Yanâd

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # ênâdu Fíli ***
Capitolo 2: *** # ênâdu Kíli ***



Capitolo 1
*** # ênâdu Fíli ***


Yanâd

01 # ênâdu Fíli

Thorin Scudodiquercia era un guerriero consumato.
Aveva assistito alla venuta del drago Smaug ed al saccheggio di Moria per mano degli Orchi.
Eppure, mentre passeggiava avanti e indietro, gli sembrava di non essersi mai sentito tanto nervoso in vita sua.
Lanciò un’occhiata al telo che divideva in due la tenda e lo separava dal giaciglio di sua sorella.
In quel momento, Dís stava partorendo, assistita da Óin e da una vecchia levatrice. Anche suo marito si trovava con lei – Thorin riusciva a sentire i suoi mormorii d’incoraggiamento tra le istruzioni del guaritore e i mugolii affaticati di Dís.
Cercando di controllare la propria ansia, il primogenito di Thráin si sedette sullo sgabello sgangherato che, insieme ad una lampada ad olio, costituiva tutto il mobilio presente in quella parte della tenda.
Aveva fatto male i conti. Aveva pensato che lui e la sua famiglia e il suo popolo sarebbero riusciti a raggiungere il villaggio successivo in tempo per la nascita del bambino. Che Dís avrebbe potuto partorire nella stanza di una locanda – non il massimo, ma certamente meglio di una tenda piena di spifferi, senza contare che al villaggio sarebbero riusciti a procurarsi più medicinali e strumenti per Óin.
Ma ahimè, alcuni imprevisti avevano rallentato il loro pellegrinaggio, e questo era il risultato.
Se qualcosa fosse andato storto… Thorin si impose di trarre un respiro profondo. Dís era forte. Sarebbe andato tutto bene.
Era difficile crederci, però – nel vagabondaggio da Erebor e Moria era già morta di parto più di una madre.
Dall’altra parte del telo giunse un improvviso silenzio che indusse Thorin a serrare i pugni sino a conficcarsi le unghie nella carne e ad assumere una posa piena di tensione. Era successo qualcosa a Dís? Possibile che… che il bambino fosse nato morto?
La sua agonia durò solo un momento: l’istante dopo, un pianto deciso e veemente riempì l’aria.
Il sollievo fu tanto potente che per poco Thorin non s’accasciò in avanti. Riuscì a controllarsi, invece, e fissò il telone che lo separava da sua sorella.
Ora che il pianto stava calando di volume, poteva sentire i sussurri di Dís.
Nello stesso momento in cui il neonato si chetò del tutto, il telo divisorio ondeggiò, ed il viso rugoso ed il naso appuntito di Óin fecero capolino per annunciare: «Stanno bene tutti e due. È un maschio».
Thorin lasciò andare un respiro che non si era reso conto di star trattenendo, e rivolse un cenno del capo al vecchio medico. «Ti ringrazio».
L’altro si limitò a ciabattare verso di lui… E in quel momento altri due Nani entrarono nella tenda: Balin, con la sua barba candida e i suoi occhi acuti, e Dwalin, che con la sua statura imponente torreggiava sul fratello più anziano.
«Allora?» s’informò il primo, con un’occhiata verso Óin. «È fatta?»
Thorin annuì, e Dwalin avanzò di un passo. «Dís?» domandò.
«Sta bene» rispose il primogenito di Thráin. «Stanno bene tutti e due. È un maschio».
Balin sorrise, sfregandosi le mani, e anche Dwalin parve apprezzare quelle notizie.
Forse, in un’altra occasione, se ne sarebbero andati una volta appurate le condizioni di salute di madre e figlio, per poi tornare a visitare Dís quando avesse avuto una buona notte di riposo.
Ma siccome Thorin non aveva figli propri e il neonato era il primogenito di sua sorella, c’era ancora una cosa da fare.
Tutti gli occhi si puntarono sul telo quando il marito di Dís ne separò goffamente i due lembi e lo attraversò, reggendo un cesto in vimini con la cura più religiosa.
Thorin si protese appena in avanti, dimentico degli altri presenti, e suo cognato si diresse verso di lui. Era un Nano robusto, anche se non imponente quanto Dwalin, dalla barba e dai capelli crespi e color del grano. Aveva un’espressione solenne, ma non riusciva a smettere di sorridere con l’estasiato compiacimento dei neo-genitori.
Giunto di fronte a Thorin, depositò con attenzione il cesto ai suoi piedi, poi si tirò indietro ed attese.
Al contrario, Thorin si sporse in avanti, e finalmente poté posare gli occhi sul figlio di sua sorella.
Il piccolo era avvolto in un fagotto di coperte, e sonnecchiava con un pugnetto chiuso accanto alle labbra. Il suo visetto tondo era grinzoso e arrossato, e sulla sua testolina si vedevano già i primi ciuffi di capelli. Persino alla luce fioca della lampada ad olio, Thorin notò che erano biondi come quelli del padre.
Traendo un mezzo sospiro, si abbassò e, con un po’ d’impaccio, raccolse il bambino e lo sollevò.
Il sorriso del marito di Dís si fece più ampio. Quel gesto, come tutti i presenti sapevano bene, era simbolico – alzando il piccolo tra le proprie braccia, Thorin l’aveva riconosciuto come il proprio erede.
Era più simbolico che ufficiale, a dirla tutta… La presentazione vera e propria dell’erede al popolo sarebbe avvenuta solo al compimento della maggiore età.
«Qual è il suo nome?» chiese Thorin, senza staccare lo sguardo dal bambino.
«Fíli» gli rispose suo cognato, già pieno d’orgoglio per quello scriccioletto. «Abbiamo deciso di chiamarlo Fíli».
Thorin annuì quasi impercettibilmente. «Fíli» ripeté, a mezza voce.
Come rispondendo al richiamo – ma certamente si trattò di una coincidenza, siccome era impossibile che già conoscesse il proprio nome – il bambino aprì gli occhi e sembrò guardare suo zio dritto in faccia.
Thorin ricambiò lo sguardo, chiedendosi se quegli occhi – attualmente di un blu liquido – sarebbero diventati azzurri come i suoi e quelli di Dís. O avrebbe ereditato dal padre anche il colore scuro delle iridi?
Il bimbo si mosse appena, dischiudendo la boccuccia, ma non pianse.
Continuava a fissare Thorin, che da parte sua provò una sensazione indescrivibile. Nonostante tutte le fatiche e gli affanni, la stirpe di Durin aveva dato un nuovo germoglio. Dopo tanta morte e violenza, ecco che tornava a sbocciare la vita.
Al proprio fianco, sentì Balin recitare una benedizione in Khuzdul con un tono pieno di commozione.
In quel momento, la voce di Dís arrivò dall’altra parte del telo. «Thorin? Ci sei ancora?»
Thorin guardò il cognato con la mezza idea di restituirgli il lattante, ma a quel punto sua sorella lo chiamò di nuovo: «Thorin, vieni qua».
Il marito di lei si limitò a sorridere. «Mi pare che siate richiesto» commentò, quasi allegramente.
Thorin si alzò con lentezza, attento a non dare scossoni al piccolo Fíli, che nel frattempo aveva placidamente rivolto la propria attenzione alle proprie dita.
Accompagnato dal marito di Dís, Thorin si recò attraverso il telo – siccome aveva le mani occupate, suo cognato lo scostò per lui per permettergli di passare.
Dís era stesa sul suo giaciglio, la schiena supportata da un bel paio di cuscini gonfi – in realtà sacchi di iuta imbottiti di coperte. Sembrava spossata, ma era comunque radiosa. I suoi capelli corvini erano sciolti sulle sue spalle, mentre la sua barba era stata divisa in tre lucide treccioline nere.
«Ma guardatevi» commentò lei, con affetto, facendo segno a Thorin di avvicinarsi.
Lui obbedì, sempre prestando un’attenzione estrema al fagottino che aveva tra le braccia. A dirla tutta, si sarebbe sentito molto più a suo agio se avesse potuto restituire il piccolo Fíli ai suoi genitori.
«Non vuoi sapere se l’ho riconosciuto o meno come mio erede?» chiese, giusto per dire qualcosa.
Suo cognato si era diretto nell’angolo, e aveva preso a parlare a bassa voce con la levatrice, una vecchia tarchiata con un viso grinzoso e i capelli e la barba ingrigiti.
Dís mosse la testa con impazienza. «Mi pare che la risposta sia scontata».
Thorin inclinò appena la testa di lato, come a concederle che aveva ragione. Era giunto ormai accanto al letto, e Dís gli fece segno di sedersi. Thorin si accomodò con cautela sul bordo del giaciglio, mentre sua sorella si sporgeva a sorridere amorevolmente al piccolo. Fíli, da parte sua, sembrò salutarla con un gorgoglio.
«Inoltre» aggiunse lei, «per me non sarebbe cambiato niente. Sarebbe stato solo peggio per te».
«Peggio per me?» ripeté Thorin, guardando la testa scura di Dís.
Quest’ultima annuì senza sollevare lo sguardo. «Ti renderà fiero» sussurrò, sfiorando uno di quei minuscoli pugnetti. La manina si aprì, quindi si richiuse sul suo dito.
Anche Thorin abbassò gli occhi su suo nipote. «Come puoi saperlo?» chiese. «Non ha ancora neanche un giorno».
Dís gli prese Fíli dalle mani con attenzione, spostandolo sul proprio grembo. Per un assurdo momento, Thorin sentì quasi la mancanza del peso caldo del bambino sopra le ginocchia.
«Lo so e basta» affermò tranquillamente sua sorella. «Dimentichi che io lo conosco da mesi».
A quella dichiarazione, Thorin non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un breve sorriso.
Dís lasciò ricadere indietro la propria testa, contro i cuscini. «Abbi un po’ di fede» sospirò.
E Thorin, per una volta, non riuscì a trovare nulla da obiettare. In silenzio, si chinò in avanti per sfiorare con le labbra la fronte liscia del bambino, pregando che Mahal lo proteggesse sempre.














Note:
Yanâd significa nascite, mentre ênâdu Fíli dovrebbe significare nascita di Fíli (dico “dovrebbe” perché non è che io sia ferratissima in Khuzdul). L’originalità dei titoli si spreca, lo so.
Inoltre, controllando le Appendici, ho notato che i Nani di Erebor raggiungono la loro nuova patria prima della nascita di Fíli… ma visto che Peter Jackson ha un po’ rimaneggiato la linea temporale, ho pensato fosse verosimile che nel movie!verse Fíli fosse nato prima dell’arrivo alle Montagne Azzurre :D
Salvo imprevisti, dovrei pubblicare la prossima e ultima one-shot lunedì 19. Grazie per aver letto!

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Capitolo 2
*** # ênâdu Kíli ***


02 # ênâdu Kíli

Nei pressi delle Montagne Azzurre, dove si era stabilito il popolo di Erebor, si trovava un villaggio di Uomini.
Laggiù, molti Nani erano riusciti a farsi impiegare nelle fucine o come braccianti. Forse in futuro sarebbero divenuti più indipendenti, ma per ora gli scambi col popolo vicino erano una delle principali fonti di sostentamento.
Quel giorno, Thorin si era recato al villaggio con un gruppo di Nani per ritirare un consistente ordine di mantelli foderati in previsione dell’inverno. Quando giunsero alla meta, la bottega era ancora chiusa, così dovettero attendere fuori, ai margini della strada fangosa. Era piovuto di recente, ed ogni carro di passaggio schizzava in giro acqua di pozzanghera.
Finalmente arrivò il proprietario, ed i Nani si mossero per fare il loro ingresso. Thorin aveva appena posato la suola dello stivale sulla soglia, quando gli parve di udire qualcuno che lo chiamava.
Si bloccò e si tirò indietro, girandosi per sondare la strada coi propri occhi azzurri e penetranti.
Individuò immediatamente chi aveva gridato il suo nome: era Dwalin che, avvolto in un mantello consunto, si stava dirigendo verso di lui a grandi falcate e con un’espressione che non prometteva nulla di buono.
«Voi andate» ordinò Thorin, rivolto a chi lo aveva accompagnato, per poi staccarsi dal gruppo ed affrettarsi verso il nuovo arrivato.
«Dwalin» esordì, non appena gli fu giunto di fronte, «che succede?»
L’altro quasi non si fermò a prendere fiato. «Dís» rispose. «È in travaglio».
A quelle parole, Thorin impietrì. «Non è possibile» obiettò. «Il bambino non dovrebbe nascere prima di due mesi».
«È prematuro».
Il respiro di Thorin si bloccò un istante, e i suoi occhi saettarono sul profilo azzurrino della catena montuosa dove si trovava sua sorella.
«Qui ci penso io» si offrì Dwalin, con un cenno del capo verso la bottega. «Tu va’».
Fosse stato qualcun altro, forse Thorin avrebbe indugiato… Ma all’amico avrebbe affidato la sua stessa vita. «Ti ringrazio» asserì, posandogli brevemente una mano sulla spalla.
Dopodiché, si separò da lui, ed iniziò a camminare con passo spedito. Per fortuna, il luogo dove avevano lasciato i pony – e due monete ad un garzoncello affinché li tenesse d’occhio – non era molto distante. Come fu sulla sua cavalcatura, Thorin la spronò al galoppo verso la montagna.
Quando sua sorella lo aveva informato che aspettava un secondo figlio, lui aveva pensato che quella nascita non sarebbe avvenuta in una tenda, e non gli avrebbe portato la stessa preoccupazione di quella di Fíli. A quanto pareva, però, era destino che la venuta al mondo dei suoi nipoti lo riempisse d’ansia.
Gli alloggi che Dís condivideva col marito ed il figlio erano tra i primi ad essere stati ricavati dalla roccia. Non avevano nulla da spartire con le ricche e maestose sale di Erebor, ma erano sicuri ed accoglienti.
Nell’anticamera della stanza da letto si era già radunato un drappello di persone. Lontani cugini, e una manciata di amici.
Thorin individuò Glóin, fratello di Óin, e gli si avvicinò nella speranza di poter ricevere qualche informazione in più.
«Come procede?» chiese, senza preamboli.
L’altro sbatté le palpebre, ma si riprese subito. «Ci sono state alcune complicazioni» borbottò, passandosi una mano sulla folta barba castana. «Ma ci sono mio fratello e la stessa levatrice che ha aiutato alla nascita del primogenito».
Thorin annuì, e in quel momento – anche se il suono venne attutito dalla porta e dalle mura di pietra – udì sua sorella urlare per lo sforzo, e poco dopo Óin che affermava: «Eccolo. È fuori».
Thorin ne dedusse che il bambino fosse nato. Ma se era così, perché non si sentiva nessun pianto?
La voce di Dís domandò qualcosa – Thorin non riuscì a distinguere le parole, ma gli si spezzò il cuore nel sentire il tremore nel tono della sorella.
Quasi senza rendersene conto, si spostò verso la porta della camera da letto. In quel momento, qualcosa gli strattonò le braghe, ed una vocetta lo chiamò. «Zio?»
Thorin abbassò lo sguardo, ritrovandosi a fissare gli occhi azzurri di suo nipote.
Fíli aveva un’aria indagatrice, sperduta e risentita assieme, e suo zio ebbe la netta impressione che nel caos dovuto a quella nascita prematura nessuno si fosse occupato di spiegargli cosa stava succedendo.
«Fíli».
Suo nipote lo osservò con una certa aspettativa. «Non trovo amad e adad» lo informò, inciampando appena sulla r.
Thorin diede una rapida occhiata alla persone presenti. Possibile che nessuno avesse detto niente al bambino?
«Sono in camera loro» affermò.
Fíli gli chiuse una manina su un lembo dei pantaloni, lanciando un’occhiata scontenta alla vecchia comare che sostava nei pressi della porta. «Ma lei non mi fa passare».
«Fa bene» replicò Thorin, lapidario. «Non si può entrare».
La risposta non piacque a Fíli, che arricciò il naso – era un naso terribilmente importante, per un visetto così piccolo. «Perché no?»
«Ecco…» Thorin esitò, chiedendosi quanto poteva spiegare ad un bambino dell’età di suo nipote. «Sta arrivando il tuo fratellino».
A quelle parole, Fíli lo guardò quasi con sospetto, poi scosse la testa. «No» negò, sicuro di ciò che diceva. «Adad dice che bisogna aspettare ancora».
La preoccupazione di Thorin si risvegliò. Ancora non aveva sentito alcun pianto… «Potrebbe esserci stato un cambio di programma».
Fíli lo scrutò, corrugando le piccole sopracciglia bionde… Poi il suo visetto si rischiarò. «Il fratellino arriva adesso?»
Thorin indugiò, colto da un dubbio improvviso. Doveva dirgli di sì? E se, Mahal non volesse, il secondogenito di Dís non fosse sopravvissuto? Una risposta affermativa avrebbe potuto portare Fíli a tempestare di domande due genitori già distrutti.
A togliergli il peso di quella penosa decisione intervenne Óin, che scelse quel momento per affacciarsi dalla porta. I suoi occhi scandagliarono la stanza, e come vide Thorin gli fece cenno di avvicinarsi.
Il primogenito di Thráin mosse subito un passo nella sua direzione, ma invece di lasciarlo andare Fíli si aggrappò con più forza ai suoi pantaloni, incespicando dietro di lui.
Thorin si fermò e si chinò per staccare le dita del nipote dalle proprie braghe. «Fíli, tu devi…»
«Voglio la mia amad» lo interruppe il bambino, in un piagnucolio.
Era più di un capriccio; Fíli era stanco, non voleva essere lasciato di nuovo solo e doveva iniziare a sentirsi davvero inquieto per l’assenza dei genitori.
Thorin lanciò uno sguardo impotente ad Óin, che da parte sua scomparve un istante nella stanza. Quando ne riemerse, lo invitò: «Porta anche il bambino».
Thorin ne fu rincuorato. Se Fíli poteva entrare con lui, non doveva essere successo nulla di terribile…
Si chinò su suo nipote e lo sollevò. Radioso, Fíli gli circondò il collo con le proprie braccia, incurvando le labbra in un minuscolo sorriso.
Thorin lo trasportò con sé nell’altra stanza, ma sulla soglia si fermò un istante per prendere visione di quanto si trovava all’interno.
La stanza di Dís e di suo marito era una delle poche che avesse una finestra che dava sull’esterno. Era abbastanza ampia, ma arredata in modo spartano: un letto matrimoniale, una cassapanca, un guardaroba.
Dís era distesa sul letto, e il sudore le aveva diviso in ciocche i capelli scuri. Suo marito sedeva accanto a lei, sull’orlo del materasso, e gli occhi di entrambi erano puntati sul fagotto di coperte che Dís teneva tra le braccia.
Thorin non riusciva a vedere il bambino, ma dalla posizione riusciva a capire che stava succhiando il latte materno.
I suoi genitori sembravano incapaci di togliergli gli occhi di dosso, le tracce di una forte preoccupazione ancora visibili sui loro volti.
Poi Fíli si contorse nella presa di Thorin, tendendo una manina verso Dís. «Amad!»
La testa di lei si sollevò di scatto, e un sorriso le piegò le labbra. «Fíli» lo salutò, mentre spostava il peso del neonato da un braccio all’altro.
Thorin lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle e si avvicinò al bordo del letto. Fíli si dimenò e poi, siccome la presa dello zio non si allentava, si sporse verso sua madre.
«Amad, perché hai pianto?» chiese, con voce piena di preoccupazione. «Stai male?»
Con un lievissimo sussulto, Thorin si rese conto che le guance di Dís erano effettivamente bagnate di lacrime.
«Oh, no, lukhdel» si affrettò a dire lei, «ho solo…»
Un vagito la interruppe, e gli occhi azzurri di Dís saettarono sul neonato. Nuove lacrime le inondarono le guance, e Thorin poté vedere che non erano di dolore, ma di sollievo e gratitudine.
Ne fu comunque quasi scioccato – stentava a ricordare l’ultima volta che aveva visto sua sorella piangere.
Suo cognato dovette notare la sua espressione, poiché spiegò a mezza voce: «All’inizio temevano che il bambino avesse qualcosa che non andava».
«E non è così?» chiese Thorin, per cacciare definitivamente le proprie preoccupazioni.
L’altro diede una mezza risata. «No» rispose. «A quanto pare era solo molto impaziente di fare la nostra conoscenza».
«Venite a conoscerlo anche voi due» invitò Dís, alzando gli occhi sul fratello e coprendosi il seno, dato che ormai il neonato si era saziato.
Óin e la levatrice uscirono con discrezione, sia per concedere alla famiglia qualche istante di intimità, sia per tranquillizzare le persone nell’altra stanza e dire loro che era andato tutto bene.
Thorin poggiò con cautela Fíli sul letto. Suo nipote rimase in ginocchio sul materasso e si sporse a dare un’occhiata al suo nuovo fratellino.
I tre adulti tacquero, tutti curiosi – a modo loro – di conoscere la reazione del bambino.
«È piccolo» disse infine Fíli, dopo aver ponderato a lungo.
Dís rise sommessamente. «Oh, Fíli» sospirò poi, «anche tu eri piccolo».
Fíli inclinò la testa di lato, poco convinto. «Non così tanto».
Sua madre abbassò per un attimo gli occhi sul proprio secondogenito, ed annuì. «Hai ragione» ammise. «Non così tanto».
«Come si chiama?» aggiunse Fíli.
I suoi genitori gli sorrisero, e Thorin attese, anche lui desideroso di conoscere la risposta a quella domanda.
«Kíli» asserì Dís. «Ti piace?»
Il bambino diede un mugugno affermativo. «È mio?» s’informò poi, sbirciando nuovamente il piccolo fagotto.
Thorin sbatté le palpebre, sorpreso da quell’uscita.
«È tuo fratello, sì» rispose Dís. «Ma questo non…»
«È mio» concluse Fíli, e ne sembrava così lieto che nessuno ebbe cuore di contraddirlo.
Sua madre, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, alzò lo sguardo su Thorin. «Ora manchi solo tu» gli disse.
Per tutta risposta, Thorin si allungò verso di lei. Voleva solo riuscire a dargli un’occhiata, finalmente, ma Dís sollevò il neonato con grande cura e glielo passò.
Thorin si raddrizzò cautamente con quel fagottino tra le braccia, quindi abbassò gli occhi sul secondogenito di sua sorella.
Fíli aveva ragione: Kíli era davvero molto piccolo, e sembrava anche spaventosamente fragile.
I suoi occhioni aperti erano di un blu picchiettato di nero, segno che sarebbero diventati dello stesso colore di quelli di suo padre, e dei soffici ciuffetti scuri gli adornavano la testolina.
Mentre suo zio lo guardava, il neonato si aggrappò al suo dito con una manina morbida ed emise un versetto contento.
E Thorin, che aveva sempre considerato assurda l’idea dell’amore a prima vista, dovette ricredersi. Nonostante fosse la prima volta che posava gli occhi su di lui, Kíli gli aveva già rubato il cuore.
E non solo a lui, a quanto sembrava. Fíli si mise in piedi sul materasso, domandando: «Amad, posso tenerlo anch’io?»















Note:
Sto ridendo come un’idiota perché è quello che sono mi sono resa conto che ênâdu Kíli suona quasi come “è nato Kíli” detto da qualcuno col raffreddore.
Comunque, spero che questo capitolo non sia un disastro (e di non aver messo Thorin troppo da parte in favore del piccolo Fíli XD).
Ringrazio di cuore chi ha speso un po’ del suo tempo per leggerlo!

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