Before Queen Beryl

di Sokew86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 ***
Capitolo 2: *** 01 ***
Capitolo 3: *** 02 ***
Capitolo 4: *** 03 ***
Capitolo 5: *** 04 ***



Capitolo 1
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PROLOGO

 

 

Qualche volta i compagni di classe potevano essere molto crudeli e Sergej lo sapeva. Giocava pazientemente con un cubo di Kubrick mentre ascoltava, tentando di simulare disinteresse, le chiacchere su di lui di due suoi compagni insieme a un altro studente.

- Così quello è Sergej? Hanno davvero ragione ... fa paura: che occhi freddi! -

Sergej continuò a giocare, le sue mani rimanevano ferme ma era leggermente sussultato. 

I compagni continuarono, ostinandosi ad avere un atteggiamento arrogante.

- Tu non hai visto suo padre-disse un altro ragazzo gettando uno sguardo sul compagno di classe che si ostinava a non guardare nella loro direzione.

- E' uomo alto con uno sguardo di ferro, sembra un mafioso russo e Sergej è il suo ritratto! Con l'età peggiorerà. Tra altro sapete che il padre di Sergej è sposato con una cinese?- concluse con talmente tanto disgusto che i suoi occhi, già piccoli di per sé, divennero praticamente invisibili.

- Che siano una famiglia di mafiosi? Così spiegherebbe perché qualcuno avrebbe accettato un figliastro come Sergej: di un assassino, in una famiglia di mafiosi, serve sempre- domandò un altro ragazzo dal fisico gracile e gli occhi pieni di cattiveria.

Sergej completò il cubo di Kubrick con un gesto secco e lo posò sulla scrivania del professore. I compagni si erano ammutoliti e aspettarono quella reazione violenta che tanto desideravano dal ragazzo straniero. Invece Sergej si limitò a puntargli i suoi occhi grigio ghiaccio, così oltraggiati.

Sergej li fissò a uno a uno finché non li vide deglutire e assumere un’espressione spaventata, e sorrise soddisfatto mentre il suo cuore piangeva.

Uscì dalla classe, ben deciso a rimanere da solo.

 

Aaron era molto intelligente ma il suo atteggiamento strafottente nei confronti della scuola e, il fatto che fosse il figlio di un importante ambasciatore francese, gli aveva fatto guadagnare la reputazione che fosse raccomandato.

Quindi non si stupì della situazione che si creò quando furono consegnate le valutazioni degli ultimi test, aveva avuto dei voti altissimi, nonostante che si fosse assentato innumerevoli volte e in classe era spesso distratto.

 - Com’è possibile? Si vede che i professori sono larghi di voti con lui!- la frase fu pronunciata in un francese con un forte accento asiatico dal compagno dietro di lui, risultando osceno alle orecchie di Aaron. Il figlio dell'ambasciatore si alzò dalla sua sedia e gettò un'occhiata di sdegno con i suoi verdi occhi, che sembravano quelli di un gatto, talmente erano belli ed eleganti.

-Guiffrey?- domandò il professore sorpreso e il ragazzo sorrise cortese.

-Professore, potrei essere interrogato alla lavagna?- domandò avvicinandosi già verso cattedra, ottenendo così il consenso del professore, ancora attonito dalla situazione.

Aaron prese un gessetto e sfidò la classe davanti a sé, ai suoi occhi erano tutti degli sciocchi della società perbene giapponese con il gran sogno di diventare francesi.

La classe accettò la sfida con lo sguardo, precisamente la parte maschile perché quella femminile guardava Aaron con adorazione, come sempre.

Poco dopo i ragazzi della classe dovettero capitolare, avevano interrogato Aaron su tutti gli argomenti di quell'anno scolastico e anche quello precedente e Aaron aveva risposto a tutto.

Ma Aaron non era soddisfatto e, sentendo ribollire il sangue, insultò ad alta voce i suoi compagni.

Il professore scattò in piedi e accompagnò il ragazzo in presidenza: il preside era furioso, come al solito, e gli disse le solite ramanzine che puntualmente erano ignorate da Aaron .

Il suo pensiero era soltanto uno, aveva visto che una delle finestre del corridoio era aperta ... si sarebbe creato un pomeriggio libero.

Aaron scappò appena fu possibile e passeggiò per un po' per le strade della citta di Tokio, non la zona turistica ... ma la città vera e propria dove palazzi, uffici, scuole e appartamenti erano insieme.

Odiava tutto del Giappone, il fatto che i cartelli e le insegne stradali fossero scritti in ideogrammi non aiutava, anzi aumentavano il suo disappunto: che razza di scrittura era quella? E perché non c’era una traduzione in inglese?

Ad Aaron mancavano le sue città, Londra, Bruxelles e Parigi, perché suo padre lo costringeva a, vivere lì?

Perché combinava solo casini e il padre non aveva avuto fiducia a lasciarlo da solo a Parigi presso gli zii.

Calciò infuriato l'aria e quasi cade per lo slancio, ma notò una sala giochi: non ci era mai stato.

-In fondo in questa nazione sanno fare solo fumetti porno e videogiochi- esclamò in inglese- Mi adatterei alla loro cultura, sarà questa la scusa con mio padre- ed entrò nella sala, pronto a scaricare la sua rabbia in un gioco picchiaduro quando qualcosa attirò la sua attenzione. Era la schiena di un ragazzo con i capelli biondi e ricci che stava giocando a Guitar Hero ed era anche bravo. Aaron ebbe l'impressione che fosse straniero, esattamente come lui, ma scacciò l'idea da dove era venuta.

- Sarà un giapponese dai capelli cotonati e tinti- pensò con una punta di fastidio ma dovette ricredersi, perché vide il volto del ragazzo: zigomi affilati e occhi grigio ghiaccio, probabilmente proveniva dall'est Europa.

Aaron si avvicinò entusiasta e chiese in inglese se avesse voglia di giocare a un livello del videogame insieme.

-Yes, I like the idea- rispose il ragazzo guardandolo con quegli intesi occhi grigi.

Aaron avrebbe pianto dalla commozione se non fosse stato il figlio di buona mamma che era, imbracciò la sua chitarra e iniziarono la partita: avevano scelto il brano dei Queen Another One Bites the Dust.

I due ragazzi avevano chiaramente due modi d'affrontare il gioco differente, Aaron era impetuoso e appena il computer indicava quali pulsanti premere già li stava schiacciando. Lo sconosciuto era molto più paziente, quasi attendeva che note arrivassero in fondo al canale prima di premere e nel frattempo memorizzava le successive in arrivo. Entrambi ottennero un buon punteggio e dopo aver riposto le chitarre giocattolo, si presentarono.

- Il mio nome è Aaron, il tuo invece?-

-Sono Sergej-

- Disputiamo un'altra partita insieme a qualche altro gioco-

Sergej guardò sospettoso l'altro ragazzo, in realtà voleva essere lasciato solo, ma non aveva la minima idea che Aaron fosse quel tipo di persona che non accettava un “no” come risposta.

- Dai che siamo i tipi più interessati in questo gruppo di sfigati- disse gettando un'occhiata di sdegno al resto del negozio e trascinando Sergej a un'altra postazione.

Aveva scelto un gioco fantasy, i due costruirono i propri personaggi e Sergej rimasse stupito nel vedere che Aaron avesse creato un personaggio con una forte magia iniziale di guarigione.

Capì il motivo appena iniziarono a giocare seriamente, Aaron era un tipo fisico e il suo personaggio era sempre nel bel mezzo di qualche battaglia a corpo a corpo e aveva bisogno di continua rigenerazione magica. Sergej, invece, utilizzava come tecnica evocare mostri e scagliarli contro i nemici mentre il suo personaggio, protetto e lontano, attaccava con armi da lancio.

Poco dopo i due stili di gioco combaciarono formando un'ottima squadra, il personaggio di Aaron era in prima fila con le spalle coperte dagli incantesimi di quello di Sergej.

Qualche altro giocatore li notò e chiese se avessero mai giocato insieme, rispose Sergej, perché Aaron non parlava giapponese, che era la prima volta.

- Avete davvero un'ottima sintonia, sembrate dei veri compagni d'armi!-.

 Quella frase fece sorridere Sergej e la tradusse ad Aaron che rise anche lui.

Divennero compagni d'armi per quel pomeriggio in quella sala giochi, ma non sapevano che lo sarebbero diventati anche nella vita reale.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE: Chi l’avrebbe detto che un giorno avrei scritto una ff nel fandom di Sailor Moon, anime che aveva comunque adorato e potuto godere tutto grazie alla sorella più grande che aveva registrato tutte le cinque serie e film?

Questa storia nasce dalla lettura di Casablanca Memories, lo special su Rei. La cosa che mi ha più colpita era che Zoisite era andato a cercare vendetta per Jadeite come una furia. So che l’autrice aveva utilizzato Zoisite perché era molto popolare al tempo ma credo anche che ci volesse dare l’opportunità di speculare, poiché degli Shitennou non sappiamo nulla della loro vita da civile. Per questo motivo nella mia testa è partita l’idea che Zoisite (Aaron) e Jadeite ( Sergej) si fossero incontrarti per primi e fossero diventati amici. Questa è la loro storia di come sono diventati Shitennou.

I nomi scelti hanno un significato:

Aaron(Aronne): Deriva dall'ebraico 'Aharon, probabilmente di origine egizia sconosciuta. Secondo altre fonti potrebbe derivare dall'ebraico "alta montagna", o dall'ebraico "io canterò", o dall'arabo "messaggero". Nell'antico testamento 'Aharon è il fratello di Mosè e il primo sacerdote degli Ebrei.

Lo shitennou che rappresenta Zoisite è Genbu(nome nel buddismo), colui che conosce o che ascolta gli insegnamenti(il messaggero)

 

Sergej(Sergio): Il nome ha origini etrusche ed è legato al latino Sergius. Il suo significato è "custode".

Lo shitennou che rappresenta Jadeite è Seiryuu(nome nel buddismo)/Jikokuten(nome giapponese), colui che protegge il reame .

Siti consultati:

http://sailor-scribbles.tumblr.com/post/40175940772/shitennou-analysis-warning-super-long

http://sailor-scribbles.tumblr.com/post/40337916318/shitennou-analysis-part-2-warning-super

http://jecksy-candy.deviantart.com/art/Heavenly-Kings-501103010

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 01 ***


capitolo1

CAPITOLO I

 

Sergej stava sorseggiando il suo tè aromatizzato all'arancia mentre osservava Aaron parlare, a volte temeva che non si sarebbe mai fermato. Vide che una ciocca dei capelli biondi di Aaron era appoggiata al tavolinetto del largo balcone della camera del ragazzo.

Aaron aveva i capelli più lunghi che Sergej avesse mai visto su un uomo, gli arrivavano alla vita ed erano ricci ... Sergej non osava pensare alla loro lunghezza effettiva se fossero stati stirati con una piastra.

- Mi stai ascoltando?- chiese piccato Aaron e Sergej tentò di bleffare ma non gli riusciva molto bene.

Infatti, ricevé quel sorriso furbetto, quasi diabolico, che dava al viso di Aaron l’apparenza di un seduttore, non di un artista fragile e neanche di un angioletto, nonostante che fosse solo un quindicenne e i lineamenti del suo viso erano piuttosto delicati.

Sergej aveva diciassette anni ma sapeva d'avere uno sguardo più innocente rispetto all'amico che era assai più malizioso, impaziente e burrascoso di lui. Sergej, invece, era una persona paziente, severissimo con se stesso e molto calmo.

Aaron imbronciò il viso, riavendo per un attimo i suoi quindici anni, e sorseggiò la sua cioccolata calda.

- Mi manca la cioccolata belga- esclamò con disappunto come avrebbe fatto un bambino.

Sergej sorrise e rimase in silenzio, non aveva nessuna intenzione di dar corda a quell'argomento, Aaron non perdeva occasione di proclamare la supremazia del Belgio sul mondo e in generale dell'Europa.

-Hai sentito parlare di quei casi di sparizione?- domandò Sergej.

-Quelli dei ragazzi tra i quindici ai diciotto anni? Sì-

- Vorrei che fossi attento- disse Sergej assumendo un tono preoccupato- Erano tutti ragazzi dalla vita mondana come la tua-.

Aaron non rispose ma schioccò impaziente la lingua-Me l'ha detto anche mio padre, per chi mi avete preso? Ammetto di ficcarmi spesso nei guai, ma so anche uscirne-.

Sergej arrossì imbarazzato, si sentì invadente ... conosceva Aaron solo da un mese, eppure sentiva il bisogno di guidarlo e proteggerlo ma il più giovane non era di questa idea, considerando che non ascoltava neanche suo padre.

- Anche se... - iniziò Aaron spostando finalmente la ciocca di capelli invadente - Non oso immaginare come si sentano i loro genitori in questo momento-.

Sergej lo fissò in silenzio.

- Se mi accadesse qualcosa del genere, mio padre non si arrenderebbe fino alla sua morte - concluse bevendo distratto la sua cioccolata e domandò con uno sguardo profondo-Cosa farebbe tuo padre?-

Aaron sapeva che non erano argomenti da affrontare con un suo coetaneo ma Sergej era diverso ...  lo faceva sentire a suo agio ad affrontare argomenti di un certo spessore. Riusciva a fargli smettere di recitare la parte del superficiale ragazzo ricco.

- Mio padre non si darebbe pace finché non trovasse il mio assassino-

-Ma ho parlato di scomparire- obiettò Aaron.

- Le persone scomparse, se non sono ritrovate entro ventiquattro ore o danno segni di vita, come accade con i ragazzi scappati di casa, sono quasi sempre morte-.

Aaron fischiò ironico- Che cinismo-

- È praticamente dimostrato, quindi stai attento-, specificò Sergej nuovamente, senza volerlo, e Aaron alzò lo sguardo al cielo impazientito.

Sergej si morse le labbra e per evitare di parlare iniziò a far vagare il suo sguardo. La casa di Aaron era una villetta in stile europeo immerso in un giardino all'inglese pieno di fiori, che soltanto a guardarlo, provocava in Sergej un moto di nostalgia come se avesse visto un posto simile molto tempo fa.

Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, si sentì in pace ... una sensazione che Sergej era sempre alla ricerca e che invece gli sfuggiva sempre.

Aaron prese il suo cellulare e lo impostò sull’opzione radio.

Sergej aprì gli occhi e li puntò in quelli di Aaron.

- Ti dispiace se ascoltiamo questo programma? Dura solo mezz'oretta - domandò Aaron, con un tono stranamente colpevole. Partì la sigla e Sergej la riconobbe, non sapeva chi l’aveva composta ma era un genio, era trascinante e faceva pensare a un mondo misterioso e antico.

-Ascolti anche tu il programma di Keme?-.

Aaron arrossì come risposta e iniziò a balbettare provocando in Sergej un moto di tenerezza per quello strano coetaneo.

- Non fraintendermi, non sono un fissato di leggende e racconti popolari. Mi piace come spiega il conduttore, ecco tutto, e poi il suo programma è tra pochi a essere in inglese senza appartenere alla BBC- concluse seccamente Aaron.

Sergej sorrise dolcemente e concordò che il conduttore sapeva quello che faceva.

- Amici ascoltatori sono Keme, in diretta dalla stazione  radiofonica di Tokiooutside. Oggi parleremo ancora del monomito dell'eroe, come ho già spiegato la puntata precedente, è il percorso di dodici passi che compie l'eroe in un romanzo, in un film … in qualsiasi tipo di racconto scritto, ricordatevi che, però, le sue radici affondano nel classico mito greco. L'altra volta abbiamo parlato dell'introduzione dell’eroe nel mondo ordinario, cioè il mondo normale del protagonista. Oggi parleremo del richiamo all'avventura: il mondo ordinario del protagonista è sconvolto da qualcosa, un’azione che l’eroe è costretto a subire, nei miti classici, ad esempio è l'arrivo del messaggero con le notizie di una guerra. Nel mito classico e moderno di Star Wars è il momento che Luke vede il messaggio della principessa Laika. Ma il richiamo dell'eroe può assumere altre forme come il sogno o può essere lo stesso eroe a sentire il bisogno di partire. Oggi parleremo del richiamo all'avventura nella vita di tutte le persone. Non siate scettici e pensate profondamente alla vostra vita, sarà capitato almeno una volta di ricevere una notizia inaspettata o d'aver seguito il bisogno interno di dover cambiare vita-.

- Oppure tuo padre che ti trascina dalla tua bella Bruxelles e in ti porta ai confini del mondo- sbottò irritato Aaron mentre Sergej precisò che era, appunto, un esempio dell'azione esterna che l'eroe non poteva controllare.

- Personalmente ho avvertito il bisogno di cambiare aria e dopo lunghe notti insonni, ho sognato questa bellissima nazione e ho capito che dovevo assolutamente venire in Giappone dal Canada. Coraggio ditemi del vostro richiamo all'avventura, le linee sono aperte al numero... -.

I due amici ascoltarono i commenti degli ascoltatori, tutti erano entusiasti di discutere del proprio richiamo all'avventura e Keme li spingeva a parlare, quel conduttore era bravo e spiritoso.

- Come sei finito in Giappone, Sergej?-

- Facile, a mia madre è stato offerto un lavoro da un teatro importante giapponese e ci siamo trasferiti qui. La mia famiglia segue sempre gli spostamenti di mia madre, l'abbiamo sempre fatto- spiegò pacatamente Sergej mentre lo guardava sempre più perplesso Aaron.

- Ma non ti sembra un abuso, essere trascinato dappertutto?-

Sergej esitò nel rispondere, cosa che non sfuggì agli occhi di gatto di Aaron, ma poi sorrise tranquillo.

-Normalmente no, ma da quando mia sorella è andata a vivere in America ammetto di sentirmi un po’ spaesato-

Aaron rimase in silenzio, intuendo che quella parola "spaesato" voleva dire tutt'altro.

Il ragazzo belga sapeva che Sergej, nonostante fosse più aperto di lui verso la società giapponese, aveva difficoltà a integrarsi ed era quasi un anno che si era trasferito lì.

Sergej era il figlio di un padre vedovo russo che si era risposato con una donna cinese con una figlia a carico, di tre anni più grande di Sergej.

Sergej amava profondamente la matrigna e sua sorella acquisita considerandole la sua effettiva famiglia. Aveva anche un fratellastro, il piccolo Shen che era nato dall'unione di suo padre con la seconda moglie.

Sergej era vissuto da sempre in questa famiglia allargata in posti cosmopoliti come Hong-Kong e Shangai.

Una situazione familiare del genere era così complessa da essere ostica, soprattutto per un popolo tradizionalista come quello Giapponese.

Sergej era dispiaciuto di non riuscirsi a integrarsi perché nonostante l'aspetto caucasico, il russo aveva un cuore asiatico: Aaron lo definiva un ragazzo molto zen.

- Immagino di sentirmi anch’io spaesato- ammise Aaron, mettendo particolare enfasi sull'ultima parola, utilizzando un tono un po’ duro però per l'intera frase.

Sergej lo guardò con dolcezza-Devi dare una possibilità a questo posto-.

Aaron lo guardò scettico ma non disse nulla.

- Vedila così, è il tuo richiamo all'avventura. La tua avventura sarà imparare ad amare il Giappone-.

Lo sguardo beffardo che ricevé Sergej lo convinse che Aaron non avrebbe mai ascoltato il suo consiglio, invece, poco tempo dopo, dové ricredersi.

 

Sergej era alle sue lezioni pomeridiane quando sentì la sua intera gamba vibrare, silenziosamente e, senza farsi vedere dal professore che stava spiegando, prese il cellulare dalla sua tasca.

Era un messaggio di Aaron che chiedeva di chiamarlo, alzò la mano e aspettò che il professore lo notasse e chiese il permesso d'uscire che gli fu accordato.

Entrò in bagno e controllò che non ci fosse nessuno e telefonò Aaron.

- Dove sei Aaron?- domandò non poco preoccupato, i casi di sparizione gli avevano messo molta ansia e non sapeva neanche lui perché.

- Bella domanda, so solo che mi sono avventurato più in là di quello che dovevo con il treno e ovviamente le scritte sono solo in ideogrammi in questa dannata stazione! Aspetta che ti mando una foto-.

Sergej ricevé in attimo una foto di un'insegna della stazione e appena la lesse chiamò l'amico e parlò con un tono esasperato di voce.

-Sei dall'altra parte di Tokio! Mi spieghi cosa ci sei andato a fare laggiù?-.

-Te lo spiego quando arrivi-, ribatté prontamente Aaron.

Sergej inspirò profondamente e poi parlò con un tono autoritario che Aaron non aveva mai sentito dalla sua bocca.

- Aaron rimani dove sei, perfettamente immobile. Non fare nulla, chiaro?- comandò.

Sergej arrivò in sessanta minuti circa e trovò, esattamente come aveva richiesto, Aaron immobile: incredibilmente quel ragazzo poteva seriamente ascoltare qualcuno e Sergej si stupì d'essere quel qualcuno.

Aaron stava bene, aveva solo un’espressione annoiata e Sergej gli si parò davanti come una furia, facendolo sobbalzare leggermente quando iniziò a sgridarlo senza neanche averlo salutato.

- Si può sapere che intenzioni avevi qui? Hai capito che sono preoccupato per te? Se ti capitasse qualcosa, ne morirei!- esclamò con un'enfasi che non apparteneva a una persona riflessiva e calma come lui.

Aaron lo fissò in silenzio, con un'aria stranamente mortificata e parlò così sommessamente che Sergej rimase stupito.

-Mi dispiace, ma siamo sopravvissuti a situazioni ben peggiori. Lo sai?-

Entrambi rimassero in silenzio: cosa erano quelle frasi così nostalgiche ma prive di senso?

Sergej tirò via dal muro Aaron e gli disse che poiché ormai erano lì, era il momento di mostrargli il vivere giapponese.

-Ci sei mai stato qui?- domandò diffidente il belga mentre Sergej gli rivolgeva un ghigno.

-No, ma ciò che ho in mente è presente in tutte le parti del Giappone-.

Sergej portò Aaron a provare la cucina giapponese in una bancarella tipica per i lavoratori.

Era piccola e stretta, le persone erano ammassate davanti a un bancone, l'una vicina all'altra con i gomiti che si sfioravano. Quando accadeva Aaron stringeva le spalle a disagio, come tutti gli europei, era abituato a uno spazio personale più ampio rispetto a un asiatico e quindi quella vicinanza forzata, soprattutto, mentre mangiava lo infastidiva.

Infatti, si rivolse a Sergej seccato- Se questo è il tuo modo di punirmi, sappi che l'hai scelto benissimo-.

Sergej ridacchio-Rilassati, ti assicuro che per il cibo vale la pena- così dicendo si rivolse al cuoco e ordinò da mangiare.

Aaron sospirò, immaginò di doversi fidare e per la verità Aaron non si fidava di nessuno, neanche di se stesso: tutti lo credeva un ragazzo amichevole ma era in realtà introverso.

Il cuoco fu rapido e furono serviti due piatti di ramen in un brodo fumante, Aaron fissò le bacchette che gli erano state consegnate e tentò di domandare una forchetta al cuoco, ma fu fermato, fortunatamente, da Sergej.

-Non hanno posate qui, devi usare le bacchette-

-Illuminami. Come si mangiano gli spaghetti e, soprattutto, il brodo senza una comoda posata?- domandò afferrando cautamente le bacchette, Sergej lo imitò e si posizionò in modo che Aaron potesse vedere come le usava.

-Con le bacchette si mangia tutto ciò che si può afferrare e poi il brodo si beve-

Aaron fece un’espressione disgustata-È un’azione maleducatissima per il galateo!-.

-Per l'Occidente sì ma non qui. Dai, guarda come posiziono le bacchette e imitami- lo esortò a provare e Aaron pur rimanendo scettico in volto ci provò, Sergej gli mostrò il modo coretto di tenere le bacchette e poi come afferrare il cibo. Seppure con qualche difficoltà, Aaron riuscì a gustare la prima porzione di spaghetti di soia e incredibilmente non ebbe nulla da ridire.

Sergej continuò a sorridere contento, continuando a chiacchierare mentre Aaron migliorava l’uso delle bacchette diventando sempre più tranquillo e aperto ai cibi scelti dall'amico.

Ordinarono altro cibo e da bere, il cuoco non gli domandò quanti anni avessero nonostante che in Giappone l'assunzione di alcolici era vietata fino ai ventun anni, ma agli occhi di un asiatico i due ragazzi erano abbastanza grandi da sopportarlo.

-Allora mi dici che ci sei venuto a fare qui?- domandò Sergej, tutto a un tratto, prendendo in contropiede Aaron che stava bevendo la sua birra.

Guardò l'amico titubante e supplichevole -Prometti di non ridere?-.

Sergej lo fissò tranquillo, in un silenzio d'assenso che spinse Aaron a parlare.

-Ho sognato una scuola superiore in questa zona e sono venuta a cercarla-

Sergej fissò allibito l'amico, incapace di dire qualcosa, tra tutte le ragioni che aveva pensato, non ce ne era una che fosse lontanamente simile a quella di Aaron.

-Fammi capire bene, tu oggi hai saltato le tue lezioni per andare all'altra parte di Tokio a cercare una scuola?-

-Esattamente- confermò Aaron passandosi una mano nervoso tra i capelli mentre attendeva l'inevitabile, infatti, Sergej scoppiò in una fragorosa risata.

-Non sei bravo a mantenere le promesse, Sergej- commentò offeso Aaron.

L'altro ragazzo iniziò a tossire nel tentativo di frenare la sua risata e il suo viso chiaro arrossì.

-Devi ammettere che è paradossale saltare la scuola per cercarne una- commentò canzonatorio mentre Aaron lo guardava come volesse incenerirlo, ma poi lasciò correre e con un gesto seccato concordò con lui.

Sergej gli riempì il bicchiere in simbolo di pace e due tornarono a parlare del più e del meno, come se nulla fosse.

Dopo un po’ i due ragazzi pagarono e decisero di tornare a casa con l’autobus. Sergej chiese informazioni per le indicazioni e gli suggerirono di passare per una via alberata vicina, che tagliava la strada per la fermata degli autobus.

Era già scuro nonostante che non fosse così tardi, ma in Giappone, data la sua posizione, il sole calava prima e quando i due ragazzi passarono per la via alberata, ormai completamente buia, sentirono di essere stati imprudenti.

Aaron e Sergej notarono un gruppetto di quattro persone dal volto losco e decisero di tenere il profilo basso per evitare guai, ma furono notati lo stesso e il gruppetto li raggiunse. Sergej pregò mentalmente che Aaron non raccogliesse le loro provocazioni e si limitasse a eseguire gli ordini dei malviventi.

I quattro criminali, senza molti giri di parole, e in un inglese maccheronico, chiesero di consegnare i portafogli e i cellulari. 

Lo sguardo di Aaron diventò scuro e, per evitare che facesse qualcosa di stupido, Sergej intervenne iniziando a consegnare il cellulare. Uno dei tipacci con uno sguardo serio e arrogante gli tirò violentemente il cellulare dalla mano e quel contatto provocò un'improvvisa ira in Sergej. Istintivamente bloccò il polso del malvivente e con un gesto fulmineo di autodifesa lo rovesciò a terra.

Aaron non perse tempo e reagì colpendo con un calcio ben assestato tra le gambe di uno dei criminali.

-Lo sapevo che non volevi dargli nulla a questi stronzi- esclamò entusiasta il belga mentre Sergej con la mente confusa ma con il suo corpo che si muoveva con grazia, precisione e letalità continuò a difendersi dagli avversari.

Che cosa diamine stava facendo e perché gli riusciva? Suo padre per anni aveva tentato di insegnargli delle tecniche di autodifesa ma Sergej si autodefiniva un impiastro. Un improvviso lampo di dolore gli attraversò la testa e un’immagine sfocata di un uomo dai lunghi capelli castani occupò la sua mente facendogli mancare il respiro. Sergej cadde a terra in ginocchio e con la coda dell'occhio notò che Aaron eseguiva il suo stesso gesto e con una mano si teneva la testa.

Possibile che avevano provato lo stesso dolore in contemporanea? Possibile che avessero visto la stessa immagine? Sergej non ebbe tempo di pensare. Il loro improvviso cedimento aveva gonfiato l'ego di quei delinquenti che stavano approfittando della loro posizione per picchiarli.

Sergej urlò ad Aaron di provare a difendersi, mentre con gli occhi spaventati vedeva i piedi del gruppetto pronti a riempirli di calci.

Sergej aspettò il colpo, consono che quell’improvvisa abilità doveva essere stato un colpo di fortuna e sentì una botta senza percepirla.

Era incredulo quando comparì il volto di uno dei criminali davanti agli occhi e, alzando lo sguardo, vide uno splendido ragazzo in camicia bianca e pantaloni neri. Sergej si rialzò e vide che l'uomo fu in grado di sistemare gli altri tre teppisti da solo, con l'aiuto grossolano di Aaron che continuava a colpirli da dietro.

Tutto finì in pochi attimi, i quattro uomini erano a terra e non si sarebbe rialzati presto. Lo sconosciuto domandò in inglese se stessero bene porgendo il cellulare sequestrato a Sergej, che finalmente osservò il suo viso: occhi grigio metallo e capelli bianchi.

Rispose che stava bene e aspettò che anche Aaron confermasse ma, invece, quest'ultimo fissava in assoluto silenzio, quasi in rispetto referenziale, lo sconosciuto.

Sergej rimase allibito da quel silenzio, mentre lo sconosciuto sorridendo disse- E' meglio che ci spostiamo da qui-.

I tre ragazzi camminarono fino all'uscita del viale alberato e per tutto il tempo Aaron non parlò, tanto che lo sconosciuto domandò.

- Il tuo amico non parla?-

Sergej quasi si strozzò con il suo respiro per quell’affermazione e ribatté.

-Sì che parla: questo silenzio è una novità-

Lo sconosciuto sorrise ancora, ma beffardamente questa volta-In effetti non mi sembra un tipo pacifico come te. Mi dispiace ragazzi per quest’aggressione, spero che non torniate a casa con una visione negativa del Giappone-.

Non ci fu nessun commento negativo da parte di Aaron e Sergej iniziò a preoccuparsi, che quel dolore alla testa gli avesse procurato uno shock?

-Ti ringrazio molto per il tuo aiuto. Potrei sapere come ti chiami?-

-Il mio vero nome è Geir, ma qui, in Giappone, mi faccio chiamare Saito-

-Ma è un cognome-, specificò Sergej.

Saito sorrise gentilmente, e si passò una mano tra i capelli con gesto scherzoso e non rispose, allora Sergej gli chiese cosa potessero fare per sdebitarsi ma lo sconosciuto rispose che non era necessario e di fare solo più attenzione.

Allora si salutarono e i due amici camminarono verso la stazione dell'autobus, Aaron era rimasto nel suo inusuale mutismo finché non fissò negli occhi Sergej e disse in un sussurro.

-Cavolo, per quel Saito potrei diventare gay-

Sergej scoppiò a ridere in una risata liberatoria e gli diede un colpetto scherzoso sulla spalla, contento di vedere che Aaron stava bene, eppure un sentimento negativo, il dubbio, si fece spazio nel cuore di Sergej: cosa era stata quella visione, l'aveva avuta anche Aaron?

Sergej decise di tacere per il momento, da quando aveva conosciuto Aaron il suo cuore si era calmato e si sentiva più sereno, ma dall'altra parte c'erano quelle strane sensazioni e quelle strane visioni.

Mentre Sergej rimaneva in silenzio, nei suoi pensieri, arrivò l'autobus e insieme all’amico salì, entrambi si sedettero e non parlarono, improvvisamente stanchi di quella strana giornata trascorsa.

Sergej non si accorse che Aaron si era addirittura addormentato, finché non sentì il leggero battere della sua fronte sul finestrino. Lo guardò con uno sguardo gentile, per la prima volta il suo amico così focoso ed entusiasta, così malizioso ... gli sembrò vulnerabile, come il suo fratellino minore.

Poco dopo gli senti mormorare una strana frase sconnessa in francese: Maestà ... Kunzite ... vicini.

Dopo quelle parole, Aaron si giro su se stesso sul sedile e diede le spalle a Sergej, lasciandolo solo con quelle parole sconnesse che lo colpirono profondamente.

Dove aveva sentito quella parola Kunzite e Maestà ... Che sogno stava facendo Aaron?

 

Dalla loro ultima avventura era passato del tempo, in cui Sergej e Aaron avevano continuato a rafforzare la loro amicizia. Fu così che Sergej fu invitato da Aaron a partecipare a una lussuosa festa all'ambasciata francese.

Sergej non era stato molto sicuro sul partecipare ma la sua famiglia aveva insistito di non sprecare l'occasione, però di stare attento, in città le misteriose sparizioni dei ragazzi erano ancora in corso.

Quando Sergej arrivò all'ambasciata, gli sembrò d'essere catapultato in un set di qualche vecchio colossal storico hollywoodiano e non potete non trattenere il fiato per lo splendore del palazzo, che a quanto pare era stato costruito dai francesi ai tempi dei loro primi viaggi in Giappone.

Consegnò il suo invito all'usciere che lo invitò a entrare con un sorriso, Sergej fu felice, quando entrò in sala, che nessuno lo stava fissando per il suo aspetto: in quella sera si respirava un clima di autentica internazionalità. Per qualche motivo sconosciuto Sergej, non si sentiva a disagio considerando che non era mai stato a una festa del genere e le persone presenti sembravano assurdamente ricche. Drizzò la sua schiena e assunse un atteggiamento sicuro e sorrise modestamente, qualche persona lo notò e lo paragonò silenziosamente a un cavaliere.

Sergej non dovette faticare molto a trovare Aaron, si vennero incontro in pratica a metà strada.

Se era possibile, Aaron sembrava ancora più adulto del solito nel suo elegante smoking con dei bordi verdi sulle maniche.  Aveva lasciato i lunghi capelli sciolti dietro la schiena.

-Come sono felice che tu sia venuto- commentò con entusiasmo Aaron mettendosi di fianco all'amico- Non hai idea di quanto mi senta a disagio-, confessò.

Sergej rimase sinceramente stupito a quelle parole, Aaron sembrava un principe e non stonava per niente con l'ambiente.

-Strano che tu lo dica, personalmente non mi sento a disagio. Grazie per avermi invitato-

Aaron fece l'occhiolino e ghignò maliziosamente-Forse nella scorsa vita eri un bellissimo principe europeo, magari uno zarino!-.

Sergej alzò gli occhi al cielo -Noto che la mia spiegazione sulla rincarnazione non ti ha convinto-.

Aaron alzò le spallucce in segno di resa-Sai com’è, sono cattolico e la reincarnazione va contro il mio principio "vivi la tua vita come non ci fosse un domani"-.

Sergej lasciò cadere l'argomento, avrebbe avuto tempo per far cambiare idea ad Aaron.

Sapeva di dover far familiarizzare Aaron con quel concetto, in questo modo avrebbe potuto rivelargli delle sue strane visioni.

-Come mai ti senti a disagio?- domandò e Aaron si morse nervoso la bocca.

-Ci sono troppe mie ex- disse il belga mentre Sergej notò che c'erano molte ragazze alla festa e, in effetti, alcune di loro guardavano Aaron con tale disappunto che si sentì anche Sergej, sotto accusa.

-In realtà chiamarle ex è un'esagerazione. Non capisco perché tutto questo risentimento- commentò esasperato Aaron.

-Forse è questa tua nonchalance a infastidirle- commentò secco Sergej.

-Sono stato sempre chiaro che non ho nessuna voglia di legarmi. Come il solito, le donne sono tutte delle manipolatrici. Pensano che con i sotterfugi possano cambiarti e DOMARTI-.

Sergej rimase sbalordito, non aveva mai creduto a un pensiero così estremo, non gli erano mai piaciute l’estremizzazione e rimase colpito dalla rabbia di Aaron, era fredda e controllata, non meno pericolosa.

-Ad ogni modo godiamoci la serata, se vuoi ballare con qualcuna, fai pure. In questa serata ci saranno le ragazze più belle di Tokio. Non te l'ho mai chiesto ma quale la tua donna ideale?-.

La prima parola che venne in mente a Sergej fu una dea guerriera ma si limitò a dire che gli sarebbe piaciuto incontrare una ragazza dai capelli neri e lunghi.

Aaron fece un passo indietro e con le dita delle mani creò un riquadro, come se stesse fotografando Sergej, e ridacchiò- In effetti una ragazza bruna accanto a te ci starebbe molto bene, sareste artisticamente belli. Somigliereste al simbolo del Ying e Yang-

Sergej ci pensò su e concordò.

-Hai ragione-disse e poi indicando il cravattino che indossava blu, commentò-Se amasse il rosso, sarebbe perfetto-

Il tempo passò velocemente per Sergej, che aveva parlato senza problemi con persone illustre e ballato con alcune ragazze meravigliose. Aaron osservava contento la scena vicino a suo padre, un uomo dall'aspetto distinto di cui Aaron aveva ereditato solo i capelli biondi e ricci.

-Il tuo amico è in gamba, non ho mai visto qualcuno così abile a muoversi in un ambiente diplomatico, senza esserci nato- commentò il padre di Aaron mentre beveva un bicchiere di vino bianco, Sergej gli era piaciuto dal primo momento che gli era stato presentato dal figlio.

Aaron sorrise fiero, come se fosse stato lui a ricevere il complimento.

-Di che cosa si occupano i genitori?-

-Il padre ha una piccola compagnia di autobus e la moglie è direttrice d'orchestra- rispose Aaron.

-Suona Sergej?-

-Sì,tre strumenti, tra cui il piano-

-Il pianoforte… come te. Glie l’hai detto?- disse il padre voltandosi per studiare il volto del figlio.

-No, non è una cosa che amo vantarmi. Ho altri interessi-

-Lo so, ingegneria informatica-

-Disapprovi? Papà- domandò Aaron.

-Disapproverei di più se tu diventassi un gigolò professionista- concluse seccamente il padre, i suoi occhi, che avevano una luce saggia dentro, si chiusero per il disprezzo del pensiero.

Aaron abbassò lo sguardo e giocò con il bordo del suo bicchiere di vino.

-Sai bene che detesto molto il tuo comportamento. Tu non sei solo un bel visino-

I due tacquero, dopo un po' Aaron sorrise, forse un po’ rincuorato che al padre non piacesse quello che faceva, che avesse interesse per il suo bene.

Il padre lo fissò negli occhi e poi indicò Sergej con lo sguardo.

-Non fare come al solito-.

Aaron tacque e smise di sorridere.

-Non cacciarlo via improvvisamente-.

Aaron mise una mano sulla spalla del genitore e sorridendo triste disse -È la mia natura- e si allontanò per andare a chiacchierare con l'amico mentre suo padre lo osservava con occhi pieni d'amore e il cuore preoccupato.

-La serata è di tuo gradimento?-domandò Aaron ricevendo un sorriso sereno.

-Sì molto- rispose con sincerità il russo.

-Se ti annoi dimmelo che scappiamo. Sono bravissimo a scappare da queste cose-.

-Credo che sia tu quello sia ti annoi- scherzò Sergej.

-Mea culpa, se non passo il tempo a sconvolgere le persone mi annoio- Aaron alzò le mani al cielo in un gesto di finta esasperazione, ma poi con un tono di voce più duro specificò- Finché non mi faranno arrabbiare mi comporterò bene-

Sergej lo fissò per un lungo attimo, quelli erano gli unici momenti che temeva Aaron, sentiva in lui una strana e brutale forza animo che stonava tanto con il suo aspetto minuto, era la forza di un guerriero, feroce e spietato.

Sergej udì improvvisamente una voce femminile dall’accento britannico dietro di sé- Aaron, non credo che tu mi abbia ancora presentato il tuo amico-.

Aaron e Sergej si voltarono e quest’ultimo vide una bella donna trentacinquenne, che li osservava con degli occhi verdi feroci e ferini.

-Scusami madre, lui è Sergej un mio amico. Sergej ... mia madre- il tono di Aaron era diventato freddo.

La madre di Aaron provocò in Sergej, subito, diffidenza ma si presentò educatamente e notò quanto Aaron somigliasse a sua madre, di cui non aveva ereditato solamente i capelli rossi e le poche lentiggini sul viso.

-Piacere Sergej- disse la donna con un tono di voce distratto, per focalizzare immediatamente il suo sguardo sul figlio.

-Aaron, vorrei che tu suonassi la “Sonata al Chiaro di Luna" di Beethoven per la figlia di Lady V-

-Perché? C'è l'orchestra che in grado di farlo- ribatté, pronto a non cedere, Aaron.

-Non era un suggerimento- disse la donna in un tono gelido.

Sergej vide l'intero corpo di Aaron irrigidirsi e impallidire in una fredda e controllata rabbia.

La madre di Aaron finse di non accorgersene e li lasciò soli, Aaron si voltò verso Sergej e mentre raccoglieva i lunghi capelli in una treccia stretta, che chiuse con un elastico nascosto nella tasca interna della giacca, domandò perentorio.

-Quale è il tuo film preferito, Sergej?- spiazzato dalla domanda improvvisa e totalmente scollegata a quello che era appena successo Sergej, disse la prima cosa che gli venne in mente: Casablanca.

-Bene lo conosco- fu l'unico commentò di Aaron mentre si allontanava da Sergej per avvicinarsi all'orchestra.

Sergej non poteva sentire che cosa stesse dicendo ma capì che stava usando il suo fascino o meglio la sua faccia tosta per convincere i musicisti a lasciargli il posto. 

Aaron attirò l'attenzione su di sé e quando l'intera sala fu in silenzio sorrise, disse con il tono di voce più ammaliante che potesse avere -Salve a tutti, vorrei dedicare il pezzo che suonerò a una persona deliziosa-.

Sergej vide la madre di Aaron sorridere soddisfatta mentre il marito assunse un'espressione dubbiosa.

-Al mio amico Sergej- finì Aaron cambiando la sua espressione in una più cattiva e sfidando apertamente sua madre.

Sergej dall'altra parte, preso in contro piede, rimase interdetto mentre Aaron si sedeva violentemente sullo sgabello del pianoforte e iniziava a suonare la colonna sonora del film Casablanca.

Mise tutto il suo impegno e, quando finì, ci fu un applauso generale compiuto da tutti. La madre di Aaron non applaudì e quando il figlio le passò vicino, lo prese per il polso e gli parlò con un tono duro e marziale-Perché non fai mai quello che ti dico?-.

Un sorriso canzonatorio comparve sulle labbra del ragazzo- Perché non voglio, ovvio!-.

Poi mise una mano sulle spalle di Sergej e chiese se volesse andarsene, Sergej acconsentì.

Abbandonarono la festa senza tante difficoltà e, soprattutto, senza fare spettacolo: Aaron guidò Sergej attraverso le vie d'uscite secondarie come se conoscesse la piantina dell'edificio.

Quando uscirono Aaron domandò a Sergej se potesse stare da lui quella sera, era chiaramente infuriato e il russo quasi sospettò che avrebbe potuto essere pericoloso per se stesso e gli altri e quindi acconsentì ma una condizione.

-Avverti almeno tuo padre, non vorrai farlo preoccupare-

Aaron schioccò la lingua impaziente e, per la prima volta, Sergej trovò davvero irritante quel gesto.

-Senti non so che problemi hai con tua madre, ma tuo padre è una brava persona e non si merita quest’atteggiamento da stronzo da te- disse Sergej così aspramente che Aaron assunse un'espressione imbarazzata. Eppure Sergej lo continuò a guardare severamente, per nulla colpito.

Aveva conosciuto il padre di Aaron un po' di tempo fa e non riusciva a capire perché l'amico lo maltrattasse, poiché quando glie l'aveva chiesto, Aaron aveva confessato di non saperlo.

Aaron abbassò la testa sconfitto e telefonò al padre, fu una conversazione breve in francese stranamente tranquilla.

Riposò il telefonino in tasca e fissò in silenzio Sergej che lo guardò con sorrisetto quasi irritante che quasi l'urto, finché il russo propose di fare una passeggiata per rilassare i nervi.

Aaron non parlava e Sergej approfittò del momento per mandare un messaggio al padre per avvertire dell'ospite.

Ci fu un lungo silenzio, però Sergej non se ne preoccupò, anche se non era sicuro che Aaron non fosse arrabbiato con lui.

-Lei lo tradisce - disse Aaron, tutto a un tratto, con un tono abbattuto e Sergej si fermò per fissarlo, il suo amico sorrideva triste e i suoi occhi erano tinti di delusione

-Per questo la odio- concluse abbassando il capo sconfitto, Sergej percepì ancora una volta quel forte affetto, che non riusciva ancora a spiegarsi poiché era nato in così poco tempo, e si avvicinò ad Aaron, lo afferrò per il braccio e gli disse dolcemente -Andiamo, ti offro qualcosa-.

Era notte, l'unico locale che trovarono aperto fu un McDonald dalle pareti arance e i tavoli bianchi. Erano gli unici presenti, ad eccezione di un anziano signore che mangiava un panino con un bastardino giallo particolarmente brutto, ma dagli incredibili occhi castani-rossiccio, il quale si trovava ai suoi piedi.

I due ragazzi presero qualcosa da bere e decisero di rimanere lì dieci minuti per stare un po' tranquilli, Sergej si era messo a raccontare qualche vecchia storia che gli era capitata a Hong-kong quando entrò un uomo dalla felpa scura con il cappuccio calato fino sugli occhi.

Il vecchio non lo notò invece il cane sembrò puntare il suo sguardo prima sul misterioso individuo e poi sui ragazzi, che avevano alzato la guardia.

L'uomo al bancone era diventato più vigile e guardava con sospetto ogni movimento dell'individuo che si era avvicinato.

-Desidera?- domandò il membro del personale con tono neutrale e l’individuo rispose con voce tuonante e togliendosi il cappuccio che era una rapina.

- D'energia - concluse ridendo mentre i due ragazzi e il vecchio erano rimasti impietriti, quell'uomo non aveva nulla d'umano, era completamente calvo, delle orecchie a punta facevano capolino ai lati della tesa e la sua pelle dalla normale colorazione diventò  verde bile.

Il mostro fece dei gesti con delle mani e l'intero ristorante fu avvolto da una luce nera e delle strane sfere avvolsero la testa dell’uomo a bancone e del vecchio facendoli svenire, o peggio.

I due ragazzi rimassero atterriti dalla paura quando videro altre due sfere andare verso la loro direzione ma, quando ormai pensavano che fosse finita, sentirono una strana energia, seguita da una luce accecante, che colpì il mostro in pieno.

Quando i ragazzi riaprirono gli occhi, videro due pietre, una dal colore grigio pallido e una verde e rosa che volteggiavano lentamente sopra di loro, continuando a illuminare i loro volti.

Lentamente la ruota del destino stava girando e non poteva essere più fermata.

 

Nota dell’autrice:

Se avete voglia di controllare i miei video sugli shitennou. Ecco i link

https://www.youtube.com/watch?v=uShJxjtSTE8

https://www.youtube.com/watch?v=eNMw33WzHSo

https://www.youtube.com/watch?v=MBwl2MpFXXA

Altre note:

Sul carattere di Sergej mi sto basando su due cose.

Sull’analisi di questa ragazza:

http://darkspellmaster.tumblr.com/page/2

e ho tratto ispirazione in alcuni punti ( con il suo consenso), dalle storie di questa bravissima fan writer

https://www.fanfiction.net/u/4393212/yeah-well-hey

 

GRAZIE A CHI MI SEGUE/LEGGE/COMMENTA E A CHI FINISCE PER CASO QUI! ^^

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 02 ***


def

 2 capitolo

 

La mente di Sergej si svuotò completamente, i suoi occhi videro la propria mano muoversi nell'aria per afferrare la pietra dal colore grigio pallido ma, improvvisamente, bloccarsi a metà azione. A Sergej mancò il respiro e tremò, si rese conto di essere terrorizzato più dalla pietra che dal mostro. Non poteva fidarsi di un oggetto spuntato dal nulla che lo attirava, come fosse stato la voce più dolce di tutte le sirene dell’Odissea.

Istintivamente Sergej sapeva di doverla e volerla prendere ma, ancora più in profondità del suo inconscio, la sua voce urlava di non farlo e decise di ascoltarla.

Il ragazzo ritirò la mano e tremò ancora più forte, ben deciso di ascoltare il suggerimento.

Sfortunatamente per lui, Aaron si era alzato sul tavolo e aveva afferrato in un balzo la pietra verde e rosa e lanciato quella grigia sulla fronte di Sergej, in un gesto fulmineo.

-Sei impazzito?- domandò arrabbiato Sergej mentre la pietra gli cade ,quasi magicamente, sul palmo della mano aperta.

Non ci fu tempo per Aaron per giustificarsi, improvvisamente si levò nel ristorante una voce dura e carismatica, con un accento canadese, che urlò -Aaron, pronuncia la formula Zoisite make up, Sergej pronuncia la formula Jadeite make up!-.

Sergej capì che urlo proveniva dal bastardino dell'anziano signore, il quale lo fissava con occhi duri implacabili. Sergej strillò con tutta la voce che aveva in corpo -Quel cane parla!-.

Il cane in questione urlò ancora più forte-Fatelo o morirete!-.

Si sentirono i gemiti del mostro che si stava riprendendo dal colpo precedente e questo spinse Aaron a non perdere tempo in dettagli tecnici superflui, come un cane parlante, ma a urlare la sua formula.

Sergej lo imitò. Non aveva nessuna intenzione di morire a diciassette anni, e sentì un misterioso calore partigli dal petto per poi dilagarsi per tutto il corpo. Nonostante che Sergej avesse paura, sentì un'improvvisa armonia dentro di sé e … potere.

I suoi occhi erano stati aperti tutto il tempo e avevano visto i suoi abiti cambiare in uno strano vestito bianco, formato da una giacca a collo alto con i risvolti in oro e degli eleganti pantaloni classici, sembrava un completo di un principe Disney.

Sergej sentì qualcosa battere sul fianco sinistro e trovò una spada, il ragazzo si toccò le orecchie e vi trovò degli orecchini. Non aveva mai avuto i fori in tutta la sua vita ma non poté riflettere che il mostro si era rialzato e in salto aveva catturato Aaron.

Aaron, vestito come Sergej, iniziò a dimenarsi dalla presa come avrebbe fatto un’anguilla dalle mani di un cuoco inesperto.

Il belga sentì il fiato freddo della creatura sul suo viso e iniziò a gridare a Sergej di fare qualcosa.

-COSA?- strillò Sergej terrorizzato, mentre il bastardino azzannava il piede del mostro così forte che lo costrinse a mollare la presa, lasciando cadere a terra Aaron che indietreggiò usando le mani e poi, riprendendo coscienza di sé, sguainò almeno la spada.

Il cane guardò dritto negli occhi Sergej e ordinò - Congelalo. Punta le mani verso di lui e pensa di congelarlo!-.

Sergej puntò le mani verso il mostro, deglutì nervoso, e concentrò il suo pensiero, partì dalle sue mani una luce grigio-azzurra e una forza, talmente potente, che costrinse le sue mani a indietreggiare come avessero ricevuto il rinculo di un colpo di una pistola.

Il pavimento sotto i piedi del mostro si riempì di ghiaccio che velocemente lo avvolse fino alla vita.

-Cosa? Sono come Elsa- urlò Sergej sbalordito e guardandosi le mani.

Aaron lo guardò stupito e poi con un sorriso canzonatorio sulle labbra- Alla tua età guardi ancora i Disney?- domandò con una punta d’ironia.

-Ho un fratellino!- si giustificò Sergej arrossendo vistosamente mentre il cane abbaiò così forte che il suono rimbombò nel ristorante.

-TU- urlò inferocito ad Aaron-Prima che si liberi, colpiscilo al cuore con la spada! Con tutta la tua forza- specificò quasi come se considerasse Aaron un inetto.

Il ragazzo fissò irritato il cane ma, quando vide che il mostro stava iniziando a rompere la sua trappola di ghiaccio, si alzò di scatto e si buttò su di esso, evitando le sue braccia libere di afferrarlo, e lo colpì al cuore violentemente. Il mostro si deteriorò improvvisamente in terra secca e si sbriciolò sotto gli occhi increduli dei due ragazzi. 

Aaron afferrò velocemente e violentemente il cane per la collottola e lo interrogò inferocito ma con gli occhi ancora spaventati - Che è successo qui? Perché cazzo parli?- imprecò distruggendo per sempre la figura del ragazzo di buona famiglia.

Il cane gli morse la mano e Aaron lo lasciò cadere, gemendo per il dolore, mentre l’animale atterrò perfettamente sulle zampe.

Il belga era pronto a calciarlo con un’espressione furiosa in volto quando fu fermato da Sergej, che posò una mano sulle sue spalle e lo guardò con disappunto.

-Se sarete iniziati durante la notte di luna piena, m’incontrerete di persona- disse il cane serissimo mentre i due ragazzi rimassero in silenzio sconvolti.

-Adesso andate via di qui. Avevo disattivato le telecamere appena siete entrati, ma è meglio che la polizia non vi trova. Non sareste in grado di dargli una spiegazione-.

I ragazzi si guardarono intorno c’erano due persone svenute e un’enorme macchia di terra secca con ghiaccio… il cane aveva ragione.

-Andate via!- ordinò l’animale e dopo quell’ultima frase si appoggiò sulle proprie zampe e una strana ombra rossa uscì dal corpo, quando aprì gli occhi, erano diventati un semplice marrone.

I due ragazzi con sgomento si accorsero che erano tornati a indossare i loro abiti normali e, nonostante che volessero dare una mano alle vittime, scapparono come gli era stato detto.

Chiamarono un taxi e si avviarono a casa di Sergej, nessuno dei due osò aprire la bocca.

Quando arrivarono a destinazione, il padre di Sergej li attendeva, inizialmente con un’espressione tranquilla in volto ma poi, vedendoli pallidi e silenziosi, il povero uomo si preoccupò.

-Cosa vi è successo? Sembrate sconvolti- domandò, fu Aaron a prendere la parola e spiegò, con un tono di voce ancora pieno d'emozione, che avevano esagerato con il vino.

Il padre di Sergej annuì, per nulla convinto, era di natura un uomo sospettoso, una caratteristica che l'aveva aiutato ai tempi in cui aveva lavorato nel settore della sicurezza, ma decise di lasciar stare. I ragazzi erano scossi, però non sembravano feriti.

Nei giorni seguenti, entrambi ragazzi erano ben decisi di pensare a tutto quello che era accaduto come fosse stato un sogno, si convinsero quasi ma, ogni volta che sentivano i fori alle orecchie, l’inquietudine e la consapevolezza tornavano a presiedere i loro cuori.

Sapevano che qualcosa era accaduto e anche se non lo ammettevano né a se stessi né tra loro, sentivano il cambiamento, insieme all'arrivo inevitabile della luna.

Sergej era in casa da solo con il suo fratellino di sette anni, Shen, che stava facendo i capricci quella sera: voleva che dormissero insieme come un tempo, ma era dal trasferimento della sorella maggiore che Sergej aveva ottenuto una camera sua.

I loro genitori non erano in casa, entrambi occupati con il lavoro, e quindi Sergej decise di accontentarlo, in fin dei conti era meglio che stessero insieme.

Giocarono insieme per un po’, finché non fu ora di andare a letto per Shen.

Sergej aprì la tenda della camera e tenendo in braccio il fratellino gli mostrò il cielo di quella notte, la luna piena rifletteva la luce del Sole illuminando quella notte senza stelle. C’era qualcosa di solenne in quella notte e Shen reagì nascondendo il viso nel petto del fratello iniziandosi a lamentarsi.

-Cosa c'è Shen?- gli domandò in russo - Non ti piace la luna? Guarda c'è il coniglietto della luna- gli disse mostrandogli la vaga figura che i crateri del satellite assumevano, ma il bambino s’irrigidì e nascose ancora una volta il viso nel petto di Sergej.

-Non è vero! E’ volto di una persona cattiva!- ribatté Shen stupendo Sergej.

-Hai ragione, in effetti, sembra più un volto di una persona che quello di un coniglio- concordò dolcemente, accarezzando la testa del fratello che mugugnò qualcosa.

-Non ti può raggiungere- aggiunse Sergej gentilmente  continuando ad accarezzare la testa del bimbo, finché non si calmò e si fece mettere a letto.

Sergej si coricò anche lui e vegliò sul fratellino aspettando il suo sonno ma quando accade, quando fu il momento di dormire per lui non ci riuscì e si sentì inquieto. Lentamente Sergej si alzò, prese il suo cellulare e inviò un messaggio ad Aaron.

“Oggi c'è la luna piena.”

Non passò neanche un secondo che Sergej ricevé un messaggio conciso che diceva “ Non succederà nulla.”

Sergej lesse e rilesse il messaggio più volte per convincersi, però più tentava di negare e più l'inquietudine lo assaliva, si coricò a letto sperando di non avere un sogno agitato.

 

Stava dormendo? Aaron sperò di sì, perché aveva paura. Attorno a lui c'era solo buio e camminava immerso fino alla vita in qualcosa di liquido, viscoso e umido che penetrava nella sua pelle.

L'odore attorno a sé era confuso, Aaron riusciva a distinguere l’odore di vegetazione ma anche d’acqua: dove era?

Infine aveva la sensazione che c’era qualcuno nascosto nel buio.

-Così hai scelto d’essere un cavaliere, di nuovo - una voce femminile e conturbante irruppe nel buio.

Aaron sentì il cuore salirgli in gola, dunque aveva ragione, non era solo.

Era il caso di seguire la voce? Perché era riuscito a capirne la direzione.

Il ragazzo s’immobilizzò sentendo, con disgusto, le piccole onde di quel liquido sconosciuto infrangersi contro il suo corpo, Aaron cercò di pensare e alla fine scelse e andò in direzione della voce misteriosa.

Non seppe per quanto camminò, ma fu ripagato da un po' di terra, in cui si rifugiò come un naufrago. La terra era morbida d’erba e di piante rigogliose e misteriose, dall’odore penetrate che quasi gli provocarono mal di testa.

-Hai sempre odiato questo posto, quel liquido è troppo caotico per te- Aaron alzò il suo viso e questa volta la voce ebbe un volto.

Una donna matura, nuda dai fianchi larghi, trasformati da una precedente gravidanza, guardava Aaron. La sua pelle era olivastra e un tatuaggio intricato, tra il verde e blu, abbelliva il suo corpo e si allungava fino all’unghia dell’anulare, i capelli erano corti e scombinati come quelli di una donna che aveva appena fatto l'amore.

Il viso della donna non era fine ma sensuale, potente e possedeva una bellezza primordiale.

La donna alzò una mano e indicò il ragazzo e Aaron si ritrovò davanti a lei, inginocchiato come la pregasse per la sua pietà e forse quella sensazione non era così lontana dalla realtà.

La donna si abbassò e Aaron rabbrividì dell'espressione disturbante dei suoi occhi, la sconosciuta prese con forza il suo viso tra le mani e poggiò le sue labbra roventi sulle sue.

Aaron tremò fino agli estremi del suo corpo di paura, quel bacio non aveva nulla di bello ... era violento e invadente.

Sentiva la sua lingua calda nella bocca e capiva che stava succedendo qualcosa, una strana sensazione invadeva il suo corpo costringendolo a rabbrividire di terrore.

Le mani di Aaron divennero calde, troppo calde, roventi come il tocco di quella donna.

La donna si staccò permettendo ad Aaron di respirare e di guardarla, sorrideva come una madre orgogliosa, un’azione che stonava con il bacio di poco prima.

- Hai scelto di essere iniziato, perderai te stesso- disse la donna continuando a sorridere e sussurrò qualcosa che Aaron non capì incapace di replicare per l’immobilizzante paura.

Poteva solo guardare gli occhi di quella donna misteriosa e potente.

Con l'ennesimo sorriso agghiacciante la donna sparì e la terra, che Aaron aveva creduto la sua salvezza, si spaccò e lui cade in quel liquido viscoso e inquietante che lo trascinava sempre più profondità entrando nella gola e soffocando i suoi polmoni…

Aaron nel sonno era caduto dal letto, ma chissà com’era stato abile nel cadere sulle proprie mani.

I suoi capelli sciolti gli nascondevano la testa che si abbassava ritmicamente al suo respiro spezzato.

Gli occhi di Aaron erano piegati in un’espressione d'angoscia, del sudore scendeva lento e impietoso dalle tempie.

Prima che potesse calmarsi, sentì uno strano rumore, un brusio di quando qualcosa brucia, e vide che le sue mani stavano bruciando la moquette della sua camera.

Con orrore le allontanò dal pavimento, in cui erano apparse le sue impronte, un'ombra vivida pronta a testimoniare l'accaduto.

Aaron fissò turbato le mani, che teneva lontano da sé, avvertendone un anomalo calore.

Deglutì e lentamente toccò il suo viso, l'effetto fu devastante, la pelle era così fredda rispetto alle mani che si scottò.

Spaventato, entrò nel bagno della sua camera e immerse le mani nell'acqua fredda, ma nulla riusciva a farne calare la temperatura.

Lentamente Aaron alzò il suo sguardo e si vide riflesso nello specchio, le sue labbra erano gonfie e umide.

Improvvisamente tutte le sensazioni di quell’incubo, o quello che appariva solo come un incubo, tornarono a galla e, disperato, Aaron cercò di cancellare il tocco di quella donna strofinando con forza le labbra con una mano: quando le vide livide, si fermò e pianse.

Il sonno non fu gentile neanche per Sergej, era intrappolato in un bosco tenebroso, dagli alberi così fitti e alti che non c'era luce. Che fosse giorno o notte, in quel luogo non faceva differenza.

Udì lo scrosciare dell'acqua e tentò di seguirlo, uscì dal bosco lentamente e titubante, si trovò in uno spiazzo aperto dalla steppa secca.

Dov'era l'acqua che gli era stata promessa si domandò guardandosi attorno con un’espressione dubbiosa e fu allora che apparve una donna nuda, tatuata e dal sorriso agghiacciante. La donna aprì braccia come volesse abbracciare il mondo, ma accade qualcos’altro. Sergej si trovò appoggiato al petto della donna, cullato da una strana litania.

Attorno a loro la terra iniziò a muoversi e avvolgerli.

Sergej con orrore cercò di svincolarsi ma la donna lo teneva fermò e più lui lottava per non essere sepolto vivo, più lei lo stringeva soffocandolo nel suo abbraccio.

-So chi sei, sento il mio potere scorrere nelle tue vene, tesoro- dichiarò con una voce conturbante.

Sergej non ebbe tempo per replicare che era stato completamente sepolto insieme a quella donna ed era buio in quel ventre di terra: Sergej riusciva solo a sentire il suono del battito del suo cuore, che aumentava sempre di più.

La donna era tranquilla e continua ad accarezzarlo come se quello che accadeva fosse la situazione più normale del mondo, Sergej non poteva vedere la sua espressione ma la temeva.

-Caro, la tua rinascita è pronta e inevitabile- disse in un tono dolce che diede i brividi a Sergej.

Improvvisamente, l'intero ventre di terra si ruppe e Sergej vide una luce, la donna l'aveva lasciato libero della sua presa e il ragazzo ne approfittò e uscì strisciando.

Era sporco di terra, tossì e si liberò di quella che otturava il suo naso, poi una voglia infrenabile, che non riuscì a celare, lo travolse e urlò spezzando il silenzio di quel luogo sconosciuto e maledetto.

La misteriosa donna era rimasta avvolta dalla terra fino a metà busto, come se fosse stata piantata, lo guardava con amore.

-Sei pronto amore mio, puoi andare ... –

Sergej non sentì l’ultima frase, la voce infantile di Shen sembrò quella di un angelo e lo salvò da quella donna.

-Sergej!-

Quando Sergej aprì gli occhi, vide lo sguardo di Shen, che lo fissava preoccupato.

-Stai bene?-

Sergej non gli rispose ma lo abbracciò, sentì il suo odore da bambino e si calmò lentamente mentre Shen continuava a parlargli confuso.

- Ho avuto un incubo, solo un incubo-, confessò Sergej con un dolce sorriso mentre accarezzò affettuosamente la guancia del bambino, sentì la morbidezza della sua pelle, sotto la sua mano che stava diventando quella di uomo, e pensò che era sensazione bellissima, eppure quella pace durò solo un attimo.

- Sergej?- gli occhi castani di Shen, grandi e leggermente a mandorla divennero più confusi e spaventati quando videro un’espressione di autentica paura sul viso del fratello, senza capire il motivo e poi si toccò la guancia

- Perché hai le mani sporche di terra?- chiese il bambino innocentemente.

Sergej distolse lo sguardo da suo fratello e si fissò le mani, la loro pelle candida era sporca di terriccio.

-Non lo so-.

 

Da qualche parte di quella stessa zona di Tokio, c'era stata un'altra notte insonne e un mattino ancora più traumatico.

L'uomo che non aveva dormito, in realtà era poco più di un ragazzo, poteva aver finito il liceo da pochi mesi ma c'era una maturità nei suoi occhi che lo faceva sembrare più grande.

Prese il suo telefonino e fece una telefonata internazionale, mettendo il prefisso di uno degli stati più al sud degli stati uniti, quello della Louisiana.

-Pronto, Keme?- domandò una voce risonante a causa della lunga distanza ma comunque femminile.

-Zia, sono loro. Sono stati iniziati-

La donna non fiatò, Keme la sentì trattenere il respiro ma infine cedere e domandare con un tono di voce duro.

-Sono giovani come apparivano nei tuoi sogni?-

-Sì, zia- confermò Keme passandosi una mano tra i lunghi capelli castani- Zoisite ha quindici anni mentre Jadeite ne ha diciassette-.

La zia emise un gemito di assenso prima di dire- Molto giovani-.

Keme ridacchiò e con tono scherzoso disse-Ti stai ammorbidendo, un tempo non avresti detto una cosa del genere-.

-E' che … - iniziò la zia esitando- Credo di essere stata troppo dura con te-.

Keme iniziò a mordere le  labbra innervosito, sapeva a che cosa si riferiva la zia e questo gli riportò in mente dei ricordi spiacevoli accaduti durante il suo allenamento come Shitennou.

-Hai cercato d'allevarmi come la fenice che devo essere. Ci sei riuscita, hai fatto del tuo meglio-.

Keme sentì sua zia sospirare.

-Ho portato dei fiori a Cristóbal- disse con la voce che tradiva del dolore.

Keme stinse la vita nervoso e cercando di non cedere all'emozione mormorò- Grazie zia-.

Si salutarono semplicemente e calò nuovamente il silenzio nella casa di Keme che non durò a lungo. C'era una finestra aperta nella camera e si appoggiò un piccolo passerotto, il ragazzo gli lanciò un'occhiata di stizza.

-Cosa vuole Gaia?-

L'uccellino volò dalla finestra e si spostò a metà stanza prendendo le fattezze di una donna, della stessa che aveva tormentato la notte di Sergej e Aaron.

-Mio caro Nephrite, dovresti essere più felice. Hai trovato i tuoi preziosi compagni, non sarai più solo, come ai tempi di Cristóbal - disse la donna puntando i suoi occhi ferini sul giovane e sapendo su quale frase mettere enfasi, cioè l'ultima.

Keme s’irrigidì ma non parlò, la donna né approfittò per avvicinarsi per accarezzargli il viso con fare lussurioso.

-Trova Kunzite, è un ordine di Madre Terra- la donna posò un bacio sull’angolo delle labbra del ragazzo e scomparve diventando improvvisamente evanescente, si sentì la sua voce dolce e ammanicante dire - Con lui le cose saranno divertenti-

Davanti al viso del ragazzo comparve nuovamente il passerotto che appariva spaesato e spaventato, Keme lo catturò delicatamente e lo accarezzò con dolcezza.

-So cosa si prova a essere impossessati-, disse rivolgendosi all'uccello- Non è bello, soprattutto quando lo fa la Dea Madre. Passerà-

Lo appoggiò delicatamente alla finestra e aspettò che l'uccello spiccasse il volo per uscire da casa. Adesso iniziava la seconda fase della sua missione, una missione a cui era stato iniziato da quando aveva dieci anni.

Sergej non passava del tempo da solo con sua madre da un po', per cui quando gli propose di fare yoga insieme accettò. Erano lì nel soggiorno di casa a praticare quelle figure contronaturali tipiche dello yoga che dovevano servire a rilassare e su questo, Sergej non era mai stato troppo sicuro, nonostante la sua apertura verso la cultura orientale insegnata da sua madre fin da tenera età. Lo yoga lo trovava piuttosto faticoso che rilassante ma si era abituato a praticarlo.

La madre Fang era ancora elastica come un tempo e ,per un attimo, Sergej non fu certo di riuscire a seguirla e fu un bel lieto di riposarsi nella posizione del loto.

-Come sta Aaron?- domandò Fang guardando il figlio irrigidirsi nella sua posizione.

-Non lo so. E' strano, credo che mi stia evitando- ammise Sergej.

Fang guardò il figliastro con affetto ma anche con preoccupazione- Perché lo credi?- domandò gentile ma autoritaria- E’ successo qualcosa?-.

Sergej cercò di celare il suo turbamento, la domanda era così giusta e sbagliata nello stesso tempo. Sergej si domandava cosa sarebbe successo.

-Forse non ha tempo- cercò di tagliare a corto Sergej ma la sua matrigna non demorse.

Fang studiò il figlio, era da un po' di tempo che era preoccupata per lui, era così distante ... si era detta di non tormentarsi, Sergej aveva diciassette anni, era normale e salutare che fosse distante dalla sua famiglia: stava crescendo.

Sergej sapeva che era successo qualcosa ad Aaron, era probabilmente la stessa cosa che era accaduto a lui quella notte di luna piena.

Perché non era andato da Aaron il giorno seguente? Era stata una mossa stupida a pensarci bene, avrebbero potuto discutere insieme degli avvenimenti ma, forse inconsciamente, Sergej sapeva che se lui e Aaron avessero parlato avrebbero dovuto ammettere che sia l'aggressione e sia quella donna erano vere.

-Mamma, vorrei farti vedere una pietra. Sai dirmi qual è ?-domandò Sergej sciogliendo la posizione e mettendosi davanti alla matrigna che era rimasta seduta. Estrasse dalla giacca della tuta un sacchettino in tela e lo aprì mostrando il contenuto alla madre: una pietra dal colore grigio pallido.

Quello che avvenne Sergej non se lo aspettava, la matrigna gli afferrò il polso e gli prese la pietra dalle mani, i loro occhi s’incontrarono e Sergej lesse tanta paura nello sguardo di sua madre.

-Dove l'hai presa?- domandò Fang con una voce che aveva dei toni isterici.

-L'ho comprata in un negozio di roba usata-disse Sergej cercando d'essere convincente ma le bugie non erano mai state il suo forte, quindi cercò un diversivo e, con tono lamentoso, disse alla madre di lasciarlo perché gli stava facendo male.

Fang deglutì e lasciò il polso del figlio, lo guardò con occhi colpevoli e gli sorrise in modo forzato.

Sergej tentò di riprendere la pietra quando la madre lo fermò e la studiò con il tatto e con gli occhi.

-Questa è una Jadeite, un tipo di giada, considerata la più preziosa pietra per l'impero cinese- Fang abbassò lo sguardo finché Sergej non le rialzò il viso e le toccò la mano che teneva la pietra.

-Perché ti sei così spaventata, mamma?- le domandò con dolcezza.

Fang sospirò e ordinò al figliastro di sedersi e Sergej si affrettò a ubbidire e rimase in attesa. La matrigna iniziò a giocare con la pietra con le mani e a respirare pesantemente, quando fu pronta, guardò il figlio con occhi pieni di preoccupazione.

-Io e tuo padre avevamo deciso di non dirtelo mai. Ma ti rapirono durante il nostro viaggio di nozze in Nepal-.

Fang studiò il figlio che la ascoltava silenziosamente e impassibile eppure era certa che aveva tremato per un attimo, probabilmente Sergej non ricordava coscientemente il rapimento, perché aveva solo sei anni quando era accaduto, ma aveva conservato il ricordo nel suo inconscio.

-Ci perdemmo con il nostro fuoristrada nella giungla nel Nepal, come ben sai credo molto nella spiritualità e nel fato e ti assicuro che qualcuno ci fece finire fuori strada. Trovammo questo villaggio ignoto e decidemmo di farci ospitare per una notte. All'inizio sembrò tutto normale, era chiaramente un villaggio sconosciuto, gente che non aveva mai visto dei turisti eppure furono gentili-.

Fang portò una mano alla bocca e assunse un'aria colpevole.

-Che stupidi fummo. Poiché eravamo lì, decidemmo di girare il villaggio la mattina seguente, scoprimmo che c'era questo enorme tempio dedicato a un loro Dio che chiamavano Jadeite. C'era un’enorme statua di bronzo di questo Dio, chiaramente un dio marziale, che ti assomigliava incredibilmente-.

Sergej chiuse gli occhi, cercando di ricordare ma era buio nella sua testa eppure era certo che sua madre non gli stava mentendo e si sforzò.

- Tu eri in braccio a tuo padre quando i monaci di quel tempio ti videro e incominciarono a chiamarti in quel modo "Jadeite"-

La madre sospirò, prese coraggio e disse in tono tagliante-Non voglio allungare la storia. Ci tramortirono e ti rapiranno-

Sergej trattené il respiro e si ricordò qualcosa, una stanza dalle pareti verdi.

-Come ben sai tuo padre non è sempre stato soltanto uno che si occupava di trasporti. Ha lavorato nei servizi segreti. Con le sue capacità riuscimmo a riprenderti. Ti trovammo in una stanza segreta del tempio ... -

-Una stanza dalle pareti e il pavimento di Giada?-domandò Sergej con un filo di voce.

Sua madre annuì con gli occhi lucidi di un pianto negato e gli accarezzò il viso- Sì, infatti, continuavano a chiamarti il ragazzo della giada. Non ho mai avuto così paura in vita mia-

Sergej tenne la mano alla madre e domandò in tono neutrale-Cosa successe ai rapitori?-.

-Questa è la parte più strana della storia, Sergej, dopo averti recuperato, tuo padre chiamò le autorità di dovere ma quando andarono lì, il villaggio era completamente vuoto come non ci avesse mai vissuto nessuno, come se fosse disabitato da secoli-

Sergej rimase in silenzio, poco dopo baciò la fronte di sua madre e si rialzò- Vado da Aaron- dichiarò perentorio alla madre.

La madre lo bloccò e gli disse in un sospiro-Sergej, non l'hai comprata quella pietra?-.

-L'ho comprata, mamma. Lo giuro- mentì spudoratamente Sergej sentendosi in colpa- È solo una pietra, non esistono altri monaci pazzi che mi prenderanno per un loro Dio-, tentò di scherzare ma sua madre continuava a guardarlo severa e preoccupata-Stai attento tesoro. Magari tuo padre ha ragione a dire che sono troppo superstiziosa, ma credo seriamente a queste cose-.

Sergej annuì ma andò via senza voltarsi indietro, se voleva sapere non doveva avere paura.

La voce di Keme si espandeva nella stanza di Aaron tramite il telefonino impostato sulla radio.

-Quando l'eroe riceve il richiamo all'avventura, ha anche il rifiuto alla chiamata. L'eroe non ha intenzione di partire, la paura dell'ignoto lo blocca... -.

Aaron disteso sul letto alzò le mani davanti a sé, un'espressione di disgusto deformò il suo viso: la pelle delle sue mani era completamente spaccata divisa in ferite in cui c'era sangue ancora fresco, a ferite quasi cicatrizzate-.

Forse era la paura di se stessi a bloccare più di qualunque cosa, Aaron avvicinò le mani sul viso e le sentì gelide, le allontanò immediatamente da sé.

Aveva troppo paura, cosa gli stava succedendo?

Udì dei rumori dei passi e si gettò al muro spaventato, iniziando a sudare freddo. Quante volte doveva ancora dire che nessuno poteva entrare? Soprattutto suo padre perché suo lo feriva sempre. Sentì una lacrima calargli dagli occhi e la asciugò, nonostante che il contatto mani e viso fu doloroso, la pelle delle mani era di nuovo diventava calda.

Si sentì un bussare leggero e Aaron capì che non era suo padre.

-Aaron per favore aprimi, sono Sergej-

Aaron non si mosse, rimase immobile e indeciso sul da farsi, conosceva abbastanza Sergej da sapere che avrebbe aspettato pazientemente finché lui non sarebbe uscito.

Si alzò lentamente senza fare rumore e quando aprì la porta, non gli sfuggì l'espressione sconcertata dell'amico.

-Ho un aspetto orribile- commentò Aaron ma Sergej non rispose, anche se acconsentì con il suo silenzio, i lunghi capelli biondi dell’amico erano legati in una treccia disordinata e sfatta, gli occhi erano arrossati, le labbra livide e Sergej era riuscito a vedere le mani, che cosa era successo?

-Dobbiamo parlare- iniziò Sergej con pacatamente -Fammi entrare Aaron, per favore-

Aaron s’irrigidì e tentò di chiudere la porta ma Sergej l'aveva bloccata con il piede, questa volta il più giovane assunse un'espressione furibonda.

-Non puoi entrare-gli sibilò con un tono cattivo-Non ti voglio qui, mai più-disse crudele e Sergej assorbì il colpo, per quanto le parole di Aaron erano state dure, sentiva e vedeva che aveva bisogno di lui. I suoi occhi verdi erano lucidi di pianto e spaventati ma Sergej sapeva quanto fosse orgoglioso e infantile, come una tartaruga si stava chiudendo nel suo guscio e lui doveva metterlo sotto scacco se voleva aiutarlo.

In un gesto violento che non lo rappresentava, tirò entrambi le mani di Aaron e le raccolse dentro le sue, le trovò roventi e sentì che la sua pelle soffriva. Aaron cercò di indietreggiare spaventato.

-Lasciami ti farò del male! E' inevitabile, succede sempre- si lamentò Aaron con una voce carica di paura.

Sergej strinse ancora più forte, reprimendo un gemito di dolore. Una voce lontana e paterna nella sua testa gli confidò come un segreto “Se lo lasci adesso, il suo potere andrà completamente fuori controllo e diventerà pericoloso anche per se stesso”.

Sergej sentì un improvviso gelo e una strana sensazione percorse il suo corpo, come se si trovasse in una sauna senza calore che lo purificasse in modo violento.

Aaron lo guardava ancora più spaventato mentre si mordeva le labbra rendendole livide.

-Non posso accettare una cosa del genere- Sergej sorrise con calore, con sgomento e sollievo vide che Aaron aveva smesso di torturarsi le labbra e le sue mani stavano ritornando calde, non in un'escursione improvvisa ma gradualmente, finché non tornarono a una temperatura normale.

Aaron staccò le sue mani da solo e le portò al viso, finalmente dopo quella lunga e orribile settimana riusciva a toccarsi il viso.

Guardò per un lungo attimo Sergej che lo fissava con un'espressione serena e paziente fuori la porta, la aprì completamente e lo invitò a entrare.

Quando entrò Sergej cercò di non mostrare nessun cedimento, anche se il suo cuore si strinse in una morsa. La camera di Aaron era un disastro e tutto sembrava testimone della sua lunga sofferenza. C'erano parecchi asciugamani i quali sembravano umidi sul letto, insieme a un paio di guanti pesanti, che dovevano essere serviti a riscaldare le mani del ragazzo quando si erano ghiacciate.

Sergej notò la pietra rosa e verde buttata in un angolo della stanza a marcire, non ci voleva molto a capire chi l'avesse scagliata in quel modo.

Si avvicinò alla pietra e sentì che la sua vibrò, lentamente e inesorabilmente anche la pietra di Aaron diede segni di vita, Sergej sentì sibilare dietro di sé e vide che l'amico la guardava con la bocca contratta e un'espressione feroce negli occhi.

Sergej s’inginocchiò e raccolse la pietra, lentamente si rialzò e guardò Aaron.

-Dobbiamo sapere che cosa sono. Andremmo all'università di Tokio a parlare con i professori di geologia-spiegò lentamente Sergej sempre guardando gli occhi di Aaron, sentiva la sua rabbia o era paura travestita in rabbia?

“Non rifiuterà mai la missione. Lui non è il cavaliere più forte ma il più determinato e feroce. Per questo può essere pari a Nephrite e qualche volta a me” Sergej udì la stessa voce paterna di prima e ,poiché aveva già troppe preoccupazioni, decise di ignorare la stranezza.

-Dammi quella cosa- disse Aaron porgendo la mano verso di Sergej in un gesto secco.

Sergej fece quello che gli era stato detto e quando la pietra fu toccata da Aaron si illuminò febbrilmente.

-Un minuto- disse Aaron mentre si legava in capelli in una treccia più ordinata- Mi sistemo un attimo e andiamo-

Non parlarono durante quel tragitto che li portò verso l'università, nonostante l'atteggiamento indifferente di Aaron, Sergej sapeva che aveva paura e l’aveva anche lui.

Aaron si era nascosto gli sporchi capelli in un cappello, assomigliando così a un ragazzo di un quartieraccio, l'espressione feroce completava il ritratto, Sergej notò che si stava auto abbracciando: un segno di chiusura.

Nonostante che sapesse che Aaron non avesse voglia di parlare, Sergej domandò -Cosa intendevi che mi avresti fatto del male e che succede sempre?-.

Aaron s’irrigidì e guardò l'amico con un'espressione delusa e arrabbiata, come se avesse tradito la promessa non detta di non domandare, cercò di capovolgere la situazione.

-Ho detto semplicemente una frase senza senso- spiegò aggiungendo un sorriso malizioso.

-Aaron ...- lo ammonì Sergej provocando nel ragazzo più giovane un altro atteggiamento di chiusura, abbassò la visiera del capello e strinse le spalle ma ... parlò.

-Le persone che voglio bene le ferisco sempre. È cosi-

-Cosa intendi?- chiese Sergej studiando l’amico.

-Quello che ho detto. Quando mi affeziono a una persona finisco per ferirla-.

-In che modo?- Sergej tentava di essere il più dolce e possibile, era lieto che Aaron si stesse confidando.

-Quando una persona diventa importante per me, tutto va bene ma poi, improvvisamente, ho paura di farle del male.

Sergej guardò Aaron ingobbirsi, non riusciva a capirlo.

-Ho una paura tremenda che non sia a sicura con me. E' una paura così forte che m’impedisce di vedere quella persona, tanto da decidere di allontanarla-.

Aaron guardò Sergej con un'espressione rassegnata-So per certo che le farò del male, tutto quello che è successo lo conferma-.

Sergej lo fissò sconvolto, la paura era un sentimento forte e imprevedibile, irrazionale ... Come si poteva aver così paura di qualcosa di così astratto? Era per questo che Aaron trattava in quel modo suo padre?

Aaron prese la pietra e lo guardò con disappunto -Dovremmo buttarle, non dovremmo neanche sapere che cosa sono-.

Sergej a tutta risposta prese la sua Jadeite e la mise accanto a quella di Aaron.

-No, non le butteremo e non ti permetterò di buttarmi via- concluse autoritario ma con un profondo e sincero affetto.

Aaron rise di cuore-Sei strano e anche un po' masochista Sergej- concluse in tono ironico.

Sergej non ebbe il tempo di replicare, erano arrivati alla loro fermata.

Sergej era seduto a una scrivania ad ascoltare il tecnico, una donna trentenne di piacevole aspetto dagli occhi seri e diligenti, che parlava in un buon inglese mentre Aaron girava intorno alla sala, come fosse stato un guardiano della notte di un museo per nulla interessato alla conversazione.

-La pietra verde con le striature rosa è una Rubino-zoisite e quella grigia è una Jadeite. Sono due pietre molto diverse tra di loro. La Jadeite è conosciuta dall’antichità, è un tipo di giada, era chiamata la pietra del fianco ed era utilizzata per curare i mal di reni dagli antichi spagnoli. La Zoisite è considerata nuova poiché è stata scoperta in tempi moderni, nel 1797, infatti, prende il nome dal suo scopritore Von Zoist, un uomo norvegese... -.

Il tecnico non riuscì a finire la frase perché fu interrotta da Aaron, interessato all'argomento improvvisamente.

-La mia famiglia è di origine norvegese!- esclamò come un ragazzino

-Stai scherzando?- domandò Sergej mentre il tecnico li guardava leggermente seccata.

-No, discendo da un antico cavaliere di malta norvegese che poi è vissuto in Francia dopo le crociate e ha messo su famiglia-

-I cavalieri di malta hanno voto di castità!- ribatté Sergej.

-Evidentemente pensava che fosse una cosa stupida. Comunque francesizzò il suo cognome e nacquero i Guiffre-.

Sergej stava per protestare quando il tecnico li sgridò entrambi, provocando nel primo un po' d’imbarazzo mentre il secondo si sedette, finalmente.

-Dicevo la Jadeite, che non è altro un tipo di Giada, è conosciuta dai tempi antichi. Entrambe le pietre, se pure e lavorate, sono molto costose: lo scorso anno un esemplare di una pietra Jadeite è stato venduto a 20.000 dollari e una zoisite, a volte può arrivare anche a 30.000 dollari-.

I due ragazzi si guardarono tra di loro come se avessero fatto il colpo della vita, ma sapevano che non potevano vedere quelle pietre.

- Passiamo alla loro struttura chimica, allora la Zoisite è più dura della Jadeite perché … -

-Aspetti-,implorò Sergej che come Aaron aveva aperto gli occhi violentemente a sentir parlare di chimica - Può dirmi qualcosa dell’uso delle due pietre in cristalloterapia?-

Il tecnico cambiò espressione in una chiaramente frustata- Ah- disse con il tutto il suo disprezzo. -Vi chiamo un mio collega, è lui che ama quelle cose-.

Il tecnico si alzò dalla sua postazione appoggiando le mani sul tavolo come volesse ingrossare la sua figura e chiamò ad alta voce il collega.

I due ragazzi videro entrare nella sala un uomo allappato, dalla pettinatura buffa entrare, che portava al collo un numero considerevole di lacci con delle pietre.

Ad Aaron ricordò le statue delle madonne coperte di gioielli durante le parate religiose.

-Questi signorini vogliono parlare un po' di cristalloterapia con te-annunciò la collega donna e l'uomo sorrise con una luce un po' folle negli occhi.

Sergej esitante gli mostrò le pietre -Ecco, come vede, abbiamo due esemplari-.

Sergej fu interrotto dal tecnico, che prese le pietre in gesto fulmineo e le osservò con amore in controluce.

-Che belle, dove le avete trovate ragazzi?- domandò entusiasta, la voce del tecnico aveva un tono che rasentava il ridicolo, sembrava che appartenesse a un personaggio di qualche parodia.

-Sono cimeli di famiglia- mentì Aaron riprendendosi in gesto secco le due pietre, improvvisamente possessivo, riconsegnando la Jadeite a Sergej.

Il tecnico lo guardò con un'espressione giocosa in volto.

-Dunque tu sei il proprietario della Zoisite. Appropriato a un ragazzo della tua età. La zoisite ha il potere di aiutare i ragazzi molto giovani o persone molto frustate a liberarsi dal senso di colpa di cedere ai loro impulsi fisici permettendo di vivere serenamente con i loro istinti in modo moderato. Purifica dall'energia e opinione negativa delle persone. In poche parole è la pietra che aiuta a non fregarci un cazzo delle opinioni degli altri-.

-Modera il linguaggio. Sei all'università, non in una bettola- l'altro tecnico sgridò aspramente il collega mentre Aaron ridacchiava divertito, per poi osservare la sua pietra con un misto di confusione e curiosità.

Sergej sorrise pensando che finalmente Aaron sembrava più tranquillo.

Il tecnico si scusò forzatamente con la collega e i ragazzi, chiaramente per nulla pentito di quello che aveva detto, e fissò Sergej entusiasta e felice.

-La giada, un'ottima pietra, antichissima e importantissima per i cinesi. È la pietra evocatrice di saggezza e sincerità, porta prosperità, amore a lunga vita e protegge dalle avversità. Aiuta a far chiarezza nella propria vita affettiva e a prendere le briglie della propria esistenza. La Jadeite, in particolar modo, stimola l'armonia dentro di sé. Rispetto alla zoisite è una pietra che aiuta il lato più spirituale che fisico, adatta a un ragazzo come te che sembra avere una grande forza interiore-.

Sergej non disse nulla ma si sentì imbarazzato, chiesero al tecnico che cosa dovessero fare per la manutenzione e finalmente uscirono.

Aaron giocò con la sua pietra e poi guardò furbescamente Sergej -Allora le andiamo a vendere?-.

-No, assolutamente no- sbottò Sergej irritato mentre Aaron ridacchiava, ormai completamente ristabilito dalla lunga settimana infernale che aveva passato.

-Ti prendevo in giro. Insomma ascolta la tua pietra della pace interiore- continuò in tono ironico mentre con le mani imitava il gesto di pregare.

Sergej lo guardò dubbioso, Aaron sembrava essersi ripreso magicamente e velocemente, si domandò se non fosse solo una finzione, oppure Aaron era strano quanto lui.

-Se ci provassimo a trasformare?- propose Sergej dubbioso e guardando Aaron cautamente, il quale assunse un’espressione sorpresa e poi lentamente una di quieta rassegnazione.

-Non credi di avermi sforzato tanto per oggi? Dammi un po' di tregua- ammise sincero.

Sergej osservò la sua pietra esponendola alla luce e poi rapidamente la riposò- Sono curioso-.

-Di’ la verità, vuoi ritrasvestirti da principe Disney-

-Ha parlato il fissato delle leggende popolari- replicò prontamente Sergej con gli occhi che scintillavano d’ironia.

Aaron sembrò sorpreso e poi si finse offeso - Non ho mai detto che mi piacciano quelle cose-.

Sergej alzò un sopracciglio e ghignò- Andiamo, il programma di Keme non è l'unico in inglese che si può ascoltare a Tokio. Mi hai preso per uno stupido?- domandò canzonatorio.

-No, solo un po' masochista-.

I due si fissarono con un'espressione seria in volto e poi scoppiarono a ridere come i due giovani ragazzi che erano.

-Sentiamo Aaron, secondo il monomito dell'eroe, qual è il prossimo passo?- domandò Sergej seriamente.

Aaron ci pensò un attimo e poi senza esitazione disse:

-L'incontro il mentore-.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

1)Scusate il ritardo ma mi sono successe delle cose assurde nell’ultimo mese e mezzo. Cercherò di mettere un capitolo a mese, tanto sono lunghi.

2)In realtà non c’è molto da dire sul capitolo, il rapimento di Sergej in Nepal è ispirato al videogioco “Sailor Moon: the another story” che consiglio di vedere a tutti i fan della ShitennouxSenshi. In questo gioco Mamo-chan è colpito dal nemico di turno e gli shitennou appaiono alla sailor e chiedono di recuperare le loro quattro pietre, precisamente la parte Yang (la positiva) per salvare il re. Le ragazze partono ognuna a cercare le pietre Yang avendo con loro la parte Ying, quelle che ha Mamo-chan nella scatola (se ho capito bene) e la nostra carissima Mars va in Nepal. In un villaggio nepalese trova appunto la statua di Jadeite e il tempio dedicato a lui.

Specifico la faccenda della pietra con la parte Yang e Ying perché sarà importante al prossimo capitolo.

3) La donna apparsa non è Beryl ma la dea Gaia. Sveliamo un po’ di cose. In realtà questa storia è uno spin-off di una f.f. lunga che vorrei scrivere ma chissà se farò mai. Ad ogni modo la mia idea è che gli Shitennou ricevono i poteri dal pianeta Terra che assume la forma di questa donna Gaia. Se non sono iniziati da lei, non possono diventare shitennou, in pratica la Terra li deve accettare. Gaia è una dea esistente nella mitologia greca e mi sto basando su quella per descriverla. Mi sarebbe piaciuto che SM Crystal si fosse occupato di più di come fosse il regno della luna e della terra, in mancanza d’informazioni… possiamo fantasticare quanto vogliamo.

4)Le informazioni sulle pietre e sull’uso nella cristalloterapia le ho trovato su internet, poi ho comprato personalmente sia la Zoisite sia la Nephrite (che è sempre un tipo di giada) e ho avuto un piccolo dossier. Appena posso, mi procuro sia la Kunzite sia la Jadeite e andrò in giro dicendo “ Si l’ho tutte” come Dark Mamuro nell’episodio undici XP. Si trovano in giro, ovviamente, le pietre grezze ma se volete un gioiello … beh… auguri ^^

5) Il nome Keme significa segreto e tempesta, un nome della tribù indiana Algonquin

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 03 ***


03

3 Capitolo

 

Il ragazzo che era chiamato Keme ma come guerriero aveva il nome di Nephrite era nella sua casa e nulla in quel posto faceva pensare a un eroe in incognito. Era una costruzione a due piani, quello terreno era utilizzato come negozio di libri curiosi e rari(1) in lingua inglese e francese e accoglieva anche studenti che avevano bisogno di ripetizioni in entrambe lingue, l'altro piano era la zona abitabile e comprendeva una piccola camera, un angolo cottura-soggiorno e un bagno.

C'era molto più di questo, nella stanza da letto, in angolo, un grammofono d'epoca creava atmosfera ma era in realtà un interessante congegno per entrare in un atrio segreto della casa.

Keme capovolse il vinile e lo mise a girare nel giradischi, invece di un rumore graffiante e prepotente, si sentì una serie di rumori meccanici e si aprì un passaggio segreto.

Il giovane uomo entrò nel suo nascondiglio, una stanza quadrata, dove c'erano una scrivania e una bacheca, posta sopra la prima, con una serie di appunti, in cui spiccava il nome DARK AGENCY e alcune fotografie di Aaron e Sergej con le relative annotazioni. Le pareti della stanza erano decorate da una serie di oggetti provenienti dalla cultura degli indiani d'America e altre provenienti dalla cultura vudù.

Keme sorrise riflessivo, lui rappresentava lo Shitennou del sud, Suzaku, per questo, come Nephrite, era più vicino alla cultura meridionale nel mondo, ma come Keme sentiva la sua discendenza dagli indiani America della tribù indiana Algonquin: un’eredità ricevuta dalla madre di cui andava fiero.

Guardò con amore il braccialetto che indossava di delicate piume di uccello, ma lo tolse, sostituendolo con uno di ossa di pollo.

La persona che voleva evocare era stata un vudueinne, il minimo che poteva fare era rispettare la sua religione(2).

Prese da una scatola una pietra blu scura dall'aspetto grezzo, la collocò al centro della stanza e chiuse gli occhi concentrandosi.

Una strana luce nacque dalla pietra e Keme sentì una voce familiare, dolce e rispettosa parlagli.

-Mio generale, come posso servirti?-

Keme riaprì gli occhi e vide davanti a sé una figura evanescente di un uomo di colore e dagli occhi scuri che indossava lo stesso completo bianco di Sergej e Aaron, ma che aveva i risvolti rossi sulle maniche.

-Cristóbal, ho detto di chiamarmi Keme- precisò il ragazzo guardando con severità la figura evanescente.

-Sai bene che preferisco chiamarla con il suo titolo-.

Keme perse la sua severità nello sguardo e sorrise tristemente fissando Cristóbal, in fin dei conti era morto e poteva chiamarlo come gli pareva.

-Che cosa c'è signore?- domandò lo spirito che era sempre stato in grado di intuire i pensieri più nascosti del suo generale anche quando era in vita.

-Sei riuscito a ottenere altre informazioni sulla nostra vita precedente?-

Cristóbal guardò addolorato e mortificato il suo generale, un'espressione così viva che Keme si sentì male a guardarla e il suo cuore si sentì preso dalla morsa dei sensi di colpa.

-No signore, le stesse che avevamo. So bene che con la morte dovrei essere a conoscenza di tutto, ma non riesco a ricordare -.

-Quindi siamo al punto di partenza, sappiamo che c'è stata una guerra, so i volti dei miei compagni ma non so la mia missione!- commentò frustato Keme.

-Di che cosa ti preoccupi? La tua missione sarà rivelata quando tutti gli Shitennou saranno risvegliati e iniziati da Madre terra- precisò Cristóbal mentre guardava il suo generale preoccupato, la sua fronte era corrugata in una ruga nervosa.

-Cristóbal, non posso andare da quei ragazzi e dirgli "Sapete siete dei guerrieri potentissimi che hanno una missione sconosciuta da compiere". Non mi crederanno mai! Non sono come te e me che siamo vissuti sempre nella magia e nel sovrannaturale. Se tutto fila liscio, mi prenderanno per pazzo-, commentò Keme, chiunque avrebbe capito che quel ragazzo era stressato.

-Per questo motivo gli spiriti hanno deciso che ti fingerai il leader degli Shitennou, Kunzite, la tua superiorità di grado li costringerà a ubbidire -.

Keme non aveva un’espressione convinta, cautamente estrasse dalla maglietta che indossava un laccio con una pietra rosa -Già Kunzite ... - disse e fissò la pietra, che come appariva fuori luogo nella sua mano! Ma gli spiriti sapevano quello che facevano o almeno Keme lo sperava.

Keme guardò la bacheca sopra la sua scrivania, attualmente stava facendo una ricerca su Kunzite ma con scarso successo, si riteneva fortunato a essere riuscito a trovare non un solo Shitennou ma addirittura due, eppure c'era anche quella spiacevole sensazione d'ansia che cresceva di giorno e in giorno, e, soprattutto, le parole di Gaia gli rimbombavano in testa: che cosa significava che le cose con Kunzite si sarebbero fatte interessanti?

-Keme-, disse Cristóbal perentoriamente - Questo non è il momento dei dubbi. Tu devi essere una roccia per quei ragazzi, sei stato addestrato per questo e gli spiriti hanno ritenuto che ormai sei pronto per la tua missione quindi non puoi e non devi aver dubbi. Gaia è una manipolatrice, ogni cosa che dice è per avvelenare e infondere dubbi per attuare i suoi piani. Immagina che cosa può aver fatto oppure detto a quei due ragazzi, gli avrà insinuato il dubbio di essere maledetti e non speciali-.

Keme non commentò quella dichiarazione ma se avesse dato voce ai suoi pensieri, sarebbero apparsi come delle bestemmie per Cristóbal. Lo Shitennou non era mai stato sicuro di non essere maledetto da quei misteriosi poteri che possedeva: c'era una parte di sé che urlava che era un’ingiustizia e che avrebbe dovuto essere al college, a vivere una vita normale. Ma non l'avrebbe mai detto, soprattutto di fronte a Cristóbal che era morto per la missione.

Lo spirito aveva ragione, Keme non poteva e voleva lasciare soli i nei Shitennou, Gaia, nonostante che si dichiarasse neutrale, era pericolosa e i suoi piani misteriosi. Keme era pronto, nonostante tutto, per il suo dovere e la morte di Cristóbal non sarebbe stata vana.

I suoi occhi erano determinati e alimentati da quel fuoco misterioso che Keme sapeva di avere mentre disse:

-Andrò da loro e gli spiegherò quello che so. Se non dovessero credermi … troverò il modo che ci riflettano seriamente-.

Cristóbal s’illuminò con un sorriso malizioso-Non ne dubito, generale-.

 

Sergej pensò che stessero rispettando a pieno uno dei cliché più utilizzati negli anime, allenarsi in un prato sotto un ponte desolato.

 -Sei pronto?-, domandò Sergej prendendo in mano la sua Jadeite, legata al collo, e Aaron annuì, urlarono le rispettive formule e si trasformarono nuovamente, e per un buon minuto si osservarono controllando tutto quello che richiedeva uno sguardo, tra cui le spade che non avevano un’elsa molto elaborata o l'aspetto molto nobile, eppure le lame apparivano ottime.

-Prova a fare di nuovo Elsa-, suggerì Aaron aggiungendo un tono canzonatorio e un sorriso ironico, a cui Sergej reagì con un finto gesto di collera.

Provò nuovamente a usare il potere del ghiaccio, come aveva fatto la volta precedente, per cui Sergej si concentrò e puntò le mani contro una specie di manichino deforme che i due ragazzi avevano costruito con materiali di fortuna.

Uscì un getto di ghiaccio ma non potente come quello della prima volta, Sergej non avvertì il rinculo del colpo e si sentì mortificato e anche, leggermente, imbarazzato.

-Forse è un colpo alimentato dalla paura-, ipotizzò Aaron, evitando qualsiasi ironia nell’affermazione mentre Sergej si mordeva il labbro inferiore chiaramente innervosito.

-Prova tu-, ordinò ad Aaron-Vediamo se abbiamo gli stessi poteri-.

Aaron lentamente e titubante si tolse i guanti, che erano rimasti nonostante la trasformazione, e li appoggiò sul terreno nell’angolo in cui avevano lasciato le borse. Ogni secondo che passava appariva sempre più nervoso però puntò le sue mani verso il manichino e provò a concentrarsi.

Ci fu un attimo di silenzio in cui non successe nulla, poi una fiacca energia uscì dalle mani di Aaron e si trasformò in ghiaccio ma era un colpo ancora più debole di quello di Sergej.

-Abbastanza patetico- commentò asciutto Aaron giocando nervosamente con i capelli.

-Però era ghiaccio. Quindi abbiamo gli stessi poteri?-, domandò Sergej dubbioso notando che Aaron continuava a innervosirsi.

-Magari abbiamo solo questo?- domandò, infatti, con voce tesa ma poco convinto e mentre Sergej pensava a una risposta, udì un miagolio così forte che lo fece sobbalzare. Gettò lo sguardo dietro di sé e vide un grosso gatto dagli occhi gialli che fissava lui e Aaron.

Quelle apparizioni di animali stavano diventando inquietanti ma Sergej cercò di essere razionale, era soltanto un gatto...  perlomeno non parlava.

Aaron non era di quest’avviso, s’innervosì subito e cercò di cacciare via l'animale che invece continuò a fissarlo, finché in un balzo raccolse uno dei guanti di Aaron e scappò via.

Sergej non capì che cosa stesse dicendo l'amico che iniziò probabilmente a sbraitare in francese, ma cercò di trattenerlo con le parole.

-Aaron non puoi andare in giro così! Sei trasformato!- obiettò.

Il ragazzo più giovane lo ignorò completamente e partì alla carica contro il felino.

Sergej fu costretto a seguirlo e provò una brutta sensazione che lo convinse a tenersi la divisa da principino. Corse dietro a Aaron che sembrava così preso dall’inseguimento da non notare che il gatto lo stava portando probabilmente nel suo rifugio.

Poi, improvvisamente, il gatto si fermò e fissò nuovamente i due ragazzi, un’enorme sfera di energia partì dall’animale e colpì in pieno i due ragazzi. Quando Sergej riaprì gli occhi, capì che lui e Aaron erano finiti in trappola.

Il gatto non c’era più, al suo posto vi era una donna dall'aspetto ferino, la sua pelle era striata e appariva come un incrocio tra una pelliccia di gatto e pelle umana, gli occhi erano inquietanti, da bestia.

Sergej non sapeva che fare, a lui piaceva ragionare a lungo sulle cose e poi decidere un piano ma in quella situazione ci voleva una mente rapida.

Sentì gridare Aaron-Trasformiamoci!-, la sua voce era eruttata prepotente e chiaramente spaventata e Sergej fu lieto di sapere di non essere l'unico a non sapere cosa fare.

-Siamo già trasformati-commentò gentilmente.

Aaron arrossì e borbottò guardando Sergej con uno sguardo di fuoco-Hai qualche idea genio?-.

Sergej sentì battere la spada sul fianco e la estrasse con mano tremante, sperando di non farsi male da solo poiché in vita sua non aveva mai brandito una spada e pregando che invece Aaron, da facoltoso ragazzo che era, avesse preso lezioni di scherma.

Aaron lo imitò ed estrasse la spada, in un balzo irruente iniziò il combattimento avventandosi sulla donna che emise una specie di miagolio, si girò su stessa e colpì violentemente in faccia il ragazzo con la sua lunga coda da gatto.

-Che male-, gridò Aaron in un osceno mix di lingue tra francese, inglese e giapponese poiché Sergej era riuscito a convincerlo a farsi dare lezioni.

Poi iniziò a grattarsi furiosamente il viso e Sergej gli domandò preoccupato, tenendo la sua spada in mano come fosse una bomba da maneggiare con attenzione-Non sarai allergico?!-.

-No, ma il suo pelo ha qualcosa di strano! Cerca di non farti colpire- replicò Aaron che s’impose con difficoltà di rimanere calmo.

Sergej annuì e cercò di attaccare, la donna-gatto sorrise quasi mentre balzò verso di lui, il ragazzo, più per fortuna e caso che abilità, evitò l'agguanto scivolando sotto il corpo in volo del mostro così da trovarsi dietro di esso, e con un gesto secco e incredibilmente preciso tagliò la coda.

Rabbrividì a sentire quell'urlo di dolore e Sergej si sentì anche lui un mostro, nel frattempo il viso di Aaron era in fiamme e nulla serviva a grattarselo e la sensazione peggiorava in minuto in minuto.

Aaron temé di strapparsi la pelle con le sue stesse mani invece accade qualcosa d’imprevisto, la pelle delle sue mani tornò ghiacciata, com’era stata nella sua settimana infernale dopo l'avvento della luna piena, e sentì una strana sensazione di frescura che avvolse il suo viso e il prurito passò.

Si guardò le mani e vide che si era formato uno strano materiale plastico nero che scomparve, improvvisamente, in una fioca luce verde.

Non ci fu tempo per gioire, gli occhi di Aaron videro che Sergej stava affrontando la donna gatto che adesso aveva tre code.

-Cosa? E' una specie d’idra? Ci serve del fuoco!-, pensò in preda al panico ma andò in soccorso di Sergej che sembrava in difficoltà: era stato catturato dalla donna, la quale teneva il ragazzo a terra fermo con due delle sue tre code che si erano allungate notevolmente.

La donna attaccò Aaron con l'altra coda ma il ragazzo non sentì nulla, il prurito infernale di prima sembrava un ricordo lontano. Allora la donna puntò una delle mani verso il ragazzo e spuntarono dal nulla dei gatti che assalirono Aaron(3).

Sergej sentì il viso iniziare a infiammarsi e la sensazione peggiorò in pochi instanti. Non riusciva a ragionare, terrorizzato com’era e la sensazione di prurito non aiutava. Sarebbe morto per un attacco allergico e gettò un'occhiata su Aaron che tentava di difendersi dai gatti con la spada e puntando una mano contro di essi, Sergej ipotizzò che stesse cercando di congelarli ma senza successo. In effetti, la paura non stava aiutando Aaron, preoccupato anche per il viso in fiamme di Sergej, l’unica cosa che riusciva a pensare era che dovesse soccorrerlo.

Non notò, infatti, una strana ombra rossa che passò silenziosa e invisibile tra i gatti per poi avvolgerlo completamente.

Sergej urlò a vedere la scena, cosa stava per succedere ad Aaron? Tentò di strattonare, senza successo, la donna che invece si preparò a graffiarlo, ma non ci riuscì, gli occhi della gatta si coprirono di ghiaccio e la donna perse la sua presa su Sergej.

Sergej sentì qualcuno prenderlo da dietro e davanti a lui vide una strana luce nera che lo avvolse, dopo un istante, la posizione di Sergej era cambiata: era ad almeno quattro metri di distanza dalla donna-gatto.

Una mano gli impedì di urlare e sentì pronunciare le parole -Stai calmo, Jadeite - dietro di sé, da una voce che sembrava familiare.

-Earth purification-, sentì pronunciare Sergej e la sensazione del viso in fiamme scomparì in un attimo.

Subito dopo comparve un uomo di schiena dai lunghi capelli scuri, vestito di bianco con una spada sul fianco e con un mantello dello stesso colore.

-Ehi gattina, perché non te la prendi con qualcuno che sa quello che fa?- disse l'uomo ghignando mentre con una mano indicò Aaron, la strana luce rossa l’aveva completamente avvolto ma improvvisamente il ragazzo con un gesto secco fu in grado di congelare tutti i gatti all'istante.

Lo sconosciuto estrasse la sua spada, che appariva bagnata di qualcosa, e con un accendino, comparso improvvisamente nelle mani, accese una fiamma e la spada si coprì di fuoco. Il mostro guardò preoccupata e arrabbiata la scena e si mosse in direzione dello sconosciuto, che scomparve sotto gli occhi increduli di Sergej per ricomparire poco dopo dietro alla donna.

Il mostro non ebbe tempo di reagire, lo sconosciuto appoggiò la sua spada sulla gola e con un gesto fulmineo la decapitò. Il cadavere poggiò sulle stesse ginocchia per poi sparire in una nuvola di polvere, la testa rotolò per terra per qualche istante e si trasformò in polvere che volò via.

Sergej era rimasto pietrificato dalla scena che quasi non sentì il tonfo provocato da Aaron che si era accasciato a terra e affannava, tentò di soccorrerlo ma appena Sergej si alzò in piedi sentì il suo stomaco in subbuglio e vomitò.

L'uomo misterioso guardò la scena con un sopracciglio alzato di disappunto ma con gli occhi preoccupati di un fratello maggiore, eppure disse, senza mezzi termini, -Pensavo che foste meno mollaccioni, immagino che ne avrò di cose da insegnarvi-.

Sergej stava per replicare duramente quando lo sconosciuto gli si avvicinò e gli diede un fazzoletto di carta per pulirsi la bocca, il ragazzo non ebbe tempo di guardarlo in viso che lo sconosciuto era andato a soccorrere Aaron e lo aiutò ad alzarsi.

-L'effetto della possessione sparirà tra un po'-, dichiarò come se Sergej e Aaron sapessero di che cosa stesse parlando.

-Chi sei?-, domandarono in contemporanea e perentoriamente i due amici, lo sconosciuto sorrise e si mise quasi in posa mentre estrasse una pietra dal colore rosa pallido dalla sua giacca.

-Sono Kunzite, il capo dei quattro re celesti, detti anche Shitennou, e voi siete i miei preziosi fratelli d’armi- mise la pietra vicino al suo cuore e in un istante la divisa di Kunzite scomparve e lo sconosciuto strizzò l’occhio scherzosamente- Ma il mio nome è Keme, grazie a entrambi che ascoltate il mio programma-

Aaron e Sergej fissarono Keme per un lungo istante, era un ragazzo dall'aspetto possente con lunghi capelli mossi e castani e uno sguardo determinato con degli appassionati occhi castani rossicci.

Sergej lo riconobbe, era l'uomo che era apparso nella sua visione precedente, quella volta che lui e Aaron avevano incontrato Saito ... quindi lui era Kunzite?

-La mia missione principale è trovare tutti gli Shitennou, voi siete i primi due, nel frattempo che cercherò l’ultimo sarete addestrati da me- spiegò Keme con un tono che non ammetteva repliche mentre l’espressione in viso di Aaron diventava sempre più scura.

-Non ci sto! Non mi fido di te!- obiettò.

Sergej si voltò sorpreso in direzione di Aaron che appariva non solo arrabbiato, ma addirittura in preda all'ira.

Il più giovane si rivolse a Sergej duramente -Hai mai chiamato al suo programma? No, vero?- Sergej non ebbe tempo di rispondere che Aaron lo strattonò e lo portò vicino a sé, come volesse difenderlo da Keme.

-Significa che ci ha spiato fino adesso e che, per ben due volte, quando ci siamo trovati a combattere quelle cose... -

-Demoni-, lo corresse con un sorrisetto Keme, quasi come se stesse già iniziando la sua lezione-Sono demoni-.

-Qualunque sia il loro nome, non importa. Ha aspettato che fossimo in un punto critico. Che razza di persona può essere? Ci ha fatto quasi ammazzare, ripeto due volte-. La voce di Aaron non era mai stata così acida, arrabbiata e sprezzante e Sergej si sentì a disagio.

-Perché dici due volte?-, domandò temendo la risposta.

-Sergej non insultare la tua intelligenza. L'ha appena detto, mi ha impossessato per farmi combattere. Secondo te, se è in grado di farlo su un essere umano, non può farlo su un animale, un cane magari?-.

Sergej non rispose ma Aaron aveva ragione, Kunzite non si era fatto problemi a lasciarli nei guai.

-Quando lui, da quello che abbiamo visto, può praticamente uccidere quei demoni solamente alitandogli in faccia! Perché dovremmo fidarci di te?- concluse Aaron rivolgendosi al loro "capo" mentre lo sguardo di Sergej oscillava fra i due.

-Non vi avrei fatto ammazzare. Dovevo mettervi alla prova- spiegò seccamente Keme.

-Noi siamo dei normali adolescenti civili, per chi ci hai preso per qualche super eroe?- domandò cinicamente Aaron.

-Voi non siete dei normali adolescenti e lo sapete- tagliò a corto Keme con parole dure e lo sguardo perentorio, il cambio di atteggiamento fu così forte che i due ragazzi rimassero in silenzio, l'autorevolezza di Keme in quel momento non permise nessuna obiezione.

-Non vi avrei fatto ammazzare e in generale cerco di salvare più gente che posso. Vado in giro a eliminare quei così, come li hai chiamati tu Aaron, da quando avevo quattordici anni e sono felice che Dio vi ha permesso di vivere delle esistenze pacifiche fino adesso, ma non è più possibile-.

I due ragazzi si guardarono cercando la forza che sentivano di aver bisogno nell'altro, perché più Keme parlava e più una strana consapevolezza prendeva in ostaggio il loro cuore.

Keme mise le mani sui fianchi, in un atteggiamento molto sicuro di sé, e disse rivolgendo un'occhiata di sfida ad Aaron - Ad ogni modo, voglio darvi la possibilità di decidere di seguirmi, di lasciarvi addestrare e di fidarvi di me. Ascoltate il mio programma, no? L'eroe può anche essere obbligato a partire per il viaggio ma non è la mia intenzione. Quindi, Aaron, se vuoi… non seguirmi ma lascia a Sergej la possibilità di decidere per sé- concluse Keme.

Sergej non riuscì a nascondere un fremito a essere messo in quella situazione così scomoda, Aaron lo guardava con vago disappunto come se sospettasse che Sergej si sentiva estremamente fiducioso nei confronti di Keme, nonostante che le sue argomentazioni fossero più che valide.

-Avete quattro giorni per riflettere, se accettate di fidarvi di me verrete a casa mia - e Keme comunicò il suo indirizzo e numero di cellulare.

Aaron vide Sergej mordersi le labbra come se lottasse furiosamente con una frustrazione personale che non gli aveva mai rivelato.

-Ad ogni modo l’altra volta sono stato io farvi tornare "normali" ma non posso farlo sempre io. Prima lezione: prendente la vostra pietra e appoggiatela al petto, così spariranno le divise. Spero di rivedervi- detto ciò Keme si allontanò dai due ragazzi, lasciandoli soli a guardarsi negli occhi.

Aaron, seppur controvoglia, appoggiò la pietra al petto e, quando sparì la divisa, dové almeno ammettere che Keme sapeva quello che faceva.

Sergej pure si spogliò della sua divisa ma più quella magia a spogliarlo era lo sguardo di Aaron, attento e forse anche irritato.

-Credo che dobbiamo riflettere per conto nostro-dichiarò Sergej e Aaron fu d'accordo.

-Hai ragione, siamo troppo diversi e meglio che su cosa seria, come la nostra sopravvivenza, riflettiamo da soli-

Sergej non seppe dare un'interpretazione alle parole di Aaron, c'era ironia o rassegnazione?

Si salutarono e fecero il patto di non sentirsi in quei giorni, Keme gli stava dando la possibilità di scegliere, un lusso che, era evidente, non gli era stato dato.

 

Era un castello di pietra dall'aspetto imponente e tipicamente europeo, se si fosse trovato in un luogo normale, avrebbe avuto file di turisti pronte a pagare per visitarlo, però il castello non si trovava in un posto normale.

Era nascosto nel freddo gelo della Groenlandia, nelle viscere di una caverna che rendevano il luogo inaccessibile all'uomo.

Dunque era un castello misterioso e sconosciuto, eppure aveva la sua regina, una donna dalla fiera criniera rossa era in quelle stanze avvolta da un abito blu aderente. La regina era seduta mentre guardava attraverso una sfera di cristallo una scena che si svolgeva molto lontano da sé: Aaron e Sergej che si separavano momentaneamente.

La donna sorrise con le sue labbra decorate da un rossetto scuro, si alzò dalla sedia e camminò verso le segrete del castello. I suoi passi erano accompagnati dal ticchettio di un lungo bastone dall'aspetto tribale con una pietra lunga in cima, il simbolo del suo potere.

Entrò in una stanza dalle grandi porte in pietra decorate da complicate incisioni, dove al centro vi era un altarino con una fiamma viola che iniziò inquietantemente a parlare.

-Queen Beryl mi confermi che gli altri Shitennou, ad eccezione di Kunzite, sono stati risvegliati?- domandò la fiamma, a cui comparvero due fessure azzurre enormi che avrebbero fissato la donna se fossero state occhi.

-Sì, maestà Metaria. Sono stati risvegliati Jadeite e Zoisite-.

-Sono stati anche iniziati dalla dea madre?-.

-Sì, nonostante la stoltezza e la goffaggine dei loro attacchi, posso dire che ho avvertito il potere della Terra scorrere nelle loro vene -.

- Mi parli di goffaggine, che cosa intendi?- domandò Metaria.

- Queste reincarnazioni dei generali Jadeite e Zoisite non sono persone in grado di combattere, sono dei normali ragazzi(4). Ma Nephrite ha detto che li addestrerà-

- Allora aspetteremo che siano tutti e quattro in grado di combattere e li corromperemo -

- Mia signora, credete che sia saggio? Ho detto che sono dei normali ragazzi ma il loro spirito è forte e nobile, credo che la loro potenza sia superiore alle precedenti rincarnazioni. Zoisite è riuscito a purificarsi da uno dei miei demoni più pericolosi. Jadeite ha la precisione con la spada di un tempo, entrambi senza nessun addestramento. Se la loro anima è troppo forte, sarà difficile piegarli, soprattutto nel caso di Zoisite: se i suoi poteri di purificazione arrivassero al massimo, sarebbe impossibile corromperlo-.

-Non potresti fare come durante i tempi del Silverium. Distruggere la parte yang della sua pietra? - domandò Metaria-.

-Senza l'aiuto di una sacerdotessa di Gaia è impossibile. Probabilmente lo ucciderei nel tentativo- spiegò Beryl mentre sorrideva ai ricordi della sua vita passata.

Ricordava di quando era vissuta in un'epoca completamente sconosciuta alla società moderna: il tempo del Silver millennium, quando tutti i pianeti del sistema solare erano abitati e avevano proprio un regno, ma ubbidivano ai reali del regno della Luna.

L'unico regno che aveva iniziato a dare segni di non tolleranza ed era pronto a lottare per la propria indipendenza era stato quello terrestre. Per questo motivo i terrestri adoravano Dei diversi e spesso opposti agli altri abitanti del sistema solare, chiamati comunemente spaziali, e cercavano di creare una propria cultura e identità.

Beryl era una donna importante ai quei tempi, era la grande maga del consiglio di Gaia, l’unica figura pari alla sua era quella della papessa, la sacerdotessa dalla più alta carica della dea.

Beryl aveva voluto, come molti terrestri, la totale indipedenza della Terra ma quando aveva incontrato Metaria si era resa conto di voler essere anche la regina del pianeta. La sua ascesa al potere era stata difficile ma non impossibile, soprattutto quando era riuscita a corrompere i quattro cavalieri terrestri più forti, gli Shitennou, o almeno era riuscita con tre.

-Beryl spero che tu abbia qualche idea su come non farti ingannare dal generale Nephrite. Avrai notato che indossa il mantello nella sua trasformazione-.

Beryl assunse uno sguardo irritato a sentire quelle parole, in lei non solo i ricordi ma anche le sensazioni della sua vita precedente erano vividi e non poteva credere che il generale Nephrite era riuscito a scampare alla corruzione del caos.

-Finché non incontra la ragazza nel tuono, non ci dovrebbero essere problemi maestà, ma mi occuperò a tempo debito della faccenda-.

Metaria si agitò, le fiamme aumentarono d’intensità per un attimo mostrando la sua chiara indignazione.

-E sia Beryl. Non deludermi-.

La storia che ricordava Beryl assumeva nella mente di Metaria un diverso punta di vista, il demone ricordava una donna già piegata dalla gelosia e dall'invidia che provava verso la principessa della luna Serenity, l'unica persona che era stata capace di rubare il cuore del principe della Terra Endymion. Ricordava di come avesse pensato che sarebbe stata facile la sua ascesa, se avesse corrotto una donna così importante della corte terreste. Ricordava di come fosse stata trasportata nel tempio di Gaia, con l'ordine perentorio che la studiassero solo le sacerdotesse più forti.

Così era riuscita a corrompere sia la papessa sia la grande maga, il seme dell’odio che trasportava si era diffuso come un incendio senza controllo. La papessa aveva corrotto le sue sottoposte, che alla loro volta avevano corrotto familiari e amici. Beryl aveva corrotto il capo degli Shitennou Kunzite e il loro declino era stato inevitabile insieme con quello del regno della Terra.

Kunzite, Jadeite, Nephrite e poi Zoisite, era stato quell’ordine con cui li avevano corrotti e anche se Nephrite era riuscito a resistere ... era stato punito quanto gli altri e Metaria lo sapeva bene poiché aveva assistito a ogni loro reincarnazione.

Eppure il fatto che indossasse il mantello era una chiara simbologia, nonostante che fosse diverso, ma non tantissimo, dalla precedente reincarnazione non aveva perso la sua nobiltà d'animo.

Beryl s’inchinò leggermente come assenso alle affermazioni del demone e poi sorrise tra sé e sé. C'era un aspetto che Metaria non valutava mai ed erano i ricordi sulla stessa Beryl che gli Shitennou possedevano, finché non erano nitidi, la donna avrebbe potuto avvicinarsi.

In fin dei conti non sarebbe stato bello per i cavalieri rivedere una faccia amica?

 

Sergej si fissava allo specchio come mai aveva fatto nella sua vita, fissava i suoi lineamenti come per riconoscere qualcuno di cui un tempo si aveva idea del suo aspetto, ma il ricordo si era logorato. Eppure, tutto era normale, i suoi occhi, gli zigomi, la forma del viso e il colore biondo dei capelli: era lui ma non si riconosceva.

Erano passati due giorni dall’incontro di Kunzite e soltanto adesso, Sergej ammetteva di non riconoscersi più allo specchio.

Quello lì non era lui, con un capriccio disperato si trasformò e indossò quella strana uniforme con la Jadeite in bella vista.

Si fissò in quella forma ma non si riconobbe nonostante che si sentisse protetto e forte con quei stupidi vestiti.

Perché? Con quei vestiti aveva rischiato la vita due volte eppure si sentiva in pace. Sergej s’immaginò vivamente l'espressione che avrebbe potuto fare Aaron a sentire quelle parole: sbalordita, forse allucinata addirittura.

-Aaron fa così perché ha paura, si trovò a pensare Sergej ed era così, giusto era così, la vera domanda era perché Sergej non avesse paura.

Prese la pietra tra le sue mani e la fissò a lungo, gli entrava perfettamente nel palmo, come se fosse quello il suo posto.

Sergej schioccò la lingua e si rese conto che era un gesto abituale di Aaron, quella consapevolezza lo mise a nudo.

Non era stato l'incontro con Kunzite l'inizio di qualcosa ma quello con Aaron. Dalla prima volta che l’aveva incontrato, tutto era cambiato e non si era sentito più solo e abbandonato com’era successo alla partenza della sorella maggiore, lentamente si era sentito in pace e accettato.

Eppure in condizioni normali non sarebbe stato amico di uno come Aaron, l'avrebbe giudicato severamente come uno snob e un superficiale e invece Sergej sapeva che erano della stessa pasta, sapeva che entrambi erano dei ...

-Cavalieri-, sussurrò Sergej in cinese e sentì soddisfatto, il buon senso era contrariato a tutto quello che era successo, ma l'istinto di Sergej pretendeva di essere ascoltato.

Kunzite o Keme non mentiva, Sergej era uno Shitennou e combattere con i suoi compagni era il suo posto. Uscì da casa con la consapevolezza totale di sapere dove andare che quasi non sentì la voce ormai conosciuta e misteriosa sussurrargli.

-Tu sei la fortezza Jadeite, sei la roccia degli Shitennou...-.

Keme rimase sbalordito quando vide una figura maschile accovacciata alla porta del suo appartamento, rimase sbalordito perché si aspettava Aaron e non Sergej, soprattutto così presto.

 Il ragazzo era addormentato e così Keme gli toccò piano la spalla per svegliarlo ma, nonostante la delicatezza, quando Sergej aprì gli occhi, fu impressionato dalla stazza di Keme e indietreggiò provocando in quest’ultimo un sorriso rassegnato, ma poi con voce dura disse-Vi avevo dato quattro giorni per decidere-.

Sergej si tirò su e guardando Keme rispose tranquillamente.

-Lo so-

Keme rimase imperscrutabile e poi con lentezza iniziò ad aprire la porta della sua casa, quando compì l'ultima mandata, fissò Sergej.

-Sai in che punto sei nel viaggio dell'eroe?-

Sergej negò con la testa e questa volta, senza nessun motivo apparente, Keme sorrise, un sorriso rassegnato e forse anche un po' triste.

-Sei al varco della soglia, il momento che l'eroe compie il proprio atto di volontà nel farsi coinvolgere nell’avventura-.

Keme aprì uno spiraglio della porta, uno spazio troppo piccolo che Sergej potesse intravedere l'interno dell'appartamento.

L’uomo indicò la porta e continuò-Una volta varcato questa soglia, non potrai più tornare indietro-.

Silenziosamente e perentoriamente Sergej aprì la porta dell'appartamento e vi entrò deciso, lo seguì poco dopo Keme che lo portò nella zona abitabile della casa.

L'appartamento di Keme era ordinato, dai colori caldi della terra e una costante presenza di rosso negli arredi. A Sergej piacque, aveva qualcosa di tribale e quasi selvaggio che lo affascinava e sembrava descrivere il proprietario: un uomo dal temperamento focoso ma dalla mente arguta.

-Siediti-, suggerì o ordinò Keme e Sergej obbedì celere, aspettandosi qualcosa ma l’uomo andò in cucina.

Tornò poco dopo con due bicchieri di liquore colmi quasi fino al bordo e l’offrì all'ospite che lo bevve circospetto.

Keme si sedé e fissò Sergej che fu costretto a sorridere a disagio.

-Perché?-, un’unica parola che significava tanto in quel momento.

Ancora più a disagio, Sergej arrossì rendendosi conto che aveva preso una decisione così importante, che riguardava la sua vita, solamente per istinto. Era impazzito? Se sua sorella avesse saputo, che aveva deciso di andar ammazzare mostri senza nessun motivo, sarebbe tornata dagli USA per picchiarlo.

Lentamente parlò e gli disse la verità, disse come si sentiva e mentre continuava la sua confessione Keme lo guardava attento ma inespressivo.

Quando Sergej ebbe finito, bevve dal suo bicchiere un lungo sorso e si ammutolì.

Keme fece un sorrisetto e commentò ironico-La pensi come i romani" se vuoi la pace, prepara la guerra". Non ti sembra un po' strano che ti senti in pace in questa situazione?-.

Sergej non seppe che dire se non concordare con l'ironia di Keme.

-Non è un gioco-commentò Keme e poggiò il suo bicchiere sul braccio della poltrona, era in equilibrio precario e ciò impressionò Sergej.

-Un mio amico è morto per questa storia. Non è come nell'animazione giapponese, noi non abbiamo il diritto di vincere perché siamo i buoni, forse-.

La voce di Keme era tranquilla, quasi neutrale, ma ebbe il potere di scuotere Sergej e di domandarsi se avesse voglia di rischiare la propria vita per una missione che non conosceva.

-Ci hai dato quattro giorni per riflettere ma non ci hai dato molte informazioni per farlo-Sergej tentò di provocare apertamente Keme, il quale riprese il bicchiere e bevve un lungo sorso e, nonostante che la sua bocca fosse nascosta, Sergej sapeva che stava sorridendo.

-Sei esattamente come dovresti essere-dichiarò enigmatico mentre Sergej lo fissava duro.

-La missione momentanea è trovare tutti gli Shitennou e che siano iniziati dalla dea madre. Quando questo accadrà, una persona dal passato ci rivelerà la nostra vera missione-.

-Cosa significa una persona dal passato?-.

-Credi nella reincarnazione Sergej?-domandò Keme con un'espressione così seria che Sergej vacillò e ispirando pesantemente ripensò a quando aveva cercato di spiegare e convincere Aaron di quella teoria.

-Sì-.

-Bene. Silver Millennium è regno nato sulla luna in un’epoca sconosciuta alla nostra civiltà. Era nel periodo che tutti i pianeti del sistema solare erano dei regni abitati e comandati dalla famiglia reale e lunare. La terra era abitata e noi eravamo guerrieri terresti del regno della terra, gli Shitennou. C’è stata una guerra sanguinaria tra il regno della luna e quello della Terra, in cui abbiamo combattuto e abbiamo perso la vita senza adempiere la nostra missione. Ci siamo reincarnati per quella missione-

-La missione che ci sarà rivelata dalla persona del passato?-

-Sì questa è la teoria, nel frattempo combattiamo le forze del male che si manifestano in quei mostri-

-Chi sono quei mostri o chi appartengono?-

-Questo non lo so-, ammise Keme con una certa riluttanza e quando vide un'espressione sconcertata sul volto di Sergej.

-Non che non abbia provato a indagare- si affrettò a dire- Ma ci sono parecchie persone con magia oscura nel mondo. I mostri che ho combattuto in America non sono gli stessi che ho combattuto qua, anche se credo in qualche collegamento-.

Il bicchiere di Sergej era ormai vuoto, il ragazzo l'aveva svuotato mentre ascoltava e si rendeva conto che la faccenda era più complicata e confusa di quella che appariva. Keme aveva ragione si doveva avere una motivazione.

-Ho due domande- dichiarò Sergej mentre Keme gli prese il bicchiere dalle mani con l'intento di riempirlo.

-Spara-.

-Come fai a sapere queste cose?- Keme si era alzato e aveva mosso i primi passi verso la cucina, la sua espressione era ironica e gagliarda.

-Parlo con gli spiriti, sono loro a darmi le informazioni e qualche volta ... - s’interruppe teatralmente Keme notando con piacere che Sergej lo ascoltava da bravo scolaretto che era.

- ... L'oroscopo - aggiunse con un occhiolino e con un tono così leggero che fece scoppiare a ridere Sergej mentre lui andava in cucina a riempire i bicchieri. Tornò poco dopo e Sergej era in gran lunga più rilassato e tranquillo, ma tornò più serio per fare la seconda domanda.

-Perché lo fai?-.

Keme si sedette nuovamente di fronte a Sergej e assunse anche lui un'espressione più seria.

-Perché è il mio dovere-, rispose semplicemente.

Calò il silenzio nella casa e i due uomini non parlavano, uomini e non ragazzi perché quando si accetta di seguire il dovere nella propria esistenza si perde l'innocenza.

Sergej rifletté, probabilmente non aveva un motivo personale per essere uno Shitennou se non il dovere e si stupì che gli bastava e inoltre, se era vero che il mondo era pieno di mostri e, che lui aveva il potere di batterli, voleva difendere i suoi cari e le persone innocenti.

-Se ho capito bene siamo in quattro, giusto? Non hai paura che il prossimo ragazzo che troveremmo possa rifiutare? Oppure che sia Aaron a rifiutare? Non credo che sarà docile come me ad accettare questa storia- replicò Sergej mentre pensava a dove potesse essere Aaron e non ne aveva idea, erano stati entrambi fedeli alla condizione di non sentirsi.

Keme giocò con il bicchiere di liquore tra le mani, si divertì a piegarlo fino a far quasi rovesciare il liquido per poi riprenderlo in tempo.

-Sai che Shitennou rappresenti Sergej?-

Impreparato e più pronto a sentir parlare di Aaron Sergej ammise di non saper granché sulla mitologia degli Shitennou.

-Gli Shitennou sono in origine divinità indiane e rappresentano i punti cardinali, sono stati assorbiti dalla cultura cinese e poi diffusi da essa in altri paesi come il Giappone e la Corea. Purtroppo il loro culto è andato in disuso-, spiegò brevemente e conciso Keme mentre Sergej annuiva di tanto in tanto.

-Tu rappresenti lo Shitennou dell’est, Seiryuu, chi protegge il reame-.

-Cosa c'entra con Aaron-obiettò Sergej, leggermente confuso dal giro di parole di Keme.

-Aaron è Genbu, lo Shitennou del nord, colui che ascolta gli insegnamenti. Per lui è praticamente impossibile rifiutare la chiamata dell'eroe, lui tornerà.

-Perché lui “non rifiuterà mai la missione, non è il cavaliere più forte ma il più determinato e feroce”?-domandò Sergej ricordandosi improvvisamente le parole che aveva sentito da quella voce misteriosa, che risuonava nella sua testa nei momenti di bisogno.

-Dove hai sentito questa frase?- domandò Keme mostrandosi leggermente agitato e Sergej trovò sospetto il suo comportamento, la voce per esclusione doveva essere la sua, no? Parlava di un certo Nephrite.

-È una voce che sento dalla prima volta che Aaron ed io siamo stati in pericolo insieme, ma pensavo che fosse la tua- Sergej disse con finta leggerezza mentre Keme bevé un lungo sorso di liquore.

-Forse appartiene alla persona del passato ma in questo momento non è importante. Se tu senti le voci e, non sei colui che ascolta, mi domando come Aaron potrà ascoltare gli insegnamenti-commentò Keme con un'espressione sul viso che mostrava tutta la sua perplessità.

Sergej si sentì a disagio, poteva succedere qualcosa ad Aaron e se fosse già successo?

Keme percepì i suoi sentimenti e si alzò per sedersi vicino al ragazzo allarmato, bastò sentire quella presenza per calmare un minimo Sergej.

-Aaron non è in pericolo. Gli spiriti me l'avrebbero detto – consolò Keme dolcemente mentre nella mente pensava- Nei tempi del Silver Millennium non erano così legati, ne sono certo- e poi l’uomo vide che a Sergej si abbassavano gli occhi, Keme non aveva bisogno di consultare gli spiriti … alcuni ricordi della vita precedente di Sergej stavano affluendo in lui e il ragazzo si accasciò sul divano senza forze, sulla fronte del ragazzo comparve un simbolo formato da un cerchio diviso da una croce in quattro parti, il simbolo della Terra.

Keme si morse le labbra sperando che Aaron non avrebbe dovuto affrontare da solo tutti i ricordi della sua vita precedente e mentre si preparava ad assistere Sergej in quella lunga notte.

 

 

Aaron non era pericolo, nonostante che non fosse a casa ma in una località di villeggiatura deserta a causa della bassa stagione.

Molti avevano guardato con disappunto e con un po' di ammirazione quando l'avevano visto tuffarsi nelle acque gelide dell'oceano ma per Aaron il freddo non era mai stato un problema e, soprattutto, il suo amore per l'acqua gli permetteva di sfidare qualunque cosa.

Amore per l'acqua non per il nuoto, precisava sempre puntigliosamente, era l'acqua ad attiralo.

Adorava sentirla, come in quel momento, nelle orecchie in grado di attutire qualsiasi rumore adorava quella sensazione, quasi quanto a sentire i suoi lunghi capelli diffondersi in una corona dietro di sé.

Tutti i suoni sembravano ampliati, magici e sacri in quella condizione e così riusciva a pensare, senza pregiudizi e freni.

Quello che era successo in quei mesi era stato allucinante e fuori da ogni previsione, avrebbe dovuto essere felice poiché un tempo sarebbe stato entusiasta di trovarsi in così tanti guai ma non lo era, l'antico timore di far del male a chi amava, che mai l'aveva abbandonato, affiorava, fedele al suo compito, sempre più spesso e Aaron si domandava perché.

Alzò le mani davanti a sé e vide che erano disidratate e uscì dall'acqua rabbrividendo istintivamente un po'. Si asciugò in fretta tamponando i lunghi capelli sentendosi improvvisamente stanco, nonostante che non fosse così tardi. Decise di tornare nella camera della locanda che aveva affittato: la camera che aveva scelto era funzionale, non di certo bella e neppur carina ma pulita.

Si buttò sul letto, senza asciugarsi i capelli per prolungare ancora la sensazione di umidità sulla pelle, e si addormentò sapendo già che tipo di sogno avrebbe fatto poiché c'era un segreto che non aveva mai confessato a nessuno.

Quando si addormentava in quelle condizioni, si sentiva meno solo, aveva la sensazione che uno spirito o una presenza, non era mai stato sicuro di che cosa fosse, femminile vegliasse su di lui: precisamente una ragazza di cui non vedeva il volto ma sapeva che aveva i capelli corti.

Ad Aaron erano sempre piaciute le ragazze con i capelli corti, le trovava più coraggiose, era come essere un uomo con i capelli lunghi: si era guardati con sospetto e disappunto.

Ma non sognò lei e anzi, dopo un po’, Aaron capì che non stava affettando sognando quando bevve dell’acqua fresca e ci vide riflesso un ragazzo dai capelli lunghi seduto a gambe incrociate sullo scrittoio della camera.

Aaron strabuzzò gli occhi e guardò con sospetto l'acqua che stava bevendo mentre il ragazzo, anzi l'uomo lo fissava con i suoi grandi occhi da gatto.

-Non è un sogno-, disse l'uomo con voce profonda e Aaron lo fissò riconoscendosi.

L'uomo era lui, era lui con almeno dieci anni più e vestito con quella strana divisa che Aaron aveva quando si trasformava, ma come appariva più nobile e autoritaria sul corpo di quell'uomo.

Bevve ancora e, sentendo la frescura del liquido, capì che non era un sogno ma non sapeva che cosa fare, urlare forse? Poteva anche non essere un sogno ma poteva essere un’allucinazione, ecco, qualcosa di più logico.

L'uomo sorrideva ma i suoi occhi erano duri e fissavano Aaron come nessuno aveva mai fatto in vita sua.

-Sembra che hai visto un fantasma, eppure quando eri più giovane, non avevi nessun problema a parlarmi e a trattarmi come un amico-.

Quelle parole scossero Aaron e improvvisamente ricordò, ricordò di quando era poco più di un bambino e raccontava a suo padre di avere un amico più grande che gli assomigliava tantissimo e aveva lunghissimi capelli. Suo padre inizialmente si era preoccupato ma poi, convinto da esperti che era solo una fase normale quella degli amici immaginari per un bambino, l'aveva assecondato finché era stato lo stesso Aaron a dimenticarsi del suo amico.

-Zoisite-, commentò con una voce commossa Aaron mentre si sedeva sul letto d’impulso, privo di forze.

Sì, così si era chiamato l'amico immaginario d’infanzia, il nome di una pietra, la stessa che adesso Aaron possedeva.

Zoisite aveva addolcito lo sguardo ma non perso in esso la sagacia, rimase seduto sulla scrivania a fissare Aaron che era impallidito.

-Perché porti i capelli lunghi come i miei? Cerchi di imitarmi?-.

Aaron balbettò qualcosa confuso mentre con una mano toccò i capelli ancora umidi, cercando di pensare a una risposta. Si ricordava che aveva iniziato a farli crescere da quando aveva dieci anni, ma qual era stato il motivo? Vedendo però Zoisite gli tornò a mente, l'aveva fatto in ricordo di quell'amico immaginario che lui ammirava tanto ma che la ragione e la crescita gli avevano portato via.

-Zoisite, sussurrò ancora Aaron-Che cosa sei, veramente?-domandò il ragazzo sapendo che ormai tutto era possibile e che la logica e il raziocino non erano più gli unici modi per capire il mondo.

Zoisite si alzò e camminò verso la finestra, non producendo nessun rumore perché non era possibile, e fissò il mare.

Aaron notò come avesse l'aria tormentata, adesso che i suoi ricordi su quell’amico immaginario tornavano nella sua mente, riconobbe la sua malinconia. Il Zoisite dei suoi ricordi era sempre gentile e disponibile, pronto a istruirlo su qualunque cosa che fosse il nome di una pianta o qualche leggenda ma che non perdeva mai, nemmeno quando sorrideva, quell'aria afflitta.

-Io sono Zoisite, lo Shitennou del nord Genbu, e sono uno spirito, Aaron, il tuo spirito. Tu ed io siamo la stessa persona, tu sei la mia reincarnazione-.

Zoisite si voltò e fissò Aaron-Con delle paure provocate dalle mie colpe-.

Aaron deglutì e sentì il suo corpo rabbrividire.

-Quali paure?-domandò acidamente il ragazzo per darsi tono mentre Zoisite sorrideva triste.

-Tutte, ma ti spiegherò la causa di quella più grande-, Zoisite tornò a fissare il mare rimanendo in silenzio in attesa spingendo Aaron ad alzarsi e avvicinarsi alla finestra. Sul vetro vedeva solo il suo riflesso eppure Zoisite era al suo fianco e lui lo percepiva, oppure era seriamente impazzito?

-In un periodo lontano esistevano gli Shitennou. Uno Shitennou è lo sposo di Gaia, il suo scopo è difendere la Terra e per questo il calore del matrimonio o il semplice amore sono proibiti- spiegò Zoisite mentre Aaron annuiva cosciente.

-Amare oltre la Terra è un tradimento. Ho amato due donne nella mia vita entrambe in un tempismo sbagliato. Ho amato una donna nell'anno della purificazione, prima di prendere il titolo di Zoisite, e scappai con lei. Non era scappato dal mio dovere, lei era molto malata ed io, più che come medico, volevo darle degli attimi felici-.

-Eri un medico?- domandò Aaron fissando quella persona che da una parte sembrava lui mentre dall'altra era troppo lontano per esserlo.

-Sì, la donna che amavo era mia paziente. Fui punito, il figlio che nacque da lei era morto ed ermafrodito, poco dopo anche lei morì -.

Aaron deglutì ed ebbe un giramento di testa, gli sembrò di vedere per un attimo il bambino.

-Quando tornai indietro, la dea Gaia, quella che poco tempo fa ti ha risvegliato i tuoi poteri, non mi voleva più come Shitennou. Ero stato a lei infedele, allora le proposi un patto, le giurai che non avrai mai amato in quel modo nessun’altra e se fosse capitato, l'avrei uccisa se fosse stato necessario per il bene della Terra-.

Zoisite appoggiò una mano sul vetro della finestra e le sue spalle si piegarono al peso del ricordo-È quello che ho fatto. Ho ucciso la donna che amavo con l'inganno, approfittando della sua fiducia perché sono lo Shitennou imperfetto, colui che ha fallito l'anno della purificazione e ha dovuto patteggiare con la dea madre per prendere il titolo-.

Aaron si sentì mancare il respiro, troppe cose su cui riflettere e su credere gli erano state dette e lui si sentiva troppo debole e vulnerabile.

Zoisite si voltò verso di Aaron e lo fissò -Ma non devi avere paura Aaron, il destino vuole che condividiamo la stessa anima ma tu puoi decidere che tipo di uomo essere, la tua amicizia con Sergej, la reincarnazione di Jadeite, è la prova-, le mani di Zoisite accolsero il viso di Aaron e l'uomo gli baciò la fronte su di essa comparve il simbolo astronomico della Terra.

-L'eredità che ti sto lasciando non è tra le migliori. Alcuni ricordi saranno duri, ma Aaron accettali tutti, perché più saprai, più riuscirai a difenderti e a essere forte-.

Aaron guardava Zoisite come per studiarlo ma poco dopo la sua vista si annebbiò e tutto divenne scuro per lui mentre sensazione come la paura, la gioia, il dolore si alternavano nella sua mente con piccoli spezzoni di ricordi di una vita passata e sconosciuta.

Si svegliò sul suo letto con i capelli ormai asciutti e con gran mal di testa, confuso e irritato ma ben determinato quando prese il suo cellulare e telefonò Keme.

-Ehi, ho deciso di fidarmi- disse senza aver lasciato il tempo di parlare all’uomo -Sono la reincarnazione di Zoisite e sappi che voglio sapere a più presto come andrà avanti questa storia!- dichiarò mentre estrasse dalla maglietta la sua pietra legata che si stava illuminando febbrilmente.

NOTA DELL’AUTRICE

(1)Citazione al gioco più bello del mondo Gabriel Knight, il protagonista di questo gioco abita in New Orleans e ha una libreria di libri antichi e rari in lingua.

(2)Il vudù è una religione ed è riconosciuta dalla chiesa cattolica come una delle religioni più vicine alla nostra. Keme è cattolico ma poiché è lo Shitennou del sud ed è di new Orleans, beh… come mia headcannon è che pratica un po’ di vudù.

(3)Citazione a uno degli attacchi più temibili di Corvo del gioco Dishonored, mi sono resa conto che non è facile immaginare i mostri e voi pensate che nella serie anni 90 di Sailor Moon c’erano mostri diversi per ogni puntata, non sottovaluterò mai più la cosa.

(4) C’è una teoria in giro nel web che la battaglia delle senshi contro Metaria è avvenuta più di una volta, quindi anche la relativa caduta degli Shitennou. Concordo con questa teoria perché durante il Silverium  Metaria era stata sigillata sulla luna … come ci è finita in Groelandia?

Non sono pianamente soddisfatta del capitolo perché ho dovuto forzare un po’ la “rottura” tra i due ragazzi, ma era necessario perché fino adesso Sergej non aveva avuto veramente un attimo suo di riflessione. Il rapporto di Nephrite e Zoisite è un po’ burrascoso(l’ anime anni 90 è riuscito a influenzarmi suppongo).

Tante citazioni alla ship senshixshitennou, lo so, ma rispetto con piacere l’idea dell’autrice che secondo me anche nel manga dei piccoli indizi aveva fatto. Ad esempio, guardate il caso, quando Zoisite si trasforma in una donna ha i capelli corti (mi sa che ha proprio un feticismo). Anche se credo che chi si ricordi di più la sua compagna sia Nephrite e quest’aspetto vorrei esplorarlo in un’altra ff (la ragazza del tuono, chi sarà mai ^-^.)

Sto guardando la serie di Buffy(prima volta) e mi ha ispirato per una fanfiction con Nephrite, dove lo mostrerei appunto all’ultimo anno delle superiore mentre aspetta la chiamata dell’eroe e nel frattempo combatte i cattivi come Sailor V (v’interesserebbe? Ad esempio questo Cristobal chi è? Perché sto’ poveretto non è al college?)

Un’ ultima nota, parto con la valigia di cartone a cercare lavoro, quindi non so quando aggiornerò e dovrebbe essere l’ultimo capitolo.

P.S:nuovo video sugli Shitennou

https://www.youtube.com/watch?v=1h1XnMyYSPE

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 04 ***


04

Capitolo 4

 

-Che ne pensi Saito?-, la domanda non fu ascoltata dal diretto interessato, un ragazzo dai capelli albini e dagli occhi del colore del metallo, questi ultimi persi in chissà quali pensieri. La domanda fu ripetuta a voce più alta e, finalmente, Saito si girò verso il suo interlocutore, che appariva chiaramente risentito.

-Scusami Eikichi, ero distratto- spiegò il ragazzo con voce ferma ma gentile.

-Ultimamente lo sei troppo spesso-, commentò sarcasticamente Eikichi mentre Saito sorrideva tranquillo osservandolo. Eikichi era il tipico adolescente giapponese che odiava il mondo, capelli biondi tinti da solo e un atteggiamento da padrone. Rimasero in silenzio e il biondo capì che il suo sarcasmo non aveva avuto effetto, Saito avrebbe tenuto per sé i propri segreti e dubbi.

Lo ammirava molto, Saito aveva una forza carismatica non comune, era naturalmente un leader e la gente lo seguiva senza discutere, infatti, era entrato in uno dei gruppi di teppisti più pericoloso in città e l'aveva trasformato in uno di vigilanti.

Il perché un ragazzo chiaramente in gamba e con grande sete di giustizia l'avesse fatto, rimaneva un mistero e, soprattutto, Eikichi cercava di capire perché Saito si spingesse tanto nella loro riabilitazione al punto tale da mettersi lui stesso nei guai.

-Vuoi sapere che cosa ne penso di quei ragazzi spariti negli ultimi mesi?- domandò Saito scendendo dalla panchina, in cui era stato seduto fino a quel momento, e mettendo le mani in tasca.

-Esattamente, la maggior parte dei ragazzi pensa che siano scappati da casa, cosa ne pensi?- domandò Eikichi, stupito in parte che Saito era stato in grado di ascoltarlo, nonostante tutto, e battendo nervosamente il piede. Saito ebbe uno sguardo dubbioso in volto, sia la ragione sia l'istinto erano in accordo sulla stessa risposta.

-Gli scappati di casa danno notizie di sé prima o poi, di questi non si è saputo più nulla. Per me sono morti-dichiarò senza usare mezzi termini.

-O peggio-, si trovò a pensare mentre un brivido prepotentemente gli attraversava la schiena.

L'atmosfera era cambiata, Eikichi si sedé sulla panchina piegato chiaramente dall'angoscia e Saito, lo guardò amorevolmente.

-Potrebbe essere uno di noi, Saito-.

-Lo so ma per il tipo di vita che ho vissuto, non posso dirti assolutamente che sono vivi- ed esattamente come prima, la voce di Saito risuonò ferma e autoritaria assomigliando a quella di un generale.

Eikichi gli fosse istintivamente fedele, abbozzò, infatti, un sorriso teso e domandò-Mi dirai che cosa vuoi fare appena prendi una decisione?-.

Saito annuì e indossò la sua giacca, un chiaro segnale per Eikichi, che scuotendo leggermente la testa salutò il suo capo e lo vide incamminarsi per la solita strada, affiancata da alberi di ciliegi che attraversava il parco.

Saito camminò lentamente per quella strada, aveva bisogno di tempo per pensare e soprattutto per calmarsi perché, nonostante il suo atteggiamento freddo, era molto turbato. Non gli piacevano quelle sparizioni: Saito era in realtà iracheno, nella sua infanzia aveva visto la violenza e la guerra. Era stato suo fratello maggiore a dargli l'opportunità di vivere almeno un'adolescenza tranquilla, grazie ad alcune sue conoscenze Saito era andato a vivere in Giappone presso un’amica del fratello e così aveva iniziato a vivere dalle scuole medie in un altro paese.

Saito sapeva che suo fratello aveva voluto solo il meglio ma era stata un’esperienza a dir poco traumatica, era stato il suo naturale coraggio e capacità di leadership a non farlo deprimere nei primi tempi. Eppure la faccenda delle sparizioni, in un modo del tutto strano e imprevedibile, gli aveva fatto riprovare un vecchio sentimento nemico: la nostalgia di casa, a Saito mancava l'Iraq, mancava suo fratello, mancava il suo nome! Per evitare problemi aveva scelto di farsi chiamare con lo stesso nome della donna che lo ospitava, ma il suo vero nome era Geir!

Quel sentimento era egoistico eppure non riusciva a pensare ad altro, per quei ragazzi non poteva fare nulla e sapeva che probabilmente erano morti, neanche con i suoi teppisti avrebbe potuto fare qualcosa.

Si fermò di colpo a osservare i ciliegi che avevano i fiori ancora chiusi, troppo intimoriti dal freddo, Saito era disgustato da quel flusso di pensieri.

Rimase in silenzio a guardarsi attorno dove tutto sembrava tranquillo eppure sentì la sua voce uscire prepotentemente dal suo petto e gridare.

-Chiunque tu sia, esci!-

Da dove meno se lo aspettasse, cioè da un albero a pochi metri da lui scese una figura maschile che aveva l'evanescenza di un fantasma, talmente era silenziosa, Saito non lo udì neanche quando posò i piedi a terra.

I due rimassero a fissarsi e Saito iniziò ad avanzare verso la figura che appariva inespressiva, quando fu abbastanza vicino, vide che era un ragazzo di massimo vent' anni con un bel viso dagli zigomi affilati, con capelli neri e occhi blu.

Saito gemette quasi come volesse soffocare un pianto trattenuto da troppo tempo, mentre il ragazzo lo guardava impassibile, sarebbe potuto essere facilmente scambiato per una statua per quella sua immobilità. Più l’iracheno si avvicinava e più delle sensazioni di nostalgia, attrazione e pace si confondevano nel suo cuore.

Ma quando fu a pochi passi dal ragazzo e studiò i suoi occhi, un pensiero fulminò la sua mente-Questi occhi blu sono della sfumatura di una notte buia d’inverno-.

Provò un'improvvisa rabbia che non riuscì a celare quando domandò perentoriamente-Chi sei?-.

Gli occhi del ragazzo si scurirono per il dolore, rivelando ancora di più l'inganno mentre la sua voce impassibile disse.

-Io sono l'Ombra-

E quelle parole misteriose risuonarono nell'aria come l'ordine perentorio di Caronte alle anime dei defunti di salire sulla sua barca.

                                          

-Ti dico che è così. Me lo ricordo chiaramente- Aaron fissava Sergej con il suo abituale sorrisetto canzonatorio ma ciò che era insolito era l'espressione di Sergej, invece di essere fredda e severa era imbarazzata, irritata e chiaramente infastidita.

-Ricordi male!- sentenziò Sergej ancora una volta mentre Aaron si godeva chiaramente la sua irritazione.

-No, invece. Ricorda che sono lo Shitennou che ascolta, quindi della conoscenza, in poche parole ho sempre ragione-.

Sergej non rispose, infastidito, accelerò il passo creando almeno una distanza di un paio di metri da Aaron e quest'ultimo capì che stava esagerando, infatti, vedendo l'amico allontanarsi di gran fretta da lui, gli gridò dietro seguendolo.

-Dai Sergej, almeno non eri uno sfigato topo di biblioteca che faceva il crocerossino per guadagnarsi gli extra!-

Sergej si fermò e Aaron fece altrettanto e vide il primo voltare la testa lentamente dietro di sé, il viso ero rosso d’imbarazzo fino alla punta delle orecchie.

-Chiediamo a Keme, chiediamo conferma a Keme- disse con una voce così imbarazzata che Aaron si trattenne dal sorridere, semplicemente annuì alzando le spalle in segno di resa e s’incamminarono insieme verso il negozio di Keme.

Quando arrivarono al negozio, Keme stava iniziando a chiudere e venendoli arrivare sorrise quasi dolcemente.

-Siete in anticipo-dichiarò allegramente ma quando vide Sergej corrucciato domandò-Ma che è successo?-

-Sergej non vuole ammettere che nella scorsa vita era la nostra sacerdotessa vergine-spiegò Aaron mentre Sergej ribatteva infastidito.

-Non ero mica una vestale! Ero dedito a Guan Yun-

-Allora lo ricordi anche tu, non capisco perché dobbiamo chiedere conferma a Keme-, fu pronto a rispondere Aaron fissando il loro mentore, che da prima guardò i due ragazzi confuso poi, quasi come se man mano quel dialogo veloce si fosse formato nella sua testa chiarendosi, disse.

-Sergej oltre a essere uno Shitennou, eri anche un monaco. Ha ragione Aaron, eri la nostra ragazza con il virgin power-.

Sergej arrossì fino ai capelli ma Keme non riuscì a capire bene il motivo di tanto imbarazzo finché Aaron, con voce squillante e l’espressione più canzonatoria che potesse avere dichiarò, -Forse per questo non ti sei spinto mai oltre con una ragazza. Rispetti tuoi voti inconsciamente- mentre Sergej gridò imbarazzatissimo-AARON!-.

Aaron assunse un'espressione innocente e domandò ingenuamente.

-Che cosa ho detto?-

Sergej ribolliva di rabbia e imbarazzo: Keme non aiutò quando, con un atteggiamento da fratello maggiore, mise una sua mano sulle spalle di Sergej e disse confortante-Ignora questo cretino, sei ancora nella media nazionale di molti paesi del mondo-.

Sergej si spostò violentemente, facendo scivolare nel vuoto la mano di Keme, e indicando minacciosamente Aaron disse- Sono lo Shitennou che protegge, in pratica la fortezza e quindi il mio corpo non lo tratto come se fosse il porto di Singapore!-.

Sia Aaron e Keme, rimasero senza parole ma quest'ultimo, infine, commentò sarcasticamente -Tosta questa-, mentre dall'altra parte Aaron alzò le spalle in segno di resa e disse con nonchalance- Touché, dai miei ricordi sembra che effettivamente ero il libertino del gruppo con tutto il voto d'astensione sessuale-.

Keme alzò un sopracciglio di disappunto-Non esagerare, dai miei ricordi non eri così puttaniero ma se confrontiamo con adesso… per l’amore del cielo! Trovati una ragazza fissa-.

-Certo, una bella e dolce ragazza con cui condividere tutto, anche il segreto che durante i week-end vado ad ammazzare mostri-.

-Assolutamente no. Trovatane una abbastanza stupida che non si accorga di nulla-.

-Ma se è stupida perché dovrei starci insieme? Solo per il sesso, giusto? Allora perché dovrei volerla fissa?-ribatté Aaron mentre Sergej pensava che i due amici fossero appena caduti in una conversazione senza fine, molto simile a quella se era nato prima l'uovo o la gallina.

Fortunatamente Keme interruppe il dilemma sul nascere controllando l'orario e ribattendo-Non vai ancora ad ammazzare mostri: vi sto ancora addestrando e dovremmo iniziare-.

Aaron alzò gli occhi verso il cielo-Era un’ipotesi-.

Keme sospirò quasi irritato dal fatto che Aaron tendesse a voler sempre l'ultima parola, perlomeno con lui.

-Forse perché siamo legati a due elementi opposti-pensò mentre i due ragazzi diligentemente lo aiutavano a chiudere il negozio.

Gli Shitennou non avevano una vera manifestazione fisica dell'elemento cui erano legati, la loro magia era legata al concetto di Terra come pianeta e quindi erano pensati come un sistema, per questo motivo condividevano tutti gli stessi poteri ma l'elemento cui erano legati influenzava in quale potessero essere i migliori.

Sergej, ad esempio, era legato all’elemento della terra, quindi, più di tutti, era in grado di evocare qualsiasi forma di vita e no. Se fosse diventato davvero bravo con i suoi poteri d’evocazione avrebbe potuto addirittura richiamare a sé spiriti elementari veri e propri, una cosa impensabile sia per Keme sia per Aaron.

Aaron era legato all'acqua e, da secoli l’elemento associato alla vita e alla medicina dall’umanità, per cui spettava a lui avere la capacità di curare e purificare enormemente più forte rispetto a quello degli altri Shitennou. Il suo legame con l’acqua permetteva anche di proteggere la propria sanità, infatti, Aaron aveva la capacità di resistere agli attacchi mentali e fisici del nemico.

Keme, come Nephrite, era legato al fuoco il quale in molte culture era simbolo di vita e, anche se con qualche sconcerto sul perché del medesimo ragazzo, la sua capacità di impossessare i corpi era superiore a quella degli altri Shitennou, infatti, poteva impossessare anche gli oggetti.

Il misterioso Kunzite era legato invece all’elemento del metallo, per cui Keme sapeva che lo Shitennou mancante sarebbe stato in grado di utilizzare i poteri di tutti gli altri alla massima espressione e senza difficoltà, esattamente come il metallo che fuso poteva assumere qualunque forma.

Quando ebbero finito di sistemare, Keme li portò al suo nascondiglio, che era stato soprannominato dai due ragazzi dal primo momento che l'avevano visto, in Shitennou caverna.

L’atmosfera del nascondiglio appariva diversa dalla volta in cui Keme aveva invocato lo spirito di Cristóbal, leggermente meno tetra e solitaria, in un modo o in altro i due giovani Shitennou avevano imposto la loro presenza positiva nella stanza.

Si notava una strana e sovrabbondante presenza di ananas, lasciate in piccoli accumuli di ghiaccio: quei frutti erano un errore di Sergej che si guardò attorno con aria circospetta e critica.

Keme gli sorrise furbo dicendogli in tono scherzoso-Ormai il danno è fatto Sergej, alla radio mi chiamano Mister Pine Apple-.

Sergej staccò teso un frutto e commentò severamente-Mi dispiace, non sono molto bravo-.

Aaron ridacchiò senza cattiveria ricordando che nelle loro prime lezioni da Shitennou sia lui e sia Sergej non si erano rivelati esattamente delle cime e ancora adesso avevano mille difficoltà.

Nervosamente, infatti, il ragazzo incrociò le braccia, non sapeva perché ma aveva la sensazione che sarebbe successo qualcosa di spiacevole.

-E' tutto apposto Sergej, nessuno nasce imparato- tentò di incoraggiare Keme cordialmente ma il più giovane annuì chiaramente insoddisfatto.

Keme controllò che fosse tutto pronto, in particolar modo l'altarino in cui i ragazzi si esercitavano, che era semplicemente un angolo della stanza con dei graffiti disegnati da Keme.

-Oggi evocherai qualcosa di vivo-spiegò Keme a Sergej quando ebbe finito di sistemare e il ragazzo sbarrò gli occhi sinceramente impaurito.

-Qualcosa di piccolo, non ti preoccupare. Ricordati, devi essere fermo, deciso ma gentile-.

Sergej annuì per riflesso mentre Aaron stringeva le braccia ancora di più forte, la sensazione di disagio aumentava invece di diminuire.

-Un gatto, ecco un gatto- disse Keme mentre silenziosamente pensava, -Così se abbiamo problemi, posso impossessarlo ed evitare di farci ammazzare tutti-.

Sergej si morse le labbra chiaramente a disagio mentre Keme lo spingeva verso l’altarino e si allontanava da lui, il ragazzo si voltò cercando un’espressione d’incoraggiamento dal suo mentore che lo esortò a iniziare.

Sergej tese la mano davanti a sé, imponendosi un contegno che in quel momento non aveva e iniziò a parlare.

-Gatto, creatura della terra, io t’invoco per favore?-domandò così esitante che Aaron non si trattenne da scoppiare a ridere mentre Keme lo zittì severamente con lo sguardo.

-Se non ti è di disturbo-aggiunse però lo stesso Keme facendo avvampare per l'imbarazzo Sergej che ritirò la mano e commentò-Mi sento ridicolo a dire quella formula!-

-Lo so ma all'inizio entrambi dovrete usarle, è il metodo più facile per richiamare il vostro potere in voi. Più avanti non ne avrete bisogno- spiegò Keme pazientemente e avvicinandosi a Sergej, gli prese il braccio e lo tese nuovamente, mentre il ragazzo più giovane severamente si mordeva le labbra.

-E’ il tono a essere importante non ciò che dici. Fermo e gentile, un po' come sgridi un bambino o Aaron-.

-Ehi, replicò Aaron che sciolse le braccia, chiaramente risentito, mentre Sergej ridacchiava, felice che fosse stato leggermente vendicato della conversazione di prima.

Respirò profondamente tenendo il braccio ben teso davanti a sé e cercò di immaginare il gatto che voleva invocare, in ogni dettaglio e forma: un bel gatto dal pelo sabbia.

-Gatto, creatura della terra- esitò mentre una voce maligna nella sua testa gli ricordò severamente che fino a quel momento era stato solo in grado di evocare ananas ma Keme si schiarì la voce, un chiaro avvertimento per Sergej.

-Io t’invoco a servire il tuo padrone Jadeite-

Dalla mano di Sergej partì dell'energia che iniziò a muovere i suoi capelli, lentamente comparve qualcosa d’informe dal pavimento dell’altarino.

Aaron trattenne il respiro mentre vedeva che l'ammasso assomigliava sempre di più a una figura felina ma, per qualche motivo a lui sconosciuto, quella scena gli ricordava troppo il film horror “la Mosca” e ciò non era incoraggiante.

Keme guardava sospettoso l'ammasso che gli appariva troppo grande per essere la massa di un gatto e sentiva che Sergej non aveva il completo controllo della sua energia, infatti, ci fu un lampo di luce e Sergej sentì il braccio cedere. -Io t’invoco nel nome della Terra-provò a dire ma la sua voce apparve troppo docile e definitivamente perse il controllo del suo potere e cadde a terra, soccorso immediatamente da Aaron che sentì un lugubre suono molto simile a un ruggito.

Keme posò i suoi occhi in direzione del lugubre suono e uno sguardo sia di terrore e sia di pura sorpresa, non avrebbe mai saputo dire qual era il sentimento più forte, si formò sul suo viso.

-Bel gattone Sergej- commentò sinceramente stupito mentre il gattone, che era un puma, ringhiò nuovamente soprattutto quando Keme si trasformò in Kunzite.

-Trasformatevi e state indietro, cercherò d’impossessarlo e calmarlo- ordinò Keme prontissimo a combattere.

I ragazzi fecero come gli era stato detto mentre Keme cercava di impossessare il puma che dimostrava di non essere un grande fan dei suoi poteri.

-Bloccatelo con il ghiaccio!-gridò Keme che era salito in groppa al felino nel tentativo di domarlo e i due ragazzi annuirono coraggiosamente: il ghiaccio al momento era l'unico potere che riuscivano a gestire in modo decente.

Sergej corse dietro al puma e iniziò a congelargli gli arti posteriori mentre Aaron gli congelava quelli anteriori, ma l'animale appariva ancora più innervosito da quell'improvviso gelo polare cui non poteva essere abituato e, infatti, girò la testa e cercò di azzannare Keme che gli era in groppa.

Questi ebbe paura, convinto che il puma gli avrebbe mangiato la faccia quando sentì qualcosa di freddo tagliargli la guancia e vide che la testa del puma era quasi completamente congelata ad eccezione degli occhi.

Aaron era a pochi centimetri dai due e affannava, con ancora le mani tese che gli tremavano per il precedente attacco mentre: con spavento guardò il taglio che aveva procurato al viso di Keme.

Lo Shitennou ignorò completamente la ferita e approfittò dell’immobilità del felino, che continuava a ringhiare nonostante che il ghiaccio gli bloccasse la testa, per impossessarlo ma l'animale non ne voleva sapere e iniziò a distruggere la sua prigione di ghiaccio, al quel punto Keme scese dalla groppa del felino, stupito dalla sua tenacia, ed estrasse la spada, convinto che ormai non potesse fare più nulla se non ucciderlo quando sentì urlare da Sergej un secco e perentorio NO.

Sergej con forza si collocò davanti a Keme, che aveva ancora la spada estratta, e tese la mano seccatamente verso il puma.

-Creatura della terra, fermati- Keme sentirono quelle parole pronunciate da Sergej freddamente e perentoriamente, le quali sembrarono avere qualche effetto sull'animale, che sembrò per un attimo indeciso sul da farsi.

Sergej fissò il puma che iniziò lentamente a muoversi in semicerchio, chiaramente pronto ad attaccarlo ma Sergej stesso iniziò a girare intorno all'animale con la mano tesa e minatoria.

Keme non parlava, aveva ancora la mano saldamente sull'elsa della sua spada, incapace di lasciarla andare e veramente preoccupato dalla situazione eppure sapeva che Sergej poteva farcela, ma la poca sicurezza che aveva quest’ultimo in se stesso poteva ammazzarlo.

Sergej represse uno schiarimento di gola e continuò a fissare il puma, i suoi grandi occhi felini erano carichi di disappunto e il suo ringhiare non accennava a diminuire.  Lo Shitennou aveva paura ma non voleva far uccidere il felino, che sentiva come suo in modo che non sapeva né spiegarsi né ad attribuire un nome.

Ma i suoi compagni erano più importanti di qualsiasi altra cosa e voleva difenderli pensò tenendo tesa la mano e sentendo il suo potere affluire, questa volta, calmo, silenzioso e potente.

-Siediti, ordinò Sergej all’animale che si fermò di colpo ma di sedersi continuò a fissare con disappunto lo Shitennou, iniziando così una gara di sguardi. Né Aaron né Keme osarono muoversi, troppo terrorizzati che un loro possibile movimento avrebbe potuto mettere la vita di Sergej in pericolo, impotenti furono costretti ad aspettare di essere solamente pronti a reagire.

-Siediti, puma. - ordinò ancora più fermo Sergej e negli occhi dell'animale ci fu finalmente quell’esitazione che Keme aveva cercato mentre gli era in groppa.

Sergej abbassò la mano leggermente e disse ancora una volta-È il figlio della terra Jadeite che ti sta parlando-.

Con un ultimo e rabbioso ringhiò l'animale cedette e abbassò lo sguardo e si apprestò a ubbidire al suo padrone mentre, finalmente, Keme e Aaron ripresero fiato per poi sentirselo mancare nuovamente quando Sergej, senza esitazione, posò la mano sulla testa del felino.

Keme si vide già costretto a scrivere una lettera di condoglianze ai genitori di Sergej e a vivere una vita da fuorilegge in Messico mentre Aaron era talmente impaurito che non riuscì a pensare a nulla.

L'animale emise un suono di disappunto ma quando Sergej iniziò delicatamente ad accarezzare il suo pelo, si rilassò lentamente e lasciò campo libero allo Shitennou.

Fu un attimo sacro, Sergej continuò ad accarezzare l'animale e parlargli dolcemente-È tutto apposto, nessuno ti farà del male-e a quelle parole si girò lentamente verso Keme che ripose la spada e accennò a un segno di consenso con la testa.

Aaron lentamente iniziò avvicinarsi a Keme, non fidandosi assolutamente della situazione e confidò al suo mentore che aveva perso almeno dieci anni di vita e poi guardando il suo viso tagliato disse -No, credo di averne persino quindici- la voce di Aaron era amareggiata e aveva uno sguardo pieno di sensi di colpa cui Keme reagì dicendogli tranquillamente che era il momento di provare a usare i suoi poteri.

-Altrimenti rimane il segno- spiegò indicando la ferita che stava continuando a sanguinare, Aaron esitò chiaramente quando deglutì nervosamente.

-Non è il momento di fare come Elsa- raccomandò Sergej che continuava ad accarezzare il puma, come se nulla fosse, ripagando le troppe battutacce che aveva ricevuto in precedenza da Aaron.

Il più giovane guardò l’amico seccato e poi lentamente si avvicinò a Keme e puntò le mani sulla ferita, provò a concentrarsi, senza pensare ad alcuni lati terrorizzanti del suo potere, ma non accade nulla.

-Aaron ... - iniziò Keme guardando profondamente il ragazzo facendolo sobbalzare.

-Si?- domandò innocentemente l'altro tenendo ancora le mani sul viso di Keme.

-Le mani- disse Keme che stava cercando di non spazientirsi- Le tue mani... Come le senti?-

-Tiepide?- provò a dire Aaron mentre fissava il sangue colare dalla ferita di Keme.

-Non è difficile. Fredde stai purificando, calde stai guarendo …-.

-Tiepide non sto facendo nulla- completò esitando e arrossendo Aaron.

-Esattamente-, commentò conciso Keme fissandolo.

-Ma posso farti davvero molto male- obiettò Aaron ritirando istintivamente le mani.

-Se succede andremmo in ospedale. Adesso, per amor del cielo, usa quel cazzo di potere perché tu non hai idea di quanto mi faccia male!-.

Chiaramente frastornato da quel cambio repentino di tono, Aaron chiuse gli occhi e appoggiò le mani sulla sua ferita, un’azione totalmente antigienica che in altro momento non avrebbe fatto, e rilasciò il suo potere.

Il puma agitò violentemente la coda ma non fu un segnale negativo poiché Sergej capì che era approvazione.

Aaron poteva sentire il suo potere diffondersi sul viso di Keme, il quale lo guardava quasi divertito mentre, lentamente, Aaron iniziò ad aprire gli occhi in un'espressione quasi incredula. Staccò le sue mani dal viso del compagno e fissò a lungo la sua pelle intatta, strofinando le dite stupito della sensazione d’integrità che ricevettero.

Keme lo tirò a sé e iniziò a strofinargli la testa scompigliandogli i capelli e facendogli anche un po' male.

-Sapevo che potevi farcela- dichiarò entusiasta e poi fissando negli occhi Sergej-Anche tu. Ma adesso dobbiamo pensare al gatto- commentò indicando il puma che ringhiò nella sua direzione finché Sergej non gli accarezzò la testa.

Keme si risentì di quella reazione e disse- Non deve essergli molto simpatico-.

-Volevi impossessarlo e affettarlo-, precisò Sergej che continuava a coccolare il puma e Keme fu costretto ad ammettere che era una ragione plausibile per la loro reciproca antipatia.

-Lui voleva mangiare noi- replicò Aaron che si teneva a debita distanza e Sergej capì che erano finiti un'altra volta in una discussione senza fine.

Nel frattempo altre due persone cercavano di parlarsi ma senza capirsi.

Lo sguardo di Saito non nascondeva la sua rabbia e disapprovazione, chinò la testa in un gesto chiaramente infastidito.

-Cosa vuoi dire?-.

Ombra non rispose, era immobile e pronto a resistere alla rabbia di Saito.

-Che cosa vuoi?- domandò Saito e questa volta nello sconosciuto ci fu una reazione, impercettibilmente il ragazzo chiuse leggermente le spalle ma continuò il suo mutismo.

L'irritazione di Saito arrivò al limite, con passi lunghi e nervosi e un gesto secco e violento spostò Ombra dalla sua strada, pronto a continuare il suo cammino.

-Aspetta - sentì quasi gridare da quella voce inflessibile che in realtà nascondeva così dolore.

Saito accennò qualche passo senza fermarsi finché lo sconosciuto disse- Non indagare, vivi una vita normale-.

Quelle parole furono un macigno per Saito, nostalgiche, pronunciate così tante volte dal suo fratello lontano, che posò uno sguardo più gentile sullo sconosciuto, ma cambiò immediatamente espressione.

-Cosa hai? Stai bene?-.

Lo sconosciuto era impallidito di colpo e una goccia di sudore aveva iniziato a scendere copiosa dalle tempie, ma gli occhi e corpo rimanevano nella posizione statuaria e inespressiva di prima.

-Chi è questo ragazzo? Perché si comporta così?- si domandò Saito mentre tentava di soccorrerlo, ma Ombra si spostò seccato evitando i suoi aiuti e fissandolo disse- Verrà ... Verrà una … - si bloccò a metà frase mentre con orrore Saito lo vide piegarsi sulle proprie ginocchia ma prima che potesse fare qualunque cosa, sentì una voce.

-Ci penso io a lui -.

Una donna, una donna apparsa letteralmente dal nulla era di fronte a Saito, una donna dall’aspetto selvaggio e aggressivo e quando i suoi occhi, incredibilmente maliziosi, s'incrociarono con quelli di Saito, quest'ultimo provò una sensazione di così pura vergogna che gli parve di sentire ogni singola goccia di sangue fluire nelle sue guance. Una vergogna così grande l'aveva provata una sola volta in vita sua, quando suo fratello l'aveva beccato a rubare e l'aveva punito con il suo solo sguardo di disappunto.

Indietreggiò chiaramente spaventato di alcuni passi, ma bastò vedere la sofferenza dello sconosciuto per fermarsi.

-Sta male non lo vedi? Devo portarlo in ospedale -dichiarò con una voce che partì esitante per poi tornare ad avere il tono duro da generale.

-Non serve l’ospedale. Sta così perché ha cercato di disubbidirmi- spiegò la donna che si abbassò a livello di Ombra e gli tirò una guancia come se fosse stato un bambinetto da strapazzare.

La donna con tono sinceramente divertito si rivolse al ragazzo soffrente-Di piani ne ha fatti in questi secoli, ma questo è sinceramente il più rozzo -.

-Ho pensato che un piano così semplice le sarebbe sfuggito, padrona Gaia- pronunciò sofferentemente il ragazzo e prendendo fiato ogni volta che poteva.

Saito, ad ogni modo, si avvicinò nonostante tutto e dichiarò ancora una volta- Deve andare in ospedale- ma la donna lo ignorò si alzò in piedi strattonando senza riguardo Ombra.

Poi lentamente alzò lo sguardo e fissò Saito con gelida disapprovazione.

-Tu sei stato un maestro nel disubbidirmi- e così dicendo tirò a sé Ombra, tenendolo appoggiato al suo corpo ... Saito poteva avvertire la così forte repulsione dello sconosciuto da sentirsi disturbato.

La donna sorrise chiaramente divertita e allungò elegantemente una delle sue mani suo viso di Saito che provò una strana sensazione conturbante che fece impallidire all'istante.

-Lascialo in pace- bisbigliò lo sconosciuto chiaramente soffrendo e Saito ne provò pura pietà e compassione, ignorando i turbamenti che provava, trovò il coraggio di sfidare la donna liberando lo sconosciuto dalla sua presa.

I due si guardarono fissi e implacabili finché la donna accennò un sorriso canzonatorio, lo sconosciuto tornò succube da lei sorprendendo Saito, era così chiaro che lo odiava, era probabilmente un prigioniero?

- Ci vediamo alla tua iniziazione ... - iniziò la donna mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso sadico- Kunzite-

Saito ebbe una visione a sentire quel nome, un palazzo dall'architettura germanica bellissimo, possente e impenetrabile occupò la sua testa confondendolo, quando aprì gli occhi, era solo, confuso, completamente a disagio e con peso sul cuore che non riusciva a spiegare.

Non tutti erano confusi, la bella e perfida regina del castello misterioso, Beryl, era ben conscia di cosa faceva: aveva bisogno di recuperare l'energia per Metaria al fine di rafforzarla, per questo era ben preparata a mandare i suoi mostri a recuperare energia e se erano sconfitti dagli Shitennou, come a poco sarebbe accaduto, tornava tutto nei suoi piani, gli servivano addestrati.

Eppure ogni volta nelle notti senza stelle e luna, buie come avrebbe potuto essere il fondo dell’oceano ... una strana angoscia di aver dimenticato qualcosa prendeva la regina, lei che al contrario degli ignari Shitennou era completamente a conoscenza delle sue vite precedenti e dei rispettivi ricordi.

O come ricordava e bramava ancora il volto del principe che le aveva rubato il cuore, eppure in quei momenti il volto del principe era sovrapposto da uno pressoché identico se non per gli occhi.

Mentre gli occhi del principe l’avevano guardata con sentito affetto, poi confusione e infine un misto di pietà e rabbia, quegli altri, leggermente più scuri, la guardavano con odio e disprezzo rivelando un'anima avvelenata quanto la sua.

Chi era e perché non era nella sua corte di dannati? Ogni terrestre o lunare morto con rimorsi e odio finiva per essere parte della sua corte di demoni, perché quel ragazzo non era lì?

Chi era, doveva essere qualcuno se aveva il volto del principe, una guardia del corpo, uno scudo, una vile macchinazione come avveniva per il capo dei guerrieri lunari, Venus, e la loro tanto odiabile principessa serenity ma Beryl era sicura che quel ruolo spettasse a Jadeite, che per fisico e tratti assomigliava al principe e le differenze potevano essere eleminate con la magia.

Poi ricordò, come un fulmine che squarcia il più robusto degli alberi, ebbe la consapevolezza.

-Ombra, l'assassino del principe, l'ultimo scudo-, le parole uscirono come un sussurro quando un altro ricordo conturbante ma così doloroso si formò nella sua mente.

Quell'uomo, quel vile oggetto che era stato regalato alla corte de1la Terra, ai tempi del Silver Millennium, da un disperato arrivista, era stato modificato con la magia affinché fosse la copia del principe.

-Così che al nobile Jadeite sia risparmiato quello scomodo compito-.

Così era stato presentato Ombra, come un oggetto ... Beryl si ricordò che aveva avuto pietà di lui ma allora era una persona diversa, molto più umana.

Un altro ricordo illuminò la mente di Beryl, un ricordo di una vita precedente non così lontana come quella del Silver. Beryl respirò profondamente e rimase concentrata e vide chiaramente il ricordo formarsi nella sua mente e una smorfia di disprezzo e furia deformò la sua bocca.

Ombra l'aveva ingannata, si era finto il principe. Beryl ricordò tutto, ricordò le mani e le dolci parole mentre facevano l'amore, ricordò la gioia di essere stata finalmente accettata e amata per quello che era. Ricordò la piena completezza, soddisfazione che provava e la felicità, quanta felicità c'era nel suo cuore in quel momento ma gli era stata portata via.

Ombra non aveva aspettato, nel pieno amplesso aveva rivelato l'inganno e Beryl aveva sentito la freddezza di una lama penetragli nel cuore, un colpo solo e un paio di secondi di vita per scoprire l'imbroglio in quegli occhi più scuri.

Beryl aprì gli occhi infuriata ma anche preoccupata, Ombra era un suo nemico, era sulle sue tracce? Si guardò intorno preoccupata e suo castello non gli sembrò così inespugnabile, in fin dei conti stava parlando dell’assassino più sopraffino dei terrestri come non poteva preoccuparsi? La regina gemé quando un'altra illuminazione la colpì, Ombra non si era rincarnato, se lo fosse stato, avrebbe recuperato il suo vero aspetto non avrebbe avuto quello del principe imposto dalla magia. Ma era impossibile! I terrestri per definizione erano mortali, erano i lunari ad avere il segreto dell’immortalità. Sempre che ... e il brivido che percorse la regina fu talmente forte che la costrinse in ginocchio a implorare.

- Matrona Gaia! Mi perdoni!-

Beryl sentì il peso del suo addestramento, della sua vita come maga del consiglio di Gaia, lo sentì tutto ricordando i mille rituali, il duro lavoro e il timore referenziale che le avevano insegnato ad avere nei confronti della dea, Beryl si stava comportando come quando non aveva ancora incontrato Metaria umile, onesta e timorosa.

Si sentì una risata echeggiare e a Beryl si congelò il sangue, chiuse gli occhi sapendo cosa le aspettava mentre perdeva conoscenza.

Quando riaprì gli occhi, la gola si chiuse in morsa riconoscendo la casa della Dea Gaia. Fitta vegetazione era attorno alla regina, l'odore penetrante dell'acqua e di piante rigogliose le smorzarono il respiro. Si guardò e si scoprì nuda mentre la forte umidità le colpiva la pelle come avesse avuto a sua disposizione mille mani violente mentre il viso pallido si colorava di rosso scarlatto di vergogna.

La regina spostò lo sguardo dal suo corpo a fronte a sé e la vide, Gaia nel suo splendore, circondata da meravigliose piante che la coprivano con dolci carezze e con i suoi occhi carichi di finta pietà.

-Sono la tua matrona adesso?- domandò ironica.

Beryl s’inchinò e cercando disperatamente di nascondere la nudità e mostrare umiltà ma Gaia con il suo sguardo ordinò alle piante attorno a sé di avvicinare Beryl a lei, così la donna si trovò a un soffio di respiro dal viso della dea, che aveva quello sguardo canzonatorio che tanto si addiceva.

La dea si avvicinò al viso della donna e le sussurrò-Non voglio farti del male-.

Un lampo di pura sorpresa illuminò gli occhi di Beryl mentre la dea, con l'aiuto delle sue piante, la faceva accomandare su un complicato ma comodo groviglio di piante.

-Ombra è immortale e lei è la sola ad avere la capacità di donare l'immortalità e lui mi ha ucciso- osò dire Beryl mentre sentiva tornare in sé la sua forza d'animo, era la regina Beryl non più la dolce Gran maga di Gaia, la donna che si vestiva umilmente nonostante il suo ruolo.

Le piante tirarono i capelli della donna così forte che fu costretta a urlare.

-Bada come parli, sei nella mia casa adesso- sibilò la dea mentre le piante continuarono a tirare con forza, finché delle lacrime sgorgarono violente dagli occhi di Beryl e solo allora Gaia si calmò.

Gli occhi di Beryl non nascosero il suo timore mentre Gaia con la sua innata sensualità selvaggia iniziò ad agitare le mani e con ogni suo gesto creava qualcosa a suo piacimento.

-Ombra non è un tuo nemico, è uno schiavo, appartiene a me- dichiarò mentre nella testa di Beryl parole velenose si formavano nella sua mente, ma tratteneva, le piante erano ancora saldamente sulla sua testa.

-Ma questa eterna battaglia tra te e le Sailors è successa così tante volte che la scorsa generazione ho concesso il permesso a Ombra di agire-

La voce di Gaia assunse una sfumatura denigratoria- Vuole salvare gli Shitennou da te, che dolce. Ma l'unico che può è il principe che come avrai notato ha la memoria breve in tutte le sue rincarnazioni-.

Improvvisamente Beryl si sentì spinta in avanti e si trovò nuovamente a soffio dalla Dea che iniziò a giocare con i suoi capelli con ostinata lentezza intrecciandole una piccola treccia, con cui la tirò ancora più a sé.

- Ombra non è un tuo nemico, non ti odia quanto odia il principe Endymion-, la voce di Gaia perse ogni dolcezza a pronunciare quel nome, quell'astio così celebrato portò alla mente di Beryl nuovi ricordi, nonostante che il principe Endymion fosse nato con il cristallo d'oro, simbolo della benedizione della Terra, Gaia non l'aveva mai iniziato. Beryl si ricordò delle notti di rituali, compiuti assieme alla papessa nel tentativo di aggraziare Gaia e convincerla a iniziare il principe ma la dea non aveva mai acconsentito e quando il ragazzo si era innamorato della principessa lunare, sia Beryl sia la papessa avevano saputo sia non sarebbero state più in grado di convincerla.

La legge divina che i lunari spacciavano per loro apparteneva a Gaia: la dea con l'arrivo dei lunari nel sistema solare, per la precisione di Queen Serenity con il cristallo d'argento, aveva proibito qualsiasi relazione tra le parti.

-Che il sangue blasfemo di quelle schifose e altezzose aliene non osi mischiarsi con quello dei terrestri. Si tengano la luna e gli altri pianeti con la loro vita artificiale che hanno creato con il loro giocattolo. Sono io l'unica creatrice di vita-, parole dure e taglienti, per Gaia quella legge divina era la più importante di tutte e il principe non l'aveva rispettata.

Improvvisamente le piante che tenevano Beryl la rilasciarono facendola cadere pesantemente a terra e Gaia sorrise alla scena, con la stessa espressione maliziosa di un'adolescente ribelle ma questa volta la regina mostrò tutto il suo disappunto e si alzò seccata da terra e fronteggiò con il suo corpo la dea che smise di sorridere assumendo però un'espressione intrigata.

-Non arrabbiarti Beryl, sono qui per offrirti un patto-

Beryl la guardò scettica e cercò di scovare negli occhi della dea qualsiasi indizio che stesse cercando di ingannarla, ma la dea sembrava seria.

-Mi dica-, disse concisamente mentre scioglieva la treccia intrecciata.

-Riconoscerò la tua legittimità sulla terra, e sugli Shitennou a patto che tu non permetta a Metaria di rendere il tuo regno un pezzo di pietra-

Coscia dell'effetto delle sue parole, Gaia intrecciò le mani divertita e in attesa e quando Beryl aprì la bocca per parlare la interruppe.

-Guarda Beryl- disse la dea mentre muoveva con grazia le sue mani e le piante attorno a sé iniziarono a crescere in una danza loro, misteriosa e bellissima, poi la mano della dea le accarezzò con stessa delicatezza da riservare a un bambino.

-È bella la mia Vita, vero?- così dicendo di fronte a Beryl spuntò un roseto che crebbe velocemente e uno dei rami si allungò delicatamente verso di lei e le offrì una rosa scarlatta, la regina oscura la accarezzò ed esitando la raccolse tra le sue mani senza spezzarla, fu la dea a farlo e la intreccio con i capelli rossi di Beryl.

Le sussurrò all'orecchio dolcemente-Affare fatto, allora-.

La regina non replicò e la dea volse il suo viso verso se stessa e la baciò sulle labbra, Beryl s’irrigidì all'istante mentre sulla sua fronte sentiva del calore indistinto e, anche se non poteva vederlo, sapeva che le era apparso il simbolo della terra.

La dea si staccò da lei e le accarezzò la testa piegata dolcemente-Brava bambina, vorrei chiederti un piccolo favore- Beryl alzò lo sguardò e lo incrociò con la dea curiosa.

-Fai in modo che le Sailors ricordano chi sono quando saranno ammazzate dagli Shitennou- l'espressione dolce, quasi angelica della dea cambiava in una sempre più inquietante e pericolosa.

-Riconoscendo la tua sovranità sugli Shitennou non sarai più costretta a trasformarli in quegli specie di non-morti, per cui saranno ancora in grado di esprimere il loro potenziale a massimo- spiegò la dea con un sorriso.

-Per cui non sprecare quest’occasione Beryl, puoi farcela questa volta-.

Beryl deglutì a quell’espressione mentre la dea agitò delicatamente la mano destra e apparve dal non nulla Ombra, con quella sua espressione neutra negli occhi dalla sfumatura di blu sbagliata.

Beryl lo guardò sospettosa mentre la dea continuava a sorridere quell'espressione tanto maliziosa.

-Ombra sarà la tua scorta ti riaccompagnerà al castello-

Lo sguardo di Beryl si fece scettico e poi lanciò un’occhiata denigratoria allo schiavo di Gaia che ricambiò con un'espressione ancora una volta neutra, in cui Beryl percepiva la sua fredda collera.

-Quest'uomo non ha nessun potere magico, non può nulla-.

Questa volta lo sguardo di Ombra si accese collera mentre la dea Gaia iniziò a dissentire con la testa.

-Aprigli la camicia Beryl-, la donna a quella strana richiesta reagì con uno sguardo interrogativo e poi divertita dal chiaro disgusto di Ombra che non celava quando era toccato, gli aprì la camicia rivelando una catenina di oro scuro con una gabbia contenente una pietra di ossidiana e una fede dall'intricato disegno.

Beryl riconobbe entrambi monili subito ma fu pronta a umiliarle Ombra e lo tirò a sé per studiarli, con una voce sarcastica iniziò la sua denigrazione-Questa è l'ossidiana che ti regalò Nephrite ai tempi del Silver Millenium: una magra consolazione per un nato senza pietra come te-.

Ombra non rispose alla provocazione ma Beryl sentiva la sua rabbia, soprattutto quando iniziò a giocare con la fede per poi studiarne lentamente le fattezze.

-Questa fede mi sembra un prodotto plutoniano. Dunque per questo sei qui. Hai disubbidito anche tu alla legge divina-e così dicendo lesse con tono sprezzante l'incisione.

-Dimitri e Giana … questo è il tuo vero nome- Beryl fissò negli occhi Ombra e pronunciò ancora una volta lentamente il suo nome e poi un sorriso crudele ospitò le sue belle labbra-Le ombre non hanno bisogno di un nome-così dicendo lo strattonò leggermente per la catenina e fissò Gaia.

-In che modo mi sarebbe d'aiuto?- domandò incuriosita.

Gaia sorridente accarezzò la testa di Ombra- Tutti i plutoniani hanno dei poteri, seppur deboli, legati allo spazio tempo ... - e poi senza esitazione Gaia spinse la testa di Ombra verso il basso- Lui ha sposato in un matrimonio sacro una guerriera plutoniana, per cui ha ereditato alcuni suoi poteri-.

Beryl era molto interessata e continuò ad ascoltare mentre nonostante che nessuno potesse vedere il viso di Ombra, esso stava assumendo un’espressione di pura paura a sentire quelle parole che a poco a poco sarebbero potuto essere pronunciate dalla dea.

-Se sconfiggi le Sailors e rispetti il nostro patto, avrai anche Ombra-.

Lo schiavo reagì violentemente liberandosi della presa della dea e in un solo gesto fu dietro di Beryl tenendo il suo braccio fermamente attorno al suo collo e iniziando lentamente a stringere.

Gaia guardò la scena freddamente, i suoi occhi erano seri e quando aprì la bocca, la sua voce suonò indifferente.

-Ombra, l'hai uccisa già una volta e i tuoi cari generali hanno patito la loro peggior morte: ricordi?-

Beryl sentì che Ombra lasciò la presa per poi mettersi in angolo con la testa bassa, la regina si toccò il collo spaventato ... Quel regalo di Gaia non lo voleva ma la dea non era dello stesso avviso.

-È rotto, distrutto e disperato. Finché gli Shitennou saranno a te fedeli, lui farà altrettanto ... Non preoccuparti, questi scatti sono solo l'indizio della sua resa-.

Ma Beryl guardò scettica l'uomo e disse la dea con il tono più docile che potesse avere-Sono lusingata della sua offerta ma non credo di poter accettare.

Lo sguardo della dea era così scuro che Beryl capì che se non avesse acconsentito, la sua vita sarebbe finita all'istante e, prendendo un respiro profondo, chinò la testa e si scusò con la Dea che la stava guardando con un'espressione feroce negli occhi.

-Le tue scuse sembrano sincere ma devi capire che mandarlo da te mi aiuterebbe a punirlo. Per lui vedere gli Shitennou sotto la tua guida è una sofferenza atroce- spiegò la Dea con un sorriso accondiscendente mentre Beryl rialzava lo sguardo e velocemente guardò Ombra che era rimasto con la testa china, era patetico.

-Accetto il suo regalo, dunque-disse la perfida regina con un sorriso che avrebbe gelato anche il diavolo.

La dea applaudì le mani entusiasta-Perfetto allora, Ombra usa il tuo potere per portarla a casa, poi torna qui, di questi tempi mi hai fatto saltare i nervi già due volte- sibilò l’ultima frase la dea, una chiara minaccia che qualsiasi disubbidienza sarebbe stata punita.

Ombra annuì e avvicinandosi ancora una volta a Beryl le cinse un fianco e velocemente chiuse la mano sinistra a pugno e l'abbasso verso di sé, Beryl vide apparire su di essa il simbolo astronomico di plutone che s’illuminò dopodiché tutto si oscurò attorno a loro e la regina si sentì trascinata via. Quando tutto finì, la regina era di nuovo nel balcone del suo castello, nell’esatto momento che l’aveva lasciato, e a pochi passi da lei c'era Ombra che la fissava impassibile.

-Abbiamo viaggiato tra lo spazio e tempo, non era un semplice teletrasporto- pensò la regina mentre osservava curiosa l'uomo- Deve aver sposato una guerriera potentissima se lui è in grado di fare questo solo con gli scarti ricevuti-

Ombra la fissava senza esprimersi ma Beryl sentiva il suo odio, era lo stesso che lei provava per la principessa e decise di congedarlo, quello schiavo le sarebbe stato utile in futuro.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE.

Dopo tanto tempo riesco finalmente a postare.

La faccenda che Jadeite e Mamo si assomigliano mi è stata ispirata da questa rivisitazione di Sailor moon che consiglio vivamente di leggere:

http://kibate.deviantart.com/art/Sailor-Moon-CS-ch1-p00-44096660

 

 

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