Bolle di felicità di _Aras_ (/viewuser.php?uid=116251)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
NEW 1
Questa
storia è
stata pensata come uno spin-off di “Molecole di vita”,
una long composta da dieci
capitoli che ho scritto un paio d’estati fa. In
realtà risulterà più lunga
della storia originaria e avrà poco a che fare con essa,
quindi si può
leggere anche senza conoscere “Molecole di vita”.
Per
essere
certa che comprendiate tutto, vi faccio un brevissimo riassunto di
quanto è
successo precedentemente, ma non credo sia necessario leggerlo
perché in questo
primo capitolo è spiegato tutto.
In
“Molecole di
vita”:
Allie
(la
protagonista di questa storia) e Dafne, due ragazze inglesi,
festeggiano la
fine degli esami di maturità trascorrendo due settimane a
Rodi, un’isola della
Grecia. Qui Dafne conosce Michael, un ragazzo del posto con cui nasce
subito
un’amicizia ricca di sentimenti che crescono velocemente.
Hanno solo dieci
giorni per stare insieme, ma l’attrazione li porta a
diventare più che amici e a
trascorrere l’ultima notte insieme. Dovendo tornare in
patria, i due si
separano: non si tratta di una relazione a distanza, dovranno cercare
di andare
avanti con le loro vite. Nel frattempo, Allie decide di dare una
possibilità a
Thomas (il fratello di Dafne, che è in Inghilterra) dato che
in quei giorni si
sono sentiti spesso al telefono e hanno scoperto di provare qualcosa
l’uno per
l’altra.
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 1
Thomas
le stava aspettando da più di mezz’ora: era
appoggiato al muro dato che tutte
le sedie erano state occupate da una comitiva di vecchiette arrivate da
chissà
dove. Stava iniziando a stancarsi, dopotutto aveva passato
l’intera giornata a
studiare per l’esame che avrebbe dovuto dare di lì
a pochi giorni. Era
impaziente di rivedere Dafne e Allie, di riportarle a casa e mettersi a
dormire, dato che il giorno seguente non si prospettava migliore.
Le
due amiche avevano trascorso due settimane a Rodi, un’isola
della Grecia dove
avevano deciso di andare in vacanza dopo la fine della scuola. Dafne,
sua
sorella, sembrava aver fatto conquiste in quei giorni. Per lo meno,
questo era
ciò che gli aveva detto Allie.
Allie,
la migliore amica di sua sorella, la ragazzina che aveva tormentato per
anni
finché non era cresciuta e, a quel punto, aveva cominciato a
piacergli sul
serio. Ricordava di aver tentato un approccio a una festa qualche mese
prima,
ma nelle condizioni in cui si trovava aveva ovviamente ricevuto un
rifiuto. Da
pochi giorni, tuttavia, avevano cominciato ad avvicinarsi.
Paradossalmente,
proprio mentre si trovavano agli angoli opposti dell’Europa
avevano scoperto la
chimica che c’era tra loro. Avevano iniziato a parlare al
telefono quasi per
sbaglio, quando lei aveva risposto alla chiamata destinata a Dafne, che
era
impegnata. Thomas si era sentito così felice dopo quella
telefonata che aveva
preso a cercarla tutti i giorni, magari anche solo per cinque minuti,
per
sentire la sua voce e ridere con lei. Aveva speso un sacco di soldi ma
ne era
contento. Le aveva proposto di andare al cinema insieme quando fosse
tornata,
per vedere un film di cui avevano discusso e che Thomas era convinto le
sarebbe
piaciuto. Lei, facendosi seria, gli aveva assicurato che ci avrebbe
pensato e
gli avrebbe dato una risposta al suo ritorno.
Un
ritorno che si faceva attendere ma che, finalmente, era arrivato. Le
vide
avvicinarsi a lui, i volti sorridenti, mentre tiravano i trolley,
attente a non
urtare nessuno. Dafne lo abbracciò per prima: un gesto
strano da parte sua,
dato che non erano soliti scambiarsi quel genere di tenerezze, ma a cui
rispose
sinceramente.
«Ti
trovo bene» approvò Thomas, guardandola.
«Ti sei abbronzata.»
Dafne
gli sorrise, prima di farsi da parte, consapevole che anche la sua
amica
avrebbe ricevuto un bel saluto. E infatti Thomas
l’attirò a sé, un po’
impacciato a causa dell’improvviso cambiamento del loro
rapporto, ma sollevato
dal sentirla rilassarsi insieme a lui in quella stretta nuova e
delicata.
«Ciao,
Allie» mormorò prima di lasciarla andare.
«Ciao»
gli sorrise lei. «Ti trovo un po’
addormentato» scherzò, «ma penso sia
comprensibile data l’ora.»
«Allora
è meglio andare a casa» replicò
lui, invitandole a seguirlo nel parcheggio.
Dafne sembrava
davvero star bene,
sorrideva e aveva già preso a raccontargli tutto
ciò che aveva visto, senza
però fare il nome del ragazzo che aveva conosciuto. Thomas
non aveva capito
molto bene la situazione che si era creata, sapeva solo che aveva
incontrato un
certo Michael e che erano diventati inseparabili. Allie non gli aveva
rivelato
fino a che punto fosse giunto il loro rapporto e lui non ci teneva a
saperlo,
ma aveva messo in chiaro che, una volta tornata in Inghilterra, Dafne
ne
avrebbe certamente sentita la mancanza. E in effetti, per quanto
naturale
potesse sembrare il comportamento che stava tenendo in quel momento a
occhi
estranei, Thomas si rese conto che non era davvero se stessa. Dafne non
era mai
stata così entusiasta di nulla e, per quanto avesse
apprezzato l’isola, era
ovvio che stava cercando di enfatizzare ogni cosa, per non pensare
invece alle
persone che l’abitavano.
Allie,
d’altro canto, se ne stava in
silenzio a osservarla preoccupata, intervenendo solo ogni tanto in quel
lungo
discorso. Thomas la guardò nello specchietto retrovisore,
distinguendo appena
la sua figura nell’oscurità della notte, eppure
avrebbe giurato di averla vista
ricambiare lo sguardo.
«E il
mare!» esclamò Dafne, richiamando
la sua attenzione. «Mio Dio, non avevo mai visto
dell’acqua così limpida e
pulita! Sembrava di essere in una piscina, non fosse stato per i sassi
sul
fondo che rendevano il tutto ancora più
meraviglioso.»
«Avete
fatto anche un bagno di
mezzanotte, spero» rispose Thomas, lanciando
un’occhiata alla sorella. La sua
reazione non fu però quella che si aspettava: il sorriso
vacillò e gli occhi
persero per un attimo la luce dell’eccitazione mentre
rispondeva. «Sì, una
volta.»
Incerto su cosa
dire, inconsapevole del
ricordo che quell’ingenua domanda aveva risvegliato, Thomas
preferì lasciar
perdere e alzare il volume della radio, dato che
nell’abitacolo si era diffuso
un silenzio che si stava facendo pesante. Fortunatamente mancava poco
alla loro
casa e, nel giro di qualche minuto, Dafne si era già
defilata. Aveva preso la
sua valigia e aveva augurato la buonanotte, sentendosi improvvisamente
stanca a
causa del volo. Disse ad Allie di non affrettarsi a raggiungerla, che
tanto non
l’avrebbe svegliata, e salì le scale.
Così
loro rimasero in salotto, soli e
muti finché lei non si richiuse la porta della camera da
letto alle spalle. Poi
Thomas si voltò a guardare Allie, confuso.
«Cos’ho
detto?» domandò, sedendosi sul
divano e invitandola a fare lo stesso. Lei gli si accomodò
accanto con un
sospiro e chiuse gli occhi, la testa reclinata contro lo schienale.
«Questo
bagno di mezzanotte l’ha fatto
con Michael, non con me» rivelò. «Ed
è stato il momento in cui tutto è
degenerato.»
«Si
riprenderà» disse Thomas, con
convinzione. «Ora è suscettibile perché
è una sorta di ferita fresca, ma con il
tempo le passerà.»
«Lo
spero» mormorò lei, guardandolo
negli occhi.
«Non
credi?»
«Non
l’avevo mai vista così» rispose
solamente, prima di stiracchiarsi.
«Sei
stanca?» chiese Thomas.
«Solo
un po’.»
Forse quello non
era il momento giusto,
forse avrebbe dovuto prendere più seriamente lo stato
d’animo di sua sorella,
forse avrebbe dovuto aspettare almeno il sorgere del sole, ma Thomas
voleva una
risposta a quell’interrogativo che le aveva posto
più di due giorni prima. «Hai
pensato alla mia proposta?»
Lei
annuì e aspettò un momento prima di
parlare.
Aveva riflettuto
a lungo, anche durante
il viaggio di ritorno, e si era decisa ad accettare. Aveva scoperto che
parlare
con Thomas la faceva stare bene, l’aveva aiutata nei momenti
in cui si sentiva
un po’ sola, mentre Dafne era tutta presa da Michael. Lui era
simpatico ed era
cresciuto, non era più il bambino che le faceva i dispetti,
né il ragazzino che
la prendeva in giro. Ormai era un uomo, aveva degli ideali e un buon
carattere,
sebbene di tanto in tanto sembrasse regredire all’infanzia.
Aveva deciso di
provarci, perché
altrimenti si sarebbe tormentata a lungo su cosa sarebbe potuto
succedere e lei
odiava i rimpianti. Aveva ritenuto che, anche se non fosse andata bene,
sarebbero comunque riusciti a mantenere un rapporto di
neutralità, che lei non
avrebbe perso la sua migliore amica per una storia finita.
«Credo
che dovremmo uscire» disse,
annuendo, felice di vederlo sorridere a quell’affermazione.
«Fantastico»
la ringraziò.
«Dopodomani?» domandò.
«Sei
impaziente» rise Allie, dandogli
un amichevole pugno sulla spalla. Lui le afferrò la mano
prima che potesse
ritirarla, intrecciando le dita con le sue. Lei abbassò per
un attimo lo
sguardo, andando a fissare le loro mani unite, poi rispose.
«Cos’avevi in
mente?»
«Avevamo
detto qualcosa di semplice,
film e pizza» le ricordò.
«Ah»
esclamò Allie. Certo, avevano
parlato di una piccola cosa, ma non credeva che sarebbe stato davvero
un
appuntamento così banale.
«Oppure
potremmo cambiare piano.
Qualcosa di più romantico?» tentò lui,
che aveva notato l’espressione
lievemente delusa sul suo viso.
Lei fece
spallucce, trattenendo un
sorriso e replicando con un semplice «Come vuoi, tocca a te
organizzare.»
Quella frase non
lo rincuorava affatto,
consapevole che la prima impressione era importante e che, nonostante
si
conoscessero da anni, quello sarebbe stato il loro primo appuntamento e
non
avrebbe potuto cambiarlo. Ormai deciso a fare qualcosa di diverso, di
originale
o perlomeno non banale, promise: «Ti
sorprenderò.»
Allie, contenta
di averlo portato sulla
buona strada, si sporse verso di lui e gli baciò la guancia.
«Buonanotte»
sussurrò, prima di sollevarsi lentamente, facendo scivolare
le dita fuori dalla
sua presa e salire le scale, diretta con un sorriso verso la stanza di
Dafne,
dove avrebbe passato la notte.
∞
La mattina
seguente, Thomas si svegliò
presto. Nonostante avesse dormito meno del solito, si sentiva fresco e
pimpante, pronto per una nuova giornata. Avrebbe dovuto continuare a
studiare
per l’esame che si avvicinava a un ritmo spaventoso, ma
sapeva già che avrebbe
passato ore per definire i dettagli dell’appuntamento che
Allie gli aveva
concesso e per organizzarlo. Senza contare che la ragazza stava
dormendo
dall’altra parte del corridoio e che quindi avrebbe avuto
l’occasione di
vederla anche quel giorno.
Si decise ad
alzarsi e ad andare a
bruciare un po’ di energie. Dopo una breve capatina in bagno
e un caffè rubato
a sua madre, che stava facendo colazione, uscì di casa.
Aveva infilato le
cuffiette dell’i-pod nelle orecchie e aveva cominciato a
correre, mentre nella
sua testa si affollavano le idee più diverse e contrastanti.
Con ogni
probabilità, se avesse chiesto
un consiglio a Dafne, avrebbe creato un appuntamento perfetto;
tuttavia,
preferiva arrangiarsi e magari non avere quel grande successo,
piuttosto di
riciclare le idee di qualcun altro. Voleva essere in grado di darle
esattamente
ciò che desiderava, per dimostrare, a lei ma anche a se
stesso, che ne valeva
la pena.
All’improvviso,
tra le varie ipotesi
difficilmente realizzabili, si fece spazio il ricordo di una scommessa
vinta di
cui doveva ancora riscuotere il premio. Un suo compagno di studi aveva
accettato di mettergli a disposizione il suo appartamento quando glielo
avesse
chiesto; quella sembrava essere l’occasione giusta.
∞
Dafne, come suo
solito, si era
svegliata alquanto presto e, attenta a non fare rumore per non
svegliare
l’amica, era scesa a fare colazione. Non era pronta per
affrontare Martha, sua
madre, che l’avrebbe sommersa di domande finché
non le fosse venuto mal di testa,
ma d’altronde non lo sarebbe mai stata.
Amava quella
donna solare e affettuosa
che l’aveva cresciuta e sostenuta nei momenti di
difficoltà, ma talvolta era
difficile sopportare il suo entusiasmo, specie quando non si era di
buon umore.
Per quanto fingesse di essere felice di essere tornata a casa
nonostante la
vacanza le fosse rimasta nel cuore, dentro sentiva un vuoto e una
malinconia a
cui non voleva cedere. Non avrebbe permesso a nessuno di vederla triste
e
abbattuta, perché nessuno avrebbe capito come avesse potuto
legarsi così tanto
a un ragazzo che conosceva da pochissimo, perché in fondo
non lo capiva nemmeno
lei.
«Dafne,
tesoro!» l’accolse sua madre,
andandole incontro e abbracciandola. «Come sei bella! Questa
vacanza ti ha
fatto proprio bene. Raccontami tutto, su!»
Dafne dubitava
di essere poi così
avvenente di prima mattina, con gli occhi ancora arrossati dal sonno e
la
tristezza nel cuore, ma lei ne sembrava sicura. Ricambiò il
saluto e s’informò
sulle novità in famiglia, evitando di narrarle le sue
avventure, mentre
preparava il thè. Tuttavia, Martha non abboccò e
insistette perché le
raccontasse la sua vacanza.
«È
un posto bellissimo, è sempre
soleggiato e l’acqua è cristallina. Sembra un
altro mondo, almeno per me,
dopotutto sono sempre stata abituata alla pioggerella insistente di
questo
paese. È caldo ma non afoso, perché
c’è sempre un lieve venticello che
rinfresca l’aria. E anche il cibo è diverso, molto
saporito e tipicamente
mediterraneo.»
«E la
lingua? Hai avuto difficoltà a
farti capire?» domandò, mentre la ascoltava
curiosa, figurandosi nella mente
ciò che le veniva narrato.
«Niente
affatto. Quasi tutti
comprendono l’inglese, forse perché è
un luogo che vive di turismo. Ho anche
imparato qualche parola in greco, quelle base per dimostrare che si
apprezza il
posto e la gentilezza degli abitanti» continuò.
«Per
esempio?»
«Kalimera
significa buongiorno, efharisto significa grazie,
parakalo
significa per favore, milate anglika? viene usato per chiedere
se parlano l’inglese» rispose, tentennando un
po’ con la sua pronuncia
inesperta.
Seirí̱na
significa sirena,
pensò, ricordando che Michael le aveva tracciato quella
parola sulla schiena
con un pennarello indelebile.
«E hai
conosciuto qualcuno?»
«Tutte
le persone che ho incontrato
sono sempre state amichevoli e bendisposte, intrattenendosi a parlare
sebbene
non mi conoscessero.» Si limitò a rispondere in
questo modo, evitando ogni
riferimento specifico, per passare poi a inzuppare i biscotti nella
tazza.
«Zia
Agatha come sta? Pensavo di
passare da lei oggi, per accordarci riguardo al lavoro»
disse, nel tentativo di
distrarla per non farle approfondire il discorso.
«A
dire la verità non la vedo da più di
dieci giorni, è talmente oberata di impegni. Sono certa che
ti sarebbe grata se
andassi ad aiutarla» rivelò, prima di alzarsi.
«Ora è meglio che vada a fare la
spesa, voglio preparare un bel pranzo oggi, dato che siamo di nuovo
tutti insieme»
spiegò con un sorriso prima di uscire dalla stanza.
Dafne
tirò un sospiro di sollievo,
conscia di aver scampato la descrizione di coloro con cui aveva fatto
amicizia,
ma anche del fatto che non poteva dirsi salva per sempre.
∞
Thomas
rientrò dopo più di due ore,
sfinito per la corsa ma anche soddisfatto, perché nel
frattempo era riuscito ad
accordarsi con l’amico per il favore che gli era dovuto.
Scalciò le scarpe
infangate in un angolo del portico e rientrò in casa,
diretto in cucina per
bere un bel bicchiere d’acqua. Quando giunse sulla soglia
notò che al suo
interno c’era già qualcuno. Era Allie, che
dandogli le spalle stava preparando
qualcosa sulla tavola. Grato di essersi avvicinato senza far rumore
fino a quel
momento, ne approfittò per fare altri due passi e fermarsi
dietro di lei. Le
circondò la vita con le braccia, stringendola in una dolce
morsa, e lei
sussultò, colta di sorpresa.
«Thomas!»
lo rimproverò, rendendosi subito
conto dell’identità del suo assalitore. Non
cercò tuttavia di sottrarsi a
quella presa mentre seguitava a parlare. «Mi hai quasi fatto
rovesciare il thè!»
Lui si
scusò con un sorriso, poi le
posò un bacio sui capelli. Allie trattenne a stento un
sospiro a quel gesto,
doveva ancora abituarsi a quella nuova confidenza, e lo
scacciò scherzosa. «Sei
tutto sudato, per favore!» lo riprese, anche se in fondo quel
contatto non le
dava noia, piuttosto la confondeva, trovandola impreparata.
«Hai
ragione» accondiscese lui,
allontanandosi per andare a farsi una doccia, non prima però
di averle
ricordato con gioia l’impegno della sera seguente e di averle
assicurato che
lei ne sarebbe stata entusiasta.
Ora che se
n’era andato, Allie si
ritrovò piena di curiosità e aspettative. Da un
lato avrebbe voluto sapere cosa
avesse organizzato, dall’altro sperava che quella sorpresa le
sarebbe piaciuta,
non volendo deluderlo e mettere un’ombra su
quell’appuntamento prima ancora che
iniziasse. Scoprì di star aspettando con ansia che il tempo
che la separava
dalle ore che avrebbero trascorso insieme passasse, perché
ora che aveva
conosciuto il lato più dolce e amorevole di Thomas, dopo le
infinite telefonate
dei giorni scorsi, lo vedeva sotto un’altra luce. Ora fremeva
dal desiderio di
stare sola con lui, di scoprire ulteriori dettagli della sua vita, di
vederlo
ridere e di stare bene con lui.
Prima,
però, avrebbe dovuto far ritorno
a casa, per dar prova ai suoi genitori che era ancora in vita. Si
sbrigò quindi
a far colazione e chiese a Dafne, che se ne stava in camera a disfare
la
valigia, di darle un passaggio.
«Come
stai?» chiese, approfittando
della solitudine. Non era una domanda di cortesia, quanto piuttosto un
interrogativo volto a capire quanto soffrisse realmente per la
lontananza dal
ragazzo che aveva conosciuto.
«Bene,
perché?» rispose lei, come se
non avesse capito il vero scopo di quelle parole.
«Dafne»
la richiamò. «Quanto hai
pensato a Michael da quando siamo tornate?» Decise di essere
più diretta,
rischiando forse di risultare dura e impertinente, ma era un rischio
necessario
per capire di quanto aiuto e supporto avrebbe avuto bisogno la sua
amica nei
giorni a venire.
«Siamo
tornate da mezza giornata» le
fece notare, senza dare una vera spiegazione. Dopo aver visto il suo
sguardo
insistente, però, si convinse a parlare. Dopotutto Allie era
la sua più cara
amica, l’unica persona su quell’isola piovosa che
avesse conosciuto Michael e
che sapesse cosa provava per lui. Non c’era nessun altro che
la potesse capire
a quel modo. «Tanto, mi manca e sono sempre più
convinta che siamo stati degli
idioti.»
Al suo sguardo
dubbioso, Dafne
continuò. Ora che aveva iniziato a parlare, sentiva il
bisogno di sfogarsi.
«Sapevamo
di avere poco tempo e che poi
non ci saremmo più rivisti, eppure ci siamo cascati
comunque. Non siamo
riusciti a contenerci e siamo andati addirittura a letto insieme,
nonostante
avessimo deciso di fermarci all’amicizia. Come due bambini,
siamo stati
incapaci di pensare alle conseguenze e ci siamo limitati a soddisfare
ogni
nostro desiderio.»
Allie la
osservò con attenzione mentre
parlava: Dafne era triste, certo, ma soprattutto arrabbiata con se
stessa per
essersi cacciata in quella situazione. Lei l’aveva avvisata
all’inizio, quando
ancora non era successo nulla tra loro due, ma non se la sentiva di
farglielo
notare. Inoltre, non era nemmeno così certa che, al suo
posto, lei si sarebbe
comportata diversamente.
«Non
essere troppo dura con te stessa.
Non puoi vivere trattenendoti per paura delle conseguenze, hai fatto
ciò che
avrebbero fatto tutti» tentò di rassicurarla.
«Questo
non lo rende giusto» commentò Dafne,
distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada per puntarlo
sull’amica.
«No,
è vero» acconsentì. «Ma
nessuno è
perfetto» le ricordò.
«Spero
solo di riuscire a superarlo
presto, anche se ora come ora mi sembra impossibile»
confessò, fermando l’auto
davanti alla casa di Allie.
«Non
disperare, ci penserò io a
distrarti» la confortò, posandole una mano sulla
spalla. «E poi chi lo sa cosa
ci riserva il futuro!» esclamò, prima di salutare
e scendere.
Aveva notato le
macchine dei genitori
parcheggiate in garage, quindi dovevano essere in casa.
Entrò trascinandosi
dietro il trolley e lo lasciò all’ingresso,
chiamando a gran voce per
salutarli. Suo padre era seduto sul divano, intento a guardare un
programma
televisivo, mentre sua madre stava spolverando il salotto. Si
chinò per dare un
bacio sulla guancia all’uomo e abbracciò la madre,
che le era corsa incontro.
«Ancora
non capisco perché non sei
voluta tornare subito ma ti sei fermata a dormire da Dafne!»
domandò subito,
mettendola a sedere e accomodandosi accanto a lei.
«Non
volevo rischiare di svegliarvi,
non so mai quando dovete scappare per andare in ospedale»
spiegò lei.
«Oh,
ma non dovevi preoccuparti! Sai,
pensavo che uno di questi giorni potremmo cenare tutti insieme,
è da un sacco
di tempo che le nostre due famiglie non si riuniscono!»
propose. «Non credi che
sarebbe una bella idea?»
Allie sorrise e
approvò: era contenta
che i suoi genitori apprezzassero la famiglia di Dafne, soprattutto
perché
voleva dire che avevano in simpatia anche Thomas. Per quanto non avesse
intenzione di dir loro nulla finché la loro storia, sempre
ammesso che fossero
riusciti a costruire qualcosa, non fosse stata seria, era bello sapere
che non
avrebbe affrontato problemi. D’altro canto, anche Martha
l’adorava e Dafne le
aveva rivelato che sua madre aveva sempre incoraggiato il giovane a
farsi
avanti, pur non conoscendo i suoi veri sentimenti.
«Mi
aiuti a preparare il pranzo, tra un
po’?» domandò. «Mi mancano i
nostri momenti madre-figlia.»
Allie rise,
divertita dal tono che
aveva usato. Non avevano mai condiviso grandi momenti, nonostante
avessero un
ottimo rapporto, a causa del lavoro di sua madre. Un lavoro che le
richiedeva
molto tempo e che si presentava urgente anche in quel momento. Il suo
cercapersone squillò e la donna si affrettò ad
afferrarlo, sbuffando.
«Tesoro,
scusami tanto. Devo correre,
c’è un emergenza» disse, alzandosi in
piedi e salendo velocemente le scale per
andare a cambiarsi.
Un attimo dopo,
anche quello del padre
emise lo stesso suono e la scena si ripeté.
Allie, con un
sospiro, si lasciò
scivolare lungo il divano. Non
ne era sorpresa, era una tradizione, ormai. Progettavano di fare
qualcosa
insieme e poi, puntualmente, l’ospedale chiamava e tanti
saluti a tutto il
resto. Da bambina odiava quei momenti, aveva perso il conto delle volte
a cui
aveva chiesto ai genitori di cambiare lavoro, ma ora aveva capito. A
tredici
anni, durante l’ora di educazione fisica, aveva preso una
pallonata in faccia.
Ancora faticava a crederci, le sembrava impossibile che fosse successo
davvero:
non capitava solo alle protagoniste dei film sdolcinati che guardava
Dafne, che
poi si svegliavano tra le braccia del loro principe? Beh, lei, dopo
aver
battuto la testa a terra e aver perso i sensi, si era risvegliata in un
ambulanza. Quando era arrivata al pronto soccorso e aveva visto sua
madre che
con il suo camice bianco le stava andando incontro, il sollievo era
stato
enorme. Da quel
giorno non aveva più tentato
di dissuaderli dall’andare a lavoro, anzi, li aveva incitati
a sbrigarsi,
perché c’era qualcuno che aveva bisogno del loro
aiuto.
Così
Allie si
ritrovò sola e per una
volta non si fece vincere dalla pigrizia. Trascinò la
valigia al piano di sopra
e cominciò a tirar fuori i vestiti, iniziando già
a pensare a cosa avrebbe
potuto indossare la sera dell’appuntamento con Thomas.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
NEW 2
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 2
Mancava
meno di mezza giornata all’appuntamento con Thomas e Allie
era piena di impegni
e commissioni. Di questo passo, sarebbe arrivata distrutta alla serata.
I suoi
genitori erano entrambi di turno e quindi, come al solito, toccava a
lei pagare
le bollette e fare la spesa. Aveva passato più di
un’ora in fila per completare
la prima parte del suo compito e ora, alle undici passate e con il
portafoglio
decisamente più leggero, stava entrando nel supermercato.
Gemette quando notò
le code sulle due sole casse aperte e sperò che si
liberassero prima che
giungesse il suo turno. Prese un carrello e cominciò a
percorrere la prima
corsia, quella dedicata al banco frutta, consultando attentamente la
lista per
non dover tornare indietro in continuazione.
Infilò
un guanto usa e getta e afferrò una mela, controllando che
non avesse
ammaccature. Nonostante fosse circondata dal cibo, l’idea di
mangiare non
l’attirava per niente. Iniziava già ad avere un
po’ d’ansia, quella sensazione
inspiegabile che non l’abbandonava nemmeno quando si ripeteva
che tutto sarebbe
andato bene e che non c’era motivo di preoccuparsi. Sentiva
una morsa allo
stomaco da quando si era svegliata quella mattina e la consapevolezza
che
avrebbe dovuto fare tutto di fretta per ricavare il tempo necessario a
prepararsi non l’aiutava. Cercò di concentrarsi
sulla canzone che trasmettevano
alla radio e sulla sua respirazione, mentre riempiva il carrello e
spuntava la
lista con una penna. Stava voltando l’angolo, la testa bassa
impegnata a
scorrere i nomi dei prodotti, e non si accorse che c’era
qualcuno che si
avvicinava nella direzione opposta. Ci fu un fragore metallico quando i
due
carrelli si scontrarono e Allie trattenne il respiro mentre andava a
sbattere
contro il manico in ferro.
Rialzò
subito il capo, scusandosi per la sua distrazione, e guardò
la ragazza che
aveva davanti. Stupita, si rese conto di conoscerla.
«Alice»
la salutò con un sorriso. «Come stai?»
Alice
era stata una sua compagna di classe fino a un paio di mesi prima,
quando il
liceo era finito. Allie aveva sempre creduto che fosse carina sotto
quell’aspetto trasandato che si era cucita addosso, ma la sua
timidezza le
aveva impedito di scoprire se le sue supposizioni fossero vere. Da che
la
conosceva, aveva sempre portato degli occhiali pesanti che, sebbene
fossero
tornati di moda, nascondevano i suoi occhi di un bel verde scuro. I
capelli
erano sempre raccolti in una coda di cavallo, gonfia a causa della
massa riccia
che racchiudeva, e l’assenza di trucco la faceva passare
inosservata, quasi
fosse invisibile, tra tutte le altre ragazze perfettamente curate. Era
forse un
po’ in carne, ma non grassa. Ciò che
più di tutto la rendeva invisibile, e
talvolta la faceva sembrare addirittura indisponente, era
l’espressione apatica
del suo viso. Allie poteva contare sulle dita di una mano le volte che
l’aveva
vista sorridere ed era un peccato, perché aveva un sorriso
meraviglioso e dei
denti perfetti.
«Bene,
grazie» rispose lei, con gentilezza ma senza entusiasmo.
Quasi scordò di
ricambiare la domanda, cosa che poteva anche non interessarla ma che
era
simbolo di cortesia. «Tu?» chiese infine, notando
che Allie rimaneva lì a
fissarla.
«Magnificamente.
Finalmente le vacanze, eh? Io sono appena tornata, tu vai da qualche
parte?»
Allie
era curiosa, lo era sempre stata, e forse
quest’incapacità di farsi i fatti
suoi poteva essere un difetto, ma nulla l’avrebbe fermata
dall’interessarsi a
chi la circondava. Inoltre, senza rendersene conto, ora che aveva
incontrato
Alice non pensava più all’ansia che
l’aveva attanagliata fino a un attimo
prima. Quella agitata, ora, sembrava Alice. Subito non ci aveva fatto
caso, ma
ora che la osservava meglio si rese conto che non sembrava poi
così felice di
vederla e, se in un primo momento ne fu delusa, poi si sentì
confusa. Non erano
mai state grandissime amiche, perlopiù conoscenti che
avevano condiviso cinque
anni della loro vita, ma non credeva che ci potesse essere
quell’indifferenza
tra loro. Alice sembrava non sapere cosa risponderle.
«Io…»
temporeggiò, vagando con lo sguardò in cerca di
un appiglio. «Non sono andata
da nessuna parte per ora» mormorò infine, con il
basso tono dolce che ricordava
Allie ma anche con una punta di imbarazzo.
«Ti
ho offesa in qualche modo?» domandò Allie, con la
sua tipica schiettezza. Non
capiva perché la ragazza si comportasse a quel modo: era
sempre stata timida e
riservata, ma non la ricordava così.
Alice
fu colpita da quelle parole e la osservò dubbiosa, incerta
su come rispondere. Cosa
intendeva dire Allie e perché pensava che si sentisse
offesa? Doveva essere
colpa sua e della sua solita insicurezza, che la rendeva incapace di
sostenere
una conversazione senza apparire sciocca e scialba.
«No» rispose infine,
scuotendo il capo ma senza guardarla negli occhi. Gli occhi di Allie
erano
grandi e limpidi, la osservavano diretti, la mettevano in soggezione a
causa
della certezza che trasmettevano.
«Scusami,
è che sei…» replicò allora
Allie, cercando le parole giuste per non offenderla,
«non sembri molto contenta di vedermi. Ma se non
c’è problema, ti va di
prendere un caffè quando abbiamo finito qui?»
propose, dimenticando la montagna
di cose che aveva da fare, affascinata da quella vicenda. Voleva
scoprire perché
Alice fosse così riservata, perché si fosse
chiusa così in se stessa e, poiché
dentro di sé aveva da sempre una vocazione da crocerossina,
aiutarla a superare
quel momento.
Era
una decisione improvvisa, dettata più che altro dalla
curiosità e dalla necessità
di una distrazione, ma Allie la stava già prendendo sul
serio e non avrebbe
mollato facilmente la presa.
«Mi
dispiace, non posso» rifiutò subito, quasi senza
pensarci, come se fosse una
reazione istintiva. E lo era: Alice non si trovava a suo agio a stare a
lungo
fuori casa con persone che non conosceva bene e, negli ultimi tempi, la
situazione era peggiorata.
«Nemmeno
cinque minuti?» insisté Allie.
«No,
davvero, scusa» rifiutò ancora, cercando una scusa
per andarsene. Perché Allie
si era intestardita tanto? Non erano mai state amiche, non erano mai
uscite
insieme e di certo Allie non si era mai interessata a lei nei cinque
anni
precedenti, non in quel modo.
«Beh,
almeno dammi il tuo numero di cellulare, così ci mettiamo
d’accordo per
un’altra volta» propose allora. A
quest’idea, Alice non sapeva proprio come
opporsi senza sembrare scortese e, per liberarsene in fretta, compose
il suo
numero sul telefono della ragazza. Non pensò nemmeno di
digitarlo sbagliato, in
modo da impedirle un futuro contatto: per quanto le avrebbe fatto
comodo quella
strategia – dopotutto non desiderava essere disturbata, stava
tanto bene da
sola nella sua stanza – non aveva la capacità di
concepire un gesto tanto
meschino.
Biascicando
un saluto riuscì quindi a sorpassarla in fretta e
tirò un sospiro di sollievo,
mentre si sbrigava per non fare altri incontri.
Allie
rimase lì per un altro momento, confusa ma soddisfatta di
ciò che aveva
ottenuto. Quando sentì la radiocronista informare gli
ascoltatori dell’ora,
però, si rese conto del tempo che era passato, del fatto che
doveva finire di
fare la spesa e altre mille cose e poi, quella sera, andare a un
appuntamento.
∞
Allie
scese dall’auto e si avviò verso la casa di Dafne.
Quella mattina l’aveva
avvertita che aveva intenzione di andare a trovarla, aveva bisogno di
aiuto per
prepararsi a quella serata e, se per l’abbigliamento sarebbe
stato più comodo
un incontro a casa sua, per la preparazione psicologica poteva andar
bene
qualsiasi luogo. Ora era meno agitata di quella mattina, si sentiva
più sicura
di sé e non ne poteva più di aspettare: era
l’attesa a ucciderla.
Non
aveva considerato, però, che andando da Dafne aveva la
possibilità di incontrare
Thomas. Lui passava sempre molto tempo fuori casa, in giro con gli
amici o
all’università a studiare, era raro trovarlo a
casa di pomeriggio. Anche in
quel momento stava uscendo: quando Allie sollevò la mano per
bussare alla porta
d’ingresso se lo ritrovò davanti e per un soffio
non si scontrarono.
«Ciao»
si salutarono, quasi in contemporanea, e quasi allo stesso tempo
sorrisero.
«Dove…»
Allie stava per chiedergli dove stesse andando, ma lui la
zittì, posandole un
dito sulle labbra. La prese per mano e la condusse silenziosamente nel
garage,
richiudendo la porta dietro di sé. Erano stretti in quella
stanza che conteneva
fin troppe cose: un auto – la seconda non c’era
solo perché il padre era andato
a lavoro – e quattro biciclette, senza contare il divano
vecchio che i coniugi
non volevano buttare.
«Che
succede?» domandò allora, mentre lui si sporgeva
per accendere la luce.
«Mia
madre era in cucina, non volevo che ci sentisse»
spiegò.
Allie
sorrise, riconoscendo la comicità della situazione.
«Ti rendi conto che non
siamo nemmeno mai usciti e ci stiamo nascondendo dalla nostra prima
fan?»
chiese, ridendo.
Lui
si appoggiò all’auto con la schiena, ammettendo la
verità della sua
affermazione. «Non voglio che si metta in mezzo, non
ora» insisté. «Pronta per
stasera? O stai avendo dei ripensamenti?» Thomas sembrava
sicuro di sé ma nel
suo animo non lo era poi così tanto: temeva davvero che
Allie potesse tirarsi
indietro.
«E
tu sei pronto con l’appuntamento a sorpresa?»
replicò lei, senza rispondere
alla sua domanda. Notò il suo disappunto, sebbene si fosse
affrettato a
rassicurarla sulla sua organizzazione perfetta.
«Hai
qualche richiesta?» domandò allora, curiosa di
carpire qualche dettaglio in
più.
«Cosa
intendi dire?» Non aveva capito il significato di quelle
parole, era certo che
non fosse ciò a cui la sua mente era corsa.
«Come
devo vestirmi? Siamo all’aperto o al chiuso?»
specificò Allie.
Thomas
non voleva svelarle nulla: aveva già un po’ paura
che ciò che aveva preparato
non le sarebbe piaciuto, vedere una sua espressione dubbiosa ora non
l’avrebbe
aiutato. E poi, non c’era davvero bisogno di nulla di
particolare. «Sarai
perfetta in ogni caso» rispose con un sorriso.
Allie
sbuffò, vedendo andare in fumo le sue possibilità
di conoscere qualche
dettaglio. Inoltre, quella frase non era affatto rassicurante per una
ragazza:
non c’era un abbigliamento che andasse bene in ogni caso e
lei non poteva
passare ore davanti allo specchio, indecisa, poiché lui non
le dava nessuna
indicazione.
«Non
è vero, dai!» insisté. «Devo
vestirmi elegante, casual» elencò, fissandolo,
«…sexy?» provò infine,
sperando in una reazione migliore.
Il
sorriso sul suo volto si allargò e Thomas dovette
distogliere lo sguardo per un
attimo, sospirando. Lo stava già mettendo alla prova.
«Sarai
perfetta in ogni caso» ripeté con convinzione.
«Potresti venire anche in
pigiama, non mi lamenterei.» Sperò che non lo
prendesse alla lettera: era certo
che sarebbe stata adorabile anche in pigiama, sì, ma vederla
con un bel vestito
non gli sarebbe dispiaciuto.
«Sei
odioso» lo rimproverò lei, senza riuscire a non
sentirsi comunque gratificata
da quelle parole.
«È
meglio che vada ora» mormorò lui, guardando
l’orologio. «Passo a prenderti alle
sette» le ricordò, prima di posarle un bacio tra i
capelli e uscire.
Allie
lo osservò allontanarsi e lo vide quando, dopo pochi metri,
si voltò e incrociò
il suo sguardo con un sorriso. Sospirando, uscì anche lei
dal garage e andò a
bussare alla porta d’ingresso. Sperava che Dafne fosse
più informata di lei.
Martha
le aprì e la fece entrare, sorridente. «Cerchi
Dafne?» chiese, osservandole il
volto.
«Sì,
grazie» rispose Allie, aggrottando la fronte davanti a quello
sguardo inquisitore.
«È
per un ragazzo, vero?» le domandò la donna,
lasciandola basita. Come poteva
saperlo? Li aveva visti per caso?
«Ehm…»
temporeggiò, lanciando un’occhiata alle scale alla
ricerca della sua amica.
«Io…» Prese un profondo sospiro, non
sapendo cosa risponderle.
«Oh,
tranquilla, cara! Non ne farò parola con nessuno»
le promise, strizzandole un
occhio. «È solo che ho riconosciuto il tuo
sguardo» spiegò. «Spero che lui ne
valga la pena» le augurò, implicando che lei aveva
un candidato perfetto e
sicuramente migliore del ragazzo a cui doveva pensare Allie.
Chissà cosa
avrebbe fatto se avesse saputo di chi si trattava!
«Lo
spero anch’io» ribatté Allie,
trattenendo una risata. «È di sopra?»
chiese,
alzando lo sguardo. La donna annuì e la salutò,
rientrando in cucina, dove
sembrava stesse cuocendo qualcosa di buono.
Allie
salì le scale e bussò alla prima porta a destra;
fu accolta da un “avanti!”
gridato con disperazione. Entrò nella stanza e si
fermò sulla soglia,
sbigottita. Tutti i vestiti erano sparpagliati sul letto, qualcuno
addirittura
a terra, senza parlare delle scarpe, gettate alla rinfusa sul pavimento.
«Che
diavolo è successo qui?» chiese, senza fiato.
Dafne aveva disfatto la valigia
la mattina precedente, ne era certa perché l’aveva
vista.
La
sua amica alzò lo sguardo sconsolata, prima di lasciarsi
ricadere tra le
coperte. «Volevo riordinare l’armadio dato che ieri
ho buttato tutto a caso, ma
ho scoperto di avere più indumenti di quanto
ricordavo.»
«Ma
stai bene?» domandò allora, insicura. Non capiva
se era solo stanca o se
quell’espressione nascondesse uno stato depressivo.
«Sì,
sì, sto bene» sbuffò.
«Michael è a Rodi e io sono qui, me ne sto facendo
una
ragione. Sono solo un po’ irritabile oggi, deve arrivarmi il
ciclo» disse,
stringendosi al cuscino.
Con
un sospiro di sollievo, Allie si accomodò accanto a lei.
«Rimanda lo stress a
domani, ora ho bisogno di te» la pregò.
«Sai qualcosa di quello che ha
organizzato Thomas per stasera?»
Dafne
scosse la testa. «Ho provato a indagare, immaginavo che me
l’avresti chiesto,
ma non ha voluto dirmi niente» rispose.
«Ma
non mi ha neanche detto come devo vestirmi!»
piagnucolò Allie, sconsolata.
«Onestamente,
non credo che gli importi molto come ti vesti. Potresti anche andarci
nuda, per
lui non farà differenza» considerò.
Allie
le scoccò un’occhiataccia. «Spero che,
in caso decidessi di seguire il tuo
consiglio e mi presentassi nuda, abbia una reazione diversa da quella
che ha
quando mi vede con tanto di sciarpa e cappotto»
commentò, rubandole il cuscino
che stringeva tra le braccia e lanciandoglielo addosso. Dafne
scoppiò a ridere,
prima di riprenderselo e posarlo al suo posto.
«Come
ti senti?» chiese, curiosa. «Ansia?
Perché lui l’ho visto alquanto agitato
oggi» rivelò.
«Un
po’, ma mi sta passando. Sai come sono, odio
aspettare» rispose, ricordandosi
all’improvviso dell’incontro di quella mattina.
«Sai chi ho incontrato questa mattina?
Alice Turner» raccontò.
«Non
l’ho più vista da quando è finita la
scuola» rifletté Dafne. «Come
sta?»
«Neanche
io. In realtà, credo che non l’abbiamo mai vista
molto all’infuori della scuola
neanche prima» meditò Allie. «Non avevo
mai notato quanto fosse incredibilmente
timida, alla fine è quasi scappata via.»
«Addirittura?»
Anche Dafne era sorpresa da quel comportamento.
Tristemente,
si rese conto che avevano sempre ignorato quella ragazza tanto dolce e
tanto
riservata che avevano conosciuto il primo giorno di liceo. Era
così introversa
che difficilmente veniva notata e, tranne per qualche parola ogni tanto
e le
uscite di classe, non l’avevano mai coinvolta nelle loro
vite. Si sentiva quasi
in colpa, soprattutto ascoltando il dettagliato resoconto che Allie le
stava
facendo del loro incontro. Non aveva mai pensato che lei potesse essere
così
sola come appariva. Magari non lo era nemmeno, dopotutto la conoscevano
appena
e non sapevano nulla della sua vita privata, ma il comportamento che
aveva tenuto
non prometteva nulla di entusiasmante. Fu grata di sentire che Allie
aveva il
suo numero di cellulare e che programmava di incontrarla, si ripromise
di
seguire il suo esempio.
«Riuscirai
ad aiutarla, ne sono sicura» disse Dafne.
«Dopotutto, ci sei riuscita anche con
me.»
Allie
le sorrise e le strinse la mano, ricordando la ragazzina timida che era
stata.
Dafne
aveva portato l’apparecchio per i denti sin da quando aveva
sette anni, ma solo
con la pubertà se n’era sentita imbarazzata. A
causa delle risate dei suoi
compagni di scuola, si era chiusa in se stessa e aveva cominciato a
sorridere
sempre meno, per non far vedere la ferraglia che aveva in bocca. Quando
si erano
presentati anche i brufoli, si era sentita ancora più a
disagio, tanto da farsi
la frangetta per coprire la fronte e tenere sempre la testa bassa, in
modo da
nascondere il volto. Tutte le altre ragazze erano nelle stesse
condizioni, ma a
lei sembravano delle modelle in confronto al riflesso che il suo
specchio le
presentava ogni mattina. Si sentiva bruttina e inadatta e solo grazie
all’aiuto
di Allie, che l’aveva pressata per uscire a prendere un
gelato e si era
accampata a casa sua per risollevarle il morale, aveva superato quel
brutto
periodo.
«Lei
è messa peggio» commentò poi. Dafne
fece spallucce, come a dire che non era
rilevante. Avrebbe voluto avere la sua stessa sicurezza, ma sapeva che
avrebbe
tentato finché non avesse vinto.
∞
Allie
si avvolse in un asciugamano e uscì dalla doccia,
tamponandosi i capelli con un
altro panno. Aveva deciso di rimandare le pulizie di casa al giorno
dopo e di
passare il pomeriggio a rilassarsi, conscia che troppo nervosismo non
le
avrebbe fatto godere la serata. Aveva fatto un lungo bagno e aveva
finalmente
deciso come vestirsi. Aveva già preparato tutto sul suo
letto: un abito lungo a
fantasia floreale, in modo da poter mettere dei sandali bassi e
apparire
comunque slanciata, con una giacca leggera che lo faceva apparire meno
elegante
di quando non fosse in realtà. In questo modo si sentiva
abbastanza sicura per
ogni evenienza e, in casi estremi, avrebbe comunque potuto rimproverare
Thomas
per aver generalizzato troppo.
Si
asciugò con cura i capelli, mettendoci più tempo
del solito per assicurarsi che
non le scappasse nessuna ciocca, e cominciò ad arricciarli.
Non
voleva dar l’impressione di aver impiegato troppa cura alla
sua preparazione
per quell’appuntamento, ma nemmeno sembrare disinteressata.
Arrivata
al punto più arduo, quello dei capelli proprio dietro la
testa che faticava ad
acconciare, dovette desistere a causa dello squillo del telefono.
Posò il ferro
sul ripiano in marmo e corse in camera. Era Thomas.
«Pronto?»
rispose subito. Perché l’aveva chiamata? Era tutto
saltato? Cambio di
programma?
«Ciao,
Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti, saresti
pronta?» domandò.
La
ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno scherzo. Mancavano
più di
quaranta minuti alle sette e lei non era minimamente pronta.
«No» rispose.
«Cos’è successo?»
«Beh…»
Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio errore. Poi
pensò che la
verità era comunque la migliore alternativa. «Ho
guardato gli orari sbagliati,
il film inizia alle sette e non alle sette e mezza»
rivelò.
«Quindi
immagino di non avere molta scelta» mormorò,
irritata. Che razza di errore era
quello? Anche un bambino sapeva consultare gli orari del cinema!
Lo
sentì sospirare, prima di parlare. «Mi
dispiace» si scusò. «Anzi, sai
cosa?»
riprese. «Prenditi tutto il tempo che ti serve,
m’inventerò qualcosa.»
«Sicuro?»
chiese, dandosi un’occhiata allo specchio. I capelli erano
fatti a metà e le
avrebbero richiesto almeno altri dieci minuti, senza contare che almeno
un filo
di trucco se lo voleva mettere.
«Sì,
sì, certo. Io sono già in auto, posso aspettare
lì da te?» domandò, pregando
che gli concedesse almeno quello.
«Sì,
certo. I miei non sono ancora tornati» lo
rassicurò, prima di chiudere la
chiamata e correre in bagno. Afferrò il ferro e
iniziò ad arrotolarci i
capelli, nella speranza che venissero bene.
Era
una fortuna che i suoi genitori avessero un orario tanto improponibile:
se
fossero stati a casa, suo padre avrebbe assolutamente voluto sapere con
chi
avesse appuntamento, senza contare che una volta visto Thomas, sua
madre
avrebbe chiamato Martha all’istante. Così era
tutto più tranquillo.
Aveva
appena terminato di farsi i capelli quando suonò il
campanello. Scese le scale
velocemente, ricordandosi solo quando fu davanti alla porta di essere
in
accappatoio. Con un sospiro, si decise ad aprire ugualmente. Lo scorse
con la
coda dell’occhio, perché mentre la porta si
spalancava lei era già voltata e
stava tornando di sopra. «Aspettami in salotto» lo
avvertì, prima di
richiudersi in bagno per applicare un po’ di trucco sul viso.
Non l’aveva
nemmeno salutato nel tentativo di non farsi vedere in faccia. Non che
lui non
l’avesse mai vista struccata, la conosceva da sempre;
tuttavia, non voleva
fargli notare la differenza immediata.
Aveva
messo solo un po’ di matita e mascara, un ombretto quasi
invisibile e un
rossetto chiaro. Un trucco naturale, ma che valorizzava comunque i suoi
lineamenti. Si infilò gli abiti e preparò una
piccola pochette e poi, con
un’ultima occhiata allo specchio, uscì dalla sua
stanza.
Thomas
la stava aspettando seduto sul divano.
Buongiorno!
Voglio ringraziare coloro che
hanno
inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno
recensita, ma anche
chi la sta leggendo silenziosamente.
Spero abbiate apprezzato questo
capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto, vi lascio qualche riga,
nella speranza di incuriosirvi un po’.
Anche
se non lo dava a
vedere, nemmeno Allie stava seguendo così attentamente il
film. Lo adorava e lo
conosceva quasi a memoria, ma in quel momento si sentiva circondata dal
calore
e dal profumo di Thomas e non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo
sguardo
addosso ma non aveva il coraggio di incontrarlo, così
continuava a guardare
davanti a sé, beandosi di quelle attenzioni.
Ogni tanto, però, non resisteva e gli lanciava
un’occhiata mentre un sorriso si
formava sulle sue labbra, consapevole che si sarebbe scontrata con il
suo
sguardo.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
cap 3
Dov’erano
rimasti?
«Ciao,
Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti,
saresti pronta?» domandò.
La
ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno
scherzo. Mancavano più di quaranta minuti alle sette e lei
non era minimamente
pronta. «No» rispose.
«Cos’è successo?»
«Beh…»
Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio
errore. Poi pensò che la verità era comunque la
migliore delle alternativa. «Ho
guardato gli orari sbagliati, il film inizia alle sette e non alle
sette e
mezza» rivelò.
Lo
sentì sospirare, prima di parlare. «Mi
dispiace» si
scusò. «Anzi, sai cosa?» riprese.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve,
m’inventerò qualcosa.»
[…]
Thomas
la stava aspettando seduto sul divano.
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 3
Allie
capì di aver scelto l’abbigliamento adatto: Thomas
indossava dei jeans scuri e una camicia bianca che sembrava risplendere
sulla
sua pelle abbronzata. Non aveva mai capito come potesse avere sempre un
colorito tanto sano anche d’inverno. Si alzò non
appena la vide arrivare e
Allie si beò del sorriso che vide spuntare sul suo volto.
«Valeva
la pena aspettare» commentò, osservandola.
«Sei
bellissima.»
«Grazie.»
Allie lo guardò, senza riuscire a celare la
felicità che l’aveva improvvisamente avvolta.
«Stai molto bene anche tu, ti
posso addirittura perdonare il fatto di avermi messo fretta.»
In
realtà aveva impiegato meno tempo del previsto per
finire di prepararsi, ma non sarebbero comunque riusciti a raggiungere
il
cinema in tempo.
«Cosa
prevede la serata?» domandò, mentre si dirigeva in
cucina per lasciare una nota ai genitori, dove spiegava di essere
uscita e di
non essere certa dell’ora in cui sarebbe tornata.
«È
una sorpresa» le ricordò Thomas, aprendole la
porta di
casa.
«Non
è saltata anche quella?» chiese, curiosa.
«In
realtà è l’unica cosa che è
rimasta» confessò,
aspettando che chiudesse a chiave. Le aprì lo sportello
dell’auto, un’azione
che non aveva mai compiuto in vita sua per nessuno, se non per sua
madre quando
era incinta di Dafne. Allie sorrise, accomodandosi e sistemandosi il
vestito.
Considerò che, nonostante tutto, sembrava essere in grado di
salvare la
situazione.
In
fondo a lei non interessava affatto il film, aveva
accettato solo perché era stato lui a proporlo.
Thomas
si allacciò la cintura e mise in modo, posò un
braccio dietro al suo schienale per fare la retromarcia e, prima di
inserire la
prima, si fermò un attimo a guardarla, finché lei
non gli intimò scherzosamente
di muoversi, per non bloccare il traffico.
Allie
non tentò nemmeno di capire dove la stesse
portando: doveva essere una sorpresa e, ora che non poteva fare nulla
per
cambiarla, voleva davvero stupirsi. Così si mise ad
armeggiare con la radio,
consapevole che la cosa lo faceva innervosire. Si fermò su
una stazione che
trasmetteva una canzone dei One Republic: quel gruppo le piaceva,
sebbene non
riuscisse a ricordarsi i nomi delle loro canzoni. Riconobbe la melodia
e
cominciò a canticchiarla, accompagnata dalla risata di
Thomas. Di certo non era
per il suo tono, Allie sapeva di avere un’ottima voce.
Lately, I’ve been, I’ve
been
losing sleep
Dreaming about the things that we
could be
But baby, I’ve been, I’ve
been
praying hard,
Said,
no more counting dollars
We’ll
be, we’ll be, counting stars
«Che
c’è di divertente?» domandò,
fermandosi.
Lui
scosse la testa, incitandola a continuare e smettendo
di ridere, sebbene fosse chiaro che c’era qualcosa che lo
divertiva in quella
situazione.
«Dai,
dimmelo!» insisté lei. Lui continuò a
negare, poi
tolse una mano dal volante per prendere qualcosa dallo scomparto al suo
fianco.
Le porse un pezzo di stoffa nera e Allie
l’afferrò, rigirandoselo tra le mani.
«Che
cos’è?» domandò, sollevandolo
per studiarlo.
«Una
benda» rispose lui. «Indossala, per
favore.»
Allie
lo guardò, scioccata. Stava scherzando? Voleva
farle una sorpresa, okay, ma non era necessario arrivare a quel punto.
«Perché
mai?»
«Perché
non voglio farti vedere dove andiamo finché non
siamo arrivati» spiegò.
«E
chi mi assicura che non ti approfitterai della mia
momentanea cecità?» chiese, in tono di sfida.
«Fidati
di me» disse semplicemente. «Fa parte della
sorpresa.»
Sbuffando,
Allie lo accontentò, attenta a non rovinare i
capelli. Thomas ne fu soddisfatto: se lei avesse visto dove si fossero
fermati,
di certo non ne sarebbe stata entusiasta. La vera sorpresa, dopotutto,
non era
visibile da una prima occhiata.
Thomas
fermò l’auto dopo pochi minuti e
l’aiutò a
scendere, sostenendola con un braccio intorno alla vita per guidarla e
non
farla cadere. L’aiutò a salire un paio di gradini
e la fece entrare
nell’ascensore, sorridendo divertito al suo sussulto quando
cominciarono a
salire.
«C’è
molto silenzio qui» commentò Allie, riferendosi
non
soltanto all’ascensore ma anche agli attimi precedenti. In
effetti
l’appartamento del suo amico si trovava in una zona
abbastanza fuori città, c’era
poco traffico e non avevano incontrato nessuno nell’androne
del palazzo. Anche
l’illuminazione stradale iniziava a farsi più rada
del solito, ma questa
caratteristiche poteva avere anche un lato positivo.
Le
porte dell’ascensore si aprirono e Thomas le fece fare
solo pochi passi, prima di aprire la porta dell’abitazione.
La richiuse dentro
di sé e, accese le luci, le slegò la benda.
Quando aprì gli occhi, Allie si
ritrovò la vista occupata da un fiore: un tulipano rosa, di
un colore caldo e
accogliente che esaltava quella forma particolare. Alzò lo
sguardo, incontrando
quello incerto di Thomas.
«Un
fiore al primo appuntamento?» domandò, notandolo
vacillare.
«Troppo
presto? Mi avevano avvertito che non si fa, ma mi
sembrava un’idea carina» si scusò
guardando in basso.
«Non
è troppo presto» lo rassicurò.
«È un bel gesto,
grazie.»
Strinse
a sé quel fiore; pensava realmente ciò che aveva
detto. È vero che solitamente non avrebbe gradito un simile
regalo al primo
appuntamento, ma la loro situazione non era ordinaria e dopotutto non
si
trattava di un mazzo di rose rosse, solo di un semplice tulipano.
Thomas
tirò un sospiro di sollievo vedendo spuntare un
sorriso sul suo volto: aveva scelto di lasciare quel piccolo dono
all’appartamento, un po’ perché portarlo
al cinema sarebbe stato scomodo, un
po’ perché temeva una reazione peggiore e voleva
evitarla in pubblico.
«Dove
siamo?» domandò poi Allie, guardandosi intorno. Si
trovavano in un corridoio stretto che portava a una stanza ancora al
buio.
«Vieni»
disse lui, porgendole una mano. Quando sentì
Allie stringere la sua, s’incamminò verso la
stanza e accese la luce. Era un
salotto arredato in modo semplice e moderno: un divano rosso con un
tavolino
basso davanti e un grande televisore corredato di registratore e
lettore dvd
appeso al muro di fronte.
Thomas
la invitò ad accomodarsi mentre si spostava in una
stanza vicina, quella che sembrava essere la cucina. Allie si sedette,
cercando
di ascoltare cosa stesse succedendo. Sentì un ronzio simile
a quello di un
forno microonde in funzione e un noto scoppiettio. Popcorn?
pensò, confusa.
Dopo
poco Thomas tornò con una vaschetta di popcorn e due
bottiglie di birra tra le mani.
«Ho
pensato che potremmo concederci queste, dato che non
c’è nessuno che ci controlla»
spiegò, posando tutto sul tavolo.
«Hai
rubato la pellicola per caso?» chiese Allie. Non
poteva avere davvero il film che avrebbero dovuto vedere al cinema.
«No,
ho pensato di andare sul sicuro. Non avevi detto che
questo è il miglior film degli ultimi dieci anni e che
dovevo assolutamente
vederlo?» domandò lui, avviando il dvd e sedendosi
accanto a lei.
Sullo
schermo comparve la sigla de Il discorso del
re.
Allie
batté le mani in un istante di gioia, provocando
una risata da parte di Thomas. Era contenta, non tanto per la scelta
del film
che adorava, ma perché questo dimostrava che lui
l’aveva ascoltata davvero.
«Non
te ne pentirai!» gli assicurò, infilando la mano
nella vaschetta in equilibrio sulle loro gambe.
| { |
Thomas,
che non era appassionato di film storici e
preferiva di gran lunga guardarsi Il
signore degli anelli, ogni tanto sembrava perdersi. Non
capiva cosa stesse
succedendo, quale personaggio interpretasse quell’attore, che
anno fosse.
Allora Allie gli spiegava tutto con gentilezza, con una voce
interessata che
permetteva di capire quanto le piacessero certi argomenti. Aveva
imparato a
conoscerla grazie alle loro lunghe telefonate, ma ora che ce
l’aveva davanti
era tutto diverso. Vedeva i suoi occhi brillare mentre ripercorreva la
storia
del re, mentre combatteva con se stessa: era troppo entusiasmata per
raccontare
tutto con calma e le parole si accavallavano in discorsi contorti.
Aveva dovuto
fare uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere alla vista di quel
dibattitto
interiore. Gli era andata bene, dopotutto: lei era così
impegnata a guardare il
film che non si sarebbe nemmeno accorta del suo sguardo insistente. Era
anche
per quello che si distraeva tanto: invece di prestare attenzione agli
attori,
si ritrovava a osservare lei.
«Che
c’è?» domandò Allie,
voltandosi per guardarlo in
faccia.
Lui
aggrottò la fronte, confuso. Forse stava osservando
con meno intensità di quanto immaginasse il film.
«Mi
stai fissando» disse Allie. Avrebbe giurato di averlo
visto arrossire, anche se in modo molto lieve.
«Ehm…»
temporeggiò lui. «Preferisci che guardi la
regina?» chiese, cercando di salvarsi.
«Che
significa?»
«Beh,
lei è una bella donna, ma stavo pensando che tu sei
più carina» inventò, anche se a
un’attenta analisi quelle parole si sarebbero
rivelate vere.
Lei
sbuffò, dandogli un pugno sulla spalla e mormorando
un «idiota!» prima di tornare alla tv.
Thomas
decise di provare a seguire il film e, cercando di
agire con nonchalance, passò un bracciò intorno
alle spalle della ragazza,
appoggiandosi allo schienale del divano e sfiorandola appena. Si
sentiva come
un quindicenne alle prese con il primo appuntamento al cinema, un
insieme di
occhiate nascoste e tocchi improvvisati.
La
sentì fremere al contatto, ma non commentò.
Non
l’avrebbe mai ammesso, ma quel film iniziava a
piacergli. Al di là del soggetto storico, la relazione tra
il re e sua moglie
era ammirevole. Era una storia molto romantica che in fondo lo
attraeva: lei
aveva scelto di sposarlo non per il suo ruolo, dopotutto era il figlio
minore e
non sarebbe dovuto diventare sovrano, piuttosto per la sua dolcezza nei
suoi
confronti. Il suo supporto nei lunghi anni spesi cercando di vincere la
balbuzie, il fatto che nonostante questo per lei era l’unico
uomo, ma anche il
rapporto con le due figlie. Tutto aveva un’aria domestica e
veritiera, anche se
le loro vite dovevano essere alquanto pubbliche all’epoca.
Thomas
apprezzava la naturalezza con cui veniva
rappresentato il loro amore e sperava un giorno di raggiungere quel
sentimento.
Aveva avuto varie relazioni, più o meno serie, ma nessuna
sembrava essere
quella giusta. Anche mentre le frequentava, sapeva che mancava
qualcosa:
nessuna l’aveva fatto sentire a casa, nessuna era stata in
grado di rendere
così naturale la loro relazione. Si era sempre sentito quasi
in dovere di
uscire con loro, spinto dal desiderio o da un impegno: non aveva mai
passato
una serata semplicemente steso sul divano con loro senza far nulla,
aveva
sempre dovuto trovare qualcosa che riempisse il loro tempo.
Forse
stava aspirando a troppo, forse le parole
insistenti di sua madre gli avevano dato alla testa o forse stava solo
esagerando il momento, ma sentiva che in futuro avrebbe potuto avere
tutto ciò
con Allie.
«A
che pensi?» gli domandò la ragazza, notando il suo
sguardo perso.
Lui
le sorrise. «È un bel film»
affermò, senza mentire.
«Lo
so» concordò lei, sistemandosi meglio sul divano.
Il
braccio di Thomas era ormai finito proprio sulle sue
spalle, senza più il sostegno dello schienale, ma lei non
sembrò curarsene.
Anche
se non lo dava a vedere, nemmeno Allie stava
seguendo così attentamente il film. Lo adorava e lo
conosceva quasi a memoria,
ma in quel momento si sentiva circondata dal calore e dal profumo di
Thomas e
non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo sguardo addosso ma non
aveva il
coraggio di incontrarlo, così continuava a guardare davanti
a sé, beandosi di
quelle attenzioni.
Ogni
tanto, però, non resisteva e gli lanciava
un’occhiata mentre un sorriso si formava sulle sue labbra,
consapevole che si
sarebbe scontrata con il suo sguardo. Allora prendeva un sorso di birra
e
immergeva la mano tra i popcorn, ringraziando la sua
incapacità di consultare
gli orari delle programmazioni cinematografiche.
| { |
«Ora
sei tu che mi stai fissando» disse Thomas. Ed era
vero. Il film era finito e Allie aveva volto lo sguardo verso di lui,
curiosa
di sapere qual era il responso.
«Beh?»
domandò. «Che ne pensi?» Non si era resa
conto
subito di quanto erano vicini: lui la stava ancora abbracciando, i loro
fianchi
erano attaccati e le loro teste non poi così lontane.
«Mi
è piaciuto» affermò, indugiando con gli
occhi
sulle sue labbra. Avrebbe voluto baciarla, ma sapeva che sarebbe stato
davvero
esageratamente presto. Forse a fine serata, prima di tornare a casa.
«Certo
che ti è piaciuto, io
ho ottimo gusto» gli ricordò, allontanandosi quasi
impercettibilmente.
«Quindi
devo ritenermi
affascinante, dato che ti piaccio anche solo un
po’» considerò lui. Stava
scherzando e Allie non faticò a capirlo, non quando il tono
della sua voce era
così ironico. Thomas si era alzato e le stava porgendo la
mano per aiutarla a
sollevarsi, pronto a condurla in cucina, dove aveva apparecchiato il
tavolo.
Non
aveva previsto un grande
menu: aveva preferito non andare al ristorante per avere maggior
privacy, ma
credendo di riuscire ad andare al cinema non aveva nemmeno il tempo di
cucinare. Anche se la situazione era cambiata, non si riteneva un gran
cuoco e
aveva deciso di non avvicinarsi ai fornelli: aveva preparato dei piatti
freddi
che potessero essere pronti in qualsiasi momento.
Dopo
che Allie si fu seduta,
sistemò in tavola del riso alla cantonese, degli affettati e
della frutta. Lei
non si mostrò stupita da quella scelta, sebbene la trovasse
singolare, e
cominciò a servirsi mentre lo interrogava sulla provenienza
di quei piatti. Si
era messo a cucinare, se pur per poco tempo e con piatti semplici, o
aveva
ordinato tutto da casa?
Thomas
non aveva fatto altro
che passare al supermercato a ritirare gli affettati e sistemare la
frutta, il
riso l’aveva ordinato al suo ristorante cinese di fiducia.
Scelse di dire la
verità che, anche se non era lusinghiera, non era poi
così tremenda.
«Non
volevo rischiare di
avvelenarti» disse, «non sono stato io a
cucinare.»
«Non
sei capace?» domandò
allora lei, curiosa.
Lui
scosse il capo e si
sorprese di vederla ridere. «Nemmeno io»
confessò. «Oddio, so buttare un piatto
di pasta e cucinare una bistecca, ma nient’altro.»
«A
me piace la pasta» commentò
con un’alzata di spalle, versandole da bere.
«E
quindi?» Allie finse di non
capire dove volesse arrivare, ma si era resa conto che stava
cominciando ad
abbondare di allusioni a ciò che c’era tra loro.
«Chi ha detto che cucinerò per
te?»
«Come
fai a sapere che non lo
farai?» replicò lui.
«Al
massimo dovrei fare come
te: lasciare che se ne occupino gli altri per non rischiare di farti
star male»
ponderò, scherzando.
«Sono
pronto a correre il
rischio» le assicurò con un sorriso, scivolando
con lo sguardo sul tulipano che
era stato posato sulla tavola, accanto a lei.
«Poi
non ti lamentare se starai
male» lo avvertì.
«Conosco
alcuni dottori, non
sarà un problema farmi curare» rispose,
riferendosi chiaramente ai suoi studi
di medicina.
«Come
va con gli esami?»
domandò allora Allie. «Non ne hai uno tra
poco?» Durante le loro telefonate le
aveva raccontato di cosa l’avesse spinto a fare quella
scelta, delle difficoltà
degli anni passati e di quelle presenti, degli esami sempre troppo
corposi e
dell’imminente scadenza di alcuni di loro.
«La
prossima settimana» disse.
«Sono un po’ indietro a dire il vero ed
è colpa tua.»
«Come
sarebbe a dire colpa
mia?»
«Non
riesco a concentrarmi»
ammise, osservando la sua reazione. «Ho sempre la testa da
un’altra parte.»
Allie
rise a quella risposta:
un po’ le dispiaceva essergli d’intralcio, ma le
faceva anche piacere sapere
che pensava a lei. «Allora dovrò starti lontana
per un po’.»
«Non
è necessario» la fermò.
«In questo modo posso mettermi alla prova.»
«Non
vorrai propormi di
ripassare anatomia con te, spero.» Allie mise le mani avanti,
augurandosi che
non stesse per fare quella squallida battuta che aveva sempre odiato.
«Mi
dispiace deluderti, ma
l’esame è di farmacologia» concluse,
notando che Allie aveva smesso di mangiare
da un pezzo.
«Pronta
per la seconda parte
della serata?» chiese mentre si alzava. Lei annuì,
seguendo il suo esempio e
accodandosi a lui quando si diresse verso la porta
dell’appartamento.
«Andiamo
via?» s’incuriosì.
«Non
ancora» rispose, salendo
le scale che portavano al tetto. Quel pomeriggio, quand’era
venuto a
controllare che tutto fosse al suo posto, aveva sistemato una trapunta
e un
paio di cuscini vicino alla porta, così ora non dovette fare
altro che
sistemare un momento prima di invitare Allie a stendersi con lui.
Erano
le undici passate e il
cielo era illuminato solo dalle stelle. C’era qualche
lampione qua e là, ma non
sufficienti a impedire la visuale. Non aveva mai amato molto rimanere
fermo a
guardare il cielo, nemmeno quando andava al mare, ma aveva pensato che
era un
posto come un altro per parlare e certo a lei non sarebbe dispiaciuto.
«Tu
invece cos’hai intenzione
di fare adesso?» domandò, guardandola.
«Non
ne ho idea. I miei
vorrebbero che m’iscrivessi a medicina, ma ormai è
tardi e non fa per me. Credo
che mi prenderò un anno sabbatico: cercherò un
lavoretto e magari scoprirò cosa
fare poi.»
«Credo
che al Blue Secret
cerchino una cameriera» la informò, non del tutto
disinteressato.
«Come
fai a saperlo?» lo
interrogò.
«È
il bar più vicino
all’università, spesso mi fermo a mangiare
lì con i miei amici» spiegò.
«Quindi
avrei sicuramente un
cliente che mi farà laute mance»
scherzò.
«E
io che pensavo che mi
avresti fatto lo sconto!» rise Thomas. «Prova ad
andare a vedere» continuò poi,
più serio. «Sarebbe carino.»
«Cosa?»
«Beh,
avrei una scusa per
tormentarti e vederti di più» rivelò.
| { |
Già
da un po’ avevano smesso
di parlare ed erano rimasti semplicemente sdraiati in silenzio, a
guardare il
cielo e a pensare al rapporto inaspettato che stava nascendo tra di
loro. Il
fruscio degli alberi, mossi da un lieve venticello, li cullava in una
calma
quasi irreale per la città in cui si trovavano. Di tanto in
tanto sentivano
passare un auto e qualche risata giungeva dalle case vicine, ma nulla
sembrava
poter interrompere quello stato di quiete.
Allie
si rese conto di essere
più stanca di quanto si aspettasse, nonostante avesse preso
parte del
pomeriggio proprio per riposarsi. Le corse pazze di quella mattina
l’avevano
sfinita e ora sentiva che gli occhi lottavano per restare aperti.
L’agitazione
se n’era andata da un bel pezzo, da quando aveva incrociato
gli occhi di Thomas
nel salotto di casa sua, lasciandola però spossata.
Rotolò sul fianco in modo
da trovare una posizione più comoda e da poter guardare
Thomas in faccia.
«Spero
che tu non ti offenda
se per caso mi capitasse di addormentarmi»
sospirò, riuscendo appena a scorgere
i suoi occhi nel buio che li circondava.
Lui
ridacchiò prima di
risponderle. «Sono così noioso?»
«No,
ma oggi non ho avuto un
attimo di pace» si lamentò, prima di passarsi una
mano sulla fronte.
«Cosa
ti ha tenuto così
impegnata?» domandò allora, curioso.
«Le
solite cose: spesa,
bollette da pagare, lavatrici da riempire e poi svuotare, rapimenti in
garage…»
Thomas
rise a quella
frecciatina, prima di toccarsi la punta del naso. «Sta per
piovere?» chiese,
sentendo un’altra goccia posarsi sulla sua guancia.
«Credo
di sì» concordò Allie,
mentre sentiva che le sue braccia cominciavano a bagnarsi.
«È
meglio rientrare» disse
Thomas, alzandosi e dirigendosi verso la porta del tetto per accendere
la luce.
In fretta, perché la pioggerella si faceva sempre
più fitta, appallottolarono
la trapunta e raccattarono i cuscini, prima di ritornare
all’asciutto. Scesero
le scale, diretti all’appartamento, mentre Allie cercava di
dare una forma ai
suoi capelli che, a causa dell’acqua, avevano perso la piega
che si era tanto
sudata.
Thomas
entrò in bagno e tornò
con un asciugamano, che le porse mentre posava la coperta su un angolo
del
divano. Allie cominciò a tamponarsi i capelli, guardandolo
sistemare la stanza.
Si era bagnato anche lui, ma questo non sembrava infastidirlo. Aveva
passato
una mano tra i capelli per spingerli indietro e ora avevano assunto una
piega
assurda che gli conferiva un’aria quasi infantile.
Si
avvicinò e, fermatolo,
cercò di sistemarli, rendendosi conto però che
non sembravano propensi a
seguire le sue direttive. Sbuffò, abbassando lo sguardo per
incontrare il suo.
«Arrenditi,
non ci riuscirai
mai» le disse lui, con sicurezza.
«Sono
troppo stanca per
prenderla come una sfida» confessò, dopo averlo
studiato per un attimo.
«Vuoi
che ti porti a casa?»
domandò allora Thomas, sfiorandole il collo con una carezza.
Allie abbassò gli
occhi verso la sua mano, incerta.
Era
effettivamente sfinita ma
non era sicura di volerlo lasciare; inoltre, lui avrebbe potuto
interpretare
male il suo desiderio, sebbene credesse che ormai la conoscesse
abbastanza per
non farlo. Così si limitò a guardarlo, senza
parlare.
«Ti
porto a casa» ripeté,
questa volta con convinzione. Spense la luce della cucina –
sarebbe tornato a
sistemarla il giorno dopo – e
l’accompagnò alla porta, posandole una mano sulla
schiena.
Il
tragitto in auto fu
accompagnato solo dalle canzoni che trasmettevano alla radio, ma questo
silenzio non era pesante, né imbarazzato. Si trovavano in
uno stato di calma,
una tranquillità che non necessitava di parole. Solo quando
erano ormai
arrivati a casa di Allie e Thomas stava per parcheggiare la macchina,
sembrarono risvegliarsi da quel torpore.
«So
che dovrei aspettare i tre
giorni canonici, o perlomeno che tu rientri in casa così da
potermi rifiutare
senza vedere la mia faccia disperata, ma sono stato davvero bene con te
stasera. Mi piacerebbe replicare» disse, guardandola
sorridere alle sue parole.
«Saresti
davvero disperato?»
chiese lei.
«Immensamente»
dichiarò.
«Allora
suppongo di dover
accettare» concordò Allie, ridendo. Si fece seria,
però, notando lo sguardo di
Thomas. La stava fissando e quasi la metteva a disagio. «Che
c’è?» domandò,
mentre lo vedeva tentennare. «Thomas?» lo
chiamò ancora.
«Posso
baciarti?» chiese lui,
incontrando i suoi occhi. Allie sbatté le palpebre,
sorpresa. Non per la
richiesta, sapeva che quel momento sarebbe arrivato, anche se non
credeva
sarebbe stato quel giorno. Ciò che la stupiva era che lui le
stesse chiedendo
il permesso: aveva immaginato che l’avrebbe semplicemente
baciata, senza tante
esitazioni.
Non
pensò nemmeno alla
risposta, si avvicinò lentamente a lui, ricambiando lo
sguardo. Anche se non
aveva detto nulla, Thomas aveva capito. Lui non si mosse lentamente,
anzi: in
un attimo Allie si ritrovò le sua mani attorno al viso e le
sue labbra sulle
sue. Fu un piccolo bacio, dolce, a stampo. Niente di erotico o lascivo,
ma
sufficiente per chiudere nel migliore dei modi quella serata. Per un
attimo
Allie non sentì altro che lui intorno a sé: le
sue mani, il suo profumo, la sua
bocca. I respiri caldi che s’infransero l’uno
contro l’altro quando si
separarono sembravano testimoni di un’unione più
profonda di quel semplice
bacio.
«Ora
vado» mormorò Allie,
passandosi quasi inconsapevolmente la lingua sulle labbra.
Lui
annuì, sussurrandole un
saluto. «Buonanotte.»
«Notte»
ripeté lei, chiudendo la portiera dell’auto.
Thomas
la guardò rientrare, prima di lasciarsi andare contro il
poggiatesta con un sospiro.
Cosa
gli aveva fatto quella ragazza?
La
canzone dei One
Republic citata è “Counting
Stars”.
Thomas ride perché, nel pezzo del brano riportato, cantano
“we’ll be, we’ll
be, counting stars” e
lui ha previsto di terminare la serata sotto le stelle, una coincidenza
che
trova curiosa.
Detto
questo, voglio
ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e
coloro che
l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo
silenziosamente.
Spero
abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Vi
ricordo il gruppo
facebook dove potrete trovare spoiler della storia: Il
diario di Aras
Intanto,
vi lascio
qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.
Nel
giro di qualche secondo, la porta si spalancò. Ora aveva
davanti a sé un ragazzo poco più grande di lei,
con i lineamenti simili a
quelli di Alice.
«Ciao,
posso aiutarti?» le domandò, appoggiandosi allo
stipite.
Allie
gli sorrise. «Sto cercando Alice» lo
informò.
«Posso
chiederti chi sei?» domandò, un po’
confuso. Lei non
comprese subito quell’espressione, ma gli rispose comunque.
«Mi chiamo Allie,
sono una sua amica.» Beh, era solo una mezza bugia. Non erano
propriamente
amiche, ma forse in futuro avrebbero potuto esserlo.
Lui
aggrottò la fronte, come se quella frase non
l’avesse
convinto, ma la invitò comunque a entrare, mentre si
presentava e chiamava la
sorella, che doveva essere al piano di sopra. Si chiamava Nicholas ed
era il
fratello di Alice, come Allie aveva supposto.
Il
prossimo capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì 10
settembre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
cap 4
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo
4
Allie si
svegliò
all’improvviso, sentendo il cellulare squillare
insistentemente. Doveva aver
dimenticato di togliere la suoneria prima di coricarsi.
Allungò la mano verso
il comodino e tastò a vuotò finché non
lo afferrò. «Pronto?» rispose, senza
nemmeno guardare lo schermo. Era ancora mezza addormentata, non sapeva
che ore
fossero ma certo era troppo presto. Avrebbe potuto essere chiunque, non
avrebbe
cambiato il suo tono in ogni caso, che fosse Thomas, sua madre o la
regina.
«Allie!
Come stai? Ti sei
divertita in vacanza?» Allie sospirò, riconoscendo
la voce squillante di sua
zia Claire.
«Sì,
sì, certo» rispose, senza
badare davvero a ciò che diceva. Guardò la
sveglia: erano appena le dieci di
mattina.
«Ma
come, non hai niente da
raccontarmi?» insisté la donna.
«Zia,
mi hai chiamato solo per
chiedermi di Rodi? Stavo dormendo…»
rivelò, sperando di accelerare la
conversazione e poter tornare al suo sonno.
«Oh,
scusa, ti ho svegliata!
In realtà ti ho chiamata per chiederti un favore»
disse. Allie la invitò a
continuare, curiosa per natura com’era. «Domani
riprendo a lavorare e mia
suocera è malata, così non può tenermi
la bambina. Ti andrebbe di occuparti di
Natalie?» chiese, incrociando le dita.
Natalie era la
sua unica
cuginetta, aveva cinque anni e dei folti capelli biondi che la facevano
sembrare un angioletto. In realtà non era poi
così paradisiaca, aveva un
caratterino forte e deciso, era difficile farle accettare un rifiuto ed
era
molto esigente. Nonostante tutto, però, Allie
l’adorava. Era come una sorella
minore, l’unico membro della sua famiglia più
giovane di lei e che aveva quindi
bisogno della sua protezione.
«Certo,
non la vedo da troppo
tempo» acconsentì, sperando di trovarla di buon
umore. Non era sicura di poter
sopportare una giornata intera di urla e capricci.
«Oh,
grazie! Vuoi venire qui
tu o te la porto io? Tanto sono di strada per andare in
ufficio.»
«Allora
portala qui tu, così
siamo sicure che non arrivo in ritardo» rispose, rigirandosi
tra le coperte. Si
accordarono per l’orario: Natalie sarebbe arrivata alle otto
e mezza, quasi in
piena notte insomma. Dopo aver chiuso la chiamata, Allie
sbuffò, affondando la
faccia nel cuscino.
Era un orario
indecente,
troppo presto per una ragazza in vacanza, certo troppo presto per una
bambina:
se avesse dormito più a lungo, sarebbe stata più
riposata e magari anche più
calma.
Ora che si era
svegliata,
tuttavia, Allie non riusciva più ad addormentarsi. Si
ritrovò a pensare a
Thomas, alle ore che avevano passato insieme, al bacio di quella notte.
Nonostante per
lei fosse
ancora presto, lui probabilmente stava già facendo la sua
corsetta mattutina.
Rotolò finché non riuscì a vedere la
scrivania e fissò il tulipano che, prima
di infilarsi a letto, ci aveva posato sopra. Stava già
appassendo, colpa della
sua stanchezza: avrebbe dovuto metterlo subito in acqua una volta
rientrata in
casa, ma se n’era dimenticata. Avrebbe provato a salvarlo
più tardi, anche se
dubitava che ci fosse qualche speranza.
Ricordando quei
momenti
insieme, si rese conto che la serata era andata benissimo, a dispetto
dei
numerosi imprevisti che erano pervenuti. Thomas si era evidentemente
sforzato
di risolvere ogni problema e Allie aveva ammirato questa sua costanza,
sempre
più sicura che una storia tra di loro avrebbe potuto
funzionare.
La sua
immaginazione stava
galoppando: non era da lei fare simili progetti dopo un misero
appuntamento, ma
dopotutto conosceva Thomas da quand’era una bambina, era
quasi cresciuta
insieme a lui e aveva imparato a conoscerlo sempre meglio.
Allie si
stiracchiò e si
decise ad alzarsi. Entrò in bagno e non si guardò
nemmeno allo specchio, prese
subito una bella dose di sapone e iniziò a lavarsi la
faccia. Quando Thomas
l’aveva riportata a casa era decisamente troppo stanca e
scombussolata da quel
bacio per struccarsi, così si era spogliata e si era
infilata subito a letto,
addormentandosi in un istante. Aveva un trucco leggero, certo, ma
questo non le
aveva mai impedito di svegliarsi con delle striature nere sulla pelle
intorno
agli occhi. Si raccolse i capelli in una coda e scese a fare colazione:
la casa
era deserta anche quel giorno. Aprì il frigorifero per
prendere il cartone del
latte, ma si rese conto che era stato finito. Sbuffò e
optò allora per un succo
di frutta e qualche fetta biscottata, ma mentre lo stava versando in un
bicchiere il suo sguardo s’imbatté sulla data di
scadenza. A causa della
fretta, ieri aveva preso un prodotto scaduto. Fantastico.
Gettò il liquido nel
rubinetto e risalì le scale. Se a casa non c’era
nulla di commestibile, avrebbe
fatto colazione al bar.
Mentre si
cambiava, un’idea si
presentò alla sua mente come un’illuminazione.
Avrebbe potuto cogliere
l’occasione per incontrare Alice.
Afferrò
il cellulare per
chiamarla, ma mentre stava per selezionare il numero si rese conto che,
dato il
suo comportamento del giorno precedente, avrebbe probabilmente ricevuto
un
rifiuto. Non volendo accettare tale possibilità, decise di
presentarsi a casa
sua.
Vi era stata una
sola volta,
qualche anno prima, per un progetto di gruppo, ma ricordava
perfettamente dove
si trovasse. S’infilò le scarpe, prese la borsa e
le chiavi dell’auto e uscì di
casa. Nonostante non si fossero mai frequentate, le due ragazze
abitavano
appena a cinque minuti di distanza, così Allie non avrebbe
nemmeno dovuto
rischiare un viaggio a vuoto. Parcheggiò la macchina di
fronte casa e si
apprestò a suonare il citofono. Si rese conto,
però, che il cancello era
aperto: così entrò in giardino e suonò
il campanello vicino all’ingresso.
Nel giro di
qualche secondo,
la porta si spalancò. Ora aveva davanti a sé un
ragazzo poco più grande di lei,
con i lineamenti simili a quelli di Alice.
«Ciao,
posso aiutarti?» le
domandò, appoggiandosi allo stipite.
Allie gli
sorrise. «Sto
cercando Alice» lo informò.
«Posso
chiederti chi sei?»
domandò, un po’ confuso. Lei non comprese subito
quell’espressione, ma gli rispose
comunque. «Mi chiamo Allie, sono una sua amica.»
Beh, era solo una mezza bugia.
Non erano propriamente amiche, ma forse in futuro avrebbero potuto
esserlo.
Lui
aggrottò la fronte, come
se quella frase non l’avesse convinto, ma la
invitò comunque a entrare, mentre
si presentava e chiamava la sorella, che doveva essere al piano di
sopra. Si
chiamava Nicholas ed era il fratello di Alice, come Allie aveva
supposto.
La ragazza scese
le scale con
calma, bloccandosi sull’ultimo gradino quando vide chi aveva
di fronte.
«Ciao,
Alice. Scusa se sono
piombata qui senza preavviso, ma mi chiedevo se ti va di andare a fare
una
passeggiata. Mi devi un caffè, ricordi?»
domandò, guardandola negli occhi.
Occhi che sembravano quasi spauriti, nascosti dietro quegli occhiali
che li
facevano apparire più piccoli di quanto fossero.
Lei
tentennò, lanciando uno
sguardo veloce al fratello che, da dietro le spalle di Allie, la
osservava in
silenzio. «Stavo pulendo le camere da letto» disse,
mordendosi il labbro
inferiore.
«Puoi
continuare quando torni,
non è mica urgente» s’intromise Nicholas.
Allie si
trattenne dal
voltarsi, colta di sorpresa. Forse quello sguardo dubbioso quando le
aveva
detto di essere un’amica di Alice era dettato dal fatto che
raramente qualcuno
si presentava in quel modo: un pensiero triste.
«Allora?»
insisté, sperando di
vincerla. Lei non sembrava molto propensa ad accontentarla, ma alla
fine annuì,
avvicinandosi a lei. Probabilmente era stata l’intromissione
del fratello a
convincerla.
Alice
aprì la porta, salutando
con un gesto Nicholas, mentre Allie gli rivolse un altro sorriso, pieno
di
gratitudine, e la seguì. Cominciarono a camminare verso il
centro, in silenzio.
Allie pensò a un argomento neutro con cui iniziare la
conversazione, avendo
capito che non sarebbe stata la sua compagna a parlare per prima.
«Poi
ci dobbiamo fermare in un
bar: a casa non avevo nulla per far colazione»
l’avvisò, prima di decidersi a
farle una domanda. «Allora, cosa farai adesso che il liceo
è finito?»
Alice non le
rispose subito,
tanto che Allie iniziò a dubitare che i suoi tentativi di
stringere amicizia
con quella ragazza sarebbero andati a buon fine. Poi, quando stava per
perdere
le speranze, lei parlò. Una risposta breve e concisa, ma pur
sempre una
risposta. «Sono riuscita a entrare alla facoltà di
archeologia.»
Allie ne rimase
sorpresa: era
una scelta davvero singolare e prestigiosa. «Wow,
complimenti! Come mai hai
scelto questa strada?» chiese, curiosa.
Anche questa
volta, Alice
esitò. Allie ancora non riusciva a comprendere il suo
problema, non capiva
quanto a fondo fosse radicata quella timidezza.
Alice era sempre
stata la più
introversa della classe, sin dalle elementari. Non riusciva a sentirsi
a suo
agio con gli estranei, spesso nemmeno con le persone che conosceva
meglio. Trovarsi in
una situazione nuova era
un’esperienza spaventosa per Alice,
l’impossibilità di avere sotto controllo
ogni istante la faceva entrare in crisi.
Tutti la
credevano un’asociale
e non avevano torto. Alice odiava stare in mezzo alla gente, preferiva
rinchiudersi in camera e stare sola, lontana dai giudizi e dalle
derisioni.
Lei non era mai
stata
abbastanza bella, abbastanza simpatica, abbastanza solare, abbastanza
normale.
Da quando aveva memoria, ricordava solo gli sguardi divertiti e
talvolta
frustrati della gente, al suo passaggio. Non riusciva a capire come gli
altri
riuscissero a conversare senza conoscersi: come potevano essere certi
di non
annoiare i loro compagni, di non risultare saccenti o frivoli?
Lei aveva sempre
avuto paura
di dire la cosa sbagliata, di avere un tono di voce troppo acuto o
troppo
smorzato, di uscirsene con una stupidaggine. Così aveva
sempre optato per il
silenzio.
Ma nessuno la
capiva, nessuno
comprendeva l’assenza di fiducia in se stessa che aveva
sempre caratterizzato
la sua vita. Tutti avevano sempre approfittato di questo suo carattere
introverso: negare un favore le era impossibile, avrebbe dovuto
spiegare la sua
scelta. Così cedeva sempre, in ogni campo.
Quante volte i
suoi compagni
di classe l’avevano sfruttata, copiando i suoi compiti o
rubandole matita e
gomma?
Quante volte
aveva dovuto
consegnare loro la merenda, incapace di opporsi?
Quante volte
aveva passato la
ricreazione chiusa in bagno, per non farsi vedere sola in un angolo del
cortile?
Quante volte
aveva sognato il
momento in cui avrebbe iniziato il liceo, per allontanarsi da loro?
Ogni volta che
la sua vita
subiva una svolta, tuttavia, la sua situazione non mutava. Nessuno si
interessava a lei, pochissime persone l’avevano trattata con
gentilezza.
Per questo era
rimasta
sorpresa dal ritorno di Allie nella sua vita. Lei era stata una delle
poche
persone che non l’aveva mai derisa o considerata inferiore,
ma non l’aveva
nemmeno conosciuta bene. Non capiva perché ora si fosse
interessata a lei,
perché la cercasse con insistenza e le porgesse quelle
domande.
Fece un respiro
profondo,
cercando di non darlo a vedere, e si decise a risponderle. Non voleva
apparire
sciocca anche in quel momento.
«Perché
mi ha sempre interessato
il passato e soprattutto il lavoro di coloro che scoprono il passato.
È un
compito difficile ma estremamente gratificante.» In
realtà c’era anche un altro
motivo, ma non lo disse ad alta voce. Era un lavoro che implicava il
contatto
con oggetti o esseri non più in vita, che non potevano
metterla a disagio, che
le permettevano di restare in controllo.
Allie
annuì a
quell’affermazione. «Vorrei avere la tua sicurezza,
io non ho idea di cosa farò
tra un’ora, figuriamoci nel futuro»
sospirò.
Senza rendersene
conto, Alice
si lasciò scappare un risolino. La
sua
sicurezza?
Allie la
guardò interrogativa,
senza capire perché avesse avuto una simile reazione.
«Che ho detto?»
«Nulla»
rispose la ragazza,
scuotendo il capo, prima di fermarsi davanti a un bar.
«Qui?» domandò.
Allie
annuì e si accomodò a un
tavolino, posando la borsa accanto a sé. Cercò
con lo sguardo il cameriere che,
avendole viste, si stava avvicinando. «Cosa vi
porto?» domandò, estraendo un
taccuino e una penna dalla tasca del grembiule.
«Un
cappuccino e una pasta
alla crema» disse Allie, aspettando che anche Alice parlasse.
«Un
succo di frutta.»
Il ragazzo se ne andò,
dopo
aver preso nota dei loro ordini, lasciandole sole. Allie stava per
domandarle
qualcos’altro del suo piano di studi, dato che entrambe era
appassionate di
storia forse avrebbero avuto qualcosa di cui discutere, quando il bip
del
cellullare l’avvisò dell’arrivo di un
sms. Era Thomas.
Buongiorno,
bellissima. Sei sveglia?
Allie sorrise alla vista di
quelle poche parole. Non si era sorpresa del fatto che lui la stesse
già
cercando, aveva dato prova di essere estremamente impaziente da
quand’era
tornata.
Buongiorno.
Sono sveglia, sì, anche se non per mia scelta.
Premette Invio
e sollevò lo sguardo, trovando Alice che la fissava
incuriosita.
Non appena i loro occhi si incontrarono, la ragazzo abbassò
i suoi sul tavolo.
«Scusa» disse
Allie, posando
il telefono davanti a sé e sorridendo al cameriere che era
tornato con i loro
ordini. Stava versando lo zucchero nella tazzina quando
sentì un altro bip. La
sua mano, come se fosse libera dal suo controllo, corse ad aprire il
messaggio.
«Ieri sera sono uscita
con un
ragazzo» affermò, guardando Alice. «Si
sta assicurando che sia ancora viva»
scherzò, prima di leggere il messaggio.
Chi ha
osato svegliarti?
Credevo
non ti saresti alzata prima
dell’ora di pranzo, dato com’eri stanca ieri sera.
Questa
notte,
lo corresse mentalmente Allie, con un risolino.
Mia zia
ha chiamato. Sono in centro con un’amica, possiamo parlare
più
tardi?
Si sentiva in colpa a
lasciarsi distrarre dal telefono quando aveva quasi costretto Alice a
uscire
con lei, così cercò di liquidarlo, nonostante una
parte di sé volesse
continuare a parlare con lui.
«Solo un
secondo» l’avvisò,
alzando un dito. La sua risposta non si fece attendere.
D’accordo.
Divertiti, mentre io tento (e fallisco) di studiare per
l’esame.
Con un ultimo sorriso, Allie
rimise il telefono in borsa e posò gli occhi sulla ragazza
che aveva di fronte.
Nonostante i suoi tentativi di nasconderlo, poteva vedere che era
interessata a
quel nuovo sviluppo.
«È il fratello
di Dafne»
rivelò, osservando la sua reazione.
Alice spalancò gli
occhi,
sorpresa: i parenti delle amiche non erano off-limits? Lei non aveva
alcuna
esperienza in fatto di ragazzi, ma ricordava i discorsi che aveva
sentito a
scuola riguardo i limiti da non superare alla ricerca
dell’uomo perfetto. Ma
non era solo questo a stupirla: il fatto che Allie si stesse
confessando con
lei era inaspettato. Non capiva il suo interesse nei suoi confronti,
anche se
poteva pensare che fosse semplicemente curiosa di come fosse la vita
per una
persona asociale com’era lei; non immaginava che avrebbe
condiviso le sue
confidenze.
«La nostra compagna di
classe?» domandò, ritenendo che forse aveva capito
male.
Allie però
annuì, addentando
la pasta.
«Oh, a proposito! Dafne
ti
saluta.»
«Davvero?»
Alice non poté
trattenersi dall’emettere quell’esclamazione
stupita, anche se solo a mezza
voce.
«Certo»
mentì Allie. Beh, non
le aveva detto di salutarla davvero, ma era certa che
l’avrebbe fatto se avesse
saputo che sarebbero uscite insieme. Aveva notato la sua espressione il
giorno
prima, quando le aveva raccontato del loro scontro al supermercato.
Allie finì di bere il
cappuccino e, notando che anche la sua compagna aveva svuotato il
bicchiere,
andò a pagare. I tentativi di Alice di dividere il conto,
per quanto misero,
andarono a vuoto. Allie insisté nell’offrire
tutto, dato che l’aveva trascinata
fuori di casa senza preavviso. Poté notare, in
quell’occasione, che la
resistenza di Alice le permetteva di tirar fuori la voce che altrimenti
restava
spesso inudita.
| { |
Mentre le due ragazze stavano
tornando indietro, Allie si
mise a imitare l’isterica professoressa di matematica che le
aveva accompagnate
per i cinque anni precedenti e Alice, nonostante la timidezza, non
poté fare a
meno di ridere.
Una risata che però
cessò
presto, interrotta dalle sue continue paranoie.
Allie si stava dimostrando
molto amichevole, troppo amichevole. Non era abituata a essere
considerata in
quel modo da qualcuno di estraneo alla sua famiglia e, dopo tutti gli
scherzi
subiti nel corso degli anni, non riusciva a credere che le sue
intenzioni
fossero completamente buone.
Le dispiaceva non riuscire a
fidarsi delle persone, ma aveva imparato nel modo peggiore che
fidandosi troppo
si finisce solo per ferirsi.
Allie notò
quell’ennesimo
cambiamento d’umore e, dato che ormai mancavano poche
centinaia di metri alla
casa della ragazza, si decise ad affrontarla.
Sapeva che correva il rischio
di spaventarla, ma aveva bisogno di essere onesta con lei. Si
fermò,
costringendola a fare lo stesso, e senza staccare lo sguardo dal suo
cominciò a
parlare.
«So che non siamo mai
state
molto unite in passato, Alice, e mi dispiace. Mi dispiace
perché mi sono resa
conto che in questi cinque anni che abbiamo condiviso avremmo potuto
frequentarci ed essere amiche. So che in gran parte è colpa
mia, perché ho
avuto varie possibilità di coinvolgerti nella mia vita e di
entrare nella tua e
le ho sprecate; non mi sono resa conto che siamo sempre state solo
conoscenti.
Solo ieri ho capito il mio errore e vorrei rimediare: vorrei che
fossimo
amiche. Dopotutto, siamo vicine di casa e sono certa che avremmo
un’infinità di
cose da dirci se solo iniziassimo a parlare davvero. Allora, vuoi
essere mia
amica?» concluse con un sorriso, ma trattenendo dentro di
sé il respiro.
Alice era rimasta a fissarla
con gli occhi spalancati, quasi scioccata da quelle parole inaspettate.
Per un
attimo Allie temette che sarebbe scappata via, tanto sembrava
spaventata. Poi
la vide annuire.
Era stato un breve movimento
del capo, Alice quasi non si era resa conto di aver accettato
quell’assurda
proposta. Ancora non capiva perché lei volesse essere sua
amica.
«Guarda che sono
seria»
l’avvertì Allie, che aveva notato la sua
insicurezza.
«Perché?»
domandò
semplicemente.
«Perché
no?» replicò lei.
«Cos’abbiamo da perdere?»
Ridotta al silenzio, Alice
ricominciò a camminare verso casa. Era certa che Allie si
sarebbe pentita di
quella scelta una volta capito quanto noiosa e banale fosse la sua
vita. In
pochi minuti arrivarono all’ingresso e Allie si
preparò a salutare, quando
Nicholas comparve all’improvviso.
«Oh, siete
tornate!» esclamò.
«Alice, nostra madre ti stava cercando, ha detto di
raggiungerla appena torni
perché è urgente» la
informò, sedendosi su una poltroncina da giardino.
Lei annuì e
salutò Allie con
un «Allora, ciao» più forte del solito
prima di rientrare in casa. Allie fece
per voltarsi e andare alla macchina, quando il ragazzo la
bloccò.
«Sei un angelo per
caso?» le
domandò, fissandola.
«Cosa?» Allie
lo guardò
stupita, pensando che forse aveva sentito male.
«Sei un
angelo?» ripeté lui,
togliendole ogni dubbio. Faceva sul serio. Ci stava provando.
«Non mi
risulta» rispose,
cercando di andarsene ma senza riuscirci. Lui le stava ancora parlando
e non
voleva essere sgarbata, allontanandosi senza considerazione.
«Sicura?»
insisté. «Quando hai
detto di essere un’amica di Alice quasi non ci credevo. Non
ha molti amici, o
perlomeno nessuno che io conosca. Non sarai il suo angelo
custode?»
Allie dovette ammettere che
quell’ipotesi le piaceva, nonostante arrivasse da un ragazzo
che le faceva il
filo. Così scosse il capo, risoluta ad andarsene.
«Se così
fosse, lo verrei a
dire a te?»
«Se vuoi, puoi prenderti
cura
anche di me» le offrì, alzandosi con un sorriso
pieno di sottintesi.
Questa volta non rispose
nemmeno, si limitò a salutare con la mano mentre si
avvicinava all’auto.
Da non credere.
Com’è che
Alice, timida e riservata, aveva un fratello così spigliato?
| { |
Una volta arrivata a casa,
Allie si affrettò a ripescare il cellulare dalla borsa e a
digitare un sms
diretto a Thomas.
Come va
lo studio?
Si stese sul divano e,
afferrato il telecomando, si mise a cercare qualcosa di interessante.
Impresa
ardua in piena estate.
Potrebbe
andare meglio. Sono troppo distratto…
Allie sorrise: poteva capire
che genere di distrazione avesse. Ora che era di nuovo sola, anche lei
si
ritrovava in balia dei ricordi della sera precedente e, soprattutto,
del bacio.
Se un contatto tanto delicato poteva farla sentire così,
cos’avrebbe provato
con un bacio più passionale? O con un altro genere di
approccio? Meglio non
pensarci.
Quali
sono questi pensieri assillanti che t’impediscono di
concentrarti?
Allie alzò il volume del
televisore: aveva trovato un documentario su Maria Antonietta. La
qualità delle
immagini suggeriva l’idea che fosse vecchiotto e il soggetto
non era dei suoi
preferiti, ma in mancanza di alternative migliori si
accontentò.
Sicura
di volerli sapere? Non vorrei corromperti l’anima!
Allie rise. Questo era molto
più interessante della defunta regina di Francia.
Temo che
la mia anima non sia più così pura come un tempo:
il mio
peggior difetto è la curiosità e, anche in questo
momento, comanda lei.
Era vero. Era troppo curiosa
e, prima o poi, quella sua caratteristica le si sarebbe ritorta contro,
ma in
quel momento non le importava.
In
questo caso… Credo di aver fatto un sogno questa notte, un
sogno
veramente bello. Non ricordo bene dove fossi, non era il luogo
l’importante.
Era buio, o forse ero io ad avere gli occhi chiusi… Non
potendo vedere, gli
altri miei sensi erano più forti. Ricordo di aver sentito
caldo, ma non un’afa
soffocante, piuttosto come il tepore del sole al tramonto. Ricordo un
profumo
dolce e indefinito che m’inebriava e un tocco soffice e
delicato… Cosa credi
che significhi questo sogno?
Allie si
scoprì a trattenere
il respiro mentre leggeva, rapita da quelle parole. Si rese conto anche
di
essere arrossita. Lei non arrossiva mai.
Buongiorno!
Voglio
ringraziare
coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che
l’hanno
recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.
Spero
abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto,
vi lascio
qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.
«Com’è
andata la tua sessione di studio?»
«Abbastanza producente, anche se ogni tanto tendevo a
distrarmi» rivelò, avvicinandosi appena a lei.
«Forse dovresti prendere del… come si chiama
quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione?»
«Fosforo?» ipotizzò Thomas.
«Non credo sarebbe utile nel mio caso.»
«No?» lo stuzzicò lei, sorridendo.
Lui scosse la testa. «Avrei bisogno di qualcosa di
più… umano» disse, mentre le posava una
mano sul collo con un tocco delicato. Allie abbassò appena
gli occhi, osservando la misera distanza che li separava e avvertendo
il calore della sua pelle irradiarsi in lei.
Il
prossimo capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì
17 settembre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
cap 4
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 5
Quando la sveglia si era messa
a suonare, alle otto di mattina, Allie fu tentata di gettarla contro il
muro.
Non lo fece solo perché sapeva che poi sarebbe toccato a lei
raccoglierne i
pezzi. Sbuffando, si era alzata dal letto e aveva cominciato a
prepararsi per
la giornata. Avrebbe dovuto badare a Natalie, la sua cuginetta,
finché sua zia
era al lavoro: si trattava solo di poche ore, dato che la donna aveva
un
contratto part-time da quando era nata la bambina.
Allie si era già messa
d’accordo con Dafne per passare la mattinata al parco: la
piccola avrebbe
potuto giocare anche con gli altri bambini, dando quindi ad Allie una
maggiore
libertà, e le due ragazze avrebbero avuto il tempo di
parlare. Dafne aveva
accettato, decidendo di approfittarne anche per far pratica con la
nuova
macchina fotografica che le avevano dato a lavoro.
Alle otto e mezza, puntuale
come sempre, la macchina di sua zia Claire si fermò davanti
casa e, non appena
la donna aprì la porta posteriore, una bimba si
slanciò fuori e corse verso Allie, che si era fermata
sotto la veranda. La prese al volò e se la tirò
in braccio, mentre lei le dava
due baci appiccicosi sulle guance.
«Ciao, Natalie»
la salutò,
stringendola meglio. Ormai aveva cinque anni ed era diventata pesante,
non
sarebbe riuscita a sostenerla ancora a lungo.
«Cosa facciamo
oggi?» le
domandò subito lei mentre le passava le braccia intorno al
collo.
Allie rise a
quell’esuberanza
e le promise che si sarebbe divertita, senza svelarle nulla,
alimentando quindi
la sua insistenza.
«Natalie, scendi da Allie
e
vieni a darmi un bacio, su» la chiamò la madre che
aveva osservato la scena
divertita. La piccola obbedì e Allie si ritrovò a
sperare che mantenesse quel
comportamento per tutta la giornata.
«Grazie ancora, Allie. Io
finisco all’una, la passo a prendere più
tardi» l’avvertì.
Lei annuì, mentre sua
zia
staccava il seggiolino dal sedile posteriore e lo posava a terra,
cosicché
potesse servirsene Allie. Poi risalì in auto, salutando
ancora una volta la
figlia prima di mettere in moto e dirigersi al lavoro.
«Cosa
facciamo?» domandò
Natalie, attaccandosi a sua cugina.
«Fammi prendere la borsa
e poi
andiamo, okay?»
Di corsa, perché la
bambina si
era fatta impaziente, Allie raccattò portafoglio, telefono,
occhiali da sole e
mise tutto in borsa, poi si accinse a fissare il seggiolino. Era
un’impresa più
difficile di quanto si aspettasse e solo grazie all’aiuto di
Natalie, che da
piccola grande esperta la guidava nei movimenti, riuscì
nell’intento. Si
allacciò le cinghie da sola, mentre Allie la controllava
dallo specchietto
retrovisore.
Una volta pronte, Allie
partì
in direzione della casa di Dafne. Avrebbe dovuto passare a prenderla
dieci
minuti prima, ma quel piccolo ritardo non era nulla in confronto alle
sue
abitudini. Dafne uscì
non
appena sentì l’auto fermarsi davanti casa sua e si
accomodò sul sedile del
passeggero.
«Ciao» la
salutò, baciandole
la guancia sinistra. «Questo invece non è da parte
mia» disse, baciandole anche
quella destra.
Allie sorrise, ricambiando il
saluto e parlando a Natalie che le osservava con attenzione.
«Questa è la mia
amica Dafne, passerà la giornata con noi.»
«Ciao, Natalie»
la salutò lei.
«Ma come sei carina! Quanti anni hai?»
domandò, sfiorando con la mano la tuta
colorata che indossava.
«Cinque, ma tra poco ne
compio
sei» la informò orgogliosa, mostrandole una manina
aperta.
«Hai qualcosa da
raccontarmi?»
chiese Allie all’amica, inserendo nella radio un cd di musica
per bambini che
aveva scaricato appositamente per quel momento.
«Tipo?»
«Hai qualche
novità?» insisté,
senza parlare esplicitamente. Questa volta Dafne capì dove
voleva andare a
parare e sbuffò, incrociando le braccia e guardando fuori
dal finestrino.
Odiava quando la gente intorno a lei sembrava camminare in punta di
piedi,
sperando di non far rumore e non guastare il suo equilibrio.
«Siamo tornate da pochi
giorni: no, non ho dimenticato Michael; no, non ho trovato un
rimpiazzo; no,
non ho intenzione di prendere l’aereo e tornare da lui e no,
non ho ancora
preparato il mio epitaffio» rispose scocciata.
«Okay, scusa, non lo
chiederò
più.» Allie parcheggiò l’auto
e alzò le mani in segno di resa, guardando l’amica negli occhi.
Il parco che aveva scelto si
trovava a poche centinaia di metri dalla casa di Dafne ed era corredato
di
scivoli, altalene, trenini e ogni tipo di giostre per bambini. Al suo
interno,
infatti, si scorgevano solo mamme o babysitter intente a controllare i
piccoli
che giocavano e, talvolta, qualche anziano che ricordava i vecchi
tempi. Non
c’era nessuno della loro età, non era certo un
luogo frequentato da ventenni.
Ad Allie, tuttavia, piaceva molto. Nonostante gli schiamazzi e le crisi
di
pianto continue, o forse proprio per quello, lo trovava un luogo
allegro e
pieno di vita.
Aiutò Natalie a scendere
e la
lasciò correre verso lo scivolo, dove una fila di bambini
stava già aspettando
il suo turno, raccomandandole di non correre lontano. Lei e Dafne si
sedettero
su una panchina, in silenzio.
Mentre estraeva la macchina
fotografica dalla borsa e, puntandola in alto verso le fronde degli
alberi, la
regolava, Dafne disse: «Mi è stato detto di
riferire quando mi porti a casa,
perché a quanto pare c’è qualcuno che
vuole vederti.»
Allie sorrise, approfondendo
l’argomento, curiosa. «Ti ha raccontato qualcosa
dell’altra sera?»
Dafne scosse il capo. «Ti
aspettavo da me ieri e certo non credevo che le tue prime parole di
oggi
sarebbero state per Michael, non quando tu hai chiaramente qualcosa di
più
interessante da condividere.»
«È stato un
appuntamento
migliore di quanto immaginassi» rivelò Allie.
«Perché non
avevi grandi
aspettative o perché è stato veramente
sorprendente?»
«La seconda. Diciamo che
è
stato bravo a risolvere tutte le complicazioni che sono spuntate
fuori.»
«Cioè?»
«Beh, innanzitutto ha
sbagliato a leggere gli orari del cinema, così abbiamo perso
lo spettacolo. Poi
è anche cominciato a piovere mentre eravamo sul tetto, ma
non è stata una
grande tragedia» raccontò.
«E quindi che avete
fatto?»
domandò Dafne, curiosa di sapere come si fosse comportato
suo fratello.
«Abbiamo visto Il
discorso del
re in un appartamento di non-so-chi e, dopo mangiato, siamo saliti sul
tetto a
guardare le stelle.»
«E…»
la incoraggiò, desiderosa
di sapere come si fosse conclusa la serata. Dopotutto,
l’essere soli sotto un
cielo stellato era un momento alquanto romantico.
«E?»
«Vi siete
baciati?»
Allie rise e annuì.
«Non credo
tu voglia sapere i dettagli, ma è stato un bacio dolce,
quasi casto, in
macchina prima di rientrare a casa» le disse, osservando la sua reazione.
Dafne sorrise, felice per
l’amica e il fratello che sembrava finalmente essersi reso
conto dei suoi
sentimenti.
*
* *
«Cos’hai fatto
ieri, quindi?»
chiese Dafne, puntandole la macchinetta addosso.
«Oh, giusto! Volevo
parlartene. Sono uscita con Alice» riferì,
sorridendo all’obiettivo.
«Davvero?
Com’è andata?»
«È
stato… strano» disse,
indecisa. Non era ancora riuscita a dare un nome alle sensazioni che
aveva
provato quand’era con lei. «È timida e
riservata, non crede in se stessa e
sembrava non capire perché fossi lì. Quando le ho
detto che volevo essere sua
amica è rimasta quasi scioccata»
raccontò.
«Hai intenzione di
rivederla?»
«Certo. Sarebbe ipocrita
da
parte mia scomparire dopo ciò che le ho detto, no?»
«Posso venire
anch’io?» le
domandò. Voleva far parte di quella sua iniziativa volta ad
aiutare Alice, era
convinta che sarebbe riuscita a capirla più di quanto non
potesse fare Allie.
Senza nulla togliere alla sua amica, era stata lei a trovarsi in una
situazione
simile in passato, mentre Allie era sempre stata forte e solare, desiderosa di
vivere e gioire.
«Non devi neanche
chiederlo»
le rispose Allie. «Anche se credo che si
sconvolgerà a vederci insieme?»
«Perché?»
Loro due erano
grandi amiche da quand’erano appena ragazzine, tutti lo
sapevano e sicuramente
anche ad Alice non era sfuggito. Perché avrebbe dovuto
sorprendersi?
«Le ho detto che sono
uscita
con tuo fratello e aveva un’espressione talmente sbigottita
che pareva avessi
ucciso qualcuno. Magari pensa che, dati questi sviluppi, il nostro
rapporto si
sia incrinato» le raccontò, stringendosi nelle
spalle.
«Che
sciocchezza!» esclamò
Dafne, prima di rendersi conto di quanto le aveva detto.
«Aspetta, hai
raccontato dell’appuntamento prima a lei che a me?»
domandò, quasi offesa.
Sentiva di avere la precedenza
su una notizia simile, data la loro amicizia di lunga data e il suo
rapporto
con entrambi.
«Non è colpa mia!» si difese Allie.
«Mi ha
scritto mentre ero con lei, che dovevo fare?»
Prima che Dafne avesse il
tempo di replicare, Allie lanciò un grido. Si era voltata
solo per un momento
per osservare la reazione di Dafne e ora che aveva posato nuovamente
gli occhi
sulla piccola Natalie la vide spingere a terra un bambino. Non sembrava
essere
una spintarella leggera, non faceva parte di un gioco: era un atto
dettato
dall’irritazione che si poteva chiaramente leggere sul viso
della bambina.
Rimase lì a fissarlo dall’alto al basso, con le
manine sui fianchi e il volto
spazientito, mentre Allie la raggiungeva.
«Natalie!» la
sgridò. «Perché
l’hai fatto?» domandò mentre aiutava il
bambino a rialzarsi e gli puliva i
vestiti, assicurandosi che non si fosse fatto male.
«È
cattivo» sbottò lei, mentre
lui protestava agitando le mani. Allie si guardò intorno,
alla ricerca della
mamma del bambino. Vide una signora venire nella loro direzione con
passo
affaticato, probabilmente a causa del pancione.
«Come ti
chiami?» gli domandò,
posandogli una mano sul braccio e stringendo quella di Natalie non
l’altra.
«Victor» disse
lui. «E non
sono cattivo!»
«Sono sicura che non lo
sei»
lo rassicurò, prima di rivolgersi a Natalie e chiederle cosa
avesse fatto di
preciso per indispettirla.
«Mi ha dato un bacio come
fanno i grandi» urlò la bambina, passandosi una
mano sulla bocca. «Non può
farlo, lui non è grande!»
«Neanche tu!»
rimbeccò lui.
Allie non poté
trattenersi e
scoppiò a ridere, divertita. In quel momento anche la madre
di Victor li
raggiunse e volle informarsi di cosa fosse successo. Allie le
raccontò la
vicenda, scambiando un sorriso con quella donna.
«Natalie, Victor non
voleva
mica farti male. Ti ha dato un bacio perché pensa che sei
una bella bambina»
tentò di spiegare.
«No, mi ha spinto, non
è più
bella!» protestò lui, subito interrotto dalla
madre che lo ammonì per la sua
impulsività.
Allie scosse il capo, cercando
di far ragionare la cuginetta che non voleva saperne di scusarsi e che
non
sembrava credere alle sue parole. Solo dopo non meno di cinque minuti
le due
donne riuscirono a far sì che smettessero di guardarsi in
cagnesco e li
lasciarono correre via, per poi notare che, poco dopo, erano nuovamente
insieme,
questa volta in un clima più pacifico.
Mentre tornava da Dafne, che
l’aveva aspettata sulla panchina, li osservò
ridere insieme sull’altalena. Si
scoprì a pensare che quello a cui aveva appena testimoniato
sembrava lo
sviluppo, a incredibile rapidità, del rapporto che
l’aveva unita a Thomas nel
corso degli anni.
* * *
Allie stava lavando il piatto
su cui aveva mangiato Natalie, mentre la bambina guardava un cartone
animato
alla televisione e Dafne controllava le foto che aveva fatto quella
mattina. A
quanto pare, la sua presenza era richiesta altrove per pranzo e certo lei non
si era fatta
pregare. Non amava cucinare, preparare la pasta per Natalie era stata
un’esercitazione più che sufficiente. La madre di
Dafne e Thomas, invece, era
una cuoca provetta e, come se non bastasse, avrebbe avuto una scusa per
rivedere lui senza insospettire nessuno.
Aveva appena finito di
sciacquare le posate quando il campanello di casa suonò e,
asciugandosi le
mani, si diresse alla porta. Sua zia era davanti a lei, un
po’ in anticipo in
realtà. Allie la fece entrare, posando
l’asciugamano su un mobile e
conducendola in salotto, dove si trovava sua figlia. Convincerla a
tornare a
casa non fu semplice: voleva continuare a guardare la televisione e poi
tornare
al parco, indifferente alle insistenze della madre. Dato che le sue
proteste
non venivano accolte, Natalie cominciò a piagnucolare, con
il solo risultato
che Claire s’irritò ulteriormente e
uscì di casa. Aveva in mente di spostare il
seggiolino che aveva lasciato ad Allie sulla sua auto, ma era anche
consapevole
che sua figlia doveva aver pensato che volesse andarsene. Un attimo
dopo,
infatti, se la ritrovò attaccata alle gambe, ancora in
lacrime.
Osservando quella scena, Allie
ebbe l'ennesima prova che la piccola aveva
sicuramente
ereditato quel suo caratterino irascibile dalla madre. Quando la
macchina si fu
allontanata, Allie tornò in casa e si sedette accanto a
Dafne che si sporse a
mostrarle una foto.
Erano Natalie e Victor
sull’altalena, rivolti l’uno verso
l’altro e con la risata sulle labbra.
«Sono carini»
commentò.
«Molto»
concordò Dafne. «Te ne
stamperò una copia quando vado in ufficio»
promise, prima di alzarsi.
«Andiamo?»
Allie annuì, prima di
chiudersi un attimo in bagno per darsi una sistemata. Niente di
speciale,
voleva solo assicurarsi di avere un aspetto dignitoso prima di vedere
Thomas.
Scosse la testa, guardando l’immagine che lo specchio le
trasmetteva: una
giovane donna che era sempre stata fiera e sicura di sé e
che ora si ritrovava
con gli occhi lucidi e le guance spruzzate di rosso al ricordo di un
bacio. Si
lavò le mani e si decise a uscire.
Il tragitto in auto
iniziò con
uno strano silenzio a cui nessuna delle due era abituata:
quand’erano insieme
trovavano sempre qualcosa di cui parlare, per quanto banali potessero
essere
gli argomenti. Quel silenzio non era causato da un vuoto mentale che
impediva
loro di discutere di un qualsivoglia soggetto, quanto piuttosto dal
fatto che
la testa di entrambe era occupata da temi che temevano di portare alla
luce.
L’imminente incontro di Allie e Thomas: una non voleva
insistere sulla
concitazione dell’amica; l’altra non voleva
focalizzare tutto su se stessa.
L’assenza di Michael: una cercava di non pensarci, o
perlomeno di non
nominarlo, per non deprimersi troppo; l’altra non voleva
risvegliare ricordi
dolorosi.
A un tratto, però, Dafne
se ne
uscì con un’esclamazione. «Sai cosa
dovremmo fare?» disse, voltandosi verso
l’amica. «Un bel rewatch di Downton
Abbey!
È passato troppo tempo dall’ultima volta che
l’abbiamo visto.»
Allie sorrise, annuendo.
«Sai
che non potrei mai rifiutare una proposta del genere»
concordò.
Quella era la serie tv inglese
per eccellenza, almeno secondo la sua non molto modesta opinione.
Riusciva a
unire l’amore per la storia di Allie alla passione di Dafne
per le storie
d’amore complicate.
«Quanto tempo ci
vorrà?»
domandò, sperando che fosse la sua amica a fare i calcoli.
Era sempre stata la
più brava in matematica e lei stava guidando, non poteva
certo perdere la
concentrazione per un motivo simile.
«Allora: le puntate
durano più
o meno un’ora, sono quattro stagioni per nove puntate,
più o meno…» rifletté.
«Circa trentasei ore» decretò. «In due o tre giorni di
tour de force dovremmo
farcela.»
«Potremmo convertire
anche
Thomas» propose Allie, senza riuscire a trattenersi.
«Sono sicura che lo
farebbe»
rise Dafne. «Ma spiegare la sua presenza a nostra madre
sarebbe problematico. A
meno che non abbiate intenzione di venire allo scoperto»
disse.
Allie si voltò un
momento e la
guardò di sottecchi, indecisa se riderle in faccia o
ignorare quell’assurda
osservazione. «Se glielo dicessimo, un istante dopo starebbe
già appendendo i
manifesti e prenotando la cappella per il matrimonio» le fece
notare, mentre
parcheggiava.
Dafne, costretta ad ammettere
la verità di quell’affermazione, annuì
e scese dall’auto, seguita subito da
Allie. Una volta entrate in casa, fu chiaro che Martha stava cucinando.
Il
rumore del olio che friggeva riempiva le stanze, altrimenti silenziose,
mentre
un profumo invitante si disperdeva nell’aria.
«Mamma, siamo
arrivate»
l’avvertì Dafne, entrando in cucina. La tavola era
già apparecchiata e Martha
si muoveva velocemente tra i vari fornelli accesi. Si voltò
e sorrise alla
figlia, avvisandola che il pranzo sarebbe stato pronto in un quarto
d’ora,
prima di tornare al lavoro.
Dafne tornò allora in
salotto,
dove Allie era rimasta ad attenderla osservando le foto disposte
regolarmente
sul lungo mobile. Ritraevano quella famiglia nel corso degli anni e nei
momenti
più disparati, erano piccole testimonianze di vita reale che
agli occhi di
chiunque presentavano delle persone sorridenti e unite.
Prima che avesse il tempo di
parlare, Dafne udì dei passi affrettati scendere le scale e
attraversare la
stanza. Sorrise all’amica e si ritirò in bagno,
lasciando soli i due giovani.
Thomas si avvicinò
lentamente,
guardandola con attenzione. Era la prima volta che la vedeva da quando
si erano
separati dopo l’appuntamento e si scoprì a
osservarla con occhi diversi. Era
assurdo come un semplice bacio avesse cambiato le cose. O forse era stata la serata nel
suo insieme a fargli capire quanto seriamente gli piacesse? Gli sembrava ancora più
bella
e solare del solito.
«Ciao» la
salutò, accostandosi a lei.
Allie ricambiò il
saluto,
divertita alla vista dei suoi capelli arruffati. A quanto pare lui non
era
diventato insicuro di sé com’era successo a lei,
tutt’altro. Sembrava più
naturale di prima e questo le piaceva.
«Come stai?»
parlarono insieme
e insieme si misero a ridere, cercando di mantenere un tono di voce
basso per
non farsi udire dalla madre di lui.
«Com’è
andata stamattina con
tua cugina?» domandò allora, appoggiandosi al
caminetto.
«Bene, è stato
più semplice di quanto
immaginassi» rispose Allie. «La tua sessione di
studio, invece?»
«Abbastanza producente,
anche
se ogni tanto tendevo a distrarmi» rivelò,
avvicinandosi appena a lei.
«Forse dovresti prendere
del…
come si chiama quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione?
Dovresti
saperlo, dato che studi medicina.»
«Fosforo?»
ipotizzò Thomas. Non
era poi così ovvio, c’erano vari prodotti che
avrebbero potuto aiutarlo, se
solo la causa della sua distrazione fosse stata un’altra.
«Non credo sarebbe
utile nel mio caso.»
«No?» lo
stuzzicò lei,
sorridendo.
Lui scosse la testa.
«Avrei
bisogno di qualcosa di più… umano»
disse, mentre le posava una mano sul collo
con un tocco delicato. Allie abbassò appena gli occhi,
osservando la misera
distanza che li separava e avvertendo il calore della sua pelle
irradiarsi in
lei.
«Per esempio?»
domandò, mentre
il suo sguardo si posava irrimediabilmente sulla bocca di lui.
Thomas spostò appena la
mano,
sfiorando con il pollice il suo labbro inferiore. Allie alzò
gli occhi per
incontrare i suoi, avvertendo la pressione del suo dito farsi via via
più
forte, finché lui non lo allontanò e lo
sostituì con la propria bocca. Come
quella sera, fu un bacio dolce e delicato ma caratterizzato questa
volta da
un’urgenza nuova. Ora che entrambi avevano conosciuto il
sapore di quel bacio
erano più impazienti; ora che non erano soli ma nella stessa
casa di Martha
sapevano di doversi sbrigare pur desiderando che quel momento non
finisse mai.
Thomas si staccò per
primo,
fece un piccolo passo indietro e scese con la mano fino ad afferrare la
sua.
«Quando vuoi che ci rivediamo?» le chiese,
accarezzandole il palmo.
Allie ci pensò un
momento:
voleva essere certa di poter godere fino in fondo di quel secondo
appuntamento,
senza pensieri che la preoccupassero e senza la stanchezza che
l’assopiva. «Domani
sera» sussurrò, notando che il rumore proveniente
dalla cucina si era
attenuato.
«Vuoi un’altra
sorpresa?»
domandò Thomas, adeguandosi al suo tono.
Allie sorrise, ricordandosi
improvvisamente di un particolare importante. «No»
mormorò. «Restiamo da me? I
miei sono di turno.»
Lui annuì prima di
stringerla
nuovamente a sé, incurante del fatto che il pranzo era ormai
pronto e sua madre
sarebbe
potuta
entrare da un momento all’altro. La baciò ancora e
questa volta non si limitò
ad accarezzarle le labbra. Allie aprì la bocca, giusto quel
poco necessario per
far sì che le loro lingue s’incontrassero, andando
a conoscere il sapore
dell’altro, condividendo un atto più profondo e
passionale dei precedenti.
Allie immerse le mani nei suoi capelli che, già
scompigliati, assunsero una forma
ancora peggiore. Lo avvicinò a sé, senza riuscire
a pensare a null’altro che
lui.
Nessuno dei due udì i
passi di
una ragazza scendere le scale, né la voce di Martha che
annunciava il pranzo.
Se non furono sorpresi in quel momento di trasporto fu solo grazie
all’intervento di Dafne che entrò velocemente in
cucina e trattenne la madre,
parlando con un tono talmente elevato da risvegliarli da quel dolce
torpore in
cui erano caduti.
Si separarono di scatto,
consci dello scampato pericolo, e dopo essersi scambiati un ultimo
sguardo
andarono in cucina a distanza di qualche secondo. Allie si
accomodò accanto a
Dafne e la ringraziò con lo sguardo, mentre rifletteva sulla
singolarità di
quella situazione. Lei e Thomas erano usciti una sola volta, eppure
questo non li
tratteneva dallo scambiarsi baci pieni di passione. Allie, che pure non
era una
ragazza che amava aspettare, non era mai stata così
impulsiva. Eppure non si
pentiva di nulla, assolutamente nulla.
Buongiorno!
Voglio
ringraziare coloro che hanno inserito questa
storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche
chi la sta
leggendo silenziosamente.
Spero abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi
va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto, vi
lascio qualche riga, nella speranza di
incuriosirvi un po’.
«Posso
fare qualcosa per aiutarti?» chiese Allie,
guardandola negli occhi. Ogni frase di circostanza sarebbe stata
inutile: Dafne
sapeva che prima o poi tutto si sarebbe sistemato, che con il tempo non
si
sarebbe più sentita così, che infine avrebbe solo
sorriso al ricordo di
quell’estate mentre un altro ragazzo, uno più
vicino a lei, le sarebbe stato
accanto. Il problema era il presente, il tempo necessario a raggiungere
quello
stato di benessere che si prospettava tanto lontano.
«Distraimi,
se ci riesci» sospirò lei, fissando il
soffitto.
Il prossimo
capitolo arriverà tra una settimana,
mercoledì
24 settembre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
cap 4
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 6
Quella mattina Allie non si
era svegliata a causa dell’allarme del cellulare che la
riportava alla realtà,
né con il suono poetico degli uccellini che non si erano mai
presentati al suo
davanzale. Era stato un movimento improvviso a destarla: aveva sentito
il
materasso sussultare sotto di sé, come se qualcuno ci si
fosse lanciato sopra.
Quando ebbe aperto gli occhi, si era trovata davanti il volto di Dafne.
«Daf?» la
chiamò, incerta.
Forse stava sognando. Ma dopotutto nei suoi sogni non le capitava mai
di
svegliarsi, non in quelli belli perlomeno.
«Fammi una
foto?» le chiese la
ragazza, porgendole la sua macchina fotografica.
«Cosa?» Allie
si tirò a
sedere, stiracchiandosi. Era ancora mezza addormentata e non riusciva a
capire
perché la sua amica fosse sul suo letto e cosa volesse.
Dafne si alzò e, dandole
la
schiena, sollevò la maglietta. Sulla sua pelle si vedeva
ancora la scritta che
le aveva fatto Michael quand’erano a Rodi. Allie non riusciva
a decifrarla, un
po’ perché era in una lingua a lei sconosciuta, un
po’ perché era decisamente
sbiadita.
«Fammi una foto, prima
che se
ne vada del tutto» le ripeté Dafne, voltandosi a
guardarla.
«Credevo che fosse
già
sparito. Insomma, era un indelebile, ma è passata
più di una settimana» disse,
sorpresa, prima di afferrare la macchinetta fotografica e avvicinarla
al viso.
«Lo credevo
anch’io, ma è più
resistente di quanto appaia» rispose Dafne, ritornando in
posizione.
Un flash riempì la
stanza
quando Allie scattò la foto e, appurato che si vedeva a
sufficienza il disegno,
riconsegno tutto a Dafne. «Come stai?» le
domandò.
Questa volta Dafne non
provò
nemmeno a risultare offesa da quell’insistenza, sapeva che il
disappunto si
vedeva chiaramente sul suo volto. Era sempre riuscita a nascondere
quella
sensazione di vuoto che provava da quand’era tornata, magari
non perfettamente,
ma tanto che nessuno a parte Allie pensava che non stesse bene. Quella
mattina,
però, quando si era alzata ed era andata in bagno, aveva
scorto quasi per
sbaglio quella scritta riflessa sullo specchio. In un attimo, tutte le
sue
difese sembravano essersi disintegrate. Aveva cercato di non guardarlo
nei
giorni passati, perché quell’immagine portava
inevitabilmente con sé i ricordi
di giorni meravigliosi che erano finiti. Ora, però, con la
consapevolezza che
presto quell’ultimo simbolo che le permetteva di tenere
Michael vicino a sé se
ne sarebbe andato, non voleva lasciarlo. Così si era
precipitata da Allie,
senza nemmeno far colazione, per chiedere il suo aiuto.
«Come vuoi che stia? Oggi
mi
manca un sacco e mi sento un’idiota perché non
riesco a… beh, non dimenticarlo,
non voglio dimenticarlo, ma non riesco nemmeno a superarlo»
gemette,
stendendosi accanto a lei.
«Posso fare qualcosa per
aiutarti?» chiese Allie, guardandola negli occhi. Ogni frase
di circostanza
sarebbe stata inutile: Dafne sapeva che prima o poi tutto si sarebbe
sistemato,
che con il tempo non si sarebbe più sentita così,
che infine avrebbe solo
sorriso al ricordo di quell’estate mentre un altro ragazzo,
uno più vicino a
lei, le sarebbe stato accanto. Il problema era il presente, il tempo
necessario
a raggiungere quello stato di benessere che si prospettava tanto
lontano.
«Distraimi, se ci
riesci»
sospirò lei, fissando il soffitto.
Allie annuì, iniziando a
pensare a un’attività che potesse impegnarla tanto
da non lasciarle il tempo di
crogiolarsi nel dolore. Stava per parlare, quando il campanello di casa
suonò.
Sapeva già chi era.
Sorpresa
dalla presenza dell’amica, si era dimenticata che si era
messa d’accordo con
Thomas per andare a correre insieme quella mattina.
Si alzò dal letto e si
avvicinò alla porta della stanza. «È
Thomas. Dovevamo uscire insieme, ma gli
vado a dire che rimandiamo» l’avvisò.
«No, per
favore» la fermò,
mettendosi a sedere. «Tanto adesso devo andare a lavoro. Esci
con lui» disse,
raggiungendola.
«Sicura?»
Dafne annuì,
precedendola per
le scale e dirigendosi verso l’uscita. «Grazie
dell’aiuto» la salutò.
«Sai che ci sono
sempre» le
ricordò Allie. Dafne aprì la porta e
uscì, mentre suo fratello entrava,
lanciandole uno sguardo stupito. Non pensava di trovarla lì.
«Cos’è
successo?» domandò a
Allie quando furono soli.
«Ricordi»
rispose solo lei,
scuotendo la testa. «Vado a cambiarmi» lo
avvertì, iniziando a salire le scale.
«Non mi saluti
nemmeno?»
chiese Thomas. Allie si bloccò e, dandosi mentalmente della
stupida, fece
dietrofront.
«Scusa, stavo pensando a
Dafne» disse, dandogli un bacio sulla guancia.
Lui la strinse a sé per
un
momento. «Stamattina l’ho vista molto
giù di morale» concordò. «Su,
va pure a
cambiarti. Poi ne parliamo.»
*
* *
«Che cos’hai in
mente?»
Allie gli aveva raccontato del
dialogo che aveva avuto poco prima con Dafne e della sua
necessità di
distrarsi. Thomas aveva capito subito che lei aveva già un
progetto adatto a
quell’evenienza.
«Andiamo in discoteca
questa
sera» propose. «Noi tre, un paio di tuoi amici
così non ti sentirai solo in
mezzo a noi donne, e poi voglio invitare Alice.»
Lui annuì, ricordando la
ragazza timida di cui gli aveva parlato.
«Credi che sia la cosa
giusta?» domandò, incerto. «Non mi
sembra dell’umore adatto.»
«È proprio per
questo che è
perfetto. Con la musica assordante non riuscirà a pensare a
Michael e sarà
costretta a lasciarsi andare almeno per un po’»
spiegò Allie.
Thomas si strinse nelle
spalle, ancora poco convinto, ma accettò di aiutarla.
«Se lo dici tu.»
«Non sei
d’accordo.» Non era
una domanda, piuttosto un’affermazione. Era chiaro che il
ragazzo non aveva
molta fiducia in quel piano.
«Non è
quello… Io non avrei
scelto questo metodo per risollevarle il morale, ma tu sei la sua
migliore
amica e la conosci certamente meglio di me. Se dici che è la
cosa giusta da
fare, mi fido.»
«Davvero?»
Thomas annuì, prima di
accelerare il passo e iniziare a correre. «Vieni?»
domandò. Allie lo raggiunse
con uno scatto, ma stare al suo fianco fu più complicato.
Thomas era allenato,
faceva movimento quasi tutti i giorni e sembrava non sentire la fatica,
mentre
lei, che era solita poltrire sul divano, non aveva la sua resistenza.
Presto
cominciò a crearsi della distanza tra loro, ma non appena se
ne accorse lui
rallentò e si adeguò all’andatura di
Allie, senza lamentarsi.
«Dove vuoi andare
stasera?»
chiese, guardandola.
Allie non aveva ancora deciso
il locale e dovette riflettervi: doveva esserci la giusta
quantità di
confusione, ma senza eccedere. La musica doveva essere forte, ma
soprattutto
apprezzabile: non voleva andare in uno di quei posti dove il dj
sembrava essere
stato raccattato per strada.
«Che ne dici del Silver Light?» propose,
ricordando il
locale in cui si era recata solo una volta, per il diciottesimo
compleanno di
una compagna di classe, ma che le era piaciuto molto.
«Sì,
è carino» concordò
Thomas. «Vuoi che ti passo a prendere io?»
«Grazie»
ripose,
sorridendogli. «Poi potremmo anche passare da Alice, dubito
che venga da sola»
pensò.
«Cosa dirai a tua
madre?»
s’incuriosì. Non era mai uscito con loro due,
dubitava che Martha avrebbe
accettato quel cambiamento senza vedervi nulla sotto.
Thomas ponderò per un
momento
le alternative, prima di decidersi per una semplice scusa.
«Che accompagno
Dafne da te e io esco con degli amici.»
«Non è nemmeno
una bugia» si
complimentò Allie.
«Fammi capire una
cosa»
cominciò lui. «Stasera usciamo come amici? O
possiamo considerarlo un terzo
appuntamento?»
«Non sono sicura che una
nottata in discoteca possa considerarsi un appuntamento»
commentò lei.
«Quindi sono autorizzato
a chiederti
quando possiamo rivederci da soli?» domandò,
rallentando fino a fermarsi
davanti a una panchina. Si sedettero, mentre Allie annuiva.
«Magari questa volta
potremmo
variare però. Prima Il discorso
del re,
poi Il signore degli anelli…
credo
che abbiamo sperimentato abbastanza film per il momento, non
credi?»
«Cosa vorresti
fare?» le
domandò allora, incuriosito.
Allie rifletté un
momento,
ricordando i loro primi due appuntamenti. Il secondo era stato
abbastanza
simile al primo: Allie aveva la casa libera quella sera,
così Thomas era andato
da lei con due pizze e il dvd della sua saga preferita. A dire la
verità, non
le era piaciuto il film, ma non le era pesato. Thomas si era sforzato
per farla
contenta e aveva apprezzato i suoi gusti qualche giorno prima, ora
toccava a
lei cercare di capirlo. Non ci era riuscita, non aveva visto la
bellezza di
quel mondo fantasy, e non era riuscita nemmeno a ingannarlo. Nonostante
i suoi
sforzi nel fingersi interessata, lui aveva intuito che lo spettacolo
non le piaceva
e le aveva proposto di cambiare dvd, ma lei si era rifiutata.
Non si era annoiata: anche se
le vicende non l’appassionavano, la vicinanza di Thomas, la
sua mano posata sul
suo fianco e il suo respiro caldo che di tanto in tanto
s’infrangeva sul suo viso
la tenevano occupata.
Aveva apprezzato quei due
incontri tranquilli e privati che avevano permesso loro di conoscersi
meglio e
stare soli, ma ora voleva cambiare. Voleva un appuntamento che le
facesse
scoppiare il cuore nel petto, che la emozionasse come
nient’altro e che la
facesse divertire, non solo ammaliare.
Non riuscendo però a
pensare a
nulla che le facesse provare tutte queste emozioni allo stesso tempo,
optò per
un’alternativa che comunque sarebbe stata diversa dal solito.
«Andiamo al
mare» disse,
osservando la sua reazione. Thomas strabuzzò gli occhi,
sorpreso.
«Guarda in
alto» la invitò,
alzandole il mento con un dito. «Cosa vedi?»
«Il cielo?»
rispose lei, non
capendo dove volesse arrivare.
«E cosa vedi nel
cielo?»
«Nuvole?»
continuò. Ora aveva
capito.
«Appunto. Tu sei ancora
abituata al cielo soleggiato della Grecia che ti permette di passare le
giornate al mare. Scommetto che tra un’ora comincia a
piovere, qui. Non credo
che ci convenga andare al mare con la pioggia»
spiegò.
«Basta aspettare un bel
giorno
di sole» disse Allie, alzando le spalle.
Thomas sbuffò. Non gli
dispiaceva
l’idea, ma per essere certo di trovare un giorno in cui non
piovesse forse
avrebbe dovuto aspettare un bel po’, e lui voleva uscire
subito con lei.
«E dove vorresti andare
di
preciso?»
«Bournemouth»
rivelò Allie con
un sorriso. Poteva capire la sua preoccupazione, ma in quella
località era più
semplice di quanto non si pensasse trovare un bel giorno di sole. Anche
Thomas
lo sapeva, perché vide l’apprensione andarsene dal
suo viso.
«Okay»
acconsentì. «Devo dare
questo maledetto esame e poi sono tutto tuo»
sospirò.
Allie rise a quelle parole e
gli baciò la guancia, contenta.
«Dai, andiamo»
lo incitò,
alzandosi. Cominciò a correre, pur sapendo che in pochi
istanti lui l’avrebbe
raggiunta e, se avesse voluto, superata.
*
* *
«Lo dici tu a Dafne o lo
faccio io?» le domandò Thomas, appoggiandosi al
muro. Aveva accompagnato Allie
a casa e ora avrebbe dovuto correre ancora per raggiungere la sua.
«Lo faccio io»
si offrì lei.
«Tu pensa a invitare un paio di amici e a studiare per il
test.»
Lui sorrise, chiudendo gli
occhi per un momento. «Spero solo di passarlo.»
«Certo che lo
passerai»
ribatté Allie. Thomas non era mai stato così
insicuro, ma questo argomento era veramente
ostico e il fatto che continuasse a pensare a Allie non lo aiutava. Lei
invece
sembrava così sicura di lui, come se avesse assimilato la
determinazione che
gli mancava. Adorava quella sua capacità di credere in lui,
in tutti, quella
cieca fiducia nel mondo.
Si rialzò e la raggiunse
in un
passo, spingendola contro la parete per baciarla. Adorava baciare
quelle labbra
così morbide, sentire il suo sapore dolce, sfiorare la sua
pelle delicata.
«Grazie» sussurrò, baciandola si nuovo.
La sentì sorridere
addosso
alla sua bocca mentre si allontanava. «Ciao»
mormorò, lanciandole un ultimo
sguardo.
«A stasera» lo
salutò lei,
guardandolo correre via.
Ancora con il sorriso sulle
labbra, entrò in casa e si sedette su una sedia in cucina.
Afferrò il telefono
e compose il numero di Dafne, per avvisarla dei suoi piani.
Fu una telefonata breve e
affrettata, dato che la sua amica stava lavorando e il negozio era
pieno di
clienti che volevano far sviluppare le foto delle loro vacanze. Non le
era
sembrata entusiasta dell’idea, ma era certa che con il tempo
si sarebbe
abituata e non le sarebbe dispiaciuto. In caso contrario, Allie suppose
che non
ci fosse differenza tra deprimersi a casa e deprimersi fuori casa.
Con Alice fu un’altra
storia.
La ragazza sembrò sorpresa di ricevere la sua chiamata, ma
ormai Allie era
avvezza alla sua sfiducia. Inizialmente aveva pensato che Allie
scherzasse
quando le aveva proposto di andare in discoteca: non era certo il tipo
che
frequentava quel genere di feste e credeva che lei l’avesse
capito. A dire il
vero, non frequentava nessun genere di feste. Aveva rifiutato,
adducendo la
scusa di un impegno di famiglia improrogabile, ma Allie aveva insistito.
«Hai diciannove anni
ormai» le
aveva detto. «Sono certa che la tua famiglia non si
lamenterà se esci con gli
amici piuttosto che stare con loro.»
Era stato inutile ripeterle
che no, non poteva andare. Allie aveva detto che si sarebbe presentata
a casa
sua e avrebbe convinto i suoi genitori a darle la serata libera, se
Alice non
fosse riuscita a convincerli da sola. Sapendo che loro non avrebbero
fatto
alcuna resistenza, ma anzi l’avrebbero incoraggiata a uscire
e divertirsi,
Alice si era trovata costretta ad accettare.
Aveva acconsentito con un tono
poco invitante, ma era pur sempre una risposta positiva. Allie si rese
conto
che forse quello non era l’ambiente ideale per aiutarla a
vincere la timidezza,
che forse era troppo caotico e avrebbe dovuto procedere con
più calma, ma era
pur sempre una buona occasione.
Dopo aver convinto le due ragazze,
Allie si infilò in doccia e, data l’ora ormai
tarda, decise di saltare la
colazione e aspettare direttamente il pranzo, nonostante lo stomaco
brontolasse, richiedendo nutrimento.
Questa volta i suoi genitori
sarebbero stati contenti: sapevano che era uscita con un ragazzo nei
giorni
precedenti, ma non conoscevano la sua identità. Allie non
aveva voluto
svelargliela, consapevole che poi la voce sarebbe volata fino a casa di
Thomas.
Avrebbero dovuto mettersi d’accordo su come dare la notizia,
ma dopotutto non
stavano nemmeno insieme: era chiaro che si piacevano, che provavano
qualcosa
l’uno per l’altra, ma non era ancora nulla di serio
e non avevano mai
affrontato quel discorso. Allie non aveva fretta di uscire allo
scoperto: le
piaceva quella segretezza, era elettrizzante.
Tuttavia, i suoi genitori
avevano storto il naso quando si era rifiutata di fornire loro il nome
del
ragazzo che stava frequentando. Si fidavano di lei ed erano certi che
non era
un cattivo ragazzo, ma naturalmente restare all’oscuro li
preoccupava.
Quella sera sarebbe uscita con
Dafne – questo era tutto ciò che dovevano sapere
– e si sarebbero rilassati.
Allie uscì dalla doccia
e si
asciugò velocemente, raccogliendo i capelli in una crocchia
provvisoria per
poter mettere a bollire l’acqua per la pasta. Poi
tornò in bagno per
asciugarli, senza impegnarsi troppo questa volta. Era inutile sforzarsi
per
dare una bella piega ai capelli, dato che con il movimento di quella
sera e il
caldo che avrebbe patito nella bolgia della discoteca non sarebbero
durati più
di mezz’ora.
Sentì la porta di casa
aprirsi
e dei passi che salivano le scale. «Allie?» Sua
madre la stava chiamando.
«Eccomi»
rispose, uscendo dal
bagno e avvicinandosi a lei.
«Perché hai
messo l’acqua sul
fornello?» le domandò, scendendo in cucina ora che
l’aveva trovata.
«Per la pasta?»
ribatté. Era
ovvio.
«Quante volte ti ho detto
che
ne mangi troppa? Non ti fa bene pranzare sempre con gli stessi
cibi» la
rimproverò. «Ora facciamo una bella
zuppa.»
Allie sbuffò,
guardandola
mentre spegneva il fuoco e gettava l’acqua nel lavandino.
Date le sue abitudini
alimentari, Allie non era adatta all’Inghilterra. Preferiva
una dieta
mediterranea, ricca di sapori e alimenti variegati, alle classiche
zuppe e ai
bolliti inglesi.
«Sai che non so fare
nient’altro» si giustificò.
«Allora vieni qui e
osserva
ciò che faccio» le rispose la donna.
«Devi imparare a cucinare, non sei più una
bambina. Come farai quando andrai a vivere da sola o quando ti
sposerai?»
Sbuffando ancora, Allie si
affiancò a lei. Era sempre la stessa storia: eppure sua
madre era moderna,
credeva nell’indipendenza femminile e rifiutava
l’idea che il ruolo della donna
fosse relegato alla vita domestica.
«Ordinerò al
takeaway, oppure
troverò un uomo che cucini al posto mio»
affermò. Sapeva che la sua soluzione
era molto improbabile: la prima opzione era decisamente costosa, la
seconda era
possibile ma non nel presente. Non che pensasse di arrivare a un tale
livello
con Thomas – sarebbe potuto anche succedere, sì,
ma aveva solo diciannove anni,
non si sarebbe certo sposata a quell’età
– ma in quel caso doveva considerare
che nemmeno lui era un mago ai fornelli.
«Non essere
ridicola» la
sgridò sua madre. «Tieni, taglia questo»
disse, porgendole una cipolla.
*
* *
Allie stava finendo di
truccarsi e, per una volta, era in perfetto orario, quando il cellulare
cominciò a squillare. Ricevere una chiamata poco prima di
uscire, soprattutto
se viene da qualcuno che si dovrebbe vedere entro pochi minuti, non
è mai un
buon segno.
«Ciao, Alice»
rispose,
incrociando le dita. Aveva un brutto presentimento.
«Allie, scusa ma non
posso
venire.»
«Cosa?
Perché?» domandò,
trattenendo un sospiro di frustrazione. «I tuoi ci hanno
ripensato? Vuoi che
venga lì?»
«No, non è
quello. Non sto
bene» rispose lei e in effetti la sua voce appariva ancora
più debole del
solito.
«Mi dispiace. Che
cos’hai?»
Quella mattina non aveva parlato di nessun malessere.
«Ho un po’ di
febbre» spiegò
la ragazza.
«Che sfortuna! Volevo
presentarti Thomas e poi avresti potuto rivedere Dafne»
sospirò Allie.
«Scusa»
ripeté lei e questa
volta sembrò davvero dispiaciuta.
«Riposati» le
disse Allie. «E
chiamami appena guarisci, così ci rivediamo un altro
giorno» l’avvertì.
«Ciao» fu il
suo ultimo
saluto, prima di chiudere la chiamata.
Allie si guardò allo
specchio.
Non voleva essere cattiva, ma non poteva dire onestamente di crederle.
Insomma,
era chiaro che Alice non aveva voglia di uscire con lei quella sera e
quella
febbre era arrivata proprio al momento opportuno. Nella sua mente non
poteva
non nascere l’idea che fosse solo una scusa, una bugia che le
aveva propinato
per restarsene chiusa in casa. Tuttavia, se davvero le aveva mentito,
Allie
pensò che non sarebbe stato giusto sforzarla ancora. La
prossima volta le
avrebbe proposto qualcosa di più tranquillo.
Ritornò a truccarsi,
consapevole di essere ora in ritardo.
Quando il campanello di casa
suonò, infatti, si stava ancora vestendo. Cercò
di sbrigarsi, infilando le
scarpe mentre si sistemava la maglietta.
«Allie,
c’è Dafne!» gridò sua
madre dal piano di sotto. Non le rispose nemmeno, si
affrettò solo a mettere i
documenti e le chiavi in borsa, afferrò il telefono e
uscì dalla stanza.
«Eccomi» disse,
scendendo le
scale. La sua amica la aspettava davanti alla porta
d’ingresso: indossava un
vestitino leggero e aveva raccolto i capelli in una coda alta. Fu
contenta di
vedere che si era preparata bene per quella serata, evidentemente era
già più
propensa a trascorrere la notte in discoteca in confronto a quel
pomeriggio.
«Ciao» la
salutò. «Noi
andiamo, ho le chiavi quindi non serve che mi aspettiate.
Buonanotte» si
rivolse ai suoi genitori, prima di uscire con l’amica e
richiudersi la porta
alle spalle.
«Sbaglio, o sei
più sexy del
solito?» le domandò Dafne, guardandola negli occhi.
«Non ci
provare» la ammonì,
scuotendo un dito in segno di diniego davanti al suo volto.
«Questa sera è per
te, non per lui.»
«In questo caso,
grazie» le
sorrise. «Vuoi salire davanti?» chiese, fermandosi
davanti alla macchina.
Allie avrebbe potuto accettare
l’offerta, ma per mettere in evidenza come quella non fosse
un appuntamento con
Thomas quanto piuttosto un’uscita tra amiche,
rifiutò e aprì lo sportello
posteriore.
«Buonasera»
l’accolse lui,
voltandosi per guardarla. Allie ricambiò il saluto e si
allacciò la cintura,
permettendosi di fargli un rapido occhiolino che non gli
sfuggì, perché lo vide
sorridere.
«Alice non
viene» li informò.
«A quanto pare ha la febbre,» spiegò,
«quindi possiamo andare direttamente al Silver
Light.»
Thomas annuì e mise in
moto,
mentre Dafne si voltò per guardarla. «Ma non avevi
detto che veniva, oggi
pomeriggio?»
Lo sguardo di Allie fu una
risposta più che eloquente. «Sì. Sembra
che le sia salita improvvisamente.»
Dafne sospirò,
risistemandosi
al suo posto, consapevole che lei si era comportata allo stesso modo in
passato. Quand’era una ragazzina sopraffatta dalla timidezza
e dalla vergogna
aveva inventato le scuse più fantasiose per non uscire e non
doversi sottoporre
a un continuo esame da parte di chiunque incrociasse il suo cammino.
Poteva
capire benissimo il timore di Alice nell’affrontare quella
serata e non la
biasimava per il suo comportamento, per quanto fosse comunque
sbagliato, perché
anche lei aveva lasciato vincere le sue paure più spesso di
quanto non le
piacesse ricordare.
«Thomas, chi hai
invitato?»
domandò Allie.
«Due miei compagni di
corso,
Robert e Phil» rispose lui. «Tu forse li conosci:
sono venuti da noi un paio di
volte» disse, rivolto alla sorella.
«Forse» gli
concesse Dafne.
«Ho una vaga immagine di tre ragazzi che giocano alla
playstation.»
«Dubito che fossero loro,
in
questo caso» commentò Thomas. «Eravamo
decisamente troppo cresciuti quando ci
siamo incontrati per giocare ai videogiochi.»
«Ma tu ci giochi
ancora» gli
fece notare.
«Solo ogni tanto quando
mi
annoio. Non mi ritrovo con i miei amici a fare il nerd.»
«Che
c’è di male nei nerd?»
s’intromise Allie. Aveva sempre trovato adorabili quei
ragazzini dolci e timidi
che in pubblico non sanno di che cosa parlare ma tra loro sono esperti
di mondi
paralleli. Sicuro, potevano essere anche fastidiosi quando pretendevano
di
farla entrare in quei mondi, ma non li disprezzava di certo.
«Niente, ma non sono uno
di
loro» rispose lui con un’alzata di spalle.
«E poi,» continuò, «usare il
joystick è un buon allenamento per il movimento della mano
in sala operatoria.»
«Anche supponendo che sia
vero» ribatté Dafne. «Non sei a quei
livelli.»
«Ancora»
puntualizzò lui,
cercando nello specchietto retrovisore gli occhi di Allie e, una volta
che li
ebbe trovati, le sorrise.
Quando passò davanti
alla
discoteca per raggiungere il parcheggio, Thomas scorse i suoi amici
fermi
all’ingresso, intenti a fumare. Dovette girare in tondo per
cinque minuti prima
di trovare un posto adatto, mentre le sue due compagne di viaggio gli
indicavano strettoie improponibili o già occupate da una
moto che arrivava a
vedere solo all’ultimo momento.
Si sentì un
po’ ridicolo a
dirigersi verso la porta del locale tenendole entrambe a braccetto, ma
lo
avevano assillato finché non aveva dovuto cedere. Stavano
camminando sulla
ghiaia e volevano evitare di cadere e fare una brutta figura prima
ancora di
entrare.
«Non le terrai per te
tutta la
serata, spero!» esclamò Phil, salutando
l’amico quando i tre li raggiunsero.
Dafne e Allie si staccarono da lui, ora che avevano posato i piedi su
un
pavimento più sicuro.
«Phil, Robert,»
li presentò,
«questa è mia sorella Dafne, lei è
Allie.» Lanciò uno sguardo a Robert,
tentando di fargli capire che doveva tenere a freno la lingua. Era
stato lui a
prestargli l’appartamento e sin da subito non si era
risparmiato frecciatine
che a lui non facevano né caldo né freddo, ma che
avrebbero potuto mettere
Allie a disagio, soprattutto visto che non lo conosceva.
Che avesse intuito o meno
ciò
che Thomas voleva dirgli, Robert non disse nulla di imbarazzante e si
limitò a
salutarle con due baci sulle guance, come fece Phil.
«Entriamo?»
domandò Allie.
Senza bisogno di rispondere, i
due ragazzi si avviarono all’entrata con la carta
d’identità in una mano e i
soldi nell’altra. Una volta superata la porta,
sembrò di essere in un'altra
dimensione.
All’esterno si sentiva la
musica, certo, ma in modo molto attutito. Dopo pochi passi il cuore
sembrava
aver cominciato a battere in accordo alla canzone, le orecchie parevano
ovattate tanta era la confusione e la pista, non ancora completamente
piena,
vibrava a causa delle persone che vi ballavano sopra. Allie sorrise,
stringendo
il braccio di Dafne e trascinandola in mezzo alla folla. Si
adeguò in fretta al
ritmo con cui si muoveva chi la circondava e, come Dafne, si mise a
ballare
senza pensare a nient’altro. I capelli cominciarono a farle
caldo in pochi
minuti, ma non se ne preoccupò, continuando a saltare come
se non ci fosse
nient’altro da fare. È difficile dire quanto tempo
passarono sulla pista; in
quei momenti non si fa più riferimento alla
regolarità dell’orologio, bensì
alla sensazione di spensieratezza e quasi d’incoscienza che
si raggiunge.
A un certo punto, quando ormai
cominciava a mancar loro il respiro per via dell’afa e del
movimento,
sgusciarono fuori e incontrarono i tre ragazzi che, appoggiati al
bancone,
stavano bevendo.
«Cosa
prendete?» domandò Phil
mentre chiamava il barista con un gesto della mano.
«Un
pesca-lemon» ordinò Dafne,
sorridendo al ragazzo che le porse in un attimo il bicchierino.
«Un mojito»
scelse invece
Allie, sostenendosi alla spalla di Thomas. Osservò la sua
amica che
chiacchierava amabilmente con Phil e che, d’un tratto,
svuotò il liquido in un
colpo solo e posò il bicchierino vuoto sul legno. Ebbe un
fremito, la sua
tipica reazione quando beveva alcolici. Lanciò un rapido
sguardo a suo fratello
e a Allie, che se ne stavano vicini ma in silenzio.
«Voi non venite a
ballare?»
chiese ai due ragazzi. Non era interessata a nessuno dei due e sentiva
che,
anche se li avesse conosciuti meglio, la situazione non sarebbe
cambiata.
Tuttavia non voleva costringere i due neo-piccioncini a una serata
insieme
senza che avessero la possibilità di stare davvero
insieme. Intuendo forse dove volesse andare a parare, la seguirono di
nuovo in
pista.
Allie aveva appena afferrato
il suo bicchiere e le sarebbe servito del tempo per finirlo; non
potevano
lasciarla sola, quindi Thomas sarebbe dovuto rimanere con lei anche se
non
avesse voluto, e non era quello il caso.
*
* *
Allie chiuse lo sportello
dell’auto e scacciò subito le scarpe: le dolevano
i piedi, dopo tutto quel
tempo senza mai sedersi. Dafne non era in condizioni migliori, infatti
si
rilassò contro il sedile e chiuse gli occhi, sfinita.
Thomas, che non poteva
capire la loro situazione e aveva l’unico problema di essere
stanco poiché non
aveva potuto bere altro che una coca cola, uscì dal
parcheggio e si diresse
verso casa.
«Allora, ti sei
divertita?»
domandò Allie, allungando le gambe sul sedile.
«Sì»
sospirò Dafne. «Anche se
ora sento che potrei dormire per un giorno intero.»
Allie ridacchiò mentre
si
sistemava per stare più comoda. Nessuno parlò
durante il viaggio di ritorno, il
silenzio era rotto solo dalle canzoni tranquille che trasmetteva la
radio.
Dafne si era davvero
divertita, aveva apprezzato l’idea di Allie ed era riuscita a
distrarsi. Aveva
pensato a Michael solo per un istante e poi, ricordando che si trovava
lì
proprio per farlo uscire dalla sua testa almeno per un po’,
aveva scacciato
quell’immagine e aveva ripreso a ballare. Aveva passato una
bella serata, aveva
conosciuto due ragazzi simpatici che avrebbero potuto essere degli
ottimi
amici. Non avevano tentato nessun approccio, o perlomeno non le era
sembrato, e
aveva gradito la loro discrezione. Non era dell’umore adatto
per flirtare con
loro e nemmeno per respingerli.
Si riscosse dalle sue
riflessioni quando l’auto si fermò: erano davanti
alla casa di Allie.
«Grazie del
passaggio» disse
la ragazza, prima di salutare e scendere. Dafne guardò suo
fratello: stava
tentennando, sicuramente voleva augurarle la buonanotte da solo ma la
sua
presenza gli impediva di seguirla.
«Vai» lo
incitò, indicando con
un gesto del capo Allie che stava frugando nella borsa, probabilmente
alla ricerca
delle chiavi.
Lui obbedì di buon
grado,
uscendo dalla macchina e raggiungendola con poche falcate.
«Ehi» la
richiamò.
«Ho dimenticato
qualcosa?» gli
domandò, confusa.
Lui annuì, accostandosi
a lei.
«Posso baciarti?»
Allie scoppiò a ridere,
divertita. «Devi smettere di chiedermelo» lo
ammonì, prima di passare una mano
dietro il suo collo per avvicinarlo a lei.
«Baciami» soffiò, a pochi centimetri
dalle sue labbra.
Thomas non si fece pregare e
catturò quella bocca delicata con la sua, in un bacio che
significava molto.
Era un ringraziamento per il suo continuo sostegno, un segno
d’ammirazione per
l’amicizia che dimostrava a Dafne, un gesto che voleva
trasmettere i suoi
sentimenti ancora confusi nei suoi confronti, ma anche un semplice atto
dettato
dall’attrazione che lo legava a quella giovane donna
sorprendentemente bella e
affascinante.
«Buonanotte»
mormorò,
guardandola negli occhi.
«Buonanotte»
ripeté lei,
regalandogli un ultimo sorriso.
Buongiorno!
Voglio
ringraziare
coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che
l’hanno
recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.
Se
volete leggere altri spoiler, questo
è il mio account
facebook, dove pubblico di tanto in tanto qualche frase.
Spero abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto, vi
lascio
qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.
«Hai
intenzione a
dedicarti solo a Alice, o posso convincerti a uscire anche con me un
giorno?»
chiese, sedendosi sul letto, a pochi passi da lei. «Non mi
sembra giusto
restringere la tua conoscenza della nostra famiglia a un solo
membro» continuò.
Il prossimo
capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì
1 ottobre.
Buona giornata :)
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
cap 4
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 7
Quella mattina, Allie era
stata svegliata dalla suoneria del cellulare e, ancora una volta, era
sua zia a
chiamarla. Quel giorno non avrebbe dovuto andare a lavoro e quindi sua
suocera,
che si occupava della piccola Natalie quando sua madre era impegnata,
aveva
sfruttato l’occasione per andare a trovare
un’amica. Il suo capo, però, l’aveva
chiamata e le aveva quasi ordinato di presentarsi comunque in ufficio
per
terminare delle pratiche che erano state dimenticate nei giorni
precedenti. Si
trattava solo di un paio d’ore di lavoro, ma non poteva
portare la bambina con
sé. Così aveva chiesto ad Allie se poteva
affidarla a lei. Rifiutare sarebbe
stato impossibile in ogni caso, così aveva accettato e ora
si ritrovava
nuovamente al parco con la sua cuginetta.
Questa volta aveva chiesto ad
Alice di accompagnarla e lei aveva acconsentito subito, con una
rapidità che
l’aveva sorpresa. Evidentemente nei due giorni scorsi era
passata non solo la
febbre, che le aveva impedito di andare in discoteca con loro, ma anche
una
parte della riluttanza che aveva nei confronti della loro amicizia.
Alice si sentiva in colpa per
il modo in cui si era comportata. Non era malata, tuttavia aveva
sentito una
morsa allo stomaco per tutta la giornata, un’agitazione che
non era riuscita a
scacciare finché non aveva avvisato Allie della sua assenza.
Sapeva che, una
volta che fosse stata sicura di poter rimanere a casa, si sarebbe
sentita
meglio. Sapeva quindi che la sua difficoltà era puramente
mentale e che, con
una grande dose di buona volontà e coraggio, avrebbe potuto
vincerla. Non ci
era mai riuscita: anche quando si impegnava con tutta se stessa finiva
quasi
per avere un attacco di panico. Come sempre, anche quella sera decise
che
rinchiudersi in camera, pur consapevole che il rimorso
l’avrebbe divorata, era
la sua alternativa migliore.
Con il passare del tempo e
l’allontanarsi di quell’occasione che la
spaventava, Alice aveva riacquistato
un po’ di coraggio e aveva deciso che, alla prima occasione,
sarebbe uscita con
Allie e avrebbe cercato di comportarsi con naturalezza, senza timori.
Così,
quando aveva ricevuto quella chiamata improvvisa quella mattina, non ci
aveva
nemmeno pensato. Aveva accettato e basta.
Aveva conosciuto Natalie, una
bambina dolcissima che non la vedeva come una ragazza spaventata dalla
vita,
bensì come una semplice amica di sua cugina e che
l’aveva presa subito in
simpatia. Alice adorava i bambini per questa loro indole buona:
guardavano il
mondo con occhi felici e fiduciosi, non erano ancora corrotti dai
pregiudizi e
non provavano piacere nel ferire chi li circondava. Se solo fossero
rimasti
tutti bambini.
Allie non aveva mai parlato di
quella serata, si era limitata a riferire il dispiacere di Dafne e a
promettere
un incontro nei giorni a venire. Avevano discusso invece del loro
futuro e
Alice si era ritrovata a parlare molto, dato che Allie le chiedeva
continuamente informazioni sul suo corso di studi.
La madre di Natalie era
passata a prenderla al parco non appena era riuscita a liberarsi,
così Allie
aveva accompagnato la sua amica a casa. Era entrata e ora le stava
scaricando
un programma per il computer di cui avevano parlato prima. Grazie a
quel
prodotto avrebbe potuto vedere anche vecchi documentari storici che
altrimenti
risultavano introvabili.
Alice era andata in cucina a
prenderle qualcosa da bere, mentre lei era rimasta accanto al computer.
Non
restò sola, tuttavia, perché non appena la
ragazza fu uscita dalla stanza
un’altra persona entrò.
«Ciao, Allie»
disse Nicholas.
Lei si voltò e lo vide appoggiato alla porta.
«Buongiorno» lo
salutò con un
sorriso, prima di tornare a guardare lo schermo.
«Come stai?» le
domandò,
avvicinandosi.
«Bene, grazie»
rispose lei,
senza interrompere il suo lavoro. «Tu?»
ribatté, per non essere scortese.
«Molto bene. Sono felice
di
rivederti.»
Allie alzò gli occhi al
cielo,
approfittando del fatto che lui non potesse vederla. Non poteva
affrontarlo
perché dopotutto non le stava dicendo niente di provocante,
ma era chiaro che
ci stava provando. Sentiva il suo sguardo sulla schiena e percepiva
l’impazienza nella sua voce; voleva che si girasse e lo
guardasse.
«Hai intenzione a
dedicarti
solo a Alice, o posso convincerti a uscire anche con me un
giorno?» chiese,
sedendosi sul letto, a pochi passi da lei. «Non mi sembra
giusto restringere la
tua conoscenza della nostra famiglia a un solo membro»
continuò.
«Per ora mi basta
Alice» si
limitò a dire, cercando di non apparire scortese.
«Beh, dovresti
considerare
che, se uscissi con me, la tua amicizia con Alice sarebbe
più salda.»
«Cosa ti fa credere che
io
abbia bisogno di uscire con te?» replicò allora,
voltandosi verso di lui. «Non
hai considerato che magari sto già uscendo con qualcun altro
e quindi non posso
accettare la tua proposta?»
«Questo non ti vieta di
conoscere persone nuove, come me. Perché, sei
fidanzata?»
Quella domanda posta a
bruciapelo la fece tentennare un momento. Non era fidanzata, non aveva
nemmeno
un ragazzo dato che la storia con Thomas si stava ancora sviluppando e
non
avevano mai affrontato quel discorso. Tuttavia non era nemmeno libera,
lei non si
sentiva così.
«No, ma-»
La sua risposta fu bloccata
dalla voce di Alice che stava tornando con due bicchieri di
thè fresco.
«Nick»
esclamò, stupita di
aver trovato il fratello nella sua stanza. «Ne vuoi uno anche
tu?»
Lui scosse il capo. «No,
adesso esco» la informò, andandosene prima che
Allie avesse il tempo di
completare la sua frase.
Perfetto, pensò, sbuffando. Ora crede che io sia disponibile.
*
* *
Allie guardò il
cellulare, per
l’ennesima volta. L’esame di Thomas doveva
cominciare alle undici di quella
mattina, ora era l’una e mezza passata e quindi doveva aver
finito già da un
po’. Quando gli aveva scritto per augurargli buona fortuna e
ripetergli che era
sicura che l’avrebbe passato, lui le aveva promesso di farsi
sentire non appena
fosse uscito dall’aula.
Suo padre l’aveva
rimproverata
per quella sua fissazione che non si era calmata nemmeno durante il
pranzo,
ricordandole che era tornato a casa appositamente per stare un
po’ con lei, pur
sapendo di avere poco tempo prima di doversi presentare nuovamente in
ospedale.
Allie era dispiaciuta per
quella sua apparente assenza, ma non riusciva a scacciare quel pensiero
dalla
sua testa. Non riusciva a smettere di pensare che magari lui non si
faceva
sentire perché l’esame era andato male e, dopo
tutte le volte che lui le aveva
confessato di faticare a concentrarsi a causa sua, si sentiva colpevole.
Finalmente, proprio mentre
stava per bagnarsi le mani per lavare i piatti, il telefono
cominciò a
squillare. Se le asciugò velocemente e rispose.
«Ehi, sei a
casa?» le domandò
subito Thomas, con una voce indecifrabile.
«Sì.»
Allie era confusa: cosa
significava quella domanda? Stava per chiedergli com’era
andata, ma lui la
interruppe.
«Posso venire
lì?»
«Sì,
certo» acconsentì, dato
che suo padre se n’era appena andato.
«Cinque minuti e sono da
te»
la avvisò, prima di chiudere la chiamata con un breve saluto.
Allie restò a fissare lo
schermo oscurato del cellulare, senza capire cosa fosse successo.
Thomas fu da lei in pochissimo
tempo, forse anche meno di cinque minuti. Allie uscì subito
di casa, curiosa ma
anche preoccupata da quella sua scarsità di parole. Quando
lo vide scendere
dall’auto, però, capì che era andato
tutto bene. Thomas le sorrise e le si
avvicinò, stringendola in un abbraccio con tanta foga da
farla scoppiare a
ridere.
«È
stupefacente. Mi sembrava
di non sapere niente e poi, quando ho avuto il foglio del test tra le
mani, è
come se mi si fosse aperto un mondo. Non credo di aver preso il
massimo, ma non
ci devo essere andato molto lontano» le raccontò,
sorridente.
«Sono contenta, sapevo
che ce
l’avresti fatta» rispose Allie, guardando i suoi
occhi luminosi di gioia.
«Stasera
usciamo?» domandò,
tenendola per le mani. «Voglio festeggiare.»
Allie annuì, senza
parole. Non
l’aveva mai visto così sollevato ed era felice di
essere la prima persona da
cui era corso e con cui voleva festeggiare.
«Andiamo al
bowling» le
propose. «E non ho dimenticato la mia promessa. Appena le
previsioni meteo
annunceranno un giorno caldo e soleggiato andremo a
Bournemouth» continuò.
«Ti straccerò
stasera» lo
avvisò, sorridendogli.
«È una
sfida?»
«Assolutamente
sì» esclamò,
alzandosi in punta di piedi per baciarlo. Era la prima volta che lo
faceva.
Fino a quel momento era sempre stato lui a fare il primo passo,
talvolta chiedendole
addirittura il permesso, e sebbene lei avesse sempre accettato e
ricambiato il
gesto non aveva mai preso l’iniziativa. Vedendolo
così felice non era riuscita
a trattenersi: condivideva quel sentimento e voleva farglielo capire
nel
migliore dei modi.
«Se è questa
la ricompensa,
credo che darò subito un altro esame»
mormorò, posandole un bacio sulla punta
del naso e stringendola nuovamente a sé.
Allie ridacchiò, la
testa
appoggiata al suo petto. «Quindi ora sei libero?»
«Sì, questo
era l’ultimo» annuì.
«Le lezioni riprendono tra più di un mese, quindi
ora posso riposarmi.»
«E cos’hai
intenzione di
fare?» domandò, sospingendolo sulla sedia a
dondolo e sedendosi accanto a lui.
Lui la fissò per un
momento,
come se si fosse perso nei suoi occhi, poi rispose: «Beh, non
mi pare di essere
l’unica persona che non ha programmi per
l’immediato futuro, no?»
Allie scosse il capo,
correggendolo. «Non ricordi cosa ti ho detto al nostro primo
appuntamento?»
«Mi hai detto molte
cose»
ragionò. «A cosa ti riferisci?»
«All’immediato
futuro» ripeté
candidamente Allie, mettendolo alla prova. Thomas dovette riflettere
per un
po’: avevano davvero parlato molto quella sera, sdraiati sul
tetto a guardare
le stelle, ma trovò abbastanza in fretta ciò che
voleva dire la ragazza.
«Vuoi trovarti un
lavoro.»
«E tu mi hai parlato del Blue Secret»
continuò lei, annuendo.
«Voglio andare a informarmi.»
Allie ci aveva ragionato negli
ultimi giorni e in quel momento la decisione che aveva preso le
sembrava sempre
più giusta. Era bello vedere una persona felice per i
risultati raggiunti,
indaffarata in un’attività che le impegnava corpo
e anima, perché a dispetto
della fatica necessaria per riuscire in quell’impiego,
l’orgoglio che si prova
alla fine dà un senso alla vita. Lo vedeva negli occhi
entusiasti di Thomas,
nei racconti dei genitori, nella voce di Alice da cui percepiva la
passione per
quell’insolito corso di studi, nelle parole di Dafne quando
le capitava di
leggere i suoi scritti.
Avrebbe voluto avere qualcosa
di simile anche lei, qualcosa che la facesse faticare ma che la
ripagasse
appieno. Allie sentiva un vuoto dentro di sé quando si
fermava a riflettere su
questa questione. Non aveva ancora trovato nulla che
l’entusiasmasse così
tanto, nulla che la mettesse alla prova. Non aveva nemmeno un lavoro
che la
tenesse impegnata.
Le probabilità che il
posto al
Blue Secret fosse ancora libero e
che
venisse assegnato a lei erano esigue, ma aveva scelto di provare lo
stesso. Non
era certo il genere di impegno che aveva in mente, ma data la sua
incertezza
sull’identità di ciò che voleva davvero
e la noia che la colpiva quando non
aveva nulla da fare, era comunque una buona scelta. Avrebbe avuto
qualcosa da
fare, avrebbe impiegato il suo tempo finché non avesse
capito cosa voleva
davvero.
«Quindi vuoi abbandonarmi
proprio ora che sono sempre disponibile?» mugolò
Thomas, mettendo il broncio.
«Non posso mica starmene
sempre a casa» ribatté ridendo.
«Vuoi che ti
accompagni?» le
domandò allora, posandole una mano sul ginocchio.
Allie lo ringraziò con
un
sorriso ma scosse la testa. «Voglio farlo da sola.»
«Adesso?»
«No, resta ancora un
po’»
rispose, stringendogli la mano e posando la testa sulla sua spalla.
Restarono così, in
silenzio,
senza preoccuparsi del fatto che chiunque passasse per strada poteva
vederli.
«Thomas?» lo
chiamò, quando un
pensiero le attraversò la mente e la confuse.
«Cosa
c’è?»
«Stasera siamo soli o ci
sono
anche i tuoi amici?» Aveva dato per scontato di essere
l’unica invitata a
quell’uscita al bowling, ma poi aveva considerato che forse
lui progettava di
festeggiare anche con coloro con cui aveva condiviso quella prova.
«Vuoi invitare
qualcuno?»
replicò, con voce titubante.
«Non hai risposto alla
mia
domanda» gli fece notare.
«Neanche tu.»
«Thomas!» lo
richiamò, alzando
il volto per incontrare i suoi occhi.
«Non pensavo di portare
nessun
altro» ammise. Allora lei annuì, sorridente. Non
sarebbe stato un problema se
avesse deciso di organizzare una comitiva di amici, ma l’idea
che volesse solo
lei le faceva piacere.
«La tua
risposta?» insisté,
curioso.
«No, non voglio invitare
nessuno» lo rassicurò, avvertendolo stringere
più forte la sua mano.
«Dovremmo
entrare» considerò
Thomas, osservando il cielo. «Sta per mettersi a
piovere.»
Thomas aveva avuto ragione.
Nel giro di pochi minuti avevano cominciato a scendere piccole gocce e
poi,
all’improvviso, sembrava di essere stati catapultati sotto
una cascata. Aveva
aspettato che la pioggia cessasse per un po’, ma dato che si
stava facendo
tardi decise di correre in auto e tornare a casa nonostante il
maltempo. Sua
madre lo stava ancora aspettando per il pranzo, sebbene fossero le due
e mezza
passate. Stranamente non aveva fame: prima era stata la morsa
dell’agitazione a
chiudergli lo stomaco, poi l’eccitazione per il buon
risultato che era certo di
aver conseguito.
Una volta sola, Allie
tentennò. Avrebbe voluto andare in centro e controllare se
al Blue Secret fosse ancora
disponibile il
posto, ma la pioggia smorzava un po’ il suo entusiasmo. Alla
fine decise di
andare comunque: prese l’ombrello più grande che
aveva in casa e s’infilò in
auto, incrociando le dita.
*
* *
Il colloquio era andato bene,
o almeno così pensava Allie, anche se non aveva alcuna
esperienza in merito.
Non aveva mai lavorato prima, non ne aveva mai sentito il bisogno dato
che la
sua famiglia era benestante e la scuola e le attività
sportive la tenevano
impegnata. Non aveva referenze, né un curriculum da
presentare dato che aveva
deciso così all’improvviso e, in ogni caso, non
avrebbe saputo cosa scriverci.
Tuttavia la proprietaria del bar non sembrava curarsene e le aveva
spiegato
sorridendo le mansioni che, se fosse stata assunta, avrebbe dovuto
compiere.
Quando Allie aveva affermato onestamente che pensava di riuscirci e che
si
sarebbe impegnata a fondo per migliorare dove non fosse stata
sufficientemente
abile, lei aveva annuito. Le aveva chiesto il numero di telefono e le
aveva
promesso che l’avrebbe chiamata entro un paio di giorni per
farle sapere la sua
decisione.
Allie se n’era tornata a
casa
soddisfatta: se anche non avesse ottenuto il posto, poteva almeno dire
di
averci provato. In quel caso, avrebbe continuato a cercare; ora che
aveva fatto
un primo colloquio, sentiva di poter proseguire senza problemi.
Thomas sarebbe passato a
prenderla presto, verso le sei e mezza, così si era fatta
una doccia veloce e
aveva raccolto i capelli in una coda alta. Quello non era un
appuntamento
romantico quanto piuttosto un’uscita all’insegna
del divertimento, l’importante
era quindi stare comoda e non era necessario apparire troppo
affascinante.
Indossò dei semplici jeans e una maglietta e, per una volta
in vita sua, poteva
dire di essere veramente in anticipo. Erano le sei e venti e lei era
già seduta
in veranda ad aspettarlo.
Si stupì quando vide
un’auto
parcheggiare sul marciapiede vicino a casa sua e un ragazzo che si
avvicinava
al suo giardino. Quando non ci fu più la siepe a oscurarle
la visuale lo
riconobbe. Sapeva già che non era Thomas, non era la sua
macchina e il proprietario
era leggermente più basso. Era Nicholas.
«Ciao, Allie. Sei
già fuori,
perfetto» la salutò, andandole incontro.
«Che ci fai
qui?» domandò,
confusa, mentre si alzava.
«Sto andando in centro,
mi
chiedevo se ti andava di venire a bere un drink con me»
spiegò, sorridendole.
Allie sbuffò.
«Sto uscendo
anch’io» disse.
«Potremmo approfittarne
per
uscire insieme» insisté lui.
«Con… un
amico» continuò.
«E a
quest’amico dispiacerebbe
molto rimandare?»
«Dispiacerebbe a
me» sbottò.
«Quindi puoi andare» lo invitò,
accompagnando le parole con un gesto della
mano.
«Non hai proprio
intenzione di
darmi una possibilità?» tentò ancora,
osservandola.
«Mi dispiace ma non sono
interessata» rifiutò, mentre Thomas fermava
l’auto a pochi metri da loro. Al
rumore della ghiaia calpestata, Nicholas si voltò.
«È questo il
tuo amico?»
chiese, guardando il ragazzo scendere e ricambiare il suo sguardo,
perplesso.
Non aspettò nemmeno l’ovvia risposta, si
avvicinò a lui e disse: «Ehi, è
proprio urgente questa vostra uscita? Pensavo di portare Allie in
centro.»
«Nicholas!»
esclamò Allie,
incredula, mentre Thomas la guardava.
«Che
c’è? Se per lui non c’è
problema…» ribatté, alzando le spalle.
«E tu chi
saresti?» domandò
Thomas, squadrandolo dall’alto in basso.
«Che tono! Potrei farti
la stessa
domanda» gli fece notare Nicholas, sostenendo il suo sguardo.
«Sono il suo
ragazzo» replicò.
«Beh, mi sa che non la
pensate
allo stesso modo allora. Lei ha detto che sei un amico» gli
rivelò, ghignando.
«Nicholas,
vattene!» sbottò
Allie, avvicinandosi a loro. «Adesso»
ordinò.
Alzando le mani in segno di
resa, lui obbedì, mentre camminava all’indietro
per continuare a osservarli.
Anche dopo che se ne fu andato, Thomas e Allie rimasero in silenzio.
Thomas era confuso, non aveva
capito cosa fosse appena successo ma si sentiva furioso. Allie non
sapeva che
dire: l’ultima frase di Nicholas prometteva una lunga
discussione e forse
addirittura un litigio, in ogni caso non si prospettava niente di
buono. Il
clima felice di quel pomeriggio sembrava dimenticato.
«Thomas»
sospirò, alzando lo
sguardo. Incontrò i suoi occhi duri e
un’espressione contratta, tanto che si
zittì subito.
«Chi cazzo
era?» Non l’aveva
mai sentito parlare così, con una voce tanto secca e
tagliente.
«È il fratello
di Alice»
cominciò, ma lui la interruppe subito.
«La tua amica timida?
Beh,
sembra che lui sia in grado di parlare per entrambi e anche di
più.»
Lei annuì, incapace di
sostenere il suo sguardo. Si sentiva colpevole: se lei si fosse fatta
meno
problemi, se non avesse temuto di apparire sgradevole e avesse messo
subito in
chiaro che non era interessata a lui e che stava frequentando qualcun
altro,
magari non sarebbe andata così.
«Non mi hai mai detto di
averlo incontrato» sembrava un’accusa e forse lo
era davvero.
«Non credevo ci fosse
niente
da dire» si giustificò. Stavano per litigare?
Sembrava di sì.
«Mi sembra che ci sia
molto da
dire» ribatté lui.
«Non pensavo che facesse
sul
serio» disse, scuotendo la testa.
«Quindi non è
la prima volta
che ti chiede di uscire» constatò Thomas.
Allie rispose solo con un
cenno del capo. Già dal loro primo incontro, Nicholas aveva
iniziato a flirtare
con lei. Non aveva mai ricambiato, ma effettivamente non lo aveva
nemmeno
respinto. L’aveva preso per un ragazzo spigliato e diretto,
ma aveva sempre creduto
che stesse scherzando. Non immaginava che potesse arrivare a
comportarsi in un
modo simile.
«Beh, se ha creduto che
tu
volessi uscire con lui e che io fossi solo un amico come un altro, tu
non devi
averlo allontanato. Probabilmente ti piaceva» sostenne, senza
guardarla, mentre
arretrava.
«No,
Thomas…»
«Non sono in vena di
uscire
adesso» la bloccò, aprendo lo sportello
dell’auto. «Ci vediamo» disse
solamente, prima di ripartire in fretta.
Allie restò a guardarlo
mentre
si allontanava, ammutolita. Non aveva saputo dire nulla per
giustificarsi, non
era riuscita a spiegarsi e chissà cosa stava pensando lui in
quel momento. Era
chiaramente arrabbiato, non le aveva lasciato nemmeno il tempo di
parlare.
Rientrò in casa e si lasciò cadere sul divano,
stanca.
Ce l’aveva con Nicholas
per
essersi presentato da lei e aver detto quelle cose, senza pensare alle
conseguenze.
Ce l’aveva con Thomas
perché
non le aveva permesso di chiarire la situazione e ora probabilmente la
reputava
una ragazzina che non si accontentava di uscire solo con lui.
Ce l’aveva con se stessa
per
non essere stata diretta sin da subito con Nicholas.
Non riusciva a riflettere,
troppi pensieri le affollavano la mente. Thomas si era offeso
perché lo aveva
definito un amico, ma lui come reputava il loro rapporto? Come
l’avrebbe
definita: un’amica o la sua ragazza? E ora la sua percezione
era cambiata?
Afferrò il cellulare
dalla
borsa e scorse la rubrica. Aveva bisogno di parlare con qualcuno che la
capisse
e la confortasse, aveva bisogno di Dafne. Restò con il dito
sollevato a
mezz’aria. Dafne era la sorella di Thomas. Sarebbe stato
giusto chiamarla e
metterla in una posizione difficile?
No, certo che no. Richiuse il
telefono, sospirando.
Doveva
risolvere quel problema
da sola.
Buongiorno!
Voglio
ringraziare
coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che
l’hanno
recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.
Se
volete leggere altri spoiler, questo
è il mio account
facebook, dove pubblico di tanto in tanto qualche frase.
Spero abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto, vi
lascio
qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.
Fu
Alice
ad aprirle. «Ciao, Allie» la salutò.
«Avevamo un appuntamento?»
le domandò, confusa, mentre la faceva entrare.
«No»
la rassicurò lei, scuotendo il capo. «In
realtà, sono qui per tuo
fratello. Ho bisogno di parlargli» rivelò.
«Nicholas?»
ripeté lei, ancora più perplessa di
prima.
«Sì»
annuì Allie. «È in
casa?»
Il prossimo
capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì
8 ottobre.
Buona giornata :)
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
cap 8
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 8
Allie
aveva dormito poco e
male, si era svegliata di continuo, aveva fatto sogni agitati che non
riusciva
a ricordare e alle sei aveva ormai rinunciato a riaddormentarsi. Aveva
aperto
la finestra per far entrare la luce del sole nascente e si era seduta
sul
letto. Era rimasta così, in silenzio, per una
quantità imprecisata di tempo.
Con la mente continuava a ripercorrere l’episodio della sera
precedente,
l’improvvisa comparsa di Nicholas e quella specie di litigata
con Thomas. Non
era stato un vero e proprio litigio: lui aveva dimostrato di essere
offeso e
ferito ma non le aveva permesso di spiegare, se n’era andato
arrabbiato senza
capire davvero cosa fosse successo.
Mentre
si rigirava nel
tentativo di addormentarsi, quella notte, Allie aveva creato una
dozzina di
ipotetici discorsi con cui avrebbe potuto chiarire la situazione.
Avrebbe
ricostruito la storia dal primo momento, partendo dal giorno in cui si
era
presentata a casa di Alice per invitarla a fare una passeggiata e aveva
incontrato il ragazzo. Avrebbe ripetuto, anche decine di volte se fosse
stato
necessario, che c’era stata un’incomprensione tra
loro e, mentre Allie credeva
che lui stesse solo scherzando, evidentemente Nicholas era
più serio di quanto
lei pensasse. Avrebbe sottolineato il fatto che però non lo
aveva mai
incoraggiato e, se per caso l’aveva fatto, era stato
inconsciamente, perché lei
non era affatto interessata. Lei era più che felice di
frequentare solo Thomas
e non le sarebbe nemmeno passato per il cervello di conoscere qualcun
altro.
In
tutti questi scenari, però,
non aveva considerato che lui avrebbe potuto interromperla come aveva
fatto la
sera prima, che magari non avrebbe voluto ascoltarla e difficilmente
poteva
imbavagliarlo e legarlo a una sedia finché non avesse finito
il suo discorso.
A
un certo punto, incapace di
dormire e trovare un metodo valido per risolvere il problema, aveva
avuto la
tentazione di chiamare Dafne. Ma di nuovo aveva desistito. Era certa
che Thomas
non le avesse detto niente e che, avendo l’occasione di
raccontarle tutto in
prima persona, lei l’avrebbe convinta e avuta dalla sua
parte. Tuttavia non
sarebbe stato giusto porla tra di loro, costringendola a scegliere uno
dei due
se la questione non si fosse risolta con facilità.
Questo
era proprio uno dei
motivi per cui aveva tentennato e si era presa un paio di giorni per
decidere
se accettare o meno la proposta di Thomas di uscire insieme, quando
glielo
aveva chiesto per telefono. Avrebbe potuto sicuramente sopportare una
delusione
se tra di loro non si fosse creato un rapporto duraturo, ma lui era pur
sempre
il fratello della sua migliore amica. Aveva dovuto considerare che, in
caso
fosse finita male, Dafne si sarebbe trovata in una posizione
imbarazzante e lei
non voleva perderla. Alla fine aveva deciso di provare comunque: erano
due
adulti e quindi dovevano essere in grado di comportarsi civilmente in
ogni
caso. Era ancora fermamente convinta della sua scelta, non aveva
rimorsi ma era
certa che sarebbe stata piena di rimpianti se avesse agito
diversamente. E poi
Thomas le piaceva davvero, la faceva stare bene e non le chiedeva mai
troppo.
Nonostante quel problema di cui avrebbe fatto volentieri a meno, aveva
apprezzato molto il loro rapporto fino a quel momento.
Sarebbe
andata a parlargli e
avrebbe insistito finché lui non avesse ascoltato ogni sua
parola. C’era però
anche un’altra questione da risolvere: Nicholas.
Non
era disposta a rischiare
che la scena si ripetesse, né ad aspettare che lui si
rifacesse vivo per
sgridarlo. Forse la soluzione migliore era quella di recarsi a casa sua
e
dirgli chiaro e tondo che non era interessata a lui e che con ogni
probabilità
non lo sarebbe mai stata, nemmeno se le cose con Thomas non avessero
funzionato. Indipendentemente dal caso particolare in cui si trovava,
non
avrebbe mai apprezzato un ragazzo che si comportava con tanta
strafottenza come
quella che aveva dimostrato di avere lui. Gli avrebbe intimato di
smettere di
flirtare con lei e di cercare qualcun’altra,
perché così stava perdendo il suo
tempo.
Si
rendeva conto che quella
discussione avrebbe potuto mettere in imbarazzo Alice,
perché dopotutto aveva
conosciuto suo fratello solo perché si era interessata a
lei, ma in quel
momento non le importava. Aveva imparato a voler bene ad Alice, al suo
cuore
timido ma generoso, tuttavia non era la sua priorità.
Avrebbe mantenuto i
rapporti, se anche lei l’avesse voluto, ma dovendo scegliere
tra Alice e
l’amica di sempre con il ragazzo che le piaceva, non aveva
dubbi.
Era
ancora presto, ma non ne
poteva più di aspettare. Cominciò a vestirsi e
scese per fare colazione,
stupendo i suoi genitori per la sua presenza in cucina a
quell’ora. Disse di
avere un impegno in centro per un colloquio di lavoro, dato che la sera
prima
non aveva raccontato di essere già andata al Blue
Secret. Non parvero convinti, la sua faccia non riusciva a
liberarsi di quell’espressione stanca e un po’
triste con cui si era svegliata.
Decise
di andare a piedi, ci
avrebbe messo più tempo – nonostante Nicholas
abitasse alquanto vicino a lei –
e avrebbe avuto più probabilità di trovarlo
sveglio. Non sapendo se lavorasse o
avesse altre occupazioni che lo costringevano ad alzarsi presto, non
poteva
essere certa di trovarlo a quell’ora.
Nel
giro di venti minuti era
arrivata e ora stava bussando alla porta d’ingresso. La sua
sicurezza aveva
iniziato a vacillare: non era mai stata un’amante delle
scenate e ancora non
sapeva come si era convinta a presentarsi a casa sua per affrontarlo,
ma sapeva
anche che doveva farlo.
Fu
Alice ad aprirle. «Ciao,
Allie» la salutò. «Avevamo un
appuntamento?» le domandò, confusa, mentre la
faceva entrare.
«No»
la rassicurò lei,
scuotendo il capo. «In realtà, sono qui per tuo
fratello. Ho bisogno di
parlargli» rivelò.
«Nicholas?»
ripeté lei, ancora
più perplessa di prima.
«Sì»
annuì Allie. «È
in casa?»
«Sì,
sta facendo colazione»
rispose, voltandosi verso la cucina e chiamandolo.
Allie
sentì lo stridio di una
sedia che strisciava sul pavimento e poi lo vide comparire sul vano
della
porta. Si bloccò con una fetta biscottata in mano,
guardandola. Lei gli rivolse
solo un cenno del capo accompagnato da poche parole:
«Dobbiamo parlare.»
Appoggiata
la colazione sul
tavolo, lui le si avvicinò in silenzio mentre Alice, che non
ci stava capendo
niente, scelse di tornare in cucina.
«Buongiorno»
la salutò.
Sembrava un’altra persona: non aveva nessun sorriso
malizioso, il suo tono era
calmo e non più sfacciato, anche il suo atteggiamento
sembrava meno ricercato.
«Sono
venuta solo per chiarire
un paio di cose» cominciò, ma lui la interruppe
subito.
«Si
tratta di ieri sera?
Perché se è così-»
«Sì,
e ora lasciami parlare, per favore»
quasi sputò quelle due
parole, irritata. Cos’era questa mania di bloccarla di
continuo? Prima Thomas,
ora lui. Voleva essere ascoltata.
«Io
sono venuta qui per Alice,
perché l’ho conosciuta al liceo e voglio creare
un’amicizia che, per vari
motivi, non è nata negli anni passati. Alice.
Non te. Non voglio troncare da
subito
il rapporto di fiducia che sta crescendo tra di noi, ma se continui a
comportarti in questo modo sarò costretta a farlo e quando
tua sorella si
chiederà perché me ne sono andata, tu sarai il
responsabile. Quindi, se non hai
la capacità di rispettare i desideri altrui, prova almeno a
farlo per lei.»
Nicholas
aprì la bocca e stava
per risponderle, ma lei lo zittì. «Non ho finito.
Ti ho detto che Thomas è un
amico perché abbiamo cominciato a frequentarci da poco e non
abbiamo ancora
deciso come definirci, ma questo non significa che sia un amico come
tutti gli
altri. Lui mi piace e no, non ho intenzione di conoscere nessun altro
per fare
un confronto. Mi basta lui, ora. E se anche in futuro cambiassi idea,
sarà una
mia scelta. Quindi smettila di flirtare con me, di chiedermi di uscire
o di
vedere nelle mie parole più di quanto non ci sia. Se non ti
ho rifiutato
brutalmente prima è solo perché finora ho cercato
di essere gentile e
rispettosa, ma ieri sera hai superato il limite. Non
m’importa se sei il
fratello di Alice, non m’importerebbe se fossi il principe
ereditario: devi
smetterla.»
Era
risultata più dura di
quanto non si proponesse, ma interrompendola aveva scatenato la sua
irritazione
e risvegliato l’ira della sera precedente.
Ora
che aveva terminato di
parlare, lui continuava a rimanere in silenzio.
«Posso?»
domandò poi, per
assicurarsi che avesse finito. Allie annuì, sbuffando.
«Stavo
per chiederti scusa. So
di aver esagerato ieri sera: ero un po’ brillo e, anche se so
che non è una
giustificazione, è uno dei motivi principali per il mio
comportamento» spiegò.
«Non
erano nemmeno le sette»
gli fece notare, scettica. Il suo sguardo, però, sembrava
sincero.
«Ero
stato in giro con un
amico…» disse, come se questo potesse chiarire il
fatto che fosse mezzo ubriaco
a un orario simile. «Comunque, mi dispiace. L’idea
di venire da te ce l’avevo
già, non avevo capito che i tuoi tentativi di schivare le
mie proposte fossero
così seri. Per quanto riguarda ciò che ho detto,
invece, temo che l’alcol tiri
fuori il peggio di me» continuò. «Non ti
starò più tra i piedi, giuro. Se in
futuro cambierai idea, sai dove trovarmi, ma per ora
rinuncio.»
«Sul
serio?» chiese, esitante.
Non pensava che sarebbe stato così facile, che lui si
sarebbe scusato subito e
avrebbe accettato le sue parole.
Ma
Nicholas annuì. «Scusami
anche con…» rifletté, ma non
riuscì a ricordare il nome, «lui.»
«Thomas.»
«Thomas»
ripeté, trattenendo
un sorriso. «Spero di non aver creato problemi tra di
voi.»
Allie
distolse lo sguardo. Non
voleva rivelargli ciò che era successo, era una questione
personale di cui
nessuno era a conoscenza e certo lui non sarebbe stata la prima persona
che
avrebbe informato.
«Mi
auguro che tu sia fedele
alla tua parola» disse, prima di voltarsi e aprire la porta,
urlando un saluto
ad Alice mentre usciva.
Per
raggiungere la casa di
Thomas doveva passare nuovamente davanti alla sua e poi camminare per
un bel
tratto di strada, almeno trenta minuti. Non sarebbe stato un problema,
aveva
deciso di andare a piedi per avere il tempo di pensare e calmarsi, ma
mentre si
avvicinava alla sua abitazione si rese conto di voler fare qualcosa di
particolare. Non voleva limitarsi a delle scuse verbali, voleva fargli
capire
che era davvero dispiaciuta di quell’incomprensione
– perché pensandoci bene
non era nient’altro, anche se era comunque colpa sua
– con un gesto che lo
sorprendesse. Ricordando le loro lunghe conversazioni nel tentativo di
trovare
un dettaglio che l’aiutasse, Allie si soffermò su
una caratteristica che
avevano scoperto di avere in comune: nessuno dei due sapeva cucinare.
Non
si sarebbe certo buttata a
capofitto in esperimenti che non le sarebbero certamente riusciti, ma
suppose
che un piccolo tentativo non avrebbe fatto male. Dopotutto era presto e
aveva
ancora molto tempo per raggiungerlo, non erano nemmeno le nove di
mattina.
Invece
di proseguire, svoltò a
destra nella stradina che conduceva a casa sua e rientrò. I
suoi dovevano
essersene appena andati e Allie si ritrovò a pensare che
ultimamente era stata
molto fortunata da quel punto di vista: quando doveva incontrarsi con
Thomas o
aveva qualcosa da fare, come in quel momento, non c’erano mai.
Prese
il libro di ricette di
sua madre e cominciò a sfogliarlo, alla ricerca di un dolce
semplice e veloce
che le permettesse di fare bella figura e di non bruciare la cucina.
Alla fine
optò per dei semplici biscotti con gocce di cioccolata: li
aveva mangiati solo
un paio di volte dato che sua madre preferiva creare prodotti
più complessi, ma
ricordava il loro buon sapore e la preparazione sembrava alla sua
portata.
Si
raccolse i capelli e infilò
un grembiule, controllando di avere tutti gli ingredienti. Con un
sospiro,
cominciò a mescolare zucchero, burro e uova, sperando con
tutto il cuore che i
suoi sforzi fossero ripagati.
*
* *
Allie
stava osservando il suo
lavoro con un sorriso. I biscotti erano riusciti alla perfezione, non
aveva
bruciato nulla – alcuni erano solo leggermente tostati
– ed emanavano un
profumino invitante. Ne assaggiò uno, giusto per essere
sicura che anche il
loro sapore fosse come ricordava, e ne fu soddisfatta: erano morbidi ma
non
eccessivamente friabili, si sentiva la cioccolata ma anche un pizzico
di
vaniglia. Li sistemò in una vaschetta di plastica,
aggiungendo a mano a mano
anche lo zucchero a velo, che chiuse con un coperchio arancione. La
infilò in
borsa, attenta a non farla rovesciare, e si avviò verso
l’auto.
Aveva
impiegato quasi un’ora e
mezza per ottenere quel risultato, andando con calma per non sbagliare,
e ora
non voleva ritardare ancora il suo incontro con Thomas. Mentre
osservava i
biscotti lievitare nel forno, aveva ripetuto ancora una volta
ciò che
programmava di dirgli e ormai si sentiva sicura di sé, certa
che lui avrebbe
capito.
Quando
si trovò a bussare alla
porta di casa sua, però, si rese conto che c’era
qualcosa che non aveva
previsto. Fu Martha ad aprirle, sorpresa di trovarla lì.
Senza rendersi conto
che la sua richiesta era impossibile da accontentare, Allie se ne
uscì con la
solita frase di circostanza. «Buongiorno,
c’è Dafne?»
«No,
Dafne è a lavoro» le
rispose la donna, stupita che lei non lo sapesse. Ovviamente Allie lo
sapeva,
in un remoto angolo del suo cervello doveva esserci
quell’informazione, ma non
l’aveva presa in considerazione. Aprì la bocca per
ribattere ma dovette
richiuderla, senza parole. Cosa avrebbe potuto dirle per convincerla a
farla
entrare senza tirare di mezzo Thomas?
«Oh,
giusto, che scema che
sono» esclamò, cercando di guadagnare tempo.
«Vedi, io…» spostò lo
sguardo,
alla ricerca di un’ispirazione. «Io non trovo
più una delle mie maglie e ieri
sera Dafne mi ha detto che potevo passare a vedere se magari ce
l’aveva lei» inventò.
«Forse è finita nella sua valigia
quand’eravamo in vacanza.»
Martha
assentì mentre si
faceva da parte per farla entrare. «Vuoi che ti
aiuti?» domandò, gentile e
disponibile come sempre. Allie però aveva già
notato l’aspirapolvere sul
pavimento del salotto e lo straccio sopra la tavola.
«No,
grazie, non ce n’è
bisogno. Non voglio rubarti altro tempo» la
rassicurò, accennando alle sue
pulizie.
«Se
sei sicura…»
Lei
annuì energicamente,
compiendo un piccolo passo verso le scale.
«Vai
pure a cercarla e non
farti problemi se ti serve aiuto» le ripeté la
donna, tornando al suo lavoro.
Con
un sospiro di sollievo,
Allie salì le scale ed entrò nella camera
dell’amica. Posò la borsa sul letto e
si guardò intorno, indecisa. Abituata ad avere la casa vuota
per gran parte
della giornata, non aveva considerato che avrebbe potuto esserci la
madre di
Thomas in giro. Uscì dalla stanza senza far rumore e si
avvicinò alla porta davanti,
chiusa. Bussò un paio di volte ma nessuno rispose. Si decise
quindi ad aprirla,
sebbene il silenzio le indicasse già che non c’era
nessuno dall’altra parte. La
camera di Thomas era infatti vuota.
Delusa,
con pochi passi si
ritrovò nella stanza di Dafne e, chiusa la porta, si
adagiò sul letto. Avrebbe
dovuto aspettare? Quando sarebbe tornato? Non poteva certo chiederlo a
Martha,
lui non le avrebbe mai perdonato il fatto di averle svelato che si
stavano
frequentando, soprattutto dato che non si erano lasciati nel migliore
dei modi
la sera precedente.
Avrebbe
dovuto chiamarlo?
Voleva fargli una sorpresa e poi non era sicura che lui sarebbe tornato
a casa
subito, sapendo che lei era lì.
Ormai
era stesa lì da cinque
minuti e cominciava a preoccuparsi. Insomma, non poteva mica restare in
quella
stanza per tutta la mattina senza insospettire la donna al piano di
sotto!
Aveva passato ore a immaginare il loro incontro, le parole che gli
avrebbe
detto, e ora non lo trovava nemmeno.
Stava
per rinunciare e tornare
più tardi con un’altra scusa quando
sentì la porta d’ingresso sbattere e dei
passi frettolosi salire le scale. Doveva essere lui, tanto
più che lo udì
entrare nella sua stanza. Si alzò in piedi e si
sistemò freneticamente capelli
e vestiti mentre prendeva un respiro profondo, poi uscì in
corridoio. Lui
l’aveva già superata e si stava dirigendo verso
l’ultima porta, quella del
bagno.
«Thomas»
lo chiamò,
prendendolo di sorpresa e costringendolo a voltarsi. Evidentemente non
aveva
notato la sua auto nel vialetto.
«Che
ci fai qui?» Non aveva
usato un tono rude come quello della sera precedente, ma nemmeno
gentile come
quello di un tempo.
«Devo
parlarti» rispose,
compiendo un passo verso di lui.
«Tu
non devi fare proprio niente, io
invece devo farmi una doccia» ribatté,
aprendo la porta che aveva davanti.
«Ma
io voglio parlarti»
replicò allora lei.
«Devo
lavarmi» ripeté Thomas,
chiudendosi in bagno.
Sbuffando,
Allie rimase sola
nel mezzo del corridoio. Ora che lui era tornato non voleva andarsene,
ma non
voleva neanche aspettarlo. Certo, lui sarebbe uscito nel giro di
qualche
minuto, poteva già sentire l’acqua che scorreva.
Thomas si stava comportando
come un bambino: rifiutare di parlarle, sbatterle la porta in
faccia… Erano
adulti, dovevano essere in grado di discutere dei loro problemi senza
fare
quelle inutili scenate.
Agendo
d’impulso e quasi senza
rendersi conto di ciò che stava facendo, entrò
anche lei nel bagno.
«Che
fai?» esclamò lui,
voltandosi a guardarla. Non poteva vederla bene dato che il vetro della
doccia
era lavorato in modo da impedire una chiara immagine di chi si trovava
dall’altra parte, ma sapeva che era lei.
«Voglio
parlare» insisté,
puntando lo sguardo dove vedeva la forma sfocata della sua testa e
imponendosi
di non spostarlo da lì.
«Proprio
adesso?»
«Troveresti
un’altra scusa
anche dopo» lo accusò, appoggiandosi con la
schiena alla porta. Lo sentì
sospirare mentre riprendeva a lavarsi.
«Quella
di ieri è stata solo
un’incomprensione, non c’è mai stato
niente tra me e Nicholas e non ci sarà
mai» iniziò, ma lui la interruppe.
«Lo
so.»
«Cosa
vuol dire “lo so”?
Perché ti stai comportando così
allora?» domandò, sorpresa. Ormai era chiaro che
quel giorno nulla poteva
andare come aveva immaginato.
«So
che non c’è stato niente,
ma tu hai comunque scelto di non dirmi che lui ci stava provando con te
e non
l’hai respinto, quindi non posso fare a meno di pensare che
dopotutto non ti
desse così fastidio.»
«Se
mi avessi lasciato il
tempo di spiegare, forse avresti capito»
l’accusò, prima di cominciare a
parlare. «L’ho conosciuto quando sono andata a casa
di Alice per la prima
volta. Se ci ripenso adesso, è chiaro che ha iniziato fin da
subito a flirtare
con me, ma io non me ne ero accorta. Cioè, ovviamente avevo
notato le
frecciatine e gli inviti velati a uscire con lui per conoscerlo, ma
credevo che
scherzasse. Lui non m’interessava e quindi non avevo nemmeno
pensato che io
potessi interessare a lui. Quando è diventato più
esplicito, non volevo essere
troppo dura e rifiutarlo perché è il fratello di
un’amica e non volevo
incrinare l’amicizia che è appena nata tra di noi.
Non pensavo che sarebbe
arrivato a tanto.»
Thomas
rimase in silenzio per
qualche istante, riflettendo sulle sue parole, e Allie
cominciò a pensare che
si fosse finalmente reso conto che non doveva preoccuparsi, ma le sue
speranze
morirono udendo la sua domanda. «Anche io sono il fratello di
una tua amica. È
per questo che non hai rifiutato il mio invito?»
«Non
essere ridicolo» sbuffò.
«Ho accettato di uscire con te perché volevo farlo
e, se ci pensi un attimo,
non mi sono fatta problemi a rifiutarti in passato.»
Thomas
dovette ammettere che
aveva ragione e, chiudendo l’acqua, si avvolse in un
asciugamano. «Quindi io
dovrei ignorare il fatto che quel tizio ti ha chiesto di uscire davanti
a me,
come se fossi uno che passava per caso?»
«Sono
andata da lui
stamattina: si scusa, ha detto che era un po’ brillo e che
d’ora in poi mi
lascerà in pace» rivelò Allie. I suoi
occhi non riuscirono più a mantenere la
promessa che aveva fatto quand’era entrata e percorsero senza
volerlo il corpo
di Thomas mentre lui usciva dalla doccia. Aveva addosso un asciugamano
che lo
copriva dalla vita in giù, ma il petto era completamente
scoperto. Non lo
vedeva senza maglietta da anni e fu grata di poter godere di quella
visione in
quel momento: non avrebbe voluto restare con la bocca spalancata come
un’idiota
al mare, davanti a decine di persone.
«Sei
andata da lui?» chiese
Thomas, sentendo una fitta di gelosia allo stomaco. Non riusciva a
mandar giù
l’idea che Allie si fosse presentata prima da Nicholas e poi
lì.
«Sì»
annuì lei, distogliendo
lo sguardo da tutta quella pelle scoperta per puntarlo sul suo volto.
«Volevo
mettere le cose in chiaro.»
Lui
annuì, ma Allie non poté
fare a meno di notare che aveva lo sguardo perso e non sembrava
convinto di ciò
che gli aveva detto. «Siamo a posto?» chiese,
avvicinandosi e cercando di
incontrare i suoi occhi.
«No,
non credo» negò lui.
«Perché?»
Quell’interrogativo
le era uscito con un tono più scoraggiato di quanto non
volesse.
«Io
sono tuo amico?» le
domandò, guardandola finalmente negli occhi alla ricerca di
una risposta.
«Certo»
rispose subito lei,
senza nemmeno pensare a ciò che nascondeva quella domanda.
Lui
scosse la testa. «No,
Allie, io non sono tuo amico» la corresse. «Dafne
è tua amica, Alice è tua
amica, Robert e Phil potrebbero essere tuoi amici ma io non sono un tuo
amico.»
Aveva
capito dove voleva
andare a parare. Ricordava la frase che Nicholas aveva detto la sera
precedente, quando lui si era definito il suo ragazzo.
“Mi
sa che non la pensate allo stesso modo, allora.
Lei ha detto che sei un amico.”
«E
cosa sei?» ribatté. «Il mio
ragazzo? Quando l’abbiamo deciso?»
«Avrei
dovuto chiedertelo?»
replicò lui, scettico. Non avevano sei anni, non le avrebbe
mandato un
bigliettino chiedendole di diventare la sua fidanzatina come avrebbe
fatto alle
elementari.
«Non
sapevo che avessimo
deciso di essere una coppia» insisté lei. Non
pretendeva una dichiarazione
romantica o un gesto plateale, ma lui non aveva mai accennato al fatto
che la
loro relazione avesse raggiunto quel punto.
«Abbiamo
superato da un pezzo
l’amicizia, se non te ne sei accorta» le fece
notare.
«Vuoi
dirmi che ogni volta che
hai baciato una ragazza, poi ti sei definito il suo
fidanzato?» chiese Allie.
«Non
sono il tuo ragazzo
semplicemente perché ti ho baciata»
spiegò, posando una mano sul suo collo.
«Noi stiamo bene insieme, sappiamo ridere ma anche aiutarci
quando c’è un
problema, possiamo stare anche in silenzio e non ci pesa. La prima cosa
che ho
fatto, quando ho superato l’esame che mi ha tormentato per
settimane, è stata
venire da te. Credi che mi comporterei così se fossi
un’amica qualsiasi?»
Allie
scosse il capo,
comprendendo le sue parole. «Quindi,
quand’è che siamo diventati più che
amici?»
Thomas
sorrise, accarezzandole
le labbra con il pollice. «Non credo che possiamo definire un
giorno esatto, è
successo e basta.»
Allie
ricambiò lo sguardo
mentre ricordava una frase che l’aveva colpita mentre,
studiando per gli esami
di fine anno, leggeva il libro di letteratura.
«I cannot fix on the hour, or the spot, or the
look,
or the words, which laid the foundation. It is too long ago. I was in
the
middle before I knew that I had begun*»
recitò a bassa voce,
mentre lo vedeva avvicinarsi sempre di più a lei. Finì
a mala pena di parlare
che già le sue labbra avevano raggiunte le sue e
l’avevano travolta in un bacio
che avrebbe ricordato per lungo tempo.
Era
il primo bacio che
riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas
provava
per lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la sua ragazza” e dimostrava
una gelosia irritante ma anche
lusinghiera nei suoi confronti.
Lo
strinse a sé, passando le
mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le
bagnava la
maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.
Si
sentì pervadere da una
sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di
sapone
che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere
puramente,
completamente felice.
Allontanandosi
da quella bocca
tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e
si
soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che
anche
lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto,
o sentito, così felice.
*Orgoglio e
Pregiudizio: Non so dire l'ora, il luogo, lo sguardo, o le
parole che hanno
posto le basi. È stato troppo tempo fa. Mi ci sono trovato
in mezzo prima di
accorgermi che fosse cominciato.
Buongiorno!
In
questi ultimi giorni
ho notato che il numero di coloro che seguono questa storia sta
lentamente
salendo e, sebbene sia comunque esiguo in confronto a molte altre
storie
presenti su questo sito, per me siete comunque importantissimi e questo
fatto
mi rende immensamente felice e orgogliosa.
Voglio
ringraziarvi
tutti, perché sapere che qualcuno apprezza ciò
che scrivo mi fa sempre piacere
e mi aiuta nei momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi
spingerebbero
altrimenti a mollare tutto.
Ringrazio
in particolar
modo coloro che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi
sapere ciò
che pensano dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.
Nei
primi capitoli
pubblicati c’è il link a un gruppo facebook che
non esiste più, ho scelto di
eliminarlo perché i membri seguivano una storia di un paio
di anni fa e
purtroppo non sono in contatto con loro da molto tempo.
Qui
potete trovare il
mio account facebook, aggiungetemi :)
Stavo
pensando di
aprire un nuovo gruppo dedicato solo a “Bolle di
felicità”, quindi fatemi
sapere se vi piace l’idea e se vorreste farne parte.
Scrivetemi anche per
messaggio privato se non vi va di lasciare una recensione completa, non
c’è
nessun problema per me.
Spero
che questo
capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che
spero
vi incuriosisca:
«Hai
intenzione di darmi del lei
ancora per molto?» domandò, avvicinandosi.
«Non sono poi così vecchio.»
Dafne
lo osservò: aveva i capelli
corti e accuratamente pettinati, una barbetta appena accennata che
evidenziava
i lineamenti regolare del suo volto, lunghe ciglia scure che
circondavano gli
occhi di quel colore intenso che aveva già notato.
Nonostante l’aria curata e
matura, non doveva avere più di venticinque anni.
«Di
solito non do del tu ai
clienti» si giustificò, concentrandosi sul
computer.
Il
prossimo capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì
15 ottobre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
cap 9
Dov’erano
rimasti?
Era
il primo bacio che
riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas
provava per
lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la
sua ragazza”
e dimostrava una gelosia irritante ma
anche
lusinghiera nei suoi confronti.
Lo
strinse a sé, passando le
mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le
bagnava la
maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.
Si
sentì pervadere da una
sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di
sapone
che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere
puramente,
completamente felice.
Allontanandosi
da quella bocca
tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e
si
soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che
anche
lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto,
o sentito, così felice.
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 9
Allie
trattenne il respiro,
sorpresa da quell’inaspettato contatto. Lui non
sembrò accorgersene, troppo
concentrato ad assaporare la sua pelle. Ritornò sulla sua
bocca, richiedendo un
altro bacio che Allie non si sognò nemmeno di rifiutare, ma
che dovette
interrompere quando lui si pressò nuovamente addosso a lei,
permettendole di
sentirlo ancora una volta.
«Thomas»
boccheggiò, spostando
le labbra sulla sua guancia. Lui si scostò appena, giusto i
centimetri
necessari per allontanare quella parte del suo corpo da lei.
«Scusa»
mormorò, incapace di
fornire altre giustificazioni.
Allie
scosse appena la testa,
rassicurandolo, prima di baciarlo di nuovo. Era rimasta stupita
perché non
aveva pensato a quell’evenienza, non perché fosse
qualcosa di inopportuno.
Thomas era in bagno, nudo, coperto solo da un asciugamano, e la stava
baciando
con passione dopo averle detto che, per lui, lei era molto
più che un’amica. La
sua era una reazione naturale e impossibile da biasimare, tanto
più che nemmeno
Allie poteva dire di non trovare tremendamente eccitante quella
situazione.
La
loro relazione però era
appena cominciata, era troppo presto per fare un simile passo e, anche
se così
non fosse stato, quello non era certo il luogo né il momento
adatto.
«Ti
aspetto in camera» lo
avvertì, staccandosi dalle sue labbra e guardandolo negli
occhi. «C’è una
sorpresa» annunciò, sorridente.
«Cosa?»
domandò lui, incuriosito. Non era
nuova, tra loro, l’usanza di fare una sorpresa, ma fino a
quel momento era
sempre stato lui l’artefice e lei la beneficiaria.
«È
una sorpresa» ripeté,
sgusciando fuori dalla sua presa e poi dal bagno. Prese la borsa, che
aveva
lasciato in camera di Dafne, e attraversò il corridoio per
sedersi sul letto di
Thomas. Sentiva ancora l’aspirapolvere in funzione,
evidentemente Martha stava
facendo delle grandi pulizie, perché era già da
un bel po’ che Allie si trovava
lì. Sapeva che non sarebbe potuta rimanere ancora a lungo,
non se voleva
evitare di far crescere in lei dei sospetti. L’armadio di
Dafne non era poi
così grande e non conteneva così tanti vestiti da
richiedere più di un’ora di
ispezione per trovare un semplice capo. Aveva ancora del tempo,
però, e voleva
sfruttarlo tutto.
Thomas
arrivò subito, aveva
indossato un paio di jeans e una maglietta, i capelli ancora umidi.
«Adesso
mi dici di che si
tratta?» domandò, sedendosi dinanzi a lei.
Sorridendo,
Allie estrasse la
vaschetta dalla borsa e la posò tra di loro, togliendo il
coperchio. «Li ho
fatti prima di venire qui» rivelò, osservando la
sua reazione.
«Non
hai detto che non sai
cucinare?» chiese, corrugando la fronte.
Allie
annuì. «Ho voluto
provare comunque» rispose, alzando le spalle. «Vuoi
assaggiare?» propose,
prendendo un biscotto uno e alzandolo davanti alla sua faccia.
Senza
smettere di guardarla,
Thomas diede un morso. Il suo sguardo era così intenso che,
per un attimo,
Allie temette di arrossire.
«È
buoniffimo»
approvò, ancora con la bocca piena, rubandole
l’altro
pezzetto dalle mani per ingoiarlo.
«Non
ne hai mangiato uno?» le
domandò, prendendone un altro dalla vaschetta.
Allie
scosse il capo, mentre
lo osservava avvicinare la mano a lei, imboccandola a sua volta.
«Come
mai hai deciso di
provare proprio ora? Speravi di addolcirmi con i biscotti?»
«Quello
è uno dei motivi, sì»
annuì.
«Ce
ne sono altri?»
«Volevo
farti capire che ci tengo
a te, che mi dispiace di aver sbagliato» spiegò,
prima di concludere: «Questo
non toglie che una parte della colpa sia anche tua.»
«Che
ho fatto?» Il suo tono
era genuinamente sorpreso, non pensava di aver fatto nulla di male.
Riteneva
più che giusta la sua reazione.
«Non
mi hai dato il tempo di
parlare e dirti come stavano le cose. Se avessi aspettato un momento,
invece di
scappare via subito, questo non sarebbe stato necessario.»
«Ma
non ci saremmo chiariti
davvero, non come abbiamo fatto questa mattina» le fece
notare. Ed era vero. Se
la questione si fosse risolta la sera precedente, con ogni
probabilità non
sarebbero arrivati al punto di definire il loro rapporto di coppia.
«E poi, non
mi avresti fatto i biscotti, quindi ci ho guadagnato il
doppio» rise,
afferrandone un altro.
Allie
si unì alla sua risata e
lo spinse giocosamente, facendo cadere di schiena sul letto. Lui
però fu veloce
e le afferrò il polso, costringendola a seguirlo,
rovesciando i biscotti sul
lenzuolo.
«Guarda
che disastro!» lo rimproverò,
incapace di arrabbiarsi davvero. Sentiva la felicità
scorrerle nelle vene,
un’energia vitale che non aveva mai sentito prima.
«Ssh»
la zittì lui, posandole
un dito sulle labbra e tendendo l’orecchio.
Ora
che stava prestando
attenzione, anche Allie si rese conto di non sentire più
l’aspirapolvere, ma
anzi dei passi che salivano le scale. Si alzò di scatto e,
afferrata la borsa,
si precipitò in camera di Dafne, senza nemmeno controllare
se Martha avesse
potuto scorgerla in corridoio. Si risistemò i capelli che, a
seguito dei loro
movimenti, non erano più in ordine e infilò una
maglia in borsa. Uscì dalla
stanza proprio mentre la donna stava mettendo piede sul pianerottolo.
«Oh,
Allie!» esclamò,
trovandosela davanti. «Hai trovato ciò che
cercavi?»
«Sì,
certo» annuì, aprendo la
zip della borsa per farle vedere il tessuto della maglia.
«Era finita dentro un
cardigan di Dafne, assurdo!» inventò, cominciando
a scendere le scale e notando
che Martha la stava seguendo. Doveva essere salita solo per assicurarsi
che
fosse ancora viva, dopotutto ci aveva messo davvero troppo tempo. Un
po’ le
dispiaceva raggirarla in quel modo ma si consolò con il
pensiero che, una volta
scoperta la verità, sarebbe stata talmente felice per lei e
Thomas che non se
ne sarebbe curata.
Thomas.
Per la fretta di non farsi beccare, non l’aveva
nemmeno salutato. Ormai era arrivata davanti alla porta
d’ingresso e stava per
augurare buona giornata alla donna prima di uscire, quando decise che,
se
doveva mentire, almeno doveva farlo per bene.
«Che
idiota!» disse,
enfatizzando la sua falsa sorpresa. «Ho dimenticato il
cellulare in camera di
Dafne» raccontò, «faccio una corsa a
prenderlo» concluse, guardando Martha.
Salì
di corsa le scale ed
entrò in camera di Thomas, senza preoccuparsi di bussare,
non ne aveva il
tempo.
«Dimenticato
qualcosa?»
domandò, voltandosi verso di lei. Aveva già
raccolto le briciole dal letto e
aveva sistemato la vaschetta mezza vuota sulla scrivania.
«Sì»
assentì, afferrandolo per
il colletto della maglia. «Bacio»
sussurrò, sporgendosi verso di lui.
Forse
a un occhio estraneo
quel comportamento poteva apparire stupido, più adatto a una
tredicenne che a
una ragazza matura; ma ora che era certa del suo affetto, Allie sentiva
il
bisogno di baciarlo, di stringerlo a lei.
Thomas
non si fece pregare,
posando le labbra sulle sue in un bacio veloce ma pieno di passione.
«Ciao»
mormorò Allie, prima di
baciarlo di nuovo e decidersi a scendere una volta per tutte.
Salutò
Martha, forse troppo
bruscamente, e si rinchiuse in macchina. Solo allora emise un profondo
sospiro,
cercando di metabolizzare ciò che era successo quella
mattina.
Non
avrebbe dovuto ignorare le
parole di Dafne. L’aveva avvertita, quando si trovavano
ancora in vacanza e tra
lei e Thomas non c’erano che telefonate e promesse, che la
tendenza a farsi
scoprire nei momenti intimi era una caratteristica di famiglia. Se
già
rischiavano di essere beccati in momenti così tranquilli,
non osò immaginare
cosa sarebbe successo quando la loro relazione fosse arrivata agli
stadi
successivi.
*
* *
La
mattinata era stata insolitamente calma, quasi nessuno
si era presentato in negozio e Dafne aveva potuto approfittare di
quella
tranquillità per scrivere. L’ispirazione
l’aveva colpita mentre si trovava in
discoteca. Ed era strano perché non c’era nulla
che collegasse la storia che si
delineava piano piano nella sua mente con la vista della barista che si
mangiava con gli occhi un ragazzo seduto su un divanetto. Era la prima
volta
che, invece di una storia romantica o profondamente introspettiva,
creava un
giallo. Sarebbe potuto diventare un vero e proprio romanzo, data la sua
propensione alla loquacità e i più insignificanti
dettagli che già le si
presentavano davanti.
Non
aveva detto niente a nessuno, nemmeno ad Allie che
era sempre stata la sua prima lettrice. Voleva essere certa di poter
portare a
termine, o perlomeno iniziare, questo lavoro prima di farne parola con
qualcuno. Aveva una strana sensazione, un presentimento che non aveva
mai
provato prima, come se sentisse dentro di sé che quella
storia poteva diventare
davvero qualcosa di importante.
Stava
tracciando su un foglio i lineamenti che avrebbero
dovuto appartenere alla protagonista, il cui nome doveva ancora essere
deciso,
quando sentì la campanella sopra la porta suonare.
Alzò lo sguardo e si trovò
davanti un giovane dagli occhi d’un verde intenso che la
fissava.
«Posso
aiutarla?» chiese, riponendo l’album e la matita
dentro un cassetto, prima di alzarsi.
«Sì,
grazie. Avrei bisogno di alcune fototessere per il
passaporto.»
«Ha
già delle foto che vuole ristampare o ne vuole di
nuove?» si informò, osservandolo.
«Vorrei
farle adesso» rispose, avvicinandosi alla
rientranza dallo sfondo azzurro dov’era posta la sedia che
veniva utilizzata in
quelle occasioni. Si era mosso senza nemmeno aspettare un suo invito,
doveva
essere un cliente abituale.
Dafne
prese la macchina fotografica e si passò il cordino
dietro il collo. Accese il faretto, cercando la posizione migliore per
illuminare il suo volto.
«Deve
partire per un viaggio?» domandò, per riempire il
silenzio. Si sentiva sempre in imbarazzo quando si trovava sola con un
cliente
senza aver nulla da dire.
«Sì,
vado a Brasile» rivelò lui con un sorriso,
sistemandosi meglio sulla sedia.
«Lavoro
o piacere?» Quasi esultò quando riuscì
a trovare
la luce perfetta: quel faretto era ormai vecchio e faticava a restar
fermo,
avrebbe dovuto dire a sua zia di sostituirlo.
«Piacere»
replicò, trattenendo una risata. Dafne non capì
quel comportamento ma non se ne curò, doveva sbrigarsi per
evitare di perdere
altri cinque minuti a ritrovare la posizione.
«Sorrida»
disse, prima di iniziare a scattare. Era
fotogenico, lo notò subito. Già nella prima foto
era venuto bene, ma le avevano
insegnato a scattarne almeno una decina, così che il cliente
potesse scegliere
quella che preferiva. Continuò quindi il suo lavoro,
finché non vide il sorriso
sul volto dell’uomo restringersi. I muscoli facciali dovevano
dolergli dopo
tutto quel tempo.
«Abbiamo
finito?» chiese, massaggiandosi la mascella.
Forse era stata un tantino troppo cauta.
«Sì»
annuì, inserendo la scheda della memoria nel
computer. «Ora mi dica quale preferisce.»
«Hai
intenzione di darmi del lei ancora per molto?»
domandò, avvicinandosi. «Non sono poi
così vecchio.»
Dafne
lo osservò: aveva i capelli corti e accuratamente
pettinati, una barbetta appena accennata che evidenziava i lineamenti
regolari
del suo volto, lunghe ciglia scure che circondavano gli occhi di quel
colore
intenso che aveva già notato. Nonostante l’aria
curata e matura, non doveva avere
più di venticinque anni.
«Di
solito non do del tu ai clienti» si giustificò,
concentrandosi sul computer.
«Ma
te lo sto chiedendo io» le fece notare. «Per
favore»
aggiunse, con un tono più dimesso e speranzoso.
«D’accordo»
acconsentì, mentre apriva la prima foto. «Qui
sei venuto bene» commentò, facendosi da parte
perché anche lui potesse vedere
lo schermo.
«È
un complimento?» ribatté lui, facendola pentire
delle
sue parole. Avrebbe dovuto capire da subito, da quando lui le aveva
chiesto di
trattarlo in modo più informale, che era un tipo espansivo e
che non si sarebbe
lesinato ogni frecciatina possibile. Un
po’ come Michael, pensò. Ma Michael era
diverso: sapeva scherzare e
divertirsi, sì, ma aveva un animo profondo che
l’aveva colpita, era in grado di
riflettere e agire in modo coscienzioso.
«Qui
invece no» continuò, fingendo di non aver sentito.
In quella seconda foto aveva gli occhi leggermente chiusi e il suo
volto
attraente ne risentiva molto.
«Tu
dici? A me sembra di avere uno sguardo enigmatico»
scherzò,
mentre muoveva l’indice sullo schermo.
«No,
assolutamente no» rise Dafne, più per il tono
della
sua voce che per le parole pronunciate, proseguendo con la sequenza.
«Quale
mi consigli?» le domandò, fissandola tanto
intensamente da costringerla a voltarsi e incontrare i suoi occhi.
«La
prima è decisamente la migliore» rispose Dafne,
ritornando alla foto.
«Allora
mi fido» annuì, spostandosi per permetterle di
alzarsi.
«Tu
non sei d’accordo?» Dopotutto il cliente era lui,
avrebbe dovuto essere una sua scelta e lei non voleva intromettersi.
«Credo
che, se tu l’hai preferita, debba andar bene»
insisté, aprendo il portafoglio. «Quanto ti
devo?»
«Quattro
sterline» gli comunicò, prendendo le foto dalla
stampante e infilandole in una bustina trasparente con il logo del
negozio.
«Sei
qui da sola?» Quella domanda la spiazzò, incapace
di
comprendere cosa volesse sapere realmente.
«No…
la proprietaria è nel laboratorio»
spiegò, indicando
la porta alle sue spalle con un cenno del capo.
«E
puoi prenderti una pausa?»
«Come?»
Lo stava osservando appoggiata al bancone, la
bocca non era spalancata solo perché aveva ancora del
contegno dalla sua parte.
Aveva avuto una brutta sensazione quando si era informato sulla
presenza di
qualcun altro in quel luogo, come se avesse bisogno di solitudine per
qualche
motivo poco raccomandabile. Si diede subito dell’idiota,
perché ora era chiaro
che le sue intenzioni erano meno moleste di quanto si aspettasse. Non
si stupì,
quindi, quando lui le pose un’altra domanda.
«Posso
offrirti un caffè?»
«Perché
dovresti?» ribatté
subito, ritrovando lo spirito che pensava di aver lasciato a Rodi. Lui
non le
piaceva, per quanto fosse bello non riusciva ad attrarla, ma era
ciò di cui
aveva bisogno. Qualcuno che la sfidasse, che la facesse mettere in
gioco, che
tirasse fuori l’ironia e il sarcasmo con cui era solita
rispondere ad approcci
tanto diretti e improbabili. Proprio come
aveva fatto Michael.
«Sei
una bella ragazza, perché
non dovrei?» replicò, sorridente.
«Ti
rendi conto che tutto
finirebbe con quel caffè, vero? Non ci sarebbe nessun dopo.» Decise di essere onesta,
ma questo non sembrò scoraggiarlo.
«Quindi
vieni a prendere un
caffè con me?»
Dafne
abbassò lo sguardo
mentre la sua fermezza vacillava. Forse non era tornata proprio come
prima, ma
di certo aveva ritrovato parte di quel suo carattere così
particolare. Lui era
riuscito a farla reagire solo perché le ricordava Michael,
se n’era resa conto,
e non sarebbe stato giusto sfruttarlo per questo. Ma dopotutto si
trattava solo
di un caffè ed era una sua offerta… Seguendo
l’istinto, sebbene il suo cervello
le urlasse di fare il contrario, accettò.
Andò
ad avvisare sua zia della
sua intenzione di prendersi una piccola pausa e la donna non fece
obiezioni:
era una mattinata calma e poteva badare da sola al negozio per un
po’.
I
due uscirono quindi in
strada, diretti al primo bar sul loro cammino che non distava
più di un paio di
minuti dal negozio.
«Cosa
posso portarvi?» Una
cameriera si materializzò davanti a loro silenziosamente,
prima ancora che si
fossero sistemati sulle sedie.
«Un
caffè?» La proposta
dell’uomo, rivolta a Dafne, trovò un rifiuto.
«Un
cappuccino, grazie»
rispose invece, mentre lui ripeteva la sua scelta senza nemmeno
pensarci.
«Non
lavori lì da molto, non
ti ho mai vista prima» notò, prendendo una
sigaretta dalla tasca della giacca e
accendendola.
«No,
ho iniziato da meno di
due settimane» confermò, osservando la spirale di
fumo che si alzava nell’aria.
«Ne
vuoi una?» le domandò,
accortosi del suo sguardo.
Dafne
scosse la testa, ripensando
alle parole di Michael. “Sai, se
proprio
vuoi morire conosco metodi più rapidi e indolori del cancro
ai polmoni.”
«Quanti
anni hai?»
«Non
lo sai che non si domanda
l’età a una donna?» rimbeccò
Dafne, prima di sorridere alla cameriera che le
stava riportando l’ordine.
«Non
sei certo abbastanza
anziana da aver paura di rivelare la tua età» si
giustificò.
Con
un sospiro, Dafne cedette
e confessò: «Quasi diciannove.» Poi,
incuriosita, ricambiò. «Tu?»
«Ventisei»
ammise, guardando
la sua reazione. Era più vecchio di quanto si aspettasse, ma
non di molto. Non
diede a vedere la sua lieve sorpresa, nascondendo il viso dietro la
tazzina.
«Cosa
stavi disegnando quando
sono entrato?»
«Mi
hai vista?» Dafne si
ritrovò a pronunciare quella domanda inutile, sperando che
si fosse dimenticato
di quel momento. Stava abbozzando l’immagine della
protagonista di quello che
avrebbe potuto essere il suo primo romanzo, era una cosa personale di
cui
nessuno era a conoscenza, non voleva che lui fosse il primo a venirne a
conoscenza. «Nulla, non stavo disegnando nulla»
negò, nonostante fosse evidente
che mentiva.
Lui
però sembrò capire che non
era intenzionata a parlare e cambiò discorso, non volendo
forzarla.
«Cosa
ti ha spinto a lavorare
come fotografa?»
«In
realtà è solo un modo per
guadagnare un po’ di soldi. Mi piace, certo, ma non
è la mia vera passione»
minimizzò.
«E
qual è la tua vera
passione, allora?»
Dafne
lo guardò, resistendo
appena all’impulso di scuotere la testa. Aveva sbagliato.
Aveva creduto che
uscire con lui le avrebbe fatto bene, che l’avrebbe distratta
dal pensiero
ricorrente di Michael, che l’avrebbe aiutata a fare un
piccolo passo avanti
verso la libertà da quel legame a distanza che le impediva
di essere felice.
Aveva torto. Non faceva che ripensare a lui,
a ciò che gli aveva detto e che non si sentiva di ripetere a
colui che aveva
davanti. Ed era assurdo, perché aveva condiviso pochi giorni
con Michael e non
si era fatta problemi a rivelargli ogni suo più intimo
segreto. Sin da subito
c’era stata un’attrazione fatale che li aveva
uniti, che aveva abbattuto ogni
barriera dettata dalla convenienza.
«Io
scrivo» ammise, per poi
guardare l’orologio che teneva al polso.
«Cosa?»
«Un
po’ di tutto» disse, senza
dar peso alle suo parole. Stava per alzarsi, non riuscendo
più a star seduta lì
sapendo che pensava a Michael.
«Sei
innamorata?»
Dopo
quella domanda improvvisa
e inaspettata, fu il suo turno di chiedere delucidazioni.
«Cosa?»
«Hai
sempre lo sguardo perso,
sembri essere su un altro pianeta e ogni tanto sorridi senza rendertene
conto,
di sicuro non per quello che ti dico io» spiegò.
Le
guance di Dafne assunsero
un colorito più rosato e lei dovette trattenersi dal
coprirle con le mani.
Odiava arrossire in pubblico.
«Come
pensavo» annuì lui, con
un sorriso. «Temo di dover rinunciare subito. O forse ho
qualche possibilità di
vincere?»
Dafne
scosse il capo,
mordendosi le labbra. «Temo di no» rispose, mentre
si sollevava. Aprì la zip
della borsa ed estrasse il portafoglio per pagare il cappuccino, ma lui
la
bloccò.
«No,
offro io.»
«Sicuro?»
Lui
annuì di nuovo con un
cenno del capo.
«Grazie»
mormorò, infilandosi
gli occhiali da sole, prima di allontanarsi.
*
* *
Dafne
ci aveva pensato per
ore, da quando era tornata dal bar dove aveva lasciato
quell’uomo non aveva
fatto altro. Si era resa conto che non sapeva nemmeno il suo nome.
Nella
speranza di dimenticare Michael, anche solo per un po’, era
uscita con uno
sconosciuto. Era stato inutile, perché il loro carattere era
così simile che
per tutto il tempo le erano passati per la mente i ricordi di quegli
intensi
dieci giorni. Fisicamente non si assomigliavano affatto: Michael era
più
giovane, aveva un sorriso più fresco e abbagliante, gli
occhi più grandi e la
carnagione più abbronzata. Era anche più basso
dell’uomo che aveva conosciuto
quella mattina, tanto che la superava solo di pochi centimetri. Se
fossero
stati una coppia e avessero avuto l’occasione di frequentarsi
a lungo termine,
Dafne avrebbe dovuto rinunciare ai tacchi, non le piaceva
l’idea di essere la
più alta. Sarebbe stato un sacrificio fatto con piacere, pur
di avere la
possibilità di averlo vicino.
Invece
di svagarsi, aveva
finito per pensare sempre più a lui, tanto che ora se ne
stava seduta sul letto
a gambe incrociate con il cellulare tra le mani. Aveva sotto gli occhi
la
rubrica, per la precisione il numero di Michael evidenziato in giallo.
Voleva
chiamarlo, ogni cellula
del suo corpo fremeva per il bisogno di sentire la sua voce, unico
mezzo per
fingere di averlo più vicino. Non avrebbe potuto toccarlo,
stringerlo,
baciarlo. Non avrebbe potuto vederlo, osservare la sua reazione,
sorridere e
perdersi nei suoi occhi. Ma avrebbe potuto immaginarlo. Poteva fingere
che lui
fosse sdraiato al suo fianco, che le sussurrasse
all’orecchio, che le sue mani
le accarezzassero la vita mentre i loro respiri si confondevano.
Premette
il pollice sul suo
numero e attese. Il telefono cominciò a squillare un
po’ in ritardo, forse per
la distanza che li separava. Solo dopo quattro bip, quando cominciava a
perdere
le speranze e riattaccare, sentì un rumore gracchiante.
«Dafne.»
La voce di Michael,
solare e decisa proprio come la ricordava, le diede un sollievo immenso.
«Ciao»
lo salutò, mentre un
sorriso si formava sulle sue labbra.
«Come
stai?» Adesso? Ora che ti sento e
so che non mi hai
già dimenticato? Ora che posso finalmente udire di nuovo la
tua voce? O nei
giorni passati? In tutti i momenti in cui ti penso e non ci sei? Quando
mi
chiedo perché sono salita su quell’aereo?
«Bene»
sospirò, limitandosi a
quella risposta impersonale. «Tu?»
«Non
mentire» l’ammonì
dolcemente. «Come mai mi hai chiamato?»
«Ho
sbagliato?» domandò,
temendo davvero di aver agito male. Si erano ripromessi di mantenere i
contatti, di restare amici e informarsi l’uno
sull’altro; ma si erano anche
giurati di andare avanti, di non rimanere bloccati in quella
sottospecie di
relazione durata poche ore.
«No,
assolutamente no» la
rassicurò. «Mi fa piacere sentirti, non pensare
neanche al contrario. Volevo
dire: cosa ti ha spinto a chiamarmi adesso?»
Dafne
avrebbe voluto apparire
forte e sicura, ma non voleva mentire. Così scelse
l’unica risposta onesta che
si sentiva di dare, l’unica affermazione che racchiudeva
tutti i suoi
sentimenti, i suoi dubbi e le sue paure.
«Mi
manchi» disse solamente la
ragazza, stringendosi un cuscino al petto.
Lo
sentì sospirare e la sua
voce, quando rispose, risultò più flebile.
«Mi manchi anche tu, tanto.»
Dafne
si morse il labbro
inferiore, sforzandosi di trattenere le lacrime che iniziavano a
velarle gli
occhi. Non voleva piangere, non voleva comportarsi come una bambina;
era adulta
e doveva imparare a controllare le sue emozioni. Emozioni complicate,
contrastanti; emozioni che le riempivano l’anima e non le
permettevano di
respirare. Era così felice di sentire nuovamente la sua
voce, di poter parlare
con lui e ridere insieme, ma allo stesso tempo la consapevolezza che
non poteva
fare altro, che non poteva vederlo o toccarlo le faceva male.
Michael
si schiarì la voce
prima di riprendere a parlare, formulando una domanda meno impegnativa
che
lasciasse loro il tempo di rasserenarsi. «Allora, hai
iniziato a lavorare da
tua zia?»
«Sì,
già da un bel po’. Il
tempo di disfare la valigia ed ero già da lei. Mi sta
piacendo,» raccontò,
mentre i battiti del suo cuore rallentavano a poco a poco,
«è un’attività
interessante che mi permette di allenare la mia creatività.
Non è il lavoro dei
miei sogni, ma è bello.»
«A
proposito di quello, mi
devi mandare qualcuno dei tuoi scritti. Non mi hai fatto leggere nulla
e sono curioso»
la incitò.
«No,
per favore» negò,
scuotendo la testa sebbene lui non potesse vederla.
«Perché
no?»
«È…»
si bloccò, alla ricerca
della parola più adatta per descrivere la sensazione che le
impediva di
condividere le sue creazioni. «È imbarazzante.
Tutto ciò che scrivo è
personale, mi sembrerebbe di rivelare una parte troppo grande di
me.»
«Io
conosco già buona parte di
te» le fece notare, ridendo, riferendosi a
quell’ultima notte di passione che
avevano condiviso.
«Michael!»
lo richiamò,
stizzita, ma senza trattenere un sorriso.
«Seriamente,
non ti fidi di
me?» le domandò, con voce ilare ma meno maliziosa.
«Certo
che mi fido di te, non
è quello il problema…»
«Ma
non abbastanza da farmi
leggere ciò che scrivi» la interruppe.
Dafne
sbuffò, cedendo alla sua
richiesta. «Va bene, ti manderò qualcosa. Ma sei
sleale, non dovresti
raggirarmi così!» lo rimproverò.
Sembravano aver recuperato una certa
tranquillità, avendo accantonato la critica questione della
lontananza che pur
rimaneva sempre in fondo ai loro cuori. Una questione che
ritornò presto in
superficie con le parole di Michael, che senza pensarci se ne
uscì con un
proverbio ricco di significati.
«In
guerra e in amore, tutto è lecito.»
Dopo
quelle parole il silenzio
cadde tra loro.
Dafne
si era appena ripresa da
quel “Mi manchi anche tu”
e quella
citazione non l’aveva aiutata. La loro relazione era
complicata, senza una
definizione, ma una cosa era certa: non era guerra. Si trattava allora
di
amore? Non poteva essere, non doveva.
Erano lontani, troppo lontani perché un sentimento simile
non li ferisse
gravemente.
Michael,
d’altro canto, si
stava dando dell’idiota. Avrebbe potuto ribattere con
centinaia di battute
diverse, cosa l’aveva spinto a pronunciare proprio quella?
Nulla avrebbe potuto
essere più fuori luogo data la loro situazione. Ora non
sapeva come rimediare,
cosa dire per farsi perdonare quell’indelicatezza e farle
tornare quel
bellissimo sorriso che, lo sapeva, se n’era andato dal suo
volto.
Al
contrario di ogni
previsione, fu Dafne a riprendere la parola. «Tu hai trovato
lavoro, invece?»
«Ho
un colloquio proprio
domani» le rivelò, tirando un sospiro di sollievo.
«Non c’è ancora nulla di
sicuro, ma ho una bella sensazione.»
«Di
che si tratta?»
«Un
villaggio turistico sta
cercando un bagnino. Quello che c’è adesso sta per
sposarsi e poi si trasferirà
sul continente, quindi hanno un posto vacante»
spiegò.
«Davvero?»
Poteva avvertire la
felicità nella sua voce e la consapevolezza che una notizia
simile la
entusiasmasse tanto gli riempiva il cuore di gioia. «Spero
che ti assumano.
Posso già immaginarti come bagnino!»
Michael
rise, cogliendo il
tono di quelle parole.
Nonostante
i ricordi che si
ripresentavano prepotenti alle loro menti, portando con sé
un’amara tristezza
per il passato, quella telefonata rese entrambi più sereni.
Parlarono per più
di un’ora, finché la linea non si interruppe per
la fine del credito. A Dafne
non importò, l’unico rimpianto fu quello di non
averlo potuto salutare per
bene, impreparata a quella brusca fine di chiamata. Stesa sul letto,
ora più
calma e rilassata, fu certa di aver agito nel modo migliore. Sapere che
anche
lui pensava così spesso a lei, che serbava con ardore le
memorie di quei giorni
stupendi la rendeva immensamente felice. Pensò che avrebbe
potuto farcela, che
con il supporto di qualche chiamata occasionale il suo cuore sarebbe
guarito –
lentamente, certo, non si illudeva di tornare in piena forma in poco
tempo – e
un giorno avrebbe potuto essere di nuovo spensierata. Ancora stentava a
credere
che avrebbe potuto provare quelle emozioni con un uomo che non fosse
Michael,
ma si convinse che con lo scorrere dei giorni – delle
settimane o dei mesi – ci
sarebbe riuscita.
Per
la prima volta dopo tanto
tempo, si addormentò con il sorriso.
Voglio
ringraziarvi tutti, perché
sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre
piacere e mi aiuta nei
momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero
altrimenti a
mollare tutto.
Ringrazio
in particolar modo coloro
che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere
ciò che pensano
dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.
Nei
primi capitoli pubblicati c’è
il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto
di eliminarlo perché
i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non
sono in
contatto con loro da molto tempo.
Qui
potete trovare il mio account
facebook, aggiungetemi :)
Stavo
pensando di aprire un nuovo
gruppo dedicato solo a “Bolle di
felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace
l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per
messaggio privato se non
vi va di lasciare una recensione completa, non c’è
nessun problema per me.
Spero
che questo capitolo vi sia
piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi
incuriosisca:
«A
cosa stai pensando?» Le parole
di Thomas la riportarono alla realtà, richiamandola da
quella momentanea sosta
nel passato.
«Mio
padre insiste per sapere chi è
il misterioso ragazzo che mi porta in giro senza il suo
permesso» raccontò.
«Dovrei
avere il suo permesso?»
domandò, mentre si voltava a guardarla per un secondo.
Allie
scosse la testa. «Devi avere
solo il mio, di permesso» lo corresse, prima di sospirare.
«Non credi che sia
arrivato il momento di dirlo ai nostri genitori?»
Il
prossimo capitolo arriverà tra
una settimana, mercoledì 22
ottobre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
cap 10
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 10
Quella
mattina Thomas era
passato a prenderla presto, perlomeno per i suoi orari. Non erano
nemmeno le
otto e già erano in macchina, diretti verso Bournemouth. Il
sole splendeva nel
cielo come succedeva poche volte in Inghilterra, era
l’occasione perfetta per
trascorrere una giornata al mare, come si erano promessi.
I
suoi genitori si erano
stupiti di vederla scendere a fare colazione di buon’ora e,
quando lei li ebbe
avvisati dei suoi piani per la giornata, suo padre non si
risparmiò le solito
critiche per quella sua recente propensione alla segretezza.
«Si
può sapere con chi
vai al mare?» le aveva domandato suo padre, studiandola.
«Con
un amico» aveva
risposto, fingendo un’indifferenza che non lo dissuase dal
continuare.
«Lo
stesso amico con cui
sei uscita spesso in queste settimane, immagino. Ce l’ha un
nome?»
«Sì,
papà, ce l’ha» aveva
replicato con voce stizzita. Non le piaceva quando si metteva a farle
l’interrogatorio, le sembrava che non avesse fiducia in lei.
Allie non avrebbe
avuto problemi a rivelar loro l’identità del suo
spasimante, se solo questo non
avesse comportato l’immeditata diffusione della notizia e la
conseguente
iperattività di Martha, la madre di Thomas, che avrebbe dato
il via ai
preparativi per il matrimonio.
«Allie,
non usare quel
tono con me!» la rimproverò, posando la tazza sul
tavolo e puntandole contro
l’indice.
«Quale
tono? Ho
semplicemente risposto alla tua domanda» si
schermì.
«Come
si chiama?»
insisté, senza smettere di fissarla. Aveva uno sguardo duro,
quello che sin da
quand’era bambina aveva usato per punirla e che la metteva in
soggezione.
«Lo
saprai a tempo
debito» ribatté, sforzandosi di sostenere
quell’occhiata.
«C’è
un motivo per cui
non vuoi dirmelo? Forse perché sai già che non mi
piacerà?»
«Oh,
no, ti piacerà. Ne
sono sicura» sorrise, portandosi il bicchiere di latte alle
labbra.
«James,
ha diciannove
anni, lasciala respirare! Non vorrai diventare come mio
padre!» lo richiamò la
moglie, posandogli una mano sul braccio.
Il
nonno materno di Allie
non aveva mai approvato la relazione tra sua figlia Susanne e quell’uomo, come lo definiva
sempre. John
aveva dieci anni in più di sua moglie e l’aveva
conosciuta quando lei ne aveva
appena sedici. Inutile ribadire il disappunto del suocero per quella
differenza
d’età e ricordare tutti gli sforzi che aveva fatto
per cercare di allontanare
la giovane da lui, senza risultato. Tutta quella storia era una vera
fortuna
per Allie, che poteva contare sull’appoggio della madre ogni
volta che suo
padre si opponeva a una sua scelta.
«A
cosa stai pensando?»
Le parole di Thomas la riportarono alla realtà,
richiamandola da quella
momentanea sosta nel passato.
«Mio
padre insiste per
sapere chi è il misterioso ragazzo che mi porta in giro
senza il suo permesso»
raccontò.
«Dovrei
avere il suo
permesso?» domandò, mentre si voltava a guardarla
per un secondo.
Allie
scosse la testa.
«Devi avere solo il mio, di permesso» lo corresse,
prima di sospirare. «Non
credi che sia arrivato il momento di dirlo ai nostri
genitori?»
Ormai
la loro storia era
diventata, se non seria, più sicura di quanto era anche solo
una settimana
prima. Le era piaciuto mantenere il segreto, avere un alone di mistero
ad
avvolgerli mentre i loro familiari tentavano invano di farli parlare;
adesso,
però, stava diventando stressante. Suo padre premeva per
conoscere l’identità
del suo spasimante e lei temeva di farsela scappare senza averlo prima
deciso
con Thomas.
«Sicura
di volerlo fare?»
si assicurò, senza esprimere la sua opinione.
«Tu
non vuoi?» volle
sapere Allie.
Thomas
respirò a fondo,
indeciso. «Se la situazione fosse diversa, non avrei nessun
problema. Temo solo
che poi non ci lasceranno più in pace» ammise,
osservando la sua reazione.
«E
quindi? Non saremmo in
grado di affrontarli, secondo te?»
Thomas
si ritrovò a
sorridere e a scuotere la testa, costretto a darle ragione.
«Va bene, glielo
diremo» annuì.
«Quando?»
s’informò
Allie.
«E
come?» replicò lui,
sospirando e sistemandosi meglio sul sedile.
«Insieme?»
propose la
ragazza, cercando i suoi occhi. Lui si permise di incontrare i suoi
solo per un
istante, la strada stava diventando sempre più affollata.
«Mia
madre aveva proposto
di cenare tutti insieme quando sono tornata, ma poi non si è
mai presentata
l’occasione. Potremmo trovarci tutti insieme, così
basterà un annuncio e sarà
meno imbarazzante» continuò.
Thomas
annuì, ormai
convinto. «Sì, sembra la soluzione migliore. Hai
pensato anche a una data?»
«No»
negò lei. «Devo
prima controllare i turni dei miei e, in ogni caso, sperare che non ci
sia una
chiamata d’emergenza come al solito.» Poi,
ricordandosi improvvisamente della
novità che non gli aveva ancora riferito,
proseguì: «Ieri sera mi ha chiamata
la proprietaria del Blue Secret:
sono
assunta! Inizio la settimana prossima.»
«Sono
contento per te» la
appoggiò con un sorriso, mentre s’infilava nel
parcheggio e cercava un posto
vuoto dove lasciare l’auto. «Ora riprendere
l’università non sarà così
deprimente.»
«Non
ti farò nessuno
sconto» lo ammonì, tirandogli la lingua.
«Non
ti darò nessuna
mancia» ribatté lui, imitando il suo tono
stizzito, pizzicandole una gamba.
Allie
rise, scacciando la
sua mano con uno schiaffo, prima di indicare un spazio libero.
«Là.»
Thomas
si affrettò a
parcheggiare, prima che qualcun altro gli rubasse il posto,
permettendosi anche
di complimentarsi con lei per il suo buon occhio.
«Ti
fai i complimenti da
solo?»
«Come?»
domandò,
voltandosi a guardarla.
«Hai
detto che ho buon
occhio, sottintendendo che quindi – dato che stiamo insieme
– tu devi essere
attraente» spiegò lei, sistemandosi gli occhiali
da sole sul viso.
«Non
volevo dire nulla
del genere, ma sono felice di sapere che mi trovi avvenente»
commentò Thomas,
uscendo dall’auto e ridendo al suo richiamo sdegnato.
Aprì
il portabagagli per
scaricare la borsa con gli asciugamani, mentre Allie gli si
affiancò legandosi
i capelli in una coda. «Abbiamo trovato proprio una bella
giornata» considerò,
guardando il cielo.
Thomas
seguì il suo
sguardo e non poté che annuire. Il cielo era d’un
azzurro limpido, terso e
privo di nubi come raramente l’aveva visto. Il sole splendeva
forte,
costringendolo a stringere gli occhi per la troppa luce. Un paio di
aquiloni
solcavano l’aria, tirati da bambini schiamazzanti che
correvano sulla spiaggia.
Sentiva il calore irradiarsi sulla sua pelle mentre una lieve brezza
marina,
che avrebbe impedito loro di scottarsi, metteva in moto le girandole
piantate
sulla sabbia.
Nonostante
la bella
giornata, il litorale non era molto affollato e trovarono subito un
posto dove
stendersi. Se Allie aveva visto il suo ragazzo mezzo nudo solo qualche
giorno
prima, lui non poteva dire lo stesso. L’ultima volta che lei
aveva indossato il
costume in sua presenza era stata qualche anno prima, quando entrambi
avevano
partecipato a una festa in piscina. Non si era perso una sola delle sue
mosse,
quindi, quando si era apprestata a togliersi il vestito leggero che
indossava,
permettendogli di vedere quel corpo perfetto che lo faceva impazzire
anche
quand’era nascosto dai vestiti.
«Allora,
ho scelto un bel
costume?» La sua domanda lo colse di sorpresa; alzando lo
sguardo, capì che lei
si era resa conto che l’aveva fissata per tutto il tempo.
«Sì,
ti sta molto bene»
si complimentò, senza fare troppa attenzione alla fantasia
del bikini e
avvicinandola a sé per baciarla. Sentire la sua pelle a
contatto con le dite,
senza indumenti a prevenire quel contatto, era un’esperienza
nuova. Fino a quel
momento aveva al massimo infilato le mani sotto la sua maglia, ma non
era la
stessa cosa. Ora poteva sentirla appieno contro di sé, senza
doversi fare
strada tra la stoffa. Era calda e delicata, liscia, così
invitante da fargli
desiderare di non staccarsi mai.
«Tu
resti così?» chiese
Allie, indicando con un cenno del capo i vestiti che indossava ancora.
Senza
aspettare una sua risposta, aveva già afferrato i bordi
della maglietta e stava
per tirarla verso l’alto per sfilargliela, quando si
fermò. Per un attimo si
era dimenticata dov’erano. Non sarebbe stato appropriato
compiere quel gesto in
una spiaggia, davanti ad altre persone e molti bambini. Thomas
però aveva
intuito le sue intenzioni e, piacevolmente colpito dalla sua
intraprendenza,
l’aveva baciata di nuovo, questa volta più
velocemente ma non per questo con
minor intensità.
Mentre
la ragazza si
accomodava su un asciugamano e cercava la crema solare nella borsa, si
spogliò.
«Vuoi
che te la spalmi
io?» si offrì con tono scherzoso, accomodandosi al
suo fianco.
«Sì,
grazie.» La sua
risposta, pronunciata con un dolce sorriso sulle labbra mentre si
voltava per
dargli la schiena, lo colse di sorpresa. Aprì quasi
meccanicamente il tubetto e
spruzzò del prodotto sulla sua pelle, vedendo il suo primo
sogno erotico
diventare realtà. Certo, nel suo vecchio sogno non era Allie
la protagonista,
ma un’attrice di cui non ricordava il nome che aveva visto
all’epoca in un
film. L’accarezzò gentilmente, stendendo la crema
dalle spalle fino al
fondoschiena, spostando il laccetto del reggiseno quando gli era
d’intralcio.
Non era la prima volta che spalmava la crema sulle spalle di una
ragazza,
l’aveva già fatto in passato con alcune delle sue
ex, eppure questa volta
sembrava diverso. Forse perché non se lo aspettava, forse
perché Allie era una
continua sorpresa che non riusciva a prevedere… Era una
ragazza così allegra e
solare, aperta alla vita, piena di malizia nascosta che stava imparando
a
riconoscere ma che ancora non aveva compreso appieno.
Quello
era un gesto
intimo, sensuale, e sebbene si definissero ormai una coppia non aveva
pensato
di essere già giunto a una tale familiarità.
«Hai
bisogno di aiuto per
qualche altra parte del corpo?»
s’informò, sfiorando ancora una volta la sua
vita sottile.
La
ragazza sospirò,
lasciandosi andare all’indietro per posare la testa contro il
suo petto e
guardarlo dal basso. Aveva un sorriso beato sul volto, gli occhi
luminosi e
ridenti. «Grazie, credo che possa bastare» rispose,
afferrandogli una mano e
intrecciando le dita alle sue. «Vuoi che ricambi il
favore?» domandò, cercando
il suo sguardo.
«No»
rifiutò, scuotendo
il capo. «Magari più tardi, adesso resta
così» disse, circondandola con le sue
braccia per tenerla ferma.
«Non
mi starai diventando
sdolcinato?» scherzò Allie, nonostante apprezzasse
quel momento di tacite
tenerezze.
«Non
preoccuparti» la
rassicurò, perché davvero non era quello il caso.
Lei non se n’era accorta
perché data la loro posizione i loro corpi non erano poi
molto a contatto, ma
quel massaggio che le aveva riservato aveva avuto effetto anche su di
lui.
Aveva bisogno di tempo per ritrovare la calma: anche solo immaginare le
sue
mani che vagavano sul suo corpo per cospargerlo di protezione solare
contribuiva
a peggiorare la situazione.
*
Il
mare era pulito, di un
azzurro intenso che sembrava fondersi con il cielo sulla linea
dell’orizzonte,
mosso da onde spumose che viaggiavano lentamente verso la costa per
infrangersi
sui bagnanti e schizzare i bambini. Portavano con sé una
brezza leggera eppure
abbastanza insistente da costringere una signora a tenersi il cappello
con la
mano per non farlo volare via. L’acqua era meravigliosa ma
Allie, che era stata
da poco a Rodi, non poté evitare di paragonarla alla
trasparenza di quella
greca e trovarla quindi inferiore. Tra la spiaggia sabbiosa su cui si
trovava e
il litorale di sassi e pietruzze di qualche settimana prima, avrebbe
scelto il
secondo, sebbene il fondo le facesse male alle piante dei piedi in modo
inimmaginabile. Ma se avesse dovuto scegliere tra quella meraviglia
della
natura e la spiaggia, comunque molto bella, di quel momento dove
c’era anche
Thomas, senza dubbio avrebbe rinunciato di cuore all’aria
mediterranea.
L’acqua
era fredda e Allie
si fermò dopo pochi passi, cercando di abituarsi a quella
temperatura. Thomas,
invece, si era buttato in avanti immergendosi completamente ed era
tornato in
superficie pochi istanti dopo, scuotendo la testa per spostarsi i
capelli dal
viso.
«Che
fai lì? Vieni!» la
incitò, tendendo un braccio nella sua direzione.
«Aspetta
un po’, è troppo
fredda» aveva risposto lei, guardandolo avvicinarsi.
«E
se ti facessi cadere?»
la stuzzicò, allungandosi per chiudere le gambe di lei in
una morsa con le sue.
«Non
ci provare» lo
ammonì, allargando le braccia alla ricerca
dell’equilibrio. Thomas aveva voglia
di scherzare, era evidente. Ondeggiava tentando di portarla con
sé, ma
inutilmente. Allie aveva puntato i piedi nel fondale, dove stava a poco
a poco
sprofondando, e resisteva con tutte le sue forze.
«Thomas!»
lo richiamò
ancora. «Dai, raccontami quand’è stata
l’ultima volta che sei venuto al mare»
chiese, sperando di distrarlo.
Ci
riuscì.
«Due
anni fa. Sono venuto
proprio qui con degli amici – anche Robert e Phil, li hai
incontrati quella
sera in discoteca – per una settimana, ci siamo accampati in
tenda. Siamo stati
sfortunati, negli ultimi tre giorni ci sono stati ripetute bombe
d’acqua e ci
siamo salvati dalla polmonite solo perché ce ne siamo
andati. Il piano originale,
infatti, era di rimanere due settimane» narrò.
«L’anno scorso invece siamo
andati in Scozia: il tempo non era migliore, però la notte
la passavamo in una
locanda, quindi era già un passo avanti.»
O
forse no.
Allie
aveva sperato di
sviare la sua attenzione dai tentativi di farla cadere in acqua, ma era
stata
lei a perdere la concentrazione mentre ascoltava le sue parole. I piedi
di
Thomas erano saliti lentamente e se n’erano stati sospesi
fuori dal suo campo
visivo finché non ebbe finito di parlare, poi con una
modesta pressione dietro
le ginocchia la costrinse a piegare le gambe e la sbilanciò
in avanti. Affondò
in acqua, mentre le mani di Thomas l’afferravano sotto le
braccia e la
sostenevano quel tanto che bastava a non farle bagnare anche il viso,
che subì
comunque gli spruzzi generati dalla caduta.
«Stronzo!»
esclamò,
afferrandolo per le spalle per sostenersi. Lui, in risposta,
scoppiò in una
risata.
«Adesso
non è più fredda»
le fece notare, circondandole la vita con le braccia e muovendo le
gambe per
restare a galla.
«Non
è una
giustificazione» lo riprese. «Dovrai comprarmi un
gelato per farti perdonare.»
«Non
basta un bacio?»
tentò, accostando le labbra alle sue.
«No»
negò, scuotendo la
testa e mordendosi la guancia per non far scappare il sorriso.
«Non basta.»
«Neanche
se fosse più di un
bacio?»
Lei
rifiutò ancora
l’offerta. «Solo se fosse al sapore di panna e
cioccolato» ribatté, «come il
gelato che piace a me.»
*
Thomas
ripagò il suo
debito. Dopo pranzo – un panino imbottito e un bicchiere di
coca cola
trangugiati velocemente al tavolino di un bar –
comprò due coppette di gelato,
una alla menta per lui e una panna e cioccolato per lei. Prima di
porgergliela
però s’infilò un cucchiaino di gelato
in bocca e senza aspettare la sua
reazione – dopotutto gli aveva sempre ripetuto che non aveva
bisogno di
chiederle il permesso – si gettò sulle sue labbra.
Allie aprì subito la bocca,
dandogli così la possibilità di spingervi il
miscuglio di gelato che era ormai
diventato liquido. Lei non si era accorta del suo rapido movimento con
le
coppette e avvertendo quel sapore dolce si stupì, pur senza
interrompere il
bacio.
Aveva
quasi dimenticato
le parole che gli aveva detto qualche ora prima, la stizza era svanita
subito
tra gli scherzi e le risate, ma era felice di vedere che lui se
n’era
ricordato. Mentre lo baciava, sotto le occhiate scocciate delle
vecchiette del
paese, si sentiva a casa. Protetta, desiderata, amata. Le sue braccia
erano un
porto sicuro dove sapeva di potersi riparare se mai fosse stata
sorpresa da una
tempesta.
Thomas
interruppe
quell’abbraccio appassionato per darle un altro bacio,
più veloce e casto, un
semplice sfioramento di labbra, e poi un altro e un altro ancora,
finché non si
decise a parlare.
«È
meglio che mangiamo il
gelato, prima che diventi completamente liquido.»
S’incamminarono
verso il
centro del paese, dove durante l’estate era sempre presente
il mercatino
caratteristico. Una schiera di bancarelle colorate e profumate,
circondate da
turisti entusiasti e accompagnate dalla musica che dei ragazzi stavano
suonando
in un angolo della strada. Banchi pieni zeppi di souvenir, cartoline,
magliette
con la foto della spiaggia o con la mappa della città, guide
turistiche e
collanine con la scritta Bournemouth
glitterata. Lunghe file di vestiti dai colori vivaci e dalla fantasia
floreale,
foulard e bermuda, costumi di tutti i tipi, parei e capelli di paglia
affiancati a berretti con il logo del paese. Teli ricoperti di
chincaglierie,
bracciali, anelli, collane, orecchini, occhiali da sole tutti mischiati
tra
loro in un intreccio di fili da far impazzire gli acquirenti.
Ma
anche sezioni più
artigianali, statuette in legno lavorate a mano che rappresentavano le
forme
più disparate, dagli animali domestici alle sirene. Una
collezione di conchiglie
di tutte le dimensioni per i collezionisti, banchi di prodotti tipici
da cui
proveniva un profumino delizioso, l’immancabile carrello dei
gelati che
lavorava senza interruzione, il classico venditore di palloncini e il
rivale
che li attorcigliava per creare spade e delfini.
Infine,
seduto su una
pietra con una vecchia Polaroid tra le mani, stava un signore
dall’aria un po’
svanita che dava da mangiare a un gattino. Vedendolo scattare una foto
a una
donna posata sulla balaustra di fronte a lui, Allie si rese conto di un
fatto
che, per un’altra coppia, sarebbe stato sconvolgente.
«Non
abbiamo una nostra
foto insieme» disse, alzando lo sguardo su Thomas. Non
avevano mai avuto
l’occasione di farne una, dato che i loro erano
perlopiù incontri clandestini e
l’idea di mettersi in posa non aveva mai attraversato la loro
mente. Non era
grave, Allie non credeva di aver bisogno di un pezzo di carta lucida
per
ricordarsi di lui, ma sarebbe stato carino averne comunque uno.
«Ne
facciamo una?»
propose, indicando con un cenno del capo il signore che era tornato
alla sua
postazione. Lui annuì mentre già gli si stavano
avvicinando, mano nella mano
senza nemmeno rendersene conto.
«Buongiorno»
lo salutò
Thomas, richiamano la sua attenzione. «Ci potrebbe scattare
una foto?»
Con
un sorriso, l’uomo si
portò la macchinetta fotografica all’altezza degli
occhi e li invitò a
sistemarsi, mentre si lisciava i capelli con la mano destra. Doveva
essere un
tic nervoso, perché Allie l’aveva visto compiere
la stessa azione anche prima.
Stretti
in un abbraccio
un po’ scomodo ma necessario per la foto, aspettarono
pazientemente di sentire
il clic della Polaroid, con due sorrisi felici che cominciavano a
scemare per
il dolore alle guance. Se l’era presa con calma il signore,
ma finalmente aveva
premuto il pulsante. Rilasciarono un sospiro di sollievo e Thomas
seppellì una
risatina tra i capelli di Allie, prima di avvicinarsi per chiedere
quale fosse
il compenso.
«Niente,
è un omaggio»
aveva risposto, afferrando la stampa e sventolandola per asciugare
l’inchiostro.
«Ma
no, mi dica quanto le
devo» aveva insistito, aprendo il portafoglio.
«Nulla»
aveva ripetuto,
prima di osservare orgoglioso la sua piccola opera e porgerla al
giovane.
«Sotto alla foto c’è il logo del
ristorante dove lavoro. È qui vicino, se vi va
passate a farci un salto» li informò, per tornare
poi al micio che lo aspettava
al suo posto.
I
colori erano ancora
leggermente sbiaditi, ma l’immagine era comunque
sufficientemente chiara. Erano
venuti bene, stretti l’uno vicino all’altra con le
mani ancora intrecciate.
Con
un sorriso,
salutarono e si avviarono sulla spiaggia per un’ultima
passeggiata sulla
battigia prima di prendere la via del ritorno. L’acqua
lambiva loro le caviglie
e, quando le onde giungevano alla riva, bagnava i pantaloni di Thomas.
Il sole
stava tramontando, il cielo aveva già assunto una sfumatura
rosa che diventava
sempre più simile all’arancio. La brezza della
mattina era scomparsa, lasciando
spazio a un’aria più calma e affascinante. Allie
aveva requisito la foto per
se, infilandola nella borsa, prima di proporre un gioco.
«Fammi
una confessione.»
«Cosa?»
aveva domandato
Thomas, senza capire a cosa si riferisse.
«Sì,
una cosa tipo: non
so mangiare con le bacchette cinesi» spiegò.
«Davvero
non sei capace?»
chiese, guardandola scuotere la testa, prima di pensare a
ciò che avrebbe
potuto dirle. «Non so far volare un aereoplanino di
carta» ammise.
«Ma
lo sanno fare tutti!»
si stupì, ridendo.
«Lo
so costruire, ma i
miei non volano» disse, stringendosi nelle spalle.
«Non
so fare l’inchino.»
«A
che ti serve saper
fare l’inchino?» domandò, scettico.
«Se
mai incontrassi la
regina…»
Thomas
rise, prima di
ammettere un’altra delle sue debolezze. «Non so far
rimbalzare i sassi
sull’acqua.»
«Nemmeno
io» lo appoggiò
Allie, pensando alla sua prossima frase. «Non so giocare a
poker.»
Thomas
sbuffò: «E io che
volevo proporti di giocare a strip poker… O forse
è meglio così, se vinco io è
più divertente» scherzò.
«Sei
ingiusto» lo
rimproverò lei, infilando le dita sotto l’orlo
della maglia per pizzicargli un
fianco.
«Allora
un giorno
t’insegnerò, così potremo giocare ad
armi pari» si offrì, prendendole la mano.
«Quando
ho detto che sono
disposta a giocare?»
«Non
lo faresti?» ribatté
lui, cercando di incontrare il suo sguardo ma senza riuscirci, dato che
quello
di lei vagava sulla spiaggia per evitarlo.
«Chissà
cosa ci riserva
il futuro» sospirò poi, prima di lasciarsi andare
a una risata e correre via,
per non lasciargli capire quanto l’attirasse quella proposta
indecente. Molto.
Troppo.
*
Avevano
cenato al
ristorante indicato sulla polaroid. Ristorante. Locanda sarebbe stata
una
parola più adeguata. Un tipico posticino sul mare,
arredamento un po’ datato in
legno, poco frequentato, calmo, servizio veloce. Avevano preso una
pizza, nonostante
il posto avesse una nomea per il pesce che cucinava. Quando erano
saliti in
auto stava già facendo buio, il tempo era passato in fretta
e la giornata
sembrava essere stata troppo corta. Cullati dalla musica della radio,
avevano
passato quasi un’ora a ipotizzare i risvolti della loro
confessione ai
genitori.
La
madre di Thomas
avrebbe fatto i salti di gioia e li avrebbe sgridati per averla tenuta
sulle
spine, avrebbe ribadito che lei aveva sempre saputo che sarebbero
diventati una
coppia e che la loro prima figlia avrebbe dovuto avere il suo nome. Suo
padre
avrebbe grugnito qualche felicitazione senza badarvi molto, troppo
preso a
guardare le discussioni politiche alla televisione per far caso alla
novità.
Quello di Allie, al contrario, avrebbe tirato interiormente un sospiro
di
sollievo all’idea che il ragazzo di sua figlia non era un
ragazzo montato,
probabilmente drogato, che frequentava giri clandestini;
all’apparenza, però,
avrebbe riservato a Thomas uno sguardo minaccioso, per assicurarsi che
si
comportasse a dovere. Sua madre invece avrebbe appoggiato Martha,
passando
sopra al suo desiderio di accaparrarsi il primo bimbo, e avrebbe
organizzato
mentalmente le lezioni di cucina che avrebbe dovuto dare a sua figlia.
Ora
che avevano accettato
l’idea di uscire allo scoperto, sebbene non avessero ancora
deciso quando,
erano meno attenti alla segretezza. Almeno, Allie lo era.
«Non
voglio tornare a
casa» disse, quando ormai mancavano pochi minuti per
raggiungerla.
«Come?»
domandò Thomas,
approfittando del semaforo rosso per voltarsi a guardarla.
«Non
mi va di dormire da
sola stasera» spiegò, gli occhi fissi in quelli di
lui. I loro sguardi
restarono incatenati per qualche secondo, mentre lei attendeva una
risposta e
lui non aveva il coraggio di sperare che lei intendesse davvero
ciò che
pensava.
Un
clacson li riportò
alla realtà: il semaforo era diventato verde e Thomas non se
n’era accorto.
Ripartì, alzando una mano in segno di scuse senza rendersi
conto che il
conducente dietro di loro non poteva vederlo.
«Cosa
vuoi dire?» chiese,
concentrandosi sulla strada ma con il cuore che fremeva per
l’attesa.
«Posso
dormire con te?»
Allie aveva quasi sussurrato quella proposta, accarezzando la mano che
lui
teneva sul cambio.
Thomas
sorrise e il tono
della sua voce era testimone della gioia e del sollievo che provava.
«Non lo
devi nemmeno chiedere.»
«I
tuoi non ci
beccheranno?» aveva domandato poi Allie, ripensandoci con
meno sicurezza di
prima.
«Saranno
già a letto, è
tardi» l’aveva rassicurata. Non ne era
così convinto, ma in tutta onestà non
gliene importava affatto.
Fortunatamente
aveva
avuto ragione. Quando fermò l’auto davanti casa,
aspettando che il portone del
garage si aprisse, notò che non c’era una luce
accesa. Entrarono in silenzio,
in punta di piedi, attenti a non far rumore. Il cuore di Allie batteva
così
forte che per un attimo temette che lui potesse sentirlo, che i suoi
genitori
si svegliassero per quel rumore continuo e assordante che le bombardava
in
testa. Si fermarono al pianoterra per usare il bagno: essendo
più lontano dalla
stanza dei suoi genitori, era meno probabile che li sentissero.
Pronti,
salirono le scale
tenendo le scarpe in mano, come due ragazzini che rientravano tardi per
la
prima volta in vita loro e non volevano farsi sgridare dai genitori.
Una volta
giunti sul pianerottolo, Thomas si sbrigò a farla entrare
nella sua stanza e
richiuse la porta dietro di sé, girando la chiave nella
serratura. Solo allora
si concessero un sospiro di sollievo.
Accesa
la luce, restarono
comunque zitti. L’emozione era palpabile ma così
anche il lieve velo di
imbarazzo per quella situazione nuova. L’idea di aver
sbagliato, però, di aver
fatto una proposta affrettata, non sfiorò mai la mente di
Allie.
«Hai
qualcosa che posso
indossare?» chiese, posando la borsa sulla scrivania.
Thomas
annuì, aprendo
meccanicamente un cassetto e scrutandone il contenuto. «Vuoi
una maglia o una
canotta?» domandò.
«Una
canotta va bene» gli
assicurò, allungando una mano per prendere quella pallottola
di stoffa rossa
che le stava porgendo. Si voltò, dandogli le spalle, e si
tolse il vestito.
Sapeva che era inutile, che lui l’aveva vista in costume solo
poche ore prima e
che poteva comunque guardarla da dietro, ma ora era in biancheria
intima e
spogliarsi guardandolo in viso gli avrebbe dato l’impressione
sbagliata. Mentre
si cambiava, sentì il fruscio degli abiti che cadevano a
terra e capì che anche
lui si stava svestendo.
La
canotta le arrivava
poco sotto al sedere, nemmeno metà coscia era coperta.
Sapeva che stava osando
troppo, soprattutto se le sue intenzioni erano solo quelle di dormire,
ma non
poteva farlo con il reggiseno addosso. Aprì il gancetto
dietro la schiena e lo
sfilò con qualche difficoltà senza togliere la
canotta. Avvertì il respiro
trattenuto di Thomas mentre quel pezzo di biancheria cadeva a terra e
lei si
inginocchiava a raccoglierlo, per posarlo sopra al vestito. Si
voltò verso di
lui, mentre una leggera ansia le stringeva il cuore.
Thomas
indossava un paio
di pantaloncini corti e nessuna maglietta. Un abbigliamento improbabile
per
dormire. Si ritrovò a pensare che probabilmente era solito
coricarsi solo in
mutande, ma aveva voluto evitare per non metterla in imbarazzo. Gliene
fu
grata, perché non sapeva come avrebbe reagito se
l’avesse visto in quel modo.
«Che
parte vuoi?» le
chiese, indicando il letto.
Allie
alzò le spalle. «È
lo stesso.» Lei aveva sempre dormito in un letto singolo,
così non le aveva mai
creato problemi dover condividere un matrimoniale.
«Allora
io dormo a
destra» disse Thomas, avvicinandosi al suo lato a scostando
il lenzuolo
leggero. Allie seguì il suo esempio, stendendosi accanto a
lui.
Thomas
spense la luce, la
circondò con le braccia e le lasciò un bacio
sulla fronte, prima di posarvi il
mento. Allie sentì il suo respiro tra i capelli e
cercò una posizione più confortevole
con le gambe, finendo a scontrarsi con le sue.
«Stai
comoda?» le
domandò, allontanando la testa dalla sua per poterla vedere
in viso. Lei annuì,
alzando lo sguardo. Avrebbe potuto giurare che, nonostante il buio,
l’aveva
visto sorridere. Lo sentì muoversi e poi avvertì
delle labbra che si posavano
sulle sue. Labbra dolci e decise, labbra che conosceva bene, labbra che
la
baciavano con adorazione. Sospirò di piacere, lasciandosi
andare a quel bacio,
scorrendo con una mano lungo il suo braccio fino a raggiungere la
spalla e
afferrare i suoi capelli.
«Thomas»
mormorò, mentre
lui si spostava sulla sua guancia. «Io
non…»
«Lo
so» la rassicurò lui,
stringendole un fianco e posando un bacio più dolce sulla
sua mascella.
Non
dubitò nemmeno per un
istante che lui non avesse capito cosa voleva dire. Thomas
continuò a baciarla
e ad accarezzarla dolcemente, ma senza mai tentare un approccio troppo
intimo.
La stava venerando, dedicandole tenere attenzioni senza pretendere
nulla di eccessivo
in cambio. Allie si strinse a lui, beandosi di quei momenti. Il sonno
li
accolse con serenità, stetti in un abbraccio sincero, con il
sorriso sulle
labbra e la felicità nel cuore.
Voglio
ringraziarvi tutti, perché
sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre
piacere e mi aiuta nei
momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero
altrimenti a
mollare tutto.
Ringrazio
in particolar modo coloro
che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere
ciò che pensano
dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.
Nei
primi capitoli pubblicati c’è
il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto
di eliminarlo perché
i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non
sono in
contatto con loro da molto tempo.
Qui
potete trovare il mio account
facebook, aggiungetemi :)
Stavo
pensando di aprire un nuovo gruppo
dedicato solo a “Bolle di felicità”,
quindi fatemi sapere se vi piace l’idea e
se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per messaggio privato se non
vi va di
lasciare una recensione completa, non c’è nessun
problema per me.
Spero
che questo capitolo vi sia
piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi
incuriosisca:
«Thomas,
perché la porta è chiusa a chiave?»
Quella
frase, pronunciata con forza dalle labbra di Martha, e il
rumore della maniglia che veniva forzata ma resisteva alla pressione li
svegliò. Allie s’irrigidì di colpo, le
membra tese e gli occhi sbarrati fissi
davanti a sé, mentre Thomas si tirò a sedere
mugugnando una scusa.
Il
prossimo capitolo arriverà tra
una settimana, mercoledì 29
ottobre.
Buona
giornata :)
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
cap 11
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 11
«Thomas,
perché la porta
è chiusa a chiave?»
Quella frase,
pronunciata
con forza dalle labbra di Martha, e il rumore della maniglia che veniva
forzata
ma resisteva alla pressione li svegliò. Allie
s’irrigidì di colpo, le membra
tese e gli occhi sbarrati fissi davanti a sé, mentre Thomas
si tirò a sedere
mugugnando una scusa.
«L’ho
chiusa? Non me lo
ricordavo nemmeno, forse ero troppo stanco…»
«Apri»
ordinò la donna,
lasciando la maniglia.
«Perché?»
domandò lui. Lo
sguardo di Allie, spaventato, salì per incontrare il suo.
«Faccio
una lavatrice
prima di andare a fare la spesa, devo prendere i vestiti
sporchi» spiegò.
«Non
ne ho in camera»
mentì lui, pensando che avrebbe dovuto trovare un modo per
lavare ciò che aveva
indossato il giorno prima senza farlo sapere a sua madre.
«Adesso posso tornare
a dormire?» borbottò, simulando una voce assonnata.
Dall’altra
parte della
porta gli rispose il silenzio. Thomas non osò muoversi, non
sapendo se lei se
ne fosse andata. Poi uno sbuffo e una mezza minaccia lo raggiunse,
mentre la
donna stava già per scendere le scale. «Non
rimanere a poltrire fino a
mezzogiorno!»
Solo allora si
concessero
un sospiro di sollievo. Thomas si stese di nuovo, circondando il corpo
di Allie
con le braccia e immergendo il viso tra i suoi capelli.
«Buongiorno» mormorò,
sorridendo.
«Buongiorno.»
Allie si
girò per vederlo in viso, scostandosi i capelli dagli occhi.
«Dafne mi aveva
avvisato, ma non avevo voluto crederle» commentò.
«Di
cosa stai parlando?»
«Mi
aveva detto che la
vostra famiglia ha un’innaturale propensione a farsi beccare
nei momenti
sbagliati» spiegò, puntando un gomito sul
materasso e sostenendosi la testa con
una mano.
«Se
mia madre fosse
riuscita a entrare, non avremmo nemmeno dovuto faticare a rivelarle che
stiamo
insieme» le fece notare, chinandosi per darle un bacio.
«Pensi
davvero che
l’avrebbe presa bene? Dopotutto ci avrebbe trovati a letto
insieme» ribatté
lei.
«Ma
non abbiamo fatto
niente.»
«E
secondo te lei ci
avrebbe creduto?» Lo guardò scettica, consapevole
che Martha avrebbe frainteso
la situazione. Nonostante li adorasse e li invitasse senza tanti
sottintesi a
uscire insieme, Allie era certa che trovarli nello stesso letto non
l’avrebbe
resa felice. Per quanto potesse affermare di fidarsi di loro, restavano
due
giovani – presumibilmente innamorati – vestiti solo
di un surrogato di pigiama,
tra le lenzuola, di prima mattina. In quanti avrebbero onestamente
pensato che
non avevano fatto nulla?
Thomas si
limitò ad
alzare le spalle, indifferente dato che il pericolo era scampato, e a
sporgersi
per rubarle un altro bacio. Questa volta Allie rispose, smettendo di
parlare e
posandogli una mano dietro il collo, per tenerlo a sé.
Ancora immersa nel
torpore mattutino, spazzato via solo momentaneamente
dall’arrivo di quella che
forse avrebbe potuto definire suocera, si abbandonò alla sua
dolcezza.
Accarezzandogli la base dei capelli, s’immerse in quel mondo
ovattato fatto
solo di piacere e sospiri, di tenerezza e calore. La mano di Thomas,
posata
fino a quel momento appena sopra il suo ginocchio, risalì
lungo la gamba,
soffermandosi sul fianco per terminare il suo viaggio sulla sua vita,
che
strinse per avvicinarla al suo corpo. La canotta che aveva indossato la
sera
precedente si era inevitabilmente alzata nel corso della notte,
scoprendola
fino all’ombelico. Il contatto con la pelle di Thomas fu
quindi diretto,
vitale. Allie non era stata più timida di lui: il suo petto
nudo l’aveva
attirata subito e le sue mani erano scese lungo la sua schiena forte,
per
passare poi agli addominali che, sebbene non fossero scolpiti o
evidenti, si
avvertivano al tatto. Spinto dalla passione – a cui nemmeno
Allie era immune –
Thomas la spinse di schiena sul letto per sovrastarla e poterle baciare
più
facilmente il collo e la pelle delicata del petto, arrivando fino
all’incavo
dei seni, dove la veste gli impediva di continuare.
Ora che poteva
respirare
liberamente, Allie recuperò la lucidità.
«Aspetta» ansimò, posando una mano sul
suo torace per fermarlo.
«Cosa
c’è?» s’informò,
tornando all’altezza del suo viso.
«No»
disse solo Allie,
scuotendo la testa, mentre lo invitava a stendersi nuovamente accanto a
lei.
«Non è il momento giusto.»
Thomas si
buttò di
schiena, trattenendo un gemito frustrato, mentre lei riprendeva a
spiegarsi.
«Sei il fratello di Dafne e… sei importante per
me. Non voglio che roviniamo
tutti perché abbiamo corso troppo e bruciato le tappe. Non
è ancora il momento,
né il posto» considerò.
«Siamo a casa tua, tua madre è al piano di sotto,
tuo padre
e Dafne chissà dove, magari fuori dalla porta. Non
è il luogo adatto.»
Thomas
sospirò e dovette
ammettere che aveva ragione, almeno nella seconda parte del suo
discorso. Sul
fatto che fosse troppo presto, invece, avrebbe avuto da ridire, ma
forzarla non
era nelle sue intenzioni.
«D’accordo»
annuì infine
e fu ringraziato con un bacio veloce ma delicato.
«Hai
dormito bene?»
domandò mentre si voltava su un fianco per poterla vedere in
viso.
«Sì,
hai un letto molto
comodo» aveva sorriso Allie, grata della sua comprensione.
«Vuoi
fare colazione?»
«In
effetti ho fame»
confessò. «Ma aspetterò,
c’è ancora tua madre di sotto» disse poi.
«Tra
un po’ se ne va» la
rassicurò, posando una mano sul suo fianco, questa volta
sopra la canotta.
«Tuo
padre?»
«Sarà
al lavoro.»
«Non
ne sei sicuro?»
«A
meno che non sia
malato – cosa che non è mai successa negli ultimi
anni – dovrebbe essere in
ufficio» le garantì.
«E
Dafne è già partita?»
s’informò.
«Hai
paura anche di
Dafne?» Si stupì dell’eccessivo timore
che stava dimostrando verso i membri
della sua famiglia. Poteva capire i suoi genitori… ma Dafne!
Era sempre stata
la sua migliore amica e, che lui sapesse, i rapporti non si erano mai
incrinati.
«Certo
che no!» lo
bloccò. «È solo che potrebbe farsi
un’idea sbagliata di ciò che
c’è stato tra
noi e non voglio che questo accada. Voglio essere io a spiegarle tutto,
a
raccontarle della nostra situazione, delle scelte che abbiamo fatto.
Non voglio
che fraintenda» spiegò.
«Quindi
che facciamo?»
domandò Thomas, confuso. Non potevano restare a letto tutto
il giorno, anche se
la cosa non gli sarebbe dispiaciuta poi così tanto.
«Scendi
a vedere quando
esce Martha e controlla che la casa sia vuota, poi posso lasciare il
rifugio
anch’io» disse, con parole rapide e decise.
*
«Hai
sentito anche tu?»
chiese Allie, staccandosi da lui e sedendosi. «Credo che sia
uscita.»
Thomas
annuì, distendendo
le braccia prima di alzarsi e infilarsi una maglietta. «Vado
a controllare» le
disse mentre le lasciava una carezza sui capelli.
Sua madre si era
finalmente decisa ad andare al supermercato, anche se era passata
più di un’ora
da quando l’aveva avvisato della sua imminente partenza
svegliandolo di colpo.
Thomas stava morendo di fame e anche Allie non era da meno
perché, anche se
aveva finto di non accorgersene, aveva chiaramente sentito il suo
stomaco
brontolare.
La casa era
deserta, come
immaginava. Suo padre doveva essere a lavoro già da un bel
po’ e anche Dafne
non era presente. Stava per chiamare Allie e invitarla a scendere per
far colazione,
quando il vassoio posato sulla credenza richiamò la sua
attenzione. Avrebbe
potuto portargliela in camera. Oppure no. Soppesò
l’idea per qualche istante,
cercando di decidersi. Non voleva apparire troppo svenevole, non lo era
mai
stato e quel gesto non mancava di dolcezza, ma Allie aveva
l’assurda capacità
di tirar fuori i lati più nascosti e insospettabili del suo
animo. Posò la
caffettiera sul fornello, approfittando di quel momento per valutare le
sue
opzioni. Se avesse scelto di salire le scale con il vassoio, avrebbe
dovuto
riempirlo e lui non aveva idea di cosa preferisse la ragazza per
colazione. Era
un argomento che non avevano mai toccato, non ce n’era mai
stata l’occasione, e
non ricordava di aver mai iniziato la giornata a tavola con lei.
Compiere una
decisione
non si rivelò necessario, perché sentì
dei passi veloci scendere le scale e
Allie fece la sua comparsa in cucina mentre stava versando il
caffè nelle
tazze.
«Come
mai sei scesa? Non
temevi di essere vista?» le domandò, aprendo il
frigorifero per prendere il
latte e posarlo sulla tavola.
«Non
ho sentito nessun rumore e tu non hai mai
parlato, ho immaginato che non ci fosse nessun altro»
spiegò, accomodandosi su
una sedia.
Aveva indossato
di nuovo
l’abito del giorno prima e aveva raccolto i capelli in una
coda, sembrava
pronta per andarsene. Thomas scoprì di non apprezzare quel
pensiero, forse
troppo assuefatto dal tempo passato con lei nelle ultime
ventiquattr’ore.
Si
servì di ciò che
Thomas le aveva posto davanti con una tale naturalezza che sembrava non
avesse
fatto altro in tutta la sua vita. Non era la prima volta che faceva
colazione
in quella casa, ma di solito dormiva dall’altra parte del
corridoio, con Dafne.
«Avevi
proprio fame» notò
Thomas, indicando la confezione di biscotti che avevano finito.
«Anche
tu» ribatté lei,
guardandolo e ridendo divertita.
«Cosa
c’è?» domandò,
senza comprendere cosa la rallegrasse tanto.
Allie prese una
salvietta
e avvicinò la mano al suo viso, passandola sul suo mento.
Poi gli mostro la
carta bagnata. «Eri sporco di latte»
spiegò, continuando a sorridere e
contagiando inevitabilmente anche lui.
Le loro risate
s’interruppero allo stesso momento, quando udirono la chiave
girare nella
serratura e il cigolio della porta d’ingresso che si apriva.
Si zittirono, lo
sguardo fisso in quello dell’altro. Allie era sgomenta,
Thomas solo fremente
per ciò che sarebbe inevitabilmente successo. Entrambi
avevano dato per
scontato che fosse Martha di rientro dalla spesa, ma i passi veloci che
si
avvicinarono a loro non corrispondevano a quelli della donna.
Accompagnata
dallo scricchiolio delle sue scarpe, Dafne superò la porta
della cucina senza
nemmeno voltarsi, diretta verso le scale. Non vi mise piede,
però, perché
nonostante non stesse prestando attenzione aveva colto con la coda
dell’occhio
due figure alla sua sinistra. Girò sui tacchi e
compì un paio di passi,
fermandosi sulla soglia.
Non si era
sbagliata.
Davanti a lei, seduti al tavolo della cucina con la tavola ancora
apparecchiata
per la colazione, stavano suo fratello e la sua migliore amica. Mentre
lui era
quasi indifferente alla sua presenza – non la guardava
neppure, lo sguardo era
fisso sulla ragazza che aveva di fronte – gli occhi di Allie
sembravano quasi
colpevoli.
«Buongiorno»
salutò,
fissandola, incapace di trattenere il sorrisino divertito che si
delineò sulle
sue labbra.
Allie
boccheggiò per un
momento, non sapendo cosa dire, e lanciò un rapido sguardo a
Thomas che non
aveva ancora voltato la testa per guardare la sorella. Poi
riportò gli occhi su
di lei e aprì la bocca per parlare, anche se ancora non
sapeva quali parole le
sarebbero uscite. Dafne fu più veloce.
«Immagino
che ieri vi
siate divertiti» considerò, sistemandosi la borsa
sulla spalla.
«No,
noi non…» Allie negò
senza nemmeno badare a ciò che le aveva detto
l’amica, scuotendo la testa con
forza e agitando le mani in segno di diniego.
«Non
vi siete divertiti?»
domandò allora lei, perplessa per la sua espressione
agitata. Thomas, per la
prima volta da quand’era entrata, dimostrò di aver
riconosciuto la sua presenza
e sorrise alle sue parole, beccandosi subito un’occhiataccia
dalla sua ragazza.
Compreso che in quel momento era di troppo, si alzò e
uscì dalla cucina,
incrociando gli occhi della sorella mentre le passava accanto con uno
sguardo
che lei non riuscì a comprendere appieno.
Lo
sentì salire le scale
mentre lei si avvicinava al tavolo e vi puntava le mani, guardando
Allie
dall’alto.
«C’è
qualcosa che mi vuoi
raccontare?»
Lei
accennò un movimento
della testa, come per recuperare le idee, poi parlò
lentamente per dar peso
alle parole. «Non siamo andati a letto insieme...
Cioè, tecnicamente sì, ma
solo per dormire. Non abbiamo fatto niente»
spiegò, ingarbugliandosi con le
parole. «Ieri è stata una giornata bellissima e
non avevo voglia di tornare a
casa da sola, così sono rimasta qui.»
«Niente?»
ripeté Dafne,
lievemente sorpresa.
Allie non si era
mai
fatta troppi problemi a bruciare le tappe con un ragazzo. Non che la si
potesse
definire una facile, aveva una
dignità e prendeva le sue decisioni seguendo il cuore e
l’istinto, ma non aveva
mai rallentato le cose per eccessiva prudenza. Non stava frequentando
Thomas da
molto tempo, è vero, ma più di una volta Dafne si
era ritrovata a chiedersi cosa
aspettassero a rendere più seria e pubblica la loro storia.
Sembrava che fosse
lei quella più impulsiva ora, soprattutto dopo la sua
avventura in vacanza.
«Niente»
confermò,
sostenendo il suo sguardo curioso e indagatore.
«Però abbiamo deciso di dirlo
ai nostri genitori, anche se non sappiamo ancora quando»
annunciò.
«Finalmente»
sospirò
Dafne, poi le pose una domanda che le vorticava in testa da quando era
entrata
in casa. «Perché oggi sei
così… strana?» In mancanza di aggettivi
migliori,
utilizzò il più generico e immediato che le
venisse in mente.
Allie chiuse gli
occhi
per un attimo prima di parlare, come se volesse cancellare gli ultimi
minuti
della sua vita e i pensieri che li avevano accompagnati. «Lo
so, sono stupida.
Avevo paura che prendessi male il fatto che ho dormito qui con
Thomas…» sbuffò,
incrociando le braccia. «Lui è tuo fratello e la
cosa è ancora un po’ strana
per me. Non sono mai dovuta entrare in casa tua di nascosto,
soprattutto di
nascosto da te!»
Dafne si
limitò ad
annuire, comprendendo i dibattiti interiori con cui doveva convivere
l’amica.
Non commentò, decise di lasciarle un po’ di tempo
per fare ordine mentale da
sola. Era certa che ogni rassicurazione sarebbe stata inutile,
perché lei
sapeva che tra di loro non c’erano problemi, che era e
sarebbero state comunque
amiche e suo fratello non poteva cambiare tutto ciò.
Lo squillo del
cellulare,
che interruppe il silenzio totale in cui si trovavano, la colse di
sorpresa ed
Allie rispose immediatamente senza nemmeno guardare il display.
«Ciao,
sono Alice.» La
voce che le giunse sembrava sicura, dava l’impressione di una
persona
sorridente e allegra, non certo la ragazza che ricordava.
«Ciao»
la salutò,
stupita. Era sempre stata lei a mettersi in contatto, Alice non
l’aveva mai
chiamata prima. «Come stai?» domandò,
guardando Dafne che la stava osservando
confusa, non potendo udire la conversazione.
«Bene,
grazie. Ti ho
chiamato per chiederti se ti va di uscire a fare shopping oggi
pomeriggio»
propose, e questa volta la sua voce ebbe un lieve tentennamento che
però non fu
notato.
«Certo»
accettò subito,
sorridendo. A quanto pare Alice aveva deciso di aprirsi, di darle la
possibilità di mostrarle quanto potesse essere divertente e
naturale stare
insieme a un’amica. Non avrebbe rifiutato
quell’occasione.
«E…»
esitò un momento
prima di continuare la frase. «Se vuoi puoi chiedere a
Dafne» terminò con
l’intonazione di una domanda, ma Allie non se ne
curò, troppo esaltata all’idea
di questo suo sbocco sulla vita.
«È
proprio qui davanti a
me, ora le chiedo se è libera. Resta in linea»
l’avvisò, posando il telefono
contro la maglietta per tappare il microfono prima di riassumere quel
breve
dialogo all’amica, che rimase più sorpresa di lei.
«Davvero?»
chiese in un
sussurro, con gli occhi spalancati. Non aveva ancora rivisto Alice
dalla fine
della scuola, ne aveva avuto la possibilità quella sera in
discoteca ma lei non
si era presentata. Vedendo che Allie annuiva con convinzione, accetto
di buon
grado la proposta. Era certa che sua zia le avrebbe concesso il
pomeriggio
libero, in fondo lavorava da lei solo provvisoriamente e non avevano
impegni in
quei giorni, quindi la donna sarebbe stata in grado di gestire il
negozio da
sola.
«Passiamo
a prenderti
vero le tre» la informò Allie, riponendo il
telefono nella borsa dopo aver
salutato la ragazza.
«Come
mai quest’invito?»
domandò Dafne, incuriosita.
«Non
lo so, non me l’ha
detto, ma meglio così! L’importante è
che si sia decisa» considerò,
controllando l’orologio. «Forse è meglio
che vada ora, ci vediamo più tardi.»
La
salutò con un bacio
sulla guancia, poi si diresse in salotto, dove Thomas se ne stava steso
scompostamente sul divano a guardare la televisione. «Mi
porti a casa?»
annunciò, sporgendosi dallo schienale per raggiungere il suo
viso.
«Di
già?»
Allie rise,
posando le
labbra sulle sue in un bacio leggero. «L’ora di
rientrare è già passata da un
pezzo» gli fece notare, accarezzandogli una guancia.
«D’accordo»
sbuffò lui,
sollevandosi e stiracchiandosi la schiena. Afferrò le chiavi
dell’auto dal mobiletto
e si avviò verso la porta, un braccio posato sulle spalle di
Allie e la mano a
giocare con la punta dei suoi capelli.
*
«Allora,
cosa pensi che
ti comprerai oggi?» chiese Allie, chiudendo a chiave
l’auto che aveva deciso di
lasciare in un parcheggio ancora lontano dalla zona in cui si trovavano
i
negozi, ma sempre libero. Non voleva rischiare di non trovare posto
più avanti
e dover tornare indietro, perdendo tempo.
Alice si
voltò a
guardarla, sorpresa da quella domanda. Quando aveva proposto
quell’uscita
all’insegna dello shopping, non aveva pensato di acquistare
davvero qualcosa.
Il suo era stato un gesto dettato dal desiderio di superare la
timidezza, non
dal bisogno di nuovi vestiti o prodotti.
«In
realtà, credo non mi
serva niente» ammise, stringendosi nelle spalle.
«Per
piacere!» rise
Allie, lanciando un’occhiata a Dafne che camminava al suo
fianco. «Nessuno esce
con me per fare shopping e ritorna a casa senza aver preso
niente!»
«Beh,
se trovassi
qualcosa di carino potrei comprarlo, sì»
ipotizzò allora la ragazza, per nulla
convinta.
«Certo
che lo prenderai!»
l’incoraggiò Dafne, rivolgendole un sorriso.
Non era ancora
riuscita a
trovare la denominazione adatta all’emozione che aveva
provato nel rivedere Alice.
Felicità?
No, era un
sentimento troppo allegro per quel momento.
Confusione?
Anche, ma non
spiegata totalmente ciò che sentiva.
Sollievo? Un
po’, perché
aveva visto che lei aveva fatto uno sforzo per uscire e sapeva che
quello era
un passo importante sulla strada che doveva percorrere.
Ma anche
delusione,
perché era ancora evidentemente in difficoltà e
lei avrebbe dovuto capirlo
prima, lei che si era trovata in una situazione simile.
«Entriamo
qui!» disse
Allie, prima di prendere Alice per un braccio e trascinarla in un
negozietto
all’angolo della strada. Dall’esterno non sembrava
più grande della sua camera
da letto, ma una volta entrata Alice si rese conto che c’era
molto più di
quanto apparisse. Era stretto ma molto lungo, con un’infinita
fila di appendiabiti
al centro e ai lati, così da lasciare appena lo spazio
necessario per
camminare. «Vengo spesso qui» le rivelò
Allie, mentre iniziava a guardare i
vestiti alla sua destra. «Ci sono cose bellissime e si spende
poco».
Alice
annuì, prima di
seguire il suo esempio e infilarsi in quel mare di stoffe colorare. Ben
presto,
decise che quello non era il posto per lei. Le maglie avevano
tonalità troppo
sgargianti, gli abiti erano troppo corti e leggeri perché
potessero starle
bene. Allie e Dafne, invece, avevano già le braccia piene e
si stavano
dirigendo ai camerini. Dafne posò i vestiti sullo sgabello
al suo interno e si
voltò, notando che Alice non sembrava apprezzare il posto.
«Non provi niente?»
domandò, mentre la ragazza le si avvicinava.
«No.
Non c’è niente che
mi possa stare bene» rispose.
«Per
favore!» esclamò con
uno sbuffo, prima di afferrare un abito dalla sua pila e metterlo tra
le sue
mani.
«Prova
questo» disse ed
entrò nel suo camerino. Quell’affermazione le era
parsa più un ordine che un consiglio
e Alice valutò che forse era meglio ascoltarla. Dafne si era
rivelata una degna
compagna di Allie, solare e decisa, pronta ad accoglierla nella sua
vita
sebbene la conoscesse solo in modo superficiale. Per un certo verso era
contenta che si stessero comportando in quel modo con lei: la
trattavano come
una loro pari, non come una ragazzina che ha bisogno di essere
consolata e
assecondata.
Diede
un’occhiata a ciò
che aveva tra le mani. Era un bel vestito nero e bianco, con una
fantasia
artistica. Era bello, ma non era sicura che, una volta indossato, lo
sarebbe
piaciuto ancora. Con un sospiro, si infilò in un camerino,
si spogliò dei jeans
e della maglietta e lo indossò.
Le arrivava poco
sopra il
ginocchio e il modello – che le aderiva fino a sotto il seno,
per continuare in
un’ampia e morbida gonna – le nascondeva i fianchi,
che aveva sempre ritenuto
troppo grassi.
«Come
ti sta?» chiese
Dafne, prima che la sua testa spuntasse da un lato della tenda.
Studiò per un
istante la sua immagina allo specchio, poi si lasciò andare
a un sorriso
entusiasta.
«Sei
bellissima» si
complimentò, tirando completamente la tenda. Alle sue spalle
comparve Allie,
che appoggiò le parole dell’amica prendendo ad
annuire.
Alice
deglutì, non sapeva
cosa pensare. Quell’abito le stava oggettivamente bene,
doveva ammetterlo. Ma
non l’avrebbe mai portato, ne era certa. Non avrebbe mai
avuto l’occasione di
indossare un capo d’abbigliamento tanto sbarazzino, non si
sarebbe mai sentita
a suo agio a girare così. Sarebbe stata carina, ma incapace
di essere
altrettanto simpatica.
«Non
lo so… Non credo che
lo userei molto» si oppose, senza incontrare gli occhi delle
ragazze.
«Sciocchezze!
Ti sta a
pennello e in ogni caso costa poco, non sarebbero soldi buttati al
vento» la
incentivò Allie. «Vieni fuori, alla luce fa un
altro effetto» la invitò. Alice
obbedì e dovette darle ragione: i faretti posizionati sul
soffitto le
permettevano di notare i punti luci sui fianchi, che altrimenti non
avrebbe
visto.
Rendendosi conto
che
nonostante tutto non era riuscita a convincerla, Allie
insisté: «Se non lo
prendi tu, te lo regalo io».
«Okay»
sospirò Alice,
arresasi. «Lo compro».
Giunsero alla
cassa dopo
più di mezz’ora data la mole di vestiti, maglie e
pantaloni che Dafne e Allie
si ostinavano a provare, finendo poi per acquistare solo un paio di
capi. Alice
se n’era stata seduta su un pouf ad aspettare che finissero e
ad ammirare la
loro sicurezza, mentre sfilavano da un camerino all’altro
senza badare agli
altri clienti che di tanto in tanto le guardavano.
Estrasse il
portafoglio
dalla borsa e depose l’abito sul bancone, dov’era
accomodato un giovane
commesso.
«Hai
fatto una buona
scelta» le disse, digitando il prezzo alla cassa.
«Come?»
si ritrovò a
chiedere, senza comprendere quelle parole, mentre alzava gli occhi per
incontrare i suoi. L’osservò con
un’attenzione che prima non gli aveva
dedicato. Doveva avere la sua età - sicuramente non era
più vecchio di lei –
era… moderatamente attraente. Il suo aspetto pulito e
gentile non la faceva
infiammare di desiderio, ma quando mai lo era stata?
«Questo
abito ti sta
molto bene» dichiarò mentre lo infilava in una
borsetta con il logo del
negozio. «Non lo dire in giro» continuò,
alzando l’indice davanti alle labbra e
guardandola con un sorriso, «ma ti faccio uno
sconto.»
Alice non
riuscì a
rispondere, spiazzata. Nessun ragazzo le aveva mai parlato a quel modo,
nessuno
le aveva rivolto nemmeno una minima attenzione. Probabilmente colui che
aveva
davanti soffriva di un problema alla vista. O forse la stava solo
prendendo in
giro, come tutti avevano sempre fatto.
Pagò
in silenzio,
incapace di reagire a una provocazione e tanto meno di ribattere a un
approccio
di altro genere, dato che non l’aveva mai sperimentato prima.
Intascò il resto
senza controllare e uscì dal negozio mormorando un
«Buongiorno» che lui pensò
di aver solo immaginato, tanto flebile era la voce che
l’aveva pronunciato.
Aspettò Allie e Dafne all’aperto, confusa e
spaesata. Non capiva cosa le fosse
appena successo.
Buonasera :)
So
che sono in ritardo, in tremendo ritardo dato che l’ultimo
aggiornamento risale
al 22 ottobre. Non posso addurre la scusa di non aver avuto il tempo
per
scrivere, poiché la storia è già
completa da un po’: ho dovuto scegliere tra
molti impegni e ho dovuto dare la priorità ad altre cose,
relegando in secondo
piano Efp e allontanandomene per un po’. Ora però
sono tornata e mi scuso con
voi per non aver avvertito. Non che questa storia sia tanto popolare da
far
notare la sua assenza, ma se state leggendo significa che almeno un
po’ vi
piace e con voi mi scuso davvero.
Vi
ringrazio, tuttavia, per essere rimasti qui ad aspettarmi.
I
capitoli totali sono quindici, epilogo compreso, quindi non manca molto
alla
fine.
Avrete
notato, forse, che questo non è il giorno della settimana in
cui ero solita
pubblicare. L’appuntamento del mercoledì
riprenderà dal 19
novembre, tra
qualche giorno. Ho deciso di pubblicare questo capitolo oggi
perché è stato il
mio primo momento di libertà e sentivo il bisogno di
condividerlo con voi.
Questa
voglia gli spoiler del prossimo capitolo sono due, spero con questo di
farmi
perdonare almeno un po’ e di invitarvi a continuare questo
percorso fino alla
fine.
«È
impegnata?»
«Come?»
Dovette chiedergli di ripetere, colta alla sprovvista da
quell’interrogativo.
«Ha
un fidanzato?»
*
«Il
mio istinto mi dice di provare a conoscerti.»
A
quelle parole, le labbra di ---
si piegarono spontaneamente in un sorriso, subito riflesso in quelle di
---.
Istinto.
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
cap 12
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 12
A partire da
quella
mattina, Allie non avrebbe più potuto restare a letto a
poltrire. Era il suo
primo giorno di lavoro al Blue Secret
e si era alzata presto per non essere in ritardo. Non dormiva
più già da un po’
quando la sveglia aveva cominciato a suonare, agitata per quella nuova
esperienza che avrebbe dovuto affrontare. Si era vestita sobriamente e
con
abiti comodi dato che avrebbe dovuto correre avanti e indietro per il
locale
tutto il giorno. Aveva raccolto i capelli in una coda alta per avere un
aspetto
più ordinato e aveva mangiucchiato qualche biscotto insieme
a un bicchiere di
latte. Non aveva fame, lo stomaco era ancora chiuso per
l’ansia che quel nuovo
impegno le procurava, ma sapeva di non poter restare a digiuno. Si
sarebbe
calmata in poco tempo, giusto quei minuti necessari a familiarizzare
con il suo
posto di lavoro e gli altri dipendenti.
Aveva salutato i
suoi
genitori con un sorriso ed era salita in macchina, stranamente in
anticipo.
Jennifer, la proprietaria, le aveva detto di presentarsi quindici
minuti prima
dell’apertura per avere il tempo di conoscere le sue
mansioni, ma quando entrò
nel bar mancava ancora mezz’ora.
Era
l’unica dipendente ad
essere arrivata, la stessa Jennifer stava ancora accendendo le luci e
le
macchine del caffè per farle scaldare.
«Buongiorno»
la salutò,
invitandola ad avvicinarsi. «Pronta per il primo
giorno?»
Allie
annuì, posando la
borsa sul bancone. Poté solo rispondere al saluto,
perché poi Jennifer iniziò a
indicarle la zona di cui si sarebbe dovuta occupare, ricordandole
comunque che
se aveva bisogno d’aiuto non doveva esitare a chiederlo. Si
trattava solo di
pochi tavoli, meno di quanti ne avrebbe dovuti gestire in futuro. Oltre
a lei
c’erano altri due camerieri – William e Janine
– che lavoravano lì da qualche
anno e l’avrebbero aiutata in caso di difficoltà.
Si prese qualche minuto per
studiare il listino, mentre Jennifer le spiegava la composizione dei
prodotti
dai nomi più strani, che lei non conosceva.
William e Janine
arrivarono insieme, ridendo e richiamando la sua attenzione. Biondi,
alti,
occhi verdi e pelle chiara, si assomigliavano in modo talmente evidente
che
Allie giudicò fossero fratello e sorella. Sì, ma
non solo. Cogliendo lo sguardo
che ormai dovevano essere abituati a vedere negli occhi della gente, la
informarono più precisamente della loro parentela: erano
gemelli. Solari e
simpatici, Allie si trovò subito a suo agio con loro, mentre
l’agitazione di
quella mattina era scemata senza che lei se ne rendesse conto.
Non dovettero
aspettare
molto perché i primi abitudinari clienti si presentassero.
Chi aveva il
quotidiano in mano, chi il telefono all’orecchio
già immerso nella giornata
lavorativa, chi ancora assonnato prendeva un caffè forte per
iniziare la
giornata, chi si fermava per ristorarsi dopo una corsetta mattutina e
chi, più
tardi, veniva a ripararsi dalla pioggia che aveva iniziato a scrosciare
all’esterno.
Allie non
trovò grandi
difficoltà, gli ordini non erano complessi e Jennifer
– aiutata da due donne
con cui non aveva ancora avuto l’occasione di parlare, dato
che erano arrivate
appena in tempo per l’apertura – le porgeva le
varie tazze e bicchieri in pochi
istanti.
Verso le undici
il locale
si trovò in uno stato di quiete quasi assoluta, solo una
manciata di persone
erano presenti data l’ora particolare: tardi per la
colazione, presto per un
aperitivo prima di pranzo.
A uno dei suoi
tavoli si
era appena accomodato un ragazzo, un volto che le sembrava di aver
già visto ma
che non ricordava con precisione.
«Buongiorno,
cosa posso
portarle?» domandò con un sorriso, facendo
scattare la penna che teneva in
mano, pronta a scrivere.
«Un
caffè lungo, grazie»
ordinò lui, mentre la osservava con sguardo curioso,
indagatore, perché anche
lui aveva la stessa sensazione.
Allie
annuì, mantenendo
il sorriso di cortesia che dall’inizio della mattinata non se
n’era mai andato
dalle sue labbra, e fece dietrofront per dirigersi al bancone.
Porse il
foglietto con
l’ordinazione e il numero del tavolo a Jennifer e attese che
il caffè fosse
pronto, sforzandosi di ricordare dove l’avesse incontrato.
Sforzi vani da parte
sua ma produttivi nel ragazzo, che l’accolse con
un’occhiata consapevole quando
tornò.
«Grazie»
disse, sfiorando
la tazzina fumante. «Scusa, so che quella che sto per farti
è una domanda
strana, ma per caso sei passata al negozio d’abbigliamento Floreal l’altro
pomeriggio?»
Come un lampo
che
squarcia il cielo, l’immagine del commesso le si
presentò alla mente. «Sì. Tu
lavori lì, vero?» ribatté, muovendo la
testa in segno di assenso.
«Sì»
confermò lui. «Eri
con una ragazza che ha comprato un vestito…»
continuò, avvicinandosi al punto
che più gli interessava della conversazione.
Alice, per
forza. Dafne
aveva acquistato un paio di pantaloni.
«È
impegnata?»
«Come?»
Dovette
chiedergli di ripetere, colta alla sprovvista da
quell’interrogativo.
«Ha un
fidanzato?»
«No,
ma perché me lo
chiedi?» Scosse il capo, sorpresa. L’aveva vista
solo per pochi minuti e non le
aveva parlato – non che lei sapesse, perlomeno –
era assurdo che fosse
interessato a lei.
«Credi
che le farebbe
piacere conoscermi?» domandò invece, senza
rispondere.
Allie ci
pensò un attimo
prima di rispondere, valutando la situazione. Il giovane che aveva
davanti era
carino, aveva un’espressione che ispirava fiducia e non
sembrava troppo
espansivo o spericolato. Tutte caratteristiche che lei avrebbe ritenuto
perfette per Alice, ma di cui non poteva essere sicura dato che non lo
conosceva. Nonostante la naturale simpatia che le suscitava, restava un
altro
problema – più grande e serio – da
affrontare: Alice sarebbe stata interessata
a un ragazzo, un qualsiasi ragazzo, data la sua timidezza?
Ieri era stata
abbastanza
aperta, aveva preso parte alla conversazione senza mostrare sforzi
troppo
evidenti sebbene fosse chiaro che non si trovasse completamente a suo
agio.
Tuttavia, questo non era sufficiente per dare ad Allie la certezza che
sarebbe
stata in grado di sentirsi bene anche con uno sconosciuto –
bello, simpatico e
alla mano, ma pur sempre sconosciuto – che sembrava
interessato a lei.
«Vedi,
Alice è molto
timida…» rispose, cercando un modo per spiegarsi
senza dargli un’impressione
sbagliata dell’amica e allo stesso tempo senza che le sue
parole sembrassero
una scusa. «Non sono sicura che sia interessata a conoscere
qualcuno in questo
momento.»
«Ma
non sei nemmeno
sicura che le darei fastidio» insisté, speranzoso.
«No»
ammise.
«Allora
potresti darmi il
suo numero o un altro contatto?» domandò,
estraendo il cellulare dalla tasca
dei jeans.
Allie scosse il
capo. «Mi
dispiace, no.» Rifiutò, non era sua abitudine
fornire numeri di telefono di
altre persone, nemmeno quand’era sicura che queste non
avrebbero avuto nulla in
contrario, e questo non era uno di quei casi. «Se vuoi posso
informarmi, ma non
ti darò il suo numero» spiegò.
«Allora
ti do io il mio»
propose lui, tentando un metodo alternativo.
«Posso
chiederti cosa ti
spinge a insistere tanto per conoscere una ragazza che hai visto a
malapena?»
chiese, incapace di trattenersi.
Lui
abbozzò un sorriso.
«Mi ha colpito la sua semplicità, la sua
innocenza. Non era interessata agli
abiti più sgargianti e appariscenti, sembrava accontentarsi
di stare con te e
quell’altra ragazza senza aver bisogno d’altro. Era
di una naturalezza
disarmante» confessò, ricordando la sua faccia
intimorita al complimento che le
aveva fatto.
«Okay,
dammi il tuo
numero» acconsentì Allie, piacevolmente colpita da
quelle parole e dalla sua
capacità di inquadrare Alice alla perfezione, senza nemmeno
conoscerla. Gli porse
il blocchetto e la penna – Jennifer le aveva imposto di
lasciare il cellulare
in borsa, per evitare distrazioni – e lui prese a scrivere
con una grafia
disordinata e allungata.
«A
proposito, mi chiamo Edmond.»
*
Allie decise di
approfittare dell’ora e mezza di pausa pranzo per tornare a
casa a mangiare e
recarsi subito dopo da Alice: la buona impressione che Edmond le aveva
lasciato
era ancora fresca e voleva sfruttarla fino in fondo per convincere
l’amica.
Decise anche di non scendere troppo nei dettagli, di informarsi solo su
un
ipotetico e futuro ragazzo interessato a lei, per evitare di
spaventarla con
l’imminente realtà di quella prospettiva.
Non fece nemmeno
in tempo
a suonare il campanello che la porta d’ingresso si era
già aperta. Nicholas stava
uscendo di casa e se lo ritrovò davanti, inaspettato, mentre
si bloccava sullo
zerbino.
«Ciao»
la salutò lui,
visibilmente stupito di incontrarla.
«Ciao»
rispose in tono
incolore, deviando lo sguardo dai suoi occhi. Sebbene lui avesse
ammesso di
aver compreso il suo errore e promesso di non ripeterlo, Allie non
riusciva a
comportarsi in modo amichevole con lui.
«Come
stai?» domandò, più
per tentare di dare il via a una conversazione che per reale interesse.
«Bene»
disse, sbrigativa.
«C’è Alice?»
Nicholas
annuì. «Sì, è in
cucina.» Allie accennò a un salutò con
il capo e lo superò, pronunciando forte
il nome dell’amica. Lui però la bloccò,
richiamandola e trattenendosi dal
prenderle un braccio per fermarla, consapevole che non avrebbe
apprezzato il
gesto. «Scusami» la pregò e, finalmente,
riuscì a incontrare il suo sguardo.
Allie
tentò di farsi
passare quell’irritazione che le era salita alla sua vista,
ci provò davvero e
con impegno, ma vi riuscì solo parzialmente. «Ci
proverò» promise sinceramente,
prima di avanzare verso la ragazza che era comparsa sulla soglia della
cucina.
Alle sue spalle
la porta
si era chiusa e Nicholas era uscito. «Ciao, Alice»
salutò con un sorriso. «Ho
così tante cose da raccontarti!»
Alice la
invitò a
sedersi, lanciando un’occhiata alla porta dietro cui era
sparito il fratello.
Sapeva che c’era stato uno screzio tra lui e Allie, che lui
aveva interpretato
male la gentilezza di lei, ma nessuno dei due le aveva spiegato
dettagliatamente cos’era successo, forse per evitare di
metterla in mezzo.
«Ho
poco tempo, però,
dato che oggi ho iniziato a lavorare» continuò
Allie. «Sono in pausa pranzo.»
«Al Blue Secret?»
domandò, ricordando il nome del locale che le aveva
nominato qualche giorno prima.
Allie
annuì. «So che ho
appena iniziato ed è presto per dare un giudizio, ma devo
dire che mi sto
trovando bene, sono gentili con me e non mi sembra di avere compiti
troppo
complessi. Poi magari mi faranno diventare una schiavetta, ma
intanto…» rise,
facendo spuntare un sorriso anche a lei.
«Sei
andata al mare?» le
domandò Alice, curiosa e desiderosa di partecipare
attivamente a quella
conversazione.
«Sì,
è stato magnifico!»
esclamò l’amica, con gli occhi che brillavano per
la contentezza del ricordo e
per l’apparente spontaneità che Alice stava
dimostrando quel giorno. Le
raccontò la giornata con entusiasmo, riservandosi solo
alcuni dettagli che
riteneva troppo privati per essere condivisi e che temeva
l’avrebbero messa in
imbarazzo. Pose l’attenzione soprattutto sulla
felicità che i momenti condivisi
con Thomas le facevano provare, mentre con la mente già
progettava le parole
necessarie per legare a quei ricordi la domanda per cui era andata da
lei.
«È
semplicemente… oddio,
non so se esiste una parola per definirlo. È stupendo stare
con lui, per la
prima volta mi sento davvero completa, in compagnia di qualcuno che mi
capisce
alla perfezione e sa accettarmi per come sono.»
Era vero.
Nonostante
avesse avuto altre relazioni e avesse sempre sentito un forte legame
con i suoi
ex ragazzi, nessuno le aveva fatto provare una tale
intensità di sentimenti.
Ovviamente la sintonia non si limitava alle relazioni amorose, anche
Dafne
sapeva comprenderla benissimo, ma lei era la sua migliore amica.
Ciò che
provava per Thomas era diverso, era un’altra gamma di
emozioni che nessun’amica
poteva suscitarle.
«E tu,
invece? Non hai
nulla da raccontarmi? Qualche spasimante che hai tenuto
segreto?» domandò poi,
assumendo un tono più gioioso.
La mente di
Alice corse
subito all’immagine del commesso che le aveva rivolto la
parola un paio di
giorni prima, comportandosi con lei in un modo totalmente nuovo.
Rifiutò, però,
l’idea che lei potesse interessargli: era assurda. Non era
mai piaciuta a
nessuno, troppo timida e banale per essere notata, figuriamoci
ricordata. Non
si capacitava del fatto che qualcuno potesse avere a cuore la sua
esistenza.
Scosse il capo.
«No,
nessuno» rispose. «A chi vuoi che
interessi?» Aveva pronunciato quelle parole
senza volerlo, lasciando libero campo ai suoi pensieri che, aiutati
dalla
familiarità che stava instaurando con Allie, non si erano
preoccupati di
parlare troppo.
«Non
dire così!» la
rimproverò lei, incrociando le braccia. «Se non
hai ancora avuto un ragazzo non
significa che non l’avrai in futuro. E se indosserai il
vestito che hai preso l’altro
giorno, sono sicura che avrai la fila fuori dalla porta di
casa» ribatté,
lanciandole una frecciatina apparentemente casuale, dato che Alice non
poteva
sapere della sua conversazione con Edmond.
Le guance di
Alice
s’imporporarono mentre dentro di lei prendeva vita una
battaglia di sentimenti
contrastanti. Una parte di lei avrebbe voluto raccontarle
ciò che le aveva
detto quel ragazzo per avere un consiglio, per capire se stava
immaginando
tutto o se era solo una fantasia repressa; d’altro canto,
però, temeva di
apparire una bambina sciocca e incapace di relazionarsi con un essere
di sesso
opposto, cosa tra l’altro vera.
«Io…»
tentennò, indecisa.
Poi fece un respiro profondo e iniziò a parlare, sforzandosi
di convincersi che
non aveva nulla da perdere e che Allie non le avrebbe mai riso in
faccia. «C’è
un ragazzo, in effetti. Il commesso del negozio dove ho preso il
vestito. Mi ha
detto che ho fatto un’ottima scelta e che mi sta davvero
bene. È… un
complimento?» Parlò tutto d’un fiato,
senza pensare a ciò che diceva tanto quei
dubbi l’avevano tormentata nelle ore passate.
Quella notizia
era nuova
per Allie. Edmond le aveva detto di aver notato Alice, non di averle
parlato.
Ora che lei le aveva riferito quell’episodio, non avrebbe
nemmeno dovuto
dannarsi per scoprire se lui avrebbe potuto interessarle senza andare
troppo
sul personale.
«Certo
che è un
complimento!» esclamò, sorridente.
«È una cosa positiva» aggiunse, notando
che
quella dichiarazione non sembrava rallegrarla.
«Perché non sei contenta? Lui non
ti piace?»
«No,
non è quello. Sono
io che non piaccio a lui» rispose Alice, senza incontrare il
suo sguardo.
«Ma se
mi hai appena
detto che ti ha lusingata!»
«Sì,
ma non mi conosce.
Se mi conoscesse, non gli piacerei» insisté,
tirando fuori tutte le sue
debolezze e le sue paure. «Io non piaccio ai
ragazzi.»
«Non
essere ridicola» la
riprese Allie. «Sono certa che se ti conoscesse gli
piaceresti ancora di più.
Non permettere alla timidezza di impedirti di vivere felice.»
Alice
sollevò gli occhi a
quelle parole e li puntò su quelli di lei. La
fissò in silenzio, leggendo in
lei un’ulteriore conferma a ciò che aveva appena
detto. Che fosse possibile?
«Lui
com’è? Carino?»
chiese Allie, curiosa di sentire la sua opinione.
«È…
sì, è carino. Sembra
gentile» rispose, ripensando a lui e alle sue parole, alla
prima impressione
che le aveva suscitato.
«E non
vorresti
conoscerlo meglio? Perché chiaramente lui
vorrebbe conoscere meglio te.»
Alice
sospirò,
sostenendosi la testa con una mano. «Non saprei che cosa
dirgli» confessò.
«Come ci si comporta con un ragazzo?»
Aveva visto
innumerevoli
film romantici, commedie in cui l’amore vinceva sempre e i
due protagonisti avevano
un feeling invidiabile. Sembravano vivere in simbiosi, sapevano cosa
piaceva
all’altro e quali argomenti evitare, sapevano aiutarsi e
supportarsi in ogni
occasione. Ma quella era finzione. Loro erano sempre perfetti e lei non
lo era
per niente. In un ipotetico appuntamento, se ne sarebbe rimasta muta ad
aspettare la fine della serata.
«Non
ci sono delle
regole» spiegò Allie dolcemente, stringendole una
mano e guardandola negli
occhi. «Non c’è un copione da seguire,
bisogna solo essere se stessi. Non devi
sforzarti di fingere una personalità che non è la
tua. Segui l’istinto.»
Istinto.
Se avesse seguito l’istinto, Alice sarebbe rimasta rintanata
sotto le coperte
per tutta la vita. Tuttavia aveva capito cosa intendeva
l’amica, pur non
essendo sicura di essere in grado di farlo.
*
Allie se
n’era dovuta
andare presto, la pausa stava per finire e non voleva arrivare in
ritardo.
Prima di uscire, però, era riuscita a strappare ad Alice la
promessa che
sarebbe passata a trovarla al bar entro qualche giorno. E quella
promessa era
stata mantenuta.
Fortunatamente
si era
ricordata di avvisarla – «così sono
sicura di avere un po’ di pausa quando ci
sei e posso stare con te» le aveva detto – e Allie
aveva potuto chiamare Edmond
per avvisarlo del momento in cui sarebbe dovuto andare al locale. Aveva
visto
l’indecisione di Alice, il suo desiderio di vivere
contrapposto alla paura di
lasciare il suo rifugio solitario. Aveva deciso che quel tentativo non
avrebbe
fatto male: organizzare un appuntamento al buio – anche se
solo unilateralmente
– al bar sembrava una prospettiva sicura. Se Edmond avesse
avuto cattive
intenzioni, non avrebbe avuto la possibilità di metterle in
pratica e se Alice
si fosse trovata in difficoltà lei sarebbe sempre potuta
intervenire.
Così
ora Alice se ne
stava seduta su un tavolino con un thè caldo tra le mani e
ascoltava il
divertente resoconto della giornata di Allie. Non immaginava che quando
l’amica
si sarebbe alzata per riprendere a lavorare, invitandola a rimanere per
finire
con calma il suo thè, un’altra persona avrebbe
occupato il suo posto. Se
l’avesse saputo, avrebbe certamente fatto di tutto per
evitare quella
situazione e non si sarebbe presentata affatto.
«Buongiorno.»
Una voce,
che sembrava diretta verso di lei, le fece alzare lo sguardo dalla
tazza
fumante per puntarlo su una figura che si stagliava davanti a lei. Un
ragazzo.
Il commesso. «Posso sedermi?» domandò
lui, sfoggiando un sorriso gentile e
sicuro, una mano già posata sullo schienale della sedia che
si trovava di
fronte a lei.
Alice si
limitò ad
annuire in silenzio, interdetta. Era solo una coincidenza averlo
incontrato o
c’era qualche piano di cui era all’oscuro sotto?
Cercò Allie, ma la ragazza
sembrava essersi volatilizzata. Riportò allora
l’attenzione sul giovane che le
sedeva davanti, cercando con tutta se stessa di rimanere calma.
Lui la stava
guardando
con quei suoi occhi grandi che la mettevano in soggezione; poteva
contare sulla
punta delle dita le volte in cui un ragazzo le aveva rivolto uno
sguardo simile
e, ad ognuna di esse, corrispondeva il volto di uno dei suoi familiari.
«Mi
chiamo Edmond» si
presentò, porgendole una mano che lei si ritrovò
a stringere senza rendersi
conto di aver allungato la sua.
«Alice»
rispose,
riportando lo sguardo sulla sua bevanda.
«È
un piacere conoscerti,
Alice.»
«Come
mai ti sei seduto
qui?»
Avevano parlato
insieme,
l’uno sopra l’altro, con toni ben diversi. La voce
di Edmond era vellutata,
carezzevole, mentre sperava di riuscire a farla sentire a suo agio e di
non
sembrare uno stalker. Quella di Alice era confusa, quasi intimorita e
molto più
bassa di quella di lui.
Edmond trattenne
a stento
un sospiro a quella domanda, evidentemente non sarebbe stato facile
guadagnare
la sua fiducia, e si accinse a rispondere. «Ti ho notata
l’altro giorno, ma
forse te ne sei già accorta… Vorrei conoscerti
meglio» confessò, cercando
quegli occhi che sembravano scappare dai suoi.
Ad Alice si
mozzò il
respiro in gola, quell’idea quasi la spaventava. Era abituata
a essere ignorata
e derisa senza che nemmeno le si rivolgesse la parola, non voleva dare
la
possibilità a quel ragazzo, a Edmond, di conoscerla per poi
disprezzarla
proprio come tutti gli altri.
«Ti
dispiace che sia
qui?» chiese lui, dato che non aveva ricevuto risposta alla
sua affermazione
precedente.
Alice si
costrinse ad
alzare lo sguardo prima di parlare. «No…
però non credo sia il caso.»
«Perché
no?»
Ancora quella
domanda. Perché?
Già, perché? Come ogni volta,
Alice non seppe formulare una frase sensata. La mente sembrava
svuotarsi quando
le si chiedeva di giustificare una sua scelta, forse perché
queste sue
decisioni erano dettate dalla paura che l’attanagliava,
dall’incapacità di
gettarsi in qualcosa di nuovo. Non c’era un motivo razionale
che le ingiungesse
di allontanarsi da lui, non appariva pericoloso, tuttavia ogni cellula
del suo
corpo la pregava di proteggersi da ogni possibile dolore.
«Alice?»
la richiamò,
allungando una mano per sfiorare la sua che era appoggiata mollemente
sulla
tazza. Sussultò, tanto che qualche goccia di thè
le cadde sulla pelle facendola
sobbalzare ulteriormente per il contatto con quel liquido caldo.
«Scusa»
mormorò, ritraendosi
da lei che finalmente lo stava guardando.
Sarà
stato quel tocco
inaspettato, l’irritazione che sentiva alla mano, il perdono
chiesto con umiltà
o forse qualcos’altro che non riusciva a definire, ma
d’un tratto le parole
cominciarono a uscire dalle sue labbra con rapidità.
«Non ti piacerei. Non c’è
niente in me che t’interesserebbe conoscere. Io non sono
interessante, non
sono… non sono come tutte le altre ragazze. Perderesti solo
tempo.»
Edmond sorrise
mestamente
e scosse la testa, poi la guardò. «Vedo che non
sei come le altre, sì, ma non
mi pare un fattore negativo. E non sono d’accordo, non credo
affatto che
perderei il mio tempo ma anche se così fosse,
beh… sono disposto a rischiare.»
«Perché?»
Era la prima
volta che le capitava di essere lei a porre quella domanda.
«Non
lo so» ammise
alzando le spalle, come se non fosse necessaria una giustificazione.
«Il mio
istinto mi dice di provare a conoscerti.»
A quelle parole,
le
labbra di Alice si piegarono spontaneamente in un sorriso, subito
riflesso in
quelle di Edmund.
Istinto.
Alice
cominciò a credere
che anche in lei stesse nascendo un nuovo genere d’istinto,
quello che vuole vivere.
Buongiorno :)
Grazie.
Non potete
immaginare che gioia sia tornare dopo tre
settimane, aspettandosi di essere circondata dal vuoto data
l’assenza
prolungata, e vedere invece il numero di coloro che seguono questa
storia crescere
piano piano. Grazie
❤
Il prossimo
capitolo sarà pubblicato mercoledì
26
novembre, eccovi gli spoiler:
Infine
sospirò e ammise:
«È Edmond.»
«E che
aspetti a rispondere?» la incitò allora Allie.
*
«Chi
è?» domandò Allie,
che a differenza sua non era riuscita a sentire nulla.
«Presumo
sia Michael» ipotizzò lui. «È
tutto il giorno
che fissa il telefono e non credo abbia altri ragazzi che le girano
intorno in
questo periodo.»
*
«Fammi
sentire
bellissima.»
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
cap 13
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 13
Allie
girò la manopola
del forno per spegnerlo e lo aprì, facendosi aria per
scacciare il calore che
ne uscì. Attenta a non scottarsi, afferrò la
piastra con le presine e la sfilò
dal suo appoggio per sistemarla sopra i fornelli. Richiuse lo sportello
e con
una spatola spostò i biscotti su un largo piatto decorato
con piccoli
fiorellini azzurri, ricoprendoli poi con lo zucchero a velo.
Nel forno ancora
caldo
mise l’arrosto, che aveva acquistato alla rosticceria vicino
casa, per riscaldarlo.
Si tolse poi il grembiule, dato che i suoi ospiti stavano per arrivare.
Come capitava
abbastanza
spesso, i suoi genitori avevano entrambi il turno di notte e lei si
trovava da
sola. Aveva così deciso, complice anche il fatto che
finalmente erano riusciti
a fissare una data per il grande annuncio, di dare una cenetta a casa
sua.
Pochi invitati: Thomas, Dafne e Alice. Un ritrovo intimo e semplice,
per
passare la serata con gli amici anziché in solitudine.
Aveva fatto di
nuovo i
biscotti alle gocce di cioccolato, l’unico dolce che era mai
stata in grado di
realizzare, che erano piaciuti tanto a Thomas. Per la cena vera e
propria,
invece, aveva voluto andare sul sicuro e aveva ordinato un piatto
già pronto
che avrebbe solo dovuto cercare di non bruciare.
La prima ad
arrivare fu
Alice. Era venuta a piedi, tanto abitavano vicine, e aveva portato un
piatto di
tartine fatte in casa.
«Dovrei
dirti che non
dovevi disturbarti, ma in realtà hai fatto bene, sono sicura
che sono ottime»
la ringraziò Allie.
«Mi
hanno insegnato a non
presentarmi mai a mani vuote» rispose semplicemente lei,
alzando le spalle.
Diede un’occhiata alla tavola apparecchiata per quattro
dov’era stato posato il
piatto. Sapeva chi sarebbe stato presente alla serata, Allie
l’aveva avvertita,
e nonostante avesse raggiunto una certa confidenza con lei e Dafne,
l’idea di
dover incontrare Thomas la inquietava un po’.
Aveva sentito
solo buone
cose su di lui, com’era ovvio dato che tutto ciò
arrivava dalla ragazza che lo
stava frequentando, ma non poteva evitare di sentirsi un po’
in imbarazzo al
pensiero che magari avrebbe fatto la figura della sciocca,
perché lui di certo
non si aspettava una persona come lei.
La sua
preoccupazione
divenne ben presto reale, perché nel giro di un paio di
minuti il campanello
suonò di nuovo. Dafne entrò per prima, sorrise
alle due ragazze e le salutò con
un bacio sulla guancia. Thomas, invece, parve non notarla in un primo
momento,
troppo impegnato a baciare la sua ragazza. Solo quando lei si
staccò, ridendo,
lui posò lo sguardo su Alice. La osservò per un
momento, curioso di conoscerla
dato che Allie gli aveva parlato tanto di lei, e poi le sorrise con
cortesia. A
una prima impressione sembrava corrispondere all’idea di
ragazza timida e
riservata che aveva in mente, anche quando lei rispose al suo sorriso
poté
notare una certa cautela nel suo gesto.
Tuttavia, Alice
rispose
prontamente con un «E tu devi essere il famoso
Thomas» al suo «Tu devi essere
la famosa Alice.»
Allie aveva
osservato
contenta quella presentazione, sembravano essersi simpatici.
«Per
fortuna Alice ha
portato degli stuzzichini, altrimenti non avreste avuto molta scelta in
fatto
di cibo» disse, mantenendo l’attenzione sulla
ragazza mentre indicava con un
cenno del capo il piatto posto al centro della tavola.
Le guance di
Alice
s’imporporarono appena, mentre con la testa bassa cercava di
fare respiri
profondi ma impercettibili per scacciare quel rossore.
«È
buono» giudicò Dafne,
che aveva già provveduto a servirsi.
«Però
sento un buon
profumo arrivare dalla cucina» disse Thomas, lanciando
un’occhiata all’altra
stanza.
«Sì,
ma non è opera mia»
spiegò Allie. «Ho pensato che sarebbe stato
più sicuro in questo modo, così non
rischio di avvelenarvi» commentò, guardandolo di
sottecchi mentre lui
tratteneva una risata. Il riferimento alle parole che aveva pronunciato
al loro
primo appuntamento era perfettamente chiaro.
«Però
ho preparato dei
biscotti» continuò, alzando questa volta gli occhi
per osservarlo direttamente.
Questa volta non riuscì a contenersi e ridacchiò
insieme a lei, mentre le altre
due ragazze, ignare dei fatti a cui alludevano, si limitarono a
scuotere appena
la testa, senza capire.
«Allora,
pronte per
iniziare?» domandò Thomas, accomodandosi a tavola.
Dafne
sospirò e mugugnò
un «Non finirai mai di fare questa domanda?» mentre
Alice, incerta sulla
risposta da dare, si versò da bere. L’indomani
sarebbe iniziato l’anno
accademico e tutti i presenti, tranne Allie, si sarebbero dovuti
presentare
all’università. Se Thomas avrebbe ripreso le
lunghe lezioni di medicina, tanto
estenuanti quanto interessanti, le due ragazze avrebbero dovuto
affrontare per
la prima volta questo nuovo corso di studi. Letteratura inglese per
Dafne,
archeologia per Alice.
La prima si
trovava
divisa tra una gamma di sensazioni diverse: entusiasmo, quasi
esuberanza, ma
allo stesso tempo timore per l’ignoto e agitazione. La
seconda, invece, vedeva
quell’evento quasi solo in luce positiva: ora non ci sarebbe
più stata una
classe di compagni a tormentarla, sarebbe stata invisibile se
l’avesse voluto e
questa volta non in senso brutale. Sarebbe stata libera, avrebbe potuto
concentrarsi sulle materie che amava senza dover subire
l’umiliazione di
sbagliare davanti a una ventina di adolescenti maligni.
«Certo
che sono pronte»
esclamò Allie, tornando dalla cucina con il vassoio
dell’arrosto tra le mani.
«Adesso
che inizierete a
frequentare, potrò imbucarmi alle feste degli universitari
con voi!» dichiarò,
sorridente, prima di sedersi al suo posto, accanto ad Alice e davanti a
Thomas.
«Quindi
vuoi solo
sfruttarci!» s’indispettì Dafne,
mettendo un finto broncio, mentre Thomas
ribatteva invece con un «Puoi imbucarti anche con me, se
vuoi.»
Allie
ignorò il doppio
senso di quella frase e gli rispose senza guardarlo, scacciando la sua
proposta
con un gesto della mano. «Non sarebbe altrettanto divertente,
non posso mica
festeggiare con te come farei con loro!»
«Perché,
cos’è che ti
impedirei di fare?» domandò. In tutta risposta,
Allie si limitò a ridere e a
dargli un amichevole calcio sotto il tavolo, prima di spostare
l’attenzione su
un altro argomento, uno meno personale e privato.
«Non
immaginerete mai
cosa mi è capitato ieri mattina al bar!» disse,
prima di iniziare a raccontare
l’ennesimo episodio divertente di cui si ritrovava testimone
da quando aveva
iniziato a lavorare.
*
Allie aveva
notato che,
nel corso della serata, lo sguardo di Dafne si era ripetutamente
abbassato
verso la sua borsa, per rialzarsi qualche istante dopo, triste e
abbattuto.
Aveva evitato di chiederle una spiegazione, ritenendo che se avesse
voluto
condividere i pensieri che la tormentavano l’avrebbe fatto di
sua spontanea
volontà. Si era limitata a guardare Thomas, ma lui aveva
alzato
impercettibilmente le spalle in una risposta negativa.
Quando si
udì il classico
bip di un cellulare, però, il movimento di Dafne fu talmente
improvviso e
fremente che fu impossibile fingere di non averlo notato. Tuttavia,
anche
questa volta il suo telefono le presentò uno schermo vuoto.
Di fronte a lei,
Alice si
portò la tracolla sulle gambe e vi immerse le mani, alla
ricerca del suo
vecchio cellulare. Lo trovò dopo un paio di minuti, sperduto
tra le mille
cianfrusaglie che non aveva mai tolto dato che quella era
l’unica borsa che
utilizzava. Sullo sfondo illuminato spiccava una busta bianca che le
indicava
l’arrivo di un nuovo messaggio.
Scusandosi con i
convitati, che avevano seguito i suoi movimenti, aprì
l’sms. Arrossì e un
piccolo sorriso spuntò sulle sue labbra non appena lesse il
nome del mittente,
anche se cercò di non darlo a vedere. Sforzi vani,
perché tutti avevano notato
quel cambiamento.
«Se
è urgente, puoi
rispondere» le disse Allie, vedendola fissare lo schermo
senza muovere un dito.
«Oh,
no» rispose,
scuotendo il capo e sollevando lo sguardo. «Non è
urgente, può aspettare.»
«Sicura?»
Alice
annuì e allora
Allie si chinò verso di lei e le parlò a bassa
voce, per dare un’aria più
privata alla loro conversazione. «Dalla tua espressione
sembrava meritarsi un
po’ d’attenzione.»
Alice scosse
nuovamente
la testa. Ormai si era ridotta a esprimere la sua opinione a cenni. Non
voleva
ammettere l’identità del mittente, trovava
imbarazzante il fatto di aver
ricevuto un suo messaggio mentre si trovava a cena fuori, non voleva
farlo
sapere agli altri – sebbene avesse ormai fiducia in loro
– ma tacere sarebbe
stato scortese.
Infine
sospirò e ammise:
«È Edmond.»
«E che
aspetti a
rispondere?» la incitò allora Allie, che vide
confermata la sua ipotesi.
«No,
non è educato»
rifiutò, infilando il telefono in borsa e cercando
disperatamente un altro
argomento di conversazione.
Alla vista di
quello
scambio di battute, Thomas si sorprese sempre più
dell’abissale differenza tra
Alice e suo fratello, quel Nicholas.
Lei, così riservata e dolce, addirittura timorosa di
apparire maleducata
nell’utilizzare il telefono a tavola. Lui, così
strafottente e odioso, tanto da
credere di potersi intromettere nella relazione che sarebbe poi nata
tra Allie
e lui. L’unica spiegazione plausibile che gli si
presentò alla mente fu che uno
dei due fosse stato adottato.
Mentre lui si
perdeva in
quelle meditazioni, le tre ragazze avevano dato vita a una
conversazione che
faticava a comprendere, forse focalizzata su uno di quei noiosi
telefilm di cui
erano appassionate. Rimase perso nell’oblio
dell’incomprensione per alcuni
minuti, finché non si udì un altro squillo di
telefono.
Questa volta era
davvero
quello di Dafne. A differenza dell’amica, lei
scattò in piedi, mormorò una
scusa e sparì in cucina. L’unica parola che
riuscì a udire, prima che si
chiudesse la porta alle spalle, assomigliava a un mal pronunciato
«Kalispera.»
«Chi
è?» domandò Allie,
che a differenza sua non era riuscita a sentire nulla.
«Presumo
sia Michael»
ipotizzò lui. «È tutto il giorno che
fissa il telefono e non credo abbia altri
ragazzi che le girano intorno in questo periodo. Di certo non
è un’amica, non
aspetta le tue chiamate in questo modo.»
Allie
annuì, lanciando
uno sguardo preoccupato alla porta chiusa della cucina. Quella doveva
essere la
seconda volta che si sentivano, perlomeno secondo ciò che le
aveva detto Dafne.
In confronto allo stato in cui si trovava nell’immediato
ritorno in patria, la
sua amica stava decisamente meglio. La tristezza le era passata, ora
usciva e
rideva senza problemi, ma poteva vedere chiaramente che una parte di
lei era
ancora legata ai ricordi di quelle due settimane di vacanza e
probabilmente lo
sarebbe sempre stata.
Alice, dal canto
suo, non
aveva idea di chi fosse quel Michael. Ne aveva sentito pronunciare il
nome
qualche volta, ma nessuna delle due le aveva spiegato per bene che
ruolo avesse
nelle loro vite e lei non l’aveva mai chiesto, temendo di
risultare sfacciata e
invadente. Non si erano mai fatte problemi a parlarle di qualsiasi
altro
argomento, quindi pensò che se quello volevano tenerlo
privato non era in suo
potere far cambiare loro idea.
*
Seduta su una
sedia con
lo sguardo apparentemente rivolto alla finestra buia, ma in
realtà perso nel
paesaggio leggero di Rodi, Dafne stava sorridendo come aveva fatto
poche volte
nell’ultimo mese.
«Scusa
il ritardo, ho
avuto un po’ di problemi a casa» iniziò
Michael, prima ancora di rispondere al
suo saluto.
«Nulla
di grave spero»
replicò lei, ricordando quel giorno di alcune settimane
prima, quand’era avvenuto
uno scambio di battute pressoché identico a causa del
ritardo con cui il
ragazzo si era presentato alla casa dove abitava lei.
«No,
solo gli ultimi
isterici preparativi per la partenza di mia sorella. Se ne va tra un
paio di
giorni» spiegò. Stava parlando di Jennifer,
l’intelligente sorellina che grazie
a una borsa di studio avrebbe trascorso l’anno scolastico a
Londra. L’aveva
incontrata solo un paio di volte e le era parsa simpatica, un affetto
accresciuto dal fatto che a causa della sua permanenza in Inghilterra,
Michael
sarebbe potuto passare a trovarla e approfittarne per rivedere anche
lei.
«Oh,
bene. Poi dalle il
mio numero di telefono, così potrà contattarmi
una volta arrivata.»
Michael la
ringraziò per
quell’offerta, prima di cambiare tono e chiederle, con voce
bassa e dolce, come
si sentisse. Era chiaro che non si trattava di una domanda di cortesia.
Avrebbe
potuto renderla, in modo più esplicito, con un
«Stai ancora pensando a me? Hai
trovato qualcuno con cui mi dimenticherai?»
Il
«Bene, tu?» con cui
rispose Dafne non lo ingannò, aveva capito dal tono evasivo
che aveva
utilizzato che, proprio come lui, era ben lontana dal trovare un nuovo
interesse amoroso.
«Potrei
stare meglio»
sospirò, scegliendo di essere completamente onesto, anche se
questo non avrebbe
fatto altro che contribuire a rattristare l’atmosfera.
«Vorrei
vederti» confessò
Dafne, adattandosi al suo tono di voce senza difficoltà.
«Domani
vado a comprare
la webcam nuova» le promise, anche se non era esattamente
ciò che lei desiderava.
«Non
sono sicura che
basti» mormorò, talmente piano che lui le chiese
di ripetere. Approfittò di
quel momento per riportare l’allegria tra loro – o
almeno per provarci –
cambiando la frase. «Sai che domani inizio
l’università?»
Michael
restò confuso per
un momento, non gli sembrava la stessa frase di prima, ma decise di
stare al
gioco. «Sì? Pronta a diventare una scrittrice vera
e propria?»
«Vado
a studiare
letteratura, non a scriverla» gli ricordò,
ridendo. Una risata un po’ sforzata,
aveva la tristezza che inevitabilmente la invadeva durante quelle
chiamate
ancora nel cuore, ma comunque migliore dell’umore di poco
prima.
«Una
cosa non ti
impedisce di fare l’altra» ribatté,
prima di rimproverarla. «La mail con cui mi
mandavi i tuoi scritti deve essersi persa, perché io non
l’ho ancora ricevuta.»
Dafne sorrise,
grata che
non potesse vedere la sua espressione colpevole. «Ah
sì? Uh, che peccato.»
«Dafne!»
la richiamò, con
voce profonda. «Mandamela, per favore.»
«Ma a
te non piaceranno!
Abbiamo gusti diversi» gli fece notare.
«Come
puoi dire una cosa
del genere? Sono certo che li adorerò.»
«Ah
sì? Quindi non sei
stato tu a criticare il fatto che leggessi Orgoglio
e Pregiudizio, o che ascoltassi Christina
Aguilera…» replicò, elencando le
varie occasioni in cui lui l’aveva stuzzicata in passato.
Michael
sbuffò, prima di
passare a una minaccia. «Sai che potrei convincere Allie a
mandarmeli al posto
tuo senza troppi problemi.»
«Cosa
ti fa credere che
lei possa accedere al mio computer?» domandò,
inorridita da quella possibilità.
Era consapevole che non stava scherzando, non totalmente.
«Credo
che, una volta che
ha in testa una cosa, possa fare di tutto.»
Questa volta fu
il turno
di Dafne di sbuffare, arrendendosi e maledicendosi per aver tirato
fuori
quell’argomento. D’altra parte, però, la
malinconia sembrava essere stata
accantonata.
«A
proposito di Allie:
lei come sta?»
«Benissimo»
rispose
Dafne, lanciando un’inutile occhiata alla porta che aveva
chiuso prima. «Ora
sono a casa sua. Stavo cenando con lei, mio fratello e
un’amica.»
«Sei
sicura di poter
stare al telefono?» chiese, non volendo distoglierla da un
momento di svago con
persone che potevano essere fisicamente
presenti accanto a lei.
«Sì,
nessun problema» lo
rassicurò, prima di formulare a sua volta una domanda.
«Le nostre foto sono
ancora appese in città?»
A un orecchio
estraneo
sarebbe sembrato assurdo – ogni tanto lo era anche per lei
– ma durante i
giorni che avevano trascorso insieme, Michael l’aveva
convinta a posare con lui
come modella per una piccola azienda d’abbigliamento del
posto. Le sue copie
delle foto erano gelosamente custodite nell’ultimo cassetto
della scrivania,
l’unico che si poteva chiudere a chiave.
«Sì
e stanno facendo
successo, in eff-»
Un suono
ripetitivo,
tipico dopo la fine di una chiamata, sostituì la sua voce.
Sbuffando, Dafne
posò il cellulare sul tavolo e attese che richiamasse.
L’avrebbe fatto lei, ma
aveva talmente pochi soldi nel telefono che non sarebbero riusciti a
parlare
nemmeno per un paio di minuti.
Il telefono,
però, non
sembrava intenzionato a squillare e l’idea che anche Michael
avesse terminato
il credito si fece strada nella sua mente. Dopo quasi cinque estenuanti
minuti
di attesa, si decise ad alzarsi e tornare in sala.
Scoprì
che, in sua
assenza, Alice se n’era andata. Allie e Thomas erano
accoccolati sul divani,
immersi in una profonda sessione di baci appassionati che avrebbe
preferito non
vedere. Si schiarì la gola, con lo sguardo puntato sulla
tavola da pranzo
ancora apparecchiata, richiamando la loro attenzione. Notò,
dall’orologio
appeso alla parete, che si era fatto alquanto tardi.
«Io
andrei a casa»
esordì, guardando alternativamente il fratello e
l’amica. «Non voglio rischiare
di non sentire la sveglia proprio domani.»
Thomas
annuì, lanciando
una veloce occhiata alla sua ragazza. Non sembrava intenzionato ad
andarsene,
non in quel momento e forse nemmeno per tutta la notte.
Infilò
una mano in tasca
e ne estrasse le chiavi dell’auto, poi le lanciò a
Dafne, che le afferrò
prontamente, intuendo come sarebbe andata a finire la serata.
«Buonanotte.»
Quell’augurio le uscì come una domanda; non le
sembrava molto adatto salutarli
in quel modo, ma non sapeva che altro dire. Solo Allie le rispose con
un
«Notte, Daf», mentre si chiudeva la porta
d’ingresso alle spalle.
Espirò
a fondo, appoggiata a una colonna del portico. Era stato strano. Sapere
che suo
fratello frequentava Allie era una cosa, ma vederli amoreggiare sotto i
suoi
occhi e immaginarne la conclusione era un’altra. Non era una
puritana, non si
era mai fatta problemi a discutere con la sua migliore amica di
questioni
scottanti, ma questa volta si trattava di Thomas. Non ci teneva proprio
a
conoscerlo in quelle vesti.
*
Quando la porta
si
chiuse, Allie scoppiò a ridere, posando la testa sulla
spalla di Thomas.
«Mi sa
che l’abbiamo
spaventata» disse, sistemandosi meglio per poterlo vedere in
viso.
Lui
tirò la faccia in una
smorfia e commentò: «Neanche a me piacerebbe
vederla in queste situazioni.»
«Non
sarai il solito
fratellone geloso e protettivo che prende a calci il ragazzo di
turno» inquisì
Allie, accomodandosi meglio sulle su gambe.
«No»
la rassicurò,
stringendo le braccia intorno alla sua vita. «Ma mi darebbe
comunque fastidio.
Ora, perché stiamo parlando di Dafne?»
domandò, sporgendosi verso di lei per
baciarla. Allie ridacchiò prima di lasciarsi andare contro
le sue labbra,
circondandogli il collo con le braccia.
«Saliamo?»
mormorò,
staccandosi appena da lui per appoggiare la fronte contro la sua. Prese
il
sorriso di Thomas come una risposta affermativa e si alzò,
trascinandolo con
sé. Salì lentamente le scale e svoltò
a destra, aprendo la porta di fronte a
quella della sua camera da letto.
«Questa
è la stanza degli
ospiti» annunciò mentre accendeva la luce. Era uno
degli ambienti che più amava
della casa, con il suo arredamento che giocava con i toni del bianco
sulle
pareti e dell’azzurro sulle cortine del baldacchino, mentre
il mobilio di
chiaro legno smaltato accompagnava i due tappetini soffici ai lati del
letto.
Aveva tentato più volte di convincere i suoi genitori a
permetterle di
trasferirsi lì, lasciando la piazza singola e la scrivania
con intarsi rosa che
aveva voluto da bambina, ma non avevano mai acconsentito.
Ora
però non c’erano e,
poiché non si sarebbe mai sognata di stendersi con Thomas
dove solevano dormire
loro, voleva approfittare del letto ampio e decisamente più
comodo che aveva a
disposizione.
«Come
mai qui?» chiese
Thomas, chiudendosi la porta alle spalle.
«Non
ti piace?» ribatté
Allie, sorridente, mentre camminava all’indietro verso il
letto e, a braccia
aperte, si appoggiava alle colonne.
«Può
andare» annuì lui,
raggiungendola con due falcate e coprendole le mani con le sue.
«E ora?»
Il sorriso di
Allie si
allargò ancora di più mentre alzava la testa e la
piegava all’indietro per
raggiungere meglio le sue labbra. «Domanda
sbagliata» sussurrò.
«Posso
baciarti?» soffiò
lui, stringendo la presa e intrecciando, per quanto poteva, le loro
dita. Allie
non dovette nemmeno annuire – non avrebbe nemmeno potuto,
tanto i loro volti
erano vicini – perché Thomas si era già
gettato sulla sua bocca. Presa
dall’emozione, staccò le mani dalle colonne senza
pensare che così facendo
avrebbe sbilanciato anche Thomas: caddero all’indietro,
rimbalzando sul
materasso e sbattendo la testa l’uno contro l’altro.
Gemendo per il
dolore e
trattenendo un’imprecazione, Thomas rotolò sul
fianco per toglierle di dosso il
suo peso. Allie invece scoppiò a ridere, coprendosi la
fronte con una mano e
guardandolo con la coda dell’occhio.
«Com’è
che sei così
allegra stasera?» domandò Thomas, colpito da
quell’inusuale spensieratezza.
Allie era sempre stata una ragazza molto solare, ma ora gli sembrava
ancora più
ilare del solito.
«Sono
felice» rispose
semplicemente lei, mentre si sollevava sulle ginocchia per guardarlo
dall’alto.
Lo scavalcò con una gamba, andando così a sedersi
sulle sue cosce, prima di
invitarlo a mettersi seduto. «Vieni qui.»
«Dov’eravamo
rimasti?»
Quasi non riuscì a finire di parlare perché le
labbra di Thomas l’avevano
bloccata, tornando ad accarezzare le sue con gentilezza e passione
crescente.
Sentì le sue mani infilarsi sotto l’orlo della
maglia e afferrarle i fianchi,
spingendola se possibile ancora più vicina al suo corpo.
Lasciando che le sue membra
seguissero l’istinto, Allie posò una mano sulla
sua nuca per trattenerlo in
quel bacio caldo e coinvolgente, mentre l’altra aveva tirato
fuori la camicia
dai jeans e stava scorrendo sulla sua schiena.
«Allie»
mormorò Thomas,
scendendo con la bocca sul suo collo per lasciarvi una scia di umidi
baci. Quel
nome racchiudeva tutto: un’invocazione, un ringraziamento,
una dichiarazione ma
in quell’istante soprattutto una domanda.
Thomas sentiva
che quello
non era uno dei soliti momenti di coccole, sentiva che era diverso e
che
sembrava essere destinato a non finire mai. Non osava dar voce alla sua
speranza, sebbene questa sembrasse esplodere da un momento
all’altro nel suo
cuore.
«Sì»
rispose lei,
comprendendo subito il vero significato che si nascondeva dietro il suo
nome e
il tono con cui l’aveva pronunciato. Lo riportò
all’altezza del suo viso per
baciarlo di nuovo, mentre le mani di Thomas le sollevavano la
maglietta,
costringendola ad allontanarsi un attimo per sfilarla. Il resto dei
vestiti la
seguì nel giro di pochi minuti, un tempo che parve infinito
per la difficoltà
di spogliarsi cercando di restare lontani il meno possibile. Stesi
sulle
lenzuola, ormai quasi completamente nudi, i baci tornarono a farsi
più calmi e
delicati, una tranquillità ritrovata per la consapevolezza
che nel giro di un
attimo la passione avrebbe avuto modo di sfogarsi.
Fu Allie la
più
impaziente. Afferrò l’orlo dei boxer e lo spinse
verso il basso, invitando
Thomas, steso sopra di lei, a gettarli via. Senza farsi pregare lui
obbedì,
togliendo anche le sue mutandine, unico pezzo di stoffa rimasto tra
loro, senza
smettere di guardarla negli occhi.
«Aspetta»
disse,
bloccandosi mentre stava per stendersi di nuovo, per piegarsi a terra e
frugare
nelle tasche dei pantaloni. Sarà stata una sensazione
premonitrice che lo
avvisava di essere pronto o la semplice consapevolezza che il futuro
riserva
sorprese inaspettate, ma prima di uscire di casa aveva pensato bene di
infilarsi in tasca un preservativo.
«L’avevi
programmato?»
scherzò Allie, vedendolo tornare con quella cartina in mano.
Lui la posò sul
letto, accanto a loro, riprendendo la sua posizione sopra di lei.
«Forse
inconsciamente»
ammise, accarezzandole una guancia e sorridendole. «Sei
bellissima» mormorò,
abbassando una mano per accarezzarle il seno.
«Fammi
sentire
bellissima.»
Quando
udì quelle parole,
Thomas fece scivolare la mano ancora più in basso, destinata
a carezze più
audaci. La sentì sussultare contro di lui, intorno
a lui, mentre con le labbra vezzeggiava il suo seno. Si
staccò solo per un
istante, giusto il tempo di srotolare il preservativo prima di tornare
da lei.
Mentre si faceva
strada
dentro di lei, anima e corpo, circondato dalle sue braccia che gli
stringevano
le spalle, dalle gambe incrociate sui suoi fianchi e dal suo dolce
profumo che
gli irretiva i sensi, Thomas avvertì una sensazione nuova
per la sua intensità.
Udendo i suoi ansiti, baciando la sua pelle, beandosi del suo calore,
Thomas
sentì di aver trovato casa. Una casa amorevole e viva.
Inebriato da
quelle
emozioni, diede voce ai suoi pensieri senza valutare
l’importanza delle parole
che avrebbe pronunciato.
«Credo
proprio di
amarti.»
Buongiorno :)
Vi ringrazio per
essere arrivati fino a qui, spero che
questo capitolo vi sia piaciuto e sono felicissima di vedere che piano
piano
crescete sempre.
Ci stiamo
avvicinando alla fine, ormai manca davvero
poco :(
Il prossimo
capitolo sarà pubblicato mercoledì
3
dicembre e ora, come sempre, un piccolo spoiler:
«Ciao»
lo salutò, gli occhi che brillavano di felicità
ora che finalmente lo rivedeva.
«Wow!»
La sua esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la
portarono ad
abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno
giustizia. Sei
bellissima.»
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
cap 14
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Capitolo 14
Thomas si
portò una mano
sugli occhi e sbuffò, irritato dal fatto di essere stato
svegliato dall’unica
striscia di luce che penetrava dalle fessure della tapparella.
Voltò la testa
verso destra, ritrovandosi davanti i capelli arruffati di Allie. La
ragazza
stava dormendo al suo fianco, rannicchiata contro di lui.
Sospirò,
ripensando a ciò
che era successo quella notte.
«Credo
proprio di amarti.»
Aveva
pronunciato quelle
parole senza nemmeno pensarci, erano uscite dalla sua bocca veloci e
incontrollate. Allie si era bloccata per un attimo, sembrava raggelata
mentre
lo fissava negli occhi senza dire nulla. Fu uno sguardo lungo, intenso,
infinito. Ciò che aveva detto era vero, lo sentiva in fondo
al suo cuore,
sapeva che non si stava sbagliando. Tuttavia, sapeva anche che non era
ancora
il momento per una tale dichiarazione. La loro relazione era ancora
troppo
recente per un simile passo, non riusciva a capire come gli fosse
passato per
la testa di dire esprimere quel pensiero ad alta voce.
Lei non aveva
risposto,
nessuna replica a quelle parole se non un eterno minuto di silenzio e
poi un
bacio, con cui voleva farsi perdonare. Avrebbe potuto ribattere con il
tipico «Anche io»,
ma non sarebbe stato onesto
e non poteva mentirgli, non voleva.
Così aveva lasciato parlare i suoi occhi, sperando che
trasmettessero il
messaggio.
Ti voglio bene,
ma non so se ti amo
già.
Forse.
O forse no.
Forse in futuro.
No, sicuramente
in futuro.
Probabilmente
già adesso inizio ad
amarti un po’.
Ma
come si fa a sapere quand’è davvero amore e quando
invece è solo
un’infatuazione?
Quel silenzio
gli aveva
fatto male, ovviamente, ma la ferita si era risanata in fretta.
L’iniziale
sofferenza dovuta al fatto che la sua dichiarazione – per
quanto involontaria –
non era stata ricambiata fu sostituita dalla consapevolezza che non era
stata
nemmeno respinta. Perché non era tutto bianco o nero. Non
era solo una scelta
tra amore e non-amore. Si trattava di un sentimento importante, il
più forte di
tutti; un’emozione che cresce piano piano e con tempi diversi
in ogni persona.
Sapeva di non essergli indifferente, lo leggeva a chiare lettere nei
suoi
occhi. Sapeva che lei gli voleva bene, che teneva a lui, che il suo non
era un
affetto a senso unico. Aveva solo bisogno di un po’
più di tempo.
Così
aveva risposto al
suo bacio, accettando quella manifestazione al posto delle parole.
Anche in quel
momento la
stava baciando. Scivolava con le labbra lungo la sua guancia,
accarezzandole il
braccio nudo posato sopra il lenzuolo con la punta delle dita,
incurante del
fatto che fosse appena l’alba e Allie avesse voglia di
dormire ancora.
La
sentì risvegliarsi
sotto le sue carezze, muovendo lentamente le membra per stiracchiarsi,
e la
vide sorridere mentre avvertiva i suoi baci.
«Buongiorno»
mormorò
Allie, aprendo gli occhi.
«Buongiorno»
la salutò,
prima di stringerla a sé e affondare il volto tra i suoi
capelli.
«Hai
dormito bene?» Lo
sentì annuire, ma non poté trattenersi dal
continuare, divertita. «Sei sicuro?
Mi sembri un po’ rigido.»
Thomas
ridacchiò e si
allontanò da lei per poterla guardare in viso.
«È mattina» rispose, alzando le
spalle.
Non si aspettava
una tale
reazione da Allie – ci sperava, ma non credeva che lei si
sarebbe davvero
comportata così – e si sorprese quando, lanciata
un’occhiata alla sveglia al
suo fianco e appurato che era ancora presto, si sollevò e si
sedette a cavalcioni
su di lui.
Si
chinò per baciarlo,
scacciando con una mano i capelli che si intromettevano tra loro.
Quell’aspetto
di Allie era nuovo per lui: doveva ancora abituarsi alla sua
passionalità e
intraprendenza. Le sfilò la maglia che aveva indossato per
dormire con un gesto
rapido, prima di racchiudere il suo seno nelle mani e tornare a
baciarla con
vigore ancora maggiore.
«Tom»
ansimò Allie,
voltando la testa per poter parlare. Non era facile articolare una
frase
sensata con le labbra di Thomas che lasciavano baci infuocati sul suo
collo.
«Aspetta» lo pregò, cercando di trovare
le parole adatte, ma senza riuscirci.
Sapendo che quella richiesta non era dovuta a un ripensamento
– non avrebbe
avuto un simile tono di voce, in quel caso – Thomas non le
badò e continuò a
scendere, finché le sue labbra non presero il posto delle
mani.
«Ieri
sera» continuò
Allie, chiudendo gli occhi per il piacere. «Io non
volevo-»
Fu interrotta
dal
movimento brusco di Thomas, che aveva invertito le posizioni
schiacciandola
sotto di sé e tappandole la bocca con la sua.
«Shh»
mormorò lui,
guardandola negli occhi. «Possiamo parlare dopo?»
domandò, scostando le
mutandine con una mano. Allie annuì, pensando che se non
aveva fretta di
affrontare l’argomento probabilmente non era rimasto molto
ferito dal suo
silenzio. O forse, rifletté infilando la mano nei boxer, era
solo troppo
eccitato per fermarsi a discutere.
Con qualche
manovra, resa
difficile dal loro tentativo di non allontanarsi, riuscirono a
liberarsi della
biancheria. Stava per accadere, erano pronti e frementi
d’eccitazione, le mani
intrecciate e le labbra alla costante ricerca delle loro compagne,
quando un
pensiero si presentò come un lampo nella mente di Thomas e
il giovane imprecò.
«Non
ho un preservativo»
disse, guardandola e sperando che lei fosse più fornita di
lui. Allie lo fissò
in silenzio per qualche istante prima di sospirare frustrata.
«Nemmeno io.»
Non aveva mai
avuto
bisogno di comprarne, se n’era sempre occupato il ragazzo che
frequentava.
Thomas sbuffò, stendendosi al suo fianco con le braccia
incrociate dietro la
testa. Allie respirò a fondo, fissando il velo teso sopra al
baldacchino del
letto.
Aveva
un’idea.
Non era una cosa
che
amava fare, le era successo solo un paio di volte in passato, ma in
quel momento
non riusciva a trovare una ragione per non farlo.
Si
girò su un fianco, il
gomito puntato sul cuscino e una mano a sostenerle la testa, mentre con
l’altra
accarezzava lievemente il ventre di Thomas. Il ragazzo la
guardò, spostando per
un attimo lo sguardo per seguire i suoi movimenti.
«Tom»
lo chiamò, con un
sorriso provocante sul volto. Tom.
Era stato naturale passare a quel nomignolo la sera precedente, mentre
il suo
respiro spezzato le rendeva difficile parlare. «Non corro
rischi, vero?»
domandò, avvicinandosi alle sue labbra.
«Allie?»
La osservò,
quasi incredulo, augurandosi con tutto il cuore di non aver capito
male. I suoi
occhi, luminosi e invitanti, sembrarono confermare il pensiero che le
sue
parole avevano suscitato. «No» rispose, accogliendo
il bacio che lei stava per
dargli. «Nessun rischio» le assicurò.
«Bene»
soffiò Allie,
prima di scendere a piccoli passi a baciargli il pomo
d’Adamo, quel punto
delicato alla base del collo, il torace, rincorrendo la mano che
giocava sul
suo basso ventre. «Sarebbe stato un peccato.»
*
Dafne, sentendo
una
vibrazione al suo fianco, immerse la mano nella borsa ed estrasse il
cellulare.
Lo schermo illuminato le indicava l’arrivo di un nuovo
messaggio. Accavallò le
gambe e cercò di nascondere le sue azioni alla vista del
professore che stava
spiegando, appoggiato alla cattedra. Non credeva che
l’avrebbe richiamata, non
credeva nemmeno che gli interessasse ciò che stava facendo,
ma era il suo primo
giorno di università e farsi beccare già
distratta non sarebbe stato un buon
inizio.
Era un sms di
Michael.
Buongiorno
:)
È
arrivata la webcam
nuova, quando posso farmi perdonare l’interruzione di ieri?
Si morse il
labbro
inferiore per trattenere un sorriso e si affrettò a
controllare l’orologio per
poter digitare una risposta. La lezione sarebbe finita nel giro di un
quarto
d’ora e poi sarebbe potuta tornare a casa.
Ciao
:)
Tra
un’ora sono tutta
tua!
Un breve colpo
di tosse
dietro di lei la fece sussultare. Gettò velocemente il
telefono nella borsa e
si voltò, trovandosi a fissare il volto già noto
di un giovane uomo. Lo
ricordava bene: ventisei anni, occhi verdi, barbetta curata,
probabilmente di
ritorno da un recente viaggio in Brasile.
Lui le sorrise,
prima di
indicarle con un cenno del capo di rivolgere l’attenzione al
professore. Dafne
si risistemò sulla sedia, le guance in fiamme, e
osservò l’uomo in fondo alla
sala in modo quasi maniacale per evitare di essere nuovamente
richiamata da
quello che doveva essere il suo assistente.
Non credeva
fosse uno
studente, sarebbe stato fuori corso di circa sei o sette anni. Aveva
l’età
giusta per essere il suo assistente, il tipico sapientone che
l’avrebbe
tormentata agli esami ora che aveva il potere di trovarsi
dall’altra parte
della cattedra. Si accorse che la lezione era finita solo quando una
ragazza la
superò per uscire dall’aula e allora si
sollevò anche lei, timorosa di voltarsi
ma consapevole di non poterlo evitare.
«Buongiorno»
la salutò
lui, impedendole di seguire il desiderio di scappare.
«Buongiorno»
ripeté,
facendo un mezzo giro su se stessa per vederlo. Gli rivolse un piccolo
sorriso,
quello che usava da bambina per fingersi innocente davanti ai suoi
genitori
quando aveva combinato un guaio. Non aveva mai funzionato e nemmeno in
quel
momento sembrava farlo.
«Non
ti interessa il
corso?» le domandò, salutando con un cenno del
capo il professore che se ne
stava andando.
«Sì,
certo che
m’interessa. È stato solo un
attimo…» Non seppe come concludere la frase, ma
d’altronde non le risultò neppure necessario,
perché le sue labbra si
spalancarono in un sorriso divertito. La stava prendendo in giro.
«Credo
sia arrivato il
momento di presentarci, che dici?» propose.
«Harry.»
«Dafne»
disse, stringendo
la mano che le stava porgendo. «Sei l’assistente
del professore?» chiese, incuriosita.
Lui
annuì, notando che
non sembrava contenta della notizia. «Perché hai
quell’espressione?»
«Non
mi farai pesare il
fatto di averti rifiutato senza nemmeno conoscerti, vero?»
domandò, ridendo,
anche se in fondo quella possibilità la spaventava un
po’.
Lui
negò, scuotendo la
testa, prima di rassicurarla. «L’hai fatto
perché sei innamorata. Gran parte
della letteratura parla d’amore, di sentimenti e di scelte
che talvolta non si
possono contrastare. Se ti maltrattassi per il modo in cui hai agito,
vorrebbe
dire che non ho capito niente di tutto ciò che ho
studiato.» Poi, lanciando
un’occhiata alla borsa che stringeva sotto il braccio,
chiese: «Era lui?»
«Sì»
confermò Dafne,
prima di accomiatarsi. «Scusa, ora devo andare. Ci
vediamo» lo salutò, sorridente,
mentre iniziava già a dirigersi verso la porta.
«A
presto» annuì lui, allontanandosi
verso la cattedra.
Dafne
s’incamminò verso
casa, riflettendo sulla verità di quel vecchio detto secondo
cui il mondo è
bello perché è vario. Harry – ora
sapeva il suo nome – aveva subito accolto il
suo rifiuto, comprendendone le ragioni e augurandole la
felicità. Nicholas, il
fratello di Alice, aveva invece tormentato Allie finché non
aveva provocato una
scenata prima di capire che le sue avances non erano gradite.
Michael… beh,
Michael non si poteva paragonare a nessuno dei due. Lui non era stato
rifiutato, anche se aveva tentato – inutilmente, proprio come
lei – di
rifiutare l’attrazione che li univa e che alla fine aveva
vinto.
Sua madre stava
già
spadellando per la cena di quella sera, ignara dell’annuncio
che l’attendeva.
«Com’è andata
l’università?» le domandò,
sentendola rientrare.
«Bene»
rispose, senza
perdersi in lunghi convenevoli. «Più tardi scendo
ad aiutarti, ora devo fare
una cosa» le disse, mentre saliva le scale.
Si chiuse in
camera e
aprì il computer, approfittando del tempo necessario
all’accensione per
cambiarsi in abiti più comodi. L’applicazione che
aveva scaricato appositamente
per le videochiamate e che conteneva solo l’email di Michael
l’avvisava, con un
pallino verde, che il ragazzo era già connesso. Diede il via
alla chiamata,
sedendosi sulla sedia e sistemando la webcam perché le
inquadrasse il viso.
Dopo un paio di secondi sullo schermo spuntò una nuova
finestra e, al suo
interno, il volto sorridente di Michael.
«Ciao»
lo salutò, gli
occhi che brillavano di felicità ora che finalmente lo
rivedeva.
«Wow!»
La sua
esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la portarono
ad
abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno
giustizia. Sei
bellissima.»
Anche lui era
bellissimo,
ma non ebbe la forza di dirglielo. Si perse a fissare i suoi occhi che,
nonostante la modesta risoluzione che la telecamera permetteva,
l’attiravano
come per magia. Erano occhi grandi, invitanti, gentili. «Mi
fai una giravolta?»
le domandò, senza perdere il sorriso.
«Cosa?»
«Su,
fatti vedere» la
pregò.
Dafne
sospirò, sebbene
quella richiesta le facesse piacere, e si alzò, spostando la
sedia e
allontanandosi di qualche passo cosicché la webcam la
inquadrasse tutta. Si
alzò in punta di piedi e compì una piroetta, poi
riportò gli occhi sullo
schermo. «Contento?» chiese mentre si avvicinava e
si sedeva di nuovo.
Michael
annuì,
appoggiando il mento sul palmo della mano e fissando direttamente
l’obiettivo,
tanto intensamente che a Dafne sembrava di averlo davanti a
sé. Dafne non
parlò, persa per un attimo a ricambiare quello sguardo.
«Perché
sei così
silenziosa?» le domandò, abbassando gli occhi per
osservare la sua figura sulla
finestra della videochiamata.
Dafne scosse la
testa,
ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire, gli occhi
già
umidi. Sbuffò prima di rispondere: «Sto diventando
ripetitiva.»
«Perché?»
«Mi
manchi» ammise,
alzando le spalle, rassegnata ormai a quell’emozione che la
colpiva ogni volta
che gli parlava e che tuttavia non avrebbe voluto abbandonare,
perché se era il
prezzo da pagare per risentire la sua voce e rivedere il suo volto, era
disposta a conviverci.
«Anche
tu mi manchi, lo
sai» rispose, prima di rilasciare un lungo sospiro.
«Perché ci siamo messi in
questa situazione?» domandò, forse a se stesso,
passandosi le mani sulla
faccia.
«Perché
siamo amici
speciali?» propose Dafne, ricordando l’assurda
definizione con cui avevano
tentato di spiegare ciò che li legava. Michael rise,
annuendo. Il suo sguardo
cadde sullo sfondo che s’intravedeva dietro Dafne e, un
po’ per cambiare
discorso e un po’ per pura curiosità, chiese:
«Mi fai vedere la tua stanza?»
«Non
c’è molto da vedere»
lo avvisò, mentre staccava il cavo del caricabatteria e
prendeva in mano il
computer, ruotandolo lentamente di trecentosessanta gradi. E davvero la
sua
stanza non era nulla di speciale. Pareti di un colore che pareva
indefinito,
forse per colpa della cattiva risoluzione, un letto che a occhio e
croce doveva
essere di una piazza e mezza, un armadio, un comò e una
scrivania sormontata da
tre mensole piene zeppe di libri.
«Tu
dove sei?» Vedeva,
dietro la sua testa, un colore simile all’azzurro chiaro, ma
non capiva a cosa
corrispondesse.
«Al
ristorante di mia
madre» rivelò, scostandosi per permetterle di
vedere l’ambiente. «Dà sulla
spiaggia.» Quel colore pallido era il cielo, che si stagliava
soleggiato e
privo di nubi sul mare mosso e di un blu più intenso. Un
panorama meraviglioso
che rimpiangeva fortemente.
«Non
lavori oggi?»
«Solo
nel pomeriggio» la
informò, prima di tornare a insistere
sull’argomento che avevano toccato anche
la sera precedente. «Forza, mandami quest’email. La
leggo in diretta.»
Dafne
rifiutò, scuotendo
la testa. «Te la mando» concesse, aprendo la
cartella che conteneva i suoi
scritti. «Ma leggila più tardi, quando hai del
tempo.»
«Perché?»
domandò, senza
comprendere il motivo di quella sua richiesta.
«Così
non dovrai fingere
che ti piaccia, avrai il tempo per inventare una scusa»
scherzò, studiando
l’elenco dei file per scegliere quale mandare.
«Allora
ti farò sapere
che ne penso la prossima volta» rispose, risparmiandosi la
solita critica alla
sua bassa autostima.
«Mandata»
lo informò, tornando
a guardarlo.
«Stasera
avremo ospiti a
cena» esordì, cominciando a raccontare della
decisione di Allie e Thomas di
rendere pubblica la loro relazione e del ruolo di mediatrice che
avrebbe dovuto
assumere in caso di complicazioni.
*
Dafne
lanciò uno sguardo
tra il divertito e il compassionevole a Thomas, che se ne stava seduto
tutto
impettito sul divano mentre lei finiva di apparecchiare la tavola.
Aveva
indossato una camicia azzurra, quella che portava solo per le grandi
occasioni,
e si era pettinato con cura i capelli. Il risultato era un ragazzo
visibilmente
agitato, racchiuso in un’immagine che non gli si addiceva per
niente. Posò gli
ultimi piatti e gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui.
«Agitato?»
domandò,
sorridente, prima di passargli una mano tra i capelli per scompigliarli
un po’.
«No,
che fai!» la bloccò,
afferrandole il polso, ma ormai era troppo tardi.
«Come
ti sei conciato?»
lo rimproverò, riprendendo a spettinarlo con
l’altra mano. «Non essere
ridicolo, ti conoscono da sempre, non hai bisogno di impiastricciarti i
capelli
per fare buona impressione. Anzi, con ogni probabilità
peggioreresti le cose.»
Quando lui
lasciò la
presa, sospirando, passò all’altro problema.
«E questa camicia? Non è che se te
la abbottoni tutta ti rende invisibile» continuò,
slacciando i primi bottoni
dato che l’aveva chiusa completamente, risultando quasi
strozzato dal colletto.
Una volta che
ebbe
finito, Thomas si lasciò andare all’indietro,
appoggiandosi scompostamente allo
schienale.
«Perché
sei così
agitato?»
«Stiamo
dando per
scontato che a loro questa notizia piacerà, ma niente ce lo
assicura» le fece
notare. «Magari suo padre tenterà di farmi
fuori.»
Dafne rise a
quell’idea,
rialzandosi. «Lo diamo per scontato perché
è esattamente ciò che succederà. Non
farti troppe paranoie» lo ammonì, dirigendosi in
cucina per andare a prendere
le bottiglie da portare sulla tavola. Stava per varcare la soglia della
stanza,
quando si udì il suono del campanello.
«Vai
tu?» gli domandò,
invitandolo con un sorriso e un cenno del capo ad alzarsi, prima di
riprendere
il suo compito.
Non era
necessario quell’incoraggiamento,
perché al rumore Thomas era balzato in piedi e aveva preso a
sistemarsi la
camicia, avvicinandosi all’ingresso.
Fece un respiro
profondo
e aprì la porta, trovandosi davanti il volto allegro di
Susanne e, dietro di
lei, quello leggermente più burbero di suo marito James.
«Ciao,
Thomas. Come
stai?» gli domandò la donna, mentre entrava in
casa. «È passato un bel po’ di
tempo dall’ultima volta che ti ho visto»
ricordò.
«Sto
bene, grazie»
rispose lui, con un sorriso garbato stampato in faccia. «Voi?
Immagino che il
lavoro vi tenga molto impegnati.»
«Non
c’è mai un momento
di pace» annuì Susanne, prima di ricordarsi che il
giovane sognava di seguire
la loro strada. «Ma non preoccuparti, tra qualche anno
arriverà anche per te il
momento» gli disse. Lui non capì se il suo era
stato un tentativo di
incoraggiamento o una semplice constatazione, ma la informò
del fatto che
proprio quell’anno avrebbe dovuto iniziare un periodo di
tirocinio.
«Se
capiterai da noi, magari
ti facciamo fare un giro. Vero, James?»
L’uomo
sembrò riscuotersi
all’udire il suo nome, probabilmente non si era riposato
abbastanza dopo il
turno di notte. Accennò una risposta con un movimento del
capo, prima di
replicare, rivolto a lei: «Non credo che lo facciano iniziare
da Chirurgia
d’Urgenza, non sopravvivrebbe alla prima giornata.»
Thomas
spostò lo sguardo
su Allie che gli stava sorridendo, nascosta alla vista dei genitori.
Trattenne
un sospiro disperato a quelle parole, che non sembravano promettere
molto bene.
Mentre i due coniugi avanzavano, salutando suo padre e Dafne, lui ne
approfittò
per avvicinarsi furtivamente a Allie e lanciarle un’occhiata
carica di
significato.
Le domande che
gli
riempivano la testa: Perché glielo
stiamo
dicendo? Stavamo tanto bene in segreto… Se poi non saranno
contenti di ciò che
diremo?
Ma anche
l’amore che
ormai aveva confessato e che la dichiarazione che avrebbe dovuto fare
avrebbe
confermato, l’attrazione sempre più forte che li
univa, la passione che dopo la
notte appena trascorsa conoscevano.
«Ciao»
la salutò,
limitandosi all’unica parola che gli era concessa al momento.
«Ciao»
ricambiò,
sfiorandogli la mano con la sua mentre lo superava e raggiungeva Dafne.
*
«Certo,
i giovani di
adesso sono diversi da com’eravamo noi alla loro
età. Sono sempre in giro,
stanno fuori fino a tardi e delle volte non rientrano nemmeno. E non
possiamo
neppure arrabbiarci, perché sono maggiorenni e
s’impuntano sul loro diritto di
fare ciò che vogliono.»
Nessuno aveva
immaginato
che la cena sarebbe stata accompagnata da simili discorsi. Non era
certo la
premessa migliore per l’annuncio che avrebbero dato a minuti.
I quattro
genitori, capitanati da Martha, stavano ribadendo la crisi di valori
che
sembrava aver colpito i loro figli e più in generale la loro
generazione,
indifferenti al fatto che si trovassero proprio vicino a loro.
Stranamente, la
donna non aveva mai tentato di suggerire una relazione tra i due
giovani
innamorati, cosa che non aveva dimenticato una sola volta in passato.
Thomas,
tutt’altro che
tranquillo all’udire quella conversazione, si era sbottonato
i polsini della
camicia e aveva ripiegato le maniche fino al gomito, accaldato. La cura
con cui
si era preparato sembrava essere stata dimenticata, sovrastata dalla
preoccupazione sempre più seria per una reazione infelice.
Allie, seduta
davanti a
lui, cercava inutilmente di calmarlo con la sola forza dello sguardo e
delle
frasi che, apparentemente dirette a Dafne, gli rivolgeva.
«Ma
prima o poi
metteranno la testa a posto e capiranno che non possono continuare
così. Certo,
nemmeno noi eravamo dei santi, ma avevamo divertimenti più
sani. Ve le
ricordate le partite a bowling e le giornate al luna park? Quanto tempo
abbiamo
passato sulla ruota panoramica? E i falò in spiaggia? Ora
pensano solo a saltare in discoteca
e ubriacarsi nei
pub!»
Martha
continuava
convinta con il suo sproloquio, chiaramente ignara del modo in cui
occupavano
il tempo i suoi figli. Sì, passavano effettivamente delle
nottate a ballare, ma
non avevano nemmeno dimenticato i parchi divertimento, le passeggiate
tranquille sulla battigia e il semplice piacere di passare del tempo
con le
persone amate.
Stanco di
sentirla
parlare e di tormentarsi sulle loro possibili reazioni, Thomas si
alzò in
piedi, richiamando il silenzio con un colpo di tosse.
Rimase per un
momento in
silenzio, fissato da occhi incuriositi. Allie, seppur con un sorriso
incoraggiante sulle labbra, tratteneva il fiato. Respirò a
fondo e parlò, con
lo sguardo puntato su di lei.
«Ho…
Abbiamo» si
corresse, sorridendo, «una cosa da dirvi. Forse vi
sembrerà strano, forse non
ci crederete nemmeno perché effettivamente non ce lo
aspettavamo neanche noi.
Io e Allie ci conosciamo da sempre, e il nostro rapporto è
stato un po’…»
s’interruppe, alla ricerca della parola giusta per descrivere
i continui alti e
bassi che aveva vissuto.
Ricordò
sé stesso, da
bambino, rincorrerla per tirarle le codine in cui aveva raccolto i
capelli.
Ricordò
che, da
ragazzino, la stuzzicava e la prendeva in giro inventando difetti che
non
aveva, perché l’aveva sempre trovata bellissima.
Ricordò
i primi orribili
approcci che aveva tentato, quando ormai aveva capito che provava una
simpatia
speciale per lei.
Ricordò
il sorriso
costante sulle sue labbra, quel sorriso che resisteva a ogni agguato e
che lo
rassicurava, perché talvolta si comportava talmente da
stronzo da fargli temere
che lei lo odiasse. Il sorriso che aveva anche in quel momento, mentre
s’intrometteva per dargli un suggerimento.
«Contrastante?»
«Contrastante»
annuì,
riprendendo a parlare. «Probabilmente avevamo bisogno di un
po’ di distanza che
ci permettesse di conoscerci e allo stesso tempo ci impedisse di
saltarci
addosso.»
Si rese conto
dell’interpretazione sbagliata che potevano avere quelle
parole con un attimo
di ritardo, quando sentì sua sorella, al suo fianco,
trattenere una risata.
«Cioè,
che ci impedisse
di battibeccare di continuo. La vacanza di Allie e Dafne ci ha dato
questa
possibilità e durante quei giorni qualcosa è
cambiato. Al loro ritorno tutto
sembrava diverso. E ora…» sorrise, riportando lo
sguardo che aveva lasciato
vagare per la sala su di lei. «Ora stiamo insieme.»
Alla sua voce,
che si
affievolì pian piano nella mente dei presenti,
seguì un silenzio che parve
infinito. Il sollievo che credeva avrebbe provato una volta terminato
il suo
annuncio non arrivò, era ancora troppo insicuro data la
passività dei loro
genitori. Non osava guardarli, non voleva farlo. L’unica cosa
sicura in quella
stanza era lo sguardo di Allie, da cui non voleva staccarsi.
Dopo quella che
parve
un’eternità, un rumore simile a un soffio ruppe la
quiete. Poi una risata,
breve e spezzata, che prese una nota gioiosa. Martha stava osservando
suo
figlio, felice, orgogliosa, ridente, probabilmente pronta a far partire
un
applauso. Il suo «finalmente! Sapevo che sarebbe arrivato
questo momento»
risvegliò anche gli altri. Susanne sorrise ai due ragazzi,
alzando il bicchiere
di vino in un brindisi silenzioso, che Dafne rese esplicito.
«A
Thomas e Allie» disse,
imitando il gesto della donna. Thomas si sedette e afferrò
il suo bicchiere,
gli occhi puntati in quelli della ragazza che aveva davanti. Solo James
non si
unì al brindisi, mantenendo un tono più basso e
ripetendo controvoglia la
frase. Furono chiare, invece, le parole che rivolse alla moglie, senza
curarsi
di abbassare il tono per non farsi sentire da Thomas. O forse
– probabilmente
– lo fece apposta.
«Ripensandoci,
non
sarebbe male averlo come recluta in reparto.»
Buongiorno :)
Siamo alla fine,
manca solo l’epilogo, che arriverà –
credo, perché quel giorno potrei avere un esame e non vi
assicuro nulla –
mercoledì
10 dicembre.
Vi ringrazio per
essere giunti fino a qui, spero di
non avervi delusi.
Vi lascio uno
spoiler, l’ultimo:
Quando
aprì la luce della camera, il suo cuore perse un battito
per lo spavento. Davanti a lei, agghindate, eleganti e totalmente
inaspettate,
stavano Allie e Dafne.
«Tanti
auguri, Alice!» esclamarono, sorridenti, baciandole le
guance.
|
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Capitolo 15 *** Epilogo ***
epilogo
Bolle
di
felicità
A
story of everyday life
Epilogo
Alice chiuse la
porta e
vi si appoggiò, sfinita. Nonostante
l’università fosse iniziata da appena una
settimana le lezioni, per quanto interessanti, si erano già
fatte pesanti. Quel
giorno aveva finito tardi, era uscita dall’edificio alle
diciotto passate e si
sentiva stanchissima. Salì le scale per raggiungere la sua
stanza e gettarsi a
letto, in modo da poter riposare un po’ prima
dell’arrivo dei parenti.
Era il suo
compleanno e,
come d’abitudine, sua madre aveva organizzato una cena con
nonni e zii di cui
lei sarebbe dovuta essere la protagonista.
Quando
aprì la luce della
camera, il suo cuore perse un battito per lo spavento. Davanti a lei,
agghindate, eleganti e totalmente inaspettate, stavano Allie e Dafne.
«Tanti
auguri, Alice!»
esclamarono, sorridenti, baciandole le guance.
«Finalmente
non sono più
l’unica vecchia!» rise Allie, sedendosi sul letto.
«Che
ci fate qui?»
domandò, sorpresa di vederle. Sorpresa che sapessero che era
il suo compleanno.
Non ricordava di aver detto loro la data di recente, e non poteva
credere che
lo ricordassero dai tempi della scuola, soprattutto dato che non aveva
mai
festeggiato.
«Che
domanda! Siamo
venuti a prenderti per andare a far festa» rispose Dafne,
aprendo l’armadio e
cominciando ad analizzarne il contenuto.
«Questa
sera vengono i
miei parenti, non posso uscire» rifiutò, scuotendo
la testa. Non avrebbe
accettato in ogni caso, per quanto apprezzasse il fatto che si fossero
offerte.
Con ogni probabilità avrebbero voluto portarla in discoteca
o in un locale
sconosciuto, affollato e – per tutti gli altri –
divertente.
«Abbiamo
già sistemato
tutto con i tuoi genitori, non c’è
problema» la rassicurò Dafne, estraendo
l’abito che aveva comprato qualche settimana prima al negozio
dove lavorava
Edmond.
«Dove
mi volete portare?»
sospirò, sedendosi sulla scrivania, incapace di nascondere
il suo sguardo
sconfortato.
«Ti
piacerà» le assicurò
Allie, sorridendole in modo incoraggiante.
Alice chiuse gli
occhi ed
si lasciò andare a un profondo respiro.
Doveva calmarsi.
Doveva fidarsi.
Allie e Dafne
erano sue
amiche, le volevano bene – per quanto quell’idea
fosse assurda, ormai ci aveva
fatto l’abitudine e ci credeva – e non avrebbero
fatto nulla che potesse
ferirla.
Doveva credere
alla loro
promessa. Voleva credere alla loro
promessa.
Voleva ripagarle
dell’attenzione che le prestavano, della delicatezza con cui
la trattavano,
comprendendo la sua sfiducia e cercando di aiutarla. E se questo
significava
uscire a festeggiare, nonostante la stanchezza, nonostante
l’imbarazzo, avrebbe
dovuto farlo.
«Che
devo fare?» chiese,
alzandosi in piedi e spostando lo sguardo dall’una
all’altra.
*
Nel giro di
mezz’ora,
Alice era pronta. Le ragazze le avevano fatto mettere il vestito e
avevano
scovato, nascoste nell’ultima scatola in fondo
all’armadio, un paio di scarpe
eleganti con il tacco basso, le uniche adatte al suo abbigliamento.
Allie le
aveva raccolto i capelli in una treccia e aveva applicato un trucco
leggerissimo, invisibile all’occhio umano ma comunque in
grado di eliminare le
tracce di stanchezza dal suo volto.
Guardandosi allo
specchio, Alice si sentiva bella. Le era capitato raramente di provare
una tale
sensazione, forse solo un paio di volte nella vita. Non come Allie e
Dafne, ma
si sentiva carina, riusciva ad apprezzare il suo corpo e quelle forme
che le
erano sempre parse troppo abbondanti.
Stava scendendo
le scale
per raggiungere i suoi genitori e avvertirli della loro uscita, si
sosteneva al
corrimano, lievemente insicura con quelle scarpe che non aveva quasi
mai
indossato. Li chiamò ma non udì risposta,
così si avventurò per il corridoio e
guardò in cucina: nessuno. Percorse qualche altro passo,
trovandosi davanti
alla porta del salotto, insolitamente chiusa.
L’aprì e, di nuovo, il suo cuore
perse un battito.
Una volta
spalancata la
porta, la luce si accese senza che lei allungasse la mano per premere
l’interruttore e un vociare improvviso le riempì
le orecchie. Davanti a lei,
anch’essi vestiti di tutto punto, stavano i suoi genitori,
suo fratello, Thomas
e Edmond.
Arrossì,
distogliendo lo
sguardo dal ragazzo. Era piacevolmente sorpresa da
quell’iniziativa: non aveva
mai ricevuto una festa a sorpresa, non aveva mai avuto nessuna persona
che
tenesse tanto a lei da organizzarla. C’erano pochi invitati,
solo quella
manciata di persone a cui voleva bene e che era felice di avere vicino
in quel
momento. Sorrise, chiedendosi con quale giustificazione Edmond fosse
stato
incluso alla lista dei presenti.
Amico?
I suoi genitori avrebbero davvero creduto che lei avesse un amico
maschio?
Eppure era proprio così.
Quel ragazzo
così strano
- sì, perché negli ultimi tempi tutto le sembrava
strano – che aveva voluto
conoscerla nonostante la sua timidezza, la sua riluttanza a un
ulteriore
rifiuto. Un rifiuto che non era mai arrivato, perché sebbene
lei si fosse
comportata come al suo solito, pur sforzandosi di apparire
più estroversa, lui
non se n’era andato. L’aveva trattenuta al bar per
quasi un’ora al loro primo
incontro, le aveva strappato il numero di telefono e le aveva scritto
in
continuazione, con un’insistenza nuova e sconosciuta per lei.
Non aveva capito
– anche in quel momento non ne era consapevole –
che quel desiderio di
sentirla, di conoscerla andava oltre la semplice amicizia. E tuttavia
lui non
aveva mai tentato un approccio troppo diretto, forse consapevole che
così facendo
l’avrebbe spaventata e allontanata da sé.
Le era rimasto
accanto,
almeno virtualmente, senza aspettarsi nulla in cambio, accogliendo le
sue scuse
quando gli diceva di essere impegnata e non poter uscire. Non
l’aveva forzata
ma aveva trovato comunque il modo di rivederla. Dietro lo schermo del
telefono,
Alice era riuscita ad aprirsi con più facilità,
così lui sapeva che università
frequentasse, che lezioni seguisse e che strani orari avesse.
Un pomeriggio,
mentre
stava uscendo in strada per tornare a casa dopo due ore di Arte Antica,
se
l’era ritrovato davanti. Si era scoperta meno intimorita del
solito, forse
perché sentiva di conoscerlo sebbene l’avesse
visto solo una volta. Lui l’aveva
accompagnata sino alla porta di casa, scherzando e ascoltandola mentre,
presa
da un’insolita loquacità, gli raccontava la sua
giornata.
Era felice di
rivederlo
anche quella sera, di avere un’altra possibilità
di stare con lui.
*
Guardandola
entrare nella
stanza, Thomas si sentì immensamente orgoglioso di lei. Il
suo amore per Allie
cresceva di giorno in giorno, così come il rispetto e
l’ammirazione per il suo
carattere altruista. Conosceva Alice da poco, ma aveva seguito il lento
processo che l’aveva portata ad aprirsi al mondo grazie ai
racconti di Allie. La
sua ragazza gli aveva descritto tutto, ogni incontro, ogni problema,
ogni
piccola conquista. Sebbene la vera protagonista di tutto ciò
fosse Alice, non
era a lei che stava pensando Thomas.
Lui pensava ad
Allie, a
colei che offriva il suo aiuto senza secondi fini, alla giovane donna
che
dimostrava di avere un cuore grande e buono. A colei che amava. Aveva
smesso di
fingere che la dichiarazione che gli era scappata qualche giorno prima
fosse
avventata, che non fosse completamente vera: l’amava, lo
sapeva, e il fatto che
lei non avesse ancora ricambiato quella confessione non cambiava nulla.
Le sorrise,
avvicinandosi
a lei.
«Ci
sei riuscita» disse,
circondandole la vita con un braccio.
«A
fare cosa?»
«Ad
aiutarla. Guardala»
la incitò, indicando Alice con un cenno del capo. La ragazza
stava ridendo con
Edmond e Dafne, sembrava spensierata e il rossore che l’aveva
assalita
inizialmente era scomparso. I suoi genitori la stavano osservando
seduti sul
divano, felici come non mai perché finalmente la loro
bambina aveva superato i
problemi che l’avevano tormentata a lungo.
Thomas sposto
velocemente
lo sguardo lungo la stanza, notando l’assenza di una persona.
«Ciao.»
Riconobbe
all’istante la
voce alle sue spalle, sebbene non l’avesse sentita che per
pochi minuti qualche
settimana prima. Allie lo sentì irrigidirsi al suo fianco e
gli strinse la mano
nel tentativo di calmarlo, poi si voltò per guardare
Nicholas.
Lo
salutò, cercando di
non apparire scortese ma anche senza mostrare falso entusiasmo. Era
inevitabile
incontrarlo in quell’occasione, lo sapeva e aveva avvertito
Thomas prima di
partire. Aveva sperato che Nicholas avesse il buonsenso di ignorarli o
perlomeno di comportarsi in modo appropriato, data la loro storia
passata.
«Volete
da bere?»
domandò, porgendo loro due calici.
«Questa
è… coca cola?»
Allie afferrò il bicchiere e lo studio per un attimo,
incredula.
«I
miei genitori sono
astemi, non teniamo alcolici in casa» spiegò,
sbuffando, prima di spostare lo
sguardo su Thomas con insistenza perché accettasse la sua
offerta. «Non è
avvelenato» scherzò.
«Me lo
auguro» commentò
lui, prendendo un primo sorso. Non aggiunse nient’altro,
rimase zitto a fissare
la parete in fondo alla stanza fingendo di non vedere il ragazzo. Per
quanto
desiderasse sforzarsi di essere più gentile, provare a non
pensare al loro
precedente incontro, non ci riusciva. Al suo fianco, Allie cercava il
suo
sguardo per incitarlo a sciogliersi, senza risultati.
Nicholas, stanco
della
tensione che li circondava, sbottò: «Okay, questo
silenzio non mi piace. Voglio
solo scusarmi per come mi sono comportato, non ero completamente in me
quel
giorno e non voglio davvero mettervi i bastoni tra le ruote. Mi sembra
che ora
tutto vada bene tra di voi, no?»
Allie
annuì con
gratitudine alla sua domanda. Aveva apprezzato la sua decisione di
scusarsi di
nuovo, questa volta davanti a Thomas.
«Allora
siamo a posto?»
chiese lui, porgendo la mano a Thomas. Com’era successo pochi
minuti prima
quando gli era stato offerto il bicchiere, Thomas non rispose subito.
Fissò la
mano che, tesa a mezz’aria, aspettava di essere stretta nella
sua. Non sollevò
nemmeno gli occhi per incontrare quelli di Nicholas, aveva capito dal
tono
della sua voce che era sincero. Lentamente allungò il
braccio, chiudendo in una
morsa ferrea la mano che aveva davanti, per trasmettere tutta la sua
determinazione nel costringerlo a rispettare la promessa che aveva
appena
fatto. Sentì che anche la sua stretta si rafforzava in un
istintivo tentativo
di opporsi a lui.
«Bene»
disse Nicholas,
sciogliendo la presa dopo qualche istante. «Ora vado a
mettere un po’ di
musica, altrimenti ci addormentiamo.»
*
Alice dominava
la stanza,
in piedi da sola a fianco al tavolo, mentre tutti gli altri erano
seduti sul
divano o su una sedia a guardarla. Stava scartando i regali, curiosa e
anche un
po' imbarazzata dall' essere al centro dell’attenzione. Il
primo pacco,
compatto e rettangolare, non lasciava molto spazio a dubbi: doveva
essere un
libro. Quando ne vide la copertina, però, rimase comunque
stupefatta. Il volume
conteneva tutta la storia della vita sulla Terra, era stato redatto dai
migliori esperti del campo e lei aveva desiderato acquistarlo per mesi.
Aveva
sempre desistito per via del prezzo esorbitante e non aveva mai
immaginato che
la sua famiglia potesse farle un dono simile. Posò il libro
sul tavolo e si
avvicinò ai suoi genitori per ringraziarli. Dopo averle
baciato la guancia sua
madre la trattenne in un abbraccio e quando la lasciò, Alice
vide che aveva gli
occhi umidi. Le sorrise e passò a suo fratello, che aveva
contribuito al
regalo.
L'altro
pacchetto
assomigliava a un cubo e Alice non aveva idea di cosa potesse
contenere. Lo
scartò con delicatezza - le avevano insegnato a non sprecare
nulla, nemmeno la
carta da regalo - per trovarsi davanti a una scatola illustrata che
presentava
in evidenza l'immagine del suo contenuto. Meravigliata
guardò Allie, che
immaginò esserne l'ideatrice.
«Oh
mio dio, non
dovevate, davvero. Chissà quanto vi sarà costato!
E ora non mi serve, ci
vorranno anni prima che cominci a lavorare...» Non era mai
stata brava ad
esprimersi in queste occasioni: mentre parlava si rese conto che
sembrava quasi
infastidita dal regalo, come se non lo fosse piaciuto, così
si zittì e rimase a
guardare l’amica senza aggiungere altro.
«Lo
so, ma così quando lo
userai, tra qualche anno, penserai di nuovo a questo momento»
commentò Allie.
Sorridendo,
soddisfatta
di quella spiegazione, Alice ringraziò le due amiche con un
bacio sulla
guancia, esitando poi quando fu il turno di Thomas. Non aveva una
grande
confidenza con lui, non si sentiva completamente a suo agio nel
compiere un
gesto per lei così intimo, ma era decisa a non permettere
alle sue paure di
rovinarle la serata e così, facendosi forza e scacciando i
pensieri, lo accolse
allo stesso modo.
Le sue guance
s’imporporarono quando si trovò davanti Edmond, in
attesa di ricevere il
medesimo trattamento. Lo sentiva molto più vicino di Thomas,
non era
l’estraneità ad imbarazzarla quanto piuttosto il
fatto che tra loro sembrava
esserci sempre un po’ di tensione, l’aria sembrava
farsi frizzante quando lo
guardava.
«Grazie»
mormorò, posando
le labbra sulla sua pelle e avvertendo la sensazione pungente
dell’accenno di
barba che aveva sulle guance.
«Non
hai ancora visto il
mio regalo» le rivelò, posandole una mano sulla
base della schiena per
trattenerla.
«Cosa?»
domandò, confusa,
sollevando lo sguardo per incontrare il suo. Solo in quel momento si
rese conto
che la musica era sovrastata dal chiacchiericcio creato dalle ragazze,
probabilmente d’accordo con Edmond per far sì che
il loro spostamento non fosse
molto evidente.
Sorridendo,
infatti, lui
la trascinò fuori dalla stanza e si fermò nel
corridoio. Dalla tasca dei
pantaloni estrasse un piccolo cofanetto di velluto rosso e glielo
porse,
aspettando una sua reazione.
«Cos’è?»
chiese
scioccamente Alice, sorpresa.
«Aprilo»
la incitò,
posandolo sulla sua mano. La ragazza si rese conto che stava tremando e
si
affrettò a far scattare la chiusura, in modo che quel
fremito non si notasse.
Sul rivestimento
scuro
spiccava un ciondolo d’un azzurro intenso contornato da
finimenti argentei, la
forma arzigogolata non si poteva rinchiudere in una definizione
classica ma il
risultato era splendido.
«È
magnifico» sospirò,
puntando gli occhi in quelli di Edmond. «È per
me?»
Lui rise,
scuotendo la
testa a quella domanda inutile.
«Perché?»
Perché questo regalo?
Perché hai voluto
darmelo in privato? Perché sembri tenere così
tanto a me?
Lui la
fissò per qualche
istante prima di rispondere, valutando le parole migliori e la
quantità di
verità che lei avrebbe potuto sostenere.
«Perché
sei mia amica e
ti voglio bene, mi sembrava un bel modo di dimostrartelo.» Perché con questa tua innocenza mi
sconvolgi e non poterti dire tutta
la verità mi tormenta.
Alice
annuì e abbozzò un
sorriso, posando il cofanetto sul mobile vicino a loro prima di
mettersi la
collana.
«Bellissima.»
Alice non
riuscì a capire
se quel complimento fosse diretto a lei o alla collana.
«Vuoi
ballare?» La
domanda lo sorprese, portandola ad incollare di nuovo gli occhi sui
suoi.
«Qui?»
«La
musica c’è» rispose
Edmond, alzando le spalle e porgendole una mano. Sì, la
musica c’era. Ma
ballare con lui, così, da soli?
Sembrava
un’azione troppo
intima per due amici, un momento troppo imbarazzante per lei che non
aveva mai
affrontato una situazione simile.
«Non
dovremmo andare di
là, almeno?» Provò a raggiungere un
compromesso, ma l’ennesimo cenno di
indifferenza le fece capire che lui non era d’accordo.
Prese un respiro
e
strinse la mano che lui non aveva allontanato da lei, posando
l’altra sulla sua
spalla.
Edmond sorrise,
lo vide e
lo sentì quando lui posò la testa a lato della
sua e la curva delle sue labbra
le marchiò la fronte, risvegliando in lei un calore nuovo,
non solo d’imbarazzo
ma anche di eccitazione.
Si muovevano
appena,
spostando il peso ora su un piede ora sull’altro, e per la
prima volta Alice
sentì tutto l’impiccio di un silenzio dettato
dalla timidezza che ancora
cercava di vincere in lei.
«Respira»
le sussurrò,
stringendole la stoffa dell’abito all’altezza della
vita. Non si era nemmeno
resa conto di essere tanto tesa, ora che lui aveva parlato poteva
sentire i
muscoli rigidi che faticava a rilassare.
«Vuoi
tornare di là?»
chiese Edmond, notando che sembrava incapace di tranquillizzarsi.
«No»
rifiutò Alice con
decisione, scuotendo il capo. «Restiamo qui.»
Era decisa a
combattere
contro quell’ingiustificata timidezza, a lottare e vincere
nonostante la
battaglia fosse lunga e ardua.
Doveva farlo per
se
stessa, per poter avvicinarsi alla felicità.
*
Dafne si chiuse
la porta
della camera alle spalle e sospirò, sfinita. Era stata la
prima ad andarsene e
un po’ le dispiaceva, ma non poteva più sopportare
Nicholas. In mancanza di
altre persone con cui passare il tempo – i suoi genitori si
erano ritirati
presto, Allie e Thomas erano sempre appiccicati e anche Edmond non
aveva mai
lasciato Alice – si era avvicinato a lei e aveva cominciato a
parlarle. Poi
aveva continuato a parlarle, per tutta la sera. Poco importa che a lei
non
interessasse nulla dei suoi discorsi sullo sport e sulle corse
automobilistiche, aveva continuato a informarla sulla sua vita
finché non le
era venuto il mal di testa. Così aveva salutato Alice e se
n’era andata,
sapendo che la voce che voleva sentire era un’altra. Una
più dolce, più
familiare, più amata.
Scalciò
le scarpe e si
sedette sul letto, trascinando con sé il portatile. Lo
accese e controllò
subito se il pallino che le interessava si era illuminato di verde. No.
Sbuffò,
sporgendosi per prendere il telefono dalla borsa. Aveva bisogno di
sentirlo.
Stava per
avviare la
chiamata quando un cambiamento sullo sfondo del computer
catturò la sua
attenzione. Ora era verde. Si affrettò a cliccare sul nome
di Michael e due
finestre scure andarono subito a riempire lo schermo.
«Dafne?»
Il suono arrivò prima dell’immagine, portandola a
sorridere. Un sorriso che si
paralizzò non appena lui comparve sul suo computer. Era in
una stanza poco
illuminata, probabilmente la sua camera da letto, con
addosso… beh, Dafne non
vedeva cosa indossasse, ma certo una maglia non era tra questi
indumenti.
L’aveva già visto in costume, l’aveva
visto addirittura nudo – a dire il vero
poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva
visto vestito di
tutto punto, dato che si erano conosciuti al mare – ma tutto
ciò risaliva a
tanto, troppo tempo prima.
«Michael»
lo salutò, sollevando lo sguardo dal suo petto nudo e dalle
sue braccia forti
per incontrare quello di lui, consapevole che lui l’aveva
vista.
«Ti
sei vestita così carina per me?»
domandò, osservando l’abito che indossava.
Dafne
sorrise, scuotendo la testa. «Sono stata alla festa di
compleanno di un’amica»
spiegò. «Tu, invece, ti sei svestito
così per me?»
«Per
chi altri?» rise lui, mentre il suo sguardo si faceva
più intenso. «Non credi
di avere troppa stoffa addosso, in confronto a me?»
«Cosa
vuoi che faccia, uno spogliarello in diretta?»
ribatté sprezzante, infilando le
gambe sotto il lenzuolo e appoggiandosi alla testiera del letto.
«Non
sarebbe una cattiva idea» acconsentì Michael,
accompagnato dal cigolio della
sedia che protestava ai suoi tentativi di mettersi comodo.
«Ehi!»
protestò, incapace di nascondere l’enorme sorriso
che continuava a formarsi
sulle sue labbra.
«Sei
stata tu a proporlo, non prendertela con me!» le
ricordò al suo richiamo
stizzito. «Non ci sarebbe nulla di male» aggiunse
poi, con un’alzata di spalle.
«Non
mi toglierò i vestiti davanti allo schermo di un
computer» ribadì, decisa,
incrociando le braccia al petto.
«Te
li leverei io, se potessi.»
«Lo
so» sospirò, conscia che stava dicendo la
verità. Nei pochi giorni che avevano
trascorso insieme l’attrazione era stata innegabile, tanto
che nonostante i
tentativi di opporglisi aveva ceduto. Solo perché si
trovavano in due paesi
diversi, non significava che si fosse attenuata. Anzi, ora la sentiva
ancora
più intensamente poiché sapeva cosa si stava
perdendo.
«L’ho
fatto in passato» continuò lui, percorrendo con lo
sguardo il profilo del suo
corpo, per quanto gli fosse possibile.
«Sì»
annuì, ricordando quella notte, l’ultima notte.
«Ma non mi hai tolto i vestiti,
al massimo la biancheria» lo corresse.
«È
stato comunque piacevole.»
«Sì»
sospirò di nuovo, prima di allungarsi verso il comodino e
prendere un elastico
con cui legarsi i capelli. Cominciava a sentire caldo, le immagini dei
suoi baci
appassionati e del suo sapore erano vivide nella sua mente.
«Vorrei
rivivere quel momento.»
«Oh,
Michael!» gemette, frustrata, fissando il suo volto.
«Smettila di parlare così,
non mi fa bene, non ci fa
bene.»
«Dafne?»
la chiamò, sorpreso da quel repentino cambio
d’umore.
«Non
so esattamente come passi il tuo tempo libero, ma l’ultima
volta che l’ho fatto
è stata con te e sono passati più di due mesi. Mi
manca, tu mi manchi e ricordare
quanto stavamo bene insieme e quanto è
stato bello non mi aiuta» continuò, agitando le
mani e dimenticando di tenere
un tono basso dato che i suoi genitori dormivano nella stanza accanto.
«Oh.»
Michael esitò prima di porle la domanda, temendo di essere
troppo invadente o
che lei si offendesse. «Non ti sei…aiutata, da
sola?»
«No!»
«Non
è mica una brutta cosa» la rassicurò in
fretta, interpretando quella risposta
come un rifiuto stizzito.
«Non
è quello… Non sarebbe lo stesso. Non farei che
sentire la differenza
dall’ultima volta e probabilmente starei ancora
peggio» spiegò Dafne, sbuffando
e alzando gli occhi al cielo.
«Quindi
hai intenzione di fare voto di astinenza finché non ti
innamorerai di
qualcuno?» Si rese conto che le sue parole potevano essere
fraintese: sembravano
implicare che tra loro fosse stato amore, cosa che non avevano mai
chiarito
davvero dato che erano sempre stati intenti a minimizzare il loro
rapporto per
convincersi che non si trattasse di un legame profondo. «O
perlomeno finché non
ti piacerà abbastanza qualcuno da farci
l’amore?»
«Non
lo so» rispose Dafne, scuotendo la testa, prima di
accigliarsi e interrogarlo.
«Perché stiamo parlando di questo?»
«Perché
mi trovi terribilmente affascinante» scherzò
Michael, mentre pensava ad un
altro argomento di conversazione, perché quel discorso stava
diventando troppo
peccaminoso anche per lui. Dafne, tuttavia, non sembrava intenzionata a
lasciar
perdere.
«Credi
che riuscirò ad innamorarmi di qualcuno?» chiese,
la voce più flebile e
l’espressione più seria.
«Sì,
ne sono sicuro» rispose lui. Ne era davvero convinto: erano
giovani, non
potevano davvero pensare di essere destinati a vivere per sempre con
l’idea di
aver perso la loro occasione. Tra i sette miliardi di persone che
popolavano il
mondo doveva esserci qualcun altro in grado di farli sentire a casa,
amati come
non mai.
«E
quanto credi ci vorrà?»
«Non
lo so» disse, stringendosi nelle spalle. «Non
importa. Non c’è nessuna fretta,
quando arriverà il momento giusto qualcuno
prenderà possesso del tuo cuore e i
giorni che abbiamo passato insieme ti sembreranno insignificanti in
confronto
alla felicità che proverai. Ma io ci sono, sempre. Siamo
amici, no?»
«Amici
speciali» lo corresse lei, con la voce rotta e gli occhi
umidi ma il sorriso
sulle labbra.
Sì,
lui ci sarebbe sempre stato. Come amico o come qualcosa di
più. Non avrebbe mai
potuto farlo uscire dalla sua vita, nemmeno volendo. Michael era parte
di lei.
*
La
festa era andata bene, Alice si era divertita e Allie era stata davvero
soddisfatta del risultato: aveva vinto. La sua amica era riuscita ad
aprirsi al
mondo, a mettere tutta se stessa nella lotta alla timidezza e aveva
già
raggiunto un livello di espansività notevole rispetto a
com’era qualche
settimana prima. Ora stava tornando a casa, con Thomas seduto al suo
fianco sul
sedile del passeggero. Non era stato facile convincerlo a lasciarla
guidare,
l’istinto di prendersi carico di quel compito era troppo
forte in lui, così
come in tutti i ragazzi che aveva conosciuto. La macchina
però era sua ed era
riuscita ad averla vinta.
«Sei
sicura che posso dormire da te?» le
domandò, incerto. Allie gli aveva detto che i suoi genitori
sarebbero stati in
casa quella sera ma gli aveva anche assicurato che poteva comunque
fermarsi da
lei. Lui non era totalmente sicuro di trovarsi a suo agio in quella
situazione.
«Sì,
nessun problema.»
«Con i
tuoi in casa? Non mi pare una buona idea»
insisté, perché a meno che non avesse
insonorizzato la camera da letto non
sarebbe stato così confortevole come sembrava pensare.
«Perché?
Tanto non faremo mica sesso» replicò con
un’alzata di spalle, portandolo ad assumere
un’espressione ancora più stupita.
«Sono
felice che tu mi abbia consultato prima di
prendere questa decisione» rispose, ironico, sprofondando nel
sedile.
Allie
sbuffò prima di voltarsi verso di lui e
dargli la spiegazione che stava aspettando con uno sguardo rassegnato.
«Ho il
ciclo.»
La notizia lo
colpì all’improvviso e lo fece
sentire un’idiota. Avrebbe dovuto capirlo o almeno valutare
l’idea, dopotutto
stava studiando medicina e il fatto che regolarmente lei
l’avrebbe mandato in
bianco non doveva sorprenderlo. Stava per scusarsi, ma la sua risata lo
fermò.
«Se
anche entrassero per spiarci, saremmo
sobriamente vestiti e non potranno dire nulla.»
«Sobriamente?»
ripeté, notando la scelta delle
parole. «Hai un pigiamone della nonna
nell’armadio?»
Allie rise,
fermando l’auto davanti al garage e
aspettando che il portone automatico finisse di aprirsi.
«Può essere.»
Nonostante le
rassicurazioni della ragazza, Thomas
non si sentì completamente a suo agio mentre si spogliava e
si infilava sotto
le coperte del letto nella stanza degli ospiti, aspettandola mentre lei
si
stava struccando in bagno. Non gli era mai capitato di dormire a casa
di una
ragazza mentre i suoi genitori erano presenti. Si rese conto che il suo
ragionamento
tendeva all’ipocrisia, dato che lei non si era fatta problemi
a passare una
notte da lui quando ancora la loro relazione non era nota e le
conseguenze, se
fossero stati scoperti, sarebbero state decisamente peggiori.
«Ti
sei trasferita qui?» domandò, quando lei
entrò
nella stanza.
«No,
sono troppo pigra per spostare tutti i miei
vestiti qua» rispose Allie, stendendosi accanto a lui.
«La uso solo quando ci
sei tu» rivelò, sistemandosi su un lato per
poterlo vedere in viso.
«Solo
per me?»
«Solo
per te» annuì, sporgendosi per posargli un
bacio sulle labbra.
C’era
una nuova dolcezza in quel contatto, una
nuova meravigliosa sensazione di gioia nell’abbraccio che
stavano condividendo.
La prima volta che avevano dormito insieme si erano limitati a un sonno
casto e
silenzioso in camera di Thomas, nascosti al mondo che li circondava e
frementi
per la nuova piega che stava prendendo la loro relazione. La seconda
volta era
stata in quello stesso letto, dopo aver consumato per la prima volta il
loro
amore. Ora era diverso.
Non potendo
intraprendere attività particolarmente
erotiche, erano costretti a lasciarsi cullare dalla serenità
e dal calore
emanato dai loro corpi, dovevano perdersi nel tenero piacere dettato
dalla loro
vicinanza.
Fu una scoperta
nuova e splendida, sentirsi parte
di un mondo nuovo in cui non c’era bisogno di parole o di
azioni, ma solo del
suono ritmico del loro respiro e dell’unione delle loro anime.
In questa
quiete, la mente di Allie aveva lavorato
a fondo.
«Tom»
lo chiamò, scostandosi appena per vederlo in
faccia. «Quando abbiamo fatto l’amore per la prima
volta mi hai detto che ti
eri innamorato di me e io non ti ho risposto…»
«Non
fa nulla, non preoccuparti» la interruppe,
accarezzandole i capelli.
«No,
ascoltami» insisté lei, prendendogli la mano e
stringendola al petto. «Era presto per me, ero ancora
annebbiata dal sesso e
non me la sono sentita di ricambiare, perché sapevo che non
sarei stata
completamente sincera e sicura di me» spiegò e
prese un respiro profondo prima
di continuare.
«Ora
però ho avuto il tempo per rifletterci, sono
calma e le mie parole sono assolutamente vere: ti amo» disse,
stringendo più
forte la sua mano e fissandolo negli occhi.
Thomas rimase
immobile ad osservarla, s’immerse
nelle sue iridi sincere e sentì il cuore scoppiare di gioia.
La baciò,
lasciando la sua mano per circondarle il viso, avvicinandosi al suo
corpo il
più possibile. In quel bacio condensò tutto
l’amore che provava per lei, quella
moltitudine di sentimenti che non aveva mai provato con tale
intensità nella
sua vita. Baciò la sua anima, il suo cuore grande e il
sorriso eterno che
l’avevano fatto innamorare.
«Ti
amo anch’io» sussurrò, staccandosi solo
per un
attimo dalle sue labbra per permettere al suo sguardo di incrociare
quello di
lei e accompagnare quelle parole nel suo spirito.
Ti
amo.
Anche
quest’avventura è
finita, un altro capitolo della mia vita concluso.
È stato bellissimo
condividere questo lavoro con voi, meraviglioso vedere che
l’avete apprezzato e
mi avete aiutato, con la vostra forza, a non abbandonarlo.
Il tempo per la scrittura,
ora che ho iniziato l’università, si è
drasticamente ridotto, non scrivo da
settimane, ma non abbandonerò mai davvero
quest’attività che mi lascia sempre
con una sensazione di gioia e soddisfazione.
Grazie per essere arrivati
fino a qui, spero che questa storia vi rimanga nel cuore, almeno in
piccola
parte, e che vi abbia lasciato qualcosa.
Il desiderio
di lottare per la vostra felicità - come
ha fatto Alice.
La forza di
rischiare
per la vostra felicità - come hanno fatto
Thomas e Allie.
La speranza
costante
che, prima o poi, sarete davvero felici – la stessa che
Michael e Dafne tengono
stretta.
La
volontà di rendere
felice le persone
a voi care – come conta di fare Edmond.
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