Pick me, choose me, love me

di Trafalgar Norah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

La stazione di polizia era immersa nel silenzio. Di tanto in tanto si sentiva una porta aprirsi e qualche passo, ma nulla di più. Le lancette dell’orologio, si muovevano senza emettere un suono e con una lentezza esasperante.

Vergo, capo della polizia e amico di vecchia data di suo padre, leggeva concentrato il suo giornale, senza alzare gli occhi su di lei.

Di solito, era una persona molto gentile e amichevole, soprattutto con lei.

Ma quella sera, tutto l’affetto che provava nei suoi confronti sembrava essere svanito.

Quando l’agente Smoker era entrato nella centrale e aveva spiegato cosa avessero fatto lei e i suoi amici, Vergo aveva scosso la testa, sussurrandole che quella volta non se la sarebbe cavata tanto facilmente.

E dire che per una volta la colpa non era affatto sua. Era l’unica persona a non avere alcuna responsabilità, eppure era l’unica a trovarsi alla centrale. E non era servito a nulla fare i nomi e narrare l’accaduto diecimila volte: i suoi amici erano riusciti a fuggire, mentre la sua corsa si era fermata a causa di una storta alla caviglia.

Sicuramente, quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: i suoi genitori l’avevano già avvertita più volte ed era certa di aver sentito sua madre urlare la parola “collegio” mentre parlava con Vergo al telefono.

In poche parole, era fottuta.

 

La porta d’ingresso si aprì per l’ennesima volta, mettendo fine all’agonia di quell’attesa. Si sarebbe aspettata di vedere suo padre o sua madre, magari entrambi furenti per essere stati disturbati nel cuore della notte.

Di certo, non avrebbe mai creduto di vedere suo zio entrare nella centrale, con la sua camminata rilassata e un’espressione di totale indifferenza sul volto, come se la sua presenza avesse il solo scopo di fare un saluto al capo della polizia.

In un primo momento si rivolse solo a lui, chiedendogli informazioni sull’accaduto e sulle conseguenze che ci sarebbero state. Infine, dopo averlo salutato con una pacca sulla spalla, si girò verso la nipote, facendole cenno di seguirlo.

Si alzò, iniziando a zoppicare verso l’uscita e accettando volentieri l’appoggio offertole dall’uomo.

“Che hai fatto alla caviglia?” s’informò. La sua voce era dura, ma non nascondeva una nota di preoccupazione.

“Ho preso una storta mentre correvo” rispose, con una smorfia.

“Sui tacchi? Complimenti, proprio una genialata. E per fortuna che non sono scarpe molto alte! Vuoi andare in ospedale?”

“No, ci avevo già messo il ghiaccio, penso di riuscire a cavarmela con una pomata e una fasciatura”

“Come vuoi. Se dovesse peggiorare ci andiamo domani mattina” disse, mentre l’aiutava a salire in auto.

Per un po’ tra i due calò il silenzio, la tipica pausa ad effetto che lui le concedeva per riordinare le idee e raccontare l’accaduto, per poi decidere se aiutarla e in che modo.

“Eravamo usciti dal locale, perché gli altri stavano per iniziare una rissa. Stavamo tornando in centro, dove avevamo lasciato la macchina e siamo passati davanti ad un negozio. Stelly sapeva che era il negozio di Killer ed è corso in macchina a prendere la mazza da baseball. Gli avevo detto di non farlo, ma lui e i ragazzi non mi hanno ascoltato e hanno cominciato a sfasciare le vetrine. Poi è suonato l’allarme e stavamo per scappare, ma io mi sono fatta male e Smoker era nei paraggi. I ragazzi se la sono filata e io sono rimasta lì da sola” spiegò, tenendo gli occhi fissi sul volto dell’uomo.

“Ma perché eri con loro? Non eri uscita con Sady-chan?”

“Sì, ma se n’è andata con un tipo che ha conosciuto. Così ho visto i ragazzi e ho chiesto loro un passaggio”

Lui sospirò, arrabbiato: “Avresti potuto chiamare i tuoi genitori, oppure me! Sai che quei ragazzi non sono una compagnia affidabile!”

“All’una di notte? Papà mi avrebbe uccisa!” esclamò, arrabbiata.

“Perché, credi che non lo farà appena torni a casa? Annabelle, devi iniziare a pensare a quello che fai! Se ci avessi chiamati, ora non ti troveresti in questo casino! E non è tanto per le conseguenze del gesto, quanto per quello che succederà con tuo padre!”

“Quali saranno le conseguenze?” chiese preoccupata.

“Nessuna denuncia a tuo carico, le telecamere hanno ripreso tutto”

“Ma allora Vergo…”

“Vergo ti salva sempre insabbiando tutto quanto, ma oggi ha deciso di non farlo”

“Proprio stavolta che non ho commesso nessun crimine? Bella idea davvero!” affermò sarcastica.

“Ha agito così perché devi prenderti le responsabilità delle tue azioni e smettere di frequentare cattive compagnie. E io penso che abbia ragione”

“Cosa? Credevo che almeno tu fossi dalla mia parte!” si lamentò, sentendo di essere pericolosamente vicina alle lacrime: se nemmeno zio Cora era disposto ad aiutarla, era veramente la fine.

“Annie… io sono dalla tua parte. Ma l’hai combinata davvero grossa e non te la caverai con due settimane di punizione”

 

Una volta giunti davanti alla porta di casa, Annabelle scese dall’auto sbattendo la portiera. Salì le scale che dal seminterrato conducevano al piano terra, cercando di andare veloce nonostante il dolore alla caviglia. Ignorando i richiami di suo zio, si recò in cucina per recuperare un po’ di ghiaccio dal freezer.

“Ti serve una mano?” chiese l’uomo, addolcendo il tono della voce.

“Mi arrangio” replicò arrabbiata.

Quando si voltò per recarsi nella sua stanza, trovò suo padre appoggiato alla porta, intento a sorseggiare un liquido ambrato direttamente dalla bottiglia.

Si avvicinò al fratello e alla figlia, stanco e furioso. Nessuna parola era necessaria, Annabelle lo sapeva: anzi, se solo avesse osato pronunciare una sillaba, avrebbe dato vita ad una discussione che sarebbe potuta andare avanti fino all’alba.

Quindi senza degnarlo di uno sguardo lasciò la stanza, diretta in camera sua, dove, ne era certa, avrebbe trascorso la notte più brutta e angosciante della sua vita.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

Come previsto, la notte appena trascorsa era stata un inferno. Il dolore alla caviglia, associato alla paura di non sapere ciò che le sarebbe accaduto, l’avevano tenuta sveglia per tutto il tempo, dandole la possibilità di rimuginare su quello che aveva fatto nei suoi anni da figlia ribelle: scherzi, fughe notturne, ubriacature degne del peggiore degli alcolizzati, firme false e brutti voti a scuola.

Non che andasse fiera di tutto ciò che aveva combinato, ma se in tre anni suo padre non aveva preso provvedimenti, perché avrebbe dovuto farlo proprio ora, tenendo conto della sua innocenza riguardo ai fatti da poco accaduti?

Insomma, zio Cora doveva averglielo spiegato e se Doflamingo fosse stato un uomo intelligente l’avrebbe ritenuta una sciocchezza rispetto a certi suoi comportamenti precedenti.

Una parte di lei era certa che fosse così: voleva essere positiva e giurava a se stessa che se l’avesse passata liscia si sarebbe data una regolata.

L’altra, più realistica e negativa, sapeva che non appena si fosse trovata davanti suo padre, tutte le sue speranze sarebbero svanite; e rimanere a letto a fissare il soffitto serviva a poco, solo a rimandare l’inevitabile.

Scostò quindi le coperte, alzandosi con calma e indossando le pantofole, per poi zoppicare fino alla fine del corridoio. Scese le scale con calma, sentendo la caviglia pulsare ogni volta che toccava il pavimento. In altre circostanze non avrebbe esitato a scivolare lungo il corrimano, ma quel giorno non era proprio il caso di farlo. Una volta giunta in fondo alle scale, Jora l’avvertì che la colazione era già pronta e che i suoi genitori la stavano aspettando.

Quando si sedette al tavolo della sala da pranzo, le si presentò una scena che ormai conosceva nei minimi dettagli: suo padre, seduto a capotavola, leggeva il giornale, tenendo in una mano una tazza colma di caffè fumante. Sua madre, seduta alla destra dell’uomo, teneva lo sguardo fisso su una rivista, lasciandosi sfuggire una smorfia di tanto in tanto, qualora una cosa le piacesse o meno. Mancava solo zio Cora, che di solito sedeva accanto alla donna: era quasi sempre presente durante le prediche, pronto a sostenerla con uno sguardo.

Si avvicinò al tavolo, accomodandosi al solito posto davanti alla sedia vuota dello zio e si mise a studiare i vari cibi davanti a lei.

“È incredibile quanto siano veloci a divulgare certe notizie” disse Doflamingo, rompendo il silenzio. “Si chiedono quando e se il sindaco di Green Bit prenderà provvedimenti verso quella teppista di sua figlia” spiegò, ripiegando il quotidiano.

“Addirittura?” si lasciò sfuggire la ragazza.

“Puoi dar loro torto?” le chiese sua madre, inarcando un sopracciglio.

“Sappiamo che non sei responsabile di nulla e che ti trovavi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sta di fatto che ti ostini a frequentare gente poco raccomandabile e io non posso più lasciar correre” affermò l’uomo.

“Perfetto. Dimmi quando me ne devo andare e mi faccio trovare pronta” disse Annabelle, maledicendo la sua lingua lunga.

“Non andrai molto lontano. C’è una scuola privata ad Acacia, li avevo già contattati a inizio anno. Dopo le vacanze di Natale andrai a studiare lì”

“Va bene”

“E andrai a vivere da tua sorella” precisò Baby 5.

“Come, scusa?” Annabelle pregò con tutta se stessa di aver capito male.

“Sugar si era già offerta di ospitarti, qualora avessimo deciso di farti cambiare scuola. Vivrai con lei e nei momenti liberi dallo studio o nel fine settimana l’aiuterai nel lavoro. Non uscirai di casa, a meno che Sugar non ti dia il permesso. E mi ha già promesso che non lo otterrai così facilmente. Questo succederà fino alla fine del semestre, poi vedremo cosa fare”

“Vi ha dato di volta il cervello? È assolutamente fuori discussione che io vada a stare da lei!” affermò decisa, alzandosi dalla sedia.

“Tu farai quello che ti diciamo, senza discutere. Sugar è una brava ragazza, ha degli ottimi amici e un buon lavoro, e…”

“La faranno santa quando passerà a miglior vita” commentò ironica.

“Non mi stupirei se accadesse. Ora vai di sopra e raccogli le tue cose, Sugar verrà a prenderti domani” disse l’uomo, facendole capire che la discussione non sarebbe andata oltre.

“È il gesto peggiore che avresti mai potuto fare. Complimenti, davvero”

 

Annabelle si sforzò di trattenere le lacrime fino al momento in cui avrebbe raggiunto la propria stanza, ma non ci riuscì. Era arrabbiata e provava un grandissimo rancore nei confronti della sua famiglia.

Tutto sommato, avrebbe accettato la vita in un collegio, ma l’idea di condividere nuovamente la casa con Sugar proprio non le andava giù. Come avrebbe potuto sopportare nuovamente tutto questo? Sugar, così bella, così brava, così cocca di papà da far venire la nausea. Lei era l’esempio che doveva seguire e la perfezione che non sarebbe mai riuscita a raggiungere.

Non era pronta a sentirsi di nuovo in quel modo ogni santo giorno e più ci pensava, più le lacrime aumentavano.

Sperava tanto che quello fosse solo un brutto sogno, ma sapeva che non era così: era la dura realtà, una realtà che, ne era certa, non sarebbe stata in grado di affrontare.

 

Il bicchiere giaceva vuoto sulla scrivania, in attesa di essere riempito. Era uno snifter color arancione, un regalo che Annabelle gli aveva portato al ritorno da una gita scolastica. A quel tempo, gli era piaciuto molto. Ne usufruiva per qualsiasi bevanda, anche non era adatto per tutto. Con il passare degli anni, aveva iniziato ad usarlo solo quando sua figlia combinava qualche guaio, associato ad un particolare tipo di brandy molto costoso. Il bicchiere si stava lentamente usurando e la sua scorta di liquore si esauriva più in fretta di quel che credeva.  Sperava con tutto se stesso che sua figlia si sarebbe data una calmata, ma Annie non l’aveva fatto, anzi andava di male in peggio. E lui era stanco, davvero stanco di combattere quella che sembrava una causa persa.

“Non sono sicuro che l’alcol ti sia d’aiuto per il tuo problema, sai?”

Doflamingo alzò gli occhi al cielo, voltandosi verso il fratello.

“E quale pensi che sia la soluzione?” domandò ironico.

Cora si accomodò su una delle poltrone in pelle, sospirando. Doflamingo aveva l’abitudine di snobbare i suoi consigli, quando si trattava di Annabelle e ciò lo infastidiva parecchio.

“Dovresti parlare con Annie. Con calma, senza perdere la pazienza e senza pregiudizi. Dovresti smetterla di incolparla del fatto che non ascolta, che ha la testa dura e tutte le cavolate che spari di solito. Perché credi che venga da me quando qualcosa non va’?”

Doflamingo sbuffò: “Perché sa che con te l’avrò sempre vinta. La fai facile tu, ma parlare con Annabelle non è come parlare con Sugar e…”

Cora, intento ad accendersi una sigaretta, si bloccò, alzando lo sguardo furente: “Per l’amor del cielo, piantala! Non puoi fare un paragone tra di loro, sono due persone completamente diverse! Ecco perché Annie ti odia, hai passato 17 anni a ricordarle che lei non è all’altezza di sua sorella, come credi che si senta?”

“E il discorso di ieri sera, allora?”

“Ho solo detto che stare vicine avrebbe fatto bene ad entrambe. Sugar si renderà conto che Annie non è una sciocca ragazzina superficiale, e lei capirà che sua sorella non è così perfetta come la dipingi tu!

Non ti rendi conto che le hai messe una contro l’altra?” lo rimproverò Cora, sentendo la rabbia montare dentro di sé.

Doflamingo scosse la testa: “Non dire assurdità, non è questo il punto”

“Certo che è questo il punto!” esclamò battendo una mano sul tavolo. “Prova a pensare a cosa sarebbe successo se al posto di Annie ci fosse stata Sugar! Ti saresti precipitato tu da Vergo, l’avresti portata in ospedale ed entro la fine della giornata avresti risolto la situazione!”

“Sciocchezze! Ho perso il conto di tutte le volte in cui ho aiutato Annie! E ora mi sono stufato, quella ragazzina non ha mai capito e non si sforzerà mai di capire. Se il cielo vuole, Sugar riuscirà a metterla su una strada migliore… io ho già fatto abbastanza e sinceramente ne ho le scatole piene. Ho problemi più gravi a cui pensare, adesso”

Cora sospirò, guardando il fratello: in cuor suo, sapeva cosa gli passava per la testa, ma farglielo ammettere non era affatto semplice. Doflamingo era la persona più testarda che avesse mai conosciuto in vita sua, seguito a ruota dalla figlia. Non aveva mai creduto all’oroscopo e a cavolate simili, ma non poteva negare che, essendo nati sotto lo stesso segno, le discussioni tra i due erano veramente molto forti.

Lui, però, aveva un piano preciso in mente: avrebbe dovuto ricorrere alla sua pazienza, ci avrebbe messo del tempo, forse mesi, ma amava suo fratello, così come amava sua nipote. E a costo di assillarli tutti i santi giorni, sarebbe riuscito a farli riconciliare.

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