Fairy Tales

di MaxB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The proposal ***
Capitolo 2: *** Chu ***
Capitolo 3: *** Too short!! (School AU 1) ***
Capitolo 4: *** I'll be loving you ***
Capitolo 5: *** Sure... ***
Capitolo 6: *** Oral Fixation ***
Capitolo 7: *** Cat Day ***
Capitolo 8: *** Are you insane?! ***
Capitolo 9: *** Cuteness and brain ***
Capitolo 10: *** Pirates (part 1) ***
Capitolo 11: *** Pirates (part 2) ***
Capitolo 12: *** After Torafusa... ***
Capitolo 13: *** I remember... ***
Capitolo 14: *** Awake!! ***
Capitolo 15: *** Math Lesson (School AU 2) ***
Capitolo 16: *** A new adventure (Council Gajevy) ***
Capitolo 17: *** Cooking (Gajevy Week 1) ***
Capitolo 18: *** Magnolia Publishing ***
Capitolo 19: *** Werewolf AU ***
Capitolo 20: *** Chatting (School AU 3) ***
Capitolo 21: *** Real Member (Council Gajevy 2) ***
Capitolo 22: *** Gala ***
Capitolo 23: *** Some Healing ***
Capitolo 24: *** Blue Bird AU ***
Capitolo 25: *** Anywhere ***



Capitolo 1
*** The proposal ***


The proposal

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

Levy era nel suo mondo. Mezza sdraiata sul divano, aveva un libro dalla copertina verde in grembo. Fuori era inverno e il vento gelido sferzava i visi dei pochi coraggiosi che osavano avventurarsi in quella Magnolia imbiancata. Ma dentro casa era caldo, grazie al camino che spandeva un soffuso tepore in tutta la casetta. Levy indossava una vecchia maglia di Gajeel, una specie di camicia con il bordo del colletto borchiato. Era abbastanza grande da fungere da vestaglia e la ragazza adorava mettersi gli indumenti del compagno. Erano comodi, caldi, e impregnati del suo odore. I capelli erano sciolti e selvaggi, senza la consueta fascetta a tenerglieli in ordine.
Levy alzò la testa dal libro sospirando impercettibilmente, strizzando gli occhi e stringendo a sé il volume. Era un romanzo rosa e finalmente era arrivata al punto in cui la protagonista riceveva la fatidica proposta dal suo amato. La ragazza posò lo sguardo su Gajeel, malinconica. Il suo compagno non era esattamente romantico. Certo, quando la coccolava o voleva essere coccolato lo era, ma in quanto a gesti dolci, parole d'amore o regali... be', non era il tipo. Stava armeggiando con un vecchio marchingegno che aveva rotto mentre faceva la lotta con Lily. Stava raccogliendone i cocci, poco distante dal divano su cui era Levy. Aveva anche lui un abbigliamento leggero. Del resto, con il camino e il suo calore personale non poteva assolutamente temere il freddo. E infatti aveva una canottiera rossiccia sopra a dei pantaloni da tuta grigi. Secondo lei, era più sexy quando indossava quegli abiti comodi rispetto a quelli da battaglia. Ma lui stava bene in tutte le salse.
Non disponibileLevy respirò a fondo e poi assunse un'espressione neutra e tranquilla. Fissò il libro e chiamò piano: - Ehy, Gajeel.
- Hmm? - mugugnò senza voltarsi.
Levy fece finta di nulla e disse, a mezza voce: - Dovremmo sposarci presto.
Il ragazzo si fece improvvisamente attento e assunse un'espressione interrogativa. Si girò a fissare la compagna con le sopracciglia aggrottate, un chiodo in bocca e un altro pezzo di metallo in mano. Ecco come faceva pulizia.
Deglutì e mormorò: - Huh?
Sperava di aver sentito male. Ma Levy lo ignorò e continuò a leggere imperterrita il suo libro.
Dopo alcuni istanti Gajeel andò nel pallone  Aveva sentito male? Se lo era solo immaginato?
Sudando freddo, prese il coraggio a due mani e balbettò: - H-Hey... Levy? Hai detto qualcosa? Tipo qualcosa riguardo il matrimonio...?
Levy abbassò lo sguardo, triste, e arrossì. E poi incatenò i suoi occhi con quelli del ragazzo. Era incredibile la malinconia che Gajeel vi lesse, e per un attimo si spaventò. Faceva di tutto per vederla sempre felice.
Rimasero a fissarsi in silenzio, lui  a disagio e in tensione, lei come a volergli carpire tutti i pensieri.
Non disponibilePoi chiuse il libro e si sedette sul divano, guardando in basso. -  Stavo solo pensando... - esordì alzandosi e piazzandosi di fronte a Gajeel, seduto per terra. - Perché non ci sposiamo? È passato tanto tempo da quando ci siano messi insieme. - Levy si mise una manina sul cuore, trasportata da ciò che stava dichiarando e dai suoi sentimenti. - È così strano rivelarlo? Ho provato a dirtelo tutta la settimana... Mi piacerebbe essere tua moglie, Gajeel.
Lo aveva detto. Le gote arrossate, lo sguardo lucido e pieno di amore, un peso che finalmente smetteva di opprimerle il cuore. Non c'era traccia di ironia sul suo volto, e questo lo fece diventate paonazzo. Spalancò occhi e bocca, scioccato.
È completamente seria riguardo a questa cosa!!, fu l'unica cosa a cui riuscì a pensare.
Dopo alcuni istanti di silenzio imbarazzato, Gajeel chiuse la bocca e, nervoso, domandò pacatamente: - Perché?
Se avesse potuto, si sarebbe picchiato da solo. Fra tutte le cose che poteva domandarle, quella era in assoluto la peggiore. E, infatti, Levy sussultò e indurì lo sguardo.
Gonfiando le guance come suo solito, il viso rosso di rabbia, sbottò: - Perché?! C-che razza di domanda è questa?!
  Il ragazzo si gratto la testa e si alzò da terra, evitando il suo sguardo.
Non disponibile- Gajeel, idiota! - sbottò Levy, irritata. - Mi stai facendo sentire stupida dopo averti detto tutte quelle cose!
- Non sto cercando di farti sentire male - ribatté lui. - Mi hai solo fatto abbassare la guardia!
Levy si accarezzò un braccio, gli occhi rivolti verso i suoi piedi. - Non volevo suonare intraprendente...
Gajeel sospirò e la fissò di sottecchi, ancora imbarazzato. Si grattò una guancia. - Non è assolutamente quello, piccoletta. Aspetta qui - disse allontanandosi.
Levy lo guardò incuriosita mentre si dirigeva verso un mobile ed estraeva da un cassetto un piccolo involucro.
- È qui - disse stringendo i laccetti di un minuscolo sacchettino rosa tenue.
Il ragazzo girò il viso per guardare la sua compagna da sopra la spalla, scoccandole un sorriso; anzi, un mezzo ghigno. Il cuore di Levy accelerò, un po' per l'espressione di Gajeel, che adorava, e un po' perché immaginava cosa ci fosse fra le dita del fidanzato. Poteva essere solo quello.
L'emozione la fece arrossire. E finalmente lui si girò del tutto, dirigendosi verso la ragazza. Levy cominciò a torturarsi le mani, incrociate sul grembo, cercando di non far trasparire alcuna emozione.
Non disponibileGajeel fece vagare un po' lo sguardo prima di riuscire a posarlo su di lei. Era imbarazzato. Si grattò il collo. - Non fraintendere la mia reazione. Volevo solo dirtelo per primo, ma mi hai preceduto.
La sua voce era pacata e sembrava quasi che gli costasse una fatica indicibile parlare. Levy, invece, era rapita: lo fissava senza battere ciglio.
Gajeel aprì lentamente il sacchettino. - Scusami se è un po' grande, non ho avuto tempo per aggiustare la taglia. Dammi la mano.
La ragazza allungò la sua piccola manina, come ipnotizzata. Quella grande a forte del suo compagno la afferrò dolcemente, aprendole il palmo verso l'alto.
- Si supponeva che fosse una sorpresa, lo sai? - la incalzò in tono ironico, un piccolo ghigno teso ad increspargli le labbra.
Nel momento in cui un freddo pezzo di metallo scivolò giù dal sacchettino, Levy rabbrividì.
Era un anello. Un anello di metallo. Proprio come il suo ragazzo. Le parole le morirono in gola, e così i suoi pensieri. Riuscì solo a fissare ammaliata il piccolo cerchio perfetto che risaltava sulla sua pelle diafana. La salivazione le si era azzerata e gli occhi si erano fatto grandi grandi, come a voler assimilare ogni dettaglio di quell'oggetto.
 Non disponibilePoi non resistette più. Staccò la mano da quella del compagno e se la portò vicina al viso. Con le dita dell'altra lo accarezzò dolcemente, come se fosse un pulcino e non un freddo pezzo di ferro.
- Hai fatto questo per me allora? - domandò con un filo di voce, senza distogliere lo sguardo dall'anello.
Per fortuna Gajeel aveva un udito da drago, altrimenti non l'avrebbe sentita. - Sì. Ci ho lavorato su per un paio di giorni.
Levy rimase in silenzio, e la cosa lo mandò nel panico. Significava che non le piaceva? Era troppo semplice e poco romantico? Non era come se lo aspettava?
Poi, però, lei lo afferrò e lentamente se lo infilò all'anulare sinistro, restando a contemplarlo e rigirando la mano per ammirarlo.
Gajeel continuava a grattarsi la testa, più per nervosismo che per vera necessità. - Ti ricordi quando ti ho detto che stavo andando a prendere lezioni di canto?
- Sì - sussurrò Levy, quasi meccanicamente e senza guardarlo.
- Ho mentito. Stavo lavorando all'anello... -. Poi aggiunse, leggermente risentito: - Come se avessi bisogno di lezioni.
- Sì - ripeté lei.
- Non sono abituato a fare cose piccole come questo. Quindi è stato un vero dolore al fondoschiena - aggiunse per tutelarsi. Insomma, era bravissimo a creare oggetti metallici. Ma non voleva ammettere che per quel piccolo anello aveva usato un sacco di risorse e tempo. Era pur sempre un orgoglioso Dragon Slayer.
- Sì.
Non disponibileIn un'altra occasione Gajeel avrebbe perso la pazienza nel sentire Levy ripetere sempre la stessa cosa. Ma quando i suoi occhi brillanti, lucidi, emozionati lo incontrarono, il cuore di ferro del ragazzo si fuse. In quegli occhi c'era tutto un mondo. Il suo mondo. Significavano casa e amore. Significavano Levy. E le sue guancette rosee, il sorriso dolce che le era fiorito sulle labbra e il suo sguardo innamorato nulla poterono contro il burbero Gajeel.
Si ritrovò a sorridere come non faceva da anni. Forse, come non aveva mai fatto. Un sorriso piccolino, ma aveva contagiato gli occhi, che brillavano. Era impossibile non sorridere di fronte al viso perfetto della sua dolce metà. Lei era tutto per lui. Tutto.
Impercettibilmente iniziarono ad avvicinarsi, senza distogliere gli occhi di un millimetro l'uno dall'altra. Si resero conto della loro vicinanza solo quando i loro nasi si sfiorarono. Ormai conoscevano i loro corpi così bene da non aver bisogno nemmeno di guardare dove fossero le loro bocche. Gajiru ghignò quando sentì le labbra della compagna schiudersi ad un soffio dalle sue. L'attesa di quell'attimo di infinita dolcezza lo emozionava quanto il bacio in sé.
Non dispobinileLevy gli posò le manine sul petto, socchiuse, e lui le mise le grandi mani sulla schiena, una sopra l'altra. E finalmente l'attirò più vicina, facendo combaciare i loro corpi e le loro labbra. Il bacio che si scambiarono era diverso dal solito, e seppero che non l'avrebbero mai dimenticato. Fu breve, ma cosi denso d'amore da dare una nuova essenza a quel sentimento. Era privo della smania famelica, della passione che li attanagliava di solito. Era calmo come uno specchio d'acqua limpida, profondo come un abisso e dolce come il profumo delle rose appena sbocciate.
Si staccarono lentamente, in tacito accordo, continuando a fissarsi con tenerezza. Volevano capire se anche l'altro aveva provato le stesse cose, aveva sentito che era speciale quel contatto. E quando trovarono la conferma, si abbracciarono. Levy strinse Gajeel, accoccolandosi contro di lui e strusciando la testa sul suo
petto. Lui, invece, la premette ancora di più contro di sé e ridacchiò come faceva sempre, emettendo un "gihihi" con un ghigno sghembo e gioioso sul volto.
Quel momento era perfetto e nulla avrebbe potuto guastarlo.
Non disponibilePoi, Levy spalancò gli occhi e il sorriso idiota degli innamorati le morì sulle labbra. Guardò a terra e prese un profondo respiro. - A proposito, Gajeel - esordì. - Sono quasi certa di essere incinta.
E il piccolo mondo perfetto di Gajeel gli crollò addosso. Sbarrò gli occhi e spalancò la bocca.
La sua futura moglie doveva evitare di sganciare certe bombe con tanta tranquillità!






MaxBarbie’s
Eccomi tornata con questa nuova avventura. Che poi… tornata… non sono mai andata via xD
Allora, ho chiesto all’autrice delle future immagini che vedrete se potevo scriverci una bella storiella intorno. E mi ha dato l’ok *-* È assolutamente talentuosa e adoro, ADORO, le sue immagini. Siccome ne ho trovate alcune che descrivono delle vere e proprie storie, come queste sopra, be’, ho descritto ciò che vedete. Non saranno sempre così lunghe. A volte in un’immagine è condensato tutto, altre volte in due, e così via.
È diversa dall’altra mia ff, La nostra vita insieme, perché qui mi limito a descrivere la scena, non creo attorno una storia diversa^^
Spero che queste meraviglie (i disegni, si intende), piacciano come piacciono a me.
Chiedo scusa per la traduzione, a volte è difficile tradurre direttamente dall’inglese con tutte le peculiarità tipiche della lingua. Traducendo lettera per lettera alcune cose non hanno molto senso^^”
Aggiornerò ogni domenica, e sono bene accette critiche, suggerimenti, recensioni positive e altro^^
A presto e grazie in anticipo,
MaxBarbie

P.S.: ditemi come volete che metta le immagini. Ho provato tutte a sinistra, ma vengono piccole. Così almeno, in teoria, si legge qualcosa. Altrimenti accetto suggerimenti. Qui sotto lascio i link

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Se volete vedere tutta la collezione io sono su WeHeartIt, sotto MaxBarbie
 

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Capitolo 2
*** Chu ***


Chu

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

Levy e Gajeel si erano fidanzati da poco quando lei si era resa conto che il suo ragazzo era un vero rusticone. Uno di quelli che prendono le coccole come se ne avessero diritto, ma non le ricambia mai spontaneamente.
Già convincerlo a farle una dichiarazione romantica era stato più complicato che fornire spiegazioni su qualcosa di basilare a Natsu. Era una cosa ufficiosa da un bel po', però non ufficiale. Anzi, per Gajeel lo era. Ma Levy era un'inguaribile tenerona e voleva che per una volta il suo compagno fosse dolce. Uscivano insieme sempre più spesso, lui l'accompagnava regolarmente a casa e svolgevano qualche missione come team. Abbastanza da non passare inosservate, insomma. Non avevano avuto contatto fisico di nessun genere: lei era timida e sperava che fosse lui a fare il primo passo, e lui non era abituato. Non sapeva cosa fare! La lotta non richiedeva nulla di così complicato, e il ragazzo non aveva mai avuto una relazione amorosa. Era già tanto che avesse capito di essere innamorato.
Lily ci aveva messo una notte intera per convincerlo a portarle un mazzo di fiori all'appuntamento successivo, quello fondamentale. E Levy lo aveva rimbeccato parecchie volte affinché si svegliasse. Gajeel era rimasto immobile con il bouquet in mano, grattandosi la testa. Era imbarazzato e non si decideva a fissare la compagna.
- Sono per me? - aveva chiesto lei dopo due minuti di silenzio teso.
Lui aveva grugnito un sì e glieli aveva porti. Levy li aveva annusati sorridendo, gli occhi chiusi, ignara dell'occhiata tenera che Gajeel le aveva lanciato di sottecchi.
- Il motivo? - aveva chiesto esasperata. Se lui non si decideva a parlare, era il caso che facesse tutto lei. Tanto ormai erano chiari i sentimenti del ragazzo.
- Sei sveglia, lo sai il motivo - aveva borbottato fissandola.
Levy aveva sbuffato. – Voglio che tu sia dolce per una volta! Me lo devi...
Gajeel era arrossito. - Mi piaci... - aveva mormorato. - Quindi ora sei la mia ragazza. Insomma, hai accettato i fiori.
La ragazza aveva sospirato: era un caso perso. Ignorando lo sfarfallio che aveva provato all'imbocco dello stomaco quando lui le aveva detto "mi piaci" e ogni suo principio riguardo a "l'uomo deve fare la prima mossa", gli aveva stretto le braccia al collo, con tanto di bouquet, e lo aveva baciato. Lui di certo non si era rifiutato, anche se non aveva mai preso l'iniziativa da quel momento.
Nella loro relazione, ancora agli albori, era Levy che lo abbracciava, lo prendeva per mano, lo baciava sulle guance o sulle labbra. E le costava moltissimo, sia per la timidezza che per l'orgoglio femminile. Gajeel accettava più che volentieri tutte quelle effusioni, ma se lei gli chiedeva di farlo a sua volta, volontariamente, arrossiva e metteva il broncio. Insomma, prendeva baci e abbracci e non li dava mai indietro.
Quindi Levy si era giustamente impuntata. Era giusto che almeno il bacio del buongiorno o della buonanotte glielo desse lui. Magari così si sarebbe sciolto e avrebbe vinto l'imbarazzo. Quindi ogni mattina lo guardava esplicitamente e attendeva il bacio che lui, seppur riluttante, le concedeva con dolcezza.
Non disponibileQuel giorno era andato a prenderla al dormitorio, Fairy Hills, perché non si vedevano da tre giorni: lui era stato in missione. Levy gli era corsa incontro e lui aveva aperto le braccia per poterla stringere. Con gli abbracci avevano avuto un buon progresso. Camminando, però, la ragazza aveva notato che non le aveva ancora dato il bacio del buongiorno.
- Hey Gajeel - lo chiamò dolcemente.
Il ragazzo si girò, curioso. Indossava una fascetta che Levy gli aveva regalato prima della missione e una camicia borchiata marrone. Inutile dire che il dono della compagna non se lo toglieva più.
Gajeel capì subito cosa voleva la ragazza: un bacio. Si lamentava sempre della sua affettuosità, ma la verità era che non era abituato. Però la visione di lei che reclinava la testa per guardarlo e si picchiettava le labbra con un dito era troppo tenera. Il lieve rossore che aveva sulle guance poi rendeva il tutto troppo irresistibile.
Non disponibile- Tch - grugnì Gajeel avvampando e distogliendo lo sguardo, la mascella contratta. Se avesse potuto, l'avrebbe baciata sempre. Ma proprio il fatto che adorava i baci della compagna lo facevano sentire un rammollito sentimentale.
Comunque, sapeva di non poter vincere in ogni caso quella battaglia. Così si chinò verso Levy e si appropriò della sua bocca mentre lei gli schioccava un sonoro "chu" sulle labbra. Abbracciarla e baciarla insieme sarebbe stato troppo dolce, coì Gajeel si infilò le mani in tasca per sopprimere la voglia di stringerla a sé. Come premio, però, il bacio durò più a lungo del solito.
Mai in tutta la sua vita il Dragon Slayer del Ferro avrebbe ammesso di essere infinitamente dolce e romantico, sotto a quella corazza d’acciaio. Preferiva rinnegare la sua natura e rifugiarsi dietro alla facciata burbera. Ma la sua ragazza aveva capito che era un tenerone e non perdeva occasione per tirare fuori quella sua parte. Ed era anche sicura che con il tempo lui le avrebbe restituito tutte le coccole, volontariamente.
Bisognava solo pazientare un po’.
 
 
MaxBarbie’s
È il capitolo più corto che abbia mai scritto, ma le immagini non mi permettevano di fare molto. Sono troppo particolareggiate, si può solo descriverle. Ma sono tremendamente tenere *-*
Mi scuso per il ritardo di un giorno, sono davvero piena fino al collo e mercoledì ho simulazione di terza prova. Istinti suicidi a mille. Ahaha no scherzo, ma ora devo andare a studiare :(
La settimana… no, domenica spero di postare puntualmente una serie che mi ha davvero toccata nel profondo quando l’ho vista. È malinconica, ma ha… no, niente spoiler.
Grazie e tutte per le recensioni, postare per voi è davvero un piacere^^
A presto,
MaxBarbie

Immagini:

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Capitolo 3
*** Too short!! (School AU 1) ***


Too Short!! (School AU 1)

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

Levy uscì di casa con la tenebra crepuscolare che si abbatteva sulla città come un sudario. La zona residenziale in cui viveva era pressoché silenziosa, ma alle sette di mattina regnava una calma inquietante. Sembrava una gelida città fantasma priva di vita e luminosità, a parte i lampioni che spandevano una lattiginosa luce giallastra. In lontananza, persa oltre l'orizzonte, l'alba faceva timidamente capolino sullo sfondo nero del cielo, con venature di crema e rosa che corteggiavano quella tenebra indomabile. Alla fine avrebbe vinto, attendendo però il ritorno dell'amante. Tutte le cose che sono diametralmente opposte si completano l’un l’altra in un legame indissolubile.
A Levy la scuola piaceva: imparare cose nuove, impegnarsi in qualcosa, ottenere buoni voti come ricompensa, tutte cose che l'appagavano. Era l'alunna modello, sempre attenta, educata, rispettosa, la secchiona brillante che interveniva tempestivamente e aveva sempre la mano alzata. La pupilla dei professori, insomma. Non aveva un grandissima vita sociale, ma nemmeno ne sentiva la mancanza. Grazie ai libri viveva tutte le avventure che sognava. Non sentiva il bisogno di avere un ragazzo: nei suoi romanzi aveva tutto il romanticismo che voleva. Certo, le sarebbe piaciuto trovare quello giusto, il ragazzo bello e forte che la proteggeva, la coccolava e l'amava incondizionatamente. Ma non ci pensava.
Arrivò alla fermata dell'autobus con calma, come ogni mattina. L'autunno stava lentamente colorando di sfumature vermiglie e luminose le foglie, alcune delle quali erano già cadute. Non faceva ancora freddo e Levy stava bene nel suo cardigan felpato giallo infilato sopra alla camicia bianca con fiocco rosso attorno al collo. Il giubbotto non serviva ancora, anche se sotto alla  corta gonna scozzese aveva indossato delle spesse calze marroni. La divisa scolastica era tutto sommato sobria e alla ragazza non dispiaceva indossarla. Inoltre, a scuola lasciavano completa libertà riguardo agli accessori per capelli, e questo significava solo una cosa: fascette. Quel giorno ne indossava una nera legata con un fiocco su un lato e con una margherita sull'altro. Nella borsa marrone non mancava nulla, specialmente il libro che aveva iniziato il giorno prima.
Aspettò alcuni istanti insieme a due ragazzi che vedeva ogni mattina da ormai quattro anni. Non si erano mai rivolti la parola. Quando l’autobus arrivò, Levy salì con ottimismo sperando di trovare un posto vuoto. Ma quella mattina non sarebbe successo. Il mezzo pubblico non era gremito, però i sedili erano tutti occupati. Un brivido di gelido terrore le corse giù per la schiena: stare in piedi significava attaccarsi agli spioventi sostegni alti, quelli che lei non riusciva mai a raggiungere. Controllò un'ultima volta che non ci fosse un posticino dove sedersi, prima che l'autobus ripartisse. Sospirò sconsolata e si avvicinò ad un ragazzo con la sua stessa divisa. Gli lanciò un'occhiata di sfuggita per capire se lo aveva già visto. Gli sembrava familiare, ma probabilmente non ci aveva mai parlato. Levy provò coraggiosamente a mantenere l'equilibrio senza attaccarsi ai sostegni, tentativo che abbandonò subito dopo la brusca frenata dell'autista: aveva rischiato di finire addosso al ragazzo. Ma perché in quell'autobus non c'erano appigli alla portata di tutti? La giornata era partita male: stare in piedi significava non poter leggere.
Mentre si autocommiserava, Levy non si accorse che il ragazzo di fianco a lei la stava fissando di sottecchi. Non era interessato, anzi, sembrava piuttosto imperturbabile. Aveva solo notato che la ragazzina aveva la sua stessa divisa scolastica. La vedeva salire ogni mattina, ma non avevano mai fatto tanto caso l'uno all'altra. Era molto carina: aveva un viso tenero da bambina e dei capelli scarmigliati che cercava di domare con delle fascette. Era piccolina, soprattutto; sembrava molto dolce. Il ragazzo, Gajeel, smise di fissarla e tornò a cercare di autoconvincersi che sarebbe stata una bella giornata. Doveva crederci, altrimenti si sarebbe buttato giù dall'autobus in corsa.
Non disponibileAveva cominciato da poco il processo di lavaggio del cervello quando la ragazza catturò la sua attenzione. Si girò a guardarla proprio mentre lei smetteva di saltellare. Però non demordeva: stava cercando di raggiungere il gancio per attaccarsi, ma era troppo alto. Non ci arrivava nemmeno in punta di piedi. Gajeel la guardò perplesso, chiedendosi come mai non si fosse ancora attaccata. Del resto, era mattina e i suoi neuroni si svegliavano alla sera. Lui aveva la mano vicina a lei infilata in tasca con noncuranza, maniche della camicia arrotolate sotto al gilet giallo da cui spuntava la cravatta. Con l'altro braccio si reggeva al sostegno senza difficoltà.
È troppo bassa!!, realizzò con sconcerto, prima di assumere un'espressione contrariata. Non poteva lasciarla senza appoggio, però non poteva nemmeno far alzare qualcuno. Cioè, avrebbe potuto senza difficoltà, ma non era il caso.
Senza riflettere tirò fuori la mano dalla tasca e si aggrappò al sostegno che lei cercava di raggiungere. Vedendo che qualcuno si era appropriato della sua unica salvezza, Levy rimase ferma con il braccio a mezz'aria, avvilita: ora la gente nemmeno la vedeva a causa della sua statura? Poi si accorse che il braccio apparteneva al ragazzo che aveva di fianco, quello che andava a scuola con lei. Aveva le guance arrossate dall'imbarazzo, sia per l’insolito atto di gentilezza compiuto che per la tenerezza dello sguardo della ragazza. Levy sembrava un cucciolo smarrito e lo fissava con gli occhi grandi e imploranti, lucidi di rassegnazione, e la bocca schiusa per la sorpresa. Siccome non reagiva, Gajeel mosse il braccio guardandola dall'alto, in modo che capisse che doveva attaccarsi ad esso: quello almeno riusciva a raggiungerlo. Levy, interdetta, indicò sé stessa con aria interrogativa, come a chiedere cosa doveva fare.  Poi capì e arrossì.
- Vuoi che io...? - chiese  flebilmente, lasciando la frase in sospeso.  - Davvero!?-  continuò. Si accorse solo in quel momento della sua bellezza. Sembrava avere una pelle perfettamente liscia e luminosa, probabilmente grazie al dopobarba. I piercing gli davano un aspetto esotico ed affascinante. E il corpo era proprio niente male. Gli avambracci erano scoperti e i muscoli guizzanti annunciavano candidamente la loro presenza. Era alto e magro, ma Levy sospettava che sotto agli strati di stoffa della divisa ci fosse un corpo tonico e scolpito. Deglutì.
Il ragazzo aveva un'espressione quasi  contrariata, come se si fosse pentito del gesto gentile che aveva fatto. Non era un pappamolle buono e altruista, per questo il suo stesso gesto aveva sorpreso lui per primo. Riacquistò la solita facciata seria: sguardo severo e impenetrabile, smorfia sulle labbra. Emise un “mm” appena percettibile e annuì, secco, per farle capire che doveva aggrapparsi. La guardava con la coda dell'occhio, cercando di non darle troppa importanza.
Non disponibileLevy alzò nuovamente il braccio e timidamente si aggrappò a quello del suo compagno di scuola, guardando a terra per l'imbarazzo. Come aveva sospettato, il bicipite a cui era attaccata era teso e allenato. Gajeel arrossì quando si rese conto della piacevolezza di quel tocco leggero sul suo braccio. Il calore della manina della ragazza si irradiava sotto alla stoffa, gli entrava nelle vene e arrivava direttamente al cuore. Guardò dalla parte opposta rispetto a lei, sperando che nessun alunno della Fairy Tail School lo stesse guardando in quel momento: aveva una reputazione da difendere.
Il resto del viaggio trascorse tranquillamente, fra occhiate lanciate di nascosto e strette della ragazza quando c'erano curve brusche. Gajeel si sorprese a desiderare di poter stringere a sé quel corpo sottile e delicato, tenendolo per la vita. Per lo meno lei non avrebbe corso rischi.
Arrivati alla fermata davanti alla scuola scesero insieme e si fermarono, in imbarazzo. Levy arrossì quando si decise a sollevare lo sguardo, scoprendo che gli occhi rossi del ragazzo la stavano già fissando.
- Be'... grazie mille, senpai* - balbettò.
- Tch - mugugnò lui. - Gajeel. Ciao.
Levy lo guardò allontanarsi. Aveva intuito che fosse un tipo di poche parole, e soprattutto conciso, ma non così tanto. Sospirò involontariamente e con vergogna cercò di capirne il motivo: finalmente il viaggio era finito? Oppure voleva restare ancora attaccata a quel forte braccio? Temeva di non rivolgergli più la parola? Gli era del tutto indifferente? E poi, perché si stava ponendo quelle domande? Rise di sé stessa e si incamminò dentro al giardino della Fairy Tail School.
Levy non sapeva che quella notte avrebbe affollato i sogni di Gajeel.
 
Quella ragazzina gli aveva fatto qualcosa. I giorni successivi alla vicenda in autobus, Gajeel la osservò con attenzione: saliva, si sedeva con grazia e tirava fuori un libro. In cinque mattine l'aveva vista con tre diversi romanzi, concentrata come se fosse in camera sua e non su un servizio pubblico. Una volta era riuscito anche a sedersi di fianco a lei. Gli aveva regalato un sorriso dolce per poi tornare a leggere. Il ragazzo, osservandola, aveva anche notato che raramente quella piccoletta guardava fuori dal finestrino, rischiando un giorno sì e uno no di perdere la fermata. Per questo un giorno le aveva sfiorato il ginocchio con la coscia, ottenendo un'occhiata sorpresa in risposta.
- Dobbiamo scendere - aveva detto senza mezzi termini, alzandosi.
Levy aveva guardato fuori rendendosi conto che senza di lui avrebbe perso la fermata. - Oh. Grazie, Gajeel.
Sentire il suo nome pronunciato da quelle labbra apparentemente morbide gli aveva  fatto perdere alcuni battiti cardiaci, prima di sentirli galoppare come dei forsennati. Era arrossito ed era corso fuori dall'autobus.
Da quel giorno Levy gli aveva regalato un sorriso ogni volta che saliva. E senza rendersene conto, Gajeel aveva iniziato a contraccambiarla e addirittura precederla, sorridendo, o meglio, ghignando, una fermata prima della sua. Quella ragazza gli piaceva. Magari perché al contrario delle altre non gli correva dietro e non passava il tempo a fissare i suoi muscoli. O forse perché si chiedeva cosa ci trovasse di tanto interessante in quei libri, quelli di cui non poteva fare a meno. Era diversa dal suo tipo di ragazza ideale, ma lo intrigava.
In autobus chiacchieravano poco; del resto lei era troppo impegnata per dargli retta. Così aveva ideato una nuova tattica, più adatta alla sua personalità: irritarla e provocarla. A scuola ovviamente. Non gli interessava essere visto o diventare oggetto di pettegolezzi. Quello che voleva se lo prendeva... o se lo conquistava. E nessuno aveva il coraggio di disturbarlo. Tranne qualche suo compagno idiota, tipo Natsu Dragneel.
Quella mattina, come faceva ormai da alcuni giorni, aveva indossato una fascetta rossa in fronte, legata dietro alla folta chioma. Lo aveva fatto per attirare l'attenzione di Levy, così si chiamava. Ma lei non l'aveva notato, o non glielo aveva fatto notare, esplicitando il suo apprezzamento per il gesto di emulazione. Quella che indossava era rosso cupo e gli copriva in parte le sopracciglia  piene di piercing. Si era nascosto in autobus, attento a non farsi da vedere da lei prima di essere a scuola. La ragazza, salendo, aveva aggrottato le sopracciglia non trovandolo, ma non aveva indagato oltre: si vergognava a scannerizzare tutto il mezzo di trasporto. Cosi si era seduta in silenzio. Gajeel era sceso per ultimo, rifugiandosi a scuola. E adesso la stava aspettando nei corridoi. Non erano molto affollati, i ragazzi in quel periodo ne approfittavano per stare fuori prima dell'arrivo dell'inverno. E comunque non gli interessava se qualcuno l'avesse visto, anzi, era meglio: avrebbero capito che Levy era sua e non ci avrebbero provato.
La vide avanzare in lontananza con due suoi amici al seguito. Aveva indagato un po', scoprendo che aveva rifiutato le avances di entrambi. Ma rimanevano  i suoi migliori amici dall'asilo. Anche alle elementari e alle medie lo erano stati. Ora invece aveva anche trovato delle amiche femmine, come Lucy Heartphilia, in classe con lei, Juvia Loxar ed Erza Scarlett, all'ultimo anno come lui. Be', magari aveva indagato più di un po'...
Jit e Doro, o qualcosa di simile, salutarono Levy ed andarono in classe. Gajeel si nascose dietro un armadietto e appena sentì i passi leggeri della ragazza in avvicinamento, uscì allo scoperto e si chinò repentinamente verso di lei. Levy urlò e si coprì il volto con il quaderno di matematica, la materia che aveva alla prima ora di lezione. Gajeel si rese conto che portava gli occhiali, e che le stavano davvero bene. La facevano sembrare ancora più tenera. Ghignando maliziosamente appoggiò la fronte alla sua, fissandola negli occhi, i nasi che quasi si sfiorarono. Levy abbassò leggermente il quaderno, mostrando come l'imbarazzo le imporporava le guance. L'aveva colta alla sprovvista.
Non disponibile- Esci con me, fata - bisbigliò con voce roca e seducente il ragazzo. Era abitudine dei maschi della Fairy Tail School rivolgersi alle ragazze alle quali erano interessati con quel nomignolo. Del resto, con una scuola che si chiamava Fairy Tail cosa si poteva fare?
- No... smettila di scherzare - borbottò Levy. Insomma, che razza di invito era? Se anche avesse voluto rispondere di sì, con quella domanda priva di tatto non poteva proprio accettare.
Aveva mugugnato la risposta, ma nel tono di voce aveva una nota di decisione che sorprese Gajeel. Nessuna aveva mai rifiutato un suo invito. Era stato colto alla sprovvista, e molto, ma non si sarebbe mai arreso. Il suo orgoglio e il suo desiderio di conquista glielo impedivano.
Ghignò improvvisamente, facendo arrossire e sussultare Levy. - E perché no?
- Non ci conosciamo nemmeno! E poi ora ho verifica, devo ripassare - spiegò serafica.
Un lampo di pura malvagità illuminò il rosso fuoco degli occhi di Gajeel. Ma quando la ragazza se ne accorse era già troppo tardi: il quaderno non era più fra le sue mani. Era in aria, troppo al di sopra della sua portata. Gajeel aveva usato l'altezza di Levy a proprio vantaggio, e ora la teneva in pugno. Con una mano in tasca e una allungata sopra alla testa, stretta attorno quaderno, la fissava ridacchiando. Era una risatina particolare che alla ragazza piacque parecchio. E il suo sguardo infiammato dalla vittoria la fece rabbrividire.
- Ridammelo! - esclamò improvvisamente appoggiandosi ad una spalla del compagno di scuola e allungando l'altra mano per cercare, inutilmente, di riappropriarsi della sua proprietà.
È così carina, pensò Gajeel continuando a ridacchiare. Quella vicinanza era tutto tranne che spiacevole, e ne approfittò per studiare bene la sua tenerissima espressione accigliata.
Resasi conto di quanto gli si era appiccicata addosso, Levy indietreggiò sfilandosi gli occhiali. Era rossa per la rabbia e per la situazione. Strinse i pugni, rischiando si frantumare le lenti, e corrugò il visetto facendo ridacchiare ancora di più il ragazzo. Poi si diresse al suo armadietto, distante pochi passi, e mise via gli occhiali temendo di romperli. Gajeel l'aveva seguita fissandola con curiosità. Non le sembrava una che cedeva facilmente, nonostante la piccola stazza. Il quaderno era al sicuro dietro alla sua schiena e la mano era sempre fissa in tasca. Repentinamente vide lo sportello dell'armadietto chiudersi e Levy gli fu di nuovo addosso, una mano sulla sua spalla e l’altro braccio che gli passava di fianco per raggiungere il quaderno. Ma Gajeel aveva riflessi troppo fulminei e non ci impiegò molto a risollevare quell’oggetto tanto ambito. Si stavano praticamente abbracciando. Fu tentato di usare la mano che era in tasca per attirarla ancora di più a sé, però lei fu più veloce e si staccò. Lo fissò, accigliata, finché un guizzo di furbizia le illuminò gli occhioni.
Arrossendo, la mano sempre posata sulla sua spalla, afferrò la camicia del ragazzo e lo attirò a sé alzandosi in punta di piedi. Prima di riuscire a capire cosa stesse succedendo, Gajeel sentì delle labbra morbide che si posavano sulla sua guancia. Levy le fece scoccare, indugiando contro la sua pelle liscia e profumata di dopobarba. Non era mai stata così temeraria con qualcuno, figuriamoci con una persona del calibro di Gajeel. Lui, intanto, era arrossito oltre ogni misura, preso alla sprovvista dal gesto della ragazza. La tattica aveva sortito l'effetto sperato: intontito, aveva abbassato il braccio e ora il quaderno era alla portata di Levy.
Leggermente imbarazzata, si staccò da lui, afferrò il suo quaderno e lanciò un'occhiata maliziosa al compagno di scuola. Poi si girò e iniziò ad allontanarsi con un sorrisino soddisfatto in volto, stringendo al petto ciò che aveva riottenuto. Gajeel, invece, non se la passava troppo bene. Il suo corpo si era ingobbito e afflosciato e dalla bocca spalancata rischiava di colare un filo di bavetta. Tanti cuoricini immaginari e invisibili, eppure percepibili, gli fluttuavano intorno. Il viso era rosso come non mai, fisso sulla schiena di quella dea che lo aveva stregato.
Gajeel capì che avere un colpo di fulmine non significava rimanere fulminati improvvisamente da un amore sciocco e superficiale, un'occhiata frugale che illudeva la persona che ci fosse qualcosa di più.
Avere un colpo di fulmine significava sentire il proprio corpo sciogliersi come un ghiacciolo sotto al sole di luglio. E Gajeel si sentiva un budino in quel momento. Colpo di fulmine o no, era quella ragazzina che lo aveva conquistato più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Dopo alcuni istanti passati a contemplare la porta oltre la quale lei era sparita, il ragazzo si riscosse e assunse il solito atteggiamento da duro. Controllò che non ci fosse nessuno e si diresse verso l'armadietto di Levy, aprendolo: aveva visto la combinazione. Ghignando quasi malignamente, prese gli occhiali e chiuse l'armadietto: quella piccoletta gli avrebbe regalato qualche altro bacio leggero e delicato. E, perché no?, magari un appuntamento.
In fondo, gli occhiali valgono più di un quaderno.
 
 
*Senpai: compagno di scuola o di lavoro più grande.
 
 
MaxBarbie’s
Yeee! Due giorni di ritardo siiii. Ahahaah non mi convince troppo questo capitolo, mi sa che è troppo incasinato. Volevo fare una cosa semplice, ma… io non sono facile. Eh no. Sono molto molto complicata, quindi. Ok, stop.
Scusate il ritardo, davvero, è che non ce la facevo più e domenica sono andata a letto tardissimo. Maledetta scuola. Quindi ieri mi sono imposta di andare a letto presto e non ho potuto postare.
Ciancio alle bande, allora, le prime due immagini sono di Rboz… e anche la terza. Sì, sono idiota-.- Volevo solo dire che le prime due sono più recenti della prima. Insomma, sono state disegnate dopo la terza immagine. Io però le ho unite così. Quindi… WHO CARES! Ahahah a domenica^^
MaxBarbie


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Capitolo 4
*** I'll be loving you ***


I'll be loving you

Disegnatrice: Blanania/Grace
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico; drammatico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; future!Levy
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: future!Levy; esterno
Lettura: occidentale (sinistra a destra)
Contestualizzazione: fine saga del Dai Matou Enbu (Grandi Giochi della Magia)
Avvertimenti: futuro alternativo

 

 
Lo vidi scomparire. Quella nuova minaccia, l'ultima, quella che mi aveva privata di tutto, finalmente stava svanendo. Il drago che aveva assorbito in sé le anime degli altri draghi, il mostro supremo, la vera forza distruttrice del mondo. Cinque volte più potente di Acnologia. Ero riuscita a fermarlo. Ma la mia vita attuale non sarebbe cambiata. Lui non sarebbe tornato. I miei nakama... non li avrei visti ancora per un bel pezzo.
Non disponibileLevy vide quel mostro smaterializzarsi piano piano, come una figura evanescente, come un'ombra notturna che si dissipa con il ritorno del sole. Era seduta per terra, stremata, e si teneva il braccio ferito. Ma il dolore era stato soppiantato dallo stupore.
- É scomparso? - chiese con una voce flebile e spaventata. Non aveva alcun senso quello che stava succedendo, per lei. Lo capivo. Si mosse, ma una fitta al braccio la fece gemere e chiudere un occhio.
- Che diavolo...? - mormorò Gajeel, a pochi passi di distanza. Era ferito, parecchio. L'unica cosa che gli permetteva di stare in piedi e di continuare a combattere era lei. Doveva proteggerla, a tutti i costi. Il dolore non importava. La stanchezza non c'era. Anche se era allo stremo, anche se la sua carne era lacerata in più punti, non poteva mollare.
Io sapevo bene cosa stavano provando quei due in quel momento. Perché era la stessa cosa che avevo vissuto io dieci anni prima. Ma non ero stata sollevata. Non c'era stato un lieto fine per me. Per noi. Lui mi aveva detto che aveva combattuto per me fino alla fine e che dovevo vivere per lui, per tutti. Per tutti quelli che non ce l'avevano fatta.
Se arrivi lì prima di me, …
Lo sentii dentro di me, prima di udirlo e guardarlo. Un dolore lacerante che mi dilaniava il petto. Uno strazio dolce, dolce come il miele. Dolce come quando le sue labbra avevano più volte incontrato le mie.
Gajeel porse la mano grande e forte a Levy, guardando il punto in cui la minaccia del millennio era andata. Sparita. La giovane afferrò le dita del compagno, spaesata.
- Sei ok, Gamberetto?
Sorrisi. Era da tanto che non sentivo quel soprannome.
- Sì, ma... - rispose lei, titubante. La mano di Gajeel si strinse attorno alla sua, come a volerle dire che non l'avrebbe mai più lasciata andare. Io toccai la mia mano fredda e me la strinsi al cuore, sentendo il battito accelerato che solo lui mi procurava. - Cos'è appena successo? - continuò sconvolta.
E la capivo. Neppure io ero in grado di dire cos'era accaduto.
 ... non rinunciare a me.
Sentii Levy ridere. Chissà, magari lo avrei fatto anche io, se le cose fossero andate in modo diverso. Ma in quello stesso momento, dieci anni prima, ero impegnata a piangere. Piangere e non pensare a nulla. Piangere e vedere il mondo che mi crollava addosso, in un baleno. Piangere e stringere il suo corpo stremato fra le braccia un'ultima volta. Piangere sulle sue labbra mentre mi regalava il suo ultimo ghigno. Mentre mi scompigliava un'ultima volta i capelli. Mentre mi diceva che mi amava, che aveva lottato affinché io avessi un futuro. I singhiozzi mi avevano squassato il petto, mi avevano impedito di respirare. Ma lui mi aveva costretta a promettere che avrei vissuto per entrambi. Una promessa che mi aveva strappato con la disperazione negli occhi, perché volevo che se andasse felice. Una promessa che mi ha accompagnata per tutta la mia vita. La mia vuota e insignificante vita. Però forse lui sapeva che avevo qualcosa da fare. Un ultimo gesto da compiere.
Non disponibileLevy sollevò le prime tre dita della mano sinistra, radiosa. Non so perché lo fece. Io non ero più quella persona. Forse voleva solo comunicare che era il momento di allargare la famiglia. Non lo so.
Gajeel guardò le sue piccole dita con perplessità. Poi si alzò, e aiutò Levy a fare lo stesso. Le diede un bacio in fronte e le scompigliò i capelli, mentre si allontanavano per raggiungere gli altri.
Solo allora, solo quando mi diedero le spalle, mi permisi di piangere. E le lacrime scivolarono silenziose sul mio viso, percorrendo il profilo delle guance e delle cicatrici che quella battaglia infernale mi aveva lasciato. Un ricordo amaro che mi rammentava ogni giorno ciò che avevo perso. Cioè tutto. Ero l'unica sopravvissuta di Fairy Tail. L'unica. Grazie a lui che si era sacrificato per me. Il viso di quella Levy, alle mie spalle, era perfetto e morbido come quello di un bambino. Ed era così che doveva essere. Era così che sarebbe dovuto essere. Avevo fatto il mio dovere.
- Grazie a tutti - bisbigliai per paura di farmi sentire.
Ti incontrerò quando avrò sbrigato tutte le mie faccende, ...
Presi i fogli che mi avevano permesso di arrivare fin lì, dieci anni nel passato. - Ora -, dissi scrivendo le ultime rune, quelle che mi avrebbero riportata al mio presente, - il futuro è salvo.
Ma sapevo che non era il mio a cambiare. Era il loro. Modificando il passato, il mio futuro non sarebbe mutato. Avevo solo scritto una storia diversa, un finale alternativo che avrei osservato da lontano.
Strinsi forte quei fogli che avevano cambiato il destino. Un'antica magia perduta che mi aveva permesso di tornare indietro e modificare il corso degli eventi.
Chiusi gli occhi quando sentii che il corpo non reagiva più, e che mi mancava la terra sotto ai piedi.
... non so quanto ci vorrà.
 
12 dicembre X841.
Ho vissuto troppo. Davvero troppo. E gli anni diventano insopportabili quando non hai più nessuno con cui viverli. Sono nata nell'anno X767. A rigor di logica oggi dovrei avere settantaquattro anni. Ma in realtà ne ho sessantasette, visti i sette anni persi durante l'esame a Tenroujima. Già... l'esame a Tenrou. La missione svolta con lui.
In ogni caso, ho quasi settant'anni e penso che sia un buon traguardo. Ho aspettato questo momento per tutta la vita. Sono pronta per andarmene. Lo sono sempre stata. Ma prima dovevo adempiere a quella promessa. E ci sono riuscita. Ho vissuto. Una vita non piena, non gioiosa come lo era un tempo, anche se  ci ho provato. Ho riso, ho pianto, ho aiutato molte persone. Non mi pento di nulla. Non ho rimpianti. Forse uno: quello di non essere morta al suo fianco. Il suicidio non l'ho mai preso in considerazione. Non ho potuto. Era troppo dolce, una medicina al di fuori della mia portata. Non potevo e basta; sapere che c'era una veloce via d'uscita dal quel pozzo di disperazione e non poterla usare avrebbe reso i miei giorni ancora più bui.
E ora finalmente è arrivato il momento di lasciare questo corpo che non mi appartiene, questa gabbia che mi porto appresso da troppo tempo. Mi sta abbandonando. È una cosa che so. Chi muore lo sente, ma non lo dice. C'è un momento, nel corso della propria vita, in cui una persona si rende conto del fatto che morirà. E nel suo profondo sa già come. Io me ne sono resa conto da anni.
Il mio cuore.
È già tanto che sia arrivato fino a questo punto. Non puoi perdere tutto ciò che hai e continuare indenne i tuoi giorni. Lo scotto c'è, e il dolore chiede un tributo. Non è più in grado di funzionare, il mio cuore. È oppresso da un peso di piombo che non ha fatto altro che ingigantirsi: ciò che è stato, ciò che non è mai stato, ciò che avrebbe potuto essere.
 Una fitta. Mi manca poco. Sorrido, e immagino la ragnatela di rughe che si manifesta sulla mia pelle ruvida, macchiata dal tempo e imbruttita dalle cicatrici.
Non disponibile- Maria, vieni qui - dico con voce tremante e flebile come la neve che cade all’esterno.
La giovane suora accorre e si accosta al mio letto. È un po' come me: ha perso tutta la famiglia da piccola. E allora ha deciso di entrare in convento, non avendo altro posto dove andare. È stata come una nipotina. È l'unica persona che rimpiango di lasciare qui. La mia mano si sposta lentamente verso il petto, vicino alla collana con il simbolo della mia gilda. Della mia casa. Del mio mondo.
- La prego non ci lasci, Levy-sama… - sussurra Maria.
Ma non ti lascerò andare, ...
- Promettimi che vivrai, non importa cosa accadrà - le sussurro. Le sto lasciando la mia eredità: affetto, esperienza. Le sto dicendo ciò che lui ha detto a me anni addietro. Una vita fa. La vita è un ciclo che si ripete. Una promessa che ne sostituisce una ormai adempiuta. Maria inizia a piangere silenziosamente, proprio come feci io quella volta. Le parole mi sgorgano dalla gola pacatamente, ma vere come non mai: - Vorrei stare con te un po' di più, ma ora devo incontrare qualcuno.
Mi dispiace lasciarla. Un altro dolore che mi schiaccia il cuore, i cui battiti sono già distanti e sommessi. Le stringo la mano con le mie, callose e indurite dal tempo.
Respiro lentamente e chiudo gli occhi, sorridendo un'ultima volta, per incoraggiarla.
E poi il mio cuore batte per l'ultima volta. Il macigno libera il mio cuore, e io mi sento fluttuare. Sono libera.
Sono libera!
Prima che l'eco del solenne rintocco del cuore si spenga attraverso le pareti del mio vuoto corpo, il mio cervello ricorda per l'ultima volta. Si permette di ricordare, perché ormai non soffre più. E rivive quel pomeriggio con lui.
Quello in cui era cambiato tutto.
... caro aspetta e guarda.
 
Gajeel mi aveva portata nel suo posto preferito. Era il campo di una vecchia fattoria abbandonata. Un luogo fuori dal tempo che apparteneva solo a noi. Sembrava un piccolo paradiso, con quegli alberi lussureggianti e imponenti e quell'erba perfetta, verde e brillante. Uscivamo insieme già da un po', ma non c'era stato ancora nulla di ufficiale. Ci stavamo conoscendo, insomma. Io era già profondamente, irrimediabilmente e terribilmente innamorata di lui. Lo ero ormai da tempo, ma me ne resi conto solo in quel momento. E quella consapevolezza mi fece innervosire un poco. Però la calma innaturale della natura e il suo atteggiamento rilassato mi avevano aiutata a tranquillizzarmi. Non sapevo cosa provava lui per me. Era interessato, di questo ero certa. Gajeel non era il tipo che sprecava tempo ed energie per qualcosa di cui aveva scarsa considerazione. Ma quanto era interessato? Solo più tardi, in quella giornata perfetta, scoprii quanto lui mi amava. Un sentimento profondo quanto il mio, se non addirittura di più. E la mia vita divenne perfetta.
Non disponibilePrima di quello, però, ci sedemmo su una panchina, circondati dal verde, dal mulino, dalla fattoria e dal cielo. Quel cielo di un azzurro screziato come non l'avevo mai visto. Come mai lo rividi. Un cielo limpido che racchiudeva tutto il nostro futuro. Io avevo le spalle irrigidite dalla tensione per ciò che stavo per dire. Volevo sapere cos'ero per lui, ma non avevo mai, in tutta la mia vita, preso l'iniziativa. Respirai profondamente.
- Hey, Gajeel.
- Huh? – mugugnò lui senza guardarmi. Masticava un pezzo di metallo in una maniera che avevo sempre trovato irresistibile.
E da oggi in poi, ...
- Mia mamma diceva sempre che quando muori ci sarà sempre qualcuno ad aspettarti in cielo.
Mi ricordo che sorrisi a quelle parole. Mia mamma era andata via da moltissimo tempo. Mio papà aveva smesso di aspettarla.
- Sì,... così? - mi spronò Gajeel pacatamente. Forse aveva capito che volevo dirgli qualcosa di importante. Aveva anche smesso di mangiare.
- Così mi chiedevo, ci sarà qualcuno ad aspettare me quando morirò?
Ancora oggi non so perché glielo chiesi. Forse era il piccolo paradiso in cui ci trovavamo ad avermi influenzata, o la vista di quello sconfinato cielo. So solo che fu la cosa migliore che potessi fare.
Non disponibileDopo un silenzio interminabile, rotto solo dallo stormire delle foglie e dai nostri respiri che vibravano all'unisono, Gajeel rispose. - Be', dipende da chi morirà per primo, io o te.
Girai la testa di scatto, completamente impreparata a quelle parole. Sarei stata pronta a tutto, ma non a quello.
- Se muoio per primo, io ti aspetterò, Gamberetto.
… fino a che ti vedrò ancora, ...
Sorrisi. Era il meglio che potevo aspettarmi da lui come dichiarazione. E mi bastava. Era pronto ad aspettarmi, se mai fossimo stati separati. E Gajeel non era un tipo paziente.
Spostare la mano affinché si posasse sopra alla sua, grande e forte come lui, fu il gesto più naturale del mondo. E il più giusto.
-  Lo prometti? - bisbigliai.
- Sì - rispose solennemente. Era tremendamente serio. Un Dragon Slayer mantiene sempre le promesse.
 
Così morì Levy McGarden, ultima sopravvissuta alla strage di Fairy Tail. Gilda che veniva ricordata ogni anno in occasione della sua scomparsa, che a decenni di distanza non era ancora stata soppiantata.
Spirò nel silenzio di una camera della cattedrale di Caldia, con le mani strette in quella di Maria, la sua unica persona cara.
Se ne andò con il sorriso sulle labbra, crogiolandosi nel dolce ricordo del suo primo bacio. Un bacio che profumava di vento e aveva il sapore di metallo. Un contatto che aveva tanto sognato. Un tacito accordo come dimostrazione del loro amore.
Questa fu l'ultima cosa che il cervello di Levy McGarden ricordò. E che la fece sorridere nella morte.
Lei aveva mantenuto la promessa.
Era tempo che Gajeel rispettasse la sua.

Non disponibileLo percepì prima di vederlo. Era sdraiata da qualche parte.
Erba.
Dei fili d'erba le solleticavano le gote. Ma a Magnolia era inverno, faceva freddo.
Le sue guance.
Lo sapeva, era consapevole del fatto che erano di nuovo lisce e morbide come anni prima.
Come una vita prima.
Il suo viso non era più deturpato dalle cicatrici.
Un'ombra si frappose fra lei e il sole. - Oi, Levy!
Quella voce.
Inequivocabile, sebbene fosse passata un'eternità da quando l'aveva udita l'ultima volta. Levy aprì un occhio, uno solo, a causa della luce intensa. - Mh?
... ti starò amando.
Gajeel.
La sovrastava. Sopra di lei, la guardava con una smorfia di disappunto. Odiava aspettare.
Le era mancata così tanto la sicurezza che solo lui riusciva a trasmetterle quando la bloccava con il suo corpo. E i ricordi delle sue carezze infinitamente dolci, a letto, le fecero inumidire gli occhi.
- Cavolo, sei sicuramente una dannata e pesante dormigliona - si lamentò.
Ma a lei non importava. - G-Gajeel??? - balbettò con le lacrime che premevano per uscire. Non riusciva a credere che fosse davvero lì.
Non disponibileAmami.
Non attese risposta. Si mise in ginocchio fra le sue gambe e lo strinse forte a sé. Premette il suo corpo contro di lui per recuperare tutto il tempo perso.
E intanto lui piangeva, inerme.
Levy sapeva anche quello, senza bisogno di guardare.
Avevano tutta l'eternità per stare insieme. Tutto il tempo del mondo in quel piccolo pezzo di paradiso che assomigliava al loro luogo speciale, quello con il mulino.
Ma lì l'erba brillava, come loro.
Lì il tempo non c'era. Era tutto perfetto, realmente perfetto.
Finalmente erano insieme, a casa.
Per sempre
.
 
 
 

“Se arrivi lì prima di me,
 non rinunciare a me.
Ti incontrerò quando avrò sbrigato tutte le mie faccende,
non so quanto ci vorrà.
Ma non ti lascerò andare,
caro aspetta e guarda.
E da oggi in poi,
fino a che ti vedrò ancora,
ti starò amando.
Amami.”
 

MaxBarbie’s
Cioè…io ADORO queste immagini. Chissà perché le storie drammatiche riescono sempre a trasmettere un sacco di emozioni. Io non so se ci sono riuscita. Penso che bastino le immagini. È la prima storia triste che scrivo. E, per quanto fascino abbiano, una scrittrice una volta disse che “nella vita reale non è così”. Meglio osservare la disperazione in libri e film piuttosto che provarla sulla propria pelle. Penso di saperne qualcosa.
Ma basta deprimersi. Con molto disappunto constato che l’inglese in poche parole esprime concetti che in italiano possiamo lontanamente far capire con frasi chilometriche. In breve, quel “I’ll be loving you”, letteralmente “ti starò amando”, non è esatto in italiano. Non del tutto almeno. Noi diremmo: “Ti amerò”. Ma quell will più –ing danno un senso di continuità. Insomma, l’amore era dentro ai nostri beniamini per tutto quel tempo, mai sopito, anzi. Non hanno smesso un attimo di pensare l’uno all’altra.
Mi ritiro, a domani con un capitolo felice dell’altra ff^^ Scusa per l’ora FairyLove^^”
MaxBarbie


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Capitolo 5
*** Sure... ***


Sure...

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: leggermente OOC (spero leggermente)
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: occidentale (sinistra a destra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

Gajeel si svegliò di soprassalto e prese il cellulare dal comodino. Tolse la modalità offline senza curarsi di guardare che ora fosse. La luce dello schermo lo colpì in pieno viso, potente come un pugno in quella fitta oscurità. Panther Lily, di fianco a lui, si svegliò e miagolò in protesta. Con suo disappunto, lo aveva svegliato.
Aspettò un minuto, un minuto intero, e poi un altro. Ma nulla, la casella dei messaggi continuava a stare in silenzio. Non c'erano nuove notifiche. Quel messaggio tanto agognato non era arrivato. Del resto, erano le tre di notte. E lui aveva guardato il cellulare per l'ultima volta due ore prima. Sbuffando e scalciando, arrotolandosi la maglia attorno al corpo, si rimise a dormire, mentre gli artigli di Lily gli si ficcavano nel braccio: mai disturbare il sonno di un docile gattino.
 
La mattina la storia fu la stessa. Nessun messaggio. Erano le sette in punto e Gajeel già sapeva che sarebbe stata una lunga giornata. L'oggetto di così tanta impazienza?
Una ragazza. Eh sì, lui, il temibile palestrato Redfox, il più tosto dei buttafuori, si era preso una sbandata. E che sbandata! La fortunata, o sfortunata a seconda dei punti di vista, era una graziosa fanciulla più piccola di due anni. Si chiamava Levy McGarden, un nome già dolce di per sé. Quando la si guardava, la glicemia e l'indice di cucciolosità di una persona schizzavano alle stelle. Era piccolina e magra, con delle curve morbide proporzionate alla sua stazza. Il sedere era una cosa incredibile. Per quanto Gajeel fosse ingenuo, non aveva potuto non notarlo. Con la vita stretta e i fianchi che colmavano la mancanza di un seno prosperoso, quel lato B era una piccola meraviglia. Se poi la ragazza si metteva delle parigine che arrivavano al ginocchio o poco più su e dei vestitini davvero troppo corti per la mente fantasiosa di Gajeel, il risultato era esplosivo. Si erano conosciuti una sera per caso, quando lui aveva il turno da buttafuori. Aveva dovuto trascinare fuori dal locale una certa Kana, una sua vecchia conoscenza, ubriaca oltre ogni dire. Non aveva freno e puntualmente la discoteca di turno la cacciava per non rischiare di avere problemi. Con lei quella sera, oltre alla solita compagnia di amiche, c'era lei, Levy. Non era nemmeno un po' allegra, probabilmente non aveva bevuto. Si pizzicava l'orlo della gonnellina con timidezza e insicurezza.
- Tutto bene? - le aveva chiesto Gajeel, sorprendendo se stesso.
Cosa gli importava di quello scricciolo? Aveva già le sue amiche.
- Ehm... sì - aveva risposto incerta. – Solo che non mi piacciono certi locali, specialmente questo.
- E allora perché sei venuta?
Il tono duro della sua voce e il sopracciglio pieno di piercing alzato in modo canzonatorio avrebbero dovuto intimidirla, ma Levy non ci aveva fatto caso.
- Ho perso una scommessa.
Il ragazzo storse la bocca. Sapeva cosa significava, non era digiuno di cavolate fatte per colpa di una sfida non vinta.
Poi se n’erano andate, lei, Kana e le loro amiche, e tutto era finito lì con quella ragazza riservata. O almeno così credeva.
Il giorno dopo, infatti, se l'era vista arrivare nella palestra in cui lavorava come body builder.
Lei aveva sgranato gli occhi, mentre Gajeel aveva sbattuto più volte le palpebre.
- Che ci fai qui? - aveva domandato in modo brusco.
- Sono... la nuova segretaria - aveva balbettato lei.
Il resto era venuto da sé. Gajeel aveva scoperto il suo nome grazie ad Elfman, il suo collega. Si chiamava Levy McGarden. Solo che non poteva chiamarla per nome, dato che non glielo aveva chiesto. Fra una pausa e l'altra la vedeva lavorare assiduamente sopra a calcoli e schede di esercizi ginnici. Quando era particolarmente stressata usava la fascetta che aveva in testa come elastico per capelli. Ogni volta che staccava con il lavoro tirava fuori da una tasca della borsa un libro e si metteva a leggere ignorando tutti. Era talmente assorta da non accorgersi mai degli sguardi incuriositi e perquisitori che lui le lanciava. Finché un giorno non le aveva parlato.
Lei si stava lamentando con Mirajane, la proprietaria, del fatto che con il trasloco doveva spostare tutti i suoi libri. Ma erano troppi e non sapeva come fare da sola.
Quella ragazzina bussava spesso nella mente di Gajeel nei momenti più stravaganti. Un suo sorriso mentre lavorava, un suo sospiro soddisfatto, la sua risata cristallina e le sue manine che armeggiavano con un libro facevano capolino nei ricordi del ragazzo. Se avesse avuto un suo contatto su qualche social network probabilmente si sarebbe comportato da stalker. Per lo meno sapeva che non era impegnata sentimentalmente. Però tutti quei pensieri vorticosi e ingarbugliati lo avrebbero portato a parlare senza pensare.
- Se vuoi ti aiuto io.
Che cosa? Gajeel si era pizzicato una coscia dopo la stupidaggine detta. Perché si era offerto e si era intromesso nei suoi affari?
- Grazie, volentieri. Solo che ho orari un po' strani e non so quando mi libererò.
- Nessun problema.
Levy era rimasta sorpresa mentre Mira aveva sorriso come una che la sa lunga.
- Ok, allora... ehm... ti do il mio numero?
- Sì – rispose lui seccamente.
Sì, Gajeel era portato per fare colpo con i discorsi intriganti e le arringhe carismatiche.
Aveva segnato il numero di Levy sul cellulare e poi le aveva porto la mano.
- Sono Gajeel.
- Lo so - aveva risposto limpidamente, sorridendo. - Io sono...
- Pocket Woman.
La ragazza strabuzzò gli occhi e lui si tirò uno schiaffo mentale molto potente. Donna tasca? Donna tascabile? Ma era scemo o cosa?! E ora questa come gliela spiegava?
- Pocket Wo...man? - aveva chiesto, cinica. Poi era scoppiata a ridere. - Perché Donna Tasca?
Gajeel si era  grattato la nuca, imbarazzato. - Be', sì sai... per quello.
- Quello cosa? - aveva domandato trattenendo a stento le risate.
- Per la tua tasca magica.
- La mia... tasca magica - aveva ripetuto lei con sarcasmo. Non riusciva proprio a capire. Intanto Mirajane si era allontanata per lasciare loro un po' di privacy. La sua mente galoppava un po' troppo.
Sbuffando, il ragazzo aveva spiegato: - Per la tasca della tua borsa. Tiri fuori sempre, o quasi, un libro nuovo. Sembra una tasca magica.
- Wow. Ma sai che la borsa la svuoto ogni sera?
Aveva quasi avuto paura di rivelargli che la tasca non era magica, come se quello davanti a lui fosse stato un bambino e non un muscolo e alquanto sexy body builder.
- Lo immaginavo. Ma è anche per un altro motivo.
Bravo Gajeel! Bravo! Sei un idiota! Oggi resti a digiuno e ti fai una serie in più di sollevamenti per punizione. Cretino, si era detto mentalmente.
- Posso trasformarmi io stessa in una tasca?
- No, ma potresti entrarci.
Levy era arrossita. Stava facendo allusione alla sua altezza. O bassezza.
- Non fraintendermi, non era una critica. È che ogni tanto mentre ti osservo lavorare sparisci dietro al bancone per cercare qualcosa. Sei piccolina e la scrivania sembra quasi troppo alta per te.
Levy aveva ridacchiato. Be', almeno non lo stava insultando. Gajeel, contagiato da quell'ilarità, aveva sfoderato un sorrisetto sghembo accattivante. Ma perché rideva?
- E quando mi osserveresti, tu?
Oh. Porca. Miseria. Ti uccidi da solo o vuoi lasciare che sia lei a farlo, beota mononeuronale?, aveva urlato mentalmente il ragazzo. Era proprio scemo, basta. Per colpa di un piccolo sorriso di una ragazzina gli andava in tilt il cervello. E poi, diciamocelo, il suo forte sono i muscoli. Il cervello è un po' pigro anche quando è concentrato.
Gajeel era avvampato e aveva e distolto lo sguardo. - Osservo tutti quelli che lavorano con me.
- Ehi Gajeel! - aveva urlato Elfman avvicinandosi a grandi passi. - Se non fossi tanto bravo nel tuo lavoro ti licenzierei in tronco. Quante volte ti ho detto di osservarmi mentre regolo i tapis-roulant? Hai sbagliato ancora.
- Ops. Sai che vado forte solo sugli esercizi senza macchine.
- Insomma, anche Mira si è lamentata. Dice che posizioni male i pesi anche se ti ha mostrato mille volte come sistemarli. Levati quei grilli dalla testa. È da vero uomo fare bene il proprio lavoro.
- Certo, hai ragione. Ci farò più caso. Scusa.
- Nulla. A dopo. Evergreen vuole che le mostri come si fanno i sollevamenti.
- Ceerto - aveva sghignazzato Gajeel, ammiccando. - Perché lei di sicuro vuole fare sollevamenti…
Anche Levy aveva ridacchiato, cogliendo l'antifona.
Elfman gli aveva lanciato un'occhiata interrogativa prima di allontanarsi.
- È da vero uomo non capire quando una pollastra ti sbava dietro - lo aveva scimmiottato. - O, è da vero uomo essere tonti.
- Allora sei un vero uomo - aveva riso Levy.
- Io capisco quando le ragazze ci provano. E non sono tonto.
No, nessuna delle due affermazioni era vera. Era tonto, e non aveva mai avuto una ragazza anche se in palestra le sue clienti erano solo donne. Chissà perché...
- Ah, sei sveglio allora? Si vede da come osservi tutti i tuoi colleghi, no?
Oh sì. Era proprio sveglio. Praticamente le aveva detto che la osservava, anzi, la studiava. E aveva mentito. Anche se poi la sua bugia gli era collassata addosso in due minuti. Vai così, ragazzone!
- Già... - aveva mormorato, paonazzo in volto, grattandosi la nuca e indietreggiando. - Facciamo che mi invii un messaggio quando ne hai bisogno. O voglia.
Si era morso la lingua, letteralmente. Perché avrebbe dovuto aver voglia di scrivere ad un deficiente come lui? Probabilmente parlava solo con secchioni intelligenti, che leggevano i libri che le piacevano e capivano cosa volevano dire. E riflettevano prima di parlare.
- Aspetta! - lo aveva chiamato.
Gajeel si era girato con troppa impazienza. Magari voleva invitarlo ad uscire. Magari gli piacevano quelli tonti come lui.
Sei patetico Gajeel. Smettila. Sei disgustoso. Rammollito. Due serie di addominali extra.
- Salvami in rubrica almeno con il mio nome! Sono...
- Troppo tardi - l'aveva interrotta tirando fuori il cellulare e muovendolo davanti al viso. - Ti ho salvata come Pocket Woman.
Levy aveva riso prima di salutare calorosamente un ragazzo che era appena entrato. Lo stoccafisso aveva ricambiato il sorriso con sguardo fin troppo eloquente. Gajeel aveva contratto la mascella e si era allontanato. Voleva una tasca magica da cui tirare fuori un martello.
 
Gajeel fece colazione con l'umore sotto ai piedi. Non doveva andare al lavoro e quindi non l'avrebbe vista. Solitamente dormiva fino a mezzogiorno quando aveva la mattinata libera, ma l'impazienza non gli aveva permesso di riposare bene. Dopo aver sparecchiato e pulito la cucina, si diresse in camera per rifare il letto. Era incredibile come cambiasse quando era a casa. Di notte indossava eleganti completi con giacca e cravatta per fare il buttafuori e di giorno attillate magliettine che mettessero in mostra i muscoli. A casa invece si metteva le prime cose che gli capitavano a tiro. Quel giorno aveva ancora addosso il pigiama… o la tuta. Scoordinata. La vecchia maglia rossa un po' stinta, con la tenerissima faccina stilizzata di un gatto disegnata, gli era forse un po' corta. E i pantaloni grigi larghi erano slacciati.
Gajeel scostò la tendina che separava camera sua da quella del coinquilino: Gray Fullbuster. Lui di solito la mattina usciva sempre presto, ma la sera prima aveva avuto il turno di notte, quindi era a casa. L'altro loro compagno, Nastu Dragneel, era impossibile da svegliare. Sbuffando si sedette sul letto dove il suo Lily stava ancora sonnecchiando. Se non poteva rompere le scatole a Gray, magari poteva giocare con il suo gatto. Quello di Natsu gli stava antipatico. Gajeel si mise ad accarezzare Panther Lily, che iniziò subito a fare le fusa per poi mordergli giocosamente la mano, del tutto sveglio. Il ragazzo ridacchiò e prese il cellulare per fargli una foto. Accese lo schermo e...
Un messaggio.
Da Pocket Woman.
Emettendo un sorpreso suono strozzato, Gajeel sbloccò lo schermo e corse a pigiare la casella dei messaggi, inveendo contro la lentezza di quel maledetto aggeggio. Perché i cellulari sono pigri proprio quando abbiamo più bisogno di loro?
Finalmente la cartella si aprì e l'impaziente ragazzo premette sulla chat di Levy. Un solo messaggio, dato che era la prima volta che si scrivevano. Ma contava ben quattro righe e mezzo. Lesse con avidità.
Non disponibile"Buongiorno, Gajeel! Mi stavo chiedendo se puoi aiutarmi a spostare qualche libro da me. Intorno alle 17 circa...? Per favore...?"
Il saluto iniziale non era niente male, anzi, era molto caloroso! Quel “per favore” un po' dubbioso, però, lo mandò in brodo di giuggiole. Era così tenera! Spesi altri due minuti ad analizzare quel messaggio chiaro e semplice alla ricerca di oscuri significati nascosti, il corpo di Gajeel parve sbloccarsi.
Strinse il cellulare in un pugno e ghignò, emettendo un "yes" soddisfatto. I raggi di sole che filtravano dalla finestra gli sembrarono immediatamente più radiosi e caldi, più scintillanti, come se incarnassero lei che gli sorrideva. Gajeel, con il telefono stretto in mano, slanciò le braccia all'indietro e sollevò una gamba, pronto a spiccare un balzo. Saltò e arrivò sul letto dove un terrorizzato Lily arruffò il pelo temendo un attacco. Purtroppo, essendosi svegliato da poco, non fu pronto a scattare via e, quando il pesante corpo del suo padrone atterrò sul materasso facendo vibrare le doghe di legno producendo un rumore molto poco rassicurante, fu sbalzato in aria. Per fortuna riuscì a raddrizzarsi prima di atterrare sulle zampe e rompersi qualcosa. In compenso soffiò verso Gajeel che, abbandonato il cellulare sul letto sfatto, aveva recuperato fulmineamente la vecchia katana e il megafono di Gray. Sdraiato a letto si mise ad urlare nel megafono: - Ecco a voi Mr. Redfox! Chiamate questo numero per ottenere consigli d'amore al gusto di Shooby Doo Bop! Cento tecniche diverse per la ragazza giusta!
Poi iniziò ad agitare la katana rischiando quasi di incastrarla nell'intonaco del soffitto o di tagliuzzare le lenzuola mentre cantava la sua canzone preferita: Shooby Doo Bop. Dopo due minuti e un urlo infastidito di Gray abbandonò la carriera canora e si sporse per acciuffare Lily. Lo sbatacchiò un po' facendolo volare come un aeroplano, per poi raccontargli perché era così felice. Il povero gatto non lo avrebbe ascoltato nemmeno se avesse potuto, ma di certo in quel momento non era al top della sua forma. Gli girava un po' la testina felina.
Nel bel mezzo della sua arringa per convincere Levy ad uscire con lui, Gajeel si accorse di una cosa: non aveva ancora risposto al messaggio.
Scattò in piedi sul letto lasciando cadere Lily che, frastornato, barcollò fino al bordo del materasso e si lasciò cadere sul pavimento. Gray udì le molle scricchiolare ad intervalli regolari oltre la tenda e si premette il cuscino sulla faccia, borbottando: nemmeno un po' di rispetto per chi lavorava fino a tarda notte!
Gajeel stava camminando avanti e indietro sopra al letto, massaggiandosi il mento. Come doveva rispondere? "Non vedo l'ora"? No, troppo sincero e sdolcinato. Pessimo. Orribile. Come aveva potuto pensarlo? Raccattò il cellulare continuando a passeggiare. "Come vuoi"? No, sembrava che gli pesasse. Lei avrebbe frainteso e avrebbe disdetto cercando qualcun altro, tipo quel cliente stoccafisso della palestra. Grugnì e strinse i pugni, allungandosi fino ad appoggiare la fronte sul muro sopra alla testiera del letto. Sbloccò il telefono e preparò le dita per digitare. Cancellò tre risposte.
Infine ci riuscì. "Certo...". Perfetto! Era perfetto! Semplice, da gran duro. Si immaginò Levy che pensava alla sua voce seducente e mascolina mentre lo diceva, magari ghignando. E poi che gli afferrava il colletto attirandolo a sé... no. Stop. Correva troppo. Quella parola però era perfetta: indicava che era d'accordo, non lasciava trapelare che moriva dalla voglia di vederla. E poi c’erano i tre puntini, che nascondevano tanti di quei sottintesi da rendere vitale quel messaggio. Dicevano: "E poi? Cosa facciamo dopo? Mi stai un po' rompendo le scatole con questa richiesta, ma sono figo e quindi accetto. Mi hai svegliato, ma è stato un buongiorno dolcissimo...". No, era meglio se non coglieva l'ultimo sottinteso.
Gajeel premette invio e rilesse la conversazione (cioè i due  messaggi, di cui uno suo), quindici volte. Infine si fiondò verso il suo armadio.
Stile ricercato: misterioso, attraente e un po' noncurante. Della serie: "Ho pescato le prime cose che ho trovato e sono sexy lo stesso".
Dopo cinque minuti andò a far visita anche all'armadio di Gray, che si era assopito di nuovo. Probabilmente avrebbe sentito le sue urla fino a casa di Levy se avesse scoperto di quel piccolo prestito non autorizzato.
Ma, be', aveva una missione importantissima da portare a termine. E probabilmente la ragazza in quel momento stava analizzando il messaggio cercando di capire se lui era interessato. Avrebbe pensato a lui tutta la mattina.
Tu sì che sai come fare colpo, Gajeel.
 
Levy udì la suoneria delle notifiche: aveva ricevuto un messaggio. Senza staccare gli occhi dal libro, allungò la mano e andò a tastoni finché non trovò il profilo freddo e solido del cellulare. Lo sollevò e aspettò un altro minuto prima di sbloccare lo schermo: doveva finire il capitolo e non aveva fretta.
Alla fine sospirò e lesse il messaggio, il cui mittente era Gajeel. Incuriosita, fissò quell’unica parola.
"Certo... ".
Be', di sicuro era più loquace dal vivo che via etere.
Levy accantonò il cellulare e riprese a leggere. Più tardi gli avrebbe inviato l'indirizzo di casa.
In quel momento aveva una missione più urgente da portare a termine.
 
 
MaxBarbie’s
Ahahahah l’ho finito 5 minuti fa. Sono stupida come Gajeel perché ne ho altri 5 pronti, ma volevo postare quello che stavo ancora scrivendo. Mi fa troppo ridere l’immagine e mi sono divertita un sacco a scriverlo. Spero che non sia incasinato^^”
Sono puntuale, yeee! Purtroppo temo che Gajeel-kun sia venuto un po’ OOC. Cioè, ci sta che si comporti così, ma sono interiormente. Ho cercato di rimediare con la storia della palestra, ma se l’immagine è quella… In ogni caso, è una genialata di immagine*-* Se sapete con certezza di chi è, ditemelo per piacere.
Buonanotte a tutte e a domani ;)
MaxBarbie


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Capitolo 6
*** Oral Fixation ***


Non disponibile
Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: arancione
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

Gajeel e Levy erano a letto da più di un'ora, ormai. Lily era andato alla gilda e loro avevano deciso di prendersi un giorno sabbatico, dedicandosi a loro stessi. Si erano riposati, o meglio, lui aveva sonnecchiato sul divano e lei aveva letto un libro abbarbicata sopra di lui. Avevano smangiucchiato qualcosa con poco interesse, chiacchierando dei loro progetti e desideri per il futuro, pianificando le loro giornate. E poi, ovviamente, si erano rotolati sul letto e avevano contribuito ad aumentare la temperatura della loro camera senza dispendio di energia elettrica. Si erano riposati, abbracciati, e poi si erano scatenati ancora... e ancora. Avevano trascorso il resto del tempo a coccolarsi e stuzzicarsi, crogiolandosi nel calore dei loro corpi vicini. Levy lo aveva riempito di tenerissimi baci sul viso e sul petto, mentre il suo compagno aveva subito in silenzio quella tortura paradisiaca. Non poteva dimostrarsi troppo dolce, non era da lui. Ma alla sua ragazza bastavano le sue forti e protettive braccia intorno al corpo per essere felice. Le trasmettevano tutti i pensieri d'amore inespressi di Gajeel. E lei non poteva fare a meno di abbandonarsi contro il suo corpo solido, caldo e possente.
Alla fine aveva posto fine a quel momento intimo alzandosi e andando a prendere una tazza con delle ciliegie. Gajeel non ne andava pazzo, ma lei le mangiava come se fossero cioccolatini. Le avrebbe scelte sempre, qualunque fosse la gamma di cibo offerto. Non ne poteva fare a meno, le adorava.
Non disponibileLevy si sdraiò supina a letto, di nuovo, mentre lui la osservava. Sistemò la tazza di fianco al suo lato, per terra, e strinse al petto il cuscino. I capelli selvaggi e scarmigliati, spettinati dalle manone di Gajeel poco prima, le incorniciavano il visino morbido e tenero. Solo lui poteva vederla senza fascetta. Solo lui aveva quel privilegio. Il ragazzo era sdraiato a pancia in giù come lei, la testa appoggiata sul braccio sinistro mentre la mano era abbandonata vicino ai capelli disordinati. Il braccio destro circondava l'altro e  gli copriva parte del viso. La curiosità traspariva solo dagli occhietti vispi e fiammanti, fissi su di lei. Gajeel adorava osservarla, analizzare i mutamenti nelle sue espressioni facciali e i guizzi di vita dei suoi occhioni caldi.
Levy prese una ciliegia sospirando di piacere e se l'appoggiò sulla lingua, chiudendo gli occhi per assaporarla meglio. Ci giocò un po' con ingenuità, ignara delle occhiate languide che le lanciava il compagno. Gajeel arrossì e nascose ancora di più il viso nel braccio quando Levy leccò senza malizia, eppure in maniera estremamente provocante, quella ciliegia. Ciliegia molto fortunata, secondo il ragazzo. E quando le labbra rosee e morbide della giovane catturarono quel piccolo frutto, Gajeel avvampò e iniziò a sudare. Doveva fare qualcosa per distrarla. Respirò profondamente per calmarsi e ridacchiò nel suo tipico modo, emettendo un "gihihi" che aveva sempre la capacità di fare battere più velocemente il cuore di Levy.
Gajeel disse la prima cosa che gli venne in mente, la più ovvia, giusto per rompere quel silenzio carico di tensione. Per lui. - Di sicuro ti piacciono quelle ciliegie, piccoletta.
Levy si girò, incuriosita, giusto in tempo per vedere la manona del compagno che si sistemava quei meravigliosi capelli che lei aveva scompigliato. Aveva ancora il gambo della ciliegia che fuoriusciva dalle labbra, ma con la mano libera ne aveva già presa un'altra.
Non disponibile- Sì, sono le mie preferite - rispose sorridendo, gli occhi socchiusi.
Poi si illuminò e le gote le si arrossarono in quel modo che tanto piaceva al compagno. Togliendosi il gambo della ciliegia dalle bocca, esclamò. - Hey, Gajeel. Vuoi vedere una cosa fantastica?
Il ragazzo notò che aveva avvicinato la seconda ciliegia alle labbra. Era una cosa pericolosa. Appoggiò la guancia al pugno chiuso e chiese, incuriosito e preoccupato allo stesso tempo: - Che cosa intendi?
- Tieni solo gli occhi fissi su di me - spiegò lei placidamente infilando in bocca il frutto.
Gajeel la osservò con attenzione mentre masticava. Si stava impegnando molto e non capiva esattamente cosa stesse facendo. Non voleva nemmeno battere le palpebre per paura di perdersi qualcosa di importante. Levy masticò e mosse la bocca in modo strano, come se la sua lingua fosse impegnata con qualcosa. Aveva chiuso gli occhi per concentrarsi meglio. Quasi due minuti dopo esclamò: - Ta-da!! Un nodo di ciliegia!
Tirò fuori la lingua e Gajeel poté vedere il gambo della ciliegia attorcigliato fino a formare un nodo. Spalancò la bocca, esterrefatto. - Che cosa?! Co-come hai fatto a farlo?! - balbettò. Poi l'orgoglio subentrò. Anche lui voleva fare una cosa così particolare. - F-fai provate anche me...
Non disponibileSi avvicinò a lei, che seppellì il viso nel cuscino stretto al petto. Iniziò a ridacchiare, ma Gajeel non se ne accorse. – Adesso dimmi come hai fatto! - esclamò, agitato. Doveva assolutamente farlo anche lui.
Poi si rese conto che Levy stava ridacchiando. Ben presto, però, quel melodioso "pfft ahah" divenne una risata vera e propria, squillante e divertita.
Gajeel non ci trovava nulla di divertente. Leggermente irritato, le intimò: - Hey! Smettila di ridere! Rispondimi, Gamberetto!
La ragazza si girò a pancia in su e il lenzuolo le scivolò fino alla vita, il cuscino sempre stretto al petto. Rideva talmente forte da non riuscire quasi a riprendere fiato. - La tua faccia... è solo che... - riuscì a dire prima di tornare a ridere.
Gajeel adorava vederla così ilare, ma non quando era a causa sua. Si appoggiò sul gomito, mezzo sdraiato sul fianco. Il lenzuolo si era abbassato anche per lui.
Arrossì sentendosi preso in giro. - Hey! - sbraitò con poco tatto, come al solito.
Levy respirò a fondo, quel tanto che bastava per dire: - Sei così serio riguardo a questa cosa, e io stavo solo... -. Niente, era impossibile smettere di sghignazzare. E la faccia del compagno di sicuro non l'aiutava. Aveva un'espressione irritata, invidiosa e imbronciata insieme.
- Smettila subito di ridere!
Levy non si faceva spaventare da Gajeel, il massimo che poteva fare era tenerle il muso. Ma non resisteva più di un'ora di solito e tornava sempre a reclamare le sue coccole. Però decise che aveva riso abbastanza, non le piaceva vederlo così infuriato. Respirò a fondo, senza perdere il sorriso. Si asciugò una lacrima dovuta alle troppe risate e disse: -  Mi dispiace così tanto Gajeel. Mi sono calmata adesso -. Poi aggiunse a bassa voce, con sguardo furbo: - La tua faccia era così tenera...
Gajeel l'aveva sentita, eccome. Nulla sfuggiva al suo udito da drago. Così Levy lo distrasse di nuovo prima che potesse aprire bocca: - Vuoi vedere qualcosa di ancora più fantastico?
Il ragazzo la guardò, perplesso. Più fantastico di quello che aveva appena fatto? Quante sorprese nascondeva la sua donna? La cosa lo spaventò leggermente. Deglutì. - Cosa fai adesso? - chiese pacatamente.
Levy prese una ciliegia con le dita affusolate e la mise in bocca senza farsi vedere. Gajeel la osservava dall'alto e lei, sempre sdraiata, gli accarezzò il braccio muscoloso. Quel tocco amorevole  lo fece rabbrividire. L'altra mano della ragazza gli solleticò allusivamente il petto fino ad infilarsi dietro al collo. Gajeel era immobile, non sapeva cosa fare. Era stregato, ipnotizzato. Sentì la mano di Levy attirarlo verso di lei, così l'assecondò, attento a non pesare troppo. Si fermò ad un palmo dalle sue labbra, osservando come le si erano arrossate le gote, un po' come le sue. Il divertimento aveva lasciato spazio a quello sguardo intenso che rivolgeva solo a lui, quello che gli faceva attorcigliare le viscere dall'amore e dal desiderio. Era uno sguardo involontariamente languido e malizioso, seducente. Ed era questo a renderlo speciale.
- È un piccolo trucco come questo - sussurrò lei senza smettere di guardarlo. Poi annullò la distanza fra le loro bocche e lo baciò.
Gajeel spalancò gli occhi, sorpreso. Se lo aspettava, ma allo stesso tempo pensava che lei volesse mostrargli qualcosa come due nodi di ciliegia. Mugugnò un "mmm" di piacere mentre la gamba di Levy si alzava per posarsi sui suoi fianchi. Era ancora sorpreso e il suo corpo non reagiva. Aveva una mano anchilosata vicino alla coscia della compagna e non riusciva a muoverla. Era concentrato solo sul bacio.
Non disponibileLevy approfondì il contatto schiudendogli le labbra. Sospirò. Gli accarezzò una guancia con una dolcezza infinita, mentre con l'altra mano lo faceva aderire a sé il più possibile. Udivano solo i loro respiri congiunti, consapevoli unicamente del tocco caldo delle loro mani. Levy fremette quando i piercing freddi sul mento di Gajeel la sfiorarono. Approfondì il bacio emettendo un "mmm" sospirato, intrecciando la sua lingua con quella del compagno. Il sapore di ferro si unì a quello della ciliegia. Levy spinse un corpo estraneo nella bocca del ragazzo, insieme alla sua lingua, ma lui non si accorse di nulla. I baci della fidanzata gli facevano dimenticare persino dove si trovava. E quella volta i movimenti di Levy erano... particolari. La sua lingua vagava, talvolta incontrava quella del compagno, mentre altre volte sembrava seguire un qualche disegno astratto. Gajeel rovesciò gli occhi e chiuse le palpebre dal piacere, mentre lei gli succhiava il labbro inferiore, per poi tracciarne con la lingua il contorno superiore. Aveva quasi paura di respirare e rompere quell'incantesimo caldo, umido e intimo. Dolce. Gemette quando Levy lo mordicchiò.
Finalmente ripreso il controllo del suo corpo e andò a posare la sua mano sulla schiena della ragazza, nel tentativo di fargliela inarcare perché aderisse meglio a lui. Ma le mani della giovane si spostarono sulle sue spalle e lo spinsero all'indietro. Però non si staccò e Gajeel la trascinò con sé. Socchiuse gli occhi per osservarla meglio. Era bellissima. Le posizioni si invertirono, ora era Levy a troneggiare su di lui. Si baciarono ancora qualche istante, finché lei non si staccò. Gli mise una mano sulla guancia, accarezzandolo con il pollice. I suoi capelli gli solleticavano il viso, ma a lui non importava. Non poteva essere vera, era troppo perfetta. Non riusciva a credere che amasse davvero lui, il mostro che l'aveva picchiata e crocifissa ad un albero. Era impossibile che una creatura così unica lo avesse perdonato e salvato, regalandogli una vita vera con la semplicità di un respiro. La contemplò a lungo, appoggiato sui gomiti, con uno sguardo da innamorato perso che Levy non poté non ricambiare. Un sorrisino sulle sue labbra gli fece capire che sapeva ciò che provava, che era lo stesso che sentiva lei.
La vide schiudere le labbra per parlare. Probabilmente gli avrebbe detto che lo amava. Toccava un cielo con un dito quando sentiva quelle due piccole parole pronunciate dalla sua voce dolcissima. Erano semplici, eppure racchiudevano un mondo intero. Il cuore di Gajeel accelerò, aspettando lo scampanellio di quel suono che gli permetteva di andare avanti a testa alta, di vivere meglio. Di essere migliore.
Non disponibile- Gajeel, guarda - disse invece, mostrando la lingua e un nodo di ciliegia appoggiato su di essa. Si era seduta su di lui con aria quasi annoiata, come se fare quello strano nodo fosse la cosa più insignificante della terra. - Non è super cool la tua donna?
E fu così che il mondo crollò in testa al signor Redfox. - Gah - riuscì solo a mugugnare con voce strozzata. Era totalmente spiazzato. Rimase immobile, i neuroni incapaci di svolgere il loro ruolo.
E poi crollò, sdraiato con una gamba piegata e il braccio a coprirgli gli occhi. Aveva le guance che andavano a fuoco e il petto che vibrava: Levy era sdraiata sopra di lui, con le braccia incrociate sul suo petto, e rideva.
- Non azzardarti a ridere ancora - sibilò Gajeel. Ma lei non lo ascoltò e, se possibile, rise ancora più forte. - Dannazione Gamberetto! Io ero così preso dal bacio mentre tu stavi solo giocando?! - sbraitò con rabbia. E irritazione.
- Pff - soffiò Levy ridacchiando. - Ti stavo solo stuzzicandoo un po', per una volta.
Gajeel grugnì e lei si calmò nuovamente. Appoggiò la testa sul petto del compagno, esattamente sul suo cuore. Sentire il suo battito, che sembrava impazzito in quel momento, gli dava sempre una calma assoluta. La rilassava e le dava sicurezza. Specialmente quando lo sentiva fare le capriole grazie a lei.
Chiuse gli occhi e accarezzò il compagno, portando poi la sua manina vicino al viso. - Dovresti imparare a farmi i complimenti più spesso e a dirmi che sono una brava baciatrice.
Gajeel restò in silenzio, i capelli della compagna che lo solleticavano. Il rossore non aveva ancora abbandonato le sue gote. Sollevò gli occhi al cielo al commento di Levy e digrignò i denti. Non voleva cedere, ma allo stesso tempo voleva: erano davvero speciali i baci che gli dava.
E lei di sicuro non si aspettava una risposta.
Non disponibile- Okay, bene. Sei una baciatrice dannatamente brava, Levy - rivelò tutto d'un fiato.
La ragazza fece leva sulle braccia per guardarlo dall'alto, sconvolta. Non solo aveva ammesso che era una brava baciatrice, facendole un complimento. L'aveva chiamata per nome, cosa che faceva solo in circostanze ancora più intime. Lo usava solo nei momenti importanti perché sosteneva che fosse prezioso. Ma lei credeva che avesse un sapore tutto nuovo, speciale, pronunciato dalle sue labbra. Di solito usava nomignoli o vezzeggiativi rivolgendosi a lei.
Gajeel interpretò male il suo silenzio, così si affrettò a specificare: - ... E non lo ripeterò ancora, una volta è abbastanza.
Il rossore causato dalla vergogna persisteva sulle sue gote e lui guardava tutto fuorché il suo viso. Levy deglutì e riuscì a riacquistare l'uso della parola. - N-no, dillo ancora, per piacere! - balbettò. - Me lo segnerò questa volta!
Poi crollò su di lui ridacchiando estasiata. Lo amava, non c'era nulla da aggiungere. - Ahh... Gajeel! - sospirò. - Amo quando mi mostri il tuo lato tenero! - cantilenò baciandogli ogni centimetro del viso.
Si rimise seduta sopra di lui e iniziò a cantare al mondo la sua gioia, agitando le braccia.
Il ragazzo temeva di rimanere rosso a vita. - No! Ferma, piccoletta!
Levy rise e canticchiò: - Yay! Mi sento così felice, Gajeel!
Gajeel rinunciò al suo broncio. Non poteva resisterle quando assumeva quell’atteggiamento da bambina. – Sì, sì – borbottò, come una padre alle prese con una figlia esuberante. Figlioletta che non si voleva calmare, oltretutto. – S-smettila di agitarti in questo modo mentre sei sopra di me!
Ma come poteva suonare convincente quando a nessuno dei due dispiaceva quella situazione?
E come mai il frutto preferito di Gajeel diventò la ciliegia, da quel giorno?
  
 
MaxBarbie’s
Ahahahahaha mi faccio schifo da sola. Ultimamente mi fa schifo quello che scrivo, yeee. E il bello è che questo l’ho scritto settimane fa! Va be’…
Ahem, piccola informazione: le immagini sarebbero 8, manca l’ultima, ma non l’ho messa perché si vede la nudità di Levy (ahahah che ridere la parola nudità). So che non molto vestiti nemmeno nelle altre vignette, ma nell’ultima lei ha proprio il seno scoperto e, come ho scritto, si agita seduta sopra di lui. Io mi scuso per l’omissione, ma non voglio mettere il rating rosso. Quindi… non importa anche se non la vedete xD
Ultimamente mi sta venendo il panico perché ho paura di non essere all’altezza delle vostre aspettative L Siete in tantissimi ad apprezzare queste cosine che posto, e io mi sento onorata, ma temo di deludervi in qualche modo. Speriamo che sia solo un periodo passeggero, perché se quello che scrivo non mi piace non riesco ad andare avanti con la storia.
Buona Gajevy Week^^
MaxBarbie


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Capitolo 7
*** Cat Day ***


Cat Day

Disegnatrice: ?
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: prima della saga di Edolas
Avvertimenti: nessuno


 
Levy stava aspettando con impazienza che Gajeel varcasse la soglia della gilda. Come ogni anno, quello era il Giorno del Gatto. I membri di Fairy Tail dovevano comportarsi più o meno come dei gatti e non erano ammesse esclusioni: tutti dovevano partecipare. Inutile dire che la maga non vedeva l'ora di vedere quello scorbutico ragazzo con delle pelosissime orecchie e la codina. Sarebbe stato tenerissimo.
Levy arrossì per quei pensieri così ingenui e scontati, ma non poteva farci nulla: da quando aveva scoperto che il Dragon Slayer le piaceva non era riuscita a contenere le sue fantasie. Sognava di lui che si dichiarava, che contraccambiava il suo sentimento, che le regalava dei fiori. Il suo atteggiamento nei suoi confronti era diventato sempre più chiaro: certe parole che gli diceva o certe cose che faceva dimostravano chiaramente che era interessata a lui. Ma l'oggetto di quelle attenzioni sembrava non accorgersene. O magari non ricambiava. Preferì non pensarci.
In quel momento vide arrivare in controluce una figura. Un uomo con una folta massa di selvaggi capelli corvini che avanzava a passo deciso. Avrebbe riconosciuto quell'incedere e quei capelli ovunque.
Gajeel.
Levy si diresse di corsa da lui, fingendo però di passare di lì per puro caso.
Non disponibile- Meow - miagolò quando gli fu davanti. - Meoww - ripeté sollevando le mani e muovendo piano le dita come se fossero delle zampine.
Gajeel la guardava impassibile, anche se i suoi occhi erano più dolci del solito. Cosa strana, dato che odiava quando qualcuno si metteva davanti al suo cammino. Ma Levy lo incuriosiva. Era tanto tenera e indifesa, così piccola e gentile. Avrebbe potuto fare un elenco infinito dei suoi pregi, mentre di difetti non ne vedeva. Era tutto ciò che lui non era. E sì, le piaceva. Parecchio. Grazie a Fairy Tail i vecchi sentimenti sepolti dentro di lui erano venuti fuori di nuovo, e fra quelli c'era anche un mieloso e struggente romanticismo che lo terrorizzava. Si allenava il doppio perché aveva paura di essersi rammollito. Questo però non lo avrebbe detto a nessuno, specialmente a quella purissima ed ingenua ragazzina. Le aveva fatto già abbastanza male, non la meritava. Era meglio concentrarsi sulla ricerca del suo gatto: non poteva essere l'unico Dragon Slayer senza gatto. Era intollerabile. Ma a proposito di gatti...
Non disponibile- È un qualche tipo di penitenza? - domandò con le mani ben calcate in tasca, fingendo disinteresse. Per quanto fosse carina così, non riusciva a capire per quale motivo fosse conciata in quel modo bizzarro. Comunque le era riuscito davvero bene, le orecchie e la coda sembravano vere. - Bel lavoro.
- No! - si affrettò a negare lei. - È il Giorno del Gatto oggi, così tutti nella gilda lo stanno facendo.

Be', ora si spiegava tutto. - Ah, non c' è da meravigliarsi se sono tutti vestiti in quel modo... anche Salamander...
I due nakama si misero a fissare la scena, tanto tenera e allo stesso tempo inquietante. Natsu era felice e spensierato come quando da bambino aveva trovato l'uovo di Happy. - Happy, siamo abbinati! - esclamò sollevando le mani fino alle sue orecchie rosa e pelose.
- Aye! - rispose il micio che in quel giorno si sentiva sempre un re.
Lucy era meno entusiasta: se Natsu ed Happy si mettevano a fare più rumore del solito sarebbe stato impossibile leggere in pace il libro prestatole da Levy. Non capiva proprio come lei riuscisse ad estraniarsi da tutto quel trambusto. - Sembra che entrambi vi stiate divertendo.
- Gray-sama è meraviglioso - si complimentò Juvia spandendo zuccherosi cuoricini d'amore attorno al suo Gray-sama. Da sotto il capellino uscivano delle frementi orecchie azzurre.
Il ragazzo si grattò la testa, imbarazzato. - Questa cosa è stupida.
- Sì! - continuò Levy, rispondendo alla constatazione di Gajeel. - Mira e Lisanna ci hanno insegnato il Take-Over, ma noi possiamo solo trasformare le orecchie e la coda.
Sinceramente non gli interessava granché quella buffonata che Fiary Tail aveva messo in piedi. Una gilda normale non poteva trovarsela, vero? Poi però lo fulminò un pensiero che lo fece rabbuiare. - Hm? - mugugnò.
Tutti quanti?, pensò.
Stava succedendo di nuovo, stava rimanendo fuori da... da... qualcosa! Doveva reagire.


Non disponibilePiù tardi…
- Cavolo... Sono quasi morto - si lamentò Gajeel con un'aria cupa ad oscurargli il volto. Aveva fra le labbra una vite per scacciare il saporaccio che aveva in bocca. - Perché il piombo? Non posso nemmeno mangiarlo.
Era la decima volta che si lamentava. Levy gli aveva dato delle orecchie da gatto fatte di piombo per non farlo sentire escluso. Al massimo avrebbe potuto mangiarle. E infatti era proprio quello che il ragazzo aveva fatto, ignaro del materiale di cui erano composte quelle orecchie. Be', diciamo che il piombo non è esattamente facile da digerire. Anche il suo stomaco di ferro aveva dei limiti.
- Mi dispiace - si scusò Levy per la decima volta. - Perché è più pesante del ferro - aggiunse come spiegazione. Già, era più pesante, quindi più consistente, no? Come un hamburger. Cosa ne sapeva lei del fatto che gli era indigesto? Aveva delle goccioline di circostanza che le scendevano dal viso, mentre le sue orecchie erano afflosciate per la tristezza. Gajeel non la guardò per non rischiare di pensare a quanto fosse carina.
- È che tu solitamente non prendi parte a questi eventi - continuò lei, un leggero rossore a colorarle le guance. Giocava con le dita delle mani per colpa del nervosismo e teneva lo sguardo basso. - Ma io volevo che tu ti divertissi...
- Anche se me la dici in questo modo, tu vuoi solo vedermi con le orecchie da gatto, vero? - la interruppe senza tatto.
Levy sobbalzò e lo stesso fece Gajeel, sorpreso da ciò che aveva appena detto. Sapeva di piacerle in qualche modo, e non era l'unico senza orecchie pelose. Allora perché si intestardiva con lui? La risposta era ovvia.
- Sì - ammise lei sommessamente.
- Guarda - disse seccamente.
Non disponibileLevy si accorse a scoppio ritardato di ciò che aveva ammesso. Praticamente gli aveva confermato che gli piaceva. Si agitò e iniziò a muovere freneticamente la manina chiusa a pugno. - Aspetta, no! - cercò di rimediare. - Intendo dire, ci ho pensato, ma... no! Ma, ma, ma!
Era nel panico più completo, stava praticamente dicendo tutto quello che le passava per la testa.
- Cheh - mormorò lui.
Levy lo guardò con perplessità udendo un sommesso "poof" provenire da Gajeel. Che avesse...?
Sì, si era fatto comparire le orecchie. Erano nere e pelose, quasi indistinguibili in mezzo alla massa di capelli corvini. Il ragazzo aveva ancora in bocca la vite e guardava Levy con la coda dell'occhio per captare ogni sua espressione. Era sbalordita.
- Contenta?
Dopo alcuni istanti Gajeel decise di mangiare la vite. Tanto la nakama non gli dava segni di vita: era rimasta immobile a guardarlo, imbambolata. Sbuffò e distolse lo sguardo, evitando di indugiare troppo su quel visetto così morbido: la sua fantasia era già abbastanza fervida.
Non disponibile- Gajeel - bisbigliò lei poco dopo.
Il suo nome pronunciato da lei aveva un suono diverso, più dolce. Gli sembrava quasi di avere un nome speciale. La guardò, sorpreso.
- Huh?
Gajeel osservò Levy che, sorridendogli e avvampando, gli posò la nuca sulla spalla. Era così tenera. La sentì sospirare quando gli toccò la pelle. La sua coda, come quella di lei, iniziò a fremere agitata. Erano un po' nervosi entrambi. Il ragazzo si godette quel tepore finché non si rese conto che qualcuno poteva vederli. Allora le diede le spalle e si ficcò in bocca un altro chiodo.
- Gajeel...! - esclamò lei, sorpresa dal gesto brusco. Le orecchie si erano rizzate di nuovo.
Non disponibile- Cheh - disse masticando. - Non avevo scelta dato che tutti lo stavano facendo. Sarei spiccato se anche io non lo avessi fatto.
Come scusa andava bene, no? Ingollò la vite.
Meglio tutelarsi ancora, lamentandosi di Fairy Tail. - Questa gilda viene sempre fuori con le cose più ridicole! - sbraitò.
Levy ridacchiò e Gajeel dovette servirsi di tutto il suo autocontrollo per non immaginarsela mentre stringeva gli occhietti e sorrideva in quella sua maniera deliziosa.
- Be', siamo Fairy Tail.
Il che era tutto dire.
- Questo è quello che mi rompe di più - esclamò lui al limite.
- Eh?
Ecco, ci mancava solo l’offenderla. Si girò verso di lei e, quasi senza guardarla negli occhi, disse: - Senti, la mia parte da gatto l'ho fatta. Vado a cercarmene uno vero, ora. Ciao Gamberetto.
Levy, inaspettatamente, sorrise. - Meow - disse muovendo la mano come una zampina in un gesto di saluto.
Almeno lo aveva visto nelle vesti di un tenero gattone.
Gajeel uscì dalla gilda incavolato e di umore nero.
Poteva prendere Levy come gatto di compagnia? Ghignando di fronte a quell'improbabile quanto allettante idea, si allontanò, dimentico del fatto che aveva ancora le orecchie e la coda del Take-Over.
 

MaxBarbie’s
Eccoooomi. Pensavo seriamente di dover postare domani dato che questa connessione del cavolo mi ha veramente, ma veramente!, fatta dannare.
Mao? Ahahahah Levy è adorabile. Sono stufa di fare dediche di capitoli sempre alla stessa persona, ma non è colpa mia se tutti mi ricordano quella persona ahahaah. Chi deve intendere intenda. Intendi, hai capito?
A domani,
MaxBarbie
 
P.S.: se qualcuno se chi ha disegnato le vignette mi avvisi, per piacere^^


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Capitolo 8
*** Are you insane?! ***


Non disponibile
Are you insane?!

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: fine Dai Matou Enbu
Avvertimenti: missing moment

 
Per Fairy-chan^^

Levy sospirò di felicità e portò le mani alla bocca, entusiasta, mentre le sue lacrime di tensione e paura diventavano lacrime di pura gioia. Avevano vinto il Palio e Gajeel era salvo. Kana l'abbracciò, consapevole di ciò che la nakama doveva aver provato nell'osservare, impotente, il combattimento del Dragon Slayer.
Levy non aveva mai dubito della forza e della potenza di Gajeel. Vinceva sempre, soprattutto se di mezzo c'era la gilda. Lui non l'avrebbe mai ammesso, ma Fairy Tail lo aveva rafforzato, gli aveva dato uno scopo per cui combattere e dei legami. Legami di ferro, collegamenti indistruttibili fra persone con una comune appartenenza. E, anche se cercava di camuffarlo, era stata proprio Levy a farlo diventare più forte. Erano stati quel sentimento di pentimento e quell'ardore di redenzione che avevano fatto crescere in lui quel germoglio di affetto. L’aveva coltivato come una piantina di senape, piccola e innocente, fragile, fino a trasformarsi in un alberello e poi in un albero possente e rigoglioso. Amore.  L'unica differenza fra lui e Levy era che lei se n'era accorta molto prima e tendeva a darlo più a vedere, ingenua com'era.
Un po' come qualche istante prima, quando aveva gridato a Rogue di smetterla nel momento in cui era impazzito e aveva afferrato Gajeel per la gola.
- Così lo ucciderai! - aveva urlato disperatamente sporgendosi dal balcone della postazione assegnata a Fairy Tail, come a voler scavalcare il muretto per correre in suo soccorso. Come per accorciare la distanza fra loro e far giungere la sua voce fino a lui. Ma non aveva perso la speranza. Le lacrime non nascondevano rassegnazione. Sapeva che ce l'avrebbe fatta, come sempre. E così era stato, per la sua gioia. Anche se l'aveva fatta maledettamente preoccupare, molto più del solito. Poi si era ricongiunto agli altri, così fiero e maestoso che il cuore di Levy aveva fatto le capriole dall'emozione.
Con il trionfo, finalmente, il peso che le grava sul petto si era sciolto come rugiada sotto al sole. Era sparito, trasportato lontano come foglie dal vento, conservando solo una lieve scia di tensione. Levy voleva raggiungerlo, voleva correre  da lui e curargli le ferite, dimostrargli la sua gratitudine e mostrargli la sua paura. Ma non poteva. Lui, come il resto del gruppo, si diresse in infermeria. Avrebbe potuto rivederlo solo un'ora dopo. Jet e Droy le si avvicinarono esultando e coinvolgendola con la loro allegria. Con Kana e gli altri iniziò a gioire e festeggiare l’evento, conscia del fatto che i compagni che li avevano aspettati sette anni finalmente avevano visto ricompensata la loro pazienza.
 
Levy stava correndo come se ne andasse della sua sopravvivenza, braccata da quel famelico lupo invisibile che era l'impazienza. Aveva passato l'ultima ora a fare baldoria con i nakama, ma il suo pensiero era rivolto costantemente a Gajeel. Era un chiodo fisso.
Doveva vederlo.
Era passato abbastanza tempo: sicuramente lo avevano già medicato. Quindi poteva fargli visita. Senza farsi notare era fuggita via, diretta verso la zona infermieristica senza quasi più fiato e con le gambe che le bruciavano, il cuore che pompava sangue ad un ritmo vertiginoso. Si fiondò dentro l'area prestabilita e corse al banco dell'accettazione.
- Gajeel Redfox? - chiese ansimando.
Una segretaria le indicò una porta senza degnarla di uno sguardo, ma Levy non se ne accorse.
Riprese a correre verso il punto indicatole e rischiò di mancare la maniglia della porta, sfracellandosi contro essa. Per fortuna riuscì ad abbassarla e spingerla in tempo, fiondandosi nella stanza come un razzo per evitare di essere vista dagli altri membri della gilda, ricoverati nelle stanze adiacenti.
Levy richiuse la porta dolcemente prima di girarsi per osservare Gajeel. Era seduto sul bordo del lettino e la guardava con tanto d'occhi. Il suo visetto arrossato per la corsa e i suoi capelli spettinati dal vento lo intenerirono immensamente, anche se non lo avrebbe mai, mai ammesso. Il respiro affannoso le faceva alzare e abbassare il petto ad una velocità spropositata. Lo stava fissando, così lui inclinò la testa con curiosità, in attesa. Quando il respiro le si regolarizzò, Levy fece qualche timido passo avanti.
Gajeel ridacchiò di fronte a quegli occhioni lucidi e ingenui, un po' imbarazzati e soprattutto dolci. Si sporse verso di lei e sfoderò uno dei suoi ghigni migliori. - Ehi, Gamberetto! Morivi dalla voglia di stare sola con me?
Levy avvampò e abbassò gli occhi, diventando paonazza fino alla punta delle orecchie. Aveva notato che era a petto nudo e che le fasciature mettevano ancora più in risalto la sua muscolatura.
Interpretando il suo rossore, Gajeel sospirò divertito, facendole serrare con forza le palpebre. - Se è questa la reazione, sarà divertente farmi medicare ancora, in futuro.
- Tu!! - esclamò lei, senza guardarlo. - Tu mi hai fatta preoccupare così tanto!
Il cuore di Gajeel sussultò prima di iniziare a correre come se dovesse vincere una gara di velocità. Nessuno si era mai preoccupato per lui.
Vide quella creatura angelica che aveva davanti spalancare gli occhi, permettendogli di vedere quelle perle color nocciola che brillavano e gli davano accesso alla sua anima. Perso nella contemplazione, non si rese conto che il rossore della nakama si era traferito tutto sulle sue gote. E che in quelle finestre aperte per lui era passato un inquietante guizzo di rabbia.
Aveva intenzione di ridursi ancora in quello stato? Ci avrebbe pensato lei, eccome, ad insegnargli la lezione.
- Stuuupido!! - sbraitò.
Gajeel sussultò e aggrottò le sopracciglia. O meglio, il sopracciglio, l'unico che non era fasciato.
- Tch - mugugnò girando la testa. Non voleva mostrarle l'espressione avvilita e rassegnata che aveva in volto.
Lo considerava uno stupido, ovviamente. Era andata lì solo per insultarlo. Magari se lo meritava. Però aveva anche contribuito alla vittoria, quindi poteva essere premiato...
Sentì qualcosa tirargli le ciocche di capelli laterali, e poi la sua vocina, più alta di alcune ottave rispetto al solito, che sbraitava: - Sei matto?!
Il viso dolce e preoccupato era diventato una maschera di rabbia. Sempre tenero, comunque. Gajeel, offeso, non girò la testa, e Levy sentì gli occhi pungerle per lo sforzo di trattenere le lacrime.
Perché voleva sempre farsi male? Perché non pensava al fatto che feriva anche lei, in quel modo?
Abbandonò la timidezza e, con le guance rosse di rabbia e imbarazzo, lo attirò a sé facendogli appoggiare la testa sulla sua spalla. Nonostante lui fosse seduto su un lettino, Levy dovette alzarsi sulle punte per essere più alta di lui e circondargli la nuca. Gajeel si aspettava un'altra sfuriata, di certo non un caldo abbraccio. E avere il viso così vicino al suo collo profumato era davvero un problema. Scioccato, aveva la mano bloccata e anchilosata vicino alla schiena di Levy. Che doveva fare, abbracciarla?
Le lacrime affiorarono agli angoli degli occhi della giovane. - Ho pensato che tu stessi per morire!! - singhiozzò. Il cervello di Gajeel si spense. Stava... piangendo per lui? - Non rifare una cosa simile ancora!! - gli intimò continuando a stringerlo.
La paura di perderlo si fece sentire improvvisamente con tutta la sua forza, come un'onda anomala che cresce lentamente allontanandosi dalla riva, per poi schiantarvisi contro con una forza indomabile.
Levy liberò Gajeel dall'abbraccio stritolatore, ma solo per avvicinarsi a lui ancora di più. Lo baciò chiudendo gli occhi e lasciando che il colorito delle sue gote dipendesse solo dalla timidezza e non dalla rabbia. Non c'era vergogna in quel gesto, e tanto meno imbarazzo. Era una cosa giusta, naturale e perfetta. Non c'erano altri modi per definire quell'azione.
Gajeel spalancò gli occhi, stupito dall'audacia di quella ragazzina che non avrebbe mai fatto nulla di avventato. Avrebbe voluto rispondere a quel bacio che aveva atteso per molto tempo, che aveva sognato quando non riusciva a bloccare i suoi pensieri. Arrossì anche lui, conscio del fatto che quello era il suo primo bacio e che non c'era persona più leale a cui affidarlo. Avrebbe voluto guardare quegli occhioni caldi e rassicuranti, ma rimanevano chiusi, persi in quel dolce contatto. Avrebbe voluto saggiare la morbida consistenza di quelle labbra sottili. Avrebbe voluto prendere quel viso delicato fra le mani e attirarlo ancora di più a sé. Avrebbe voluto insinuarsi fra quei capelli scarmigliati e indomabili che gli ricordavano tanto la personalità di Levy e che profumavano come le margherite in primavera. Avrebbe voluto stringerla a sé e far aderire i loro corpi come uno solo, proteggerla con le sue forti braccia e rassicurarla: non sarebbe mai più stato in difficoltà. Avrebbe sempre trionfato.
Ma non fece nulla di tutto ciò. Non si godette nemmeno il bacio. E come poteva, se non aveva più ossigeno in corpo?
- Oi... - mormorò sulla sua bocca. - Non posso... re-respirare!
Staccò Levy da sé con uno strattone, tenendola per la vita. Annaspava in cerca di aria. Certo che quando quella piccoletta ci si metteva diventava davvero pericolosa!
Stupita di sé stessa, la ragazza indietreggiò, rossa di vergogna questa volta, e fece per fuggire via. Ma dall'altra parte della porta arrivarono le voci degli altri membri della gilda: erano andati a trovare i feriti.
Gajeel si alzò e scattò per afferrare il polso di Levy, portandosela vicino.
- Non vorrai mica che ci scoprano, vero? - le intimò con un'occhiata fredda e distaccata.
Il mondo le crollò addosso. Se quel bacio non gli aveva fatto provare niente, allora non ricambiava i suoi sentimenti. Levy gonfiò le guance e mise il broncio, adirata più con lui che con sé stessa.
- Al momento non è una delle mie preoccupazioni. Scusa se ti ho importunato - sibilò.
Gajeel inarcò le sopracciglia. - Che cosa blateri, Gamberetto?
- Dico che sono dispiaciuta per essere piombata qui in modo da accertarmi delle tue condizioni di salute. Mi dispiace di essermi preoccupata per te. Le mie attenzioni sono opprimenti, quindi ti lascerò in pace.
Gajeel si morse la lingua. Che stupido era stato! E lo era stata anche lei, saltando a conclusioni affrettate.
Quando fece per allontanarsi di nuovo la bloccò passandole un braccio attorno al collo, impedendole così anche di parlare. La premette contro il suo petto martoriato, ma era così leggera da non fargli male.
Si guardò intorno, come se qualcuno potesse essere nascosto lì per origliare quello che stava dicendo. - Scusa... - sussurrò, poco propenso ad ammettere di essere in torto.
- Hmph - sbuffò lei, aggrappandosi al suo braccio. Il broncio era ancora al suo posto, ma la gioia che le scaldò il cuore era antitetica alla sua espressione facciale.
- È solo che non riuscivo a respirare - spiegò lui, a disagio.
Levy sorrise leggermente, riacquistando però subito il contegno. Sollevò la testa per guardarlo, e lui l'abbassò.
Gajeel ghignò. - Che ne dici? Ci riproviamo?
La ragazza non rispose. Lo scrutò con quegli occhi che sembravano scavargli nell'anima, fondendo il suo cuore d'acciaio. Quando riuscì a scorgere quella piccola traccia d'amore oltre la cortina impenetrabile, si sciolse in un sorriso che Gajeel interpretò come una conferma. Ghignando, si chinò e riprese lì dove il bacio era stato interrotto.
Valeva la pena di regalare qualche istante di dolcezza all'unica persona che provava un sincero interesse per lui.
E un sincero amore.
 
 
MaxBarbie’s
Fluff a palate signorine mie. Fluff a livello di diabete. Ma… scusate, io e il fluff siamo nati uniti. Il fluffettino è il mio gemellino. E il bello è che io sono una tsundere come Gajeel ahahaha. Scrivere mi tira fuori il lato deredere.
Visto Fairy-chan? Te l’ho postata subito^^ Alla fine l’ordine delle immagini è a N rovesciata. Non riuscivo a capirne il senso logico quindi ho inventato ahahah. Questo era il capitolo che avevo scritto nel momento di crisi. O meglio, quello che avevo iniziato e si era cancellato da solo. Poi mi sono data una botta in testa e mi sono ripresa^^ Spero…
Va bene ragassuole, DEVO dormire. Andare a letto all’una e svegliarsi alle 5 per una bastarda interrogazione di economia su 250 pagine… non lo auguro nemmeno a Zeref. No. N.O.
Sto dormendo, ciao xD
MaxBarbie

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Capitolo 9
*** Cuteness and brain ***


Cuteness and brain

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Natsu Dragneel; Lucy Heartphilia; Gray Fullbuster; Juvia Loxar; Erza Scarlett; Gerard Fernandez
Coppie: GxL; NxL; GxJ; ExG
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: dopo la saga di Tartaros
Avvertimenti: futuro alternativo

 

Estate: sole, caldo, gite al mare e ragazze in bikini. Cosa si poteva chiedere di meglio? Per questo l'intera Fairy Tail era ad Akane Beach. Festeggiavano la loro ultima vittoria, quella di qualche mese prima, concedendosi per una volta una vacanza senza pensare a nulla, dimentichi della città in ricostruzione o della distruzione che era stata seminata.
Erano tutti tranquilli e pacifici quel giorno. Del resto, che cosa avrebbero mai potuto fare? Nulla. Esatto.
Nulla di buono!
Nemmeno il tempo di mettere un piede sulla spiaggia che Natsu, Gajeel e Gray erano corsi a cercare il posto migliore dove mettere l'asciugamano. Per primi, ovviamente: era una competizione.
- Gamberetto, vieni! Muoviti! Arriva per prima e straccia Natsu! - urlò Gajeel tutto infervorato.
- Lucy corri! Corri! Coooorri! - gridò Natsu piegando le gambe e sollevando le braccia con la bocca spalancata. Gli si vedevano le fiamme in fondo alla gola, come tutte le volte in cui era particolarmente agitato.
Ma le due ragazze li stavano bellamente ignorando mentre camminavano fianco a fianco per raggiungere i loro compagni.
- Gray-sama! - chiamò l'Ameonna correndo in costume verso l'oggetto della sua ossessione. Indossava lo stesso bikini che aveva al Ryuuzetsu Land, quello a pois con i volant per far colpo sul ragazzo. - Juvia può sistemarsi qui accanto a te? - chiese con gli occhi scintillanti, praticamente abbracciandolo da quanto gli era vicino.
Gray grugnì, poi si rese conto che così la vittoria era sua e sorrise a Juvia. - Fiammifero! Ammasso di ferraglia! Ho vinto io! Juvia è arrivata prima!
I due perdenti si guardarono in cagnesco e lo stesso fecero con Gray, con odio però. Infine osservarono le loro nakama che adesso li stavano fissando ridendo.
- Non fa ridere, Gamberetto. Mi hai fatto perdere. Dammi il telo, che te lo stendo - la sgridò Gajeel, senza però essere davvero arrabbiato con lei.
- Neanche per sogno. Guarda come hai ridotto il tuo! Se scopro che hai riempito il mio asciugamano di sabbia ti tiro dietro tutta la mia libreria - lo avvertì Levy.
Gajeel era in piedi sopra al telo che aveva steso con tanta cura e che ora giaceva calpestato e insabbiato. Il ragazzo sbuffò e Natsu lo prese in giro, deridendolo.
I suoi occhi rossi fiammeggiarono come la magia di Natsu e fulminarono come i lampi di Laxus mentre cercava di uccidere il nakama con lo sguardo. Poi ghignò improvvisamente, pregustandosi una vittoria assicurata: era l'unico ad avere la ragazza.
Gajeel allungò una mano e strinse la vita di Levy tirandola verso di sé. Lei aveva appena finito di stendere il telo e urlò spaventata sentendosi trascinare indietro. Poi però si rilassò a contatto con il marmoreo e sicuro petto del compagno, premuto contro la schiena. Non stavano insieme da molto e qualche volta erano impacciati. Ma il suo ragazzo sapeva essere davvero dolce quando la baciava o abbracciava. Pensava che in quel momento volesse coccolarla un po', anche se si vergognava davanti a tutti. Sorrise dolcemente godendosi il calore delle sue braccia muscolose attorno alla vita. Almeno finché Gajeel non aprì bocca.
- Ah-ah! - esclamò vittorioso. - Perdente! Io ho la ragazza e tu no. Sei uno zitello!
Levy lo fissò sbigottita e poi sbuffò. Bello usare la loro relazione come pretesto per vincere una competizione inutile e infantile.
Natsu lo guardò, interdetto, e Gajeel fu sicuro di aver vinto. Sentì un sapore dolce sulle labbra e decise che più tardi avrebbe ringraziato la sua amata. Poi però vide un lampo di furbizia passare negli occhi di Natsu. Il ragazzo tirò a sé Lucy proprio come Gajeel aveva fatto con Levy, ripetendo la stessa e identica scena.
- Ti sbagli testa di ferro! Ce l'ho anche io la ragazza!
Il suo nakama sgranò gli occhi e allentò la presa sulla vita di Levy, sconvolta quanto lui. - Guarda che intendo una relazione amorosa, non di amicizia.
- Non sono mica scemo, lo so che non intendi dire "ragazza" come "ragazza", ma "ragazza" come "ragazza", nel senso di "ragazza".
Tre paia di occhi lo fissarono sospirando: era un caso perso. Gray, a qualche passo di distanza, ridacchiava di fianco a Juvia, tutta intenta a contemplare un po' lui e un po' la scena.
Gajeel aggrottò le sopracciglia: - Non vale dire una bugia per impedirmi di vincere.
Subito dopo Levy chiese, fissando con emozione l'amica: - Lu-chan, è vero?
Sembrava una bambina a cui porgevano un lecca-lecca colorato.
- Be'... s-sì. Da una settimana. Volevamo evitare di dirlo per stabilizzare un po' la situazione, ma questo zuccone qui non capisce nulla - spiegò con imbarazzo e rabbia crescente. Guardò molto, molto male Natsu.
- Lu-chan! Che bello! - cinguettò l'amica. - Come sono felice! Ora possiamo fare delle uscite a quattro e darci consigli a vicenda!
Lucy le sorrise raggiante, grata di avere una persona come Levy nella sua vita. Sciolte dall'abbraccio dei loro rispettivi ragazzi, le due si abbracciarono saltellando.
Gajeel si avvicinò a Natsu, leggermente imbarazzato, congratulandosi per la virilità mostrata. Sembrava un po' Elfman. Iniziò a dargli consigli su come trattare la propria ragazza, spettegolando riguardo alle loro strane abitudini e richieste. Insomma, mentre Levy e Lucy non facevano altro che guardarsi e ridacchiare parlando di libri (la questione ragazzi aveva già perso importanza), i due maschi facevano le comare parlando di relazioni di coppia come se fossero persone esperte e piene di esperienza.
- E comunque Lucy è la migliore ragazza del mondo, non mi servono i tuoi discorsi sulle ragazze complicate - disse Natsu interrompendo Gajeel.
- Te li sto facendo perché sono importanti e tu sei tonto. Con Levy non ho mai avuto problemi del genere perché è perfetta, ma tutti i ragazzi hanno alcune difficoltà con le compagne - spiegò il nakama irritandosi leggermente.
- No, Lucy è la migliore di tutti. Anche di Levy.
Non doveva dirlo. La mente maschile ultra competitiva di Gajeel passò subito dal pettegolare al formulare un piano: la sua fidanzata era la migliore. Avrebbe battuto Natsu ancora.
Il ragazzo afferrò la mano di Levy strappandola letteralmente da Lucy, mentre Natsu faceva lo stesso con la sua nakama. Entrambi si guardavano con occhi fiammeggianti e battaglieri mentre stringevano le compagne forse con troppa forza.
Non disponibile- Che accidenti stai dicendo Salamander?! - sbraitò Gajeel. Indossava una fascetta gialla e arancione coordinata a quella di Levy, che giaceva immobile contro il suo petto con sguardo irritato e rassegnato. La poveretta era bloccata dal braccio del compagno che passava sotto alle sue ascelle, stringendola all'altezza del seno. La sua mano libera le dava della pacchette "affettuose" e tremendamente moleste sulla testa. Gajeel ringhiò e sbatté la fronte contro quella di Natsu, una vena che pulsava dall'agitazione. - Levy è ovviamente la fidanzata migliore! Batte totalmente la tua in intelligenza e carineria!
Natsu, che abbracciava Lucy allo stesso modo dell'amico, ma con il braccio che passava sopra alle ascelle della ragazza, era infervorato allo stesso modo e batteva anche lui una mano sulla sua testa. - Sei mostruosamente cieco, cervello di vite?! Lucy ovviamente vince,  è sveglia anche lei ed è la pollastra più sexy della gilda. Un giorno batterà Mira in popolarità!
La povera Lucy sembrava meno rassegnata di Levy. Aveva un tiratissimo sorriso sulle labbra, molto imbarazzato, ma almeno non era stata presa come un sacco patate come l'amica! Alle spalle due contendenti Erza e Gerard si erano girati, incuriositi da tutte quelle grida. Stavano passeggiando sulla spiaggia quando li avevano sentiti. Lei indossava un costume marrone, sostituto del leggendario costume giallo che al Ryuuzetsu Land aveva fatto una fine spiacevole. Lui, invece, aveva dei bermuda classici  e un cappello che sembrava un sombrero legato con un cordoncino intorno al collo. Era per nascondere il viso, fin troppo riconoscibile, ma la spiaggia era vuota. Gerard si era avvicinato sempre di più alla maga più temibile di Fairy Tail, incapace di starle lontano e allo stesso tempo troppo legato a Crime Sorcière per unirsi alla sua gilda. Sembrava che lui ed Erza avessero una relazione seria, finalmente, da alcune settimane. Le storie stavano crescendo in fretta.
Non disponibileNatsu e Gajeel continuavano a strepitare come due bambini. Gerard ridacchiò. Grazie all'opera di pulizia criminale che stava svolgendo si sentiva più in pace con sé stesso. Quando si lasciava andare e faceva affiorare la sua vera personalità si rivelava essere dolce, gentile e soprattutto flessibile. Era perfetto per Titania. - I tuoi amici sono così... passionali, Erza... - disse scherzando. Si divertiva a Fairy Tail, chiunque si sarebbe trovato bene. Purtroppo, intento a godersi la scena, Gerard non si accorse di una mano diretta in modo inquietante verso il suo petto. - Sembra che siamo noi la coppia più matura qu...i? - aggiunse. Verso la fine della frase il tono era diventato incerto: Erza gli aveva afferrato il laccetto del cappello. La verità era che il ragazzo temeva la natura imprevedibile della sua compagna. E infatti, nel momento in cui si sentì strattonare, seppe già che sarebbe successo qualcosa di spiacevole.
- Vieni! - disse perentoria Erza.
Titania spinse Gajeel che, sorpreso, barcollò e passò la mano libera attorno al collo della fidanzata. La nuova arrivata nella competizione aveva tirato il laccetto del cappello di Gerard con troppa forza, rompendolo. Il povero ragazzo giaceva inerme fra le braccia della compagna, afflosciato e sostenuto per il collo. Rischiava di soffocare. La sua anima, uscita per colpa dello shock, era sconvolta.
Non disponibile- Idioti! - gridò Erza agitando il pugno libero verso i due maschi. - Gerard è la migliore fidanzata, può calciare tutti i vostri sederi insieme!
La sua anima incosciente, già abbastanza sconvolta, arrossì e spalancò la boccuccia.
Gajeel si dimenticò di avere davanti la terribile Titania. Levò il braccio destro dal petto della compagna e agitò il pugno, mentre stringeva troppo forte il collo di Levy: la stava quasi strozzando! Ancora più infervorato di prima, il ragazzi urlò: - Fot**, Titania! È una storia fra me e Salamander!
Quest'ultimo aveva abbassato il braccio che aveva attorno al petto della compagna fino alla sua vita, alzandola come un sacco di patate. La spalla gli stava andando a fuoco da quanto fremeva, così come il pugno che agitava verso Erza. Sia Natsu che Gajeel avevano i canini bene in vista, le piccole zanne di drago snudate. - Sono tutto un fuoco, portalo qui Erza! Prenderò a calci il tuo sedere e quello di Gerard!
Gray li fissava con aria di superiorità, di fianco a Juvia. - Idioti. Tutti loro.
Aveva un momento di riflessione e in quel momento poteva essere scambiato per un ragazzo maturo. Sembrava quasi irritato dall'atteggiamento dei nakama. Era talmente preso dal proprio ragionamento che non si accorse di Juvia.
Non disponibile- Gray-sama - lo chiamò lei.
Il ragazzo non la sentì. - Non stanno assolutamente pensando ai loro partner...
- Non ti vanti di me, Gray-sama?
- Come possono dire tutte quelle robe imbarazzanti con una faccia così seria? - continuò imperterrite.
Poi si rese conto che qualcuno stava singhiozzando di fianco a lui, emettendo dei sommessi "sob". E vicino aveva solo... Juvia!
Si girò con circospezione e sbiancò: la ragazza stava piangendo copiosamente stringendo i pugnetti e mormorando: - Perché Gray-sama!? -. Poi, a voce sempre più alta, gridò: - Perché Gray-sama Non disponibilenon esibisce Juvia in quel modo?! Juvia è così male?!
Il povero "Gray-sama" era immobile e sconvolto. Si era messo insieme a Juvia da poco, anche se lo sapevano tutti. Lo aveva fatto per placare la furia della compagna nei confronti delle sue immaginarie rivali in amore, ma si era sorpreso nel constatare che la relazione con l'Ameonna non era affatto male. Anzi! E ora l'aveva fatta piangere. La ragazza gli dava le spalle.
Non disponibile- Scusami, Juvia-chan!! - balbettò imbarazzato, indeciso se toccarla o meno. Di solito le piaceva quando aggiungeva il -chan al suo nome. Ma quella volta ottenne solo l'effetto di farla piangere più forte. - Adesso mi vanterò di te!! Solo, smettila di piangere, per piacere!!
Cosa non si è disposti a fare per amore! Gray notò che i suoi nakama si erano spostati in acqua, doveva raggiungerli. Ma la ragazza continuava a singhiozzare. - Forza, guardami Juvia! - implorò, nel tentativo di farla sorridere: ogni volta che lo guardava sorrideva. Ma non questa volta.
Dato il gravissimo deficit di attenzione di Natsu e Gajeel, la gara infantile era finita in due minuti e ora i ragazzi stavano giocando a palla in acqua. Nel giro di un altro paio di minuti avrebbero litigato per un punto che il rivale poteva aver messo a segno con l'inganno. Finalmente libere, le ragazze stavano osservando Juvia e Gray con molto disappunto.
- Sono seriamente delusa da te, Gray - lo informò Erza con sguardo cupo e braccia incrociate.
Levy, la tenera, buona e gentile Levy, era molto contrariata. - Che fidanzato orribile, anche Gajeel è più premuroso...
Lucy aveva una mano sulla guancia, come la sua amica, mentre l'altra si agitava per dimostrare che le dava ragione. - Vero? Vero? Juvia-chan dovrebbe scaricarlo immediatamente!
Troppo presi dai loro pensieri, né le ragazze né i ragazzi si erano accorti di Gerard: immerso in acqua, mezzo svenuto, si lasciava andare alla deriva. Stare con quelli di Fairy Tail per più di un giorno andava oltre le sue capacità di riuscire a mantenere una certa lucidità mentale. E la sua fidanzata gli aveva detto che lui era la miglior partner.
Per lo meno non era stato coinvolto in una rissa. Era mezzo soffocato, ma in uno scontro sarebbe stato molto peggio. Gerard sospirò. Se l’era cavata. Non riuscì a finire di pensarlo che Natsu gli atterrò addosso. E si ritrovò in mezzo alla baruffa fra Natsu, Gajeel, Gray e sì, Erza, che voleva placare gli animi e invece si divertita a picchiarli.
Be', questa è la passionale Fairy Tail, no?
 
 
MaxBarbie’s
Io sono morta dal ridere quando ho visto questa serie. La adoro, è semplicemente meravigliosa. Rboz è una dannata genia aahahahah. Insomma, Gajeel e Natsu che litigano per chi ha la fidanzata migliore sono troppo IC.
Io doveva dormire e sono ancora qua. Mmm… scappo.
Buonanotte a tutti*-*
MaxBarbie


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Capitolo 10
*** Pirates (part 1) ***


Non disponibile
Pirates (part 1)

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Panther Lily
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: vedi le note a fine pagina
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: shot divisa in due parti



 
- Sei vera...
Una voce roca e infantile.
- Sei ferita?
Un tocco delicato.
- Resisti, ti aiuto io.
Un calore inaspettato.
La piccola fata aprì gli occhi, disorientata. Pochi instanti prima stava rammentando tutto quello che aveva fatto nella sua breve vita. I suoi ricordi. La sua famiglia. Le mille emozioni provate.
Eppure, le mancava qualcosa. Avvertiva un vuoto nel petto, un buco, un qualcosa che andava riempito. Conosceva la storia della sua stirpe. Sapeva che tutte le fate come lei avvertivano quella mancanza, quel senso di incompletezza. Ma nessuno le aveva mai spiegato come colmare quel nulla che sentiva nel cuore. Fra la sua gente si mormorava che le poche fate che lo avevano scoperto, le uniche a saperlo, fossero morte. Si erano perdute.
Questo stava pensando la fatina, schiacciata dal peso di un sasso. Che morte orribile e stupida per una creatura leggiadra come lei! Non gliel'avevano forse sempre detto, di stare lontana dalle montagne?
- Anche i sassi più piccoli possono essere ostacoli insormontabili. Anche le cose più innocue possono nascondere pericolose insidie - soleva ripeterle il saggio del suo piccolo villaggio.
Come avrebbe voluto dargli ascolto! Sfidava sempre la sorte, si comportava da ribelle per dimostrare che era forte. Ma era caduta nella trappola. Il sasso le aveva bloccato le ali, ed era troppo pesante da spostare. Cosa poteva fare? Tirare e lasciare che le sue ali si spezzassero? Una fata senza ali veniva esiliata. Era spacciata. doveva attendere un qualche aiuto divino? Non sarebbe servito. In ogni caso, la fatina decise di aspettare. Magari le sue sorelle sarebbero andate a cercarla. L'avrebbero trovata prima dei cacciatori di fate. Sì, sarebbe andata decisamente così.
Era ormai passato un giorno dall’incidente, e la piccola creatura aveva perso le speranze. Non le era rimasto altro da fare che pensare. Fantasticare. E cercare di rispondere a quel grande interrogativo della sua vita: come poteva curare quel vuoto che sentiva nel petto? Immaginando mille risposte, creando diversi scenari onirici in cui incontrava le Fate Perdute, che le rivelavano il segreto per svelare l'arcano mistero, il tempo parve dilatarsi. Ma non ci sarebbe stato bisogno di trovare loro. Lo avrebbe scoperto nel giro di poco.
Percepì che il sasso veniva rimosso e che qualcosa di morbido e caldo la sollevava. Era finita. Era sicuramente un Cacciatore di fate. La creatura aprì un occhio e sbirciò, cercando di capire se avesse qualche via di fuga. E si bloccò.
Non aveva un nemico davanti agli occhi. Di fronte a lei c'era un bambino con gli occhi sgranati. Occhi rossi.
Un Sangue di Drago.
Il saggio le diceva sempre che tra fate e draghi c'era una relazione di rispetto reciproco. Erano entrambe creature antiche, gli originali abitanti della terra. Ormai, di loro non rimaneva che il flebile riflesso negli occhi dei loro discendenti umani.
Il bambino le sorrise come a rassicurarla mentre la fata si inginocchiava sul palmo della sua mano. Aveva un bel sorriso bianco e spontaneo. Magari si vedevano un pochino troppo i canini, accentuati dalla sua eredità mitologica, ma gli davano un'aria furbetta. Gli occhi vermigli erano momentaneamente chiusi, contagiati dal sorriso. I piercing metallici su naso e sopracciglia lasciavano intuire che fosse un discendente di un drago del metallo. Aveva un cerotto sul nasino e uno sulla guancia. Che si fosse ferito giocando? Anche la mano su cui era posata era fasciata. Insomma, non era ridotto granché bene.
- Sei ferita? - ripeté allegramente.
La fata fece un cenno di diniego.
- Come ti chiami?
Sussultò. Poteva dirglielo? Si diceva che il nome di una fata fosse molto importante. Veniva rivelato solo agli umani più fedeli. O confessato come ringraziamento, come mezzo di scambio. Be', l'aveva salvata. Glielo doveva.
- Mi... mi chiamo Levy.
- Allora ciao, Levy! Io sono Gajeel!
- Sei... sei un Cacciatore di fate? - domandò facendosi ancora più piccola.
- No! Io li odio quelli! Io sono amico delle fate. Loro sono cattivi.
L'espressione corrucciata del bimbo fece ridacchiare Levy. Probabilmente aveva massimo dieci anni, era poco più grande di lei. Ma il suo sguardo le fece presagire qualcos'altro.
- Sono stati loro a farti male? - sussurrò.
Gajeel spalancò gli occhi rossi, facendo divampare il fuoco sopito che contenevano.
- Sì - mugugnò, come se l'ammissione dell'evidenza fosse una debolezza.
- Aspetta.
La fata si alzò e si diresse lentamente e con grazia verso il viso del ragazzino. Posò le piccole mani sulle due ferite e Gajeel sentì che improvvisamente non bruciavano più.
- Gra-grazie.
Levy gli regalò un sorriso spensierato e tenero, che lo fece arrossire. - Fra compagni di avventura ci si aiuta.
- Siamo compagni di avventura?
- Certo! Del resto siamo...
Un fruscio. Voci in lontananza. Latrati di cani trasportati dal vento come una nota musicale distante e inquietante.
Il terrore negli occhi del bambino. Il terrore negli occhi della fata.
I Cacciatori di fate.
- Devo andare - dissero contemporaneamente.
- Addio - bisbigliò Levy, muovendo le ali per sgranchirle. Iniziò a librarsi, leggera, ad un palmo dal naso di Gajeel.
- No - la corresse lui. - A presto.
 
Dieci anni dopo…
Il muscoloso e altamente pericoloso pirata si stava dirigendo con aria svagata verso la ciurma che doveva reclutarlo. Mano in tasca, sacca in spalla, Gatto Volante al seguito e fischiettio allegro sulle labbra.
- Siamo felici, vedo - commentò il gatto appollaiandosi sulla spalla libera del compagno.
Al pari di fate e draghi, i gatti volanti erano le uniche creature mitologiche di cui si avevano tracce certe.
- Tsk - sbuffò il ragazzo. - Un lavoro vale l'altro. Voglio solo vedere se questa nuova bagnarola comandata da smidollati è degna della fama che la precede.
Arrivato al porto, si guardò in giro cercando il nome della sua nuova ciurma. Ufficialmente ancora non era stato reclutato, ma non potevano dirgli di no. Non lo facevano mai. Se il capitano era una donna, farsi accettare era facile: bastava il suo aspetto. Cadevano tutte ai suoi piedi grazie alla camicia bianca immacolata che, attraverso la scollatura, lasciava intravvedere gli addominali scolpiti. Il gilet nero consunto dava un tocco di classe a quel semplice capo, così come la fascia che portava in vita, legata su un fianco. I pantaloni bianchi larghi, stretti sotto al ginocchio, creavano un bell'effetto visivo quando combatteva ammaliando le giovani fanciulle. La benda che portava in fronte per puro senso estetico gli davano un'aria da uomo di mare altamente irresistibile. Il suo Gatto Volante dal pelo scuro era abbigliato allo stesso modo, ma senza camicia. Se invece il capitano era uomo, sarebbe bastato mostrare la propria bravura nel combattimento per farsi accettare nel giro di due minuti.
Eccola! Intravvide la barca, o meglio, la nave che sarebbe stata la sua nuova casa per un bel po' di tempo. Salì con sicurezza il ballatoio che dava accesso al ponte, brulicante di attività. C'era sempre fermento in vista di una partenza e quel movimento coordinato gli dava sempre energia, trasmettendogli la brama di iniziare una nuova avventura. Respirò a pieni polmoni l'aria salmastra che si levava dal placido mare. Il sole scaldava quella giornata primaverile terrorizzando le poche nuvole che si arrischiavano a navigare il mare celeste, il dominio dell'astro più importante. I membri della ciurma gli lanciarono delle occhiate incuriosite e interrogative, senza però smettere di lavorare: nessuno ci teneva a deludere il capitano.
Dopo un po' di indisturbata perlustrazione, Gajeel sbuffò. Essere lasciato in pace gli andava bene, ma essere ignorato no. Si avvicinò ad un ragazzo che a petto nudo stava facendo un controllo delle corde di sicurezza e degli ormeggi. Lo chiamò prima che salisse sull'albero per sistemare le vele.
- Ohi. Sono qui per essere reclutato, ma nessuno mi ha ancora detto nulla.
- Il capitano dovrebbe arrivare sul ponte fra poco. Io sono Gray.
- Gajeel - rispose prima di vedere scomparire il ragazzo in cima all'albero.
- Che gente strana - commentò Lily.
- Sono pur sempre pirati.
- Credo che siano pirati regolari.
- Che dici, gatto? - grugnì il ragazzo.
- Una nave di pirati potrebbe restate ormeggiata in un porto pubblico così tranquillamente? Sono la ciurma di pirati di Magnolia, alle dipendenze della città.
- Cosa te lo fa pensare?
- L'ho sentito durante un giro di ricognizione.
Gajeel si grattò il mento, meditando. Che fossero briganti o falsi pirati non gli interessava. Gli bastava essere arruolato e pagato.
- A rapporto! - urlò una voce maschile molto profonda.
Il trambusto sul ponte alle sue spalle gli suggerì che la ciurma si stava radunando per ricevere gli ordini del capitano. Anche Gray era atterrato con un agile balzo.
Gajeel si unì alle fila di pirati quando il capitano era già uscito dalla cabina in cima alle scale. A prua della lunga nave, il simbolo della nave prendeva vita in un intaglio di legno raffigurante minuziosamente una fata. Quando l'aveva osservato un vago senso di nostalgia l'aveva colto. Gli pareva di aver già visto quella figura...
Il ponte era lungo abbastanza da contenere il numeroso equipaggio disposto su due file, una di fronte all'altra. A poppa, due scale agli estremi del ponte salivano di due piani. Al piano terra, fra di esse, c'era la porta che conduceva sottocoperta, agli alloggi dei marinai e alla cucina. Salendo e andando al primo piano si trovava la cabina del capitano e la sala delle riunioni. Ancora sopra, c'era la piattaforma di navigazione dove il capitano o il vicecapitano davano gli ordini e reggevano il timone. Era dotato di una moderna struttura di assemblaggio veloce che permetteva di coprire e proteggere il timoniere in caso di pioggia. In mezzo al ponte, una botola nascosta conduceva alla stiva dov'erano sistemati rifornimenti di acqua e cibo e ricambi di tutti i tipi.
Gajeel si posizionò in fondo, nella parte più vicina alle scale, alle spalle del capitano. Ma non lo vide. Due figure, una grassa e una magra, nascondevano alla vista la sua mole. Probabilmente era un uomo alto e di mezz'età, un dongiovanni dai folti capelli bianchi e con una cicatrice in volto che gli dava quell'aspetto esotico che tanto piaceva alle fanciulle desiderose di avventura. Fisico asciutto e braccia forti, muscoli guizzanti e...
Una donna?!
Gajeel si ritrovò faccia a faccia con una ragazzina dai capelli blu. Perso com'era nelle sue congetture, non si era accorto del suo arrivo. Così come lei, durante il suo discorso, non si era accorta dell'intruso e, voltandosi, aveva rischiato di sbattere la testa contro la sua.
I due si squadrarono con perplessità per alcuni istanti prima di riconoscersi. La ragazza arrossì e lui spalancò gli occhi, sollevando le sopracciglia metalliche che quasi sparirono sotto alla bandana a strisce.
La signorina dai capelli blu schiuse la bocca e, senza muoversi di un millimetro nonostante la vicinanza imbarazzante, gridò: - Che cavolo ci fai qui?!
- Che cavolo ci faccio io qui?! - ribatté lui gesticolando animatamente. - Che cavolo ci fai tu, qui! Non è un posto per donne questo!
Un mormorio di preoccupazione si sollevò nelle due file di marinari, mentre le due guardie, una con i capelli arancioni e una con i capelli neri, si disponevano alle spalle della ragazza. Stavano fulminando l’intruso con lo sguardo.
Che aveva fatto?
- Non sono affari che ti riguardano - rispose lei decidendosi finalmente ad arretrare.
- Bel modo di ringraziare chi ti ha salvato la vita!
Il mormorio crebbe e le due guardie richiamarono tutti al silenzio.
- Ti ho già ringraziato, mi pare, Gajeel.
- Ti ricordi il mio nome? - domandò lui con stupore.
- Certo. Perché, tu non rammenti il mio? - rispose lei con sarcasmo, celando la punta di delusione che aveva involontariamente lasciato sfuggire. Il suo nome era prezioso, letteralmente. Lo sapevano tutti.
- Ovvio che lo ricordo, fata - ghignò calcando bene l'ultima parola.
Levy arrossì ancora di più, cercando di nascondere le grandi ali leggere e delicate, quasi trasparenti.
Gajeel perse il ghigno e assunse un'espressione accigliata, quasi corrucciata, rendendosi conto di un particolare importante. Ai suoi piedi, il gatto li guardava incuriosito. Come poteva una fata essere cosi grande?
Purtroppo l'oggetto delle sue domande lo interruppe prima che potesse aprire bocca.
- Bene, non serve che tu lo ripeta. Il mio nome, intendo. Si può sapere cosa sei venuto a fare?
- Piccoletta, la smetti di dettare legge? Sono venuto per aggiungermi all'equipaggio e desidererei parlare con qualcuno un po' più importante di un giocattolino bizzarro.
Levy spalancò la bocca, come il resto della ciurma, mentre i due ragazzi alle sue spalle ringhiarono.
- Tu, razza di...
- Anzi, mi puoi tornare utile - la interruppe ghignando.
Fulmineamente si piegò sulle ginocchia e si caricò la fata in spalla, sotto allo sguardo scioccato di tutti i presenti.
- Portami dal capitano, fatina - ridacchiò mentre lei si dimenava.
- Ti ordino di mettermi giù immediatamente, bifolco! - strepitò tirandogli degli innocui pugni sulla schiena.
- Ti metto giù se mi porti dal capitano. Non sei molto utile come bussola, comunque.
Un ragazzo con i capelli di un insolito colore rosa si avvicinò e si scrocchiò le nocche con aria minacciosa. Gajeel, con la ragazza salda sulla spalla, lo fissò alzando il mento.
- Capitano, mi permetta di dargli una lezione che non si dimenticherà mai.
- Dov'è il capitano? - domandò Gajeel, interessato, girandosi bruscamente alla ricerca di quell'uomo tanto atteso.
- Razza di imbecille ce l'hai in spalla! - ringhiò la guardia con i capelli arancioni.
- Che?! - esclamò lui mollando brutalmente la fata che teneva come un salame.
La ragazza urlò, ma venne fortunatamente presa in tempo dal gatto. Che era diventato gigante.
L'equipaggio sgranò gli occhi. Insomma, uno sconosciuto che si prende tante libertà con il capitano e un gatto con le ali che oltretutto può diventare gigante.
- Dovevi lasciare parlare me, idiota - sibilò la terribile pantera fulminando il compagno con gli occhi. - Combini sempre casini. Possibile che tu non ragioni mai?!
- Ehi, vacci piano o te ne pentirai, gattaccio. Ricordati chi appartiene a chi.
- Ah sì? Questione di possesso? - chiese con sarcasmo osservandolo dall'alto. Torreggiava su di lui, più imponente di una buona spanna.
- Senti brutto pezzo di...
- Scusate - pigolò una vocina spaurita.
Entrambi i litiganti abbassarono la testa, rendendosi conto che il capitano della nave era ancora fra le braccia del gatto, stretta fra due ampi e non molto confortevoli toraci.
- Chiedo umilmente perdono - si scusò il felino deponendo la fata e riprendendo le sue sembianze originali.
- Sei così tenero! – canticchiò lei abbracciandolo con sgomento di tutti, gatto compreso. - Come ti chiami?
- Sono Panther Lily. Mi può chiamare anche Lily.
- Dammi pure del tu. Siamo magici allo stesso livello - dichiarò premendo la guancia contro il musino del suo nuovo amico.
Gajeel si avvicinò e fissò stupito il suo compagno imbarazzato e quella fata che lo stava strangolando.
- Deduco che siamo dei vostri?
- Eh?
- Ho detto: “Deduco che...
- Ho capito cos’hai chiesto, non sono sorda - lo interruppe Levy, piccata, allontanando un po' il gatto.
L'istinto le diceva di no, le avrebbe portato solo sofferenze, sarebbe stato un vero problema. Ma si sa che il cuore prevale sulla mente e rende mute le ragionevoli pretese della logica. Non sarebbe mai riuscita a dirgli di no, non solo perché era in debito con lui da anni.
- Mmm... - mormorò, fingendo di rifletterci. - Ok.
La ciurma spalancò la bocca. Il loro capitano era molto severo con i nuovi acquisti, li sottoponeva a giornate intere di prove e test per verificarne l'idoneità ai combattimenti, alla vita per mare e alla sopravvivenza, nonché l'integrità morale e il motivo della loro scelta.
- Ma... capitano...
- Tranquillo Jet. Questo micio è adorabile e quell'ammasso di muscoli alle mie spalle sarà pure utile a qualcosa, no? Mettetegli il simbolo della nave sulla spalla sinistra.
Il diretto interessato grugnì una risposta seccata mentre Lily, libero, ridacchiava.
Il capitano si diresse verso prua e raggiunse il punto estremo della nave, proprio sopra la raffigurazione intagliata della fata. Salì con estrema grazia sul tronco che sporgeva, imberbe del rischio che correva. Un passo falso, e sotto l’aspettava il gelido mare. Accarezzò il legno con amore e sorrise. Si girò verso l'equipaggio e gridò, con una brezza che le mosse i capelli nel momento più giusto: - Forza, ciurma di Fairy Tail! Spiegate le vele e fate rotta verso l'isola Garuna! Il Tesoro delle Fate ci aspetta!
Gajeel rimase imbambolato a fissare il modo in cui i raggi brillanti del sole sembravano accarezzarle la pelle liscia del viso, formando un alone di luce che la proteggeva.
Mentre Lily ridacchiava e lo prendeva in giro per lo sguardo da pesce lesso che aveva, Gajeel realizzò perché il simbolo della nave gli era sembrato così familiare.
La fata intagliata nel legno era la stessa che sfidava le onde e rideva per il modo in cui il vento le scompigliava i capelli.
 
- Ti trovi bene?
Gajeel non diede segno di averla udita e continuò a svolgere il quotidiano compito di controllare cime, ormeggi e inventariare le corde disponibili. Erano passati tre giorni dalla partenza e non si erano mai rivolti la parola, se non per darsi il buongiorno. Il ragazzo la trattava con più confidenza degli altri membri della ciurma, persino più dei suoi secondi in comando, Jet e Droy. Gajeel aveva più o meno socializzato (cioè imparato i nomi) con Natsu e Gray. Aveva scoperto alcuni interessanti scoop, fra cui la notizia che anche Natsu, quello con i capelli rosa che voleva spaccargli la faccia il primo giorno, era un Sangue di Drago. Un'altra informazione sorprendente era che Jet e Droy erano vicecapitani a giorni alterni. Erano entrambi innamorati di Levy e litigavano costantemente per questo motivo, così la saggia fata a aveva cercato di placarli permettendo loro di essere i suoi secondi in comando a turno. I litigi si erano ridotti di una media di trentacinque minuti al giorno: un risultato davvero soddisfacente. Inoltre, nessuno sulla Fairy Tail conosceva il nome del capitano. Ecco perché Gajeel era meno ossequioso nei suoi confronti: era l'unico al mondo ad avere quel privilegio inestimabile. Il nome di una fata non era qualcosa con cui giocare.
- Ti sto parlando, Gajeel. Un tale comportamento nel mio equipaggio viene punito. Anzi, verrebbe punito, ma non è mai accaduto dato che sono tutte persone educate e con un minimo di concetto di autorità.
- Che vuoi? - grugnì lui senza guardarla.
Improvvisamente venne sbalzato all'indietro e il colpo lo fece atterrare di schiena, mozzandogli il respiro. Gemette e cercò di capire da dove era arrivato il colpo. Da dietro? No, sarebbe stato sbalzato in avanti, non all’indietro. Da davanti? Di fronte a sé aveva solo...
Levy.
Gajeel sollevò la testa in tempo per vedere la fata che, con un sorrisetto compiaciuto, scendeva dal parapetto sul quale era appoggiata, appoggiandovi la schiena con nonchalance. Chinò la testa cercando di non ridacchiare, cosa che invece gli altri non riuscirono a fare.
- Sei stata tu?! – domandò, sgomento, mentre Lily lo raggiungeva.
- A fare che? - chiese il suo compagno, spingendolo affinché si alzasse.
- Be' -, esordì lei incrociando le caviglie, - le fate avranno anche qualche asso nella manica, o pensi che siano brave solo a farsi catturare e svolazzare in giro?
Gajeel si rialzò e si prese un attimo di tempo per squadrarla. Aveva una camicia bianca molto simile alla sua con delle maniche un po' a sbuffo che arrivavano sotto al gomito. Ad essa era incorporato un corpetto scuro di cuoio marrone che terminava con una cintura con il marchio che tutto l’equipaggio aveva tatuato: una fata stilizzata con una coda. Degli aderenti pantaloni rossicci le fasciavano le gambe e si infilavano in comodi stivaletti abbinati al corpetto. Attaccata alla cintura aveva una guaina che conteneva la sua spada, quella appartenuta al precedente capitano, un regalo del re in persona direttamente dal tesoro reale. Al polso sinistro dei braccialetti sottili di cuoio risaltavano contro la sua pelle chiara. Fra i capelli c’era una fascetta dorata legata con un fiocco laterale per tenerle indietro la frangetta.
Il ragazzo distolse lo sguardo, rimproverandosi, quando si accorse di quanto bene le stava quella tenuta.
- Ma il mare gli asciuga la lingua? - chiese la ragazza a Lily, che rise. - Era fin troppo loquace il primo giorno.
- Tch. Dimmi.
- Capitano... - lo rimbeccò lei con tono dolce, come se stesse parlando con un bambino.
Gajeel sbuffò. - Dimmi, capitano.
- Ti ho chiesto se ti trovi bene.
- Sì - rispose seccamente. Avrebbe voluto dire "una nave vale l'altra", ma era meglio mordersi la lingua.
- Bene - commentò lei, un po' a disagio.
Il loro incontro, tanti anni prima, era stato così spontaneo e naturale. Perché ora erano così impacciati? Stava per lasciarlo e andare a reclamare il suo posto al timone, quando notò le cicatrici che il ragazzo aveva sul braccio, coperte in parte da polsini metallici. Tre cicatrici simili a quelle lasciate da artigli. Tre cicatrici simili alla sua.
- Chi te le ha fatte? - esclamò arretrando e appoggiandosi al parapetto.
- Mmh?
- Le... le cicatrici - balbettò. - Chi te le ha fatte?
- Oh. Cacciatori - rispose semplicemente, consapevole del fatto che con lei non servivano altre parole. Capiva.
Dunque non era servito a nulla fuggire da lui per proteggerlo. Stargli lontano, nonostante le privazioni e il dolore che ne erano derivati, non aveva risolto le cose.
- Va-vado al timone - annunciò dandogli le spalle.
Gajeel la guardò allontanarsi, incuriosito dalla sua reazione. Rimase a fissarla anche quando ringraziò Droy e prese il controllo della nave.
Lily si schiarì la voce, ridendo  subito dopo: - Guarda che così la consumi.
Il ragazzo sentì un insolito calore salirgli fino alle guance, così si rimise al lavoro borbottando. Lily lo guardò stupito.
Gajeel non era mai arrossito.
 
Nel giro di due giorni approdarono a Garuna, dove fecero rifornimento di viveri e beni di prima necessità. In un'osteria prenotarono delle stanze per la notte, desiderando dormire su un letto comodo per una volta. Erano talmente abituati a vivere fra le onde che nell'immobile quiete della notte si sentivano comunque cullati dal mare.
Levy però non dormiva. Era troppo eccitata all'idea di esplorare quella città umana. Non ne aveva mai viste da quando era diventata grande. Quando era fuggita era stata subito arruolata nella nave di Makarov, l'unico altro umano ad aver conosciuto il suo nome. L'aveva scoperta in un mercato, quando curiosava fra le bancarelle di frutta e il mantello le si era scostato rivelando le ali atrofiche. Il vecchietto era corso a coprirgliele prima che qualcuno le vedesse, salvandola da rapimento certo da parte dei Cacciatori. La piccola creatura era stata talmente grata che l'aveva implorato di permetterle di lavorare per lui. Makarov aveva conosciuto la sua storia, l'aveva cresciuta, le aveva insegnato a navigare, leggere, scrivere, le aveva insegnato ad amare il mare e il proprio equipaggio come se fossero la propria famiglia. Le aveva insegnato cos'erano i sentimenti.
Silenziosamente uscì dalla sua camera singola e percorse il corridoio buio come un oscuro refolo di vento, protetta dal suo mantello.
- Che fai?
Levy sobbalzò sentendo la voce di Gajeel. Aveva appena salito le scale, così silenziosamente da essere inudibile.
- Vado in città.
- Perché? - bisbigliò aggrottando le sopracciglia.
- Per curiosità. Domani partiamo presto, meglio se dormi.
- Potrei dirti la stessa cosa - le fece notare ghignando.
Ma la fata ormai era sparita, come se non fosse mai stata lì.
 
Gajeel si svegliò di soprassalto. Doveva essere passata da poco la mezzanotte. Udiva delle voci, delle grida. La piazza.
Dalla finestra aperta entrava l'eco del trambusto della città. Il ragazzo si alzò e si sporse per guardare fuori.
Fumo.
La fata.
Gajeel prese la camicia e un paio di pantaloni e li indossò velocemente per poi correre fuori dall'osteria con il mantello stretto in mano. Aveva un bruttissimo presentimento e raramente i suoi sensi da Sangue di Drago sbagliavano. Aveva olfatto e udito molto sviluppati, per questo non fu difficile seguire il rumore crescente dell'accozzaglia di persone che gridavano e combattevano. Arrivato in piazza scandagliò ogni centimetro di spazio disponibile alla ricerca di lei. Era scoppiata una rissa fra mercanti, aperti fino a tardi perché c'era la festa del paese. A breve ci sarebbero stati i fuochi d'artificio. C'erano persone di ogni tipo che cercavano di sedare il litigio, ma di lei nessuna traccia. C'era solo un labile sentore del suo profumo floreale nell'aria; probabilmente era passata lì diverso tempo prima.
 Indeciso sul da farsi e, dovette ammetterlo, preoccupato, un soffio di vento gli portò il suo odore, nitido e chiaro come l’essenza dell'erba appena tagliata o della rugiada alla mattina. Iniziò a correre come un forsennato finché non catturò una pista sicura che l'avrebbe condotto dritto da lei. Si fermò ai margini di una foresta, i cui pini svettavano come giganti in balia del vento, portando la melodia di arcani e onirici mondi che risvegliavano il lato selvaggio del cuore delle creature con sangue magico. Silenziosamente si inoltrò nel fitto bosco, in un'atmosfera talmente ovattata da rendere impossibile udire i propri passi sul pavimento di aghi di pino e felci.
Gajeel vide un bagliore, un luccicore, e si bloccò. I suoi piedi ricominciarono a muoversi quasi per magia, automaticamente, conducendolo lì dove sapeva esserci lei. Era un lago. Un lago trasparente e cristallino, immobile, fuori dal tempo. Era circolare e il bosco lo proteggeva da avventurieri inesperti, mentre la luna vanitosa si specchiava sulla sua pallida superficie azzurrata. Sulla riva crescevano deliziosi cespuglietti di azalee e fiori dai colori cangianti, rendendo quel posto simile ai lontani paesi esotici e sconosciuti d'oltre mare.
L'odore di Levy gli arrivava forte alle narici, mescolato al profumo dei fiori e del vento in un connubio dolcissimo che stordiva. La cercò con lo sguardo finché non trovò i suoi vestiti a pochi passi da lui. Aggrottando le sopracciglia, cercò in acqua e la trovò. Girata di spalle, con la punta delle ali sospesa sul pelo dell'acqua, si faceva il bagno canticchiando una canzone a voce talmente bassa da essere inudibile persino per lui. La sua bellezza al chiaro di luna era sconcertante e lo colpì al cuore come un pugno di Natsu, con cui aveva già avuto modo di fare a botte. Quell'organo insensibile iniziò a battere più velocemente, mentre Gajeel fissava con sconcerto quella piccola creatura. Tutto, ogni forma di vita e ogni fenomeno naturale sembravano amarla e coccolarla, proteggerla. I raggi del sole, il bagliore della luna, l'alito di vento che giocava con i suoi capelli, i fiori che spandevano il loro profumo solo per lei. L'accarezzavano come una figlia scomparsa, come qualcuno di cui si avverte una terribile nostalgia. Come una propria simile.
Levy si girò di scatto sentendosi osservata e incrociò i suoi occhi rossi, fiammanti come una brace viva nella penombra notturna. Ma non urlò, non si agitò e non si scompose, semplicemente gli diede le spalle.
- Che vuoi?
- Io... ehm... - balbettò Gajeel. Perché si sentiva la lingua impastata e parlarle gli risultava così arduo? - Scusa. Non pensavo che...
- Mi stavi cercando? - lo interruppe lei, chiedendosi perché ancora non le avesse dato le spalle, come sarebbe stato il caso di fare.
- No. Cioè sì. Ma non per... Ho sentito casino in piazza e pensavo ti avessero trovata. Così sono venuto a cercarti.
- E come hai fatto a trovarmi?
- Olfatto da Sangue di Drago - disse sbrigativamente.
- Ah, già. Anche Natsu me ne aveva parlato.
Il silenzio calò sui due giovani, rendendo udibili i dolci sussurri del vento. C'era una quiete confortante in quel luogo che sembrava uscito da un libro di illustrazioni. Era piacevole. Era...
- Se ti giri magari esco - fece notare Levy.
Gajeel arrossì. - Oh, sì. Sì, scusami - balbettò. Ma prima di girarsi notò un bagliore sulla schiena della fata. Una porzione di pelle sulla spalla era più chiara, illuminata dalla luna. Sembrava...
Una cicatrice.
Come quelle sul suo braccio.
Si voltò, cercando di dare un senso a quella ferita rimarginata da tempo.
Gajeel sussultò quando la manina di Levy gli si posò sul braccio. Lei la ritrasse subito, quasi pentita. Aveva indossato di nuovo il mantello.
- Scusa. Eri assorto e non mi hai sentita quando ti ho chiamato.
No, non l'aveva udita. Era lontano mille miglia, un unico pensiero in testa, ossessivo e fastidioso come una vespa.
- Come ti sei fatta quella cicatrice?
Levy strabuzzò gli occhi e rabbrividì, spaventata da quella veemenza.
- Allora? - la incalzò lui.
Il tono era più severo e duro di quello che avrebbe voluto, come se la stesse rimproverando di essersi causata da sola quella cicatrice.
La ragazza si sedette su una roccia che sporgeva dal terreno, contemplando il lago.
Sentì che Gajeel stringeva i pugni e schiudeva le labbra per rimbrottarla di nuovo, ma lo precedette.
- Cacciatori - rispose semplicemente, come aveva fatto lui poco tempo prima.
Lo aveva intuito, ma la rivelazione era comunque scioccante. Lentamente si sedette di fianco a Levy, fissando il profilo morbido del suo viso rivolto verso l'acqua. In attesa.
- Che c'è? - chiese lei bruscamente, distogliendo lo sguardo.
- Come te l'hanno fatta?
- Perché dovrei dirtelo? Non mi pare che tu sia stato molto loquace a tal  proposito - disse in tono affettato, sputando più veleno di quello che avrebbe voluto.
- Ma tu sei migliore di me.
L'insolita dolcezza con cui lo disse, il tono pacato e calmo, quella verità in cui lui per primo credeva non poterono nulla contro Levy. Nulla, perché i sentimenti di una fata sono molto più forti di quelli umani. E quando aveva scoperto, dieci anni prima, per quale motivo avvertiva quel buco nel petto, le sue emozioni si erano moltiplicate esponenzialmente.
- I Cacciatori mi ha trovata e mi hanno catturata. Tutto qui.
- Sii più precisa. Come hanno fatto a trovarti?
- Ero nascosta in un cespuglio quando sono cresciuta all'improvviso. Non grande come ora, ma come una bambina umana. E quindi mi hanno scoperta.
- Volevano venderti?
- No. Noi fate interessiamo ai Cacciatori solo perché siamo le uniche a poterli condurre da ciò che realmente vogliono. I Sangue di Drago.
Gajeel spalancò gli occhi. - Frena, mi sono perso.
Levy sospirò e iniziò a giocare con la terra con il piede nudo.
- Noi fate siamo longeve e possiamo vivere centinaia di anni. Come i Sangue di Drago. Però restiamo piccole. Per crescere abbiamo bisogno di una specie di... di... scossa. Una scossa emotiva. Il nostro cuore non batte come il vostro o quello degli umani. Il nostro cuore è fermo. Un battito improvviso provoca il mutamento. I Cacciatori sono convinti, invece, che questo fenomeno raro si verifichi quando incontriamo uno di voi. Quindi, immagina di essere a caccia di un Sangue di Drago e trovarti faccia a faccia con una fata cresciuta proprio per il contatto con loro.
- Ma allora non accade per questo motivo? E poi accade subito?
- No, non è il contatto con un Sangue di Drago il motivo per cui cresciamo. E, che io sappia, sono l'unica ad essere diventata così, quindi non conosco le tempistiche.
- Quindi non sono stato io a provocare la crescita. Ma loro mi stavano cercando e hanno trovato te dopo un po'. Credevano che tu sapessi dov'ero?
- Già. Mi hanno picchiata per due giorni e tenuta senza cibo e acqua per tre. Poi hanno deciso di andarci giù pesante. Volevano tagliarmi un'ala.
Gajeel spalancò gli occhi scarlatti, fissandola con un misto di orrore e ammirazione. Quella creatura tanto misteriosa era una piccola forza della natura.
Dopo alcuni istanti di silenzio, Levy riprese: - Per fortuna l'uomo che impugnò la spada era ubriaco. Sbagliò mira e mi tagliò solo la carne. La mia disperazione si manifestò sotto forma di magia e riuscii a liberarmi e scappare. Poi Makarov mi trovò e curò come poté la mia ferita. È rimasta così brutta e piagata perché non sapevo come fare per medicarla, quindi si era già parzialmente rimarginata.
Gajeel da quel momento la vide con occhi del tutto diversi. Grato verso di lei per essersi confidata con lui, per avergli dato fiducia, gli disse di come lo avevano catturato e di com'era scappato. Il suo incontro con Panther Lily. Il suo vagabondaggio e i suoi allenamenti. Levy, felice per quell'apertura nei suoi confronti, gli raccontò della vita nel villaggio delle fate, delle imprese per mare, della sua disperata ricerca del Tesoro delle Fate, che poteva essere trovato solo da una fata con immensi poteri. Senza accorgersene, le loro spalle iniziarono a sfiorarsi e le loro mani si intrecciarono mentre guardavano il cielo rivelando tutto ciò che il loro cuore nascondeva. Gajeel disse cose che non aveva mai detto nemmeno a Lily, si aggrappò a lei come se fosse la sua ancora di salvezza. Le permise di penetrare quelle barriere inespugnabili che aveva sempre eretto intorno a sé.
Dal canto suo, Levy si sentiva viva. Dopo tanto tempo, finalmente il suo cuore batteva forte come la volta in cui l'aveva incontrato. Quando l'aveva svegliata dal suo torpore. Lo ascoltò, mise a nudo molte parti di sé, ma cercare di conoscerla era come imboccare un labirinto dal quale era quasi impossibile raggiungere la fine. Si sentiva un'ipocrita a non rivelargli tutta la verità, ma sapeva di farlo per il bene di lui, e per evitare dolore  sé stessa.
Gajeel era consapevole del fatto che quella giovane donna gli nascondeva qualcosa. Qualcosa di molto importante.
Entrambi, però, anche se inconsapevolmente, capirono che i loro cuori si stavano cercando. Si erano ritrovati dopo tanto tempo e non avevano intenzione di lasciarsi andare.
Quella storia piena di domande inespresse e risposte omesse era solo all'inizio.
Ma prima o poi, tutto ha una fine.
Perché ad ogni domanda c’è una chiara risposta.
 
To be continued…
 
MaxBarbie’s
Minna-san! Gomen nasai *si dispera* Sono in ritardissimo! Ma questo malloppo di 11 pagine di Word è difficile da correggere.
Ok, sono molto emozionata. È un esperimento che ho voluto fare in vista della long che pubblicherò in futuro, a cui sto lavorando. A dire il vero comprimerla in due capitoli è stata un’impresa, avrei voluto farla come long. Allora, per quanto riguarda l’immagine, le scene usate per ora sono: la prima in basso a destra, lei piccolina in mano a lui e lui che sorride. Poi, quella… in basso a sinistra, di loro due che si guardano, quello sopra, dove Gajeel la prende come un salame e quella di fianco a destra, dove Levy abbraccia Lily. E infine quella ancora sopra, a sinistra, dove si vede la schiena nuda di lei. È la parte del lago. Le prossime scene e un’altra immagine le vedrete nel prossimo capitolo.
Io spero di cuore che vi piaccia, perché ci ho messo l’anima in questo capitolo. E spero tantissimo che si capisca qualcosa. Purtroppo tendo ad incasinare le cose molto spesso. Sì, sono masochista. A tutte le domande, comunque, do spiegazione il prossimo lunedì^^
Ditemi cosa ne pensate, se vi va^^ Grazie in anticipo a tutti e buonanotte
MaxBarbie


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Capitolo 11
*** Pirates (part 2) ***


Pirates (part 2)

Disegnatrice: Blanania/Grace
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Panther Lily
Coppie: GxL
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: vedi le note a fine pagina
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: shot divisa in due parti


 
Dopo quella notte al lago i corpi della fata e del burbero pirata finirono per sfiorarsi casualmente e inconsapevolmente sempre più spesso. Erano ripartiti subito da Garuna e la gioia del capitano era palpabile e visibile. Levy era radiosa, letteralmente. La sua pelle sembrava brillare, come cosparsa di mille diamanti illuminati dalla luce lunare. I suoi poteri si erano improvvisamente rafforzati e questo aveva permesso alla ciurma di scoprire importanti informazioni riguardo al Tesoro delle Fate. Nel giro di poche settimane sarebbero dovuti approdare sull'isola di cui le leggende narravano le prime memorie delle fate: Tenroujima. Non era vicina, ma le voci di mercato sostenevano che fosse la patria, la terra natia di quelle magiche creature. I Gatti Volanti erano nati ad Extalia, un pezzo di terra sospeso in aria ormai perduto. Il resto della terraferma era dei draghi, ormai estinti. L’isola apparteneva alle fate.
Con il rafforzamento dei poteri di Levy, le testimonianze frammentate e i vecchi ricordi tramandati dai cantori di strada erano diventate certezze: a Tenroujima c'era il Tesoro delle Fate, ma solo una vera fata poteva accedervi. Una che ancora ne ricordasse l'ubicazione precisa. Proprio quello che purtroppo Levy non sapeva, o meglio, aveva dimenticato da quando i suoi poteri si erano indeboliti. Però l'equipaggio aveva grande fiducia nel capitano e sapeva che non li avrebbe delusi.
Gajeel, con sommo stupore del suo Gatto Volante, passava istanti interminabili a fissare l'unica ragazza della ciurma, studiandola e analizzandola come se fosse una creatura da scoprire, un essere misterioso di cui voleva carpire i segreti. Con il suo sguardo duro e impassibile che gelava anche le fiamme nei suoi occhi rossi, usava qualsiasi pretesto per iniziare una conversazione o stuzzicarla.
- Ma come può una piccoletta come te essere il capitano di una nave? Come fai a stringere i nodi con quelle manine cosi piccole? Sei diventata una piratessa perché così, con una ciurma di soli uomini, puoi cambiare compagno ogni sera?
Quell'ultima domanda aveva scatenato l'inferno sulla nave. Levy non aveva mutato espressione, si era concessa solo di gonfiare le guance indispettita. Al resto avevano pensato gli uomini che non tolleravano certe libertà con il loro valoroso capitano. Una delle migliori battaglie a cui Levy avesse mai assistito. E alla fine aveva vinto Gajeel, seppure con qualche difficoltà contro Natsu e Gray.
- Mi sembra che qui tutti ti ammirino e ti desiderino, capitano. Perché allora non dai un premio al vincitore? - aveva chiesto ghignando maliziosamente.
La fata era avvampata e si era allontanata con il cuore che batteva troppo forte perché lui potesse capire tutto quello che si portava dietro.
La chiamava con nomignoli strani e poco adatti ad un superiore, come "Gamberetto", affibiatole dopo che a cena aveva mangiato più gamberetti di tutti i marinai, con sgomento di Gajeel e ovazioni del resto della nave. Si prendeva quelle libertà perché sapeva il nome della fata. Non ne avrebbe mai approfittato, ma essere l'unico a conoscerlo lo esaltava e lo induceva a pavoneggiarsi. Si sentiva legato a quella piccoletta, unito a lei in modo ancora più viscerale di quanto lo era con Lily. Lei non sembrava disprezzare le sue attenzioni, ma allo stesso tempo non le incoraggiava. Fu in quei giorni che Gajeel conobbe l'origine di quell'arcana malinconia risiedente nei caldi occhi del colore del legno pregiato della fanciulla. Un segreto prezioso.
Erano passate solo due settimane dalla partenza da Garuna quando lo scoprì, con immenso... dolore? Tristezza? Cos'era quella morsa opprimente che gli bloccava il petto?
Levy era innamorata.
Gajeel era geloso.
Quella sera il capitano non si era riunito in cambusa con loro, ed era andato a dormire dopo la sfacchinata di quell'intensa giornata. Si era sforzata con tutta sé stessa di capire qualcosa di più riguardo a quel tesoro, al luogo, qualsiasi tipo di informazione, ma la sua magia continuava a restare debole. Visioni frammentate, ricordi comuni, intuizioni oniriche erano tutto ciò che aveva ottenuto.
A bordo era vietato parlare delle fate, della loro storia e soprattutto delle leggende su di loro in presenza del capitano. Peccato che fossero anche i racconti più avvincenti e intriganti. Chi non è attratto da vecchie dicerie e miti di altre razze, popoli di altri tempi?
Jet e Droy, per quanto fossero leali alla ragazza, ascoltavano con interesse quasi morboso quelle storie, quando se ne presentava l'occasione. Makao, uno dei membri più vecchi dell'equipaggio, era il più bravo cantastorie della Fairy Tail e di ogni città portuale. Conosceva tutte le ballate e le canzoni, nonché i racconti.
- Che ne dite di dare il benvenuto a Gajeel proponendogli un affascinante mito sul nostro meraviglioso capitano? - aveva chiesto quella sera, suscitando un coro di approvazioni eccitate.
- Mmm? - aveva borbottato il diretto interessato.
- Ti va di sentire la storia delle fate? O meglio... la storia delle Fate Perdute? È una storia vera di cui solo poche decine di persone al mondo sono a conoscenza. Fairy Tail esclusa.
Dettagli succosi riguardo a Levy, aveva intuito Gajeel.
- Tsk, ok - aveva riposto con aria quasi annoiata, scalpitando dentro di sé.
Makao aveva inalato l'ultima boccata di fumo dalla sua sigaretta e si era sgranchito le mani, crogiolandosi negli sguardi impazienti e rapiti della ciurma.
- Anni fa, molti, moltissimi anni fa, Earthland era abitata da draghi, fate e gatti volanti. Erano creature magiche che regnavano in pace e serenità, amando la loro terra e procreando senza timore. I draghi erano i signori dei cieli e ognuno di loro aveva una propria peculiarità. C'erano quello del fuoco, quello dell'acqua, quello dell'aria, del metallo, del veleno,... insomma, draghi di ogni sorta. Le fate, invece, erano le signore della terra, che portavano le stagioni e rendevano la terra fertile. Loro avevano e hanno tuttora molteplici poteri, che si manifestano nei modi più disparati. E poi c'erano i Gatti Volanti, creature che  collegavano draghi e fate e mantenevano l'equilibrio di cielo e terra. La storia dell'arrivo degli esseri umani da terre lontane ci interessa relativamente, ora. Ma essi sono indispensabili perché senza il loro arrivo i draghi non avrebbero mai imparato a trasformarsi in uomini. Con lo sbarco della prima nave dalle Terre Ignote, su Earthland ci furono una cinquantina di persone, e nel giro di pochi mesi raggiunsero alcune migliaia di unità a causa di ulteriori trasferimenti. I draghi, incuriositi, volevano imparare da loro, volevano conoscerli. Si trasformarono così in esseri umani dagli occhi dai colori insoliti, come ben sapete, in modo da essere sempre distinti dagli umani. Ma il modo di vivere di questi ultimi era affascinante e i draghi, stanchi della loro routine che durava migliaia di anni, dimenticarono come fare per tornare draghi.
- Non è vero - lo aveva interrotto Gajeel. - Mio padre era un drago vero.
- Non tutti hanno disimparato. Alcuni draghi in forma umana ebbero figli da donne e uomini della nostra specie prima di tornare in forma originale. Dalla loro unione nacquero i Sangue di Drago, che vivono in mezzo a noi e hanno gli occhi di colori meno particolari rispetto ai loro genitori. Ma questa nuova specie aveva degli elementi distintivi specifici. Il potere non li aveva abbandonati, e i nascituri mostravano le caratteristiche del genitore drago sotto forma di magia, anche se molto debole. Però, la cosa più importante e sconvolgente era il loro sangue: grazie ad esso si potevano ottenere diversi elisir per allungare la vita, curare le malattie o trasformare il proprio corpo. Quando gli umani lo scoprirono, per i Sangue di Drago fu la fine. Si formarono gruppi di persone malvagie che li cercarono e li decimarono. Oggi, infatti, ce ne sono poche decine in vita. Quegli uomini vennero chiamati Cacciatori.
- Ma... la storia non parlava di fate? - lo aveva interrotto nuovamente Gajeel, tutto sommato interessato.
- Vuoi tacere, novellino? Ci sta arrivando! – aveva ringhiato Natsu.
- Mi provochi, surrogato di drago?
- Smettetela o vi butto in mare - li aveva minacciati Gray, invitando Makao, alquanto irritato, a proseguire.
- I draghi, si scoprì ben presto, non erano le uniche creature a poter mutare forma. Alcuni Gatti Volanti riuscirono ad assumere per brevi periodi una forma gigante, diventando pantere.
Gli occhi di tutti erano saettati verso Lily, che aveva già mostrato quell'abilità.
- Come i Sangue di Drago, anche questi Gatti Volanti vennero perseguitati e ricercati ovunque. E le fate, direte voi? Be', sono le creature più riservate del mondo, e su di loro non ci sono arrivate molte testimonianze o certezze. Non suscitavano nemmeno l'interesse dei Cacciatori, piccole com'erano. Questo finché quei luridi vermi non trovarono il modo di sfruttare anche loro. Non bastavano Sangue di Drago e Gatti Volanti, no. Volevano usare le fate come mezzo per rintracciare le loro prede più ambite: i figli dei draghi.
Sebbene quella storia ormai l'avessero sentita decine di volte, i membri dell'equipaggio non erano riusciti a trattenere un'ovazione. Mormorii di dissenso e critica erano passati da bocca a orecchio di tutti i presenti, scocciati da tanta malignità. Anche Gajeel si sera sorpreso, sebbene il capitano gliene avesse parlato.
- Sapete perché? Perché le fate, miei cari compagni, restano piccole per tutta la vita. Non possono cambiare la loro forma. Almeno... non volontariamente. Successe infatti, in un giorno ormai dimenticato di tanto tempo fa, che un Cacciatore vide una cosa miracolosa. Un fatto insolito e assolutamente impossibile. Pensava di essere ubriaco, febbricitante, sotto l'effetto di qualche strano infuso, ma la realtà gli appariva nitida e chiara. Oltre i cespugli che lo nascondevano alla vista, c'era una fata. E c'era un giovane, che la teneva in mano. Un Sangue di Drago. Il ragazzo l'aveva raccolta da un ramo, felice di vederla. E la fata era cresciuta improvvisamente. Aveva raggiunto dimensioni umane nel giro di due secondi. Un po' di polvere di fata, un bagliore abbagliante, e la creaturina era diventata in tutto e per tutto una donna umana. Eccezion fatta per le ali, che le spuntavano dalla schiena. Si librava leggera a pochi centimetri da terra, ricambiando lo sguardo stupito del ragazzo che la teneva per mano. La causa di quel fenomeno era evidente: il contatto fra Sangue di Drago e fate aveva fatto scattare il mutamento anche per l'ultima razza magica. Questo fu ciò di cui si convinse il losco osservatore. Giungere a conclusioni sbagliate, però, non è mai la soluzione migliore. Infatti, è l'amore a innescare il processo di mutamento. Quando una fata si innamora cresce per poter stare con la persona che ama. Per avere una vita felice. E più è vicina alla persona, più i suoi poteri aumentano. Ecco perché il nostro capitano è debole.
Comunque, il cieco Cacciatore non perse tempo e si fiondò su di loro. Ma il giovane figlio del drago dell'aria divenne invisibile e fuggì. La fata non ebbe la stessa fortuna: il Cacciatore la legò e la portò via. La torturò per giorni, consapevole del fatto che le fate sono in contatto con la natura e la magia, e sanno trovare altre creature come loro. Ciò che il Cacciatore voleva era semplice: essere condotto al Sangue di Drago. Ma per qualche motivo oscuro, probabilmente per sostegno fra esseri simili, pensò il Cacciatore ignorante, la fata non volle rivelarlo. Non aprì bocca. Finché l’uomo non le tagliò un'ala.
Un'onda di sdegno e orrore generale si era diffusa fra i presenti, mozzando il respiro di alcuni.
- Le ali sono le parti più sensibili delle fate. Non possono essere toccate. Non possono essere profanate da mani umane. La fata impazzì e rivelò in una sorta di trance dov'era il Sangue di Drago. Lo trovarono. Lo catturarono. E sotto agli occhi della fata, che a sprazzi recuperava la ragione, lo uccisero. Lo dissanguarono per raccogliere il suo magico sangue. Ma non avevano fatto i conti con l'altra creatura magica. La fata, infatti, in un accesso di  potere magico che le scorreva nelle vene, li polverizzò prima di crollare a terra. Tutta la foresta trasmise i battiti del suo cuore stanco e provato, finché non si spensero come colei alla quale apparteneva la magia. Da quel momento i Cacciatori si fecero più attenti e catturarono alcune decine di quelle fate grandi. Sempre con lo stesso risultato. Dopo tre stermini di tutti i Cacciatori, conclusisi senza nulla di compiuto, decisero di uccidere le fate prima di porre fine alla vita del Sangue di Drago, in modo da non essere uccisi.
Silenzio. L'equipaggio aveva sentito i battiti del cuore della fata, che vibravano all’unisono con i loro.
- Furono chiamate Fate Perdute. Comunque agissero, comunque si comportassero, il loro destino era segnato nel momento in cui i Cacciatori le trovavano, convinti di poter essere condotti dai Sangue di Drago. Solo una di loro sopravvisse abbastanza a lungo da raccontare la storia. Lunga vita al nostro capitano!
 
- Che storia avvincente, vero? - chiese Lily mettendosi sotto le coperte con Gajeel.
Avevano una branda leggermente più larga, in modo da poterci comodamente stare in due.
- Mmh - mormorò lui tirandosi le coperte sopra alla testa.
- Non ti è piaciuta? Per me è vera.
- Già...
- Va be', so che non sei tipo da favolette e leggende. Buonanotte.
- 'Notte - mugugnò.
No, non c'entrava il fatto che non gli piacessero le leggende. Il suo smarrimento riguardava la sensazione che qualcosa non andasse. Perché qualcosa non andava. Sapeva che suo padre era un drago e sua mamma un'umana. Sapeva che il suo Gatto Volante si trasformava. Sapeva che non era normale che una fata diventasse grande.
Ma ciò che non sapeva era: chi stava mentendo?
Levy gli aveva detto che non era per il contatto con i Sangue di Drago che avveniva la trasformazione. Dunque Makao aveva detto la verità. Era solo una coincidenza che  il primo ragazzo fosse un Sangue di Drago... E poi, questo avvalorava la convinzione di non essere stato lui a farla crescere. In tal caso, Levy era fuggita prima di tradire un Sangue di Drago qualsiasi? No, doveva aver salvato lui, non rivelando dov'era. Del resto, erano nello stesso bosco, e di ragazzi come lui non ce n'erano molti. Un altro pensiero da aggiungere alla lista: le doveva la vita.
E perché la fata gli aveva detto che non aveva un cuore, o meglio, che il suo cuore non batteva, quando la foresta aveva scandito i battiti di quello della prima Fata Perduta?
E di chi era innamorata Levy, chi era riuscito a conquistarla?
Gajeel dormì un sonno agitato e scomodo, faticando a trovare la giusta posizione e a placare la diga che si era rotta nella sua mente. Le domande a cui non riusciva a rispondere lo raggiunsero anche in quei brevi e frammentati sogni che faceva tra una veglia e l'altra.
Fate, gatti e draghi si rincorrevano, lottavano, si uccidevano a vicenda e raggiungevano la pace. Fate si univano a gatti e gatti a draghi, formando nuove razze particolari che alla fine prendevano le sembianze di Cacciatori. Ma ogni volta c'era lei. C'era Levy.
E anche in sogno, Gajeel poteva percepire il suo cuore che spiccava il volo.
 
Alcune sere dopo, Gajeel aveva un quadro della situazione più chiaro, anche se non completo. E voleva scoprire tutta la verità. Ormai poteva affermare con convinzione di essere entrato nelle grazie della fata. Quando credeva di non essere vista, gli lanciava lunghe occhiate malinconiche. Lo guardava come si è soliti osservare una persona cara che ha perso la memoria. Lo si fissa come in attesa che ti riconosca da un momento all'altro. Ogni tanto Gajeel ricambiava lo sguardo, facendola avvampare.
- Perché non le parli? - aveva chiesto Lily.
- Mh?
- Vai a parlarle. Muore dalla voglia di conoscerti meglio, lo sai. E sai anche che per te è lo stesso.
Lily era il compagno di viaggio preferito da Levy. Stavano sempre insieme, ridendo e raccontandosi segreti.
Gajeel non aveva avuto la forza di negare, disgustato da ciò che stava accadendo. - Come fai ad esserne sicuro?
- Le ho mostrato che posso diventare grande e lei mi ha rivelato alcuni particolari interessanti della sua storia. Io li ho trovati illuminanti, magari sarà lo stesso per te.
Così si era ritrovato a notte inoltrata a passeggiare per il ponte, osservando Levy che leggeva pergamene riguardanti il Tesoro delle Fate. Quella ragazzina leggeva sempre. Lily era accanto a lei, con una mela lacerata da un morso al fianco e una mappa sotto i gomiti. Sembrava stanco, ma voleva tenerle compagnia. Lei era appoggiata ad un albero della nave, con una deliziosa fascetta dorata fra i capelli e una botte ricolma di mele poco distante. Non disponibileLentamente una consapevolezza prese forma nella mente di Gajeel, facendolo stare male: erano mesi che non suonava il bengio. Il suo suono cristallino gli mancava, ma a causa degli avvenimenti sconvolgenti delle ultime settimane non ci aveva pensato. Ghignando, andò nel dormitorio, in cambusa, e prese il suo strumento. Si scapicollò per le scale, correndo per arrivare da lei, ma a fine scala si impose di rimanere calmo e tranquillo. Assunse un'aria da macho, con viso impassibile e sguardo malizioso, e uscì sul ponte come se niente fosse. Levy lo osservava di sottecchi, divertita da quello strano ragazzo.
Gajeel prese posto accanto a lei, sedendosi su alcune panche di legno sotto al parapetto. Aveva la scusa di voler stare vicino al suo gatto, ma la verità era che lui voleva stare vicino a qualcun altro. Il ragazzo iniziò ad accordare il bengio, attirando l’attenzione della fata.
- Da quanto suoni? - chiese fissando l'orizzonte con un placido sorriso. La notte era chiara grazie alla luna piena che, insieme alla lampada ad olio sopra all'albero, non compromettevano la vista della ragazza. Il mare era calmo e il timoniere rischiava di addormentarsi. Ci si poteva specchiare in quell'acqua così cristallina, accesa di riflessi viola per l’immensa profondità marina.
Gajeel ghignò, iniziando a raccontare. Solo lei era in grado di farlo parlare delle sue avventure, per interi e lunghissimi minuti. E la cosa non dispiaceva a nessuno. Le rivelò dove aveva vinto lo strumento, cos'era il marchio di metallo all'estremità delle corde, i suoi studi autodidattici, la breve carriera musicale. Le suonò qualcosa di vivace che la fece ridere, ma poi virò sul genere tranquillo.
E Lily si addormentò.
- E così... sei innamorata.
Levy distolse lo sguardo e avvampò. - Makao - sospirò.
- Non punirlo. È stata colpa mia.
- Non lo punirò. Piace anche a me il modo che ha di raccontare le storie. Favole che io stessa gli narro.
- Non sono vere?
- Oh, sì che lo sono. Le uniche storie vere riguardo a noi fate.
- Che ne dici di dirmi qualcosa di più su di te? Io ti ho già raccontato più di quanto avrei dovuto.
- Cosa vuoi che ti dica? Mi sono innamorata e sono cresciuta. Ho avuto fortuna e sono l'unica Fata Perduta sopravvissuta alla cattura dei Cacciatori. Ho protetto il mio amato e sto vivendo un'avventura per conto mio.
- Lontana da lui - concluse per Levy. - Per questo sei debole.
Lei rimase in silenzio, restia a rivelare troppo di sé.
- Lo hai conosciuto molto dopo di me?
La fata deglutì, a disagio. - No.
- Dev'essere un tipo in gamba.
- Già...
- Vi frequentavate?
- No. Gli ho parlato solo una volta.
- Allora era davvero speciale se ti ha fatta innamorare subito.
Ancora silenzio. La quiete era l’ombra di Gajeel, la sua compagna fidata, ma in quel momento al ragazzo sembrava una nemica che tramava alle sue spalle. Non si era mai dovuto sforzare di tenere viva una conversazione.
- Posso farti una domanda?
- Me l'hai appena fatta - ridacchiò lei malinconicamente.
- Tu mi hai detto che il cuore delle fate è immobile. Makao ha detto che la foresta trasmise il battito della prima Fata Perduta alla sua morte. Quale versione è vera?
- Be', ormai lo sai, dirtelo non cambia. Ti ho detto della scossa, no? Quella forte emozione che ci provoca il mutamento. Ecco. Quando ho capito di essermi innamorata ho... è difficile da spiegare. Vedi, noi fate nasciamo con un vuoto nel petto. Viviamo alla costante ricerca di qualcosa che lo colmi, ma ci è vietato pensarci. È pericoloso provare a risolvere il mistero, per ovvi motivi. Il mio cuore, ora che ha scoperto il sentimento con cui riempirsi, batte come il tuo, perché ha trovato la sua parte mancante. È completo. Quello della prima Fata Perduta batteva allo stesso modo.
- Wow. È... una cosa particolare.
- Sì.
- Ma perché non puoi volare? Sei troppo pesante? - domandò cambiando discorso.
L'occhiataccia che ricevette lo fece ridacchiare, sebbene avesse cercato di trattenersi.
- No, non sono pesante. E poi cosa ti fa credere che non possa usarle?
- Se io le avessi le userei sempre. Anche involontariamente. Le tue non si muovono mai. Sembrano atrofiche. Le hanno danneggiate quando ti hanno catturata?
- No... - farfugliò. Non voleva raccontargli quel particolare che poteva smascherarla, ma non poteva inventarsi una scusa credibile su due piedi ed era certa che lui non avrebbe accettato un semplice "Non volo e basta" come risposta. Del resto, come poteva realizzarsi quella eventualità?
Levy si decise a dirglielo. - Quando siamo vicine a chi amiamo i nostri poteri crescono. E quando i nostri sentimenti sono ricambiati possiamo volare di nuovo. Non sai quanto mi manca la sensazione del volo. Desidererei davvero sentire nuovamente le mie ali gonfiate dal vento, anche se sono sempre al loro posto.
Gajeel rifletté sul pesantissimo vincolo che il mutamento comportava. Per le fate era davvero una disgrazia innamorarsi. Venivano uccise e torturate per tradire i loro amati, che spesso non erano nemmeno coloro che i Cacciatori ricercavano, oppure fuggivano e vivevano senza poteri e possibilità di volare, lontane da chi aveva provocato la trasformazione. Ma solo Levy ci era riuscita. Di solito morivano.
- Sarà meglio che vada a dormire ora - constatò Gajeel alzandosi. Prese il bengio e Lily, allontanandosi. Gli occhi di Levy, tristi come non mai, gli puntavano la schiena pregandolo di non lasciarla. Sussultò quando lui si girò.
- Se ora lo ritrovassi, che faresti?
La ragazza arrossì pensando a quanto avrebbe voluto dirgli la verità. Era stufa delle bugie.
- Non lo so.
- Lo ami ancora?
- Sì. Noi fate amiamo una sola volta nella vita.
- Quindi non potresti farti una vita con qualcun altro.
- No - bisbigliò fissando il mare.
L'eco dei suoi passi di Gajeel che si allontanavano segnarono il tempo che volava via come una nuvola. Così eterea e inconsistente.
I cuori dei due giovani galoppavano allo stesso modo. Cercavano di uscire dalla gabbia toracica per raggiungersi, trovarsi dopo tanto tempo e finalmente unirsi. Ma uno era troppo triste per rendersi conto dell'altro. E l'altro era troppo geloso e pieno di rabbia per cercare di comunicare.
E che senso aveva tentare, se il cuore che Gajeel desiderava era già stato rubato da un rivale imbattibile?
 
Nei giorni seguenti Gajeel si rese conto di essere perduto, come una fata. Lily glielo aveva fatto capire, e ormai non poteva più ignorare quel fastidioso fremito nel petto, quel muscolo involontario che cominciava a battere come le ali di un colibrì quando lei lo guardava, arrossiva o addirittura gli parlava. Il suo sorriso era accecante e la sua risata era una melodia arcana, la chiave per la felicità.
Gajeel si era innamorato di Levy. E negarlo sarebbe stato solo da vigliacchi. Ma lo stato di torpore in cui l'amore getta chi ne è colpito non poteva sedare il dolore, la rabbia e la frustrazione che provava quando si rendeva conto che quel sorriso non gli apparteneva, che quelle mani non l'avrebbero mai accarezzato, che il suo cuore speciale non avrebbe mai battuto per lui.
- Parlale - gli intimava Lily ogni notte.
- Taci - rispondeva Gajeel dandogli le spalle.
- No. Sei masochista. Parlale e finiscila.
- Devo mettermi in ridicolo? Non servirebbe. Lei non mi ama. Non puoi capire, gatto.
- Capisco meglio di te, Gajeel. Quando mai non ti ho dato consigli giusti?
- Questa volta. Questa volta non puoi darmi consigli corretti.
- Un giorno ti pentirai di non avermi dato retta prima. Perché io so la verità. Tu ne conosci solo una parte.
Ma Gajeel si era già addormentato.
 
Due giorni dopo la chiacchierata notturna con il capitano, i due compagni furono svegliati da un certo trambusto. Il sole era ormai alto nel cielo, ma loro avevano potuto dormire perché la sera precedente si erano occupati fino a tardi della cucina.
- Il capitano!
- Presto!
- Il capitano! Venite!
Voci attutite dal legno giungevano dal ponte, concitate e preoccupate. Non poteva essere nulla di buono. Levy era una bravissima spadaccina, come si conveniva ad una del suo rango, e aveva alcuni poteri offensivi. Che l'avessero attaccata senza far rumore e destare sospetti? Era un mostro marino, magari?
Gajeel schizzò fuori dal letto in braghe di tela, a petto nudo e scalzo, salendo a rotta di collo le scale. Sbucò sul ponte, seguito a ruota da Lily che spiccò il volo. Quest’ultimo riuscì ad individuare subito la fata e rimase a bocca aperta, fluttuando in aria e restando bloccato in uno stesso punto. Gajeel iniziò a sudare freddo: non poteva essere una notizia positiva.
Spintonando in malo modo tutti i membri dell'equipaggio, troppo assorti per farci caso, raggiunse il centro del cerchio che la ciurma aveva formato.
E si bloccò.
Il ragazzo fissò prima i piedi della ragazza, sospesi da terra, poi le eleganti gambe leggermente piegate, le mani posate sui fianchi in maniera autoritaria, la schiena dritta che mandava in fuori il petto, il mento alto, il sorriso smagliante che brillava, illuminato dal sole, e quei caldi ed emozionati occhi castani che gli mozzarono il respiro. Le ali battevano velocemente come quelle di un piccolo passero, così delicate eppure così forti.
Levy stava volando. Gajeel sorrise e lei svolazzò un po' in tondo ridendo prima di incrociare i suoi occhi ardenti. Arrossì. Spalancò gli occhi e arretrò ripensando a tutti quello che gli aveva rivelato. Che stupida era stata. Lui ora sapeva per quale motivo poteva di nuovo volare.
Anzi, lui le aveva permesso di volare ancora.
Magari aveva scordato la loro conversazione. Ma non importava.
Troppo imbarazzata, la fata spiccò il volò e si sedette sulla parte piatta dell'albero maestro, cercando di dimenticare per un momento il trambusto sul ponte.
- Come mai può volare?
- Non è magnifico?
- Makao, cosa dicono le tue favole sul volo delle Fate Perdute?
- Makao, che ti ha raccontato il capitano?
- Makao?
- Makao!
- Makao?!
Le voci di tutti si sovrapposero, reclamando in breve tempo le attenzioni dell'ex cantastorie.
Gajeel era quello più interessato... e sconvolto.
- Calmatevi. Il capitano non mi ha mai detto nulla sulle sue ali. Mi ha solo rivelato che il non poter volare era una conseguenza naturale della crescita, nient'altro.
Bugia. Gajeel alzò gli occhi e si fece da scudo contro il sole con la mano, mentre Lily raggiungeva la fata. Li vide parlare e lei strinse il gatto, in equilibrio precario su quell'albero altissimo.
- Lunga vita al capitano! Hip-hip, hurrà! Hip-hip, hurrà!
Gajeel si fiondò in cambusa e, al buio, cercò di isolarsi da tutte quelle voci. L'uomo che la principessa amava la ricambiava, ecco perché volava. Solo quello era il motivo. Ma era distante e lei non lo aveva rivisto per anni.
Il suo cervello lavorava febbrilmente ponendosi mille domande e catturando risposte fuggenti come pesci che subito gli scappavano via, lasciandolo ancora più confuso. Si impose di calmarsi e trovare un senso a quella situazione. Non avrebbe tollerato di vederla con un altro uomo. Avrebbe disertato, se necessario. Iniziò a ragionare lucidamente solo quando tutti tornarono al proprio lavoro.
Davvero Levy aveva incontrato il suo amore dopo che lui l'aveva salvata, da piccolo? La prima Fata Perduta era cresciuta appena si era resa conto dei suoi sentimenti, mano nella mano con il suo amato. E il capitano gli aveva detto che non si era trasformata molto tempo dopo il loro incontro. Aveva davvero incontrato qualche altro ragazzo oltre a lui?
Si era reso conto solo da poco di amare quella ragazza. E lei gli aveva rivelato che le fate possono volare solo se chi amano le ricambia. Tutti i membri dell'equipaggio gli avevano confermato che la persona che aveva rubato il cuore della fata non era a bordo. Altrimenti in tutti quegli anni a contatto con lui sarebbe diventata molto potente. Makao gli aveva distrattamente confessato che i poteri del capitano si erano rafforzati da quando lui, Gajeel, era salito a bordo con Lily. Dunque, il ragazzo che Levy amava non era a bordo prima del suo arrivo. Il fatto che fosse un Sangue di Drago era solo una coincidenza dato che la magia del suo sangue non c'entrava con la trasformazione.
Possibile che...? Insomma...
Davvero poteva essere lui ad aver innescato la mutazione? Davvero il capitano era innamorato di lui?
Tutti gli indizi riconducevano a quell'unica soluzione. E questo spiegava anche il trattamento di riguardo che Levy aveva avuto nei suoi confronti.
Non poteva fare altro che indagare ancora.
 
Gajeel era al timone, di notte. Era il suo turno da sentinella e timoniere, ma se anche uno squalo avesse addentato parte del ponte, lui non se ne sarebbe accorto. La fata lo aveva evitato tutto il giorno. Aveva volato incessantemente fuori bordo, vicino al parapetto, su per gli alberi, sul pelo dell'acqua. Si era anche fatta il bagno e aveva riempito delle botti per fare i gavettoni a tutti, entusiasta. Ma non a lui. Lo aveva guardato spesso, da lontano, distogliendo lo sguardo quando lui lo ricambiava. Aveva parlato incessantemente con Lily, scatenando la gelosia del ragazzo e inducendolo a pensare che forse era il gatto ad averle rubato il cuore. Non l'aveva forse trovato nello stesso bosco, poco tempo dopo aver incontrato lui? Ma Lily non amava la fata. Altrimenti non avrebbe incoraggiato Gajeel a farsi avanti. Nemmeno a cena lei lo aveva considerato, e quando avevano ballato sul ponte, si era rifiutata di ballare con l’ultimo arrivato, rendendosi sfuggevole. Se provavano le stesse cose, perché scappava?
- Ehi! Stai sbagliando rotta.
Gajeel trasalì udendo quella sottile e dolce voce alle sue spalle.
Levy.
- C-che? - balbettò, colto alla sprovvista.
Il bagliore della luna faceva risaltare la linea affusolata del suo collo e la morbidezza delle sue piccole labbra, nonché la curva del suo seno, che traspariva leggermente dalla scollatura della camicia bianca. Gli occhi marroni erano diventati neri e i capelli erano argentei, con una traccia di oro dove si trovava la fascetta. Lo guardava intensamente con le guance in fiamme.
Il ragazzo non aveva mai visto nulla di più bello.
- Stai sbagliando rotta di trenta gradi. Sono venuta a fare una perlustrazione e ho visto che eri distratto. Attento, mi raccomando.
Gajeel parve finalmente ritrovare la voce che aveva perso.
- Quanti ragazzi hai visto prima di me, quando eravamo piccoli? Voglio la verità.
Il capitano sussultò e abbassò lo sguardo. - Nessuno - bisbigliò.
- E dopo di me?
Levy non rispose.
- Senti, io credo che...
- Mi sono trasformata una settimana dopo averti incontrato - sospirò lei fissando il legno sotto ai suoi piedi. Gli diede un'occhiata fugace prima di appoggiarsi al parapetto davanti al timone, quello che si affacciava sul ponte, e cominciare a spiegare tutto. - Quando ero in mano tua, quando mi hai liberata, il mio cuore ha iniziato a battere. Ma non abbastanza. Non ero innamorata. Ti ho seguito di nascosto, ti ho osservato. Eri così carino. Due giorni dopo ho incontrato Lily e siamo diventati amici. Mi ha aiutata molto ed è stato lui a farmi capire i miei sentimenti. È diventato tuo amico per potermi parlare di te. E dopo sette giorni avevi irrimediabilmente rubato il mio cuore. Stavo pensando a te, nascosta in un cespuglio, quando mi sono trasformata. Stavo ascoltando il mio cuore che batteva. Era una sensazione così strana e piacevole. Sai, noi fate nasciamo incomplete. Abbiamo un grande potere, ma è limitato. Come già ti ho detto, abbiamo un vuoto nel petto e moriamo dalla voglia di capire cosa può riempirlo, però ci è vietato cercare di farlo. Perché se scoprissimo che basta innamorarsi, pur di sfuggire al vuoto andremmo alla ricerca della nostra anima gemella, diventando Fate Perdute. Io non mi accorsi che proprio in quel momento passavano di lì i Cacciatori. Lily ti portò via sotto mia esplicita richiesta. Sfortunatamente sapevo dove vi trovavate, e se mi avessero tagliato un'ala sarei impazzita. Avrei confessato. Per questo cercai di suicidarmi. Mordermi la lingua, soffocarmi, qualsiasi cosa. Ma mi bloccavano sempre. E poi arrivò il momento dell'ala. Come ti ho raccontato, il Cacciatore era ubriaco e la mancò. Fu abbastanza. Piangevo pensando al fatto che saresti morto per colpa mia, che ti avrei tradito. Il dolore, insieme al mio amore, crearono un'onda d'urto che polverizzò tutti gli umani dell'area. Io fui libera. Non ti cercai per vederti un'ultima volta. Sarebbe stato troppo pericoloso. Così fuggii. Ho trovato Makarov e la Fairy Tail. Mi sono innamorata del mare. E mi sono indebolita. Almeno finché non sei arrivato qui. Erano anni che non sentivo il mio cuore battere così. Appena vi ho visti ho temuto che lo notaste. L'ho mascherato, ma sono diventata molto più potente. Ora so più o meno dov'è il mio tesoro. E so fare un sacco di cose. Fra cui volare.
Levy chinò la testa, sempre dandogli le spalle. Il silenzio era assoluto. Se il ragazzo se n'era andato, lei non lo aveva notato.
- Sai meglio di me quando una Fata Perduta riottiene la capacità di volare. Te l'ho spiegato. Quindi...
Non sapeva nemmeno lei cosa dire. "Quindi mi ami? Quindi siamo a posto? Quindi buonanotte?".
- Quindi è tutto perfetto - le bisbigliò Gajeel all'orecchio.
La fata trasalì e si girò di scatto, scontrandosi con il petto muscoloso del ragazzo. Torreggiava su di lei e i suoi occhi sembravano braci ardenti che le scioglievano il cuore mentre lo facevano impazzire. Successe tutto talmente in fretta che i suoi sviluppati sensi di fata non lo notarono nemmeno.
Le sue labbra calde che profumavano di mare e di magia furono sulle sue, dolci ma allo stesso tempo decise. Levy non sapeva quante ragazze avesse avuto, non sapeva quante bocche avesse baciato prima di lei. Ma era sicura, era certa che avrebbe baciato in quel modo solo lei. Rispose con tutta sé stessa, stringendosi a lui e schiudendo le labbra per approfondire quel contatto che sembrava racchiudere la nascita del mondo.
Levy sentì una scarica di energia scorrerle nelle vene, come quando si era trasformata. Era finalmente completa, fata e umana insieme, magica e potente. Infilò le mani fra la matassa di capelli corvini di Gajeel e rise, baciandolo con passione e sicurezza. Sembrava che non avesse mai fatto altro dalla mattina alla sera. Dal suo viso, le mani di Gajeel le sfiorarono la vita e si posarono, calde, sulla sua schiena, appoggiandosi infine al parapetto.
Levy era in trappola. Era già a corto di fiato e iniziava ad avere davvero caldo, come lui, quando sentì che Gajeel dalla sua bocca passava al suo collo, che prese a baciare dolcemente.
- Ga-Gajeel - ansimò. - Fermo.
A malincuore il ragazzo si staccò, stupefatto, e si allontanò bruscamente. Riprese il timone e corresse la rotta, mormorando delle scuse.
Levy rimase immobile al suo posto, sconvolta da quanto era appena successo. Tutto così in fretta. La sua parte selvaggia, il suo animo legato alla natura, prese possesso delle sue membra e la spinse fino a Gajeel.
La sua voce, distante, gli bisbigliò: - Fra poco c'è il cambio del timoniere. Ti aspetto nella mia cabina.
Lo lasciò solo in un fruscio di ali argentate e capelli color del Mar dei Caraibi, stordendolo e inebriandolo.
Poteva farsi piacere il ladro di cuori, se davvero era lui.
 
Droy era arrivato due minuti prima e Gajeel, impaziente ed emozionato, se l'era svignata di corsa fingendo di avere un grande sonno. Approfittando di una momentanea distrazione di Droy, si infilò nella cabina del capitano, proprio sotto alla piattaforma del timoniere. Si ritrovò nella sala riunioni, dove un tavolone ingombro di carte, mappe, compassi e schemi occupava il centro della stanza. Il morbido pavimento di moquette attutì i suoi passi e lui imboccò senza tentennamenti la porta a destra che conduceva alla camera del capitano. Zona off-limits per tutto l'equipaggio.
Appena appoggiò la mano sulla maniglia gli venne l'affanno, un piccolo attacco di panico gli mozzò il respiro. Un mucchio di "e se....?" gli riempì la mente, togliendogli lucidità. Aveva paura.
Un minuto dopo riprese il controllo di sé stesso. Respirò profondamente. Abbassò la maniglia ed entrò nella camera.
A destra della porta c'era l'ampio letto con un comodino a lato. Mensole stracolme di libri tappezzavano una parete. Una protezione di vetro impediva ai manoscritti di cadere durante le mareggiate e le tempeste più tremende. Di fronte e a sinistra del letto c'erano ampie vetrate inframmezzate da libri e mobili di vestiti. In un angolino c'erano le diverse spade che il capitano amava di più. La carta da parati rosso-mogano dava una sensazione di calore e intimità, rendendo la stanza accogliente. Era molto ordinata.
Gajeel si concentrò finalmente sull'unica cosa che davvero gli interessava: Levy. Inginocchiata sul letto, con la schiena dritta, gli dava le spalle. Aveva una postura rigida, probabilmente era tesa quanto lui. Allora perché lo aveva chiamato lì? La vide abbracciarsi da sola e chinare la testa. La tenerezza che gli ispirava gli strinse il cuore in una morsa.
L'amava. Troppo per esprimerlo a parole.
Si tolse gli stivali da marinaio e si inginocchiò sul letto, gattonando fino a raggiungerla. La paura stava lentamente scemando, lasciando spazio all'euforia e al desiderio.
Gajeel l'abbracciò da dietro, appoggiandole il mento su una spalla e inspirando il profumo di pini e sale dei suoi capelli. Le baciò il collo delicatamente e poi vi lasciò le labbra appoggiate, chiudendo gli occhi. Levy fremette e si tolse lentamente la fascetta dorata, lasciandola cadere sul letto.
Nessuno dei due voleva parlare, magari per paura di rompere quell'incanto o per vergogna. Gajeel aspettava solo un segno, e lei aspettava di essere pronta per darglielo. Dopo un tempo che parve interminabile, immobili e stretti l'uno contro l'altra, Levy chiuse gli occhi. Portò le mani al petto e iniziò a slacciarsi la camicetta a cui era annesso il corpetto di pelle. Il ragazzo si scostò dal suo collo e le massaggiò le spalle nel modo rilassante che aveva imparato da un vecchio esperto di medicina. Piano piano si sciolsero entrambi e la fata si appoggiò contro il suo petto sospirando. In tacito accordo, Gajeel si sfilò la camicia, restando a petto nudo, per poi sfilare lentamente la camicia alla ragazza, senza toglierla del tutto. La visione di quella porzione di schiena liscia e bianca nella penombra gli fece perdere per un attimo il contatto con la realtà. Le ali brillanti erano afflosciate proprio ai lati della spina dorsale, in alto. E sulla spalla sinistra la cicatrice lattea spiccava come un pirata ad un ballo reale.
Gajeel si rese conto di quanto quella creatura avesse sofferto per lui, per proteggerlo. Lo aveva amato incondizionatamente per tutti quegli anni, era fuggita per tenerlo al sicuro a costo di indebolirsi. Aveva tentato il suicidio per sfuggire ai suoi aguzzini e non tradirlo. Le doveva la vita. L'avrebbe amata sempre di più di giorno in giorno, difendendola come lei aveva fatto con lui. Sarebbe stato la sua ombra, il suo amante, il suo sostegno, la sua valvola di sfogo, la sua cavia, il suo tutto. Glielo doveva.
Voleva essere il suo mondo proprio come lei era diventata il suo.
Appoggiò le labbra, delicatamente, sulla cicatrice che testimoniava il suo amore per lui. Temeva quasi di riaprirla e riportare a galla la sofferenza della sua amata, ma sentiva di doverlo fare, come per curarla per sempre con quel bacio. Levy pianse silenziosamente le lacrime di amore, sofferenza, terrore e lontananza che aveva trattenuto in quegli anni. Aveva avuto paura di non rivederlo più e allo stesso tempo di rivederlo. Ma ora era finalmente libera. Era leggera. Le sembrava di fluttuare. Rabbrividì a contatto con le sue labbra, desiderando unirsi a lui e non lasciarlo mai più. Voleva sentirlo suo, voleva dimostrargli tutto il suo amore.
Sentì le sue mani accarezzarle la schiena e poi toglierle la cintura con il simbolo della sua nave e la camicia. La gettò lontana. Per la prima volta in vita sua non si vergognava del suo corpo, non sentiva pudore o timore. Voleva donarsi a lui, farsi conoscere in tutta la sua essenza. Levy si appoggiò con la schiena al suo petto e girò la testa in modo da poterlo baciare.
E in quella dolcissima notte ad entrambi parve di brillare come le stelle che tenevano compagnia alla luna. La Luna era il loro amore, illuminata dalla luce del sole: i loro cuori fusi insieme.
Perché il loro amore era pura e semplice luce.
 
L'alba colse Gajeel troppo presto. Aveva sonno e la notte passata praticamente in bianco non lo aiutava a svegliarsi. Aveva amato Levy una decina di volte escludendo coccole e momenti passati a chiacchierare aggrovigliati, appiccicati, terrorizzati all'idea di staccarsi. Avevano mostrato la loro passione in modi sempre diversi, decidendo silenziosamente di prolungare quei momenti di calore ogni notte. Era destino che stessero insieme, non sapevano come altro dirlo.
Un raggio di sole dispettoso penetrò dai finestroni esposti alla luce e colpì il ragazzo sugli occhi. Ecco perché il capitano era sempre il primo a svegliarsi. Grugnendo, si issò sul gomito e fissò la creatura che premeva la schiena contro il suo petto. I capelli scarmigliati le incorniciavano il viso come un'aureola, una pozza d'acqua soffice e cristallina. La bocca era schiusa e il respiro lento e regolare. Una manina era posata vicino ad una guancia mentre l'altra era piegata attorno al petto e al lenzuolo, come a proteggersi dall'aria.
- Levy - bisbigliò baciandole una guancia, dopo averle scostato i capelli.
Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce. Ed era la prima volta che lei sentiva il suono che aveva. Gli colpì la mente assonnata facendosi largo fra la nebbia letargica, dandole un brivido. Era così bello quel nome pronunciato dalle sue labbra. Sentì che il ragazzo si stringeva a lei e le passava un braccio attorno alla vita, baciandole poi la spalla.
- Ho sonno, Levy.
- Dormi - mugugnò lei, accoccolandosi contro di lui, facendosi stringere di più.
- Se non esci di qui entro mezzogiorno cosa succede?
- Mi vengono a cercare.
- Appunto.
- Mmm... potrei essere malata. Tanto la rotta la sanno, non c'è bisogno che... la rotta!
In un secondo la fata scattò in piedi e si precipitò verso la porta, decisa ad uscire per una questione importantissima. Una mano le afferrò il polso e la tirò verso il letto. Cadde fra le braccia di Gajeel.
- Devi metterti qualcosa addosso - le fece notare con le sopracciglia aggrottate.
Solo allora si rese conto di essere nuda. Per fortuna era stata bloccata. In fretta si rivestì, scordandosi la fascetta per i capelli, e diede al ragazzo un lungo e profondo bacio. Imboccò la porta ed uscì.
 
Levy, riacquistati tutti i poteri, sapeva esattamente dov'era ubicato il Tesoro delle Fate. Aveva guidato la nave per una giornata intera, dandole una spinta per andare più veloce grazie alla magia. La notte erano rimasti ancorati poco distanti dalle coste dell'isola Tenroujima e solo Lily aveva notato che Gajeel, per la seconda notte di fila, non era in cambusa. Il gatto si era addormentato sorridendo.
All'alba successiva avevano raggiunto il centro dell'isola abitata solo da alcune fate. Levy era l'unica a percepirle e sapeva che non aveva senso camuffare le sue ali perché anche loro sapevano chi era. Dal folto degli alberi le lanciavano occhiate terrorizzate e incuriosite, consce dell'immenso potere di quella loro simile. Al centro dell'isola si innalzava un gigantesco albero, con le fronde che arrivavano a coprire dall'alto l'isola stessa, schermandola dal sole con la sua chioma di giada e smeraldo. Era lì in cima che dovevano andare.
Solo Levy e Lily, che portava Gajeel, erano riusciti a raggiungere la vetta dell'albero in volo. Si diceva che fosse il cuore dell'isola, il suo centro magico senza il quale le fate di tutto il mondo sarebbero morte. Nel mezzo dell'intrico di rami c'era la tomba della prima Fata Perduta. Levy aveva pianto il suo destino, sentendosi finalmente capita. Stessa origine, futuro diverso. A contatto con le sue lacrime, la tomba stessa era diventata il tesoro. Decine di forzieri stracolmi di monete e monili, diademi e diamanti, gemme e oggetti preziosi erano apparsi come per… magia. Erano appena diventate le persone più ricche del mondo.
- Il vostro amore vale più di questo tesoro – aveva detto una voce vecchia e stanca, provata dall'attesa. - Grazie. Ora posso ricongiungermi con colui che mi è stato sottratto.
E lo spirito della prima Fata Perduta si era disperso, finalmente libero dopo aver custodito quell'amore che si era tramutato in tesoro. Gajeel aveva abbracciato Levy, consolando il suo pianto disperato, baciandole i capelli e tenendola stretta a sé, cullandola. Poi si era calmata. Aveva sorriso a lui e a Lily e quest'ultimo si era trasformato nella sua forma gigante per portare giù i primi forzieri. La ragazza aveva lanciato in aria una manciata di monete, entusiasta. Era grata alla sua capostipite per quel dono e la vicinanza di Gajeel la inebriava. Lui, poi, dopo tanti anni di ricerche, si era reso conto di non desiderare davvero un tesoro: l'aveva già trovato. Il più prezioso di tutti. La sua fata con le gote arrossate e la risata infantile lo intenerirono, finché non posò lo sguardo sulla scollatura della sua camicia. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza dei lei.
Nel primo pomeriggio avevano ormai finito di fare gli spostamenti del tesoro, e Levy avrebbe giurato di vedere l'acqua lambire i fianchi della nave più in alto del solito a causa dell'enorme peso caricato. Lily tornò accanto a loro, in cima all'albero, e assunse le sembianze consuete, tornando piccolo.
- Che facciamo, mio capitano? - domandò Gajeel cingendole la vita.
- Torniamo alla nave.
- E poi?
- Festeggiamo con la ciurma, attendendo la notte.
Il ragazzo ghignò cogliendo l'allusione. - E poi?
- Chissà. Il mondo è pieno di tesori.
Levy si avvicinò pericolosamente alle sue labbra prima di spiccare il volo e abbandonarlo. Andò a posarsi sul ponte e Gajeel la raggiunse pochi secondi dopo, scortato da Lily. La fata sguainò la spada e si mise una mano sul fianco, sorridendo entusiasta. Alle sue spalle, il ragazzo ghignava fissando l'equipaggio, con entrambe le mani posate sui fianchi, mentre Lily svolazzava di fianco a lui con le braccia incrociate sul petto.
- Comincia una nuova avventura, ciurma. All’arrembaggio!
- Fairy Tail, Fairy Tail! Fairy Tail, all'arrembaggio! - gridarono tutti stappando le botti di vino.
La nave con la figura della fata intagliata a prua si diresse verso il tramonto che doveva ancora nascere.
La promessa di un nuovo inizio.
 
FINE
 
 
MaxBarbie’s
Mi commuovo. Ahahahahaah non so nemmeno io perché, è solo che… praticamente è la prima storia che finisco. Anche se il capitolo mi sembra più confuso del precedente o.o Io ho capito la storia (ci mancava solo che chi l’ha scritta non l’avesse capita-.-), ma non so se sono riuscita a trasmetterla a voi.
La scena… ahem… la scena un po’ hot è stata come sempre imbarazzante per me, ma spero che sia stata significativa. Ed è tratta dall’immagine dello scorso capitolo, a sinistra in alto, il bacio di Gajeel. Poi, a destra c’è Levy che lancia in aria le monete, con Lily che carica il tesoro. E infine la scena finale ovviamente, quella che spicca al centro della bellissima immagine della fantastica Rboz.
La scena di questo capitolo non è da meno comunque, disegnata da Blanania alias Grace ispirata proprio all’AU di Rboz (immagine, si intende. Immagine AU).
Ah, volevo precisare che tutto quello che ho scritto è puramente inventato. Non ho tratto spunto da nulla, né libri, né film, né altro. Ho appena notato che c'è una ff che si chiama Sangue di Drago, ma non l'ho mai letta e non ho rubato il nome. Quando scrivevo mi è venuto naturale scrivere Sangue di Drago. Tutto qui.
Spero che vi sia piaciuta. Grazie a tutte le lettrici e specialmente alle commentatrici.
A presto,
MaxBarbie


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Capitolo 12
*** After Torafusa... ***


After Torafusa...

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: appena dopo la battaglia contro Torafusa
Avvertimenti: spoiler!; missing moment

 

Le sue labbra. Così morbide. Così delicate e decise. Così... giuste.
Gajeel non riusciva a smettere di pensarci. Levy lo aveva salvato. Ancora. E continuava a farlo. Non gli aveva solo parato le chiappe molteplici volte, no. Non si era limitata a fare quello. Era uno scudo contro l'oscurità. Lo aveva tirato fuori dal suo guscio, dalla sua scorza dura fatta di orgoglio e sofferenza. Lo aveva aiutato ad aprirsi, a socializzare con gli altri, a collaborare per raggiungere un obiettivo comune. Gli aveva dato affetto, perché lo sapeva che lei gli voleva bene. E lui, a modo suo, aveva ricambiato.
Ma ciò che lei provava era un mero sentimento di amicizia? Come lo vedeva? Non è che ciò che sentiva per lui andava oltre? Insomma, era una tipa sveglia. Brillante. Intelligente. Razionale. Come cavolo aveva potuto scordare che con la sua magia poteva creare tutta l'aria che voleva? L'acqua le aveva dato alla testa?
Le domande affollavano la mente di Gajeel come pezzi di frutta in un frullatore impazzito. Trecento quesiti e altrettanti dubbi che conducevano a ben poche risposte logiche e accettabili e ad una sola più che probabile.
Perché Levy aveva salvato lui e non Natsu? Probabilmente per via della magia del fuoco. Non aveva molto effetto essere un Fire Dragon Slayer in acqua. E allora perché solo lei era accorsa in loro... in suo soccorso, sfidando l'acqua avvelenata? Perché lo aveva baciato... cioè, perché aveva fatto la respiraz...? Ah, ma chi vogliamo prendere in giro?! Levy lo aveva baciato e basta! Così facendo aveva potuto scoprire cosa si provava nel baciare la persona amata prima di morire, permettendogli contemporaneamente di salvare tutti. Era un prezzo accettabile da pagare. O almeno così credeva Gajeel.
Doveva amarlo. Per forza. Altrimenti non lo avrebbe baciato. E poi non avrebbe posato le sue manine calde sul suo petto nel momento in cui aveva creato l'aria. E in quel l’istante, in quel preciso momento, non lo avrebbe sostenuto!
Immersi in un silenzio elettrico, Gajeel e Levy camminavano fianco a fianco alla ricerca degli altri membri di Fairy Tail, accompagnati da Juvia, Natsu e Lucy. Ma non si limitavano a seguire i loro nakama. No. Levy lo stava trasportando, praticamente. Non era ridotto poi così male, però il ragazzo aveva deciso di approfittarne. E lei si era offerta subito più che volentieri per aiutarlo. Non era una prova ulteriore del fatto che lo amava?
No? Quanto desiderava vedere Lily in quel momento! Lui si che ne capiva qualcosa!
Ben presto i pensieri a senso unico di Gajeel passarono dal farsi troppe domande al riflettere sul bacio. Ancora. Perché non ci aveva mai pensato da quando l'acqua era scomparsa. No no. Nemmeno una volta!
Praticamente lo aveva ricordato così tante volte da non sapere più com'era stato, tanTo lo aveva ingigantito e modificato.
Desiderava baciarla veramente? Sì.
Ci sarebbe riuscito? Ehm...
Dai brutto idiota, si disse mentalmente. Sei Kurogane, per la miseria! Lei ti ha baciato e tu non riesci a farlo? Patetico.
Magari per vie traverse...
Non disponibileGajeel, a petto nudo a causa del combattimento che gli aveva distrutto la maglia, cercò di assumere un'aria stanca e sofferente. Malconcio lo era già, ora mancava solo l'espressione afflitta. Evitò di pensare alla manina di lei che gli reggeva il polso, dato che le aveva passato il braccio attorno alle spalle per permetterle si sorreggerlo. Che intelligente che era. L'altra manina, stretta attorno al suo fianco per farsi forza, era deleteria.
Concentrati!, si impose.
- Gah... - gemette, attirando un'occhiata preoccupata di Levy. Chiuse gli occhi per non permetterle di interpretare le sue intenzioni. Del resto, lei lo capiva meglio di chiunque altro. La tensione lo  stava facendo sudare. Non faceva quella fatica nemmeno durante le battaglie! - Mi sento così debole.
Tono di voce insicuro, quasi nauseato. Era credibile, no?
- Vuoi che faccia un po' di ferro per te? - chiese Levy, affranta. Non gli piaceva vederlo soffrire. Magari il suo ferro di script con la O a cuore lo avrebbe rinvigorito… No, niente O a cuore, aveva già fatto abbastanza dandogli aria in quel modo imbarazzante. Che sciocca era stata!
- Nah - farfugliò Gajeel aprendo gli occhi. Sembrava davvero malato, con il viso imperlato di sudore e gli occhi offuscati. - Non disturbarti con quello.
Levy abbassò lo sguardo, delusa: era inutile ancora una volta.
- Quello di cui ho veramente bisogno è...
La ragazza alzò lo sguardo, fissandolo con impazienza. Un kit medico? Una fasciatura? Un po' di riposo? Acqua?
Non disponibile- Aria.
Gajeel avvampò, le palpebre spalancate.
Levy chinò la testa, imbarazzatissima e molto, molto avvilita. E sorpresa. E affranta.
Voleva un bacio. E che altro, se no? Di aria ne aveva quanta ne voleva, intorno a lui. Possibile che fosse così vigliacco? Non aveva il coraggio di chinarsi, alzarle il mento e baciarla!? Quanto ci voleva? Per caso temeva di essere rifiutato? Ma se era stata lei la prima a baciarlo?!
Rabbia e irritazione si impossessarono di lei. Voleva baciarlo, ovviamente. Era ben consapevole dei suoi sentimenti.  Ma questa volta era il suo turno: lei aveva già dato.
Voleva aria? Bene!
Raccolse la magia sulla punta delle dita e scrisse "air", per poi scagliare quella palla di aria compressa contro il viso di Gajeel. Per lui fu come ricevere un pugno, o sbattere contro un muro.
- Idiota - mormorò Levy con sguardo avvilito.
Gajeel, stupefatto, cadde a terra di sedere e lei lo superò con aria di superiorità.
- Gam-Gamberetto! - borbottò.
Che strana reazione! Allora aveva frainteso tutto? Lei si era davvero scordata della sua magia nella foga di salvarlo? Non provava nulla… Gajeel si sarebbe volentieri fatto picchiare da cinque o sei membri di Fairy Tail pur di dimenticare quella tremenda figura.
Levy si fermò. - Sì? - chiese, di spalle.
- Che ti è preso?
La ragazza si girò, le guance gonfie di rabbia. - Che mi prende? Sii uomo e abbi il coraggio di fare il primo passo!
Gajeel batté le palpebre, basito. - Non ti arrabbierai?
- Non più di ora, ti pare? E comunque perché dovrei arrabbiarmi?
- Magari... non vuoi - farfugliò lui alzandosi. La parte del debole non gli si addiceva proprio.
Levy gli si avvicinò stizzita e Gajeel, sì, Gajeel ne ebbe paura per un attimo. Ma lei fece combaciare le loro labbra e gli infilò le dita fra i capelli stringendosi a lui, approfondendo il contatto.
Quello era un bacio.
Il cervello di Gajeel smise di funzionare, consapevole solo delle sue mani sulla schiena di quella ragazzina intrepida che profumava anche quando era sudata e sporca. Quando si staccarono ricominciò ad arrivargli aria alla mente.
Ghignò. - Bene, vedo che...
- Siamo a due da parte mia - sibilò Levy, interrompendolo con sguardo di fuoco. Ma aveva le gote arrossate e un divampante desiderio negli occhi, che fece rabbrividire Gajeel. - Se il prossimo non sarà da parte tua ti farò rimpiangere le botte di Laxus.
La ragazza, schiena dritta e petto in fuori, si allontanò con passo deciso. Gajeel ghignò ancora: gli piacevano le tipe di carattere.
Rinvigorito, le corse dietro con un solo obiettivo in mente: far risultare insignificante il numero di baci che lei gli aveva dato, facendole perdere il conto di quelli che le avrebbe dato lui.
Doveva essere lei ad implorare per avere aria, questa volta.
 
 
MaxBarbie’s
Adoro queste due vignette. Mi fanno morire. Cioè… ahahahahah non è troppo sweet e kawaii Gajeel? Guardategli la faccia!!! Ahahahahah grandissima Rboz.
Scusate ovviamente il ritardo e il capitolo “ordinario”, nulla di speciale. Sinceramente le vignette mi piacevano e ho voluto condividerle. Per me, Gajeel di problemi e film mentali di quel tipo se ne fa a valanghe. Insomma, altrimenti perché mai sarebbe così impassibile all’esterno?
Grazie a tutti per il vostro sostegno con i capitoli precedenti, l’esperimento è riuscito!
A presto,
MaxBarbie
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Capitolo 13
*** I remember... ***


I remember...

Disegnatrice: ?
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico; drammatico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden;
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: Gajeel
Lettura: occidentale (sinistra a destra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 
L'ennesima lotta.
L'ennesimo massacro.
L'ennesima vittoria.
Ma a che prezzo? A che prezzo abbiamo sconfitto gli avversari, questa volta? Questa nuova gilda oscura ci ha inflitto perdite peggiori di quelle che abbiamo subito contro Grimoire Heart, Oracion Seis e Tartaros insieme. Ho perso il conteggio dei feriti e dei morti di Fairy Tail. E quando sarò morto io? Chi terrà il conto?
Penso di avere una gamba rotta. O forse entrambe. Magari è direttamente la colonna vertebrale ad essere partita. Ma non mi interessa. Una delle tante cose al mondo di cui non mi può importare di meno. A che ti servono le gambe quando stai per morire? In questo oblio in cui mi trovo tutto è relativo.
Un'oscurità corposa e vellutata mi circonda. Mi culla. È così morbida! Sembrano le carezze di una madre, sebbene io non ne abbia mai avuta una. E Metallikana non è mai stato una mammina premurosa. Lentamente ti sottrae i ricordi, questo nero. Ti dà pace.
I morti? Quali morti?
I morti sono morti, lasciali al loro nulla, Gajeel, mi ritrovo a pensare. Forse sono in un limbo, in attesa di... svanire, essere giudicato, mangiare un pezzo di ferro. Potrebbe succedere qualsiasi cosa, non attirerebbe minimamente la mia attenzione.
Metallikana? E chi è?
Fairy Tail? Che nome orribile e insulso!
Chi sono io? Cosa ci faccio qui?
Sento che i miei pensieri sfuggono al mio controllo. Il nero me li sottrae nel momento stesso in cui li formulo. Sono perduto, non c'è ritorno da questo abisso.
Ma allora perché mi sembra di vedere una luce?
Una lacrima. Sento una lacrima scorrermi sulla guancia. Perché sto piangendo? E perché riesco di nuovo a sentire il mio corpo, che è ancorato nell'altro mondo e non può seguirmi qui?
Dolore. Quanto dolore! Più di quanto ne abbia provato in tutta la mia vita. Ossa, vene, carne, muscoli, tutto è tirato e lacerato. Sembra sia stato straziato da una mandria di bufali, calpestato e trascinato per miglia. Però, anche il quel caso penso che starei meglio.
Un tocco leggero. Una mano tremante. Le mie lacrime vengono asciugate. Non riesco a vedere, non capisco cosa succede: le mie palpebre sono incollate e non ne vogliono saperne di aprirsi. La mano sconosciuta indugia sulla mia guancia, l'accarezza. Una voce dolce mi chiama. Era sollevata, ma ora la sento preoccupata, ansiosa, debole. Quasi isterica. Sofferente. Quanto dolore c'è in quella voce! Chiama un nome.
Gajeel.
Sono io. Io sono Gajeel. La voce mi chiama, chiama me, mi implora. Perché? Vuole che resti… che resista. Mi prega di non lasciarla, dice che è troppo presto. Mi insulta. Vorrei gridare che sono io il morente, e prendere a botte qualcuno per la poca delicatezza mostrata.
- Ti amo.
Mi blocco. Cioè, sono già fermo. Il mio corpo è ovviamente immobile, ma è la mia mente febbricitante a correre come una maratoneta. E si ferma.
Un ricordo. Due ricordi. Quelle due semplici parole aprono un rubinetto nel mio cervello. Prima sgocciola, ma lentamente diventa un filo di ricordi continuo. Ho già sentito questa voce. Molte volte. Il mio cuore batte di più, lo sento. Anche se è stanco e vorrebbe spegnersi. Mi sento trascinato lontano, il nero della mia gabbia si schiarisce leggermente. Vorrei arrabbiarmi e zittire quella voce, dirle di smetterla, farle capire che ogni cosa che esce dalla sua bocca mi allontana sempre di più dalla pace. Ma essa persiste, insiste, continua, è decisa a tirarmi via dal buio.
Il tocco della sua mano. Il tremito del tono. Il "ti amo" disperato eppure così accorato, ripetuto ancora e ancora.
Non disponibileÈ lei.
Un'altra lacrima, mia, questa volta di consapevolezza. Ancora, la sua mano è pronta ad asciugarla.
La ragazza che ho ferito.
I ricordi fanno così male... Un flash. Lei. È lei, so chi è, so cosa rappresenta per me, ma non riesco a vederla in volto. È appesa ad un albero, in questo momento. No, non ora. Prima... quando la mia vita era come quell'oscurità in cui sono immerso. Ma ora c'è poca luce, qui, per questo non la vedo in viso.
Non disponibileLacrime. Sono sue questa volta. E io sono stato un mostro. Sono stato quell'essere abominevole che l'ha appesa ad un albero, crocifissa nel cuore della notte dopo averla picchiata. Ha i vestiti a brandelli, così come la sua dignità.
Un conato di vomito mi assale, ma non ho nulla nel mio stomaco lì, nel mondo reale. Ribrezzo per me stesso, per ciò che sono stato. Per ciò che esternamente sono ancora, dato che il mio atteggiamento non è cambiato granché. Però non ne sono sicuro. La mia prospettiva è mutata? Ho uno scopo nella vita, ora? Chissà perché, ma sembra che le risposte a tutte queste domande convergano su di lei.
Perché è ancora qui?
Il buio si ingrigisce. Una nuova ondata di dolore fisico mi circola nelle vene come una scarica elettrica. Sto abbandonando la gabbia e riprendendo possesso del mio corpo. Più o meno. Riesco ad aprire un occhio. Ho la vista annebbiata, non so se a causa delle lacrime o delle botte ricevute in testa. Non riesco a metterla a fuoco, ma so che è qui. Lei c'è sempre. E come sempre, non riesco a capirne il motivo.
Non disponibilePerché?...
Riconoscenza, forse? Per le volte in cui l'ho salvata? L'ho salvata...
Sì! Il getto d'acqua del mio rubinetto di memorie ora scorre più in fretta, devo quasi contenere le informazioni che mi si riversano nel cervello. Ormai ho abbandonato il nero nulla e posso percepire i limiti sicuri della mia mente.
Io l'ho salvata. Una volta, quando... quando l'ho protetta da un fulmine. Forse la stavano attaccando. Solo ciò che riguarda lei è chiaro, il resto è pervaso dalla nebbia. È stato dopo averla appesa all'albero! Mi sono messo davanti a lei come uno scudo, per parare un colpo molto forte diretto a lei. Anche se una fitta allo stomaco, probabilmente una ferita, mi fanno rimpiangere dolore di quel fulmine, che impallidisce al confronto.
Ha un viso grazioso, tenero e delicato, quasi infantile. Ha degli occhi grandi grandi che sembrano racchiudere un pianeta intero, e sono del colore delle nocciole. Caldi. È stupita. Mi sembra di averla davanti. Ad essa si sovrappone un altro ricordo. È ora?
No, lei sta candendo. L'ho salvata ancora. Chissà perché, ma non indossa la sua fascetta per capelli. Lei le indossa sempre. È preoccupata, e i suoi occhi sono pieni di lacrime. Una profonda rabbia mi assale, aiutandomi a riacquistare lucidità. Lei chiamava il mio nome, implorava il mio aiuto, e io accorrevo. Una scarica di adrenalina si mescola alla corrente elettrica nel mio sangue, e la voglia di dare una lezione a chi la voleva ferire mi fa tremare.
Lei crede di essere in debito con me, perché l'ho salvata due volte. Ma lei... come si chiama? Lei mi ha salvato sempre di più. Mi salva ogni giorno.
Luce. Il rubinetto si spalanca e tutti i miei ricordi si liberano, andando al loro posto senza nessuna fatica. Il cuore ricomincia a battere ad un ritmo forsennato, forse troppo veloce. Ma la gioia non si può fermare. La felicità è un corridore deciso e allenato: non lo si può fermare quando inizia la sua corsa. Che sensazione strana. Del resto, non l'ho mai provata in tutta la mia vita. Non prima di incontrare lei.
Il dolore fisico diventa improvvisamente sopportabile, quasi gradevole e desiderabile. Se soffro, vuol dire che sono vivo.
Non disponibileApro un occhio. Azzurro. Morbido. I suoi capelli! L'ultimo tassello torna al suo posto. La vedo. Celeste come il cielo estivo, castano come i tronchi degli alberi che si innalzano per cercare di raggiungere il sole, pallido avorio rosa come la sua pelle di porcellana.
- Levy!
Ho parlato. Un borbottio confuso, ma ho parlato. Il suo nome. Sembra una medicina a tutti i mali del mondo, un incantesimo contro l'oscurità e l'oblio.
Levy. La mia ancora di salvezza. Il mio mondo.
La mia luce. La mia ragione di vita.
I suoi occhi caldi sono gelati dalle lacrime che le scendono copiose sulle guance e si raccolgono in grosse gocce sulle sue ciglia. Il suo bel viso è graffiato e insanguinato in più punti, con il sangue che spicca sul pallore della sua pelle. È terrorizzata. Ha gli occhi spalancati all'inverosimile. È giusto che sia spaventata.
Ma allora, perché vedo il sollievo in fondo a quelle pupille nere come la gabbia da cui sono appena uscito?
Non disponibile- Gajeel? - la sento sussurrare. Sembra un rantolo. Voce tremante e piena di... troppe emozioni per riuscire a coglierle tutte.
Gemo e inizio ad ansimare per dare più aria ai polmoni, che mi richiedono tanto ossigeno ora che stanno tenendo in vita il mio corpo. La sua manina, così piccola e delicata, che tante volte ho sognato di stringere tra le mie, si avvicina alla mia bocca. Mi sfiora le labbra. Penso di avere il naso rotto, e lei vuole solo sentire il mio fiato caldo sulle dita. La prova che sono vivo. Rabbrividisco quando sfiora una ferita sul labbro spaccato, e una delle placche di metallo sul mio mento. Ma non mi tocca. Non osa. Forse teme che stia ancora dormendo, se non peggio.
- Sì... - dico gemendo, - Gamberetto.
 Odia essere chiamata così. Amo chiamarla così.
Penso che al momento, però, sia l'unica cosa in grado di darle serenità e sicurezza. Quel nomignolo vale più di mille parole e fallaci consolazioni.
Levy chiude gli occhi, sorride leggermente, quasi impercettibilmente. Se il mio cuore non battesse, probabilmente il suo viso felice lo farebbe ripartire di nuovo. Ancora e ancora.
Non disponibile- Sei un tale idiota, lo sai? - mi chiede piangendo.
Sorrido, circa. La ferita sul labbro mi si riapre ancora, ma il dolore che ne deriva è solo una goccia di pioggia nell'oceano.
Ridacchio, so che le piace quando lo faccio. Dice che sono meno spaventoso. Così le dedico tutti i miei sorrisi, anche se sono un po' inquietanti e la gente li definisce "ghigni". Del resto, lei è l'unico motivo per cui vale la pena di sorridere. Ma questo non gliel'ho mai detto. Penso che lo sappia: è troppo intelligente.
- Forse - riesco a dire.
Ma è una certezza. Sono un idiota.
Però, anche gli idioti hanno una ragione di vita. Ricordi, affetti. E la mia memoria ora è salda, non ci saranno più gabbie oscure a sottrarmeli. Per lo meno, è ciò che spero. Comunque, qualsiasi cosa accada, sono certo che ci sarà sempre un indelebile ricordo impresso a fuoco nel mio cervello, o nel mio cuore, o in qualsiasi altra parte della mia anima.
La luna non può dimenticarsi del sole che la illumina. E, in fondo, cos'è la luna senza il sole? Io non sono nulla senza la mia fonte di luce. E solo con la luce del sole si può vivere.
Non disponibileIo ricordo cos’è lei per me.
Ora e…
La vedo avvicinarsi. Pensa esattamente ciò che penso io. Ma non è più ferita. Alla sua figura stanca si sovrappone l'immagine più bella che ho di lei: un mezzo sorriso sul volto sereno, occhi brillanti e lucidi, gote arrossate, fascetta in testa e capelli mossi dal vento come morbidi pezzi di cielo estivo. Mi tende la mano, come sempre. Cerca di tirarmi fuori da qualsiasi situazione incresciosa in cui mi sono cacciato, come un'ancora di salvezza. Mi mostra la via. Lo fa ogni volta.
Non disponibile…per sempre.
Chiudo gli occhi per non vedere la cruda realtà del suo corpo martoriato appena le sue labbra si posano sulle mie. Non sono romantico, non mi interessano certe boiate sdolcinate, ma persino io avrei voluto darle il primo bacio in un posto migliore. Con un'atmosfera più bella e suggestiva. Ma è tutto relativo, ancora una volta.
Le accarezzo una guancia avvertendo il suo corpo sopra il mio. Le ferite, schiacciate, pulsano di un dolore sordo e bruciante, ma non mi importa. Sento solo le sue mani tra i miei capelli e sul mio collo, le sue labbra morbide sulle mie. Sanno di sangue e disperazione, di lacrime salate e di attesa. Di amore. Sospira di piacere e di felicità.
E non siamo più in quella vallata devastata. Con gli occhi chiusi e i cuori a contatto, siano distanti mille miglia, in un campo di fiori selvatici di miriadi di colori diversi, con il sole primaverile che ci illumina e ci scalda.
Perché sì, anche io posso sognare il momento in cui accadrà davvero. Per ora, mi accontento dell'incertezza del futuro, ma mi godo questo momento in cui tutto è perfetto.
E questo, questo istante, questo bacio, sarà il mio nuovo ricordo indelebile.
Non disponibileLa mia ragione di vita.
 
 
MaxBarbie’s
‘Sera a tutte^^ Mi sembra di essre in ritardo e invece è lunedì, quindi sono giusta :/Bah, le vacanze mi scombussolano.
Genere drammatico, ma alla fine non così tanto, dai. Loro sono insieme. Più avanti ce ne saranno di peggio ahahah (ridiamo per non piangere).
HO UN AVVISO IMPORTANTE! Causa problemi di forza maggiore (instabilità mentale perenne, scuola, compiti, scuola, libri, scuola, libri, inutilità della scuola, ma necessità di fare dei buoni esami, ossessione per i libri che mi sottraggono tempo anche allo studio, quindi dopo devo sfacchinare il doppio (non so se avete capito che scuola e romanzi sono dei problemi (maledetta me topo-di-biblioteca))) non riuscirò più a postare regolarmente. Eh no.
Le idee per scrivere le ho. La voglia pure. Il tempo… be’, no. Credo che quest’estate non ci saranno problemi, ma… ahahah scherzo, non ricomincio quest’estate. Nel senso, posterò più lentamente, a volte potrebbero passare due settimane (o tre o.o), altre potrei essere regolare. Io ci sarò sempre, andrò avanti con questa storia (anche perché, accidenti, ho tutte le immagini di Rboz della Gajevy Week*-*) perché la amo.
Siate solo pazienti :( Vi ringrazio tantissimo, a presto (spero)
MaxBarbie










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Capitolo 14
*** Awake!! ***


Non disponibile
Awake!!

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico;
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Panther Lily
Coppie: GxL
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: specificata nella narrazione
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno


 
Le campane suonano le undici in punto. Gajeel freme di fronte all'altare, calmo e sereno esteriormente e dilaniato dall'impazienza all'interno, impetuosa come una grandinata. È talmente assorto, e sperduto allo stesso tempo, da non essersi accorto di essere arrivato in fondo alla navata. Si è lavato, vestito, acconciato i capelli in una coda morbida e ordinata... più i meno. I ciuffi ribelli in alto sfuggono al gel e al controllo del gancetto di metallo che funge da elastico, ribelli come sempre. Danno un tocco Gajeelesco alla capigliatura così insolitamente composta. Ma lui non ricorda nulla della mattina appena trascorsa. Gajeel si prende un minuto per osservarsi, dato che ha un vuoto di memoria. Sono tutti così svampiti il giorno del proprio matrimonio?
Indossa un abito interamente bianco, con giacca, camicia e panciotto immacolati come scarpe e pantaloni. Solo la cravatta è giusto più scura, tendente al grigio.
Passano altri cinque minuti prima che un mormorio di eccitazione si propaghi per tutto l'edificio, passando da una bocca all'altra dei numerosi membri di Fairy Tail: arriva la sposa.
Alla destra di Gajeel, Natsu socchiude gli occhi e si fa attento all'entrata di Lucy, testimone di Levy come lui lo è di Gajeel. E poi, finalmente, la tanto attesa fanciulla in abito bianco si staglia controluce sul portone della cattedrale di Caldia, accompagnata a braccetto dal Master di Fairy Tail, che si è ingrandito per l'occasione.
Gajeel non ha occhi che per lei, tutte le sue funzioni vitali sembrano ora lavorare solo per Levy: il suo cuore batte per lei, le palpebre gli si chiudono per inumidire gli occhi e vederla meglio, il respiro tremolante esce nella sua direzione ed entra portando l'aroma di rose e libri che la caratterizza. Ha un sorriso smagliante che brilla più del sole stesso e fa impallidire anche il vestito, a confronto. È tanto dolce e delicata mentre incede fiera per la navata, con Wendy che getta petali di rose sul suo cammino. Non è emozionata, non è sull'orlo delle lacrime di gioia, è completamente padrona delle sue emozioni. Fissa Gajeel con intensità, a mento alto, come a ricordargli che lui sta per avere il privilegio di sposarla. Ma gli occhi sono caldi e amorevoli, brillanti d'affetto.
Lo stesso atteggiamento stoico non si può dire che sia imitato da Titania, che molto Titania in questo momento non è. Solo Elfman piange più di lei, biascicando aforismi riguardo ai veri uomini e alla tenerezza di un cuore virile. Makarov ha il labbro inferiore che trema nel tentativo di trattenersi, ma Levy sorride ancora di più sapendo che non reggerà a lungo prima di crollare. E anche Lucy si controlla a fatica, conscia del fatto che altrimenti potrebbe rovinare il trucco. Juvia rischia di far scoppiare il diluvio universale, attaccata al braccio del suo neo-fidanzato... Gray-sama.
In un tempo che pare infinito e in realtà dura quanto un battito di ciglia, Levy arriva davanti al suo amato. Makarov la bacia, tira una pacca affettuosa a Gajeel e poi lo abbraccia, sibilandogli minacce nel caso in cui venisse a sapere che ha fatto soffrire la sua bambina.
E finalmente lui può prendere le mani morbide della sua giovane sposa, sorridendole con amore. Sì, sorridendo veramente. La funzione inizia nel giro di pochi secondi, ma Gajeel ha il tempo di scrutare per bene il suo piccolo fiore. Ricorda in tutto e per tutto una rosa. Indossa un vestito interamente bianco come l'abito del suo sposo. Il corpetto è stretto e senza maniche, a forma di cuore, cosa fa risaltare il suo seno proporzionato. Sotto, la principesca gonna ampia si apre come la corolla di una rosa. I guanti che porta sono lunghi fino alle ascelle e lasciano le dita della mano scoperte. Sulla loro cima, così come sui fianchi della maga ci sono dei volant leggeri che fanno sembrare Levy una vera fata.  Un fiocco gigante sulla schiena e una rosa sul fianco destro danno un tocco di classe in più al vestito già meraviglioso di per sé. L'immancabile fascetta, di colore bianco, spicca sulla sua testolina azzurra, decorata con una rosa posta dallo stesso lato del fiore che ha sul fianco, entrambi rosa. Dei volant bianchi completano l'opera sulla testa della fanciulla.
Gajeel non può fare a meno di pensare che la sua Levy sia un angelo caduto dal cielo solo per lui, anche se non la merita. Non le stacca gli occhi di dosso per tutta la durata della funzione, minando quell'espressione seria e concentrata che ha, facendola sorridere quando invece lei vorrebbe solo ascoltare il discorso.
Improvvisamente la vede alzarsi, fissare Panther Lily, incaricato di sposarli, e finalmente posare lo sguardo su di lui. Gajeel si affretta a raddrizzarsi e incatena il suo sguardo a quello di lei. Sente le gambe cedergli come non è mai successo in battaglia, nemmeno dopo il Dai Matou Enbu, dopo Yomazu e Kawazu, Tartaros con Torafusa o la sconfitta di Phantom Lord. Le ginocchia gli tremano e lui stringe i denti cercando di fermarle con la forza di volontà, ma senza distogliere lo sguardo da lei.
- Gajeel, le tue promesse - ripete Lily per la terza volta, gli occhi preoccupati sotto le sopracciglia aggrottate.
Un mormorio sbigottito inizia a diffondersi tra i presenti. Makarov ingrandisce subito il suo pugno, pronto a scagliarlo sulla testa di quel Dragon Slayer pedante che si è scordato le sue promesse. Natsu non capisce cosa succede e allora fissa Lucy, che tortura il suo bouquet. Erza si morde una mano mentre Gerard cerca di calmarla per impedirle di staccarsi le dita a morsi. E Juvia mormora incoraggiamenti stringendo il braccio di Gray con la stessa forza di Erza.
E Gajeel non capisce. Quali promesse? Le aveva scritte. Sì. Le aveva ripetute perfettamente quella stessa mattina insieme a Lily. Ma ora non le ricorda. Ha un vuoto terribile, occupato da una sola domanda: sono abbastanza giusto per lei?
Vuole davvero che lei sposi lui, che tante sofferenze le ha recato? Non era un atteggiamento egoista?
Il suo sguardo ammirato, ipnotizzato da lei, si fa irrequieto e preoccupato. E Levy conosce bene il significato di quel rosso divampante e smorzato allo stesso tempo: terrore. Repentinamente prende il viso di Gajeel fra le mani, avvicinandosi a lui fino a sfiorargli il naso con il suo. Spalanca gli occhioni castano-dorati e lo costringe a fissarla a sua volta. Arrossiscono entrambi, e Gajeel cerca di trattenere le lacrime. Forse al suo matrimonio può permettersi di piangere in pubblico. Sta per sposare una dea, qualcuno che lo ama e lo conosce meglio di come si conosce lui. E che vede in lui molto più dell'oscurità che un tempo albergava nel suo cuore.
- Io ti amo! - esclama Levy.
Tre parole per dissipare ogni dubbio del ragazzo, per mostrargli ancora una volta come solo lei è in grado di leggergli nel pensiero. Quella frase non è esattamente una promessa tradizionale, ma Lily sorride e se la fa andare bene lo stesso dato che nessuno dei due sembra intenzionato ad aggiungere altro. Gajeel non riesce a trattenere la prima lacrima.
Annuncia che è il momento di mettere la fede al dito. Levy, con lo sguardo più deciso che Gajeel abbia mai visto, severo e passionale allo stesso tempo, non lascia andare il viso del ragazzo. Solo quando vede che finalmente è convinto di ciò che ha detto, lo prende per mano e afferra gli anelli che Asuka ha portato. Senza tremiti o emozioni incontrollate, senza nemmeno un sorriso, Levy infila la fede al dito di Gajeel. Non è mai stata così concentrata, impegnata a godersi ogni istante di quel momento unico. Quando è il turno di Gajeel, le lacrime si ripresentano e lui armeggia un po' con l'anellino d'oro prima di riuscire a prenderlo in mano. Levy gli facilita il compito dell'inserimento, dato che ormai lui non ci vede più a causa delle troppe lacrime.
- Sì - ripete lei fissandolo, trasmettendogli serenità con lo sguardo.
Poi lo bacia mentre la gilda esplode in grida e fischi di apprezzamento, si abbraccia e piange.
Levy si gira verso i suoi nakama senza lasciare il braccio di suo marito, sul quale appoggia la testa. Lo accarezza dolcemente. Sorride come poche volte in vita sua ha fatto. Gajeel non osa guardare nessuno e con il braccio libero  si asciuga le lacrime in maniera molto poco educata. Ma cosa gliene frega? Elfman ha pianto come un bambino al suo matrimonio! Nessuno glielo rinfaccerà nessuno se si lascia andare.
 
Sta camminando verso casa a notte fonda, lo sa. Non ricorda nulla del ricevimento o della baldoria della gilda, e non gli interessa ricordare. Ciò che conta è il braccio di Levy sulla sua schiena e il suo attorno al suo collo, la sua testolina azzurra appoggiata sulla sua spalla. Sono stanchi, ma non sono mai stati così felici. Gajeel apre la porta di casa che Lily ha gentilmente lasciato a disposizione di loro due, soli, per tutta la notte. Il giorno dopo partiranno per due settimane per la luna di miele insieme a lui. L’obiettivo è quella di spogliarsi, lavarsi e andare a dormire. Dormire parecchio, dato che sono quasi le quattro di mattina. In camera da letto Levy si toglie scarpe e guanti, fascetta per i capelli e collanina di raso bianco. Gajeel è già in boxer sdraiato sul letto, pronto per avventurarsi nel mondo dei sogni. Ha piegato con cura il completo e ha sistemato le scarpe; si è sciolto la chioma selvaggia tirando un sospiro di sollievo. Sta crollando di sonno, ma accorre in aiuto della moglie senza indugio quando la vede in difficoltà coi nastri sulla schiena dal corpetto. Con mani esperte le slega i lacci e le posa un bacio sulla nuca, prima di rendersi conto di ciò che sta per succedere.
Quando Levy si trova di fronte a lui, con il vestito ai piedi e una delicata e provocante lingerie di pizzo addosso, a Gajeel la stanchezza è passata da un pezzo. Lentamente, facendole attendere degli atroci minuti, il ragazzo avvicina le labbra alle sue e la bacia dopo aver sospirato di gioia. Il bacio tranquillo e dolce che si scambiano diventa ben presto qualcos'altro, quando Levy gli getta le braccia al collo e gli stringe le gambe sui fianchi. E a Gajeel non importa più la biancheria sexy che indossa, non ha più voglia di ammirare nulla.
Ha solo bisogno di lei. Bisogno di sentirla vicina, più vicina del solito, fusa con sé stesso, così uniti da non distinguere più due entità, da vedere una sola cosa. Un solo amore. E poi, in quel momento le sue poche facoltà mentali attive sanno già che quella piccoletta troppo sveglia lo torturerà per bene in futuro, indossando quella stoffa leggera per farlo impazzire, portandolo sull'orlo della disperazione prima di accontentarlo, con il suo solito sorriso trionfante.
La spoglia lentamente, finché non sente ogni centimetro della loro pelle aderire, incollarsi. La bacia dolcemente, come non ha mai fatto, registrando ogni momento, ogni istante di quel contatto, udendo i sospiri estasiati e sereni della donna che tiene tra le braccia. L'abbraccia e la stringe a sé il più possibile, le mani attorno alle sue spalle mentre le circonda la schiena. Lei allunga le sue e le lascia penzolare, tese, oltre il suo collo, sorridendo mentre Gajiru le sfiora le labbra, senza baciarla.
- Ti amo - mormora sorridendo, senza staccarsi.
E Levy sorride chiudendo gli occhi, lasciandosi cullare dal suo respiro il quel momento tanto dolce da essere unico e irripetibile. Non ci sarà una seconda volta in quel modo. Certe volte le esperienze bisogna godersele mentre accadono, serbandone il ricordo e il calore nel proprio cuore, sorridendo pensando ad esse nelle situazioni più strane.
L'unica cosa che Gajeel ricorda è il profumo dei suoi capelli e il tocco della sua mano. Poi tutto diventa confuso.
 
Sta tornando a casa, ha svolto con Ririi un lavoro faticoso ed è parecchio nervoso. Vuole solo dilaniare con i denti un pezzo di ferro, farsi un bagno e buttarsi a letto. Il suo compagno, appollaiato sulla sua spalla, non fiata, consapevole dell'umore nero del ragazzo.
Arrivati davanti alla porta d'ingresso, infila le chiavi nella toppa e gira con forza, buttando la borsa all'interno con rabbia. Un movimento, percepito con la coda dell'occhio, attira la sua attenzione: Levy, in piedi in mezzo alla stanza, legge un libro indossando i suoi occhiali da lettura. Porta il vestitino che lui le ha regalato, rosa con ricami di pizzo nero.
Alza la testa avvertendo la sua presenza, e subito i suoi occhi si scaldano. Sorride e le sue guance si colorano.
- Bentornato a casa, Gajeel!
Il nervosismo scema e il ragazzo vuole solo stringerla a sé, improvvisamente conscio della causa della sua irritazione: la sua mancanza. Tutto ciò che fa, però, è grugnire.
Levy gli si avvicina e lo abbraccia, alzandosi sulle punte dei piedi per lasciargli un morbido bacio sulle labbra, accarezzando poi Ririi.
- È andato tutto bene? - domanda affabile.
Gajeel mormora qualcosa di inintelliggibile e non può fare altro che colmare la distanza che separa i loro visi, dandole un  bacio vero che spinge Ririi a fuggire in cucina per preparare le cena.
Ma lui non è più stanco e non ha più fame, ora che la sua felicità è fra le sue braccia.
 
Dev'essere pomeriggio, a giudicare dal colore che hanno assunto i morenti raggi che penetrano dalle finestre. Seduto a tavola a sfogliare una rivista, il mento posato sulla mano, Gajeel sente un urletto eccitato e dei passi leggeri e veloci farsi sempre più vicini.
- Tutto bene, Gamberetto? - mormora senza alzare lo sguardo.
Ma quando il respiro affannoso di Levy si blocca a qualche passo da lui, non può non guardare cosa prende a quella mangia-libri che si ritrova come moglie.
- Buone notizie! - esulta lei gettando le braccia in aria e chiudendo gli occhi.
Gajeel potrebbe contare sulla punta delle dita le volte in cui l'ha vista così felice.
- Cosa? Che notizie? - borbotta.
Levy apre gli occhi castani che sembrano cioccolata fusa nella penombra, fissandolo intensamente in quel modo che, a distanza di anni, gli mozza ancora il respiro, gli accelera il battito e gli fa attorcigliare le viscere
Lei parla. Dice solo due parole, ma sono sufficienti per dire tutto. Non serve altro. Gajeel spalanca gli occhi, arrossisce per l’emozione e apre la bocca, sollevando il mento dalla mano. E lì rimane mentre Lily, sul divano, vola ad abbracciare Levy e a gioire con lei.
I pensieri vorticosi del ragazzo si interrompono solo quando sente le braccia sottili della compagna sfiorargli i fianchi e posarsi sul suo stomaco mentre seppellisce il viso sulla sua schiena. Lily, da davanti, ridacchia.
E a Gajeel sembra che il tempo scorra troppo in fretta.
 
Ha una mano posata dolcemente sul suo fianco, il braccio che le circonda l'ampia vita. Riesce ad accarezzare con le dita il pancione e Levy sorride a quel contatto. Ma ha anche la faccia corrucciata: è preoccupata per i libri. Gajeel li sta tenendo con una mano sola pur di stare a contatto con lei. E Levy ha passato cinque minuti a spiegargli quanto sono preziosi. A casa, seduto sul divano, aveva osservato sua moglie passeggiare avanti e indietro muovendo un dito, con le sopracciglia aggrottate come sempre quando diceva qualcosa di importante. Ma Gajeel era concentrato solo sul pancione che si notava tantissimo sulla sua figura snella e piccolina. Quella donna era la sua vita. Poi Levy gli si era seduta in braccio, accoccolandosi sul suo petto e narrandogli la storia di quegli antichi libri, com'erano arrivati fino a lì e chi li aveva scritti. L'aveva baciato dolcemente per ringraziarlo di tutte le attenzioni che le riservava. Arrivati a quello stadio della gravidanza, era impensabile per loro divertirsi sotto le coperte. Ad entrambi mancava quel loro giochino, ma l'utero aveva iniziato a scendere e a Levy dava fastidio. A malincuore si erano alzati e avevano salutato Lily, diretti verso la biblioteca più grande di Fiore. Levy lo aveva anche costretto a vestirsi bene, con pantaloni e giacca marrone chiaro e una maglietta più scura sotto. Aveva abbandonato i guanti, ma non aveva rinunciato alla sua fascia rossa per la fronte, considerata da lui il marchio di coppia.
Gajeel inciampa su una crepa della strada e riprende subito il passo, ma un libro scivola e rischia di cadere. Lui lo blocca repentinamente, senza scomporsi, guardando il libro trucemente come se fosse un bambino cattivo da sgridare. Levy, però, non è altrettanto tranquilla. Ha gli occhi sgranati e la bocca aperta.
- Gajeel! - esclama, preoccupata.
Il ragazzo sposta il braccio verso le sue spalle e si sporge lateralmente per guardarla, quasi drogato di lei come se fosse la scultura più bella del mondo. Intuisce già ciò che vuole dirgli e allora ghigna.
- Ohi, dimmi Gamberetto.
- Per piacere prenditi cura di quei libri, sono vecchi quanto tuo padre, okay?
Gajeel ride, come sempre quando lei lo riprende. È così tenera.
- Non ridere  - lo rimbrotta lei, gonfiando le guance.
- Sì, sì - ridacchia. Poi le posa un bacio in fronte e la stringe nuovamente a sé mentre lei sorride.
Avrà due bambini a cui badare, ma uno ormai non cambierà più.
 
- Io voglio vederle! - scandisce Gajeel, con l'aria minacciosa che ha anche mentre dorme.
L'infermiera, intimorita, incassa la testa nelle spalle.
- Le ho detto che potrà vederle fra poco - bisbiglia debolmente. - Sua moglie ha appena partorito, ora stanno facendo alcuni esami alla neonata e successivamente potrà raggiungerle, prima dell'allattamento. E le converrebbe lasciar riposare sua moglie.
- Nessuno mi dice cosa posso o devo fare, chiaro? - ringhia, spaventando la donna. - Solo mia moglie può - aggiunge borbottando. - Io ora vado di là e...
- Ma signore, non si può!
- E invece...
- Gajeel, smettila -  interviene Lucy prendendolo per il braccio e trascinandolo via.  - Siamo in un ospedale! Non fare scenate. Fra poco potrai vederle. E sempre così, non è che solo a te impediscono di raggiungerle.
Grugnendo, il ragazzo si siede e sbuffa, fissando trucemente Gray e Natsu. ha tanta voglia di fare a botte.
Il pediatra arriva proprio mentre Gajeel sta per schizzare in piedi e tirare un pugno al muro. - Signor Redfox, può venire con me.
Quasi correndo, raggiunge il medico e lo segue nel corridoio su cui si affacciano le stanze delle partorienti. Gli indica la porta giusta e gli sorride, invitandolo ad entrare. Deglutendo a vuoto, lui varca la soglia e si dirige verso Levy.
La stanza è singola, e la piccola figura di sua moglie si perde in quel letto gigantesco. Levy alza la testa e gli sorride, le guance arrossate e gli occhi lucidi di emozione, brillanti come le stelle che rischiarano l'oscurità di Gajeel. Al petto stringe un fagotto viola-fucsia. Si avvicina lentamente e si sporge per vedere il viso di sua figlia. Dorme, la boccuccia aperta e gli occhi ben chiusi, respirando lievemente. Si sente al sicuro fra le braccia della mamma.
- Emma - mormora Gajeel, sfiorandole una guancia con il dito.
Levy ridacchia sommessamente. - Si è addormentata mentre l'allattavo. Aveva troppa fame e troppo sonno, così ha voluto fare entrambe le cose insieme.
- L'hai già allattata?
- Sì. Fra poco le infermiere la portano via.
- No - mormora, senza distogliere gli occhi dal viso della neonata. Una leggere peluria scura fa intuire che ha preso dal papà il colore dei capelli, ma la pelle è lattea come quella della mamma.
- E gli occhi?
- Di che colore sono gli occhi? - indaga Levy, stanca ma serena.
- Mh-mh - borbotta lui mettendo una mano sopra quella della moglie.
- A me piacciono un sacco. Sono color mogano. Un marrone-rossiccio caldo e dolce. Ho smesso di respirare quando li ho visti. Mi hanno ripagata per tutta la fatica fatta. Mi piace che siano un po' come i tuoi, perché così...
Gajeel la interrompe baciandola, cogliendola un po' di sorpresa. Ma si rilassa quando la sente sospirare e spingere le labbra ancora di più verso di lui, tentando di farsi più vicina nonostante la neonata. Gajeel sorride e si allontana, conscio del fatto che anche lei sente la mancanza del contatto fisico con lui dopo due mesi. E al momento sono all'ospedale...
- Sei proprio sexy con la camicia - gli fa notare. Gajeel indossa dei pantaloni più eleganti del solito, beige, e una camicia bianca immacolata. Ci teneva a mostrarsi bello a sua figlia. - Senza però stai meglio...
- Non mi tentare, Gamberetto.
 
Entrambi ridono, con quella complicità tipica delle coppie più affiatate. Poi lui si siede sul bordo del letto, di fianco a lei, e le passa un braccio attorno alle spalle. La attira a sé mentre passa le dita sulla testolina della figlia, dolcemente. Levy gli appoggia la testa sulla spalla, felice e appagata.
- Sei fantastica - dice appoggiando la guancia sulla sua nuca.
La sente ridacchiare. - Grazie  - bisbiglia ad occhi chiusi.
E Gajeel si sente completo. Quel momento è così perfetto che si commuove. Sente le lacrime premere per uscire, ricche di amore e incredulità per la favola che è diventata la sua vita.
E improvvisamente si sente le guance bagnate. Se le tocca, e Levy si scosta, osservandole. Sono asciutte. Ma lui sente le lacrime scendere.
Cosa gli prende? Suggestione?
Poi un pensiero fastidioso si fa largo nella sua mente. Nella sua mente così vuota.
È un sogno. Lui... non è sposata con Levy. Non ha una figlia con lei. Non... non è reale.
Il sonno sembra sabbia che gli scivola fra le dita, sta per svegliarsi, ma non vuole.
Tutto si fa scuro.
 
Gajeel si sveglia con un respiro strozzato e sente le lacrime che gli scorrono ai lati degli occhi. Stava davvero piangendo, allora!
Traumatizzato, inebetito, confuso e assonnato si mette repentinamente a sedere. A petto nudo, sente il freddo pungergli la pelle, ma lui ha caldo. Trema.
Lily, che dorme di fianco a lui, si avvicina al suo letto trascinandosi dietro la copertina. Lo vede piangere silenziosamente e si blocca, il berretto da notte ancora in testa.
- Che cosa succede, Gajeel? Ti ho sentito piangere - borbotta.
Il ragazzo rimane chiuso in un cupo silenzio, depresso e incapace di articolare un pensiero coerente. Vuole solo tornare nel sogno. Vuole sposarsi con Levy, vuole avere con lei una figlia. Vuole dirle che la ama. Lily lo ha sempre incoraggiato a farsi avanti, ma lui... non ci ha mai fatto caso. Solo da poco si è reso conto dei suoi sentimenti per quella ragazzina adorabile.
Vuole stare con lei.
Vuole sposarla.
- Voglio fare un anello per Levy... - pensa ad alta voce.
Lily sbarra gli occhi. Finalmente se n'è reso conto!
Se avesse saputo che bastava un sogno, perché qualcosa gli suggeriva che c'era di mezzo un sogno, avrebbe fatto in modo di farli mettere insieme molto prima.
Un sogno... certo che era proprio un gigante buono, il suo nakama.
 
 
MaxBarbie’s
Ed eccomi quiii tornata dopo secoliiii con questa robaaa che vi propongoooo.
Ok posso smetterla. Sto lavorando alacremente, scrivo abbastanza, ho dei capitoli pronti, sì, tanto di cappello a moi.
Allora perché non posti? -.- nd. Max
Eheheh^^” Diciamo che quello che mi manca è il tempo materiale per postare. Perché ci metto di più a postare, impaginare e correggere la bozza che a scrivere-.- Caso perso.
Coooomunque posterei anche l’altro capitolo per LNVI (devo ancora decidere se usare gli acronimi (non mi ricordo nemmeno se è la prola giusta) è cool o no), ma ho bisogno di farmi una mappa temporale (sì, sono malata) perché con le date non ci so fare e rischio di fare errori madornali dicendo che sono sposati da dieci anni e nel capitolo successivo dico che si sono appena fidanzati xD Così grandi no, dai… gli errori intendo. Dunque dunque, Rboz è un genio, io… scrivo. Cerco. Va be’. Scusate, sono i deliri da stress pre-maturità. Senti che paroloni. Se vi dico pure che è un autoschediasma?
Ma vaff… nd. Max
Ok ok. Buonanotte… grazie che leggete e mi aspettate (è italiano ciò che ho scritto?)


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Capitolo 15
*** Math Lesson (School AU 2) ***


Math Lesson (School AU 2)

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; ragazze di FT; Pantherlily
Coppie: GxL; accenni NaLu
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: storia facente parte della serie School AU, capitolo 2.

 

 
Riassunto capitolo 1: Levy prende l’autobus ogni mattina per andare a scuola, ma un giorno non trova posti a sedere ed è costretta a restare in piedi. Peccato che sia troppo bassa per appendersi ai sostegni e, temendo di vederla cadere, Gajeel, che va alla sua stessa scuola, le offre il braccio come sostegno. Nelle settimane successive, infatuato, il ragazzo cerca in ogni modo di attirare la sua attenzione, stuzzicandola e facendola innervosire, finché non trova il coraggio di invitarla ad uscire. Lei rifiuta timidamente e lo bacia sulla guancia per confonderlo e riprendersi il quaderno che le ha rubato come ostaggio. Ma lui non demorde e decide di rubarle gli occhiali dall’armadietto per ricattarla.
 

- Ehi, Lu-chan! - bisbigliò Levy, attenta a non farsi sentire dalla sensei. - Hai visto i miei occhiali?
- No, oggi sei entrata senza - rispose l'amica.
Levy trafficò un po' con gli oggetti che aveva sul banco, spostandoli e accertandosi più volte della mancanza degli occhiali. Spesso cercava e cercava e alla fine scopriva di avere l'oggetto smarrito proprio davanti agli occhi. Ma non quel giorno. Non erano nemmeno per terra.
Sbuffando contrariata, appoggiò il mento sul pugno chiuso e mise il broncio. Odiava non trovare qualcosa. Sapeva di essere disordinata, ma quando cercava di rimediare o sistemare faceva ancora più confusione.
- McGarden? - la interpellò la docente.
- Sì, sensei?  - rispose lei, scattando e cercando di non assumere l'aria colpevole di chi sa di essere distratto.
- Stai facendo una verifica. Perché ti muovi così tanto? Concentrati.
- Sì, sensei, ma non trovo i miei occhiali. Magari sono...
Dove potevano essere? Quella mattina era sicura di averli indossati. Quando aveva matematica non li toglieva mai. Allora perché... ma sì! Gajeel! Era stata costretta a metterli via mentre cercava un modo per riprendersi il quaderno. Pensava che armeggiando con l'armadietto il ragazzo avrebbe abbassato la guardia, e invece non era servito a nulla. Però gli occhiali erano lì, al sicuro.
- Nell'armadietto! - esclamò. - Sensei, posso andare a prenderli? Ci metto un minuto - la supplicò.
- Ma stai facendo il compito! Non riesci proprio a vedere?
Levy allontanò da sé il foglio della verifica. Era scomodo, ma ci vedeva. Del resto era colpa sua se aveva dimenticato gli occhiali. - No, ce la posso fare lo stesso.
Gajeel gliel'avrebbe pagata.
 
- Davvero hai dimenticato gli occhiali nell'armadietto? - chiese Lucy all'uscita dall'aula. - Non è da te. Insomma, ti dimentichi sempre moltissime cose, ma mai gli occhiali!
- Eh, lo so, ma non è stata colpa mia.
- E di chi è stata la colpa?
- Di Gajeel.
Lucy si bloccò in mezzo al corridoio dove gli altri studenti stavano prendendo l'occorrente per la seconda ora di lezione. Lei e Levy avevano biologia. Ma in quel momento era l'ultimo dei suoi problemi.
Cioè... Gajeel! Aveva visto la sua amica scendere dall'autobus insieme a lui, nelle ultime settimane, ma che ora lui le... un attimo, perché era stata colpa sua se aveva scordato gli occhiali? Magari glieli aveva tolti mentre la baciava appassionatamente in corridoio? Li aveva messi via per timore di romperli durante... durante cosa?
- Lu-chan, stai bene? Sei viola!
Il tono preoccupato di Levy, che era tornata indietro dopo essersi resa conto di non avere più l'amica al fianco, fece breccia nella mente di Lucy.
- Gajeel?!  - urlò, attirando l'attenzione di Erza, Mirajane e Juvia.
Le tre ragazze le raggiunsero, incuriosite.
Ecco, ci mancava solo quello.
- Stai zitta la prossima volta - le intimò Levy a denti stretti.
- Che ha combinato Gajeel-kun? Ha importunato Lucy-san? - domandò Juvia.
Juvia era una delle poche amiche di Gajeel. Anzi, l'unica. Il ragazzo conosceva Erza e Mira, le rappresentanti d'istituto con cui aveva avuto a che fare parecchie volte per questioni... disciplinari, ma definirle amiche era un po' esagerato. Se considerava i compagni di lotte, però, Gray e Natsu erano suoi amici… in qualche modo. Anche Gerard, che ogni tanto si ritrovava invischiato nella rissa senza motivo apparente.
- Devo sistemarlo io? - intervenne Erza.
- No, cioè, non lo so. Chiedetelo a Levy, è lei che se lo lavora! - disse Lucy, agitata.
Tre paia di occhi, esclusi quelli di Lucy, fissarono la più dolce ed innocente del gruppo, accusata di compiere atti osceni con quello scapestrato di Gajeel.
- Io non mi lavoro proprio nessuno, che stai blaterando?! - sbottò, paonazza, la ragazza. - Semplicemente per colpa sua ho scordato gli occhiali.
- Sei già a questa fase della cotta? Oh mamma, Levy - cinguettò Mirajane.
- No!
- Ti ha importunata? - indagò Erza.
- Be'...
Poteva dirsi importunata? Quella mattina sì, ma erano molestie piacevoli, alla fine. Gajeel le aveva dato la conferma di essere interessato a lei e la cosa la emozionava troppo per poterlo ammettere. Ma era un po' brusco e lei era tanto confusa. Non sapeva cosa fare. La attirava e allo stesso tempo la intimoriva.
- Allora? - sbottò Erza.
- No, non mi ha importunata. Cioè, sì, ma in modo carino. No, non carino, ma...
- Racconta - la interruppe Juvia.
Sospirando, Levy mise le ragazze al corrente di tutto, dalla vicenda dell'autobus di qualche tempo prima a quella mattina.
- Gajeel-kun ti ama tanto. Gajeel-kun non ha mai guardato le ragazze, Levy-san! Esci con Gajeel-kun!
- No! Devo solo prendermi gli occhiali.
Le amiche la seguirono mentre Levy apriva l'armadietto e allungava la mano per afferrare... il vuoto.
- Non ci sono!
- Magari ti sono caduti - suggerì Mirajane.
- Uno dei due se ne sarebbe accorto, no?
- Non se lui era sotto l'incantesimo di Cupido e tu pensavi al quaderno - disse Mira con malizia.
- Chiedi a lui. Però ti accompagno, non mi fido - disse Erza.
- Non posso, ora ho biologia e sono già in ritardo.
- Juvia ha lezione con Gajeel-kun. Juvia glielo chiederà.
- Grazie, mi faresti un grandissimo favore. Ora devo andare, ci vediamo a ricreazione.
- Abbiamo anche la pausa della terza ora… - fece notare Mirajane, assetata di scoop.
- No, io e Lucy abbiamo due ore di biologia, non una.
- Allora a dopo ragazze - salutò Lucy, ricevendo un coro di saluti in risposta.
Doveva ancora prendere i suoi libri e togliersi dalla mente l'immagine di Levy e Gajeel in... certi... atteggiamenti.
- Smettila - sibilò la ragazza, arrossendo a sua volta, notando le guance paonazze dell'amica.
Bastava già a lei a cercare di bloccare certe idee.
 
Il cellulare di Levy si illuminò, facendo intendere che era arrivato un messaggio. La secchiona della classe non guardava mai il cellulare durante la lezione, anzi, lo teneva direttamente spento, in cartella. Non si fidava a lasciarlo nell'armadietto. Però stava aspettando per vedere se Juvia le inviava un messaggio, e infatti il mittente, constatò Levy, era proprio la sua amica.
Gajeel- kun ti deve parlare a ricreazione. Ha detto che per terra non c'erano i tuoi occhiali
Levy sbuffò, attirando l'attenzione di Lucy.
- Che c'è? - le bisbigliò.
- Gajeel non ha visto i miei occhiali  - brontolò a mezza voce.
E vuole parlarmi, aggiunse mentalmente.
In realtà non sapeva se esserne scocciata o esaltata. Insomma, quel ragazzo aveva un certo ascendente su di lei, anche se era brava a nasconderlo. Doveva ammettere che iniziava ad intrigarla. E poi era palesemente interessato a lei, anche se il suo corteggiamento, tutto provocazioni, frecciatine e irritazioni, non era esattamente uno dei suoi preferiti.
- Ah, mi dispiace. Vedrai che salteranno fuori.
Levy le sorrise per ringraziarla e tornò a seguire immediatamente la spiegazione. O meglio, a fingere di seguirla. Per la prima volta nella storia, la ragazza era disattenta. Troppi pensieri affollavano la sua mente.
E Lucy se ne accorse. Sorrise nel vedere l'amica scarabocchiare il libro, sacro per lei come tutti gli altri, invece di ricoprirlo di appunti fitti e ordinati.
Sperava solo che si trovassero bene insieme, o Gajeel l’avrebbe pagata.
 
- Vado a prendermi la merenda, ci troviamo fuori! - le disse Lucy, andando verso il suo armadietto.
- Non vengo fuori, fa freddissimo. Solo perché il tuo ragazzo è un tizzone ardente non significa che io debba esserlo a mia volta!
Levy ridacchiò di fronte al rossore dell'amica.
- Natsu non è il mio ragazzo!
- Sì, sì, va bene. A dopo Lu-chan.
Con il sorriso sulle labbra, Levy si diresse al suo armadietto e lo aprì, depositando il libro di biologia e prendendo i suoi pockies al cioccolato come merenda.
Chissà cosa voleva dirle Gaj...
- Ehilà, Gamberetto!
Levy sobbalzò, un po' per il soprannome e un po' per lo spavento.
Gajeel la stava fissando appoggiato agli armadietti, un sorriso strafottente sulle labbra e lo sguardo arzillo. Non lo aveva sentito arrivare.
- Gamberetto?! - esclamò Levy, sorpresa.
- Sì.
- E... perché? - chiese. La curiosità era troppa per fingersi offesa. Sì, era offesa, ma la voglia di capire quale strana associazione mentale aveva fatto quel ragazzo era troppa.
- Per la divisa giallina. E poi hai un sacco di arancione nel tuo armadietto. E i tuoi occhiali sono color gamberetto. E poi non mi ricordo. Ti dà fastidio?
Un po' allibita, Levy ci mise alcuni istanti per chiudere la bocca, aperta per lo sconcerto, e inarcare un sopracciglio. - Sì.
- Perfetto, allora da ora in poi ti chiamerò così.
Ottima mossa, brava Levy, pensò la ragazza con stizza verso sé stessa.
- Perché mi vuoi parlare?
- Ho uno scambio da proporti. Una cosa interessante - bisbigliò lui ghignando.
La prima cosa a cui Levy pensò fu la droga. Tutto l'interesse per quel ragazzo svanì in un attimo. Anzi no, aumentò: attratta dal ribelle tormentato con problemi tanto profondi da volerli annegare nella droga. Doveva aiutarlo. No, non doveva. Era meglio stargli lontano. Accidenti, la sua vicinanza le dava alla testa. E in quel momento era davvero troppo vicino.
- I-io... - balbettò, cercando di distogliere lo sguardo dal rosso fuoco di quegli occhi ipnotici. Scosse la testa e chiuse con forza l'armadietto, allontanandosi un po'. - Io non sono interessata a... certa roba.
Gajeel strabuzzò gli occhi, capendo cosa sottendeva. - Ma sei pazza?! Non sono un drogato, e nemmeno uno spacciatore. E poi non verrei mai ad offrirla ad una santarellina come te, se ce l’avessi.
- Ehi! - protestò lei, sospirando di sollievo mentalmente.
- È uno scambio che non potrai rifiutare - specificò lui avvicinandosi e mostrando ciò che aveva in mano.
- I miei occhiali! Come hai...?
- Ho visto la combinazione del tuo armadietto e ho deciso di prendermi una rivincita per questa mattina.
- Ma per cosa?! Ho solo ripreso ciò che era mio.
- Hai fatto il gioco sporco.
- Ti ho solo dato un bacio, baka! - borbottò Levy, paonazza.
Gajeel ghignò. - Be', questi non potrai prenderli facilmente come il quaderno. Sono fragili, potrebbero rompersi con una minima pressione, quindi tu uscirai con me.
- No.
- Allora resti senza occhiali.
Levy mise il broncio. Era stupido andare a lamentarsi con qualche insegnante… anche perché si rese conto con stupore di voler uscire con lui. Sì, voleva passare del tempo Gajeel. Però un appuntamento subito... aveva un po' di dubbi.
- Senti, che ne dici di fare qualcos'altro? Uscire subito, così, mi sembra un po' affrettato.
Il ghigno che si allargò sul viso del ragazzo gli illuminò gli occhi tanto da fare sembrare le sue iridi una sfera infuocata. Levy avvampò senza apparente motivo mentre il suo cuore iniziava a galoppare.
- Quindi non stai rifiutando.
- Rivoglio solo i miei occhiali.
- Ah-ah - mormorò lui con sarcasmo, chinandosi verso di lei.
Non doveva avvicinarsi troppo, il suo cervello andava in tilt quando accadeva.
- Ripetizioni, ti darò ripetizioni!
Gajeel si bloccò e fece una smorfia. Non era esattamente quello che aveva in mente.
- Sei un anno indietro.
- Sì, ma sono al corso avanzato, e dubito che tu abbia dei voti così buoni.
- Tsk - borbottò insieme a qualche altra parola incomprensibile. - Matematica.
- Ripetizioni di matematica?
Gajeel annuì, serio. - Non ho capito nulla del programma dell'anno scorso.
Levy sorrise, e fu il turno del cuore di Gajeel di scappare dalla gabbia toracica. - Va bene. Quando? Fra due settimane? - gli propose.
Era pazza? Non poteva aspettare così tanto!
- A me va bene, ma sappi che non ti darò gli occhiali finché non mi darai ripetizioni, e non so se puoi farne a meno per due settimane.
Levy gonfiò le guance e Gajeel sogghignò. Aveva vinto.
- In biblioteca all'una oggi, finite le lezioni.
- Non mangiamo?
Levy sbuffò. - Alle due allora.
- Mangiamo insieme, direi.
La ragazza roteò gli occhi, ma sorrise. Doveva interessargli molto se era così insistente. Non l'aveva mai visto insieme a nessuna ragazza nei corridoi.
- Va bene - concesse allontanandosi dopo aver finalmente preso i pockies. Le rimanevano solo cinque minuti di ricreazione.
- Non mi saluti con un bacio?
- A dopo - disse lei alzando una mano, ignorandolo e dandogli le spalle.
Ridacchiò senza farsi vedere, conscia di quanto ridicola fosse quella situazione. Si diresse quasi correndo verso l'uscita, facendo appello a tutta la sua forza di volontà per non girarsi e controllare l'espressione del ragazzo. Ragazzo che, ipnotizzato da quella piccola cervellona, non si era mosso di un millimetro e contemplava con gli occhi sbarrati il fondoschiena di Levy. Se la gonna fosse stata un po' più corta Gajeel avrebbe avuto bisogno di andare in infermeria per fermare il sangue da naso.
 
- Levy-san, che emozione! - canticchiò Juvia. - Gajeel-kun non si è mai interessato a nessuna, Juvia lo giura! Gajeel-kun e Juvia sono amici dall'asilo!
Levy avvampò. - Quindi non ha mai baciato nessuna ragazza?
- Uuuh, Levy-chan, vorresti essere la prima? - la prese in giro Lucy dandole delle gomitate complici sul braccio.
- N-no, ma che dici, Lu-chan?!
- Sii sincera, te lo si legge in faccia! - infierì Mirajane.
- Mira-nee, sei terribile! - disse Lisanna, la sua sorellina, ridendo con aria sconsolata.
- Io ti ho già detto che se ti importuna devi solo farmi un fischio – si intromise Erza.
- Non preoccuparti, non penso che sia un cattivo ragazzo, in fondo. A Natsu sta abbastanza simpatico.
- Ma Lucy, si picchiano sempre!
- Appunto, è il modo di Natsu per dire che a una persona ci tiene.
- Ah sì? Quindi è... violento, Lucy? - disse Mirajane con malizia.
- Non e violento. È un ragazzo vivace.
- Non mi hai capita. È rude in certe situazioni? - continuò imperterrita, muovendo le sopracciglia in modo allusivo.
Lucy capì l'antifona e diventò rossa come il fiocco della divisa. - Cosa stai dicendo?! Non andiamo a letto insieme!
- Ah, be', non mancherà molto - borbottò Levy.
- Che cosa hai de...?!
- Lisanna, è suonata, andiamo! - esclamò Levy scappando con l'amica.
- Questa me la paghi! - gridò Lucy, cercando di non pensare a lei e Natsu in... ehm...
 
Levy si diresse ridacchiando verso due tavolini liberi posti l'uno di fronte all'altra sotto alle finestre della biblioteca. Gajeel l'aveva fatta ridere per gli ultimi venti minuti e lei aveva rischiato di soffocarsi con l'acqua.
Si erano trovati davanti al bar della scuola appena era finita la quinta ora, e avevano pranzato al calduccio. All'inizio nessuno dei due era sembrato intenzionato a parlare e il silenzio era stato imbarazzante. Poi Gajeel aveva deciso che per conquistarla era necessario rompere il ghiaccio, così si era buttato. E aveva piacevolmente sorpreso Levy. Prima le aveva posto delle domande semplici di carattere generale, riguardanti la scuola soprattutto, e quando lei si era rilassata e aveva iniziato a sentirsi a suo agio aveva scavato in profondità, chiedendole di sé, dei gusti personali. Gajeel si era quasi dimenticato di respirare fra una risposta e l'altra, assorbito da lei. Più volte si era riscosso toccandosi le labbra nel timore di aver fatto la bava, ma aveva mantenuto con orgoglio l’espressione imperturbabile. E poi, verso la fine del pranzo, aveva smesso di indagare temendo di irritarla, e aveva sfoderato il suo repertorio da ammaliatore (che non sapeva nemmeno di avere).
Si sedette su uno dei tavolini di fronte a Levy pensando che quel giorno aveva scoperto due cose molto importanti: primo, la musica più bella del mondo era la risata cristallina e dolce di quella ragazza, e, secondo, se lei fosse stata un libro l'avrebbe letta ininterrottamente.
- Allora, in cos'hai problemi, esattamente? - domandò dolcemente strappandolo dalle sue fantasie su che tipo di rivista potesse apparire in certe pose... meglio non pensare quelle cose.
- Per ora mi hanno dichiarato invalido nei rapporti scolastici, quindi non so da cosa vuoi partire, decidi tu. Non so nemmeno se come cosa ha senso.
Levy rise e Gajeel ghignò, felice di notare com’era cambiato l’approccio della ragazza. Era stata sulle sue tutto il giorno senza dare segni di apprezzamento per i tentativi di conquista che lui faceva. Ora invece era rilassata e si stava godendo la sua compagnia, fissandolo un po' troppo intensamente, per una che fingeva di essere completamente disinteressata. E questo non faceva altro che esaltare Gajeel: la stava conquistando.
- Avrebbero dovuto dichiararti invalido e basta, in ogni campo.
- Ehi - borbottò lui. - Sono pur sempre un tuo senpai, stai attenta, kohai! - disse marcando l'ultima parola.
- Ok, ok. Partiamo da... aspetta, prima mi ridai i miei occhiali.
Gajeel glieli allungò quasi con dispiacere: non poteva più ricattarla.
- Iniziamo dall'analisi completa di una funzione?
Il ragazzo sobbalzò. - L'ho finita a giugno dell'anno scorso, com'è possibile che tu già sappia farla?
- Corso avanzato - rispose lei incassando la testa nelle spalle. - Ma l'hai capita o devo approfondire dell'altro?
- L'unica cosa che ho capito è che devo fare un'analisi, poi non ho idea di come eseguirla.
Levy ridacchiò. - Ok allora, dammi il tuo libro che guardo come la spiega.
- È nel libro dell'anno scorso.
- Ah già. Allora te la spiego come l'ho capita io.
Gajeel prese il suo quaderno e poi decise di stuzzicarla. - E se l'avessi capita male anche tu?
- Ho preso il voto massimo nell'ultima verifica  - rispose lei cercando la giusta pagina del suo blocco di appunti. Non c'erano orgoglio, insolenza o presunzione nel suo tono. Semplicemente gli aveva raccontato una cosa accaduta per metterlo al corrente del fatto che non gli stava dando ripetizioni a caso.
Gajeel grugnì e cercò la prima pagina bianca su cui scrivere. Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Levy che si infilava gli occhiali. Sì irrigidì e spalancò gli occhi. Era così carina... tenera.
Non poteva farcela, non poteva conquistarla. Come poteva una ragazza come lei innamorarsi di un brontolone burbero e rude come lui? Si stava illudendo, ridicolizzando e umiliando. Ma non voleva andarsene, lei gli piaceva troppo.
Qualcosa di caldo gli toccò la mano e Gajeel scosse la testa per concentrarsi.
Era la manina morbida di Levy.
- Tutto bene? Sei distratto. Sono noiosa? - chiese pacatamente.
- No, tranquilla - borbottò. - Vai avanti ora ti ascolto.
Lo sguardo che gli lanciò gli fece sperare di avere una chance. Sì, ce l'aveva: lei non era ancora scappata, dopotutto.
- Ok allora - esordì sorridendo. - Prima di tutto dobbiamo dare la definizione di...
Gajeel smise di ascoltarla. Come poteva concentrarsi su qualcosa di diverso dal suo viso? L'avrebbe sgridato per non aver seguito, lo sapeva, ma magari se la sarebbe cavata. Sapeva qualcosa dell'analisi di funzione e aveva preso una buona sufficienza nella verifica, per cui ne sarebbe uscito indenne… o almeno ci sperava. Tutto ciò di cui aveva bisogno era di parlare con lui, con Pantherlily, il suo miglior amico nonché consulente dato che era più maturo di Gajeel. Be’, chiunque lo era. Magari Natsu no.
Il ragazzo, attento a non farsi vedere, allungò una mano per prendere il telefono e lo mise repentinamente dentro il quaderno che teneva inclinato sul petto.
- Qualcosa non va? - chiese Levy, che lo aveva visto muoversi improvvisamente.
- No no - rispose lui in modo stoico, sebbene dentro di sé avesse un mare in tempesta. - Mi stava cadendo la matita.
Levy lo guardò, dubbiosa, e riprese a scrivere sul suo quaderno quello che stava spiegando, sorridendo. Le piaceva molto imparare e insegnare.
Gajeel, intanto, fingendosi attento, era già sulla chat di Lily.
LILY! LILYYYYLILYYY, scrisse, premendo quelle tre lettere quasi in ordine casuale, l'occhio puntato su Levy, di sottecchi.
Calmati. Che succede?
Per fortuna la risposta era stata immediata. Gajeel era sul punto di scoppiare.
Levy mi sta facendo da tutor in privato!
Sto sudando sette camicie.

Ma non bastavano quei due messaggi. Lily doveva capire. Era il suo migliore amico, e Gajeel aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva detto di farsi avanti con Levy, l'unica ragazza che l'avesse mai colpito. Doveva rassicurarlo come solo lui sapeva fare, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
È così sexy con gli occhiali.
Ancora nessuna risposta. Ma era cretino o cosa, il suo amico? Doveva proprio chiederglielo direttamente, un aiuto? A quanto pareva sì, e Gajeel era troppo disperato per pensare al suo orgoglio.
Che cosa dovrei
Levy alzò gli occhi proprio in quel momento. E lo colse in flagrante.
- Gajeel! - urlò. Fortunatamente la biblioteca era vuota.
Gli afferrò in fretta il cellulare e scappò dietro ad una libreria, approfittando del momentaneo sgomento del ragazzo.
Era fritto. Morto. Non si sarebbe più mostrato dopo quella figura. Cosa doveva fare? Andare a cercarla o aspettare lì? Non aveva nemmeno bloccato lo schermo!
Magari se restava fermo manteneva un po' di orgoglio. Doveva essere superiore e non implorarla. Appoggiò il mento sul pugno chiuso, allungando l'altra mano per prendere il quaderno di Levy e leggere. Aveva una calligrafia delicata, tutta curve e tenerezza. Come lei. Poteva una scrittura essere tenera? Gajeel fece una smorfia e iniziò a fare l'esercizio.
- Ridammi il quaderno - disse pacatamente Rebi alcuni minuti dopo, prendendo posto e fissando il suo quaderno.
Il ragazzo era stato talmente concentrato da non udirla avvicinarsi. Poteva comunque notare il rossore che le colorava le guance. Ovviamente aveva letto tutto.
Le allungò il blocco. - Ho fatto l'esercizio. E ho capito il procedimento  - borbottò. - Puoi ridarmi il cellulare?
Levy distolse lo sguardo, imbarazzata. - Ti distrarrai ancora.
- No, fidati. Lo metto via.
Del resto, non era il telefonino la sua causa principale di distrazione.
- Lo tengo ancora un po'. Piccola rivincita. Ora fai questo esercizio - gli ordinò scrivendo sul suo quaderno un problema complicato.
Senza fiatare, Gajeel si mise all'opera. E si impegnò davvero, come mai aveva fatto. Tanto da non accorgersi della conversazione via etere che avveniva tra la ragazza che aveva davanti e il suo migliore amico. Solo quando alzò la testa per riflettere su un passaggio notò il sorriso di Levy, e le sue dita che scrivevano sul cellulare che era indubbiamente suo. Lo afferrò senza troppi convenevoli.
- Ehi! - borbottò Levy.
Il messaggio che stava scrivendo prima di essere scoperto, "che cosa dovrei", era stato inviato. E poi la conversazione era continuata.
Gajeel, è da quando l'hai notata sull'autobus che ripeti quanto è bella. Con o senza occhiali, è sempre la stessa.
Cosa dovresti cosa?
Gajeel? Ci sei?
Senti testa di ferro, invitala fuori e smettila. A casa te le prendi.

Quattro messaggi di Pantherlily.
Ciao, sono Levy. Ho... scoperto Gajeel mentre chattava e gli ho rubato il cellulare. Non volevo farmi gli affari suoi, ma...
Levy. Levy aveva scritto a Lily! Magari aveva letto anche i messaggi precedenti, dove c'erano solo parolacce, risatine e commenti su di lei.
Benedetta ragazza, hai fatto bene a leggere! Scusa il mio amico che è troppo stupido per farsi avanti. È cotto di te. Ma tanto. Puoi uscire con lui?
Lo conosco poco...
Vedo che non hai detto di no, grazie. Be', si esce proprio per conoscersi.
Magari è un sentimento passeggero.
No, lo conosco da una vita, fidati che non è mai stato interessato all'amore. Lo hai stregato.
Sono lusingata.
Dai ti prego portamelo fuori di casa! Così almeno mi rompe i cosiddetti perché è fantastico passare del tempo con te, e non solo perché è bello guardarti.
Allora gli piaccio solo fisicamente.
No, è così cotto che ti ha analizzata nei minimi dettagli. Non sarebbe in grado di descrivermi così accuratamente come fa con te nemmeno se lo obbligassi. E siamo cresciuti insieme.

A quel punto la conversazione si era interrotta e il cellulare era tornato al proprietario. Levy sorrideva con aria furba mentre controllava l'esercizio.
- Fino a qui è tutto...
Gajeel la interruppe mostrandole il cellulare: un altro messaggio di Lily.
Non è ossessivo. Magari un po', ma in senso buono. E non è un maniaco.
Levy ridacchiò. - Ora me li mostri direttamente, i messaggi?
Gajeel, imbarazzato, assunse la solita espressione menefreghista e impassibile. - Solo per farti capire che sono un tipo a posto. Mi ha fatto passare per una specie di... maniaco ossessivo, come ha detto lui.
- In effetti... - disse lei, ridendo quando lo vide strabuzzare gli occhi. - Dai, continuiamo matematica.
L'ora successiva diede i suoi frutti e Levy spiegò con precisione le nozioni basilari. Gajeel, concentrato per quanto la vicinanza della ragazza glielo permettesse, risolveva in fretta gli esercizi e gongolava internamente di fronte ai complimenti. Il tempo passò troppo in fretta.
- Allora direi che siamo a posto - esordì Levy stiracchiandosi.
- Sì, hai spiegato decentemente.
- Ehi! Mi sono superata! Direi che sei in debito.
Gajeel ridacchiò in quel modo che segretamente Levy trovava adorabile, emettendo un "gihihi".
- Che ne diresti se ti portassi al cinema per sdebitarmi?
Levy si bloccò. Glielo aveva davvero chiesto. Sorrise, pensando che alla fine il coraggio non gli mancava se l'aveva invitata ad uscire nonostante la figuraccia.
Finse di rifletterci mentre Gajeel, teso, si preparava lo zaino. Ovviamente avrebbe accettato, soprattutto perché a pranzo lo aveva conosciuto meglio, ma voleva tenerlo sulle spine.
- Allora? - grugnì il ragazzo, dopo un silenzio troppo lungo.
- Direi che mi va bene. Mi dici tu dove e quando?
Gajeel annuì energicamente cercando di contenere la felicità.
- Sì, ti farò sapere - disse con noncuranza.
- Non fare tanto il prezioso - ridacchiò lei dandogli una spintarella che non lo smosse di un millimetro.
- È un privilegio uscire con me. Le altre morirebbero per ottenere ciò che ti ho proposto.
- Allora chiedilo alle altre! - lo sfidò lei.
A Gajeel piacque immensamente quell'aria competitiva.
- Nah, le altre sono tutte uguali. Io voglio quella strana.
Sbuffando, sebbene fosse divertita, Levy uscì dalla biblioteca. Udì la risatina di Gajeel un secondo prima di essere afferrata per la borsetta.
- Prendiamo l'autobus insieme, aspettami.
Non era una proposta, era una constatazione. Prendevano davvero l'autobus insieme, ogni mattina. Ma al ritorno non sempre, a causa degli orari differenti.
Alla fermata dell'autobus un silenzio imbarazzato sembrò calare sui due, ma Levy scoppiò a ridere all'improvviso e ruppe la tensione. Aveva ripensato alla strana conversazione avuta con Lily, il migliore amico di Gajeel, che l'aveva lusingata e le aveva aperto gli occhi. Era un ragazzo in gamba.
Quando salirono sull'autobus trovarono senza difficoltà due posti vicini e vi si sedettero in un muto accordo.
- Finisci pure di leggere il tuo secondo libro della settimana.
Levy strabuzzò gli occhi mentre Gajeel scivolava un po' sulla sedia, stravaccandosi. - Come lo sai?
- Sono un buon osservatore.
- Sei ossessivo!
- Nah. Ho solo notato che leggi molto. Tu sei ossessiva.
- Ah sì? Allora facciamo così: se io non leggo per tutta la durata del viaggio, che è di mezz'ora, il film da vedere lo decido io.
- Ci sto. Ma se tu leggi allora dovrai uscire con me ancora.
Levy sorrise e arrossì, chiudendo la borsa in modo teatrale per mostrare che non avrebbe ceduto. Inutile a dirsi, si addormentò nel giro di due minuti. I libri erano l'unica cosa che le impediva di prendere sonno in autobus, e senza quelli nemmeno la presenza di Gajeel poteva fare molto. La testa lentamente si posò sul braccio del compagno, che sorrise. Non arrivava alla spalla, tanto era piccola.
A Gajeel non era mai persa così tenera, dolce e indifesa come il quel momento, e la contemplò per istanti lunghissimi. La svegliò solo quando mancavano tre fermate prima di casa della ragazza.
- Ohi, Gamberetto, sveglia.
Levy sobbalzò e raddrizzò di scatto la testa, mormorando un "Gamberetto" in tono contrariato. Avvampò quando si rese conto di essere stata appiccicata a Gajeel per un sacco di tempo.
- Scusami! Non volevo addormentarmi su di te. È solo che sei comodo.
Il ragazzo ridacchiò, immaginandosi brevemente lei che dormiva pigiata contro di lui su un prato, in un futuro non lontano. Ghignò quasi con malignità: meglio farla arrossire ancora con una delle sue solite uscite.
- Sì, so di essere fatto apposta per essere il letto delle ragazze. Tu hai usufruito solo in parte del servizio.
Come previsto, Levy avvampò. - Devo scendere ora. Ah, comunque ho vinto io.
- Dichiarerei nulla la gara, dato che la scommessa prevedeva un certo impegno da parte tua. Hai dormito, quindi hai barato.
- Non hai messo clausole alla sfida, è colpa tua, mi dispiace.
Gajeel ridacchiò e si scostò per farla passare, cercando di non guardare il suo fondoschiena in modo troppo eloquente mentre passava.
- Allora a domani. Prendi un bel voto in matematica.
- Contaci.
Levy gli sorrise un'ultima volta prima che le porte si aprissero. E Gajeel la fissò allontanarsi sotto il sole invernale finché l'autobus non ripartì. Poi prese il cellulare e aprì la chat di Lily.
Grazie, bastardo.
 
 
MaxBarbie’s
Oui, je sui vivent. Forse. Non lo so. È in corso un processo di sfaldamento neuronale per cui sono.. ehm… non in pieno possesso delle mie facoltà mentali? Sì^^
Duuuuuunque, che dire?
NOVITA’! PREGASI PRESTARE ATTENZIONE: a causa dell’immensa quantità di immagini che Blania e soprattutto Rboz sfornano, questa fic diventerà una raccolta di mini-long! Nel riassunto-plot della fic indicherò le categorie dei capitoli. Sì, so che non si capisce nulla, ma quando vedrete capirete. Ad esempio, questo capitolo fa parte della School AU serie, iniziata con il capitolo 4, Too short. Quindi nel plot metterò:
- School AU: 4, 15, 22 (numero a caso).
Sì, perché continua. Poi le altre long sono la Gajevy Week 2015 (so che siamo  in estate ma chissene), quindi i prompt Cooking, Daydream e bla bla di Rboz, la COUNCIL GAJEVY MINI-LONG ragazzi io non riesco ancora a credere e questo è uno spoiler bastardissimo, upsi^^
Non so se ciò che dico ha senso. Oggi ho finito gli orali, mi sento una gelatina informe. Scusate la lunga assenza, sono riuscita a postare solo perché oggi mi sono presa il pomeriggio sabbatico. Sto anche scrivendo poco per mancanza di tempo L Per quanto riguarda LNVI, sono indietro perché ho bisogno di tempo per riflettere sulla linea temporale degli avvenimenti. Ho qualcosa di pronto, ma è da aggiustare cronologicamente parlando.
Mi fermo o scrivo un capitolo di note d’autore che non interessano a nessuno (e vi capisco). Comunque capirete quando il capitolo è parte di una serie perché il nome della serie e il numero del capitolo sono scritti di fianco al titolo.
Spero che il capitolo sia chiaro, faccio fatica quando molti personaggi interagiscono.
BUONA ESTATE A CHI NON HA GLI ESAMI DI *inserire parolacce a piacere* e IN BOCCA AL LUPO A CHI LI HA!
MaxBarbieLaMortaVivente (The Living Dead? Può essere?)


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Capitolo 16
*** A new adventure (Council Gajevy) ***


A new adventure (Council Gajevy)

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily; Jet e Droy; vari
Coppie: GxL;
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: /
Contestualizzazione: fine Tartaros Arc
Avvertimenti:spoiler!; storia basata sul possibile svolgimento delle avventure nel Concilio.

 
La notizia era arrivata come un fulmine a ciel sereno, letteralmente. Inaspettata come la neve d'estate, imprevedibile come un terremoto, distruttiva come uno tsunami, devastante come la morte di qualcuno che ami. Esasperante.
La gilda era stata sciolta. Fairy Tail non esisteva più. Era lo scheletro dell’edificio diroccato che sorgeva a Magnolia, era il tatuaggio di quei ragazzi che lo mostravano con orgoglio, era la casa e la famiglia di persone forti e coraggiose. Era stata la loro ragione di vita. Ma non c'era più. Da un'ora, non c'era più.
Levy non capiva. Come poteva essere? Cosa stava succedendo? Si sentiva ancora legata ai ragazzi che aveva intorno, sentiva ancora di essere parte di un qualcosa insieme a loro. Ma allora perché proprio loro sembravano smarriti quanto lei e si chiedevano cos'avrebbero fatto? Perché? Era tutto sbagliato. Tartaros aveva lasciato il segno, certo, li aveva segnati. Igneel era morto, gli altri draghi scomparsi per sempre. Zeref era ancora vivo e le perdite subite erano state troppe per poterle numerare. Ma Fairy Tail ne aveva passate di peggio. Avevano sempre affrontato tutto insieme, dal buco temporale di sette anni di Tenroujima alla rinascita dalle ceneri di un glorioso passato, dalle condizioni di salute del Master alla dipartita di Laxus.
Era impossibile che la gilda si sciogliesse, perché la loro forza era data dalla loro unità. Anche se Natsu era partito, rimaneva un loro compagno. Ne avrebbero atteso il ritorno insieme, e un anno sarebbe sembrato un lasso di tempo trascurabile. Avrebbero ricostruito la loro casa, la loro città, stringendo ancora di più i loro legami. Avrebbero atteso anche Gray, che non si vedeva più.
Ma Levy si accorse tristemente di aver usato il condizionale nelle sue idee per il futuro della gilda. Tutto era sempre stato una certezza, come per il Dai Matou Enbu: nonostante la partenza a dir poco tiepida, avevano sempre creduto nella vittoria. Erano Fairy Tail. In quel momento, invece, niente era una certezza, eccetto il caos.
- Ci vediamo qui fra due giorni, ragazzi. Per salutarci - disse Mirajane.
Fu una delle poche volte in cui Levy vide Mirajane senza il suo consueto sorriso felice e sereno.
 
Erza era andata via, insieme ai suoi ventisette bagagli, un'ora prima.
- È il minimo, ragazze! - aveva sbottato quando Mirajane aveva criticato la montagna di valigie che si portava appresso. - Il resto l'ho lasciato a Fairy Hills. Quella almeno non è distrutta. E poi, chissà, presto o tardi tornerà ad essere camera mia, no?
Quando Levy le aveva domandato dove sarebbe andata, era rimasta sul vago: - Lavorerò un po' per conto mio, credo. Non so cosa farò di preciso.
E poi, silenziosamente se n'era andata, sparendo dalla vista dei suoi compagni come la nebbia mattutina. Ma non ci furono lacrime o tragici drammi, no. Erza era lì con loro, nei loro cuori e nei loro tatuaggi, quelli che mai, per nessun motivo al mondo avrebbero cancellato. Non aveva detto addio perché quello era solo un momentaneo, seppur doloroso, arrivederci. I Raijinshuu partirono in gruppo, così come i tre Strauss. Strette di mano e sorrisi incoraggianti, alcune lacrime di lontananza, ma nulla di permanente.
Ognuno sentiva che presto o tardi le loro strade si sarebbero nuovamente incrociate per proseguire insieme, per sempre. Avevano solo bisogno di un po' di tempo per crescere e riflettere, ogni ragazzo ne ha bisogno. Ed ogni ragazzo torna a casa dopo aver ritrovato sé stesso.
Bisca, Alzack e la piccola Asuka rimasero a Magnolia per aiutare con la ricostruzione. Kana partì senza un goccio d'alcol in corpo e nei bagagli, troppo devastata per poter ottenere consolazione dal sake.
Lucy aveva versato poche lacrime, lamentandosi della sua breve permanenza nella gilda e dello scioglimento improvviso, così come della sparizione del Master che non si vedeva più dall'annuncio della fine della gilda. Ma Levy sapeva che ciò che veramente la tormentava era la mancanza di Natsu. Salutarla fu doloroso, ma lo fu ancora di più lasciarla senza nessun recapito. Sarebbe stato troppo logorante mantenersi in contatto ricordando ciò che era stato. Entrambe sapevano che un giorno, in qualche modo, si sarebbero ritrovate.
E così erano rimasti in pochi, meno di una decina, a guardarsi con malinconia. Levy stava aspettando Jet e Droy per salutarli, probabilmente non sarebbero partiti insieme. Aveva bisogno di stare da sola per cercare di capire meglio cosa voleva dalla vita, cosa comportava quella situazione per lei, e come avrebbe potuto affrontare quella nuova avventura. E poi, non poteva ancora andarsene perché Gajeel non lo aveva fatto. Se ne stava seduto su un muretto, a fissare trucemente i suoi compagni... ex-compagni di gilda. No, compagni lo erano ancora. Era la gilda a non essere più. Per cui compagni di ex-gilda. Il gomito del ragazzo era posato sul suo ginocchio e con il pugno chiuso si reggeva il mento. Levy lo fissava di sottecchi, voltando la testa proprio quando lui iniziava ad osservarla. Si sistemava la fascetta arancione quasi con maniacalità, nonostante fosse perfettamente in ordine, ovviamente.
- Be', Gamberetto, per me è ora di andare - disse il ragazzo alzandosi e cogliendola di sorpresa. Lily era volato a casa a prendere poche altre cose che avevano dimenticato.
Gajeel si avvicinò a Levy grattandosi la nuca, lo sguardo rivolto verso il basso. Voleva... voleva dirle tante cose. Ma non era bravo con le parole. Quindi tutto ciò che riuscì a pronunciare fu: - Scusa, per... ahem, e grazie per, be', tutto.
Il volto di Levy si rabbuiò: aveva sperato in qualcosa di più. Tentò comunque di sorridere, ma Gajeel si rese conto che quello non era il suo solito sorriso dolce, quello che lo faceva sentire una persona migliore solo perché poteva vederlo.
- Sei la persona più meravigliosa che conosca - disse di getto senza rendersene conto.
Levy strabuzzò gli occhi e arrossì, lusingata ed emozionata.
Come poteva Gajeel sperare di riflettere su qualsiasi cosa se lei assumeva quell'espressione così dolce? Faceva già fatica a ragionare quando si impegnava, se poi qualcuno faceva fare cortocircuito ai suoi neuroni era un'impresa da titani. Voleva chiederle di partire con lui, di viaggiare insieme, ma il briciolo di lucidità che gli era rimasto gli fece mordere la lingua.
- Ci rivedremo? - chiese borbottando.
Levy guardò in alto, verso le fronde dell'albero sotto al quale stavano chiacchierando, e chiuse gli occhi. Dovevano rivedersi. Assolutamente. L'ipotesi contraria non doveva nemmeno essere presa in considerazione. Lentamente, arrossendo, abbassò la testa e si sciolse la fascetta arancione che aveva fra i capelli, guardandola quasi con nostalgia: era abbinata al suo vestito preferito, del colore che prediligeva.
Non disponibileUn po' imbarazzata, si avvicinò a Gajeel e gli prese delicatamente il braccio senza notare la sua espressione confusa. Quel giorno indossava i soliti pantaloni beige e una giacca smanicata scura, un classico per lui, ma sotto ad essa portava una canottiera verde chiaro che non gli aveva mai visto.
- Certo che ci rivedremo. Siamo legati da... Fairy Tail - disse pacatamente mentre gli legava al braccio la fascetta arancione. - E per dimostrartelo e fare in modo che non ti dimentichi di me, ti presto la mia fascetta. Me la renderai al nostro prossimo incontro. È la mia preferita.
Levy arretrò di un passo e notò gli occhi strabuzzati di Gajeel, così aperti che l'iride sembrava essersi ristretta. Lui sfiorò lentamente il nastro sul suo braccio, intensamente felice di quel regalo: Levy non avrebbe mai rinunciato ad un suo nastro. Eppure lo aveva dato a lui perché sapeva che si sarebbero rivisti. Lo desiderava davvero.
Doveva contraccambiare e mostrarle che anche lui ci teneva a rivederla e aveva fiducia nel loro incontro futuro. Repentinamente si chinò verso la borsa ai suoi piedi e l'aprì, rimestando fra i pochi averi che aveva deciso di portare con sé, alla ricerca di qualcosa di particolare. Si sa che Gajeel è pragmatico, anche se questo lo porta a dimenticare cose spesso importanti.
- Dov'è...? Dannazione - borbottò a mezza voce, mentre Levy sbirciava incuriosita alle sue spalle.
Proprio mentre stava per chiedergli cosa stesse cercando, Gajeel scattò in piedi ridacchiando come solo lui poteva fare, tenendo per le spalle una delle sue giacche. Questa era marrone con borchie grigie sul bordo e sulla lunghezza delle maniche che arrivavano al gomito del ragazzo, ad occhio e croce. Era lunga fino alla base della schiena o poco oltre. Insomma, non una delle solite giacchette lunghe e malridotte a causa dei combattimenti. Questa era in ottimo stato. I ricami metallici si ripetevano anche sul colletto e arrivavano fino alla fine, tracciando anche il bordo inferiore.
Levy continuò a fissarlo in silenzio finché, sogghignando, il ragazzo si girò e le drappeggiò sulle spalle la giacca. Levy ci navigava dentro in confronto a lui. Il gesto improvviso, la sensazione di avere un qualcosa di suo addosso, la sua vicinanza e le sue mani che cercavano di farle cadere meglio l'indumento che indossava fecero avvampare Gajeel.
Scambiando la sua espressione sbalordita per confusione, Gajeel si affrettò a dire: - La mia giacca preferita! Prendila.
- Huh? - mormorò Levy, alzando lo sguardo e fissandolo.
Di fronte a quell'espressione, la mano di Gajeel si bloccò sul colletto della giacca mentre i suoi occhi si piantarono in quelli di lei, lucidi d'imbarazzo. Erano così dolci...
E come potevano non esserlo, quando Levy stava riflettendo su quanto dovesse costargli quella cessione? Si parlava di Gajeel che le stava dando qualcosa di suo. E non una cosa qualsiasi, ma una delle sue giacche. La sua preferita! Che fosse un modo per ringraziarla in modo equo per la sua fascetta? Indumento per indumento?
Non disponibileGajeel ghignò di nuovo: un pensiero malsano quanto allettante gli aveva attraversato la mente e il suo corpo lo mise in atto senza esitazione. Tornando serio, portò un braccio attorno alla vita di Levy e l'attirò a sé, stringendola con forza. L'altra mano la posò fra i suoi capelli, saggiandone la morbidezza. Lentamente si chinò verso il suo orecchio e le bisbigliò un avvertimento con aria complice, come se fosse un segreto.
- Non perderla, è la mia preferita - ribadì.
Che si stesse davvero rivolgendo a Levy? O magari parlava alla giacca, come a renderla la guardia del corpo di quella ragazzina che stringeva fra le braccia?
Levy sentì gli occhi pizzicarle, conscia di essere sull'orlo delle lacrime. Non voleva separarsi da lui. Non voleva separarsi da Fairy Tail. Ma anche Gajeel era convinto che si sarebbero rivisti, e lei doveva crederci più che mai. Era stata la prima a dirglielo. Chiuse gli occhi e seppellì il volto nel suo braccio mentre le lacrime facevano capolino all'angolo dell'occhio. Il suo profumo impregnava la giacca e Levy lo respirava direttamente dalla sua pelle.
- Sì, non la perderò.
Da lontano sentirono, poco tempo dopo, una voce familiare che li chiamava. Lily era tornato. I due ragazzi si staccarono, ma Gajeel non lasciò la vita della giovane: più l'abbracciava, meglio era. Il gatto si rese conto troppo tardi di aver interrotto qualcosa. Levy era rossa in viso e lo fissava sorridendo, amabile come al solito. Il suo nakama, invece, aveva le sopracciglia aggrottate e lo guardava male... chissà perché. Non fece in tempo ad arrivare in prossimità dei due che Levy lo catturò fra le sue braccia e lo strinse forte come faceva di solito, se non di più, le lacrime sempre lì, sul punto di uscire. La giacca di Gaeel le era caduta dalle spalle nella foga dell'abbraccio.
Lily ridacchiò e le accarezzò il viso, impedendo alle lacrime di scendere. Si stava commuovendo anche lui. Alle loro spalle, Gajeel si grattava il collo con aria spaesata. Non sapeva che fare. Si avvicinò a Levy e Lily con l'intento di abbracciarli ancora, giusto perché l'atmosfera del momento glielo suggeriva, quando sentirono due voci urlare: - Levy-chan!! Gajeel!! Lily!
Come equivocare quel tono di voce, anzi, quei toni di voce?
- Jet e Droy?! - esclamarono i tre che osservavano il tornando arrivare.
Jet e Droy stavano correndo come dei pazzi, consci di essere in ritardo. O meglio, il primo correva ad una velocità troppo elevata per il secondo, che arrancava, spinto in avanti solo da desiderio di giungere a destinazione e mangiare, finalmente.
Riunito l'ex Team Shadow Gear, Droy iniziò a mangiare e a piangere insieme a Jet, pregando la loro "Levy-chan" di partire insieme. Ma la ragazza fu inamovibile, sebbene i due potessero vedere il suo dolore riflesso nel sorriso triste e negli occhi privi della solita luce. Chiacchierarono un po', risero, brontolarono e decisero che era il momento di andare.
Non disponibileLevy recuperò la giacca di Gajeel e la indossò come si conveniva, scoprendo che le maniche le arrivavano fino al polso, laddove a lui arrivavano al gomito. Per non parlare del fatto che era lunga fino alle ginocchia. Armata di tracolla rossa e volontà di non piangere, si posizionò di fronte a Gajeel, affiancata da Jet e Droy.
Levy si ritrovò a fissare sorridendo la montagna di muscoli che aveva sconvolto la sua vita, notando con piacere il modo dolce in cui lui ricambiava lo sguardo. Erano sordi anche alle acclamazioni di Jet, Droy e Lily per quel momento evidentemente romantico, a modo suo, e ciechi alle loro occhiate complici.
- A presto, Gamberetto - disse Gajeel ghignando.
Levy arrossì e mise il broncio finto, spingendolo a scompigliarle i capelli.
- A presto Baka.
Gli sorrise un'ultima volta, notando con la coda dell'occhio che Jet e Droy se ne stavano andando verso destra. Lei arretrò e si allontanò nella direzione opposta rispetto a Gajeel e Lily. Il gatto la salutò un'ultima volta e Levy girò il viso sventolando la mano e stringendo con l'altra la giacca, serena per quel breve attimo. Il ragazzo aveva già la borsa in spalla, e sollevò il braccio per salutare. Si impose di non girarsi per rivederla. Non avrebbe risposto delle sue azioni.
E così quel giorno di primavera, mentre i fiori di ciliegio cadevano dall'albero al primo leggero alito di vento, la gilda si sciolse definitivamente. Ma non era un addio. Non c'erano adii, a Fairy Tail. Era solo una pausa momentanea. Doveva essere così.
Quando un fiore sfiorò il tatuaggio sul braccio di Gajeel per poi posarsi sulla sua sacca, il pensiero di tutti i membri della gilda risuonò all'unisono nelle menti di tutti.
Incontriamoci ancora.
 
Erano passati pochi giorni dall'inizio del loro viaggio, ma Gajeel e Lily erano soddisfatti della strada percorsa. Ancora non sapevano esattamente dov'erano diretti, avevano solo una vaga idea del percorso da seguire.
- Andiamo dove ci portano le nostre gambe - aveva detto Gajeel.
Stremati, si erano seduti sul manto erboso di una collina, osservando dall'alto la foresta che si apriva davanti ai loro piedi. Il sole stava tramontando e loro erano talmente stanchi da non avere nemmeno fame. Avevano sempre dormito all'aperto sotto alle stelle che facevano loro da sentinelle. Avevano fatto tappa in qualche piscina termale pubblica per lavarsi e avevano anche fatto il bucato nelle lavanderie a gettone, ma Gajeel non si era mai levato dal braccio la fascetta di Levy.
- Ti si fermerà la circolazione - gli aveva fatto notare Lily.
- Quella piccoletta non ha tutta quella forza - gli aveva risposto Gajeel.
E mentre il sole spariva dietro agli alberi e il vento scompigliava dolcemente i capelli corvini del ragazzo, Gajeel si ritrovò a pensare a Levy. Ancora. Come ogni ora di ogni giorno.
Si girò verso la sua borsa e fissò il fiore che dava bella mostra di sé sulla stoffa marrone. Quando era partito lo aveva trovato lì, probabilmente caduto da un albero, e lui lo aveva fissato in modo che non cadesse. Gli ricordava lei.
Si toccò la fascia arancione sorridendo.
 
Levy aveva affittato un appartamentino piccolo ma accogliente in una cittadina vicino a Magnolia. Aveva trovato lavoro come traduttrice di testi antichi, che le fruttava una somma di denaro non indifferente per una sola persona. Aveva riempito la piccola libreria di cui disponeva con i suoi libri preferiti, mentre il resto della biblioteca, perché altro nome non poteva avere, era rimasto a Fairy Hills in attesa del suo ritorno.
Si era fatta del tè caldo e aveva indossato i calzettoni bianchi. Si era seduta sulla panca appoggiata alla finestra per osservare il cielo terso. A Magnolia non si vedevano così bene le stelle, dato che era una cittadina molto illuminata la notte.
Un brivido le attraversò la schiena e Levy si alzò per prendere una coperta. Poi l'occhio le cadde sulla sedia della scrivania, sulla quale c'era, accuratamente appoggiata, la giacchetta di Gajeel.
E mentre il profumo fruttato del tè riempiva la stanza, Levy si ritrovò a pensare a lui. Ancora. Come ogni ora di ogni giorno.
Si sedette sulla panca indossando la giacca che le scaldava direttamente il cuore. Ci teneva davvero a quell'indumento, che trattava con una cura quasi maniacale. Non tanto perché era prestata, ma perché gli ricordava lui.
Si strinse nella giacca sorridendo.
 
Non disponibileUna stella cadente attraversò il blu notturno.
- Es
primi un desiderio - bisbigliò Lily inconsapevolmente.
Due ragazzi intenti a guardare le stelle, sotto allo stesso cielo, pensarono alla loro gilda, e l'uno all'altra.
Desidero rivederti e non lasciarti più, dissero i loro cuori.
I membri di Fairy Tail, sparsi nelle più remote città di Fiore, espressero lo stesso desiderio, certi che un giorno si sarebbe realizzato.
Gajeel e Levy però non sapevano che il loro si sarebbe avverato prima degli altri. Al momento bastava la promessa che si erano fatti e gli oggetti dati come pegno.
Si addormentarono guardando lo stesso punto dove la stella era scomparsa, portando via i loro pensieri.
 
Due mesi dopo...
Mancavano pochi minuti al suo arrivo, ma Levy non ce la faceva più. Erano due giorni che camminava e cambiava corrispondenze con il treno, portandosi dietro tutti i suoi bagagli e cambiando hotel ogni notte, ottenendo solo stress e mal di schiena come risultato. Sperava che almeno il trattamento che le avrebbero riservato lì non fosse dei peggiori. Insomma, lei non doveva entrare a far parte del Corpo Detentivo, di quello che combatteva o altro. Si sarebbe occupata di intercettazioni, traduzioni e corrispondenza cifrata, forse anche di strategie, se fosse riuscita a scalare la vetta abbastanza in fretta.
Il Concilio della magia, incaricato di mantenere l'ordine a Fiore, l'aveva convocata dopo aver scoperto che era in grado di comprendere svariate lingue antiche e scrivere e modificare le rune a suo piacimento. Grazie ad alcune ricerche il Concilio aveva saputo che il suo cervello era come una grande biblioteca in miniatura e la ragazza era una fonte inesauribile di conoscenze, oltre ad essere una maga. Di Fairy Tail. E così aveva richiesto i suoi servizi.
Levy non ci aveva pensato due volte: oltre a darle la garanzia di un lavoro stabile e ben pagato con tanto di vitto e alloggio, avrebbe potuto ottenere informazioni sui suoi nakama. Magari anche su di lui. Chissà cosa stava combinando...
Scuotendo la testa, Levy arrossì e cercò le indicazioni che mostrassero dov'era la base del Concilio. Una volta trovate, affrettò il passo: in pochi minuti sarebbe arrivata. La rigida disciplina del luogo non la spaventava, sperava solo di vedere riconosciuto il proprio lavoro per non essere destinata alla noiosa e alienante mansione da segretaria o, come le piaceva chiamarlo, da "ammucchiatrice di scartoffie".
Le alte mura del palazzo del Concilio, sede così antica da far concorrenza al castello del re a Crocus, erano inconfondibili e Levy decise di zigzagare per le stradine secondarie cercando di raggiungere la sua meta basandosi solo sull'intuito. Le bastava vedere l'edificio avvicinarsi. Giunta sulla soglia, alcuni minuti dopo, tirò un sospiro di sollievo. E stanchezza. Varcò il portone con sicurezza e si diresse all'ufficio più vicino, nella grande sala principale. Era pieno di gente che probabilmente doveva denunciare fatti strani, dare informazioni o chiedere aiuto. Per fortuna la corsia riservata ai membri stessi del Concilio era quasi vuota.
- Buongiorno, sono Levy McGard...
- So chi è - la interruppe bruscamente la segretaria. - La stavamo aspettando. Per la prima settimana dovrà lavorare con altri addetti alle strategie e alle ricerche e quelle cose che fate voi, per capire ciò che deve fare. Lavorerà per il reparto di Esecuzione della Detenzione. Il vicecapitano dell'unità arriverà a breve per mostrarle la struttura interna del Concilio e istruirla sulle nozioni di base riguardo al funzionamento dell'organizzazione, abitudini e storia, nonché addestramento. È qui da poco più di un mese e mezzo, ma sta per essere nominato capitano a causa delle sue incredibili doti in combattimento. Si dice che sia anche un mago. È molto in gamba. Comunque, il futuro capitano deciderà a che reparto assegnarla alla fine della settimana e a che livello gerarchico dell'organigramma posizionarla. Qui ci sono le chiavi della sua camera, la mappa del posto da sapere a memoria entro domani, alcuni fascicoli di regolamenti e informazioni e il modulo su cui deve apporre la firma per accettare il contratto.
La donna porse a Levy tutto il malloppo insieme ad una penna. Notando lo sguardo sbigottito e disorientato della ragazza, la segretaria le sorrise.
- La parola d'ordine qui è pragmatismo. Anche efficienza. Si abituerà in fretta, vedrà.
Levy sorrise debolmente. Quanto le mancava Fairy Tail, con i suoi schiamazzi e le sue baruffe. Lesse il modulo sospirando e lo firmò, diventando a tutti gli effetti membro del Concilio, sebbene dei bassi ranghi.
- Buona giornata - la salutò la donna.
Levy prese tutti i bagagli e si diresse verso una sedia vuota fra quelle allineate al muro. Nel farlo, però, urtò qualcosa. O meglio, qualcuno.
- Tsk - borbottò il malcapitato.
- Scusi, non volevo, è colpa mia - disse in fretta, sinceramente dispiaciuta. Lo aveva urtato abbastanza pesantemente. Alzò gli occhi per osservare la vittima e le parole le morirono in gola.
- Che ci fai qui, Gamberetto?! - esclamò Gajeel. Indossava la divisa del Concilio come faceva sempre Laxus, senza infilare le braccia nelle maniche, e quei colori chiari risaltavano sulla sua pelle olivastra. Gli donavano.
Levy deglutì a vuoto cercando di inumidire la bocca secca come il deserto. - Mi hanno chiamata per lavorare qui. Serve gente con conoscenze particolari. E tu?
- Io lavoro. Sono il vicecapitano dell'unità di Esecuzione della Detenzione. Sto andando a prendere il novellino che devo...
La ragazza spalancò gli occhi. Era tutto così assurdo. Aveva ritrovato Gajeel, che aveva scalato piano per piano nel giro di un mese la piramide organizzativa del Concilio, arrivando ad essere nominato capitano dopo nemmeno due mesi. E lui doveva farle da mentore!
- Penso che sia tu la novellina - disse lui ghignando.
Imbambolata, Levy si sciolse in un sorriso limpido quando Gajeel le scompigliò i capelli prima di bloccarsi di fronte alla sua espressione troppo dolce. Quanto le era mancata!
- Che hai?
Una sola lacrima d'amore le scivolò giù per la guancia mentre lei fissava il polso del ragazzo: portava ancora la sua fascetta arancione come se fosse un braccialetto. Levy lo abbracciò di slancio, seppellendo il volto nel petto di Gajeel quando lo sentì ricambiare energicamente eppure gentilmente la stretta.
Era a casa.


MaxBarbie’s
Se ritornata a pieno regime? Purtroppo per voi, sì! O meglio, non so…
Per ora posto quello che ho scritto. Approfitto di ogni momento libero per scrivere altro, ma sono davvero impegnatissima e chiedo venia se magari ritarderò un po’. Senza esitazioni, comunque, per lunedì prossimo prossimo dovrei riuscire a ripostare qualcosa per entrambe le storie.
Non mi dilungo, se non per dire che questa mini-fic durerà abbastanza perché sia Grace/Blanania che Rboz mi hanno dato TROPPO materiale su cui lavorare. Quelle due sfornano disegni a tempo record, sono incredibili! Occhio agli spoiler per chi non segue le scan online.
Dal mare è tutto! A presto e grazie per il sostegno^^
MaxBarbie


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Capitolo 17
*** Cooking (Gajevy Week 1) ***


Cooking (Gajevy Week 1)

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily; Jet e Droy;
Coppie: GxL;
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti:one-shot sulla Gajevy Week 2015

 
- Invece no. È troppo stupido per riuscire a dichiararsi così in fretta.
- Fidati. Si conoscono bene ormai, e lui è stupido, certo, ma si darà una mossa.
- Come fate a dirlo?
- È quasi San Valentino, prima di tutto. E poi...
- Non mi sembra un ragazzo romantico.
- No, ma sai bene che ci sono stati degli... sviluppi interessanti fra di loro.
La persona al suo fianco annuì con solennità. - Vedrai che questa missione li renderà una coppia ufficiale.
- Siete stupidi quanto lui. Quei due non saranno mai esplicitamente ufficiali come coppia! Saranno gelosi l’uno dell’altra e, chissà, probabilmente saranno amici di letto, si ameranno come si amano ora, ma lui non le farà mai una dichiarazione formale. Non ci sarà mai un 'io sono la tua ragazza e tu il mio ragazzo'.
- Per me sì. Scommettiamo? È troppo geloso per non rendere la cosa formalmente valida, quindi prima o poi glielo dirà. O lo farà lei. Nella prossima missione, comunque.
- D'accordo. Se ho vinco io e non diventano una coppia ufficiale dovrete comprare la miglior annata di vino che abbiamo alla gilda.
- Che cosa?! Ma costa cinquecento mila jewels!
- Paura di perdere?
- No! Ma se vinciamo noi ci pagherai le bevute di una settimana di qualsiasi cosa.
Una stretta di mano suggellò silenziosamente il patto di tre persone.
 
La missione era andata meglio del previsto. Il Team Shadow Gear allargato, comprensivo di Gajeel e Lily, era partito in missione quella mattina di buon’ora per recuperare un manufatto antico rubato da un nobile mediante l'impiego di scagnozzi di una gilda oscura. In meno di un giorno Fairy Tail aveva completato il lavoro in modo pulito ed efficace e aveva ritirato la ricompensa. Gajeel, Lily, Levy, Jet e Droy sarebbero anche potuti andare a casa, se non fosse stato tardo pomeriggio. E loro erano in mezzo al bosco. Ci avrebbero messo troppo tempo a raggiungere il treno per tornare a Magnolia. Inoltre, nella città in cui si trovavano la festa di San Valentino era molto sentita e, sì, quel giorno era proprio il quattordici febbraio. Per cui ci sarebbe stato troppo trambusto alla partenza.
Levy sospirò impercettibilmente pensando al fatto che la missione era stata proprio un bel modo per trascorrere la giornata degli innamorati con il ragazzo che segretamente amava. Molto romantico. Sì sì. Lui non ci aveva nemmeno fatto caso. Del resto, definire Gajeel una persona romantica era un ossimoro. Però poteva ancora giocarsi la carta del regalo...
Al tramonto decisero di bivaccare in una tranquilla radura di fianco alla foresta, circondata da palme che rendevano esotica l'atmosfera. Dopo aver montato le quattro tende ed essersi messi comodi, Gajeel e Levy erano andati ad imbastire un piccolo picnic da campeggio. Avevano acceso il fuoco grazie alla magia di lei e Gajeel aveva preparato la carne fresca per fare lo stufato, non prima di aver indossato il suo grembiule con il triangolo del pericolo e la scritta "Roba bollente in arrivo" sopra alla canottiera mimetica e ai pantaloni grigi della tuta. Levy sapeva che il ragazzo era molto meglio di lei in cucina. Aveva già avuto un assaggio della sua bravura nell'arte culinaria, e ne era rimasta estasiata. Si era resa utile preparando le ciotole e i cucchiai per mangiare, sorridendo nell'udire Gajeel fischiettare spensierato. Era così sereno e rilassato mentre cucinava, a suo agio.
- Che c'è Gamberetto? – chiese lui ad un certo punto.
Levy aveva finito di preparare le vettovaglie e non si era resa conto di essere rimasta immobile a fissarlo, imbambolata.
- Ah… io… niente. Sei diverso quando cucini.
Il ragazzo le lanciò una lunga occhiata penetrante e tornò a fischiettare con un mezzo ghigno stampato in volto, osservando di sottecchi Levy di tanto in tanto.
- È pronto?
- Due minuti - rispose, asciutto.
Due minuti precisi dopo, Gajeel tolse il pentolone dal fuoco e lo adagiò sul tronco di un albero segato, facendone una base d'appoggio. Salò un altro po', assaggiò, aggiunse quello che probabilmente era pepe, e allungò una mano. Levy gli passò prontamente le ciotole e Gajeel le riempì fino all'orlo, prima di ritornarle ad una sorridente Levy. Quando avevano allestito il campo si era messa una maglia a maniche lunghe verde e bianca con dei comodi pantaloncini grigi abbinati. Gajeel aveva silenziosamente approvato, ma riteneva che i toni caldi del rosso e dell’arancione, e anche del giallo, le donassero di più.
Non disponibile- Tutti quanti, il cibo è pronto! Spero che vi piaccia! – esclamò lei sorridendo e porgendo le scodelle.
Non fece in tempo ad avvicinarsi al campo che già Jet e Droy stavano tessendo le sue lodi. Mancavano giusto i petali di fiore.
- Sei così tenera oggi!! - disse Jet, le gote rosse e tanti cuoricini sprigionati dal suo animo Levy-dipendente.
- La cucina fatta in casa di Levy-chan! - canticchiò Droy, indeciso se adorare di più il pasto che stava servendo o la ragazza stessa.
Levy diede loro lo stufato senza smettere di sorridere, abituata ai loro complimenti esagerati tanto da non farci nemmeno più caso. Veloce com'era arrivata, andò a prendere altre due ciotoline per lei e Lily.
- Questa è per te Lily! - disse al suo ritorno, accomodandosi sulla panca improvvisata di fianco all'exceed.
- Oh. Grazie.
Levy mescolò il po' il liquido ambrato nel quale galleggiavano pezzetti di carne e carote prima di prenderne una cucchiaiata. Stava per metterlo in bocca e assaggiare quella meraviglia profumata quando Jet e Droy attirarono la sua attenzione. Di nuovo.
- Wow!! - esclamò il secondo con voce stridula e tanto di bava alla bocca, gli occhi chiusi per assaporare meglio la cena. - Questo è assolutamente delizioso! Come un pezzo di cielo che si scioglie nella mia bocca!
- Mmmm! - mormorò Jet, apprezzando lo stufato con il cucchiaio ancora fra le labbra. - Levy-chan hai un dono per la cucina! Non posso averne abbastanza di questo!
Levy assunse un'espressione confusa. Avevano frainteso tutto!
Con aria imbarazzata, a disagio per essersi presa dei complimenti che non le appartenevano, si affrettò a chiarire: - Ah no, avete sbagliato. Ho solo aiutato con il fuoco oggi... E con il pulire alcune pentole. È stato Gajeel a cucinare tutto.
Lily, divertito dalla situazione, deglutì il boccone e rivelò: - È qualcosa di incredibile, vero? Gajeel è un genio in cucina!
Non disponibileLui stesso era rimasto sorpreso dalle sue doti culinarie. Insomma, Gajeel che cucina? Come uno chef pentastellato, per di più? Da uno come lui ci si aspettava un panino con il salume di turno, non uno stufato di carne e verdure preparato al momento! Era un dono nascosto che spiazzava tutti a primo impatto. Anche Jet e Droy, a giudicare dalle loro reazioni: facce pietrificate, sguardo perso, cucchiaio bloccato a mezz'aria, uno strano "crack" udibile all'interno del loro corpo, come una crepa nella loro dignità, che si stava lentamente frantumando. O nella loro concezione ideale di una Levy portentosa in cucina, al contrario di un Gajeel incapace. Droy addirittura iniziò a tremare.
Ma l'immobilità data dallo stupore durò ben poco. Entrambi i ragazzi si guardarono sconvolti e si misero una mano di fianco alla bocca (perché l'altra reggeva saldamente la scodella contenente quel paradisiaco pasto, non importava chi lo avesse cucinato) per bisbigliarsi, a voce fin troppo alta a dire il vero, quanto erano stupiti.
Non disponibile- J-Jet!! - chiamò Droy, sebbene l'amico gli fosse appiccicato. - Co-Come può una persona così orribile essere capace di cucinare qualcosa di così delizioso?! È impossibile!!
- Non lo so, Droy! Ma è vero! Nemmeno io posso crederci!!
- Ha sedotto Levy-chan con la sua cucina?! - esclamò Droy, scioccato.
- Oddio! Può essere! Non mi sorprende che lei sia così presa da lui!
I due ragazzi, credendo di bisbigliare, stavano urlando, ignari del fatto che l'oggetto della loro discussione si era silenziosamente avvicinato a loro.
Segretamente felice per i complimenti, Gajeel, grembiule rosso ancora addosso e mestolo appoggiato ad una spalla, borbottò: - Di che diavolo state parlando?
I due colti in flagrante, sobbalzarono.
- Whoa!! Gajeel, non spaventarci così!!
- Non puoi incolparci per essere così increduli!
- Allora suppongo che voi amerete saltare la cena e morire di fame, questa notte.
- Eeek! Ti sbagli, noi amiamo il tuo cibo!! - frignarono entrambi, terrorizzati all'idea di non poter fare il bis.
Gajeel ridacchiò con aria furba. - Dannatamente giusto.

Dopo il lauto pasto il sole era calato velocemente e l'oscurità iniziava ad allungare i suoi tentacoli nella natura.
- Mi chiedo cosa potremmo chiedere a Gajeel di cucinare domani... - mormorò Droy dirigendosi al fiume con Jet per lavare scodelle e stoviglie.
- Oh, che ne dici di pesce? È da tanto che non lo mangiamo!
Mentre la lontananza portava via le loro chiacchiere riguardo a cibo e delizie preparate da un cuoco insospettabilmente dotato, Levy si guardò attorno con aria basita. Gajeel, di fianco a lei, le dava le spalle mentre ripiegava il grembiule con cura quasi maniacale.
Era stato così carino a cucinare... Senza pensarci due volte, la ragazza gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, incrociando le mani sul suo addome.
Appoggiando il viso alla sua schiena, disse: - Grazie per aver cucinato oggi, Gajeel. È stato gentile da parte tua.
Colto alla sprovvista, lui rispose: - U-uh, sì. Quando vuoi.
Gajeel si aspettava di sentire le braccia esili della compagna allentare la stretta, ma le sue mani, al contrario, si aggrapparono alla sua canottiera.
Non disponibile- Dopo che Jet e Droy si sono addormentati, incontriamoci fuori dalla tua tenda. Ho qualcosa per te.
Paralizzato, balbettando mentalmente il suo nome, Gajeel non poté vedere il sorriso tenero che gli stava nascondendo dietro la sua schiena.
- Bene allora, ci vediamo più tardi questa notte! – esclamò lei allontanandosi e salutandolo con la mano.
Probabilmente lo aveva abbracciato troppo...       
È così felice..., pensò Gajeel.
Leggermente confuso, rispose: - Um, certo.
Dopo averla osservata allontanarsi, scosse la testa. Chissà cosa voleva...
 
Troppe ore dopo, quando le stelle brillavano nel cielo e diffondevano una luminosità soffusa come quella di una piccola luce notturna per i bambini, i due membri maschi del team Shadow Gear stavano beatamente russando. O meglio, Droy russava con tanto di bolla al naso, mentre Jet cercava di dormire in mezzo a quel frastuono assordante. Con le lacrime agli occhi aveva abbracciato il cuscino, sperando in un po' di conforto.
Levy e Gajeel si trovarono davanti alla tenda di lui, come avevano pattuito, mentre Lily sonnecchiava al calduccio.
- Ahh! - esclamò in un sussurro Levy. - Mi dispiace tanto! Non credevo che sarebbero andati a letto così tardi! Devi essere molto stanco!
- Nah - mugugnò Gajeel, più sveglio che mai. - Non giurarci. Non sono nemmeno assonnato. Siediti e basta.
Non disponibileUbbidendo, Levy prese posto sulla panchina che si trovava in mezzo al campo. Si erano cambiati entrambi indossando quelli che avrebbero dovuto essere dei pigiami. Lei aveva una canottiera rossa con degli shorts chiari, fra i capelli una fascetta blu, mentre Gajeel aveva una canottiera verde con dei pantaloni scuri.
Il silenzio che era calato fra di loro nel momento in cui si erano seduti li avvolse come un sudario, rendendo pesante il buio notturno che incombeva su di loro.
Perché. Perché non sta dicendo niente?!, si rose Gajeel.
Avrebbe potuto parlare, ma per dire cosa? Non era stato lui a chiamarla fuori nel cuore della notte!
I nostri silenzi non sono mai così impacciati?! E perché diavolo sono così nervoso?!, si domandò, sudando letteralmente a causa dell'ansia. Doveva frenare certi pensieri un po' troppo romantici.
Nulla accadrà questa notte! Nul...
- Um, s-sai, io... - mormorò Levy, sovrappensiero, placando la tempesta nella mente del ragazzo.
Solo per scatenare una grandinata subito dopo.
Gah! Dillo e basta!, sbraitò lui mentalmente, tanto teso da tremare.
Senza preavviso, un'immagine di Juvia fresca di pochi giorni gli apparve, dicendogli proprio quello che gli aveva augurato con aria melensa da donna innamorata e sdolcinata: - Levy-san sicuramente ti confesserà presto il suo amore, Gajeel-kun! E poi voi sarete felici come Juvia e Gray-sama!
Come se questo potesse accadere, mostro d'amore!, inveì contro il suo cervello e contro Juvia stessa, che piantava dei dolorosi semi di speranza nel suo cuore.
- Hey, Gajeel - lo chiamò finalmente Levy, distogliendolo dai suoi litigi interiori.
- Huh? - mugugnò lui, incuriosito.
- Questo è per te – annunciò, porgendogli con un sorriso imbarazzato un sacchettino rosa chiuso con un laccio dorato. – Spero che ti piacciano. Hanno un po’ di ferro all’interno, una ricetta speciale.
Non disponibileLa tensione sparì dal viso di Gajeel velocemente quanto una tempesta estiva. Arrossendo leggermente, l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu: Per me? Il tutto contornato da tante nuvolette soffici e rosa perché Levy aveva un effetto assai romantico su di lui. In silenzio, Gajeel afferrò il pacchetto che la ragazza gli porgeva e lo aprì con aria incuriosita mentre lei colmava il silenzio che lui non contribuiva a scacciare.
- Mezzanotte è già passata quindi non è più San Valentino, ma io volevo veramente darti questo. Ho dovuto aspettare finché Jet e Droy si sono addormentati, o sarebbero diventati gelosi, li conosci… Ho preso loro qualcos’altro.
Sempre gentile. Altruista e generosa. Pensava a tutti. Ma questo non rendeva i suoi gesti meno speciali. Al contrario, faceva assumere loro un significato molto importante. E il fatto che a lui avesse voluto dare il regalo di nascosto voleva dire molto. Con Jet e Droy non aveva fatto così. Era così deliziosamente… premurosa. Gli aveva fatto un regalo a mano. A lui.
Non c’era bisogno che lei mi desse qualcosa, pensò mentre tirava il nastro oro del sacchettino. C’era addirittura la targhetta che lo indicava come il ricevente del regalo. Sembra che ci abbia messo molto tempo per farlo. Perché si è data così tanto disturbo?
- Grazie – riuscì a mormorare flebilmente. Ringraziare è una cosa normale, ma per lui era davvero inusuale.
Levy ne era consapevole. – Hmm, prego! – rispose sorridendo con soddisfazione. Quel grazie bisbigliato valeva tutta la fatica che aveva fatto per realizzare il regalo. Però, poco dopo, vide che le sue mani si erano fermate. Non stava aprendo il sacchetto. Confusa, domandò: - Non hai intenzione di aprire il tuo regalo?
Colto alla sprovvista, Gajeel la fissò. Sperava di non averla offesa: si era lasciato trasportare dai pensieri e non si era conto di essersi fermato. Era basito lui stesso, dato che aveva sentito un bel profumino fuoriuscire dalla stoffa. – Ahh, sì! – rispose.
Non disponibileNel silenzio carico di attesa di Levy, Gajeel osservò il contenuto del sacchettino e ne estrasse un biscotto a forma di… elefante? Era un elefante? Una giraffa cicciona? Arta estratta? Un errore genetico? Gli sembrava un po’ maleducato chiedere cosa fosse quella roba, ma se tirava ad indovinare rischiava solo di peggiorare la situazione. Si schiarì la voce e Levy lo guardò con curiosità. - … Che cosa si suppone che sia questo? So che è un biscotto, ma cosa?
Il visino dolce di Levy si contrasse di stizza. Si era offesa lo stesso, ovviamente. – C-che maleducato, è un drago!! Non riuscivo a trovare uno stampo con quella forma.
Quindi aveva addirittura fatto a mano tutte le formine. Gajeel guardò dubbioso il dolcetto che teneva in mano, sperando che il gusto fosse migliore dell’aspetto. Comunque, lo proverò.
Tagliandolo a metà con i denti, lo masticò con attenzione e concentrazione.
- Mmm – mugugnò. – Sembrano delle cacchine ma sono veramente buoni. Il ferro è la parte migliore.
Oh sì, ora la rabbia di Levy era palpabile e fiutabile a metri di distanza. Una tale mancanza di tatto…!
- Avresti solo potuto dire che hanno un buon gusto, sai? – borbottò mentre una vena le pulsava in fronte.
Gajeel ghignò masticando. Le piaceva stuzzicarla e torturarla, specialmente perché gli riusciva davvero bene. Più di tutto, però, le piaceva farla ridere. E aveva anche capito come fare, da un po’ di tempo a quella parte.
- Heh, male, io sono un uomo onesto, Levy.
Come aveva sperato, la battutina sortì l’effetto desiderato e Levy si aprì in una risatina soffocata, gli occhi chiusi. Ben presto divenne una risata vera e propria, una di quelle belle e fragorose che ti fanno muovere il petto come se ti mancasse l’ossigeno, e a lungo andare ti fanno venire male allo stomaco. – Sei impossibile! – riuscì a dire tra un respiro e l’altro.
È una bugia, pensò intanto Gajeel, osservando il modo in cui lui stesso era riuscito a farla ridere. Era orgoglioso di sé perché Levy rideva così di gusto solo quando era in sua compagnia.
Io non posso essere completamente onesto quando tu sei al mio fianco. È una cosa strana.
Non disponibileMi fai sentire come se fossi sempre stato un uomo buono. Come se non avessi mai fatto nulla di sbagliato… ma questa è una cavolata, vero?
È strano come i nostri pensieri, quelli generati dal nostro cervello, spesso sfuggano al nostro stesso controllo. A volte un pensiero generato dal nulla va a finire in argomenti totalmente differenti a quelli di partenza, inducendoti a chiederti come hai fatto ad arrivare a quel punto. Gajeel se lo stava inconsciamente chiedendo mentre passava in rassegna il suo rapporto con Levy, perché se la immaginò nel suo vestito da sposa mentre gli tendeva la mano affinché lui la afferrasse. Era così bella, così vivida quell’immagine! Lo faceva davvero sentire una persona migliore.
E io voglio tenerti vicina… per sentirmi così ogni giorno della mia vita.
Levy si riscosse e smise di ridere, girandosi verso di lui per renderlo partecipe di una cosa importante. Iniziò a gesticolare con fervore, come faceva ogni volta che parlava di qualcosa che le premeva particolarmente. Ma non la stava ascoltando, non quella volta. La sua attenzione non era rivolta a ciò che gli stava dicendo. Mangiava quei biscotti deliziosi (stranamente) in maniera quasi meccanica.
Ma io non ho il diritto di farlo, di starle accanto tutta la vita, di godere delle sue parole e dei suoi sorrisi, così starò solo al tuo fianco finché non ti stancherai di me.
Levy si interruppe a metà discorso per indicargli qualcosa nel cielo. Una stella cadente forse, o una costellazione, quelle cose in cui lei era tanto brava. Si avvicinò a lui ancora di più per spiegargli meglio qualsiasi cosa stesse dicendo. Gajeel fissava il cielo, ma si sentiva distante da quel luogo tanto quanto le stelle che li osservavano da lontano.
Non c’è bisogno di rendere le cose più difficili di quello che sono, giusto?, si chiese Gajeel, cercando di dare un senso ai sensi di colpa che lo divoravano come dei tarli.
Voglio solo proteggere il tuo sorriso finché me lo permetterai, pensò proprio quando Levy si girò per sorridergli in quel modo paffuto, tutto guance, che solo lei poteva rendere adorabile. Doveva starle lontano, per il suo bene. Doveva starle…
Sfortunatamente, non sono un vero bravo ragazzo. Sono una cattiva, cattiva persona. E sono solo…
Le prese il mento tra le dita, quelle dita che mai erano state così delicate, così accurate e attente. E prima che lei realizzasse cosa stava succedendo, Gajeel si chinò per baciarla, gli occhi chiusi per non dover vedere la sua eventuale espressione contrariata e disgustata.
...un bastardo egoista.
Il baciò fini velocemente com’era iniziato, prima ancora che Levy potesse rispondere ad esso.
Non disponibile- EHHH?!! – esclamò appena la sua bocca fu libera. – Che cos’era quello?!
- Un bacio – rispose lui con aria furba, come se fosse la cosa più naturale del mondo baciare qualcuno nel bel mezzo di una conversazione.
- N-non fare il finto tonto con me, smettila di irritarmi! – borbottò, troppo basita per essere arrabbiata.
- Tch, okay – borbottò Gajeel. – Era un bacio di ringraziamento. Un grazie-bacio.
- Gajeel!!!
Proprio non riusciva a capire perché fosse così infervorata. Le guancette rosse e l’imbarazzo che la faceva balbettare erano troppo invitanti per lui. Non stuzzicarla era un’impresa impossibile. – Hey, non è come se tu non mi avessi mai rubato bacio prima!
- Ugh – gemette lei. – Non smetterai mai di dirlo, vero?
- Gihihi – ridacchiò lui.
Veloce come il loro scambio di battute, il giorno prese il sopravvento sulla notte, e i due giovani continuarono a parlare fino alle prime luci dell’alba, che guardarono insieme prima di assopirsi, scaldati l’uno dal calore dell’altra.
 
Era ormai mattina inoltrata quando, facendosi largo tra i cinguettii allegri degli uccelli selvatici, Jet e Droy andarono a svegliare Gajeel per una colazione con i controfiocchi. Peccato che il ragazzo non fosse dove loro si erano aspettati di trovarlo.
- Jet, hanno trascorso l’intera notte fuori? È un posto tiepido, comunque…
- Avrebbero solo potuto chiederci di lasciarli soli – rispose Jet, un po’ scioccato dall’immagine che si apriva di fronte ai loro occhi riposati.
Gajeel aveva la guancia posata sulla testa di Levy, a sua volta posata sulla spalla del ragazzo. Erano entrambi spettinati.
- Cosa facciamo ora? Dovremmo svegliarli?
- No, lasciamoli qui oggi. Possono raggiungerci dopo. Vado a dirlo anche a Lily.
- Sicuro? Levy si arrabbierà quando si alzerà.
- Nah. Sarà solo felice di essere da sola con Gajeel ancora un po’. Andiamo.
- Se lo dici tu.

Non disponibile
I due si allontanarono, lasciando Levy e Gajeel sotto la coperta che avevano usato per coprirsi quella notte. Ad osservarli, si sarebbe detta scomoda anche la posizione in cui erano: seduti per terra, l’uno addosso all’altra, con la schiena posata contro la dura panchina di legno. Non esattamente un letto di petali di rose. Il sacchettino dei biscotti, ormai finiti, era abbandonato vicino a Levy.
In lontananza si udivano ancora Jet e Droy parlare.
- Non abbiamo scommesso con Mira che la missione di oggi li avrebbe resi una coppia ufficiale?
- Oh… ora che lo menzioni, dovremmo prendere una foto come evidenza e riscuotere i nostri soldi.
- Abbiamo circa due ore prima che Gajeel lo scopra, p-possiamo farcela?
- Guh. Be’, ne vale la pena, andiamo!
 

The End.
 
 
MaxBarbie’s
Io so che avevo promesso di essere regolare. Cioè… non sono perdonabile *piangiucchia un pochino (in modo figurato)*
Non ho granché da dire. Spero che ci siano meno errori di battitura rispetto al solito, visto che ho ricominciato a lavorare al PC (che ora è mio personale *-*) e che vi piaccia. Essendo una specie di mini-long di immagini non ho avuto molto spazio per personalizzare, ma Rboz è geniale e non ce n’è mai bisogno. Rischierei solo di rovinare tutto.
Sia domani che dopodomani sono via per cui non so quando aggiornerò LNVI. In compenso sto andando avanti a scrivere^^
A presto e grazie a tutti per il sostegno che mi date anche solo leggendo :3
MaxBarbie


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Capitolo 18
*** Magnolia Publishing ***


Magnolia Publishing

Disegnatrice: sconosciuta
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Natsu Dragneel; altri
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: -
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 

 
L'ennesima cuscinata.
- Testa di ferro, alzati! Arriverai in ritardo il primo giorno di lavoro!
Un'altra botta di piume. Uno sbuffo.
- Ora ti faccio vedere io - mormorò rimboccandosi le maniche della maglia.
Correndo verso il povero addormentato con la palese intenzione di dargli un pugno, il ragazzo si trovò con la faccia a terra per colpa di uno sgambetto.
- Ma sei scemo?! Ora ti faccio vedere io! Sono tutto un fuoco! - gridò alzandosi in piedi.
- Idiota con il cervello bruciato, sono le sette di mattina, sveglierai tutti! Sai che ho bisogno di un risveglio tranquillo. Ora sarò di umore nero tutto il giorno!
Da sotto le coperte, che vennero malamente calciate via, fece capolino un giovane dai lunghi e selvaggi capelli neri che, sbuffando e imprecando, si avvicinò con aria poco pacifica al disturbatore. - Io non posso sopportare di vederti sia a casa che al lavoro, quindi stammi alla larga testa rosa!
- È questo il ringraziamento per un amico che ti ha trovato il lavoro, Gajeel? Sento già di rimpiangerlo.
- Tsk.
Gajeel si diresse in cucina con solo i boxer addosso. Natsu lo aveva aspettato per fare colazione. Sotto sotto si volevano bene, anche se erano diventati amici a fatica dopo essere stati per anni in due scuole rivali. Si erano picchiati e poi avevano legato. Del resto, Gajeel aveva cambiato scuola andando in quella di Natsu, e alla Fairy Tail non accettavano screzi fra alunni. Alla fine del loro percorso di studi avevano deciso di andare a vivere insieme, se non altro per aiutarsi con l'affitto, sperando di stare a contatto il meno possibile. E invece erano sempre insieme, e da quel momento lo sarebbero stati ancora di più: Gajeel era stato assunto alla Magnolia Publishing, la libreria-editoria della città dove lavorava anche Natsu. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di lavoro.
- Gray dov'è?
- A letto - rispose Natsu sedendosi. - Sai che la gelateria chiude sempre tardi la sera. Inoltre lui è tornato a casa con Juvia ieri sera...
- Ancora? Spero che abbia intenzioni serie altrimenti gli spacco il muso.
- Penso di sì. Ricordati che lo credevano tutti gay perché non stava mai dietro alle ragazze.
- Se è per questo, capelli rosa, se non andassi a casa con la Bunny Girl quasi ogni sera io sarei il primo a pensare che tu sei gay.
Natsu aggrottò le sopracciglia, confuso. - Guarda che il suo letto è comodo.
- Uh-uh - bofonchiò Gajeel, ridendo dentro di sé.
- Happy e Lily? - chiese Natsu sputando biscotti in faccio al coinquilino.
Con una smorfia, Gajeel si pulì e indicò la sua camera da letto. - Lily è da me, Happy… boh.
- Me lo sono dimenticato a casa di Lucy! - gridò il ragazzo con disperazione.
- Allora vedi che hai dormito da lei!
- Non importa, Happy è lì. Lucy mi ucciderà.
- Sì, ti metterà le manette e ti imbavaglierà. Anzi, ti benderà solo gli occhi - disse Gajeel con sguardo malizioso.
- Ma no! - rispose Natsu senza capire cosa intendeva il compagno. - Lucy tira calci e pugni direttamente. Vado da lei, ci troviamo al lavoro -  concluse correndo in camera.
Cinque minuti dopo era vestito e lavato, con tanto di sciarpa bianca al collo. Un regalo del padre a cui era molto affezionato.
- Ciao - disse uscendo.
 Gajeel borbottò una risposta mentre Lily, svegliato dal trambusto, usciva dalla camera per farsi coccolare.
- Io non ti dimentico da nessuna parte, gatto.
Il micio con il pelo scuro inclinò il musetto, fissando il padrone con occhi intelligenti. Poi gli si arrampicò in grembo con straordinaria agilità, facendosi grattare le orecchie. Non era un gran coccolone, ma gli piaceva dormire con lui e farsi accarezzare ogni tanto.
- Mi sa che devo andare. Vieni.
Nel sentire l'ultima e ben conosciuta parola, Lily balzò giù dal ragazzo e si posizionò di fronte alla ciotola nella quale Gajeel mise il suo pasto. Leccandosi i baffi, il gatto iniziò subito a divorarle: croccantelle al kiwi.
Dopo essersi cambiato, rasato, lavato e pettinato, Gajeel scrisse un biglietto a Gray e afferrò le chiavi di casa e della moto.
Io e Natsu siamo a lavorare. Torniamo alle 18. Occhio a Juvia o ti distruggo.
G.

 
Alle otto precise Gajeel era davanti all'entrata della libreria. Una donna anziana dai capelli rosa di una tonalità più chiara rispetto a quella di Natsu aprì la porta ancora chiusa del negozio e lo fissò con ostilità. Aveva nella capigliatura due bacchette incrociate che reggevano uno chignon un po' sgangherato.
- Non siamo ancora aperti, passa dopo se hai tanta voglia di leggere.
- Mi ha assunto sabato - fu la risposta piccata del ragazzo.
- Ah sì. Purtroppo è vero. Già ti detesto.
Confuso e sorpreso, Gajeel entrò nel negozio e seguì la donna nello studio dietro la cassa.
- Io voglio andare in pensione, non sopporto più gli umani e per vendere libri serve qualcuno a cui piaccia farlo. A me non piace. Tu e l'altro tizio che vedo da ormai due anni vi occuperete di ricevere gli ordini e sistemare i libri, io non farò altro che controllare il catalogo e comprare le nuove uscite. Se ti serve aiuto arrangiati, parlami il meno possibile. Sono già stanca di te, ciao.
Gajeel rimase fermo ad osservare la donna che se ne andava fuori dalla porta d'entrata, abbandonandolo nel negozio. Da solo. Il nuovo dipendente. Aveva un grande fiducia in lui, insomma. Sbuffando, si sedette su una delle sedie dello studio e fissò un foglio di cartone intitolato L'ordine del giorno.
  • Prendi l'ordine di libri dal corriere personale
  • Testa di rapa non fare casini con il fornetto, la carta si incendia in fretta
  • Testa di rapa aiuta l'altra testa di rapa a capire cosa deve fare
  • Attirate clienti e vendete libri, teste di rape
  • Fate lo scontrino o quella guardia di finanza di nome Mest viene a farmi il mazzo
Molto utile davvero come lista. Gajeel sbuffò e si diresse verso uno scatolone ancora sigillato. Su di esso era attaccato un post-it con scritto "da catalogare e ordinare". Alzando lo sguardo si rese conto con orrore del fatto che di quegli scatoloni ce n'erano una decina. Ma la vecchia e Natsu lavoravano, o si divertivano a comprare libri online e basta?
Un bussare insistente all'entrata lo riscosse. Con la sua solita aria impassibile e quasi annoiata si diresse alla porta per vedere chi era: ormai era ora di aprire. Gajeel girò il cartellino da “chiuso” ad "aperto" e uscì sul marciapiede.
- Sono il corriere, ho i nuovi ordini - disse un ragazzo biondo.
- Ah sì. Devo anche pagarti?
- Gajeel! - urlò Natsu dall'altro lato del marciapiede.
- Natsu! - rispose il ragazzo. - Li do a lui i libri?
- Sì Sting. Ora mi occupo io del pagamento.
- Ma sei cretino, cretino? - sbraitò Gajeel dando un pugno in testa al compagno. - Mi lasci da solo a gestire il negozio il primo giorno di lavoro?
- Non sono cretino, cretino! - rispose Natsy restituendo il pugno. - Ho dovuto portare Happy a casa!
- Ah-ah, e quel graffio a forma di bacio che sembra tanto una macchia di rossetto, sul tuo collo, è sempre opera del gatto?
- Lucy è caduta - rispose sbrigativamente prima di entrare in negozio a prendere il denaro.
- E io che faccio? - domandò Gajeel al ragazzo che si chiamava Sting.
- Lavori qui, no?
Lui annuì seccamente.
- Allora aiutami a scaricare gli scatoloni con la scritta Magnolia Publishing.
- Aspetta, arrivo subito.
Mentre i primi clienti fedeli della libreria entravano, tra cui diversi giovani universitari, Gajeel andò nell'ufficio dietro la cassa. Natsu non era lì. Magari teneva il denaro da un'altra parte. Quando i suoi occhi individuarono ciò che cercava, ghignò. Afferrò una fascetta verde che penzolava da una sedia e se la legò in fronte per tenere i capelli lontani dal viso. Non si abbinavano ai jeans strappati e alla camicia bianca che doveva dare una parvenza di eleganza, ma a lui non importava. Si diresse all'esterno e notò che Sting aveva già impilato tre colonne di scatoloni. Era il primo giorno, o meglio, la prima ora di lavoro, e già non ne poteva più di libri.
- Eccomi Sting - esclamò Natsu sventolando un libretto degli assegni.
Mentre il suo compagno si occupava delle finanze, Gajeel afferrò tre scatoloni, uno aperto per un controllo e uno con la scritta Magnolia Publishing sul fianco, appoggiati sopra ad uno scatolone più grande. Sbuffando, rientrò nel negozio e buttò un occhio ai clienti per controllare che tutto fosse in ordine. E si bloccò.
Non disponibileDavanti ad uno scaffale c'era una ragazza intenta a sfogliare un libro nella sezione fantascientifica con aria assorta. Probabilmente si sarebbe accorta a mala pena di un terremoto, se si fosse verificato. Aveva degli scompigliati capelli azzurri tenuti lontani dal viso dolce con una fascetta gialla. Gli occhi color miele non abbandonavano la pagina e il fatto che fosse abbigliata con i colori tipici dell'università di Magnolia faceva presagire che dovesse recarvisi a breve. Sembrava un po' triste...
Non disponibileGajeel era rimasto imbambolato con gli scatoloni in mano e la bocca socchiusa, un leggerissimo rossore sulle gote. Era così... delicata, e bella, e tenera, e lui aveva solo voglia di abbracciarla. Con disgusto pensò alle cose sdolcinate che gli avevano attraversato il cervello, chiedendosi cosa gli stesse succedendo. Ma i suoi occhi erano calamitati da lei, non poteva distogliere lo sguardo. Non importava quanto pesassero i libri che portava o che si fosse fermato in mezzo all'atrio della libreria.
Assorbito dalla contemplazione, non si accorse che Natsu gli si era affiancato. L'amico seguì il suo sguardo e notò la ragazza che stava scegliendo quale libro prendere, qual era quello meno rovinato, a giudicare da come scrutava le copertine. Un classico topo di biblioteca. Riportando lo sguardo su Gajeel, constatò che ancora non si era ripreso. Ma respirava, almeno?
Non disponibileReggendo due scatoloni parecchio pesanti, fra cui uno contenente le enciclopedie di Zeref, Natsu disse con disappunto: - Sembri un pervertito con quegli occhi che stai facendo.
La sua voce così irritante alle orecchie di Gajeel e l'interruzione improvvisa della sua contemplazione fecero innervosire la vittima di Cupido. Storcendo la bocca e incattivendo lo sguardo, ringhiò: - Non voglio sentire dire questo da te!
Lui il pervertito? Non quello che aveva ancora lo stampo di rossetto sotto alla sciarpa?
- Muoviti che abbiamo ancora otto scatoloni da portare, testa di ferro.
Bollendo di rabbia, Gajeel si diresse nello studio. - Riesco a portarne quattro in una mano e quattro nell'altra!
- Ah sì? Vediamo.
Correndo verso l'entrata come se avessero il fuoco alle calcagna, i ragazzi presero quattro scatoloni a testa e si uccisero per passare contemporaneamente dalla porta. Natsu passò per primo.
- Imbroglione! - sbraitò Gajeel fermandosi nell'atrio. - Se non fossi una testa calda avrei preso gli otto scatoloni insieme e sarei anche arrivato prima! Sei solo un... ohi.
Le sue grida decisamente inopportune in una libreria furono interrotte da una leggera spinta: qualcuno lo aveva urtato.
- Oh, scusa. Che sbadata. Tutto bene?
Girandosi, Gajeel deglutì a vuoto, impegnandosi a fondo per mantenere la sua tipica espressione menefreghista e annoiata.
Era lei. La ragazza del libro di fantascienza. Lo aveva urtato di proposito. No, di proposito no.
- Ti sei perso per strada? Hai un fantastico senso dell'orientamento, cervello di chiodo! - urlò Natsu dall'ufficio.
La ragazza ridacchiò. - Credo che il tuo amico ti stia chiamando.
- Credo che non gli darò retta - borbottò lui.
Un fulgido sorriso. - Non so se è una buona idea. Natsu è davvero una testa calda.
- Lo so, è il mio coinquilino - disse Gajeel, caricando quelle poche parole di un dolore smisurato. Poi si rese conto di ciò che gli aveva detto. - Aspetta, lo conosci?
- Mm-mm - annuì lei. - Io e la mia amica Lucy siamo clienti abituali della libreria e Natsu è un compagno di scuola di vecchia data. Nonché il probabile fidanzato segreto di Lucy - aggiunse con aria cospiratrice, lanciandogli un'occhiata di intesa.
- Capisco. È venuto in negozio questa mattina con il suo rossetto sul collo dicendo che era stato il gatto.
La ragazza rise e Gajeel cercò di non badare a quel suono così melodico e sublime.
- Sì, be', non sono mai stati bravi a fingere.
- Già - mugugnò lui, poco propenso a parlare. Poi notò che la sua interlocutrice aveva ben due libri in mano. - Devi pagare?
- Sì, stavo andando in cassa.
- Poso gli scatoloni e arrivo.
- Ma non potevi portarne otto contemporaneamente? Non dirmi che solo quattro ti creano problemi!
Gajeel ghignò. - So che vuoi continuare a vedere i miei muscoli tesi, ma è scomodo occuparsi di qualsiasi cosa con degli ammassi di libri in mano.
Lei arrossì e si diresse alla cassa sorridendo leggermente.
- Quanto ci hai messo! Pensavo che il peso di tutti questi libri di piombo di avesse sommerso - lo derise Natsu quando entrò nello studio.
- Vado in cassa - brontolò Gajeel, ignorandolo.
- A fare che?
- C'è gente che vuole comprare, magari? Ti sei bruciato il tuo ultimo neurone.
Gajeel chiuse la porta dello studio per evitare di sentire le risposte insolenti di Natsu.
- Tutto a posto? - chiese la ragazza, notando il fumo che gli usciva dalle orecchie.
- Gente incompetente al lavoro! Non hai idea di cosa sia dirigere questo posto quando hai un piromane parente di un cammello per aiutante.
- Ti ho sentito, pezzo di ferro! Dopo vedi cosa ti faccio - gridò Natsu, la cui voce giunse ovattata dietro al muro della cassa.
La ragazza rise e porse a Gajeel due libri.
Lui li prese e… si bloccò. Come cavolo si faceva?
- Ehm... sì... - farfugliò grattandosi la nuca.
La ragazza tossicchiò. - Ce la fai?
- Sì... ora faccio... forse...
- Primo giorno?
Gajeel sospirò è annuì.
- Posso mostrarti come si fa?
- Uhm... certo.
Sorridendo, la ragazza lo raggiunse dietro il bancone e gli mostrò come fare, dal passaggio della carta fedeltà all'emissione dello scontrino. Poi tornò nel posto riservato ai clienti e osservò il lavoro di Gajeel.
- No! - lo interruppe. - Prima quello, poi inserisci il valore.
- Giusto... Ecco a te; ehm... - disse porgendole il sacchettino, rendendosi conto di non conoscere il suo nome.
- Levy.
- Levy... - mugugnò lui.
- Grazie a te. Buona fortuna con Natsu.
- Non mi spaventa quel piromane.
Altre urla ovattate alle spalle di Gajeel.
Levy rise. - Tu sei…?
- Gajeel.
- Allora grazie e alla prossima, Gajeel - disse avviandosi con un dolce sorriso alla porta d'entrata.
- Tornerai? - le domandò implorante. Ma cosa gli era saltato in testa?
- Sì, è la mia libreria di fiducia...
Si maledisse mentalmente. - Certo, certo, è quello che intendevo - borbottò.
- Allora ciao, Gajeel.
Il ragazzo le fece un cenno di saluto con la testa, osservando l'entrata anche quando lei ormai si era allontanata.
- Non hai speranze - disse Natsu, di fianco a lui. Non aveva nemmeno notato la sua presenza.
- Che ne sai? Se Lucy è cotta di uno come te, Miss Mondo potrebbe benissimo farsela con me.
- Ma tu sei stupido, e Levy è la prima dell'università.
- Ma pure tu sei stupido e Lucy, bè, è una scrittrice promettente.
- Sai cosa significa questo, chiodo arrugginito?
- Che vinceranno sempre loro.
I ragazzi sospirarono con aria afflitta. - Ora che sai come gestire la cassa, occupatene tu. Io riordino i libri.
Gajeel acconsentì con un grugnito.
- Ah, a proposito. Levy viene qui in media tre volte alla settimana. Vedi di non farti licenziare.
Il ragazzo ghignò e si diresse dal cliente in coda alla cassa.
 
 
MaxBarbie’s
È come tornare ai vecchi tempi! Ho postato ieri e posto oggi. Che poi, vecchi tempi… meno di tre mesi fa. No forse di più. Va be’ è tutto relativo.
Lo scorso capitolo è stato un po’ un fiasco. Cioè, ho avuto il boom di visualizzazioni in due giorni, ma pochissime recensioni. O non è piaciuto (e spero che non sia così) oppure è piaciuto, ma siccome non era nulla di speciale i commenti erano superflui. Io amo le immagini di Rboz comunque ahahah.
Spero di recuperare un po’ con questo, magari è più decente^^ L’ho scritto sotto esame, non avevo più voglia di studiare e leggere per cui in due ore è uscita questa robetta ahahah. Immaginarmi Natsu, Gray e Gajeel come coinquilini mi fa sempre morire.
Bè, spero vi sia piaciuto, spero che lasciate una recensione e vi auguro buone vacanze. Io vado in montagna e non so se avrò campo, quindi ci vedremo fra due settimane. Che poi, vedere…
Va be’, keep calm and ship Gajevy :3
MaxBarbie


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Capitolo 19
*** Werewolf AU ***


Non disponibile
Werewolf AU

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; un po' tutti.
Coppie: GxL; NxL
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: vedi le note a fine pagina
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno



 
Un altro giorno di lavoro uguale agli altri. Un altro risveglio uguale agli altri. Levy McGarden, impiegata in un ufficio editoriale, facente parte del team di traduzione, si alzò dal letto sospinta all’inerzia. Il suo lavoro le piaceva, i suoi colleghi anche, ma alla sua vita mancava qualcosa. Quella perpetua routine fatta di caffè, letture e rapporti di lavoro impeccabili stava iniziando a pesarle come mai aveva creduto possibile. Come capita a tutti almeno una volta nella vita, Levy si stava svegliando dal torpore di un’esistenza sempre uguale, vissuta in maniera programmata. Ogni tanto si sentiva un robot, e lentamente stava prendendo coscienza di ciò. Le sue giornate erano identiche l’una all’altra, senza un brivido di emozione o un cambiamento. Un vecchio dottore giapponese aveva detto che un cervello viene stimolato positivamente se si è flessibili e pronti a fare nuove esperienze. Ma Levy, di esperienze nuove, aveva solo quelle che leggeva dentro ai suoi romanzi d’avventura, amici inseparabili e fedeli che davano alla sua vita quel poco di brio di cui aveva bisogno. Ma, un bel giorno, la ragazza si rese conto che, per quanto fossero emozionanti le storie che adorava, la sua vita non cambiava. Erano avventure passive, erano letture effettuate con gli occhi sognanti di chi vorrebbe essere al posto della protagonista e cambiare il mondo, quando in realtà non riesce a cambiare nemmeno il proprio piccolo spazio vitale.
Finché improvvisamente, senza che ce ne rendiamo conto, le nostre vite cambiano.
Come successe a Levy.
Era una giornata qualsiasi quando l’incontrò. Incontrò l’avventura della sua vita. Tutti sogniamo e sentiamo, nelle più remote e oscure aree del nostro cuore egoista, di essere speciali, destinati ad imprese eccezionali e uniche che verranno ricordate per secoli, o di essere custodi di qualcosa di altamente segreto che cambia la nostra vita mentre gli altri vivono tranquillamente come se nulla fosse successo. Levy, al contrario di tutti, sognava queste cose, ma non ci credeva. Si illudeva un pochino grazie alle fantasie che lasciava scorrere libere nei momenti in cui non aveva nulla da fare, come nel tragitto da casa al lavoro o prima di addormentarsi, ma alla fine tornava razionalmente alla sua realtà, ridendo un po’ di sé stessa, soffocando i suoi desideri affinché non la facessero soffrire.
Quante volte sentiamo dire che le cose capitano quando meno ce lo aspettiamo? Solitamente ce lo dice gente che spera solo di zittirci tirando fuori una frase da biscotto della fortuna, e noi crediamo a quelle parole, perché non abbiamo nient’altro a cui affidarci. Ci credeva anche Levy, che viveva alla giornata e si accontentava di ciò che aveva senza desiderava nulla in più.
E inaspettatamente, la sua vita cambiò…
 
La sveglia trillò allegramente segnalando l’inizio di un nuovo giorno, che Levy accolse con un grugnito e un borbottio. Rendendosi conto di aver fatto la bava, la ragazza si riscosse e, dopo aver spento la sveglia, si diresse in bagno per darsi una sciacquata. Guardandosi allo specchio notò la massa di scarmigliati capelli azzurri che le incorniciava il volto assonnato: quel giorno ci avrebbe sicuramente messo più tempo del solito a sistemarli, anche se in cuor suo sapeva che alla fine avrebbe messo una fascetta per tenerli lontani dal viso e basta. Chi aveva voglia di pettinarsi di prima mattina?
Levy si trascinò in cucina dove consumò una silenziosa colazione in compagnia di un libro che le fece perdere quattro preziosi minuti. Tanto peggio, la proposta di acconciarsi i capelli in maniera decente era totalmente accantonata. Dopo aver velocemente pulito la cucina del monolocale in cui viveva da sola, che riusciva a pagarsi lavorando full-time per il giornale cittadino Fairy Tail, Levy andò in camera per vestirsi. Indossò una camicetta chiara a maniche lunghe che infilò dentro ad una gonna a tubino scura. Era autunno, ma il clima mite la indusse a risvoltare le maniche per stare più fresca, in modo che le braccia fossero coperte solo per tre quarti. Infilò delle parigine che terminavano a metà coscia con un pizzo chiaro, e le allacciò alla biancheria con delle sottili strisce di stoffa in modo che non le cadessero. Guardandosi allo specchio, abbottonò la camicia sino al collo, e poi decise di sbottonarla fino allo spacco del seno. Non che avesse granché da mostrare, a detta sua, ma le piaceva mostrare il collo lungo e bianco di cui andava fiera. Non lo adornava mai con collane, le piaceva lasciarlo libero. Le camicie le donavano molto. Dirigendosi in bagno, Levy si lavò i denti e si mise in testa una fascetta che le fissò la frangia ribelle in maniera adorabile.
Uscendo di casa afferrò la borsa da lavoro dentro alla quale non potevano mancare il romanzo di turno, i fazzoletti, il portafoglio, gli occhiali, le caramelle e la merenda di metà mattina e di metà pomeriggio. Chiuse la porta e infilò in borsa anche le chiavi, dirigendosi verso l’autobus che l’avrebbe lasciata dritta davanti alla sede del giornale.
Un’altra giornata identica alle altre era già iniziata.
…o forse no?
 
- Ehi Levy!
- Ciao Natsu! Come mai così puntuale? Di solito arrivi sul filo del rasoio.
Il ragazzo si grattò la nuca, imbarazzato, per poi rivolgerle un caloroso sorriso. Natsu era un suo collega. Non era bravo a scrivere e, be’, non era particolarmente sveglio, ma era bravo con le persone e quando sei un giornalista è una cosa molto importante. Faceva parte del team che lavorava per ottenere informazioni sul campo insieme a Lucy, la scrittrice dal futuro promettente e una reporter con i fiocchi, Erza, che faceva da carabiniere se la situazione era delicatamente… incandescente, e Gray, il fotografo. Come ogni volta, Natsu aveva la sua sciarpa bianca, che Levy sperava vivamente venisse lavata ogni weekend, e il suo fedele gatto blu al seguito, Happy. Era la mascotte mangia-pesce della redazione giornalistica e Makarov, il proprietario del giornale, tollerava la sua presenza. Erano una grande famiglia, a volte strana ed eccentrica, con risse sul luogo di lavoro che venivano sedate con altre risse, e festini numerosi e poco ortodossi. Non a caso spesso lo scoop principale delle altre testate giornalistiche erano i disastri del Fairy Tail. Ma i cittadini amavano il giornale, che era ben scritto e interessante, per cui gli affari andavano a gonfie vele. Ogni tanto, poi, Happy poteva godere della compagnia di Charle, una micetta con il pedigree alla quale faceva il filo. Era la gatta di Wendy, una piccola studentessa-fan-tirocinante-precoce del giornale, che nei pomeriggi liberi si divertiva a stare dentro allo stabile. Era dolcissima.
Natsu scoccò a Levy uno di quei sorrisi infantili, da bimbo furbo, che facevano sciogliere i clienti… e Lucy. – Lucy mi ha invitato a fare colazione al bar.
- Uh, buon per voi. Mangiate tanto, allora – augurò Levy, entusiasta per la sua amica. Era la collega di team di Natsu e una delle ultime arrivate in redazione, ma si era ambientata subito ed era diventata amica intima di Natsu in un secondo. Probabilmente ancora non si rendeva conto di amarlo, ma Levy se ne intendeva ed era una buona osservatrice.
- Grazie. Vuoi che ti portiamo qualcosa?
- No no, tranquilli. Pensate a voi, non a me… - gli disse come sprone, guardandolo in modo eloquente.
- Credo che penserò alle brioches più che altro. Bollenti come piacciono a me.
Sì, anche Natsu non sapeva di amare Lucy.
Levy sospirò. – A dopo, buona colazione!
Il ragazzo le sorrise e corse via con il gatto al seguito.
Levy salutò tutti e si diresse al suo reparto, ridacchiando quando vide che Gray si era spogliato, ancora, e Juvia stava quasi svenendo di fronte alla bellezza del fisico adamico del suo idolo. Almeno lei non doveva capire nulla, sapeva bene quali erano i suoi sentimenti.
- Jet, Droy – salutò calorosamente sedendosi di fronte alla sua scrivania.
- Ciao Levy-chan! – salutarono loro in coro, saltando in piedi e fiondandosi da lei.
Jet e Droy erano i suoi migliori amici e facevano da supporto al team di traduzione che… be’, era rappresentato da lei. Avevano deciso di chiamarsi Team Shadow Gear per scherzo, ma poi la cosa era diventata ufficiale.
- Allora, partiamo?
- Sì – esultarono i due. Probabilmente avrebbero gioito a qualsiasi cosa Levy avesse proposto. “Ci buttiamo giù dal quinto piano? Siiiiii”.
- A proposito, c’è un nuovo impiegato – avvisò Jet poco dopo.
- Uhm… bene. Reparto? – domandò Levy quasi sovrappensiero, infilandosi una matita in bocca e una penna dietro all’orecchio, tastando dentro alla borsa alla ricerca degli occhiali.
Droy glieli porse prontamente, sapendo che il suo capo era entrato in modalità lavoro efficiente e non si sarebbe curato nemmeno di un terremoto.
- Nessuno. Pare si occupi di scoop speciali in una nuova sezione del giornale legata al paranormale. Sai, per l’audience. L’hanno affiancato a Juvia perché facevano entrambi parte del fallito Phantom Lord.
- Uh-uh – annuì Levy battendo sui tasti del computer per aprire i documenti essenziali alla sua giornata lavorativa.
- Anzi, pare sia stato lui a scrivere l’articolo denigratorio che ha abbattuto quello che avevi scritto tu – la informò Jet, continuando con la sua novità.
- Bene. Aspetta, cosa?
- Cosa? – ribatté Jet.
- È lui? Va be’, poco importa, ora è dei nostri. Hai detto che si occupa di…?
Droy seguì Levy, che si era spinta dall’altra parte dell’ufficio con la poltrona a rotelle, porgendole il temperino che sapeva stesse cercando.
- Folklore, miti, leggende su Magnolia e vecchie storie dimenticate. Ho letto un pezzo, carino.
- Di che parla? – biascicò lei temperando la matita e sorridendo a Droy prima di spingersi verso la stampante.
- Lupi mannari. Una visione introspettiva di ciò che crediamo, che ci hanno sempre raccontato. Miti o semplici fantasie ridicole? Nella seconda parte dell’articolo, che esce la settimana prossima, sfaterà alcuni pregiudizi a quanto pare.
- Illuminiamo la mente delle persone con la verità sui licantropi – disse sarcasticamente Levy.
- Non ti piace? – indagò Droy. – Di solito ti interessano.
- Sì, infatti. Penso che lo leggerò. E gli chiederò se si basa su fantasie sue o ha delle fonti certe. Mi piacciono queste cose. Area?
Jet osservò la collega ritornare davanti al computer e le passò il plico di fogli che avrebbe dovuto correggere entro metà mattina. – Ho sistemato il layout, quando finisci me li invii che li stampo. Comunque è nel nostro stesso piano. Ha un ufficio a porte aperte vicino alla bacheca, e lo condivide con Juvia.
- Mmm… bene. Pausa alle…?
- Hai iniziato in anticipo e solitamente ci metti tre ore a correggere, anche se ne calcoli quattro per sicurezza. Se tutto va bene per le undici e mezza hai finito.
- No, pausa caffè intendo dire – specificò cercando a tentoni la penna.
Droy gliela sfilò dall’orecchio e gliela porse, ricevendo un sorriso di gratitudine in cambio.
- Boh, quando ne hai bisogno.
- Anche ora?
- Tecnicamente siamo in anticipo e mancano ancora dieci minuti all’inizio effettivo dell’orario lavorativo, per cui se vuoi fare ora…
- Ti accompagno! – esclamò Droy.
- No, io l’accompagno. Non hai fatto un accidenti questa mattina! – sbraitò Jet.
- Ma se senza di me starebbe ancora cercando il temperino?!
- Be’, chi ha sistemato la grafica di tutto quel malloppo? Non tu, signor mi-mangerei-pure-la-carta.
- Ragazzi, tranquilli. Non ho bisogno di compagnia per andare a prendere il caffè. E poi passerò a conoscere il nuovo collega. Si chiama…?
- Gajeel.
- Gajeel Redfox – specificò Droy con aria soddisfatta, attirandosi un’occhiataccia di Jet.
- Sì, è lui quello che ci ha fatto fare la figuraccia e ha deturpato il mio articolo. Non importa, è acqua passata.
- Come sei saggia Levy – la adulò Jet.
Lei ridacchiò e si alzò mentre Droy le allungava il portafoglio con aria soddisfatta. Prese le monete, la ragazza si allontanò tirando un sospiro di sollievo: aveva proprio bisogno di un caffè.
 
Il reparto dove lavorava Lucy era subito oltre quello del nuovo impiegato, da ciò che Levy aveva capito. Quindi avrebbe fatto tappa alle macchinette dell’angolo ricreativo e poi sarebbe andata dalla collega per prendere i libri che le aveva prestato. Per una volta non erano romanzi, ma veri e propri manuali di giornalismo.
Levy attraversò i corridoio salutando calorosamente tutti gli amici, che alla fine erano colleghi, ma venivano considerati parte della sua famiglia. Si conoscevano tutti e il proprietario stesso del giornale organizzava degli eventi per stare insieme.
Sorridendo, Levy raggiunse le macchinette e infilò le monete nell’apposito buco, concentrandosi per non sbagliare pulsante come le capitava spesso. Purtroppo lo sportellino per ritirare la bevanda, per qualche strano scherzo del destino (o qualche perverso piano di un nonnetto basso e mezzo pelato che dirigeva un giornale e aveva l’occhio lungo per le sue giovani dipendenti), era troppo in basso. I maschi di solito si accosciavano di fronte alla macchina oppure piegavano la schiena, per nulla disturbati da quel casuale posizionamento. Per le ragazze era un’altra storia. Infatti, guarda caso, il Master, così chiamavano il direttore, aveva deciso che tutte le impiegate avrebbero dovuto portare camicie e minigonne, con tanto di collant e reggicalze, per cui chinarsi era un bel problema. Accosciandosi avrebbero rischiato mettere in mostra troppa biancheria, o di far partire i collant, con imbarazzanti conseguenze, e chinandosi la gonna si sarebbe alzata…
Insomma, prendere il caffè era un’impresa per una donna, all’interno del Fairy Tail. Levy stava sempre attenta che nessuno fosse nei paraggi quando, fulmineamente, si chinava per prendere la sua bevanda, e quel giorno la sua cura non venne meno. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, si chinò per prendere il resto in moneta, che però le cadde per terra. Sbuffando, si abbassò per raccoglierla, ma una volta presa in mano la moneta, questa le scappò ancora, inducendola a piegarsi ancora di più. Durante la sua lotta, non si accorse che uno spettatore indesiderato aveva erroneamente fatto capolino dal suo ufficio.
Recuperati i soldi, Levy si abbassò nuovamente per prendere il suo caffè e, attraverso le gambe, si rese conto non solo che la gonna lasciava intravedere buona parte della sua biancheria, ma anche che qualcuno stava fissando tutta la merce esposta.
Con uno squittio, si raddrizzò e si sistemò la gonna, fissando trucemente il collega. Sentiva le guance che lentamente iniziavano a bollire. – No-non c’è nulla da guardare.
Il ragazzo, lunghi capelli neri e viso coperto di piercing, ricambiò lo sguardo con impassibilità. Era il nuovo impiegato. – Ora no – rispose avvicinandosi alla macchinetta per inserire le monete.
Levy avvampò ancora di più e mise il broncio, stringendo il bicchiere di carta con forza tale da rischiare di rovesciarne il contenuto. – Be’, potevi anche evitare di guardare.
- Perché mai?
Che…sfacciato arrogante!, pensò Levy.
- Una persona con un minimo di senso morale avrebbe voltato la testa o si sarebbe schiarito la gola per segnalare la sua presenza!
- Ma in questo modo tu ti saresti subito sistemata – rispose tranquillamente lui continuando a fissare la macchinetta. Non l’aveva ancora guardata negli occhi.
Levy, dal canto suo, era scioccata. Sembrava quasi che quel ragazzo che si ritrovava come nuovo collega non sapesse le regole della civile convivenza. – Appunto! È stato sfacciato da parte tua restare a guardare.
- Hai un bel didietro e la vista era piacevole. Le cose belle sono fatte per essere guardate – disse lui puntando i suoi occhi in quelli color miele di lei.
Rossi. Ipnotici. Levy sussultò. Erano occhi bellissimi, di un cremisi così acceso da sembrare un fuoco danzante. Erano… selvaggi. Sembravano avere il potere di trasportarla in mondi lontani, mistici e onirici di cui poteva leggere solo nei suoi romanzi. Non ricordava più nemmeno cosa volesse dire, o il motivo della sua irritazione. Era irritata? Aveva solo voglia di immergersi nella natura e vivere nei boschi. Con lui.
- Mmm… - mugugnò.
Finalmente il ragazzo distolse lo sguardo per prendere il suo caffè, interrompendo il contatto visivo e liberandola dall’incantesimo.
- Tutto bene? – indagò dopo aver visto che Levy non accennava a riprendersi.
- No. Sì. Io… scusa.
Si era davvero scusata? E per cosa?
Il ragazzo che la fissava dall’alto della sua imponente statura ghignò, arricciando in un sorrisetto furbo e sghembo un lato della bocca. Indossava una candida camicia con il logo del giornale, una cravatta scura e dei pantaloni dello stesso colore con una cintura chiara. Le maniche risvoltate lasciavano liberi gli avambracci muscolosi, che Levy notò essere cosparsi degli stessi piercing metallici del viso. Eppure, quell’abbigliamento così formale e professionale pareva sbagliato su di lui, sebbene gli donasse molto. Davvero molto, a giudicare il modo in cui i pettorali tonici venivano valorizzati.
- Ti perdono – disse lui continuando a fissarla.
Sembrava ignorare totalmente le buone maniere o le basilari norme sociali. Levy sbuffò e allungò la mano destra. – Levy McGarden. Sono una tua collega.
Dopo un attimo di silenzio, il ragazzo strinse energicamente la mano e rispose. – Gajeel… Redfox. Sono un tuo collega.
- Già. Be’, io vado da… vado a lavorare. È quello che si fa qui, sai?
Ancora quel sorrisetto strafottente. – Certo.
- E magari la prossima volta annuncia in qualche modo la tua presenza – disse Levy arretrando, arrossendo nuovamente.
- E rovinare una bella vista come quella di prima?
La ragazza squittì nuovamente prima di rifugiarsi in quello che doveva essere l’ufficio del ragazzo.
 
- Coda o no? Dici che tolgo la fascetta? – chiese Levy aprendosi altri due bottoni della camicetta.
Lucy osservava l’amica con gli occhi sgranati. Era entrata nel suo ufficio come una furia, buttando fuori Natsu nonostante lei fosse la prima ad incoraggiarla affinché si dessero una svegliata e passassero del tempo insieme. Aveva posato il caffè sulla sua scrivania e, interrompendola prima che potesse dire che sì, si ricordava dei suoi libri, Levy aveva iniziato a farle domande sul look, sempre più… scandalose. Per i canoni di Levy, ovvio.
- Mi dici cosa succede? – chiese Lucy per la trentesima volta.
- Mi accorcio la gonna? Ha detto che ho un bel sedere – continuò Levy ignorandola, sporgendo la testa oltre le spalle per osservare il suo lato B.
Lucy gemette di frustrazione, si sedette e bevve il caffè dell’amica. – Ma chi?! Di chi parli?!
- Di Gajeel! – sbottò l’altra sedendosi e sistemandosi i capelli.
- Chi?
- Il nuovo collega. Quello che si occupa della sezione mitologica, quello che ha affondato il mio articolo.
- Uuuh! E lavora qui?
- Eh già, da oggi.
- E oggi ti ha già detto che hai un bel fondoschiena?
Levy spiegò in due parole la dinamica all’amica, che osservò le sue gote arrossate, gli occhi che erano diventati di un caldo color nocciola e la sua postura fiera. Non era mai stata così.
- Non ho mai visto nessuno fare colpo in così breve tempo. Però, cavolo, allacciati la camicia! Ti si vede tutto!
Levy sussultò e si coprì il seno. – Troppo spinta? Oddio, ma cosa sto dicendo?!
- Calmati. Tesoro, sei cotta. Brutalmente. Ti stai spogliando per qualcuno che hai visto una sola volta! Quasi non ti riconosco.
- Ma lui… lui è… è incredibile. Vedessi che occhi che ha, Lu! Mi hanno incendiato il cuore. Mi sentivo bruciare viva, mi sentivo calda, volevo spogliarmi e correre via. Con lui.
- Wow.
- Ha un fascino incredibile. Ha qualcosa di speciale in sé. Non è normale, davvero. Quei capelli così… selvaggi, e quegli occhi così… e i muscoli, e… oh, Lucy! Vado subito di là – esclamò, pronta per alzarsi.
- No! Aspetta. Non essere avventata. Non lo conosci.
Levy sobbalzò, mentre la ragione cominciava a bussare nella sua mente, reclamando il posto che gli era stato momentaneamente usurpato da una scarica di ormoni adolescenziali. In fondo, era ancora giovanissima.
- Hai ragione. Scusami, io…
- Tranquilla, Levy.
- Allora… vado lì, perché devo passargli davanti per forza per tornare da me, e lo ignoro.
- Perfetto. Lascia che si cuocia nel suo brodo.
- Bene. Quindi… i libri. Se me li dai, io vado.
Lucy si alzò ridacchiando e buttò via il bicchiere del caffè, ormai vuoto. Allungò a Levy i suoi libri e le monete che servivano per prenderne un altro.
- A dopo, Lu? – disse in tono interrogativo.
La ragazza rise e l’abbracciò. – A dopo. Magari, però…
Lucy le sbottonò la camicetta di un altro bottone, in modo che non fosse troppo coperta, ma nemmeno scoperta, e le sistemò la gonna affinché le grinze formatesi alzandola sembrassero naturali. Levy avvampò quando le diede uno schiaffo sul sedere.
- Mostra anche le tue belle gambe. E fai cadere le monete quando sei vicina a lui. Mi raccomando, le tette!
Levy uscì di corsa sentendosi ormai prossima all’ebollizione da imbarazzo, e non si rese nemmeno conto di essere vicina alla scrivania di Gajeel. Presa dal panico, cercò di indovinare in quale mano fossero le monete che Lucy le aveva dato, e nella foga di capire come farle cadere accidentalmente, queste caddero da sole.
Levy le fissò un po’ sconvolta, come per accusarle di aver fatto una cosa tanto oltraggiosa, ma con la coda dell’occhio vide la testa mora che le interessava girarsi verso di lei. La bacheca appesa al muro del suo ufficio aveva già qualche foglietto attaccato, notizie e ordini del Master o informazioni generali.
Con noncuranza, Levy si guardò alle spalle e, accertatasi di non aver nessun occhio indiscreto dietro di sé, si chinò per prendere i soldi, mettendo in mostra la scollatura.
Gajeel deglutì e tornò a fissare il computer.
Veloce come si era chinata, Levy si raddrizzò e, stringendo al petto i libri, uscì all’ufficio di Gajeel senza degnarlo di uno sguardo.
Ma si bloccò appena lo sentì schiarirsi la voce. – Ehm… hai dimenticato un foglietto per terra – le disse osservandola con la coda dell’occhio.
*Levy tornò sui suoi passi, arrossendo e fissandolo alle sue spalle, con l’irrefrenabile voglia di abbassarsi la gonna che continuava a salire. Lui portò la tazza del caffè, che probabilmente si era portato da casa per fare il travaso della bevanda dalla carta alla ceramica, alle labbra, e osservò tutti i suoi movimenti, arrossendo in maniera impercettibile quando si chinò per l’ennesima volta.
- Grazie – disse semplicemente lei uscendo dalla stanza.
Lui non rispose, ma Levy continuò a sentire il suo sguardo addosso anche quando, una volta tornata nel suo ufficio, si accorse di aver dimenticato di prendere il caffè.
E che il foglietto caduto non era suo.
 
La giornata era stata spossante e Levy si buttò a letto senza nemmeno togliersi le scarpe. Quasi rimpiangeva quella routine fatta di cose semplici ed emozioni ancora più semplici. Ormai quella con Gajeel era diventata una vera e propria lotta a chi cedeva prima. Erano passate poche settimane, ma lei sapeva già di essere irrimediabilmente innamorata di lui. Ne era attratta come lo è il ferro con la calamita. Voleva che lui la guardasse, voleva avere la sua attenzione. E ce l’aveva. Ultimamente, dove c’era lui, lei compariva, e dov’era lei, lui arrivava. Si parlavano poco e interagivano ancora meno, ma a nessuno dei due sfuggiva la logorante battaglia di sguardi, le provocazioni che si lanciavano o i tocchi sfuggenti che sembravano casuali e minuziosamente studiati al tempo stesso.
La loro azione più intrepida era stata ballare insieme ad una festa del giornale. Gli occhi rossi di lui avevano calamitato quelli di lei come se fossero appartenuti ad un unico corpo, mentre le sue grandi mani le accarezzavano i fianchi in maniera forse troppo poco amichevole e più… sentimentale. Levy continuava a sentire il richiamo della natura quando stava vicino a lui, era come se i miti e le leggende di cui scriveva facessero parte del suo essere. Ne era imbevuto, assuefatto, e per lei era ormai una dipendenza.
Aveva capito che in lui c’era qualcosa di diverso, e si era messa in testa di scoprire a ogni costo cosa fosse.
Di certo non si aspettava che fosse proprio lui a rivelargliela erroneamente.
Il giorno dopo Gajeel entrò nel suo ufficio posando la ventiquattrore al solito posto e appendendo lo spolverino autunnale. Era già stanco e sentiva le forze venirgli meno, insieme alla sua incapacità di soggiogare l’irascibilità e… alcuni difetti d’istinto. Metodicamente, com’era solito fare, accese il computer e allineò la tastiera alla scrivania. Potevano sembrare gesti quasi maniacali, ma lo aiutavano a mantenere il controllo di sé quando, effettivamente, il controllo di sé non l’aveva.
- ‘Un altro successo per l’articolo folkloristico di Gajeel Redfox’. Testata del giornale di oggi. E non del nostro giornale. A quanto pare sei diventato famoso quasi quanto Natsu e Laxus, i Draghi del giornalismo.
Essere nominato Drago del giornalismo era una specie di traguardo a cui pochi ambivano. Difficile da ottenere, veniva elargito solo a chi era famoso per gli articoli di natura particolare e veniva apprezzato e conosciuto a livello internazionale.
Gajeel sobbalzò al suono della sua voce. Solitamente avrebbe riconosciuto immediatamente il suo odore, e l’avrebbe notata ancora prima di entrare nell’ufficio, ma quel giorno aveva i sensi obnubilati e confusi. Si girò e la osservò, seduta con le gambe accavallate sulla scrivania di Juvia, piena di pupazzi di Gray. Aveva un giornale posato in grembo e gli occhiali le erano scivolati sulla punta del naso. Teneva gli occhi fissi nei suoi.
- Come? – chiese.
- Complimenti per il tuo successo – rispose lei raddrizzando la schiena, spingendo in fuori il petto di conseguenza.
Gajeel deglutì a vuoto. Quella ragazza stava scherzando con il fuoco, ed era una cosa particolarmente pericolosa, specialmente quel giorno. Sembrava che lo istigasse di proposito, che provasse gusto nel lasciarlo agonizzare di fronte ai suoi flirt maliziosi. E lui ci era cascato come una mosca in una ragnatela fin dal primo sguardo. Era lei, lei la sua…
- Grazie – borbottò pur di far tacere la sua coscienza.
Levy scese dalla scrivania scavallando le gambe in maniera troppo sensuale. Era possibile? Gli si parò davanti e a Gajeel si mozzò il respiro. Cercò di raddrizzare la schiena per mettere ancora più distanza tra loro, sebbene lei fosse troppo vicina. Troppo.
- Posso sapere dove prendi le fonti?
Avrebbe quasi preferito una domanda del tipo “Ti va di farti la ceretta?” a quella. Non poteva in nessun modo dire quali erano le sue fonti.
- Ehm… - farfugliò. – Segreto professionale?
- Dai! Ti prego, dimmelo. Mi stanno prendendo troppo questi miti. Sono veri o li inventi?
- Veri – rispose repentinamente, quasi ringhiando. Ecco l’istinto selvaggiamente indomabile che usciva.
Levy non sembrò spaventarsi. Ovvio. Come poteva, finché lo osservava negli occhi? Gajeel avrebbe voluto vederla fuggire.
- Davvero? Lo sapevo! – esultò lei, le gote rosse d’emozione. – Ma allora, ti prego, dimmi come fai a sapere queste cose.
- Le invento.
Gli occhi le si riempirono di confusione. Quanto mai poteva essere espressive quelle gemme? – Hai appena detto che sono storie vere.
Gajeel sbuffò. – Senti, non posso parlarne. Scusa.
Sofferenza. Levy sentì il suo cuore andare in pezzi. Forse aveva frainteso tutti i segni che lui le aveva lanciato in quei giorni. Forse per lui non era altro che una collega alla quale guardare il sedere. – Non ti fidi. Non sono abbastanza perché tu condivida con me queste cose – sussurrò.
- No! – esclamò lui, facendola sobbalzare. Sembravano un basso ringhio, le parole che gli risalivano la gola. Un gutturale e primordiale richiamo. – No. Scusami. È che non capiresti. Non posso parlarne. Finirei nei guai per tutta la vita. Nessuno deve saperlo. Nessuno.
Gli occhioni innocenti di Levy si spalancarono, consapevoli. Erano così dolci e puri, così diversi dai suoi sanguinari occhi da lupo. – Non stiamo più parlando delle fonti dell’articolo, vero? – mormorò sommessamente, convinta aver solo pensato la frase.
- No – rispose lui, chinandosi verso il suo viso.
Levy trattenne il fiato, aspettandosi… qualcosa. Qualsiasi cosa.
- Non posso fidarmi. Nemmeno se lo volessi. Non posso trascinarti in tutto ciò – aggiunse posando la testa sulla spalla di lei.
C’era un rimpianto nella sua voce, una sofferenza che Levy non credeva potesse mai essere espressa a parole.
- Ti prego, fidati – lo implorò.
Non capiva di cosa stava parlando lui. Non capiva nemmeno cosa stava dicendo lei stessa. Voleva solo avvicinarsi a lui e sentirlo vicino a sé a sua volta. Era stanca di quei giochetti e di quelle avances, era pronta per qualcosa di concreto.
- No. Mi dispiace. Non sarai mai in grado di mantenere il controllo – si riscosse lui allontanandosi di scatto. Gli tremavano le mani.
- Gajeel? – chiese lei.
- Saresti come gli altri…
- Gajeel…
- Sarebbe solo un errore. Un…
- Gajeel! – urlò Levy prendendogli il viso tra le mani. – Non ti fidi di me, o di te? – indagò scrutando i suoi occhi alla ricerca di una risposta sincera.
- Della bestia che è in me – rispose candidamente lui. – Mi dispiace. Ora devo… devo lavorare.
La ragazza rimase lì, impalata, fissando la schiena di Gajeel, che si era seduto e aveva iniziato a battere furiosamente sui tasti. Sentì le lacrime riempirle gli occhi e se li immaginò mentre annegavano, soffocati dal suo dolore e dalla sua disperazione. Dall’abbaglio assolutamente umiliante che aveva preso.
Raddrizzando la schiena, ostentando una sicurezza che non aveva, uscì a testa alta dall’ufficio, mentre i pezzi del suo cuore rotto restavano nell’aria, insieme all’odore di perfezione che si era lasciata alle spalle come una scia, che Gajeel annusò per diverse ore.
 
Mi ha rifiutata. Mi. Ha. Rifiutata. Stupida! Stupida!! Come fai a fare una figura del genere?! Sei sembrata una poco di buono, con tutta la pelle che hai messo in mostra. E per cosa? Per permettergli di rifarsi gli occhi e basta!, pensò furiosamente Levy rientrando in casa dal lavoro. La fine di ottobre era gelida come poche, e alle sette di sera la luna illuminava già la notte, grande come una bella forma di grana, bianca come un lenzuolo candido, sotto al quale Levy sperava presto di rifugiarsi. Era piena quella sera, e bastava solo lei ad illuminare le strade. Le lacrime le uscivano copiose dagli angoli degli occhi, e i pochi passanti le scambiavano facilmente per una protezione automatica degli occhi dal vento gelido.
Per puro caso, o forse no, un guaito di dolore strappò Levy dai sui pensieri, seguito da un ululato. Le strade erano semideserte e nessuno sembrò accorgersi di quei versi. Un altro guaito, più forte, indusse le sue gambe a scattare in avanti senza nemmeno rendersene conto. Quel verso… era in qualche modo familiare.
La ragazza giunse al limitare del boschetto che distava pochi metri dalla strada, in una zona ombreggiata lontana dai lampioni. Per fortuna quella sera c’era la luna piena. Levy scrutò tra le fronde con attenzione, sperando di vedere in breve tempo qualcosa di utile per capire cosa fosse successo: stava congelando.
Finalmente, dopo istanti che si protrassero per un tempo infinito, notò un movimento tra le frasche, e un tonfo seguito da respiri affannosi e pesanti. Senza pensarci, come quando aveva iniziato a correre, accese la torcia del suo smartphone e illuminò gli alberi avvicinandosi silenziosamente. Stava per iniziare a parlare quando lo vide: un ammasso di pelo nero che si mimetizzava con le ombre. Un cane.
- Oh povero cucciolo – esclamò Levy chinandosi di fronte a lui.
Fu allora che notò le orecchie a punta, i denti aguzzi e il luccicore sul viso: era un lupo. Sobbalzando, si allontanò ricadendo sul sedere. Ma l’animale non l’attaccò. Stava agonizzando. Non aveva nemmeno gli occhi aperti.
- Stai… stai male? – chiese, come se il lupo potesse risponderle. – Se mi avvicino… così… tutto bene, vero?
Parlando si era avvicinata e aveva allungato lentamente un braccio. Delicatamente lo appoggiò sull’ampio ventre del cane troppo cresciuto. Nessuna reazione. Lentamente provò ad accarezzarlo, e il lupo emise un lungo e basso gemito, come delle fusa. *Lo abbracciò istintivamente, abbandonando sul prato la borsetta che si era aperta, lasciando uscire il proprio contenuto.
- Ti piace? – chiese Levy sorridendo.
Come se avesse capito, il malato annuì piano con il muso.
- E se ti curassi? Riesci a camminare? – mormorò Levy, cercando di girarlo.
Il lupo uggiolò e si lasciò muovere, sdraiandosi sulle zampe muscolose.
- Bravo cagnolone. Ora seguimi. Casa mia è a pochi minuti da qui.
Lasciandosi guidare da Levy, il lupo si drizzò sulle gambe e aprì le palpebre, fissando negli occhi la ragazza. Erano occhi intelligenti, vispi. Aveva sempre ammirato quegli animali. E nella fioca luce lunare, il colore delle iridi allungate come quelle di un gatto sembravano argentate, brillanti come le stelle. La ragazza non aveva mai visto bestia più grande: ritto sulle quattro zampe le arrivava alla spalla, e le zampe erano lunghe quanto le sue gambe. Il pelo, folto come la criniera di un leone ma morbido come il pelo di un gatto era di un nero intenso, incrostato però di terra e sangue. Zoppicava.
La pietà e la preoccupazione attraversarono il viso di Levy. – Vieni, picc… ehm… cuccio… no. Lupo, seguimi e basta. Ignora i miei deliri.
L’animale la seguì emettendo un breve verso gutturale che le sembrava una risata fin troppo conosciuta.
Possibile che fosse così innamorata da udire la risata di Gajeel anche nelle fauci di un lupo?
 
- No, Lupo! – esclamò Levy ridendo.
Alla fine il suo nome era diventato semplicemente Lupo. La ragazza sapeva che prima o poi il suo nuovo amico se ne sarebbe andato. Del resto viveva in un condominio in cui nemmeno i chiwawa erano accettati, figuriamoci i cani selvatici e troppo cresciuti!
- Ti prego! – lo implorò Levy con la disperazione nella voce, mentre il suo coinquilino sembrava divertirsi di quel gioco.
La ragazza era fuori dalla vasca e cercava inutilmente di riempirla d’acqua. Lupo si divertiva a fingere di entrare per poi, semplicemente, togliere il tappo e allontanarsi.
- Ascoltami! Basta! – disse severamente Levy chinandosi alla sua altezza. Aveva ancora la gonna del lavoro e la camicetta, che ormai era fradicia, e lasciava intravedere la biancheria. – Senti, se entri e ti lasci lavare io poi posso cucinare e andare a letto. Va bene? Ti fascio e non senti più male. Vuoi una bella bistecca? – domandò.
Il lupo drizzò le orecchie e tirò fuori la lingua. Levy non poté fare a meno di ridere.
- Bene. Ora, io riempio la vasca. Tu -, disse indicandolo, con il viso quasi premuto contro il suo muso, - farai il bravo mentre nel frattempo io metto su la cena. Okay?
Il cagnolone ululò piano.
- Sh! – rise Levy. – I vicini mi sbattono fuori di casa.
Sorridendo si allontanò dal bagno e apparecchiò la tavola condendo l’insalata e mettendo le bistecche sulla piastra.
- Eccomi, Lu…! – esclamò prima che la voce le morisse in gola, tornando dal suo ospite.
L’animale era seduto in vasca con le zampe anteriori fuori dall’acqua e il fluido che gli arrivava allo stomaco. L’immagine era simile a quella di un orso imbranato.
- Bravo. Ora fermo che ti medico e ti pulisco le ferite.
Prendendo l’acqua ossigenata e tanto cotone, Levy tamponò le ferite del lupo, che iniziò a protestare prima sommessamente e poi sempre più forte, dimenandosi e schizzando tutto il bagno.
- No. No! Lupo, no! Fermo! Devo medi… devo… ah! – urlò di fronte all’ennesimo spasmo dei muscoli dell’animale, che la infradiciò. Da capo a piedi. – Okay, l’hai voluto tu. Fermo.
Tenendolo d’occhio, Levy si sbottonò la camicetta mentre Lupo la osservava con gli occhi che sembravano essersi ingranditi. Era come se sapesse che la ragazza stava per spogliarsi e che a lui, in quanto maschio, non era permesso guardare. Levy passò alle calze dopo essere rimasta in reggiseno, e gettò i collant nel cesto della biancheria sporca insieme alla camicia macchiata di sangue.
Lupo le posò il naso umido sul ventre e iniziò a leccarla con affetto, facendola prima spaventare e poi ridere. Poi premette il muso sul suo sedere.
- Ma che fai?! – lo sgridò Levy. – Okay, okay, ho capito che la gonna la devo tenere – disse sbuffando, alzandosi un po’ la gonna ed entrando in vasca.
Lupo la guardava con quegli occhi vispi e brillanti, intelligenti, che la mettevano a disagio. Le sembrava di essere scrutata da un essere umano.
Con gesti misurati iniziò a lavare via il medicamento, pettinandogli il pelo con le dita mentre sangue e terra scorrevano via, sfiorandole i polpacci.
Lupo le leccò una gamba quando uscì per prendere l’asciugamano più grande che aveva, e Levy si sentì avvampare involontariamente. Pregò che il suo amico non si scrollasse di dosso l’acqua come i cani, e lo fissò eloquentemente come per sfidarlo a farlo.
Alla fine riuscì ad asciugarlo alla bell’è meglio e lo spedì fuori dalla vasca. Zoppicava meno.
Ma il peso immenso del lupo insieme alla sua mancanza di volontà lo resero impossibile da spostare.
- Uffa! Se non esci dal bagno io non posso lavarmi e se non mi lavo non si mangia!
Lupo la fissava senza emettere suono, aspettando che Levy facesse qualcosa.
La ragazza si tolse la gonna e la mise ad asciugare prima di buttarla da lavare, e un brivido la percorse quando si rese conto che gli occhi dell’animale non la lasciavano un minuto. Alla fine si girò ad affrontarlo. – Fuori. Devo lavarmi. E tu non guarderai.
In risposta, l’animale si sedette.
Levy roteò gli occhi. – Sei decisamente un maschio. Porco.
Si slacciò il reggiseno dandogli le spalle e si calò anche la parte inferiore della biancheria. Quando si girò, vide che il lupo era scomparso. Sospirò di sollievo: si sentiva a disagio sapendo che lui la fissava mentre si faceva il bagno
Rise di sé stessa; era come vergognarsi di un gatto.
 
Quando anche Levy fu pulita e il bagno asciutto e lindo, la cena fu servita. Il lupo si sedette a tavola con lei nonostante il suo piatto fosse posizionato per terra, così Levy dovette alzarsi per metterglielo sul tavolo. Le sembrava davvero di conoscerlo, come se al suo posto ci fosse stato un vecchio amico, qualcuno con cui si sentiva a suo agio. Il lupo mangiò con appetito e si bevve quasi un litro d’acqua, con sgomento della ragazza. Riordinata anche la cucina, si sedettero sul divano e Levy gli fasciò le ferite e i graffì, che aveva il muso posato sulle sue gambe piegate. Respirava lentamente e profondamente, e se ogni tanto non si fosse lamentato avrebbe potuto benissimo dirsi addormentato. Alcune escoriazioni erano brutte, evidenti segni di colluttazioni con altri lupi, altre erano state causate da una probabile fuga nei boschi. La zampa stava decisamente meglio, ma per sicurezza venne fasciata anche quella.
Era ormai tarda notte quando Levy aprì di nuovo bocca. – Ehi, Lupo, io vado a dormire.
L’animale scese immediatamente dal divano e si diresse nella camera della ragazza senza molti complimenti, lasciandola di stucco.
Una volta spente tutte le luci e chiusa la porta di casa, Levy scoprì che Lupo si era già steso a letto e la stava aspettando. Ridacchiando, si tolse i calzettoni e si buttò a letto con addosso gli shorts di cotone e la magliettina color pastello del pigiama. Accese l’abat-jour, spense il lampadario, e si girò a guardare Lupo.
La fissava di rimando.
Solo in quel momento si rese conto che i suoi occhi erano rossi come il fuoco. Rossi come gli occhi di Gajeel. Aveva il pelo dello stesso colore dei suoi capelli, e il luccicore sul suo muso, che aveva intravisto in mezzo al bosco, non era causato dal sangue, ma dalle placche di metallo posizionate esattamente dove anche lui le aveva. Un moto di nostalgia le strinse il cuore mentre le lacrime iniziarono a sgorgare senza sosta. Lupo guaì e le leccò una guancia.
- Scusa. Sono così ossessionata da lui da vederlo ovunque. E da desiderare che ora ci sia lui al tuo posto. Ma questo non accadrà mai, vero?
Nessuna risposta.
- Pensavo che ricambiasse. Invece sono stata una stupida. E non posso nemmeno insultarlo perché mi sono illusa da sola, e ho attirato la sua attenzione in modi così evidenti che non avrebbe potuto scamparmi nemmeno se si fosse impegnato. E ora sono qui, a parlare con un lupo ferito come lo è il mio cuore, mentre lui se ne sta a casa a dormire placidamente. Magari ha pure la fidanzata.
La gelosia divorò il petto del lupo, che reclamò la sua attenzione accarezzandole la guancia con il muso. Chi era quel bastardo meticcio che la stava facendo soffrire?
- Gajeel. Gajeel Redfox – sussurrò lei in risposta alla sua muta domanda. Il lupo drizzò la testa e le orecchie guaendo piano. Levy lo fissò. Sembrava tormentato. – Ha negli occhi la stessa passione che hai tu, lo stesso fuoco. Sono così belli. Quando li guardo non ho più freddo e sento la mia pelle incendiarsi. Bramo il suo tocco più di quanto sia lecito ammettere a me stessa. Redfox. Volpe rossa. Sì, eccome se lo è, una volpe.
Tecnicamente era più un lupo, ma Levy era l’ignara protagonista della leggenda, per cui restava all’oscuro di tutto.
Abbracciò il muso del lupo e si spettinò i capelli selvaggi. – Ti auguro di trovare una bella lupacchiotta fedele con cui fare una bella cucciolata. E poi domani è sabato, si dorme – biascicò sentendo le forze abbandonarla. Il calore del corpo del lupo la cullava e la faceva sentire protetta. Del resto, aveva il miglior cane da guardia del mondo. – Chissà se i lupi dormono molto… e chissà quanto dorme lui…
*Finalmente il sonno la rapì, Morfeo la fece sua prigioniera, e il lupo vegliò su di lei, muso contro viso, nonostante il cerotto sulla guancia e sul naso. Valeva la pena di soffrire per la più fedele delle creature umane.
 
Levy quella notte dormì come non succedeva da tanto tempo, come se oltretutto il lupo avesse vegliato anche sui suoi sogni. Aveva sognato lui, Gajeel, che si trasformava in un lupo e si faceva cavalcare da lei, portandola in luoghi magici nascosti dalla foresta, giurandole il suo amore eterno e costruendo una casetta con lei fra gli alberi.
La ragazza si svegliò con il buonumore, sebbene una scheggia di rimpianto per ciò che non sarebbe mai stato le trafiggesse il cuore come una lama di ghiaccio incandescente. Strinse gli occhi per scacciare il ricordo del sogno, e si accoccolò contro Lupo, conscia del fatto che ormai quell’animale non le avrebbe mai fatto del male.
I residui del sonno annebbiavano ancora i suoi sensi e la ragazza ci mise un po’ per rendersi conto che il corpo caldo contro cui era appoggiata non era fatto di pelo ma di pelle. La prima cosa a cui pensò fu la perdita del morbido manto. Le contusioni del lupo erano così gravi che aveva perso la sua foltissima pelliccia?
Poi la razionalità si fece spazio a calci e pugni nella sua mente, inducendola ad aprire gli occhi. La coperta che usava sempre di notte era quasi del tutto fuori dal letto. A cosa servono le lenzuola, quando si ha una stufa respirante al proprio fianco?
*Dov’è Lupo?, pensò automaticamente Levy.
Avvampò brutalmente ancora prima di rendersi conto di chi era al suo fianco, mentre la sua coscienza, che aveva sempre saputo tutto, rimetteva insieme i tasselli di quel mitico puzzle. Gajeel dormiva sdraiato sulla schiena, placido e rilassato per la prima volta dopo tanto tempo. Sul corpo nudo aveva le stesse fasciature che Levy aveva applicato a Lupo, esattamente negli stessi punti: su quasi tutto il tronco, sul viso, sulle braccia e sul collo. Sul petto aveva dei graffi sottili che dovevano esserle sfuggiti a causa del pelo dell’animale.
No, non dell’animale. Di Gajeel.
Senza rendersene conto, Levy iniziò a respirare in fretta, rischiando l’iperventilazione. Restò seduta di fianco a lui guardandolo con gli occhi sgranati finché l’affanno non si tramutò in gemiti, prima soffocati e poi terrorizzati e sconvolti.
E Gajeel aveva un buon udito, orecchie da predatore, per cui fu impossibile non svegliarsi. Aprì gli occhi rossi, così uguali a quelli di Lupo, così misticamente selvaggi e magici, e li inchiodò a quelli di Levy, che combatteva contro la voglia di gettarglisi addosso. O di riempirlo di domande. O urlare. Magari tutto insieme.
Il ragazzo imprecò e si coprì con il lenzuolo, fissando Levy con il terrore negli occhi. Ormai lei sapeva, aveva rovinato tutto. Per lui era finita.
- Calmati, ti prego calmati – la supplicò, senza riuscire a sopprimere il ringhio gutturale che accompagnava ogni lettera. Effetti collaterali della trasformazione. – Sono io. Ora me ne vado, va tutto bene. Non chiamare la polizia.
Levy restò immobile con gli occhi sbarrati, un cerbiatto indifeso di fronte ai fari accecanti di un’auto. O davanti ad un lupo.
- Io… tu… sei… cosa…? – balbettò.
Gajeel si sporse e le prese le mani. – Non dire nulla a nessuno, ti prego.
- No – bisbigliò lei, la bocca arida come il deserto. Possibile che la sua saliva fosse diventata sabbia? – Mai.
Gajeel si rilassò visibilmente, così come Levy, e l’eccitazione prese il posto dell’adrenalinica paura. C’era chimica fra di loro, si attiravano come due poli opposti e reagivano come agenti esplosivi. Coca-cola e Mentos. Senza saperlo stavano lottando entrambi contro l’innata voglia di stringersi, di abbracciarsi e restare uniti per sempre.
Fu Levy a farsi avanti, sporgendosi e posandogli le mani sul petto. Lui sembrò non fare caso al dolore pulsante dei graffi, così come lei dimenticò momentaneamente che la sera prima si era quasi spogliata di fronte a lui, che se n’era andato per lasciarle privacy. – Ti ho detto che potevi fidarti di me.
- Lo so, ma non volevo coinvolgerti. Devo andare.
- No! Resta! Almeno… per colazione.
- Non posso, mi stanno cercando – mormorò lui con la disperazione nella voce.
- Chi? Cosa succede, Gajeel? – insisté Levy gattonando sul letto, cercando di avvicinarsi a lui che ormai era in piedi sulla soglia.
- Non posso ora. Non posso! Ci vediamo presto – ringhiò prima di scappare fuori dall’appartamento.
- Aspetta! Gajeel! – urlò lei correndo verso la porta, inciampando sulle lenzuola che aveva abbandonato nella sua fuga.
Aprì la porta di casa con l’intenzione di usare tutte le sue energie per raggiungerlo, ma quel poco di buonsenso che era rimasto dentro di lei la bloccò: quattro zampe sono più veloci di due gambe corte, e lo scalpiccio che scendeva giù per la tromba delle scale non era prodotto da piedi umani.
 
Per troppo tempo Levy non ebbe notizie di Gajeel. Troppi, logoranti, estenuanti giorni. Forse non erano tantissimi nella sua solita concezione del tempo, ma quando si è in attesa di qualcosa le ore si dilatano e sembrano durare mesi. Al lavoro non c’era. Quando chiedeva a Juvia o al Master o a chiunque la risposta era sempre la stessa: è ammalato e ci metterà un po’ per guarire. Ipotesi sulla mononucleosi, sulla polmonite, su quella strana influenza che durava settimane, addirittura sul cancro, ma nessuno sapeva cosa davvero avesse contratto Gajeel.
Levy si svegliava, mangiava, lavorava e tornava a casa per dormire come se la sua esistenza fosse momentaneamente sospesa, la sua vita in pausa. Sperava, in cuor suo, di tornare al lavoro in una mattina uguale alle altre e trovarlo lì, appoggiato allo stipite della porta del suo ufficio con due caffè in mano, uno per ciascuno, come aveva fatto altre volte con la scusa di chiederle informazioni sulla forma degli articoli. Tutte scuse, aveva pensato lei a suo tempo.
Ora non era nemmeno più sicura di cosa fosse la realtà.
Gajeel era davvero esistito? O aveva inventato tutto?
 
Quante volte sentiamo dire che le cose capitano quando meno ce lo aspettiamo? Solitamente ce lo dice gente che spera solo di zittirci tirando fuori una frase da biscotto della fortuna, e noi crediamo a quelle parole, perché non abbiamo nient’altro a cui affidarci.
Ma Levy ormai non credeva più in nulla.
Come sempre quella mattina si alzò e andò al lavoro dopo aver messo in borsa una delle sue droghe più potenti: un romanzo fantasy, che doveva assolutamente distrarla da… dal vuoto.
Entrò nel suo ufficio sorridendo a Jet e Droy che speravano ogni volta di vederla entrare con le scollature vertiginose che aveva esibito fino a poco tempo prima, gonna più corta e reggicalze di pizzo in vista. Ma rimasero a bocca asciutta un’altra volta.
- Buongiorno Levy-chan! – esclamarono in coro come sempre, guardandosi in cagnesco.
- ‘Giorno ragazzi – rispose lei cordialmente.
- Vado a prenderti un caffè? – domandò Droy, sfidando Jet con lo sguardo.
- Oh, no grazie. Vado io, non preoccuparti – disse lei, ignorando l’espressione di trionfo del suo collega dai capelli rossi.
Sorridendo si avviò verso le macchinette, constatando che la redazione vuota era davvero deprimente. Solo lei e i suoi due amici e collaboratori arrivavano in largo anticipo; gli altri restavano a fare colazione al bar fino allo scoccare delle otto in punto, precisi come un orologio svizzero.
Per questo Levy era l’unica a prendere da bere alle macchinette del caffè, che erano decisamente di qualità, comunque. Dei passi pesanti e veloci la indussero ad alzare il viso, ma non si voltò, credendo che fosse Droy con la sua imponente mole che l’accompagnava. Perciò ci mise alcuni istanti per realizzare che la persona che aveva davanti e che le aveva bloccato la strada, ansimando come un cavallo, non era il suo collega. O meglio, era un suo collega, ma non quello che si aspettava lei.
*Gajeel la sovrastava come sempre dall’alto del suo metro e ottanta abbondante, e la sua corporatura tonica e muscolosa le bloccava la visuale. Involontariamente si strinse la mano con le monete al petto e lo fissò placidamente, come se fosse un’abitudine essere bloccata da lui.
- Levy… - mormorò, inchiodandola al muro con una mano e chinandosi verso di lei.
Stava sudando ed era rosso in viso, senza apparente motivo. Lei doveva ancora realizzare che era davvero, fisicamente davanti a lui, per cui si limitò a fissarlo imbambolata.
- Ti… io… voglio parlarti. Tu… ehm… - annaspò, cercando visibilmente di trovare le parole in quel guazzabuglio di idee che aveva in mente.
Sentire di nuovo la sua voce bassa e roca le fece venire i brividi. – Sì. Sono qui apposta. Gajeel, io…
- No – sussultò lui, chiudendole la bocca con un dito. – Non qui. È pericoloso. Ti spiegherò, ma non qui. Non ora.
- E quando? Sono stanca di aspettare!
La disperazione nella sua voce lo sorprese, e involontariamente Gajeel si avvicinò a lei ancora di più. – Oggi. Dopo. So dove abiti. Però… ti devo dare dei vestiti.
Levy avvampò quando capì a cosa alludeva: la mattina in cui aveva scoperto la sua natura era nudo.
- Promettimelo – disse d’impeto, afferrandolo per il colletto della camicia ben stirata. Non aveva tempo per arrossire d’imbarazzo.
Accertatosi che non ci fosse nessuno, Gajeel si chinò e la baciò.
A Levy parve di averlo fatto tante volte prima d’allora, perché era esattamente come se l’era aspettato, selvaggio e istintivo, ma non per questo meno dolce. Le mani di lei si ritrovarono fra i suoi capelli ancora prima di pensare al gesto da compiere, e le braccia di lui le strinsero i fianchi facendola aderire al muro con la schiena e a sé con il petto. Nemmeno nei suoi sogni Levy poteva immaginare una cosa simile. Gajeel aveva preso possesso della sua bocca e del suo collo come se ne fosse il legittimo proprietario, marcandola come solo i lupi possono fare.
La ragazza si strinse a lui accarezzandogli il polpaccio con il suo, fregandosene del fatto che qualcuno avrebbe potuto vederli. Voleva solo sentire le sue mani accarezzarle le gambe più intensamente, le sue braccia stringerla in tutto il corpo, le sue labbra contro ogni lembo della sua pelle.
Gemette quando lui si staccò, le labbra umide e gli occhi color rubino simili al ferro incandescente che doveva solo essere plasmato.
- Dopo – le disse dandole un altro breve bacio.
E lei rimase lì, immobile contro il muro, rossa in volto, scarmigliata e disordinata, con la camicetta fuori dalla gonna lì dove le sue mani aveva cercato il contatto con la sua pelle. A chiedersi ancora una volta se si era inventata tutto, dato che a quanto pareva le fughe ad effetto erano il suo forte.
Attendere quello era decisamente peggio che attendere il suo ritorno.
 
Levy rientrò in casa solo perché il suo corpo sapeva cosa doveva fare, dov’erano le chiavi, la serratura, la maniglia. Ma senza la forza dell’abitudine sarebbe rimasta in trance, inerte, mentre il suo cervello galoppava via, in boschi popolati da lupi e letti di rose solo per loro due.
Chiuse la porta con un piede e appoggiò per terra la borsa, dirigendosi in bagno stringendo ancora fra le braccia i vestiti che Gajeel le aveva dato. Vestiti da lavoro. E una scatolina metallica scintillante. Non sapeva nemmeno lei come, ma era riuscita a resistere all’impulso di aprirla fino a quel momento, di fronte allo specchio del bagno. Con mani tremanti posò gli abiti sul bancone e aprì la serratura: una collana. Semplice, non molto preziosa, ma si capiva a prima vista che era vecchia come le leggende che Gajeel scriveva nel giornale. Una semplice catenina di metallo con delle perline posizionate a distanza regolare l’una dall’altra reggeva un medaglione a forma di lupo, colto nel suo ululato alla luna. L’occhio era rosso, e la ragazza avrebbe scommesso che la pietra incastonata fosse davvero un rubino.
Se la mise, sebbene non indossasse mai le collane, perché quella era speciale. Gliel’aveva data lui, qualsiasi cosa significasse, e lei l’avrebbe portata con orgoglio. Dopo essersi rimirata un’ultima volta si diresse alla porta d’ingresso e trascinò la borsa fino al soggiorno in moquette. Si sedette e semplicemente aspettò. Il caminetto ad accensione istantanea rischiarava e scaldava l’ambiente, e Levy si perse nella vorticosa frenesia delle fiamme cremisi, che si dimenavano in un’arcaica danza tribale.
Solo un colpetto sulla spalla la distrasse.
*Sobbalzando, girò la testa e si ritrovò a pochi centimetri dal muso di Lupo, di Gajeel trasformato. Era entrato di soppiatto senza avvisare, aprendo la porta e richiudendola. Levy era seduta con il peso del busto appoggiato sul braccio sinistro, mentre il destro era appoggiato al suo fianco. Dopo alcuni istanti passati in silenzio, a scrutarsi come due animali, lo allungò e gli accarezzò il soffice pelo del muso, ormai del tutto guarito. Lui le leccò le dita.
- I tuoi vestiti sono in bagno – sussurrò dopo un po’. – Se vuoi… ehm… se ti servono, dopo o… be’, sono lì – farfugliò, non sapendo bene come girare la frase.
Silenzioso come un’ombra, il lupo si diresse in bagno e il rumore del fuoco, che Levy aveva escluso per ascoltare solo il respiro di Gajeel, tornò a reclamare la sua attenzione.
Per ingannare il tempo decise di leggere, così si tolse le scarpe e le abbandono vicino al camino, tirando fuori dalla borsa il suo libro. Doveva distrarsi, anche perché non sapeva cosa sarebbe accaduto dopo o quanto ci avrebbe impiegato un lupo a vestirsi. Per sicurezza si sbottonò ancora di poco la camicetta viola, mettendo in mostra il ciondolo. Poi iniziò a leggere sdraiata sul fianco, per terra, mentre in un gesto automatico si tolse la fascetta, come faceva sempre appena arrivava a casa. Se l’attorcigliò attorno al polso nel caso in cui le fosse servita per farsi una coda.
Era così immersa nella lettura che non si accorse, diversi minuti dopo, dell’ospite che si stava dirigendo verso di lei di soppiatto. Gajeel la fece stendere sulla schiena mentre lei sobbalzava, lasciando il libro aperto nella pagina che stava leggendo. Lo spettacolo che le si presentò davanti la lasciò di stucco: un mezzo lupo. Gajeel aveva la coda, corvina come i suoi capelli, le zampe dotate di pelo e dita allungate, e i capelli ancora più selvaggi del solito, da cui facevano capolino due orecchie appuntite. Era riuscito ad indossare i pantaloni e la camicia, che però restava per metà sbottonata, mettendo in mostra il pelo ispido sul petto. Non ce l’aveva la mattina in cui si era svegliato da uomo.
- Cosa…? – cercò di chiedere Levy provando a sollevarsi.
Ma una zampa di Gajeel le bloccò il polso e lei piegò le gambe, facendo alzare la gonna corta. Si sentiva in balia di quell’uomo come non lo era mai stata nemmeno di un libro. Voleva abbandonarsi a lui e lasciarsi guidare solo dai sensi, escludere la razionalità per una volta.
Ringhiando sommessamente, Gajeel si chinò verso il suo petto e le slacciò con i denti altri due bottoni, mettendo bene in mostra la curva del seno. Poi risalì lungo lo sterno e le afferrò la collana con i denti.
- Vuoi che… - provò a dire prima che uno scoppio nel camino attirasse la loro attenzione.
Non disponibileEntrambi fissarono le fiamme, immobili, mentre Gajeel lanciava loro un’occhiata ammonitrice, irritato per essere stato interrotto.
- Vuoi che me la tolga? – domandò finalmente Levy, puntando gli occhi nei suoi.
- Sì – mormorò lui in un basso ringhio animalesco.
Il cuore le sprofondò sotto le scarpe: non era per lei quel gioiello. Magari glielo aveva dato per custodirlo, ma sicuramente non per donarglielo.
- Oh. Subito. Aspetta che…
Con un ringhio Gajeel le staccò la collana dal collo, senza romperla grazie al particolare meccanismo di allacciamento.
- Scusami, credevo che fosse per me – disse Levy sedendosi, libera dal corpo del ragazzo-lupo.
- Devo mettertela io – grugnì lui avvicinandosi carponi, la collana tra i denti. La posò ai piedi della ragazza e alzò il viso, avvicinandosi a lei.
Levy trattenne il fiato e iniziò a ridurre impercettibilmente la distanza fra loro, ma Gajeel si ritrasse.
- Devo parlarti.
- Sono qui – mormorò lei, umiliata dal rifiuto.
- Io sono un licantropo.
- Lo avevo intuito…
- Io mangio le ragazze come te.
- Questo lo… che cosa?! – esclamò sobbalzando.
La risatina che seguì era la stessa di sempre, umano o lupo che fosse. Era il marchio di Gajeel.
- Scherzavo. Anche se mangiare te non sarebbe una cattiva idea… - disse ghignando, la voce che lentamente perdeva la nota gutturale e tornava normale, mentre il pelo si diradava.
Levy avvampò e distolse lo sguardo.
- Io mi trasformo in lupo, posso farlo quando voglio, ma durante la luna piena non controllo i miei poteri.
La luna piena. La sera in cui l’aveva trovato c’era la luna piena!
- Ecco perché quel giorno, al lavoro, ero strano. Stavo cercando di combattere la mia natura. Ti sarò sembrato sclerotico.
- Un po’ – ammise lei.
- Mi dispiace essere piombato a casa tua, sei stata fin troppo gentile. Volevo tenerti all’oscuro di tutto per proteggerti, ma le cose si sono complicate e lasciarti nell’ignoranza è impossibile.
- Perché? – sussurrò flebilmente.
Gli occhi rossi di Gajeel, più ardenti delle fiamme, la inchiodarono sul posto. – Perché mi sono innamorato di te. E questo ti rende un pericolo.
Lei? Pericolosa?
- Per chi?
- Per il mio branco.
- Il tuo…?
- I lincantropi che si innamorano di ragazze umane perdono lentamente le loro abilità, e se i lupi mettono al collo delle loro innamorate la collana che tu hai indossato, abbandonano definitivamente i loro poteri, a meno che la ragazza non muoia. In quel caso la trasformazione in lupo sarà completa e irreversibile.
- Non sto capendo molto, rallenta.
- Il mio branco non vuole che io mi unisca a te.
- Perché?
- Perché sono il capobranco. E perdere il capobranco per questioni così futili è intollerabile per gli altri.
- Anche il tuo branco è formato da licantropi?
- No, solo lupi. Per questo non capiscono. E la notte di luna piena ci siamo azzuffati abbastanza brutalmente, io contro venti di loro. Alla fine sono dovuto scappare. Cercavano di farmi tornare il nume della ragione.
Levy era sbalordita. Se l’era prese per lei. Aveva combattuto contro venti lupi per lei.
- Di solito con la luna piena resto lupo per tre o quattro giorni, ma quella volta sono tornato umano la mattina, immediatamente. È così che mi sono reso conto di essermi perso per te. La tua vicinanza mi cambia. Lo sapevo, ma cercavo di negarlo. Sarebbe stato meglio per entrambi.
- E la collana? Come funziona?
- Te l’ho già detto. Se un licantropo la dona alla donna che ama, non potrà mai più tornare lupo – disse Gajeel, a cui rimanevano solo le orecchie da animale. Era tornato umano del tutto, o quasi.
- Ma io l’avevo messa e tu eri ancora un lupo.
- Quella collana ha effetto solo se io te la metto al collo. E da quel momento ti sarà impossibile toglierla.
- Tutte le collane si possono togliere.
- No. Questa si fonderà con la tua pelle e diverrà un tatuaggio, un marchio, con tanto di ciondolo incastonato nella tua carne.
Levy inorridì.
- Non farà male. Tornerà collana dopo che o tu o io saremo morti.
- Se muoio io per prima, tu sarai un lupo per sempre?
- Sì, fortunatamente. Perché non potrei vivere più da umano, mi suiciderei. Quando sei un lupo il dolore si attenua e vivere è più facile.
- E se muori tu?
- Il prossimo capobranco licantropo ritroverà la collana e te la chiederà.
- Oh… non potrai più trasformarti, se me la metti…
Gajeel ghignò. – Non è nulla in confronto a ciò che guadagnerò.
- Ma perché non resti con il tuo branco? Sarebbe più facile. Non verranno a cercarti una volta che sarai umano?
- Se tu non mi vuoi io sparirò dalla tua vita. Ma tu sarai l’unica per me fino alla fine dei miei giorni. Per i lupi è così, sono gli animali più leali e fedeli al proprio compagno. Il mio branco si dimenticherà di me, non riuscirà a rintracciarmi, una volta che sarò totalmente umano. Funziona così, affinché i licantropi possano vivere con le loro… anime gemelle.
A Levy il cuore traboccò d’amore: aveva detto che era la sua anima gemella.
- Cosa aspetti a mettermi la collana? – chiese con foga.
- Aspetta, non è così facile. Per te sarà una prigione, Levy. Dovrai stare con me fino alla morte…
- Come il matrimonio. È ciò che voglio, l’ho sempre voluto.
- Non mi conosci abbastanza…
- Ma so cosa provo per te! Non ho bisogno che fai la mamma premurosa, io…
- Calmati! Non volevo dire questo. Io più di tutti desidero metterti al collo quel ciondolo. Però tu vieni prima di tutto. Frequentiamoci prima, va bene? Se ti renderai conto che non faccio per te io me ne andrò per sempre.
- E il tuo branco?
- Lo guiderò finché non potrò più essere lupo.
- Ma loro non approvano.
Lo sguardo che le rivolse era carico d’amore, e a Levy parve di notare il suo cuore nel cremisi delle iridi. – Qualche zuffa fra lupi non è nulla, per avere te.
- Non posso permetterlo – disse lei alzandosi, la collana in pugno. – Mettimi la collana e basta.
- No – rispose lui severamente, alzandosi e sovrastandola. L’abbracciò. – Io non ho scelta, ma tu sì.
- Non voglio che ti facciano del male – bisbigliò con la voce spezzata, le lacrime prossime ad uscire.
- Non me ne faranno – rispose lui cullandola. – E poi staremo sempre insieme, se lo vorrai.
- Sì.
- Allora non devi fare altro che uscire con me, no?
Levy ridacchiò e lo guardò. – Non sarò felice finché non sarai al sicuro.
- Sei tu quella in pericolo, non io, perché i lupi cercheranno te per rendermi un lupo in modo permanente.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, rendendosi conto del rischio. Era così eccitante, nonostante la paura! – Posso farcela.
- Io starò sempre al tuo fianco, nemmeno una mosca ti toccherà.
- Non ne dubito.
- Dovrò sorvegliarti anche di notte…
Levy avvampò. – Mi sembra giusto.
Gajeel ghignò. – Quindi direi di cenare e andare a dormire, no?
Lei annuì, gli occhi fissi sulle sue labbra così invitanti.
- Cosa fissi, Gamberetto?
Basita, Levy alzò la testa per fissarlo. – Gamb…?!
La parola venne troncata dalla bocca di Gajeel che premette con decisione sulla sua, facendole dimenticare di respirare. Levy si avvinghiò al suo collo e gli saltò in braccio allacciando le gambe attorno ai suoi fianchi, benedicendo la gonna corta. Gajeel era già sul suo collo profumato e candido.
- Sei molto appetitosa – farfugliò ridacchiando.
Levy non rispose, abbandonatasi alla dolcezza di quel momento. Le grandi mani di lui si posizionarono sul suo sedere prima di farla sedere sul letto. Le slacciò le parigine e lentamente gliele sfilò, facendo scorrere le labbra per tutta la lunghezza della gamba.
Lei non riusciva già più a controllare il respiro. – Ora ti conosco meglio, puoi mettermi la collana – ansimò.
- Così tanta fretta di essere mia per sempre? Sono lusingato. Ma dovrai aspettare. E ora ti conviene fare la brava se non mi vuoi implorare.
Ragionare con le sue mani sulle sue gambe era impossibile. – Implorare per cosa?
Gajeel la baciò di nuovo. – Lo scoprirai presto – bisbigliò prima di ghignare.
 
 
MaxBarbie’s
Cucù. Sarò breve (quindi mezzo papiro): dunque, ho sempre meno tempo per scrivere perché ho iniziato a lavorare, ma tranquille/i, sono sempre qui e questo capitolone lo dimostra. Spero di continuare a scrivere in fretta LNVI per postarlo la settimana prossima.
Spero che questo capitolo vi piaccia^^ Gajeel è parente di Jacob Black ahahaahah. Fighi entrambi. Punto.
Ahahaah sto delirando, scusate, non capisco nemmeno più cosa scrivo.
Durante la storia ho messo asterischi in ogni frase che si riferisce ad un immagine. Il disegno vicino al titolo racchiude i 5 (mi sembrano 5), sketch iniziali, e poi l’immagine in bianco e nero dietro a quella colorata è poco più sopra. Non so se mi sono spiegata. Ahahaha che defi che sono. Va beeeeeene, scusatemi se non sono più regolare L
A presto, e grazie per la pazienza,
MaxBarbie


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Capitolo 20
*** Chatting (School AU 3) ***


Chatting (School AU 3)

Disegnatrice: Rboz
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; vari
Coppie: GxL; accenni NaLu
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: storia facente parte della serie School AU, capitolo 3.

 
Riassunto capitoli precedenti: Levy prende l’autobus ogni mattina per andare a scuola, ma un giorno non trova posti a sedere ed è costretta a restare in piedi. Peccato che sia troppo bassa per appendersi ai sostegni e, temendo di vederla cadere, Gajeel, che va alla sua stessa scuola, le offre il braccio per aiutarla. Nelle settimane successive, infatuato, il ragazzo cerca in ogni modo di attirare la sua attenzione, stuzzicandola e facendola innervosire, finché non trova il coraggio di invitarla ad uscire. Lei rifiuta timidamente, ma il ragazzo riesce a farsi dare da lei ripetizioni di matematica, durante le quali Levy leggerà i messaggi che Gajeel si scrive con il suo miglior amico Panther Lily. Messaggi che, naturalmente, vedono Levy come argomento principale. Grazie a questo, la ragazza accetta di uscire con Gajeel, che ringrazia il suo amico per l’aiuto fornitogli.
 
Levy era in trepidante attesa dell'autobus. Il giorno prima, dopo essere tornata a casa dal pomeriggio di ripetizioni a Gajeel, non aveva fatto altro che pensare a lui. Si chiedeva come fosse possibile essere attratti così tanto da una persona che si conosce a mala pena. Probabilmente era solo un'infatuazione passeggera per qualcuno di intrigante, una cosa che non sarebbe durata. O magari, per qualche caso strano, era amore vero. Comunque Levy vedesse la cosa, non riusciva a togliersi il ragazzo dalla testa.
Troppo immersa nei suoi pensieri, non si era nemmeno resa conto che l'autobus si era fermato proprio davanti a lei. Stava per rivederlo.
Sorrise mentre saliva il primo scalino per entrare sul mezzo pubblico, immaginandosi dove lo avrebbe trovato in quel momento. Magari seduto, tenendo libero un posto accanto a sé solo per lei? Oppure in piedi? STravaccato su un posto singolo che le avrebbe ceduto, essendo consapevole del fatto che lei non era abbastanza alta da aggrapparsi ai sostegni? E se le avesse chiesto di sedersi in braccio suo? Leggermente agitata, Levy non si rese conto di una cosa fondamentale: Gajeel non c'era. Se ne accorse solo quando le porte dell'autobus si chiusero e la partenza del mezzo le fece perdere l'equilibrio. Si guardò intorno aspettandosi di vederlo ridere di lei, pronto a stuzzicarla come sempre, ma nessuno la stava osservando. Nessuno le teneva il posto. Senza riuscire a mascherare la delusione, Levy diede un'ultima occhiata all'autobus e si sedette su un posto libero, prendendo il nuovo libro.
E per la prima volta nella sua vita, Levy si chiese se quelle pagine che avevano il potere di trasportarla in un altro mondo sarebbero riuscite a farlo anche in quel momento, nonostante i pensieri che vorticavano attorno ad un unico argomento come falene impazzite di fronte alla luce: Gajeel.
 
- Levy-chan, com'è andata ieri? Raccontami TUTTO! - urlò Lucy correndo per il corridoio, inducendo una decina di persone a girarsi e spingendone un'altra decina nel percorso.
- Lu-chan! Sh, non urlare! - le intimò l'amica a bassa voce.
- Allora? - chiese una voce alle spalle di Levy, che la fece sussultare.
Di fronte all'armadietto aperto da cui la povera vittima stava prendendo i libri, Mira, Erza e Lisanna aspettavano risposte con le braccia incrociate, in trepidante attesa. Mancava giusto...
- Juvia arriva dopo, Gray-Sama! Juvia deve parlare con Levy-san. Juvia tornerà presto dal suo adorato Gray-sama!
Ormai la curiosità che Levy aveva attirato era troppa, e il corridoio si era fatto estremamente silenzioso: tutti aspettavano di sapere cosa Levy doveva raccontare alle amiche.
- Fatevi gli affari vostri o vengo io a farveli fare! - sbraitò Erza.
Inutile a dirsi, il frastuono che riprese come di consueto rese difficile alle ragazze parlarsi.
- Cosa volete sapere? - chiese Levy innocentemente.
- TUTTO - gridaronoo in coro le amiche.
- Non c'è niente da...
- Ti ha baciata? - chiese Mirajane.
Levy avvampò. - No, no ma che dici!?
- Ti ha stuprata?
- Erza ma che cavolo...?!
- Ti ha invitata ad un appuntamento? - la interruppe Lucy.
- Be'...
Cinque paia di occhi si spalancarono. - Juvia vuole i dettagli hot!
Rossa come non era mai stata, Levy raccontò di come l'aveva fatta sentire bene durante il pranzo, della vicenda con il cellulare, dell'invito e dell'autobus.
- Gajeel-kun è cotto. Juvia lo giura perché lo conosce bene.
- Questo è ovvio - disse Mirajane, - ma Levy è cotta?
La ragazza si fece più piccola del solito sotto allo sguardo inquisitore, emozionato ed estremamente ossessivo delle sue compagne.
- Be'... diciamo che non mi dispiace. Altrimenti non avrei accettato, no?
- Ma quanto non ti dispiace? - indagò Lisanna.
- Non mi dispiace tanto.
- Juvia non capisce se si parla così!
- Ha detto che le piace. In fondo parliamo di un ragazzo che è riuscito a smuovere il cuore di carta di Levy - disse Lucy, contenta per l'amica.
La campanella suonò proprio in quel momento.
- Juvia adesso è in classe con Gajeel-kun. Deve dirgli qualcosa?
- Ma sei pazza? Assolutamente no! E comunque oggi non c'è.
- Quando uscite? - chiese al volo Mira.
- Non lo so, non abbiamo definito la cosa.
- Sembrate una coppia di sposi da come parli.
Levy abbassò lo sguardo, imbarazzata.
- Cerca di non stuprarlo! - gridò Erza dalla metà del corridoio.
Indovinate: chi fu l'oggetto delle occhiate fin troppo invadenti e ironiche di mezza Fairy Tail School?
E chi da quel momento diede una definizione letterale di "gote rosso fuoco" e "imbarazzo"?
Da qualche parte, un ragazzo ridacchiò. - Gihihi.
 
Dopo due intense ore di letteratura Levy si diresse verso l'armadietto. Nel giro di due minuti sarebbe dovuta andare nella classe di latino. Adorava le lingue antiche e, non a caso, era la migliore dell'istituto.
Giunta di fronte al suo armadietto, allungò una un braccio per inserire la combinazione che lo avrebbe aperto, ma una mano grande e olivastra la precedette e lo aprì per lei.
Levy sgranò gli occhi. - Ehi...! - si lamentò prima di alzare lo sguardo e incontrare le iridi rosso fuoco di... - Gajeel?!
Lui ridacchiò e si appoggiò agli armadietti degli altri, le braccia incrociate e le sopracciglia inarcate. O meglio, i piercing inarcati. Sempre che questa frase abbia senso.
- Buongiorno Gamberetto.
- Che ci fai qui?! - chiese lei, sconvolta. Dire che la sua presenza la mandava in confusione era un eufemismo.
Gajeel si grattò la tempia. - Be', siamo a scuola. Sai com'è...
- Ma non eri in autobus questa mattina.
- Mi pedini per caso? Gamberetto stalker - disse ridacchiando.
Levy gonfiò le guance, irritata. - Io non...
- Sì sì va bene. Ho solo perso l'autobus. Ho preso quello successivo e sono arrivato un minuto prima del suono della campanella. In tempo per sentire uno scoop interessante.
La ragazza aggrottò le sopracciglia: non le interessavano i gossip. Tuttavia chiese: - Che scoop?
- Come sei curiosa! Vuoi davvero saperlo?
- Ormai mi hai incuriosita, muoviti che devo andare in classe - borbottò.
Gajeel ridacchiò. - Una piccola secchiona si è presa una cotta per qualcuno che avrebbe stimato meno di una pipa di tabacco. Indovini di che colore ha i capelli questa ragazza o ti illumino io?
Levy avvampò e ficcò la testa dentro all'armadietto, nascondendo l'imbarazzo fingendo di cercare un libro.
- Sei così piccola che potresti chiudertici dentro.
- Hai finito di prendermi in giro?! - sbraitò con ira. Ma era troppo tenera e Gajeel ridacchiò, attirandosi un'occhiata furibonda.
- Nah. Vuoi sapere un'altra novità?
Levy sospirò. - Dimmi.
- Quella ragazza uscirà con il ragazzo per cui ha una cotta questo venerdì sera. E andranno al cinema.
Chiudendo l'armadietto, lei finse disinteresse. Si appoggiò al freddo metallo con il busto rivolto verso di lui, imitandone la posizione. Ma non alzò lo sguardo. - E a che ora andranno?
- Alle otto, magari. Tu a che ora supponi che andranno?
- Io credo che... - disse prima di essere interrotta dalla campanella. - Credo che questi due ragazzi ne parleranno a ricreazione. A dopo Gossip Boy.
Levy si allontanò dandogli le spalle, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non girarsi a guardare la sua reazione. Ma se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che l'espressione dipinta sul suo viso era speculare alla sua: sorrisino sghembo e occhi brillanti.
Gajeel ghignò prima di avviarsi verso la sua classe canticchiando.
 
Venerdì pomeriggio Levy stava respirando profondamente per cercare di calmarsi e non urlare. Nel gruppo di WhatsApp chiamato Fairy Girls, in cui c'erano lei, Mira, Erza, Juvia, Lisanna e ovviamente Lucy, insieme a Kana che però era ammalata, si stava scatenando l'inferno: messaggi vocali a raffica, il 60% dei quali erano di Erza che sbraitava e minacciava le altre di smetterla di registrare audio che intasavano il cellulare, mandando in palla, nel frattempo, quello delle altre. Anche con il volume a livello 1 Levy poteva udirla come se stesse parlando ad alta voce. Mira e Lisanna si davano ordini a vicenda sebbene fossero nella stessa casa e potessero dirsele a voce invece di contribuire al caos di WhatsApp. Natsu, che per chissà quale motivo era a casa di Lucy (lei aveva detto per studiare, ma nessuno ci credeva), si impossessava ogni due minuti del cellulare della padrona di casa e inviava selfie di lui e del suo gatto o della casa di Lucy, inducendo Erza a registrare più audio e Lucy a riprendersi del telefono e chiedere scusa mentre la furia dai capelli rossi insultava anche lei.
Mi serviva solo un parere sul vestito, scrisse Levy con la faccina abbattuta.
Puoi andare vestita di stracci che lui manco se ne accorgerà. È talmente cotto di te da cantare ogni dannata sera. Fidati che non è una buona cosa per le mie orecchie. Anzi, grazie davvero, scrisse Lucy. O, meglio, Natsu, presunse Levy.
Perché lo senti cantare ogni sera? Siete vicini di casa?, indagò Mirajane.
Lunga storia, rispose Lucy-Natsu.
Levy metti la minigonna. O il vestito corto, intervenne Lisanna.
Erza sta registrando...
Levy si buttò sul letto sbuffando e premette il pulsante play dopo aver caricato l'audio.
MA SEI PAZZA?! È INVERNO E LEVY NON ANDRÀ MAI IN GIRO IN MINIGONNA, TANTO PIÙ CON QUESTO FREDDO!!
Va sempre in giro in mini! Calmati!, scrisse Lucy. Probabilmente.
Erza sta registrando...
NON ANDRÀ AL PRIMO APPUNTAMENTO CON UN SOCIOPATICO PIENO DI PIERCING CHE...
Levy stoppò l'audio e decise di arrangiarsi da sola. Chi fa da sé fa per tre, no? Mai proverbio più vero era venuto in mente a Levy.
Un altro messaggio, ma questa volta con la suoneria riservata ai messaggi privati. Incuriosita, Levy prese il cellulare e lesse il messaggio di Juvia, inviato sulla chat singola: Levy-san vestiti bene e non andare in minigonna. Magari metti anche i leggings. Potresti prendere freddo.
La ragazza aggrottò le sopracciglia: come poteva prendere freddo al cinema? Si avvicinò al suo armadio come in trance, senza considerare che strada stava facendo. Rifletté sulla conversazione avuta quel pomeriggio con Gajeel, prima di scendere dall'autobus.
- Allora questa sera alle otto? - aveva chiesto timidamente avviandosi verso la porta scorrevole.
Il ragazzo aveva borbottato un assenso e poi aveva ghignato con malizia. - Passo a prenderti un po' prima.
- Passi a prendermi?! - aveva chiesto lei con stupore.
- Ovvio Gamberetto! Come credi che andremo al cinema?
- Veramente non ci avevo pensato... Ma tu hai la macchina?
- No.
- E allora con cosa mi vieni a prendere? - aveva domandato, sempre più confusa.
Gajeel si era avvicinato pericolosamente al suo viso e aveva bisbigliato: - In bici.
Levy aveva sgranato gli occhi. - Hai il tandem?
- No, io pedalo e tu resti seduta sul tubo fra il sellino e il manubrio - aveva detto ridacchiando di gusto. - Perdi la fermata, Gamberetto.
Levy era corsa giù dall'autobus un secondo prima che le porte si chiudessero, chiedendosi se Gajeel avesse scherzato o meno. Si era convinta che fosse tutto uno scherzo, ma Juvia le aveva messo la pulce nell'orecchio. Insomma, con la minigonna in bici era freddo e anche... scomodo.
Lanciando improperi al cellulare sul quale continuavano ad arrivare notifiche, Levy indossò dei leggings neri con degli shorts sopra, più comodi della minigonna, e una maglia attillata arancione e bianca. Scarpe da ginnastica arancioni, fascetta nera con un fiore abbinato alla maglia e una collana identica: un regalo dei ragazzi per il compleanno. Un filo di ombretto e lucidalabbra, borsetta e... cellulare.
Levy sbuffò e si sedette in soggiorno dopo aver preso il giubbotto. Facendo appello al suo autocontrollo, sbloccò lo schermo e fissò WhatsApp: 157 notifiche. Levy aprì la chat delle Fairy Girls e scrisse:
Ora smettetela che devo uscire. E non voglio tornare a casa con 600 notifiche. Altrimenti mi incavolo come Mirajane.
Ahia
, commentò Lucy. Forse era Natsu.
Levy hai il suo numero?, scrisse Lisanna.
La ragazza spalancò la bocca. Non aveva il suo numero e non gli aveva nemmeno detto dove abitava! Lui avrebbe potuto intuirlo vedendo dove scendeva, ma casa sua era un po' nascosta. E se si perdeva chi chiamava?
RAGAZZE NON HO IL SUO NUMERO E LUI NON SA DOVE ABITO O.O
Ha pensato Juvia a dargli l'ndirizzo Levy-san. Magari questa sera vi scambiate i numeri.

Sarebbe anche ora..., commentò Lucy.
Un colpo di clacson fece sobbalzare Levy. Incuriosita, la ragazza si affacciò alla finestra che dava sul giardino anteriore e sgranò gli occhi: Gajeel era davanti a casa sua a cavallo di una moto nera lucida. Le fece un cenno con la mano e le mostrò il casco pronto per lei. A Levy parve di intravedere il solito ghigno accattivante sotto il casco. Mentre un brivido di eccitazione le scuoteva la spina dorsale, spense le luci, afferrò le chiavi, uscì di casa e chiuse la porta.
Quando si girò assunse un'espressione noncurante, come se non facesse differenza per lei andare al supermercato o in qualche paradiso tropicale. Si morse il labbro per non sorridere, cercando di fingersi una tosta.
- Non ci sono i tuoi? - chiese Gajeel con voce ovattata.
- No... storia lunga.
Lui non indagò oltre e le porse il casco, toccandole poi i capelli. - Temo che tu debba toglierti la fascetta.
Levy arricciò le labbra e ubbidì, mettendo il nastro nella tasca della giacca. Chinò la testa e la tirò indietro di scatto per infilarsi il casco, mentre Gajeel constatava quanto fosse simile ad un pulcino con quella massa vaporosa di capelli scompigliati. Era così tenera...
- Come si allaccia? Ho paura di pizzicarmi.
Gajeel l'attirò a sé per i fianchi e le fece reclinare la testa, allacciandole i cordoncini. - Tieniti stretta a me.
Ed ecco perché, a dispetto del freddo invernale, aveva preso la moto.
- Ti piacerebbe - disse Levy dandogli una pacca sul braccio. Posandogli le mani sulle spalle e mettendo il piede su uno degli appoggi per il passeggero, tentò di salire.
La moto sobbalzò quando Levy si sedette di peso, facendo ridacchiare Gajeel. - Tieniti forte.
- Che cos... uoh! - gridò lei aggrappandosi a lui, facendolo ghignare. Quando rallentò gli diede una testata con il casco. - Baka!
Indignata, Levy si staccò da lui e afferrò le maniglie ai suoi lati, con disappunto di Gajeel.
Il viaggio per arrivare al cinema fu breve e tranquillo, il ragazzo era un bravo guidatore. Tranne quando prendeva i dossi ai sessanta all'ora per far sbattere Levy contro di sé e farla urlare. Alla fine, dopo quattro rallentatori affrontati come in una gara di moto cross, la ragazza aveva deciso di godersela invece di dargliela vinta e arrabbiarsi. Così si era messa a ridere.
Gajeel parcheggiò dritto di fronte all'entrata del cinema e Levy scese con grazia, porgendogli il casco.
Quando sollevò lo sguardo lui scoppiò a ridere, una vera risata, non il solito "gihi", fragorosa come quella di un orso. Se gli orsi ridessero…
Un po' spiazzata, Levy era arrossita senza motivo, appurando quanto carina fosse la sua risata. - Che c'è?
- I tuoi capelli! - esclamò lui.
Non se l'aspettava. Probabilmente il casco le aveva elettrizzato i capelli e li aveva resi simili ad un caspo di banane, a dei dreads fatti male, o a quelli di un'afroamericana. O tutte e tre le cose insieme. Sbuffando, gonfiò le guance come ogni volta che si irritava e recuperò la fascetta dalla tasca. Con pochi e abili gesti si ricompose e guardò Gajeel con aria di sfida. - Meglio?
- Non ho detto che non mi piacevano -  ridacchiò lui scendendo dalla moto.
Levy si fiondò all'interno del cinema quasi a passo di marcia, senza accertarsi di essere seguita. Improvvisamente si sentì afferrare la mano e Gajeel la tirò dalla parte opposta a quella in cui stava andando. - Di qua Gamberetto.
Imbarazzato, le lasciò la mano una volta sicuro che lei lo stesse seguendo. Essendo venerdì sera non c'era troppa gente, per cui la fila era poca alla biglietteria.
- Che film guardiamo? - chiese Levy.
- Mmm... non lo so. Cosa proporresti?
- Uno di avventura? Quello nuovo che sembra Indiana Jones? O quello ambientato dopo la fine della Terra?
- E... altrimenti quello d'azione? È comico ho sentito dire.
Levy guardò la locandina del film con occhio critico e alla fine annuì.
- Senti, ti do i soldi per i biglietti mentre vado a prendere da mangiare. Hai cenato? – indagò lui.
- No, ma basta che tu mi dia i soldi del tuo biglietto. Il mio me lo pago io. E ti do anche i soldi per il cibo.
Gajeel scosse la testa. - Offro tutto io. Cosa vuoi da bere?
- Non essere sciocco, voglio che dividiamo.
Roteando gli occhi, il ragazzo prese il portafoglio e le mise in mano due pezzi da dieci. - Prendi due biglietti. Vado a comprare il resto.
- No.
Gajeel fu scosso da un brivido di fronte all'espressione così fiera di Levy, che lo fronteggiava a mento alto cercando di sembrare più grande. Testardaggine fatta persona.
Dato che era arrivato il loro turno, Gajeel si frappose fra lei e la commessa. - Le do i soldi, la mia... ehm... be', la ragazza dietro di me le dirà per che film. Non la faccia pagare, ha capito?
La commessa annuì con timore e Gajeel se ne andò con aria soddisfatta, mani calcate bene in tasca.
Levy roteò gli occhi e si rese conto di una cosa strana: Gajeel non sorrideva mai. Non a lei, ma in generale. Non era il tipo cordiale e avvicinabile, lui... incuteva paura! Con i piercing e i canini troppo affilati nonché il ghigno talvolta crudele, sembrava proprio un delinquente.
- Due biglietti per... - si bloccò.
A quel gioco potevano giocare in due. A lei non faceva paura.
Con un ghigno alla Gajeel, Levy ripetè: - Due biglietti per il cartone animato sui gatti.
- Fatto? - borbottò lui quando lo raggiunse al bar.
- Mm-mm - annuì lei sorridendo. - Grazie. Tieni il resto.
Gajeel prese le monete che Levy gli aveva allungato e le mise insieme ai venti euro che aveva preparato per pagare tutto.
- Venti euro? Quanta roba hai preso?
- Praline al cioccolato, pop-corn grandi salati, patate medie e due Coche grandi. Altro? Caramelle?
Levy strabuzzò gli occhi. - Io vomito.
- Nah.
- Ventidue - disse il ragazzo che aveva posato gli ordini sul bancone.
Gajeel gli allungò banconota e monete senza sorridere. Prese lo scontrino, le bibite e i pop-corn e si allontanò di un passo.
- Grazie - disse Levy sorridendo calorosamente al ragazzo, che ricambiò.
Prese patatine e praline e affiancò Gajeel.
- E quello cos'era? - mugugnò lui.
- Quello cosa?
- Quel sorriso.
Levy lo fissò: sembrava irritato sotto alla facciata impassibile. Che fosse... - Geloso? Stai scherzando?
- Perché dovrei, Gamberetto?
- L'ho solo ringraziato. Regole base dell'educazione! Tu sei stato scorbutico.
- Non sorridi così a tutti. A me non sorridi così.
Levy sgranò gli occhi e poi ridacchiò: era proprio geloso. - Tu mi irriti e basta. Se mi stuzzicassi meno magari sarei più amabile.
- Tsk - borbottò lui.
Lei gli sorrise e porse i biglietti al ragazzo che indicò loro la sala.
Stavano per entrare quando Gajeel si bloccò. - Ohi, è sbagliata. Noi non siamo qui.
Levy fece marcia indietro e ridacchiò. - Può darsi che abbia cambiato idea riguardo al film.
- Gamberetto che hai combinato...? - chiese lui nel pallone. Un gelido panico gli stava attanagliando le viscere.
- Orsù, Gajeel - scherzò lei prendendolo a braccetto. - È commovente vedere dei micetti che si alleano contro i cani del quartiere.
La pubblicità portò via i lamenti e gli sbuffi di un orso che era finito in una sala gremita di bambini.
 
- Mi è piaciuto un sacco! - esclamò Levy all'uscita dalla sala. - A te no?
Gajeel aveva lo sguardo vacuo mentre la ragazza lo trascinava nella sala principale del cinema, abbastanza silenziosa; eccetto per i bambini elettrizzati che si dirigevano verso l'area dei giochi.
- Gajeel?
- Dimmi - mormorò lui con un filo di voce.
Levy ridacchiò ripensando al suo comportamento. Pur di non guardare il film aveva mangiato quasi tutto quello che aveva ordinato, concentrandosi su qualsiasi cosa non fosse lo schermo gigante da cui provenivano le voci acute dei micetti "inutili e irritanti", come li aveva definiti lui. A metà film, quando aveva iniziato a lamentarsi perché aveva finito il cibo, Levy gli aveva preso la mano sperando di farlo tacere. E aveva funzionato. Gajeel si era ricordato del fatto che era al cinema con lei, che erano seduti vicini, al buio. Si era messo tranquillo e aveva trattenuto la sua mano quando lei aveva cercato di ritrarla. Si era accasciato verso il bracciolo che separava le loro poltrone in modo da accostare il braccio al suo. E l'aveva fatta ridere tanto, troppo, commentando ad un soffio dal suo orecchio le azioni dei gatti.
- Quello è sull'altra sponda, non vedi gli atteggiamenti? E poi ha la gonna. Un gatto con la gonna.
- Ma Gajeel -, aveva protestato lei ridendo, - è la sua padrona che è convinta che sia una femmina!
- Tutte scuse - aveva borbottato facendosi ancora più vicino. - Vedi quello? È castrato. Non senti la sua voce?
Levy era scoppiata a ridere di gusto, e si era tappata la bocca un istante dopo quando dei bambini si erano girati a fissarla: aveva riso durante la scena più "drammatica" della storia. Era arrossita e aveva fissato trucemente Gajeel, anche se nei suoi occhi brillava ancora il divertimento.
- Quello è il mio preferito. È un vero gatto. A casa ne ho uno che gli assomiglia.
-  A quale?
- Quello scuro. Pelo marrone scuro con la cicatrice sull'occhio destro. È un grande gatto. Ha anche i pantaloncini verdi da combattente!
Sorridendo, Levy gli aveva appoggiato la testa sulla spalla, facendolo gongolare.
- Ti ho chiesto se ti è piaciuto - ripeté Levy di fronte al ragazzo amorfo, riportandolo alla realtà.
Gajeel le lanciò un'occhiata interrogativa. - Ma eri con me durante il film o era un'altra la ragazza di fianco a me?
- Penso fosse un'altra - scherzò lei.
- Oh. Be', era parecchio bella.
Levy arrossì e gli diede un buffetto sul braccio. - Andiamo in libreria?
- Stai scherzando? Prima i gatti sterilizzati e ora la libreria?
- Dai, brontolone!
Gajeel sbuffò e la seguì in silenzio. Levy gli sorrise prima di entrare nel negozio, e lui non poté non notare il lampo di gioia nei suoi occhi. La seguì fra gli scaffali mentre scannerizzava in silenzio tutti i titoli dei libri e indicava alcune copertine sorridendo: probabilmente quelle che appartenevano a storie già lette.
Mordendosi le labbra afferrava qualche volume e leggeva la trama, annuendo e segnando titolo e autore nel cellulare.
- Oddio! - esclamò prendendone in mano uno. - Finalmente è uscito l'ultimo?
- È una... saga? - chiese Gajeel, titubante. Sperava di aver pronunciato bene il nome.
- Sì! - rispose lei fissandolo con gli occhi emozionati. - Era da mesi che l'aspettavo.
- Di cosa parla? - domandò lui appoggiandosi allo scaffale.
Levy lo fissò di sottecchi e raccontò per sommi capi la storia di avventura e amore che l'aveva incantata. Odiava quando qualcuno le chiedeva cosa stava leggendo, ma si scoprì desiderosa di parlarne a Gajeel. Così non si rese conto di aver monopolizzato la conversazione per quattro minuti senza essere mai interrotta: lui la fissava con aria assente.
- Scusa, non volevo annoiarti - disse con un sorriso di scuse.
- Non mi stavo annoiando, ti stavo ascoltando. Quasi quasi hai fatto venire voglia pure a me di leggerlo.
- Davvero?
- Sì. Aspetta, ho detto quasi. Due volte. Ma mi piace come racconti le storie.
Levy arrossì e gli sorrise, grata. - Grazie. Di solito non mi piace parlare dei libri che leggo perché ne sono gelosa. E poi divento ossessiva.
- Non farti problemi con me, Gamberetto. Lo prendi?
- Assolutamente sì. Andiamo?
Gajeel annuì e la seguì alla cassa.
- Ehi, guarda cosa c'è qui... -  esordì Levy con aria divertita.
Il ragazzo seguì il suo dito fino a notare dei portachiavi con la forma dei gatti del film. - No, ti prego - si lamentò, in agonia.
Levy rise e si sporse per guardarli. - Ce ne sono anche da attaccare al cellulare. Che forti!
- Non starai mica pensando di comprarli, spero.
- No... Guarda quelli lì - esclamò poi indicando un punto vicino ad una pila di libri.
Approfittando della distrazione del ragazzo Levy afferrò due miniature del gatto che Gajeel aveva apprezzato, quello scuro con i pantaloncini verdi, e li diede in fretta alla commessa che li mise sorridendo nel sacchetto con il libro.
- Cosa devo guardare?
- Me che esco - rispose lei avviandosi verso l'uscita.
Confuso, Gajeel la seguì all'esterno e le porse il casco, slacciandole la fascetta. - Fa più freddo, quindi fidati, è meglio se ti aggrappi a me.
- Buona scusa - disse lei ridendo.
- È vero. Non sai che per scaldarsi la cosa migliore da fare è spogliarsi e abbracciare qualcuno? Condivisione di calore. Ti avrei detto di spogliarti, ma siamo in moto e non conviene.
Levy ridacchiò e si infilò il casco. - Smettila di dire fesserie e partiamo.
 
- Arrivati - annunciò Gajeel togliendosi il casco.
- Grazie. Ora penso che andrò a vomitare le schifezze che ho ingurgitato.
- Che poetica. Vomiterai leggendo il libro nuovo.
- Ovvio. A proposito di libro, ho un regalino per te. Dammi il tuo cellulare.
Gajeel aggrottò le sopracciglia. - Perché dovrei...
- Ubbidisci e basta - disse lei con severità.
Il ragazzo le porse il cellulare estratto dalla tasca della giacca e la fissò mentre lei tirava fuori dal sacchetto...
- Gatti?! Ma è un incubo! Probabilmente a casa sarò terrorizzato da Lily!
Levy, che stava cercando si sistemare l'action-figure del gatto sul bordo del cellulare, lo fissò brevemente, interdetta. - Ma Lily non è il tuo migliore amico?
- Si chiama Panther e di secondo nome fa Lily, ma tutti lo chiamano Pantherlily. Gli ho sempre detto che per me è un nome da gatto, così ho chiamato Lily il mio gatto.
La ragazza sorrise di fronte a quella logica e gli porse il cellulare. - Guai a te se lo togli.
Il gatto era costruito in modo da stare senza difficoltà su un cellulare; non c'era bisogno di utilizzare fili. Con le zampe anteriori si appoggiava allo scherzo e il corpo era sulla parte posteriore del cellulare, come se stesse cercando di scavalcare il bordo superiore dello smartphone. Gajeel non l'avrebbe mai ammesso, ma era dannatamente carino.
- E dovrei andare in giro con questo coso? Neanche per sogno!
- Almeno fino a lunedì.
- No.
- Dai!
- Cosa ci guadagno?
Levy si prese il mento tra pollice e indice, riflettendo. - Ora ci penso...
Gajeel chinò il viso verso il cellulare che teneva in mano, rigirandoselo tra le dita per osservare meglio quel gattino clandestino. Era così concentrato che si rese conto di quanto Levy fosse vicina solo quando la sentì bisbigliare: - Questo...
Colto alla sprovvista, girò di scatto la testa verso di lei e le loro labbra aderirono nel bacio più casto del mondo. Forse non poteva essere nemmeno considerato un bacio.
I due ragazzi spalancarono gli occhi e si allontanarono di scatto. Non che non si sentissero attratti l'uno dall'altra, ma era solo il primo appuntamento e Gajeel non considerava Levy una ragazza da bacio alla prima occasione. Voleva creare l'atmosfera.
Le gote morbide le si imporporarono e lei farfugliò: - Non avevo intenzione di... cioè non intendevo... io…
- Colpa mia, mi sono girato all'improvviso. Anzi, più che colpa, merito mio!
Gajeel ghignò e Levy non poté trattenere un dolce sorriso di gratitudine. - Ora sei costretto a tenerlo fino a lunedì.
- D'accordo - acconsentì lui. - Sarà meglio che entri o prenderai freddo. Ci vediamo lunedì.
- Buon weekend - gli augurò dirigendosi verso il cancello di casa. Poi ci ripensò e tornò indietro mordendosi un labbro. Gli diede un bacio sulla guancia come aveva progettato di fare all'inizio, indugiando dopo aver saggiato la morbidezza di quella pelle fresca di dopobarba. - E buonanotte - bisbigliò prima di scappare in casa.
O meglio, prima di cercare di scappare in casa. Gajeel infatti l'aveva afferrata per il polso e l'aveva tirata verso di sé, facendola avvicinare più di quanto avesse voluto. Sbilanciata dallo strattone, Levy urlò e gli cadde addosso, abbracciandolo. Appena ritrovò l'equilibrio si allontanò rossa in viso.
- Scusa - borbottò lui. - Il tuo numero.
- Il mio...?
- Il tuo numero di cellulare? No?
- Oh, sì. Sì. Ehm...
- Inseriscilo - disse lui porgendole il suo telefono, sbloccato e aperta sulla schermata della chiamata.
Levy obbedì e lo osservò mentre salvava il numero a nome di Gamberetto.
- Sei un infame - disse con irritazione.
Gajeel ridacchiò. - O Gamberetto o Piccoletta.
- Ti salverò come... come...
- Gajeel.
Levy sbuffò e gli diede le spalle.
- Ma va bene anche "Amore della mia vita". Non mi offendo - aggiunse con quello che lei sapeva essere un ghigno malizioso.
Levy sorrise, ma non glielo diede a vedere. Alzò la mano in segno di saluto e si avviò verso la porta.
Veramente, questa volta. Solo quando entrò in casa sentì la moto di Gajeel allontanarsi nella notte.
Sfinita, si spogliò, si lavò, indossò il pigiamone e andò a dormire.
Attaccò il cellulare scarico alla presa dietro il comodino e lesse i messaggi. 452 messaggi dalle Fairy Girls. Come prima, aprì e chiuse la chat senza leggerne nemmeno mezzo. Poi ci ripensò e diede la buonanotte, notando come Erza e Mira avessero monopolizzato la conversazione: la prima con messaggi vocali in cui esprimeva preoccupazione per la sorte dell'amica e lanciava minacce di morte allo “scimmione", e la seconda immaginandosi scenari hot descritti in toni rosa e velatamente erotici. Era un demonio quella ragazza.
Un messaggio dalla mamma, che le dava la buonanotte, una trentina dal gruppo Shadow Gear in cui Jet e Droy cercavano di convincersi a vicenda di essere con Levy in quel momento.
Un numero sconosciuto.
Se non altro il cibo è stato buono. Appena posso brucio il gatto - G.
La ragazza sorrise e salvò il numero, prima di rispondere: Non lo farai altrimenti non uscirò più con te :P
Che ricattatrice. Mi implorerai di uscire ancora con me! - G.
Pensi che sia figo firmarti con una G ad ogni messaggio?
Ovvio - G.
Non lo è, fidati xD
Sì, lo so. Era una cosa che avevo impostato e ora non so più come togliere! - G.
Ahahahahahahah stai scherzando?
Ti sembro uno che scerza? - G.

Ridendo un altro pochino, Levy gli spiegò come fare a togliere la firma.
Sei un'hacker? o.o
No, sono un genio^^ (o una che ha fatto la tua stessa esperienza)
Tipico. È già mezzanotte. Qual è il tuo record di ora in cui sei andata a dormire?
Perché?
Te lo farò infrangere.
Non ci vorrà molto ^^"
Bene. Allora preparati a messaggiare convulsamente. E se dormi vengo a svegliarti. So dove abiti *faccina pervertita*

Levy rise prima di scuotere la testa, pensando a quanto è vero che l'amore arriva all'improvviso.
 
Due giorni e sette ricariche della batteria del telefono dopo, Levy era sconvolta. Aveva messaggiato così tanto con Gajeel da aver reso la chat con lui una delle più usate, fatta eccezione per quella di Lucy, che aveva il primato. Avevano scambiato foto, audio, canzoni e ovviamente messaggi. Avevano imparato parecchio l'uno dell'altra anche con quel metodo. Ad esempio, Levy aveva scoperto che Gajeel non metteva faccine nemmeno sotto minacce, e non si esponeva troppo se voleva parlare di sé, come succedeva anche quando parlavano senza cellulare. Lui invece aveva capito che Levy perdeva qualsiasi traccia di timidezza, diventando quasi intraprendente, quando non vedeva dal vivo il suo interlocutore. Aveva parlato di tutto senza freni inibitori, scrivendo cose che a voce non avrebbe mai avuto il coraggio di riferire. Quando Gajeel glielo aveva fatto notare, lei aveva scritto sì e no una trentina di righe di un messaggio per dirgli che la tecnologia era deleteria da questo punto di vista e lei si pentiva spessissimo di ciò che scriveva.
Quel lunedì mattina era salita sull'autobus sorridendo, andando a sedersi vicino al ragazzo che le aveva tenuto il posto. Avevano chiacchierato un po' di cose futili visto che Gajeel le aveva già chiesto come stava via sms, dandole il buongiorno. E alla fine Levy aveva iniziato a leggere, conscia dello sguardo indagatore del suo vicino. Il silenzio che li accompagnò fino al corridoio della scuola li faceva sentire a loro agio. E poi, era pur sempre lunedì mattina. Gajeel le scompigliò i capelli con affetto.
- Vado a litigare con il Fiammifero e il Ghiacciolo perverso. A dopo Gamberetto.
- A dopo - rispose lei sorridendo.
Lo osservò allontanarsi e proprio mentre stava per girare l'angolo lo vide tirare fuori dalla tasca il suo cellulare. Cellulare su cui era ancora posizionato il gatto. Levy strabuzzò gli occhi e trattenne a stento una risata: lo aveva tenuto fino a quel giorno, non lo aveva tolto.
- Gajeel! - chiamò, ma era troppo tardi.
Provò a scrivergli un messaggio, ma le Fairy Girls l'avevano accerchiata ancora prima che lei potesse mettere la mano nella tasca della giacca.
- Allora?!
- Levy-chan, racconta!
- Juvia vuole i dettagli hot!
Proprio in quel momento suonò la campanella e Levy si diresse con gioia verso la sua classe, consapevole che non sarebbe potuta fuggire a lungo dalle amiche affamate di gossip. Per lo meno la prima ora aveva lezione da sola.
Non disponibileSi sedette al banco e tirò fuori il telefono che altrimenti avrebbe dovuto lasciare nell'armadietto. La prof della prima ora era famosa per i suoi ritardi. Appoggiando la guancia sulla mano e sbloccando il cellulare con la destra, Levy selezionò la prima chat che le apparve, e inviò un cuore.
Arrossì leggermente, senza però perdere il sorriso dolce, rendendosi conto che il ragazzo poteva fraintendere quel cuore così improvviso.
Ho notato il gatto sulla tua cover. Non l'hai tolto, specificò allora.
In un'altra classe, Gajeel stava messaggiando nel gruppo con Natsu e Gray. Litigando più che altro.
Non disponibileAveva la testa appoggiata alla sua mano priva di guanti, e ghignò leggermente quando vide che Levy gli aveva scritto.
Mi sono dimenticato di levarlo. Ora provvedo, rispose.
Non lo farai.
Chi te lo dice?

Non lo farai, ripeté lei.
Dammi un motivo per non farlo.
Sto chattando con la prof in classe!
Ti ho portato sulla cattiva strada, Gamberetto.
Può essere...    
Esci ancora con me.   
Vediamo... non so...
, scrisse soffocando una risata.
Guarda che tolgo il gatto.
Uff, va bene. Come sei insistente.
Ti porto fuori a cena.
Va bene ^^ Ora vado.
A dopo Piccoletta.

Gajeel mise via il cellulare sorridendo al gatto che aveva letto dall'alto tutti i suoi messaggi.
 

MaxBarbie’s
Eh-eh-ehi! Ciao… io sono MaxBarbie e circa un anno fa ho iniziato a scrivere questa ff che è una raccolta di o-s. E ora sto riassumendo tutto perché non mi faccio sentire da così tanto tempo che se non vi ricordaste chi sono non mi sorprenderei^^”
Però sono qui. Ho smesso di scrivere AHAHAHAHAAH stupendo. Però dico sempre che continuerò a farlo, e almeno l’altra ff DEVO finirla, per cui… sì… ricomincerò. No, dai, sto scribacchiando quando ho tempo. Poco, ma lo faccio.
Per cui… questa AU è una delle mie preferite e spero vivamente che sia anche una delle vostre o che, per lo meno, vi piaccia. Un pochino. Che altro dire… non lo so. Ahahahahah dovevo dire una cosa che non ricordo… già. Spero che ricordiate gli scorsi capitoli di questa AU e AH SI’ ORA RICORDO: spero Gajeel non sia OC. La vedo dura…
Ditemi se i messaggi messi in grassetto e con un altro carattere sono più semplici o fanno più confusione.
Va be’, qualsiasi cosa vogliate dirmi, qualunque insulto vogliate lanciarli, tutti i vostri pensieri commossi, se avete sentito la mia mancanza o stavate meglio senza di me non esitate a dirmelo! (Questa frase non ha un senso logico, ma la loica è sopravvalutata come ogni cosa).
Grazie mille e “A presto” (lo spero),
MaxBarbie

 

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Capitolo 21
*** Real Member (Council Gajevy 2) ***


Real Member (Council Gajevy 2)

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily; Jet e Droy; vari
Coppie: GxL;
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: /
Contestualizzazione: fine Tartaros Arc
Avvertimenti:spoiler!; storia basata sul possibile svolgimento delle avventure nel Concilio.

 
Riassunto capitolo 1: dopo lo scioglimento di Fairy Tail, i membri della gilda si dividono e ognuno prende la propria strada. Levy e Gajeel si salutano, osservando anche la rottura definitiva del Team Shadow Gear. Ma la promessa di rivedersi è presente nei loro cuori ogni giorno della loro vita grazie ai pegni che Gajeel e Levy si sono scambiati.
 Un paio di mesi dopo, Levy era entrata nel Concilio per le sue doti intellettuali, scoprendo che non sarebbe stata sola in quella nuova avventura…

 
- Gajeel ho finito di studiare. Sono pronta per il test – comunicò Levy, occhiali per la lettura veloce sulla punta del naso e capelli legati in un’austera coda di cavallo.
Il ragazzo sollevò la testa e si concesse alcuni attimi di osservazione: qualche ciocca ribelle le ricadeva lungo la guancia in morbide onde, segno che era stata talmente impegnata da non farci nemmeno caso. Adorava il suo look da studiosa modello, ne aveva avuto un assaggio quando aveva cercato, e trovato, il modo per neutralizzare le rune di Freed, durante la parata di Phantasia. L’aveva colpito, soprattutto per la sua bellezza, ma anche per il modo in cui era in grado di cambiare: da tenera e innocente partecipante della gara femminile a macchina da guerra dalla conoscenza così profonda da poter tener testa ai comandanti di tutto il Concilio. Indossava una maglia blu e nera che le copriva anche il sedere e dei pantaloni attillati neri infilati dentro a degli stivaletti marroni di cuoio. Lo stile era proprio lo stesso di quella volta, quando però la maglia era arancione e nel suo cuore abitava solo l’urgenza del momento e la necessità di fargli capire quanto lui, Gajeel, fosse importante in quel frangente. Aveva dovuto abbandonare i suoi amati vestitini perché… be’, chi andava in giro con simili abiti nel Concilio? Le uniche donne che vi lavoravano erano segretarie obese costrette dietro scrivanie minuscole o esseri dal sesso non facilmente identificabile, che si rivelavano donne solo quando le si vedeva dirigersi verso il bagno femminile. Non sorprendeva che Levy fosse stata subissata di giovani uomini che cercavano di attaccare bottone praticamente in ogni corridoio. O meglio, lo sarebbe stata se un certo quasi-capitano non fosse stato con lei…
Si schiarì la gola. – Innanzi tutto, Capitano, Miss McGarden – l’ammonì con severità.
Levy strinse le labbra e assottigliò gli occhi, fissandolo con malanimo sotto le lunga ciglia che sbattevano dolcemente quando batteva le palpebre. Suo malgrado, annuì.
E Gajeel ghignò. L’aveva rivista solo tre giorni prima, quando era arrivata in veste di novizia che doveva essere iniziata alle abitudini del Concilio proprio da lui. Esattamente due giorni dopo, ossia il giorno prima a livello temporale di narrazione, era stato nominato Capitano dell’Unità di esecuzione della Detenzione. La cerimonia era stata pacata e fredda, come ogni cosa lì al Concilio, regolata da rigide regole che prevedevano un giuramento, una firma e un pranzo con i membri della propria unità. Su richiesta del neo capitano, aveva partecipato anche Levy, per osservare i costumi della sua nuova casa. Scusa banale. Ciò non toglieva nulla al fatto che Gajeel era davvero capitano di una così importante area dell’organizzazione, con Lily come vicecapitano, ovviamente, e tiranneggiava Levy rammentandole ogni due minuti che lui era il capo, lui aveva il potere e lui comandava, e lei doveva rendergli gli onori del caso e chiamarlo Capitano Redfox. Ci mancava solo che gli chiedesse di sussurrarglielo all’orecchio!
- Bene, Capitano – ringhiò sommessamente Levy. – Ho finito di studiare e sono pronta per il test.
- Nessuno si è mai studiato i due libri obbligatori di Storia del Concilio, il manuale di mille pagine con le regole dell’organizzazione, la planimetria del quartier generale e i nomi di tutti i capitani e i vicecapitani dei diversi reparti in meno di tre giorni! – disse Lily in tono reverenziale.
Levy sorrise lievemente, felice di rivedere il suo amato gatto. Non proprio suo…
Lily, a quanto pareva, nel mese di lontananza si era allenato così duramente da riuscire a mantenere la sua forma originaria di Edoras per un giorno intero. E siccome nessuno tendeva a prenderlo seriamente se restava piccolo e si spacciava per il vicecapitano, aveva dovuto per forza di cose iniziare a mantenerla ogni volta che non era da solo con Gajeel.
- Gamberetto nemmeno io ho studiato quella roba in tre giorni! – esclamò Gajeel.
- Tu non l’hai proprio studiata, ho fatto io per entrambi – borbottò Lily.
Levy si chinò sulla scrivania dietro alla quale Gajeel era seduto, analizzando, o fingendo di farlo, alcune scartoffie riguardanti querele per arresti ingiustificati. Ed era capitano solo dal giorno prima.
- Miss McGarden, se non le dispiace… - sussurrò lei ad un soffio dal suo viso.
A quel gioco potevano giocare in due, ad armi pari a giudicare dal modo in cui Gajeel deglutiva a vuoto.
- Comunque, io l’ho fatto. Sono pronta per il test e per la nomina a qualsiasi mansione e livello vorrai assegnarmi.
- Corri troppo – intervenne Gajeel, ritrovando l’uso della parola. – Oggi pomeriggio e per altri due giorni, fino alla fine della settimana, dovrai assistere all’azione della mia Unità. La mia unità – ripeté, pavoneggiandosi per la sua nomina. Levy roteò gli occhi e Lily gli tirò un pugno. – Solo allora ti dirò cosa devi fare.
- Bene. E il test?
- L’hai passato – riferì Gajeel alzandosi. Detestava guardarla dal basso: quando la sovrastava poteva osservarla mentre allungava il collo per cercare di essere alla sua altezza. Adorabile.
- Ma io non ho fatto nulla… - mormorò lei, basita e in preda alla più completa confusione.
- Levy sappiamo quali sono le tue capacità. Nessuno qui ha mai studiato tutta quella solfa in tre giorni. A dire il vero, penso che a parte te, me e pochi altri, i membri del Concilio abbiamo saltato la teoria a piè pari. Quindi non abbiamo motivo di perdere tempo facendoti apporre crocette su un foglio pieno di domande a cui saprai rispondere ad occhi chiusi. Piuttosto, andiamo a pranzo insieme e poi ti mostriamo la parte divertente del lavoro – spiegò Lily sorridendo.
Levy ricambiò il sorriso, arrossendo leggermente per la lusinga. Poi fissò Gajeel. – Posso smetterla di chiamarti Capitano? – domandò facendo il broncio.
Spiazzato, Gajeel arrossì e distolse lo sguardo repentinamente. – Va bene – borbottò con un tono ricco di sconfitta e astio.
Soddisfatta, Levy fece per allontanarsi.
- Dove vai? – la bloccò Gajeel, preoccupato. L’avrebbero assediata appena uscita dalla stanza.
- A cambiarmi – rispose lei pacatamente.
- No! Devi venire con noi. Non puoi cambiarti! – le disse in tono concitato.
Quella maglia le metteva in mostra così bene il lato B…
- Ma…
- Niente ma, così va bene. A pranzo, sto morendo di fame! – esclamò prendendo Levy per la vita in maniera troppo possessiva e trascinandola in mensa, sordo alle sue proteste.
Sospirando, Lily si alzò e mise un po’ di ordine prima di seguirli.
Se quei due non combinavano nulla proprio in quel periodo in cui potevano lavorare insieme al Concilio, ci avrebbe pensato lui a sistemarli.
 
- Voglio solo mangiare – farfugliò Gajeel, con la bocca piena, per la milionesima volta.
In tre si erano seduti al tavolo della mensa, in tre. Quando era ancora mezza vuota.
Dunque, perché ora c’erano quindici ragazzoni ben piantati di età compresa tra i ventidue e i trent’anni seduti su un tavolo da otto posti a flirtare con Levy fingendo di dover mangiare?
- Capitano, quando facciamo quella prova di forza come allenamento? Sono certo di poter battere tutti grazie agli esercizi che ho fatto per mesi – disse il più sbruffone dei membri del suo reparto. Venticinque anni, vanesio come pochi, i muscoli tonici e l’abbronzatura erano solo una finzione per atteggiarsi da gran divo. Aveva preso a malapena la sufficienza in tutte le prove che Gajeel aveva fatto fare in veste di vicecapitano. – E Levy potrebbe tenere i punteggi. È così brava in queste cose. E magari mettere le coccarde sul petto dei vincitori. Capitano, seriamente, potrei addirittura battere lei.
Le posate vennero violentemente sbattute sul tavolo mentre Lily continuava a mangiare tranquillamente la sua insalata di kiwi. Ma a Levy non sfuggì la vena pulsante sulla fronte del compagno, i pugni contratti, troppo contratti per essere un semplice riflesso nervoso, gli occhi iniettati di sangue e la mascella serrata.
Lo bloccò prima di far scoppiare una rissa: in qualità di comandante non poteva dare una così negativa impressione di sé. – Non credo che lei possa battere il capitano. Lo conosco bene e, be’, non è battibile semplicemente grazie ad un po’ di allenamento in casa e pillole proteiche.
- Lo vedremo – sghignazzò il ragazzo, sedendosi sul tavolo, fregandosene dei vassoi di chi usava la copertura del cibo per mascherare il desiderio di parlare con l’unica donna appetibile del Concilio.
- Quando lo vedrai sarà troppo tardi – lo ammonì Lily, senza guardarlo.
Levy accarezzò il braccio di Gajeel, che chinò la testa per osservarla: gli stava sorridendo dolcemente, con quegli occhioni che invece che assottigliarsi, sembravano ingrandirsi quando era felice. – Gajeel andiamo a fare la parte pratica della mia iniziazione?
Il ragazzo ghignò e lanciò un’occhiata di vittoria allo sbruffone che aveva perso il sorriso. Il tavolo si era fatto improvvisamente silenzioso.
Alzandosi, il capitano disse: - Signori, vado a sbrigare alcune noiose, noiosissime -, Levy gli tirò una gomitata risentita, facendolo ridacchiare, - faccende burocratiche. Voi fareste meglio ad allenarvi perché chi prende meno di tre quarti del punteggio viene rimandato a casa – avvisò fissando una persona in particolare.
Senza aspettare risposta o osservare le bocche spalancate di quegli spocchiosi ragazzetti che non avevano mai nemmeno preso il settanta percento del totale nei test, Gajeel trascinò via Levy e Lily.
 
- Quindi li boccerai tutti? – chiese Levy ridacchiando.
- Non valgono nulla, fidati. Gli unici quattro che hanno buoni punteggi sono quelli che promuoverò. Agli altri farò fare un po’ di gavetta in archivio, o li spedirò in mensa o a pulire i bagni.
- Sadico – commentò Lily svolazzando, lieto di essere solo con loro per poter stare nella sue forma meno dispendiosa di energia.
- Farai fare anche a me la gavetta? – chiese Levy innocentemente.
Stavano passeggiando nel boschetto che circondava la fortezza del Concilio, lontani da sguardi indiscreti o chiacchiere, che avevano già iniziato a diffondersi. Insomma, l’arrivo di Levy, il fatto che fosse di Fairy Tail come Gajeel, che dovesse fare il tirocinio sotto la sua direttiva… non c’era nessuno divertimento lì, qualcosa bisognava pure fare. Per cui i gossip e i flirt stavano prendendo piede come la notizia di una nuova guerra in lacrima-visione.
- A te no… Guarda – la chiamò fermandosi. – Questi meli tra poco daranno le mele più buone della zona. Il Concilio organizza ogni anni una raccolta con l’aiuto di membri di diversi reparti. Potremmo partecipare.
Lily lo guardò come se avesse appena detto di preferire i perizomi e i reggiseni imbottiti ai boxer. Raccogliere le mele? La vicinanza di Levy gli aveva dato una scarica di zucchero eccessiva nelle vene.
- Oh… okay – acconsentì lei, un po’ stranita. – Ma allora a che settore mi destinerai? Gli archivi mi sembrano adatti.
- No. Sarai nel gruppo di supporto strategico del mio reparto, l’Unità Informativa. A dire il vero lavora un po’ per tutti, però noi ci conosciamo… e siamo abituati a lavorare insieme per cui saremo avvantaggiati.
Lily represse una risatina, che però non sfuggì all’udito finissimo di Gajeel.
- Vuoi lottare, gatto?
- Mi sembri tanto Salamander. Cos’è, senti la sua mancanza? – lo schernì il compagno.
A Levy erano mancate quelle baruffe. Li lasciò bisticciare a picchiarsi per alcuni minuti, prima di interromperli.
- Qui dobbiamo preparare il percorso per domani?
- Sì. Tu occupati della griglia di valutazione – la istruì Gajeel.
I tre erano sbucati in un piccolo spiazzo in mezzo al bosco dove un tempo probabilmente sorgevano le fondamenta di una casa colonica. Muri diroccati e rovine fatiscenti occupavano la radura, rendendo il posto un perfetto percorso ad ostacoli.
- Solo le schede e la parte di valutazione? – chiese Levy, fissandosi le mani. Aveva indossato i suoi guanti marroni per i lavori manuali sopra a delle bende per tenere le dita asciutte. Pensava di dover svolgere del lavoro pratico, del resto era parte del suo allenamento, ma Gajeel sembrava di un’altra opinione.
- Sì. Io e Lily organizziamo lo spazio – rispose afferrando la giacca del Concilio che portava sempre appresso in veste di capitano. Con un unico e fluido movimento se la tolse dalle spalle, dov’era drappeggiata, e la tirò sul muro di pietre distrutto dal tempo.
Con un cenno del capo Levy si sedette ai piedi della fondamenta e tirò fuori il libro e i fogli che si era portata dietro. Erano un volume e degli appunti sulle classificazioni degli allenamenti e le griglie di valutazione. Doveva inventare un nuovo sistema per assegnare i voti in base al tipo di percorso ideato da Gajeel.
Non disponibilePer parecchi minuti rimase così concentrata da non accorgersi nemmeno delle discussioni tra Gajeel e Lily riguardo al miglior metodo di organizzazione degli ostacoli. Poi, reclinando la testa e sospirando, si rese conto di avere la schiena appoggiata alla giacca di Gajeel. Senza pensare, controllò i suoi compagni e, trovandoli assorti in una conversazione animata a pochi passi da lei, si mise la giacca sulle spalle e sulla schiena e ne strinse il bavero al collo, arrossendo constatando come il tessuto fosse impregnato del suo odore. Sorrise notando quanto la taglia fosse immensa per lei, e per un attimo si dimenticò del libro aperto sulle sue gambe piegate o dei fogli stesi di fianco a lei, e si immaginò di essere fra le braccia di Gajeel. Si era ripromessa di non pensare certe cose, di non illudersi dopo quello che era successo, perché non era effettivamente successo nulla. Gli aveva fatto una respirazione bocca a bocca e basta. Non era stato un bacio. Non era stato niente. Zero. Quindi perché soffrire inutilmente? Le piaceva la sua compagnia, tutto lì.
Ma se era solo quello, perché sentiva il suo cuore implorarla di correre da lui e lasciarsi abbracciare veramente?
No, doveva smetterla. Doveva togliersi quella giacca. Se Gajeel lo avesse scoperto…
- Levy abbiamo finito! – la chiamò Lily da lontano, avvicinandosi in volo.
Nel panico, la ragazza decise che se avesse fatto finta di dormire, avrebbero pensato che avesse avuto freddo, invece di fraintendere. Sì, doveva fingere di dormire. Appoggiò la testa al muro e calmò il respiro, sperando che le guance non fossero rosse.
- Gamber…!
- SH! Dorme! – sibilò Lily, zittendolo. Raccattò i fogli e li mise delicatamente in mezzo al libro, attento a non svegliare la compagna.
Poi porse tutto a Gajeel e sussurrò: - Dev’essersi coperta quando ha iniziato a soffiare il vento. Reggi questi mentre la porto.
Un’ombra la sovrastò e Levy capì che il gatto si era trasformato per poterla prendere in braccio.
Però le sue mani non arrivarono mai a sfiorarla.
- Faccio io – gli intimò Gajeel.
Con una botta gli schiaffò il libro sul petto e si chinò prendendo Levy in braccio, che fece appello a tutte le sue doti di attrice per sembrare addormentata.
- Dev’essersi stancata troppo studiando così tanto. Dovresti farle un massaggio tornata in camera – buttò lì Lily, ridacchiando.
- Tsk, come se me lo lasciasse fare.
- Se non osi non puoi saperlo.
- Smettila gatto! Mi arrangio da solo.
- Allora forse tra quarant’anni capirai che lei ricambi i tuoi sentimenti.
- Domani fai il percorso con gli altri – ringhiò stringendo Levy al petto, come per proteggerla dalla sua stessa rabbia. – E licenzio pure te se non hai buoni risultati.
Nessuno lo vide, ma Lily roteò gli occhi, disperato.
La ragazza, invece, nascose il sorriso nella giacca e si accoccolò contro il suo petto, lasciandosi cullare dal ritmo cadenzato delle falcate di Gajeel e abbandonandosi al sonno.
 
I giorni successivi furono molto frenetici. Dai risultati del percorso fu evidente che i marmocchi barbuti che avevano fatto gli smargiassi erano delle pappe molli e che l’unità di Esecuzione della Detenzione doveva essere quasi interamente riorganizzata. Solo quei quattro che Gajeel aveva previsto passarono il test, insieme a Lily, che ottenne il massimo dei voti e tirò un gancio al capitano per avergli davvero fatto fare quella cosa.
Così Levy, Gajeel e Lily avevano dovuto reclutare altri membri e avevano passato quasi tutti i giorni insieme. Poi il capitano aveva dovuto far fare un po’ di pratica alla novizia, per cui, solo per il gusto di vederla in calzoncini da ginnastica, l’aveva fatta allenare con corsa ed esercizi vari per testare le sue abilità e decidere a quale settore destinarla. Inutile dire che una folla di uomini si era accalcata alle finestre che davano sul giardino per osservare la scena, con conseguente fuga di tutti quando il capitano si era messo ad urlare, minacciare e trasformare le braccia in seghe elettriche. Il tutto quando Levy, impegnata nella corse nel sottobosco, non assisteva.
Avevano fatto colazione, pranzato e cenato sempre insieme e le voci su una storia segreta si erano intensificate. E i leggeri flirt tra i due non facevano nulla per fermare quelle voci.
Finalmente, domenica, era il giorno del responso: Levy doveva ricevere il nominativo della squadra a cui appartenere su una busta firmata dal Consiglio superiore, grazie ai referti di Gajeel.
Era una mattinata tranquilla e i tre compagni stavano aspettando nel giardino sul retro dell’edificio. Alle loro spalle c’era un laghetto sul quale il cielo terso si specchiava come una fanciulla innamorata. Levy indossava gli stessi pantaloni bianchi di sempre, ma aveva cambiato maglia e indossava una canottiera nera a collo alto, più o meno simile alla maglia che Gajeel portava sotto la giacca, con il colletto aperto. Dei comodi pantaloni che sembravano quelli di Lily, chiari, larghi e con una fascia in vita, erano ben visibili grazie al fatto che, come sempre, la giacca del Concilio non era stata indossata come si conveniva. Gajeel aspettava con le mani ben calcate in tasca, per nulla ansioso per il responso. Del resto, lui sapeva a cosa era destinata Levy.
Finalmente un membro del reparto informativo consegnò a Levy una lettera e Lily, sdraiato a terra sull’erba, sorrise.
Con il cuore palpitante e le mani sudate, Levy aprì la busta lanciando uno sguardo angosciato a Gajeel, che cercò di trasmetterle fiducia. Senza indugiare lesse la missiva e sorrise sempre di più, felice della sua destinazione. Unità Informativa, come quel ragazzo che le aveva consegnato la busta. Carica di vicecapitano. Doveva dare supporto più o meno a tutti i reparti, da quello giuridico all’esercito, con particolare collaborazione con l’unità del capitano Redfox. Avrebbe dovuto cercare quante più informazioni possibili su ogni missione che i settori avrebbero dovuto portare a termine, assicurandosi della sicurezza delle esecuzioni e della tutela dell’integrità del Concilio. Era un’area fondamentale.
- Grazie – disse, rivolgendosi a Gajeel. – Era quello che volevo.
- Lo so – rispose lui, ghignando. – E io accontento i miei uomini. Be’, quelli che se lo meritano – si corresse grattandosi la nuca.
Poi si alzò e le porse una giacca. – Ora sei a tutti gli effetti membro del Concilio, per cui, a te l’onore.
Le porse l’indumento, osservando di sfuggita che Lily gli stava facendo l’occhiolino da complice.
Levy prese con deferenza la giacca e, dopo averla osservata con stupore, fece per infilare la mano nella manica.
- No aspetta, mettila come me. È più da duri – la fermò bloccandole il polso.
Levy gli sorrise chiudendo gli occhioni che luccicavano di felicità. Gajeel le lasciò la mano e lei si drappeggiò la giacca sulla spalle, lasciando in mostra pantaloni e canottiera. Arrossì; si sentiva leggermente in imbarazzo ad indossarla proprio come faceva lui. Come se fossero una coppia…
Non disponibileLa sua forte mano le diede qualche leggera pacca sulla schiena. – Stai bene. È così che dovresti indossarla – ammise ghignando. Aveva una panoramica perfetta sulle sue gambe, che la veste altrimenti avrebbe coperto, e quindi anche sul suo lato B.
Levy si sistemò meglio le spalle. – Eheh… - ridacchiò, un po’ a disagio. Quello non era esattamente in suo stile. – Pensi di sì?
- Tsk, ovvio – borbottò lui senza perdere il buonumore. Fermò la mano e la lasciò appoggiata alla sua schiena mentre Lily sorrideva.
Gajeel si schiarì la voce dopo alcuni attimi di silenzio. – E adesso, vicecapitano, che ne direbbe di…?
- Vicecapitano McGarden! – chiamò a gran voce un uomo più vecchio di Levy correndo per il giardino. Aveva il fiatone. – Il capitano della sua unità vuole vederla per assegnarle un compito. Capitano Redfox, sembra che dovrà collaborare anche lei.
Gajeel grugnì un assenso, seppur riluttante, e Levy sorrise affabilmente. – Grazie mille, arriviamo subito.
L’uomo ammiccò, sorpreso dal sorriso dolce di quella splendida creatura, e si allontanò barcollando guardandosi alle spalle alcune volte.
- Dicevi?
- Uh? – domandò Gajeel mentre Lily gli si affiancava.
- Mi stavi proponendo di… - disse lasciando la frase in sospeso.
- Andare a lavorare allegramente – concluse lui con l’umore nero.
Si avviò insieme al suo compagno e a metà strada le domandò da sopra la spalla: - Ceni con noi questa sera?
Levy sorrise e annuì, stringendosi nella giacca.
Le aveva detto che stava bene…
Però non le piaceva proprio così. Ridacchiando, la indossò come si conveniva ed entrò.
Aveva del lavoro da sbrigare in tempo per la cena.
 
 
MaxBarbie’s
Saaaaalve. Sono la befana e ho finito da poco di lavorare ahahah. Questo è un capitoletto di passaggio che spiega come si svolgono le cose all’interno del Concilio, ovviamente secondo il mio punto di vista.
Gajeel e la gelosia saranno amici inseparabili, dato che Levy è bellissima e donne all’interno del Concilio ce ne sono poche. Ho messo un mini riassunto all’inizio, visto che è passato molto tempo da quando ho postato il primo.
Alla prossima e grazie in anticipo perché mi seguite sempre e mi date tanta gioia.
MaxB
 
Ah, sì, MaxB è il nuovo nik. Non cambia niente sostanzialmente. E non so nemmeno quando me lo cambieranno, ho inviato la richiesta due volte per ora ahahah.
 
 
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Capitolo 22
*** Gala ***


ATTENZIONE: so che è un papiro, ma vi prego di leggere le note a fine capitolo per alcune informazioni.

Oltre a questo volevo solo farvi sapere che ho scritto questo capitolo un anno fa, ma ho sempre aspettato a pubblicarlo perché volevo farlo nel momento in cui fossi risucita a completare la long che ho iniziato a scrivere, basata su questo tema qui. La long poi l'ho abbandonata e non so se andrà mai avanti, quindi lo posto ora.
Tutto qui.
Un'informazione di cultura generale, come dire che in bocca abbiamo le amebe gengivali.
Viviamo anche senza saperlo ahahahaha.


 
Gala

Disegnatrice: Rboz; Blanania
Universo: AU
Caratteri: OC...
Genere: fluff; romantico
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden
Coppie: GxL
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: orientale (destra a sinistra)
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno

 
La principessa si alzò sulle punte dei piedi, per quanto le rigide scarpe con tacco a rocchetto glielo permettessero. Lasciò vagare lo sguardo per la grande sala da ballo luminosa ed addobbata a festa. I lampadari di cristallo scintillavano sopra alla sua testa e rendevano il castello ancora più maestoso. In ogni caso, non riuscì a trovare la persona che cercava. E come avrebbe potuto, del resto? Era circondata da centinaia di nobili tirati a lucido che non le permettevano di vedere oltre il suo naso. Anche se fosse stata venti centimetri più alta, non sarebbe servito a nulla. Sospirò, abbattuta.
Il gran gala era stato organizzato dal padre per festeggiare la vittoria di Magnolia contro le truppe nemiche della dispotica capitale, Crocus. Ogni provincia era autonoma e governata da un monarca, ma la città più forte, Crocus appunto, stava cercando di assoggettarle tutte sotto al proprio dominio. Fortunatamente l'esercito del re di Magnolia aveva contrastato l'attacco, girando addirittura le carte a proprio favore. Magnolia era riuscita a liberare il vicino porto di Harugion, essenziale per il commercio, e ad organizzare un embargo per mettere in difficoltà Crocus. Le vittime erano state pochissime da parte della provincia offesa, e la gioia dei cittadini era alle stelle.
La principessa si girò di scatto credendo di aver sentito la sua voce. Il vestito bordeaux con la gonna ampia e il corpetto a righine frusciarono, attirando le occhiate invidiose delle nobili invitate. Spocchiose viziate senza un briciolo di cervello. La giovane erede al trono non era così. Amava leggere e studiare, passeggiare in mezzo alla natura e prendersi cura degli altri. Vedeva sempre le qualità delle persone e aveva una pazienza infinita. Non le interessavano i fronzoli da riccastra. Certo, non poteva negare che quel vestito, commissionato al sarto più famoso di Magnolia, le piacesse immensamente.
In vita aveva un ricamo di velo bianco che si ripeteva sui bordi delle maniche larghe e sulla scollatura, sia sul seno che sulla schiena. Su di essa era in parte visibile la voglia di nascita della famiglia reale: una macchia biancastra. Gli eruditi di corte sostenevano che fosse un marchio profetico, rappresentante la corona reale che con un becco adunco inglobava le altre potenze. Ma la principessa lo aveva ammirato molte ore allo specchio, notando come assomigliasse ad una fata. Erano creature mistiche estinte a causa dei draghi circa un secolo prima. E la sua fata aveva la coda.
La giovane fanciulla si ravvivò i capelli come le aveva insegnato il parrucchiere di corte, urtando accidentalmente il nastro nero che aveva fra i capelli. Purtroppo erano terribilmente ribelli, un po' come l'animo più profondo della giovane: era impossibile legarli e costringerli, o pettinarli. Il re non le permetteva ancora di portare il diadema di famiglia, decisione che a lei andava più che bene. Le piacevano molto le fascette floreali che poteva stringere con un fiocco. Era forse l'unica cosa che poteva scegliere della sua vita.
Non portava nemmeno un gioiello. Non ne aveva bisogno, splendeva già così com'era. E poi, a lei tutti quei brillanti sembravano volgari. Così come la sua scollatura. Il vestito era stato tessuto in modo da esaltare le dote fisiche delle donne: seno alto e prosperoso, vita stretta, in modo da attirare l'attenzione dei nobili scapoli. La principessa non aveva doti fisiche che potessero essere rivelate dal vestito, però, e quindi il suo piccolo seno, proporzionato al fisico piccolo e snello, era strizzato al massimo per risultare più grosso.
Lo sguardo malinconico svanì quando un duca e la sua consorte le si avvicinarono per congratularsi per la vittoria. Il sorriso che la principessa sfoggiò era tanto falso quanto tenero. Un sorriso di circostanza che non aveva nulla a che fare con sentimenti e stati d'animo. Era così che doveva comportarsi: sempre posata e padrona delle sue emozioni. Dopo una scambio di convenevoli noioso e privo di un qualsivoglia tipo di intelligenza, la giovane sospirò. E la serata era appena iniziata. Sapeva che il padre doveva fare un annuncio importante, ma non sapeva cosa avrebbe detto. Il rapporto fra loro era diventato più freddo da quando il re si era risposato in seguito alla morte della prima moglie. La principessa era figlia unica ed evitava il più possibile quella matrigna priva di cultura che pensava di avere ancora diciotto anni. Amava ancora il padre, però, come tutti i sudditi. Aveva imparato a farsi amare, era rispettato senza bisogno di ricorrere alla violenza e metteva il bene dei cittadini prima di qualsiasi cosa.
La principessa ne approfittò per lanciare un'ulteriore occhiata indagatrice sperando di vedere lui, per poi abbassare lo sguardo. "Mento alto e schiena dritta" le mormorò interiormente la voce del suo insegnate di galateo di molti anni prima. Ma nessuno la stava osservando, poteva smetterla di fingere per una volta.
Qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle, probabilmente un qualche ragazzo in cerca di ottenere il trono attraverso la sua mano. Ma quando si girò il sorriso fallace diventò vero, contagiando anche quei grandi occhi marroni caldi e luminosi. Il battito del cuore della fanciulla e del suo interlocutore aumentò notevolmente. Davanti a lei stava impettito ed elegante un comandante militare. Il Comandante Gajeel Redfox. Il giovane uomo che aveva sfoltito le truppe nemiche e affollato i sogni della principessa. Indossava un lucido completo scuro. La giaccia blu era lunga e le mani erano avvolte da morbidi guanti bianchi. Il panciotto azzurro a righe riprendeva le plissettature delle maniche, mentre al collo aveva una sciarpa gialla elegante legata in modo particolare. I capelli corvini, lunghi e selvaggi, erano stati legati con un semplice cordoncino di seta, e tirati indietro. Aveva delle placchette metalliche applicate ai bordi della giacca, simili a quelle che aveva sul viso. Ogni generale doveva superare quella prova per poter diventare comandante: farsi impiantare quei piercing sul volto, come simbolo di forza, severità e fermezza. Redfox aveva battuto i record precedentemente imposti.
Non disponibileLa principessa arrossì quando il giovane, molto più alto di lei, si chinò per porgerle un bicchiere di champagne.
- Ma come, siete la principessa e non bevete? Avete appena raggiunto l'età necessaria per poterlo fare - disse ironicamente Gajeel.
Aveva una voce tremendamente profonda e mascolina, roca e seducente. La principessa rabbrividì nel sentirla, e nell'osservare il ghigno impertinente che illuminava gli occhi del ragazzo. Quella sera il giovane poteva permettersi di tutto: avevano vinto grazie a lui.
La fanciulla allungò il braccio per prendere il bicchiere che Gajeel le porgeva con la mano inguantata. Toccava il cristallo con pollice e indice, come se avesse paura di tenerlo. Lei gli sfiorò erroneamente le dita.
- Solitamente non bevo da sola. Mi fate compagnia? - chiese con voce melodiosa e gentile.
Gajeel inspirò il suo delicato profumo floreale e mostrò il bicchiere che aveva tenuto dietro alla schiena. - Non sia mai che vi faccia patire una simile ingiustizia, principessa Levy.
Alla fanciulla sembrò che avesse usato un tono malizioso, ma scacciò via quei pensieri e bevve un sorso di champagne. Il ragazzo, invece, beveva ogni suo gesto, ogni battito di ciglia, consapevole del fatto che lei aveva smesso di ricercare disperatamente qualcuno.
Si erano conosciuti pochi giorni prima, quando il re aveva convocato i principali tenenti che avevano conquistato la vittoria. Natsu Dragneel, Gray Fullbuster, Elfman Strauss e Laxus Dreyar, insieme all'ex-comandante Makarov Dreyar e a quello nuovo, Gajeel Redfox. Il monarca li aveva invitati ad un sontuoso ed intimo pranzo per ringraziarli di cuore per il loro lavoro, e ovviamente avevano partecipato anche la principessa e la regina. Secondo quest'ultima, era il caso che la pargoletta di corte si fidanzasse, in modo da vederla spendere meno tempo china sui libri. Del resto, non si era mai interessata a giovani uomini. Un nobile sarebbe stato perfetto, ma anche un sergente poteva andare bene. In quel modo il futuro re sarebbe stato anche un ottimo stratega militare.
La regina si era seduta alla destra del re, la principessa alla sua sinistra. Non aveva mai alzato lo sguardo, in imbarazzo, se non per salutare e ringraziare i soldati. Le sembravano simpatici, ma era troppo timida per appurarlo. Al suo fianco era seduto il vecchio Makarov, che si era rivelato sensibile, premuroso e gentile. L'aveva tolta dall'impaccio parecchie volte ed era riuscito anche a farla ridere. Poi, quasi erroneamente, mentre rideva per l'ultima battuta dell'ex-comandante, la principessa Levy aveva alzato lo sguardo, incontrando i fiammeggianti occhi rossi dell'eroe della battaglia: Gajeel Redfox. Non aveva mai visto degli occhi così profondi e penetranti. L’avevano fissata con intensità e la giovane ne era rimasta incantata. Ardevano mentre un piccolo ghigno che non aveva nulla di malefico gli aveva increspato le labbra. Il re si era poi schiarito la gola per attirare l'attenzione della figlia e dirle con lo sguardo: "Non essere spudorata. Datti un contegno". La principessa era arrossita, ma nulla le aveva impedito di guardare di sottecchi il comandante e il suo ghigno seducente. La stava ancora osservando.
Nel pomeriggio tutta la compagnia era andata a passeggiare nei giardini reali, curati e colorati. C'era ogni tipo di fiore e il loro odore dolce riempiva l'aria. La principessa era rimasta nelle retrovie, in silenzio, finché non aveva sentito una presenza imponente di fianco a lei. Il comandante Redfox aveva reclamato la sua attenzione e aveva dimostrato il suo interesse per lei. Levy era una ragazza semplice e ingenua, ma era chiaro come il sole che Gajeel voleva conoscerla. Aveva notato anche lei che era rimasto ammaliato.
- Potrò rivedervi? - aveva chiesto alla fine della visita.
- Non lo so. Dovete domandare a mio padre. Non sono padrona della mia vita - aveva risposto lei, abbassando lo sguardo.
Il comandante le aveva sollevato il mento con un dito per fissare ancora quegli occhi così grandi e belli, facendola arrossire.
- Per lo meno - aveva esordito baciandole una mano con dolcezza - questa notte potrò incontrarvi nei miei sogni.
 
- Vi vedo distratta questa sera, principessa. Forse la mia presenza non vi è gradita? - domandò il comandante con apprensione, distogliendola dai suoi pensieri.
- No, figuratevi. E, anche se fosse, sapete bene quanto me che in quanto principessa non potrei dirvelo - scherzò la fanciulla.
Gajeel ridacchiò e bevve un sorso di champagne. - Che ne dite di uscire a prendere una boccata d'aria?
La principessa arrossì e abbassò lo sguardo. - Vo-volentieri - balbettò. - Ma prima temo che...
- Sua maestà il re annuncerà ora una cosa molto importante - urlò il paggio di corte, interrompendola.
- Appunto. Quando avrà finito potremo andare.
- Non c'è bisogno di stare qui ad ascoltare - disse il comandante. Sembrava preoccupato. - Io so già cosa dirà e sono pronto a giurare che la cosa non cambierà nulla. Perché allora non andiamo subito?
- Non posso, sono la principessa. Aspettate con me, ve ne prego - lo implorò fissandolo con gli occhi lucidi.
Come resistere a quelle gemme? Gajeel sospirò e si girò in modo da fissare l'ampia scala in marmo che conduceva agli alloggi reali, nei piani superiori. Il re avrebbe fatto un discorso a metà scala, per farsi vedere e udire da tutti.
Quando il sovrano scese sorridendo a braccetto con la moglie, Levy si fissò le punte delle scarpe. Il ragazzo se ne accorse e venne preso dalla smania di toccarla, abbracciarla, prenderle la mano, vedere la scintilla di vita in quegli occhi. Ma non si azzardò a farlo. Non poteva.
- Cari cittadini - esordì il re con voce ferma e decisa, ma anche morbida e accorata. Non li chiamava mai "sudditi". - Non ho intenzione di dilungarmi troppo, distogliendovi dal ballo, perciò sarò breve. Siamo tutti grati al comandante Redfox per la tattica ideata, che ha permesso di sconfiggere le truppe di Crocus. Ma non è ancora tempo di cantare vittoria. Ora i draghi hanno deciso, come molti secoli fa, di attaccare le nostre cittadine. Non bastava il genocidio della guerra, anche quei mostri che razziano e distruggono ogni cosa ci volevano! Però non dobbiamo perdere la speranza, e soprattutto non dobbiamo perdere la gioia. Vi annuncio perciò, per darvi ottimismo e non rovinare la serata, che fra due giorni i nostri battaglioni cominceranno la lotta contro i draghi per utilizzarli a nostro favore: un esercito di draghi che faranno capitolare Crocus una volta per tutte!
Centinaia di mani si alzarono, con urla di giubilo e incitamenti, complimenti al re. Ma la principessa Levy era estranea a quella gioia. Mobilitare i battaglioni significava richiamare gli uomini alla guerra. Voleva dire che...
- Anche questa volta il comandante Gajeel Redfox e i sergenti Dragneel, Fullbuster, Strauss e Dreyar saranno in prima linea! Non abbiamo dubbi riguardo alla loro vittoria! - concluse il sovrano, suscitando altro trambusto estasiato.
Levy alzò lo sguardo, impassibile. Almeno per una volta le lezioni principesche le tornavano utili. Il ragazzo di fianco a lei fissava dritto davanti a sé, la mascella contratta e un guizzo di... paura negli occhi.
Paura della reazione della fanciulla. Ma durò un attimo, perché poi venne sommerso da strette di mano, incitazioni e complimenti da parte di tutti coloro che erano salvi grazie a lui.
Levy si allontanò in un fruscio di seta bordeaux.
 
Le danze stavano per aprirsi quando Gajeel intravide la principessa: stava andando negli alloggi privati attraverso la scala di servizio. Il ragazzo mandò a quel paese il galateo o il semplice buon senso e la seguì spintonando tutti coloro che trovava sul suo cammino, borbottando scuse poco convinte. Attento a non farsi notare, seguì la fanciulla che lo aveva stregato. La vide dirigersi a passo svelto lungo un corridoio illuminato con lampade a muro e non esitò a raggiungerla. Quando le arrivò vicino si ritrovò in una piccola camera con una scrivania. Sopra ad esse c'erano pergamene ed un pennino con calamaio: erano nella stanza usata dal copista di corte per redigere documenti ufficiali e scrivere lettere.
- Principessa Levy! - chiamò il ragazzo quando finalmente si fermò.
La giovane sussultò e si girò sorridendo, le guance arrossate. Un sorriso tremendamente malinconico. Un luccichio attirò la sua attenzione: lacrime. Levy stava per piangere.
Non disponibileGajeel era terrorizzato. Non aveva mai avuto a che fare con una donna afflitta, figuriamoci una principessa. Cosa doveva fare? - O-oi...? - balbettò.
La principessa gli si avvicinò pericolosamente mentre si asciugava le lacrime per evitare che scivolassero giù dagli occhi. Il ragazzo allargò le braccia per evitare di toccarla: non voleva abbracciarla approfittando della situazione, e poi non sapeva proprio come comportarsi. Magari lei lo avrebbe spinto via.
- Scu-scusatemi, io... - balbettò prima di essere interrotta da un suo stesso singhiozzo.
- Ma che diavolo? Perché state piangendo??? - domandò con poco tatto.
No, quella situazione estranea alla sua esperienza lo mandava in paranoia. E la paranoia non lo aiutava mai ad essere, per lo meno, educato.
- Do-dovete tornare in guerra e ri-rischiare la vita. I-io... - balbettò prima che la sua voce venisse soffocata da forti singulti.
Ma a Gajeel bastò. Bastò a scaldargli il cuore.
Non disponibileSospirò per convincersi. - Venite qui - bisbigliò, trovando il coraggio di abbracciarla. Per la prima volta sentì il suo corpo morbido premere dolcemente contro il suo. Era una sensazione bellissima.
Lo pensava anche la principessa, improvvisamente calma. Una reale deve sempre contenere le sue emozioni. Era stato uno sbaglio imperdonabile piangere. Ma quell'abbraccio caldo, confortante e protettivo valeva tutto. Il respiro, al contrario del cuore, si era regolarizzato. Le braccia della fanciulla erano bloccate contro il petto del comandante, che profumava di uomo e metallo. Le sue mani sulla schiena la fecero rabbrividire. Le lacrime restavano ai lati degli occhi spalancati, bloccate.
Non disponibileIl duro comandante arrossì, lo sguardo fisso su un punto imprecisato della stanza. - Sono sopravvissuto comunque... Non è che stessi andando a morire o altro e questi draghi non sono un grande problema per me... - spiegò. Con titubanza, ma quasi senza pensare, aggiunse: - Quindi non piangere, piccoletta.
E la lacrima scese, mentre Levy stringeva le labbra. Ma era felice, la tristezza si era dissipata, sparita senza lasciare traccia come la neve al sole. Era grazie all'abbraccio, il primo vero conforto fisico che riceveva dalla morte della madre, o forse grazie al tentativo impacciato di consolarla, oppure al nomignolo che in altre circostanze l'avrebbe fatta infuriare, ma in quel contesto dava un tocco di profonda intimità. Nessuno l'aveva mai chiamata senza mettere il "principessa" prima del nome. O qualche altro titolo borioso. Probabilmente la gioia era dovuta a tutte quelle cose insieme.
Giusto, è già sopravvissuto. Per cosa sto piangendo?, si domandò la giovane.
- Grazie, Gajeel - bisbigliò rabbrividendo. Non aveva mai chiamato nessuno per nome. Le sembrava di essere una ribelle che trasgrediva le regole.
- Tch, per cosa? - borbottò lui, imbarazzato.
- Per essere vivo... - rispose appoggiando la nuca sul suo collo.
Il ragazzo la strinse più forte, toccato da quelle parole che mai nessuno gli aveva rivolto. Sorrise leggermente, consapevole della fragilità del fiore che teneva fra le braccia.
Rimasero stretti l'uno all'altra per un periodo interminabile, finché la musica colpì l'udito del comandante. Se n'erano andati appena erano cominciate le danze. Gli sarebbe piaciuto molto ballare con la principessa e scambiarsi con lei quegli sguardi complici che emozionavano entrambi. E contemplarla mentre arrossiva o rideva sommessamente. Ma se fosse andato nella sala da ballo avrebbe dovuto condividerla con gli altri nobili egcentrici. Così gli venne un'idea.
Sciolse a malincuore l'abbraccio e porse la mano guantata alla principessa, orgoglioso di vedere il rimpianto nei suoi occhi: era triste di separarsi da lui.
- Posso avere l'onore di questo ballo, piccoletta?
Non disponibileLei arrossì e si aprì in un fulgido sorriso. Appoggiò la sua elegante manina sopra a quella grande del comandante, sorpresa di trovarle così diverse, eppure così complementari. Sentì la mano del ragazzo sfiorarle i fianchi per posarsi sulla sua schiena, mentre la sua si diresse verso la sua spalla ampia e possente. Iniziarono a danzare nella musica dolce che arrivava ovattata alle loro orecchie. Levy appoggiò poi la testa al petto del comandante più temuto di Fiore, sorridendo appagata mentre una lacrima di gioia spuntava fra le ciglia folte. Gajeel abbandonò il suo cipiglio duro e il ghigno sanguinario per sorridere dolcemente come mai aveva fatto, e come credeva di non saper fare. Fissò la nuca scarmigliata e la fascia decorata della principessa mentre il suo sorriso veniva catturato dalla luna al di fuori della finestra, unica testimone del bocciolo del loro amore.
 
 
 
 
 




MaxBarbie’s
Da quanto tempo. Mi scuso immensamente, davvero. Ma ho molte cose da dire, importanti, per cui cercherò di stringere.
Partiamo dal peggio:
sospendo questa storia. Ahahahahahaha. BOOM
Ho sganciato la bomba. Allora, fatemi spiegare. Praticamente non so nemmeno come spiegarvelo AHAHAHAH.
Allora, ho sempre meno tempo, e oltre a trascurare questa storia sto completamente abbandonando LNVI e la cosa mi scoccia parecchio perché io DEVO finirla. Per cui, quando le cose da fare sono tante e il tempo è poco, bisogno adattare queste cose al tempo.
Perciò io ora andrò avanti con… La Nostra Vita Insieme? No hahahahaha.
La mia Beta mi ha inviato alcune foto di un bosco nebbioso mentre faceva una passeggiata dicendomi di trarne ispirazione per un capitolo di Fairy Tales. E io l’ho fatto. Ma ho preso così a cuore questo capitolo incentrato sul bosco che ne sta venendo fuori una mini-long.
 
Facciamo che riassumo: posterò Fairy Tales ancora più lentamente di quello che ho fatto in questi mesi. Ho già dei capitoli pronti ma li posterò con calma. Io non abbandono questa storia, continuo a scriverla, continuo a narrare favole e spero che mi seguirete sempre^^
Attendete ancora un pochino per La Nostra Vita Insieme, ancora un sacco di cose devono succedere e non abbandonerò mai la mia prima storia.
E infine, tenevi pronti per The Ghost, la nuova mini-long di non so quanti capitoli che fa già intuire tutto dal titolo. Spero di riuscire a finirla a breve per postare con REGOLARITA’, sul serio questa volta, e nel  mentre portami al passo con LNVI.

 
Io non lascio nulla di quello che ho iniziato, e spero che lo spin-off di Fairy Tales vi piaccia come sta facendo impazzire me. Evviva le complicazioni!
A presto,
MaxB che non si leverà mai dai piedi



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Capitolo 23
*** Some Healing ***


Non disponibileSome Healing

Disegnatrice: Rboz
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: fluff; romantico;
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden;
Coppie: GxL
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: -
Contestualizzazione: futuri capitoli di Fairy Tail (fine della battaglia vs Alvarez e gli Spriggan)
Avvertimenti: spoiler!, futuro ipotetico

 

Gajeel tirò un sospiro e abbassò le spalle, lasciando che la stanchezza a lungo trattenuta gli rallentasse i battiti cardiaci. Avevano combattuto senza esclusione di colpi, lui e i sei mostri della sua squadra. Lo aveva detto quasi per scherzo, che erano mostri, ma avevano combattuto con così tanta forza da risultare spaventosi.
Gajeel alzò lo sguardo e fece una panoramica della situazione: diversi corpi nemici giacevano a terra, mentre quelli della spriggan e dei suoi alleati non erano più visibili, sconfitti e abbandonati da qualche parte. Il suo combattimento era durato più a lungo degli altri, anche se Lisanna ed Elfman erano quelli che se l’erano vista più brutta. Mirajane aveva concluso da tempo ed era riuscita ad allestire un campo infermieristico.
Lily lo raggiunse con il passo felpato, senza nemmeno volare. Era tornato piccolo: - Buon lavoro – commentò.
Gajeel contemplò le macerie, aspettando che il gatto gli desse notizie di Levy. Ma non lo fece.
Probabilmente voleva che fosse lui ad informarsi, dandogli prova del fatto che alla ragazza teneva più di quanto avrebbe mai ammesso. Anche se lo sapevano tutti che quella che si era formata tra lui e Levy era più di una semplice legame tra compagni di gilda. I suoi continui commenti sarcastici mirati a farla arrabbiare, le frecciatine che le lanciava, il suo perenne girarle intorno usando come scusa l’amicizia che si era rafforzata in quegli ultimi mesi…
Persino Juvia, che non aveva occhi che per Gray, aveva capito che era il suo particolare modo di flirtare. Per Gajeel era diventata una droga. E sapeva che lo era anche per l’oggetto delle sue attenzioni, che si irritava e metteva il broncio, eppure non lasciava mai il suo fianco e si rivolgeva sempre a lui prima di contare sugli altri. Il loro trio era il nuovo Team Shadow Gear, e Gajeel si sentiva scaldare dentro ogni volta che ci pensava.
- Come stanno gli altri? – farfugliò, celando dietro la facciata impassibile ciò che davvero gli stava a cuore sapere.
- Grazie dell’interessamento – brontolò Lily, alzando il braccio steccato.
Aveva lottato come un vero maestro, ma nemmeno i migliori erano immuni alle ferite. O alla morte.
Lily ghignò senza farsi vedere, pronto a stuzzicare Gajeel. – Levy sta bene comunque.
Il ragazzo si voltò verso di lui e lo guardò di traverso, mezzo infastidito e mezzo grato per quella rivelazione. – Ti ho chiesto come stanno tu…
- Ma smettila! – sbuffò Lily. – Datti una mossa, Gajeel. Sappiamo entrambi la verità. Gli altri stanno bene, Levy ha una brutta ferita sul ventre, però Mirajane l’ha già medicata e ora sta meglio.
Gajeel, che aveva trattenuto il respiro senza accorgersene, si svuotò i polmoni quando apprese che Levy era fuori pericolo.
- Dovresti farti medicare il braccio, sanguina parecchio – gli fece notare il gatto. – Se ti sbrighi magari trovi Levy senza maglia.
Gajeel lo fulminò mentre il compagno ridacchiava, ma a dispetto del suo sguardo affrettò il passo verso la tenda a righe bianche e grigiastre dell’infermeria.
Aveva la scusa adatta per entrare nella tenda senza annunciarsi: un braccio sanguinante era perfetto.
Arrivato davanti all’entrata, però, esitò. E se l’avesse davvero trovata senza maglia? Era già stato abbastanza imbarazzante caderle addosso alle terme, schiacciati l’uno sull’altra, nudi. E ancora peggio era stato rendersi conto che le sporgenze morbide su cui era atterrato di faccia non erano braccioli, per bambini, ma morbide parti del corpo di Levy che si imponeva sempre di non immaginare.
Gajeel abbassò lo sguardò ed entrò osservandosi le punte degli stivali graffiati.
Si grattò la nuca, a disagio, ma quando non sentì urli spaventati capì che aveva il via libera per guardare. I suoi occhi incontrarono immediatamente quelli di Levy, che lo fissava senza battere ciglio.
Sembrava che le loro pupille riuscissero sempre ad intuire dove si sarebbero posate quelle dell’altro, come una calamita inevitabilmente attratta dal magnete.
Per sua fortuna, o forse sfortuna, Levy si era rimessa la canottiera che aveva indossato alla partenza da Fairy Tail, e che per tutto quel tempo era rimasta coperta dal giaccone pesante. All’interno della tenda l’aria era tiepida.
- Gajeel hai tutto il braccio insanguinato! – esclamò Levy, avvicinandosi a lui e slacciandogli la giacca senza pensarci due volte.
Lui inghiottì l’aria rumorosamente, attirandosi un’occhiata perplessa di Levy. Il sangue aveva inzuppato il giaccone che anche lui portava, ma una volta che questo finì per terra fu evidente che la ferita non era al braccio.
- Riesci a muovere la spalla? O è solo un taglio profondo?
Gajeel mosse un po’ l’articolazione ferita, che borbottò in protesta, ma di trofei di guerra ne aveva sicuramente collezionati di peggiori. – Tutto a posto – borbottò. – Tu come sei messa?
Levy gli diede le spalle e si diresse alla piccola cassetta di sicurezza sistemata per terra, prendendo garze, cotone e disinfettante. – Come nuova grazie a Mira.
A proposito di Mira… - Dove sono gli altri?
Levy imbevve il cotone di liquido chiaro e, appoggiandosi a Gajeel, iniziò a pulirgli il sangue colato su tutto il braccio, per capire dove fosse esattamente la ferita. – Sono andati a fare una ricognizione, Lily invece è uscito poco fa per fare da sentinella. Lisanna ha bisogno di molto riposo, quindi speriamo di riportarla presto a casa e… Gajeel, devi abbassarti, non riesco a medicarti così.
Il ragazzo abbassò lo sguardo: Levy lo stava disinfettando in punta di piedi, e non sapeva bene dove appoggiarsi. Ogni posizione sarebbe stata più che equivoca. Gajeel si inginocchiò, raddrizzando la schiena che aveva incurvato per tutto quel tempo. La tenda era alta quanto Mirajane, all’incirca, perciò Levy ci stava benissimo in piedi. Gajeel… leggermente meno.
La ragazza annuì soddisfatta e si avvicinò nuovamente, cercando di non arrossire. Era strano riuscire a guardare Gajeel dritto negli occhi, e per qualche strano motivo sentiva che quelle iridi rosse come il sangue che stava pulendo le avrebbero mandato a fuoco la pelle. Ci volle tutte la forza di volontà di cui disponeva per tenere lo sguardo fisso sulla sua spalla ferita e non sincerarsi di cosa lui stesse guardando.
- Hai un taglio parecchio profondo – disse dopo un po’, per spezzare quel silenzio teso. Continuava a sentirsi i suoi occhi addosso. – Ora te lo bendo e… poi… sei a posto. Va bene?
Averlo così vicino la mandava in paranoia. Ammucchiò il cotone macchiato di rosso e mise via il disinfettante, agguantando in cambio le garze che aveva preparato prima. Iniziò a fasciargli la spalla scostando il tessuto della canottiera, per poi girarsi per prendere un fermaglio.
Quando si diresse nuovamente verso di lui sperò di non essere arrossita troppo: per qualche motivo si era sentita lo sguardo di Gajeel fisso sul suo lato B.
- Dimmi se è troppo stretta, prima che la chiuda – lo avvisò cercando di fissare la garza.
- Il nostro rapporto mi va troppo stretto – la informò lui senza mezzi termini.
Le mani di Levy si bloccarono e lei smise di respirare, fissandolo a occhi sgranati. – Cosa…?
Essere alti uguali permetteva loro non solo di guardarsi facilmente negli occhi, ma anche di baciarsi senza intoppi. E Gajeel non poté non approfittarne.
Le sue labbra la zittirono e fecero crescere in lei una tempesta implacabile che le bloccò il respiro. Si erano già baciati alcune volte, al Concilio. Due o tre. Giusto perché Gajeel marcasse il territorio. Ma non era successo nulla di serio, e Levy aveva smesso di rodersi il fegato per quella storia taciuta che sembrava non avere né capo né coda. Gajeel non guardava nessuna donna, era freddo e taciturno, per questo le attenzioni che riservava a lei, benché poche, risultavano enormi. I baci a stampo, i loro sfioramenti di labbra, sembravano azioni casuali e sbagliate nella loro estrema castità.
Niente poteva competere con quel bacio, le bocche fameliche ed esperte, le labbra umide e morbide, la pelle a contatto.
Levy cacciò via lo stordimento e abbracciò il collo di Gajeel, visto che per una volta poteva farlo senza paura di essere presa in giro per via dell’altezza. La garza che gli fasciava il braccio iniziò a sfaldarsi e, senza gancetto, due giri di fasciatura gli scivolarono lungo il braccio, fino al gomito. Non andarono oltre perché il braccio piegato di Gajeel si era infilato sotto alla canottiera di Levy, bloccandone la caduta.
L’aria iniziò a scaldarsi sempre di più mentre le mani di Gajeel si prendevano quello che aveva silenziosamente marchiato come suo. Solo suo. La mano sinistra si posò sul fianco di Levy per tirarla a sé, accarezzando ogni porzione di pelle scoperta che incontrava.
Diamine, quella canottiera non copriva un bel niente!
Le dita raggiunsero la base della schiena e, non incontrando ostacoli da parte della proprietaria del corpo, la mano scese fino al confine che separava schiena e sedere. Già solo il fatto di sfiorarlo con i polpastrelli attraverso la stoffa lo mandava fuori di testa. Non si era reso conto di desiderarla così tanto fino a che si era lasciato andare. Forse aveva ancora in corpo l’adrenalina della battaglia. Forse avrebbe ringraziato i suoi nemici.
Levy spalancò la bocca per garantirgli l’accesso, e Gajeel entrò senza convenevoli, allungando la lingua quel tanto che bastava per incontrare quella di lei, pronta a danzare. La mano destra del ragazzo decise di testa propria di osare e, infilandosi più in profondità sotto la canottiera ocra, sfiorò piano le fasciature che Mirajane aveva applicato sul ventre della giovane.
- Hai male? – bisbigliò Gajeel, scendendo a baciarle il collo mentre lei riprendeva fiato.
- No – rispose ansimando, chinando la testa per reimpossessarsi delle sue labbra. Sentivano l’uno sulla punta della lingua dell’altro quello che si erano taciuti in tutti quei mesi: dolore, paura, disperazione, desiderio, struggimento e amore.
Sembrava che le loro bocche si muovessero in una coreografia che sapevano ballare in modo naturale al ritmo dei loro respiri.
La mano sinistra di Gajeel iniziò a salire lentamente verso l’alto sotto la canottiera, mentre la braccia di Levy restavano ancorate al suo collo e i suoi capelli selvaggi le invadevano il viso.
Le sfuggì un gemito di piacere quando i polpastrelli gelati del ragazzo le sfiorarono la pelle bollente del seno, lì dove terminava la fasciatura.
- Levy e Gajeel?
I due ragazzi si bloccarono, il fiato imprigionato in gola e le labbra incollate, i corpi fusi, quando sentirono la voce di Mirajane che chiedeva di loro.
- In tenda – rispose Lily, con un tono che Gajeel avrebbe giurato essere malizioso.
Mira ridacchiò e i ragazzi videro la sua ombra avvicinarsi all’entrata della tenda.
Levy quasi cadde nella foga di allontanarsi da Gajeel. Si chinò vicino alla borsa con gli oggetti d’infermeria e si abbassò la canottiera cercando di darsi un tono. Il ragazzo si pulì le labbra umide e pregò di non avere le gote troppo rosse, lo sguardo troppo eccitato e qualche altro scomodo dettaglio fuori posto.
- Eccovi qua voi due! – esclamò ingenuamente Mirajane entrando in tenda. – Che succede?
- Levy è migliore come cuoca che come infermiera. E con questo ho detto tutto – borbottò Gajeel, scontroso. – Ti muovi, Gamberetto?!
La ragazza si girò tenendo in mano un altro gancetto per fissare la fasciatura. Il rossore sulle sue guance poteva passare per indignazione per i commenti acidi, fortunatamente. Altrimenti, tutto quel colore sulle sue guance sarebbe stato terribilmente ovvio. – Stupido Gajeel, potevi fartela tu la fasciatura!
- Va bene, ho capito, meglio se levo le tende. Letteralmente, dato che dobbiamo tornare al quartier generale – esordì Mirajane prima di uscire.
Levy sospirò fissando la fasciatura di Gajeel, che la fissò ghignando.
Lei incrociò le braccia al petto, irritata. – Sei stato cattivo – lo sgridò.
Lui roteò gli occhi: il pentimento gli si addiceva quanto una minigonna di lustrini. – La prossima volta dirò che stavamo limonando brutalmente, va bene?
Levy avvampò di nuovo, scuotendo la testa con rassegnazione.
Gajeel ridacchiò e le stampò un bacio sulle labbra prima di alzarsi e uscire dalla tenda.
La ragazza restò ferma in mezzo alle righe bianche e grigie e al cotone sporco, chiedendosi cosa mai sarebbe successo da quel momento in poi.
Cosa significava quel bacio per lui? Per loro?
La tenda le crollò improvvisamente sulla testa, spegnendo le luci del suo mondo e facendola cadere sulle chiappe.
- Ehi! – brontolò, mentre la tela grezza e ruvida la circondava togliendole l’orientamento.
Da fuori le giunse all’orecchio la risatina rude di Gajeel, mentre in lontananza Lily lo rimproverava.
Levy sorrise.                                                                                                            
Il suo futuro era incerto quanto una un’aurora boreale, ma poteva star sicura di una cosa: Gajeel ne era parte integrante.
 
 
MaxB:
Ehi! Sì so che avevo detto che avrei lasciato stare questa storia per un po’, ma, cavolo, svegliarsi e ottenere come buongiorno una foto di Gajeel e Levy che si fanno… wow. Pura perfezione, sono morta. Ho scaricato il cellulare a furia di guardarla.
Quindi questo è quanto.
Spero di aggiornare presto LNVI, domani aggiorno The Ghost (che devo assolutamente muovermi a finire xD maledizione) e basta.
Sono ancora qui ihihih.
Sempre in volo,
MaxB


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Capitolo 24
*** Blue Bird AU ***


Blue Bird AU

Disegnatrice: ?
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily; un po' tutti.
Coppie: GxL;
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: /
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno.

 
- I dati dell’operazione? – domandò una ragazza in tailleur grigio sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania del capo.
Mavis Vermilion, alias Fata, capo di un’azienda investigativa di illustre fama e direttrice sotto copertura della Polizia Segreta di Magnolia, la guardava dall’altro lato del tavolo, i lunghi capelli chiari che si muovevano al ritmo della brezza che spirava dalla finestra aperta. Poteva sembrare solo una bambina, ma le sue doti da stratega erano innegabili e aveva scalato con facilità i piani di importanza dell’agenzia segreta. In meno di un anno aveva raggiunto la vetta ed era diventata il più grande capo delle forze dell’ordine dell’America. Magnolia era la piccola cittadina sperduta di cui solo poche centinaia di persone erano a conoscenza. Era stata resa invisibile sulle cartine, protetta dai satelliti del presidente americano per preservare la riservatezza delle ricerche che vi venivano svolte. Persino l’FBI e la CIA non ne sapevano nulla, sebbene prendessero direttamente ordini da loro.
- Hai ricevuto il dossier, figliola? – chiese Makarov, un vecchietto basso che dava loro le spalle e fissava l’anonima pianura che si stendeva come un mare piatto fuori dalla finestra.
Tutti lo chiamavano “il nonnino” perché era il più vecchio agente segreto ancora in azione; ma nonostante il nomignolo quasi derisorio, quella belva sopita che celava nel petto aveva la forza di un gigante, e Makarov non discuteva nemmeno con chi si permetteva di nuocere ai suoi nipotini acquisiti: agiva e basta.
- Sì, Master – rispose la donna con aria seria, occhiali rossi sul viso e cartellina in mano.
Makarov, detto Master in quanto braccio destro di Mavis, intuì che la ragazza aveva appena finito di leggere le pratiche. Deduzione formulata a causa di quegli occhiali che ancora indossava, il nuovo modello per la lettura veloce inventato dal dipartimento scientifico della Polizia Segreta.
- Cosa ne pensi? – domandò Makarov, una volta giratosi per osservarla.
- Nulla che non possiamo gestire. Dovrebbe essere un lavoretto da poco.
- Non sei un po’ troppo sicura di te? Non dubito delle tue capacità, ma ti rendi conto della delicatezza della situazione?
La ragazza sorrise dolcemente. – Certo Master.
Mavis si sporse sul tavolo, l’espressione infantile di gioia scomparsa. C’era troppa serietà in quegli occhi, troppa maturità. – Devi capire di cosa stiamo parlando, perché nel dossier che ti ho fatto pervenire ci sono solo i dettagli di questa banda criminale che si chiama…
- Phantom Lord – concluse la ragazza per lei.
Mavis sorrise. – Esatto, ma tu sai perché siamo sulle loro tracce?
- Per un furto.
Makarov tornò ad osservare l’orizzonte, desiderando per una volta la pensione. Le cose si stavano complicando troppo; quando era giovane lui non c’erano tutti quei problemi di armi di distruzione di massa e gadgets ultrasofisticati. Nella sua epoca d’oro le tracce dei criminali si cercavano annusando le impronte sulla terra e le persone si arrestavano dopo averle battute con del sano karate, non con pistole stordenti o cerbottane paralizzanti.
- Vedi, la Phantom Lord si è appropriata di una nuova invenzione della Blue Pegasus…
- L’azienda di lampadine? – domandò la ragazza, confusa.
Mavis sorrise ancora, comprensiva. – Sì, proprio quella. La Blue Pegasus è come noi, una società che nasconde i suoi affari dietro semplici facciate: investigazione, lampadine. Be’, loro in realtà, oltre a fornirci la luce che ci serve, lo ammetto, sono i più grandi pionieri nel campo delle biotecnologie energetiche. Hanno inventato, specialmente grazie all’aiuto di Hibiki, Eve e Ren, che tu conosci bene, un nuovo prototipo di batteria a combustione illimitata. Si chiama Lacryma. Questa batteria non si esaurisce mai e, regolandone la potenza, potrebbe garantire una quantità di energia tale da illuminare perennemente tutta New York City. Capisci il potenziale di questa Lacryma, un cristallo ottenuto fondendo diversi metalli in differenti stadi di trasformazione?
La ragazza annuì.
Makarov intervenne precedendo Mavis. – Non è solo questo il motivo per cui siamo preoccupati. In fin dei conti, oltre ad essere top secret, questa missione è stata dichiarata MIM-DM.
La saliva si seccò in bocca alla giovane donna, il colorito roseo delle guance scemò via come se d’un tratto il mondo si fosse tinto di bianco e nero, e il respiro le venne tirato fuori a forza, senza poi tornare nei suoi polmoni. Una MIM-DM. Una Missione di Importanza Mondiale – Distruzione di Massa. Ciò significava che il fallimento avrebbe comportato un danno all’umanità così ingente da rendere difficile il perseguimento della vita sulla terra.
Deglutì a vuoto, la saliva come velcro lungo la gola. – Cosa devo fare?
Mavis e Makarov si lanciarono un’occhiata, poi il capo della Polizia Segreta accese uno schermo alle sue spalle e spense le luci. – La banda Phantom Lord ha rubato la Lacryma. Sembra che quella minuscola batteria possa sostenere un reattore nucleare e il capo, Jose, vuole assolutamente creare delle nuovi armi ad energia che si nutrano della Lacryma. Addio pallottole, addio munizioni, addio ricariche per evitare di avere una pistola vuota tra le mani: le nuove armi sparerebbero raggi ad alta intensità in grado di polverizzare un uomo all’istante. E non avrebbero bisogno di ricariche. Ma Jose non è ancora in possesso della Lacryma. Al momento ce l’ha il suo miglior agente – disse indicando lo schermo alle sue spalle, su cui era comparsa la figura di un uomo. Alto, muscoloso, lunghi capelli corvini che ricadevano selvaggi sulla schiena, un ghigno ferino sul volto, negli occhi il riflesso di tutto il sangue che aveva sparso, e numerosi piercing sulla pelle abbronzata del volto.
La ragazza che ascoltava il resoconto lo trovò incredibilmente sexy. Aveva sempre avuto un debole per i suoi nemici.
- Gajeel Redfox – mormorò il Master, distraendola dallo studio dell’immagine. – Alias, Pantera Nera. Nome che calza a pennello se si considerano la sua spietatezza, il colore dei suoi capelli e la sua bravura nel campo. È una belva incurante del pericolo, sanguinaria, dai freddi occhi calcolatori. Una spia infiltrata ci ha riferito che in casa ne ha davvero una, di pantera. Jose gliel’ha regalata per riuscire ad accaparrarselo come sicario e ladro, e si dice che quel felino sia il più grosso mai visto. Ha una cicatrice sull’occhio e si chiama Pantherlily.
- Stavo dicendo – proseguì Mavis, - che Jose ancora non ha la Lacryma. Ce l’ha lui, Gajeel, e la porterà al suo capo nel giro di una settimana, il tempo di tornare dal Marocco, dove si trova ora. Il tuo compito è di sottrargli la batteria e portarla a noi. Senza morire. Chiama nel tuo team poche persone che reputi leali fino alla morte e fai il possibile per carpirgli le informazioni che ti servono. La nasconderà, la Lacryma, questo è certo. Scovala e portacela.
La ragazza sorrise furbescamente e si alzò, raccogliendo il nuovo dossier stampato Top Secret che Mavis aveva fatto scivolare sulla scrivania in vetro. Le luci si riaccesero, ma la ragazza era già con una mano sulla maniglia.
- La Fairy Tail conta su di te – aggiunse ancora Mavis.
Fairy Tail, ecco com’era conosciuta la Polizia Segreta dai membri che ci lavoravano e dal presidente americano. Invisibile come una fata, e misteriosa come i miti che avvolgevano quelle creature magiche, dotate o meno di coda. Nessuno le aveva mai viste, nessuno sapeva com’erano fatte. Proprio come Fairy Tail.
- Buon lavoro, Uccello Blu – le augurò Makarov, l’affetto che traspariva dalla voce come miele.
- Master, Fata, non vi deluderò.
Poi la porta si chiuse e un lampo di capelli azzurri sfarfallò nel campo visivo dei due direttori.
Il loro asso nella manica era in azione.
 
- Ciao Lucy! – esclamò una vocina allegra dentro il treno.
Il serpentone metallico che trasportava centinaia di persone tra alunni, pendolari e vecchiette era mezzo vuoto, a quell’ora della sera. E la voce di una ragazza serena risuonava come in una grotta vuota.
- Io sto bene, grazie – continuò, rispondendo alla domanda che questa Lucy le aveva posto al cellulare. – Dovrei arrivare tra poco.
Un ragazzo ben piazzato e con lunghi e folti capelli neri si girò verso di lei, incuriosito. Era la terza volta che la vedeva, quel giorno, e qualcosa gli diceva che non era solo una coincidenza. Ma era una tipa davvero carina e l’aria innocente la rendeva ancora più appetibile. La osservò in silenzio mentre rideva con la sua amica via etere, e poi le sue sopracciglia di piercing si aggrottarono.
- Ehi, dolcezza, ti va di ridere così anche con noi? – domandò un tipo dai capelli arancioni avvicinandosi. Gli mancava un dente e puzzava di alcool, e a giudicare dal cappello alto e sformato che aveva in testa, doveva essere uno straccione.
- A me è venuta fame, perché non ce la mangiamo un po’? – propose l’amico, un tipo grasso con un pacchetto di patatine in mano e un ridicolo ciuffo di capelli neri che spuntava dalla sommità della testa.
Solo allora il ragazzo dai capelli neri si accorse che nel treno c’erano solo loro tre maschi e la ragazza.
I due furfanti si sedettero ai lati della giovane e lei salutò l’amica con un: - Devo andare, ti chiamo dopo.
Dopo aver messo via il telefono strinse al petto la borsetta e si fece più piccola di quel che era, lasciando intravedere una porzione di coscia dalla gonna che si era alzata.
Il tipo smilzo allungò la mano e le artigliò la gamba. – Ora puoi salutare noi, dolcezza – biascicò avvicinandosi al suo viso.
Lo schiaffo arrivò improvvisamente e lo schioccò riempì la cabina deserta.
- Oh no, patatina – la rimproverò l’altro, quello grasso. – Qui siamo solo noi quelli che possono tirare schiaffi. E tu sei stata una cattiva ragazza, quindi… – sibilò artigliandole i polsi, – è tempo che tu paghi!
Nessuno si accorse dello scatto dell’altro ragazzo finché i due criminali non se lo ritrovarono addosso. E loro non capirono nulla nemmeno dopo, perché in un paio di pugni erano finiti stesi a terra. La giovane, terrorizzata e ansimante, fissava la scena con gli occhi sbarrati. In meno di un minuto era stata quasi aggredita e poi liberata, e si trovava con due uomini incoscienti ai piedi e un paio di occhi rossi e brucianti a fissarla.
- Stai bene? – chiese pacatamente il suo salvatore, chino su di lei.
Notando che però continuava a respirare troppo in fretta, si allontanò di un passo e cercò di trasmetterle serenità, muovendo le mani per farle capire che doveva respirare più piano.
- Rischi di andare in iperventilazione, rallenta, Gamberetto.
Quello le troncò direttamente il fiato.
- Ga… Gamberetto? – mormorò, confusa.
Il ragazzo annuì.
- Perché?
- Non so come ti chiami ed è la prima cosa che mi è venuta in mente – mugugnò, scuro in volto.
Senza che nessuno dei due se lo aspettasse, lei scoppiò a ridere e l’accesso d’ilarità aumentò quando vide gli occhi strabuzzati del tipo davanti a lei.
- Scusa, scusa, penso che sia un modo come un altro per scaricare la tensione – disse quando si fu calmata, ridacchiando di tanto in tanto.
Il ragazzo si grattò la testa, a disagio. – Sì, be’, immagino di sì…
La sua risata dolce e cristallina lo aveva destabilizzato.
- Comunque - continuò lei attirando la sua attenzione, - questa è la mia fermata.
Si alzò e, attenta a non calpestare i due corpi, si avvicinò al suo salvatore. – Ti ringrazio tantissimo, davvero. Mi considerano tutti piccola e debole e, be’, in effetti è vero. Senza di te probabilmente avrebbero trovato il mio cadavere da qualche parte in un fosso. Come posso ripagarti?
- Sopravvivi – rispose lui semplicemente.
Il sorriso che gli regalò lo fece ghignare a sua volta, un ghigno delicato e non malefico come quelli che aveva sempre durante le battaglie.
- A dire il vero - le disse di getto, - per ripagarmi potresti permettermi di riportarti a casa. Qualcuno potrebbe aggredirti.
La ragazza arrossì e sorrise, annuendo.
Quando scesero dal treno era ancora rossa in viso e rimase in silenzio finché non raggiunsero l’esterno della metropolitana.
- Mi permetti di fare una telefonata veloce? – gli chiese. – Oh, a proposito, io mi chiamo Levy. Levy McGarden.
- Gajeel Redfox – rispose lui. – Chiama pure.
Riconoscente, Levy si diresse verso una vecchia cabina telefonica che ormai nessuno più usava, a pochi passi da loro, e vi entrò. Inserì una moneta e digitò un numero di cellulare, seguito a distanza di pochi secondi da un codice segreto che avrebbe bypassato la linea telefonica.
- Qui Fata, la linea è protetta?
- Cabina pubblica controllata. Uccello Blu a rapporto, Fata.
- Novità?
- Il piano procede, Pantera Nera sta per venire a casa con me.
- Sai cosa fare. Non è necessario che tu ti svenda.
- Non accadrà.
- Notizie di Jet e Droy?
- Hanno svolto il loro lavoro egregiamente, così tanto che credo gli ci vorrà un po’ per togliersi l’odore di alcool di dosso.
- Il profumo all’odore di vodka ha funzionato?
- Sì, e anche la botta in testa. Assicuratevi che non abbiano un trauma cranico.
- Sarà fatto, Uccello Blu.
La comunicazione si interruppe e Levy uscì sorridendo. Inciampò e rischiò di sbattere il sedere sull’asfalto, ma due braccia forti le cinsero la vita appena in tempo. Non si sa come, ma Levy si ritrovò schiacciata contro il petto di Gajeel.
- Oh, io, scusami, che sbadata, io…
- Per fortuna ti riporto a casa, altrimenti puoi star certa che ritroveranno davvero il tuo cadavere in un fosso.
Levy ridacchiò e indugiò in quel confortante tepore finché non fu lui a ritrarsi, imbarazzato.
- Da che parte?
La ragazza lo prese per mano e se lo trascinò dietro.
 
- Mi-mi gira la testa… - sussurrò flebilmente pochi minuti dopo.
- Stai bene? – farfugliò lui, l’apprensione che traspariva timidamente dal suo viso corrucciato.
- Io… no… mi viene da vomitare.
- Ho capito – sospirò. – Sta arrivando lo shock per quello che è successo sul treno. Ti porto a casa mia, è più vicina. È un problema per te?
Pallida come un cadavere, Levy scosse la testa e fece un barcollante passo in avanti. Si aggrappò al braccio di Gajeel e sentì le sue braccia attorno alla vita. Senza dire una parola, lui la prese in braccio e si allontanò a passo svelto.
- Sono solo un peso, scusami – mormorò sull’orlo delle lacrime.
- Sei così piccola che non pesi niente. Ora chiudi gli occhi.
Levy abbandonò la testa sul suo petto e lasciò che la sua nausea inventata venisse curata dalla cadenza ritmica dei suoi passi. Non faceva parte del piano farsi portare in braccio, ma per rendere la cosa più credibile abbracciò il collo di Gajeel, il suo nemico.
O forse ne aveva solo voglia.
 
- Eccoci arrivati. Eccoci… Levy… ci siamo. Levy?
Con sgomento Gajeel si accorse che la ragazza si era addormentata, così la depose sul suo divano e chiuse la porta di scatto. Il suo orecchio allenato captò immediatamente il passo felpato della sua pantera e ancora prima di girarsi sapeva che l’avrebbe trovata seduta alle sue spalle.
- ‘Sera, Lily – salutò.
La pantera si diresse verso il divano e annusò la mano dell’intrusa. Poi, decidendo che gli piaceva molto, iniziò a premere il muso contro le sue dita, che penzolavano dal divano. Levy si mosse leggermente e nel momento in cui sentì la lingua ruvida del felino leccarle le dita, ridacchiò.
E poi urlò quando si rese conto che una pantera le stava leccando la mano.
Un trambusto in cucina fu seguito dall’apparizione di uno spiritato Gajeel con gli occhi sbarrati. – Che succede?!
- Hai una pantera in casa?!
- Oh – mormorò lui, raddrizzandosi. Aveva temuto che fosse successo qualcosa. – Già.
- Ed è addomesticata? – bisbigliò Levy, contenendo la voce per non urlare. Si era raggomitolata per allontanarsi dall’animale, ma questo sembrava provare una certa attrazione per la ragazza e salì sul divano con lei.
- Ti ha mangiata?
- No…
- Morsa?
- No…
- Condita?
- Condita? – ripeté lei, basita, prima di urlare perché la pantera le aveva posato la testa in grembo. Alzò lo sguardo e fissò con orrore Gajeel.
Lui scrollò le spalle, come se tutta quella situazione fosse normale, e andò in cucina. – Vuoi del tè?
- Della camomilla! – rispose lei con un filo di voce. – Tanta camomilla – ripeté, a se stessa questa volta.
Pochi minuti dopo, il ragazzo mise un vassoio sul tavolino basso davanti al divano. Due tazze bianche stavano fumando a causa dell’acqua bollente, e l’odore soave della camomilla si spanse velocemente per la stanza. Gajeel prese una tazza e la porse a Levy.
- Attenta, scotta.
- Grazie – rispose lei, afferrando il manico bianco cercando di non muovere troppo la testa della pantera, sopita.
- Direi che gli piaci.
Levy lo osservò, bloccandosi. Poi capì. – Oh, è un lui?
- Sì. Pantherlily.
Gajeel snocciolò una storiella inventata sui permessi che aveva dovuto ottenere per avere una pantera in casa, le conoscenze giuste all’interno della burocrazia e la forza di volontà. Ma Levy, la storia vera, la sapeva benissimo.
- Di te cosa mi dici? – chiese lui, seduto sul tappeto. Non era un gran conversatore, infatti le aveva parlato di Pantherlily a spizzichi e bocconi.
- Io ho un canarino di un insolito colore blu. E prediligo la camomilla con il miele…
Senza parlare, Gajeel posò la sua tazza sul tavolo e, presa quella di Levy, si allontanò in cucina.
Fulmineamente la ragazza tirò fuori dalla tasca della gonna una fialetta e la versò nella camomilla sul tavolo. Pantherlily si agitò e mugolò.
- Buono, buono – lo ammonì lei accarezzandogli la testa. – Vedrai che Gajeel si divertirà…
Un ghigno le fiorì sulla faccia, ma appassì immediatamente quando il ragazzo tornò.
- Ecco a te.
- Grazie – disse accoratamente lei, fissandolo intensamente.
Nei minuti successivi parlarono di cose futili come il lavoro (bugie da entrambe le parti), famiglia (mezze bugie) e loro stessi (più verità di quanta avrebbero dovuto), e Levy scoprì di trovarsi bene in sua compagnia. Non era un orso brutale come nel lavoro, e riuscì ad intravedere un lato dolce sotto a quella scorza ruvida.
- Sei molto carina – ammise lui dopo averla fatta ridere.
Levy si fermò con la tazza ad un soffio dalla bocca.
- E poi il tuo sedere è perfetto.
Con il sorriso di vittoria coperto dalla tazza, Levy gli lanciò una sguardo languido. – Ah sì?
Il rosso degli occhi di Gajeel si fece liquido, sciolto come la sua lingua. – Tu non sai quanto desideri…
Pantherlily ringhiò, bloccandolo.
Levy ridacchiò, sporgendosi verso di lui. – Dimmi qualcos’altro. Qualche altra verità – lo spronò.
- Così chinata ti si vede il reggiseno.
Levy si raddrizzò in un baleno, rossa in viso.
- Parlami ancora di Pantherlily.
- Me lo ha regalato Jose, il mio capo.
- Non avevi detto di averlo ottenuto dopo anni e anni di richieste?
- Bugia – biascicò lui, ridacchiando come un ubriaco. – Me lo sono fatto regalare in cambio del mio lavoro. Sono bravo nel mio lavoro. Il migliore. E io volevo tanto una pantera e Jose è stato l’unico a volermela dare, quindi lavoro per lui, anche se è troppo brusco e dispotico.
- Chi ha detto che sei bravo nel tuo lavoro?
- Tutti. Io lo so, Jose lo sa. Persino la Polizia Segreta mi voleva. Sai dove altro sono bravo? – chiese fissandola con troppa consapevolezza nello sguardo.
Levy deglutì.
- A letto – rispose lui in un soffio, avvicinandosi a lei.
Rossa in viso, la ragazza si schermò da Gajeel usando la pantera, e cercando di soffocare la voglia che dallo stomaco le stava arrivando al cervello. – Non ne dubito, ma…
- Vuoi vedere?
Qui finisce male, pensò Levy, a corto di respiro, mentre lui si toglieva la maglia.
- No, no, vestiti. Ho bisogno che mi parli della Lacryma.
Un ghigno infantile da bambino furbo comparve sulle sue labbra. – L’ho rubata io – disse, prima di iniziare a ridacchiare. – Ti ho detto che sono bravo.
- Già, lo ammetto. Ma ora dov’è?
- Ce l’hanno gli altri. È su un aereo e me la consegneranno a casa sabato. Domenica devo portarla a Jose. Magari mi regalerà un cucciolo di tigre.
- Lo spero per te. Perché hai fatto trasportare una potenziale arma di distruzione di massa in aereo?! – esclamò poco dopo.
- Può fare anche del bene, non è solo un’arma – la corresse lui, le palpebre che si aprivano e chiudevano asimmetricamente. – Se l’avessi portata con me sarebbe stato pericoloso. Sai, per via dei ladri e della Polizia Segreta. Quelli di Fairy Tail sono stupidi, ma furbi. Invece è nel luogo più improbabile. Quando mi arriverà la metterò nel caveau di camera mia e poi la porterò a Jose. Magari mi regalerà un cucciolo di tigre – ripeté, pensieroso, senza badare a ciò che diceva.
Levy sospirò. – Come si accede al caveau di camera tua?
- Sotto al letto c’è una placca di metallo. La rimuovi e premi il pulsante che fa ruotare il camino. Poi inserisci la password e sei dall’altra parte.
- Che password è?
- Farfalline e micetti.
- Gajeel, so che sono teneri, i gattini, ma mi devi dire la password.
- Farfalline e micetti – ripeté lui, stizzito.
- Oh.
Sì, Levy era un po’ stupita.
L’effetto della droga che gli aveva somministrato era un mix di siero della verità e cancella-memoria. La mattina avrebbe dimenticato tutta la conversazione.
- Sei stato un bravo gattino, grazie Gajeel.
- Mi dai un bacino? – implorò lui.
A Levy scappò da ridere di fronte alla sua espressione. Si alzò, si inginocchiò di fianco a lui mentre Lily ringhiava piano per la perdita del suo cuscino, e lo baciò sulla guancia. Quando lo fissò negli occhi vide l’effetto del siero sparire e in un lampo di lucidità Gajeel si avventò sulla sua bocca, reclamandola con gelosia e passione, brutalità e morbidezza. Prima di riuscire a pensare a ciò che stava accadendo, Levy si ritrovò in camera sua, sul suo letto, ingabbiata tra le sue braccia e il suo tonico petto nudo. Lo fissò in volto e notò la scintilla di desiderio che divampava come un fuoco, e allora capì che, al contrario di ciò che aveva detto Mavis, si sarebbe dovuta svendere.
Poi si rese conto che in realtà lei lo voleva. Non era obbligata, non era un atto coercitivo. Per cui si abbandonò a lui e si godette quella notte tra le sue braccia che sapevano di casa.
 
Nei giorni successivi non fecero altro che messaggiare, pranzare insieme e vedersi di sera a casa di uno dei due. Levy credeva che l’interesse di Gajeel sarebbe svanito all’alba della mattina seguente, ma così non fu. Il ragazzo l’aveva tenuta occupata facendole fare tardi al lavoro, le aveva rubato il numero di cellulare e la promessa che sarebbe tornata da lui quella sera.
Il sentimento che aveva letto nei suoi occhi doveva essere uno specchio di quello che provava lei, perché non aveva riflettuto e aveva detto di sì in un attimo.
- Pantera Nera – commentò Lucy il venerdì mattina, leggendo il destinatario del messaggio che Levy stava inviando. Poi scosse la testa come per cercare la lucidità di cui aveva bisogno. – Aspetta un attimo. Quella Pantera Nera?!
Levy arrossì e mise via il cellulare.
- Ma sei matta? Ti ricordi che ha fatto saltare in aria un reparto della Fairy Tail?
- Erano gli ordini… - lo giustificò lei.
Lucy strabuzzò gli occhi. – Non è che comprometterai la missione?
- Oh, no! No. Anzi, procede così bene proprio per questo.
- Lui non ricorda di essere stato drogato?
Levy avvampò ripensando a cosa lui ricordava di quella notte. E di quella successiva. E quella dopo.
- N-neanche lontanamente.
- Bene allora. Andiamo da Mavis ad ascoltare il piano per domani.
L’amica la seguì in silenzio mentre andava a chiamare Jet e Droy. Insieme presero l’ascensore e si diressero nell’ultimo piano sotterraneo, dalla Fata.
- Avanti – rispose lei, dopo che ebbero bussato.
I quattro agenti entrarono e si fermarono davanti alla scrivania, in piedi.
- Ordini pure, Fata – disse Levy.
- Bene, il piano è questo. La Lacryma arriverà con un corriere pagato apposta per viaggiare di sabato, mossa scaltra, devo dire, perché nessuno si aspetterebbe di vedere girare in furgone una cosa così importante. Alle cinque in punto Pantera Nera la sistemerà nel caveau e alle dieci di sera uscirà per comunicare a Jose il luogo dell’incontro di domenica. Per non essere intercettato lo farà passando un biglietto ad un uomo fidato. Questo lo abbiamo saputo ieri grazie ad Uccello Blu. In quel lasso di tempo di dieci minuti, Uccello Blu dovrà entrare in casa usando le chiavi di cui ha fatto la copia, e disattivare l’allarme che sicuramente Pantera Nera avrà impostato. Spirito Stellare dovrà fare da palo mentre Flash e Porchetta - disse fissando Jet e Droy, - saranno appostati sul tetto con il fucile di precisione ben puntato all’interno della casa. Poi un nostro aereo verrà a prendervi pochi tetti più in là e vi porterà in un luogo sicuro. Tutto chiaro?
Quattro teste annuirono.
- D’accordo. A domani, per oggi siete congedati. Riposate bene.
I ragazzi uscirono e discussero brevemente dei dettagli nell’ufficio di Levy. Poi arrivò il momento di andare a casa: avevano tutto il pomeriggio disponibile.
- Pranziamo insieme? – chiese Jet.
- Pranzare… - ripeté Droy con aria trasognata.
- Mi dispiace, io ho un impegno – rivelò Lucy.
- Tu, Levy? – chiese allora Jet, con la voce così intrisa di speranza da sembrare patetica.
Ma la ragazza stava sorridendo scrivendo al telefono, e non si sarebbe accorta nemmeno dell’arrivo di un cane ringhiante.
- Levy? – la riscosse Lucy.
- Sì?
- Vieni a pranzare con noi? – domandò Droy.
- Oh, ehm… magari un’altra volta, ora sono… impegnata. Devo scappare, ciao.
Uccello Blu volò via arraffando in fretta la borsa e sorridendo di gioia all’idea di rivedere il ragazzo che stava per derubare.
 
- Lavori oggi? – chiese Gajeel posando un delicato bacio sulla spalla nuda di Levy, svegliandola.
Era sabato mattina e di lì a poche ore sarebbe dovuta entrare in azione.
Lei sorrise e rotolò su se stessa fino a trovarsi sdraiata sopra il ragazzo, con la testa posata sul suo petto caldo. Sospirò quando sentì il suo cuore accelerare i battiti.
- Gamberetto? – la richiamò lui.                      
Levy era in uno stato di beatitudine tale da poter ignorare quell’orribile nomignolo. – Mh?
- Lavori oggi?
- Shì… - farfugliò. – No. Forse. Tu che piani hai?
- Io devo andare via alle cinque del pomeriggio.
- Ah. Be’, allora mi porti a pranzo e poi mi accompagni al lavoro. Va bene?
Gajeel farfugliò qualcosa di inintelligibile che Levy interpretò come una conferma.
- E ora che facciamo? – domandò lui poco dopo, giocando con i suoi capelli.
- Dormiamo – biascicò la ragazza ad occhi chiusi, la faccia spalmata sul collo del suo nuovo ragazzo.
- Io pensavo a qualcosa di più impegnativo. Tipo mangiare…
Le morse delicatamente la spalla e iniziò a spostarsi lentamente verso il suo collo.
- Mangiare cosa? – chiese Levy, che aveva la leggerissima impressione di pensare una cosa diversa da lui.
- Quello che vuoi.
- Io voglio la colazione.
- E io voglio te – sussurrò vicino al suo orecchio.
Levy si svegliò del tutto con il brivido che le attraversò la schiena, e inclinò la testa per permettergli un maggiore accesso alla sua pelle. Gajeel ghignò e dal collo risalì sino alla mandibola. Ad un soffio dalle sue labbra, lei lo bloccò con un dito. I suoi occhi color nocciola erano inaspettatamente accesi di desiderio, e il ragazzo sentì più che mai di aver perso la testa per quella consulente amministrativa dai capelli blu che aveva conosciuto appena una settimana prima.
- Io mangio la colazione e poi tu potrai addentare quello che vorrai. Va bene? – propose Levy con il divertimento negli occhi.
- Ti farò ingrassare come un maialino – rispose lui dirigendosi in cucina.
 
- Questa sera vieni da me? – chiese Levy sulla soglia di casa, pronta per andare a pranzare con Gajeel.
La sua voce arrivò attutita dal bagno. – Ho da fare questa sera. Se vuoi proprio che venga, arriverò tardi.
- Allora non vieni? – ripeté, tastando il terreno per assicurarsi che non facesse un’incursione in casa sua mentre lei era a riportare la Lacryma ai legittimi proprietari. Non sarebbe stato carino far saltare la copertura.
- Lo so che sei disperata senza di me, quindi aspettami. Per mezzanotte ci sono!
Cavolo. – No, senti, non fa nulla. Vieni da me domani sera, oggi devo andare a letto presto perché domani mattina ho da fare!
- Ma domani è domenica – le ricordò avvicinandosi all’entrata e afferrando le chiavi di casa.
- Vuol dire che ci vedremo nel pomeriggio – continuò lei, sperando di essere decisa.
Gajeel sospirò. – D’accordo.
La prese per mano e si avviò verso il ristorante che era a metà strada esatta fra le loro case.
Non sapeva come fosse successo, ma quella ragazza l’aveva preso così tanto che l’idea di dormire solo con Pantherlily gli faceva venire freddo in fondo al cuore.
 
- Flash a Uccello Blu, io e Porchetta siamo in posizione, passo.
Ricevuto l’avviso, Levy sfruttò le ombre notturne per mimetizzarsi nel giardino di casa di Gajeel. A momenti sarebbe dovuto uscire per incontrarsi con il messaggero, e avevano dieci minuti esatti per entrare in casa, aprire il caveau e scappare sul tetto con la copertura armata di Jet e Droy a poca distanza. Lucy era dalla parte opposta del giardino, vestita di nero e verde per mimetizzarsi nella notte. Levy aveva dovuto optare per qualcosa di meno sospetto, perché dalla strada l’entrata di casa di Gajeel era ben visibile e una figura avvolta in una tuta nera con cintura dotata di fondina e rampino era… leggermente preoccupante. Così aveva indossato dei jeans elastici marroni e una giacca arancione con uno zainetto dello stesso colore dei pantaloni, con gli attrezzi necessari a disattivare l’allarme e mettere al sicuro la Lacryma.
Pochi minuti dopo, alle dieci precise, Gajeel chiuse la porta con un doppio giro di chiavi e si allontanò circospetto. Dopo trenta secondi, appena la porta di casa fu invisibile dal posto in cui era, Levy corse alla porta e tirò fuori dallo zaino le chiavi. Se anche qualche vicino l’avesse riconosciuta, non si sarebbe allarmato: era la sua ragazza. Lucy sgusciò fuori dalle ombre del giardino e si avvicinò silenziosamente alla casa, restando in ombra, i capelli biondi nascosti sotto al cappuccio della tuta aderente.
- Via libera – le sussurrò.
La serratura scattò e Levy entrò facendo un solo passo. Farne due avrebbe comportato far scattare l’allarme. Afferrò dallo zaino cacciavite e grimaldello e, attenta a non muoversi troppo, svitò il pannello quasi invisibile sopra all’interruttore della luce. Una volta che i circuiti furono ben visibili, digitò il codice che aveva visto inserire da Gajeel e un click sommesso le fece capire che non c’erano più pericoli. Avevano impiegato tre minuti. Se avesse avuto il telecomando sarebbero serviti pochi secondi, ma era già un lusso avere la copia delle chiavi di casa. Lucy scattò ed entrò in casa, attenta a non farsi vedere, pochi attimi prima che Levy chiudesse.
- Fuori pericolo – mormorò la ragazza. – Questa missione è fin troppo… ah!
Levy le tappò la bocca prima che l’urlo diventasse acuto e prolungato, e la fulminò con lo sguardo.
- Se urli non potrò impedire a Lily di sbranarti – sibilò.
Cautamente tolse la mano dalla bocca dell’amica e questa si rifugiò dietro di lei.
- Avevi detto che non c’erano più problemi dopo l’allarme. Invece… aspetta, Lily? – mormorò, passando dal panico allo sbalordimento.
Levy si avvicinò con naturalezza all’animale e gli accarezzo la nuca, grattandogli le orecchie.
Gli occhi di Lucy rischiarono i sfuggirle dalle orbite quando il felino iniziò a fare le fusa.
- Che? Cosa?! Aspetta, lui… tu…
- Tieni stretti gli amici e ancora più stretti i nemici – recitò Levy ridacchiando, avviandosi verso camera di Gajeel. – Be’, io l’ho fatto durante questa settimana.
Lucy, dopo alcuni istanti di sgomento, seguì la collega quasi in trance, mentre le sue gambe si muovevano da sole.
- Levy – la chiamò, inducendola a voltarsi verso di lei posandole una mano sulla spalla. L’amica la osservò picchiettandosi l’orologio sulla mano. Avevano cinque minuti. – Tu agisci, io parlo.
- Io agisco, tu fai da palo o nessuna delle due vedrà l’alba di domani – le ordinò Levy chinandosi per raggiungere il pavimento sotto il letto, mentre Pantherlily la osservava con curiosità.
- Non è che lui ti ha preso troppo? Insomma, è un criminale. È nostro nemico.
- E allora? – chiese lei azionando il pulsante che fece ruotare il camino.
- Mi preoccupo per te. Temo che se lui verrà arrestato ci rimarrai solo male. Non voglio vederti soffrire.
- Tranquilla, non accadrà. Fairy Tail offrirà a Gajeel un posto di lavoro in cambio della libertà. Fedeltà assoluta. Solo nel caso in cui però venga fatto mettere in prigione. Altrimenti a me va bene combattere contro di lui. Rende la cosa più eccitante – mormorò inserendo la password “farfalline e micetti” nello schermo del camino. Salutò Lucy con la mano e sparì nel caveau, mentre la stanza tornava ad essere una normalissima camera da letto.
Avevano solo quattro minuti. Levy scese dalle scale che portavano al piano interrato e cercò di non perdere tempo osservando tutto quello che c’era in quella stanza. Avrebbe tanto voluto visitarla meglio. Invece puntò al pacchetto anonimo posato su una scrivania e lo scrutò. Doveva essere quello, perché recava i francobolli e le firme di diversi posti, tra cui il Marocco, da dove proveniva la Lacryma. Afferratolo, risalì di corsa le scale e imprecò. Non si era fatta spiegare come uscire, era in trappola.
Però pochi secondi dopo notò che lo schermo dove inserire la password era proprio davanti a lei. Digitò e si trovò dall’altra parte.
- Sta tornando, ha fatto prima – bisbigliò Lucy, in preda al panico.
Levy si bloccò con le dita a mezz’aria. Stava inserendo un’altra volta la password per far tornare il camino allo stato normale. – Perché non me l’hai detto prima?! – sibilò. Poi premette il pulsante della ricetrasmittente e sentì le voci concitate di Jet e Droy direttamente nell’orecchio. – Flash, Porchetta, perché non mi avete avvisata prima?!
- Ci abbiamo provato, ma non hai risposto!
- Hanno ragione – si intromise Lucy. – Hanno contattato me e io non sono riuscita a parlare con te.
- Una stanza anti-intercettazione – farfugliò Levy, stupita. – Che stupida sono stata a non averci pensato.
- Che facciamo?! Fra trenta secondi entrerà!
- Via. Dalla finestra. C’è il tubo della grondaia sulla sinistra – rispose repentinamente l’amica, la mente lucida e il sangue freddo che tutti le invidiavano in missione. Avrebbe potuto tradurre un testo di greco antico in mezzo ad un bombardamento senza battere ciglio.
In dieci secondi Lucy era già sul tetto e stava correndo per raggiungere Jet e Droy. Levy mise un piede sullo stipite, ma qualcosa la bloccò. Una mandibola, per essere precisi.
Pantherlily la stava trattenendo.
- Ehi, bello, tranquillo, ci rivediamo domani. Ho una cena a lume di candela con il tuo padrone, che non saprà mai che gli ho rubato da sotto il naso la cosa più preziosa che ha. Magari lo licenziano, così faccio in modo che lo assumano da me.
La pantera le leccò la mano con cui lo stava accarezzando e Levy sorrise. Poi sentì dei passi felpati mettere piede in casa e si fiondò fuori dalla finestra. Non aveva tempo per chiuderla: l’avrebbe vista in ogni caso, per cui valeva la pena di avvantaggiarsi nella fuga.
Gajeel fu in camera da letto in pochi e rapidi passi. Non aveva sospettato nulla, ma un senso di inquietudine lo aveva attanagliato quando Pantherlily non gli era andato incontro sulla porta di casa. E poi si era accorto che l’allarme era disinserito. Non perse tempo ad andare nel caveau perché la finestra aperta di camera sua parlava da sola. Così si fiondò fuori e, senza nemmeno aggrapparsi alla grondaia, fu sul tetto.
E vide l’ultima cosa che si aspettava.
Non disponibileCapelli azzurri mossi dal vento, trattenuti sulla sommità della nuca con una fascia arrotolata di un pallido rosso. Gelidi occhi nocciola resi più scuri dalla notte, così diversi da quelli caldi che aveva imparato ad amare in pochi giorni. Sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione e mandibola stretta come chi vede i propri piani crollare e diventare cenere.
Uccello Blu.
Levy.
La sua fama era fra le più note all’interno delle gang della malavita e il suo nome non era sconosciuto nemmeno a Jose in persona. Faceva parte della Polizia Segreta, Fairy Tail. Era conosciuta quanto Salamander, un genio delle esplosioni, Spirito Stellare, la bionda così brava nel mimetismo notturno che non sarebbe stata visibile nemmeno se qualcuno ci avesse sbattuto contro, l’Alchimista, un tizio che poteva svolgere missioni al Polo Nord senza nemmeno bisogno di un cappotto, la Bestia, un ragazzo albino dai muscoli così pronunciati da sembrare addirittura non umano, e altri come Titania, la peggiore di tutti, il Demone, che si diceva fosse sorella della Bestia, e il Fulmine, nipote del secondo in comando.
I maghi di Fairy Tail. Maghi nel loro lavoro. Fairy Tail aveva solo il meglio tra le proprie file.
E la sua ragazza era, ovviamente, il meglio.
Un puntino rosso comparve sulla maglia di Gajeel, proprio all’altezza del cuore, e il ragazzo capì subito: un fucile ad alta precisione che puntava direttamente a lui. Un passo falso e per lui sarebbe stata la fine. Con la sua semplice camicia di jeans e la fascia rossa tra i capelli corvini, fissò con astio la ragazza appollaiata sul suo tetto, in procinto di saltare su quello più in basso. Non avrebbe potuto rincorrerla nemmeno se avesse voluto, perché avrebbe dovuto lottare contro di lei.
Alle loro spalle, le luci della città americana illuminavano la notte impedendo alle stelle di rifulgere. Solo poche avevano l’ardore di combattere e mostrarsi in tutta la loro bellezza.
- Spirito Stellare è con noi, Uccello Blu. Puoi scappare – comunicò Porchetta direttamente nell’orecchio di Levy.
E Gajeel, che aveva un udito sopraffino, lo sentì.
Aveva perso.
Non disponibileIl ghigno che di solito occupava il suo volto venne sostituito dalla smorfia sanguinaria che doveva avere in battaglia. Il muto ringhio ferino che, Levy dovette ammetterlo, le dava i brividi. Doveva ancora decidere se di piacere o di paura. Lei gli regalò un mezzo sorriso di vittoria, e si lasciò cadere, svanendo nel nulla, così com’era comparsa nella sua vita.
- Dannato Uccello Blu – ringhiò sommessamente.
 
L’aereo era arrivato quasi subito e Gajeel era rimasto sul tetto a maledire se stesso e la razza femminile.
Poi aveva deciso che gironzolare per casa non aveva senso, la sua inquietudine non si sarebbe calmata. Aveva bisogno di sfogarsi e frantumare qualcosa, oppure di passare una notte con l’unica ragazza che aveva il potere di calmarlo.
Tirò un pugno al muro mentre una nuova ondata di rabbia lo assaliva.
Stupido, è una dannata traditrice, ricordò a se stesso.
Avrebbe dovuto chiamare Jose. Avrebbe dovuto scappare.
O avrebbe dovuto cambiare lavoro.
O semplicemente datore di lavoro, pensò all’improvviso.
Ghignando, fece velocemente la valigia con le cose essenziali a cui non avrebbe mai rinunciato, caricò tutto in macchina e fece salire anche Pantherlily, non inserì l’allarme e scappò nella notte.
 
Levy rientrò in casa sospirando, vestita ancora con gli abiti che aveva indossato durante la missione. Avevano brindato, al lavoro, per la riuscita della missione, e durante la piccola festicciola si era scatenata una rissa, ovviamente partita da Salamander. La ragazza sorrise ripensando ai suoi colleghi di lavoro e amici, che erano come una famiglia e che non avrebbe scambiato con nulla al mondo.
L’affetto per loro le fece immediatamente pensare ad un altro tipo di sentimento, molto più intenso, fisico e travolgente.
Gajeel.
Chissà com’era finita la storia. Sperava che il suo furto non gli avesse fatto passare dei guai. Si rese conto solo allora del fatto che aveva compromesso una missione per lui di vitale importanza.
Sospirò e calciò via le scarpe. Si tolse la giacca e l’appese all’entrata, rimanendo in canottiera nera con i bordi di pizzo sopra ai jeans marroni.
Vide arrivare Pantherlily, cauto e circospetto, e si chinò ad accarezzarlo sorridendo.
Il felino, che doveva aver intuito la marachella combinata dalla giovane, si lasciò coccolare, facendole capire che l’aveva perdonata.
- Si aggiusterà tutto, vero? – gli sussurrò.
La pantera le leccò la mano in risposta.
Levy alzò lo sguardo e solo allora si ricordò di essere a casa sua. Sgomenta, riaprì la porta e controllò fuori. Sì, era proprio casa sua.
Ma cosa ci faceva Pantherlily lì?
Un brivido di terrore le percorse la schiena. Fece cenno a Lily di fare silenzio e, silenziosa come un ladro, si avvicinò a camera sua. Tirò fuori la pistola dalla fondina e, uscendo allo scoperto, si posizionò davanti alla porta a gambe divaricate, due mani sulla pistola per evitare il rinculo dello sparo e un occhio chiuso per prendere meglio la mira.
Come non immaginava, Gajeel era stravaccato sul suo letto a baldacchino pieno di cuscini, e sfogliava con aria annoiata un libro. A petto nudo.
Erano le due di notte.
Gajeel alzò lo sguardo quasi per caso e osservò con aria impassibile la ragazza che amava, che lo aveva derubato e ora gli stava puntando una pistola alla tempia. Più o meno.
- I ruoli dovrebbero essere invertiti, Gamberetto. O dovrei chiamarti Canarino? Uccellino? Uccello Blu? – chiese con calma, l’aria rilassata e disinteressata di sempre.
Levy abbassò la guardia, basita. Pensava che la volesse uccidere. Credeva che le avesse teso una trappola, non che fosse andato a rifugiarsi sotto alle sue coperte!
- Cosa fai qui? – chiese, non riuscendo a mascherare lo stupore nella sua voce.
- Mi avevi detto che potevo venire sul tardi.
- No! – esclamò lei abbassando le braccia e la pistola. Quella conversazione era assurda. Insomma, erano nemici! – Ti avevo detto che avevo da fare oggi e che dovevi venire domani pomeriggio.
- Oppure era tutta una balla per coprire la tua vera identità… - continuò lui fissandosi la mano guantata, aprendola e chiudendola come a volerne saggiare le giunture e i tendini.
Levy deglutì. – Non avresti dovuto scoprirlo. Ho… parzialmente fallito la missione.
- Ah, quindi volevi solo portarmi a letto per estorcermi informazioni, nascondendomi la tua vera natura, signorina consulente amministrativa – disse, sottolineando la bugia che gli aveva propinato. – Magari non ti chiami nemmeno Levy.
La ragazza abbassò la testa.
- Tsk. Immaginavo. Dimmi, quanto c’è di vero in tutto quello che mi hai detto in questa settimana? Ti chiedo della verità perché la risposta sarà sicuramente più breve che se ti chiedessi delle tue menzogne.
- Io…
- Forse semplicemente non risponderai perché non c’è niente di reale e concreto in questa settimana!
Levy si sentiva in colpa.
Perché lo amava davvero.
- Non rispondi, eh? – sibilò, ogni parola una stilettata d’odio. – Come pensavo. Be’, spero che almeno le tue espressioni a letto fossero vere, o hai finto pure quelle?
La ragazza strinse i pugni e alzò la testa, incatenando gli occhi ai suoi. Quelli cremisi di lui, in cui lei vedeva un fuoco invisibile agli altri, la sciolsero il lacrime. E Gajeel mutò brevemente espressione, lasciando intravedere lo sconcerto. Ma fu solo un attimo.
- Puoi smetterla di fingere, ora. Non serve che continui la farsa – sputò con acredine.
Ma Levy era corsa tra le sue braccia prima che lui se ne rendesse conto, le labbra premute contro le sue, le lacrime calde e salate che colavano sulle sue guance ruvide.
Gajeel la respinse.
- Aspetta, ti prego – lo supplicò Levy, sdraiandosi su di lui. Nascose il viso sul suo collo per non vedere la rabbia nei suoi occhi. E per non lasciar affiorare il dolore nel sentirlo lontano, le sue braccia che non la toccavano, la sua pelle che sembrava ritrarsi da lei. – Era tutto vero – ammise con la voce soffocata. – Tutto. Tranne ovviamente la parte del lavoro. È stato tutto vero sin dall’inizio, sin dalla prima notte, dopo averti drogato.
Gajeel aprì la bocca per parlare, ma la richiuse. Drogato? Ecco come aveva fatto a sapere tutte quelle cose su casa sua.
- Ed è vero quello che ti ho detto l’ultima volta che siamo stati insieme.
- Che non ti piace il sushi? – farfugliò lui.
Lei ridacchiò. – No. Che ti amo. E in queste ultime ore sono stata solo in pensiero temendo che ti avessero fatto del male.
- Nah – bofonchiò lui, indeciso se crederle o meno.
Poi ripensò a quello che avevano passato insieme, a quell’ultima settimana che era stata la più bella e sincera e significativa della sua vita, ai suoi occhi luminosi incapaci di mentire. E si rese conto che si erano adombrati solo quando gli aveva parlato brevemente del suo lavoro, quello fittizio, quello falso. Quella luce spontanea l’aveva vista sempre, tranne in quell’occasione. E allora capì che non gli stava più mentendo.
- Quindi sto con una degli agenti segreti più richiesti del settore? – chiese, lasciando scivolare una mano sulla sua schiena e posando l’altra sulla sua nuca.
Levy alzò la testa di scattò e lo fissò, le iridi annacquate e arrossate, il viso rigato. – Non mi odi?
Gajeel fece spallucce e appoggiò la fronte sulla sua, facendo sfiorare i loro nasi. Chiuse gli occhi, e altrettanto fece lei.
- Come potrei odiarti? Sei l’unica donna che ho conosciuto capace di drogarmi. Letteralmente – bisbigliò sghignazzando.
Levy sorrise. – E ora cosa farai?
- Sono scappato, ho ottenuto la pantera, quindi non c’è più nulla che mi leghi a Phantom Lord. Pensavo ad un… cambio di capo.
- Cosa intendi? – chiese lei, scostandosi.
- Be’, magari è ora di provare il fronte della legalità, no? Da te cercano personale?
Levy sgranò gli occhi. – Ti assicurerebbero alla giustizia – disse, anche se aveva già preparato un piano di eventuale assunzione.
- Non credo. Chiederei l’immunità penale e processuale e l’assunzione senza vincoli in cambio di una piccola informazione riservata – la rassicurò riavvicinandosi a lei.
- Quale? – sussurrò lei ad un soffio dalle sue labbra.
- L’ubicazione del QG della Phantom.
Levy spalancò la bocca e fece per ritrarsi nuovamente, ma la mano di Gajeel glielo impedì e le premette la nuca contro la sua, divorandole le labbra. La ragazza rispose al bacio con tutta se stessa, mettendosi a cavalcioni su di lui e tirandolo a sedere con sé. Gajeel la strinse forte facendo aderire ogni lembo della loro pelle, infilandole le mani dentro la canottiera, a contatto con la schiena calda. Solo quando lui passò al suo collo, Levy si riscosse.
- Sono anni… che la cerchiamo… - ansimò, artigliandogli le spalle.
- Lo so – farneticò lui sulla sua pelle.
- E sei… sicuro che… ah! – esclamò dopo un morso. – Che ti accetteranno?
Gajeel sbuffò. Quando aveva voglia di chiacchierare non c’era niente da fare per bloccarla.
- Con una buona referenza sì.
- E chi sarebbe questo… oh – realizzò. Era lei che doveva mettere una buona parola. – Okay. Allora lavoreremo insieme?
- Se tutto va come deve andare, sì. Contenta?
In risposta Levy riprese il bacio lì dov’era stato interrotto, con l’intento di non parlare più per molto, molto tempo, se non per mormorare qualche frase sdolcinata.
- Vedi di tenere le tue mani lontane dal mio sedere, al lavoro – lo avvisò poco dopo.
Gajeel ghignò. – So essere molto furtivo.
Levy gli tirò una ciocca di capelli e sorrise di fronte al futuro che le si apriva davanti.
Tieni stretti gli amici e ancor più stretti i nemici.
E se il tuo fidanzato è entrambe le cose, be’… diventa un koala.
 
 
 
MaxB
Io adoro questa storia. Non quella che ho scritto io, ma la versione di Gajeel e Levy nei panni degli agenti segreti. Ci sta troppo.
Mh… nient’altro da dire ahahaha.
Fairy Tales non la concluderò finché non mi si esaurirà la fantasia.
A presto,
MaxB



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Capitolo 25
*** Anywhere ***


Non isponibileAnywhere AU

Disegnatrice: Almandium (Fioren Nights?)
Universo: AU
Caratteri: IC
Genere: romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily.
Coppie: GxL;
Rating: verde
POV: esterno
Lettura: /
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno.

 


Nessuno può dire con precisione matematica quando ci sarà un terremoto.
Nessuno può sapere con certezza quando la propria vita cambierà totalmente.
Nessuno, in ogni anfratto e nascondiglio della terra, può essere preparato per lo scoppio di una guerra in piena notte.
Muri che crollano, urla che lacerano la gola di chi le emette e l'animo di chi le ode. Polvere, schegge di pietre che volano senza controllo.
Nel caso della principessa, statue di marmo che venivano fatte a pezzi e frantumi di oro e argento che si posavano come petali sul pavimento ricoperto di tappeti e del sangue dei domestici che erano morti nel tentativo di salvarla.
Con solo la vestaglia da notte a coprirla, la principessa si sentiva terribilmente esposta. Esposta agli occhi degli uomini, esposta al freddo autunnale e alla tragedia.
La sala del trono era diventata un osservatorio a cielo aperto, senza più il tetto infinitamente alto e riccamente intarsiato a proteggere le loro teste da quelli che erano gli scoppi dei cannoni.
La voce straziata della principessa si levò in un grido implorante spiegazioni a cui la madre, la regina, in piedi al centro di quella devastazione di pietra, non aveva risposte.
Continuò a dare le spalle alla figlia mentre osservava freddamente i corpi straziati del marito e degli altri due figli più grandi, crollati come semplice e scadente mobilio.
Il pianto della principessa sembrò infastidire la regina, e un soldato accorse a trattenere la piccola tredicenne che desiderava solo svegliarsi da quell'incubo e correre dai fratelli e dall'amato padre.
Voleva solo il conforto della madre, nient'altro.
Ciò che ottenne, invece, fu un ordine secco e indiscutibile della regina che ingiunse di portarla “in quel luogo e lasciarcela”.
La principessa venne portata via senza spiegazioni e, strepitando in prenda all'orrore, seppe che non si sarebbe mai scordata la vista della schiena che la madre, con il naso puntato al notturno cielo rosso, le rivolse.
Quella schiena che sostituì il volto della madre stessa nella memoria della figlia per i successivi tre anni.
 
La principessa viaggiò tre giorni e tre notti, facendo a malapena le soste impostele dal suo organismo.
Il soldato che l'aveva presa in custodia stava guidando quella carrozza che correva troppo velocemente perché la ragazzina potesse provare a buttarsi fuori durante la corsa, in un disperato tentativo di fuga.
Sarebbe stato un suicidio.
Accanto al suo rapitore, un altro soldato la scortava nel viaggio, dando il cambio al primo quando era stanco. Nessuno dei due considerava la principessa, sembravano sordi alle sue proteste. Le servivano due frugali pasti al giorno, a base di pane, formaggio, acqua razionata e occasionalmente un po' di latte.
La principessa meditò sul fatto che non le sarebbe stato di nessun aiuto rifiutarsi di mangiare, perciò consumò ciò che i soldati le servirono finché non sentì il latte irrancidirsi e il formaggio diventare verde di muffa.
Lei non li avrebbe nemmeno considerati pasti, se confrontati con i sontuosi banchetti cui prendeva regolarmente parte al castello.
Castello che forse non esisteva nemmeno più, e lasciava spazio alle erbe incolte lì dove non sorgevano le macerie di quella che un tempo era casa sua.
All'alba del quarto giorno, quando il pane era diventato così duro da poter essere scambiato per un sasso, la principessa poté distinguere a pochi minuti di carrozza le guglie nere e in rovina di un castello antico e, lo sentiva, imbevuto di magia in ogni mattonella che componeva le mura.
Odiava essere parte di piani che la riguardavano, ma di cui non era a conoscenza. La faceva sentire prigioniera della sua stessa vita. E sua madre, la regina, non le diceva mai nulla. A soli tredici anni la principessa sapeva già che avrebbe avuto il coraggio di farla sposare con uno sconosciuto nel giro di due giorni. E questo la terrorizzava.
Non passò molto tempo che la carrozza si fermò davanti ad un cancello fatiscente eppure minaccioso, nero come il resto del castello in rovina. Il ferro battuto sembrava ancora nuovo nonostante l'aspetto sgangherato, e le punte acuminare che sulla sua sommità si protendevano verso l'alto scoraggiavano chiunque ad addentrarsi in quella dimora maledetta.
Uno dei soldati aprì la porta del convoglio e la principessa, pronta, la spinse via per poi schizzare fuori e scappare. Ma la sua fuga durò ben poco, bloccata dallo shock: si trovavano su un'altissima montagna brulla e ripida, e loro erano proprio sul ciglio del burrone. Il soldato afferrò la principessa per un braccio e la tirò indietro, guidandola verso il castello.
- Stia attenta, principessa. Vogliamo proteggervi, non vedervi morire! - l'avvisò la guardia, spingendola garbatamente verso il cancello.
A nulla valsero i tentativi della giovane di ribellarsi a quella costrizione, a nulla servirono le urla e le implorazioni.
In pochi secondi, la guardia aprì il cancello e il secondo soldato spinse la principessa all'interno, chiudendolo alle sue spalle.
La giovane gridò e si scagliò contro di loro, cercando di aprire il pesante battente, ma ciò che sentì la bloccò: una scossa fece tremare l'inferriata e il suolo stesso, cogliendola di sorpresa e facendola pertanto barcollare.
La principessa incespicò nei suoi stessi piedi e si ritrovò seduta per terra in maniera scomposta, interdetta.
- Il gatto della strega! È il gatto della strega! Scappiamo! – gridò uno dei due soldati che avevano scortato la fanciulla fino a quel luogo, agitandosi come una gallina che tenta di fuggire da una volpe e in realtà fa solo confusione senza concludere nulla.
I due guardiani, in preda al panico, salirono sulla carrozza e sfrecciarono via come se i cavalli che trainavano il pesante convoglio fossero stati dieci e non due, poveri, sfibrati equini.
La principessa cercò senza risultato di spostarsi alcune ciocche cerulee dal viso, in modo tale da poter vedere chiaramente cosa stesse accadendo. Se non poteva capire, poteva almeno sperare che l’ambiente circostante l’aiutasse a vederci chiaro.
Ciò che comprese, invece, scrutando in quella fitta foresta, fu che i due valorosi e audaci soldati ai quali la regina aveva affidato la propria figlia, altri non erano che omuncoli che si spaventavano alla vista di un gatto. Infatti, vicino alla fanciulla sedeva un quieto micio dal folto pelo color del tronco dei pini, con una cicatrice più chiara che formava una piccola e tenera mezzaluna sull’occhio sinistro del felino.
Il gatto la fissava impassibile, con sguardo intelligente e comprensivo.
Capire stava diventando sempre più complicato.
Cosa ci faceva lei lì, nel giardino di quel castello fatiscente infestato da erbacce invadenti e protetto da un’alta inferriata che impediva la fuga anche dei suicidi più temerari?
Qualche eremita conduceva lì una vita ascetica e ritirata?
Perché sua madre, la regina, aveva incaricato due dei suoi uomini, sicuramente più utili in battaglia, di portarla lì e lasciarcela?
Un cupo miagolio la distolse dai suoi ingarbugliati pensieri, riportandola alla realtà: era ancora seduta per terra.
La principessa si alzò, si spazzolò il vestito per liberarlo dalle foglie secche che vi si erano appiccicate come sanguisughe, e si voltò per fronteggiare la solenne entrata di quello che un tempo doveva essere stato un castello da sogno, invidiabile anche dai più potenti e ricchi sovrani.
Una scalinata di marmo candido, ormai ricoperto di muschio e macchiato in più punti, conduceva all’imponente portone d’ingresso, parecchio lontano dal cancello d’entrata. Una fontana gigantesca si frapponeva tra la recinzione di ferro e il castello, donando a quel luogo un aspetto spettrale e triste. Sulla sommità della fontana, la statua di un fauno con in mano un vaso sembrava implorare acqua, piuttosto che donarla. Un tempo doveva essere stato quel fauno a far sgorgare l’acqua in quella meraviglia rocciosa, decorata con pietre preziose ormai sbrecciate.
Le aiuole che in un’altra epoca dovevano essere state minuziosamente curate e colorate si erano mischiate con le erbacce e sul suolo erboso si poteva ammirare solo un’accozzaglia di distinte tonalità di verde, inumidite dal clima e dall’altezza in cui si situava l’edificio.
Per un attimo la principessa chiuse gli occhi per immaginarsi quel giardino ai fasti di un tempo, e dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare rabbrividì di freddo. Il gatto, che non si era mosso dal suo fianco, miagolò per attirare la sua attenzione, e quando i loro occhi si incontrarono si diresse verso l’entrata, spronandola a seguirlo.
Circospetta, la fanciulla valutò le opzioni: restare fuori a congelare oppure entrare in quella che a tutti gli effetti doveva essere una dimora maledetta.
L’ululato di un lupo, in lontananza, fugò tutti i suoi dubbi: la principessa corse verso il castello, conscia del fatto che il cancello alle sue spalle non si sarebbe più aperto per molto, molto tempo.
 
Dopo essersi chiusa alle spalle i pesanti battenti della rocca, la giovane si prese alcuni istanti per osservare l’interno della dimora dismessa, certa del fatto che avrebbe scorto solo cocci e brandelli di mobilio un tempo prestigioso, polvere e animaletti.
Invece rimase senza fiato.
Un fuocherello vivace ardeva nel caminetto posto alla destra dell’entrata, e il salone che si apriva davanti alla principessa era brillante di pulizia, immacolato. Di fronte al portone vicino al quale lei si trovava, in lontananza, c’era una specie di piccolo soggiorno molto moderno, dotato di comodi divani di velluto rosso che sembravano appena acquistati. Sulla sinistra la fanciulla indovinò che ci fossero le grandi cucine degne del castello e la sala da pranzo.
Una gigantesca scala di marmo conduceva ai piani superiori, da dove la principessa sentì sopraggiungere dei botti. Spaventata, si irrigidì e osservò il gatto, che però non si era mosso e sembrava tranquillo come solo un padrone di casa può essere. Dopo poco i botti cessarono, e alla ragazzina parve di percepire uno spostamento d’aria che però non avrebbe saputo definire.
Alla fine si decise a camminare verso i divani in fondo alla sala. Mille domande cominciarono ad affollarsi nella sua mente confusa: cosa ci faceva lì? Perché sua mamma l’aveva mandata via senza spiegazioni? Cosa stava succedendo a casa sua, al suo regno? E…
Chi abitava quel castello moderno e decisamente pulito?
La principessa si affacciò alle brillanti finestre che mostravano il retro del castello, e rimase piacevolmente sorpresa dall’esplosione di colore che vi notò: il giardino posteriore era curato quanto l’interno dell’edificio, al contrario dell’ingresso.
Perché?
Voltandosi, sempre più confusa, la principessa parve intravedere una grossa sagoma scura con la coda dell’occhio, ma pensò che fosse solo uno scherzo della sua mente spaesata.
Il gatto aveva preso posto su un morbido cuscino ocra, e sembrò invitarla a fare lo stesso. La principessa, quasi automaticamente, si sdraiò vicino a lui e sospirò: erano giorni che non dormiva come si doveva, su un giaciglio comodo e soprattutto fermo.
Così, nel giro di pochi minuti si addormentò profondamente.
 
Un refolo di vento scompigliò i capelli della bambina, facendole storcere il naso.
Un secondo soffio d’aria la fece rabbrividire.
Il terzo la svegliò, irritandola.
La prima cosa che la principessa vide alzandosi sui gomiti fu lo sguardo incuriosito del gatto dal pelo scuro.
Sembrava che stesse… aspettando qualcosa.
Poi la giovane sentì un altro sbuffo d’aria.
Voltando la testa di fronte a sé, rimase interdetta.
Due grossi buchi neri facevano uscire ad intervalli regolari fiotti d’aria alquanto potenti, e due cavità rosso fuoco si aprivano e chiudevano ritmicamente.
Che fossero rubini?
La principessa non riusciva a capire, era destabilizzata da quella visione, come da quel gigantesco blocco di metallo posto in mezzo al salottino. Prima non c’era.
Poi, parte di quel metallo si girò in direzione del gatto, che miagolò quietamente, e la giovane poté notare un dettaglio fondamentale: denti.
Aguzzi.
Quell’ammasso metallico non era acciaio morto, era un essere vivo. I buchi che emettevano aria erano narici e i rubini erano in realtà vigili occhi dalle pupille strettissime, che non lasciavano presagire nulla di buono. Il resto era un corpo ricoperto di squame metalliche con una lunga coda e quattro possenti zampe.
E due ali.
La principessa urlò e saltò giù dal divano, scappando via. Corse su per le scale, al piano superiore, e si chiuse nella prima stanza che trovò. Il ruggito del drago, al piano di sotto, la fece scoppiare a piangere, e la giovane ragazza non poté fare altro che raggomitolarsi su sé stessa e seppellire il volto nelle ginocchia mentre i singhiozzi le scuotevano il corpo senza ritegno.
Abbandonata da sua madre, orfana di padre, lontana dal suo regno, lei, una bambina di sangue nobile di tredici anni, si trovava costretta a vivere in casa con un drago di ferro.
Che misero destino.
Terrorizzata, affamata, sfibrata e scoraggiata, la principessa attese con bramosia il sonno annebbiante che poteva concederle qualche ora di finta pace.
Quando, finalmente, arrivò, sprofondò in un profondo oblio che le donò ristoro. Forse l’ultimo della sua vita.
 
La principessa si svegliò per colpa del ritmico suono raschiante alle sue spalle e del panino che aveva appena sognato.
A casa sua mangiava sempre pane con il formaggio per merenda, quando lei e i suoi due fratelli riuscivano a scappare per qualche minuto dai doveri di corte e potevano farsi viziare dalla cuoca dolce quanto le torte che preparava.
- Il pane non è un alimento che si addica a giovanotti del vostro rango – li incalzava la severa madre, la regina, ogni volta che li coglieva in flagrante con la bocca ancora cosparsa di briciole. – Non siete mendicanti che elemosinano un tozzo di pane duro e secco e bevono l’acqua che il cielo provvede loro.
In quel momento, la principessa avrebbe mangiato volentieri un pezzo di pane nero, alimento povero che in casa sua veniva evitato come la peste, pur di calmare la violenta fame che le attorcigliava le viscere. Non mangiava da due giorni, da quando in carrozza erano finiti i viveri, e alla bambina sembrava che il suo intestino stesse cercando di mangiarsi da solo.
Appena l’ennesimo cupo brontolio di protesta del suo stomaco vuoto si placò, la principessa poté concentrarsi sul suono alle sue spalle: un grattare regolare contro la porta. Alzandosi, la giovane gemette di dolore: si era accasciata contro il muro il giorno prima, nel disperato tentativo di fuggire dal drago d’acciaio, e il sonno l’aveva colta quando ancora era raggomitolata sul pavimento. Di certo, non era il giaciglio migliore in cui aveva dormito negli ultimi tredici anni di vita.
Un miagolio la rassicurò riguardo alla fonte del cadenzato raspare: non era il drago.
Circospetta, la fanciulla aprì la porta, e il gatto dal manto scuro fece il suo ingresso solenne nella stanza.
Solo allora la principessa pensò di osservare l’ambiente in cui si trovava. Purtroppo, però, immerso nel buio com’era, poteva distinguere vagamente forme e oggetti, ed era impossibile farsi un’idea precisa della camera.
Così, procedendo lentamente, passettino dopo passettino, la ragazzina si fece strada fino alle tende da cui filtrava un tenue bagliore, non prima di aver sbattuto il piedino contro qualcosa di decisamente duro.
La luce che entrò nella camera come un’esplosione la costrinse a chiudere gli occhi per alcuni istanti, prima di poter osservare l’ambiente: era una camera da letto decisamente non molto sobria. Un gigantesco letto a baldacchino, simile a quello di sua madre e di suo padre, occupava la maggior parte dello spazio. La principessa notò con sorpresa che dieci di lei avrebbero potuto occupare comodamente quel materasso dalle fattezze indubbiamente pregiate.
Una porta di fronte al letto conduceva in un’altra stanza adibita a guardaroba, zeppo di vestiti e scarpe di cui la principessa riuscì solo a distinguere i molteplici colori. Un’altra porta, nell’angolo più a sinistra della camera, conduceva ad un bagno riccamente decorato, occupato da un mobile da toeletta come nemmeno sua madre aveva mai avuto. Piccoli scalini che partivano dal pavimento conducevano ad una vasca da bagno ricavata direttamente dal muro. Infine, oggetti d’arredamento, piccoli mobili d’appoggio per libri o altri effetti personali, tappeti spessi e quadri così vividi da sembrare una finestra sul mondo decoravano quella stanza tinta in colori tenui e degna dei più ricchi sceicchi d’oriente.
- Ma come…? – mormorò la principessa, che osservava la luce filtrare dalle pesanti tende vermiglie per rivelare quella che sembrava una camera delle favole.
L’orlo del vestito venne tirato, e la bambina abbassò la testa per osservare il gatto che richiedeva la sua attenzione. Senza perdere il contatto visivo, il felino si diresse verso la porta, invitandola a seguirlo.
- No! – esclamò, terrorizzata, prima di schiarirsi la rauca voce, inutilizzata per un giorno intero. – No, di sotto c’è un drago, non voglio scendere – mormorò impaurita.
Il gatto miagolò, corse di nuovo verso di lei passando sotto al letto, le morse una caviglia e scappò verso la porta.
- Ehi! Mi hai fatto male!
Il gatto miagolò di nuovo e grattò la porta.
La principessa lo raggiunse, lo fece uscire e poi si chiuse dentro, scusandosi.
Per nessuna ragione al mondo sarebbe tornata di sotto, con quel drago famelico.
Avrebbe dovuto evitare anche il gatto, decise.
 
Quindici brontolii di stomaco e ventisette minuti di miagolii e grattate alla porta dopo, la principessa urlò la sua esasperazione e la spalancò, fiondandosi fuori per osservare il gatto dall’alto.
- Senti, così non va. Mi hanno portata qui, in questo castello fintamente abbandonato e abitato da chissà quale strano tipo che ha un drago come cane da guardia, e ho fame e non so cosa fare, mio papà è morto, i miei fratelli anche, non so cosa faccio qui, non so cosa… non so… - singhiozzò, dopo aver farfugliato con parole ben poco regali il peso che aveva nel cuore.
Il gatto le si strusciò sulle caviglie e poi le tirò di nuovo la gonna per farsi seguire.
Asciugandosi le lacrime, la principessa prese un profondo respiro e osservò il lungo corridoio: doveva assolutamente arrivare alla dispensa.
Racimolando tutto l’autocontrollo di cui disponeva, corse giù per le scale, lasciandosi alle spalle uno sgomento gatto, e si fiondò in cucina senza guardarsi intorno.
Chiuse dietro di sé la porta della grande sala in cui veniva preparato il pranzo e si concesse un momento di respiro. Non era morta. Non era morta.
Ma i piedi urlavano di dolore, stretti in quelle graziose scarpette rigide e assassine. La principessa si chinò per levarle, e rabbrividì a contatto con il freddo pavimento.
Quando alzò lo sguardo per scrutare il luminoso ambiente, invece, rabbrividì di paura.
Cucchiai e mestoli si muovevano nell’aria, da soli, animati di vita propria, mentre stracci umidi e imbevuti di detersivo profumato pulivano il pavimento già di per sé lucido. Le posate volavano dai cassetti alla tavola, imbandendola insieme a bicchieri, tovaglia e piatti di porcellana. Persino gli alimenti uscivano di loro spontanea volontà per andare a suicidarsi in pentole e padelle ricolme d’acqua bollente od olio caldo.
Urlando, la principessa scappò via, ricominciando a piangere, e risalì le scale prestando poca attenzione ai piumini che spolveravano i mobili del salone o ai panni che pulivano i vetri. Il gatto osservò la sua nuova fuga con sguardo perso, chiedendosi forse cosa mai fosse successo.
Quando sentì la porta della camera sbattere di nuovo, decise che per quel giorno ne aveva abbastanza, e si acciambellò comodamente in mezzo alla scala.
 
La principessa pianse per quasi mezza giornata, e si fermò solo perché non aveva più nemmeno la forza di singhiozzare. Gli occhi le si erano gonfiati e una potente emicrania si era impossessata delle sue facoltà di raziocinio, impedendole ancora di più di fare mente locale.
Quando, nel pomeriggio, il gatto ricominciò a grattare la porta, lei si alzò e l’aprì senza fiatare. Ormai la fame governava ogni suo pensiero, e tutta quella situazione le sembrava solo un incubo, un’allucinazione.
Il gatto, seduto di fronte alla porta, miagolò ed entrò, mentre un vassoio ricolmo di cibi prelibati lo seguiva, mosso da fili invisibili: crema di zucca con olio e crostini, insalata, cosce di pollo con patate intinte nella salsa e imburrate, pane tostato e macedonia con frutti di bosco.
Con gli occhi grandi quanto i bicchieri ricolmi di succo e acqua posizionati sul vassoio, la principessa si gettò a terra e addentò il pane croccante gemendo di piacere. Quando le posate saltellarono fino a lei insieme ad un tovagliolo e una brocca d’acqua, la fanciulla decise di non porsi domande e, afferrando delicatamente un cucchiaio, iniziò a trangugiare la crema di zucca.
Nemmeno il cuoco del suo castello sapeva cucinare così bene. Quand’ebbe finito, piatti, posate e salviette zampettarono via, e la principessa restò a fissarli finché sparirono giù per le scale.
- Grazie – mormorò, così piena da poter scoppiare.
Erano giorni che mangiava solo pane e carne secca.
Uno scroscio d’acqua impetuoso attirò la sua attenzione, e il gatto miagolò, guidandola nella sala da bagno: la vasca di stava riempiendo di acqua calda, e diverse lozioni profumate si stavano autonomamente versando in quella polla d’acqua che sembrava chiamare a gran voce la ragazzina.
Da quanto tempo non si concedeva il lusso di un bagno profumato?
Sospirando di piacere, la principessa si spogliò e si tuffò nella vasca, ridendo contenta: la temperatura era perfetta.
Quando uscì, dei morbidi panni puliti le asciugarono il corpo, e una vestaglia da notte insieme alla biancheria si posarono ai suoi piedi, pronti per essere indossati.
Saziata, libera nel corpo e pulita, finalmente, la principessa uscì dal bagno sorridendo, e subito il letto smosse le proprie coperte in modo tale da accoglierla tra le sue coltri.
Ponendosi ben pochi interrogativi, la bambina si lasciò abbracciare da quel letto troppo grande, e il gatto fece presto a raggiungerla per dormire con lei.
Mentre sprofondava nel sonno così come il sole si tuffava oltre l’orizzonte, le tende si chiusero facendo sprofondare tutto nel buio.
 
La mattina la principessa fu svegliata da una linguetta ruvida che le solleticava il collo. Contorcendosi, si rannicchio sotto al piumone caldo e si coprì la testa spettinata, lasciando che le ciocche cerulee si aggrovigliassero ancora di più.
All’improvviso lanciò un gridolino di sorpresa, e gemette per il freddo: le coperte si erano arrotolate ai suoi piedi, e le tende si erano spalancate per lasciar entrare la calda luce del mattino.
La principessa aprì pigramente un occhio, troppo assonnata per essere spaventata da quella casa stregata, e osservò le morbide pantofole che si erano accoccolate davanti a lei, sul pavimento. Nel camino, i ciocchi di legno si stavano indipendentemente organizzando, e nel giro di poco la fanciulla sentì un allegro fuocherello crepitare calorosamente.
Il gatto le si arrampicò sul fianco e scivolò sul suo petto, andando a sistemarsi proprio davanti al suo viso. Quando la principessa incontrò il suo musetto, scoprì che la stava fissando di rimando, in attesa.
E colse un bagliore provenire dal suo collo.
- Ma cosa…? – mormorò, allungando una mano per prendere tra le dita una piccola targhetta che pendeva da un collare scuro praticamente invisibile tra il pelo del gatto. – Panther…lily. Ti chiami così? Pantherlily?
Il felino miagolò rocamente e le posò una zampa vellutata sul viso, in un’umana carezza.
La principessa sentì le lacrime pungerle gli occhi e spingere per uscire: in tutta la sua vita aveva ricevuto un numero così basso di abbracci e carezze da poterlo conteggiare sulle dita delle mani. E lì, in quel castello abitato da oggetti posseduti, un gatto era riuscito a farla sentire per la prima volta una semplice bambina in fase di crescita che aveva più che mai bisogno di coccole.
- Posso chiamarti Lily? – domandò la principessa accarezzandogli la testolina.
Il gatto iniziò a fare le fusa, ma dopo alcuni istanti saltò giù dal letto e si diresse verso la porta, invitandola a seguirlo.
La ragazzina sentì un brivido di paura correrle giù per la schiena e mettere definitivamente fine alla sua pace mentale. – Io non ci torno di sotto. Ho paura, le cose volano! Sono possedute! Cosa ci faccio io qui?
Il gatto miagolò indispettito e se ne andò, lasciandola sola in compagnia del fuoco che si era acceso da solo.
Disperata, la principessa si rimpossessò delle coperte arrotolare ai suoi piedi e se le tirò sopra la testa, tremando.
Quando sentì di nuovo il miagolio di Lily, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Uscendo dal rifugio di coltri, la principessa vide che il gatto era seduto ai piedi del letto con un altro vassoio di cibo di fianco.
Le venne immediatamente l’acquolina in bocca osservando i magnifici colori di quegli alimenti preparati per la sua colazione: pane tostato perfettamente dorato, una tazza di latte fumante, diversi tipi di marmellata e piccoli dolcetti alla frutta con crema insieme ad un bicchiere di spremuta.
- Santo cielo… - mormorò, esterrefatta.
Il vassoio levitò fino a posarsi sulle gambe della giovane, e la principessa, senza titubanze, ringraziò l’aria e cominciò a mangiare.
Le sembravano passati secoli dall’ultima volta che aveva fatto colazione, e all’improvviso si chiese se in realtà quel castello non fosse stato una benedizione. Insomma, era in una casa meravigliosa con una stanza solo per lei, pasti che sembravano preparati dai migliori cuochi della contea, ed era lontano dal pericolo, se lo sentiva.
Subito però rammentò la guerra che si stava combattendo a casa sua, ricordò che in quel castello in realtà maledetto si aggirava un drago che sembrava ricoperto di scaglie metalliche, che era completamente sola, prigioniera, e non avrebbe saputo come scappare.
- Ora cosa faccio? Cosa devo fare qui? – sussurrò dopo aver finito ogni briciola di quelle prelibatezze cucinate solo per lei.
Il vassoio si allontanò, muto, e ignorò la domanda della giovane.
Fu il gatto a risponderle, circa, miagolando per attirare la sua attenzione verso il guardaroba. Le coperte si allontanarono nuovamente da lei, e il materasso sussultò, spronandola a scendere. Inquieta, ma sicura di potersi fidare per lo meno di quel gatto, la principessa entrò nella stanza adiacente al camino, e spalancò la bocca: nemmeno sua madre aveva un guardaroba del genere a casa loro.
Vestiti di ogni colore, forma e stile si susseguivano in bella mostra su appendini di legno pregiato, affiancati da scaffali su scaffali di scarpe eleganti e pantofole, biancheria ed espositori di gioielli.
Il gatto morse l’orlo della vestaglia con cui si era coperta la sera prima, e la principessa non perse tempo a domandarsi che fine avesse fatto la sua veste sporca e consunta con cui era arrivata lì: portava ancora addosso l’odore di cenere e morte che aveva impregnato la stoffa come una maledizione.
- Posso scegliere qualsiasi cosa?
Lily inclinò la testa e si acciambellò ai suoi piedi.
Una profonda calma mista a gioia riscaldò il cuore della bambina, che per la prima volta pensò di approfittare di quei miracoli. Non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, ma la sua amica Erza non le aveva forse insegnato che non era necessario conoscere il futuro per vivere appieno il presente?
Quando si spogliò, la vestaglia da notte si piegò e si depositò sul letto, e la principessa rise contenta.
 
Pochi minuti dopo, la giovane stava sbirciando fuori dalla sua stanza con un semplice vestito di lana senza pretese e spessi calzetti ai piedi. Indossare uno di quei sfarzosi abiti da sera sfavillanti sarebbe stato sciocco: nessuno poteva vederla, e lei aveva bisogno di restare comoda nel caso in cui qualche coltello avesse deciso di attaccarla.
- Vediamo un po’, cosa possiamo fare oggi secondo te, Lily? – chiese la principessa, uscendo cautamente dalla stanza. – Potremmo andare nel salottino, oppure esplorare bene la cucina. Da dove viene il cibo, e chi lo prepara? Le stoviglie? Ma come fanno? Sono per caso oggetto di una maledizione come nella favola de La Bella e la Bestia? Perché io sono stata portata proprio qui? E…?
La miriade di domande che espose al gatto venne interrotta quando, in procinto di scendere le maestose scale che conducevano al piano inferiore, la principessa vide uno spiraglio di luce filtrare da una porta socchiusa al lato opposto del corridoio.
Le porte che aveva incontrato lungo il percorso erano tutte chiuse, lo aveva verificato personalmente. Tutte tranne la sua e… quella che aveva appena notato.
Come incantata, tornò lentamente sui suoi passi e procedette in linea retta invece di svoltare per prendere le scale. Lily la seguì senza fiatare, e la ragazza ebbe uno strano presentimento.
Raggiunta la porta, tirò piano la maniglia e si infilò nello spazio aperto, trovandosi davanti un paio di scale a chiocciola molto anguste e alte, illuminate a intervalli regolari da torce ad olio che crepitavano e riempivano l’aria di un leggero odore di fumo.
Lily miagolò e saltò sulle scale, correndo verso la sommità preclusa alla vista della principessa.
- Ehi! – chiamò a mezza voce. – Torna qui, Lily!
Temeva che se avesse alzato la voce quell’angusto passaggio le sarebbe crollato in testa.
Ingollando la saliva come per darsi coraggio, mise il piede sul primo scalino di legno, aspettandosi nuvole di polvere e scricchiolii. Invece, come il resto del castello, quel luogo stretto era perfettamente conservato, tanto da sembrare nuovo.
Alla principessa sembrò di aver salito mille scalini quando finalmente giunse in cima, dove incontrò una semplice piattaforma di legno dal soffitto basso e quattro pareti tinte di rosso a causa della torcia.
Prima ancora di formulare una domanda, il gatto si alzò sulle zampe posteriori e agitò quelle anteriori in aria, inducendo la giovane ad alzare la testa: c’era una botola sopra di lei. Inginocchiata com’era, per non sbattere la testa, non ci mise molto ad aprire il chiavistello e far scorrere lateralmente la porticina orizzontale, che probabilmente era montata su cardini.
Libera di alzarsi in piedi, la principessa sbucò con mezzo busto nel nuovo ambiente e… rimase senza fiato.
Quella in cui era approdata era un’unica stanza, lunga quanto l’intero castello e largo altrettanto, chiuso solamente dai quattro muri esterni che rappresentavano il perimetro dell’edificio.
Ad adornare lo spazio immenso non c’erano altro che libri e scaffali, librerie immense alte fino al soffitto. Piccole e precarie scale conducevano direttamente alle guglie che da fuori mettevano un’immensa soggezione e davano al castello quell’aria tetra e maledetta che avrebbe fatto scappare anche i fantasmi.
Tra le corsie di libri c’erano scrivanie vuote e lucidate provviste di carta e calamai, pennelli e tavolozze di colore per qualsiasi utilizzo, divanetti e sedie o teche espositive.
- Sono incastrata in un sogno… - mormorò la bambina, con gli occhi sfavillanti.
Una delle tante domande che le avevano affollato la mente era stata: cosa farò qui dentro per il resto dei miei giorni?
I vestiti li aveva, il cibo anche, non c’erano dubbi che sarebbe sopravvissuta, ma… cosa avrebbe fatto contro la noia?
Quella sala immensa rappresentava la risposta più che ovvia alla sua domanda. Avrebbe esplorato quel luogo, avrebbe passato giornate intere a leggere o scrivere e disegnare, portando a termine l’insegnamento che presso il suo palazzo le veniva impartito in maniera così ligia. Magari studiando un libro sul giardinaggio avrebbe anche potuto provare a rimettere in sesto il giardino anteriore di quel castello.
Come per le scale, quello spazio immenso era rischiarato da torce poste a brevi intervalli l’una dall’altra, estraibili dai loro sostegni per essere spostate a piacimento.
Facendo vagare il suo sguardo pieno di ammirazione in quel luogo magico, la principessa notò due cose che nell’estati del momento le erano sfuggite: l’unica finestra che c’era nella stanza, sul soffitto, gettava luce su un leggio sul quale stava appollaiato un vecchio libro, e il drago era lì, dormiente, a circondarlo con la coda metallica.
La principessa decise che doveva leggere quel libro.
In barba ai miagolii allarmati di Lily, la fanciulla si tirò fuori dalle scale e chiuse la botola, estromettendo il gatto. Con l’adrenalina che scorreva nel corpo e il brivido del proibito che le scaldava il sangue, la giovane si avvicinò senza fare rumore all’imponente figura che occupava il centro di quella biblioteca. A pochi centimetri dalla sua coda, sentì distintamente il fiato caldo del drago scompigliarle i capelli.
Chiudendo gli occhi, alzò una gamba e scavalcò l’ostacolo, dirigendosi con sicurezza verso il manoscritto.
Era la prima cosa rosa dal tempo che vedeva, in quel castello nuovo e avanguardistico.
La copertina di pelle marrone era screpolata e sbrecciata agli angoli, mentre degli strisci simili a graffi ne rigavano il titolo, rendendolo illeggibile.
La giovane trattenne il respiro quando uno sbuffo di polvere si sollevò per il movimento delle pagine, rivelando un testo ingiallito ma tutto sommato ben conservato.
Finalmente, il titolo del libro venne rivelato, al centro della prima, gialla pagina:
 
Lo Sprovveduto
Una storia di re Gajeel Redfox
 
La principessa aggrottò le sopracciglia.
Aveva già sentito quel nome… ma quando?
Accantonando i suoi dubbi, decise di cominciare la lettura di quel particolare manoscritto.
Ma le pagine erano vuote.
Girandole febbrilmente una per una, con la delicatezza che quella carta vecchia richiedeva, la principessa dimenticò il drago accanto a lei e una strana foga la prese, annullando tutti i suoi pensieri eccetto uno: doveva sapere.
Finalmente, dopo pagine e pagine di mute e invisibili parole, comparve una macchia di inchiostro nero: una piuma, disegnata nell’angolo in basso della pagina.
Una piuma nera che conteneva un occhio rosso con la pupilla stretta dei gatti. O dei serpenti.
Era troppo tardi per tirarsi indietro, così la principessa voltò pagina, estraniandosi da tutto ciò che non fosse quel libro.
 
A te che leggi questo libro auguro ogni tipo di fortuna, discendente del casato dei McGarden.
Auguro a te buona sorte come augurai sventura al casato dei Redfox, cento anni orsono.
 
C’era un tempo in cui nel mondo regnava la pace.
Un tempo in cui la gioia fioriva come i giardini in primavera, in cui ognuno si accontentava di ciò che aveva e godeva di ciò che otteneva grazie alle proprie mani.
In quel tempo, i due regni che predominavano nella terra di Earthland avevano deciso di allearsi e fondare un unico, grande regno: il regno di Fiore.
Questi due regni erano governati da re M. Redfox e re G. McGarden, che strinsero un patto firmato con il loro stesso sangue. Essendo il territorio troppo ampio da governare, i due spartirono le proprie terre con governi autonomi minori, ma giurarono che in caso di dissidi li avrebbero nuovamente riuniti per far tornare l’equilibrio, in nome di ciò che era scritto nel patto.
 
La principessa aggrottò le sopracciglia e fissò la luce che entrava dal lucernario sopra di lei.
Lei aveva studiato la storia di Fiore, la sapeva a menadito, così come sapeva di essere la discendente di uno dei più potenti casati reali del suo continente.
Ma… del casato dei Redfox non aveva mai sentito parlare.
 
Per quasi cinquant’anni l’alleanza durò.
Cinquant’anni di luce e successi e prosperità.
Ma la cupidigia e l’egoismo albergano anche nei cuori dei più puri, inclinandoli al male.
Avvenne pertanto che la guerra scoppiò.
I territori del più profondo sud di Fiore si unirono segretamente per rovesciare il governo dei McGarden e impadronirsi delle loro ricchezze. Quando re G. McGarden scoprì il complotto, era ormai troppo tardi, e lui troppo vecchio per prendere decisioni belliche, alle quali era impreparato.
Il figlio, il principe G. II McGarden, ordinò pertanto un consiglio e decise di chiedere aiuto al re M. Redfox, nei confronti del quale il padre nutriva un profondo affetto e una sincera ammirazione.
G. II McGarden venne pertanto convocato a palazzo, scoprendo che sul trono non regnava più re M. Redfox, bensì il figlio, Gajeel Redfox, ultimo re del casato dei Redfox.
Il figlio era cresciuto sordo ai consigli e ai saggi insegnamenti del padre, e vedendo nella richiesta d’aiuto di re G. II McGarden la possibilità di arricchirsi ancora di più, non solo rifiutò l’alleanza proposta, ma addirittura si organizzò per trovarsi contro di lui.
La notte del tradimento, però, le cose non andarono secondo i piani.
In ottemperanza al patto stretto cinquant’anni prima, e firmato con il sangue che scorreva nelle vene dei figli dei re, la tragedia si abbatté su re Gajeel Redfox.
In sella al suo cavallo, pronto a tradire un fedele alleato e infangare un giuramento stipulato dalla più potente fata dell’epoca, l’ultima fata, Gajeel Redfox non si scagliò mai contro il casato dei McGarden.
Tramutato in un drago d’acciaio, specchio del suo cuore, rase al suolo il suo stesso esercito e, accecato dal tributo che il patto richiedeva, sterminò gli insorti ribelli, salvando re G. II McGarden.
 
Questa è la vera storia di Fiore, da me scritta in testimonianza della verità e della lealtà.
Io, Ultima Fata, e insieme Prima, lascio questo memoriale a coloro che verranno dopo, a dimostrazione del fatto che un giuramento non si può rompere.
Si possono solo affrontare le conseguenze delle proprie azioni, rimpiangendo le proprie decisioni avventate e la propria brama illecita.
Qui conservo il patto, affinché un giorno il nome del casato Redfox possa essere riabilitato e ricordato, tirato fuori dall’oblio in cui è caduto nel momento in cui il patto è stato infranto.
 
Per guardare al futuro,
La Fata del Giuramento
 
 
La principessa sbatté più volte le palpebre, cercando di dare un senso logico a ciò che aveva appena letto.
Voltando inconsciamente pagina, scoprì un pezzo di pergamena accuratamente ripiegato, fittamente scritto da due grafie diverse e firmato con inchiostro rosso.
Presolo in mano con l’intento di leggerlo, si ritrovò ad urlare a causa del ruggito del drago che credeva addormentato.
Voltando la testa, scoprì due ardenti occhi rossi, confondibili con le torce, che la fissavano con odio, e per la seconda volta la fanciulla poté scorgere del bianco in quell’ammasso di scaglie nere e grigie: i denti aguzzi del drago, ad un palmo dal suo viso.
Le gambe della principessa si mossero da sole, portandola lontana da lì, mentre il leggio si rovesciava e la coda del mostro scattava.
Calcolando la traiettoria mentre l’adrenalina le faceva registrare ogni dettaglio al rallentatore, la giovane notò con orrore che in brevi istanti la sua testa si sarebbe scontrata con quelle acuminate punte metalliche, in un colpo fatale.
Ma la coda non la raggiunse mai, e il drago ruggì il suo furore.
In preda al panico, la principessa aprì la botola da cui era entrata e si fiondò di sotto, chiudendo il chiavistello e rischiando di calpestare il gatto che l’attendeva.
I colpi scagliati sul soffitto sopra la sua testa e i graffi degli artigli la indussero a percorrere a rotta di collo le scale, a ritroso, fino a sbucare nel corridoio del primo piano.
Tirò un sospiro di sollievo e si accasciò a terra, tenendosi il cuore come per impedirgli di volare via sui suoi battiti fulminei.
Lily le lanciò un’occhiataccia, ma alla fine le accarezzò una mano col muso, rassicurandola.
Un altro ruggito squarciò l’aria, più forte e vivido che mai, e la principessa urlò tappandosi le orecchie.
 Il drago era al piano inferiore, entrato nel castello in chissà quale modo, e pronto a distruggere ogni cosa.
In preda al panico, la principessa corse a rotta di collo per il corridoio e, mentre tentava di raggiungere la sua camera, vide lo sfacelo che il drago stava lasciando alle sue spalle: non un mobile, non un cuscino o un muro venivano risparmiati alla sua ira. I suoi occhi fiammeggianti incontrarono quelli di lei, ma la fanciulla riuscì a chiudersi nel suo rifugio sicuro senza dargli il tempo di raggiungerla.
Mentre il cuore batteva ad un ritmo frenetico e disumano, la principessa pianse la sua paura e, in stato di shock, fissò il soffitto senza un pensiero coerente, accasciata sul pavimento.
 
Quando aprì gli occhi, un po’ più calma, la luna era alta nel cielo nero e sconosciuto che la fissava dall’alto.
Concentrandosi sarebbe riuscita ad individuare le costellazioni che aveva studiato per anni insieme alla sua amica, la contessina Lucy, ma in quel momento il plumbeo coperchio del mondo le sembrava estraneo, e cattivo. Non era nemmeno sicura che fosse quello che vedeva sempre dalle finestre di camera sua, a casa.
Lily la salutò con un miagolio e una carezza sulla mano, nella quale spinse senza tanti preamboli la pergamena che la giovane aveva rubato da quella che, ne era certa, era la camera del drago.
Buffo che una biblioteca potesse essere un luogo tanto spaventoso per lei, che avrebbe potuto viverci dentro rinunciando per sempre alla luce del sole.
Un sommesso bussare alla porta la fece sobbalzare, e quando questa si aprì da sola fecero il loro ingresso elegante il consueto vassoio di cibo e le posate.
La principessa cominciava ad abituarsi a quella strana consuetudine, e ringraziò il cucchiaio d’argento quando questo si sistemò tra le sue dita.
Zuppa di verdure fresche con crostini di pane duro, salmone affumicato e patate affogate nella salsa.
Seduta comoda sul letto, mentre trangugiava la minestra, affamata, la fanciulla spiegò con solennità la pergamena, e fissò quelle lettere ordinate senza coglierne il senso: prima voleva solo osservare l’arte della scrittura e il modo in cui trasformava un semplice pezzo di carta vecchia in qualcosa dal profondo significato.
Chiudendo gli occhi, si preparò a leggere.
 
Oggi io, re G. McGarden, giuro solennemente per me e per i miei figli, nipoti e pronipoti, finché la stirpe non sarà estinta.
Giuro di proteggere e onorare re M. Redfox, insieme ai suoi figli, nipoti e pronipoti, fino alla fine della sua stirpe.
Giuro di aiutarlo nel momento del bisogno, per proteggere l’unità di questa terra e permetterle di prosperare e diventare ricca, così che tutti possano condurre una vita gioiosa e significativa.
Siglo questo patto con il mio sangue, conscio delle conseguenze che colpiranno qualunque McGarden non onori questo giuramento.
 
Re G. McGarden
 
Oggi io, re M. Redfox, giuro solennemente per me e per i miei figli, nipoti e pronipoti, finché la stirpe non sarà estinta.
Giuro di proteggere e onorare re G. McGarden, insieme ai suoi figli, nipoti e pronipoti, fino alla fine della sua stirpe.
Giuro di aiutarlo nel momento del bisogno, per proteggere l’unità di questa terra e permetterle di prosperare e diventare ricca, così che tutti possano condurre una vita gioiosa e significativa.
Siglo questo patto con il mio sangue, conscio delle conseguenze che colpiranno qualunque Redfox non onori questo giuramento.

 
Re M. Redfox
 
La principessa abbassò il foglio e ripose il piatto vuoto nel vassoio, impugnando la forchetta.
Confusa, alzò la testa al soffitto e l’appoggio alla testiera alle sue spalle.
Cosa significava quello che aveva letto durante quella giornata?
C’era qualcosa che le sfuggiva, ne era certa. Un piccolo dettaglio quasi trascurabile, eppure fondamentale.
Frustrata, ripiegò la pergamena, e notò l’iscrizione sul retro del foglio.
Frenetica, lo spiegò e lo girò, fissando le brevi frasi che sembravano scritte da una fata, tanto erano leggiadre.
 
Stipulo oggi questo patto,
Come se fosse un legale atto.
Io, Fata, sigillo col sangue questo accordo.
Sperando che di trasgredire nessuno abbia l’azzardo.
Questo giuramento in eterno vivrà,
fate perciò attenzione a chi verrà:
protezione e onore promettono i casati,
così com’è stato nei tempi passati.
Chi contro alla sua parola si rivolterà,
In un mostro orribile trasformato sarà,
costretto a servire per sempre colui che offenderà.
Come vale per due,
così vale per chi ne porta il sangue.
Un casato decadrà e un altro sorgerà,
ma sempre nel rispetto della promessa lealtà.
La Fata che veglia sul Giuramento
 
Attonita, la principessa strinse i pugni e lasciò cadere la pergamena, portandosi le mani al viso.
Un giuramento, un drago, i suoi antenati, i McGarden e i Redf…
- I Redfox… - sussurrò, facendo drizzare le orecchie a Lily. – I Redfox! – urlò poi, rischiando di rovesciare il vassoio ancora mezzo pieno di cibo.
- Mio fratello maggiore mi raccontava sempre la favola del drago Redfox quando ero piccola! – spiegò al gatto, aspettandosi che la capisse. – Diceva sempre che gliel’aveva narrata nostra madre, questa favella, ma io sapevo che era impossibile. La regina non è una di quelle donne che augurano la buonanotte ai figli.
Sconsolata, la principessa sorrise tristemente, e cercò di fare mente locale. – Mio fratello mi diceva sempre che un giorno il drago sarebbe stato la mia unica possibilità di sopravvivere, che mi avrebbe portata in un luogo magico e mi avrebbe protetta sempre, finché io lo avessi voluto. Mi diceva che poteva sembrare cattivo, ma in realtà era solo un cane da caccia con la museruola. Non avrebbe mai potuto uccidermi.
All’improvviso, la principessa si ricordò di un dettaglio: quando stava scappando dalla biblioteca, la camera del drago, la sua coda era guizzata repentinamente, diretta alla sua testa. Era impossibile deviarne la traiettoria, nemmeno il drago stesso avrebbe potuto bloccarla. Eppure, neanche un movimento d’aria l’aveva raggiunta.
Niente.
Il drago non poteva ferirla.
Incurante del vassoio sulle sue gambe, rovesciò le coperte e scappò lungo il corridoio, attirandosi un miagolio adirato di Lily.
Spettinata, con indosso lo stesso abito di lana e gli stessi calzettini che aveva indossato dopo il bagno, corse a perdifiato e si fiondò verso l’unica porta che sapeva essere aperta. Si lanciò su per le scale come se avesse un drago dietro le spalle e non sopra la testa, nel luogo al quale era diretta.
Dopo essere inciampata diverse volte, riuscì ad aprire la botola e spuntò nella biblioteca che era in realtà la camera del drago.
- Tu sei Gajeel Redfox! – urlò, senza nemmeno rendersi conto di aver aperto bocca.
Il drago, assopito, sollevò la pesante testa lucida alla tenue luce delle torce, e la fissò con un occhio di fuoco, lasciando chiuso l’altro.
- Tu sei Gajeel Redfox, il traditore della mia famiglia e il bugiardo che ha infranto il patto! – gridò ancora la bambina, che aveva solo tredici anni e stava letteralmente fronteggiando un drago.
Quest’ultimo ringhiò e, ormai sveglio, si sollevò sulle quattro possenti gambe ricoperte di scaglie metalliche, avvicinandosi a lei con odio puro dipinto negli occhi.
Se quegli occhi non fossero stato tanto vivi e spaventosamente umani, la fanciulla avrebbe potuto scambiare il mostro per una di quelle diavolerie metalliche di cui troppo spesso sentiva parlare nelle guerre che si svolgevano al nord di Fiore. Guerre vinte grazie all’uso di macchine senza cuore che spesso falcidiavano indistintamente amici e nemici.
Il drago si acquattò di fronte a lei e ringhiò più forte, ma la principessa non si scompose. Notò che il drago aveva delle placche metalliche tondeggianti sul muso, tre sopra ogni occhio, due per parte lungo il naso e due su quello che doveva essere il mento, e poi altre tre sulle orecchie appuntite che aveva appena appiattito sul cranio, irritato.
- Tu hai tradito un mio avo, e per questo ora ti trovi qui, tramutato in un drago. Per rispettare coercitivamente il patto che anni orsono hai infangato. Ora devi proteggere me, l’ultima McGarden rimasta in vita, nonostante l’odio che tu provi nei miei confronti. Non è forse vero?
Il drago si abbassò ancora di più, sfidandola con gli occhi.
- Sì che è vero! – si rispose lei. – Qui tu non sei altro che il mio schiavo!
Inferocito, il drago scattò sulle gambe posteriori e, spalancando le ali corvine e immense che per puro miracolo non urtarono alcun libro, ruggì tutto il suo dissenso.
Per un attimo la sicurezza della giovane vacillò, e cadde come un peso di piombo quando il drago si scagliò su di lei con le fauci spalancate.
Urlando di paura, la principessa portò le braccia a difesa della testa e si accasciò sulle ginocchia.
Ancora, però, niente la urtò, nemmeno il fiato del drago la raggiunse.
Titubante, aprì un occhio e lo vide sbuffare dal naso con disprezzo, massaggiandosi il muso con una zampa là dove il colpo a lei diretto non era andato a segno.
Ridacchiando, la principessa lo derise: - E così se provi a ferire me non fai altro che nuocere a te stesso?
Poi scoppiò a ridere, zittendo i gutturali ringhi sommessi del mostro di fronte a lei, perplesso di fronte alla sua gioia.
- Io sono Levy. Levy McGarden – dichiarò infine sorridendo. – Tu sei Gajeel, giusto? Sappi, Gajeel, che non mi interessano i tuoi trascorsi. Non mi importa ciò che hai fatto in passato. Ora tu sei qui, sei il padrone del castello e hai l’obbligo, anche se non lo vuoi, di proteggermi, in virtù del patto imbevuto del tuo sangue e del…
Le parole le morirono sulle labbra, così come l’entusiasmo scaturito dalla scoperta di avere a disposizione un drago innocuo.
Lei era parte stessa di quel patto che aveva trovato, siglato dal sangue dei Redfox e dei McGarden.
Lei e quel drago facevano parte di una di quelle vecchie favole che si raccontavano ai bambini prima di andare a letto, uno di quei miti a cui solo alcuni sognatori credevano.
Colta da un timore reverenziale, fissò il drago negli occhi, e si allontanò impercettibilmente.
- Ehm… io ti ringrazio per non avermi ancora mangiata… cioè, a dire il vero non puoi ferirmi quindi non posso ringraziarti per una cosa che sei obbligato a non fare… e… - farfugliò, schiarendosi poi la voce. – Io posso esplorare il palazzo?
Gajeel la fissò in silenzio, e alla principessa parve di cogliere un guizzo di freddo divertimento nei suoi occhi.
Voleva esplorare la biblioteca. Doveva.
Senza riflettere, mosse un passo verso lo scaffale più vicino, ma un ringhio ammonitore la bloccò.
Quel territorio era ancora suo.
Sconvolta dalle emozioni e dalle scoperte che aveva appena fatto, Levy arretrò e si sporse sulla botola che portava al piano inferiore.
- Io allora vado. Ci vediamo, Gajeel.
Lei non lo seppe mai, ma il drago rimase molto tempo ad osservare la botola metallica nella quale era sparita, domandandosi cosa fosse successo.
 
La principessa tornò a dormire dopo la chiacchierata con il drago, scortata da un Lily alquanto irritato.
Si fece un veloce bagno e chiese al camino di riaccendersi, dal momento che le era passato il sonno ma la luna era ancora alta nel cielo.
Scese a piedi nudi in cucina, rabbrividendo per il freddo e spaventandosi ogni volta che la luce si accendeva al suo passaggio. Con un sospiro, iniziò a rovistare in tutte le credenze alla ricerca di una tazza e un pentolino per preparare un buon tè nell’immobilità dell’enorme stanza.
Lily la raggiunse e la tirò per la camicia da notte, incoraggiandola ad uscire da quel luogo che poco si addiceva ad una nobile. Insomma, una principessa che si prepara da sola qualcosa?
- Aspetta, Lily, voglio farmi un tè, poi arrivo – informò il gatto.
Ma appena ebbe pronunciato quelle parole, i fornelli si accesero, i cucchiaini, lo zucchero e le pentole si misero in moto, obbedendo agli ordini appena pronunciati.
- Ah! – esclamò Levy, impressionata. – Fate tutto voi? Non volete una mano? Io so come… ehm…
Pentolini e stoviglie si erano bloccati, rivolti verso di lei, e la principessa capì che se avessero avuto gli occhi sarebbero stati tutti puntati su di lei come dei fari.
Squittendo, si affrettò ad uscire mormorando dei ringraziamenti.
 
L’alba colpì Levy sul viso con una forza inaudita, tingendo le sue ciocche turchesi e spettinate di riflessi rosati e violetti, in quel tripudio di colori che annuncia l’arrivo del sole.
La fanciulla si era addormentata con una calda coperta sulle spalle, seduta su una poltrona posta di fronte all’immensa vetrata della sua camera, quella che dava un’ottima visione del giardino posteriore.
Infastidita, la giovane strinse gli occhi e cercò di nascondere la testa sotto la coperta, ma una breve sbirciata all’esterno la indusse ad alzarsi sui gomiti e osservare con ammirazione il mondo che si stendeva fuori dalla camera.
E il drago di metallo che, placidamente, passeggiava con eleganza nel proprio giardino.
Quando Levy lo vide sistemarsi su un morbido pezzo d’erba e salutare l’alba con calma serafica, non poté non pensare alla bellezza di quella scena catturata a tinte velate su un quadro.
Un drago nero che, immerso nei colori caldi della natura, interrogava il sole.
 
La principessa corse verso la cucina ridendo, abituatasi ormai all’idea di una permanenza in quel castello incantato.
- Buongiorno cucina! Oggi farò colazione qui, e vi prego di scusare il mio aspetto trasandato e ancora addormentato – annunciò piroettando, facendo alzare di poco la vestaglia da notte e i capelli scompigliati. Rise contenta quando la cucina fece baccano, come a salutarla. – Da ora in poi mangerò sempre qui, in quanto non è convenevole per una nobildonna consumare i propri pasti a letto. Non credete?
Tutto tacque nella cucina.
Levy rise ancora. – Però io ho solo tredici anni, quindi magari in futuro mangerò ancora in camera. Cosa mi avete preparato di buono oggi?
In due secondi l’estremità della tavola fu apparecchiata e imbandita di frutta fresca, succhi, marmellate e torte fumanti dal profumo paradisiaco.
Prendendo in braccio Lily, attirandosi una sua miagolata inferocita, Levy si sedette a tavola e chiese una tazza di latte anche per il gatto, ingraziandoselo.
Aveva iniziato a mangiare da poco quando un rumore stridente la fece sobbalzare.
Guardando alle sue spalle, la principessa vide il drago entrare con circospezione direttamente da una porta ricavata nel muro, che si richiuse alle sue spalle dopo il suo passaggio.
La cucina servì anche a lui la colazione che il drago consumò in silenzio, senza degnare di uno sguardo nessuno.
Lily scese dal tavolo e corse verso di lui, salendogli sul muso e accucciandosi sulla sua testa.
Il drago roteò gli occhi e Levy sorrise alla scena.
Fu allora che Gajeel voltò la testa verso di lei, come se si fosse reso conto solo in quel momento della sua presenza.
La principessa invece si era resa conto di un’altra cosa. – Buongiorno Gajeel. È così che ti muovi all’interno del castello? Mediante dei passaggi magici che apri solo tu? Oppure il castello reagisce al tuo volere?
Il drago la ignorò e continuò a mangiare, anche se il gatto espresse il suo disappunto nei confronti della sua maleducazione.
Levy rimase a fissarlo, incerta su cosa dire, fino alla fine della colazione, quando Gajeel si alzò con Lily ancora accucciato sulla sua testa. Muto e insofferente, premette un meccanismo sul pavimento che a Levy era sfuggito e uscì dall’apertura che si era creata nel muro, sparendo alla vista.
La principessa scosse le spalle e bevve il suo latte schiumato, mentre una malsana idea si faceva largo nella sua mente: sarebbe diventata amica di Gajeel.
 
Esplorare il palazzo si rivelò divertente per i primi… quattro giorni.
Levy scoprì che tutto lì dentro, persino i muri, rispondevano alla sua volontà, cambiando ad ogni suo comando. Appena lo venne a sapere passò un’intera giornata ad arredare a suo piacimento tutto il salone principale, sotto lo sguardo irritato ma quieto del drago. Finì quello strano gioco solo la sera, quando ordinò alla casa di posizionare un vaso di fiori sulla testa di Gajeel, che ringhiò e si raddrizzò sulle gambe, facendola scappare via ridendo.
Le stanze al primo piano erano tutte chiuse eccetto la sua e quella che conduceva alla biblioteca, il cui accesso però era off-limits: il drago l’aspettava sempre vicino alla botola, guardingo, e anche se non poteva ferirla, Levy si guardava bene dall’irritarlo.
Dopo la prima settimana di permanenza lì, però, le cose cominciarono a diventare… noiose.
In quella prigione dorata poteva fare tutto… e al contempo non aveva la libertà di fare alcunché.
Aveva passato alcuni giorni a disegnare la scena che aveva visto qualche mattina prima, con il drago acquattato nell’erba e l’alba che salutava il mondo. Ma dopo aver completato il quadro non aveva trovato null’altro da fare.
Lily la seguiva come un’ombra ed era di compagnia, ma non si poteva fare granché con un gatto.
L’unica cosa che poteva consolarla era… un libro.
Così una sera, dopo il bagno, la principessa si strinse nella vestaglia da notte e, afferrato il dipinto, si diresse verso la biblioteca.
- Posso? – chiese flebilmente quando ebbe aperto la botola.
L’udito sopraffino del drago non fece fatica a captare quelle parole sussurrate, e subito lui sollevò la testa per puntare gli occhi rossi in quelli della giovane. Poi grugnì e rimise a posto la testa.
Levy, trattenendo il respiro, salì nella stanza di Gajeel e si diresse verso una libreria.
Ed ecco che subito il ruggito ammonitore del drago la bloccò.
- Ho un regalo per te – annunciò allora, avvicinandosi cautamente, mettendo in mostra la scena catturata sulla tela con le tempere. – So di non essere bravissima con il disegno, avevo ancora molte lezioni da prendere, presso il mio castello, però mi piacciono le sfumature che sono riuscita a dare alla tua figura. Trovo che sia bello il contrasto tra i tuoi colori e quelli caldi dell’alba. Lo crede anche Lily.
Miagolando il suo assenso, il gatto passò tra le gambe della fanciulla e andò ad accoccolarsi tra le zampe incrociate di Gajeel, che fissava il quadro con finto interesse.
- Mi… mi piacerebbe lasciartelo – lo informò Levy. – Consideralo un regalo, un po’ per la mia permanenza qui e un po’ come pegno di amicizia. Mi manca casa mia, mio padre e i miei fratelli, quindi… un po’ di compagnia mi piacerebbe. Oltre a quella di Lily, voglio dire.
Imbarazzata, con le mani strette sul bordo del quadro, la principessa attese un rifiuto che non tardo ad arrivare, mentre Gajeel sbuffava e posava la testa sul pavimento, fissandola con la coda dell’occhio.
- Come non detto. Io comunque questo te lo lascio, tu puoi permettermi di prendere un libro in cambio?
Ancora, il drago sbuffò, ma chiuse gli occhi in una muta concessione.
Contenta, Levy sorrise e si guardò intorno, emozionata all’idea di poter accedere a quei tesori di conoscenza. Al momento, però, c’era solo un libro che desiderava studiare minuziosamente.
Fece un cauto passo verso il libro di Gajeel, quello posto sul piedistallo, il manoscritto nel quale aveva trovato la storia dei suoi antenati e il patto che la riguardava, e pregò di avere via libera.
Purtroppo, la coda del drago fu lesta a sbarrarle la strada, e lo sguardo piccato di Gajeel la fece quasi sentire in colpa.
- Va bene, come desideri, quello non lo prendo – mugugnò lei, affranta e imbronciata, prima di dirigersi dall’altra parte della biblioteca seguita dallo sguardo circospetto del drago.
Presa una torcia dal muro più vicino, Levy impiegò diversi minuti per scegliere il libro a lei più confacente, e quando si diresse verso la botola era trascorsa quasi un’ora dall’inizio della sua ricerca.
La prima cosa che notò fu l’assenza di Gajeel nel centro esatto di quell’enorme stanza, e i pallidi raggi lunari che filtravano dall’unico lucernario la chiamavano a gran voce affinché prendesse il libro incustodito e, a quanto pareva, proibito.
La prima cosa che sentì, invece, fu il freddo pungente della notte che, dispettoso, la fece rabbrividire.
Il maestoso drago era lì, al limite della biblioteca, con mezzo corpo dall’interno del castello e mezzo posato sul terrazzino di cui la principessa ignorava l’esistenza, ad osservare la pallida luna tingere di blu ogni albero, fiore e libro.
Due occhietti scuri ma luminosi si aprirono di scatto sul dorso del metallico mostro, e Levy si rilassò solo quando riconobbe Lily, placidamente accoccolato sulla schiena di Gajeel.
Insofferente, il drago voltò la testa quel poco che bastava per osservare con la coda del fiammeggiante occhio la spaurita principessa, che si strinse nel vestito leggero e rabbrividì di nuovo.
Colta l’antifona, Gajeel si drizzò sulle zampe, facendo miagolare e soffiare Lily in protesta, e si diresse al suo giaciglio facendo chiudere il muro alle sue spalle.
Levy si riscosse dallo stato catatonico solo quando il drago le sbuffò in faccia, irritato.
- I-io vorrei prendere questo, se me lo concedi. Posso?
Gajeel sbuffò nuovamente e le voltò le spalle, accucciandosi per dormire.
Lily saltò giù dal suo dorso e, miagolando, sparì nella botola, facendo intendere a Levy di avere il via libera.
Felice di avere qualcosa da fare, finalmente, la fanciulla si chiuse la botola alle spalle dopo aver sussurrato la buonanotte al drago, e si diresse correndo verso la cucina, per leggere il suo nuovo amico in compagnia di una buona tisana.
 
La sera dopo, libro in mano, Levy si riaffacciò alla botola che conduceva alla biblioteca, e Gajeel la fissò con muto stupore. L’aveva evitata tutta la giornata, e ora lei si presentava volontariamente da lui?
Quella bambina era proprio strana.
- Ciao Gajeel. Spero di non averti svegliato. Ho… sì, ho finito questo libro e mi è piaciuto moltissimo. Si intitola La ragazza del bosco, l’hai mai letto?
Il drago la fissò con sguardo annebbiato e disinteressato, smorzando la sua gioia.
- Credo di no – si rispose Levy, abbacchiata. – Ti dispiace se lo lascio giù e ne prendo un altro?
Gajeel roteò i fiammanti occhi rossi e appoggiò il muso spigoloso sulle zampe anteriori, tornando a sonnecchiare.
Sospirando, la principessa si diresse verso lo scaffale da cui aveva sottratto il manoscritto, e alcuni minuti dopo tornò in silenzio verso la botola. Non si arrischiò a parlare di nuovo con il vecchio signore del castello, perché qualcosa le suggeriva che svegliare una bestia addormentata non era la mossa migliore da fare, fosse essa un cane, un orso o un drago.
Così, silenziosa com’era arrivata, se ne andò, e non si accorse dell’occhio rosso che, incuriosito, rimase fisso su di lei fino alla sua dipartita.
 
Per diversi giorni la routine fu sempre la stessa.
La principessa si alzava, mangiava, leggeva e chiedeva alla cucina di prepararle il pasto mentre lei continuava a leggere oppure spostava qualche dettaglio della stanza per distrarre un po’ la sua mente rapita in mondi di carta e inchiostro. La sera si lavava e, in camiciola da notte, sottraeva alla biblioteca uno o più libri, sotto lo sguardo sempre meno vigile eppure interessato di Gajeel.
Il drago non si faceva mai vedere, se non in qualche rara volta in cui si dirigeva in cucina con lei presente, per mangiare. La maggior parte delle sue giornate le spendeva in biblioteca, a deprimersi in quell’aria nera e polverosa, o a sonnecchiare tra le orchidee del giardino, lì dove l’erba alta aveva preso la forma del suo corpo metallico.
Levy aveva provato a conversare con lui, a proporgli qualcosa, ad essere gentile, ma lui semplicemente la ignorava o, peggio, si dimostrava infastidito dalle sue non richieste attenzioni, e la liquidava con un basso e profondo ringhio che la zittiva e la faceva avvampare.
Un giorno, stanca di quel silenzio e di quella monotonia, si sistemò comodamente sul divano del salottino, e rimase ferma ad osservare la pioggia che, nel primo pomeriggio, ammantava tutto di grigio. Nemmeno lo scoppiettante fuoco che ardeva nel camino a pochi passi da lei sembrava riscaldarla.
Lily le era sempre al fianco, eppure la principessa si sentiva estremamente sola. Le scope e i piumini cattura polvere non lavoravano mai quando lei occupava la sala, pertanto il silenzio regnava sovrano, eccezion fatta per il camino e le fusa del gatto dormiente.
Senza riflettere, senza motivo preciso, magari solo per sentire una voce umana riempire il vuoto di quel castello, Levy prese il libro nuovo e iniziò a leggerlo ad alta voce.
Lesse ininterrottamente per due ore, senza pausa bagno e tacendo solo per bere una tisana addolcita con il miele che la cucina le aveva preparato per la gola.
Si bloccò di botto solo quando una porzione di muro si aprì per far entrare il drago che, scrollandosi l’acqua piovana di dosso, si diresse senza cerimonie verso la cucina.
Quando fu sparito oltre il muro, Lily tornò ad ascoltare silenziosamente Levy, e gli stracci muti come delle ombre si affrettarono a ripulire il laghetto d’acqua che il drago aveva impunemente creato.
Alcuni minuti dopo Gajeel tornò nella grande sala leccandosi i baffi, metaforicamente parlando, per pulire gli ultimi residui di cibo depositatisi sulla sua faccia. La fanciulla non alzò nemmeno lo sguardo e rimase immobile a leggere, imperterrita, ormai troppo presa dalla nuova storia per interrompersi.
Gajeel si acquattò in mezzo al soggiorno e sbadigliò con uno sbuffo sonoro che fece sorridere la ragazza, suo malgrado.
Alcuni minuti dopo, il drago si addormentò vicino al fuoco, o almeno così pensò Levy. Gajeel, in realtà, rimase vigile, trasportato lontano da quelle parole che narravano le eroiche gesta di un cavaliere. Gesta che lui non aveva mai compiuto, nemmeno da umano, e che gli facevano pian piano capire tutta la pesantezza del suo errore.
Forse era per quello che la Grande Fata aveva fatto suggellare ai Redfox e ai McGarden un patto con una tale punizione in caso di trasgressione: trasformando il traditore in un mostro al servizio del casato offeso, la lealtà sarebbe stata premiata, il patto rispettato, anche se coattivamente, e il punito avrebbe imparato una lezione che nessun discorso carismatico avrebbe potuto far capire.
Gajeel Redfox stava imparando quanto può essere duro da sopportare il peso delle proprie azioni.
Quando Levy finì di leggere con un sospiro, riprendendo fiato dopo aver divorato le ultime pagine di quell’emozionante libro, spense la candela aromatica che il castello aveva acceso per lei sul tavolino davanti al divano, e si avviò silenziosamente al piano superiore.
Gajeel, che fingeva di dormire, si riscosse solo quando la sentì attraversare il corridoio verso la porta che conduceva alla biblioteca. Correndo fuori, volò fino al terrazzino che dava accesso alla sua stanza, e attese la principessa in posizione d’attacco.
Quando Levy sbucò dalla botola, si sorprese non poco di trovarsi il drago davanti, la coda che saettava indicando il suo nervosismo.
- Metto giù questo libro e ne prendo un altro, lo prometto. Vado via subito.
Osservandola mentre si dirigeva in fretta verso l’altra parte della biblioteca, il drago si ritrovò a sperare che non iniziasse a leggere senza di lui.
 
Per alcuni giorni la routine si svolse identica. Levy leggeva ad alta voce, interrompendosi solo per mangiare o prendere una boccata d’aria, e Gajeel si sdraiava in soggiorno per mezza giornata o più, fingendo disinteresse, rapito in verità dalle parole che sgorgavano dalla bocca della bambina.
Stanca dei continui rumori prodotti dai movimenti del drago, Levy decise di eliminare tutti i muri del castello, cancellando il confine tra salotto, soggiorno e cucina, così che il drago fosse libero di muoversi. Lui sbuffò con disappunto, ma non si lamentò e la principessa interpretò quel silenzio come una rassegnata conferma.
Con il passare del tempo il freddo iniziò ad essere pungente, e i fuochi nei camini disseminati per il castello ardevano ininterrottamente per riscaldare quelle fredde mura affinché il gelo non penetrasse.
Levy cominciò a preferire la sua calda stanza all’immenso e freddo soggiorno, così, poco a poco, iniziò a passare sempre più tempo lontana dal drago.
Finché un giorno questi non ruggì tanto a lungo da farla sobbalzare sotto le coperte del suo letto.
In camicia da notte, corse fuori dalla stanza temendo il peggio, e Lily la seguì con aria confusa.
Al di sotto del parapetto del primo piano, nel salone sgombro che di solito ospitava il drago sonnecchiante, Gajeel ruggiva con rabbia e saltava sulle zampe, chiamando la principessa.
Levy lo osservò cercando di capire cosa non andasse, e vide che lui muoveva ritmicamente la testa in direzione del soffitto, alzandosi sulle gambe posteriori per farle capire che la cosa che cercava era in alto.
- Cosa succede, Gajeel? Cosa c’è lassù?
Il drago assottigliò gli occhi, ruggì e fece un giro su sé stesso, riflettendo su cosa fare.
Poi si avvicinò alle scale che conducevano al primo piano, a lui precluso, e sollevandosi appoggiò le grosse zampe sul parapetto dove Levy lo osservava, facendola indietreggiare e cadere dalla paura.
La testa di Gajeel, così vicina come non era mai stata, era grossa quasi il quintuplo della sua, e il fatto che riuscisse a raggiungere il primo piano denotava quanto fosse lungo.
Con un solo esemplare di drago in battaglia, nessun esercito avrebbe mai perso. Non era un caso se, infatti, i McGarden avevano vinto contro i regni ribelli dopo il tradimento e la conseguente trasformazione in drago alleato di Gajeel.
Lui fissò la principessa, poi spostò lo sguardo sulla porta che conduceva in biblioteca e saltò per indicare il soffitto con il muso, ripetendo l’operazione tre volte.
- Vuoi che venga in biblioteca?
Gajeel annuì e indietreggiò fino alla porzione di muro che gli consentiva di uscire fuori. Guardò Levy per l’ultima volta e uscì, mentre il muro si richiudeva alle sue spalle.
Pochi istanti dopo, quando la principessa si fu rialzata, sentì Gajeel raspare sul pavimento sopra di sé, saltando e ruggendo. Lily corse verso la porta che dava accesso alle scale, e Levy lo seguì lesta.
Quando sbucò nella biblioteca, trovò il drago ad aspettarla e senza titubanze si diresse verso la parte orientale della stanza. Fermatosi, indicò a Levy una serie di libri, e la fanciulla indugiò alcuni istanti, cercando di capire cosa volesse il drago.
Posò cautamente una mano sul dorso di un libro dalla copertina verde, ma Gajeel grugnì e scosse la testa.
Tre manoscritti dopo, Levy aveva tra le mani un volume rosso dalla copertina ruvida ma ben conservata, e Gajeel, soddisfatto, si diresse verso il suo giaciglio, incoraggiandola a seguirlo.
Dopo aver trovato una posizione comoda, le indicò una sedia poco distante, e Levy vi si sedette senza obiettare.
Gajeel sbuffò e picchiettò con la zampa sul pavimento davanti a sé, mentre Lily si posizionava proprio sul luogo indicato dal drago, miagolando. La fanciulla, zitta e perplessa, avvicinò la sedia a loro finché non li vide soddisfatti, e poi si sedette in silenzio, con il libro in grembo.
Il drago la spronò con la testa, e dopo averla posata sulle zampe incrociate, la osservò mentre apriva con perplessità il manoscritto.
- Devo… leggerlo? Ad alta voce?
Il drago annuì brevemente prima di chiudere gli occhi.
Stupita, la principessa osservò la sua figura metallica brillare alla luce rossa delle torce, facendo apparire le sue scaglie come piccoli specchi scuri.
Allora, quando lui stava in salotto con lei, in realtà l’ascoltava, fingendo di dormire! Levy sorrise di fronte a quella piccola rivelazione, ma tornò subito seria quando un imperioso occhio rosso la fissò trucemente.
Con il calore nel cuore, iniziò a leggere la storia che il drago aveva scelto.
 
Passarono le settimane e Levy cominciò ad attendere con impazienza il momento in cui, a tarda sera, dopo la cena, il drago l’aspettava nella sua stanza. Il libro proibito le era ancora precluso, ma lei si sentiva meno sola in compagnia del gatto e del drago, e ovviamente della storia che Gajeel sceglieva personalmente.
Una sera, però, Levy non si presentò, e il drago iniziò a spazzolare nervosamente con la coda tutto il pavimento della biblioteca.
Infastidito, uscì nella fredda aria notturna e sobbalzò quando qualcosa di freddo gli si posò in viso. Stupito, osservò il mondo tingersi di bianco sotto alla prima nevicata dell’anno.
Fu solo grazie al colore rosso del suo cappottino che riuscì a scorgere Levy tra i ciuffi bianchi e verdi dell’erba ancora poco ammantata.
Gajeel si accucciò e la osservò mentre con le piccole mani catturava i fiocchi che volavano nel cielo, ridendo quando si scioglievano bagnandole le dita. La principessa iniziò a ridere e correre per il giardino, togliendosi il cappuccio affinché i capelli le si riempissero di bianchi batuffoli. Il drago la guardò divertito e si rilassò nel constatare che stava bene, che non si era presentata solo a causa della neve.
Lily lo raggiunse e si sistemò nell’incavo del suo collo, osservandolo per dirgli ciò che con i suoi miagolii non riusciva a trasmettere. Gajeel lo guardò, infastidito, e distolse lo sguardo per riposizionarlo su Levy, cercando di non far trasparire traccia dell’affetto che quella placida bambina stava lentamente facendo nascere nel suo cuore metallico. Lo nascose a Lily, affinché il gatto non notasse che quello che aveva presunto era la verità.
Il drago si riscosse dalla scena che sembrava tratta da una fiaba solo quando Levy, ormai zuppa eppure accaldata, starnutì, e starnutì ancora.
Gajeel si sollevò per sedersi e ruggì un ammonimento alla fanciulla, che sobbalzò spaventata: non si era accorta di essere osservata. Il drago, abbandonando Lily, saltò giù dall’alto terrazzino mentre la principessa tratteneva il fiato, temendo che si ferisse a causa dell’altezza. Ma Gajeel atterrò agilmente nella neve, e lanciandole un’occhiataccia si diresse verso il fianco della casa, attento a non calpestare le piantine innevate.
Dopo aver aperto una porzione di muro, fece cenno a Levy di entrare, e senza tante cerimonie la spedì a fare un bagno caldo.
La fanciulla poté rivederlo dopo ben tre giorni, quando la febbre fu passata e le fu permesso di uscire. La sua stessa stanza l’aveva imprigionata affinché non andasse a zonzo e si riposasse, e il drago aveva atteso pazientemente che si ristabilisse.
Annoiato, aveva cominciato ad andare in giardino per assaporare la frescura della neve sulle sue gelide scaglie, e fu proprio lì che Levy lo trovò, addormentato, la mattina del quarto giorno.
Il raffreddore era passato e anche la febbre e lei, piena di energie, non perse tempo. Infilandosi le vesti più calde che trovò, insieme a guanti e stivaletti impermeabili, corse in cucina e addentò al volo un po’ di pane tostato con marmellata, dirigendosi verso l’uscita posteriore sorda alle lamentele della cucina.
Una volta fuori, seppellì il naso nella sciarpa per via del freddo e chiuse la porta delicatamente quando Lily la raggiunse malvolentieri nella neve. Trattenendo un sorriso, Levy impastò la neve fresca e soffice come una piuma fino a ricavarne una palla, e colpì il drago direttamente sul muso.
Gajeel scattò in piedi e ruggì in posizione d’attacco prima di capire che era stata la bambina a colpirlo. Sia lei che Lily stavano ridendo e, offeso, il drago diede loro le spalle, ignorandoli.
Quando un’altra palla gli colpì la schiena, però, nascose un ghigno draghesco e si voltò con finta rabbia, facendo zittire le risate della fanciulla.
Spaventata, lei arretrò cercando di scusarsi, ma la coda del drago fu più veloce delle parole: con una singola frustata riempì la principessa di neve dalla punta dei capelli fino a quella degli stivali, facendola sputacchiare.
Fu il turno di Gajeel di ridere, producendo un suono simile ad un “gihihi”, e zittendo la principessa che era rimasta stupefatta dalla sua risata.
- Che guerra sia, allora, ingombrante drago! – urlò, scagliandosi contro di lui e bombardandolo di palle. Il drago rispose prontamente bloccando la neve con la sua coda, per poi mostrarle la lingua in una sorta di boccaccia, facendo ridere ancora di più la principessa.
Cercando di aggirare le spalate di neve che Gajeel le tirava, prese un secchio abbandonato per terra e lo riempì di neve fresca, per poi correre incontro al suo nemico e, dopo qualche tentativo improduttivo, versarglielo sulla testa.
All’ora di pranzo il giardino era disseminato di cumuli di neve disordinata e chiazze verdastre di erba, mentre sia Levy che Gajeel ridevano e ansimavano per la battaglia. La principessa aveva costruito un muro protettivo, ma il drago non ci pensò due volte a distruggerglielo e ruggirle giocosamente contro. Svettando sopra di lei, fece per seppellirla nella neve, ma lei chiese uno stop.
- Basta! – ansimò, ridendo. – Ti prego, basta. Hai vinto tu, ma non riempirmi ancora di neve, sono già abbastanza fradicia – esclamò prendendo fiato, togliendosi la neve dagli occhi.
Gajeel ridacchiò e osservò il suo nasino e le guance rosse, in contrasto con il viso pallido a causa del freddo. Impettito, tronfio per la vittoria, si diresse verso il muro del castello e lasciò che fosse lei ad entrare per prima, seguita da un ringhiante gatto fradicio e niente affatto felice.
Dopo aver fatto un bagno caldo ed avere indossato vestiti puliti, la principessa pranzò con lui, e quando quella sera si diresse in biblioteca e il drago le permise di sedersi su un cuscino vicino al suo ventre caldo, la principessa sorrise felice, veramente felice dopo molto tempo.
Qualcosa era cambiato.
In meglio.
 
La primavera arrivò lentamente, annunciata a tutto il castello dalle grida felici di Levy, che passò un’intera giornata ad osservare i boccioli dei fiori nuovi.
Quando il clima si mitigò, a nulla valsero le proteste di Gajeel per dissuaderla: Levy lesse per giornate intere un libro di botanica, fino a stremare il povero drago, e lo costrinse ad aiutarla nel giardinaggio.
Ogni sera leggevano insieme, in salotto o in biblioteca, e di giorno lei dipingeva oppure si dedicava al giardino con lui, facendogli scavare piccole fosse dove piantare i nuovi fiori multicolore. Lily, grato di non poter essere d’aiuto, li osservava compiaciuto all’ombra della veranda, godendosi lo sguardo amorevole di quel burbero drago che era stato vinto dalla dolcezza di quella bambina.
 
In piena estate il giardino era un tripudio di colori e di profumi, e la non più bambina, ormai quattordicenne, iniziò ad andare in giro con vestitini che a palazzo non le erano mai stati nemmeno mostrati. I capelli, sciolti e non acconciati in modo complicato com’era costretta a portarli nel suo castello, erano tenuti in ordine solo da una fascetta che le lasciava gli occhi liberi dalla frangia ribelle.
Le pesanti e grosse vesti di lana pregiata vennero abbandonate, così come le ingombranti camiciole intime. Al loro posto, il guardaroba di camera sua le propose vestitini corti al limite della decenza per una principessa, che arrivavano a metà coscia e lasciavano scoperte le braccia e spesso le spalle.
Levy le aveva indossate con vergogna la prima volta, indecisa se metterle o scambiarle con una veste lunga e più modesta, ma il caldo dell’estate le aveva tolto ogni dubbio. In fondo, in quel castello c’erano solo lei, il drago e il gatto, e nessuno avrebbe potuto criticare il suo abbigliamento o definirla una svergognata.
Gajeel non disse nulla del suo cambio di look, e la prima volta che vide le sue snelle gambe nude la fissò senza emozioni, scuotendo le spalle. Cosa poteva importarne ad un drago di vestiti?
I pomeriggi trascorrevano pacifici all’ombra di qualche albero imponente, mentre Levy si acciambellava tra le zampe metalliche di Gajeel che, seppur scomode, le offrivano una frescura che non avrebbe mai potuto trovare altrove. Leggeva fino alla sera, quando la cucina apparecchiava loro la cena su una coperta sotto le stelle, dove loro si sdraiavano per osservare quel cielo luminoso che a Levy sembrava distante anni luce da casa sua, eppure non gliene faceva sentire la mancanza.
Una sera, quando la fanciulla vide con emozione una stella cadente, Gajeel si acquattò sulle zampe e la spronò a salirgli in groppa, portandola sul tetto. Facendo attenzione alla sua incolumità, se la sistemò sul dorso e, sdraiandosi, lasciò che si accomodasse sulla sua schiena, fissando il cielo incandescente con occhi luminosi.
- Gajeel esprimi un desiderio! Guarda quella cometa ed esprimi un desiderio! – urlò ad un certo punto, facendolo sobbalzare e inducendolo ad alzare gli occhi.
Senza fiatare, il drago espresse un desiderio e aspettò che fosse Levy a parlare.
- Cos’hai chiesto, Gajeel? – mormorò infatti lei, a cavallo del suo collo, mormorandogli nelle orecchie quella personale domanda.
Lui non rispose, rimase con il naso premuto verso la volta celeste, godendosi quel momento perfetto.
- Non me lo dici? D’accordo, non mi offendo. Io però voglio rivelartelo. Ho chiesto di vivere per sempre qui con te, Gajeel. Ti voglio bene.
Il drago non si mosse al suono di quelle parole, e non mosse un muscolo nemmeno quando la ragazza gli circondò il collo con le braccia, abbracciandolo. Solo, si sollevò e spiccò il volo, facendola prima urlare e poi ridere quando il vento le scompigliò i capelli. Gajeel non poteva sconfinare, i limiti del giardino del castello erano invalicabili a causa della maledizione che gravava su di lui, però non avevano bisogno di grandi spazi quando sopra di loro il cielo scuro si srotolava infinito.
Quando Gajeel rientrò nel castello attraverso il terrazzino, depositando Levy nella biblioteca, ridacchiò dei suoi capelli spettinati, e constatò che, con le guance rosse e gli occhi pieni di adrenalina, era la creatura più bella che avesse mai visto.
- Grazie, Gajeel. È stata la serata più bella della mia vita – mormorò la principessa posandogli un bacio tra gli occhi, prima di scendere e dirigersi in camera per dormire.
Il drago, dopo essersi ripreso, evitò di guardare gli occhi eloquenti di Lily, che lo aspettava vicino al piedistallo del libro maledetto, e si diresse di nuovo fuori per osservare le stelle cadenti che ancora illuminavano il cielo con la loro scia infuocata.
Scorgendone una, Gajeel chiuse gli occhi ed espresse un altro desiderio, diverso da quello precedente, identico a quello di Levy, anche se lei non lo sapeva.
Chiese di poter tornare umano, chiese il perdono dei suoi errori, per poter passare la vita al fianco di quella fanciulla che l’aveva accettato nonostante i suoi sbagli, e proteggerla.
Proteggerla per sempre.
 
Passarono i giorni, le settimane, i mesi e infine gli anni, tre anni, tre estati.
L’ormai sedicenne Levy, padrona del castello, era sbocciata in tutta la sua bellezza mentre il suo corpo aveva iniziato a mostrare il segno della maturità, arrotondandosi in quei punti che rendono le donne appetibili.
Il drago aveva accolto in silenzio il cambiamento, notandolo ancora prima di lei, ma si era imposto di non rifletterci troppo sopra: lui era un drago, un traditore oltretutto, e lei non era che una bambina trasformatasi in donna sotto al suo sguardo.
Sebbene ripetesse spesso quanto affetto provasse per lui, nonostante il forte sentimento che aveva fuso il suo cuore d’acciaio, Gajeel sapeva che lui sarebbe stato per sempre il suo protettore, e nient’altro.
Be’, non per sempre.
Solo fino alla fine dei suoi giorni.
Fine che non tardò ad arrivare.
 
La sera prima dell’irreparabile, Levy si diresse in giardino da Gajeel con una decina di libri in mano e un vestitino arancione dai ricami bianchi che le lasciava scoperte tutte le braccia e le gambe. Era un tranquillo pomeriggio estivo e la non più bambina depositò la pila di libri più alta di lei accanto all’addome del drago, che sbuffò con disappunto quando la vide scaricare quel pesante carico.
- Non fare il brontolone, Gajeel – lo rimbeccò lei. - Non è mai morto nessuno per aver trasportato dei libri.
Il drago roteò gli occhi e posò la testa al suolo, fissando però il volto della giovane donna. Lily arrivò camminando tranquillamente, divertito dai battibecchi dei due.
- Ora, aspettatemi qui che vado a prendere una coperta e una lampada ad olio.
Gajeel non ebbe il tempo di ribattere che Levy era già fuggita di nuovo dentro il castello.
Quella sera divenne chiaro a tutti cosa la principessa volesse fare.
Dopo aver cenato in giardino ed essersi occupata un po’ delle piante, Levy fece sloggiare Gajeel dal suo posto e stese una grande coperta, permettendogli poi di riaccomodarsi. Accese la lampada ad olio e, dopo aver spostato i libri, si sedette con la testa premuta contro il lungo e squamoso collo del drago, con i libri di fianco. Lily, miagolando, si sedette accanto ad essi, e rimase ad osservare quietamente le lucciole che, data l’ora, avevano deciso di esibirsi in una danza amorosa per la ricerca della loro compagna di vita.
Levy, Gajeel e Lily rimasero a lungo a fissare affascinati quei piccoli insetti luminescenti che brillavano ad intermittenza. Quando Levy rabbrividì nella brezza serale, Gajeel la osservò dall’alto e piegò il muso, appoggiandolo per terra ad un soffio dai piedi di Levy, che aveva le gambe strette al petto. La coda del drago circondò sia lei che Lily mentre apriva un’ala per ripararli dall’aria fresca e, chiudendo gli occhi, attese che la giovane iniziasse a leggere.
Non disponibilePreso un libro e apertolo alla prima pagina, Levy e Lily rimasero incantati dalla bellezza di una farfalla dalle ali ocra, che sembravano prendere fuoco vicino al colore della lampada.
Serena e comoda, la giovane lesse fino a tarda notte, e quando gli occhi le diventarono pesanti, sbadigliò e accolse con un sorriso stiracchiato i cuscini che erano usciti di casa per offrirsi a lei.
Levy chiuse il libro e spostò la pila di manoscritti che aveva preso, lasciando che Lily le si avvicinasse. Spense la lampada e, dopo aver sistemato i cuscini, appoggiò la testa su quella che doveva essere la guancia del drago, sveglio ma con gli occhi chiusi.
- Buonanotte Gajeel – mormorò Levy, baciandogli piano una scaglia metallica e accarezzandogli dolcemente il muso, scaglia per scaglia, soffermandosi sulle placche metalliche rotonde che gli adornavano occhi, naso e orecchie. Sapeva che gli facevano il solletico, e in qualche rara occasione aveva emesso un suono simile a dei gorgoglii deliziati sotto al suo tocco, ma quella volta ottenne solo il silenzio in risposta.
Si addormentò sorridendo sapendo che, sebbene il drago fosse duro quanto la sua corazza, il suo cuore in realtà era morbido come una torta di pan di spagna.
E Gajeel, che fremeva sotto al tocco di Levy, pensò che in quel momento sarebbe potuto morire felice.
 
Al loro risveglio i suoi pensieri si rivelarono profetici.
- Eccola, è lì!
- Diamine, è prigioniera di quel mostro! Uccidetelo, presto!
- Attenti alla principessa, non dovete ferirla!
- Muovetevi idioti!
Profondo voci maschili si riversarono nel giardino dove Levy, Lily e Gajeel dormivano, alle prime luci dell’alba. La tenue penombra rese difficile distinguere quelle figure corazzate che sembravano piccoli draghi bipedi, ma Levy non tardò a riconoscere il vessillo sui loro scudi.
Balzando in piedi, imitata da Gajeel, esclamò: - I soldati del mio regno!
Tutte le teste si voltarono verso di lei, senza prestare attenzione al suo abbigliamento, e prima che il suo cervello potesse capire cosa stava accadendo una mano forte e dura le afferrò il polso e la trascinò verso di sé, facendola urlare. Perdendo l’equilibrio, rischiò di cadere a terra, ma il soldato la prese di malagrazia per i fianchi e se la portò alle spalle.
- Uccidetelo, forza.
Scossa e confusa, Levy poté solo vedere Lily scappare dietro di lei e, al riparo, soffiare con ferocia verso tutti quei soldati.
Solo quando sentì il rumore del metallo contro il metallo la ragazza si rese conto che le spade si stavano scontrando contro qualcosa di altrettanto duro e affilato. Un ruggito di rabbia e dolore confermò il suo terrore.
- Fermi! No! Basta, lasciatelo! Non fategli del male! – gridò, sopraffatta dalla paura.
- Vi stiamo salvando, principessa! – le urlò con pacatezza un altro soldato, che Levy riconobbe come uno di quelli che l’avevano lasciata davanti al castello, anni prima.
- Non ho bisogno di essere salvata!
Scappando dalla stretta di quel soldato che l’aveva trascinata a sé, l’unico a non avere lo scudo con lo stemma del casato dei McGarden, Levy corse verso il drago urlando fino a farsi dolere la gola.
Gajeel, ritto sulle zampe posteriori, ruggiva infuriato e allontanava i soldati.
Si accorse di Levy solo quando sentì qualcosa di morbido e caldo scontrarsi brutalmente contro il suo fianco. Girandosi, vide che la principessa lo stava abbracciando, pregando gli altri di fermarsi.
Conscio della vulnerabilità della fanciulla, Gajeel chinò il muso e l’allontanò dolcemente con il naso, cercando di non ferirla e allo stesso tempo provando a trasmetterla un senso di urgenza.
- Non ho bisogno di un salvataggio! Non mi serve!! Io non ti lascio, Gajeel, io non… ah!
Strappata dal suo fianco, il soldato di prima la stava bloccando affinché non scappasse, e Gajeel lo trafisse con uno sguardo d’odio incandescente.
Purtroppo, la distrazione cui Levy l’aveva sottoposto gli fu fatale: le spade degli altri soldati calarono forza lungo tutto il suo corpo e la principessa, sopraffatta dalle lacrime, urlò tutto il suo sgomento.
Con lo sguardo fisso su quel gigantesco corpo metallico che si riversava al suolo, inerme, quasi non si rese conto delle mani aggressive e dure che l’avevano presa di peso e se l’erano caricata addosso, trascinandola via.
Non disponibileIn braccio al soldato, la cui corazza era gelo contro la sua pelle scoperta, Levy si sporse oltre la sua spalla, oltre il suo elmo, e allungò una mano cercando inutilmente di raggiungere il drago.
Ma l’unica cosa che lo raggiunse furono le sue lacrime che, copiose, si posavano al suolo come gocce di rugiada ad ogni singolo, pesante passo di quel cavaliere assassino che l’aveva sottratta al suo drago.
Al suo amore.
- Gajeel, ti amo! GAJEEEEL! – gridò ancora, stremata, con i capelli scompigliati senza la sua fascetta a tenerli ordinati.
Ma Gajeel non rispose, non la fissò un’ultima volta.
Rimase semplicemente a terra, con gli occhi chiusi e le fauci semi-aperte in un ruggito di disperazione che nessuno avrebbe mai sentito, insanguinato.
Morto.
 
Piange quando il principe la porta via dalle rovine del castello,Non disponibile
dal drago che fedelmente l’aveva protetta,
calcia e urla e singhiozza per la sua bestia,
ripetendo la sua disperata richiesta di tornare
al luogo che aveva chiamato casa per più anni di quelli che riusciva a contare;

“Non ho bisogno di essere salvata”.
 

Gli attimi successivi a quella vicenda furono confusi e Levy visse ogni attimo come in un film visto attraverso velocità x10.
Si rese conto di essere stata caricata su una carrozza, pianse per ore tutta la sua sofferenza, senza udire le parole che il soldato accanto a lei le stava rivolgendo. Solo lei e il soldato. E Lily, che era riuscito a seguirli sulla carrozza e ora stava acciambellato sul grembo di Levy, depresso.
Alla fine, stremata, la principessa si addormentò.
 
Quando si svegliò era notte, e si accorse che qualcuno le aveva messo addosso un mantello, se per coprire la sua pelle esposta o scaldarla questo non lo sapeva. Il soldato non c’era, ma da fuori sentì la voce di alcuni uomini, e risate sguaiate che la fecero rabbrividire.
Alcuni istanti dopo il cavaliere entrò nella carrozza, sorpreso di vederla sveglia e lucida. O almeno, Levy pensava che fosse lo stesso soldato di quella mattina: senza elmo era impossibile dirlo. Aveva corti capelli biondi e occhi azzurri che le trasmettevano solo una disagevole sensazione di freddo. Doveva essere poco più grande di lei, e una leggera barba gli irruvidiva il mento.
- Buonasera principessa – salutò educatamente lui, con una voce bassa e volutamente vibrante che aveva puramente lo scopo di sedurla.
Levy deglutì e cercò di mascherare una smorfia disgustata.
- Chi sei, e dove mi stai portando? – domandò con poco garbo.
Il cavaliere spalancò gli occhi per un momento prima di recuperare il contegno.
- Se non fossi sicuro di ciò che la regina mi ha detto, dubiterei del vostro alto rango, principessa.
Solo allora Levy si rese conto di aver passato gli ultimi tre anni con un drago e un gatto, senza contatti umani, e che forse le buone maniere che sua madre le aveva impartito in modo tanto ligio si erano dissolte nella sua mente.
Cercando di darsi un tono, Levy si coprì le gambe e le braccia nude come meglio poté, e raddrizzò la schiena alzando il mento in modo fiero.
- Chiedo scusa, soldato. Io sono la principessa Levy McGarden, l’ultima discendente dei McGarden ancora in vita. Con chi ho… l’obbligo di parlare? – chiese, cercando di mascherare il disappunto e non essere prevenuta.
Il soldato sorrise in un modo che avrebbe dovuto essere suadente, ma che alla principessa fece venire la nausea. – Io sono il principe Doras, vostro promesso sposo, principessa. È un onore – rivelò, prendendole la mano per baciargliela.
Levy spalancò la bocca, inorridita. – Quale fandonie mi state rifilando, cavalier Doras?!
Una leggera e irritante risata gli uscì con tranquillità, e il principe si sistemò comodamente sul suo sedile imbottito, allungando una gamba anche su quello di Levy. – Nessuna menzogna, principessa. Vostra madre, la regina, ha chiesto un’alleanza con il regno di mio padre. Il re ha accettato e la guerra che dilaniava le vostre terre da ormai tre anni è stata vinta. In cambio della sua lealtà, la regina ha offerto a mio padre la mano dell’unica McGarden rimasta in vita. Voi, principessa.
Levy trattenne il fiato e le lacrime, desiderando più che mai di poter correre tra le ali di Gajeel, che aveva saputo confortarla in maniera egregia durante quegli anni, quando si era sentita triste e sperduta. Rivoleva la sua pacifica vita al castello. Lily, intuendo il suo stato d’animo, si strinse a lei e iniziò a fare le fusa.
- Certo, non si può dire che quella della regina sia stata un’offerta facile. Io vi ho dovuto letteralmente conquistare, principessa. Al vostro posto mi sentirei terribilmente onorato, mia promessa.
Levy restò zitta, strinse i denti e i pugni, mente Lily le leccava la mano in un modo che non aveva mai fatto, per consolarla.
- Devo ammettere però, cara principessa, che è valsa la pena di rischiare la vita per voi. Questi anni passati lontano dal mondo hanno davvero reso giustizia al vostro corpo… maturo – confessò ghignando e osservando eloquentemente il suo fisico nascosto dal mantello.
Con un’ultima, sarcastica risata, il principe si sdraiò comodamente e in pochi minuti si addormentò. Fissando in silenzio il paesaggio che scorreva nel buio fuori dalla carrozza, Levy pianse lacrime silenziose che caddero come macigni sulla testa di Lily, inquieto.
Pianse per la morte di Gajeel, per la sua sorte, per la perdita della vita da sogno che aveva condotto per tre felici anni.
E pianse per gli anni che di gioia che non avrebbe più potuto avere.
 
La vita a palazzo fu un disastro completo, e Levy rischiò l’esaurimento nervoso.
Sua madre, appena la vide arrivare in carrozza, guardò con disgusto il suo abbigliamento, e quel vestitino che nemmeno le prostitute che si svendevano per due spicci avrebbero avuto l’ardire di indossare. Il benvenuto che ricevette fu una spinta per indurla a muoversi e una severa occhiata al guardaroba della sua camera, che nel muto gergo della regina si traduceva con un: “Renditi presentabile, razza di svergognata.”
I giorni successivi furono una centrifuga di attività che la impegnarono dall’alba fino a diverse ore dopo il tramonto. A Levy venne impartito un ripasso delle fondamentali regole del galateo, venne spiegato cosa fosse successo in quegli anni di assenza, e fu ultimata in maniera lampo la sua educazione, anche se a detta del suo maestro non ce n’era bisogno.
Infatti, durante gli anni trascorsi al castello Levy aveva avuto l’opportunità di studiare diverse discipline e farsi una cultura generale superiore a quella che un maestro avrebbe potuto impartirle, approfondendo biologia, letteratura, storia, botanica e arte.
Brevissimo fu il momento che sua madre le concesse insieme alle sue amiche di un tempo, che piansero di gioia nel rivederla pochi minuti, per poi essere allontanate in modo da non minare il percorso integrativo della principessa. Il castello era stato arduamente ricostruito, ma le fortificazioni e le macerie che occupavano la strada fuori dal suo palazzo le rammentavano che le cose non sarebbero mai state come una volta, che il suo popolo aveva bisogno di lei e che troppe persone erano morte.
La regina era stata saggia ad allearsi con il re Doras, ma lei valeva davvero il prezzo che sua madre era disposta a pagare? Aveva senso pagare la propria libertà barattando quella altrui?
E lei, lei era abbastanza devota al suo regno da rinunciare alla sua felicità?
La regina aveva permesso senza riserve al principe Doras di bazzicare per il castello, concedendogli ad uso personale la stanza che un tempo apparteneva ad uno dei fratelli di Levy.
La sua opinione del suo futuro marito non faceva altro che abbassarsi a livelli tragicamente ignobili ogni volta che aveva l’obbligo di stare sola con lui e il suo ego, notando quanto l’arroganza e la sicurezza sciupassero l’intelligenza di un così bel ragazzo.
Più volte lo vide sedurre con moine scadenti alcune giovani domestiche che cercavano di mantenere la propria famiglia lavorando a palazzo, ed era scappata piangendo per un intero pomeriggio quando lo aveva sorpreso con le mani sotto la gonna di una delle sue belle cameriere personali.
Nemmeno con lei si era risparmiato, e oltre ad averle rubato alcuni baci violenti e privi d’affetto, si era spinto con le mani troppo oltre il confine del rispetto, e Levy aveva dovuto bloccare quelle avide e sporche mani con una forza che temeva di non poter utilizzare per sempre.
Se anche fosse riuscita a fermare l’irruenza del principe fino alle nozze, cosa avrebbe fatto da lì in poi?
Si sarebbe lasciata violentare notte dopo notte, piangendo l’amore che non poteva avere?
 
La vita di corte la soffoca, le fa venir voglia di urlare fino a non avere più energie per combattere.
Lei fugge nei giardini,
corre a piedi nudi tra le fontane e le aiuole,
tornando solo quando le guardie arrivano per cercarla,
la veste di seta strappata, e coperta di fango.
 
Fu quando, un pomeriggio, il principe la baciò con irruenza e le sollevò la gonna che Levy decise di non poterne più.
Scappò nel giardino, si nascose finché sua madre la trovò e la scortò in camera sua senza una parola, dandole le spalle come nel giorno in cui l’aveva abbandonata senza spiegazioni tra le grinfie di un drago.
Fuggì ancora, ogni volta che poté, si ribellò, e questo non fece altro che acuire il desiderio del principe di possedere una tale furia, spaventandola ancora di più.
Lily era sempre al suo fianco, pronto a darle conforto, ma cosa poteva fare un gatto contro le angherie della vita? A volte Levy lo trovava fermo sul balcone, di notte, ad osservare la luna e lamentarsi in silenzio per la scomparsa dell’amico, senza lacrime da versare.
- Non ho chiesto io di essere salvata! Non ne avevo bisogno – diceva tra i singhiozzi quando la chiudevano in camera, ripetendo quelle parole fino a crollare addormentata sul pavimento, con gli occhi gonfi e incapaci di guardare al futuro.
Poi, una sera, ferma ad osservare il cielo accanto a Lily con le guance bagnate, osservò il passaggio di una stella cometa, riflettendo su quel desiderio che aveva espresso da bambina e che non si era più avverato.
- Ti amo, Gajeel – bisbigliò, chiudendo gli occhi per non vedere più nulla.
 
I suoi sogni sono di volare, di fuoco e fumo,
e lei brama le notti in cui poteva addormentarsi con tiepide scaglie come cuscino,
sapendo che niente potrebbe azzardarsi a ferirla
mentre il suo drago sta di guardia,
ma quel mondo sembra appartenere ad un’altra ragazza ora.
 
Molto lontano dalla vita che la principessa conduceva a palazzo, eppure in un luogo vicino al suo cuore, una figura eterea fece la sua comparsa nel mondo per quella che forse era l’ultima volta.
Al suo passaggio, le rovine del castello che erano state abitate dall’ultimo Redfox, crollate insieme al loro padrone, tornarono a splendere con l’ardore di un tempo, e quel regno rimasto abbandonato per più di un secolo, distrutto dal tradimento del proprio signore, tornò alla vita e si ripopolò, pronto a voltare pagina.
La Fata dall’incarnato bianco come la luna e trasparente quanto il vetro si diresse verso il libro che un tempo aveva scritto, un libro che narrava una storia di lealtà e giuramenti infranti, di mostri e cupidigia. Ma, soprattutto, una storia di redenzione e d’amore.
Sorridendo, la Fata aprì il libro che Gajeel, vergognandosi di sé stesso, aveva sempre impedito a Levy di aprire, e scrisse la fine della storia:
 
Un giuramento dura in eterno, e come nel mondo bene e male si susseguono, così un errore può sempre essere mondato.
Come scritto nel patto, chiunque non ottempererà alla parola data, sia esso il primo o un suo discendente, sarà condannato a servire il casato offeso con ogni mezzo a sua disposizione, fino alla sua morte, che sopraggiungerà solo e unicamente per assassinio.
Eppure, la speranza non è mai persa.
Lo giuro sulla mia natura di Fata.

 
Poi, chiudendo il libro, la Fata fece comparire davanti a sé la pergamena recante il patto siglato con il sangue dei due casati, Redfox e McGardem, che Levy aveva tenuto sul comodino di camera sua per tutti quegli anni.
Rilesse qual era la sorte spettante ad eventuali traditori, e rise di fronte all’epilogo della storia.
Un epilogo che nemmeno lei, nella sua onniscienza, aveva potuto prevedere.
Scritte le ultime parole sul retro della pergamena, accarezzò la firma insanguinata del re Redfox e del re McGarden e, infilata la pergamena nella prima pagina del manoscritto, si diresse fuori, là dove il corpo di metallo del drago giaceva senza vita.
La Fata depose il libro contenente il patto per terra, sotto la zampa del drago. Accarezzatagli dolcemente la testa, lo baciò sul naso e mormorò: - Vivi, il tuo tradimento è sanato grazie alla tua fedeltà incrollabile. Re Redfox, risorgi e prendi ciò che è tuo per onorare il patto che una volta infrangesti.
Mentre due occhi di luce si chiudevano sul mondo, lasciando che la magia abbandonasse del tutto quelle terre ormai devastate dall’odio, un altro paio di occhi si aprì e incendiò di vita ogni cosa su cui si posò.
 
Una mattina come le altre, la principessa corse fuori dal castello urlando e ridendo, con i piedi nudi e le mani strette attorno ai lembi dell’ampia gonna rosa, per evitarsi l’intralcio della pesante stoffa.
La frescura autunnale iniziava a farsi sentire, e tutto attorno a lei il giardino era un tripudio di foglie cadenti e fiori appassiti, che a modo loro avevano un certo fascino nel coprire l’erba secca.
Decise, mentre scappava dalle guardie alle sue spalle, di non sporcarsi com’era solita fare: quel vestito le piaceva, e avrebbe fatto un dispetto a sé stessa, più che a sua madre, infangandolo.
Girato l’angolo ed eluse le guardie, Levy si nascose in un pertugio che i suoi inseguitori non avrebbero mai potuto oltrepassare, e trattenne le risate quando le vide proseguire dritte, affannate.
Uscì dopo alcuni istanti, quando la via fu libera, e scelse di percorrere un sentierino poco battuto tra i fitti alberi del giardino.
- …visto? Fa davvero paura! – esclamò una voce di donna.
Bloccandosi, la principessa cercò di fare meno rumore possibile e sbirciò le due giovani domestiche che stendevano alcuni panni sotto al sole ancora caldo.
- Non credo che faccia paura, è affascinante! Se lavorerà come soldato al castello, magari mi noterà e mi sposerà! – esultò l’altra ragazza, alzando le braccia al cielo e piroettando.
La sua amica rise: - Corri troppo, mia giovane fanciulla. Ti ricordo che il nuovo soldato si è fiondato qui dentro chiedendo espressamente notizie della principessa. Non ha voluto vedere nessuno a parte lei, nemmeno il principe Doras o la regina.
La ragazza con il cuore infranto sbuffò, sbrigando le sue faccende con ira. – Non è interessato a lei. Prima di tutto, la principessa sta per sposarsi. E poi come potrebbe conoscerla, visto che è appena tornata dalla clausura?
- Non lo so, non lo so – le rispose l’amica. – Ma quegli occhi rossi non mi piacciono per nulla.
Levy arretrò, incurante del rumore che faceva, e cercò di calmare i battiti accelerati del suo cuore.
Non aveva senso illudersi.
Gajeel era morto. Ed era un drago, non un soldato.
Magari era solo un pretendente da qualche terra, ignaro del fatto che lei fosse già felicemente promessa.
Eppure, qualcosa le diceva che doveva vedere con i suoi occhi quel cavaliere che era arrivato fin lì solo per lei.
I suoi piedi nudi corsero da soli e, ripercorrendo a ritroso il sentiero di quella mattina, sentì ben presto il suo fiato esaurirsi a causa della corsa.
Con il fuoco alle calcagna, girò l’angolo del castello che dava sull’entrata curatissima, dove svettavano due imponenti ciliegi ai lati dell’immenso cancello, e una fontana appena restaurata faceva gorgogliare l’acqua a tutte le stagioni.
I suoi piedi si bloccarono prima che il cervello potesse registrare le immagini che gli occhi filtravano senza comprendere.
Davanti a lei un ragazzo altissimo, muscoloso e dallo sguardo arrogante stava stravaccato contro il bordo della fontana, in attesa di qualcosa. Aveva lunghi capelli neri e ribelli anche se lisci, e in qualche modo ricordavano le scaglie appuntite di un drago. Il viso era spigoloso e adornato con piercing metallici al posto delle sopracciglia, ai lati del naso e sul mento. Indossava una casacca verde leggera sopra a dei calzoni simili ad una calzamaglia, anche se più larghi, e sulle spalle aveva degli spallacci metallici corazzati. Sulle braccia muscolose e toniche spiccavano delle bende bianche, se per protezione o per curare delle ferite era impossibile dirlo.
Ciò che colpì di più Levy, però, oltre alla sua maschia bellezza, furono gli occhi.
Occhi rossi con la pupilla sottile da rettile.
Da drago.
Con la bocca aperta e gli occhi sbarrati, il pomposo vestito rosa dai ricami bianchi che faceva invidia alla più bella fioritura primaverile, Levy osservò quello sconosciuto venuto lì per lei sorridere, anzi, ghignare, mettendo in mostra denti bianchi con canini aguzzi, e alzarsi, incrociando le braccia al petto.
Non disponibileIl suo sguardo si addolcì, nonostante il suo sorriso fosse quasi sinistro, e una risatina più che familiare gli sfuggì dalle labbra: - Gihi.
Levy non si mosse, ma sentì gli occhi inumidirsi e i muscoli contrarsi, pronti a scattare.
Il soldato si avvicinò a lei con passo sicuro, chinandosi per essere alla sua altezza: - Credevo che, tornando a dimensioni umane, ti avrei trovata più grande, invece resti sempre una piccola pulce irritante – commentò, mentre lei sovrapponeva a quei caldi occhi rossi un gigantesco muso nero e metallico.
Levy gli gettò le braccia al collo senza indugio, piangendo di gioia, ridendo e stringendolo a sé mormorando il suo nome.
Non le importava se la sua corazza era dura e fredda, lei aveva dormito più volte contro le sue scaglie appuntite.
Le importava solo delle sue forti braccia strette attorno alla sua vita, del suo naso freddo contro il suo collo, e dei suoi capelli neri sul viso, per una volta morbidi e non gelidi come il metallo.
Levy rise ancora più forte quando il ragazzo le posò un morbido bacio sul collo, facendole il solletico con il respiro, e se ne fregò altamente del capannello di gente che si era raccolta nel giardino, tra cui sua madre e il suo promesso sposo.
- Ti amo, Gajeel – bisbigliò asciugandosi gli occhi, una volta che lui l’ebbe depositata a terra.
Dall’alto, il giovane che aveva vissuto con lei più di tre anni e l’aveva vista crescere le sorrise dolcemente, in un modo che quasi strideva con il suo aspetto selvaggio, e le rispose: - Ti amo anche io, piccola lettrice.
 
Poi un cavaliere appare nella corte che lei odia tanto,
giurando la sua fedeltà non al principe,
o alla persona a cui lei fa fatica a pensare come a sua madre,
ma a lei,
e quando i loro occhi si incontrano, lei ride per la prima volta da quando il principe l’ha riportata a “casa”,
il fuoco nel suo sguardo familiare come se fosse suo.
 

Lei riconoscerebbe il suo drago ovunque
 
 

 
 
MaxB
Mi vergogno di me stessa.
Sono sparita per… quanto? Tre mesi?
E ora spunto fuori con questa cosettina qui ç.ç
Per carità, era da moltissimo tempo che volevo farlo, anche perché adoro Almandium come scrittrice, però… boh. Io spero vivamente che il capitolo vi piaccia, anche se sono conscia del fatto che non vale l’attesa che è costata.
Ho delle ideucce carucce per LNVI, ma ormai mi manderete a… fare un bagno, visto che lo ripeto ad ogni storia che pubblico eppure sono ancora qui, senza uno straccio di nuovo capitolo. Sono amareggiata. Però conta la volontà, no? Varrà pur qualcosa…. Spero.
Vi lascio il bonus per farmi perdonare (certo, come se bastasse…).
Vogliatemi bene ç.ç e fatemi sapere se vi è piaciuta questa pseudo rivisitazione di una favola ben nota, anche se non mi sono ispirata a La Bella e la bestia. Lo assicuro. Sono solo simili.
Grazie a chiunque è arrivato fin qui, grazie.
A presto, spero,
MaxB


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Bonus
Levy non poté vedere Gajeel per quasi tutto il giorno, dal momento che la regina e il principe Doras lo rapirono nella sala consigliare della sovrana per discutere in privato.
Dai toni concitati che la principessa colse origliando di nascosto, Levy presunse che la faccenda fosse tanto delicata quanto spinosa. Fu costretta a scappare, perdendosi il discorso, quando Gajeel alzò la voce, e la sua voce tonante si spanse come un ruggito al di là della porta, facendola scoppiare a ridere.
Solo lei sapeva come trattare il suo drago.
Sperava di poterlo vedere la sera, a cena, ma a sua insaputa era stata organizzata una festa nobiliare per festeggiare il nuovo ospite, e Levy passò la maggior parte della serata con il braccio incastrato in quello del principe, che la stringeva a sé in maniera quasi compulsiva, mentre la regina, nervosa, non lasciava il suo fianco libero.
Per quanto tentassero di tenerli lontani fisicamente, però, nulla poteva impedire alla principessa e al drago di cercarsi, parlarsi e toccarsi con gli occhi, che venivamo regolarmente calamitati l’uno dall’altra.
Levy lo vide arrossire quando la notò, a disagio in mezzo a quella fiumana di alti esponenti della nobiltà che tentavano di interrogarlo sul suo sangue e sui suoi possedimenti. Poco abituato com’era a parlare e interagire con gli umani, fu un miracolo se Gajeel non scappò via, spogliato da quel pomposo ma attraente completo di sartoria che faceva impallidire persino quello del principe Doras. Impallidire lui, e avvampare l’innamorata principessa.
I saluti furono brevi e freddi, distaccati, sebbene Levy provò a più riprese a sgusciare dalla stretta del principe per buttarsi su Gajeel, imberbe degli spettatori pettegoli.
A tarda notte il principe e la regina la scortarono in camera, chiudendovela dentro a chiave, e la principessa urlò la sua rabbia e il suo odio nei confronti di quella corona e di quella madre che era affettuosa quanto un serpente a sonagli.
Piangendo si spogliò, si lavò senza l’aiuto delle sue domestiche, e si accinse a dormire quando ormai la luna era alta nel cielo, e così piena da ricordarle un bianco occhio che la fissava.
Lily le si strusciò sulle caviglie, e lei, talmente stremata da non avere nemmeno la voglia di raccontargli di Gajeel, lo prese in braccio e si nascose sotto le coperte, piangendo.
Che senso aveva sapere che Gajeel era vivo, che era lì, se non poteva nemmeno vederlo?
Un ticchettio la riscosse dalle sue lugubri deduzioni, e Levy spalancò gli occhi osservando il balcone.
Poco dopo, un altro sassolino sbatté contro il vetro della sua finestra, e la fanciulla si precipitò fuori, all’aria aperta, spaventando Lily.
Gajeel era lì sotto, un mucchietto di sassi in mano e un ghigno sbilenco sul viso.
- Buonasera, principessa. Andiamo a farci uno di quei voli che ti piacciono tanto? – le chiese a mezza voce, facendola illuminare.
- Mi dai il tempo di cambiarmi? Sono leggermente impresentabile al momento – rispose lei, conscia del fatto che nonostante avesse solo mormorato quella frase, l’udito da drago di Gajeel avrebbe colto anche la punta d’imbarazzo del suo tono.
Infatti lo vide ridacchiare: - Sei nuda, per caso?
Levy avvampò. – No! Ma indosso solo la camicia da notte e non è molto dignit…
- Principessa, devo ricordarti che hai sempre girato in camiciola nel mio castello? E quante volte hai fatto il bagno nel laghetto, con solo la biancheria addosso? Solo perché ero un drago, non significa che io non ricordi, o non abbia notato, certe cose.
La fanciulla si coprì il viso, vergognandosi, ma si rese conto che Gajeel aveva ragione. L’aveva già osservata in vesti succinte, poco importava che non fosse più un drago. E poi, più aspettava, più rischiava di farsi scoprire dalla regina.
- Gajeel, come faccio a scendere?
- Salta, ti prendo io – le bisbigliò lui, allungando le mani.
Levy sgranò gli occhi: - Come?!
- Non fare quella faccia, l’hai sempre fatto. Ti ricordi quando ti lanciavi dal balcone della biblioteca, sapendo che ti avrei sempre presa? Ora non cambia nulla.
Lei deglutì, poi gli fece cenno di aspettare e si diresse al suo guardaroba. Gli lanciò delle coperte che, prendendolo alla sprovvista, gli atterrarono sulla faccia, facendola ridere. Poi Levy gli buttò Lily, e rischiò di svegliare tutto il castello con le sue risate quando Gajeel imprecò a causa degli artigli affilati del gatto, terrorizzato. Quasi si commosse guardando il tenero ricongiungimento tra il gatto e il suo padrone.
Alla fine, tenendosi stretta la camiciola tra le gambe affinché Gajeel non vedesse più del dovuto, Levy si issò sul balcone e si lasciò cadere chiudendo gli occhi, aprendoli solo quando sentì le forti braccia di Gajeel stringerla a sé.
Indossava solo una tunica a maniche lunghe dai colori scuri, che gli arrivava e metà coscia, e dei pantaloni attillati chiari. Tipico abbigliamento da mettere sotto l’armatura.
Gajeel le posò un bacio in fronte e, senza parlare, la condusse al cavallo nero che aveva cavalcato fino a raggiungerla. Non dissero niente mentre Gajeel montava in sella e sistemava le coperte prima di prendere Lily e sistemarselo in grembo. Non dissero nulla nemmeno quando, con l’aiuto di Gajeel, Levy si sedette davanti a lui e prese in braccio Lily, accasciandosi contro il petto del cavaliere.
Le sue braccia forti la circondarono mentre tirava le redini per far galoppare il cavallo, fuggendo nella notte.
Non avevano bisogno di parlare, quando i loro occhi e i loro corpi lo facevano per loro.
 
- Di cosa parlavi con mia madre e Doras? – lo assalì Levy, incapace di trattenere la curiosità, quando si furono sdraiati sull’erba, con una coperta sotto di loro e una sopra, a coprirli.
Gajeel non rispose, la strinse a sé e le annusò i capelli appena lavati, indicando poi il cielo.
- Non sembrano le stesse stelle che vedevamo a casa – mormorò, tracciando con un dito affusolato linee invisibili tra una stella e l’altra.
Levy sorrise senza darlo a vedere di fronte all’ammissione che il castello di Gajeel fosse in realtà la loro casa.
- Anche a me sono sempre sembrate diverse. Quelle di casa sono più grandi e luminose. Però non hai risposto alla mia domanda – confessò lei, incalzandolo.
Gajeel sospirò e si voltò su un fianco, incatenando gli occhi con i suoi. – Ho chiesto alla regina la tua mano.
- Tu cosa?! – esclamò Levy, facendo trasalire sia Lily che il cavallo, e probabilmente anche gli alberi addormentati che ogni tanto gettavano loro qualche fiore ormai afflosciato.
- Io ho chiesto alla regina la tua mano. Per sposarti. Speravo che accettasse facilmente, visto che comunque il nostro matrimonio comporterebbe l’unione di due regni immensi.
Gajeel sembrava quasi a disagio, e l’espressione sconcertata di Levy non lo aiutava affatto a sciogliersi.
- Si è messo di mezzo anche quella mezza calzetta, quel principe idiota che dovresti sposare. Senza di lui avrei anche potuto convincere tua madre.
Di fronte al silenzio di Levy, Gajeel si chiese se in realtà la principessa non stesse ringraziando la madre per non aver ceduto a lui la sua mano.
Ma i suoi dubbi vennero fugati senza dubbio quando lei gli posò un morbido bacio in fronte, accarezzandogli la guancia con un sorriso d’amore sulle labbra. – Troveremo un modo, Gajeel. Il patto e il nostro stesso sangue sono dalla nostra parte. Nessuno potrà separarci.
Il ragazzo seppellì il viso nel collo della ragazza, inspirando il profumo della sua pelle e stringendola ancora di più a sé.
- Ti amo davvero, Gajeel. Senza di te, ora non starei nemmeno vivendo.
Il giovane sollevò lo sguardo con le sopracciglia aggrottate, attendendo un chiarimento.
- Non so se alzarsi la mattina e respirare l’aria di un’esistenza priva di significato possa definirsi vivere, Gajeel. Tu hai dato un senso ad ogni giorno di questi ultimi anni.
Gajeel si sporse e la baciò, a suo agio nelle cose che richiedevano il mero istinto piuttosto che abitudini umane a cui lui non era più conforme.
Levy rispose al bacio sorridendo, intrecciando le gambe alle sue e facendo correre le mani sotto la tunica, lungo il torace scolpito del cavaliere.
Gajeel rise e nascose la faccia nel petto della ragazza, senza cattive intenzioni se non quella di celarle il rossore.
- Come corri, bambina – le disse con voce roca e vibrante.
Levy si rese conto di ciò che stava facendo e ritrasse le mani, improvvisamente a disagio. – Ti chiedo scusa, Gajeel. Temo di essermi lasciata prendere la mano, letteralmente. È che… è così bello essere toccata da mani che amo, invece che da mani fredde e impositive.
Gajeel serrò la mascella e Levy poté quasi udirlo digrignare i denti. All’improvviso lui le catturò le labbra in un bacio dolce e famelico insieme, facendola sciogliere contro di sé. – Ora ci sono io, Levy. Nessuno dovrà toccarti contro la tua volontà. Nemmeno un capello – le assicurò, baciandole leggermente la bocca.
Lei sorrise e, con gli occhi lucidi, lo abbracciò appoggiando la testa sul suo petto.
Passarono diversi minuti di quiete perfetta prima che lei aprisse ancora bocca.
- Ma com’è possibile?
- Mh… cosa? – mugugnò lui, quasi addormentato nel tepore che il corpo seminudo di lei e il pelo di Lily gli regalavano.
- Che tu sia vivo. Io ti ho visto morire, Gajeel. E poi eri un drago! Perché le condizioni del patto sono cambiate, com’è possibile?
Lui si stropicciò gli occhi. – Sei sempre stata tu quella brava a dare risposte – rispose, alludendo a tutti i discorsi che Levy aveva fatto ad alta voce a sé stessa nel corso degli anni.
- Dai, sii serio Gajeel – lo riprese lei, dandogli un pizzicotto sul fianco che lo fece ridere.
- Va bene, bambina pestifera. Non so darti una precisa risposta, posso solo dirti che i patti possono essere interpretati in molti modi, forse. Fatto sta che, quando ho aperto gli occhi ho visto una luce spegnersi davanti a me. Il mio regno è risorto dalle rovine e sotto alla mano ho trovato questo – rivelò, allungandosi nella fredda notte autunnale per passare a Levy il suo libro. Quello a cui le aveva sempre impedito l’accesso.
Lo Sprovveduto, Una storia di Gajeel Redfox.
La pergamena su cui era inciso il patto firmato con il loro sangue, il sangue dei loro antenati, scivolò fuori dal manoscritto, e Levy scorse subito le quattro righe scritte con inchiostro fresco, aggiunte da poco.
Dopo averle lette, felice, baciò ancora Gajeel e si rasserenò sapendo che, in un modo o nell’altro, lei e lui sarebbero stati insieme per sempre, come il patto voleva.
Non lo avevano forse giurato per l’eternità?
 
Il dado è tratto,
il drago è morto,
ma non scordate un fatto:
l’amore raddrizza ogni torto.

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