Yanâd di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # ênâdu Fíli ***
Capitolo 2: *** # ênâdu Kíli ***
Capitolo 1 *** # ênâdu Fíli ***
Yanâd
01 # ênâdu Fíli
Thorin
Scudodiquercia era un guerriero consumato.
Aveva
assistito alla venuta del drago Smaug ed al saccheggio di Moria
per mano degli Orchi.
Eppure,
mentre passeggiava avanti e indietro, gli sembrava di non
essersi mai sentito tanto nervoso in vita sua.
Lanciò
un’occhiata al telo che divideva in due la
tenda e lo separava dal giaciglio di sua sorella.
In
quel momento, Dís stava partorendo, assistita da
Óin e da una vecchia levatrice. Anche suo marito si trovava
con lei – Thorin riusciva a sentire i suoi mormorii
d’incoraggiamento tra le istruzioni del guaritore e i mugolii
affaticati di Dís.
Cercando
di controllare la propria ansia, il primogenito di
Thráin si sedette sullo sgabello sgangherato che, insieme ad
una lampada ad olio, costituiva tutto il mobilio presente in quella
parte della tenda.
Aveva
fatto male i conti. Aveva pensato che lui e la sua famiglia e il
suo popolo sarebbero riusciti a raggiungere il villaggio successivo in
tempo per la nascita del bambino. Che Dís avrebbe potuto
partorire nella stanza di una locanda – non il massimo, ma
certamente meglio di una tenda piena di spifferi, senza contare che al
villaggio sarebbero riusciti a procurarsi più medicinali e
strumenti per Óin.
Ma
ahimè, alcuni imprevisti avevano rallentato il loro
pellegrinaggio, e questo era il risultato.
Se
qualcosa fosse andato storto… Thorin si impose di trarre
un respiro profondo. Dís era forte. Sarebbe andato tutto
bene.
Era
difficile crederci, però – nel vagabondaggio
da Erebor e Moria era già morta di parto più di
una madre.
Dall’altra
parte del telo giunse un improvviso silenzio che
indusse Thorin a serrare i pugni sino a conficcarsi le unghie nella
carne e ad assumere una posa piena di tensione. Era successo qualcosa a
Dís? Possibile che… che il bambino fosse nato
morto?
La
sua agonia durò solo un momento: l’istante
dopo, un pianto deciso e veemente riempì l’aria.
Il
sollievo fu tanto potente che per poco Thorin non
s’accasciò in avanti. Riuscì a
controllarsi, invece, e fissò il telone che lo separava da
sua sorella.
Ora
che il pianto stava calando di volume, poteva sentire i sussurri di
Dís.
Nello
stesso momento in cui il neonato si chetò del tutto,
il telo divisorio ondeggiò, ed il viso rugoso ed il naso
appuntito di Óin fecero capolino per annunciare:
«Stanno bene tutti e due. È un maschio».
Thorin
lasciò andare un respiro che non si era reso conto di
star trattenendo, e rivolse un cenno del capo al vecchio medico.
«Ti ringrazio».
L’altro
si limitò a ciabattare verso di
lui… E in quel momento altri due Nani entrarono nella tenda:
Balin, con la sua barba candida e i suoi occhi acuti, e Dwalin, che con
la sua statura imponente torreggiava sul fratello più
anziano.
«Allora?»
s’informò il primo,
con un’occhiata verso Óin. «È
fatta?»
Thorin
annuì, e Dwalin avanzò di un passo.
«Dís?» domandò.
«Sta
bene» rispose il primogenito di
Thráin. «Stanno bene tutti e due. È un
maschio».
Balin
sorrise, sfregandosi le mani, e anche Dwalin parve apprezzare
quelle notizie.
Forse,
in un’altra occasione, se ne sarebbero andati una
volta appurate le condizioni di salute di madre e figlio, per poi
tornare a visitare Dís quando avesse avuto una buona notte
di riposo.
Ma
siccome Thorin non aveva figli propri e il neonato era il
primogenito di sua sorella, c’era ancora una cosa da fare.
Tutti
gli occhi si puntarono sul telo quando il marito di
Dís ne separò goffamente i due lembi e lo
attraversò, reggendo un cesto in vimini con la cura
più religiosa.
Thorin
si protese appena in avanti, dimentico degli altri presenti, e
suo cognato si diresse verso di lui. Era un Nano robusto, anche se non
imponente quanto Dwalin, dalla barba e dai capelli crespi e color del
grano. Aveva un’espressione solenne, ma non riusciva a
smettere di sorridere con l’estasiato compiacimento dei
neo-genitori.
Giunto
di fronte a Thorin, depositò con attenzione il cesto
ai suoi piedi, poi si tirò indietro ed attese.
Al
contrario, Thorin si sporse in avanti, e finalmente poté
posare gli occhi sul figlio di sua sorella.
Il
piccolo era avvolto in un fagotto di coperte, e sonnecchiava con un
pugnetto chiuso accanto alle labbra. Il suo visetto tondo era grinzoso
e arrossato, e sulla sua testolina si vedevano già i primi
ciuffi di capelli. Persino alla luce fioca della lampada ad olio,
Thorin notò che erano biondi come quelli del padre.
Traendo
un mezzo sospiro, si abbassò e, con un po’
d’impaccio, raccolse il bambino e lo sollevò.
Il
sorriso del marito di Dís si fece più ampio.
Quel gesto, come tutti i presenti sapevano bene, era simbolico
– alzando il piccolo tra le proprie braccia, Thorin
l’aveva riconosciuto come il proprio erede.
Era
più simbolico che ufficiale, a dirla tutta…
La presentazione vera e propria dell’erede al popolo sarebbe
avvenuta solo al compimento della maggiore età.
«Qual
è il suo nome?» chiese Thorin,
senza staccare lo sguardo dal bambino.
«Fíli»
gli rispose suo cognato,
già pieno d’orgoglio per quello scriccioletto.
«Abbiamo deciso di chiamarlo Fíli».
Thorin
annuì quasi impercettibilmente.
«Fíli» ripeté, a mezza voce.
Come
rispondendo al richiamo – ma certamente si
trattò di una coincidenza, siccome era impossibile che
già conoscesse il proprio nome – il bambino
aprì gli occhi e sembrò guardare suo zio dritto
in faccia.
Thorin
ricambiò lo sguardo, chiedendosi se quegli occhi
– attualmente di un blu liquido – sarebbero
diventati azzurri come i suoi e quelli di Dís. O avrebbe
ereditato dal padre anche il colore scuro delle iridi?
Il
bimbo si mosse appena, dischiudendo la boccuccia, ma non pianse.
Continuava
a fissare Thorin, che da parte sua provò una
sensazione indescrivibile. Nonostante tutte le fatiche e gli affanni,
la stirpe di Durin aveva dato un nuovo germoglio. Dopo tanta morte e
violenza, ecco che tornava a sbocciare la vita.
Al
proprio fianco, sentì Balin recitare una benedizione in
Khuzdul con un tono pieno di commozione.
In
quel momento, la voce di Dís arrivò
dall’altra parte del telo. «Thorin? Ci sei
ancora?»
Thorin
guardò il cognato con la mezza idea di restituirgli
il lattante, ma a quel punto sua sorella lo chiamò di nuovo:
«Thorin, vieni qua».
Il
marito di lei si limitò a sorridere. «Mi pare
che siate richiesto» commentò, quasi allegramente.
Thorin
si alzò con lentezza, attento a non dare scossoni al
piccolo Fíli, che nel frattempo aveva placidamente rivolto
la propria attenzione alle proprie dita.
Accompagnato
dal marito di Dís, Thorin si recò
attraverso il telo – siccome aveva le mani occupate, suo
cognato lo scostò per lui per permettergli di passare.
Dís
era stesa sul suo giaciglio, la schiena supportata da un
bel paio di cuscini gonfi – in realtà sacchi di
iuta imbottiti di coperte. Sembrava spossata, ma era comunque radiosa.
I suoi capelli corvini erano sciolti sulle sue spalle, mentre la sua
barba era stata divisa in tre lucide treccioline nere.
«Ma
guardatevi» commentò lei, con
affetto, facendo segno a Thorin di avvicinarsi.
Lui
obbedì, sempre prestando un’attenzione estrema
al fagottino che aveva tra le braccia. A dirla tutta, si sarebbe
sentito molto più a suo agio se avesse potuto restituire il
piccolo Fíli ai suoi genitori.
«Non
vuoi sapere se l’ho riconosciuto o meno come
mio erede?» chiese, giusto per dire qualcosa.
Suo
cognato si era diretto nell’angolo, e aveva preso a
parlare a bassa voce con la levatrice, una vecchia tarchiata con un
viso grinzoso e i capelli e la barba ingrigiti.
Dís
mosse la testa con impazienza. «Mi pare che la
risposta sia scontata».
Thorin
inclinò appena la testa di lato, come a concederle
che aveva ragione. Era giunto ormai accanto al letto, e Dís
gli fece segno di sedersi. Thorin si accomodò con cautela
sul bordo del giaciglio, mentre sua sorella si sporgeva a sorridere
amorevolmente al piccolo. Fíli, da parte sua,
sembrò salutarla con un gorgoglio.
«Inoltre»
aggiunse lei, «per me non
sarebbe cambiato niente. Sarebbe stato solo peggio per te».
«Peggio
per me?» ripeté Thorin,
guardando la testa scura di Dís.
Quest’ultima
annuì senza sollevare lo sguardo.
«Ti renderà fiero» sussurrò,
sfiorando uno di quei minuscoli pugnetti. La manina si aprì,
quindi si richiuse sul suo dito.
Anche
Thorin abbassò gli occhi su suo nipote.
«Come puoi saperlo?» chiese. «Non ha
ancora neanche un giorno».
Dís
gli prese Fíli dalle mani con attenzione,
spostandolo sul proprio grembo. Per un assurdo momento, Thorin
sentì quasi la mancanza del peso caldo del bambino sopra le
ginocchia.
«Lo
so e basta» affermò tranquillamente
sua sorella. «Dimentichi che io lo conosco da mesi».
A
quella dichiarazione, Thorin non poté fare a meno di
lasciarsi sfuggire un breve sorriso.
Dís
lasciò ricadere indietro la propria testa,
contro i cuscini. «Abbi un po’ di fede»
sospirò.
E
Thorin, per una volta, non riuscì a trovare nulla da
obiettare. In silenzio, si chinò in avanti per sfiorare con
le labbra la fronte liscia del bambino, pregando che Mahal lo
proteggesse sempre.
Note:
Yanâd significa nascite, mentre ênâdu
Fíli dovrebbe significare nascita di
Fíli (dico
“dovrebbe” perché non è che
io sia ferratissima in Khuzdul). L’originalità dei
titoli si spreca, lo so.
Inoltre, controllando le Appendici, ho notato che i Nani di Erebor
raggiungono la loro nuova patria prima della nascita di
Fíli… ma visto che Peter Jackson ha un po’ rimaneggiato la linea temporale, ho pensato fosse verosimile che nel movie!verse Fíli fosse
nato prima dell’arrivo alle Montagne Azzurre :D
Salvo imprevisti, dovrei pubblicare la prossima e ultima one-shot
lunedì 19. Grazie per aver letto!
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Capitolo 2 *** # ênâdu Kíli ***
02 #
ênâdu Kíli
Nei
pressi delle Montagne Azzurre, dove si era stabilito il popolo di
Erebor, si trovava un villaggio di Uomini.
Laggiù,
molti Nani erano riusciti a farsi impiegare nelle
fucine o come braccianti. Forse in futuro sarebbero divenuti
più indipendenti, ma per ora gli scambi col popolo vicino
erano una delle principali fonti di sostentamento.
Quel
giorno, Thorin si era recato al villaggio con un gruppo di Nani
per ritirare un consistente ordine di mantelli foderati in previsione
dell’inverno. Quando giunsero alla meta, la bottega era
ancora chiusa, così dovettero attendere fuori, ai margini
della strada fangosa. Era piovuto di recente, ed ogni carro di
passaggio schizzava in giro acqua di pozzanghera.
Finalmente
arrivò il proprietario, ed i Nani si mossero per
fare il loro ingresso. Thorin aveva appena posato la suola dello
stivale sulla soglia, quando gli parve di udire qualcuno che lo
chiamava.
Si
bloccò e si tirò indietro, girandosi per
sondare la strada coi propri occhi azzurri e penetranti.
Individuò
immediatamente chi aveva gridato il suo nome: era
Dwalin che, avvolto in un mantello consunto, si stava dirigendo verso
di lui a grandi falcate e con un’espressione che non
prometteva nulla di buono.
«Voi
andate» ordinò Thorin, rivolto a
chi lo aveva accompagnato, per poi staccarsi dal gruppo ed affrettarsi
verso il nuovo arrivato.
«Dwalin»
esordì, non appena gli fu
giunto di fronte, «che succede?»
L’altro
quasi non si fermò a prendere fiato.
«Dís» rispose. «È
in travaglio».
A
quelle parole, Thorin impietrì. «Non
è possibile» obiettò. «Il
bambino non dovrebbe nascere prima di due mesi».
«È
prematuro».
Il
respiro di Thorin si bloccò un istante, e i suoi occhi
saettarono sul profilo azzurrino della catena montuosa dove si trovava
sua sorella.
«Qui
ci penso io» si offrì Dwalin, con
un cenno del capo verso la bottega. «Tu
va’».
Fosse
stato qualcun altro, forse Thorin avrebbe indugiato…
Ma all’amico avrebbe affidato la sua stessa vita.
«Ti ringrazio» asserì, posandogli
brevemente una mano sulla spalla.
Dopodiché,
si separò da lui, ed iniziò
a camminare con passo spedito. Per fortuna, il luogo dove avevano
lasciato i pony – e due monete ad un garzoncello
affinché li tenesse d’occhio – non era
molto distante. Come fu sulla sua cavalcatura, Thorin la
spronò al galoppo verso la montagna.
Quando
sua sorella lo aveva informato che aspettava un secondo figlio,
lui aveva pensato che quella nascita non sarebbe avvenuta in una tenda,
e non gli avrebbe portato la stessa preoccupazione di quella di
Fíli. A quanto pareva, però, era destino che la
venuta al mondo dei suoi nipoti lo riempisse d’ansia.
Gli
alloggi che Dís condivideva col marito ed il figlio
erano tra i primi ad essere stati ricavati dalla roccia. Non avevano
nulla da spartire con le ricche e maestose sale di Erebor, ma erano
sicuri ed accoglienti.
Nell’anticamera
della stanza da letto si era già
radunato un drappello di persone. Lontani cugini, e una manciata di
amici.
Thorin
individuò Glóin, fratello di
Óin, e gli si avvicinò nella speranza di poter
ricevere qualche informazione in più.
«Come
procede?» chiese, senza preamboli.
L’altro
sbatté le palpebre, ma si riprese subito.
«Ci sono state alcune complicazioni»
borbottò, passandosi una mano sulla folta barba castana.
«Ma ci sono mio fratello e la stessa levatrice che ha aiutato
alla nascita del primogenito».
Thorin
annuì, e in quel momento – anche se il
suono venne attutito dalla porta e dalle mura di pietra –
udì sua sorella urlare per lo sforzo, e poco dopo
Óin che affermava: «Eccolo. È
fuori».
Thorin
ne dedusse che il bambino fosse nato. Ma se era così,
perché non si sentiva nessun pianto?
La
voce di Dís domandò qualcosa –
Thorin non riuscì a distinguere le parole, ma gli si
spezzò il cuore nel sentire il tremore nel tono della
sorella.
Quasi
senza rendersene conto, si spostò verso la porta della
camera da letto. In quel momento, qualcosa gli strattonò le
braghe, ed una vocetta lo chiamò. «Zio?»
Thorin
abbassò lo sguardo, ritrovandosi a fissare gli occhi
azzurri di suo nipote.
Fíli
aveva un’aria indagatrice, sperduta e
risentita assieme, e suo zio ebbe la netta impressione che nel caos
dovuto a quella nascita prematura nessuno si fosse occupato di
spiegargli cosa stava succedendo.
«Fíli».
Suo
nipote lo osservò con una certa aspettativa.
«Non trovo amad e adad» lo informò,
inciampando appena sulla r.
Thorin
diede una rapida occhiata alla persone presenti. Possibile che
nessuno avesse detto niente al bambino?
«Sono
in camera loro» affermò.
Fíli
gli chiuse una manina su un lembo dei pantaloni,
lanciando un’occhiata scontenta alla vecchia comare che
sostava nei pressi della porta. «Ma lei non mi fa
passare».
«Fa
bene» replicò Thorin, lapidario.
«Non si può entrare».
La
risposta non piacque a Fíli, che arricciò il
naso – era un naso terribilmente importante, per un visetto
così piccolo. «Perché no?»
«Ecco…»
Thorin esitò,
chiedendosi quanto poteva spiegare ad un bambino
dell’età di suo nipote. «Sta arrivando
il tuo fratellino».
A
quelle parole, Fíli lo guardò quasi con
sospetto, poi scosse la testa. «No»
negò, sicuro di ciò che diceva. «Adad
dice che bisogna aspettare ancora».
La
preoccupazione di Thorin si risvegliò. Ancora non aveva
sentito alcun pianto… «Potrebbe esserci stato un
cambio di programma».
Fíli
lo scrutò, corrugando le piccole
sopracciglia bionde… Poi il suo visetto si
rischiarò. «Il fratellino arriva adesso?»
Thorin
indugiò, colto da un dubbio improvviso. Doveva dirgli
di sì? E se, Mahal non volesse, il secondogenito di
Dís non fosse sopravvissuto? Una risposta affermativa
avrebbe potuto portare Fíli a tempestare di domande due
genitori già distrutti.
A
togliergli il peso di quella penosa decisione intervenne
Óin, che scelse quel momento per affacciarsi dalla porta. I
suoi occhi scandagliarono la stanza, e come vide Thorin gli fece cenno
di avvicinarsi.
Il
primogenito di Thráin mosse subito un passo nella sua
direzione, ma invece di lasciarlo andare Fíli si
aggrappò con più forza ai suoi pantaloni,
incespicando dietro di lui.
Thorin
si fermò e si chinò per staccare le dita
del nipote dalle proprie braghe. «Fíli, tu
devi…»
«Voglio
la mia amad» lo interruppe il bambino, in
un piagnucolio.
Era
più di un capriccio; Fíli era stanco, non
voleva essere lasciato di nuovo solo e doveva iniziare a sentirsi
davvero inquieto per l’assenza dei genitori.
Thorin
lanciò uno sguardo impotente ad Óin, che
da parte sua scomparve un istante nella stanza. Quando ne riemerse, lo
invitò: «Porta anche il bambino».
Thorin
ne fu rincuorato. Se Fíli poteva entrare con lui, non
doveva essere successo nulla di terribile…
Si
chinò su suo nipote e lo sollevò. Radioso,
Fíli gli circondò il collo con le proprie
braccia, incurvando le labbra in un minuscolo sorriso.
Thorin
lo trasportò con sé nell’altra
stanza, ma sulla soglia si fermò un istante per prendere
visione di quanto si trovava all’interno.
La
stanza di Dís e di suo marito era una delle poche che
avesse una finestra che dava sull’esterno. Era abbastanza
ampia, ma arredata in modo spartano: un letto matrimoniale, una
cassapanca, un guardaroba.
Dís
era distesa sul letto, e il sudore le aveva diviso in
ciocche i capelli scuri. Suo marito sedeva accanto a lei,
sull’orlo del materasso, e gli occhi di entrambi erano
puntati sul fagotto di coperte che Dís teneva tra le braccia.
Thorin
non riusciva a vedere il bambino, ma dalla posizione riusciva a
capire che stava succhiando il latte materno.
I
suoi genitori sembravano incapaci di togliergli gli occhi di dosso,
le tracce di una forte preoccupazione ancora visibili sui loro volti.
Poi
Fíli si contorse nella presa di Thorin, tendendo una
manina verso Dís. «Amad!»
La
testa di lei si sollevò di scatto, e un sorriso le
piegò le labbra. «Fíli» lo
salutò, mentre spostava il peso del neonato da un braccio
all’altro.
Thorin
lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle e si
avvicinò al bordo del letto. Fíli si
dimenò e poi, siccome la presa dello zio non si allentava,
si sporse verso sua madre.
«Amad,
perché hai pianto?» chiese, con
voce piena di preoccupazione. «Stai male?»
Con
un lievissimo sussulto, Thorin si rese conto che le guance di
Dís erano effettivamente bagnate di lacrime.
«Oh,
no, lukhdel» si affrettò a dire
lei, «ho solo…»
Un
vagito la interruppe, e gli occhi azzurri di Dís
saettarono sul neonato. Nuove lacrime le inondarono le guance, e Thorin
poté vedere che non erano di dolore, ma di sollievo e
gratitudine.
Ne
fu comunque quasi scioccato – stentava a ricordare
l’ultima volta che aveva visto sua sorella piangere.
Suo
cognato dovette notare la sua espressione, poiché
spiegò a mezza voce: «All’inizio
temevano che il bambino avesse qualcosa che non andava».
«E
non è così?» chiese
Thorin, per cacciare definitivamente le proprie preoccupazioni.
L’altro
diede una mezza risata. «No»
rispose. «A quanto pare era solo molto impaziente di fare la
nostra conoscenza».
«Venite
a conoscerlo anche voi due»
invitò Dís, alzando gli occhi sul fratello e
coprendosi il seno, dato che ormai il neonato si era saziato.
Óin
e la levatrice uscirono con discrezione, sia per
concedere alla famiglia qualche istante di intimità, sia per
tranquillizzare le persone nell’altra stanza e dire loro che
era andato tutto bene.
Thorin
poggiò con cautela Fíli sul letto. Suo
nipote rimase in ginocchio sul materasso e si sporse a dare
un’occhiata al suo nuovo fratellino.
I
tre adulti tacquero, tutti curiosi – a modo loro
– di conoscere la reazione del bambino.
«È
piccolo» disse infine
Fíli, dopo aver ponderato a lungo.
Dís
rise sommessamente. «Oh,
Fíli» sospirò poi, «anche tu
eri piccolo».
Fíli
inclinò la testa di lato, poco convinto.
«Non così tanto».
Sua
madre abbassò per un attimo gli occhi sul proprio
secondogenito, ed annuì. «Hai ragione»
ammise. «Non così tanto».
«Come
si chiama?» aggiunse Fíli.
I
suoi genitori gli sorrisero, e Thorin attese, anche lui desideroso di
conoscere la risposta a quella domanda.
«Kíli»
asserì Dís.
«Ti piace?»
Il
bambino diede un mugugno affermativo. «È
mio?» s’informò poi, sbirciando
nuovamente il piccolo fagotto.
Thorin
sbatté le palpebre, sorpreso da
quell’uscita.
«È
tuo fratello, sì» rispose
Dís. «Ma questo non…»
«È
mio» concluse Fíli, e ne
sembrava così lieto che nessuno ebbe cuore di contraddirlo.
Sua
madre, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, alzò lo
sguardo su Thorin. «Ora manchi solo tu» gli disse.
Per
tutta risposta, Thorin si allungò verso di lei. Voleva
solo riuscire a dargli un’occhiata, finalmente, ma
Dís sollevò il neonato con grande cura e glielo
passò.
Thorin
si raddrizzò cautamente con quel fagottino tra le
braccia, quindi abbassò gli occhi sul secondogenito di sua
sorella.
Fíli
aveva ragione: Kíli era davvero molto
piccolo, e sembrava anche spaventosamente fragile.
I
suoi occhioni aperti erano di un blu picchiettato di nero, segno che
sarebbero diventati dello stesso colore di quelli di suo padre, e dei
soffici ciuffetti scuri gli adornavano la testolina.
Mentre
suo zio lo guardava, il neonato si aggrappò al suo
dito con una manina morbida ed emise un versetto contento.
E
Thorin, che aveva sempre considerato assurda l’idea
dell’amore a prima vista, dovette ricredersi. Nonostante
fosse la prima volta che posava gli occhi su di lui, Kíli
gli aveva già rubato il cuore.
E
non solo a lui, a quanto sembrava. Fíli si mise in piedi
sul materasso, domandando: «Amad, posso tenerlo
anch’io?»
Note:
Sto ridendo come un’idiota perché è
quello che sono mi sono resa conto che
ênâdu
Kíli suona quasi come “è nato
Kíli” detto da qualcuno col raffreddore.
Comunque, spero che questo capitolo non sia un disastro (e di non aver
messo Thorin troppo da parte in favore del piccolo Fíli XD).
Ringrazio di cuore chi ha speso un po’ del suo tempo per
leggerlo!
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