Alternative People di michaelgosling (/viewuser.php?uid=182536)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Terminal ***
Capitolo 2: *** I Primi Guai ***
Capitolo 3: *** Phelps ***
Capitolo 4: *** Amalric ***
Capitolo 5: *** Il Locale ***
Capitolo 6: *** Coabitazione Forzata ***
Capitolo 7: *** L'inizio di un'Amicizia ***
Capitolo 8: *** Psycho ***
Capitolo 9: *** Promozioni ***
Capitolo 10: *** Cerimonia Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Cerimonia Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Amare Sorprese ***
Capitolo 13: *** In Ospedale ***
Capitolo 14: *** Senso di Colpa ***
Capitolo 15: *** Una Notte Movimentata ***
Capitolo 16: *** Preparativi ***
Capitolo 17: *** Al Ristorante ***
Capitolo 18: *** La Cena ***
Capitolo 19: *** Paure ***
Capitolo 20: *** Notte.. Movimentata? ***
Capitolo 21: *** Gli Altri? ***
Capitolo 22: *** Bruschi Risvegli ***
Capitolo 23: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 24: *** Mettere le Carte in Tavola ***
Capitolo 25: *** Incontro in Ospedale ***
Capitolo 26: *** Pentimento ***
Capitolo 27: *** Dubbi ***
Capitolo 28: *** Divorzi ***
Capitolo 29: *** Illuminazioni ***
Capitolo 30: *** Crollo ***
Capitolo 1 *** Il Terminal ***
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CAPITOLO
1. IL TERMINAL
Il Terminal di Milwaukee era un continuo via vai di gente che
frettolosamente si dirigeva verso l'imbarco o che cercava l'uscita
più vicina. Nelle estremità e negli angoli
sorgevano dei negozi, piccoli e graziosi, ma evidentemente non lo erano
al punto di indurre i passeggeri a rischiare di far tardi per darci
anche solo un'occhiata: la maggior parte di loro non li notava proprio
e invece c'era chi li aveva visti per un istante, giusto il tempo per
capire il prodotto che si impegnavano a vendere.
Era un movimento continuo, destra e sinistra, tanto che le panchine,
che non erano poche, raramente erano occupate.
Tranne una, sulla quale si trovava una giovane ragazza che non poteva
avere più di vent'anni, sebbene sembrasse una bambina: i
lunghi capelli color marrone scuro erano spettinati e arruffati e la
presenza e la presenza dei baffetti e di qualche peletto di troppo
sulle sopracciglia a gabbiano portavano a pensare che non fosse il
massimo della pulizia e della femminilità e i vestiti che
indossava non aiutavano.
Si trattava di una felpa che poteva benissimo essere nata con lo scopo
di vestire gli uomini, dei comunissimi jeans e le scarpe da ginnastica
erano simili a quelle che si utilizza per fare jogging. Il tutto doveva
essere sommato ai dolci tratti del viso e i grandi occhi dello stesso
colore dei capelli, che contribuivano a darle un aspetto infantile.
Era evidentemente straniera, lo si capiva da come si guardava intorno e
da come si mangiasse nervosamente le unghie.
La pelle era chiara e liscia, il che portava a pensare che provenisse
da uno di quei paesi freddi e nordici dell'Europa dove probabilmente si
parlava il tedesco.
Ma non lo era.
Non era tedesca e non era austriaca.
E nemmeno inglese.
La ragazza aprì lo zaino che portava sulle spalle e
tirò fuori una mappa.
La guardò, la girò, così, senza un
apparente motivo.
La rimise al suo posto e notò un telefono pubblico a una
decina di metri da lei.
Passò dieci minuti a guardare prima il telefono e poi le
valigie.
Subito dopo, si alzò e si portò dietro le valigie.
Sollevò la cornetta del telefono e digitò un
numero di telefono con una velocità tale da indurre a
pensare che conosceva molto bene chi stava chiamando.
Il prefisso che compose non lasciò ulteriori dubbi: era
italiana, del Nord Italia probabilemente.
"Pronto?"
"Aiutami!" sbottò la ragazza in tono agitato.
"Sei arrivata? Dove sei?"
"Al Terminal di Milwaukee."
"E qual'è il problema?"
"Cosa devo fare?"
La donna con la quale era al telefono sospirò.
Sapeva che sarebbe finita così.
Una madre le sa certe cose, e sapeva benissimo che la figlia, sebbene
fosse appena ventenne, si sarebbe trovata in difficoltà in
un paese straniero. Come aveva potuto pensare di farcela da sola?
Ricominciare da capo in un paese del tutto nuovo nel quale non era mai
stata, dove per di più la lingua, la cultura e la legge
erano così dannatamente diverse da quelle della sua patria?
Era una scelta coraggiosa, ma solo certe persone possono permetterselo.
Persone sicure di sé, indipendenti e autonome. Non era il
caso di Giovanna, che completamente autosufficiente non lo era mai
stata. Non era stupida né tantomeno viziata, ma durante
l'adolescenza si era isolata sempre di più : era
così particolare e originale, e si sa, che nel mondo quelli
"diversi" vengono visti di cattivo occhio dagli altri. Se solo qualcuno
fosse stato interessato a conoscerla davvero, avrebbe visto in lei una
ragazza buona e altruista come poche al mondo, ma non fu
così e lei arrivò ai vent'anni senza aver mai
baciato un ragazzo e senza amici perchè i poche che aveva
erano diventati esattamente come gli altri pur di inserirsi nella
società, e avevano cancellato quella punta di
originalità che Giovanna apprezzava.
Lei no.
Lei non l'aveva fatto.
Se ne fregava dell'inserirsi nella società.
Se per farlo bisognava seguire la massa e diventare esattamente come
tutti gli altri, al diavolo!
Non sarebbe mai cambiata.
Per niente e per nessuno.
Non voleva.
Si piaceva così com'era.
Cercò rifugio nel cinema, e i suoi migliori amici divennero
Robert De Niro e Jack Nicholson.
La sua timidezza inoltre non l'aveva mai aiutata, e fino ad un paio di
anni prima si vergognava anche a chiedere qualcosa ad un commesso di un
negozio, anche se il più delle volte si trattava solo di un'
informazione.
Sua madre le voleva sinceramente bene, ma doveva essere obiettiva: una
ragazza come lei non è fatta per un paese straniero.
Ma lei l'aveva comunque fatto.
Aveva fatto le valigie e se n'era andata... ma ora?
Cosa avrebbe fatto?
Non aveva un lavoro, una casa né aveva una grande conoscenza
della lingua inglese, e soprattutto era sola.
Completamente sola.
Così chiamò sua madre, la quale, ovviamente, non
poteva fare molto.
"Non lo so, tesoro. Organizzarti prima no?"
"Lo sai che non sono il tipo che organizza."
"Hai vent'anni! Io alla tua età stavo già con tuo
padre e avevo un lavoro!"
"Sì mamma, lo so. Me lo dici tutte le volte."
"Evidentemente non abbastanza."
Passarono vari secondi di silenzio.
"Ho paura."
"Torna a casa."
"No! Ho aspettato tanto per arrivare qui! Non posso andarmene. Non
tornerò in quel paese di merda!"
"Eccoci al solito discorso. L'Italia è un paese di merda."
"Lo è! Non tornerò in quel buco! E' un paese del
cazzo e non intendo tornarci! Non mi farò più
rovinare la vita!"
"Ok. Ok."
"Che vita di stenti. Mai una gioia."
La donna roteò gli occhi divertita.
Sua figlia diceva spesso quelle frasi, e risentirle, anche se solo al
telefono, era piacevole perchè così aveva davvero
la certezza che quella era davvero la sua bambina.
"Io non posso aiutarti, tesoro. O esci o prendi un biglietto per
tornare a casa. Non ci sono molte alternative." mormorò la
madre, buttando giù il telefono.
Ho paura ad andare fuori
da sola! D'altra parte ho aspettato questo momento per troppo tempo e
tornare a casa sarebbe davvero umiliante.
Oppure posso fare come Tom Hanks, e vivere qui.
ALLORAAAAA :D QUESTA E' UNA STORIA CHE MI RONZA IN TESTA
DA UN PO' E ALLA FINE HO DECISO DI INIZIARLA :D SPERO VI SIA PIACIUTO
QUESTO INIZIO E SPERO CHE CONTINUERETE A SEGUIRLA (SE RIUSCITE A
LEGGERE QUESTO MESSAGGIO GRAZIE, SIGNIFICA CHE SIETE ARRIVATI IN
FONDO!)... RECENSITE PURE SE VOLETE, LE RECENSIONI SONO SEMPRE BEN
ACCETTE! ALLA PROSSIMA :)))))
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Capitolo 2 *** I Primi Guai ***
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CAPITOLO 2. I PRIMI GUAI
Non appena uscì dal Terminal, la ragazza posò una
mano sulla fronte: aveva un leggero mal di testa, il che non aiutava
affatto quella situazione già di per sé strana.
Non essere mai uscita prima d'ora la portava a non essere abituata a
viaggi simili: avrebbe dovuto prevedere che si sarebbe stancata
più velocemente di un bambino, soprattutto sul piano fisico.
Ma non poteva mollare.
Non l'avrebbe fatto.
Prendere un taxi era allettante, ma questo avrebbe portato
immediatamente al parlare americano.
No.
Meglio evitare finchè poteva.
Allora si mise lo zaino sulle spalle mentre con la mano destra teneva
la valigia.
E partì.
Camminò per un'oretta scarsa (durante la quale fece
innumerevoli pause, forse anche troppe), ma proprio mentre stava per
cedere e buttarsi ancora una volta nello sconforto più
totale, sentì una gran confusione e vide davanti a
sé una folla di persone in piedi che urlava tendendo tra le
mani dei cartelli : doveva essere una manifestazione.
Con grande fatica, la ragazza riuscì a farsi strada e a
passare in mezzo, tenendo ben stretta la valigia per paura di perderla.
D'altra parte non poteva fare altro: non c'erano altre stradine in cui
passare.
Mentre era lì in mezzo, cercando disperatamente di trovare
uno spiraglio di libertà, le venne in mente quando, durante
le superiori, per andare e tornare da scuola, era costretta a prendere
un piccolo e affollatissimo autobus pieno di gente che puzzava (tra
cui, probabilmente, c'era lei).
Senza neanche rendersene conto, riuscì ad uscire: continuava
ad essere in una piazza piena di gente, ma ad ogni modo
riuscì a respirare regolarmente.
Si guardò intorno, cercando un qualcosa, qualsiasi cosa, da
una scritta ad un'immagine, che potesse aiutarla a capire di che tipo
di manifestazione si trattasse.
E la trovò.
Un uomo alla sua destra teneva in mano un grande cartello con scritto
"We support gay rights".
Gay! Omosessuali! Ma certo!
Giovanna recuperò in fretta e furia tutta l'energia persa:
era sempre stata a favore degli omosessuali e aveva sempre desiderato
partecipare ad una manifestazione sull'argomento e ora aveva
l'occasione di farlo.
Aveva molto a cuore la questione, talmente tanto a cuore che molti
pensavano fosse lesbica.
Lei se lo era chiesto e si era risposta di no, ma si sa, nella vita
tutto è possibile e non bisognava escludere niente a priori.
In effetti, era un po' strano avere tanto a cuore qualcosa che non la
riguardava principalmente.
Anche lei lo sapeva.
Comunque, vide vicino a sé un tavolo con dei secchi di
colore diverso, ma non doveva essere vernice. Si avvicinò e
facendo attenzione perchè nessuno si accorgesse di nulla
(l'ultima cosa che voleva era farsi notare), ne prese una piccola parte
e si dipinse le guance facendo delle piccole striscie usando i colori
internazionali della libertà.
Una volta fatto, si unì al resto della folla sbracciandosi e
urlando "DIRITTI AI GAY!" in italiano, pur sapendo che nessuno
l'avrebbe capita.
Poco importava.
Lei era lì, a mostrarsi pubblicamente a loro favore.
Solo questo contava veramente.
A volte si zittiva per cercare di capire cosa dicessero gli altri, ma
... diamine!
Riusciva a capire sì e no una parola su dieci, e inoltre il
fatto che parlassero velocemente e in modo poco scandito non aiutava.
Quando quella marcia si interruppe improvvisamente, la ragazza si
sporse per vedere cosa stesse succedendo.
"Keep calm, guys! Let them pass!" urlò un uomo con una voce
calda e tonante.
Cosa cazzo ha detto?
La frase era obiettivamente facile da capire, anche per
uno straniero, ma Giovanna non capì una sola parola, un po'
per l'emozione e un po' per la confusione, anche se non era
così elevata.
Si sporse, e vide in lontananza un'altra folla con altri manifesti
tagliare loro la strada. L'italiana prese dallo zaino dei grandi
occhiali da vista e se li mise riuscendo a leggerli.
Si trattava di un'altra manifestazione, ma questa volta si trattava di
animalisti e ambientalisti, guidati da un'eccentrica ragazza dai
capelli e occhi azzurri (già, proprio azzurri) piena di
piercing che urlava e urlava altre cose, che ovviamente Giovanna non fu
in grado di capire.
Salutò con un gesto l'uomo che aveva detto di fermarsi per
ringraziarlo, e poi proseguì con il suo gruppo, ma non prima
di aver aggiunto un'altra cosa.
Un avvertimento.
"Do attention! There are the cops!"
Questa volta Giovanna, stranamente, capì.
La polizia? Oh cazzo.
Cosa vogliono?
E' una manifestazione pacifica!
Da una parte era offesa dal fatto che la
polizia perdesse così il suo tempo quando chissà
quanti assassini e stupratori giravano tranquilli per le strade di
Milwaukee senza nessun tipo di problema, mentre dall'altra parte era
intimorita da loro: sempre stata paranoica su certe cose, Giovanna
sapeva benissimo che bastava un passo falso e loro avrebbero potuto
arrestarla.
Pensò di aver già dato il suo contributo in
quella manifestazione, ed era giunto il momento di levare le tende:
ormai si era fatta sera e lei doveva ancora trovare un posto in cui
stare o sarebbe finita a dormire con i barboni per strada, ma era
troppo tardi.
Una decina di agenti si avvicinarono alla folla, tenendo saldamente in
mano un maganello, pur non intendendo usarlo se non per
neccessità.
La ragazza tentò di allontanarsi, ma non appena lo fece
sentì qualcosa che avrebbe preferito ignorare.
"Stay away from me, horrible faggot!" urlò con cattiveria un
agente, colpendo un ragazzo con il suo maganello.
Giovanna non ci vide più.
Se c'era una cosa che non sopportava era la discriminazione e l'abuso
di potere.
E quello era andato decisamente oltre.
Abbandonò ogni razionalità e ogni paranoia, e si
diresse verso quell'agente.
Lo guardò con odio e disprezzo.
Era davvero disgustoso vedere un uomo di così strette vedute
con l'uniforme da poliziotto, che dalla notte dei tempi vestiva chi
aveva il compito di difendere i cittadini onesti fermando i criminali.
E invece eccolo lì.
Ad attaccare senza motivo un povero ragazzo, la cui unica colpa era
stata quella di aver avuto il coraggio di manifestare per qualcosa in
cui credeva davvero.
Quando se lo ritrovò davanti, la ragazza disse l'unico
insulto che conosceva in inglese.
"Asshole."
Com'era da prevedere, l'agente andò su tutte le furie.
La atterrò e le mise le manette.
La ragazza era sbiancata.
Oh cazzo.
Non era un gran inizio.
Era in America solo da qualche ora ed era già stata
arrestata.
Magnifico.
Di bene in meglio proprio.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE! UN SOLO CAPITOLO E GIA' 2 RECENSIONI E 2 CHE
HANNO MESSO LA STORIA TRA LE SEGUITE? SONO COMMOSSA :') NON MI
ASPETTAVO UN SUCCESSO SIMILE. DAVVERO GRAZIE. SPERO DI NON DELUDERVI
CON I PROSSIMI I CAPITOLI, E SPERO CHE ANCHE QUESTO VI PIACCIA E VI
PORTI A LASCIARE UNA RECENSIONE! ALLA SETTIMANA PROSSIMA! :D
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Capitolo 3 *** Phelps ***
CAPITOLO 3. PHELPS
A Giovanna tornò in mente una commedia con Adam Sandler
nella quale la sua vita peggiorava sempre di più fino alla
sua morte, ma poi si svegliò e si scoprì che era
stato tutto un sogno.
Era Cambia la tua vita con un Click.
Cavolo, quanto avrebbe voluto trovarsi nella sua stessa situazione.
Magari quella era solo un sogno... molto realistico.
Ma non lo era.
Era pura realtà.
E per di più fuori pioveva anche.
Bene.
Aveva una forte rabbia dentro di sé, sia per sé
stessa sia per quell'omofobo del cazzo.
Lei aveva sbagliato a mettersi al suo livello, ma.. in gattabuia doveva
esserci lui, non lei!
Vide l'agente che la controllava uscire e ne vide entrare un altro:
doveva essere l'ora del cambio di turni.
Al suo posto entrò un altro maschio, la cui uniforme era
talmente ordinata da sembrare nuova.
Era un tipo molto rigido ( e se non lo era lo sembrava parecchio ),
composto, e da come si muoveva si capiva che prendeva il suo lavoro
molto seriamente e che non era entrato in polizia per giocare a fare
l'eroe o usare le manette per giochini erotici con la fidanzata.
Nonostante il cappello che faceva parte della divisa che non aveva
intenzione di togliere, la ragazza riuscì ad intravedere dei
capelli biondi molto corti, e due occhi chiari incastrati in un viso a
lei familiare.
Quel tipo era parecchio somigliante, anzi praticamente uguale, a
qualcuno che la ragazza aveva visto, ma non riusciva a ricordare di chi
si trattasse.
Mentre ci pensava, non fece a meno di notare che l'uomo non le staccava
gli occhi di dosso per un solo momento: era uno sguardo severo, lo
stesso modo in cui un edicolante guarda un cliente per controllare che
non rubi niente.
"Stai calmo, eh! Sono in prigione! Pensi che potrei scavare una buca a
mani nude e uscire?!?" sbottò la ragazza, irritata da quegli
occhi severi puntati su di lei.
"What?" mormorò in tono confuso l'agente, senza smettere di
squadrarla come se avesse commesso il peggiore dei crimini.
Giovanna sorrise.
E' vero, se ne scordava sempre!
Qualunque cosa avesse detto in italiano, nessuno avrebbe potuto
capirla.
Poteva dire tutto quello che voleva senza preoccuparsi delle
conseguenze.
Se solo ci avesse pensato prima, non si sarebbe trovata in quel buco!
"Che palle."
Il poliziotto fece una smorfia, continuando a non capire.
E ora?
Anche se poteva dire quello che voleva senza farsi capire?
Se aveva seriamente bisogno di qualcosa?
Come avrebbe comunicato?
"Can I have... ehm...oh cazzo... come diavolo si dice coperta?"
Aveva freddo e una coperta avrebbe giovato.
Il poliziotto continuò a guardarla in modo confuso, quasi
disgustato dalla ragazza che aveva davanti, probabilmente per la scarsa
femminilità e igiene.
Giovanna di farsi capire a gesti, ma senza successo.
"Are you a tourist, aren't you?" mormorò severamente
l'agente, come se fosse un insulto.
"Eh?"
Ancora una volta non
aveva capito.
Se solo parlasse più chiaramente!
"Yes, you are a tourist. From... Italy."
continuò in tono saccente il poliziotto guardando i
documenti della ragazza, che si trovavano sulla scrivania.
"Yes! Italy!" esultò Giovanna, contenta di aver capito
qualcosa.
"Why are you laughing? I can't stand too happy people."
Attimo finito.
L'attimo in cui aveva capito qualcosa era finito.
"Why to go abroad if you don't speak american? Back to your State!
Perhaps in Italy the women look like men escaped from Auschwitz but
here it's.... horrible."
Non aveva capito una sola... dannata... parola.
Quello lì aveva capito benissimo che lei era straniera e che
aveva difficoltà con la lingua, ma nonostante questo aveva
pensato bene di parlare in fretta e furia e a bassa voce.
Che stronzo.
E poi lei non era stupida, sebbene lo sembrasse.
Aveva sicuramente detto qualcosa di poco carino sul suo conto.
"It wasn't my fault. He attacked a boy."
Il poliziottò roteò gli occhi con uno sguardo
disgustato.
"You have a terrible terrible pronunciation."
"I wanna see you alone in a foreign country where there is a foreign
language!" borbottò lei, cercando di fare meno errori
possibili.
"But I'M NOT in a foreign country! I'm in the country where I grow up!"
sbottò il poliziotto.
Cavolo.
Devo smetterla di far
arrabbiare i poliziotti.
Non è un granché come tattica.
"You're right." mormorò in tono
pentito la ragazza, cercando così di moderare i toni.
Era sempre una seccatura scusarsi anche se lei non era poi
così orgogliosa, ma capì che era stata la scelta
più saggia.
"I know I'm right." rispose l'agente in tono superbo, sollevando la
testa e guardando l'italiana dall'alto in basso.
E la peppa oh!
Va bene che è un tutore della legge, ma cavolo!
Potrebbe anche atteggiarsi di meno!
Non è mica Dio!
Giovanna non riuscì a trattenersi e
sbuffò.
"I'm sorry, did you say something?" mormorò il poliziotto,
al quale non era sfuggita quella smorfia.
"No."
"Great." continuò al poliziotto, tornando alla sua scrivania.
La giovane si sporse e cercò di guardarlo meglio:
focalizzò nella sua testa il viso di quell'agente quando le
si era avvicinato.
A chi somigliava?
Non riusciva proprio a ricordare.
Iniziò a girare avanti e indietro per la cella e il
poliziotto la guardava con uno sguardo sempre più perplesso.
Stanco di guardarla, osservò i documenti della ragazza e
ricopiò i dati principali su un foglio. Quella ragazza non
gli piaceva affatto, sembrava sospetta.
Ogni volta che conosceva qualcuno, era cinico.
Era sempre stato così di carattere, come sua madre, che ci
aveva messo anni per fidarsi ciecamente del marito.
Aveva dei sospetti su chiunque incontrasse e squadrava sempre tutti.
Questo suo modo di fare lo portò ad essere considerato dagli
altri il classico tipo con la puzza sotto il naso: passava molto del
suo tempo da solo, ma non tutto.
Da un paio di mesi, si frequentava con Helen, un'incantevole ragazza
che veniva dalla California e che lavorava in un negozio di vestiti
come commessa. L'aveva conosciuta sul lavoro: era stata derubata e fu
lui ad occuparsi del caso. Gli piacque subito. Non proveniva da una
famiglia benestante come lui (avrebbe potuto benissimo vivere di
rendita, ma scelse comunque di servire lo Stato diventando poliziotto),
ma era una donna molto femminile, raffinata e di classe. Era sempre
curata e truccata. Inoltre aveva i capelli biondi e gli occhi chiari
come lui. In poche parole, incarnava la concezione che aveva di donna
perfetta.
Giovanna era esattamente il suo opposto: scura di capelli e occhi e
parecchio trasandata e goffa. Un maschiaccio.
Quel genere di donna che per lui.... non era una donna.
Forse è per questo che era un po' che non la guardava e
finì di compilare quel modulo, che infilò in un
cassetto.
Nel frattempo Giovanna si fermò di colpo, come se fosse
stata pietrificata.
Finalmente si ricordava di chi era la copia quello snob: si diede
mentalmente della stupida per non esserci arrivata prima.
"Ci sono!" esclamò la ragazza, indicando l'agente con la
mano destra.
Il biondo riprese prontamente a fissarla.
Ma qual'è il
problema di questa qui?
Non sarà meglio chiamare un criminologo?
Questa è una psicopatica.
Mi ci gioco la carriera.
"Cole Phelps, LAPD!" continuò lei.
"What?"
"You look like Cole Phelps by L.A. Noire! the videogame!"
"I don't play videogames. I don't spend my time and my money with that
stuff!"
Mentiva.
Non ci aveva mai giocato, ma sapeva benissimo chi era Cole Phelps.
Da quando era uscito quel dannatissimo videogioco tutti, familiari e
colleghi, lo prendevano in giro: lui stesso non poteva fare altro che
pensare che si fossero ispirati a lui per realizzare quel personaggio.
ODDIO! MI DISPIACE, E' VENUTO TROPPO LUNGO! >.< MA SE
STATE LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO, SIGNIFICA CHE AVETE AVUTO LA FORZA DI
LEGGERLO TUTTO! I MIEI COMPLIMENTI!
FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO!
PS: QUANTI DI VOI CONOSCONO L.A.NOIRE?
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Capitolo 4 *** Amalric ***
zzzzzzz
CAPITOLO 4. AMALRIC
Quando la mattina seguente venne rilasciata con tutte le sue cose, si
sentì estremamente sollevata.
Era stato quasi divertente passare la notte in gattabuia,
principalmente per due ragioni: la prima era che aveva dormito gratis
per una notte e la seconda era che aveva conosciuto Cole Phelps in
pelle e ossa.
Non era niente male, considerando che era successo tutto nel giro di 12
ore.
"Bye bye Phelps!" disse al freddo agente di polizia quando
uscì.
"I'm watching you!" ribattè lui, irritato dalla confidenza
che la ragazza gli stava mostrando.
Lei lo ignorò proseguendo per la sua strada e poco dopo lui
fece altrettanto, rientrando nel commissariato: entrambi erano convinti
che il loro era stato un incontro assolutamente casuale, e che non si
sarebbero mai più rivisti nella vita.
Sbagliavano.
Nel frattempo, Giovanna rivide nella sua testa i momenti appena
passati, e pensò a cosa fare. Prima di tutto bisognava
visitare la città per bene, per conoscerla e iniziare a
muoversi al proprio interno con maggiore tranquillità e
serenità.
Attraversò una zona residenziale, ma poi, inevitabilmente,
la stanchezza si fece sentire.
Dannata prigione. Non ho
chiuso occhio.
Dormivo meglio in strada.
Si sedette su una panchina alla fermata del bus, e riprese
fiato, come se avesse fatto una lunga corsa.
Passò una mezzora abbondante, e la giovane vide un paio di
bus fermarsi e proseguire e altrettante persone salire e scendere.
Sapeva che il tempo stava passando e che la sera sarebbe nuovamente
arrivata anche quel giorno, ma non sapeva cosa fare e dove andare.
Cercare un lavoro? Nessuno l'avrebbe mai presa. Non parlava un buon
inglese, non aveva esperienza professionale e disponeva di un semplice
diploma, che non si sa come fosse riuscita a prendere.
Cercare un albergo in cui passare la notte? E per quanto tempo? Pagando
con quali soldi? Dei dollari li aveva, ma prima o poi si sarebbero
esauriti.
Forse sua madre e tutti quelli che conosceva aveva ragione.
Forse non avrebbe mai dovuto lasciare l'Italia.
Forse davvero non avrebbe mai combinato niente nella sua vita e forse
davvero sarebbe rimasta zitella a vita.
Mentre nella sua testa ronzavano questi pensieri, si alzò e
l'autista che stava arrivando con il suo bus interpretò quel
gesto come una volontà di salire, così si
fermò e aprì la portiera per farla salire.
"Do you want to take the bus?" mormorò l'uomo, notando che
la ragazza non si muoveva.
La ragazza alzò lo sguardo e vide l'autista fissarla.
Sebbene fosse seduto, si capiva che era piuttosto basso, alto
più o meno come lei, contrariamente a Phelps che era almeno
1 metro e 88.
Aveva la pelle molto chiara e i capelli e occhi color marrone scuro: se
lo vedeva Tim Burton lo prendeva subito per il suo prossimo film.
Quell'uomo aveva qualcosa nel suo viso di inquietante: la forma degli
occhi così particolare (e il fatto stesso che li teneva
spalancati come se fosse costantemente allucinato), i lineamenti del
viso e la bocca ne erano la causa.
Anche lui somigliava in modo sorprendente a qualcuno, ma stavolta la
ragazza non ebbe alcun dubbio su chi si trattasse: Mathieu Amalric.
Amalric era un attore francese di cui la ragazza era sempre stata fan,
e incontrare il suo clone (ma quanti cloni ci sono in America?!?) che
doveva avere una ventina d'anni di meno dell'originale era... strano.
Forse, anzi quasi sicuramente, lo riteneva inquietante
perchè l'aveva visto ne Lo Scafandro e la Farfalla, dove
visto che interpretava un uomo con la sindrome del Chiavistello* aveva
la bocca storta, l'occhio destro cucito e l'altro aperto che si muoveva
continuamente.
Non era tanto la sua condizione del film ad essere traumatico, ma quel
dannato occhio sempre spalancato.
Tuttavia, l'autista aveva uno sguardo amichevole, e Giovanna si
sentì immediatamente sollevata.
"Where... where the bus goes?" chiese in tono incerto.
"You are a tourist."
Caspiterina!
Ancora?
Ma si vedeva così tanto?
Evidentemente sì.
A differenza del poliziotto però, il tono
dell'autista era meno.. scontroso.
Da come l'aveva detto non sembrava un insulto, ma un semplice fatto.
"We go to the Milwaukee Centre." continuò l'uomo, posando le
mani sulle gambe.
"May we move? I'm in late!"" urlò qualcuno dentro il bus.
"Just a second!" urlò l'uomo e poi, tornando a guardare la
ragazza, continuò: "So?"
Giovanna entrò con riluttanza portandosi dietro tutte le sue
cose.
Non c'era un cazzo di posto.
Fantastico.
Riconobbe la ragazza dai capelli azzurri, quella della manifestazione,
indaffarata ad esaminare dei cartelli, che probabilmente aveva
preparato precedentemente. Fu confortante incontrare qualcuno che aveva
già visto, anche se non la conosceva e non ci aveva mai
parlato.
Tuttavia, non essendoci posto, si sedette sugli scalini dell'entrata e
mise la valigia lì vicino.
Notò che l'autista ogni tanto la guardava, ma non in modo
sospetto. Era uno sguardo tranquillo, quasi sereno, il primo che aveva
ricevuto da quando era lì.
"How long are you here?" chiese alla ragazza, sempre in tono amichevole.
"Yesterday."
"Not soo long."
"I know that.. I haven't a good pronunciation."
"The most important thing is that you know it."
La ragazza sorrise timidamente e l'autista fece altrettanto.
Allora c'è
della gente umana in sto posto!
Proprio l'unico uomo che inizialmente la inquietava (tutta
colpa del vero Amalric), era stato l'unico finora che era stato gentile
con lei.
L'ironia della vita!
Osservò l'uomo con più attenzione anche se non in
modo eccessivo (non voleva sembrava una psicopatica o una maniaca), e
notò che ogni volta che il bus si fermava, per il traffico o
per far salire e scendere dei passeggeri, muoveva in modo agitato le
braccia, e con le mani toccava tutto quello che riusciva, dal volante
alla radio, come se avesse una specie di tic nervoso.
Ad ogni modo, la ragazza passò il resto del viaggio pensando
ai fatti suoi, predendo la cognizione del tempo: si svegliò
da quella sorta di dormita con gli occhi aperti solo nel momento in cui
arrivarono al capolinea, quando il clone di Amalric la scosse
delicatamente.
"Are tou okay?" le chiese, non appena vide Giovanna alzarsi.
"Dove... where.." balbettò lei, mezza intontita.
"Always Milwaukee."
La ragazza mise una mano sulla fronte e si sedette su un'altra panchina
lì vicino per riprendersi.
Appoggiato al bus che aveva appena guidato, l'autista la
guardò con un mezzo sorriso. Teneva le braccia distese lungo
i fianchi anche se stavano per muoversi visto che le mani non stavano
ferme un minuto.
Incrociò le braccia, sperando così di tenere
quelle dannate mani sotto controllo.
Giovanna se ne stava a testa bassa, nascondendo il viso con le mani.
Singhiozzò.
Stava andando tutto male.
Non ce l'avrebbe fatta.
Non era indipendente, non era in grado di fare nulla.
Sprofondò nello sconforto più totale.
Di nuovo.
Non aveva scelta: doveva tornare a casa, che non avrebbe mai dovuto
lasciare.
Già immaginava l'umiliazione che l'avrebbe accompagnata fino
alla vecchiaia, dato che tutti sapevano che se ne voleva andare
dall'Italia.
"Non combinerò mai niente. Starò sulle croste dei
miei genitori e morirò triste e sola, derisa dal resto del
mondo." mormorò Giovanna, talmente piano che nessuno
riuscì a sentire la sua voce.
L'uomo si avvicinò alla ragazza e le porse un fazzoletto,
che lei non tardò a prendere.
"Thank you."
"Would you like to take a couple of coffee?"
Giovanna lo guardò sorpresa.
Stavolta fu lei a sgranare gli occhi.
"With... with you?"
Non riusciva a crederci.
Qualcuno si stava interessando a lei... o più semplicemente
voleva solo essere gentile.
Già, la seconda ipotesi era più probabile.
"Yes.. I mean... if you don't want to stay alone.." balbettò
timidamente lui, voltando lo sguardo.
Che dolce.
Massì!
"Ok."
* : Condizione nella quale una persona, in seguito ad un ictus,
è completamente paralizzata (in stato vegetativo) tranne
solitamente per gli occhi. Comprende cosa gli viene detto e cosa
succede, ma non può comunicare.
EEEEEEEEECCCCOMI :D SCUSATE IL RITARDO ;D
SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA!
E RECENSITE, MI RACCOMANDO :D
|
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Capitolo 5 *** Il Locale ***
the driving bell and the butterfly
CAPITOLO 5. IL LOCALE
Dermot Hopgood, così si chiamava il particolare autista,
aveva portato Giovanna in un bar lì vicino molto alla mano,
talmente vicino che dovettero semplicemente attraversare la strada per
raggiungerlo.
A Giovanna piacque subito quel posto: era molto moderno e servivano di
tutto e di più. C'erano anche dei comodi tavoli, ma i due
scelsero iil bancone, sedendosi su degli sgabelli.
Giovanna guardava Hopgood.
Hopgood guardava Giovanna.
Nessuno parlava.
Nessuno sapeva cosa dire.
Entrambi timidi.
Entrambi insicuri.
Passarono così i primi dieci minuti: lui che non faceva
altro che guardare il piatto che aveva ordinato e lei, mentre lo
fissava, faceva di tutto per memorizzarlo come "Dermot Hopgood" e non
come "Mathieu Amalric", ma era più difficile di quanto
pensasse.
"How... how old are you?" chiese con un filo di voce l'autista.
"Twenty. You?"
"Twentyseven."
Ancora silenzio.
"What you like?" continuò Hopgood, dandosi mentalmente
dell'idiota: sembravano due bambini alla prima cotta, e lo sembravano
ancora di più ora, che parlavano di gusti reciproci.
"I like movies, videogames.."
"Videogames? Few girls like videogames. Which one you like?"
"Rockstar Games. I like the videogames where you are a cop. You?"
Sì non andiamo oltre.
Non voleva parlare di L.A. Noire anche se era il suo preferito.
Temeva che sarebbe spuntato fuori da un momento all'altro quella
sottospecie di clone.
No, meglio evitare.
"Every type. I haven't a genre."
"And also. I like serial killers and.."
What?!? You like movies, videogames and what?" fece in tono allarmato
l'autista, sgranando ulteriormente gli occhi.
Oh cazzo.
Devo pensare prima di parlare, non posso dire tutto quello che mi passa
per la testa!
E adesso come faccio a spiegarglielo?
Contriaramente a quello che la maggior parte della gente pensa, primo
fra tutti il Phelps del Wisconsin, io non sono psicopatica!
Mi interesso dei serial killer nel senso che mi interessa studiare la
loro mente malata, ma non sono mica una loro fan!
Il problema è dirlo in inglese.
Merda.
Ma perchè quando dovrei starmi zitta parlo e quando dovrei
parlare mi sto zitta?
Intanto il caro Amalr.. ehm... voglio dire... Dermot, continua a
guardarmi sconvolto.
Sempre al solito.
Trovo uno a cui interesso e lo faccio scappare via subito. Non lo
biasimerei se adesso si alzasse e lasciasse il locale.
"Ehm.. I mean.. I'm interested on their mind.."
balbettò la giovane italiana, indicando con le dita la testa.
"I understand. You mean, their brain. It's OK." mormorò in
tono sollevato Hopgood, facendo un mezzo sorriso.
"Yes!" esultò lei.
Hopgood rise.
Era davvero strana quella ragazza. Però le piaceva, e tra
tutte le ragazze che aveva conosciuto le sembrava essere la
più gentile.
L'esultazione della ragazza si trasformò e il suo volto
divenne improvvisamente pallido quando vide qualcuno che conosceva
entrare nel locale.
"Non... è... vero..." mormorò allibita.
"What?" chiese Hopgood, non capendo.
"Ancora quello? Che due palle." continuava ad imprecare Giovanna, non
riuscendo a credere ai propri occhi.
Dermot si voltò e vide un agente di polizia particolarmente
somigliante a Cole Phelps di L.A. Noire sedersi ad un tavolo dentro il
locale, poco distante da loro.
"That guy looks like that cop by L.A. Noire." mormorò.
La ragazza annuì pesantemente con la testa, cercando di
marcare il più possibile quel gesto.
"Do you know him?" chiese Hopgood.
"Yes.." fece in tono disgustato l'italiana, guardando l'agente, che non
si era ancora accorto di lei, con evidente antipatia.
"Are you okay?"
"Yes. Don't worry Amal.. I mean.. Dermot."
Hopgood sbiancò.
"How you called me?"
"Dermot."
"No no! Before you said an another name. Amalric."
"... maybe.."
"You saw that damn movie."
"What are you talking about the Driving Bell and the Butterfly!"
Dunque... butterfly
è farfalla.
Driving bell....
scafandro... credo.
"That damn movie and that damn actor ruined my life!"
"What you mean?"
"Every person that I met looks me with mercy. Yesterday a woman saw me
and started to cry, and I spent an hour to comfort her."
Giovanna iniziò a ridere, divertita.
Hopgood rise a sua volta, contento che le sue sventure provocassero in
lei quella reazione.
Mentre lui continuava a raccontare altri episodi simili, l'unico
barista presente nel locale uscì e contemporaneamente
entrò la ragazza dai capelli blu.
Improvvisamente il locale si svuotò.
Era successo qualcosa che aveva attirato la gente fuori, ma quelli
rimasti dentro erano troppo immersi nei loro pensieri.
Hopgood e Giovanna erano totalmente presi l'uno dall'altra, la ragazza
dai capelli blu era entrata in tutta fretta e aveva iniziato a cercare
qualcosa, Phelps stava mangiando e pensando ai fatti suoi e un altro
uomo, anche lui rimasto dentro, sembrava stesse correggendo delle
verifiche: probabilmente era un insegnante.
Rimasero solo loro 5 dentro.
E quello che sarebbe successo da lì a poco
avrebbe cambiato per sempre le loro vite.
ALLORAAAAA... VI AVVISO CHE PROBABILMENTE CI TROVERETE ERRORI DATO CHE
HO LA FEBBRE >.<
VI CHIEDO SCUSA PER QUESTO, E SPERO CHE APPREZZERETE COMUNQUE.
LASCIATEMI UNA RECENSIONE SE VOLETE, LO SAPETE CHE MI FA PIACERE!
CIAO :D
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Capitolo 6 *** Coabitazione Forzata ***
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CAPITOLO 6.
COABITAZIONE FORZATA
Quando il proprietario del locale era uscito, come avevano fatto
metà dei suoi clienti, per controllare cosa fosse successo,
si aspettava sicuramente qualcosa di più entusiasmante di un
tentato scippio ad un'anziana signora.
Quasi deluso, scrollò le spalle e spinse sulla maniglia del
suo bar per rientrare, ma non vi riuscì.
Ci riprovò ancora ma niente.
Le cinque persone rimaste dentro, una ragazza dai capelli blu, un uomo
chino su dei fogli, un agente di polizia e un uomo e una donna che
parlavano, non si erano ancora accorti di niente.
Ritentò una terza volta, ma niente.
Prima che ritentasse una quarta volta, ricordò che qualche
giorno prima un operaio che aveva fatto colazione nel suo locale gli
aveva detto che la porta principale aveva qualche problema e che andava
riparata immediatamente, altrimenti si sarebbe bloccata e l'unico modo
per entrare ed uscire dal bar sarebbe stato quello di toglierla del
tutto, e comprarne una nuova: a quel tempo non gli aveva dato ascolto e
aveva sottovalutato il problema.
Sarebbe stato meglio se lo avesse ascoltato.
Ora doveva chiamare chissà quanta gente per toglierla, e
chissà quanto ci avrebbero messo. E nel frattempo quelli
dentro potevano mettergli a soqquadro il locale.
Fantastico.
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Giovanna stava ancora parlando con Dermot, quando un rumore improvviso,
che sembrava una tromba, risuonò da fuori.
Tutti e cinque, d'istinto, si coprirono le orecche con le mani,
cercando di protteggersi da quell'orribile rumore, che era peggio di
una persona stonata che cantava a voce altissima.
Ne seguì un messaggio, che l'italiana, guardacaso, non
riuscì a capire.
"WHAT?" urlò a Dermot, temendo che altrimenti non avrebbe
capito.
"They said that we can't move. The door is blocked. We have to attend
that they remove it." rispose l'autista, non urlando ma parlando a voce
molto alta.
Giovanna annuì, anche se capì la metà
delle parole.
La situazione non prometteva bene.
"Can you stop to screaming?!?" urlò in tono furioso il
"professore", dirigendosi verso Giovanna e Amalric.
Era alto quanto il poliziotto, i capelli castani e corti erano lisci,
pettinati e con la riga di lato mentre due furtivi occhi verdi si
nascondevano dietro due grossi occhiali di metallo, un paio che ormai
non portava più nessuno. Era vestito molto elegantemente,
con la giacca, la camicia e il resto.
Sembrava veramente un professore e Giovanna fu davvero lieta di aver
ottenuto il diploma, e quindi di non dover più avere a che
fare con gente come lui.
Phelps, che si stava avvicinando con lo scopo di placare gli animi, si
bloccò di colpo quando riconobbe Giovanna.
"YOU! AGAIN?!?"
"Didn't you hear me?!? STOP SCREAMING! I have to finish my students'
works! That idiots! They should know that the place for the sheeps and
for the goats is the zoo, not the school!" continuò a
sbraitare l'insegnante.
Giovanna, a quel punto, non riusciva a trattenersi.
Ricapitoliamo.
Si trovava con la versione reale del protagonista di un videogioco
della Rockstar, la versione più giovane di un attore
francese specializzato nei ruoli drammatici e per concludere,
perchè evidentemente non era abbastanza, con la versione
americana di niente di meno di Sgarbi.
Fantastico.
Davvero davvero fantastico.
Scoppiò a ridere.
Davanti a quella risata, Dermot sorrise quasi contagiato, mentre il
poliziotto e il professore la guardarono nel peggiore dei modi.
"You have a problem. A big problem. You are a sick person."
mormorò in tono freddo Phelps, incrociando le braccia e
guardandola dall'alto al basso.
A quel punto intervenì la ragazza dai capelli blu, vedendo
che gli altri quattro erano tutti vicini.
"Ehy guys, what is going on?" chiese in tono amichevole, posando le
braccia sulle spalle di Phelps e Sgarbi.
I due la fulminarono con lo sguardo.
Non si capiva se la disprezzavano di più per i tatuaggi, per
i piercing, per i capelli blu o più semplicemente se per la
troppa vicinanza.
"Keep calm, mates! I'm not the devil!"
"Leave...
Your....
Fucking...
Hand....
From...
My...
Shoulder...
NOW!" sbottò Phelps.
"Do the same with the other hand Bluehead, if you don't want problems."
continuò Sgarbi.
Pazzi.
La ragazza non era particolarmente preoccupata dalle loro
minacce, ma tolse comunque le mani per avvicinarsi a Giovanna.
La raggiunse, non prima di aver visto Dermot e aver fatto uno sguardo
di disgusto, e le sorrise.
"I saw you! But... I don't remember where."
"Manifestation.. I mean I don't know how is in american... ehm... you
were with the animals and the earth... I was with the gays."
"Oh yes yes... Now I remember... How are you?"
"Actually.... I don't know. You?"
"Not fine. It's a week that I searching a tenant.."
"A tenant?"
"Yes.. you need a place?"
"... Yes..."
"Perfect!"
"But... I don't have a job."
"Don't worry, I know a lot of people." mormorò lei, posando
un braccio sulla spalla di Giovanna e allontanandosi con lei da quei
tre uomini, che le guardavano sorpresi.
ECCCCCCOMI XD UN NUOVO CAPITOLO XD
SPERO VI PIACCIA!
FATEMI SAPERE CON UNA RECENSIONE! CIAO!
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Capitolo 7 *** L'inizio di un'Amicizia ***
CAPITOLO 7. L'INIZIO DI
UN'AMICIZIA
Giovanna si mangiava nervosamente le unghie da una mezzora abbondante
ormai.
Aveva quel vizio dall'adolescenza, e si vergognava a mostrare le mani
dato lo stato pietoso in cui erano le sue unghie... o almeno quello che
ne restava delle sue unghie.
Non poteva farci niente: era più forte di lei.
Lo faceva spesso: quando era nervosa, quando aveva paura, quando era
agitata.
Ora era tutte e tre le cose.
Si trovava all'interno di un locale e chissà quando sarebbe
potuta uscire.
Nessuno delle persone al proprio interno parlava sulla sua lingua.
Si sentiva completamente isolata.
Phelps e Sgarbi non aiutavano affatto: quando passavano vicino a lei o
la guardavano, le lanciavano degli sguardi di ghiaccio a dir poco
spaventosi.
Continuavano a guardarla dall'alto al basso, come se fosse la peggiore
delle persone.
A preoccuparla era soprattutto il professore: quel tale sembrava tanto
tranquillo e pacifico con quei grossi occhiali dietro ai quali si
nascondevano due piccoli occhi chiari e quei capelli corti ma pettinati
e curati, ma, come appena sottolineato, era solo apparenza.
Alla minima cosa che gli si diceva, iniziava ad urlare e urlare.
Urlava insulti, minacce.
Di tutto e di più.
Sembrava veramente Sgarbi.
La ragazza era fermamente convinta che tra le varie cose che aveva
detto doveva anche esserci "capra".
Sarebbe stato davvero il colmo.
Phelps gli lanciava qualche occhiata, e poi tirava fuori un quadernino
e una penna dalla tasca della divisa e iniziava a scrivere qualcosa.
Ma non c'erano solo psicopatici là dentro.
Amalric e la ragazza dai capelli blu, Arienne si chiamava, erano stati
davvero gentili con lei, e continuavano ad esserlo.
Lui ogni tanto andava da lei e le chiedeva molto educatamente se aveva
bisogno di qualcosa mentre l'ambientalista cercava di rompere il
ghiaccio facendo qualche battuta e mostrandosi estroversa e amichevole.
Non potevano essere più diversi, eppure il destino ha voluto
che fossero proprio loro cinque ad essere rinchiusi là
dentro.
Per cosa?
Per parlare?
E di che cosa?
Cosa avrebbero potuto dirsi?
Qualcosa sicuramente.
Sempre meglio che passarsi il tempo incrociando le braccia e camminando
avanti e indietro.
"I think..." mormorò Giovanna.
Tutti si voltarono a fissarla, visto che era da un po' che nessuno
parlava.
Sgarbi e Phelps la guardavano severamente, come se volessero dire "E
adesso questa che cazzata spara?".
Amalric e la Testa Blu, invece, la guardarono serenamente, ascoltandola.
Testa Blu le sorrideva anche.
Giovanna si fece forza e continuò.
"I think we should talk. Maybe we discover that we have things...
ehm... oh come diavolo si dice."
Tutti e quattro capirono cosa volesse dire, ma Phelps e Sgarbi fecero
finta di non farlo, irritati dall'orribile americano di quella ragazza.
Il poliziotto digrignò addirittura i denti.
Testa Blu capì cosa avevano in mente quei due, e si
arrabbiò.
"You understood what she means, so don't be idiots and start to talk."
"I'm sorry what you said?!?" fece in tono irritato il poliziotto.
"How you called me? Idiot? IDIOT? I D I O T ?" borbottò il
professore, iniziando un'altra delle sue sclerate.
La ragazza sbuffò.
Il professore iniziò a dirne di tutti i colori, ma lei lo
ignorò completamente e, come Amalric, si sedette accanto
all'italiana e iniziarono a parlare sul divano.
All'inizio Sgarbi e Phelps continuarono con il loro silenzio, ma poi si
resero conto che non era un'idea così assurda. Il primo a
cedere fu l'insegnante, che dopo tre quarti d'ora di urli che nessuno
aveva sentito, si sedette in una poltrona a sinistra del divano
limitandosi inizialmente ad ascoltare, e poi a parlare. Un'ora dopo li
raggiunse il poliziotto, che si sedette nell'altra poltrona, quella a
destra del divano, e a poco a poco si sciolse anche lui, senza
però lasciare la sua postura distaccata.
Quando il giorno dopo riuscirono ad aprire il locale e a portarli
fuori, li trovarono addormentati in quei posti: dopo aver passato tutto
il tempo a parlare, erano crollati, addormentandosi dove si erano
seduti.
Era l'inizio di una stramba, assurda, irrazionale, pazza amicizia.
ECCCCCCCCCOMI :D SPERO QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA XD DA QUI IN POI NON
CI SARANNO PIU' SCENE IN INGLESE, GRAZIE AL CIELO! QUESTO E' IL MODO IN
CUI SI SONO CONOSCIUTI! ORA INIZIA LA STORIA VERA E PROPRIA. FATEMI
SAPERE CHE NE PENSATE! CIAOOO
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Capitolo 8 *** Psycho ***
CAPITOLO 8. PSYCHO
Psycho.
Psycho è il diminutivo di psicopatico.
Psycho è il titolo del famoso film targato Alfred Hitchcock
con protagonista Anthony Perkins.
Ma Psycho era anche lei.
Giovanna.
Esattamente.
Nel gruppo era lei quella più strana.
Nel gruppo era lei quella appassionata di cinema e quella interessata
alla mentalità dei serial killer.
Non c'era soprannome più adeguato per lei.
A Giovanna, d'altro canto, piaceva.
Amava il film di Hitchcock ed essere chiamata così non le
dispiaceva affatto.
Poteva andarle peggio.
Psycho.
Sì, suonava bene.
Non molto rassicurante, ma suonava bene.
Tra loro si chiamavano tutti per soprannome, quindi era giusto che ne
avesse uno anche lei.
Phelps, Amalric, Sgarbi, Testa Blu e Psycho.
Un gran bell'assortimento, non c'è che dire.
Erano così abituati a chiamarsi in quel modo che, nonostante
fossero passati ben sei mesi dal giorno in cui si trovarono rinchiusi
in quel locale che ora era diventato il loro principale luogo
d'incontro, ignoravano totalmente il vero nome degli altri.
Era davvero assurdo e perchè no, anche surreale, ma
così era.
La giovane italiana aveva abbandonato da tempo quei pensieri pessimisti
che l'avevano accompagnata per diversi mesi, e non si sentiva
più sola.
Si sentiva finalmente indipendente, con una vita propria.
Aveva persino un lavoro.
E non un lavoro qualunque: il lavoro dei suoi sogni.
Commessa in un negozio di DVD.
Cosa poteva desiderare di meglio?
Era un negozio modesto gestito unicamente da lei e da Philippe Connors:
era stato quest'ultimo ad assumerla.
Era di all'incirca trent'anni, sposato e con due figli.
Biondo, occhi chiari, bassino ma con un viso che lasciava intendere
gran parte del suo carattere: era buono, tranquillo.
Non si arrabbiava mai.
E indovinate un po'?
Anche lui era la fotocopia sputata di qualcuno che Psycho aveva visto
in TV.
Tobias Beecher di OZ.
Ricordò che quando lo vide la prima volta si
domandò immediatamente..
Un altro sosia?
Ancora?
Ma qual'è il problema di questi americani?
Hanno tutti la stessa faccia?
Tuttavia si trovava molto bene e lui era soddisfatto: da
quando c'era lei in negozio si faceva prima: non poteva essere
altrimenti, con la cultura cinematografica di quella ragazza.
Lei continuava ad avere una pessima pronuncia, ma ormai l'americano lo
capiva bene, anche le frasi più complicate: forse non
riusciva a tradurre parola per parola, ma il succo del discorso
sì.
Insomma, tutto era perfetto.
Aveva un lavoro, un appartamento (era andata a convivere con Testa
Blu), e degli amici...
Sì... amici.
Lei li riteneva tali, ma il loro era un rapporto particolare.
Si tiravano frecciatine di continuo e litigavano spesso, anche per la
più piccola stupidaggine.
Però in fondo voleva bene a tutti, e sapeva che la cosa era
reciproca anche se gli altri non l'avrebbero mai ammesso, soprattutto
Phelps e Sgarbi che orgogliosi come sono sarebbero morti piuttosto che
dire una cosa del genere.
Però continuavano a vedersi tre spesso, e questo doveva pur
significare qualcosa.
Perchè nonostante le litigate e tutto il resto, erano un
gruppo saldo, e tutti a fine giornata tornavano a casa con la
consapevolezza che si erano divertiti.
Era proprio l'inizio di una nuova vita.
EEEEECCCCOMI :D NUOVO CAPITOLO :D FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! A
PRESTO! CIAOO
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Capitolo 9 *** Promozioni ***
CAPITOLO 9. PROMOZIONI
"Idioti! Idioti! Idioti! Non sono altro che delle pecore! Degli asini!"
Amalric, Testa Blu e Psycho, che stavano parlando tranquillamente,
fecero quasi un sobbalzo.
Ma come faceva Sgarbi ad urlare sempre così spesso?
Non gli mancava la voce dopo un po'?
Forse era l'abitudine.
Si era portato le verifiche dei suoi studenti al locale, e visto che i
tre amici parlavano di cose che non gli interessavano minimamente,
aveva iniziato a correggerle.
Sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto.
Tutti i presenti del locale si zittirono e guardarono verso
l'insegnante.
Il barista era furioso: si avvicinò al gruppo, mettendo le
mani sui fianchi.
"Allora? Ci diamo una calmata?"
"Adesso gli passa." fece Testa Blu.
"Fate in modo che gli passi permanentemente o lo bandisco dal locale."
"Bandisco, addirittura! Dove siamo, nel Far West?"
"Magari. In tal caso avrei già risolto il problema con un
bel duello." sbottò il proprietario, ritornando dietro al
bancone.
"Cristo che vergogna... ci guardavano tutti." mormorò
Amalric, mettendo le mani davanti al viso.
"Avevo un professore alle superiori che era sempre esaurito. Ci
insultava sempre dicendo che non sapevamo parlare, che non sapevamo
nulla e che per lui era impossibile insegnare se ci trovavamo in quelle
condizioni."
"Direi che nel tuo caso era vero." fece Sgarbi.
"Mi fai finire?"
"E finisci. Però sbrigati. Non vedo l'ora di scrivere un bel
2 con la mia penna rossa in quei compiti atroci."
"Quando ero interrogata con lui, non riuscivo a parlare. Sbagliavo
anche le frasi più semplici, e andavo male. Solo
più tardi capii che il problema non era mio, ma suo. Se non
ci avesse inquietato così tanto, con quelle minacce
continue, io sarei stata più rilassata e non sarei andata
meglio."
"Stai dicendo che sono io che li inquieto?"
"Sì!" risposero contemporaneamente Amalric, Testa Blu e
Psycho.
"Oh, ma per piacere. Avete una minimia idea degli analfabeti con cui ho
a che fare tutti i giorni?!? Io alla loro età avevo letto
Dickens, Wilde, Orwell. Questi invece leggono schifezze romantiche e
libri fantascientifici senza un senso."
"Ma sono gusti."
"Gusti un cazzo. Se avessero un minimo di buon senso leggerebbero
altro. Per non parlare di quelli che usano il cellulare 24 ore su 24.
Poi hanno anche il coraggio di frignare quando glielo ritiro. Hanno
proprio una bella faccia tosta."
"Attento alla voce. Il proprietario ti sta lanciando sguardi di
fuoco..."
"Che vadano tutti quanti a fanculo. Non so cosa è
più triste. Loro o te?" fece Sgarbi, riferendosi a Psycho.
"Che ho fatto stavolta?"
"Sei originaria di un paese in cui è nata la cultura... e
invece... la tua di cultura è... è....
così insignificante."
"Grazie Sgarbi, come sei caro."
"... così effimera...."
"Cosa vuol dire effimera?"
"Non sai cosa vuol dire effimera? Oh santa pace. Me ne vado che
è meglio. Ci si vede." mormorò il professore,
prendendo i compiti e uscendo.
Poco tempo dopo li raggiunse l'ultimo componente di quel contorto
gruppo: Phelps.
Indossava la sua solita divisa da agente di polizia, ma contrariamente
al solito, era tutta disordinata: la camicia mezza sbottonata, il
cappello al rovescio, le manette che pendevano dalla tasca dei
pantaloni.
Phelps stesso aveva lo sguardo stravolto e confuso, come se fosse
intontito e i capelli erano spettinati.
I ragazzi sorrisero.
C'era solo un motivo se era in quello stato.
Sesso.
Phelps è sempre impeccabile nel vestire e nella cura di
sé, tranne quando fa sesso.
E' una sua particolare caratteristica, che ormai nel gruppo si sapeva.
Il sesso aveva quell'effetto su di lui.
Indipendentemente da come usciva di casa, si riduceva in quello stato.
Lui lo sapeva, ma non poteva evitarlo.
"Guarda guarda.."
"Ho.... ho avuto una promozione... mi hanno promosso a Detective."
"E' fantastico!"
"Complimenti."
"Dopodomani ci sarà il passaggio ufficiale da agente a
Detective. Se volete venire. E ditelo anche allo sclerato."
"Certo che veniamo. Così finalmente conosciamo la tua
ragazza." fece Psycho.
"Voi da una parte... lei da un'altra."
"Ma come..."
"Ve la presenterò, ma più avanti."
"Vedo che con lei hai già festeggiato."
Phelps si guardò.
"Oh cavolo! Eppure mi sembrava di essere uscito in modo composto!"
ECCCCCOMI :D
CI HO MESSO UN BEL PO' A FARE QUESTO CAPITOLO, QUINDI SPERO LO
APPREZZIATE!
CIAOOO
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Capitolo 10 *** Cerimonia Parte 1 ***
CAPITOLO 10. CERIMONIA
PARTE 1
Il commissariato in cui Phelps lavorava era uno dei più
grandi e più stimati di Milwaukee.
Quando gli amici del poliziotto giunsero sul posto, c'era abbastanza
caos.
C'era un via vai continuo di poliziotti e civili, ma Psycho non ci fece
caso: si limitava a seguire il gruppo, mentre una parte della sua mente
aveva abbandonato quel luogo e quel momento, e aveva iniziato a vagare
lontano, avviandosi verso l'ennesimo trip.
Vide davanti a sé i frammenti della sua vita passata,
incorniciata dalle scene dei film per lei più significativi..
Alcuni ricordi erano piacevoli, altri molto dolorosi.
Si sentiva stordita, come confusa da tutte quelle immagini che la
riguardavano messe insieme in quel modo così disordinato,
così come era sempre stata lei.
Proprio quando stava per uscirne e stava per tornare nel mondo intorno
a lei abitato da altri comuni mortali, un uomo tra i 30 e i 40 anni che
le passò davanti le fece uno sgambetto e la fece cadere:
fortunatamente la ragazza, contrariamente a quanto si potesse pensare,
aveva i riflessi pronti e riuscì a proteggersi dalla caduta
con le mani.
L'uomo, con capelli e occhi scuri, si mise a ridere.
Oh sì!
Davvero divertente.
Si trattava probabilmente di un civile che per un motivo o
per un altro si trovava in commissariato, e che ora stava uscendo.
"Mio nipote è più maturo. E ha 3 anni." disse
severamente Sgarbi, che aveva assistito alla scena.
Amalric non aggiunse altro, ma nei suoi occhi (sempre inquietanti) si
percepiva chiaramente la rabbia, ma si limitò ad aiutare
Psycho ad alzarsi.
"Oh ma si può sapere dove eravate finiti? Vi ho cercato
ovunque! E quella che ci fa per terra? Per la miseria Psycho, alzati!
Non voglio fare brutte figure, proprio oggi! Se passasse il mio capo.."
fece in tono agitato Phelps, indossando per l'ultima volta l'uniforme
da agente.
Gli altri stavano per rispondere, ma persero di vita lo stronzo, ma poi
Testa Blu riuscì a localizzarlo.
Era fuori dall'edificio, e si stava fumando una sigaretta.
"Quell'imbecille ha fatto lo sgambetto a Psycho facendola cadere!"
esclamò l'ambientalista, indicandolo.
Phelps seguì con lo sguardo il dito della ragazza e fece una
piccola smorfia quando vide a chi si riferiva.
"Lo conosci?!?" chiese Amalric.
"Lo arrestiamo spesso per guida in stato di ebbrezza e disturbo della
quiete pubblica. Se la cava sempre perchè i suoi genitori
sono proprietari di una catena di alberghi. E' un figlio di
papà viziato che si crede il padrone del mondo e pensa di
poter fare tutto quello che vuole. Una volta l'abbiamo arrestato
perchè derideva e maltrattava pesantemente dei disabili
sulla sedia a rotelle." spiegò il poliziotto, usando un tono
sprezzante che mostrava chiaramente il disprezzo che nutriva nei suoi
confronti.
"E tu non puoi fare niente?" chiese Psycho, arrabbiata con l'uomo in
questione non tanto per lo sgambetto, ma per i disabili.
Prendersela con i disabili è la cosa più
disgustosa, più subdola, più ignobile,
più meschina e più scorretta che una persona
possa fare.
E lui stava tranquillamente fumando una sigaretta.
Tutto ciò era inacettabile.
"Cosa pensi che possa fare? Sono reati minori, reati per i quali passa
al massimo una notte o due in cella perchè dopo entra in
scena il suo paparino con l'avvocato, il denaro e tutto il resto.
Finchè non farà cose più gravi come
uno stupro o un omicidio, nessuno di noi potrà fare nulla."
rispose Phelps.
"Che schifo."
"State tranquilli. Sono sicuro che prima o poi farà la fine
che merita. Ora possiamo muoverci, di grazia?" sbottò
Phelps, camminando a passo svelto verso la stanza dove sarebbe stato
premiato pubblicamente.
Quando arrivarono, Phelps si fiondò da alcuni suoi colleghi,
mentre il resto del gruppo si sedette.
Non appena fatto, si guardarono intorno cercando di identificare chi,
tra le donne presenti, potesse essere la famosa fidanzata dell'amico
poliziotto.
"Quella?"
"No, è bruna! A lui piacciono le bionde!"
"E quella?"
"Ma chi? La strafiga della seconda fila che sembra una modella? Su,
siamo seri. Stiamo parlando di Phelps. Lui una così se la
sogna." fece Psycho.
Testa Blu, voltando lo sguardo, incrociò quello di Amalric.
Sobbalzò.
"Ahahah. Sìsì sei divertente. Sei divertente a
fingerti di spaventarti ogni volta che mi vedi." mormorò
l'autista.
"Cosa ti fa credere che finga?"
"Ehi..." mormorò in tono gentile Psycho all'amica, come se
volesse dirle "dai poverino.. lascialo stare".
"Ehi che? Ma l'hai visto? L'hai visto bene? Ha una faccia viscida come
un serpente. E gli occhi poi. Perchè deve sempre tenerli
spalancati? Qual'è il suo problema?"
"Parla quella che sembra un cartone animato." si difese Amalric.
"Non è così brutto.." mormorò Psycho
alla ragazza, facendo in modo che l'interessato non sentisse.
"Scherzi, vero?"
"La volete piantare?!? Guardate che inizia, quindi chiudete il becco!"
sbottò Sgarbi.
Le luci calarono e il gruppo vide un uomo di una certa età
salire sopra una specie di palco. Doveva essere il capo di Phelps.
"Signori e signore, agenti e civili, benvenuti. Siamo qui oggi per
premiare un uomo che fin dal suo ingresso in questo commissariato ha
mostrato grandi capacità investigative e rigorosamente ha
con.."
"Cazzo ma quanto parla? Quante chiacchiere per una promozione." si
lamentò Psycho.
"... ed è per questo che il Comissariato di Milwaukee ha
deciso di premiare il suo coraggio e il suo lavoro promuovendolo.
Signori e signore, il Detective Collen Wellston."
Chi?!?!?!?!?
"E chi cazzo è Collen Wellston?" chiese
immediatamente Psycho.
"Ma siete scemi? E' Phelps. Il nostro Phelps. Pensavate davvero che il
suo nome reale all'anagrafe fosse Cole Phelps?!?"
"Ma lui non ha la faccia da Collen!"
"La cosa non ci riguarda minimamente."
"Gente, Phelps, o Wellston, sta salendo per prendere il distintivo. Se
non la smettiamo di parlare ci ucciderà e
nasconderà i nostri cadaveri sotto le assi del pavimento di
casa sua!" disse Amalric.
"Come Nilsen!" esclamò Psycho, contenta di fare sfoggio
delle sue conoscenze sui serial killer realmente esistiti.
"Non mi sembra il momento di parlare di queste cose dato che siamo
sempre in un distretto di polizia e se qualcuno ci sente finiremo tutti
in prigione a vita!"
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Capitolo 11 *** Cerimonia Parte 2 ***
capitolo 11. cerimonia
parte 2
"Oh insomma!
Dov'è Phelps! Quella cazzo di cerimonia è finita
mezzora fa e io voglio andarmi a casa. La mia parte l'ho fatta."
sbottò Psycho.
"E vattene. Chi te lo impedisce?"
"Beh.. prima volevo salutarlo... se si desse una mossa!"
"Starà facendo il leccaculo con il suo capo così
un'altra promozione si avvicina e quindi un'altra cerimonia. Che
bello." mormorò Testa Blu, priva di entusiasmo.
"Per me invece sarà con la sua fidanzata che ha pensato bene
di nascondere perchè noi non la incontrassimo in un camerino
e quando tornerà qualcosa mi dice che avrà i
capelli spettinati, i vestiti messi male e l'aspetto trasandato.
Scommessina?" ipotizzò Sgarbi.
"Non farebbe mai sesso sul posto di lavoro. E' troppo stakanovista per
farlo."
"Ma che fine ha fatto? Io dovrei andare al lavoro, diamine."
"Oh eccolo. Finalmente." mormorò Amalric, vedendo l'amico
avvicinarsi a loro.
"Che fate ancora qui? Io credevo foste già andati via da un
pezzo."
"No. Perchè la signorina voleva salutarti." fece in tono
sarcastico Sgarbi, indicando con la mano l'amica italiana.
"Perchè?" chiese Phelps.
"Perchè lei è Psycho. E se noi la chiamiamo
così ci sarà pur una ragione."
"Bene Psycho. Mi hai visto. Mi hai salutato.Adesso ciao."
"Hai fretta di liberarti di noi?"
"Non fate i bambini. Ci vediamo stasera al solito posto, ok? Ora
scusatemi ma ho da fare. Ciao ciao."
"Una volta vederlo era facile. Adesso è come chiedere
udienza al Papa." sbottò Sgarbi, mentre con gli altri si
diresse verso l'uscita.
Psycho iniziò a guardarlo con un grande sorriso, quel genere
di sorriso che ha chi ha un piano.
"Cosa c'è Psycho... cosa c'è? Che avrei fatto
stavolta?"
"Quello che hai detto prima.. sul Papa e Phelps.."
"E allora?"
"Se al posto di vederlo avessi detto vederti.... avresti indirettamente
citato una battuta di un film."
"E capirai... tu hai visto più di 400 film! E' un po'
difficile non dire mai qualcosa che si avvicina ad una battuta di un
film."
"Il film è Brokeback Mountain, Sgarbi. Vale a dire uno dei
tuoi film preferiti."
Sgarbi rabbrividì immediatamente, come se fosse stato
colpito da una potente scossa elettrica.
"Non nominarlo neanche quel coso! Mi devo ancora riprendere! Mannaggia
a te che mi hai obbligato a vederlo!"
"Sgarbi, tu non sai quello che dici. Stai offendendo una pietra miliare
della storia del cinema."
"Ma fammi il favore! Due pervertiti che peccano sarebbe una pietra
miliare del cinema?!?"
Psycho cambiò immediatamente espressione.
"Ritira subito quello che hai detto!"
"No!"
"RITIRA TUTTO!"
"NO! Lo sai che non lo farò."
"Oh Sgarbi... Ormai dovresti saperlo... tu e Psycho non dovete mai, e
sottolineo MAI, parlare di gay. Avete pensieri così opposti
sull'argomento che ogni volta che lo affrontate finite per litigare,
urlare ed insultarvi."
"Cosa te la prendi con me? E' lei che ha cominciato! Con quel cazzo di
film!"
"Non l'avrei fatto se tu non avessi detto quella frase!"
"Certo, come no! Perchè secondo te io sono masochista al
punto di aver detto apposta quella frase per arrivare a questo?!?"
"Esatto!"
"Te sei fuori. Più fuori di qualunque psicopatico mai
esistito sulla faccia della Terra!"
"Il film l'hai pur visto! Grazie a me, tra l'altro. Forse quella scena
ti è rimasta impressa."
"Cara mia, le uniche scene di quel film che mi sono rimaste impresse
contro la mia volontà sono loro due che si inculano come
bestie ! Mi ci vorrà un
anno per rimuoverle!"
Psycho stava per ribattere, ma Amalric e Testa Blu li bloccarono appena
in tempo.
"Ok adesso basta. Fine. Ci stanno guardando tutti."
"Parliamo d'altro... Ad esempio... ehm... avete novità?"
Sgarbi rispose, ma Psycho non ascoltò una sola parola.
Spostò lo sguardo e vide ancora quell'idiota che le aveva
fatto lo sgambetto.
Vicino a lui c'era un paralitico che passava sul marciapiede con la sua
sedia a rotelle, e quell'egocentrico viziato, senza pensarci due volte,
afferrò la sedia e la chinò con forza su un lato,
facendo cadere il disabile.
Poi mise la sedia lontana in modo che lui non potesse riprenderla con
le braccia, e poi se ne andò, ridendo.
Psycho aveva visto tutto, ma non era riuscita a impedire il gesto.
Quando arrivò, la vittima era già per terra e
l'aggressiore era già sparito.
"Grazie signorina." mormorò l'uomo, quando lei
l'aiutò a risalire sulla sedia.
"Meriterebbe la prigione quello stronzo."
"Madre natura gli ha dato un pessimo carattere con il quale
finirà solo. Non servono altre punizioni. Questa
è più che sufficiente." fece l'uomo un sorriso,
muovendo le ruote e procedendo.
ECCOMIII CON UN NUOVO CAPITOLO :D FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO.
PS: NON DIMENTICATEVI DEL "VIZIATO".... RITORNERA' ...
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Capitolo 12 *** Amare Sorprese ***
568078
CAPITOLO 12. AMARE
SORPRESE
"Fortunato bastardo." sbottò con invidia Amalric.
"Troppo fortunato. Fa schifo da quanto è fortunato."
continuò Phelps.
"Deve pur esserci una spiegazione. Magari è una squillo o
una prostituta." ipotizzò Testa Blu.
"Ma sei scema? Ti pare che una prostituta si faccia la manicure?"
ribattè Phelps.
"Magari ha dei problemi mentali." provò Amalric.
Psycho, che era stata zitta e imbronciata fino a quel momento,
intervenì.
"La volete finire? Un vostro amico sta con una ragazza troppo bella e
perfetta per lui come per qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra
e allora? Siate contenti per lui invece di trovare delle scuse
insensate perchè ritenete impossibile che Sgarbi non possa
avere una donna come lei."
"Zitti! Sta arrivando."
Sgarbi salutò la ragazza, e quando questa uscì
dal locale, il professore ritornò dal suo gruppo di amici.
"Come diavolo hai fatto?" gli chiese subito Amalric.
"Non so di cosa parlate."
"Finiscila. Sai benissimo di cosa parliamo. Ora sputa il rospo."
"L'hia drogata? L'hai pagata?"
"Niente di tutto ciò."
"Oh ma per favore!"
"Sarà stato il mio fascino."
Il gruppo scoppiò a ridere.
Sgarbi li fulminò con lo sguardo all'istante.
"Quale fascino scusa?" chiese Psycho.
"Già! Quale delle tue tante qualità l'ha fatta
innamorare? I tuoi scleri o quei tuoi occhiali stile anni 50?"
"Ridete ridete! Intanto però io stanotte farò
sesso con lei e voi mi penserete."
"Quindi stasera uscite?"
"Già. Un bel ristorante a lume di candela. Per poi
concludere in bellezza a casa sua. E nel suo letto. A fare sesso."
"Sì, Sgarbi. Abbiamo capito."
Phelps si alzò di colpo.
"Devo andare. C'è una rapina qui vicino e io devo andare ad
aiutare. Ci si vede." spiegò, correndo verso l'uscita.
"Ma non era entrato agli omicidi? Che c'entrano le rapine con gli
omicidi?"
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L'appuntamento era andato alla grande e Sgarbi era così
fiero di sé.
Aveva trovato una donna bella e per di più colta: non era
ignorante come tutte le altre.
Conosceva la storia, la letteratura, l'arte.
Stava seriamente pensando che fosse quella giusta.
Ma dovette ricredersi presto.
Arrivati nell'appartamento, il professore non vedeva l'ora di dirigersi
nel letto: erano sei mesi che non faceva sesso, e l'idea di farlo con
lei quella sera era... reale.
Aveva anche un bell'appartamento: grande, moderno, ordinato.
Guadagnava anche bene, quindi.
Sempre più qualità.
E Sgarbi da quando la conosceva non aveva ancora sclerato.
Tutto ciò era di buon auspicio.
La baciò con passione, ma poi le si ritirò.
Sgarbi la guardò sorpreso.
"Qualcosa non va?!?"
"Niente. Vado un momento in bagno a rifarmi il trucco. Tu aspettami in
camera da letto. E preparati alla notte di sesso più
selvaggio di tutta la tua vita."
Beeeeeeene.
Sono in Paradisoooooooo.
Non ci pensò due volte e obbedì ma
fu proprio nella camera da letto he l'idillio si interruppe.
Fu proprio lì che Sgarbi perse tutto l'interesse che nutriva
nei confronti di quella donna.
E fu lì che si sentì un idiota colossale.
Ovunque.
Nella camera c'erano ovunque segni dell'ideologia della donna che si
stava per portare a letto.
"Non è vero..." pensò fra sé il
professore, ringraziando il cielo di essersene accorto per tempo.
Doveva andarsene, e subito.
"Allora??? Sei pronto?" mormorò lei, entrando nella camera.
Sgarbi era ancora sconvolto.
Avrebbe preferito scoprire che era schizofrenica.
Avrebbe preferito scoprire che era una psicopatica assassina e che in
camera nascondeva teste umane.
Avrebbe preferito scoprire che una volta era un uomo e che aveva fatto
l'operazione per cambiare sesso, nonostante la sua omofobia.
Tutto sarebbe stato meglio di questo.
Poster di svastiche e di Hitler per tutta la stanza.
"Ci diamo alle letture leggere, eh?" mormorò l'uomo,
indicando un libro sul comodino dal titolo "Come gli ebrei hano
inventato la Shoah.".
Avrebbe preferito prenderlo per sbatterglielo in faccia, ma quello
schifo non lo voleva neanche toccare.
"Avevi detto di essere di mentalità aperta."
"Questo non ha nulla a che fare con la mentalità aperta."
"Dovresti imparare a rispettare le idee altrui."
"Dio mio, non ci posso credere! Stavo per fare sesso con una nazista!"
"Ognuno è libero di pensarla come vuole."
"Questo è vero. Ed è esattamente per questo che
io ora penso di andarmene." sbottò Sgarbi, mettendosi il
giubbotto e uscendo da quella stanza infernale.
"Tu non capisci."
"No cara, sei tu che non capisci! Non starò mai con una
donna che considera un eroe un mostro che ha ammazzato tutta quella
gente. Dovresti vergognarti."
"Ma non mi lasci spiegare."
"Questo perchè non mi interessa ascoltare ciò che
hai da dirmi."
Amalric era ebreo.
Il nonno di Psycho era ebreo.
E loro sono due dei suoi migliori amici.
Non poteva stare in quel luogo un secondo di più.
Stava per uscire, ma poi squillò il telefono.
"Pronto?!?" rispose Sgarbi, con un tono furioso.
"Sgarbi, sono Psycho. Hanno sparato a Phelps durante la rapina e ora
siamo tutti qui all'ospedale. Sbrigati."
LO SO LO SO.
LA SETTIMANA SCORSA NON HO AGGIORNATO.
VI CHIEDO SCUSA, MA AVEVO L'ESAME DI MATURITA'.
SPERO CHE CON QUESTO CAPITOLO SIA TUTTO A POSTO xD ALLA PROSSIMA!
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Capitolo 13 *** In Ospedale ***
CAPITOLO 13. IN OSPEDALE
"Cosa diavolo siete venuti a fare?!?" sbottò in tono
incredulo Phelps nel suo letto d'ospedale mentre un infermeria gli
fasciava un braccio.
"Ci ha chiamati il tuo capitano per dirci che ti avevano sparato e che
eri all'ospedale. Secondo te cosa avremmo dovuto fare?"
"Un braccio. Mi hanno sparato ad un braccio. E' solo una fasciatura.
Vedete?"
"E noi come diavolo facevamo a saperlo? L'abbiamo letto nella sfera di
cristallo?"
"Ora lo sapete. Quindi... ciao."
"Vuole che ci togliamo dai piedi." mormorò Amalric al resto
del gruppo.
"Che perspicacia." fece in tono sarcastico Phelps.
Calò improvvisamente il silenzio quando videro entrare nella
stanza Sgarbi.
Aveva la giacca sotto le braccia e un espressione non tanto felice.
"E tu che cazzo ci fai qui?"
"Mi ha chiamato Psycho. Ha detto che ti avevano sparato."
"Ma sei imbecille?!? Stasera Sgarbi aveva la cena con quella top model!
Complimenti Psycho gli hai rovinato la serata per un fottuto braccio!"
continuò Phelps.
L'italiana si diede dell'idiota.
Cavolo.
E' vero!
Sgarbi aveva quell'appuntamento!
Come ha potuto dimenticarsene?!?
E conoscendo Sgarbi...
....
Ora sarebbe partita una bella infamata.
E se la meritava tutta.
"Mi dispiace Sgarbi... Mi era completamente passato di mente..."
mormorò in tono dispiaciuto la ragazza, nella vana speranza
che questo avrebbe migliorato le cose.
L'insegnante non urlò.
Non lo fece.
Non ci andò neanche vicino.
Si limitò a scuotere le spalle.
"Non scusarti, anzi, la tua telefonata mi ha salvato la vita."
Tutti rimasero di pietra.
Sgarbi che... che... non urla?
Anche se era stato rovinato un suo appuntamento con praticamente la
donna perfetta?
Che diavolo era successo?
"E' andata così male?" chiese la ragazza.
"Peggio."
"Ti rifarai con il prossimo appuntamento."
"No, voi non avete capito. Non ci sarà un altro
appuntamento. Mai più in tutta la vita. Con lei ho chiuso."
"Cioè... sei tu che non la vuoi più vedere?"
"Esattamente."
"Perchè?"
Perchè stima
Adolf Hitler.
Era tanto facile dirlo.
Davvero facile.
Quattro parole e loro avrebbero capito.
Ma non voleva.
Non voleva perhcè nonostante le sclerate e tutto il resto,
Sgarbi era un vero amico, e non voleva far sentire a disagio Psycho e
Amalric, dato che avrebbero fatto parte delle persone che Hitler voleva
eliminare. Non voleva che si sentissero in colpa, perchè
loro erano il tipo di persona che in quella situazione si sarebbe
sentita in colpa.
No.
Preferì inventare una scusa.
"Non si depila."
Tutti guardarono Psycho, dato che neanche lei lo faceva.
"E che vuoi che sia... Neanche gli uomini lo fanno! Però per
loro va bene, eh! Per noi donne no!"
"Nelle donne fa schifo. E tu Psycho sei un illusa se pensi di trovare
un uomo disposto a fare sesso con te se tu non sei depilata. Rimarrai
zitella a vita."
La ragazza uscì dalla stanza.
Tutti pensarono che l'avesse fatto perchè si era offesa, in
effetti chiunque l'avrebbe pensato, ma in realtà voleva solo
andare in bagno.
"Phelps!"
"Oh andiamo! Anche voi lo pensate che non troverà mai
nessuno! Questa è la vita vera, e nessun uomo
sarà disposto a passare la vita con lei se non la smette di
sembrare un ragazzino di sedici anni e se non si decide a diventare una
donna! Sarò schietto, forse anche duro, ma è la
verità."
Amalric stava per uscire, ma Testa Blu lo bloccò.
"Lasciala... Vorrà stare sola."
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A dire il vero Psycho non era arrabbiata e non voleva neanche stare
sola.
Perchè avrebbe dovuto esserlo?
Pensava anche lei quello che aveva detto Phelps.
Il vero problema era un altro...
Non solo non aveva trovato il bagno.
Si era anche persa.
Ma dai come si fa a perdersi in un ospedale?!?
Solo lei!
Vide un infermiera passarle vicino, così le chiese un
informazione.
"Mi scusi... il bagno?"
"Piano terra."
"E questo è..."
"Quatro piano. Ictus."
Quarto piano?
QUARTO PIANO?
COME DIAVOLO CI ERA ARRIVATA AL QUARTO PIANO?
Si diresse verso l'ascensore in fretta, ma una delle stanze era aperta
e lei, incuriosita, buttò un occhio.
Era la camera di un paziente.
Nel letto c'era un uomo affetto dalla Locked-In-Syndrome, quella del
famoso film che la sconvolse.
Ma non era un uomo qualsiasi.
Questa volta, intrappolato in quel corpo, c'era proprio lui.
Quel ragazzo viziato che se la prendeva con i disabili e con chiunque
si trovasse davanti.
Ora era completamente paralizzato e poteva comunicare solo con gli
occhi.
Ora il disabile era lui.
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Capitolo 14 *** Senso di Colpa ***
CAPITOLO 14. SENSO DI
COLPA
Lei lo guardava.
Non smetteva di guardarlo.
Non voleva infierire, non lo voleva davvero, ma si sentiva... strana...
e non riusciva a fare altro.
Quel bastardo, perchè bastardo era, inutile negarlo solo per
le condizioni in cui si trovava, aveva finito di essere un peso per la
società.
Aveva finito di fare scherzi idioti ai disabili o a chi non si poteva
ribellare.
Aveva finito di superare i limiti di velocità con il suo
fuoristrada bevendo alcolici in continuazione.
In pratica, aveva finito di fare qualsiasi cosa.
Non poteva, ora era inchiodato ad un letto.
Non sarebbe stato in grado di muovere un solo muscolo.
Non poteva neanche muovere la testa per mandare via una mosca che
magari si posava sulla sua testa.
Non poteva muovere le mani per grattarsi.
Con tutte le persone che gli avevano mandato accidenti di tutti i
tipi....
Evidentemente qualcuno ha funzionato.
Psycho era una di quelle, e si sentì uno straccio.
Si sentì colpevole.
Il fatto che lui fosse quello che era, non c'entrava nulla.
Lei non aveva alcun diritto di augurargli del male, nonostante lui lo
facesse agli altri.
Non sapeva se provava quel senso di colpevolezza perchè era
troppo buona o perchè effettivamente avesse sbagliato, fatto
sta che non riusciva a smettere di guardarlo.
Al contrario, lui guardava ovunque eccetto lei.
I suoi occhi si muovevano di continuo, ma mai, neanche per un secondo,
si fermarono su di lei.
Evidentemente per lui erano notevolmente più interessanti il
pavimento, il soffitto e le pareti.
"Psycho??? Psycho?? Terra chiama Psycho."
La voce tonante di Sgarbi fece riportare la ragazza alla
realtà.
"Eh? Come?!?" balbettò lei in tono confuso.
"Sì ciao... Uno dei suoi soliti film mentali."
"Scusate... mi sono distratta."
"Ma va?!? Non l'avrei mai detto!" mormorò in tono sarcastico
Phelps.
"Phelps chiederà alla sua ragazza di sposarlo stasera."
spiegò rapidamente Amalric alla ragazza.
"Che bello! E come le farai la proposta?"
"Ma a te che te frega Psycho?" sbottò il poliziotto.
"Daiiii sono curiosa."
"Come vuoi che faccia? Nel modo più antico del mondo! La
porterò in un ristorante chic e a fine serata le
darò l'anello. Come immaginavi che le avrei chiesto di
sposarmi? Ballando la danza della pioggia?!?"
"Ma il sistema più vecchio del mondo non è
mettersi in ginocchio?"
"Ma siete fuori?!? Mettermi in ginocchio? Avete idea di quanto costino
questi pantaloni?"
"C'è... fammi capire.... non vuoi metterti in ginocchio...
per... per... non rovinare i pantaloni?"
"Anche perchè mi scoccia."
"Sei l'essere meno romantico che conosca."
"Non ci vedo niente di romantico in una proposta di matrimonio. E' una
domanda alla quale tu puoi rispondere o sì o no. Cosa
c'è di romantico?"
"Capita una sola volta nella vita! Sono quelle cose che si devono fare
per il verso giusto!"
"Oh sentite è la mia fidanzata quindi sarò io a
decidere come farle la proposta. Voi preoccupatevi delle proposte che
farete ai vostri futuri compagni... se ne troverete." rispose
cinicamente Phelps, alzandosi e uscendo.
"Secondo me questo matrimonio si concluderà con un
divorzio." ipotizzò Testa Blu.
"Come fai a dirlo? Lei non la conosci neanche."
"Non occorre. C'è passare la vita insieme a Phelps? Non
riesco ad immaginare niente di peggio!"
"Un matrimonio felice sarà il loro." mormorò
Sgarbi, indicando con la testa Amalric e Psycho.
"Come scusa?"
"Oh andiamo.. Da quanto tempo è che flirtate? Saranno mesi
ormai. Smettetela di fare gli adolscenti alla loro prima cotta e uscite
tra di voi."
Amalric e Psycho divennero improvvisamente rossi in faccia
dall'imbarazzo.
In effetti Sgarbi aveva ragione.
Era da tanto che si giravano intorno ed era arrivato il momento di fare
qualcosa in proposito.
Psycho prese Amalric per la giacca per farlo avvicinare: nessuno doveva
sentire cosa si dicevano.
"Puoi portarmi all'ospedale?"
"Quale ospedale?"
"Quello in cui hanno curato Phelps."
"Perchè? Stai male?"
"No.. io... devo vedere una persona. E non posso più
aspettare."
"D'accordo."
La timida coppietta si alzò.
"Beh? Adesso dove andate? A scopare in bagno?" chiese Sgarbi, sorpreso
dal fatto che si fossero alzati tutti e due nello stesso momento.
Psycho stava per rispondere, ma Amalric la anticipò.
"Dove andiamo sono solo affari nostri." fece in tono sicuro, uscendo
dal locale con l'amica.
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Capitolo 15 *** Una Notte Movimentata ***
CAPITOLO 15. UNA
NOTTE MOVIMENTATA
"Grazie mille." mormorò Psycho, quando Amalric
accostà la macchina davanti all'ospedale.
"Vuoi che venga?"
"No.. non c'è né bisogno. Tranquillo."
"Mi devo preoccupare? Chi è questa persona che vuoi vedere?"
"Una conoscenza."
"Devo essere geloso?"
"Assolutamente no. Tu sei migliore."
"Mi fa piacere saperlo. Tu intanto vai, io ti aspetto in macchina. Non
so come farò a trovare un posto libero, ma sono ottimista."
"Oh no.. non ce né bisogno, credimi."
"Ma com.."
"Vai a casa."
"E tu come torni? Non hai né la patente né la
macchina. Davvero non è un problema, posso aspettarti. Lo
faccio volentieri.."
"Lo so, credimi. Ma so anche di avere i soldi per il taxi e che hai
già fatto abbastanza."
"Stai attenta, però."
"Sono in un ospedale non in un campo di battaglia."
"Però presto sarà buio. E di sera non
c'è della gran bella gente in giro. Soprattutto se vedono
una ragazza sola po.."
"Starò attenta. Te lo prometto."
Psycho sorrise.
Era così contenta che Amalric fosse così
protettivo nei suoi confronti.
Non aveva mai incontrato una persona come lui, e ne era grata.
E pensò che Sgarbi aveva davvero ragione.
Era arrivato il momento di fare qualcosa.
Loro due si piacevano, era così evidentemente.
Ormai tutta Milwaukee lo sapeva.
Era da quando si erano conosciuti che erano attratti l'uno dall'altra.
E continuare a fingere che fossero soltanto amici era ridicolo.
Per loro e per gli altri.
Lei si sporse verso di lui, e gli diede un dolce bacio sulla guancia.
Lui sorrise imbarazzato diventando rosso.
Si accarezzò la guancia in cui l'aveva baciato.
La guardò e le loro labbra furono molto molto molto molto
vicine.
Si avvicinavano sempre di più.
Fu Psycho a fermarsi.
Lo desiderava, ma non voleva che accadesse così.
Non voleva dare il suo primo bacio in un auto.
Lo avrebbe baciato, ma quello non era il momento.
"Buonanotte, Amalric."
"Buonanotte, Psycho."
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
Questa volta Psycho non si perse.
Arrivò subito al piano degli ictus.
Non sapeva cosa stava facendo.
Non sapeva neanche cosa avrebbe detto una volta entrata.
Tutto quello che sapeva era che doveva vederlo.
Come per regolare i conti.
Si nascose quando vide una coppia abbastanza in là con
l'età discutere con un medico proprio davanti alla stanza
dell'ex bulletto di strada.
Si capiva che erano abbastanza anziani, ma si tenevano in forma.
Dovevano essere ricchi: vestivano abiti firmati molto costosi.
"Quando tornerà come prima?"
"Signore, suo figlio ha avuto un ictus. E' già un miracolo
il fatto che si sia svegliato dal coma."
"Risponda alla domanda di mio marito, giovanotto."
"Potrebbe migliorare, ma ci vorrà molto tempo e solo se lui
vorrà. E per migliorare intendo dire che magari riuscirebbe
a muovere di nuovo la testa o a muovere di nuovo la lingua,
così potrà mangiare da solo, ma se devo essere
sincero, dubito tornerà quello di prima. Le
possibilità che torni a camminare o a parlare o comunque ad
essere in grado di vivere autonomamente sono molto remote. Senza
contare che nello stato in cui si trova un banale raffreddore potrebbe
ucciderlo."
"Sta dicendo che rimarrà in quello stato per tutta la
vita?!? Scherza, vero?"
"Signore, le consiglio di abbassare la voce. Già per lui
immagino sia umiliante e terribile. Se lei glielo farò
pesare starà solo peggio.."
"Ma dico, l'ha visto? E' un cazzo di vegetale!"
"Signore, è suo figlio."
"Lei ha detto che non è in grado di vivere autonomamente.
Questo vuol dire che vivrà sempre qui, in ospedale?"
"Beh sì."
"Bene. Tenetevelo. Fate di lui quello che volete. Per quanto mi
riguarda potete anche procedere con l'Eutanasia."
Povero.
Non so davvero cosa deve essere peggio.
Essere paralizzato o avere dei genitori così.
Ma come potevano dire quelle cose?
E' il loro figlio.
Quando se ne andarono, Psycho uscì dal suo
nascondiglio e entrò in camera del giovane in questione.
Si chiuse la porta alle spalle.
Ora c'erano solo loro due.
E avrebbero finalmente pareggiato i conti.
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Capitolo 16 *** Preparativi ***
CAPITOLO 16. PREPARATIVI
Restammo per un po' di tempo da soli senza che nessuno dei due aprisse
bocca.
O meglio, senza che io aprissi bocca, dato che lui ad ogni modo non
avrebbe mai potuto.
Dai suoi occhi, però, capii che avrebbe preferito
sprofondare negli abissi più profondi
dell'oscurità e incontrare Lucifero in persona piuttosto che
passare un altro secondo con me.
Forse perchè io gli ricordavo la sua vita prima
dell'incidente.
Una vita che non potrà mai più riavere indietro.
Quando finalmente trovai qualcosa da dire, entrò
l'infermeria.
"Oh.. finalmente." esclamò sorpresa, guardandomi.
"Scusi?"
"Tu sei la sua ragazza, no?"
"Ehm.. veramente no."
"Una sua amica?"
"Conoscente."
"Sarai pur contento! Finalmente qualcuno ti è venuto a
trovare!".
Cazzo.
Quella infermiera ha la
sensibilità di un elefante.
Nessuno aggiunse più nulla.
Sistemò rapidamente il cuscino e poi se ne andò.
Ora erano di nuovo soli.
"Mi dispiace." mormorò Psycho.
Lo disse talmente a bassa voce che per un istante credette che lui non
l'avesse sentita, ma poi lo guardò.
L'aveva sentita.
Lo si capiva dagli occhi, che erano spalancati e la fissavano, invece
che guardare qualsiasi altra parte della stanza.
La stava ascoltando.
E anche con una notevole attenzione.
"Sì, mi dispiace. Anche se eri un gran figlio di puttana, mi
dispiace. Perchè nessuno si merita quello che è
successo."
Lui sbattè velocemente gli occhi una volta.
Che diavolo voleva dirle?
Era un sì o un no?
Quasi sicuramente era un sì.
Per un no avrebbe sbattuto due volte gli occhi, invece lui lo fece una
sola volta.
Psycho si sentì libera da un grande peso sullo stomaco.
Non riusciva a spiegare perchè aveva avuto l'impulso
così forte di vederlo e di dirgli quelle cose che erano
sepolte nel suo cuore, ma ora che l'aveva fatto si sentiva decisamente
meglio.
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Psycho non disse nulla al suo gruppo di amici.
Non avrebbe avuto senso dirglielo, perchè poi loro le
avrebbero chiesto "Perchè l'hai fatto?" e lei non sarebbe
stata in grado di rispondere.
Raccontava davvero di tutto a quel gruppo assurdo, ma stavolta non lo
fece, ma continuò ad essere pensierosa.
Si sentì crudele perchè gli aveva detto che era
un gran figlio di puttana, il che d'altra parte era vero.
Forse quella parte avrebbe dovuto ometterla.
L'unica ragione per cui nessuno si accorse dei suoi pensieri, era
Phelps.
Era il suo giorno.
La sua ragazza gli aveva detto di sì e presto si sarebbero
sposati.
Sgarbi e Amalric erano già gasati per l'addio al celibato
che avrebbero organizzato, iniziando già a pensare ogni
cosa, dal giorno al numero di spogliarelliste che avrebbero ingaggiato
per la serata.
Psycho non sentì una sola parola di quello che dissero
perchè era ancora immersa "nel suo mondo" ma
ritornò alla realtà quando sentì
Phelps borbottare qualcosa con un tono così insicuro e
così basso che era strano provenisse dalla sua bocca.
"Ehm..."
"Ehm?"
"Prima del matrimonio la mia famiglia vuole conoscere Helen."
"Beh, mi sembra abbastanza normale. Dove sta il problema?" chiese
prontamente Psycho.
"E Helen vuole conoscere... voi.."
"Eh?"
"Avete sentito bene! Vi vuole conoscere!" esclamò Phelps,
tornando al suo tono di voce abituale.
"Dici sul serio?"
"Purtroppo sì. Ha detto che vuole vedere con chi passo tanto
del mio tempo e in più è curiosa."
"Fantastico. Già mi piace questa Helen." mormorò
Psycho.
"E io non intendo spendere più di una serata con Helen e
altra gente. Quindi... farò una sola serata."
"Una.. sola.. serata?"
"Famiglia e amici in una botta sola. Se arriverò vivo a fine
giornata farò una preghiera."
"Perchè non fai due serate diverse?"
"Scherzi? No, assolutamente no! Mi scoccia."
"Santo cielo, Phelps!"
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Capitolo 17 *** Al Ristorante ***
CAPITOLO 17. AL
RISTORANTE
Phelps andava continuamente avanti e indietro, agitando in modo
compulsivo le mani.
Erano anni che non si trovava in un tale stato d'ansia.
Guardava l'orologio ogni minuto e più passava il tempo
più era a disagio.
Iniziò persino a toccarsi il collo.
Non riusciva proprio a stare fermo.
Iniziò a calmarsi quando vide i quattro amici andargli
incontro, ma la sua agitazione tornò a ritmo esponenziale
man mano che si avvicinavano.
"Scusa il ritardo." disse Sgarbi con tranquillità.
"Ma come.. cosa... cosa diamine avete fatto?"
I quattro si guardarono stupiti.
"Niente." mormorò Amalric, ancora più confuso di
prima.
"Non avete fatto niente di quello che vi avevo chiesto!"
"Pensavi davvero che l'avremmo fatto?!?"
"Era piuttosto ovvio!"
"Ma Phelps noi scherzavamo! Eri davvero convinto che avremmo finto di
essere qualcun altro solo per farti stare più tranquillo?
Santo Cielo! Voi uomini siete così ingenui!"
biorbottò Testa Blu.
"Voi state sottovalutando la situazione!"
"Con tutto il rispetto, Phelps, non è la fine del mondo se
non piaceremo alla tua futura moglie o alla tua famiglia! La vita va
avanti."
"Ben detto, Psycho. Sapessi io quanti nemici ho. Uno più uno
meno. Che differenza fa?" ribatté Sgarbi.
"Volevo solo che faceste qualche piccolo e insignificante cambiamento.
Tutto qui!"
"Lo definisci piccolo e insignificante cambiamento portare degli
occhiali da sole e far credere ai tuoi di essere cieco solo
perchè i miei occhi sono inqueitanti?!?" sbottò
Amalric, irritato.
"O farmi mettere una parrucca e un vestito lungo che mi copra ovunque
così non si vedono i miei tatuaggi?" proseguì
Testa Blu.
"O impormi di vestirmi con abiti eleganti che odio e depilarmi?" fece
Psycho.
"O impormi di non sclerare. Ho bisogno di sclerare! Non posso tenermi
tutto dentro!" concluse Sgarbi.
Phelps sbuffò.
Ok, forse aveva un tantino esagerato.
Però quella serata per lui era davvero importante.
Nè la sua ragazza né i genitori avevano mai
conosciuto dei suoi amici e lui non sapeva che aspettarsi.
Dopo aver sospirato, guardò per un po' Psycho.
"E adesso che c'è?" sbottò lei.
"Almeno una pettinata potevi dartela eh." rispose lui.
"Se ti vergogni di noi caro Phelps, basta dirlo. E ce ne andiamo."
"No no! Per favore! E va bene. Scus.."
"Eh?"
"Scusate.." mormorò in fretta e furia il poliziotto.
"Non abbiamo capito."
"SCUSATE!"
"Me lo sono sognato io o Phelps si è scusato?"
domandò Psycho.
"L'ha fatto."
"Chissà quanto ti è costato! Uno orgoglioso come
te!"
"Tu neanche ti immagini quanto."
"Scusa Phelps ti dispiace ripeterlo? E' qualcosa di così
unico che devo registrarlo!" mormorò in tono divertito
Psycho, tirando fuori il telefono.
"Smettila o te lo butto in un tombino quel telefono!"
esclamò Phelps, tornando in sé.
"Faremo faville stasera!"
"Possiamo andare adesso?"
"Loro sono già arrivati?"
"Sì... perchè LORO sono puntuali."
Mentre Amalric, Testa Blu e Sgarbi entrarono nel ristorante, Phelps
prese Psycho per un braccio.
"Evita l'argomento serial killer, per favore. Per mia madre uno
schiaffo ha già troppa violenza."
Psycho fece un sorriso rassicurante all'amico.
"Farò quello che posso."
ECCCCCCOMI :P
SCUSATEMI TANTO PER IL RITARDO MA ORA IL COMPUTER HA RIPRESO HA
FUNZIONARE!
SO CHE IL CAPITOLO E' CORTINO, MA SE CI METTEVO ANCHE LA CENA VENIVA
TROPPO LUNGO!
SPERO VI PIACCIA :D
ALLA PROSSIMA!
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Capitolo 18 *** La Cena ***
cap 18
CAPITOLO 18. LA CENA
Non ci posso credere.
Non ci posso credere.
Non ci posso credere.
Non ci posso credere. ripeteva dentro di sé
Sgarbi, senza smettere di guardare la splendida ragazza bionda di quasi
trent'anni davanti a lui.
Aveva un viso angelico, quasi perfetto, le labbra carnose ma non
eccessivamente e il vestito che portava le faceva risaltare il fisico.
E gli occhi...
Due splendidi occhi chiari.
Quella creatura idilliaca, quella sorta di fata scesa in Terra, era la
stessa bellissima ragazza che aveva visto nel Distretto di Polizia dove
lavorava Phelps, il giorno in cui era stato promosso Detective.
Perchè c'era? Perchè è sua sorella.
La sorella di Phelps.
Quella meravigliosa visione era la sorella del suo freddo e rigido
amico poliziotto.
Come potevano anche solo essere parenti?
Davvero, non riusciva a crederci.
Il suo stupore era tale che lo disse chiaramente, fregandosene che a
quella cena non c'erano solo loro, ma anche i genitori di lei, tutti i
suoi amici e la futura moglie di uno dei suoi migliori amici.
Massì, al diavolo!
"Ma sei sicura di essere sua sorella? Voglio dire sei
così... Wow... lui invece è così...
ehm.."
Sgarbi era così incantato dal sorriso di quella meravigliosa
ragazza che ignorò completamente lo sguardo agghiacciante e
anche abbastanza inquietante di Phelps, che tra l'altro fu l'unico a
non ridere.
"Grazie.." rispose gentilmente la ragazza.
Phelps si mise le mani davanti al viso, vergognandosi a morte.
Altre risate.
Era tentato, ma davvero tentato, di dirgli quello che avrebbe detto in
quella situazione.
Qualcosa tipo "hai finito?" o "chiudi la bocca".
Ma non poteva.
C'erano la sua fidanzata, sua sorella e i suoi genitori.
Fece una fatica enorme a trattenersi, ma ci riuscì.
La sua ragazza capì, e gli prese dolcemente la mano per
rassicurarlo e farlo rilassare.
Psycho li vide.
Sorrise.
Prese Amalric per un braccio, facendolo avvicinare.
"Sono così carini." gli mormorò.
"Pensi che funzionerà?"
"Sì, io penso di sì."
"Io sono cinico. Si conoscono da troppo poco tempo secondo me. Io gli
dò due anni."
"Come sei cinico!"
"E tu sei una romanticona."
Vennero interrotti dalla ragazza del loro amico.
"E voi? Da quanto tempo state insieme?"
Amalric e Psycho si voltarono verso di lei.
"Noi non... cioè... è complicato."
balbettò Amalric.
"Cioè?"
"Cioè si piacciono ma non sono una coppia."
mimizzò il poliziotto.
"Non stanno esattamente così le cose." mormorò
Psycho, anche se in cuor suo sapeva che le cose stavano esattamente
così.
"No.. scusate. Sono affari vostri, non mi volevo intromettere."
"Non ti preoccupare. Non era un'intromissione."
Phelps era sempre di più a disagio.
Quella cortesia e gentilezza tra la sua ragazza e la sua assurda
migliore amica lo inquietava.
Parecchio.
Il resto della cena fu abbastanza tranquilla, e quando fu l'ora di
porre fine a quella goffa serata, Phelps fu sollevato come non mai.
In fondo, poteva anche andar peggio!
Salutò i suoi amici, ma prima di tornare a casa con la
fidanzata, sua madre lo prese per un braccio e lo mise in disparte.
Gli voleva dire qualcosa che non doveva sentire nessun'altro.
Qualcosa che avrebbe fatto arrabbiare Phelps.
E soprattutto, qualcosa di assolutamente e inevitabilmente vero.
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Capitolo 19 *** Paure ***
CAPITOLO
19. PAURE
Aprì gli occhi e vide intorno a sé immagine
sfuocate, ma che a poco a poco si fecero sempre più nitide.
Con la mano si sfiorò la causa dello svenimento: una piccola
ferita sulla fronte.
Non sanguinava, altro non era che un livido. Però faceva un
male..
Ma chi gliel'aveva fatto fare?
Poi, ricordò ogni cosa.
Ricordò com'era svenuto e riconobbe la ragazza sopra di lui.
Fece una smorfia.
"Potresti allontanarti? Mi fai paura così da vicino."
mormorò l'uomo, ancora abbastanza disorientato.
"Ha parlato Brad Pitt." sbottò seccata lei, alzandosi, per
poi voltarsi verso gli altri e dire "Tranquilli signori, non
c'è bisogno dell'ambulanza. Sfortunatamente sta benissimo!".
La folla intorno a loro si allontanò, e nonostante i
battibecchi, lei gli porse una mano che lui afferrò per
alzarsi.
"Sei sempre un amore eh."
"Oh senti Amalric non iniziare. Già non ero entusiasta che
tu venissi. Se poi tu sei così imbecille da sbattere con la
fronte nell'angolo di un cartello io non posso farci niente."
"Io avrei sbattuto la fronte nell'angolo del cartello? Davvero? A me
sembrava che fossi tu a sventolarlo come una palla! Era impossibile
evitarlo. Sei un pericolo pubblico, Testa Blu."
"Cosa sei venuto a fare? Sono nel bel mezzo di una manifestazione
contro lo sterminio delle balene in Giappone quindi sono abbastanza
occupata. Non ho tempo di fare la babysitter."
"E' per stasera.."
"Stasera?"
"E' l'addio al celibato di Phelps e Sgarbi vuole portarlo in un locale
abbastanza spinto.."
"Spinto? Andiamo, non ho otto anni. Chiama le cose con il suo nome,
ossia un locale con super alcolici e spogliarelliste."
"Va beh, quello!"
"E il problema qual'è?"
"Che sarà pieno di alcolici."
"E allora?"
"Phelps non lo regge l'alcol. Due bicchieri ed è
già ubriaco. E la cosa mi preoccupa."
"Continuo a non capire."
"Non voglio che succeda niente di grave. Se Phelps lo sarà,
e se lo saremo anche io e Sgarbi, cosa potrebbe accadere?"
"Santo Cielo, sei peggio di mia madre. E ce ne vuole."
"Voglio solo avvisarti di tenere il cellulare acceso stasera. Tu e
Psycho."
"Perchè?"
"Voi fatelo."
"E lei che ne pensa di sta tua trovata?"
"Non lo so. Non risponde al cellulare e non riesco a contattarla da un
paio d'ore. Pensavo tu sapessi dove si trovasse. E' sempre la tua
migliore amica."
"Beh io sono qui in piazza da quattro ore quindi non lo so. Al lavoro
non c'è di sicuro perchè oggi è il suo
giorno libero."
"Se la vedi, dirglielo per favore."
"Sì."
"Mi raccomando."
"Sì."
"Non ti scordare."
"Dio Santo! Ma non hai nient'altro da fare? Ciao, Amalric!"
"Va bene va bene me ne vado!"
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"Com'è andata la manifestazione?" chiese Psycho all'amica,
non appena la sentì entrare nel loro appartamento.
"Abbastanza bene. Da quanto tempo sei a casa?"
"Un'oretta scarsa.. perchè?"
"Il tuo fidanzato è venuto da me a cercarti."
"Cos.. il mio che?"
"Hai capito."
"Non è il mio fidanzato."
"Ok.. allora mettimola così.. un nano con la faccia da
rettile è venuto da me a cercarti."
"Non chiamarlo così!"
"L'hai detto tu che non andava bene fidanzato!"
"Che ti ha detto?"
"Che stasera vuole che teniamo d'occhio i nostri cellulari."
"Cosa? Perchè?"
"Me lo chiedo anch'io. Credo riguardi l'addio al celibato di Phelps.
Voleva che te lo dicessi e io te l'ho detto."
"Strano."
"E' più che strano. E' pazzo."
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Capitolo 20 *** Notte.. Movimentata? ***
cap 20
CAPITOLO 20. NOTTE.. MOVIMENTATA?
La notte era in assoluto il momento della giornata migliore per Psycho.
Non era il tipo di ragazza che faceva baldoria, che andava in discoteca
o che faceva le ore piccole: no, lei era il genere di ragazza che non
appena torna a casa e ha la consapevolezza di non dover più
uscire se non il giorno seguente, si mette il suo pigiama, si prepara
qualcosa di caldo da bere e dopo aver infilato le pantofole nei piedi,
si scaraventa sul divano per vedere un film fino al momento in cui la
stanchezza si sarebbe fatta sentire.
Di tutt'altra pasta era fatta la sua coinquilina: erano già
le undici passate, e mentre Psycho stava iniziando a sbadigliare,
l'amica la salutò per uscire per vedersi con il suo ragazzo,
un pimpante hippie che frequentava da qualche settimana.
Dopo una quindicina di minuti, Psycho decise che era arrivato il
momento di andare a dormire: domani era un giorno lavorativo, e se
avrebbe tardato non si sarebbe più svegliata.
Si alzò e si diresse verso il letto, ma prima di entrarvi
sentii il suo cellulare suonare.
"Ma quale disgraziato mi chiama a quest'ora?" mormorò
irritata, affrettandosi a rispondere.
"Pronto?"
"Conosce per caso un certo Dermot?"
Psycho era pronta per rispondere no, ma fortunatamente si
ricordò in tempo che quello era il vero nome di Amalric.
Ok, quella cosa dei soprannomi stava diventando un problema: non poteva
dimenticarsi il nome di uno dei suoi migliori amici! E non era neanche
la prima volta.
Comunque, realizzò anche che non aveva idea di chi fosse a
parlarle.
Non conosceva quella voce.
Oddio, era successo qualcosa di grave?
Era la polizia? L'ambulanza?
Era l'unica cosa sensata da pensare.
"Cosa gli è successo? Ha avuto un incidente?"
"Veramente... non ne ho idea."
Ok, la cosa si faceva sempre più sospetta.
"Mi scusi cosa?"
"Senta io non ne so niente! Sono solo un barista!"
"Chi le ha dato il mio numero?"
"Il suo amico e altri due tizi sono arrivati circa tre ore fa. Non
appena entrato mi ha dato un biglietto con il suo numero e mi ha detto
che se si fossero ubriacati pesantemente e se la cosa fosse sfuggita di
mano, avrei dovuto chiamarla."
Oh, cazzo!
E' vero!
Sia lei sia Testa Blu si erano completamente dimenticate delle
preoccupazioni di Amalric, che si era anche raccomandato di tenere il
cellulare sotto controllo!
Come aveva potuto dimenticarsene?
E Testa Blu era fuori e sicuramente non avrebbe badato al telefono.
Doveva fare tutto lei.
"E sono ubriachi tutti e tre?"
Vedere Sgarbi e Phelps ubriachi doveva essere divertente vista la loro
mania di essere sempre seri ed impeccabili, ma non era molto contenta
di vestirsi, e uscire nel pieno della notte per raccogliere i loro
pezzi. E quelli di Amalric.
"Farebbe meglio a venire."
"Di quale locale si tratta?"
"Market Pub. Vicino a Park Avenue."
"Arrivo."
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Capitolo 21 *** Gli Altri? ***
CAPITOLO
21. GLI ALTRI?
Prima di andare in America Psycho era spesso di pessimo umore, ma da
quando viveva lì raramente si irritava o si arrabbiava,
anche se delle volte lo avrebbe dovuto fare: il suo sogno si era
realizzato e niente, assolutamente niente, l'avrebbe fatta arrabbiare
al punto da dimenticarsene.
Almeno così pensava, perchè il spostarsi nel
pieno della notte per cercare quei tre sciagurati le aveva provocato un
fastidio non indifferente. Pensava e ripensava al suo letto e alle sue
lenzuola: era troppo stanca per rendersi conto che oltretutto, per una
ragazza giovane come lei, girare da sola per la città a
quell'ora era tutto tranne sicuro. Fortunatamente trovò un
taxi, che la portò davanti al locale.
Dopo aver pagato, entrò nel bar incazzata nera, pronta a
riempire di botte quei tre idioti, ma con sua sorpresa ne vide solo
uno: se ne stava al bancone, barcollando e balbettando frasi senza
senso, scolandosi di tanto in tanto qualche alcolico.
Psycho gli andò incontro e si sedette vicino a lui.
"Phelps."
Lui si voltò.
Se non era ubriaco era imbarazzato, perchè il suo viso era
più rosso di un pomodoro.
"Psycho.. che ci fai qui? Bevi! Non so cosa sia ma è buona
questa roba.."
La ragazza indietreggiò, agitando le mani.
Non le era mai capitato di trovarsi faccia a faccia con uno
più ubriaco.. e soprattutto con uno che avesse un alito
così terribile.
"Meglio di no.." mormorò lei, combattendo con l'impulso di
scattargli una foto per mostrargliela una volta che si fosse ripreso,
giusto per prenderlo un po' in giro.. "Gli altri dove sono?" aggiunse
poi.
"Gli altri... gli altri.."
"Sì Phelps.. gli altri."
"Gli altri chi?"
"Amalric e Sgarbi! Spero non siano ridotti come te perchè
è la volta buona che impazzisco sul serio!"
A quel punto intervenne il barista, un bel ragazzo tra i venti e i
trent'anni.
"E' lei quella che ho chiamato?"
"Sì, sono io. Gli altri due che sono entrati con lui?"
"Intende un tizio con gli occhiali e quel ragazzo che mi ha chiesto di
chiamarla?"
"Esatto, proprio loro."
"Non ne ho idea."
"Come?"
"Li ho visti, c'erano anche loro. E credo che anche loro fossero
ubriachi, ma penso siano usciti."
"Oh Santo Cielo."
"Mi dispiace ma c'era il pienone stasera e non sono riuscito a stare
dietro a tutti 24 ore su 24."
"Fantastico. Che si arrangino, allora. Non intendo cercarli per tutta
la città. Non a quest'ora visto che sono oh.. oh Buon Dio..
le quattro.. Io tra tre ore mi dovrei alzare!"
"Se può aiutare ho visto uno di loro... quello senza
occhiali.. parlare con una ragazza.. forse se ne è andato
con lei."
Con sua grande sorpresa, Psycho non provò irritazione.
Avrebbe dovuto, dato che aveva quella mezza cosa con Amalric, invece
non provò un minimo di gelosia.
Non che lei sapesse molto dell'amore, ma era parecchio strano.
Ma non aveva tempo di pensarci.
Aiutò Phelps ad alzarsi, e lo portò verso
l'uscita.
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Capitolo 22 *** Bruschi Risvegli ***
CAPITOLO 22. BRUSCHI
RISVEGLI
Bolle. Linee. Rette.
Cerchi. Qaudrati. Rettangoli.
Tante forme geometriche si muovevano energicamente, tanto da sembrare
un effetto ottico.
Erano di un verde acceso e poi.. poi..
"Phelps! Phelps!"
Il poliziotto si svegliò di soprassalto.
Niente più cerchi e linee: l'unica forma che vedeva era
Psycho, che lo stava scuotendo con forza.
Si mise d'istinto una mano sulla testa: sentiva un dolore lancilante,
come se qualcuno lo avesse colpito alla fronte con un oggetto appuntito.
"Ahhhh... mi fa male la testa.." borbottò.
"No.. ma davvero?" fece in tono palesentemente sarcastico la ragazza.
"Lasciami stare, Psycho."
"Se magari non avessi bevuto così tanto ieri sera e non ti
fossi ubriacato io avrei dormito almeno un po' e forse, e dico forse,
sarei stata più gentile. Ma dato che le cose sono andate
diversamente stai zitto e alzati, prima che ti colpisca con un vaso.
Dopo ben che avrai mal di testa, bello mio."
"Va bene va bene. Mi alzo e faccio quello che vuoi, ma ti prego, ti
scongiuro, abbassa la voce."
La ragazza si allontanò dal letto, prese uno smoking e
glielo lanciò.
"Vestiti." gli ordinò.
"Come volete, vostra maestà."
"Fai poco il sarcastico. Ho passato una notte in bianco
perchè tu non eri neanche in grado di ricordare come ti
chiamassi. Se fossi in te striscierei per terra dalla vergogna, altro
che fare del sarcasmo."
"Amalric e Sgarbi?"
"Ah se non lo sai te. Vestiti."
"Diavolo, ti ho chiesto di abbassare la voce!"
"Lo farò non appena saremo arrivati in chiesa in orario.
Cosa quasi impossibile ormai."
"In chiesa?"
"Sì, ciccio. Sai, tra un'ora ti dovresti sposare."
"Helen!"
"Esatto, Helen! Non lo voglio ripetere più. VESTITI."
"E allora ESCI! "
La ragazza sbottò e uscì dalla stanza.
Il poliziotto si vestì in fretta, e poi raggiunse la ragazza
in salotto.
Stava mangiando cioccolata.
"Ma che diavolo combini?"
"Sto mangiando."
"Con tutta la cioccolata che mangi dovresti essere obesa!"
"Ma non lo sono!"
"Dio che schifo. Un maiale si cura di più. E poi non
lamentarti se ti vengono i brufoli."
"Meglio i miei brufoli che il tuo vomito."
"Ho vomitato?"
"Più di una volta."
"Oddio. Fortuna che mi hai visto solo tu."
"Sei pronto? Possiamo andare?"
"Cosa? Vieni così?"
"Così come? Ho un vestito! Come volevi tu."
"Che passa totalmente inosservato visti i tuoi capelli alla Tarzan e la
peluria da gorilla!"
"Te pensa a sposarti." mormorò Psycho, uscendo di casa con
l'amico.
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Capitolo 23 *** Il Matrimonio ***
dit7
CAPITOLO 23. IL
MATRIMONIO
"Non durerà mai." esclamò con convinzione Testa
Blu, mentre guardava con Amalric e Sgarbi i due sposi, e ora marito e
moglie, ballare al centro della sala con intorno molti degli invitati.
"Lei lo lascerà se incontrerà un tipo
più bello e più interessante di Phelps. Il che
significa che lo lascerà sicuramente, perché non
ci vuole molto." continuò Sgarbi.
"Questo è il loro matrimonio accidenti. Non possiamo
semplicemente essere contenti per loro e fingere di credere che
staranno sempre insieme?" mormorò Amalric.
"Ma non lo pensiamo."
"Per questo ho detto fingere."
Le loro conversazioni si fermarono quando Psycho andò verso
di loro.
Erano pronti a salutarla, ma lei fece qualcosa che li stupii del tutto.
E stupii anche lei.
Abbracciò amichevolmente Sgarbi, un abbraccio che
durò un po'.
Amalric e Testa Blu si guardavano confusi.
"Ok.. ci siamo persi qualcosa?" domandò l'ambietalista alla
coinquilina.
"Non dirò che approverò i gay perché
mi hai abbracciato. Non lo farò mai, Psycho."
puntualizzò Sgarbi, non riuscendo a capire il
perché di quel gesto.
Una volta sciolto l'abbraccio, la ragazza colpì l'insegnante
in un braccio.
"E questo per cos'era? Ti sei fatta una canna?"
"Dove diavolo eri finito ieri sera?"
"Ieri sera?"
"Ero dannatamente preoccupata!"
"E perché mammina?"
"Non so.. forse perché eri ubriaco?!?"
"E tu come accidentaccio fai a saperlo?"
Amalric iniziò a ricordare.
"Oh.. oh ora ricordo.. ho dato il vostro numero al barista e gli ho
detto di chiamarvi se fossimo stati ubriachi."
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Nonostante le insistenze, Sgarbi non volle dire a nessuno cosa avesse
fatto o dove fosse andato quella notte, il che rese gli altri ancora
più sospettosi e ancora più curiosi.
Aveva sicuramente fatto qualcosa che non approvava, altrimenti non ci
sarebbero stati tutti quei segreti e quei misteri.
Ma Psycho ora aveva altro a cui pensare.
Per esempio Amalric, che non era contentissimo che lei si fosse
preoccupata solo per il professore dato che anche lui era ubriaco.
Insomma.. loro due flirtavano da un po' ormai, e quelle attenzioni per
Sgarbi non gli avevano affatto fatto piacere.
Doveva assolutamente affrontare la questione con lei.
"Perché Sgarbi?" mormorò, sedendosi vicino a lei.
"Ma ciao anche a te."
"Anch'io ero ubriaco. Perchè eri preoccupata solo per
Sgarbi?"
La ragazza sorrise dolcemente e divenne anche lievemente rossa.
"Sei geloso?"
"E se anche fosse?"
"Sei fuori strada, Amalric."
"Cosa dovrei pensare?"
"Dici sul serio? Io e Sgarbi? IO E SGARBI? Dai, sembra assurdo anche a
te."
"Allora perché ti sei preoccupata solo per lui?"
"Perché Phelps l'avevo trovato ancora intatto, almeno
fisicamente, mentre per quanto riguarda te il barista ha detto che eri
andato via con una ragazza quindi ho fatto due più due."
Calò un silenzio imbarazzante.
In effetti quella mattina Amalric si era svegliato con una ragazza, una
ragazza tra l'altro bellissima e al di fuori dalla sua portata.
Evidentemente l'alcol lo rendeva più affascinante agli occhi
femminili.
Tuttavia, non poteva negare quanto Psycho avesse appena detto.
"Psycho io.. è stato solo sesso.. io non.."
"Non ti devi giustificare con me, Amalric. Sei un uomo libero, puoi
fare quello che vuoi."
Cavolo, non erano mai stati così in imbarazzo.
"Vuoi.. vuoi ballare?" chiese poi lui, cercando di rompere quel
ghiaccio.
"Non so ballare."
"Io nemmeno. Ci faremo notare, così faremo arrabbiare un po'
Phelps."
La ragazza rise e andò verso la pista con l'autista.
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Capitolo 24 *** Mettere le Carte in Tavola ***
cap 24
CAPITOLO 24. METTERE LE
CARTE IN TAVOLA
Amalric si grattava nervosamente le braccia e i capelli, guardandosi
ovunque come se stesse cercando qualcosa di preciso.
Se ne stava seduto al tavolo da solo una decina di minuti, ma a lui
sembrarono un'eternità.
Si sentiva come quando era un ragazzo, e doveva aspettare per qualcosa
di importante, come l'esame della maturità e l'esame della
patente.
L'ansia sembrava crescere, nonostante lui cercasse in tutti i modi di
pensare ad altro.
"Ehi, ciao! Scusami per il ritardo." gli disse Psycho, sedendosi
accanto a lui.
L'autista divenne ancora più nervoso.
"Amalric ma stai bene?"
Le mani non riuscivano a stare ferme.
"Noi.. noi dobbiamo parlare." mormorò.
Ora fu la ragazza ad agitarsi.
Dobbiamo parlare.
Quelle due parole associate ad una voce ferma e seria non prospettavano
nulla di buono.
"Di.. di cosa dobbiamo parlare?"
"Penso tu lo sappia."
Ancora silenzio.
Amalric fece un grande sospiro e poi continuò.
"Ci conosciamo da un paio d'anni ormai.. e credo sia giunto il momento
di affrontare un discorso."
"Ho fatto qualcosa di male?"
Psycho odiava quel genere di situazioni.
Si immaginava sempre il peggio, era più forte di lei.
"No! No, tu.. tu non hai fatto niente.."
"E allora cosa c'è?"
Amalric fece un altro sospiro.
Cavolo, era più difficile di quanto pensasse, ma ormai era
sicuro.
Aveva già aspettato abbastanza.
Era giunto il momento di togliersi quel pesante fardello e di essere
sincero, soprattutto con lei.
"Tumipiaci."
"Puoi ripetere? Non ho capito."
"Psycho.. tu... tu.. tu.."
"Io?"
"Mi piaci. Mi piaci molto, e da tempo."
La ragazza divenne improvvisamente rossa, e d'istinto si nascose dietro
il vaso che li divideva.
"E penso.. penso di piacerti anch'io." continuò Amalric.
Psycho rimase dietro il vaso, facendosi sempre più rossa.
Amalric continuò.
"Vuoi uscire con me?"
La ragazza rialzò la testa, ma continuò a non
guardarlo.
"Uscire.. noi due soli?"
"Sì, certo. Noi due da soli."
"Io.. io non lo so.."
Amalric fece un piccolo sorriso e le accarezzò dolcemente la
mano.
"Lo so che hai paura."
"Ed è normale averne?"
"Assolutamente sì! Insomma, ne ho un po' anch'io, e la mia
è del tutto ingiustificata, dato che ho avuto delle storie
da ragazzo. Per te sarebbe la prima volta. Se non avessi paura, beh,
allora sì che ci si dovrebbe preoccupare."
Psycho sorrise e recuperato il colore della sua pelle, tornò
finalmente a guardarlo.
In effetti, l'aveva sempre saputo di provare qualcosa per lui, ma erano
quasi sempre in gruppo e tra una cosa e l'altra il tempo era volato.
Era davvero giunto il momento di mettere le carte in tavola.
"Sì. Voglio uscire con te."
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Sgarbi se ne stava immobile steso nel suo letto, completamente nudo
sotto le coperte.
Si voltò verso il comodino e prese gli occhiali.
Avrebbe preferito non metterli, per poter continuare a vedere tutto
intorno a sé in modo sfuocato, per poi dare la colpa di
quanto era successo all'alcol.
Ma non poteva, perché era perfettamente lucido, e per quanto
si stesse vergognando per quello che aveva appena fatto, non poteva
fare altro che riconoscere che quell'errore stava diventando una
dipendenza.
Un errore può capitare una volta, due al massimo, ma quel
"errore" era già capitato molte volte.
Decisamente troppe.
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Capitolo 25 *** Incontro in Ospedale ***
osp
CAPITOLO 25. INCONTRO
ALL'OSPEDALE
"Io vado a prendere un panino alla macchinetta. Ne vuoi uno?"
Phelps fece no con la testa e il collega si sedette vicino a lui,
mangiando.
Una donna era stata pesantemente picchiata e stuprata e ora era in
rianimazione. Avrebbero dovuto aspettare per parlare con lei per
chissà quanto tempo, e il capitano del loro Distretto aveva
dato l'ordine che entrambi rimanessero lì, e per Phelps era
davvero frustrante.
Era lì da almeno un paio d'ore, e detestava passare il suo
tempo così, che a parer suo era "sprecato". Non che le
vittime di stupro non fossero importanti, ma obbligare lui e il collega
a stare lì per aspettare lo irritava non poco.
"Vado a fare un giro." disse ad un certo punto.
"Ti chiamo se si sveglia." ribatté il collega.
Phelps visitò qualche piano, non perdendo di vista nessuno.
Tanto non aveva niente di meglio da fare.
Poi, ad un certo punto, vide l'ultima persona al mondo che si aspettava
di vedere in un ospedale.
Una persona che conosceva bene.
Psycho.
Quando la notò era ancora abbastanza lontana, ma la
riconobbe all'istante.
Rimase di sasso per una manciata di secondi, poi si decise ad andarle
incontro.
Avvicinandosi, si rese conto che l'uomo sulla sedia a rotelle con cui
era la ragazza aveva avuto un ictus e che fosse completamente
paralizzato, ma una volta arrivato a questa conclusione non ci
dedicò molto altro tempo: era Psycho che gli interessava, e
soprattutto gli interessava sapere cosa diavolo ci facesse
lì, con un uomo paralizzato poi, dato che stava bene
fisicamente.
Quando Psycho riconobbe l'amico, sgranò gli occhi.
Che diavolo ci fa lui
qui?
"Allora Psycho?"
"Cosa?"
"Posso sapere che ci fai qui?!?"
"Potrei farti la stessa identica domanda. E comunque ciao anche a te
Phelps."
"Non divagare. Rispondi alla domanda."
"Non sono affari tuoi."
"Psycho, cosa caspita stai combinando?!? Che ci fai tra i paralitici?"
"Phelps!"
"Cosa?!?"
"Non si possono muovere, ma ci sentono! Un po' di rispetto!"
"Non ho insultato nessuno. Ho detto una cosa che sanno anche loro, non
vedo quale sia il problema."
"Figurati. Tu non vedi mai il problema."
"Non hai risposto alla mia domanda. Che ci fai qui?"
"Me lo chiedi da amico o da poliziotto?"
"Da poliziotto."
"Offro loro un po' di compagnia."
Psycho sospirò.
Era una cosa che voleva tenersi per sé, ed essere stata
costretta a dirlo a qualcuno non fu piacevole.
Non che se ne vergognasse: semplicemente voleva tenerselo per
sé.
"In pratica, fai volontariato."
"Non la metterei in questi termini."
"Ah no? Allora come definiresti quello che fai?"
"Come qualcosa che voglio fare. E tu invece? Che ci fai qui?"
"Una vittima è ricoverata qui. Mi occupo del suo caso."
"Avrei dovuto immaginarlo."
Phelps voltò la testa, e tornò a guardare l'uomo
sulla sedia a rotelle.
Aveva un viso familiare, così continuò a
guardarlo.
E poi, lo riconobbe.
"Ma lui.. lui è.."
Psycho stava per rispondere, ma vennero interrotti dal collega di
Phelps.
"Ah, sei qui. Si è svegliata, andiamo. Dobbiamo raccogliere
la sua deposizione."
"Non è finita qui!" sbottò Phelps a Psycho, prima
di tornare dal suo collega.
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Capitolo 26 *** Pentimento ***
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CAPITOLO 26. PENTIMENTO
"Finalmente sei a casa!" esclamò euforica Testa Blu, non
appena vide l'amica entrare nell'appartamento.
Psycho la guardò confusa.
"Avevamo.. avevamo un appuntamento?"
Se fosse stato così, se ne era totalmente dimenticata.
"Noi no. Ma tu ne hai avuto uno ieri. E non mi hai ancora raccontato
niente!"
Psycho sorrise, e si sedette vicino all'amica.
Aveva ragione.
Ieri era uscita con Amalric e non ne aveva ancora parlato con nessuno,
solo Testa Blu sapeva dell'appuntamento. Phelps e Sgarbi non ne
sapevano assolutamente nulla.
"E' stato molto bello."
"E poi?"
"Lui è stato così gentile. Abbiamo anche ballato.
Poi mi ha accompagnato a casa. E' stato un perfetto gentleman."
"Quando uscirete di nuovo?"
Psycho divenne improvvisamente imbarazzata, e cercò di
sviare il discorso.
Si guardava intorno e divenne subito rossa.
"Beh?" insistette l'amica.
"Non.. non ci sarà un secondo appuntamento."
"Come sarebbe a dire che non ci sarà un secondo
appuntamento?"
"Secondo te?"
"Ma avevi detto che era stato bello!"
"E lo è stato!"
"E che era stato un gentleman!"
"Infatti!"
"Allora cosa è andato storto?"
"Nulla! Assolutamente nulla!"
"Cosa ha fatto? Lo sistemo per le feste!"
"Non ha fatto niente!"
Testa Blu stava per ribattere, ma entrambe sentirono la porta bussare,
e così l'animalista si alzò e andò ad
aprire.
Davanti a lei, Phelps.
Il nervoso di Testa Blu non fece altro che aumentare.
"E tu cosa vuoi?"
"Lo so che ci sei Psycho! Noi due dobbiamo concludere un discorso!"
sbottò il poliziotto, sporgendo la testa dentro
l'appartamento.
"Non è il momento!" ribatté Testa Blu.
"Questo lascialo decidere a me!" mormorò il poliziotto,
entrando a forza in casa e avvicinandosi a Psycho.
"Non devi arrestare qualche cattivone?" sbuffò la ragazza,
non avendo l'intenzione di affrontare ancora quel discorso che avevano
già fatto in ospedale.
"Ti sei bevuta il cervello, Psycho? Perhè butti del tempo
con quello stronzo?"
"Non sono affari tuoi."
"Ti massacrerebbe di insulti tutto il tempo se solo potesse parlare!"
"Una cosa che avete in comune direi!"
"Hai presente di chi stiamo parlando? Quello ha maltrattato decine di
disabili! Ha passato tutta la sua vita a bere, a drogarsi, ad andare
con qualsiasi ragazza e a fare danni e danni! Come puoi aiutarlo?"
"Perché nessun altro lo fa! Non lo viene a trovare nessuno!"
"Ma guarda! Chissà come mai!"
"Non vedo come la cosa ti riguardi. Io faccio quello che voglio, non ho
bisogno del tuo permesso!"
"Se ti piacciono tanto i paralitici, aiutali! Quelli meritevoli
però! Quelli che sono ridotti così
perché hanno combattuto o perché hanno salvato
delle vite! Oppure tutti quei bambini sulla sedia a rotelle
perché non possono camminare o hanno delle malformazioni
dalla nascita! Perché tra tutti, dovresti aiutare LUI!"
"Perché è quello che sta peggio."
"Ma davvero!"
"Io sono sicura che sta male perché ora capisce quanto male
può aver causato, dato che non può far altro che
pensare. Penso che vorrebbe tornare indietro."
"Cazzo, Psycho. Sei più ingenua di una Principessa Disney.
Continua a raccontarti queste favolette, se ti fanno stare meglio."
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Capitolo 27 *** Dubbi ***
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CAPITOLO
27. DUBBI
I mesi passarono abbastanza tranquillamente.
Amalric e Psycho spiegarono al gruppo perché avevano deciso
di non uscire più: quell'appuntamento fu grandioso per
entrambi, ma più che un appuntamento sembrava un'uscita tra
amici.
Erano a proprio agio e si erano divertiti, ma come amici.
Si erano resi conto che quella leggera infatuazione che avevano provato
l'uno per l'altra era stata momentanea e appartenente al passato, ed
era stupido rovinare una così bella amicizia per una
relazione che ormai non volevano nessuno dei due.
Phelps era sempre stressato: il suo lavoro da poliziotto iniziava a
logorarlo dentro, e come se non avesse già abbastanza
problemi, iniziò a litigare spesso con Helen, una cosa che
non si aspettava minimamente.
Non facevano sesso da talmente tanto tempo che il gruppo non si
ricordava più quale fosse stata l'ultima volta in cui
l'avevano visto spettinato.
Il poliziotto era sempre più convinto che lei lo tradisse, e
la cosa peggiore era che non gli importava.
Ma c'era chi stava peggio.
Sgarbi non si faceva né sentire né vedere da
parecchio ormai, e nessuno sapeva più come contattarlo: non
lo trovarono neanche nella scuola in cui insegnava, perché a
quanto pare si era preso una "vacanza".
Infischiandosene dei suggerimenti degli altri, Psycho andò
nel suo appartamento e bussò fino a quando non ricevette un
seccante "Chi cazzo è?" da Sgarbi.
"Ah ma allora sei vivo!"
"Vattene via, Psycho!" urlò a squarciagola lui, una volta
riconosciuta la voce.
"Non me ne vado finché non mi dirai che ti sta succedendo!"
"Sto bene."
"Non mi sembra."
Sgarbi fece qualche passo e aprì la porta.
Psycho stentava a riconoscerlo.
Indossava il pigiama come se non uscisse di casa da settimane, gli
occhiali eranno appannati e messi male, i capelli spettinati e le
enormi borse sotto gli occhi erano fin troppo evidenti.
Sembrava quasi un cadavere vivente.
"Ma che.. che diavolo ti è successo?"
"Vattene via." disse, stavolta con un filo di voce.
"Siamo tutti preoccupati, Sgarbi. Hai idea da quanto tempo non abbiamo
tue notizie?!?"
"Sto bene."
"Continui a dirlo, ma sappiamo entrambi che non è vero.
Cioè.. guardati!"
"E tu allora? Anche tu vai sempre in giro spettinata e vestita come una
barbona!"
"Hai detto bene. Sempre. Quindi non è insolito. Nel tuo caso
lo è. Ora dimmi che sta succedendo."
"No."
"Qualunque problema tu abbia, possiamo risolverlo."
"Lo sto facendo già io, grazie."
"Non mi sembra tu stia facendo dei gran progressi, sinceramente."
"Ma che ne puoi sapere tu!"
"E' un problema sentimentale?"
Il silenzio di Sgarbi fu una risposta.
"Se hai litigato con qualcuna.. chiamala e chiedile scusa."
"Non è questo il punto."
"E qual'è?"
"Lascia perdere."
"Ti piace Testa Blu?"
Lui si voltò di scatto e mi guardò furente.
"COSA?!?"
"Tu stai continuando a non dirmi niente! Non sono mica una veggente."
"Psycho, sto bene, dico davvero. Vi chiamerò presto. Tanto
ho quasi risolto.. questa.. cosa."
"Sgarbi.. non starai mica in questa situazione perché ti
piace qualcuna che non rispecchia la tua tipa ideale, vero? Che ti stai
facendo tutte queste pippe mentali perché non è
acculturata quanto te?"
Altro silenzio.
Altra risposta.
"Cazzo, Sgarbi!"
"Cosa ho fatto stavolta?!?"
"Sei un deficiente!"
"Sei qui per aiutarmi o per insultarmi?"
"Stai davvero qui a crogiolarti perché la persona alla quale
sei interessato non rispecchia i tuoi standard? Mi prendi in giro?!?"
"Lo sapevo che non avresti capito! Nessuno può! Ora puoi
andartene?!?"
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Capitolo 28 *** Divorzi ***
CAPITOLO
28. DIVORZI
Di solito in polizia, anche nei casi più difficili, la fase
più complessa era l'inizio, quella in cui dovevi guardare
ovunque e interrogare chiunque, e a poco a poco il caso si sarebbe
risolto da solo.
Questa volta fu diversa.
Phelps era sempre più esausto, e non capitava spesso che
fosse il lavoro a renderlo così: di solito era molto svelto
a risolverli, forse è anche per questo che è
stato promosso Detective solo dopo pochi anni passati in Pattuglia, ma
quel caso lo stava logorando dentro, gli stava distruggendo la vita.
Erano sei mesi che ci stava dietro, ed era ancora ad un punto morto, e
il nervosismo che piano piano gli cresceva dentro non poteva certo
sfogarlo con il suo capo, ma trovava comunque il modo di farlo uscire,
sbattendolo in faccia agli amici, che lo trovavano sempre
più irritabile e odioso, e la moglie, con la quale litigare
era diventato quotidiano, ma lei non era più disposta a
vivere così.
Era ancora giovane e c'era un mondo là fuori, e lei non
aveva la minima intenzione di buttare via la sua vita dietro ad un uomo
che ormai da tempo la usava solo come antistress.
Per questo, una sera, lo fece sedere, e si decise una volta per tutte
di finirla.
Phelps era al limite, ma non era stupido.
Nell'istante in cui lei lo fece sedere e lo guardò
seriamente, capì dove voleva arrivare.
"Io non posso più andare avanti così."
esordì lei.
"Cosa ti aspetti da me? E' il mio lavoro."
"Già. Il tuo lavoro. E' per questo che ho sopportato la
situazione fino a questo momento, ma ora basta. Se continuo
così, rischio di esplodere."
"Oh, poverina." mormorò sarcasticamente l'uomo, iniziando a
gettare il malumore di quella giornata contro di lei.
"Non starò qui a farmi insultare."
"Oh, andiamo! Cosa pretendi da me?"
"Sei benestante. Potremmo benissimo stare anche senza lavoro!"
"Cosa? Te lo puoi scordare! Non lascerò mai questo lavoro!
Né per te né per nessun'altra!"
"A questo punto non abbiamo più niente da dirci suppongo."
"Dio, Helen!"
"Domani chiederò il divorzio."
Phelps scattò in piedi furioso, uscendo dalla casa.
In fondo un divorzio era una buona idea: lavoro o non lavoro, lui era
ormai consapevole di non provare più nulla per lei, e
quell'unione lo faceva soffocare, ma si arrabbiò lo stesso,
non tanto per l'idea di non stare più con lei, ma per
sentirsi offeso nell'orgoglio.
Voleva solo bere e bere, e si ricordò che nel locale in cui
era andato per il suo addio al celibato con Amalric e Sgarbi servivano
dell'ottima birra.
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Psycho era esausta. Di solito non si occupava del negozio sia la
mattina sia al pomeriggio, ma il suo capo aveva avuto un impegno e
l'unica a poter badare al negozio era lei.
Si fece l'orario di chiusura e lei, esausta, stava per chiudere e
andarsene, quando lo vide entrare sibilando un grazie.
"Posso sapere cosa avevi di così importante da fare?"
"Oggi avevo i miei figli."
"Ti sei separato?!?"
"Da un paio di mesi ormai."
"E perché non me lo hai detto? Sarei stata più in
negozio al posto tuo, bastava chiedere. Non è un problema,
davvero."
Voleva anche chiedergli il perché del divorzio, ma non erano
affari suoi, e magari a lui non faceva piacere parlarne.
"No. Riceveresti una paga minore rispetto a quella che meriteresti.
Anzi, adesso con il divorzio, cercherò di trovare il modo di
ripagarti."
"Non dire sciocchezze. Va bene così. Se ti può
confortare non sei l'unico ad avere problemi."
"Che succede?"
"Ricordi quello psicotico di poliziotto? E' più psicotico
del solito."
"Ma no dai!"
"E' sempre stato al limite dell'insopportabilità, ma qui si
sta passando il segno. Una sera dovevano andare tutti insieme al
ristorante, ma lui è arrivato in ritardo di mezzora e quando
gli abbiamo chiesto il perché lui ha iniziato a sbraitare.
Poi, la settimana dopo, eravamo noi ad essere in ritardo di una decina
di minuti, e lui quando ci ha visti ha sbraitato. Insomma, ci siamo
tutti leggermente stufati di vederlo sbraitare."
"Fantastico."
"E come se non bastasse un altro è depresso come non mai. Se
ne sta sempre chiuso in casa a frignare e nessuno capisce
perché."
"Chi è depresso?"
"Il professore. Ricordi? L'hai conosciuto alla mia festa un paio di
anni fa."
L'uomo sgranò gli occhi quando capì di chi
stavano parlando, ma la ragazza non se ne accorse.
"E così.. è depresso?"
"Non immagini quanto. E si ostina a non dirci niente! A me ha detto
qualcosina quando sono andata da lui qualche tempo fa, ma niente di
precis.."
"TE L'HA DETTO?!?"
La ragazza si voltò verso il suo capo, che la guardava con
occhi allucinati.
"Detto cosa?"
Lui guardò verso il basso e si grattò
nervosamente la testa.
"Ah, niente, niente. Perdonami, sono stanco, non capisco più
quello che dico."
Psycho non ebbe il tempo di riflettere su quella stana reazione che le
squillò il cellulare.
"Pronto?"
"Sono sempre io. Il barista di quella notte."
"Senta, se qualcuno è ubriaco chiami un taxi."
"Non qualcuno. Il suo amico poliziotto. Lo stesso di quella sera."
"E' uno scherzo?!?"
La ragazza era molto vicina a fregarsene visto il modo in cui Phelps la
trattava in quel periodo, ma purtroppo in fondo lei voleva bene a quel
poliziotto, ed era troppo buona per non agire.
"Venga lei stessa a controllare."
"Arrivo."
"Ah sì? Che succede?"
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Capitolo 29 *** Illuminazioni ***
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CAPITOLO
29. ILLUMINAZIONI
Phelps era più che convinto che non avrebbe mai potuto
essere più furioso della sera prima, ma si dovette credere:
svegliarsi con il mal di testa non era in programma e di certo non era
piacevole, ma in fondo se l'era cercata.
Sapeva di non reggere l'alcol e aveva scelto comunque di andare in un
pub a bere, per soffocare ciò che lo turbava.
Quando si svegliò era tutto intontito, e uscì
dalla stanza da letto per poi arrivare in cucina e trovare una persona
che non aveva molte sembianze umane, visti i capelli spettinati, gli
occhi rossi e quegli stracci che aveva addosso.
Non poteva che essere Psycho.
"Mi sono rotta di dormire nel divano." sbottò
improvvisamente lei, quando vide il poliziotto.
"Cosa diavolo stai dicendo?"
Ma che cazzo significava
quella frase?
Ma qual'è il
problema di questa ragazza?
Se ragazza la si
può chiamare..
"Hai capito benissimo. Non intendo più farti da
balia."
Phelps iniziò a collegare, ma invece che ringraziarla
sbuffò.
"Nessuno te l'ha chiesto." si lamentò lui.
"Stai tranquillo, perché non ricapiterà. Ho
stracciato il biglietto che aveva il barista con il mio numero quindi
stai pur certo che questa sarà l'ultima volta."
"Lo spero."
La pazienza di Psycho si era ufficialmente esaurita.
Era stufa di farsi in quattro per uno che non apprezzava assolutamente
nulla di quello che faceva, e che negli ultimi tempi la trattava come
pezza per i piedi.
Se volevo lavorare con i
casi disperati, prendevo una laurea in psicologia criminale e andavo a
lavorare nei manicomi.
"Senti, bello, se non fosse stato per me a quest'ora saresti in un
cunicolo a dividerti una panchina con un paio di barboni, quindi il
minimo che tu possa fare è mostare un po' di riconoscenza."
"Se sono così odioso, perché non mi hai lasciato
lì?!?"
"Sai, questa è proprio una bella domanda."
Phelps voleva ribattere, ma si limitò a posare la testa
sulle mani.
Era troppo stanco e la testa faceva troppo male per iniziare l'ennesima
discussione.
Non era pronto, e di certo non ne valeva la pena.
Psycho iniziò col calmarsi, e si diede mentalmente della
stupida: non era possibile che si fosse già pentita di
essere stata troppo dura con lui.
Era più forte di lei.
Non era fatta per conservare rancore a lungo.
"Tra un paio di mesi è il compleanno di Sgarbi, e visto che
lui è un relitto umano, pensavamo di organizzare una festa a
sorpresa. Tu ci stai?"
"Ho forse scelta?" continuò a sbottare Phelps, come se
avesse tutti i diritti del mondo di fare l'arrogante.
La ragazza ingoiò il rospo, ma proseguì.
"Amalric e Testa Blu hanno ordinato dall'Italia un libro apposta per
lui come regalo. Noi dovremo inventarci qualcosa."
"Stai dicendo che dobbiamo uscire per cercargli un regalo? Io e te?"
"No, lo Spirito Santo ci verrà in soccorso portandoci
qualcosa. E' OVVIO CHE DOBBIAMO CERCARLO NOI DUE."
"Si si va bene, abbassa la voce però."
"Il primo martedì del prossimo mese? Possiamo incontrarci al
solito posto sulle, ehm le quattro, e cercare qualcosa."
"E' proprio neccessario?"
"Sgarbi è anche amico tuo, eh."
"Che palle."
"Allora quel giorno va bene?"
"Sì sì!"
"Phelps, ti avviso, se mi dai buca ti mangio vivo."
"Ma sei sorda?!? Ti ho detto che va bene."
Poi restarono in silenzio per un po', entrambi impegnati a svegliarsi
completamente e a terminare la rispettiva colazione.
Phelps pensò al divorzio, al lavoro, e a quanto volesse
urlare e scappare via.
Psycho si ritrovò a ricordare la sua ultima conversazione
con il suo capo, alla strana reazione che aveva avuto quando aveva
nominato Sgarbi e poi pensò a questi, chiedendosi di quale
donna si fosse mai innamorato per finire così.
Questi due pensieri erano costanti, e finì con il
collegarli, finché non capii tutto.
Sgarbi era depresso perché si era innamorato di qualcuno con
cui non voleva stare perché starci insieme avrebbe
significato la fine di tutti i suoi principi. Odia le donne ignoranti e
stupide, ma c'è chi odia di più. I gay. E
guardacaso quando l'aveva nominato con il suo capo, lui si era agitato.
Non.. era.. che..
Era una congettura, un'ipotesi remota, una cosa del tutto improbabile,
ma Psycho non ne voleva sapere di stare lì a riflettere
ancora.
Si alzò e, ignorando del tutto lo sguardo perplesso del
poliziotto che era seduto davanti a lei, uscì di casa.
Phelps guardò la porta ancora per qualche secondo, poi
tornò alla sua colazione.
Quella è
fuori come un balcone.
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Capitolo 30 *** Crollo ***
asdfghjkl
CAPITOLO
30. CROLLO
Più passavano i giorni,
più Sgarbi si sentiva distrutto, ma il suo incorreggibile
orgoglio, che l'aveva sempre guidato, gli stava imponendo di smetterla.
Non poteva passare il suo tempo a starsene rannicchiato in un angolo
del suo appartamento per quanto fosse triste ed amareggiato.
Si era addirittura preso dei giorni di ferie, una cosa che non faceva
mai. Ormai sarebbe dovuto tornare al lavoro, ma non poteva farsi vedere
in quelle condizioni.
Non poteva permetterlo.
Si sentiva vuoto dentro, come se qualcosa a lui indispensabile per
vivere gli fosse stata strappata dal corpo, e lui non sapeva
più né come trovarla né come
rimetterla dov'era.
Tutto quello che riuscì a fare fu radersi la barba che stava
crescendo, e pulire gli occhiali. Non era molto, ma era sempre qualcosa.
Doveva uscire.
Vedere gente.
Erano settimane che non vedeva la luce del sole.
Doveva vestirsi e lasciare quell'appartamento, ma più ci
provava più si sentiva inadeguato per il mondo là
fuori.
Non era mai successa una cosa del genere.
Un tempo pensava che fossero gli altri ad essere inadeguati per il
mondo, e non certo lui.
Si grattò la testa e, una volta alzato, sentì
qualcuno bussare alla sua porta.
"Sgarbi! Sgarbi!"
Era Psycho.
Ancora.
L'ultima volta era andato molto vicino a raccontarle la
verità, anche se a sfumature molto confuse.
Ora cosa poteva volere?
A fatica andò verso la porta, e aprì.
"Qualsiasi cosa tu voglia.. credimi.. non è il momento."
mormorò in tono stanco.
Psycho era sinceramente dispiaciuta per come stava l'amico, ma era
anche consapevole che se avesse dovuto aspettare lui, sarebbero passate
settimane, e quella cosa non poteva più andare avanti.
Quel dubbio non la lasciava in pace un secondo, e lei doveva sapere.
"Lo sto facendo per te." mormorò lei, entrando dentro.
"Te l'ho detto. Sto bene. Ho solo bisogno di un po' di tempo."
"Un po' di tempo? Sai quanti giorni sei stato rintanato qua dentro? I
vampiri sono usciti più spesso di te!"
"Non sono in vena di battute."
"Perché non ne parli con me? Non ti fidi?"
"Non sono affari tuoi! Sono cose che riesco a gestire!"
Psycho prese l'amico per un braccio, lo trascinò in bagno e
lo mise davanti ad uno specchio, perché lui potesse
guardarsi.
"Questo lo chiami gestire?"
"Non è una cosa che ti riguarda." mormorò lui,
uscendo dal bagno.
Lei lo seguì.
"E' per Philippe, vero?"
Sgarbi si bloccò di colpo.
Sentì le vertigini in tutto il corpo e il sudore bagnargli
il viso.
"C- cosa?"
"Sgarbi, tu e Philippe avete una storia?" insistette la ragazza.
"Che schifo! Come osi chiedermi una cosa del genere? Tu vedi froci
ovunque. Sei malata!" urlò arrabbiato Sgarbi, ma non appena
diede di nuovo le spalle alla ragazza, delle lacrime gli rigarono il
viso.
"Non devi vederla come una colpa! Non si può scegliere chi
amare!"
"Vattene via!"
"Sgarbi ti prego ascoltami. Se non vuoi che non si sappia, giuro che
ogni cosa che dirai rimarrà tra te e me, ma credimi,
parlerne ti farà bene."
"VATTENE VIA!"
"Pensi davvero che una volta uscita da quella porta, staresti meglio?
E' qualcosa che non passa. Non è un'influenza. Lo sai come
la penso al rigardo, non ti giudicherei mai."
Sgarbi stava per crollare.
Le gambe tremavano, e i singhiozzi erano sempre più
difficili da controllare.
Ormai era fatta.
Psycho gli andò incontro e lo abbracciò forte, un
abbraccio al quale lui si aggrappò con tutto sé
stesso, perché altrimenti sarebbe caduto.
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