Fear of Me

di Maia Scott
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Caitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Terribile. Insopportabile. Acida. Perfida. Insofferente. Sfacciata. Maleducata.
 Questo dicevano di lei. Questo e molto altro.
Ormai i mormorii sommessi nei corridoi della scuola non intimorivano più Izzy, che camminava imperterrita e orgogliosa. Perchè era vero.
 A lei piaceva il suo piercing al naso, le piacevano i suoi tatuaggi e i capelli corvini e lunghi, ormai tinti di blu, che di solito legava in uno chignon disordinato. Aveva scelto lei stessa il tipo di abbigliamento: le sue enormi felpe, le innumerevoli magliette con le frasi delle sue canzoni preferite, milioni di jeans neri e blu, ma soprattutto le sue giacche di pelle, ne aveva una grigia e una nera e le custodiva gelosamente.

Aveva dovuto combattere con i suoi genitori per i quattro buchi all'orecchio, per i tatuaggi che aveva sulle braccia e sulle spalle, per il colore dei capelli e anche per la compagnia che aveva scelto.
In realtà quei ragazzi non piacevano nemmeno a lei, li trovava così ridicoli e superficiali, pensavano solamente al fumo, all'alcool e alle feste. Secondo lei stavano buttando letteralmente la loro vita.
Lei però non era di certo perfetta, e questo lo sapeva. A volte sentiva il bisogno di fumare, ma ormai accadeva raramente. Eppure odiava gli alcolici e non riusciva a sopportare quelle feste interminabili dove la gente non faceva altro che strusciarsi e bere.
Forse era proprio per questo che non aveva un ragazzo dal momento in cui era cambiata.
 Era successo all'età di quindici anni, quando aveva eliminato tutte le tracce della bambina adorabile che era stata. La sua via di fuga da quel momento era stata la musica, suonava la chitarra e il pianoforte ma questo non lo sapeva nessuno.

Ormai abitava da sola, in un appartamento nella periferia di New York. Aveva preso il diploma qualche mese prima e, in quella prima settimana di settembre, cercava di ambientarsi e di dare un senso logico a quello che riempiva gli scatoloni con le sue cose fatti arrivare da Londra, la sua città.
Sistemò con cura le fotografie e i poster sui muri della sua nuova camera, trasferì i vestiti nell'enorme armadio sul lato destro, riordinò il suo bagno al piano superiore e quello al piano inferiore, poi dispose ordinatamente tutto quello che sua madre le aveva comprato poiché lo riteneva indispensabile per la casa.

Quest'ultima non era niente di speciale, ma era proprio la sua semplicità ad aver attirato la ragazza e ad averla convinta ad acquistarla. Certo, era sviluppata su due piani, ma entrambi abbastanza piccoli.
Al pianterreno vi era la cucina, il salotto dove avrebbe piazzato il nuovo televisore che sarebbe arrivato a breve e il piccolo bagno di servizio.
Delle scale conducevano al piano superiore;  su un corridoio si aprivano tre  stanze, una era la sua camera, una era destinata ad eventuali ospiti e  una era il suo piccolo rifugio.
Dentro avrebbe montato delle mensole per riporre i suoi libri, poi vi aveva già messo la chitarra classica e quella elettrica, che era riuscita a comprare l'anno prima con i suoi risparmi.
Prima o poi sarebbe arrivata una tastiera elettrica, l'aveva ordinata ed era già stata spedita, per sostituire il suo amato piano.
Una parete l'aveva tappezzata di poster e le altre le avrebbe dipinte il giorno dopo.
 Quel posto sarebbe stato il suo piccolo segreto.

Quando finalmente ebbe finito, Izzy decise di uscire per respirare un pò dell'aria di quella nuova città che avrebbe chiamato "casa".
Il problema che però si ritrovò ad affrontare, ovvero la poca se non nulla conoscenza della metropoli, non le permise di spostarsi molto dalla sua abitazione.
Dopo qualche isolato raggiunse un piccolo parco, pieno di bambini che correvano da una parte all'altra gridando, di mamme sedute sulle panchine che chiacchieravano, di coppiette di sedicenni sotto gli alberi, sembrava quasi una classica scena di qualche film orrendo.
In effetti erano pochi i film che riteneva degni di essere visti, quindi sosteneva che il suo parere in quel campo non servisse.
Si sedette ai piedi di un albero non molto alto ed estrasse dalla sua borsa il nuovo paio di cuffie che aveva acquistato prima di partire, in vista delle dieci ore di viaggio. Fece partire una delle sue canzoni preferite, Wish You Were Here dei Pink Floyd e chiuse gli occhi, poggiando la testa all'arbusto dietro di lei.
Perse completamente la cognizione del tempo, si rilassò dopo giorni di stress e finalmente si sentì tranquilla. In quel momento era esattamente dove voleva essere, nessuno la poteva criticare per ciò che indossava o per quello che ascoltava.
Sentiva che lì, a New York, poteva finalmente essere sé stessa.
Isabelle Lower.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ad una settimana dal suo trasferimento, Izzy non aveva ancora conosciuto nessuno, ad eccezione della vicina, un’ anziana signora che spesso si tratteneva con lei a chiacchierare quando rientrava dal supermercato, e il ragazzo che lavorava da Starbucks, che la vedeva ormai ogni mattina quando andava a fare colazione.

In tutti i giorni che aveva trascorso lì aveva finalmente terminato la sistemazione della casa, ma era particolarmente soddisfatta del suo "rifugio", dove trascorreva intere ore, soprattutto da quando era arrivata la tastiera. Le piaceva molto come l'aveva arredato.
Sulle due pareti aveva disegnato alcuni luoghi e monumenti della sua Londra: c'era il Big Ben, Tower Bridge e la statua di Peter Pan.
Da piccola passava le ore ad osservarla e a giocarci accanto, sommersa dalla folla di turisti.
Solo la parete frontale aveva lasciato libera, lì aveva dato libero sfogo alla sua passione per la street art; c'erano tutti i tipi di graffiti possibili, il lavoro aveva richiesto ben due giorni. Quando aveva finito tutto, Isabelle era fiera del suo lavoro: aveva rappresentato la sua città di provenienza, ma anche quella in cui ormai era destinata a vivere.

Una volta sistemata la casa, decise di cercarsi un lavoro, niente di speciale, qualcosa che potesse aiutarla a mantenere le spese da sola per non gravare sui suoi genitori. Voleva essere indipendente.
Uscì di casa, quel giorno, con mille buone intenzioni, decisa ad ottenere ciò che voleva. Se l'avesse vista suo padre sicuramente avrebbe detto che si era contenuta con l'abbigliamento, ed in effetti era proprio così.
I suoi capelli, ancora blu, erano legati in una coda alta ordinata, mentre indossava un paio di semplici jeans e una canotta nera da cui si intravedeva qualche tatuaggio. L'unico segno distintivo forse erano gli anfibi neri e i bracciali borchiati, ma alla fine lei era così, avrebbero dovuto accettarla.

Entrò nel primo locale che esponeva un cartello di cercasi camerieri, si trattava di un ristorante lussuoso.
Alle pareti era appesa una quantità infinita di fotografie dello stesso uomo in giacca e cravatta con un sorriso falsissimo insieme a diversi personaggi famosi.
Izzy detestava l'ipocrisia, soprattutto odiava tutti quelli che si fingevano gentili e disponibili solo quando fiutavano l'affare. Quell'uomo già le stava antipatico.
Eppure aveva bisogno di un lavoro, quindi si costrinse a proseguire all'interno. Al banco della reception trovò un uomo sulla quarantina intento a digitare freneticamente sulla tastiera del computer. Si schiarì la voce, ottenendo così l’attenzione.                                                          
 «Posso esserle d’aiuto?» l’uomo si limitò a squadrarla criticamente mentre parlava.                                             
«Ho visto il cartello fuori e volevo avere informazioni per il posto di lavoro.» Izzy non rispose a testa bassa, anzi, puntò il suo sguardo castano negli occhi del suo interlocutore, sfidandolo.  Purtroppo però mettere in pratica il saggio consiglio di non giudicare un libro dalla copertina è sempre difficile. Infatti la sua richiesta fu accolta prima con un’ occhiata sconvolta, poi un ghigno divertito fece capolino sul volto dell’impiegato.                                                                                                           
«Mi dispiace signorina, cerchiamo qualcuno più adatto. Non credo che il direttore apprezzerebbe la scelta. » e nel frattempo spostava lo sguardo inquisitore su di lei. «E ora, se non le dispiace, tornerei al mio lavoro. Arrivederci.» La madre aveva insegnato ad Izzy a mantenere la pazienza e a non rispondere scorrettamente, inoltre a casa sua era quasi degno di castigo l’uscire da un posto senza salutare. Ma questa volta era davvero troppo. Aveva lasciato Londra convinta di abbandonare i pregiudizi, invece sembrava proprio che si fossero affezionati a lei. 
Si girò e andò via.

Due ore e qualche rifiuto dopo, Isabelle si trovò davanti ad una piccola libreria dall’aspetto molto invitante. Quando spinse la porta per entrare, un campanello avvertì i commessi del suo arrivo. All’interno fu piacevolmente investita dall’odore della carta, quasi impercettibile ma per lei ristoratore. Se avesse potuto, si sarebbe nutrita della sola lettura.             
Non era un posto molto grande, ma si estendeva su due piani. All’ingresso era posto un bancone dai colori sgargianti, che le fece nascere un sorriso. Qualche anno prima avrebbe dipinto così la sua stanza. Scacciò i pensieri e si inoltrò tra gli scaffali. C’erano alcuni clienti, non erano moltissimi, ma sicuramente erano numerosi. Izzy si perse nella lettura dei titoli sulle copertine dei libri, quindi si spaventò terribilmente quando si accorse di una ragazza che la fissava sorridendo.                                                      
 
«Ciao. Ti serve una mano? Comunque, hai dei tatuaggi bellissimi.» rivolse alla ragazza, che sicuramente lavorava lì, un sorriso. Era sempre gratificante ricevere complimenti al posto delle critiche.                                                                                                                                                                           
 
«Grazie mille» prese coraggio e fece la fatidica domanda. Anche lì fuori aveva trovato un cartello, forse era la volta buona. «ho letto l’annuncio sulla porta e…» la ragazza battè le mani e sorrise entusiasta, ma non lasciò finire la frase ad Izzy. «Certo che si! Serve qualcuno che possa venire tutti i giorni per dare una mano a me e a Chris. Credo proprio che Will ne sarà contento!»  Tese una mano e si presentò «Jennyfer, ma chiamami Jenny» Izzy non se lo fece ripetere due volte  «Isabelle, ma chiamami Izzy »                             
  
Adesso poteva decisamente dichiarare aperta la sua nuova vita.

                                                                                                     

                                                                                                                                                                                                                                                                                        

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


A distanza di un mese erano tante le cose che nella vita di Izzy avevano subito un cambiamento. Una strana sensazione si era impossessata di lei quando si era resa conto che probabilmente tra lei e Jenny sarebbe potuta nascere un’amicizia. Non era abituata a fidarsi completamente di un perfetto sconosciuto anzi, non era abituata a fidarsi di qualcuno in generale. Eppure nel sorriso di Jennyfer c’era qualcosa di rassicurante. Per la prima volta in tanto tempo Izzy non avrebbe ascoltato ciò che la sua mente rigida le ripeteva come se fosse stata una radio rotta, bensì avrebbe ascoltato ciò che le avrebbe suggerito il destino.

 

Come ogni mattina da tre settimane a quella parte, Isabelle uscì di casa molto presto e si recò alla fermata della metro. Scese nei pressi del solito Starbucks, da considerare ormai la sua terza casa –dopo la sua abitazione e la libreria-  e vi entrò, per ordinare il solito. Quattro brioches in un sacchetto di carta. Mentre usciva si preoccupò di lanciare uno sguardo al suo orologio, ma non riportò in tempo l’attenzione sulla porta, urtando qualcuno.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Josh, le nacque un sorriso e salutò il suo compagno di risate della domenica mattina. Lui lavorava lì e ormai si era abituato ad avere Izzy in giro per il locale che blaterava qualcosa di incomprensibile mentre faceva il pieno di ogni tipo di dolce presente.
« Ciao Izzy. Stai già andando via?» chiese il ragazzo indicando il sacchetto nelle mani di Isabelle.
«Già..anche se Will mi adora non voglio arrivare tardi. Mi ucciderebbe comunque!» esclamò lei ironicamente. Will era decisamente troppo buono con “i suoi ragazzi”, non dava mai ordini e lasciava che fossero loro ad organizzarsi il lavoro. Per loro era come un padre, ormai anche Izzy aveva imparato a considerarlo tale e soprattutto era passata dal formale “signor William” al semplice “Will”. Era difficile non adorare una persona come lui.
Salutando allegramente Josh, la ragazza si diresse verso la libreria, distante solo qualche isolato.

 

Trovare il locale aperto alle sette e mezza di mattina poteva apparire come un miracolo. Sicuramente non era opera di Chris, né tantomeno di Will, entrambi affetti dalla cosiddetta “malattia del ritardo”. La risposta era ovvia, infatti al suo ingresso Izzy trovò solo Jenny, intenta a catalogare i nuovi arrivi.
«Mia salvatrice!» esclamò Jenny da dietro al bancone, mentre implorava l’amica di liberarla dall’innumerevole quantità di cartoni colmi di libri.
Isabelle le rivolse uno sguardo, capendo al volo la situazione, e sorrise nel vedere il volto disperato della ragazza. «Non ci provare» l’ammonì «questa volta non ci casco» ed entrambe si lasciarono andare ad una risata.
Izzy si liberò della giacca di pelle e la appese ordinatamente nel piccolo ufficio sul retro, poggiando sul tavolo il sacchetto con la colazione per tutti.
Chris degnò le ragazze della sua presenza circa mezz’ora dopo quando, con poca delicatezza, spalancò la porta e si esibì in uno dei suoi sospiri frustrati migliori. Quel ragazzo era un attore nato. Ogni mattina aveva una scusa per sgattaiolare sul retro appena arrivava, concedendo ai presenti un piccolo saluto e riapparendo magicamente dopo un lasso di tempo indeterminato. Izzy l’aveva visto solo una volta durante quelle sue lunghe pause, mentre era intento a consumare la sua sigaretta nel vialetto privato accanto ai cassonetti dei rifiuti.  Però si era limitata ad osservarlo con una punta di curiosità e ad andare via il più silenziosamente possibile. Aveva quasi timore di quella figura così imponente, di quegli occhi castani così scuri e profondi, ma soprattutto il suo ghigno le faceva perdere facilmente la pazienza. Si era infatti ritrovata svariate volte a desiderare di levarglielo, in qualunque modo.

Ricordava perfettamente quando, meno di un mese prima, aveva conosciuto il ragazzo e il suo attuale datore di lavoro. Jenny dopo il loro incontro l’aveva praticamente trascinata nella stanza sul retro, dove un uomo sulla quarantina compilava fogli minuziosamente. Aveva alzato lo sguardo, si era tolto gli occhiali e aveva sorriso ad una Izzy un tantino imbarazzata.
«Will, ho una notiziona» aveva esordito Jenny mentre ancora sorrideva. «Isabelle è qui per l’annuncio!» doveva essere molto felice, oppure una brava attrice, ma Izzy aveva voluto credere alla prima opzione.
«Non c’è nessun problema. Quando vuoi iniziare, sai dove trovarmi.» aveva risposto l’uomo, per poi presentarsi  «Comunque, io sono Will. Benvenuta! »
La prima volta che aveva visto Chris non era stata così piacevole, e lui non era stato affatto così gentile, anzi. Le aveva rivolto un semplice “    Cristopher” borbottato con aria di superiorità e poi era sparito tra gli scaffali. Di tutta risposta, anche lei si era girata a aveva dato inizio a quel suo fatidico primo giorno di lavoro. Sembrava essere passato molto tempo, invece dopo tre settimane si sentiva pienamente a suo agio e adorava tutto della libreria.

 

Tra una riflessione e l’altra iniziarono ad arrivare i primi clienti, per lo più tutti adulti con l’eccezione di qualche ragazzo che aveva preferito quel negozio al posto della scuola. Izzy non poteva biasimarlo, aveva fatto la stessa cosa anche lei, forse per motivi diversi, ma l’aveva fatto. Anche se si dimostrava forte, aveva una personalità fin troppo debole e quando le critiche e le voci infondate su di lei viaggiavano per i corridoi dell’istituto, puntualmente scappava, non presentandosi a scuola. O meglio, una volta davanti al cancello le passava completamente la voglia di trascorrere il suo tempo a sopportare mormorii sommessi e sguardi indagatori. Non era mai scappata da scuola per un compito in classe, una difficile interrogazione, o semplicemente per noia. Izzy scappava da scuola perché in realtà voleva illudersi di poter scappare dalla gente.
Per questo non si presentò davanti ai giovani clienti con un’espressione di rimprovero sul viso, bensì con un sorriso di comprensione. Probabilmente tra di loro c’era qualcuno fuggito solo per colpa di un professore o una materia, ma era sicura che molti avevano scelto di aggirare ben altri tipi di ostacoli.
Tra un cliente e l’altro, Izzy si concesse qualche occhiata di qua e di là. Jenny, sempre con il solito sorriso, era intenta a cercare tra gli scaffali un libro, probabilmente sotto richiesta della signora che le stava al seguito. Will era arrivato con calma, ma finalmente si era messo al lavoro. Parlava animatamente a telefono, probabilmente stava facendo qualche ordine o era nel bel mezzo di una chiamata per discutere il ritardo di qualche consegna. E poi c’era Chris. Chris che se ne stava in un angolo con un ragazzino di non più di tredici anni, mentre gli mostrava diversi romanzi. Per la prima volta Izzy lo vide ridere. Il ragazzino aveva detto qualcosa di buffo, forse, perché Chris aveva inizialmente fatto una smorfia, trasformandola poi in risata. In una bellissima risata.
E così, tra un romanzo di letteratura ottocentesca e il nuovo libro del più grande autore fantasy del momento, trascorreva un’altra giornata. Il giorno prima, Will aveva detto di avere un grande annuncio, quindi quella sera, all’orario di chiusura, tutti erano pronti per ascoltarlo.
«Gente,» iniziò con fare teatrale  «domani purtroppo guadagnerò un altro anno di vita.» aggiunse questa volta drammaticamente. Izzy dedusse quindi che il giorno seguente sarebbe stato il compleanno di quel simpatico -e strambo-  capo. «Il massimo che posso offrirvi è una cena da McDonald’s quindi, sareste così gentili da accettare?» terminò così il suo annuncio. «Ovviamente» rispose Izzy, «E me lo chiedi pure? » fu la reazione di Jenny, «Okay.» fu il risultato della mente di Chris. Iniziava a non sopportare più quel ragazzo, decisamente.

 

Rientrare a casa dopo una lunga giornata e non trovare la cena pronta era una delle cose a cui Isabelle non riusciva ad abituarsi, eppure cercava di mettere insieme le sue forze ed evitare di ricorrere ai cari amici fast-food, ancora di salvezza dei ragazzi indipendenti. Quella sera il suo menu prelibato prevedeva un sandwich con burro di arachidi e, forse, una mela. Non amava cenare abbondantemente, soprattutto se doveva cucinare, e quella sera non sarebbero di certo cambiate le cose. Abbandonò la giacca sul divano e filò dritta a levarsi gli anfibi, sostituendoli con i suoi calzini. Salì al piano di sopra ed indossò una tuta, per poi liberare i capelli dall’elastico e fermarli con una bandana nera. Estrasse dalla custodia il suo bel paio di occhiali e combatté contro le lenti a contatto che aveva da poco iniziato ad usare. In realtà preferiva i suoi occhiali vecchio stile neri, ma aveva voluto fare una prova con le lenti, che sicuramente non avrebbe ricomprato mai più. Si diresse in cucina e preparò il tanto atteso sandwich mentre il televisore del salotto era sintonizzato sul canale di musica e poi si posizionò comodamente sul divano, con un buon libro a farle compagnia. Lesse fino a mezzanotte, quando si prese una pausa e notò l’orario. Quella sera fu felice di potersi nascondere sotto le coperte leggere del suo letto e di poter addormentarsi.

 

Lei e la sveglia non erano mai state in buoni rapporti sin dalla tenera età, ma ormai Izzy aveva imparato a conviverci. Si concesse una doccia per svegliarsi e poi si preparò per uscire.
Considerando gli standard di New York, si poteva dire che alle sette di mattina la metro non era molto popolata. Qualche signora diretta chissà dove, una decina di impiegati in abito elegante, un bel numero di studenti in uniforme che si accingevano a trascorrere l’ennesima giornata di quel primo mese di scuola, un gruppo di ragazzi a cui Izzy avrebbe dato non più di vent’anni, ovvero suoi coetanei.
Fece la sua solita sosta al bar, acquistando però anche una torta gelato confezionata per Will. Prima di andare via il giorno precedente, Jenny aveva dichiarato che si sarebbe presa lei il compito di procurare un regalo entro quella sera, per questo lei pensò solo ad un dolce per il pranzo.
Una volta davanti al negozio trovò ancora una volta aperto, quindi entrò convinta di trovarsi davanti la sua amica intenta in qualcosa di estremamente noioso.

 

È impossibile descrivere la sua sorpresa nel vedere Chris che leggeva dietro il bancone, mentre lo stereo riproduceva un CD dei Linkin Park, il suo gruppo preferito. Entrò sorridente canticchiando qualche pezzo della canzone che stava ascoltando e salutò allegramente il ragazzo. In effetti Izzy sapeva di essere facilmente condizionabile dalla musica, riuscendo addirittura ad essere simpatica e gentile con tutti. «Buongiorno!» esclamò spaventando Chris, il quale fece un balzo sulla sedia e sgranò gli occhi. Poi accadde l’impossibile, sorrise e ricambiò il saluto «Ciao Izzy, come va?». Lei rimase un attimo interdetta, notando solo in quel momento quanto gli donassero i capelli lunghi sul viso. Lei adorava i capelli lunghi sui ragazzi, era l’unica cosa che riusciva a farla impazzire come tutte le ragazze della sua età, ma Chris era sempre stato solito legarli, era la prima volta che li vedeva così. «Bene, grazie. Cosa stai leggendo?» indicando il libro, Izzy si avvicinò di più al bancone, meravigliandosi per quella che sembrava essere la loro prima conversazione da persone civili. Lui alzò il libro e le mostrò la copertina, poi sorrise ancora « È il mio autore preferito, se ti piace l’horror te lo consiglio». Continuarono a parlare per un po’, lei si era avvicinata e si era seduta accanto a lui, scoprendo una persona completamente diversa dal solito. Senza accorgersene finirono per trasferirsi nel vialetto sul retro, probabilmente Izzy aveva espresso il desiderio di una sigaretta, il suo vizio perenne e Chris aveva acconsentito approfittandone anche lui. E così si ritrovarono lì, seduti per terra uno accanto all’altra a discutere di tutto, Izzy non avrebbe mai immaginato che dietro quell’insofferenza si nascondesse un ragazzo così intelligente e simile a lei.   
«Sai, Izzy, mi piace parlare con qualcuno che mi capisce. Forse scopriremo di essere uguali e di avere un passato piuttosto simile» disse ad un tratto lui, ormai preso dalla conversazione. «Sai invece cosa piace a me?» domandò retoricamente lei «Non essere giudicata» aggiunse dopo. Poi sorrise ancora e lui le rivolse uno sguardo strano che non riuscì ad interpretare «Piace anche a me, credimi. È la prima volta che qualcuno riesce ad andare oltre l’apparenza.»  fu questa frase che scosse un po’ Izzy, che fino a una mezz’oretta prima non gli avrebbe nemmeno rivolto la parola. Anche se non era una questione di apparenza, lui aveva iniziato ad essere scortese e le aveva chiaramente dimostrato che non intendeva stabilire alcun rapporto. Forse avevano sbagliato entrambi, mostrando solo la loro corazza, ma tutte le esperienze passate erano così numerose da poterli giustificare.

 

«Chris? Izzy? Ci siete?»  le loro risate furono interrotte da una voce proveniente dall’ingresso del negozio, sicuramente appartenente a Jenny. Si alzarono spolverandosi i jeans e rientrarono, chiudendo la porta e salutando la ragazza e Will, che se ne stava poggiato al bancone. «’Giorno a tutti!» esclamò Isabelle, mentre Chris rivolgeva loro un cenno del capo e un “ciao” borbottato. Aveva rialzato le difese, Izzy riconosceva quell’attegiamento che per anni aveva caratterizzato anche lei. Nonostante questo, tutti e tre saltarono addosso a Will urlando in coro e intonando la classica canzone di buon compleanno. L’uomo sorrise, per niente sorpreso, poi abbracciò e ringraziò i ragazzi che lo accerchiavano.
«Vi avviso, mi state facendo sentire terribilmente vecchio» sentenziò al termine di tutti i convenevoli, poi decisero che era tempo di mettersi al lavoro e girarono il cartello “chiuso” su “aperto”, non prima di aver consumato la colazione e tagliato la torta.
La giornata aveva inizio.

 

«Ciao, scusami, è arrivato il libro che avevo ordinato?» Izzy distolse lo sguardo dal pc e lo spostò sul ragazzino che stava di fronte a lei e che la fissava speranzoso. Inserì il suo nome e il titolo del libro nel modulo del computer ed effettuò la ricerca, trovando il romanzo disponibile. «Dovrebbe essere arrivato ieri, vado a prenderlo.» si congedò e si recò nel magazzino, cercando direttamente il volume nello scaffale delle prenotazioni. Quando lo trovò lo portò al ragazzo, che sorrise entusiasta e pagò in fretta, pregustando già il momento in cui avrebbe potuto iniziare quel romanzo tanto atteso. Izzy sorrise nel vederlo, sicuramente era appena uscito da scuola, data l’ora, e non aveva pensato ad altro se non al suo libro, era bello vedere ragazzi di circa tredici anni così affezionati alla lettura.
Il tempo passò in fretta quel giorno, in attesa della serata. Chiusero il negozio alle sei, come facevano solitamente il mercoledì, e si diedero appuntamento per le dieci. Will decise che le ragazze non avrebbero preso la metro, quindi si accordarono per accompagnarle. Lui e Chris avevano la moto, Jenny solitamente usava l’auto ma quella mattina serviva a sua madre, quindi era arrivata in treno e allora accettò anche lei il passaggio. «Io abito praticamente a pochi minuti da casa tua, quindi direi che puoi venire con me» disse Will rivolto ad Izzy, la quale si limitò ad annuire e a salutare gli altri due, che si preparavano a partire. Indossò il casco che l’amico le stava porgendo e si posizionò dietro di lui, poi si avviarono verso casa. Durante il viaggio Izzy osservò la città che le scorreva attorno e decise che avrebbe messo i soldi da parte per poter acquistare anche lei un motorino, simile a quello che usava a Londra, ereditato dal cugino. Una volta arrivati, scese e ringraziò Will, che le sorrise. «Mi ha fatto molto piacere stamattina vedere che stai iniziando a legare anche con quell’orso di Chris» le disse. «Ci sto provando, non mi piace essere antipatica a qualcuno»  rispose lei. Ringraziò ancora l’uomo e si ricordarono a vicenda l’appuntamento di quella sera. «A dopo» le disse lui prima di partire nuovamente.

 

Isabelle entrò in casa e, come di routine, accese lo stereo. Subito dopo volò verso la doccia per rinfrescarsi dopo un’altra giornata. L’acqua che scorreva sul suo corpo le ricordò che le sarebbe piaciuto molto andare a nuotare, qualche volta, e decise che si sarebbe informata. Quando uscì trovò sul cellulare una telefonata di sua madre e la richiamò. «Izzy!»  le arrivò subito dall’altro capo del telefono. Capì che in Inghilterra doveva essere molto presto, perché sua madre stava parlando con un tono di voce piuttosto basso. «Ciao mamma, che fai?»  le chiese «Mi sono appena svegliata» rispose la madre. Continuarono così per un pò, poi si salutarono e la ragazza tornò a prepararsi.
Indossò una maglia bianca con una croce stampata in nero, poi vide nell’armadio un jeans sempre nero a cui attaccò un paio di bretelle che aveva comprato di recente. Le lasciò scivolare lungo i fianchi e completò tutto con i suoi soliti anfibi. Asciugò i capelli, notando che la tinta non aveva ancora iniziato a rovinarsi, poi li fermò con la sua adorata bandana nera. La voglia scarseggiante di lottare ancora una volta con le maledette lenti a contatto la convinse ad usare finalmente i suoi occhiali, così terminò di prepararsi e si concesse un po’ di tempo libero.

Chiusa nel suo rifugio, Izzy diede libero sfogo alle sue idee, alle sue paure e soprattutto alla sua arte. Seduta su uno sgabello dietro la tastiera si divertì a pasticciare sul primo pentagramma che aveva trovato nella miriade di fogli sparsi sul pavimento qualche nota in fila. Di solito otteneva dei risultati mediocri, non erano meravigliosi, ma nemmeno da buttare. Quella volta però erano più soddisfacenti del solito, si avvicinavano quasi alla sua idea di musica.
Il tempo lì dentro si fermava, ciò che si trovava fuori perdeva importanza e gli strumenti e le bombolette spray diventavano il centro del mondo di Isabelle. Il sogno di tutti, in poche parole. Probabilmente qualcuno l’avrebbe definita pazza o asociale, però lei era fermamente convinta di quello che faceva, dedicando sé stessa sempre. E poi era risaputo che i pazzi sono sempre i migliori.
Quando rivolse lo sguardo all’orolgio a forma di disco in vinile appeso al muro si rese conto di essere in tremendo ritardo per l’appuntamento con Jen. Volò al piano inferiore e indossò la giacca in tempo record, chiudendosi la porta di casa alle spalle dopo solo cinque minuti.

 Jenny l’aspettava alla fine dell’isolato nella sua macchina, o meglio nella macchina di sua madre, per niente preoccupata del possibile ritardo. Pensandoci bene, conoscendo Chris e Will, sarebbero arrivate prima loro. E così accadde.
Lasciarono l’auto al parcheggio del McDonald’s in perfetto orario, incamminandosi tranquillamente verso l’ingresso.
«Allora, prima che arrivino, voglio tutti i dettagli di stamattina» ed ecco che Jenny tornò nei panni dell’agente 007, sicuramente sarebbe stata meglio di lui. Quando si metteva in testa che voleva una cosa, Izzy aveva scoperto che non si sarebbe arresa fino ad ottenerla.
«Jen» esordì Izzy pazientemente «ti ripeto per la centesima volta che stavamo semplicemente parlando» ancora non capiva la curiosità dell’amica riguardo alla sua chiacchierata con Chris. «Dai, con quel figone di Chris non si può semplicemente parlare!» esclamò esasperata Jennyfer, come a voler confermare la sua tesi. Secondo il suo parere quei due le nascondevano qualcosa.
Non aveva dubbi.

 La loro conversazione fu fortunatamente interrotta dall’arrivo del festeggiato, che si unì alle ragazze parlando del più e del meno e permettendo ad Izzy di sfuggire dall’occhio indagatore di Jenny.
Furono costretti ad aspettare un bel po’ prima che Christopher potesse degnarli della sua presenza. Arrivò rumorosamente sulla sua moto nera che aveva fatto letteralmente perdere la testa ad Izzy, che impazziva per le moto. Scese con calma, come se non fosse in un terribile ritardo, poi si diresse tranquillamente dal resto della comitiva, passando una mano tra i capelli nell’intento di sistemarli, e secondo Izzy di mettersi in mostra.
«Ho dovuto lasciare mio fratello a casa, scusatemi» almeno quel giorno aveva una scusa credibile.
Isabelle non riuscì a spiegarsi perché tutto quello che aveva pensato quella mattina stava lentamente svanendo, era consapevole che sotto quell’aria da idiota si nascondeva qualcosa, ma voleva vedere ancora una volta cosa. Voleva parlare ancora una volta con quel Chris nascosto, quello soppresso dal Chris della quotidianità.
A dire il vero, non riuscì a spiegarsi nemmeno questo, ma iniziava a provare una certa curiosità. Non si sarebbe più accontentata, lei adesso voleva la verità. Sarebbe arrivata fino in fondo, avrebbe continuato a scavare anche nei punti in cui gli altri si erano fermati. Si sarebbe gettata a capofitto nella scoperta del vero Christopher, a qualunque prezzo.
Purtroppo non sapeva che sarebbe rimasta prigioniera delle sue scoperte, per sempre.

 

 





HI PEOPLE!

Il primo spazio autore che scrivo!! Yee!!
Perdonatemi se le altre volte non ho dedicato nemmeno un secondo a questo spazio ma avevo pochissimo tempo per pubblicare e non ho potuto scrivere qualcosa di decente. Comunque, arriverete presto a rimpiangere i momenti in cui non scrivevo.
Nonostante questo ho spegato un po’ qualcosa di più sulla trama generale nelle risposte alle recensioni (a proposito, mi scuso con Sara_Lau21, ho appena letto la tua recensione e ti ringrazio infinitamente. Corro a risponderti per bene).
Un grazie va anche a MissPanda310, che dal primo capitolo mi ha convinta ad andare avanti. Voglio ringraziare anche tutti i lettori silenziosi, le 32 visite al primo capitolo e le 18 del secondo mi hanno aiutata moltissimo.
Dopo questi ringraziamenti perfetti per la cerimonia degli Oscar, passerei oltre.
La storia è stata il frutto del lavoro dei miei neuroni sotto sforzo nel mese di agosto, quando ho scritto il primo capitolo sul mio pc. Spero vi piaccia, ma soprattutto mi auguro che possa rimanervi qualcosa.
Tengo particolarmente al personaggio di Isabelle perché è un po’ il mio alter-ego, quello che sono e quello che vorrei essere. Qualche aspetto del personaggio e della storia rispecchia di più la mia situazione, per il resto è sempre colpa dei neuroni che non ho mandato in ferie e si sono vendicati.
Forse può sembrare una trama un po’ scontata, vorrei renderla diversa con l’avanzare degli avvenimenti.
Ad essere sincera non so più cosa scrivere, quindi andrei a rispondere alla recensione di cui parlavo sopra.
Grazie ancora anche a chi ha solo aperto la pagina e l’ha chiusa disgustato, chiedo scusa per il terribile ritardo con cui è arrivato questo capitolo, ma ho veramente voluto dare del mio meglio.
Per qualsiasi domanda sulla storia o su altro potete lasciarmi una recensione (starò più attenta a rispondere per tempo) oppure mandarmi un messaggio.
Alla prossima  

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Capitolo 4
*** Caitolo 4 ***


«Ecco a te» Will posò facendo attenzione a non rovesciare nulla un vassoio davanti a Jenny, che passò in rassegna con lo sguardo l’hamburger malamente incartato, la confezione di patatine fritte straripante e il bicchiere di cartone ghiacciato contenente la Coca-Cola, prima di rivolgergli un sorriso e ringraziarlo.
Contrariamente, Chris lasciò scivolare il vassoio di Izzy sul tavolo senza alcuna preoccupazione, non dicendo nulla e sedendosi di fronte a lei, evitando il suo sguardo.
Il loro tavolo si trovava all’esterno, sotto un’enorme tenda rossa, al fresco delle sere autunnali. Attorno a loro gruppi di ragazzi, famiglie e signori anziani cenavano in allegria, sommando così al sottofondo musicale un piacevole brusio. 
Nonostante questo, la conversazione proseguì, discutendo del più e del meno, ridendo e scherzando tranquillamente. Jenny improvvisò una lotta con le patatine, cercando disperatamente di lanciarne qualcuna sulla maglietta di Izzy, che annuì convinta in risposta alla domanda di Will mentre con una mano portava alle labbra il bicchiere di cartone e lasciava che la Coca la rinfrescasse, bloccando il cubetto di ghiaccio e cominciando a rigirarselo tra le labbra, e con l’altra bloccava l’ultimo frammento di cibo che le arrivava addosso. A lotta conclusa, si poteva dire che era stata la più grande idiozia che la ragazza avesse mai visto fare durante una cena, e negli anni era stata costretta ad assistere a competizioni oscene e altro.

 

Dopo aver terminato il gelato, Jenny estrasse dalla borsa una scatola ricoperta di carta da regalo blu tenuta ferma da un fiocco argentato e la consegnò a Will. Appeso alla confezione con un nastro, c’era un bigliettino colorato segnato dalla calligrafia lineare e ordinata della sua amica, che lui lesse ridacchiando. “Buon compleanno". Speriamo che ciò che si trova nella scatola diminuisca le tue ore di ritardo giornaliero". Un pensiero così banale, ma che aveva richiesto circa tre ore di chat di gruppo su Facebook nei giorni precedenti. Tra Izzy, Chris e Jenny, questo era il meglio che era stato trovato alla fine dei disperati tentativi di scrivere qualcosa con un significato più o meno decente. Almeno ci avevano provato.
Ovviamente, nel pacco era in bella mostra su un cuscinetto nero un orologio sportivo, anch’esso dello stesso colore, con il quadrante di medie dimensioni. «
È bellissimo, mi serviva proprio. Grazie ragazzi» un altro abbraccio, circa il ventesimo dall’inizio della giornata, li unì. Portarono via i residui dal tavolo e si diressero nuovamente verso le auto, decidendo però che era troppo presto per salutarsi.
«Izzy, hai mai visto la Statua?» chiese Jen mentre cercavano un posto dove andare. La risposta negativa fece illuminare i volti degli altri membri del gruppo, che si accordarono tra loro e poi esposero la decisione alla ragazza. «Che stiamo aspettando? Andiamo adesso, di sera è ancora più bella» così dicendo, Will si avviò alla sua moto seguito da Jenny, che non si fece sfuggire l’occasione per giocare un brutto scherzo alla compagna ed esclamò tranquillamente «Non serve prendere l’auto, ci accompagnate voi e poi torniamo qui a prenderla, che ne pensate?» i destinatari della domanda si dimostrarono disponibili, mentre Izzy pregava con lo sguardo l’amica di risparmiarle quella tortura. Come risposta ricevette un ghigno malvagio che la spaventò e la portò a chiedersi perché Jen fosse così malvagia. Quando quest’ultima salì sulla moto dietro Will, Izzy si vide costretta a seguire Chris e ad accettare il casco che lui le stava porgendo. Mentre lo afferrava, i loro sguardi si sfiorarono per un attimo e il ragazzo non poté trattenere un sorriso, come per farle capire che lui, quello vero, era ancora lì, ben nascosto sotto la corazza. Anche Izzy rispose sorridendo e si ritrovò a ringraziare mentalmente l’amica.
Si sedette dietro di lui, che partì tranquillamente stando al passo dei loro amici per raggiungere la meta stabilita.

 

Già abbastanza impressionata da quel tour notturno di New York durato ben quaranta minuti, contando il traffico e la distanza, l’espressione di Izzy quando raggiunsero il simbolo della Grande Mela era un misto tra stupore e curiosità. La statua si ergeva imponente su di loro, come se stesse sorvegliando la folla di turisti intenti a scattare fotografie. Sostarono a lungo di fronte alla statua, chiacchierando e conoscendosi meglio, alla fine sembravano amici di vecchia data, tanto erano affiatati. Erano ormai le due quando decisero di rientrare in periferia, diretti verso le abitazioni.
Il mattino seguente non avrebbero dovuto aprire il negozio, poiché era finalmente domenica.
Era assurdo come la città avesse totalmente cambiato aspetto con il trascorrere della giornata, adesso le strade erano popolate da ragazzi di ogni età che correvano da una parte all’altra, c’erano adulti in abiti eleganti di ritorno da cene di lavoro importanti, le hall degli alberghi erano tutte illuminate e dai vetri si scorgevano gli ospiti che s' intrattenevano sui divanetti, nei pub c’erano persone di ogni età sedute al bancone in attesa dell’ennesimo drink della serata.

Era uno spettacolo affascinante, New York, con i suoi abitanti dalle svariate nazionalità e idee, i locali aperti a qualsiasi ora, i quartieri così differenti l’uno dall’altro, le strade sempre illuminate e i volti sorridenti di chi ti passava accanto.
Quando ritornarono nel parcheggio, si salutarono augurandosi una buona domenica, e si diressero ognuno verso la propria casa. Izzy avrebbe dovuto avere un passaggio da Jenny ma Chris non volle sentire ragioni, convinto che una ragazza da sola a quell’ora non potesse girare per la periferia della città e deciso a tutti i costi a non permettere alla ragazza di stare a lungo in auto, quindi Izzy si ritrovò nuovamente sulla sua moto, stretta a lui, mentre sfrecciavano per le vie.
Quando furono sotto casa della ragazza, lei lo ringraziò e si salutarono con un abbraccio, poi lui aspettò che si chiudesse il portone e si accendesse la luce dell’abitazione, prima di andare via.

 

Chiuse l’anta dell’armadietto dove riponeva il dentifricio e prese un elastico dal suo polso, poi rivolse la sua attenzione allo specchio, mentre cercava di legare in una treccia i capelli blu. Quando ebbe finito, sistemò la spallina della canottiera che era scivolata e spense la luce del bagno.
Entrò in camera e si abbandonò sotto le coperte del letto, dopo aver indossato una felpa leggera.
Non impiegò molto ad addormentarsi, cullata dalle immagini della città e della serata, chiuse gli occhi in pochissimo tempo e si concesse qualche ora di sonno in più rispetto agli altri giorni.

 

Aprì gli occhi e subito le cadde lo sguardo sull’orologio, che segnava già le otto di quella domenica mattina di fine ottobre. Si alzò con calma e si diresse al piano di sotto, prese una fetta di pane che recava sulla confezione la scritta made in Italy e la farcì con della marmellata di albicocca, versò in un bicchiere del succo di arancia confezionato e accese il televisore. Si sedette al tavolo e consumò la colazione, mentre fissava lo schermo sul quale una donna stava elencando le notizie di quel giorno, odiava il telegiornale, portava solo cattive notizie. Guerre, omicidi, rapimenti erano quotidiani, ma soprattutto erano lo specchio di una società che si autodistruggeva, dove ormai ognuno lottava per se stesso. Il problema affondava le sue radici tra i più giovani, a Isabelle era capitato di vedere dei ragazzini che litigavano e si minacciavano l’un l’altro pesantemente. Odiava il telegiornale perché le metteva malinconia, ma sapeva che era giusto tenersi informati su ciò che riguardava il mondo.

Terminò di mangiare e lavò il bicchiere, spense la tv e salì al piano superiore, prese l’occorrente e si chiuse nella doccia. L’acqua fredda sul suo corpo contribuì a svegliarla definitivamente, si coprì con un asciugamano e andò nella sua camera. Accese lo stereo e partì direttamente la canzone del cd che aveva inserito qualche giorno prima, Born to run, di Bruce Springsteen. Era arrivata all’ultima traccia, Jungleland, alzò il volume e si vestì canticchiando il brano. Le piaceva moltissimo, era una delle sue canzoni preferite.
Indossò un paio di jeans e una maglia con una croce enorme sopra, l’aveva comprata a Londra molto tempo prima e non ricordava nemmeno di averla messa in valigia, pensava fosse rimasta nascosta in qualche cassetto della sua casa precedente. Aveva lasciato lì qualche indumento, per quando sarebbe andata a trovare i suoi.
Lasciò i capelli sciolti sulle spalle e sostituì le calze antiscivolo con gli anfibi. Prese dall’attaccapanni all’ingresso la giacca di pelle e uscì, determinata a scoprire qualche altro posto della città.


Il campanello sulla porta annunciò il suo arrivo, facendo voltare Josh verso l’ingresso. Quando il ragazzo la vide, si aprì in un sorriso e la salutò allegramente. «Ciao Josh!» rispose lei «Mi daresti il solito per favore?» gli chiese. Il “solito” consisteva in un caffè generosamente zuccherato, Izzy amava il caffè italiano, e quello dello Starbucks era il più simile, anche se comunque molto differente.
Prese posto su uno sgabello davanti al bancone e aspettò pazientemente il suo bicchiere di cartone, poi ne approfittò per scambiare due chiacchiere con l’amico. Josh era molto simpatico, si trovava davvero bene con lui. Si erano conosciuti appena lei era arrivata, era stato il primo con cui aveva parlato e prima di trovare lavoro in libreria era solita passare gran parte del pomeriggio al bar.
Non si erano mai incontrati al di fuori, ma si erano quasi subito scambiati i numeri di cellulare e capitava che la sera parlassero a lungo.
«Allora? Novità?» gli chiese lei mentre era intento a pulire il bancone con uno strofinaccio e aspettava il prossimo cliente. «Niente di che, mi manca un esame all’università, poi ho finito.» le rispose raggiante. Izzy aveva scoperto presto che Josh stava per conseguire la laurea in lettere, ma non amava particolarmente l’ambiente universitario in cui era capitato. Prima o poi, si disse, avrebbe dovuto iniziare anche lei. Non voleva perdere tempo ma quell’anno se lo sarebbe preso per riflettere al meglio ed evitare di pentirsi della scelta. «Grandioso!» esclamò rivolgendo un sorriso sincero all’amico «Hai già trovato qualcosa da fare dopo?» domandò ancora. Josh si fermò un attimo, come se stesse pensando, poi disse «No. Credo che me ne andrò, dipende dalla situazione» rifletté brevemente e poi aggiunse «Se qui non mi offrono nulla, me ne vado, altrimenti per ora rimango. Anche se vorrei comunque lasciare il bar» le confessò. «Non ti trovi bene qui?» si preoccupò lei. «No, anzi. Però voglio fare qualcosa che mi piaccia sul serio». Isabelle lo capiva, anche lei voleva sentirsi realizzata. Voleva avere una professione che le permettesse di mettere in atto ciò che aveva studiato. Prima però voleva girare il mondo. Non le importava granché del futuro, oltre al voler realizzarsi, non aveva altre idee, quindi si era ripromessa di vivere il presente.
Chiacchierarono ancora un po’, poi il locale iniziò a riempirsi e Josh fu costretto a dedicarsi al lavoro. Fece il giro del bancone e lasciò un bacio sulla guancia di Izzy, poi la salutò e si diresse verso un tavolo. La ragazza rispose al saluto e uscì dal bar.

 

Il pomeriggio di quella domenica trascorse lento e noioso, non sapendosi orientare in città non era potuta andare molto lontano ed era ritornata presto a casa. Aveva cercato di trovarsi qualcosa da fare, aveva visto un po’ di tv, aveva navigato su Internet, aveva chiamato la madre  ma nulla l’aveva distratta dalla noia.
Seduta dietro la tastiera nel rifugio, con indosso una maglia larga, un paio di pantaloni della tuta e dei calzini, i capelli raccolti in una coda disordinata, cercava di mettere insieme qualche nota che potesse suonare bene insieme. Riempì due righe del pentagramma, poi, però si stancò anche di quello e chiuse violentemente il quaderno. Prese un libro, ma arrivata al terzo capitolo si disse che era veramente brutto, quindi lo nascose sul fondo dell’armadio. Si buttò sul divano sull’orlo di una crisi isterica, odiava essere inattiva, si sentiva inutile. Cercò di intrattenersi con un orribile gioco che aveva scaricato sul cellulare, ma il mal di testa la costrinse a interrompere la partita. Si sentiva terribilmente sola. Avrebbe voluto chiamare qualcuno, Josh o Jenny, per invitarlo a casa e passare il tempo, ma aveva paura di disturbare. Si conoscevano da un po’, ma Izzy temeva lo stesso di poter sembrare invadente. 
Quando ormai l’orologio segnava le nove di sera, la sua pazienza terminò. Con la scusa di voler recuperare il sonno, indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte. Erano le nove e mezzo, che noia.

 

Erano passati cinque giorni da quel pomeriggio da incubo, finalmente era arrivato il giovedì e quel giorno non toccava a lei aprire la libreria, era il turno di Chris.
Nel loro rapporto non era cambiato quasi nulla, sennonché a volte lo vedeva ancora più distante di prima, non avevano più parlato come quella volta nel vicolo e non si erano più trovati da soli da qualche parte, per sua fortuna. Non era più nemmeno tanto certa di voler scoprire chi c’era sotto la maschera, a volte aveva addirittura paura. Probabilmente se ne sarebbe pentita, quindi aveva deciso di non pensarci, avrebbe assecondato le scelte del ragazzo. Nonostante tutto, aveva ancora paura di quello che sarebbe potuto succedere quel giorno, sarebbero stati di nuovo insieme da soli.
Entrò nel negozio e constatò che quella mattina il cd scelto era uno dei migliori del 1984 circa, Born in the USA di Springsteen. Era un artista che l’aveva sempre incuriosita, fino a quando non aveva ascoltato tutti i suoi album e se ne era perdutamente innamorata. Un punto a favore di Chris, aveva ottimi gusti musicali. Le piaceva entrare in libreria e sentire qualcosa di familiare e gradito.
Il ragazzo come al solito stava leggendo, probabilmente era un nuovo libro, dal momento che la copertina sembrava diversa da quella della settimana precedente.
«Giorno!» salutò Isabelle, cercando di mascherare l’ansia che la stava assalendo. Chris puntò il suo sguardo castano su di lei, accennò a un sorriso e rispose al saluto. Nessuno avrebbe creduto che quel sorriso era vero, si vedeva in lontananza che era teso anche lui e che aveva sorriso per cortesia. In quell’istante, Izzy si rese conto che avrebbe dato qualunque cosa per rassicurarlo, per liberarlo da quello che continuava a nascondere e a ignorare, ma riconobbe che così l’avrebbe solo spaventato.
Nessuno dei due l’avrebbe mai scoperto, ma fu proprio in quel momento, quando per la prima volta si guardarono quasi con terrore negli occhi, che qualcosa iniziò a cambiare. Con il tempo avrebbero dato altre spiegazioni, entrambi incapaci di riconoscere che fu proprio quel giorno che iniziò tutto.
Come da routine, la ragazza lasciò la giacca nel piccolo ufficio dietro il bancone e prese dalle tasche solamente il cellulare e il pacchetto di sigarette.

 

Proprio in quel momento, mentre stava per sedersi sul bancone, il telefono prese a squillare. Non aveva idea di chi potesse essere, non era solita ricevere chiamate a quell’ora. Lanciò uno sguardo si scuse a Chris ed estrasse l’apparecchio dalla tasca, leggendo il nome del mittente. Josh.
In un istante crebbe la preoccupazione dentro di lei, se l’amico la stava cercando alle sette e mezzo di mattina probabilmente aveva avuto qualche problema. Rispose immediatamente, senza badare a tutti i convenevoli che ormai non usava più da un pezzo con il ragazzo.
«Josh. Che succede?» aveva esordito, rimanendo in piedi al centro del piccolo spazio dietro il bancone.
«Ciao Iz, non preoccuparti.» la rassicurò l’amico «volevo solo chiederti una cosa» aggiunse in tono un po’ più sommesso. Per fare quella telefonata, Josh aveva avuto bisogno di un’enorme quantità di coraggio, oltre che di un aiuto da parte del compagno di corso, nonché il suo più fidato amico.
«Certo, chiedimela pure» aveva acconsentito la ragazza, senza nascondere una punta di curiosità.
Aveva sentito Josh esitare per un momento, poi però le era arrivata la sua voce, per niente turbata.
«Ti va di andare da qualche parte stasera?» Izzy non comprese il motivo di tanta paura nel domandare una cosa così banale, però non se lo fece ripetere due volte, accettando subito. Sarebbe stato sicuramente piacevole passare una serata in compagnia di Josh, inoltre avrebbe trovato un rimedio alla terribile noia che l’assaliva continuamente. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e si accordarono per il luogo e l’orario. Sarebbe passato lui a prenderla, infatti lei gli diede il suo indirizzo, poi insieme avrebbero raggiunto Central Park, dove si sarebbe tenuta una manifestazione. Aveva letto la presentazione su un manifesto e le era piaciuta tantissimo come idea. Ci sarebbero stati artisti di strada, musicisti, ballerini e cantanti di ogni genere, una specie di evento per unire le diverse etnie che popolavano la città. Quando salutò l’amico e chiuse la telefonata era molto contenta, sicuramente non se ne sarebbe pentita.

 

Mancava circa mezz’ora all’arrivo di Will e Jen e lei cominciava ad avvertire il bisogno di un’altra sigaretta. Al risveglio, quella mattina, si era sentita così ansiosa che ne aveva consumata una nel tragitto verso la metropolitana, ma l’effetto era già terminato. Guardò Chris al suo fianco e gli porse il pacchetto. «Vuoi?» si limitò a chiedere. Il ragazzo alzò gli occhi dal libro e la guardò per un istante, prima di rispondere facendo segno di no con la testa e mormorando un flebile “grazie”. Izzy si limitò a scrollare le spalle, lei aveva solo provato a essere gentile con lui, per il resto non era colpa sua. Si diresse tranquillamente verso la piccola porta che conduceva al vicolo privato, poi se la socchiuse alle spalle e inspirò l’aria fresca. Scivolò con la schiena lungo il muro e si sedette sul marciapiede, cingendo le gambe con il braccio libero. Si portò la sigaretta alle labbra e si lasciò cullare da quell’odore che in molti disprezzavano, ma che a lei era sempre piaciuto.
Anche quando ormai tra le dita le rimaneva un piccolo frammento di carta, non aveva smesso di pensare. In quei dieci minuti aveva rivolto la sua attenzione a diversi aspetti della sua nuova vita. Era soddisfatta del suo appartamento, del suo lavoro e anche degli amici che aveva trovato. Sapeva di poter contare su di loro. Proprio mentre rifletteva riguardo la sua nuova compagnia, le apparve in mente l’espressione che Chris le aveva rivolto poco prima. Pensandoci bene si era resa conto che il ragazzo aveva cambiato repentinamente umore, dopo la sua telefonata. Quando era entrata sembrava più allegro, mentre dopo l’aveva scambiato per uno zombie. Inoltre le era parso di capire che in altre condizioni non avrebbe assolutamente rifiutato la proposta di uscire per una sigaretta, quindi sicuramente era successo qualcosa.
Izzy accantonò il pensiero in un angolo della mente, decidendo che sarebbe stato meglio lasciar perdere.

 

 




CIAOOO!!
Vi chiedo infinitamente perdono per il terribile ritardo. Ho iniziato a lavorare a questo capitolo esattamente dopo aver pubblicato l’altro, ma un po’ per la scarsità di idee e un po’ per la scuola, non ho potuto pubblicarlo prima.
Spero vi piaccia, anche se si tratta di un momento di passaggio e devono cambiare ancora alcune cose…
Ringrazio tutte quelle persone che sono passate dalla storia in generale, in particolare un grazie va a chi si è fermato a lasciare un commento, mi avete dato la voglia di continuare a scrivere.
Ancora non riesco a credere che le visite stiano aumentando così tanto, vi ringrazio davvero.
Finalmente sono riuscita ad inserire Fear of Me in una serie, di cui fa parte anche una OneShot sul passato di Chris, se vi va di leggerla mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Cercherò di aggiornare presto,
grazie ancora a tutti
Maïa 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Non era mai stata quel genere di persona che davanti all’armadio arrivava a impazzire e sbraitare, quindi non comprendeva perché quella sera avrebbe dovuto farlo. Con tutta la calma che possedeva, Izzy aveva impiegato esattamente cinque minuti per fare una doccia, poi aveva preso i primi vestiti che le erano capitati sotto tiro, come sempre d’altronde. Pantaloni larghi e tshirt neri, felpa verde scuro e le sue amate Converse nere. Aveva una strana abitudine, ovvero quella di asciugare i capelli dopo essersi vestita, infatti prima di indossare la felpa aveva sciolto la coda disordinata e bagnata e aveva cercato di asciugarli il più in fretta possibile, impugnando il phon con una mano e provando a  leggere un libro con l’altra. Ovviamente non poteva mancare la musica, che si disperdeva indisturbata nell’ambiente della sua stanza dallo stereo posto sulla mensola in alto a destra. Lì dentro non mancava proprio niente, le pareti erano state dipinte di blu, i mobili erano bianchi come la scrivania, su cui giacevano in disordine pile di libri e fogli con appunti scarabocchiati distrattamente con il pennarello nero. Non mancavano bozze di disegni, astucci contenenti cancelleria di ogni tipo, fermagli per capelli e ovviamente Izzy poteva scommettere che i suoi occhiali in realtà erano seppelliti sotto tutte quelle cianfrusaglie. Infatti, dopo essersi preparata, non avendo alcuna voglia di combattere contro le lenti a contatto, si impegnò nel ritrovamento dei suoi amati occhiali vecchio stile. Erano neri ed enormi, le piacevano tantissimo e a dire il vero li preferiva alle scomodissime lenti, alle quali aveva già dichiarato guerra.
Riuscì a essere pronta ben dieci minuti prima dell’appuntamento, un risultato da record. Seduta sul divano a gambe incrociate, aveva continuato la lettura di quel volume che la teneva impegnata da ormai una settimana e riemerse dal suo mondo immaginario solo quando sentì il campanello, segno che Josh era arrivato.

 
I ragazzi si erano diretti all’auto ridendo e chiacchierando com'era loro solito fare, senza badare agli sguardi curiosi dei passanti, i quali probabilmente sostenevano che erano troppo grandi per comportarsi così. Durante il tragitto verso Central Park, Josh aveva acceso la radio, iniziando a cantare a squarciagola ogni brano, inventando la maggior parte delle parole e stonando spesso, senza dimenticare tutte quelle volte che era andato fuori tempo. Izzy, in risposta, non aveva fatto altro che ridere, imitarlo e ridere ancora. Si stava divertendo come non succedeva da fin troppo tempo, aveva la mente libera da qualunque pensiero e la sua unica preoccupazione era di riuscire a vedere più artisti possibili quella sera.
Sin da qualche isolato prima del parco le macchine riempivano la strada, così dovettero fare il giro della zona per più volte, fino a trovare parcheggio in uno dei tanti vicoli laterali. Avevano camminato abbastanza ed erano finalmente arrivati nel centro della manifestazione.
Li avevano accolti un’infinità di stand e bancarelle colmi di qualunque tipo di oggetto, da cartoline e braccialetti di stoffa, a dipinti e utensili domestici. A ogni angolo c’era chi vendeva cibo, hot dog e patatine, hamburger e copie delle pizze italiane. Non mancavano ovviamente le pizze vere, provenienti dall’Italia, insieme all’originale sushi giapponese e agli innumerevoli piatti della cucina indiana adorati dagli americani. Lungo le vie secondarie del parco erano stati disposti tavoli e sedie, proiettori che riproducevano vecchi film in bianco e nero, impianti stereo con musica di diverso genere.

 
Continuando la passeggiata, Izzy e Josh si addentrarono in quello che doveva sicuramente essere il cuore della festa. Al termine della strada c’era un enorme palco su cui erano già posizionati degli strumenti e sul lungo spazio antistante c’erano ragazzi con chitarre e tamburi, altri battevano le mani seguendo il ritmo e altri ancora improvvisavano dei testi da cantare. La maggior parte era raccolta in cerchi sparsi disordinatamente, ma facevano eccezione quelli che stavano provando separatamente per la serata. I due ragazzi, sempre continuando a sorridere, si fecero spazio tra la folla e arrivarono davanti ad un gruppo che si stava esibendo in alcuni passi di street dance che incantarono Izzy. Rimasero a guardare a lungo, poi si spostarono per andare a vedere come dei ragazzi stavano realizzando dei graffiti su una tavola di compensato. Lo sfondo giallo contribuiva a dare colore alla frase che lentamente prendeva forma grazie all’uso attento ed esperto delle bombolette variopinte, un’infinità di colori si espandeva su tutto il piano, complicati disegni facevano da contorno attirando così i complimenti degli spettatori.
Quando i ragazzi ebbero terminato il lavoro, Josh seguì Izzy lungo la strada e lei si fermò dopo poco, attratta da una giovane cinese che, con indosso abiti tipici del suo paese, suonava il violino. Le sue mani correvano veloci e precise sul piccolo strumento, producendo un suono piacevole e meraviglioso. La ragazza stava a occhi chiusi, si agitava sul posto e i suoi lunghi capelli neri volavano da una parte all’altra del suo viso spinti dal vento. Quando la musica si interruppe, l’artista posò nella custodia lo strumento trattandolo con attenzione maniacale, poi sorrise timidamente alla piccola folla di spettatori che aveva attirato e disse qualche parola in cinese, che ad Izzy apparve come un “grazie”. Dopo quello, la ragazza iniziò infatti a parlare in un inglese perfetto, spiegando che quel brano era una sua composizione e che anche lei sarebbe salita sull’imponente palco quella sera. Involontariamente, il pensiero di Izzy si rivolse a Chris, non avevano parlato molto della sua famiglia, ma poteva immaginare la sua provenienza. Non sapeva se aveva ereditato gli occhi dalla madre o dal padre, se era mai stato in Cina o se parlava quella lingua meravigliosa e intrigante, non sapeva quasi nulla di lui eppure era bastato incontrare una ragazza che nemmeno gli assomigliava e subito la sua mente l’aveva ricordato. Si rimproverò, non poteva di certo fare certe considerazioni mentre era fuori con Josh, anche se come amici, sarebbe stato inopportuno e inoltre non si sarebbe divertita se avesse avuto un chiodo fisso in testa.
Si impegnò al massimo e fece decadere l’argomento “Chris” nelle profondità della sua mente.

 
Josh fu davvero gentile quel giorno. Dopo l’esibizione della violinista avevano ripreso la camminata e avevano visto tantissimi ragazzi cimentarsi in diverse arti, ognuno aveva il suo stile e il suo abbigliamento, la sua storia e le sue idee. Quasi al ridosso dell’orario d’inizio, Izzy aveva proposto di vedere il grande spettacolo finale, quindi avevano corso in mezzo alla gente per cercare un posto vantaggioso, e alla fine si erano ritrovati sotto il palco. Il tempo era volato, avevano applaudito continuamente, avevano riso delle battute di qualcuno e avevano urlato sulle note di pezzi famosi.
Quando, due anni prima, Izzy aveva deciso di volersi trasferire a New York piuttosto che a Cambridge, di gran lunga più vicina a Londra, uno dei motivi che l’aveva fortemente convinta era stato proprio quello, a New York ognuno poteva essere se stesso. A molti poteva sembrare che anche in Inghilterra i ragazzi erano piuttosto liberi, ma Izzy non riusciva a sopportare quegli inglesi anziani e tradizionalisti che non avevano mai accettato di buon grado la popolazione giovanile. Gli americani, invece, sembravano molto più aperti a questo genere di confronto.
Era passata la mezzanotte da ben due ore quando il concerto giunse al termine. Il pubblico era diminuito e ormai c’erano solo spettatori al di sotto dei trent’anni. Josh e Izzy uscirono dal parco spensierati e si diressero nuovamente all’auto. Mentre percorrevano le strade bloccate dal traffico nonostante l’orario, avevano parlato del più e del meno, conoscendosi ancora un po’.
Una volta giunti sotto casa di Izzy, la ragazza aveva abbracciato l’amico e l’aveva ringraziato. «Sono stata davvero bene stasera, era tutto fantastico» gli confessò, poi aggiunse «Buonanotte, ci vediamo nei prossimi giorni». Josh aveva sorriso e aveva risposto alla ragazza allegramente, poi mentre lei apriva il portone e si allontanava verso le scale, sentì un «’notte anche a te, Izzy» che la fece voltare. Agitò la mano in segno di saluto, poi si diresse verso le scale.

 

Erano passate tre settimane da quella sera, ormai anche la prima metà di novembre era trascorsa e si avvicinava sempre di più il Natale. Alcuni negozi esponevano già nelle vetrine colorate decorazioni e abeti, il freddo iniziava a farsi strada e la gente si lasciava trasportare nella magia tipica del periodo natalizio. In libreria erano arrivati nuovi volumi e le case editrici spedivano anche gadget a tema da appendere, Will era arrivato la settimana prima con uno scatolone contenente degli addobbi e qualche vecchio cd con le canzoni tradizionali, non si parlava di altro se non di regali e vacanze. Jenny sarebbe tornata dalla sua famiglia, Will aveva prenotato il primo volo disponibile per l’Italia per andare a trovare un suo amico di vecchia data, Chris invece sarebbe rimasto a New York, come Izzy d’altronde, che aveva preferito mettere da parte i soldi e tornare a casa per l’estate piuttosto che sprecarli per un week-end a dicembre.
Jenny, sorridendo in modo fin troppo malvagio aveva esposto la sua idea a Chris.
«Potreste fare qualcosa insieme, tu e Izzy, così non state soli» mentre parlava aveva guardato entrambi in un modo strano.
«Si, potremmo..» era stata la risposta per niente convinta del ragazzo, che non sembrava affatto felice all’idea di dover rinunciare alla sua adorata solitudine. A Izzy non sarebbe dispiaciuto avere qualcuno con cui trascorrere il tempo, ma non voleva rovinare i piani del ragazzo, che magari si era già organizzato in altri modi.
Jenny li aveva guardati lasciando trasparire un accenno di delusione, poi aveva stretto le spalle e si era messa al lavoro.

 
Il giorno dopo, Izzy tornò a casa dalla libreria con una strana idea, quindi aprì l’armadio ed estrasse un piccolo borsone, indossò il costume da bagno e prese tutto l’occorrente per andare in piscina. Recentemente aveva cercato su internet e aveva telefonato per chiedere informazioni. Durante quella settimana le era stato dato il permesso di andare una sera a sua scelta e prendere una corsia riservata, dove avrebbe potuto nuotare tranquillamente.
Dopo venti minuti di viaggio in metro e cinque di camminata, raggiunse la struttura e si mise in fila per raggiungere la reception. Fece tutte le procedure, poi finalmente riuscì ad entrare nello spogliatoio.
Appena varcata la soglia della piscina vera e propria, un piacevole tepore la avvolse, insieme all’odore di cloro che le riempì le narici. Le era sempre piaciuto nuotare, il contatto con l’acqua la faceva stare bene, riusciva a rilassarsi completamente.
Lasciò l’asciugamano sull’apposito gancio, poi indossò la cuffia e gli occhialini. Salì sul trampolino e, dopo aver preso accuratamente posizione, si lanciò nella vasca. Quando il suo corpo fu finalmente immerso, Izzy riprovò quelle sensazioni che le mancavano da mesi. Sembra strano, ma adorava perfino l’acqua fredda in cui era difficile rimanere a lungo e il dolore che si espandeva dalle braccia e dalle gambe, che non allenava da troppo tempo.Percorse la vasca innumerevoli volte, alternando stili e velocità differenti, fino a quando non giunse l’orario di fine.
Facendo pressione sulle braccia era risalita sul bordo della piscina e si era poggiata l’asciugamano arancione sulle spalle. Quando tolse la cuffia e liberò i capelli, sentì ricadere altre gocce fredde sulle spalle e apprezzò sempre di più quella serata. Il getto fresco della doccia la fece risvegliare definitivamente dallo stato di trance in cui si trovava e la riportò alla realtà.
Si preparò con calma e uscì dalla struttura diretta verso la metro, per tornare finalmente a casa.

 
Mentre aspettava che i toast fossero pronti, il cellulare si illuminò e catturò la sua attenzione, avvisandola dell’arrivo di un messaggio. Si alzò controvoglia dal tavolo della cucina e prese l’apparecchio, inserì la password e cliccò sull’icona della chat con Jennyfer.

“Domani sera un mio amico suona in un locale vicino casa mia. Chris ha (stranamente) accettato. Che fai, vieni? Chiamami.<3”
Non le sarebbe dispiaciuta una serata diversa dal solito, inoltre sarebbe stata un’occasione per conoscere meglio i suoi amici e non aveva nessuna intenzione di lasciarsela scappare. Fece come le era stato chiesto e compose il numero di Jenny, bloccando il cellulare sulla spalla per poter prendere la sua cena. Dopo qualche squillo, la voce della ragazza riempì le orecchie di Izzy, che aveva fatto appena in tempo a posare i toast nel piatto.
«Dolcezza!» la salutò allegramente. Sapeva perfettamente che Izzy odiava quel soprannome, ma forse era proprio quello il motivo che la spingeva a chiamarla così.
«Hola Jen» rispose lei, mentre addentava il panino.
«Allora, vieni?» chiese impaziente dall’altro capo del telefono, sperando in una risposta affermativa. Sapeva di quella serata da circa un mese, ma conoscendo i ragazzi aveva deciso di avvisarli la sera prima, in modo che non si sarebbero potuti tirare indietro.
Izzy ci pensò un attimo, valutando le opzioni; andare con Jenny e passare una serata diversa, oppure chiudersi come al solito in casa e guardare qualche documentario noioso.
«Se insisti…» aveva risposto lei, decisa a non perdere più nessuna occasione.
«Perfetto!» si sentì un piccolo applauso, simbolo dell’entusiasmo di Jen. «Finalmente vi ho convinti!» era davvero un traguardo per la bionda, che aveva progettato con tanta cura il programma del giorno seguente e si era posta come obiettivo quello di avvicinare il più possibile i suoi colleghi. Era convinta che a quei due servissero solo le giuste situazioni, poi sarebbero sicuramente diventati almeno amici, anche se tifava per qualcosa di più.
«Allora, ti spiego il programma» continuò. «Prepara tutto ciò che ti serve per il locale e per la notte, Dormite da me. Non accetto nessuna scusa, ho abbastanza stanze per tutti. Alle sei, quando chiudiamo il negozio, vieni da me con Chris e ci prepariamo. Al ritorno rimanete da me. Ok?»
Buttò fuori tutto d’un fiato, per paura di essere interrotta. Izzy ci mise un po’ a comprendere tutto, ma appena ebbe compreso si convinse che non sarebbe stata una brutta esperienza. «Ok» rispose, lasciando sconvolta Jennyfer, che già prevedeva ore di litigate per convincerla.
Dopo aver parlato per qualche altro minuto si salutarono, dandosi appuntamento per il giorno seguente, poi Izzy finì di cenare e corse in camera a preparare l’occorrente per quel programma strambo dell’amica.

 
 Quella mattina si alzò con una strana sensazione, mai provata prima di allora. Era divisa tra due pensieri, aveva paura per quella serata, ma allo stesso tempo era felicissima. Si preparò in fretta, indossando le prime cose che aveva trovato, poi prese il piccolo borsone e si chiuse la porta di casa alle spalle.
Quando arrivò in libreria c’erano sia Chris che Jenny, intenti a chiacchierare tranquillamente. La sua entrata era stata accompagnata dal suono delle campanelle appese alla porta, che attirarono l’attenzione dei ragazzi. «’Giorno!» esclamò l’amica, seguita subito dal moro. Isabelle rispose allegramente e si recò nella stanza sul retro per lasciare la giacca e il bagaglio.
Tutta la mattina era trascorsa tranquillamente e all’ora di pranzo il fattorino del ristorante cinese che si trovava in fondo alla strada portò loro il pranzo. Mangiarono gli spaghetti di soia in fretta, ridendo a crepapelle, mentre Will raccontava aneddoti della sua adolescenza. Quell’uomo era un’esplosione di simpatia e stare con lui era sempre un piacere.
Alle sei, come da programma, Chris eseguì le procedure della chiusura della cassa, Jenny spazzò il pavimento e Izzy ripose i libri lasciati sui tavoli dai clienti.
Girarono il cartello sulla porta da “aperto” a “chiuso” e si diressero verso casa di Jen.

 
Le ragazze arrivarono a bordo dell’auto della bionda, mentre Chris parcheggiò accanto a loro la moto, portando in spalla uno zaino nero in cui probabilmente era contenuto il necessario per la permanenza. La padrona di casa mostrò le stanze agli ospiti e insieme si accordarono per l’utilizzo dei bagni.
Izzy aprì la porta della camera che le era stata assegnata e rimase piacevolmente sorpresa nel notare la sua luminosità. Era un ambiente ampio, dipinto di un bel color crema, il mobilio era bianco e le coperte del letto erano rosse. Alle pareti erano appese delle fotografie in bianco e nero raffiguranti enormi spiagge, barche in un porto, falò che ardevano sulla sabbia. Era arredata con gusto e accogliente, proprio come piaceva a lei.
Lasciò il borsone sulla scrivania, lo aprì e cominciò a estrarre gli abiti per quella sera. Aveva deciso di divertirsi, di non pensare a nulla, quindi aveva ascoltato i consigli di Jen. Posò sul letto un paio di calze nere, un top e una gonna dello stesso colore. Il top le ricopriva le spalle di decorazioni in pizzo, mentre la gonna era corta sul davanti, ma lunghissima dietro. Non amava particolarmente questo tipo di abbigliamento, però per quella sera avrebbe fatto un’eccezione. Prese dalla busta di plastica gli anfibi neri e li appoggiò sul pavimento coperto dal parquet, poi si munì di asciugamano e bagnoschiuma e si diresse verso il bagno del piano di sopra. Nel frattempo, avevano precedentemente deciso che Chris avrebbe usato quello del piano inferiore, mentre Jenny avrebbe cercato qualche vestito per la serata.

 
Uscì dalla doccia e si avvolse l’asciugamano intorno al corpo, legò i capelli bagnati e si annotò mentalmente che avrebbe dovuto ripassare la tinta, si iniziavano a vedere infatti i capelli neri.
Chiuse a chiave la porta della camera e si liberò del telo, indossando con calma gli abiti.
Quando fu pronta, si diresse verso il mobile del corridoio su cui l’amica le aveva lasciato il phon, lo portò nella stanza e si mise con pazienza ad asciugare i capelli. Aveva quasi terminato, quando qualcuno bussò alla porta e lei riuscì a stento a sentirlo. Dall’ingresso sbucò la testa di Chris, già sistemato. Indossava dei jeans neri e una camicia bianca, il tutto accompagnato da una giacca nera e da un paio di Vans dello stesso colore. I capelli ricadevano sulle spalle e gli davano un’aria ribelle.
«Posso?» domandò timoroso, aprendosi in un sorriso quando Izzy aveva annuito. Si sedette sul letto, mentre la ragazza gli dava le spalle e terminava di sistemare i capelli. La guardò a lungo, chiedendosi dove avesse nascosto fino a quel momento quel suo lato maledettamente provocante.
Anni prima si era ripromesso di non fidarsi più di una ragazza, ma rimaneva il fatto che Izzy fosse oggettivamente bella. Raccolse tutto il coraggio di cui era padrone e lo disse «Stai bene così».
Lei, in risposta, poggiò un po’ troppo bruscamente il phon sulla scrivania e si girò di scatto, senza alcuna idea riguardo qualcosa da dirgli. «Grazie, anche tu» fu tutto ciò che riuscì a sussurrare, dandosi della stupida subito dopo. Non era affatto in imbarazzo, capiva perfettamente che era normale ricevere certe osservazioni, semplicemente non era abituata, e doveva imparare a rispondere senza sembrare impacciata.
Spostò la sua attenzione sul borsellino che giaceva sul letto e si avvicinò a Chris per poterlo prendere. Il ragazzo la studiò attentamente, non con l’attegiamento di superiorità di molti uomini, ma con un’attenzione quasi maniacale. I suoi occhi percorsero la curva della sua spalla, si posarono sul braccio scoperto e sulla mano che si richiudeva intorno alla bustina.
La guardò mentre estraeva l’eyeliner e rimase incantato quando lei si morse il labbro concentrandosi davanti al piccolo specchio posto su una parete. Si sentiva davvero stupido.
Izzy terminò di prepararsi e legò la bandana nera al polso, al posto di inutili bracciali.
Jenny era ancora sotto la doccia, quindi i due erano soli, e la ragazza si impegnò al massimo per non fare una brutta figura. Non riusciva a spiegarsi perché il giudizio di Chris la mettesse così in ansia.

 
Spostò il borsone e si sedette accanto a lui sul letto, stabilendo subito un contatto visivo. Voleva essere egoista, pretendeva di rivedere quel Chris che aveva visto nel vicolo del negozio, quello timido e simpatico, quello che l’aveva capita. Non riusciva più ad accontentarsi di quel ragazzo scontroso che rispondeva con monosillabi. In quel momento si rese conto di avere davanti esattamente quello che voleva, e ne fu terribilmente felice.
«Non so quasi nulla di te, raccontami qualcosa» aveva rotto il silenzio proprio lui, contrariamente al solito, quando bisognava tirargli le parole con la forza.
Izzy ci pensò un attimo, non sapendo da dove iniziare, poi decise che per quella volta non gli avrebbe raccontato la sua storia, era troppo presto.
«Sono venuta qui da Londra anche per studiare, però sono indecisa» iniziò, capendo subito di aver scelto un argomento futile. Chris però non lo diede a vedere, si dimostrò interessato e subito prese parola. «Tra cosa? » le domandò. «Archeologia e Lingue orientali. Non ne ho proprio idea.» Lui sorrise, ridacchiando, poi le disse: «Ammetto di essere di parte, ma Lingue orientali è bellissima»
Izzy si rese conto solo dopo un po’ della motivazione per la quale il ragazzo aveva trovato divertente la sua proposta, quindi si unì a lui sorridendo.
«Quali sceglieresti? Di lingue, intendo» le chiese ancora. Questa domanda aveva trovato risposta già da tantissimo tempo, quindi rispose subito a Chris. «Arabo, giapponese e cinese» sorrise ancora, mentre lui riprese a parlare.
«Non conosco né l’arabo, né il giapponese, ma li ho sentiti parlare e mi sono piaciuti tantissimo. Il cinese invece è stato la prima lingua che ho parlato, e ti posso assicurare che non te ne pentiresti affatto. E poi, se dovessi avere qualche problema, potrei aiutarti io.» Izzy apprezzò tantissimo la proposta dell’amico, ringraziandolo sinceramente. Da quella conversazione però trovò uno spiraglio per scoprire qualcosa di più su di lui, quindi ne approfittò.
«E così vieni dalla Cina?» gli chiese, sperando di non toccare argomenti negativi.
«Più o meno. Mio padre è cinese, ma mia madre è californiana. Però sono nato a Shanghai e ci ho vissuto fino a quando avevo cinque anni. In America, invece, ho continuato a studiare la lingua» mentre parlava sorrideva, però Izzy aveva notato il suo sguardo incupirsi quando aveva nominato i suoi genitori. Sperò vivamente che non fosse successo loro qualcosa di spiacevole.
Stava per parlare, ma Chris fu più veloce e ricominciò il suo racconto. Capì che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e lo lasciò fare, felice che avesse scelto lei. Allo stesso tempo, però, si era sentita terribilmente in colpa, non aveva voluto raccontare la sua storia, ma aveva fatto in modo che lui le raccontasse la sua.

 
«Sono figlio unico, ma non lo sa quasi nessuno, infatti a volte uso la scusa di mio fratello per spiegare i miei ritardi, se l’ho fatto qualche volta ti chiedo scusa, ma preferisco non dire a tutti ciò che faccio» Izzy si ricordò della sera del compleanno di Will, quando Chris era arrivato sulla sua moto e si era giustificato dicendo di aver riaccompagnato il fratello a casa. In quel momento aveva pensato che almeno quella volta aveva una scusa buona, che non era stata colpa sua, ma adesso sapeva che si sarebbe dovuta sentire delusa. Eppure questo non accadde, lei continuava a capirlo e comprese ogni motivo per il quale aveva mentito.
«Non vedo i miei genitori da quattro anni, da quando sono scappato di casa» riprese il racconto
«Non credo di poterli definire genitori, nella mia vita una sola persona si è comportata da madre, ma non è stata quella che doveva esserlo. Era quella che i signori Lyn definivano “governante”, la signora Jane. Era splendida e credo di averla sempre vista come mia madre» Izzy si rese conto di quanto fosse inquietante il fatto che lui avesse chiamato i suoi genitori biologici per cognome, in realtà non aveva mai sentito il cognome di Chris, ma le bastò mettere insieme i pezzi per capire.
«Mi viene da ridere se penso al progetto che quelli avevano di me. Dovevo essere l’erede degli alberghi Lyn, una copia di mio padre. Che schifo. Non l’ho mai sopportato, per lui ero solo una fonte di guadagno. Quando sono nato, a Shanghai tutti conoscevano mio nonno e mio padre, avevano da poco aperto il terzo albergo fuori dalla Cina e la stampa invase il cortile dell’ospedale.
Mia nonna me l’ha raccontato di recente, quando mi portarono a casa per la prima volta organizzarono un servizio fotografico. Tutti mi conoscevano. Se mai dovessi tornare lì, spero solo che nessuno si ricordi di me.» fece una pausa, rivolgendo ad Izzy un sorriso, come per farle capire che non gli faceva nessun effetto parlare della sua famiglia, eppure lei vide i suoi occhi spenti, vide le immagini del suo passato riflesse in quel mare castano e non seppe fare altro se non poggiare la testa sulla sua spalla, per ricordargli che lei era lì e che non se ne sarebbe andata.
Avevano ancora un po’ di tempo prima dell’orario stabilito da Jenny, che se ne stava in salotto ad aspettarli. Era passata nel corridoio e li aveva visti, quindi aveva deciso di non disturbarli, alla fine il suo intento era proprio quello e avevano due ore di tempo.

 
Chris, spiazzato dal gesto di Izzy, aprì il braccio per accoglierla meglio e lei non se lo fece ripetere due volte. Entrambi avevano a lungo cercato quel tipo di rapporto e, sin dalla chiacchierata nel vicolo, avevano capito di avere davanti la persona giusta.
Dovevano solo lasciare da parte il passato e pensare al presente.
Chris decise che Izzy avrebbe dovuto sapere tutto di lui, quindi riprese il racconto della sua storia, parlando a voce più bassa, per non disturbarla se non avesse voluto ascoltarlo.
«Sai, con i miei nonni ci parlo ancora. Loro non sono come il figlio, sanno cosa vuol dire essere persone umili. Se adesso mio padre si crogiola nel denaro è merito del duro lavoro di mio nonno. Non suo, assolutamente. Lui si è limitato ad ereditare e ad istruirmi affinchè potessi succedergli.
Il padre di mia nonna era un falegname, quello di mio nonno un contadino. Quando si sposarono, riuscirono a trovare una casa semplice, con solo due stanze, che aveva un piccolo orto sul retro. Spesso mi raccontavano che le loro giornate erano scandite dal lavoro nel campo e in casa, non facevano altro, era l’unico modo per guadagnare qualcosa. Fino a quando mio padre era l’unico figlio riuscirono a vivere lì e cercarono di dargli la possibilità di studiare, non gli hanno mai chiesto di aiutarli.» Izzy lo osservava, la sua espressione era dura, parlava del padre con un tono sprezzante che la ragazza non avrebbe mai immaginato di sentire riferito ad un genitore.
«Il problema arrivò quando mia nonna rimase incinta per la quarta volta. Non c’era più spazio e il campo non bastava più a soddisfare i bisogni di tutti. Mio nonno decise di vendere la casa e con quel poco che aveva guadagnato e alcuni risparmi comprò una casa con quattro stanze abbastanza lontana dalla città. La famiglia usava tre camere, la quarta iniziarono ad affittarla agli studenti. Mia nonna preparava loro ogni giorno il pranzo e la cena. Andarono avanti per tantissimo tempo, poi pian piano mio nonno ha iniziato a comprare e affittare altre case nei dintorni e così via, fino a quando, quindici anni dopo, aprì la prima locanda. Ogni volta che raccontano questa storia, i loro occhi brillano.» In quel momento il ragazzo sorrise e Izzy riuscì a rivedere quel Chris che stava cercando, quel Chris che in qualche modo le era rimasto impresso nella mente, quello che ovunque si trovasse compariva prepotentemente tra i suoi pensieri. Finalmente ebbe davanti quella meravigliosa persona che in realtà Chris era. Lui, invece, si sentì per la prima volta esattamente nel posto giusto, dopo Juliet non aveva più avvicinato nessuna ragazza, ma in quel momento ebbe la certezza che per Izzy avrebbe potuto fare un’eccezione, che quella volta non si sarebbe bruciato.


CIAOOO

Come al solito, per prima cosa vi chiedo scusa. Ancora una volta non sono riuscita a completare il capitolo in tempo e vi confesso che queste 7 pagine di Word dovevano essere di più, ma ho deciso di pubblicare il resto prossimamente insieme al capitolo 6.

Bene, dopo questo, voglio ringraziare tutte le persone che sono passate, tutte quelle che hanno lasciato un commento e anche chi è rimasto disgustato dalla storia. Avete dedicato del tempo alla mia storia e mi avete spinta a continuare. Spesso mi chiedo se abbia senso pubblicare altri capitoli, penso di sospenderla per un po’ fino all’estate, ma poi mi rendo conto che non riuscirei a stare senza voi, Chris e Izzy a lungo.

Scappo o non farò in tempo a pubblicare nemmeno questo.

Alla prossima e grazie ancora. <3

Maïa

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Con un gesto il ragazzo indicò a Isabelle la finestra, facendole capire che sentiva il bisogno di scaricare un po’ del nervosismo accumulato con una sigaretta. Lei gli sorrise e insieme si spostarono nel piccolo balcone decorato con piante colorate su cui si affacciava la stanza.
Chris tirò fuori dai jeans il pacchetto di sigarette e ne accese una, aspirando il fumo prima di ricominciare a parlare. Sapeva di avere ancora del tempo e non aveva mai provato quella sensazione di libertà che si stava impossessando del suo corpo. Izzy si sedette su una delle due poltroncine, mentre lui si mise di fronte, appoggiandosi alla ringhiera.
«Sinceramente non mi sorprende che i miei nonni paterni non abbiano mai sopportato i genitori di mia madre. Lui era un famoso attore e lei viveva dei guadagni del marito. Presto anche la loro unica figlia ha imparato a fare così. Ogni suo capriccio è sempre stato un ordine per loro, e dico così non perché qualcuno me l’ha raccontato, ma perché era solita fare allo stesso modo anche da adulta. Fino al giorno in cui me ne sono andato, lei ha sempre pensato di potermi trattare come faceva con i suoi genitori. Che illusa. Capisco perfettamente cosa la unisce a mio padre.» con uno sguardo disgustato prese altro fumo dalla sigaretta e continuò così fino a quando non la ebbe terminata.
«Sono felice di essermi liberato di loro, dico sul serio. Da quando sono andato via, sono diventato me stesso e non il bambolotto con cui si divertivano tutti a giocare, mi sento più libero»
Izzy gli rivolse un enorme sorriso e si alzò per poterlo abbracciare. Mentre erano stretti l’uno all’altra, lui la ringraziò in un sussurro e le disse che pensava di aver trovato la sua prima vera amica. Lei, in risposta, arrossì per la prima volta davanti ad un ragazzo e gli confessò che anche lui era il suo primo amico con Jenny.
Rientrarono nella camera e si fecero scherzi a vicenda fino a quando la proprietaria di casa non salì per avvisarli dell’orario.

 In pochissimo tempo si ritrovarono nel salotto e sia Izzy, sia Chris, poterono notare l’abbigliamento di Jennyfer. Era bellissima. Un abito rosso a maniche corte le arrivava fin sopra le ginocchia, ai piedi calzava un paio di decolleté neri di media altezza che lasciavano scoperto un magnifico tatuaggio.
Raffigurava un serpente che si avvolgeva lungo la caviglia, fino ad arrivare con la testa sul collo del piede. Jen, che sembrò notare lo sguardo degli amici, spiegò loro il significato.
«Rappresenta il mio passato, quello che ero e gli errori che ho fatto. Adesso sono andata avanti, ma non posso permettermi di dimenticare quello che è stato, altrimenti ricadrei nello stesso sbaglio. È una lunga storia, prima o poi lo saprete e non me ne vergogno, ne sono uscita e farà sempre parte di me».
I ragazzi non fecero domande e si limitarono a seguire l’amica verso l’auto, pronti per divertirsi. Durante il tragitto Jen riprese il suo solito modo di fare allegro e coinvolgente, trascinando con sé gli altri in un karaoke abbastanza stonato. Al loro arrivo mostrò all’addetto della sicurezza tre pass e un collega dell’uomo li scortò fino a un privè, circondato da delle tende bianche.
La musica era assordante e l’aria era già impregnata di alcol e sudore, le persone si muovevano distrattamente sulle note delle nuove hit mentre sorseggiavano i loro drink.

 All’ingresso della zona riservata li accolse un ragazzo che doveva avere circa la loro età, era alto e aveva i capelli molto lunghi e neri, aveva un piercing sul sopracciglio destro e sulle braccia erano sparsi dei tatuaggi di diverse dimensioni. Indossava dei jeans neri e una tshirt di un gruppo musicale. Salutò Jenny con un abbraccio affettuoso, poi sorrise agli altri e porse loro la mano.
«Finalmente posso conoscervi, ragazzi. È un vero piacere, io sono Brian Hearst. Seguitemi, vi presento gli altri.» Chris e Izzy strinsero la mano e si presentarono, poi entrarono nel privè.
Ad aspettarli c’erano due ragazzi e una ragazza, seduti al tavolo, intenti a discutere tra loro. Appena notarono i nuovi arrivati si alzarono e li raggiunsero, poi Brian fece le presentazioni.
«Lei è Eirene Perkins, la nostra cantante. Ei, loro sono Isabelle e Christopher» la ragazza rivolse loro un sorriso e diede due baci a ognuno.
«Loro invece sono Sean Burgh, chitarrista» indicò il primo «e John Galt, tastierista del nostro gruppo. Io suono la batteria e tra poco ci esibiremo per la prima volta in questo locale. Se tutto va come abbiamo previsto, potremmo avere addirittura un contratto per suonare qui ogni sabato sera»
Spiegò loro Brian, invitandoli a sedere.
Izzy si concentrò sui tre musicisti che componevano la band con Brian e notò con suo grande piacere che avevano tutti un’aria di simpatia.
Il viso tondo e color caffellatte di Eirene era incorniciato da splendidi capelli ricci corvini, con sfumature viola tra i ciuffi fermati da una bandana come quella che Iz aveva al polso. Indossava una camicia verde militare molto lunga e pantaloni di pelle neri. Le scarpe dello stesso colore erano ricoperte di borchie sul retro e lei non sembrava soffrire l’altezza vertiginosa dei tacchi. Gli occhi castani erano valorizzati solamente da pochissimo mascara, era splendida. Il suo sorriso, poi, era rassicurante, così come il carattere era molto simile a quello di Jenny.
Sean aveva il classico aspetto del chitarrista. Blue jeans strappati, anfibi e tshirt neri contribuivano al suo look, coronato da capelli corti biondo cenere e occhi castani. Non aveva ancora preso parte alla conversazione se non con qualche parola, quindi Izzy non riuscì a identificarne subito il carattere.
John era almeno venti centimetri più alto di Iz e le aveva rivolto subito uno splendido sorriso. I ricci neri gli cadevano sulla fronte, coprendo leggermente gli occhi azzurri. Aveva una felpa nera con un enorme cappuccio, che portava sul capo, pantaloni larghissimi e Vans del colore della felpa non potevano ovviamente mancare, era anche abbastanza simpatico.

 «Jen mi ha parlato tanto di voi che stasera non vedevo l’ora di conoscervi. Se vi va, possiamo uscire tutti insieme qualche volta» Brian ruppe nuovamente il silenzio che si era creato tra un argomento e l’altro.
«Certo! Sarebbe davvero una bella serata!» rispose Izzy, Chris annuì come conferma e Jenny fu molto soddisfatta della piega che stava prendendo la situazione. Era davvero contenta di aver presentato i suoi più cari amici a Brian, che ormai frequentava spesso.
Lui l’aveva attratta sin dalla prima volta, anni addietro, ma il loro rapporto li faceva sembrare fratelli, eppure lei desiderava di più. Non ne aveva ancora parlato con qualcuno, aveva paura ad ammettere ad alta voce il suo interesse nei confronti dell’amico.
Ordinarono dei drink e degli aperitivi, continuando a chiacchierare allegramente.
Quando ormai il tavolo era colmo di bicchieri di ogni forma e dimensione e ciotole contenenti niente di più di qualche briciola, si spostarono nella sala principale, dove aspettarono il fatidico momento. Qualche minuto dopo, un ragazzo del locale avvertì Ei che era ora di prepararsi e tutto il gruppo si recò dietro le quinte. Inaspettatamente, Brian chiese a Jenny di accompagnarlo, sia per stare un po’ con lei, sia per lasciare ai due nuovi amici qualche attimo da soli. La ragazza gli aveva illustrato più volte il suo piano e lui le aveva promesso collaborazione. Izzy e Chris sarebbero presto diventati inseparabili, a qualunque costo.
Le ultime note della canzone sfumarono e una voce presentò il gruppo.
«Ragazzi e ragazze, buonasera!» dalla pista da ballo arrivò qualche schiamazzo «per la prima volta sul nostro palco, ecco a voi gli Hell’s Eyes!» solo in quel momento la folla esplose in urla di approvazione. Non erano molto conosciuti, ma bisognava comunque dar loro la giusta accoglienza.
Accompagnati dalle urla, salirono sul palco e salutarono con un gesto il loro nuovo pubblico, poi lentamente John si posizionò dietro la tastiera elettrica, Sean prese la chitarra dal piedistallo su cui era stata poggiata, Brian si sedette alla batteria e Eirene staccò il microfono dall’asta.  
Suonarono diversi brani, ma l’ultimo fu quello che colpì maggiormente i ragazzi sotto il palco. Quando l’inizio di My Immortal si diffuse nella sala, scese il silenzio, si formò qualche coppia e la voce di Eirene accarezzò tutti. Nessuno rimase impassibile davanti a un’interpretazione così perfetta.
Forse fu solo per effetto dell’atmosfera, oppure era esattamente ciò che desiderava fare da sempre, Chris allungò le braccia verso i fianchi di Izzy e la strinse a sé in modo diverso dal solito. Inizialmente la ragazza lo guardò interdetta, ma decise di lasciarsi andare, poggiando la testa sulla spalla dell’amico. Non ballarono come le altre coppie, si limitarono a rimanere uniti, in una muta promessa. Ancora una volta il loro rapporto stava cambiando e ancora una volta loro erano troppo distratti per accorgersene.
Quando la canzone era ormai finita, si separarono, non ci fu imbarazzo, al contrario Izzy intrecciò la sua mano con quella di Chris, in uno sfiorarsi di anelli e tatuaggi, e lo condusse verso il bar.

 Il bancone era illuminato da una luce viola posta al suo interno e spiccava nel buio della sala, tre ragazzi con un grembiule nero si spostavano freneticamente armeggiando con i vari cocktail e altrettanti ragazzi andavano e venivano dai tavoli portando enormi vassoi.
Izzy e Chris si sedettero su delle sedie nere di fronte al bancone e subito uno dei dipendenti fu pronto a servirli.
«Che cosa desiderate?» la domanda interruppe la conversazione dei due, riguardo alle vacanze natalizie. Ne avevano già parlato in altre occasioni, ma questa volta Chris sembrava un tantino più disponibile rispetto alle precedenti.
«Io vorrei una vodka alla pesca mentre…» Chris si interruppe e guardò l’amica, in attesa della sua risposta. Quando Izzy chiese una Coca-Cola, lui la guardò come se fosse un’aliena, non capendo perché non avesse ordinato qualcosa di diverso, magari alcolico.
La ragazza fissò la sua espressione per un istante, poi scoppiò a ridere e spiegò di essere astemia.
Non appena terminò la risata, si affrettò ad aggiungere le sue motivazioni, non aveva di certo compiuto questa scelta per paura di farsi del male, considerando che ormai aveva ripreso a fumare regolarmente, semplicemente perfino l’odore dell’alcol le aveva da sempre dato fastidio.
Le loro ordinazioni arrivarono presto e Chris insistette per pagare anche la sua, ovviamente dopo un quarto d’ora di discussione.
Dopo l’esibizione degli Hell’s Eyes Jenny era sparita con Brian e né Izzy, né tantomeno Chris, si preoccuparono di andare a cercarli. Senza la loro compagna, però, non avevano nemmeno tanta voglia di ritornare dal resto del gruppo, essendo entrambi molto timidi e avendo paura di disturbare, perciò preferirono fare un giro nel cortile posteriore del locale.

 Oltre la porta a vetri si estendeva un piccolo giardinetto, il prato inglese era alternato a dei ciottoli che creavano dei sentieri e al termine di questi c’erano delle panchine bianche. C’erano dei cespugli e qualche albero decorato con delle luci, fiaccole che indicavano l’ingresso e molta gente che chiacchierava all’aperto. Nonostante fosse quasi fine novembre era molto piacevole stare nel cortile, anche grazie a delle stufe sparse ovunque.
Chris si poggiò al muro laterale ed estrasse dalla tasca l’ennesima sigaretta della giornata, offrendone una anche a Izzy che accettò volentieri.
Tra loro calò il silenzio mentre si concedevano quel piacere che condividevano ogni giorno, mentre tutt’intorno regnava il chiasso e il caos.
Rientrarono dopo essersi trattenuti un po’ e andarono dritti al tavolo che aveva riservato Brian.
Lì c’erano già tutti e si preparavano a tornare a casa, chiudendo gli strumenti e prendendo le giacche.
Izzy fece i complimenti a tutti, soffermandosi particolarmente su Eirene che le chiese anche il numero di cellulare. Chiacchierarono mentre Sean lottava con la cerniera della custodia della chitarra, poi uscirono insieme dal locale.
Si salutarono all’esterno e tornarono a casa solo quando Jenny riuscì a liberarsi dall’abbraccio di Brian, contenta della serata.

Appena presero posto in auto Jennyfer accese la radio e scelse una canzone del cd che stavano ascoltando. Presa dal buonumore e incurante dell’orario, alzò il volume al massimo e iniziò a cantare, coinvolgendo ben presto gli altri due passeggeri. Trascorsero l’intero viaggio di ritorno improvvisando le parole e ridendo per ogni minima cosa.
Non senza un po’ di difficoltà, Jenny parcheggiò l’auto nel giardinetto antistante e corse ad aprire la porta, imprecando per il freddo. Si catapultarono all’interno e, come se avessero stipulato un accordo segreto, corsero nelle loro stanze a cambiarsi.

 Isabelle aprì la porta e accese la luce, si lanciò sul letto e si concesse qualche minuto per riflettere. Solo in quel momento si rese conto dei piccoli cambiamenti che lentamente stavano avvenendo in lei. Per la prima volta si era sentita viva, sicura, libera di essere ciò che aveva sempre desiderato e le piaceva, le piaceva molto. Era stato diverso rispetto alle serate organizzate dai ragazzi che aveva frequentato qualche anno prima, quando era al liceo. Quelle serate nelle quali si era sentita costretta a emulare le sue coetanee che, con abiti succinti, passavano da un uomo all’altro senza badare nemmeno all’età. Nascondeva i vestiti con vergogna nel fondo dell’armadio, stretti in una borsa, li lavava quando i suoi non c’erano e poi li buttava di corsa nell’asciugatrice, in modo da poterli nuovamente nascondere. Nonostante questo, la minigonna nera era leggermente rovinata in alcuni punti, e il corsetto rosso perennemente impregnato dall’odore del fumo e dell’alcol aveva due lacci troppo allentati. Le scarpe, vertiginosi tacchi neri, erano rovinate sulla parte anteriore e la suola era ricoperta dalla cenere delle tante sigarette che aveva spento per la strada, dopo aver versato in solitudine lacrime di vergogna. Quella sera invece era stata la giusta conclusione di una giornata speciale, nella quale aveva scoperto una persona meravigliosa. Sin dal loro primo incontro, Izzy aveva sempre cercato di poter rivedere quel Chris che era riuscito a farla sentire diversa, quello che si era aperto con lei e si era lasciato andare. Le apparve in mente l’immagine delle loro mani unite, la sensazione di sicurezza che aveva provato, unita alla consapevolezza che non avrebbe potuto più guardare quel ragazzo come aveva fatto fino a quel momento.
Bloccò nuovamente il flusso dei pensieri, si preparò per la notte e uscì dalla camera per salutare gli altri ragazzi.

 Jennyfer entrò nella sua stanza come una furia, impaziente di levarsi i trampoli sui quali aveva sofferto tutta la sera. Ancora stordita per tutte le luci del locale, si limitò ad accendere la piccola lampada bianca poggiata sulla scrivania di legno. La sua camera era spaziosa e di giorno era molto luminosa. Le pareti gialle le davano un’aria di allegria, così come i mobili arancioni. La stanza era lo specchio della sua nuova personalità, le piaceva anche il disordine che regnava sul letto disfatto. L’armadio enorme conteneva abiti e scarpe di ogni genere e colore, poche borse e molti zainetti variopinti. Si estendeva su quasi tutta una parete ed era suddiviso in scaffali, appendiabiti e cassetti. Qua e là comparivano qualche cappello di lana e di paglia, la bombetta nera e alcune paia di occhiali da vista e da sole. Sui muri erano appesi poster di band, dipinti di paesaggi marittimi e locandine di film. Al lato della scrivania, uno stereo nero era posato su una mensola, accompagnato da una montagna di cd. Nello spazio sottostante, invece, uno stereo per vinili, contenuti nel mobiletto su cui era poggiato. Le due casse erano nei lati opposti della stanza, ricoperte di libri e giornali.
Ai piedi del letto si disperdeva qualche paio di scarpe, abbandonato lì in attesa di sistemazione.
Jenny indossò degli antiscivolo rossi e si liberò anche del vestito, sostituendolo con dei leggins e una felpa di alcune taglie più grande.
Si struccò osservandosi nello specchio appeso sulla porta, prese il pacchetto di sigarette e l’accendino dalla scrivania, poi si diresse verso il piccolo balcone e si sedette sulla sedia di legno rivolta verso il giardino posteriore. Nella sua mente cominciarono ad affollarsi pensieri riguardo quella serata e soprattutto riguardo quel ragazzo che sin dal primo sguardo era riuscito a renderla sua, Brian. Ricordava ancora quel momento di due anni prima quando lei correva nascondendosi dalla pioggia con un cappuccio nero e tenendo ferma saldamente nella tasca della felpa con una mano la quinta bustina di quella settimana. Andava avanti così, ogni giorno una dose nuova e ogni sera un ragazzo diverso.
Aveva conosciuto Brian nel locale che era solita frequentare, lei gli si era avvicinata in cerca di una preda con la quale passare la notte e lui non aveva acconsentito. Divenne una sfida ma accidentalmente lui riuscì a comprendere ciò che si nascondeva dietro gli occhi della ragazza. Da quel giorno iniziarono a conoscersi e fu proprio lui che fece così tanta pressione da convincere Jenny a chiedere aiuto. Durante tutto il periodo della riabilitazione era sempre stato presente, al termine del percorso l’aveva riaccompagnata a casa e aveva insistito per darle una mano a ritinteggiare la stanza e cambiare guardaroba. Jenny sorrise al ricordo di quei giorni e guardando la sigaretta che stringeva tra le dita ridacchiò al pensiero della smorfia che aveva fatto Brian quando aveva trovato nuovamente i pacchetti in casa dell’amica. Aveva, infatti, cercato di dissuaderla dal fumo purtroppo senza riuscirci, in quanto anche lui dipendente dalla nicotina.
Riflettendo, non ricordava bene quando tutto fosse iniziato, ma era sicura di provare qualcosa per lui. Fino a quel giorno non aveva trovato il coraggio di confessarglielo, poi però era stato lui stesso a chiamarla con sé prima dell’esibizione.
Non avevano subito raggiunto gli altri, si erano nascosti nel camerino di Brian e lui le aveva detto di essere innamorato di lei. A quel punto aveva ceduto ed era stata proprio lei a fare il primo passo e a posare le sue labbra su quelle dell’ormai non più amico. Avevano deciso di provare a creare un rapporto diverso dal solito e aspettavano solo il momento giusto per dirlo a tutti.
Jennyfer si alzò con un sorriso enorme, spense la sigaretta nel posacenere e si diresse al piano di sotto per augurare la buonanotte agli amici.

 Christopher non aveva nessuna voglia di andare a dormire, il sonno tardava ad arrivare e l’energia scorreva nel suo corpo senza sosta. Si sedette sul letto celeste al centro della stanza e si guardò attorno. Le pareti blu somigliavano a quelle della sua camera dell’infanzia, le fotografie di spiagge con la sabbia bianca gli ricordavano le rare volte che i suoi genitori l’avevano portato con loro in vacanza e i mobili bianchi riportavano alla luce le immagini della casa dei nonni paterni a Shanghai.
Finalmente era riuscito a esternare i suoi sentimenti, la sua rabbia nei confronti di un passato di cui riusciva solo a vergognarsi. Cresciuto nel lusso e nel disprezzo delle diversità, aveva da poco iniziato a vivere nel mondo, circondato da persone che con lui avevano pochissimi punti in comune. Una soltanto continuava ad apparirgli troppo simile, troppo vicina al suo passato. Izzy era entrata nella sua vita per caso, in cerca di un lavoro per mantenersi lontana da casa e lui era riuscito soltanto a trattarla con aria di sufficienza e a frapporre un muro di cemento fra loro. Non riusciva a spiegarsi perfettamente quel suo comportamento, eppure in quel momento dovette ammettere a se stesso che ormai di quel muro non rimaneva altro se non qualche maceria. Durante il pomeriggio, era stato pervaso dal terrore di poterla annoiare o peggio ancora di rendersi insopportabile ai suoi occhi davanti ai quali già non si era dimostrato abbastanza cordiale. Quando però aveva incrociato il suo sguardo non vi aveva visto noia, disprezzo o insofferenza, bensì consapevolezza, solidarietà e soprattutto affetto. Non riuscì a dare un nome specifico alla sensazione che aveva provato quando finalmente era riuscito a stringerla tra le braccia e tantomeno a ciò che si era scatenato dentro di lui al solo sfiorarsi delle loro mani. Nel momento in cui aveva rivolto lo sguardo ai loro corpi così vicini aveva desiderato solo assaporare le sue labbra e provocarle un sorriso. Riconobbe però di essersi fatto trattenere dalla paura, non era certo di riuscire a sopportare un rifiuto ma non voleva nemmeno impietosire la bella Isabelle.
La prima volta che si era aperto a lei non era stata un’azione volontaria, piuttosto un riflesso del suo corpo. Aveva sentito la necessità di starle accanto, di mostrarle la sua vera persona, di condividere con lei quel momento e di instaurare un rapporto di fiducia. Mettendo da parte il risentimento per i genitori, si era presentato per quello che era, aveva esibito le sue cicatrici ed era riuscito a liberarsi un tantino dal peso che portava costantemente con sé.
Sorrise quando, sfilando la giacca, si rese conto di avere addosso l’odore della ragazza, un misto tra il profumo delle pesche e il fumo delle sigarette. Ripensò al momento nel quale, entrando nella stanza di lei, l’aveva osservata mentre si preparava.
In quel momento aveva compreso quanto Izzy fosse bella, e quanto lui ormai dipendesse da lei. Sostituì velocemente gli abiti con quelli contenuti nel suo zaino e corse in salotto, ansioso di rivedere Isabelle.

 Jenny scese le scale e si lasciò andare sul divano, desiderosa soltanto di tornare in camera per riposare. Guardò l’orologio appeso dietro di lei, sulla porta a vetri della cucina, che segnava le due e mezzo del mattino. Era abbastanza consapevole che la mattina seguente non sarebbe riuscita a svegliarsi prima di mezzogiorno. Chris arrivò correndo e le rivolse un sorriso indagatore, curioso di conoscere la causa del suo sguardo sognante. Furono interrotti dalla comparsa di Izzy, che giunse sul divano canticchiando una canzoncina per bambini. Quando si rese conto delle occhiate divertite che gli amici le rivolgevano, sorrise furbamente e domandò innocentemente «Che avete da guardare voi due?»
Jenny le fece il verso da dietro, poi si rivolse ad entrambi i ragazzi «Allora? Ne è valsa la pena? O vi siete annoiati?». I due si guardarono ridacchiando, poi Chris rispose «Avevi ragione, bionda» Jen fece una smorfia al sentire quel soprannome che odiava «è stato divertente. Forse potrei ascoltarti di più quando parli…» il ragazzo fu interrotto dalle urla di gioia e di scherno di Jennyfer, che si inginocchiò teatralmente sul tappeto «Dio, grazie. Finalmente l’hai capito, Christopher»
In risposta ricevette un cuscino sul viso, che afferrò prontamente e rilanciò all’amico. Si alzò in piedi, salutò con la mano i presenti e si avviò verso le scale «’Notte gente, vado prima di crollare per terra.» salì un gradino e si girò a guardare minacciosamente i due «Non azzardatevi a svegliarmi per nessuna cosa al mondo. Fate come se foste a casa vostra, io devo dormire» poi scomparve nel corridoio del piano superiore.
Izzy si sporse sul divano per dare a Chris due baci sulle guance, poi gli rivolse un saluto e si diresse anche lei verso la sua stanza. Si chiuse la porta alle spalle e si gettò sul letto, cadendo in un sonno profondo.
Rimasto solo, Chris cercò qualcosa da vedere in tv ma ben presto, essendo la sua ricerca miseramente fallita, si ritirò anche lui in camera.

 Quando Isabelle aprì gli occhi rivolse lo sguardo alla piccola sveglia posta accanto al letto. Erano le sette meno venti e sapeva perfettamente che nessuno si sarebbe svegliato nelle seguenti tre ore. Non riuscendo però a riprendere sonno, si alzò e si recò in cucina. Intenta a prepararsi un tè, non si accorse che qualcun altro era sveglio e la stava raggiungendo.
«Buongiorno» la ragazza si girò di scatto, trovando Christopher intento ad aprire ogni anta dei mobili in cerca di qualcosa da mangiare. Rispose al saluto e lo lasciò fare, sperando poi di poter usufruire del risultato della ricerca.
«Ti va un po’ di tè?» domandò voltandosi appena.
«Si grazie, ho anche trovato dei biscotti!» Chris poggiò sul tavolo bianco una busta colorata, che pubblicizzava degli ottimi frollini al cioccolato. Izzy, ansiosa di assaggiarli, si affrettò a prendere due tazze e a riempirle con la bevanda calda. Prese posto ad un lato del tavolo, invitando l’amico a fare lo stesso, e gli porse la colazione.
Chiacchierarono tranquillamente e riordinarono la stanza, recandosi successivamente nel giardino anteriore. Izzy si sedette sul dondolo e fu subito imitata da Chris, che le offrì una sigaretta.
Dopo averle accese, rimasero in silenzio.
Erano entrambi consapevoli che la sera precedente era cambiato qualcosa, ma nessuno dei due aveva il coraggio di fare il primo passo. Convenirono, invece, che per quel momento il loro rapporto poteva rimanere invariato e che con il tempo si sarebbero potuti conoscere meglio.

 

 

Ciao!!
Mi scuso per il terribile ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma essendo cambiate tante cose dall’ultima volte che ho aggiornato, ho avuto un periodo totalmente privo di ispirazione. Non so dirvi quando riuscirò a pubblicare il prossimo, ma sicuramente già da domani mi metterò al lavoro. Ho sentito la mancanza dei miei personaggi e l’altro giorno ero davvero impaziente di ricominciare. Spero davvero che vi piaccia, ho cercato di fare un punto della situazione degli stati d’animo dei protagonisti  e spero non risulti troppo noioso.
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate!
Un bacio

Maïa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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