Roses are red, violets are blue

di Ari_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Dopo mesi e mesi di silenzio stampa poter tornare a pubblicare è un gran sospiro di sollievo. Mi è mancato tanto il mondo di EFP e soprattutto mi è mancato condividere storie con voi, compresa la piccola grande ansia di quando mi avventuro in una nuova long come sto facendo ora *il terrore cresce*.
Prima di tutto qualche nota di regia: la storia avrà una ventina di capitoli o poco più (attualmente sto scrivendo il diciottesimo) e gli aggiornamenti per ora saranno settimanali, ma è facile che a breve diventino più frequenti.
Per quanto riguarda invece la fanfiction in sé, si tratta di una AU quindi come potrete immaginare i personaggi non sono particolarmente IC. Forse Kurt lo è di più; in Blaine invece ho enfatizzato quel lato insicuro e vulnerabile che è venuto alla luce nelle ultime stagioni, ma ripeto: essendo le circostanze molto diverse sono per forza dovuti risultare un po’ OOC, almeno inizialmente. Spero non lo troverete eccessivo e di non aver stravolto completamente i personaggi originali *parte il girone di pare mentali*.
Fatte queste piccole precisazioni sparisco nella nebbia e vi lascio alla lettura, come sempre in preda alla veneranda e terribile ansia-da-nuova-long. Spero davvero che vi piaccia ;-;
Per qualunque cosa, qui c’è la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl e qui il mio ask: http://ask.fm/Nonzy9
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere, e alla prossima. <3
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo I
 

Era una calda notte di luglio quando accadde per la prima volta. Mona non aveva mai visto niente del genere prima di quel momento: un’immensa sagoma trasparente fluttuava ai piedi del suo letto
 
Schifo.
 
Accadde per la prima volta in una calda notte di luglio. Mona non aveva mai visto niente del genere prima di allora: una gigantesca sagoma trasparente fluttuava in fondo al suo letto
 
Schifo schifissimo. Perde la pazienza.
 
Era luglio, faceva caldo e la cacchio di Mona – che comunque è un personaggio interessante quanto una piastrella del pavimento del mio bagno – ha visto un cacchio di fantasma. Viva l’originalità.
 
La cosa triste è che aveva anche impiegato parecchio a pensare alla similitudine della piastrella del pavimento del bagno. Si odia per questo. Naturalmente chiude con rassegnazione la schermata senza salvare un accidente: più o meno quello che fa da tre mesi a quella parte. Abbassa il monitor del portatile perché a) ormai ci vede doppio, b) se sta accesa per troppo tempo la batteria si surriscalda e il computer muore e c) sta seriamente detestando Mona. Mettere via il computer però si rivela un grande errore perché si ritrova costretto ad intercettare la sua immagine riflessa nello specchio che ha di fronte al letto: in confronto a lui il fantasma di Mona è il ritratto della salute. Si passa una mano tra i capelli ingarbugliati, constatando che neanche la montatura spessa degli occhiali riesce a nascondere le sue occhiaie. È bianco e viola e fa anche più schifo delle cose che scrive.
 
Blaine non è mai stato un sognatore. Beh, lo è, ma non il genere wow, realizzerò il mio sogno domani e dopodomani sarò famoso e comprerò un’isola delle Hawaii. È più il tipo con i piedi per terra – molto per terra – e la testa sulle spalle – molto sulle spalle – che sa di avere talento e sa che dovrà faticare come un cane per ottenere qualche minimo risultato, ma alla fine sfonderà e se proprio non un’isola delle Hawaii almeno potrà comprarsi un appartamento tutto per lui e magari un computer che funziona. E sarebbe andato tutto bene se il suo talento non avesse deciso di abbandonarlo. Non sa come sia successo: ha appena finito il liceo tra le lodi del suo professore di Inglese che lo ritiene una specie di mago della scrittura, e ora che ha finalmente tempo per mettersi a fare il mago viene fuori che non è neanche un prestigiatore. Non è neanche uno di quei tizi tristissimi che fanno il trucco della monetina dietro all’orecchio, in realtà.
 
Tutto questo lo fa sentire male. Gli viene automatico associare ogni cosa a “male” o a “bene”, perché è più o meno quello che aveva fatto il suo psicologo per tutto il periodo in cui i suoi genitori lo avevano forzato ad andarci – Blaine ha letto abbastanza libri sull’argomento da poter dire che quel tale era un completo incapace con i suoi male, bene, felice, triste e gli immancabili “perché non ti fai nuovi amici, Blaine?” o “come ti fa sentire pranzare sempre per conto tuo, Blaine?”.
Ad ogni modo un pomeriggio come forma di protesta aveva chiuso a chiave tutti gli armadi della casa, nascosto le chiavi in un cassetto e si era fatto trovare in mutande sul suo letto, dichiarando che non aveva intenzione di andare da quel tizio mai più e che non potevano farlo uscire di casa in mutande. Incredibilmente funzionò. Non che Blaine si sia sentito più felice una volta finita la sua terapia o presunta tale. Ma in fondo non era felice neanche prima né tantomeno durante, quindi il problema non si pone.
 
Sta giusto meditando se sia il caso o meno di andare a farsi un caffè prima di tornare alla sua stupidissima Mona quando il cellulare inizia a squillare. Per un lungo momento ne è sorpreso, poi va per esclusione: ha quattro persone in rubrica, due delle quali non gli hanno mai telefonato – suo padre e suo fratello – e la terza sta lavorando – sua madre. Quindi a meno che non abbiano sbagliato numero...
«Pronto?»
«Blaaaine! Che fai di bello?»
«St- »
«Ah beh, certo. Stai scrivendo. Come va con il tuo giallo?» Blaine sospira.
«Non è più un giallo. È una specie di horror adesso. Ma comunque non cambia perché i personaggi continuano a fare schifo.» Lo informa, pensando inevitabilmente a Mona. Mona fa davvero schifo e non è neanche uno stereotipo: è un personaggio che ha pensato e costruito, solo che lo ha pensato e costruito da schifo. Segue una piccola pausa.
«Io continuo a dire che pretendi troppo da te stesso.»
«Wes, non è che pretendo troppo. Scrivo una cosa e la rileggo sperando che non sia troppo banale o stupida o non interessante, ma ogni singola volta lo è.»
«Hai provato con un bel C’era una volta?» Blaine scuote la testa, mentre si butta di schiena sul letto mancando il suo portatile di pochi centimetri.
«Quale cavolo di libro inizia in quel modo?»
«Tutti i migliori.»
«Wes...»
«Senti: quello che ti ci vuole è un po’ di svago. È ovvio che non riesci a scrivere nulla di decente se ti autoconfini in casa per settimane. Devi distrarti un po’.» Blaine sa perfettamente dove vuole andare a parare. Hanno una conversazione di quel tipo più o meno ogni weekend.
«Non ci vengo. Di qualunque festa si tratti.» A volte si stupisce di come riesce ad esasperarlo ogni singola volta.
«E dai Blaine! Devi divertirti un po’, devi conoscere gente nuova- »
«Mi diverto benissimo da solo e no, non devo.» Sa già come si concluderà quella conversazione.
«Beh, vaffanculo.» Appunto.
«Grazie. Ciao.» Ma Wes ha già riattaccato senza nemmeno stare a sentire i suoi sentiti ringraziamenti, né tantomeno i saluti.
 
Non lo fa per cattiveria: non vuole litigare, semplicemente è stanco del fatto che ogni singola persona che conosce – e ne conosce davvero pochissime – non trovi niente di meglio da dire delle solite quattro banalità sul fatto che deve uscire, comportarsi da adolescente normale e blablabla. Si è evitato quattro anni di stupidissime feste liceali e non ha intenzione di infrangere il suo record proprio ora che si è diplomato. Perché è così difficile per loro accettare che a lui va bene così? Perché non può preferire stare in casa piuttosto che andare fuori senza dover andare da uno strizzacervelli che gli intima di uscire con degli amici che non ha? Blaine si impone di smettere di pensarci, perché quello è il genere di cose che riesce a deprimerlo ancora di più della caratterizzazione di Mona. Riaccende il computer.
Un giorno il suo stupido ex psicologo andrà in libreria e leggerà il suo nome stampato sulla copertina di un bestseller e allora non avrà più importanza come lo faceva sentire pranzare sempre per conto suo perché sarebbe stato lui a vincere, alla fine.
 
 
*
 
 
«Questa festa fa schifo.» Alla quarta volta che Santana glielo ripete Kurt inizia seriamente a perdere gli ultimi sprazzi della sua pazienza, già provata dal fatto che effettivamente quella festa fa davvero schifo. Non sa neanche perché ha deciso di andarci; perché decideva sempre di andarci. Butta giù un sorso del drink che gli ha portato Santana.
«Stasera sei proprio di compagnia.» Kurt non risponde. Altro drink.
«Va bene, come vuoi. Io vado a cercare qualcuno da rimorchiare mentre tu fai il depresso.» Non sta facendo il depresso, semplicemente al momento non gli va di fare conversazione. Santana rientra nella casa del tizio che ha dato la festa – Kurt non ha idea di chi sia – e lui rimane nel cortile sul retro. Aggira la piscina vuota – è ottobre dopotutto – e si appoggia al tronco di un albero per finire il suo stupido drink.
 
Gli piace stare lì. Gli piace ascoltare il suono ovattato della musica che rimbomba dentro la casa e gli piacciono tutti i coglioni seduti con la faccia in mezzo alle ginocchia in attesa del prossimo conato di vomito: lui può rimanere lì a sentire l’aria fresca appoggiato al suo albero ed è libero di fare qualunque cosa. Può andarsene, può restare, può o meno raggiungere Santana e può fare ciò che sta facendo: crogiolarsi nelle sue possibilità e finire il suo drink sperando di non vedere nessuno che conosce.
 
 
*
 
 
Non sarebbe dovuto venire. Lo sapeva. Odia Wes per quello che gli ha fatto e odia se stesso per essere una persona così schifosamente suscettibile alle parole in generale – una pecca degli aspiranti scrittori, immagina.
Lo ha colto alla sprovvista, con quel suo stupido sms. Gli aveva appena detto vaffanculo, e due minuti dopo se ne era uscito con “Credo di sapere qual è il tuo problema. Le tue storie fanno schifo perché la TUA storia fa schifo. Come pretendi di raccontare qualcosa di decente se non hai mai fatto niente? Non hai mai litigato con nessuno, non hai mai avuto una ragazza, non hai praticamente mai messo il naso fuori di casa! Devi vivere Cristo santo, per forza che scrivi cose schifose. Non sai come sono le cose.”
E lui è stato tanto deficiente da pensare che fosse una buona idea. Lo sa che non è portato per quella roba. Lui sa scrivere, è questo che sa fare. Ridere con gli altri, fare il simpatico e andare alle feste sono cose che non sa fare. E infatti adesso sta barcollando come un idiota perché Wes gli ha detto che per trovare una trama doveva bere una birra ed evidentemente tra le cose che non sa fare c’è anche reggere l’alcol. Nel suo tentativo di andare il più lontano possibile da quella musica infernale approda in una specie di cortile. Guarda alla sua destra e si mette a ridere.
 
«Anche io tra poco vomiterò come questa gente.» Alcuni lo guardano. Ha il terribile sospetto di averlo detto ad alta voce.
«La mia vita fa schifo.» Questo è sicuro di averlo detto ad alta voce. Nessuno lo sta più considerando.
«Mona fa schifo.» Aggiunge. Poi lo ripete più forte. Ha tutti i muscoli mollicci. Non saprebbe dirlo diversamente: sono mollicci. Avanza di qualche passo con i suoi muscoli mollicci e scopre che la sua testa è leggera come non lo è mai stata. Non sente neanche la montatura degli occhiali sul naso, o i capelli in testa. A un certo punto c’è un rettangolo enorme e vuoto. Una piscina vuota, non coperta. Immagina che in un possibile thriller l’assassino potrebbe mettere i cadaveri in una piscina, e poi coprirla.
È una trama così brutta che si arrabbia ancora di più con Wes. Vivere non aiuta a tirare fuori trame migliori, è lui che non sa scrivere. E neanche vivere. E dove diavolo è Wes? Arranca di qualche altro passo: può anche essere molliccio e leggero ma la verità è che sta malissimo e che quello non è lui. Se ha mai fatto qualcosa di giusto nella sua vita – inutile, triste, sprecata – è non tradire mai se stesso. Mai. E adesso che lo sta facendo si sente meno felice del solito e di solito non è affatto felice. Arriva di fronte alla piscina vuota e guarda giù, sorridendo alle mattonelle azzurrine del fondale; poi alza la testa – testa leggera, senza occhiali e senza capelli – e tutto d’un tratto non è più molliccio, né leggero.
 
C’era una volta una festa schifosa, dei tizi che vomitavano e una piscina vuota che non andava bene per raccogliere i cadaveri di un serial killer. E poi c’era un ragazzo che
 
No. Non ordine cronologico. Ordine di importanza.
 
C’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con un bicchiere vuoto in una mano e lo sguardo rivolto verso le stelle. Guardava il cielo come si guarda la faccia di un vecchio amico. Non era la sua figura incantevole o il suo atteggiamento a renderlo bellissimo. Era più il suo essere fuori e dentro quella realtà. Il fatto che non guardava il cielo, ma lo sfidava.
 
Le parole erano affiorate una ad una nella sua testa come se non avessero potuto farne a meno. Come le reazioni chimiche, o quegli stormi di uccelli dove quando uno si alza in volo subito anche tutti gli altri lo seguono. Sa solo di volerlo vedere più da vicino. È una sagoma dai contorni poco definiti che gli fluttua davanti agli occhi e lui vuole-
Male. Molto male. Ginocchio, mano e sedere. Davanti a lui adesso c’è una sconfinata galassia di piastrelle azzurre e sotto di lui ci sono dei bicchieri accartocciati, pezzetti di cibo e altre schifezze puzzolenti. È caduto nella piscina scoperta. È per evitare che la gente ci cada dentro che chiudono le piscine, Cristo santo. Può essere che un pezzo di qualcosa di tagliente di almeno cinque centimetri gli si sia piantato nel ginocchio per quanto ne sa, perché gli fa veramente male male male.
 
«La mia vita fa schifo.» Ripete alla piscina. «La mia vita fa schifo e non ho più una gamba.»
«Ehi! Sei tutto intero?» Blaine guarda in su. Capisce che è il ragazzo che stava fissando prima di cadere nella cavolo di piscina solo perché ha ancora il suo bicchiere in mano. Ha rovinato il quadro più bello e meraviglioso di tutta quella serata schifosa, con la sua stupida caduta. Lo ha distolto dalla sua sfida al cielo e si odia per questo. Si odia per tante cose. Fissa il ragazzo. O almeno la patina offuscata che deve pur essere un ragazzo, dato che può parlare.
«No. Non sono intero.» Il tizio rimane fermo un secondo, poi si sta muovendo. Blaine è troppo stanco per seguirlo con lo sguardo.
«Riesci a muoverti?» Non ci prova neanche.
«Non voglio provarci.» Sente un rumore metallico.
«Beh, devi.»
«No, non devo.» Tutto a un tratto sente qualcosa sulla sua gamba. Scalcia in aria.
«Stai fermo! Stai sanguinando. Ma mi vedi?»
«Ah.» Blaine smette di agitarsi e quel tizio che inspiegabilmente ora si trova a sua volta sul fondo della piscina riprende ad armeggiare con i suoi pantaloni in modo da arrotolarli fino al ginocchio. Apre meglio gli occhi. «No. Non vedo.»
Sente il ragazzo che sbuffa.
«Non potevi semplicemente vomitare sul prato come tutti gli altri, vero? Questi sono tuoi?»
«Questi cosa?» Altro sbuffo. Un attimo dopo sente qualcosa di plasticoso e freddo provare a incastrarsi dietro alle sue orecchie. Pensa al fatto che è difficile mettere gli occhiali a qualcun altro, così lo aiuta. Ora ci vede. “Plasticoso” non è neanche una parola.
«Mi devono essere caduti mentre, sai, cadevo.»
«Il ginocchio te lo sei sbucciato, ricordati solo di disinfettartelo quando arrivi a casa. Hai male da qualche altra parte?»
«Alla mano.»
«Fammi vedere.» Una mano gli viene presa in fretta. Poi mollata, perché è quella sbagliata. Allora gli viene presa l’altra, girata e ispezionata per qualche secondo e mollata di nuovo.
«Hai un taglietto. Sanguina ma non è niente di che. Stringi la mano intorno a, uhm...» lo sente muoversi, poi gli mette in mano qualcosa di morbido «Questo.»
Blaine obbedisce e tiene per mano un fazzoletto probabilmente sporco sul fondo di una piscina vuota perché glielo ha detto uno sconosciuto.
 
Forse è il momento di aprire gli occhi. Lo fa e guarda dritto davanti a sé, dove un ragazzo se ne sta seduto a gambe incrociate e cerca di non ridergli in faccia. Blaine lo guarda. Uno, due secondi.
«Wow.»
«Cosa?» Blaine gli sorride.
«Sei il genere di persona che guarda il cielo, salva la gente che cade nelle piscine scoperte e che ha la pelle chiara senza sembrare malaticcio.» Il ragazzo inarca le sopracciglia. Sembra sinceramente divertito.
«Quanto hai bevuto, esattamente?»
«E poi sei molto molto molto bello. Ma proprio molto.» Adesso sta proprio ridendo. Blaine ride a sua volta anche se non capisce bene che cosa ci sia di tanto divertente.
«E comunque ho bevuto solo una birra.»
«Sei proprio sicuro che fosse birra?» Blaine ci pensa. No. Non ne è sicuro per niente.
«Non sono sicuro per niente.» Il ragazzo gli prende una caviglia e gli fa tenere la gamba infortunata leggermente piegata. Il ragazzo-
«Com’è che ti chiami?» Lui gli rivolge un mezzo sorriso che Blaine riesce a trovare sexy. Non sa come sia possibile trovare sexy qualsiasi qualcosa in mezzo a cibo schifoso e bibite mezze vuote e appiccicaticce, ma ci riesce.
«Una cosa alla volta. Te lo dirò se te lo sarai meritato.»
«Okay, ma fino ad allora posso darti un soprannome? Altrimenti non so come pensarti nella mia testa. Credo che ti chiamerò Colin.» Non-Colin adesso sta ridendo ancora di più.
«E Colin sia. Allora, che ci fai sul fondo di una piscina vuota, Aaron?»
«Chi è Aaron?»
«Sei tu. Ti stavo dando un soprannome.»
«Oh! Okay. Non faccio niente. Ero venuto a questa festa perché il mio stupido amico mi ha detto che era l’unico modo per ritrovare la mia ispirazione- »
«Ispirazione per cosa?»
«Scrivere.» Non-Colin sembra interessato. Non-Colin sembra bellissimo.
 
«Che cosa scrivi?» Blaine alza le spalle, come se non gli importasse. In realtà gli importa, è solo che vuole fare colpo su Non-Colin e pensa che l’atteggiamento menefreghista potrebbe aiutarlo.
«Quel che capita. Ma ultimamente faccio schifo. La mia vita fa schifo.»
«Shh, stavi andando così bene fino ad ora. L’autocommiserazione non è sexy.» Gli dice Non-Colin. Blaine pensa che ha ragione.
«Okay. C’è questo personaggio schifoso, Mona. Ci ho messo secoli a costruirla e adesso provo a piazzarla nelle cose che scrivo ma purtroppo Mona è la noia personificata.» Non-Colin annuisce e sembra divertito.
«Non le fai spesso queste cose, eh Aaron?»
«Quali cose?»
«Ubriacarti, andare alle feste... Non sembra il tuo genere di cose.»
«Non sarò mai abbastanza interessante e non mi dirai mai come ti chiami. Che schifo. Voglio scrivere.» Non-Colin gli sorride.
«Vuoi che ti aiuti a cercare il tuo amico così puoi andare a casa?» Blaine scuote la testa.
«No. Intendo- scrivere. Qui, adesso. Sul fondo marcio di una piscina. Mi aiuti? È nella tasca dei miei pantaloni.» Si riferisce al blocchetto e alla penna. Non esce mai di casa senza il blocchetto e la penna, perché ha letto da qualche parte che è così che fanno i veri scrittori: l’ispirazione può colpire da un momento all’altro e non ci si può far trovare impreparati. La sua ispirazione ultimamente è semplicemente inesistente, ma comunque. Spiega tutto questo a Non-Colin, che inarca di nuovo le sopracciglia.
«Non sei così ubriaco né così ferito da non poterlo prendere da solo. Comunque okay, lo prendo io.» E così ha la mano di Non-Colin in tasca e un attimo dopo ha il suo libretto in mano. Blaine sorride stupidamente nel vederlo.
«Allora dicevi sul serio, sei davvero uno scrittore.»
«Aspirante scrittore. E comunque potrei essere solo uno che è caduto in una piscina e che casualmente aveva un blocchetto in tasca. Ma comunque, scrivi se ti detto?»
«Devo scrivere io?» Blaine sventola la sua mano ferita a mo’ di giustificazione. Non-Colin alza gli occhi al cielo, ma è ancora interessato. Blaine se la cava a capire queste cose perché okay: non ha molta esperienza diretta con le persone, ma le ha studiate per poterci scrivere sopra qualcosa di verosimile. Non che funzioni molto. Ma comunque è abbastanza fiducioso che Non-Colin finirà per dirgli il suo vero nome.
«Vai.»
«Okay, uhm- scrivi: c’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con lo sguardo rivolto verso le stelle.»
«Quale cavolo di libro inizia con C’era una volta
«Tutti i migliori.» Risponde in automatico. La frase di Wes gli era rimasta impressa e non sa neanche perché. Fatto sta che Non-Colin gli sta sorridendo in un modo diverso da come gli ha sorriso tutte le volte precedenti. Forse adesso nel suo livello di considerazione è un gradino più su che “l’idiota che è caduto in una piscina vuota”.
 
«Sei strano, Aaron.»
«Vorrei che tornassi a guardare in su come stavi facendo prima. Prima che cadessi in piscina intendo.» Gli dice. E poi si rende conto di essere nel bel mezzo di uno di quei momenti in cui dopo non aver vissuto per tanto tempo vivi vivi e vivi tutto in una volta. E lui si sente vivissimo sul fondo lercio di una piscina con il corpo dolorante e in compagnia di Non-Colin. Glielo dice ma non riesce a decifrare la sua reazione. Dopotutto fa abbastanza schifo nelle interazioni sociali.
«Però adesso ho tanto sonno e vorrei dormire.» Più che altro il suo è un avviso, perché un secondo dopo ha già gli occhi chiusi e la testa appoggiata contro la parete di piastrelle e sente che ne basteranno pochi altri prima che sia completamente andato.
 
 
*
 
 
Blaine non sa dov’è, che giorno è e nemmeno chi è. Prova a pensarci: letto fin troppo morbido, cuscino fin troppo duro, luce solare che proviene da destra; deve essere la sua stanza. A giudicare dal mal di testa dovrebbe essere il giorno successivo a quello in cui si è ubriacato per la prima volta senza neanche farlo apposta, perché Wes gli ha rifilato quella birra che probabilmente non era birra neanche un po’. E lui è un totale imbecille. Le cose vanno già meglio.
Strizza le palpebre e aggrotta le sopracciglia; nel farlo sente uno strano rumore di carta stropicciata. Ed è più o meno in quel momento che si accorge di avere un post-it sulla fronte: “Chiamami appena ti svegli, razza di idiota. Wes”
 
Blaine si rende conto di un po’ di cose alla volta. Prima di tutto che è ancora totalmente vestito e totalmente sporco, che il suo ginocchio gli fa ancora male e anche la mano perché- oh, la piscina. Era caduto in piscina perché- Non-Colin. Non sapeva il nome di Non-Colin e con lui si era sentito vivo, vivissimo e la sua vita non aveva fatto schifo e wow probabilmente era tutta una sua elucubrazione della sera prima dovuta all’influsso dell’alcol. Eppure... Eppure a Blaine è piaciuto Non-Colin, per quel poco che ricorda. Ad esempio aveva provato a risultargli simpatico, cosa che non si sforza mai di fare con nessuno, quindi doveva aver pensato che ne valesse la pena. Si sforza di mettersi a sedere e mentre lo fa si accorge delle orribili condizioni in cui verte il suo ginocchio – i pantaloni sono ancora arrotolati – e una biro gli scivola fuori dalla tasca finendo sul pavimento. Questo fa tornare in mente a Blaine una manciata di altre cose. Si infila la mano in tasca e trova il blocchetto degli appunti. Lo apre e trova scritto quanto segue:
 
C’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con lo sguardo rivolto verso le stelle... E ti sei addormentato.
 
Le rose sono rosse,
Le viole sono blu,
Nessuno tira culate in piscina
Come sai fare tu.
 
(Lo so: è bellissima, ma è mia. Non rubarmela.) Kurt.

 
E poi c’è una serie di numeri uno dopo l’altro. Non che Blaine sia un asso in queste cose, ma sembra proprio che Kurt – Kurt Kurt Kurt, ecco come si chiama – gli abbia lasciato il suo numero.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Sooorpresa! So che il nuovo capitolo sarebbe dovuto arrivare domani, ma l’accoglienza che avete dato a questa storia è stata così calorosa che ho voluto ripagarvi almeno in parte con questo piccolo fuori programma. Davvero ragazzi, mi avete lasciata senza parole: grazie per tutte le letture e grazie a chiunque abbia aggiunto questa FF alle seguite e addirittura alle preferite (!!!). Come al solito riuscite sempre a fare zig quando penso che zaggerete *occhi sberluccicanti e commossi che vi fissano*
Prima di lasciarvi al capitolo, ci sono ancora due cose che devo dire. Innanzitutto ringrazio con tutto il cuore thkgleeclub, Anna_Vik, Rorori, saechan, Khaleesi21, CandyKlaine, Ginny_Sara, Chuzzah, Sslaura e Locked, che hanno recensito lo scorso capitolo. Neanche a dirlo sono sempre felicissima di leggere i vostri commenti; un ringraziamento particolare va anche a DSAcc, le cui parole sono sempre fonte di ispirazione per me.
La seconda cosa è una pura nota tecnica: da questo capitolo in poi capiterà che appaiano degli sms selvatici. Per facilitare la lettura la mia adorabile beta nonché moglie mi ha consigliato di differenziare i caratteri tra i messaggi di Kurt e quelli di Blaine: Kurt è in corsivo ;)
Ora sparisco davvero. Buona lettura: ci risentiamo in fondo per qualche ulteriore nota.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo II
 
 
«Kurt, seriamente, levati dalle mie tette.» Kurt non fa neanche in tempo a realizzare quanto gli è appena stato detto che la sua faccia si trova già appiccicata al tappetino sotto al cruscotto. La prima cosa che vede appena sveglio è un mozzicone di sigaretta spenta – appunto – sul tappetino sotto al cruscotto.
«Capisco la tua paura che esplodano da un momento all’altro, ma non c’è bisogno di reagire così.» Santana sta zitta un momento, poi sbuffa.
«Solo tu sei capace di dire queste stronzate di prima mattina.» E in effetti sì, Kurt ne va abbastanza fiero: quando tutto il mondo è indisposto dal fatto che è mattino presto e la macchina del caffè è rotta lui riesce sempre a ridersela, per un motivo o per l’altro. Lentamente si solleva dalla sua scomoda posizione e scopre alcune cose, ad esempio che sono le undici e mezza e quindi non si può più propriamente parlare di mattino presto. Poi vede Santana malamente rannicchiata sui sedili didietro con delle tracce di rossetto sul collo e sulle spalle. Sorride.
«Ieri ti sei trovata qualcuna, allora.»
«Sta’ zitto. Ti ho detto che è stata l’ultima volta.»
«È sempre l’ultima volta a starti a sentire- »
«Stai. Zitto.» Kurt sta zitto. Ha provato in tutti i modi a dire a Santana che se preferisce le donne non c’è niente di male, ma per lei ogni volta è l’ultima volta.
 
«Dove siamo?» Chiede Santana. Kurt guarda fuori dal finestrino aperto.
«In mezzo al nulla, probabilmente poco distanti dalla casa della festa di ieri.» Santana mugugna qualcosa e torna a rannicchiarsi.
Dormire in macchina dopo una festa è una cosa che fanno spesso, ma è una cosa che fanno solo loro due. Per esempio non lo farebbe mai con Rachel; Rachel non sa nemmeno di queste stupide feste.
Si stropiccia gli occhi con il dorso di una mano e per poco non rischia di avere un infarto quando si accorge che la sua pelle è coperta di sangue secco. Panico panico panico. Si appoggia una mano sul petto in automatico e poi si sente un coglione per averlo fatto perché sì, certo: Aaron. Aaron-non-davvero-Aaron, l’aspirante scrittore che aveva dato quella culata in piscina.
 
Kurt sorride, perché non ricorda di aver mai incontrato un ragazzo più strano di lui, ed è quasi sicuro che non fosse solo per via della sbornia. Aaron gli era piaciuto tanto e non per gli occhialetti adorabili o perché era carino, ma perché era atipico. Okay, forse anche perché era carino e perché aveva degli occhialetti adorabili, ma soprattutto per la sua stranezza, per il fatto che non apparteneva minimamente al posto in cui era, e in questo Kurt si riconosce. Si è sempre sentito come l’unico essere umano in un mondo di automi, o l’unico automa in un mondo di essere umani, non lo ha ancora deciso. Comunque, Aaron si era meritato che Kurt gli prendesse il cellulare dalle tasche e scrivesse un messaggio a Wes e a Cooper – gli unici due in rubrica a non essere classificati come mamma e papà – con qualcosa come: “Sono svenuto in una piscina vuota, vieni a salvarmi.” E no, non gli aveva rubato il cellulare. Era stato un gesto del tutto altruista e disinteressato. Inoltre, se glielo avesse rubato, non avrebbe avuto senso lasciargli il suo numero per farsi richiamare. Sta per riappisolarsi contro al finestrino quando riceve un sms, il cui trillo acuto fa vomitare a Santana una serie di parolacce nella sua lingua madre.
 
11:44
Le rose sono rosse,
Le viole sono blu,
Nessuno tira culate in piscina
Come sai fare tu.
 
Questa è una poesia. Io non scrivo poesie.

 
 
*
 
 
A Wes non è bastato insultarlo per telefono. Ha evidentemente ritenuto che la situazione fosse abbastanza grave da presentarsi a casa sua e urlargli contro di persona – i genitori di Blaine non erano in casa, non che comunque gliene sarebbe importato più di tanto.
«Ti avevo detto di aspettarmi lì un minuto, Blaine, un cavolo di minuto con un cavolo di drink in mano, e ti ritrovo due ore dopo sanguinante in una piscina vuota! Si può sapere quale cavolo è il tuo problema?»
«Ho solo bevut- »
«Ti ho cercato tutta la sera. Tutta. La. Sera. Morivi a mandarmi un messaggio? Ma no, molto meglio farsi trascinare a casa quasi cadavere dopo avermi spaventato a morte.»
«Non scapperò più, lo giuro.»
«Ero a un pelo dal farmela letteralmente addosso!»
«Ti avrei pagato delle mutande nuove.»
 
Il vaffanculo che seguì era di quel genere di vaffanculo bonari e amichevoli che Wes dice quando lo considera perdonato. E quel ragazzo ha davvero un posto prenotato in paradiso perché non solo lo sopporta, ma si sforza anche di riportarlo alla civiltà di tanto in tanto. Blaine odia quando ci prova, ma deve premiare la sua costanza.
Quando il suo cellulare vibra la prima volta, Blaine è sotto la doccia a cercare di togliersi di dosso l’appiccicume e di capire quanto sono effettivamente gravi le ferite sulla mano e sul ginocchio. Appena lo sente agitarsi sul lavandino chiude l’acqua ed esce così, grondante e con lo shampoo in testa e ovviamente nudo nel bel mezzo del suo bagno.
 
11:58
È davvero questo il primo messaggio che volevi mandarmi, finto Aaron? Sinceramente mi aspettavo di meglio da uno scrittore.

 
Kurt gli ha risposto. Non osa alzare lo sguardo per vedere la sua immagine nuda e sorridente che esulta per un sms: vuole vivere nell’illusione di avere ancora un pizzico di dignità. Sta per scrivere ma viene preceduto.
 
11:59
E comunque: le rose sono rosse, le viole sono blu, nessuno tira culate in piscina, come sai fare tu. Adesso è in prosa, felice?
 
11:59
Blaine.
 
12:00
?
 
12:00
È il mio vero nome, Non-Colin.
 
12:01
Blaine. B l a i n e. Blaaaine. Enialb.
 
12:01
Stai bene?
 
12:02
Sì, è solo che è un nome molto strano e molto azzeccato al proprietario. Hai proprio la faccia da Blaine, Blaine.
 
12:03
Tu invece non sei tanto Kurt. Un Kurt te lo immagini più serio, più autoritario.
 
12:05
Posso essere autoritario molto più di quanto immagini, B l a i n e.
 
12:08
Perché non rispondi più? La mia autorità ti ha intimorito?
 

Blaine si è appena sciacquato via lo shampoo dalla testa quando il telefono si mette a squillare. Aveva finito per decidersi che tutto considerato starsene in piedi ad allagare il bagno per rispondere agli sms di Kurt fosse moralmente degradante, così aveva pensato di sciacquarsi i capelli prima di continuare quella conversazione.
Ma ora il telefono sta suonando e lui non ha più lo shampoo in testa ed è una combinazione di cose più che sufficiente a farlo uscire di nuovo dalla doccia e rispondere.
 
«Pronto?»
«Buongiorno, Blaine. Sei tutto intero?»
Blaine lo realizza tutto in una volta, con qualcosa che è a metà tra una rivelazione mistica e un’epifania alla James Joyce: si sta facendo un nuovo amico. Lui, Blaine-come-ti-fa-sentire-pranzare-sempre-per-conto-tuo-Anderson. Questo può voler dire che a) Kurt è fuori di testa o che b) forse perfino lui riesce a dire qualcosa di interessante quando è ubriaco.
«Uhm... Sì. Più o meno. Grazie per aver mandato quel messaggio a Wes ieri sera.»
«Hai poi continuato la cosa che stavi scrivendo?» Blaine è un tantino disorientato. Un po’ perché Kurt sembra poter parlare di mille cose alla volta e molto in fretta, un po’ perché non è abituato a queste cose.
«No, non ancora. Ma credo che dopo continuerò se la mia ispirazione non farà schifo come al solito- »
«Hai detto una cosa interessante ieri sera.» Di nuovo. Blaine deve sforzarsi per stargli dietro.
«Che cosa?»
«Che ultimamente scrivi da schifo. Eppure ieri sembravi ispirato.»
«Oh.»
«Dovremmo parlarne.»
«Di cosa?»
«Di questo. Magari davanti a un caffè.»
 
Era un sabato mattina come tutti gli altri, fino a quando quel ragazzo abbastanza forte da sfidare il cielo aveva chiamato proprio me, tra tutti quanti. C’era qualcosa nella sua voce e nel suo modo di fare che mi lasciava totalmente spiazzato, che mi travolgeva e mi riempiva dell’illogica convinzione che era bastato conoscerlo, era bastato guardarlo mentre fissava le stelle per rendermi chiaro che qualcosa stava per cambiare.
 
«Blaine, sei ancora lì?»
È ancora lì? C’è e non c’è. Un po’ è in piedi nel suo bagno con un asciugamano addosso, un po’ è alla festa di ieri, perso negli attimi di contemplazione che avevano preceduto la sua rovinosa caduta in piscina.
«Più o meno.»
«Beh? Questo caffè?»
«Non- Non lo so. Insomma, non ti conosco neanche.»
«Kurt, diciannove anni, Lima, Ohio, diplomato al McKinley High, avrei potuto rubarti il telefono ma non l’ho fatto.»
«Ma- »
«Vivo con mio padre, la mia fedina penale è praticamente immacolata, mi piacciono moderatamente quelle feste a cui tu non vai mai, il mio colore preferito è il blu.»
«No, cioè, okay. Dico solo che ho bisogno di un po’ per assimilare tutte queste informazioni.» Segue un breve silenzio durante il quale Blaine un po’ si odia per non aver accettato e basta, e al diavolo la sua stupida testa che doveva sempre prendere il sopravvento. Non ci riesce a buttarsi e basta, non ci riesce proprio: altro motivo per cui si odia. Alla fine Kurt parla.
 
«Sei quel tipo di persona.»
«Ovvero?»
«Quella che assimila. Mi piaci, Blaine: sei praticamente il mio opposto.» E gli opposti si attraggono. ...Cervello stupido che pensa cose stupide.
«...»
«Senti, domani pomeriggio ci prendiamo un caffè- »
«Ma- »
«Shh. Ognuno a casa sua. Tu preparalo per le quattro e io ti chiamerò a quell’ora: effettivamente parleremo davanti a un caffè.»
«Senso letterale. Mi piace.»
«Anche a me.» Blaine si fa coraggio.
«Kurt?»
«Sì?»
«Perché, insomma... perché lo fai? Io sono quel tipo di persona e tu- beh, tu sei tu.»
«E chi sono io?» Kurt sembra sinceramente interessato a cosa ha da dire al riguardo, così Blaine ci pensa un attimo prima di rispondere.
«Sei quello che va alle feste, che è sempre allegro e che scrive poesie sui blocchetti dei quasi sconosciuti.» C’è una piccola pausa.
«La verità è che voglio sconvolgerti la vita, Blaine.» Lui trattiene il fiato.
«Ehi. Sto scherzando.» Riprende a respirare.
«Sì. Sì, ovvio. Uhm, io credo di dover andare.»
«Ad assimilare, sì. Ricordati del nostro caffè di domani alle quattro. Ciao, Blaine.» E riattacca.
Blaine inizia ad assimilare subito; la prima cosa che gli viene in mente è che Kurt non ha davvero risposto alla sua domanda, non proprio. E poi pensa al fatto che più che sconvolta direbbe che la sua vita è incominciata. Non fa del tutto in tempo ad assimilare quel pensiero perché il suo cellulare sta dando altri segni di vita. Non ne ha mai dati tanti tutti in una volta da quando lo ha comprato.
 
12:32
Blaine, senti: ho bisogno di sapere il tuo cognome o certe frasi perdono completamente il significato che voglio dargli. Sei uno scrittore, capiscimi: le parole sono importanti.
 
12:33
Anderson.
 
12:33
Ottimo.
 
12:35
La verità è che voglio sconvolgerti la vita, Blaine Anderson.
 
 
*
 
 
Kurt ha un totale di sette chiamate perse: una di suo padre e sei di Rachel Berry. Suo padre vuole solo sapere dov’è – non sa delle feste del venerdì sera, come non sa di quelle del sabato e così via; mentre Rachel probabilmente vuole solo urlargli addosso perché ha saltato il corso di recitazione. “Non puoi non venire, Kurt! Ti serve quell’attestato se vuoi entrare alla NYADA a dicembre!” Ha perso il conto di quante volte se l’è sentito dire, sicuramente abbastanza da far sì che nella sua testa quel pensiero si manifesti sempre sotto forma di voce di Rachel in un momento particolarmente melodrammatico.
Andrà a New York a dicembre, eccome se ci andrà, lo ha anche già detto a suo padre che si è addirittura impegnato ad imparare ad usare il computer solo per mettersi a cercare un appartamento che lui possa affittare. Tre mesi e se ne andrà per davvero, finalmente: deve solo trovare il modo per dare la notizia nel modo giusto a persone come Santana. O Tom. E dare il giusto addio a Lima, anche.
 
«Perché non hai risposto al telefono?» Kurt se lo sente chiedere ancora prima di riuscire a chiudersi dietro la porta di casa.
«Stavo guidando e non l’ho sentito. Ero con Santana.»
«Sei stato al corso di recitazione, vero?»
«Sì, sono appena tornato.» Dirgli la verità avrebbe avuto come unica conseguenza quella di farlo preoccupare inutilmente: avrebbe preso quell’attestato comunque e saltare una singola lezione lo non pregiudicava in nessun modo. Quindi sì, meno preoccupazione e ansia per tutti.
«Mangi adesso? Vuoi che ti faccia qualcosa?»
«Per carità, non farlo. Sappiamo entrambi cosa succede quando provi a cucinare, ci penso io più tardi.» Così Burt rimane in cucina a finire velocemente il suo pranzo – tra meno di un’ora deve tornare in officina – e Kurt si dirige a colpo sicuro in camera sua.
Si fa largo tra gli scatoloni vuoti – prima o poi dovrà decidersi ad iniziare a impacchettare le sue cose per New York – e raggiunge il suo portatile in cima al letto. La prima cosa che trova non appena entrato su internet è una mail della sua insegnante di recitazione che gli fa presente che non è andato all’ultima lezione. Kurt si chiede quale motivo l’abbia spinta ad avvisarlo che non c’era; insomma, sa che non c’era. Poi ci sono mille messaggi di Rachel a cui Kurt risponde con un “Scusa scusa scusa! Mio padre ha avuto bisogno di me in officina e non potevo dirgli di no.” Da Tom nessun messaggio, cosa che un po’ lo fa incavolare. Sceglierebbe il trattamento del silenzio se non sapesse che in tutta probabilità lui nemmeno se ne accorgerebbe, così scrive: “Sì sto bene, grazie. Tu? Già, è da lunedì che non ci vediamo. Sì, ti amo anch’io.”
 
Kurt guarda il messaggio che ha appena inviato per un bel po’, neanche si aspetti di vedere le lettere che iniziano a spostarsi di loro iniziativa. Dopo aver appurato che le lettere rimangono esattamente lì dove sono, Kurt si ingobbisce sul computer con fare cospiratorio e si mette a fare qualche ricerca su Blaine Anderson.
 
Passa un minuto, ne passano due. Alla fine del quinto potrebbe candidamente affermare che Blaine Anderson non esiste; nessuna traccia su Facebook, su Twitter o in qualsiasi altro posto. Neanche un blog inquietante e per nulla frequentato dove pubblica quello che scrive o parla del molto, molto, molto bel ragazzo – parole sue – che lo aveva tirato fuori da una piscina vuota. Deve ammettere che sperava in una cosa del genere fin dall’inizio. E invece di Blaine Anderson neanche l’ombra: un fantasma.
La cosa probabilmente dovrebbe preoccuparlo un tantino visto che magari gli ha rifilato un nome falso, e invece lo incuriosisce. Kurt è incuriosito dal fantasma di Blaine Anderson, con i suoi blocchetti nelle tasche e la sua ispirazione che riaffiora quando è brillo, e ci scommetterebbe tutte le culate in piscina del mondo che Blaine-Anderson-l’irrintracciabile è brillo assai di rado. In realtà, Kurt ha una vera e propria proposta da fargli e sente che domani di fronte al loro caffè sarà il momento migliore. È sicuro che Blaine gli chiederà il suo tempo per assimilare la cosa, ma va bene così.
A un certo punto decide che non può aspettare il giorno dopo per fargli almeno una prima, fondamentale domanda.
 
13:25
Perché non esisti, Blaine Anderson?
 
13:27
Se mi stai cercando su Facebook sappi che non ci sono.
 
13:28
Come faccio a sapere che non è una balla?

 
Cinque minuti dopo gli arriva un mms. È la carta d’identità dell’ex-fantasma Blaine Anderson.
 
 
*
 
 
Mona corse via dallo spavento: il fantasma la seguì in corridoio trascinandosi dietro le lunghe catene avvolte attorno alla sua figura
 
Dio mio, che orrore.
 
Mona corse via dallo
 
Il cellulare sta squillando. Al diavolo Mona, le catene e lo spavento.
Sono le quattro e quattordici – è dalle tre e cinquanta circa che Blaine fissa con insistenza l’orario in basso a destra sullo schermo del suo computer – e Kurt sta finalmente chiamando. La sua tazza di caffè sul comodino ormai è fredda e probabilmente farà schifo ma non gliene può importare di meno.
«Ciao.»
«Ho fatto diventare freddo il tuo caffè, Blaine Anderson. Mi dispiace.»
«Non fa niente.»
«A mia discolpa posso dire che ero nel bel mezzo di uno di quei litigi che se te ne vai di punto in bianco sembra che stai dando implicitamente ragione all’altro e in questo caso l’altro in questione non aveva ragione proprio per niente. Capisci cosa intendo?» Non proprio, visto che l’ultimo litigio serio che ricorda di aver avuto con qualcuno che non siano i suoi genitori risale alle elementari, ma può immaginarlo.
«Direi di sì.» Kurt sta zitto un attimo, durante il quale Blaine ne approfitta per spegnere il computer e prendere in mano la sua tazza di caffè.
 
«Blaine, ma... A te fa piacere parlare con me? Perché sto realizzando in questo momento che ti ho un po’ imposto la mia presenza e magari non volevi- »
«No! Cioè, sì. Voglio dire, mi fa piacere.» In qualche modo riesce a sentire Kurt sorridere dall’altro capo del telefono.
«Sicuro?»
«Sicuro. Sto solo assimilando.»
«Okay.»
«Solo una cosa.» Aggiunge in fretta, senza averlo pianificato prima. Il che è un evento: se potesse pianificherebbe anche quante volte starnutisce.
«Ti ascolto.» Se ne sta già pentendo.
«Lo so che quelli come te ne possono trovare a dozzine di quelli come me, però per quelli come me è una specie di evento quando quelli come te capitano tra capo e collo. Quindi se hai in mente qualcosa di brutto o questa è una scommessa che hai fatto con qualcuno o ti annoiavi e avevi bisogno di un passatempo... per favore, non cercarmi più. Hai mandato quel messaggio a Wes l’altra sera, hai visto la mia rubrica. Sconvolgere la mia vita è un’impresa fin troppo semplice quindi se in realtà non te ne frega proprio niente lascia perdere.» 
Doveva dirlo, perché è vero. Per quelli come Kurt è difficile capire l’effetto che il loro approdo nella vita di quelli come lui può avere. E il problema è che a Blaine lui piace davvero, a differenza di buona parte delle altre persone. Gli piacciono i suoi modi di fare, i suoi messaggi e la sua voce. Gli piacerebbe che – tra sette miliardi di esseri umani – la sua vita venisse sconvolta proprio da Kurt, ma questo non mette freno alla sua enorme e più che legittima paura. Peccato che lui non risponda più.
 
«Ci sei ancora?»
«Blaine, tu mi piaci. Mi piace che sei uno scrittore che ha perso l’ispirazione, mi piacciono i tuoi messaggi, mi piace il fatto che hai più dita in una mano che amici in rubrica, mi piace come parli e mi piacciono i tuoi occhiali. Però c’è una cosa che devi sapere: io non rientro in Quelli come. Io sono io e se vuoi conoscermi puoi conoscermi; io voglio conoscere te, perché sei strano e perché ho una proposta da farti. Inoltre – altra cosa che devi sapere – non sono il tipo di persona che fa scommesse, cattiverie o tratta le persone come se non avessero importanza, soprattutto quelle che mi piacciono, come te.» Blaine assimila tante cose tutte in una volta.
«Grazie. E scusa. Per averti messo in Quelli come e per essere sembrato appiccicoso dopo tre giorni che ci conosciamo.»
«Non preoccuparti, però mi costringi a ripetermi: l’insicurezza non è sexy.»
«...»
«...Non te lo ricordavi, vero? In ogni caso devo assolutamente farti la mia proposta.»
«Okay.»
«Dunque- »
«Anzi, no.»
«Come siamo volubili.»
«Senti... Conosci il Lima Bean? È un bar di Westerville.» Kurt rimane in silenzio qualche secondo.
«Non proprio. Ma sono sicuro che il mio navigatore satellitare saprà cavarsela.»
«Va bene se ci vediamo lì tra, uhm... mezz’ora?» Di nuovo, gli sembra di sentire Kurt sorridere.
«Fra mezz’ora è perfetto.»
 
 
 

 

 
 
 
 
Okay, non fate quella faccia.
Vi vedo, sapete? Vi vedo benissimo. Orsù leviamoci questo grande, enorme dente di nome Tom :’) Per chi ha già un po’ di familiarità con le mie storie non sarà una novità: lo sapete che non sono una grande fan dei terzi incomodi. In particolare non amo il fidanzato stronzo di turno piazzato lì solo perché altrimenti non si sa come mandare avanti la storia. Ecco, non ho voluto fare niente di tutto questo.
Quindi prima che mi tiriate giustamente addosso dei ferri da stiro ci tengo a precisare tre cose:
1) Non ci saranno digressioni di pagine e pagine su questo tizio, non preoccupatevi: questa è una FF Klaine e l’ho ben presente u.u
2) Non è lì a caso ma per una ragione beeeen precisa.
3) Non c’è un punto tre, ma volevo tantissimo fare una lista di tre punti *-*
Fatta questa doverosa precisazione (non so se fosse doverosa, ma io personalmente odio i terzi incomodi e quindi ci tenevo) concludo il mio sproloquio dicendo che non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di Kurt, dato che è la prima volta che ha un po’ di spazio nella storia *-*
Bene, tornerò a strisciare nella mia grotta dove rimarrò confinata fino alla prossima settimana... eee ho assicurato un bell’incubo a tutti, alé!
Ancora grazie mille a tutti, e a presto <3
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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Ma buonasera!
Giuro che il capitolo avrebbe dovuto arrivare prima, ma purtroppo ho perso una buona oretta a disperarmi per il fallimentare tentativo di colpi di sole che mia madre ha sperimentato sulla mia povera testa.
Okay, prima di lasciarvi al nuovo aggiornamento e di tornare a guardarmi allo specchio con disperazione, un doveroso ringraziamento a Rorori, Ginny_Sara, Anna_Vik, _LadyHope_, Sslaura, Locked e Chuzzah che hanno recensito lo scorso capitolo: ogni vostro commento è una piccola iniezione di felicità per me ;-; Inoltre, seriamente: in soli due capitoli il numero delle seguite è salito fino a cinquanta. Siete bellissimi e mi lasciate sempre senza parole, sappiatelo *vomita unicorni interi perché gli arcobaleni non sono bastevoli*
Non vi rubo altro tempo: per ulteriori note ci risentiamo in fondo al capitolo ;)
(vi ricordo che per i quanto riguarda i messaggi, Kurt è quello in corsivo).
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo III
 
 
Blaine scende i gradini due alla volta. Non corre incontro a qualcosa per cui valga la pena fare due gradini alla volta da quando si ricorda: di solito opta per un più sobrio trascinamento di piedi dalla sua stanza alla cucina; l’obiettivo più comune è una tazza di caffè o un sacchetto di patatine.
«Dove stai correndo?» Suo padre rischia seriamente di inciampargli addosso mentre cerca di salire nella direzione opposta con una pila di libri non indifferente in mano.
«Vado a prendere un caffè.»
«Con Wes?» Ha davvero voglia di spiegargli che succede?
«Sì.» Lui annuisce e prosegue oltre.
«A proposito. Coop mi ha detto di quel messaggio dell’altra sera in cui dicevi di essere in una piscina o qualcosa del genere- »
«Oh, uhm... Ho sbagliato numero. E ho sbagliato a scrivere.» Perché racconta bugie così orribili? L’unica che gli viene sempre splendidamente è la classica “bene, grazie.” alla domanda “Come stai?”. Forza dell’abitudine. In ogni caso suo padre fa finta di credergli: Blaine sospetta per via della perfetta combinazione di libri pesanti e completo e totale disinteresse.
 
Arriva al Lima Bean sette minuti più tardi e solo perché la sua macchina si era rifiutata di partire al primo tentativo. Sta iniziando a pensare che la tecnologia abbia qualcosa di personale con lui visto che sia il suo computer che la sua auto collaborano poco e di malavoglia, ma poi scuote la testa perché ehi, è arrivato e tra poco arriverà Kurt e wow se ne sta già pentendo.
Si siede al tavolo più in disparte del locale, riuscendo comunque a mettersi vicino a una coppia di anziani che stanno sorseggiando rumorosamente un beverone non meglio identificato.
Questo non è da lui. Prendere l’iniziativa, proporre, dopo appena tre giorni di conoscenza – è amico di Wes da anni e non pensa di essere mai stato il primo ad organizzare un’uscita. Eppure Blaine, mentre si siede in modo da poter tenere d’occhio la porta, si rende conto di non sentirsi a disagio o in colpa come alla festa di venerdì sera. Magari non è da lui, ma potrebbe diventarlo, potrebbe essere.
Mancano pochi minuti alle cinque quando succede.
 
Avevo avuto tutto il tempo da perdere di questo mondo per guardare sui libri, o su internet. Statue così belle da sfiorare la Perfezione, quella che tutti dicono non esistere. Dipinti da togliere il fiato, palazzi che sfiori con riverenza perché non riesci a credere che sia possibile che esistano
 
Non è il momento.
 
Amore e Psiche, il Doriforo, Colazione sull’erba, la Sagrada Familia, la Cappella Sistina
 

Zitto.
 
In qualche strano modo, nemmeno una cosa in quello sconfinato mare di meraviglie riusciva a competere con il ragazzo che mi si era appena materializzato davanti agli occhi.
 
Esagerato.
 
Tutte le altre cose, per quanto splendide, erano frutto dell’arte di uno o più uomini. Lui no. Lui era svincolato dall’arte, dalle statue, dai dipinti e dall’architettura. Era quel genere di persone che sembrano andare incontro alla Perfezione senza intenzione, per puro caso, perché sono così. Devi avere fortuna per incontrare qualcuno così nella vita, anche solo una volta. Mentre lo guardavo e i secondi mi scivolavano addosso, capivo pian piano di rientrare nella cerchia di quei pochi fortunati.
 

«Ehi.» Blaine si costringe a dirlo. Un po’ perché Kurt si sta guardando intorno già da parecchio, un po’ perché spera di riuscire a far tacere la sua stupida testa che continua a blaterare e blaterare e sinceramente si sente un tantino stordito. Comunque, alla fine Kurt lo vede e gli sorride. Pessima mossa da parte sua.
 
Aveva un sorriso che
 

No. Ora basta.
«Un tavolo più infognato non potevi trovarlo, eh Blaine? Per un momento ho pensato che mi avessi dato buca, e ti confesso che lo avrei trovato divertente. Sul serio, non ti vedevo, e io ho dieci decimi di vista, a differenza tua.» Tocca con la punta dell’indice la montatura dei suoi occhiali: Blaine storce stupidamente gli occhi per seguirlo. «Ciao, comunque.»
E con questo si siede davanti a lui, con i gomiti appoggiati sul tavolo e sempre quel gran sorriso. Blaine non se lo ricordava così. Nella sua testa Kurt era una massa sfocata che lo aiutava ad uscire da una piscina vuota; non era così- beh, bello.
 
«Hai perso la lingua?»
«No! No, cioè, ciao. Scusa, sono un po’...»
«Stai assimilando, capisco. Come sta il tuo ginocchio?» Quale ginocchio. Oh. Oh!
«Molto meglio. Anche la mano.»
«Fa’ vedere.» Per un breve istante Blaine si chiede se si riferisca al ginocchio o alla mano. Poi si dà dell’idiota perché dai, seriamente?
«Uhm.» Allunga la mano sul tavolo e Kurt gliela prende tra le sue, la gira e la guarda. Ha le mani fredde e morbide e Blaine si sente bene ma anche male per quel contatto fisico. Bene finché dura, male quando Kurt gli restituisce la sua mano.
«Tempo due giorni e non si vedrà più niente, tranquillo. Niente cicatrici per le tue mani da scrittore.» Blaine gli sorride e mentre lo fa viene colpito dalla consapevolezza di quanto è bello il sorriso di Kurt e di quanto il suo debba fare schifo in confronto. Ha anche i capelli spettinati e quelle stupide occhiaie che non vanno via neanche se dorme duecento ore e okay deve smettere di pensarci.
 
«Hai, uhm. Hai poi risolto quella litigata?» Kurt sembra incredibilmente triste, ma è solo un istante. Un secondo dopo è già di nuovo allegro e frizzante come sempre tanto che Blaine è quasi sicuro di essersi immaginato quel momentaneo sconforto.
«Non ancora. Mi dispiace di aver tardato al nostro appuntamento telefonico, ma davvero, a volte quel coglione mi fa davvero venir voglia di prenderlo a pugni finché non gli si forma un cervello.»
«Tuo fratello?» Blaine lo chiede spontaneamente, perché la voglia di prendere a pugni suo fratello è tra i ricordi più vividi della sua infanzia. Kurt gli sorride mentre scuote la testa.
«No, il mio ragazzo.»
 
E fu più o meno in quel momento che tutto il mio misero, patetico universo di sogni e speranze venne spappolato come uno di quegli insetti schifosi con più zampe di quante se ne riescano a contare.
 

Blaine rimane di sasso. Ci prova ad assimilare, davvero, ma stavolta non gli riesce.
Kurt è gay, bene. Glielo ha detto così come si dicono le previsioni del tempo e lui non era neanche mai riuscito a dirlo a Wes, figurarsi a un mezzo sconosciuto. Okay. E poi Kurt ha un fidanzato. Doveva aspettarselo. Insomma, è questo che fanno i ragazzi carini con una vita normale: vanno alle feste, hanno un fidanzato. D’accordo. Nel frattempo si è perso i dieci secondi buoni in cui Kurt ha tenuto gli occhi fissi su di lui, in attesa di una qualsiasi reazione.
«...Okay. Questo può voler dire tre cose. Uno: hai avuto un improvviso e fulminante attacco di paralisi totale. Due: hai avuto un’improvvisa e fulminante perdita di lingua. Tre: non ti aspettavi che sono gay e adesso che lo sai vorresti tanto, tanto fuggire quindi stai provando a ricordarti dove sono le uscite di emergenza di questo posto.» Blaine ci mette un po’ a registrare ciò che Kurt ha detto perché ehi, ha un ragazzo. Kurt ha un ragazzo. Deve smetterla di pensarci.
«Scusa. Nessuna delle tre. Stavo solo assimilando. Non mi interessa se sei gay, sul serio, non sto cercando le uscite di emergenza.» Kurt lo fissa per un secondo, come se si stia accertando che dica la verità. Poi sorride.
 
«Okay, Blaine Anderson, perché era una specie di test. Mi sono detto: bene, questo ragazzo mi piace – tranquillo, non in quel senso – quindi tanto vale dirglielo così se deve fare lo stronzo e andarsene può farlo prima che mi affezioni abbastanza per starci veramente male, capito?»
«Credo di sì.» Poi, di punto in bianco, si sente curioso ad un livello abbastanza preoccupante. Il-mio-libro-diventerà-o-meno-un-bestseller curioso. «Litigate spesso? Cioè, se ti va di parlarne.» Kurt fa una strana faccia che Blaine non capisce.
«Un po’. Ultimamente abbastanza spesso, e ci tengo a sottolineare che oggettivamente è colpa sua, poi sei libero di non credermi.»
«E allora perché non lo lasci?» Kurt lo fissa un secondo e poi fa una specie di risata.
«Perché lo amo, Blaine.»
«Oh.»
«E poi stiamo insieme da tre anni.» Blaine si assicura che siano davvero tre anni. Kurt gli dice di sì e Blaine dice wow. Perché wow.
«Comunque non è che se state insieme da tanto allora non puoi lasciarlo.» Lui gli fa un mezzo sorriso.
«È complicato.» Beh, certo. E Blaine ovviamente non può capirlo perché non ne sa niente di queste cose. «Ma basta parlare di me. Ti chiederei se hai la ragazza, ma ho visto la tua rubrica del telefono e farlo mi sembrerebbe indelicato.» Blaine fa un mezzo sorriso, ma non risponde.
«Quindi... L’ultima l’hai lasciata tu o ti ha lasciato lei?» Tanto vale dire la verità.
«Non ho mai avuto una ragazza.» Kurt sembra sotto shock.
«Mai
«Mai.»
«Neanche una di quelle intense storie  da un giorno e mezzo dell’asilo?»
«Neanche quelle.» Lui lo fissa per un po’, aggrottando le sopracciglia.
«Non è possibile. Sei troppo carino.» Blaine spalanca gli occhi perché beh nessuno gli ha mai detto che è carino e sicuramente non si aspettava di sentirlo da qualcuno che è bellissimo.
«Te lo giuro, nessuno.» Kurt gli sorride.
«Allora la proposta che devo farti sarà ancora più allettante. Ma prendiamoci questi cavolo di caffè prima che ci caccino.»
 
Così si alzano e prendono il caffè. Blaine prende un cappuccino medio e Kurt un latte macchiato scremato, poi gli parla un po’ di sé.
Blaine scopre che Kurt ama cantare e recitare – oltre che amare il suo ragazzo... deve seriamente smettere di pensarci. Scopre anche che detesta Lima e che presto se ne andrà di lì con un’amica per studiare e non ha intenzione di tornare; gli dice anche di stare tranquillo perché esistono i cellulari, esiste skype e anche i biglietti aerei, quindi possono continuare a sentirsi e volendo ogni tanto vedersi, perché comunque tornerà a trovare suo padre per Natale, o d’estate. Kurt vive con suo padre da quando sua madre è morta, quando aveva otto anni.
Blaine si sente un po’ in imbarazzo quando è Kurt a chiedere di lui, perché tutto ciò che c’è da dire è che è nato in una famiglia benestante composta da madre, padre e fratello. Ha imparato a camminare e a parlare, è andato a scuola e ha voluto fare lo scrittore da quando si ricorda. Ha incontrato Wes. Oh, una volta alle elementari ha litigato furiosamente con un bambino di cui non ricorda il nome.
Dopo il racconto della sua entusiasmante vita Kurt sembra stranamente felice.
 
«Che cosa c’è?»
«È decisamente arrivato il momento della mia proposta.» Si piega in avanti sul tavolo con fare cospiratorio. Blaine adesso può sentire il suo profumo. Sa di sapone e zucchero a velo, o torta alla crema, o comunque qualcosa di molto buono.
«Senti, Blaine. Credo di sapere perché la tua ispirazione fa schifo e credo che lo sappia anche tu. Non puoi pretendere di scrivere qualcosa di credibile se non sai neanche di cosa stai parlando.»
«Dio ti prego, non anche tu. È esattamente quello che mi ha detto Wes per convincermi ad andare a quella stupida festa, e sono finito sul fondo di una piscina- »
«E hai conosciuto me. Se permetti ne è valsa la pena.» Blaine parla senza pensare.
«Questo è verissimo.» Per un momento sembra che Kurt sia imbarazzato. Ma come era stato per la tristezza di prima, è solo un attimo.
«Quindi, la mia proposta è questa: in questi tre mesi io ti faccio fare qualche esperienza significativa, e ti prometto che a gennaio starai scrivendo il primo di una luuunga serie di successi.» Blaine assimila. Okay, c’è qualcosa che non va.
«No, aspetta. Che tipo di esperienze? Perché ne ho fatta già una ed è stato orribile e traumatico e non mi ha aiutato a scrivere meglio. E poi tu che cosa ci guadagni?»
«Respira, Blaine Anderson. Non voglio mettere a repentaglio la tua vita. Dico solo che non puoi descrivere un tramonto se non ne hai mai visto uno. O la sensazione di quando ti scoppia il cuore dopo una corsa se non hai mai corso. O com’è baciare se non hai mai baciato.»
«...»
«Non voglio farti fare niente di sconvolgente. Solo darti le basi per poter scrivere qualcosa di vero, che senti davvero. E io ci guadagno un bel “A Kurt, che ha reso possibile tutto questo” nella prima pagina del tuo libro. Se non trovo quella dedica quando lo compro salgo sul primo volo da New York e ti vengo a prendere a calci personalmente.» Blaine non sa cosa dire. Deve esserci qualcosa sotto, c’è sempre qualcosa sotto.
«E anche una copia autografata. Anzi, due. Una per me e una da conservare finché non diventi famoso per poi rivenderla su ebay.» A quell’affermazione Blaine non può fare a meno di ridere.
 
«Tu quindi credi davvero che potrei scrivere qualcosa di decente?»
«Se accetti la mia proposta sicuramente.» Blaine non sa cosa dire. Che cosa dovrebbe dire? Vuole dire di sì con ogni cellula del suo corpo perché se c’è una cosa che lo fa uscire di casa senza che gli pesi è sicuramente Kurt, e se c’è una cosa che sembra ispirarlo è sempre Kurt, e se c’è qualcuno che lo sta facendo sentire bene e non male come al solito è, beh, è Kurt.
Però ha paura. Ce l’ha sempre. Per questo gli piacciono tanto i personaggi inventati: sono sempre lì e ne puoi fare quello che vuoi quando vuoi. Con le persone non puoi mai sapere e qualcosa gli dice che tra i due non è Kurt quello che rischia di rimanere ferito.
«Io...»
«Tira fuori il tuo blocchetto e la biro.» Blaine lo guarda con fare interrogativo.
«Andiamo. Mi hai detto che i veri scrittori non escono mai senza un blocchetto e una penna.» E in effetti Blaine ce l’ha, anche se non ricorda con esattezza quando gli avrebbe detto una cosa del genere. Kurt lo prende, lo apre e comincia a scrivere.
«Ritrovare l’ispirazione in tre mesi. Una guida di Kurt Hummel e Blaine Anderson.» Dice lentamente, mentre la biro scorre sulla pagina bianca. Blaine realizza che è il tipo di persona che quando si concentra tira fuori la punta della lingua. Poi realizza un’altra cosa.
 
«Hummel.»
«Uhm?»
«Non sapevo il tuo cognome.»
«Beh, ora lo sai.» Kurt gli fa un sorrisetto che Blaine definirebbe sexy se non sapesse che Kurt ha un ragazzo e che quindi non è autorizzato a pensarlo.
«Quindi. Ogni volta che ci viene in mente qualcosa lo scriviamo qui sotto. Cioè, tu lo scrivi, io probabilmente ti dirò di scriverlo da casa mia. In ogni caso dovremmo mettere insieme una lista da esaurire in questi tre mesi.»
«Okay, mi piace. Ma aggiungerei una cosa.» Kurt è sorpreso, forse perché la sua idea gli sembrava già perfetta così com’era o forse perché lui ha appena preso l’iniziativa in qualcosa. Comunque Blaine gli dice di sentirsi in debito così, quindi tra le esperienze ce ne devono essere anche di nuove per entrambi. Kurt lo trova ragionevole e accetta, anche se gli ripete che non ha motivo di sentirsi in debito.
Alla fine monopolizzano il tavolo più infognato del Lima Bean fino alle sette di sera. È Kurt il primo ad alzarsi, il che va contro ogni standard di Blaine che di solito trova sempre una scusa per scappare a casa prima degli altri.
 
«È stato divertente. Hai trasformato quello che era iniziato come un pomeriggio squallido in un gran bel pomeriggio.»
«Grazie. Anche tu. Mi sento già più ispirato.» Kurt sorride e recupera la tracolla che aveva lasciato appesa alla sedia.
«Allora vai a casa e scrivimi qualcosa che valga la pena di essere letto, Blaine Anderson.» E se ne va, lasciando Blaine a chiedersi se con quello “scrivimi” intendesse un più generico “scrivi” o di scrivere davvero qualcosa per lui. E poi decide che non ha importanza perché ha appena passato le due ore più degne di essere vissute della sua vita.
 
 
*
 
 
Kurt parcheggia nel vialetto di casa sua alle sette e venti. Solo allora si concede di spegnere la musica altissima che ha tenuto accesa per tutto il viaggio e di pensare, fissando un punto non meglio identificato fuori dal finestrino.
La cosa brutta di Blaine è che è il tipo di persona che giudichi male, nel senso che te l’aspetti in un modo e lei è completamente diversa. Ma non diversa in modo negativo come nel novantanove percento dei casi, bensì diversa in positivo.
Kurt si aspettava un ragazzo carino, un po’ sfigato e a cui piace scrivere con cui divertirsi un po’ con quell’idea della lista delle cose da fare. E invece Blaine si era rivelato il tipo di ragazzo carino, un po’ sfigato e a cui piace scrivere al quale sente di potersi affezionare davvero, davvero tanto. Per questo gli ha detto di essere gay così, subito. Ciò che aveva omesso è che un po’ ci aveva sperato che si dimostrasse uno stronzo e che se ne andasse. E invece niente stronzaggine, e Kurt spera solo che non si riveli stronzo più avanti perché ha la netta sensazione che tra i due non è Blaine quello che rischia di rimanere ferito.
 
Mentre pensa a tutto questo si rende conto che non è normale stare seduti su una macchina spenta nel vialetto di casa e che quindi magari sarebbe il caso di uscire.
Prima di mettere in atto quella decisione controlla il cellulare: la prima cosa che nota è l’assenza di un qualsivoglia messaggio di Rachel Berry, il che significa che sta facendo l’offesa e che lui deve proporle di andare da qualche parte al più presto se vuole considerarsi perdonato. Santana poi gli ha scritto due volte. La prima per dirgli “Kurt, non indovinerai mai.” e la seconda per esplicitare ciò che non avrebbe mai indovinato: “Ho conosciuto un ragazzo che è il sesso.” Kurt scuote la testa con rassegnazione; un giorno Santana capirà che è inutile che gli mandi messaggi di quel tipo perché lui sa perfettamente che le opzioni sono due: o il ragazzo in questione è una ragazza, o il ragazzo in questione non esiste. Alla fine si accorge di avere un messaggio di Tom. Non vuole leggerlo, davvero, ma lo legge lo stesso: “Scusa per oggi, è stata colpa mia. Ti va se domani andiamo a pranzo insieme? Ti amo.”
Kurt non vuole perdonarlo, sul serio, ma la verità è che lo ha già fatto. Si odia mentre gli risponde: “Scuse accettate, però offri tu. Ti amo anch’io.”
 
Preme invio in fretta, perché non vuole pensarci più per stasera. Entra in casa e aiuta suo padre a preparare la cena – Burt si congratula con lui per essere arrivato puntuale, e Kurt si guarda bene dal dirgli che si tratta solo una felice casualità dato che quando gli comunicava l’orario massimo di rientro non stava ascoltando.
Non fa in tempo a mettere in bocca una forchettata di sformato che il suo cellulare ronza sul tavolo da pranzo.
«Anche a tavola, Kurt? Non puoi staccarti da quel coso per cinque minuti?» Kurt dà una rapida occhiata allo schermo.
«Rispondo solo a questo messaggio, promesso.» Burt sbuffa ma lo lascia fare.
 
20:12
Pensando ai prossimi tre mesi... Ma al tuo ragazzo va bene se ti vedi così spesso con un altro?
 
20:14
Dio, no. Non sei davvero una di quelle persone che crede che se qualcuno ha un ragazzo o una ragazza allora non può più uscire con gente del sesso opposto. O in questo caso dello stesso sesso.
 
20:15
In effetti no. Non so perché l’ho scritto.
 
20:43
Eccomi, scusa, mio padre non vuole che usi il telefono a tavola. Comunque scrivi: corsa, tramonto, torta.
 
20:44
...Cos’è che devo scrivere?
 
20:45
Corsa, tramonto, torta. Sul tuo librettino. La lista. Sveglia, Blaine!
 
20:48
Okay, scritti. E ho aggiunto anche campeggio e giro in macchina.
 
20:50
Perfetto. Sappi che il campeggio manca anche a me. Forse ne ho fatti un paio da piccolo ma non ho ricordi.
 
20:55
Sei ancora vivo?
 
20:57
Prima di andare via stasera hai detto “scrivimi qualcosa”, quindi... le rose sono rosse, le viole sono blu, se devo sperimentare con qualcuno sono contento che sia tu.
 
21:00
Kurt? Lo so, fa schifo, ma almeno parlami.

 
Alle nove in punto della prima domenica di ottobre Kurt realizza che è troppo tardi per evitare di affezionarsi a Blaine Anderson.
 

 
 
 

 
 
 
 
Heeere we are :D
Dunque dunque dunque... cosa dire di questo capitolo? Cominciare con un “povero, piccolo Blaine” è d’obbligo, perché davvero: povero, piccolo Blaine ;-;
Vi dirò che mi sono divertita molto a scrivere del primo incontro al Lima Bean, con tanto dell’idea della lista, che è stata più o meno la prima cosa che ho pensato quando questa fanfiction mi è venuta in mente (insieme ad una certa scenetta che però farà la sua apparizione più avanti ;)). Come sempre mi rotolo nella curiosità di leggere i vostri pareri *-* Ne approfitto anche per ringraziare la mia beta nonché moglie senza la quale – come dice Kurt in questo capitolo – niente di tutto questo sarebbe stato possibile <3
A prestissimo (magari anche prima di quanto crediate MWAHAH) con il nuovo aggiornamento! Klisses <3
 
Come sempre, la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Buon pomeriggio *-*
Come vi avevo vagamente anticipato nelle note finali dello scorso capitolo, eccomi qui un pochino in anticipo con il nuovo aggiornamento.
Prima di lasciarvi alla lettura ci tengo a ringraziare con tutto il mio arcobalenosissimo (?) cuore Anna_Vik, Chuzzah, Sslaura, Clover GD, Ginny_Sara, Khaleesi21, Rorori e Locked che hanno recensito lo scorso capitolo: leggere i vostri commenti mi rallegra sempre la giornata e niente, vi adoro ;-;
Senza ulteriore indugio – anche perché sto uscendo per andare a vedere The Fault In Our Stars, che il Santo Panino mi assista – mi dissolvo nella nebbia. Al solito, per ulteriori note ci risentiamo a fine capitolo ;)
 
Spoiler... più o meno: questo capitolo contiene la mia quote preferita di Blaine. Non solo di questo Blaine, bensì di tutti i Blaine che io abbia mai blainato (?)
Chi la indovina vince la gloria eterna, tipo coppa Tremaghi.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo IV
 

«Non ho mai provato niente di simile per nessuno prima di te, nessuno. Puoi dargli il nome che vuoi se hai così tanta paura di chiamarlo amore, ma questo non cambia le cose.» Riceve un’occhiata timida, esitante.
«Quando hai iniziato a provare questo tipo di sentimenti?»
«Io...» Passa un secondo. Ne passano due. «Io ho dimenticato la battuta.»
In qualche strano modo Rachel riesce a sembrare mille volte più contrariata della loro insegnante di recitazione, la quale ha ampiamente dimostrato che per quel che la riguarda ciò che conta è arrivare alla fine della lezione senza che una in particolare tra le proprie alunne si cimenti nell’ennesima delle sue drammatiche uscite di scena.
«Okay, per oggi basta così.»
Kurt è enormemente sollevato da quelle parole. Il corso non lo entusiasma granché già in condizioni ottimali, figurarsi quando è stanco morto. E oggi è decisamente stanco morto.
Raccoglie la sua borsa e si affretta verso la porta con gli altri ragazzi, nella vana speranza di riuscire ad evitare di parlare con Rachel. Magari gli va di lusso e lei si vuole di nuovo trattenere per dare alla loro insegnante qualche dritta su come tenere le lezioni in modo più professionale – sì, era successo davvero – o per lamentarsi dell’incompetenza dei suoi compagni di corso – sì, era successo anche quello. Purtroppo per lui Rachel doveva aver deciso di avere un problema più importante da risolvere.
 
«Kurt, aspettami!» Appunto. Affretta il passo: può ancora fare finta di non averla sentita-
«Non fare finta di non sentirmi!» Evidentemente no. Mette fine alla sua fuga disperata quando è ormai per strada, fermandosi ad aspettare una trafelata Rachel che gli corre incontro con ancora i fogli del copione in mano. Quando è a pochi metri da lui, viene improvvisamente colpito dalla realizzazione che sarebbe disposto a pagare una discreta somma di denaro per trovarsi in qualsiasi altro posto del mondo. In un vulcano attivo ad esempio, o tra le fauci di un orso polare.
«Si può sapere cosa diavolo ti prende?» È uno di quei sussurri carichi d’odio che riescono sempre a spaventarlo. Rachel dovrebbe ricevere una medaglia per la sua capacità di fargli quell’effetto ogni singola volta con mille trovate diverse.
«Non mi prende niente.»
«Niente, Kurt? Sbagliare le battute non è un niente. Il Kurt che conosco io non sbaglia le battute, perché le legge e le rilegge finché non le sa meglio del suo nome!» Kurt alza gli occhi al cielo. Ha perso il conto di quante volte ha sentito la storia del Kurt-che-conosce-lei.
«Era solo una battuta.» Rachel sembra fuori di sé.
«Non è solo per la battuta. Ti vedo, sai? Sei cambiato, è come se non ti importasse più di venire alla NYADA con me. Non vuoi più venirci?»
«Rachel, ci vengo alla NYADA, non preoccuparti. Ti rendi conto che anche se mi presentassi a questo corso solo per piazzarmi ogni volta per terra a contare le fughe delle mattonelle mi darebbero l’attestato comunque, vero?» Ora più che indignata Rachel sembra rattristata: una sua versione se possibile ancora peggiore.
«Non è questo il punto, e lo sai bene. Devi farlo per te stesso, per poter dare il meglio alla NYADA.» Kurt odia quel tipo di discorso con ogni fibra del suo essere.
«Mi sto impegnando.»
«Non è vero. Sai cosa? Fai come ti pare. Eri la mia ispirazione, lavoravi sodo per andartene da questo posto a testa alta- »
«Smettila.» Davvero. Non riesce a sopportare di sentirselo dire un’altra volta.
«Cosa ti è successo?» Kurt rimane spiazzato da quella domanda. Sono tanti anni che qualcuno non gliela rivolge; ricorda con fin troppa precisione l’ultima volta.
«Ti chiamo più tardi, okay?» Con quelle ultime parole e dopo avergli lanciato uno sguardo a metà tra la compassione e l’apprensione, Rachel e il suo copione se ne vanno lasciandolo in piedi in mezzo alla strada con la netta sensazione che rimarrà lì per sempre. Non riesce più a muoversi, non ci riesce. Si appoggia automaticamente una mano sul petto: lo sente mentre sale su e giù, pian piano.
Vorrebbe solo poter fare qualcosa per impedire che tutto gli crolli miseramente addosso eppure è così che si sente, come un castello di carte. E finché può fingere di essere al chiuso va bene, ma il vento ha iniziato ad alzarsi e lui lo sente; non può più raccontarsi che è solo nella sua testa.
 
Alla fine riesce a staccarsi quella mano di dosso, ficcarla in tasca, prendere il cellulare e comporre il numero di Tom. Due squilli, cinque squilli, otto squilli: al nono lascia perdere. Non vuole nemmeno pensare a cosa sta facendo, al perché non risponde: gli aveva offerto il pranzo qualche giorno prima e adesso va di nuovo tutto bene tra di loro, non vuole litigare di nuovo, non vuole più doverlo fare. Così – prima che il suo cervello inizi a sfornargli nuove paure più o meno razionali – compone in fretta un altro numero. Blaine risponde al primo squillo, così in fretta che Kurt per poco non si dimentica come deve apparire quando parla con lui. Gli torna in mente quasi subito.
«Ciao, Kurt.»
«Blaine Anderson, ehi. Sono tre giorni che non ti sento, iniziavo a temere il peggio.»
«Stavo scrivendo. Sto provando qualcosa di diverso.» Kurt si rende conto di avere un bisogno disperato di Blaine, al momento.
Non di Blaine nello specifico, ma del se stesso che è quando è in compagnia di Blaine: sicuro di sé, allegro, come se niente possa scalfirlo. Così si decide a parlare, perché è troppo vicino a crollare e se c’è una cosa che sa con certezza è che non può farlo, non può.
«Allora appoggia la tua biro e mettiti una tuta, Blaine, perché passo a prenderti e andiamo a correre.» Segue un breve silenzio.
«...A correre? Adesso?»
«Devi fare qualcosa che non puoi rimandare?»
«No, ma... Perché adesso?»
«Perché non ci vediamo da tre giorni e mi manca il tuo bel faccino.»
Non è una bugia, ma non è nemmeno tutta la verità. Di certo non può dire a Blaine che ha bisogno di essere la persona che è quando sono insieme, oltre ad aver voglia di vedere il suo bel faccino.
«Oh.» Kurt sorride. Adora quando gli risponde “oh”.
«Ti stai vestendo? Io sono già pronto perché vengo direttamente dal mio corso di recitazione e lì bisogna essere comodi, non puoi mai sapere cosa ti faranno fare.» Dall’altra parte della cornetta si sente un piccolo tonfo.
«Sì, sì. Però non sono atletico. Per niente.»
«Non preoccuparti, sei in buone mani.»
 
 
*
 
 
Blaine non sa cosa gli sia preso di recente, non lo sa davvero. D’accordo: Mona è davvero un personaggio orribile, fin qui niente da dire; però aveva sempre immaginato che avrebbe continuato a scrivere di lei. Insomma, apportando ovviamente qualche miglioria qua e là, ma non si aspettava di piantare dal giorno alla notte il suo giallo-horror-thriller per darsi a qualcosa di completamente nuovo.
Domenica sera aveva preso il suo blocchetto, aveva girato pagina – proprio dopo quella ancora semivuota dedicata alla lista delle cose che avrebbe dovuto fare con Kurt – e si era messo a scrivere.
Adesso ha cinque pagine completamente disarticolate e senza ordine di continuità con le sue impressioni su Kurt, dalla prima volta in piscina a quando è comparso sulla soglia del Lima Bean; le legge e le rilegge e continuano a sembrargli tra le cose migliori che abbia mai scritto. Manca una trama, manca un contesto, manca praticamente qualunque cosa; eppure le ama, le adora. Adesso indossa una bruttissima tuta grigia, un paio di scarpe da ginnastica e le lenti a contatto e sta aspettando che Kurt lo venga a prendere.
Apre il quaderno e fa un tic di fianco alla voce “corsa” sulla loro lista, poi se lo mette in tasca insieme alla penna. Due minuti più tardi gli arriva un messaggio.
 
17:02
Ho appena realizzato di non sapere dove abiti.

 
Blaine gli scrive l’indirizzo e schiaccia invio. Se una settimana prima gli avessero detto che sarebbe stato così ansioso di andare a correre sarebbe scoppiato a ridere.
 
 
*
 
 
Kurt arriva sotto casa di Blaine poco prima delle cinque e mezza. A giudicare dalle dimensioni del giardino e della villetta che si erge nel suo centro esatto non scherzava quando diceva che veniva da una famiglia benestante. Lo vede sbucare dalla porta di ingresso poco più tardi: sale in macchina con un gran sorriso e- oh.
«Ciao, Kurt.»
«Non hai gli occhiali.» Blaine lo fissa per un attimo con quei suoi meravigliosi, grandi occhi color caramello resi se possibile ancora più belli dalle ciglia più nere e più lunghe che Kurt abbia mai visto.
«Oh. Sì, già. Ho le lenti a contatto.» Kurt lo fissa per qualche altro secondo.
«Dovresti portarle sempre. Ho visto occhi del genere solo in tv quando scanalando capitavo su qualche cartone giapponese.» Blaine ride, e Kurt nota le minuscole rughe che gli si formano agli angoli degli occhi quando lo fa. È la prima volta che si accorge qualcosa del genere in una persona, cosa che lo spinge a cercare qualcos’altro in Blaine che di solito non nota. Finisce per decidere che ha dei bei lobi delle orecchie.
 
«Dove andiamo a correre?» Kurt indica prontamente il suo navigatore satellitare.
«C’è un parco poco frequentato non troppo lontano da casa mia. Non ci vado da un sacco di tempo, ma lui può darci una mano.» Blaine gli chiede se per caso quel parco è vicino a un ospedale, perché sarebbe una bella cosa nel caso dovesse venirgli un infarto. Kurt lo rassicura del fatto che non ci sarà nessun infarto.
«E così hai scritto qualcosa in questi giorni?»
«Già.»
«Sai che la voglio leggere, vero?» C’è un breve silenzio che si rivela provvidenziale perché Kurt riesce miracolosamente ad accorgersi del pedone che è appena sbucato dal nulla e di conseguenza a non investirlo.
«Io non... Non ho mai fatto leggere a nessuno le cose che scrivo.»
«Beh, è il momento di cominciare.» Gli dice, lanciandogli una breve occhiata prima di tornare a concentrarsi sulla strada. Per quel poco che ha visto gli è sembrato preoccupato, anche se non capisce quale sia il problema.
«Hai paura che non sia buono?»
«È solo- preferisco fartelo leggere quando è finito.»
Il navigatore di Kurt li scorta fino al parco in venti minuti che hanno sfruttato per aggiungere altri due punti alla loro lista: il primo è “alba” – con grande disappunto di Kurt che detesta svegliarsi presto – e l’altro è “obbligo o verità” – con grande disappunto di Blaine che non ci ha mai giocato perché ne ha sempre avuto una gran paura.
Kurt parcheggia e si avviano verso l’ingresso del parco. Blaine sembra terrorizzato.
 
«Temo che non funzionerà.»
«Non può non funzionare. Se puoi camminare puoi anche correre.»
«La mia pressione bassa urla il contrario.» Kurt rotea gli occhi.
«Quante volte devo ripeterti che l’autocommiserazione non è sexy?»
In realtà Blaine lo è a prescindere. Sexy. Insomma, all’inizio pensava fosse per via degli occhiali ma ora si trova costretto a riconoscere che non è loro il merito. Blaine è carino così, di suo. Non che abbia intenzione di dirglielo.
«Ci provo, okay. Ma ripetimi il motivo per cui mi serve fare questo per scrivere meglio, perché al momento mi sfugge.» Kurt si gira e gli mette le mani sulle spalle, piantando i propri occhi nei suoi.
«Quel personaggio che ti faceva schifo... Mona, giusto? Immagina Mona che nel tuo libro di avventura, fantasy, horror o qualunque cosa tu abbia in mente è appena arrivata all’apice di una fuga mozzafiato e corre e corre e corre, ma ha le gambe pesanti, intorpidite dall’acido lattico, il cuore che le scalpita nelle orecchie e tutte le vene che pulsano. Capisci cosa intendo?» 
Blaine ha gli occhi aperti, la bocca socchiusa e la faccia parecchio vicino alla sua. Kurt se ne rende conto e lo lascia andare.
«Lo... Lo capisco?»
«No, non lo capisci, perché tu non ti sei mai sentito così. Quindi oggi ti sentirai così.» Gli fa un piccolo sorriso di incoraggiamento e Blaine gli sorride a sua volta e wow Blaine è davvero un amore senza occhiali.
«Cosa devo...?»
«Intanto sciogliti, che sembri un pezzo di legno.» Blaine ci prova e Kurt deve seriamente sforzarsi per non ridere.
«Dio mio Blaine Anderson, da quanto tempo non ti alzi dal letto esattamente?» Gli prende di nuovo le spalle e tenta di fargli rilassare i muscoli, senza risultati degni di nota.
«Il collo riesci a muoverlo senza che ti si stacchi la testa?» Blaine lo fa.
«Ottimo. E qui?» Gli dà un colpetto su un fianco. Blaine ci prova. È esilarante, sul serio.
«Okay, saltiamo questa parte.» Proclama, avviandosi definitivamente sul sentierino sterrato che fa da ingresso al parco. Blaine gli va dietro.
«E a che parte passiamo?»
«A quella in cui io ho le chiavi della macchina in tasca e quindi se non vuoi rimanere qui per sempre ti conviene non perdermi di vista.»
«Cosa? No no no Kurt aspettami!»
 
Al che Blaine comincia a corrergli dietro, cercando di stare al passo. Kurt è abbastanza allenato in questo, perché per cantare ai livelli della NYADA ha dovuto farsi un gran bel fiato.
«Forza e coraggio, Blaine Anderson!» Blaine lo affianca quaranta secondi più tardi, concentratissimo e con il respiro già evidentemente irregolare.
«Vedi? Stai correndo.»
«Non.» Rantolo di morte. «Parlare.» Con uno sforzo supremo Kurt riesce a non prenderlo in giro, limitandosi invece a continuare a correre.
«Okay, ma sappi che sono pieno di energie perché oggi il corso di recitazione era di pomeriggio e ho avuto tutta la mattina per dormire.» Blaine grugnisce. Seriamente, grugnisce. Kurt ride e gli dà una piccola spinta.
«E dai, Blaine. Un po’ di vita!» Nessuna risposta. Corrono in silenzio per quelli che saranno al massimo sei minuti prima che Blaine dica qualcosa.
«Kurt.» La sua voce – quello che ne resta – è abbastanza preoccupante.
«Blaine?»
«Troppa vita.» Un rantolo sordo. «Muoio.»
E con quest’ultima, disperata sentenza Blaine crolla miseramente sul prato.
 
No. Non può essere successo davvero. Kurt gli si inginocchia di fianco: Blaine è steso di faccia, braccia e gambe aperte. Nota che la sua schiena si alza e si abbassa quindi se non altro respira e dunque non è morto. Non del tutto almeno.
«Blaine! Sei tutto intero?» Per due lunghi secondi non ottiene alcuna risposta, e poi il torace di Blaine inizia a muoversi più velocemente. Sta... ridendo?
«Cosa cavolo c’è che non va in te?»
«È stata la prima cosa che mi hai detto quando,» gira la testa da una parte, tanto per non dover parlare contro l’erba, ma tiene comunque gli occhi chiusi «ci siamo» ansito «conosciuti.»
Kurt rimane spiazzato per un secondo, ma è solo un secondo.
«Sei strano, Blaine Anderson.»
«La milza.»
«Cosa?»
«Prima. Parlavi di Mona. Hai dimenticato- la milza.» Tossisce qualche volta. I suoi muscoli cominciano piano piano a rilassarsi, anche se la sua pelle resta di un colore vagamente tendente al viola. «Sta per uscire dal mio corpo.»
«Non trovi che col senno di poi avresti potuto dirmi di non farcela più qualche minuto prima di svenirmi di fianco?» Blaine è in una fase di transizione che dai rantoli preoccupanti lo sta portando a un fiatone violento, il che sembra un miglioramento.
«Volevo fare una bella impressione su di te. Giuro che non ci proverò mai più.» Spiega, riuscendo addirittura ad emettere una risatina. «Inoltre, ho perso una delle mie lenti a contatto cinque minuti fa.»
Kurt lo prende per un fianco e lo fa rotolare in modo che sia a pancia in su. Gli passa una mano tra i capelli e gli sorride.
«Sei tanto carino Blaine, ma bisogna che le dici le cose. E sappi che se ti ho appena toccato la testa nonostante tu sia più sudato di un’intera squadra di hockey vuol dire che te lo sei proprio meritato.» Blaine tenta di aprire un occhio ma ci rinuncia subito.
«Faccio così tanta pena?»
«Non fai pena, mi piaci. Sei solo un po’ strano.»
«Dalla mia ho anche il fatto che mi sono da poco graffiato un ginocchio cadendo in una piscina.»
«Parola chiave: graffiato. Diciamo semplicemente che non sei molto atletico. E adesso apri quei tuoi occhioni manga, così guardiamo se ti sono esplosi proprio tutti i capillari o solo alcuni.» Blaine li spalanca all’istante e sembra davvero preoccupato. Gli ricorda tremendamente l’espressione che aveva il cane di sua zia quando lei passava l’aspirapolvere.
«È una cosa che può essere successa davvero o mi stai solo spaventando?»
Kurt si piega in avanti in modo da poter esaminare i suoi occhi da vicino. In realtà non è sicuro che qualcosa del genere possa davvero succedere, ma è pur sempre un valido pretesto per avvicinarsi e cercare di capire quante sfumature ci siano nelle sue cavolo di iridi senza che lui pensi che lo voglia stuprare.
«I tuoi occhi stanno benissimo.» Annuncia, tornando a sedersi a gambe incrociate accanto a lui. Blaine lo segue con lo sguardo durante tutto il movimento e continua a fissarlo anche dopo, con le labbra che si tendono lentamente in un sorriso. Kurt ha come l’impressione che gli stia sfuggendo qualcosa, così sorride a sua volta, inclinando leggermente la testa.
 
«Che c’è?» Blaine sbatte le palpebre qualche volta, come se fosse appena tornato alla realtà da chissà dove.
«Niente. Stavo pensando a com’è possibile che il tuo ragazzo abbia discusso con te l’altro giorno. Sei così... Non lo so. Mi chiedo che cosa abbia trovato che non andava per litigare.» Kurt inarca le sopracciglia e ricambia il suo sguardo, ma non sta più sorridendo.
«È complicato.»
«Lo hai già detto. Ho solo deciso di non tenermi più dentro le cose.»
«Lo hai deciso quando sei quasi svenuto sul prato?»
«Precisamente.» Kurt scuote la testa e lo aiuta a mettersi seduto. Sembra un po’ instabile, come uno che ha battuto la testa o che ha bevuto, o a quanto pare che ha corso troppo.
«Ce la fai?»
«Insomma. Ah, ho perso anche l’altra lente a contatto.» Kurt ride.
«Sei un disastro, Blaine Anderson. Ma almeno hai provato la sensazione che dovevi provare e anche all’ennesima potenza, quindi per oggi ci siamo. Anzi, facciamo due in uno.» Aggiunge alla fine, indicando il cielo sopra di loro. «Inizia a tramontare il sole.» Blaine sembra esserne particolarmente contento, perché torna a sdraiarsi con le braccia piegate dietro alla testa. Rimane così per un po’, come se fosse in preda alla più assoluta beatitudine.
«Kurt, ti andrebbe di fare una cosa per me?»
«Dipende, perché oggi ti ho già toccato i capelli sudati quindi la bilancia pende nettamente dalla tua parte in quanto a favori da fare.» In tutta risposta Blaine lo afferra per il retro della maglietta e tira leggermente, così Kurt finisce per stendersi di fianco a lui sull’erba fresca.
«Come siamo violenti.»
«Senti, io sono praticamente cieco, quindi... Te la senti di descrivermi il tramonto?» Kurt aggrotta le sopracciglia. Non è sicuro di cogliere il punto di quella richiesta.
«Io? Ma non sono bravo con le descrizioni. Al massimo possiamo vederlo un’altra volta- »
«Per favore. Vorrei... credo che sarà fonte di ispirazione. Non importa se non sei bravo, provaci.»
 
Kurt non è certo del perché Blaine voglia questo da lui, ma dopotutto è qualcosa che può provare a fare. Così punta gli occhi verso l’alto e inizia a parlare, e ad ogni parola che gli esce dalle labbra è più rilassato e più parte di quel momento; di lui e Blaine stesi sul prato con il cielo sopra di loro. E non sta facendo niente: sta solo descrivendo quello che vede; eppure sente che quello che si era prefissato per quel pomeriggio – essere il ragazzo allegro e sicuro di sé che è quando sta con Blaine – non ha più importanza.
Adesso non è quella persona, non è nemmeno quello che fa i corsi di recitazione, quello che dorme in macchina senza nemmeno sapere perché ha fatto così tardi, quello in debito, quello ferito. È solo lì che descrive un tramonto e che di punto in bianco capisce cosa intende la gente con “posto giusto e momento giusto”.
«Il sole non lo vedo più perché è sparito dietro ai tetti delle case, ma prima che lo facesse potevo guardarlo direttamente senza che mi facessero male gli occhi. Lì il cielo è rosso intenso, su di noi invece sfuma verso l’arancione e più in là diventa di un rosa sempre più chiaro, ma resta sempre caldo.» Poi prosegue, descrivendo come meglio può i colori e come fa il rosa a diventare azzurro. È solo quando ha quasi finito che si volta verso Blaine e lo sorprende a fissarlo. Adesso ha di nuovo un colorito normale e nei suoi occhi brilla la luce rossastra del sole che tramonta; lo ascolta in silenzio e lo guarda. Kurt abbassa gli occhi e quando parla è intento a contemplare l’erba.
«Grazie.» Gli dice. E da una parte non sa perché lo dice ma dall’altra lo sa benissimo.
«Grazie a te. E non è vero che non sai descrivere.» Kurt gli fa un mezzo sorriso, anche se non è sicuro che Blaine possa vederlo. Gli passa di nuovo una mano tra i capelli, perché vuole che lui sappia che gli è grato davvero per quella piccola cosa che hanno avuto insieme, qualunque cosa sia.
 
«Credo che dovremmo andare.» Blaine annuisce e inizia a fare leva sui gomiti per tirarsi su; sembra del tutto guarito dalla sua precedente quasi-morte e Kurt ne è molto felice perché non vuole che lo lasci. Non una parte di se stesso – la persona che è quando è con Blaine – di quella non gli importa più. Blaine e basta. Non vuole che lui lo lasci.
«Senti, ci sei domani? Pensavo che siccome avrai sicuramente una carne greve orribile potremmo approfittarne per fare un giro in macchina.» Blaine sembra contento.
«Hai visto la mia rubrica. Io ci sono sempre.»
 
 
*
 
 
Kurt lo scarica davanti a casa sua poco dopo le otto di sera. Blaine deve scrivere ora, deve scrivere subito. Corre letteralmente per il giardino fino alla porta d’ingresso – wow, è ancora in grado di correre e la sua milza a quanto pare è nella sua sede originaria – e si precipita dentro. Sale le scale due gradini alla volta ringraziando di conoscere casa sua abbastanza bene da non necessitare una vista particolarmente nitida; arriva in camera, sale sul letto e si piazza il suo blocchetto sulle ginocchia. Fa un tic vicino alla parola “tramonto”, gira qualche pagina e lascia che la penna scorra libera sulla carta.
 
Dicono che esistono dei brevissimi, rari momenti nella vita in cui finalmente capiamo qualcosa. Capiamo tutto quello che c’è da capire, in realtà, solo per quel minuscolo attimo che ci scivola via dalle mani con la stessa rapidità con cui ci ha travolto. Quando aprii gli occhi quella sera lui era lì, proprio sopra di me che mi fissava. E io ebbi uno di quei momenti. All’improvviso era come se fossi in grado di comprendere ogni cosa. I miei occhi non vedevano praticamente niente ma la mia testa, io vedevo tutto ciò che poteva essere visto. Vedevo lui, la trama complicata del cielo sopra di me e i fili d’erba che mi pizzicavano la pelle, sapevo perché quegli alberi crescevano lì, sentivo la terra girare, sentivo lui che respirava lentamente e il ritmo perfetto che creavano tutte queste cose insieme. Quella sera ebbi uno di quei momenti e potrei quasi giurare che per un attimo anche lui provò la stessa cosa.
 
 
 

 

 
 
 
 
Here we are <3
Ammettetelo: ad inizio capitolo siete o non siete rimasti confusi dal dialogo-trollata? :’)
Beh, dialogo-trollata a parte credo che la vera novità sia Kurt. Come molti di voi avevano già intuito quella del ragazzo sicuro di sé e sempre allegro era solo una piccola parte del suo carattere. Come al solito sono curiosissima di leggere le vostre opinioni a riguardo *-*
Parlando invece della seconda parte del capitolo... Well, momenti shipposi a parte, io proporrei l’edificazione di un piccolo monumento per quel puppet di Blaine Anderson. Cosa non si fa per conquistare un Kurt Hummel? *sospiro tragico*
Del resto, al solito, lascio a voi i commenti. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto ;-;
Vi riempio di klisses e – sempre ammesso che sopravviva alla visione di TFIOS – vi do appuntamento al prossimo aggiornamento <3
 
Come sempre, Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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P.S. La quote preferita è e sarà sempre «Troppa vita, muoio.»
Blaine ha riassunto la mia intera esistenza in tre parole :’D

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Per i messaggi: Kurt, Blaine.


 




Capitolo V
 

Blaine si siede al suo solito posto – il tavolo più appartato del Lima Bean – senza riuscire a togliersi dalla faccia quel sorriso stupido che si porta dietro da praticamente un mese. Appoggia la borsa sulla sedia vicino alla propria e tira fuori il suo quadernino, sfogliandolo fino ad avere sotto agli occhi la pagina della lista. Nell’ultimo mese avevano eliminato “giro in macchina” e “torta” dal mare di cose che dovevano fare, insieme a “cinema” e “colazione”. E nel frattempo Blaine aveva scritto. Aveva scritto e scritto e scritto come mai aveva fatto in vita sua, riempiendo almeno una cinquantina di pagine di quaderno con Kurt in mille momenti diversi. Kurt che rompeva troppo energicamente un uovo facendolo finire per metà sul tavolo, le sue mani che si muovevano sicure sul volante e quel suo vizio di leccarsi le dita ad ogni boccone quando mangiava qualcosa senza posate. Ci sono pagine e pagine su questo, su di loro, su quello che vede. Blaine ha espresso tutto questo nell’ultima facciata del suo quaderno:

 
 
 3 settembre 2014 (2 pagine poi  cancellate)        Venerdì 3 ottobre 2014  3 novembre 2014 (50+ pagine scritte)
 
 
Cambia il cinquanta con un cinquantadue, perché proprio la sera prima aveva aggiunto qualche considerazione sulla loro serata al cinema.
In effetti potrebbe facilmente suddividere la sua produzione in Prima di Kurt e Dopo Kurt, ponendo come spartiacque la prima volta che lo aveva visto appoggiato a quell’albero, quando le parole avevano preso forma di loro iniziativa nella sua testa.
Non è solo una questione di pagine scritte, però. Come direbbe il suo ex strizzacervelli, è una questione di bene e male. E la cosa straordinaria è che sta bene, con Kurt. E non il genere di bene che aveva sperimentato prima, quello in cui lui si convince del fatto che dopotutto potrebbe andare peggio, che deve accontentarsi e che un giorno farà grandi cose che faranno pentire delle loro azioni quelli che lo hanno sempre escluso. Per una volta nella sua vita sta bene nel modo in cui tutti gli altri stanno bene.
 
«Buongiorno, Blaine. Ti faccio presente che il tuo debito nei miei confronti sta salendo vertiginosamente.» Blaine sobbalza nel momento in cui Wes piazza sul tavolino due bicchieri di carta. Era così intento a fissare il suo schemino che non lo ha minimamente sentito arrivare.
«Lo so. Prometto che la prossima volta ti restituisco tutto- »
«L’ho sentita talmente tante volte che non fa più ridere. Che stai facendo?» Chiede, sbirciando oltre le loro bevande calde fino al quaderno di Blaine, che lui si preoccupa immediatamente di nascondere. Incolpa la forza dell’abitudine: nelle ultime settimane si è dovuto cimentare nelle più acrobatiche evoluzioni per impedire a Kurt di leggere ciò che scriveva. Per- Beh, per ovvie ragioni. Non voleva spaventarlo a morte, o essere denunciato.
«Oh mio Dio... Ancora quel Kurt?» Blaine lo guarda malissimo.
«Per tua informazione ho scritto più cose decenti nell’ultimo mese che in tutta la mia vita- »
«Il che la dice lunga su quanto ti sei mai messo d’impegno in questa cosa.» Blaine ormai lo sta fissando con gli occhi ridotti a fessure. Se uno sguardo potesse uccidere di Wes resterebbe solo una manciata di coriandoli.
«Puoi scordarti che ti restituirò i soldi.»
«Non lo avresti fatto comunque.» Gli dice, mentre beve un sorso di quella che probabilmente è una cioccolata con panna: Wes ha sempre avuto una passione sfrenata per la cioccolata con panna. «Dico solo che io e te ci conosciamo da quanto? Cinque anni?»
«Sono sei anni tra un mese.»
«Sei anni tra un mese. Da quel che mi ricordo hai sempre voluto fare lo scrittore, o sbaglio?» Blaine annuisce. Anche sforzandosi non riesce a ricordarsi di un periodo della sua vita in cui voleva fare qualcosa di diverso. È come se fosse nato così, con quell’idea nella testa. «Beh, in quasi sei anni che ci conosciamo non ho mai... Non lo so. È solo che conosci questo Kurt da un mese e a quanto pare ti ha aiutato molto di più di quanto non abbia fatto io in... quanto fa dodici mesi per sei?» Beve un altro sorso sotto lo sguardo attonito di Blaine. Lo fissa a lungo, con gli occhi spalancati.
 
«Sono contento per te Blaine, sul serio: qualunque cosa stia facendo questo ragazzo deve essere straordinaria- »
«Wes, sei il mio migliore amico. Lo sai, vero?»
«Blaine- »
«Kurt ha... ha cambiato tutto, è vero. Non so come ci è riuscito. È quel tipo di persona, hai presente? Entra nella tua vita e la manda sottosopra, non puoi farci niente. Però Wes se non fosse stato per te avrei sicuramente rinunciato a fare lo scrittore molto tempo fa, quindi non devi sentirti meno importante.»
Wes alza gli occhi al cielo, ripulendosi tracce piuttosto evidenti di cioccolato e panna dalle labbra con un tovagliolino. Però è contento di quanto ha appena sentito; Blaine lo conosce abbastanza bene da averne la certezza più assoluta.
«Non ti ho detto quelle cose per sentirmi dire questo, okay? Lo so che sono il tuo migliore amico- »
«E poi l’insicurezza non è sexy.» No. Non l’ha detto davvero. A giudicare dalla faccia di Wes l’ha fatto eccome.
«Cosa
«È... Non so come mi è uscita; Kurt lo dice sempre.»
«Blaine, sul serio: ti voglio bene ma inizi a spaventarmi. Non è che sei un po’ troppo ossessionato da questo tizio?»
No, non è ossessionato da Kurt. O almeno non crede di esserlo. Insomma, ultimamente passa con lui un sacco di tempo e nei pochi momenti in cui non sono insieme o non si stanno scrivendo pensa a lui, o scrive di lui, o- Oh, merda.
Blaine chiude il suo quaderno in un unico movimento veloce, infilandolo nella borsa con altrettanta rapidità. Lancia a Wes un’occhiata spaventata.
 
«E adesso che ti prende?»
«Wesley.»
«Nome completo. Brutto, bruttissimo segno.»
«Sono ossessionato da Kurt.» Wes si fa scappare una risata e sposta entrambi i loro bicchieri di lato, sporgendosi sul tavolo per dargli due colpetti sulla testa.
«Bravo, Blaine. Il primo passo è ammettere di avere un problema.»
E Blaine in effetti ha un problema. È stato così preso da tutto quello che è riuscito a scrivere e dai suoi indubbi progressi nella vita sociale da non prendere in considerazione l’ovvio.
Kurt è... Kurt non è il vero problema. Il vero problema è lui. Il vero problema è sorto quando l’ha visto per la prima volta appoggiato a quell’albero a guardare in alto come se non avesse paura di niente, come se non ci fosse nulla abbastanza forte da batterlo. E a Blaine era bastato vederlo per capire che era speciale. Doveva aspettarselo, insomma. Doveva sapere che avrebbe finito per cascarci come l’idiota che è e innamorarsi di lui. Nessun colpo di scena, nessun capovolgimento di trama: il ragazzino strano si innamora di quello sicuro di sé, divertente, bello in un modo che va ben oltre gli standard che il ragazzino strano abbia mai sperimentato. Peccato che Kurt sia fidanzato. E peccato che se anche non lo fosse probabilmente non ci troverebbe niente in lui e dannazione, l’autocommiserazione non è sexy: sì, lo sa. Un po’ si odia per il modo in cui si sente quando sono insieme, perché ovvio: sarebbe stato troppo chiedere alla sua stupida testa di limitarsi a una cotta come un’altra. Doveva innamorarsi per forza. E lo sapeva da subito che sarebbe andata a finire così, ma niente da fare. Meglio ascoltare Kurt che descrive il tramonto, meglio guardarlo per ore mentre guida perché tanto lui non se ne accorge, meglio continuare ad idolatrarlo nella sua testa perché per lui è una specie di miracolo sorridente intelligente e bellissimo che ha rivoltato la sua inutile esistenza come un calzino-
 
«Ehi, ti senti bene?» Blaine scuote lentamente la testa, sotto lo sguardo preoccupato di Wes «Oookay, ora inizi a farmi davvero paura- »
«Forse non dovrei vederlo per un po’.» Realizza di punto in bianco, fissando il suo migliore amico alla disperata ricerca di un segnale che la sua sia la scelta giusta. Senza ovviamente dovergli confessare cosa prova per Kurt perché già, non può fare neanche questo. Wes sembra un tantino scettico.
«Quando si dice passare da un estremo all’altro... Ne sei sicuro, Blaine? Voglio dire, forse ho esagerato. Non volevo dire ossessionato in senso così negativo.»
«No, no Wes, hai ragione. Sto esagerando.»
«Blaine- »
«Non è neanche giusto per me, capisci? Passo tutto il tempo a concentrarmi su Kurt, ma lui quanto ne passa a pensare a me? Insomma, non è come me: ha mille amici, una vita e cose del genere.» Wes sciabola le sopracciglia.
«L’autocommiserazione non è sexy. Oddio, quando ti rimetterai a parlare con Kurt digli che gli ruberò questa frase.» Blaine decide di ignorare il commento di Wes e di agire subito, prima di ripensarci: deve dire a Kurt che ha bisogno di prendersi una pausa dalla loro lista.
Sa come andrebbe a finire altrimenti: lui che sta male, Kurt che resta comunque insieme al suo ragazzo o che si trasferisce in un altro Stato e settimana dopo settimana si costruisce una nuova vita ancora più eccitante di quella di adesso e poco alla volta lo cancella dalla sua esistenza. È palese quasi quanto il suo innamorarsi di lui. Però ha ancora una possibilità. Può ancora salvarsi. Prende il cellulare in mano.
 
«Blaine, non è che la tua decisione è un tantino affrettata? Mi sembri in preda ad una delle tue crisi isteriche tipo quella volta che ti ho detto che stavo venendo a casa tua con due miei amici che non conoscevi solo per vedere come reagivi e hai mandato tua mamma a dirmi che eri improvvisamente partito per andare a trovare tua nonna.»
«Dio, smetterai mai di usare quella storia contro di me? Non posso neanche agitarmi in pace e tu sei già lì a parlarmi di mia nonna.» Gli risponde Blaine, mentre scrive e cancella qualche possibile sms, nell’improbabile intento di non sembrargli né troppo preso né troppo freddo.
«Dico solo che a volte sei troppo impulsivo, mio caro. E se poi te ne penti ma ormai gli hai già dato il benservito?» Blaine lo fissa per un lungo istante.
«Stai cercando di dirmi che se prendo le distanze da Kurt non troverò mai un’altra persona disposta a sopportarmi?» Wes inarca le sopracciglia per un attimo prima di additarlo ripetutamente con l’indice.
«Lo vedi? È di questo che parlavo quando ho tirato fuori la storia della nonna. Vai in paranoia, fai cose stupide e capisci una cosa per l’altra.» Forse Wes ha ragione sulla sua impulsività, glielo può concedere. D’altronde è stata proprio la sua impulsività a trascinarlo alla festa che gli ha fatto conoscere Kurt, la stessa impulsività che ora lo spinge ad un più che legittimo tentativo di proteggersi. Deve almeno provare a stargli lontano. Vorrebbe incentivarsi pensando di farlo anche per il ragazzo di Kurt, il quale probabilmente non gradirebbe sapere che il suo fidanzato passa tutto quel tempo con uno che prova cose del genere per lui, ma la verità è che detesta il ragazzo di Kurt per il semplice fatto che è il ragazzo di Kurt, quindi sì, si tratta di una semplice scelta egoistica. Lontano dagli occhi lontano dal cuore, dicono; e Blaine può solo sperare che sia vero perché in tutta sincerità odia provare quelle cose e odia dover rovinare la cosa migliore che gli sia mai capitata. Eppure non può biasimarsi per essersi innamorato di Kurt. Non gli aveva lasciato alternative sin dal primo sguardo, mai. Alla fine si decide:
 
10:04
Kurt, per te va bene se non ci sentiamo per un po’ di tempo? Scusa, sono pieno di cose da fare.

 
«Mandato.» Wes sospira.
«Ho come l’impressione che sia stata un’idea di cacca, Blaine.» Anche Blaine ha l’impressione che sia stata un’idea di cacca, ma cosa poteva fare? Conosce Kurt da un mese e quindi in teoria è ancora in tempo a non farsi del male, se scappa subito. Ha trascorso un’intera esistenza a non vivere, può benissimo sparire dalla vita di Kurt dopo quattro settimane.
«Beh, ormai è fatta.»
«Già.» Ammette Wes, bevendo un sorso del cappuccino di Blaine senza neanche chiedere il suo permesso. In effetti era lì a raffreddarsi e poi lo aveva pagato lui.
«Wes?»
«Mmh?»
«Secondo te perché non risponde?» Wes lo fissa un lungo secondo, poi si alza dal suo posto e lascia teatralmente il Lima Bean.
 
 
*
 
 
«Lasciami andare!»
«Kurt, Cristo santo- » Santana continua a stringergli fermamente entrambe le braccia attorno alla vita e probabilmente i suoi tacchi sono piantati nel terreno per lo sforzo che sta facendo a tenerlo fermo. Anche la sua amica di stasera le sta dando una mano.
«Devo tornare là dentro- »
«No che non devi.» Oh, sì che deve. Non si lascia un litigio così. Quel coglione sarebbe capace di pensare che si è arreso e che gli ha dato ragione ma Cristo, non ha ragione, non ha minimamente ragione e Kurt vuole tornare a quella stupida festa e urlarglielo in faccia. Stronzo. Maledettissimo stronzo.
«Gli ho chiesto una cosa, okay? Una! Ma lui no! Deve presentarsi qui e- » Un singhiozzo. Due singhiozzi. No, non vuole piangere. Odia piangere e di sicuro questo non è il momento.
«È un sacco di merda, Kurt. Te lo dico da anni.»
«No, non lo è.» Ora si mette anche a difenderlo. Perché lo difende? Perché non riesce semplicemente a-
«Dio! Lo vedi come sei?»
«Perché non mi fai tornare lì dentro a insultarlo allora?» La ragazza coi capelli corti di fianco a loro bisbiglia qualcosa a Santana.
«No, vai. Ci penso io qui.» Lei se ne va traballando su un paio di tacchi troppo alti. Kurt ha quasi smesso di opporre resistenza a Santana.
«Non ti faccio tornare là dentro perché sei troppo ubriaco. E perché so che Tom tirerebbe fuori una delle sue stronzate e tu saresti già lì a baciarlo prima che io possa dire “pene”.»
«Mi dispiace di averti rovinato la serata.» Le dice. E comunque non è così ubriaco. È ancora consapevole di molte cose: a chi vorrebbe sferrare un calcio nei testicoli, ad esempio. Santana alza le spalle.
«Non era neanche così carina. E comunque è stata l’ultima volta.» Certo. È sempre l’ultima volta tra Santana e le sue ragazze.
«Sì. L’ultima volta.»
«Hummel. Ti giuro che ti lascio qui.» Lo minaccia, sciogliendo cautamente l’abbraccio coatto in cui lo stringeva per impedirgli di tornare a quella stupida festa e urlare in faccia al suo ragazzo. E poi farci pace, perché è sempre così che finisce. Kurt fissa la casa illuminata e brulicante di persone in cui ha passato le ultime tre ore e scuote la testa.
 
«Che schifo.»
«Cosa?»
«Tutto questo. È tutto uno schifo.» Santana scuote la testa, battendogli una mano sulla spalla.
«Benvenuto nel mondo reale, tesoro.» Gli sussurra all’orecchio, come se si trattasse di un gran segreto. Kurt pensa che ha ragione. Pensa che ha trascorso tutto quel tempo a credere di sapere di cosa aveva bisogno per stare bene e invece non sapeva proprio un bel niente. Insomma, è nel bel mezzo del nulla con le lacrime agli occhi a guardare da lontano una stupida festa in compagnia della sua amica lesbica-ma-non-glielo-si-può-dire. È piuttosto ovvio che qualcosa a un certo punto è andato storto. Deve essere zitto da un po’ perché Santana lo tira per la manica della giacca.
«Dai, andiamo.» Kurt la segue mentre si avviano verso la sua macchina. Si tasta una tasca ed è quasi sorpreso di constatare che le chiavi sono ancora lì.
«Voglio tornare là dentro e lasciarlo.» Dice a un certo punto. Santana alza gli occhi al cielo.
«Hai presente quando io ti dico che è la mia ultima volta con una ragazza e tu sai che non è così? È esattamente come mi sento io quando minacci di lasciare quel tizio.» Kurt la guarda con tanto d’occhi.
«Quindi ammetti che questa non è la tua ultima volta con una ragazza?» Santana lo fissa per un attimo, poi sbuffa.
«Oh, stai zitto e dammi le chiavi.» Gliele tira fuori dalla tasca della giacca e si infila insieme a lui sui sedili posteriori. Lo fa appoggiare contro la portiera chiusa e gli si siede a gambe incrociate davanti mentre si accende una sigaretta.
 
«Okay, parliamone.»
«Parliamo di cosa? E tieni il finestrino giù. Mi bastano i mozziconi in macchina senza che ci si metta anche la puzza di fumo.»
«Hummel, stasera sono andata in bianco per colpa tua. Questa me la sono meritata tutta.» Esclama, sventolandogli la sigaretta davanti alla faccia. «E comunque adesso mi spieghi perché  non hai ancora lasciato quel deficiente.»
«Santana...»
«Non abbasso il finestrino finché non me lo dici.» Kurt sbuffa. Il suo piccolo mal di testa si sta trasformando in un signor mal di testa. Se c’è una cosa positiva è che non sta più piangendo, il che significa che non ha bevuto poi così tanto. Vorrebbe aver bevuto di più. Almeno adesso sarebbe troppo fuori di sé per riuscire a pensare nella comune accezione del termine.
«Perché lo amo.»
«Balle.»
«E questo cosa vuol dire? Lo so io quello che provo per lui- »
«Cristo, Kurt! Ancora con questa storia? Lo so perfettamente perché ci stai ancora insieme e lo sai anche tu.» Kurt scuote la testa, facendosi inconsciamente più indietro. Sente la maniglia della portiera conficcata nella schiena.
«Tu non sai niente.» Santana si mette letteralmente a ridere. Gli passa davanti e accende per un momento il motore, abbassa il finestrino e torna a spegnerlo.
«Sai cosa, Kurt? Va bene: facciamo come vuoi tu. Stiamo qui a guardarci in faccia e a raccontarci romantiche favole della buonanotte su quanto lo ami- »
«Santana.»
«Cosa? Non è così? Oh, lo so bene, ma stiamo giocando al tuo gioco. Hai presente? Quello dove voi due siete la coppia perfetta e vi amate alla follia, nonostante qualche piccola litigata sporadica.»
«Smettila.» Santana fa cadere la cenere fuori dal finestrino. Kurt vede appena il suo sorrisetto sarcastico nel buio circostante.
«Che c’è? Problemi in paradiso?» Kurt la fissa per almeno cinque secondi, senza muoversi di un muscolo. Non prova niente, per il semplice motivo che non sa cosa provare. Tristezza, rabbia, disperazione, pena? Sembra che vadano bene tutte e che non ne vada bene nessuna. Vorrebbe solo uscire da quella macchina e camminare da solo nell’aria gelata di novembre fino a capire cosa diavolo c’è di sbagliato in lui. Purtroppo non è abbastanza ubriaco per mettersi a girovagare da solo alle due del mattino. Santana gli dà una specie di calcio.
«Ma sei scema?»
«Smettila di farmi sentire in colpa, Hummel. Sto solo cercando di scuoterti un po’ e farti ammettere come stanno le cose.»
«E come stanno le cose?» Santana prende un ultimo tiro della sua sigaretta, della quale ormai è rimasto solo il filtro.
«Kurt... Tu mi dici sempre di non parlarne: sono una stronza ma la mia parola la mantengo. Però dai, lo sai perché non lo lasci.» Kurt sospira e si lascia scivolare un po’ più in basso. Forse ha solo bisogno di dormire. Per qualcosa come due o tre mesi.
«Non puoi stare insieme a qualcuno per gratitudine, voglio dire- Oh mio Dio! Perché non abbassi quella cazzo di suoneria?» E in effetti anche Kurt sobbalza e sì: deve abbassare la suoneria dei messaggi. Se lo appunta mentalmente mentre estrae il cellulare dalla tasca dei pantaloni, vagamente consapevole di averlo ignorato per praticamente tutto il giorno. Kurt legge il nome del mittente con una certa sorpresa.
 
«Giuro che se è Tom vado dentro e gli taglio tutte le dita così non può più scriverti. Anche quelle dei piedi, per sicurezza.» Kurt sta ancora fissando lo schermo con le sopracciglia inarcate.
«È Blaine. Ho... Ho dodici messaggi di Blaine.» Più uno di Rachel che gli ricorda il corso di recitazione la mattina dopo, come se non lo sapesse. E poi sì, dodici messaggi di Blaine. Cosa ci fa Blaine sveglio alle due del mattino?
«Blaine il ragazzino sfigato che scrive poesie?» Kurt alza gli occhi al cielo mentre accede alla cartella dei messaggi.
«Non scrive poesie. E poi siamo tutti degli sfigati.»
«Io no.» Kurt scopre che i messaggi di Blaine gli sono arrivati gradualmente per tutto il giorno. Così scorre verso l’alto e inizia a leggere dal primo.
 
10:04
Kurt, per te va bene se non ci sentiamo per un po’ di tempo? Scusa, sono pieno di cose da fare.
 
10:51
Perché non rispondi?
 
12:17
Non so perché l’ho detto. Lo sai benissimo che non ho mai niente da fare.
 
12:29
Appena leggi questi messaggi scrivimi. O chiamami. Fai qualcosa.
 
14:21
A titolo informativo: mi stai ignorando perché sono un povero sfigato che ti ha già mandato quattro messaggi? Cinque con questo.
 
14:22
Sì, hai ragione: l’autocommiserazione non è sexy.
 
17:04
Mi dispiace. Non avrei dovuto scrivere quel messaggio. Intendo il primo di questa patetica catena.
 
18:36
Non capisco se mi stai deliberatamente ignorando o se hai perso il cellulare.
 
22:58
Potrei aver bevuto. Dicono che bisogna bere per dimenticare e di solito i proverbi hanno ragione. C’è anche un proverbio sempre sul bere, che dice che se si beve poi si ha più coraggio per dire le cose che facciamo fatica a dire. Non so se era proprio un proverbio. Comunque c’è una cosa che devo dirti. Non l’ho mai detta a nessuno.
 
22:59
Scusa.
 
00:38
Kurt sono gas.
 
02:11
Ah ah. Il correttore automatico. Gay. Sono gay.
 

Kurt fissa lo schermo a lungo senza dire una parola.
«Allora, che ti dice?»
«Che non vuole sentirmi per un po’. Poi dice che non è vero. Poi si scusa per non so bene cosa. Poi è gay.» Santana aggrotta la fronte.
«Figo. E doveva dirtelo alle due del mattino?»
«Scusa un attimo...» Kurt ha già composto il suo numero ed è pronto a chiamarlo, ma poi non lo fa. Non sa bene perché, ma cancella il numero e torna nella casella dei messaggi.
 
02:15
Peccato.
 
02:17
Allora ci sei! Che cosa è un peccato?
 
02:19
Che sei gay. Avevo già in mente una mia amica piuttosto promiscua nel caso cercassi qualcuno con cui sperimentare il primo bacio. Beh, mi inventerò qualcos’altro.
 
02:21
Sei arrabbiato con me?
 
02:22
No, Blaine Anderson. Ma sei comunque uno stalker. E ora dormi.
 
02:24
Okay. Comunque non ho bevuto sul serio. Volevo solo avere la possibilità di ritirare tutto.
 
02:25
Davvero non lo hai mai detto a nessuno? Di essere gay dico.
 
02:26
No, mai.
 
02:29
Perché a me sì?
 
02:31
Non lo so.
 
02:33
Buonanotte, Blaine.
 
02:34
Buonanotte, Kurt.
 

Torna ad infilarsi il cellulare in tasca. Santana si è addormentata, raggomitolata sul sedile. E quindi Blaine voleva prendersi una pausa e poi ci aveva ripensato. E poi è gay. Un po’ lo aveva sospettato, deve ammetterlo. Sta per mettersi a dormire anche lui, ma si rende conto di non poterlo fare prima di aver inviato un ultimo messaggio.
 
02:39
La rose sono rosse, le viole sono blu, potevi dirlo subito che sei gas anche tu.
 
02:40
Ah ah. Correttore automatico.

 

 
 
 

 
 
 
 
Here we are :)
Ebbene sì: questa volta ho deliberatamente saltato le note iniziali perché ad essere onesta sono talmente stanca che faccio perfino fatica a premere i tasti del portatile. Cercare di capire come iniziare l’università è più difficile di quanto pensassi, soprattutto se l’università in questione non è nella tua città... Btw, parliamo di questo capitolo u.u
Innanzitutto vi confesso il mio grande amore per Wes, perché sento di doverlo fare u.u Per quanto riguarda Blaine, fidatevi: lo so che è un tantino presto per parlare di amore vero e proprio, ma ho deciso di adottare un punto di vista tale che mi obbliga a farlo. Inoltre, vi posso assicurare che è molto, molto facile attaccarsi in questo modo a qualcuno quando sei un adorabile asociale che si auto convince di non aver bisogno di niente e di nessuno <3
Bene, detto questo – come vi sarete accorti – si tratta di un capitoletto di passaggio che ci prepara agli avvenimenti dei prossimi due aggiornamenti *risata malvagia* ...No, sul serio: i prossimi due aggiornamenti... preparatevi u.u
Okay, al solito sono curiosa di leggere i vostri commenti (anche sugli sms :’D) e scusatemi se sono di pochissime parole ma sono una specie di non-morta che necessita di buttarsi a letto prima di decedere del tutto ;-; Al solito, grazie mille a chi segue, preferisce, ricorda e soprattutto recensisce questa storia: il mio amore per voi non ha limiti né frontiere *aria sognante e capelli al vento*
Scusatemi ancora e grazie, grazie e grazie <3
Alla prossima e (citando mia miglie) ricordate: it’s okay to be gas. Gas rights! Gas marriage! Gas is better!
 
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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Buon lunedì notte a tutti :)
Mi rendo conto che “buon” e “lunedì” nella stessa frase dopo il 15 di settembre è pura follia... I tried *sospiro sconsolato*
Bene guys, prima di lasciarvi al nuovo capitolo (FINALMENTE entriamo nel vivo della storia, yay!) ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto questa FF ai preferiti, alle seguite o alle ricordate, e naturalmente alle supermegafoxyawesomehot persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Anna_Vik, Rorori, Soul Sister, Ginny_Sara, Clover GD, Sslaura e Locked. Lo so che ripeto questi ringraziamenti ogni volta, ma vi posso assicurare che se lo faccio è perché ne sento davvero l’esigenza. Dopotutto non ho altro modo per farvi capire quanto tutto questo significhi per me, e fino a che punto mi renda felice poter condividere queste storie con voi. Okay, sto sproloquiando come al solito, ma era una cosa che dovevo precisare <3
Al solito mi eclisso allegramente, rimandandovi a fine capitolo per ulteriori note.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo VI
 

Kurt non ha idea di che ore sono. È già tanto che sappia di trovarsi a casa sua, nul suo letto. Ha un vago ricordo di se stesso che riprende coscienza verso le sei di mattina a causa dell’eccessiva scomodità e che si trascina fino ai sedili davanti per scortare Santana a casa. E poi in qualche modo è arrivato nella sua stanza, sul suo letto, e non si è più mosso da lì. E poi il cellulare sta squillando. Allunga una mano alla cieca verso il comodino e rovescia qualche soprammobile non meglio identificato ma alla fine lo trova.
«’Onto?» Si rende conto che prima di parlare magari sarebbe una buona idea accettare la chiamata. Lo fa con un certo sforzo.
«Pronto?»
«Kurt... Ehi.» Kurt si rigira nel letto in modo da essere a pancia in su e si stropiccia gli occhi. La cosa peggiore è che non sta così per aver bevuto troppo; sta così per quello che è successo nelle precedenti dodici ore. Decide di non pensarci e di provare a concentrarsi sulla persona all’altro capo del telefono.
«Rachel, ciao.»
«Ho provato a chiamarti altre volte ma non hai mai risposto.» Lo dice tranquillamente. Troppo tranquillamente, in effetti. Rachel non è una persona tranquilla, è l’esatto contrario di tranquilla. Riuscirebbe ad agitarsi anche per una scarpa slacciata, o per un comune mal di gola. Già, perché Rachel Berry non si ammala mai.
«Stavo dormendo... Lo sai che ore sono?»
«Mezzogiorno passato.» Mezzogiorno passato- oh, merda. Si rotola di nuovo sul letto e fa in modo di appoggiare i piedi a terra. Non appena si mette in posizione verticale realizza che il signor mal di testa di ieri è ancora lì, più presente che mai. Si passa una mano sulla fronte.
«Ho... Mi sono perso la lezione di stamattina, non è vero?» C’è una piccola pausa. Non ci sono mai pause con Rachel Berry.
«È per questo che stavo provando a chiamarti.»
«Okay Rachel, però ti prego: non urlarmi addosso. Lo so che non è la prima volta che salto una lezione, ma- »
«Kurt. C’è un problema.» Magari fosse solo uno. Kurt non può fare a meno di pensarlo mentre gli si palesa in testa l’immagine del suo ragazzo. E di Santana. E di New York. E magari anche di Blaine. Deve smettere di pensarci.
«Quale problema?» Rachel prende uno dei suoi respironi drammatici, che non è quasi mai un buon segno.
 
«Potrebbe essere che... Insomma, non è più così certo che ti diano quell’attestato.» Kurt rimane immobile, con gli occhi fissi sul muro. È a malapena consapevole del suo cuore che si è messo a battere ad una velocità impressionante, facendogli formicolare le gambe.
«Cosa?» Non può essere. Lui ha bisogno di quell’attestato. È il suo biglietto di sola andata per New York, è l’unico modo. Fare la seconda audizione per la NYADA senza quello è come pretendere di entrare in un’accademia d’arte senza saper tenere in mano una matita.
«Non c’è ancora niente di sicuro- »
«Avevano detto che lo davano a tutti! Sono settimane che mio padre cerca un appartamento da affittare. E se ha già contattato qualcuno?» Vorrebbe andare nel panico, dovrebbe andare nel panico, ma non riesce nemmeno a fare questo. Non riesce a fare un accidente, nemmeno a prendere uno stupido attestato che danno anche a chi recita peggio degli attori dei film porno.
«Credo che mi abbia detto di dirtelo solo per spaventarti e spronarti a presentarti più spesso. Però Kurt, sul serio- »
«No, Rachel. Sai cosa? Ha ragione. Non me lo merito quell’attestato.» Sente un lungo sospiro dall’altro capo del telefono.
«Basterà impegnarti durante le lezioni che rimangono e vedrai che non ci saranno problemi. Ti basta dare il minimo sindacale e sei già mille volte meglio del novantanove percento dei nostri compagni di corso. Solo un ultimo sforzo e vedrai che a dicembre ci prenderanno tutti e due.» Ora la testa non gli fa solo male, gli gira anche. Sempre più veloce, tanto da fargli venire la nausea. Si appoggia automaticamente la mano libera al centro del petto; appena se ne rende conto la lascia cadere, scuotendo la testa. E se lui non volesse andarci, a New York?
 
«Grazie per aver chiamato, Rachel. Ci vediamo dopodomani a lezione.» C’è un breve silenzio che Kurt potrebbe quasi con certezza catalogare tra quelli dovuti all’imbarazzo. Poi Rachel parla.
«Sei... Sei sicuro che non ti serve niente? Posso passare da te a ripassare il copione insieme se vuoi.»
«No, tranquilla. Sto bene.» Sta bene. La sua mano torna esattamente dov’era prima: si aspetta di sentirsi bagnare le dita da qualcosa di caldo e umido, ma non succede.
Non sta bene per niente.
 
 
*
 
 
«Ti prego, dimmi che ho capito male. O che questo è un incubo. Anzi no, non mi perdonerei mai per aver sognato qualcosa del genere.» Blaine fulmina Wes con la peggiore delle occhiatacce: purtroppo entrambi possiedono dei portatili risalenti all’anteguerra e quindi tutto ciò che lui deve aver visto sono pochi pixel sgranati di puro odio, ma tant’è.
«Wes, io ti apro il mio cuore e tu mi tratti così? Sul serio?» In teoria si erano dati appuntamento su Skype per guardare la tv insieme visto che Blaine era – strano ma vero – a casa da solo e Wes era bloccato a fare da babysitter a sua sorella visto che il babysitter ufficiale si era preso il giorno libero, ma poi lui si era messo a chiedergli di Kurt e di cosa diavolo aveva scritto su quel quaderno. Così glielo aveva detto. Più o meno. In ogni caso ciò che ha fatto rientra in quella categoria di brillanti idee che Wes definisce molto pittorescamente “di cacca”. “Pittorescamente” è una parola?
 
«Punto primo: usa un’altra volta l’espressione “aprire il cuore” e ti giuro che i nostri quasi sei anni di amicizia possono andare allegramente a farsi fottere. Punto secondo: dimmi che ho capito male.» Blaine sbuffa, mentre appoggia il quaderno sul comodino.
«Lo sapevo che non dovevo dirtelo.»
«Esatto Blaine, non dovevi dirmelo. Dovevi lasciarmi con il dubbio che magari sei una persona quasi normale che fa di tutto per celare tale normalità al prossimo. Ma dopo questa... Proprio no.» Fa un grande sospiro sconsolato e gira il portatile verso la televisione: stanno trasmettendo le repliche di uno di quegli show imbecilli dove persone altrettanto imbecilli si mettono a fare scherzi doppiamente imbecilli a qualunque malcapitato capiti loro a tiro.
«Non usare la tv contro di me, Anderson. Hai tirato fuori la cosa e adesso ne parliamo, perché mi rifiuto di credere che tu per primo ritenga normale scrivere pagine e pagine su- Oh mio Dio, quel tizio ha tirato una facciata disumana!» Ed è più o meno questo il motivo per cui ha girato lo schermo verso la tv. Wes non sa resistere agli scherzi stupidi dopo le undici di sera.
«Già. E aspetta di vedere la prossima vittima.»
«Blaine?»
«Mm?»
«Lo sai che non mi sono dimenticato quello di cui stavamo parlando, vero?» Dannazione.
«Un po’ ci avevo sperato.» Sente lo schermo del suo computer sospirare. Fa un po’ impressione in effetti.
«Blaine, sul serio. Girami verso di te.» Blaine lo gira. Cos’altro può fare? Wes lo guarda con... serietà? Sarebbe la prima volta in sei anni.
 
«Che cosa hai scritto su di lui?» Oh, merda. Di solito lo show sugli scherzi imbecilli funziona sempre; adesso è un tantino nei guai.
«Ma non lo so...»
«Allora avanti, leggimi qualche estratto.» Blaine può distintamente sentire il sangue affluire velocemente alla sua faccia e questo è uno dei tanti motivi per cui odia e detesta comportarsi da essere sociale: troppi effetti collaterali. Arrossire, sudare freddo, balbettare-
«Oh mio Dio.» Per un lungo momento Blaine si domanda come possa essere già sconcertato nonostante lui non abbia ancora nemmeno preso in mano il quaderno. Poi si rende conto che in effetti ci sono ben poche possibilità che sia per quello.
«Cosa?» Wes – dall’altra parte dello schermo – solleva un braccio tremolante, indicando qualcosa alle spalle di Blaine. Lui si volta: non nota niente di strano.
«Wes? Mi stai spaventando.»
«Ho appena assistito a un fenomeno sovrannaturale.» Blaine lo fissa inarcando entrambe le sopracciglia, con aria scettica. La voce di Wes trema quando riprende la parola.
«Lo schermo del tuo cellulare, sul comodino. Si è appena illuminato. E non sono stato io a scriverti, cogli il paradosso?» Blaine spalanca gli occhi e si volta di scatto verso il suo comodino e oh mio Dio ha un cellulare. Era stata una di quelle giornate in cui si concentra tanto a scrivere da dimenticare tutto ciò che ha intorno, tra cui il suo stesso telefono, che aveva messo in modalità silenziosa non ha idea di quante ore prima. Si tuffa letteralmente sul cellulare e per poco non lo fa cadere dalla rapidità con cui cerca di sbloccare lo schermo.
 
«Blaine? Sembri indemoniato... Oooh! Perché potrebbe essere Kurt, certo. Non sia mai che fai aspettare il tuo Kurt!» Blaine ridacchia ma fondamentalmente non ha idea di cosa Wes ha appena detto perché il suo cervello è appena entrato nella modalità “Kurt Kurt Kurt forse ti ha scritto Kurt” e tutto il resto è scollegato. E in effetti sullo schermo – alla fine ce l’ha fatta a sbloccarlo, dopotutto – c’è scritto Kurt. A quel punto il suo cervello entra nella fase “Oh mio Dio è davvero Kurt” e francamente si odia per questi sprazzi di follia che non ha ancora idea di come controllare.
«...La mia era un’implicita richiesta di attenzioni, Anderson. Comunque sì, continua pure a fingere che io non sia qui, a giudicarti dallo schermo del tuo computer.» Blaine lo sta ascoltando ancora meno di prima. Ha quattro messaggi di Kurt e il primo risale a due ore prima. Perché diavolo doveva dimenticarsi di avere un cellulare proprio oggi?
 
21:26
Blaine Anderson. Mi sa che ho fatto una stronzata. So che non dovrei scrivere a te ma Santana non c’è. Sono davanti al Lima Bean. Vieni? Dimmi che puoi venire ti prego ti prego ti prego.
 
22:03
Blaine Anderson vieni qui. Ti prefo
 
22:58
Le rose sono rosse, le viole sono bku. Cazzo non mi viene niente.

 
23:12
Blaine ho bisognp di te.

 
Blaine fissa il testo dei messaggi per qualche lungo secondo, completamente immobile.
«Ohi? Sei ancora tra noi?»
«Cazzo.» Con quella singola parola Blaine scatta in piedi e si fionda verso l’armadio. Pantaloni, maglia: deve trovare qualcosa di simile e metterseli addosso. Vede un paio di jeans e li infila. C’è un maglione blu orribile che gli provoca un prurito insopportabile: lo tira fuori e se lo mette sopra la maglietta a maniche corte che indossa.
«Blaine?? Ma mi vuoi considerare? Cosa diavolo è successo?» Blaine ha il fiato corto, gli tremano le mani. E se sta male? Se gli è successo qualcosa? È dalle nove che prova a dirgli di andarlo a prendere.
«Se non mi rispondi ti giuro che vengo lì con mia sorella e ti prendiamo a calci in due.» A quel punto si fionda davanti al computer, fissando intensamente i grossi pixel che formano qualcosa di solo vagamente simile alla faccia di Wes.
«È successo qualcosa a Kurt, non so cosa. Adesso è davanti al Lima Bean e sto andando a prenderlo.» C’è un breve silenzio.
«Ti accompagno?» Blaine scuote la testa, mentre si infila il cellulare in tasca.
«Okay. Però dimmi qualcosa appena capisci che è successo e se hai bisogno fammelo sapere e ti raggiungo in un quarto d’ora.» Ringrazia Wes con tutta la gentilezza di cui è capace e poi abbassa lo schermo del computer. Non lo spegne neanche perché a) non ha tempo e b) si spegnerà comunque da solo tra poco per via del surriscaldamento. Fa i gradini tre alla volta – rischiando la vita molto più seriamente di quel giorno in cui aveva coraggiosamente tentato di fare jogging – e arriva nell’atrio. Patente, chiavi e due minuti dopo sta già sterzando bruscamente sul vialetto di fronte al cortile, destinazione Lima Bean.
 
 
*
 
 
Non avevo mai sperimentato in prima persona la soggettività del tempo. Avevo trascorso certe giornate così noiose che perfino l’orologio sembrava sentirsi svogliato al punto da faticare a spingere avanti le lancette. Ne avevo trascorse altre in cui non facevo che tenere sott’occhio l’ora, che sembrava correre via più in fretta del solito. Ma non me ne ero mai reso conto davvero, non fino a quella sera. Da camera mia a Kurt impiegai sette minuti. Per me furono sette anni, non un giorno di meno. E non sono quelle cose che gli scrittori o aspiranti tali dicono tanto per occupare una riga in più: nella mia testa furono esattamente sette anni. Quando infilai il muso dell’auto da qualche parte di fronte al bar ero quasi un trentenne.
 
Parole parole e altre parole. Blaine non ha tempo per le parole, non adesso. Lascia la macchina accesa, non sa nemmeno se ha tirato il freno a mano. Il Lima Bean ha già chiuso da un po’ e non c’è anima viva. Si guarda intorno e cerca: ha gli occhiali ma è completamente buio, completamente.
«Kurt?» Deve essere lì per forza, dove può essere andato altrimenti? Il cuore gli batte così forte che gli gira la testa: ecco come si è sentita quell’idiota di Mona quando ha visto il suo cavolo di fantasma.
«Blaine Anderson.» Quando sente il suo nome, Blaine è praticamente certo che se avesse dovuto aspettare anche solo un secondo di più sarebbe morto lì, di fronte al Lima Bean. Fa qualche metro in avanti e lo vede: seduto per terra a gambe incrociate con la schiena appoggiata a una delle vetrate esterne del locale, entrambe le mani premute all’altezza del cuore. Blaine gli cade praticamente in ginocchio davanti.
 
«Kurt? Kurt, stai bene?» Voleva essere rapido e chiaro ma gli esce più come un sussurro terrorizzato, mentre gli passa istintivamente una mano sulla fronte e poi tra i capelli. Non sa perché lo fa. Neanche dovesse accertarsi che non abbia la febbre.
«Non è questa la domanda, Blaine Anderson.» Gli dice, e Blaine è quasi sicuro che stia sorridendo. Quasi, perché in realtà non vede praticamente niente.
«Quale domanda?»
«La domanda. Dovevi chiedermi se sono tutto intero.»
«Sei tutto intero?» Kurt sta zitto per quasi un minuto.
«No. No, sono proprio il contrario.» Blaine non capisce. Però sa che ci sarà un tempo per capire e sa che non è questo; questo è il tempo in cui porta via Kurt da davanti al Lima Bean.
«Riesci ad alzarti?» Kurt ride, più o meno.
«Non credo, no.» Blaine prova a prendergli le mani ma sembrano praticamente incollate lì, sul suo petto. Così passa le braccia sotto alle sue e si sollevano faticosamente insieme, in una sorta di goffo abbraccio. Kurt a un tratto si concede di scollarsi una mano di dosso e si aggrappa fermamente a una sua spalla.
«Ce la fai ad arrivare alla mia macchina?»
«Blaine?» Blaine gli stringe un braccio attorno alla vita perché no, non può lasciarlo cadere.
«Cosa?»
«Sai che ho chiamato proprio te? Potevo chiamare qualcun altro, e invece ho chiamato te.»
«Splendido. Ci riesci ad arrivare alla macchina?» Kurt si rimette a ridere. Non ci sta neanche provando a stare in piedi da solo.
«Sì però non farmi guidare, ti prego non farmi guidare.»
«Oh non ci penso neanche, tranquillo.» Così Blaine riesce a portare Kurt fin dentro alla sua macchina – alla fine lo aveva tirato il freno a mano, per fortuna – e a farlo mettere sul sedile del passeggero. Sembra un pupazzo senza ossa, se non fosse per quella mano ancorata addosso. Blaine gli allaccia la cintura e Kurt lo guarda tutto il tempo con un mezzo sorriso e gli occhi lucidi e non è il dannato momento di pensare a quanto è sexy quando fa così. Concentrazione. Lo guarda negli occhi e scandisce bene le parole.
 
«La tua macchina è qui? Sei venuto in macchina?»
«Sul retro.»
«Okay. Hai le chiavi?» Kurt sorride ancora di più.
«Forse sì, forse no. Cercale.»
«Kurt- »
«Indizio: se ci sono, sono addosso a me.» Blaine lo fissa per un lungo, interminabile istante. Sa di essere arrossito ma sa anche che non c’è verso che Kurt se ne accorga in queste condizioni. Sbuffa e gli appoggia cautamente le mani sulle tasche della giacca.
«Ti perdono solo perché sei ubriaco marcio e perché non ti sei fatto niente, a parte rischiare il coma etilico.» Kurt se la sta ridendo, seriamente.
«No, non sono lì.» Blaine prova con le tasche anteriori dei pantaloni. Sta morendo dentro ma almeno non deve sforzarsi di non darlo a vedere. Kurt si morde un labbro.
«Nemmeno lì.»
«E che cavolo, Kurt!» Blaine non sa bene cosa fare. Deve provare con le tasche dietro dei jeans? Kurt deve davvero ringraziare di essere Kurt perché altrimenti lo lascerebbe in quel cavolo di parcheggio.
«Troooppo tardi.» Dice Kurt e – in effetti – tira fuori le chiavi dalla tasca posteriore e gliele allunga. Blaine fa per prenderle, ma lui le trattiene per qualche altro secondo.
«Blaine Anderson. Non rubarmi la macchina.»
«No, Kurt. Tu però aspetta qui, okay?» Lui non risponde: si abbandona sul poggiatesta e si gira dall’altra parte. Blaine va sul retro: come immaginava la sua macchina è aperta e contiene una varietà piuttosto consistente di lattine che una volta avevano dovuto contenere dell’alcol. La chiude e torna da Kurt: è lui la priorità adesso, alla macchina avrebbero pensato domani. Sale al posto del guidatore e lo trova nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, con gli occhi chiusi.
 
«Dormi?»
«Non volevo farti preoccupare.»
«Non dormi.» Kurt sbuffa e si rimette a guardarlo. Il suo broncio torna presto a trasformarsi in un sorriso.
«Scusa. Ho... Ho mandato a puttane tutto, vero?» Blaine aggrotta le sopracciglia.
«Tutto cosa?»
«Oh, lo sai cosa. Ero il tuo supereroe. Ma sai cosa, Blaine Anderson? Non importa.»
«Non importa?»
«Sì. Insomma, perché Rachel non deve sapere delle feste con Santana e Santana non deve sapere del corso di recitazione? Perché Tom non deve sapere di New York? Perché non posso essere una persona sola?» Blaine lo guarda per un momento.
«Tom?»
«Il mio ragazzo.» Blaine spalanca gli occhi.
«Non gli hai detto che tra due mesi andrai a vivere a New York?» Kurt si volta del tutto dalla sua parte e si accoccola meglio sul sedile.
«No. Non lo sa neanche Santana.»
«Ma perché?»
«Te l’ho detto, Blaine Anderson. Non sono tutto intero come te.» Blaine non è del tutto sicuro di capire quello che sta cercando di dirgli. Sempre ammesso che stia davvero cercando di dirgli qualcosa. «Ma come dicevo, con te ho rovinato tutto. Non sono più il tuo supereroe.» Restano a guardarsi per un po’. Per la prima volta da quando lo conosce, a Blaine sembra di scorgere mille cose che non capisce dietro al sorriso di Kurt. Era stato così cieco, così preso a considerarlo davvero un supereroe da non riuscire mai a guardare oltre, a vederlo davvero.
 
«Non voglio un supereroe. Mi piaci da persona vera.» Kurt scuote leggermente la testa, come se ci sia qualcosa di ovvio che gli sta sfuggendo.
«Mi porti a casa?»
«Ti porto a casa mia. Non posso lasciarti da solo così, e di sicuro non vuoi che svegli tuo padre per dirgli di darti un’occhiata- che c’è?» Lo chiede, perché sono cinque minuti che Kurt lo guarda e sorride, senza un motivo apparente. A quel punto lui allunga una mano avanti e gli toglie gli occhiali.
«No, Kurt. Quelli mi servono.»
«Che occhi grandi che hai.» Blaine riesce a rimpossessarsi dei suoi occhiali e a mettere in moto la macchina.
«Questa l’ho già sentita. Cappuccetto Rosso se non sbaglio.» Quando partono Kurt sembra sorpreso che si stiano muovendo.
«C’era una volta Blaine Anderson che una notte smise di fare quello che stava facendo e mi portò a casa sua.» Incomincia, e ha tutta l’aria di essere una lunga storia.
 

 
 
 

 
 
 
 
Heeere we are e.e
Sono piuttosto sclerante, perché con questo aggiornamento iniziamo finalmente ad addentrarci nel vivo della storia. Nel caso ve lo steste domandando: sì, la scena rimasta in sospeso qui continuerà nel prossimo capitolo e sì, proseguirà a casa di Blaine e sì- okay, non posso spoilerare u.u
Nel caso di questo capitolo preferisco non pronunciarmi più di tanto, anche perché non ho nessuna nota in particolare da fare, a parte il fatto che – come avevo anticipato nella risposta a qualche recensione dello scorso capitolo – Blaine ha già rivalutato il concetto di innamoramento che aveva sviluppato fino ad ora. Si è accorto insomma che la sua euforia riguardo ai propri nuovi sentimenti era tale da non concedergli nemmeno di “vedere” per davvero la persona per cui li nutriva; penso sia un primo passo verso una forma d’amore più consapevole, in un percorso pensato per una persona quasi del tutto estranea a questo tipo di esperienze.
...Ho davvero scritto un papiro per spiegare questa cosa? I did. Well u.u Vorrei stare qui a commentare quella frase di Kurt sul voler o non voler andare a NY, su quanto mi faccia divertire scrivere le scene tra Wes e Blaine o sui Klaine flirtosi, o su Kurt che inizia a far trapelare qualcosa del suo problema di fondo... Ma la smetto, buon cielo. Queste dovrebbero essere le note, non io-che-blatero-perché-sono-troppo-affezionata-a-questa-FF. Sono davvero ancora qui? Sparisco, giuro! Alla prossima settimana... con tante sorprese e.e
 
Immancabilmente, facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
Ask: http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Ma buonasera, guys ;)
Mi scuso per il ritardo e soprattutto per non aver ancora risposto alle recensioni del sesto capitolo ma oggi ho avuto il mio primo giorno di università e sono stanchissima, soprattutto per il fatto che studio in un’altra città... Btw, giustamente non ve ne potrebbe fregare di meno, quindi mi eclisso e vi lascio senza ulteriore indugio al settimo capitolo *-*
Al solito, ci risentiamo in fondo per le note. Risponderò alle recensioni il prima possibile.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo VII
 

Kurt gli ha appena raccontato una storia improvvisata di cui non ha capito molto. Gli unici elementi che è riuscito a distinguere sono i protagonisti – loro due – e la presenza di un’antagonista – a quanto pareva la sua insegnante di recitazione.
«Ti è piaciuta?»
«Molto, Kurt.» Lui ne sembra compiaciuto, infatti ora è tutto impettito che guarda fieramente la strada illuminata dalla luce dei fanali mentre sparisce a poco a poco sotto le ruote della macchina. Blaine a un tratto sente l’urgenza di fare una precisazione.
«Se devi vomitare dimmelo, okay? Così ci fermiamo.» Nessuna risposta.
«Hai capito?»
«Sai? Non volevo rovinare tutto con te. Mi dispiace proprio.» Blaine si ritrova a sorridere, poi però ricorda che la salvaguardia degli interni della sua auto ha una certa importanza e vale la pena insistere su questo punto.
«Potrai dire di aver rovinato qualcosa solo se vomiterai nella mia macchina.»
«Non vomito, Blaine Anderson. Non vomito.» Taglia corto, quasi spazientito. A giudicare dai suoi repentini sbalzi d’umore e da duemila altri più o meno palesi segnali deve avere bevuto un bel po’, su questo non c’è dubbio. Oh, lui deve anche ricordarsi di scrivere a Wes che non è successo nulla di grave-
«Blaine?» Blaine rotea gli occhi, ma è il genere di esasperazione che lo fa anche sorridere perché Kurt è davvero un tormento da ubriaco e anche se dovrebbe preoccuparsi solo ed esclusivamente della sua salute non può davvero negare di divertirsi parecchio a starlo a sentire.
 
«Sì?»
«Perché... Secondo te, perché la gente è cattiva?» Le labbra di Blaine smettono di tendersi finché ogni cenno di sorriso sparisce. Si volta per un momento verso Kurt, ma è solo un momento, perché deve stare attento alla strada. Si chiede perché gli abbia fatto una domanda del genere proprio ora, così, dopo una storiella assurda su loro due e la sua insegnante di recitazione. Sceglie accuratamente le parole da usare prima di pronunciarle.
«Non lo so, Kurt. Penso che ognuno abbia le sue ragioni. Magari certe persone sono state ferite in passato e perciò reagiscono così per paura di stare male di nuovo, altre hanno conosciuto solo la cattiveria nella loro vita e quindi gli sembra una cosa normale. Ci sono anche quelli che sono semplicemente brutte persone senza nessun motivo, credo. Ma non ci sono solo i cattivi a questo mondo.» Kurt resta in silenzio per un po’, tanto Blaine è quasi sicuro che si sia addormentato per davvero questa volta. Finché nell’abitacolo semi-illuminato torna a farsi sentire la sua voce, stavolta ridotta a poco più di un sussurro.
«Lo pensi davvero?»
«Che cosa?»
«Che non ci siano solo i cattivi a questo mondo.» Blaine stringe più saldamente le mani sul volante. Non sa perché Kurt gli sta chiedendo queste cose, ma sa che preferirebbe che non ne sentisse il bisogno. Si sforza di pensare.
«Penso che ci siano delle persone per cui vale la pena alzarsi ogni giorno e affrontare i cattivi.» Lo pensa per davvero, dopotutto. C’è un lungo momento di silenzio, fino a quando non sente Kurt spostarsi leggermente sul sedile, come se si sentisse a disagio lì seduto e stesse cercando di mettersi più comodo.
 
«Blaine, puoi fermare la macchina?» Oh, merda: sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Blaine ha giusto il tempo di considerare che in effetti non ha mai tenuto la testa a nessuno mentre vomita e francamente la cosa lo spaventa abbastanza, ma deve provarci. Accosta velocemente sul ciglio della strada e si volta con urgenza verso Kurt, senza sapere bene come muoversi. Non è minimamente stupito dal fatto che è imbranato anche in questo: è imbranato nel novantanove percento delle cose dopotutto.
«Okay, uhm. Vengo ad aprirti la portiera e ti aiuto a uscire.» Kurt però sembra fin troppo rilassato per qualcuno che sta per vomitare. Non che lui sia un esperto in questo, ma non sembra proprio che Kurt si senta peggio di quando sono partiti dal Lima Bean.
«Non voglio uscire.»
«Ma- Non devi vomitare?» Kurt scuote la testa, senza smettere di fissarlo con quei suoi occhi acquosi e un mezzo sorriso. Ha anche i capelli tutti spettinati, lo nota solo ora. È sempre bellissimo – lo è con la stessa naturalezza con cui lui sfoggia ogni giorno le sue occhiaie – ma in questo preciso momento va oltre il bellissimo: non è più Kurt l’invincibile, Kurt il supereroe: è solo Kurt. Blaine lo vede ora per la prima volta, ed è l’essere umano più bello che abbia mai visto.
«Non devo vomitare.»
«Allora perché ci siamo fermati?» Kurt gli sorride, ma non risponde. Si sposta semplicemente verso di lui, con la cintura di sicurezza che scorre sui suoi vestiti e si allunga, si allunga e si allunga: può sentirne il rumore mentre si srotola. Un attimo dopo Blaine ha una mano di Kurt sulla spalla e l’altra dietro al collo, ed è con il pollice di quest’ultima che lui gli sfiora il lobo dell’orecchio. Blaine ha dimenticato come si respira.
 
«Cosa... Che cosa fai?» Kurt ride.
«Un po’ di tempo fa mi ero detto: Blaine Anderson ha dei bei lobi delle orecchie.» Blaine sta ancora cercando di assimilare cosa diavolo si è appena sentito dire che tutto a un tratto la sua priorità diventa decisamente un’altra. Kurt lo ha appena attirato verso di lui e oh mio Dio.
«Kurt- Kurt, no.» Non sa né dove trova la voce, né il fiato, né la forza morale di dirlo, ma ci riesce. E riesce anche a girare la testa dall’altra parte giusto un attimo prima che Kurt lo baci. Vuole un premio. Vuole una medaglia, una statua, una piazza dedicata.
«Stavi... Volevi baciarmi?» Non sa perché glielo chiede. Insomma, era abbastanza ovvio, però gli sembra così incredibile che vuole davvero sentirselo dire; insomma, quanto deve essere ubriaco un Kurt Hummel per provarci con un Blaine Anderson? Sembra l’inizio di una barzelletta particolarmente triste. Kurt comunque ha ancora la bocca – soffice, calda, perfetta – appoggiata sulla mandibola di Blaine da quando lui si è voltato per schivare le sue labbra e sul serio: continua a non riuscire a respirare, non è molto promettente.
«Blaaaine.»
«Perché volevi baciarmi?» Kurt sbuffa direttamente sulla sua pelle: a quanto pare non ha intenzione di spostarsi di un millimetro, quindi a Blaine conviene ingegnarsi ed evolversi rapidamente in una nuova specie che non necessita di ossigeno per vivere.
«Perché sì. Tu non vuoi baciarmi?» Blaine non risponde – non può farlo – al che Kurt si allontana e gli prende il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo in faccia. È talmente vicino che gli sembra di sentire il profumo di buono che aveva avvertito la prima volta al Lima Bean, sotto a qualche ettolitro di alcol. «Dimmi che non vuoi baciarmi.» Vorrebbe solo che Kurt avesse un’idea di quello che gli sta inconsciamente facendo. Deglutisce.
«Non voglio baciarti.»
«Bugiardo.» Blaine alza gli occhi al cielo. Stavolta lo fa più che altro per distogliere lo sguardo dalle labbra di Kurt che sono proprio lì e potrebbe farlo: potrebbe baciare quella bocca sottile, rosa e perfetta ma non può, non può fargli questo. Blaine chiude gli occhi.
 
«Non ti ricorderai niente domattina, non è vero?» Sente Kurt ridere.
«Ho bevuto troppo, Blaine.»
«In questo caso... sì, voglio baciarti. Ho questa bocca bellissima di questa persona bellissima a tre centimetri da me e voglio baciarti da morire, tantissimo, non ne hai idea. Se ora non lo sto facendo è solo perché ci tengo troppo a te per farti fare qualcosa che non vuoi davvero, e ci tengo troppo a me per vederti tornare dal tuo ragazzo domani mattina come se niente fosse, senza ricordarti nulla di cosa è successo tra di noi.» Apre lentamente gli occhi, senza avere la minima idea di ciò che può trovare. Kurt lo sta fissando con un’espressione neutra, tranquilla. Piano piano allenta la sua presa e alla fine lo lascia andare tornando a mettersi sul suo sedile, di nuovo le mani piantate al centro del petto.
«Vorrei ricordarmi di questo domattina.» Blaine riesce perfino a trovare la prontezza di sorridergli. Sono rare le volte in cui è davvero orgoglioso di se stesso per qualcosa ed è uno di quei momenti: non ha baciato Kurt. Certo, probabilmente se ne pentirà tutta la vita, ma almeno per una volta ha fatto la cosa giusta.
«Possiamo ripartire.» Gli dice Kurt, e Blaine riparte. Con il cuore in gola e dieci anni di vita in meno, ma riparte.
Vuole la sua piazza dedicata, comunque.
 
 
*
 
 
Arrivano sotto casa Anderson a mezzanotte passata. Blaine impiega dieci minuti buoni a spiegare a Kurt che non deve assolutamente fare rumore perché i suoi genitori sono rientrati e lo credono già a letto; alla fine lui sembra capire l’antifona, salvo poi rischiare di cadere ripetutamente dalle scale mentre si trascinano nella sua stanza. Blaine non aveva idea di quanto si fosse sbagliato fino a quel momento definendo la giornata della corsa al parco la più fisicamente stressante che avrebbe mai vissuto.
Non appena entrano in camera Kurt si mette a sedere sul bordo del materasso, sempre con un gran sorriso: è da un po’ che il suo umore altalenante si è inceppato su “allegria isterica”.
 
«Cosa c’è di così divertente?» Lui scrolla le spalle, rimanendo in silenzio proprio come Blaine gli ha detto di fare: se non altro lo è stato a sentire. Approfitta di quel piccolo momento di tregua per prendere fiato e scrivere a Wes che va tutto bene e che può cavarsela; subito dopo si avvicina alla piccola porzione di letto su cui Kurt è seduto, piazzandosi proprio di fronte a lui.
«Stanotte dormirai qui, okay? Ti do qualcosa da metterti e cerco anche uno spazzolino da denti nuovo- » Ma Blaine non finisce la frase. Non può, perché Kurt lo ha afferrato per il suo orrendo e scomodo maglione blu e con un singolo strattone gli ha fatto perdere l’equilibrio. Gli è appena crollato rovinosamente addosso e le molle del suo materasso hanno appena cigolato sotto il loro peso. Blaine fa per spostarsi, ma Kurt gli ha già avvolto le braccia dietro al collo. Ora come ora ha il forte desiderio di piangere, sul serio.
«Non vuoi ancora baciarmi?» Eccome se lo vorrebbe. Se in macchina aveva creduto di volerlo disperatamente, ora – complice la posizione orizzontale – è costretto a rivalutare il suo concetto di “disperatamente”.
«Ti prego, lasciami andare.»
«Altrimenti?» Glielo sussurra all’orecchio e Blaine sbuffa. Gli tocca chiudere di nuovo gli occhi e già che c’è anche allontanare il bacino dal corpo di Kurt prima che le cose si facciano troppo imbarazzanti.
«Altrimenti ti bacio davvero.» Evidentemente non doveva dirlo, perché Kurt gli stringe ancora più fermamente le braccia dietro alla nuca.
«Baciami davvero, allora.» Blaine apre gli occhi e lo guarda malissimo. Vuole la sua piazza.
«No.» Kurt sbuffa e ritira le mani, permettendogli così di tornare in posizione verticale: molto meglio.
 
«Uffa.»
«Uffa? Tu dici uffa? Voglio vedere te a non approfittarti di una situazione del genere.» Borbotta, mentre si sfila il suo stupido maglione e rinviene nel suo armadio un paio di pantaloni della tuta e una maglietta per Kurt. Va da lui e glieli allunga. Riceve un’occhiata stranita.
«Cosa ci devo fare con questa roba?»
«Mettertela?»
«Sono troppo ubriaco per levarmi i vestiti da solo.» Blaine rimane completamente immobile per una lunghissima manciata di secondi prima di scuotere lentamente la testa. Una piazza non è sufficiente, dovrebbero dare il suo nome a una città. Magari a un pianeta.
«Non ci pensare neanche.»
«Giuro che non proverò più a baciarti.»
«Kurt.»
«Solo i pantaloni.» Lo odia, lo odia con tutto se stesso. È la grande fiducia nel suo autocontrollo che le recenti tentazioni respinte con successo gli hanno procurato a dargli la forza di piegarsi a sbottonargli i pantaloni. Lo fa e gli tira giù la zip e alleluia: tutti i suoi buoni propositi di allontanamento di bacino sono andati allegramente a farsi benedire. Stranamente Kurt mantiene la promessa, comunque. Lascia che gli slacci i pantaloni ma rimane tranquillo al suo posto.
 
«Blaine?» Sembra triste: fine della modalità “allegria isterica”. Non può gestire Kurt da ubriaco, non può proprio.
«Che succede?»
«Io sono vergine.» Blaine inarca le sopracciglia.
«Bene. Io sono Capricorno. Ora, pensi di poterti infilare i pantaloni della tuta?» Kurt scalcia via i jeans come se niente fosse. Tanto non è seduto sul suo letto in mutande e nessuno in quella stanza sta pensando intensamente a sua nonna per evitare di saltargli addosso.
«No, nel senso che non ho mai fatto sesso.» Gli fa presente, mentre si infila i pantaloni della tuta. Blaine è a metà tra il divertito e l’infastidito.
«Sono sicuro che il tuo ragazzo avrebbe qualcosa da ridire al riguardo.» In realtà odia pensare alle mani di quel tipo su Kurt, chiunque sia quel tipo dato che in effetti tutto ciò che sa è che si chiama Tom. Che nome schifoso, tra l’altro. E poi c’è lui, Blaine, che è innamorato di Kurt e lo ama abbastanza da non baciarlo per ben due volte pur di non approfittarsi di lui e fargli tradire il suo stupidissimo ragazzo. Non vuole pensarci, non vuole davvero.
«Blaine... non ho mai fatto sesso.»
«Okay, Kurt. Ti metti la maglietta adesso?»
«Tengo la mia.»
«Kurt...» Blaine – dopo averlo aiutato a sfilarsi la giacca – fa per raggiungere l’orlo della sua t-shirt, ma Kurt lo ferma con una velocità e un impeto impressionanti per la sua condizione non esattamente lucida. Sarebbero state impressionanti anche da sobrio.
«No.» Lui alza le mani in segno di resa.
«Va bene, tieni la tua maglietta.» Kurt annuisce, gattona sul letto e si infila sotto alle coperte. Blaine lo fissa per tutta la durata dell’operazione con le sopracciglia inarcate.
«Certo, fai pure. Io dormo sul pavimento. Non ti sei neanche lavato i denti- »
 
«Blaine.»
«Cosa?»
«Vieni qui.» E Blaine naturalmente va lì. Perché è un coglione, ma questa non è una novità.
Si sdraia cautamente di fianco a Kurt con ancora i jeans addosso – una volta che si sarà addormentato si metterà davvero sul pavimento: non possono stare in un letto da una piazza senza che uno dei due cada e ha le sue buone ragioni di credere che quell’uno in questione sarebbe lui.
«Mi hai fatto preoccupare a morte, lo sai?»
«Scusa.» Sussurra, chiudendo gli occhi. Blaine non può fare a meno di sorridere. Torna a passargli una mano sulla fronte e tra i capelli e di nuovo non ha idea del perché.
«Kurt?»
«Mm.»
«Perché hai bevuto così tanto?» Kurt torna ad aprire gli occhi. Sono così belli e lui non se n’è mai accorto davvero. Aveva creduto di essere innamorato di lui senza nemmeno sapere cosa significava. Adesso può dirlo sul serio, adesso sa che cosa vuol dire. Kurt gli fa un piccolo sorriso.
«Per non pensare.» Gli dice, rannicchiandosi sul materasso con entrambe le braccia piegate sul petto. Blaine continua ad accarezzargli distrattamente i capelli.
«A cosa non volevi pensare?»
«Sai, non è solo la tua vita che può fare schifo.»
«Il vittimismo non è sexy.» Kurt ride.
«Questa era mia.» Blaine annuisce e poi gli rivolge un’occhiata incerta, perché si sta di nuovo spostando verso di lui e ad essere onesti sperava di aver superato questa fase dopo la sua quasi erezione sul letto di una ventina di minuti prima.
 
«Kurt- »
«Shh.» Allora Blaine sta zitto e immobile, ma è comunque pronto a voltarsi al momento opportuno per schivare il terzo bacio della serata. Solo che Kurt non lo bacia. Non sulle labbra, almeno. Gli tiene la testa con entrambe le mani e gliela piega verso il basso, in modo da potergli appoggiare le labbra sulla fronte. Gli dà un piccolo bacio e poi lo lascia andare.
«Sei la cosa più bella che mi è mai capitata.» Blaine sorride, mentre cerca faticosamente di alzarsi dal letto.
«Certo, Kurt. Adesso però dormi.»
«No, io... volevo trovare altre parole per dirtelo perché così sembra scontato. Ma è l’unico modo che mi è venuto in mente. Però è vero, Blaine. Lo sei davvero.»
È l’ultima cosa che gli dice prima di addormentarsi. Ci mette pochi minuti, esattamente come era successo a lui quando era caduto in piscina. Blaine rimane imbambolato a fissarlo per un po’, poi scuote la testa e va a lavarsi i denti, per poi chiudere la porta della camera a chiave. Durante tutto questo, non riesce a smettere di pensare che forse Kurt lo pensa davvero, forse è davvero la cosa più bella che gli è mai capitata. O forse Kurt è solo molto ubriaco.
 
«Blaine?» Per poco non ha il ventesimo principio di infarto della serata. Si volta con apprensione verso Kurt, che nonostante abbia appena parlato è ancora lì, appallottolato e con gli occhi chiusi e del tutto scambiabile per qualcuno che dorme della grossa.
«Cosa c’è ancora?»
«Primo bacio.»
«Che?- »
«Aggiungilo alla lista.» Blaine rimane interdetto per qualche secondo e poi sì, lo aggiunge alla lista. Anche perché ha bisogno di scrivere e quindi il quaderno gli serve comunque.
 
Quella sera cambiò tutto. Cambiò me, cambiò lui e cambiò il modo in cui avevo sempre pensato di conoscerlo. La maschera del personaggio andò in mille pezzi, ed ecco la persona: con le sue fragilità, con le ferite. Alzai lo sguardo e lo vidi dormire sul mio letto, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi e fu a quel punto che lo realizzai: avevo smesso di amare Non-Colin. Amavo Kurt, adesso.
 
 
*
 
 
Kurt non prova nemmeno a sollevare le palpebre: si sente talmente male che ha paura che se lo facesse i suoi occhi rotolerebbero senza troppi complimenti fuori dai bulbi oculari per poi andare chissà dove. Non sa neanche come riesce a concepire questo pensiero, ma in qualche modo gli viene da sorridere: tra le sue poche qualità c’è quella di sorridere nelle circostanze meno consone, come ad esempio di prima mattina con il peggiore dei dopo sbronza.
Il fatto di essere sdraiato su una superficie morbida lo sorprende: l’ultima cosa che ricorda è di essere uscito dalla sua macchina dopo aver bevuto in un modo imbarazzante per non pensare al fatto che forse non andrà a New York e che il suo ragazzo è un bastardo che non lo richiamava neanche per scusarsi- beh, ora se lo ricorda. Bere non è stato poi così utile, dopotutto. Muove appena le gambe e le braccia per assicurarsi di essere ancora tutto intero. E poi deve aprire gli occhi a costo che gli cadano: non può semplicemente non sapere dove si trova.
 
«Buongiorno.» Di tutte le persone che si sarebbe aspettato di vedere appena alzato – compresi maniaci sessuali e rapitori, per quel che ne sapeva – di sicuro Blaine Anderson sarebbe stato tra gli ultimi. Lo fissa senza muovere un muscolo, ad occhi spalancati – se non altro non gli sono ancora caduti.
«Sono le undici. Ho dell’aspirina se ne hai bisogno.» Kurt sbatte le palpebre un paio di volte.
«Sono...»
«Nel mio letto, a casa mia. Ieri sera sono venuto a recuperarti di fronte al Lima Bean- »
«Okay, ma non urlare.»
«Non sto urlando.» Kurt strizza gli occhi e si mette faticosamente a sedere. Deve sforzarsi per riuscire a formulare frasi di senso compiuto. O anche solo pensieri di senso compiuto. O entrambi.
«Come... Come sapevi che ero al Lima Bean?» Blaine appoggia qualcosa sul comodino: è un bicchiere d’acqua affiancato dall’aspirina che gli aveva offerto.
«Mi hai scritto tu, ricordi?» Ricorda? No, non ricorda minimamente. Perché tra tutti ha scritto proprio a Blaine? Il suo cervello si rifiuta di rivelarglielo, così come si rifiuta di far riemergere un qualsiasi ricordo della serata precedente.
«Blaine, scusa. Non mi ricordo.» Blaine gli sorride e nel frattempo inizia a raccogliere un’ampia varietà di cuscini disposti a casaccio sul pavimento.
«Meglio così.» Kurt aggrotta la fronte.
«Meglio così? Oh, no. Non dirmi che ho fatto cose troppo imbarazzanti.» Blaine scuote la testa con fare noncurante.
«Tranquillo, non hai fatto niente di memorabile.» Kurt tira un sospiro di sollievo mentre mette cautamente le gambe giù dal letto, allungando una mano verso il bicchiere. Improvvisa un mezzo sorriso.
 
«Non ho idea del perché ho rotto le palle proprio a te, Blaine Anderson. In ogni caso scusa per tutto quello che posso aver detto di stupido.» Blaine gli ribadisce che non ha fatto niente di male, era solo molto ubriaco. Kurt vorrebbe solo sapere per quale caspita di motivo ha pensato di chiamare proprio lui. Tra tutte le persone da cui non avrebbe mai voluto farsi vedere in quelle condizioni Blaine era secondo solo a Rachel. Ingoia la sua aspirina.
«Come ti senti?» Blaine continua a guardarlo con un sorriso adorabile e Dio: si sente così stupido, così imbarazzato e così mortificato che solo la sua testa fa più male di quella sensazione.
«Che figura di merda.» Dice, nascondendo il viso tra le mani. Sente Blaine ridere: almeno uno di loro lo trova divertente. Non sa letteralmente cosa fare: non era questo lato di lui che Blaine doveva vedere; perché diavolo gli aveva scritto di andarlo a prendere? Perché proprio a lui?
«Kurt, davvero. Non è successo niente di sconvolgente.» È più o meno a quel punto che Kurt si concede di guardare attraverso le fessure tra le sue dita, e nota qualcosa che lo lascia con il fiato corto per un attimo.
«Non sono miei.»
«Che cosa?»
«I pantaloni.»
«Ti ho dato un paio dei miei, per essere più comodo.» È automatico, immediato. Le mani gli si fiondano sul bordo della t-shirt che indossa e tirano appena in modo che si tenda e lui la possa vedere. Sembra la sua. È la sua? Blaine lo precede.
«È la tua. Non hai voluto saperne di togliertela.» Kurt fa di tutto per ignorare la rapidità con cui il suo cuore – da tranquillo che era – ha iniziato a scalpitargli furiosamente sotto le costole, perché ha bisogno di sapere.
 
«Ho detto qualcos’altro?» Blaine lo guarda con aria curiosa.
«Non hai detto niente, Kurt. Oh!» Sembra essersi improvvisamente ricordato di una cosa, perché si volta rapidamente e raggiunge la sua scrivania. Torna con le chiavi della macchina e il cellulare di Kurt.
«La tua macchina è ancora parcheggiata al Lima Bean, dopo la andiamo a prendere. Hai anche ricevuto due messaggi da Tom- non li ho letti! È solo che il cellulare vibrava e sullo schermo c’era il suo nome a caratteri cubitali, così- »
«Blaine, due cose. La prima è che non puoi dire frasi così lunghe perché tutto quello che capisco al momento è blablabla. Secondo: sei venuto a prendermi e mi hai fatto dormire qui mentre ero ubriaco. Anche se avessi letto quei messaggi e avessi risposto con degli insulti sarei ancora in debito con te.» Gli dice, allungando una mano verso Blaine, che gli dà immediatamente cellulare e chiavi. Sono tre giorni che ha mal di testa ininterrottamente e la cosa comincia a spossarlo un tantino.
«Non leggi i messaggi?»
«Grazie comunque, dovevo ancora dirtelo. Grazie davvero. I messaggi li leggo dopo.» Kurt lo guarda dal basso in alto: per fortuna Blaine ha gli occhiali. Non sopporterebbe di vedere i suoi occhioni manga proprio adesso che si sente così vulnerabile e così in debito. Scuote la testa.
 
«Okay, d’ora in poi sarò il tuo genio della lampada. Hai a disposizione tre desideri.» Blaine sta per ribattere, glielo legge in faccia. «No no no, niente obiezioni. Sono in debito e odio essere in debito, quindi hai tre favori da sfruttare: gioca bene le tue carte.»
Blaine gli sorride e si siede di fianco a lui sul letto. Kurt non ha nessuna voglia di leggere quei messaggi, non ha nessuna voglia di fare niente che lo distolga da ciò che sta facendo in quel momento: stare seduto sul letto insieme a Blaine. Non aveva messo in conto niente di tutto questo quando aveva tirato fuori per la prima volta tutta quell’idea della lista.
Non gli piace stare dalla parte vulnerabile, quella che può farsi del male. E Kurt in quell’esatto momento – seduto di fianco a Blaine con un gran signor mal di testa – realizza che è così che stanno le cose: Blaine l’aspirante scrittore, Blaine quello senza amici, Blaine la sua iniezione di allegria quando tutto il resto fa schifo, Blaine ha un potere immenso su di lui. E non ha idea di averlo. Il suo non averne idea rende Kurt ancora più stupidamente docile e odia sentirsi così: odia essere quello che ci tiene di più.
 
«Vorrei averti conosciuto prima, lo sai, Blaine Anderson?» Il sorriso di Blaine si allarga.
«Prima di cosa?»
«Prima di tante cose.» Si limita a rispondere, scrollando le spalle. «Allora, questi tre desideri?»
«Inizierei con il prenotarti per sabato sera. Facciamo il campeggio che abbiamo messo nella lista.»
«A una condizione.» Gli dice Kurt, mentre si cimenta nel titanico tentativo di alzarsi in piedi. Incredibilmente ci riesce. «Mi leggerai un pezzettino di quello che stai scrivendo. Insomma, ora tra le tue esperienze c’è anche assistere un ubriaco.» Blaine è un tantino... sconvolto. O almeno così gli sembra per un momento, perché un attimo dopo torna a sorridergli. Gli dice di sì, e aggiunge che il suo secondo desiderio è di annullare il terzo desiderio e Kurt non può davvero replicare in nessun modo. Poi gli lancia un’occhiata che non capisce.
«A proposito della lista: ieri sera mi hai detto di aggiungere un punto.»
«Ovvero?»
«Primo bacio.» Oh. Così gli ha detto di aggiungere quel punto, proprio quel punto. Non può fare a meno di essere travolto da un dubbio terrificante.
«Blaine... Non ci ho provato con te, vero?» Blaine arriccia le labbra, scuotendo energicamente la testa.
«No, Kurt. Perché avresti dovuto?»
Già. Perché avrebbe dovuto?

 
 
 
 

 
 
 
 
...Perché avrebbe dovuto?
Okay, sono curiosissima di leggere i vostri commenti su questo capitolo :’D
In realtà non ho note particolari da fare, a parte il fatto che sarebbe davvero il caso di dedicare una piazza a Blaine.
Come sempre vi ringrazio tantissimo, e vi do appuntamento alla prossima settimana (o forse un po’ prima... ;)?)
 
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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Buon lunedì sera a tutti :)
Concedetemi giusto due righe e giuro che vi lascerò al capitolo e fuggirò a casa di una mia amica (sì, la sto costringendo stiamo guardando Sherlock insieme) *aria innocente*
Duuunque, prima di eclissarmi ci tengo a ringraziare tantissimo le meravigliose sette persone (S E T T E) che hanno commentato lo scorso capitolo, tutti coloro che mi hanno scritto su ask – sia in relazione alla FF sia circa recenti novità un po’ più personali – e ultima ma non in ordine di importanza la mia meravigliosissima e perfettissima moglie nonché beta, senza la quale – citando ancora una volta Kurt – niente di tutto questo sarebbe stato possibile. Al solito, vi rimando a fine capitolo per i miei scleri le note u.u
Buona lettura e buon proseguimento di settimana ♥
Oh, per i messaggi sempre come al solito: Blaine, Kurt.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo VIII
 

Blaine ha scoperto una cosa fondamentale sulle bugie. Infatti, ora sa che era clamorosamente in errore quando credeva di non essere capace di dirle: ne è capace eccome, ma – ha scoperto – solo se è per una buona causa.
Aver passato tutto quel tempo a ripetere di stare bene quando in realtà era completamente a pezzi per non fare preoccupare nessuno forse è annoverabile tra le buone cause. E non far sapere a Kurt che aveva provato a baciarlo per ben due volte è decisamente una buona causa. In fondo che scopo avrebbe avuto dire qualcosa del genere a parte farlo sentire ancora più in imbarazzo?
A questo punto vorrebbe potersene uscire con una di quelle frasi da film della serie “l’importante è che sia felice, anche se non sta insieme a me”, ma non è ancora così bravo con le bugie: in fondo ha appena scoperto di saperle dire.
 
È inutile provare a convincersi del contrario: gli dà fastidio, un fastidio enorme sapere che in tutta probabilità in quel momento Kurt è insieme al suo ragazzo; gli dà fastidio pensare che sarà lui ad accarezzargli i capelli e che non dovrà fare appello a nessuna forza morale per impedirsi di baciarlo perché beh, perché può farlo. Può farlo perché è il suo ragazzo, perché si amano e lui non c’entra niente con loro, anzi: continuare a pensarci non fa che renderlo più patetico ogni minuto che passa. Scuote la testa: Kurt è troppo diverso da lui, lo è sempre stato; inoltre tra meno di due mesi partirà per New York con quella sua amica di cui non ricorda il nome e lo dimenticherà, salvo poi comprare il suo libro quando e se mai verrà pubblicato per leggere la sua dedica. E Blaine gliela avrebbe fatta davvero la dedica, perché quella della lista era una bella trovata e i punti che Blaine aveva sperimentato erano stati molti di più di quelli scritti nero su bianco: ad esempio c’è stata l’attrazione, l’imbarazzo, l’entrare in casa di notte senza che i suoi genitori se ne accorgano, l’infatuazione, l’innamoramento, la gelosia... potrebbe andare avanti per ore.
 
Blaine sbuffa e spegne il suo portatile, dove ha appena salvato il prologo di una storia che vede protagonista una versione profondamente rinnovata della sua vecchia Mona, e deve ammettere che non fa così schifo come temeva. L’ha scritta innanzitutto per avere qualcosa da leggere a Kurt durante il loro campeggio di sabato notte che non siano sproloqui su quanto lui sia meraviglioso e su quanto sia innamorato, perché non è davvero il caso, però a quanto pare non è stato un completo spreco di tempo. Quando il suo portatile smette di ronzare si avvia al piano di sotto: ha invitato Wes a pranzo per raccontargli della fatidica serata dell’ubriacatura e dovrebbe essere lì nel giro di mezz’ora. È già in cucina quando il cellulare vibra e suona a volume altissimo dentro alla sua tasca: si è ripromesso di non metterlo mai più in silenzioso dopo quello che è successo, mai.
Legge sullo schermo il nome di Kurt e tutto quello che può fare è sorridere come un idiota.
 
12:14
Buongiorno, Blaine Anderson. Obbligo o verità?
 
12:15
Buongiorno. Eh?
 
12:16
La nostra lista. Obbligo o verità. Sveglia, Blaine!
 
12:18
Ah! Dovevi contestualizzare. Comunque, verità.
 
12:20
Davvero non ho detto/fatto niente di strano/imbarazzante l’altra sera?
 
12:23
Passo.
 
12:24
Merda... lo sapevo. Verità.
 
12:25
Perché hai bevuto così tanto?
 
12:26
Perché non è più così sicuro che andrò a New York. E perché Tom non mi aveva richiamato.
 
12:26
NON VAI A NEW YORK??
 
12:27
Shh, non urlare. E poi non puoi interrompere il gioco: obbligo o verità?
 
12:29
Obbligo.
 
12:29
Sabato sera porta tu una tenda perché io non ce l’ho e non ho idea di dove si comprino. Verità.
 
12:31
Come va col tuo ragazzo?
 
12:33
Passo. Cosa ho fatto l’altra sera?
 
12:33
Passo. Sei felice?
 
12:35
Passo.
 
12:37
È arrivato Wes. Poi ci mettiamo d’accordo per sabato sera, okay?
 
12:38
Sì. Ricordati la tenda.

 
 
*
 
 
Kurt rilegge il suo scambio di sms con Blaine per decisamente più volte di quelle che è disposto ad ammettere. Non sa cosa gli sta succedendo, non sa perché non riesce a smettere di comportarsi così. Per la prima volta in tre anni non sta facendo niente per mantenere stabili gli equilibri: Santana che non sa di Rachel, Rachel che non sa di Santana, Santana e Tom che non sanno di New York, Rachel che non sa delle nottate in macchina; non ha più voglia di tenere nascosto niente, non gli importa nemmeno.
È come se avesse appena realizzato di volere che la sua vita come la conosce vada a rotoli, cosa che lo spaventa a morte. Forse aveva bisogno di Blaine per capire la differenza tra convincersi di essere felice ed esserlo davvero, o forse ci sono troppe cose che ha rimandato per così tanto tempo da finire per dimenticare quanto fossero importanti.
Si guarda intorno, fissando uno per uno gli scatoloni che da mesi gli rendono impossibile vedere il colore del pavimento della sua stanza: sta sbagliando tutto? Perché diavolo ha chiamato proprio Blaine quando era ubriaco? Decide deliberatamente di smettere di pensarci e per aiutarsi nell’intento risponde per prima cosa ai messaggi di Rachel in cui si complimenta con lui per la sua performance di quella mattina al corso di recitazione, e poi chiama Santana: con Tom ha deciso di uscire sabato pomeriggio. Francamente non ha idea di cosa aspettarsi da quell’incontro.
 
«Ehi, Kurt. Cosa c’è di tanto importante da non poter aspettare un orario decente?»
«Ma se è ora di pranzo.» Santana resta in silenzio qualche secondo.
«Davvero?»
«Davvero.»
«Oh. Comunque, che vuoi?» Beh, vuole distrarsi. Vuole non doversi perdere nel casino che ha in testa. Vuole un sacco di cose, nessuna delle quali può essere espressa ad alta voce.
«Deve per forza essere successo qualcosa di sconvolgente per sentirci, adesso?»
«Basandomi sulla mia esperienza e sul fatto che quando chiami senza motivo è perché sei depresso o in pensiero per qualcosa sì, direi di sì. Ma come al solito mi atterrò al tuo fare finta che tutto ciò sia perfettamente normale perciò okay, chiacchieriamo.» Odia quando Santana lo capisce, lo odia davvero.
«Come ti pare.»
«Ma sentilo, è già sulla difensiva.»
«Mi sto pentendo di averti chiamata.» Lei fa una risata sarcastica, poi inizia a parlare a bassa voce.
 
«Stronzate a parte, Kurt, c’è una cosa di cui ti devo parlare. Hai presente l’altra sera, quando ti ho dato buca?» Se lo ricorda eccome. È la stessa sera in cui ha pensato bene di chiamare Blaine per andarlo a recuperare al Lima Bean; la sera in cui ha fatto cose imbarazzanti di cui non ricorda un accidente e wow, aveva chiamato Santana proprio per smettere di pensare ossessivamente a tutta quella storia.
«Sì?»
«Ho conosciuto una persona.» Kurt sbuffa. Ha perso il conto di quante volte ha già sentito qualcosa del genere.
«Santana...»
«Una ragazza.» Okay. Questa invece è una cosa che non ha mai sentito. È addirittura incerto sull’aver capito bene o meno.
«Una ragazza? Pensavo che quella dell’altra volta fosse l’ultima- »
«Non cominciare a rompere le palle, per una volta che faccio la cosa giusta. Lei è diversa, è speciale: ci sono uscita solo qualche volta ma ne sono già sicura.» Per la prima volta da quando la conosce Kurt la sente davvero felice, entusiasta. Non si tratta del miraggio di spensieratezza che fanno intravedere due bicchieri di troppo, è qualcosa di reale, di autentico.
«Pensavo che saresti andata avanti con la storia di “questa è l’ultima volta” ancora per un bel po’.»
«È arrivato il momento di crescere, non pensi? Insomma, voglio davvero passare tutta la vita a sentirmi in colpa mentre passo da una ragazza all’altra?»
Kurt suppone di no. Perché perseverare nel fare qualcosa che fa solo soffrire? La sua non è una domanda retorica, però, se lo chiede davvero: perché? Perché ha la sensazione che sarebbe più semplice tentare di rimanere in piedi all’ultimo piano di un palazzo di cristallo durante un terremoto piuttosto che provare a mettersi sotto a un dannato muro portante? Blaine avrebbe molto da ridire su una metafora così orribile.
«La mia ragazza è cresciuta.»
«Chiamami di nuovo in quel modo e vengo personalmente lì a prenderti a calci.» In questo se non altro non è cambiata affatto.
«Beh, a parte la tua recente epifania- »
«Shh.»
«Cosa? Non puoi zittirmi.»
«Certo che posso, perché questo è il momento in cui ci sono una trentina di secondi di silenzio durante i quali anche tu realizzi che è ora di cambiare, così alzi il culo dal tuo letto, vai a casa del tuo ragazzo e lo mandi definitivamente a quel paese.»
È incredibile che non riesca ad andare oltre a quella sua fissa. Per lei è tutto così, è tutto facile, è tutto un’epifania e cose che cambiano radicalmente dal giorno alla notte, ma non lo è per tutti. Di sicuro non per lui.
Santana ha la fortuna di vedere oltre il complicato: lui non vede l’oltre, vede solo il complicato.
 
«Sono sempre contento per te e per la tua epifania, per il resto vacci tu a quel paese.»
«Il mio ragazzo è ancora un bambino.»
«Mm. Ora capisco perché mi minacciavi di prenderti a calci.»
«Io vado, Hummel. Tanto con te non ci si può parlare. E poi si è appena svegliata Brittany.» Kurt inarca le sopracciglia.
«Brittany? Sarebbe la ragazza misteriosa? È rimasta a dormire da te?» Ma Santana ha già riattaccato, perché evidentemente Brittany si è davvero svegliata e lei vuole assaporare ogni singolo momento di post-epifania.
Kurt si stiracchia e si avvicina a uno degli scatoloni che dovrebbe cominciare a riempire, poi invece di fare qualcosa al riguardo decide di telefonare a Rachel per ripassare il loro copione; questo sempre per la sua tendenza a cercare di stare in piedi nei palazzi di cristallo mentre crollano.
 
 
*
 
 
Il sabato sera del campeggio arriva più in fretta della capacità di Blaine di assimilare il suo imminente avvento.
Da quando conosce Kurt ha dovuto sforzarsi di venire a patto con i cambiamenti più alla svelta, ma è dalla fatidica sera della sbronza che le sue capacità in merito sembrano essersi atrofizzate. Ha come il sospetto che quei due quasi baci abbiano un loro ruolo in questo; e anche un mare di altre cose come quello strano discorso sulla cattiveria, il fatto che a quanto pare Kurt tiene nascoste mille cose a tutti, i due baci, quando gli aveva detto di essere vergine e poi che era la cosa migliore che gli era mai capitata, i due baci... Deve seriamente smettere di pensare ai baci, di scrivere dei baci e di fantasticare sui baci.
Kurt gli annuncia il suo arrivo alle otto – hanno deciso di mangiare ognuno a casa propria prima di partire, perché Kurt aveva ripudiato in partenza l’idea di farlo all’aperto circondato da “insetti schifosi” – e Blaine prende un profondo respiro prima di uscire di casa. Non in senso metaforico, prende davvero un profondo respiro: inspira a lungo con gli occhi chiusi e poi butta fuori l’aria, immaginando che insieme a lei escano anche tutte le stupide domande irrisolte che gli riempiono il cervello da giorni. È sorpreso di sentirsi effettivamente un po’ meglio. Si stampa in faccia il migliore dei suoi sorrisi ed esce di casa, trascinandosi dietro un borsone gigantesco che non riuscirebbe a sollevare neanche se fosse il tipo di persona che non sviene dopo cinque minuti di corsa. Nel suo percorso attraverso il giardino si trascina per sbaglio la borsa su un tallone, cosa che gli fa emettere un urlo che più che dolore comunica frustrazione: non che deva trattenersi dato che i suoi genitori ovviamente non sono in casa e altrettanto ovviamente non sanno niente di questo campeggio. Forse non gli avrebbero nemmeno creduto se glielo avesse detto.
 
«Ho pensato che fossi stato aggredito dai tuoi gnomi da giardino.»
Blaine sobbalza e si tira di nuovo la borsa sui piedi, questa volta però non urla perché Kurt è appena apparso davanti a lui in cortile e gli sorride ed è ridicolo, assolutamente ridicolo come riesca ad essere bellissimo senza nemmeno provarci.
«Cosa ci fai nel mio giardino?»
«Ti ho detto di essere arrivato cinque minuti fa: di solito non mi fai aspettare più di trenta secondi. Poi ho sentito un tuo urlo disumano e il cancello era aperto, così sono entrato a controllare.»
A Blaine in realtà non interessa un accidente di che cosa ci fa Kurt nel suo giardino, insomma, per quel che lo riguarda può entrare nel suo giardino quando vuole. Però lo aveva chiesto lo stesso perché gli serviva un momento per guardarlo in pace – pantaloni della tuta stretti sui fianchi, giacca scura aperta sul davanti sotto alla quale si intravede una felpa – senza l’intoppo di un silenzio imbarazzante.
«Comunque non capisco perché ce l’hai tanto con i miei gnomi da giardino.» Kurt li aveva visti uscendo da casa sua e da allora glieli aveva nominati già cinque o sei volte. Scrolla le spalle.
«Non lo so, è che sei proprio il tipo da gnomi da giardino. Ti do una mano con quel borsone?» Blaine sa che sarebbe più virile dire di no, ma è abbastanza sicuro che non sia nemmeno particolarmente virile piagnucolare per essersi di nuovo tirato addosso una borsa, quindi acconsente. Così Kurt lo aiuta a caricare nel baule della sua macchina quella cosa gigantesca e si siedono a bordo – Blaine nota che ha eliminato ognuna delle lattine vuote che nella sera della sbronza pullulavano un po’ ovunque.
 
«Un campeggio a novembre. Sarà un’avventura.» Riflette Kurt, mentre accende il suo navigatore satellitare. Blaine pensa che in effetti sarebbe stato meglio farlo d’estate ma ehi, loro non hanno nessuna estate a disposizione perché Kurt se ne andrà. O forse no. Ecco un’altra delle stupide domande che si sono rinfilate nella sua testa nonostante il profondo respiro che avrebbe dovuto farle sloggiare.
«Stai di nuovo assimilando, Blaine Anderson?» Ecco. È stato zitto per troppo tempo.
«Più o meno.» Kurt sorride e mette in moto. Blaine non può fare a meno di pensare a cosa è successo l’ultima volta che sono stati seduti in macchina insieme-
«Allora? Questo posto perfetto per il campeggio che dicevi?» Il suo respiro profondo era stato un’autentica fregatura.
«Uhm...» Blaine inserisce la destinazione sul navigatore di Kurt. «È qui vicino. Chiamarlo bosco è esagerato- »
«Lo spero bene: non ho intenzione di passare la notte in un bosco.»
«È più una specie di parco molto grande e con molti alberi.» Kurt lo fissa per un attimo, poi preme il piede sull’acceleratore.
«Hai appena dato una rozza definizione di bosco, lo sai vero, scrittore
«Ti assicuro che per il campeggio va benissimo. C’è un posto... Ci andavo fino a qualche anno fa a scrivere, ogni tanto.» Kurt annuisce, senza togliere gli occhi dalla strada. Occhi stranamente tristi, Blaine lo nota solo ora.
 
«Kurt, stai bene?» La domanda sembra coglierlo di sorpresa, ma non si scompone. Kurt non si scompone mai, non da sobrio, almeno.
«Sì, sto bene.» Risponde, prima di lanciargli una breve occhiata «Andavi là da solo?»
«Beh, è ovvio.»
«È la prima volta che ci porti qualcuno?» Blaine non ci aveva neanche pensato, ma in effetti sì, lo è. Glielo dice, e Kurt sorride di nuovo ma non commenta in nessun modo. Arrivano in dieci minuti, e ce ne vogliono altri dieci perché riescano a trascinare il borsone di Blaine fino alla minuscola radura che fino a qualche anno prima frequentava assiduamente. Quando finalmente giungono a destinazione, Kurt non sembra più triste.
«Blaine.» Dice semplicemente, mentre appoggia il suo zainetto sull’erba. Blaine è davvero contento di sentirglielo dire con quel tono, con la bocca leggermente socchiusa e gli occhi ben aperti. Rimane fermo mentre Kurt va avanti, si piazza al centro della piccola radura e solleva la testa per guardare il cielo.
 
Era diversa da come la ricordavo: l’avevo sempre e solo vista illuminata dalla luce del giorno. Nei miei ricordi era una piazzola d’erba circondata da alberi con un tronco sradicato sulla destra, ma non quella sera. Quella sera era lo squarcio che separava la Terra e il cielo: le stelle non erano mai sembrate così vicine; i fili d’erba oscillavano appena e il tronco era lì perché ci sedessimo insieme e guardassimo in alto ancora e ancora, fino ad andare alla deriva, a perderci, a diventarne parte.
 
«Blaine?» Parole, così tante parole. La sua testa è un campo minato quando è con Kurt.
«Sì?»
«È davvero, davvero bello.» Ora Kurt sta di nuovo guardando lui e Blaine vorrebbe un’ulteriore piazza in suo onore per riuscire a starsene lì fermo a sorridergli anziché fare una decina di passi avanti e baciarlo.
«E c’è anche un altro aspetto positivo: fa freddo e ci sono pochi insetti.»
«Questo è confortante, sì.» Blaine si inginocchia accanto al suo borsone, alla ricerca della tenda da montare.
«Ti avviso che di tende in casa mia c’era solo quella che usava mio padre: è una Canadese risalente probabilmente all’anteguerra. Credo che nell’universo delle tende equivalga più o meno a me nell’universo degli esseri umani.» Kurt ridacchia e poi si accovaccia di fianco a lui: Blaine può sentire il suo calore in contrasto al freddo circostante.
«E se lo facessimo tra un po’? Voglio godermi questo posto prima di entrare in crisi perché nessuno dei due sa montare quella tenda.»
«Io so montare quella tenda.»
«Ah ah.» Blaine vorrebbe protestare perché dopotutto l’ha montata cinque volte nel garage di casa sua per essere sicuro di evitare figuracce, ma Kurt lo ha appena preso per mano e improvvisamente tutta la sua voglia di protestare è andata a farsi benedire perché il suo cervello è ufficialmente nella modalità “Kurt ti ha preso per mano” e tutto il resto si annulla.
«Beh? Colpo della strega?» Gli chiede Kurt con un sorriso divertito perché ehi, è già in piedi a tirargli il braccio e lui è ancora in ginocchio a fare lo stramboide. Si alza in tutta fretta. Il sorriso di Kurt si allarga ancora di più e ora lo tira con entrambe le mani camminando all’indietro.
 
«Sai cosa mi andrebbe di fare?»
«Cosa?» Kurt si ferma quando sono al centro dalla radura. Gli prende entrambe le mani e comincia a girargli intorno.
«Ballare. Ma ti ho visto correre e so che non ce la faresti senza svenire.»
«Che esagerato. Certo che ce la farei.»
«“Kurt, troppa vita, muoio.”» Blaine non può fare a meno di ridere perché in fondo lo ha imitato piuttosto bene. Però un po’ vuole vendicarsi così si mette a girare più forte e adesso stanno girando e girando e girando e Blaine non ha idea di dove stanno andando perché ha perso l’orientamento molti giri fa. A un certo punto Kurt lo molla e lui cade rovinosamente all’indietro con un urlo che non avrebbe definito esattamente virile. C’è un secondo di completo silenzio prima che nella radura si diffonda una sonora risata di Kurt.
 
«Si può sapere cosa ti passa per la testa? Potevi ammazzarmi!» Sbraita, mentre muove le mani a tentoni sull’erba alla ricerca dei suoi occhiali. Quando li trova Kurt sta ancora ridendo ma – ora che può vedere – Blaine constata che di lui ci sono solo le gambe: il resto di Kurt è lungo disteso dietro al tronco sradicato.
«Lo trovi divertente? Potevo morire- »
«Primo: nessuno è mai morto per una culata e tu dovresti saperlo meglio di tutti. Secondo: non ti ho mollato di proposito, deficiente; sono inciampato in questo coso.»
«Quel coso è il tronco di un albero.»
«Grazie, Discovery Channel.» Blaine rotea gli occhi e gattona fino a Kurt, sbirciando oltre il tronco dell’albero. Lui gli sorride.
«Visto, Blaine Anderson? Sei tutto intero.»
«Questa l’ho già sentita. Dai.» Blaine gli allunga la mano e Kurt la prende. Ora sono tutti e due seduti sul tronco dell’albero.
«Ti sei fatto male?» Lo chiede perché Kurt si è appena passato entrambe le mani in faccia come per assicurarsi di non aver perso il naso o gli occhi nella caduta. Non gli risponde per qualche secondo, poi incontra nuovamente il suo sguardo.
«No, sto bene. Stavo solo pensando... C’è una canzone che parla di questo.» Blaine inarca le sopracciglia.
«Una canzone che parla di girare in tondo finché non si cade?» Kurt scuote la testa e si schiarisce brevemente la voce.
 
«We’re just where we’re supposed to be, sitting by a broken tree...»
 
Canticchia sottovoce, battendo le dita a tempo sul tronco dell’albero. Blaine ha ben due motivi che giustificano il suo essere a bocca aperta: il primo è che crede di aver già sentito quella canzone, e il secondo-
«Hai una voce bellissima.»
«Grazie. Sai, se voglio entrare alla NYADA mi serve.»
«Comunque io la conosco quella canzone.» Kurt lo guarda per un attimo. Vorrebbe pensare che è bello, ma “bello” non rende l’idea di come è Kurt in questo momento.
«Davvero? E come inizia?»
«Devo cantarla?»
«No, devi mimarla. Certo che devi cantarla. Dai, io ti vengo dietro.» Blaine non vede che senso abbia protestare, così si schiarisce la voce a sua volta e incomincia.
 
«I’m not yours, and you’re not mine, but we can sit and pass the time, no fighting wars, no ringing chimes, we’re just feeling fine
 
Kurt lo fissa per un momento, sbattendo le palpebre.
«Anche tu canti molto bene, sai? È il mio turno.» Gli dice, e poi canta la seconda strofa lentamente, come una ninnananna.
 
«We’re just where we’re supposed to be, sitting by a broken tree, no tragedy, no poetry, just staring at the sky.»
 
Pronuncia le ultime parole con un piccolo sorriso e intanto fa scivolare lo sguardo verso il cielo, proprio come dice la canzone. Blaine continua.
 
«I could wait a thousand hours, stay the same in sun and showers, pick apart a hundred flowers, just to be quiet
 
Kurt ora sta di nuovo guardando lui. Blaine può sentire distintamente un’altra mina di parole pronta ad esplodergli nel cervello, ma riesce a fermarla, perché Kurt sta per rimettersi a cantare e lui non può perderselo.
 
«Tell me when, you feel ready, I’m the one, there’s not too many, hold my hand, to keep me steady,» smette di tamburellare con le dita sul tronco e prende per un momento la sua mano, proprio come dice la canzone, solo per un attimo prima di finire lentamente la strofa «just to be quiet with you
 
Blaine sa che la canzone continua, ma ha completamente dimenticato il testo. Ha completamente dimenticato ogni cosa perché il suo cervello è appena entrato in modalità “blackout” e non sa nemmeno il motivo.
È solo una canzone, è solo una breve stretta di mano. I “solo” però non reggono mai quando si tratta di Kurt, dovrebbe saperlo ormai. Kurt che adesso gli sta lanciando un’occhiata confusa.
«Lo sai, sei strano stasera.» Gli dice, incrociando le braccia al petto, probabilmente per il freddo.
«No, stavo solo... Pensavo alla canzone.» Kurt lo guarda per qualche secondo prima di parlare.
«È solo una canzone, Blaine.» Gli fa un piccolo sorriso prima di alzarsi in piedi «Dai, vediamo quanti Blaine Anderson servono per montare una tenda.»
«Esiste già una battuta del genere, ma credo che fosse sull’avvitare le lampadine.»
«Grazie, Discovery Channel.»
 

 
 
 

 
 
 
 
Here we are :D!
Come potete perfettamente immaginare, la serata del campeggio non si conclude affatto qui ;) *molteplici winkamenti*. Ora, siccome so che tentare di fare un discorso unico & dotato di senso a questi livelli di sonno estremi è una causa persa in partenza, mi limito ad andare per punti u.u
- Jealous!Blaine è sempre il mio debole. Un po’ come jealous!Kurt, but still.
- La Kurtana friendship è qualcosa che amo scrivere, un po’ come il rapporto tra Wes & Blaine... coming soon altre scene tra di loro *-*
- La Canadese, buon Dio. All’età di dieci anni andai in campeggio sul Lago di Garda con mio padre, ed eravamo in una Canadese risalente all’anteguerra. È piovuto dentro, dico solo questo.
- La canzone. Dunque dunque, si chiama Quiet, mi sono innamorata completamente del testo e la trovo perfetta per i Klaine di questa storia. Tuttavia ascoltando la versione originale sono rimasta un po’ gne. Il mio amore invece è totale ed incondizionato nei confronti di questa cover: https://www.youtube.com/watch?v=TSiErJLMZ7Q
Nella mia testa, Kurt e Blaine hanno cantato questa versione u.u Qui il testo, per chi avesse voglia di darci un’occhiata ;) --> http://www.lyricsbay.com/quiet_lyrics-lights.html
- Grazie, Discovery Channel <3

...Okay, le note fondamentali dovrebbero esserci tutte. Direi che posso correre a legare la mia amica ad una sedia e costringerla a guardare amorevolmente Sherlock con una mia amica ^-^ Un GRAZIE gigante e ciccione a chiunque sia arrivato fin qui, e naturalmente a chi avrà voglia di commentare *-* Alla prossima settimana, klisses ♥
 
Chi lo avrebbe mai detto? Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Bunker sotterraneo, giorno due, ore 16:57
Ebbene sì, nonostante questo sia il secondo giorno che trascorro senza connessione internet sono viva, più o meno. Non so quanto potrò ancora resistere in questa condizione, ma tant’è. Come ho già spiegato stamattina in pagina, a quanto pare l’esondazione di un fiume di Parma ha sommerso una centralina Tim. Il mio telefono è Tim, la mia chiavetta internet è Tim, non ho il wifi. Vi lascio immaginare il mio estremo e totalizzante desiderio di morte. Fatto sta che a Bologna – dove faccio l’università – Tim funziona, così ho potuto spiegarvi su Facebook il motivo del ritardo di pubblicazione, che come sapete era prevista per ieri sera. Tuttavia oggi, per voi e solo per voi *faccia ammiccante da pubblicità*, sono andata nel comune della mia città e mi sono fatta fare una tessera di accesso a internet di tre ore per sfruttare l’orribile wifi presente in tre parchi in croce di Reggio Emilia, ed è proprio grazie a lei che ora riesco a pubblicare. Tutto questo lunghissimo discorso per spiegare il perché del ritardo a chi non segue la mia pagina e per spedire una pacca sulle spalle virtuale a tutti gli emiliani nelle mie stesse, precarie condizioni. Per quanto riguarda le recensioni, risponderò nelle prossime mattine in cui sarò a Bologna ♥
Dopo questa luuunga premessa mi levo definitivamente dalle scatole e vi lascio al nuovo capitolo, rimandandovi come sempre in fondo per le note. Klisses ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo IX
 

Impiegano una ventina di minuti a montare la tenda: ciò è dovuto principalmente al buio circostante che li ha costretti a muoversi armati di piccole torce, perché per il resto Blaine se l’è cavata molto più agevolmente di quanto Kurt non si aspettasse.
Quando la tenda è finalmente in piedi fanno ritorno al tronco dove erano inciampati prima, ma questa volta si siedono un po’ più vicini. Quando si sono sistemati Kurt rimane in silenzio per qualche secondo, solo quelli che gli sono necessari a cogliere alcune piccole cose di Blaine; una di esse è il fatto che i suoi occhi sembrano grandi pozzi neri con quel buio, e poi luccicano, proprio come fa l’acqua dei pozzi quando la luce della luna ci si tuffa dentro. Un’altra cosa che nota è che è davvero carino stasera. Lo è sempre se deve essere onesto, ma ora-
 
«Visto che so montarla una tenda?» Kurt torna bruscamente alla realtà e si sforza di ricambiare il sorriso che gli è appena stato rivolto. Non è così semplice come si potrebbe pensare, non mentre la sua testa continua ad essere bombardata da flash più o meno vividi del litigio di quel pomeriggio.
La sua reazione standard a una cosa del genere sarebbe stata una nottata passata a bere con Santana e invece è lì, nel bel mezzo del nulla a congelarsi con Blaine Anderson. Blaine Anderson che era stato tra le ragioni del litigio, tra l’altro; non che abbia intenzione di dirglielo.
«Ti faccio i miei complimenti. Anzi, credo che dovremmo festeggiare.» Gli dice e intanto si piega a tirare la zip dello zainetto che ha portato con sé. Per prima cosa estrae uno di quei teli in microfibra che occupano meno spazio di un fazzoletto da naso e lo dispiega sulle gambe di entrambi, poi raspa tra pigiama e spazzolino da denti finché non trova quello che cerca. Blaine fissa ciò che ha in mano ad occhi spalancati.
 
«Kurt... No. Metti subito via quella cosa.» Kurt inarca le sopracciglia.
«Questa cosa, Blaine Anderson, si chiama lattina di birra. Hai appena perso il tuo titolo di Discovery Channel onorario.» Blaine continua a fissare la lattina come se stesse brandendo una granata.
«No. Non berrai quella cosa- »
«Lattina di birra.»
«Quello che è. Non voglio che ti ubriachi di nuovo.» Kurt aggrotta la fronte.
«Ripeto: questa è una lattina di birra. Nessuno si ubriaca con una lattina di birra. Ne ho un’altra qui con me ma se può farti sentire più tranquillo ne possiamo bere una in due, tanto per scaldarci un po’ visto che sto congelando.» Blaine gli lancia quella che ha tutta l’aria di essere un’occhiata sospettosa; lo fa sembrare stupidamente carino, con quegli occhiali che gli scivolano continuamente sul naso, quella sua gentilezza e- Blaine. È Blaine nella sua interezza il vero problema.
«Io mi sono ubriacato con una birra.»
«Il tuo amico ci ha messo dentro ben altro, credimi. E comunque è solo mezza birra.» Precisa, mentre un breve sibilo annuncia che la lattina è appena stata aperta. Kurt la solleva leggermente verso Blaine.
«Alle tende.» Prende un sorso e gliela passa. Blaine sembra indeciso per un attimo, ma poi alza il braccio a sua volta.
«Ai campeggi di metà novembre.» Ne beve il minimo sindacale e poi torna a darla a Kurt, che non si fa sfuggire il goffo modo in cui cerca di non dare a vedere che la birra gli fa veramente schifo. Sorride, scuotendo leggermente la testa.
 
«D’accordo, Blaine Anderson. Cosa ti va di fare?» Blaine gli fa uno di quei mezzi sorrisi. Kurt ha imparato a riconoscerli: piega un po’ la testa di lato, gli occhiali gli scivolano leggermente da una parte e gli si forma una piccola ruga ad un angolo della bocca.
«Obbligo o verità?»
«Mm, mi piace questa audacia. Verità.» Il sorrisetto è ancora lì.
«Però è vietato dire passo.» Oh. Piuttosto bruttina come regola, anche perché possono venirgli in mente a bruciapelo almeno due o tre dozzine di domande alle quali non potrebbe mai e poi mai rispondere. Poi si rende conto che si sta comportando come un idiota perché Dio, è Blaine quello che ha paura di obbligo o verità.
«Niente passo, okay. Ora chiedi.» Blaine si stringe la coperta in grembo: probabilmente ha freddo anche lui. Le loro ginocchia si toccano di tanto in tanto, quando fa ciondolare la sua gamba con oscillazioni un po’ più ampie.
«Vediamo... Dicevi sul serio quando mi hai scritto che forse non andrai a New York?» Beh, questa se la aspettava. Spiega a Blaine che in realtà è difficile che i suoi piani in merito saltino ma che sul momento si era preso un bello spavento, cosa che aveva causato in buona parte della famigerata sbronza di qualche giorno prima. Blaine sceglie verità.
 
«La cosa più imbarazzante che ho detto la sera in cui mi sei venuto a prendere al Lima Bean.» Lui abbassa lo sguardo e lo tiene fisso nel punto in cui le loro ginocchia si stanno toccando. È già qualche minuto che nessuno dei due le sposta da lì.
«Mi hai raccontato una storia dalla trama orribile su di te, su di me e sulla tua insegnante di recitazione. È stato abbastanza imbarazzante.» Gli sta mentendo. È così palese che non riesce neanche ad irritarsi.
«Non me lo vuoi proprio dire, eh Blaine?» Lui sorride un pochino, ancora senza guardarlo. Kurt piega la testa, cercando inutilmente di incontrare i suoi occhi che continuano a sfuggirgli. «Che cos’hai adesso?» Il ginocchio di Blaine preme più forte contro al suo.
«No, non voglio dirtelo. Però quella storia orribile me l’hai raccontata sul serio. Ho che di solito mi chiami con nome e cognome: quando mi chiami solo Blaine è... non lo so.»
Kurt sta vivendo uno di quei momenti in cui immagina che la sua vita sarebbe un’infinità di volte più semplice se Blaine non se ne uscisse ogni tanto con frasi del genere. Decide deliberatamente di non pensarci.
 
«È il mio turno. Verità.» Sembra entusiasta della sua scelta.
«Bene. Come va con il tuo ragazzo?»
«Sei proprio fissato, eh?» Blaine gli prende la lattina di birra dalle mani e ne beve un sorso.
«Non sono... fissato. Sei tu che non mi rispondi.» Kurt prende un profondo respiro. Sa che non è colpa di Blaine, ma i ricordi di quel pomeriggio lo hanno appena travolto come un treno in corsa e per quanto ci provi non è capace a stamparsi in faccia un sorriso o anche solo qualcosa che ci assomigli, non gli riesce proprio.
«Okay. Dato che non esiste il passo... Ci siamo visti oggi pomeriggio per chiarire una litigata.»
«E...?»
«E abbiamo litigato di nuovo.»
«Mi dispiace.» Dispiace anche a lui, in effetti. Per riprendere la sua discutibile metafora sul terremoto, Tom era stato un po’ come il suo muro portante per molto tempo, ma ultimamente è solo una delle scosse; una di quelle più forti, a dirla tutta. Prende la birra da Blaine e ne beve un goccio.
 
«Sta andando tutto a pezzi, Blaine Anderson.» Blaine ora lo sta guardando in faccia.
«Con Tom, dici?»
«In generale. Io e te siamo qui a congelarci il sedere su questo coso e intanto tutto il mondo va a pezzi.» Blaine tace per un attimo e poi arriccia le labbra.
«Questo coso è sempre il tronco di un albero.»
«Te l’ho già spiegato: non sei più Discovery Channel. Obbligo o verità?» Blaine si fa un po’ più vicino, ora anche le loro spalle si toccano.
«Obbligo.»
«Mm... Togliti gli occhiali e dalli a me.» Blaine inarca le sopracciglia.
«Perché?» Chiede cautamente, mentre glieli allunga. Kurt li prende e se li infila.
«Solo curiosità... Dio, non vedi proprio un accidente! Scelgo obbligo anche io.»
«Componi una poesia estemporanea che descriva questa serata.» Kurt si volta lentamente verso di lui e – mentre torna a cedergli gli occhiali – ne approfitta anche per sfoderare la migliore delle sue espressioni perplesse.
«Sei serio?»
«Certo. Ti aiuto: le rose sono rosse, le viole sono blu...»
«Gran bell’aiuto. Dunque... Le rose sono rosse, le viole sono blu, ho il sedere è congelato e non me lo sento più.» Blaine sembra soddisfatto.
«Sai, hai talento.»
«Se faccio del sarcasmo io è carino, se lo fai tu non vale, scrittore.» Chiarisce, e a poco valgono i tentativi di Blaine di fargli credere che non era affatto sarcastico.
 
A quel punto però inizia seriamente a fare troppo freddo e strani insetti non meglio identificati cominciano a fare strani rumori per nulla rassicuranti. Così decidono di entrare nella tenda; accendono una discreta quantità di torce, si avvolgono in una discreta quantità di coperte – il borsone di Blaine ne conteneva talmente tante che sembrava pensato per una sorte di missione umanitaria – e finiscono la loro birra tra una domanda e l’altra, finché non è quasi l’una di notte.
Kurt ora sa che il giorno più felice dell’infanzia di Blaine è stato quando gli hanno regalato una di quelle macchine da scrivere vecchissime che vedeva sempre nella vetrina di un negozio vicino a casa sua; ha anche avuto la conferma che Blaine è davvero bravo a scrivere: gli ha finalmente fatto leggere il prologo della storia a cui sta lavorando; sa inoltre che può stare in apnea per non più di quaranta secondi – hanno cronometrato – e sa di non riuscire ad immaginare se stesso in una situazione migliore di quella, a gelare in una tenda in mezzo al nulla con Blaine Anderson. Ed è quasi riuscito a smettere di pensare alla litigata di quel pomeriggio, quasi.
 
«Okay, un’ultima domanda a testa e poi si dorme. Obbligo o verità?» Blaine è seduto a gambe incrociate proprio davanti a lui, in quella minuscola tenda verde marcio. È adorabile, lo è davvero.
«Verità.» Kurt sorride, perché un po’ sperava in quella risposta. Si avvolge più strettamente in una delle duemila coperte in cui è immerso e fa la domanda che lo incuriosisce di più.
«Bene, Blaine Anderson. Hai una passione disumana per la scrittura, questo l’ho capito. Mi hai detto anche di essere un tipo abbastanza solitario, che ti sei voluto prendere un anno per concentrarti solo sullo scrivere prima di pensare al college e che i tuoi genitori non ci sono mai per te. Quindi mi chiedevo... In mezzo a tutto questo, tra una cosa e l’altra, ti sei mai innamorato?»
Blaine lo guarda per un momento, piegando la testa da un lato. Non è la prima volta che gli ricorda il cane di sua zia, il che comincia ad essere inquietante.
«Parli come se tutte le cose che hai detto avessero una correlazione tra di loro.»
«Stavo solo... Non importa, riformulo: sei mai stato innamorato?» Incontra direttamente i suoi occhi – Kurt appura che quelli di Blaine non sono più neri, con tutte queste torce – e apre la bocca, poi la richiude. Ora si sta guardando con insistenza le mani.
 
«Diciamo di sì. Obbligo o verità?» Kurt spalanca gli occhi, incrociando le braccia al petto.
«“Diciamo di sì, obbligo o verità”? Seriamente? Non mi dici nient’altro?»
«Mi hai fatto una domanda e io ti ho risposto, tutto qui.» Kurt si sente un po’ in imbarazzo, ma sente il bisogno di chiederglielo.
«È perché lui non ricambiava?»
«Kurt. Obbligo o verità?» Okay, ha capito l’antifona.
«Verità. Giocatela bene perché è l’ultima domanda.» Blaine ci pensa un po’ su e intanto distrugge ciò che è rimasto della loro lattina di birra, stritolandola tra le mani. Alla fine alza timidamente gli occhi verso di lui. Kurt ha la spiacevole sensazione di essere una di quelle lucine laser che ti accecano se guardate direttamente.
«Credi di potercela fare entro l’alba? Domani prima di pranzo devo vedermi con Rachel per ripassare il copione- »
«Okay, senti: stavo cercando un modo meno diretto per chiederlo ma mi sono reso conto che non esiste. Prometti che non ti arrabbierai?» Kurt alza scherzosamente gli occhi al cielo: Blaine deve fare davvero qualcosa per la sua paura di obbligo o verità, insomma, è solo un gioco.
«Promesso. Ora muoviti.» Blaine lo guarda negli occhi fino a un momento prima di parlare – a quanto pare non è più un laser – poi li abbassa strategicamente sulla coperta – lo è di nuovo.
«Sei... Uhm, sei vergine?»
Può fisicamente sentire la mascella che gli cala rovinosamente verso il basso. No, non ha davvero sentito quelle parole uscire dalla bocca di Blaine. Non è successo davvero. Non è assolutamente possibile che-
 
«Cosa?!»
«Ti ho chiesto se- »
«Ho capito che cosa mi hai chiesto!»
Nello stesso momento in cui viene preso dall’impulso di urlare si rende conto che non può farlo, non in una Canadese verde marcio e non per qualcosa del genere. Respiri profondi: è questa la chiave, giusto?
«Mi dispiace.» Altro respiro profondo.
«Perché questa domanda?» Blaine sembra incerto, ma alla fine si decide a parlare.
«Perché tu... Quando eri ubriaco hai detto, insomma, mi hai detto di esserlo.»
Kurt sbatte ripetutamente le ciglia, incredulo. Wow, ottima idea quella di chiamare Blaine da ubriaco, ottima davvero. Chiude per un attimo gli occhi alla ricerca di qualcosa di appropriato da dire.
«Okay, uhm. Diciamo che non mi va molto di parlarne.» Blaine annuisce in fretta.
«Va bene, scusa.»
«Penso sia meglio se iniziamo a prepararci per dormire.»
«Giusto.» Kurt non può fare a meno di chiedersi la ragione per cui gli abbia chiesto qualcosa del genere. O almeno è una cosa che vorrebbe fare, ma poi si ricorda che rientra nel genere di pensieri che deve sforzarsi di tenere lontano dal suo cervello.  
«Vuoi... Puoi aspettare fuori cinque minuti mentre mi metto il pigiama? Poi ci scambiamo.» Blaine si alza in tutta fretta, dimenticando che la tenda non è più alta di un metro e finendo così per urtare con la testa il fragile scheletro di metallo che avevano montato al buio.
«Sì, sì. Io intanto faccio la pipì e, uhm.» Kurt si morde le labbra per non sorridere. «Cerco anche lo spazzolino da denti, ne ho preso uno anche per te nel caso che- sì. E naturalmente ho delle bottigliette d’acqua perché qui non ci sono molti lavandini. Okay, smetto di parlare.» Cerca di uscire il più velocemente possibile, ottenendo come unico risultato quello di inciampare tra le coperte, rischiando tra l’altro di far seriamente cappottare la tenda. Kurt non riesce più ad evitare di ridere.
«Non devi essere in imbarazzo, Blaine Anderson. Va tutto bene.» Prima di strisciare definitivamente fuori di lì Blaine gli lancia una breve occhiata speranzosa. Questo prima di ricordarsi di non poterlo guardare negli occhi – è di nuovo una lucina laser – cosa che gli fa deviare lo sguardo verso i resti della lattina di birra.
«Davvero?»
«Davvero. Ora vai a liberare la tua vescica.»
 
 
*
 
 
Così Blaine va a liberare la sua vescica, sentendosi l’idiota peggiore della storia. Potrebbe scrivere un’autobiografia con un titolo del genere e di sicuro venderebbe molto di più di mille Mone messe insieme nel più meraviglioso romanzo mai scritto.
Come ha potuto uscirsene con una domanda del genere, e a che scopo poi? Se anche Kurt gli avesse detto di sì – cosa altamente improbabile dato che aveva un fidanzato da quanto, tre anni? – che cosa avrebbe ottenuto? Okay, magari si sarebbe sentito meno da schifo sapendo che quantomeno quel tizio non gli aveva messo le mani addosso e magari avrebbe potuto smettere di pensarci ogni volta che lo guardava – il suo ragazzo l’ha toccato lì, lì e anche lì e io no.
Ma qual è la differenza, alla fine? Anche ammesso che Kurt abbia stipulato uno di quegli strambi patti di castità fino al matrimonio questo non cambia ciò che c’è tra lui e quel Tom. Semplicemente avrebbe dovuto mettersi a pensare che il suo ragazzo lo tocca lì, lì e anche lì solo in riferimento alla componente sentimentale, quindi metaforicamente ai veri punti del suo cuore anziché del suo corpo.
 
Ora che ci pensa riesce ad essere quasi peggio; perché non riesce a smettere di rimuginarci e di camminare avanti e indietro come un povero idiota? Blaine si obbliga a fermarsi, un po’ perché di questo passo scaverà un fossato attorno alla tenda, un po’ perché ha appena sentito un rumore provenire dallo zainetto di Kurt. Si accovaccia di fianco a quest’ultimo e lo apre, accorgendosi subito dello schermo del cellulare illuminato. Lo prende in mano con l’intento di darlo al legittimo proprietario non appena gli darà il via libera di entrare, ma poi lo legge. Lì, gigantesco come sempre, a caratteri cubitali; un incubo fatto di pixel: Tom.
Nel momento stesso in cui il suo cervello dà un senso e un’identità a quella breve successione di lettere sente montare una rabbia che non ricorda di aver mai provato, o almeno non di recente.
 
Non sa perché si sente in questo modo: non ha alcun diritto di arrabbiarsi se il ragazzo di Kurt gli manda il messaggio della buonanotte o qualunque stronzata contenga, eppure si arrabbia lo stesso; così non pensa. Fa irruzione nella tenda con la stessa rapidità con cui ne è uscito qualche minuto prima, brandendo il cellulare di Kurt. Sta per dirgli qualcosa del tipo “Il tuo ragazzo, che non sono io, ti vuole dare la buonanotte” o “Hai ricevuto un messaggio dal ragazzo con cui stai insieme da tre anni, e indovina? Non sono io” ma poi si blocca. Si blocca così, come un povero ebete, in ginocchio all’ingresso della sua stupida Canadese con il cellulare di Kurt in mano. Non può fare niente per fermare la mina che gli è appena esplosa in testa, non stavolta.
 
Rimasi perfettamente immobile. Non mi azzardavo a dire una parola, non mi azzardavo nemmeno a respirare. Sapevo che non avrei assolutamente dovuto essere lì, che lui non mi avrebbe voluto lì. Non avrei dovuto, non avrei dovuto davvero, ma non potei fare niente per fermare i miei occhi. La trovarono subito, ancora prima che io stesso capissi di cosa si trattava. La vidi e basta: dalla clavicola destra scendeva in una diagonale praticamente perfetta fino all’altezza del cuore; bianca, leggermente in rilievo. Una cicatrice, una singola striscia di pelle che mi chiarì mille domande in una volta: il suo rifiuto di togliersi la maglietta, le mani premute proprio lì, come se cercasse di tenersi insieme, di non aprirsi in due. La sua felpa era abbandonata sulle coperte, la maglietta arricciata attorno al collo. Presto l’avrebbe tolta e mi avrebbe visto lì, immobile. Non avevo più muscoli, non avevo più ossa, tendini o pelle; ero fatto di pietra.
 
«Esci di qui.» Realtà. Perché non è capace di rimanere connesso a ciò che succede senza andare alla deriva?
Blaine lo guarda: è senza maglietta, ha gli occhi spalancati e lucidi e sta premendo una coperta su quella diagonale bianchissima al centro del suo petto. Non ha mai visto Kurt spaventato; non è questa la versione di se stesso che ha scelto di mostrargli. Perché Blaine lo sa, sa cosa intendeva Kurt quella sera quando diceva di non essere una persona sola.
«Io... Tom ti ha scritto un messaggio e- » Gli allunga goffamente il telefono, ma Kurt non lo prende. Non si muove neanche, è pietrificato a guardarlo. Vorrebbe dirgli che ha ragione, che va bene sentirsi così. Ma che può essere una persona sola, può esserlo con lui.
 
«Ti ho detto di uscire di qui.»
«Non l’ho fatto apposta. Il cellulare ha suonato e ho pensato che lo volessi subito.»
«Ti avevo chiesto cinque minuti, okay? Cinque minuti! Morivi ad aspettare cinque minuti?» Glielo ha urlato contro. Kurt non gli aveva mai urlato contro prima.
Blaine si fa istintivamente più indietro, perché ora sono in due ad essere spaventati. E si è appena reso conto che forse anche lui non era sempre stato una persona sola con Kurt ma la verità è che non può mai esserlo del tutto, perché lo ama. Non può amarlo, fingere di non amarlo e al contempo dire di essere se stesso. Non è se stesso, non è mai se stesso e in più ha fatto un disastro; è un disastro.
«Pensavo che volessi sapere subito che cosa ti aveva scritto il tuo ragazzo.» Improvvisa, perché è spaventato ed è anche arrabbiato, non è nemmeno più sicuro di sapere né con chi né per quale delle mille ragioni che avrebbe.
«Cosa- »
«State insieme da tanti anni: vi amate tanto, voi due. Magari volevi sapere subito che cosa ha da dirti.» Sbotta, alzando a sua volta la voce. Kurt lo sta guardando con occhi talmente spalancati che Blaine non si stupirebbe di vederli cadere sulla coperta.
«Tu- cosa? Che cosa c’entra?»
«Dimmelo tu che cosa c’entra! Dici che avete dei problemi e che avete litigato e poi ti arriva questo messaggio all’una di notte.» Kurt ha un’aria a metà tra l’incredulo e lo sconvolto.
«Ma che cos’hai nel cervello? Lo capisci che sto cercando di non dare di matto perché hai visto quello che hai visto? E tu ti incazzi e mi urli addosso per un sms?»
«Non... Non mi sto incazzando.»
«Allora smetti di fare la fidanzata gelosa e vai fuori da questa cazzo di tenda!»
Se prima Blaine aveva creduto che Kurt stesse urlando era solo perché non aveva ancora sentito questo. In condizioni normali si sarebbe preoccupato per l’incolumità dei suoi timpani ma questa è tutt’altro che una situazione normale.
 
«Non sono geloso proprio di niente.»
«E allora smettila di fare il coglione e esci di qui.» Blaine vorrebbe urlargli che non sta facendo il coglione ma non è affatto un bravo bugiardo; la verità è che ha avuto paura, che si è sentito un verme per essere comparso dal nulla e aver visto a tradimento qualcosa che Kurt si preoccupa così tanto di nascondere. E poi è geloso, geloso in un modo completamente patetico. Sa che dovrebbe provare a rimediare, perché magari a Kurt sarebbe bastato essere rassicurato un po’ anziché aggredito in quel modo- non riesce nemmeno a credere di aver davvero reagito così.
«Io- scusa, per tutto. Mi dispiace.»
«Sì, fai bene a dispiacerti. Adesso ti prego, lasciami da solo cinque fottuti minuti.»
«Se ti va possiamo parlarne- » Kurt chiude gli occhi e prende un respiro tremolante, come se stesse per piangere. O se cercasse di trattenersi dal dargli un pugno.
«Cinque. Minuti.» Blaine esce, cercando in tutti i modi di non mettersi a piangere come un idiota.
 
 
*
 
 
Kurt controlla di nuovo l’ora: sono le quattro e dodici minuti e non ha ancora chiuso occhio. Non riesce nemmeno a credere che sia successo. Prima chiama Blaine da ubriaco, poi per poco non dà di matto per una stupida domanda di obbligo o verità e adesso lui ha addirittura visto... quella.
Alla fine è andata davvero come temeva: è crollato tutto; il suo stupido, finto mondo ora è solo un mucchietto di schegge che non possono più essere incollate insieme. Alle quattro e dodici minuti di domenica mattina, in una minuscola Canadese sita in mezzo al nulla Kurt ne ha l’assoluta certezza: è finita. Il se stesso che ha costruito con così tanto impegno non c’è più, è andato, perché adesso Blaine sa tutto. Adesso non è più mille persone alla volta, non è più diviso in mille pezzi. È una persona sola. È una stupida, difettosa e non-più-affascinante persona sola, con Blaine.
 
Kurt sta pensando a tutte queste cose quando sente una sorta di singhiozzo soffocato provenire dalla sua destra; si volta in automatico, ma naturalmente non serve a niente data la completa oscurità che lo avvolge. Per un momento crede di esserselo immaginato, ma poi ne sente un altro e a meno che gli schifosissimi insetti là fuori non si siano improvvisamente commossi per qualcosa può esserci solo una spiegazione logica.
«Blaine?» È solo un sussurro, ma essere immersi nel bel mezzo del nulla si rivela abbastanza favorevole alla sua causa di farsi sentire chiaramente. Non ottiene comunque nessuna risposta.
«Ehi. Sei sveglio?» Un altro piccolo singhiozzo.
«Sì.» Mormora Blaine, muovendosi leggermente sotto le coperte come a voler dare prova concreta della sua risposta affermativa. «Scusa.»
Lo dice con appena un filo di voce: sembra così affranto che Kurt non si sforza nemmeno di trattenere un piccolo sorriso e non si sente minimamente in colpa mentre si gira su un fianco e allunga le mani verso di lui.
Blaine sussulta appena quando Kurt trova prima i suoi capelli e poi la sua schiena. La prima cosa che Kurt nota – a parte la morbidezza dei suoi ricci – è che sta tremando, e non può davvero farci niente: si sposta un altro po’ verso di lui finché non sente la sua schiena contro al petto, poi gli circonda la vita con un braccio. Lo sente fremere, scosso da piccoli brividi: non dice niente, ma sembra che stia trattenendo il respiro.
 
«La smetti di piangere, Blaine Anderson?» Apparentemente Blaine ha ripreso a respirare, o almeno così sembra dal movimento della sua schiena che gli si è appena inarcata leggermente contro al petto.
«Mi dispiace.» Gli passa la mano libera tra i capelli, sperando di rassicurarlo almeno un po’. L’ultima volta che lo ha toccato in quel modo era appena svenuto ai suoi piedi dopo una corsa; non sa nemmeno perché ci sta pensando.
«Sì, lo so. Non pensiamoci più.» Blaine reprime un altro singhiozzo, Kurt può sentirlo perfettamente perché beh, ha il petto incollato alla sua schiena.
«Non dovresti essere tu a consolare me.»
«E tu non saresti dovuto entrare prima di cinque minuti, ma a quanto pare è la serata dei contrari.» Blaine non dice niente e anzi, è rigido come un pezzo di legno. Kurt si irrigidisce a sua volta perché a un tratto si sente molto, molto stupido. «Vuoi... Ti sto mettendo a disagio?»
Si sente un idiota perché in effetti avrebbe dovuto tenere in considerazione qualcosa del genere, ma era stato più forte di lui: lo aveva sentito lì che tremava e piangeva e come poteva fare qualcosa di diverso dall’abbracciarlo? Fa per allontanarsi ma Blaine lo trattiene per un polso.
 
«Non mi metti a disagio. È solo... Scusa.»
«Basta scusarti. È tutto a posto.»
«Non è vero.» Kurt sbuffa e gli si stringe ancora più vicino.
«Se fossi arrabbiato non ti abbraccerei.»
«E perché mi abbracci?» Kurt rotea gli occhi, con un piccolo sorriso.
«Mm, vediamo. Perché non ho un vero motivo per essere arrabbiato, perché non voglio più sentirti piangere e perché ti voglio bene.» Blaine adesso respira di nuovo normalmente a giudicare dai movimenti della sua schiena: ha smesso di piangere, se non altro. Resta in silenzio per un po’.
«Comunque non dovresti vergognartene.»
«Non mi vergogno, è solo che non mi va che gli altri la vedano... Okay, forse mi vergogno.» Ammette. Più che altro odia il fatto di trovarsela sempre lì a ricordargli come se l’è fatta e non vuole farla vedere a nessuno perché beh, non l’ha mai fatta vedere a nessuno. Fino ad ora, almeno.
«Sai, non devi. Non si nota neanche, e comunque anche se si vedesse di più non è la prima cosa che uno... che uno noterebbe.» Kurt si fa girare uno dei suoi ricci attorno a un dito, con una piccola risata.
«Stai cercando di farmi un complimento?»
«Più o meno. Uhm, ti va di parlarne?»
«Della cicatrice o del complimento?»
«Kurt.» Sorride e gli accarezza per un attimo il fianco mentre ritira il braccio. Si allontana da lui e torna a sdraiarsi al suo posto perché stare così iniziava ad essere strano, lui iniziava a sentirsi strano e ci sono già state abbastanza stranezze per una sola notte.
 
«Okay, okay. Ne parliamo un’altra volta, però. Adesso dormi.» Gli dice, mentre si avvolge di nuovo nel suo bozzolo di coperte. Ed è incredibile accorgersi che il sorriso idiota che aveva improvvisato per rassicurare Blaine non ha la minima intenzione di lasciare le sue labbra, almeno non per ora.
È andato tutto in pezzi, è vero; era già un po’ che aveva la sensazione che stesse per succedere. Credeva che ne sarebbe stato distrutto, invece forse una parte di lui lo aspettava, quel momento. La stessa parte che magari aspettava la persona che lo rendesse possibile.
«Kurt?»
«Mm?»
«Anch’io ti voglio bene.»
 

 
 
 

 
 
 
 
*momento di pausa utile ad iniettarsi una dose di insulina sufficiente a non morire per il troppo fluff*
Bene, direi che ora posso cominciare con le note. Anche stavolta procedo per punti because of pura e semplice pigrizia u.u
- Minuto di silenzio per Blaine che perde il suo titolo onorario di Discovery Channel.
- Kurt more like “ignoriamo bellamente la necessità di saltare addosso a Blaine”. Questo capitolo pullula di tali momenti.
- Il fluff. La violenza del fluff. L’imporsi del fluff. Fluff. F l u f f. Okay, la smetto u.u
In realtà ho scritto cose a caso perché non ho particolari note da fare, nonostante si tratti di un capitolo piuttosto denso di novità e di FLUFF. Non vedo l’ora di leggere le vostre opinioni *-*! Prima di smaterializzarmi come una rete Tim qualsiasi ci tengo a ringraziare con tutto il cuore le supermegafoxyawesomehot ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: appena possibile risponderò a tutte ;-;! Grazie anche a chi mette tra seguite, preferite o ricordate questa storia, e a tutti gli avventurosi che sono arrivati a leggere fino a qui. Vi inondo di klisses e vi do appuntamento a lunedì prossimo, possibilmente con una rete funzionante ♥
 
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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Buon lunedì sera a tutti :)!
Superata la piccola crisi della scorsa settimana posso finalmente ritornare con il consueto aggiornamento del lunedì, nella (vana) speranza di rendervi un po’ meno insopportabile il giorno della settimana più odiato di sempre. Prima di lasciarvi al decimo aggiornamento – siamo esattamente a metà storia, yay! – ne approfitto per ringraziarvi infinitamente delle recensioni, o anche solo per leggere questa storia. Grazie davvero.
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo X
 
 
«Mi manca. Mi manca ogni sera il tocco delle tue labbra, mi manca il loro sapore. E poi ti bacio.» Kurt annuisce e volta pagina.
«Io mi tiro indietro e ti guardo sconvolto. Un bacio? Per te un bacio non è niente, non è così? Non capisci quanto tempo ho sprecato provando a dimenticarti? Okay Rachel, ora guardami in faccia e dimmi che questo copione non fa schifo.»
Rachel fa capolino da dietro al plico di fogli scritti fronte e retro che ha in mano, arricciando le labbra.
«La mia integrità artistica mi impedisce di darti torto. È orribile.»
Kurt sorride: Rachel non può fare a meno di ragionare in base a cose come l’integrità artistica, o la sua futura reputazione da performer. Se esiste qualcuno nato apposta per una carriera specifica, quella è Rachel Berry.
«Non sarebbe stato meglio farci recitare qualcosa di... non so, non scritto da lei? Vuoi una tazza di caffè?»
«È sulla sessantina e insegna recitazione a un branco di incapaci, fatta eccezione per noi due. Avrà bisogno di un qualche sfogo artistico.» Ipotizza Rachel, risistemando il suo copione nella borsa. «No, grazie. È quasi ora di pranzo.» Kurt alza le spalle e va in cucina, determinato a riempire la sua tazza fino all’orlo: è l’unico modo se hai passato una notte insonne in una canadese verde marcio e non vuoi svenire di fronte alla tua futura coinquilina. Futura coinquilina che lo segue fin davanti ai fornelli e che cerca maldestramente di reprimere un sorriso mentre lo fissa, tenendo stretta con una mano la sua tracolla già appesa alla spalla. Kurt inarca le sopracciglia, con il viso mezzo nascosto nella sua tazza della colazione.
 
«Che succede, Rachel?» Ora sta sorridendo apertamente; si augura con tutto il cuore che sia un buon segno.
«Niente, Kurt. Sono solo felice che le cose stiano tornando come una volta. Ti confesso che ho davvero avuto paura che avessi cambiato idea sulla NYADA e non ti stessi più impegnando, ecco, di proposito.» Gli dice, avvicinandosi al bancone della cucina e appoggiandoci sopra entrambe le mani, con quel suo immancabile fare teatrale.
«Ma sai, in fondo sapevo che non era così. È sempre stato il nostro sogno e so che anche per te è importantissimo. Hai avuto un periodo negativo, può succedere: capisco che non sia facile gestire una relazione a distanza e che tu e Tom abbiate avuto molto di cui parlare ultimamente, ma vedrai che tutto si aggiusterà, Kurt. Te lo prometto.»
Rachel è talmente energica e sicura di sé che per poco non ci crede anche lui. Per poco non crede che lui e Tom abbiano effettivamente affrontato l’argomento e arriva quasi a pensare che sì, in fondo tutto si aggiusterà. Ciò che Rachel non sa è che quello non è il momento di aggiustare, è il momento di rompere, è il momento di lasciare che le cose che devono andare in pezzi lo facciano e basta.
 
«Grazie, Rachel.» Allarga le braccia perché sa che è una di quelle occasioni in cui lei non può fare a meno di stritolarlo. Infatti lo fa: Kurt ricambia la sua stretta con un braccio, attento a reggere la tazza di caffè a debita distanza con la mano libera. Rachel si separa da lui dopo qualche secondo, regalandogli un ultimo sorrisone.
«Okay, sentivo proprio il bisogno di dirtelo. Ora io vado, ma ricordati di chiamarmi se trovi un altro appartamento che potremmo affittare.»
«Mio padre me ne fa vedere almeno due ogni sera: ti terrò aggiornata.» Rachel annuisce e – dopo averlo salutato di nuovo – si avvia a grandi passi verso la porta d’ingresso.
Kurt finisce con calma il suo caffè; un po’ perché ne ha davvero bisogno, un po’ perché deve essere certo che Rachel sia molto, molto lontana da lì prima di poter chiamare Santana. Un altro degli equilibri che aveva dovuto mantenere in quegli anni era quello tra le sue due migliori amiche; Santana non gli avrebbe mai perdonato un’amicizia con Rachel e viceversa. Sotto questo punto di vista in effetti non è così sicuro di voler mandare tutto a monte: a distanza di anni deve ancora decidere chi delle due sia più pericolosa.
Appoggia la sua tazza vuota nel lavandino ed estrae il cellulare dalla tasca dei pantaloni: ha ancora un mese e mezzo per aggiustare le cose e andarsene da Lima senza più stupidissimi segreti, il tempo non gli manca e con un po’ di coraggio può fare anche questo. Compone il numero di Santana; stranamente risponde quasi subito.
 
«Hai rotto le palle con queste telefonate, Hummel.»
«Buongiorno anche a te, Santana. È sempre bello sentirti.» La sente sbuffare, oltre che spostare una grande quantità di oggetti particolarmente pesanti a giudicare dal rumore e dai suoi respiri affaticati. «È un brutto momento?»
«Lo è sempre quando mi chiami tu. Quindi, che cosa devi dirmi?»
«Volevo chiederti se stasera hai da fare.» Rumore assordante di qualcosa che va in mille pezzi seguito da una sfilza di imprecazioni in una lingua ignota.
«Santana?»
«Se questi dannati scatoloni la finiscono di moltiplicarsi magari entro sera mi libero.»
«Stai portando via degli scatoloni?» Santana impreca nuovamente.
«Aiuto mia madre a trasferirli dal garage al solaio, perché crede che in garage ci siano dei topi e non vuole cacca di topo sui suoi vecchi servizi da the.» Spiega, con l’ennesimo sbuffo. Servizi da the, cacca di topo: sa anche troppo.
«Ti lascio ai tuoi scatoloni allora. Stasera vieni a casa mia, okay? Dobbiamo parlare di una cosa.»
«I tuoi “dobbiamo parlare” fanno più paura di quelli di mia madre, comunque ci sarò.» Kurt non fa in tempo a salutarla che ha già riattaccato. Gli riaggancia in faccia anche quando non ha tra le mani dei servizi da the sporchi di cacca di topo, quindi non è particolarmente turbato dalla cosa. Per ora non gli resta che provare a mantenere la calma: avrà tutto il tempo per dare di matto dopo aver detto a Santana di New York.
 
 
*
 
 
Sono dieci minuti buoni che Blaine ha smesso di seguire il film. Un po’ gli dispiace, perché “Star Treck Into Darkness” gli stava piacendo e poi Wes aveva addirittura fatto lo sforzo di presentarsi a casa sua armato di dvd e popcorn al solo scopo di condividerlo con lui. È solo che ha ben altro per la testa: non ha ancora deciso se quella che lo ha colpito sia una tanto straordinaria quanto inaspettata dose di coraggio o se si tratti di pura e semplice demenza dovuta alla notte insonne, fatto sta che sono dieci minuti buoni che tenta di costruirsi una determinata frase in testa. Gli suona malissimo in qualunque modo cerchi di metterla.
«Secondo te è normale tifare sempre per i cattivi o sono io che ho una vena malvagia intrinseca?» Gli chiede Wes a un certo punto, senza scollare gli occhi dallo schermo. Blaine scrolla le spalle.
«Credo che sia abbastanza normale. Molte persone tifano per il cattivo perché ha subìto un brutto trauma che lo ha fatto diventare così, o perché i buoni sono tantissimi ma lui riesce a fronteggiarli da solo in tutta la sua malvagia epicità.» Wes ora sta guardando lui, e lo sta guardando malissimo.
«Mi bastava sapere che anche tu tifavi per il cattivo, ma okay.» Torna a rivolgere la sua attenzione alla televisione; nel momento stesso in cui lo fa Blaine si sposta bruscamente in avanti sul divano, raggiunge il tavolino e afferra il telecomando. Mette in pausa il film prima di poterci ripensare.
 
«Ma che cavolo, Blaine!»
«Wes.»
«Stavano per attivare la curvatura! Che cosa c’è di più importante della curvatura?»
Prende un profondo respiro; ha praticamente perso la sensibilità al torace da quanto gli batte in fretta il cuore. Non è affatto una bella sensazione, ma non è il momento di pensarci.
«Devo dirti una cosa.»
«Sì, anche io. E se fossimo in un telefilm in fascia protetta sarebbe un lungo bip.»
Blaine ignora completamente il suo sarcasmo. È già tanto se riesce a ricordare a se stesso la necessità fisiologica di respirare.
«Io- uhm, non so come dirlo.» Wes alza gli occhi al cielo e si fa più avanti, sedendosi di fianco a lui sul ciglio del divano.
«Qualunque cosa sia non può essere così terribile.»
«In realtà può.»
«Blaine. Ti giuro che se non parli entro cinque secondi io, il mio film e i miei popcorn lasceremo questa casa immediatamente.» Fa una sorta di conto alla rovescia mentale. Quando arriva allo zero realizza che non è pronto; che non sarà mai pronto, mai. Quindi glielo dice lo stesso.
 
«Sono... Uhm, sono innamorato di Kurt.» L’ha detto. L’ha detto sul serio.
È talmente incredulo che per un lungo momento è troppo concentrato a sentire l’eco di quelle parole risuonargli nel cervello per sondare la reazione di Wes. Il suo stato di incoscienza non dura tuttavia a lungo perché beh, è abbastanza terrorizzato da come potrebbe reagire il suo migliore amico. Wes al momento è perfettamente immobile, con la bocca appena socchiusa e gli occhi fissi su di lui.
«Dì qualcosa.» Lui sembra tornare nel mondo dei vivi solo in quel momento. Sbatte le palpebre qualche volta.
«Kurt... Kurt è un nome maschile, vero?» Chiede, per poi scuotere leggermente la testa «Voglio dire, Kurt è... lo stesso Kurt di cui mi parli sempre, giusto?» Blaine annuisce: le sue capacità di articolare parole di senso compiuto hanno smesso di assisterlo parecchi battiti di cuore fa. Wes lo guarda ancora un po’, poi fa un piccolo sorriso.
«Avevi ragione. La curvatura non è niente in confronto a questo. Dovresti usarlo nel tuo romanzo, sai? Colpo di scena: dopo sei lunghi anni il migliore amico del protagonista lo informa che per tutto quel tempo ha giocato per l’altra squadra- »
«Saresti tu il protagonista?»
«Andiamo, Blaine: sei troppo noioso per fare il protagonista. E poi io sarei un personaggio meraviglioso.»
«Ti preferivo quando eri muto con una faccia sconvolta.» Intanto il suo cuore sta riprendendo a battere a un ritmo normale, e l’euforia si sta sostituendo al panico.
Non può credere di aver aspettato così tanto né di aver avuto così tanta paura di dire una cosa del genere. Se Wes non era scappato da lui dopo i primi mesi – dopo essersi accorto con che razza di persona improbabile aveva a che fare, insomma – c’erano davvero poche possibilità che qualunque altra cosa potesse provocare una reazione simile.
Mentre questa realizzazione lo colpisce, Blaine non può fare a meno di pensare che gran parte del merito è di Kurt. Kurt che si era aperto con lui così facilmente, che non ne aveva mai fatta una grande questione e che gli aveva permesso in questo modo di vedere le cose dalla sua stessa prospettiva. Non è così importante, non è così sconvolgente, è qualcosa su cui si può scherzare quando si attiva il correttore automatico dei messaggi.
 
«A questo punto ritiro tutta la mia gelosia nei confronti di Kurt di queste settimane. Ti voglio bene, Blaine, ma in un modo molto eterosessuale.»
«Lo so, Wes.» Lui prende in mano una manciata di popcorn, continuando a fissarlo con curiosità. Di punto in bianco Blaine ha la strana sensazione di essere diventato il nuovo “Star Strek Into Darkness” nella stanza.
«Ma quindi voi due... Uhm, state insieme o qualcosa del genere?»
«Kurt è fidanzato.» Wes arriccia il naso.
«Ahia.»
«Da tre anni.»
«Ancora più ahia.» Blaine si stringe nelle spalle e gli prende due popcorn.
«Però la sera in cui si è ubriacato ha provato a baciarmi.» A Wes va di traverso buona parte della mole di roba che stava tentando di trangugiare. Per poco Blaine non si becca pezzi di popcorn in faccia.
«Cos- Cosa ha fatto? E tu?»
«Io niente.» Wes lo sta fissando ad occhi spalancati.
«In che senso niente?»
«Nell’unico senso possibile, Wes! L’ho fermato perché era ubriaco e ha un ragazzo.» Riceve una lunga occhiata carica di ammirazione.
«Sei stato il solito coglione, Blaine. Non che non sia stato un bel gesto, ma porca miseria!» Sì, lo sa: ha passato intere serate a farsi discorsi del genere. Magari era anche stato un comportamento nobile, ma d’altra parte Kurt non lo sarebbe mai venuto a sapere e almeno avrebbe avuto modo di togliere “primo bacio” dalla lista con qualcuno che vale davvero la pena baciare. Blaine emette uno sbuffo sconfitto, mentre Wes mette mano a un’ulteriore manciata di popcorn.
«Credi che ci sia qualche effettiva possibilità che finiate insieme?» Blaine inarca le sopracciglia.
«Ma mi vedi? Sono una specie di asociale con gli occhiali che cerca di scrivere una storia. Lui è... non esistono le parole giuste. Immagina un incrocio tra allegro, triste, talentuoso, intelligente e dolce; e questa sarebbe solo una parte.» Wes lo fissa a lungo, masticando lentamente.
«Sei proprio andato, Blaine. Ce l’hai una sua foto?» Blaine realizza con orrore che no, non ha una sua foto.
«Aspetta, torno subito.» Dal soggiorno raggiunge la sua stanza in venti secondi – facendo due gradini alla volta, operazione ormai consona – e recupera il suo cellulare.
 
15:35
Kurt, ho detto a Wes di essere gay.
 
15:37
Hai appena raddoppiato il numero di persone con cui hai fatto coming out, sto alzando una lattina di birra virtuale alla tua salute. L’ha presa bene?
 
15:38
È andata bene, sì. Posso chiederti un favore? Mi manderesti una tua foto?
 
15:40
...Tu non hai idea delle risate che mi sto facendo.
 
15:41
Perché?
 
15:42
Potrai darmi tutte le spiegazioni di questo mondo ma niente mi leverà dalla testa l’immagine di Wes che ti chiede di mostrargli qualcun’altro della tua stessa specie.
 
15:43
Non mi ha chiesto niente del genere! Gli stavo solo parlando di te.
 
15:44
Shh. Fammi ridere in pace.

 
Blaine fa per rispondere, ma viene interrotto dall’arrivo di un ulteriore messaggio di Kurt. È un mms che lo raffigura in una foto che deve aver appena scattato a giudicare da quanto sta ridendo. Passerebbe volentieri qualche minuto a contemplare quel semplice scatto ma a giudicare dalle cose che gli sta urlando Wes dal piano di sotto non è proprio il caso. Torna in salotto con il cellulare in mano e glielo allunga – in sua assenza ha praticamente dimezzato ciò che restava dei popcorn.
«Ecco.» Wes aggrotta la fronte, prendendo il telefono dalle sue mani con uno sguardo sospettoso. Fissa lo schermo per qualche secondo.
«Beh, oggettivamente parlando posso capire perché ti piace.» Sentenzia, restituendogli il cellulare. Blaine si morde un labbro, ancora in piedi di fianco al divano.
«C’è un’altra cosa.»
«Ancora?»
«A dicembre si trasferirà a New York.» Wes lo guarda a lungo, per poi annuire lentamente tra sé.
«Sei metaforicamente nella cacca, Blaine. Da qualunque punto di vista.»
«Lo so.» Perché lo sa, lo sa benissimo. Fosse per lui si limiterebbe a gioire di aver trovato un nuovo amico, uno così straordinario. Si limiterebbe ad aggiungere dei punti a quella loro stupida lista, a continuare a scrivere come sta facendo. Il problema è che non è più possibile, non adesso. Adesso che ha visto come è fatto Kurt, che ha avuto un assaggio della persona deliziosamente complicata e piena di luci, di ombre che è non riesce ad averne abbastanza.
Vorrebbe comporre una lista infinita, vorrebbe entrare in confidenza con ognuna di quelle sfumature, capirle, sfiorarle. Ogni volta che crede di arrivare al punto in cui qualcosa gli è chiaro ecco che vuole di più, ecco che vuole andare oltre, ecco che si sente spinto verso di lui con violenza, con energia, ecco che comprende un po’ di più se stesso e la complessità dell’essere innamorato di qualcuno come Kurt. No, non di qualcuno come Kurt, di Kurt e basta.
Wes lo sta guardando di sottecchi e sembra quasi indeciso se dire qualcosa o meno.
 
«Che cos’hai?»
«Mi stavo solo chiedendo... Hai pensato alla classica strategia del chiodo scaccia chiodo? Insomma, da come l’hai messa sembra che comunque vadano le cose tra un mesetto dovrei scordartelo, quindi credo che dovresti prendere in considerazione questa possibilità.» Blaine lo fissa per qualche lungo momento, di secondo in secondo più stranito.
«Wes, non ho nessuna voglia di cercarmi qualcuno a caso per dimenticarmi di Kurt. E poi chiodo scaccia chiodo non funziona sempre.»
«Chiodo scaccia chiodo funziona spesso. E devi almeno provarci, Blaine. Ti conosco, sei uno che dopo ci resta male. Ti ricordi tre anni fa quando ci eravamo organizzati per andare al mare ma poi io mi sono preso l’influenza? Non mi hai rivolto la parola per una settimana e non era neanche colpa mia!» Blaine alza gli occhi al cielo: sente quella storia spesso quasi quanto quella della volta in cui per evitare degli sconosciuti finse di essere a casa di sua nonna.
«Che cosa c’entra?»
«Il punto è che prendi le cose troppo a cuore, e se davvero sei innamorato di questo Kurt devi fartela passare prima di andare in paranoia.» Blaine sbuffa e torna a sedersi sul divano, recuperando il telecomando.
«Non puoi semplicemente smettere di amare qualcuno.» Gli dice, mentre fa ripartire il dvd.
«Almeno promettimi che ci penserai.» Blaine alza gli occhi al cielo.
«Okay, prometto.»
«Bene. Perché questo tizio tra un mese leva le tende ma io sarò ancora qui. Spoiler: non avrò nessuna voglia di gestirti da depresso.» Annuncia, per poi tornare a blaterare qualcosa sulla curvatura e sul suo amore per quel film.
 
Blaine mette mano alla ciotola dei popcorn, trovandola completamente vuota. In fondo Wes non gli aveva rifilato un consiglio poi così assurdo. Non che avesse intenzione di seguirlo o niente del genere; solo, paragonato ai consigli standard di Wes questo sembra quasi avere senso. Mentre fa queste considerazioni lo sguardo di Blaine torna a scivolare stupidamente sul display del suo cellulare; preme un tasto e riecco Kurt che gli sorride. Finché non gli viene strappato di mano.
«Questo lo tengo io.»
 
 
*
 
 
La sera del giorno successivo – lunedì, lunedì diciassette novembre, non deve perdere la cognizione del tempo come suo solito – Blaine è steso a pancia in su sul suo letto, del tutto preso dalla nobile arte di fissare il soffitto.
Ha appena finito di scrivere il secondo capitolo del suo presunto romanzo con la nuova Mona e non ha fatto in tempo a salvare che si è sentito improvvisamente svuotato; così sì, ora fa la mummia sul suo letto. Manca un mese e mezzo alla fine di dicembre, quando Kurt partirà; è come se potesse leggere una sorta di spaventoso countdown brillare come luci a neon proprio lì, sul soffitto della sua stanza. Ed è più o meno questa la ragione per cui allunga la mano verso il suo comodino, prende il cellulare e fa il numero di Kurt.
In realtà ci sono un sacco di altre ragioni e in realtà non sa nemmeno cosa potrebbe dire – sempre ammesso che lui risponda. Può inventarsi che la sua è una chiamata molto casuale fatta solo per chiacchierare del più e del meno, può dire di aver dimenticato l’orario del loro appuntamento di domani – dieci e trenta sotto casa di Kurt, lo accompagna a cambiare un paio di scarpe –, può-
«Blaine Anderson, questa sì che è una coincidenza. Sai, stavo proprio per chiamarti.» ...Può sentire la voce di Kurt e dimenticarsi completamente qualunque cosa avesse intenzione di dire. Apre la bocca, poi la richiude.
«Blaine, sei ancora lì?» È ancora lì? C’è e non c’è. Un po’ è sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto, un po’ e seduto sul fondo di una piscina vuota, un po’ è steso su un prato a guardare il cielo, un po’ è dentro a una tenda, un po’ sta cantando una canzone.
 
«Kurt?»
«Sì?»
«Non andartene, ti prego.»
In tutto l’infinito mare di cose stupide che avrebbe potuto dire, questa si trova più o meno a galleggiare in cima a tutte le altre, come un enorme pezzo di polistirolo stupido. Era rimasta lì settimane, nascosta dietro alle sue labbra e ora eccola, fuori. Il cuore gli batte così forte che lo sente pulsare nel cervello. Kurt rimane in silenzio a lungo, più a lungo di quanto non abbia mai fatto prima di parlargli di nuovo.
 
«Blaine?»
«Sì?»
«Vieni giù.»
Blaine scatta automaticamente a sedere sul letto, con entrambi gli occhi spalancati. Lo fa tanto in fretta che per un momento la vista gli si annebbia.
«Giù dove?»
«Giù sotto casa tua.»
«Sotto... Sotto casa mia?»
«Hai presente quando dicevo che stavo giusto per chiamarti? Era proprio per questo. Mettiti qualcosa addosso e vieni giù, sono davanti al cancello.» Prima di poter anche solo iniziare ad assimilare quelle parole Blaine è già in piedi che si fionda verso l’armadio, pronto a raccattare il primo paio di pantaloni che gli capiti sotto mano.
«Ma che cosa ci fai qui a quest’ora?»
«Segreto professionale.» Blaine alza gli occhi al cielo, ma sta sorridendo.
«Almeno mi dici dove andiamo?»
«Andiamo molto, molto lontano.»
 
Mentre si infila scompostamente la giacca, Blaine si rende conto che è la serata giusta per battere il record dei tre gradini alla volta.
 
 
 

 

 
 
 
 
Here we are ;)
Come tutti i coraggiosi che si sono avventurati a leggere fin qui avranno notato, si tratta del classico capitolo-di-passaggio-ma-non-troppo volto alla preparazione di ciò che ci aspetta nell’undici (vi avviso già da ora che sarà piuttosto intenso a livello emotivo, di sicuro uno dei passaggi che lo sono di più in questa storia). Ma ciancio alle bande (mmh.), e diamo il via a qualche piccola precisazione:
- Se notate punte di puro egoismo & selfcentrismo nei discorsi di Rachel non preoccupatevi: è tutto normale, nonché fatto enormemente di proposito ♥
- Lo so che avete bestemmiato dietro a Wes quando ha proposto la cosa del chiodo scaccia chiodo, lo sento. Tuttavia – come avevo già scritto nelle risposte a qualche recensione – quello che volevo era che Wes fosse un amico vero per Blaine. Quindi, per quanto avessi voluto fargli dire qualcosa del tipo “Ora vai a casa di Kurt e gli salti addosso”, ho provato a ragionare in base a ciò che tutti noi faremmo per impedire a qualcuno a cui vogliamo bene di ferirsi, quindi sì, spero non odierete Wes ♥
- ...Chissà dove vuole portare Blaine e.e *ammiccamenti vari ed eventuali*
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto *-* Siccome siete così pucciosi potrei quasi fare un fuoriprogramma per quanto riguarda la pubblicazione del prossimo aggiornamento... Si vedrà ;) Grazie a mille a chi è giunto fin qui (sconsiderati ed avventurosi giovinastri), nonché a mia moglie, senza la quale niente di tutto questo sarebbe stato possibile.
 
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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Buonasera ♥
Spero che questo piccolo fuoriprogramma – aka aggiornamento anticipato – possa rendere meno traumatico il tremebondo passaggio tra domenica sera e lunedì mattina- oh, ma chi voglio prendere in giro? Niente al mondo può renderlo meno doloroso *occhi pieni di lacrime e capelli al vento*
...Okay. Avevamo lasciato un Blaine particolarmente felice e un Kurt che doveva portarlo molto, molto lontano. Non vi trattengo oltre e sparisco nella nebbia: tutti gli scleri le utilissime note le trovate alla fine ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XI
 
 
Blaine ha sempre avuto la certezza che le giornate di ogni persona – per quanto follemente avventurose possano essere – siano sempre scandite da un numero massimo di avvenimenti straordinari che non può essere superato. Ad esempio, un pirata non può dissotterrare dieci tesori in un giorno: è troppo, va oltre, è fuori dallo schema. Ed è proprio per questa recondita convinzione che è del tutto impreparato al numero di avvenimenti straordinari capitatigli nel tragitto che separa camera sua dalla macchina di Kurt, davanti al cancello.
Prima di tutto l’infrangersi del record dei tre gradini alla volta, accompagnato immediatamente con il probabile infrangersi della sua caviglia destra; poi il quaderno che gli scivola di mano e si apre proprio sull’ultima pagina, quella dello schema “Prima Kurt e Dopo Kurt”. Quelle sono già tre cose straordinarie e sono capitate tutte insieme; e poi c’è Kurt che vuole portarlo “molto, molto lontano” a mezzanotte passata di martedì diciotto novembre ed è il genere di avvenimenti che in una vita come la sua, che di avventuroso ha poco e niente, equivale più o meno a venti tesori dissotterrati in un’ora. Questo se fosse un pirata, ovviamente.
«Due minuti e quindici secondi.» Gli dice Kurt, non appena lui si chiude il cancello di casa alle spalle.
 
Fu quel tipo di realizzazione; quella che ti si palesa nel cervello all’improvviso. Non ci pensi, non la consideri, eppure di punto in bianco lei è lì. Fu il tipo di realizzazione che ti colpisce quando è buio, fa freddo e puoi a malapena distinguere il contorno scintillante di una macchina parcheggiata di fronte a casa tua. Di quando il proprietario di quella macchina ti parla tenendo un braccio fuori dal finestrino e non aspetta altro che tu salga per andare molto, molto lontano. Quando le tue sinapsi si mettono ad allacciare tra loro ognuna delle circostanze casuali, ogni parola, ogni gesto che ti ha portato lì, in quel momento. Sentii la fragilità di quell’equilibrio, la precarietà del mio essere lì e del suo essere lì; la sentii così all’improvviso e così intensamente che per un momento non lo credei possibile. Ma fu solo un momento.
 
«Sei di nuovo imbambolato, Blaine Anderson.» Sa di esserlo, ma a volte le parole sono così difficili da fermare che non gli resta che lasciarle esplodere nella sua testa. Strizza le palpebre.
«Hai- mi hai cronometrato?» Guarda Kurt oltre il finestrino aperto: ha i capelli spettinati e può quasi giurare che abbia gli occhi lucidi; se non lo fa è solo perché è buio e in generale non ha abbastanza diottrie per dire con certezza di vedere qualcosa, occhiali o non occhiali.
«Cronometrato?»
«Sì. Due minuti e quindici secondi, lo hai detto un attimo fa.»
«Sì, ti ho cronometrato. Ora entra in macchina prima che qualcuno di noi due muoia assiderato.»
Le gambe di Blaine si muovono automaticamente verso l’auto di Kurt, questo perché la sua testa è troppo impegnata a rievocare i due quasi-baci che si erano quasi-scambiati proprio sui sedili di una macchina per poter tenere sotto controllo ciò che fa il suo corpo. Apre la portiera e entra; l’abitacolo si illumina. Kurt è del tutto appoggiato al sedile, con la cintura slacciata, un’aria indecifrabile e una lattina in birra in mano. Blaine sente lo stomaco stringersi.
 
«Dimmi che non hai bevuto di nuovo. E soprattutto dimmi che non hai guidato fin qui dopo averlo fatto.» Kurt inizia a sorridere; piano piano, come se stesse cercando di ricordare come si fa.
«Te l’ho già detto: nessuno si ubriaca con una birra.» Gli dice, e poi gliela allunga. Blaine la prende perché cos’altro può fare? Inoltre, la sua testa e il suo corpo sono ancora in due universi separati. «Questa era solo un incoraggiamento a venire qui. Sai, sono stato indeciso fino all’ultimo.»
«Perché?» Kurt adesso lo guarda con il mento sollevato, come se stesse per dire qualcosa di una certa importanza.
«Perché ho intenzione di fare il grande passo.»
«Ti sposi?» Blaine scherza, ma nemmeno così tanto. Da Kurt potrebbe aspettarsi qualunque cosa. Lui comunque riprova a sorridere: continua a non riuscirgli.
«Per quello ne sarebbero servite una decina, di birre. Comunque ormai sono qui e tu sei qui, quindi partiamo.» Mentre lo dice avvia il motore e in un attimo sono per strada. Blaine lo sta guardando con insistenza perché lo vede, lo percepisce: c’è qualcosa di diverso da tutte le altre volte e vorrebbe solo sapere che cosa gli sta sfuggendo.
«Continui a non volermi dire dove stiamo andando?» Kurt scrolla le spalle, ed è buffo vederlo fare da qualcuno che nel frattempo tiene stretto il volante della propria auto.
«Te l’ho detto: andiamo lontano.»
«Un lontano che devi conoscere bene, visto che non stai usando il navigatore.» Kurt non dice niente, si limita a tenere gli occhi fissi sulla strada con quel suo tentativo di sorriso che gli trema sulle labbra. Blaine stringe la lattina di birra quasi vuota e pensa che vorrebbe baciarle, quelle labbra.
Dopo i primi dieci minuti di viaggio, Blaine inizia a pensare che quel “molto, molto lontano” in realtà sia solo una gran fregatura, e ne ha praticamente la certezza quando Kurt sterza bruscamente e infila il muso della macchina nel vialetto di casa sua. Blaine ci è stato qualche volta, quando hanno fatto quella torta insieme ad esempio; tuttavia non definirebbe casa di Kurt “molto, molto lontano”.
«Siamo arrivati?» Sa che la sua è non una domanda particolarmente intelligente siccome è abbastanza ovvio che sono arrivati, però si sente in dovere di porla lo stesso. Kurt annuisce e riprende la birra dalle mani di Blaine, beve l’ultimo sorso rimasto e lascia la lattina vuota sul suo sedile mentre esce dalla macchina. Blaine lo imita, con il suo quaderno in mano – dalla fretta non si è nemmeno portato una borsa o qualcosa del genere.
 
«Kurt- »
«Shh.» E Blaine sta zitto. Sta zitto quando i fari della macchina di Kurt lampeggiano un’ultima volta con un doppio beep; sta zitto quando lui fa il giro dell’auto, lo prende per un polso e lo tiene stretto mentre apre il più silenziosamente possibile la porta di casa. Non dice una parola quando proseguono in silenzio per un corridoio stretto, al buio, e nemmeno quando arrivano in camera di Kurt, che accende la luce, chiude la porta dietro di loro e solo a quel punto lascia andare il suo polso. Blaine non ha idea di che cosa sia giusto pensare, ora. Quella situazione potrebbe voler dire talmente tante cose diverse che nemmeno i suoi stupidi viaggi mentali sanno che direzione prendere.
«Okay, ci siamo.» Kurt glielo dice sottovoce: probabilmente qualche stanza più in là suo padre sta dormendo e non ci tiene particolarmente a svegliarlo. «Vieni.»
Il suo polso è di nuovo avvolto dalle dita fredde e forse un pochino tremanti di Kurt, che lo conduce fino al letto. Una piazza e mezzo, a differenza del suo. E non ha idea di come questo possa essere il suo primo pensiero proprio adesso che è in piedi di fianco al letto di Kurt con Kurt vicino a lui eppure sì, una piazza e mezzo.
«Togliti le scarpe e sdraiati. Magari anche la giacca, qui non fa così freddo.» Blaine non capisce. Non capisce talmente tante cose al momento che non saprebbe nemmeno da che domanda iniziare; poi si ricorda del suo precedente divieto.
«Posso parlare, adesso?» Chiede sottovoce, mentre si slaccia le scarpe.
«Sì, ma ricordati di fare piano.» Blaine lo guarda a lungo, sollevando le sopracciglia con ovvietà. Kurt sembra stranito.
 
«Che c’è?»
«Che c’è? Ti presenti sotto casa mia di notte dicendo che andremo chissà dove, insieme. E poi veniamo a casa tua, mi dici di sdraiarmi sul tuo letto senza scarpe e mi chiedi che c’è?» Mentre fa tutto quel discorso il suo quaderno gli scivola da sotto al braccio e finisce tra due degli scatoloni vuoti che riempiono il pavimento della stanza di Kurt. Al momento quello è l’ultimo dei suoi pensieri.
«Era una metafora.» Gli dice Kurt, come se stesse sottolineando una cosa ovvia.
«Cosa?»
«Mettiti sul letto, Blaine. Fidati.» E Blaine si fida, perché non lo ha chiamato “Blaine Anderson” e quindi questo non è un gioco: c’è davvero qualcosa sotto, qualcosa che non capisce. Si sdraia e ha appena appoggiato la testa su uno dei due cuscini quando Kurt spegne la luce. Il buio è totale e il silenzio è rotto soltanto dal fruscio di qualcosa che cade a terra e dal rumore di due scarpe che vengono calciate via. Blaine non sta respirando; non è solo il suo corpo a formicolare, è come se anche il cervello stesse facendo la stessa cosa.
«Quando dicevo “molto lontano” non intendevo geograficamente. Come scrittore dovresti apprezzare queste cose.» Kurt si sdraia affianco a lui e Blaine si volta alla sua sinistra sistemandosi gli occhiali sul naso, come se questo servisse a conferirgli una vista a infrarossi o qualcosa del genere.
«Kurt... Non ricordo nessun punto della lista che dicesse “sdraiati al buio senza scarpe”.»
«Lo so che probabilmente ti sto spaventando, ma vedila così: è servito molto più coraggio a me per decidermi a fare tutto questo che quello che serve a te ora per non scappare urlando.» Gli sussurra.
Blaine vorrebbe dire che potrebbe anche rivelargli di essere un serial killer e che lui è la sua prossima vittima e probabilmente non se ne andrebbe urlando comunque, ma viene preceduto.
 
«Hai dei rituali con i tuoi genitori?» Cosa?
«Cosa?»
«Non lo so. Una canzone che ti cantava tua madre quando eri piccolo, o tuo padre che tutte le mattine dice la stessa identica frase al suo bambino prima che esca di casa e vada incontro ai pericoli del mondo.» Gli sembra di cogliere un sorriso nelle parole di Kurt; si chiede se alla fine ci è riuscito davvero, a sorridere.
«Noi non siamo il tipo di famiglia con dei rituali. A meno che non essere mai in casa sia un rituale, perché in questo caso ne abbiamo uno e anche ben consolidato.» Sente Kurt emettere una risatina. Tace qualche secondo prima di continuare.
«Io ne avevo uno, con mia mamma. Quando ero triste e non volevo dire perché lei veniva in camera mia, spegneva la luce e si sdraiava vicino a me. Non so se fosse per via del buio o perché era lei, ma quando lo faceva le dicevo sempre tutto quello che mi passava per la testa. Forse è stupido sperare che funzioni dieci anni dopo e con qualcuno che evidentemente non è lei, ma ho bisogno di provarci. Tu- beh, mi sono appena reso conto di non averti dato molto scelta.»
La sua è una lunga scia di parole continue, lineari. Blaine si sente come sospeso, come l’intervallo troppo lungo tra un battito del cuore e quello successivo. Siccome ciò che vuole dire gli rimane bloccato in fondo alla gola si limita a tendere un braccio: trova il polso di Kurt e stavolta è lui ad afferrarlo.
«Non ti ho mai dato molta scelta, ora che ci penso.» Blaine si schiarisce la voce. Deve farlo tre volte prima di riuscire effettivamente a parlare. Non sa che gli prende, davvero.
«Vedila così: non mi muoverò di qui finché non sfrutterai il buio per dirmi tutto quello che ti passa per la testa. Ora sei tu a non avere scelta.» Kurt rimane in silenzio per un attimo, poi allontana cautamente la mano dalla sua.
 
«In questo caso... Ciao, Blaine. Sono Kurt. Dopo un mese e mezzo che ci vediamo quasi tutti i giorni ci tenevo a presentarmi.» Blaine aspetta un secondo. Ne aspetta due.
«Quante lattine di birra hai bevuto, esattamente?»
«Sono serio. Sai quante persone mi conoscono per davvero? Nessuna. Voglio solo sapere cosa ne pensi di me, del vero me. Perché proprio tu, ti chiederai. E io ti risponderei che è una di quelle grandi domande destinate a rimanere senza risposta, un po’ come “Perché ho chiamato proprio Blaine quando ero ubriaco?” o “Sto davvero dicendo tutto questo a voce alta?”. Lo so che credi di essere noioso e sì, sei strano a volte, con i tuoi quaderni, il tuo startene zitto per interi minuti ad occhi spalancati e tutto il resto. Non so dirti la ragione per cui siamo qui se non per il fatto che tu sei tu, e nella mia testa sembra una buona argomentazione.»
Blaine trattiene il fiato così a lungo che sente il petto andargli in fiamme. È irreale. Ogni singola parola di Kurt viene inghiottita dal buio della stanza e lui non lo sa, non può essere certo che le abbia pronunciate davvero. È come se si trovasse immerso nelle sabbie mobili e dovesse stare il più fermo possibile per impedirsi di sprofondare, così si muove solo il necessario per respirare e parlare.
«Okay. Presentati.» Kurt prende un profondo respiro: lo capisce dal materasso che si abbassa leggermente e beh, dal suono.
 
«Ho sempre impedito a tutti di vederla. Sai, quella cicatrice.» Altra manciata di secondi di silenzio. Blaine non sta nemmeno respirando.
«È un po’ come quando ritrovi il braccialettino dell’amicizia che ti aveva fatto il tuo migliore amico della seconda elementare, hai presente? Lo guardi, lo tieni in mano e ti torna in mente tutto ciò che quel bambino ha significato per te e di colpo ti senti malissimo, perché vi siete persi di vista già da qualche anno. Per me è più o meno la stessa cosa ma è sulla mia pelle, quindi non posso metterla via come un braccialettino dell’amicizia e non vederla più; capisci cosa intendo?»
«Sì. Credo di sì.»
«Per questo non ho mai voluto che qualcuno la vedesse. Mi bastava sentirmi uno schifo per conto mio senza bisogno che arrivasse un altro a chiedermi del mio fottuto braccialetto dell’amicizia personale e a costringermi a dire ad alta voce tutto lo schifo che c’è dietro. Ma poi tu l’hai vista e mi sono detto: è una cicatrice, fine. È una cavolo di cicatrice.»
Blaine non sa quale sia la cosa migliore da dire. Da una parte vorrebbe rassicurarlo del fatto che non è obbligato a dirgli altro se questo lo fa soffrire, ma dall’altra teme che una cosa del genere possa dare a Kurt il pretesto definitivo per non affrontare mai più quella storia. Kurt riprende a parlare prima che lui possa decidere il da farsi.
 
«Tre anni fa, fine del secondo anno di liceo. Il nostro professore di Spagnolo aveva da poco deciso di andare contro ogni buon senso comune e occuparsi del Glee Club della nostra scuola. Io mi sono iscritto subito, naturalmente. Pensavo che andasse tutto alla grande perché sì, d’accordo: c’erano i soliti coglioni che si divertivano a trattarmi da schifo, ma avevo tanti nuovi amici e mi ero appena trovato questo ragazzo- »
«Tom?»
«Sì, lui. Stavamo insieme da meno di un mese quando è successo quello che è successo. Niente di molto diverso da quello a cui ero abituato: qualche spintone e roba del genere, solo che quella volta eravamo vicini a una finestra. Sono inciampato e ci sono finito contro, il vetro si è rotto e mi sono tagliato.»
«Kurt- »
«No, è tutto a posto. Si sono presi tutti una gran paura perché c’era un’infinità di sangue. Io non mi ricordo molto: so di essermi svegliato in ospedale fasciato come un salame e senza la forza di muovere un dito. È stato quello il momento in cui ho realizzato che era l’ultima goccia. Ho pensato a tutte le cose che non avevo fatto e che non avrei mai fatto se per caso mi fossi tagliato più a fondo, o se fossi caduto dalla finestra. Ho pianto come un disperato all’inizio, ma poi mi sono detto: esci da questo lettino schifoso e vivi tutto quello che puoi.»
 
Blaine pensa a come sarebbe potuta andare. Pensa a quel pezzo di vetro che si conficca troppo a fondo o nel punto sbagliato, pensa a un volo dalla finestra. Pensa a una versione di se stesso tre anni più giovane, che accende la tv sul notiziario locale e sente di questo ragazzo che è morto e dopo aver provato un dispiacere superficiale torna ai suoi compiti di algebra e non ci ripenserà mai più.
Sembra così incredibile il loro essere lì, ora; è una realtà così fragile che se la sente sfuggire di mano.
 
«Tom mi è rimasto accanto per tutto il tempo, sempre. Si presentava con un pupazzetto diverso ogni singolo giorno che ho passato in ospedale. Quando sono tornato a casa era lì, era sempre lì e lo amavo così tanto in quei momenti che anche adesso mi sembra di rimanerne come schiacciato, mentre te ne parlo. Una sera mi ha regalato un cd con tutte le canzoni che ci eravamo dedicati da quando avevamo iniziato a uscire in ordine cronologico e l’unica cosa che mi sembrava appropriata da dire è che lo amavo tantissimo e che saremmo stati insieme per sempre.»
Di punto in bianco, Blaine non riesce più ad odiare il ragazzo di Kurt. Odia la persona schifosa che lo fa soffrire così spesso, ma non odia quella che gli porta i peluche quando è in ospedale per colpa di un branco di coglioni. Se deve essere del tutto sincero riesce ad odiare anche quella versione di Tom, ma più che altro odia se stesso perché Kurt aveva ragione quando gli aveva detto “Vorrei averti conosciuto prima”, perché anche lui lo avrebbe voluto.
«Comunque, alla cosa del vivere il più possibile ci ha pensato Santana. Dopo quello che è successo mi ha preso come una sua faccenda personale e ci provava in ogni modo a farmi divertire, a portarmi dappertutto. Naturalmente Rachel diceva che questo mi distoglieva dai miei progetti per il futuro e io non potevo dare il benservito a Rachel: a volte è terribile, ma le volevo un gran bene e avevamo fatto questa specie di patto secondo cui un giorno avremmo realizzato i nostri sogni insieme. C’è stata una litigata all’inizio del terzo anno e da lì in poi ero due persone diverse; una per Santana e una per Rachel. E poi c’era quella terza persona stupida e fragile che mi ritrovavo davanti ogni volta che dovevo farmi la doccia e vedere per forza quella cicatrice.» Kurt prende un altro lungo respiro.
 
«Con il tempo è diventato normale nascondere la verità, fingere. Perfino con te, all’inizio. Adesso però ci sono in ballo troppe cose e quando hai visto quella cicatrice... Quando l’hai vista ho pensato che fosse finita. Perché devo essere mille persone diverse? Sono stanco di tutto questo. Sono stanco di sentirmi in colpa perché non sono più quel sedicenne innamorato perso, stanco di scappare da tutto- perfino New York! Mi stavo autosabotando, capisci? Avevo paura. Ho passato tutto questo tempo a credere di star vivendo una vita coraggiosa e invece ecco che cosa facevo, scappavo. Mi sembra di aver smesso di correre solo stasera, Blaine.»
Blaine sente il cuore battergli a ritmo serrato contro le costole. È come se stesse per scoppiare e non è nemmeno sicuro del perché.
«Kurt- »
«E per rispondere alla tua domanda dell’altra volta sì, sono vergine. A sedici anni la scusa del non sentirsi pronti può anche funzionare ma a diciannove inizia seriamente ad essere patetica. Anche perché Tom lo sa che il problema è quella dannatissima cicatrice che non voglio che nessuno veda e tra l’altro non è neanche del tutto vero perché sì, è quello, ma è anche che davvero non mi sentivo pronto. E poi arrivi tu, la vedi e wow non era questa cosa così spaventosa e quindi non ho più scuse per non fare l’amore con il mio ragazzo che nel frattempo probabilmente si è portato a letto qualcun altro. Oh, e non posso nemmeno fargliene una colpa.» Dice tutto questo a velocità supersonica, tanto che alla fine ha quasi il fiatone. Blaine comunque stenta a credere a ciò che ha appena sentito.
«È stato con un altro?» Kurt respira piano, adesso. Non è una cosa naturale: è come se stesse imparando o dovesse sforzarsi per ricordare come si fa.
«L’ho visto a una festa con un tizio, un po’ di tempo fa. Io ero con Santana. Ci siamo messi a litigare ma sul serio: con che faccia posso urlargli addosso? Lui c’è sempre stato ed è rimasto con me nonostante tutte le mie stronzate. E io non gli ho mai nemmeno detto di New York. E poi l’altro giorno è venuto a dirmi che esco troppo spesso con te, al che io ho tirato di nuovo fuori la storia del tizio della festa e via a litigare di nuovo. Vorrei davvero, davvero essere ancora quel ragazzino innamorato perso, ma la verità è che ora non ho più scuse per non fare l’amore con lui eppure non lo faccio lo stesso.» Blaine ignora del tutto la parte in cui il ragazzo di Kurt è geloso di lui.
«Perché no?» Lui rimane in silenzio quasi un minuto intero.
«Perché nonostante desideri il contrario con tutto me stesso la verità è questa: non lo amo più. È da un pezzo che non lo amo più e lo so che prova la stessa cosa... E qui arriviamo agli ultimi aggiornamenti.» La capacità di assimilazione di Blaine sta raggiungendo nuovi e inaspettati livelli mentre balbetta a fatica un paio di parole.
 
«Ultimi aggiornamenti?»
«Ieri sera ho chiesto a Santana di venire a casa mia e le ho detto che andrò a New York con Rachel. Mi ha insultato in qualunque modo possibile, se n’è andata e non si è più fatta sentire. Dopodomani dopo le prove del nostro copione ho intenzione di dire a Rachel che per tutto questo tempo ho continuato ad andare a tutte le stupide feste esistenti con Santana.» Blaine capisce perché Kurt sta facendo tutto questo. Ha passato così tanto tempo a crogiolarsi in una libertà fasulla che adesso la vuole davvero, la vuole con tutte le sue forze.
Gli servirebbe tempo per assimilare tutto ciò che Kurt gli ha detto, gliene servirebbe tantissimo e probabilmente il loro mese e mezzo non basta, ma se lo farà bastare; si farà bastare una singola notte o anche solo un secondo: non vuole perderne nemmeno uno del loro tempo insieme chiuso nella sua stupida testa.
 
«E quindi è... È tutto?»
«È tutto.»
Blaine vorrebbe dire che un paio di cose le sospettava, di un’altra decina non ne aveva la minima idea e delle restanti è praticamente scioccato. Vorrebbe anche dirgli che lo ama, lo ama e lo ama e che soffrirà come un cane quando se ne andrà a suggellare il suo vecchio patto con Rachel a centinaia di chilometri da lui ma che ne varrà la pena, ne varrà assolutamente la pena. Vorrebbe dire tutto questo, e invece dice:
«Kurt, sembri una persona meravigliosa ed è stato un piacere conoscerti.»
«Blaine?»
«Uhm?»
«Mi ha lasciato.»
«Cosa?»
«Tom. Mi ha lasciato oggi pomeriggio.»
 
Se credesse ancora nel numero massimo e insuperabile di avvenimenti straordinari in una giornata e se fosse un pirata, Blaine potrebbe tranquillamente affermare di aver dissotterrato cinquanta forzieri in mezz’ora, uno dei quali contenente la pietra filosofale, il sacro Graal e un computer che non si surriscalda.
 
 

 
 

 
 
 
 
Well well well.
Si tratta di un capitolo piuttosto intenso, o almeno questa è stata la mia sensazione scrivendolo. Come sempre, procedo per punti:
- Il modo in cui Kurt si è fatto la cicatrice non l’ho propriamente inventato. L’anno scorso è successa una cosa del genere proprio nella mia scuola, anche se in quel caso gli interessati si stavano spintonando per scherzo. Uno di loro è scivolato e ha spaccato la finestra, facendosi un taglio non indifferente. Niente epiloghi tragici, tranquilli: adesso sta bene.
- Un amen per il levarsi dalle palle di Tom, oh yeah.
- Kurt pls. Sei in love.
- Anche io vorrei un computer che non si surriscalda.
No, okay. Tutto ciò per cercare di sdrammatizzare questo capitolo un pochino più “intenso” degli altri. Spero davvero che vi sia piaciuto (ci tengo particolarmente, non si era notato :’D?) e neanche a dirlo sono più curiosa che mai di leggere il vostro parere *-*
Prima di evaporare e darvi appuntamento al dodicesimo aggiornamento – di già? Aiuto ;-;  – ci tengo a ringraziare tantissimo tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, sia per le loro parole sia per la pazienza che hanno avuto nell’aspettare le mie tardive risposte ai commenti – ora sono in pari, woooh! Davvero, per ogni cosa che leggo il mio cuore si ingrandisce di tre taglie... no, purtroppo Natale è ancora lontano Grazie ancora, e un grazie speciale va alla mia adorabile moglie, che probabilmente ora mi odia perché mi sono messa a stolkerarle Tumblr, ma io la amo lo stesso ♥
 
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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***



Capitolo XII
 
 
Beige. Kurt è quasi preso da un moto di commozione nel rivedere il colore del pavimento della sua stanza; sono passate intere settimane dall’ultima volta.
Tutto sommato deve dire di essere abbastanza soddisfatto: ha passato la mattina così, a ignorare l’istinto di svenire sul letto e cadere in letargo fino a primavera in favore di una ben più produttiva catalogazione di ciò che avrebbe e non avrebbe dovuto portare a New York. A mezzogiorno ha già qualche scatolone pieno di fianco al letto e buona parte di quelli vuoti sono ordinatamente addossati alla parete, quindi sì: pavimento beige.
Dopo essersi concesso una prolungata ammirazione del finto parquet della sua stanza Kurt si dà un’ultima occhiata intorno: non può mettere via altro per adesso e questo è un bel problema. È un bel problema perché se non può tenersi occupato i suoi stupidi pensieri hanno la meglio e non c’è modo che non si metta a piangere come un idiota; il mezzo miracolo di qualche ora prima – quando per qualche strana magia è riuscito a non scoppiare in lacrime in faccia a Blaine – non ha alcuna speranza di ripetersi ora, nessuna.
 
Kurt strizza gli occhi, inspira a fondo e si siede ai piedi del letto. Può farcela, lo sente. D’accordo: Santana non l’ha più richiamato e non risponde ai suoi messaggi, e probabilmente domani Rachel si esibirà nella più drammatica e folgorante delle sue scenate, ma non può più tirarsi indietro. Non lo ha fatto quando ha dovuto ammettere a se stesso la verità su Tom: lo aveva amato disperatamente ma poi erano cresciuti, erano cambiati e ora non è più così per nessuno dei due. Quella rottura è stata un bene per entrambi; se lo è ripetuto così tante volte da quando è successo che vorrebbe solo prendersi a calci per non poter fare a meno di stare comunque così da schifo.
 
Gli aveva detto di New York e a quel punto c’erano stati tanti “Mi dispiace” e “È finita” e “Non è per New York, è che è già finita da un pezzo”. Ed era tutto vero, tutto quanto. Quelle parole gli si sono impresse a fuoco nella testa e non riesce nemmeno a chiudere gli occhi senza sentirle bruciare perché è la verità: quel loro grande amore da sedicenni era finito da molto più tempo di quanto fossero disposti ad ammettere, però Tom era sempre stato lì e adesso non c’è più e anche tutto il resto del suo mondo non c’è più; Kurt è seduto sul bordo del letto ma è come essere sul bordo di un precipizio.
 
Respira a fondo e si asciuga velocemente una lacrima con il dorso della mano, pensando che se non altro tutto il gigantesco, glorioso casino in cui è immerso gli permette di non pensare a Blaine. Blaine che in qualche modo riesce a essere l’occhio del ciclone in cui la sua stupida vita si è recentemente trasformata; Blaine che l’ha fatto sentire tutto intero per- beh, per la prima volta.
Se il suo umore non fosse bloccato al livello morte-di-tutti-i-parenti-prossimi potrebbe quasi sorridere al pensiero dei suoi propositi di neanche due mesi prima: voleva sconvolgere la vita di Blaine. Perché Blaine sembrava un ragazzino, con i suoi quaderni, la sua Mona, i suoi occhiali e la capacità di cadere nelle piscine vuote ad ottobre; ma non lo è, non è un ragazzino. Blaine è talmente tante cose che Kurt non sa nemmeno da dove cominciare.
Sa solo che vorrebbe leggere ogni singola cosa che ha scritto – per ora ha avuto accesso solo al prologo di una storia con Mona, la sera del campeggio –, vorrebbe portarlo dappertutto, vorrebbe aggiungere punti a quella loro stupida lista all’infinito e avrebbe voluto che fosse rimasto a dormire da lui quella sera, ma poi non poteva rischiare di non farsi trovare dai suoi genitori la mattina dopo ed era stato necessario accompagnarlo a casa.
 
Kurt viene riportato bruscamente alla realtà dal suono acuto del suo cellulare, sepolto da qualche parte sotto alle coperte; raspa alla rinfusa e nel frattempo si ripromette per la millesima volta di abbassare la suoneria dei messaggi, o almeno di impostarne una che non assomigli all’ululato di un qualche animale castrato. Non appena rinviene il telefono e legge il nome sullo schermo il suo stomaco fa una capriola; apre il messaggio a una velocità impressionante.
 
12:15
HUMMEL.

 
Kurt non fa in tempo a digitare nulla perché il suo cellulare vibra di nuovo.
 
12:15
SE È UN’ALTRA DELLE TUE STRONZATE STAVOLTA TI UCCIDO SUL SERIO.

 
Di nuovo, Kurt tenta invano di rispondere ma poi parte la suoneria che annuncia una chiamata in arrivo e okay, forse ora è abbastanza inutile scrivere un sms.
«Pron- »
«Hummel. Giuro che se tu e quel coglione del tuo ragazzo avete architettato questa stronzata solo perché tornassi a parlare con te è l’ultima volta che senti la mia voce.» Kurt non può negare di essere un tantino spaventato.
«Uhm, Santana- »
«Zitto. Dimmi solo se è vero.»
«Ma di che cosa stai parlando?» Sente Santana prendere un profondo respiro come a voler mantenere la calma e sì, ora ha paura sul serio. Rachel fa quei ridicoli respironi solo perché è la teatralità personificata, Santana li fa per ricordare a se stessa che l’omicidio non è legale.
 
«Okay. Ieri ero a questa festa a West Lima con Brittany e indovina chi vedo? Quel pezzo di merda del tuo ragazzo che si fa un drink con un altro tizio dai capelli di un biondo ossigenato così finto che faceva quasi ridere. Ero – e sono – ancora incazzata a morte con te per la faccenda di Rachel-piattola-Berry e di New York, ma vedere quel deficiente che ti cornificava o qualunque cosa stesse facendo mi ha fatto andare oltre lo stadio di incazzatura. Così sono andata là e gli ho tirato il suo cazzo di drink in faccia.»
«No. Non lo hai fatto sul serio.»
«Mi conosci, lo sai che l’ho fatto. Ad ogni modo il tizio biondo ossigenato – che tra parentesi era così gay che in confronto tu sei l’incarnazione dell’eterosessualità – è scappato via a gambe levate e il tuo Tommy si è messo a urlarmi addosso, così anche io gli ho urlato addosso finché non è venuto fuori che vi eravate appena lasciati e che quindi poteva vedere tutti i biondi ossigenati che voleva e io mi sono detta: se è vero giuro che vado a casa di quel deficiente e lo abbraccio.»
 
Kurt aspetta un secondo, ne aspetta due: niente di niente.
Era praticamente sicuro che la gelosia per quel cavolo di biondino ossigenato l’avrebbe prepotentemente travolto da un momento all’altro, eppure sembra che la stia aspettando in vano. Non prova niente: non vorrebbe essersi trovato al posto del biondino ossigenato, non vorrebbe ucciderlo né strappargli uno ad uno tutti i suoi capelli di dubbio gusto. In realtà è quasi contento. Dopotutto stando così le cose non deve sentirsi in colpa per aver fatto stare male Tom perché a quanto pare non sta poi così male e in qualche modo questo fa sentire meglio anche lui; ma non geloso. Non è geloso del suo biondino ossigenato e wow questo di sicuro è un bene.
«Lo sapevo, è una stronzata. Ti giuro che- »
«No, è vero. Ci siamo lasciati per davvero.» C’è un lungo, interminabile silenzio. Sa che lei è ancora lì solo perché la sente respirare pesantemente.
«Cazzo.»
 
Kurt apre la bocca per rispondere, ma Santana gli ha già sbattuto il telefono in faccia. Lo allontana dall’orecchio e fissa per un attimo lo schermo con le sopracciglia inarcate, come se si aspettasse una sorta di spiegazione da parte del suo stesso cellulare per il recente comportamento della sua amica. Se non altro ha avuto di nuovo occasione di sentire la voce di Santana dopo la disastrosa confessione dell’altro giorno, cosa in cui ormai aveva smesso di sperare.
Kurt sbuffa ed è quasi dell’idea di mettersi a cucinare qualcosa di elaborato per una cena a sorpresa con suo padre – dopotutto gli ha trovato quello che al novantanove percento sarà l’appartamento che affitterà a New York, deve pur ringraziarlo – quando nota qualche scatola più piccola vicino al comodino che ha dimenticato di impilare con le altre. Inizia a raccoglierle, ma la sua si rivela una pessima idea perché sollevando il secondo scatolone qualcosa di non particolarmente leggero gli cade su un piede. Dopo aver soppresso l’istinto di tirare un calcio a qualunque cosa gli abbia appena spappolato le dita guarda oltre le scatole che ha in mano e lo riconosce subito: il quaderno di Blaine, del quale non ha mai odiato così tanto la copertina semirigida.
 
Appoggia le scatole sopra a quelle impilate contro al muro e lo raccoglie: deve averlo dimenticato lì qualche ora prima. Percorre distrattamente il dorso con le dita: le pagine sono vagamente ondulate, segno che deve averle occupate quasi tutte il che è notevole visto che si tratta di uno di quei quaderni tascabili ma piuttosto alti, circa tre o quattro volte un quaderno normale.
Per un lungo momento Kurt si sente formicolare le mani dalla voglia che ha di leggerlo ed è proprio mentre sta per aprirlo e concedersi una full immersion nella testa di Blaine che decide di non farlo. Una volta arrivato momento in cui vorrà farglielo leggere sarà lui a dargli il permesso, e in quelle settimane è sempre stato piuttosto chiaro sul fatto che per ora non può sbirciare proprio un bel niente; Kurt rotea gli occhi e prende il quaderno sottobraccio, deciso ad uscire a comprare gli ingredienti per la sua favolosa cena – della quale non ha ancora deciso il piatto principale, tra l’altro, ma poco importa data la desolazione del loro frigorifero – e già che c’è passare anche a casa di Blaine per restituirgli il quaderno. Così si infila qualcosa di carino, prende le chiavi della macchina ed è pronto per partire. Sul sedile del guidatore rinviene la lattina vuota che ha lasciato ieri sera e che ora appoggia sul sedile del passeggero, insieme al quaderno.
Kurt mette in moto e inizia a fare retromarcia canticchiando una vecchia canzone che sta passando alla radio; per un momento ha il terribile sospetto di sentire un urlo in lontananza, ma non ci da troppo peso; questo finché qualcosa di non meglio identificato sbatte contro al suo finestrino e lui sobbalza dallo spavento, con la parte posteriore della macchina già per metà in strada. È fortunato che è mezzogiorno e che quella è Lima e quindi la normalità è che passi più o meno una macchina all’ora. Inchioda e apre d’istinto la portiera; niente avrebbe potuto prepararlo a ciò che lo aspetta di fronte allo sportello.
 
«Sei impazzita?» Chiede, e non è affatto una domanda retorica. Santana è in piedi davanti a lui con un’espressione indecifrabile e con in mano un fermacapelli di dimensioni gigantesche che Kurt riconosce come l’oggetto misterioso che è recentemente planato contro al suo finestrino. Lei incrocia le braccia al petto.
«Ho provato a dirti di fermarti ma tu come al solito stavi ascoltando la tua schifo di radio e non mi hai sentito.»
«Esistono i cellulari- » Ma Kurt non può concludere il suo pensiero, perché Satana Lopez – non riesce neanche a crederci, proprio Santana Lopez – si è appena piegata verso di lui per abbracciarlo. E lo sta abbracciando sul serio, Santana Lopez lo sta abbracciando.
La cosa più simile ad un abbraccio che avevano mai avuto risaliva a quando lei lo stava trattenendo per evitare che si rendesse ridicolo con Tom. E ora sta succedendo per davvero. Kurt teme di essere finito in una qualche sorta di universo parallelo dove Rachel è stonata, lui ha la carnagione scura, il mondo è governato da un bruco gigante e Santana abbraccia le persone.
«Okay, sei impazzita.»
«Ce l’ho ancora a morte con te, ma quel coglione non è più il tuo ragazzo quindi questo ci voleva.» E Kurt pensa che sì, ci voleva davvero.
 
 
*
 
 
«Blaine, siediti: dobbiamo parlare.»
«Eh?»
«Siediti, tesoro. Solo cinque minuti.» Blaine vorrebbe dire di nuovo “eh?”, ma probabilmente sua madre inizierebbe a sospettare che sia entrato nel “famigerato tunnel della droga” o qualcosa del genere. Però la verità è che un altro “eh?” ci starebbe benissimo, perché a) la sua non è il tipo di famiglia da “siediti: dobbiamo parlare” e b) l’ultima volta che hanno parlato seriamente di qualcosa risale a quando lo hanno candidamente informato che avrebbe iniziato a vedere uno psicologo. Quindi a meno che non vogliano spedirlo da un altro strizzacervelli o che ci sia qualcosa di molto grosso di cui è all’oscuro – una sorta di rivelazione della verità su Babbo Natale ma per diciannovenni – non sa davvero che cosa aspettarsi.
 
Si siede cautamente senza perdere mai il contatto visivo con sua madre: ha paura che se succedesse lei potrebbe prenderlo come un segno di debolezza e approfittarne per ucciderlo, come succede nei documentari. Ora sono seduti; sua madre in poltrona, lui sul bordo più esterno del divano, pronto se necessario a sfruttare quanto imparato sul jogging e darsela a gambe.
«Quindi? Di cos’è che volevi parlarmi?» L’espressione di sua madre si fa cupa e lui inizia automaticamente a sudare freddo.
«Dove sei stato stanotte, Blaine?» Oh, no. Questo è molto peggio di Babbo Natale. Blaine cerca di dipingersi in faccia la migliore delle sue espressioni innocenti; la probabilità di riuscita oscilla attorno all’uno percento.
«Da nessuna parte.»
«E tutte le altre notti? E i pomeriggi? Credi davvero che non me ne sia accorta?»
Sua madre avrà detto un totale di venti parole di fila e lui è già incapace di ribattere. Stare sempre con Kurt gli aveva fatto dimenticare quanto fa schifo nelle interazioni sociali. Abbassa un attimo gli occhi. Dannazione, ora può ucciderlo.
«Uhm- »
«Dimmi solo questo: ti sei rintanato in uno dei tuoi posti per scrivere o eri insieme a qualcuno?» Purtroppo per lui quelle che potrebbe inventarsi non sarebbero bugie a fin di bene, quindi non riesce davvero a mentire. Odia non riuscirci.
«Con qualcuno.» Un lungo, immane silenzio; poi le labbra di sua madre si tendono nel più grande sorriso che Blaine ricorda di averle mai visto in faccia.
 
«Sia ringraziato il cielo! Hai visto che la terapia ti ha fatto bene? Lo dicevo io con tuo padre: “Guardalo! È sempre così allegro e non ha più quel colorito da morto”.» Blaine è completamente pietrificato sul divano e non ha idea dell’ultima volta che ha sbattuto le palpebre. No, non sta succedendo davvero.
«Non- Non ti interessa che sia uscito di nascosto?» Lei sembra quasi indignata.
«Hai diciannove anni, Blaine! Hai idea di cosa facevo io a diciannove anni?» Non ne ha idea e francamente non ci tiene neanche a farsene una. Sua madre si alza dalla poltrona, recuperando la borsetta.
«Ma... E se fossi finito in brutte compagnie?»
«Non sei finito in brutte compagnie. Basti tu come madre iperprotettiva di te stesso, fidati.» Blaine non sa cosa dire, letteralmente.
«Bene, tuo padre è appena entrato in pausa pranzo e lo raggiungo: torniamo in serata. Ti chiederei di venire con noi, ma so che il tuo amico Wes sta per venire qui- »
«Infatti.» Sua madre infila nella borsa un’infinità di mazzi di chiavi e si avvia verso la porta, lasciandolo imbambolato sul bordo del divano.
«Oh, Blaine: d’ora in poi guai a te se mi tieni nascoste le tue uscite. Sono felice che tu metta il naso fuori di casa ma detesto le bugie.» E con quelle ultime parole si chiude la porta di casa alle spalle, mentre Blaine cerca nello stesso tempo di assimilare quella conversazione e non considerare sua madre in preda di qualche effetto collaterale dell’aver da poco compiuto cinquant’anni, cosa che gli risulta più difficile del previsto.
 
Se non altro ha poco tempo da dedicare a sua madre e alle crisi di mezza età, perché poco prima dell’una il suo campanello annuncia con sette modesti trilli l’arrivo di Wes; è più in ritardo del solito, ma non ha intenzione di farglielo notare: lui si irriterebbe – nella sua personale scansione temporale è sempre puntualissimo – e non gli va di gestire un Wes irritato, non proprio oggi che ha mille cose da raccontargli su Kurt e sulla notte appena trascorsa. Altre tre scampanellate.
«Arrivo, calmati!» Urla, mentre raggiunge la porta con un gran sorriso: muore davvero dalla voglia di aggiornarlo sulle ultime novità, senza ovviamente entrare in particolari troppo personali per non tradire la fiducia che Kurt aveva riposto in lui rivelandoglieli.
«Wes, non indovinerai- » Blaine rimane imbambolato sulla soglia di casa, mentre passa rapidamente lo sguardo tra le due – due! – persone in piedi davanti alla sua porta.
«...mai.»
 
«Blaine, questo è Kyle. Kyle, lui è Blaine.»
Wes è il solito Wes, solo con un sorriso molto più ampio e inquietante del solito. Kyle invece è questo tizio alto venti centimetri più di lui con una brutta giacca rossa, i capelli castani e un sorriso da pubblicità del dentifricio che lui non ha mai visto prima. Blaine sta zitto per un po’, probabilmente abbastanza da mettere a disagio Kyle – chiunque diavolo sia.
«Io- Okay. Ci puoi scusare per un secondo, Kyle?» Enfatizza con fin troppa energia il nome del tizio della pubblicità del dentifricio – è praticamente uguale, sul serio – mentre afferra Wes per un braccio e lo trascina senza particolare delicatezza dentro casa.
«Blaine- »
«Sei impazzito?» Una volta arrivati in salotto, Blaine si cimenta in una nuova tecnica che consiste essenzialmente nell’urlare sussurrando e deve ammettere che gli sta riuscendo piuttosto bene. Wes sembra contrariato.
 
«Così Kyle penserà che sei un maleducato.»
«Me ne frego di cosa pensa Kyle, Wes! La storia della nonna non ti ha insegnato niente? Ero disposto a fingermi a chilometri di distanza pur di non incontrare sconosciuti a casa mia e tu ti presenti a tradimento con quel tizio?»
Wes ora è decisamente spazientito. Lui. Lui è spazientito; come se fosse lui ad avere uno sconosciuto davanti alla porta di casa.
«Se ti calmassi e mi lasciassi parlare scopriresti che Kyle è un ragazzo mediamente carino che ogni tanto fa da babysitter a mia sorella – sì, un maschio che fa il babysitter – , che è gay e che vuole conoscerti.» Blaine lo fissa per un lungo, interminabile istante. Non riesce a decidere se preferirebbe che morisse Wes, quel tizio sulla porta o lui stesso.
«Tu- tu non puoi organizzarmi appuntamenti con dei babysitter di nome Kyle senza dirmi niente prima!» Wes allarga le braccia.
«Blaine, te l’ho detto che non ho intenzione di gestire i tuoi drammi quando Kurt partirà e Kyle è un buon modo per pararmi il culo, se permetti. Dimmi che non è carino. Me ne accorgo perfino io che è carino!» Blaine vorrebbe seriamente prenderlo a pugni.
 
«Il punto non è se è carino o meno, Wes. Il punto è che non voglio uno sconosciuto in casa mia e soprattutto non voglio averci un appuntamento o qualunque cosa tu abbia in mente- »
«Ma si chiama Kyle!»
«Buon per lui.»
«Tu andavi matto per Kyle XY.» Blaine sgrana gli occhi e non ha idea da dove provenga la forza di volontà che gli impedisce di strangolare seduta stante il suo migliore amico.
«Kyle XY era un cavolo di telefilm su un tizio senza ombelico, okay?»
«Kyle! Vieni dentro e stai tranquillo: Blaine è solo in quel periodo del mese.» Urla Wes, diretto verso la porta.
Così Kyle XY e il suo sorrisone fanno il loro ingresso in soggiorno e Blaine si sposta leggermente a destra in modo da essere esattamente sotto al lampadario, pregando con tutte le sue forze che si stacchi e gli cada in testa.
 
Dieci minuti dopo Blaine ha appreso tutto ciò che c’è da sapere su Kyle XY, ovvero che adora i bambini – un giorno ne vuole almeno tre perché “tre è il numero perfetto, non trovi?” –, gli piace fare sport – la metà di quelli che ha nominato Blaine non sapeva neanche che esistessero – e, a quanto pare, gli piace lui. Ha iniziato a sospettarlo quando Kyle XY ha abbandonato la poltrona per piazzarsi esattamente al suo fianco sul divano e ne ha avuto una mezza conferma quando gli ha appoggiato una mano su un ginocchio, mano che a quanto pare rimarrà lì per sempre siccome sono già cinque minuti buoni che quella cosa va avanti. Così Blaine sta lì, rigido come un pezzo di legno ad ascoltare gli esilaranti aneddoti della vita di Kyle XY facendo del suo meglio per ignorare gli stupidi occhiolini di Wes e il fatto che il suo lampadario è uno stronzo per non essergli caduto in testa quando doveva.
 
Dopo cinque ulteriori minuti di inutili sproloqui Blaine può affermare che l’unica cosa ad averlo davvero colpito di Kyle XY è il fatto che Kyle XY ci stia provando con lui; insomma, non si è impegnato particolarmente per risultargli simpatico. In realtà si sta impegnando più che altro per farsi odiare, giusto per fare un dispetto a Wes e alle sue idee balzane che per poco non gli fanno venire un infarto. Poi tutto a un tratto il campanello suona e per Blaine quel rumore stridulo è come il canto del più bell’angelo del Paradiso.
«Suonano. Vado ad aprire- »
«No, no, no. Saranno solo gli scout che vendono qualche merendina o roba del genere, ci penso io.» Dice allegramente Wes, scattando in piedi come una molla. Blaine non ha mai odiato tanto qualcuno come odia Wes in questo momento.
«È casa mia e apro io. E poi non ci sono gli scout a novembre.» Peccato che Wes non lo stia minimamente ascoltando e che anzi stia già allegramente saltellando verso la porta al grido di “Gli scout non vanno in letargo”. Vorrebbe ucciderlo. Vorrebbe alzarsi da quel dannatissimo divano e ucciderlo.
 
«Perciò, Blaine.» Già, Kyle XY è ancora seduto lì e il suo tono di voce non gli piace per niente. Blaine si volta cautamente verso di lui solo per trovarsi il suo sorrisone da pubblicità a venti centimetri dalla faccia.
«“Perciò, Blaine” sono due parole che non hanno nessun senso insieme, quindi non saprei cosa ti aspetti che io risponda adesso.» A questo punto ritiene e si augura che Kyle XY lo mandi definitivamente a quel paese, e invece in qualche strano modo riesce a sorridere ancora di più.
«Okay, riproviamo.» Dice Kyle XY con quello che Blaine teme seriamente essere un tentativo di voce seducente; infatti si sposta ancora più vicino e la sua mano dal ginocchio scivola leggermente verso l’alto e Blaine vorrebbe morire. «Sei proprio molto carino, Blaine.»
Oh, beh, fantastico. Peccato che lui non lo sia. O meglio, per essere carino è anche carino, ma non è Kurt.
 
Ed è proprio mentre formula questo pensiero che si vede davanti proprio lui, Kurt.
Non nel senso che una immagine di Kurt prende forma nella sua testa e quindi è come se fosse lì, tipo cliché dei peggiori romanzi per dodicenni. Kurt è davvero lì, nel soggiorno di casa sua, bellissimo come sempre e con gli occhi ben fissi sul punto in cui la mano di Kyle XY è ferma sulla sua gamba.
Blaine ha l’orribile sensazione che non si muoverà mai più da quel divano perché di punto in bianco non riesce nemmeno a respirare, inoltre sente il principio di una crisi di panico montargli nello stomaco e non sa neanche il perché. Kurt ha un’espressione indecifrabile e Wes è appena apparso alle sue spalle e- oh, ovviamente Wes lo ha fatto entrare senza nemmeno avvisarlo. Deve uccidere Wes, sul serio.
 
«Io- uhm. Volevo riportarti questo.» Kurt solleva appena un braccio e wow quello è il suo quaderno. Kurt ha il suo quaderno. Kurt potrebbe aver letto quel quaderno. Ora l’attacco di panico è decisamente in corso.
«Kurt- »
«Ma evidentemente sei impegnato quindi lo lascio qui e- okay, scusate.»
Lascia cadere il quaderno sulla poltrona e si dirige verso l’ingresso a una velocità impressionante.
 
Al che Blaine si rende conto che non c’è alcun pericolo di rimanere paralizzato a vita sul divano; in quel caso, infatti, ora non starebbe correndo.

 
 
 
 

 
 
 
 
Buon lunedì, guys :)
Scusatemi se oggi sono di poche parole, ma sono abbastanza sicura di avere la febbre e al momento ci vedo doppio. Sono soddisfazioni u.u
Bene, prima di imbottirmi di aspirina e andare a letto due parole su questo capitolo:
- Per tutti quelli che l’aspettavano, finalmente una più che dovuta scena Kurtana *-*! A questo punto non ci resta che assistere alla reazione di Rachel... We’ll see u.u
- Vi assicuro che il discorso della madre di Blaine è basato su fatti realmente accaduti... *coff*. A chi, a me? Naaaah.
- Kyle XY, guys. K y l e X Y. Non ditemi che non lo conoscete perché non ci credo. Era sempre lì, ogni pomeriggio su Italia uno, taaanti anni fa - ...Dai. Non ho mai messo un finale cattivo in tutta la FF. Concedetemi un po’ di trollaggine per una volta *si chiede per quale caspita di ragione in TUTTE le sue FF a un certo punto c’è qualcuno che fugge e qualcun altro che rincorre... well*
Non mi trattengo più a lungo per dannatissimi motivi di salute (da notare che era una settimana che non mettevo il naso fuori di casa e come lo faccio bum, malata), e vi do appuntamento alla prossima settimana. Un grazie immenso a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo nonché alla mia adorata e bellissima moglie. Scusate ancora se non mi trattengo di più ;-; A presto ♥
 
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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Buon lunedì sera, o intrepidi avventori di EFP *tono piratesco*
Non mi trattengo eccessivamente qui nell’introduzione per ovvi motivi di trollaggine circa la fine del capitolo precedente: non ho cuore di lasciarvi ad oltranza nella fase Blaine-sta-correndo-dietro-a-Kurt-riuscirà-a-raggiungerlo-o-sverrà-per-lo-sforzo?
...Non che abbia molto da dire nemmeno nelle note finali stavolta, but still u.u
Vi ricordo la solita solfa degli sms: Kurt, Blaine.
Buona lettura ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XIII
 
 
Ci sono momenti nella vita di una persona in cui le cose vanno semplicemente troppo bene per durare.
Kurt ha recentemente raggiunto l’apice di quello stadio: Santana lo ha abbracciato, Tom ha il suo biondino ossigenato e tutto questo dopo essersi buttato a capofitto nel rischio più grande che abbia mai affrontato in vita sua. Ha demolito tutto ciò che gli dava una qualche forma di stabilità e stava riuscendo a ricostruire tutto da capo, ci stava riuscendo per davvero. La fregatura di quando le cose vanno troppo bene è che possono solo peggiorare e Kurt ne è estremamente consapevole mentre sta praticamente correndo per il giardino di casa Anderson.
 
«Kurt!» Non è possibile: Blaine lo sta seguendo. Blaine gli sta letteralmente correndo dietro e Kurt un po’ lo odia perché a) era già stato abbastanza patetico balbettare quelle due stronzate nel suo salotto senza che lui lo rincorresse per dirgli che non era stato patetico solo per farlo sentire – sorpresa – ancora più patetico e b) che razza di schifosissima scena da film è quella? Poi però si guarda brevemente alle spalle per constatare se è o meno in grado di seminarlo e inciampa su un dannatissimo gnomo da giardino, cosa che rovina irrimediabilmente la schifosissima scena da film.
Perde l’equilibrio ed è una specie di miracolo se riesce a non cadere lungo disteso in mezzo agli gnomi, tuttavia le speranze di seminare Blaine sono andate allegramente a farsi benedire.
 
«Kurt- ehi. Ti sei fatto male?» Riacquista una posizione verticale stabile, prende un profondo respiro e si volta verso Blaine; tanto non può più scappare, ormai.
Lo fissa per un attimo – i ricci scompigliati che gli ricadono sulla fronte, gli occhiali che continuano a scivolargli sul naso, quei suoi occhioni spalancati e la bocca socchiusa – e pensa che sì, si è fatto male, ma non ha niente a che fare con la quasi-caduta sugli gnomi da giardino.
«No.» Risponde, incrociandosi le braccia al petto. Fa un freddo insopportabile e lui è uscito dalla macchina senza giacca perché beh, pensava che sarebbe stato un po’ in casa di Blaine e invece lui era insieme al tizio della pubblicità dei dentifrici.
«Perché sei corso via così?»
«Sono venuto per riportarti il quaderno e l’ho fatto, mi sembra. Ora se non ti dispiace avrei altro da fare.» Blaine sembra quasi ferito da quello che ha detto. Kurt non voleva ferirlo; o forse solo un po’, un pochino voleva.
«Ma potevi- »
«Potevo cosa? Potevo restare? Potevo starmene lì come un coglione mentre tu ti rotolavi sul divano col tuo ragazzo?» Si era appena ripromesso di non uscirsene con qualcosa del genere e invece eccolo lì, come volevasi dimostrare. Blaine risponde immediatamente.
«Non è il mio ragazzo- »
«Certo che no. Era solo un tuo amico che ti stava palpando una gamba e stava per baciarti.» E sul serio, una volta superata la manciata di secondi di incredulità iniziale Kurt avrebbe davvero, davvero voluto mozzare la mano di quel coglione e far saltare per aria il suo stupido sorriso da pubblicità piazzandogli della dinamite tra i denti.
«Non- Non stava per baciarmi.»
«Beh, sembrava proprio di sì, invece. E per fortuna che avevi detto che solo io e Wes sappiamo che sei gay.»
«Se potessi stare zitto per un secondo e lasciarmi spiegare- »
 
Ed è la parola “spiegare” che fa scattare qualcosa nella testa di Kurt, come una gigantesca molla di realizzazione. Fa istintivamente un passo indietro. Che cosa diavolo gli era saltato in mente?
«No, senti. Non devi spiegarmi proprio niente.»
«Ma io voglio spiegarti.» Kurt è esasperato. Lo è davvero e sta anche uno schifo e non riesce a decidere se vorrebbe di più salire in macchina e guidare fino in capo al mondo o tornare là dentro a uccidere quel tizio.
«E io non voglio saperlo! Lo vedi com’è assurdo tutto questo? Non mi devi nessuna spiegazione se inviti a casa tua un tizio e lui ti palpa una gamba, okay? Non è che sono tua madre, o...» Gesticola a vuoto e più lo fa più si sente un emerito idiota. Vorrebbe solo essere davvero caduto per terra a causa di quello stupido gnomo ed essere svenuto, così magari si sarebbe risparmiato la discreta serie di stronzate che sta attualmente sparando a Blaine.
«Kurt, ti prego. Fino a mezz’ora fa neanche lo conoscevo- »
«No, sono io che ti prego: mettiamo fine a questa conversazione inutile e torna dentro da quel tizio.»
«Ma vuoi lasciarmi parlare?! Non c’è niente tra me e Kyle.»
Kyle, seriamente? Che razza di nome schifoso è Kyle?
«Davvero? Allora forse dovresti spiegarlo anche a Kyle perché non mi sembra avesse molto chiara la cosa dal momento che aveva la faccia a cinque centimetri dalla tua e ti guardava come se volesse mangiarti.»
«Si può sapere perché diavolo mi urli addosso?» Perché gli urla addosso? Perché ha perso il controllo di questa conversazione parecchie immagini mentali di Kyle che gli tocca la gamba fa.
 
«Abbiamo aggiunto “primo bacio” alla lista, giusto? Allora vai là dentro e daglielo visto che lui non aspetta altro. A meno che tu non lo abbia già fatto.»
Ora anche Blaine sembra furioso, il che ha senso perché lui ha appena inaugurato un nuovo livello supremo di idiozia e arrabbiarsi è il minimo che Blaine può fare. Peccato che anche Kurt si senta incavolato nero, il che invece di senso ne ha ben poco.
«Sai cosa ti dico? Va bene. Andrò là dentro e lo bacerò se ci tieni tanto.»
In realtà non ci tiene affatto. In realtà non riesce neanche a immaginare Blaine che bacia quel tizio senza voler prendere a pugni il tizio in questione e buon Dio, che cosa diavolo c’è di sbagliato in lui?
«Fai quello che ti pare, tanto non mi interessa.»
«Non ti interessa? Certo. Perché dovrebbe interessarti?» Più che una vera domanda sembra che Blaine lo stia chiedendo a se stesso. Ora anche lui ha un’aria ferita e Kurt per un momento non ha idea di come siano finiti nel suo cortile a urlarsi addosso come due imbecilli. Decide che deve provare a rimediare.
«Guarda, mi dispiace- »
«Non hai letto il mio quaderno, vero?» Basta questa semplice domanda a farlo scattare di nuovo. Perché ce l’ha così tanto con lui?
«No, Blaine. Non ho letto il tuo cavolo di quaderno perché io a differenza tua- »
«Bene, allora te lo dico io: hai provato a baciarmi.»
 
Kurt sente lo stomaco stringersi di colpo e la gambe formicolargli. Si ripete quelle parole in testa, lentamente; più lo fa più è sicuro che Blaine si stia inventando tutto per il semplice fatto che non è possibile. Se fosse vero lo saprebbe, no?
«Cosa diavolo stai dicendo?»
«La notte in cui ti sei ubriacato hai provato a baciarmi due volte e sai cosa, Kurt? Non te l’ho lasciato fare. Non te l’ho lasciato fare perché il giorno dopo non ti saresti ricordato un accidente e perché avevi il tuo cavolo di fidanzato, quindi non venirmi a dire che sono una persona orribile se il mio migliore amico mi organizza un appuntamento con un tizio che non ha bisogno di essere ubriaco per avere voglia di baciarmi, okay?»
 
Kurt vorrebbe dirgli che neanche lui ha bisogno di essere ubriaco per avere voglia di baciarlo perché – non riesce nemmeno a credere di starlo finalmente ammettendo a se stesso – lui ha sempre voglia di baciarlo.
Ha voglia di baciarlo quando ha un ginocchio sbucciato sul fondo di una piscina, ne ha voglia quando gli sviene per terra dopo cinque minuti di corsa, ne ha voglia dopo aver letto ognuno dei suoi stupidissimi sms, ne ha voglia mentre lo sta abbracciando in una cavolo di tenda in mezzo al nulla e ne ha voglia anche adesso perché ne ha voglia sempre, continuamente. Ma non può dirgli niente di tutto questo perché di là c’è Kyle e Kyle non lascerà lo Stato tra un mese e lui si sente un tale idiota egoista perché è appena uscito da una storia di tre anni e Blaine sta solo cercando di essere felice. In realtà si sente solo ridicolo e si sente anche uno stronzo perché Blaine si merita tutti i sorrisi da pubblicità da dentifricio del mondo, non un coglione che gli urla addosso in cortile. Inoltre, vorrebbe essere sorpreso di aver provato a baciarlo da ubriaco ma la verità è che non lo è affatto.
«Scusa.» Dice semplicemente, con una voce talmente da idiota che vorrebbe tirarsi un pugno in faccia da solo. Blaine è sempre furioso come prima.
«Scusa di cosa? Senti, credo che dovresti andare.»
«Credo anch’io.» Così gira i tacchi – stavolta fa attenzione agli gnomi – e si avvia verso la sua macchina alla velocità maggiore che può sostenere senza mettersi di nuovo a correre. Ora può anche guidare fino in capo al mondo e possibilmente restarci.
 
 
*
 
 
Blaine non aspetta neanche che Kurt sia uscito dal cancello. Prima ancora che possa programmarlo le sue gambe si sono già messe a scattare verso casa e Dio, non ricorda di essere mai stato più furioso di così. Che diritto ha Kurt di venire lì e urlargli addosso perché Kyle XY aveva una mano sulla sua gamba? Lui non aveva nemmeno intenzione di baciarlo e comunque anche se avesse voluto non erano caspita di affari suoi. Cosa doveva fare? Starsene lì a sbavargli dietro fino alla prossima sbronza e approfittare di quella per quel suo stupidissimo primo bacio?
Entra in casa a passo di marcia mentre la sua voglia di piangere fa a pugni con il suo orgoglio che a sua volta sta evidentemente facendo a pugni con il suo cuore visto e considerato come lo sente ridotto al momento. Si guarda intorno ed eccoli là: Wes e Kyle XY lo stanno guardando attoniti in piedi al centro del salotto.
 
«Che cosa diavolo erano quelle urla?» Blaine non sente neanche la domanda di Wes, perché al momento è troppo occupato a dirigersi il più in fretta possibile verso Kyle XY e sul serio: se ne frega altamente. È solo un bacio, giusto? Sono due bocche premute una sull’altra quindi che dannata importanza ha? Afferra i lati del viso di un terrorizzato Kyle XY e lo sta per fare, sta davvero per provare a tirarlo verso il basso in modo che la sua bocca sia anche solo vagamente raggiungibile ma poi lo guarda e non ci riesce. Non ci riesce e si odia, si odia per non riuscirci e per aver appena appoggiato la fronte sul petto di Kyle XY ed essersi messo a piangere come un povero idiota.
Cosa diavolo gli è preso? Andava tutto bene, prima. Andava tutto bene quando era il deficiente senza ispirazione perennemente chiuso in casa che aveva solo il suo migliore amico. Tutto questo è orribile ed è solo colpa sua per essersi infilato in un mondo che non gli appartiene e aver creduto di poterlo dominare. Non può, non ci riesce e non riesce nemmeno a baciare Kyle XY.
 
«Blaine...» Stavolta è Wes a parlare. Blaine ha la ragionevole certezza che questo sia l’appuntamento peggiore della vita di Kyle XY, così per lo meno lo lascia andare e continua a piangere in piedi da solo senza imbrattargli la felpa.
«Potete andarvene, per piacere?» Nessuna delle due persone davanti a lui muove un muscolo.
«Non voglio lasciarti solo mentre stai così.» Dice Wes, e Blaine deve insistere cinque minuti buoni prima di riuscire a chiudere entrambi fuori dalla porta di casa sua e potersi concedere di piangere per bene, del genere di pianti che a un certo punto fai quasi fatica a respirare e perfino la testa sembra scoppiarti. Blaine piange e piange e piange finché non ne può più e a quel punto ricomincia da capo.
 
 
*
 
 
West Lima. Non è esattamente in capo al mondo, ma è già qualcosa.
Sono dieci minuti che Kurt è seduto nella sua macchina a fissare il vuoto in una strada senza uscita di uno dei posti più desolati del mondo civilizzato e continua a sentirsi sempre nello stesso modo, ovvero uno stronzo egoista deficiente. Ed è più o meno questa la ragione per cui ha appena composto il numero di Santana senza nemmeno avere la più pallida idea di cosa diavolo dirle esattamente, così rimane lì a sentire il telefono che squilla a vuoto. Sta iniziando ad abituarsi al suono quando dall’altra parte qualcuno accetta la chiamata e anche se dovrebbe essere la cosa che uno si augura quando telefona a qualcuno quello non è affatto il suo caso.
«Hummel, te lo ripeto: sono fiera di te per tutta la faccenda di Tom ma non ti ho ancora perdonato del tutto, quindi se potessi evitare di chiamarmi- »
«Hai presente Blaine?» Santana interrompe il suo sproloquio e rimane in silenzio qualche secondo. Quando si rimette a parlare sembra stranita.
«Il poeta sfigato e gay?»
«Non è un poeta e non è uno sfigato- aspetta.» Ha appena sentito il telefono vibrargli contro la guancia. Lo allontana per un secondo dall’orecchio e vede il simbolino di un messaggio in arrivo affiancato dal nome di Blaine. Prova una sensazione fastidiosamente simile a quella che ti prende lo stomaco durante una discesa sulle montagne russe.
«Devo andare.»
«Hummel? Sei fatto di crack?» Santana non può aggiungere altro perché Kurt ha già riattaccato. Deve fare due tentativi prima di riuscire ad aprire il messaggio perché le sue dita tremano e non riescono a centrare l’icona.
 
14:55
Dovevo vedermi con Wes per pranzo e lui si è presentato a tradimento con quel tizio che si chiama Kyle ed è il babysitter di sua sorella. Quando sei entrato ci stava provando con me, è vero, ma io non volevo starci. Se mi hai visto lì impalato è solo perché delle volte faccio così, mi blocco. Ma non volevo baciare Kyle.

 
Kurt non fa in tempo a finire di leggere il messaggio che gliene arriva un altro, e poi un altro e un altro ancora.
 
14:55
Quando te ne sei andato volevo baciarlo perché ce l’avevo a morte con te ma tutto quello che ho ottenuto è stato piangergli sulla maglietta.
 
14:56
Non ridere.
 
14:56
Lo so che non ti dovevo una spiegazione. E so anche che dirti quella cosa dei quasi-baci da ubriaco è stata una cattiveria. Chiamami quando e se sbollirai la rabbia. Scusa.
 

Kurt legge i messaggi uno dopo l’altro più volte e poi realizza: si trova a West Lima.
In una di queste stupide casette tutte uguali poche ore prima Tom ci stava provando con il suo biondino ossigenato e a lui non era importato un accidente. E poi un tizio ha toccato una gamba a Blaine e lui aveva fatto una sceneggiata in cortile e aveva guidato per mezz’ora progettando fantasiose ed innovative tecniche di tortura per far soffrire Kyle il più possibile mentre gli amputava le dita.
Kurt si rende conto di tutto quanto: di New York, del fatto che deve ancora parlare con Rachel, di Tom, di Santana e di tutto il resto. E davvero, sono tutti buoni motivi per scrivere qualcosa di giusto come “Va tutto bene, non preoccuparti. Cosa ne dici di vederci domani per un altro punto della lista?”.
Peccato che al momento non gliene importi un accidente di fare la cosa giusta.
 
 
*
 
 
Verso le tre e mezza del pomeriggio Blaine ha perso la speranza che il suo stomaco si metta a fare qualcosa di normale tipo chiedergli di essere riempito con qualcosa e anzi, al momento è quasi del tutto persuaso dall’illogica convinzione che in tutta probabilità non mangerà mai più. E ci sono altre tre cose.
La prima è che Kurt non ha ancora risposto ai suoi messaggi, la seconda è che Wes a grande sorpresa gli ha annunciato che Kyle XY non è più interessato a lui e la terza è ordinatamente disposta sul bancone della sua cucina: una moderatamente ricca varietà di alcolici che ha rinvenuto in casa e che ha intenzione di prosciugare fino all’ultima goccia.
 
Lo sa che non è un comportamento particolarmente saggio e sa anche che non è assolutamente da lui ma si è rotto le palle di ciò che è o meno da lui parecchie scatole di kleenex fa. Sarà per il fatto che negli ultimi diciannove anni nella sua vita non è successo praticamente un accidente, ma sul serio: non ricorda di aver mai pianto in quel modo; è andato avanti per quasi due ore e al momento fa fatica anche a tenere gli occhi aperti il che non è un bene se già di per sé uno è praticamente cieco. Blaine prende un profondo respiro e fissa il suo riflesso grigiastro sulla superficie del frigorifero: anche questa passerà, giusto? Lui e Kurt hanno litigato perché- non è sicuro di aver chiaro il perché, fatto sta che hanno litigato e da una parte è stato un bene; se non altro ha finalmente buttato fuori tutta la frustrazione accumulata in quelle settimane sotto forma di un fiume di lacrime. L’unico aspetto negativo è che in teoria ci si sfoga per stare meglio e invece lui sta esattamente come prima, perché può piangere anche fino a morire disidratato ma questo non cambia il fatto che Kurt tra cinque settimane se ne andrà a New York e sparirà dalla sua stupida vita che nel frattempo si è messa a girare intorno a lui senza che potesse fare niente al riguardo e beh- questo. Inizia a pensare che a dire il vero non avrebbe mai voluto litigare con Kurt perché se non fosse successo adesso probabilmente sarebbero insieme e invece lui è da solo con una collezione di bottiglie di vino.
 
Ma ormai è andata così, quindi tanto vale che prenda un bicchiere e inizi la sua personalissima avventura da una botta e via con l’alcolismo; in realtà con quella di oggi sarebbero due volte, ma la prima tecnicamente non era stata colpa sua e comunque gli aveva fatto conoscere Kurt- già. Bere. Dovrà bere un bel po’ per smettere di pensarci. Così si arma di calice – sì, ha appena scoperto che hanno dei calici in casa – e di una a caso delle bottiglie e si avvia in salotto. Sta per iniziare con un certo sforzo il secondo bicchiere di vino – quella roba gli fa davvero schifo, non può farci niente – quando per poco non si prende un colpo a causa del gran baccano che il suo cellulare ha appena fatto per annunciargli l’arrivo di un sms; la suoneria è ancora altissima da quando ha rischiato di non sentire i messaggi di Kurt la sera della grande sbronza e wow, dovrà bere parecchi bicchieri per smettere di avere quel nome in testa. Peccato che poi lo veda scritto anche sul display del cellulare e tutti i suoi buoni propositi vanno allegramente a farsi benedire.

 
15:38
Blaine...
Le rose sono rosse,
le viole sono blu,
se mi perdoni,
giuro che non sclero più.
 
15:40
Kurt. Le rose sono rosse, le viole sono blu, stavo iniziando a bere, per tirarmi su.
 
15:42
Le rose sono rosse,
le viole sono blu,
e se dopo bevi troppo
e ci provi con me anche tu?
 
15:42
Scusa ancora per quello. Non dovevo dirtelo.
 
15:44
In realtà dovevi visto che te lo avrò chiesto ottomila volte e tu continuavi a rifiutarti di rispondere. Comunque gran bella sfuriata.
 
15:45
Grazie. Anche la tua non è stata male.
 
15:47
Già. Però alcune cose che hai detto erano tremendamente false.
 
15:47
Ad esempio?
 
15:48
Se vieni ad aprirmi la porta te lo dico di persona. P.S. Prima di passare alla fase bere-per-dimenticare devi almeno assicurarti che il tuo migliore amico e il tuo appuntamento al buio abbiano chiuso il cancello.
 

 
 
 

 
 
 
 
Zam zam zam zaaaaam ;)
Lo ammetto, non vedevo l’ora che arrivasse questa parte della storia. Dopo millemila capitoli passati a descrivere le pene amorose del povero Blaine il karma ha finalmente agito e bum Jealous!Kurt... MWHAHA okay giuro che mi placo u.u In realtà non ho note particolari da fare riguardo al capitolo, tranne il fatto che OVVIAMENTE il prossimo riprenderà proprio da dove si è interrotto questo. Come sempre sono ansiosissima di leggere i vostri pareri, ma prima di smaterializzarmi non posso che rivolgere un immenso grazie arcobalenoso a tutti coloro che leggono, aggiungono a preferite/seguite/ricordate e recensiscono questa storia: siete tanto belli e io vi amo tanto ;-; Un doverosissimo grazie speciale va a mia moglie, che mi manda bellissimi manip di me che mangio il Tardis <3
Al solito, l’appuntamento è alla prossima settimana. Magari nel frattempo arriverà qualche spoiler sulla buona vecchia...
 
...Pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
E poi naturalmente se volete chiedermi cose interessanti come quante dita dei piedi ho o come procede il progetto dell’inaugurazione del mio allevamento di pappataci in Uzbekistan potete farlo qui: http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Buon lunedì, guys :)
Mi rendo conto di avervi lasciato con un pizzico di amaro in bocca la scorsa settimana *coff* trollatedifinecapitolo *coffcoff* quindi sì, nemmeno oggi ho intenzione di stressarvi con un’introduzione troppo lunga e mi riservo ogni commento alle note finali u.u
Senza ulteriore indugio mi dissolvo nella nebbia. Enjoy ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XIV
 
 
Blaine impiega la bellezza di cinque secondi a compiere il tragitto che separa il salotto dalla porta d’ingresso, rischiando per altro di inciampare ben due volte per il semplice fatto che Kurt è lì, di nuovo.
Non riesce a credere che nel giro di un paio d’ore un tizio ci ha provato con lui, ha affrontato un litigio, ha pianto una buona percentuale della totalità dei suoi liquidi e ha progettato la peggiore sbronza di sempre; eppure è successo e ora Kurt è lì e gli sembra che improvvisamente tutto il resto abbia un’importanza molto, molto relativa. Spalanca la porta con fin troppa energia e wow Kurt è davvero lì, non che si aspettasse che gli avesse fatto uno scherzo o qualcosa del genere.
«Ehi, Blaine Anderson.» Dice semplicemente, come se avesse dimenticato alla velocità della luce tutto ciò che era appena successo o – con più probabilità – volesse comportarsi come se non fosse cambiato niente. In realtà Blaine non è ancora sicuro che sia cambiato o meno qualcosa e anche in quel caso non sa se preferirebbe o meno fingere di non accorgersene. Kurt alza gli occhi al cielo; è rimasto zitto per troppo tempo, come suo solito.
 
«Okay, questo lo dai a me.» Annuncia con un sorrisetto, mentre gli prende il bicchiere di vino dalle mani e spinge delicatamente Blaine da una parte in modo da poter entrare. «È molto che Wes e il tuo pretendente se ne sono andati?»
«Praticamente da dieci minuti dopo che te ne sei andato tu. Vuoi qualcosa da bere?» Kurt lancia un’occhiata significativa alla bottiglia appoggiata sul tavolino del salotto, poi si siede sul divano.
«Credo che se volessi da bere potrei tranquillamente servirmi da solo.» Blaine sta per sedersi affianco a lui quando viene assalito da una serie di brutti ricordi che vedono protagonisti Kyle XY e il proprio ginocchio, così finisce per mettersi sulla poltrona, evitando accuratamente di schiacciare il suo quaderno che è ancora lì da quando Kurt ce l’ha lasciato cadere sopra e uh, già.
«Grazie per non aver letto il quaderno.» Kurt si stringe nelle spalle.
«Non avrei potuto farti una cosa del genere.»
«E scusa per quella cosa dei due quasi-baci.» Lui alza gli occhi al cielo.
«Ancora? Te l’ho detto, va tutto bene. Scusami tu per averci provato... Anche se non capisco in che modo leggere il tuo quaderno avrebbe potuto farmi scoprire la storia dei due quasi-baci.»
Se Wes fosse lì, in tutta probabilità descriverebbe quella attuale come una situazione di cacca: Blaine è abbastanza sicuro di non sentirsi più le gambe a causa del repentino afflusso di sangue in direzione della sua faccia e non ha idea se riuscirà o meno ad inventarsi una bugia convincente. Lancia una piccola occhiata a Kurt che dal canto suo lo sta fissando senza tradire emozione, con ancora il suo cavolo di calice in mano.
 
«Io, ehm...» Kurt lo lascia balbettare per qualche altro secondo, poi solleva leggermente il bicchiere verso di lui.
«A Blaine Anderson, lo scrittore che non sa parlare.» Beve il dito di vino rimasto e appoggia il calice sul tavolino, guardandolo di sottecchi. «E il motivo per cui hai deciso di ubriacarti proprio tu, che piuttosto di bere una birra intera preferisci gelare in una tenda in mezzo al nulla? Almeno questo me lo dici?»
Beh, perché dicembre è sempre più vicino e il passare dei giorni è un po’ come una morsa che si stringe di ora in ora un po’ più forte attorno al suo collo e non ha idea di come potrà respirare, dopo. Perché gli manca già adesso che è ancora lì. Perché gli aveva detto che non gli importava se baciava o non baciava Kyle. Perché è innamorato di lui e per quanto ci provi non riesce a non esserlo. Poi si ricorda ciò che aveva risposto Kurt quando era stato lui a chiedergli perché aveva bevuto così tanto.
«Per non pensare.» Sorprendentemente non è nemmeno una bugia – bugia che tra parentesi non sarebbe riuscito a dire. Kurt piega la testa da un lato, fissandolo.
«Non pensare a cosa?» Oh, beh. Questo non era nel copione.
«Uhm...»
«Come immaginavo.» Rimangono in silenzio praticamente un minuto intero: Kurt sembra estremamente divertito dal suo imbarazzo così lui tenta di mettersi sulla difensiva.
«Che cosa ho detto di sbagliato?»
«Mm?»
«Prima. Mi hai scritto che mentre facevo la mia scenata ho detto una cosa non vera.» Kurt non sembra più particolarmente divertito. Smette di sostenere il suo sguardo e inizia a sfiorarsi distrattamente il petto, più o meno all’altezza di dove Blaine sa trovarsi la sua cicatrice.
 
«È... Hai presente quando vai in un posto con la ferma intenzione di fare una cosa e poi quando ci arrivi ti rendi conto che quella cosa era una immensa, gigantesca cavolata ma ormai sei lì e non hai la più pallida idea di cosa fare?»
«...No, ma credo di poterlo immaginare.»
«Ecco. È questo.» Blaine è molto consapevole che quella conversazione non sta portando da nessuna parte per il semplice fatto che non è una conversazione. È Kurt che gli chiede cose a cui lui non può barra non vuole rispondere e viceversa. È quasi dell’idea di andare in cucina con una scusa e scolarsi un’intera bottiglia di vino sperando di ingoiare insieme all’alcol anche la capacità di dire qualcosa, quando di punto in bianco Kurt si alza dal divano. Blaine lo guarda dal basso, del tutto conscio dell’alto grado di pateticità del puro terrore che deve avere dipinto in faccia.
«Dove vai?» A quanto pare Kurt trova la sua pateticità divertente, perché sorride.
«Fuggo dalla immensa, gigantesca cavolata che mi era venuta in mente, Blaine Anderson.» Gli dice, avviandosi verso la porta di ingresso.
Ed è nell’esatto momento in cui Kurt esce dal suo campo visivo, nel momento in cui sparisce dietro la poltrona che Blaine lo realizza: non può lasciarlo andare via. Per una volta non sta pensando a New York, sta pensando a questo esatto momento. Non può lasciarlo andare via adesso, dal salotto di casa sua. Non può, perché si è appena reso conto che fino ad ora le sue sono state soltanto parole: tutte quelle storie su quanto Kurt aveva influito sulla sua vita, su quanto lo aveva cambiato, tutte favole. Che cosa aveva fatto di concreto per dimostrare questo tanto decantato cambiamento, in quelle settimane? Assolutamente niente. Si era dimostrato lo stesso ragazzino imbecille di sempre che si tiene tutto dentro, che fa finta di stare bene quando in realtà sta uno schifo e che guarda la sua vita passargli davanti anziché tuffarsi in mezzo. Kurt si è messo in gioco, Kurt ha distrutto tutto il suo mondo pur di non deludere se stesso e lui è così stanco di cercare a tutti i costi di proteggersi in un modo tanto maniacale e disperato. Che sia la prima e l’ultima volta in tutta la sua vita, ma vuole rischiare; vuole saltare nel vuoto, vuole cadere a pezzi e crede anche che se lo deve, sono diciannove anni che se lo deve.
 
«Aspetta.» Se ne pente nell’attimo stesso in cui lo dice, ma ormai è fatta perché non sente più i passi di Kurt che si allontanano e anzi sono sempre più vicini e quel punto ha completamente disimparato a respirare. È proprio durante il suo secondo, vano tentativo di incamerare un po’ d’aria che Kurt torna a passare di fianco alla sua poltrona e no, no, no-
«Fermo.»
«Cosa?»
«Hai presente quello che mi hai detto sul tuo rituale di parlare al buio perché così riesci a dire tutto ciò che ti passa per la testa? Ecco. Per gli stessi motivi credo che questa conversazione proseguirebbe molto più agevolmente se tu stessi, uhm, dietro alla poltrona.» Blaine non può guardare Kurt per il semplice motivo che se lo facesse sa che il suo attacco di spavalderia andrebbe a farsi benedire, ma è quasi sicuro che lui gli abbia sorriso.
«Sei strano, Blaine Anderson.» Dice, ma per grande sollievo di Blaine fa quello che gli ha chiesto e si mette dietro alla poltrona, in modo che non possa più vederlo. A questo punto deve solo parlare. Non ha idea di dove trova il coraggio per farlo ma in qualche modo incomincia, con gli occhi ben piantati sul tavolino.
 
«Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?»
«Sul fondale di una piscina. Come dimenticarlo?»
«Ecco. Non era la prima volta che ti vedevo. Voglio dire, non sono caduto e poi ho visto te, prima ho visto te e di conseguenza sono caduto, perché ero ubriaco e volevo vederti più da vicino senza mettere in conto che tra di noi c’era una piscina vuota. E l’ho fatto perché- uhm, non prendermi per pazzo, ti prego. Tu avevi questo drink in mano e stavi guardando le stelle e mi sono detto: questo ragazzo è speciale. Non so perché l’ho pensato e mi rendo conto che è una cosa molto stupida da pensare, ma c’era qualcosa nel modo in cui guardavi il cielo che è diverso da come lo fa tutto il resto del mondo, capisci di che parlo?»
Kurt non risponde per un po’ e Blaine ha la netta sensazione che il suo “capisci di che parlo?” sia un po’ come quelli di Kurt con lui: non lo capisce pienamente, non sempre, ma dopotutto crede di poterlo immaginare.
«Sì.» È una risposta troppo breve perché Blaine possa cogliere una qualsivoglia inflessione nella sua voce che sia in grado di suggerirgli se il suo è più un “Sì, continua a parlare” o “Sì, ma ora potresti cortesemente lasciarmi scappare lontano da te e dal tuo cervello malato?”. Non sentendo i passi rapidi di qualcuno che fugge disperatamente decide che è il caso di proseguire.
 
«All’inizio non sapevo se fidarmi di te perché sembravi questa meravigliosa persona senza difetti e sicura di sé e io sembravo- beh, solo io. Hai detto quella cosa, hai detto: “la verità è che voglio sconvolgerti la vita, Blaine Anderson” e lo so che scherzavi ma io sapevo che lo avresti fatto per davvero, lo sapevo dalla prima volta che ti ho visto, quella che ti ho raccontato poco fa. Ma tu non lo sapevi, Kurt, e io avevo paura che a un certo punto te ne saresti accorto e avresti pensato che era troppo e ti saresti allontanato e a volte lo penso ancora. Però a differenza dell’inizio adesso non mi importa più per due ragioni: la prima è che tanto ormai me l’hai sconvolta davvero la vita, non che non me lo aspettassi. La seconda è che se sei tu a sconvolgerla allora va bene che si sconvolga.»
Prende faticosamente fiato ma Kurt deve interpretare il suo silenzio come il momento giusto per dire qualcosa perché un attimo dopo sente la sua voce.
«Blaine?»
«No, no. Un’altra regola è che non devi dire niente perché ho finalmente iniziato a dire qualcosa e se poi parli anche tu mi blocco e se mi blocco stavolta è possibile che sia quella definitiva. Quindi non parlare, okay?»
Aspetta qualche istante: fa in tempo a ripetersi in testa “ippopotamo” quattro volte e a quel punto immagina che la risposta alla sua domanda sul fatto se farà silenzio o meno sia fare silenzio, e gli è grato per questo.
 
«Credevo che mi avessi sconvolto la vita già da subito, già dal giorno in cui mi hai proposto tutta la faccenda della lista ed eri così... Non lo so. Ho creduto di aver visto tutto ciò che c’era da vedere e quella convinzione mi accecava al punto che non riuscivo ad andare oltre, mai. E un po’ mi imbarazza dirti che cosa ha cambiato le cose, perché detto così sembra squallido, ma- la sera in cui ti sei ubriacato. Mi avevi appena sfidato a cercare le chiavi della tua macchina e te ne sei uscito con quella frase: “io non sono tutto intero come te” e solo quando me lo hai detto ho capito che era vero, che non eri tutto intero. Hai presente quando ti sforzi e ti sforzi per capire una cosa finché qualcuno ti dà la soluzione e di punto in bianco ti rendi conto che era così ovvia, così banale che devi proprio essere un coglione per non esserci arrivato da solo? Mi sono sentito proprio così, perché era palese che tu fossi molto di più di un ragazzo che fa battute sarcastiche, che straparla e che sorride sempre. Ma io l’ho capito solo quando me lo hai detto, ed è lì che mi hai sconvolto la vita per la seconda volta, quella vera.»
Blaine sente la bocca secca, la sente quasi pulsare anche se sa che questo non è possibile, o almeno non crede. Tiene lo sguardo fisso sul suo dannatissimo tavolino e cerca di organizzare i pensieri, perché quello sarebbe il momento in cui gli dice che lo ama ma non è sicuro di riuscirci.
È sempre così: sa mentire, ma solo se a fin di bene; sa gestire le situazioni di panico, ma solo se ce n’è un numero limitato ogni giorno; a quanto pare sa anche fare lunghi discorsi a persone che non rientrano nel suo campo visivo, ma senza andare fino in fondo. C’è sempre quel punto di arresto, ogni volta. Inspira tutta l’aria che può e non sa se interpretare come un buono o un cattivo segno il fatto che Kurt non stia dicendo nulla ma poi si ricorda: è stato lui a chiederglielo.
 
«Io- uhm. Da quel momento in poi per me è stato diverso. Lo so che probabilmente non hai mai notato niente di tutto quello che ti sto dicendo perché lo sai: di solito mi sforzo di non espormi più di tanto e se per caso lo faccio mi blocco, sto zitto per un sacco di tempo e tu tutte le volte alzi gli occhi al cielo e dici “Sei strano, Blaine Anderson” o cose del genere. Però davvero, credimi: è stato diverso. Questo finché non ho visto quella tua cicatrice ed è cambiato di nuovo tutto, perché con me non eri mai stato spaventato, o insicuro: credevo di esserci già io per tutti e due e naturalmente sei un essere umano quindi avrei dovuto sapere che anche tu puoi essere così ma era la prima volta e... Non lo so. Quando ieri mi hai spiegato cosa era successo mi sono messo a pensare a quante probabilità ci fossero per noi di trovarci stesi al buio nella tua stanza in quel momento ed erano così poche, Kurt. Eppure c’eravamo.»
Lo sente muoversi. Si sta muovendo e lui è terrorizzato perché sembra che Kurt si stia avvicinando e ha paura che infranga i patti e gli si materializzi davanti proprio ora, prima che lui possa finire il suo discorso. Non glielo può permettere, non può bloccarsi proprio adesso, così si mette a parlare il più in fretta possibile.
«E una delle ragioni per cui volevo non pensare oggi è che tu stai per andartene e lo so che mi telefonerai e tutto il resto ma non sarà la stessa cosa. Andrai nella scuola dei tuoi sogni e incontrerai tutte queste persone interessanti e io intanto continuerò ad essere poco interessante qui, a casa mia, con Wes, Mona, il mio computer che non funziona e una foto di te che ridi sul cellulare- »
 
«Blaine.»
«Lo sai che ho pianto per quasi due ore? Non avevo mai pianto così tanto e non ho nemmeno idea del perché mi venga da ricominciare proprio adesso che sei qui e non stiamo più litigando.»
«Blaine, ehi.» Ora è davvero nel panico, perché Kurt è appena apparso alla sua sinistra – sta ancora fissando il tavolino ma può vederlo con la coda dell’occhio – e lui deve ancora finire di parlare, deve ancora dirgli di essere innamorato di lui ma non può se Kurt-
«Aspetta ti prego, ti prometto che non ci vorrà ancora molto- »
«Blaine? Guardami.» E Blaine lo guarda perché cos’altro può fare? Kurt è in piedi proprio di fronte a lui e dal poco che Blaine riesce ad indovinare considerata la sua quasi-cecità e il sottile strato di lacrime che gli appanna gli occhi gli sta sorridendo. Deve farlo adesso, deve.
 
«Kurt, io- »
«Blaine, non credevo che ci sarebbe mai stato il bisogno di dirtelo ma sul serio: smettila di parlare.» E dal suo tono di voce Blaine capisce che il suo è un sorriso diverso da tutti quelli che gli ha rivolto fino a quel momento e sta proprio per concedersi di riflettere su quest’ultimo punto quando improvvisamente tutto questo crolla miseramente in fondo alla lista delle priorità del suo cervello. Perché Kurt non solo gli ha passato una mano tra i capelli come quella volta in cui era quasi svenuto ma l’ha appena spostata sulla sua guancia e oh ora c’è anche l’altra, di mano.
Gli fa sollevare delicatamente la testa e si piega su di lui, e tutto ciò che Blaine può fare è fissargli le labbra e ricordarsi di quella sera in macchina  quando le aveva avute tanto, tanto vicino – così lisce, sottili e perfette – e non le aveva potute baciare per tutta una sfilza di buone ragioni. Ora però sono di nuovo lì anche se Blaine in questo momento può solo immaginarlo dato che il viso di Kurt è troppo vicino al suo perché possa continuare a guardargli le labbra. Sente il suo respiro caldo e sente le sue mani che gli stringono in una presa delicata ma salda i lati del viso e per quanto si sforzi non riesce a capacitarsene: sta per baciarlo? Sta davvero succedendo? Però Kurt non si muove. È lì a un centimetro da lui e non si muove ed è solo allora che una vocina nella sua testa gli fa presente che forse gli sta chiedendo implicitamente il permesso siccome quello è il suo primo bacio mentre lui ha già baciato un altro, e pensandoci probabilmente farà schifo e Kurt ne se pentirà e- okay. Blaine inspira dal naso e si avvicina appena, enormemente sorpreso che Kurt glielo lasci fare: sta per succedere, sta per baciarlo. Peccato che poi non riesca ad andare più avanti di così e che perfino il modo in cui ha appena buttato fuori l’aria sia indice di quanto stia stupidamente tremando. A quel punto sente Kurt fare una piccola, impercettibile risata a pochi millimetri dalla sua bocca e alla fine è lui, alla fine è Kurt a baciarlo.
 
Nel momento stesso in cui succede Blaine si sente cadere in pezzi e si sente ricucito insieme allo stesso tempo, perché non ha idea di come devono andare i primi baci, esattamente. Da quel che ricorda in alcuni libri sono umidicci e fanno un po’ schifo ma Kurt non è umidiccio e sicuramente non fa schifo. Kurt sta premendo piano le labbra sulle sue, lo sta facendo con attenzione ed è proprio quello strano riguardo a farlo sentire come se il suo stesso corpo non fosse abbastanza grande per contenere tutto ciò che si è scatenato dentro di lui e in qualche modo stesse per traboccare. Le labbra di Kurt sono morbide, sono leggere ma allo stesso tempo così piacevolmente pesanti mentre coprono le sue.
Blaine tiene gli occhi fissi su quelli di Kurt che invece sono chiusi, e per un momento si chiede che cosa penserebbe di lui se dovesse aprirli e coglierlo sul fatto mentre è lì a fissarlo. Poi Kurt non è più in piedi ma è scivolato a sedere sul bracciolo della poltrona, continua a tenergli il viso sollevato verso l’alto e ha appena mosso un pollice accarezzandogli una guancia e lui si è sentito morire nel migliore dei modi possibili.
Per un momento pensa che dovrebbe fare qualcosa con le sue, di mani; tipo mettergliele sulle spalle o dietro la nuca o da qualche altra parte, e invece gli rimangono in grembo perché Kurt lo sta baciando, lo sta davvero baciando e lui è così felice, così felice che lo stia tenendo stretto e stia premendo le labbra sulle sue con tutta quella tenerezza, con quella cura. Alla fine sente la sua bocca arricciarsi appena e spingere un po’ di più sulla propria ed è a quel punto che si separa da lui con un piccolo schiocco. Si allontana piano piano, la bocca insieme alle mani e Blaine si concede di sbattere le palpebre solo in quel momento perché non poteva perdersi un singolo istante, prima.
 
Il tempo era ancora sottosopra, quando accadde. Il tempo era incerto, scombussolato: per un po’ aveva corso veloce, al galoppo, e di punto in bianco si era ritrovato sospeso in un leggero, attento e lunghissimo primo bacio. Ma non potevo più pensare al tempo e al suo faticoso riassestamento, non quando lui aprì gli occhi. Due specchi trasparenti, due squarci di luce che – lo realizzai solo in quel momento – avevano tutto il diritto di sfidare il cielo perché avrebbero vinto, sempre.
 
Stavolta non sono le parole di Kurt a riportarlo alla realtà, Blaine ci torna faticosamente da solo. Quando succede cerca immediatamente il suo sguardo e capisce che lui sa che è di nuovo lì, infatti sorride.
«Sei tutto intero?» Gli chiede. La sua risposta è già pronta ancora prima di poterla pensare.
«Sì.» Poi guarda Kurt, che sta guardando lui dall’alto del bracciolo della poltrona con quelle labbra bellissime che hanno appena baciato le sue e chiede: «E tu?»
Riceve quel genere di sorrisi che vorresti fissare in una fotografia per poterti sempre ricordare che anche quando hai l’impressione che tutto il tuo mondo stia andando in pezzi, almeno una volta nella vita una persona così ha fatto un sorriso del genere guardando proprio te, e quindi tu non andrai mai in pezzi, non davvero.
«Anch’io, Blaine.»
 

 
 
 

 
 
 
 
...Ciao :)))
Comincio subito col dire che il prossimo capitolo riprenderà esattamente da qui, giusto perché lo sappiate u.u Sono super indietro con le risposte alle recensioni, ma giuro che appena possibile mi rimetto in pari: prima o poi, quando meno ve lo aspettate, io arrivo *wink*
Sì, sto ignorando l’enorme elefante nella stanza di proposito, anche perché in realtà non ci sono particolari note da annotare notosamente. A parte il fatto che Blaine è un cucciolo di foca. E boh. Come al solito lascio a voi i commenti e vi do appuntamento a metà settimana in pagina per l’ormai consueto spoilerino ;)
As always, invio tutto il mio amore virtuale alle pucciosissime persone che leggono/preferiscono/seguono/ricordano e soprattutto recensiscono questa storia. Vi adoro, davvero ;-; Un po’ come Kurt adora Blaine ;-; e Blaine adora Kurt ;-; adesso però la smetto di lacrimare e vado via ;-; dandovi appuntamento alla prossima settimana ;-;
Come sempre, l’ultima ma non meno importante menzione d’onore va alla mia beta, nonché moglie, senza la quale niente di tutto questo sarebbe stato possibile ♥
 
La pagina Facebook, dove troverete lo spoilerino infrasettimanale: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
& ask, perché so che vi siete sempre chiesti quante narici ho: http://ask.fm/Nonzy9
 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Buon lunedì sera, guys :)
Ormai i finali non-esattamente-simpatici stanno diventando una costante, a quanto pare. Come al solito non vi trattengo inutilmente: mi limito a farvi tanti sorrisi ammiccanti e a darvi appuntamento alle inutili note finali ;) Enjoy ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XV
 
 
Trenta secondi dopo aver baciato Blaine Anderson, Kurt Hummel ha la netta sensazione che il suo cervello abbia cominciato a funzionare alla rovescia.
Aveva già visto qualcosa del genere in un film: la ragazza – che per qualche strana ragione ha sempre avuto una fortuna sfacciata – bacia il ragazzo di turno, e facendolo gli passa il suo essere sempre fortunata. Kurt teme che sia appena successo qualcosa del genere, ma al posto della fortuna lui avrebbe ereditato da Blaine il suo strano, meraviglioso e indubbiamente difettoso cervello.
La cosa preoccupante è che sembra davvero l’unica spiegazione plausibile al fatto che più passano i secondi più gli sembra impossibile che sia successo per davvero: è seduto sul bracciolo di una poltrona, sta guardando i grandi, bellissimi occhi del ragazzo che ha appena baciato e non riesce a capacitarsi di averlo fatto.
 
D’accordo: in origine si era precipitato a casa di Blaine proprio per quella ragione ma poi l’aveva visto lì con un sorriso adorabile, i capelli che gli oscillavano sulla fronte e quei suoi dannatissimi occhi enormi e non aveva potuto farlo. Gli era bastato vederlo perché una fitta lista di buone ragioni illuminasse il suo cervello annebbiato come una serie di sagge luci a neon. Non poteva rovinargli il primo bacio, non poteva affezionarsi troppo e non poteva fare finta di non stare per lasciare lo Stato quindi sì: niente baci. Una volta entrato in casa Anderson si era perfino congratulato con se stesso per l’autocontrollo dimostrato, peccato che poi Blaine avesse pensato bene di uscirsene con una di quelle frasi che ogni singola volta gli fanno tremare le gambe dalla voglia che ha di baciarlo e peccato che a quelle parole ne erano seguite altre e poi altre e altre ancora e che cosa avrebbe potuto fare? Come, esattamente, avrebbe potuto evitare di prendergli il viso tra le mani e baciarlo? Così l’ha fatto e basta ed è stato- uhm. Kurt non è sicuro di come è stato per il semplice fatto che lui baciava Blaine ma Blaine non baciava lui. Insomma, forse un po’, ma più che altro se ne stava lì immobile a cercare di inalare e espellere aria; non lo aveva neanche toccato, ad esempio. La cosa buffa di quel suo comportamento è che Kurt lo aveva trovato talmente da lui e talmente adorabile che avrebbe voluto baciarlo un’altra ottantina di volte solo per rendersi conto di quando tempo avrebbe impiegato a sciogliersi abbastanza da rispondere al suo bacio o a mettere le mani in qualche punto strategico come ad esempio le sue spalle o la sua guancia.
Al momento – dall’alto del suo bracciolo – Kurt ha la terribile sensazione di non avere il pieno controllo delle sue labbra che vorrebbero tornare di loro iniziativa proprio dove erano un minuto fa ma non può, non può assolutamente baciarlo di nuovo.
 
«Kurt?» È solo quando si sente chiamare che Kurt guarda Blaine per davvero. Lo guarda e vede i suoi occhi spalancati e la bocca socchiusa, e sente il cuore scivolargli verso il basso perché il suo è stato un errore imperdonabile. Non aveva letto il suo quaderno per non ferire i suoi sentimenti, e ora fa questo? È praticamente come leggere dieci quaderni, due diari segreti e tutti i messaggi che ha sul cellulare, se solo Blaine fosse il tipo che scrive messaggi a più di due persone.
«Mi dispiace tanto.» Dice in fretta e da una parte è verissimo ma dall’altra è la più colossale delle bugie. Perché gli dispiace di avergli strappato il suo primo bacio, gli dispiace che nel giro di qualche settimana lascerà Lima per sempre e gli dispiace di non essere quello giusto per renderlo felice come meriterebbe. Però lo avrebbe rifatto ancora e ancora, sempre, perché Blaine gli era piaciuto fin dal primo momento e non riesce a biasimarsi per provare qualcosa del genere per una persona del genere. Riceve un’occhiata allarmata.
«Perché ti dispiace?» La voce terrorizzata con cui glielo chiede riesce a fargli fisicamente male. Non ha idea di che cosa Blaine abbia più paura di sentire, ma sa che non sarà lui a dirgliela perché non ha la minima intenzione di rimanere lì un secondo di più. Ha bisogno di stare da solo, ha bisogno di riflettere e anche di darsi del coglione a vita; tutte cose che non è assolutamente in grado di fare con Blaine che lo guarda come se non aspettasse altro che essere baciato di nuovo.
 
«Io volevo solo- volevo solo che sapessi che non è vero che devo essere ubriaco per avere voglia di baciarti.» Gli dice, alzandosi velocemente dal bracciolo della poltrona su cui è appollaiato.
A dirla tutta ha paura, una paura gigantesca di aver appena rovinato la cosa più bella che ha mai avuto con qualcuno per uno stupidissimo bacio e non vuole essere lì nel momento in cui Blaine si renderà conto di cosa gli ha fatto, di cosa ha fatto a entrambi. Vorrebbe ribadire che gli dispiace, che ha combinato un casino, che ciò che hanno è molto più importante di un singolo bacio e invece dice: «È meglio che vada.»
E va davvero, prima di poterci ripensare. Ricaccia indietro le lacrime e procede a grandi falcate verso la porta d’ingresso senza voltarsi indietro nemmeno una volta perché sa cosa succederebbe se lo facesse: tornerebbe sui suoi passi e bacerebbe Blaine fino a non riuscire più a muovere le labbra. Così prosegue oltre la porta e attraverso il giardino ignorando le sue stupide gambe tremanti e il suo stupido cuore che continua a fargli presente che quella è la direzione sbagliata perché Blaine è dalla parte opposta. Lo ignora quando sente l’erba umida sotto le suole delle scarpe e lo ignora mentre passa di fianco agli gnomi da giardino – quello su cui è inciampato un paio di ore prima è ancora in posizione orizzontale. Poi di punto in bianco non è più in grado di ignorarlo perché si è messo a battere all’impazzata, al ritmo dei passi veloci in rapida avanzata alle sue spalle.
 
«Kurt, ehi.»
Kurt avrebbe talmente tante buone ragioni per non voltarsi che potrebbe comprare a sua volta un apposito quaderno con la copertina rigida e occupare tutte le pagine a scriverle, eppure si gira lo stesso. Blaine gli sta correndo incontro e corre e corre finché non gli è di fronte e si ferma proprio lì, in piedi davanti a lui. A quel punto lo guarda dritto negli occhi, con la bocca socchiusa a causa dello sforzo della corsa e non aspetta nemmeno di riprendere fiato: gli appoggia entrambe le mani ai lati del viso e lo bacia e wow. Solo, wow.
Blaine inspira bruscamente dal naso, piega il collo da una parte e preme forte la bocca sulla sua. Rimane stordito per quelli che gli sembrano anni prima di realizzare che quelle soffici, calde labbra sono proprio dove si trovavano qualche minuto prima e stanno baciando le sue accarezzandole timidamente con la punta della lingua.
Kurt tiene gli occhi aperti dalla sorpresa per qualche lungo secondo e poi le palpebre gli calano lentamente, piano piano mentre Blaine continua a baciarlo e lui si sente la testa leggera e fluttuante come una bolla di sapone. Adesso sa com’è baciare Blaine e sa anche che sarebbe stato molto meglio per lui non saperlo affatto perché farne a meno sarà dannatamente impossibile.
Si separano qualche lungo secondo più tardi: Blaine lo guarda da sotto quelle sue ciglia ridicolmente lunghe e con le labbra ancora socchiuse e Kurt deve compiere uno sforzo sovrumano per impedire il formarsi nella sua testa di pensieri non esattamente casti e avere al contempo la lucidità di mettere le mani sulle spalle a Blaine per impedirgli di baciarlo di nuovo. Lui gli rivolge uno sguardo interrogativo, improvvisando un piccolo sorrisetto.
 
«Sai, mi verrebbe da citare una tua frase della sera della grande sbronza.»
«Blaine.» Gli basta pronunciare il suo nome perché il sorriso di Blaine svanisca e lui torni subito serio e preoccupato. Kurt cerca di mettere insieme una sorta di sorriso rassicurante anche se in effetti c’è ben poco da sorridere: deve dire quello che deve dire; Blaine si merita la verità.
«Lo sai che io non cambierò i miei piani, vero? Lo sai che andrò a New York?» Contrariamente ad ogni sua aspettativa, la risposta arriva subito.
«Non mi interessa.» Kurt sbatte le palpebre qualche volta, confuso.
«Cioè: mi interessa, ma non mi interessa. So che te ne andrai e giuro che sono felice per te, ma non mi interessa.»
«E sai che io e Tom ci siamo appena lasciati, e- »
«Provi ancora qualcosa per lui?» Stavolta è Kurt a rispondere subito, perché ne ha la certezza.
«No.» Blaine scrolla le spalle.
«Allora non mi interessa.»
«E non ho fatto del tutto pace con Santana e devo ancora parlare con Rachel- »
«Non mi interessa.»
«Ho paura che soffriremo entrambi quando andrò via perché non potremo più vederci tutti i giorni. Questa mia paura è in netto contrasto con la voglia che ho in questo momento di saltarti addosso ma non è che posso semplicemente ignorare la paura e saltarti addosso lo stesso- »
«Tecnicamente puoi perché qualunque cosa dirai io continuerò a dire che non mi interessa.» Kurt lo fissa per una manciata di secondi, piegando la testa da un lato.
«Non ti interessa?»
«No.»
«Okay.»
 
Dire che Blaine lo aveva convinto già al primo “non mi interessa” sarebbe una mezza verità, perché ad essere del tutto onesto Kurt dovrebbe ammettere che lo aveva fatto nel momento stesso in cui lo aveva rincorso per il cortile. E non sapeva di avere bisogno di questo, di volere che lui lo rincorresse finché non stava succedendo e poi Blaine gli aveva detto che non gli interessava e allora anche a lui non interessa. Cioè: gli interessa, ma non gli interessa. Pensa a tutte queste cose e mentre lo fa gli stringe le braccia attorno al collo e cerca le sue labbra con urgenza: come per il fatto di essere rincorso, Kurt non sapeva di avere così bisogno di lui finché non lo sta di nuovo baciando. Stavolta Blaine ricambia subito e gli tiene le mani sulla schiena, stringendo delicatamente la stoffa della sua giacca. Kurt si separa da lui qualche istante più tardi, ma solo dei pochi centimetri che servono ad entrambi per tirare fiato; tiene la fronte sulla sua e sente il suo respiro infrangersi sulle proprie labbra.
«Qual era la mia citazione che volevi condividere?»
«Oh, era: “Dimmi che non vuoi baciarmi”, ma ormai il momento è andato.»
Kurt lo guarda per un momento e non è per niente un’impresa facile: sono così vicini che deve praticamente incrociare gli occhi per farlo.
«Blaine?»
«Sì?»
«Anche a me non interessa. Cioè: mi interessa, ma non mi interessa.» Gli dice, poi intercetta le sue labbra che accennano un sorriso a pochi centimetri dalle proprie e Kurt decide che va bene così: che vada tutto in pezzi, che caschi pure il mondo, che il suo cervello funzioni alla rovescia e che faccia tutte le scelte sbagliate. Va bene qualunque cosa, finché può continuare a baciarlo.
 
 
*
 
 
«No, ti prego. Dimmi di nuovo com’è andata.»
Blaine alza gli occhi al cielo senza però riuscire a non di sorridere: è più o meno da ieri pomeriggio che quella è la sua reazione standard a tutto ciò che gli succede, in particolare da quella parte del pomeriggio in cui finalmente ha baciato Kurt e a dirla tutta non prova alcun fastidio a raccontare quella storia a Wes per la quarta volta. Non pensa che avrebbe problemi nemmeno con una quinta o una sesta, in realtà.
«Avevo appena tirato fuori tutte le bottiglie di alcolici presenti in casa- »
«No, no, no. Voglio la parte del dopo, quella è bellissima. Oh, Kyle dice che è contento per voi.» Blaine aggrotta la fronte.
«Kyle? Kyle è lì con te?»
«Già.»
«Kyle XY?»
«Tra di noi è nata subito un’intesa nel momento in cui lui ha iniziato ad odiarti. Abbiamo tante cose di cui parlare, adesso.» Blaine non può fare a meno di essere travolto dall’immagine mentale di Wes e Kyle XY che passano i pomeriggi bevendo the coi biscotti e sparlando di lui: sicuramente gli ha già raccontato la storia degli sconosciuti e della nonna almeno un’ottantina di volte.
«Vedi? Cercavi di trovarmi un fidanzato e invece lo hai trovato per te.»
«Sei di una simpatia travolgente.»
«Inizierei a mettere da parte qualche soldo: non so se te lo ricordi ma gli piacciono tanto i bambini. Tre è il numero perfetto- »
«Anderson, la vuoi piantare? Ti ho chiesto la parte del dopo.»
 
La parte del dopo; è addirittura costretto a rinunciare alle sue battutine sulla neonata relazione platonica tra Wes e Kyle XY per ritornare su quel pensiero. Ciò che assolutamente si era ripromesso di non fare nella famigerata parte del dopo era dare a Kurt l’idea sbagliata. Il vero problema era nato quando aveva realizzato che a) non sapeva quale fosse esattamente l’idea sbagliata, b) era terrorizzato di terrorizzarlo e c) era terrorizzato di terrorizzarsi.
Così si era piazzato davanti al computer e aveva scritto per un paio d’ore intere pagine della sua storia su Mona finché non gli erano venuti i crampi alle dita e alla faccia – i primi per il troppo digitare, i secondi per il troppo sorridere.
«Te l’ho detto: io non avevo idea di cosa fare, anche perché non me lo aspettavo e lui è appena uscito da questa storia di tre anni... Non so come si comportava Tom con lui e ho paura di fare qualcosa di troppo simile, ma anche di troppo diverso. Capisci cosa voglio dire?» Dall’altro capo del telefono c’è un breve silenzio durante il quale – Blaine ci scommetterebbe la vita – Wes alza teatralmente gli occhi al cielo.
«È una cosa da te, sì. Quindi non vi sentite da ieri?»
«Beh, verso mezzanotte mi è arrivato un suo messaggio che diceva “Buonanotte, Blaine Anderson”, così io gli ho risposto “Buonanotte” e lui mi ha chiesto se mi andava di andarlo a prendere dopo il suo corso di recitazione e ovviamente gli ho detto di sì. Mi ha dato l’indirizzo e l’orario e adesso sono proprio qui davanti ad aspettarlo.»
Altro secondo di silenzio, poi a parlare è nientemeno che Kyle XY.
 
«Quindi adesso state insieme?» Blaine spalanca gli occhi.
«Uhm- potresti passarmi Wes, per favore?»
«Sei in vivavoce, Anderson.» Quello è Wes. Beh, quantomeno avrebbe dovuto aspettarselo. Sospira e scuote piano la testa.
«Non lo so. Insomma, non potevo mica chiederglielo.»
«Brutto segno. Pensaci: è appena uscito da una storia di tre anni... Non credi che voglia solo portarti a letto per smettere di pensare al suo ex o peggio, per vendetta contro il suo ex?» Blaine sta per ribattere, ma poi realizza di non avere nessuna voglia di spiegare a Kyle XY che Kurt non ha intenzione di portarsi a letto proprio nessuno, o che non era più innamorato di Tom da tempo ma era rimasto insieme a lui in nome di quello che avevano passato e okay, forse il fatto che sono stati insieme così a lungo un po’ lo spaventa. È normale che lo spaventi, o almeno crede.
«Non è così. Sono sicuro di piacere a Kurt perché sono io, non come sostituto di qualcun altro.» Ed è più o meno la più grande dose di autostima che ha mai esternato in diciannove anni. Wes sembra preoccupato.
«“Sono sicuro di piacergli”? Vuoi dire che non te l’ha detto?»
«No, ma mi ha baciato- »
«Accidenti Blaine, è un bel casino.» Comincia Kyle XY, in quello che si preannuncia come un lungo, illuminante discorso che non ha la minima voglia di stare a sentire.
 
 
*
 
 
«Non credi di stare esagerando?»
Sono dieci minuti buoni che Kurt zampetta dietro a Rachel per tutto il palco, ignorando bellamente la loro insegnante che continua a implorarli di andarsene. Kurt sospettava che non l’avrebbe presa bene, ma si era immaginato più una serie di urla disumane che- beh, questo.
Aveva agito subito dopo la fine della lezione: la sua prima mossa era stata ricoprirla di vari ed eventuali complimenti circa le sue doti recitative e poi beh, poi aveva sganciato la bomba. Rachel lo aveva guardato con un tale odio che Kurt aveva seriamente temuto di rimanerne incenerito lì, con ancora il suo copione di dubbio gusto in mano; a quel punto era scattato un monologo di cinque minuti buoni con tanto di metafore e domande retoriche il cui succo era che da quel momento in poi avrebbe usato contro di lui il trattamento del silenzio fino a nuovo ordine. Così si era messo a seguirla mentre radunava le sue cose, cercando di convincerla che essere uscito qualche volta con Santana non era poi una colpa così terribile. Tuttavia Rachel si ostina a non rivolgergli la parola e davvero: Kurt non si sarebbe mai aspettato di doversi fare in quattro per far sì che Rachel parli con lui in questa vita.
 
«Ti prego. So che non la sopporti e che credi che interferisca con la mia carriera, ma pensaci: stiamo per andare a New York insieme, giusto? Ce l’abbiamo fatta, va tutto bene.» Silenzio.
Kurt alza gli occhi al cielo e la segue mentre avanza a passo di marcia verso l’uscita della sala, senza badare al sospiro sollevato della loro insegnante.
«Ti vuoi fermare un secondo?» Rachel accelera, così accelera anche lui.
«Lo so che vi odiate ma non è un po’ infantile impedirmi di frequentare l’una o l’altra?» La rincorre fino al parcheggio, ringraziando che l’impeto che sta dimostrando sia in netto contrasto con la ridicola lunghezza delle sue gambe, cosa che le impedisce di seminarlo.
«Dai, Rachel. Ti porto a comprare spartiti tutti i giorni per un mese.» Silenzio.
«Un abbonamento dall’estetista?» Silenzio.
«Un rene?» Ancora silenzio.
A quel punto Kurt decide che è il momento di arrendersi: probabilmente a Rachel serve del tempo per smaltire la sua furente e teatrale collera e accettare la storia di Santana; inoltre lui ha appena adocchiato la macchina di Blaine ed è più o meno come vedere la luce in fondo a un tunnel di drammaticità e trattamenti del silenzio. Kurt si ferma e Rachel continua ad avanzare a passo di marcia, così si butta in un ultimo, estremo tentativo.
 
«Barbra Streisand fa schifo.» Wow, è davvero riuscito a dirlo ad alta voce. Ora si odia con ogni fibra del suo essere, ma se non altro è riuscito ad attirare la sua attenzione. Rachel si volta verso di lui senza smettere di camminare e ha un’aria talmente feroce che Kurt per poco non si mette a correre nella direzione opposta.
«Tu fai schifo.» Beh, come minimo.
Kurt rotea gli occhi senza osare ribattere e si avvia verso la macchina di Blaine, con una mano ben salda sulla sua tracolla. Avendo largamente previsto quanto sarebbe andata male con Rachel si era premunito di organizzare la seconda parte della giornata nel modo più positivo possibile e cosa c’è di più positivo di fare una piccola sorpresa a Blaine? D’accordo: forse quella di bilanciare la giornata è una mezza scusa e gli avrebbe fatto quella sorpresa in ogni caso perché nonostante non abbia ancora capito molto di cosa c’è tra loro né di cosa Blaine voglia che ci sia tra loro o di cosa lui stesso vorrebbe, non ha intenzione di negarsi quell’idea. Così si dirige verso la macchina con il migliore dei suoi sorrisi e – vedendo Blaine immobile – bussa due volte sul suo finestrino. Lui apre la portiera ed esce.
 
«Buongiorno, Blaine Anderson. Scusa se ti ho chiesto di venire, ma Rachel si era offerta di darmi un passaggio all’andata e come immaginavo non è più disponibile per il ritorno. Ma tanto meglio così, perché pensavo di- Oh mio Dio.» Kurt si blocca, perché Blaine è appena uscito dalla macchina e ha la faccia di qualcuno a cui sono appena deceduti sia il gatto che il cane in circostanze particolarmente efferate. Che si ricordi non ha mai visto Blaine così, e ricorda molto bene quando si tratta di lui.
«Che cosa è successo?» Blaine tira su col naso, guardandolo di sottecchi. Di nuovo, è spaventosamente uguale al cane di sua zia e Kurt sa che sarebbe ora che smettesse di pensarlo. Abbassa lo sguardo quasi subito, incrociando le braccia al petto.
 
«Ma io ti piaccio?» Kurt inarca le sopracciglia, per niente sicuro di aver capito bene.
«Cosa?» Blaine sembra devastato.
«Ieri non me lo hai detto. Non volevo parlartene, te lo giuro, ma poi ho telefonato a Wes per raccontargli- sai. E con lui c’era anche Kyle XY- »
«Kyle XY?»
«Sì. E lui crede che siccome sei appena uscito da questa relazione lunghissima adesso hai solo bisogno di distrarti e io gli ho ripetuto mille volte che non è vero, però... Non è vero, giusto?» Kurt sbatte più volte le palpebre, socchiudendo la bocca. Blaine incredibilmente riesce ad alzare lo sguardo abbastanza da incontrare il suo «Considera che ogni momento che passi senza dire una parola ha l’equivalente morale di sette culate in piscina- »
«Sei un cretino.» Sbotta, appoggiandosi le mani sui fianchi. Blaine fa per ribattere ma Kurt lo precede. «Zitto. Prima di tutto dì a Kyle XY e al suo sorriso da pubblicità del dentifricio di stare molto lontani da te e dalla tua testa. Poi sei un cretino, deficiente e imbecille se pensi davvero che ti ho baciato solo per non pensare a Tom dato che ti ho detto esplicitamente che non lo amo più da tempo e l’ho fatto mentre eravamo sdraiati al buio come facevo con mia madre e come non farei mai con nessun altro. Quindi sul serio, Blaine: cosa devo fare esattamente per farti capire che mi piaci da morire e che sto cercando disperatamente di trovare un modo per conciliare quello che abbiamo messo insieme in queste settimane con il fatto che finalmente mi sono deciso a baciarti e non voglio che altri ragazzi ti mettano le mani sulle ginocchia?»
Blaine rimane in silenzio per un intero minuto. È incredibile con che facilità Kurt riesca a dare un nome ad ogni singola emozione che vede passare sul suo viso: tristezza, paura, imbarazzo, sollievo... Sono tutte lì una dopo l’altra, in una piega particolare della sua bocca, in un’incurvatura di sopracciglia e in un minuscolo sguardo. Non aveva idea di avere familiarità con dettagli così minuscoli, né che rendersene conto lo avrebbe fatto sentire così stupidamente felice.
 
«Anche tu mi piaci da morire.» Kurt alza gli occhi al cielo.
«Buono a sapersi, perché questo fa di me il primo candidato ad aiutarti con il prossimo punto della nostra lista.» Gli dice, abbassandosi quanto basta a dargli un piccolo bacio sulla guancia. Blaine gli rivolge quel sorriso, quello dove piega la testa da una parte e gli scivolano gli occhiali sul naso. Kurt potrebbe riempire pagine e pagine a descriverlo e Dio, forse è davvero andata come in quel film perché questa è una cosa tremendamente da Blaine.
«Ovvero?» Kurt sogghigna, passandogli una mano tra i capelli.
«“Primo appuntamento”, Blaine Anderson.»

 
 
 
 

 
 
 
 
...So.
Non ho idea di come si chiamasse quel film al quale si riferisce Kurt all’inizio, ma so che lo vidi un’infinità di anni fa e soffrii perché presi per la prima volta coscienza della indicibile sfiga che mi perseguitava. MA non siamo qui per parlare di questo u.u
- Per chi ha letto lo spoiler infrasettimanale in pagina: sì. Ho evitato di anticipare la prima, fluffosissima parte di proposito. Surprise :D
- “Mi interessa, ma non mi interessa” sarà la nuova filosofia di vita di Kurt&Blaine;
- Rachel forse un giorno comprenderà che il trattamento del silenzio da parte sua è più una benedizione che un castigo;
- Se shippi Wes e Kyle batti le mani *clap clap*;
- Klisses, bitches B)
Sì. Mi rendo conto che queste ““note”” finali sono più deliranti del solito, ma la verità è che devo andare a vedere Doctor Who e quando sto per andare a vedere Doctor Who non rispondo più delle mie azioni *finge che non siano mere scuse per giustificare la momentanea dislessia* ...Well. Prima di sparire definitivamente ci tengo a porgere i miei più sentiti ringraziamenti oh come sono dapper alle meraviglioserrime (?) persone che leggono, seguono, preferiscono, ricordano e soprattutto recensiscono questa storia. Siete il Blaine del mio quaderno. Non so che cosa ho appena detto E naturalmente quella gran donna di mia moglie, che continua a struggersi inutilmente perché le venga rivelato il suo regalo di Natale ♥
A lunedì prossimo adorabili esseri, spero che il capitolo vi sia piaciuto ♥
 
As always, per lo spoilerino infrasettimanale mi trovate qui: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Buon lunedì ladies & gays :)
Ci eravamo lasciati con una first date da incominciare, se non ricordo male *fischietta*
Come al solito non mi perdo nella parte iniziale e mi tengo ogni commento per la fine ;)
Enjoy ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XVI
 
 
Blaine vorrebbe tanto riesumare l’intramontabile “Come ho potuto essere così stupido?”, ma la verità è che ne rovinerebbe l’effetto perché non è minimamente sorpreso.
La vera sorpresa sarebbe stata riuscire a sentirsi dire tutte quelle cose da Kyle XY senza fare una piega, cosa che naturalmente non era stato capace di fare. Decide però che non è il momento di ripensare alle sue paranoie: è il momento di godersi il tragitto fino al luogo del suo primo appuntamento – Kurt gli ha impedito categoricamente di guidare per non rovinargli la sorpresa.
Blaine si volta a sinistra quel tanto che basta a guardarlo: oggi porta un paio di jeans scuri e un maglione a collo alto che fa capolino da sotto la giacca; tiene gli occhi fissi sulla strada con un piccolo sorriso dipinto sulle labbra e Blaine non può fare a meno di fissarlo. È bellissimo ma questa non è una novità, ciò che lo sconvolge è tutto il resto: gli ha appena detto che la ragione per cui lo ha baciato è che lui gli piace e lo sa benissimo che dovrebbe essere una cosa scontata ma per Blaine non lo è affatto. Non c’è niente di scontato nel modo in cui qualcuno come lui riesce ad avere qualche tipo di attrattiva per uno come Kurt. Sarebbe quasi tentato di chiedergli qualche spiegazione in merito, ma purtroppo ha già sfruttato appieno la sua dose di pateticità quotidiana quando ha rischiato di mettersi a piangere a causa del discorso destabilizzante di Kyle XY. Così ora preferisce starsene zitto – cosa che gli riesce sempre molto bene –, godersi la vista di Kurt e le varie e colorite alternative che il suo cervello gli sta proponendo come possibili location del loro primo appuntamento.
 
«Lo sai che me ne accorgo se mi fissi, vero?» Blaine distoglie automaticamente lo sguardo e lo fa scivolare sulla mano di Kurt, stretta in cima alla leva del cambio.
«Ti dà fastidio?» Lui scrolla le spalle.
«Non particolarmente.»
«Scusa per prima, non avrei dovuto essere così insicuro. O insinuare che mi stessi usando, o comportarmi da stupido- »
«L’autocommiserazione non è sexy.» Lo interrompe Kurt, con un sorrisetto. «E credimi, è uno dei rarissimi casi in cui non lo sei.»
Blaine apre la bocca, poi la richiude. Era stato addirittura abbastanza avventuroso da provare ad alzare di nuovo lo sguardo su di lui ma dopo quell’uscita decide che i suoi occhi stanno benissimo lì a fissare il cambio. Forse quello che gli serve è uno strategico cambio di argomento.
«Com’è andata con Rachel?» Kurt sbuffa.
«Per ora mi sta rifilando il trattamento del silenzio. Lei crede che sia la cosa peggiore che possa fare a qualcuno quindi penso che al momento mi odi.»
«Mi dispiace. Qualche rimpianto?» Mentre glielo chiede Blaine torna a guardarlo in faccia: non ha intenzione di farsi sfuggire una qualsivoglia incertezza sul suo viso, se dovesse comparire. Kurt scuote la testa.
«Nessuno. Ho fatto tutto quello che era giusto che facessi e va bene così, comunque vada.» Blaine annuisce, sforzandosi di guardare la strada davanti a loro.
«Perciò... Primo appuntamento. Nessun indizio?» Kurt sta di nuovo sorridendo e no, Blaine non può semplicemente fissare una distesa infinita di asfalto nero quando seduto a mezzo metro da lui c’è il ragazzo più bello che abbia mai visto.
«No, è una sorpresa. Però ho una richiesta.»
«Tutto quello che vuoi.» Kurt sembra compiaciuto.
«Arriveremo tra dieci minuti e voglio che entro allora mi descrivi i due quasi-baci della sera della grande sbronza. È da ieri che ci penso e voglio togliermi la curiosità, avanti.»
 
In qualche modo Blaine immaginava che questo momento sarebbe arrivato, così prende un bel respiro e inizia a domandarsi da dove diavolo dovrebbe di cominciare, o se sia il caso di censurare qualche passaggio. Poi lascia semplicemente perdere.
«Okay, uhm- la prima volta stavo guidando- »
«Non dirmi che ti sono saltato addosso mentre guidavi.»
«Oh, no: prima mi hai detto di fermare la macchina.» Kurt ride e lui non può fare a meno di sorridere a sua volta, anche se sul momento non aveva trovato la cosa particolarmente divertente.
«Io ero convinto che dovessi vomitare, quindi ovviamente ero già nel panico. Ma poi eri tranquillissimo, mi hai detto che non dovevi fare proprio niente e mi hai preso per la nuca e mi hai avvicinato a te; mi hai detto che ho dei bei lobi delle orecchie- »
«Ho detto cosa?» Kurt ora sta ridendo di una risata molto simile a quella di quando era caduto a gambe all’aria inciampando nel tronco spezzato di un albero e Blaine non può fare a meno di ridere allo stesso modo.
«I lobi delle orecchie, lo giuro. E poi hai provato a baciarmi ma sono riuscito a girarmi in tempo e ti assicuro che non è stato facile non approfittare della cosa, ma ci sono riuscito.» Kurt rimane in silenzio qualche secondo prima di parlare di nuovo.
«Chiudi gli occhi. Manca poco alla nostra destinazione e come ho detto deve essere una sorpresa.» Blaine li chiude a malincuore.
«Ora racconta la seconda volta.» Lui sogghigna.
«La seconda volta è stata a casa mia. Tu eri seduto sul bordo del mio letto, mi hai tirato per il maglione e siamo crollati all’indietro.»
«Ho- Oh, Dio.» Blaine non può fare a meno di ridere, perché in tutta probabilità non ha mai sentito Kurt così imbarazzato da quando lo conosce.
«Già. Ho provato a rimettermi in piedi ma tu non mi lasciavi andare e continuavi a chiedermi se non volevo baciarti.»
 
«Blaine, posso essere onesto?»
«Certo.» Kurt inspira brevemente.
«Se i ruoli fossero stati invertiti e io e Tom ci fossimo già lasciati non so se mi sarei trattenuto come hai fatto tu.»
Blaine è improvvisamente preda della grande tentazione di aprire gli occhi e guardarlo in faccia ma già, non può rovinare la sorpresa.
«Mi avresti baciato?»
«So che non mi fa molto onore ma temo di sì.» La macchina rallenta a poco a poco e quando sono fermi da troppo tempo per trattarsi di uno stop o di un semaforo Blaine inizia seriamente a fremere per riaprire finalmente gli occhi.
«Siamo arrivati?»
«Blaine... Prima hai detto che non è stato facile non baciarmi. Quindi volevi già baciarmi? Già da quella sera?» Blaine sorride, perché il fatto che Kurt non ne abbia idea è esilarante.
«Diciamo che ne ho avuto voglia per molto tempo. Diciamo che così su due piedi non saprei dirti di un momento in cui non ne ho avuto voglia.»
Ammette, aderendo perfettamente alla filosofia del “mi importa ma non mi importa” che ha deciso di adottare fino alla partenza di Kurt: non ha idea di cosa ci sia esattamente tra di loro, non sa che cosa succederà né tra un minuto né un giorno né tra dieci, quindi tanto vale dire tutto quello che c’è da dire proprio come ha fatto il pomeriggio del loro primo bacio.
Blaine si sta giusto chiedendo se non sia il caso di aggiungere altro, quando sente qualche piccolo movimento provenire dal sedile di fianco al suo; cinque secondi più tardi ha appena fatto un piccolo saltello sul posto perché una mano decisamente non sua gli si è appena appoggiata dietro alla nuca e ora sente il profumo di Kurt vicinissimo.
 
«Kurt?»
«Hai dei bellissimi lobi delle orecchie, Blaine.»
La sua risata si smorza sulle labbra di Kurt che hanno appena sfiorato gentilmente le sue, spingendolo ad avvicinarsi per intensificare il contatto. Kurt immerge le dita nei suoi riccioli e gli accarezza il labbro inferiore con la punta della lingua, al che Blaine non può fare altro che socchiudere la bocca per dargli maggiore accesso e non può nemmeno evitare di chiedersi se essere così delicato è una sua caratteristica o ci sta solo andando piano perché è lui. Poi si rende conto che non gliene potrebbe importare di meno perché tra sette miliardi di persone sulla terra Kurt sta baciando proprio lui.
È esattamente uno di quei momenti in cui vorrebbe dirgli che è bellissimo e che lo ama così tanto che nemmeno tramite la rassicurante tastiera del suo computer riesce a mettere insieme la combinazione di lettere giusta per esprimerlo. Però non può dirlo, e non potendo si limita ad approfondire il bacio e a stringerlo abbastanza forte da avere l’illusione di non doverlo più lasciare andare.
 
 
*
 
 
«Okay, puoi aprire gli occhi.»
Blaine lo fa lentamente, dopo essere inciampato un considerevole numero di volte nel suo tentativo di uscire dall’auto. Quando finalmente è stabile sulle gambe si guarda intorno, spaesato.
«Siamo...»
«In mezzo al nulla, sì. Ma non è un in mezzo al nulla qualunque.» Specifica, prendendolo per mano; Blaine la afferra e si lascia guidare qualche decina di metri più in là: davanti a loro, oltre la strada, c’è la solita casa abbandonata e tutt’intorno i soliti alberi e i soliti cespugli, solo un po’ più grandi. Blaine continua ad essere confuso e Kurt gli sorride.
«Hai presente quando mi hai portato in quel posto che era solo e soltanto tuo, la sera del campeggio? Credo che tutti abbiano un posto così e il mio lo voglio condividere con te per tre ragioni.»
Blaine gli rivolge un sorriso adorabile. A volte Kurt deve farsi un po’ indietro e guardarlo bene, perché stenta a credere che qualcuno di così dolce e così bello provi quel tipo di sentimenti per lui: un ex bugiardo patologicamente sarcastico che ha appena buttato all’aria la sua vita perché ha finalmente aperto gli occhi sul fatto che c’è di meglio delle bugie, delle maschere e della paura.
C’è Blaine, ad esempio.
 
«Quali ragioni?» Kurt accenna un piccolo sorriso.
«Venivo sempre qui quando la mia vita faceva troppo schifo, hai presente? Avevo una giornata orrenda a scuola? Venivo qui. Quelli della squadra di football mi aspettavano all’uscita per tirarmi addosso dei sospensori? Venivo qui. Litigavo con Tom, Rachel o Santana? Venivo sempre qui e mi dicevo che sarebbe andato tutto bene, in un modo o nell’altro. La prima ragione è che sto per lasciare Lima e non voglio farlo odiandola; quindi anche se a questo posto ho sempre associato una certa tristezza non voglio più che sia così. Voglio un ricordo felice.»
Appena smette di parlare Blaine si sporge verso di lui: Kurt è convinto che voglia baciarlo e invece lo abbraccia. Lo abbraccia così forte che gli fa quasi male ma è un dolore piacevole perché sembra capace di unire definitivamente tutti i suoi pezzi, tutta la persona nuova che sta diventando. Kurt chiude gli occhi e si gode il senso di protezione e stabilità che hai solo quando sai che stai facendo la cosa giusta.
«E le altre due ragioni?»
«La seconda ragione è che ieri mi hai detto quella cosa sulla prima volta che ci siamo incontrati e sul guardare le stelle. Visto che ho portato da mangiare e che qui siamo abbastanza fuori città da vederle discretamente e che è schifosamente romantico direi che possiamo trattenerci fino a tardi.» Blaine fa una piccola risata direttamente sul suo collo dato che lo sta ancora abbracciando, cosa che non aiuta affatto Kurt a mantenere il filo del discorso, così si separa da lui e gli allunga il proprio cellulare. Blaine lo prende cautamente, un po’ stranito.
«Terza ragione: quella casa laggiù ha un’altalena sul retro e credo davvero che dovremmo salirci. Vai nella cartella della musica.» Blaine lo fa, inarcando le sopracciglia.
«“Quiet”?»
«È la canzone che abbiamo cantato la sera del campeggio. Possiamo ascoltarla più tardi, se vuoi.» A quel punto Blaine lo bacia sul serio e Kurt sente di nuovo la testa leggera e il cuore pesante.
 
Rimangono lì per tutto il resto della giornata.
Blaine gli racconta del nuovo capitolo della sua storia con Mona, di uno strano scambio di battute con sua madre in cui lei lo invitava tacitamente a trasgredire le regole quando e come vuole e delle sue congetture circa una pseudo storia d’amore tra Wes e Kyle XY – Kurt scopre inoltre che lo chiama così per via del vecchio telefilm di quel tizio senza ombelico. Lui gli racconta di Rachel, di Santana, del biondino ossigenato di Tom e della conversazione che ha avuto con suo padre su quel minuscolo appartamento non troppo lontano dalla NYADA che potrebbe quasi permettersi se Rachel fosse ancora dell’idea di affittarlo con lui. Blaine è convinto che Tom e il biondino formino una bella coppia – sottolinea che formerebbe una bella coppia con chiunque, basta che non torni da lui –, che è contento per l’appartamento e che andrà tutto bene con Santana e Rachel e Kurt gli crede. Gli crede perché è seduto su un’altalena che cigola con l’unica persona al mondo con cui vorrebbe trovarsi e per la prima volta in vita sua sente di poter credere a quello che gli viene detto perché comunque vada non ha alcun rimpianto, non più.
Parlano di ogni cosa – dalle macchine da scrivere ai corsi della NYADA –  finché fa abbastanza buio da riuscire a vedere le stelle e lo fanno dalla macchina di Blaine, che lasciano accesa cinque minuti per portare il riscaldamento al massimo; Kurt tira fuori la stessa coperta in microfibra del campeggio che era nella sua tracolla insieme ai panini e si avvolgono lì, con i sedili reclinati al massimo e gli occhi puntati oltre il parabrezza. Dopo venti minuti abbondanti Kurt si volta e scopre che Blaine sta guardando lui invece di guardare le stelle, così gli rivolge un piccolo sorriso confuso.
 
«Scusa, lo so che ti guardo troppo.» Kurt fa una piccola risata e allaccia le dita con quelle di Blaine, che stavano cercando le sue da sotto alla coperta.
«Pensavo che ti piacessero le stelle.»
«E mi piacciono. Ma tra due mesi saranno ancora lì se vorrò guardarle, mentre tu nella migliore delle ipotesi sarai nello schermo del mio computer. E poi te l’ho detto: mi piace il modo in cui le guardi.»
Kurt si vieta di farsi prendere dalla tristezza, non ora. Ora è il momento in cui non si cura della leva del freno a mano, del cambio e di tutte le scomodità tra di loro e rotola appena verso Blaine e lo abbraccia. È il momento di stringerlo abbastanza forte da avere l’illusione di non doverlo più lasciare andare.
 
 
*
 
 
«Blaine, hai presente i tempi in cui ti dicevo che quando sei depresso e odi la vita sei insopportabile?» Blaine si interrompe a metà del suo resoconto, con già in testa una decina di nuovi aggettivi per descrivere il bacio della buonanotte che aveva dato a Kurt la sera prima, alla fine del loro appuntamento: romantico, passionale, emozionante, rassicurante-
«Uhm, sì?» Wes sospira.
«Beh, mentivo. Cioè: non mentivo, ma all’epoca ancora non conoscevo la tua versione felice e ti assicuro che è come prendere venti calci nei reni al secondo per ogni parola che dici.» Spiega tranquillamente. «Detto questo, sono sinceramente contento per te.» E Blaine sa che Wes dice davvero, nonostante quel suo discorso sui venti calci nei reni.
«Grazie.»
«Figurati.» Blaine si lascia cadere a peso morto sul letto, tenendo il cellulare incastrato tra la spalla e la guancia.
 
«E comunque puoi riferire a Kyle XY che piaccio davvero a Kurt- »
«Sì, Blaine. Questo iniziava già ad essermi chiaro la terza volta che mi hai ripetuto quello che ti ha detto parola per parola.» Blaine rotea gli occhi.
«Guarda che se vuoi raccontarmi della tua nascente storia d’amore con Kyle XY- »
«Anderson, zitto. Piuttosto, credi che tra una pomiciata e l’altra con il tuo Kurt ce la potresti fare a farmi venire da te un’oretta per leggermi la tua cavolo di storia con Mona?»
Blaine lancia un’occhiata al suo computer, abbandonato sulla scrivania: sa che è solo una questione di tempo prima che un ultimo surriscaldamento lo uccida definitivamente, ma fino ad allora può assolutamente sfruttarne gli ultimi sprazzi di vita per rendere partecipe Wes dei recenti progressi.
«Oggi pomeriggio va bene?»
«Benissimo. Oh, Blaine- »
«No, Wes: non puoi portare Kyle XY.» C’è un piccolo silenzio.
«Non è con questo atteggiamento che riuscirai a mantenere il tuo status di amico gay preferito, sappilo.»
 
 
*
 
 
Sono cinque minuti buoni che Kurt tiene in mano un’ampia gamma di fotografie incorniciate, fissandole intensamente. Se le passa da una mano all’altra, le dispone in file ordinate sul letto e le torna ad esaminare da vicino a ripetizione finché non sente uno sbuffo spazientito alle sue spalle.
«Hummel, ti vuoi muovere? Non puoi portarle con te.» Afferma categoricamente Santana, che passa lo sguardo con disapprovazione mista a un certo disgusto tra una foto di gruppo del Glee Club del secondo anno e una che raffigura lei stessa insieme a Kurt e Tom – nel periodo in cui Santana poteva ancora stare nella stessa stanza con lui senza provare ad ucciderlo.
Tra tutte le persone, Kurt non si sarebbe mai aspettato che sarebbe stata proprio lei a dargli una mano nello scegliere cosa impacchettare e cosa no. D’altro canto non aveva avuto cuore di chiederlo a Blaine e Rachel continua a rifiutarsi di rispondere alle sue chiamate e ai suoi messaggi, nonostante sia passata quasi una settimana dalla grande rivelazione – al corso di recitazione ha perfino chiesto di essere messa in coppia con qualcun altro.
 
«Perché non posso portarle con me?» Santana lo fissa con uno strano sorriso, come se gli stesse sfuggendo qualcosa di ovvio.
«Perché quelli sono ricordi troppo datati. Vai a New York, dai una svolta alla tua vita. E allora vivi nel presente.» Kurt torna a guardare le foto, come se una delle versioni più giovani e ingenue di se stesso potesse improvvisamente animarsi e suggerirgli quale sia la cosa giusta da fare. Un altro sbuffo.
«Okay. Sorridi.» Più che una richiesta sembra un ordine così Kurt sorride: un attimo dopo Santana è di fianco a lui con la testa appoggiata alla sua, il braccio sinistro teso in avanti e il cellulare in mano. Scatta una foto.
«Bene. Più tardi te la invio così la potrai stampare e incorniciare e la porterai a New York con te, chiaro?» Kurt annuisce come un automa, perfettamente consapevole che probabilmente si tratta della cosa più carina che Santana ha fatto per lui da quando si conoscono. Lei rimette in tasca il telefono e si accovaccia per chiudere uno degli scatoloni delle cose che sarebbero rimaste a Lima; Kurt si piega ad aiutarla.
 
«Da quant’è che vi siete lasciati, tu e Tom?»
«Più o meno dieci giorni.» Santana sembra anche troppo compiaciuta.
«Ti ha cercato?» Lui si stringe nelle spalle.
«Sì. Mi ha chiesto quando parto per New York perché vuole passare in aeroporto a salutarmi.» Santana lo fissa per un lungo momento con una di quelle sue espressioni ambivalenti che potrebbero voler comunicare indignazione, schifo o un più generico “scappa finché sei in tempo”. Poi il suo viso sembra distendersi e Kurt ne è sollevato perché nel dubbio stava già per darsela a gambe.
«Non devi lasciarglielo fare. Lo sai che razza di pezzo di merda è, potrebbe raccontarti qualche stronzata su quanto è pentito e su quanto ti ama e tu ci ricascheresti.»
Kurt sa che non è affatto il momento migliore ma non può davvero fare a meno di sorridere. Si aspettava una specie di attacco di cuore nell’eventualità di ricevere un messaggio di Tom, invece quando aveva sentito vibrare il telefono e aveva letto il suo nome di fianco all’icona dell’sms si era solo sentito deluso perché il mittente non era Blaine. Kurt guarda Santana di sottecchi.
 
«Come vanno le cose tra te e Brittany?»
«Oh, splendidamente- ehi, non cambiare argomento.»
«Quando hai capito di essere innamorata di lei?» Santana resta spaesata per un momento prima di rispondere.
«Beh, sinceramente mi è bastato uscirci qualche volta. Magari non ero ancora innamorata ma avevo capito che tipo di persona è, e sapevo che alla fine sarebbe successo. Perché me lo chiedi?» Kurt tiene gli occhi fissi sulla scatola di cartone «Hummel, giuro che se mi dici che vuoi tornare con Tom- »
«Non è Tom, dimenticati di Tom.» Santana lo fissa a lungo, spaesata.
«Kurt- »
«È Blaine. Credo- credo di essere un po’ come te. Credo che nel momento stesso in cui gli ho parlato la prima volta sapessi già che mi sarei innamorato di lui, alla fine.» Ammette e se da una parte è strano dall’altra non lo è affatto; è come se quella consapevolezza fosse stata sempre lì fin dalla serata in tenda, dal pomeriggio della corsa, dal Lima Bean e perfino da quella culata in piscina. Kurt non sapeva di aver trascorso tutta la vita in attesa di Blaine finché non se lo era trovato davanti, mezzo cieco, con un ginocchio sbucciato e bellissimo. Come tutte le cose bellissime era piombato nella sua vita quando ormai sembrava cristallizzata così com’era e l’aveva cambiata irrimediabilmente. Santana lo fissa a lungo, con le mani ancora appoggiate sulla scatola.
 
«Aspetta. Blaine? Blaine il poeta sfigato?» Kurt alza gli occhi al cielo.
«Non è un poeta e te l’ho già detto: siamo tutti degli sfigati.» Santana è incredula, finché l’incredulità si trasforma in un grande sorriso.
«Beh, questo spiega molte cose.» Kurt aggrotta la fronte.
«Ad esempio?»
«Ad esempio il fatto che una delle ultime volte che abbiamo dormito in macchina prima della grande rivelazione su Rachel-piattola-Berry hai detto il suo nome nel sonno. O il fatto che ne parli continuamente. O che poco fa hai ricevuto un messaggio da lui.» Kurt sgrana gli occhi.
«Messaggio? Quale messaggio?»
«Non sei nemmeno un po’ preoccupato per la parte in cui dici il suo nome mentre dormi? Okay. Comunque dieci minuti fa ti si è illuminato lo schermo del telefono e sopra c’era scritto “Blaine”.» Kurt si tuffa letteralmente sul letto, agguantando il cellulare.
«Devo smetterla di metterlo in silenzioso. Perché non me lo hai detto subito, comunque?» Sbotta, con fin troppa energia visto e considerato che sta parlando con Santana, che potrebbe realisticamente ucciderlo da un momento all’altro.
«Sinceramente? Perché speravo in una reazione del genere.» Kurt alza gli occhi al cielo e legge il messaggio. Non può davvero fare niente per impedire la comparsa di un classico esempio di sorriso idiota sulla sua faccia, questo almeno finché Santana non gli strappa il cellulare dalle mani.
«No, Santana- » Lei gli appoggia senza troppe cerimonie un piede sul petto, tenendolo abbastanza lontano da poter leggere in pace.
 
«Le rose sono rosse, le viole sono blu, sto provando a scrivere, ma mi vieni in mente tu. Seriamente, Kurt? Seriamente?» Santana lo ripete un paio di volte a voce sempre più alta, finché sta ridendo sguaiatamente da sola con tanto di rotolamento sul pavimento. Kurt la fissa, inarcando le sopracciglia.
«Hai finito?» Lei si tiene il cellulare stretto al petto e lo guarda: non l’ha mai vista così divertita da qualcosa da quando la conosce.
«Hummel, voglio- no. Devo, devo conoscere questo tizio.»
 

 
 
 

 
 
 
 
Duuuunque. Stasera ho il cervello fritto (sì, più del solito) quindi vado per punti:
- Il mistero dei due quasi-baci è stato finalmente svelato, per gran gioia di Kurt. Che ha allegramente replicato uno di essi perché sì
- Klaine che cuddlano, perché sì
- Wes/Kyle XY: Blaine li shippa. Shippali anche tu! *voce da campagna elettorale*;
- Kurtana is back, bitches;
- Ebbene sì. Vuole conoscere Blaine. *il circolo di preghiera per la sopravvivenza di quest’ultimo all’incontro è ufficialmente aperto*;
...Vi dico solo che nel prossimo capitolo ci sarà una luuuunga scena Klaine :)) A casa di Blaine :))) Già :)))))
Vi avevo avvisato del cervello fritto, no? Ecco. Prima di mettermi a delirare ulteriormente mi dileguo, dandovi appuntamento a lunedì prossimo con il diciassettesimo capitolo e a metà settimana in pagina con uno spoilerino, per chi avesse voglia ;) Come sempre mando tutto il mio amore virtuale a chiunque legga, segua, preferisca, ricordi e soprattutto recensisca questa storia: siete il Wes del mio Kyle XY (?) (cervello fritto).
Un ultimo e ciccione grazie va a mia moglie, l’unico essere umano dalla risata più contagiosa di quella di Lea Michele ♥
 
Come sempre, la pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Buonasera :)
Come qualcuno di voi avrà forse già letto in pagina, questo è un periodo un po’ impegnativo per me. Lunedì prossimo ho un esame e non ho proprio il tempo di respirare: appena questa fase sarà passata mi rimetterò in pari con le risposte alle recensioni, promesso ♥
Buona lettura ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XVII
 
 
Giovedì diciotto dicembre. Sono due giorni che Kurt si ripete quelle parole continuamente, talmente spesso che nella sua testa il loro stesso significato si è ridotto a un groviglio di suoni senza senso.
Giovedì diciotto dicembre. Giovedì diciotto dicembre è il giorno in cui prenderà il suo aereo per New York, alla volta della seconda audizione per la NYADA; giovedì diciotto dicembre lascerà Lima per davvero, dopo anni e anni che continuava a riprometterselo a vuoto e – cosa più importante di tutte – giovedì diciotto dicembre è tra sedici giorni.
Kurt strizza per un momento gli occhi prima di tornare a puntarli sulla strada davanti a sé; deve mantenere un minimo di concentrazione se non vuole andarsi a schiantare contro qualcosa e francamente non ha proprio tempo di morire: ha appena partecipato alla sua ultima lezione di recitazione, ha finalmente finito di impacchettare le cose che lascerà a Lima, ha riesumato qualche valigia da riempire nei prossimi giorni e soprattutto sta andando da Blaine. Non può proprio morire mentre va da Blaine, perché lo sa che insieme a Lima sta lasciando anche suo padre, Santana e perfino Tom, ma la verità è che Blaine gli mancherà più di chiunque altro.
Un po’ si sente stupido a pensarlo perché in fin dei conti lo conosce solo da un paio di mesi, eppure non può farci niente: Blaine Anderson è quel tipo di persona a cui basta una misera conversazione sul fondo di una piscina vuota per entrarti sottopelle e contaminarti a vita. E Kurt si sente proprio così: si sente pieno, stordito e grato pensando a Blaine. Se non avesse così tanta paura di pensarlo si limiterebbe a dire che si sente innamorato, pensando a Blaine.
 
Scuote la testa e imbocca la via di casa sua: ormai la strada per raggiungerla gli è diventata così piacevolmente familiare che è quasi doloroso pensare che presto conoscerla tanto bene non avrà più alcuna utilità. Parcheggia di fronte al cancello e non si stupisce particolarmente di trovarlo aperto: Blaine ha un serio problema nel comprendere alcuni concetti di base come ad esempio quello di proprietà privata o di criminalità. Rotea gli occhi e avanza verso il giardino – oggi tutti gli gnomi sono in piedi al loro posto, uno più brutto dell’altro – fino a raggiungere il portone. Fa per bussare, ma viene preceduto. Kurt è talmente convinto di stare per trovarsi davanti Blaine che quando non succede rimane letteralmente di sasso, con ancora un pugno sollevato a mezz’aria dal suo precedente tentativo di battere alla porta. L’uomo sulla soglia lo fissa, aggrottando la fronte.
 
«E tu chi saresti?» Kurt si sente avvampare e non ha la minima idea del perché.
«Uhm- »
«Papà? C’è qualcuno?» Quello che ha appena urlato da su per le scale sembra Blaine, cosa che in qualche strano modo fa sì che Kurt riacquisti la capacità di respirare.
«Io- ehm. Salve.» L’uomo – il padre di Blaine, a quanto pare – inarca ancora di più le sopracciglia. Kurt potrebbe benissimo immaginarle mentre gli schizzano via dalla fronte.
«Salve...?»
Segue un frastuono vagamente preoccupante, come se qualcosa stesse ruzzolando giù dalle scale; cinque secondi più tardi Blaine compare alle spalle di suo padre e beh, molto probabilmente era lui quello che stava ruzzolando.
«Papà, non stavi per uscire?» Lui sembra confuso. Guarda brevemente Kurt, poi di nuovo Blaine.
«L’hai invitato tu?» Kurt deve mordersi le labbra per non sorridere: il colorito di Blaine si avvicina pericolosamente a quello che aveva il giorno del quasi-svenimento causa jogging.
«Sì. È un mio amico, uhm. Si chiama Colin.» Kurt spalanca gli occhi, ma non dice niente. Il padre di Blaine non sembra particolarmente convinto, ma scrolla le spalle e si avvia attraverso il giardino.
«Okay, divertitevi. Ciao, Colin.» Kurt lo saluta con una certa esitazione e sia lui che Blaine rimangono immobili sulla soglia di casa finché non lo vedono entrare in macchina, con un ultimo gesto della mano nella loro direzione.
 
«Ho appena incontrato tuo padre per la prima volta e mi hai presentato con un nome falso. Non so come sentirmi al riguardo.» Dice, voltandosi verso Blaine con un malcelato sorriso. Scopre che lui è ancora tutto rosso e si tiene una mano sulla fronte e una sullo stomaco; Kurt smette di provare a trattenere il suo sorriso. «Prima di fare qualunque cosa ricordati che ti ho già salvato da un quasi-svenimento una volta, non so se mi va di rifarlo.»
Blaine ora lo guarda apertamente e inizia a sventolarsi con una mano; naturalmente nel farlo gli occhiali gli scivolano verso il basso e deve risistemarli.
«Sono andato completamente nel panico. Non so neanche perché ho detto “Colin”.» Kurt alza le spalle.
«È lo stesso nome che mi hai dato la sera della piscina quando non volevo dirti il mio, te lo ricordi? Io ti avevo chiamato Aaron.» A giudicare dalla sua faccia Blaine se lo ricorda eccome; sorride, facendosi da parte.
«Mi ricordo. Però adesso entra, preferirei non rimanere sul luogo del delitto.» Kurt si trova pienamente d’accordo e accoglie l’invito di Blaine. Entra e si sfila velocemente la giacca che poi lascia su una delle seggiole vicino all’ingresso.
 
«Com’è andata l’ultima lezione? Ancora nessuna novità con Rachel?» Gli chiede, mentre raccoglie la giacca e la appende nell’armadio a muro.
È sempre così: Kurt entra e appoggia la giacca sulla sedia, Blaine gliela prende e la mette nell’armadio a muro. È buffo come ci si affezioni a cose tanto stupide, a volte; Kurt non può fare a meno di pensarlo mentre Blaine gli pone quelle semplici domande, armandosi di una gruccia.
«La lezione è andata bene: la prossima settimana potrò andare a ritirare l’attestato. Rachel continua ad ignorare i miei messaggi, le mie chiamate e anche il me stesso in carne ed ossa. Non sarebbe poi un problema così grave se non fosse per l’appartamento che dobbiamo affittare.» Spiega, decisamente seccato dalla piega che hanno preso le cose tra loro due; naturalmente ciò che è più urgente è la questione dell’appartamento, ma mentirebbe se dicesse che Rachel non gli manca nemmeno un po’. Kurt ci pensa per qualche istante, abbastanza da accorgersi con un certo ritardo che Blaine ci sta mettendo davvero troppo a sistemare il suo cappotto su una gruccia. È di spalle, immobile e Kurt lo raggiunge in un secondo. Gli avvolge le braccia attorno alla vita e gli appoggia il mento sulla spalla, stringendolo dolcemente a sé.
 
«Ehi.» Lui sembra rilassarsi tra le sue braccia; Kurt ama quando lo fa.
«È solo che avrei dovuto dire il tuo vero nome, non so cosa mi è preso. È che ai miei genitori non racconto mai niente, praticamente non ci parliamo nemmeno e da una parte volevo che sapessero di te ma dall’altra proprio no.» Dice tutto d’un fiato per poi voltare la testa verso la sua, facendo sfiorare inavvertitamente le punte dei loro nasi. Kurt sorride.
«Colin è un bel nome, sai? Non mi dà fastidio essere chiamato Colin.»
Blaine scivola piano tra le sue braccia in modo da essere di fronte a lui, poi lo bacia per un attimo prima di sussurrargli che gli mancherà da morire. Kurt passa le dita tra i suoi capelli e tra un bacio e l’altro gli dice tutte le cose che gli mancheranno: il fatto che gli scivolino sempre gli occhiali sul naso, le sue ciglia lunghe, i suoi capelli, le mani, la sua incapacità di fare jogging, l’appendergli il cappotto nell’armadio a muro.
Ed è proprio un attimo prima di potergli dire dell’armadio a muro che Kurt – ironia della sorte – finisce proprio contro l’armadio a muro, perché aveva inavvertitamente camminato all’indietro e adesso Blaine lo sta baciando in un modo che gli fa girare la testa e gli ha anche appena infilato le dita sotto al bordo del maglione – un maglione orribile per giunta, che mette soltanto quando fa un freddo incredibile come quel pomeriggio.
Sente le sue mani stringersi appena sui fianchi in una morsa calda che gli fa pizzicare ogni singola porzione di pelle a contatto con la propria e sospira beatamente nella sua bocca, separandosi da quest’ultima un istante più tardi. A giudicare dall’occhiata che gli rivolge Blaine sembra essere terrorizzato di aver fatto la cosa sbagliata; Kurt non permette che lo creda neanche per un momento perché prima che lui possa andare nel panico ha già fatto scivolare la bocca sul suo collo. Più lo bacia più sente le mani di Blaine stringersi su di lui e avvicinarlo. Kurt ormai respira a fatica schiacciato tra Blaine e l’armadio ma in realtà si tratta di un principio di soffocamento piacevole, talmente piacevole da fargli chiedere: «Andiamo di sopra?»
 
E Kurt non riesce a capacitarsi che è proprio la sua bocca quella da cui sono uscite quelle parole. Sul serio? Gli ha davvero chiesto-
«Mm mm.» Mm mm. Ha chiesto a Blaine Anderson di andare di sopra e lui gli ha detto di sì.
Kurt succhia una piccola porzione di pelle sotto al suo orecchio e riesce perfino a sussurrargli un “Okay” mentre Blaine gli stringe una mano tra i capelli e con l’altra percorre tutta la sua colonna vertebrale da sotto il maglione. Non ha idea del perché lo vuole così tanto; beh, in realtà ne ha idea perché ha sempre trovato Blaine decisamente attraente e perché non è la prima volta che gli salterebbe addosso, con la differenza che gli sta saltando addosso sul serio, ora.
«Vieni.» Blaine lo prende di nuovo per i fianchi e lo bacia; fanno qualche metro verso il piano di sopra e si fermano a baciarsi di nuovo. Impiegano quasi cinque minuti a raggiungere la camera di Blaine, tanto che quando finalmente ci sono Kurt si sente già un disastro. Sa perfettamente di avere i capelli sparati in ogni direzione, il maglione ancora più sformato di quanto non fosse in origine e i pantaloni fastidiosamente stretti così come sa che non gliene può importare di meno.
 
«Kurt?»
«Sì?» Blaine lo trattiene leggermente, un attimo prima che le sue ginocchia cozzino contro al bordo del materasso.
«Okay.» Sussurra, mentre lo spinge cautamente verso il basso evitandogli così di cadere rovinosamente sul letto. Kurt si siede e trascina Blaine con sé arpionandogli la schiena da sopra la maglietta e baciandolo avidamente, mentre si fa più indietro. Le ginocchia di Blaine si piegano una dopo l’altra ai lati del suo corpo e Kurt sente le sue mani risalirgli lungo tutta la schiena da sotto al maglione e improvvisamente realizza che Blaine sta per toglierglielo.
Avrebbe dovuto essere qualcosa di scontato e Kurt ci aveva anche creduto, per tutti quei minuti aveva provato a convincersi che sarebbe stato semplice ma la verità è che non lo è affatto. Stringe Blaine più forte e si lascia baciare, ma quando il suo maglione inizia ad arricciarsi e a risalire oltre l’ombelico non ci riesce. Lo vorrebbe con tutto il cuore e si odia quando afferra i polsi di Blaine e li blocca; si vergogna così tanto che non riesce neanche a guardarlo in faccia. Blaine si ferma subito, ancora a cavalcioni sopra di lui, e lo fissa ad occhi spalancati.
 
«Kurt? Stai bene?» Glielo chiede con una dolcezza che contribuirebbe a spezzargli il cuore anche un po’ di più, se solo fosse possibile.
«Mi dispiace.» Blaine sfila le mani da sotto il suo maglione e gliele appoggia ai lati del viso, facendoglielo sollevare con delicatezza. Quando inevitabilmente incontra il suo sguardo Kurt non ricorda un momento in cui si è sentito più piccolo di così; non è certo se in senso negativo o positivo, si sente solo piccolo.
«Di cosa ti dispiace?»
«È solo che tu- tu mi piaci tanto. Mi piaci così tanto che vorrei poterti dimostrare quanto sei speciale e non paragonabile a nessun altro e credevo sul serio di riuscirci ma la verità è che ho ancora questa stupidissima paura. Credevo di non averla più e invece mi sbagliavo.» Blaine apre la bocca per replicare, ma Kurt lo precede. «Non dirmi che è solo una cicatrice. Lo so che è solo una cicatrice, ma mi blocco lo stesso.» Blaine gli sorride, lasciandogli andare il viso. Vorrebbe essere capace di distogliere lo sguardo, o di sentirsi meno idiota.
«Stavo solo cercando di dire che non devi dimostrarmi niente. Quando ci si porta dietro certe cose da tanto tempo non si può pretendere che passi tutto dal giorno alla notte. E non per questo mi sento meno speciale.»
Kurt non si sorprende più di tanto che dica la cosa giusta; Blaine è uno scrittore e le parole sono un po’ come casa sua. Quello che lo sorprende davvero è che un po’ si sente arrabbiato con lui. Un po’ avrebbe voluto che si spazientisse e che gli dicesse che è solo una stupida cicatrice, cosa che lo avrebbe anche fatto star male, quindi non è sicuro del perché si auguri qualcosa del genere. Sospira piano e si abbandona sul letto di Blaine, con la testa appoggiata sul cuscino. Lui lo guarda dall’alto per un po’ e Kurt riesce a trovare una ragione per sorridere: sa perfettamente che quella dipinta sul suo viso è la classica espressione da ho-una-domanda-ma-ho-paura-di-fartela. Gli accarezza una coscia e lo guarda.
 
«Chiedi pure.» Blaine è ancora dubbioso, glielo legge in faccia.
«Kurt... Posso fare una cosa?» Kurt inarca le sopracciglia.
«Immagino che dipenda da che cosa.» Blaine prende un respiro profondo e gli afferra i bordi del maglione con entrambe le mani, sollevandolo lentamente verso l’alto. Kurt agisce d’istinto e gli blocca di nuovo i polsi, con il fiato corto.
«Credo- Credo che questa sia tra le cose che non puoi fare.»
«Ti prometto che non voglio provarci con te. Non voglio che, uhm- non voglio che facciamo niente. Voglio solo toglierti il maglione.» Kurt ha la terribile sensazione che il suo cervello sia appena finito dentro un frullatore gigante, perché all’improvviso tutto è completamente sottosopra e non ha idea di che cosa pensare. Qual è il punto di togliergli il maglione a dicembre se non- beh, quello? Il suo problema è solo il sesso o è in primo luogo quello stupidissimo segno sulla sua pelle? Kurt non ne ha idea. Guarda Blaine negli occhi, con il cuore a mille.
«Non capisco.»
«Non ti sentirai mai a tuo agio se non cominci a fare qualcosa per cambiare la situazione. Io non sono un estraneo e l’ho già vista una volta. Ti prometto che ti lascerò senza solo per un minuto- »
«Prima tu.» Kurt agisce d’istinto, e non ha idea se la sua richiesta nasca dal fatto che così potrebbe davvero sentirsi più a suo agio o se il suo è solo un modo per guadagnare tempo; fatto sta che Blaine lo guarda per un attimo, poi annuisce.
«Okay.»
Lascia andare la stoffa del suo maglione e afferra i bordi della propria maglietta, sfilandosela da sopra alla testa. Kurt rimane immobile a fissarlo. Guarda come i suoi muscoli si flettono mentre cerca di liberarsi del tutto della T-shirt, osserva la linea delle spalle, delle clavicole e dei pettorali scendendo fino agli addominali appena accennati. Il suo cuore non ha la minima intenzione di smettere di scalpitare, con la differenza che questa volta non è più così sicuro del motivo.
 
«Sei così bello.» Lo sussurra talmente piano che non è nemmeno sicuro che Blaine lo abbia sentito. Qualche secondo dopo le sue mani sono di nuovo dove si trovavano pochi minuti fa e Kurt gli prende ancora i polsi, ma stavolta dolcemente.
«Ora te lo tolgo, okay?» Kurt annuisce velocemente, con il cuore in gola, perché se non è okay adesso ha una paura folle che non sarà okay mai più. Le mani di Blaine risalgono lentamente e Kurt lascia che la presa sui suoi polsi si indebolisca piano piano, fino a lasciarli andare del tutto quando è il momento di sollevare le braccia per lasciarsi sfilare del tutto il maglione. Quando Blaine glielo toglie e lo guarda, Kurt scopre che la testa gli sta addirittura girando da quanto il cuore gli batte veloce. Si sente quasi male, sente di provare troppe cose tutte insieme. A un tratto Blaine sfiora il suo addome e lui sussulta leggermente.
«Sei bellissimo, Kurt.» Non riesce nemmeno a guardare Blaine negli occhi, o a ribattere. Rimane solo fermo immobile con il suo cuore impazzito. Lui continua.
«Lo so che credi di portarti addosso un segno di debolezza e che hai paura di mostrarti fragile, ma tu non lo sei. Sei la persona più forte che conosca. Lo so che detto da me non ha molto impatto perché conosco davvero poche persone, ma davvero: è il segno di tutto ciò che hai dovuto passare per essere chi sei adesso. E se posso dire la mia, sei fantastico.»
Kurt sente qualcosa inondargli il petto e risalirgli con violenza verso l’alto, fino a bruciare agli angoli dei suoi occhi. Trema leggermente e finalmente lo guarda.
«Grazie.» È un po’ riduttivo per esprimere quello che prova adesso, ma è tutto ciò che riesce a mettere insieme.
 
«Posso fare un’altra cosa?» Kurt sorride.
«Okay, basta che la prossima cosa non sia togliermi i pantaloni.» Blaine ricambia il suo sorriso e scuote la testa, poi si sposta alla sua destra, in modo da non essere più a cavalcioni su di lui. A quel punto si sdraia su un fianco e appoggia la testa al centro del suo petto, avvolgendogli la vita con un braccio. Il cuore di Kurt batte all’impazzata e il fatto che Blaine possa sentirlo non fa altro che aumentarne a dismisura il ritmo. Kurt deve fare appello a tutta la sua buona volontà per starsene zitto ed evitare di dirgli qualche stupidaggine, come ad esempio “grazie”, o “ti amo”.
 
 
*
 
 
Blaine sistema più comodamente la testa sul petto di Kurt, in modo che il suo orecchio si trovi praticamente in corrispondenza del cuore che batte all’impazzata sotto di lui. Fino a quel momento si è sforzato in tutti i modi di non lasciarsi andare, si è ripetuto mille volte che deve pensare a Kurt, che lo sta facendo per Kurt e che deve rimanere concentrato. E ci stava anche riuscendo, finché non ha sentito una mano accarezzargli i capelli e non ha più potuto farci niente.
 
Innamorarsi è strano. O sei innamorato o non sei innamorato, non puoi esserlo di più, esserlo di meno o esserlo quasi. Eppure in quel momento, in quell’esatto momento tutte le poche certezze che avevo sull’amore si scagliarono contro i battiti di quel cuore e andarono in mille pezzi. Batteva. E ad ogni battito ero più innamorato, anche se non si può.
 
«Blaine?»
Si sforza di riaprire gli occhi ed è tra le cose più difficili che abbia mai fatto. Li socchiude piano piano, mettendo faticosamente a fuoco la distesa di pelle chiara che ha davanti al naso. Fa risalire cautamente una mano lungo il fianco di Kurt e lo accarezza, stupendosi della morbidezza di ciò che sta toccando come se non avesse idea di come sono fatte le persone o di che cosa riveste i muscoli e le ossa; da un certo punto di vista è davvero così: è come se avesse passato tutta la vita a guardare le cose con la coda dell’occhio ed ora eccole lì, in tutta la loro banale magnificenza.
«Mm?» Kurt gli sistema una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Lo so che è più o meno la più grande banalità che si può dire, ma sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.» Blaine sorride, facendo scorrere i polpastrelli sulle sue costole.
«Sai, me lo avevi già detto. La sera della grande sbronza.» Sente Kurt irrigidirsi appena sotto di lui.
«C’è altro che dovrei sapere su quella serata? Perché ogni giorno vengono fuori cose nuove e la cosa comincia a preoccuparmi.» Blaine prende un bel respiro e piega appena la testa in modo da dargli un piccolo bacio al centro del petto: il cuore di Kurt si sta lentamente calmando e Blaine ama quello che stanno facendo. Passerebbe ore e ore lì con lui, con il suo profumo nelle narici, la guancia appoggiata al suo petto e la sua pelle sotto le dita.
«Nient’altro, giuro.»
«Quindi non ho detto che magari scopriamo che sei abbastanza piccolo da entrare nel mio bagaglio a mano e venire con me a New York, giusto?» Scuote piano la testa, con il cuore in gola. «Bene, allora lo dico adesso.» Blaine sta ancora cercando di assimilare quanto gli è appena stato detto che qualcosa vibra nei pantaloni di Kurt – nell’accezione più casta possibile. Gli infila una mano in tasca e gli allunga il suo cellulare: lancia solo una rapidissima occhiata allo schermo mentre lo fa, lieto che il numero di lettere del nome del mittente sia decisamente troppo elevato per trattarsi di Tom. Kurt lo prende, passandogli i polpastrelli della mano libera alla base della nuca.
«Oh mio Dio.»
«Che succede?» Kurt fa un grande sorriso.
«Rachel mi chiede se è ancora in tempo per affittare quell’appartamento insieme a me.»

 
 
 
 

 
 
 
 
...Stavolta non mi pronuncio. Ma proprio no. Mi limito a dire che ho cercato il più possibile di bilanciare il sostegno che si danno a vicenda, ecco... Sono troppo curiosa di leggere i vostri commenti :)))
Prima di sparire nella nebbia, un grazie enorme a chiunque legga, segua o recensisca questa storia: siete supermegafoxyawesomehot, sappiatelo ♥
Un ulteriore grazie speciale va a mia moglie, nonché soulmate, nonché beta, nonché everything ♥
A lunedì prossimo, se sopravvivo :/
 
Ovviamente, lo spoilerino infrasettimanale arriva qui: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
E... e ask :’D http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Buon lunedì sera, guys :)
Sono reduce dal mio primo esame universitario, e questo significa che FINALMENTE avrò nuovamente il tempo di dedicarmi alle risposte delle recensioni, alla scrittura, agli ottomila libri che ho comprato e mille altre cose ♥ Potete fellare la mia gioia? Sono sicura che potete u.u
Senza ulteriori indugi vi lascio al capitolo diciotto, non prima di raccomandarvi una buona dose di insulina che possa accompagnarvi nella lettura ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XVIII
 
 
«E quindi saresti tu il famoso Blaine Anderson?» Blaine rimane interdetto.
Non è certo se la sua sorpresa derivi più da quel “famoso” affiancato al suo nome o dal fatto che a porgli quella domanda è una ragazza che se avesse incontrato per strada si sarebbe assicurato prontamente di evitare. Non saprebbe nemmeno da dove cominciare ad elencare ciò che di lei lo mette in ansia: il vestitino striminzito, il rossetto scuro, le extention, il fatto che l’ultima volta che gli si era prospettata la possibilità di incontrare degli sconosciuti aveva finto di essere da sua nonna-
«Uhm. Direi di sì.» Il sorriso della ragazza – Santana, l’amica di Kurt che ha insistito tanto per conoscerlo – si allarga a dismisura mentre si volta prontamente alla sua sinistra.
«Con questo qui c’è da divertirsi, Kurt.» Blaine può sentirlo emettere uno sbuffo divertito, mentre svolta in una stradina poco trafficata. È in quella macchina da sì e no cinque minuti e si sta già pentendo di aver detto di sì alla proposta di Kurt di andare a quella stupida festa. Non ha nemmeno capito perché gli ha chiesto di andarci visto e considerato che a) sa quanto lui odia le feste, b) se proprio doveva incontrare Santana poteva farlo benissimo in un altro momento e c) mancano otto giorni alla sua partenza per New York. Blaine avrebbe preferito mille volte rimanere in casa a parlare con Kurt, o magari a baciarlo. Non ha la minima voglia di andare in un posto dove dovrà dividerlo con Santana e con tutta quella gente e il fatto che lui abbia insistito così tanto in merito lo ha decisamente colto alla sprovvista.
 
«Quindi, Blaine, tu scrivi poesie?» Santana è ancora girata verso i sedili posteriori e lo fissa come lui fissava la vecchia macchina da scrivere dei suoi sogni di quando era un bambino.
«Ehm, no. Scrivo racconti.» Santana inarca le sopracciglia.
«Davvero? Perché quella che hai mandato a Kurt l’altro giorno sembrava proprio una poesia. Com’è che diceva?»
«Santana!» Esclama Kurt, con la voce di un’ottava più alta del normale. «Blaine, mi ha strappato il telefono di mano! Non gliel’ho fatta leggere di proposito.»
Blaine si sposta più indietro sul sedile, nella speranza che l’intensità del buio riesca a camuffare il colore delle sue guance.
«Ehi, non te la prendere. A Kurt ha fatto tanto piacere. Avresti dovuto vedere che faccia da idiota che aveva- »
«Okay, possiamo cambiare argomento?» Propone Kurt e Blaine può accorgersi che è nervoso dal fatto che sta accelerando. Santana alza le spalle e torna a fissarlo.
«Come siete suscettibili. Bene, da quant’è che state insieme esattamente?»
Blaine si congela sul posto e spalanca gli occhi. Non ha la minima intenzione di dire qualcosa prima che sia Kurt a farlo, così si limita a starsene in silenzio e a sperimentare nuove tonalità di rosso per la sua pelle.
 
«È giù per questa via, giusto?» Chiede Kurt, con voce incerta.
«Hummel, lo sai benissimo che è qui. Perché nessuno mi risponde?»
«Siamo arrivati, Santana.» Kurt sembra spazientito. Non che Blaine si aspettasse che dicesse che stanno insieme perché beh, perché non stanno insieme; però non avrebbe nemmeno obiettato se Kurt lo avesse deciso a sua insaputa.
«Ma io volevo chiacchierare con Blaine un altro po’.» Blaine si augura che la sua palesissima faccia da preferirei-evitare non sia poi così palese.
«Non avevi detto che ci sarebbe stata anche Brittany?» Santana ci pensa su per qualche secondo, giusto il tempo che Kurt parcheggi la macchina.
«Okay. Vorrà dire che mi terrò le domande per il viaggio di ritorno.» Esclama, spalancando lo sportello e avviandosi di gran carriera verso una villetta seminascosta dagli alberi. Blaine si limita ad aprire svogliatamente la portiera e ad aspettare goffamente affianco all’auto, o almeno è quello che fa finché Kurt non compare davanti a lui. Indossa un paio di jeans grigio chiaro così stretti da fargli affiorare alla mente le sue poche conoscenze sulla circolazione sanguigna e di conseguenza il fatto che quella di Kurt deve essere praticamente inesistente. Poi ha una camicia blu che si intravede appena da sotto la giacca; i capelli sono perfettamente pettinati verso l’alto e i suoi occhi sembrano due squarci di cielo sereno ed è talmente bello che gli toglie il fiato.
 
«Ehi.» Gli dice, con un sorrisetto. Blaine rimane ammutolito, mentre Kurt si avvicina lentamente. «Hai perso la lingua, Blaine Anderson?» Si sforza di tornare a respirare.
«Sto solo... Hai presente quando  guardi qualcuno e all’improvviso non sai più cosa dire perché hai paura che qualunque cosa uscirà dalla tua bocca sarà quella che spezzerà l’incantesimo che fa sì che quella persona così incredibile sia tua?»
Le labbra di Kurt si tendono nel tipo di sorriso che a Blaine piace pensare rivolga solo a lui. Si avvicina di un altro passo e gli stringe delicatamente le mani sui fianchi, facendolo rabbrividire. Kurt ha sempre le mani ghiacciate ma il suo brivido non è dovuto a questo.
«E perciò sarei tuo?» Gli chiede, continuando a sorridere. Blaine non fa nemmeno in tempo ad andare nel panico o a decidere quale sia la cosa migliore da dire, perché Kurt gli sta già dando un bacio a fior di labbra e lui non può far altro che chiudere gli occhi e tenerlo stretto per i bordi della giacca.
«Scusa se ti saluto solo adesso. Non volevo metterti in imbarazzo con Santana.» Blaine scuote la testa con noncuranza e gli avvolge le braccia attorno al collo, si appoggia a lui e chiude gli occhi. Kurt lo stringe delicatamente a sé, nel parcheggio semideserto poco distante dalla villetta in cui si tiene quella stupida festa. Starebbe così per tutta la sera, non farebbe altro e al diavolo la musica, l’alcol e le persone.
«Come fai ad essere sempre così caldo?» Gli sussurra Kurt. Blaine sorride.
«Saranno stati tutti quegli anni passati a non uscire di casa. Avrò assorbito il calore.» Kurt lo stringe un’ultima volta e poi scioglie il loro abbraccio. Una sua risatina fa in tempo a solleticargli la pelle.
«Vogliamo andare?»
«Non proprio. Le feste sono una specie di grande concentrato di tutte le cose che odio.» Ammette, cosa che fa sorridere Kurt.
«Questa ti piacerà.»
 
 
*
 
 
Blaine impiega cinque minuti buoni ad unire ognuno degli ovvi, palesi puntini che Kurt ha disseminato per lui negli ultimi giorni: il suo imprescindibile desiderio di andare a quella festa, proprio quella, tra tutti gli stupidissimi party che si era perso ultimamente; quel sorriso, la punta di imbarazzo. Tutto si spiega lì, nella villetta gremita di persone della quale Blaine ha un vago e annebbiato ricordo risalente a diverse settimane prima, più precisamente a una sera d’ottobre che ha cambiato completamente la sua vita.
I segni della realizzazione si fanno pian piano strada sul suo viso e Kurt, al suo fianco, gli punta addosso gli occhi più pieni di speranza che Blaine abbia mai visto. Piega la testa e avvicina la bocca al suo orecchio per farsi sentire sopra alla musica.
«Lo so che non ti piacciono le feste: non dobbiamo neanche restare. Volevo solo tornare qui insieme a te.» Blaine sente a malapena la fine della frase, perché è costretto a mettere alla prova la sua agilità nello schivare un tizio che è appena caduto per terra di fianco a loro e si è anche rovesciato addosso tutto il contenuto del suo bicchiere.
«Beh, romantico.» Dice, adocchiando il ragazzo steso a terra. Kurt sembra accigliato.
«Vuoi che ce ne andiamo?» Blaine scuote la testa, e poi dice l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di dire in questa vita.
Beh, forse non proprio l’ultima, ma ci si avvicina di molto.
«Vuoi ballare?» Kurt spalanca i suoi bellissimi occhi. È buffo come gli basti concentrarsi su quelli per dimenticarsi completamente di tutto ciò che hanno intorno, compreso il tizio sdraiato per terra.
 
«Ballare? Con te?» Blaine annuisce e lo prende per mano – in realtà impiega un po’ ad individuarla a causa delle luci a intermittenza. Vede un suo sorriso formarsi a scatti, luce e ombra. Kurt si avvicina di nuovo a lui e lo precede nel sistemargli gli occhiali, spingendoli appena più in alto con la punta dell’indice.
«Okay, ma non qui.» Gli dice e inizia a trascinarlo tra la folla, fin dove la musica è meno forte e anche oltre, in un giardino incredibilmente freddo, con un grosso albero e una piscina vuota. Ci sono solo loro per adesso: è troppo presto e fa troppo freddo per gli ubriachi. La musica è ovattata, l’aria gli punge la pelle e Kurt si è appena voltato a guardarlo ed è così bello che Blaine vorrebbe solo poter congelare il tempo in questo esatto momento, con loro due che si guardano senza dire niente.
«Siamo di nuovo qui.» Gli dice Kurt. Blaine annuisce e lancia una rapida occhiata all’albero al quale Kurt era appoggiato quasi tre mesi fa, con un bicchiere in mano e lo sguardo perso tra le stelle.
«Siamo di nuovo qui.» Risponde.
 
 
*
 
 
Due minuti dopo sono seduti sul bordo della piscina vuota che ha segnato il loro primo incontro, con i piedi a penzoloni contro le piastrelle azzurre. Kurt gli aveva chiesto dieci minuti per parlare e Blaine gli aveva detto di sì, a patto che dopo avrebbero ballato per davvero. E adesso sono qui e Kurt ha talmente tante cose da dire che è terrorizzato di non riuscire a dirne nemmeno una.
«Kurt?» Lo ringrazia mentalmente di aver parlato per primo. Si volta a guardarlo anche troppo in fretta.
«Sì?»
«Stai per partire.» Gli dice. Kurt non riesce a capire se si tratti di un’accusa, di una domanda o di una constatazione. Però sa che deve essere chiaro su questo punto.
«Ti avevo detto che non avrei rinunciato a New York- »
«Non ti sto chiedendo di rinunciare a New York. Non lo farei mai.» Si affretta a dire e sì, Kurt sa che non lo farebbe mai, perché lui è Blaine e fa sempre la cosa giusta. Non lo bacia da ubriaco, non si approfitta delle sue debolezze, non ostacola i suoi progetti. Eppure Kurt vorrebbe che glielo chiedesse. Vorrebbe che lo prendesse per un braccio e lo implorasse di non andarsene, o di portarlo con lui. Lo porterebbe con lui, lo porterebbe senza pensarci due volte.
«So che non lo faresti.» Blaine esita un attimo e quando parla lo fa con un filo di voce.
«Ho solo bisogno di sapere se...»
«Se?» Blaine si sta tormentando le mani in grembo, gli occhi fissi sul fondo della piscina. Indossa un paio di jeans scuri e una giacca nera e ha palesemente tentato di sistemarsi i capelli. È uno di quei momenti in cui Kurt deve trattenersi per non urlare al mondo che quel ragazzo così bello e pieno di talento è suo, perché non può farlo. Non può, nonostante sia la verità e nonostante sia vero anche il contrario. Kurt sa che è così, sa che tra dieci giorni prenderà il suo aereo ma il suo cuore rimarrà proprio lì, nel posto che tanto ha odiato solo perché in quel posto c’è Blaine.
 
«Io... Lo so che sei stato insieme a Tom per tre anni e che lo hai amato tanto. Credi di poterti innamorare così di nuovo? Credi- Credi che potrebbe succedere a New York, magari con un ragazzo della NYADA?» Kurt lo fissa a lungo e aspetta che Blaine si decida a incontrare il suo sguardo prima di rispondere.
«Tom c’era quando non avevo nessun altro, Blaine, e avevo sedici anni. Ciò che ci ha legati è stato quell’incidente, e più passava il tempo più capivamo che non c’era altro a tenerci insieme. Provavo qualcosa di fortissimo, te l’ho detto, ma poi ero talmente impegnato a fare di tutto per non perdere la persona che mi era stata vicino nei miei momenti peggiori da non accorgermi che la mia vita era diventata un lunghissimo momento peggiore.» Blaine continua a guardarlo da sotto quelle sue ciglia lunghissime e lui non riesce a smettere di parlare, anche se probabilmente dovrebbe.
«E per rispondere alla tua domanda no, non credo che potrebbe succedere a New York, a Los Angeles o in capo al mondo.» Gli dice, e omette la parte in cui può succedere solo lì e solo adesso.
Lui può anche aver aiutato Blaine con mille punti della loro lista in quelle settimane, ma l’amore – quello vero, quello che gli ha permesso di riprendere in mano la sua vita – è stato Blaine a insegnarglielo. Blaine quello solitario, Blaine con più dita in una mano che contatti in rubrica. Blaine gli ha dato la lezione più importante di tutte.
«E tu? Una volta mi hai detto di esserti innamorato; sai, la sera della tenda mentre giocavamo a obbligo o verità. Pensi di poterti innamorare di nuovo?»
Blaine lo guarda per un lungo momento e prende un respiro profondo. Una nuvoletta bianca si forma davanti alle sue labbra e sparisce nel buio della notte.
 
«Kurt.» Fa per dire qualcosa, ma Blaine piega appena la testa da una parte e continua. «Ti amo.»
È un colpo al cuore. È come se stesse cadendo lui nella piscina, stavolta, con la sola differenza che non c’è il fondo e continua ad andare giù, giù, giù. Una montagna russa infinita, un incidente d’auto, un palloncino che scoppia. Kurt vorrebbe parlare ma Blaine non gliene dà il tempo.
«Non devi rispondermi. Non avrei nemmeno dovuto dirtelo. Però... lo so che non ci conosciamo da così tanto, ma ogni giorno che passo senza dirtelo è come se contasse per mille. È solo...» Fa una piccola pausa, rivolgendogli un sorriso timido. «Non volevo che arrivassi a New York senza sapere che a centinaia di chilometri di distanza c’è un tizio davanti a un computer che scrive una delle tante storie che gli hai ispirato ed è innamorato di te.»
Per un attimo Kurt pensa che potrebbe restare. Potrebbe mandare all’aria tutto quanto e restare semplicemente lì. Si ferma giusto un istante prima di proporglielo, perché non può fare una cosa del genere. Così si limita a guardarlo, poi sorride.
«Ti amo, Blaine Anderson.» Dice. Poi scuote leggermente la testa e si corregge. «Anzi, no. Le parole sono importanti, giusto? Riformulo.» Si fa un po’ più vicino a lui, senza perdere i suoi occhi nemmeno per un attimo.
 
«Ti amo, Blaine.» Lui apre la bocca, poi la richiude; solleva un braccio, gli appoggia il palmo della mano sulla guancia e lo bacia. Kurt sente la pelle riscaldarsi sotto le sue dita e le labbra che riprendono vita contro le proprie. Quando si separano Kurt gli rimane vicino e Blaine lo stringe in un abbraccio scomodo. Tutti i loro abbracci migliori sono scomodi.
«Volevo solo che non arrivassi all’ultimo capitolo del tuo libro senza sapere che a centinaia di chilometri di distanza c’è un tizio a cui hai cambiato la vita e che è innamorato di te.» Blaine lo stringe più forte e Kurt chiude gli occhi, perché vuole imprimersi nella mente ogni singola cosa così com’è. Il freddo pungente, quelle braccia strette attorno a lui, il fatto che Blaine lo ama. Non importa come andranno le cose tra di loro, se passerà o meno il secondo provino per la NYADA o se domani il mondo finirà. Finché potrà ripensare a questo momento non c’è niente che può andare veramente male.
«Kurt?»
«Mm?»
«Avevi ragione sulla lista. Sono quasi a metà della storia con Mona.»
«Te lo avevo detto che avrebbe funzionato.» Blaine annuisce e infila le braccia tra la sua giacca e la camicia, stringendolo così. Kurt glielo lascia fare, anche perché Blaine è più caldo della sua giacca. «Ricordati la mia dedica e le copie autografate.»
«Kurt? Posso dire una cosa?»
«Puoi.» Blaine esita solo un attimo.
«Sono contento che vai a New York, perché so che è il tuo sogno. Però da una parte vorrei tanto, tanto che restassi. Non te lo chiederei mai e non te lo lascerei nemmeno fare, però vorrei che restassi.»
 
Kurt vorrebbe dirgli che può andare con lui, che possono trasformare il suo appartamento da due con Rachel in un appartamento da tre. Che è disposto a dormire sul divano se il posto è troppo piccolo, che può insegnargli a cucinare, che possono fare la spesa e camminare per Central Park e rendere la loro lista infinita. Poi si sente un gran cretino, perché si conoscono da poco più di due mesi e non sa neanche perché la sua testa stia galoppando così. Ha solo paura che siano ancora troppo fragili per la distanza: hanno appena imparato come incastrare due vite così diverse insieme, non sono ancora pronti a separarsi. Vorrebbe dirgli tutte queste cose, vorrebbe dirgli che lo ama e che ha paura di perderlo e che non è come con Tom: non vuole proteggere il suo passato, vuole proteggere il suo presente. Niente di tutto questo riesce a farsi strada fuori dalla sua bocca, così si limita a spostarsi goffamente nel loro abbraccio, a cercare le labbra di Blaine e a baciarle di nuovo.
 
 
*
 
 
Alla fine Santana torna a casa con Brittany, cosa che permette a Kurt di dargli un passaggio senza il bonus di un’ulteriore bombardamento di domande imbarazzanti. Fanno il loro ingresso in giardino verso l’una di notte e Blaine sta davvero cercando di trattenersi dal lasciarsi andare in un sorriso compiaciuto per via dal fatto che a quanto pare Kurt non ha la minima intenzione di lasciarlo andare. Ha le braccia avvolte delicatamente attorno alle sue spalle e la testa appoggiata alla sua e Blaine non vuole spezzare questo incantesimo perché non è un lato di lui che Kurt lascia trapelare di frequente. Anche dopo che la sua maschera di sfacciata sicurezza era caduta, si era sempre guardato bene dal mostrarsi in cerca di protezione, o di conforto. Blaine lo sa che è tutto per colpa di quella dannatissima cicatrice e adesso non ha la minima intenzione di lasciarlo andare perché vuole che sappia che va bene affidarsi a qualcuno, ogni tanto, e che non vuol dire che è debole, vuole solo dire che è umano. Vuole solo che sappia che non è innamorato di un supereroe, è innamorato di lui. Lo stringe dolcemente e lascia che sia Kurt a sciogliere l’abbraccio, alla fine.
 
«Buonanotte, Blaine Anderson.» Gli dice, e Blaine si ritrova le sue labbra fresche sulla guancia e poi sulla bocca e vorrebbe goderselo, davvero, vorrebbe godersi le attenzioni di quel ragazzo meraviglioso ma non riesce a smettere di pensare a New York e al fatto che ha sbagliato tutto e che non doveva dirgli che lo ama. Quando se lo era lasciato scappare Kurt aveva replicato che anche lui lo amava, ma in che altro modo avrebbe potuto rispondere? Blaine costringe la sua stupida testa a stare in silenzio e risponde al bacio di Kurt, poi si separano.
«Ehi. Va tutto bene?» Blaine annuisce in fretta. Lui non sembra particolarmente convinto, ma annuisce a sua volta.
«Okay. A domani.» Gli rivolge un piccolo sorriso. «Ti amo.»
Ed è tutto quello che ha sempre voluto sentirsi dire da Kurt, eppure è come una pugnalata al petto e non sa nemmeno il motivo. Forse perché ha troppa paura di perderlo, o perché teme che non lo ami per davvero o per tutte e due le cose.
«Ti amo.» Risponde, e nel dirlo non prova il sollievo che pensava avrebbe provato. Odia la sua stupida insicurezza, ma non può fare niente per evitare che gli si annidi alla bocca dello stomaco e lo chiuda. Kurt gli rivolge un altro sorriso e se ne va.
Blaine entra in casa e trova un biglietto di sua madre che gli ricorda di dare alla porta tre mandate; lo fa e sale al piano di sopra, un gradino alla volta. Si siede sul letto e si sistema il quaderno sulle ginocchia, sta per aprirlo quando il cellulare prende improvvisamente vita nella tasca dei suoi pantaloni. Inizialmente pensa a un messaggio, ma poi vibra troppo a lungo. Blaine legge il nome sul display e risponde immediatamente.
«Kurt?» C’è una breve pausa dall’altra parte ma può sentirlo respirare in fretta, come se avesse appena fatto una corsa.
 
«Perché sei triste?» Blaine rimane interdetto per un momento.
«Cosa?»
«Ti ho visto, due minuti fa. Sei triste e voglio che mi dici perché prima che la mia stupida testa cominci a propormi teorie altrettanto stupide. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Sapevo che non volevi andare a quella festa, è solo- ho chiesto a Santana di tenere gli occhi aperti e di dirmi quando ce ne sarebbe stata un’altra nel posto dove ci siamo incontrati per la prima volta perché pensavo che ti avrebbe fatto piacere- »
«Mi ha fatto piacere, Kurt.» Risponde sinceramente, perché il suo cuore ha fatto una capriola quando si sono seduti insieme sul bordo di quella piscina. Questo gli fa pensare a quello che Kurt ha fatto per lui, a quanto si è esposto e a quanto ha rischiato e non è giusto, non è assolutamente giusto che lui si comporti da idiota proprio ora. Prende coraggio e parla.
«È che non voglio perderti.» C’è una piccola pausa durante la quale lo stomaco di Blaine si contrae di nuovo.
«Perdermi? È questo il problema?» Ingoia il suo groppo alla gola.
«E che... Hai detto che mi ami, e io...»
«E tu?»
«Non lo so.» Kurt rimane in silenzio per un attimo.
 
«Ti ricordi quando mi hai detto di quante poche possibilità ci fossero che finissimo nel mio letto al buio a parlare? Beh, avevi ragione. Erano pochissime, e anche io ho paura di perderti.»
Blaine non può replicare, perché Kurt continua a parlare. Perché Kurt fa sempre così, lo stordisce di parole. Sia le sue che quelle che gli fa scoppiare in testa. «Vuoi che non ti dica più che ti amo?»
«No, non è questo.»
«E allora qual è il problema?»
Blaine non sa cosa rispondere. Cosa dovrebbe dire? Non può dirgli che non ci crede, perché non è nemmeno la verità. Forse ha solo paura di illudersi, o più probabilmente è solo molto stupido.
«È che- »
«Ti amo, Blaine. Capito?» È un’altra pugnalata, ma stavolta è un dolore buono.
Blaine si rende conto di essere ridicolo, perché probabilmente è ridicolo sentire il cuore accelerare solo perché Kurt gli sta dicendo quelle cose per telefono e probabilmente il suo è un modo infantile di essere innamorato, ma d’altro canto è anche la prima volta che lo è.
«Sì.» Sussurra.
«Non era un “sì” convincente. Ti ho detto che ti amo, hai capito?»
«Sì.» Dice più forte. Sta piangendo. Si sente il coglione più grande del mondo eppure non riesce a smettere. Non vuole nemmeno, a dire il vero; non ci sta neanche provando.
«Okay.» Sente il sorriso nella voce di Kurt, perché evidentemente sa distinguere un pianto di tristezza da uno che invece è tutto il contrario. Blaine tira su col naso.
 
«Puoi... Puoi dirlo ancora?» Kurt ride.
«Ti amo.» Blaine si sente così stupidamente felice che non riesce nemmeno a darsi dell’idiota con efficacia. Kurt continua. «Ti amo, ti amo e non voglio perderti.»
«Nemmeno io.» Lo sente di nuovo sorridere. Non sa come riesce ad accorgersene, lo sa e basta.
«Adesso mi lasci andare a casa, Blaine Anderson?» Blaine ride tra le sue stupidissime lacrime. Vorrebbe dirgli di non tornare a casa e di raggiungerlo in camera, ma sa che non è il caso.
«Sì. Scusami per essere- così.» Insicuro, terrorizzato, stupido. C’è un’ampia varietà di scelta.
«Stai parlando con uno che ha passato tre anni ad andare in piscina con una maglietta addosso per una cicatrice, chi pensi che abbia il cervello più incasinato?» Blaine stringe il telefono più forte, come se Kurt potesse effettivamente accorgersene.
«Ti amo. E amo anche il tuo cervello incasinato, e tutto il resto di te.» Kurt gli dice che lo sa, e che anche lui ama il suo cervello incasinato e Blaine trova straordinario come tutte le loro debolezze e i loro punti di forza riescano a trovare il modo di finire incastrati insieme e permettano loro di amarsi. Ci mettono un po’ a salutarsi, con la promessa di vedersi per pranzo il giorno dopo. Appena la chiamata è terminata, Blaine si allunga a prendere la biro appoggiata sul suo comodino.

 
Lui mi amava. Poi c’ero io con le mie insicurezze, c’eravamo noi due che diventavamo adulti tutto in una volta sola e non volevamo cambiare troppo, non ora che finalmente ci incastravamo insieme. Non volevamo più smussare gli angoli, volevamo fonderci e basta. C’era una città grandissima, una scuola nuova; c’era quello che stavo scrivendo, c’erano un paio di cuori malandati. Però lui mi amava, e io amavo lui, e tutto il resto si poteva aggiustare.
 
 
 
 

 
 
 
 
...Ma tipo che il prossimo è il penultimo capitolo e io soffro perché non voglio che finisca :)))?
A parte questo... niente. Dopo tutta la fluffosità che Blaine ha dimostrato a Kurt nello scorso capitolo mi sembrava doveroso invertire un po’ i ruoli, no? NO?  Okay, si vede che ho sonno. Le cose degenerano sempre quando ho sonno. Prima di ritirarmi nelle mie venerande stanze (?) come sempre ci tengo a ringraziare chi legge, segue e commenta questa storia: per me significa molto più di quanto immaginiate. Grazie di cuore. E grazie anche a mia moglie, che è il Brad della mia pianola ♥
 
Come sempre, trovate lo spoilerino infrasettimanale qui: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Ma buon pomeriggio, guys :D!
Sarà perché sono in vacanza e non ho letteralmente nulla da fare il buono spirito del Natale è ormai parte di me, ma oggi ho pensato di aggiornare un po’ prima del solito. Penultimo capitolo, già. Lungo tipo il doppio degli altri, doppio già. Come sempre non mi dilungo ulteriormente negli sproloqui iniziali e mi eclisso u.u
Buona lettura ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XIX
 
 
Mancavano sette giorni e Kurt era irremovibile sul fatto di dovermi convincere che mi amava. Gli dissi che non ce n’era bisogno, che lo sapevo, ma questo non gli impedì di prenotarmi un volo per New York a inizio gennaio e di dirmi che se fosse stato per lui mi avrebbe voluto lì tutto il tempo. Gli dissi che gli credevo, ed era la verità. Quando ci salutammo mi resi conto per la prima volta che era proprio così che sarei rimasto per un’infinità di altri mesi: solo io, senza Kurt. Mi accorsi per la prima volta che cosa significava la sua partenza e che Wes aveva avuto ragione sin dall’inizio: sarei finito in pezzi.
 
Mancavano quattro giorni quando conobbi Rachel: mi disse che ero il benvenuto da loro tutte le volte che volevo. Kurt rimase in silenzio per la maggior parte del tempo e non eravamo soli da neanche cinque minuti quando iniziò a balbettare dicendo che non sapeva se ce l’avrebbe fatta e che era un grande cambiamento. Lasciò che lo abbracciassi e gli ripetessi che sarebbe andato tutto bene. Quando smise di piangere mi ero innamorato ancora di più, anche se non è possibile.
 
Mancavano due giorni e

 
Blaine volta pagina con un piccolo sospiro, nella tranquillità silenziosa della sua stanza. È mezzanotte passata quindi tecnicamente manca un giorno alla partenza di Kurt, ma è un pensiero che gli si insinua nella testa solo per un secondo, perché improvvisamente la stretta sulla sua penna vacilla.
Era pronto a scrivere della giornata appena trascorsa, ma non può farlo, perché il foglio è occupato dal suo schema Prima di Kurt e Dopo Kurt. È arrivato all’ultima facciata, ha finito il quaderno. Rimane come paralizzato: sapeva che stava finendo, insomma, vedeva le pagine calare; eppure era convinto che ce ne fosse almeno un altro paio; che ce ne sarebbe sempre stato un altro paio. Sorride stupidamente al suo quaderno e si fa scorrere le pagine sotto le dita, fino a tornare alla prima: “C’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con lo sguardo rivolto verso le stelle.”
La sua presa sulla penna torna a farsi sicura mentre aggiunge un’ultima, piccola frase.
 
 
*
 
 
«Arrivo!» Kurt sta praticamente correndo verso la porta, perché a giudicare dal numero di citofonate nel giro di un minuto qualcosa di pericolosamente vicino a casa sua sta andando a fuoco, o è in corso un’invasione aliena, o Rachel si è presa una laringite.
Apre con una certa apprensione, solo per trovarsi davanti la figura tranquilla e sorridente di Santana Lopez. Kurt rimane interdetto qualche secondo.
«Ti conviene avere una buona spiegazione per il mezzo infarto che mi hai fatto venire- »
«Più che buona, in realtà. Posso entrare?» Kurt si guarda brevemente alle spalle e sospira.
«Lo sai che il mio volo parte domattina: ho promesso a mio padre che avremmo passato la giornata insieme.» Santana alza gli occhi al cielo.
«Andiamo, Hummel. Giuro che ti rubo solo dieci minuti. E poi chissà per quanto tempo non ti vedrò più, perciò...» Kurt spalanca gli occhi, facendosi da parte.
«Mi vedrai domani mattina come tutti gli altri, Santana.»
«Se credi che venga in aeroporto a respirare la stessa aria di Rachel e di quel coglione di Tom ti sbagli di grosso.» Annuncia, dirigendosi a passo sicuro verso la sua camera; Kurt non può fare altro che seguirla. Non tenta nemmeno di protestare, perché sa perfettamente che ogni suo tentativo di dissuaderla sarebbe del tutto inutile. Provare ad impedirle di fare quello che vuole è un po’ come dire a Rachel che Broadway è alla frutta: uno sconsiderato tentativo di suicidio.
 
«Okay.» Incomincia, piazzandosi proprio di fronte a lui nel bel mezzo di ciò che resta di quella che una volta era la sua stanza. «Senti, sei stato uno stronzo a continuare ad uscire con la Berry alle mie spalle e non ti ho ancora perdonato del tutto. Ma se non altro non stai più insieme a quel coglione e comunque stai per andartene, perciò...» Santana fruga nervosamente nella sua borsa ed estrae una cornice di un fucsia abbastanza acceso da rappresentare la probabile causa di improvvisi attacchi di epilessia e gliela allunga. Kurt la prende con cautela, perché per quanto ne sa potrebbe benissimo trattarsi di una bomba. Santana sembra impaziente.
«Avanti, girala.» Kurt la gira e riconosce la foto all’istante. È quella che hanno scattato insieme nella sua camera il giorno in cui le aveva detto che cosa c’era tra lui e Blaine. Il Kurt della fotografia è visibilmente terrorizzato e fissa l’obiettivo con l’aria di chi non ha idea di cosa aspettarsi; Santana è bella e sicura di sé come al solito. In effetti quella foto riassume perfettamente la loro amicizia.
 
«Così la puoi portare a New York, come avevamo detto.» Kurt alza lo sguardo dal suo regalo e la guarda, reprimendo un sorriso.
«Santana, mi hai detto di stampare questa foto giorni fa. Ovviamente è già in valigia.» Santana lo fissa a lungo, come se ci fosse qualcosa che le sta sfuggendo.
«Già in valigia?» Kurt appoggia la cornice da attacco epilettico sul letto e tira la cerniera del trolley appoggiato a terra. Deve scavare tra una buona dose di libri e vestiti prima di rinvenire una decisamente più sobria cornice argentata contenente lo stesso identico scatto. Santana la fissa a lungo, senza dire una parola. Abbastanza a lungo da far schizzare i livelli di ansia di Kurt alle stelle.
«È... è tutto okay?» Santana lo abbraccia, lo abbraccia sul serio. Di nuovo. Kurt ricambia immediatamente, perché anche se passa la maggior parte del tempo ad avere paura di lei la verità è che gli mancherà da morire.
«Ti conviene essere preso in quella scuola, Hummel.» Kurt si arrende al fatto che dovrà ricavare un posto d’onore sul suo comodino per quell’inguardabile cornice rosa shocking.
 
 
*
 
 
Giovedì diciotto dicembre duemilaquattordici.
Sono cinque minuti buoni che Blaine fissa lo schermo del cellulare e non è ancora riuscito a capacitarsi che quella successione di numeri e lettere corrisponda alla realtà. Tra un paio d’ore sarebbe davvero andato in aeroporto? Avrebbe davvero abbracciato Kurt sapendo di non poterlo rifare il giorno dopo, né quello dopo ancora? Niente di tutto questo sembra reale, niente di tutto questo sembra giusto. Ha passato la giornata con Wes – Kurt l’aveva trascorsa con suo padre, naturalmente – e non crede di essersi dimostrato abbastanza grato per i suoi innumerevoli tentativi di farlo pensare ad altro; d’altronde avrà mesi interi per rimediare, una volta che Kurt sarà partito.
Blaine guarda per un momento il suo quaderno appoggiato sul comodino e si chiede se è questo che sono destinati a diventare, alla fine: due vite entrate in collisione per sbaglio e confinate tra le righe di un quaderno che prima o poi sarebbe andato perso, o le cui pagine sarebbero sbiadite fino a diventare illeggibili. Sta pensando se sia o meno possibile per loro perdersi gradualmente, un po’ come l’inchiostro che sbiadisce, quando lo schermo del cellulare si illumina, proiettando un fascio di luce nella stanza semi-buia. Lo afferra subito, e il suo cuore accelera quando legge il nome del mittente.
 
00:12
Dormi?
 
00:13
No.
 
00:15
Ottimo.

 
Blaine legge l’ultimo messaggio con la fronte aggrottata. Non sa bene come rispondere, ma fortunatamente Kurt lo leva dall’impiccio.
 
00:16
Le rose sono rosse, le viole sono blu, se non impari a chiudere il cancello ti ruberanno soldi, soprammobili e tv.

 
Legge il messaggio una volta, due volte. Poi scende le scale così in fretta che francamente non ha nemmeno idea di quanti gradini alla volta ha appena fatto.
La casa è completamente buia, i suoi dormono e lui si sta cimentando nell’impresa di correre in silenzio e per poco non dà una testata contro al muro ma poi riesce a raggiungere la porta. La apre e Kurt è lì, con una giacca scura, i pantaloni della tuta e i capelli spettinati. Blaine invece è in pigiama, con i ricci sparsi ovunque, scalzo e probabilmente inguardabile. E adesso sono uno davanti all’altro, sono insieme, e Blaine sa che loro due sono molto di più delle pagine di un quaderno; sono diversi, sono due mondi lontani eppure hanno spinto e spinto e spinto fino a potersi incastrare, fino ad essere lì, proprio ora.
 
«Kurt- »
«Stavo pensando a Mona.» E, tra tutto ciò che avrebbe potuto aspettarsi che Kurt gli dicesse ora, a mezzanotte e in piedi di fronte alla sua porta di casa a poche ore dalla propria partenza per New York, questa occupa decisamente una delle ultime posizioni. Blaine si fa da parte e Kurt entra, chiudendosi la porta alle spalle.
«A Mona?» Gli chiede cautamente, mentre lo guarda sfilarsi la giacca e appoggiarla a una sedia. Come al solito, la prende e la appende nell’armadio a muro.
«A Mona, sì, e a quella parte della tua storia su di lei che mi hai letto. Pensavo alle parole che hai usato e a come erano belle. E questo mi ha portato a pensare che non saper scrivere fa davvero schifo, Blaine. Perché se ne fossi capace – se sapessi usare le parole come fai tu – la smetterei di essere così poco credibile, non trovi? La smetterei di dirti che sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e che mi mancherai da morire, perché saprei trovare dei modi migliori e meno banali per dirlo. E invece sono qui a mezzanotte passata e tutto ciò che riesco a dirti è che sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e che beh, che mi mancherai da morire.»
Blaine non è capace di fare altro che guardarlo. Vorrebbe dirgli che il mondo è pieno di parole banali ma a volte basta che escano dalle labbra giuste per essere straordinarie. Cosa c’è di più banale, di trito e ritrito di un “ti amo”? Eppure ogni volta che Kurt glielo dice a Blaine sembra che sia stato proprio lui ad inventare quelle parole, solo per poterlo meravigliare ogni volta che le pronuncia. Vorrebbe dirgli che non c’è niente di scontato in lui, né in quello che dice né in quello che pensa. Eppure per una volta si concede il lusso della sintesi, che consiste più o meno nel fare due passi avanti e baciarlo. Kurt lo stringe immediatamente e Blaine ama come sia diventato così facile per loro, come scivolino così perfettamente l’uno tra le braccia dell’altro.
 
«Puoi restare? Stanotte, dico. Lo so che domani parti.» Kurt gli accarezza la nuca con la punta delle dita e gli dà tanti piccoli baci più o meno dappertutto.
«Sì, posso.»
 
 
*
 
 
Blaine non è sicuro di poter dire con certezza da dove venga tutta questa determinazione, esattamente. Al momento sa solo tre cose: a) Kurt partirà tra poche ore, b) lui è innamorato di Kurt e c) ha tutta l’intenzione di ficcare nella sua meravigliosa e ostinatissima testa che è perfetto. Sono queste le ragioni per cui ora è a cavalcioni su di lui, sul suo letto, a parlargli sottovoce per non svegliare i suoi genitori.
«Sei bellissimo.» Sussurra tra un bacio e l’altro, facendolo sorridere.
«Me lo hai ripetuto quaranta volte, sai?» Blaine gli preme brevemente le labbra su una tempia e poi sulla guancia.
«Lo so.» Gli dice, infilandogli cautamente le dita sotto l’orlo della maglietta. «Posso?» Kurt annuisce subito, e non oppone nessuna resistenza quando gliela sfila. Blaine lo fa, la appoggia ai piedi del letto e lo guarda.
«Sei bellissimo.»
«La vuoi finire, Blaine Anderson?»
Blaine ride, si china su di lui e lo bacia mentre sfiora con la punta delle dita i contorni della sua cicatrice. Lo fa con attenzione, perché sa che per Kurt quel segno è sinonimo di debolezza e che lo odia, ma Blaine ama anche quella parte di lui e vuole solo che lo sappia. Kurt lo lascia fare per un po’, poi gli mette le mani sulle spalle e lo spinge appena verso l’alto.
 
«Aspetta, voglio fare una cosa.» Sussurra, e poi lo spinge con più decisione, fino ad invertire le posizioni. Blaine si sente schiacciare appena contro al materasso, con il peso di Kurt su di lui che lo tiene fermo.
«Kurt?» Lui scuote lentamente la testa e si piega in avanti per baciarlo dolcemente. Quando si separano Blaine è così preso da ciò che stavano facendo che per poco non si perde quello che Kurt gli sta dicendo. «Sei bellissimo, Blaine.» Blaine sorride vicino alle sue labbra.
«Non rubarmi le battute.»
«È che tu ti sottovaluti in tutto, e non dovresti.» Gli dice e nel frattempo gli sfila la casacca del pigiama da sopra la testa e scivola di nuovo giù, a baciarlo. Ad ogni movimento e ad ogni respiro il suo petto tocca il proprio e Blaine sente la pelle bruciare nei punti in cui si sfiorano.
«Bellissimo.» Ripete, mentre fa scivolare le dita tra i suoi capelli e poi lungo il collo, fino al petto. Le sue mani lo accarezzano con calma, con attenzione, come se avesse paura di romperlo e a Blaine ricorda tanto il loro primo bacio e non sa bene cosa fare a parte far correre le dita sulla sua schiena e cercare di continuare a respirare. Kurt lascia le sue labbra con uno schiocco umido.
 
«Una delle prime cose che ho notato di te sono stati gli occhi.» Gli sussurra, mentre disegna linee sparse sul suo petto con la punta delle dita. «E il sorriso.» Gli dà un altro bacio. «E il fatto che sei così dolce, e intelligente. E che non volevi ammettere di sentirti solo.» Si sdraia direttamente su di lui, e Blaine vorrebbe non aver voglia di piangere, vorrebbe non sentirsi scoppiare e vorrebbe non volerlo così tanto, ma non può impedirsi nessuna di queste cose. Il tempo sembra fermarsi per un attimo prima che il silenzio venga infranto di nuovo.
«Non ci ho neanche pensato.» Il sussurro di Kurt è così debole che sembra quasi che gli stia rivelando un segreto. Blaine si volta verso di lui e torna finalmente a parlare dopo quelli che gli sono sembrati secoli.
«A cosa?»
«Alla cicatrice. Quando mi hai chiesto se potevi togliermi la maglietta, non ci ho neanche pensato. Ora ci sto pensando, ma è già qualcosa.» Blaine lo stringe, lo bacia e pensa che è orgoglioso di lui, che vuole che vada sempre meglio e che sarebbe più facile pensare lucidamente a tutte queste cose se Kurt non fosse così sexy e così a torso nudo e così nel suo letto.
 
«Ti amo.» Sussurra, perché ha deciso che finché ha l’occasione di dirglielo di persona deve farlo tutte le volte che può. Kurt sorride e lo bacia di nuovo e Blaine inizia a pensare che non c’è verso che riesca ad evitare di farlo accorgere della situazione precaria nei suoi pantaloni ancora per molto.
«Ti amo anch’io.» Gli risponde e wow, okay. Non sa se Kurt si è accorto di lui, ma di sicuro lui si è accorto di Kurt mentre si spostava un po’ per evitare che il suo peso gli gravasse troppo addosso. Blaine trattiene il fiato e Kurt spalanca gli occhi.
«È... mi dispiace. Non- uhm.»
«A me no. Ma proprio per niente.» E spera che vada bene se si rimette a baciarlo, a toccarlo e a ripetergli che lo ama, perché è più o meno quello che ha intenzione di fare fino a domani mattina.
 
 
*
 
 
Kurt si sveglia con un braccio che circonda la vita di Blaine, le gambe aggrovigliate alle sue e la fronte premuta tra i suoi capelli. Non si sente più l’altro braccio, ha male praticamente ovunque ed è appena stato svegliato bruscamente da una serie di parole non meglio identificate. Eppure non potrebbe essere più felice di così, non potrebbe proprio.
«Mm?» Blaine accarezza il braccio che gli penzola sullo stomaco e si gira pigramente nella sua direzione.
«Kurt?»
«Mm.» Tiene ancora gli occhi chiusi, mentre i ricordi si fanno largo nella sua mente ancora appannata dal sonno. Blaine che lo bacia, Blaine che gli dice tutte quelle cose, Blaine che gli toglie i pantaloni- oh, è stato imbarazzante. Non avrebbe saputo dire chi dei due si era dimostrato più impedito. Sapeva che Blaine aveva dovuto aiutarlo quando lui non riusciva a togliergli i pantaloni – ed erano pantaloni del pigiama, qual era il suo problema? – e sapeva che probabilmente avevano riso troppo e si erano detti cose troppo sdolcinate e che l’imbarazzo li aveva trattenuti eccessivamente e che Blaine era esageratamente fissato con gli “scusa” e lui con i “posso?” ma Dio, era stato perfetto. Era stato un disastro, ma perfetto.
Kurt apre gli occhi, trova quelli di Blaine proprio lì e si sente stupido perché non è più un ragazzino e non dovrebbe sentire le farfalle nello stomaco.
 
«Buongiorno.» Kurt sorride.
«Ciao, Blaine Anderson.» Blaine gli dà un bacio sulla fronte e Kurt è grato che non abbia puntato le labbra perché Dio, si sono appena svegliati e deve lavarsi i denti. Quando torna ad appoggiare la testa sul cuscino Blaine lo guarda e sembra così innamorato che le stupidissime farfalle nel suo stomaco si esibiscono in evoluzioni acrobatiche.
«Come ti senti?» Kurt ci pensa su qualche secondo.
«Da una parte felicissimo, dall’altra triste.» Blaine sorride. «E tu?»
«Io penso che è il momento di completare la nostra lista.» Gli dice, mettendosi a sedere sul letto. Kurt inarca un sopracciglio, e Blaine indica la finestra. «Alba, ricordi?»
Kurt sbatte le palpebre un paio di volte. È stata una delle prime cose che avevano aggiunto alla loro lista, tre mesi prima. Lo ricorda solo ora e pensare che manca solo questo, che basterà alzarsi in piedi e guardare fuori dalla finestra per completare quella loro breve ma assolutamente sconvolgente avventura non fa che alimentare il suo “felicissimo” e il suo “triste”.
Annuisce e si mette seduto a sua volta. Sorride quando nota che i polsini della casacca del pigiama che indossa sono leggermente più su di quanto dovrebbero essere: Blaine gli ha prestato i suoi vestiti e Blaine è più basso di lui e Kurt si sente così stupidamente bene con quel pigiama addosso.
«Alba, sì.» Dice, e si sporge per dare un bacio sulla guancia a Blaine – solo perché non si è ancora lavato i denti. Scendono pigramente dal letto e si avvicinano alla finestra – Blaine prima recupera gli occhiali dal comodino, anche perché in caso contrario solo uno dei due avrebbe visto l’alba – e si mettono uno affianco all’altro. La visuale non è perfetta: il sole è seminascosto da un palazzo e dalle cime di qualche albero, ma le sfumature rosate ci sono, e ci sono loro due che completano la loro lista e c’è lui che deve tornare a casa prima che suo padre si svegli perché prima di pranzo ha il suo volo.
 
«Mandami per mail i nuovi capitoli appena hai finito di scriverli, okay?» Blaine annuisce.
«E tu mandami tutti i video e le foto che puoi. E aspettami.» Kurt si volta a guardarlo e Blaine arrossisce un po’. «Nel senso, lo so che non- che non stiamo insieme. È solo che pensavo- »
«Davvero?» Blaine smette di sproloquiare e lo fissa di sottecchi.
«Davvero cosa?» Kurt non sa bene come porre la cosa, così la pone e basta.
«Davvero non stiamo insieme. Perché a me sembravamo abbastanza insieme quando mi dicevi che mi amavi e quando io ti ho detto che ti amo. O stanotte, per esempio.» Blaine boccheggia per qualche secondo.
«È che... Pensavo che dopo Tom- e poi tu eri preoccupato perché stavi per partire e- »
«E tu hai detto che non ti interessava. Credevo che avessimo oltrepassato la fase del non-facciamoci-coinvolgere-troppo già parecchio tempo fa.» Gli dice, con un piccolo sorriso che si sforza di mantenere anche nell’aggiungere qualcos’altro, che dice solo perché deve: «Se hai paura della distanza, però, lo capisco- »
«No.» Lo interrompe subito Blaine, per poi scuotere brevemente la testa. «Cioè, , sì ho paura. Ma andare all’aeroporto a salutare il mio ragazzo fa già un po’ meno paura di andare all’aeroporto a salutare un tipo che amo e che mi ama ma che potenzialmente potrebbe finire in un corso di ballo insieme a qualche tizio bellissimo e io non potrei dire niente se cominciasse a piacergli perché in effetti non sono il suo ragazzo.»
 
Kurt si mette a ridere perché sul serio, cosa c’è che non va nella testa di Blaine? Forse più o meno la stessa quantità di cose che non vanno nella sua, perché ognuno dei suoi propositi di non spingersi troppo in là era andato rovinosamente crollando e non riesce nemmeno a importargli qualcosa. Dopotutto ha il ragazzo più stupidamente adorabile del creato e non ha intenzione di colpevolizzarsi per non riuscire a pensare ad altro.
 
 
*
 
 
Blaine arriva in aeroporto dieci minuti prima dell’orario stabilito insieme a Kurt. Wes è andato a prenderlo con un discreto anticipo e nonostante i suoi sforzi in merito Blaine non è riuscito in nessun modo a dissuaderlo dall’idea di accompagnarlo: aveva paura che piangesse troppo e si andasse a schiantare contro a un palo della luce. La cosa non sarebbe stata poi così improbabile.
Mentre scendono dalla macchina Wes gli racconta dei nuovi sviluppi della sua amicizia con Kyle XY e l’unica cosa che Blaine può fare è annuire ogni tanto e tastare continuamente la sua tracolla, neanche temesse che prendesse vita e fuggisse di sua iniziativa.
«Da che parte?» Blaine fa strada a Wes, senza riuscire a dire una parola. C’era stato un momento, diverse ore prima, in cui si era reso perfettamente conto di cosa stava per succedere. Ora quella sensazione gli è sfuggita di mano: è solo un automa che cammina per un aeroporto. Non prova niente. Non riesce nemmeno a rievocare le sensazioni di qualche ora prima, della notte che aveva passato con Kurt e di quando aveva pensato che “felice” era fatto da sei lettere e sei lettere erano così poche, così insignificanti in confronto a ciò che provava.
 
«Blaine, ehi.» Blaine guarda Wes, ma non lo sta davvero guardando; registra a malapena un sorriso triste e poi c’è un abbraccio che ricambia in automatico. «Vi rivedrete presto, andrà tutto bene.» Gli dice, battendogli due volte una mano sulle spalle. Blaine sa che sono esattamente le parole standard da dire in quelle circostanze e che è stupido che lo facciano sentire un po’ meglio, eppure succede. Quando si separano rivolge al suo migliore amico il primo sorriso sentito della giornata – a parte quello di quando Kurt aveva reso ufficiale che stanno insieme, perché era stato decisamente sentito.
«Dai, ora smettila di fare la regina del dramma e cammina.»
 
Quando arrivano sul posto, attorno a Kurt è radunato un piccolo gruppetto di persone. Blaine riconosce Rachel e Burt – ha avuto occasione di vedere il padre di Kurt un paio di volte – e poi c’è un tizio di spalle. Il tizio di spalle scambia due parole con Rachel, poi abbraccia Kurt. Blaine è praticamente sicuro che si tratti di Tom. Kurt gli aveva detto che sarebbe venuto a salutarlo in aeroporto e se all’inizio avrebbe voluto sentirsi offeso dalla cosa poi aveva ripensato a quegli stupidi peluche che aveva regalato a Kurt quando aveva un bisogno disperato di stupidi peluche e non aveva avuto cuore di ribattere in alcun modo. Kurt ricambia brevemente l’abbraccio del ragazzo, gli fa un mezzo sorriso, dice qualcosa e poi il tizio se ne va. È alto – più di lui almeno, non che ci voglia tanto – ed è carino e sembra anche sinceramente dispiaciuto. Blaine e Wes raggiungono Kurt, Burt e Rachel un minuto più tardi. Appena lo vede Kurt lo abbraccia forte.
«Parto tra dieci minuti.» Gli dice, indicando i gruppetti di persone che si avvicinano un po’ alla volta all’imbarco, con i loro rumorosissimi trolley. Kurt saluta anche Wes e davvero, Blaine vorrebbe riuscire ad essere meno apatico. Rachel gli parla di New York, gli spiega come raggiungere il loro appartamento; Burt gli rivolge qualche domanda. Risponde a monosillabi, con il cuore che gli batte all’impazzata. Non sa cos’ha, non ne ha idea.
«Kurt, meglio se inizi a metterti in fila.» Kurt annuisce alle parole di suo padre.
«Solo un attimo. Ci lasciate un secondo?» Blaine non capisce che il secondo che Kurt sta chiedendo è riservato a loro due finché non lo sente prendergli la mano e trascinarlo qualche metro più in là. È come se la sua pelle scottasse nel punto in cui lui la tocca. Quando sono relativamente soli e faccia a faccia – gli occhi chiari di Kurt così meravigliosamente persi nei suoi – Blaine sente qualcosa spezzarsi nella sua testa.
 
«Mi dispiace.» Comincia immediatamente, senza nemmeno aver formulato un pensiero coerente. «Non volevo essere freddo, o apatico, soprattutto perché sei il mio ragazzo adesso e perché stanotte- perché non hai idea di quanto mi hai reso felice, di quanto mi rendi sempre felice, anche- » Le parole gli muoiono sulle labbra, perché Kurt lo bacia brevemente, lasciandolo ammutolito. Gli rivolge un sorrisetto.
«Bene, ora che finalmente hai smesso di scusarti passiamo alle cose importanti. Abbiamo un minuto, quindi: ti amo, sentiamoci il più spesso possibile, vienimi a trovare, non uscire con Kyle XY, non smettere mai di scrivere, ricordati che ti aspetto e ricordati che sei il mio ragazzo.» Blaine fa per replicare, ma Kurt lo precede. «Questo è tuo.» Gli allunga un piccolo pacchettino lungo e stretto che ha estratto dalla tasca interna della giacca. «Aprilo quando sarò partito.» Blaine prende il suo pacchetto e annuisce, con il cuore in gola. A qualunque cosa fosse dovuta quell’apatia, ora sta miseramente venendo meno. Cerca timidamente il suo sguardo, sbattendo ripetutamente le palpebre. Kurt lo guarda malissimo.
«Blaine Anderson, prova a piangere e ti giuro che ti prendo a calci.» Blaine fa una piccola risata.
 
«Kurt. Ti amo, chiamami appena arrivi, ti giuro che ti verrò a trovare così spesso da farmi odiare, non uscire con i tizi bellissimi della NYADA, non smettere mai di cantare, ricordati che anche io ti aspetto e che sei il mio ragazzo.» Kurt annuisce brevemente e adesso sembra lui quello che sta per piangere, così Blaine ovvia al problema stringendolo forte e baciandolo un po’ più a lungo di prima.
«Kurt! Ragazzi, mi dispiace interrompervi ma perderemo il volo.» Kurt si separa da lui, gli prende il viso tra le mani e gli dà un’altra piccola serie di baci prima di fargli uno di quei suoi sorrisi bellissimi e farsi trascinare via da Rachel.
«Ti amo, Blaine.»
«Anche io.» Gli dice, e lo segue fino al loro gruppetto e lo guarda mentre abbraccia brevemente Wes e poi suo padre e rivolge a lui un altro di quegli sguardi innamorati che gli tolgono il fiato ogni volta. Blaine è talmente perso a fissarlo che per poco non se ne dimentica.
 
«Kurt, aspetta.» Dice, mentre raspa furiosamente nella sua borsa. Kurt aspetta, incurante delle proteste di Rachel finché Blaine non estrae ciò che cercava e glielo allunga. Lui non lo prende, si limita a fissarlo ad occhi spalancati.
«Blaine...»
«Prendilo.» Kurt esita ancora un attimo, poi lo fa, quasi con riverenza.
«Sei sicuro?»
«Più che sicuro.» Annuisce, sbattendo qualche volta le palpebre per non piangere.
Saluta tutti di nuovo: Rachel sta palesemente per imbarcarsi da sola e blatera qualcosa sui suoi papà e sul fatto che li stanno già aspettando nel loro appartamento a New York. Alla fine Kurt si mette in fila con gli altri e l’ultima cosa che gli dice è “A presto, amore” e Blaine gli risponde che sì, si vedranno presto. Sta lottando violentemente contro l’impulso di mettersi a piangere, quando una voce orribilmente familiare non si palesa alle sue spalle.
 
«Me lo sono perso?» Blaine sobbalza e si volta giusto in tempo per intercettare gli occhi ansiosi di Santana che scrutano verso il portone d’imbarco.
«Si sono appena messi in fila.» Non sa nemmeno dove trova la prontezza di dirglielo, ma Santana sta già correndo a slalom tra i futuri passeggeri.
Torna cinque minuti più tardi con un sorriso trionfante.
 
 
*
 
 
Blaine aspetta di essere solo per aprire il suo regalo. Vale a dire che deve aspettare più o meno due ore, perché Wes e Santana non ne volevano sapere di convincersi del fatto che stava bene e che non si sarebbe buttato da un ponte se lo avessero lasciato da solo. Avrebbe voluto andare ad aprirlo sull’altalena del loro primo appuntamento, ma era rimasto ad occhi chiusi per buona parte del tragitto e non sa come arrivarci, così va semplicemente a casa sua, nella sua camera, sulle lenzuola ancora aggrovigliate da loro due che riuscivano miracolosamente a dormire insieme in un letto da una piazza.
Dispiega delicatamente la carta da pacco e scopre la scatolina allungata che nasconde, la apre e rimane a bocca aperta. C’è una penna stilografica blu, di quelle con il nome inciso. L’incisione recita Blaine Anderson, cosa che lo fa sorridere come un cretino. Di fianco alla penna c’è un bigliettino ripiegato abbastanza volte da riuscire a stare nella minuscola scatolina. Blaine lo apre.
 
Ho letto da qualche parte che un vero scrittore deve avere anche una bella penna. O erano dei bei vestiti? Comunque sia, questa è per te. Non smettere mai di inseguire i tuoi sogni. Ti amo. – Kurt
 
Blaine sa che è solo un bigliettino. Lo sa, davvero. E sa che il fatto che quel bigliettino ci fosse o non ci fosse stato non avrebbe cambiato le cose tra lui e Kurt, non avrebbe cambiato le loro promesse o quello che provavano. Però il bigliettino c’è e più lo rilegge più è sicuro che ne verranno fuori interi, da tutta quella faccenda della distanza.
Più lo rilegge, più ha la certezza che cadere in una piscina vuota ad ottobre è stata la cosa migliore che gli sia mai capitata.
 
 
*
 
 
«Stiamo davvero partendo, riesci a crederci?» Rachel lo ripete da dieci minuti, più o meno da quando le hostess hanno iniziato a spiegare cosa fare nel caso si schiantassero, il che è divertente perché beh, non ci sarebbe molto da fare. Rachel parla e straparla, ma Kurt non la sente nemmeno perché è troppo occupato a pensare che a) è riuscito miracolosamente a salutare Santana e a dirle di tenere d’occhio il suo ragazzo e b) – soprattutto b) – Blaine gli ha dato il suo quaderno. Quel quaderno, glielo ha dato davvero.
Sono dieci minuti che tiene una mano appoggiata sulla copertina, dentro alla sua tracolla, quasi temesse di sentirselo scomparire da sotto le dita. L’aereo decolla, lui chiacchiera con Rachel finché lei non si decide di ascoltare un po’ di musica.
Kurt approfitta del momento di tregua per estrarre il quaderno e Dio, può leggerlo, può farlo per davvero. Accarezza il dorso per un momento e ripensa alla sera della caduta in piscina, ripensa alla loro lista, ripensa a quella stupida sbronza e al campeggio. Sorride e apre il quaderno alla primissima pagina.
Il suo cuore perde un battito quando legge la piccola frase d’apertura, scarabocchiata a posteriori in un angolo.
 
A Kurt, che ha reso possibile tutto questo.
 

 
 
 

 
 
 
 
 
...Okay. So. Ho un paio di cosette da dire quindi credo mi convenga andare per punti. Okay.
- Vi vedo che mi guardate con una faccia da Blaine-doveva-andare-a-NY-con-lui. Vi vedo! Ci ho pensato, lo confesso, ma poi ho preferito questa versione. Per ora. E comunque manca ancora l’epilogo ;)
- Vi vedo che mi guardate con una faccia da rating-giallo-di-cacca. Vi vedo! Well... Non saprei. L’atmosfera generale di questa storia mi ha parlato nel sonno (?) e mi ha detto che il rating doveva rimanere giallo. I dunno. ...Btw mi sto rifacendo tantissimo con la nuova FF che ho iniziato a scrivere MWAHAHA
- Santana. Non poteva non andare a salutarlo, non poteva proprio ♥
- Kurt che le dice di tenere d’occhio Blaine è un puppet, ecco.
- Wes + Kyle XY = canon.
- La prima/ultima frase sul quaderno Blaine l’ha scritta ripensando ad una delle sue primissime conversazioni con Kurt, nel terzo capitolo, quando lui gli ha proposto l’idea della lista:
 
«Respira, Blaine Anderson. Non voglio mettere a repentaglio la tua vita. Dico solo che non puoi descrivere un tramonto se non ne hai mai visto uno. O la sensazione di quando ti scoppia il cuore dopo una corsa se non hai mai corso. O com’è baciare se non hai mai baciato.»
«...»
«Non voglio farti fare niente di sconvolgente. Solo darti le basi per poter scrivere qualcosa di vero, che senti davvero. E io ci guadagno un bel “A Kurt, che ha reso possibile tutto questo” nella prima pagina del tuo libro. Se non trovo quella dedica quando lo compro salgo sul primo volo da New York e ti vengo a prendere a calci personalmente.»

 
Direi che questo è tutto! ...Non ho intenzione di darvi appuntamento lunedì con l’ultimo capitolo perché “ultimo” è una bruttissima parola che non va detta neanche per sbaglio so, a lunedì con il capitolo ventesimo :)
Prima di porre fine a queste note eterne ci tengo a ringraziare chiunque legga e chiunque recensisca: vi amo come Wes ama Kyle XY ♥♥♥ E naturalmente tanto amore va a mia moglie, che mi sopporta e mi supporta in tutte le mie follie.
Quindi, come dicevo, a lunedì :D
 
Oggi voglio fare una follia, quindi linko prima ask: http://ask.fm/Nonzy9
e poi Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 
«È finita.»
Santana alza gli occhi al cielo e appoggia entrambi i piedi – con tanto di scarpe, tanto quella non è casa sua – sul divano di Kurt.
«Hummel, sul serio: se non la smetti di camminare avanti e indietro scaverai una fossa sul pavimento e ti ricordo che sei in affitto, qui.»
Kurt si blocca di punto in bianco, al centro esatto del piccolo salotto dell’altrettanto piccolo appartamento che è riuscito ad affittare. Aveva dovuto trascorrere due interi, terribili anni con Rachel Berry prima di arrendersi all’evidenza: due personalità come le loro erano decisamente troppo per una metratura così ridicolmente bassa e se non si fosse trasferito al più presto sarebbe stata la sua salute mentale a levare le tende al posto suo.  Con i risparmi di quando era ancora un ragazzino e i soldi che racimola nei lavoretti che riesce a trovare se la cava a malapena, ma se la cava, e a tre anni dalla sua partenza da Lima non può chiedere niente di meglio, non dopo essere effettivamente entrato nella scuola dei suoi sogni. In realtà di meglio potrebbe chiedere. Di essere meno idiota, ad esempio.
 
«Quello che hai in mezzo alla faccia ti serve per respirare. Usalo e siediti, prima che ti uccida.» Kurt inspira a fondo e maledice mentalmente tutti gli imbecilli che consigliano di inspirare a fondo per calmarsi perché non serve a un accidente. Si lascia cadere a peso morto sulla sedia da giardino di fianco al tavolino – non ha i soldi per una poltrona, ma si fa quel che si può – e si nasconde il viso tra le mani nella speranza di non piangere. Sbircia tra le dita solo per vedere Santana intenta a scrivere un sms.
«Ti sembra questo il momento?»
«Scusami tanto, regina del dramma. Allora? Cosa diavolo c’è stavolta? Non è che solo perché adesso vivo a New York anche io puoi farmi venire qui per ogni dannata- »
«Blaine. È finita.» Santana inarca un sopracciglio, fissandolo.
«Ti dispiacerebbe argomentare?» Kurt fa per appoggiarsi teatralmente allo schienale della sua sedia da giardino ma poi ricorda che si tratta di una sedia da giardino e vorrebbe davvero evitare di romperla, così pianta i gomiti sulle ginocchia e sospira.
«Sono stato un coglione e credo che stavolta- ho paura di averlo perso.» E si odia per le cose che ha detto, si odia con ogni fibra del suo essere e odia anche Blaine per essere Blaine, perché il suo essere Blaine fa sì che a volte Kurt si spaventi a morte. Questo perché il modo in cui lo ama ogni tanto gli fa paura, perché tutte le volte che pensa a lui o che lo vede o anche quando non fa nessuna di queste cose, Kurt sa sempre che Blaine è Blaine. E lui non può immaginare di amare nessun altro all’infuori di Blaine. Ed è terrorizzato all’idea che Blaine se ne accorga e non sa più nemmeno perché.
 
«Non hai argomentato un bel niente, Hummel.» Gli fa presente Santana, digitando velocemente sul suo cellulare. Kurt la soffocherebbe con un cuscino del divano al momento, se solo potesse permettersi dei cuscini da divano.
«Sono andato a trovarlo a Lima tre giorni fa.»
«Un weekend ogni due settimane, una volta tu e una volta lui, proprio come negli ultimi tre anni- »
«Santana.»
«Tranne quella volta in cui vi siete lasciati, due anni fa. Avete resistito addirittura nove giorni.»
«Così non aiuti ad argomentare.» Lei rotea gli occhi, facendogli cenno di continuare. Kurt sbuffa e abbassa le palpebre per un attimo, sovrastato dal ricordo della sua immensa ed assoluta demenza.
«Io ero nervoso perché non ero sicuro di avere i soldi per il prossimo biglietto, lui era nervoso perché sta avendo un sacco di discussioni con i suoi genitori delle quali si rifiuta di parlare. Mi ha detto che quella dei soldi è una scusa per non vederlo e io gli ho detto che non ci sarebbero più problemi di soldi se la smettesse di fare il bambino e iniziasse a vivere nel mondo reale e venisse ad abitare qui con me. E lui ha cominciato a rinfacciarmi delle cose e io le ho rinfacciate a lui, me ne sono andato senza neanche salutarlo ed è stato orribile.»
Kurt aspetta un secondo, ne aspetta due e poi torna a guardare Santana, che è ancora attaccata al suo dannato telefono.
 
«Hai finito con quel coso?» Lei alza gli occhi al cielo per la trentesima volta e lo appoggia con fin troppa enfasi sul tavolino – Kurt è fierissimo di essere riuscito a procurarsi quel tavolino, un vero affare – per poi guardarlo dritto in faccia.
«E quindi è finita? È finita così?»
«Come faccio a saperlo? Non mi chiama da tre giorni.»
«E tu invece lo hai chiamato?» Kurt apre la bocca, poi la richiude. Non lo ha fatto e wow, il suo livello di idiozia sta raggiungendo picchi esorbitanti.
«Io lo odio.» Mormora, con la testa tra le mani.
«Credevo che lo amassi.»
«Certo che lo amo, è per questo che lo odio.»
Kurt non la sta guardando, ma è perfettamente consapevole dello sguardo di Santana su di lui, che lo giudica. Odia quando Santana lo giudica anche e soprattutto per il malaugurato fatto che spesso Santana ha ragione.
«Il tuo ragionamento non fa una piega.» Kurt alza la testa. Lei ha di nuovo il cellulare in mano ma lui ignora completamente questa parte.
«Okay, senti. Se non lo chiamo è perché ho paura che lui mi dica che è davvero finita e lo so che è un controsenso e che più stiamo senza sentirci più è facile che sia davvero finita ma sono terrorizzato al pensiero che- » Fa una pausa, perché non sa davvero come continuare questa frase. Si tormenta nervosamente le mani e alza lo sguardo sul viso seccato eppure vagamente interessato della sua migliore amica, che inarca le sopracciglia.
«Che?» Kurt inspira a fondo. Dannatissime persone che sostengono che questo basti a calmarsi.
 
«Dopo tutti questi anni Blaine crede ancora che io potrei- non lo so, trovare qualcun altro, stancarmi di lui, o... non ne ho idea. Non ha ancora capito che tutte le volte che lo guardo rivedo il ragazzino che cade in una cazzo di piscina vuota perché è troppo concentrato a fissarmi per fare caso a dove mette i piedi. È talmente stupido che non ha ancora capito che lo vedrò sempre così e che lo amerò sempre così, né più né meno per il semplice fatto che di più è impossibile.» Le dice tutto d’un fiato, e omette la parte in cui ha una paura folle che Blaine si renda finalmente conto del potere che ha su di lui perché è scontato che sia così, è scontato che sia terrorizzato all’idea di perderlo. Di punto in bianco Santana si alza dal divano, agguantando rapidamente la sua borsetta. Kurt la guarda, ancora sulla sua sedia da giardino.
«Beh?»
«Beh, grazie per l’indesiderata dose di zuccheri ma devo andare, Kurt.»
«Cosa? E i consigli?» Santana alza gli occhi al cielo – dovrebbe seriamente smetterla, sul serio – e incrocia le braccia al petto, fissandolo.
«Ma per favore. Non sono io quella che deve darti dei consigli. Anzi, ti suggerirei di parlarne direttamente con Blaine tra...» Dà un rapido sguardo allo schermo del cellulare «Dieci minuti? Sì. È in metro, tra dieci minuti dovrebbe essere qui.» Kurt sbatte rapidamente le palpebre.
«Tu stavi- che cosa diavolo gli hai scritto?» Santana si incammina verso la porta – non che deva fare molta strada vista l’estensione dell’appartamento. Gira la maniglia e, prima di uscire, gli fa un sorrisetto.
«Mi hai chiesto di tenere d’occhio Blaine quando sei partito per New York, non ti ricordi? Beh, sto facendo di meglio.»
«Ovvero?» Santana si chiude la porta alle spalle e risponde urlando, direttamente dal pianerottolo.
«Tengo d’occhio tutti e due.»
 
 
*
 
 
«E se non mi fa entrare in casa?»
«Gratti alla porta, abbai e lo prendi per sfinimento.»
«Wesley.»
«Oh, andiamo Blaine. Pensi davvero che non ti farà entrare in casa?»
Se deve essere del tutto onesto no, Blaine non pensa che Kurt lo lascerà a grattare alla porta o qualunque cosa abbia detto Wes. Ha solo paura che sia davvero finita, stavolta. “Paura” non è la parola giusta in realtà. Blaine ha il terrore che sia davvero finita. Sospira pesantemente e sale a bordo della metropolitana con le gambe che gli tremano: il loro accordo prevede vedersi un weekend ogni due settimane, una volta a New York e una volta a Lima, ma viste le circostanze fare uno strappo alla regola gli è sembrato il minimo.
 
«È stata una brutta litigata.» E lo era stata, in effetti. Voleva solo smettere di pensare all’ultima discussione con sua madre e fare una sorpresa a Kurt ma poi non c’era stata nessuna sorpresa, solo loro due che si urlavano addosso, Kurt che se ne andava e lui che prima di poterci pensare stava già comprando un biglietto per New York perché sapeva che Kurt non lo avrebbe richiamato e che nemmeno lui lo avrebbe fatto. Quel litigio lo ha spaventato a morte, perché per la prima volta in tre anni ha avuto davvero paura di perderlo, il che è divertente perché nemmeno quando si erano effettivamente lasciati per la bellezza di nove giorni aveva temuto qualcosa del genere. Ma stavolta ha paura. Non che Kurt non gli apra la porta perché andiamo, dovrà pure aprirgli; ma di averlo perso, che gli sia scivolato via, che si sia finalmente reso conto di poter trovare di meglio. E Blaine è terrorizzato perché per lui c’è solo Kurt. Blaine ha imparato a conoscere ogni singolo angolo del suo corpo, ogni minuscola sfaccettatura del suo carattere ed è talmente suo, è talmente parte di lui che chiunque altro sarebbe semplicemente sbagliato. Blaine è di Kurt e sarà così per sempre, solo, non è più così certo che la cosa sia reciproca.
Deve essere rimasto in silenzio per un po’, perché la voce di Wes si è fatta più alta.
 
«Blaine.»
«Sì?» Risponde in fretta, un po’ per riguadagnare parte del tempo perso in silenzi imbarazzanti, un po’ perché con una risposta più lunga avrebbe palesemente tradito il suo essere sull’orlo delle lacrime.
«Andrà bene.» Odia quando Wes glielo dice, perché finisce sempre per crederci. Chiude gli occhi per un attimo e inspira a lungo. Kurt ha ragione: non rende affatto più calmi.
«Lo spero.»
«Sarà così. Ora se non ti dispiace dovrei studiare, sai, college. Ma tu fammi sapere.»
«Certo, salutami Kyle.» Gli dice, ancora vagamente seccato dal non poterlo più chiamare “Kyle XY” perché secondo Wes è offensivo. Blaine non lo trova offensivo ma Wes ha le sue fisse, tra le quali la peggiore è continuare ad uscire con una ragazza rifiutandosi di ammettere il suo eterno ed illimitato amore nei confronti di Kyle-non-più-XY.
«Sarà fatto. Ciao, Blaine.» E riattacca, e nel momento in cui riattacca Blaine si sente incredibilmente perso. È lì, aggrappato a un tubo metallico terribilmente antigienico e sta per arrivare da Kurt, ma gli sembra di non sentire più nemmeno i piedi per terra. È il ronzio acuto del suo cellulare a riportarlo alla realtà: Blaine lo sblocca velocemente e si rende conto di avere ben cinque messaggi non letti.
 
11:07
Kurt si è deciso a parlarmi della vostra litigata. Avevi detto che saresti venuto oggi, sei già sceso dall’aereo?
 
11:12
Anderson, lo so che stai facendo la regina del dramma al telefono col tuo amichetto, ma vedi di rispondermi.
 
11:15
Kurt ti odia.
 
11:16
Ha ritrattato: ti ama.
 
11:20
Si può sapere dove cazzo sei?

 
Blaine lascia andare bruscamente la sbarra di ferro alla quale si stava reggendo e digita in fretta, incurante del fatto che potrebbe effettivamente cadere da un momento all’altro.
 
11:22
Sono in metropolitana, sarò lì in dieci minuti.

 
 
*
 
 
Kurt lo ama.
Sono dieci minuti che Blaine se lo ripete senza sosta nella speranza di acquisire coraggio sufficiente a bussare alla sua porta. Santana gli ha riferito parte del loro discorso e se Kurt ha detto che lo ama forse c’è ancora una speranza per loro due, nonostante quella bruttissima litigata e nonostante tutto. Eppure Blaine non può fare a meno di sentirsi morire mentre preme brevemente il dito sul citofono e aspetta che Kurt gli venga ad aprire. Stringe forte le dita sulla sua borsa a tracolla e quando sbuca da dietro la porta Kurt è bello proprio come la prima volta che lo ha visto, con il suo drink in mano e lo sguardo perso tra le stelle e lo sa, sa benissimo che non è il momento giusto per pensarlo, ma in fondo non è nemmeno quello sbagliato.
 
«Ehi.»
«Ciao.» Gli risponde a bassa voce, sistemandosi nervosamente gli occhiali sul naso. «Io, uhm- posso?» Kurt lo guarda per un attimo, poi si sposta in fretta, come se avesse dimenticato di doverlo fare.
«Certo, vieni.»
Blaine entra più lentamente possibile, nella speranza che mentre trascina i piedi uno dietro all’altro gli venga anche in mente qualcosa di intelligente da dire. Per fortuna è Kurt ha parlare per primo. Blaine sorride, perché è sempre così tra di loro.
«Santana mi ha detto che stavi arrivando.»
«Sì, ho- ho pensato che avremmo dovuto parlare a quattr’occhi dopo, uhm, l’ultima volta.» Mormora e non ha la minima idea di come proseguire, perché tre giorni fa si sono urlati che era finita e adesso- è finita? È davvero finita così? Blaine comincia a fissarsi le punte dei piedi e di nuovo, è Kurt a parlare.
«Sei venuto a prendere le tue cose.»
Blaine non sa se la sua è una domanda o un’affermazione, ciò che sa è che la sua voce è indiscutibilmente triste e che probabilmente ha del tutto frainteso il perché della borsa un po’ più grande del solito. Indipendentemente da tutto questo, sente lo stomaco contrarsi dolorosamente.
«Devo- vuoi che porti via le mie cose?»
«Credevo che fossi venuto per questo.»
Rimangono entrambi in silenzio per un po’, finché Kurt non gli dice di sedersi, prepara un caffè per entrambi e poi si mette sul divano con lui e Blaine si rende conto che non si sono ancora nemmeno sfiorati da quando è entrato in casa e gli viene solo da piangere.
 
«Kurt mi dispiace tanto.» Dice tutto a un tratto, girandosi verso di lui.
«E a me dispiace di non averti saputo dare quella storia d’amore magica che ti saresti meritato.» Sussurra lui in risposta. «E per le cose che ho detto l’altro giorno, mi dispiace da morire. E io non so che cosa tu voglia fare adesso ma prima di dirmelo posso baciarti?»
Blaine non sa che cosa dire, perché non può credere che Kurt pensi davvero che lui abbia intenzione di lasciarlo. O quella cosa sulle storie d’amore magiche. Blaine avrebbe da ridire su quello ma al momento è troppo sopraffatto per farlo, così si limita ad annuire. Kurt gli fa un piccolo sorriso e si avvicina a lui. Si ferma a pochi millimetri dalle sue labbra e Blaine può già immaginare il loro sapore di caffè e può sentire il sorriso di Kurt che diventa un po’ più vero, e poi lo bacia sul serio. Blaine vorrebbe pensare che è strano che gli sia mancato così tanto baciare Kurt, ma la verità è che non è strano per niente. Tutte le volte che si salutano si ritrova a pensare che avrebbe potuto dargli un altro bacio, perché è una delle sue cose preferite al mondo. Le labbra di Kurt sulle sue, due braccia che lo stringono dolcemente. Blaine non potrebbe stancarsi dei baci di Kurt neanche tra mille anni, nemmeno tra duemila; si pentirà sempre di non avergli dato un altro bacio.
 
«Ora puoi dirmi quello che devi dirmi.» Blaine ha ancora la bocca socchiusa quando Kurt glielo sussurra, la mente vuota eppure così dolcemente pesante di quando si stanno baciando. C’è solo una cosa che può dirgli in questo momento.
«Ti amo.»
Può vedere gli occhi di Kurt inumidirsi velocemente, più o meno al ritmo del suo cuore che sembra aver appena ricordato come si fa a battere.
«Allora non vuoi lasciarmi?» Blaine lo guarda e gli viene da ridere, perché Kurt non ha ancora capito che lui non lo lascerà mai.
«Kurt, io non posso vivere senza di te.» C’è una piccola pausa.
«Che assurdità. Certo che puoi vivere senza di me. Tutti possono vivere senza qualcuno.» Blaine rotea gli occhi, con una piccola risata che scaccia un po’ del terribile nervosismo che lo aveva attanagliato fino a qualche minuto prima.
«Lo so, Kurt. Cercavo di- »
«Io posso vivere senza di te.» Lo interrompe, guardandolo dritto negli occhi. Blaine rimane bloccato in quello sguardo, senza sapere cosa dire. Poi la voce di Kurt è appena un sussurro, il sussurro più dolce di sempre. «È solo che non voglio farlo. Non voglio doverlo mai, mai fare.»
Blaine non lascia i suoi occhi nemmeno per sbattere le ciglia, un po’ come era successo per il loro primo bacio.
«Mai?»
«Mai, Blaine.» Poi lo bacia e dopo tre anni Blaine deve ricredersi: in qualche strano modo deve essere possibile amare di più o amare di meno qualcuno, perché non sa in che altro modo spiegarsi quello che prova per Kurt in questo momento. Si separa da lui a malincuore, solo perché ha una cosa piuttosto importante da dirgli.
 
«Comunque tu hai detto un’assurdità peggiore.» Kurt sorride, in quel modo un po’ speciale di quando è completamente felice.
«Che cosa avrei detto?»
«Quella cosa sulla storia d’amore magica.»
«Non cominciare, Blaine Anderson.» Lo minaccia, puntandogli contro il cucchiaino che ha usato per mescolare il caffè. «Hai la faccia di quando stai per dire una cosa melensa.»
«Volevo solo dire che non esistono le storie d’amore magiche, però esistono le storie d’amore, e già nel fatto che esistano un po’ di magia in fondo ci sarà, non credi?» Kurt si alza dal divano, con il suo caffè.
«Visto? Lo sapevo che avresti detto qualcosa del genere.» Blaine si rimette in piedi a sua volta, con un sorrisetto un po’ imbarazzato.
«Credo che dovremmo parlare comunque di quel litigio.»
«Credo anche io.» Gli risponde Kurt, ma poi lo guarda un attimo e lo bacia di nuovo e Blaine sa che quel discorso verrà accantonato per una quantità di tempo che spera si rivelerà piuttosto dilatata, ma prima c’è assolutamente una cosa che deve fare.
 
«Kurt- »
«Blaine, non possiamo parlarne dopo
«È solo- avrei una piccola sorpresa.» Gli dice e si separa da lui – per la seconda volta nel giro di pochi minuti, qualcuno dovrebbe dedicargli una piazza – per mettersi a scavare nei meandri della sua borsa, abbandonata sulla sedia da giardino che Kurt usa come poltrona. Si volta verso di lui pochi secondi più tardi, brandendo ciò che cercava. Kurt guarda prima lui, poi il libro. Il libro e di nuovo lui.
«Dimmi che è quello che penso.»
«Volevo fartelo vedere l’altro giorno, ma poi abbiamo litigato e- »
«È il tuo libro.»
Blaine non può fare a meno di sorridere perché erano insieme quando aveva firmato quel contratto, con la stessa penna targata Blaine Anderson che Kurt gli aveva regalato il giorno della sua partenza per New York. Però deve ammettere che avere tra le mani la prima, vera copia è una sensazione completamente diversa. È tutto più vero, in qualche modo, e lo è più che mai adesso, nello sguardo così enormemente felice del suo ragazzo. Blaine pensa che dovrebbe fargli più sorprese, in fondo. Tipo l’idea di andare a vivere con lui: magari potrebbe presentarsi con le valige e raspare davanti alla porta fino a prenderlo per sfinimento. Oppure proporglielo come tutte le persone normali, ora che aveva finalmente convinto sua madre a lasciarlo andare, dopo una quantità infinita di discussioni.
 
«Posso vederlo?» Blaine lascia che glielo prenda dalle mani e lo guarda mentre lo rigira da ogni parte, come se nemmeno lui riuscisse a credere che alla fine è davvero successo. Kurt solleva lo sguardo e gli fa un sorrisetto.
«Tutto merito della nostra lista.» Blaine sorride a sua volta, facendosi più vicino a lui.
«Oh, lo è.»
«E di quel meraviglioso quaderno sdolcinato.» Aggiunge e Blaine non può fare a meno di sorridere ancora di più, perché Kurt l’ha tenuto sul suo comodino fin dal primo giorno in cui è arrivato a New York, proprio vicino ad un’orribile cornice fucsia contenente una sua foto con Santana.
«Aprilo.» Kurt gli lancia una piccola occhiata incuriosita ed apre alla prima pagina. I suoi occhi si spalancano per un attimo, prima di tornare ad incontrare quelli di Blaine.
 
«Le rose sono rosse, le viole sono blu. Particolare come dedica.» Gli dice, con quel sorriso adorabile che ha sempre riservato solo a lui, fin dalla prima volta, quando ancora credevano di chiamarsi Aaron e Colin e parlavano di cose piuttosto insolite per essere due sconosciuti sul fondo di una piscina.
«L’hai interrotta a metà. Come finisce?»
«Non finisce.» Gli risponde, guardandolo dritto negli occhi.
E non si sta più riferendo alla poesia.
 
 
 
 
Fine
 
 
 

 
 
 
 
Inizialmente avevo pensato ad un epilogo del tutto diverso. Per esempio Kurt e Blaine una decina di anni dopo, magari sposati o con dei bambini, senza aver nemmeno mai litigato. Ma poi mi sono detta che non è questo a rendere un amore “magico”. Ciò che rende l’amore magico è l’amore e basta, quando resta, nonostante tutte le difficoltà. Siccome la sesta stagione è alle porte è anche un piccolo omaggio ai Klaine veri, che nonostante tutto avranno il loro lieto fine ♥
E... Odio questa parte. Tutte le volte che mi tocca cliccare su quel “completa” non ho mai la più pallida idea di cosa dire, intanto perché quando ho troppe cose in testa finisco per non concludere nulla, e poi sono triste, ma al contempo contenta, quindi- damn.
Vorrei solo ringraziare tutti quanti: innanzitutto i temerari che dal primo capitolo sono arrivati a leggere fino a qui. E poi le persone che hanno recensito, dal primo all’ultimo, chi lo ha fatto solo una volta e chi lo ha fatto ad ogni capitolo. Chiunque mi abbia scritto su Facebook, in pagina, in chat, su ask, tutti voi, vi ringrazio con tutto il cuore, davvero. Poi beh, un grazie speciale va alla mia adorabile moglie che ha visto nascere questa e molte altre storie e c’è sempre stata per loro e soprattutto per me ♥
Come dico per tutte le mie fanfiction una volta arrivati alla fine, non posso che augurarmi che non vi siate pentiti di essere arrivati fin qui e che vi possa rimanere un bel ricordo. Per me questa storia ha un significato speciale e niente, sono stata felicissima di averla condivisa con voi.
...Okay adesso la smetto altrimenti soffro e non è cosa, okay? Okay. Non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento a gennaio, per chi vorrà, con una OS per la GleeBigBang.
Grazie ancora, davvero. *manda klisses* ♥
 
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