Terribile.
Insopportabile.
Acida. Perfida. Insofferente. Sfacciata. Maleducata.
Questo
dicevano di lei. Questo e molto altro.
Ormai i mormorii
sommessi nei corridoi della scuola non intimorivano più
Izzy,
che camminava imperterrita e orgogliosa. Perchè era vero.
A lei piaceva
il suo piercing al naso, le piacevano i suoi tatuaggi e i
capelli corvini e lunghi, ormai tinti di blu, che di solito legava in
uno
chignon disordinato. Aveva scelto lei stessa il tipo di abbigliamento:
le sue
enormi felpe, le innumerevoli magliette con le frasi delle sue canzoni
preferite, milioni di jeans neri e blu, ma soprattutto le sue giacche
di pelle,
ne aveva una grigia e una nera e le custodiva gelosamente.
Aveva dovuto combattere
con i suoi genitori per i quattro buchi all'orecchio,
per i tatuaggi che aveva sulle braccia e sulle spalle, per il colore
dei
capelli e anche per la compagnia che aveva scelto.
In realtà
quei ragazzi non piacevano nemmeno a lei, li trovava così
ridicoli e
superficiali, pensavano solamente al fumo, all'alcool e alle feste.
Secondo lei
stavano buttando letteralmente la loro vita.
Lei però non
era di certo perfetta, e questo lo sapeva. A volte sentiva il
bisogno di fumare, ma ormai accadeva raramente. Eppure odiava gli
alcolici e
non riusciva a sopportare quelle feste interminabili dove la gente non
faceva
altro che strusciarsi e bere.
Forse era proprio per
questo che non aveva un ragazzo dal momento in cui era
cambiata.
Era successo
all'età di quindici anni, quando aveva eliminato tutte le
tracce della bambina adorabile che era stata. La sua via di fuga da
quel
momento era stata la musica, suonava la chitarra e il pianoforte ma
questo non
lo sapeva nessuno.
Ormai abitava da sola,
in un appartamento nella periferia di New York. Aveva
preso il diploma qualche mese prima e, in quella prima settimana di
settembre,
cercava di ambientarsi e di dare un senso logico a quello che riempiva
gli
scatoloni con le sue cose fatti arrivare da Londra, la sua
città.
Sistemò con
cura le fotografie e i poster sui muri della sua nuova camera,
trasferì i vestiti nell'enorme armadio sul lato destro,
riordinò il suo bagno
al piano superiore e quello al piano inferiore, poi dispose
ordinatamente tutto
quello che sua madre le aveva comprato poiché lo riteneva
indispensabile per la
casa.
Quest'ultima non era
niente di speciale, ma era proprio la sua semplicità ad
aver attirato la ragazza e ad averla convinta ad acquistarla. Certo,
era
sviluppata su due piani, ma entrambi abbastanza piccoli.
Al pianterreno vi era la
cucina, il salotto dove avrebbe piazzato il nuovo
televisore che sarebbe arrivato a breve e il piccolo bagno di servizio.
Delle scale conducevano
al piano superiore; su un corridoio si aprivano
tre stanze, una era la sua camera, una era destinata ad
eventuali ospiti
e una era il suo piccolo rifugio.
Dentro avrebbe montato
delle mensole per riporre i suoi libri, poi vi aveva già
messo la chitarra classica e quella elettrica, che era riuscita a
comprare
l'anno prima con i suoi risparmi.
Prima o poi sarebbe
arrivata una tastiera elettrica, l'aveva ordinata ed era
già stata spedita, per sostituire il suo amato piano.
Una parete l'aveva
tappezzata di poster e le altre le avrebbe dipinte il giorno
dopo.
Quel posto
sarebbe stato il suo piccolo segreto.
Quando finalmente ebbe
finito, Izzy decise di uscire per respirare un pò
dell'aria di quella nuova città che avrebbe chiamato "casa".
Il problema che
però si ritrovò ad affrontare, ovvero la poca se
non nulla
conoscenza della metropoli, non le permise di spostarsi molto dalla sua
abitazione.
Dopo qualche isolato
raggiunse un piccolo parco, pieno di bambini che correvano
da una parte all'altra gridando, di mamme sedute sulle panchine che
chiacchieravano, di coppiette di sedicenni sotto gli alberi, sembrava
quasi una
classica scena di qualche film orrendo.
In effetti erano pochi i
film che riteneva degni di essere visti, quindi
sosteneva che il suo parere in quel campo non servisse.
Si sedette ai piedi di
un albero non molto alto ed estrasse dalla sua borsa il
nuovo paio di cuffie che aveva acquistato prima di partire, in vista
delle
dieci ore di viaggio. Fece partire una delle sue canzoni preferite,
Wish You
Were Here dei Pink Floyd e chiuse gli occhi, poggiando la testa
all'arbusto
dietro di lei.
Perse completamente la
cognizione del tempo, si rilassò dopo giorni di stress e
finalmente si sentì tranquilla. In quel momento era
esattamente dove voleva
essere, nessuno la poteva criticare per ciò che indossava o
per quello che ascoltava.
Sentiva che
lì, a New York, poteva finalmente essere sé
stessa.
Isabelle Lower.