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Una rosa alla tua porta b
Le imponenti vetrate del bar del grattacielo della Daito, si aprivano
come un sipario maestoso sulla notte di Tokio, rischiarata dalle luminarie al neon.
A quell’ora della sera il locale era praticamente deserto, e l’ambiente con le
sue luci soffuse dava un’ idea generale di tristezza e abbandono.
C’ era solo un cliente, l’ultimo per quella giornata: la sagoma della
schiena di un uomo si profilava massiccia contro il bancone.
Aveva
allentato la cravatta, e tolto la giacca gettandola sullo sgabello accanto;
dalla sua posizione, in silenzio guardava il cielo oltre la vetrata pensando a
quante volte in passato si era rifugiato lì, davanti a un bicchiere di brandy,
in cui annegare pensieri e ansie indicibili.
Veniva
in quel posto per soffocare un dolore, un tormento che lo accompagnava ogni
volta.
Neppure
adesso era diverso.
Tre
anni.
Non
era cambiato nulla.
Quasi
nulla.
Lui
era soltanto più infelice.
I
suoi ricordi erano ancora lì, incollati sul cuore.
E il
desiderio di un’ altra vita, se possibile, si era acuito di più, e non gli dava
tregua. Mai.
Quella
sera non aveva voglia di tornare a casa. Da una donna che non amava.
Eppure
aveva tentato.
Tutto
si era rivelato inutile.
E
doloroso. Era penoso vivere con una persona, i giorni, le ore e le tue notti e
pensare a qualcun altro. In maniera costante, ossessiva.
Dopo
il lavoro aveva lasciato il suo ufficio, aveva congedato la sua segretaria, e invece
di lasciare il palazzo, aveva preso l’ascensore per salire all’ultimo piano del
grattacielo.
Mentre
saliva, gli erano tornate alla mente le rose purpuree.
Quelle
che non le aveva più mandato.
Lei
le aveva respinte.
Il
pensiero ancora lo straziava. Era accaduto subito dopo il matrimonio.
Non
era stato capace di farsene una ragione e un mare di domande erano rimaste
senza risposta.
Al
suo ingresso, il barman con gesti misurati stava asciugando i bicchieri di
cristallo per riporli sullo scaffale; lo aveva accolto con un sorriso,
vagamente sorpreso di vedere arrivare il presidente della Daito a quell’ora
tarda.
Era
da tempo che Masumi Hayami non si faceva vedere.
Da
quando si era sposato non ricordava di averlo più visto varcare la soglia del
locale, neppure per bere un caffè.
Gli
rivolse un saluto cortese cui l’uomo rispose.
“È
tardi, signor presidente. A casa, ha una bella moglie che l’aspetta…”
Masumi
non rispose, abbozzò una smorfia, mentre alla mente gli sovveniva l’immagine
della consorte che lo accoglieva con un leggero bacio sulla guancia. Vaghi
gesti d’affetto.
Misurati.
Freddi. Come la sua vita spenta.
Non
un solo pensiero di passione. Niente che gli infiammasse il sangue.
Non
gli veniva neppure la voglia di toccarla.
Mesi
che andavano avanti così.
A
lei non sembrava più nemmeno importare.
Si
era rassegnata a una vita senza slanci.
La
moglie di un uomo facoltoso, quello era il ruolo cui era stata preparata.
Bellissima
e raffinata. Mite, composta, senza apparenti passioni, desideri soffocati, repressi.
Praticamente perfetta per un uomo come lui.
A
volte si chiedeva come lei facesse a sopportare quell’ esistenza vuota.
Lui
non reggeva più. Lo sentiva.
Avvertiva
una fredda inquietudine che gli strisciava sul cuore. Quella vita arida lo
logorava di giorno in giorno e si stava accorgendo che certi sogni neppure
troppo lontani, tornavano a bussare sul suo cuore. Chiedevano di essere
soddisfatti.
A
volte gli pareva di soffocare.
Avvicinò
il bicchiere alle labbra per bere un sorso di liquore che gli bruciò la gola e
le viscere.
L’alcool
gli dava sollievo, ma accendeva un fuoco momentaneo che si estingueva sempre
troppo in fretta.
Tornò
con la mente a quel pomeriggio appena trascorso.
Una rivista aperta sulla sua scrivania. Una foto. Due occhi scuri e
fieri, diversi e uguali a sempre.
Un articolo commentava il successo del suo ultimo spettacolo che lui
aveva visto. Un piacere cui non avrebbe mai rinunciato, al punto di lasciare
sola la moglie in più occasioni, senza rimorsi. L’ unico legame che restasse
con lei.
Un’ intervista letta col cuore in gola. Le domande insinuanti del
giornalista.
“È vera
la storia che avrebbe una relazione col suo partner di scena? Cosa può dirci?
Voci di corridoio dicono che vi frequentate da mesi…”
“Tutte
sciocchezze inventate dai giornali scandalistici. Siamo solo buoni amici. Il
mio solo amore è il teatro… non ci sarà mai nulla di altrettanto importante
nella mia vita.”
Davanti
al bicchiere di brandy, si chiedeva se fosse vero.
Sembrava
troppo cinica quella risposta per appartenere a lei. Aveva sempre paura quando
leggeva gli articoli delle riviste di spettacolo, paura di quello che avrebbe
potuto scoprire. Un nuovo compagno. Uno scandalo. Ma in quegli ultimi tre anni,
non c’erano mai stati uomini, almeno ufficialmente e questo lo confortava.
E si
sentiva un’ egoista.
Davvero
Maya?
Davvero
hai rinunciato a tutto, tranne che al teatro?
Per
questo hai respinto le rose purpuree del tuo misterioso ammiratore?
Le
loro spine mi fanno ancora male al cuore.
Sono
fiori che non appassiranno mai dentro di me.
Tu
non appassirai mai dentro di me, e io non posso andare avanti così… con questo
stillicidio che ferisce la mia anima…
Ragazzina,
a volte i tuoi occhi di donna mi sembrano così tristi… troppo simili ai miei…
ragazzina, ho tentato, ma non riesco a rinunciare.
Stanotte
non mi manderai via… costi quel che costi.
Masumi
posò il bicchiere vuoto sul bancone, prese la giacca posata accanto, se la
gettò in spalla, si alzò e si diresse verso l’uscita. Aveva deciso cosa fare e
lo avrebbe fatto. Certamente, non sarebbe tornato verso casa. Non quella notte.
§§§§§
Fermò
l’ automobile sotto il suo appartamento.
Da qualche
tempo Maya abitava lì, da quando l’amica Rey era andata a convivere con il suo
compagno, un giovane attore della compagnia Unicorno.
Masumi
si era sempre mantenuto informato, incapace di disinteressarsi a tutto ciò che
la riguardava; manteneva i contatti con i suoi vecchi amici della compagnia
Tsukikage, e quelli dell’ Unicorno. Fuori dalle scene, frequentava la sua amica
Rey con costanza.
Sentiva
il tumulto sordo del cuore invaderlo. I minuti passavano. Restò immobile,
appoggiato alla portiera dell’auto con quella rosa in mano. Era stato difficile
trovarla a quell’ora tarda, aveva smosso mari e monti. Alla fine, aveva trovato
un negoziante su internet che consegnava ventiquattrore su ventiquattro. Per
fortuna che era venerdì.
Con
una scusa, riuscì a farsi aprire dalla portineria del palazzo.
Salì
le scale con calma apparente, guidato da una strana misteriosa determinazione,
ma il cuore gli rimbombava nelle orecchie, e più saliva, più gli pareva che il
ritmo accelerasse. Arrivò al secondo piano e quando fu davanti alla sua porta
chiusa, per un momento ebbe l’impressione che il battito nel petto si
arrestasse. Rimase lì davanti, fermo per lunghi istanti, ad ascoltare il suo
respiro che si placava, a sentire se provenissero rumori dall’appartamento.
E se
l’avesse trovata in compagnia di qualcuno? Un amico, o peggio?
Magari,
quell’attore di cui parlava l’articolo letto poche ore prima.
Scosse
nervoso la testa.
Lo
raggiungeva solo il silenzio.
La
luce del pianerottolo si spense. Restò al buio per un tempo imprecisato, poi
con l’indice a tentoni sfiorò di nuovo l’interruttore sul muro. E finalmente,
si decise a suonare il campanello.
Pochi
attimi e sentì un ciabattare provenire dall’interno. Quando sentì la chiave
girare nella serratura il suo cuore si arrestò improvviso. La porta si aprì.
Non
era preparato a nulla e non avrebbe saputo cosa aspettarsi.
Il
primo impulso sarebbe stato quello di sgridarla: ragazzina, non si apre la porta, senza prima controllare chi è allo
spioncino, ma non
riuscì a proferir parola.
Fu
troppa l’ emozione di trovarsela davanti, innocente e affascinante, candida e
seducente, vestita di un semplice pigiama leggero e corto, le gambe e le
braccia nude, un telo di spugna sulla testa bagnata.
Gli
arrivò alle narici la leggera fragranza fiorita del bagnoschiuma che accendeva
il profumo della sua pelle fresca. E improvviso, gli fu chiaro che quella che
aveva davanti non era più una ragazzina, ma una giovane donna. Gli parve più
alta. Il suo corpo era sbocciato e si era fatto più armonioso e un poco più
rotondo, ne colse le forme lievi e morbide sotto il tessuto di cotone che la
nascondeva appena al suo sguardo.
Sentì
la fiamma sopita in corpo rianimarsi, bruciare il suo sangue, lambire la sua
carne, torcergli le viscere.
Non l’aveva
mai guardata così, neppure in scena.
Ed
era passato troppo tempo dall’ultima volta che l’aveva incontrata, anche solo
per caso.
Osservandola
seppe con certezza che lei lo sentiva addosso, quello sguardo. Le sue guance si
imporporarono, mentre le labbra umide si schiudevano in un sospiro muto, e
l’espressione tradiva tutta la sua sorpresa unita a un velato timore.
Maya
a quel punto, fece un passo indietro.
Lui
avanzò sicuro e lento, inesorabile, la rosa in mano protesa verso di lei.
Le
sfiorò la curva delicata della guancia con i petali.
La
vide sussultare.
Senza
staccare mai gli occhi dai suoi, Masumi richiuse la porta, appoggiandovi la
schiena.
Il
silenzio restava sospeso tra loro.
Lungo.
Insostenibile.
Come
i loro sguardi allacciati.
Dì qualcosa…
“Sei
senza parole, ragazzina? Non è da te…”
Forse
fu la sua voce insolita a riscuoterla. Così vicina, profonda. Vibrava di un’
emozione oscura. Il battito furioso del cuore l’ avvertì del pericolo.
“Signor
Hayami… non sono più una ragazzina… e lei non dovrebbe essere qui… a
quest’ora…”
“Perché
no, Maya? Dov’è finito l’affetto sincero che avevi per il tuo misterioso
ammiratore? Intendi continuare a respingere le mie rose?”
Il
significato di quelle parole le esplose nel petto; così quell’ uomo
indecifrabile si rivelava? Dopo tutto quel tempo? Dopo quei lunghi dolorosi tre
anni di matrimonio, in cui lei aveva tentato di dimenticare e rassegnarsi per
sempre al fatto che lui apparteneva a un’ altra?
Le
labbra le tremarono: lui si era avvicinato di più, aveva abbassato la rosa e
alzato l’altra mano a sfiorarle la bocca con il pollice in un gesto palese e
allusivo.
La
mano, con una carezza tenera si era spostata lungo il collo esile.
E
lentamente si era abbassato fino a raggiungere le sue labbra.
Il
primo bacio fu lieve, ma la colse di sorpresa.
L’aveva
guardata un attimo, nell’attesa di un possibile rifiuto che non venne, prima di
continuare a baciarla in un modo sempre più esigente. Si era staccato solo per
incontrare i suoi occhi spalancati di meraviglia.
“Hai
ragione, Maya… - bisbigliò contro le sue labbra, con un sospiro rauco - non sei
più una ragazzina.”
L’aveva
baciata ancora, con più foga di prima, coprendole le labbra, schiudendole fino
a invadere con tenera urgenza il segreto dolce e fresco della sua bocca, alla
scoperta del suo sapore.
Lei
era come miele che gli scendeva nell’anima.
Un
palpito di felicità dimenticata si accese nel suo cuore. Sperò che per lei
fosse lo stesso, un intimo, segreto desiderio.
L’aveva
stretta contro il torace, le mani grandi sulla sua schiena minuta, fino a
sollevarla da terra. L’asciugamano era caduto.
La
sentiva fremere, aggrappata a lui, le piccole mani sulle sue spalle larghe,
ancorate al tessuto della giacca. Non seppe per quanto tempo restarono così,
stretti uno all’altra, dimentichi di tutto, preda di un dolce delirio che li
avvinceva. La sentiva arrendevole, tenera e tremante contro il suo petto.
Bastava quello a fargli scoppiare il cuore di una gioia misteriosa. Si illuse
per un attimo che potesse bastargli, poi avvertì le sue mani giocare timide fra
i suoi capelli. Allora, corpo e anima reclamarono tutto di lei.
Al
primo dolce assalto, tra sconcerto e incredulità, si era sentita incapace di
respingerlo, pur sapendo che avrebbe dovuto.
Lui
non era il suo uomo.
Quella
rosa l’aveva totalmente disarmata, vanificando tutti gli sforzi fatti per
lasciarlo andare, e in un istante, lei aveva ritrovati intatti in fondo
all’anima quei sentimenti che credeva di aver cancellato.
Erano
ancora lì, forti più di prima, rinvigoriti dal tempo, dalla distanza, dalla
separazione forzata, e bastava la miccia giusta a farli esplodere di nuovo.
Lo
amava ancora.
Ma
questa consapevolezza la fece disperare. Forse arrabbiare.
Perché
si burlava di lei? Perché doveva essere così crudele?
Voleva
che perdesse la ragione?
Non
era suo.
Non
poteva esserlo.
Masumi
aveva una moglie, e non era lei.
Lacrime
salate e impietose vennero a ricordarglielo, mentre le sue labbra calde,
esigenti e sensuali la stordivano.
Miele
e sale si mischiarono.
Masumi
l’aveva presa in braccio, una mano sotto le ginocchia, l’altra a cingerle la
vita sottile, e non smetteva di baciarla con un ardore che la stava bruciando.
Sentì
i suoi passi muoversi sicuri e le fu tutto chiaro.
Fu
presa dal panico.
Si
divincolò, mosse le gambe per tentare di sfuggirgli, ma Masumi, possessivo, la
strinse con più forza affondando le dita nella sua pelle.
Sconfitta
si puntellò contro il suo petto e lo fissò in viso, in un ultimo inutile
tentativo di resistergli.
“Aspetta
Masumi, ti prego. Perché ti riveli adesso? Dopo tutto questo tempo? Tu sei
sposato… non possiamo… io non posso!”
Lui
la guardò un istante, con infinita tenerezza.
La
sua piccola donna.
Il
volto arrossato per l’emozione, le labbra gonfie e gli occhi umidi, ma colmi di
quel fuoco che straziava anche lui. Benché scuri, erano troppo trasparenti e
sinceri, e lui vi leggeva attraverso.
Non
poteva lasciarla andare. Non più.
“Perché
in questi tre anni, a parte vederti recitare, l’unico momento di felicità è
stato quando sono entrato da quella porta, poco fa. Da quando hai respinto il
donatore di rose, il mio cuore sanguina. Solo tu puoi curare le mie ferite. Tu
sei mia e io sono tuo. Doveva essere così fin dall’inizio, purtroppo ho
commesso un errore dietro l’altro… ma stanotte non mi lascerò respingere.”
“Oh,
Masumi…” sospirò vinta, allacciandogli le braccia al collo e affondando il viso
contro la sua spalla.
La
trasportò fino alla stanza da letto e l’adagiò dolcemente fra le coltri.
Le fu
accanto, le accarezzò il viso dolcemente, le asciugò le lacrime che ora
nascevano in mezzo ai sorrisi. Le baciò la fronte, i capelli umidi, le guance,
le palpebre chiuse, le labbra.
“Ti
amo, Maya. Lontano da te, ho rischiato di diventare pazzo. Mi hai stregato
molto tempo fa, questa è la sola cosa che so, la sola cosa vera della mia vita.
Tutto il resto è il nulla più assoluto.”
E lei
fu certa che quelle parole fossero reali e altrettanto vere nel suo cuore.
Quella notte infinita sarebbe vissuta nel suo abbraccio, nata con lui.
Masumi
ascoltò il suo corpo con le mani, che si aprì come un fiore delicato e prezioso
per la prima volta.
Lo
esplorò con devozione come un pellegrino, nutrendolo con gentilezza e
colmandolo coi suoi baci profondi, venerandolo con gli sguardi più intensi.
Incoronò la sua bellezza con la gemma più preziosa, quell’amore che traboccava
dal cuore come linfa vitale. Essere in lei, nella sua femminilità calda e
profonda come il mare, fu come perdersi dentro un firmamento di stelle, sentirsi
piccolo, custodito, e rinascere a nuova vita.
Scoprì
di amarla con ogni fibra del suo essere, con ogni goccia di sangue che correva
nelle vene, con ogni battito di ciglia.
Scoprì
di essere amato con altrettanta forza, di essere per lei potente energia e sollievo.
Era
affamata, assetata di lui, di ogni contatto di labbra, di ogni più intima,
segreta carezza che con innocenza lo cercava.
E
Maya, nell’ estasi travolgente della loro unione si sentì come una regina.
Splendida e immortale come una dea unita al suo sposo.
Fu
sua in ogni pensiero e parola, nei baci che infiammavano la pelle e le membra,
in ogni sospiro e sussurro; fu come riscoprire la gioia di donarsi, e perdersi
travolto dal calore del suo abbraccio, dal tepore molle e arreso del suo corpo
che diventava nido misterioso e accogliente, dal richiamo della sua voce felice
che lo avvinceva come una musica soave.
I
palpiti dei loro cuori si inseguivano in rincorse folli, esplodendo in vortici
di gioia.
Furono
una cosa sola, una sola felicità, una sola anima, un solo canto d’amore.
Il
più antico e il più puro. Il più grandioso.
Si
amarono così per tutta la notte, pregando che non giungesse mai il mattino che
li avrebbe separati, riportati alla realtà troppo triste delle loro vite
sospese. L’alba li trovò con le mani intrecciate, le braccia aperte sui
cuscini, il cuore contro il petto dell’altro, il respiro nel respiro e le
fronti accostate.
Masumi
si svegliò prima di lei.
Si
fermò rapito a guardarla, rubando quell’espressione di felicità che aleggiava
sul suo volto. Forse stava sognando.
Una
vaga amarezza lo assalì.
Non
voleva uscire da quel letto, ma non poteva restare con lei come avrebbe voluto,
e lo sapeva.
Le
accarezzò la linea della guancia con il dorso delle dita, desiderando che
sollevasse le palpebre.
Fu
come se lo avesse sentito.
“Buongiorno.”
Sussurrò davanti ai suoi occhi aperti.
Maya
si girò su un fianco, ma non parlò limitandosi a guardarlo. C’era qualcosa nei
suoi occhi scuri che lo inquietò.
Sembrava
tristezza.
“Sei silenziosa…
- si avvicinò per posarle un bacio sulle labbra – spero che tu non sia
pentita.”
“No,
ma…” esitò impacciata.
“Che
cosa c’è Maya?” Le chiese, senza riuscire a nascondere la sua apprensione. All’
improvviso ebbe paura.
“È
stato bellissimo questa notte, davvero. Porterò questo dolcissimo ricordo nel
cuore per il resto della mia vita…”
La
sua piccola mano corse ad accarezzargli una guancia e Masumi la coprì con la
sua. Si accorse che tremava.
“Io
voglio rivederti, Maya. Non accetto rifiuti.”
Dolcemente
lei si allontanò dal suo abbraccio, per scendere dal letto. Prese gli indumenti
sparsi in giro per la stanza e si rivestì. Sentiva sulla pelle l’aria fredda e
addosso lo sguardo caldo di lui, che non l’abbandonava.
“Maya…”
La chiamò incerto. Ma lei corse fuori dalla stanza.
L’uomo
saltò giù dal letto. Infilò pantaloni e camicia senza allacciarla. La raggiunse
nella piccola sala del soggiorno. La trovò seduta sul divano, le mani in
grembo, il volto abbassato sul pavimento.
“Maya!!”
La
osservò: sembrava la ragazzina piccola e fragile di sempre. Si avvicinò e si
inginocchiò accanto a lei, posando le mani sulle sue.
“Maya,
che cos’ hai? Dimmelo, ti prego.”
Lei
esitò tormentandosi le mani.
“Masumi,
non potrà esserci un seguito a questa notte. Io ti amo più di quanto immagini,
ma ti prego, non chiedermi di diventare la tua amante. È un ruolo che non
saprei sostenere. Tu non sei un uomo libero…”
La
guardò sconcertato, per un attimo incapace di parlare, conscio solo della fitta
di dolore che sentì al petto.
Lasciarla
andare? No.
Era
impensabile.
Sarebbe
stato come morire.
Si
sollevò per sedersi sul divano, accanto a lei.
“Mi
stai dicendo che mi ami, me l’ hai detto per tutta la notte, e non vuoi stare
con me? Scusami, ma non capisco.”
Non
nascose il disappunto.
“Io
vorrei poter stare con te, lo vorrei tanto, ma… non posso. Tre anni fa, quando
ti sei sposato, ho fatto di tutto per dimenticarti. Non sai quanto ho sofferto,
quanto mi è costato respingere le rose del mio dolce ammiratore, le tue rose
Masumi… ma non potevo fare altro. Dovevo mettermi il cuore in pace, rassegnarmi
ad averti perso. Pensavo di esserci riuscita…”
La
costernazione di Masumi aumentò ancora, appena colse il senso di quelle parole.
“Un
momento: stai dicendo che tu sapevi che ero io il tuo ammiratore?”
“Sì,
lo avevo capito che eri tu. Ieri sera, quando ti sei presentato alla mia porta
con quella rosa, non potevo crederci. Che strani scherzi fa il destino… Volevo
resisterti, mandarti via. Ho dovuto arrendermi al mio cuore.”
“Oh,
Maya…”
“Ti
prego Masumi, cerca di capirmi.”
La
voce era incrinata e lui percepiva lo sforzo che faceva per non piangere. Ma
non comprendeva del tutto le sue parole. L’unica cosa che gli era chiara era
che non voleva perderla; la voleva ancora e avrebbe fatto a pezzi la sua stessa
miserabile vita per legarla a sé per sempre.
Non
gli importava di niente, tranne che di lei.
Contava
solo quella felicità totale appena intravista e che già sembrava dissolversi.
“Reciterò
soltanto per te, per il resto della mia vita. Sul palco sarò solo tua. Soltanto
lì, nel mondo dell’arcobaleno, il nostro amore continuerà ad esistere, e
nessuno potrà impedirlo. Nessuno potrà togliercelo. Tu sarai sempre il mio
prezioso ammiratore, il mio più caro amico. Mi sentirò sempre amata finché tu
mi guarderai recitare. Ma fuori dal palco… non c’è futuro…”
Con
le ultime parole, Maya si arrese alle lacrime trattenute fino a quel momento.
Portò le mani al volto per nascondere lo strazio.
Il
cuore oppresso, Masumi non voleva credere che stesse parlando sul serio. Eppure
in un angolo remoto del suo animo sentiva che lei aveva ragione; con quelle
premesse loro non avevano futuro e lui non poteva condannarla ad una vita
clandestina di vergogna.
Senza
volerlo, avrebbe corso il rischio di rovinarla, minacciando la sua stessa
carriera di attrice.
La
felicità stava sfuggendo di nuovo.
Ma
sopportarlo, ora diveniva insostenibile. Almeno per lui.
Non
mosse obiezioni. Non riusciva a trovarne.
Si
alzò in piedi per allacciarsi la camicia e infilarla nei pantaloni, poi
recuperò la giacca in camera da letto.
Doveva
pensare con calma, ma non ci riusciva. La sua mente non era lucida, ed era
diviso tra un misto di gioia e pena.
Dov’era
finito il freddo, cinico calcolatore, l’uomo con pochi scrupoli, padrone sempre
della situazione?
Lì
c’era solo un uomo perdutamente innamorato, che non sapeva cosa fare.
Quando
tornò in soggiorno, trovò Maya in piedi ad attenderlo.
Era
bellissima, ancora trasfigurata dai segni della passione, gli occhi pesti e
umidi di pianto, i capelli in disordine.
La
guardò, reprimendo l’impulso potente di stringerla di nuovo. Se l’avesse anche
solo sfiorata, non sarebbe più uscito da quell’appartamento.
“Devo
andare, ora…”
Si
sentì subito amareggiato; sembravano soltanto
le squallide parole di un amante di passaggio.
Ma vorrei tanto restare, pensò avviandosi verso l’
ingresso. Maya lo seguì rimanendo a breve distanza, senza staccare gli occhi
dalla sua alta figura.
“Masumi…”
Il
suo nome pronunciato in un sussurro disperato lo folgorò sulla porta aperta.
Tornò indietro svelto.
“Chiederò
il divorzio, Maya. È una promessa.” Poi scomparve oltre la soglia.
Il
rumore dei suoi passi sulle scale si affievolì.
Una
scintilla appena nata di speranza accese le iridi scure della giovane.
Il
suo ammiratore manteneva sempre le sue promesse.
Fine (forse...)
Buongiorno a tutte le fans de “La maschera di vetro”.
Questo è il mio debutto in questo fandom, dove ultimamente
bazzico più come lettrice che altro; non ho mai scritto nulla prima, e non so se
scriverò ancora. Conoscevo l’anime della mia infanzia, ho scoperto recentemente
quello del 2005 (spero che lo doppino in italiano prima o poi) e i bellissimi
OAV.
Così mi sono avvicinata al manga, su consiglio anche di
altre brave autrici, e l’ ho letto con gran piacere. Non so cosa la Miuchi
abbia in mente per il finale, (ho qualche sospetto che non svelo qui), ma viste
le vicende degli ultimi numeri, ho pensato che poteva essere verosimile uno
sviluppo del genere, con Masumi sposato e infelice, una cosa cui stavo pensando
piuttosto seriamente.
Così è venuta fuori l’idea di questa storia un po’
amarognola, ma dal finale aperto. Io spero vi sia piaciuta.
Eventuali pareri favorevoli e non, li accoglierò con
gratitudine.
Ninfea