Golden Age

di missimissisipi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Ice Palace ***
Capitolo 2: *** Slapsgiving ***
Capitolo 3: *** Sirius doesn’t live here anymore ***
Capitolo 4: *** How to lose unemployment in ten days ***
Capitolo 5: *** My best friend’s roommate ***
Capitolo 6: *** The inglorious intruder ***



Capitolo 1
*** The Ice Palace ***


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The wolves they howled for my lost soul
I fell down a deep black hole
He left me for another lady
She poured the drinks and she poured the power
Diamond girl who could talk for hours
He left me for another lady

 New York, Paloma Faith

1. The Ice Palace

 

Sirius” ripeto con tono scocciato “muovi quel culo. So che mi stai sentendo”

Alzo il passo e attraverso un incrocio, facendo ben attenzione a non farmi investire da uno sconosciuto folle con più caffeina in corpo che sangue, di corsa, e per aggiunta di prima mattina.

“Sono da te fra due minuti esatti e giuro che se non sei perfettamente presentabile entro quell’arco di tempo io ti—cristo

Se il karma esistesse, in questo preciso istante, starebbe ridendo. Il mio cellulare morto non mi darebbe affatto fastidio se non fosse per questa scomoda e patetica situazione in cui sono infilata. Congratulazioni, Lily. Mormoro qualcosa di impreciso e mi affretto ad arrivare di fronte all’enorme portone di Roden Street, maestoso nella sua eleganza data dal marmo chiaro e, invece, curioso se osservato con me nelle vicinanze.

“Rispondi, rispondi, rispondi—“

E’ aperto” – replica una voce assonnata quanto ironica, alterata dal citofono e macchiata da un non so che di metallico che mi fa, comunque, percepire l’interezza della sua ironia – “Entra pure

Non ricordo con precisione a quali nuovi insulti la mia mente abbia dato origine, ma ventisette secondi dopo la porta d’ingresso bianca dell’appartamento del mio migliore amico era spalancata. Ed io ci sono entrata senza ritenere un gesto assurdo guardarla aperta per lasciarvi entrare chiunque, anche un possibile ladro e maniaco con manie di sadismo—

“Curioso” prorompe nell’istante esatto in cui i suoi occhi scorgono la mia figura “come ogni qualvolta tu debba vedermi la mia segreteria si riempia di quattordicimila messaggi”

“Ciao anche a te”

Si passa una mano fra i capelli, spettinandoli e facendomi storcere il naso. Il mio sguardo è puntato già sulla sua camicia bianca con alcune asole aperte, la cravatta blu sulle spalle mentre un forte odore di dopobarba maschile mi inebria le narici.

Le sue dita sono intente a dare un aspetto più elegante alla camicia che indossa, e le mie sono passate, quasi senza che me ne accorgessi, ad annodare quella cravatta disordinata, tanto che lo faccio sbuffare, divertito.

“La tua sciarpa” esclama a un tratto, quando io mi sono fatta indietro e rovisto fra le giacche nella cabina armadio. Il mio cipiglio stranito deve farlo parlare prima ancora che apra bocca, perché “l’hai dimenticata qui” continua poco dopo, “…l’altra sera”

“La maratona di Modern Family

Annuisce, distratto. “Ti sei addormentata qui”

“E la tua vicina di casa pensa che siamo una qualche coppia di amici con benefici”

Sento la sua risata dall’altra stanza, profonda e che assomiglia vagamente ad un latrato. Cane. “Già, soprattutto dal momento che ho rifiutato il suo flirtare gratuito dicendo che avevo una relazione”

Sgrano gli occhi, “Stai scherzando? E’ per questo che da un po’ di tempo non mi rivolge nemmeno più la parola?”

Il bastardo ride daccapo, muovendosi sino a raggiungere la sua stanza e annuire compiaciuto di fronte al capo meraviglioso che gli ho silenziosamente proposto. “Non è colpa mia se ha frainteso, io non ho specificato né che tipo di relazione né chi oltre me ne fosse coinvolto”

“Platonica” borbotto, estraendo dalla mia borsa un vestito azzurro e iniziando a spogliarmi, “Con la tua motocicletta

Percepisco la sua figura rimanere bloccata in quella posizione per un po’, il tempo necessario per far aderire il mio corpo a quell’abito del colore del cielo.

“Non c’è bisogno di essere gelosi” – fa, sorridendo sghembo – “Saresti la ragazza perfetta se non fosse strano averti intorno in quel modo”

Adesso ghigna. Un cuscino lo colpisce in pieno viso.

“E tu saresti l’uomo dei miei sogni se non fossi tu. E poi” mi schiarisco la voce e tento di assumere un tono serio, “Smettila di guardarmi il fondoschiena!”

“Madre Natura ha fatto un bel lavoro… e, comunque, puoi dirla, la parola con la c… c, u, l—“ Lo schiaffeggio, il volto ormai in fiamme, una gradazione che fa simpaticamente concorrenza ai miei capelli composti da onde morbide.

“Abbiamo un matrimonio a cui partecipare”

 

Oggettivamente, la sala ricevimento prenotata da Petunia per il suo matrimonio è qualcosa di puramente mozzafiato. Tutto inondato dal colore bianco e le sue infinite gradazioni, meno che le vetrate ed il verde della vegetazione all’esterno. Mentre, se fossi costretta a dare un parere più che soggettivo, direi senza dubbio che è qualcosa più che mozzafiato. Penso al concetto di lussuria e questo scenario che ho di fronte non può nemmeno avvicinarsi all’ idea. Tutto è schifosamente impeccabile, a partire dall’atteggiamento degli invitati, per arrivare alla musica di sottofondo, una melodia calzante a pennello per mia sorella.

Mi volto verso Sirius, immerso in un mondo che gli suona velatamente famigliare, con gli occhi che trapelano una malcelata malinconia dei bei tempi andati. Mi sembra persino strano pensarlo, ma lui appartiene a un mondo del genere, fatto di lusso e un fascino retrò anni 30, con imprenditori la cui vita dipende dalla finanza e al cui cospetto vi è un sigaro profumato e una donna in un tailleur rosso, che non ha nulla a che vedere con la moda tipicamente androgina e libertina degli anni venti.

“Pensi servano alcolici? O tua sorella preferisce evitare inconvenienti quali sbronze colossali e opta unicamente per acqua, vino bianco e champagne, per rimanere schifosamente brilli?”

“Non che ci importi” – ribatto incrociando le braccia sotto il seno e muovendo lo sguardo rapidamente fra gli invitati, nella vana speranza di imbattermi nei miei genitori nel minor tempo possibile – “Scommetto quello che vuoi che hai una fiaschetta di whiskey da qualche parte”

“Sorvolo magnanimamente sul tuo essere vaga nella posizione della mia compagna per questa giornata—giusto perché la condividerai con me

Una chioma bionda stretta in uno chignon nient’affatto severo fa capolino nella mia visuale, costringendomi a prendere un respiro profondo perché sa tanto di casa ed emana quel vago senso di sicurezza che solo i tuoi genitori possono darti. Sirius deve aver capito, perché si avvicina al buffet—o ad un mio familiare lontano che lo idolatra, ovviamente.

“Lily!” – il tono sorpreso potrebbe anche offendermi se non fosse per quello che è successo – “Tesoro! Non pensavo saresti venuta… hai già parlato con papà? Petunia…?”

Scuoto il capo, lasciando oscillare i miei capelli mossi su cui si posa il suo sguardo. Stessi occhi smeraldini, e daccapo il senso di familiarità e affetto che divampa a partire dal mio petto e si dirama nel resto del corpo.

“Volevo parlarti… Io, ehm, stavo ripensando alla mia scelta: Castlebury—”

“Lily?”

Un corpetto senza spalline ricamato che si apre su una gonna morbida, a balze, semplice nella sua eleganza. Petunia.

Degli occhi della stessa sfumatura di quelli di papà mi scrutano nervosi,  mi fanno sentire quasi un peso e, per la seconda volta nel giro di poco tempo, mi ritrovo a incrociare le braccia sotto il seno, percependo il calore familiare far posto a una sensazione di disagio.

“Congratulazioni” – mormoro quasi sconnessa, accennando un sorriso – “Il tuo vestito è molto bello, e la location non è da meno—“

Cosa ci fai qui?!”

“Petunia…”

“No, mamma, questo è il mio matrimonio e non ricordo di aver avuto una qualche conferma da parte di Lily Evans

“Ho trascorso un brutto periodo e pensavo che venendo avremmo potuto-“

“Cosa? Riagganciare i rapporti? Essere una famiglia?”

“Petunia”

“E’ il mio matrimonio” ripete, cauta, con un tono così basso da far trattenere il respiro “Puoi persino esserti imbucata con quello squinternato del tuo amico, ma non sono affatto costretta a tollerare la tua presenza.  O la tua voce.”

Chiunque abbia detto che le parole feriscono come coltelli, avrebbe dovuto avere un qualche premio. O una vita stralunata, maniera più o meno gentile per definire un’esistenza triste, dettata da una turbolenza soprattutto interiore. In questo momento vorrei sotterrare la testa in giardino, magari accanto ad una bella pianta che non fiorisce, oppure finire per avere gli occhi lucidi data la birra che Sirius mi avrebbe offerto in una serata qualsiasi, movimentata dalla tv accesa di fronte al divano su un canale prettamente noioso.

Non so se Petunia sia la voce della ragione, la mia coscienza, una dura verità, una menzogna bella e grande o un fantasma del mio passato, presente e, chissà, futuro, che interviene quando meno lo desideri nella tua vita.

“Va bene”

Mamma mi rivolge uno sguardo implorante, in netto contrasto con quello d’ira del sangue del mio sangue.

Forse va davvero bene così.

 

Un sorriso presuntuoso è stampato sulle labbra di Vernon, l’uomo che ha tagliato via mia sorella dalla mia già precedentemente rovinata famiglia… oppure, da un altro punto di vista, si potrebbe dire esattamente l’opposto: un nuovo membro è stato solennemente accettato ed entrato a far parte del mio insieme di consanguinei. Tiro su con il naso, dimostrando la mia pateticità a tutti i nani dal giardino nascosti da qualche parte, ai due bicchieri di champagne vuoti e al vestito costato un sacco ormai sporco d’erba.

“Non mi avvicinerei se non fossi tu”

La sua figura si poggia per terra, al mio fianco, e lo percepisco sorridere freddamente anche senza davvero guardarlo. Elimino con il dorso delle mani lacrime bollenti che avevano solleticato il mio viso, apparendo sempre più sciocca. Cosa credevo?

“Tua zia Celeste ha detto che vuole essere invitata al nostro matrimonio” – sussurra Sirius al mio orecchio come se fosse un segreto di chissà che importanza. Sobbalzo alla vicinanza ma mi rilasso nel momento in cui realizzo cosa abbia detto – “Ma penso di averla traumatizzata raccontandole dei nostri futuri figli, capelli rossi e occhi grigi, disordinati cronici e futuri esattori delle tasse”

“Voglio tornare a casa”

Chiude la fiaschetta nelle sue mani. C’è solo silenzio, poi. “Pensavo che questa fosse la tua casa”

“Non più”

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Seera! Uhm, non so da dove iniziare, ho un sacco di cose da dire! Sicuramente parto con il ringraziare chiunque sia arrivato qui nella lettura, dal momento che credo molti siano restii nell'accettare/leggere Muggles!Au qui su Efp :) 

E' un progetto a cui sono dedita da molto tempo, ne sono incredibilmente affezionata per un sacco di ragioni e doverlo abbandonare perchè io perda la voglia di scrivere (uhm ho molti dubbi per quanto riguarda il mio stile, ma anche l'idea in generale... cioè, a me piace, ma il non piacere altrui finirà per devastarmi if you know what i mean) mi ucciderà, ecco ahah vi chiedo di essere pazienti e provare a leggere qualche capitolo prima di decidere che non vi piaccia del tutto (questo primo è breve e confusionario, mentre gli altri due - più o meno - introduttivi, e la figura di james non apparirà nel prossimo, ad esempio), soprattutto dal momento che è una storia puramente incentrata sul cambiamento, sul viaggio di Lily come persona e sul rapporto che si crea fra i vari personaggi, sulle relazioni, quindi: vedetelo un po' come una di quelle serie tv, tipo how i met your mother, the big bang theory, friends e varie... 

ci sono un sacco di novità, ecco, rispetto alla norma: vale a dire che sirius, ad esempio, non conosce ancora james e remus, in più è il migliore amico di lily; l'ambientazione si sposta dall'inghilterra all'america dei nostri anni, un sacco di personaggi compariranno più avanti, saranno quasi diluiti nel corso della storia, e daccapo, le loro relazioni non saranno strettamente quelle canon/usuali etc

lily ha preso una scelta nel suo passato più recente che la spingerà a cambiare, e a muoversi: più in avanti tornerà Castlebury come città e verranno spiegate molte cose relative all'amicizia sirius/lily... ringrazio The Carrie Diaries per aver creato questa cittadina perchè me ne sono innamorata e fa proprio per i Sily! ahahah poooi, seppure james e lily siano i protagonisti della fic, anche gli altri personaggi avranno una storyline importante, nonostante debbano lasciare i jily sempre sotto il riflettore :)

(inserisco il pairing jily fra i dati e non tutti gli altri perchè sono coppie che si creeranno, ma o non per molto o comunque non sono importanti e non voglio svelarvi il finale, ecco)

la canzone di Paloma Faith è un po' la colonna sonora della fic! spero piaccia e ammalii come a me piace e mi ha ammaliata!:)
il titolo del capitolo è ideato da quel gran uomo che Fitzgerald è (my man<3)
You have a place in my heart no one else ever could have.
 F. Scott Fitzgerald, The Ice Palace 

vi lascio con i vestiti delle due evans!
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a presto, spero! un bacio enorme<3<3

fede 

il mio ask.fm

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Capitolo 2
*** Slapsgiving ***


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In the morning when you wake up,
You won't have much but you'll have enough
When you are weakest I'll be strong enough for you,
Dreams, the ones where you are fearless

Sleep like a baby tonight, U2

2. Slapsgiving

 

150 W. 85th, Upper West Side, New York

 

Con il semestre iniziato qualche settimana fa, tutta la mia routine ruota attorno ad un solo indirizzo da ricordare. Castlebury è definitivamente alle spalle, e con lei la mia famiglia, il matrimonio di Petunia Dursley e l’appartamento di Sirius a Roden Street. Mezz’ora di tragitto e siamo catapultati in un mondo che non sembra avere capo né coda: un flusso costante di persone che camminano e vivono le proprie vite, che ignorano la mia complicata ed io ritorno magicamente a respirare.

Maneggio con difficoltà il pacco marrone della spesa, le chiavi del loft in cui vivo con il mio amico assente ed il telefono con cui comunico in tempo reale con il suddetto amico-assente.

Non posso crederci: ti stai davvero lamentando?”

Sbuffo di fronte al suo tono divertito, facendo tintinnare le chiavi e rispondendo con tono pacato: “Sì—si da il caso che sia il mio primo Ringraziamento da sola, e, non per fare la sentimentale-”

No di certo

“-ma credevo che l’avremmo trascorso assieme. Sai, migliori amici, coinquilini e tutto…”

Sto studiando

“Mhm, beh, fai attenzione, non vorrei che il tacchino inesistente si bruci nel forno che ovviamente manca nella tua stanza del dormitorio”

Lily-“

“Lo so” – respiro piano, poggiando la busta sul tavolo della cucina e passando una mano dai capelli – “Sono infantile. Guarderò la partita, cambierò canale quando la telecamera inquadrerà la Macy’s Parade e ringrazierò non so cosa per entrambi”

La sua risposta arriva istanti dopo, riempiti unicamente dal silenzio che mi fa schifosamente sentire sola. Più di quanto non lo sia effettivamente.

“…Grandioso” la sua nota ironica sembra perfino stonare in questo contesto, ma sorrido comunque, cosciente che lui non potrà vedermi “Quasi ti invidio

“Ci sentiamo presto, allora?” sono certa di suonare più disperata di quanto non voglia sembrare di esserlo, ma spero che lui non noti tutto questo, troppo preso dal suo studio.

Sicuro, Lils

Apro il frigorifero, prendendo una bottiglia di vino rosso e osservandola come se fosse l’unica mia compagna per questa giornata. Stappandola, realizzo amaramente che è esattamente quello il suo compito, oggi.

La verità è che non so cosa credevo settimane fa: l’idea di lasciare Castlebury mi ha sconvolta a tal punto che immaginavo una vita a New York che non ho. Basti pensare a Sirius, che mi è stato vicino sempre, ed adesso è a costruirsi il suo futuro… ho solo un amico a distanza e un appartamento mezzo vuoto. Niente aspettative oramai, niente vita meravigliosa o amiche alla Carrie Bradshaw che si rispettino.

Un rumore, subito dopo, mi distrae. Come un… bussare.

Mi sposto allora in soggiorno, ma vedo tutto fermo. Tutto vuoto, qualche scatolone dato il mio recente trasloco ed è tutto nella norma. Poi sento daccapo il rumore. Cosa…?

“Aiuto!”

I miei occhi saettano nella direzione delle finestre, fino a che non arrivo nella mia stanza e… beh, la vedo.

Una ragazza dai capelli biondi, raccolti disordinatamente in una coda di cavallo alta, che indossa una camicia a quadri nera e rossa e batte furiosamente la mano contro il vetro della mia finestra. Esattamente quella che da sulle scale antincendio.

“Grazie al cielo c’è qualcuno”

“Ehm…”

“Ciao!” la voce è squillante ma non del tutto fastidiosa. E’ forse una delle prime volte in cui questa casa si riempie di un rumore… vivace. Ed è sicuramente –nonché auspicabilmente- la sola volta in cui abbia avuto accesso alle scale blu in ferro battuto, che, nelle ultime sei settimane in questo loft, non ho affatto visto data la tenda bordeaux volta a coprire la finestra. E la luce notturna di New York, paradossalmente.

“Sono del 3B, piacere! Dorcas Meadowes”

Tende la mano come se fosse un incontro casuale fra vicini di casa, e non fra sconosciuti nel bel mezzo fra la mia camera e l’esterno, tra di noi frapposto solo il muro della mia abitazione.

“Appartamento 6B, Lily Evans”

Qualsiasi cosa abbia detto le fa sgranare gli occhi improvvisamente: “Sei la ragazza di Black, allora!”

“Cosa? No! No, io—”

“Consiglio da nuova amica: dai una pulita a tutta la casa. Pavimento incluso”

“Non voglio saperlo” – ribatto prima ancora che possa spiegare – “L’immagine mentale del mio migliore amico che fa attività fisica nella casa che abito da un mese e mezzo è sicuramente qualcosa che voglio evitare di avere in testa, specialmente dal momento che non so come distrarmi per l’intera giornata”

Scoppia in una risata improvvisa, portando una mano a coprire la bocca e scusandosi l’attimo dopo.

“Mi… mi dispiace” – chissà perché non ne sono del tutto sicura. Risata inopportuna. – “Ma ho appena realizzato e… quindi sei quella Lily Evans!”

“Dovrebbero essercene altre?”

Migliora amica e tutto” parla fra sé e sé “Io e Sirius abbiamo avuto modo di parlare. E potrebbe aver nominato il tuo nome un paio di volte. Volta in più, volta meno”

Smette di gesticolare e si guarda attorno, prima di parlare daccapo e proporre qualcosa che, anche se la conosco da cinque minuti scarsi, sono certa sia qualcosa tipicamente suo.

“Hai da fare, oggi? Perché il mio coinquilino ha invitato un paio di amici a casa nostra senza avvisarmi – motivo per cui scappavo da lui, nel caso te lo fossi chiesto – ma adesso ci sto ripensando… quindi, se non hai piani potresti stare da noi! Prometto di non fare allusioni a Black che…” gesticola furiosamente, e alza un sopracciglio per enfatizzare il concetto silenzioso. “Ti va?”

***

Se questa mattina, mentre facevo la spesa per il mio primo ringraziamento da sola, mi avessero detto che avrei conosciuto una tipa decisamente fuori di testa abitante nel mio stesso palazzo e che avrei condiviso l’intera giornata con lei, non avrei creduto ad una sola parola. E bisogna anche partire dal presupposto che io non sia una tipa scontrosa o antipatica, sappiatelo: semplicemente, mi definisco diffidente. E ordinaria. Schifosamente nella norma.

Nonostante la prima, stramba impressione che abbia avuto di Dorcas, si può dire che è molto più tranquilla e spontanea di quanto sembri; il suo appartamento ha un je ne sais quoi che non mi fa storcere il naso ed, anzi, parla di semplicità e gentilezza. E’ una sensazione familiare e al contempo sconosciuta, non so spiegarlo. E’ come se un’aura di giusto aleggiasse qui dentro, assieme alla confortante consapevolezza di non poter essere mai soli o in errore.

“Dork, dov’eri finita?”

La bionda chiude la porta alle sue spalle e sbuffa, “Non ti riguarda—e non chiamarmi Dork, quante volte te l’ho ripetuto?”

“Senti, Frank è appena uscito per comprare del vino non scadente e sarà qui fra poco: non potresti fingere solo per oggi che vada tutto bene? Oh” il ragazzo bruno smette improvvisamente di parlare con la sua coinquilina, credo, e rivolge la sua totale attenzione a me. “Fammi capire” – ritorna su Dorcas – “Io non posso invitare i miei amici mentre tu sì? Non avevamo condiviso l’essere totalmente sinceri ed eguali quando abbiamo deciso di pagare metà affitto a testa?”

Mentre la ragazza al mio fianco si passa una mano fra i capelli e fugge via dalla vista del suo coinquilino, mi prendo qualche istante per osservare suddetto coinquilino. La sua carnagione a metà fra il chiaro e l’olivastra si intona perfettamente con gli occhi e i capelli mossi e scuri, che tendono a dargli un aspetto tendenzialmente amichevole e affascinante, come se il suo accento del sud non bastasse a dare questa idea.

“Stammi a sentire” – inizia Dorcas tornando svelta di fronte a lui, ma non superandolo nemmeno di una spanna, data la sua altezza – “Lei è la mia offerta di pace: vada per Frank, Alice e persino quel viscido di Amos Diggory, ma punto numero uno: dev’esserci anche Lily perché, punto numero due, è nuova, Black l’ha abbandonata qui e l’ho salvata dallo spendere un ringraziamento miserabile, quindi, punto numero tre…” prende un respiro profondo, sorridendo appena e facendomi stupire delle potenzialità di questa ragazza “Non roviniamo la mia festa preferita. Pace?”

Il coinquilino— davvero, ha un’espressione normalissima sul volto, il che deve farmi comprendere una sola cosa, ossia che conosce Dorcas da davvero molto tempo, perché io non riuscirei a starle dietro per nessuna ragione al mondo—scoppia a ridere prima di stringere il suo mignolo e sigillare un accordo di pace.

Tuttavia, questo non può che farmi sentire… bene.

 

“Quando mi hai detto che Benjy avrebbe cucinato, non pensavo a questo, parlando di tacchino” – esordisce Frank sedendosi sul divano, esattamente fra Amos e la sua fidanzata, rivolgendosi proprio a quest’ultima – “ma posso perdonarti solo perché hai comprato la mia birra preferita…”

Si sporge a darle un bacio sulla guancia ma lei lo scansa divertita: non ha trovato alcun vino, per cui ci siamo accontentati di un semplice panino con fette di tacchino comprato dal supermarket in fondo alla strada e una birra fredda sorseggiata con calma su questi divani in pelle, ormai consunti, pronti a guardare il football come da tradizione.

“E’ proprio un cafone, Alice, non so come tu faccia a baciarlo—e a starci insieme, ovvio”

La bionda dal taglio corto e quasi androgino ridacchia e getta la testa all’indietro, prima di parlare: “Ci sto insieme per altre sue qualità, ovvio

Quando Benjy –il coinquilino, comunque- inizia a tossire e il fidanzato arrossisce, lei si affretta a specificare, diventando rossa in volto e facendo scoppiare a ridere me e Dorcas: “No, intendo—dai, su—la gentilezza, il romanticismo…”

“Sì,” replica Dorcas divertita, prima di mordere il suo panino “la grandezza del suo cuore

“E non dimentichiamo il voler farti—come dire, farti star bene?”

Lei e Amos si beccano un cuscino in testa. E, davvero, mi sto divertendo. C’è Alice che è riservata ma è dolce e un sacco di altri aggettivi che non riuscirebbero a dare un’idea di lei. E’ simpatica, sì, ma anche bella e curiosa, proprio come il fantomatico uomo con cui Dorcas vive, e che la conosce da un paio d’anni—stessa cosa per Frank, esuberante, allegro ma con un sacco di difetti… e potrei continuare all’infinito, descrivendoli tutti pur conoscendoli da un paio di ore, perché mi stanno ospitando, facendomi dimenticare dei miei problemi e questo è un grandissimo dono, per me, ora come ora.

“Perché hai colpito anche me, scusa? Io non ho esplicitamente detto nulla!”

“Dork-Ass” la riprende Benjy, lievemente brillo, “puoi anche non trovare ogni scusa per avercela con Amos”

“Beh, grazie tante amico, ma falla parlare”

Alice sposta lo sguardo su di me, deglutendo la sua bevanda e alzando le spalle: “Potrebbero essere andati a letto insieme e il mattino seguente Amos potrebbe essersene andato senza lasciare traccia di lui”

“Ed io potrei essere incazzata”

“Come vu—potresti volere, Dorkie”

Sbotta, “Non chiamatemi così!”

Frank abbassa il volume del televisore e sgranocchia una patatina: “Quindi Lily… come conosci Black?”

Mi rendo conto pochi attimi dopo che tutta l’attenzione del soggiorno è rivolta su di me, il che mi fa soltanto imbarazzare; mi passo una mano fra i capelli, cercando le giuste parole.

“Oh santo cielo, ti è successo lo stesso di Dork-Ass?”

“Cosa vi ho detto riguardo quel nome?”

“Lasciatela parlare, per l’amor del cielo!”

Rido sommessamente e mi porto la bocca della bottiglia alle labbra, saggiandone un po’. “Nulla di tutto questo – lo dico e prestano tutti attenzione a me, adesso – lo conosco da una vita ed è il mio migliore amico… nonché la mia unica famiglia”

“Sembra fantastico” – fa Dorcas con una traccia di… ironia?, scherno? nella sua voce – “e per questo direi di brindare: a noi, un po’ disastrati…”

“…che non sappiamo cucinare” aggiunge Frank, rimbeccando Benjy. “Con un futuro incerto davanti a noi” continua Alice, dando la parola ad Amos: “Che abbiamo Black come amico”

Benjy ed io alziamo la nostra bottiglia di birra in segno solenne, prima di bervi, daccapo e continuare la nostra serata all’insegna del Ringraziamento, pur senza un pranzo degno di questo nome e familiari indispensabili.

 

A: +44 7094652

Non puoi andare avanti così

Da: +44 7094652

Lo so

 


*il ringraziamento cade il quarto giovedì di novembre negli states

Bonjouuur! 

Mi scuso in anticipo per il ritardo nel postare e per la lunghezza di questo capitolo, è prettamente introduttorio e per questo allungarlo sarebbe stato inopportuno, a mio parere! Stiamo entrando nella storia e mi spiace dire che per poco poco, ancora, non avremo fisicamente presenti né Sirius, né tantomeno James! In cambio, però, ci sono nuovi personaggi, aka gli amici/coinquilini (anche se è errato definirli così) di Lily! 
Il titolo del capitolo è preso da più episodi di How I met your mother, e lo schiaffo è morale e lo riceve Lily, in quanto credeva, come si è capito, che avrebbe trascorso il ringraziamento con il suo amico (ho avuto una mezza idea di farlo spuntare alla fine, stile principe azzurro nelle commedie cliché, ma il mio cervello e Sirius stesso hanno riso per dieci minuti perchè, ovviamente, che cosa mi viene in mente? tzé)

più storylines si sviluppano in questo capitolo, e sono curiosa di sapere quali pensate che siano :)) (questa deve essere una faccina meno gentile e più curiosa, ecco)

Spero che comunque vi piaccia e se è così, vi prego di farmelo sapere: come sapete (se avete letto le note autore precedenti) ho un sacco di dubbi su questa storia, in più il mio tempo scarseggia per la fine della scuola e se ne trovo un po' lo dedico alla scrittura, quindi anche a questa storia, anche se meno di quanto io stessa vorrei! Credo che chi scrive lo sappia, ma anche se così non fosse sappiate che un silenzio vale più di mille parole, ed un paranoica come me inizia a farsi i complessi mentali ahahahah

vi lascio con delle gif dei vari personaggi, così che avrete un'idea di come io li immagino! 

a presto, spero, un bacio!

fede

http://i62.tinypic.com/28vx187.gif

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Capitolo 3
*** Sirius doesn’t live here anymore ***


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So you can keep me
Inside the pocket
Of your ripped jeans
Holdin' me closer
'Til our eyes meet
You won't ever be alone
Wait for me to come home

Photograph, Ed Sheeran


3. Sirius doesn’t live here anymore

In Mangia, prega, ama la protagonista vive una situazione di completo disagio prima di intraprendere quello che sarà il suo viaggio strabiliante alla ricerca di sé stessa: vorrei poter fare qualcosa del genere anche io, tuttavia mi rendo conto che la mia, di situazione, è più tragica che altro—almeno psicologicamente parlando. E’ proprio per questo che Sirius mi manda emails da più settimane con annunci di lavoro, è per questo che Dorcas tende a sorvolare sull’argomento da un po’ di tempo a questa parte (ci conosciamo esattamente da otto giorni e lo stesso arco di tempo è privo di una conversazione riguardante gli impieghi)… Sirius è in piena sessione di studi, non lo vedo da un pezzo e, nonostante la sua assenza, mi rendo sempre più conto che vivere con la mancanza di una figura come la sua potrebbe ancor meglio aiutarmi a sopravvivere in questa giungla.

“Ehi, rossa”

Il fatto che Dorcas si presenti nei momenti più assurdi del giorno non mi stupisce più: lo dimostra questa mattina, ore 7.43 di un venerdì qualunque, colazione alla mano e sguardo non impressionato (nonché non impressionabile) di fronte alla mia condizione mattutina; la osservo tutta pimpante mentre va in cucina e mi riempie un bicchiere di latte freddo, per poi farsi spazio sul divano accanto a me, un groviglio di coperte ad avvolgermi e lasciarmi pochi centimetri per respirare.

Buon giorno, New York!  si dilunga in notizie più o meno inutili, al che il mio sguardo da ragazza decisamente non-mattutina trova più interessante focalizzarsi sul cornetto al cioccolato nella busta celeste con la frutta sorridente che la 3B mi porge allegra—non che sia un grinch delle mattine e trovi assolutamente strano ed impensabile che un essere umano possa mai essere pronto per il sorgere di un nuovo giorno, ma il modo con cui Dorcas è pronta e sveglia e in azione mi manda fuori di testa. Santo cielo.

“Amos ieri sera ha chiamato” prorompe qualche attimo dopo, mentre la mia bocca è totalmente piena di cioccolato, “Non me lo aspettavo”

Continua a parlare, ed ha capito che non riuscirò a risponderle pur volendo: “Non è un appuntamento, capito? E’ un caffè fra… quasi amici. Ho accettato. E per dimostrare come non ci sia nessun secondo fine a questo incontro, mi ha proposto di invitare anche Benjy”

Annuisco lenta, mentre un lampo di insicurezza fa capolino nei suoi occhi chiari. Palpabile come la sicurezza che rimarrò chiusa fra queste mura sino a che qualcuno non mi trascinerà con forza oltre la porta, mi rendo conto che questa sua incertezza nell’agire è qualcosa che tenta di soffocare il più delle volte e questo un tentativo di riuscita andato a male.

E’ ferita, ma soprattutto, per la prima volta, sono convinta di intravedere un lato di Dorcas che non immaginavo avrei mai visto—o comunque così presto, perché stiamo ponendo le fondamenta per un legame e mi sembra di essere caduta dall’impalcatura: daccapo, non credevo che questa Dorcas colpita da un qualsiasi ventenne di nome Amos potesse esistere.

Deglutisco rendendomi conto di quanto il cioccolato sia benefico alla mia esistenza, “Benjy cosa dice?” domando in poco più di un sussurro.

Alza le spalle scrollando i capelli sulle scapole, “Non gliel’ho detto”

“Potrebbe rifiutare?” indago fermando lo sguardo sul volto della bionda non-più-iperattiva.  Ride, al che mi sembra più ansiosa di quanto creduto e mi pervade una strana voglia di prendere a schiaffi un perfetto sconosciuto solo per averla resa così… non sono nelle condizioni giuste per prendere una posizione, perché faccio parte della vita di queste persone da meno di due settimane, ma lo spirito di coraggio mirato ad annientare i nemici e combattere le ingiustizie sembra avere la meglio su di me, dimostrando come Amos, seppure sono certa sia un bravo ragazzo, sia il cattivo della situazione.

“Ben accetta. Eccome se accetta. Sarebbe in grado di renderla l’uscita migliore del decennio o quella peggiore del secolo” inclina il capo e fa vagare lo sguardo sul volto della conduttrice di Buon giorno, New York!  “Non è solo lui che mi preoccupa. E’ tutto il resto”

“Amos”

Cosa?”

“Tieni a lui? C’è una parte di te che nonostante tutto è ancora legata a lui?” sembra rifletterci un attimo “Ne varrebbe la pena?”

Assottiglio gli occhi ed è lampante la sua risposta. La conduttrice di Buon giorno, New York! forza una risata ed io ho la vaga impressione che sia ora di cercarmi un lavoro.

“Posso procurarti un colloquio con il mio capo, se desideri” – la voce di Alice è squillante e riesco a percepirla comunque anche se sono nella mia stanza e lei in soggiorno a ripulire il pianoforte – “Certo, il non avere un degree non è incoraggiante, ma potresti essere un’assistente… una segretaria”

Afferro uno scatolone dalla mia camera da letto e lo porto in soggiorno, poggiandolo sul piccolo tavolo basso posto fra il divano e le tre poltrone circostanti.

“Ti ringrazio, ma—”

“Scusami, devo rispondere” soffia imbarazzata, nella mano un cellulare squillante. Annuisco sorridente e lei ricambia, prima di poggiarlo sull’orecchio e voltarsi, passando una mano fra i capelli.

“Ehi…” si schiarisce la gola “Cosa? Dove sei?”

Mi volto a guardarla, anche se è di spalle, perchè ad un tratto la sua voce si è incrinata e tinta di una sfumatura più preoccupata che non mi piace affatto… “No, io non—arrivo subito”

Chiude la telefonata, mi sveglio e fingo di guardare da tutt’altra parte. Ma—beccata. Sei un genio, Lily.

“Qual è il mezzo più veloce per arrivare al san Mungo?”

In questo momento mi sento Sirius e la cosa non dovrebbe farmi sentire così bene, dovrebbe terrorizzarmi, e per questo mi odio per aver immaginato il mio migliore amico sorridente nella mia testa. Soprattutto in questo evidente caso di emergenza. “Prendo le chiavi dell’auto”

 

La 144esima Est non è la strada più difficile da raggiungere, in una qualsiasi giornata di autunno a New York: tenendo conto che alla guida ci sono io, però, e che il periodo delle festività natalizie è davvero vicino, non c’è da stupirsi se un semplice tragitto di un quarto d’ora sia lievitato leggermente; non importa quanto mi sia scusata con Alice, lei mi ha rivolto un mezzo sorriso e un grazie sincero, al che ho deciso di prenderle un caffè—davvero, è il minimo che possa farle. So che è al quarto piano, e so che c’è stato un incidente in cui non è coinvolto Frank –grazie al cielo- ma questo non è sufficiente perché possa rimanere tranquilla.

Con poche falcate riesco a raggiungere il distributore e poggio una mano sulla vetrata, spingendo con l’altra i tasti per ottenere un caffè macchiato senza zucchero.

(Non commenterò il fatto che c’è qualcuno a cui piaccia questa bevanda senza zucchero: avevo provato a contestare Dorcas l’altro giorno ma il suo sguardo illuminato da una non voglia di ribattere mi aveva accecata, per cui sono stata zitta… Proprio come oggi, durante la mattinata, quando avevo offerto un caffè Alice e lo farò anche adesso. Da notare l’ironia secondo cui ogni persona con cui ho a che fare da quando mi sono trasferita a New York preferisca il senza zucchero al mio semplice cucchiaino e mezzo)

È un bip e afferro il bicchiere, iniziando a far girare il cucchiaino in plastica mentre raggiungo con lentezza la mia amica… i corridoi sono pressoché deserti e questo favorisce la conversazione con un tono di voce mediamente alto fra Alice e non so chi sia fuori con lei, in attesa.

“James?”

“Dov’è?”

Sono ad una distanza improponibile da lei, nel senso che se volessi potrei raggiungerla in un batter d’occhio e porgerle il caffè, ma non lo faccio e la mia non azione si spiega perché la voce calda e rabbiosa dello sconosciuto basta a mettermi in guardia e identificare la futura conversazione come privata, nonostante io sia qui e stia chiaramente ascoltando.

“Sta facendo dei controlli, o almeno Peter mi ha detto questo… sono arrivata quando mi ha chiamato, lui era preoccupato e sono corsa—”

“E Peter? – domanda nervosamente – lui dov’è?”

“E’ con lui – spiega Alice con pacatezza – si da il caso che fosse l’ultimo ad averlo chiamato e i dottori l’hanno contattato una volta arrivati al cellulare di Remus… va tutto bene, James”

Non so chi diamine siano Remus, Peter o James ma la loro preoccupazione –che in un attimo è diventata anche mia per via di Alice- mi fa nascere un blocco, un ostacolo alla bocca dello stomaco, come un qualcosa difficile da deglutire perché se c’è qualcosa che ho capito in questi minuti in cui sono qui è che il legame che stringe queste persone è forte, indistruttibile… mi fa rabbia pensare che a pochi passi da me c’è tutto quello che vorrei—un’amicizia strepitosa, un farei di tutto purchè tu stia bene e mi do della stupida per aver diretto la mia mente verso Sirius: non è che ce l’abbia con lui –sarei infantile a farlo- ma l’unica cosa vagamente paragonabile al nervosismo del ragazzo con cui Alice discuteva è il mio, quando Sirius a sette anni si sbucciò un ginocchio sporcando il vialetto della sua abitazione di troppo sangue… è lo stesso di quando a sedici anni provai a guidare, che lui annientò con due stupide parole di conforto… lo stesso della sera del Prom, dei pomeriggi in biblioteca nella speranza di scrivere una lettera di raccomandazione per il college, lo stesso dopo le discussioni con mamma, papà e Petunia che si è ripresentato al matrimonio di quest’ultima.

Ma Sirius non c’è e la colpa, a dirla tutta, sarebbe solo la mia. Non voglio piangerci sopra e urlare facendo i capricci, solo perché il mio migliore amico non c’è  in questo momento di difficoltà. L’avevamo previsto, no? Ne avevamo parlato e avevamo addirittura archiviato la discussione.

“Non riesco a non far nulla” dice quella stessa voce calda e nervosa, al che io mi sveglio dalla posizione di guardia e riprendo ad ascoltare con attenzione “Vuoi qualcosa da bere?”

Un paio di passi rapidi si avvicinano nella mia direzione ed io mi siedo rapidamente sulla prima panca vuota che incontro, in quei cinque secondi scarsi di vantaggio che ho su di lui—non mi volto nemmeno una volta verso la figura che cammina sulla mia sinistra, fingendo di essere in uno stato di trance totale dovuta al mio caro nella stanza posta di fronte a me, ovviamente vuota…

Riprendo fiato rendendomi conto di averlo trattenuto fino ad allora quando porgo la bevanda ancora calda ad Alice, che mi ringrazia daccapo, mi sorride e inclina il capo timidamente, un gesto che sembra dire ‘non dovevi’.

Lascio andare la testa all’indietro fino a che non sfiora il muro.

***

Ho le gambe incrociate sul divano rosso di Ben e Dorcas quando la voce squillante di quest’ultima mi richiama dal mio osserviamo i ritagli di giornale nella speranza di trovare un lavoro: non so quanto la mia espressione sia divertente (tenendo conto dei capelli spettinati e della penna che li tiene stretti in una crocchia che ha miserabilmente fallito) ma il suo sorriso si illumina maggiormente quando mi guarda e si siede al mio fianco.

“Ben è uscito a prendere il cinese, non può sentirci” – prorompe incrociando anche lei le gambe atletiche, un attimo prima di passarsi una ciocca bionda dietro l’orecchio – “Ne abbiamo parlato, ha detto di sì e anche che se tutto questo è importante e può funzionare, allora attiverà i suoi superpoteri e la renderà la migliore uscita del secolo”

Il suo è un rapidissimo flusso di parole, fatto sta che nel frattempo sembra divertita e terrorizzata e io riesco a comprendere ogni singola parola pronunciata. Osservo con attenzione come le sue sopracciglia di corrughino quando sta dicendo qualcosa di importante o complicato e le fossette agli occhi quando li socchiude o ride… è questo l’effetto di avere una persona importante al proprio fianco, quindi? Capace di manovrare la tua espressione ed i tuoi sentimenti con un semplice sì, no, capisco? La guardo ancora e giungo alla conclusione che sono felice che abbia qualcuno come Benjy nella sua vita. Ognuno merita quel tipo di persona per sé.

“E’ grandioso, Dorcas”  mormoro davvero contenta per lei, al che il suo sorriso diviene più ampio e allegro.

“Ho parlato anche con Amos, dovremmo vederci domani, forse a colazione, forse a pranzo… puoi darmi un consiglio su cosa indossare prima che tu cada nel tuo inarrestabile stato di sonno?”

“Ehi!”

“Niente cornetto al cioccolato se mi contesti!”


bonsoirrrr!
grazie a tutti coloro che si ricorderanno di me e della storia: non ho aggiornato prima causa scuola, problemi vari e fine di himym (nonostante mi fossi spoilerata, ho pianto da morire)... mi scuso e spero che questo capitolo vi piaccia! non è molto lungo, perchè non siamo ancora entrati nella vicenda, ma pian piano arriviamo a parlare di Dorcas/Amos, Dorcas e l'amicizia con Benjy, Alice, Alice ed i suoi amici (see what I've done there? ehehe) Lily/Sirius, Lily/Dorcas, Lily/tutti quelli che respirano... che ne pensate? inizialmente non era così che i personaggi di james o remus o peter dovevano essere presentati barra abbozzati, ma mi sono resa conto che avrei dovuto scrivere di loro (più o meno) verso il capitolo cinque... meglio prima che mai, no? in più ho cambiato un po' la trama nella mia testa, e questo in ospedale è un momento importante, perciò!
lily sta pian piano dicendo addio alla sua dipendenza da Sirius: accetta di buon grado la sua assenza ad inizio capitolo, pensando che possa aiutarla mentre a metà/fine capitolo ritorna sui suoi passi di disperazione barra triste realizzazione... spero sia ben resa l'importanza della loro amicizia, anche perchè iniziamo a vedere scorci di quest'ultima grazie alle parole di lily (il ginocchio sbucciato, il prom, l'auto etc) che porteranno pian piano a capire meglio il prologo/primo capitolo, ossia la lite con i genitori e petunia ed il suo conseguente trasferimento a NY! qualcuno di voi ha già idee? :)
non ho ancora trovato il prestavolto ideale di amos, per questo vi lascio con Dorcas, una delle persone più vicine a Lily!

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grazie a tutti coloro che mi hanno lasciato meravigliose parole nelle recensioni, spero di ritrovarvi anche qui e di essere all'altezza delle vostre aspettative! in più invito i lettori silenziosi a dare un parere anche brevissimo, perchè è qualcosa di nuovo un AU senza magia e sono sempre molto curiosa di sapere cosa ne pensiate, come stia procedendo etc :)
un bacio e a presto,
fede

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Capitolo 4
*** How to lose unemployment in ten days ***


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Survival of the richest, the city’s ours until the fall
They’re Monaco and Hamptons bound
But we don’t feel like outsiders at all
We are the new American
High on legal marijuana
Raised on Biggie and Nirvana
We are the new Americana 

New Americana, Halsey

4. How to lose unemployment in ten days

“Cosa ne pensi di questa?”

A Dorcas brillano gli occhi mentre stringe fra le mani una sciarpa blu in un tessuto che, a prima vista, appare morbidissimo e sembra fatto apposta per avvolgere il collo.

Mi avvicino di qualche passo e l’affianco, entrambe che fissiamo un pezzo di stoffa che costerà più di trenta dollari, dando un’occhiata all’interno della boutique in cui siamo entrate.

E’ il periodo che più amo durante l’anno ma ovviamente da settembre la mia vita è un districato insieme di fili e nodi che ha offuscato il mio passato: eccomi allora, costretta a spendere ore in giro per New York alla ricerca di un regalo per una persona che ho visto sì e no un paio di volte, chiaramente più importante per Dorcas; lei e Amos sono usciti un’altra volta, da soli, dalla fantomatica uscita a tre con Benjamin che, da quanto mi stava raccontando fino a cinque minuti fa, è stata piuttosto imbarazzante. E adorabile. Non ho ancora compreso come questi due aggettivi riescano a qualificare un’uscita mattutina – io dormivo. Chiaramente dormivo – ma lei ne è soddisfatta e non posso far altro che annuire e darle ragione.

“Beh, è splendida” – e come darle torto? Potrei utilizzare questa sottiletta di stoffa come cuscino e dormire per tre giorni di seguito – “Ma come regalo di Natale per Amos? Non saprei”

Rotea gli occhi al cielo, facendo scrollare i lunghi capelli biondi che hanno la forma di onde morbide e il fastidio che le mie parole le hanno provocato basta a farmi sorridere spontaneamente, gli occhi puntati sul volto chiaro della mia amica con le guance rosee per la frustrazione.

“Non capisco perché tu ce l’abbia con lui” ribatte con un tono di voce aspro, per poi rimettersi a osservare le sciarpe “E comunque no—non sarebbe per Amos. Per Benjy”

“Oh”

“E’ il mio migliore amico da quando eravamo entrambi nel pannolino: posso spendere venticinque dollari e novantanove per lui, no? E poi” – stringe i denti, fintamente arrabbiata – “Se mi avessi ascoltata, avresti capito che io e Amos siamo in una relazione… semplice. Siamo quasi amici”

Infilo le mani nelle tasche del giaccone, facendo qualche passo indietro per dare un’occhiata più ampia al negozio ma mantenendomi ad una distanza decente da Dorcas perché possa parlare con un tono di voce basso e lei possa sentirmi.

Brooklyn nel periodo natalizio sembra essere un’enorme palla per addobbare gli abeti: incolpo senza problemi il suo essere piena di palazzi costituiti da un’infinità di mattoncini rossi e l’energia sprizzante che i suoi abitanti emanano, ossia il giusto equilibro fra il colore dell’addobbo ed il motivo particolare stampato su di esso.

Inoltre, sembra avere la strana capacità di dare vitalità ad ogni suo negozio e ai quartieri circostanti, quindi non mi stupisco più di tanto se persino nel Bronx, negli Hamptons, a Soho, TriBeCa e Manhattan si condivida quest’atmosfera splendida.

“Quindi niente sciarpa fantastica per Amos, d’accordo”

“Oh, Cristo, Lily” esclama su di giri “Adesso capisco perché–”

Ma si blocca improvvisamente e così facendo cattura tutta la mia attenzione in un battito di ciglia. “Adesso capisci perché cosa?”

Rimango a osservarla per il tempo necessario a capire che non replicherà e non riuscirò a cavarle quelle parole di bocca.

Muove la testa e poggia l’intero palmo della mano sulla sciarpa, come per tastarne la morbidezza. “Nulla, lascia stare”

Esattamente.

Nonostante siamo nel pieno di Dicembre, un pallido sole ha deciso di mostrarsi chiaro nel cielo e rendere questa giornata tipicamente pre-invernale più calda del previsto, rendendo impossibile uscire di casa ricoperti da cappelli e guanti. È un po’ strano abituarsi così presto ad un nuovo ambiente: nemmeno per un attimo – che non fosse più lungo di un paio di minuti, s’intende – ho pensato a riferirmi al Natale come un’usanza degli Evans, nella casa degli Evans, nella città residenziale degli Evans, a Castlebury, Connecticut.

Ho pensato a come addobbare la casa, a come posizionare l’albero di Natale, a fare la spesa per la vigilia e a come trascorrere il capodanno in compagnia. Ho dedicato un po’ del mio tempo a confrontare i miei piani con quelli di Sirius (“Sto pensando di rimanere qualche giorno in più per gli ultimi test, ma a Natale sono da te”) ma mai, nemmeno per un’ora, ho avuto nostalgia di casa. Il che mi rende una stronza colossale, come direbbe Dorcas, o una ragazza maturata che ha ufficialmente superato lo svezzamento con la propria inutile famiglia, usando il lessico di Sirius.

Qualsiasi delle opzioni sia, sono contemporaneamente sollevata dal fatto di aver scelto la via giusta e terrorizzata perché potrei non essermi resa conto dell’errore commesso.

“Ti dicevo, quindi, che ci siamo visti per pranzo e programmiamo un’altra uscita allo stesso orario la settimana prossima, dal momento che le nostre pause pranzo lavorative coincidono e i nostri posti di lavoro sono abbastanza vicini”

Il cambiamento repentino del discorso mi abbatte un po’, ma ora come ora non mi va di litigare o di intavolare una lunga discussione che non vedrà sicuramente fine…

Annuisco ancora poco convinta, ma non dico nulla quando la seguo al ricevitore di cassa per comprare la sciarpa blu che donerebbe, effettivamente, a Benjy. Proferisco parola qualche attimo dopo, però, quando ci incamminiamo fra le avenue gremite di gente che come noi, ha deciso di trascorrere una piacevole mattinata a fare spese. Nel mentre noto con piacere che il sole si è nascosto dietro alcune nuvole. Ah, l’inverno.

“E Amos?”

“Amos cosa, esattamente?”

Scrollo le spalle e mi lascio distrarre da una vetrina con capi vintage che catturano il mio sguardo per due minuti scarsi: “Come lo… vedi?”

Dorcas mi si affianca e poi sospira rumorosamente, dando un’occhiata alla busta e mordendosi il labbro inferiore con i denti.

“Non vorrei sperarci troppo” – inizia sorridendo – “Ma interessato? Genuinamente? Ha uno sguardo attento e sembra prestare attenzione a ogni cosa che dico, anche stupida perché ci sono momenti in cui riesce a farmi dire cose stupide… non che io lo faccia, di solito”

“Certo che no”, rido.

Si passa una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed è in quel preciso momento che colgo la sua felicità. Voglio dire, Amos potrebbe essere davvero buono per lei. Te ne rendi conto, guardandola. Vedendo come sia speranzosa, incredibilmente attenta al suo comportamento, rischiando di diventare paranoica e, se conosco Dorcas Meadowes da almeno un po’ di tempo a questa parte, so che è tutto fuorché paranoica.

“O mio dio” esclama a un tratto, sgranando gli occhi. “Inizia a piovere, Lily!”

 

“Piove, Lils!” Non faccio neanche in tempo ad alzare lo sguardo verso il cielo che una goccia mi coglie alla sprovvista, finendo su di una palpebra.

A Castlebury non sono mai avvenuti con tanta frequenza i cambiamenti climatici improvvisi e quello è sempre stato un dettaglio che ho costantemente odiato della mia città: la sua tendenza a rimanere inalterata nel tempo, come se nulla potesse variare nonostante il passare dell’età. È per anche questa ragione che la detesto fermamente: è come se avesse spinto ogni suo cittadino a conservare con ovvietà – nemmeno con cura, per proprio volere – tradizioni antiche che chiaramente non possono e non riescono a funzionare oggi giorno.

Afferro Sirius per un braccio e lo trascino via con me, sotto la grondaia di casa Evans, trattenendo a stento un insulto. Allora lui scoppia a ridere, liberandosi dalla mia stretta gentile e togliendosi delle gocce sulla fronte passando la mano su di essa.

“Che irriverente” ride ancora ed io sposto lo sguardo dal giardino adiacente la mia casa a lui in un batter d’occhio, “Faresti meglio a non farti sentire da nessuno o potrebbero davvero dire che ho una cattiva influenza su di te”

Corrugo le sopracciglia, mentre questi secondi vengono riempiti dal rumore via via più insistente della pioggia. “Ma tu hai una cattiva influenza su di me”

È il primo fine settimana dopo il mio sedicesimo compleanno e Sirius sta rispettando il patto che abbiamo stretto a quattordici anni, vale a dire l’età in cui ci siamo conosciuti: fino al suo compleanno, ossia il giorno in cui eravamo a tutti gli effetti coetanei, lui avrebbe dovuto esaudire un mio desiderio per ogni settimana… un modo più gentile per dire che anche le ragazze sanno farsi valere, che anche loro possono essere dei capi… un fanculo sussurrato alle convenzioni sociali nocive della nostra città. Credo che Sirius mi abbia sempre venerato come una sorta di sorella minore – maggiore, in realtà- ideale, e non abbia mai contestato questo stupido gioco perché… beh, mi vuole bene. Affetto fraterno e tutto. Non che io lo costringa a servirmi da mangiare o farmi da schiavo, quindi non è che gli dispiaccia più di tanto.

Anzi, credo che la maggior parte delle volte si diverta.

Sirius smette di ridacchiare e poggia un gomito sulla mia spalla, data la sua altezza che sovrasta la mia di quasi quindici centimetri. “Non possiamo più uscire, dannazione”

“Intendevi dire scappare, vero?”

Notando che lui non dice nulla, mi giro nella sua direzione e lo osservo sino a che il suo sguardo non incrocia il mio: “Sai che possiamo stare a casa, no? Non devi per forza tornartene in quella villa modestissima dove dimori”

L’accenno di sorriso che rompe la linea severa delle sue labbra mi rassicura: so che, per quanto ci scherziamo sopra, non è esattamente la più felice delle emozioni sentirsi il responsabile del repentino cambiamento di una pacata ragazzina come me, ma deve sapere che i miei genitori non lo odiano davvero ed è solo Petunia il vero, grande problema.

“Black, sei del tutto bloccato con me, adesso. Non puoi andar via”

I suoi occhi grigi mi scrutano con una nota di divertimento e non posso fare a meno di sentirmi soddisfatta perché è tornato il Sirius di sempre. Ed io sono davvero affezionata al Sirius di sempre.

Sposta il gomito dalla posizione in cui è stato fino ad adesso, lasciando comunque riposare una mano sulla mia spalla.

“Beh, Fiore, credo proprio che dovrai aiutarmi a studiare Biologia”

 

Io e Dorcas ci siamo rifugiate in men che non si dica nel primo bar aperto, tenuto conto che i commessi dei negozi avevano iniziato a guardare ogni pseudo nuovo cliente con un sopracciglio alzato, per non parlare del modo con cui sbuffavano all’acqua nei loro locali.

“A proposito di regali” – esordisce poggiando la borsa sul bancone del locale – “Non dovresti farne qualcuno anche tu?”

“E’ il tuo modo gentile per suggerirmi un regalo per te, Dork?”

“Lily…” nel richiamarmi non trattiene un sorriso ed io ricambio svelta.

“Intendo dire, sai” – alza le spalle e si toglie la giacca color mostarda – “Sirius magari e, non ne ho idea, la tua famiglia…”

“No” incrocio le gambe e distolgo lo sguardo da quello indagatore tipico della mia amica.

Il posto dove siamo finite non è affatto male: ad iniziare dall’odore che percepisco, ossia un misto fra i prodotti generalmente consumati all’interno di un bar, più cose dolci e alimenti tipici del Brunch. Il pavimento è un meraviglioso parquet color noce e il rivestimento sui muri è una carta da parati particolare, decorata con piccoli motivi che paiono più doodle che altro. Per il resto, tutto bianco, e dove non c’è il bianco c’è una vetrata che da sull’esterno o un quadro pieno di foto o cartine geografiche, mappe di città o metropolitane. Sulla mia destra, scorgo persino la mappa della Tube di Londra.

Il mio no perentorio deve averla turbata, perché adesso mi osserva con le sopracciglia corrugate e le labbra strette in una smorfia, simile ad una linea dura e preoccupata.

“Mi spiace” sussurro, una mano già a spostare i capelli dietro l’orecchio “Non mi va di parlarne, adesso”

“L’adesso mi rincuora”

Non faccio in tempo a replicare che un ragazzo dal lato opposto al bancone cattura la nostra attenzione con un sorriso dolce e i capelli simili al mio stesso colore, forse di qualche sfumatura più chiari.

“Posso portarvi qualcosa, donzelle?”

“Un caffè, grazie”

Io impiego qualche attimo in più per rispondere, improvvisamente a corto di parole. “Cosa fate, esattamente? Perché vado matta per il salato, ma se avete dei dolci…”

Il ragazzo ride e si asciuga le mani allo strofinaccio che fra le dita. “In effetti siamo un bar, una caffetteria ed una via di mezzo. Per i brunch e gli spuntini pomeridiani, temo”

“Splendido. Lascio scegliere alla casa, per questa volta”

Con un altro rapido sorrisetto, sparisce oltre la porta in vetro e non passa nemmeno un secondo che lo rivediamo… dall’altro lato del locale?

“Dork, non è appena…?”

“Buon pomeriggio donzelle, posso portarvi qualcosa?”

La mia amica si muove sullo sgabello e poggia i gomiti sul banconi, ostentando indifferenza. “Hai già preso le nostre ordinazioni”

Lui alza gli occhi al cielo, quasi dello stesso colore della t-shirt nera che indossa.

Dannato Gideon, sempre a rubarmi i clienti…”

Non capiamo un bel nulla fino a che compare, alla sua destra, la sua esatta copia. Oh cristo

“Come, prego?”

Sono due. Sono gemelli. Entrambi dietro il bancone: stessa espressione, stessi capelli, persino stessa maglia.

“Io sono Gideon, ho preso le vostre ordinazioni” sorride, mentre il ragazzo al suo fianco prosegue, “Fabian. Purtroppo suo gemello”

“Se ci sono io al bancone, perché prendere le loro ordinazioni? Il locale è tutto pieno”

Quello schiocca la lingua sul palato: “Perdonami se per una volta volevo avere io l’onore di parlare con delle ragazze carine”

Se non Dorcas, almeno io mi rendo conto di arrossire.

“Siamo solo noi due, Prewett—finché non c’è il terzo cameriere non puoi permetterti di farci perdere clienti”

Fabian Prewett alza gli occhi al cielo. “Sempre il responsabile, duh?”

Non posso fare a meno di prestare attenzione ad ogni singola parola che pronunciano. Ho davvero sentito bene?

Mi schiarisco la voce e mi sporgo in avanti, imitando gli stessi movimenti che Dorcas ha compiuto poco fa. “Terzo cameriere, ho sentito bene?” ripeto, questa volta a voce alta e con più convinzione.

Adesso come minimo mi diranno che c’è ed è in ritardo, tenendo conto della mia sfortuna…

“Sì, al corrente stiamo cerc—” aggrotta la fronte e sgrana di poco gli occhi “tu vorresti…? Sapresti lavorare?”

“Passa alle domande serie, Gideon: hai esperienza?”

“No” rifletto rapidamente, ma aggiungo subito “A meno che servire tua sorella maggiore per undici anni non valga come esperienza, pensandoci—ma sono sveglia. Attenta”

Per i successivi due minuti e mezzo mi sento osservata e spogliata di ogni barriera interposta fra me ed i miei interlocutori. Entrambi assumono la stessa espressione pensierosa, che si scoglie nell’attimo in cui alzano le spalle e pronunciano: “Ti offriamo una giornata di prova…”

“Lily”

Lily. Durante il periodo natalizio sarà più che sufficiente. Domani mattina, qui, apertura alle ore nove, va bene?”

“Sì, ovviamente. Non vi deluderò, davvero”

Gideon – o era Fabian? – accenna un sorriso che non fa che infondermi una vaga e calorosa speranza, che divampa nel petto e mi fa tornare ad amare questo momento preciso dell’anno.

Quando mi volto nella direzione di Dorcas, la trovo che sorride in un modo familiare e quasi… materno, ma distoglie subito lo sguardo e si passa una mano fra i capelli.

 

 

Abbiamo appena cenato e ci siamo rintanati nella mia camera al secondo piano, relativamente più piccola rispetto a quella di mia sorella, quando Sirius mi pone quella domanda: “Credi nelle vite parallele, Lily?”

Si trova sdraiato a pancia in su sul mio letto, mentre io sono oltre il bordo della finestra, praticamente seduta sul tetto della nostra villetta, intenta ad osservare come il buio abbia preso pieno possesso di Castlebury.

Volto il mio collo nella sua direzione e lo scorgo pensieroso con gli occhi aperti ad ammirare il soffitto della mia stanza. I capelli neri che dovrebbe davvero tagliare sono sul mio piumone e le sue mani riposano sicure sul suo busto.

Avvicino le gambe al petto e le cingo con un braccio per poi replicare.

“No. Dovrei?”

Non dà alcun segno di avermi sentita e lascio che una folata di vento mi investa e faccia rabbrividire.

“Non ti dà speranza pensare che adesso, in un altro mondo, siamo diversi ma liberi? Felici?”

“E’ un’illusione, Sirius. È come credere nella magia”

Si mette a sedere e i suoi occhi grigi mi trafiggono, mi sorpassano facendomi sentire sciocca per la risposta che ho dato.

“E se tu avessi torto?”

Il venticello mi spettina i capelli e non posso fare a meno di notare l’aura di speranza che gli aleggia attorno, come se lui dipendesse irrevocabilmente da quell’appiglio, come se non potesse farne a meno.

Al che, “Potrei” ribatto abbassando lievemente le sopracciglia. Lui allora scuote la testa ed i lunghi, insopportabili capelli, riprendendosi e schioccando addirittura la lingua sul palato, come se fosse appena uscito da un’assurdità.         

Mi sposto di una decina di centimetri sulla destra, lasciandogli abbastanza spazio per affiancarmi e nel giro di pochi minuti è al mio fianco che imita la mia stessa posizione.

“Immagina” dice fra le risate, “Che siamo dei maghi e siamo invincibili”

Mi poggio contro il muro. “Così la fai sembrare una storia per bambini…” – storco il naso – “Non siamo invincibili ma proviamo ad esserlo. E magari c’è un cattivo che ha la meglio su tutti. E moriamo in battaglia”

“Lily Evans” sussurra flebilmente al vento che ci dà fastidio “Hai davvero una pessima immaginazione”

 

 

Quando usciamo dal locale, noto con una punta di divertimento che non sono neanche a conoscenza del nome del posto in cui probabilmente lavorerò.

Mentre indossiamo le giacche, io e Dorcas, quasi in simultanea, ci voltiamo a guardare l’insegna e mormoriamo il nome come se fosse un’incredibile sorpresa.

“Three Breadsticks…”

“Chissà perché non mi stupisce”

Dorcas, nel muoversi, dà una sbirciata all’orologio e spalanca gli occhi: “E’ quasi ora di pranzo, dannazione! Avevo promesso a Benjamin che avremmo mangiato assieme… Succede poche volte al mese e io devo scordarmelo! Dannazione

Si riveste e aggiusta gli indumenti che indossa con velocità, poi si sporge su di me e mi lascia un piccolo bacio sulla guancia. “Grazie per l’aiuto, 6B!”

Scappa dalla mia visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere sola ma non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della giacca che li elettrizza.

Scappa dalla mia visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere sola ma non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della giacca che li elettrizza.

Prendo la metro per tornare a casa e mi godo un po’ di quella malinconia che si cela sotto le falcate veloci dei Newyorkesi, che corrono perennemente e si impelagano in traffico e problemi solo per non arrivare a fine mattinata o giornata come me, seduti da soli su un sedile usato e intenti a osservare la band di turno nella metropolitana o il bambino e la sua mamma nel vagone che hanno conversazioni che sfiorano l’assurdo.

Quello che differenzia me, però, dalla massa confusa di abitanti di questa città, è che una volta di fronte al mio palazzo nell’Upper West Side, io prendo l’ascensore e inserisco le chiavi nella toppa della porta, per poi gettare tutto sul divano e aspettare un qualsiasi cenno di vita dal cellulare, dalla tv o da Dorcas – che non ha ancora del tutto imparato a usare le scale normali e non quelle antincendio – perché oltre me non c’è alcun essere vivente che esala un respiro particolarmente più stanco dei precedenti. Non c’è nessun gatto, nessun cane, nessun intruso nella terrazzina che si raggiunge dalla finestra del soggiorno e non c’è nemmeno il pranzo pronto.

Non mi viene da piangere se ci penso, perché mi dico che è il processo a cui devo essere sottoposta per potermi davvero definire adulta. Non posso piangere perché tra poco più di un mese è il mio compleanno e sono più grande, e i grandi non bagnano i pigiami di lacrime.

Ho quasi diciannove anni e sono in una delle città più grandi al mondo seduta sul divano, con uno scatolone pieno di addobbi natalizi di fronte alla camera del mio migliore amico e coinquilino che non c’è perché è fuori a crearsi il futuro—Buon giorno, New York! Mi dà il consueto saluto con le notizie del giorno e il rumore del citofono mi fa sobbalzare.

“Sì?”

Posta

Riconosco la voce del postino e questo basta per farmi scrollare di dosso la sensazione di nostalgia che mi ha posseduta.

È tutto un flusso di cose che faccio senza quasi rendermene conto: mi lego i capelli in una coda, prendo le chiavi e scendo giù a vedere la posta, urtando con una gomitata piuttosto violenta anche un signore entrato dal portone…

“Non ti si può fare neanche una sorpresa” dice la voce alle mie spalle.

Spalanco gli occhi e anche la bocca che vado a coprire con una mano.

“O mio dio”

Il cuore martella più forte quando ride e dice “Fino a un po’ di tempo fa preferivi Sirius…”

Lo afferro dalla sciarpa e lo avvicino a me, stringendolo in un abbraccio che spero non abbia mai fine.


ho lottato fino all'ultimo per vedere se inserire o meno sirius ahhahahahh ma la fangirl che è in me ha avuto la meglio, anche perchè sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo che poteva terminare soltanto con un cuore come lui!!! (voi non avete idea di come io lo immagini per via di tutti gli headcanon che ci sono su tumblr. you just don't get it) anche perchè credo di avervi fatto abbassare la guardia - sirius doesn't live here anymore, lily che riesce ad essere via via più sicura anche se sola, sirius che non è tornato per il ringraziamento etc :) - con i capitoli precedenti! insomma, alla fine doveva tornare perchè è natale e al college, fino a prova contraria, ci sono le vacanze natalizie! ho avuto un paio di problemi dovuti al fatto che pensavo a termini in inglese e non riuscivo a tradurli in italiano al meglio, tipo cheeky e un paio che ora mi sfuggono (typical). amos è un bravo ragazzo e infatti sta mandando avanti questo suo rapporto con dorcas, ma più avanti avremo modo di riaverlo fisicamente e potrete adorarlo come lo adoro io. che dire...
i flashback!! ne prevedevo uno sirius/lily importante, stile prima guida/prom/cavolate varie ma invece la pioggia mi ha ispirata e ho scritto di questi ricordi della stessa giornata! ditemi se vi piacciono e se non sono confusionari, perchè ne avrei in mente altri... :)
poi i tre manici di scopa: come ho detto ad alcuni dei lettori, sto traslando eventi e dati di hp nel mondo normale, senza magia! un esempio è stato remus nel capitolo precedente che nei libri è un lupo mannaro e qui ha un problema (sapremo di lui più avanti) e il nome del bar/caffetteria/ristorante che è stato ispirato da una catena di locali nel regno unito (si chiamano the breakfast club) e prende il nome da un gioco di parole: i tre manici di scopa, nella versione originale, per chi non lo sapesse, si traduce con three broomsticks mentre qui lo troviamo come three breadsticks (tre grissini, ossia in italiano fa abbastanza schifo ahahha)
fabian e gideon prewett, i fratelli di molly weasley, li immagino come eddie redmayne !!
un'ultima cosa!! vi invito a passare dalla mia long jily ambientata ad hogwarts (ho scritto mille parole del nuovo capitolo fino ad ora) e dirmi cosa ne pensate! eccola qui, si chiama Hooked on a feeling
grazie mille per tutto, a chi recensisce o legge soltanto! sono stra curiosa di sapere i vostri pareri circa questo capitolo!! un bacio

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fede

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Capitolo 5
*** My best friend’s roommate ***


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Too late honey
This ice breaking
Words out on the street
Too late baby
The fate is saying
He's a real player
But he's gonna come home to me
 

Too Late, The Atomics

5. My best friend’s roommate

Quando ti svegli perché senti un vago rumore di tazze e non hai ancora realizzato che hai di nuovo un coinquilino, di solito torni a dormire per la felice, tiepida realizzazione, ma se sei Lily Evans e chi armeggia con la porcellana a pochi metri da te è Sirius Black, allora decidi di metterti ritta sul letto, attenta. Soprattutto perché sei certa che abbia sibilato qualche insulto impronunciabile e in grado di far arrossire persino i gatti, se capissero gli umani.

Non che abbia mai avuto un gatto, comunque.

E questa precisa ragione spinge il mio corpo ad alzarsi con lentezza estenuante, il mio cervello a far sì che indossi le pantofole e mi ricopra con il plaid sul mio letto. La sveglia rumorosa alle mie spalle – mentre mi allontano con una celerità in grado di far ridere le più oziose tartarughe – mi ricorda che alle nove devo essere per la mia giornata di prova al Three Breadsticks, armata di buona volontà e speranza. Questa soprattutto.

Scelgo con cura le parole da usare quando noto che la cucina puzza di caffè bruciato e una tazza, nel lavello, pare esser rotta: Sirius è ancora di spalle e non sembra percepire in alcun modo la mia presenza, coperto da una semplice camicia alzata sino agli avambracci, i capelli spettinati, più lunghi di quanto li ricordassi.

Sono davvero indecisa se buttarla sul ridere perché è appena tornato e non è rientrato su quella carreggiata che è la sua routine con me, ma mi oriento in senso fortemente bellicoso quando scorgo, con una rapida e indolore occhiata, un cellulare sul bordo del bancone, in chiamata e vivavoce.

“Merda, ho dimenticato dove sia lo zucchero”

Una risata calda ed odiosa gli risponde vagamente alterata per via della telefonata, ed io mi faccio indietro di qualche passo senza neanche accorgermene. Il mio coinquilino si passa una mano fra i capelli per poi incrociare le braccia al petto, il tutto meticolosamente in silenzio. Come se non fosse mai tornato.

“Io mi preoccuperei per la tua cucina” – fa scrupolosa la voce maschile – “Voglio dire, non vivi con qualcuno? Non pensi sia diritto di ogni persona dover usufruire delle proprie ore di sonno?”

Qualcuno. Sirius vive solo con qualcuno.

Un altro impercettibile passo verso la mia stanza.

Black non riesce a trattenere una risata a metà fra l’isterico ed il latrato. “Se Lily è ancora la ragazza che ho conosciuto anni fa, allora sta’ certo che sta dormendo. Soltanto un uragano potrebbe svegliarla, amico. Ho dovuto letteralmente farla rotolare giù dal letto per far sì che arrivasse puntuale alla cerimonia del diploma”

Nell’istante esatto in cui sto per tradire la mia non-presenza – perché non è esattamente quello che è successo, vorrei correggerlo - la voce maschile tossisce per poi pronunciare in modo del tutto insolente il mio nome: “…Lily?”

“Merda. Merda—non dovevi saperlo”

“Lily

“James, dimenticati quello che ho detto. Potrebbe essere un soprannome. Un nome per confonderti. Potrei parlare di Remus”

Mi maledico perché conosco quel ragazzo in piedi di fronte al piccolo lavello della piccola cucina da tanti, lunghissimi anni e sono in grado di capire che sia veramente pentito e agitato per il solo aver pronunciato il mio nome. Quattro sciocche lettere. Storco il naso alle altre parole che rivolge a James, a James che cambia argomento e all’argomento che, apparentemente, diviene un certo Remus.

Non ho idea di chi stiano parlando—a dire il vero non so neanche con chi il mio amico stia parlando, se quel mio coinquilino sia dispiaciuto dall’essere tornato a casa e se sia sempre lui. Sempre lo stesso, sempre quello che ho avuto al mio fianco.

So solo che non mi importa della tazza rotta, né della puzza di caffè bruciato. Realizzo che voglio prepararmi per andare a lavorare. Solo questo.

Una piccola, minuscola parte di me, mentre Sirius afferra il cellulare togliendo il vivavoce, formula una riflessione dolorosa e vagamente ingiusta: preferivo quest’ambiente vivo solo della mia essenza, preferivo le scatole chiuse di fronte alla sua stanza, il solo odore del cornetto di Dorcas, la sola voce di Buon giorno, New York! a riecheggiare fra queste mura.

Richiudo la porta alle mie spalle, osservo le lancette farsi sempre più insistenti con il loro ticchettio ed apro l’armadio, alla ricerca degli abiti da indossare.

Preferivo la sua assenza.

 

Cappotto in lana color verde acqua, crop top nero, mom jeans e audacia sono gli indumenti che premono sulla mia pelle nivea nel tragitto che va dalla mia stanza al quasi futuro luogo di lavoro: ciò che non avevo calcolato, tuttavia, sta proprio negli ostacoli a forma di persone-care che incontro nel mezzo, ossia Sirius Black con le dita che passano sul bordo del bicchiere fra le mani dinoccolate.

Alza lo sguardo non appena metto piede fuori dalla mia camera, uno sprazzo di sorriso ad ammorbidirgli quella striscia sottile data dalle sue labbra. Ma tutto questo dura poco più di un attimo, bruscamente interrotto dal cipiglio interrogativo che fa capolino fra i suoi lineamenti; una rapace occhiata ai miei abiti – un frammento di me si chiede se non si aspettasse un pigiama enorme ed un plaid addosso – e le labbra si schiudono in un battibaleno.

“Dove—dove stai andando?”

Scrollo le spalle, non mantenendo un contatto visivo. Invece, ciò che cattura la mia attenzione è il mobiletto basso frapposto tra divano e poltrone, sul quale è poggiato un piattino con delle chiavi.

“Un colloquio di lavoro”

Non ho bisogno di voltarmi a guardarlo per capire che sia sorpreso: il suo successivo silenzio, vagamente interrotto dal suo ticchettare le unghie contro il bicchiere, mi lascia immaginare mentalmente la sua reazione.

Le afferro.

“Non me l’hai detto”

Orgoglio personale prima della felicità altrui: Sirius Black, signori e signore. Non rispondo sino a che con un paio di falcate ho raggiunto la porta dell’abitazione; con una mano sulla maniglia, sono certa che i miei occhi verdi si tingano di grigio: “Troppo impegnato a parlare con James?”

Generalmente, non mi reputo drammatica, fatalista o che dir si voglia—mi piace pensare di aver ereditato questo lato dal re del dramma per eccellenza, e trovo anche piuttosto ironico il fatto che questo aspetto di me venga a galla solo quando si tratta di Sirius. Adesso, tanto per dirne una, si tratta di lui. C’è una possibilità del quarantacinque per cento che nel giro di dieci minuti mi penta di quanto detto trenta secondi fa, ma ora sono convinta del fatto che lui mi abbia ferito – davvero, Sirius? Non parlare ai tuoi amici della tua coinquilina? Non voler far sapere della mia sola esistenza? – e nulla potrebbe alleviare questo dolore se non il semplice ricambiare, il classico rispondere con altro dolore.

“…Lily

Infilo con lenta e pacata discrezione le chiavi nella mia borsa, facendole tintinnare contro qualche cerniera o oggetto metallico che vi è all’interno. È esattamente in quel momento che lascio trapelare nel mio sguardo, nella mia espressione un po’ di quel dolore che ha influenzato il mio tono di voce. Non vorrei farlo – mi dico sempre che sono orgogliosa, ferma sulle mie posizioni, capace di ostentare sentimenti che non provo – ma vorrei solo avere indietro il mio migliore amico. O vorrei essere stata capace di andare avanti come lui ha fatto. Vorrei essere dotata di questa magica, fatale capacità di potermi scrollare di dosso il mio passato, la mia famiglia, la mia Petunia, ma la verità è che ho ancora soltanto diciotto anni. E sono incapace, ingestibile.

Lascio che sia lui a chiudere la porta.

 

“Quindi” – ricapitola la voce armoniosa di Fabian, il grembiule appena stretto in vita e verde scuro, in totale contrasto con la maglia bianca ed i jeans neri che indossa – “Il bancone non è altro che il tuo punto di riferimento: prendi le ordinazioni dei tavoli dispari, se sono tutti pieni, e le dai a chi è ha il proprio turno qui dietro, dove mi trovo io in questo preciso istante”

Annuisco e fisso il mio sguardo sull’ambiente stranamente familiare e accogliente del Three Breadsticks. Noto con la coda dell’occhio due foto incorniciate e appese alla parete, fra le mensole piene di bottiglie e cimeli che, grazie alle lampadine a led diffuse in ogni angolo del locale, creano piacevoli giochi di luce. Una delle due ritrae quello che credo sia il team al completo: lo immagino per via di Fabian e Gideon, posizionati centralmente rispetto alle altre cinque, sei persone indossanti tutti lo stesso completo. Armati tutti di sorrisi smaglianti e sinceri, percepisco una certa ed insistente ansia vorticare nel mio stomaco, come se volesse mettermi in guardia. Come se, paradossalmente, volesse mostrarmi un frammento di ciò che potrei essere, un frammento di un ambiente in cui potrei incastrarmi alla perfezione. Sirius, il bastardo, l’avrebbe chiamata ansia da prestazione.

“Puoi dedicarti alle ordinazioni più facili se hai tempo e se riesci” – percepisco quasi il suo tono di sfida nel sorrisetto accennato che curva le sue labbra sottili – “I prodotti fondamentali li abbiamo qui, negli scomparti perfettamente ordinati grazie a mio fratello”

La seconda foto, realizzo mentre inclino di poco il volto che ricambia il sorriso di Fabian, ha come soggetti due signori piuttosto giovani, anche piuttosto simili. Uno ha l’espressione felice e compiaciuta sul proprio volto, emblema della realizzazione, emblema di una certezza che si è ottenuta e non si perderà più. L’altro passa semplicemente il braccio attorno alle spalle del suo familiare, immagino. Un’impellente curiosità quasi mi spinge a fermare il discorso giusto e sensato di Fabian per rispondere a questa sciocca, imprudente domanda. Chi sono quei due signori?

“Verso le undici arriverà mio fratello, e nel corso del pomeriggio – non ricordo se dopo la pausa pranzo – ci delizierà della sua presenza quell’adorabile ragazza che è Lucinda McLaggen”

“Come, prego?” inarco le sopracciglia al solo sentir quel nome impronunciabile, allora lui scrolla le spalle, scocciato e spiega con riluttanza: “E’ una delle prime ragazze che hanno lavorato per questo posto. E’ assurdo pensare come faccia a non perdere il posto, è scorbutica ed eccentrica e piace solo ad A—”

Lo scampanellio proveniente dalla porta annuncia la presenza di un altro essere vivente nel locale. Fabian prende un respiro profondo e mormora, più a sé stesso che ad altri: “Anche questa giornata ha inizio”

 

Al contrario di quanto si possa pensare, è Dorcas la mia prima cliente. Ha i capelli legati in un’alta coda di cavallo, un filo di trucco sul viso magro e stanco e indossa il cappotto meno adatto alla stagione che io abbia mai visto. Si guarda lo smalto rovinato, incrocia le gambe sullo sgabello dove siede e arriccia le labbra quando le dico che no, non puoi ordinare un alcolico prima delle dodici, al che lei ordina un caffè doppio e tenta anche di flirtare in modo blando con Gideon, nella speranza che glielo corregga. I gemelli potrebbero anche sembrare infinitamente disinibiti e malandrini, ma – e sì, lo sono anche – non cedono.

“La convinzione che hai” – fa Dorcas, ticchettando le dita contro il ripiano in legno – “che tutto possa sempre andare per il verso storto…”

“E’ una legge di Murphy, in realtà”

Mi ignora. “Non sai quanto mi costi dirlo – soprattutto di prima mattina dopo una mezza giornata lavorativa schifosa, soprattutto dato il mio orgoglio: ma hai ragione. Voglio dire,” ride istericamente, “guarda me”

“Tutto bene con Amos? Mi avevi detto che avreste dovuto uscire assieme”

“Paradossalmente, Lilykins, non è lui il mio problema”

“Non chiamarmi Lilykins” replico, una punta di disperazione nella mia voce, “Neanche fossi un’ubriaca marcia alle sette di mattina prima dell’unico colloquio di lavoro che ha ottenuto negli ultimi mesi”

Si blocca per pochi istanti, l’arco di tempo necessario a trangugiare il suo caffè doppio. “…hai reso l’idea”

“Lily, due cappuccini ed un Earl Grey”

“Subito”

Dorcas osserva Fabian andar via dal bancone, ma è un attimo ed il suo sguardo carico di tristezza fa ritorno sul mio esile corpo. Mi vede lavorare ed allora esala un profondo respiro, si stropiccia gli occhi e torna a parlare. “Non ho nulla contro Amos, davvero. Riusciamo a vederci spesso e anche se non ne abbiamo ancora parlato – voglio dire, soprattutto dopo ieri sera - ci comportiamo come una coppia e anche se questo, fino a poco tempo fa, mi avrebbe terrorizzata, mi va bene. Non sta facendo il principe azzurro—romantico fino al disgusto e sentimentale come una zitella- ma ridiamo, mi offre birre e, come ti ho già annunciato, abbiamo copulato”

“Non l’hai detto davvero”

“Dovresti andar fiera del mio lessico spregiudicatamente aulico che sto utilizzando in questa situazione drammatica”

“E non me l’hai annunciato!”

“Sì, invece! Ho chiaramente detto soprattutto dopo ieri sera

Fabian fa capolino al mio fianco, un vassoio vuoto sul palmo della mano sinistra. Ritira il mio lavoro con un mezzo sorriso sulle labbra e con la mano destra mi dà piccole pacche sulla spalla.

Dorcas abbassa il tono di voce: “Il problema non è Amos. Il Problema è Benjamin”

“Come, scusa?”

“Questa mattina ci ha, ehm, visti ed ha reagito in maniera eccessiva. So che avrei dovuto avvisarlo, ma, in mia discolpa, avrebbe potuto accorgersene. Insomma, non credo di essere stata particolarmente silenziosa di notte, e comunque non abbiamo mai fissato delle vere e proprie regole su chi invitiamo per un pigiama party poco innocente”

“Oh santo cielo”

“Ed è probabilmente per questo che si è infuriato! Voglio dire, probabilmente dovrei organizzargli un appuntamento al buio con qualcuno! O trovare qualcuno che possa farlo rilassare! Non voglio neanche immaginare da quanto non vada a letto con qualcuno, dio. Persino tu saresti una candidata proponibile per questi affari: conosci Benjy, no? Che ne dici di allontanarti dalla pressante routine di solitudine aiutando un am-”

Dorcas!”

“Hai ragione, probabilmente non avreste molta sintonia a letto—fatto sta che Frank ed Alice stasera passano a prenderci per un’uscita, però Benjy ed io non abbiamo ancora parlato ed è capace di addormentarsi sul divano o—non lo so! Sul mio letto, così da dare inizio ad una stupida lite… è così cocciuto, sai? Mi ricorda un sacco te, sotto alcuni aspetti”

Si passa una mano nella coda, corrugando le sopracciglia in modo da farla apparire terribilmente a disagio e sovrappensiero, ma poi si guarda attorno, lasciando che il locale a metà fra l’indie e l’hipster che trovo immancabilmente accogliente ci avvolga e culli con la sua atmosfera rilassante.

Deve calmarsi, perché noto come i suoi respiri si fanno regolari e le labbra più distese, meno afflitte da quella confusione che lei e Benjy creano con la loro perenne incomprensione. Anzi, non è che non si capiscano: è che lo fanno così bene, così spesso da, la maggior parte delle volte, sorvolare su principi base dell’amicizia e convivenza. Un giorno, mentre Dorcas mi raccontava di una conversazione fra lei ed il suo migliore amico, non ha mancato di specificare che lei era nella doccia, lui seduto sul wc, il pc sulle gambe e solo una tenda di plastica che dovevano sostituire al più presto interposta fra loro.

“A volte mi sembra che non parliate davvero: litigate e basta, trovate un accordo tacitamente mentre vi ignorate perché nessuno fra voi ha compiuto il primo passo verso una tregua. Trascinalo con voi quattro, oggi. E poi rimani a casa solo con lui. Dio solo sa quanto avete bisogno di trascorrere un po’ di tempo di qualità insieme”

La sua reazione mi colpisce: nessun colpo di scena inaspettato, nessuna sciocca replica, niente se non un lieve annuire con il capo, più convinto che altro comunque, un sì risoluto e un cenno di capo verso i gemelli. “Sembrano più simpatici di quanto avessi creduto. Non credo di avertelo detto, ma mi fa piacere vederti così bene in un ambiente tanto nuovo”

 

Torno a casa attraversando le strade più rovinate del quartiere, osservando il pub sottostante la scalinata nera, spessa e vittoriana che annuncia l’ingresso verso l’appartamento che, ora come ora, occupa solo Sirius. E’ ridicolo come spesso si dispensino i migliori consigli in un momento così complicato, così bisognoso di essere districato attraverso quegli stessi consigli. Non che mi dispiaccia aver messo il broncio nelle precedenti ore, né sono convinta di aver fatto la scelta sbagliata agendo d’istinto, ma. Ammetterlo mi fa sentire una ragazzina incosciente e volubile, che cambia idea ogni tre per due, e so che questo fa tutto parte del pacchetto di ragazza quasi scappata di casa, rifugiatasi a casa del suo migliore amico e piena di insicurezze: è che Sirius, nonostante il dramma, le parole capaci di fracassarmi l’anima – non pensavo si potesse persino essere capaci di farlo – ed il suo essere maledettamente un Black, mi è mancato.

Per pochi minuti valuto se sedermi su questi gradini e attendere un segno degli dei come in The Kings of Summer, ma reputo questa possibilità alquanto remota e sciocca nel momento in cui, nella mia direzione opposta, di fronte a me, vedo Sirius Black e due buste traboccanti di cibo.

Lo vedo imprecare – lo fa sempre quando non riesce a fare qualcosa, tipo cogliere qualcuno di sorpresa – e incrocio le braccia sotto il seno, lo sguardo accusatorio che risponde a quello colto alla sprovvista del coinquilino bastardo.

“Non sapevo a che ora finissi” fa, le labbra screpolate ed i capelli scuri come la notte che cala lentamente su New York. “Quindi ho pensato—voglio dire, in realtà non è proprio una mia idea—di preparare qualcosa nel frattempo. So che tra i due è difficile capire chi abbia del talento nel cucinare… magari talento no, ma predispozione poco naturale? Inclinazione divina? Ma ci sto provando. Devi ammettere che sei incredibilmente testarda, più sentimentale di una soap opera e…” adesso scoppia a ridere, le buste che per poco gli sfuggono di mano.

“Cosa c’è di divertente?”

Scuote il capo, avviandosi con cautela e lentezza verso le scale.

“E’ che se tu sapessi…”

Afferro, con una scontrosità maggiore di quanto volessi far trapelare, una delle due buste, facendolo sorridere come un accusato appena scarcerato e capace di respirare, per la prima volta dopo tempo, aria fresca e satura di libertà.

“Vorrei poter iniziare dall’inizio”

“Hai un’ora di tempo”

“Perfetto”

Si toglie il cappotto dopo che poggiamo le buste sul bancone in cucina, si passa una mano fra i capelli e mormora, scomposto e con la voce bassa e roca: “Che l’ora abbia inizio”

Rimango a sentirlo anche quando si blocca per trovare un coltello, un cerotto – perché, obiettivamente, in questo campo facciamo entrambi molta pena e un taglio è la minore lesione che possiamo causare – ed è sul punto di scoppiare in lacrime di fronte ad una cipolla.

(A mio avviso, rimane un buffone di prima categoria)

“Ho conosciuto i miei coinquilini durante il primo giorno al campus, senza che me ne accorgessi: ho gettato del caffè bollente su Peter, condiviso una fiaschetta di scotch con Remus e dato un pugno a James. James, beh—è un bastardo. Un grande bastardo. Con la sua inclinazione verso l’avere successo con il suo apparente inesistente sforzo, l’abilità di far cadere ogni professore ai suoi piedi sorridendo e mostrandosi genuinamente interessato a piccoli, futili dettagli da loro amati. La verità è che non è un arrogante bastardo di merda—scusa il francesismo, Lils, sono da troppo abituato ad essere circondato da maschi alfa e beta e gamma che mi fanno perdere la testa. Non in quel senso, non guardarmi così. Allora. Dicevo”

“James è un arrogante e bastardo di merda, grazie tante”

“Sì, quindi. Non è affatto così. E’ solo sveglio, un po’ egocentrico, fallimentare con le ragazze seppure ne abbia persino viste un paio con lui e leale. Ha un senso dell’umorismo pessimo ma capace di far ridere Remus, è un bastardo amato dalla famiglia, lievemente viziato dai genitori ed è un amico grandioso. Dov’è il sale?”

“Non ne ho mai avuto bisogno, Benjy mi ha sempre prestato il suo. Sai che mi piacciono le cose dolci”

“Cristo, Lily, mi chiedo come tu sia sopravvissuta qui dentro”

“Sei incredibilmente simile a James, non credi? Con l’unica differenza che tu sei anche un buffone”

“Beh, non puoi esserne certa. Potter non è così male: so di averlo descritto rendendolo tanto sfigato quanto strafottente, ma è anche altro. Il punto è che ho mentito. E’ fallimentare solo con le ragazze che gli interessano e non gli danno corda, perché il bastardo è capace di ammaliare persino metà corpo studentesco e un quarto del numero dei docenti, uomini compresi. Ma non lo fa. Voglio dire, pur essendo un ragazzo, è chiaro che abbia un certo—charme, sì, ed è incredibilmente d’aiuto con le sue amiche. Ed è il genere di persona per cui impazziresti, se tu avessi un genere di persona e se tu impazzissi per i ragazzi in modo assurdo”

“Quindi secondo te io impazzisco per i ragazzi?”

“Non avrei alcun problema nei tuoi confronti se fossi diventata lesbica durante la mia assenza. Potresti persino presentarmi qualcuno”

“Sirius, sei un maiale. E per la cronaca, no, ma diventerei lesbica solo per dimostrarti che, in quel caso, avrei più successo io con le donne rispetto a te”

“Sempre maledettamente sfacciata: capito cosa intendo? Lo faresti andar fuori di testa. Ma è chiaro che, da bravo migliore amico quale sono, ho a cuore solo te, almeno in questo campo. E’ per questo che ho detto loro – a Remus, Peter e James – di vivere semplicemente con qualcuno. Sai cosa sarebbe successo se avessi rivelato il tuo nome? Il tuo aspetto fisico? Ahia, non darmi pugni. James avrebbe mosso l’intera America per conoscerti. Ecco perché stamattina sono impazzito: non solo gli ho parlato di te, Lils, ma adesso lui sa che sei una Lils. Chiamalo istinto protettivo da fratello maggiore, non lo so. Il coglione potrebbe – non lo so, non so come funzionino le relazioni, lo sai – farti innamorare, metterti incinta, sposarti. Cristo. Non lo dimostro, ma sai che… beh”

“Come, prego?”

“Non farmelo dire per farmi suonare come un perdente”

“Mi vuoi bene, Sirius?

“Mhm, sì”

“Non voglio una pizza con le cipolle”

“D’accordo, ma dato che è l’ora della verità, c’è un problema”

“Anche Peter e Remus andrebbero pazzi per me?”

“Remus sì, ma in un altro modo. Ti piacerebbe davvero: è la tua versione maschile. Ma non è questo il punto… è James il punto”

“Il problema, vorrai dire”

“Ecco perché non ho un major in scrittura creativa; non sono in grado di raccontare storie. Sono piuttosto certo di averti parlato di lui come un maniaco non maniaco, don Giovanni, perdente, affascinante, dai capelli spaventosamente disordinati, un po’ testardo e pieno di talento…”

“Non esattamente”

“Il punto—problema, d’accordo, problema—è che ha avuto un diverbio con i suoi. Piuttosto serio, aggiungerei. Non lo chiederei se non fosse strettamente necessario ed urgente, e so che c’è ancora un aspetto meritevolmente caritatevole in te, dal momento che sono qui a parlarti e sono ancora al tuo fianco, ma lui ha bisogno di me. James è il fratello che avrei sempre voluto, quello che Regulus non è mai stato. Io e te viviamo insieme adesso, per cui mi sembra giusto chiederti se possiamo farlo stare da noi per qualche giorno. Tra un po’ è Natale, Lils. Non hai mai voluto trascorrere il Natale senza compagnia, da piccola, ricordi? E sai cosa significa litigare con la tua famiglia. Lo sappiamo entrambi abbastanza bene, aggiungerei.  Quindi, duh…”

“Non me lo stai chiedendo davvero”

“E’ gelosia quella che scorgo nella tua bellissima voce? Sai che rimarrai sempre la mia preferita, la migliore amica più bella che io abbia mai avuto, la sorella che non ho mai voluto, la ragazza con i capelli rossi più belli di tutta l’America, i cui occhi sono incredibilmente simili a smeraldi costosissimi?”

“Ecco perché non hai un major in scrittura creativa: fai davvero pena con le parole. Fra l’altro, l’adulazione non ti porterà da nessuna parte”

Lils. Andiamo, so che non hai interpretato una splendida crocerossina alle medie per nulla”

“Stavi sul serio sanguinando: non ho mai creduto che un naso potesse perdere così tanto sangue nel giro di quindici minuti”

“Se non ricordo male, dieci minuti. Sette al massimo, in realtà. Tutta colpa di Rosier: i destri di quel ragazzino erano assurdi. Lily, farei qualsiasi cosa per te. Fra l’altro, chissà, potresti davvero piacere a James—e James potrebbe davvero piacerti e—no, scherzavo. Giuro. Potrebbe rimanere anche pochissimo. Potrebbe risolvere tutto con la sua famiglia in mezza giornata e ci sarebbe persino la remota possibilità che tu non lo incrocerai mai. Non ti sembra grandioso?”

“No?”

“Lily, Lily, Lily. Qualcosa mi dice che ti ho convinta”

“Il tempo sta per scadere! Inforniamo le pizze?”

Sbuffa sonoramente, andando a sciacquarsi le mani. Pochi minuti dopo, è al mio fianco ad aiutarmi ad infornare queste cose che, generalmente, abbiamo definito, durante il corso della preparazione, pizze.

Quando le sforniamo più bruciate di quanto ci piacerebbe ammettere, conveniamo che mangiarle sul divano sia la scelta più azzeccata della giornata.

Non penso a Buon giorno, New York! che mi – anzi, ci – aspetta domattina, semplicemente perché prospettare una mattinata, una diversa giornata con Sirius al mio fianco non è il mio proposito. Vivo nel presente, decidendo di rubargli un po’ di cibo ed un sorso dalla sua birra al limone, ovviamente imbevibile.

Non mi piace sapere di essermi sbagliata, sapere che ci sia qualcuno di così arrogante e spocchioso come James al mondo, capace di rubarmi il migliore amico mentre sono a casa. Non mi piace sapere che sono sempre ed irrimediabilmente così accondiscendente quando si tratta di Sirius, quando si tratta del Natale, della famiglia, di aiutare qualcuno così disperatamente bisognoso di una mano, per quanto si tratti di James Potter.

Però, con la tv accesa, addormentati sullo scomodissimo divano, mi dico che va bene così, almeno per ora.

 


 Bonsoir!

Non c’è scusa che tenga e lo so (forse the raven cycle, star wars, the secret history, lo studio, lucky blue smith)—intanto buon natale e buon 2016 a tutti! Sono felice di aver trovato la voglia e l’ispirazione di continuare questa storia a me a cuore—voglio dire, deve accadere ancora così tanto!! Mi andrebbe di spoilerarvi mucho, ma non lo faccio perché quello che ho progettato e prospettato con maniacale cura, tipica di una tipa come me, dovrebbe accadere nel prossimo capitolo o nel successivo ancora. Non ho ancora deciso:)

Piuttosto, vi rivelo il nome del chapter six: the inglorious intruder.

C’è sirius e c’è lily e c’è james, anche se indirettamente, ci sono le storyline dei miei amati personaggi secondari – Benjy, Amos e Dorcas, Fabian e Gideon, importantissimi per l’esito della storia – e spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!

So che non è esattamente un lungo capitolo, so che non è il migliore che io abbia mai scritto, so che ha ancora la struttura e l’impalcatura un po’ cliché e mi spiace, ma ora stiamo entrando nella storia vera e propria!

Comunque sia, spero che il capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative, specialmente dopo tanto tempo.

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui e a chi ha il tempo e la voglia di lasciarmi recensione: grazie davvero!!

Un bacio e spero a presto! :-)

Potete trovarmi tanto su twitter quanto su tumblr e ask!

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Capitolo 6
*** The inglorious intruder ***


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6. The inglorious intruder

Come sfoglio l’ultima, inesorabilmente sconfortante pagina del libro, esalo un respiro che non mi ero neanche resa conto di aver trattenuto. Il sole fa capolino rispetto all’alto palazzo che non permette, a questa altezza, di avere una completa e mozzafiato visuale del sole che sorge, al che, sulla terrazza dell’appartamento di Sirius, posso scorgere soltanto gli istanti meno giovanili della stella attorno a cui ruotiamo.

Il vento che spira nella direzione opposta alla mia impiega pochi attimi per farmi raggelare – e nemmeno il maglione così grande e spesso riesce ad innescare quel processo di autoconservazione secondo cui il mio corpo rimane comunque più caldo dell’ambiente a me circostante. Impiego un minuto – o forse due, non riesco ad avere un totale controllo su di me quando si tratta del tempo che spreco ad osservare gli infiniti dettagli della vita che scorre decisa attorno a me – prima di prendere un respiro profondo, aria fresca e newyorkese e mattutina, pregna di effimera speranza che caratterizza il genere umano, consapevole che la giornata è sulla giusta carreggiata verso la routine quotidiana che non stanca mai. Soprattutto se si considerano le costanti, le variabili, le infinite possibilità che una x nell’equazione può permettere.

Mentre scendo gli scalini in ferro e produco quel rumore metallico fastidiosamente piacevole, noto, nonostante lo splendido dispiacere della finestra, perennemente ostile nei confronti di chi cerca disperatamente di ignorarla e veder oltre, che Sirius è ancora a letto, essendo la cucina ancora integra ed il soggiorno ancora intatto.

Fiondarsi nella sua stanza, armata di cuscino in caso debba ricorrere all’autodifesa, non è il modo migliore per dare avvio ad una giornata, secondo il parere di Sirius, adesso sveglio, mugolante, possessore di un’espressione a dir poco dolorante.

Buffone.

“Lily” – esordisce, la voce ovattata dal fastidio e dal sonno – “Vai via”

“Tra un po’ dovrei essere a lavoro – ti ho ripetuto almeno dieci volte che mi hanno presa – e sai quanto odi fare colazione da sola. Dorcas oggi dormirà fino a tardi perché è la sua giornata libera, per questo non mi aspetto la sua colazione, quindi… sai che la mia ultima scelta sarai sempre e solo tu”

“Che gentile” mugola, le labbra storte e le mani che vanno poi a coprire il viso. Ed ecco un’altra cuscinata che lo colpisce, inaspettata.

“Sirius, andiamo”

“Ho visto abbastanza volte Frozen per realizzare che tu non sei Anna, Lils. Sei Hans delle isole del sud”

“O mio Dio” – faccio, la testa improvvisamente leggera per il ritorno di quel ricordo – “Te lo ricordi!”

“E’ un insulto” replica in un sussurro, gli occhi grigi che si abituano alla luce della stanza.

“Se fra cinque minuti non ti vedo in cucina, non sarà solo James il povero senzatetto nel periodo natalizio…”

Un fruscio, il rumore delle lenzuola che si spostano per fare spazio al suo corpo scoperto, il busto ritto e pronto a muoversi.

“Buffone”

Si schiarisce la voce, “Preferisce i prequel di Star Wars alla classica trilogia, ma ti assicuro che è un bravo ragazzo. Sa anche cucinare”

Piccola pausa. Il bastardo sa cosa sto per chiedergli, a giudicare dalla stanca espressione compiaciuta.

“Quanto li preferisce?”

“Abbastanza da suonare insopportabile” ammette, il sorriso che non va via dalle labbra, “Ma—ti ho già detto che sa cucinare? La settimana scorsa ha fatto dei muffin. Muffin, Lils—esattamente come quelli che si vendono”

“Che ne dici di prepararmi la colazione, allora? Ho fame

Sbuffa. “Niente lusinghe, duh?”

In risposta, riceve un’altra cuscinata in faccia.

 

505 degli Arctic Monkeys risuona nel locale, una melodia inadatta all’orario – voglio dire, è ancora relativamente presto – ma d’altronde Fabian mi aveva avvertito (“Se credi di poter scegliere la musica di sottofondo, Evans…” – aveva sorriso malandrino, prima di scuotere il capo – “Dovrai guadagnarti il nostro rispetto. Io e Gideon ci occupiamo di questo compito da molto più tempo di quanto i nostri colleghi desiderino ammettere, ma cosa ci vuoi fare? I nostri gusti musicali sono deliziosi” “Strepitosi,” aveva rincarato la dose Gideon) quindi mi lascio andare ad un lungo e silenzioso sospiro mentre decido che in fin dei conti non è così male. Potevano scegliere di peggio.

Trattenendomi dallo sbadigliare apertamente, poggio i gomiti sul bancone e osservo con discrezione ogni azione della coppia accomodatasi al tavolo tre, lui con le mani sprofondate nelle tasche del parka scuro ed il busto completamente spalmato sul divanetto in pelle che occupa; lei con un abito a motivo floreale, perfetta; è esattamente il mio opposto: i gemelli hanno appena iniziato il turno, come me, salutandomi con una mano nei capelli – facciamo nel mio cespuglio di capelli— rendendoli ispidi, come se la pioggerella che mi ha incrociata nel tragitto casa-Three Breadsticks non bastasse.

Comunque, siamo solo noi cinque: i gemelli, la coppia al tavolo tre ed io. Non male come primo, uggioso giorno di lavoro.

“Avete già scelto cosa ordinare?” sento la voce di Gideon chiedere, un sorriso gentile stampato sulle labbra ed il linguaggio del corpo analogo, che non lo tradisce. Tutto in perfetto ordine. Il ragazzo corruga i sopraccigli e si volta nella direzione del gemello, estraendo le mani dalle tasche, che vanno subito ad afferrare un tovagliolo di carta.

Mentre tento di sentire la risposta dei due, Fabian cattura la mia attenzione, fischiettando nella mia direzione.

“Tutto okay a casa?”

Percepisco la mia fronte aggrottarsi istintivamente. “Come, prego?”

Stira le labbra, rimane in silenzio per qualche frazione di secondo, come per ponderare le parole. “Ieri eri qui” – spiega con voce atona. Quando nota che la sua dichiarazione non sortisce alcun effetto su di me, prosegue – “Voglio dire, è successo mentre parlavi con la tua amica. La ragazza bionda. Ci sei sembrata delusa” ci riflette su, non incrociando il mio sguardo “scocciata”

“Forse”, ammetto, stranamente colpita dalla loro attenzione. “Il mio coinquilino – più migliore amico che coinquilino, a dire il vero – è tornato dal college per le vacanze di Natale. Apparentemente non saremo soli, quest’anno… un suo amico ha avuto problemi con la famiglia e noi lo ospiteremo. Più pudding natalizio per tutti: non vedo l’ora”

Deve rendersi conto del mio sarcasmo perché la sua risposta è data da una risata strozzata che, senza neanche pensarci troppo, scatena una mia di risata. “Non pensarci, Evans” – fa, la voce divertita e gli angoli delle labbra inclinati verso l’alto – “Pensa ai cupcakes” li indica. “Ho sentito dire che non hai neanche idea di cosa sia la farina”

“Ehi!” – ribatto, fintamente offesa – “Si dà il caso che io sappia cosa sia, grazie tante! È solo che spesso si confonde con lo zucchero…”

Sospira, un broncio che appare sul suo viso. “Grazie per avermi fatto perdere una scommessa”

“Come, prego?”

Poggia i gomiti sul bancone e mi incita ad avvicinarmi, cosa che faccio un attimo dopo. “E’ il nostro passatempo preferito: scommetto cinque dollari che quei clienti hanno appena ordinato un cappuccino ed un Earl Grey con muffin ai mirtilli”

Aggrotto la fronte. “Cinque dollari che non l’hanno fatto”

“Visto?” – esclama, la voce più alta di un’ottava – “Sei già una di noi. Adesso, io e Gid abbiamo scommesso su di te. Il saper cucinare o meno è il primo interrogativo sulla lista e beh, Evans, mi hai appena fatto perdere sette dollari”

“Aspetta un secondo… Evans? Come fai a sapere il mio cognome?”

Un sorriso malandrino fa capolino sul suo volto: “I maghi non svelano mai i propri segreti, Evans

Gideon sbadiglia ponendosi di fronte a noi, una mano che cautamente va a coprire la bocca spalancata. “Cappuccino, Earl Grey, muffin ai mirtilli” – fa, la voce atona, le palpebre che lottano per chiudersi – “Come ogni newyorkese di prima mattina”

“Non l’avrei mai detto” Se non conoscessi Fabian, direi che dietro queste parole si cela un sottile e pungente sarcasmo, ma. Sgrano gli occhi una frazione di secondo dopo, quando Fabian sta già sorridendo e mi ha dedicato un occhiolino.

“Lo sapevi!”

Alla mia esclamazione, il suo sorriso si allarga. “Non abbiamo mai avuto regole, per cui…”

“…per cui scommetti sapendo già di vincere”

“E’ il prezzo da pagare per essere la nuova ragazza. E per avermi fatto perdere sette dollari, ma questo già lo sai, no?”

Gideon sembra appena risvegliarsi, nell’esatto istante in cui Fabian si mette a lavoro per preparare la colazione della coppietta. “Cosa?  Quale delle scommesse hai perso?”

Fabian sospira appena, replicando con un vago: “Non sa cucinare”

 Il gemello assonnato, in risposta, ghigna. “Sono in debito con te, Evans”

Dopo questa – ma soprattutto dopo aver alzato gli occhi al cielo lasciato impossessare un sorriso si impossessi delle mie labbra screpolate - passo a pulire il bancone sulla destra, bloccandomi tuttavia qualche istante dopo. Sono sicura che la mia espressione facciale sia un curioso cipiglio di fronte a quella che mi sembra essere la fotografia più distratta e caotica che abbia mai visto. È chiaro che si tratta dei lavoratori del Three Breadsticks – ci sono Fabian, Gideon ed un ammasso di persone di età differente e totalmente, incondizionatamente diverse fisicamente. Come avevo già capito in precedenza, qui ci sono tante foto e qui, soprattutto, c’è un clima comparabile a quello di una grande famiglia affiatata. Eppure—c’è qualcosa che disturba, in questa foto. In maniera positiva, chiaramente.

“Ah” – esordisce Gideon, il tono di chi ha tutte le risposte – “La nostra troupe. Avrai tempo per conoscerla, sta’ tranquilla”

“Sono tutte brave persone” – continua Fabian, indaffarato con le bevande – “Il proprietario più di tutti”

Non faccio altro che annuire lentamente, le fronte non più corrugata.

 

“Lils, luce dei miei occhi, la mela alla mia crostata, lo zucchero al mio caffè…”

“Sirius Orion Black, cosa hai combinato?”

Sento la sua voce tentennare in sottofondo, l’insicurezza che si fa metallica ed i miei passi verso casa più veloci. Avevo finito il turno quando Lucinda McLaggen era entratata nel Three Breadsticks, il naso rosso e gli occhi simili a due fessure. Si era tolta la giacca in un batter d’occhio e aveva tentato per poche decine di secondi di trovare, attorno a lei, il suo grembiule. O meglio: il grembiule del terzo impiegato. Quando non c’era riuscita, notando con poca grazia che lo stavo indossando io, aveva sbuffato, urlato “Prewett!” all’aria, incurante della pacifica e tranquilla atmosfera del locale e Fabian le si era messo di fronte, visibilmente scocciato. “Perché” – aveva sibilato, la voce tagliente e sprezzante – “Lei sta indossando il mio grembiule?”

A corto di parole, non ero riuscita a risponderle a tono—a risponderle in primo luogo, anzi. “Si dà il caso che lei lavori qui, Lux” – Fabian aveva alzato i sopraccigli in modo divertito – “Direttive dall’alto, se sai cosa intendo”

“Sta’ zitto. Zitto. Tu” si era poi rivolta a me, gli occhi azzurri e limpidi così chiaramente infuriati. “Turno finito, non trovi? E’ mezzogiorno passato”

C’è da dire che in meno di trenta secondi mi aveva innervosito e mi aveva condotta senza troppi giri di parole sulla via errata che, nel giro di pochi minuti, mi avrebbe resa una quasi diciannovenne incazzata. E a giudicare dalle liti con Sirius e Petunia – Petunia più di tutti – una lite con Lily Evans, stereotipo della ragazza dalla chioma rossa infallibile e irascibile, non avrei reagito con la cautela e gentilezza che mi contraddistinguono nel novanta percento dei casi rimanenti.

“Ci vediamo domani, Fabian? Stessa ora, giusto?”

“Esattamente, Evans” Ignorando Lucinda, salutando con un gesto rapido della mano Gideon, ero uscita. E sulla strada di casa, Sirius Black chiama. Lily Evans non fa altro che rispondere.

“Ricordi la nostra conversazione di ieri, giusto? James Potter, no?” – annuisco impercettibilmente, sulle labbra una mezza smorfia. Anche se non può osservare la mia reazione, prosegue – “Beh, dobbiamo festeggiare! A casa c’è un nuovo arrivato!”

“Non so se ringraziarti perché stai tentando invano di prepararmi psicologicamente all’arrivo del tuo amico chiaramente psicolabile o iniziare da adesso ad urlarti contro perché non sono ancora convinta che questa faccenda possa avere un seguito-”
Mi blocca. “Lils”

Prendo un respiro profondo, “Lo so. McLaggen mi ha fatto innervosire. Ho fame. Non ti sopporto. Una serie di fattori mi rende particolarmente insopportabile adesso”

Passano pochi istanti prima che senta la sua risposta piena d’affetto, “Neanche io ti sopporto, Evans”, ma il rumore di sottofondo che noto, incredibilmente simile ad una risata, mi porta a chiedergli: “Sono in vivavoce, vero?”

“Sempre perspicace” replica con nonchalance, “Sei un coglione” mormora un’altra voce, maschile e imbarazzata. “Sempre perspicace” ripete, con tono più alto.

Roteo gli occhi al cielo. “Sono vicina alla metro. Cinque minuti e sono da te”

“Da noi”

“Ti odio”

 

L’Upper West Side si mostra trionfante all’uscita della metropolitana, il poco sole che c’è filtra dalle nuvole grigie e probabilmente cariche di pioggia. Come previsto, il vento spira ed è anche freddo, abbastanza da farmi raggelare e rimproverare mentalmente perché non ho indossato la giacca più pesante, questa mattina. Mentre procedo verso l’appartamento, ed in particolare mentre sto per salire quei quattro gradoni in pietra scura che fanno da preambolo al portone anch’esso scuro del palazzo, un miagolio mi blocca.

Letteralmente. Mi volto di poco, capo inclinato e occhi socchiusi a osservare quella meraviglia di gatto – gattino, piccolo e grigio, pieno di striature più chiare e dagli occhi nocciola, grandi e desiderosi d’amore – quest’ultimo mi fissa attentamente, continuando quella conversazione che non mi ero neanche accorta stessimo avendo.

Miagola per una seconda volta, più convinto e più insistente, mentre con lo sguardo non mi lascia andare. Vorrei girarmi, ma. La sua coda si agita poco, lunga e sottile e graziosamente elegante, e, notando il mio interesse – bugia, rettifico. La mia attenzione dovuta al suo fascino – nei suoi confronti si fa avanti di due soli passi, dando sfogo al terzo miagolio persuadente della giornata.

“Non guardarmi così”

I gatti non possono sorridere, giusto? Non possono sorridere come se fossero dio sceso in terra e avessero il coltello dalla parte del manico, no? In risposta, si fa daccapo più vicino e alza il capo quanto basta per continuare a scrutarmi, interessato.

“Sirius mi ammazzerà”

Apro il portone lasciando che il gattino-dai-nuovi-padroni entri per primo.

Busso alla porta marrone con la linda indicazione 6B su di essa, prima di afferrare tra le braccia gattino-dai-nuovi-padroni. A dispetto di quanto sperassi, è il nuovo coinquilino ad aprirmi. Non il gatto, chiaramente. James. James bastardo Potter. James ti-rubo-l’amico Potter. James sono-più-bello-di-quanto-sperassi Potter. Ci fissiamo per un attimo, il tempo necessario per notare che i suoi occhi sono della stessa sfumatura di quelli del gattino fra le mie braccia.

“Ciao”

C’è una nota di je ne sais quoi nel modo in cui lo dice, una mano ferma sulla porta e l’altra sul maglione rosso che indossa, due dita che vanno ad allargare il collo bordeaux come se ce ne fosse bisogno. Mi convinco ad alzare lo sguardo, per un attimo distratto, e dopo aver morso l’interno della guancia, con un decisamente rumoroso “Ciao” ricambio il saluto.

Gattino miagola, come se anche lui si sentisse in dovere di presentarsi. Gatto educato. Già mi piace—

Ciao” James ripete, questa volta con un angolo delle labbra inclinato verso l’alto e la voce calda, le dita che solleticano il capo del micio. Quest’ultimo risponde chiudendo gli occhi e abbandonandosi alle coccole. Per una frazione di secondo, penso che Gattino mi abbia delusa.

“E’ tuo?” domanda allora, le labbra schiuse e gli occhi puntati su di me, luminosi.

“No—voglio dire, sì. Mi ha convinto a prenderlo”

“Chi?”

“Il gatto. Sa essere abbastanza persuasivo” Potter alza un sopracciglio, non so se curioso o divertito. Forse entrambi. Sotto il suo sguardo attento, mi sento arrossire. “Sono gli occhi”

Le sue labbra si curvano appena, mentre fa per prendere Gattino ed io arrossisco maggiormente, convinta che mi abbia presa per una maniaca. Che non sono.

“Davvero” – ribatto allora, quando noto che si sta trattenendo dal ridere – “Guardalo

“Non lo metto in dubbio” spiega afferrandolo e, per la seconda volta, mi sembra che Gattino sorrida spensierato e vincitore.

“Sono James, comunque”

Mi porge la mano. Voglio alzare gli occhi al cielo. Lo so, idiota. Ma. Gliela sfioro comunque. Pur essendo cresciuta con Sirius sono sempre stata accogliente ed educata. Ringrazio la mia splendida famiglia per quello.

“Lily. Stanca ed affamata”

E’ il suo turno per arrossire – ma appena, un semplice rosa che gli tinge il collo – e farsi indietro, lasciandomi entrare a casa. “Scusa il disordine,” spiega, “Sirius ha apparentemente tentato di prepararsi la colazione e l’ho aiutato a, uhm”

“Spegnere il fuoco? Nascondere il cadavere?” lascio la giacca sul divano, rendendomi conto che la sua valigia è perfettamente intatta di fronte alla porta della camera di Sirius. Il che significa che James Potter non sta mentendo ed il disordine che ricopre la cucina e parte del salotto è davvero dovuto ad Orion. Che, per l’appunto, “dov’è?”

“Credo spesa. Sai, ricomprare quello che ha bruciato…” “Splendido”

“Splendido”, ripete, annuendo e puntando daccapo lo sguardo su di me.

“Io sono nella mia stanza”, spiego allora, annuendo lievemente il capo e puntando il mento nella sua direzione. Vorrei dire, non cercarmi, non disturbarmi, non farmene pentire, ma “Per qualsiasi cosa tu abbia bisogno” sono le mie effettive parole, pronunciate con una delicatezza facilmente riconducibile all’incertezza della sua figura, qui, nel mio soggiorno—come se mi avesse appena destabilizzata.

Risponde con un movimento lento del capo, accennando ad un sorriso che non fa intravedere i denti, bianchi e perfettamente allineati. 

Per una volta, vorrei che queste vacanze terminassero in un battito di ciglia.

 

Il pranzo pomeridiano più imbarazzante del secolo inizia così: io mangio da una ciotola in porcellana verde in cucina – quello spazio piccolo e insopportabile così denominato – mentre i miei coinquilini, le due persone di sesso maschile con cui condivido momentaneamente l’appartamento, siedono con tranquillità in soggiorno. O meglio, in quell’ala del soggiorno che funge da sala da pranzo, con tanto di sedie acquistate dall’IKEA e tavolo rotondo, accogliente e spazioso. È esattamente così che inizia.

Sirius fa una battuta sul mio essere meno socievole di Rick Terzo – un ragazzo che ha frequentato il nostro liceo tempo addietro, più grande di noi di qualche anno – al che James Potter tenta di non chiedere informazioni su questo tale per non farmi incazzare, a giudicare dall’occhiata che mi ha rivolto in tutto questo.

Il nostro spiacevole inconveniente, ossia il silenzio calato fra noi, si rende più acido dal mio sgranocchiare rumorosamente e dal telegiornale che continua a propinarci notizie insensate e poco interessanti. Se solo Dorcas o Alice fossero qui…

Il Problema sorge attimi dopo, quando il telefono squilla e Sirius, più frettoloso di me all’inverosimile, riesce ad afferrarlo prima di me, rispondendo con la caratterizzante poca grazia ed un sorriso sornione sulle labbra.

“Pronto?”

Chiunque sia dall’altro capo del telefono riesce a catturare la sua attenzione. Il che fa nascere il mio Problema: in piedi in soggiorno barra sala da pranzo, la mia ciotola oramai vuota in cucina e un inquilino fastidiosamente silenzioso a poca distanza da me. E’ quello che Dorcas chiamerebbe Pretesto di socializzazione.

Non che io ce l’abbia con lui: voglio dire, fino ad ora non ha fatto nulla di male, ma. È forse questo il vero Problema. Mi aspettavo un arrogante bastardo affascinante sino all’esasperazione, capace di catturare senza volerlo né sforzarsi l’attenzione del mio migliore amico e di tutti coloro che avrebbero spaziato nella sua orbita. Qualcuno da detestare, qualcuno su cui sfogare la mia esasperazione. Qualcuno da invidiare, perché con Sirius e perché al college, ma alla fine della giornata – della mattinata, anzi – la situazione che si pone di fronte ai miei occhi è del tutto ribaltata: è una persona riservata, almeno con gli sconosciuti. Grata di essere dove sia. Con problemi familiari, tanto da non voler (poter) tornare a casa durante le festività natalizie. In questo momento, è più simile a me di quanto io voglia crederci e questo è sufficiente perché io mi comporti così nei suoi confronti.

“Così…” prorompe ad un tratto, la voce suadente come ore fa. “Sirius mi dice che siete amici dall’infanzia”

“Conosco il bastardo da quando avevamo undici anni” una pausa. “In retrospettiva, è stato il primo vero amico che io abbia mai avuto”

“Ha detto lo stesso di te”

“Beh, ha un modo terribile per dimostrarlo” – ribatto – “Scommetto che si comporta allo stesso modo con voi”

“Per lo più… distratto. Non che non abbiamo tutti capito – Remus prima di tutto – che sia un sentimentale fino al midollo” ha lo sguardo puntato sulle sue posate.

Remus? Perché il nome non mi è nuovo? “Remus prima di tutto? Chi è? Non ricordo se Sirius me ne abbia parlato o meno”

Sirius alza i sopraccigli, un’espressione perplessa sul viso, prima di scoppiare in una genuina risata. Io e James lo fissiamo per qualche istante.

“Un nostro amico. Diavolo, che bastardo. E’ un genio che impreca come non puoi immaginare ma, di fronte ai professori, è completamente riservato, educato. Rispettabile,” scuote appena il capo. “E’ riuscito a sfuggire dalle punizioni più di quanto noialtri desideriamo ricordare…”

“Insomma,” esclamo, sedendomi ad una delle quattro sedie dell’IKEA. “Un tipo fico”

“Un tipo fico” ripete le mie parole. Per qualche frazione di secondo penso che la conversazione si sia esaurita lì. Sono pronta ad andarmene quasi soddisfatta, quando procede, questa volta lo sguardo nocciola puntato nel mio.

“Mi dispiace di aver fatto irruzione a casa vostra, so quando possa dare al cazzo non vedere qualcuno a cui tieni per tanto per poi… non lo so, ritrovartelo in soggiorno con un problema a cui badare. In questo caso sono io il problema. Ma. La situazione a casa è una merda e Sirius mi ha promesso che avrebbe fatto il possibile per aiutarmi, in una delle nostre serate sbronze. Cazzata, lo so, ma se avessi potuto prevedere…” sospira. “Non gli avrei chiesto così tanto”

Per la seconda volta in questa giornata mi ritrovo a inumidirmi le labbra e pronunciare parole senza che me ne renda conto. Del tutto. Il che si pone come una questione da risolvere al più presto. “Non è un problema” – esclamo, facendo affievolire il cruccio sul suo viso – “So cosa significhi avere problemi in famiglia”

Ha le labbra appena schiuse, le sopracciglia disordinate e i capelli spettinati per via della mano che ci ha appena ficcato dentro e sembra persino sul punto di dire qualcosa, quando ci rendiamo conto che Sirius ha finito la telefonata e si piazza fra noi con un sorriso malandrino sulle labbra.

“Remus John Lupin ha appena dato la sua disponibilità per una serata da Malandrini. Ci sei?” ed i suoi occhi grigi si focalizzano su James Potter, illuminati da una patina che urla RISCHIO e CAZZATE IN ARRIVO. Con tanto di caps lock.

Poi, come risvegliatosi da una lunga dormita, sposta lo sguardo su di me e dice: “Ci siamo?”

Rimaniamo per qualche istante così, fermi ed in silenzio, sino a quando non considero mentalmente concluso il pranzo pomeridiano imbarazzante. In realtà, è il mio amico da quando eravamo undicenni a concluderlo.

Sirius tira fuori dalla tasca una busta di tabacco, ed allora so già l’esito della nostra serata. Mentre afferra distrattamente una cartina e infila tra le labbra un filtro, alza lo sguardo verso di me: inclinando un angolo delle labbra verso l’alto, sento James che si lascia andare ad una breve risata da qualche parte oltre le mie spalle. Roteo gli occhi al cielo. Se possibile, il sorriso del mio migliore amico si fa più sornione.

“E’ un sì?” chiede con la voce un po’ impastata dal filtro, le dita che si muovono su e giù per posizionare al meglio il tabacco. Il drum prende forma tra le sue mani agili ed abili, e a me vengono in mente tutti i pomeriggi in cui ha tentato di preparare una sigaretta perfetta – né troppo piena, né troppo vuota, nel minor tempo possibile – all’età di diciassette anni. Sì, senza ombra di dubbio mi vedo un po’ traballante e troppo orgogliosa per rifiutare un giro di shots, ma soprattutto troppo ammorbidita dalla familiarità della mia compagnia – voglio dire, almeno metà della mia compagnia – per poter esalare un no categorico.

“Sai che ho un debole per il tabacco biologico…” è la mia risposta sussurrata, capace di dare il via ad una risata strozzata da parte del coinquilino e del nemico senza gloria.

“Evans” – dice allora, porgendomi il primo drum della serata – “E’ colpa tua se ho iniziato a comprare questo schifo

“Si da il caso che questo schifo ti piaccia, apparentemente” – ribatto, un sopracciglio innalzato – “Dato che lo compri da due anni”

“Una sera mi ha sorpreso mentre preparavo un drum con il suo tabacco” – inizia James, la voce tanto incerta quanto chiaramente divertita – “Mi ha insultato in Francese”

“Bastardo sentimentale” commento, porgendo una mano a Potter. Aggrotta la fronte ma sembra rapidamente capire, al che poggia il suo accendino sul mio palmo. Vorrei dirgli che ha la faccia da fumatore – bugia – ma sono troppo orgogliosa anche per mentirgli e dire che in realtà ho notato da subito il peso della taschina della camicia. Un peso dalla forma di un accendino. In fin dei conti, anche Petunia mi ha sempre definita come l’osservatrice per eccellenza. Bei ricordi.

“Questo bastardo sentimentale è ufficialmente offeso, grazie tante” – si passa una mano sul viso, la barba che inizia a crescere e mostrare i suoi limiti – “Posso dire di sì a Remus, allora? Peter è dai nonni – spero ritorni con qualcosa di consistente – per questo siamo solo noi quattro. Ci divertiremo. O meglio, proveremo a far divertire Lily”

“Lo dici come se fosse qualcosa di difficile e irripetibile”

“Nah,” replica, “Ti conosco. So i tuoi punti deboli” e con il mento indica il tabacco biologico. “Intendo che renderemo questa serata la migliore della tua vita”

“Non so se le tue parole debbano infastidirmi o meno”

Entrambi gli inquilini scoppiano in una divertita risata.

 


so che sono terribilmente in ritardo - senza molte scuse poi, se non le solite, ossia mancanza di ispirazione, scuola e perenne convinzione che quello che io abbia scritto abbia delle falle assurde - quindi sì, scusate davvero! ho molto a cuore questa storia, così come hooked on a feeling, il cui nuovo capitolo di attualmente 4109 parole non è ancora del tutto completo ma in dirittura d'arrivo, quindi credo che questi lavori troveranno una fine. se non scritta, perlomeno mentale. o in forma di "headcanon", nel peggiore dei casi. ma non voglio arrivare a questo.
non voglio soffermarmi tanto su ciò che ho raccontato, dico solo che James mostrerà il suo volto da marauder/good friend/lily's lover così come Sirius e Lily! queste sono ancora circostanze un po' strane e imbarazzanti: non si conoscono, non si sono sciolti, aperti, non si sa ancora nessuna backstory e quindi vedetelo come intro. come ingresso, come punto di inizio. la storia di qui migliora e basta :)  almeno si spera hahahah
spero non vi siate del tutto scordati di me!!! anzi apprezzerei come pioggia al cioccolato dei pareri, dei feedback da parte vostra. sono sempre terribilmente insicura su quello che ho scritto e su come lo abbia scritto, quindi un vostro commento non farebbe che rassicurarmi!!
a presto, spero!
per ogni altra cosa, mi trovate su ask, twitter e tumblr!

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