesimo completo ricamato passò davanti ai suoi occhi intimoriti.

Non sapeva nemmeno lei perché aveva deciso di accompagnare la sorella e le amiche in quel posto.

Forse per curiosità, forse per obbligo.

Non aveva altri amici all’infuori di loro, perché le avevano sempre impedito di frequentare certa gente.

Chi apparteneva a una famiglia ricca, doveva circondarsi solo di persone del suo stesso ceto: questa era l’educazione che le avevano impartito.

Non viveva di certo una vita adatta ad una ragazza di diciassette anni, fra cene e serate galanti, ma la cosa non le pesava.

Aveva sempre vissuto così, e quella per lei era la normalità.

 

- Ehi Tashigi? Che ne dici di questo?- le sventolò sotto il naso  un completo intimo di pizzo nero con dei ricami rosso fuoco la sua amica Violet.

- Per fare una sorpresa a Law…- aggiunse Kalifa, sottolineando il nome del fidanzato e assumendo un’aria maliziosa.

- Non fa per me…- scosse la testa, guardando con imbarazzo quell’indumento.

- Ma per Law sì!- si guardano complici le altre due, sghignazzando

- Lui non ha bisogno di queste cose- sottolineò con una punta di altezzosità.

- Tutti gli uomini ne hanno bisogno...- replicò Kalifa.

- Non dirmi che non avete ancora…- ammiccò Violet, alludendo chiaramente alla loro attività sessuale.

 

Indietreggiava senza accorgersene, sempre più imbarazzata dalla sfacciataggine delle due amiche.

Come si poteva parlare così liberamente di un argomento tanto delicato?

Per lei era pressoché inconcepibile.

Che cosa importava loro se lei e il suo fidanzato non consumavano carnalmente il loro rapporto?

Davvero quella parte era così fondamentale per mantenere vivo l’amore?

Davvero Law necessitava di avere anche il suo corpo oltre che il suo cuore?

Non che pensasse di non concedersi a lui per il resto dei suoi giorni, sia chiaro, ma voleva almeno aspettare il matrimonio.

O forse anche meno, ma voleva comunque aspettare.

Non si sentiva pronta ad abbandonare il suo pudore.

Per lei donare il proprio corpo a qualcuno non era solo un gioco, uno sfogo carnale, ma rappresentava l’essenza stessa dell’amore.

Era una ragazza all’antica.

Per di più, la sua giovane età era un altro dei motivi per tenersi a freno.

 

- Su, lasciate stare Tashigi! Lei è una brava ragazza, non ci pensa a queste cose!- intervenne in suo aiuto la sorella maggiore Hina, facendo demordere le altre due dal continuare.

 

Le era grata per averla tirata fuori da quella situazione; tuttavia sapeva che in quelle parole amorevolmente materne e protettive si nascondeva lo stesso pensiero espresso poco prima da Violet e Kalifa.

Lo aveva capito dal tono, quasi canzonatorio.

Perché tutte la reputavano una bambina solo perché non voleva essere sexy o appariscente?!

Iniziava davvero a pensare di essere lei dalla parte del torto.

E, cosa che più la preoccupava, iniziava a pensare che se non avesse fatto qualcosa avrebbe davvero perso Law.

Colta da questo pensiero, afferrò il cellulare e lo chiamò, per accertarsi che andasse tutto bene.

Restò in attesa, fino a quando la voce del suo fidanzato non si fece sentire dall’altra parte della linea.

 

- Pronto?-

- Ciao amore, sono io. Che stai facendo?- gli parlò con la sua voce dolce.

 

Se avesse potuto vedere la sua reazione, il suo tono non sarebbe stato così tanto dolce.

Law, infatti, si stava scambiando occhiate veloci con l’amico accanto a lui, facendogli cenno di non fiatare.

Se si fosse lasciato sfuggire qualcosa, i suoi piani sarebbero andati in fumo.

Tutti sapevano che tipo era Law.

Tutti tranne lei.

E anche quella volta, i suoi occhi non poterono accertarsi che ciò che le raccontava corrispondesse al vero.

 

- Sono al Club di tennis, ho appena finito di farmi una doccia-

- Scusa se ti ho disturbato, volevo chiederti se ti andava di vederci questa sera. Stare un po’ insieme, farci le coccole…- sorrise, pensando a loro due abbracciati sul divano.

- Stasera? Mi dispiace tesoro, ma stasera non posso. Devo andare con mio padre ad una riunione con il Senatore Rayleigh per discutere sulla legge che ha proposto…-

- Bene, allora posso accompagnarti. In qualità di fidanzata, ovviamente- si animò, sentendosi importante nel ruolo che ricopriva.

 

Desiderava davvero una vita così: sposata con un uomo del suo stesso ceto, che avrebbe accompagnato alle cene di lavoro, conosciuta da tutti come una donna di classe.

Le avevano detto che questo sarebbe stato il suo futuro, e lei ci credeva con tutto il cuore.

 

- No…no, non mi sembra il caso. Sarà una cosa lunga e piuttosto noiosa, non voglio che anche tu debba sorbirtela. Che ne dici se rimandiamo a domani?-

 

Tutte le aspettative di poco prima si sgretolarono come pietra vecchia.

Quella risposta non l’aveva entusiasmata, anzi.

Aveva come l’impressione che ciò che le aveva appena detto non fosse proprio del tutto vero.

Il presentimento che le amiche avessero ragione si faceva sempre più forte.

Il sorriso di poco prima scomparve, e l’espressione sul suo viso si fece seria e delusa.

Ma non poteva darlo a vedere, o Law avrebbe pensato che fosse una sciocca ragazzina immatura che non sapeva accettare gli impegni di lavoro del suo fidanzato.

Fece un sorriso tirato, cercando di convincere sé stessa che andava tutto bene.

 

- D’accordo…A domani allora. Ti amo…-

- Sì, anch’io- rispose riattaccando.

 

Rimase a fissare il cellulare, pensando a quanta freddezza c’era in quel “Sì, anch’io”.

O forse era lei che si stava facendo troppe paranoie.

L’influenza dei discorsi delle amiche e di quel luogo le stava dando alla testa.

Sentì le loro voci farsi vicine, segno che stavano tornando da lei.

Ripose il telefono nella borsetta, assumendo la sua aria composta di ogni giorno.

 

- Andiamo?- propose loro.

 

Fu così che uscì da quel negozio che per un attimo aveva fatto vacillare tutte le sue convinzioni.

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Dunque, mettetevi comodi perché sarà un angolo autore parecchio lungo. Non ho nulla da dire sul capitolo, se non che le tre protagoniste principali della storia sono state introdotte. Il resto lo direte voi se volete lasciarmi una recensione e farmi sapere.

In questo spazio darò maggiori spiegazioni su ciò che scrissi nell’angolo autore del primo capitolo, che immagino tutte ricordiate (la famosa frase “lo zonami è morto”).

Bene, adesso preciserò cosa intendevo dire con quella frase, perché vedo che molte si sono fatte dei film mentali o se la sono presa a male e hanno iniziato a lanciare frecciatine a destra e a manca invece di venire a chiedere spiegazioni direttamente a me. E non dite che non è vero e che non ce l’avevate con me perché in tutte le frasi che ho letto veniva riportata la mia citazione che ho detto solo io, perciò di sicuro non vi stavate riferendo a mia nonna che nemmeno sa cos’è efp. Ho deciso dunque di spiegarvi in modo chiaro cosa intendevo dire.

Quelle fra di voi che si sono iscritte da un anno o da meno su questo sito, si sono trovate direttamente questa situazione, ovvero pochissime zonami in lista. Quindi per voi questa è la normalità. Ma per chi come me, è iscritto dal lontano 2010 e frequentava efp anche prima, la situazione si è evoluta in modo drastico. Anni fa in un mese c’erano 20 ff zonami come minino; oggi si sono ridotte a 6 se tutto va bene. Potrà non sembrarvi, ma è un calo drastico. Molte autrici se ne sono andate, altre sono passate ad altro.

Per non parlare di quelle rimaste ora, che stanno cadendo come mosche, perché non c’è giorno che non trovi un’autrice che prima era zonami ed ora si è data allo zosan o a chissà che altro. Ma da un giorno all’altro eh! Così, senza un perché. La cosa, a me personalmente,  lascia perplessa.

Quando ho scritto quella frase, era da ben due settimane che non si vedeva l’ombra di una zonami in lista. Poi, da quando l’ho detta, la gente è spuntata fuori come funghi solo per darmi contro nelle recensioni o nei propri angoli autore. Se pensate di dimostrare così che lo zonami non è in decadenza, a mio avviso, vi sbagliate. Se io non dicevo quella frase, sarebbe continuata la calma piatta.

Detto questo, la frase non si riferiva solo a efp e agli autori che se ne vanno o a tutto ciò che ho detto fin ora. Io parlavo del Web in generale. Prima, se cercavi immagini o materiale zonami, trovavi sempre qualcosa di nuovo a palate, ora si trovano tre immagini in croce e tutto il resto è roba secolare. Anche le disegnatrici di zonami si sono assopite.

La mia frase era dunque una costatazione generale che abbracciava anche altri ambiti oltre ad efp.

Questo calo drastico di tutto mi ha portata a dire che sempre meno gente crede in questa coppia, perciò se proprio non è morta, è in procinto di farlo.

Questo è ciò che intendevo dire. Spero che ora sia più chiaro.

Altra cosa: qualcuna se n’è avuta a male perché ho detto che siamo in tre a scriverci…Ragazze, ma sul serio, state scherzando?! Avete mai sentito i detti “3 cose in croce” o “essere in 4 gatti”?! il numero era approssimativo, per dire che siamo rimasti davvero in pochi a scriverci. Poi, se la cosa può calmare i vostri animi tormentati, posso mettermi lì a contare il numero preciso di scrittrici zonami e riportarvelo, così potrete dormire sonni tranquilli.

Terza cosa: ho fatto solo il nome di Zomi e alcune se la sono presa dicendo che le ho considerate delle cacche. Non mi permetterei mai, e dico mai, di denigrare altre persone, perché io per prima non voglio che gli altri lo facciano a me: ho fatto il suo nome perché mi è venuto spontaneo farlo, dal momento che è la scrittrice di zonami con cui sono più in contatto per diversi motivi e perché è quella fra tutte che aggiorna di più, che scrive di più e che mi segue costantemente. Poi lo so benissimo che ci sono anche altre persone che ci scrivono, le ff le vedo e le leggo.

A proposito di questo punto…il fatto che io non recensisca più come prima, non è perché “me la tiro”, come qualcuno ha pensato (e chi è onesto sa che io sono l’ultima persona che se la tira, visto che ogni persona che mi dice che sono brava si è sentita rispondere che non mi piace come scrivo e che non sono mai soddisfatta dei miei lavori), ma semplicemente perché sono meno presente su efp, ed essendo di corsa alle volte leggo solo e non recensisco. Oppure non recensisco perché la storia non mi ha particolarmente entusiasmato e quindi non ho nulla da dire. Anche a me può non piacere una storia, sono umana. Quando riesco, però, lascio anche solo due righe, e chi le ha ricevute può confermare quello che dico. Leggo anche su altri fandom, e quindi a  volte preferisco, nel poco tempo che ho, lasciare una recensione a qualche autore dell’altro fandom piuttosto che a questo dove sono più presente. Se questo per voi è tirarsela, allora sì, me la tiro.

Tutto questo per dire cosa? Non me la prendo se non condividete il mio pensiero sullo zonami, anzi, sono super felice in quanto zonamista di sapere che c’è gente che ci crede ancora e per davvero! Però, c’è modo e modo di rispondere. Se volete esprimere un pensiero contrario, fatelo senza lanciare inutili frecciatine, dal momento che non siamo all’asilo ma si presume su un sito di persone mature e adulte.

In conclusione, se avete qualcosa da dirmi, da chiarire se non vi è chiaro, domande da fare, se vi ha dato fastidio qualcosa e volete saperne di più, non fate finta di nulla e poi lanciate la frecciatina a destra e a manca, ma mi contattate in privato, mi chiedete tutto quello che volete, e io sarò felice di rispondervi e di spiegarvi con educazione e da persone civili.

Non voglio più dover fare angoli dell’autore del genere.

Grazie per l’attenzione e contattatemi se volete dirmi qualcosa.

Place

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4 - Angelo custode ***


La sua voce riecheggiava in tutta la piazza, come un disco rotto che iniziava a infastidire.

Non poteva, e soprattutto non voleva mollare.

Dietro di lei, la fila composta di giovani distesi a terra non accennava a muoversi, al pari di un plotone di soldati che esegue alla lettera gli ordini del comandante.

Cedere significava mandare a monte tutto quello per cui stavano rischiando.

 

- No alla legge Rayleigh! No alla legge Rayleigh!- continuava a esclamare nel megafono, battendo il pugno sul cofano della limousine nera per scandire le parole.

 

 

 

Osservava da dentro l’automobile, nascosto dalla penombra dei vetri scuri, sua figlia che si era inventata l’ennesima bravata per mettergli i bastoni fra le ruote.

Le voleva bene, ma era stanco di tutti quei tentativi di ribellione.

Voleva farsi grande ai suoi occhi, ma ogni volta era lui a dover mettere a posto i suoi casini e a tirarla fuori dai guai.

Sospirò, osservando quante persone si stavano sottoponendo a quell’inutile “gioco”.

Dubitava che tutti fossero lì per il motivo che riportavano sui loro cartelli, sapeva che molti giovani protestavano solo per il gusto di farlo, perché l’idea di trasgredire alle regole li faceva sentire degli eroi.

Se tutti fossero stati come il ragazzo che sedeva al suo fianco nel sedile posteriore, forse non avrebbe dovuto avere a che fare con ragazzate di questo genere.

 

 

Non aveva idea di dove guardare.

Con la coda dell’occhio controllava l’espressione del Senatore, mentre ciondolava la testa da un lato all’altro per guardare cosa succedeva al di fuori di quella macchina che fungeva loro da riparo.

Trovava quel tipo di cose delle vere e proprie bravate da mocciosi, utili solo a far perdere tempo e pazienza a chi invece si occupava di cose serie.

Si chiedeva come il Senatore potesse sopportare tutto quello che la figlia gli combinava.

Quella figlia così bella e intelligente, ma al tempo stesso ribelle e attaccabrighe.

Inutile dire che la ragazza gli piaceva, gli piaceva da impazzire.

La conosceva da tempo, da quando aveva iniziato a lavorare con suo padre, e dalla prima volta che l’aveva vista non era più riuscito a cancellarla.

Sentiva che anche lei si era, in qualche modo, legata a lui, ma ancora non capiva se lo facesse per reale interesse o solo per gioco.

Non aveva mai approfondito, perché sapeva di non poterlo fare.

Era la figlia del suo capo, per cui nutriva grande stima e rispetto.

Una specie di divinità irraggiungibile.

 

Il suono delle sirene li riportò entrambi alla realtà, facendoli riscuotere dalla calma che ancora erano riusciti a mantenere.

Era un brutto segno: le forze dell’ordine erano arrivate sul luogo.

Infatti, come previsto, li videro scorrere uno dopo l’altro da dietro i finestrini dell’auto, diretti verso i ragazzi sdraiati a terra.

Ognuno di loro stringeva fra le mani un manganello.

La tensione crebbe, ma da persone posate quali erano non si lasciarono prendere dal panico, restando ad osservare la scena in silenzio.

 

 

I poliziotti avanzavano a passi veloci, brandendo i loro bastoni.

Non potevano continuare a restare fermi senza fare nulla, o avrebbero avuto la peggio.

Di comune accordo, passandosi parola e scambiandosi gesti immediati, i ragazzi distesi sull’asfalto si alzarono nuovamente in piedi, alcuni restando fermi in posizione di contrattacco, altri indietreggiando ma senza mai voltare le spalle.

 

- Forza ragazzi!!!- li incitava Nami, che nel frattempo si era allontanata dalla macchina per sfuggire alla polizia.

 

Si era unita a loro, restando sempre in testa, come a voler sottolineare che era lei il capo e il centro di quella rivolta.

Di certo non aveva previsto che la situazione prendesse quella piega, ma non si sarebbe lasciata intimorire da un esercito di uomini con il casco e la tuta.

Una vera ribelle sfugge anche alla legge stessa.

Ormai stavano quasi per essere raggiunti.

Qualcuno di loro si gettò contro i poliziotti, ingaggiando una lotta corpo a corpo, riuscendo a tirare qualche pugno ma ricevendo anche una buona dose di randellate; qualcun altro, invece, continuò a indietreggiare e a scappare da tutte le parti in modo da non essere preso.

Si erano mescolati, diventando una grossa nuvola dalle diverse sfumature che si spostava continuamente per la piazza cambiando forma.

Tirate per i capelli, botte, urla: questo era quello che avveniva al suo interno.

Fino a quando qualcuno non lanciò il primo fumogeno.

Fu allora che la baraonda degenerò completamente.

Fumo dappertutto, che rendeva la visuale confusionaria e creava ancora più scompiglio di quanto non ce ne fosse già.

A turno, poliziotti e ragazzi riemergevano da quella nube per riprendere aria, tossendo nell’atto di liberare i polmoni.

Poi tornavano dentro, pronti a riprendere lo scontro.

Nessuno voleva cedere, e questo era un serio problema.

 

 

Era rimasto a guardare senza fare nulla, così come l’uomo da cui prendeva ordini, ma ora non poteva più fingere che non gli importasse.

Non avrebbe mai permesso che Nami finisse vittima di botte atroci o di fumi nocivi, perché la sua vita gli stava a cuore più di ogni altra cosa.

Si sentiva in dovere di proteggerla, di salvarla dal caos che lei stessa aveva creato.

Si meritava una lezione per l’errore commesso, ma il prezzo da pagare stava diventando troppo alto.

Fece un cenno del capo al Senatore, facendogli capire che aveva intenzione di scendere dall’auto.

Lo vide aprire la bocca e tendere una mano, senza però proferire parola.

Forse voleva fermarlo, ma se aveva visto anche solo una scintilla della determinazione che lo stava animando in quel momento, sapeva che nulla lo avrebbe dissuaso dal fare ciò che si era prefissato.

Lesto, aprì la portella della macchina, richiudendola subito dopo per evitare che qualcosa danneggiasse il Senatore, e corse in direzione di quella calca informe, sparendo dietro la coltre di fumo.

Con fatica, cercò di tenere gli occhi aperti e di individuare la figura di Nami fra tutte quelle persone.

Fortunatamente, il colore acceso dei suoi capelli gli permise di metterci meno del previsto.

 

- Nami!!!- la chiamò a gran voce, con il suo tono profondo e baritonale.

 

La vedeva mentre si guardava intorno spaesata, cercando qualcuno che conoscesse.

Aveva ottenuto l’appoggio di tante persone, ma a parte i suoi tre amici di sempre non conosceva nemmeno i nomi degli altri.

 

- Nami!!!- la chiamò nuovamente, agitando un braccio e correndo verso di lei.

- Zoro!- la sentì replicare, mentre lo raggiungeva e si aggrappava alla sua camicia.

- Vieni, andiamo via!- le passò un braccio intorno alle spalle, conducendola fuori da quella baraonda.

 

Salirono i gradini della scalinata del Senato, fermandosi vicino ad una colonna sullo spiazzo esterno.

Tossivano, liberandosi del fumo che avevano inalato.

La vide togliersi la maglietta, portandosela al volto per coprirsi le vie respiratorie.

La visione di quel reggiseno nero ricamato in pizzo, che nascondeva la maggior parte delle sue generose forme, lo lasciò per qualche secondo con il fiato sospeso.

Dio solo sapeva quanto volesse bearsi della sua pelle lattea, del suo corpo perfetto, dei suoi lunghi capelli ramati simili a lingue di fuoco.

Ma non era solo un’attrazione fisica quella che provava.

Lui voleva il suo cuore, quel cuore che Nami non voleva dare a nessuno.

Sembrava che per lei gli affetti non fossero altro che un inutile perdita di tempo.

Guardò un’ultima volta quel corpo sottile ma abbondante nei punti giusti, per poi tornare a concentrarsi sulla guerrilla in corso.

Le cinse la vita con un braccio, per farle sentire che era lì con lei e che non l’avrebbe lasciata.

Era al sicuro con lui.

 

- RUFY!!!- la sentì gridare.

 

Doveva aver individuato l’amico tra la folla.

Già…

Giusto in tempo per vederlo mentre un poliziotto lo agguantava alle spalle trascinandolo via.

 

- RUFY!!! ATTENTO!!!- gridò nuovamente, slanciandosi in sua direzione, ma restando bloccata a causa del suo braccio.

 

Osservava quello che lei aveva sempre definito il suo migliore amico cercare di divincolarsi dalla presa del poliziotto, con scarsi risultati.

Non era il genere di ragazzo portato per fare a botte.

Era un tipo tranquillo, a cui piaceva scherzare e gozzovigliare tutti il giorno.

Sentiva i nervi di Nami tendersi per la preoccupazione, mentre cercava di allontanarsi da lui.

Voleva fare qualcosa per aiutarlo, ma l’incolumità di lei era più importante di tutto.

Sapeva che se l’avesse lasciata andare, sarebbe tornata là.

Era una ribelle, una che sembrava fregarsene di tutto, ma per le persone a cui voleva bene avrebbe fatto qualsiasi cosa.

La persona che considerava più come un fratello che come un amico rischiava di essere arrestata, e non aveva un padre dal nome illustre che lo avrebbe tirato fuori dai guai.

Ormai la conosceva meglio di se stesso, sapeva esattamente a cosa stava pensando.

Il poliziotto continuava a trascinare via Rufy, mentre quest’ultimo riusciva di tanto in tanto a divincolarsi dalla presa, per poi venire nuovamente riacciuffato.

 

- RUFY!!!- continuava Nami, sempre più preoccupata.

 

La sentì sgusciare via dalla sua presa, per correre a salvare il suo amico, ma i suoi riflessi pronti, frutto degli allenamenti di kendo che faceva da quando era bambino, gli permisero di recuperarla in fretta.

 

- No, ferma, resta qui!- cercò di persuaderla.

- RUFY, SCAPPA!!!- si sgolava, come se non lo avesse nemmeno sentito.

 

Inutile.

Non aveva più via di scampo.

Un altro poliziotto accorse in aiuto di quello che già lo aveva braccato, mettendo fine a qualsiasi tentativo di fuga.

Uno lo tirava per un braccio, l’altro per il braccio opposto, trascinandolo via dalla folla.

 

- RUFYYYYYY!!!- urlò un’ultima volta, con un’espressione addolorata sul volto.

 

Doveva sentirsi in colpa, perché se Rufy sarebbe finito in galera sarebbe stata esclusivamente colpa sua.

Lei lo aveva trascinato in quella situazione.

Lei gli faceva fare tutto quello che voleva.

Non lo faceva con cattiveria, ma a volte non si rendeva conto che non metteva a rischio solo se stessa ma anche chi la appoggiava.

Non sopportava di vederla così, con gli occhi lucidi e la bocca distorta.

Così, fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento: l’abbracciò.

La strinse a sé, scaldando il suo corpo diventato freddo per l’assenza della maglietta e per i nervi tesi.

Non era il momento più opportuno per pensare a quanto stava bene tenendola fra le sue braccia e beandosi della sua aroma fruttata, ma non poteva farne a meno.

Tuttavia, mantenne la compostezza che da sempre lo caratterizzava, anche quando sentì che Nami aveva ricambiato l’abbraccio, aggrappandosi alla sua camicia.

 

- Tranquilla…- le accarezzò la testa, rafforzando la stretta.

 

Ma tutto si poteva essere, meno che tranquilli.

Forse sarebbero finiti tutti dietro le sbarre.

E se avessero scoperto che la mente di tutto era lei, avrebbe fatto la stessa fine…

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Per chi stava aspettando Nami, ecco il suo ritorno! Ed è comparso anche Zoro, che come vedete nutre già dei sentimenti. Sarà ricambiato? E Rufy finirà davvero in prigione?

Restate e lo scoprirete!

Se vi va di dare un'occhiata, è appena nato il mio nuovo portfolio, grazie alla mente geniale di Rolochan. Potete trovare tutte le mie storie, e sarà il luogo dove mi ritirerò appena lascerò efp.

 

 

 «Place's 707 Room»

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Capitolo 5
*** 5 - Bugie ***


Dieci minuti, forse mezzora.

Non sapeva nemmeno lei da quanto era chiusa nel suo camerino privato.

Già, privato…proprio come le vere star.

Il suo angolo personale, con tutti comfort che poteva desiderare, dal divano all’acqua fresca, passando per i trucchi all’ultima moda.

Ma era davvero questo quello di cui aveva bisogno?

La risposta era semplice: no.

In quel momento non gliele poteva importare di meno del soffice divano di pelle sul quale era sdraiata, o di sistemarsi make up e capelli davanti all’enorme specchiera.

Voleva solo essere lasciata in pace, poter piangere in silenzio lontana dai riflettori e da tutto quello stuolo di persone che l’attendeva dietro la porta supplicandola di uscire.

L’ennesima lacrima sfuggì dai suoi occhi color del cielo.

Perché non se ne andavano?

Perché non capivano che aveva bisogno di stare da sola?

Cosa gli costava trattarla per una volta come una ragazza della sua età?

 

- Boa?  Boa sono io, apri…-

 

La voce di suo fratello Drake.

Era l’unico di cui si fidava, l’unico con cui poteva lasciarsi andare e vivere quei pochi momenti di libertà e felicità che le erano concessi.

Fin da piccoli erano cresciuti insieme, proprio come due normali fratelli: avevano condiviso tutto, e non c’era stata una sola volta in cui suo fratello non le fosse stato accanto.

La seguiva pazientemente durante gli spot pubblicitari, in sala di registrazione, alle interviste e in ogni dove.

Era come una specie di angelo custode per lei, il fratello maggiore su cui poteva sempre contare.

Ma in quel momento non aveva voglia di ascoltare nemmeno lui.

 

- Sorellina coraggio, ti manca pochissimo per finire quello spot e poi potrai riposarti e prenderti tutto il tempo che vuoi…-

 

Non voleva fargli un torto, Drake era l’unico a mostrarsi sempre gentile e comprensivo nei suo confronti; tuttavia non aveva le forze per finire di rigirare quello stupido spot.

Per la prima volta nella sua vita la sua carriera non le importava.

Non le importava della fama, di essere acclamata, di avere tutti i riflettori su di sé.

Voleva solo la normalità.

 

- Boa, per favore, apri la porta…-

 

Ancora una supplica.

E di nuovo non rispose.

Credeva che così facendo se ne sarebbero andati, ma il suo tentativo si rivelò completamente inutile.

 

- Baby, tesoro, sono la mamma-

 

Ecco.

La donna che l’aveva costretta a quella vita.

La donna alla quale non aveva mai osato opporsi, perché aveva sempre creduto che tutto ciò che aveva fatto per lei fosse solo per il suo bene.

Le aveva dato tutto, soldi e popolarità.

Ma non era mai stata una madre.

Era un ottimo manager, il migliore che una star potesse desiderare.

Però non era un genitore.

Mai una coccola, mai una parola di conforto.

Tutto quello che usciva dalla sua bocca riguardava solo ed esclusivamente la sua carriera.

 

- Boa, tesoro, apri la porta e vieni a finire lo spot!-

 

Come volevasi dimostrare.

Non le importava nulla se stava male, le importava solo della pubblicità che le avrebbe fatto guadagnare un sacco di soldi!

Si alzò dal divano, dirigendosi lentamente verso il mobile a specchiera, senza mai staccare gli occhi dalla sua immagine riflessa.

Si accasciò sulla sedia, incrociando le braccia sul mobile invaso da trucchi, spazzole e materiale di scena.

In quello specchio non vedeva l’immagine di una giovane star all’apice della sua carriera.

Non vedeva una ragazza felice dei successi ottenuti dopo tanti sacrifici.

Vedeva solo una ragazza triste e sola.

 

- Piccola, amore mio, esci…-

 

Sapeva essere convincente a parole.

Ma lei non ci sarebbe cascata di nuovo.

Era sempre la stessa storia.

 

- No, non voglio, lasciatemi in pace! Sono stanca!- riuscì finalmente a rispondere fra le lacrime.

-Baby lo so che sei stanca, ti capisco…-

 

Bugiarda.

Come poteva dire che la capiva?!

Non l’aveva mai capita, per il semplice fatto che non si era nemmeno mai sforzata di farlo!

Non doveva starci lei dieci ore su un set a litigare con produttori ingrati, non doveva starci lei in quegli abiti striminziti, non doveva essere lei quella a pagare a caro prezzo il successo.

Ripercorse con la mente tutta la sua vita, passata a desiderare cose normali davanti allo specchio di un camerino, proprio come in quel momento.

Dall’altra parte dello specchio non c’era più una ragazza di diciotto anni, ma una bambina di poco più di sei anni, sorridente e felice.

Felice di essere tratta come un adulta, felice di poter avere a disposizione tutti quei trucchi da provare.

Si provava il lucidalabbra rosato, osservandosi soddisfatta.

Poi, una voce di donna la interrompeva, prendendola per un braccio e portandola via.

Andiamo Boa, lascia stare

Le lacrime presero a scendere ancora più velocemente a quel ricordo.

Ed ecco che dall’altra parte dello specchio si materializzava la stessa bambina di prima, qualche anno più tardi.

Era il suo nono compleanno, e davanti a lei faceva capolino una meravigliosa torta decorata.

Osservava impazientemente la candelina, fissando la fiammella ondeggiare  libera nell’aria.

Esprimeva silenziosamente il suo desiderio,  per poi spegnere la candelina soffiandoci sopra.

Ma c’era qualcos’altro che voleva.

E proprio mentre tendeva il piccolo dito verso la soffice panna della torta, desiderando solo di poterla assaggiare, di nuovo la voce di una donna la interrompeva.

Non ci provare! È solo materiale di scena!

Anche quell’immagine svanì, lasciando di nuovo spazio al suo reale riflesso.

Come poteva dire che la capiva?!

Per tutta la vita non aveva fatto altro che privarla di qualunque cosa!

Era una bambina felice, fino a quando non aveva realizzato che non era mai stata una bambina.

Non aveva conosciuto il mondo, non aveva fatto le sue esperienze, non aveva mai mangiato una torta di compleanno per paura che i chili di troppo rovinassero la sua immagine di donna perfetta.

E le andava bene così, perché infondo anche lei voleva avere una splendida carriera.

Non in quel modo, però.

Perché non poteva essere famosa ma al tempo stesso fare ciò che facevano le persone comuni?

Non riusciva a capirlo.

Non ci era mai riuscita.

Si sentiva come un uccellino in gabbia, che cantava per mascherare il dolore.

Il vociferare fuori dalla porta la riportò nel mondo reale.

 

- Baby, che ne dici, ti sentiresti meglio se parlassi con Shanks?-

 

Sì, certo.

Pensava di risolvere tutto con Shanks!

Non ricordava nemmeno lei da quando avesse iniziato a fare sedute con lui, ma probabilmente da quando si era resa conto che lo sfavillante mondo in cui era entrata non era altro che un inferno senza via d’uscita.

Shanks era l’unico che riuscisse a capirla davvero, sapeva cosa stava nascondendo anche solo con una semplice occhiata.

Tuttavia, lei non aveva mai aperto bocca nemmeno con lui, perchè la paura che raccontasse tutto alla madre era più forte anche della sua voglia di libertà.

 

- Domino, non possiamo aspettare in eterno! O esce e finiamo lo spot o non se ne fa nulla!- percepì la voce seccata del regista, resa ovattata dalla porta chiusa.

 

Stava mandando all’aria tutto per un capriccio…

Ma quel capriccio valeva la sua felicità.

 

- Datemi solo un minuto, solo un minuto…-

 

Di nuovo la voce di sua madre.

Probabilmente era già decisa a chiamare il suo psicoterapeuta, l’ultima possibilità che aveva di farla uscire dal camerino e girare quel maledetto spot.

Se lei non voleva rinunciare alla sua libertà, di certo sua madre non avrebbe rinunciato al denaro che la sua carriera faceva quadruplicare nelle sue tasche.

Soldi, fama, successo…

Era davvero questo ciò che voleva?

In quel momento non riusciva a trovare una risposta.

Perché a volte, le risposte che abbiamo sotto il naso, sono quelle più difficili da vedere…

 

 

ANGOLO AUTORE

Salve! Non mi sono scordata di questa fic, ma siccome questo capitolo era dedicato a Boa non potevo pubblicarla durante la Zonami Week. Non c’è molto da dire, se vorrete commentare e dare le vostre impressioni sarò felice di rispondervi! Vi annuncio già che la protagonista del prossimo capitolo sarà di nuovo Tashigi! (sento già i fucili delle zonamiste pronti a far fuoco al solo suono di questo nome!).
Spero che questa storia vi stia piacendo, al momento può sembrare noiosa perché sto presentando bene i personaggi tramite scene di vita e riflessioni, ma questo è fondamentale per capire i loro comportamenti futuri. In più, sto seguendo alla lettera la trama originale, e ci vorrà ancora un po’ prima di arrivare a vedere le nostre tre protagoniste nel centro di recupero. Abbiate pazienza!
Baci

Place

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** 6 - Sesso e infedeltà ***


Seduta sotto la veranda della sua lussuosa residenza, si godeva la frescura data dall’ombra che le piante creavano.

Sfogliava una rivista di gossip, ma non le importava molto di quello che leggeva.

Non era interessata alla mondanità, perché la gente di quel mondo ai suoi occhi era volgare e priva di classe.

Attendeva sul divanetto di vimini, imbottito da cuscini, che le amiche uscissero dalla stanza in cui erano andate ad ammirare i loro ultimi acquisti in quel peccaminoso negozio.

Dopo un tempo interminabile, la porta si aprì, lasciando che Kalifa e Violet uscissero vestite in modo a dir poco vergognoso: la prima con un completino in pelle che lasciava poco all’immaginazione, completo di frustino per giochi erotici; la seconda con un succinto vestito da infermiera sexy.

 

- Ciao Tashigi...!- la salutarono con sensualità, mettendo in mostra la loro mercanzia - Che ne pensi?-

- Davvero di classe, complimenti ragazze…- ironizzò, storcendo il naso e guardandole con aria di sufficienza.

- E tu sei noiosa!- replicò Violet - Credi che a Law interessino le ragazze di classe?-

- A proposito di Law- le interruppe Kalifa - Adesso che tua sorella non c’è…- le si avvicinò ammiccando, sedendosi di fianco a lei sul divanetto e passandole un braccio dietro alla schiena - Ѐ vero che tu e lui non avete ancora…-

 

Abbassò lo sguardo, intuendo il riferimento dell’amica.

Non che si vergognasse di non aver ancora “consumato” il suo rapporto con Law, solo che non le andava di parlare così apertamente di certe cose.

Cosa faceva o non faceva con il suo fidanzato erano esclusivamente affari suoi.

Senza contare che per lei il sesso era argomento taboo.

 

- Che cosa aspettate?!- si aggiunse alla conversazione Violet, fingendosi scandalizzata.

- Abbiamo deciso di aspettare fino al matrimonio. E poi Law non ha bisogno di quelle cose- s’impettì, assumendo un’aria seccata.

- Credi davvero che non abbia bisogno di un po’ di questo?- insistette  Violet, imitando il movimento di fianchi tipico dell’atto sessuale.

 

Distolse lo sguardo, facendosi seria.

Possibile che Law avesse quel genere di desideri?

Si sentiva un po’ stupida a chiederselo, perché in realtà la risposta era più semplice di quello che sembrava: Law era un uomo, e in quanto tale non esonerato da certi bisogni intimi.

Lei stessa aveva pensato diverse volte al fatto che potesse non sentirsi soddisfatto, ma aveva negato subito l’evidenza, convincendosi che anche Law, come lei, volesse aspettare.

Lo amava, ma non si sentiva pronta a mostrarsi in atteggiamenti carnali con lui.

La buona educazione, i valori e il pudore avevano la meglio sulla passione.

 

- Tutti gli uomini ne hanno bisogno- le diede corda a Kalifa - E il tuo fidanzato non fa eccezione-

 

Avevano deciso di torturarla o cosa?!

Perché volevano rovinare la sua perfetta storia d’amore riempiendole la testa di dubbi?!

 

- Te lo immagini Law, davanti allo schermo del suo computer, che guarda i video hard…-

- Sì, mentre si tocca gustandosi tutte quelle belle donnine nude che fanno cose sconce…-

- Oppure si eccita con le pubblicità delle creme solari, tutte quelle cosce e quei sederi sodi…-

- Senza contare quelle dell’intimo…-

 

Il degenero totale.

Continuavano con questi discorsi da pervertite, accompagnando il tutto con mosse ed espressioni degne di un film a luci rosse.

Già i “vestiti” che si erano messe non le facevano sembrare proprio due brave ragazze serie, se poi a questi si aggiungevano continue allusioni sessuali, autopalpeggiamenti e simulazioni di atti sessuali, la cosa diventava a dir poco vergognosa.

Era incredibile come certa gente non avesse un minimo di pudore.

 

- Perché non vieni con noi stasera, Tashigi?-

- Ti insegneremo come accendere il fuoco sacro di Law…-

 

Le stavano davvero chiedendo di andare in un sudicio locale, luogo di perdizione, e per di più volevano che si atteggiasse a sgualdrina come stavano facendo loro?!

Assurdo!

Ne aveva abbastanza di tutte quelle oscenità.

Ma forse, la verità era che i dubbi crescevano parola dopo parola, facendola sentire come se fosse stata lei quella sbagliata.

Doveva andare via prima che il muro di convinzioni dietro il quale si era rifugiata per anni crollasse, lasciandola esposta a una realtà che rifiutava di affrontare.

 

- La notte è fatta per dormire!- sbottò, gettando la rivista sul divanetto in vimini e avviandosi a grandi passi verso la sua stanza.

- E il sesso è fatto per godersela!- le fecero eco le due, continuando con i loro discorsi perversi.

 

 

…………..

 

 

Fuori dal locale c’era parecchia gente, e ancora ne arrivava minuto dopo minuto.

Non c’era da meravigliarsi: il “LIMITE” era il locale più in voga al momento, frequentato dalle più belle ragazze e dai più caldi maschietti, spesso ricchi.

La miglior musica e i migliori drink si trovavano solo lì.

Soddisfatte dei loro look sexy, Violet e Kalifa conversavano con una loro amica vicino all’entrata.

Sembravano prese dai loro atteggiamenti provocatori, quando qualcosa attirò la loro attenzione.

 

- Ehi…Ma quella non è la macchina di Law?- domandò Violet, indicando un’auto nera dalla linea sportiva che aveva appena parcheggiato davanti al locale.

 

Come non detto: dalla vettura scese niente meno che il presunto fidanzato della loro amica.

Modo di fare da spaccone, ghigno sempre in bella mostra e savoir faire che gli permetteva di farsi amico chiunque.

Era innegabile che Law fosse un bel tipo, e attirava le ragazze come api sul nettare, anche grazie al cospicuo patrimonio di cui la sua famiglia era in possesso.

Questo, però, non bastava ad ingannare due furbette come loro.

Sapevano che quella sera doveva essere alla cena dal Senatore Rayleigh, era per questo che aveva dato buca a Tashigi.

Guardandosi intorno, quella sembrava tutto meno che la casa del Senatore.

Non ci misero molto a capire che le aveva raccontato una frottola bella e buona.

 

- Credi che dovremmo avvertire Tashigi?- sussurrò Kalifa.

- Aspetta…- frugò nella borsa Violet, estraendone il cellulare.

 

Nel frattempo Law si stava dando da fare, facendo il galletto con due ragazze che sembravano felici di ricevere le sue attenzioni.

Le abbracciava, le baciava sulle guance, si faceva foto con loro avvinghiate.

Tutte cose che un fidanzato e futuro sposo non avrebbe dovuto fare.

A quanto pare, Law non avrebbe vinto il titolo di “Mr. Fedeltà”.

Continuava indisturbato i suoi corteggiamenti, ignaro che il cellulare di Violet stesse riprendendo ogni minimo particolare.

Quando il concetto fu sufficientemente chiaro, la ragazza premette il tasto più pericoloso di tutti: INVIO.

 

 

………….

 

 

Stesa sul tappetino, con le ginocchia piegate e le braccia tese lungo il corpo, inspirava ed espirava profondamente, in quella seduta di yoga che si era concessa per rilassarsi dopo quello stressante pomeriggio.

Cercava di vuotare la mente dai dubbi che le amiche le avevano insidiato.

La suoneria del cellulare interruppe quel momento di pace, riecheggiando nella stanza.

Si alzò da terra, andando a prendere il cellulare sul letto.

Restò sorpresa quando sullo schermo comparve la notifica di un videomessaggio da parte di Violet.

Perché si filmava in un locale?

Sapeva che non gliene poteva importare di meno di quei luoghi pacchiani.

Curiosa, aprì comunque il messaggio.

 

Scusa Tashigi, ma dobbiamo farti vedere una cosa

 

L’immagine di Kalifa e Violet davanti al locale apparve sullo schermo.

La bassa qualità del video non gli permise (per fortuna) di vedere l’espressione sui loro volti, che celava dietro un finto dispiacere una sorta di diabolico divertimento.

Poi, l’immagine scomparve, lasciando il posto a una sequenza che mostrava il suo fidanzato in atteggiamenti poco fedeli in compagnia di due aitanti ragazze.

Si sentì come se il mondo le fosse crollato addosso.

Il cuore voleva uscirle dal petto, le vene del collo le pulsavano.

Delusione, amarezza, rabbia: non sapeva quale di questi sentimenti prevalesse sugli altri.

Le parole delle amiche riguardo ai bisogni di Law le rimbombavano nella testa.

Aveva negato così tanto l’evidenza da distorcere la realtà, e ora si sentiva stupida e sbagliata.

In un gesto d’ira, gettò il cellulare sul letto, portandosi le mani alla testa.

Era sull’orlo di una crisi di nervi.

 

- Tashigi? Tesoro non vieni con noi stasera?- sua madre fece capolino nella stanza, impedendole di dare di matto.

 

Era vestita elegantemente, e si stava allacciando un collier dall’aspetto vistoso, segno che stava per recarsi a qualche evento importante insieme a suo padre.

 

- Dove…?- chiese distrattamente, cercando di apparire più naturale possibile.

- Alla cena del Senatore Rayleigh, non te lo ricordi più? Ah, cara, sempre la testa fra le nuvole a pensare al tuo fidanzato!- le fece una carezza sulla guancia.

 

Se solo avesse saputo che stava sì pensando al suo fidanzato, ma non nel modo che intendeva lei.

 

- Ah, sì…la cena…-

- Allora vieni?-

- No…no, preferisco restare qui e fare un altro po’ di yoga- deglutì nervosamente.

 

La cena del Senatore Rayleigh…Non era lì che doveva andare Law?

Ecco perché non voleva che andasse con lui…

Ti annoieresti a morte”, le aveva detto.

Balle.

Non aveva nessuna intenzione di andare a quella cena.

Divertirsi in un locale con delle sciacquette qualunque era una prospettiva più allettante che annoiarsi ad una cena di affari.

Che stare con lei.

 

- Sicura? Ti faccio portare la cena in camera dalla cameriera?-

- No, non preoccuparti. Fra poco scendo io in sala-

- Va bene amore mio, allora ci vediamo domani- l’abbracciò.

- A domani mammina, divertiti- le baciò una guancia.

 

Non se la sentiva di farla preoccupare inutilmente.

Anche i suoi genitori, così come lei, tenevano a quel fidanzamento.

Law era un ragazzo di buona famiglia, ben educato e di un certo livello: il ragazzo perfetto per lei.

O almeno questo è quello che aveva sempre fatto credere a tutti.

Fino a quel momento si era convinta piacesse ad entrambi la vita amorosa che conducevano, fatta di baci e abbracci, senza spingersi oltre.

Ma era evidente che Law mentiva.

Le mentiva a tal punto da cercare il contatto fisico con ragazze che forse nemmeno conosceva.

Perché, se ne sentiva il bisogno, non le aveva mai detto nulla?

Perché non provare con lei, che era la sua fidanzata, quelle esperienze?

Si sentì improvvisamente intrappolata in quel pudore che da sempre aveva ritenuto giusto.

Forse, se si fosse nascosta meno sotto camicie e gonne lunghe, i desideri del suo uomo si sarebbero accesi.

Aveva vissuto in una favola, ma ora che il libro era finito la realtà non le piaceva.

Sentiva il cuore bruciarle nel petto al pensiero delle immagini appena viste.

Eppure, spinta da una forza più grande di lei, recuperò il cellulare e fece partire nuovamente il video.

A volte abbiamo bisogno di farci volontariamente male per accettare qualcosa che non riusciamo a concepire.

Chiuse gli occhi, per poi riaprirli e guardare il poster a forma di cuore che lei stessa aveva realizzato con le loro foto.

Sorridevano in tutte.

Ora sapeva che i sorrisi di Law erano solo apparenti.

Delusa da tutto, rimase a fissare il suo passato, stringendo spasmodicamente il cellulare fra le mani, mentre i pensieri le si accavallavano nella testa, vorticando su se stessi.

 

 

 

ANGOLO AUTORE

Mi spiace aver tardato tanto l’uscita di questo capitolo ma oltre al tempo che manca stavolta sono giustificata dal fatto che non sono stata per niente bene in questi giorni, e ancora adesso non sto benissimo. So che potrebbe sembrare una scusa banale ma credetemi che dover stare concentrati quando uno ha dei crampi di pancia ogni mezz’ora non è facile.
Oltre a questo vi dico che ho iniziato a scrivere anche su un altro fandom (Nana per chi se lo stesse chiedendo), perciò adesso gli aggiornamenti saranno tardi anche perché devo portare avanti pure quello.
Detto questo, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ho deciso di farlo più lungo per accorciare i tempi e fare entrare le ragazze in questo benedetto centro rieducativo, in modo da dare inizio alla storia vera e propria. Già dai prossimi capitoli comunque avrete i primi colpi di scena!
Spero anche che tutte quelle che odiano Tashigi l’abbiano rivalutata, perché sta povera ragazza viene cornificata dal fidanzato!
Basta che mi dilungo!
Grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa storia, a quelli che recensiscono, a quelli che hanno messo la storia nelle ricordate e in particolar modo alle 12 persone che dopo solo 5 capitoli l’hanno già messa nelle preferite!
Un bacione
Place

 



 «Place's 707 Room»

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Capitolo 7
*** 7 - Hippie Borghese ***


Quando la baraonda si era attenuata e il fumo che invadeva la piazza era evaporato nell’aria, i ragazzi si erano ritrovati tutti appiattiti contro il muro che costeggiava la piazza stessa, separandola dalla strada, con le spalle rivolte all’esterno e le braccia alzate.

I poliziotti li stavano perquisendo uno dopo l’altro, cercando ulteriori fumogeni o oggetti pericolosi nascosti.

Alla fine, quella rivolta non era andata esattamente secondo i piani prestabiliti.

Si trovava anche lei rasente al muro, ancora senza maglietta.

Zoro era al suo fianco, ed entrambi venivano perquisiti da due agenti.

Lui stesso era stato coinvolto, nonostante il vestiario indicasse che non era lì per partecipare alla protesta.

Alla polizia, però, non era importato: il fatto che fosse stato trovato in sua compagnia mentre tentavano di raggiungere Rufy e gli altri, bastava per fare di lui uno dei tanti colpevoli.

Si scrollò un po’, quando sentì la mano di un agente infilarsi nella tasca posteriore dei suoi jeans neri attillati.

Odiava essere toccato, anche se quello non poteva ritenersi un vero e proprio palpeggiamento.

Doveva essere scocciato almeno quanto lei.

Si era buttato nella mischia per proteggerla, come faceva sempre, e ora ne doveva pagare le conseguenze.

Zoro era l’unico che la capiva davvero e che si preoccupava per lei.

Ma come non mostrava troppo affetto al resto del mondo, anche con lui si manteneva fredda a distaccata.

 

- Di sicuro ho messo a rischio il tuo lavoro, vero?- gli sorrise furbetta.

 

Era divertita da quella situazione, a differenza degli altri.

In tutta risposta, Zoro mantenne la sua espressione seria e impassibile, voltando la testa dal lato opposto alla ricerca di qualcuno.

 

- Agente?- lo sentì chiamare, mentre un poliziotto si avvicinava a lui - Sono l’assistente del Senatore Rayleigh e lei è sua figlia- la indicò con un cenno.

- Sì, e io sono il marito di Hiroshi Kitadani!- rispose il poliziotto, atteggiandosi a superiore.

 

Era evidente che non aveva creduto a una sola parola.

Rise, divertita da quella situazione, mentre alcuni ragazzi fecero dei versi di approvazione alle parole del poliziotto.

 

- Uuuuh!-

- Carino!-

 

L’unico che era rimasto serio e impassibile era Zoro.

Non rideva mai, nemmeno quando si scherzava in situazioni normali, pretendere che lo facesse in simili circostanze era pretendere troppo.

Rischiava di finire anche lui in prigione, nonché di perdere il lavoro di assistente di suo padre che si era guadagnato con fatica.

In mezzo a quel gruppo di ragazzi era di certo quello che stava rischiando di più.

Gli era grata per questo, ma dimostrarlo significava abbassare la guardia.

Non poteva permetterselo.

 

- Dai Zoro, basta con gli atti di eroismo, per oggi hai fatto abbastanza-

 

Bastava dire quelle parole con un tono un po’ più dolce per far capire che apprezzava il suo gesto, invece preferì restare fredda a distaccata, facendole sembrare una dimostrazione di disprezzo per tutto ciò che aveva fatto per lei.

Intenti a dialogare, e per di più con la faccia rivolta al muro, nessuno dei due si accorse che il Senatore era sceso dalla macchina, e ora si trovava vicino ad un gruppo di agenti.

L’espressione sul suo volto era seria e preoccupata.

Si era portato due dita a sorreggere il mento barbuto, nella posa tipica di chi sta pensando a una soluzione  immediata.

 

- Nami…Devo fare pipì…- sì lamentò Rufy all’improvviso.

 

Tipico di lui uscirsene con frasi in certi momenti.

Sia lei che Zoro si voltarono a guardarlo.

 

- Vuoi che chieda a mio padre le chiavi per il Congresso, così puoi entrare?- si offrì.

- No…preferisco di no…- rispose scettico, capendo quanto non fosse il caso di chiedere favori all’uomo contro il quale avevano appena protestato.

 

Nel mentre, due agenti alle loro spalle parlottavano sottovoce, rendendo difficile comprendere cosa si stessero dicendo.

Poi uno di loro, lo stesso che prima aveva risposto in modo ironico a Zoro, si avvicinò posando una mano sulla spalla di quest’ultimo.

 

- Scusi, volevo solo riferirle che prima stavo facendo il mio lavoro. Non sapevo che fosse la figlia del Senatore-

- No, tranquillo- accettò le sue scuse, staccandosi finalmente da quel muro, ormai prosciolto da ogni accusa.

 

Non gli ci volle molto per comprendere che dietro a quel cambio di atteggiamento ci doveva essere lo zampino del Senatore Rayleigh.

Peccato che anche lei lo capì, e la cosa non le fece affatto piacere.

 

- Che leccaculo!!!- sbottò in faccia all’agente - Non sono la figlia del Senatore!-

 

Lo avrebbe negato fino alla morte piuttosto che accettare di farsi aiutare dall’uomo contro il quale combatteva da anni.

Non aveva bisogno di essere salvata, era pronta ad accettare le conseguenze del suo gesto.

Una ribellione va portata fino in fondo perché possa ritenersi tale.

 

- Nami…che tu ci creda o no, tuo padre si preoccupa per te-

 

Zoro…

Cercava sempre di ricucire quel rapporto che in realtà non c’era mai stato.

Sapeva che non lo faceva con l’interesse di progredire nella sua carriera, ma solo per il suo bene.

Non si rendeva conto che lei quel “padre” non lo voleva.

 

- No, lui si preoccupa solo della sua carriera politica, Zoro!- lo fissò seria.

- Allora fallo per me. Non puoi salire su quella camionetta della polizia, non farlo! Resta qui!-

 

Quel ragazzo aveva il potere di farla vacillare con un solo sguardo.

A differenza sua, lui sapeva essere esplicito e far trasparire i suoi sentimenti attraverso quegli occhi neri.

In quel momento poteva leggervi tutta la sua preoccupazione per lei.

Se lo avesse guardato ancora un po’ avrebbe finito per cedere alle sue suppliche.

E Zoro non era il tipo che supplicava facilmente.

Scosse la testa, riprendendo il controllo.

 

- Dai, andiamo!- incitò gli altri a salire sulla camionetta, avviandosi lei stessa in quella direzione.

 

Non voleva di certo tirarsi indietro dopo tutto quello che aveva fatto.

Ammettere di essere la figlia del Senatore Rayleigh significava essere trattata con un occhio di riguardo, scagionata dalle sue colpe solo per il cognome che portava.

Pura ipocrisia.

Se lottava per cambiare le cose, doveva rinunciare a tutti i privilegi.

Lei era come tutti gli altri.

Li aveva coinvolti in quella rivolta e non sarebbe stato giusto abbandonarli per salvarsi il culo.

 

- Nami pensaci, non puoi salire!- insisteva Zoro, parandosi davanti a lei.

 

Scusami, devo farlo” pensò mentre gli passava accanto senza degnarlo di attenzioni.

 

- Nami, sai quale genere di multa dovremo pagare per questo?- la affiancò Rufy, visibilmente scocciato.

- Quand’è stata l’ultima volta che la figlia di un politico ha pagato una multa?- gli diede man forte Usopp.

 

Si vedeva che erano scocciati all’idea di finire dietro le sbarre.

Loro erano comuni ragazzi di famiglie povere, non avevano un padre che poteva metterci una buona parola per tirarli fuori dai guai.

Forse speravano che lei accettasse l’aiuto del Senatore e che tirasse fuori anche loro da quel casino, e il fatto che avesse rifiutato aveva ucciso le loro aspettative.

Perché non capivano che anche lei voleva essere trattata come una persona qualunque?

Perché credevano che sarebbe uscita incolume da quella storia solo perché il suo cognome era Rayleigh?

Quanto odiava essere nata con il fardello di provenire da una famiglia illustre!

 

- Ehi! Pagherò le mie multe e andrò in prigione con voi!- si alterò.

- Ah sì?- le fece il verso Usopp - Le tue scarpe di importazione non sfioreranno nemmeno il suolo della prigione!-

 

Non ebbe il tempo di replicare, perché gli agenti della polizia li spingevano dentro la camionetta uno dopo l’altro, come criminali della peggior specie.

Fu una delle ultime a salire, il che le permise di sedersi vicinissima alla portella che di lì a poco si sarebbe chiusa, non appena la camionetta sarebbe partita.

Un posto perfetto per ammirare suo padre, che teneva gli occhi chiusi scuotendo la testa.

Il suo volto era contratto in una smorfia di preoccupazione e dolore.

Restò a fissarlo fino a quando le porte del veicolo non si chiusero, chiedendosi se quell’uomo fosse davvero in grado di provare sentimenti come il dolore o la preoccupazione verso qualcosa che non fossero se stesso e la politica.

Ma probabilmente quella era tutta scena.

 

 

……………

 

 

Viaggiavano ormai da un po’ verso la caserma di polizia, quando il suo cellulare prese a squillare nella tasca dei pantaloni.

Lo estrasse, leggendone ad alta voce il contenuto.

 

- Grazie alla protesta la sessione è stata cancellata. La legge Rayleigh non sarà approvata-

- Sìììììììììì!!! Wowwwwwww!!!- scoppiarono in fragorose esultazioni tutti i ragazzi presenti.

 

Aveva lottato fino all’ultimo, pagandone le conseguenze a caro prezzo, ma ne era valsa la pena.

 

- Ce l’abbiamo fatta!!! Adesso nessuno ci dirà dove o come protestare!- aggiunse, sorridente e soddisfatta.

- Sìììììììììì!!!- esultarono nuovamente gli altri.

- Ma la cosa più importante è che tuo padre si è accorto che esisti, giusto?- se ne uscì Sanji, parlando con la sua solita calma.

 

Teneva la testa appoggiata contro la parete della camionetta e lo sguardo puntato sul soffitto.

Era di certo il più calmo e giudizioso fra i tre amici, e anche se non lo dava a vedere apertamente era preoccupato per quella situazione almeno quanto gli altri.

 

- Non è un po’ presto per una sessione di terapia?- replicò, facendo la sostenuta.

- Scommettiamo che ne uscirai indenne anche stavolta, ragazza dei quartieri alti?- si aggiunse Usopp.

- Sono sicuro che non pagherai nemmeno una multa per aver creato disagi al traffico con la tua decappottabile!- concluse Rufy, l’unico che non aveva ancora detto la sua.

- Ѐ facile così, Nami…- riprese Sanji.

 

Ok, voleva bene a quei ragazzi come se fossero suoi fratelli, ma in quel momento le stavano dando sui nervi con quelle insinuazioni.

Credeva che almeno loro non l’avrebbero mai giudicata una figlia di papà.

Le faceva male che pensassero tutte quelle cose cattive su di lei.

 

- Adesso siete tutti contro di me o cosa?!-

- No, ma se continui ad accettare i regali di tuo padre, come quella decappottabile nuova…sari sempre una ragazzaccia viziata- le disse Sanji, guardandola negli occhi.

- No no no. Ancora peggio. Una “hippie borghese”- proclamò serio Usopp, anche se l’ironia di quella frase si poteva cogliere lontano un miglio.

 

 I tre ragazzi ridacchiarono a quell’appellativo.

Ma per lei non c’era assolutamente niente di divertente nell’essere derisa dalle uniche persone che credeva le volessero bene in modo disinteressato.

 

- Ѐ questo quello che pensate realmente di me?!- chiese seria, guardandoli uno ad uno stringendo le labbra.

 

Smisero di ridere quando si accorsero della sua espressione.

Probabilmente si erano resi conto di averla ferita.

 

- Ѐ la prima volta che non hai l’ultima parola- la osservò Rufy, stringendo le spalle.

- Sei più carina quando resti in silenzio- mise fine a quella spiacevole conversazione Sanji, portandosi le mani dietro la nuca.

 

Rimasero così, in silenzio, con la testa bassa.

L’atmosfera si era fatta pesante.

Di certo non si erano scambiati parole carine e amichevoli.

Poteva comprendere che fossero nervosi perché stavano per finire in prigione, ma certe insinuazioni potevano risparmiarsele.

Quello che le dava realmente fastidio, però, non erano tanto i nomignoli con cui l’avevano appellata o le parole che erano uscite dalle loro bocche.

Era che tutto ciò che le avevano detto corrispondeva a verità.

 

 

……….

 

 

Scortata da un agente come voleva la prassi, varcò il cancello della prigione, mantenendo un’andatura eretta e uno sguardo fiero.

Uno sguardo che divenne sprezzante, quando vide la limousine nera del padre ferma ad attenderla.

L’autista, con tanto di divisa, le aprì la portiera, ricevendo in cambio solo uno sguardo truce.

Non che quell’uomo in particolare non le piacesse, ma il fatto di essere servita e riverita anche in gesti stupidi ed elementari come quelli, la trovava una cosa ai limiti dell’umiliante.

Anche lei aveva due mani per aprirsela da sola una portiera.

Salì velocemente sulla vettura, voltandosi alla sua sinistra per guardare la persona seduta accanto a lei.

Suo padre la osservava serio scuotendo la testa, mentre la rabbia e l’età che avanzava disegnavano sulla sua fronte rughe evidenti.

 

- Per quanto? Per quanto ancora dovrò tirarti fuori dai guai?-

 

Il suo tono era calmo, ma il nervoso era mal celato dal tremare che disturbava il suo timbro profondo.

 

- Non lo so!- spalancò le braccia in modo isterico, voltandosi dalla parte opposta.

- Per quanto?! Quando crescerai, Nami?! Sai che genere di responsabilità ho? Conosci la mia posizione? Sai chi sono? Sembra che te lo dimentichi a volte! Non posso venire a salvarti ogni volta che combini un casino!-

 

Guardava fuori dal finestrino, anche se non stava ammirando per niente il panorama.

Tutte quelle luci che le scorrevano davanti agli occhi non facevano altro che confonderla ancora di più.

In realtà non stava nemmeno prestando troppa attenzione alle parole di suo padre.

Ormai conosceva quelle frasi a menadito.

Sapeva di venire dopo tutto, dopo la reputazione, la carriera politica e tutto quello che ci stava intorno.

Non era piacevole sentirsi dire dall’uomo che ti ha messo al mondo che ti veniva a salvare solo per il proprio interesse e non per amore di padre.

 

- Ho molte responsabilità e molte cose da fare per perdere tempo dietro a te!- continuava la sua predica.

 

Strinse una mano a pugno, portandosela sotto il mento.

La rabbia che si leggeva fino a poco prima nei suoi occhi aveva lasciato spazio a un velo di tristezza.

Quale padre direbbe alla propria figlia di non avere tempo per lei?

In diciotto anni non aveva mai ricevuto una sola dimostrazione di affetto da parte sua.

Era come se la considerasse un pezzo dell’arredamento, pari ai vasi antichi della sua lussuosa villa.

 

- Devo ricordatelo?- concluse quell’insopportabile monologo.

 

Alzò gli occhi al cielo, ormai al limite della sopportazione.

Certo che no!

Non c’era bisogno che le ricordasse quanto se ne fregava di lei.

Il silenzio calò all’interno di quell’automobile, che avanzava silenziosa per le strade notturne di Tokyo.

 

 

……….

 

 

Appena arrivata a casa ne aveva approfittato per farsi un bagno caldo e cambiarsi i vestiti.

La fame, però, iniziava a farsi sentire.

Scese in cucina, dove trovò il Senatore intento a versarsi un bicchiere di acqua ghiacciata.

Forse era arrivato il momento di ribattere al suo discorso di rimprovero.

Se credeva di chiudere la partita in quel modo si sbagliava di grosso.

 

- Eri così imbarazzato che fossi in prigione che mi hai tirato fuori così in fretta, papà?!- sottolineò quell’ultima parola.

- Tsk! Ti avrei lasciata volentieri là tutta la notte!- rispose, portandosi il bicchiere alle labbra.

- Davvero? E cosa ti ha fermato?- continuò a stuzzicarlo, aprendo il frigorifero alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

- La paternità, Nami-

 

Era assurda la serietà con la quale aveva pronunciato quella frase!

Paternità...

Non sapeva nemmeno cosa significasse.

Tuttavia, la cosa non la stupì.

Le parole che escono dalle bocche degli uomini di politica sono vuote, e lei questo lo sapeva bene.

 

- Mmmh…- annuì con finto interesse - Sembra che ti sia scordato qualcosa-

- Non dirlo, sai che non è vero- rispose serio, capendo la sua velata allusione.

 

Non gli aveva mai mandato a dire che non era stato proprio un padre modello.

 

- Ne vuoi?- gli sventolò sotto il naso una fetta di prosciutto cotto.

- No grazie. Voglio che tu stia al mio fianco. Lancerò la mia campagna per il governo stanotte e ho bisogno che tu stia con me, ok?-

 

Che faccia tosta!

Aveva anche il coraggio di chiederle di stare al suo fianco?!

Storse le labbra, con fare da presa in giro.

 

- Anche io ho avuto bisogno che tu stessi con me diverse volte. Ma indovina? Non c’eri! Sparito! “Dov’è papà?” “Non lo so”, “Dove è andato?” “Ѐ andato via”. Sparito!!!- sbottò, gesticolando arrabbiata.

 

Il Senatore annuì, alzando gli occhi al cielo.

 

- Avevo dimenticato con chi stavo parlando. Se facessi incarcerare un serial killer, tu saresti capace di chiedere che venga liberato. Ho bisogno che tu ti dia una regolata, perché quando sarò Governatore, indovina chi sarà la prima donna? Tu!- si aggiustò la giacca - Perciò torna in fretta sulla Terra!-

 

Lo guardò con aria di sufficienza, sorridendogli ironica.

 

- Lasci che le ricordi, Senatore, che la prima donna è morta!-

 

Pronunciò quelle parole con freddezza, senza mai smettere di sorridere.

Quello che si fece ancora più serio fu invece suo padre.

 

- Non parlare di tua madre in quel modo!- le puntò il dito contro.

- Perché?- chiese, quasi sfidandolo, guardandolo dritto negli occhi.

- Perché sì!-

- Perché sì!- ripeté, sbattendo il piatto che si era appena preparata per cena sul ripiano della cucina - Il Senatore ha parlato! È così che convincerai la gente a votare per te?- sorrise beffarda, ma il suo tono duro lasciava trasparire tutta la rabbia che stava provando in quel momento - Sembra che tu sia nei guai, Senatore-

 

Infervorata dal risentimento e dal ricordo della madre che ancora bruciava, iniziò a girare intorno al padre, agitando le braccia e facendo sporgere il petto in segno di provocazione.

 

- VOTATE PERCHЀ SÍ!!! VOTATE PERCHЀ NO!!! VOTATE PER IL SENATORE!!!- sbraitò, uscendo poi a passo veloce dalla stanza.

 

 

………….

 

 

La fiamma dell’accendino traballava a pochi centimetri dai boxer di Rufy, che si teneva le gambe sollevate con le braccia.

Osservava attentamente i movimenti, preoccupato di bruciarsi.

Al suo fianco, Sanji ridacchiava divertito, e dall’altra parte Usopp gli reggeva l’accendino.

 

- Non lo faccio nudo, perché una volta mi sono bruciato tutti i peli del sedere!- esclamò preoccupato Rufy, suscitando le risa degli altri due.

 

Furono interrotti da un insistente bussare alla porta.

Lesti, nascosero l’accendino e si sedettero composti sul letto, mentre la cava dell’esperimento si rimetteva i pantaloni.

 

- Cosa c’è? Chi è?-

 

Toc toc toc

 

- Arrivo, sono nudo!- esclamò, avvicinandosi alla porta.

- Come se non avessi mai visto un pisellino prima d’ora! O sei solo imbarazzato per la taglia del tuo?- si udì la voce di Nami dall’altra parte della porta.

- Non riusciresti a gestirlo, dolcezza!- replicò ironico, aprendo ed invitandola ad entrare, mentre Sanji e Usopp se la ridevano di gusto.

 

Appena entrata, storse il naso disgustata, agitandosi una mano sotto il naso.

 

- Che schifo Rufy!!!-

- Scusa, dev’essere stato il cane- si giustificò.

- Tu non hai un cane Rufy!!!-

- Ѐ stato il cane di Usopp- fece dell’ironia Sanji, suscitando le risate di tutti.

- State guardando dei porno, ragazzi?- li guardò furbetta, ammiccando.

- No, stavamo cercando di far incendiare una scorreggia- confessò Rufy alla fine, rendendosi conto che la storia del cane non stava in piedi.

- Non voglio saperlo- scosse la testa la rossa, storcendo la bocca disgustata, mentre i tre se la ridevano divertiti - Cambiando discorso…Che fate stasera?-

 

Doveva aver assunto la sua espressione da furbetta che ne sta pensando una delle sue, perché vide i volti dei suoi amici farsi seri.

La conoscevano bene, ogni minimo sguardo o contrazione del viso lanciavano un messaggio preciso che veniva colto all’istante.

Sapevano anche quand’era il momento di avere paura, e quello era uno di quei momenti.

 

- Niente- scosse la testa Usopp.

- No Nami, non oggi. Se gli scagnozzi di tuo padre ci prendono di nuovo ci scambieranno dei terroristi e vorremmo evitare- chiarì il motivo del rifiuto Sanji.

 

In fondo li comprendeva, l’idea di tornare in prigione per qualche bravata non li entusiasmava dopo l’esperienza appena trascorsa.

Ma lei aveva tutta l’intenzione di coinvolgerli nel suo piano, perciò non avrebbe mollato la presa fino a quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.

Sapeva di poterli raggiare senza troppa fatica.

 

- Rufy…- lo chiamò, facendogli gli occhi languidi.

 

Di certo, fra tutti e tre, Rufy era quello con la minor forza di volontà, e per tanto il più facile da convincere se si trovavano gli argomenti giusti.

Era anche quello con cui aveva il legame più forte, ed entrambi c’erano sempre l’uno per l’altra.

Persino i battibecchi più aspri, come quello avuto poche ore prima nella camionetta della polizia, venivano dimenticati senza rancore.

Nonostante non fossero proprio un esempio da seguire, su di loro si poteva contare in qualsiasi momento.

Erano loro la sua vera famiglia.

 

- Non vorresti guidare la mia decappottabile?- sganciò la bomba.

- Non manipolarlo!- intervenne Usopp, che doveva aver compreso il gioco.

- Cosa?!- chiese Rufy incredulo a quell’offerta.

- Rufy, ti sta manipolando!- si aggregò Sanji, alzandosi dal letto e andando verso di loro per dissuadere l’amico.

 

Le venne da ridere per quella preoccupazione così elevata da parte degli altri due.

Perché non divertirsi a torturarli ancora di più?

Avrebbe movimentato la serata in attesa del “gran finale”…

 

- Sedili in pelle…- iniziò ad illustrare sensualmente tutti comfort della sua automobile, godendo della visione di Rufy che sorrideva come un ebete immaginandosi alla guida di quel gioiellino - Il vento fra i capelli…-

- Opponi resistenza Rufy!!!- lo scuoteva per le spalle Usopp, nel tentativo di risvegliarlo da quello stato di tranche nel quale sembrava essere caduto.

- E musica- concluse - A dire il vero ho una playlist favolosa che ho fatto apposta per te!-

- Non è vero!- esclamò Sanji.

 

Ma ormai non c’era più nulla che lui e Usopp potessero fare.

Rufy era caduto nella sua trappola come un bambino al quale si promette un costoso giocattolo.

Lo vide sorridere a trentadue denti, con gli occhi che brillavano.

 

- Sono un bambino molto cattivo…Dammi subito le chiavi!- allungò la mano con il palmo aperto.

- Rufy…- borbottò Usopp, mentre Sanji si metteva le mani nei capelli.

- Andiamo, non fate così! Ci sarà anche un sacco di alcol!-

 

Usopp e Sanji erano più difficili da convincere, ma non impossibili.

E lei sapeva esattamente quali carte giocare.

Come previsto, infatti, alla parola “alcol” gli occhi di Usopp si illuminarono come due semafori verdi.

 

- Come posso dire ragazzi…- ci pensò su qualche secondo, alla ricerca delle parole adatte - Sarà una notte esplosiva!- ammiccò.

- Uuuh- le fece il verso Sanji, ancora in disapprovazione.

 

Anche gli altri erano preoccupati, nonostante avessero ceduto alle provocazioni.

Quel sorrisetto diabolico che aveva sulla faccia non prometteva nulla di buono.

Se ne sarebbero accorti solo di lì a un’ora di quanto i loro sospetti fossero fondati.

Il piano aveva avuto inizio.

 

 

 
ANGOLO DELL’AUTORE

Non sono morta, sono solo piena di cose da fare che si accavallano e impossessata dal demone “poca voglia di scrivere”. Sono riuscita a finire questo chilometrico capitolo per miracolo!
Dunque…vi è piaciuto? State iniziando a capire un po’ la psicologia dei vari personaggi e quello che ci sta intorno? In questo capitolo emergono molte cose su Nami, e apprendiamo anche che la madre è morta. Nel corso della storia verrà anche detto come, per ora non vi anticipo nulla.
Se volete farmi sapere le vostre impressioni sui personaggi sono sempre bene accette!
Anche qui, come nel precedente capitolo di Tashigi, ci stiamo avvicinando all’evento che porterà Nami a essere condannata al centro di rieducazione. L’aggettivo esplosiva che ho messo in evidenza è un indizio!
Vi lascio con una nota: all’inizio, quando il poliziotto dice di essere il marito di Hiroshi Kitadani, per chi non lo sapesse è un cantante giapponese che si occupa per lo più delle sigle dei cartoni animati. È un po’ un Giorgio Vanni in versione giappo per intenderci! Ha fatto la sigla di One Piece “We Are”.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, ci sentiamo al prossimo!
Baci
Place

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Capitolo 8
*** 8 - Sull'orlo del collasso ***


Appoggiata con gli avambracci sul davanzale della finestra del suo camerino, il mento posto su di essi a sorreggere la testa stanca, osservava la folla di fan che si era radunata sotto lo studio di riprese, ovviamente consapevoli del fatto che vi fosse lei.

La acclamavano a gran voce, protendendo le braccia verso la sua figura, nel desiderio di toccarla.

Era questo che si provava ad essere delle semplici persone sconosciute?

Davvero ai loro occhi la gente come lei appariva irraggiungibile alla stregua di divinità supreme?

La devozione e “l’amore” che le dimostravano avrebbero dovuto farla sentire orgogliosa e benvoluta.

Ma quello non era vero amore…

Come potevano amare qualcuno che avevano visto solo sulle copertine delle riviste di gossip e musica?

La verità è che loro amavano l’idea che si erano fatti di lei.

Amavano Boa la pop star e non Boa la ragazza che desiderava una vita normale.

È difficile vedere oltre quando si è accecati dalla bellezza che il mondo dello spettacolo riflette negli occhi della gente, e lei ne era l’esempio lampante.

 

- Facciamo terapia da tre anni ormai, e mi è rimasta solo una domanda da farti. C’è qualcuno che ti ama, Boa?-

 

Non sapeva se odiare o essere grata al suo psicanalista, a volte aveva come l’impressione che nel tentativo di salvarla non facesse altro che spingerla ancora più a fondo nel baratro nel quale stava precipitando.

Lui la metteva davanti alla cruda verità che tanto cercava di evitare.

In fondo era proprio questo il suo lavoro: scavare nella psiche umana, estrarre quello che la gente nascondeva di proposito per non doverlo affrontare.

Quella domanda era la più difficile di tutte, perché la risposta era orribile.

Nessuno la amava davvero.

Sua madre amava i soldi che le permetteva di fare, i suoi fan amavano l’immagine che dava di se stessa.

E Boa?

Chi amava Boa?

Nessuno.

Gli occhiali scuri che indossava in quel momento impedirono al mondo di vedere le lacrime che iniziavano a scendere silenziose.

Eppure, in quelle lacrime si nascondeva un grido assordante.

 

- C’è qualcuno che ti ama?- insistette Shanks.

 

Di nuovo nessuna risposta.

Erano parole troppo pesanti per la sua bocca.

 

- Levati gli occhiali e guardami negli occhi-

 

Dannato strizzacervelli!

Se lei era testarda, lui lo era anche di più.

Non avrebbe mollato fino a quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.

Ci teneva tanto ad umiliarla?!

Era così importante per lui sapere che nessuno la amava?!

Come se non lo avesse già capito da solo!

La rabbia crebbe, unita al dolore, dando vita ad un mix amaro e potente come un veleno.

Con un gesto di stizza, si levò gli occhiali da sole, gettandoli sulla folla strepitante, che subito non perse occasione di accalcarsi e spintonarsi nella speranza di afferrare quell’oggetto considerato come una santa reliquia.

 

- Va bene così?!- si voltò verso di lui, mostrando i suoi occhi azzurri colmi di lacrime, le cui tracce erano ancora visibili sulle sue guance.

 

Stavolta fu Shanks a concedersi un lungo silenzio, rotto solo dalle grida al di fuori della finestra.

Annotò con precisione qualcosa sul suo taccuino, probabilmente impressioni che si era fatto scrutandola in volto.

Di sicuro il suo giudizio non sarebbe stato positivo.

Esausta per quell’interrogatorio, tornò ad appoggiare la testa sopra le braccia, facendo uscire nuove lacrime.

 

 

…………….

 

 

Ormai era uscito dal camerino da quasi dieci minuti.

Poteva sentire la sua voce appena al di fuori della porta, seguita da quella di sua madre.

Stavano avendo una discussione abbastanza sostenuta, poiché nessuno dei due voleva cedere la ragione all’altro.

Desiderosa di sapere, si alzò dal divano sul quale era seduta, andando verso la porta e appoggiando l’orecchio su di essa per origliare la conversazione.

In fondo era di lei che si parlava, quindi aveva tutto il diritto di sapere.

Chissà se Shanks sarebbe riuscito a far capire a sua madre quello che lei non gli aveva mai confessato in diciotto anni…

Ma sapeva che sua madre era fredda, troppo fredda per preoccuparsi dei sentimenti.

Il lavoro, la carriera, i soldi: questo era l’essenziale per lei.

 

- Mia figlia deve assolutamente proseguire questo spot. Molte persone dipendono da lei- la sentì affermare con decisione, come a voler intimare che non si poteva discutere sulla questione.

- E lei? Lei da chi può dipendere?- replicò Shanks.

- Ti ho chiamato perché facessi capire a mia figlia i suoi obblighi. La conosco perfettamente, so che è solo una ragazzina viziata che sta facendo tutto questo per avere attenzioni!-

- Non sono affatto capricci. È sotto pressione, oltre i limiti del consentito, e ha bisogno di finirla adesso con tutto questo, perché potrebbe seriamente peggiorare- parlò con calma, che al tempo stesso lasciava trapelare preoccupazione.

- Smettere?! Come puoi anche solo pensare che possiamo fermarci?! Abbiamo un tour nazionale davanti! Stiamo per lanciare un disco! Boa deve continuare!- sottolineò quella parola, per rendere meglio l’idea dell’obbligo.

 

A quel punto non le interessava nemmeno restare ad ascoltare il resto della conversazione.

Era la prova che nessuno la amava.

A sua madre non importava quanto stesse male, quanto fosse grave la sua situazione.

Per lei doveva essere solo una macchina in grado di lavorare ventiquattr’ore su ventiquattro senza mai avvertire stanchezza, obbedendo agli ordini senza mai fiatare.

 Non sapeva perché le faceva così male, d’altra parte era qualcosa che dentro di lei aveva sempre saputo.

Sentirglielo dire così apertamente, però, era stato straziante.

Anche i milioni guadagnati in dodici anni non servivano a compensare la mancanza di amore materno.

Ormai comprarsi vestiti e accessori costosi non riusciva più colmare quel vuoto che si faceva sempre più profondo, come una voragine senza fine.

Era sull’orlo del collasso.

 

- BOA! BOA! BOA!-

 

Quando l’avrebbero fatta finita quei maledetti stalker sotto la finestra?!

Le facevano salire ancora di più i nervi a fior di pelle con i loro schiamazzi!

Erano solo capaci di chiamarla a gran voce, ma nessuno di loro la aiutava ad uscire da quell’inferno.

Nessuno di loro vedeva la sofferenza che stava al di là dei bei sorrisi da copertina.

Quando lei avrebbe abbandonato lo studio, loro se ne sarebbero tornati belli e contenti nelle loro case, a mangiare pranzi ricchi di grassi e a fare tutto quello che volevano.

E lei?

Lei avrebbe continuato a spiluccare cibi dietetici dal sapore disgustoso, fra un set fotografico e l’altro, passando per intere giornate chiusa dentro la sala prove di una casa discografica.

Il successo equivaleva a una prigione.

Stancamente, si trascinò nuovamente fino al divano, lasciandosi cadere sopra di esso e scoppiando in singhiozzi, con la testa fra le mani.

 

- Boa? Boa te lo chiedo per favore: esci così possiamo finire presto questo dannato spot, ok?-

 

La voce di sua madre fuori dalla porta.

Evidentemente Shanks aveva avuto la peggio, come sempre.

Non esisteva via d’uscita alla sua condanna.

Mossa da una rabbia che era più forte del dolore stesso, si passò nervosamente una mano fra i capelli, digrignando i denti e alzandosi in piedi di scatto, muovendo passi veloci verso la porta e aprendola con uno scatto fulmineo.

 

- CHE VUOI MAMMA?!?! SONO STUFA DI ASCOLTARTI!!!- gli sbottò in faccia, tornando poi a rannicchiarsi sul divano con la testa fra le mani.

- Smettila di essere così testarda. Siamo tutti stanchi dei tuoi capricci- la rimproverò, sedendosi su una sedia a pochi passi da lei.

- SONO IO A ESSERE STANCA DI TUTTI!!!- gesticolò con fervore, mentre le parole uscivano rabbiose come un fiume in piena - SONO STANCA DI TE, MAMMA!!! HO FAME!!! MANGIO SOLO TONNO DA ANNI!!!-

- Baby…devi capire che questa è la vita di un’artista- parlò con tono dolce, nel tentativo di indorarle la pillola.

- Ma io non ho una vita, ho solo una carriera, mamma!!!- abbassò di poco i toni, con la voce rotta dal pianto.

- Ascolta…Finiamo di girare quello spot e poi andiamo a casa, ok?- si avvicinò a lei, posandole una mano sulla spalla.

- NO, NO, NO!!! NON TOCCARMI!!!- si alzò di scatto, respingendo la mano e allontanandosi.

 

Non rispondeva più di sé.

La rabbia e la disperazione si erano unite in un mix letale.

Tutto le sembrava un’enorme bugia dalla quale era impossibile uscire con le proprie forze.

Tutto quello che usciva dalla bocca di sua madre non era altro che un vano tentativo di farle nuovamente fare ciò che voleva.

Non sarebbe caduta di nuovo nella sua trappola.

 

- Sei troppo nervosa tesoro…- cercò di nuovo di assumere un tono sdolcinato che non le si addiceva per niente - Se vuoi possiamo mangiare un gelato alla vaniglia con i brownies. Rilassati tesoro, vieni qui…- tese le mani nel tentativo di abbracciarla.

- TI HO DETTO DI NON TOCCARMI!!!- sbraitò, spingendola ripetutamente indietro con forza.

 

Fu un attimo, una frazione di secondo.

Quegli stessi tacchi alti che si ostinava a far portare anche a lei da anni furono la sua rovina.

Non si rese nemmeno conto di come accadde, forse era scivolata, forse aveva inciampato nella gamba del basso tavolino al centro della stanza.

Quando un barlume di lucidità riprese posto nella sua mente, trovò la madre a terra priva di sensi.

Era sdraiata lì, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, il corpo che non dava cenni di movimento.

Restò a fissarla per qualche secondo, incapace di reagire.

La rabbia di poco prima aveva lasciato spazio alla paura.

 

- Mamma…? Stai bene…? Andiamo a fare lo spot…Mamma?! Mamma?!?!- provò a scuoterla leggermente più e più volte, senza risultato.

 

Le mani iniziarono a tremarle, la fronte si imperlava di sudore.

Forse il gesto che aveva commesso era anche peggio di tutto ciò che le aveva fatto sua madre.

 

- Oddio…l’ho uccisa…!- sussurrò, come a non voler far sentire nemmeno alle pareti il crimine di cui si era macchiata.

 

Se qualcuno l’avesse scoperta, non sarebbe finita solo la sua carriera, ma anche la vita che doveva ancora cominciare.

Anche se non c’erano prove che l’avesse spinta lei, anche se avrebbe potuto raccontare che Domino era scivolata da sola a causa dei tacchi, il senso di colpa la perseguitava come un fantasma nell’ombra.

Inoltre, la sua mente era sotto uno shock troppo profondo per architettare un piano che stesse in piedi.

Le restava un’unica cosa da fare.

Lesta, si avvicinò alla porta in punta di piedi, aprendola e richiudendola subito dopo, per non permettere a nessuno di vedere all’interno del camerino.

Accertatasi che nessuno la stesse osservando, si dileguò in silenzio lungo il corridoio.

 

 

 ANGOLO DELL’AUTORE

Non credevo di finire così presto il capitolo, forse è un po’ corto ma la prossima parte preferisco tenerla a sé. Mi piace chiudere con questo colpo di scena! Voi che ne pensate? Domino sarà morta per davvero? E Boa cosa farà adesso? Spero che questa storia continui a piacervi, so che ci si sta mettendo una vita per arrivare nel centro di recupero ma prima è necessario delineare i profili di queste tre ragazzacce, per poi comprenderne gli atti futuri. Inoltre sto seguendo alla lettera gli episodi della telenovela, perciò prendetevela con gli autori! XD
Grazie a tutti quelli che stanno supportando questa fic nonostante sia così insolita!
Il prossimo sarà su Tashigi che vedo piace proprio a tutti! ;P
Baci
Place



Vuoi conoscere altre curiosità su Ninas Mal e vedere i personaggi reali della telenovela da cui è stata tratta questa fic? Fai un salto sul mio portfolio, troverai questo e molto altro!


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Capitolo 9
*** 9 - L'alter ego ***


Con gli occhi lucidi, in parte per la rabbia e in parte per il pianto che premeva per uscire, continuava a camminare avanti a indietro per la stanza, stringendo spasmodicamente il cellulare fra le mani.

Faceva ripartire il video per poi stopparlo subito dopo, incapace di guardare ancora il suo fidanzato fare il cascamorto con due sgualdrinelle.

Tutto in quella camera parlava di lui, ovunque si girasse c’erano foto di loro due che lei stessa aveva messo, credendo che la loro storia fosse importante.

Ora sapeva che lo era solo per lei.

Stanca, più psicologicamente che fisicamente, si abbandonò sulla poltrona davanti alla specchiera, premendo di nuovo play sul cellulare.

Ed ecco che il video ripartiva.

Stavolta si concesse di osservarlo più a lungo, ma non riuscì a terminarlo.

Presa da un impeto che la smuoveva contro la sua volontà, si alzò nuovamente in piedi, riprendendo a camminare velocemente da un capo all’altro della stanza.

Si soffermò con lo sguardo su una foto che li ritraeva in un giardino rigoglioso, sorridenti e apparentemente felici.

Le aveva riservato una cornice d’argento, sulla quale passò un dito sfiorandola.

Spostò lo sguardo sul display del cellulare, che ritraeva un fermo immagine di Law che abbracciava una bionda.

Mordendosi il labbro, spinse la cornice fino a farla cadere, così come cadeva una lacrima silenziosa lungo la sua guancia.

Senza forze, si accomodò nuovamente sulla poltrona, fissando la sua immagine riflessa nello specchio.

Dove aveva sbagliato?

Che cosa c’era di sbagliato in lei?

Non era abbastanza carina, interessante, colta o intelligente?

No…Non era questo il problema.

La verità era che non era abbastanza sexy.

Law non si sentiva attratto da lei, che continuava a comportarsi come una suora: ed ecco che cercava di “spegnere il suo fuoco” con ragazze senza vergogna.

Fu allora che si ricordò di ciò che le avevano detto le amiche durante il pomeriggio appena trascorso…

 

Lozioni per il corpo…

 

Gettò un’ultima occhiata al video, prima di posare il cellulare sul ripiano del mobiletto con la specchiera davanti al quale era seduta.

 

Preservativi…

 

Girò il capo verso il collage di foto che li ritraeva in diversi momenti trascorsi insieme in quell’anno di fidanzamento, anche se in realtà non ne vide nemmeno una.

La sua testa era altrove, in quel locale con Law.

 

Si divertirà guardando i porno su internet…

 

Piegò le labbra in una smorfia di dolore, lasciando che le lacrime uscissero da quegli occhi che avevano appena assistito al peggiore degli spettacoli.

 

Reggiseni e ragazze che ballano…

 

Senza rendersene conto, guidata dalle voci che risuonavano nella sua testa come colpi di martello, lasciò che le sue mani si infilassero nella busta del negozio che Violet e Kalifa avevano lasciato lì.

Si accorse che c’erano diverse cose al suo interno, e ovviamente ne conosceva bene la natura.

Cose sexy, cose che fino a quel momento per lei erano state un tabù.

 

Gli mostrano la loro mercanzia…

 

Con la mano tremante, estrasse la prima cosa che le capitò a tiro: una parrucca nera.

Il taglio era come quelli che andavano di moda in quel periodo, un caschetto più lungo sul davanti.

Troppo moderno per una ragazza all’antica come lei, che i capelli li aveva sempre portati solo in un unico modo durante i suoi diciassette anni.

 

E tu, Tashigi?

 

Desiderosa di conoscere quel mondo che le era stato negato dal suo grado sociale e che tanto affascinava il suo uomo, continuò a cercare dentro quella busta.

Tutto ciò che ne usciva era una scoperta, orribile e al contempo affascinante.

 

Un fidanzato eccitato che cerca qualcuno che accenda la sua passione…

 

Un bustino nero in latex con le stringhe, talmente stretto che avrebbe rischiato di soffocarci dentro.

 

Tashigi, se vuoi puoi venire con noi…

 

Un paio di stivali lunghi fino a sopra il ginocchio, anche quelli in latex nero con una fila di stringhe incrociate al centro e tacchi talmente alti da sembrare trampoli.

 

Ti insegneremo come accendere la sua passione…

 

Un paio di calze a rete a maglia molto larga, roba che avrebbe classificato solo come indumento da donnina di strada.

E molto, molto altro.

Eppure, il suo fidanzato la voleva proprio così, libertina e senza candore.

Doveva fare una scelta, forse la più dura che avesse mai affrontato.

Doveva scegliere se essere Tashigi, la ragazza pudica e di sani principi, oppure una donna nuova senza regole e piena di sensualità.

Tashigi avrebbe perso Law, l’altra donna lo avrebbe conquistato.

Si morse il labbro, guardando la sua immagine riflessa nello specchio.

Per la prima volta nella sua vita, non si riconobbe.

Non sapeva più chi era.

 

 

 

…………

 

 

Il locale era pieno zeppo di gente.

D’altra parte, il “Limite” era il posto più in voga del momento in cui trovarsi a far baldoria la sera, bevendo, rimorchiando e ascoltando musica a tutto volume.

Ci si poteva perdere in mezzo a quella folla scatenata, accecati dalle luci psichedeliche.

Tutti erano nessuno, volti che si mescolavano gli uni agli altri come in quadro astratto.

Gente che trovavi e che riperdevi subito dopo, inghiottita dalla pista stracolma.

In tutta quella confusione, una figura avanzava lentamente, distinguendosi senza fatica dalla massa.

Le cose accattivanti non passano mai inosservate.

Gambe snelle e sinuose, avvolte da calze a rete a maglia larga, culminanti in un paio di lunghi stivali di pelle lucida e nera, decorati con stringhe incrociate.

Un vestito succinto in finta pelle nera, stretto in vita da una cintura recante delle borchie, che lasciava poco all’immaginazione data la “lunghezza”.

Per non parlare della scollatura, che regalava la visione di un petto florido nonostante la giovane età.

Capelli neri, con un taglio a caschetto che si allungava sul davanti, incorniciavano un viso truccato pesantemente.

Ombretto viola scuro, rossetto in tinta con quest’ultimo, facevano risaltare la pelle chiara come poche.

Una ragazza da non farsi sfuggire.

Camminava verso il centro della pista, cercando di combattere la pesantezza di quegli sguardi tutti rivolti a lei.

Non poteva permettere che il nervosismo rovinasse i suoi piani.

Cercando dentro di sé una sicurezza che non aveva mai avuto, iniziò ad atteggiarsi in maniera provocante, ricambiando maliziosamente gli sguardi dei ragazzi che le ammiccavano, sorridendo e scostandosi i capelli dal viso con sensualità.

Lasciandosi guidare dal ritmo della musica, prese ad ancheggiare sinuosamente, piegando di poco le ginocchia e ripercorrendosi il costato con il dorso delle mani, portando le braccia verso l’alto.

Chiunque l’avesse guardata avrebbe pensato che era avvezza a quell’ambiente e a quel genere di cose.

Lanciando occhiate a destra e a manca, in realtà cercava una sola cosa in quel locale.

Fu proprio allora che la vide, grazie a un faro che aveva illuminato il punto in cui si trovava.

Il ragazzo, il suo ragazzo, stava ridendo e ballando con un’altra donna, toccandola più del dovuto.

Trattenendo la rabbia, finse di continuare a ballare, mentre si avvicinava sempre di più a lui.

Un altro ragazzo, che probabilmente l’aveva adocchiata, le si parò di fronte, porgendole con fare ammiccante un drink appena preso.

I consigli delle due amiche stavano dando i loro frutti.

Forse era davvero necessario essere una poco di buono per avere attenzioni.

Sorridendo allusivamente, prese il drink e ne bevve un sorso, senza staccare gli occhi da quelli del ragazzo.

E in quel momento, come per scherzo del fato, il suo presunto fidanzato la scorse tra la folla.

Rimase pietrificato a guardarla, senza più dare attenzioni alla ragazza che ballava con lui.

Non che l’avesse riconosciuta, era impossibile dato il rivoluzionario cambiamento, ma per un donnaiolo come lui una simile tentazione era come oro colato.

Finalmente anche lei si accorse di aver attirato la sua attenzione, proprio come desiderava.

Adesso era lui a camminare ipnotizzato verso di lei.

Continuò a dare corda al ragazzo che le aveva portato il drink, fino a quando il suo fidanzato (ignaro di trovarsi davanti alla sua promessa sposa), si fermò a pochi centimetri da lei.

Sorridendo con fare beffardo e snob, ignorò bellamente entrambi, sorpassandoli e avviandosi sicura verso i cubi sopraelevati popolati di belle ragazze che mettevano in mostra le loro gambe.

Facendosi aiutare dall’ennesimo ragazzo, salì anche lei, riprendendo la danza fatta di mosse sensuali che aveva iniziato poco prima in pista.

Inutile dire che la folla era tutta per lei, le altre non esistevano più.

Quella ragazza dark e misteriosa era diventata la regina della serata.

Tashigi era noiosa, nessuno si accorgeva di lei in mezzo alla gente.

Lolita era accattivante, una dominatrice indiscussa.

Poteva essere due persone al tempo stesso?

In fondo, tutti nascondiamo un lato oscuro.

Più Law la fissava, più lei gli sorrideva lanciando sguardi maliziosi e allungando un braccio in sua direzione puntandogli il dito contro.

Guardami Law, ora sono esattamente come mi vuoi? Ti piaccio, vero?” gli stava dicendo nel silenzio della sua mente.

Non l’aveva mai guardata in quel modo quando era solo Tashigi.

Avrebbe dovuto essere distrutta da quel fatto, perché ciò significava che il suo uomo non la apprezzava per quello che era; invece si sentiva piena di energie, come se quello fosse il posto esatto dove doveva trovarsi quella sera.

Lei che odiava i locali pacchiani e rumorosi, si sentiva a suo agio mettendosi in mostra in quel modo, come se una parte di lei fosse nata per fare quello.

Forse, la vera Tashigi non era la ragazza per bene che credeva.

Ballava senza perderlo di vista, controllando ogni minima espressione sul suo volto, fino a quando un ragazzo, che riconobbe come il suo migliore amico, gli si avvicinò, mettendosi anche lui a fissarla.

Vedeva le loro bocche muoversi, segno che stavano avendo una conversazione.

E dal modo in cui la mangiavano con gli occhi, non era difficile intuire l’argomento.

 

- Ehi, Law! Hai visto quella tipa?-lo affiancò Penguin, con due drink in mano.

- E’ divina…La conosci?- si interessò subito.

- No, però mi attira parecchio…- confessò.

- Una così chi non attirerebbe?- gli fece notare, ghignando con quel suo fare strafottente.

 

Desiderava conoscere le parole che si stavano dicendo, solo per il gusto di sentirsi dire dal suo fidanzato quanto fosse sexy.

Poteva farlo solo in quell’occasione, perché il giorno dopo sarebbe tornata ad essere la ragazza di sempre.

Nell’alta società il suo ruolo era Tashigi Kendo, appartenete a una famiglia dal nome illustre e di raffinati costumi, che non poteva certo andare in giro vestita a quel modo.

Per questo quella sera voleva essere solo Lolita, ragazza libera di fare tutto quello che voleva.

Non aveva fatto i conti con gli scocciatori, però.

Si sentì sfiorare ripetutamente una coscia, e spostando lo sguardo verso il basso si accorse di un ragazzo che tentava di toccarla salendo sempre più in alto.

Voleva essere sexy, ma non una sgualdrina che si faceva palpare da chiunque.

Aveva comunque una dignità anche dietro chili di trucco, una parrucca e vestiti praticamente inesistenti.

Non poteva fare una scenata da bambina capricciosa, però, o tutti avrebbero scoperto la sua vera identità.

Così, fece la cosa più “cool” che le ragazze importunate nei locali erano solite fare: rovesciò il drink rimastole in mano da prima sulla testa del molestatore.

Il tutto con un sorriso malandrino rivolto alla folla, ovviamente.

Un boato di esultanza si protrasse nel locale, accompagnato anche da alcuni applausi.

Sul volto di Law si materializzò uno dei suoi ghigni migliori, e lei stessa si concesse di mostrare i denti per la prima volta in quella folle nottata.

Si stava divertendo, contrariamente a ciò che aveva sempre pensato.

Ballava, ballava e ballava, presa dal ritmo di quella musica da discoteca che non aveva nulla a che vedere con ciò che ascoltava solitamente.

Si dimenticò persino di Law, distogliendo lo sguardo da lui.

Senza saperlo, però, aveva già innescato la bomba.

Il suo piano era più che riuscito.

Penguin, provolone almeno quanto Law, si fece largo tra la folla, fermandosi proprio sotto di lei.

Abbassò lo sguardo, cercando di capire cosa volesse.

Lo vide tenderli una mano, invitandola a scendere dal cubo e andare con lui.

Poteva essere un’ottima occasione di far ingelosire Law, ma Penguin non era decisamente il suo tipo.

Inoltre, era lì solo per dimostrare al suo fidanzato che anche lei poteva essere sensuale, non certo per concedersi a un qualunque ragazzo a caso solo per vendetta.

Assumendo un’aria snob che non ammetteva repliche, scansò la sua mano, ignorandolo.

Qualcuno, però, aveva assistito alla scena pochi metri più indietro, concedendosi l’ennesimo ghigno della serata.

Inutile dire che anche lui, ora, aveva tutta l’intenzione di mettersi in gioco.

Ricevere le attenzioni della donna più bella e desiderata del locale sarebbe stato motivo di vanto, qualcosa da raccontare a tutti il giorno dopo.

Deciso, si avvicinò anche lui, ripetendo la scena dell’amico: si fermò davanti a lei e gli porse la mano.

Cosa doveva fare adesso?

Una mossa azzardata le sarebbe potuta costare cara.

Se si fosse avvicinata o esporta troppo, di certo uno furbo e scaltro come Law l’avrebbe riconosciuta subito.

Lo fissò negli occhi, cercando di nascondere la tensione e la paura che iniziavano a uscire dopo essere rimaste nascoste per tutta la sera.

Vedendola esitare, Law si fece più audace, sfiorandole una coscia con i polpastrelli e alzando l’arcata sopraccigliare, piegando di poco la testa da un lato, come a volerle dire “Allora? Ci stai?”.

Bastò quello per riportarla alla realtà.

Il suo ragazzo non avrebbe perso l’occasione di tradirla.

Non sapeva nemmeno il nome di quella ragazza che stava guardando ora, eppure le proponeva di fare l’amore con lui.

La loro storia felice era solo una bugia, così come lo era Lolita, l’alter ego nel quale si era trasformata quella notte.

Lei non era così, la ragazza che si era inventata non esisteva.

La libertà apparente che aveva provato in quei pochi minuti aveva lasciato spazio ad un peso soffocante.

Tutte le sue certezze crollavano, e l’unica che ne sentiva il rumore rimbombarle nella testa era proprio lei.

Sconvolta dall’amara verità del suo mondo perfetto, scese velocemente dal cubo, scostando Law e scappando via, disperdendosi tra la folla della pista e lasciandolo indietro a cercarla inutilmente.

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Salve! Era un po’ che non la aggiornavo questa, perciò ho voluto darle spazio come ultima pubblicazione (almeno su questo fandom) prima della mia partenza per Lucca prevista fra 4 giorni.
In questo capitolo è tornata la vostra adorata Tashigi, contente? XD Come vedete si è lasciata andare, ma non ne è rimasta soddisfatta…
Vi metto alcune precisazioni che sono doverose, poi il resto lo lascio ai vostri commenti se vorrete lasciarmene:

 - sopra viene detto che Tashigi ha diciassette anni. Lo so benissimo che nel manga ne ha 23 (dopo il time skip), ma per questa storia mi serve che, come nella telenovela, le tre protagoniste siano tutte adolescenti. Altrimenti i loro problemi di ribellione non avrebbero senso se fossero già donne mature. Per questo vi dico già le età di ciascuna di loro: Nami ha 18 anni, Boa ha 18 anni e Tashigi è la più piccola e ne ha 17. Le altre ragazze del centro avranno la stessa età.

 - nella realtà della telenovela il nome dell’alter ego di Tashigi, Lolita, non viene svelato durante la scena che ho raccontato ma più avanti. Ho però voluto dirlo subito, visto che nei suoi pensieri probabilmente la protagonista aveva già pensato a un nome fasullo. E poi questo nome ricomparirà di nuovo nella storia, perciò voglio che lo teniate bene a mente! (piccolo spoiler che vi regalo perché è sabato e siamo tutti più buoni! ;-) )

 E questo è tutto!
Attendo con piacere le vostre recensioni e ci sentiamo al più presto!
Baci
Place

 

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