Di libri e di altre sciocchezze - Biblioteca minima per maghi e streghe lettori

di dierrevi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sic transit gloria mundi ***
Capitolo 2: *** Appunti ***
Capitolo 3: *** Sarà un successo Mostruoso! ***
Capitolo 4: *** Se lo vedessi, non ci crederei ***
Capitolo 5: *** Un semplice ricordo ***
Capitolo 6: *** Dove trovarli? ***
Capitolo 7: *** Punti di vista ***
Capitolo 8: *** Può avere effetti collaterali anche gravi ***
Capitolo 9: *** Altri appunti ***
Capitolo 10: *** Il regalo? Che sia utile! ***
Capitolo 11: *** Dubbi e risoluzioni ***
Capitolo 12: *** Mi leggi una storia? ***
Capitolo 13: *** Grandi speranze ***
Capitolo 14: *** Ogni cosa ha il suo posto ***
Capitolo 15: *** Spunti... interdisciplinari ***
Capitolo 16: *** Cotto. E mangiato? ***
Capitolo 17: *** I frutti del giardino ***
Capitolo 18: *** Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista ***
Capitolo 19: *** Letture tormentate ***
Capitolo 20: *** Chiacchiere ***
Capitolo 21: *** Delitto e castigo ***
Capitolo 22: *** Ricordi di famiglia ***



Capitolo 1
*** Sic transit gloria mundi ***


      Sic transit gloria mundi

Lo scrittore è l'arco, il libro è la freccia, il cliente è la mela,
            il libraio è quello che tiene la mela in testa

                               Stefano Benni

                                      * * *

Hogwarts perde l'ennesimo insegnante di Difesa
SAREBBE RIMASTO OBLIVIATO DA UN SUO STESSO INCANTESIMO

Le testimonianze di studenti e professori sono unanimi:  Gilderoy
Allock era un insegnante incapace,  e  le  sue  lezioni un'autentica
farsa.  Il suo vecchio diploma,  che  solo  dopo lunghe ricerche ab-
-biamo potuto visionare, riporta tre G.U.F.O. e un solo M.A.G.O.

Fonti  anonime  ma  apparentemente ben informate affermano  che
avrebbe  accreditato  a  sé  le  imprese  compiute  in  realtà  da vari
maghi e streghe rimasti sconosciuti. Alcuni suoi vecchi compagni
di  scuola,   da   noi   rintracciati,   hanno  detto  di  lui   che  i  soli
incantesimi che gli riuscivano bene erano quelli di memoria.

(i particolari a pag. 12)

da La Gazzetta del Profeta, 31 maggio 1993


 

Toc toc toc toc

La proprietaria del Ghirigoro sospirò stancamente, senza nemmeno voltarsi verso il rumore.

«Un altro gufo. Reuel, pensaci tu per favore.»

«Sì, miss.» Il commesso andò ad aprire la finestra, e decise di lasciarla così. Quel gufo non era il

primo, ed era certo che non sarebbe stato l'ultimo.

Gli staccò la lettera dalla zampetta e lo lasciò ripartire, poi aprì la busta.

"Infatti...” pensò.

«Un'altra prenotazione cancellata, miss. Stavolta era per la serie completa» disse alla donna.

«Accidenti! Nessuno vuole più nemmeno una pagina scritta da quell'uomo» replicò lei, prendendo la

lettera senza leggerla e infilandola in un cassetto già pieno.

«Questa vorrebbe poter restituire i libri che ha già comprato e riavere i soldi» annunciò poco dopo il

commesso, mentre un altro gufo usciva dalla finestra.

«Come se non avessimo già abbastanza copie d'avanzo in magazzino» sospirò la proprietaria.

Erano alla fine dell'anno scolastico, tra poco avrebbero dovuto ricevere i libri per il nuovo anno e non

sapeva proprio dove metterli.

"Bisogna sbarazzarsi di un po' di quei libri di Allock. Ormai è diventata paccottiglia inutile!”

Si lambiccava il cervello, ferma in piedi in mezzo al negozio, quando le balenò un'idea.

«Reuel, per favore, va' in magazzino e porta su qualche centinaio di copie di Allock. Prendi un po' tutti

i titoli.»

Il commesso la guardò perplesso. “Forse vuole provare con una vendita in saldo” si disse.

«Dove devo metterli?»

«Ammucchiali in quest'angolo, intanto io faccio un po' di spazio.»

«Bene miss» concluse lui, avviandosi verso il retrobottega.

Nel frattempo la donna si guardava intorno.

«Ci vuole qualche piccolo cambiamento...» Puntò la bacchetta: «Ligneomover, Mobiliarcha»

Un paio di scaffali si spostarono verso le pareti, camminando con cautela per non far cadere i libri che

portavano, mentre un tavolino con alcune copie esposte si avviava per avvicinarsi ad un angolo.

"Va già meglio. Ora, dove potrebbe essere un buon posto? Ma si, qui vicino all'entrata.”

Puntò di nuovo la bacchetta e si mise all'opera.

Mentre la proprietaria lavorava, una fila ordinata di libri galleggiò fuori dal magazzino fino ad un

angolo della stanza, dove i volumi cominciarono ad impilarsi uno alla volta.

«Oh, bene, siete qui» li salutò la donna, poi puntò su di loro la bacchetta, e sempre galleggiando,

quelli cominciarono a disporsi nel punto che lei aveva scelto.

«Posso aiutarla, miss?» chiese il commesso ritornando dal magazzino.

«Si, grazie Reuel. Continua a disporli a questo modo. E bada che non si vedano all'esterno le

copertine o i dorsi.»

«Non vuole che si vedano i titoli?» chiese il commesso stupito.

"Ma che offerta speciale è, se non si vede che libro è in vendita?” si domandò. “E poi che strana

disposizione, una pila lunga e stretta come un muretto”. Ma continuò secondo le istruzioni, non era

compito suo discutere.

«Si, direi che quest'altezza va bene, fermati pure» gli disse lei dopo un po'.

Reuel fece un gesto verso i pochi libri rimasti in fila e quelli si avviarono di nuovo verso il retrobottega.

«Ora bisogna solo consolidarli. Iungerebostik

Al sentire l'incantesimo di adesione il commesso strabuzzò gli occhi. Aveva incollato i libri insieme!?

«C'è da sistemare ancora qualche particolare...» stava continuando la titolare con aria pensosa.

Il povero Reuel era scandalizzato. “Ma come si possono incollare i libri? Ma perché!?”

«Miss, mi scusi ma...»

dling dling

Il suono dei campanellini sulla porta segnalò l'ingresso di una cliente.

Reuel chiuse la bocca e passò automaticamente in modalità “siamoquiperlei, possoaiutarla?

«Buongiorno, signorina Alexandra!» salutò la proprietaria.

La signorina Alexandra, che aveva passato l'età da marito da una cinquantina d'anni, era una delle

clienti fisse di più antica data.

«Oh cara, stai cambiando l'arredamento?» esordì civettuola.

«Ho deciso di rinnovare un po', signorina Alexandra.»

«Fai proprio bene cara, ogni tanto bisogna cambiare. Che bella idea, un bancone fatto di libri!»


 

     dedicata a tutti i commessi, soprattutto di libreria
                                    dierrevi

 

 

Spazio Autore: Dopo la Camera dei Segreti, Hallock scompare e basta, ma io non posso fare a meno

  di pensare che sarebbe stato giusto “sputtanarlo” a dovere. Ed è quello che succede qui. (he he he he!)

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Capitolo 2
*** Appunti ***


Appunti

Conservare e trasmettere la memoria, imparare dall'esperienza degli altri, condividere la
conoscenza del mondo e di noi stessi sono alcuni dei poteri (e pericoli) che i libri
ci conferiscono, e le ragioni per cui li custodiamo con amore e li temiamo.

Alberto Manguel

* * *

Severus Piton si trovava nella sua piccola stanza. Era a casa per le vacanze di Natale, ma si era già ripromesso che sarebbe stata l'ultima volta. Appena arrivato, suo padre gli aveva riservato la solita accoglienza rude e sgarbata. E c'era da ringraziare che non l'aveva trovato ubriaco. Severus passava il suo tempo chiuso in camera e finora ne era uscito solo per mangiare, quando sua madre gli diceva che suo padre era fuori, e per un paio di passeggiate.
Stava stendendo un tema per Pozioni, ma quel compito iniziava ad annoiarlo. Sapeva di essere quasi bravo quanto il professor Lumacorno. Ed era certo di essere più bravo di quel Borragine che aveva scritto "Pozioni Avanzate". Ogni volta che in classe provava una nuova pozione, non poteva non annotare sul libro tutte le correzioni che erano necessarie per eseguirla a dovere. Quell'autore prolisso si era sempre preoccupato degli ingredienti, ma di poco altro. A tutto il resto lui aveva dovuto arrivare da sé, ignorando le istruzioni errate del libro. Mulciber aveva scherzato dicendo che il suo libro ora pesava il doppio degli altri da quanto ci aveva scritto sopra.
Finì il tema, arrotolò la pergamena e si dedicò alla sua nuova distrazione. Quanti allievi a scuola potevano dire di saper creare nuovi incantesimi? Peccato che il suo levicorpus fosse finito in mani tanto sbagliate.
Stavolta sarebbe stato più attento. Stavolta aveva in mente qualcosa di più incisivo.
Tirò fuori un bastoncino di legno che aveva raccolto nel parco e lo poggiò sul tavolino, a fianco del libro aperto. Puntò la bacchetta e la agitò: «caesum».
Sulla corteccia comparve un lieve graffietto. Ma ne comparve uno anche sul tavolo. Guardò seccato quella prova di mala destrezza. «Non è per le cose immobili che mi serve».
Prese il pezzo di legno, lo lanciò e cercò di colpirlo al volo. «Caesum!»
toc
Il legno cadde a terra intatto. "Ci vuole una formula più decisa".
Lo lanciò di nuovo. «Sectum!»
toc
Niente. "Movimento troppo elastico. Dev'essere un coltello, non una frusta".
Lo raccolse e ci riprovò.
toc
Niente. O forse, non aveva visto il legnetto vibrare mentre cadeva?
"Rafforziamo ancora la formula".
Lo raccolse di nuovo. «Sectum omnia!»
toc
Il legnetto atterrò ancora integro, giusto una piccola scheggiatura.
"Non è la direzione giusta".
Di nuovo. «Sectum semper!»
toc
Sul bastoncino era apparso un segno ben visibile.
"Ci siamo quasi."
Aveva appena raccolto il suo bersaglio che la porta si spalancò di colpo facendolo sobbalzare. Suo padre avanzò barcollando nella stanzetta.
«E allora, bamboccio? Ti piace far baccano sulla mia testa?» lo apostrofò con furia.
Severus arretrò, impaurito e rabbioso. Vedeva chiari i sintomi della sbornia. Il vecchio voleva solo un pretesto.
«Hai perso la lingua bamboccio? Devo insegnarti a parlare?»
Severus arretrò ancora, ma la stanza era piccola e lui era già con le spalle al muro.
«Stammi lontano» gli rispose cupo.
«È così che rispondi a tuo padre?» urlò l'uomo. «Ora ti do una lezione!» E si mosse verso di lui.
Severus agì d'istinto. Puntò la bacchetta: «sectumsempra!»
L'uomo cacciò un grido di dolore e si portò una mano alla spalla bestemmiando.
«Diavolo! Cos'hai fatto mostriciattolo?» il tono era feroce, ma non avanzò.
«Stà zitto e vattene!» ringhiò il ragazzo, irato.
«Come osi! Demonio, come tua madre!»
«ZITTO!»
Gli puntò di nuovo la bacchetta contro. E per la prima volta vide una nuova espressione su quel volto. Di solito era carico di livore; l'aveva visto in preda all'ira esaltata dell'ubriachezza, o all'apatia quando gli mancava l'alcool. Ma non vi aveva mai letto così chiaramente la paura.
"Paura di me!" aveva realizzato.
La rabbia si stava mutando in esaltazione. Severus non si era mai sentito così. Così forte. Così superiore. "Allora è questo. È questo di cui parlavano Lucius e Mulciber, il Potere!"
«Non alzerai mai più un dito su di me, vecchio» sibilò, sputando l'ultima parola. «Se ci proverai, te ne farò pentire!»
Non avrebbe potuto immaginare una scena più bella: suo padre che indietreggiava atterrito davanti a lui.
"Questo è il Potere!"
L'uomo fuggiva bestemmiando e inciampando giù per le scale. Severus chiuse la porta. Controllò che il suo respiro tornasse calmo e regolare, poi si sedette con calma al tavolino. Il libro di pozioni era sempre lì aperto.
"Sectumsempra è la formula giusta, allora."
Sectumsempra, scrisse sul margine della pagina.
Contro i nemici, annotò di seguito.

Spazio Autore:

La mia ipotesi sulla nascita del sectumsempra, al 6° anno di corso di Severus.
Grazie a Aleinad93, ferao e Alexy89 per aver recensito lo scorso capitolo, a VesiSchwartz che l'ha messo tra i preferiti, a Breathless che lo ricorda e a Nymphy Lupin e Taminia che hanno deciso di seguire la raccolta.
Al prossimo libro!

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Capitolo 3
*** Sarà un successo Mostruoso! ***


Sarà un successo mostruoso!

Pubblicare un libro è sempre un pericolo: non
sappiamo in quali mani può finire.

Carlo Gragnani

* * *

Jerome Corvo entrò alla National Gallery di Londra in perfetto orario alle dieci meno cinque. In una mano una valigetta, nell'altra la lettera di risposta delle Edizioni Libercoli Rossi, le più prestigiose del mondo magico britannico1.

Il sig. Magonzio, direttore editoriale, la aspetta alle dieci alla nostra sede, presso le soffitte della National Gallery, Trafalgar Square, Londra.

Segua le indicazioni accluse.

Camminava per le sale controllando le indicazioni sulla pergamena. Agli occhi dei custodi babbani sarebbe parso un visitatore che seguiva la sua mappa del museo.

Entri nella saletta del Manierismo Olandese del secondo piano, dovrebbe trovarla vuota dato che non è riscaldata.

Entrò nella stanza. Era fredda, e infatti non c'era nessuno.

Si metta in piedi nel camino spento e chieda permesso.

Jerome entrò nel camino, infilando la testa e le spalle nella canna fumaria per stare dritto e disse «Permesso?»
Con uno sbuffo la canna fumaria lo risucchiò, sputandolo pochi istanti dopo sul pavimento davanti alla scrivania di una segretaria, che lo salutò senza scomporsi.
«Benvenuto alle Edizioni Libercoli Rossi. Desidera?» gli chiese.
«Salve» tossicchiò Jerome alzandosi e scuotendosi fuliggine di dosso. «Sono Jerome Corvo, ho un appuntamento.»
«Mi segua, prego» disse la segretaria alzandosi.
Lo condusse attraverso il vasto sottotetto, affollato di scaffali e di scrivanie a cui vari maghi e streghe sedevano indaffarati, fino alla porta di un ufficio sulla quale bussò prima di aprirla.
«Signor Magonzio, il signor Corvo per lei. Prego entri» disse poi rivolta a Jerome.
Aldus Magonzio era un mago tarchiato e col collo corto, la testa pelata e due sottili baffetti. Sedeva ad una imponente scrivania, una metà ingombra di lettere e carte, l'altra di volumi o pacchi di fogli manoscritti legati insieme, con solo un piccolo spazio vuoto al centro, davanti a lui.
«Signor Corvo, stavo giusto rileggendo la sua lettera» esordì. «Lei mi scrive di avere preparato un libro sulle creature magiche estremamente innovativo
«È così» rispose subito Jerome. «Ho usato un approccio assolutamente nuovo.»
«Certamente lei saprà» riprese Magonzio « che "Gli Animali Fantastici" di Scamandro è considerato da molti come un testo definitivo
«È sicuramente un testo abbastanza completo» replicò Jerome «e io stesso mi sono rifatto a molte delle fonti utilizzate da Scamandro, ma io ho scelto di pormi verso la materia in modo molto diverso.»
Il signor Magonzio evidentemente era un tradizionalista, perché accolse l'affermazione con una occhiata dubbiosa. «Sentiamo.»
Jerome si lanciò con entusiasmo: «Ho dedicato molta più attenzione al rapporto che si può tenere con ogni creatura. Vede, è davvero importante capire qual'è il modo giusto di trattare ogni animale. Le faccio vedere» e così dicendo tolse dalla valigetta una grossa scatola di legno chiusa da cinghie.
«Una confezione robusta, la sua» disse Magonzio notando la solidità della chiusura.
«Oh, sa, è una copia di prova, ci tengo a che non faccia guai» rispose Jerome armeggiando con le fibbie.
«Faccia guai?» chiese Magonzio, alzando un sopracciglio.
«Sa, ho pensato che una semplice descrizione non fosse abbastanza,» continuò Jerome senza badargli, «con le creature magiche un po' di pratica è indispensabile. Ecco qua!» e girò verso Magonzio la scatola aperta. All'interno si trovava un volume dalla copertina verde, con il titolo inciso a lettere d'oro.
«Il Libro Mostro dei Mostri» borbottò Magonzio. Allungò la mano per estrarre il libro dalla scatola, ma all'improvviso quello si aprì e gli si richiuse strettamente sulle dita.
«Ahi! Ma che diamine...» impaurito, Magonzio scrollò la mano la mano con forza finché il libro si staccò finendo fra le lettere ammucchiate.
«Che scherzo sarebbe questo?» disse l'uomo rivolgendo a Jerome uno sguardo offeso.
«No, aspetti, le stavo giusto per spiegare...» iniziò lui, ma fu interrotto da un nuovo urlo di Magonzio: il libro si agitava tra le lettere, mordendo le buste e facendole volare ovunque.
«Via di lì, bestiaccia!» Con uno schiaffo l'editore fece volare il libro dalla scrivania, e quello zampettò per il pavimento. «Fermi quella "cosa"!»
Jerome si lanciò all'inseguimento del libro e dopo vari tentativi riuscì ad acchiapparlo, tenendolo saldamente ben chiuso.
«Le stavo appunto dicendo...» riprovò a spiegare, ma Magonzio lo interruppe, iroso.
«Cosa crede di fare? Mi aspettavo un libro e lei mi porta una bestia feroce! Cosa ha fatto a quel libro!?»
Immaginatevi la scena, un editore che vede un libro aggredirlo. C'è di che essere scossi.
«Un trattamento con fiele di drago» rispose Jerome candidamente.
Magonzio strabuzzò gli occhi: «Come ha detto?»
«Ma si, la copertina: è in pelle di graphorn2 trattata con fiele di drago. E le pagine sono rilegate con crini di ippogrifo maschio».
Magonzio lo fissò ammutolito.
Jerome continuò tranquillo: «Vede, se si trova il modo giusto di trattarlo, diventa affabilissimo».
Cominciò a fare qualche carezza lungo il dorso del libro, qualche grattatina qui e là, e in pochi secondi il libro smise di agitarsi e si aprì.
«Ecco, ora se vuole dargli un'occhiata, vorrei farle notare...»
Ma Magonzio si riscosse dallo stupore e lo interruppe bruscamente.
«Se lei crede che darò una sola occhiata ad un libro con dei modi simili si illude!» urlò.
«Lo porti da Alati&Striscianti, alle Edizioni Squamose, o magari da quello sciroccato di Lovegood! Vedrà che a loro piacerà!»
«Ma, come, io...» borbottò Jerome imbarazzato.
«E se, come credo, non dovesse piacere nemmeno a loro, accetti un consiglio, caro signore: butti quel libro alle ortiche e faccia qualcosa di utile! FUORI!»
Il povero Jerome se la batté velocemente, lasciandosi alle spalle la sede del più prestigioso editore del mondo magico britannico.


Rientrò mogio mogio alla sua stanza in affitto a Diagon Alley.
Era tanto abbacchiato che non scese nemmeno per pranzare. Continuava a rimuginare sull'incontro di quel giorno.
«Eppure non capisco, mi sembrava proprio una buona idea. E quello non lo ha neanche voluto vedere».
Prese la scatola dalla valigetta, ne tolse il libro, che ronzò sentendosi disturbare, lo posò sullo scrittoio e con qualche carezza lo fece aprire, cominciando a sfogliare distrattamente le pagine.
«E dire che è proprio un bel libro. Guarda qui, dove la trovi una descrizione così precisa dei vermicoli? E guarda qui, il thestral come nessuno l'ha mai disegnato, e qui...» Ad ogni "qui" dava un colpetto sulla pagina.
Frrrrrr.
Il libro agitò le pagine infastidito. Jerome si affrettò a coccolarlo per qualche istante, poi continuò a sfogliare.
«Oh! E questa cos'è?» Fra le pagine era infilata una busta di pergamena.
«Hai provato a papparti qualcosa dal signor Magonzio, eh? Vediamo un po'...»
Era una busta da lettere, indirizzata, con una grafia un po' incerta, alle Edizioni Libercoli Rossi, Soffitte della National Gallery, Londra. Il bordo superiore era stato aperto con un tagliacarte. Jerome la girò e vide sulla chiusura il sigillo con lo stemma di Hogwarts.
«Chissà cosa sarà? Oh bé, di sicuro l'ha già letta, potrò darle un'occhiata anche io, no?»
Estrasse la lettera dalla busta. Era scritta con la stessa grafia stentata dell'indirizzo.

Cari Signori Rossi,

Sono Rubeus Hagrid, Nuovo Insegnante Di Cura Delle Creature Magiche di Hogwarts.
Ci scrivo perché sto cercando un nuovo libro di testo per Cura Delle Creature Magiche. Vorei sapere se avete qualche novita da mandare. Vorrei un libro che fa capire davvero ai studenti la bellezza del allevare gli animali. Vi ringrazio del attenzione.
Vostro


Rubeus Hagrid
Nuovo Insegnante Di Cura Delle Creature Magiche
Capanno del guardiacaccia, Hogwarts


Jerome non ci poteva credere. Se non era un segno del destino quello...
«Bisogna rispondergli subito. Io posso aiutare quest'uomo!» disse battendo un pugno sul tavolo. Cosa che fece sobbalzare il libro, che si chiuse di scatto e cominciò a ringhiare.
«Ops!» Jerome lo afferrò in un baleno e tenendolo saldamente lo infilò nella scatola, dove il libro si lasciò rinchiudere solo dopo una certa resistenza.
Tornato allo scrittoio, Jerome prese penna e pergamena.

Caro signor Hagrid,
Mi chiamo Jerome Corvo, e penso di avere proprio quello che fa per lei...

NOTE:

1 - Pubblicano, tra i molti altri titoli, il fondamentale Storia della Magia di Bathilda Bath.
(Si vedano le note a piè di pagina di Gli animali fantastici: dove trovarli, ed. Salani).

2 - Graphorn: Il Graphorn vive nelle regioni montuose europee. Grosso, di un viola grigiastro, con la gobba, ha due corna molto lunghe e affilate, cammina su grosse zampe dotate di quattro dita ed è di natura estremamente aggressiva. Talvolta si possono vedere i Troll di montagna a cavalcioni di un graphorn, anche se questi ultimi non sembrano accettare di buon grado i tentativi di domarli ed è più comune vedere un Troll coperto di cicatrici provocate da un graphorn [...].
da Gli animali fantastici: dove trovarli, N. Scamandro - Salani.

Spazio Autore:
Vi siete mai chiesti dove diavolo Hagrid avesse trovato un libro che morde? Bé, potrebbe essere andata così.
Grazie a ferao e Taminia per le recensioni, e a nin e Snibril che si sono unite/i a chi segue la raccolta. Al prossimo libro!


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Capitolo 4
*** Se lo vedessi, non ci crederei ***


    Se lo vedessi, non ci crederei

Certi libri sembrano scritti non perché da essi si impari qualcosa,
           ma perché si sappia che l'autore sapeva qualcosa

                    Johan Wolfgang Goethe

                                   * * *

Immaginate di avere davanti a voi la quarta di copertina di un bel libro nuovo:

 

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      Peccato che tutto questo sia scritto con un inchiostro invisibile,
          su una copertina invisibile, che racchiude pagine invisibili.

                                   Quando si vuole strafare...



 

Domanda: Oh lettore, di che libro si tratta? E quando compare nella saga?
                (a chi mi invierà la risposta corretta, in premio un messaggio con calde parole di elogio :o)



 

Spazio (modificato) dell'autore: 
1) A quanto pare questa storia è piaciuta molto più di quanto sperassi;
    sono comunque convinto che il prossimo capitolo sia migliore;
2) Come promesso ho rimesso mano alla parte grafica, che era francamente avvilente. Direi che ora va meglio.
    

E infine: Rinnovo i ringraziamenti a chi segue - ricorda - preferisce, ma in particolare a JanetTaminia e ferao che hanno recensito lo scorso capitolo.
              Al prossimo libro!

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Capitolo 5
*** Un semplice ricordo ***


Un semplice ricordo

Ma sopra tutte le invenzioni stupende, quale eminenza di mente fu quella di colui che s'immaginò
di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona,
benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con
quelli che sono nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora
nati né saranno se non di qua a mille e diecimila anni?
E con quale facilità? Con i vari accozzamenti
di venti caratteruzzi sopra una carta

Galileo Galilei

* * *

Sciocchi.

Dal primo giorno che sono arrivato qui, ho capito che siete solo degli sciocchi.

La Camera è stata aperta.
L'Erede l'ha aperta.
IO sono l'Erede.

Stupidi sciocchi.

Come potete credere davvero che possa averlo fatto quel babbeo.
IO ho impiegato cinque anni.
Quanti, nei secoli, hanno tentato senza riuscire?

Sciocchi, stupidi maghi dal sangue sporco.
Perché siete tutti sporchi.
Anche se avete il sangue puro, ma vi mescolate a loro, siete sporchi.
Anche il mio sangue era sporco. Ma IO mi sono riscattato.
Ho provato che sono l'Erede.
E presto farò pulizia dello sporco sul mio nome.

Sciocchi.

Tranne uno...
Lui non ha creduto.
Lui non sa, ma forse immagina.
Lui mi tiene d'occhio.
Ma lui non ha prove.
E IO non gliene darò.
Non c'è bisogno di tornare nella Camera ora,
il compimento del sogno di Salazar è solo rinviato.
Ma mi assicurerò che venga messo in pratica.

Questo diario...
Qui ho annotato tutte le mie ricerche,
ogni nuovo segreto disvelato.
Qui i miei pensieri hanno preso forma.
Qui c'è la mia storia.
La presa di coscienza del mio Nome.
La scoperta della mia Eredità.

La Camera è stata aperta, questo diario è concluso.
Tom non ha più bisogno di scrivere.
Ora i miei pensieri hanno la forma che voglio.

Tom Orvoloson Riddle
son io Lord Voldemort


A cosa servirai ora, diario?
La risposta è già tra le tue pagine:
il ricordo di quella lezione, quella prima lezione di incantesimi.
"I libri di incantesimi sono magici?"
La domanda di un ignorante nato babbano.
Ma la domanda non era così sciocca, in fondo.
Ricordo la risposta che diede il professore.
"Capita che alcuni incantesimi, purché siano molto potenti,
possano impregnare il libro e renderlo magico."

Se gli incantesimi sono molto potenti...
Nessun incanto sarà mai troppo potente, per Lord Voldemort.

Tom rialzò lo sguardo dal libro chiuso, il viso assorto mentre ripassava la sequenza degli incantesimi da eseguire.
"Facciamolo" disse tra sé. "Facciamolo... a nostra immagine."
Aprì il diario, e cantilenando le parole magiche cominciò a toccare con la bacchetta ogni facciata. Quando la punta toccava la carta, l'inchiostro sembrava tornare lucido e fluido, come appena scritto.
Quando ebbe voltato tutte le pagine richiuse il diario, poggiandovi sopra la mano sinistra.
Una leggera vibrazione lo percorreva. Sotto la mano lo sentiva caldo.
Levò la destra, con la bacchetta puntata sul libro.
«Verbabsorbe!».
Percepì, più che udirlo, il rumore come di una persona che inspiri, mentre il calore si faceva improvvisamente più intenso. Sentì la mano che aderiva completamente alla copertina, come una ventosa. Faceva quasi male.
Sentiva che se avesse voluto staccarsi non avrebbe potuto.
«Surgete Memoriae!»
La vampata di calore gli diede l'impressione che il diario si gonfiasse. Sotto la mano non percepiva più la copertina, ma il legno del tavolo. Provò a contrarre le dita ed ebbe la sensazione di carta frusciante.
La mano era il diario. Lui era il diario.
Fece un respiro profondo.
«Animacharta!»
Una fitta di dolore, come se la pelle del palmo venisse strappata. Sentì di nuovo il diario pulsare, bollente, sotto la mano, mentre la magia fluiva da lui a quell'oggetto. L'attimo dopo il calore svanì.

Tom abbassò lentamente la mano destra, la sinistra sempre poggiata sulla copertina. Ansimava.
Rimase così per qualche altro momento, poi aprì il libro e lo sfogliò, facendo scorrere le pagine.
Bianche. Erano tornate perfettamente immacolate.
Tornò alla prima pagina.
Ricordava perfettamente la prima frase che vi aveva scritto:

"Io sono un mago, e mi chiamo Tom Orvoloson Riddle"

Prese la penna dal calamaio e scrisse:

"Io sono il più potente dei maghi, io sono Lord Voldemort"

Dopo un istante, l'inchiostro venne assorbito dalla pagina, poi riemerse, formando nuove parole.

"Ti saluto, Lord Voldemort. Io mi chiamo Tom"

Un sorriso distese le sue labbra, mentre accoglieva quel saluto. Scrisse ancora.

"Qual è il compito dell'Erede?"

Di nuovo l'inchiostro sparì e riapparve.

"Distruggere il sangue impuro.
Punire i traditori del sangue."

Chiuse lentamente il diario.

"Non ancora, Tom, non ancora.
Tutto a suo tempo..."

Per me un libro è valido quando ti dà l'impressione che l'autore
sarebbe crepato se non l'avesse scritto

Thomas Edward Lawrence

Special thanks:
al mio collega Dario, sommamente erudito, che mi dà tanti consigli utili sul latino per gli incantesimi, e non solo, per questa e altre storie.

Spazio Autore:
Questo racconto si basa sul brano de "La camera dei segreti" che riporta il dialogo tra Harry e il ricordo di Tom, nella Camera (cap.17). Ho scelto di non tener conto di altri dettagli apparsi nei libri successivi. Per esempio, da come Tom ne parla sembra che il diario sia stato incantato dopo l'espulsione di Hagrid, mentre in altre parti della saga mi pare venga ipotizzato che Riddle ne avesse fatto un Horcrux con l'omicidio di Mirtilla Malcontenta, avvenuto prima. Io ho scelto di credere a Tom (lo so che è pericoloso, ma ha una voce così suadente...), immaginando che la creazione del diario e la sua trasformazione in horcrux siano avvenute in momenti diversi.

Tutto questo al solo fine di non diventar matto per tenere conto di tutti i dettagli (e io che dico sempre che amo l'IC, che vergogna...). Spero che lo abbiate gradito ugualmente.

Dimenticavo!
Come sempre ringrazio di cuore chi ha recensito: nin, Janet, Taminia e ferao.
Alla prossima!


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Capitolo 6
*** Dove trovarli? ***


NOTA IMPORTANTE:

L'ambientazione di questo capitolo è fortissimamente ispirata alla storia "Il valore nascosto di Rubeus Hagrid" di Rowena, che vi consiglio caldamente di leggere.
(Cosa fai ancora qui? Vai a leggere! Torni dopo!).
Rowena mi ha gentilmente concesso di usare i dettagli creati da lei, quali il nome e il carattere di uno dei due personaggi di questo brano. E per questo la ringrazio davvero molto.
Leggete le sue storie, ne vale la pena!

Dove trovarli?

I libri sono una bella cosa a modo loro, ma sono
un ben misero surrogato della vita.

Robert Louis Stevenson

* * *

«Newt! A tavola!»
«Arrivo, un minuto!» le giunse la voce dal piano di sopra.
"Si, un minuto. Come al solito" pensò lei, coprendo il piatto perchè non si freddasse troppo.
Danae Scamandro cominciava ad essere preoccupata per suo figlio Newton. Stava diventando davvero irriconoscibile.
Se ripensava a quand'era bambino, rivedeva un ragazzino scavezzacollo che correva avanti e indietro per tutto il loro allevamento di ippogrifi, a ficcare il naso negli affari di ogni creatura vivente che incontrava; che fosse pelosa, squamosa o piumata, non faceva differenza.
«Mi sembra incredibile solo pensarlo, ma ormai lo penso: studiare l'ha rovinato!»
Newton si era diplomato ad Hogwarts con ottimi voti, avrebbe dovuto esserne orgogliosa, e lo era.
Ma le pareva che qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Finita la scuola, ormai un anno prima, suo figlio era tornato a casa carico di libri e aveva trasformato la propria stanza in una fabbrica di appunti manoscritti. Aveva deciso di stendere un trattato sugli animali magici, che fosse il più completo ed esauriente mai visto.
"Intento lodevole" aveva pensato lei, ma era perplessa. E nel corso dei mesi la sua perplessità era aumentata. Newton non si era mai tirato indietro di fronte allo studio, ma ora non faceva altro.
Passava le giornate nella sua stanza, a consultare testi di magizoologia, racconti di viaggiatori o di allevatori magici. Copiava tutto ciò che gli sembravano notizie utili producendo pile di fogli sparsi. Ogni tanto si recava a Londra o in qualche altra città in cerca di altri libri da consultare.
E oltre a tutto questo, pensava sentendosi un po' offesa, non le aveva più dato il minimo aiuto per l'allevamento!


Danae rientrò dal giro di controllo serale, posò la lanterna di fianco alla porta, appese il pastrano e si tolse gli stivali, indossando finalmente le pantofole. La giornata era ufficialmente conclusa.
Rimuginando ancora sui pensieri che aveva avuto durante la cena, si avviò su per le scale verso la propria camera, passando davanti a quella del figlio.
La luce filtrava ancora da sotto la porta. Silenziosamente, la aprì ed entrò nella stanza.
Newton era a letto, ma aveva cercato di continuare a leggere e si era addormentato con la luce accesa. Una piccola pila di fogli scritti era posata sul comodino. La scrivania invece era ingombra di libri e fogli ammonticchiati. Al centro di tutto, la famigerata cartellina: un faldone in cui lui raccoglieva gli appunti che ricavava da tutte le sue letture. Sulla copertina aveva scritto il titolo del futuro libro: Gli animali fantastici.
Danae aprì la copertina e dette un'occhiata al primo foglio. Una serie di appunti sul knarl e un disegno.
"Ed è stato due giorni in biblioteca a Londra per questo?" pensò delusa.
"Se si metteva un paio d'ore nell'orto dietro le stalle poteva vederne quanti ne voleva! Becchi d'ippogrifo! È proprio diventato un topo di biblioteca."
Scuotendo la testa richiuse il faldone, e si voltò a guardare il figlio addormentato.
Che colorito chiaro aveva! Lei era abbronzata da marzo a novembre, per via del lavoro che la teneva sempre all'aperto; e da piccolo anche Newt era così.
"Sta diventando bianco come i suoi fogli" si disse.
Prese una matita dal portapenne e scrisse qualcosa sulla cartellina, sotto al titolo. Poi si chinò a carezzare i capelli del figlio, spense la luce e uscì silenziosamente dalla stanza.


Newton si svegliò di buon'ora come al solito. Sbadigliò, si stiracchiò e poi uscì dal letto e si infilò le pantofole. Come faceva ormai da qualche mese, come prima cosa si sedette alla scrivania per lavorare un po' prima di colazione. Prese la pila di appunti da controllare, i fogli bianchi, la penna e il calamaio, e stava per mettersi all'opera quando lo sguardo gli cadde sul faldone degli appunti rifiniti e notò la scritta aggiunta a matita:

...dove cercarli? Non sapevo che i knarl vivessero nelle biblioteche


"Ma è ovvio che no!" pensò lui, seccato. "I knarl vivono vicino agli orti e ai giardini. Ne abbiamo un sacco qui dietro casa..."
"Dietro casa, già. Oh bella! Sono andato a Londra per vedere su un libro un animale che ho dietro casa."
"Eh già, mossa astuta!" gli dissero i suoi pensieri.
"Si, bè, mi servivano anche dei disegni..." cercò di auto-scusarsi.
"Perchè, non sai più disegnare, tu?" Doveva essere la voce della sua coscienza. E somigliava molto, nella sua mente, a quella di sua madre.
"Si che so farlo. ...già, potevo disegnarmelo io. Ma mica tutti gli animali vivono nell'orto dietro casa!"
"E chi ha scritto i tuoi bei libri, come pensi abbia fatto?"
"Come hanno fatto?... Saranno andati sul campo. Osservazione diretta."
"Appunto... E tu? Credevi davvero di cavartela copiando appunti in biblioteca?" La sua auto-coscienza stava diventando sarcastica. D'altronde, come darle torto?
"Ho capito, ho capito. Lasciamo perdere le carte. Meglio pensarci su e scendere a colazione."
Danae lo vide scendere più presto del solito e rimase stupita, ma lo salutò sbrigativamente.
«Buongiorno. La colazione è in caldo, io vado a cambiare la lettiera della stalla.»
«Mmmm, vuoi una mano, ma'?».
"Oh, un'altra piacevole novità" pensò Danae, ma rimase brusca.
«C'è da chiederlo? Non mi darebbe affatto fastidio un aiuto.»
«Ok, fammi mettere gli stivali, arrivo.»


Fu un paio d'ore dopo, quando il letame degli ippogrifi fu ripulito ed ebbero sparso uno strato di paglia nuova, che Newton si rivolse di nuovo a sua madre. «Sai ma', pensavo... dovrei presentarmi a quel concorso del Ministero, il mese prossimo.»
«Quello al Dipartimento Creature Magiche? Pensavo che non ti interessasse» gli rispose lei.
«Ci stavo riflettendo. Dev'essere un lavoro che dà molte occasioni di esperienza sul campo.»
«E il tuo libro?» gli chiese Danae, in tono gentile.
«Oh, lo continuerò più avanti. Quando avrò avuto modo di fare qualche osservazione diretta.»
Finalmente Danae si permise un largo sorriso.
«Mi sembra un'ottima idea!» gli disse contenta.
Forse suo figlio non sarebbe diventato un topo di biblioteca. Si, c'era ancora speranza.
Spazio Autore:
Puff, pant! Ce l'ho fatta appena in tempo. Questa settimana mi sono preso un po' in ritardo.
D'altra parte, non si vive di solo efp. Spero che il pezzo non vi sembri sciapo; in confronto a quello della settimana scorsa non è niente di che. Ma spero che lo gradirete.
Come sempre, grazie alle quattro affezionate che hanno recensito lo scorso capitolo, mi avete fatto molto contento.
Al prossimo libro!

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Capitolo 7
*** Punti di vista ***


Punti di vista

Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse.

Dante Alighieri

* * *

«Ok, ci rinuncio, pausa!» Con un tump soffocato, la testa di Harry si abbattè sul libro di Pozioni.
«Ci facciamo un voletto fuori?» chiese Ron, che stava seduto di fronte a lui.
Erano ad un tavolo della sala comune di Grifondoro, e parlavano a bassa voce perché, attorno a loro, mezza casa era impegnata nei ripassi pre-esame.
«See, magari!» disse Harry, prendendo una pergamena. «Credo che come pausa andranno bene un po' di disgrazie per la Cooman».
Ron si appoggiò allo schienale della sedia. «Rilassati, vecchio mio. C'è ancora abbastanza tempo. Prendila con più calma, fa' come me.»
Harry gettò un'occhiata al libro che Ron stava leggendo da qualche decina di minuti, e serrò le labbra in un'espressione dubbiosa.
«Non sono gli esami a spaventarmi, ora» fece. «È che fra poco tornerà dalla biblioteca.»
«Naa...» ribattè Ron. «Per me ne ha per un'altra ora, almeno.»
Harry alzò lo sguardo: «Direi di no.»
«E perché?» chiese l'altro.
«Perché sta arrivando. E non sembra di buon umore» rispose Harry accennando a qualcosa alle spalle di Ron.
«Bene, eccovi qui!» sibilò Hermione a bassa voce come saluto, sbattendo i libri sul tavolo accanto a loro.
«Dove dovevamo essere» le rispose Ron, rilassato.
«Come mai già di ritorno, Hermione? Tutto bene con la tua ricerca in biblioteca?» chiese Harry.
«Oche!» Sputò lei.
Ron alzò un sopracciglio. «Prego?»
«Stupido branco di stupide oche!» riprese Hermione. «Una ha trovato in un libro il ritratto di un mago avvenente e si è messa a starnazzare alle amiche perché andassero a vederlo. Hanno fatto tanto chiasso che ha cominciato a sbraitare anche Madama Pince, e a quel punto ho preferito andarmene. C'era più silenzio anche al campo da Quidditch!»
Ron colse la palla al balzo. «Possiamo sempre andarci» propose. Hermione lo fulminò con lo sguardo.
«No, Ron. Non possiamo» disse decisa. «Voi due siete indietro con il ripasso, e io devo stendere la mia ricerca.»
«Scherzavo, scherzavo. Non mi metterei mai tra te e una ricerca» disse lui immusonito tornando a leggere il suo libro.
Hermione si voltò verso Harry.
«Allora? Come va con Pozioni?»
« ...bene... » sospirò Harry. «Però mi stavo occupando di Divinazione ora...»
«Lascia perdere Divinazione» gli fece lei brusca. «Il tuo scoglio è Pozioni!»
Ron intervenne di nuovo: «E dagli tregua, Hermione! Ci ha passato ore su Pozioni!»
Hermione tornò a voltarsi verso di lui.
«E tu? Cosa stai studiando?»
«Io?» Ron sembrò improvvisamente meno tranquillo «Storia della Magia».
Hermione lo fissò per qualche secondo. Aggrottò le sopracciglia.
«Mi pare piccolo quel libro, per essere quello di storia.» Lo afferrò per un bordo e lo alzò fino a leggere il titolo.
«Ti sembra il caso di perdere tempo così, quando manca così poco agli esami!?»
Aveva parlato a voce alta, ma a girarsi stupiti a guardare furono solo quelli del primo anno.
I rimbrotti di Hermione agli altri due riguardo lo studio ormai facevano parte del paesaggio.
Ron cercò di difendersi. «È... una lettura parallela... no, integrativa!» disse, copiando una delle spiegazioni più frequentemente pronunciate da Hermione. Fu un errore: l'espressione di lei divenne alquanto indispettita.
«Sai, si possono fare un sacco di rimandi... no, collegamenti.»
Harry lo guardava aggiungere errore ad errore, in silenzio.
«Sai... trovare dettagli che... allarghino la visuale...» continuava Ron, sempre più esitante.
Hermione ricordava molto un drago pronto a sputare fuoco.
Harry chiuse gli occhi. "Grosso errore vecchio mio..."
Hermione esplose.
«Per quanto tu possa rigirarla, Ronald Weasley,» gli urlò contro, «studiare Storia della Magia non comprende leggere Il quidditch attraverso i secoli

Spazio Autore:
Quando si svolge questa scena? Un anno qualsiasi può andare bene, ma io, così a pelle, me la immagino al terzo. Non saprei spiegare perché. Voi immaginatela pure quando vi pare.
Grazie a Taminia, Janet e ferao per le loro recensioni, un benvenuto ad Alexy89, _Cordelia_, Fata Blu, fliflai, FloxWeasley, Giulyp_95, Oh_Vals, e Orange_Jam, che hanno deciso di seguire la raccolta.

Al prossimo libro!

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Capitolo 8
*** Può avere effetti collaterali anche gravi ***


 Può avere effetti collaterali anche gravi

 Nessuno di noi [...] sarebbe stato quello che è stato,
   se non avesse letto quel tale o quel tal'altro libro

Paul Buorget

      * * *

 

Credo che pochi sappiano che a Diagon Alley, oltre al Ghirigoro, c'è anche un'altra libreria magica.

Bè, non è proprio in Diagon Alley. È in un piccolo vicolo laterale, poco dopo la gelateria di Florian

Fortebraccio. Un vicoletto quasi invisibile.

No, non di là! Quella è Notturn Alley, attenti!

No no, io dicevo prima, fra la cartoleria e il negozio Accessori di Prima Qualità per il Quidditch.

Ecco, lo vedete?

Non lo avevate mai notato, eh? Neanche io, eppure chissà quante volte ci sono passato davanti. 

È così stretto che non sembra neanche una strada.

Ma lo è. E un giorno che passavo di lì per caso, la fortuna ha voluto che mi ci fermassi proprio

davanti; non ricordo neanch'io perché. “Toh, guarda!” mi dissi. “E io che credevo di saper tutto di

Diagon Alley. Vediamo cosa c'è li dentro!”

È proprio un vicoletto corto e stretto. Pare preso dal tabellone del monòpoli.

Ci sono solo due porte. Una è il retro della cartoleria. L'altra è proprio sul fondo del vicoletto. Non

so dire se è la porta larga come il vicolo, o il vicolo stretto come la porta. Ma vi conviene non essere

troppo robusti di spalle.

Comunque sia, sul piccolo vetro della porta è disegnato un libro; e sopra l'architrave è appeso un

cartello di legno: 

Bottega delle Pagine Non Nuove
           Libri da ogni dove
 

 

 «Interessante,» dissi tra me, «una libreria che non conoscevo proprio. Entriamo!»

Spinsi quella porticina e mi trovai in una stanza dal soffitto basso, quasi mi sfiorava il cappello (e

mica quello alto a punta, ma una semplice berretta). Era una stanza piccolina, giusto un ingresso.

Un attaccapanni, un cartellino con scritto “Benvenuti, avanti” ed era già piena. Misi il cappello

sull'attaccapanni e proseguii nel negozio.

Non capivo se era grande o piccolo: libri dappertutto. Le pareti erano formate da scansie piene di

libri, e file di scaffali riempivano tutto lo spazio. Restava giusto un corridoietto in mezzo. Se fra due

scaffali c'era un po' più spazio, era perché in mezzo ci stava un tavolino con sopra un sacco di altri libri.

Cominciai ad aggirarmi per quei passaggi angusti, e vi confesso che non ci misi molto a perdere

l'orientamento. Sbucavo da una corsia, mi trovavo uno scaffale di fronte, lo seguivo imboccando

una nuova corsia. Ad un certo punto vidi su di una scansia alcuni titoli interessanti. Mi fermai a

guardarli, poi controllai quelli della scansia sopra, poi quella sopra ancora, poi... Ma dov'era andato

il soffitto? Sopra lo scaffale c'era uno stretto ballatoio, e ancora scansie. “Questo negozio è

decisamente più grande di quel che sembra da fuori” pensai. “Sarebbe ora di incontrare qualcuno

del posto, almeno per farmi mostrare l'uscita!”

Questi erano i miei pensieri mentre svoltavo nell'ennesima corsia.

Dove mi bloccai di colpo.

“Devo avere le traveggole” mi dissi. Ditemi voi cosa pensereste in una situazione del genere.

Pochi metri più avanti, lungo lo scaffale, il corridoio era occupato. Da un grosso scimmione dal

pelo rossiccio. “Dev'essere un orango, credo”.

Ma questo fu solo metà dello shock. L'altra metà fu che aveva in mano un libro aperto.

E lo stava leggendo.

Sapete com'è, quando si fissa intensamente una persona, quella sente qualcosa e si volta. L'orango

alzò gli occhi dal libro, mi fece un largo sorriso (che mise in mostra una dentatura inquietante), e

con tono gentile fece «Ooook?»

In momenti come questi, non si pensa lucidamente. Io infatti, fra le mille cose che potevo fare, feci

questo: «S-salve... i-il proprietario?»

«Ooook» fece l'orango senza scomporsi, e col braccio indicò verso destra.

«G-grazie...» risposi io, e mi avviai in quella direzione.

Percorsi un altro paio di corridoietti e arrivai ad uno slargo tra gli scaffali, una specie di piccola

piazza di pochi metri di lato.

“Si direbbe il centro del labirinto” mi dissi. “Sarà qui intorno il proprietario?”

L'avevo giusto appena pensato, che sentii una vocetta.

«Benvenuto, messere, in quest'umile libreria.

Posso forse, in qualche modo, aiutar vossignoria?»

Mi voltai, e non vidi nessuno. Girai la testa di qui e di là, poi abbassai lo sguardo. E mi trovai di

fronte un personaggio strano davvero. Basso basso che mi arrivava alla cintura, mingherlino, con

una barbetta caprina, bianca, una faccia rugosa dall'età indefinibile, ma di sicuro elevata, due

sopracciglia cespugliose, bianche, sotto cui c'erano due occhietti scuri e vispi.

“Ma guarda che tipo! Che sia parente del professor Vitious?”

«Buongiorno. Sa che non avevo mai visto questo negozio? Ma da quanto è aperto?»

Mi rispose in tono allegro.

«Non saprei più ricordare

quando non lo siamo stati.

Qui può vendere o comprare:

specialisti in libri usati!»

“Ma parla solo in rima, questo? Che tipo eccentrico! Chissà perché? Mmm, chiederglielo sarebbe

scortese. Ah, ma c'è un'altra cosa da chiedergli!”

«Mi scusi, sembrerà assurdo, lo so, ma poco fa tra gli scaffali mi è parso di vedere una scim...»

«Shhhh!» mi interruppe lui bruscamente.

«Non provi a pronunciar quella parola,

nemmeno una volta sola!» fece parlando a bassa voce, in tono concitato.

«Come? Ma cosa c'è di male?» dissi stupito. Lui continuò:

«Lo chiami Orango, e non può sbagliare.

Ci aggiunga un “Signor”, se le pare.

Ma quella parola non la usi, l'ho avvisata.

Se la sente, diventa una furia scatenata!»

Chiaro, quale orango non si offenderebbe a sentirsi chiamare “scimmia”? Forse c'entrava il fatto che

sapeva leggere. Mah! Lasciamo perdere...

«Quindi lei tratta solo libri usati?» chiesi per cambiare discorso.

«Usati o invenduti, da altri scartati;

li trovo qui e la, o mi vengon portati.

I parenti di un mago ormai trapassato

spesso si disfan di ciò che aveva ammassato.

E a frugar cantine, o soffitte impolverate,

lei non sa che chicche ho talvolta trovate.» Si sentiva una nota di orgoglio nella voce.

Guardai agli scaffali con occhi nuovi. La quantità di libri era impressionante, e non mi sembrava di

vederne due uguali. «Una raccolta davvero notevole!» dissi girando lo sguardo intorno. «Chissà che

libri strani avrà trovato in giro».

Allargò le braccia, a circondare idealmente il negozio.

«Libri belli o brutti, libri buoni o cattivi

ma quelli che vede qui sono tutti inoffensivi».

Inoffensivi? Diamine, erano solo libri!

«Perché? Ci sono anche libri che fanno male?» chiesi cercando di non sembrare sarcastico.

Annuì con convinzione poi disse:

«Se parlo in rima, come mi sente adesso

non è per vezzo o per sfoggio di cultura.

Questa cadenza or mi porto appresso

a seguito di ciò che chiamerei un'avventura.

Un'avventura che anni fa mi è capitata,

ovviamente ad un libro essa è legata.

Una lettura che trovai davvero affascinante,

ma che mi donò questa rima permanente.

Lo conservo ancora, ce l'ho qui nel retro.

Se lo vuole vedere, mi venga dietro.»

Così dicendo mi accennò di seguirlo verso una porticina (che prima non c'era...) che non avevo

notato.

Entrammo in una stanzetta spoglia. C'era un tavolo con sopra una teca di vetro, e uno scaffale con

alcuni grossi libri dall'aspetto antico e severo. Delle catene pendevano dai volumi legandoli ai

ripiani.

«Ha paura dei furti?» chiesi indicandole.

Mi rispose agitando la mano con noncuranza.

«Non sono libri che si lascino rubare,

è che ero stufo di doverli cercare.»

«Cercare?» dissi alzando un sopracciglio.

«Queste sono pagine rigonfie di magia,

e bisogna dirlo, molta è magia oscura.

Ogni tanto prendono e cercano di andar via,

e capirà, ritrovarli, qui, a volte è proprio dura.»

«Perbacco!» esclamai fissando i libri.

«Ma non guardi quello scaffale tetro,

ciò che volevo mostrarle è sotto il vetro.»

Sotto il vetro della teca si trovavano tre volumi. Uno era chiuso con un pesante fermaglio di metallo

e un lucchetto, uno era avvolto da una fascia di stoffa che copriva il titolo; il libraio mi indicò il

terzo. Lo guardai: “Sonetti di uno Stregone” di Wiligelmo Scuotilancia.

Mi rivolsi al vecchietto:

«Eruditemi, signore:

chi mai era, questo autore? Ommerlino!»

Mi rispose ridacchiando.

«He he he, già agisce su di lei l'incanto,

sebben che ha letto il titolo soltanto!»

Mi sentii le gambe molli dalla paura.

«Ma non è che adesso parlerò sempre in rima?

Io voglio favellare come prima! Oh, santo cielo!» esclamai mettendomi le mani nei capelli.

Il vecchietto continuava a ridacchiare.

«Stia tranquillo, una riga o due,

lette da sole, non faran gran danno.

Si concentri bene e le parole sue

in poche frasi normali torneranno».

“Ok, concentriamoci. Scandire le parole, non lasciarsi andare.”

«Mi...dica,...cosa...è...questo...altro...libro...qui...a...fianco...dei...Sonetti?...Perché...il...titolo...è...

coperto?» “Si! Vittoria!”

Smise immediatamente di ridere.

«Oh, Quello! È assai più pericoloso,

basta una parola e scatta un circolo vizioso.

Se si comincia a leggere,

non si riesce più a smettere!» Mi disse, agitando un indice ammonitore.

La domanda mi sfuggì letteralmente di bocca: «Ma lei ha letto anche quello, vero?»

Mi rispose alzando le spalle.

«Lo trovai a Bath, da una vecchia chiromante,

mi disse che ormai lei ne era annoiata.

Ma non disse che aprirlo era cosa imprudente

e come mia abitudine, gli detti un'occhiata.

Lo finii due volte, mi dicevo “è incredibile”

cessar di leggere era proprio impossibile!

Fu l'Orango a salvarmi,

quel lettore navigato.

Riuscì il libro a scambiarmi

con uno non stregato.

Quando l'ultima pagina di legger terminai

l'incanto svanì, e finalmente mi fermai.»

Mi sorpresi a tirare un sospiro di sollievo. Questo si che era “catturare il lettore”!

«Ma dunque lei legge sempre tutti i libri che arrivano qui?»

«Solo uno, nel negozio, è il libro che non ho letto;

è quest'ultimo che vede, e va tenuto ben serrato!» mi disse indicando il terzo libro della teca.

«Per fortuna me lo diedero già munito di lucchetto

e non posso certo dire che non mi abbiano avvisato».

«C'è un libro peggiore di questi due?» chiesi stupito.

«Il peggiore in assoluto

questo libro stregato!

Un'occhiata al contenuto

e lo sguardo avrai bruciato!»

«Oh, questa poi! Ma chi può arrivare a creare un libro così!?»

«Gente simile a chi arriva a fare armi micidiali

siano maghi o babbani, spesso in questo sono uguali»

Come dargli torto? «Eh, già» dissi soltanto.

«Ma via, non indugiamo

su questi tomi insidiosi» riprese subito lui, gaio.

«Fuor di qui ora usciamo

che ce n'è, per i curiosi.

Qui di libri ne abbiam tanti,

una scelta smisurata!

Mi conceda pochi istanti

per una visita guidata.»

Mi accompagnò in un lungo giro per il suo negozio labirintico: mi spiegò come erano divisi i vari

argomenti, mi mostrò libri rari, libri antichi, belle storie su edizioni da pochi soldi, libri di maghi e

libri di babbani. Alla fine, ci ritrovammo di nuovo nel piccolo slargo al centro di quell'universo.

«La gran parte ha ormai visitato

di questo piccolo regno incantato.

Qualche libro ha visto,

che meriti l'acquisto?»

«Si, molti» risposi. «Ma per ora mi accontento di uno. Prendo questo.» E gli porsi un libro che mi

era parso interessante.

«Ah, i Viaggi di Gulliver, le avventure del babbano

che si trovò ad essere gigante e anche nano.

Ottima scelta, me lo lasci dire;

è una lettura che mi ha fatto divertire.

E poi guardi, è di pregio l'edizione.

Son cinque falci, ma varrebbe un galeone.»

Pagai quel prezzo onesto, e mi misi il libro sottobraccio. Ma mi accingevo ad andarmene quando mi

sorse l'ultima domanda.

«Un'ultima cosa: ho girato così tanti angoli qui dentro, che non ricordo come arrivare all'uscita.»

L'ometto non fece piega.

«Signor mio, non vedo il problema.

L'uscita è lì, la imbocchi senza tema» mi disse indicando alle mie spalle.

Mi girai e, accidenti!, la porta era proprio lì, a due passi, al di la del suo ingresso minuscolo con

l'attaccapanni, e la mia berretta.

Mi girai sconcertato verso il vecchio libraio, che mi rivolse un largo sorriso innocente.

«È stato un piacere servir vossignoria» mi salutò mentre mettevo il cappello.

«Torni a trovarmi, se si trova per via.»

Da allora, a trovarlo ci sono tornato spesso. Fateci un salto, se passate di lì, ve lo consiglio.

Ne vale la pena, vedrete. Sapeste quanto c'è da scoprire, in un mondo di libri... 
 

 

 

L'equazione calzante è: sapere = potere = energia = materia = massa
                 una buona libreria non è altro che un buco nero
                                         distinto e istruito

  Terry Pratchett

 

   
 

Spazio Autore: Questo capitolo è, per certi versi, un cross-over con l'universo di Mondo Disco, creato da
quel geniale autore che è Terry Pratchett.
Se volete saperne di più sull'Orango lettore (NON chiamatelo “Scimmia”!)
vi consiglio di leggere “
A me le guardie!” del suddetto Pratchett. Perché viene da lì. Insieme ad alcuni concetti
fondamentali di fisica libraria, le cui leggi rendono possibile l'esistenza di negozietti come quello di questo racconto.


Martedì prossimo non ci sarà aggiornamento: sarò via di casa e lontano dal computer per qualche giorno. Quindi ci si
vede fra due settimane.

E infine, il doveroso grazie a FloxWeasley
feraoJanet, e Fata Blu per le loro recensioni, graditissime; 
e un saluto a P o i s o n_ e spacedust che hanno inserito la raccolta nelle storie da ricordare. 

Al prossimo libro!

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Capitolo 9
*** Altri appunti ***


Altri appunti...

 Un libro è un suicidio differito

                 Emil Cioran

                      * * *

«La porta dovrebbe essere questa» fece Harry.

«Wow, l'abbiamo trovata quasi subito, stiamo diventando pratici!» constatò felicemente Ron.

I due novelli allievi di Hogwarts si accingevano ad entrare per la prima volta nella biblioteca

scolastica, per affrontare la loro prima ricerca: un tema di Difesa contro le Arti Oscure per il

professor Raptor.

Aprirono la porta, ed entrarono.

«Caspita... Certo che è grande!» esclamò Harry.

«Dicono che sia una delle biblioteche magiche più grandi d'europa» sussurrò Ron al suo fianco, «il

che significa che per trovare un libro può volerci una vita.»

«Anche per trovare un tavolo, temo» ribattè Harry.

Si guardarono attorno. I pochi tavoli che si vedevano dall'ingresso erano tutti occupati.

«Facciamo così: tu va' a cercare un tavolo libero,» suggerì Ron passandogli la borsa, «io intanto

vedo di trovare qualche libro che possa servirci».

Si divisero ed Harry vagolò tra i corridoi. Con sollievo arrivò ad un'ampia sala con grandi finestre,

in cui c'erano pochi scaffali e molti tavoli. Ne vide uno libero lungo un lato, e lo occupò con la

propria borsa e quella di Ron.

Questi lo raggiunse poco dopo con una piccola pila di libri.

«Tutti i titoli con la parola Maledizioni; almeno, tutti quelli a portata di mano» raccontò sedendosi.

«Più che abbastanza per iniziare» commentò Harry. Divise la pila in due, spartendo equamente i

libri in base alle dimensioni. «Novanta centimetri ha detto? Cavolo, non ho mai scritto un tema a

centimetri. Pensi che sia molto?»

«Fred mi ha detto che possono arrivare a chiedertene di due metri,» rispose Ron «ma forse voleva

solo spaventarmi.»

«Due metri!? Speriamo che stesse solo scherzando...»

«Shhh! Insomma! Abbassate la voce!» sibilò Madama Pince passando loro accanto.

Aspettarono che si fosse allontanata prima di parlare nuovamente.

«Ok, allora, io cerco le definizioni, tu cerca degli esempi» sussurrò Harry all'amico.

«Va bene, al lavoro» bisbigliò l'altro in risposta. Poi entrambi afferrarono un libro a caso e

cominciarono a sfogliare.

Procedevano così da un po' di tempo, cambiando libri e copiando qualcosa di tanto in tanto, quando

Ron diede una pacca sulla spalla di Harry.

«Hei, da un'occhiata a questo. Pare fatto apposta per noi.» Lesse il titolo all'amico: «Maledizioni e

Contromaledizioni (Stregate gli amici e confondete i nemici con l’ultimo grido delle vendette: caduta

dei capelli, gambe di ricotta, lingua legata e molte altre ancora) del professor Vindictus Viridian».

«Ah, si, me lo ricordo! L'avevo visto al Ghirigoro quando Hagrid mi ci ha portato. Ma non mi ha

lasciato guardarlo.»

«Eccolo qui tutto per noi, amico» gli disse Ron mettendo il libro al centro. Iniziarono a sfogliare.

«Cavoli!...»

«Wow... Si possono davvero fare cose del genere?» chiese Harry.

«Sembra di si» rispose il rosso, «e siamo solo a pagina quindici...» Sfogliarono qualche altra pagina.

«Forte!...» «Per le mutande di Merlino!..» Continuarono.

«Mitica!» «Fantastica!» Continuarono.

«...» «...» Si guardarono. Continuarono.

«Bleah!» «Che schifo!» Harry fece per continuare e voltare pagina, ma Ron lo fermò: «Aspetta

aspetta, questa voglio segnarmela.»

«Questa!? Ma sei sicuro?» gli chiese l'amico, titubante. «Ma è la più schifosa di tutto il libro...»

«Appunto! Se devi colpire, colpisci forte, credi a me» rispose lui convinto.

Prese un quaderno e la penna e cominciò a copiare: «Maledizione... mangia... lumache...»

 

 

Spazio autore: Ok gente, nello scorso capitolo sono comparsi tre libri in una volta sola, ora si torna alla normalità.
                                 N
on vorrei abituarvi troppo bene.

Ora voglio ringraziare quelle otto belle persone che hanno reso lo scorso capitolo il più recensito che abbia mai scritto, ossia: 

FloxWeasleyJanetOut of my headTaminiaFata BluCharmeAstrasi, ma in particolare (ed è ancora poco) 
ferao, che oltre ad avermi mandato una recensione come nessuno ne ha mai ricevute (da lacrime agli occhi), mi ha pure
“garbatamente” pubblicizzato nell'ultima delle sue storie, e i risultati si sono visti!
Ringrazio anche chia e Mary_Cry che hanno aggiunto la storia alle preferite, phoenix90 alle ricordate, e un benvenuto a 
sara chan 92 e Charme che si uniscono alle seguitrici.
A voi tutte (perchè sospetto che siate tutte donne) il mio sentito grazie!

Al prossimo libro!

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Capitolo 10
*** Il regalo? Che sia utile! ***


 Il regalo? Che sia utile!

Quando vendi ad un uomo un libro, non gli vendi dodici once di carta, un po'
                 di inchiostro e della colla, gli vendi un'intera vita nuova

   Christopher Morley

                                  * * *

Fred e George riordinavano pigramente gli scaffali del loro negozio “Tiri vispi”. Erano

le due del pomeriggio di un mercoledì particolarmente banale, e non c'erano clienti.

«Che giorno hai detto che è oggi?»

«Il venti febbraio, come poco fa. Abbiamo dimenticato qualche impegno?»

«Hei, George, è ora di pensare al piccolo Ronnie.»

«Accidenti, è vero! Ormai manca poco e il nostro fratellino sarà un mago adulto.»

«Già, come passa il tempo! Mi sembra ieri che cercava di far diventare giallo il buon

vecchio Crosta...»

«Bisogna fargli un regalo all'altezza dell'occasione.»

«Sono d'accordo.»

Si guardarono. Gettarono un'occhiata attorno. Si riguardarono.

«Escluso.» «Decisamente.»

«Se vuole i nostri giocattoli da bambini, che se li compri.»

«Concordo, non bisogna mica viziarlo.»

«E poi, è roba da una botta e via, ci vuole qualcosa che duri.»

«Qualcosa che gli sia utile.»

«Cosa potrebbe servirgli?»

«Mamma e papà gli faranno l'orologio, vero?»

«Già, e noi cosa aggiungiamo?»

«Una custodia anti-smarrimento?»

«Banale! Un abito da cerimonia?»

«A Ron? E che se ne fa? Se va ad un altro ballo combina un altro disastro!»

Si bloccarono.

E si piegarono l'uno contro l'altro dalle risate.

«Ne ha lasciate scontente due in una sera...»

«Forse il nostro fratellino ha qualche problema con le donne.»

Si bloccarono di nuovo. L'uno vide il proprio pensiero nell'espressione dell'altro. «Già...»

«Potrebbe servirgli...» «...qualcosa che lo aiuti.»

«Se combinasse ancora disastri...» «...ci farebbe seriamente vergognare di lui, concordo».

«Bene, abbiamo trovato la strategia. Ora, in concreto?»

Entrambi si lambiccarono il cervello con aria esageratamente concentrata.

«Fred, rispondi a questa domanda: dove si può trovare la Conoscenza, riguardo a

qualsiasi argomento?»

«In biblioteca ad Hogwarts?»

«Riformulo: dove si può trovare la Conoscenza su ogni cosa, pagare e portarsela a casa

«Ah! E dillo subito! Ghirigoro, arriviamo!»

Si avviarono decisi fuori dal negozio. Uscendo George puntò la bacchetta al cartellino

sulla porta: «Usciamo per un po'» disse. La scritta Aperto fu sostituita da Torniamo

subito. La O finale si mosse come una bocca: «Un po' quanto? Un minuto? Dieci? Un'ora?»

Ma i gemelli si stavano già allontanando.

«Ecco, sempre così.» borbottò il cartello. «“Torniamo subito” e lasciano qui me a

sbrigarmela coi clienti. Ma dico io, “subito” quando? La gente vuole saperlo! E poi

si arrabbiano. Non prendetevela con me, dico io, io sono solo il cartello, non lo so

cosa fanno i titolari. Ma dico io, mai che mi dicano qualcosa...» e continuò a

borbottare fra sé.

Fred e George nel frattempo varcavano la soglia del Ghirigoro.

«Ma ci crederesti fratello? Noi che regaliamo un libro a Ron.»

«Già... mamma non ci crederebbe, se glielo dicessimo. Ah, il Ghirigoro! Da quanto non

venivamo qui dentro?»

«Non che ci siamo venuti troppe volte. Comunque, dall'inizio dello scorso anno scolastico.»

«Oh, è già così tanto? Come vola il tempo...»

Girellarono per il negozio per qualche minuto.

«Mi chiedevo, George, nelle nostre precedenti visite, siamo mai stati noi ad occuparci

degli acquisti?»

«Non direi proprio. Tre hurrà per mamma, e capisco dove vuoi arrivare. Tu sapresti

riconoscere il libro giusto?»

«No, non saprei nemmeno dove cercarlo. Ma vedo laggiù qualcuno che può saperlo.»

Qualche scaffale più in là una commessa di mezz'età stava riordinando. Si avvicinarono.

«Ci scusi signora, avremmo un quesito.»

«Ditemi, ragazzi» rispose lei.

«Ecco... stiamo cercando un libro» esordì Fred.

«E questo era probabile, Fred» intervenne George, «ma non abbiamo un'idea precisa.

Ci serve qualcosa sulle donne.»

La commessa alzò le sopracciglia, ma prima che potesse dire qualcosa Fred interruppe

il fratello a sua volta.

«Dobbiamo fare un regalo ad un ragazzo che ha bisogno di aiuto. Ci serve qualcosa che

lo aiuti a capire».

«Mmm, possiamo dare un'occhiata in Psicologia... Abbiamo La mente della Strega

che è molto completo...» disse lei pensierosa.

«Credo che sia meglio concentrarci sul rapporto mago-strega, è quello il problema.»

La commessa annuì, rimanendo pensierosa.

«Ci sarebbe Un magico rapporto – Nascita e sviluppo della coppia...»

«Signora, ci guardi. Ha presente chi siamo? Ecco, è per nostro fratello.»

La commessa effettivamente li guardò.

«Mmmm, qualcosa di chiaro, preciso e non troppo lungo, ho capito bene?»

«Centrato in pieno signora!»

«Credo che abbiamo quel che serve. Seguitemi da questa parte...»

 

Uscirono poco dopo dal Ghirigoro, riavviandosi verso il proprio negozio. Fred portava

un pacchetto sottobraccio.

«Però, questo regalo bisogna darglielo di persona.»

«Per spiegargli come si usa, ovviamente!»

«Ci toccherà aspettare fino a quando tornerà da scuola.»

«Meglio così, non rischiamo di distrarlo. Potrebbe volerlo provare subito!»

«E poi, pensa quanto si seccherebbe la cara Hermione, se lo pescasse a leggere questo

invece di studiare. Mancano “solo” tre mesi e mezzo agli esami...»


 

Se un amico vi regala un libro è veramente un amico

                              Roberto Cerati

 

 

Spazio Autore: Avete capito tutti di che libro si tratta, ovviamente. (Vero?) Ringrazio FloxWeasley 
per avermelo fatto venire in mente,
 io non ci avevo proprio pensato. Poi ringrazio  Janet, Fata Blu
Charme
FloxWeasley e ovviamente  ferao, per aver recensito.
Grazie anche a  zefiretta che ha aggiunto la storia alle ricordate, e benvenuti fra chi segue ad akyse e 
Greg90_h
 (finalmente un altro uomo! E grazie per il commento al capitolo 4).

Al prossimo libro!

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Capitolo 11
*** Dubbi e risoluzioni ***


Dubbi e risoluzioni

I libri sono gli amici più tranquilli e costanti,
           e gli insegnanti più pazienti

               Charles William Eliot

                           * * *

 

Seamus Finnigan entrò a precipizio nel dormitorio del quarto anno. «Cavoli, diavoli e folletti! È

tardissimo! Perché nessuno mi ha detto che era così tardi!?» imprecò afferrando il baule. Notò

Neville seduto sul proprio letto che guardava il suo baule aperto, ma aveva troppa fretta per la

conversazione, e si tuffò a preparare il proprio.

Dopo i primi minuti di frenesia si permise di rallentare ad un ritmo più normale. E poco dopo,

rialzando la testa, vide Neville sempre seduto sul letto. Non si era mosso.

«Hei, Neville, tutto bene?» gli chiese.

Neville fece un grosso sospiro senza voltarsi. «Si... tutto bene» disse. Ma il tono non poteva

ingannare nessuno. Seamus insistette.

«Neville, tutto a posto?»

Neville teneva un libro davanti a sé.

«Si si, tutto a posto... stavo solo pensando... a questo libro.»

Seamus gettò un'occhiata al libro. «Piante Acquatiche del Mediterraneo e Loro Proprietà» lesse.

«Embé?» chiese ricominciando a riempire il baule.

Neville sospirò di nuovo. «Ti ricordi la seconda prova del Torneo?»

«Si, ovvio.»

«Ti ricordi che Harry è rimasto in biblioteca fino all'ultimo secondo? Non è venuto nemmeno su a

dormire.»

«Si, mi ricordo che non lo si è visto tutto il giorno. Ma cosa c'entra?» Seamus era più dentro che

fuori dal proprio baule.

«Ecco, pensavo... No, niente.» Neville troncò in fretta la frase. Harry era appena entrato nella

stanza. Non disse nulla a nessuno e si mise anche lui a riempire il proprio baule.

“Sono stato il solito stupido!” pensava Neville in silenzio.

“Non dovrei nemmeno tenerlo questo libro. Avrei potuto aiutare Harry per la seconda prova.

Quando ho saputo di che si trattava ho pensato subito a quell'alga. Perché non gliel'ho detto!? A

cosa serve avere un bel libro se non lo si usa quando serve? Dovrei ridarlo al professor Moody. Non

me lo merito.”

La voce di Seamus arrivò da qualche parte dietro il coperchio alzato del baule: «Neville, ci sei?

Allora, questo libro?»

«Non so...» fece Neville, e posò il libro sul letto. «Intanto metto via il resto; magari alla fine

neanche ci starà, nel baule.»

«A proposito di bagagli,» fece Seamus riemergendo, «qualcuno ha un maglione in più? Non trovo

uno dei miei.»

Harry e Neville scossero la testa.

«Cavolo, chissà dove l'ho lasciato! Devo trovarlo, a dopo!» e partì di corsa giù per le scale.

Neville fece un altro grosso sospiro, raccolse il libro, poi lo lasciò di nuovo sul letto. Si accorse che

Harry lo guardava.

«È... è il libro che mi ha dato il professor Moody. Sai, qui dentro c'era tutto su quell'alga che hai

usato per la seconda prova. Mi dispiace Harry, avrei potuto aiutarti, io...» deglutì e guardò a terra.

«Non fa niente Neville» disse Harry in tono piatto. «La prova l'ho passata.»

«Sono stato il solito stupido inutile» proseguì Neville, «avrei potuto aiutarti, mi dispiace, davvero.

Questo libro lo ridarò a Moody, non me lo merito.»

«Quello non era Moody.»

Neville si bloccò. «Eh?»

«Quello non era Moody» ripeté Harry asciutto. «Quello era un Mangiamorte. Aveva preso le

sembianze di Moody, per far succedere proprio quello che è successo.»

«C-come? Che significa “un M-mangiamorte”?» La faccia di Neville non poteva essere più

sorpresa. Ma, notò Harry, era ben diversa dalla sorpresa che era stata sul volto del ministro

Caramell.

«Un seguace di Voldemort» rispose. «Per tutto l'anno ha manovrato perché arrivassi per primo

alla coppa, così lui avrebbe potuto colpirmi.»

Neville guardò il libro e istintivamente si allontanò da dove era posato.

«Ma allora, anche il libro, me l'ha dato per farti passare la prova?»

«È possibile» disse Harry fingendosi pensieroso.

«Che oggetto orribile!»

Harry sentì un improvviso moto di simpatia per Neville. Gli aveva creduto subito e senza riserve, e

chissà da quanto era lì a struggersi per una cosa che a lui, dopo tutto il resto, sembrava così

insignificante.

«Ma dai, non è mica stregato. Hai detto tante volte che ti piace quel libro» gli disse.

«Si, ma non lo sapevo che era un modo per manovrarmi. E manovrare te! Harry, mi dispiace!»

«Ormai è andata Neville. Non potevi certo immaginarlo». Si sentiva davvero in dovere di

consolarlo. Era forse la prima persona che non avesse reagito dicendogli “sei sicuro?”

«Un Mangiamorte... Questo libro me l'ha dato un Mangiamorte...» si ripeteva Neville intanto.

«Già, pensa che souvenir! Quando sarai vecchio potrai mostrarlo ai nipotini!» fece Harry scherzoso.

«Si, ma...»

«Dai Neville, è solo un libro. Non è mica...» Stava per dire “il diario di Riddle” ma si bloccò.

«È solo un libro» proseguì. «Se lo trovavi in biblioteca era uguale. Tienilo.»

«Tu dici?»

«Lì dentro c'era la chiave per la seconda prova. Magari può servire ancora.» Gli diede una pacca

sulla spalla. «Io col baule ho finito. Ci vediamo sul treno.»

Fece levitare il baule e se lo tirò dietro giù per le scale, lasciando Neville nella stanza.

Lui fissò il libro ancora per un po', poi finalmente sembrò decidersi. Lo prese e lo mise fra le altre

cose nel suo bagaglio.

“Ok, il libro lo tengo. Mi servirà da promemoria. La prossima volta che ci sarà un'occasione, non mi

tirerò indietro. Farò anch'io la mia parte.”




 

Spazio autore: Mi sarebbe piaciuto far partecipare un po' di più il buon Seamus, ma considerando come si scorneranno
lui ed Harry nel 5° libro, non mi è parso il caso. 
Ho dovuto scrivere piuttosto in fretta, quindi temo che il pezzo sia un po' meno
rifinito di quanto potrebbe, vi chiedo scusa. Se vedete errori o che altro, non fatevi scrupoli a farmeli notare, grasssssie.
Benvenuto alle nuove seguitrici: GMP 
 S_marti_es, e come sempre ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:  
zefirettaferaoJanetFloxWeasley e Charme.

Al prossimo libro!

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Capitolo 12
*** Mi leggi una storia? ***


    Mi leggi una storia?

I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro
                         non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire.

          Umberto Eco

     * * *

«Mamma, quella di stasera è l'ultima?» chiese Rose.

«Eh si, tesoro, ormai le abbiamo lette tutte» rispose Hermione.

Come avesse fatto una bimbetta di quattro anni scarsi a scovare un libro posto sul ripiano più alto

dello scaffale dello studio, lei non sapeva spiegarselo. E nemmeno si spiegava come le fosse passato

per la testa di dire a sua figlia il titolo di quel libro. Ma alla parola fiabe Rose era stata irremovibile:

se erano fiabe, la mamma doveva leggergliele. E così le Fiabe di Beda il bardo erano entrate a far

parte dei racconti della buona notte che Hermione le leggeva ogni sera.

«Forza, via le calze, a letto e infilati bene sotto le coperte, se no non comincio, lo sai».

«Ma domani cosa leggiamo? I libri sono finiti!» L'espressione di Rose era sinceramente

preoccupata, c'era il rischio di non avere la sua storia quotidiana! Nulla poteva distoglierla dalla sua

fiaba della buona notte.

«Domani ti porterò in biblioteca e cercheremo un altro libro, d'accordo?» la tranquillizzò Hermione.

«D'accordo!» La bimba si infilò a letto, si rigirò un po' alla ricerca della sua posizione comoda, poi

guardò la mamma con la sua classica espressione di “sono pronta, comincia pure”.

«C'erano una volta tre fratelli che viaggiavano lungo una strada tortuosa e solitaria al calar del

sole...» Hermione leggeva ma avrebbe potuto recitarla a memoria. Quante volte aveva letto e riletto

quella storia, in quei lunghi mesi tremendi? Per fortuna erano lontani.

Anzi, a leggerla adesso, per la sua bambina, con un tono gentile e la voce calma, era quasi

rilassante.

Sentì i passi di Ron avvicinarsi e lo vide fermarsi sulla soglia della stanza, senza entrare, a

contemplare il quadretto di madre e figlia.

 

«...fu solo quando ebbe raggiunto una veneranda età che il fratello più giovane si tolse infine il

Mantello dell'Invisibilità e lo regalò a suo figlio. Dopodiché salutò la Morte come una vecchia

amica e andò lieto con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita.»

La favola finì ed Hermione abbassò il libro e guardò Rose, che aveva gli occhi ormai quasi chiusi.

«Mamma,» chiese la piccolina con un filo di voce, «ma adesso chi ce li ha i Doni?»

Hermione sentì un brivido lungo la schiena. Gettò un'occhiata a Ron: l'aveva sentito anche lui.

Cercò di sembrare assolutamente tranquilla.

«È solo una favola tesoro, non esistono davvero. Su, dormi, buona notte.»

«Buonano...» riuscì a mormorare la bimba prima di iniziare a ronfare.

Hermione le diede un bacio sulla fronte, spense la luce sul comodino e uscì in silenzio, chiudendo

la porta.

 

«Pensi che un giorno dovremo dirglielo?» chiese a Ron mentre a loro volta si sdraiavano a letto.

«Cosa?» rispose lui, «che “zio Harry” li ha avuti per le mani tutti e tre e ne ha ancora uno nascosto

in fondo all'armadio? Direi proprio di no!»

 


 

Spazio autore: Estremamente breve, lo so, ma la storia mi sembra completa così, e non saprei cosa aggiungere.
Per me la Nuova Generazione non fa realmente parte della saga, è solo un bel modo che zia Row ha scelto per
dirci “e vissero felici e contenti”. Quindi scrivendo questo pezzo ho rotto uno dei miei tabù. (Però sono rimasto
“pre-epilogo”!)
. Spero siate anche voi d'accordo con Ron, ci sono già troppe storie in giro senza metterci anche
quella sui doni. Qualcuno poi potrebbe montarsi la testa e cercarli...
Il consueto ringraziamento a chi gentilmente mi ha lasciato un commento. Grazie a ferao
Taminia
FloxWeasley
Janetzefiretta e Charme.
E il benvenuto fra chi segue ad Amberlebekydyd33666 (fan di Dylan Dog?) 

Al prossimo libro!

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Capitolo 13
*** Grandi speranze ***


      Grandi Speranze

     Ogni lettore, quando legge, legge se stesso,

                          Marcel Proust

                                 * * *
 
 

Darren O'Hare, prefetto di Grifondoro. Portiere dei Kenmare Kestrels dal
1947 al 60, fu per tre volte capitano della Nazionale Irlandese.  È considerato
l'inventore della formazione d'attacco dei Cacciatori Testadifalco.

 

“Sarai anche ricordato, ma cosa hai fatto davvero? Un bravo giocatore di quidditch farà divertire la gente, 

ma non porta un reale progresso. L'entusiasmo passa presto, è solo un gioco.

Columban Featherstonehaugh,  prefetto  di  Corvonero,  divenuto un famoso medimago e  capo-reparto

Traumi magici all'Ospedale per Ferite e Malattie Magiche San Mungo...

...Hector Dagworth-Granger, prefetto di Serpeverde. Fondatore della Straordinaria Società dei Pozionisti...

Mah... Certo, un buon medimago è una persona utile, degna di rispetto. Ma la sua opera serve a tappare i

buchi, diciamo. Si, non è dal San Mungo che passa il progresso...”

 

Da parte nostra ricordiamo però come la reale incisività di questi risultati  non
possa che essere inferiore a quella di un buon funzionario del  Ministero  della
Magia, e non possa essere nemmeno paragonata a quella dell'opera di un buon
Ministro! 
Ma non è detto che non si possa unire l'utile al dilettevole.  Vediamo  ad esem-
pio un altro  giocatore:  Hamish McFarlan, prefetto di Tassorosso, capitano
dei Montrose Magpies dal  1957  al  1968.  Alla brillante carriera nel Quidditch
fece seguire un periodo ugualmente illustre come Direttore del  Dipartimento
per i Giochi e Sport Magici.

 

“Ecco! Uno che dopo il Quidditch ha combinato qualcosa. Certo, Giochi e Sport Magici, ma dirigere un

dipartimento è comunque un'opportunità. E da lì si può salire ancora.”

 

Newton Artemis Fido Scamandro, prefetto di Tassorosso. Lavorò  presso
l’Ufficio Regolazione  e  Controllo  delle  Creature  Magiche  al  Ministero  della
Magia. Creò il registro di  Lupi Mannari  e ottenne la  messa al bando  dell’Alle-
vamento Sperimentale.  Lavorò anche nell’Ufficio Ricerca e Regolamentazione
Draghi e grazie a queste esperienze scrisse l'universalmente noto “Animali Fan-
tastici: dove trovarli” e molti altri libri.  Il  suo  grande  contributo allo sviluppo
della Magizoologia gli guadagnò l’Ordine di Merlino, seconda classe.

 

“Bel libro, quello. Ecco, lui ha fatto qualcosa di utile! Le nostre leggi sono state migliorate dalla sua attività.“

 

Non  possiamo  concludere questo capitolo senza citare tre importanti funziona-
ri attualmente in carica:

Cornelius Caramell: prefetto di Corvonero, si sta rivelando un efficientissimo
direttore dell'Ufficio del Trasporto Magico.

Bartemius (Barty) Crouch: prefetto di Corvonero, è a capo del Dipartimento
di "Applicazione delle Leggi magiche"  al Ministero della Magia,  e dirige con zelo
infaticabile le indagini e i processi contro molti Mangiamorte.

Rufus Scrimgeour:  prefetto di  Grifondoro,  nel momento  in  cui stampiamo è
appena stato nominato capo del Dipartimento Auror, sostituendo il pensionando
Alastor Moody.

 

“Caramell? Ma non è il Ministro? Accidenti! Ma quanti anni ha questo libro? Comunque, tutto torna: prefetto,

Direttore di dipartimento, Ministro. Questa è la via!”

 

Diventare Ministro della Magia è forse il  traguardo più alto cui un mago possa
aspirare.  Ricoprire questo incarico non è solo il punto di arrivo di una carriera
meritoria, ma da l'opportunità di compiere i maggiori servigi per il mondo ma-
gico. Vediamo come l'essere stati prefetti abbia costituito il trampolino per ini-
ziare la carriera di molti famosi ministri...

 

“Famosi... Mmm, non tutti sono diventati famosi. ...Herbert Chorley, di Serpeverde; Faris Spavin, di nuovo

di Serpeverde, uhm... Questi non li avevo mai sentiti.”

 

Grogan Stump (1881 - 1909) prefetto di Tassorosso, fu un Ministro molto po-
polare.  Decretò che:  "Un Essere è qualunque creatura abbia abbastanza intelli-
gen
za da capire le leggi della comunità magica e da prendere le sue responsabi-
lità model
late da quelle stesse leggi."  Con queste parole aprì un lungo dibattito
alla fine del diciannovesimo secolo. 

 

“Oh, già. Ci hanno messo un po' a venirne fuori. Chissà quando ce ne parlerà il professor Rüf. Per fortuna

si è risolto tutto. Certo che, fra Stump con gli Esseri e Scamandro con animali ed elfi domestici...

Oh, bè, si è sistemato tutto per il meglio, sotto buoni ministri. A nessuno verrà più in mente di parlare ancora di

Esseri o elfi domestici. Dunque... Cronologia dei Ministri ex-Prefetti del ventesimo secolo...

 

Inigo Wanderers, (1909 – 1916) prefetto di Tassorosso.

Abellinum Knollys, (1921 – 1928) prefetto di Serpeverde.

Sibyl Ramkin, (1928 – 1936) prefetto di Grifondoro.

Frederick Vimes, (1944 – 1951) prefetto di Grifondoro.

Samuel Colonion, (1951 – 1961) prefetto di Tassorosso.

Nobby Leach (1962 - 1968) prefetto di Corvonero.

Millicent Bagnold (1980) prefetto di Grifondoro e attuale ministro.

 

“Guarda guarda... c'è un buco tra il '68 e l'80. A quanto pare, i ministri in carica nel momento di maggior

potere di Tu-Sai-Chi non erano stati prefetti... Questo vorrà dire qualcosa, no?”

Tling tling. Il campanello sulla porta del negozio tintinnò, segnalando l'ingresso di altri clienti.

Percy non alzò gli occhi dal libro, mentre i passi di due o tre persone si muovevano per la bottega.

«Servono piume d'oca, ragazzi?» chiese una voce molto familiare.

“Oh, sono quei tre. Purché non si mettano a far chiasso...”

«Si, che scrivano però. Su queste non vedo la punta... Hei, c'è Percy.» Questa era la voce di Harry.

“Lasciatemi in pace...” implorò Percy mentalmente.

«Ciao fratellone, ti disturbiamo?» gli chiese Ron avvicinandosi.

“Si.” «...salve ragazzi...»

«Cosa leggi Perce? Fa vedere.»

«Non sono affa...»

«“Studio sui prefetti di Hogwarts e sulla loro carriera”» citò Ron ad alta voce leggendo dal retro della

copertina. «Sembra davvero affascinante...»

«Vattene» lo rimbeccò Percy.

«Certo, lui è molto ambizioso... » sentì dire a suo fratello mentre uscivano.

Percy scosse la testa.

“Non tutti nascono già famosi come Harry, Ron. Io voglio costruirmi una carriera, e per farlo ci vogliono

solide basi, buoni esempi e lavoro duro. Come ha fatto anche Bill. Lo capirai, un giorno. Lo capirete, spero.

Dov'ero arrivato? Ah, si! Ministri da record...

 

Artemisia Lufkin (1798-1811) Tassorosso. Fu la prima strega a diventare
Ministro della Magia. 

 

“Inarrivabile! Il primo Ministro mago c'è già stato. Però... magari il più giovane...”

 
 
 
 
 

Spazio autore: So che in giro ci sono Grandi Esperte/i del personaggio di Percy, che certamente non mancheranno di
farmi conoscere le loro impressioni. Lo scorso capitolo ha nuovamente ricevuto una valanga di recensioni (per i miei
standard, almeno), e quindi grazie a 
FloxWeasleyCrazymoonlightfuckinmindferao, Janetdyd33666, Charme 
Fata Blu
 
(anche per i capitoli 10 e 11), e grazie anche a chia che ha recensito ora il primo capitolo dichiarando di volerli 
commentare tutti ('a matta... Buon lavoro!)
Se vi piace il personaggio di Percy, le storie della buona ferao possono fare al caso vostro; dateci un'occhiata.
Un saluto a chiunque segue/ricorda/preferisce, e a chi legge soltanto. Al prossimo libro!

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Capitolo 14
*** Ogni cosa ha il suo posto ***


  Ogni cosa ha il suo posto

     Un libro indegno di essere letto una seconda volta
            è indegno pure di essere letto una prima

                                Carlo Dossi

                                      * * *

 

 

«Papàaaa» riecheggiò una vocetta dal piano superiore.

«Un attimo, Albus...» rispose un'altra voce dal salotto.

«PAPÀAAA».

«Ho detto un attimo, Albus! Sto finendo un lavoro.»

«Ma anche qui c'è un lavoro!» ribatté il piccolo Al da sopra le scale.

Ad Harry piaceva fare i piccoli lavoretti di casa a mano, invece che con la magia. Meno piacevole era

il fatto che il suo sgambettante secondogenito partecipasse alla cosa scovando tutti gli altri possibili

lavoretti da fargli fare.

«Qui c'è scritto S-i-l-e-n-t-e!» continuò la vocetta.

“Piccola peste, hai imparato a leggere troppo in fretta...”

Albus Severus Potter frequentava la prima elementare in una scuola babbana da due settimane, e

compitava diligentemente ad alta voce tutte le parole scritte su cui posava gli occhi.

«Dai papà! È passato l'attimo!» risuonò di nuovo la vocetta.

“Sgrunf!” «Adesso arrivo. Che lavoro è?»

«È un lavoretto grosso! Servirà anche il nonno!» disse la vocetta con convinzione.

“E cosa c'è, la casa da ricostruire?” si disse Harry, lasciando finalmente quel che stava facendo e

andando da Albus.

«Eccomi qui. Cosa c'è, tesoro?» (dove al posto di tesoro possiamo immaginare piccolo rompiscatole).

«Il mobiletto dello sgabuzzino» spiegò serio Al, impermeabile al sottinteso, «è da aggiustare.»

«Cos'ha che non va? Si è rotto?» gli chiese Harry.

«Si.»

«Sicuro? A me sembrava che si aprisse bene.»

«Non è la porta! È la gamba che è rotta!» rispose il piccolo, col tono di dire una cosa ovvia.

«La gamba? Non mi sembrava che traballasse. Va bene, fammi vedere» accondiscese Harry, seguendo

il figlioletto nello sgabuzzino del pianerottolo.

«Guarda: è da aggiustare» gli fece Albus indicando la base dell'armadietto. «C'è un libro a tenerlo su!»

«Ah, già! Quello...» fece Harry, con l'aria di ricordare improvvisamente qualcosa.

«Bisogna chiamare il nonno e fare una gamba nuova» proseguiva il bimbo intanto, «così il libro lo

rimettiamo nella libreria».

«Mah, ci sono cose più urgenti,» cominciò Harry, tentando di sviare, «e poi mi sembra che sia stabile

anche così.»

«Ma è rotto! E se poi cade? E sotto c'è un libro! Me l'ha detto anche l'altro giorno la mamma, che ho

lasciato il libro di James sul pavimento, “I libri vanno nella libreria!”»

Il piccolo Albus agitava un ditino ammonitore verso il padre.

«E se lo vede la mamma? Lo dice sempre a James, quando James lascia le cose per terra.»

Poi assunse un'aria da cospiratore e a voce più bassa disse «E se lo vede la zia? Lei si è arrabbiata

quando io e James ci siamo tirati il suo libro di scuola...»

Harry dovette trattenere una risatina. Hermione continuava a non apprezzare chi maltrattava le regole, 

e i libri. Ma quella volta aveva ragione da vendere: il libro che le due pesti si stavano tirando non era

esattamente un opuscolo... Per fortuna erano già bravi a schivare!

Nel frattempo, cosa dire ad Albus? Decise per la verità.

«Ma quel libro non c'è mai stato nella libreria. L'ho preso apposta per metterlo lì. È dello spessore

esattamente perfetto, non saprei immaginarlo in un altro posto.»

Il piccolo era perplesso. «Ah... Bisogna lasciarlo lì?»

Harry sorrise e gli accarezzò la testa. «I libri vanno nella libreria, tranne questo. Il suo posto è

questo qui. Hei, è quasi ora della merenda! Andiamo a fare il thé per la mamma?»

«Ok...» Il bimbo gettò un'ultima occhiata poco convinta al mobiletto e al libro, poi padre e figlio

scesero insieme le scale verso la cucina.

Il suo papà ogni tanto era un po' strano, pensava il piccolo Albus. Diceva che Albus Silente era stato il

più grande mago di sempre, e poi usava un libro col suo nome per tener su un mobiletto invece di

aggiustarlo.

Bah, si disse, erano strani a volte i grandi.

E così, il mobiletto continuò ad essere sostenuto da una copia, mai aperta, di "Vita e Menzogne di

Albus Silente" di Rita Skeeter.

 

 

   Un libro chiuso non è che un ceppo

                             Thomas Fuller

                                      * * *




Spazio Autore: E si finisce come si era cominciato, con un libro più utile da chiuso che da aperto.

Eh si, avete capito bene: per ora, questo è l'ultimo capitolo.

Confesso che quando ho iniziato questa raccolta pensavo che sarebbe stata di sei o sette capitoli, poi...
l'appetito vien mangiando. Mi sono divertito e mi ha fatto molto piacere vedere quanto bene è stata accolta.
Ma ora sono un po' stanco di scrivere di libri, perciò, per il momento, la raccolta si ferma. È probabile che
aggiungerò altri capitoli in futuro (anzi un paio di idee ce le ho), e quindi non la segno “completa”.
Ma per ora... pausa!

Come sempre, i miei ringraziamenti particolari a chi ha recensito lo scorso capitolo:  Janet,  FloxWeasley ,
 ferao
 e Charme, un altro grazie a cisky_90 che ha aggiunto la raccolta ai preferiti, 
e un saluto a luna19 e  writegirl che si sono aggiunte a chi segue.

Ma soprattutto, un grazie a tutti/e voi che avete letto, e siete stati/e inaspettatamente tanti!

E visto che per un po' non vi intratterrò più con gli aggiornamenti, mi permetto qualche consiglio qui sotto.
Se vi è piaciuta questa raccolta, secondo me vi piaceranno anche:



Good night, and good luck.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Spunti... interdisciplinari ***


 Spunti... interdisciplinari

Se i libri non avessero una vita imprevedibile
            sarebbe meglio occuparsi d'altro

                        Roberto Calasso

                                * * *
 

 

«Avete visto la pagina sportiva del Profeta, domenica?»

«I Cannoni hanno preso un'altra batosta, già».

«A parte quello. Avete letto il resoconto della partita delle Vespe contro i Wanderers?»

«Cavoli, si! Dev'essere stata uno spettacolo!»

I gemelli Weasley e Lee Jordan se ne stavano in corridoio a chiacchierare tranquillamente, quando George saltò su

interrompendo la conversazione: «Hei hei hei, ragazzi, guardate

Una figura tutta ammantata di nero si avvicinava lungo il corridoio con passo stanco e strascicato, le spalle curve.

«Scusa, ma... chi sei?» chiese Fred.

«Lasciamo perdere, ragazzi...» disse la figura in tono piatto.

«Harry!? Ma... sei Harry!?» fece George.

«Ma cosa diamine hai addosso?» Questo era Fred.

«Ma aspetta, quello non è...» borbottò Lee.

«Non me ne parlate!» replicò la figura con tono già più caldo. «Ho appena finito lezione di Pozioni »

«Ma perché hai quel coso addosso?» «Cosa è successo?»

«Quello mi sembra proprio...»

«Piton mi ha punito, quel…» spiegò Harry, con tono inequivocabilmente caldo.

La solita storia, lo sapevano tutti: quando Piton posava gli occhi su Harry Potter, di lì a poco Grifondoro avrebbe 

perduto dei punti. Nessuno ne parlava neanche più. Era una cosa che si poteva solo accettare, come il tramonto a fine 

giornata o il cattivo tempo in inverno. Era più raro che Harry venisse punito in modo particolare, ma anche questo 

capitava. Certo però, una cosa così era davvero fuori dal normale.

«Si, ma… per punirti ti fa portare quel coso!?» «Ma che razza di punizione è?»

«E io che ne so, George?» Tono acido.

«Sì sì, non c'è dubbio, quello è...»

«Hem, sono Fred...»

«Che ne so, Fred?» Tono molto acido «Si sarà svegliato peggio del solito. E devo tenerlo fino a stasera!...»

«Si, ma… quello è un burqa! Ma perché un burqa!?»

«Merlino! Ti si vedono solo gli occhi!...» «Vallo a capire...»


                                                                  * * *
 

Nell’aula di Pozioni rimasta vuota, Severus Piton sedeva alla cattedra soddisfatto. Doveva ricordarsi di ringraziare la 

professoressa Burbage, pensava tra sé; era stato davvero utile dare un’occhiata alla nuova edizione di Vita Domestica e 

Abitudini Sociali dei Babbani Inglesi. Aggiornatissimo, quel libro.  

 

 

 


Spazio Autore: Salve! Dopo lunga attesa rieccomi qui, con un nuovo libro. Vi avverto subito che non so quando arriveranno
ulteriori aggiornamenti, non aspettatevi di nuovo una storia ogni martedì, mi spiace. Adesso sono un lavoratore a tempo pieno
(finché dura) e ho mille e mille cose per la testa. 

Per chi non cogliesse il significato della storia (ma l'avete capito tutti, certamente), ricordo che Harry è identico a suo padre in
tutto, tranne gli occhi...

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Capitolo 16
*** Cotto. E mangiato? ***


Cotto. E mangiato?

  Se ben usati, i libri sono la migliore di tutte le cose;
                  se abusati, sono tra le peggiori

    Ralph Waldo Emerson

                                   * * *

 

 Bill e Charlie Weasley non erano più bambini. Erano giovani maghi, studiavano ad Hogwarts, e

non avevano nessun bisogno di avere sempre qualcuno intorno che facesse loro da balia.

Bill e Charlie erano bravi studenti, ci tenevano molto, e non avrebbero permesso a nessun

impegno familiare di distrarli dai compiti delle vacanze. No, erano molto dispiaciuti, ma davvero

non potevano abbandonare i compiti per seguire la famiglia in visita a zia Muriel.

Bill e Charlie erano molto affiatati. Sapevano collaborare ottimamente, quando serviva. E ci volle

molto impegno per convincere mamma e papà che potevano lasciarli soli per una giornata,

portando dalla zia solo i cinque figli più piccoli.

No, non avrebbero fatto nulla di pericoloso. No, non si sarebbero allontanati da casa, e non

avrebbero aperto a nessuno senza chiedere prima chi fosse. No, vaaa beeeene, non sarebbero

andati a giocare a Quidditch sulla collina. Sì, certo, era solo perché, se si facevano male, nessuno

avrebbe potuto aiutarli, lì per lì. Lo capivano, ovviamente. Ma ceeerto che non gli dispiaceva.

Certo che avrebbero studiato. Rimanevano a casa solo per quello!

No, non avrebbero fatto incantesimi. Sì, certo che lo sapevano: “Altrimenti potremmo essere espulsi...”

Sì mamma... Sì 'pà... No 'pà... Noooo, certo che no mamma!

Ciao Percy.

...perché tu sei troppo piccolo Percy, e non hai da fare i compiti!

Ciao nanetto, ciao nanetto... Scusa mamma, scherzavo! Scusa!

Ciao Ronnino, ciao principessa! Fai la brava eh!

Ciao ciao! Salutateci la zia! (sì, come no!)

 

«LIBERI!!!» Gridarono in coro. E immediatamente Charlie proseguì.

«E allora, fratellone? Quidditch?»

«Charlie, vecchio mio, se per caso ci pescano, da zia Muriel ci finiamo per un mese intero! Io non

ci vado ad Azkaban!»

«Io corro il rischio» ribattè Charlie con l'aria sprezzante.

«Be', lo corri da solo». Bill incrociò le braccia. Non era importante il Quidditch, era importante

che non vincesse Charlie.

«Sei solo un vigliacco!» lo sfottè quest'ultimo.

Bill alzò gli occhi al cielo. “Ok, facciamolo ragionare”.

«Senti, facciamo così: bisogna che facciamo almeno un po' di compiti, se no stasera ci chiedono

cosa abbiamo fatto e non possiamo dirgli “niente”, ti pare? Fino a ora di pranzo, poi pacchia. Che

ne dici?»

Charlie lo guardò dubbioso. «E poi Quidditch?»

«No» fece Bill seccamente. «Però potremmo “de-gnomizzare” il giardino. Avrei un'ideuzza per

battere l'ultimo record...»

«Mmmm, e sarebbe?» Charlie non avrebbe rinunciato al Quidditch solo per un paio di gnomi.

«Secondo te si fa molto male, lo gnomo, se lo lanciamo con la mazza da Quidditch?»

Lo sguardo di Charlie si accese.

«Interessante...»

«Ok, allora è fatta. Adesso si studia, poi si de-gnomizza, d'accordo?»

«Daccor- Ma com'è che alla fine la spunti sempre tu, fratellone?»

«Perché sono più intelligente, mi pare chiaro» lo canzonò Bill. «Forza, ai libri, e poche storie».

 

Bill e Charlie erano veramente dei bravi studenti. Se decidevano di studiare, poi lo facevano come

si deve. Per circa tre ore la casa fu tranquilla e silenziosa, solo il rumore delle pagine o delle

penne, e qualche breve battuta di tanto in tanto. Mezzogiorno era abbondantemente passato

quando si udì un ampio sbadiglio.

 

«YAHWN! Fratellone, io avrei fame. Anzi, ho fame. Cos'ha detto che ci lasciava mamma, per

pranzo?» fece Charlie.

Bill alzò la testa dal libro. «Ha detto che c'è la torta di rape...»

Charlie storse la bocca. «Io quella roba non la mangio».

«Quello c'è» rispose Bill, filosofico.

«Ma dai! Abbiamo la cucina tutta per noi, e tu vuoi mangiare “torta-di-rape”!? Dai, cuciniamoci

qualcosa!»

 

Scesero in cucina. Bill si avvicinò alla mensola con i libri di ricette.

«No... no... no... Eccolo! Incantesimi da forno! Qui ci sono tutte le ricette dei pasticci che

prepara mamma. Scegliamone uno».

Aprirono il libro e girarono qualche pagina, fino ad arrivare al loro preferito, il Pasticcio del

Pastore.* Poi lo appoggiarono sul piano della cucina, sotto la finestra, ben aperto.

«Setacciate la farina e miscelatela in una grossa ciotola con il sale, tagliate il burro freddo in

cubetti e aggiungetelo alla farina. Ottimo» disse Bill. «Io prendo burro e farina, tu intanto tira

fuori la teglia da forno e poi guarda cosa viene dopo.»

«Agli ordini capitano!»

Charlie scovò una teglia in un armadietto, poi si avvicinò al libro e lesse.

«Togliete l’eccesso di grasso dall’arrosto avanzato e tritatelo finemente con l’incanto Tritatutto.

Ehm, fratellone... qui parla di avanzi di arrosto. Abbiamo avanzi di arrosto?»

Bill, che stava trafficando dentro un armadietto pensile, rispose senza sfilare la testa di là.

«Avanzi di arrosto? Ne dubito, non si è mangiato arrosto, di recente. Forse in dispensa c'è del

prosciutto. Mettici quello».

«Affare fatto!» rispose Charlie, e si mise a frugare nella dispensa.**

Trovato che ebbe il prosciutto, si rivolse di nuovo al fratello.

«Però dice incanto Tritatutto. Che faccio, sparo?»

Bill aveva letteralmente “le mani in pasta” nel burro e farina. Alzò la testa di scatto.

«Assolutamente no! Ci mancherebbe altro! Usa un coltello».

«Ma dice “tritarlo finemente”...» si lagnò Charlie.

«Allora» sospirò Bill «intanto taglialo a pezzetti piccoli, poi vedi se riesci a fare di meglio.»

Sbuffando, Charlie si mise all'opera. Più che affettare, sembrava volesse squartare il prosciutto

con una certa violenza. Nel frattempo Bill lasciò l'impasto di farina e burro, si pulì le mani su

un canovaccio e tornò al libro.

«Miscelate l’arrosto con la salsa di pomodoro e abbastanza gravy per rendere la pasta densa,

incorporate il prezzemolo tritato. Ok, ti trovo fuori la roba, quando hai tagliato aggiungila.»

«Vabbene...»

Charlie finì di massacrare il prosciutto, lo mise nella teglia e aggiunse gli altri ingredienti, poi

andò a dare un'occhiata al libro.

«Aggiungete sale a piacere»

«Non metterne troppo» fece Bill. «Si fa sempre in tempo ad aggiungerlo dopo».

Charlie si voltò verso di lui.

«Sai fratellone, a volte sei proprio saggio».

Bill assunse una posa da eroe classico. «Guarda che stai parlando con il miglior pozionista di

Grifondoro».

«BUM!» esclamò Charlie.

«Be', del mio anno, se non altro».

«Ecco, già più facile».

«Ma sentilo. Vuoi rivedere i voti dei miei esami?»

«No no! Me li hai fatti imparare a memoria, i tuoi esami di quest'anno!»

«Ma non dire scempiaggini!»

Bill tornò al libro.

«Versate il composto a base di carne in una pirofila, aggiungetevi le uova, il grasso di rognone e

la birra. Rimescolate il tutto con il Gira e Frulla»

«Birra!?» fece Charlie, fra l'incerto e lo speranzoso.

«Credo che papà ne abbia un po’ nel sottoscala» fece Bill. «Vado a vedere».

«E per il grasso di rognone?» gli urlò dietro Charlie.

«Hai tolto il grasso dal prosciutto, prima?» rispose l'altro dal sottoscala.

«Sì, l'ho tolto».

«Mettici quello».

Charlie riversò un'altra dose di violenza sui rimasugli del prosciutto, li mise nella teglia con il

resto e ci ruppe sopra un paio di uova; si trattenne con un sospiro dal lanciare l'incantesimo,

agguantò un mestolo di legno e si mise a rimescolare il tutto con vigore.

Nel frattempo Bill tornò dalla cantina con una bottiglia di burrobirra.

«C'era solo questa» disse posandola sulla tavola. «Dici che vada bene?»

«C'è scritto birra, no?»

«Hai ragione».

Una generosa pioggia di burrobirra finì ad irrorare il composto.

«Cosa ci va dopo?»

Charlie lasciò il mestolo e andò al libro.

«Aggiustate di sale e pepe condite con qualche spruzzo di salsa Worcestershire» declamò.

Bill aggiunse alcuni pizzichi di sale e una buona spolverata di pepe; scovò la salsa in un armadietto

e ne versò poche gocce qui e là nella teglia, mentre l'altro tornava a mescolare.

«Mettine di più, di Worchester, che voglio sentirla!» dichiarò Charlie con enfasi.

«Ah, noi uomini duri...» ribattè Bill, aumentando la dose di salsa.

Lasciò Charlie a mescolare e andò al ricettario.

«Fate bollire il latte in un pentolino ampio

Bill eseguì velocemente, prese un pentolino, il latte dalla dispensa che conosceva ormai a memoria,

e mise tutto sul fuoco. Tornò al libro.

«poi aggiungete il merluzzo. Abbassate il fuoco e fate cuocere fino a quando diventa opaco; non

troppo.»

«Merluzzo?» fece Charlie incredulo. «Non avrei mai detto che ci andasse del merluzzo. Ne abbiamo?»

«Non abbiamo merluzzo» fece Bill, senza neanche bisogno di guardare.

«Cosa abbiamo?»

«Tonno in scatola».

«Ci mettiamo quello?»

«Mettiamoci quello».

Stavolta fu Charlie a cercare nella dispensa, e in breve il tonno finì nella pentola. Con l'olio e tutto.

«Latte e tonno... Davvero non l'avrei mai detto».

«Si vede che con la cottura i sapori si amalgamano. Che si fa, ora?»

Charlie andò al libro: «Aggiungete le cipolle tagliate a dadini, fate bollire ancora qualche minuto,

poi unite all'impasto nella teglia.»

«Io le prendo e tu le tagli» fece Bill, avviandosi.

Charlie gli si avventò dietro.

«No! Io le prendo e tu le tagli!» disse cercando di superarlo.

Ci sono due modi per vincere una gara: arrivare prima dell'avversario, o farlo arrivare dopo di te.

Quanto può impiegare un uomo a percorrere circa sei metri, da un capo all'altro di una stanza? Bé,

può volerci più tempo di quanto immaginiate.

Ma alla fine, per una serie di intricate circostanze, fu Charlie a stringere nel pugno una bella

cipolla bianca.

«Ua-ha! Vittoria!»

«Bravo!» lo blandì Bill allontanandosi. «Adesso, già che ce l'hai in mano, tagliala e mettila nel

pentolino.» E andò verso il libro, lasciando il fratello scornato.

«Hai perso apposta!» lo accusò quest'ultimo.

«Muoviti, che il latte bolle. E non fare il bambino» lo apostrofò Bill con sufficienza.

Charlie si arrese mugugnando. Oh, quanto odiava quel saputello che cadeva sempre in piedi...

Col sottofondo del fratello borbottante, Bill tornò a controllare il ricettario.

«Prendete le patate e un cucchiaio di burro, usate l'incanto Cremoso fino ad ottenere un composto

morbido e omogeneo (aggiungete del latte se necessario)».

«Sono cavoli tuoi, io ho da fare con le cipolle».

Con un sorrisetto di superiorità, Bill prese con calma tre patate e si mise a sbucciarle.

Nel frattempo Charlie aveva assassinato la cipolla alla sua maniera e l'aveva aggiunta al composto

di latte e tonno. Il tutto sobbolliva pigramente mentre lui mescolava, virando verso la tinta opaca

richiesta dalla ricetta.

Bill prese una vaschetta e cominciò a spezzettare e schiacciare le patate crude, aggiungendo un po'

di latte di tanto in tanto.

«E niente incanto Cremoso, mi raccomando!» fece Charlie ironico. «Non vogliamo essere espulsi».

La sconfitta delle cipolle gli bruciava, a quanto pare.

Forse non solo la sconfitta.

Il sorrisetto di sufficienza di Bill era un po' più forzato, ma rispose con distacco. «Mescola,

mescola, che se no si brucia».

Charlie decise che latte e tonno avevano raggiunto la tinta giusta. Tolse il pentolino dal fuoco,

versò il tutto nella teglia e rimescolò con energia.

Quando fu soddisfatto del risultato posò il cucchiaio, e visto che Bill stava ancora schiacciando

patate crude, andò lui al ricettario.

«Realizzate uno strato di uova sode affettate sopra l'impasto e ricoprite il tutto con il purè di

patate. Ancora uova? Ma ce ne ho già messe due. E poi sode. Basta, io ho fame!»

«Ma sì, dai» accondiscese Bill, «lasciamo perdere le uova sode. Con le patate ho finito, arrivo.»

Con le mani distribuirono quel “purè” sulla superficie del composto. Poi Bill ebbe un sussulto.

«Hei, e il mio impasto di farina e burro?»

«Boh, se ne saranno dimenticati».

«Macché dimenticati! Il pasticcio di mamma ha sempre la crosta. Bisogna metterla sopra!»

Così dicendo andò a prendere l'impasto che aveva preparato all'inizio, diede un ultima mescolata

e lo spianò, per così dire, sopra lo strato di purè, per così dire.

«Scaldate il forno a 356 °F (180 °C) e infornate per 40 minuti».

«Quaranta minuti!? Io HO FAME!» urlò Charlie.

«Se vuoi una fettina di torta di rape nell'attesa...» lo canzonò il maggiore.

«Aaaargh! Accendi quel forno!»

Accesero il forno, gli diedero cinque minuti scarsi, poi decisero che era caldo e ci infilarono

dentro la teglia.

Furono quaranta minuti tra i più lenti della loro vita, ma finalmente passarono.

Estrassero la teglia dal forno praticamente a quattro mani, e la posarono al centro della tavola,

scostando rudemente i resti del processo di preparazione che la ingombravano.

Non stettero a perdere tempo per apparecchiare, presero giusto due cucchiai, uno a testa, e si

sedettero l'uno di fronte all'altro, ai due lati del pasticcio fumante.

Contemporaneamente alzarono i cucchiai augurandosi “Buon appetito!”

Contemporaneamente li affondarono nel pasticcio.

Contemporaneamente si misero in bocca una generosa cucchiaiata...

Contemporaneamente diventarono verdi e sputarono tutto, ciascuno più o meno addosso al

fratello di fronte.

«PUAH!!!» dissero, contemporaneamente.

«Ma che cavolo è questo schifo!?» esordì Charlie. «E tu saresti quello bravo in pozioni!?»

«Ha parlato lo chef... mi pare che c'entri anche tu con questa delizia. “Mettine di più, che voglio

sentirla, la salsa Worchester!”» gli fece il verso Bill.

«Grazie tante, se non fosse per la Worchester farebbe ancora più schifo.»

«C'è sempre la torta di rape, se vuoi...»

«Mmmm... Magari era solo troppo caldo?» disse il minore in tono speranzoso. «Proviamo a

raffreddarlo?»

«Ok. Un po' d'acqua?»

«Sì! Nel secchiaio.»

Presero la teglia, la portarono al lavabo, e irrorarono il pasticcio di acqua fresca.

Fecero scolare la brodaglia che ne risultò, poi riportarono il resto in tavola.

Presero una seconda cucchiaiata a testa.

«Glub! Forse, da freddo è un po' meglio?»

«Glub! Sì, mi sembra... migliorato...»

Dissimulando il più possibile lo sforzo, inghiottirono altre due o tre cucchiaiate ciascuno. Poi Bill

posò con decisione il cucchiaio.

«Ma che diavolo, Charlie! Diciamocelo, questa roba fa vomitare!»

Anche Charlie posò il cucchiaio.

«Vecchio mio, fa vomitare davvero. Ma com'è che a mamma viene tanto bene?»

«La ricetta l'abbiamo seguita a dovere, no?»

Si voltarono entrambi verso il ricettario, che giaceva lì dove lo avevano lasciato: ben aperto sotto

la finestra.

Aperta.

Successe proprio mentre lo guardavano.

Un refolo d'aria entrò dalla finestra e... fece girare un paio di pagine.

 

Bill e Charlie non erano bambini. Erano studenti di Hogwarts, e sapevano fare due più due di quel

che vedevano. E quello che avevano appena visto significava che erano stati due perfetti imbecilli.

Bill e Charlie erano molto affiatati. Bastò loro una sola occhiata per trovarsi daccordo sul fatto

che quell'episodio non l'avrebbero mai raccontato a nessuno... 

 




 

* Che è effettivamente una tipica ricetta inglese
**Nonostante tutto il suo amore per gli aggeggi babbani, il signor Weasley non è mai riuscito a convincere
la signora Weasley ad installare un frigorifero in cucina. Ma ogni famiglia di maghi che si rispetti possiede
una dispensa capace di conservare contemporaneamente l'uno accanto all'altro carne fresca, frutta e
verdura, cibi conservati, barattoli di marmellata e gelato. Se ci mettete dentro un bricco di thé caldo, dura
per un po' prima di cominciare a raffreddarsi.
Senza sciogliere i cubetti di ghiaccio posati lì accanto.


 

Spazio Autore: Arieccolo! Salve a tutte/i. Lo scorso capitolo è nato praticamente per caso, in quattro e quattr'otto. 
Questo ha avuto una stesura lunga, incostante e a volte disperante. Quindi se non vi piace ditemelo con tatto, che ci
resto male. Voglio ringraziare le nove persone che hanno recensito il capitolo 14, le otto che hanno recensito il 15,
le
diciotto che preferiscono (oh, commosssione), le dodici che ricordano, le QUARANTA che seguono la raccolta.
E non è neanche una dramione!

Nella mia idea, Bill ha finito il terzo anno e Charlie il primo. Infatti Percy non frequenta ancora la scuola. 
Per la cronaca, le varie frasi lette dal ricettario vengono tutte da ricette di pasticci inglesi. Solo, non dalla stessa ricetta.
L'appellativo di “nanetto e nanetto” per i due gemelli viene invece dalla storia "L'occhialaio"; di lady hawke, da cui ho
preso ispirazione. È molto bella, leggetela! 
L'idea della ricetta “mixata” dal vento l'ho presa da una scena di “Lo chiamavano Bull-dozer”, vecchio film con Bud
Spencer. Non occorre che andiate a guardarlo solo perché l'ho citato io, sia chiaro.
E con questo libro, tutti i fratelli Weasley hanno goduto di almeno una citazione in questa raccolta.

...esatto! Manca la sorella Weasley. Qualcuna/o di voi avrebbe magari un suggerimento per un libro adatto? Non fatevi
remore, io sono ben lieto di pubblicizzare le mie fonti!
A proposito di ringraziamenti: grazie a
 Elos per aver letto e corretto, e per aver apprezzato la storia ben prima che fosse finita.

 

PS: poche settimane fa Charme ha pubblicato “I drammi di una baby-sitter alla Tana”. Se vi piacciono i fratelli Weasley
da piccoli, è la storia che fa per voi. Andateci! E dite che vi mando io!

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Capitolo 17
*** I frutti del giardino ***


  I frutti del giardino

I libri che gli uomini chiamano immorali sono semplicemente
           libri che mostrano al mondo la sua vergogna

                         Oscar Wilde

                                * * *
 

[Prima di leggere, vi voglio proporre un sottofondo musicale. Il testo non ha alcuna attinenza con la
   storia, ma la musica mi pare molto appropriata all'atmosfera che immagino per questo capitolo. 
                                                 Se volete sentirla, cliccate qui]


 

 «Miss Pince? Sono dolente di disturbarla a quest'ora. Mi servirebbe il suo aiuto.»

Irma Pince aveva sempre sospettato che il Preside Silente in realtà soffrisse di insonnia. Era

probabilmente la sola a sapere che il professore passava molto spesso gran parte della notte

tra gli scaffali della biblioteca, immerso nella lettura.

Era uno strano rapporto, il loro. Il Preside si presentava alla porta della biblioteca a sera tarda,

quando gli studenti erano già a dormire e il silenzio regnava nel castello. Bussava con garbo e

chiedeva il permesso di entrare.

Anche dopo anni, quel gesto la lusingava.

Le prime volte quella di Silente era stata autentica preoccupazione di causarle disturbo, ma

aveva capito presto che in realtà anche lei amava rimanere fino a tardi in biblioteca. A

riordinare il caos lasciato da orde di studenti, solo in parte interessati a ciò che facevano; ma

anche a godersi la pace di quel luogo una volta calato il silenzio, e a leggere, ovviamente.

Silente era il Preside di Hogwarts. Poteva entrare in biblioteca in qualsiasi momento, e accedere

a qualsiasi reparto. E, ne era sicura, avrebbe saputo trovare da solo qualsiasi libro avesse voluto.

Eppure, ed era questo a lusingarla, ogni volta chiedeva permesso, e le chiedeva di aiutarlo a

trovare questo o quel tomo, o, molto spesso, le chiedeva consiglio per una lettura di svago.

Silente aveva rispetto del suo ruolo di bibliotecaria. Con quei gesti che si ripetevano ad ogni

visita serale, la riconosceva custode di quel luogo, consacrato alla memoria e alla conoscenza.

Non l'avrebbe mai confidato ad anima viva, ma tutto questo rendeva molto più piacevoli i lati

antipatici dell'essere bibliotecaria: sorvegliare che studenti svogliati e riluttanti non rovinassero i

libri con la loro incuria; così come che non lo facessero studenti troppo zelanti che 

sottolineavano e scribacchiavano appunti. Impedire che trasformassero un luogo di studio e

concentrazione in una bolgia. Curare che i libri tornassero nella giusta scansia del giusto scaffale.

Ma valeva la pena di farlo, perché il Preside trovasse la biblioteca ordinata e accogliente, la sera.

Ultimamente però, le visite di Silente la preoccupavano. Aveva un bel dirle che quell'infortunio

alla mano non era niente di serio, ma ora non riusciva più a spostare i tomi da solo. Lei era ben

lieta di aiutarlo, ma vedere Albus Silente indebolito a quel modo la rendeva davvero inquieta.

E i libri che leggeva, poi! Quelli erano inquietanti già di per sé.

I libri sono libri. Non portano la colpa di ciò che contengono. Quella è di chi li ha scritti.

Ma certi libri... Certi libri non avrebbero dovuto essere scritti. E se proprio erano stati scritti,

non avrebbero dovuto essere aperti. Volumi pieni di un sapere oscuro. Un sapere che non serviva

a chi non voleva il male altrui. Un sapere che andava studiato per difendersene, ma solo da chi si

fosse dimostrato abbastanza forte da potergli resistere.

Il Reparto Proibito era una protezione. Proteggeva chi non poteva entrarci da ciò che non

avrebbe saputo controllare. O accettare.

Sapere che Albus Silente doveva consultare quei libri perigliosi le metteva ansia. L'aveva

osservato per anni scegliere le proprie letture. Capiva che non aveva scelto quei libri per

passatempo, o per interesse accademico. Li aveva presi perché doveva.

E la richiesta di quella sera le metteva addosso altra ansia.

Perché era molto più tardi del solito, tanto che lei stava andando a dormire.

Perché Silente era più stanco del solito. Più vecchio, e curvo.

Perché le aveva chiesto di nuovo quei libri. E per quella mano che non guariva, che gli impediva

di portarli da solo.

«Irma, la prego, potrebbe rimanere? Ho ancora bisogno di lei, stasera».

Rimase lì, ad aspettare, mentre Silente apriva ancora quei libri.

Li sfogliò velocemente, come se controllasse solo di aver letto bene ciò che già sapeva.

Gliene restituì alcuni, pregandola di riporli e di richiudere il Reparto Proibito.

«E quelli, Preside?» chiese lei, indicando i libri ancora sul tavolo.

«Irma, le chiedo perdono» aveva detto lui. «Devo togliere questi libri dalla biblioteca. Ho

bisogno di portarli nel mio studio, per un po', se lei è daccordo.»

«Ma certo Preside» aveva risposto lei.

Si era sentita strana, mentre spuntava Segreti dell'Arte Più Oscura dal registro delle giacenze.

Doveva essere la prima volta da decenni che quel libro lasciava la biblioteca.

Probabilmente era la prima volta da decenni che quel libro lasciava lo scaffale nel Reparto

Proibito.

Nessuno gliel'aveva mai chiesto, grazie al cielo, prima di Silente.

«La ringrazio, Irma. So che è tardi, ma le devo chiedere ancora un piccolo aiuto».

L'aveva aiutato a portare quei libri nel suo studio.

Li aveva posati dove lui le aveva chiesto, sul piccolo tavolino vicino alla finestra.

Solo al momento di congedarsi, si era permessa di chiedere.

«Preside, se posso... Quei libri...»

«Mi dica, Irma» le aveva detto lui, tranquillo.

«Li ha tolti dalla biblioteca... per metterli al sicuro. È così?»

Dentro di sé non sapeva se sperare per un no, che le dicesse che Silente non pensava che i libri

con lei non fossero sicuri, o per un sì, che le dicesse che quei libri non avrebbero più minacciato

altri con il loro sapere.

«Ho bisogno di controllare alcune cose esposte in questi libri, Irma. Preferisco averli a portata di

mano, per il momento». La voce di Silente era calma come sempre, ma questo non bastò a farle

passare la preoccupazione.

«Le chiedo ancora scusa per averla trattenuta fin'ora, Irma. La lascio andare a riposare».

«Sì, io... Buona notte, Preside»

«Buona notte».

Lo lasciò lassù, nel suo studio, e ritornò verso la biblioteca. Non era necessario attraversarla,

ovviamente, per arrivare al suo piccolo alloggio. Ma mai come quella sera aveva sentito il

bisogno di muoversi tra quegli scaffali.

Passeggiò fra le pareti di libri, percorrendo tutti i corridoi.

Quello era il suo giardino, affidato a lei perché curasse di tenerlo sempre in ordine, pronto ad

accogliere chi volesse nutrirsi dei frutti che esso offriva. Alcuni di quei frutti però nascondevano

del veleno, e il bibliotecario doveva esserne sempre conscio.

Passò davanti al Reparto Proibito, dove annidate tra le pagine, parole malvagie attendevano di

traviare un lettore incauto.

Alcuni libri non erano più lì. Il Preside li aveva portati via.

Per controllarli, aveva detto il professor Silente.

Controllare, ossia verificare. Ma anche tenere sotto controllo.

Il giardino della biblioteca poteva nascondere frutti avvelenati. Ora qualcuno di quei frutti era

stato tolto.

Sollevata, per la prima volta nella sua carriera, dalla mancanza di alcuni libri dalla biblioteca,

Irma Pince mormorò il suo usuale “Buona notte” alle file ordinate di volumi, prima di ritirarsi

verso la sua stanza. 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autore: Ecco, anche questo capitolo è venuto breve breve.
Mi spiace non colmarvi di lunghi capitoli aggiornati settimanalmente, che volete, non è da me. Sono 
un tipo da storie brevi. Molto brevi. Da barzellette, praticamente. Dopo lo scorso capitolo sono 
aumentati preferenti, ricordanti (Cit. Elos) e seguitori. Un benvenuto a tutte/i. E un grazie a ferao
FloxWeasley, aleinad93, Janet, Charme e Rowena che hanno commentato.

Irma Pince non è nemmeno inserita nel menù dei personaggi del fandom, perciò non è facile cercare
storie che la riguardino. Io però vorrei segnalarvi “Il mondo di carta e d'inchiostro”, di Miki_TR. Non
concordo sulla storia personale del personaggio così come lei la dipinge, ma sui suoi pensieri
assolutamente si.

Qualche mese fa ho commesso un errore madornale. Aiutandomi con Potterpedia e qualche altro sito,
ho compilato una lista di tutti i libri che appaiono citati nella saga di HP. Sto lentamente cercando di
abbinare ad ogni titolo il punto in cui è citato e magari le informazioni che si possono avere su di esso.
(ma andare a lavorare no? Eh, ci sto provando).

No, non fraintendetemi, NON SCRIVERO' un capitolo per ogni libro.

Però mi piacerebbe se qualcun altra/o volesse unirsi a me nello scrivere di libri nei libri, e  sono
disponibilissimo ad inviare questa lista a chiunque la volesse.

Se si trovassero almeno un paio di interessati, avrei pensato a due possibilità:
1) trasformare la lista in una challenge; oppure
2) creare un account comune, accessibile a chi volesse pubblicare una storia con i dovuti requisiti, in
 cui costruire la nostra biblioteca. Questa raccolta, ad esempio, verrebbe spostata su questo nuovo account.

Se la proposta vi sembra interessante contattatemi, risposta assicurata!

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Capitolo 18
*** Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista ***


   Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista.
                    (ovvero: il libro sullo scaffale)

Ci sono crimini peggiori del bruciare i libri. Uno di questi è non leggerli.
                                                 Josif Brodskij

                                  * * *

 

Daphne Greengrass si sedette a terra, appoggiata al fianco del proprio letto. Si posò sulle ginocchia un quaderno, mise a terra il calamaio e vi infilò la penna.
«Dunque,» disse, «cominciamo: Incantesimi.»
Pochi passi più in la, Pansy Parkinson aveva assunto la stessa posizione, appoggiata al proprio letto.
«”Elencare gli effetti collaterali di un eccesso di incantesimi umorali. Descrivere le conseguenze di un Incanto Rallegrante lanciato alla maniera di uno Desolante”» enunciò.
«Effetti cosa?» chiese Millicent, che invece sul proprio letto ci era seduta.
«Collaterali, Mill» ripetè Pansy.
«Appiccicosi?» abbozzò Millicent.
Daphne e Pansy si guardarono bene dal mostrare anche solo il minimo accenno di sorriso.
«No, Mill. Collaterali sono gli effetti non voluti» spiegò Daphne, «gli imprevisti.»
«Se sono imprevisti, come facciamo a scriverglieli prima? Stupido tappo!»
Pansy e Daphne si guardarono di sottecchi con malcelato imbarazzo.
«Sto scherzando, scemette,» ridacchiò Millicent. «Che ne sappiamo di effetti appiccicosi?»
Daphne e Pansy respirarono.
«Il tappo diceva che rischi di provocare una crisi isterica» rispose Pansy.
«No, quello è se inverti Rallegranti e Calmanti» intervenne Daphne.
«Con quelli ti addormenti» disse Millicent sicura.
«Ma se lo lanci come un rallegrante puoi creare una crisi isterica» spiegò Pansy.
«Secondo me la crisi isterica è con Rallegranti e Desolanti. Perché vai in confusione» riflettè Daphne.
«E poi ti addormenti.» Millicent stava sul pezzo.
«Con i Desolanti non ti addormenti,» cercò nuovamente di spiegare Pansy. «Casomai piangi.»
«Io non piango» puntualizzò l'altra, piccata.
Pansy sbuffò.
«Non tu, in generale. Crei una crisi isterica.»
«Una crisi isterica o piangi?» chiese Millicent.
«Una crisi isterica, Mill» ribadì Pansy con pazienza, pensando: “La mia!
«Non potrebbe essere un attacco di panico?» domandò Daphne.
Pansy si riscosse.
«Accidenti, potrebbe! Isterica o panico?»
«Perché, non è lo stesso?»
«No, Mill, c'è differenza.»
«Ah...»

 

Inosservato nel trambusto, ignorato per abitudine, su una mensola tra due letti giaceva un libro.

 

«Di sicuro possiamo scrivere che si rischiano sbalzi d'umore» propose Pansy.
«Di sicuro con questo ci procuriamo un bello Scadente» ribattè immediatamente Daphne.
«Bè, poi precisiamo. Dai, scrivi.»
«Ok, lo scrivo.»
Daphne stese la prima frase del compito.
«E poi?» chiese.
Dalle altre non vennero suggerimenti.
«Vabbè,» continuò lei, «sicuramente un eccesso di Rallegranti può farti mancare il respiro dal ridere.»
Fu stesa la seconda frase del compito.
«E poi?» chiese di nuovo.
Stavolta Millicent era pronta.
«Con troppi Calmanti ti addormenti.»
Fu stesa la terza frase del compito.
«Poi bisognerà allungare un po' il brodo» commentò Pansy.
«Eh?» fece Millicent.
«Ci pensiamo ognuna per sè quando copiamo in bella.»
«Dovremo copiarlo di nuovo?» chiese Millicent.
Era il turno di Daphne di spiegare.
«Mill, non possiamo dargliene una copia in tre. E dobbiamo anche scriverle un po' diverse, se no ce lo annulla.»
«Stupido tappo» fu il commento.
Daphne alzò furtivamente gli occhi al cielo.
«Altri effetti per l'eccesso di incantesimi?» chiese.
«Vi ricordate che ha parlato anche di incantesimi Eccitanti?» chiese Pansy.
«Ghghgh» ridacchiò Millicent.
«Sì, ma non mi ricordo cos'ha detto» rispose Daphne.
«Magari con quelli rischi un infarto.»
«Può essere. Scriviamolo.»
Fu stesa la quarta frase.
E ci fu un momento di silenzio.
«A qualcuno è venuto in mente qualche effetto collaterale?» chiese Daphne dopo qualche secondo.
Non ottenne più che due cenni di diniego.
«Ci penseremo dopo, forse è meglio se intanto facciamo qualcos'altro.»
«D'accordo.»
«Va bene.»

 

Il libro stava lì. Aspettava.
Dalla copertina, leggermente offuscate da un sottile velo di polvere, lettere dorate gridavano silenziose la propria offerta: “
Curiosi Dilemmi Magici e Loro Soluzioni”.
Promettevano nozioni utili, ragguagli, volendo anche un po' di buoni consigli. Perfino incoraggiamenti, talora.
Il libro attendeva, inascoltato.

 

Fu di nuovo Pansy ad annunciare il tema successivo.
«Pozioni: “Indicare quale ingrediente può sostituire il miele di Glumbumble nell'antidoto per il veleno di Alioto. Elencare e descrivere le pozioni in cui vengono impiegate le penne di Jobberknoll, e i loro impieghi”.»
Millicent sbuffò. «Che cavolo è un Giokernol?»
«Ha le piume, sarà un uccello» le rispose Pansy, cercando di coprire di amorevole pazienza il sarcasmo implicito nella frase.
«Si dice Jobberknoll» intervenne Daphne. «E' un uccello, e le piume si usano... aspetta un attimo... nelle pozioni... pozioni...»
«Si usano nelle Pozioni, ma dai!?» scherzò Pansy.
«E' il tema di Pozioni, serviranno nelle pozioni.»
Le precauzioni di Pansy erano, a quanto pareva, esagerate: Millicent sembrava essere solo parzialmente in grado di cogliere il sarcasmo, anche sfacciato. Di sicuro non sapeva usarlo.
«Silenzio, sceme. Fatemi ricordare!» continuò Daphne. «Pozioni... Mnemoniche! Sì, insomma, le pozioni per la memoria.»
«Ah» fece Pansy.
«E questo come fai a saperlo? L'ha detto nasone a lezione?» chiese Millicent.
«Boh, forse sì. L'uccellino l'ho visto in un disegno. E' carinissimo: è tutto blu con tante macchioline bianche, è proprio grazioso.»
«E nasone vuole che ci ricordiamo anche gli uccelli a memoria?»
«Ok, io l'ho scritto. Grande, Daphne. Ti ricordi anche cos'è il Glumbumble?» intervenne Pansy.
«Forse riesco a ricordarmi come si scrive» rispose l'altra.

 

Il libro era sempre lì. Paziente come solo i libri sanno essere. Consci della propria utilità, sanno che questa prima o poi sarà riconosciuta.

 

«Accantoniamo per un attimo il miele. Dobbiamo elencare le pozioni mnemoniche in cui si usa il pennuto. Altrimenti nasone col nostro compito ci fa un origami» ragionò Pansy.
«Quanto lo odio quanto corregge i compiti» si lagnò Millicent. «Ti tratta male anche quando hai fatto giusto...»
Pansy e Daphne si guardarono con un velato terrore. Nonostante fosse il direttore della loro Casa, non nutrivano particolari slanci nei confronti del professor Piton. Anche se lo apprezzavano moltissimo durante le ore di lezione assieme ai Grifondoro, lo apprezzavano decisamente meno in tutti quei momenti in cui, senza Grifondoro a fare da parafulmine, esercitava il suo ruolo di Direttore di Serpeverde, dedicando loro tutte le ineludibili attenzioni del suo esigentissimo (e sgradevolissimo) carattere. 
Insomma, non lo amavano.
Ma lo sguardo di terrore non era mica per quello, cosa credete? Era perché, mentre i compiti erano sempre un terreno un po' ostico per Millicent, lamentarsi di Piton per lei era come una discesa liscia e ampia. Se prendeva l'abbrivio non la fermavi più, e pretendeva che tu partecipassi attivamente.
In un tempo minore (molto, molto minore) di quello che io ho impiegato a spiegarvi questo retroscena una muta conferenza di sguardi scambiati con circospezione aveva discusso il ben noto problema e stabilito che:
1) Millicent andava bloccata all'istante;
2) la cosa andava fatta senza che lei pensasse che loro due non volevano ascoltarla;
3) stavolta toccava a Pansy, perché Daphne era l'unica che avesse detto qualcosa di utile per il compito di Pozioni; e comunque
4) Daphne aveva anche vinto la fulminea gara di Morra Cinese per soli sguardi che entrambe si erano abituate a giocare in situazioni di emergenza come quella.
Pansy si lambiccò frettolosamente il cervello, e decise di rispolverare una tecnica che ultimamente non aveva usato.
«Mill, come si chiamava quella pozione che hai nominato prima?» chiese.
Millicent interruppe la tirata.
«Quale pozione? Le ha nominate Daphne» le rispose l'altra.
Quando il pesce ha morso l'esca bisogna tirare un pochino.
«No, tu prima hai parlato di una pozione. Non ti ricordi qual era?»
«Non ho parlato di pozioni» riaffermò Millicent, con una prima sfumatura di dubbio nella voce. Che, la prendeva in giro?
Ma in quel campo Pansy sapeva il fatto suo.
«No, no, ne hai detta una tu, parlando di Piton. Dai Mill, pensaci un attimo, così la scriviamo.»
La faccia di Millicent tradiva vari generi di dubbi. Poteva effettivamente esserle sfuggito il nome di una pozione? E che figura ci faceva, se non se lo ricordava? E se non era vero? Avrebbe picchiato Pansy. E se lo era? Sì, le sembrava di aver detto qualcosa...
Pansy diede lo strattone finale: «Sono sicura, perché ho pensato “questa è una di quelle che vanno nel compito!”. Appena te la ricordi la scriviamo, così nasone non può dirci niente.»
Millicent ingoiò esca, amo e lenza, e tentò laboriosamente di concentrarsi.
«Aspetta... Che pozione ho detto che era?...»
Pansy lanciò un'occhiata a Daphne per riscuotere la dovuta approvazione.
Con un leggero cenno del capo, Daphne espresse i suoi complimenti per il lavoro ben fatto. Ma tanto per non allargarsi troppo, subito dopo chiese: «Tu te ne ricordi qualcuna?»
Pansy dovette abbandonare la propria piccola soddisfazione.
«Cosa, pozione di memoria?» chiese. «Boh, dopo cerchiamo nel libro di Pozioni. Gli facciamo un bell'elenco e morta lì.»
«E se si usa anche da qualche altra parte?»
«E se il lavoro di cercarle lo fai tu, che l'uccellino lo conosci bene?»
«Ha, ha, ha,» fece Daphne in tono piatto. Poi continuò: «Sia come sia, c'è la questione del miele del coso, il Glumble, quello lì...»
«Sul libro non è spiegato come si fa a capire come sostituire gli ingredienti quando non li trovi?»
«Forse su quello dell'anno prossimo. Sul nostro, a me non sembra.»
«Oh, conosci il libro a memoria e non me lo hai mai detto? Sei sicura?»
«Puoi controllare quando vuoi, ce l'hai anche tu il libro di Pozioni. Forse nasone ne ha parlato a lezione. Mi stordisce sempre quando parte con le sue prediche.»
Pansy ci pensò un secondo e disse: «Nasone stordirebbe chiunque, accidenti a lui. Bah, che casino; passiamo ad altro?»
«Passiamo ad altro» acconsentì Daphne. Poi aggiunse sottovoce: «Prima però fermiamo Mill, o si fonderà il cervello per niente.»
«Oh, già. Hei Mill, Mill!»
Millicent interruppe le sue faticose elucubrazioni. «Eh?»
«Ci pensiamo dopo, a Pozioni.»
Millicent si rilassò visibilmente.
«Ah, ok.»
«Cosa tocca ora?» chiese Daphne.

 

Il tempo ha una dimensione diversa, per i libri. Scorre lento e carezzevole. Non li annoia. Per i libri stare chiusi è uno stadio naturale, passano molto più tempo chiusi che aperti. E' quando vengono abbandonati aperti, sempre alla stessa pagina, che la carta ingiallisce e l'inchiostro sbiadisce.

 

Pansy aveva ormai assunto il ruolo di annunciatrice.
«Ci rimane Trasfigurazione. Sentite qua: “Descrivere nel dettaglio l'incantesimo per trasformare un cavatappi in una talpa, e i passaggi inversi per ritornare al cavatappi”. Ecco. Dai, ditemi» sbottò abbassando il quaderno da cui aveva letto. «Chi di voi ha mai sentito il bisogno di trasformare un cavatappi in una talpa? Quand'è che avete avuto questa gran voglia di avere in mano una talpa, eh?» disse con irritazione.
«Ha ha ha ha! Che problema cretino!»
«Vabbè, vediamo di cavarcela in fretta.» La stanchezza cominciava farsi sentire nella voce di Daphne. «Cosa diceva il capitolo di oggi?»
Pansy sfogliò il libro di Trasfigurazione. Alzo il viso dalle pagine e con aria perplessa disse: «Non c'è nel capitolo di oggi.»
«Ma come “non c'è”?» chiese Daphne incredula.
«C'è scritto come trasformare un gomitolo in un gerbillo, niente talpe.»
«Che cavolo è un gerbillo?» intervenne Millicent.
Pansy raschiò il fondo del suo barattolo di pazienza.
«Hai presente un criceto?»
«Ma chiamarlo criceto, no?» chiese Millicent a Pansy come se il libro l'avesse scritto lei.
«Criceti, gerbilli, sorci. Chi se ne frega!» sbottò Daphne in tono esasperato. «A noi serve una talpa! Come si fa una talpa?» 
«Qui niente talpe» confermò Pansy.
«Naturale. Se la vecchia babbiona ce l'ha chiesto vuol dire che lì non c'è.»
«E non abbiamo neanche un cavatappi per provare» mugugnò Millicent.
Pansy e Daphne si guardarono. Era il primo suggerimento utile che arrivava dalla loro compagna.
Daphne saltò su. «Aspettatemi qui, arrivo» disse correndo fuori dalla camera.
«E chi si muove» commentò Millicent.
Daphne tornò poco dopo.
«Cavatappi!» esclamò trionfante, mostrando l'oggetto. E spiegò: «L'ho fatto evocare da Burke, del sesto anno».
«E che gli hai dato, in cambio?» chiese Pansy.
«Oh, a quello basta un bel sorriso. Sfigato» le rispose l'altra.
«Vabbè, proviamo. Qual è l'incantesimo?»

 

A pagina 34 una possibile soluzione dormiva tra due lembi di carta. A pagina 132, secondo paragrafo, frasi preziose avrebbero aggiunto ulteriori dettagli. Qui e là tra le facciate giacevano altri brani potenzialmente utili, accostati gli uni sugli altri. Il sommario era pronto a fornire tutte le indicazioni che poteva. L'indice analitico le avrebbe integrate con competenza.
Ma le copertine restavano chiuse. 
Il libro rimaneva in attesa.

 

Daphne estrasse la bacchetta: «Proviamo questo: Mutatalpa!»
Un secondo di attesa e...
«Oh, cavolo! Si muove!» esclamò Pansy.
«Ma è ancora un cavatappi» commentò Millicent.
«Ma squittisce! E saltella! Prendetelo!» Pansy strillava come se il cavatappi fosse un topo.
Daphne e Millicent si lanciarono all'inseguimento.
«Attenta, finisce sotto il letto!»
«Mi è scappato, fermalo!»
Si sentì un vigoroso STUMP! quando il grosso piede di Millicent si abbattè sul cavatappi.
«No! L'hai schiacciato! Gli hai fatto male!» protestò Daphne.
Millicent aggrottò le sopracciglia e la guardò. 
«E' un cavatappi. Non sente male.»
«Ma si muoveva! Squittiva, aveva paura!» continuò l'altra.
«Daphne, è un cretinissimo cavatappi. Una cosa
«Però agitava le levette come una talpa, non trovate?» intervenne Pansy, più calma ora che il “topo” era stato fermato.
«Dillo alla babbiona: “Il cavatappi ricordava una talpa”» le rispose Daphne, sarcastica.
«E adesso è rotto. Come facciamo a provare ancora?» chiese Millicent, più concreta.
«Non lo so come si aggiusta.» Pansy si lasciò andare: «Voglio una talpa! Come si fa una talpa!?»
«Dite che ci viene fuori una talpa con una zampa in meno?» si chiese Daphne.

 

I libri sono bravissimi ad aspettare. Non è che attendano qualcuno in particolare: loro si fanno trovare pronti. L'attesa è una disposizione implicita nell'essere libro.

 

«Trasfigurazione è domani pomeriggio no? Allora abbiamo ancora stasera e la pausa pranzo di domani. Adesso andiamo a cena, ho la testa che mi scoppia.»
«Sì, anch'io. Andiamo a mangiare.»
«Ok, vi seguo.»
La luce venne spenta pochi istanti dopo. Si udì il rumore della porta che veniva chiusa.


 

Imperturbabile, indifferente alla luce e al buio, il libro perseverava senza scomporsi. I libri sanno attendere a lungo. Molto a lungo.
Per tutto il tempo che sarà necessario.




Spazio autore: Salve! Torno tre mesi esatti dopo l'ultimo capitolo. Questo ha qualche valenza simbolica? Personalmente non credo, ma era simpatico dirlo.
E' altrettanto simpatico dire che mi sono accorto che questa raccolta ha compiuto un anno! Davvero, non l'avrei mai detto, all'inizio. Pensa te, la vita...
Per la cronaca, non ho la più pallida idea di quali siano gli effetti di un incanto Rallegrante lanciato alla maniera di uno Desolante, non saprei proprio come sostituire il miele di Glumbumble, e abbiamo visto tutti che mutatalpa non è l'incantesimo corretto per trasformare un cavatappi in una talpa.
Per tutti questi problemi si rimanda alla bibliografia dei rispettivi corsi. O al libro citato nel racconto. Secondo me lì trovate tutto, sì sì.
Nonstante gli aggiornamenti siano diventati più che saltuari, vedo aumentare le visite, e anche i lettori che preferiscono, ricordano o decidono di seguire la storia. Vi ringrazio davvero, spero di continuare a meritare il vostro interesse.
E ancora più GRAZIE! a chi mi ha inserito tra i suoi autori preferiti!
Se avete tempo da perdere, io ed Elos saremmo lieti di offrirvi una tisana nella nostra stanzetta in affitto a Pseudopolis Yard. E se accetterete vi racconteremo le avventure di un personaggio che si presenta dicendo: “Mi chiamo Morte.”
Bè, per il momento vi racconteremmo il primo capitolo. Ma il secondo è in buono stato di (de)composizione e contiamo di pubblicarlo entro fine marzo. D'altronde, non avete fretta di incontrare Morte, vero?

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Capitolo 19
*** Letture tormentate ***


Letture tormentate

Chi trova un buon libro, trova un tesoro.

Giovanni Soriano

* * *



Pace.

Pace e silenzio, e un libro da leggere.

A volte ci voleva davvero poco per poter definire un momento “il migliore della giornata”, pensava Harry.
Anche perché in quel periodo le alternative erano il momento in cui si spegneva la luce per dormire e gli incontri clandestini dell'ES. E vista la frequenza forzatamente bassa dei secondi, c'era poco da stare allegri. In effetti il periodo non era allegro, affatto.
Pace, silenzio, un libro da leggere. E la strombatura di una finestra, in un corridoio poco frequentato dell'ultimo piano dell'ala est, per sedersi a leggerlo e stare tranquilli.
La pietra è fredda, intorpidisce e fa un po' rabbrividire, non è proprio un comodo divano. Ma la Sala Grande era presidiata dagli allievi più rompiscatole che la scuola potesse fornire, in biblioteca la quantità di sguardi di sottecchi sarebbe stata tale da abbronzarti in pieno febbraio, e i bisbigli alle spalle potevano farti impazzire come la proverbiale goccia del lavandino; e nella sala comune di Grifondoro c'era sempre qualcuno che si sentiva in dovere di farti coraggio. Che a volte fa piacere, ma mica sempre. E comunque, sempre meglio che andare a sedersi sugli spalti del campo da Quidditch, dove faceva molto più freddo, e toccava pure vedere gli altri che si allenavano sulle scope.

Pace, silenzio, un libro da leggere, e il prossimo capitolo si prospettava interessante. E si cominc-
«Hei, tu! Cosa stai facendo qui?»
Pace, silenzio e Argus Gazza, opportuno quanto un riccio nelle mutande. Per essere gentili, s'intende.
«Sto seduto e leggo un libro. E' proibito?» chiese Harry, nel modo più compito.
«So io cos'è proibito. Perché stai qui al freddo? Nella tua sala comune devi stare. Quello è il tuo posto.»
«C'è troppa gente là, non si riesce a leggere in pace.»
«Sì, eh? Cosa leggi? Fa' vedere!» intimò il custode.
Harry alzò il libro per fargli vedere la copertina. Gazza lesse il titolo pronunciandolo fra sé a bassa voce.
«Manuale... manutenzione... Ha!» sbottò all'improvviso. «Manici di scopa! Cosa stai tramando, eh? Il Quidditch è proibito, per te. Cosa fai con quel libro?»
«Non parla molto di Quidditch, questo. La parola Quidditch ci sarà sì e no un paio di volte», fece Harry, tristemente.
«Meglio così, ragazzo. Quella non è più roba per te» rimarcò Gazza, lieto di potersi rifare su uno studente.
«Lo so, lo so» rispose Harry con l'aria più sottomessa che poteva, cercando di infondere nella frase tutto il pathos della vittima trattata ingiustamente. «Ma potrò almeno leggere, no? Non me l'hanno proibito. Che male faccio?»
In effetti, anche Gazza si trovò d'accordo. Per un millesimo di secondo.
«So io cosa combinate, voi teppisti» brontolò. «Se sento solo un rumore da qui, tieni a mente...»
Harry annuiva compunto, evitando di pronunciare la domanda “Che rumore vuoi che faccia, leggendo?” che la semplice logica avrebbe fatto salire alle labbra di chiunque.
Fu questo, probabilmente, a spiazzare il custode.
«Tieni a mente, se ti sento combinare qualcosa...» disse avviandosi, non avendo trovato altri appigli. Harry annuì nuovamente.
«Tieni a mente...» ritentò l'uomo. Poi si voltò, e si allontanò impettito, senza aggiungere altro.
“Qui, l'unico che ha fatto rumore sei tu, finora.” Pensò Harry, iniziando finalmente il suo capitolo promettente.

La lettura era appassionante. Ogni una - due pagine si fermava a considerare attentamente quel che aveva appena scoperto, sognando ad occhi aperti il momento in cui avrebbe potuto provare a metterlo in pratica.
“Una qualsiasi frase letta qui è molto, molto più utile di tutte le lezioni di Difesa di quest'anno.”
Si immaginava nascosto nella Stanza delle Necessità, a lanciare incantesimi e contro-incantesimi. Un momento di pura, esaltante, evasione.
«Ma guarda chi c'è qui... Che sorpresa, Potter
Di bene in meglio. La Squadra di Inquisizione, con Draco Malfoy in testa. Un'intera squadra di ricci nelle mutande. Sempre per essere gentili, s'intende.
«Che ci fai qui, tutto solo, Potter?» La voce di Malfoy era particolarmente melliflua, quel giorno.
«Non ti vogliono più nella Sala Comune, Potter? Ti hanno sbattuto fuori?» continuò il biondino. La squadra sghignazzò compatta.
«Ehm, già» fece Harry. Tutto, ma non dare soddisfazione a Malfoy. E non rischiare di farsi sequestrare il libro!
«Povero Potter, lo hanno lasciato solo. Che ragazzo sfortunato sei, Potter. Vero ragazzi?»
«Povero Potter – Potter sfigato – Potter tutto solo» rispose la squadra, tralasciando sorprendentemente le risate.
Harry si strinse nelle spalle, come a dire “Lo so, che ci posso fare?”. Non doveva dargli motivi, si diceva. Neanche un motivo.
«Che libro è quello, Potter?» strascicò Malfoy, in cerca di nuovi argomenti.
Badando bene a non allentare la presa (“sai mai che gli venga in mente di togliermelo”, pensò), Harry gli mostrò la copertina.
«Ho-ho!...» fece l'altro. «Manici di scopa! Ti mancano, Potter
Harry non disse nulla.
«Ti ho fatto una domanda, Potter. Ti manca volare, eh?»
La squadra intorno ricominciò a sghignazzare.
«Bravo, Potter. Leggi il tuo libro, perché di manici di scopa tu non ne toccherai più. Niente più Quidditch, per Potter
Harry non pensava neanche a rispondere. Tutte le sue energie erano impegnate a impedirgli di tirare un pugno a Malfoy, e quelle che avanzavano servivano a cercare di sembrare calmi, nonostante tutto. Uno sforzo che diventava sempre più improbo.
Malfoy si godette le risate della sua squadra, poi fece segno di tacere.
«Però, devo dirtelo, Potter. Non sta bene che tu perda tempo così, invece di studiare» disse facedogli un bel sorriso.
«Facciamo a meno di fare i compiti, eh, Potter? Questo non va bene. Cinque punti in meno per Grifondoro».
Altri sghignazzi. Harry era certo che la sua espressione desse grande soddisfazione a Malfoy, in quel momento.
“Cosa non darei,” pensava, “cosa non darei per toglierti a pugni quel sorriso dalla faccia...”
Ma per sua fortuna, un'altra voce nella sua testa continuava a ripetergli disperatamente: “Non reagire! Fallo andar via, non reagire!
Malfoy aveva dato fondo ai poteri che possedeva. Sembrava scocciato di non essere riuscito a provocare una reazione ostile.
«Continua a leggere il tuo libretto, Potter. Puoi fare solo quello».
Si rivolse alla squadra: «Andiamo».
Lo oltrepassarono e si allontanarono lungo il corridoio, lanciandogli ancora frecciatine e ridendo di lui mentre giravano l'angolo.
Con un grosso, grosso sospiro, Harry si risedette nella strombatura della finestra. Poi alzò gli occhi al cielo, pensando fra sé: “che branco di fastidiosissimi stupidi”.
Cinque punti, nulla di cui preoccuparsi davvero. Quello che gli rodeva era non poter ridere apertamente di tutto questo. Ridere di Malfoy, che si pavoneggiava con la sua Squadra di inquisizione, quando lui, Harry, poteva radunare l'ES, che era tre volte più numeroso.
Ma prima o poi avrebbe potuto farlo. A fine anno, raccontando tutto a Sirius e a Remus, avrebbe potuto farli ridere con lui. Bastava solo avere pazienza, e avrebbero riso tutti e tre assieme, nel salotto di Grimmauld Place, alla faccia della rana, di Malfoy e della sua Squadra di Inquisizione. Brrrr!
Rimise il libro sulle ginocchia: La Manutenzione dei Manici di Scopa, il regalo di compleanno di Hermione, una lettura che lo aveva spesso confortato nei suoi momenti bui, durante le settimane di “prigionia” a Little Whinging.
Con calma aprì la copertina e si soffermò sul frontespizio: Magia Difensiva Pratica: Come Usarla contro le Arti Oscure, il regalo di Natale di Remus e Sirius.
Era proprio vero quel detto che aveva letto da qualche parte: “Se un amico vi regala un libro, è veramente un amico”.
Due regali che gli permettevano di lasciarsi alle spalle il grigiore delle situazioni in cui si trovava, fatti da tre ottimi amici.
C'era qualcosa di simbolico nel fatto che ora l'uno nascondesse l'altro. E, per una volta, non era la solita idea geniale di Hermione. Quella di scambiare le copertine se l'era pensata da solo, e ne era molto orgoglioso. Un trucchetto da tenere a mente: poteva servire ancora, in futuro.
Ritrovò il punto a cui era arrivato, pregò perché finalmente arrivassero davvero pace e silenzio, e riprese la sua lettura.



Spazio autore:
Eccomi qua! Dite la verità, avevate paura che non tornassi più, vero? ...no? Be', sono tornato lo stesso :o)
Ci ho messo parecchio, lo so, ma ora sono un lavoratore full-time (precario, poco pagato, ecc., ma full-time), ho anche qualche altro "progetto" per le mani, e il tempo per scrivere è poco.
Sperando che il capitolo sia stato gradevole, passo a ringraziare ferao, Janet, Taminia, Flox Weasley e Charme, che hanno recensito lo scorso capitolo (mesi e mesi fa), nonché Halley Silver Comet, che mi ha lasciato un suo commento proprio l'altro giorno.
Ringrazio anche Elos che ha postato il capitolo in mia vece, visto che io, a quest'ora, sono ancora in fabbrica (Una fabbrica di libri, pensate un po', il caso...).
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 20
*** Chiacchiere ***


Chiacchiere

Leggere fa bene, ma può fare anche male, diciamo la verità.
I libri sono come le medicine o come qualunque
altro medium: vanno presi con cautela.

Corrado Augias

* * *



«Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà... oh, buonasera, madama Palude! Come sta, tutto bene?» esordì Stan Picchetto saltando dal predellino del bus.
«Ma sa che la vedo un po' pallida? Stanchezza, dice? Ha per caso avuto qualche dolore alle ossa? No? Allora dei momenti di debolezza? Oh, non si preoccupi, sarà solo un po' di nausea da svanimento, vedrà...».
Madama Palude pagò il suo biglietto più in fretta che poteva e salì a rifugiarsi al secondo piano. Non sarebbe servito a niente, pensò Ernie Urto, l'autista, spiegare a Stan che difficilmente una delle clienti più affezionate del Nottetempo avrebbe potuto soffrire di nausea da svanimento. Ma forse ci aveva pensato anche lui.
«Eh, di questa stagione, vorrei sbagliarmi... Ma secondo me le sta venendo una bella tosse unicornina. Orpo! Vedrai se al momento di scendere non tossirà, e alla grande. Fidati, so quel che dico...»
Erano almeno due ore che Stan diagnosticava un po' di tutto a tutti i viaggiatori che salivano e scendevano dal bus. Ernie era perplesso, alla sua maniera flemmatica e sempre un po' altrove. Cioè, non è che fosse uno svampito, era solo che gran parte della sua attività mentale era occupata dalla guida. Sì, lo so cosa state pensando, ma guardate che non è che fosse poi un così cattivo autista. Cioè, capiamoci: Ernie la patente di guida non ce l'aveva, non era richiesta per guidare il Nottetempo. Per guidare un mezzo a motore bastava pigiare i pedali e girare il volante, roba da Babbani; Ernie aveva imparato dal suo predecessore, l'autista che gli aveva insegnato il mestiere, il vecchio Constant Tumbler. Ma il Nottetempo non era un banale mezzo a motore. Cioè, a parte che aveva tre piani, capiamoci, richiedeva una tecnica di guida tutta particolare, e sarebbe stato assai superficiale ridurre il tutto a “premi il pedale e gira il volante”. Quella era la parte facile, cosa ci voleva premere un pedale e girare un volante? La cosa complessa era farlo “saltare”. Capiamoci: non era mica semplice portare un autobus di tre piani da Torquay a Inverness. Cioè, non in meno di un secondo. Ci vuole un corso apposta per poter Smaterializzare semplicemente sé stessi, figuratevi per far “saltare” tutto un autobus; con pensieri come questi, non dovete prendervela se l'autista del Nottetempo sembra sempre un po' altrove. Cioè, in fondo lo è, un po' altrove. Però, capiamoci, quell'altrove si chiama Destinazione, e non è il caso di rischiare di arrivarci a rate.
Comunque, eravamo rimasti a Stan che parlava a Ernie di tosse unicornina.
«Mmmm, sì? Non ti facevo un esperto» mugugnò l'autista.
«Orpo! L'ho letto su Comuni Disturbi e Malanni Magici. Gran libro, dovresti leggerlo!»
Una replica del genere non poteva che stuzzicare l'attenzione di Ernie.
«Stan, non ti ho mai visto leggere altro che Le Avventure di Martin Miggs, quand'è che hai letto un libro come quello?»
Stan non si scompose; anzi sembrò abbastanza fiero di poter rispondere.
«Ieri, che avevo il giorno libero. Sono andato in biblioteca e l'ho praticamente divorato».
La notizia che Stan aveva deciso di trascorrere il pomeriggio a leggere un libro fu abbastanza insolita da spingere Ernie a voltarsi e fissarlo per alcuni secondi, stupefatto. Questo lo portò ad andare lungo di una quindicina di metri alla curva che si presentò in quell'istante; ma il cottage in fondo al giardino si dimostrò particolarmente agile nel balzare di lato, e dopo che Ern, riavutosi, ebbe sterzato di colpo, riportando l'oscillante bus sulla strada, lo steccato riuscì anche a spianare un po' i segni delle ruote sul prato, mentre tornava a schierarsi lungo la carreggiata.
«In biblioteca, Stan?» chiese Ernie, con il fiatone, alla fine della manovra.
«Sì, la biblioteca pubblica di Malet Street, a Bloomsbury» rispose Stan, senza avvedersi dello stupore del collega. «Quella con il reparto riservato ai maghi.»*
«Mmm, la conosco, Stan caro. Ma come mai sei andato in biblioteca? E a leggere proprio un libro come quello, poi».
«Orpo! Ti ricordi quegli attacchi di raffreddore che mi erano venuti la settimana scorsa? Be', volevo vedere se erano di raffreddore normale o se era raffreddore da fieno, o magari allergia al pelo di Crop. Mio cugino ha comprato un cucciolo di Crop la settimana scorsa. Bel cucciolotto, un sacco simpatico. Però, insomma, siccome avevo iniziato a starnutire a tutto spiano, volevo capire cosa avevo».
«Ma perché non sei andato da un medimago, ragazzo mio?» chiese Ernie.
«Naaa, solo per un raffreddore. Poi ci sarebbe stato da fare la fila, poi quello chissà cosa mi trovava fuori, insomma, non avevo voglia, e sono andato a Malet Street. E lì ho letto...»
BANG! Il bus passò dalla stretta stradina del Galles meridionale su cui si trovava a una più larga stradina di campagna del Cheshire.
«Uhm, me lo dici dopo. Ora dovresti avvertire mister Knickerbocker, il villaggio di Bunbury** è a un paio di miglia».
«Ok, salgo a cercarlo» rispose Stan; ma, prima che si allontanasse, davanti al parabrezza sfarfallò una piccola luce e, BANG!, il bus si traferì istantaneamente a raccogliere un nuovo passeggero. Ernie pigiò subito il pedale del freno, bloccando il mezzo in una manciata di metri, e Stan si affacciò alla piattaforma d'ingresso e saltò giù.
«Buonasera, gente» salutò un vocione, mentre la grossa sagoma di chi aveva chiamato la fermata emergeva dal buio.
«Heilà, buonasera, signor Hagrid! Dove la portiamo?»
«A Diagon Alley, figliolo. Devo far compere domattina presto».
«Le faccio subito il biglietto, intanto salga pure. Ha mica bagaglio da caricare, vero?»
«Tranquillo, Stan. Viaggio leggero, non ti appioppo nessun baule» disse l'omone posando un piede sulla piattaforma per salire.
«Orpo! La volta che sale con un baule, è la volta che facciamo il quarto piano all'autobus» replicò Stan, reggendosi a un sostegno mentre Hagrid, salendo, faceva inclinare il bus di parecchi gradi.
«C'è libera la cuccetta giusto qui in fondo, al piano terra, va bene? Un pisolino prima di una giornata di compere».
La prima volta che Stan aveva visto Rubeus Hagrid montare sul Nottetempo, Ernie l'aveva istruito di non farlo mai salire ai piani superiori. Non voleva rischiare che sbilanciasse l'autobus in qualche curva.
«Non riesco mai a dormire su questo coso che si muove» si lamentò Hagrid. «Mi sono portato qualcosa per passare il tempo.»
Ernie ingranò la marcia e ripartì sgommando; Stan si attaccò con nonchalance al suo sostegno, mentre Hagrid si puntellò con le mani contro entrambe le pareti laterali della cabina. Ritrovato un po' di equilibrio, si avviò barcollando verso il letto indicato da Stan. Raggiunto che lo ebbe, ci si piazzò sopra come su una poltrona, poi trasse fuori da una tasca i suoi enormi ferri da calza e si mise a lavorare a maglia.
«Di', hai visto come cammina curvo?» sussurrò Stan a Ernie.
«Mmmm» rispose soltanto Ernie, alzando gli occhi al cielo.
«E non ha neanche ordinato la cioccolata, stavolta. Ahi, ahi... inappetenza – che vuol dire che non hai fame anche se dovresti, forte quel libro – eccessiva stanchezza... Ahi ahi, non vorrei che fosse Pidocchiorubbolo. Sarebbe davvero una iattura. Tu dici che potrebbe essere? Ah, speriamo di no, povero signor Hagrid...»
«Mmmm» fu la sola risposta di Ernie. Risuonò il BANG!, e l'autobus ritornò dalla Scozia al Cheshire, continuando a correre in un viottolo tra i campi.
Ci sarebbero potute essere molte altre ragioni per spiegare il camminare curvo di Hagrid, pensò Ernie senza dirlo: prima tra tutte il fatto che era alto il doppio di un uomo normale, ma si trovava adesso su un autobus col soffitto ad altezza normale.
«Magari a Diagon Alley deve andare in apoteca» continuò a speculare Stan.
«Per il Pidocchiorubbolo si può provare con del succo di fagiolo sopoforoso, è ottimo se usato in fase iniziale. Secondo me sta andando a comprarlo; secondo te?»
«Non lo so, domandaglielo» rispose Ernie in tono poco interessato.
«Giusto! Hei, signor Hagrid?» chiamò Stan.
«Dimmi, Stan» rispose Hagrid dal fondo del bus, senza alzare gli occhi dal lavoro a maglia.
«A Diagon Alley deve andare in apoteca? Deve fare qualche rimedio?»
La discrezione non era mai stata uno dei punti forti di Stan Picchetto, ma Hagrid era una persona alla buona e non se la prese.
«No, non faccio pozioni, mi vengono male. Mi serve un repellente per le lumache carnivore, mi stanno rovinando tutti i cavoli».
«Ti eri sbagliato» commentò Ernie. «Su, va a chiamare mister Knickerbocker, ora».
Poco dopo il Nottetempo si arrestò in una stradina secondaria ai margini del piccolo villaggio di Bunbury; ne scese un mago alto e segaligno che raccattò goffamente le due borse che Stan gli porgeva e si avviò con andatura ondeggiante lungo la strada buia.
«Urca, guarda come cammina. Tutto curvo, e non va neanche tanto dritto. Avrei dovuto chiedergli se aveva dolori agli arti, o se faceva fatica a muoverli. Si potrebbe sospettare una Parodoxyte, accidenti!» commentò Stan mentre Ernie ripartiva.
«Certo che ti ha appassionato quel libro, Stan. Pare che te lo sei imparato a memoria.»
«Non l'avrei mai detto neanche io. Ma sai, ho trovato la pagina sul raffreddore da magia, e c'era spiegato tutto quello che devi guardare per vedere se ce l'hai; e a me sembrava di non averlo, ma non ero mica sicuro. E poi gli starnuti li avevo fatti, insomma. E allora ho detto “vediamo se magari ho qualcos'altro”, e ho cominciato a guardar le altre pagine.
«Parola mia, certi libri ti mettono la paura addosso. Ho letto la Rubrolite, e mi pareva di aver qualche sintomo, “vuoi veder che è questa?” ho detto. Però non ero mica sicuro. Allora sono andato avanti. Ho trovato lo Scrofungulus: mi son toccato un po' qua e là come diceva il libro, mi son fatto il conto di dove avevo prurito e da quando. Perdinci! Ero sicuro che mi sarebbe esploso a giorni, sai? Mi son trovato i sintomi della Spruzzolosi al primo stadio, in incubazione; e il Vaiolo di Drago! Mi pareva strano che non mi avesse già costretto a stare a letto.»
In un BANG! il bus si trovò a correre attraverso una zona industriale. Stan continuò il suo racconto.
«Ero arrivato in fondo al libro, e quelle che avevo letto le avevo quasi tutte, mannaggia! Allora son tornato all'inizio e ho cominciato dalla prima, perché io ero partito dal Raffreddore da magia, no? E non ti trovo che l'Aliotosi ce l'ho fin da piccolo? Da matti! E il Ballo del Pixie, forse c'avevo anche quello.
«Orpo, mi stava venendo una fifa blu, Ernie, però non riuscivo mica a smettere! Sai com'è, no? Quando finisci una pagina e giri quella dopo senza neanche pensarci. E c'era la Bronchiolite, e a me pareva che potevo aver anche quella. E forse anche i Calcoli bezoarici, ma quelli non ero mica sicuro, però la Nevralgia dell'Augurey ero quasi sicuro di sì, e c'era il rischio che covassi un principio di Manomorfitosi, anche. E gira le pagine e gira le pagine, quando ho visto che rischiavo di aver anche la Rabbia dei Mollicci e la Quartopatia, allora ho detto basta. Ho preso e son andato dal medimago di Craven Road – è quello di fiducia dei miei, lo conosco da tanto.
«Insomma, vado da lui e comincio a spiegargli che ho letto il libro e che mi pareva di aver anche la Parodoxyte, e questo e quello. E lui mi ascolta, tutto serio, e mi fa spiegare perché pensavo di avere tutti quei malanni, e io gli spiego i sintomi, no? Me li ricordavo tutti, Ernie. Non è pazzesco? Ce li avevo proprio marchiati in testa. E lui allora mi ha chiesto se c'era qualche malattia che non mi paresse di avere, per far prima. E io ci ho pensato su, allora, e, in effetti, il Gomito della Fattucchiera mi pareva di non averlo. Ci ero quasi rimasto male, finché leggevo. Avevo quasi tutto, e quello no. E insomma, gliel'ho detto, “mi par di non avere il Gomito della Fattucchiera”.»
BANG! Il grosso bus viola continuò la sua corsa lungo il litorale del mare d'Irlanda.
«E lui allora mi ha detto che era il caso di fare una bella visita, mi ha ascoltato il cuore, mi ha fatto fare i sospironi, mi ha guardato la lingua, ha fatto due o tre incantesimi dei suoi, mi ha piantato la bacchetta nei fianchi un paio di volte (che la prima volta ho fatto un saltello sulla sedia, accidenti), e poi si è seduto alla scrivania e mi ha scritto una ricetta, e me l'ha data. Ho salutato e sono uscito.
«E insomma, alla fine mi trovo fuori, no? E il medimago non mi aveva neanche detto niente, mi aveva solo dato la ricetta. Io non avevo neanche il coraggio di leggerla, Ernie, ti rendi conto? Ero convinto di aver le malattie peggiori, e mi sentivo uno straccio. E allora son andato dritto a Diagon Alley, e son entrato dallo speziale. Mi dicevo “speriamo che accetti di prepararmi lui le pozioni che servono, perché io qui son uno straccio, e se sbaglio qualcosa, dopo è anche peggio!” E insomma, entro e gli do la ricetta, che mica l'avevo letta, eh, gliel'ho messa direttamente in mano e basta.
«Orpo, Ernie! Avessi visto la scena! Il tipo ci da un'occhiata, poi mi guarda, e fa una faccia... “Ecco”, mi son detto, “adesso mi dice che quella roba non ce l'ha, e a me toccherà di morir di Parodoxyte”. Ero già pronto a sentirmi dire che non poteva aiutarmi, e quello mi fa: “Guarda che il pub è tre porte più avanti.” E io: ”ma no, io dovevo venir proprio qui, è una ricetta del mio medimago”. E lui: “Sicuro? Mi sa che il tuo medimago è uno spiritoso, allora. E guarda che il pub è tre porte più avanti”, e mi ha ridato la ricetta. E io allora l'ho presa, e l'ho letta. Parola mia, Ernie, volevo sprofondare. E poi mi son messo a ridere, perché aveva ragione lui. Lo speziale, intendo. Sai che mi aveva scritto, sulla ricetta? Non indovineresti mai!»
«Mmmm, sentiamo» fu la replica di Ernie al lungo monologo.
«C'era scritto» riprese Stan, «senti un po', c'era scritto:
     “1 bistecca da una libbra, con
       1 pinta di birra scura; 2 volte al giorno.
       1 passeggiata di qualche miglio ogni giorno, o qualche altra attività fisica;
       dormire almeno otto ore per notte;
       e vedrai che ti passerà tutto.”
Parola mia Ernie, non ho mai riso così tanto come mentre uscivo dallo speziale. E poi allora ho fatto come diceva lui: son andato al Paiolo Magico, tre porte più avanti, e mi son preso una bella bistecca, patatine, e una pinta di scura. E, in effetti, dopo mi sono sentito molto meglio. Davvero splendidamente, direi!»
«Eh, ci avrei giurato» fu il commento.
«Ci credi, Ern? Tutto il pomeriggio a rimuginare sui miei malanni, e guarda un po', mi serviva solo una bella bistecca! Forte, eh?»
«Forte, forte, sì» mugugnò Ernie mentre, BANG!, l'autobus saltava dal Lancashire al Dorset, correndo a cavallo fra due corsie di un'autostrada deserta.
Fra non molto avrebbe iniziato ad albeggiare. Un'altra nottata era trascorsa per l'equipaggio del Nottetempo.

Che poi, “Nottetempo”. Si era sempre chiesto perché gli italiani lo chiamassero così. Lavoravano anche di giorno, loro. “Gentil-bus”, rifletté Ernie, sarebbe stato più appropriato, sicuramente.

BANG!


*Stan sta parlando della Senate House Library, però non è che potete andare lì e chiedere dei libri magici; sarebbe un ottimo modo per fare la figura degli sciroccati. Ma, se non siete Babbani, e andate dal bibliotecario giusto, e fate la domanda giusta, potreste essere ammessi a un particolare “Reparto riservato” dove si trovano i libri come quello consultato da Stan. Torna alla storia

**Qualcuno potrà pensare che questo nome voglia essere una qualche forma di omaggio a ferao e alla sua “Una brezza lieve”. In verità, io ero solo partito dal fatto che volevo far passare il Nottetempo per il Cheshire, e mi ero diligentemente messo su googlemaps a cercare un qualche paesino sperduto in quelle lande, quand'ecco apparire sulla mappa il nome del caro vecchietto, e a quel punto la scelta è stata un fatto automatico.
...come sarebbe che non capite di che diavolo io stia parlando? Andate a leggervi la storia di ferao, ecchediamine! Torna alla storia






Seggiolino dell'autore:
Undici mesi, giorno più, giorno meno. Giuro che quando ho scritto che gli aggiornamenti sarebbero stati saltuari, non pensavo così saltuari. Non mi stupirei se vi domandaste cosa diavolo sia questa storia spuntata in cima alla lista delle seguite. Che posso dire: la mia creatività in questa prima metà del 2013 ha dovuto essere orientata su altro. E lo è ancora, in massima parte. Ma non vi tedierò con le mie faccende di poco conto, parliamo della storia:
Tutto questo raccontino si svolge, ovviamente, nel Mondo Magico inventato da J.K. Rowling, ma questo capitolo deve davvero molto alla lettura di un altro J.K. Sto parlando di Jerome K. Jerome, per la precisione. Avete mai letto “Tre uomini in barca (per non parlar del cane)”?
No!?
Siete sempre in tempo, fatelo!

E prima di chiudere, un ringraziamento a MedusaNoir, 8WeirdSisters8, Charme e ferao (sì, quella della storia di prima), che mi fanno una pubblicità immeritata. Sperando di non aver lasciato fuori nessuno; se l'ho fatto scusatemi, e non fatevi scrupoli a farmelo presente.
Alla prossima.

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Capitolo 21
*** Delitto e castigo ***


Delitto e Castigo



Se qualcuno ruba un libro,
o lo prende a prestito e non lo restituisce,
possa esso mutarsi in una serpe nelle sue mani,
e morderlo.
Possa essere egli colto da paralisi,
e gli si dissecchino tutte le membra.
Possa essere travagliato
da infiniti tormenti invocando pietà,
e la sua pena non cessi
finché non sarà consumato.
Possano i vermi divorare le sue viscere;
e quando si presenterà al Giudizio Finale,
venga scagliato nelle fiamme dell'Inferno
che lo consumino per sempre

Avvertimento trovato nella Biblioteca del monastero
di San Pedro a Barcellona.

* * *



Cara, vecchia Hogwarts.
Hogwarts, Hogwarts del nostro cuore. È sempre piacevole tornare a fare una passeggiata tra le tue mura. Imboccare il corridoio del terzo piano lungo il quale si trova la porta della biblioteca, e poi aggirarsi fra i suoi labirintici corridoi di scaffali. E imbattersi in un tavolino al quale quattro giovani matricole di Tassorosso, resistendo al richiamo della primavera che vorrebbe attirarli all'aperto, a fare qualunque altra cosa, stanno svolgendo il proprio dovere di studenti.

«Quelli del quinto anno stanno facendo dei colloqui per scegliere cosa studiare. In base a cosa vogliono fare dopo Hogwarts.»
«E stai pensando anche tu a cosa vorresti fare?»

Va bene, non stanno proprio svolgendo il loro dovere. Ma chi siamo noi per negare a quattro ligi studenti almeno una distrazione di tanto in tanto? Stanno anche attenti a parlare a bassa voce.

«Mio padre dice che dovrei fare l'Auror, ma penso che lo dica solo per scherzare. Uno dei suoi cugini è il padrone dell'apoteca di Diagon Alley; mi piacerebbe provare a lavorare lì.»
«Lavoro tranquillo per tipi tranquilli.»
«Bé, sì, direi di sì.»
Questo qui è Owen “Cold” Caldwell. È detto “Cold” perché non urla mai e ride molto di rado. Il che, a Tassorosso, è una cosa degna di nota.
«Io penso che vorrei lavorare sul Nottetempo. Lo conoscete? Dev'essere divertentissimo.»
«Io no che non lo conosco; perché è divertentissimo, Mad?»
«Ah, già, è vero. Tu sei figlia di Babbani. Il Nottetempo è un autobus bellissimo che va in giro trasportando maghi che hanno bisogno di viaggiare. Ti porta ovunque tu chieda di andare. A parte sott'acqua. Dev'essere troppo bello, sempre gente nuova e sempre posti nuovi. E poi mi piace da matti il suo modo di viaggiare. Un giorno devi provarlo, Brain, ti divertirai sicuramente un sacco.»
Laura Madley, detta “Mad” per motivi che appaiono evidenti a chiunque la conosca da più di dieci minuti. Grifondoro ha i gemelli Weasley, Corvonero ha Luna Lovegood, ma anche Tassorosso sa di potersi difendere.
«E tu, Brain, cosa vorresti fare?»
«Da piccola volevo fare il medico, come mio zio. Lui ha un ambulatorio a Didsbury.»
«E ora hai cambiato idea?»
«Adesso che so di essere una strega, potrei fare la guaritrice.»
«L'anno scorso uno dei miei cugini ha avuto il Vaiolo di Drago» intervenne Owen. «Per fortuna l'ha contratto in forma leggera, ma non ti ci potevi avvicinare. E il medimago doveva farlo. Bleah! Non farebbe per me.»
«E' vero, se fai il medimago devi occuparti di un sacco di cose davvero repellenti.»
«E se un giorno dovessi visitare, che so, mastro Gazza? Io mi rifiuterei.»
«Oh, no! Saprei esattamente cosa fare.»
«E cosa faresti?»
«Gli direi: “Prego, signor Gazza. No, non si spogli, so già tutto. Comincerei con un trattamento dermatologico integrale: una idrodetersione per la rimozione delle difformità cromatiche e l'abbattimento degli stimoli olfattivi. Poi, per restare sulle cose urgenti, effettuerei una terapia igienica del cavo orale. Completa, totale e approfondita. Sono cose che si possono fare anche in day-hospital, sa? Poi, per essere sicuri del risultato, le consiglierei di sottoporsi anche a una tricotomia con risistemazione dell'area pilifera craniale. Potrebbe essere impegnativa, ma ne vale la pena.»
Eleanor “Brain” Branstone: l'equivalente Tassorosso di Hermione Granger. E, tutto sommato, con una media di voti paragonabile. Indubbiamente la scienziata del gruppo, e quella con l'humor più upper class dell'intera casa. Forse anche troppo. Owen accennò un sorriso e fece un cenno di approvazione con la testa, gli altri due si guardarono e sui loro volti passò quell'espressione, priva di qualsiasi complicità, di due che hanno il sospetto di dover ridere, ma non riescono bene a capire perché.
Eleanor agitò una mano davanti agli occhi della compagna:
«Mad, torna tra noi. Smetti di correre nei prati e mettiti a studiare, su.»
L'altra colse la palla al balzo:
«Nei prati ci sono le mucche. Sapete qual'è il colmo per una mucca? Soffrire di raffreddore da fieno!»
Eleanor si batté la mano sulla fronte.
«Allora, ci sono i sette nani, no? Quelli di Biancaneve. E un giorno vanno al bar per bersi un té tutti assieme. Però il bancone è altissimo e loro sono bassissimi, no? Allora si mettono d'accordo: il più forte si mette a quattro gambe davanti al bancone, poi il secondo gli salta sopra, poi il terzo ancora sopra, poi il quarto, il quinto, il sesto, finché l'ultimo, arrampicandosi, sbuca fuori sopra il bancone e urla al barista: “Sette té!” E quello lo guarda e gli risponde “Buh-buh”».
«Raggelante...» fu il commento di Eleanor. Ma gli altri stavano ridacchiando apertamente. Per quanto consentito dal trovarsi in biblioteca.
«Sapete cosa ci fanno i sette nani chiusi in un orologio?» rincarò la dose Mad Laura. «Semplice, fanno i minuti!»
Owen si teneva la bocca con le mani e tremolava cercando di ridere in silenzio.
Eleanor sbuffò, infastidita. Anche senza confrontarlo con Mad Laura, Owen non era affatto male come compagno di studi. Era anche abbastanza carino e un pensierino ogni tanto, Eleanor ce lo faceva. Ma se c'era una cosa che la contrariava, dannazione, era che lui rideva molto più alle battute di Laura che alle sue. “Cosa ci troverà poi da ridere, in certe sciocchezze”.
Gelosie tra compagne a parte, Laura era effettivamente l'unica che fosse mai riuscita a far davvero sbellicare “Cold” Owen. E, forte del suo successo, stava continuando imperterrita.
«Due pescecani si incontrano in fondo all'oceano. Si guardano per due secondi, poi esclamano in coro: “Incredibile! Siamo proprio tali e squali!”»
Eleanor rischiò di strozzarsi e di darsi la penna in un occhio.
«Saranno stati due pesci gemelli» commentò Owen.
«No, i pesci davvero gemelli li riconosci, sono i dentici» rispose subito Laura, ammiccando per evidenziare il gioco di parole. La battuta però ebbe un effetto minore delle precedenti, e Cold Owen si limitò al solito sorrisetto. Fatto, questo, che fece fare a sua volta un sorrisetto a Eleanor, ma i due secondi perduti a godersi la scena le impedirono di bloccare Mad Laura in tempo, prima che partisse con la freddura successiva:
«I giapponesi sono esperti di pesci: ne mangiano un sacco. A proposito: il bambino più brutto del mondo è giapponese. Sapete come si chiama? Soshito Nakaga-»
Ma quando era troppo, era troppo:
«Mad!» la bloccò Eleanor. «L'ultima volta che te ne sei uscita con battute del genere siamo stati mandati a studiare giù in sala comune. Non voglio dover fare quella figuraccia di nuovo» le sibilò contro.
«-ta» concluse Laura. «Dai, Brain, ne dico solo un'altra. Lo sapete come si chiama...»
«Mad, sto per picchiarti con questo libro » minacciò Eleanor, brandendo una copia di Storia di Hogwarts che si trovava sul tavolo.
«Veramente lo stavo usando io, Brain, per favore...»
«Scusa, caro. Tieni. Mad,» intimò puntando un indice verso la compagna, «sei diffidata dal fare altre scene delle tue per i prossimi venti minuti almeno, altrimenti mi vedrò costretta a picchiarti con il libro di Incantesimi».
Gli ordini sono ordini, soprattutto se a darli è Eleanor, alla quale tutti devono già almeno un favore in ambito studio&ripasso. Mugugnando, Laura chinò la testa sui propri compiti.
Passarono dieci minuti tranquilli, finché Owen, girando l'ennesima pagina, si lasciò sfuggire un sospiro avvilito.
«Tutto bene, Cold?»
«Questa roba è... tanta! Spaventosamente tanta! Mi sta sommergendo!»
«Problemi con lo studio? Serve aiuto?» chiese Eleanor.
«Grazie ma, per capire, capisco tutto» spiegò Owen. «Ma questa massa di roba è avvilente; non mi serve aiuto, mi serve supporto morale.»
Mad Laura saltò su immediatamente:
«Compra anche tu un pratico supporto morale, avrai in omaggio una simpatica pacca sulla spalla!» declamò, battendo affettuosamente sulla spalla di Owen.
Owen fece un mezzo sorriso.
Anche Kevin aveva sorriso. Anche se non aveva ricevuto pacche sulla spalla.
Oh, già. Dimenticavo: Kevin Whitby, detto “White”. White è spesso usato in inglese come sinonimo di “uncool”. Uno che non sa ballare, non sa cantare, uno scoordinato e sempre preoccupato per i compiti.[1] Uno un po' sfigato, insomma.
Per dirla tutta, quello del libro di storia, prima, era lui.
C'è anche da dire che la sfiga, che (com'è noto) al contrario della fortuna ci vede benissimo, i suoi bersagli li sceglie fra quelli già predisposti. Per esempio: Eleanor si sarebbe accorta subito se due burloni del quarto anno le avessero sottratto la sua penna-prendiappunti nuova e l'avessero sostituita con una penna normale. Kevin invece non se n'è ancora accorto. Ma sta facendo una ricerca per il professor Rüf, e ha appena trovato su Storia di Hogwarts un brano che è meglio ricopiare. Solleva la sua (presunta) penna-prendiappunti, la appoggia sulla pagina, e prima di realizzare cosa è successo ha già tracciato una bella serie di linee nere sul testo.
«Oh, no! Per la miseria, ho fatto un guaio!» esclamò a voce alta.
«Shhh! E se urli ne fai un altro!» gli sibilò Eleanor, girando lo sguardo per vedere se la bibliotecaria era nelle vicinanze.
«Cos'hai combinato stavolta, White?» si informò educatamente Laura.
«Ho sporcato Storia di Hogwarts!» sussurrò Kevin in tono contrito. «La Pince si arrabbierà! Mi leverà un sacco di punti!»
«Dai, tranquillo, White. Stasera chiediamo a Diggory di far sparire le macchie, vedrai che si rimedia tutto» intervenne Owen.
«Stasera, sì... No! Stasera è troppo tardi!» rispose Kevin, sentendo il panico avvicinarsi.
«Perché troppo tardi?» chiese Laura.
«Perché l'ho preso in prestito martedì scorso! Devo riconsegnarlo oggi, prima che la bilioteca chiuda.»
«Ma no, dai. White, non farti sempre prendere dal panico» cercò di consolarlo Laura. «Basta che rinnovi il prestito, no? Lo riprendi per un'altra settimana e avrai il tempo di mettere tutto a posto. Vedi, non c'è problema.»
«Dici davvero?» chiese Kevin speranzoso.
Ma intervenne Eleanor: «Direi di no, temo.»
Kevin ripiombò nel panico: «Perché no?»
«Perché il prestito è di una settimana, ossia sette giorni: se l'hai preso di martedì, dovevi riportarlo di lunedì, ossia ieri. Sei in ritardo di un giorno.»
«Ma, ma, ma... Oh, no!» Kevin si prese il viso fra le mani.
I suoi tre compagni alzarono gli occhi al cielo.
Owen gli batté una mano sulla spalla.
«Dai, White. Fatti coraggio e vai a chiedere che ti rinnovi il prestito. Così non conta più che sei in ritardo, e stasera ti mettiamo a posto il libro.»
«E se non me lo rinnova? A me il libro serve ancora per la ricerca.»
«Se non te lo rinnova,» intervenne di nuovo Eleanor, «vado io a prenderlo in prestito appena l'hai riconsegnato. Dai White, non disperarti ogni volta per tutto!»
Eh, la facevano facile, loro. Ma il povero Kevin aveva la sensazione di avere un laccio attorno al collo che si stringeva di minuto in minuto, inesorabile. La consapevolezza che sarebbe stato colto in fallo davanti a tutti, avrebbe fatto perdere punti alla sua casa, e si sarebbe vergognato da morire.
«E se si accorge delle righe?» mormorò.
«Tu spera che non se ne accorga» riprese Owen. «Hai sporcato una pagina su un libro che ne ha ottocento, le probabilità sono a tuo favore. E comunque non puoi fare altro.»
«Allora... Vado adesso?» chiese Kevin esitante.
Gli altri annuirono.
«Forza White!» lo incoraggiò Laura «Via il dente, via il dolore! Ma ricordati che una mela al giorno leva il medimago di torno! Meglio un uovo di drago oggi, che un drago adulto domani!»
Decisamente poco confortato, Kevin si avviò verso il banchetto della bibliotecaria, mentre alle sue spalle Eleanor chiedeva a Laura cosa diamine c'entrasse l'uovo di drago con tutto il resto.
«Secondo me l'uovo di drago rappresenta la grana del prestito, no? E allora se fai la frittata subito, invece di aspettare che...» fu ciò che Kevin riuscì a cogliere della risposta mentre si allontanava.
L'immagine di sé che andava ad affrontare un drago per “fare la frittata” descriveva benissimo il momento presente. Ma avrebbe preferito non averla sentita.

«Whit- hem W-Whitby, miss Pince» balbettò Kevin quando fu davanti alla donna. «Vole- volevo chiedere se potevo rinnovare il prestito di questo libro...»
«Dia qui un momento, giovanotto» rispose secca la bibliotecaria. Guardò il libro e, senza neanche consultare il proprio registro, esclamò: «Lei è in ritardo di un giorno.»
«S-sì, ma mi chiedevo se era poss-».
«No, non è possibile, avrebbe dovuto farlo ieri. Mi spiace, ma ci sono già altre richieste.»
“Altre richieste”, realizzò Kevin, significava che nemmeno Owen o Eleanor avrebbero potuto farselo prestare: impossibile rimediare al danno. A quel punto pensò che era meglio provare a defilarsi.
«Capisco, ehm, allora io... verrò a richiederlo, ehm, domani...» disse cominciando ad arretrare.
«Aspetti un momento, giovanotto» lo bloccò madama Pince. «Prima devo controllare.»
La bibliotecaria aveva iniziato a sfogliare rapidamente le pagine del grosso volume, e Kevin aveva iniziato a sudare freddo.
“Una pagina su ottocento” cercò di ripetersi mentalmente. “Vedrai che non riuscirà a vedere proprio que-” ma non riuscì a finire di dirselo, che madama Pince ebbe un sobbalzo e alzò su di lui due occhi carichi di disapprovazione.
“Ecco...” fu tutto quel che Kevin riuscì a pensare.
«Lei ha rovinato il libro che aveva ricevuto in prestito.» Il tono della donna doveva essere stato elaborato nel corso del tempo per far percepire al malcapitato tutta la gravità e la bassezza del suo gesto. Su Kevin funzionò a meraviglia.
«E, per giunta, lo ha restituito in ritardo. Lei è espulso dalla biblioteca, per sette giorni.»
«S-sette giorni!?» cercò di protestare Kevin. «Ma io devo finire un tema e una ricerca per dopodomani!»
Madama Pince fu inflessibile.
«Non alzi la voce. Queste sono le regole. Sette righe: sette giorni! Da ora.»
Agitò la bacchetta e Kevin si ritrovò in un corridoio, davanti ad un muro. Boccheggiò per un po' sul posto, fissando il muro comparsogli davanti così repentinamente; poi arretrò di un paio di passi e prese a guardarsi intorno. Il corridoio aveva un'aria familiare, ma d'altronde molti dei corridoi di Hogwarts erano simili tra loro. Questo assomigliava parecchio al corridoio del terzo piano. Davvero parecchio. Avresti potuto dire che era il corridoio del terzo piano, a parte che mancava la porta della biblioteca. Avrebbe dovuto essere sul lato sinistro del corridoio. C'era solo quella, era soprattutto per questo che riconoscevi il corridoio del terzo piano. Solo che non c'era. Kevin si girò di qua e di là un paio di volte, esaminando il corridoio nella speranza che la porta ci fosse, magari un po' più in là, magari dietro la statua che stava lì a qualche metro, e che fosse lui a non averla vista subito.
Niente.
Non c'era.
Non era un problema da poco: sul tavolino, accanto agli altri, erano rimasti i suoi compiti da finire, la sua penna, la borsa con i suoi libri. I compiti da finire. La ricerca! E doveva anche trovare qualcuno che prendesse in prestito Storia di Hogwarts per lui al più presto. Uffa.
Doveva ritrovare la porta della biblioteca e riprendersi le sue cose. Almeno avrebbe potuto finire i compiti giù in sala comune.
Sì, ma in quel corridoio non c'era nessuna porta.
Forse non era il corridoio del terzo piano. In fondo lui era lì solo dall'inizio dell'anno scolastico, non conosceva ancora nei dettagli tutto il castello. Forse quello era solo un corridoio che non aveva mai frequentato. Comunque avrebbe potuto chiederlo a quei due ragazzi più grandi di lui che si stavano avvicinando. Erano anche di Tassorosso, avrebbero aiutato un compagno di casa in difficoltà.
Si girò ancora una volta per un ultimo controllo (sarebbe stato imbarazzante se gli avessero detto “ce 'hai davanti al naso”), ma quando si voltò di nuovo i due ragazzi erano spariti.
Puff, svaniti. Anzi, senza neanche il puff. Avrebbero dovuto superarlo entro pochi secondi. Ma non lo avevano fatto. E non erano nemmeno tornati indietro, Kevin non si era voltato per più di un paio di secondi, avrebbe dovuto vederli allontanarsi.
Volatilizzati.
Kevin conosceva bene quella sensazione: quella che ti avvolge in quei momenti in cui tutto dovrebbe andare secondo i piani perché non può fare altrimenti, ma non lo fa. La odiava, la temeva, ma la conosceva bene. Quei ragazzi procedevano verso di lui in un corridoio senza porte. In pochi secondi sarebbero stati davanti a lui, lui avrebbe chiesto loro dove fosse e come arrivare alla biblioteca, sarebbe rientrato a prendere le sue cose e avrebbe potuto finire i compiti. Semplice e lineare. Inevitabile. Tranne che non era successo.
Cercando di non abbattersi, si voltò e si avviò per andare alla ricerca del corridoio del terzo piano, ma dopo pochi passi un suono di voci lo fece voltare: due studentesse con i colori di Corvonero si allontanavano lungo il corridoio, chiacchierando del più e del meno.
E quelle da dove accidenti erano sbucate?
Si allontanavano da lui. Ma non erano passate vicino a lui. Pareva che dovessero essere spuntate dal muro. Sarebbe stato interessante chiederglielo, ma Kevin sapeva benissimo che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una domanda simile a due ragazze, che dall'aspetto erano almeno del quinto o sesto anno, e per giunta di Corvonero.
La vergogna di essere stato espulso dalla biblioteca sarebbe stata sufficiente a fargli venire un groppo in gola, ma la frustrazione stava per farlo davvero scoppiare in lacrime.
E proprio mentre stava lì, immobilizzato a chiedersi il perché di una simile sfortuna, successe: Mad Laura uscì letteralmente dal muro a qualche passo da lui.
Il mento di Kevin minacciò di arrivare a toccargli al petto. Laura si guardò attorno, lo vide e, apparentemente inconscia del prodigio appena compiuto, gli si avvicinò e gli disse:
«Oh, bene, eccoti qui. Ci chiedevamo dove fossi andato.»
«M-mi ha es-espulso d-dalla bib-biblioteca» riuscì a rispondere Kevin.
«Oh, White, ma com'è possibile che capitino tutte a te? Va bé, dai, stai tranquillo, vieni a riprenderti le tue cose, te lo prendo io Storia di Hogwarts in prestito».
E così dicendo, Laura si voltò e scomparve di nuovo attraverso il muro, lasciando nuovamente Kevin piantato lì con la bocca aperta.
Un momento! Poteva essere un meccanismo come quello del binario nove e tre quarti! Forse il varco per la biblioteca era solo nascosto, ma si poteva passarci attraverso. Kevin si avvicinò speranzoso al muro e toccò il punto in cui la ragazza era scomparsa: solida pietra.
Fece due passi indietro e fissò la parete, nuovamente perplesso.
E in quel momento Mad Laura emerse nuovamente.
«Bé? Vieni o no?» chiese.
«Non posso, mi ha espulso...» cercò di spiegare Kevin.
«Va bene. Entri, prendi le tue cose e esci di corsa. Andiamo» e scomparve di nuovo.
Kevin fissò il muro con disperazione. Laura riemerse e lo acchiappò per un braccio:
«Forza, dai, non fare storie e entra!» disse strattonandolo verso la porta.
«No-no-no-no aspetta non capisci... ahi! OUCH!» fece quando la sua mano impattò sul muro, seguita a ruota dalla testa.
Kevin si ritrovò seduto a terra al centro del corridoio. Si poggiò la mano sana sulla fronte, alzò lentamente lo sguardo, e il suo cuore saltò un battito quando dalla pietra emerse solamente la testa di Laura.
«Si può sapere cosa ti prende?» chiese la testa, stizzita. «Cos'è questa bambinata?»
«Mi ha espulso dalla biblioteca, non posso rientrare!»
«Ho capito, ma devi solo riprenderti la borsa e poi te ne vai.»
«Non hai capito, non è che non voglio rientrare in biblioteca, io neanche vedo la porta! Vedo la tua testa che sporge da un muro!»
La testa di Laura ruotò su sé stessa guardando da una parte all'altra.
«Ma se sono sulla porta! Guarda...» la punta di alcune dita emerse dal muro, «questo è il battente chiuso...» le dita corsero in verticale dal basso in alto, «e di qua c'è il battente aperto...» le dita si spostarono verso sinistra di qualche pietra.
Quella vista diede a Kevin un accenno di nausea.
«Ti giuro che io non...»
Laura uscì dal muro e gli andò accanto.
«Smettila di prendermi in giro, White...» disse in tono paziente. «La porta è davanti a noi, ed è aperta.»
«Io ti credo, Mad, senz'altro...» piagnucolò Kevin. «Ma non la vedo, e non riesco a passarci attraverso. Guarda!»
Così dicendo si alzò, appoggiò le mani al muro e spinse con forza.
«Vedi?»
«Grazie tante» fece Laura. Lo prese per le spalle e lo spostò di mezzo metro a sinistra, piazzandolo esattamente davanti al battente aperto.
«Prova adesso, magari.»
Kevin appoggiò di nuovo le mani sul muro e spinse di nuovo.
«Vedi?»
«White...» sibilò Laura in tono di avvertimento.
«Non sto facendo apposta! Lo giuro!» pigolò il poveretto.
Laura gli si appressò, gli afferrò le spalle da dietro e lo spinse in avanti.
«Smettila di fare lo stupido...» disse mentre la testa stava per entrare nel varco.
Ma, da lì in poi, il povero Whitby non avanzò di un centimetro.
«Ahia, ahia! Smettila, mi fai male!» singhiozzò.
Senza smettere di spingere, Laura si chinò in avanti e guardò da vicino la faccia di Kevin. La guancia era schiacciata come se fosse appoggiata al muro, e oltre poteva vedere l'interno della biblioteca. Allungò una mano, che passò tranquillamente oltre la porta e la faccia premuta sul niente.
«Oh, per la miseria...»
E, finalmente, il povero ragazzo fu lasciato andare e si staccò dalla parete.
«Mi credi, adesso?» le chiese lui, massaggiandosi la guancia.
«Me lo ricorderò: mai riportare un libro in ritardo. Mai.» fece lei.
Se gliel'avessero raccontato, Laura avrebbe trovato la cosa molto esilarante, e avrebbe riso di gusto. Invece stava vedendo accadere tutto ciò in prima persona, al povero Witby, che aveva il pregio di attirare su di sé qualunque sfiga concepibile. Trovava il tutto ugualmente esilarante, ma sentiva quel minimo di compassione per il proprio compagno che le impediva di ridergli in faccia. Così si limitò a dire affettuosamente:
«Sai White? A volte mi chiedo perché ti chiamiamo così. Ma tu provvedi sempre a ricordarmelo.»
Kevin cercò di prendere la cosa come un complimento, ma si stava ancora massaggiando il viso dolorante, e il tentativo non gli riuscì molto bene.
«Io invece non potrei mai scordarmi perché ti chiamiamo così, Mad Laura» disse in tono mesto. Si avviò lungo il corridoio. «Credo che andrò a mettermi dell'acqua fresca sulla faccia. A dopo...»




Non c'è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di una biblioteca.

Barbara Tuchman





Doverose note dell'autore:
Ok, qui il libro è poco più che un accenno. Diciamo che questo capitolo potrebbe essere considerato uno spin-off.
Se vi va.
Se no pazienza.

Salve! Questa volta ci sono voluti solo sei mesi per un aggiornamento, è un passo avanti, no? È che nel frattempo ho trovato lavoro (finché dura, e durerà ancora poco) e ho cambiato città (finché dura il lavoro, poi si riparte). E soprattutto, sto sprecando la mia poca e altalenante creatività “letteraria” per una long che non pubblicherò MAI perché non riuscirò mai a riempire gli enormi vuoti di trama che sto amorevolmente spalancando.
Ma sappiate che prima o poi aggiornerò ancora questa raccolta.
Intanto, come sempre ringrazio chi ha letto, recensito lo scorso capitolo, e chi mi ha aggiunto fra i propri autori preferiti. Mi spiace, non sono molto prolifico, ma spero che quel che scrivo meriti l'apprezzamento.
Grazie ancora, saluti!

Dimenticavo! Eleanor, Kevin, Laura e Owen non li ho inventati io: vengono tutti smistati a Tassorosso nel "Calice di Fuoco". Giusto per chi non se ne ricordasse.

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Capitolo 22
*** Ricordi di famiglia ***


Capitolo 2 - Appunti

Ricordi di famiglia

[…] chi tocca questi libri, lo disse già il poeta, tocca un uomo.

Manuel Neila

* * *

Francia del sud, una stretta valle tra le ultime propaggini dei Pirenei.

Il mago percorreva lo stretto sentiero tra i colli più velocemente che poteva, conducendo per le briglie il proprio cavallo. Fissate alla sella, due borse contenevano tutti i suoi averi. Non c'era voluto nessun incantesimo allargante per farceli stare: qualche abito, i pochi oggetti personali che teneva con sé lì a Beauxbatons. Il resto, oramai era perduto. Perduti per sempre il padre e i fratelli, perduti gli averi della sua famiglia; i cimeli di una stirpe antica quanto la Francia, i libri raccolti, e scritti, dai suoi avi con il loro tesoro di sapere, le ricchezze di cui avevano goduto, tutto andato, bruciato, distrutto o confiscato in nome del popolo. Non sarebbe rimasto in quel paese un minuto più del necessario. Il tempo di arrivare a Bordeaux e trovare una nave per l'Inghilterra, e avrebbe scosso dagli stivali fino all'ultimo granello di polvere francese. Ma prima ancora, appena avesse lasciato la valle, avrebbe scosso fino all'ultimo granello di polvere di Beauxbatons. Scuola di parole vuote, ritrovo di bugiardi, rifugio di ignavi e covo di traditori.
Trasalì quando un forte CRACK! annunciò la comparsa di un altro mago proprio sul sentiero.
«Non così in fretta, monsieur» disse quest'ultimo.
Il mago viandante estrasse immediatamente la bacchetta.
«Mastro Abelàrd,» sibilò con disprezzo, «fatevi da parte e sparite dalla mia vista. Non intendo sopportare un'altra parola, da voi o da chiunque altro.»
Il nuovo arrivato sussultò, ma poi cercò di mostrarsi risoluto.
«Siete libero di andare dove volete, monsieur Ludovic, ma il libro che avete preso con voi rimarrà qui. Appartiene all'Accademia, io sono il bibliotecario, rendetemelo.»
«Il libro?» fece monsieur Ludovic, per metà stupito e per metà indignato.
«Tutto ciò che vi importa è il libro? Ebbene, non c'è una sola lettera di quel libro che non sia stata vergata dalla mia famiglia, ed è tutto ciò che ne resta. Preferirei bruciarlo che lasciarlo a Beauxbatons. Fatevi da parte!»
Mastro Abelàrd non si spostò.
«Dovete lasciare il libro! Quel libro fa parte dei segreti dell'Accademia e non può essere trafugato» disse.
Monsieur Ludovic sentì montare la collera.
«Vadano al diavolo i segreti della vostra scuola! Questi non sono segreti dell'Accademia, sono gli sforzi della mia famiglia, dei miei avi e di mio padre. E verranno con me: Beauxbatons non li merita di certo.»
Mastro Abelàrd si accigliò a sua volta.
«Come sarebbe non li merita?» chiese arrossendo.
«Ritenete forse l'Accademia responsabile? Vi sembriamo dei sanculotti? Monsieur, capisco che siate sconvolto ma l'Accademia non ha certo col– »
«L'Accademia non ha fatto nulla!» lo interruppe Ludovic. «Nonostante tutto quello che i Le Corbin hanno sempre fatto per Beauxbatons, l'Accademia non ha fatto nulla! E voi e quel pavido traditore del Rettore ne siete i primi responsabili!»
Punto dagli insulti, Abelàrd gonfiò il petto.
«Come potete insinuare– »
«Come posso? Credete che non ricordi i discorsi vostri e del Rettore? Che questi illuministi, con la loro scienza, erano un bene perché non credevano all'esistenza dei maghi. Che questi Girondini democratici non sarebbero certo stati un pericolo per noi. Libertà, uguaglianza e fraternità. I miei fratelli ghigliottinati, questa è la loro Fraternità! Mio padre chiuso in prigione e costretto ad assistere, ecco la Libertà! E la mia casa, e tutto ciò che di bello e di buono i Le Corbin avevano costruito, saccheggiata e data alle fiamme, questa sarebbe l'Uguaglianza! E voi, infidi vigliacchi, l'avete permesso senza muovere un dito! Peggio! Mi avete trattenuto qui perché non corressi in loro soccorso!» Ludovic si era avvicinato al bibliotecario e ora torreggiava minaccioso su di lui, che si ritrasse.
«È stato per il bene di tutti!» pigolò il mago, cercando di farsi indietro. «Non possiamo immischiarci negli affari dei babbani! Dobbiamo proteggere la comunità magica e impedire che venga scoperta, non possiamo– »
«Tacete, sudicio infame! Proteggere la comunità magica, dite? Non sono forse io un mago? Non lo era mio padre? È stato uno dei vostri insegnanti, o l'avete dimenticato, omuncolo infido?»
«Ma i vostri fratelli...» balbettò Abelàrd, ma si zittì all'espressione di monsieur Ludovic, e al guizzo della sua bacchetta.
«Nella mia famiglia ci sono sempre stati dei non maghi. Questo non ha mai fermato l'Accademia, quando si è trattato di accettare le nostre donazioni. I miei antenati arricchivano la biblioteca di Beauxbatons quando ancora i vostri ne ignoravano l'esistenza. Ma voi non sapete cosa siano la famiglia o la lealtà, e mai più mi fiderò di voi o di Beauxbatons. Me ne vado per sempre. Ve lo ripeto per l'ultima volta, Mastro Abelàrd: per il vostro bene, fatevi da parte e sparite dalla mia vista.»
Negli occhi di Abelàrd si accese una scintilla.
«E così fuggite! Mi date lezioni sulla lealtà, e poi fuggite! Non avete appena detto che vostro padre è prigioniero? E lo abbandonate?» disse puntando un indice accusatore. Sentiva che forse aveva trovato la chiave per riavere il libro a cui agognava.
«Fate male a voltare le spalle a Beauxbatons. L'Accademia può ancora aiutarvi. Rendete il libro, e avrete l'aiuto che serve a liberare vostro padre.» Era un'offerta che Le Corbin avrebbe accettato, ne era certo. Per lui la famiglia era tutto, e questa era la sua debolezza.
Lo schiaffo di Ludovic fu così forte da farlo barcollare.
«Ora parlate di dare aiuto, e avete anche il coraggio di chiedere qualcosa in cambio!» urlò. «Spregevole serpe! Avete permesso che un uomo anziano e infermo fosse imprigionato e costretto ad assistere all'uccisione dei suoi figli, e non vi siete disturbato a conoscerne la sorte. Mio padre è morto di crepacuore, mentre voi mi tenevate bloccato per impedirmi di immischiarmi nelle faccende babbane. Dovrei uccidervi qui dove siamo, voi e l'Accademia siete responsabili della sua morte!»
Tutto, nel contegno di Ludovic Le Corbin, indicava che era pronto a qualsiasi cosa, ma se era vero che Mastro Abelàrd non stimava il valore della famiglia e delle persone, era altrettanto vero che per lui una sola cosa importava: la lealtà al suo ruolo di bibliotecario. Così, invece di fuggire, scelse di tentare il tutto per tutto.
«L'Accademia, l'Accademia conta molto più di qualsiasi famiglia!» urlò a sua volta. «Io sono responsabile verso l'Accademia, sopra ogni altra cosa. Sono responsabile della protezione dei suoi segreti da tutto, anche dalle pazzie di un mago alterato, e non permetterò che sottraiate questo libro. Andate dove volete, ma il libro resterà a me. Accio!»
Da una delle sacche sul cavallo volò fuori un grosso tomo nero, decorato con disegni d'argento, e finì nella mano del bibliotecario.
«Fermo lì!» urlò Ludovic, puntando la bacchetta. Le gambe di Abelàrd si bloccarono e il mago, invece di ruotare su se stesso e sparire, si accasciò al suolo. Con un gesto accennato, Ludovic appellò a sé la bacchetta dell'altro.
«Vigliacco, traditore e ora anche ladro.»
Bruciava letteralmente di rabbia. Con tutto quel che stava succedendo in Francia, con tutto quel che era già successo, quel viscido, meschino rospo riusciva a pensare solo al suo mucchio di libri polverosi. Gettò a terra la bacchetta del bibliotecario e la calpestò fino a frantumarla, mentre Abelàrd lo fissava, troppo atterrito per emettere suono.
«Sia come volete» sibilò Ludovic. «Volete questo libro? Bene, rimarrete sempre con lui.»
Agitando la bacchetta, inizio a recitare un lungo incantesimo. Mastro Abelàrd inizio a supplicare, poi ad urlare, ma lui non si fermò. Una luce sfavillante avvolse il mago a terra, che ancora gridava stringendo il libro nero. Un ultimo lampo abbagliante, e calò il silenzio.
A terra rimaneva solo il libro. Di Mastro Abelàrd non c'era più traccia.
Ludovic andò ad inginocchiarsi davanti al libro chiuso. Nessuno gli avrebbe portato via l'ultima reliquia della sua famiglia.
Aprì il libro e fu investito da un grido penetrante. La voce disperata dell'ex-bibliotecario di Beauxbatons echeggiava dalle pagine. La bacchetta sferzò l'aria.
«Tacete, Abelàrd!»
Il libro fece silenzio, e Ludovic Le Corbin lo chiuse e lo raccolse con un gesto amorevole, avviandosi a riporlo nella sacca da viaggio.
"Ecco, siete contento adesso, Mastro Abelàrd? Ora rimarrete per sempre assieme ai vostri preziosi segreti. Con voi che urlate così, vedrete che resteranno al sicuro. State tranquillo, avrò cura che questo volume venga conservato coi dovuti riguardi, lassù in Scozia. Dicono che la casa di Priscilla Corvonero accolga sempre con favore chi le porta nuove conoscenze. Sembra fare proprio per me."
Arrivato allo sbocco della valle sulla pianura, l'ultimo Cavaliere di Le Corbin scosse platealmente la polvere dai propri stivali, prima di Smaterializzarsi verso Bordeaux, diretto a una vita di esilio in Gran Bretagna.

Spazio Autore:
Capitolo scritto sotto la spinta dell'iniziativa "Caro Babbo Natale… again!" indetta su Pseudopolis Yard. Nello specifico, spero risponda alla letterina scritta da Lilith Hedwig che chiedeva "qualcosa (sempre angst) su Harry Potter, magari un missing moment o qualcosa che sappiamo essere accaduto nel passato". È su Harry potter, è nel passato, chi mi conosce sa che l'angst non è proprio il mio genere, fatemi sapere se ci sto dentro.
Speravo di riuscire a postarla prima di capodanno, per poter dire di aver pubblicato più di un capitolo all'anno, ma pazienza. Cercherò di arrivare almeno a due per il 2015. Ho dodici mesi, forse posso farcela. Restando in tema, grazie a chi, dieci mesi fa, mi ha fatto sapere di apprezzare comunque la raccolta anche se aggiorno ogni dimissione di papa.

Chiaramente, vi sfido a essere le più rapide/i più rapidi a dirmi dove compare nella saga il libro in oggetto.
Sappiate che odio Elos per essersene ricordata in 0.25 secondi. Quella ragazza non mi da mai soddisfazione.

Mi sembra sia tutto. Buon anno e...

Al prossimo libro!

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