Corrupted Blood

di EternalSunrise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Hana ***
Capitolo 3: *** Riku ***
Capitolo 4: *** The wolf ***
Capitolo 5: *** The wolf's story ***
Capitolo 6: *** Quarrel ***
Capitolo 7: *** Console ***
Capitolo 8: *** Madness ***
Capitolo 9: *** Pacman ***
Capitolo 10: *** Lights out ***
Capitolo 11: *** Revelations ***
Capitolo 12: *** Rescue ***
Capitolo 13: *** Now we're even ***
Capitolo 14: *** Golden eyes ***
Capitolo 15: *** Past ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Disclaimer: Questa fic non è stata scritta a scopo di lucro e i suoi personaggi, a eccezione di Hana, non mi appartengono.


Prologue

 

Continuava a chiedersi perché gli fosse venuta in mente un'idea tanto stupida. Le persone normali non si sarebbero mai sognate di girovagare per le strade di una città a loro sconosciuta, durante un temporale. Boston, capitale del Massachusetts, era una metropoli piena di vita, sia di notte che di giorno. Eccetto, ovviamente, durante il brutto tempo. I suoi abitanti amavano girare per i negozi, organizzare feste e passare molto tempo in compagnia delle altre persone. I giovani, in particolare, avevano a disposizione una vasta gamma di pub e taverne in cui poter passare le serate con i loro amici.

Sora si sentiva estraneo a tutta quella vivacità e a tutte le luci che regnavano sovrane durante la notte. Lui era il tradizionale britannico che amava la pace e la tranquillità, a cui piaceva leggere libri e fare passeggiate nei parchi, assaporando il lato buono della vita. Di tanto in tanto gli piaceva anche bere il tè, con un po' di latte e alcuni biscotti ad accompagnarlo. L'unica eccezione erano i suoi capelli, sempre ricoperti di gelatina.

Lui non era come gli altri ragazzi della sua età. Non beveva, non fumava e non aveva mai avuto una relazione. Forse, un giorno, anche lui avrebbe trovato la persona adatta a condividere la sua vita, ma in quel momento non era la sua preoccupazione principale. Anzi, gli importava di più ritrovare la via dell'hotel in cui aveva preso una stanza un paio di giorni prima. Ormai i suoi abiti erano fradici, i suoi capelli si erano afflosciati, appiccicandosi in parte al viso, aveva freddo ovunque e il vento non sembrava volersi calmare. Oltretutto era a causa di quest'ultimo che aveva perso la cartina che si era comprato il giorno stesso in cui era arrivato e il suo fidato ombrello blu -che si sarebbe portato dietro anche se si fosse dovuto avventurare per il deserto.

La visuale era pessima perché l'acqua che scendeva dai nuvoloni neri, sovrastanti buona parte della città, era molta e i lampioni presenti erano davvero scarsi, però gli parve di scorgere un cartello che indicava l'ingresso a Beacon Hill, quartiere storico della metropoli. Di certo non era la strada giusta, anzi l'hotel -secondo quello che ricordava di aver letto sulla cartina- si trovava dall'altra parte del fiume Charles, nel quartiere di Cambridge. Come fosse arrivato fin lì, nemmeno lui lo sapeva, però era consapevole del fatto che se non si fosse trovato un riparo e non si fosse asciugato subito, un bel raffreddore non glielo avrebbe tolto nessuno. Sempre se non fosse già troppo tardi, ovvio.

Girò a destra, imboccando una stradina che sperò fungesse da scorciatoia per la via principale, dove avrebbe potuto cercare una taverna dove passare la notte. In quel quartiere le strade erano tutte molto strette -escluse quelle principali, che erano quattro volte larghe-, costeggiate da alti palazzi costruiti in mattoni rossi, che parevano volessero soffocarlo. Molte volte quelle stradine portavano a dei piccoli cortili interni, da cui si poteva prendere un'altra viottola per poi sfociare nella strada principale, ma Sora ebbe la sfortuna di avventurarsi in una delle poche che finivano con un vicolo cieco. Quando si ritrovò a pochi metri dalla fiancata di un condominio, sospirò affranto. Le gambe gli dolevano già da un po' e la testa gli si era fatta pesante. Aveva tanta voglia di farsi un bagno caldo e poi sprofondare nel comodissimo letto dell'albergo. Una delle poche cose che amava dell'America erano i letti. I materassi erano comodissimi e poi gli americani vi posavano sopra un sacco di cuscini, di ogni dimensione. Ma la cosa che più amava del letto della stanza che aveva preso, era il doppio piumino. Durante la notte non provava il minimo freddo, perché quelle coperte tenevano molto caldo, nonostante la stagione fredda in cui erano, e lui adorava coprirsi fino alle orecchie, facendosi abbracciare dalle suddette. Certo, anche gli inglesi lo facevano, ma trovare una loro caratteristica nel continente americano lo riteneva molto soddisfacente e lo faceva sentire meno escluso da quella vita. Però per quella notte si sarebbe dovuto accontentare, forse, di un normalissimo letto -non che gli dispiacesse in quel momento-, perché ormai l'idea di tornare in albergo era totalmente fuori discussione. Il problema era trovare un altro posto in cui dormire. Il giorno in cui era arrivato ne aveva visitati circa una decina, sparsi in tutta Boston, eppure in quel momento non riusciva a trovarne nemmeno mezzo. Non poteva dormire per strada, non lo avrebbe fatto in condizioni normali, figurarsi con quel tempaccio.

Dopo essere tornato indietro e aver girato a destra, riuscì a trovare rifugio dalla pioggia sotto a una piccola tettoia di un bar -chiuso, data l'ora della notte. Si appoggiò con la schiena alla parete della costruzione e si lasciò scivolare fino a terra, rannicchiandosi più che poteva nella speranza di scaldarsi un po'. La testa gli pulsava da morire, gli occhi gli bruciavano e il suo corpo ormai implorava pietà. Non sarebbe riuscito a continuare, era troppo stanco. Poggiò la testa sulle gambe portate al petto e chiuse gli occhi, nella speranza di farli riposare un po', ma ben presto la testa divenne più leggera e lo scrosciare della pioggia si attenuò fino a sparire del tutto, così come la percezione dell'aria che continuava a investirlo.

 


Ehilà ^^! Sì, lo so che teoricamente ho altre due fic aperte, ma che importa? Tanto finché non mi viene qualche idea decente (o almeno leggibile) da mettere per iscritto, non posso fare nulla u.u tanto vale aprirne un'altra :) 
Non voglio aprir troppo la bocca rischiando di spifferare buona parte della trama, quindi vi dirò solo che ho volto provare a scrivere un'ideuccia che mi era venuta mesi fa ma che non sapevo come portare avanti -o meglio, come iniziare. Ho scritto già sei capitoli (compreso questo) e sembrerebbe esserne uscito un qualcosa di accettabile, quindi volevo provare a vedere come andava xD (la mia impazienza regna sovrana, purtroppo... accompagnata dalla pigrizia ovviamente!). Premetto che sono stata fortemente influenzata dal lavoro di gruppo d'inglese, che ho dovuto portare a scuola la settimana scorsa, e da Assassin's Creed III u.u (spero solo di non scrivere cavolate...)
Come ho messo nelle note, i personaggi saranno OOC, specialmente Sora (gli altri, forse, di meno). 
Per quanto riguarda il rating, inizio a metterlo giallo, poi semmai dovesse essercene bisogno (cosa che dubito fortemente data la mia scarsa bravura) lo cambierò in arancione. 
Come nell'altra storia (anche se è un reato definirla così) ho aggiunto Hana, che per chi non lo sapesse è semplicemente un pg inventato da me e del quale mi sono follemente affezionata <3 però anche lei avrà il carattere un po' diverso :P mi piacciono i cambiamenti xD 
I miei capitoli, purtroppo, non sono molto lunghi (rispetto al normale sì, però xD) e il prologo ancor meno, quindi pazientate please ^^".
Dovrei riuscire a postare un capitolo a settimana (quindi ogni lunedì, visto che ho appena passato la mezzanotte), se dovessi avere intoppi probabilmente lo posterò un giorno prima o uno dopo.
Ok, credo di aver detto tutto (o almeno lo spero). Non dimenticate di lasciare una recensione, che è sempre ben accetta ;)


Al prossimo capitolo,
E.S.

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Capitolo 2
*** Hana ***


Second chapter: Hana

 

Per quel che mi riguarda se ne può anche andare subito.”

Ma non vedi in che stato è?“

Non mi interessa. Non ospiterò mai persone come lui!”

Lui non centra nulla. Non puoi continuare a dare la colpa al primo che capita e poi questa non è solo casa tua, la decisione spetta anche a me.”

D'accordo. Però non contare minimamente sul mio aiuto.”

***

Non si è ancora svegliato?”

Credevo non ti importasse.”

M'importa dal momento che più tempo rimane privo di sensi, più dovrò aspettare la sua partenza.”

Carino da parte tua preoccuparti in questo modo...”

Invece di fare dell'ironia pensa a svegliarlo. Deve andarsene.”

***

“Ehy?”

Fu una voce a svegliarlo. Una voce giovanile, dolce, pacata e... femminile? In realtà fu quel dettaglio a farlo svegliare. Non che fosse fissato con le voci femminili, però non ricordava di essere in compagnia di una ragazza. Non era nemmeno in compagnia di un ragazzo, certo, però una voce più rude come quella non avrebbe di certo avuto lo stesso effetto. Aprì di scatto gli occhi levandosi a sedere con quasi altrettanta velocità, ma la forte luce proveniente da chissà dove e il capogiro che gli venne, gli fecero coprire con una mano gli occhi e lo fecero tornare lentamente alla posizione iniziale, facendogli emettere un mugolio di fastidio. La voce ridacchiò leggermente, poi sentì dei passi dirigersi verso un punto a lui sconosciuto. Ci fu un fruscio sordo, poi la luce si attenuò permettendogli di abbassare la mano e aprire gli occhi. Quando mise a fuoco ciò che lo circondava, notò che si trovava in una stanza arredata in stile Liberty, dove ogni cosa era decorata da ghirigori e disegni floreali. Poi notò anche che la forte luce che un attimo prima l'aveva quasi accecato, proveniva da un'enorme porta a finestra che si apriva su un balcone e che ora era per metà coperta da una spessa tenda bordeaux. Infine, notò colei che lo aveva gentilmente svegliato. Proprio come aveva supposto dal timbro di voce, era una giovane ragazza. Aveva lunghi capelli neri con le punte bianche, lisci e tutti ordinatamente raccolti in una coda alta, escluso il ciuffo che le ricopriva la fronte e un paio di ciocche ai lati della testa. Gli occhi erano blu ghiaccio e le labbra rosse. La pelle era nivea e il suo fisico asciutto. Indossava un semplice top senza spalline di un blu molto acceso, un paio di pantaloni in pelle neri con in vita una cintura rivestita da piccole placche in metallo, delle decolté abbinate al top e una giacca in pelle -dello stesso colore del pantalone- lasciata aperta. Al collo portava una collana a fascia nera in stile gotico, dalla quale pendeva una croce del medesimo colore. Gli venne istintivo paragonarla a una pantera. Sensuale ma letale -anche se di questo non poteva esserne certo. La ragazza se ne stava tranquillamente poggiata alla scrivania in rovere scuro vicino alla porta finestra, a fissarlo con un dolce sorriso sulle labbra.

Distolse lo sguardo leggermente imbarazzato e lo posò sull'enorme quadro appeso alla parete destra, raffigurante un'enorme villa circondata da alberi su di una collina.

“Dove mi trovo?” ebbe il coraggio di chiedere anche se con voce un po' roca, dato che si era appena svegliato.

“Nello stesso luogo che vedi dipinto nel quadro.” rispose quella gentilmente, senza scomporsi.

Sora si alzò lentamente e si avvicinò al quadro per osservarlo meglio. La casa era stata costruita su base rettangolare con dei mattoni rossi; vi erano numerose finestre, persino sul tetto accompagnate da quattro comignoli; nella facciata frontale si poteva vedere l'ingresso sotto a un piccolo portico in legno dipinto di bianco; sopra ad esso vi era un terrazzino, forse lo stesso che poteva vedere dalla finestra. Dalla porta partiva una scala che conduceva fino a uno steccato un po' trasandato, ove vi era affiancato un piccolo pozzo per raccogliere l'acqua. Poco distante, sulla sinistra, era raffigurato un albero e al suo fianco degli altri. Egual cosa sulla destra, ma al posto del pozzo vi era una casupola in legno, che probabilmente veniva usata come piccolo deposito degli attrezzi da giardino. Dietro a questa casupola si potevano scorgere in lontananza delle scuderie, mentre attorno alla villa vi erano altre casette leggermente più piccole, forse tutte collegate a quella principale. Tra i particolari minori, come un paio di barili vicino a un carretto, in basso a sinistra vi era dipinto un uomo con un fucile in mano, probabilmente di ritorno da una battuta di caccia. Il quadro in basso a destra era datato 1819 e firmato da un certo Washington Allston. L'insieme era molto armonioso e dava a Sora una gradevole sensazione di beatitudine, come se si trovasse a casa sua, a Nottingham.

“È davvero stupenda.” disse sorridendo.

“Sono d'accordo. Anche se mio padre tempo fa ha fatto apportare qualche piccola modifica, ha conservato il suo immenso fascino.” raccontò la ragazza.

Sora si voltò a guardarla “Che genere di modifiche?” chiese, cercando di non essere troppo invadente.

Lei fece una mezza risata, provocata forse dalla curiosità dell'altro, poi si avvicinò alla finestra e spostò a lato la tenda che la copriva per metà. Girò la maniglia e spalancò le due porte, facendogli poi segno di seguirla. Lui non se lo fece ripetere e uscì in balcone, notando che non era in legno, come illustrato nel dipinto, bensì in marmo. Stessa cosa per le due colonne del porticato. Altro dettaglio molto visibile era il muro in mattoni rossi, alto circa due metri e mezzo, che sembrava circondare l'intera tenuta. Alla fine delle scale che conducevano alla porta d'ingresso vi era un cancelletto in ferro verniciato di nero e a fianco ce n'era uno uguale ma più grande, probabilmente usato per i veicoli. Dove nel quadro era stato dipinta una casupola, vi era un garage di modeste dimensioni, mentre al posto degli alberi c'era una spaziosa strada e al di là di essa la foresta. Il resto, dal balcone, non si riusciva a vederlo, ma Sora giurò che anche le scuderie fossero state trasformate in qualcos'altro.

“Questa tenuta appartiene alla mia famiglia da molte generazioni, per questo nel dipinto è stata rappresentata in quel modo. Allora molte cose non erano ancora state inventate e quando l'abbiamo ereditata mio padre ha ritenuto opportuno fare qualche cambiamento per adattarla ai nostri tempi e renderla più confortevole, senza però toglierle quella sensazione di vissuto che ci ha sempre fatti sentire a casa, anche la prima volta che l'abbiamo vista.” gli raccontò.

Sora annuì leggermente, per confermare quell'ultima parte, poi si schiarì la voce “Potresti dirmi cosa è successo e come sono arrivato qui?” domandò.

La ragazza gli sorrise, poi inclinò leggermente la testa all'indietro per poter osservare meglio il cielo “Cosa sia successo non lo so. Io ti ho solo trovato privo di sensi per strada con la febbre alta, mentre tornavo a casa. Mi sono limitata a portarti qua e assicurarmi che ti riprendessi.” rispose.

Sora arrossì leggermente sbiascicando un grazie “Comunque sono finito in quelle condizioni principalmente per colpa del vento. Ero uscito verso le undici di sera per farmi un giro della città anche di notte, ma poi verso le tre si è alzato il vento ed è iniziato a piovere. Mi ero munito di ombrello e cartina per cercare di ritornare in albergo, ma l'aria me li ha fatti volare via. Così mi sono perso. Tra l'altro il cellulare mi si era scaricato durante la passeggiata e a quell'ora era tutto chiuso. Ho girovagato per circa due ore e mezza, nel frattempo credo mi sia venuta la febbre e presumo sia stato proprio a causa di quella che abbia perso i sensi.” spiegò.

Fu il turno della ragazza di annuire, d'accordo con le parole del ragazzo “Se ti può interessare sei rimasto incosciente per due giorni e mentre dormivi dicevi qualcosa come 'è colpa di Tidus' ” lo informò lei ridacchiando alla fine della frase.

A quella informazione il ragazzo rimase leggermente incredulo, perché ciò voleva dire aver disturbato la ragazza e la sua famiglia per ben quarantotto ore e ciò non se lo sarebbe perdonato facilmente. Non voleva essere di peso a nessuno, specialmente a persone che nemmeno conosceva. Però faceva bene a lamentarsi di Tidus, suo fidato compagno di scuola insieme a Wakka. I tre si erano organizzati qualche settimana prima per andare a Boston durante le vacanze di Capodanno. Avevano già fatto i biglietti e prenotato le camere, ma Tidus aveva deciso di non partire giusto giusto il giorno prima, trascinandosi dietro Wakka e lasciando il povero Sora a partire da solo per non sprecare il volo. Se Tidus non avesse cambiato idea all'ultimo momento, probabilmente Sora non si sarebbe mai perso durante un acquazzone, ma il passato era passato. Lui doveva pensare al presente. Ad esempio, che fine avevano fatto i suoi vestiti? Perché non ricordava di essere uscito con un pigiama invernale grigio addosso. Dopo che furono rientrati in stanza pose la domanda alla ragazza, che gli indicò i suoi abiti, puliti e ben piegati, posati sulla sedia vicino al comò -una camicia bianca accompagnata da un paio di jeans e un un pull azzurro in cotone, rivestito internamente ad orsetto. Lei fece per uscire, ma Sora la bloccò dicendole di aspettare “Non mi sono ancora presentato. Io sono Sora Sullivan.” le disse.

Lei posò la mano destra sulla maniglia della porta, che era rimasta socchiusa fino a quel momento, l'aprì e si fermò subito dopo essere uscita. Si voltò verso di lui sorridente “Hana. Hana Davenport.” disse prima di chiudere la porta e andarsene, lasciandolo da solo nel silenzio assoluto.


 


Rieccomi con il secondo capitolo :) 
Spero che in questo capitolo si inizi a capire qualcosa (solo una piccola parte del guscio della storia xD). Vi avevo detto che Sora sarebbe stato un po' OOC, beh forse all'inizio non vi sembrerà vero, ma posso garantire che lo sia xD o almeno a me ha dato questa impressione... giudicate voi man mano che posto i capitoli! ;)
Se la casa/tenuta vi dovesse sembrare familiare è assolutamente normale u.u ho deciso di ambientare parte del racconto nella Tenuta di Davenport di ACIII, che ho amato davvero tanto <3 nonostante ogni volta mi ci volessero delle ore per raggiungerla o da Boston (da qui l'idea di ambientarla, appunto, in questa città) o da New York... sì, lo so che si potevano usare le carrozze e altro per spostarsi più velocemente, ma sono ancora ai tempi di Ezio dove dovevi farti tutti i tragitti a piedi o a cavallo, che in questi giochi è il miglior amico dell'uomo <3 (curiosità: avete mai giocato a uno dei numerosi capitoli di AC? Se sì, qual è il vostro preferito?). Vi lascio una delle tante belle immagini che ho trovato della casa (per vederla meglio cliccate sopra).
Heberger image
Comunque, Hana
 è entrata sin da subito in gioco. Come ho già detto, le ho voluto fare un piccolo cambio di carattere, che però credo sia più visibile tra un paio (forse il prossimo) di capitoli... o forse vedo solo io la differenza °°? boh. 
La microscopica trama, che di trama ha ben poco -forse nulla-, che ho messo faceva riferimento a Tidus, quel piccolo biondino che Sora dovrà prima prendere a pugni e poi ringraziare per quello che succederà xD
Ma veniamo a voi! Come avete passato il 24 e il 25? Quanti regali avete ricevuto? Vi sono piaciuti? Io personalmente credo di poter essere pienamente soddisfatta solo di quello che ho scelto io, ovvero un paio di paraorecchie che fungono anche da cuffie per ascoltare la musica (credo si possa persino rispondere al cellulare, visto che c'è il microfono). Certo, ci sono anche le due trousse della Pupa, ma essendo una persona acqua e sapone non credo di poterle sfruttare al massimo (però son sicura che mia madre contribuirà come al suo solito xD). Per il resto vestiti e bracciali, ottenendo un totale di 6 regali :) 
Prima di chiudere voglio augurarvi buone feste (cosa che forse avrei dovuto iniziare a fare la settimana scorsa -.-"), anche perché per il prossimo capitolo ci vedremo nel 2015! Non siete contenti (per l'anno nuovo, non per il capitolo xD)**?? Spero solo che sia un anno migliore di questo u.u (nonostante io debba molte cose al 2014...).
Non credo di aver altro da dire (almeno spero), quindi vi saluto ^^.

Al prossimo aggiornamento, 
E.S.

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Capitolo 3
*** Riku ***


Third chapter: Riku

Subito dopo che Hana chiuse la porta, lui la riaprì chiedendole se poteva usare il bagno. La ragazza, come sempre, gli sorrise e gli indicò gentilmente una porta qualche metro più avanti, dicendogli di fare con calma e che poteva usare quel che voleva, poi se ne andò. Il corridoio era molto lungo e rivestito di una moquette rossa, le sue pareti erano ricoperte da carta da parati beige, decorata da motivi floreali, leggermente in rilievo, e da numerosi quadri antichi. Vi erano tre lampadari -anch'essi in stile Liberty- che illuminavano perfettamente il percorso e molteplici porte chiuse che conducevano chissà dove. Sora percorse quei pochi passi che lo separavano dal bagno guardandosi attorno affascinato. Ebbe la stessa reazione quando entrò nel bagno: era molto spazioso. Il pavimento era piastrellato di nero, i battiscopa erano a scacchiera e le pareti piastrellate per due terzi di bianco; al centro vi era una larga vasca da bagno in marmo, ai cui piedi era stato messo un tappeto bianco, mentre sulla destra vi era un mobile in rovere scuro avente le ante in vetro, dalle quali si potevano vedere numerosi asciugamani e prodotti per lavarsi. Sullo stesso lato vi era un piccolo bidè abbinato alla vasca. Sulla sinistra, invece, vi era un mobile più piccolo formato da due scompartimenti sul quale era posto un lavandino, sempre in marmo, sormontato da uno specchio -la cui forma ricordava tanto quella di un frutto tropicale che il ragazzo aveva visto in una pubblicità, il paopu- e il classico water abbinato al resto dei sanitari. Infine nella parete frontale vi era una grande finestra al cui lato vi era raccolta una spessa tenda nera, in contrasto con le altri pareti.

Sora si chiuse la porta alle spalle girando la chiave nella toppa, spostò la tenda davanti alla finestra, prese dal mobile più grande ciò che gli serviva, tappò lo scarico della vasca e aprì l'acqua calda, aggiungendogli un po' di bagnoschiuma al muschio in modo da creare molta schiuma. Mentre essa si riempiva lui si svestì con calma, assicurandosi di avere un paio di asciugamani a portata di mano per asciugarsi in seguito e accorgendosi di non avere alcun tipo di intimo addosso, cosa che si aggiunse alla lista delle cose da dimenticare e, soprattutto, su cui non fare domande. Quando la vasca fu piena chiuse l'acqua e si immerse lentamente per non allagare tutto.

Fare il bagno lo rilassava parecchio ed era un ottimo modo per riuscire a pensare senza distrazioni e senza il solito stress quotidiano. In quel momento ne aveva tanto bisogno, perché da quando si era svegliato era rimasto scombussolato e molte domande si erano formate nella sua testa. Ad esempio, perché quella ragazza l'aveva aiutato? Avrebbe potuto benissimo fregarsene e lasciarlo lì dov'era, tirando dritto per la sua strada. Invece lei non solo l'aveva ospitato per un paio di giorni a casa sua e si era presa cura di lui, ma lo stava trattando come se fossero conoscenti, come se anche lui vivesse in quella casa. Ecco, lo trattava come se facesse parte della sua famiglia. Perché? In fondo non conoscevano niente l'uno dell'altra, se non i nomi. Sora immerse per qualche secondo anche la testa, poi tornò in superficie passandosi le mani sul viso per togliere la schiuma e tirandosi indietro i capelli che gli erano finiti davanti agli occhi. Prese un po' di shampoo e iniziò a massaggiarlo lentamente sul cuoio capelluto e sui capelli, dopo prese il doccino e si risciacquò per bene, facendo lo stesso passaggio per il balsamo al cocco, ma sciacquandosi solo dopo essersi pettinato. Sistemati i capelli, passò al corpo. Prese il flacone del bagnoschiuma al muschio e ne versò un po' su una spugna giallo chiaro a forma di stella, che si passò delicatamente sulla pelle chiara. Sora era minuto, non molto alto e a volte veniva scambiato per una ragazza, ma a lui non importava poi molto, perché si piaceva così com'era -nonostante ogni tanto invidiasse i ragazzi che avevano i muscoli. Finito di insaponarsi stappò lo scarico della vasca e, appena fu sufficientemente vuota, usò il doccino per darsi l'ultima sciacquata, poi uscì poggiando i piedi sul tappeto e cercando di gocciolare il meno possibile. Nel giro di un secondo gli venne la pelle d'oca per lo sbalzo di temperatura, quindi si apprestò ad asciugarsi per poi legarsi un asciugamano in vita, mentre l'altro lo usò per tamponarsi i capelli. Quando fu asciutto, però, si rese conto di essersi dimenticato i vestiti nella stanza accanto ed entrò leggermente nel panico. Non poteva chiamare Hana e farseli passare, sarebbe stato imbarazzante e avrebbe fatto una pessima figura. L'unica soluzione era uscire velocemente e chiudersi in stanza senza farsi vedere da nessuno. Anche se non del tutto convinto decise di attuare il piano, prima però riordinò il bagno in modo da lasciarlo come l'aveva trovato. Aprì metà finestra per far spannare la stanza e poi si assicurò che l'asciugamano in vita fosse ben stretto. Si diresse verso la porta, l'aprì lentamente e si affacciò per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi stette attentamente in ascolto per sentire se qualcuno stesse arrivando o meno e, appurato che era presente solo lui, uscì chiudendosi la porta alle spalle e dirigendosi a passo molto svelto verso la camera in cui si era svegliato. Era già arrivato davanti alla porta e aveva già la mano poggiata sulla maniglia, quando sentì qualcuno alle sue spalle schiarirsi la voce per attirare la sua attenzione -e di certo non era Hana! Si bloccò all'istante aumentando la presa sulla maniglia, come quando nei film horror la vittima percepisce una presenza alle sue spalle ed è pietrificata dal terrore. Si voltò lentamente, rosso in viso, e quando vide chi gli stava davanti deglutì a vuoto, neanche fosse un ragazzino colto sul fatto mentre compiva una delle sue marachelle. Di fronte a lui c'era un ragazzo alto, dal fisico asciutto e la pelle più chiara di quella di Hana. Indossava un semplice jeans chiaro che gli ricadeva morbido sulle gambe, tenuto in vita da una cintura bianca, un pullover grigio e un paio di scarpe da ginnastica blu scuro. I suoi capelli, corti e lisci, erano molto particolari. Erano bianchi, ma alla luce parevano numerosi fili argentati morbidi al tatto. Il ragazzo era poggiato allo stipite della porta di fronte alla stanza che aveva ospitato Sora, con le braccia incrociate al petto e i freddi occhi acquamarina puntati sul più piccolo. Sora dimenticò di avere solo un asciugamano addosso, perché in quel momento si sentiva intimidito da quella presenza, come se avesse dovuto fare attenzione a tutto ciò che faceva. Come se una sola mossa sbagliata gli sarebbe potuta costare cara. Inoltre il fatto che non si fosse accorto del suo arrivo non lo aiutava affatto -anche se probabilmente era semplicemente uscito dalla porta posta di fronte alla sua.

“Come mai stai andando in giro così?” domandò l'argenteo con molta freddezza.

Il più piccolo aprì la bocca per rispondere, ma da essa non uscì alcun suono. Era inspiegabilmente assoggettato da quel ragazzo, tant'è che non riusciva a parlare. Perché, poi? Non si erano mai visti prima, non si conoscevano. Eppure lui riusciva comunque a suscitare nel più piccolo un profondo senso di pericolo. Sora si schiarì la voce nella speranza di riuscire a parlare e, una volta constatato che ne era in grado, spiegò la situazione.

“M-mi sono dimenticato di p-prendere i vestiti.” disse con voce piccola e leggermente balbettante.

L'altro continuò a fissarlo in silenzio, senza cambiare atteggiamento nei suoi confronti. Rimasero così per qualche istante, poi la voce di Hana trasse in salvo il povero Sora.

“Qualche problema?” domandò all'argenteo. La ragazza non stava più sorridendo, ora la sua espressione era severa e i suoi occhi stavano rimproverando tacitamente l'altro ragazzo, che ricambiò lo sguardo senza scomporsi. Dopo poco se ne andò, sparendo dietro una delle tante porte al fondo del corridoio. Hana lo seguì con lo sguardo per tutto il tempo, poi chiuse gli occhi sospirando. Quando li riaprì posò il suo sguardo su Sora, ancora fermo davanti alla porta che guardava pensieroso il pavimento.

“Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo.” gli disse mortificata. Sora sbatté le palpebre, come a voler cancellare dalla mente i suoi pensieri, e alzò il viso verso di lei. Non disse nulla, rimase semplicemente a guardarla leggermente confuso. Non sapeva cosa dire nonostante tutte le domande che voleva porle, ma Hana spezzò quel piccolo silenzio che si era andato a creare.

“Lui è mio fratello, Riku. Scusa per come ti ha trattato, è fatto così. Non è molto ospitale o amichevole.” spiegò con leggera tristezza. Sora ci mise un po' a carburare, era ancora sovrappensiero, ma non appena capì le parole dette dalla ragazza le sorrise dolcemente dicendole che era tutto a posto, di non preoccuparsi. Lei ricambiò il sorriso, poi mise una mano sul fianco spostando il suo peso su una sola gamba e ridacchiò con quello che a Sora sembrò uno sguardo malizioso.

“Ora però ti conviene vestirti, o ti tornerà la febbre.” gli disse indicando l'asciugamano che il ragazzo portava in vita.

Sora abbassò lo sguardo sul suo corpo e non appena si rese conto di essere ancora nudo, diventò più rosso di un pomodoro e spostò velocemente le mani sul bordo dell'asciugamano, come se stesse per cadere. Ciò suscitò l'ilarità della ragazza, che si voltò e se ne andò ridendo, non prima, però, di avergli detto di asciugarsi per bene i capelli.

Una volta vestito Sora si diresse nuovamente in bagno, dove usufruì dello specchio e del phon per darsi una sistemata ai capelli. Siccome in quel momento non aveva con sé un po' di gel, se li legò dietro la testa in un codino -dal quale scapparono alcuni ciuffi troppo corti che si portò dietro l'orecchio- deciso ad acconciarli meglio una volta tornato in albergo. Qualche minuto dopo Hana tornò a prenderlo per non farlo perdere e lo condusse alla porta di casa.

“Che ne dici di un giretto in moto, per visitare bene la città?” chiese improvvisamente la ragazza.

Sora rimase per un attimo spiazzato da quella domanda, anche perché l'idea di andare in moto non lo faceva impazzire. Lei sembrò leggergli nel pensiero e gli assicurò che non sarebbe andata troppo veloce, riuscendo infine a convincerlo. Prese dal garage una Ducati nera e un paio di caschi della stessa marca, che poi indossarono.

Prima di partire, però, Sora voleva togliersi dalla testa la stessa domanda che si era posto più volte quel giorno.

“Hana, perché fai tutto questo?” chiese guardandola attraverso la visiera del casco.

Lei si voltò leggermente stupita da quella domanda, ma poi gli diede la risposta “Perché sento di potermi fidare ciecamente di te.” disse sorridendo, nonostante lui non potesse vederlo.

Sora non si spiegava come ciò era possibile, ma ne rimase contento. Salirono in sella e, usciti dal cancello, partirono alla volta di Boston.

 


Ci ho preso gusto nel pubblicare dopo la mezzanotte u.u però questa sarà l'ultima volta che lo faccio, perché tra pochi giorni mi tocca tornare a scuola e la domenica andrò a letto prima, altrimenti chi si alza più xD (anche perché mi ci vuole mezzo'ora solo per questa parte -.-")! Per cui aggiornerò il lunedì pomeriggio, dopo le tre. 
Prima di cominciare(?) devo porvi una domandina: secondo voi, la reazione di Sora alla vista di Riku è stata eccessiva? Perché in realtà un motivo per avergliela fatta fare c'è (e che per motivi di spoiler non posso rivelarvi u.u), però di tanto in tanto mi sembra di aver scritto cavolate D: (più del solito, intendo). Voi che ne pensate?
L'idea delle piastrelle del bagno l'ho avuta girovagando al Bricoman con i miei genitori e -purtroppo- mio fratello. A quanto pare anche un posto noioso come quello sa rendersi utile xD. Avevo fatto anche una foto (cliccate per ingrandire):
Heberger image
Come potete vedere in realtà i battiscopa sono a tinta unita, però li ho voluti modificare mettendoli a scacchiera u.u (non fate caso al fatto che la foto sia girata D:).
Andando avanti, ho voluto essere sadica (in realtà non poi così tanto...) e ho fatto dimenticare i vestiti al povero Sora. Come Devilangel476 (che ringrazio) ha fatto notare, un Sora pasticcione è di norma u.u così ha incontrato anche (*cof*l'affascinante*cof*) Riku -come sempre(?) musone e super diffidente- che si è scoperto essere il fratello di Hana. A proposito, lei come vi sembra? So che è un po' presto per chiederlo, ma sono curiosa di sapere che ne pensate del suo carattere ecc... u.u
Quante domande ha il povero Sora! Peccato per lui, verranno risolte solo un po' alla volta xD e in alcuni casi nemmeno del tutto :')
In ogni caso questo capitolo non dice poi molto (come gli altri, del resto), i primi servono ad 'ambientarvi', diciamo. Beh, dovete far finta di essere Sora, mi sembra normale che all'inizio la situazione non sia poi tanto chiara xD più avanti vedrete cose più interessanti, promesso ù.ù!
Vi saluto, come sempre spero che vi sia piaciuto e vi ricordo che non rifiuto mai una recensione, negativa o positiva che essa sia ^^. 

Al prossimo capitolo, 
E.T. E.S.

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Capitolo 4
*** The wolf ***


Fourth chapter: The wolf

Girarono per vari quartieri, Hana lo portò persino a Boston Common e a Flag Staff Hill, dove gli fece ammirare l'intera città e il Soldiers and Sailors Monument dalla collina. Per pranzo si fermarono a mangiare in un fast food, abbuffandosi con panini e patatine fritte. Giunti a fine giornata, Sora chiese alla ragazza se poteva riportarlo in albergo e lei accettò, facendosi spiegare la strada.

“Ovviamente a patto che tu prenda le tue cose e poi torni giù facendoti portare a casa mia.” continuò, alzando la voce per sovrastare il rumore delle auto e della moto.

Sora quello non se lo aspettava davvero. Possibile che si fidasse tanto da invitarlo a restare a casa sua? Nel frattempo Hana fermò la moto un paio di metri prima dell'ingresso all'albergo e si tolse il casco. Sora la imitò porgendoglielo.

“Ti ringrazio, ma non poso accettare. Non voglio disturbare e poi tra meno di una settimana devo tornare a casa. Inoltre non credo di stare molto simpatico a tuo fratello.” disse, grattandosi la testa in segno di disagio.

“Andiamo, Sora. Proprio perché devi andare via dovresti venire con me, così avrai modo di passare un po' di tempo in compagnia, senza startene da solo. Per quanto riguarda Riku, te l'ho detto: è così con tutti, ma vedrai che gli starai simpatico. Infine, non saresti di alcun disturbo, anzi! Ci aiuteresti a riempire quella casa vuota.” replicò lei, con una nota di tristezza nell'ultima frase.

Sora voleva sapere cosa ci fosse che la turbava, perché nonostante gli si mostrasse sempre sorridente ci fossero degli attimi in cui sembrava tutt'altro che serena e felice. Anche quella mattina, con suo fratello, era sembrata strana. Gli sguardi che si erano scambiati contenevano messaggi che solo loro due potevano capire e sembrava qualcosa di serio, qualcosa di totalmente fuori dalla sua portata ma che lo includeva indirettamente. Aveva deciso di lasciar perdere i suoi dubbi, credendo di essersi immaginato tutto, ma lo sguardo che la ragazza aveva assunto, glieli fece tornare a galla. Poi cosa voleva dire con quella frase?

“Sul serio, Hana. Grazie, ma non me la sento. Poi magari i tuoi genitori non hanno piacere di avere uno sconosciuto in casa.” dissi a mia volta.

Se prima era malinconica, ora si era fatta totalmente scura in viso. Incrociò le braccia in una specie di auto-abbraccio e si voltò a guardare da un'altra parte.

“Non credo possa essere un problema. I miei genitori sono morti cinque anni fa.” confessò cupa.

In quel momento Sora si sentì uno schifo. Era quello il motivo per cui a volte si faceva triste e forse era proprio quello che l'aveva spinta a comportarsi in quel modo con lui. Forse aveva semplicemente bisogno di compagnia, forse quella di suo fratello non le bastava più. Istintivamente l'abbracciò, sussurrandole delle scuse all'orecchio. Lei rimase ferma per qualche istante, in silenzio, con la testa appoggiata alla sua spalla. Poi si allontanò leggermente e Sora capì che poteva lasciarla andare.

“Va meglio?” domandò. Aveva sempre detestato quelle situazioni, perché non sapeva mai cosa dire o come comportarsi. Se era meglio stare zitti, o parlare. Se era meglio dire come stavano le cose, o cercare di tirare su il morale. Forse perché gli inglesi tendevano a non farsi i fatti altrui, forse perché lo era e basta, però una cosa era certa: era una frana nel dare supporto alle persone.

La ragazza aveva chiuso gli occhi, ma annuì dando una risposta positiva. Sciolse il suo auto-abbraccio e si passò entrambe le mani sul viso, poi sospirò e ritornò con il suo bel sorriso. Ecco, ora si che Sora si sentiva meglio. Gli piaceva vederla sorridere, gli trasmetteva un immenso senso di tranquillità e a lui ciò piaceva tanto quanto leggere i suoi libri preferiti.

“Allora? Vieni o no?” continuò testarda, come se nulla fosse successo.

Sora represse una mezza risata, poi però sbuffò divertito “Non mi ci farai rinunciare facilmente, vero?” domandò nonostante conoscesse già la risposta.

“Esatto!” esclamò lei accentuando il sorriso.

Questa volta Sora ridacchiò senza riuscire a trattenersi. Hana era davvero una ragazza speciale, una di quelle rare che una volta incontrate andavano tenute strette. Per questo, alla fine, riuscì a convincerlo.

“Però mi spieghi come facciamo a portare la mia valigia su una moto?” domandò lui incrociando le braccia al petto e facendo un sorrisetto sghembo, come a schernirla per non averci pensato.

“E chi ha parlato di moto?” rispose con altrettanta espressione.

Subito dopo tirò fuori dalla tasca della giacca un piccolo cellulare touch, sul quale digitò rapidamente un numero e pigiò la cornetta verde. Rimase in attesa per meno di mezzo minuto, poi il destinatario rispose al telefono.

“Ehy A- no è tutto a posto, tranquillo.” la ragazza sospirò seccata “Dov'è scritto che io ti debba chiamare solo quando c'è qualcosa che non va, mh? Perché deve essermi sfuggito questo particolare. Inoltre com'è che mio fratello può chiamarti quando vuole, anche solo per mandarti a fanculo, e io no?” dal sorriso soddisfatto che le si dipinse in volto poco dopo, Sora dedusse che avesse ottenuto l'attenzione dell'altro, in un modo o nell'altro “Mi servirebbe che tu mi prestassi per un'oretta la macchina, poi te la riprendi 'sta sera.” Sora stava cercando di ascoltare ciò che l'altro stesse dicendo, ma l'unica cosa udibile era un borbottio incomprensibile. La ragazza sbuffò spazientita “No, non ho litigato con Rik- cosa?! Ma come te le fai venire certe idee?! Sicuro di non essere caduto in una buca quando eri piccolo?” Sora ricordava quel modo di dire leggermente diverso, ma preferì non dire nulla, sia per educazione, sia perché forse da quelle parti si diceva così “Quanto la fai lunga! Basta che tu mi dica o un sì o un sì. Non è difficile.” questa poi! Hana aveva un modo molto particolare di chiedere le cose. O gli americani erano tutti così? Un attimo dopo il viso della ragazza s'illuminò di felicità “Grazie! Ci vediamo tra una decina di minuti davanti all'Hotel Marlowe, ciao.” chiuse la chiamata e alzò lo sguardo su Sora “Bene, non credo tu abbia bisogno di spiegazioni, quindi corri su e fai i bagagli! Io devo aspettare il mio amico. Era nei dintorni, quindi sarà qui tra poco.” ordinò con un mezzo sorriso, riponendo in tasca il cellulare.

Sora scosse la testa divertito, poi entrò il albergo e raggiunse velocemente la sua stanza. Prima di fare i bagagli, però, corse nel piccolo bagnetto a sua disposizione a ricoprirsi i capelli di gelatina. Gli erano mancati tanto, quei capelli strambi. Finito di sistemarsi, raccattò tutte le sue cose per la stanza e le ripose con cura nella valigia blu di medie dimensioni che si era portato. Mentre andava a prendere il caricabatterie vicino al comodino, sentì il motore di una moto allontanarsi, segno che l'amico di Hana fosse già passato. Ciò lo incentivò a sbrigarsi, così in pochi minuti era riuscito a fare i bagagli e a riordinare la stanza -era educato, lui. Uscì dalla camera e si diresse alla reception, dove consegnò le chiavi e pagò il conto. Raggiunse finalmente Hana e rimase a bocca aperta quando la vide poggiata alla portiera di una Chevrolet C6 rossa fiammante. A quanto pare da quelle parti stavano tutti economicamente bene. Anche lei rimase un attimo interdetta dalla capigliatura del suo nuovo amico, ma decise di non badarvici, infondo stava meglio così che con il codino. Caricarono la valigia del ragazzo nel baule, poi salirono in macchina e si diressero a casa Davenport.

“Ah, mi sono dimenticata di dirti che questa sera verranno un paio di amici. Festeggiamo sempre l'anno nuovo insieme e, anche se siamo in pochi, ci divertiamo molto. Uno di questi è il ragazzo che ci ha prestato questo gioiellino.” disse ad un tratto la ragazza. Sora si rese conto che quei cinque giorni erano passati velocemente, che erano già arrivati alla fine di dicembre.

Le disse di non preoccuparsi, che sarebbe stata un'occasione per fare nuove conoscenze, poi gli unici rumori presenti tornarono ad essere il motore della macchina e la radio accesa.

“Quanti anni hai?” Hana spezzò nuovamente il silenzio che si era creato. Il ragazzo però non capiva come mai i loro non erano pesanti o imbarazzanti come quelli che intercorrevano tra degli estranei. I loro non erano nemmeno tranquilli, perché c'era sempre un qualcosa di strano che toglieva la possibilità di avere un'armonia totale, ma erano pur sempre piacevoli. Un po' come quando sua nonna aggiungeva un po' di peperoncino alla torta di cioccolato. Certo, un po' il piccante si sentiva, però il dolce era buono lo stesso.

“Ne ho fatti diciotto cinque mesi fa, il diciannove di luglio. Tu e Riku, invece?” domandò a sua volta Sora.

“Io e te abbiamo la stessa età, ne ho fatti diciotto il tredici aprile, mentre Riku ne ha compiuti diciannove il sedici maggio.” rispose quella.

Passarono il resto del viaggio chiacchierando dei proprio gusti, delle cotte -Sora aveva scoperto che Hana era fidanzata con un chitarrista, partito una settimana prima per una tournèe- e altre cose in generale, tanto per conoscersi un po'. Una volta arrivati la ragazza parcheggiò la macchina all'interno della tenuta, poi scesero entrambi e, presa la valigia, si diressero alla porta d'ingresso.

“Accidenti, devo aver lasciato le chiavi nell'altra giacca.” disse lei frugando nelle tasche “Riku non è a casa, quindi mi tocca entrare dal retro.” sbuffò seccata, poi si voltò verso Sora “Ti dispiace aspettarmi? Entro e ti vengo ad aprire.” spiegò per poi correre dall'altra parte della casa senza aspettare una risposta.

Il ragazzo si chiese come facesse a sapere che il fratello non era in casa. L'aveva avvertita quella mattina? Il giorno prima? Oppure era per questioni a lui sconosciute? Poi si rese conte che le sue erano domande stupide e insensate, perché era palese che il fratello glielo avesse detto prima, quindi scacciò dalla testa qui pensieri e si guardò attorno. Era già buio, quindi la visuale era scarsa, ma riusciva comunque a distinguere le varie forme. Come, ad esempio, quella di un volatile appollaiato sul camino dell'abitazione, oppure quella del grosso cane che stava dirigendosi a grandi falcate verso di lui.

Gli ci volle un po' più di un attimo per realizzare la cosa, ma non appena si rese conto dell'effettiva situazione, si fece prendere dal panico. I cani non gli facevano paura, no, ma quelli che gli correvano contro minacciosi sì. Un attimo dopo si ritrovò a terra, con l'animale addosso che gli ringhiava a pochi centimetri dalla faccia, minacciando di sbranarselo se avesse fatto una mossa sbagliata. Sora, però, si rese conto che l'aspetto dell'essere era leggermente diverso da quello di un semplice cane: aveva una fisionomia più snella, gli arti più lunghi, il pelo più folto e i denti più aguzzi. Gli occhi sembravano neri a causa della poca luce, ma Sora giurò di vedere delle sfumature di verde in essi. Continuava a ringhiargli contro, mentre il ragazzo continuava a guardarlo tremante, senza riuscire a fare nulla. Era arrivato alla conclusione che quello non era un semplice cane, bensì un lupo.

Ancora una volta, Hana arrivò giusto in tempo. Non appena la ragazza aprì la porta, corse subito ad aiutarlo, anche se lo fece in modo molto particolare.

“Fermati! Lui è con me.” a quelle parole il lupo smise lentamente di ringhiargli contro e si spostò da sopra il suo corpo, anche se rimase in guardia nei suoi confronti. Dopo aver scambiato una rapida occhiata con Hana, attraversò il cancello rimasto aperto e sparì in mezzo alla foresta.

 


Alleluja! 
Parto dicendo che il titolo è orribile (non che gli altri fossero migliori...), quindi ignoratelo xD 
Contavo di postare prima delle quattro, ma tra che me l'ero quasi dimenticata (sono stata fino alle quattro passate a giocare ad AC ^^"), tra che ho dovuto passare la scopa ovunque -perché mio padre sta facendo dei lavori e quindi era pieno di polvere!- e tra che per scrivere 'ste note mi ci voglio ore, alla fine sono riuscita ad accendere il pc solo ora .-. a proposito di lavori e non lavori! Questi settimana la mia stanza diventerà per 3/4 blu puffo e l'altra parte argentata ** (non è il migliori degli abbinamenti, però sono due colori che mi piacciono un sacco :D) peccato che dovrò svuotarmi tutti gli armadi e -forse- condividere temporaneamente la stanza con mio fratello -.-" va beh, continuiamo a guardare il lato positivo... niente più rosa confetto!! ^^
Per quanto riguarda la torta al cioccolato e peperoncino... non fate domande ù.ù mai cucinata, mai assaggiata, quindi non so se effettivamente si senta o meno il piccante >.> 
Boston non lo toccata più di tanto, perché sinceramente non mi ci so orientare e andare a cercare tutto su internet non è semplice (o almeno non lo è per una pigrona come me u.u). L'hotel esiste sul serio e dalle recdensioni non sembra nemmeno tanto male! 
Non è fantastica la macchina del Rosso *^*?! (Solita storia: cliccate per ingrandire u.u)


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Voi non avete assistito a tutta la conversazione al telefono, ovvero compresa la parte di Axel, però posso garantire che c'era da morire dal ridere xD (non chiedete nulla, anche perché non me la sono segnata e non me la ricordo più ç_ç).
Ah! Cosa mi sono dimenticata negli altri capitoli -.-" Sora ha il codino ahahah mi sembrava strano lasciargli quel suo riccio anche sotto la pioggia (a differenza di Nomura che, dopo un bel tuffo in acqua, glieli ha fatti solo leggermente afflosciati >.>"), quini mi sono adattata u.u chi di voi riesce ad immaginarselo con quell'affare dietro la testa? Io no.
Parliamo un po' di date u.u ho visto in giro qualche immagine dove si dice che Riku sia Scorpione (23/10 - 22/11) e Sora Sagitario (23/11 - 22/12), però ho preferito fare di testa mia e mettere il primo del Toro e il secondo del Cancro. Cosa ne pensate? 
Hana è fidanzata (e quindi totalmente fuori dalla portata di Sora). Il suo ragazzo dovrebbe essere Castiel, di Dolce Flirt (lo ammetto, odio 'sto nome da diabete >.>"), ma per non fare un inutile crossover lo lascio anonimo u.u 
Che animale affascinante il lupo ** probably si può considerare il mio animale preferito :D (però quella scena è davvero orribile -_-||).
Comunque, che ne pensate? Fatemelo sapere con una bella (o brutta, se non vi piace u.u) recensione, mi raccomando! 
Detto questo vi saluto, sempre sperando di non aver dimenticato nulla ^^ tanto ormai dovreste aver capito che sono smemorata xD 

Al prossimo lunedì, 
E.S.

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Capitolo 5
*** The wolf's story ***


Fifth chapter: The wolf's story



Hana aiutò Sora a rialzarsi chiedendogli se andava tutto bene e, al suo cenno affermativo, sospirò leggermente, sollevata dalla notizia. Lo fece entrare in casa e gli offrì una tazza di cioccolata calda. Ora, seduto su una poltrona davanti al camino scoppiettante, Sora si chiedeva se fosse possibile instaurare un rapporto d'amicizia con un lupo, perché era evidente che tra l'animale e la ragazza ci fosse quel tipo di legame. Per lui sarebbe stata una cosa impossibile, perché in un certo senso aveva sempre temuto tutto ciò che non riusciva a controllare, tutto ciò che avrebbe potuto schiacciarlo. Adesso che ci pensava, era forse per quello che aveva avuto quella reazione con il fratello di Hana? Improbabile, in fondo era solo un semplice ragazzo. Forse era un po' scontroso, come diceva la sorella, e diffidente, però era normale come tanti altri. Il motivo continuava a restargli sconosciuto, ma non ci badò in quel momento.

“Vi... conoscete?” chiese all'improvviso il ragazzo.

Per Hana quella non era domanda del tutto inaspettata, però aveva sperato che non venisse posta.

“In un certo senso sì. Quando eravamo piccoli io e mio fratello lo trovammo ferito in mezzo alla foresta. Allora era solo un cucciolo ed era riuscito, non si sa come, a procurarsi un profondo taglio sulla zampa destra posteriore. Le difese a quell'età sono molto basse, quindi la ferita rischiava di infettarsi facilmente causando problemi maggiori. Senza contare il sangue che perdeva. Volevamo aiutarlo, quindi Riku lo prese delicatamente in braccio e insieme andammo da nostro padre chiedendogli di curarlo. Lui, con l'aiuto di nostra madre, gli medicò la ferita dicendo che sarebbe dovuto rimanere a riposo per un po'. Ce ne prendemmo cura per delle settimane, poi una volta ripresosi tornò dal suo branco, venendoci a trovare di tanto in tanto. È un lupo molto intelligente e ormai questo è anche il suo territorio, per questo ti ha attaccato. Tra l'altro ha sei anni in più di Riku.” disse, sorseggiando la sua cioccolata.

Però c'era una cosa che a Sora non tornava “Come può un lupo vivere così a lungo, specialmente nello stato selvatico?” domandò confuso.

Hana, intenta a ravvivare il fuoco con dei pezzetti di legno, per poco non si bruciò. La ragazza, questa volta, non si aspettava per niente quella domanda. A Sora parve persino diventare leggermente nervosa. Messo anche l'ultimo pezzo, rimase a guardare le calde fiamme che pian piano riducevano in cenere il legno, come un'agonizzante tortura.

“Intendevo dire che se dovessimo convertire i suoi anni nei nostri, è come se ne avesse venticinque, ma in realtà sono circa tre e mezzo.” rispose come se nulla fosse. Poco dopo sospirò, sedendosi a terra e portandosi le gambe al petto.

Il ragazzo ignorò la reazione che Hana ebbe, pensando che forse era solo paranoico “Gli avete anche dato un nome?” chiese finendo di bere gli ultimi sorsi di cioccolata.

La ragazza fece un cenno di dissenso con il capo “Pensavamo che se l'avessimo fatto, ci saremmo legati troppo a lui e ciò non era conveniente visto che doveva tornare dagli altri lupi. Però sono convinta che ce l'abbia già un nome, anche se a noi non è dato saperlo.” spiegò.

“E ora? Voglio dire, ora che mi ha visto dici che tornerà? Non è che si è offeso perché mi avete permesso di varcare il suo territorio?” domandò leggermente dispiaciuto, perché in fondo non voleva rovinare un'amicizia.

Hana rise leggermente “No, tranquillo. Sono convinta che più tardi si farà vedere.” rispose, per poi alzarsi e avvicinarsi al ragazzo. Si abbassò fino ad arrivare alla sua altezza, abbassò lo sguardo e posò le labbra su quelle dell'altro, imprigionandogli il labbro superiore. Si staccò poco dopo, notando che Sora la stava guardando sorpreso e del tutto spaesato. Lei ridacchiò come sempre “Scusa, ma avevi i baffi di cioccolata.” si giustificò con il suo caratteristico charme, dopodiché gli prese la tazza dalle mani e andò a posarla con la sua in cucina.

Sora rimase del tutto senza parole. Dalle sue parti, se qualcuno si sporcava, non si davano baci o cose del genere -a meno che non si fosse fidanzati, ma quello era un altro discorso, anche perché lui e Hana non lo erano. Quindi perché l'aveva fatto? Poteva semplicemente dirgli 'guarda che hai un po' di cioccolata sulle labbra' e finirla là. Sora faceva davvero fatica a capirla, per lui quella ragazza era un vero e proprio mistero e non poteva negare che gli sarebbe piaciuto svelarlo pezzetto per pezzetto, a partire da quel bacio mascherato, che in fondo in fondo non gli era dispiaciuto affatto.

***

Il campanello dell'abitazione suonò, poi Sora sentì la porta aprirsi e delle voci dirigersi verso la sala in cui era comodamente seduto. Dall'ingresso apparvero un paio di ragazzi accompagnati da Hana, entrambi molto alti. Si alzò in piedi in segno di rispetto, poi la ragazza prese la parola “Sora, loro sono Axel e Saïx, gli amici di cui ti ho parlato.” spiegò. È vero che quando si festeggia, di solito, lo si fa con molte persone, ma al ragazzo andava bene così, anche perché in quel momento capì che accettare l'invito era stata davvero una pessima idea, visto il tremendo disagio che provava -e la colpa non era causata solo dal fatto avvenuto poco prima. Dei due ragazzi arrivati, il primo aveva lunghi capelli rossi acconciati quasi come i suoi -la differenza era che quelli di Axel erano anche tirati indietro-, brillanti occhi verdi e un paio di lacrime rovesciate, viola, tatuate sugli zigomi. Il secondo aveva lunghi capelli turchesi, occhi ambrati e una singolare cicatrice in mezzo agli occhi a forma di X. Entrambi lo guardavano molto diffidenti, come se sospettassero che egli potesse fare qualcosa di pericoloso da un momento all'altro. Sora non capiva perché erano tutti così restii nei suoi confronti. Effettivamente da quando era arrivato lì non capiva molte cose, c'era sempre qualcosa che gli sfuggiva o che gli veniva omesso. Cosa aveva che non andava? Cos'è che non doveva sapere? Qualsiasi cosa fosse, causava quell'insolito comportamento nei suoi confronti. Anche se, ad essere sinceri, poteva essere semplice diffidenza, in fondo non lo conoscevano. In ogni caso il ragazzo decise di accantonare i suoi pensieri e alzare una mano come cenno di saluto. Gli altri due si sforzarono di apparire normali e ricambiarono il gesto con un sorrisetto forzato accompagnato da un cenno del capo.

Eh no, non li capiva proprio.

Per evitare che scendesse uno sgradevole silenzio, Hana disse al Rosso di andare a prendere in cucina i piatti per la cena -aveva cucinato il fratello?- mentre a Saïx chiese di aiutarla ad apparecchiare la tavola. Anche Sora voleva in qualche modo contribuire, quindi si offrì di aiutare la ragazza, ma ella gli disse che, se proprio voleva, poteva aiutare Axel che ne aveva più bisogno. Il moretto si diresse, quindi, nella direzione dove aveva visto sparire il Rosso e, dopo aver vagato per qualche minuto, riuscì a trovare la cucina. La stanza, sotto certi aspetti, sembrava una di quelle cucine che si potevano intravedere dietro le porte di un ristorante, in cui si vedevano i camerieri sparire e riapparire frequentemente. Era immensa. Il pavimento era ricoperto da grandi piastrelle nere, le pareti verniciate di un beige chiaro e i mobili erano bianchi. Vi erano tre banchi in alluminio, muniti di lavandino, con vari utensili sopra, in uno vi erano anche i famosi piatti da portare a tavola. Fu proprio lì che si diresse Sora, mentre un Axel sovrappensiero sbucò da quella che pareva essere una cantina, con un vino d'annata in mano. Il più piccolo lo informò che Hana gli aveva detto di aiutarlo e, al cenno d'assenso dell'altro, iniziò a prendere un vassoio e una grande scodella, contenenti rispettivamente un polpettone con copertura di pancetta e una strana zuppa che sembrava contenere vongole e altro -dall'aspetto comunque invitante. Il ragazzo, seguito dal più grande -anche lui con un paio di piatti in mano-, percorse la strada a ritroso e poggiò ciò che aveva portato sull'ampio tavolo rettangolare, che gli altri due avevano appena finito di apparecchiare. Quest'ultimi andarono a prendere le ultime pietanze, poi aspettarono tutti l'arrivo di Riku.

In realtà il ragazzo era già arrivato da un po', ma si era trattenuto in giardino per aver a che fare il meno possibile con l'inglesino. Non gli piaceva. Non gli piaceva affatto. Non era questione di nazionalità, no. Lui non era quel genere di persone. Se a posto di quel ragazzino, che era stato costretto ad ospitare, ci fosse stato un italiano o un americano stesso, avrebbe avuto gli stessi pensieri. Il suo problema era un altro, legato a un fatto del passato. Sua sorella gli diceva sempre che non doveva far ricadere la colpa su tutto il mondo, perché il colpevole non aveva nulla a che vedere con gli altri. Gli diceva anche che il passato era passato, che non poteva mostrarsi rancoroso per sempre e, quando cercava di farlo sorridere, gli diceva che tenere il broncio a lungo faceva venire prima le rughe. La verità era che lui si stesso si sentiva in colpa, per non aver fatto nulla, per non aver nemmeno cercato d'impedire che ciò accadesse. Hana questo lo aveva capito. Lei capiva sempre tutto. 'Eravamo dei ragazzini, cosa potevamo fare?' diceva. Lui non negava che ciò fosse vero, non pretendeva di riuscire a fare ciò che non era alla sua portata, ma se avesse almeno provato, probabilmente non avrebbe avuto rimpianti.

L'argenteo scese con un salto dall'albero sul quale si era rifugiato a pensare e, finalmente, rientrò a casa. Il suo migliore amico era già lì. Axel era l'unico, oltre a sua sorella, con il quale poteva parlare. Certo, era un ragazzo strambo e a volte molto egocentrico, però sapeva essere un amico fantastico sul quale poter sempre contare. Saïx gli piaceva un po' meno, forse perché effettivamente sapeva poco o nulla di lui. Un giorno il Rosso se l'era portato appresso e glielo aveva presentato. 'Lui è mio cugino' aveva detto. Se fosse vero o meno, Riku non lo sapeva, ma contava sulla fiducia che aveva nell'altro e, in compenso, era certo che non gli piaceva. Non del tutto almeno.

Trovò la tavola già apparecchiata e, come aveva supposto, l'inglesino era ancora lì. Stavano chiacchierando tutti allegramente, Hana era evidentemente riuscita a fargli fare buona impressione agli occhi di Axel e ciò portava all'automatica approvazione di Saïx. A quanto pareva, l'unico a cui non andasse a genio era lui. Non poteva certo dire che il ragazzino fosse privo di virtù, anzi, era beneducato, non faceva il cascamorto con sua sorella ed era rispettoso nei confronti di tutti. Era un ragazzino per bene insomma -scappatella del bagno a parte, visto che poteva capitare a tutti-, ma il modo di pensare dell'argenteo non ammetteva eccezioni.

Una volta fatto il suo ingresso, cominciò la processione per andare in bagno a lavarsi le mani e, in un attimo, erano già tutti a tavola. 

 


Ciao :D
Credevo di non riuscire a pubblicare, invece eccomi qua ^^. Per fortuna mio padre ha in un certo senso sospeso i "lavori di verniciatura", quindi sono riuscita ad accendere il pc :) tra l'altro la mia stanza, ora, è assolutamente magnifica *Q* mi piacerebbe mettere qualche foto, ma non me ne viene manco mezza decente xD 
Tornando a noi, anche in questo capitolo il titolo sprizza fantasia da tutti i pori u.u" 
Finalmente(?) vengono esaudite alcune domande sul lupo e con ciò qualcuno vedrà le proprie supposizioni crollare pietosamente xD in ogni caso vi è piaciuta come mini-storia? Sinceramente non sapevo che inventarmi, quindi mi sono buttata su un qualcosa di... classico? o.O
Grazie a questa mini-storia, Sora riesce finalmente... a capire ancor meno la situazione u.u ahahah mi diverto a mettere confusione nella sua testolina **. Per non parlare di QuellaCosaCheNonSapreiComeDefinireMaCheNoi(Alis:Io)ChiameremoBacio! Domanda che vi sorgerà (credo) spontanea: ma Hana non era fidanzata? Beh, sì, però chi sono io per dirle cosa fare (si fa per dire u.u)???? xD
Domanda numero due: quanto è figo Axel? v_v
No ok, ora torno seria xD (non che lo sia mai stata). Su di lui non ho molto da dire, anche perché non ho scritto praticamente nulla e non voglio finire con lo spoilerare u.u per quanto riguarda Saïx, ne parleremo più avanti :3 ho trovato carina l'idea di metterlo come cugino di Axel ^^.
Finalmente si vede un po' il punto di vista di quel gran figo di Riku, anche se non si sa nulla di preciso u.u accontentatevi per ora! xD
Per il momento abbiamo finito, vedremo che succederà ne prossimo capitolo ;) devo anche mettermi a finire di scrivere il settimo, altrimenti tra due settimane non avrò niente da pubblicare >.>" 

Purtroppo oggi non ho molto tempo >.< quindi non mi dilungherò più di tanto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tantissimo tutti quelli che seguono questa fic :D 

Alla prossima settimana,
E.S.

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Capitolo 6
*** Quarrel ***


Sixth chapter: Quarrel

La cena passò tranquilla. Anche se più di una volta era calato il silenzio, Hana aveva fatto di tutto per cominciare una discussione che potesse coinvolgere tutti e ci era riuscita pienamente. L'unico che sembrava non volerne sapere di interagire con il nuovo arrivato, era suo fratello. Non aveva fatto sceneggiate quando se l'era ritrovato ancora lì, probabilmente sapeva che la sorella gli avrebbe chiesto di fermarsi, però non ne fu nemmeno felice. Non gli piaceva, così come non gli era piaciuto il suo ragazzo il giorno in cui l'aveva portato a casa per presentarglielo. Ma quello era un altro caso. Castiel -questo era il suo nome- era totalmente diverso da Sora e se alla fine Riku era riuscito ad accettare abbastanza quella testa calda, doveva assolutamente impegnarsi per fare altrettanto con il moretto. Non poteva però ignorare il fatto che lei e il fidanzato si vedessero poco a causa della carriera di quest'ultimo e che, quindi, il fratello non doveva vederlo ogni santissimo giorno. Forse era anche quello che gli dava fastidio, forse era proprio averlo in mezzo alle scatole che non glielo faceva apprezzare nemmeno un minimo. Quello di cui era certa, però, era che doveva aggiustare quella situazione. Non chiedeva al fratello di uscire di casa e di fare amicizia con tutti quelli che incontrava. Nemmeno Hana sarebbe stata in grado di farlo. Però non voleva che si chiudesse in se stesso tagliando fuori persino lei, che per anni era stata non solo sua sorella ma anche una buona amica con cui confidarsi.

Dopo il pasto continuarono a chiacchierare ancora per un po' e, giunta la mezzanotte, ci fu un generale scambio di auguri, per lo più da parte della ragazza e di Axel, che sembravano gli unici due a star festeggiando realmente. Verso le due di notte Saïx tornò a casa, mentre il Rosso rimase a dormire lì, un po' per la mancata voglia di farsi il tragitto fino a casa a piedi, un po' per dare supporto morale all'argenteo.

Sora, data la buonanotte e tornato in quella che oramai era diventata la sua camera -una volta capito che era ora di andare a letto-, prese dal suo bagaglio il pigiama che si era portato da casa. Era formato da una maglia a maniche lunghe bianca e dei pantaloni blu scuro, entrambi in flanella di lana e decorati con graziose formichine nere dagli occhi gialli. Mise in carica il suo cellulare e, accendendolo, si ritrovò innumerevoli messaggi e chiamate perse. In cima all'elenco spiccava vistoso il numero della madre, che sicuramente era in pensiero per non aver ricevuto alcuna risposta da parte del figlio. Sora si affrettò a scriverle un rapido messaggio, in cui spigava che gli si era scaricato il cellulare ma che non era riuscito a ritrovare il caricabatterie prima di quella sera. Le stava mentendo, questo lo sapeva, ma sarebbe stato peggio dirle che si era perso per la città, di notte, durante un temporale. Come minimo gli avrebbe fatto una sonora lavata di capo e, in seguito, sarebbe andata a prenderlo lei stessa per riportarlo a casa seduta stante. Sua madre a volte poteva sembrare troppo asfissiante, ma in fondo faceva tutto per il bene del suo bambino, anche se non era più così piccolo.

Dopo essersi cambiato e aver indossato le sue calde pantofole, prese un piccolo beauty contente uno spazzolino giallo e un dentifricio il cui sapore gli ricordava vagamente quello delle sue caramelle preferite, ma che in ogni caso aveva un retrogusto alla menta. Si diresse in bagno tranquillamente, ormai Hana gli aveva più volte fatto capire che poteva sentirsi come a casa sua -anche se ovviamente lui non si sarebbe mai sentito completamente così. Si lavò i denti con calma, ripensando alla giornata trascorsa e al fatto che presto avrebbe dovuto dire addio a tutto quello, perché il giorno della partenza era molto vicino. Forse la parola addio era un po' eccessiva, ma in fondo lui si era affezionato ad Hana, perché la ragazza si era fatta volere bene e lasciarla sarebbe stato come doversi trasferire in una nuova casa. Sarebbe stato un difficile nonostante si conoscessero solamente da un giorno. Non poteva però dire la stessa cosa del fratello. Sora proprio non riusciva a capire cosa non andava a genio all'argenteo. Non gli sembrava di essersi comportato male o avergli fatto un torto, quindi qual era il problema? Il fatto che fosse straniero? Che fosse piombato nella loro vita all'improvviso? O, più semplicemente, non gli piaceva che avesse tutta quella confidenza con sua sorella? Forse era quello il punto. Ma in fondo avevano fatto solo amicizia, nulla di più.

Il ragazzo, finendo di sciacquarsi la bocca, scosse la testa cercando di non pensarci, ma deciso a chiarire quella situazione il prima possibile. Il pessimo rapporto con Riku, in un modo o nell'altro, rattristava la ragazza e il moretto quello non lo voleva, perché lei gli piaceva sorridente.

Finito di sistemare il lavandino così come lo aveva trovato, uscì dal bagno dirigendosi in camera. Lasciò la porta socchiusa, poi si coricò sotto le coperte ancora fredde -ma che sperò si scaldassero in fretta- con la sensazione di essersi fatto sfuggire qualcosa. Per sua fortuna si addormentò subito, girare per la città lo aveva davvero stancato.

 

Lei era là. Gli tendeva una mano. Lo chiamava. Gli gridava di saltare. Gli assicurava che lo avrebbe preso.

Lui era lì. Si avvicinava sempre di più. Gli sarebbe balzato addosso. Lo avrebbe preso. Lo avrebbe ucciso.

Anche Sora era lì. Indietreggiava sempre di più. Aveva paura. Ormai era quasi al limite di quello strapiombo non tanto largo. Un salto. Gli sarebbe bastato un salto. Tutto sarebbe finito. Si sarebbe salvato. Però sembrava che Lui lo stesse tendendo incatenato da quel lato. Lontano dalla ragazza. Lontano dalla sua ancora di salvezza. Quella volta Lei non sarebbe riuscita ad aiutarlo. Quella volta Sora non ce l'avrebbe fatta.

Poi in un attimo gli fu sopra. Sora si dimenò. Cercò di liberarsi. Però tutto era inutile. L'essere dagli occhi verdi lo avrebbe divorato vivo e non ci sarebbe stato modo di scappare.

Un lupo, ecco che cos'era. L'animale aveva rincorso il ragazzo per tutta la foresta, fino ad arrivare allo strapiombo, intrappolandolo. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di saltare e se n'era approfittato. Aveva smesso di correre e aveva iniziato ad avvicinarsi lentamente, senza smettere di guardarlo con i suoi smeraldi. Erano proprio quelli che, la maggior parte delle volte, impedivano alle sue prede di scappare. Come in quel momento. Il ragazzo non riusciva a spostare il proprio sguardo da quello dell'essere. Ne era assuefatto. La testa gli diceva di liberarsi e saltare, ma davvero non poteva staccarsi da quegli occhi che, nonostante il buio, brillavano. Pensandoci gli erano anche vagamente familiari.

Poi la voce della ragazza gli arrivò più forte di prima. Lo stava nuovamente chiamando, quella volta con più fermezza. Il timbro di voce sembrava persino più basso.

Sora diceva svegliati!

Il lupo si accorse che di quel passo la sua nuova preda sarebbe riuscita a sfuggirgli., perché la voce stava riuscendo nell'intento di farlo reagire.

Sora!

Decise, quindi, che era arrivato il momento di gustarsi il suo spuntino. In fondo aveva aspettato abbastanza.

Ehy, è tutto a posto.

Spalancò le fauci e si avventò su quel bocconcino prelibato.

 

Sora si svegliò di colpo, urlando. Era tutto sudato e aveva il respiro corto. Si passò una mano sul viso sospirando e cercò di fare mente locale di ciò che era successo. Era stato un sogno, o meglio un incubo. Evidentemente il lupo dell'altra sera lo aveva scosso più di quel che pensasse. Quando posò lo sguardo sul letto si accorse che era tutto disfatto; la coperta era caduta a terra, mentre il lenzuolo era stropicciato ai suoi piedi.

“Tutto bene?” domandò all'improvviso una voce alla sua destra.

Si girò di colpo e gli scappò un urlo di terrore quando si ritrovò davanti un paio di verdi occhi scintillanti.

“Ehy, ehy. Calmati. Mica ti mangio!” rise la voce.

“Axel, per favore, non farlo mai più.” disse al Rosso, che intanto continuava a sghignazzare sotto i baffi.

“Guarda che hai fatto tutto da solo, io mi sono solo limitato a chiamarti. Ti stavi agitando nel sonno continuando a dire 'Non mangiarmi! Ti prego non farlo' ” rispose l'altro imitando la sua voce per schernirlo.

Sora sbuffò infastidito e ignorò anche il complimento sarcastico che il più grande gli fece, pochi secondi dopo, in riferimento al suo pigiama. Quella giornata era iniziata male.

“Che ore sono?” domandò poi.

“Mmh, saranno più o meno le dieci e venti.” rispose Axel.

“Menomale, credevo fosse più tardi. Gli altri?” continuò.

Il Rosso sospirò leggermente irritato e si passò una mano fra i capelli “sono nella stanza di Riku. È da più di un quarto d'ora che litigano.” rispose infine.

“Che litigano?” chiese conferma il più piccolo “Per cosa?” domandò.

“Ma che ne so! Però sono certo che mi stanno dando sui nervi! Ultimamente non fanno altro che litigare e litigare. È uno strazio, anche perché poi sono io a doverli... consolare.” si lamentò il più grande.

Sora rimase un attimo perplesso dal tono di voce usato per l'ultima parola “In che senso 'consolare' ?” chiese guardandolo con un sopracciglio inarcato.

L'altro rimase un attimo confuso dalla domanda. Quanti significati poteva avere quella parola? Poi realizzò dove volesse arrivare il moretto e in faccia gli si dipinse un'espressione indignata.

“Ma che hai capito? Mica me li porto a letto! Riku è il mio migliore amico, mentre Hana è come se fosse mia sorella. E poi se Ri' venisse a sapere che me la porto a letto mi seppellirebbe vivo. È molto possessivo nei suoi confronti, ma infondo è normale. Oltre al fatto che si tratta di sua sorella, Hana è una bella ragazza e chiunque potrebbe approfittarsene. Anche se, devo dire, nessuno sa difendersi meglio di lei. Lo so per esperienza!” spiegò, facendo una smorfia di dolore al ricordo del calcio nelle parti basse che la ragazza gli aveva dato quando lo aveva scambiato per un ladro. Non se lo sarebbe mai dimenticato! Per questo aveva imparato ad avvertire i due, prima di presentarsi a casa loro. Non voleva mica perdere i suoi preziosi gioielli!

Sora scoppiò a ridere immaginandosi una possibile colluttazione tra la mora e il Rosso, poi si appuntò mentalmente di non mettersi mai contro Hana. Resosi conto che aveva perso fin troppo tempo, si alzò dal letto per poterlo risistemare. Axel, recepito il messaggio, si congedò chiudendosi la porta alle spalle e dando al minore il tempo di cambiarsi. Il moretto però la riaprì poco dopo, dirigendosi in bagno con un cambio in mano.

In corridoio il Rosso continuava a sentire un vociare confuso, attutito dalle spesse pareti. Quei due stavano ancora litigando e Axel non sapeva quando avrebbero smesso. Quello che più lo preoccupava veramente era Riku. Il ragazzo era meglio se evitava di arrabbiarsi, perché aveva una leggera difficoltà a controllarsi in quello stato e siccome era lui che poi ci doveva andare a parlare, preferiva non dover rischiare di prendere mazzate. Certo, l'argenteo non l'avrebbe mai fatto, ma era meglio essere prudenti.

Stava aspettando Sora poggiato al muro, fuori dalla sua stanza, quando una porta poco distante da lui si aprì di colpo facendone uscire un'Hana decisamente incazzata, che percorse a grandi falcate l'intero corridoio per poi scendere velocemente le scale e uscire di casa sbattendosi la porta alle spalle. Un attimo dopo uscì dalla stanza anche il fratello, ma questo si diresse semplicemente verso un'altra porta, attraverso la quale sparì in pochi secondi. Sora sentendo tutta quella confusione uscì dal bagno. Stava ancora finendo di allacciarsi la cintura dei jeans quando Axel lo vide. Quel giorno aveva indossato una maglietta nera a mezze maniche con il logo degli ACϟDC e sopra una felpa blu scuro con il cappuccio -inglese o no, aveva stile, questo il Rosso doveva riconoscerlo. I capelli erano privi di gel e raccolti in un buffo codino dietro alla testa: sicuramente il ragazzo si era fatto una doccia. Gli tornò in mente lo stato in cui lo aveva trovato e si chiese cosa stesse sognando. Tra l'altro la reazione che aveva avuto vedendolo non era stata delle migliori, anche se lo aveva fatto divertire.

“Che sta succedendo?” domandò il minore guardandolo spaesato.

Il più grande si destò dai suoi pensieri, accorgendosi che era rimasto a fissare il moretto per tutto il tempo. Facendo finta di nulla gli spiegò che Hana e Riku avevano finalmente finito di litigare, ma che il peggio era il dopo. Entrambi i fratelli erano intrattabili se di pessimo umore, soprattutto l'argenteo, quindi toccava a loro cercar di alleviare la tensione.

“E come pensi di fare? Io conosco Hana a mala pena, non so quanto aiuto ti posso dare.” disse Sora.

Axel, con un rapido gesto, prese le chiavi della sua macchina dalla tasca destra del suo jeans, poi le lanciò al ragazzino che, vista la sorpresa, per poco non le fece cadere.

“Hana non dev'essere molto lontana. È uscita ma non ha preso la moto, quindi prendi la mia macchina e raggiungila. Una volta fatto, portala in un posto tranquillo, tipo la spiaggia, e cerca di farla parlare. Ovviamente senza pressarla. Anzi, lascia che sia lei a farlo, se ne avrà la voglia. Non appena avrà voglia di tornare riportala qua. Tutto chiaro?” espose.

Sora, che era stato zitto per tutto il tempo annuì “E se non avessi la patente?” chiese, cercando di non far trasparire troppo la soddisfazione nell'aver trovato una toppa nel suo piano.

Il maggiore ghignò per farli capire che era tutto calcolato “In quel caso mi avresti posto il problema sin da subito.” rispose, facendo mettere mezzo broncio all'altro. Sora aveva un faccino davvero troppo tenero, che gli faceva venir voglia di coccolarselo tutto o, in extremis, di soffocarlo di abbracci.

Axel doveva toglierseli certi pensieri dalla testa, altrimenti non sarebbero più stati solo nella sua mente. Ma cosa poteva farci se veniva facilmente addolcito da tutto ciò che gli appariva come carino e coccoloso? Purtroppo ce l'aveva nel sangue.

Vide il moretto girarsi e avviarsi a passo svelto verso le scale, sparendo dietro la parete pochi secondi dopo. Prima che uscisse, il Rosso gli gridò di fare attenzione al suo gioiellino e lo minacciò di sbranarselo nel caso glielo avesse riportato anche solo con un graffio. Ovviamente scherzava, ma non troppo. Teneva davvero tanto alla sua macchina. Effettivamente non capiva nemmeno perché gliela avesse lasciata, evidentemente si era fatto distrarre dalla chiacchierata che lo aspettava con Riku. 

 


Ehilà, sono tornata a rompere le scatole :D! 
Da quando è cominciata la scuola posto i capitoli sempre tardi, senza contare che oggi ho avuto anche la lezione di ECDL e che quindi sono uscita
 da scuola alle 16,30 ç_ç in compenso questo capitolo è un po' più lungo rispetto agli altri ^^!
Non sono tanto convinta della parte del sogno, credo sia orribile D: 
Comunque! Qua i punti di vista cambiano un po' più spesso: prima abbiamo Hana, poi Sora e infine Axel. Fin'ora spero di essere riuscita a farvi avere un'idea generale sul carattere di ognuno,
Saïx escluso -dubito ci sarà mai un suo punto di vista. 
Ho raccontato in maniera molto rapida e indolore(?) la cena, perché sinceramente non mi veniva nulla di simpatico e probabilmente ne sarebbe uscito qualcosa di noioso u.u però spero di aver reso lo stesso l'idea dell'atmosfera che c'era xD 
Per quanto riguarda la maglietta di Sora: non ho mai ascoltato gli AC/DC, però mi serviva una band con componenti britannici e il primo nome che Google mi ha mostrato era proprio il loro. 
Castiel, come forse avevo già detto (o forse no .-.) sarebbe un personaggio di un altro gioco, però lui non apparirà mai fisicamente e quindi non credo sia necessario aggiungere 'cross-over' alla descrizione. In ogni caso, per chi non avesse idea di chi io stia parlando, vi lascio una sua immagine qua di seguito con la quale, già che ci siamo, vi potrete fare un'idea del suo modo di fare xD ovviamente dovete cliccare per ingrandirla u.u (dalla prossima volta non lo dico più, giuro! xD)

 

Heberger image

Non credo di aver altro da aggiungere, almeno spero, quindi vi lascio che mi chiamano per la cena :)
Come sempre, appuntamento alla prossima settimana ^o^.

Baci,
E.S.

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Capitolo 7
*** Console ***


Seventh chapter: Console

Riku si era rintanato nel solito posto. Ogni volta che era arrabbiato andava lì proprio per sfogarsi. Axel raggiunse in pochi passi la stanza e, una volta di fronte alla porta bianca, l'aprì leggermente. Si affacciò un poco per verificare in che condizioni era il suo amico e dovette ammettere che era messo meglio del previsto. In quel momento stava prendendo a pugni un sacco da boxe, ma i suoi pensieri erano sicuramente concentrati su altro.

Entrò del tutto chiudendosi la porta alle spalle, cercando di fare meno rumore possibile, poi si appoggiò al muro e restò a guardarlo con le braccia incrociate. Il suo amico non aveva mai fatto boxe in tutta la sua vita, eppure a guardarlo sembrava che fosse quasi un professionista. Axel, più di una volta, si era ritrovato a sperare di non doversi mettere mai contro di lui, perché probabilmente ne sarebbe uscito malconcio.

“Cosa vuoi che ti dica?” fu Riku a spezzare il silenzio, senza senza interrompere ciò che stava facendo. Non era affatto sorpreso di vedere l'amico lì.

“Non lo so. Tu cosa vuoi dirmi?” Axel sapeva che doveva essere prudente, altrimenti l'argenteo non avrebbe scucito nemmeno mezza parola. Era fatto così.

“Niente che tu già non sappia.” rispose quello sferrando l'ennesimo destro.

“E di ciò che non so?” domandò.

L'amico si fermò sospirando e si spostò una ciocca di capelli dalla faccia. Quando si voltò verso di lui, il Rosso poté chiaramente vedere come le sue iridi avessero cambiato colore. Succedeva sempre quando era particolarmente irritato, nervoso o arrabbiato, con la sola differenza che assumevano quella tonalità scarlatta del rosso in base alla forza delle emozioni del ragazzo. Ad esempio quando litigava con il padre esse diventavano quasi tutte rosse, lasciando solo un sottile anello del colore originario vicino alla pupilla. Invece quando litigava con Hana era diverso, era più calmo. In quel momento lo era anche più del solito, le iridi erano rosse solo sul bordo, al confine con la sclera. Forse il motivo era anche che, da un po' di anni a quella parte, si era imposto un austero autocontrollo.

“Senti Axel, è inutile che io dica di aver ragione per poi sentirmi dire da te che non è vero e che la sto pressando troppo, lo sai. Ha sempre fatto quello che voleva e lo fa tutt'ora. Io non dico di volerla tenere segregata in casa, lontano dal resto del mondo. È giusto che abbia la sua libertà. Però sa perfettamente che la situazione non è delle migliori e che meno confidenza dà meglio è.” disse.

Axel sapeva che sarebbe andato a finire col parlare di Sora, perché si era accorto come il ragazzino non andasse a genio all'argenteo.

“Devi però tener conto di come Hana riesca a capire facilmente chi le sta di fronte. Se il ragazzo ha ricevuto tanta fiducia da parte sua forse un motivo c'è.” cercò di farlo ragionare l'amico.

Riku sospirò nuovamente, poi andò a sedersi sulla piccola panca in legno posta vicino alla parete destra. Poggiò i gomiti sulle gambe e nascose la faccia tra le mani per qualche secondo, posandola poi solo su quella sinistra e lasciando la destra a penzolare.

“D'accordo, però mi spieghi perché l'ha invitato a rimanere qua per quasi una settimana?” domandò fissando il pavimento.

Il Rosso lo raggiunse e gli sedette a fianco “Non lo so. Dovresti chiederlo a lei, parlarne insieme con calma, senza litigare. Non si risolve nulla, altrimenti.”

“È arrabbiata con me, Axel. Come minimo non mi rivolgerà la parola per due giorni.” rispose affranto. Non gli piaceva litigare con Hana e questo l'amico lo sapeva. Quel giorno, poi, non sembrava nemmeno in vena di essere seriamente arrabbiato. Sembrava semplicemente stufo. Stufo di tutta quella situazione in cui erano da troppi anni.

Axel gli poggiò una mano sulla spalla, come per confortarlo “Ho chiesto a Sora di raggiungerla e di portarla da qualche parte per farla calmare. Vedrai che stasera tornerà a parlarti quasi come prima. Il ragazzino sembra avere un'influenza positiva su di lei e forse è anche per questo che gli ha chiesto di rimanere.” propose il maggiore.

Riku, effettivamente, non ci aveva pensato a quello. Sì, aveva notato che la sorella era in qualche modo più tranquilla del solito, ma non aveva mai pensato di attribuirne il merito al moretto.

Si voltò verso l'amico, ora i suoi occhi erano tornati del tutto come prima.

“E va bene, ma ciò non mi fa cambiare idea su quel piccoletto. Sarò tranquillo solo quando se ne andrà.” disse assumendo la solita espressione da musone.

Axel guardò l'ora sul suo cellulare “Wow! Ho appena battuto il mio record. Mi ci sono voluti solamente cinque minuti!” esclamò con un ampio sorriso “Ma quanto sono bravo?!” domandò, poi, voltandosi verso l'amico.

Riku dapprima gli lanciò un'occhiataccia, poi però si mise a ridere spintonandolo scherzosamente.

“Ma per favore!” rise.

Il Rosso incrociò le braccia e si voltò dall'altra parte, fintamente offeso “Tzè, ingrato!” disse, facendo ridere ancora l'altro.

***

Sora era riuscito a raggiungere Hana poco prima che ella entrasse in un piccolo bar -la ragazza sapeva essere veloce, quando era su tutte le furie. L'aveva convinta a salire in macchina, poi si era fatto guidare dalla suddetta verso un posto di suo gradimento. Boston Public Garden era un parco situato nel cuore di Boston, vicino al comune della città. Era immenso, popolato da alberi e bagnato da ben due laghi, che le persone potevano navigare salendo su delle graziose imbarcazioni. I due ragazzi il giro sul lago non lo fecero, preferirono fare una passeggiata lungo i numerosi viali presenti. Sebbene quel giorno ci fossero molte persone, riuscirono a trovare un posticino all'ombra di un salice dove potersi sedere in santa pace.

Hana stava continuando a strappare e ad arrotolare fra le dita i numerosi fili d'erba. Nessuno dei due aveva ancora aperto bocca e nessuno dei due sembrava volerlo fare. Sora, in realtà, voleva chiederle cosa avesse causato quella lite con suo fratello, cosa si fossero detti, ma gli sembrò più giusto aspettare che fosse lei a confidarsi -sempre se la ragazza avesse voluto farlo.

Hana sospirò, poi fece un sorriso stanco.

“Come sei riuscito a farti prestare la macchina da Axel?” domandò.

Sora non si aspettava una domanda così fuori luogo, però apprezzò che la ragazza avesse detto qualcosa. Era un inizio, infondo.

“In realtà ha fatto tutto lui.” confessò il ragazzo.

“Insolito da parte sua. Deve avere una grande considerazione per te.” disse più a se stessa che al moretto.

“Immagino ti abbia mandato a fare il lavoro sporco, non è vero?” continuò facendo una mezza risata.

“Se ti riferisci alla quella parte in cui lui si mette a consolarti, allora sì. Lui credo si stia occupando di tuo fratello in questo momento.” rispose l'altro mezzo divertito.

La ragazza sembrò tornare di pessimo umore con quell'ultima frase, quindi Sora decise che avrebbe fatto meglio a non nominarlo più.

“Ho un'idea.” cominciò a dire, nella speranza di farla distrarre.

Lei, come il moretto aveva sperato, alzò lo sguardo verso di lui incuriosita, chiedendogli tacitamente di andare avanti.

Al ragazzo venne istintivo fare un mezzo sorriso “Che ne dici di andare a prendere una crêpe?” chiese alla fine.

Lei sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, felicissima della proposta, e annuì convinta. Sora si alzò in piedi passandosi le mani sul retro dei pantaloni per togliere la terra e i fili d'erba che si erano attaccati, poi porse una mano ad Hana aiutandola ad alzarsi. Usciti dal parco si diressero a prendere i dolci, per poi gustarseli tranquilli su una panchina.

Passarono tutto il pomeriggio gironzolando a random tra i negozi, senza un itinerario preciso. A volte si fermavano a guardare solo le vetrine, altre entravano proprio dentro, ma in tutti i casi si limitavano a guardare senza comprare. Passavano il tempo, visto che Hana sembrava non avesse ancora voglia di tornare a casa. A confermare ciò era il suo continuo ignorare i messaggi e le chiamate che le arrivavano da parte del Rosso e, principalmente, del fratello. Solo una volta rispose ad Axel, ma richiuse la chiamata subito dopo aver quasi urlato un 'sto bene, lasciatemi in pace!'.

***

“Ti va di andare in un posto?” chiese la ragazza guardando l'ora sul cellulare. Ormai si era fatto tardi. Entrambi avevano saltato la cena, visto che nessuno dei due aveva fame.

“Dove?” domandò automaticamente Sora.

“In un posto.” rispose lei, facendogli l'occhiolino “Allora, ti va?” continuò.

Il ragazzo non aveva idea di dove volesse portarlo, ma accettò.

Tornarono in macchina e quella volta fu Hana a guidarla. Si diresse verso la periferia della città senza rivelare la meta, facendo morire di curiosità il povero Sora. Dopo una ventina di minuti la macchina si fermò davanti a un locale con scritte a neon e dal quale proveniva un casino allucinante, tra musica e urla.

“Eccoci qua!” esclamò la ragazza, prima di dirigersi verso l'entrata.

Sora la seguì anche se l'idea di entrare in quel posto non gli piaceva affatto. Era un pub, luogo in cui lui normalmente non avrebbe mai messo piede, però c'era Hana e questo diminuiva inspiegabilmente il suo libero arbitrio.

L'interno era molto spazioso, con una pista da ballo al centro, divanetti e tavolini lungo tre lati e, sulla sinistra, un lungo bancone con alti sgabelli . Dietro ad esso numerose mensole ospitavano altrettante bottiglie, contenenti ogni sorta di bevanda. A servire da bere c'erano due ragazzi sulla ventina d'anni dagli occhi azzurri, uno con i capelli biondi e l'altro moro. C'era molta gente, perlopiù giovani, e ciò non faceva che peggiorare la situazione. Sora non amava stare a contatto con troppe persone alla volta, lo mettevano a disagio.

La ragazza lo trascinò fino al bancone.

“Ehy Cloud!” salutò la giovane sventolando una mano in direzione del biondo.

Quello si girò dalla loro parte e, riconosciuta la ragazza, sorrise entusiasta avvertendo il collega, che la salutò alzando una mano. Si avvicinò ai due e poggiò entrambe le braccia sullo spazioso ripiano.

“Ma guarda un po'! La nostra cliente preferita è tornata. Erano mesi che non ti facevi vedere, che è successo?” domandò il biondo.

“Niente di ché, ho solo avuto da fare.” rispose vaga con un'alzata di spalle “Piuttosto, come vanno gli affari qua?” chiese a sua volta.

“Solita gente.” rispose lui. Si voltò in direzione del moretto e lo squadrò da capo a piedi con un'espressione indecifrabile “Ma non eri fidanzata con quel tipo dai capelli rossi, Cascier? Mastiel?” domandò credendo che Sora fosse il suo nuovo fidanzato.

La ragazza ridacchiò “Castiel. Comunque sì, e lo sono tutt'ora.” rispose.

Nel frattempo anche l'altro barista li aveva raggiunti “Ehilà, Hana. Quanto tempo!” esclamò sorridendo.

“Ciao Terra!” salutò a sua volta la giovane. Poi indicò il moretto “Lui è Sora, un amico.” spiegò ai due.

Il più piccolo salutò timidamente con un 'ciao', che i due ragazzi ricambiarono subito.

Parlarono del più e del meno, Hana ordinò anche un cocktail blu -Angelo Azzurro, lo aveva chiamato- e convinse il povero Sora a prenderne uno più leggero a base di succo d'arancia, tequila e granatina. Il ragazzo non aveva mai bevuto niente di alcolico al di fuori dello spumante durante le feste, quindi quella bevanda bastò per portarlo sull'allegro andante.

Trascinò in pista la ragazza, nonostante non fosse bravo a ballare, e passò il tempo a ridere e scherzare.

Verso le undici salutarono i due amici e uscirono dal locale, salendo poi in macchina. Per tutto il tragitto fino a casa nessuno dei due fiatò, in parte perché Sora si era addormentato, in parte perché la ragazza sapeva di dover nuovamente affrontare il fratello.

 


Ehilà :)
Perché sono qui oggi? Perché né domani né martedì pomeriggio ci sono, quindi non potrei postare :3 
​Per la vostra felicità(?)
 Axel va -finalmente- a fare quattro chiacchiere con l'amico. Sapete, me lo vedo benissimo Riku che pratica la boxe *^* tant'è che mi viene voglia di praticarla .-. peccato io sia troppo pigra u.u 
L'idea che il colore dei suoi occhi cambiasse, mi è sempre piaciuta. Sostanzialmente è nata dal fatto che, qualche anno fa, non riuscivo a capire di che colore li avesse, visto che mi sembravano prima azzurri e poi, alla fine di KH2, acquamarina. Alla fine ho appurato che li ha sempre avuti verdeacqua xD 
Che a Riku, in fondo, inizi a piacere Sora? Chi lo sa u.u... 
Solo io ho notato che, effettivamente, Sora si lasci facilmente influenzare da Hana xD? Credo sia colpa dei caratteri che ho dato a ciascuno. Dicono che il Cancro sia più passivo :P (e il bello è che io sono dello stesso segno -.-"). All'inizio volevo far ubriacare la ragazza, poi l'idea è cambiata in un Sora ubriaco e, alla fine, tutte e due lucidi xD ma a parte questo, ammetto che è tutto un piccolo pretesto per una cosa che verrà ^^. 
Ora vedremo che succederà nel prossimo capitolo tra i due fratelli :)
Scappo che devo andare a mangiare (com'è che ogni volta che aggiorno finisco con l'andare a mangiare .-. ?!).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^!

Alla prossima, 
E.S.

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Capitolo 8
*** Madness ***


Eighth chapter: Madness

Hana arrivò a casa e parcheggiò l'auto dell'amico all'interno del cortile. Scrollò leggermente Sora per farlo svegliare e finalmente quello aprì gli occhi scattando sull'attenti per cercare di capire dov'era e cosa doveva fare. Appurato che doveva scendere dalla macchina, si strofinò gli occhi con entrambe le mani, poi si slacciò la cintura e scese aprendo la portiera.

Nel frattempo la ragazza era anch'ella scesa e aveva notato che la sua moto non c'era più. Aveva dedotto che il Rosso se ne fosse andato via con quella. Dall'esterno poteva vedere la luce della camera di Riku accesa, segno che probabilmente il fratello si stava preparando per andare a dormire. Non appena il suo nuovo amico richiuse lo sportello della vettura, lei premette un pulsante sul telecomando delle chiavi per poter far scattare la serratura e chiuderla. Vide il moretto trascinarsi fino all'ingresso, dove l'aspettò per poter entrare. Le venne da ridere, perché il ragazzo si era poggiato con la spalla e la tempia sinistre all'infisso della porta e aveva chiuso nuovamente gli occhi. Aprì velocemente l'ingresso, così l'amico poté andarsene a dormire mentre lei si diresse da suo fratello. Si avvicinò alla porta senza fare rumore e bussò leggermente, come solo lei sapeva fare, prima di entrare. Il ragazzo era seduto con la schiena poggiata al muro e stava leggendo un libro. Aveva lo sguardo fisso su di lei e sembrava voler dire qualcosa, però non fiatò. La ragazza non aveva bisogno che il fratello le parlasse, sapeva cosa doveva dirle. Era dispiaciuto, ma anche lei, infondo, lo era, perché prima di aggredirlo avrebbe dovuto mettersi nei panni del ragazzo. Lo vide chiudere il libro e alzarsi, per poi passarsi una mano dietro la testa con lo sguardo fisso sul pavimento. Lei gli si avvicinò velocemente e lo abbracciò stretto.

Riku rimase un attimo sorpreso, poi però ricambiò il gesto, facendo passare le braccia attorno alle spalle della minore e facendo affondare il viso nei suoi capelli. Gli scappò un sospiro: Axel aveva ragione.

***

Dopo aver sciolto l'abbraccio aveva accompagnato la sorella nella sua camera, cosicché potesse prepararsi per andare a dormire. Lui era sceso per andare a prendersi un bicchiere d'acqua, ma salendo passò davanti alla stanza dell'inglesino: aveva lasciato la porta aperta ed era crollato sul letto senza nemmeno cambiarsi. Mosso dalla compassione, o forse da altro, Riku sospirò entrando nella stanza e andando a recuperare una pesante coperta dall'armadio. La distese sul più piccolo, in modo che non sentisse freddo, e se ne andò socchiudendo la porta. Dopo aver finito di prepararsi passò a dare la buonanotte alla sorella, ma la trovò già dormiente, quindi si limitò a posarle un leggero bacio sulla fronte. Arrivato in camera sua si distese sotto le coperte, rabbrividendo per quanto fossero fredde, e chiuse gli occhi, pensando che dopotutto quel ragazzino non era tanto male, ma prima che lo ammettesse il mondo avrebbe avuto il tempo di finire.

***

Sora si svegliò che erano le nove e mezza. La sera prima aveva avuto talmente tanto sonno che non appena aveva toccato il cuscino si era addormentato. Si alzò tranquillo, notando poi che qualcuno -probabilmente Hana- lo aveva coperto. Ripiegò la coperta e rifece il letto, per poi vestirsi e andare in bagno a lavarsi la faccia e i denti. Si guardò allo specchio e si accorse di come i suoi capelli si fossero orribilmente scompigliati durante la notte, quindi andò a recuperare in camera il gel per poi tornare nel bagno e spalmarsene una buona quantità sui capelli, non prima di averli pettinati a dovere. Quando uscì sentì dei fruscii provenire da qualche porta più in là e vi si diresse incuriosito. Affacciandosi al bianco ingresso, vide Riku che si allenava facendo delle trazioni alla sbarra. Rimase ad osservarlo curioso per un bel po'. Poteva vedere i muscoli del ragazzo tendersi, le nocche delle mani sbiancare per la forte presa sulla barra, lo sguardo concentrato e fisso davanti a lui. Ad un tratto si fermò mollando la presa dall'attrezzo e voltandosi verso la sua parte. Sora sussultò leggermente, non credeva si fosse accorto di lui.

“Se dovesse capitarti di finire in una rissa, saresti in grado di prendere a pugni qualcuno?” domandò il maggiore.

Il più piccolo rimase un attimo attonito dalla domanda, poi però si riprese “N-no, non credo.” rispose.

“E se qualcuno per strada ti aggredisse alla spalle, tu sapresti difenderti?” chiese ancora, l'altro.

“Ehm, credo dipenda dai casi... Non lo so.” rispose incerto il moretto, domandandosi dove voleva arrivare il più grande con quelle domande.

L'altro mormorò un 'd'accordo' e si avvicinò lentamente al più giovane. In un attimo Sora si ritrovò con le spalle al muro, la mano destra di Riku che stringeva leggermente il suo collo, come a volerlo strozzare, quella sinistra a tenergli fermi i suoi polsi sopra la testa e le sue gambe bloccate da quelle dell'altro.

“In una situazione del genere cosa faresti?” domandò l'argenteo, guardandolo serio negli occhi azzurri.

Sora non sapeva cosa rispondere, non tanto perché non sapesse la risposta, probabilmente se ci avesse pensato un po' avrebbe trovato una soluzione, ma perché era troppo impegnato a pensare a quanto vicino fosse l'altro, fissandolo nelle sue iridi acquamarina. Se si fosse messo a contare i centimetri, probabilmente sarebbero risultati essere solo cinque. Forse sei.

Riku capì che il ragazzino non lo stava prendendo seriamente, quindi decise di rendere le cose più movimentate. Aumentò la presa sull'esile collo dell'altro, finché questo non cominciò ad agitarsi per cercare di liberarsi. L'argenteo poteva sentire perfettamente il battito accelerato del minore, che ne frattempo stava cercando di liberare le mani dalla sua presa ferrea, con scarsi risultati.

“Ri-ku” gemette il più piccolo con voce strozzata, senza riuscire a liberarsi e respirando a fatica.

“Non mi hai risposto.” disse irremovibile l'altro, aumentando ancora un po' la presa.

Sora aveva le lacrime agli occhi. Cercò di pesare in fretta a una possibile soluzione per uscire da quell'impiccio, ma sia le mani che le gambe erano bloccate e non poteva fare molto senza di quelle. Di questo passo lo avrebbe soffocato.

Rendendosi conto che l'inglesino non sapeva come rispondere, Riku lo lasciò andare allontanandosi di qualche passo. Quello si portò istintivamente una mano al collo, reggendosi con l'altra alla parete, e prese a tossire cercando di respirare a pieni polmoni.

“Se ne avessi avuta l'intenzione, saresti morto.” disse con una punta di rimprovero nella voce.

Sora non sapeva se mostrare rabbia o paura. Da una parte era arrabbiato, perché nessuno gli aveva dato il permesso di aggredirlo a quel modo, dall'altra lo temeva fortemente perché, come aveva appena dimostrato, avrebbe potuto fargli del male senza che lui riuscisse a difendersi. Alla fine ne uscì a metà tra l'una e l'altra.

“Con una presa del genere non è del tutto semplice liberarsi, soprattutto se il tuo aggressore è fisicamente avvantaggiato.” il moretto l'aveva notato da solo che il maggiore era più muscoloso e forte di lui, per cui trovava offensivo che lo evidenziasse “Ma bisogna considerare che per tenerti bloccato in quel modo ho dovuto usare tutto il mio corpo, ottenendo un equilibrio precario. Se me l'avessi fatto perdere, allora avresti avuto una buona percentuale di sopravvivenza.” spiegò con calma, affinché l'altro capisse “Inoltre se tu avessi abbassato le braccia avresti potuto liberare i polsi e attaccarmi a tua volta. Ci sono altri modi per liberarsi, ma credo che questi siano sufficienti per farti afferrare il concetto.” concluse, sorpassandolo e andandosene.

Sora si portò nuovamente una mano sul collo, gli sembrava di sentire ancora la presa vigorosa sulla sua pelle. Adesso che l'aveva lasciato andare, dalla sua mente affiorarono informazioni che normalmente non avrebbe mai pensato di prendere in considerazione, come ad esempio la temperatura delle mani dell'argenteo: erano bollenti nonostante fossero in inverno. O ancora, il timbro di voce risoluto che aveva usato per spiegargli come difendersi e che lo fece sentire più piccolo di quel che già era.

Scosse la testa per togliersi quegli strani pensieri dalla testa e pensò a dove potesse trovare Hana. L'idea di chiederlo al fratello era fuori discussione, quindi decise di mettersi a cercarla alla vecchia maniera. Uscì da quella specie di piccola palestra e si diresse al piano inferiore. Cercò in cucina, in soggiorno, provò a bussare negli altri due bagni, ma di lei nessuna traccia. Si affacciò a una finestra e vide che l'appariscente macchina di Axel non c'era più e ne dedusse che, per sua sfortuna, era rimasto da solo con Riku, poiché la sorella era probabilmente andata a restituire la vettura al proprietario.

“Come mai quella faccia da uccellino in gabbia?” domandò all'improvviso una voce dietro di lui.

Si girò di scatto ma non si meravigliò più di tanto nel vedere l'argenteo, a lasciarlo sbalordito furono il ghigno che gli increspava le labbra e il divertimento che brillava nei suoi occhi. Il piccoletto deglutì a vuoto, poi il suo cervello analizzò ciò che aveva appena detto.

“Ehi!” si stava prendendo gioco di lui, quella carogna.

L'altro si mise a ridere “Suvvia, Sora, non te la sarai mica presa per prima?” lo canzonò.

L'altro mise il broncio. Come poteva non essersela presa se lo aveva neutralizzato -se così si poteva dire- come se niente fosse, evidenziando quanto fosse gracile? Offendersi era il minimo.

“Volevo solo vedere come reagivi, tutto qui.” spiegò il maggiore con un'alzata di spalle.

Quella specie di confessione non migliorò il suo umore. Sbuffò decisamente irritato e lo superò per potersi dirigere verso la sua stanza, ma l'altro lo prese per un polso facendolo fermare e girare.

“Il lupo ti ha mangiato la lingua?” chiese ironico. Peccato che così facendo fece tornare in mente al ragazzino l'animale di due sere prima. Rimase un attimo spaesato chiedendosi se lui sapeva ciò che era successo, poi però si riprese e sfilò il proprio polso dalla mano dell'altro.

“Lasciami in pace.” disse cercando di essere, con poco successo, minaccioso.

L'argenteo ridacchiò sommessamente “Altrimenti?” lo provocò.

“Ma si può sapere che ti prende?! Prima mi guardi come se volessi uccidermi, poi fai finta che non esista e ora ti diverti a darmi sui nervi!” sbottò lui, stanco di quell'insolito comportamento.

Riku sembrò tornare serio per un attimo, poi però ghignò di nuovo divertito “Guarda guarda, il gattino ha tirato fuori gli artigli.” disse beffandosi di Sora.

“La vuoi smettere?” in teoria il moretto non l'aveva pensata come una domanda, ma così gli uscì fuori.

“Perché mai? È così divertente!” affermò lui sapendo di dargli fastidio.

L'inglesino strinse i pugni altamente irritato, poi si girò e si diresse verso la sua stanza, deciso ad ignorarlo.

Si chiuse la porta alle spalle e sospirò. Perché tutto a un tratto quel ragazzo si comportava in maniera così strana? Prese il libro che si era portato da casa e si sdraiò sul letto a leggerlo.
 

 


Cavolo, lo so che il capitolo dovrei postarlo domani, ma davvero non riesco a resistere ç_ç le mie mani si muovono da sole! xD E poi, infondo, mancano solo 20 minuti alla mezzanotte (e conoscendo i miei tempi posterò il capitolo solo dopo averla passata ) ù.ù ma andiamo avanti...
'Sera a tutti, comunque ;) come ve la passate? Io sono qua, mezza preoccupata per l'interrogazione di storia e la verifica di francese di domani, il bello è che non ho studiato né per una né per l'altra ç_ç è stato un piacere conoscervi! Siete tutti invitati al mio funerale...
Ok, dai. Basta cavolate u.u 
Finalmente Riku interagisce un po' con Sora ^^ dai, ammettetelo che non aspettavate altro :P (... anche se è più probabile che molte di voi non sperino altro che io aggiunga una bella AkuRoku >.>). Tutto sommato la 'discussione' con la sorella non è andata poi così male e come al solito Axel aveva ragione xD (tra l'altro è molto felice che la sua macchina sia ancora intera ^^). Adesso che ci penso, il comportamento che Riku ha avuto alla fine, forse, era più un atteggiamento del Rosso... ma va beh, che importa u.u Riku è pur sempre Riku xD (tranquilli, questi deliri sono più che normali).
Sulla scena in cui l'argenteo ha tentato di uccidere Sora, non fate domande xD mi è uscita così, anche perché l'altra idea era troppo corta e ne veniva fuori mezza pagina in meno u.u
Che Sora si stia effettivamente innamorando di quel favoloso, bellissimo, intelligentissimo e affascinante Riku? Solo il destino potrà dircelo *^* o, nel vostro caso, io u.u eheh 
Ah, per chi trovasse favoloso Axel: provate ad immaginarvi lui, appesso a quella barra, mentre fa le trazioni ;P 
Mosso dalla compassione, o forse da altro... io opterei per quel 'da altro' e voi? u.u
Se non sbaglio avevo già fatto questa domanda, ma non posso fare a meno di riporla: chi di voi riesce ad immaginarsi Sora con il codino o.O? 
E' mezzanotte passata (che vi avevo detto?), quindi vi auguro una calorosa buona notte (per una volta, almeno, non vi lascio per andare a mangiare xD) ^^

Al prossimo aggiornamento, 
E.S.

P.s. spero vi sia piaciuto u.u tra l'altro, nessuno ha aggiornato questa settimana, quindi quanto scommettete che tutti lo faranno proprio ora che l'ho fatto io, mandando la mia storia negli angoli più remoti della sezione ç_ç??

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Capitolo 9
*** Pacman ***


Ninth chapter: Pacman

 

Passò tutta la mattinata, ma della ragazza ancora nessuna traccia e lo stomaco di Sora iniziava a brontolare. Non sarebbe andato da Riku a reclamare cibo, piuttosto sarebbe morto di fame!

Dopo un'oretta lo stomaco iniziò a fargli male e gli fece capire che, se voleva stare in pace, doveva mettere per forza qualcosa sotto i denti. Il ragazzo si alzò dal letto e si affacciò alla finestra per vedere se Hana fosse tornata, ma di lei nemmeno l'ombra. Pensò che sarebbe potuto andare a mangiare nuovamente fuori, anche se la voglia era pari a zero. Prese la giacca, il cellulare e il portafoglio e uscì dalla stanza. Attraversò il corridoio con ansia sperando di non incontrare Riku e per fortuna così fu. Scese le scale e camminò lungo il secondo corridoio, dirigendosi verso la porta d'ingresso.

Era finalmente riuscito a posare la mano sulla maniglia, quando qualcosa -o meglio qualcuno- gli soffiò in un orecchio. Il moretto emise un gridolino per lo spavento e si portò istintivamente una mano sull'orecchio offeso, girandosi di scatto. Era Riku, ovviamente, che se la rideva tranquillamente a un passo da lui. Come avesse fatto ad avvicinarsi senza che se ne accorgesse, era un mistero.

“Mi hai fatto spaventare!” lo accusò il minore trattenendosi dall'additarlo. Non era educato farlo!

Riku aveva deciso di irritare il piccoletto per due motivi: primo, quando si infastidiva o metteva il broncio aveva una faccia buffissima; secondo, si stava annoiando e in quel momento l'unico passatempo sembrava essere quello. Non importava se poi non gli avrebbe più rivolto la parola, perché tanto il mattino successivo il ragazzo sarebbe tornato in Inghilterra, per la sua gioia.

“Già ed è stato divertente.” rispose tranquillamente l'altro “Dove vai, di bello?” domandò, poi, cercando di non apparire sospettoso.

Il più piccolo alzò un sopracciglio, ma prima che potesse aprir bocca il suo stomacò brontolò di nuovo. Arrossì dandogli mentalmente del traditore e sperando inutilmente che l'altro non l'avesse sentito.

L'aveva sentito? Ovvio che sì, vista la mezza risata dell'argenteo.

“E pensare che stavo giusto giusto venendo a chiederti cosa volessi mangiare.” gli confessò il maggiore, mettendolo ancora più in imbarazzo “Beh? Cosa vorresti mangiare?” chiese, poi.

Sora non sapeva se fidarsi o meno. E se gli avrebbe messo del veleno dentro? O qualcos'altro di strano?

Riku, vedendo che l'altro dubitava di lui, sospirò “D'accordo, me lo dirai in cucina. Vieni.” disse incominciando a percorrere il corridoio. Dopo pochi passi sentì che il moretto non si decideva a seguirlo, quindi si fermò e si girò a guardarlo con un sopracciglio alzato “Beh? Guarda che mica ti mangio.” disse.

Il ragazzino sbuffò “Secondo me, invece, ne saresti capace.” borbottò a bassa voce, iniziando a seguirlo diffidente.

Riku, sentendo quelle parole, ghignò. Gli era venuta un'idea, semplice, ma che si sarebbe potuta rivelare divertente.

***

Dovettero accendere la luce, poiché quella stanza era stranamente priva di finestre. Riku si diresse verso il frigo e lo aprì per vedere cosa avrebbe potuto preparare.

“Sai cucinare?” domandò il più piccolo.

“No, Sora, ti ho chiesto cosa volessi mangiare solo per hobby.” rispose l'altro ironico.

Sora alzò gli occhi al cielo “Bastava un semplice sì.” borbottò.

“Facciamo così: visto che non mi vuoi dire cosa ti piacerebbe mangiare...” lo prese per un braccio e lo trascinò davanti al frigo “Sarai tu a cucinare, così almeno sono sicuro che sarà qualcosa di tuo gradimento. Se ti serve qualche surgelato, carne o roba del genere lo trovi nel freezer, mentre pentole, padelle e quant'altro sono in quei mobili lassù.” indicò due paia di ante sopra la testa dell'altro “I vari condimenti sono nella mensola vicino ai fornelli.” spiegò.

“E se non sapessi cucinare?” domandò il moretto continuando a fissare il frigorifero.

Riku alzò una spalla “Puoi sempre imparare.” rispose.

Sora sospirò arrendendosi. Alla fine avrebbe cucinato lui e ciò lo metteva a disagio, visto che non era casa sua. Inoltre chi gli diceva che la sua cucina piacesse anche all'argenteo? Ispezionò ancora una volta il frigo, poi, anche se incerto e in imbarazzo, si decise a prendere ciò che gli serviva, tra ingredienti, tegami e scodelle. Poggiò tutto sul tavolo più vicino e iniziò a preparare. Aveva pensato di preparare qualche veloce pietanza italiana, come la pasta alla Carbonara e delle semplici polpette.

Riku, intanto, aveva chiuso la porta e si era poggiato lì vicino, tenendolo sott'occhio e aspettando il momento più propizio per mettere in atto il suo piano. Osservò il moretto mettere della carne tritata in una ciotola abbastanza capiente e aggiungerci altri ingredienti come sale, prezzemolo, formaggio grattugiato, uova e pepe. Lo vide impastare il tutto e iniziare a prenderne un pezzetto alla volta per plasmarlo delicatamente in piccole palline che deponeva su un piccolo vassoio. Nel frattempo, sul fuoco, l'acqua che aveva messo nella pentola si stava scaldando.

“Hana?” gli chiese dopo un po' il piccoletto senza alzare lo sguardo dalle polpette che stava impanando.

“È da Axel.” rispose “E non tornerà prima di cena.” ghignò quando lo vide irrigidirsi un istante. Al ragazzino non piaceva rimanere da solo con lui e questo, Riku, lo aveva capito all'istante.

Quando l'acqua iniziò a bollire Sora chiese dove poteva trovare la pasta e, una volta ottenuta la risposta, prese un pacco di spaghetti. Andando a occhio, ne calò la quantità per due persone e con un cucchiaio di legno fece in modo che ogni singolo spaghetto fosse immerso del tutto. Mentre aspettava che la pasta cuocesse prese una grande padella e ci versò dentro un po' di pancetta, in assenza del guanciale. La fece rosolare per un po', poi la mise da parte e iniziò a friggere le polpette in un altro tegame.

Sora si domandò come potesse, una cucina, non avere delle finestre. Ora che stava friggendo l'odore sarebbe rimasto lì, visto che anche la porta era chiusa. Effettivamente prima non l'aveva notato, Riku aveva chiuso la porta e continuava a guardarlo con una strana luce negli occhi. Che aveva in mente?

Si costrinse a concentrarsi sulle polpette quando un piccolo schizzo d'olio gli finì sul braccio facendolo sussultare. Finì di friggere che la pasta aveva cotto al punto giusto. Prese nuovamente la padella con la pancetta e la rimise sui fornelli, aggiungendoci un paio di uova, del formaggio grattugiato e la pasta scolata. Fece cucinare il tutto finché anche le uova non furono cotte, a quel punto impiattò. Prese la pentola sporca e la mise nel lavandino; stava per fare lo stesso con la padella, ma la luce si spense all'improvviso. Era saltata la corrente? Purtroppo, non essendoci nulla che potesse far passare la luce, il ragazzo non riusciva a vedere niente.

“Riku?” il più piccolo chiamò l'argenteo nella speranza di capire che stesse succedendo, ma non ottenne risposta. Poi capì. La luce non era saltata, era stato l'altro ragazzo a spegnerla per fargli qualche scherzetto stupido. Decise di raggiungere l'interruttore prima che il più grande avesse raggiunto lui, ma era più facile a dirsi che a farsi. Lungo il tragitto fino alla porta avrebbe dovuto schivare i tavoli e evitare d'incontrare il compagno. Quella situazione gli ricordò un gioco a cui giocava da piccolo, Pacman. I tavoli erano i muri, mentre Riku era uno dei fantasmini colorati che se lo avesse preso se lo sarebbe divorato.

Lui non voleva essere mangiato.

Iniziò a muoversi lentamente andando a tentoni: per quanto i suoi occhi si fossero abituati al buio, ancora non riusciva a vedere molto. Pensò che infondo avrebbe anche potuto farcela, perché -che ricordasse- la porta non era poi così lontana e al buio Riku era svantaggiato quanto lui.

Mosse un piede verso destra e andò pian piano avanti, con la paura di ritrovarsi all'improvviso l'argenteo davanti. O dietro.

Perché dovevano capitare tutte a lui? Perché Hana l'aveva abbandonato lì? Perché doveva rimanere fuori casa fino all'ora di cena? Che diamine doveva fare con Axel?! E perché doveva farsi tutte quelle domande? Certe volte odiava il suo cervello.

“Riku, sappi che se la pasta diventa colla te la farò mangiare lo stesso. A forza, se necessario.” minacciò, per poi pentirsene all'istante. Ora il maggiore avrebbe potuto localizzarlo facilmente -anche se probabilmente era sufficiente il rumore dei suoi passi. Sospirò mentalmente chiedendosi dove accidenti fossero le maledette power pills quando servivano.

La porta non era lontana, ma in quel momento gli sembrò distante chilometri.

Chi gli diceva, però, che Riku non stesse semplicemente cercando di farlo disperare un po' costringendolo a girovagare al buio per la cucina? Magari lui era beatamente fermo in un angolo, con quel suo maledettissimo ghigno in faccia, ad aspettare che riaccendesse la luce. Quasi senza accorgersene rallentò il passo fino a fermarsi. Voleva davvero dargli quella soddisfazione?

Il suo cervello non fece in tempo a elaborare una risposta che un buh! gli venne quasi urlato nell'orecchio da dietro.

Per la seconda volta nell'ultima ora, Sora emise un grido di paura. Cercò istintivamente di allontanarsi dalla fonte della voce, ma inciampò in qualcosa e cadde a terra con un tonfo sordo.

Game over.

Si sentì una risata e la luce si riaccese, accecando il piccoletto per un attimo.

“Riku!” gridò, offeso, tirandosi in piedi.

L'altro continuava a ridere vicino all'interruttore, a pochi passi da lui. Era stato talmente in sovrappensiero da non essersi accorto di essere quasi arrivato alla porta.

“Un gatto sa muoversi meglio di te, al buio.” lo derise il maggiore.

Sora s'imbronciò incrociando le braccia e girandosi dall'altra parte “La sua vista gli permette di vedere meglio al buio e in ogni caso io non sono un gatto.” affermò.

L'altro ridacchiò “Me ne sono accorto. Ora scusami, ma avrei fame e non vorrei che la pasta diventasse colla.” gli fece il verso dirigendosi verso il banco di alluminio su cui il più piccolo aveva abbandonato i piatti.

L'inglesino lo fulminò con lo sguardo ma represse l'istinto di mandarlo a quel paese, perché in fondo era una persona educata. Lo stomaco gli ricordò il fine di tutto quel casino, così si decise a seguirlo, ma ciò non voleva dire che lo avesse perdonato.

Mangiarono in cucina: alla fine la pasta era ancora mangiabile, le polpette non si erano freddate più di tanto e Riku sembrava aver apprezzato la cucina italiana.

Tutto è bene quel che finisce bene, no?


 


Ehilà, gente! Vi sono mancata? Ovvio che no u.u 
Purtroppo (o forse no) a inizio settimana scorsa il modem ha fatto i capricci impedendomi di aggiornare, quindi ho deciso di prendermi tutta la settimana per poter FinireDiScrivereQustoCapitolo *cofcof* e ora eccomi qua! :) 
Ammetto che non sapevo che scrivere in questo capitolo, quindi mi è venuto fuori un po'... strano (anche se dubito sia il termine giusto). Più che altro è un capitolo scritto per prendere tempo e preparare(?) il lettore a quello che verrà dopo, dove è quasi sicuro che si entrerà nel vivo della storia: finalmente inizierete a scoprire cosa nascondono Hana, Riku e Axel, a discapito del povero Sora che non se la passerà molto bene...
Comunque! Per chi no lo sapesse/ricordasse le power pills, nel gioco di Pacman, sono quelle palline bianche più grandi rispetto alle altre che permettono di mangiare i fantasmi. A Sora farebbero comodo, con Riku in giro xD 
Non ho molto da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) 
Ringrazio Faith, Devilangel e Pewdiekairy per tutte le recensioni che mi hanno lasciato e che, spero, continueranno a lasciarmi. Ringrazio anche coloro che seguono la storia limitandosi a leggere
 :D (perché io lo so che voi state leggendo -anche se non so chi siate di preciso-... vi tengo d'occhio ò.O).
Ora vado, gli involtini primavera mi stanno aspettando *^* 
Buon appetito a tutti! ^^

E.S.

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Capitolo 10
*** Lights out ***


Tenth chapter: Lights out

È tutto pronto, Signore.”

Perfetto. Procedete con la massima serietà, sono soggetti pericolosi.”

Certamente, Signore.”

Che la missione Corrupted Blood abbia inizio.”

***

Erano le sei meno venti di sera.

Sora era in camera sua ad ascoltare un po' di musica, sdraiato sul letto a fissare il soffitto bianco. Avrebbe preferito leggere il suo libro, ma mancavano pochi capitoli alla fine e non voleva terminarlo prima del volo di ritorno, o in aereo si sarebbe annoiato. Quella settimana lì a Boston era volata e mancavano relativamente poche ore alla partenza. Sicuramente sua madre, una volta arrivato, lo avrebbe prima abbracciato, poi strangolato per averle fatto prendere un infarto. L'ultima volta che l'aveva chiamata sembrava non essersi calmata del tutto. Magari poteva comprarle qualcosa prima di partire, in uno di quei negozi dell'aeroporto, così con un po' di fortuna si sarebbe lasciata alle spalle quel piccolo inconveniente.

Si alzò dal letto per sgranchirsi le gambe e si diresse alla finestra per vedere se Hana fosse arrivata o meno. Fuori era tutto buio, attraverso i vetri non si vedeva nulla e i nuvoloni che coprivano la Luna non sembravano voler essere d'aiuto. Aprì la porta-finestra e uscì in balcone. C'era aria fredda, pungente e fin troppa calma. Vedeva poco e niente, nonostante la luce proveniente dal lampione vicino alla porta d'ingresso, ma il cortile sembrava essere rimasto come lo aveva lasciato quella mattina. Hana non era ancora tornata. Si disse che a momenti sarebbe arrivata, perché il fratello lo aveva informato che a cena ci sarebbe stata. Pensandoci, si chiese cosa avrebbero mangiato e chi avrebbe cucinato.

Dovette destarsi dai suoi pensieri quando la luce alle sue spalle si spense di colpo. Si girò di scatto per accertarsi di non aver visto male, ma il lampadario era effettivamente spento. Molto probabilmente era di nuovo Riku che gli faceva uno dei suoi scherzi, però non poteva sapere se era dentro la sua stanza o meno, perché con le cuffiette alle orecchie non sentiva niente. Decise di togliersele. Se Riku lo avrebbe fatto spaventare nuovamente, quella volta lo avrebbe ucciso. Camminò fino al confine tra il duro marmo del balcone e la morbida moquette della camera, gli occhi spalancati che nonostante si fossero abituati al buio gli permettevano di vedere ben poco. Era pronto a fare un altro passo entrando nella stanza, ma da dietro un braccio robusto lo bloccò tenendolo saldamente per il busto e una mano gli tappò bocca e naso con un fazzoletto umidiccio.

Quello non era Riku, poteva metterci la mano sul fuoco, ed era proprio per questo che cominciò ad agitarsi il più possibile cercando di trattenere il respiro. Cercò di alzare le braccia per toglierselo di dosso, ma la persona dietro di lui, sicuramente un uomo, lo stritolò con il braccio cercando di farlo stare fermo. Sora cominciò a sentire come una forza che cercava di fargli passare a tutti i costi l'aria dal naso e dalla bocca, ma non cedette. Se lo avesse fatto sarebbe stata la fine, probabilmente. Pestò il piede destro dell'uomo nella speranza di fargli rallentare la presa e riuscire a sfuggire, ma gli fece solo il solletico.

Cercare di liberarsi agitandosi, però, faceva sprecare più ossigeno. Non riuscì a trattenere oltre il respiro e cedette facendo entrare più aria possibile dal naso.

Forse trattenere il fiato non era stata una buona idea. L'odore acre della sostanza di cui il fazzoletto era imbevuto lo stordì immediatamente, facendogli pizzicare il naso e girare la testa.

Dove cavolo era Riku quando serviva?

Sentì i muscoli rilassarsi contro la sua volontà e il braccio dell'uomo rallentare di conseguenza la presa.

Alcune voci gli arrivarono ovattate alle orecchie.

Forse l'uomo lo caricò sulla sua spalla, ma non poté dirlo con precisione.

Era tutto troppo confuso.

Aveva i sensi troppo inibiti.

Aveva troppo sonno.

Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dal passo ondeggiante del suo rapitore, e fu presto buio.

***

Riku era in soggiorno a leggere un libro quando la luce saltò. Era successo pochissime volte da quando si erano trasferiti in quella casa e ogni volta una sensazione d'inquietudine lo percorreva dalla testa ai piedi. Una volta, un paio d'anni prima, aveva allarmato sia sua sorella che Axel credendo che qualcuno volesse far irruzione nella casa ed era uscito in cortile, per andare a controllare il contatore, armato di un coltello preso a caso dalla cucina. Alla fine la causa era stato un blackout che aveva colpito tutta la città e il suo migliore amico lo prese in giro per un'intera settimana. Quello non fu l'unico falso allarme in cui gettò sua sorella e il Rosso, quindi alla fine si era arreso all'idea che fosse normale se di tanto in tanto saltasse la corrente.

Mise il segnalibro in mezzo alle pagine che stava leggendo e lo chiuse sbuffando. Conosceva quella casa meglio delle sue tasche, quindi non aveva difficoltà nel muoversi al buio, inoltre era abbastanza fortunato da riuscire a distinguere i vari oggetti senza troppi problemi. Abbandonò il tomo sul tavolo pensando a come doveva essersi fatto prendere dal panico l'inglesino, gli venne quasi da ridere; dopo aver riattaccato la corrente si sarebbe occupato anche di lui. Quando uscì una folata di vento freddo trapassò la stoffa dei suoi vestiti facendolo rabbrividire; ultimamente le temperature erano di rado sotto lo zero, specialmente durante il giorno, però in quella maledetta città non faceva altro che piovere e piovere, anche d'estate. Fissò per un attimo i nuvoloni neri pensando che molto probabilmente sarebbe venuto giù un bel temporale, come se il cielo avesse deciso di usare tutta la pioggia che non aveva fatto cadere in quei cinque giorni. A volte voleva tanto tornarsene a Chicago, almeno lì il tempo rispettava un ciclo naturale normale. Cercò di ripararsi un po' il collo con il colletto della felpa, poi si diresse verso la fiancata destra della casa. Trovò strano che il moretto non si fosse ancora lamentato, però pensò che, visto lo scherzo fattogli a pranzo, forse aveva preferito rimanere in camera. Quando fronteggiò l'armadietto capì che qualcosa stava andando storto: il lucchetto che teneva lo sportellino chiuso era ai suoi piedi, rotto, e la levetta della luce era abbassata. Non era saltata, era stata staccata. Gli ci vollero pochissimi secondi per rendersi conto della reale situazione.

“Merda!” imprecò fra i denti.

Ignorò il contatore e si diresse immediatamente dentro casa, salì le scale di corsa, incespicando un paio di volte, ed entrò nella stanza del minore aprendo la porta. Si guardò intorno per capire dove fosse, ma di lui nessuna traccia. Sentì un'ondata di rabbia percuoterlo violentemente: se solo osavano fargli del male, quella volta li avrebbe fatti fuori uno ad uno.

Una folata proveniente dalla sua destra lo raggiunse; quando si voltò vide la tenda svolazzare leggermente. Si avvicinò alla finestra aperta e poi uscì in balcone. Lo diceva che stava andando tutto fin troppo bene, lo diceva che erano stati in pace per troppo tempo. Lo sapeva che presto o tardi si sarebbero fatti vivi, i bastardi. Nella villa sembrava non esserci anima viva, eppure sapeva perfettamente che loro erano lì, perché era lui il loro obbiettivo, non il ragazzo. Probabilmente volevano usarlo come esca, in fondo quegli infidi trucchetti per loro erano la normalità.

Uscì in corridoio e si apprestò a scendere le scale per poter setacciare il cortile. Passò davanti al soggiorno dove aveva abbandonato la sua lettura, ma qualcosa lo colpì alla nuca facendogli perdere i sensi.

***

Scoppiò a ridere al ricordo di quell'esperienza.

“Me lo ricordo eccome! Riku si è messo a urlare furioso per tutta casa quando se n'è accorto.” rise.

Hana era andata a casa di Axel con la scusa di riportargli la macchina, ma la sua vera intenzione era lasciare da soli Riku e Sora con la speranza di farli andare un po' d'accordo. Quando era arrivata l'amico stava ancora dormendo, ma non ci pensò due volte a buttarlo giù dal letto e -già che c'era- a preparargli un'abbondante colazione a cui prese parte anche lei. Il risultato fu che entrambi saltarono il pranzo. Si erano poi messi a giocare ai videogiochi, per cui il Rosso andava matto, e sul tardo pomeriggio avevano iniziato a chiacchierare facendo tornare alla memoria vecchi ricordi. Axel le aveva appena fatto ricordare di quando lui aveva deciso di giocare un innocente scherzo all'argenteo, divertendosi a scarabocchiarli la faccia con un pennarello indelebile nero mentre dormiva sul divano. Quando poi se l'era ritrovato davanti con un paio di baffi e un monocolo disegnati sul viso alla bell'e meglio, si era dovuta tappare la bocca con una mano per non ridergli in faccia, al contrario del Rosso che era scoppiato a ridere senza ritegno. Riku l'aveva guardato male per giorni.

Guardò l'ora sul cellulare e si accorse di essere in ritardo.

“È meglio che vada, o Riku inizierà a spargere volantini con la mia faccia per tutto il continente.” ironizzò.

Lui ridacchiò “Ma figurati! Come minimo li distribuirebbe per tutto il mondo, mari e oceani compresi!”

Si mise a ridere con lui, poi si preparò e si avviò verso casa in sella alla sua moto. Le nuvole che oscuravano il cielo non rassicuravano nulla di buono, molto probabilmente ci sarebbe stato un temporale simile a quello di qualche giorno prima, quando aveva trovato il suo nuovo amico privo di sensi. Accelerò per cercare di non trovarsi in strada quando sarebbe cominciato a piovere e in meno di una ventina di minuti era già a casa. Trovò il cancello più grande aperto e ciò non la tranquillizzava per niente, perché conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere che non avrebbe mai e poi mai lasciato a degli estranei la possibilità di entrare anche solo nel cortile. Abbandonò la moto davanti all'ingresso e vi posò sopra il casco. La porta era spalancata. Superò la soglia e cercò l'interruttore della luce; lo premette più volte, ma sembrava che la corrente fosse saltata. In casa non c'era nessuno, di questo era certa, e ciò non la rassicurava affatto perché voleva dire che nemmeno Riku e Sora erano là. Sentì il panico assalirla, ma si impose di mantenere il sangue freddo. Socchiuse la porta e si diresse al contatore. Qualcuno aveva rotto il lucchetto e staccato la corrente e lei aveva una buona ipotesi su chi fosse l'artefice di tutto quello. Alzò la levetta facendo tornare la luce, chiuse lo sportellino appuntandosi di comprare un altro lucchetto e entrò dentro casa. Salì di fretta le scale componendo sul cellulare il numero di Axel. Entrò in camera di Sora e trovò la finestra aperta, ma proprio come aveva supposto, di lui nessuna traccia. Finalmente sentì la voce dell'amico rispondergli.

“Sono riusciti a prenderlo e con lui anche Sora.” disse solamente con voce grave, senza rigiri di parole.

***

Sapeva perfettamente a cosa si riferiva, non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni.

“Arrivo.” il ragazzo chiuse la chiamata, salì in macchina e si diresse immediatamente a casa dell'amica, sperando solo che al ragazzino non succedesse nulla di grave.

 
'Sera a tutti ^^! 
Dovevo postare ieri, ma ammetto che ho preferito dormire sul divano xD il che è strano visto che non lo faccio mai o.O comunque...
Per la felicità di Devilangel, in questo capitolo nessuno mangia... Più o meno xD però i poveri Riku e Sora sono stati rapiti dagli alieni da personaggi misteriosi che ora come ora non ho intenzione di svelarvi u.u tanto lo capirete nel prossimo capitolo chi sono :') non che ci voglia una scienza... 
Mi stavo immaginando la scena in cui Axel decide di pitturare amorevolmente il bel faccino di Riku e sto ancora ridendo :'D cavolo! Se fosse stato un estraneo, a farlo, probabilmente avrebbe avuto vita breve... Ma in fondo tutti amano Axel! Specialmente certe persone di mia conoscenza xD 
Tornado "seri", che ve ne pare? 
E' la mia impressione o ho sempre meno da dirvi? ò.O Bah... 
Ora vi lascio. Ho finito di leggere Allegiant, quindi credo che andrò a deprimermi per colpa di quel fottutissimo finale >.> magari vedo se il cane di peluche che ho sul letto vuole farmi compagnia... Nel frattempo vi lascio insieme all'istinto omicida di Sora xD 
Non dimenticate di lasciare una recensione! Come faccio a sapere cosa ne pensate sennò? ù.ù 

Buona notte(?) a tutti ^O^!!
E.S.

 

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Capitolo 11
*** Revelations ***


Eleventh chapter: Revelations

Fu un forte odore a lui sconosciuto, con un retrogusto al mentolo, a svegliarlo. Quando aprì gli occhi si ritrovò davanti una mano pallida e ossuta, quasi cadaverica, con dita lunghe e affusolate che faceva oscillare leggermente una boccetta di vetro sotto il suo naso. Ecco da dove proveniva quella puzza vomitevole.

“Era ora, moccioso. Per poco non mi facevi venire un crampo al braccio.” si lamentò il proprietario della mano scheletrica. Era un uomo di circa quarant'anni, smunto, con due gemme smeraldine incastonate in un viso spigoloso, incorniciato da una cascata di lunghi capelli color del fieno ormai sbiaditi dal tempo. Un lungo camice bianco, come quelli che indossavano gli scienziati che vedeva in televisione, lo copriva interamente fino alle caviglie.

“Ho molti progetti in serbo per te, quindi vedi di non farmi perdere altro tempo, che è già poco.” si raccomandò, frugando all'interno di un cassetto del mobile in ferro presente sulla sinistra. Non si trovava più nella sua stanza. Quel posto sembrava più un laboratorio, pieno di provette e tavoli in alluminio con sopra strumenti di dubbi scopi.

“Come?” Sora era ancora frastornato “Scusi, ma lei chi è? Dove mi trovo?” domandò cercando di fare mente locale sugli ultimi fatti. L'unica cosa che ottene, però, fu un po' di mal di testa, quindi ci rinunciò e tornò a curiosare in giro con lo sguardo.

L'uomo si voltò stizzito “Chi sono io? Giovanotto, io sono l'illustre Dottor Vexen Szent-Györgyi, nonché il miglior scienziato pluripremiato della storia degli Stati Uniti. Mi meraviglio che tu non abbia mai sentito il mio nome.” si presentò.

“Non sono di queste parti...” commentò il moretto continuando a guardarsi attorno, un po' intontito dai numerosi neon che campeggiavano sul soffitto.

“Oh, lo so. Sora Sullivan, nato a Nottingham, in Inghilterra, il diciannove luglio 1996. Residente nella città natale con la madre, Daphne Elwyn, e il padre, Alan Sullivan. Studente dell'University of Nottingham con la media del nove... Devo continuare?” domandò serafico, guardandolo negli occhi dall'alto.

Sora deglutì a vuoto “Come fa ad avere tutte queste informazioni?” chiese, accorgendosi solo in quel momento che aveva le mani bloccate da delle spesse corde ai lati della testa. Si trovava disteso supino su un ripiano in metallo, il dorso scoperto dall'assenza della maglia e le caviglie bloccate, proprio come i polsi, probabilmente alle gambe di quello che poteva essere definito come tavolo. Finalmente riuscì a ricordare: la luce che si spegneva, qualcuno che lo afferrava da dietro, il cercare di trattenere inutilmente il respiro, le capacità motorie che lo salutavano. L'avevano rapito! “Dove mi avete portato?” domandò in preda al panico, dimenandosi e sentendo le corde sfregare fastidiosamente contro la pelle dei polsi.

L'uomo lo fissò male “Se non vuoi che ti sedi, vedi di non farmi innervosire.” minacciò “Ritengo giusto spiegarti ciò che è successo e ciò che succederà, ma non è un mio dovere, quindi, vista la tua posizione, trovo più saggio che tu te ne approfitti.” disse.

Il piccoletto smise di dimenarsi, tanto era inutile, e cercò di calmarsi. Aveva bisogno di risposte, voleva capire cosa stesse succedendo, ma ciò non significava che il suo cuore potesse riprendere a battere normalmente e il nodo alla gola avesse la possibilità di sciogliersi.

“Comincerei dalle informazioni di base. Da secoli, ormai, il nostro Stato registra casi, avvenimenti misteriosi con una caratteristica precisa. Il tredici maggio del 1857, ad esempio, un prete fu rinvenuto morto in un fienile nello stato dell'Arkansas; l'uomo era morto per dissanguamento, le uniche ferite che riportava erano dei fori all'altezza della giugulare e dei polsi; non si riuscì mai a capire da quale oggetto contundente fossero stati causati o chi fu l'artefice, quindi il caso venne archiviato. Decenni dopo, il sette ottobre del 1894, in California una scrittrice fu trovata nelle stesse condizioni del prete e anche quella volta non si venne a conoscenza né del colpevole né dell'arma usata. Questi sono solo due esempi, i casi come questi sono più di quanti tu possa immaginare, anche nel resto del mondo. Per questo motivo il Governo, circa venticinque anni fa, ha deciso di far eseguire delle indagini segretamente -per non gettare terrore tra la popolazione- per poterne venire a capo. L'incarico venne affidato al miglior generale di cui gli Stati Uniti disponeva, che formò personalmente il proprio gruppo di investigatori, tra ricercatori, informatici e militari. Furono condotte molte ricerche, le prime si rivelarono inconcludenti, ma circa sette anni fa riuscimmo ad individuare un soggetto particolare.” si fermò titubante, non sapeva come continuare, ma poi riprese “Leggi molto, vero Sora?” l'uomo non aveva bisogno di una risposta, aveva raccolto abbastanza informazioni sul moretto da conoscerlo quasi come se fosse un suo parente “Avrai sicuramente sentito parlare di creature mitologiche come licantropi e... vampiri, giusto?” chiese.

L'inglesino non capì cosa centrassero le figure mitologiche o perché gli stesse raccontando tutte quelle cose. Delle domande che aveva, ancora nessuna aveva ottenuto risposta, ma ciò che diceva era interessante e lui amava le storie, quindi si limitò ad annuire curioso. Ormai si era persino dimenticato di dove fosse e in che condizioni.

L'uomo annuì a sua volta, come a confermare la sua ipotesi, poi continuò a raccontare “Probabilmente non crederai a ciò che sto per dirti, io stesso rimasi scettico quando lo scoprii, eppure è un qualcosa del tutto fondato. Il soggetto prima citato era un uomo che da anni si occupava di azioni finanziarie, dei mercati, delle relazioni con gli altri Paesi, e che nel tempo era riuscito a guadagnare una grande fortuna. Viveva a Chicago con sua moglie e i suoi due figli, ma alla morte del suocero la sua famiglia ereditò un'imponente tenuta nella parte più isolata della città di Boston e decise di trasferirvisi. A prima vista poteva sembrare un normale cittadino con un po' più di fortuna dalla sua parte, il Governo stesso lo pensava, ma dovette ricredersi quando, facendo dei controlli, venne fuori che quell'uomo era stato visto più volte in diverse parti del mondo. È una cosa normale se una persona ha la passione per il viaggio, ma il punto è che questi avvistamenti sono avvenuti a secoli, a volte millenni, di distanza l'uno dall'altro. Come può un uomo vivere così a lungo? Semplice, è del tutto impossibile. Le ricerche furono approfondite, il soggetto venne pedinato e altri insoliti comportamenti furono notati. La conclusione, seppur assurda, era che quell'uomo non aveva nulla di umano. Però nessuno riusciva a crederci, quindi serviva una prova più concreta, una prova che avrebbe dato una risposta definitiva e che non sarebbe mai potuta essere messa in dubbio. Occorreva un campione di DNA. Non ci andava di ottenere ciò che volevamo usando inutilmente la forza, quindi incontrammo l'uomo lontani da occhi indiscreti e parlammo civilmente. Gli spiegammo, a grandi linee, delle ricerche che avevamo iniziato a condurre, le nostre motivazioni e che volevamo una prova concreta sull'esistenza della sua specie. All'inizio era molto restio nei nostri confronti, non ammise nulla, ma alla fine collaborò donandoci spontaneamente campioni di DNA. Molti dei migliori scienziati statunitensi, io compreso seppur di origini straniere, iniziarono a lavorare su quelle piccole ma preziose fonti che avrebbero potuto portarci ad arricchire le nostre conoscenze a fin di bene. Fu così che scoprimmo l'esistenza di quelli che la popolazione era solita definire come vampiri. Ti starai chiedendo cosa centra tutto questo con te.”

Sora, effettivamente, se l'era domandato, ma doveva ancora accettare l'idea che ciò che quell'uomo aveva detto fosse vero quindi non ci diede molto peso.

“Beh, credo che per farti arrivare al punto mi basti dire vhe il nome del soggetto di cui ti ho raccontato è Tore Davenport.” affermò.

Il piccoletto rimase un attimo perplesso -perché quel nome doveva aiutarlo a capire?-, ma un attimo dopo stava già guardando lo scienziato con gli occhi pieni di stupore “Riku...” sussurrò. Perché gli venne in mente prima lui e non Hana, non riuscì a capirlo, ma poco importava.

“Esatto, giovanotto. Tore era il padre di Riku e Hana Davenport. Purtroppo morì insieme alla moglie in un incidente stradale e i due giovani rimasero orfani all'età di quindici e quattordici anni. Durante uno dei nostri precedenti incontri per le ricerche sul suo materiale genetico, però, l'uomo affermò che anche i suoi figli avevano mostrato capacità sovrumane. Gli chiedemmo di essere più preciso possibile, così lui affermò che il giovane Riku, sin dalla tenera età di cinque anni, mostrò un miglioramento incredibile nelle capacità fisiche ogni qual volta che provava forti emozioni -perlopiù negative-, mentre la più piccola, già dalla nascita, aveva sviluppato molto più del normale il senso della vista e quello dell'udito.” si fermò per dare il tempo al ragazzino di assimilare tutte quelle informazioni, poi proseguì “Tore desiderava saperne di più su quella faccenda, per questo ci chiese se avessimo potuto analizzare anche il DNA dei suoi figli, a patto che le loro identità rimanessero riservate così da poter condurre, in futuro, una vita normale. Noi volevano la stessa cosa, per cui non ci fu alcun problema ad accettare. Però ne sorsero dopo la sua morte, poiché non era riuscito a parlare ai due giovani dell'accordo ed essi rifiutarono categoricamente di avere a che fare con noi. Non sappiamo ancora il perché, forse il fatto che loro padre avesse collaborato con noi porta loro alla mente ricordi non tanto piacevoli da rimembrare, non dopo la sua scomparsa. Nonostante questo, abbiamo tentato più volte di spiegar loro la situazione nella speranza di convincerli a concedersi di loro spontanea volontà, ma è stato tutto vano. Noi, però, non possiamo ignorare le informazioni ricevute, quindi dopo aver tentato per anni di riuscire a farli collaborare con le buone, abbiamo deciso di passare alle cattive.” affermò.

“Cioè?” domandò il moretto, preoccupato per i suoi due amici.

“A noi più che altro interessa l'abilità di Riku, per tanto ci siamo presi la libertà di portarlo qua, esattamente come con te, e di prelevargli dei campioni di sangue su cui abbiamo successivamente lavorato. Contrariamente alle nostre aspettative, non ci è voluto molto per ottenere ciò che volevamo e ora il siero è pronto.” spiegò lo scienziato, avvicinando un carrellino al tavolo su cui erano posati una siringa, contenente una sostanza giallognola, del disinfettante e un paio di batuffoli di cotone. Prese un paio di guanti bianchi in lattice da un mobiletto, poi versò il liquido sterilizzante sull'ovatta e si avvicinò alla testa del ragazzino.

“Cosa vuole fare? Si allontani!” Sora prese nuovamente a dimenarsi cercando inutilmente di liberare almeno le mani, causando l'irritazione dell'uomo.

“Sbaglio o ti avevo detto di stare fermo? Ho solo intenzione di iniettarti questa sostanza creata dal DNA di Riku. Non sono ancora certo dell'effetto, ma l'intenzione è di andare a modificare il tuo materiale genetico donandoti all'incirca le stesse abilità del tuo amico.” disse il dottore, riuscendo finalmente a passare l'antisettico sul collo dell'altro.

“Ha intenzione di usarmi come cavia da laboratorio!” protestò indignato l'inglesino, mentre muoveva il capo nella vana speranza di riuscire a fuggire dalla presa dell'altro, che lo teneva fermo contro il tavolo con una mano sulla tempia sinistra. Persino un vecchietto come quello, era più forte di lui.

Il freddo accademico ghignò prendendo in mano la siringa e avvicinandola al collo del piccoletto. A lui interessava solo ottenere i risultati che voleva, anche se per farlo doveva usare modi disumani e per niente conformi all'etica “Esattamente.” affermò, facendo forza sull'impugnatura dello strumento per permettere all'ago di penetrare nella carne tenera.

Sora riuscì a sentire l'estremità appuntita premere sulla pelle pungendolo e subito dopo perforarla come quando suo padre usava il trapano per bucare la parete del salotto in modo da appendere i quadri che sua madre amava tanto. Cercò di rimanere fermo immobile, ma faceva ugualmente male. La sostanza, inoltre, una volta entrata in circolazione iniziò a bruciare, facendogli lacrimare gli occhi e digrignare i denti per non urlare. I vaccini erano una puntura di zanzara, a confronto.

Per il moretto fu un grande sollievo quando, dopo aver iniettato tutta la sostanza, l'uomo sfilò la siringa premendo un altro pezzo di cotone imbevuto di disinfettante sopra il piccolissimo foro sul suo collo.

“Dovrebbe iniziare a fare effetto tra circa quarantacinque minuti, per tanto ti consiglio di riposare nel frattempo. Se tutto va come dovrebbe andare, ne avrai bisogno.” disse, per poi uscire dalla stanza lasciandolo solo.

Sora sospirò frustrato.

Maledette vacanze natalizie.

Maledetto Tidus!

Chiuse gli occhi tentando di non pensare al bruciore che continuava a sentire e che sembrava espandersi lentamente. Ripensò a cosa gli aveva raccontato quel tizio e aveva come la sensazione di essersi fatto sfuggire qualcosa, ma non capiva cosa. Decise di lasciar perdere, così da evitare di farsi venire mal di testa. L'unica cosa che gli rimaneva da fare era attendere che il siero facesse effetto. Guardando il lato positivo, se tutto andava secondo le previsioni dello scienziato, Sora sarebbe potuto essere al pari di Riku.

L'uomo gli aveva detto che avevano sequestrato anche lui. Chissà come se la stava passando...

 


Ehilà, gente!
A quanto pare non riuscirò mai ad essere puntuale, quindi ho deciso di aggiornare appena riesco. Cercherò comunque di farlo una volta a settimana. 
Passando al capitolo, finalmente(?) avete un bel po' di risposte! Sempre se avevate domande... Però non tutto è stato chiarito/svelato ;P
Quella che il caro Vexen ha raccontato al piccolo e indifeso Sora come vi sembra come storia? 
Non uccidetemi per ciò che ho fatto a Sora >.< è per esigenze di copione!
Chiudo qui che ho da studiare storia per la verifica di domani ç_ç fatemi sapere cosa ne pensate e tutte le vostre eventuali teorie su ciò che non ho ancora "spiegato", come ad esempio il lupo ;) 

Bye bye,
E.S.

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Capitolo 12
*** Rescue ***


Twelfth chapter: Rescue

Vide entrare un uomo in camice bianco che subito si affiancò al collega, Zexion. Quest'ultimo era un ragazzo poco più alto dell'inglesino, con i capelli cerulei che gli coprivano per metà il viso, su cui erano incastonati un paio di occhi azzurri. Era stato lui a prendere liberamente un campione del suo DNA, senza curarsi di chiedere se fosse d'accordo o meno -anche se la risposta sarebbe stata ovvia. Lo aveva analizzato e consegnato a un suo collega, poi era tornato a lavorare su alcune formule genetiche. Cosa ne avessero fatto del suo sangue, non lo poteva sapere, così come non sapeva dove fosse Sora e cosa gli stessero facendo.

L'uomo entrato sussurrò qualcosa all'orecchio del ragazzo, poi se ne andò così com'era venuto. Il ceruleo si voltò verso di lui, sul viso un'espressione fredda che non lasciava trapelare nulla.

“Immagino tu voglia delle spiegazioni.” affermò, alzandosi e avvicinandosi alla sedia alla quale era stato legato l'argenteo.

Riku non parlò. Non perché la risposta fosse più che ovvia, ma semplicemente perché gli avevano tappato la bocca con del nastro adesivo.

“Come ben saprai, la nostra Organizzazione è interessata al tuo materiale genetico da anni, ormai. Visto che ce l'hai cortesemente fornito...” l'albino lo guardò truce, quasi a volerlo uccidere “...abbiamo potuto iniziare la serie di esperimenti di cui necessitiamo per arrivare al nostro obiettivo.” si alzò e si diresse a un computer collegato a un enorme schermo appeso alla parete “Sai, il tuo amico è un soggetto poco interessante.” disse mentre digitava qualcosa su una tastiera. Sullo schermo apparve una serie di documenti, tutti riguardanti Sora. Cliccò su un file e si aprì una foto scolastica di un paio d'anni fa. Ritraeva il moretto, con la sua classe, tutto sorridente con indosso una divisa bianca e azzurra “Ho fatto molte ricerche, ma è risultato essere una persona come tante. Vive a Nottingham con i suoi genitori, frequenta l'ultimo anno di università con una buona media, ama leggere... niente di che. Anche la sua cerchia di amici è composta da gente comune.” aprì un altro file contenente la registrazione di una telecamera di sorveglianza. Sora si trovava all'interno di una biblioteca e chiacchierava con un paio di ragazzi davanti a un libro aperto. Non c'era l'audio, ma dalle loro facce sembrava essere un discorso serio, forse stavano studiando “In ogni caso è adatto ai nostri scopi.” disse, chiudendo tutto.

Riku tornò a fissarlo e l'altro ragazzo ricambiò “Come possiamo sapere se l'esperimento sta procedendo bene se prima non lo testiamo?” chiese retoricamente senza cambiare espressione.

L'argenteo capì cosa voleva dire: avevano intenzione di usare quel ragazzino come cavia. Cominciò a strattonare rabbioso le manette che gli legavano i polsi dietro alla sedia, ma a causa della sostanza che gli avevano iniettato per inibire le sue capacità -così le avevano chiamate- non riusciva a liberarsene.

“È inutile, lo sai.” disse tornando a sedersi alla sua postazione di lavoro “Non preoccuparti, dai risultati sembrerebbe che tutto stia procedendo bene.”

In quel momento entrò un altro membro dell'Organizzazione. Dalla divisa, Riku poté capire che faceva parte della Squadra Militare, lo stesso gruppo di persone che si era preso la briga di portarli in quel luogo. Indossava pantaloni, guanti, scarponcini e giacca in pelle nera, con un cappuccio che non permetteva di distinguere bene i lineamenti del viso e una pistola inserita nella fondina attaccata alla cintura. Dalla corporatura -stranamente familiare- sembrava essere un ragazzo. Lo vide consegnare un foglio al ceruleo e poi girare leggermente il capo dalla sua parte. Riku aveva uno strano presentimento, ma non negativo come sempre, quella volta era un presentimento positivo e non sapeva se potersi rilassare o se rimanere in guardia nel caso si rivelasse falso.

Zexion si alzò nuovamente “Tienimelo d'occhio.” detto questo si avvicinò alla porta.

Nel frattempo l'altra persona si era seduta alla postazione del ragazzo e aveva poggiato i piedi al tavolo, portandosi le braccia dietro alla testa.

Il ceruleo non sembrò esserne felice “Ti consiglio di tirare giù quei piedi se non vuoi che il capo riceva una comunicazione di demerito sul tuo conto.” minacciò.

L'altro sbuffò e si sedette un po' più compostamente, accavallando una gamba sull'altra e incrociando le braccia.

Riku, se avesse potuto, avrebbe sorriso: una sola persona aveva quell'esatto modo di comportarsi e il fisico corrispondeva perfettamente.

“Meglio.” Zexion uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Il ragazzo incappucciato aspettò un paio di minuti, poi si alzò andando velocemente a togliergli il nastro dalla bocca.

“Come ci avete trovato?” chiese l'argenteo sentendo le labbra pizzicare.

Il ragazzo si tolse il cappuccio “Fottuta divisa. Mi ha rovinato i capelli!” disse cercando di sistemare con le mani guantate la folta chioma rossa “Comunque, tua sorella è riuscita a rintracciare il segnale del cellulare di Sora. Lo hanno spento non appena siete arrivati qua, ma per fortuna era già riuscita a localizzarvi.” rispose.

Hana era veramente un portento con i computer e questo rendeva Riku ancora più fiero di averla come sorella “Non hai le chiavi, vero Rosso?” chiese all'amico facendo tintinnare le manette.

Il ragazzo scosse la testa “Però ho un metodo alternativo!” affermò tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un coltellino svizzero. Girò intorno alla sedia arrivandogli alle spalle e si mise a trafficare con l'oggetto preso “Perché non ti sei liberato da solo? Dovrebbe essere una cavolata per te.”

“In un certo senso, mi hanno bloccato questo mio... potere.” affermò.

Pochi minuti dopo Riku poté finalmente muovere le braccia indolenzite.

“Qual è il piano?” domandò.

Axel aprì un armadietto lì vicino iniziando a frugarvici dentro “Mettiti questi, Superman, poi seguimi.” disse lanciandogli dei vestiti neri e avvicinandosi alla porta, mentre si calava il cappuccio sulla testa, per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno.

Riku li guardò meglio e si accorse che era la divisa della Squadra Militare dell'Organizzazione. Si tolse la felpa, le scarpe e i pantaloni, indossando gli altri abiti in pelle. Nascose i suoi vestiti nell'armadietto e si avvicinò all'amico tirandosi su il cappuccio.

Lui lo guardò un po' seccato.

“Che c'è?” chiese l'argenteo irritato; gli dava fastidio che lo guardassero in quel modo.

“I tuoi occhi sono rossi. Cerca il modo di nasconderli o ci scopriranno.” disse.

Riku sbuffò guardandosi attorno alla ricerca di un oggetto per coprirli, senza capire perché li avesse di quel colore visto che, tutto sommato, era abbastanza tranquillo. Al massimo era preoccupato per l'inglesino, ma questo non lo avrebbe mai ammesso. Vide una felpa nera in tessuto fine abbandonata sul tavolo di Zexion e gli venne un'idea. La prese e ne strappò con i denti una striscia che, dopo essersi abbassato il cappuccio, legò intorno alla testa come una benda.

“Così va bene?” chiese.

Axel lo guardò scettico “Spiegami come farai a vedere con quell'affare sugli occhi.”

L'amico sospirò “Non preoccuparti di questo. Piuttosto, si vedono ancora?”

“Che razza di domanda è?” lasciò intendere che la risposta fosse un no “Alzati quel cappuccio e seguimi.” ordinò.

L'albino fece come gli era stato detto, poi seguì Axel che nel frattempo aveva aperto la porta ed era sgattaiolato fuori assicurandosi che non ci fosse nessuno. Quando si furono accertati che la via fosse libera, iniziarono a percorrere i vari corridoi all'interno della struttura alla ricerca di Sora.

“Sai dove possa essere?” chiese al rosso.

“No, ma mi ci vuole un attimo per scoprirlo.” disse, prendendo il suo cellulare. Lo vide scegliere dal registro delle ultime chiamate il numero della sorella e portarsi il dispositivo all'orecchio “Sono io, l'hai trovato?” Riku si chiese come potesse sua sorella sapere dove fosse quel ragazzino “Andiamo subito.” chiuse la chiamata “È nell'altra ala dell'edificio.”

“Come fa a saperlo?” domandò riferendosi ad Hana.

“Tua sorella ha preso in prestito la sala controllo della videosorveglianza. C'erano un paio di guardie, ma le ha messe entrambe fuori gioco. Ora vede e sente tutto, più di prima!” rise leggermente scendendo le scale “Inoltre ho inviato quel ragazzino dai capelli azzurri proprio da lei, in modo che potesse metterlo KO impedendogli di dare l'allarme nel momento in cui non ti avrebbe più ritrovato ammanettato alla sedia.”

“Avete pensato proprio a tutto.” commentò l'argenteo.

“Ovvio! O le cose le fai bene, o non le fai proprio.” disse agitando l'indice della mano sinistra nella sua direzione, come se gli stesse impartendo una lezione “Sicuro di riuscire a vedere?” chiese poi.

“Il fatto che io non sia ancora caduto non ti fa presumere nulla?” Riku si domandò perché l'amico fosse così idiota, certe volte.

“Touché!” rise l'altro.

***

Fortunatamente riuscirono a passare inosservati per tutto il tragitto fino a Sora.

Davanti alla porta del laboratorio c'erano due guardie, ma ad Axel bastò mostrare un foglio per poter ottenere il permesso di entrare.

“Dovremmo essere qui per prelevarlo e trasferirlo in un'altra stanza, quindi vedi di fare in fretta o s'insospettiranno.” lo informò Axel.

Riku annuì e cercò con lo sguardo il moretto. Lo trovò poco più in là, disteso e legato su un tavolo. Gli si avvicinò e iniziò a slegarlo.

Il piccoletto era bollente e sudato, aveva gli occhi chiusi e respirava dalla bocca.

“Ha la febbre.” disse l'argenteo all'amico. Finito di liberarlo lo mise a sedere mettendogli una mano dietro la testa e un braccio sulle spalle. A quel tocco il ragazzino rabbrividì rannicchiandosi contro il petto del maggiore.

“Che cosa carina.” commentò il rosso sorridendo alla scena. L'espressione mutò quando l'argenteo si voltò dalla sua parte, facendogli capire che se non avesse chiuso la bocca di sua spontanea volontà gliela avrebbe tappata lui e non sarebbe stato indolore “Scusa.”

“Cerca qualcosa con cui coprirlo, invece di dire idiozie.” ordinò l'albino.

“Sissignore!” scherzò l'altro. Vagò per il laboratorio alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse essere usato come coperta. Frugò negli armadietti e dentro i cassetti, finché non trovò un kit di primo soccorso. Aprì la valigetta e iniziò a tirar fuori siringhe, forbici, garze e altri oggetti che in quel momento erano utili quanto una mela per fare una spremuta d'arancia. Poi trovò quel che cercava e pensò di essere la persona più fortunata al mondo “Una coperta termica va bene?” domandò avvicinandosi all'amico, che nel frattempo aveva preso in braccio il piccoletto.

Riku si limitò ad annuire.

Axel aprì bene la coperta e la posò sul malato, assicurandosi che fosse ben coperto. Poi fece cenno all'argenteo di seguirlo. Uscirono passando davanti alle guardie e si diressero a Nord dell'edificio, dove avrebbero trovato l'uscita secondaria e dove Hana li avrebbe raggiunti. Nonostante fossero passati per i corridoi meno frequentati che ci fossero, alcuni uomini in divisa li fermarono per accertarsi che fosse tutto a posto. Axel mostrò loro lo stesso foglio che fece vedere alle guardie davanti al laboratorio e quelli li fecero passare.

“Dove l'hai preso quel permesso?” chiese al rosso.

“Io e Hana ne abbiamo trovato uno simile nella sala videosorveglianza, quindi ci è bastato ricrearne uno uguale, ma con i dati che ci servivano, stamparlo e poi falsificare la firma per avere il permesso di trasferire Sora. Stessa cosa per quello che ho mostrato al ragazzino dai capelli azzurri, solo che quello richiedeva la sua presenza alla sala videosorveglianza per un'anomalia.” spiegò.

Scesero una rampa di scale e svoltarono a destra, ormai quasi a destinazione, quando si ritrovarono di fronte un uomo in divisa che puntava la propria pistola alla testa di Hana. Aveva i capelli brizzolati legati in una coda, una benda nera gli copriva l'occhio destro, lasciando scoperto quello sinistro color dell'ambra, mentre una lunga cicatrice gli percorreva il lato sinistro del viso. Teneva i polsi della ragazza bloccati con una mano dietro la schiena di quest'ultima, mentre con l'altra puntava la canna della sua pistola alla tempia della giovane, che li guardava dispiaciuta per aver rovinato tutto.

I due ragazzi si fermarono all'istante, rimanendo a guardare la scena senza sapere come procedere.

“Nessuno lascerà questo posto.” affermò l'uomo, ghignando malevolo.

 


Hallelujah! 
Dall'ultima volta che ho toccato questa storia sono passati 24 giorni... che tristezza. Ma ho una scusante! Ho passato due settimane a far finta di studiare come una dannata per verifiche e interrogazioni varie, mentre la terza me la sono presa come vacanza da tutto e tutti, tranne dai libri! Infatti ho finito di leggere la serie Divergent *^* è asolutamente fa-vo-lo-sa! Ahaha. Ora passo a leggere Hunger Games :)
Comunque! 
Questo capitolo l'ho iniziato stamattina, per di più mentre lo scrivevo -in un attimo di purissima follia- mi sono scaricata la canzone Barbie Girl e mi sono messa ad ascoltarla per tutto il tempo. Il risultato è quel che vedete... In compenso mi è venuta un'ideuccia divertente -spero- da mettere per iscritto (anche se delle 2 mila idee che mi vengono solo una viene messa per iscritto, di solito).
E visto che siamo in argomento vi annuncio che, anche se non vi interesserà un fico secco, probabilmente dopo Corrupted Blood aprirò un'altra fic che spero risulti più corta. Se credete che io non metta Hana pure lì, allora credete male e non mi conoscete affatto u.u ormai quella ragazza è diventata un personaggio standard nelle mie fiction xD secondo il progetto sarà sicuramente un AU con una o più coppie het, per il resto devo ancora vedere. Una traccia di trama ce l'ho ('sta volta mi sono fatta una scaletta xD!!), ma nulla è definitivamente definitivo (?). 
Ok, devo scappare che è tardi. 
Fatemi sapere che ne pensate di questo obbrobrio sfornato durante l'ascolto di Barbie Girl ;)
'Notte :D

Buona Pasqua a tutti (:
E.S.

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Capitolo 13
*** Now we're even ***


Thirteenth chapter: Now we're even
 

Axel sfilò la sua pistola dalla fondina, puntandola verso l'unica parte dell'uomo non coperta dal corpo di Hana, la testa. L'altro si mise subito sulla difensiva, aumentando la presa intorno ai polsi della ragazza e premendo ancora di più la canna sulla sua tempia. Sicuramente le sarebbe rimasto un segno rosso sulla pelle.

“Non credo ti convenga sparare, se non vuoi che la tua amichetta faccia la stessa fine.” minacciò il guercio.

Il rosso non demorse, continuò a mantenere la mira, probabilmente aspettando un cenno da parte dell'amico.

Riku aveva preso a mordersi il labbro inferiore, ora il gusto metallico del sangue gli invadeva la bocca. In quel momento aveva tanta voglia di uccidere quell'individuo che aveva osato mettere le mani su sua sorella, ma non poteva, non senza recarle irrimediabilmente danno o rischiare di mettere in pericolo Sora più di quel che già non era. Però non poteva starsene lì con le mani in mano, era colpa sua se si erano ritrovati tutti in quella situazione. Se non avesse abbassato la guardia nulla di tutto quello sarebbe successo. Si ritrovò a pensare che non era da lui farlo, che normalmente non avrebbe mai permesso a qualcuno di trovarlo impreparato. Avrebbe sentito il pericolo, lo avrebbe percepito a pelle prima ancora che esso si manifestasse e avrebbe già avuto pronto un contrattacco. Lui non sarebbe mai stato una preda, mai. Non era nella sua natura. È vero: l'Organizzazione gli ha dato la caccia per tanti, troppi anni, ma ciò non faceva di lui una preda. Lui non era mai scappato durante i continui attacchi, aveva combattuto contro tutti gli individui vestiti di nero che l'Organizzazione gli aveva mandato contro, e lo aveva fatto accanto a sua sorella e al suo migliore amico. Eppure quel suo campanello d'allarme era stato inibito da qualcosa, come se gli avessero staccato la spina. Ed era deciso a scoprire cosa fosse, per distruggerlo, disintegrarlo, perché la colpa -capì- in realtà era di quel qualcosa. Poi però sentì il ragazzino che teneva fra le braccia accoccolarsi ancora di più sul suo petto, in cerca di più calore, e comprese che non ce l'avrebbe mai fatta ad annientare quella cosa, perché il suo freno inibitore era il piccoletto. Lo capì da come riusciva ad addolcirsi anche solo guardandolo per pochi istanti. Se un attimo prima desiderava uccidere il guercio, ora gli veniva quasi da sorridere dolcemente vedendo quanto il moretto fosse piccolo in confronto a lui. Però quella sensazione passò in fretta, perché si ricordò chi glielo aveva ridotto in quello stato. Ed ecco che la rabbia si faceva nuovamente strada in lui. L'avrebbero pagata cara, molto cara.

“Metti la pistola a terra.” ordinò l'uomo ad Axel.

Il suo amico non si fece intimidire e rimase fermo esattamente com'era.

Riku pensò quante probabilità c'erano che il brizzolato riuscisse a premere il grilletto dopo aver ricevuto un colpo in testa dal rosso. Normalmente avrebbe pensato che non ce l'avrebbe fatta, ma la Squadra Militare era composta da soldati più che addestrati e competenti, i migliori in circolazione. Il guercio non faceva eccezione. Però c'era un piccolo particolare che l'uomo non aveva calcolato -probabilmente nessuno lo farebbe mai.

“Ti dispiacerebbe tenermi un attimo il ragazzino?” domandò l'argenteo ad Axel porgendogli il carico.

L'amico prese in braccio l'inglesino guardando confuso l'altro, che gli sfilò dalle mani l'arma puntandola a sua volta contro il soldato.

“Solo perché ora sei tu a tenere la pistola in mano, non significa che le condizioni cambino, Riku.” affermò il brizzolato.

Il suo nome doveva essere famoso, tra quella gente. Tutti lo conoscevano, ma lui non aveva visto ancora nessuna faccia familiare.

“Non è nelle mie intenzioni.” disse abbassandosi il cappuccio e sfilandosi la benda improvvisata che gli copriva gli occhi -ormai non serviva più. Quando essa cadde perterra e lui alzò lo sguardo, vide sua sorella sussultare. Forse il colore delle iridi non era tornato esattamente normale, ma aveva bisogno di vedere bene per essere certo che quella specie di piano improvvisato funzionasse.

Il guerciò ghignò “Oh ma guarda, il tuo fratellino si è arrabbiato.” disse all'orecchio della ragazza.

Riku non aspettò oltre. In un battito di ciglia sparò alla mano dell'aggressore facendogli cadere la pistola con un grido di dolore. Hana ne approfittò per liberarsi della morsa e tirargli una gomitata nello stomaco, che lo costrinse a piegarsi in due dal dolore. Tutti e tre superarono l'uomo correndo verso l'uscita, mentre sentirono un forte allarme risuonare per l'intera struttura. Sparando si erano fatti scoprire, ma in quel momento l'importante era raggiungere la macchina di Axel parcheggiata al di là del bosco.

L'argenteo non aveva idea di dove fossero stati portati, ma sapeva di non poter tornare a casa. Non con Sora in quelle condizioni. Li avrebbero raggiunti e presi un'altra volta, assicurandosi che non avessero più avuto modo di scappare, aumentando le misure di sicurezza e la sorveglianza.

“Andiamo a casa mia.” affermò il rosso.

Voleva dirgli che non era poi tanto diverso dall'andare a casa loro, ma per il momento era meglio che niente. Forse c'era qualche piccola probabilità che l'Organizzazione non avesse ritenuto necessario localizzare quell'appartamento. Forse avrebbero avuto un piccolo attimo di pace. Forse.

Spalancarono le porte dell'uscita di sicurezza, Hana corse fino alla rete metallica che circondava l'intero edificio e ne sollevò una parte che lei e Axel avevano provveduto a tagliare per entrare. Superato l'ostacolo, rimanevano solo venti metri a separarli dalla fitta boscaglia. Sentirono i primi uomini armati arrivare e cominciare a sparare nella loro direzione, attraverso le maglie metalliche.

Riku cadde a terra con un dolore lancinante senza capire cosa fosse successo. Tentò di alzarsi in piedi, ma una dolorosa fitta arrivò dal suo fianco sinistro facendolo gemere a denti stretti e crollare nuovamente al suolo. Abbassò lo sguardo sulla ferita e vide il pantalone in pelle perforato, lasciando intravedere il sangue che fuoriusciva dal foro provocato da un proiettile.

“Riku!” la sorella tornò sui suoi passi, raggiungendolo. Lo aiutò ad alzarsi mettendogli un braccio intorno alla vita e facendo passare quello del fratello intorno al proprio collo. Riuscirono a raggiungere il bosco, dove i militari li perdettero di vista. Superarono la boscaglia facendo molta attenzione a non inciampare. Era buio e non si vedeva niente, ma Riku contava sull'ottima vista di sua sorella.

Arrivarono alla macchina salvi, ma non sani.

Axel fece sdraiare il piccoletto sui sedili posteriori, poggiandogli la testa sulle gambe della ragazza, mentre lui si mise al volante, con Riku accanto.

Il tragitto lo passarono in silenzio. Axel concentrato sulla strada, Riku che cercare di fermare l'emorragia premendo la mano sulla ferita e Hana che carezzava i capelli di Sora guardando preccupata un po' lui e un po' suo fratello. Aveva combinato un casino.

***

L'appartamento di Axel era modesto in confronto alla loro casa. Si apriva in una piccola entrata che poi proseguiva con corto corridoio. Sulla destra c'era il bagno e la stanza del rosso, mentre sulla sinistra un ripostiglio e una seconda camera per quando io, Riku o Saix ci fermavamo a dormire. Al fondo vi era una piccola sala da pranzo, che fungeva anche da salotto, e un cucinino sulla destra. Nonostante i due fratelli fossero abituati a tutt'altro ambiente, dovevano ammettere che quel piccolo ma gradevole alloggio riusciva a racchiudere in sé quel conforto che si provava quando si era a casa propria, e lo faceva meglio della loro villa, che in questioni di vissuto niente e nessuno poteva batterla.

Mantenendo il sangue freddo, Axel ordinò all'amica di occuparsi del moretto, mentre lui faceva sdraiare l'argenteo sul tavolo in legno, che in pochi istanti si trasformò in una specie di lettino ospedaliero.

“Devi abbassarti un po' i pantaloni e i boxer, altrimenti non combiniamo nulla.” affermò il rosso diretto all'amico.

Quest'ultimo rise appena “Se non sapessi a cosa ti stessi riferendo, quella frase risulterebbe a dir poco ambigua.” disse, calandosi le brache e l'intimo abbastanza da scoprire la ferita sanguinante.

Axel gli diede dell'idiota, mettendosi subito a visionare la lesione che ripotava “Per tua fortuna, il proiettile non sembra essere andato troppo in profondità. Dobbiamo levarlo con un paio di pinze e poi chiudere tutto.” lui sì che sapeva essere professionale e rassicurante. Alzò lo sguardo quando si sentì fissato: Riku lo stava guardando diffidente “Che c'è?” chiese.

“Vorresti farmi credere che tu saresti in grado di farlo?” domandò inarcando un sopraciglio.

L'altro corrugò la fronte, offeso, ma prima che potesse parlare Hana si intromise “Pensa a Sora, Rosso, me ne occupo io qua, che è meglio.” affermò con un piccolo sorriso divertito. Si sentiva colpevole, e anche se sapeva che finché il fratello non l'avrebbe perdonata lei non si sarebbe sentita in pace, doveva in qualche modo provare a rimediare al suo errore. Mentre il ragazzo dagli occhi verdi spariva silenzioso dietro la porta della temporanea stanza di Sora, lei andò a riempire una piccola bacinella con dell'acqua. Non era un'esperta in materia di medicazioni, ma in fondo quanto doveva essere compliacato estrarre una pallottola e chiudere la ferita?

Tornò al tavolo per posare il recipiente e poi andò a lavarsi le mani. Dopo che suo padre curò il piccolo lupetto, la ragazza aveva capito che saper medicare una ferita tornava sempre utile, quindi si era messa a leggere alcuni libri al riguardo. Però non aveva letto nulla che parlasse di ferite d'arma da fuoco e in quel momento sperava solo di non combinare ulteriori complicazioni.

Iniziò a ripulire il fratello dal sangue con una garza inumidita nell'acqua. Cercò di fare più attenzione possibile, ma scappò lo stesso qualche gemito dalla bocca del maggiore e ogni volta che succedeva si sentiva sempre più in colpa.

Riku se ne rese conto, pertanto la fermò dicendole di guardarlo.

La ragazza arrestò la mano ormai tremante e alzò lo sguardo in modo da guardare suo fratello negli occhi, ma lo spostò subito sullo spigolo del tavolo, incapace di sostenere quello del ragazzo. Era colpa sua, tutta colpa sua.

“Ehy, ehy. Hana, guardami.” si alzò a sedere stringendo i denti, mentre la sorella continuava a tenere il capo chino tutta tremante. Le mani andarono a sollevarle il viso. I suoi occhi erano lucidi a causa delle lacrime e si stava mordendo il labbro inferiore. Il maggiore le carezzò la guancia con il pollice e le sorrise “Ehy, va tutto bene. Okay?” lei scosse la testa negando “Invece sì. Non è stata colpa tua, sono io quello che ha abbassato la guardia permettendo a quella gente di rapire me e Sora, non tu.” l'abbracciò, passandole una mano tra i capelli. Lei affondò il viso nell'incavo del suo collo, cominciando a singhiozzare “Sssh. Va tutto bene.” rimasero in quella posizione finché la più piccola non si calmò, poi si districarono dall'abbraccio.

“V-vado a chiamare A-Axel.” affermò dirigendosi nell'altra stanza, ancora scossa da qualche singulto. Se avesse cercato di curare suo fratello in quelle condizioni, probabilmente avrebbe peggiorato ancora di più la sua situazione.

Riku sospirò -non gli era mai piaciuto vederla piangere- continuando a soffrire in silenzio; sembrava che a nessuno importasse del suo fianco. Se non fosse stato complicato, se lo sarebbe tolto da solo quel maledetto proiettile.

In quel momento dal corridoio spuntò la testa rossa dell'amico “Che è successo?” chiese indicando dietro di sé con il pollice.

L'altro scosse la testa, tornando sdraiato “Niente. Sora?” quando erano andati a liberarlo non aveva avuto il tempo per capire cosa avesse di preciso.

Il rosso decise di prendere il posto della ragazza e si andò a lavare le mani, ignorando la domanda dell'argenteo, che rimase perplesso.

“Beh?” insistette.

“Rimane da levare quell'affare e cauterizzare.” affermò prendendo in mano un paio di pinze e un altro arnese, entrambi affatto rassicuranti.

“Cauterizzare? No aspetta un attim-” il ragazzo dovette interrompersi per schiaffarsi una mano sulla bocca e serrare gli occhi. A tradimento Axel aveva iniziato ad allargare il foro con l'utensile di cui non ricordava il nome per permettere alle pinze di entrare e raggiungere l'oggetto indesiderato.

La domanda senza risposta gli era passata di mente.

“Cazzo... Axel!” si lamentò il ferito mordendosi la mano subito dopo per soffocare un urlo. Essere colpito dal proiettile gli aveva fatto male, ma cominciava a credere che estrarlo fosse ben peggio. Non riusciva nemmeno a dire una dannata frase di senso compiuto.

Pochi istanti dopo l'amico finì finalmente con la sua tortura “Lo so che è ben più che doloroso e mi dispiace. Teoricamente avrei dovuto metterci prima del ghiaccio in modo da anestettizarlo un minimo, ma hai perso troppo sangue e il tuo colorito non è dei migliori -non che solitamente lo sia, ovvio. Devo muovermi a chiudere.” spiegò andando nel cucinino.

Nel frattempo Riku ne approfittò per riprendere fiato. Ciò che sarebbe avvenuto dopo non poteva competere con il resto.

Axel gli si avvicinò, mentre passava la lama piuttosto larga di un coltello sulla fiammella di un accendino.

“Starai scherzando, spero!” cominciò a credere che il rosso lo volesse morto.

“No. Ora vedi di tapparti la bocca, non ho voglia di sorbirmi lamentele e domande a cui non potrei rispondere dai miei vicini. Sai, potrebbero insospettirsi se sentissero urla provenire dal mio appartamento nel bel mezzo della notte.”

Quello era Axel. Un attimo prima era amichevole e divertente, quello dopo sembrava un serial killer. Probabilmente non gli sarebbe stato difficile entrare nel ruolo di un sicario, anzi! Era sicuramente la parte più adatta a lui. Magari prima ti abbordava con qualche frase scherzosa e poi ti ritrovavi a giacere in una pozza di sangue.

L'amico migliore che si potesse avere.

Non c'erano dubbi.

E Riku avrebbe riso dei suoi stessi pensieri, se il soggetto dei suddetti non gli avesse poggiato un coletello rovente sulla ferita che quando si muoveva gli mandava ancora fitte. Gli ci vollero pochi centesimi di secondo per registrare il dolore lancinante che gli arrivò. Axel dovette tappargli la bocca, perché lui si era dimenticato di farlo e aveva minacciato di svegliare tutto il condominio. L'argenteo afferò il polso della mano che l'altro gli aveva premuto sulla bocca e iniziò a stringerlo forte -in un tacito 'se soffro io soffri anche tu'- tanto da farne lamentare il proprietario.

La tortura durò quella che al povero malcapitato sembrò un'eternità, quando il rosso allontanò il ferro e andò a cambiare l'acqua della bacinella con una un po' più fresca. Quando poi gli mise sulla ferita ormai chiusa un pezzo di garza inumidito con quel liquido fresco, per lui fu solo un solievo dopo tutto quel martoriare il suo fianco.

Il rosso finì di medicarlo ripulendogli la pelle e applicandogli un bendaggio non troppo stretto.

A quel punto Riku sospirò sollevato, riuscendo a rilassarsi. Gli faceva ancora un po' male e gli bruciava, ma sarebbe passato nel giro di qualche settimana.

“Stai meglio, ora?” chiese Axel sorridendogli mentre riponeva al loro posto tutti gli oggetti ormai inutili.

“Giuro che non appena riacquisirò la facoltà di camminare ti strozzerò con le mie stesse mani.” lo minacciò truce il minore.

L'altro sbuffò imbronciato come un bambino “Quanto sei rancoroso. E poi adesso siamo pari, non sei contento?” domandò.

Prima che Riku riuscisse a rispondergli, Hana entrò in sala interrompendoli.

“Abbiamo un problema con Sora.” sentenziò grave, facendo ricordare al fratello la domanda posta al ragazzo maggiore minuti prima.

 
Salve gente!
Come ve la passate?
Io sono attualmente sommersa tra interrogazioni e verifiche e la mia voglia di studiare è pari alla voglia di Demyx di andare in missione u.u
Comunque sarò veloce!
Mi dispiace per Riku. Poveretto ha sofferto tanto in questo capitolo ); mi dispiace anche per Sora (le cui condizioni non sembrano migliorare) e per Hana che si sente in colpa. Non odiatela. Dovrei riuscire a mettere anche il motivo per cui si è fatta beccare... spero.
E' sempre fantastico immaginare Axel come un serial killer ahaha ma cosa vorrà dire con quel 'ora siamo pari'? Lo ammetto: non è poi così tanto incapibile >.>" comunque sono aperte le scommesse e chi indovinerà riceverà a tempo debito la possibilità di passare una giornata intera o con Axel o con Sora (?). Un'offerta irripetibile u.u
Ok, ora poso lasciarvi dicendo che dal prossimo capitolo si scoprirà finalmente cosa ha portato la mia mente malata a scrivere questa storia xD
Ringrazio _Aelon_ per aver inserito la storia tra le preferite e tutti coloro che la seguono/recensiscono <3
Ah! Se notate errori, scusate. Il correttore di Open Office ha deciso di non funzionare più e ora ogni minima parola che scrivo mi viene segnalata come errore ç_ç devo trovare una soluzione...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)

Baci,
E.S.

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Capitolo 14
*** Golden eyes ***


Fourteenth chapter: Golden eyes

“Ehy, Sora? Sono io. Riesci ad aprire un attimo gli occhi?” Hana li aveva condotti in camera, avvicinandosi poi al letto del piccolo moro con l'intento di fargli aprire gli occhi, per chissà quale motivo. Il ragazzino era stato messo sotto le coperte in modo da tenerlo al caldo e da esse spuntavano solo gli occhi ancora chiusi e i capelli castani tutti arruffati. In fronte gli era stato messo un panno umido per cercare di abbassare la temperatura. Da quel che la sorella aveva detto, gli aveva fatto anche prendere una pastiglia.
“Sora?” lo chiamò ancora la ragazza.
Il piccoletto mugugnò qualcosa, sprofondando ancora di più sotto le coperte.
Hana le scostò appena “Lo so che hai sonno, ma mi serve che tu li apra un attimo. Poi potrai dormire, te lo prometto. Okay?” gli spiegò, carezzandogli i capelli.
Non sapeva perché, ma Riku provava un leggero fastidio a vederli così affiatati. Ed era strano, perché quei due avevano passato molto tempo insieme in quei giorni, ma all'argenteo non era importato poi molto, quindi perché tutto a un tratto doveva interessarsene? Che c'era di male nel vedere sua sorella che coccolava quel ragazzino? Niente. Eppure gli dava fastidio, tant'è che dovette spostare lo sguardo sul tappeto bordeaux posto al centro della stanza.
Sora annuì e abbassò un po' le coperte, aprendo poi i suoi grandi occhioni stanchi e assonnati. Era tutto un po' sfocato, ma gli bastò sbattere le palpebre per riuscire a mettere a fuoco ciò che lo circondava. Si guardò intorno e vide alla sua destra Hana che lo guardava preoccupato, Axel che faceva la stessa cosa dai piedi del letto e Riku... Riku che aveva gli occhi rossi. No, doveva aver visto male. Si strofinò i propri con le mani e poi guardò di nuovo l'argenteo. Erano proprio di quel colore. Si poggiò sui gomiti, facendo cadere il panno umido sul copriletto. Ignorando il freddo e il giramento di testa che lo disorientò per un attimo, si alzò lentamente dal letto, avvicinandosi alla sedia su cui era seduto il ragazzo -che stava ancora fissando il tappeto, divenuto tutto a tratto interessante-, e gli mise le mani sulle spalle, costringendolo a girarsi verso di lui sotto lo sguardo curioso del rosso e della ragazza.
Riku si girò di scatto per capire cosa stesse succedendo, ma per poco non si prese un colpo quando, a pochi centimetri dal suo viso, si ritrovò gli occhi del moretto. Quello che però lo fece in qualche modo trasalire, fu il loro colore. L'azzurro cielo delle sue iridi, ora, conteneva striature dorate, come se stessero cambiando lentamente colore.
“Sono veramente rossi...” sussurrò sbalordito il ragazzino. Poi sorrise “Sono belli, sai?” affermò, con la voce un po' roca, lasciando tutti a bocca aperta -specialmente il ragazzo davanti a lui, che sembrava aver perso la lingua. Arricciò le labbra “Però quelli verde-acqua era ancora più belli. Perché li hai cambiati?” domandò ingenuamente, con una nota di tristezza. In quel momento sembrava tanto un bambino.
E mentre Hana cercava di trattenere una risatina, Axel continuava a chiedersi cosa si fosse perso.
Riku, invece, continuava a cercare di capire che gli fosse preso a quell'inglesino. Fino a qualche ora prima non gli si sarebbe mai avvicinato così tanto, mentre in quel momento era persino dispiaciuto che il colore delle sue iridi fosse cambiato. Quello che però non riusciva a capire è cosa gli avessero fatto per ridurlo in quello stato. Un'idea ce l'aveva, ma desiderava ardentemente sbagliarsi.
“Torneranno normali, tranquillo.” fu Hana a rispondere al suo posto, con mezzo sorriso.
Il moretto annuì, tornando a guardare gli occhi cremisi del maggiore. Rimase in quella posizione ancora un po', finché non prese nuovamente parola “Perché sono cambiati?” domandò curioso.
Riku, però, cominciava a innervosirsi ad averlo così appiccicato. Gli prese i polsi tra le mani, senza stringere, e lo allontanò appena “Rimettiti a letto, hai la febbre.” disse solamente, ignorando la domanda.
Il piccoletto fece come gli era stato detto, perché in fondo aveva ancora freddo, e mentre Axel usciva dalla stanza per andare a fare una doccia, lui posò il suo sguardo sull'argenteo, in attesa di una risposta.
Hana si dileguò dicendo che doveva fare una chiamata, così rimasero soli.
“È una storia troppo lunga, devi riposare.” disse l'albino, sentendo il suo sguardo addosso.
Il moro scosse la testa “Sto bene.” affermò.
“E io sono il principe mezzosangue.” ribatté il maggiore, facendo ruotare le iridi scarlatte.
Il piccoletto s'imbronciò “Sei antipatico quando fai così.” si lamentò, sparendo definitivamente sotto le coperte.
Stranamente il sonno gli era passato.
Riku ridacchiò appena, alzandosi sulla gamba destra e sedendosi lentamente a terra, vicino al letto, nonostante la ferita gli dolesse ancora molto e gli tirasse “Sembri un bambino, Sora.” infilò una mano sotto le coperte e cominciò a punzecchiargli con un dito il fianco destro.
L'inglesino si mise a ridere appena, agitandosi, per poi sbucare fuori dal suo nascondiglio, tutto imbronciato, quando il maggiore s’interruppe “Sta' fermo.” ordinò, guardandolo truce, le guance rosse e i capelli più arruffati di prima.
L'altro ghignò “Sbaglio o qualcuno, qui, soffre il solletico?” domandò, riprendendo quella divertente tortura -o almeno, divertente per lui.
Sora si mise a ridere, iniziando persino a scalciare a vuoto “N-no! Basta!” cercò di allontanarsi dal ragazzo, ma finì solo con il cadere a terra con un mezzo grido.
Quella volta fu Riku a ridere “Stai bene?” chiese, non appena quell’attacco d’ilarità passò.
“Diciamo che sono stato meglio.” rispose l’altro, facendo una mezza risata.
Dalla porta spuntò Hana con ancora il cellulare in mano “Tutto bene?” chiese preoccupata “Ho sentito Sora gridare.”
In quel momento arrivò anche Axel, con un asciugamano in vita e il corpo gocciolante “Cos’è successo?!” aveva i capelli pieni di schiuma.
Il moretto si rimise a letto “Tutto a posto, tranquilli.” rispose sorridendo.
“Se lo dici tu…” mormorò la mora poco convinta.
Il rosso notò l’argenteo a terra “Riku, si può sapere che diavolo ci fai seduto lì?” domandò con un sopracciglio alzato.
Il moretto sbuffò mezzo divertito “Si diverte a torturarmi facendomi il solletico!” rispose per lui, incrociando le braccia.
Riku lo guardò fintamente offeso “Chi? Io? Oh, Sora, come puoi dire una cosa del genere? Io non potrei mai farlo!” disse, per poi scoppiare a ridere da solo l’attimo dopo.
L’inglesino, per ripicca, prese il cuscino dietro di lui e lo tirò in faccia all’altro che, colto alla sprovvista, interruppe la risata.
“Mi hai tirato un cuscino in faccia!” esclamò, ancora sorpreso.
Il piccoletto si portò una mano al petto, assumendo un’espressione offesa “Io non farei mai una cosa del genere, Riku!”
Il più grande sbuffò con un mezzo sorriso “Esilarante.”
Sora assunse un’aria di superiorità “Lo so.” affermò.
Due secondi dopo si ritrovò il cuscino sulla faccia.
“Ehy! Non vale, ero distratto!” si lamentò, inutilmente.
Riku fece spallucce “In amore e in guerra tutto e lecito.”
A quelle parole, Sora rimase confuso. Da giorni non capiva più nulla, cosa voleva dire con quella frase? Non erano in guerra -non per il momento- ma non erano nemmeno in amore, quindi a cosa si riferiva? Certo, negli ultimi tempi Riku si era comportato in modo bizzarro, molto bizzarro, divertendosi a infastidirlo, ma ciò non significava che fosse innamorato -di lui, oltretutto, un ragazzino straniero conosciuto appena tre giorni prima e che aveva odiato a vista, perché era palese che fosse così.
Giusto?
I due ragazzi alla porta tornarono ognuno ai fatti propri, lasciandoli nuovamente soli.
In quel momento Sora realizzò una cosa: il volo.
“Che ore sono?” chiese agitato, spostando lo sguardo dalle coperte a Riku.
Il ragazzo fece per prendere il suo cellulare dalla tasca, ma si rese conto di averlo lasciato a casa, così si limitò ad alzare le spalle.
Il moretto si fece prendere dal panico “Il mio volo parte alle sette, devo essere all’aeroporto almeno un’ora prima! E devo ancora sistemare la valigia, e prepararmi, e-“
“Non prenderai quel volo, Sora.” Lo interruppe l’argenteo, divenuto serio all’improvviso.
“Cosa?” Sussurrò confuso il piccoletto.
“Non puoi prendere quell’aereo.” Ripeté l’altro.
Il minore abbassò lo sguardo, alcuni ciuffi andarono a coprire i suoi occhi “Visto quanto è successo sarebbe meglio per tutti che io me ne andassi, così voi risolvete i vostri affari e io non vengo coinvolto ulteriormente.”
“Sì, è vero.” il tono di voce duro, come quando lo aveva scoperto a girare mezzo nudo per il corridoio “Se tu te ne andassi sarebbe tutto molto più semplice, ma non puoi.” Insistette Riku.
Alzò lo sguardo verso di lui, irritato “Perché no?! Voglio solo tornarmene a casa, dove nessuno cerca di ucciderti o usarti come cavia da laboratorio!” portò le gambe al petto e affondò il viso nelle braccia. Perché non aveva rinunciato a partire? Perché non era rimasto a casa sua, con Tidus e Wakka? “Voglio solo che tutto questo finisca.” Mormorò.
Sentì l’argenteo sospirare e poi alzarsi dirigendosi chissà dove. Sollevò appena la testa, quel poco che bastava per vederlo aprire un cassetto e tirarne fuori uno specchietto.
Gli si avvicinò, e solo allora Sora si accorse che zoppicava.
“Che hai fatto alla gamba?” domandò, senza muoversi di un millimetro dalla sua posizione.
Riku lo ignorò, porgendogli l’oggetto. Il suo sguardo era serio, ma il piccoletto giurò di vedere una nota di dispiacere nei suoi occhi.
Prese in mano lo specchietto e rivolse la sua attenzione verso il proprio riflesso.
Tremò.
Perché? Perché le sue iridi avevano spesse striature dorate? I suoi occhi erano sempre stati azzurri, sua madre non sarebbe stata felice di vederli di un nuovo colore… ecco perché il maggiore continuava a dirgli che non poteva partire. Se fosse tornato a casa in quelle condizioni, sua madre si sarebbe insospettita, avrebbe scoperto tutto, avrebbe fatto scomodare tutta Scotland Yard pur di trovare i colpevoli, e se anche il Governo americano avesse indagato- no. Il Governo americano sapeva già tutto. Era lui la causa di tutto quello. Era da quelle maledette persone che era partito l’ordine di usarlo come cavia, di rapire lui e Riku. Se l’era quasi dimenticato: avevano rapito anche lui.
“Che ti hanno fatto?” domandò all’improvviso.
L’altro ragazzo, che nel frattempo si era riseduto sulla sedia, lo guardò confuso “A che ti riferisci?”
Sora distolse lo sguardo dal suo riflesso e lo posò sul maggiore “Hanno preso anche te, no?” l’argenteo annuì “Che ti hanno fatto?” ripeté.
Riku lo fissò per un attimo, indeciso se raccontargli tutto o meno, poi però sospirò, guardandolo stanco “Forse è meglio cominciare dall’inizio.”
Il moretto annuì, preparandosi ad ascoltare il passato di Riku.

 
Mettiamo le cose in chiaro: non sapevo che scrivere. Però almeno so come iniziare il prossimo :) 
Ho trascorso tutta l'estate nel dolce far nulla, priva di idee, e ora che sta per ricominciare la scuola, poof! Ecco che l'ispirazione torna. Non è giusto u.u
Comunque, mi sono finalemnte tolta questo maledetto capitolo dalle scatole, urrà! 
Fa schifo, ma Sora con gli occhi mezzi dorati è sexy, quindi amen!
Detto questo, scappo, sperando di tornare prima del prossimo millennio xD 

Baci, 
E.S.

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Capitolo 15
*** Past ***


Fifteenth chapter: Past
 
Quel giorno faceva molto caldo, seppure fosse già metà ottobre. Mamma e papà le avevano dato il per-messo di giocare nel cortile di casa insieme a suo fratello, quindi aveva passato tutto il pomeriggio a divertirsi. Anche se era Riku a vincere sempre, lei non si arrabbiava mai, perché nutriva un profondo rispetto e una grande ammirazione per lui. Era più grande di un solo anno, ma era più forte, più veloce e sapeva tante cose, inoltre quando andavano in città con i loro genitori la prendeva sempre per mano, raccomandandole di stargli vicino per non perderla. Era molto protettivo e lei gli voleva un sacco di bene. 
“Giochiamo ad acchiapparella, Riku?” chiese a un tratto la bambina, continuando a farsi dondolare sull’altalena dal maggiore.
Il fratello la spinse ancora, attento a non farla andare troppo in alto “Meglio di no, Hana. Lo sai che papà e mamma non vogliono. Potremmo farci male.” rispose.
La piccola strusciò i piedi sull’erba per fermarsi, Riku l’aiutò.
“Per favore, solo per questa volta!” lo guardò con occhi dolci, da cerbiatta, nella speranza di farlo impie-tosire.
E ci riuscì. Funzionava sempre. 
Il piccolo Riku sospirò, per poi ghignare e toccarle una spalla “Presa!” urlò, iniziando a correre dalla par-te opposta.
La bambina, colta di sorpresa, protestò, ma poi si mise a rincorrere il fratello, ridendo gioiosa.
Continuarono a giocare per molto, prendendosi a vicenda, finché non pattuirono una tregua e si sedettero a terra con il fiatone. Fu in quel momento che la mora sentì qualcosa in lontananza, un debole lamento proveniente dalla foresta. Volse il capo verso la moltitudine di alberi e si mise bene in ascolto, per capire se lo avesse immaginato o se c’era davvero qualcuno che si lamentava.
Riku si era accorto che la sorella era diventata tutto a un tratto strana, ma pensò fosse dovuto alla stan-chezza per la corsa. Dovette ricredersi quando la vide alzarsi in piedi di scatto e fare qualche passo verso la verde selva, con un’espressione concentrata.
“Che succede?” le domandò, alzandosi a sua volta.
“Lo senti anche tu?” chiese lei, ignorandolo.
Il fratello si mise in ascolto, come la sorella, ma tutto ciò che riuscì a sentire furono i loro respiri e il cin-guettio di alcuni uccellini. 
“Sentire cosa?” non capiva cose le fosse preso.
Hana non rispose, si mise semplicemente a correre in direzione degli alberi. Si erano trasferiti da poco, il muro che circondava la tenuta non era ancora stato costruito, quindi alla piccola bastò passare attraverso una vecchia staccionata diroccata, per poter raggiungere la boscaglia.
Il fratello le corse dietro, intimandole di fermarsi e ricordandole che non avevano il permesso di andare oltre lo steccato, ma la bambina non lo ascoltò, sparendo poco dopo alla sua vista. Aumentò il passo, i-noltrandosi anche lui in quella selva, ma non riusciva a vederla. La chiamò, ma non ricevette nessuna ri-sposta. Iniziò a preoccuparsi seriamente, perché il padre gli aveva sempre detto che in quel bosco viveva-no un sacco di animali pericolosi, come alci e cinghiali, e non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere se sua sorella si fosse avvicinata troppo a uno di quegli esseri. No. Doveva trovarla. Però, prima che potesse pronunciare di nuovo il suo nome, fu la piccola a chiamarlo. Riku seguì la voce attraverso gli alti alberi, finché non trovò la bambina dietro a dei cespugli, china su qualcosa. Si avvicinò per vedere meglio e capì che non era un qualcosa, bensì un qualcuno. Sul terriccio c’era un ragazzino, la pelle pallida, i capelli rossi impastati di fango e il corpo coperto solo da una leggera vestaglia in cotone, simile a quelle che si usavano negli ospedali. Aveva una ferita sul fianco destro, causata da chissà cosa, dalla quale il sangue usciva copioso. 
“Dobbiamo aiutarlo, Riku!” lo supplicò la bambina, ancora inginocchiata accanto al ragazzo. 
Il bambino si risvegliò dai suoi pensieri “Resto io qua, tu vai a chiamare mamma o papà!” ordinò, chi-nandosi sul ragazzino.
Hana annuì e corse verso casa, mentre il fratello iniziò a scuotere il ragazzo per cercare di tenerlo sveglio. Non era un esperto, ma aveva come il timore che se si fosse addormentato sarebbe stato difficile farlo svegliare.
Ed ecco che, debolmente, quello aprì appena gli occhi, rivelandone due smeraldi. 
Il piccolo s’incantò in quelle pietre, erano di un colore innaturale per un essere umano, così brillanti da attrarre come una calamita. 
Fu sentendo dei passi dirigersi velocemente verso di loro, che riuscì a tornare in sé “Resisti, mamma e papà ti aiuteranno!” incoraggiò il ragazzino.
Il rosso sembrò spaventarsi, perché spalancò gli occhi più che riuscì e tentò di alzarsi, gemendo quando la ferità gli provocò una scossa di dolore, amplificata dalla mancanza di forze.
“Ehy ehy, non abbiamo intenzione di farti male, vogliamo solo aiutarti!” lo rassicurò.
Il ragazzino lo guardò scettico, senza sapere se fidarsi o meno. Nel frattempo il padre del bambino arrivò, un uomo alto, corti capelli argentati, affilati occhi blu ghiaccio e pelle pallida. Appena vide il rosso gli si avvicinò lentamente, con un’espressione serena.
“Non ti preoccupare.” Disse l’uomo “Ci occuperemo noi di te.” 
Sebbene il ferito non si fidasse, non ebbe altra scelta che lasciarsi prendere in braccio e trasportarsi fino a un’enorme villa costruita in mattoni rossi. L’uomo lo portò all’interno e chiamò una certa Evelyn. Da una delle molteplici porte spuntò una giovane donna, i capelli neri come la pece e due grandi occhi acquama-rina; appena ella vide il ragazzo sanguinante tra le braccia dell’uomo, si apprestò a recuperare un kit di pronto soccorso e seguire il marito in una camera da letto.
Riku aveva seguito il padre per tutto il tempo, ma quando stava per mettere piede nella stanza insieme alla sorella, entrambi furono delicatamente spinti fuori dalla madre e la porta venne chiusa loro in faccia. I due bambini rimasero delusi, volevano vedere cosa avrebbe fatto il loro papà per aiutare il ragazzo, ma l’unica cosa che poterono fare fu sedersi sul pavimento del corridoio e aspettare. E forse fu meglio così, perché a un certo punto sentirono delle urla -sicuramente del rosso- che li fecero spaventare. Non ci volle poi così tanto, prima che la madre aprì la stanza e ne uscì insieme al padre.
“Come sta? Che gli è successo?” iniziò a domandare la bimba, alzandosi in piedi seguita dal fratello.
La donna carezzò a entrambi i capelli e sorrise “Non preoccupatevi, ora deve solo riposare.” Rispose.
I due piccoli riuscirono solo a vedere il ragazzo dormiente sotto le coperte del letto, prima che la porta venne chiusa dal padre.
Quando l’uomo si voltò verso di loro, capirono di essere finiti nei guai.
“Non avevo forse detto di non addentrarvi nel bosco?”
Hana e Riku si guardarono a vicenda, come per decidere chi dovesse iniziare a dare spiegazioni per pri-mo, e alla fine fu il maggiore a parlare “Stavamo giocando, quando Hana ha sentito il ragazzo chiedere aiuto-“
“Non ha chiesto aiuto, si stava lamentando per il male.” lo interruppe la bimba “Io l’ho sentito e sono corsa a vedere se avesse bisogno d’aiuto, poi Riku mi ha raggiunta e io sono venuta a chiamare te, papà.” Spiegò.
I freddi occhi blu del padre si socchiusero appena, le labbra assunsero una piega severa “E tu l’hai sentito a quella distanza?” 
La piccola inclinò appena la testa di lato “Sì, perché?” chiese innocentemente.
“E ti capita spesso di sentire cose molto lontane?” 
Hana annuì, senza capire perché il padre le stesse facendo tutte quelle domande.
L’uomo si voltò verso Riku “Tu non hai sentito nulla?”
Il bambino scosse la testa.
Tore non aggiunse altro, rimase in silenzio per qualche attimo, poi si chinò ad abbracciare entrambi i figli “Non allontanatevi più, okay?” 
“Va bene papà.” Risposero in coro i due fratelli. Una volta separatosi dall’abbraccio, decisero di tornare a giocare. Avrebbero fatto conoscenza con il ragazzino non appena si sarebbe sentito meglio.
L’uomo aspettò che si fossero allontanati abbastanza, prima di raggiungere sua moglie. 
La donna stava sistemando delle scartoffie in disordine all’interno del suo ufficio, quando lo vide avvici-narsi posò lo sguardo su di lui e capì che qualcosa non andava “Cosa ti turba, caro?”
Tore le carezzò una guancia, traendola a sé con un braccio “Credo che il mio DNA abbia influito anche su di Hana. Ha un udito molto sviluppato, a quanto pare.” rispose.
La donna gli sorrise e gli lasciò un bacio sulle labbra “Non preoccuparti, sono bambini intelligenti, sa-pranno gestire la situazione.” 
Il maritò ricambiò i gesti “Speriamo…” sospirò, poi insieme tornarono alle loro faccende.
•••
“Quindi Hana può sentire tutto?” chiese incredulo Sora.
L’argenteo annuì “Esatto. Anche questa conversazione, se le interessasse.”
L’inglesino, nonostante tutto quel che era successo, faticava ancora a credere a certe cose. Anzi, ci crede-va, sapeva di potersi fidare di Riku, ma era difficile da classificare come normale –beh, forse perché non lo era.

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