Una rosa alla tua porta

di Ninfea Blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una rosa alla tua porta ***
Capitolo 2: *** Casa di bambola ***
Capitolo 3: *** Ultimo atto ***
Capitolo 4: *** Una rosa, mille rose a Izu (epilogo) ***



Capitolo 1
*** Una rosa alla tua porta ***


Masumi Maya

a  Una rosa alla tua porta  b

 

 

 

 

Le imponenti vetrate del bar del grattacielo della Daito, si aprivano come un sipario maestoso sulla notte di Tokio, rischiarata dalle luminarie al neon. A quell’ora della sera il locale era praticamente deserto, e l’ambiente con le sue luci soffuse dava un’ idea generale di tristezza e abbandono.

C’ era solo un cliente, l’ultimo per quella giornata: la sagoma della schiena di un uomo si profilava massiccia contro il bancone.

Aveva allentato la cravatta, e tolto la giacca gettandola sullo sgabello accanto; dalla sua posizione, in silenzio guardava il cielo oltre la vetrata pensando a quante volte in passato si era rifugiato lì, davanti a un bicchiere di brandy, in cui annegare pensieri e ansie indicibili.

Veniva in quel posto per soffocare un dolore, un tormento che lo accompagnava ogni volta.

 

Neppure adesso era diverso.

 

 

Tre anni.

 

Non era cambiato nulla.

 

Quasi nulla.

 

Lui era soltanto più infelice.

I suoi ricordi erano ancora lì, incollati sul cuore.

E il desiderio di un’ altra vita, se possibile, si era acuito di più, e non gli dava tregua. Mai.

 

Quella sera non aveva voglia di tornare a casa. Da una donna che non amava.

Eppure aveva tentato.

 

Tutto si era rivelato inutile.

E doloroso. Era penoso vivere con una persona, i giorni, le ore e le tue notti e pensare a qualcun altro. In maniera costante, ossessiva.

 

Dopo il lavoro aveva lasciato il suo ufficio, aveva congedato la sua segretaria, e invece di lasciare il palazzo, aveva preso l’ascensore per salire all’ultimo piano del grattacielo.

Mentre saliva, gli erano tornate alla mente le rose purpuree.

Quelle che non le aveva più mandato.

Lei le aveva respinte.

 

Il pensiero ancora lo straziava. Era accaduto subito dopo il matrimonio.

Non era stato capace di farsene una ragione e un mare di domande erano rimaste senza risposta.

 

Al suo ingresso, il barman con gesti misurati stava asciugando i bicchieri di cristallo per riporli sullo scaffale; lo aveva accolto con un sorriso, vagamente sorpreso di vedere arrivare il presidente della Daito a quell’ora tarda.

Era da tempo che Masumi Hayami non si faceva vedere.

Da quando si era sposato non ricordava di averlo più visto varcare la soglia del locale, neppure per bere un caffè.

Gli rivolse un saluto cortese cui l’uomo rispose.

 

“È tardi, signor presidente. A casa, ha una bella moglie che l’aspetta…”

Masumi non rispose, abbozzò una smorfia, mentre alla mente gli sovveniva l’immagine della consorte che lo accoglieva con un leggero bacio sulla guancia. Vaghi gesti d’affetto.

Misurati. Freddi. Come la sua vita spenta.

Non un solo pensiero di passione. Niente che gli infiammasse il sangue.

Non gli veniva neppure la voglia di toccarla.

Mesi che andavano avanti così.

 

A lei non sembrava più nemmeno importare.

Si era rassegnata a una vita senza slanci.

La moglie di un uomo facoltoso, quello era il ruolo cui era stata preparata.

Bellissima e raffinata. Mite, composta, senza apparenti passioni, desideri soffocati, repressi. Praticamente perfetta per un uomo come lui.

 

A volte si chiedeva come lei facesse a sopportare quell’ esistenza vuota.

Lui non reggeva più. Lo sentiva.

Avvertiva una fredda inquietudine che gli strisciava sul cuore. Quella vita arida lo logorava di giorno in giorno e si stava accorgendo che certi sogni neppure troppo lontani, tornavano a bussare sul suo cuore. Chiedevano di essere soddisfatti.

 

A volte gli pareva di soffocare.

Avvicinò il bicchiere alle labbra per bere un sorso di liquore che gli bruciò la gola e le viscere.

L’alcool gli dava sollievo, ma accendeva un fuoco momentaneo che si estingueva sempre troppo in fretta.

Tornò con la mente a quel pomeriggio appena trascorso.

Una rivista aperta sulla sua scrivania. Una foto. Due occhi scuri e fieri, diversi e uguali a sempre.

Un articolo commentava il successo del suo ultimo spettacolo che lui aveva visto. Un piacere cui non avrebbe mai rinunciato, al punto di lasciare sola la moglie in più occasioni, senza rimorsi. L’ unico legame che restasse con lei.

Un’ intervista letta col cuore in gola. Le domande insinuanti del giornalista.

 

“È vera la storia che avrebbe una relazione col suo partner di scena? Cosa può dirci? Voci di corridoio dicono che vi frequentate da mesi…”

“Tutte sciocchezze inventate dai giornali scandalistici. Siamo solo buoni amici. Il mio solo amore è il teatro… non ci sarà mai nulla di altrettanto importante nella mia vita.”

 

Davanti al bicchiere di brandy, si chiedeva se fosse vero.

Sembrava troppo cinica quella risposta per appartenere a lei. Aveva sempre paura quando leggeva gli articoli delle riviste di spettacolo, paura di quello che avrebbe potuto scoprire. Un nuovo compagno. Uno scandalo. Ma in quegli ultimi tre anni, non c’erano mai stati uomini, almeno ufficialmente e questo lo confortava.

E si sentiva un’ egoista.

 

Davvero Maya?

Davvero hai rinunciato a tutto, tranne che al teatro?

Per questo hai respinto le rose purpuree del tuo misterioso ammiratore?

Le loro spine mi fanno ancora male al cuore.

Sono fiori che non appassiranno mai dentro di me.

Tu non appassirai mai dentro di me, e io non posso andare avanti così… con questo stillicidio che ferisce la mia anima…

Ragazzina, a volte i tuoi occhi di donna mi sembrano così tristi… troppo simili ai miei… ragazzina, ho tentato, ma non riesco a rinunciare.

Stanotte non mi manderai via… costi quel che costi.

 

 

Masumi posò il bicchiere vuoto sul bancone, prese la giacca posata accanto, se la gettò in spalla, si alzò e si diresse verso l’uscita. Aveva deciso cosa fare e lo avrebbe fatto. Certamente, non sarebbe tornato verso casa. Non quella notte.

 

 

 

§§§§§

 

 

 

 

Fermò l’ automobile sotto il suo appartamento.

Da qualche tempo Maya abitava lì, da quando l’amica Rey era andata a convivere con il suo compagno, un giovane attore della compagnia Unicorno.

Masumi si era sempre mantenuto informato, incapace di disinteressarsi a tutto ciò che la riguardava; manteneva i contatti con i suoi vecchi amici della compagnia Tsukikage, e quelli dell’ Unicorno. Fuori dalle scene, frequentava la sua amica Rey con costanza.

Sentiva il tumulto sordo del cuore invaderlo. I minuti passavano. Restò immobile, appoggiato alla portiera dell’auto con quella rosa in mano. Era stato difficile trovarla a quell’ora tarda, aveva smosso mari e monti. Alla fine, aveva trovato un negoziante su internet che consegnava ventiquattrore su ventiquattro. Per fortuna che era venerdì.

 

Con una scusa, riuscì a farsi aprire dalla portineria del palazzo.

 

Salì le scale con calma apparente, guidato da una strana misteriosa determinazione, ma il cuore gli rimbombava nelle orecchie, e più saliva, più gli pareva che il ritmo accelerasse. Arrivò al secondo piano e quando fu davanti alla sua porta chiusa, per un momento ebbe l’impressione che il battito nel petto si arrestasse. Rimase lì davanti, fermo per lunghi istanti, ad ascoltare il suo respiro che si placava, a sentire se provenissero rumori dall’appartamento.

E se l’avesse trovata in compagnia di qualcuno? Un amico, o peggio?

Magari, quell’attore di cui parlava l’articolo letto poche ore prima.

Scosse nervoso la testa.

Lo raggiungeva solo il silenzio.

La luce del pianerottolo si spense. Restò al buio per un tempo imprecisato, poi con l’indice a tentoni sfiorò di nuovo l’interruttore sul muro. E finalmente, si decise a suonare il campanello.

Pochi attimi e sentì un ciabattare provenire dall’interno. Quando sentì la chiave girare nella serratura il suo cuore si arrestò improvviso. La porta si aprì.

 

Non era preparato a nulla e non avrebbe saputo cosa aspettarsi.

Il primo impulso sarebbe stato quello di sgridarla: ragazzina, non si apre la porta, senza prima controllare chi è allo spioncino, ma non riuscì a proferir parola.

Fu troppa l’ emozione di trovarsela davanti, innocente e affascinante, candida e seducente, vestita di un semplice pigiama leggero e corto, le gambe e le braccia nude, un telo di spugna sulla testa bagnata.

Gli arrivò alle narici la leggera fragranza fiorita del bagnoschiuma che accendeva il profumo della sua pelle fresca. E improvviso, gli fu chiaro che quella che aveva davanti non era più una ragazzina, ma una giovane donna. Gli parve più alta. Il suo corpo era sbocciato e si era fatto più armonioso e un poco più rotondo, ne colse le forme lievi e morbide sotto il tessuto di cotone che la nascondeva appena al suo sguardo.

Sentì la fiamma sopita in corpo rianimarsi, bruciare il suo sangue, lambire la sua carne, torcergli le viscere.

Non l’aveva mai guardata così, neppure in scena.

Ed era passato troppo tempo dall’ultima volta che l’aveva incontrata, anche solo per caso.

Osservandola seppe con certezza che lei lo sentiva addosso, quello sguardo. Le sue guance si imporporarono, mentre le labbra umide si schiudevano in un sospiro muto, e l’espressione tradiva tutta la sua sorpresa unita a un velato timore.

Maya a quel punto, fece un passo indietro.

Lui avanzò sicuro e lento, inesorabile, la rosa in mano protesa verso di lei.

Le sfiorò la curva delicata della guancia con i petali.

La vide sussultare.

Senza staccare mai gli occhi dai suoi, Masumi richiuse la porta, appoggiandovi la schiena.

Il silenzio restava sospeso tra loro.

Lungo. Insostenibile.

Come i loro sguardi allacciati.

 

Dì qualcosa…

 

“Sei senza parole, ragazzina? Non è da te…”

Forse fu la sua voce insolita a riscuoterla. Così vicina, profonda. Vibrava di un’ emozione oscura. Il battito furioso del cuore l’ avvertì del pericolo.

“Signor Hayami… non sono più una ragazzina… e lei non dovrebbe essere qui… a quest’ora…”

“Perché no, Maya? Dov’è finito l’affetto sincero che avevi per il tuo misterioso ammiratore? Intendi continuare a respingere le mie rose?”

Il significato di quelle parole le esplose nel petto; così quell’ uomo indecifrabile si rivelava? Dopo tutto quel tempo? Dopo quei lunghi dolorosi tre anni di matrimonio, in cui lei aveva tentato di dimenticare e rassegnarsi per sempre al fatto che lui apparteneva a un’ altra?

Le labbra le tremarono: lui si era avvicinato di più, aveva abbassato la rosa e alzato l’altra mano a sfiorarle la bocca con il pollice in un gesto palese e allusivo.

La mano, con una carezza tenera si era spostata lungo il collo esile.

E lentamente si era abbassato fino a raggiungere le sue labbra.

 

Il primo bacio fu lieve, ma la colse di sorpresa.

L’aveva guardata un attimo, nell’attesa di un possibile rifiuto che non venne, prima di continuare a baciarla in un modo sempre più esigente. Si era staccato solo per incontrare i suoi occhi spalancati di meraviglia.

“Hai ragione, Maya… - bisbigliò contro le sue labbra, con un sospiro rauco - non sei più una ragazzina.”

L’aveva baciata ancora, con più foga di prima, coprendole le labbra, schiudendole fino a invadere con tenera urgenza il segreto dolce e fresco della sua bocca, alla scoperta del suo sapore.

Lei era come miele che gli scendeva nell’anima.

Un palpito di felicità dimenticata si accese nel suo cuore. Sperò che per lei fosse lo stesso, un intimo, segreto desiderio.

L’aveva stretta contro il torace, le mani grandi sulla sua schiena minuta, fino a sollevarla da terra. L’asciugamano era caduto.

La sentiva fremere, aggrappata a lui, le piccole mani sulle sue spalle larghe, ancorate al tessuto della giacca. Non seppe per quanto tempo restarono così, stretti uno all’altra, dimentichi di tutto, preda di un dolce delirio che li avvinceva. La sentiva arrendevole, tenera e tremante contro il suo petto. Bastava quello a fargli scoppiare il cuore di una gioia misteriosa. Si illuse per un attimo che potesse bastargli, poi avvertì le sue mani giocare timide fra i suoi capelli. Allora, corpo e anima reclamarono tutto di lei.

 

 

Al primo dolce assalto, tra sconcerto e incredulità, si era sentita incapace di respingerlo, pur sapendo che avrebbe dovuto.

Lui non era il suo uomo.

Quella rosa l’aveva totalmente disarmata, vanificando tutti gli sforzi fatti per lasciarlo andare, e in un istante, lei aveva ritrovati intatti in fondo all’anima quei sentimenti che credeva di aver cancellato.

Erano ancora lì, forti più di prima, rinvigoriti dal tempo, dalla distanza, dalla separazione forzata, e bastava la miccia giusta a farli esplodere di nuovo.

Lo amava ancora.

Ma questa consapevolezza la fece disperare. Forse arrabbiare.

Perché si burlava di lei? Perché doveva essere così crudele?

Voleva che perdesse la ragione?

Non era suo.

Non poteva esserlo.

Masumi aveva una moglie, e non era lei.

Lacrime salate e impietose vennero a ricordarglielo, mentre le sue labbra calde, esigenti e sensuali la stordivano.

Miele e sale si mischiarono.

 

Masumi l’aveva presa in braccio, una mano sotto le ginocchia, l’altra a cingerle la vita sottile, e non smetteva di baciarla con un ardore che la stava bruciando.

Sentì i suoi passi muoversi sicuri e le fu tutto chiaro.

Fu presa dal panico.

Si divincolò, mosse le gambe per tentare di sfuggirgli, ma Masumi, possessivo, la strinse con più forza affondando le dita nella sua pelle.

Sconfitta si puntellò contro il suo petto e lo fissò in viso, in un ultimo inutile tentativo di resistergli.

“Aspetta Masumi, ti prego. Perché ti riveli adesso? Dopo tutto questo tempo? Tu sei sposato… non possiamo… io non posso!”

Lui la guardò un istante, con infinita tenerezza.

La sua piccola donna.

Il volto arrossato per l’emozione, le labbra gonfie e gli occhi umidi, ma colmi di quel fuoco che straziava anche lui. Benché scuri, erano troppo trasparenti e sinceri, e lui vi leggeva attraverso.

Non poteva lasciarla andare. Non più.

“Perché in questi tre anni, a parte vederti recitare, l’unico momento di felicità è stato quando sono entrato da quella porta, poco fa. Da quando hai respinto il donatore di rose, il mio cuore sanguina. Solo tu puoi curare le mie ferite. Tu sei mia e io sono tuo. Doveva essere così fin dall’inizio, purtroppo ho commesso un errore dietro l’altro… ma stanotte non mi lascerò respingere.”

“Oh, Masumi…” sospirò vinta, allacciandogli le braccia al collo e affondando il viso contro la sua spalla.

La trasportò fino alla stanza da letto e l’adagiò dolcemente fra le coltri.

Le fu accanto, le accarezzò il viso dolcemente, le asciugò le lacrime che ora nascevano in mezzo ai sorrisi. Le baciò la fronte, i capelli umidi, le guance, le palpebre chiuse, le labbra.

“Ti amo, Maya. Lontano da te, ho rischiato di diventare pazzo. Mi hai stregato molto tempo fa, questa è la sola cosa che so, la sola cosa vera della mia vita. Tutto il resto è il nulla più assoluto.”

E lei fu certa che quelle parole fossero reali e altrettanto vere nel suo cuore. Quella notte infinita sarebbe vissuta nel suo abbraccio, nata con lui.

 

Masumi ascoltò il suo corpo con le mani, che si aprì come un fiore delicato e prezioso per la prima volta.

Lo esplorò con devozione come un pellegrino, nutrendolo con gentilezza e colmandolo coi suoi baci profondi, venerandolo con gli sguardi più intensi. Incoronò la sua bellezza con la gemma più preziosa, quell’amore che traboccava dal cuore come linfa vitale. Essere in lei, nella sua femminilità calda e profonda come il mare, fu come perdersi dentro un firmamento di stelle, sentirsi piccolo, custodito, e rinascere a nuova vita.

Scoprì di amarla con ogni fibra del suo essere, con ogni goccia di sangue che correva nelle vene, con ogni battito di ciglia.

Scoprì di essere amato con altrettanta forza, di essere per lei potente energia e sollievo.

Era affamata, assetata di lui, di ogni contatto di labbra, di ogni più intima, segreta carezza che con innocenza lo cercava.

E Maya, nell’ estasi travolgente della loro unione si sentì come una regina. Splendida e immortale come una dea unita al suo sposo.

Fu sua in ogni pensiero e parola, nei baci che infiammavano la pelle e le membra, in ogni sospiro e sussurro; fu come riscoprire la gioia di donarsi, e perdersi travolto dal calore del suo abbraccio, dal tepore molle e arreso del suo corpo che diventava nido misterioso e accogliente, dal richiamo della sua voce felice che lo avvinceva come una musica soave.

I palpiti dei loro cuori si inseguivano in rincorse folli, esplodendo in vortici di gioia.

Furono una cosa sola, una sola felicità, una sola anima, un solo canto d’amore.

Il più antico e il più puro. Il più grandioso.

Si amarono così per tutta la notte, pregando che non giungesse mai il mattino che li avrebbe separati, riportati alla realtà troppo triste delle loro vite sospese. L’alba li trovò con le mani intrecciate, le braccia aperte sui cuscini, il cuore contro il petto dell’altro, il respiro nel respiro e le fronti accostate.

 

 

 

Masumi si svegliò prima di lei.

Si fermò rapito a guardarla, rubando quell’espressione di felicità che aleggiava sul suo volto. Forse stava sognando.

Una vaga amarezza lo assalì.

Non voleva uscire da quel letto, ma non poteva restare con lei come avrebbe voluto, e lo sapeva.

Le accarezzò la linea della guancia con il dorso delle dita, desiderando che sollevasse le palpebre.

Fu come se lo avesse sentito.

“Buongiorno.” Sussurrò davanti ai suoi occhi aperti.

Maya si girò su un fianco, ma non parlò limitandosi a guardarlo. C’era qualcosa nei suoi occhi scuri che lo inquietò.

Sembrava tristezza.

“Sei silenziosa… - si avvicinò per posarle un bacio sulle labbra – spero che tu non sia pentita.”

“No, ma…” esitò impacciata.

“Che cosa c’è Maya?” Le chiese, senza riuscire a nascondere la sua apprensione. All’ improvviso ebbe paura.

“È stato bellissimo questa notte, davvero. Porterò questo dolcissimo ricordo nel cuore per il resto della mia vita…”

La sua piccola mano corse ad accarezzargli una guancia e Masumi la coprì con la sua. Si accorse che tremava.

“Io voglio rivederti, Maya. Non accetto rifiuti.”

Dolcemente lei si allontanò dal suo abbraccio, per scendere dal letto. Prese gli indumenti sparsi in giro per la stanza e si rivestì. Sentiva sulla pelle l’aria fredda e addosso lo sguardo caldo di lui, che non l’abbandonava.

“Maya…” La chiamò incerto. Ma lei corse fuori dalla stanza.

L’uomo saltò giù dal letto. Infilò pantaloni e camicia senza allacciarla. La raggiunse nella piccola sala del soggiorno. La trovò seduta sul divano, le mani in grembo, il volto abbassato sul pavimento.

“Maya!!”

La osservò: sembrava la ragazzina piccola e fragile di sempre. Si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei, posando le mani sulle sue.

“Maya, che cos’ hai? Dimmelo, ti prego.”

Lei esitò tormentandosi le mani.

“Masumi, non potrà esserci un seguito a questa notte. Io ti amo più di quanto immagini, ma ti prego, non chiedermi di diventare la tua amante. È un ruolo che non saprei sostenere. Tu non sei un uomo libero…”

La guardò sconcertato, per un attimo incapace di parlare, conscio solo della fitta di dolore che sentì al petto.

Lasciarla andare? No.

Era impensabile.

Sarebbe stato come morire.

Si sollevò per sedersi sul divano, accanto a lei.

“Mi stai dicendo che mi ami, me l’ hai detto per tutta la notte, e non vuoi stare con me? Scusami, ma non capisco.”

Non nascose il disappunto.

“Io vorrei poter stare con te, lo vorrei tanto, ma… non posso. Tre anni fa, quando ti sei sposato, ho fatto di tutto per dimenticarti. Non sai quanto ho sofferto, quanto mi è costato respingere le rose del mio dolce ammiratore, le tue rose Masumi… ma non potevo fare altro. Dovevo mettermi il cuore in pace, rassegnarmi ad averti perso. Pensavo di esserci riuscita…”

La costernazione di Masumi aumentò ancora, appena colse il senso di quelle parole.

“Un momento: stai dicendo che tu sapevi che ero io il tuo ammiratore?”

“Sì, lo avevo capito che eri tu. Ieri sera, quando ti sei presentato alla mia porta con quella rosa, non potevo crederci. Che strani scherzi fa il destino… Volevo resisterti, mandarti via. Ho dovuto arrendermi al mio cuore.”

“Oh, Maya…”

“Ti prego Masumi, cerca di capirmi.”

La voce era incrinata e lui percepiva lo sforzo che faceva per non piangere. Ma non comprendeva del tutto le sue parole. L’unica cosa che gli era chiara era che non voleva perderla; la voleva ancora e avrebbe fatto a pezzi la sua stessa miserabile vita per legarla a sé per sempre.

Non gli importava di niente, tranne che di lei.

Contava solo quella felicità totale appena intravista e che già sembrava dissolversi.

“Reciterò soltanto per te, per il resto della mia vita. Sul palco sarò solo tua. Soltanto lì, nel mondo dell’arcobaleno, il nostro amore continuerà ad esistere, e nessuno potrà impedirlo. Nessuno potrà togliercelo. Tu sarai sempre il mio prezioso ammiratore, il mio più caro amico. Mi sentirò sempre amata finché tu mi guarderai recitare. Ma fuori dal palco… non c’è futuro…”

Con le ultime parole, Maya si arrese alle lacrime trattenute fino a quel momento. Portò le mani al volto per nascondere lo strazio.

Il cuore oppresso, Masumi non voleva credere che stesse parlando sul serio. Eppure in un angolo remoto del suo animo sentiva che lei aveva ragione; con quelle premesse loro non avevano futuro e lui non poteva condannarla ad una vita clandestina di vergogna.

Senza volerlo, avrebbe corso il rischio di rovinarla, minacciando la sua stessa carriera di attrice.

 

La felicità stava sfuggendo di nuovo.

Ma sopportarlo, ora diveniva insostenibile. Almeno per lui.

Non mosse obiezioni. Non riusciva a trovarne.

Si alzò in piedi per allacciarsi la camicia e infilarla nei pantaloni, poi recuperò la giacca in camera da letto.

Doveva pensare con calma, ma non ci riusciva. La sua mente non era lucida, ed era diviso tra un misto di gioia e pena.

Dov’era finito il freddo, cinico calcolatore, l’uomo con pochi scrupoli, padrone sempre della situazione?

Lì c’era solo un uomo perdutamente innamorato, che non sapeva cosa fare.

 

Quando tornò in soggiorno, trovò Maya in piedi ad attenderlo.

Era bellissima, ancora trasfigurata dai segni della passione, gli occhi pesti e umidi di pianto, i capelli in disordine.

La guardò, reprimendo l’impulso potente di stringerla di nuovo. Se l’avesse anche solo sfiorata, non sarebbe più uscito da quell’appartamento.

“Devo andare, ora…”

Si sentì subito amareggiato; sembravano soltanto le squallide parole di un amante di passaggio.

Ma vorrei tanto restare, pensò avviandosi verso l’ ingresso. Maya lo seguì rimanendo a breve distanza, senza staccare gli occhi dalla sua alta figura.

 

“Masumi…”

 

Il suo nome pronunciato in un sussurro disperato lo folgorò sulla porta aperta. Tornò indietro svelto.

“Chiederò il divorzio, Maya. È una promessa.” Poi scomparve oltre la soglia. 

 

Il rumore dei suoi passi sulle scale si affievolì.

Una scintilla appena nata di speranza accese le iridi scure della giovane.

Il suo ammiratore manteneva sempre le sue promesse.

 

 

 

 

Fine (forse...)

 

 

Buongiorno a tutte le fans de “La maschera di vetro”.

Questo è il mio debutto in questo fandom, dove ultimamente bazzico più come lettrice che altro; non ho mai scritto nulla prima, e non so se scriverò ancora. Conoscevo l’anime della mia infanzia, ho scoperto recentemente quello del 2005 (spero che lo doppino in italiano prima o poi) e i bellissimi OAV.

Così mi sono avvicinata al manga, su consiglio anche di altre brave autrici, e l’ ho letto con gran piacere. Non so cosa la Miuchi abbia in mente per il finale, (ho qualche sospetto che non svelo qui), ma viste le vicende degli ultimi numeri, ho pensato che poteva essere verosimile uno sviluppo del genere, con Masumi sposato e infelice, una cosa cui stavo pensando piuttosto seriamente.

Così è venuta fuori l’idea di questa storia un po’ amarognola, ma dal finale aperto. Io spero vi sia piaciuta.

Eventuali pareri favorevoli e non, li accoglierò con gratitudine.

Ninfea

 

 

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Capitolo 2
*** Casa di bambola ***


casa di bambola

2 - Casa di bambola

 

 

 

 

La sala del teatro era immersa nell’ oscurità.

I fasci dei potenti proiettori scendevano dall’alto ferendo il buio circostante.

Era appena iniziato il secondo atto del dramma Casa di bambola, il testo teatrale di Ibsen, autore norvegese del secolo scorso.

Seduto in platea, in una delle prime file, Masumi Hayami seguiva con massima attenzione tutto quello che avveniva sulla scena. Era già la quarta volta che rivedeva lo spettacolo, non riusciva a farne a meno.

In verità, il presidente della Daito di solito assisteva solo alle prime teatrali, quasi mai alle repliche, e qualcuno si era già sorpreso per quel fatto inusuale. Cercava di concentrarsi sulla storia, di seguire ogni dettaglio, ma malgrado tutto, era sempre lei che catturava il suo specifico interesse.

Bastava la sua sola presenza, anche silenziosa, a calamitare tutti i suoi sguardi.

Adesso, molto più che in passato.

Ora alle immagini di lei, associava altri pensieri più intimi, primo fra tutti il ricordo travolgente di una sola notte che equivaleva ad un incendio che stava divorando tutto e non voleva saperne di placarsi; si sarebbe esacerbato solo di più, in quell’ urgenza dolorosa impossibile da soddisfare, che lo spingeva verso di lei.

Una notte sola aveva fatto crollare il castello di ipocrisie su cui era costruita la sua esistenza.

 

Erano già passati oltre tre mesi. All’uomo parevano un’ eternità.

Ma cos’erano quei tre mesi, di fronte al lungo tempo che li aveva visti distanti e lontani? Perfino ostili?

 

Aveva tentato di vederla di nuovo, ma lei si era sempre negata. Proprio come farebbe una prima donna.

Maya non era così, e lui lo sapeva. Il suo non era il capriccio volubile di un’ attrice. Tutta quella forza orgogliosa e genuina lo faceva impazzire di ammirazione e rinnovato desiderio.

L’ultimo fugace incontro tra loro era avvenuto due settimane prima nel foyer del teatro Orion affollato di spettatori, giornalisti, personaggi dell’ambiente di spettacolo, in occasione del debutto di Casa di Bambola.

Come lui aveva ampiamente previsto, era stato un successo clamoroso, amplificato dal tam tam dei giornali nazionali di metà del Giappone. La straordinaria, magica interprete del capolavoro di Ozaki, La Dea Scarlatta, mieteva consensi entusiastici ogni volta che saliva su un palco. Non c’era ruolo che fosse troppo difficile per lei. E quello di Nora era oltremodo complesso.

Era veramente la ragazza dalle mille maschere.

 

“Complimenti per la sua fresca e vivace interpretazione di Nora, Maya. È stata fantastica, ma non avevo dubbi in merito. Questo spettacolo le porterà fortuna.”

“Grazie, presidente Hayami, ma non capisco bene cosa intende…”

Le aveva posato le mani sulle spalle, per sfiorarle la pelle lasciata scoperta dal vestito, unico contatto che potesse concedersi, a risvegliare il ricordo proibito di altre carezze.

“Intendo che è un altro magnifico tassello alla sua carriera…

Non l’aveva più chiamata ragazzina, né riusciva a guardarla senza rivelare la forte attrazione che lo infiammava. Non c’era sguardo che posasse su di lei, anche il più distratto, che non fosse denso di sfumature allusive, passione, dolore e nostalgia, richiamo di promesse e sentimenti segreti che solo Maya poteva cogliere.

“Comunque, la trovo molto bene Maya. Da qualche tempo colgo in lei un fascino misterioso… oserei dire… conturbante. – Le aveva sussurrato più vicino, affinché nessun altro sentisse. - Mi stavo chiedendo di chi fosse il merito di una luce simile nel suo sguardo…”

Il commento era più audace di quanto si sarebbe aspettata da un tipo solitamente controllato, come lui. Maya imbarazzata, abbassò lo sguardo. Perché faceva così? Perché voleva metterla in difficoltà?

“Signor Hayami, io…” balbettò incerta.

“Ho lasciato mia moglie. – Aveva aggiunto, senza darle il tempo di ribattere. – Io mantengo sempre le mie promesse, dovrebbe saperlo. Ora vivo in albergo, al Tokio Palace. – Improvviso, le aveva afferrato un polso, e si era accostato di più al suo orecchio. - Ma c’è sempre la villa a Izu… potrebbe venire laggiù a farmi compagnia. Le andrebbe?”

Era stato un invito esplicito, accompagnato da uno sguardo impossibile da equivocare.

“Ecco… Viste le circostanze, credo che lei debba stare solo per un po’, signor Hayami.” Aveva commentato con ostentata indifferenza, ma il vistoso rossore sulle guance l’aveva tradita. Era incapace di dissimulare.

Troppo vera, Maya. Troppo autentica.

 

Fuori dalle scene era sempre la ragazzina un po’ timida, spontanea che conosceva.

Ma sul palco Maya era un’altra cosa: lì, era magnifica e inarrivabile.

Come ora, che recitava nel dialogo che la vedeva contrapposta al dottor Rank, amico di famiglia cui non resta molto da vivere che ha un segreto debole per Nora.

 

- Dottore, se io le domandassi una grande prova di amicizia… di affetto… Un enorme favore…

- Vorrebbe dunque, almeno per una volta, darmi questa gioia?

- Ma lei non sa di che si tratta.

- La prego, mi dica.

- Non posso. È troppo importante. E poi è anche d’ un consiglio che ho bisogno.

- Tanto meglio. Mi dica tutto. Non ha fiducia in me?

- Come in nessun altro. Lei è il mio più grande amico, ed è per questo… dottore, è un segreto. C’è una cosa che lei dovrebbe aiutarmi a impedire… lei sa quanto bene mi vuole Torvald. Un amore immenso, indicibile. Non esiterebbe a dare la vita per me. (…)

- Nora, e lei crede che sia l’unico? (…) l’unico che darebbe la vita per amor suo? (…) Nora, io ho giurato che dovevo farglielo sapere, prima di andarmene. Parli, dunque, si confidi: adesso, lei sa. Sa che può confidarsi con me, come con nessun altro. [1]

 

Più assisteva alla commedia, più Masumi faceva confronti e parallelismi tra la vita di Nora e la sua: incredibilmente riusciva a identificarsi nel personaggio di Nora, nel suo modo di porsi verso la realtà, nella sua ribellione ultima. Vita vera e fantasia sembravano confondersi, o forse collimavano.

Chi era stato a dire che tutti gli uomini non sono altro che semplici attori sul palcoscenico della vita?

La crisi di Nora, era la sua.

Quel dramma di Henrik Ibsen, rappresentava benissimo, anche se in vicende diverse, quello che era stata la sua esistenza.

Tutta una farsa. Come la vita di Nora.

 

- Nora, non eri… Non eri felice?

- No: soltanto allegra, ecco. Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola/figlia; con te, una bambola/moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos’è la nostra unione, Torvald.

- C’ è qualcosa di vero in quello che dici (…) È passato il tempo della ricreazione. Adesso viene quello dell’educazione.

- Quale educazione, la mia o quella dei nostri figli?

- Entrambe, cara Nora.

- Mio povero Torvald, non sei l’uomo che possa educarmi in modo da farmi diventare la moglie che ti necessita. [2]

 

Alla fine la protagonista arrivava ad una consapevolezza tale di sé stessa e dell’altro, da darle il coraggio e la forza di abbandonare il marito.

 

Era quello che doveva fare lui. Abbandonare e lasciare andare. Liberarsi di un vuoto che era diventato un tormento. Era quello che stava cercando di fare, con non poche difficoltà.

Non aveva perso tempo.

Aveva affrontato il discorso con la moglie la sera dopo quella notte.

Onesto e spietato fino in fondo, le aveva presentato la verità nuda e cruda, senza omettere nulla.

Senza giustificarsi.

 

Ti ho tradito, le aveva detto senza tanti preamboli, senza rimorsi. Quasi con gelida indifferenza.

Ma tradirei di più me stesso, se restassi con te, aveva aggiunto con estrema decisione.

 

“Non sei stanca di vivere così? Immersa in tutta questa falsità? Io lo sono, e molto. Te lo avevo detto che non ti avrei resa felice. Per questo, ti avevo chiesto di riconsiderare il nostro accordo. Non è mai stato amore, il nostro. Di certo, non il mio. Neppure il tuo, nonostante quello che credi, e se ti guardi dentro, ti renderai conto che ho ragione. Hai solo voluto credere in un’ illusione.”

 

Lei all’inizio non aveva reagito e lui avrebbe preferito sentirla urlare; sarebbe stato meglio di quel silenzio inquietante, di quell’apatia indecifrabile che lo spaventava.

Naturalmente aveva già sguinzagliato tutti i suoi legali, per avere una stima dei danni causati dalla futura separazione, la valutazione di tutti i rischi e delle perdite, e parare le possibili rimostranze della moglie e dei parenti di lei, che non avrebbero reagito di buon grado alla sua arbitraria decisione.

C’era anche in ballo la fragilità mentale della giovane sposa, che già in passato era stata in cura per un crollo nervoso, in un momento in cui il loro fidanzamento, causa l’indecisione di Masumi, sempre in conflitto coi suoi sentimenti, sembrava dovesse risolversi in un niente di fatto.

Non voleva rivivere un’ esperienza del genere. Sperava che tutto si potesse risolvere senza drammi e tragedie. Ma se anche così non fosse stato, non avrebbe mai fatto marcia indietro. Erano arrivati alla resa dei conti. [3]

 

“Farò venire a prendere le mie cose da qualcuno. – Le disse quella stessa sera, prima di andarsene. - Sarai contattata dai miei avvocati. Se mi lascerai andare senza traumi, il divorzio sarà quasi indolore, per te, per me, per la tua famiglia. Mi impegnerò comunque a mantenere tutti gli accordi commerciali presi con il gruppo Takamiya, e pagherò eventuali penali, se verranno pretese. Ti prego di non dare in inutili escandescenze; non servirebbero a nulla, salvo spingermi a insistere maggiormente nei miei propositi. Non diventiamo nemici, troveresti in me una persona molto ostile.”

 

Solo allora, la moglie aveva ribattuto, ma senza eccessivo slancio. Gli aveva detto che lo amava, che lo aveva amato sinceramente, senza però riuscire a convincerlo.

“Dunque, la nostra unione per te, non era altro che un accordo? Solo questo?”

“Pensavi fosse qualcosa di diverso? Il nostro matrimonio è stato combinato per interesse. Non fingere di non saperlo, o che fosse altro da questo. Vuoi continuare a ingannarti?”

“Vuoi rovinare tutto, la tua vita e il tuo futuro, per cosa? È sempre lei, vero? Quell’ attrice troppo giovane per te… Maya Kitajima. Dopo tutto questo tempo, pensi ancora a lei.”

Tutto si sarebbe aspettato, tranne il cinismo delle parole che seguirono, che mai aveva colto in lei.

“Oh, d’ accordo Masumi: ti sei tolto uno sfizio che ti ossessionava da tempo. Posso accettarlo, perfino comprenderlo. L’hai sostenuta e corteggiata di nascosto per anni, ora potrai togliertela dalla testa. Adesso, possiamo andare avanti con la nostra vita e dimenticare. Fare finta che non sia successo niente. Io sono pronta a farlo, per te, per noi.”

Aveva parlato con calma raggelante, con un lieve sorriso enigmatico a increspare gli angoli delle labbra dipinte di rosso. A quel punto, la brama di fuggire via, il più lontano possibile da quella casa, da quella vita illusoria, da quell’ estranea che non conosceva diventò impellente e necessaria.

Tirò un’ ultima boccata di fumo dalla sigaretta, poi spense il mozzicone nel posacenere di cristallo cesellato, posato sul tavolino basso del salotto elegante.

Che insulto. Quanta insensibilità. Lei non era uno sfizio.

Lei era la splendida ragazza vitale e appassionata che gli aveva restituito un’ anima, ma gli sembrò inutile e superfluo farglielo notare. Prese le chiavi della sua auto sportiva e se ne andò senza dirle una parola.

 

Naturalmente sapeva che non sarebbe finita lì.

 

 

Stava finendo il secondo atto del dramma. Tutto si stava compiendo.

Nora, ricattata da Krogstad, l’uomo che le aveva prestato il denaro per salvare il marito, si sentiva perduta. Il procuratore sarebbe stato licenziato come era nelle intenzioni di Torvald, pronto a cedere il posto alla signora Linde, vedova e vecchia amica della moglie, e la firma falsa su quell’ obbligazione li avrebbe gettati nella disgrazia e nella vergogna. Nora attendeva un miracolo che non sarebbe avvenuto. Il pesante sipario si abbassava su Maya che rispondeva al vezzeggiativo gioioso del marito, volando letteralmente tra le sue braccia, nascondendo la disperazione di chi aspetta la catastrofe.

 

 

§§§§

 

 

 

Masumi durante la pausa, era uscito dalla sala per fumarsi una sigaretta.

Stava immaginando Maya in camerino, davanti al suo mazzo di fiori; un mare di iris bianchi che circondavano, come a volerla proteggere, una rosa purpurea. Il primo a distanza di tre anni. Immaginava il suo sincero stupore mentre leggeva il biglietto, scorreva le righe, riconosceva la calligrafia.

 

È sempre meraviglioso per me vederti su quel palco.

La parte di Nora è perfetta per te:

sei stata capace di tirare fuori tutta la sua gioiosa esuberanza,

che vela appena l’inquietudine del personaggio.

Nel finale la tua Nora è grandiosa; mi lascia inchiodato alla poltrona per l’emozione dolorosa, che sento come se fosse mia.

Ricordati la mia promessa. Non ti permetterò più di respingere le mie rose.

Ti sarò sempre accanto.

 

Ps. L’invito della prima è sempre valido.

 

Il tuo fervente ammiratore…

Masumi Hayami

 

 

Aveva sorriso mentre scriveva il suo nome per esteso sul cartoncino. Negli anni, quanto aveva desiderato poterlo fare. Era stato bello e liberatorio scrivere quel biglietto. Era bello non doversi più nascondere dietro l’ombra dell’ammiratore, mentire e fingere, almeno con lei. Ma per le sue vicende personali, il mondo non poteva ancora sapere.

Esporsi ora con Maya, voleva dire danneggiarne la reputazione, nel momento di massimo fulgore. Non voleva che si sporcasse con le sue miserie personali, con i suoi fallimenti.

La separazione non era ancora del tutto ufficiale, anche se nell’ambiente giravano delle voci. La notizia del trasferimento del presidente Hayami presso un albergo di Tokio, era trapelata con discrezione; si ipotizzavano tensioni nel rapporto tra coniugi, ma nessuno parlava di relazioni extraconiugali e Hayami appariva in pubblico sempre solo.

Le carte del divorzio non erano state ancora firmate.

Ma si trattava solo di saper calcolare il momento giusto, per cogliere la moglie in difetto e obbligarla a cedere. Era solo questione di tempo.

Il vecchio Hayami, malato e sempre più debole, era rimasto sorpreso e preoccupato dalla decisione del figlio. Eisuke era arrivato al capolinea della sua vita; dopo la messa in scena della Dea Scarlatta, suo unico obbiettivo per anni, aveva perso quasi ogni altro interesse agli affari della Daito, delegando ogni decisione al figlio. Si limitava a qualche raro intervento o suggerimento, quasi fosse stato un semplice consulente, fatto che aveva sorpreso non poco perfino Masumi.

“Non capisco questo colpo di testa, Masumi. Sembrava che il vostro fosse un matrimonio felice. Invidiati da tutti, eravate una coppia perfetta.”

“Hai detto bene, padre. Sembrava.”

“C’è qualcosa che non so? C’è un’altra donna? Magari quell’attrice cui regalavi rose tempo fa…”

“Saranno almeno tre anni che non regalo fiori a nessuna attrice della Daito…”

A parte nell’ultima settimana, pensò, tornando al ricordo ancora fresco di quella sera con Maya.

“Allora, un’ imprevista avventura di una notte? Escludo possa essere lei ad aver tradito, anche se una cosa simile da parte di un tipo con pochi slanci come te, è sorprendente.”

Masumi non si preoccupò di negare. Ormai non gli interessavano più le possibili reazioni di suo padre, che mai aveva sospettato quali fossero i sentimenti che lo legavano a Maya: si era liberato dal suo giogo da un pezzo.

“Sì, c’è un’ altra donna di cui sono innamorato. Ti sembra impossibile? Ma non voglio parlarne con te.” Disse aspirando una boccata di fumo.

“Amore e affari non vanno assieme. Te ne verrà un danno. Fatti tutte le amanti che vuoi, ma fallo con discrezione. Non ti ho proprio insegnato niente?”

Sospirò il vecchio un po’ amaramente, con un tono stanco nella voce.

“Al contrario: mi hai insegnato anche troppo. Ma in fatto di sentimenti sei l’ultima persona che può darmi dei consigli. D’ ora in poi farò a modo mio.”

“Per quanto puoi, evita di pagare un prezzo troppo alto.”

“Arrivi tardi: l’ho pagato tre anni fa, quando ho accettato di sposarmi per interesse.”

 

La moglie aveva tentato un riavvicinamento, prima con le buone, poi aveva provato con gli isterismi e le minacce. Aveva sortito l’effetto di irritarlo solamente di più.

Anche la famiglia Takamiya non l’aveva presa bene e aveva tentato di esercitare pressioni su di lui, ma Masumi non aveva ceduto di un solo millimetro. Si era cautelato, recuperando qualche informazione scomoda su alcune speculazioni poco limpide, tramite l’aiuto del suo fidato collaboratore Karato Hijiri. Non voleva usarle, ma solo tenerle come arma di riserva, se fosse stato necessario allo scopo di liberarsi della moglie.

Sorrise un po’ cinico al pensiero: la sua ragazzina avrebbe trovato quel giochetto meschino, ma Masumi Hayami era anche quello, un uomo pronto a tutto per ottenere risultati positivi.

Stava per finire la sigaretta e a breve sarebbe ripreso lo spettacolo con l’ultimo atto.

Proprio in quel momento, un uomo, dirigente di una nota casa di produzione artistica, concorrente della Daito, si avvicinò a lui.

“Buonasera Hayami-san. Debbo congratularmi con lei per il successo di Casa di Bambola. Era una scommessa azzardata, su un testo occidentale con una tematica così delicata, ma l’avete vinta. Alla prima è venuto giù il teatro, e fate il tutto esaurito a ogni replica.”

“Grazie. In effetti sono molto soddisfatto: è stato un affare decisamente proficuo mettere in scena questo dramma.”

“Beh, Maya Kitajima, l’interprete de La Dea Scarlatta,  dava ottime garanzie, ammettiamolo. Chiunque avrebbe fatto carte false per averla… Lei è un uomo che sa quali rischi vale la pena di correre, vero Hayami-san?”

Masumi fissò apertamente il suo interlocutore, e sollevò un sopracciglio cogliendo il tono allusivo dell’uomo. Il sospetto che ci fosse nella frase qualche altro riferimento venne confermato immediatamente dopo.

“Deve piacerle molto questo spettacolo: mi dicono che lo ha visto più di una volta, una cosa che lei fa assai di rado. Deve sentirsi particolarmente coinvolto dalla storia… oppure ha qualche altro interesse…  più personale…”

Masumi sorrise lievemente, camuffando con abilità un moto di nervosismo.

“Se si riferisce alla situazione con mia moglie, è una pura coincidenza.”

“Mi riferisco all’attrice. Si dice che assiste a tutti i suoi spettacoli. Fin dal suo debutto, non ne ha mai perso uno. Sembra più di un interesse legato al solo talento…”

“Sono un produttore teatrale; è normale che io mi interessi ad un’attrice di rilievo come la signorina Kitajima. Mi scusi ora, ma torno al mio posto: sta per iniziare il terzo atto e non voglio perdere neppure una battuta. È stato un piacere parlare con lei.”

“Avrei un progetto da sottoporle…quando potremmo parlarne?”

“Prenda un appuntamento con la mia segretaria… però temo che per le prossime settimane, la mia agenda sia piena…”

Sì voltò e rientrò in platea, lasciando l’altro a se stesso.

 

Era di nuovo seduto al suo posto.

Pochi attimi dopo si abbassarono le luci e il sipario si sollevò.

Gli attori erano già in scena.

 

 

Il terzo atto si apriva con una rivelazione: il procuratore Krogstand e la signora Linde avevano un passato condiviso, una vecchia storia d’amore finita male. Erano due naufraghi che cercavano di aggrapparsi allo stesso relitto, il posto di lavoro alla banca offerto dal signor Torvald Helmer.

Per quello Nora aveva subito il ricatto, ma ora c’era anche una lettera rivelatrice di tutto che pendeva sul suo capo e sul suo futuro accanto al marito.

Una lettera che attendeva solo di essere letta da Helmer e che avrebbe rappresentato uno dei momenti clou dello spettacolo.

Masumi osservò Maya entrare in scena con una costume tipico napoletano per ballare la tarantella e uno scialle sulle spalle. Le sue movenze erano frementi, ansiose, qualche volta restie, e i suoi occhi scuri tradivano aspettativa. Il suo partner la seguiva eccitato e euforico, e attraverso le battute, esprimeva il desiderio di essere solo in compagnia della moglie, di giocare con lei.

 

-         Non guardarmi così, Torvald!

-         Non devo guardare il mio tesoro più prezioso? Tutta questa bellezza che è solo mia? Completamente mia?

-         Non devi parlarmi così questa notte.

-         Nora, tu hai ancora nel sangue la tarantella, lo vedo. E questo ti rende ancora più seducente.

 

Ma Maya non aveva ballato affatto. E allora come faceva ad avere quell’espressione carica di dolce sensualità e malizia, unita a uno strano sottile pudore? Masumi ne era assolutamente rapito, soggiogato. E odiava l’attore che la toccava, poteva abbracciarla, stringerla senza riserve.

 

-         Nora lo sai perché nelle feste come stasera ti parlo poco, me ne sto lontano, ti guardo appena? Perché fantastico. Tu diventi nella mia immaginazione, il mia amante segreta, la mia fidanzata misteriosa, e che nessuno supponga che tra noi due ci sia qualcosa.

-         Già, i tuoi pensieri sono sempre rivolti a me, lo so.

-         (…) Per tutta la serata non ho desiderato altro che te! Vedendoti folleggiare, provocante e adescatrice nella tua tarantella, mi sentivo ribollire il sangue; allora non ho più resistito... è per questo che ti ho trascinata via, prima che la festa finisse.

-         Ma adesso lasciami, ti prego. Non voglio.

 

Masumi si trovò a pensare che per lui fosse lo stesso. Anche lui non ne poteva più. L’aveva avuta una sola volta, ma la voleva ancora, e ancora. Voleva poter gridare al mondo quanto l’amava, quanto si sentisse felice e completo, solo con lei.

E Maya si negava, spietata.

Aveva sperato che una volta almeno lo raggiungesse in albergo, ma invano.

Maya non era mai venuta a cercarlo.

Cocciuta, determinata ragazzina.

Eppure lo sapeva che si stava separando.

 

A ogni replica, dopo lo spettacolo si sforzava di non raggiungerla in camerino, come avrebbe voluto, ma quella sera non era sicuro di riuscirci.

Tre mesi.

Erano davvero troppi da sopportare, un tempo talmente lungo che lo aveva messo a dura prova.

Voleva poterla almeno sfiorare, le guance, il collo, stringerle le mani fra le sue. Rubarle un bacio. Ma sarebbe riuscito a fermarsi, prima di rovesciarla lì, su uno scomodo divanetto e farla sua, di nuovo?

Temeva di non avere tanta forza.

La sognava sul palco.

La vedeva danzare per lui, una tarantella forsennata, seducente.

La sognava nel suo letto, tra le sue braccia arrendevole e calda.

Accesa dalla stessa passione che bruciava lui, che lo torturava dolcemente.

E certe mattine si svegliava con il respiro corto, il cuore che scoppiava nel petto, sconvolto dalla sua assenza e deluso di trovarsi in un letto troppo grande, tra lenzuola troppo fredde.

Era pazzo.

Era decisamente pazzo di lei.

 

Ispirati dai suoi occhi fissi sulla figura esile e magnetica di Maya, i suoi pensieri correvano come furie impazzite nella sua mente; intanto la scena sul palco giungeva al suo culmine più drammatico.

Torvald aveva letto la lettera e adesso gridava e chiamava la moglie, sconvolto e furioso.

L’atmosfera era cambiata repentina, e dove prima c’era una sorta di complicità, eccitazione velata dall’ansia, ora restava tensione e rabbia.

Il marito ferito nell’orgoglio accusava la moglie gettandola in un baratro di bassezze, giudicandola alla stregua di una orribile criminale e Nora, inizialmente restava muta e sgomenta, di fronte alle accuse gelide del marito, che meditava cosa fare, come reagire allo scandalo.

La loro vita doveva restare immutata, apparentemente sempre uguale agli occhi della gente, mentre le negava anche l’educazione dei loro figli, preoccupato solo di salvare i resti, le apparenze.

 

Come gli pareva famigliare quella situazione, come qualcosa di già vissuto. E non era perché aveva già visto la rappresentazione svariate volte. Era un’esperienza dei sensi e del cuore, un sentimento di amarezza che gli era passato sulla pelle, come un tocco gelido e pesante.

 

Ma la scena stava cambiando di nuovo.

 

Una domestica portava una nuova lettera per Nora, subito intercettata dal marito. E l’atmosfera si trasformava ancora. Era la salvezza. Il pentimento ormai tardivo di Krogstand che rinunciava al ricatto e cedeva l’obbligazione. L’avvocato Helmer a quel punto chiamava la moglie, esultando di gioia.

 

Masumi osservava l’espressione interrogativa di Maya, che faceva quasi tenerezza, mentre guardava il suo partner di scena, senza capire cosa stesse accadendo. Sono salvo… Siamo salvi tutti e due, gridava il marito con entusiasmo, e bruciava lettera e obbligazione.

E tutto pareva finito.

 

-         (…) Andiamo, non fare quel viso. Credi che non ti abbia perdonato? Ma sì che ho perdonato, te lo giuro. Lo so che quello che hai fatto, lo hai fatto per amor mio.

-         È vero.

-         (…) Dimentica le brutte parole che ti ho dette nel primo momento di esasperazione, quando credevo che tutto crollasse attorno a me. Ti ho perdonato, Nora, giuro che ti ho perdonato.

-         Ti ringrazio per il tuo perdono.

 

 

Masumi osservò l’espressione di Maya indurirsi, diventare impassibile.

Il cambiamento di Nora, la sua presa di coscienza era in atto.

Il personaggio usciva di scena per togliere la maschera della bambola/buffona che tanto piaceva al marito, e rientrare con un abito diverso, pronta a lasciare quella casa.

Eccola la scena culmine del dramma.

Masumi avvertì il cuore tremare.

Sapeva già cosa doveva accadere, ma tutte le volte era la stessa emozione, lo stesso spasimo violento che lo catturava; la voce argentina di quella ragazzina improvvisamente cambiava tono e registro, diventando profonda, calma e quasi solenne. Ed era assolutamente femminile.

Quella metamorfosi lo sconvolgeva ogni volta, in un modo che non sapeva spiegare.

Era così e basta, e non poteva farci nulla.

 

-         Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo parlare.

-         Nora, ma che cosa vuoi dire? Quel viso così duro…

-         Siedi. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.

-         Mi fai paura Nora, non ti capisco.

-         Dici bene: non mi comprendi. E anch’io non ti ho mai compreso… Fino a stasera. No, non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… siamo arrivati alla resa dei conti.

 

Eccola: la sensazione improvvisa di già vissuto, lo assalì di nuovo.

 

 

Continua…

 

 

 

 


 

Eccomi qui, contro ogni mia aspettativa.

Il primo capitolo era nato come one-shot, e in effetti è una storia che per me vive tuttora di vita propria.

Era molto indecisa se pubblicare a parte, ma visto che le storie sono collegate, - e questo è a tutti gli effetti una continuazione - ho proseguito qui.

Pensando a un continuo, ho subito colto un parallelismo forse azzardato, spero non troppo, con “Casa di bambola”, dramma di Ibsen che mi pareva calzante alla situazione descritta in precedenza, soprattutto per Masumi, che non è Nora, certamente, ma vive un’ esperienza analoga.

Inoltre, mi pareva che il personaggio di Nora, fosse perfetto e interessante per la nostra talentuosa attrice. Mi piaceva l’idea che lei potesse portarla sul palco, e dopo la Dea Scarlatta, tutto dovrebbe essere fattibile per lei.

Avrei voluto proseguire con la fine dell’ ultimo atto, ma diventava davvero troppo lungo, e ho temuto di annoiarvi. Così penso che tutto si concluderà con il prossimo capitolo, anche perché non era prevista una storia troppo lunga.

Ringrazio tutte le mie lettrici e quelle che hanno commentato in precedenza.

I vostri pareri saranno sempre bene accetti. Un saluto

Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]  Tutta questa parte in neretto, come le altre che troverete andando avanti nel capitolo, sono parti originali del testo di ‘Casa di Bambola.’ Ho inserito quelle che mi sembravano più significative alla situazione vissuta dai nostri eroi.

[2] Questo avviene nel terzo e ultimo atto del dramma, ma  io lo colloco qui per collegarlo a ciò che viene subito dopo tra Masumi e la moglie (Shori che io non nomino mai nella ff, ma è lei).

[3] Stessa frase che dirà la protagonista di ‘Casa di Bambola’, al marito, nel momento in cui decide di lasciarlo.

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Capitolo 3
*** Ultimo atto ***


uktimo atto

3 – Ultimo atto: resa dei conti

 

 

 

-         Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo parlare.

-         Nora, ma che cosa vuoi dire? Quel viso così duro…

-         Siedi. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.

-         Mi fai paura Nora, non ti capisco.

-          Dici bene: non mi comprendi. E anch’io non ti ho mai compreso… Fino a stasera. No, non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… siamo arrivati alla resa dei conti.

 

Tratto da “Casa di Bambola” di Henrik Hibsen (terzo atto) [1]

 

 

 

********

 

 

Eccoli lì, marito e moglie che si fronteggiavano sul serio per la prima volta, come pretendeva Nora, come mai avevano fatto in quei lunghi otto anni di matrimonio.

Otto anni di attesa per Nora.

 

Otto anni e più di attesa per loro.

 

Masumi osservava la scena con stupore doloroso, misto a meraviglia, con la precisa, impietosa sensazione di guardare l’ultimo pezzo della sua vita. Erano stranissimi i sentimenti che provava, ed era quella ragazzina, ormai diventata donna, consapevole di sé stessa, proprio come Nora, che li suscitava.

Di nuovo, come sempre era stato, lei aveva il potere di scuotere la sua anima, di toccarla intimamente. Nessun altro al mondo aveva quel potere. Nessun altro l’avrebbe mai avuto. Solo lei.

Unica, grande, piccola donna.

Ed era qualcosa di immenso, di troppo grande, a cui gli era impossibile sottrarsi.

Erano sentimenti in conflitto, dolci e sublimi, penosi come il rimorso o il rimpianto delle stagioni perdute, eppure irrinunciabili, confusi dentro il suo spirito di bambino ferito, un groviglio inestricabile senza inizio né fine, di tutto quello che aveva provato, e provava per lei.

 

Reciterò solo per te, sul palco sarò solo tua, gli aveva detto, ed era vero.

Quella scena, quelle parole struggenti, perfino dure erano per lui.

 

Riguardavano lui.

E loro.

 

Le sentiva echeggiare nel suo animo, talmente potenti e profonde da riportare a galla il vecchio relitto di tutti i suoi errori, le sue paure, le sue indecisioni, fatte scontare anche a lei. Aveva solo un vago sentore di quanto potesse averla ferita, ed era la pena più grande che segnava il suo cuore.

 

Le luci dei fari erano fisse sui due attori sul palco.

Masumi fissava Maya seduta con serietà di fronte al marito.

Com’era forte, diversa dalla Nora iniziale, matura e quasi triste, in realtà severa e impietosa verso sé stessa e verso di lui. Diventava grande e il suo partner rimpiccioliva. Masumi volse appena lo sguardo attorno a sé e si rese conto dell’attenzione che il pubblico aveva puntato su di lei: li aveva catturati, come al solito.

Era qualcosa che trovava sempre straordinario quel silenzio immenso fatto di respiri trattenuti.

Torvald ascoltava esterrefatto e scandalizzato le esternazioni di Nora, senza comprendere il suo disagio, il moto del cuore che la spingeva in quell’estrema, dolorosa imprevista direzione.

Masumi guardava la scena, il confronto teso tra i due attori, e gli pareva di vedersi di nuovo di fronte alla moglie, la sera in cui l’aveva abbandonata. E allora, per un’ assurda ambivalenza si sentiva un po’ come Nora, e in rapporto a Maya, un po’ come quel marito affascinato da una bambola, protettivo e troppo pronto a scegliere per lei.

 

-         (…) Voglio dire che dalle mani di mio padre, sono passata alle tue. Tu hai sistemato tutto secondo i tuoi gusti, e io li condividevo, o facevo finta di accettarli. Entrambe le cose, non so bene (…) Scopo della mia vita, era fare la buffona per te! Tu e papà avete molti torti con me. È colpa vostra se sono diventata quella che sono, un nulla.

-         (…) Devo essere sola per capire me stessa; per conoscermi e conoscere chi mi sta attorno. Non posso dunque restare con te.

 

 

Non posso essere la tua amante, è un ruolo che non saprei sostenere… Rammentò improvvise le sue parole, e le comprese davvero solo in quel momento. Maya non poteva essere altro da sé stessa, poteva solo seguire la sua natura, lo spirito battagliero e intransigente che l’aveva sempre guidata.

Ecco perché non aveva più accettato di incontrarlo, nonostante le sue insistenze, nonostante quella notte meravigliosa avesse ammesso di amarlo. Ecco perché tre anni prima, dopo il matrimonio, aveva respinto per sempre le rose dell’ammiratore segreto.

Lei non voleva essere il suo giocattolo,  un’ evasione momentanea dalla realtà.

Maya pretendeva di esserne parte, e di essere importante per questo.

È lei lo era.

Ora lo capiva, quanto lo fosse.

Quanto lo era sempre stata.

Quanto fosse intimamente legata a lui, al suo destino.

Ora doveva davvero distruggere tutto, per riaverla al suo fianco.

Fu sicuro che non avrebbe accettato nulla di meno.

 

-         Hai perduto la testa. Non andartene. Te lo proibisco!

-         Ormai non puoi impedirmi niente, non serve a nulla che tu lo faccia. Porto con me la mia roba. Da te non voglio, né vorrò mai nulla. (…)

-         Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Non pensi a quello che dirà la gente?

-         Questo non basta a trattenermi dal farlo. So soltanto che non c’è altra soluzione per me.

-         È abominevole!  Così sei pronta a tradire i tuoi doveri più sacri?

-         Che intendi per sacri doveri?

-         E debbo dirtelo io?  Quelli che hai verso tuo marito e i tuoi bambini.

-         Ne ho altri non meno sacri.

-         Non è vero. Di quali doveri parli?

-         Dei doveri verso me stessa. (…) Credo di essere innanzitutto un essere umano, come lo sei tu… o che almeno devo sforzarmi di diventarlo. (…) Ho bisogno di idee mie e di provare a vederci chiaro.

 

 

 

La voce di Maya vibrava dentro di lui con intensità struggente, un’ eco potente che si faceva strada nel suo spirito, lo invadeva col suo calore e curava le sue piaghe.

Masumi si sentì commuovere.

Quanto erano vere quelle parole. Quanta forza c’era in esse. Una forza dirompente.

Scesero nel profondo del suo essere come un raggio di luce dorata che vinceva le tenebre. Le sentiva sue, perché come Nora, pure lui aveva sacri doveri verso sè stesso: il dovere di essere felice che si era sempre negato, convinto di non averne diritto né facoltà, l’ obbligo di inseguire gli slanci della sua anima che anelava a qualcosa di più di un’ esistenza vuota, traballante e anaffettiva.

E gli slanci della sua anima erano braccia protese sull’ attrice che splendeva su quel palco.

Maya era il suo raggio di luce.

Era il suo sacro dovere, la sua gioia più limpida e autentica.

 

-         Sei ammalata, Nora; hai la febbre. Stai delirando.

-         Non sono mai stata più lucida di questa notte. (…)

-         Non c’è che una spiegazione possibile: non mi ami più.

-         È vero. È così. (…) Te lo dico con immenso dolore, perché sei sempre stato tanto buono con me. Ma non so che farci: non ti amo più. (…)

 

Non ti ho mai amato, aveva detto alla moglie. Una verità semplice e assoluta, ammessa troppo tardi.

Lui non aveva mai amato prima di Maya, e non aveva amato nessuno, né sé stesso, dopo averla lasciata andare. Prima di incontrare lei, i suoi sentimenti e le emozioni erano sepolti in una tomba sigillata, fredda e inaccessibile. Poi, lei, una ragazzina minuta come un filo d’erba, era arrivata come una folata di vento impetuoso che si solleva dal mare, e aveva divelto sigilli e catene.

Per lui non c’era più stato scampo.

 

-         Vuoi dirmi in che modo hai perduto il tuo amore?

-         Sì, posso farlo benissimo. È stato stasera quando la cosa meravigliosa che aspettavo non è accaduta. Mi sono resa conto, allora, che non eri l’ uomo che credevo. (…) Sono otto anni che aspettavo pazientemente. Dio mio, capivo bene che le cose meravigliose non avvengono ogni giorno. Ma quando la rovina precipitò su di me, fui assolutamente certa che la cosa meravigliosa sarebbe accaduta. Mentre la lettera di Krogstad aspettava lì fuori, non mi passò mai per la mente che ti saresti piegato alle condizioni di quell'uomo. Ero così assolutamente certa che gli avresti detto: “Faccia pure conoscere la cosa a tutto il mondo…” e quando lo avesse fatto (…) non dubitavo, ti saresti assunto le tue responsabilità dichiarando: il colpevole sono io!

 

 

E Nora sarebbe stata pronta a impedirlo, a dare la vita per salvare il marito. Ma la colpa di Torvald era stata quella di preoccuparsi solo di sé stesso e del suo onore, non dell’angoscia della moglie. Salvo quello, libero dall’infamia, aveva dimenticato tutto. E Nora era tornata ad essere la sua allodola, la sua bambola da portare in braccio. Ho capito in quell’attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo, aveva detto una fredda Nora ad un uomo sempre più sconvolto.

E di nuovo, Masumi tornò a ripensare a quell’ ultimo straniante colloquio avuto con la moglie, anche lei un’estranea, una sconosciuta con cui aveva dovuto dividere il letto, l’intimità di una casa, luogo sacro che dovrebbe custodire l’amore di due anime.

In quella casa non c’era stata altro che menzogna, soprattutto da parte di lui, il più consapevole, dunque il più colpevole. Ma come aveva fatto? Come si era costretto in quella situazione? Come aveva ceduto a quel penoso compromesso che aveva rischiato di uccidere il suo cuore per sempre?

Mentre si interrogava su questo, ebbe la netta sensazione che i pensieri di Maya, in modo misterioso e magico potessero raggiungerlo, come se le loro anime stessero parlando in quel preciso momento. Era qualcosa di simile a ciò che era accaduto anni prima nella valle dei susini, solo più sottile, come se una carezza lieve, quasi un brivido gli sfiorasse la fronte.

 

 

Guarda quello che mi hai fatto, sei stato ingiusto e crudele con me. Ti dovevo tutto e il mio piccolo cuore si è riempito di tutto l’amore che poteva contenere, da non avere più spazio per altro. Anch’io aspettavo un miracolo, qualcosa di meraviglioso, da te. Aspettavo che il mio misterioso donatore di rose purpuree avesse il coraggio di rivelarsi, accogliesse la mia richiesta di incontrarlo almeno una volta, dopo tutti quegli anni passati all’ombra dell’ odioso Masumi Hayami, l’uomo senza scrupoli pronto a ferirmi, solo per spronarmi a camminare nel mondo dell’arcobaleno. Ma per quanto avrei potuto farlo? Il mio cuore, la mia anima reclamava una vita fatta di passioni reali. Katherine, Jane, Hellen, Midori e le altre, potevano vivere solo nel breve ed effimero spazio di un momento. Le luci sul palco prima o poi si spengono e si deve tornare al mondo reale. Ma tu che cosa volevi? Inchiodarmi in quel mondo, come una farfalla dentro una cornice, per tenermi in un limbo perfetto, dove nessuno, a parte te, si sarebbe mai intromesso? Non potevo restare la tua ragazzina in eterno.

 

 

L’ultimo atto stava finendo. Maya indossava il mantello, un cappello e deponeva una piccola valigia su una sedia, decisa a lasciare quella casa, il marito e i suoi figli. Il sipario stava per calare sulla figura solitaria del marito, che accanto alla porta, prostrato, sperava potesse compiersi un miracolo.

 

Nora disillusa, non credeva più ai miracoli.

 

Masumi invece doveva continuare a crederci. Doveva sperare. Per non morire.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

Lasciò la platea con il suo impermeabile sul braccio. Nel foyer del teatro strinse qualche mano, velocemente. Si defilò in un angolo, fumandosi una sigaretta nell’attesa, forse per camuffare il lieve nervosismo che lo colse, lasciando che la gente defluisse attraverso le uscite.

Avrebbe dovuto andarsene con gli altri, ma non trovava la forza, né la volontà.

Sentiva il bisogno di vederla, parlare con lei, anche per poco.

Sapeva che gli attori erano tutti sul retro del teatro, dove c’erano gli spogliatoi e il reparto costumi di scena. Senza farsi notare, percorse il corridoio appena illuminato da qualche luce al neon, in direzione dei camerini di prova. Conosceva bene la planimetria dell’edificio, visto che era uno di quelli della Daito. Notò qualche inserviente che correva trafelato da una parte all’altra, a sistemare attrezzi di scena, o a spegnere qualche luce. Non parvero fare caso a lui, e la cosa lo rilassò un poco.

Incrociò uno degli attori, quello che aveva impersonato il dottor Renk, mentre si allontanava, e scambiò con lui un vago cenno di saluto. Proseguì fino a raggiungere il suo camerino, uno degli ultimi in fondo al corridoio, quello destinato alla prima attrice.

Un’altra porta chiusa lo separava da lei.

Anche quella gli sembrava una situazione già vissuta.

Tutto, anche la cosa più banale, lo riportava a quella sera. Ma non osava sperare nello stesso epilogo.

Bussò leggero sul legno e all’inizio, non udì alcun suono. Che fosse già andata via? Non era possibile. Lo spettacolo era finito da poco, e sapeva che aveva bisogno di tempo per tornare a essere Maya e lasciare andare il personaggio. Bussò ancora con maggior insistenza, e finalmente colse l’invito di lei ad entrare. La sua voce gli parve allegra, quasi spensierata. Sicuramente non lo stava aspettando.

Entrò e subito fu catturato da un profumo intenso; la vide, seduta di schiena, presso lo specchio. Gli sembrò irrigidirsi impercettibilmente nelle spalle, quando colse il suo sguardo attraverso il riflesso. Non aveva più addosso gli abiti di scena, ma una vestaglia le copriva le forme snelle del corpo. L’acconciatura e il trucco erano ancora quelli di Nora. Si guardò attorno: c’erano diversi mazzi di fiori, rose di vari colori, rosse e bianche, gladioli, gigli, gerbere. Notò anche i suoi iris bianchi deposti accanto a lei in un vaso. La rosa purpurea era scomparsa.

La cosa lo turbò oltremodo, senza spiegarsene la ragione.

Nessuno pareva voler rompere il silenzio, almeno finché lei non si alzò dalla sedia per affrontarlo. Si sentì scrutato dal suo sguardo stranamente composto, poi la vide piegarsi in un lieve inchino.

“Buonasera Hayami- san. Sono lieta di vederla, le è piaciuto lo spettacolo?”

Sgranò gli occhi verdi, incapace di nascondere la sorpresa suscitata da quell’ accoglienza. [2] Si riebbe quasi subito, affrontandola con un’ espressione bonaria, forse lievemente canzonatoria.

“Non ti pare un po’ fuori luogo, tutta questa formalità tra noi, dopo quello che è successo, Maya?”

La vide arrossire violentemente.

“Ecco, io…”

“Ho bisogno di stare con te, da solo. Non posso accontentarmi di questi fugaci incontri. Se davvero senti quello che sento io, lo devi capire. Hai letto il mio biglietto?”

“Sì, certo che l’ ho letto! Ti ringrazio per i fiori. Sono stupendi, non me li aspettavo.”

Masumi accorciò la breve distanza che li separava, per serrarla tra le sue braccia. Sentiva le sue forme morbide, sotto la stoffa leggera della vestaglia e lasciò vagare le mani sul tessuto ad accarezzarle la schiena. Trattenne il respiro quando avvertì le sue piccole braccia circondarlo stretto, le mani afferrare i lembi della sua giacca elegante. Maya aveva posato la guancia contro il suo petto e chiuso gli occhi, preda anche lei della stessa emozione che attraversava lui.

“Volevo sorprenderti, - le disse sussurrando le parole fra i suoi capelli, – temevo che avresti respinto un mazzo di rose purpuree, e ho scelto gli iris.”

“Mi hai sorpreso in effetti, Masumi.”

Confessò, sollevando il volto per incontrare i suoi occhi, invece incontrò le sue labbra affamate d’amore che venivano a cercare la sua bocca, e poi il suo collo delicato, e sarebbero scese ancora più in basso se lei non lo avesse fermato, mentre le sue grandi mani già cercavano un varco sotto la vestaglia.

Le era fin troppo palese il suo desiderio, e non era certa di potergli nascondere il proprio. Ma non voleva consumare il loro amore nel camerino di un teatro, come due clandestini. Voleva poterlo vivere alla luce del sole, pienamente. Voleva camminare per strada, abbracciata a lui, come se fosse stata davvero la sua compagna. Non voleva essere quella che porta via un uomo ad un’altra donna.

E forse, pensò tristemente, lo era già.

Gli oppose le mani sul petto, per allontanarlo con la sensazione che qualcosa in lei, fosse sul punto di rompersi. Masumi emise un sospiro rassegnato e deluso, e controvoglia la lasciò andare. Quando le parlò non riuscì a farlo, senza esprimere quanto fosse esasperato e frustrato.

“Quanto dobbiamo andare avanti così, Maya? Io ti amo, voglio stare con te. Mi manchi in modo terribile. Ho bisogno di averti nella mia vita. Non mi interessa nient’altro. Anche il lavoro mi è diventato insopportabile. Spero ogni momento che tu venga a cercarmi, e non lo fai mai. Se quella notte per te ha rappresentato qualcosa, perché continui a sfuggirmi? Scusa, ma qualche volta mi chiedo se mi ami davvero.”

Fu lei a ribellarsi, con un impeto tale che lo fece vergognare. La vide serrare i pugni, preda di un tremito violento, che lui conosceva bene, perché ricordava tutte le volte in cui in passato, l’aveva provocata, portandola a quel limite.

Lo sfidò, piena di orgoglio, in un modo che non le aveva mai visto fare.

“Ma che cosa credi? È solo per amore, se tre anni fa ho respinto le tue rose, per lasciarti libero e tentare di andare avanti! Per amor tuo ho soffocato i miei sentimenti, sperando che tu fossi felice con tua moglie. Credi che non sia amore questo? La capacità di rinunciare a qualcuno, lo sai quanto costa? Immagini lo strazio che ho provato io in questi anni, sapendoti di un’ altra? Quella notte per me ha rappresentato tutto! Tutte le mie speranze! Ero pronta a farmela bastare per una vita intera, il ricordo di te più prezioso. Quella notte di ho dato tutta me stessa, soltanto per questo feroce sentimento che sento per te. Se non fosse stato così, ti avrei sbattuto la porta in faccia, signor Masumi Hayami!”

Urlò sputando fuori le ultime parole.

Il cuore di Masumi ebbe uno spasimo doloroso, quando la vide cadere a terra sulle ginocchia, picchiare i palmi aperti sul pavimento e piangere furiosamente. Il corpo di Maya era squassato dai singhiozzi, strazianti e irrefrenabili, e non ricordò di aver mai provato una sofferenza più grande.

Come poteva amarla tanto, e farla soffrire così?

Una grande amarezza lo invase, insieme al desiderio repentino di abbracciarla e chiederle disperatamente perdono.

Tese le braccia verso di lei, la scosse, le accarezzò il volto, i capelli, poi l’abbracciò ancora più forte di quanto avesse mai fatto, accasciandosi sul pavimento accanto a lei.

“Scusami Maya! Scusami, ti prego! Sono uno stupido. Faccio ancora fatica a capirti, mi sorprendi ogni volta. Devo imparare, se voglio stare con te. Perché io voglio stare con te, solo con te… dico e faccio cose stupide, solo perché a volte mi sento disperato. Ma ti amo con tutto il mio cuore… e sono sicuro che anche tu mi ami. Lo so, da quella sera. Perdonami… perdonami amore mio, per tutto il male che ti ho fatto, e per quello che forse ancora ti farò…”

La baciò sulla fronte, sugli occhi chiusi, cercando di asciugare le sue lacrime.

“Oh Masumi! Ti amo anch’io, come non puoi immaginare. Non credere mai il contrario, ti prego.”

La cullò dolcemente come se fosse ancora una bambina, prima di riprendere a parlare con tono più pacato.

“Perché non vieni a Izu? Lì saremmo solo noi, e basta. Potresti venire alla fine della turnè di Casa di Bambola, all’inizio della prossima estate. Ti prego, è inutile stare lontani, e io mi sto separando… è solo questione di tempo…”

“Se ci vedessero insieme, penserebbero che hai lasciato tua moglie per me… o peggio…”

“Non sarebbe che la verità. Ti preoccupa tanto? Non dirmi che temi per la tua immagine di fanciulla seria, senza grilli per la testa…” Le sussurrò lui, vagamente divertito.

“Io sono una brava ragazza; sono stata una rovina spettacoli… non voglio diventare una rovina matrimoni…” mugugnò lei, appoggiata con la guancia alla sua camicia, asciugandosi con due dita una lacrima furtiva. Lui rise, di gusto.

“Lo so, mia dolce, ingenua ragazzina…- le posò un bacio leggero sulle labbra. – Lo so. Ma tu non hai rovinato niente. Sono io che ho complicato ogni cosa…”

“Se tua moglie sapesse di me, per ripicca potrebbe trascinare questa storia chissà per quanto… potrebbe ostacolarti.”

Maya aveva parlato con tono serio. Masumi sorpreso, le sollevò il mento per osservare i suoi occhi. Erano spalancati, tremanti di apprensione.

“È questo che ti fa paura? - Quando lei abbassò lo sguardo, Masumi la obbligò di nuovo a fissarlo negli occhi. - Maya, ascoltami bene, perché sto per farti una promessa solenne: quando tu verrai a Izu, ti giuro che per allora, io sarò un uomo libero. Devi credermi, Maya. Nessuno ci impedirà di stare insieme. Ti fidi di me?”

Lei si perse nel suo sguardo ombroso, ma vagamente malinconico. Avrebbe tanto voluto poter sollevare quel velo di tristezza che lo adombrava, eppure non poteva farlo. Non ancora.

Erano seduti, abbracciati sul pavimento, come quella notte al tempio nella valle dei susini. Prima di rispondergli, si aggrappò con più forza alla sua schiena.

“Sì, mi fido Masumi! E verrò a Izu… solo se tu smetti di chiamarmi ragazzina!  Magari non lo ricordi, ma ho ventitre anni suonati!”

Protestò, fingendo di essere seccata.

Lui rise ancora, più allegro di quando era entrato. Si alzò in piedi trascinandola con sé, per baciarla di nuovo, con passione rinnovata.

L’estate pareva già più vicina.

 

 

§§§

 

 

La moglie di Masumi, fu più restia del previsto a firmare i documenti della separazione. Durante l’ultimo incontro per fissare tutti i termini dell’accordo, forse spinta dall’ orgoglio, tentò addirittura un approccio più intimo e spregiudicato, convinta con due moine, di poter far cambiare idea al marito.

“Ascoltami, ti prego. Concediamoci un’altra possibilità per essere felici, sono certa che funzionerà; so di cosa ha bisogno un uomo come te, Masumi, e io sono disposta a tutto…” aveva sussurrato accarezzandogli i capelli dietro la nuca, protetta dalle foglie della grossa pianta che si innalzava in un angolo della stanza, dove gli avvocati delle parti erano in attesa.

Lui le aveva afferrato le mani, e l’aveva allontanata da sé, quasi disgustato. Poi con un moto di fastidio, con voce bassa l’aveva freddata, con involontaria crudeltà.

“Ti stai rendendo solo patetica e come attrice vali molto poco; il ruolo di seduttrice non ti si addice, e non ti viene nemmeno bene.”

Si era subito reso conto di aver esagerato dalla sua risposta stizzita.

“Assurdo! Per te non sono all’altezza di quella ragazza! E per lei che mi stai lasciando, io lo so! Ti rendi conto di quanto sia umiliante per me?!”

“Credo sia più umiliante vivere con un marito che diserta il tuo letto.” Le rispose impietoso.

La donna tremò di sdegno, ma non osò ribattere.

“Potrei rovinarla con una parola!” Sibilò cattiva.

“Non lo farai.”

“Dovrai risarcirmi per questa vergogna tremenda che mi getti addosso!”

“Tutto quello che vuoi, ma firma queste carte, e facciamola finita. Sarà meno penoso per entrambi se la chiudiamo qui, e subito. Non mi costringere a ricorrere a mezzi sleali, che non ti piacerebbero.”

“Non lo faresti! Non puoi dire sul serio!”

“Lo farei, invece. Io sono fatto così. Non esiterei un istante, fidati. – Sibilò Masumi, assottigliando lo sguardo. – Sinceramente, spero di non arrivare a tanto, ma se non vuoi essere ragionevole, il problema è tuo. Allora, cosa intendi fare?”

Dalla grande vetrata che dominava la parete si scorgeva lo skyline di Tokio con i suoi palazzi. La donna atterrita e ormai sconfitta, si sedette al massiccio tavolo rettangolare che dominava l’ ufficio mordendosi le labbra; uno degli avvocati estrasse una penna dal taschino della giacca, che le porse insieme a un fascio di carte.

Masumi la fissava immobile. Un leggero sorriso gli affiorava sulle labbra, mentre una bella sensazione lo invadeva piano, fino a investirgli il cuore e la mente come un’ ondata energica. Era di nuovo, un uomo libero.

 

§§§§

 

L’ estate arrivò, alla fine.

Chiusa la stagione teatrale, Maya, in seguito a un messaggio di Hijiri Karato, fece armi e bagagli e partì, senza dire a nessuno dove sarebbe andata. Le vecchie amiche, come Rei, compresero che c’era qualcosa nell’aria, ma non immaginavano cosa stesse accadendo nella vita della loro giovane amica.

Negli ultimi mesi Maya era parsa di umore più rilassato e sereno, e aveva perso un po’ di quell’aria malinconica che l’aveva accompagnata in tempi recenti.

Di ciò che era accaduto tra lei e Masumi nessuno sapeva nulla, e bisogna dire che furono bravi a mantenere la massima segretezza. Masumi la seguì per l’ intera stagione teatrale, con discrezione, in qualità di presidente della Daito, valutò anche un paio di collaborazioni artistiche con gruppi concorrenti che volevano offrile un ingaggio. Le mandò un’ infinità di fiori diversi, dietro cui nascondeva sempre una solitaria rosa purpurea, per non destare attenzioni e sospetti. Solo nei biglietti che allegava, sigillati e siglati dalle sue iniziali, riversava tutta la tenerezza appassionata del suo cuore innamorato, tutte le parole d’amore che avrebbe voluto dirle a voce.

Maya conservò tutti quei biglietti gelosamente, come fossero gemme di un tesoro prezioso. Li leggeva e rileggeva in continuazione, tanto da averli imparati a memoria. Arrivò al punto di immaginare l’inflessione roca e profonda della voce di Masumi, mentre le diceva quelle frasi; al pensiero, l’emozione le rapiva l’animo. In quella distanza forzata che furono costretti a tenere per evitare maldicenze pericolose, quei frammenti di lui le scaldavano il cuore e lo riempivano di profonda gioia e speranza. Al di fuori dell’ambito degli spettacoli, non si incontrarono mai, se non sporadicamente, e per fortuite coincidenze.

Ma adesso, il momento giusto per stare insieme era arrivato.

Non c’erano più ostacoli che potessero frapporsi tra loro: né una moglie gelosa, livida e meschina pronta alla diffamazione della sua rivale, né giornalisti e fotoreporter a caccia di scoop scandalistici sulla presunta vita sentimentale di Masumi Hayami.

Questo pensava Maya, mentre una limpida e frizzante mattina di giugno, con l’ansia che le serrava lo stomaco, in auto si allontanava da Tokio con una piccola valigia per recarsi a Izu.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Eccomi!!

Pensavo di concludere qui, invece no, ma il prossimo sarà davvero l’ultimo capitolo, che credo di riuscire a portare a termine a breve. Non potevo sintetizzare troppo la parte finale che si sta sviluppando in maniera un po’ imprevista, mentre tento di evitare toni stucchevoli che non mi piacciono. Intanto, spero che questo capitolo sia stato di vostro gusto, ma critiche, suggerimenti e consigli saranno sempre bene accetti. Ringrazio tutte le persone che hanno commentato e stanno seguendo questa storia, sono felice che vi piaccia.

Alla prossima e grazie di tutto.

 

 

 

 

 

 



[1]  Come nel capitolo precedente, le parti in neretto che troverete proseguendo nella lettura, sono tratte dal dramma di Ibsen, e appartengono all’ultimo atto di “Casa di bambola”.

[2]  Lo so, Masumi ha gli occhi chiari nel manga, quello affascinante e l’aria un po’ da canaglia degli OAV ha gli occhi scuri, graficamente forse il più bello. In questa mia storia ho immaginato Masumi con gli occhi verdi, ispirandomi all’anime del 2005, che a me personalmente, piace parecchio… poi, per gli occhi verdi io ho un debole…ne sanno qualcosa le lettrici di un altro fandom!

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Capitolo 4
*** Una rosa, mille rose a Izu (epilogo) ***


estate

e 4 – Una rosa, mille rose a Izu (epilogo) f

 

 

 

 

La linea dell’orizzonte sul mare si stagliava davanti al suo sguardo, infinita quanto quell’ incredibile cielo senza nuvole che gli sembrava di ammirare per la prima volta. Al mattino si era svegliato con la curiosa sensazione che ogni cosa su cui posava gli occhi fosse nuova, diversa: la villa, gli oggetti, il fragore delle onde contro la scogliera, il richiamo dei gabbiani che si inseguivano dentro quella vastità azzurra.

Sorrise tra sé, osservando la spiaggia sottostante, lasciandosi travolgere da stupore e turbamento, mentre l’aria salmastra giocava con i suoi capelli scivolando sul suo volto. Il solo pensiero che lei tra poche ore sarebbe stata lì con lui, a fissare con meraviglia quello stesso orizzonte, bastava a colorare tutto di una luce viva e palpitante.

 

 

Tu mi fai questo…

Tu fai brillare tutto il mio mondo…

Tu accendi le stelle nel mio cuore…

Fai tremare i miei pensieri come nessuno mai…

Fai presto, Maya…

Fai presto, ti prego…

È troppo tempo che aspetto…

 

 

Quella villa era il suo rifugio, mai diviso con nessuno.

Prima, ma spesso dopo il matrimonio, quante volte era venuto quaggiù, da solo, impedendo qualsiasi accesso a chiunque, perfino alla moglie che aveva rinunciato presto a mettervi piede. In momenti di particolare sconforto veniva per ritrovare un po’ di pace da sé stesso, evadere dalla sua vita deprimente e cercare un po’ di amaro conforto solo abbandonandosi al ricordo dolce e sfuggente di lei.

Aveva perso il conto delle volte che aveva immaginato di averla lì con lui, in quella casa; nell’ultimo anno, prima di quella notte di felicità era accaduto di frequente. Lasciava che ogni ricordo, ogni più piccola, segreta fantasia legata a Maya gli inondasse la mente come una lenta marea che saliva dalle profondità del suo essere, abbandonandosi a quei pensieri senza difese, mentre la risacca del rimpianto lasciava cocci appuntiti di cose taciute sul suo cuore.

Era una croce e delizia, ma era meglio di nulla. Meglio della sofferenza di non poterla avere. 

Per lungo tempo, il solo sollievo concesso all’infelicità della sua vita.

Quanti al suo posto, avrebbero dimenticato? Quanti si sarebbero rassegnati? Non lui.

Quasi godeva di quel tormento, come un masochista, immaginandola muoversi in quelle stanze, presenza leggera che invadeva quei luoghi come il fantasma di un sogno d’amore impossibile.

 

Faceva ancora fatica a convincersi, ma finalmente il sogno acquistava sostanza.

Tutto era pronto.

 

Dalla veranda, si volse a guardare il colore violaceo dei mazzi di rose poste con strategia presso ogni angolo della sala. La luce del primo mattino pareva farle brillare di rugiada. Non si era mai preoccupato di certe cose, certamente non dell’estetica dell’ambiente in cui viveva o lavorava, neppure quando si trattava di accogliere un ospite particolare e importante.

E di sicuro, non lo aveva mai fatto per alcuna donna, in passato.

Era davvero lui quell’uomo in trepidante attesa della sua amata? Era davvero sua quella tenerezza sconfinata che gli bruciava le vene e trasformava il sangue del corpo in lava incandescente?

La gioia era perfino dolorosa da sopportare, e si liberava in sospiri ansiosi.

Trovò che fosse tutto quasi perfetto.

Mancava solo lei.

 

 

§§§§

 

 

Il fidato Hijiri Karato aveva ricevuto l’incarico di accompagnare Maya a Izu, per questo si era presentato sotto il suo appartamento nelle vesti di taxista. Sembravano tutte precauzioni inutili a quel punto, ma Masumi aveva preferito così, soprattutto per non attirare attenzione su di lei, e di questa delicatezza Maya gliene fu grata.

All’ arrivo, Hijiri parcheggiò l’auto davanti all’ ingresso di una grande ed elegante costruzione su due piani, isolata su un piccolo promontorio; scese dall’ auto e aprì il bagagliaio per prendere la valigia della giovane, prima di salutarla e allontanarsi.

“Le auguro una buona permanenza, signorina. Il signor Hayami l’aspetta con ansia.”

Le fece uno strano effetto sentirgli pronunciare il suo nome: era come se cadesse l’ultimo velo che nascondeva un segreto.

“Grazie per avermi accompagnata, signor Hijiri… grazie per tutto quello che ha fatto, anche per essere stato un buon amico.” L’uomo le concesse un sorriso sincero.

“È stato un grande piacere, Maya-chan, poterle essere d’aiuto.”

Maya osservò l’auto di Karato allontanarsi, prima di fermarsi a osservare la facciata semplice della villa. Lentamente si avvicinò ai pochi scalini di pietra che salivano verso il portico dell’ingresso.

Sulla porta, legata con un nastro alla maniglia, Maya trovò una rosa e vicino un biglietto.

 

 

Benvenuta amore mio.

 

 

Solo tre parole.

Trattenne subito il respiro, mentre fissava il cartoncino con mani tremanti.

Oltre la soglia fu accolta da una profusione di rose purpuree, sistemate lungo un percorso che andava dall’ingresso, dove lasciò la sua valigia, al grande soggiorno che apriva le sue ampie vetrate sulla veranda.

Vicino a ogni mazzo, sistemato in un angolo strategico, c’era un biglietto che la guidava a quello successivo.

 

Non vedevo l’ora che tu fossi qui.

Non immagini quanto io abbia sentito la tua mancanza, ragazzina.

 

 

Anche lei, se ne rese conto. Erano mesi che desiderava raggiungerlo, passare più tempo con lui di quanto non le fosse concesso, e adesso le sue gambe tremavano. Col progredire dei biglietti la sua emozione aumentava, immaginando il prossimo istante in cui lo avrebbe incontrato, vincendo l’impulso che l’avrebbe fatta volare subito tra le sue braccia.

 

 

Segui le rose: ti porteranno da me.

Vorrei dirti di fare presto, ma allo stesso tempo

è quasi un piacere doloroso

prolungare questa attesa.

 

 

Perché le infliggeva quel dolce tormento? L’aveva conquistata, e lei si era arresa da tempo al suo lungo assalto. Maya avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, per placare il suo spirito che fremeva d’impazienza, ma si sforzò di tenere un contegno. Intanto il suo cuore accelerava ogni istante di più, vinto da un’ emozione quasi incontenibile che le serrava la gola. Stava per entrare nel soggiorno e il profumo delle rose la investì fin quasi a stordirla.

 

 

Preparati perché non ti lascerò più andar via.

Appena sarai davanti a me, ho paura che ti stringerò così forte

da confondere i nostri stessi cuori.

 

 

Si fermò sulla soglia imbambolata ad ammirare i magnifici mazzi di rose disposti in vasi di cristallo che a tratti regolari percorrevano una parete dell’intera stanza. Meravigliata, lasciò vagare lo sguardo nell’ambiente accogliente, elegante ma senza quel lusso pretenzioso che si sarebbe aspettata di trovare: il grande e comodo divano chiaro a forma di penisola, una grande libreria color noce dalle linee moderne colma di libri, qualche cd musicale che era curiosa di scoprire, e diversi blurey, un tavolino basso di legno su cui faceva bella mostra un vaso contenente una solinga rosa purpurea ancora in boccio, delle riviste ordinate sul ripiano sottostante, e sulla parete opposta un televisore a schermo piatto. Maya notò che sul tavolino accanto al vaso c’era un altro biglietto.

 

 

Finalmente sei arrivata. Lasciati stingere, Maya.

Lasciami guardare la luce incredibile dei tuoi occhi.

Lasciati accarezzare dalle mie mani ansiose.

Anelo il calore della tua pelle, il gusto di miele delle tue labbra.

Il tuo profumo delicato mi cattura più di tutte queste bellissime rose.

Ti sento con la forza di questo sentimento che riempie la mia anima.

 

 

Maya sentì il cuore sciogliersi; si portò la mano libera alla guancia e la sentì calda.

Restò immobile, quasi incapace del più piccolo gesto, lì al centro della camera.

Poi, la raggiunse la sua voce. Ne percepì l’emozione trattenuta a stento.

“È qualcosa di delizioso il rossore che hai sulle guance in questo momento… vorrei ricordarti così…”

Masumi tacque, incapace di dire altro.

Lei alzò la testa e lo vide, vicino alla porta/finestra dell’ ampio soggiorno, un gomito alzato appoggiato allo stipite, sullo sfondo della veranda, con la striscia del mare blu e un cielo terso immenso a incorniciare quell’apparizione.

Un gemito di sorpresa uscì dalla labbra della giovane.

Mosse qualche breve passo, quasi incerta, poi alzò lievemente le mani in avanti. Masumi nel frattempo, si era staccato dallo stipite ed era entrato nella stanza; era esattamente di fronte a lei.

Maya non resse oltre: seguì solo il suo impulso che la fece precipitare tra le sue braccia spalancate ad accoglierla. E l’abbraccio invase di felicità i loro cuori.

E i loro baci colmarono tutte le distanze di quei tristi mesi, i desideri soffocati, in un groviglio di corpi e anime che si ritrovavano trasportati dalla stessa passione. Masumi prese il suo volto tra le mani e si chinò per assaggiare di nuovo le sue labbra, ritrovando intatto il suo sapore morbido ed eccitante, che sembrava confondersi con l’aroma delle rose di quella stanza; sulla lingua confuse la fresca dolcezza della sua bocca che lo invitava, con la consistenza serica dei petali. Le accarezzò la nuca, intrecciando le dita ai suoi capelli lunghi e morbidi, mentre Maya si aggrappava alle sue spalle. Sul tessuto leggero della camicia, le sue piccole mani aperte regalavano carezze al suo corpo, che si risvegliava alla brama prepotente che aveva per lei.

“Maya… oh, Maya…” Articolò rauco, mentre lei affondava il volto nel suo petto caldo, aspirandone il buon profumo della pelle, accostando la guancia al suo cuore. Immaginava che udisse il ritmo dei palpiti selvaggi e furiosi che lo possedevano.

“Non mi sembra vero di essere qui…” la sentì sospirare.

“Maya, sono così felice…”

La scostò dolcemente per guardarla e la tenerezza dei suoi occhi lucenti lo fece tremare.

“Oddio! Se tu mi guardi così, io… - l’espressione ardente, catturò il suo volto tra le mani, e non riuscì a trattenere le parole. - Non so cosa mi trattenga dal prenderti in braccio e portarti al piano di sopra, nel mio letto e fare l’amore con te, subito. Ti desidero troppo… questi mesi sono stati una tortura terribile…”

Maya arrossì, sbalordita abbassò lo sguardo per nascondere l’inaspettata eccitazione, scatenata da quella confessione infuocata, e si strinse a lui, affondando il viso nelle pieghe della sua camicia. Era piacevolmente sconvolgente essere desiderata in quel modo, ma era qualcosa che non sapeva ancora gestire. In fondo era stata in intimità con lui solo una volta, e lei non aveva molta esperienza di certe cose.

Masumi parve comprendere il suo turbamento; si dominò, emise un lungo sospiro, e con dolcezza spostò le mani sulle sue esili spalle.

“Scusami Maya, sono soltanto un uomo… Vieni in veranda, voglio mostrarti una cosa…”

Le circondò la vita e l’accompagnò verso l’esterno, e lei lo seguì docilmente.

Fecero qualche passo oltre la soglia a vetri, e Maya si lasciò incantare dal panorama mozzafiato che si presentò ai suoi occhi: la distesa blu cobalto del mare era una visione di straordinaria bellezza che si interrompeva contro la costa frastagliata e selvaggia della penisola, con le sue spiagge bianche di sabbia fine, le rocce del colore della terra e la vegetazione dei pendii di un verde lussureggiante.

Era talmente immersa in quello stupore estatico, quasi da non accorgersi che Masumi si era staccato da lei, per avvicinarsi a un tavolo con delle sedie, lì vicino. Senza distrarla, la osservò avvicinarsi al limite della veranda. Restò immobile, appoggiata alla elegante balaustra di legno, persa nella contemplazione di quello spettacolo naturale fatto di acqua e di cielo, di profumi, luci e suoni, colori e vento che sibilava tra le rocce, e sollevava i suoi capelli scuri come fossero leggera spuma di mare.

Maya volgeva lo sguardo lontano, e Masumi si perse ad osservare il suo profilo delicato contro lo sfondo azzurro del cielo: era davvero graziosa, una bellezza semplice, per nulla sofisticata.

I suoi vestiti leggeri di cotone si modellavano appena sulle sue forme per effetto della brezza marina che accarezzava il suo corpo.

Aveva sempre avuto il potere di immobilizzalo, e non solo sul palco; sarebbe rimasto per ore ad ammirarla, incantato dalla sua espressione radiosa, dalla gioia genuina e sincera che animava quegli occhi scuri e profondi. Averla lì, era essere in pace col mondo, con la sua anima tormentata, e sapere di essere riamato, era qualcosa che travalicava tutti i suoi sogni e desideri. Maya colmava tutto.

Lei diventava senso di ogni cosa, di ogni pensiero e di ogni azione.

E lui sapeva che non aveva bisogno di altro, un pensiero che poteva spaventare, se si fermava a pensare a ciò che implicava: la vita di Masumi Hayami era custodita nelle mani di quella ragazza. E non esisteva in tutto l’universo un posto più sicuro di quelle piccole mani.

Si riscosse dai suoi pensieri fissi su di lei, e la chiamò.

Lei si voltò nella sua direzione. Era seduto su una sedia e la invitò con un sorriso ad avvicinarsi. Solo allora, la ragazza notò un fascio di carte sul tavolo.

“Ti ricordi la mia promessa, Maya?”

“Cosa sono quelle?” chiese, avvicinandosi al tavolo rotondo.

“Vieni e guarda tu stessa.”

Era stranamente serio.

Maya si avvicinò al tavolo, scorse il primo foglio velocemente, lesse l’intestazione.

Ci fu un rapido scambio di sguardi. Con molta calma, si sedette sulla sedia di fianco a lui.

Prese il foglio tra le mani e lo lesse con maggior attenzione, finché gli occhi si posarono sulle firme in calce a fondo pagina. Erano le carte del divorzio, firmate di comune accordo dai coniugi Hayami. [1]

In realtà, quanto consensuale, Maya ancora non poteva indovinarlo.

Sollevò la testa dal foglio per fissarlo. Masumi non ne fu sicuro, ma gli parve di scorgere incredulità nei suoi occhi.

“Allora, adesso sei un uomo libero?”

“Sì. Te lo avevo promesso, no? Ora possiamo stare insieme, ed è ciò che voglio di più al mondo.”

Masumi  allungò una mano a prendere la sua e se la portò alle labbra. Le baciò le dita, l’interno del polso, sulle vene delicate e fragili. Poi si sporse col busto, mentre con l’altra mano le alzò il viso per baciarla sulle labbra. Sapevano di vento e di salsedine, come il profumo dell’aria che sembrava emanare la sua pelle. Il bacio all’inizio fu lento, uno sfiorarsi leggero, un tremito che correva sulla pelle, ma divenne presto più esigente e profondo, insinuante, affamato e acceso di eccitazione.

Divenne un inseguirsi ardente e senza fiato, mentre la mani di Masumi la stringevano convulse e possessive intorno alla vita e Maya si aggrappava con un braccio alla sua schiena e con la mano libera saliva a sfiorargli il volto in una tenera carezza.

Si staccarono solo per appoggiarsi fronte contro fronte, ansanti e tremanti.

“È stato difficile?” chiese lei all’improvviso, e lui non colse subito il senso della domanda. Maya si accorse della sua espressione perplessa.

“Intendo, ottenere quella firma.”

Non era sicuro di volerglielo spiegare; quelli erano dettagli penosi e tristi che voleva risparmiarle. Perché guastare quel momento magico, con lo squallore di una vicenda amara? Rifletté per pochi istanti e si rese conto in fretta che non poteva proteggerla da tutto, forse non era neppure giusto: quel divorzio riguardava anche lei e omettere certi particolari poteva rivelarsi molto più nocivo del previsto.

Sospirò, pronto a mostrarle ciò che non lo rendeva orgoglioso.

“Le difficoltà ci sono state, non voglio negarlo. Mia moglie ha tentato di opporsi, con ogni mezzo. Ho confessato senza problemi il tradimento, e per quanto io non abbia mai parlato di te, ha intuito che eri tu la causa di tutto, ma sarebbe stata disposta ad accettare il fatto e andare avanti come sempre. Quando ha capito che non avrei ceduto, ha minacciato che ti avrebbe diffamata: attraverso te, voleva ferire me…”

Maya ascoltava, il cuore gonfio di apprensione e pena, più per lui che per sé stessa.

“Mi dispiace, Masumi…”

“Non devi dispiacerti di nulla. Io non potevo permettere che ti facesse del male, per una mia scelta sbagliata. Semplicemente non avrei mai dovuto sposarla, ma tre anni fa ero convinto di non avere speranze: una donna valeva l’altra, se non potevo avere te. Per mio padre, lei era la moglie ideale per un uomo nella mia posizione, così ho accettato il fidanzamento e di conseguenza il matrimonio. Ma è stato il più grosso errore che potessi fare.”

Lo ascoltava seria.

Masumi poteva leggerle l’amarezza in volto, la velata pena che traspariva dal suo sguardo mesto. Anche lei aveva sofferto, forse più di lui. Continuò perché voleva che sapesse tutto, che non ci fossero altri segreti tra loro.

“Avrei fatto qualsiasi cosa per liberarmi da quel legame imposto, così sono ricorso al ricatto per obbligarla a firmare quelle carte: ho fatto fare delle ricerche a Hijiri e ho scoperto la sua firma su certi documenti compromettenti delle società di suo padre. Solo allora ha ceduto, ma per vincere ho dovuto ferirla. Non è qualcosa di cui vado fiero, ma lo farei di nuovo, se questo fosse l’unico modo per stare con la donna che amo…”

“Masumi…” articolò Maya col cuore in gola, toccata da quella straziante, impietosa confessione.

Lui la afferrò per le spalle.

“Per stare con te farei di tutto, Maya. Nel bene e nel male. Non voglio ritrovarmi domani come il marito di Nora. [2] Non voglio essere un estraneo per te. Sei l’unica che potrebbe fermarmi, mi arrenderei se non mi volessi più, e così mi uccideresti…”

“Oh, Masumi… cosa dici? Io ti amo, come potrei non volerti?”

“Anche se posso essere cinico, freddo e spietato, Maya?”

Il suo sguardo si era indurito, suo malgrado, ma Maya non si lasciò impressionare dalla luce cupa di quegli occhi, capaci di nascondere profonda umanità. Maya parlò con naturale spontaneità da impressionarlo, lasciando defluire parole e pensieri come acqua limpida di sorgente.

“Il tuo cinismo è solo una maschera che ti costringi a portare, per motivi che io non sempre comprendo, ma io so che nel tuo cuore hai tanto amore, e vero calore umano da dare. Conosco i tuoi slanci e le tue gentilezze, e attraverso l’ammiratore mi hai rivelato la tua anima. Non sarai mai un estraneo per me, e quello che ancora non so di te, imparerò a conoscerlo. Siamo solo all’inizio del nostro viaggio insieme, non credi?”

Erano parole così profonde e vere, da lasciare Masumi basito e commosso all’inverosimile.

 

Chi sei ragazzina?! Quando sei diventata così saggia e adulta?

Sei un tesoro immenso, che ho paura di non meritare.

 

La strinse di slancio, travolto dall’ emozione e dall’amore immenso che sentiva per lei.

“Santo Cielo, Maya! Grazie… grazie, amore mio! Sei la benedizione della mia vita!! - Poi lentamente, si staccò da lei, senza interrompere del tutto il contatto fisico. - Sono un pessimo padrone di casa: non ti ho neppure chiesto se hai fame o sete…”

“Beh, in effetti, il mio stomaco fa i capricci.” Rispose imbarazzata.

“Ti piacerebbe fare un picnic sulla spiaggia? C’è una piccola insenatura discreta, qui accanto, dove potremmo stare soli… ti andrebbe, Maya?”

“Sì che mi andrebbe! Però, ecco… credo di non aver messo in valigia il costume da bagno…”

“Mh… Quello non sarebbe un problema…” le rispose in tono allusivo, stirando la bella bocca in un sorrisetto da adorabile canaglia. Maya spalancò gli occhi diventando di brace, e lui si mise a ridere di gusto. – Stavo scherzando, ragazzina. Per il tuo costume posso provvedere senza problemi. Vieni!”

La prese per mano facendola alzare dalla sedia per accompagnarla dentro casa.

 

 

 

L’insenatura era in linea d’aria circa duecento metri sotto la villa di Masumi. Vi si arrivava tramite un lungo percorso fatto a scale che zigzagava dolcemente lungo il pendio delle rocce, e partiva proprio sul fianco della villa e attraversava la vegetazione rigogliosa che cresceva in quel luogo. Lungo il percorso si poteva trovare qualche arbusto fiorito, fiori bianchi e rossi che punteggiavano la  macchia con le loro corolle variopinte. Masumi si fermò a cogliere uno di quei fiori per puntarlo tra i capelli di Maya, appena sopra l’orecchio. Le aveva fatto trovare un paio di costumi in camera da letto, ma non sapeva ancora cosa avesse scelto di indossare sotto i suoi abiti, se il bikini o il costume intero.

Con un po’ di malizia, sperava in quello più ridotto, ma conoscendo la sua ragazzina, immaginava che avesse scelto il costume olimpionico, decisamente più castigato.

Quando arrivarono all’insenatura, Maya si lasciò andare a esternazioni di giubilo, entrando in quel piccolo angolo di paradiso: aveva la forma di una dolce mezzaluna, circondata da pareti rocciose che la chiudevano come uno scrigno prezioso, e alle sue estremità, la piccola spiaggia di sabbia bianca e fine era punteggiata qua e là di massi rocciosi levigati dall’acqua. [3]

“Ti piace?”

“Oh, ma è bellissimo, qui! Che posto delizioso!”

Sistemarono i loro asciugamani e la borsa frigo vicino ad alcune rocce.

Il pasto, un po’ di riso con le verdure, uova sode, frutta e bibite fresche, fu piacevole e rilassante per entrambi, e fu l’occasione per parlare con tranquillità del passato, e molto dell’immediato futuro, dei prossimi spettacoli, di ruoli nell’ambito del teatro shakespeariano che Maya doveva valutare per l’anno nuovo.

“Sarei molto curioso di vederti nei panni di Viola, la fanciulla che si camuffa da uomo…” [4]

“È un ruolo che mi intriga, in effetti; non diverrai geloso del Duca Orsino, vero?” lo provocò scherzosamente.

“Da Heathcliff in poi, io sono stato geloso di tutti i tuoi partners sul palcoscenico. Lo sarò sempre probabilmente.”

Mentre mangiava il suo riso, Maya contemplava la spiaggia, quel luogo che le pareva così intimo, chiedendosi se mai lui, vi avesse portato qualcun altro.

Parve leggerle nel pensiero.

“Sei la prima persona che portò qui. In realtà, sono venuto in questo posto forse un paio di volte al massimo; di solito preferisco camminare sulla spiaggia libera dall’altra parte della scogliera, che è molto più lunga. Possiamo andarci domani se vuoi…”

“Vuoi dire che non sei mai venuto qui con tua moglie? Neppure una volta?” chiese osservandolo, sinceramente incredula.

“No, mai. Non è mai entrata nemmeno nella villa. Non ho mai voluto che venisse qui.”

L’uomo non poté immaginare quanto quella confidenza turbasse Maya. Era sempre stato un tipo indecifrabile, e lo era tuttora.

 

Che strano uomo che sei…

 

“All’inizio, venivo qui in cerca di solitudine… pace forse… - fece una lunga pausa, prima di proseguire. - Da qualche anno, solo per stare con te…”

La guardò, e lei non riuscì a nascondergli la sua espressione inquieta, mentre qualcosa di indefinibile si agitava nel suo animo. Cosa voleva dire con quella frase? Che quel posto lo faceva pensare a lei?

Lo osservò sdraiato sulla stuoia, la muscolatura forte e robusta del petto e delle spalle, il torace e l’addome, senza osare scendere più in basso, verso i boxer neri del costume. Era veramente un bell’uomo. Lo era sempre stato, pensò, anche quando credeva di detestarlo.

Sembrava davvero troppo per una come lei, eppure lui la amava.

E la desiderava in un modo di cui non si capacitava. Lo capiva anche adesso, per quella fiamma che bruciava in fondo al suo sguardo, la stessa passione che bruciava lei.

Doveva allontanarsi, per distrarsi da certi pensieri.

L’aria era ventilata per quell’ inizio di stagione, e l’acqua era ancora troppo fredda per fare il bagno, ma Maya si avvicinò al bagnasciuga per giocherellare con le onde.

Per Masumi era stata una deliziosa sorpresa, scoprire che Maya aveva scelto di indossare il bikini, ma aveva mantenuto addosso la sua camicetta bianca, legata in vita.

Appoggiato su un gomito, osservò le linee del suo corpo snello che ricordava in ogni più segreto dettaglio, mentre lasciava che l’acqua le lambisse i polpacci; poi, tornò in fretta a sedersi accanto a lui, che da mezzora almeno aveva in testa un solo pensiero: toglierle quel maledetto bikini.

“Brr, l’acqua è gelida. È impossibile fare il bagno!” Esclamò, fregandosi con vigore le gambe.

“Hai freddo, Maya?” le domandò, facendo in modo che si sdraiasse accanto a lui.

Al suo diniego, lui allungò le dita affusolate a sciogliere il nodo della sua camicetta che si apriva rivelando il reggiseno a fiori del costume, e sfiorò con delicatezza la pelle dell’addome.

La sentì sussultare, mentre un sorriso dolce accendeva il rosso delle sue guance.

Si sporse su di lei, a incontrare i suoi occhi; brillavano di una luce che stava imparando a conoscere e che era un invito ad amarla, a scoprirla nella sua intimità di donna.

Masumi non fermò le sue carezze e con la mano scivolò lento, ma deciso sulla pelle dei fianchi e su quella tenera dell’ interno delle cosce. E l’esile corpo di Maya si aprì con fiducia e candore al suo passaggio, lasciandosi scoprire, donandogli l’intensità di una passione autentica che lo lasciò stupito e turbato.

Con la bocca, Masumi giocò sul pendio delle sue spalle, risalendo sulla gola fino a catturare le sue labbra piene che schiudeva gentile per dissetarsi di lei.

E lei accese la sua sete, senza estinguerla mai, accarezzando la sua bocca come la più tenera e appassionata delle amanti. Quell’incontro umido e dolce diventò un fuoco morbido e caldo che crebbe potente, un palpito di anime in sintonia perfetta.

Un bisogno antico e atavico, naturale come la vita spingeva le dita degli amanti a disegnare strani percorsi sulla pelle e le mani a cercarsi con urgenza, inseguirsi nei recessi più segreti, nelle pieghe più intime e profonde della pelle, sotto l’elastico dei costumi, per cedere in fretta alla voglia incontenibile di essere nudi.

La sabbia tiepida sotto i loro corpi febbricitanti era un piacere nuovo; attendevano di unirsi e prolungavano quel momento fatto di gioiosa scoperta e piacere, sotto il fuoco di baci sempre più proibiti e audaci, brividi di infinito posati ovunque, sulla pelle calda e lievemente salata.

La voce di Maya nell’ amore diventava profonda e sensuale, quasi non appartenesse più a lei, un richiamo oscuro, una malia dei sensi cui era impossibile resistere, e Masumi se ne sentì travolto, vinto nell’intimo. E in quel momento, fu quasi spaventato dal vigore della sua brama per lei.

“Maya, mi sento come un lupo affamato… Tu sei così delicata… una rosa… - sussurrò roco, quasi tremante sulle sue labbra bollenti, aderendo con il bacino alle curve gentili della sua femminilità, pronta ad accoglierlo nel cuore e nell’anima. – Ti voglio così tanto, che ho quasi paura di farti male. Ti prego vita mia, dimmi che mi vuoi… dimmelo ancora…”

“Ti voglio da morire, Masumi. Sono affamata d’amore quanto te… Non mi farai male, io lo so… lasciati andare, ti prego…”

Bastarono quelle parole a incendiarlo, e sentì il calore invadere il suo sangue.

“È così bello sentirtelo dire… Potrei morire per un tuo sospiro di piacere…”

Fu in lei come la marea, e la loro danza d’amore, antica e sacra come la vita e forte come la morte, crebbe al ritmo delle onde che si infrangevano dolci e impetuose su quella spiaggia. Il mare saliva e si ritirava, baciando la sabbia candida e facendo l’amore con essa.

Quando, sotto il suo corpo forte sentì la sua tenerezza vibrare ed esplodere al culmine del loro amplesso, la baciò con voluttà, non per soffocare il suo grido di gioia, ma fonderlo col suo, sentirlo in sé come un respiro vitale, nella congiunzione perfetta dei corpi in un solo corpo, mentre le mani di Maya si artigliavano ai muscoli della sua schiena per trattenerlo.

Non poteva esserci felicità più grande, e mai c’era stata che lui ricordasse. Restò dentro di lei, senza muoversi, finché non sentì rallentare il suo respiro, tornare sereno e tranquillo. In Maya, terminava tutto quello che lui cercava. Era come quella casa, la sua meta, il suo rifugio più grande. Fuori da lei non c’era vita, perché lei era la vita stessa.

L’accolse sul suo fianco e l’abbracciò per custodirla al calore del suo cuore.

Si addormentarono così, vinti dalla spossatezza tenera che accompagna l’amore fisico, mentre il sole tiepido allungava una striscia arancione sull’acqua, iniziando a scendere lento verso l’orizzonte, e i toni del cielo andavano scurendosi nel grigio violaceo tinto di rosso del tramonto.

 

 

 

Quella sera, Masumi la portò fuori a cena, in un locale intimo e discreto della zona.

Scelse un ambiente sobrio che si adattava a lei e non la facesse sentire troppo fuori posto. La cucina era quella tipica delle zone di mare, con una predominanza di piatti a base di pesce fresco.

La trovò subito molto graziosa col suo vestito leggero scollato di un delicato color pastello, la gonna appena svasata sopra il ginocchio che metteva dolcemente in evidenza le sue forme, il seno appena accennato e i fianchi sottili, e i saldali con un po’ di tacco slanciavano la sua figura.

Il loro tavolo era accostato presso ad un ampio acquario che conteneva aragoste vive e astici; arrivò un cameriere che infilò il braccio nella vasca per prendere uno dei crostacei e portarlo in cucina.

Maya mangiava sempre con gusto e notevole appetito, ed era una cosa che a Masumi faceva piacere, anche se si chiedeva dove finissero tutte quelle calorie che non lasciavano tracce evidenti su di lei.

Chissà, forse le bruciava tutte sul palco… e in altri modi decisamente piacevoli, pensò malizioso.

Si lasciò cogliere di sorpresa quando lei, per fargli assaggiare un boccone del suo piatto, quasi si sporse per imboccarlo, tenendo l’altra mano sotto la forchetta, per non macchiare la tovaglia.

Superato il primo momentaneo imbarazzo, per una situazione tanto intima e semplice, eppure mai vissuta, Masumi fece la stessa cosa con lei, la imboccò e finì  addirittura a passarle il pollice sulle labbra macchiate di sugo, facendola arrossire.

Fu in quel momento che le fece la domanda.

“Io la mia promessa l’ ho mantenuta, ma ora ne vorrei una da te, Maya - e guardandola, sorseggiò il suo vino bianco prima di continuare. – Non voglio metterti fretta, in fondo ho appena divorziato, ma vorrei che tu pensassi sul serio alla possibilità di sposarmi.”

Maya tossicchiò e quasi le andò l’acqua di traverso.

“Mi sembri sorpresa…”

“Beh, sì! Non pensavo che tu volessi… Ecco… sembra così presto.”

“Non devi rispondermi subito… posso darti un po’ di tempo…”

“Gentile da parte tua. Quanto tempo?”

“Mh, vediamo… fino a domani mattina? – Rise al lieve sgomento di lei. - Approfitterò di questa notte per  convincerti; credo di avere dei buoni argomenti…” insinuò sorridendo, e le prese la mano per portarsela alle labbra e posare un bacio sulle dita.

“Oh!! E tu credi che cederò ai tuoi buoni argomenti… vero? Come se niente fosse.” esclamò Maya, con evidente ironia, appoggiando il mento sull’altra mano.

“No, hai ragione. Con te, è meglio non dare nulla per scontato… Ma ammetto che mi piacerà molto provarci… magari piacerà altrettanto a te.” Sussurrò con le labbra vicine al suo orecchio, le baciò una guancia e lei sorrise abbassando lo sguardo.

Il dopo cena si tradusse in una passeggiata serale sul lungo mare, che li portò ad appartarsi su un pontile in prossimità di un chiosco, dove c’erano altre coppie di innamorati sotto le luci di alcune lampade appese a intervalli lungo delle travi di legno. Si persero un po’ a guardare le stelle della notte, ricordando una sera di qualche anno prima al planetario di Tokio, quando lui ebbe paura di dirle la verità sull’ammiratore, e la luce rossa ancora li separava.

 

Poi tornarono verso la villa.

 

Varcata la soglia, giacca, camicia di Masumi, golfino di lei finirono in fretta sul pavimento, sparsi tra il piano terra e le scale che portavano alle camere da letto del piano superiore, mentre le dita dell’uomo, un po’ frenetiche, davano l’assalto alla lampo del vestito di Maya; così una nuova notte d’amore consumata tra il tepore delle lenzuola, concluse degnamente la giornata appena trascorsa.

Al mattino i raggi del sole filtrarono attraverso le persiane, andando a svegliare il sonno degli amanti. In verità, avevano dormito poco e solo verso le ultime ore dell’alba, ma non avvertivano la stanchezza.

Nel cuore sentivano solo traboccare la felicità a lungo insperata, di poter stare insieme.

E questa volta Maya non fuggì dal letto, né dalle sue braccia.

Era semplicemente nel posto in cui doveva essere.

Lui le dette il buongiorno con un bacio, prima di appoggiare la testa sulla mano per contemplarla. Il silenzio attorno era leggero, pieno solo dello sguardo innamorato, del sorriso luminoso di lei.

Poi arrivarono quelle parole desiderate e inattese, e con esse lo stupore.

“Masumi, ti prometto che ci penserò…  e posso già dirti che al 99% sarà un sì. È più di quanto abbia avuto io per La Da Scarlatta. Per ora ti basta come risposta?” domandò posando la mano sul suo petto ampio, sentendo sotto le dita il velo di una rada peluria.

Masumi trattenne l’emozione dentro un sospiro.

“Mi basta, Maya.”

Avrebbe puntato tutta la sua vita futura su quello, sicuro che avrebbe vinto.

 

 

 

Fine. (questa volta per davvero)

 

 

 

 


 

Eccomi qui, con la fine di questa storia che ho sentito quasi l’urgenza di scrivere, cosa abbastanza insolita per me. Sarà perché questo manga mi ha preso talmente, che non ho potuto farne a meno, o forse è l’ansia per una conclusione che sembra ancora lontana da venire, che ho dovuto esorcizzare la cosa. Questa in qualche modo, potrebbe essere la mia versione dell’incontro a Izu, anche se in tempi più lunghi, e con altri presupposti ovviamente.

Il capitolo è lungo, spero non troppo melenso, anche se mi pare di aver corso il rischio con tutte quelle rose all’inizio, ma volevo risarcire Maya dell’affronto di quella pazza di Shiori nel manga, che spregia le rose dell’ammiratore. Spero tanto che abbiate gradito e che la fine vi sia piaciuta. Ringrazio tutte le mie lettrici, quelle che seguono semplicemente in silenzio e quelle che hanno commentato in precedenza. I vostri pareri saranno sempre bene accetti. Un saluto

Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Facendo una piccola ricerca in internet, ho scoperto che in Giappone i divorzi avvengono velocemente, senza la separazione legale e quasi senza intervento di avvocati, se i coniugi si separano consensualmente di comune accordo; la cosa viene registrata tramite un modulo in un ufficio civile. Ora nel caso di Masumi e la moglie ho pensato che la cosa fosse un poco più complicata, anche per una questione puramente economica, ma non solo. Insomma, non ho immaginato un divorzio fatto di comune accordo, come si è capito anche dal capitolo precedente. Peccato che qui in Italia non esista una procedura simile… quanto tempo e soldi si risparmierebbero!!

[2] Riferimento a “Casa di bambola”.

[3] Ho visto alcune immagini di Izu su internet, è un posto incantevole che potrebbe ricordare un po’ la nostra Isola D’Elba per la conformazione delle rocce, così per questa descrizione immaginaria, mi sono ispirata un po’ alla nostra isola che conosco bene.

[4] Personaggio della commedia di Shakespeare “La dodicesima notte”.

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