Coming home

di Red Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gonna take on this journey ***
Capitolo 2: *** Out of the shell ***
Capitolo 3: *** I ain't gonna leave until you know my name ***



Capitolo 1
*** Gonna take on this journey ***




"Benedictus"

La professoressa si voltò verso la lavagna e cominciò a scrivere. La lastra nera si riempì più lentamente del solito di quella sua calligrafia frenetica e decisa. I tacchi risuonarono sul pavimento quando raggiunse la cattedra, per poi sedersi. La professoressa Hirely non si sedeva mai. La lezione di filosofia stava per finire, e l'insegnate lo sapeva grazie al sottile orologio che portava al polso, ma congedò gli studenti con un po' di anticipo. Appoggiò la testa sul palmo della mano, chiudendo per un attimo gli occhi. Finalmente poteva andare a casa a sdraiarsi. Si alzò con decisione, seguendo gli allievi fuori dalla grande aula universitaria. La testa le dava terribili fitte e, in mezzo al frastuono del corridoio, le sembrava di udire soltanto il ticchettio delle proprie scarpe. L'antipiretico che aveva preso quella mattina pareva non aver fatto effetto: aveva ancora quel fastidioso dolore alle gambe e, vista la fatica che le costava camminare e sorreggere la sua elegante ventiquattrore, doveva avere ancora la febbre. Fu quando svoltò a sinistra per l'ultima volta prima di raggiungere l'uscita che ebbe inizio. Le si annebbiò la vista e cominciò a vedere i colori alterati: tutto le appariva nero con sfumature verdi e gialle. Non aveva la forza di sorreggere il proprio esiguo peso e la testa, oltre che dolente, era diventata oltremodo pesante. Il rumore secco che fece quando cadde a terra catturò subito l'attenzione della gente che transitava nel corridoio, facendo formare un cerchio di curiosi che la fissavano a debita distanza: la scomposta figura della tanto composta professoressa Hirely, i fogli contenuti nella borsa ora sparsi sul pavimento, gli arti casualmente abbandonati come oggetti indipendenti, la pelle chiara della guancia, quel giorno particolarmente pallida, contro il pavimento gelido.

 

[Il cantuccio dell'autrice]
[Perché sono qui già ora? Beh, questa fanfiction è immaginata come un episodio di House facente parte della terza stagione. Come ben sapete ogni episodio inizia con il futuro paziente che si sente male, poi c'è la sigla e infine inizia il vero e proprio episodio. Insomma, questa che state leggendo sarebbe la sigla.]
[Non mi dilungo, volevo solo dirvi che i link che troverete sono le canzoni che ho immaginato come colonna sonora per la mia storia e che mi farebbe molto piacere se le ascoltaste.]
[Per questa fanfiction ho dovuto fare parecchie ricerche “mediche” (che, devo dire, sono state interessantissime *-*), ma avvalendomi di Wikipedia non ho idea di quali strafalcioni potrei aver scritto. Mi scuso in anticipo e, se tra voi c'è qualcuno che se ne intende un minimo, mi metta al corrente di eventuali imprecisioni ^^”]
[Se vorrete recensire mi farete davvero felice, perché sono affezionatissima a questa storia *-*]

 

 

 

Coming Home

 

Gonna take on this journey,
feel the light getting worm.
Find the strenght I've been serching,
keep the beat going strong.
Coming home – Firelight


House non era ancora entrato al Plainsboro Hospital, quando capì che quella sarebbe stata una pessima giornata. Le moderne porte a vetri mostravano un anomalo sovraffollamento all'interno dell'edificio. Gregory dovette attendere di varcare la soglia (la porta dell'inferno, l'avrebbe definita lui) per capire di cosa si trattasse: una violenta epidemia di influenza stagionale, come poté costatare dagli evidenti sintomi di quell'ammasso di gente. Che cosa noiosa l'influenza, quasi più del cancro. House ebbe la conferma definitiva che quella sarebbe stata una giornata orribile quando, in mezzo ai camici azzurri delle infermiere e quelli bianchi dei medici, notò la giacca nera del tailleur della dottoressa Cuddy. Per quanto gli facesse piacere la vista della sua profonda scollatura, lo sguardo di Lisa dimostrava che era già sul piede di guerra: avrebbe preteso che House, come i suoi colleghi, si mettesse a fare il distributore di aspirina.
-House, arrivi giusto in tempo. Siamo assaltati da pazienti con l'influenza. Stiamo mandando alcuni di loro in altri ospedali, ma necessito di tutti i medici disponibili per accogliere gli altri. L'ospedale è in crisi-
-Quando dici “l'ospedale” intendi la sua direttrice o la struttura ospedaliera?- ribatte sarcastico riferendosi allo stato di preoccupazione e iperattività della collega.
Cuddy lo fulminò con lo sguardo, non prendendosi neanche la briga di ribattere, per una volta.
-Stanza 5, c'è già una fila di pazienti che aspettano- disse, porgendogli una cartella con l'elenco dei pazienti.
House fece per incamminarsi, ma si blocco di colpo dopo appena un passo. Si batté la mano sulla fronte con fare teatrale.
-Oh, dimenticavo: io sono un diagnosta. Mi dispiace di non poter aiutare, ma mi pare che ce l'abbiano già una diagnosi questi-
-Tranquillo, puoi farcela anche tu! Devi soltanto usare le tue abilità manipolatorie per convincerli che stanno bene e firmare un paio di ricette-
House stava per ribattere a tono, quando, dall'altra parte dell'atrio, Foreman gli fece cenno di raggiungerlo.
-Oh, pare che ci sia un caso! Che disdetta!- rispose Gregory, fintamente affranto.
Si fece largo tra la folla con il suo bastone, lasciando la Cuddy che scuoteva la testa rassegnata.
-Tempismo perfetto, Uomo Nero!- House guardò l'orologio -Dieci secondi fa è iniziato General Hospital, mi conviene affrettarmi- concluse sollevando le sopracciglia con eloquenza e poi allontanandosi.
Eric alzò gli occhi al cielo scocciato, poi lo raggiunse in un paio di passi, ringraziando momentaneamente l'handicap del suo superiore.
-Donna. 39 anni. È svenuta mentre era all'università- spiegò Foreman quando l'ebbe raggiunto.
-Ancora a scuola? Non è un po' cresciuta?-
-Insegna filosofia- aggiunse, chiedendosi per l'ennesima volta perché House desse tanta importanza a quei dettagli insignificanti, poi gli passo la cartella della paziente.
-Altri sintomi?- chiese Gregory.
-Non lo sappiamo, per il momento non si è ancora svegliata-
I due erano arrivati davanti allo studio di House.
-Allora torna quando saprai qualcosa, idiota!-
Foreman girò sui tacchi, pronto a lasciare perdere House, per il momento. Il diagnosta si piazzò davanti alla sua televisione portatile, i piedi appoggiati alla scrivania e un pacchetto di patatine in mano, a godersi la soap opera indisturbato, finché non arrivò la dottoressa Cameron. Gregory non stacco gli occhi dallo schermo, alzando una mano per indicarle di attendere. Allison si aspettava di poter parlare alla fine del dialogo che si stava svolgendo tra il medico e il paziente, nella tv, ma non fu così: House non si mosse da quella posizione. Passò qualche minuto prima che giungesse Chase. Il biondo si stava chiedendo che fine avesse fatto la collega che avrebbe dovuto avvertire House del risveglio della paziente. Quando si accorse che Cameron stava guardando la televisione con il caporeparto si sbracciò per farsi notare attraverso la porta a vetri. La ragazza gesticolò con l'obbiettivo di fargli capire che House non voleva essere disturbato. Alla fine anche Chase entrò e si appoggiò alla scrivania del superiore in attesa che questi fosse disposto ad ascoltarlo. I due assistenti si sforzarono di essere pazienti perché avevano davvero bisogno di House e non volevano che si mal disponesse verso il caso, come spesso accadeva. Restarono a guardare l'episodio di General Hospital, in attesa che finisse.
Foreman fu meno diplomatico: quando finalmente trovò i colleghi con gli occhi incollati al piccolo schermo, entrò nello studio senza troppe cerimonie.
-House, la paziente si è svegliata-
Eric si trovò addosso tre paia di occhi scocciati. Cameron gli fece segno di fare silenzio e i medici tornarono a concentrarsi sullo schermo, solo per constatare, però, che ormai apparivano i titoli di coda.
-Mi hai fatto perdere il colpo di scena finale- si lamentò House, sedendosi meglio sulla sedia e spegnendo l'apparecchio.
-Tutti aspettano pazientemente, ma non Foreman, nossignore, lui non ha tempo da perdere- polemizzò Robert.
-Nessuno di noi dovrebbe avere tempo da perdere quando abbiamo un caso- ribatté.
-Spero che almeno sia qualcosa di importante- intervenne House.
-La paziente si è svegliata. Ha detto che da ieri ha tosse, mal di testa, dolore alle gambe e febbre alta-
House sbuffò sonoramente.
-Un altro caso di influenza, tanto vale potevo restare con la Cuddy, almeno avrei avuto un buon panorama. Senza offesa, Cameron, ma le sue camicette sono più scollate-
-È svenuta nonostante avesse preso un antipiretico- cercò di convincerlo Foreman.
-Qual è la temperatura corporea attualmente?- chiese svogliatamente il capo reparto.
I tre assistenti si scambiarono un'occhiata.
-Chi l'ha misurata?- chiese Foreman.
-Io no-
-Non io-
-Che razza di medici siete? Non siete capaci neanche a darle un termometro- disse acido House -E poi si chiedono perché abbia bisogno di tre assistenti: tra tutti non ne fate uno. Chiamatemi quando ci sarà realmente qualche novità- concluse per poi sparire nuovamente.


La squadra si ritrovò non molto tempo dopo nella camera della paziente. Il cerca-persone aveva richiamato House dal suo ozio, convincendolo a raggiungere i colleghi. Sulla porta della stanza Foreman lo aveva informato che la febbre era a 40° in quel momento e che la donna si lamentava di forti dolori. Non fece in tempo a continuare, però, che arrivò un trafelato Wilson.
-La Cuddy vi cerca. Mi ha intimato di controllare che almeno tre di voi si occupino dell'epidemia di influenza-
-E tu perché lo stai facendo?- chiese il caporeparto.
-House, mi ha minacciato, era davvero fuori di sé, questa volta non la passi liscia neanche tu- disse serio.
House rifletté un attimo.
-Andate- disse agli assistenti.
I medici seguirono Wilson scocciati, mentre House entrava nella stanza della paziente. Sul bianco candido delle lenzuola ospedaliere risaltavano i capelli rossi, la prima cosa che House notò. Il viso pallido era contratto in una smorfia di dolore. La paziente non sembrò neanche accorgersi della sua presenza, a tutta prima, e restò coricata con gli occhi chiusi. House attraversò la stanza lentamente, andandosi poi a sedere al fianco del letto.
-È lei il dottor House?- chiese la donna, senza muoversi né aprire gli occhi.
Il medico non riuscì a dissimulare lo stupore, ma la paziente non poté accorgersene. A quel punto la donna si mise a sedere, anche se era evidente che la cosa le costasse parecchia fatica.
-Già- rispose il diagnosta, squadrandola meglio.
-Avevo sentito che fosse zoppo- disse, abbozzando un sorriso tirato.
House si stupì che avesse la lucidità di riconoscere i suoi passi zoppicanti e collegare ciò alle voci che aveva sentito su di lui.
-Come si sente?-
-Male- rispose la paziente, chiudendo di nuovo un attimo gli occhi -La testa mi scoppia e mi fanno male le gambe-
House tirò fuori le sue solite pastiglie di Vicodin e ne rovesciò doppia dose nel palmo della mano.
-Prenda, queste fanno passare tutto-
-Grazie-
-Alla salute- disse Gregory, prima di inghiottire le sue, in quel suo solito modo plateale. -Da quanto sta male?-
-È cominciato all'improvviso ieri pomeriggio. Ho preso un antipiretico prima di andare a letto e un altro stamattina prima di uscire, ma il secondo non è servito a molto. Già durante la lezione non mi sentivo per niente bene-
-Potrebbe trattarsi di una forma particolarmente forte di influenza, vista l'epidemia...-
-Oppure?-
-Oppure metà delle malattie esistenti-
La donna sospirò appena, ma fu interrotta da un attacco di tosse che durò qualche secondo.
-Questo avvalora la teoria dell'influenza- decretò -Le faccio un tampone, per vedere se ha dei batteri nella gola-
-So cos'è un tampone-
-Perfetto, Mary- disse svogliatamente, mentre prendeva il necessario.
-Madaly- lo corresse senza scomporsi.
House eseguì l'esame.
-La gola è arrossata, è probabile che il tampone risulti positivo- concluse House, incamminandosi verso il laboratorio.
La professoressa Hirely sprofondò ancor più nel letto, sospirando.


La porta scorrevole fece un leggero rumore quando House l'aprì energicamente e Madaly si preparò ad ascoltare il suo medico curante.
-Allora?- chiese, la voce stanca.
-I medici incapaci di questo ospedale hanno fatto un tampone a tutti i pazienti che si sono presentati questa mattina, non si saprà niente prima di domani-
La donna sospirò. In quel momento entrò l'infermiera con il pranzo per la paziente e lo posò sul tavolino del letto. Madaly diede un occhiata provando un'invisibile quanto immotivato moto di disgusto.
-Non ho molta fame-
House alzò gli occhi al cielo.
-Ehi, non sa quanti pazienti malati di influenza desidererebbero un pasto caldo in questo momento?- disse sarcastico.
-Mangi, signora, ha bisogno di energia per riprendersi- aggiunse l'infermiera con fare materno.
-Ha sentito la voce dell'altruismo? Non vorrà mica che questa povera donna debba riportare indietro il vassoio invece di andare a fare l'enigmistica- disse riferendosi all'opuscolo che sbucava dalla tasca del camice della donna.
L'infermiera lo fulminò con lo sguardo e se ne andò. La paziente si decise ad assaggiare un pezzo di carne, ma posò subito dopo la forchetta. House la fissò un po', poi prese il coltello e infilzò malamente l'intera fetta di carne, per poi assaggiarla. Storse il naso.
-La mensa è peggiorata ancora. Mi aspetti qui- disse uscendo dalla stanza.
-E dove vuole che vada?- chiese retorica la paziente, alzando la voce per farsi sentire.


Il diagnosta tornò pochi minuti dopo con qualche schifezza presa alla macchinetta dell'ospedale. Chiuse le tende che davano sul corridoio, si sedette stravaccato su una sedia e porse alla paziente un pacchetto di patatine.
- È così che cura i suoi pazienti?- chiese sorridendo.
-Già, ma non lo dica a nessuno: è il segreto del mio successo-
Gregory, a quel punto, accese la televisione su uno show televisivo e iniziò a sgranocchiare, imitato dalla donna.
La televisione fu interrotta soltanto dalle loro risate finché non fu pomeriggio inoltrato.
-È tardi, lei non dovrebbe andare a casa?- chiese Madaly.
-Forse ha ragione- rispose apatico House, senza muoversi di un millimetro.
-No, resti ancora un po'. La noia fa passare il tempo troppo lentamente-
-Prima mi ricorda che devo andarmene, poi mi chiede di restare. Si decida. Così non so come contraddirla-
-Non glielo stavo ricordando perché lo facesse, una persona che ha un motivo per andare a casa non se ne dimentica. Non c'è nessuno che l'aspetti?-
House sorresse quello sguardo per un attimo.
-Nessuno è venuto a trovarla- ribatté.
-Già: genitori morti, ex marito che mi odia, amiche troppo impegnate. Sa come vanno le cose. Neanch'io ho qualcuno ad aspettarmi a casa-
-Cosa le dice che io non ce l'abbia?-
-Il suo sarcasmo. Se ha trovato qualcuno che lo sopporta è davvero fortunato-
-E lei perché non ha nessuno?-
Si voltò, pronto ad andarsene.
-Resti- disse con un tono piatto.
Non era una supplica né un ordine, era qualcosa di simile ad una constatazione.
House si bloccò.
-Solo se lei mi dice perché nessuno l'aspetta, lo consideri parte dell'anamnesi-
-Solo se mi dice cosa l'ha fatto diventare così-
House soppesò la proposta giocherellando con il bastone.
-Ci sto- disse ritornando alla sedia girevole e sedendocisi comodamente, in attesa.
La donna non stacco lo sguardo dalla sua figura, tranquilla.
-Non sono certa di sapere perché non abbia nessuno ad aspettarmi a casa, non credo che qualcuno possa esserne certo, ma posso dirle come penso siano andate le cose. Credo che la gente non sopporti la mia razionalità. Non si è chiesto perché insegno filosofia? Insegno ad usare la ragione, che mi pare manchi a troppa gente. È la prima e miglior arma per difendersi dalla vita, anche se ha dei limiti. Non raggiunge tutto, lo so, ma questo non toglie che sia il miglior metro di giudizio laddove è possibile usarla. Forse è proprio questo il difficile: capire quando si possa usare- Madaly si fermò un attimo, riflettendo persa nei suoi pensieri -Sto divagando- sorrise -Il fatto è che ho trovato poche persone che si sentano a loro agio con la razionalità. Una di queste è il mio ex marito. Non era infastidito da ciò, anzi a volte lo ammirava, ne usufruiva. Non mi capiva appieno, ma era comunque un uomo fantastico e sensibile. Lo amavo. Quando iniziarono i problemi, però, cominciai a capire che non avrebbe funzionato. Io avrei voluto discutere civilmente e ragionare sulle soluzioni, lui riduceva tutto a “fiducia”, “venirsi incontro” e “comunicare”. Non ho mai capito che cosa intendesse, onestamente: per me quelle cose c'erano già, ma forse lui non le percepiva. Ad ogni modo, riusciva sempre ad apparire come vittima, in modo totalmente irrazionale, peraltro. Mi convinse che avere un figlio avrebbe riportato le cose come quando ci eravamo appena conosciuti ed io accettai. Non sapevo di essere sterile. Si ruppe qualcosa in lui, quando glielo dissi, qualcosa che non si era rotto in me, in realtà. Forse quando si immaginava il nostro futuro ci vedeva dei bambini con il nostro DNA e non gli fu di conforto sapere che avremmo potuto adottarne. Fu il colpo di grazia. Divenne simile ad un bambino piccolo, capriccioso ed ostinato. Arrivò ad accusarmi per la mia incapacità di avere figli- la donna si corrucciò, mostrandosi amareggiata per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare -Capisce? Era un'assurdità enorme! Lo cacciai di casa, non tanto gentilmente a dire la verità, ma sa, la stupidità mi dà alla testa- concluse con naturalezza, abbozzando un sorriso.
House la guardò negli occhi, cercando traccia della menzogna.
-I suoi genitori?-
-Gliel'ho detto, sono morti di cancro anni fa. Non erano male, come genitori. Avevano un po' la fissa della figlia perfetta, forse perché avevano solo me. Mia madre era incredibilmente stupida, mi faceva disperare. Per quante motivazioni potessi apportare alle mie convinzioni vinceva sempre lei, soltanto perché aveva il potere di decidere della mia vita: era mia madre. La ricordo come una cosa parecchio frustrante. Mio padre mi piaceva, invece- stava per continuare, ma non lo fece: sorrise.
-Sto divagando si nuovo. Non sono ad aspettarmi a casa perché sono morti-
-Nessun altro?- chiese House, che non era convinto di tutto ciò.
-Amici. Qualcuno più superficiale, altri a cui tengo molto. Riceverò qualche visita, quando verranno a sapere che sono qui. Non sono così sola, io- sottolineò l'ultima parola, dichiarando chiuso il discorso e allo stesso tempo incitando House a parlare.
-Meglio per lei- disse il medico alzandosi e avviandosi verso la porta.
-Ehi, dove crede di andare? Ha detto che mi avrebbe rivelato cosa l'ha fatta diventare cosi!- disse, corrucciata.
-Mentivo. Tutti mentono- concluse senza voltarsi, lasciando definitivamente la stanza.
-Si sbaglia!- urlò in risposta la donna, lanciandogli dietro il primo oggetto che trovò sul tavolino, cioè il termometro di vetro.
Questo colpì House di striscio, senza che lui si degnasse di voltarsi, e poi andò a sfracellarsi al suolo, attirando l'attenzione di un infermiera.


Una telefonata svegliò House, quella notte. Prese svogliatamente il cellulare, irritato, credendo di essere già in ritardo per il lavoro. Corrugò le sopracciglia quando lesse sul display l'ora: “4,18”. La chiamata era della Cuddy.
-Pronto?- chiese, la voce ancora impastata dal sonno.
-House, la tua paziente ha avuto delle complicazioni!-



(*¹) Si tratta di un riferimento alla prima stagione in cui il principale finanziatore dell'ospedale chiede ad House di licenziare uno dei suoi assistenti, ma lui si rifiuta.

 

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Capitolo 2
*** Out of the shell ***


Stepping out of the shell,
now don't you step in my way
Build another wall and
watch it crumble by your side
Coming home – Firelight

 

 

-House, la tua paziente ha avuto delle complicazioni!-
La mente di House si fece subito più attenta.
-Cosa è successo?-
-Non ne ho idea, me l'hanno appena riferito. Se vuoi chiamare i tuoi assistenti fallo da solo, io sono già troppo impegnata!-
La chiamata fu bruscamente interrotta. La Cuddy era già in ospedale? O era ancora lì? House non perse altro tempo a rimuginare, decidendo, spinto dalla curiosità, di andare immediatamente a lavoro.
Sfrecciò sulla sua moto per le strade assolutamente deserte, senza neanche il tempo per ammirare il cielo ancora scuro, ma ben diverso da quello notturno.
Nonostante l'ora l'ospedale era più che affollato. Era davvero strana l'atmosfera che vi si respirava: la gente parlava sottovoce, alcuni dormivano sulle sedie in sala d'aspetto in attesa del loro turno in ambulatorio. House tirò dritto fino all'ascensore, senza prestare attenzione agli sguardi delusi di coloro che credevano fosse venuto a visitarli. Quando giunse nella camera della paziente la trovò con un'infermiera, per fortuna non la stessa che le aveva portato il pranzo il giorno precedente. La mandò via senza troppe smancerie, ordinandole di chiamare i suoi assistenti. Madaly si muoveva in preda al dolore, gli occhi chiusi e un'espressione sofferente. House la scosse, nella speranza che tornasse presente a sé stessa.
-Cosa ti senti?-
-Mi fa male la pancia e...- la donna si interruppe, restando bloccata a bocca aperta.
House fece appena in tempo a scostarsi di qualche passo prima che la paziente vomitasse nel punto in cui si trovava qualche secondo prima.
-Ehi, fai attenzione, mi hai quasi sporcato le scarpe!- disse seccato.
Quando la paziente si fu ripresa, provò a continuare.
-Ho tanto sonno- disse, sdraiandosi.
House la scrollò.
-Sveglia! Che altro hai?-
La paziente lo fissò terrorizzata, fissando qualcosa di diverso alle spalle del medico.
-Via! Se ne vada! Mi lasci in pace!- urlò.
In quel momento arrivò Foreman, che si trovava già in ospedale per il turno in ambulatorio.
-House, che hai fatto?- lo apostrofò, sospettoso, o meglio certo, che avesse fatto qualcosa contro la volontà della poveretta.
-Assolutamente niente! Credo che sia alterazione mentale-
-Me ne occupo io!- decretò facendo allontanare House per fare calmare la paziente.
Il caporeparto zoppicò fino al proprio ufficio per segnare sulla sua lavagna i nuovi sintomi. C'erano migliaia di diagnosi che avrebbe potuto dare, eppure sentiva che qualcosa gli stava sfuggendo. Restò a rimuginare, facendo mulinare il bastone con la mano destra.
Poco dopo nella stanza entrarono gli altri componenti del reparto di diagnostica e si accomodarono, in attesa che House desse qualche istruzione.
-Allora?- chiese Chase dopo un po'.
-Per il momento le ho dato un antidolorifico e un antiemetico. Ha anche la diarrea adesso- informò Foreman -Di cosa può trattarsi?-
House si voltò improvvisamente, come se si fosse accorto solo in quel momento della loro presenza.
-Ci sono un sacco di possibili cause, a partire da una forte influenza-
Cameron stava per controbattere, incredula che una paziente potesse stare così male per una malattia così comune, ma Foreman la interruppe.
-Non sarebbe la prima volta che qualcuno presenta sintomi aggravati per una malattia banale-
-Questo non significa che non possa trattarsi di qualcosa di decisamente più serio- ribatte House.
-Ehi, sei tu che hai appena detto...-
-Ho detto che può essere anche un'influenza, non che lo è sicuramente. Dobbiamo restringere il campo. Cameron, vai a fare l'anamnesi-
-Credevo che l'avessi fatta tu ieri!-
-Io te l'avevo detto che credere porta grandi delusioni- disse sarcastico.
La giovane dottoressa uscì in corridoio rassegnata, ma ritornò dopo qualche minuto.
-Vuole che sia tu a curarla e ad occuparti dell'anamnesi- disse Cameron ad House, a dir poco scioccata.
Eric e Robert apparvero altrettanto stupiti, mentre House si avviò senza dire una parola.
-Chi è quella donna per voler raccontare la sua vita ad House?- chiese Foreman.
-Non ne ho idea, ma posso assicurarti che era piuttosto convinta- rispose l'immunologa.
-Chissà cosa le ha detto ieri pomeriggio- si chiese Chase.


House entrò deciso nella stanza immacolata della paziente.
-Perché ha voluto me?- chiese determinato.
-Certo ieri...-
House la interruppe.
-Perché ha voluto che fossi io ad occuparmi dell'anamnesi?- chiese di nuovo scandendo le parole.
-Perché se per curarmi è necessario sapere tutto di me preferisco che sia solo un medico a conoscere tutta la mia vita- disse evidentemente scocciata da quell'atteggiamento e ancora infastidita per il giorno precedente.
-Non fa una piega, ma sappia che c'è un motivo se avevo mandato Cameron-
-Non fatico a crederci-
-E poi non crederà davvero che io non metta al corrente i miei assistenti dei dati riguardanti il caso-
-Spero ometterà quelli superflui-
-Leggeranno tutta la cartella, probabilmente-
La donna resse lo sguardo del medico, indecisa se fidarsi o meno, poi sospirò.
-Non importa: se vale a salvarmi la vita questo ed altro-
House prese l'apposito modulo e fece alla paziente tutte le domande presenti, Madaly rispose in modo piuttosto esaustivo nonostante apparisse stanca e poco lucida, come si poteva capire dal fatto che restò sdraiata, con gli occhi a tratti chiusi, per tutto il tempo.
-È mai stata all'estero?-
-Sì-
-Quando l'ultima volta?-
-Un paio di anni fa-
-Dove?-
-Europa-
-Qual è il luogo più a sud nel quale si sia mai recata?-
-Sono stata sia in Africa che in Sud America, in gioventù-
-Si è ammalata-
-No-
-Quand'è stata l'ultima volta che ha fatto sesso?-
-Una decina di giorni fa-
Era evidente che Madaly facesse sempre più fatica a concentrarsi, nonostante la buona volontà.
-Quando di preciso?-
-Era Sabato, quindi esattamente 9 giorni fa-
-Con chi?-
-Un tizio conosciuto al bar
-L'ha richiamata?-
-Questo non serve per l'anamnesi- disse la paziente, nonostante tutto abbozzando un sorriso.
-Lo so, era per vedere quanto è lucida-
-Comunque no- disse, sforzandosi di aprire gli occhi per guardare House in faccia.
-Va bene, abbiamo finito- disse House, alzandosi.
-Cosa può essere?-
-Troppe cose- concluse uscendo.
Tornò nell'ufficio, dove gli altri lo stavano aspettando. Lo fissarono tutti come alla ricerca di qualcosa improvvisamente cambiato in lui, la spiegazione al perché avesse deciso avere un contatto con una paziente.
House li ignorò bellamente, per niente voglioso di dare una spiegazione. Lanciò il plico di moduli contenenti le domande fatte alla professoressa Hirely a Cameron, facendolo scivolare sul tavolo.
-Datele antibiotici a largo spettro e anche clorochina e chinina-
Foreman e Chase si scambiarono un'occhiata mentre Cameron era intenta a sfogliare il fascicolo.
-Pensi si tratti di malaria?- chiese Eric.
-No, penso che tra le malattie più probabili ci siano infezioni e malaria-
-Ma qui dice che non è stata recentemente all'estero- intervenne Allison.
-Non sono affatto rari i casi di contagio anche negli USA e i sintomi corrispondono perfettamente-
-Ci sono parecchie controindicazioni- fece notare Foreman, serio -Se si trattasse solo di una banale infezione batterica potremmo causarle complicazioni inutili-
Cameron e Chase fissarono House, come a dare manforte al neurologo. Il caporeparto rifletté un po', ma infine cedette.
-E va bene, cominciate con gli antibiotici a largo spettro, se entro 24 ore non ci saranno miglioramenti aggiungeremo clorochina e chinina- decretò.
-Possiamo fare un prelievo per sapere se ha la malaria nel frattempo- disse Cameron, pur sapendo che House non poteva aver tralasciato un particolare del genere senza un motivo.
-Certo, immagino che tra tre giorni ci servirà a molto sapere se ce l'avesse o no! Non hai visto come sono occupati i laboratori?-
Gli assistenti si convinsero e andarono ad eseguire gli ordini di House senza aggiungere altro.


Gregory stava riflettendo, fissando la sua lavagna, quando nel suo ufficio irruppe la Cuddy.
-Le stanze dell'ospedale sono tutte occupate, ci serve momentaneamente il tuo ufficio- decretò, mentre teneva la porta aperta affinché gli infermieri potessero entrare con un letto, sul quale giaceva un uomo di mezza età in preda ad un attacco di tosse.
-Non puoi fare questo! Ho bisogno del mio ufficio per lavorare!-
-Tu hai solo bisogno di un posto dove pensare, quest'uomo ha bisogno di una stanza dove dormire. Vai in bagno, alcuni lo chiamano pensatoio- soggiunse, uscendo.
House la raggiunse.
-Cuddy! Io sto cercando di salvare la vita di una paziente e tu mi togli l'ufficio?- urlò.
-Io sto cercando di salvare la vita di centinaia di pazienti e tu non mi vuoi dare una stanza?- ribatte a tono.
-I tuoi pazienti non rischiano di morire-
-Di quello che ti pare, ma questa volta non l'avrai vinta!- concluse la Cuddy salendo le scale, in modo che House non la potesse seguire.
Il caporeparto la guardò andare via imprecando sottovoce, poi tornò nel suo ex ufficio, si infilò in tasca la pallina da tennis, si trascinò dietro la lavagna e raggiunse la camera della paziente, il luogo più tranquillo che gli fosse venuto in mente e anche ampio abbastanza per consultarsi con i suoi assistenti. La paziente si destò all'istante sentendo il fracasso della lavagna che strisciava sul pavimento.
-Mi hanno requisito l'ufficio, quindi per il momento questo sarà il nostro quartier generale. Se hai qualcosa da ridire vai pure dalla Cuddy- disse brusco, tornando a piazzarsi davanti alla lavagna.
La donna lo guardò curiosa, aspettandosi qualcosa di più di un uomo immobile. Dopo un po' House tirò fuori il Vicodin e ne prese una pillola.
-Crede che potrei averlo anch'io?- chiese Madaly indicando il farmaco nella mano del medico.
House ci pensò su un attimo, poi si avvicinò e porse anche a lei una pastiglia.
-Grazie. Sa una cosa? Voglio sapere quanto è debole-
-Cosa?- chiese House, chiedendosi cosa le stesse passando per la testa.
-La debolezza delle persone sta nel modo in cui reagiscono al dolore. Lei ha reagito male, ma non so a cosa, non so fino a che punto la si possa giustificare-
-Io non chiedo nessuna giustificazione e mi sembra di averle già detto che non ho intenzione di raccontarle la mia vita privata-
-Lei è ossessionato dal suo lavoro, non è vero? Dicono che sia un genio e ho visto il modo in cui studiava la lavagna con i sintomi, prima. Non è un semplice lavoro, è la sua vita. Ecco perché non ha fretta di tornare a casa. Lei desidera scoprire cos'ho, sopra ogni altra cosa. È questo che vuole, no? Beh, se lei non mi dice perché è diventato così io le impedirò di curarmi- sparò tutto di un fiato la donna.
House la fissò, cercando di leggere i suoi pensieri.
-Non lo farebbe mai. Non metterebbe a repentaglio la sua vita per una sciocchezza simile, non lei- rispose.
-Ha ragione, non lo farei, ma niente mi impedisce di farmi trasferire in un altro ospedale-
-Non troverebbe un medico bravo quanto me-
-Sicuramente uno più modesto. La sua bravura potrebbe non servirmi affatto. Quante possibilità ci sono che si tratti di una malattia rara o difficile da diagnosticare? Per ora potrebbe trattarsi anche solo di un'influenza e il mondo è pieno di bravi medici in grado di curare il 99% delle malattie, lei mi servirebbe solo nell'1% dei casi-
-È disposta a correre questo rischio?-
-Assolutamente. Lei trova qualcosa di interessante nel mio caso, anche se non so cosa. Forse semplicemente si annoia e preferisce curare me che le centinaia di malati di influenza, ma sono certa che da quando ha accettato questo caso farà di tutto per portarlo a termine-
-Ha idea di quanti malati ho curato contro la loro volontà?-
-Non fatico a immaginarlo, ma io non sono ancora così grave, non le sarà affatto facile. Non farebbe prima a dirmi quello che voglio?-
-Non so quale sia la sua colpa, ma sono certo che non può permettersi di giudicarmi-
-Non intendo farlo, voglio solo sapere quanto è debole, la debolezza non è una colpa- disse, poi aggiunse -E lei non ha paura dei giudizi altrui, ma solo di essere troppo esposto-
House si sedette.
-Neanche lei mi ha detto tutta la verità. Nessuno lo fa-
-Si sbaglia- rispose semplicemente.
Seguì un lungo silenzio, in cui House fissò il vuoto davanti a sé, mentre Madaly scrutò il medico.
-Io odio perdere, cambi tattica se vuole saperlo davvero- decretò Gregory, testardo come sempre.
-Ritiro la mia offerta, resterò in questo ospedale, ma parlare non ha mai fatto male a nessuno. Se sarà fortunato, poi, l'unica testimone del fatto che lei sia un essere umano morirà tra breve- concluse, sorridendo.
-No. Non è affatto brava a convincere la gente. È stato divertente sentire le sue proposte, quello che era disposta a offrire, ma non ho mai pensato di dirle qualcosa su di me- disse alla fine, rivelando il bluff -E ora, se non vuole morire davvero, mi lasci lavorare- concluse tornando alla sua lavagna.
Madaly strinse i pugni, infuriata per essere stata presa in giro ancora una volta, poi, dando le spalle ad House, tornò a dormire.


Il giorno seguente i medici constatarono che gli antibiotici non avevano dato alcun miglioramento, nel frattempo l'emergenza influenzale era stata smaltita, l'ospedale era tornato pressoché alla normalità e House aveva riavuto il suo ufficio. Sotto insistenza degli assistenti aspettarono ancora a somministrare la cura per la malaria, finché, quel pomeriggio, i laboratori non accettarono di fare l'analisi del sangue, ora che avevano finalmente smaltito i precedenti compiti. House mandò Chase e Foreman a perquisire la casa della paziente, mentre Cameron ebbe il compito di fare l'esame del sangue alla paziente. La donna continuava a peggiorare: gli occhi scavati, il viso pallido e il dimagrimento rapido non lasciavano dubbi. Madaly stava dormendo quando la dottoressa entrò e non si accorse di nulla. Allison la scrollò piano per farla svegliare, ma nonostante questo ci volle un po' perché tornasse presente a sé stessa.
-È lei...- disse quando la riconobbe.
-Finalmente è finita l'emergenza per l'influenza, i laboratori sono di nuovo operativi: possiamo farle le analisi- disse Cameron, che si trovava all'altra sponda del letto.
La donna sospirò, sollevata, ma anche stanca, mentre l'immunologa preparava la siringa. Quando ebbe prelevato il sangue raccomandò alla paziente di tenere il cotone premuto sul braccio per qualche minuto, poi uscì per portare subito la provetta al laboratorio.


Passò qualche minuto prima che il cerca-persone di House suonasse. Quando raggiunse la stanza della paziente la trovò piuttosto preoccupata.
-Che c'è?- chiese fermandosi sulla soglia.
Madaly in tutta risposta spostò il cotone dalla piccola lesione al braccio, permettendogli di vedere il sangue che continuava a fuoriuscire.
-Da quanto è così?-
-Almeno dieci minuti-
Il diagnosta non perse altro tempo e uscì dalla stanza alla massima velocità consentitagli dalla sua gamba. Passando davanti all'infermiera, le ordinò di occuparsi della paziente, stando attenta al contagio.
-Che cosa significa?- domando la paziente atterrita, senza ottenere risposta.
House raggiunse Cameron proprio quando questi stava per aprire la provetta ed analizzarne il contenuto al microscopio. Le prese un polso.
-L'emorragia non si arresta-
Allison corrugò la fronte, rimanendo a bocca aperta.
-Ebola- disse incredula.
House annuì, prendendole la provetta.
-Che fai? C'è grave pericolo di contagio!- lo mise in guardia Cameron.
-Dobbiamo fare il test E.L.I.S.A. al più presto-
-Siamo stati a contatto con il virus, dobbiamo prima di tutto farci trattare. Se non tieni alla tua vita fai pure, ma non ti permetterò di mettere a rischio quella di tutti i pazienti e i medici dell'ospedale-
-Di che stai parlando? Io non farei mai una cosa così irresponsabile- disse House enfatizzando, poi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Nel corridoio incontrarono gli altri due assistenti, che stavano per andare a casa della paziente, e, quando questi stavano per avvicinarsi, Cameron li bloccò.
-Non avvicinatevi! La paziente potrebbe avere l'ebola- disse la donna.
-Siete stati contagiati?- chiese scioccato Chase.-Stiamo andando a fare la profilassi. Mettetevi i guanti e portate questa al laboratorio per il test E.L.I.S.A.- ordinò House porgendo la provetta a Robert.
Il medico si attrezzò e obbedì.
-Tu vai a controllare la paziente- aggiunse poi, rivolto a Foreman.


Prese tutte le precauzioni contro il contagio, House e Cameron tornarono nella stanza della paziente, questa volta ben attrezzati di guanti, mascherina e camici appositi. Madaly dormiva e Foreman controllava i monitor, senza trovare nulla di preoccupante.
House si avvicinò subito alla donna e la svegliò.
-Quando hai fatto sesso hai usato il preservativo?- le chiese, senza troppi preamboli.
Madaly si mise seduta prima di rispondere.
-Si, non è mia abitudine fare sesso non protetto con gli sconosciuti, anche se non posso rimanere incinta ci sono altri rischi-
-Tipo contrarre l'ebola- ribatte House.
Madaly rimase scioccata, senza riuscire ad articolare parola per qualche secondo.
-Crede che si tratti di ebola?-
-Stiamo aspettando i risultati, ma non ho dubbi-
La donna sospirò.
-Non sono affatto certa che non ci siano stati “intoppi”- ammise.
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dopo poco da un gemito della paziente. Un conato di vomito la scosse e un attimo dopo le lenzuola e il pavimento erano cosparsi di sangue.
-Datele i fattori coagulanti prima che muoia dissanguata- decretò House, uscendo.


L'espressione serissima di House quando lesse il risultato del test E.L.I.S.A. avrebbe fatto preoccupare chiunque lo avesse visto. Da solo nel suo ufficio, aveva aperto quella busta solo per una conferma rimanendo invece totalmente spiazzato. Il test, o per maglio dire i test, visto che ne avevano fatti diversi per aver maggior affidabilità, erano tutti negativi. Niente ebola. Chiamò il suo team e mostrò loro il risultato.
-Si saranno sbagliati, quella è senz'altro febbre emorragica da Ebola- decretò Chase.
-Non possono aver sbagliato tutti i test- ribatté Foreman.
-Deve esserci qualcos'altro, c'è qualcosa che non quadra- aggiunse soprappensiero House, fissando la lavagna su cui erano elencati i sintomi.

cefalea
mialgia
tosse
febbre
diarrea
vomito
letargia
alterazioni mentali
emorragie


Non trovarono assolutamente niente che potesse accomunare tutti quei sintomi a parte l'Ebola. Ripeterono il test e gli assistenti, stanchi e assonnati, tornarono a casa, mentre House resto davanti alla lavagna a giocherellare con la sua pallina da tennis, in attesa dei risultati. Dopo qualche ora scoprì che erano di nuovo negativi.
Impossibile. Era dannatamente impossibile. Sentiva chiaramente la mancanza di un pezzo del puzzle, la scintilla per innescare l'incendio. Il punto di partenza che i meccanismi della sua mente avrebbero trasformato nella soluzione.
Aveva rianalizzato mentalmente tutti i precedenti passaggi, i sintomi, le tempistiche. Aveva rivalutato tutto daccapo come se si fosse trattato di un nuovo caso. Ogni possibilità era stata vagliata dalla sua mente che lavorava febbrilmente nel cuore della notte, alla luce fredda di quella stanza. Non era possibile che si stesse sbagliando, nel suo ragionamento non c'erano errori, come sempre. Era qualcos'altro, qualcosa che non gli permetteva di trovare la soluzione, di raggiungere il suo obbiettivo.
Quella era senz'altro la cosa che gli dava più soddisfazione al mondo. La sensazione a cui non avrebbe mai rinunciato. La sua ossessione, la sua vita. L'unica cosa che avesse, l'unica che gli fosse rimasta. Non riusciva neanche a sfiorare la vittoria, quella volta.
Prese a camminare avanti e indietro nell'ufficio, nonostante non fosse particolarmente comodo con la sua gamba. Che diavolo gli stava prendendo? Perché non trovava il capo di quel groviglio? Il punto debole che stava alla base di tutti i suoi casi non c'era. Tutti mentono. Madaly mentiva su qualcosa, era quella la soluzione? Una persona così razionale avrebbe rischiato la sua vita per evitare di raccontargli qualcosa?
Pessima idea pensare alla donna in quel momento, si rese conto. Si ricordò che stava morendo. Si sentì oppresso da un invisibile premura, un'ansia dalla quale era sempre stato immune. Perché proprio in quel momento, nel quale aveva bisogno di tutta la sua lucidità?
Prese doppia razione di Vicodin, sicuro che avrebbe migliorato la situazione. Si fermò davanti alla lavagna, rilesse per l'ennesima volta i sintomi. Niente. Non significavano niente. La frustrazione di quell'insensato insuccesso lo colse all'improvviso, tramutandosi in rabbia. Un rumoroso colpo del suo bastone fece ribaltare l'odiosa lavagna. Gregory strinse i pugni, cercando di cacciare quella rabbia, come al solito faceva con il dolore. Era ancora più difficile, però. La rabbia aveva un'orribile fretta di uscire, di distruggerlo. Il dolore era calmo, lo uccideva lentamente.
Ancora, gli si parò davanti, nella sua mente, la visione del risultato, dell'obbiettivo. Quell'ospedale era ormai la cosa più vicina ad una casa che gli fosse rimasta, proprio perché era l'unico posto dove non fosse solo un cinico misantropo drogato. Al Plainsboro era una grande medico cinico, misantropo e drogato. Insomma, non c'era paragone. Lì c'erano tutti coloro che lo conoscevano oltre la fama che si era creato a protezione. E soprattutto, quello era l'unico posto dove potesse toccarla: la vittoria. Assaporare la consapevolezza della propria bravura, del proprio talento. Non aveva prezzo, potevano anche chiamarlo narcisista, ma non vi avrebbe mai rinunciato. Riuscire dove nessuno riusciva e, per di più, salvare delle vite. Aveva bisogno di almeno quel successo nella sua vita. Dannazione, in fondo non chiedeva molto: risoluzione di casi e Vicodin.
Gli balenò davanti agli occhi l'immagine di Madaly, di nuovo. Se doveva riflettere sulla paziente tanto vale farlo con un motivo, pensò, e decise di andare da Madaly per darle quella notizia.
La donna come sempre dormiva e dovette svegliarla.
-Non hai l'ebola- sparò a bruciapelo.
Madaly rimase di nuovo sorpresa.
-Cos'è allora?-
-Non ne ho idea-
-Ah-
House si sedette sulla sedia di fianco al letto, appoggiò le mani al bastone e la fronte su quelle.
-Mi sfugge qualcosa. Non esiste una malattia con tutti questi sintomi, ma se ne tolgo uno a caso ci sono troppe possibilità-
-È abituato a vincere sempre, immagino-
House alzò lo sguardo sulla donna.
-Perdo le battaglie, ma ho sempre vinto la guerra. Non ti illudere, non riesco sempre a curare i miei pazienti in tempo, ma almeno scopro cos'hanno prima che muoiano, quasi sempre-
-La tua ossessione è risolvere il mistero-
-Già. Risolverò anche il tuo- concluse allontanandosi.
Non si sarebbe arreso, non ancora perlomeno. Non esiste una malattia che vada contro la logica.
Stava già ricominciando a ragionare febbrilmente, quando, sulla porta, udì Madaly tossire.
Tosse grassa.
Si bloccò, lo sguardo perso nel vuoto.
Si voltò un attimo verso la donna, che lo guardò stranita, e poi quasi corse di nuovo nel suo ufficio.
Madaly ricominciò a sperare.
House frugò sulla sua disordinata scrivania, buttando a terra tutti i fogli che non gli servivano. L'ebola dava tosse secca, non grassa. Infine la trovò: una busta intonsa, mandata dall'ospedale. Conteneva i risultati del tampone che aveva fatto giorni prima a Madaly e del quale in seguito si era completamente dimenticato, visti i nuovi sintomi. Era positivo. Aveva un banale mal di gola. La tosse non c'entrava, era da escludere. Rimise in piedi la lavagna e tirò una riga sul sintomo fasullo. Ogni cosa assunse un significato, i pezzi si incastrarono senza difficoltà, facendo provare ad House di nuovo quell'ebrezza del successo che tanto gli era mancata. Fu come una dose di Vicodin dopo una lunga astinenza. Durò davvero poco quella volta, però. Quando capì di cosa si trattasse tornò allo stato d'animo d'impotenza in cui vegetava poco prima: febbre emorragica di Murburg. Un sinonimo di morte, uno dei tanti.

 

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Capitolo 3
*** I ain't gonna leave until you know my name ***



Look me in the eye,
and eletrify my bones.

I ain't gonna leave
until you know my name.
-Trying to build up the words
to say what you mean to me-
-Gonna open your eyes and
let you know what I mean-
Coming home – Firelight

 

Certo, c'erano possibilità di guarigione, ma poche, davvero poche. Eppure, lo aveva detto, il suo obiettivo era la diagnosi. Perché quella volta aveva perso completamente il suo valore? Semplicemente non gli bastava, quella volta avrebbe voluto salvarla. In fondo, voleva sempre salvare i suoi pazienti, ma quasi mai con questa determinazione.
Rivalutò il caso dall'inizio, alla ricerca di un inspiegabile errore di ragionamento, una falla che portasse ad una più felice diagnosi. In fondo, però, lo sapeva: non poteva essersi sbagliato. Non rimase sorpreso, infatti, quando non trovò assolutamente niente. Decise di fare gli esami, prima di convalidare la diagnosi. Che follia, non c'era dubbio che fosse Murburg, eppure volle essere sicuro, per una volta. Mentre attendeva i risultati House tornò nella camera della paziente, ma questa volta senza svegliarla. Restò a fissarne il volto pallido così in contrasto con i capelli rossi.
Quando arrivarono i risultati del test scoprì una stupida scintilla di speranza, da qualche parte dentro di lui, che lo fece arrabbiare ancora di più quando il test risultò positivo.
Si attrezzò per evitare il rischio di contagio, poi svegliò Madaly, questa volta più delicatamente.
-Ho capito di cosa si tratta- disse, cercando di essere il più neutro possibile.
-Cos'ho? Anzi, senza giri di parole, quanto è grave?-
House abbozzo un sorriso: quella donna gli aveva risparmiato un sacco di fatica chiedendogli esplicitamente di mettere da parte la diplomazia.
-Sindrome di Murburg, mortale nell'80% dei casi-
La paziente lo guardò negli occhi, ancora incapace di avere una reazione. House si rifugiò di nuovo nella medicina.
-I sintomi sono simili all'ebola, ma la mortalità è più alta. Stava tutto nella tosse: quella era dovuta ad un normale mal di gola e non faceva parte dei sintomi. Il resto combaciava perfettamente con il Murburg. Ho fatto i test. La modalità di contagio è la stessa dell'ebola, i virus rimangono nello sperma di chi è stato contagiato per mesi- spiegò, poi aggiunse -Mi dispiace-
Madaly chiuse un attimo gli occhi, lasciando scivolare qualche lacrima lungo le guance fino al lenzuolo di cotone.
-Lo so, ma sono felice che uno come lei l'abbia detto. Che cosa dovrei fare ora?- chiese, non si sa se ad House o a se stessa.
-Curando i sintomi potresti sopravvivere-
-Mi stai dicendo di continuare a sperare? Tu? Non che abbia molta scelta in realtà. In fondo se morissi non farei in tempo a rimanere delusa-
Trascorsero minuti di silenzio, in cui qualche silenziosa lacrima scese ancora sul volto della donna. House sentiva la desolazione causata da tutto quello da cui per anni si era protetto e dall'ingiustizia: come pessimista ci era abituato, ma la sua razionalità gli urlava quanto fosse sbagliato. Era così irritante che il mondo non avesse senso, ma fosse governato dal caso e dal caos.
-Soltanto, non farmi soffrire troppo- ruppe il silenzio Madaly, interrompendo il filo dei pensieri del medico.
House annuì. In quel momento notò un sottile rivolo di sangue macchiare le labbra della donna. Madaly si portò una mano alla bocca, trovandola poco dopo macchiata di rosso. Lanciò uno sguardo a Gregory, mentre questi si avvicinava, senza sapere neanche lei cosa volesse dirgli. Il medico rispose con un occhiata sicura, forse anche rassicurante, prima di sedarla e somministrarle dei fattori coagulanti nella speranza di fermare le emorragie.
Poi tornò a sedersi su quella sedia blu e attese. Non fece caso al passare del tempo o al fatto che se lì ci fosse stato un cocciuto congiunto della paziente gli avrebbe sbattuto in faccia l'inutilità dell'assidua presenza. Lo sapeva anche lui, ma proprio non aveva voglia di tornare a casa in quel momento. Certo non si stava crogiolando nella disperazione per la probabile morte della paziente come avrebbe fatto Cameron, semplicemente stava lì, nel silenzio rispettoso dell'ospedale, senza pensare a niente.
Il suo sguardo perso nel vuoto fu distratto da un lieve movimento di Madaly. La donna aprì gli occhi, ancora un po' assonnata, e si accorse della presenza di House.
-Che ore sono?-
-Ha fretta di morire?-
-No, ho fretta di sapere se morirò-
-Venti alle tre-
Madaly sospirò.
-È passato poco tempo-
-Il decesso è causato dalle emorragie, passeranno parecchi giorni prima che possa considerarsi guarita-
-La smetta di darmi del lei, sto morendo- disse, sofferente.
Ci fu un momento di pausa prima che aggiungesse -Cosa è successo alla sua gamba?-
House esitò.
-Un trombo- disse soltanto.
La donna si sistemò meglio nel letto e chiuse gli occhi.
-Così facevi prima a non dirmi niente-
-Esatto, avrei fatto prima- concluse House, decidendosi ad andare a casa.


L'indomani, a lavoro, ne approfittò per recuperare qualche ora di ambulatorio, passando da Madaly qualche volta, giusto per constatare che le sue condizioni erano ancora stabili, intaccate appena da qualche emorragia gestibile. Con la paziente, che dormiva per la maggior parte del tempo, restava quasi sempre uno degli assistenti.
Di sera, quando questi tornarono a casa, House decise di andare dare un'occhiata alla paziente di persona.
La donna giaceva immobile, gli occhi chiusi e il respiro regolare. Si sedette e poggiò la fronte sul bastone, pensieroso.
-Tutto ciò che siamo deriva da quello che siamo stati. Nessuno può scappare davvero dal suo passato, “voltare pagina”, come dicono- disse, piano, come se parlasse fra sé -Mio padre, o meglio quello che si definiva tale, era una militare, un Marines. Credo basti questo a descriverlo. Regole ferree e cieche, punizioni militari. Per quanto ne so è nato tutto da lì, se ti interessa ancora saperlo-
Madaly aprì gli occhi, li fissò in quelli altrettanto chiari del medico scorgendovi la verità e abbozzò un sorriso.
-Ora posso morire in pace-
Anche House sorrise amaramente a quell'affermazione, poi si avvicinò per controllare il dosaggio delle medicine e i parametri vitali. Infine si voltò un attimo verso la donna, restando in piedi di fianco al letto. Madaly appoggiò una mano sulle sue, protette dai guanti, che erano appoggiate al bastone. House alzò lo sguardo, portandolo su qualcosa di indefinito vicino alla finestra.
-Devo andare- disse dopo un tempo indefinito, per poi tornare al 221b di Baker Street.


I giorni trascorsero tutti simili tra loro, mentre Madaly si consumava sempre più e i medici facevano di tutto per evitare le emorragie e reintegrare il sangue perso. Di giorno qualche amica della professoressa Hirely andava a trovarla e i medici si occupavano di lei, ma di sera, quando tutti se ne andavano a casa, restava sola ed House andava a controllare il suo stato. Gli piaceva far credere ai colleghi di disinteressarsi al caso, ora che aveva raggiunto la diagnosi, per mantenere la sua fama di bastardo manipolatore.


-Sento che questa è la mia ultima notte- dichiarò Madaly quella sera, appena House entrò nella sua stanza.
Il medico si fermò sulla soglia a guardarla. Avrebbe davvero voluto che ci fosse Cameron in quel momento al suo posto, era il suo lavoro confortare i moribondi. Lui in quel momento era completamente inutile perché quando stai per morire non vorresti al tuo fianco un pessimista ateo e cinico. Eppure, quella volta, era certo che la paziente non avrebbe voluto che fosse un altro medico ad entrare in quella stanza. House non sapeva neanche bene perché o come facesse ad esserne così certo, ma, per mancanza di tempo, rimandò quelle considerazioni e si fece forza di entrare. Si sedette sulla solita sedia, pensando a qualcosa di decente da dire.
-80%- decretò alla fine.
Forse per un paziente normale sentirsi ricordare le probabilità di morte non sarebbe stato il massimo, ma lui, in quella situazione, si sarebbe accontentato di qualche numero e quindi aveva sperato che potesse essere lo stesso anche per la professoressa Hirely.
-20% vita, 80% morte. Questi sono i fatti, non quello che “senti”- aggiunse, anche se Madaly aveva capito quello che intendeva.
-La mia asserzione era più melodrammatica- ribatté la donna, decidendo di cambiare argomento.
-Sono sempre più convinto di essere in una soap opera-
Quel brevissimo momento di distrazione cadde nel vuoto, facendo tornare il silenzio e con esso i pensieri inevitabili per quella situazione.
-Che cosa vuoi?- chiese House dopo un po'.
-Eh?-
-Tutti hanno un desiderio associato alla propria morte, la gente al solito è troppo stupida per fare le cose finché ha tempo-
-Non sono quel tipo di persona, le cose che mi mancano possono essere portate solo dal tempo, che è proprio quello che mi manca ora-
-Allora?- chiese House, certo che ci fosse comunque qualcosa.
La donna rifletté un attimo.
-Non avrei mai immaginato di morire sola. Mi ero immaginata in un letto d'ospedale come questo, ma vecchia e circondata da figli e nipoti, magari, con anche mio marito a salutarmi. Soltanto non voglio morire sola-
Per House era una delle peggiori cose che potesse chiedergli, ma almeno ora aveva una sottospecie di obbiettivo.
-Ok, sono qui- disse soltanto, avvicinando la sedia al letto.
La donna fissò quegli occhi penetranti, soddisfatta di aver in un certo senso trovato la parte nascosta di quell'uomo, poi, come ogni volta quando si sforzava di parlare, sentì piombarle addosso la stanchezza innaturale della malattia e si addormentò dolcemente. House pensò che restando avrebbe potuto intervenire repentinamente in caso di una qualunque emergenza e si accomodò meglio sulla sedia, appoggiando i piedi sul bordo del letto. Non avrebbe immaginato che non fare nulla potesse essere così noioso tutte le volte che aveva fuggito il lavoro. Era come soffrire di insonnia: ogni cosa lo irritava, udiva ogni minimo rumore come un gran fracasso e aveva voglia di buttare dalla finestra l'insopportabile orologio appeso alla parete. Decise di prendere doppia razione di Vicodin e cercarsi un'enigmistica per passare il tempo.


Gregory si svegliò di soprassalto, chiedendosi inconsciamente perché stesse dormendo. Un attimo dopo si ricordò della noia e del Vicodin, poi della paziente che giaceva nel letto adiacente. Il suo sguardo corse al monitor, trovandovi con sollievo tutti i parametri regolari. House fece per alzarsi e si accorse della mano della donna appoggiata sul proprio braccio. La depose di fianco al corpo, svegliando inavvertitamente Madaly.
-Mh, sono ancora viva- disse sorridendo appena fu del tutto sveglia.
-Non morirai nel sonno, purtroppo per te-
-Tu invece sì, dal modo in cui dormi- ribatté con aria saccente e ironica.
House sollevò un angolo della bocca in una specie di sorriso.
-Ti mando Cameron- concluse.
Madaly annuì e House, zoppicando ancor più del solito per la scomoda posizione in cui aveva dormito, tornò a casa.


-Hai mai pregato?- chiese dal nulla Madaly, una notte.
-No. Dio non esiste-
La donna rise debolmente.
-Come fai ad esserne così sicuro?-
-La vita fa schifo. O Dio non esiste o è terribilmente crudele. La prima ipotesi è la più ottimista-
-La vita fa schifo per colpa nostra, nessuno ci obbliga ad essere così meschini-
-Ce l'abbiamo nel sangue-
-Abbiamo libero arbitrio, sta solo a noi decidere chi vogliamo essere e non tutti scelgono male-
-Certo, ci sono i “cattivi”, ma soprattutto i “buoni”- ribatté House in falsetto.
-Ne hai sicuramente conosciute e avrai fatto di tutto per scoprire qual'era la loro colpa-
-In ogni caso questo non dimostra l'esistenza di Dio-
-Niente dimostra l'esistenza di Dio, non pretendo tanto, ma non è neanche impossibile che esista-
-In che modo questo dovrebbe influenzare la mia vita?-
-Hai creato i tuoi principi sulla razionalità, il che è giustissimo, ma ci sono volte che non ti aiuterà. È allora che la gente si affida alla fede, o per meglio dire all'amore. Non ha niente di razionale, proprio come i nostri sentimenti e il nostro essere umani-
-Mi sembra di essere in una soap opera- la interruppe House.
La donna fece una pausa, guardandolo negli occhi.
-Quante vite saresti disposto a sacrificare per salvare quella della persona a te più cara?- disse lei.
House ricambiò lo sguardo, restando in silenzio a sua volta.
-Ne hai salvate centinaia e scommetto che gli hai dato valore numerico, razionale. Dal punto di vista medico, in fondo, è la cosa più logica, ma la vita di coloro che ami vale tanto quanto quella di uno sconosciuto? Forse in teoria, ma sono certa che in pratica nemmeno un cinico come te le porrebbe metterle sullo stesso piano-
-Non stiamo parlando di come i sentimenti possano renderci incapaci di ragionare. Questo non c'entra niente con Dio-
-La fede ci insegna l'amore-
-Si può arrivare alla stessa conclusione anche da soli-
-Probabile. Preferisci crederti frutto del caso o dell'amore di una divinità?-
-Mh...del caso!- ribatte House con ovvietà.
-Ecco, ci sono persone che preferiscono l'altra ipotesi, ma non per questo hai il diritto di trattarli da idioti. Non hai idea di quanto sia irritante-
-Da illusi?- tentò House.
-No- rispose Madaly sorridendo.
-Eeek! Risposta errata! Grazie per aver giocato con noi, come premio di consolazione ha vinto un abito da suora! A presto, con la prossima puntata di “Convinci&vinci”- disse House imitando un conduttore televisivo.
Madaly rise. House tornò serio: il suo sarcasmo serviva per proteggersi, non per diventare un buffone, la gente di solito non reagiva così.
-Sarei davvero un'illusa se mi aspettassi di convincerti! Mi accontento di discutere con qualcuno di sveglio e che, per una volta, non ha usato il sarcasmo per divagare- soggiunse la donna.
-Fino ad ora- rispose fintamente minaccioso House.
Madaly sorrise, luminosa, per un attimo, prima che l'incremento improvviso di dolore la costringesse a stendersi meglio e a tentare di riposare. House aumentò un po' il dosaggio dei medicinali prima di andarsene.


I giorni passarono senza essere contati, tranquilli e quasi felici, come quelli di chi si trova ancora un po' di tempo quando pensa di averlo finito. E, senza che nessuno ne facesse parola, i miglioramenti di Madaly divennero innegabili. Non era fuori pericolo, non lo sarebbe stata per parecchio tempo, ma il peggio era passato. L'attendevano una morte meno dolorosa del previsto o una guarigione (parola che però nessuno osava pensare). Quel fantomatico 20% era aumentato, anche se non si poteva dire di quanto, e aumentava ogni giorno di più. House continuava a farle visita, non più come paziente da curare o come moribonda da fingere di compatire, ma come persona con cui discorrere. Non si trattava di parlare del tempo o del baseball, ma di discorsi che la gente normale non avrebbe fatto mai, tanto meno con una persona conosciuta da così poco. Parlavano usando poche parole, ben calibrate e intercalate da lunghi silenzi, totalmente privi di imbarazzo o noia. Il tempo, in quelle sere, scorreva veloce.
Mentre passavano i giorni Madaly smise di mangiare quasi del tutto, a causa dell'anoressia derivante dalla malattia e perse buona parte dei suoi capelli rossi, ma, grazie alle cure ben calibrate, non soffriva troppo. Restò al Plainsboro per quasi un mese tornandoci per dei controlli periodici finché non fu di nuovo in forze e completamente guarita.
Fu sempre visitata da House, più per un tacito accordo che per una reale motivazione, tranne quell'ultima volta: quella in cui Chase la dichiarò ufficialmente guarita.
Madaly si sentì rinascere: anche se poteva considerarsi fuori pericolo almeno da quando aveva lasciato l'ospedale, sapere che quella storia era finalmente finita era un'altra cosa.
Salutò quel gentile medico di cui non ricordava il nome e si chiuse la porta dell'ambulatorio alle spalle, sospirando. Sorrise, maliziosa e insieme bonaria, pensando al motivo per cui House l'aveva mandata da un altro dottore: senz'altro per non doverla salutare.
Salì le scale, mentre il ticchettio dei tacchi rimbombava nella rampa, fino a raggiungere il reparto di diagnostica. Attraverso la porta a vetri vide House seduto alla scrivania, mentre giocherellava con la pallina da tennis. Si avvicinò, ma non aprì la porta: era arrivata fin lì, ma adesso voleva costringere quell'uomo a dimostrare un minimo di interesse. House alzò lo sguardo su di lei, ammirando la sua figura longilinea all'interno dei soliti abiti eleganti.
Madaly in quel momento, mentre vedeva sul vetro il proprio riflesso e, dietro, lo sguardo di House, ebbe paura, forse terrore, di essersi sbagliata.
Alla fine Gregory si alzò e la raggiunse zoppicando, tenne aperta la porta con un piede, senza uscire dall'ufficio né invitarla ad entrare, mentre le rivolgeva un segno di saluto con la testa.
-Come mai qui?- chiese ostentando indifferenza, ma non abbastanza scorbutico da esserlo davvero.
Madaly fissò i suoi occhi per un lungo istante e così accadde anche per il seguente scambio di battute.
-Non lo so. Cosa vuoi che ti risponda?-
-Non lo so. Cosa vuoi che ti risponda?- ripeté a sua volta.
-Credo...vorrei che mi dicessi che vorresti che io fossi qui per chiederti di uscire-
House la guardò male per un attimo, decifrando la frase.
-Emh, non facevi prima a dire che sei venuta per chiedermi di uscire?-

-Non sono venuta per questo, ma per capire quanto ti importa di me...-
-Sei una paziente-
-Lo ero. Al “Moonstruck” alle 8- concluse porgendogli il proprio numero di telefono e allontanandosi.
House si sporse dare un'occhiata al suo sedere. Madaly raggiunse l'ascensore e, una volta entrata, si voltò verso House.
Prima di premere il pulsante ed andarsene urlò, per farsi sentire da quella distanza:-Allora, il mio fondo schiena ti ha convinto?-
In quel momento House decise che quella sera sarebbe andato all'appuntamento. Chissà che la sua vita non sarebbe cambiata.

 

Il cantuccio dell'autrice
Salve a tutti! La fan fiction è conclusa, mi sono molto divertita a scriverla e devo dire che per una volta sono anche abbastanza soddisfatta. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate voi, quindi fatevi avanti! ^^
Hope we meet again
Red Wind

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