Un Butei alla Kuoh Academy di RoranForteMartello (/viewuser.php?uid=688209)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricarica - Il Dovere di un Butei ***
Capitolo 2: *** Prima Pallottola - Contratto ***
Capitolo 3: *** Seconda Pallottola - Articolo 9 ***
Capitolo 4: *** Terza Pallottola - Raiting Game ***
Capitolo 5: *** Quarta Pallottola - Scontro nell'alto dei cieli ***
Capitolo 6: *** Ultima Pallottola - Avanti Tutta! ***
Capitolo 1 *** Ricarica - Il Dovere di un Butei ***
cane
Un Butei alla Kuoh Academy
Disclaimer: Non posseggo ne Highschool DxD ne
Hidan No Aria. La storia è scritta senza
scopi di lucro
Ricarica:
Il Dovere di
un Butei
Finalmente ne ero scampato. Lotte,
odore di polvere da
sparo, botti assordanti e
morte, tutto
questo era il mio passato, ed ora un futuro luminoso si spalancava
davanti a
me. Ne fui certo nel momento stesso in cui misi piede nella nuova
scuola, in
cui varcai i suoi vasti cancelli ed i miei occhi incontrarono studenti
normali,
sereni e tranquilli, senza nessun pensiero al mondo.
Era finita l’era delle
divise scolastiche a prova di
proiettile, dell’obbligo di portare sempre con me una
pistola, del dovere di
servire un paese che non aveva fatto altro che tradire la mia fiducia,
finalmente ero libro. Mi imposi di essere felice, di sorridere
preparandomi ad
incontrare i miei compagni di classe, ma nonostante fossero passati
mesi ancora
non riuscivo a superare la sua morte.
Ignorando i suoi occhi, che mi
fissavano rancorosi nella mia
mente, imboccai il corridoio del terzo piano, presi il primo corridoio
a
destra, dirigendomi verso la sezione C del secondo anno. Il professore,
un uomo
allampanato sulla trentina, mi aspettava fuori dalla classe con il suo
miglior
sorriso di circostanza.
“Oh, sei arrivato, tu devi
essere Tōyama Kinji, dico bene?
Io sono il professore responsabile della classe, mi chiamo Akira Muto,
ma per
te sono Akira-sama o semplicemente sensei, tutto chiaro?”
L’uomo sorrise, ed io
feci altrettanto. Non era la peggior persona che potessi incontrare,
sembrava
gentile ed ispirava immediatamente fiducia, cosa che mi
portò ad annuire
energicamente.
“Si sensei, sono Toyama
Kinji, appena trasferito dall’accademia
Butei di Tokyo, abbia cura di me.” Dissi quelle parole per
togliermi il
pensiero, aspettandomi una qualche reazione sorpresa o a seconda del
caso
spaventata, ma l’uomo si limitò ad annottare su un
block notes la notizia.
“Va benissimo, spero che
riuscirai ad ambientarti bene. Alcuni
tuoi compagni di classe sono… eccentrici, ma sono anche
degli idioti bonaccioni,
quindi non dovrebbe essere troppo difficile legare con
loro…” Ripensai ad Aria,
Reki, Jeanne d'Arc e tutti gli altri strambi individui della mia
vecchia scuola
e sospirai.
“Non potranno mai essere
peggio delle persone che mi sono
lasciato alle spalle, si fidi. Cercherò di fare amicizia in
fretta sensei…” L’uomo
annuì sempre sorridendo, incominciando ad aprire la porta
dell’aula. “Appena
chiamerò il tuo nome tu entrerai e ti presenterai, mi
raccomando niente discorsi,
giusto nome, cognome ed una frase a tua scelta che attiri
l’attenzione della
classe.”
L’uomo lasciò la
porta socchiusa, ed io mi misi in attesa,
preparandomi ad entrare. Mi sentivo stranamente eccitato ora che
finalmente ero
riuscito a trasferirmi da quell’accademia infernale, ma
più di questo avevo paura
di fare brutta impressione. I Butei, o chi aveva studiato alla loro
accademia,
non erano mai ben visti dalla popolazione. Certo, erano necessari,
quasi
indispensabili per affrontare la criminalità crescente, ma
nonostante questo
una scuola che permettesse a dei ragazzini di girare armati ed
insegnasse loro
ogni sorta di strategia o arte marziale, era comunque spaventosa.
“Ed ora, vorrei che deste
tutti il benvenuto ad un nuovo
studente, appena trasferitosi dalla capitale per studiare nella nostra
piccola
scuola. Toyama-kun, prego accomodati.” Con molta
più delicatezza di quanto mi
aspettassi, l’insegnante omise di dire da che scuola mi fossi
trasferito,
dandomi modo di evitare il clamore che ne sarebbe conseguito, ma la sua
gentilezza fu inutile, dato che un altro difetto mortale dei Butei era
che
finivano in televisione…
Io in particolar modo ero parecchio
famoso per aver sventato
il piano terroristico di Riko Mine Lupin la IV°, salvando un
centinaio di
passeggeri su un aereo di linea, effettuando un atterraggio
d’emergenza su una
zona brulla ed abbandonata, senza quasi nessun aiuto o contatto visivo
da
terra. Considerato questo non fui sorpreso quando una volta in aula
sentì molti
trattenere il fiato ed iniziare a parlottare. Per quanto il sensei
avesse
cercato di evitarmi quel momento di impaccio, ero pronto da settimane
ad
affrontarlo.
“Ciao a tutti, mi chiamo
Tōyama Kinji e sono un vostro nuovo
compagno di classe. Spero avrete cura di me.” Goffamente mi
inchinai, sentendo
il professore richiamare la classe all’ordine. Era un evento
raro che uno
studente si trasferisse a metà anno, ancora più
raro, era che questo fosse un
Butei.
“Toyama-kun, puoi sederti
nel posto libero che desideri, e
mi raccomando voi della classe, non tormentate il nuovo arrivato con
domande
inopportune, altrimenti dovrò mettervi in
punizione.” L’uomo lo disse con il
sorriso, ma immediatamente la classe si sedò. Evidentemente
non era una
minaccia da poco la sua.
Rincuorato, ma ancora gli occhi di
tutti addosso, mi sedetti
al primo posto libero che trovai lungo la fila di banchi. I miei
compagni mi
guardavano quasi tutti spaventati, tranne qualcuno che sembrava
sinceramente
interessato a me.
Beh, non potevo dare loro torto, del
resto un ‘Butei’ era
una qualifica nazionale che aveva il compito di combattere contro il
preoccupante dilagare della criminalità nel paese. Le
persone che possedevano
questa licenza erano abilitate ad armarsi e ad entrare in una scena del
crimine
per catturare i criminali, proprio come un organo di polizia, ma, a
differenza
della polizia, un ‘Butei’ era motivato da denaro e
poteva assolvere qualunque
tipo di incarico consentito dal Regolamento Butei, senza preoccuparsi
di quanto
fosse pericoloso o al contrario futile.
Per dirlo chiaramente, era un
mercenario legalizzato…
All’Accademia Butei, gli
studenti potevano seguire materie
specifiche riguardanti l’attività di un Butei, ma
anche le materie ordinarie
che studiavano gli studenti normali. Quando intendevo materie
specifiche, volevo
dire che vi erano differenti divisioni che uno studente poteva
scegliere, ad
esempio la divisione
Inchiesta in cui
venivano insegnati i metodi standard di investigazione e di logica.
Probabilmente era la più
sensata fra tutte le divisioni.
Subito dopo l’Inchiesta
c’era Comunicazioni e Scientifica.
Queste divisioni non erano poi così male perché
portavano ad una strada tutto sommato
pacifica e non violenta.
Ma tra tutte, quella che
più risaltava era la famosa
divisione Assalto, a cui ero stato assegnato per i miei primi due
semestri del
mio primo anno.
In silenzio ascoltai la lezione del
professore,
rallegrandomi nel costatare quanto poco fossi indietro rispetto loro. Pensavo che a causa
delle missioni e
degli addestramenti mi fossi perso almeno un semestre di concetti, ma
erano
poche le lacune che mi restavano da colmare. Diligentemente presi
appunti,
ascoltai la lezione e rimasi in attesa del momento in cui tutti mi
sarebbero
venuti addosso.
Non dovetti aspettare poi tanto visto
che non appena suonò la
campana della ricreazione fui sommerso di domande. Molti mi chiesero se
avevo
armi con me, se ero venuto per una qualche indagine, addirittura se
avessi mai
ucciso qualcuno, ma a tutti risposi di voler solo dimenticare del tempo
trascorso in quella scuola. Nel bene o nel male era tutto finito, e non
mi
restava che il coltello a farfalla di mio fratello a testimoniarlo.
Quella particolare arma era
l’unica che avessi continuato a
portare con me nonostante tutto, e questo non per una questione di
praticità o perché
ci fossi abituato, ma semplicemente perché non potevo
separarmi dall’ultimo
dono che mio fratello mi aveva fatto prima di morire.
Sospirai di sollievo quando venni
etichettato come chiuso e
venni finalmente lasciato in pace, ma quello che non sapevo era di come
viaggiassero veloci le notizie all’interno di una scuola
comune. Per quando le
lezioni terminarono e mi fu permesso di lasciare l’aula, una
folla tutta nuova
di studenti mi attorniava e molte di queste erano ragazze.
Vidi le loro gonne svolazzanti, i
loro seni premere contro
il tessuto della camicetta. Mi avevano quasi chiuso
all’angolo, stavano per
stringersi intorno a me con quella carne peccaminosa ed invitante che
mai avrei
dovuto assaggiare.
Chiusi gli occhi, mi avvicinai alla
finestra del terzo piano
e saltai. Grida spaventate mi raggiunsero da dietro, ma non stavo
cercando di
suicidarmi, il mio era solo un riflesso della mia vecchia vita. Il
gancio alla
cintura era stato fissato alla finestra ed ora scendevo dolcemente il
muro
esterno della scuola come se fosse una parete rocciosa, grazie al filo
ultrasottile in carbonio che proveniva dalla mia cintura.
Ok, anche se non avevo più
le armi, non avevo abbandonato
tutta l’attrezzatura in dotazione di un Butei, avevo ancora
qualche piccolo
gadget pensato per occasioni come queste, in cui potevo scegliere solo
tra
essere attorniato da ragazze o scappare da una finestra.
Vi domanderete il perché
di questa scelta ridicola, che mi
porta a scappare da donne eccitante preferendo un salto nel vuoto a
loro, ma
purtroppo per me sono afflitto da una terribile malattia che ho
ereditato da
mio padre.
Un’orribile, orribile
malattia…
Una volta al sicuro a terra, sganciai
il cavo in cima alla
scuola con l’apposito comando della cintura, e riavvolsi il
filo da traino
facendo attenzione a non tagliarmi. Quel piccolo cavo, sottile come un
capello,
poteva reggere il peso di centinaia di chili, ma se usato
impropriamente era
più tagliente di una lama affilata.
“Bella prova quella, per un
momento ho pensato ti volessi
suicidare.”
D’istinto sobbalzai,
portando la mano all’interno della
giacca per estrarre la pistola, solo che quest’ultima non
c’era. Non ero più un
Butei, dovevo farmene una ragione.
“Non mi sarei mai
suicidato… volevo solo evitare… delle
persone.”
Davanti a me trovai
l’equivalente di una principessa. Aveva
lunghi capelli vermigli, bellissimi occhi azzurri, ed
un’espressione curiosa. Dietro
di lei sostavano un gruppo eterogeneo di studenti e tra questi potei
riconoscere
un mio compagno di classe, Isei o qualcosa del genere.
Lui era uno dei pochi che non mi
aveva bombardato di domande
durante la pausa pranzo, per questo non mi fu difficile riconoscerlo.
“Il mio caro Issei mi
diceva che sei un nuovo studente
trasferito e devo ammettere che sei piuttosto curioso. Tieni, prendi
questo,
potrebbe tornarti utile prima poi.” La ragazza trasse a se la
cartella e da uno
dei libri di testo estrasse un foglio ripiegato con sopra il disegno di
un
pentacolo. Scritte in lingue sconosciute lo circondavano, ma nonostante
questo
era solo un foglio, niente di più, niente di meno.
Per qualche momento fui riluttante ad
accettare qualcosa di
offerto da una ragazza così bella e soprattutto formosa, ma
poi l’educazione
prevalse e facendo attenzione a non sfiorare la sua mano, lo presi.
“Ehm… si,
grazie…”
Non sapevo bene come reagire visto
che non sapevo bene cosa
fosse, ma lei si limitò ad annuire con un sorriso, facendo
segno agli altri di
seguirla. “CI vediamo suicida-kun, cerca di non morire troppo
presto, ok?”
“Ehi, non sono un
suicida!” Provai a ribattere, ma le mie
parole si persero nel vociare del gruppetto, che sembrava molto
affiatato ed
unito. Almeno non mi avevano chiesto nulla del mio passato, ne avevano
cercato
ti tirare in ballo l’addestramento da Butei, che
perlopiù era riservato.
Sbuffai sconsolato, alzando appena lo
sguardo ai compagni di
classe che si sbracciavano dall’alto verso di me,
allontanandomi lentamente
dalla scuola.
Di certo perdere tutte le abitudine
acquisite negli anni da Butei
era impossibile, ma prenderne le distanze era consigliabile.
XXXXX
Il tragitto che feci per tornare a
casa fu lungo e noioso. Era
nuovo della citta, non avevo una bicicletta, che era esplosa durante un
dirottamento (si, fui vittima di un raro caso di dirottamento di
bicicletta), e
come se questo non fosse sufficiente non avevo alcuna indicazione. A
memoria
ricordavo l’indirizzo della mia abitazione, ma senza una
cartina o un GPS,
potevo fare ben poco, dunque camminai per le vie sconosciute, cercando
di evitare
le zone malfamate o oscure, convinto che prima o poi sarei arrivato
alla meta.
Era arrivata la sera senza che
riuscissi a trovare la strada
di casa, quando incappai in quell’uomo solitario. Avanzava a
tentoni,
barcollando come un ubriaco, indossava vesti da prete, ma
più che questo fu la
spada macchiata di sangue che portava legata alla cintura ad attrarre
la mia
attenzione. Quella e la forma accasciata sulla sua spalla con indosso
panni da
suora…
“Ah, gustoso, gustoso,
così gustoso. Le sue grida erano
incredibili, piangeva quel profano… indegno del
signore… feccia indecente….”
L’uomo
farfugliava, continuando a camminare, era evidente che avesse commesso
qualcosa
di illegale, e fui quasi sul punto di parlare quando mi ricordai di non
essere
più un Butei.
Non avevo obblighi verso la
società, verso i civili, verso
nessuno all’infuori di me. L’uomo mi
passò accanto, tutto
il mio corpo combatté la voglia di
fermarlo, ma non feci nulla. Quando fu lontano e non potei
più sentire i suoi
inquietanti borbottii, mi concessi il lusso di respirare.
Aria non l’avrebbe lasciato
andare, lo avrebbe inseguito,
gli avrebbe sparato, lo avrebbe minacciato con le Kodachi e poi lo
avrebbe
arrestato, ma lei ormai era morta e non c’era niente che
potesse farla tornare
indietro. Il suo sguardo dispettoso baluginò un attimo nella
mia mente, ma lo
scacciai con forza.
Non dovevo cedere, non potevo farlo.
Ripresi a camminare,
ancora alla ricerca della strada verso casa, ma come guidato da una
forza
invisibile seguii le scie di sangue che il prete si era lasciato
dietro. Non che
volessi farlo, non che avessi scelta, semplicemente le seguii arrivando
in un
condominio, da lì mi feci strada su una stretta scala
antincendio, che correva
in alto per tutto l’edificio raggiungendo tutte le finestre.
Trovai quello che cercavo dopo soli
pochi minuti. Una stanza
diroccata, con i vetri della finestra infranti ed un odore
inconfondibile, che
avevo sentito fin troppe volte. Odore di ruggine, odore di morte, odore
di
sangue.
Mi affacciai alla finestra
dell’appartamento, feci
attenzione a non lasciare alcun tipo di impronta e per poco non
vomitai. La stanza
era pregna di sangue, al muro era appeso un uomo crocifisso, il corpo
era
capovolto e delle scritte inquietanti adornavano la parete.
“Colui
che uccide nel
nome del Signore…”
I riferimenti biblici e le ferite
d’arma da taglio, oltre
all’ovvia scia di sangue che avevo seguito a ritroso,
designavano il
fantomatico prete come colpevole. Un uomo era morto e non avevo fatto
niente
per fermarlo...
…Anzi avevo fatto meno di
niente, perché nonostante non
fosse un problema mio fermare un sospettato, avrei comunque potuto
avvisare la
polizia, che forse, improbabilmente, sarebbe riuscita a prenderlo. I
sensi di
colpa iniziarono a rodermi lo stomaco, ma più di questo mi
sentivo in colpa per
la suora.
Cosa le avrebbe fatto quel pazzo?
Quale sarebbe stato il
prezzo che lei avrebbe pagato per la mia codardia?
Respirai a fatica e dovetti
appoggiarmi contro il muro per
non cadere. Il mio corpo tremava, era madido di sudore, e quasi non
credevo di
aver lasciato la mia vita all’accademia Butei solo per
arrivare a questo.
Carta Butei, Articolo 3
Dovete diventare forti, ma soprattutto
dovete supportare la
giustizia.
Non ero più un Butei, non
mi sarebbe dovuto importare del
codice, delle parole che mi era stato insegnato a rispettare, ma anche
così il
fuoco della giustizia ardeva dentro il mio petto. Dovevo adempiere alla
missione, dovevo farlo per quell’uomo non più in
vita, con il corpo deturpato
dalle ferite e per quella suora che era rimasta incastrata in una
situazione
del genere a causa mia.
“Io… Io
adempierò ai mei doveri di Butei, io lo
farò!”
La mia tasca iniziò a
brillare, il foglio che la principessa
dai capelli rossi mi aveva donato alla fine della lezione splendeva
più che
mai.
“Hai
determinazione….”
La luce iniziò ad
affievolirsi e da quella stessa luce parve
comparire proprio lei.
“… non pensavo che
tra tutti i posti ti avrei trovato qui, ma il tuo desiderio
è forte e la tua
anima può essere contrattata per un ottimo prezzo. Vuoi
aiutarci a salvare
quella la suora? La preziosa amica del mio servo adorato?”
Non capì cosa stava
succedendo, mi limitai ad arretrare fino
alla finestra…
Fu quello il momento in cui
inciampai, perdendo l’equilibrio
vicino la scala antincendio e finendo col battere la testa contro la
ringhierà.
Il mondo si appannò,
divenne opaco e poi fu inghiottito dall’oscurità.
XXXXXXXXXXXX
Note:
Questa è la mia prima storia in questo fandom e spero
davvero che vi piaccia. Come avrete capito è una cross-over
tra due serie di
Light Novel davvero belle. La prima è Highschool DxD, la
seconda Hidan No Aria.
Visto che Hidan No Aria è
perlopiù sconosciuto, vi lascio il
link di wikipedia dove se ne parla, anche se spero vogliate aspettare
il
prossimo capitolo, quando si scopriranno la maggior parte degli
altarini.
Vostro: ForteMartello!
http://it.wikipedia.org/wiki/Hidan_no_Aria#Personaggi_principali
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Prima Pallottola - Contratto ***
Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non posseggo
ne Highschool DxD ne Hidan No Aria. La storia è scritta
senza scopi di lucro
Prima
Pallottola - Contratto
Quando ripresi i sensi la prima cosa
di cui mi resi conto fu
della luce. La luce mi colpiva da destra, abbagliando i miei occhi
ancora
abituati all’oscurità. Poi pian piano mi adattai
ed alzando il capo cercai di
capire dove fossi.
La stanza era grande e ben arredata,
con un letto a
baldacchino enorme in cui mi trovai sdraiato, ed ovunque guardassi
c’erano
orpelli e ninnoli preziosi. Il rosso era il colore che dominava
l’ambiente, ma
non era un rosso duro ed opaco, come potrebbe essere il colore del
sangue
venoso, al contrario era un rosso gentile, carico di bellezza, come il
colore
del sangue arterioso.
Presi fiato per quella che mi
sembrava la prima volta da
tanto tempo e tastai il retro della mia testa. Una benda mi fasciava il
capo
coprendo quella che aveva tutta l’aria di essere un bel
bernoccolo. Cercai di
ricordare e di razionalizzare, ma solo quando lei si mosse vicino a me
iniziai
a capire.
Capii che mi trovavo nudo, in un
letto non mio con qualcuno
al mio fianco. Immediatamente il mio cuore iniziò a correre
ed il dolore al
basso ventre indicò l’avviarsi dei sintomi della
mia malattia.
Senza riflettere mi trassi a sedere,
presi un cuscino per
nascondere le mie nudità e mi avviai verso la porta. Non lo
feci gentilmente, o
con la dovuta attenzione per non svegliare la mia partner, al contrario
mi
mossi in fretta, completamente nel panico, per impedire lo scatenarsi
di quel
lato di me che odio così tanto…
… se mi fossi risvegliato
in questo istante, in questa
situazione, Dio solo sa cosa avrei potuto fare a lei o a me stesso.
Cercai di aprire la porta, la tirai a
me con forza, ma
questa era chiusa e la chiave non era in vista.
“Tojama-kun? Torna a letto,
è presto ancora…”
Un brivido mi percosse la schiena,
lentamente mi voltai e
lei era lì.
Nuda, seduta sul letto mentre
stancamente si strofinava gli
occhi fissandomi.
I suoi seni enormi, con i piccoli
capezzoli rosa ad ornare
il tutto, erano puntati contro di me.
TUMP
La sentì avanzare,
sentì la malattia crescere, arrivare al
confine e quasi trasbordare, ma nell’angolo della stanza
c’era la mia salvezza.
Mi fiondai verso quella porta socchiusa che prima mi era sfuggita,
sprangandomela alle spalle.
Mi ritrovai in un piccolo bagno
signorile, con una vasca in
stile giapponese, una doccia e più spazio di quanto ne
servisse a dieci
persone. Senza pensare mi diressi alla vasca e mi tuffai dentro,
cercando di
calmare i miei bollenti spiriti.
Per un minuto sembrai riuscirci, ma
poi lei venne a bussare
alla porta.
“Tojama-kun, tutto bene?
Perché ti sei chiuso li dentro?”
La porta era chiusa, quindi lei non
poté entrare, ma la sua
presenza appena oltre un sottile strato di legno mi fece ribollire.
“Scusa!” urlai,
cercai di mantenere il controllo. “I-Io non
so come sia successo, non volevo davvero che accadesse…
p-puoi vestirti per
favore? Arriverò fra poco!”
La ragazza borbottò, ma
fece come le avevo detto, tornando però
a bussare una volta vestitasi.
“Ora puoi uscire
Tojama-kun, ho messo in dosso qualcosa…”
Io sospirai di sollievo, mi avviai
verso la porta,
raccogliendo ed indossando quanti più accappatoi possibili
lungo la via. Quando
finalmente uscì nella stanza, sembravo un pinguino
imperatore o una qualche
sorta di strano esquimese…
…e lei era lì,
con indosso l’uniforme della scuola e un
sorriso bonario in viso.
La riconobbi per il semplice fatto
che era impossibile che
la dimenticassi, era la stessa ragazza che il giorno prima avevo
incontrato
all’uscita da scuola e che rividi una seconda volta in
quell’appartamento…
Solo quando feci
quest’associazione ricordai i trascorsi
della sera prima, con lo strano prete che rapiva una suora, un cadavere
appeso
ad un muro e la luce che mi spinse ad arretrare facendomi battere la
testa
contro la ringhiera. Dentro quella luce c’era proprio lei.
Davanti alla mia espressione
sembrò risollevarsi. “Bene,
vedo che inizi a ricordare. La botta alla testa non era così
grave, ma sarebbe
stato un problema se avessi iniziato a soffrire di amnesia.”
La ragazza dai seni enormi e dai
lucenti capelli rossi si
avvicinò a me, studiando dubbiosa il mio abbigliamento.
“Mi spieghi perché ti
sei messo tutti i miei accappatoi? Con cosa mi dovrei asciugare io ora?
Se volevi
i tuoi vestiti indietro, sarebbe bastato chiedere. Sono proprio
lì, su quella
sedia.”
Mi indicò una sedia
nell’angolo della stanza, e li
perfettamente piegati c’erano in effetti gli indumenti che
avevo in dosso la
sera prima.
“I-I-I-Io non capisco,
cos’è successo i-i-ieri sera?”
Solitamente quando i sintomi della
mia malattia si
mostravano, rimanevo comunque cosciente e ricordavo cosa facevo in quel
periodo
in cui non ero io al controllo, ma questa volta… era buio
totale.
Ancora non capivo cosa ci facessi in
camera di una bellezza
simile, ne perché fossimo entrambi nudi, ne come mai lei
fosse così tranquilla
al riguardo.
“Fufu, sei così
carino quando arrossisci. Tranquillo, ti
spiegherò tutto una volta che mi sarò lavata,
quindi ti va di restituirmi un
accappatoio? A meno che a te non vada di vedermi nuda e grondate
d’acqua….”
Parlò in maniera
maliziosa, causandomi un ulteriore stimolo
deleterio alla mia salute.
“N-N-N-No, tieni
pure!!!”
Mi tolsi uno dei numerosi accappatoi
e la vidi allontanarsi
verso il bagno sorridendo.
Approfittai di quei minuti in cui lei
era impegnata per
riprendere possesso dei miei vestiti, riacquisendo almeno un sentore di
normalità. Quando finii di vestirmi, lei uscì dal
bagno. Ci mise
straordinariamente poco per essere una ragazza, cosa che mi
lasciò di stucco e
mi diede appena il tempo di tirare su la zip dei pantaloni.
Era fradicia ed avvolta
nell’accappatoio che le avevo dato,
ma anche così attraverso il tessuto bagnato si riusciva a
vedere o almeno
intravedere tutto. Diedi le spalle a quella visione peccaminosa,
gridando
arrabbiato. “Sii più consapevole per piacere! Ed
indossa qualcosa che ti
copra!”
Ero furente, eccitato, preoccupato e
stanco tutto insieme.
Era incredibile come in pochi minuti fossi riuscito a passare dalla
brace alla
merda più totale. Rimase nel mio angolo, a tremare per
qualche minuto, finché
non senti la sua mano poggiarsi sulla mia spalla. Istintivamente feci
un balzo
indietro allontanandomi da lei.
“Ehi, ti comporti in
maniera davvero strana sai? Potrei
quasi offendermi se non mi avessi offerto il tuo corpo
stanotte…”
Mi paralizzai, sbiancai
completamente, perdendo ogni
briciola di forza. Lei si accorse di questa mia situazione e mi fu
subito
accanto, ma per evitare che il peggio accadesse di nuovo, arretrai
ancora di
qualche passo.
“I-Io non volevo che
accadesse. P-Per favore dimentica di
stanotte. E-Era la mia prima volta e scommetto di essere stato s-strano
durante
il r-rapporto, ma anche così… non credo che
dovremmo….”
Abbassai il capo, cercando di
spiegare goffamente come non
avrebbe dovuto fraintendere i fatti della notte prima in quanto quello
non ero
realmente io, ma sorprendendomi per l’ennesima volta, lei
scoppiò a ridere.
“Ma cosa vai a pensare? Non
l’abbiamo mica fatto, sono
ancora vergine io!”
Continuò a ridere, ma io
ero semplicemente confuso. Forse
invece di un rapporto completo avevano passato il tempo in
attività più soft?
Magari lei aveva…. Ed io avevo…
Arrossì ancora, ma questo
non mi impedì di parlare. “Sei
davvero vergine?”
“Si lo sono.”
“Davvero,
davvero?”
“Si che
c’è, vuoi forse controllare?”
Lo disse con voce maliziosa alzando
l’orlo della gonna, ma
io scossi il capo velocemente. Non avevo la minima intenzione di
ricadere in
fallo, non ora e non con lei.
“Ora per favore, smettila
di agitarti e lasciami spiegare.
Ti ho portato qui ieri sera dopo che hai battuto la testa. Ti avrei
portato a
casa sapendo dove fosse, ma non conoscendoti così bene ho
pensato che fosse
meglio curarti da me….”
Quindi questa specie di stanza
super-lussuosa, con bagno
integrato era la sua camera da letto. I miei occhi si dilatarono alla
sorpresa.
“Allora cosa intendevi
quando dicevi che ti ho offerto il
mio corpo?”
Lo domandai con voce bassa, ma
decisa. Sembrava quasi che
quella bellissima principessa si stesse prendendo gioco di me.
“Esattamente quello che ho
detto, dopo averi curato ti ho
messo a letto, e quando ti ho chiesto se potessi abbracciarti come un
cuscino
non hai risposto. Non è consuetudine umana dire che chi tace
acconsente?”
Quasi caddi a terra di fronte a
quella rivelazione. Quindi
dopo tutto non avevo ceduto agli istinti della mia malattia, ed anzi
non avevo
davvero fatto nulla. Era stata lei ad approfittarsi del me incosciente,
abbracciandomi tutta la notte come una qualche specie di cuscino.
Nonostante mi
sentissi in parte violato, la notizia mi rallegrò, andando a
formare sul mio
viso un sorriso sghembo.
“Va bene, se è
così che è andata allora credo sia tutto a
posto, solo… solo la prossima volta non farlo.”
Stancamente mi sedetti sul letto e
lei mi seguì poco dopo.
“Tu vuoi salvare quella
suora.”
Non era una domanda, ma solo una
costatazione. Lentamente
annuì alle sue parole, appoggiando i gomiti sulle cosce ed
incrociando le mani.
“Ieri ho visto il tipo che
probabilmente era il responsabile
di quel massacro e non ho fatto nulla per fermarlo… come
Butei… anzi no, come
uomo, ho fallito ed ora devo rimediare in qualche modo. Salvarla
è l’idea
migliore che abbia.”
L’afflusso di sangue dovuto
alla malattia iniziò a
dissiparsi e lentamente tornai calmo e razionale. Ancora non sapevo
cosa la
ragazza facesse sulla scena del crimine, ne come mai fosse informata
dei fatti,
ma stranamente non mi preoccupai. Sentii intimamente di potermi fidare
di lei.
“Anche se avessi voluto,
non avresti potuto fare nulla
contro quel prete, era semplicemente troppo forte per te. Sei davvero
sicuro di
volerla salvare?”
“Lo sono.”
“Anche se questo
comportasse il mettere a rischio la tua
vita?”
Per qualche secondo rimasi in
silenzio, ma poi annuì.
“Si, è la cosa
giusta da fare. Qualche tempo fa l’avrei
fatto in ogni caso…”
La ragazza sembrò
soddisfatta dalla mia risposta, perché
sorrise radiosa alzandosi in piedi.
“Bene, allora faremo un
contratto, noi ti presteremo la
nostra forza per salvarla ed in cambio il 25% della tua anima
andrà a noi.”
Eh? EH?!
Dalle spalle di lei comparvero due
ali da pipistrello, che
sarebbero potute sembrare un costume da cosplay se non
l’avessero sollevata in
aria lasciandola a qualche piede da terra. Rimasi imbambolato a
fissarla per
quasi un minuto prima di trovare il coraggio di parlare.
“Chi sei tu?”
Lei toccò di nuovo terra e
mi porse quello che aveva tutta
l’aria di essere un contratto stampato su carta-pecora.
“Sono Rias Gremory, erede
della Casata Gremory, uno dei 72 pilastri che reggono
l’Inferno, ed
insieme ai miei servitori saremo i tuoi compagni in questa missione di
salvataggio.”
Il mondo si capovolse ed io persi di
nuovo i sensi.
Quella ragazza formosa e bellissima
era un demone.
XXXXXXXXXXXX
Quando ripresi i sensi mi trovai in
un altro luogo. Questa
volta la confusione passò più in fretta, ma
ancora mi era difficile digerire
quanto mi era stato detto.
Aprendo gli occhi mi trovai in una
tetra sala scura, con
mobili d’appartamento, una piccola cucina e decine di sigilli
mistici disegnati
al suolo. Non feci in tempo ad aprire gli occhi che uno dei sigilli si
accese
rilasciando la forma di una ragazzina dai capelli bianchi.
“Bouchou, missione
compiuta. La via è sgombra, loro sono
certamente nella chiesa.”
La ragazzina era piccola, esile, con
uno sguardo spento e
distante. Eppure sembrava trovarsi a suo agio nella stanza in cui mi
accorsi
esserci molte più persone di quante immaginassi. Oltre alla
bellezza che si era
presentata come Rias, c’erano la ragazzina dai capelli
bianchi, una formosa
ragazza dai capelli neri, il mio compagno di classe Issei e
l’idol della scuola
Kiba Yuuto, di cui mi avevano accennato durante il mio primo giorno di
scuola.
“E così ti sei
svegliato Toyama-kun? Cavolo, sei svenuto due
volte in poche ora, soffri per caso di anemia? Ad ogni modo non abbiamo
troppo
tempo da perdere, il contratto parla chiaro, dobbiamo aiutarti a
salvare quella
suora, ma il tempo scorre e non possiamo sapere per quanto ancora non
le
faranno del male….”
Io provai ad aprire la bocca, ma
intorno a me era un fervore
di attività. Più degli altri, il mio compagno
Issei si muoveva freneticamente
quasi avesse fretta, ed io non m capacitavo della cosa. Ad ogni modo mi
rimisi
in piedi e davanti a me trovai la bellissima ragazza dai capelli neri
tenuti
insieme ad una coda cavallo.
“Toyama-kun, la Bouchou mi
ha detto che non hai fatto
colazione, ti prego mangia qualcosa prima di buttarti a capofitto nella
lotta,
sarà una battaglia difficile quella contro gli angeli
caduti.”
Gentilmente mi porse una ciotola
contenente del ramen, senza
darmi il tempo di razionalizzare.
Angeli Caduti?
Esistevano anche gli angeli caduti?
Beh, mi trovavo al cospetto di un
gruppo di demoni che
frequentavano il liceo, non mi sarei dovuto sorprendere per qualcosa
come
l’esistenza degli angeli, eppure non riuscivo a togliermi il
dubbio impellente
che qualcosa fosse sbagliato.
Non avevamo un piano, non avevamo un
equipaggiamento,
nessuno di noi sembrava attrezzato per uno scontro. Io stesso non avevo
indosso
ne la mia divisa della vecchia accademia, che era a prova di
proiettile, ne la
mia Desert Eagle modificata.
Stavo rischiando grosso, davvero
grosso, quindi non potei
tacere.
“Gremory-san?”
Poggiai la ciotola vuota di ramen su
un tavolino da caffè e
mi avvicinai alla donna con la quale avevo passato la notte
(incoscientemente).
“Non possiamo andare
così, ci serve un piano, delle
informazioni, non sappiamo nemmeno dove potrebbe trovarsi. Lasciami
fare
qualche telefonata, prendere il mio equipaggiamento, non posso gettarmi
nella
mischia senza quello.”
Ad ogni parola il mio tono di voce si
fece più sicuro, cosa
che portò molti a fermarsi per sentirmi parlare. In special
modo Rias mi
ascoltò leggermente sorpresa.
“Tu intendi combattere
insieme a noi? Scusa se te lo dico
Toyama-kun, ma sei un semplice umano, ed andremo ad affrontare cose
decisamente
pericolose. Il piano è che noi entreremo, salveremo la
ragazza e te la
porteremo, in questo modo avremo salvato lei ed adempiuto al contratto,
insomma
avremo preso due piccioni con una fava.”
Ascoltai le sue parole ed aggrottai
la fronte infastidito.
Avevo affrontato streghe, principesse egizie, vampiri ed uomini
immortali
vissuti quasi un secolo prima, eppure ora veniva a dirmi che non sarei
stato al
sicuro contro degli angeli. Repressi quella parte di me che agognava
una vita
normale, formulando nella mia mente una domanda impellente.
Perché sembrava che anche
loro volessero salvare così tanto
la suora? In quanto demoni avrebbero dovuto odiare un membro del clero
quale
era lei.
“Due piccioni con una fava?
Cosa intendi? Non avrete in
mente di consegnarmi la ragazza e poi portarmela via per sacrificarla
in
qualche rito occulto. Così avreste adempiuto al vostro
contratto, ma ne sareste
usciti comunque come vincitori.”
Ok, la mia era un’ipotesi
un po’ stiracchiata, ma non ero in
grado di cogliere la preoccupazione nell’aria, ne i segnali
che i membri del
gruppo mandavano.
“Buchou, siamo
già in ritardo, potrebbero averle fatto
qualsiasi cosa! Dobbiamo andare!”
Issei incominciò ad
agitarsi, sembrava prendere la mia
richiesta di informazioni come una sorta di ostruzionismo.
“No Issei-kun, lui
è il nostro contraente, merita di sapere
cosa sta succedendo. Visto che lo hai chiesto Toyama-kun, lascia che ti
aggiorni sulla situazione attuale. La suora che tu hai visto portare
via da
quel prete è un’importante amica di Issei-kun.
Loro sono diventati amici ed ora
lui farebbe qualsiasi cosa per salvarla.”
Issei chinò il capo
stringendo i pugni, e non mancai di
notare l’ombra di una lacrima sul suo viso.
“Noi in quanto demoni non
siamo autorizzati ad intrometterci
negli affari degli angeli caduti a causa della fragile tregua che
intercorre
tra le nostre fazioni, ma piuttosto che vedere il mio servo adorato
gettarsi da
solo contro di loro, mi sono appoggiato a te. Il tuo desiderio di
salvare
quella ragazza è sincero, e formando un contratto con te,
siamo autorizzati ad
affrontare chiunque tu reputi tuoi nemici, cosa che ci permette di
violare la
tregua senza tuttavia violarla realmente. Comprendi ora? Sei il nostro
pretesto
per attaccare gli angeli caduti, senza scatenare una guerra di
conseguenza…”
La spiegazione aveva senso, ma il
modo in cui era stata
posta e lo sguardo triste che mi venne rivolta dalla ragazza cremisi,
mi fese
sentire inutile come poche volte mi era capitato.
"Regolamento
Butei Articolo 2: 「Devi rispettare il contratto in
ogni
sua parte」"
"...?"
"Ecco gli accordi che abbiamo
stipulato questa mattina:
in cambio del 25% della mia anima, tu ed il tuo gruppo di demoni mi
fare da
supporto durante il salvataggio della suora rapita ieri sera. Non
starò in
panchina a vedervi rischiare la vita, affidandomi a voi che siete
completi
sconosciuti, io sarò con voi in prima linea e
combatterò ogni volta che sarà
necessario.”
Pronunciai quelle parole con rabbia,
quasi spaventando me
stesso per il mio coraggio. Era evidente che ero cambiato dopo la sua
morte,
dopo che anche lei mi aveva abbandonato. Eppure nella mia mente la
vedevo
sorridere con trasporto. Lei avrebbe fatto la stessa cosa.
“Detto questo ho bisogno di
passare da casa mia. Vi ho visto
usare quegli strani disegni per terra per teletrasportarvi, chi mi
accompagna a
prendere il mio equipaggiamento?”
Silenzio.
Anche Issei ora mi guardava con un
sentimento non ben
identificato in viso, ma alla fine Rias sospirò, infrangendo
quel momento.
“Va bene, hai vinto. Non ho
capito se tu sia uno stupido o
coraggioso, è anche possibile che tu sia entrambe le cose,
ad ogni modo non
saremo responsabili di te. Koneko, accompagnalo a casa sua e
ritroviamoci tutti
un isolato prima della chiesa.”
“Chiesa?”
Rias mi fissò.
“Già, sappiamo
dove si nascondono, ci mancava solo un
pretesto per agire… beh, grazie per essere qui Signor
Pretesto.”
La ragazza si voltò, ed io
venni affiancato dalla stessa
ragazzina dai capelli bianchi che da poco era comparsa nella stanza.
“Andiamo Signor
Pretesto…”
La bambina cercò di
toccarmi un braccio per guidarmi verso
uno dei tanti cerchi per terra, ma d’istinto
rifuggì da lei. La sua corporatura
era troppo simile a quella di lei…
Gli occhi della ragazzina si
strinsero, ma non fece
commenti, si limitò a sistemarsi al centro del cerchio
rimanendo in attesa.
“Io fornirò
l’energia per l’incantesimo, tu pensa solo alla
destinazione.”
Parlò tenendo gli occhi
fissi davanti a se, senza rivolgermi
nemmeno uno sguardo. Dal canto mio chiusi gli occhi, immaginando
l’appartamento
che a piedi non ero in grado di raggiungere.
Un’abbagliante luce mi
avvolse e quando riaprì gli occhi ero
nel mio appartamento…
… nel mio appartamento di
Tokyo.
XXXXXXXXXXXX
Impiegai qualche istante a capire che
qualcosa non andava.
L’enorme appartamento
costruito per quattro persone era
vuoto, non c’erano più mobili, non
c’erano più elettrodomestici, non c’era
più
lei.
Shirayuki, la mia amica di infanzia,
doveva averlo svuotato
di tutto una volta saputo del mio trasferimento. Sarebbe stato tipico
di lei raccogliere
qualsiasi cosa mi appartenesse per conservarlo in un luogo sicuro,
lì dove
nessuno avrebbe mai potuto rubarlo o rovinarlo.
Feci un primo passo nella stanza
vuota ed il mio cuore
strinse. Non mettevo piede in quella casa da quando lei era morta, da
quando mi
aveva abbandonato, da quando anche lei mi aveva lasciato. Con la mano
carezzai
il muro bianco, sfiorando con le dita gli incavi circolari che
l’adornavano.
Quelli erano i segni dei proiettili
che lei aveva sparato,
nient’altro che fori coperti di stucco e messi tacere per
dare alla casa
un’aria più familiare. Spostai lo sguardo in giro
brevemente, ma nonostante
l’assenza di tutto quello che un tempo definiva
quell’appartamento come la mia
casa, la mia mente si affollò di ricordi.
Quello era il balcone dove mi
nascondevo quando Shirayuki e
Aria combattevano, lì c’era l’angolo in
cui Aria si stendeva sempre per
guardare i suoi documentari sugli animali, dall’altra parte
invece c’era il
punto in cui mangiavamo i pasti cucinati da Shirayuki.
Erano passati mesi, tanti, tanti
mesi, ma anche con tutto
quel tempo passato lontano da lì, nella casa c’era
ancora un vago odore di lei.
Quel misto di Gardenia e polvere da sparo.
Sorrisi amaramente.
Amaramente senti qualcosa di caldo
scivolare lungo la mia
guancia.
Non mi accorsi di essere in ginocchio
finché il demone, che mi
aveva accompagnato in quella spedizione, non mi sfiorò la
guancia intercettando
la lacrima che era arrivata quasi sul punto di cadere.
“Stai
piangendo…”
“Io non sto
piangendo.”
Con forza mi strofinai gli occhi
rimettendomi in piedi.
“Qui è successo
qualcosa. Qualcosa che ti ha cambiato. Per
questo piangevi?”
Diedi le spalle alla ragazza, per non
darle modo di vedermi
in viso.
“Ho detto che non stavo
piangendo! E poi abbiamo sbagliato
posto, siamo finiti a Tokyo… ma non è un
problema, dovrebbe essermi rimasto
qualcosa anche qui.”
Avanzai a passi pesanti per
l’appartamento, aprendo le porte
con forza come se ogni singola anta in legno fosse colpevole di avermi
fatto un
torto.
“Io sono Koneko
Toujou.”
La ragazzina parlò ancora
mentre raggiungevo la camera da
letto. Al suo interno avrei dovuto trovare due letti a castello, ma
anche
quelli erano spariti lasciando la camera vuota e desolata.
“Piacere, Tojama Kinji.
Puoi chiamarmi solo Kinji se vuoi.”
Arrivai lì dove una volta
c’era il mio letto, controllai le
assi del pavimento, costatando che quelle non erano state rimosse.
“Cosa stai cercando, non
c’è più nulla qui.”
Feci pressione con le dita, premendo
un nodo nel legno, che
subito affondò di un pollice rivelando una piccola botola.
“Un butei deve essere
sempre pronto a tutto, qui ho il
necessario per la missione. Io e…. Io, tenevo sempre
qualcosa qui per i momenti
di difficoltà.”
Rovistai all’interno della
botola, ne estrassi uno zaino, un
paio d cinture, qualche lacrimogeno e dei caricatori. I caricatori
erano divisi
a seconda se fossero per la mia pistola o per quelle di Aria, ma
chissà come io
li presi tutti ugualmente, mettendoli nello zaino.
“Voi Butei siete strani
umani…”
Ignorai le sue parole, recuperando la
divisa da Butei, che
appariva leggermente sporca dopo mesi passati a prender polvere.
Osservai per
un momento il tessuto con fili al carbonio ed alluminio, non
preoccupandomi
troppo della sporcizia, che non avrebbe potuto far nulla ad una divisa
creata
per resistere alle pallottole.
Quando finì di raccogliere
tutto il contenuto della cassa
del tesoro, raschiai per bene il fondo nella speranza di non dover
tornare
indietro a prendere nulla. Quello era il posto che più di
tutti volevo evitare,
ed invece ci ero tornato senza volere. Che triste ironia.
Fu durante quest’ultima
ricerca che le mie dita sfiorarono
qualcosa di piccolo, soffice ed inaspettato. La riconobbi subito dopo
averlo
tirato fuori e per poco non persi di nuovo il controllo.
“Puoi lasciarmi per favore?
Devo indossare la mia divisa…”
Parlai con voce lenta, continuando a
fissare quel piccolo
oggetto che mai avrei pensato di trovare. Koneko annuì alle
mie parole, uscendo
dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Un piccolo peluche.
Uno di quei peluche che si attacca al
cellulare e si vince
in sala giochi.
Aria lo chiamava Leopone ed ero
convinto che fosse andato
perso quando lei stessa era andata persa, invece quel piccolo
portachiavi era
ancora lì.
Ricordo perfettamente le circostanze
in cui entrò in mio
possesso. Eravamo in sala giochi ed Aria continuava a provare a
vincerlo senza
risultati, allora le diedi una mano e con mio grande stupore,
riuscì a
prenderne due uguali in un solo colpo. Come ricompensa per il mio buon
lavoro,
io tenni uno dei pupazzetti ed Aria l’altro.
Purtroppo il mio ora non esiste
più, lo bruciai quando le
morì.
Non aveva senso tenerlo se lei non lo
possedeva insieme a me…
Voltai il piccolo pupazzo, srotolando
l’etichetta su cui
sapevo che lei vi aveva scritto qualcosa. Qualcosa che non volle mai
farmi
vedere mentre era ancora in vita. Sorrisi vedendo la sua calligrafia
infantile.
“Kinji
X Aria”
Dal lato opposto
dell’etichetta altre parole, altre memorie.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
Risi leggendo quelle parole, risi
pensando a quante volte mi
erano state dette, a quante volte la minaccia era stata portata a
compimento, a
quante volte ci eravamo divertiti, ed avevamo pianto, ed eravamo stati
felici.
“Aria, io non
scapperò…”
Indossai la mia divisa da Butei tra
le lacrime, legai il
portachiavi di Aria al mio cellulare e quando finalmente uscii dalla
camera fui
pronto.
“Siamo in
ritardo.”
Koneko mi aspettava.
“Questa cosa è
difficile da indossare.”
La ragazza mi squadrò
inclinando il capo, sempre con
l’espressione impassibile.
“Non sembra molto diversa
dall’uniforme della nostra
scuola.”
Sospirai, sorridendo.
“Fidati lo
è.”
“Tu hai pianto.”
Mi voltai un’ultima volta
guardando la stanza che avevamo
condivisa.
Era vuota e spoglia, così
come il mio passato. Non mi
sarebbe servito a nulla nascondermi lì dentro, lei non
l’avrebbe voluto.
“Forse, ma ora dobbiamo
andare. Come hai detto tu, siamo in
ritardo.”
La ragazza continuò a
fissarmi incuriosita, guidandomi nel
punto in cui eravamo comparsi.
Da lì ci spostammo,
tornando nella mia nuova città.
Strinsi Leopone tra le dita quando
ricomparvi in un vicolo e
vidi davanti a me le schiere dei demoni pronte ad agire.
Estrassi la mia pistola,
inserì il caricatore e spostai un
colpo in canna.
Ero pronto anche io.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Note:
Ancora nessuna recensione, ma a me la storia piace e quindi continuo xD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Seconda Pallottola - Articolo 9 ***
Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non posseggo
ne Highschool DxD ne Hidan No Aria. La storia è scritta
senza scopi di lucro
Seconda
Pallottola – Articolo 9
Quando io e Koneko ci riunimmo al
gruppo principale, tutto
era già pronto. Il piano era stato ideato a grandi linee,
con giusto qualche
modifica per evitare che io ci lasciassi le penne. Si supponeva che in
totale
nella chiesa ci fossero quattro angeli caduti, tutti di basso livello,
ma non
per questo meno pericolosi, oltre ai quali sarebbero stati presenti una
moltitudine di preti ed esorcisti pronti a servirli fino alla morte.
Si formarono due brigate con gruppi
da tre, nella prima
c’eravamo io, Koneko e Kiba, il nostro compito principale
erano i preti con
l’eccezione di quello incrociato la sera prima, che a detta
dei miei compagni
era davvero forte, nell’altro gruppo invece c’erano
Rias, la ragazza dai
capelli neri che scoprì chiamarsi Akeno ed infine Issei.
Loro compito sarebbe
stato tenere a bada gli angeli caduti e salvare la suora in pericolo.
Come ex-membro del Reparto di
Logistica potei vedere grosse
falle nel piano, a partire dalla nostra mancanza di informazione sui
numeri e
le disposizioni dei nemici, fino ad arrivare all’approccio
iniziale, che non
era niente di più se non una carica contro le porte della
chiesa.
Provai a contestare quei difetti
fatali, ma avendo poco
tempo e tutto da perdere, le mie obbiezioni vennero messe da parte e si
diede
inizio all’operazione.
La carica andò a buon
fine, non incontrammo alcuna
resistenza all’esterno della chiesa, ne trappole sulle porte
per ovviare agli
assalti più banali. Nella mia mente già si
delineò un’idea di come doveva
essere la situazione, quando i primi preti ci furono addosso.
Per una qualche ragione erano tutti
armati con semplice armi
bianche, non vi erano armi da fuoco per nessuno di loro, cosa che
semplificò
alquanto la mia posizione. Rimasi decisamente scioccato quando vidi
Kiba
sfrecciare tra gli uomini stordendoli con l’impugnatura della
spada, ma la cosa
che davvero mi fece mancare il fiato fu quando Koneko
sollevò con le sue
gracili braccia una panca della chiesa spazzando via un gruppo di sei
uomini.
Rimasi leggermente imbambolato,
osservando i miei due compagni
di squadra falciare uomini come se fossero spighe di grano, ma
nonostante
questo fui felice di costatare che non attaccavano per uccidere. Si
limitavano
a mettere fuori combattimento un nemico per passare al successivo.
La situazione però
iniziò a degenerare, quando avvertimmo la
prima esplosione nel vestibolo. Quattro angeli con lunghi ali corvine
volteggiavano in aria evitando i potenti attacchi di Rias ed Akeno,
mentre un
Issei ferito e dolorante affrontava da sola il prete/esorcista della
sera prima.
Gli angeli erano in
superiorità numerica e nonostante fosse
evidente che i due demoni che li fronteggiavano erano decisamente
più forti di
loro, il numero arrivò li dove la forza mancava. Rias ed
Akeno furono costrette
sulla difensiva schivando ed evitando getti di luce che a quanto pareva
erano
letali per i demoni.
Lo scontro si protrasse per alcuni
minuti e mentre noi
eravamo impegnati con una sempre maggiore moltitudine di uomini
provenienti
dalla sacrestia, Issei continuava a subire ferite
dall’esorcista. I due demoni
maggio combattevano gli angeli, quelli minori invece affrontavano i
preti,
l’unico libero di agire e che anzi fino a quel momento aveva
fatto poco o nulla
era io.
Sorrisi a quello scherzo del destino,
alla fine ero
semplicemente inutile contro i preti normali che venivano sbaragliati
da torre
e cavallo senza che io alzassi un dito, e l’unico nemico che
mi era stato detto
di non affrontare era l’unico che avrei affrontato.
Con un salto mi arrampicai sulla
barricata fatta di panche
che Koneko aveva creato per dividerci dagli altri, sentì il
mio nome gridato da
qualcuno alle mie spalle, ma lo ignorai gettandomi in avanti.
Fu giusto un istante prima che
vedessi il riflesso metallico
di una pistola ed il suono di un grilletto premuto. Stranamente nessun
botto
seguì all’azione, ma un raggio di luce
sfrecciò comunque verso di me.
Fui colpito ad una spalla e venni
sbalzato indietro, ma la
mia divisa a prova di proiettile fece il suo lavoro. Anche se quello
che mi
aveva colpito sembrava più piombo fuso ricoperto di luce,
non avevo subito
alcun danno reale e potei alzarmi in piedi per combattere.
La barricata alle mie spalle
tremò mentre altri preti
venivano mandati a sbatterci contro, ed io avanzai.
“Un nuovo arrivato, un
piccolo teppista che sembra essere
umano! Cosa ti hanno promesso questi demoni fedifraghi in cambio della
tua
collaborazione? Schifose traditore, lerciume, spazzatura. Tu morirai,
morirai,
MORIRAI!”
Il prete/esorcista che stava
attaccando Issei fino a quel
momento sembrò spostare la sua completa attenzione su di me.
Il braccio di
Issei era bardato con uno strano guantone rosse che non gli avevo mai
visto, ma
anche così era ferito e sembrava sul punto di cedere.
Quando l’esorcista mi venne
addosso sfoderai con la mano
sinistra il coltello a farfalla di mio fratello, tenendo ben salda la
mia
pistola con la destra. Impostai la modifica alla mia arma
affinché sparasse una
raffica di tre colpi e mirai alle gambe. Non avrei infranto il codice
anche per
uno come lui.
I proiettili esplosero, ma vennero
tutti deflessi dalla
spada dell’esorcista. Spada e pistola di luce, contro
coltello ed arma da
fuoco. Rimasi scosso quando vidi i proiettili essere deflessi da una
spada, ma
riuscì a superare lo shock ricordando come anche Jean
D’Arc fosse capace di
fare la stessa cosa.
Mi lanciai in uno scontro
ravvicinato, uno di quelli che
all’accademia Butei viene chiamato Aru-Kata, ma anche
così non misi mai a
segno un colpo. Quell’uomo era veloce,
forte, e non gli importava davvero nulla di me. Iniziai a subire
diverse ferite
minori e vidi che l’attenzione dei demoni, ancora sotto
attacco, concentrarsi
su di me.
Issei era sparito, così
come uno degli angeli, ma per quanto
provassi a difendermi ed attaccare, non ero assolutamente in grado di
reggere
il confronto. Una stoccata particolarmente violenta mi costrinse a far
cadere
il coltello, lasciandomi con la sola pistola.
Respirai a fatica, deglutì
e ripensai a lei. In questo stato
non ero assolutamente in grado di vincere, ero solo un Butei di rango
E, uno
dei più scarsi ed inutili allievi di quella famosa accademia.
Eppure i miei vecchi compagni mi
idolatravano, avevo portato
a compimento missioni pericolose, avevo sconfitto nemici leggendari...
tutto
grazie agli effetti della mia malattia. Per quella che era forse la
seconda
nella mia vita, decisi di affidarmi volontariamente a quella piaga che
mi
tormentava da che ero nato, ma anche decidendo così era
impossibile per me
causarne i sintomi da solo.
Schivai un altro colpo di spada, ed
un altro taglio mi sfregiò,
questa volta fui sfiorato alla fronte. Il sangue che iniziò
a colare da lì mi
ostruì la vista, mi rese difficile calcolare le distanze e
mi fece barcollare.
Ricordai le regole di pronto
soccorso, secondo cui le ferite
alla testa sono sempre più brutte di quanto sembrino.
È vero sanguinano molto,
ma non sono mai realmente brutte come sembrano.
Con un salto laterale cercai di
allontanarmi dal prete, ma
un altro proiettile di luce mi colpi mentre ero a mezz’aria
mandandomi a
sbattere contro una parete. Sentivo il mio stesso corpo ribellarsi, il
dolore
mi annebbiava la vista, anche volendo non sarei potuto fuggire.
E quel mostro avanzava verso di me.
“Che
c’è, hai già finito? Era tutto qui
quello che mi volevi
mostrare? Che patetico pezzo di spazzatura, forse dovrei ucciderti
subito, ma…
no dai, preferisco scuoiarti mentre puoi ancora gridare perdono a
Dio!”
Si fiondò su di me, la sua
lama arrivò quasi a colpirmi, ma
poi l’uomo venne sbalzato via. Yuuto Kiba era venuto in mio
soccorso, così come
Koneko. Evidentemente i preti avevano smesso di arrivare ed entrambi
erano
riusciti ad avanzare raggiungendomi.
I loro corpi erano ammaccati, con
alcune ferite superficiali
dovute agli oggetti sacri ed alle lame di luce usate contro di loro, ma
anche
così stavano decisamente meglio di me.
Mentre Yuuto intratteneva il
prete/esorcista, Koneko mi si
avvicinò facendo la conta dei danni.
“Hai due costole rotte,
cinque incrinate, un’emorragia
interna e perdi sangue da troppe ferite. Devo portarti in
ospedale.”
Fece per alzarmi, ma
riuscì a trattenerla dal farlo
afferrandole una mano.
“Non ho ancora
finito…”
Lei mi fissò negli occhi
con il suo sguardo indecifrabile.
“Riesci a malapena a
muoverti. Hai distratto Freed dando
modo ad Issei di raggiungere Asia, la suora, hai fatto
abbastanza.”
Senza ulteriori indugi mi
sollevò tra le braccia come in
genere i ragazzi fanno con le principesse, avviandosi poi verso
l’uscita, ma
con la mano che ancora riuscivo a muovere iniziai a sbottonarmi la
camicia. Lei
non vi fece caso continuando a superare i detriti ed i corpi dei preti
svenuti.
Allungai una mano verso il mio fianco
destro e dalla tasca
estrassi una siringa. Una siringa enorme, con un ago tanto lungo quando
appuntito ed un ripieno di liquido arancione intenso. In quel momento
Koneko
forse intuì qualcosa, ma non riuscì a fermarmi.
Infilzai maldestramente
l’ago nel mio petto, puntando al
cuore, ed in un sol colpo spinsi lo stantuffo svotando la siringa del
suo
contenuto.
Per qualche istante non accadde
nulla, ma poco dopo l’effetto
del “Razzo!” iniziò a farsi sentire.
Quella particolare medicina era un
ritrovato in possesso dei
Butei, che conteneva al suo interno un cocktail di adrenalina,
stimolanti vari
e morfina. Aiutava a combattere il dolore di eventuali ferite
ripristinando
allo stesso tempo il corretto flusso sanguigno.
Nel mio caso specifico
allontanò il torpore che mi
avvolgeva, donandomi nuovamente lucidità.
“Posso
continuare!”
Con forza cercai di far presa sulla
morsa meccanica che mi
stringeva al demone, che mi lasciò andare dandomi modo di
rimettermi in piedi.
“Cos’è
era quella cosa? Come fai ad essere in piedi?”
Afferrai la pistola,
sostituì il caricatore, recuperando il
coltello a farfalla ora che mi era possibile.
“È solo una
soluzione temporanea, mi aiuta a non sentire il
dolore. Io tornò a combattere.”
Feci per buttarmi di nuova nella
mischia, ma Koneko ancora
mi tratteneva, questa volta per un polso.
“Perché lo fai?
Non ce n’è bisogno, nessuno pretende altro
da te.”
Mi guardai intorno, i preti erano
sconfitti, gli angeli
stavano retrocedendo sfiniti dalla guerra di logoramento contro i
demoni
decisamente superiori a loro, e solo lo scontro da Kiba e
l’esorcista che
pareva chiamarsi Freed, procedeva spedito.
“Non
c’è un motivo, sento solo che è giusto.
È giusto che nessun
altro muoia, non per me, non davanti ai miei occhi, non per salvarmi.
Devo
impedirlo… ma in questo stato non posso essere
d’aiuto… hai ragione, sono
debole ed inutile, il più scarso tra tutti i
Butei… ma posso migliorare, con il
tuo aiuto io posso farlo.”
La ragazzina, così simile
ad Aria per statura si mosse a
disagio.
“Con il mio
aiuto…?”
Le porsi una mano sorridendo, la
ferita sulla fronte aveva
smesso di sanguinare, dovevo avere un aspetto orrendo, ma anche
così le
sorrisi.
“Mi aiuterai?”
Lei sembrò dubbiosa, per
qualche istante esitò, ma quando
Kiba gridò per il dolore, allora annuì.
“Lo farò, per
salvare i miei sempai…”
Stavamo entrambi per tornare nella
lotta, ma non era questo
che volevo. Non era supporto in combattimento che cercavo, ma un
innesco per la
mia malattia.
E così, prima che lei
potesse capire, prima che mi potesse
fermare, prima che in qualche modo razionalizzasse quanto stava
accadendo, mi
chinai su di lei, sfiorai la sue labbra con le mie, stringendola a me.
Quello non era il mio primo bacio e
non era nemmeno la prima
volta che sfruttavo l’eccitazione sessuale per trasformarmi,
ma era diverso da
qualsiasi altro bacio avessi avuto prima.
Le sue labbra, come quelle di Aria
erano come morbide
ciliegie, ma mentre quelle di Aria avevano il sapore dei dolcetti alla
pesca
che mangiava sempre, ora potevo avvertire un gusto intenso di menta
selvatica
insieme ad un forte odore di Vaniglia.
Il calore nel mio corpo si
intensificò, avvertì una
pressante massa di potere crescere in me, inondandomi di forza.
Più potente del
Razzo, più forte dell’adrenalina, c’era
solo la mia Hysteria Mode.
Sciolsi l’abbraccio,
scostando gentilmente il mio viso da
quello della ragazzina. Lei era completamente scioccata, talmente
scioccata da
non riuscire a reagire in alcun modo se non arrossendo.
Dolcemente le sfiorai i capelli,
sorrisi, avvicinando le mie
labbra al suo orecchio per sussurrarle qualcosa con voce calda e
suadente.
“Grazie. Da qui in avanti
non c’è bisogno che intervieni,
non mi perdonerei mai se una persona speciale come te rimanesse ferita
a causa
mia.”
Le guance di Koneko assunsero il
colore di fragole mature
mentre il suo corpo iniziava a tremare. Ad occhio avrebbe ripreso il
controllo
di se a breve, ed avrebbe iniziato ad attaccarmi altrettanto in fretta.
Aria
faceva così e la piccola bambina non era poi troppo diversa
da lei.
Con
un ultimo
abbagliante sorriso mi immersi nella lotta.
L’avevo lasciata confusa,
inebetita, spiazzata, ma quando
cambiavo, quando mi trasformavo, per me era sempre così.
Ogni donna era una
principessa, non potevo fare loro del male e le avrei difese anche a
rischio di
morire.
Mi avvicinai a Kiba, che si trovava a
terra con un braccio
sanguinante mentre Freed rideva. Non era un semplice esorcista, ora
potevo
capirlo, ora riuscivo a vederlo.
In lui c’era dolore,
oscurità e potere.
“Non avresti dovuto far
male ad un mio compagno. Questo non
te lo perdonerò.”
Freed tornò a fissarmi,
inclinò il capo perplesso, ma
sorrise.
“Ah, il piccolo umano
è tornato? È sentiamo cosa pensi di
fare ora pezzo di spazzatura, che tu non abbia già fatto
prima? Morirai, e non
c’è altro da dire!”
Freed allungò la sua
pistola con proiettili di luce e sparo
verso di me. Il proiettile era veloce, potente, ma non avevo di che
preoccuparmi.
Non mi avrebbe colpito, non
c’era possibilità che mi
colpisse e questo perché io…
Io Potevo Vederlo!
Più veloce di qualunque
umano mi spostai di lato, feci
esplodere la mia Desert Eagle mandando tre proiettili in rapida
successione
verso il mio nemico. Come già in precedenza
l’esorcista deviò i colpi, ma
mentre la sua lama si inclinava per fermare i miei proiettili io sparai
ancora,
ed i proiettili deviati furono colpiti dai proiettili appena sparati,
tornando
nella loro traiettoria originale.
“Biliard Shot”
La capacità di colpire
proiettili a mezz’aria cambiando la
loro traiettoria. Sembrava impossibile e per gli umani era impossibile,
ma per
gli uomini della mia famiglia, se adeguatamente stimolati, diventava
estremamente facile.
I proiettili due volte deviati
presero di sorpresa l’esorcista
che fu colpito in tre punti differenti. Nessun danno letale ovviamente,
avevo
attentamente studiato la situazione per non infrangere la regola
più importante
per un Butei.
In sequenza una pallottola
colpì la pistola di Freed, risalendo
lungo la canna e facendola infine saltare, un’altra
colpì il braccio che
reggeva la spada che venne fatta cadere, ed infine l’ultima
sfiorò un nervo
nascosto tra la quinta e sesta vertebra cervicale. Un omaggio a Reki,
il
cecchino, se vogliamo dare credito a qualcuno per
quest’ultima mossa.
Come privo di forze Freed si
accasciò, ma continuò ad urlare
ed inveire. Avevo paralizzato il suo corpo per circa cinque minuti
grazie
all’ultima pallottola, cosa che mi dava il tempo di
avvicinarmi ed arrestarlo. Le
manette a prova di poteri vennero legate ai suoi polsi mentre tornavo
padrone
della situazione.
Avevo impiegato circa dieci secondi a
battere un uomo che fino
a quel momento era risultato invincibile.
Alle mie spalle Koneko, ancora rossa
in viso, aiutava Kiba a
rialzarsi, non senza guardarmi scioccata, di fronte a me una strana
luce
proveniente dal corpo della suora, si innalzava verso un angelo donna.
“RAYNARE!”
Non fui io ad urlare, non fui io a
rialzarmi, non fui io a
gettarmi contro la donna. Chi gridò quel nome con tanta odio
fu Issei, che si
lanciò contro di lei per fermarla, per impedire qualsiasi
cosa lei volesse
fare, ma anche così, con tutta la buona volontà
del mondo, non riuscì a far
nulla. L’angelo si appropriò di qualsiasi cosa
fosse prima nel corpo della
suora, che ora giaceva al suolo. Il respiro mozzo,
l’espressione triste.
Issei venne sbalzato indietro,
rovinò al suolo, ma
nonostante il suo evidente stato di dolore iniziò a
strisciare verso di lei. Le
fu vicino, la raccolse tra le sue braccia stringendola, ed i due si
scambiarono
poche parole inudibili per me che ero lontano...
…La suora stava morendo,
qualsiasi cosa le fosse stata
portata via aveva decretato la fine della sua vita. Il me normale non
avrebbe
potuto fare nulla per fermare quanto stava accadendo, ma il me di
adesso, il me
in Hysteria Mode, non poté non agire.
E non era solo per proteggere una
donna in pericolo e non
era solo perché Issei era un mio compagno di classe,
semplicemente non volevo
che qualcun altro vivesse quanto già io avevo vissuto. Con i
miei occhi mi
rividi in Issei, mentre stringevo Aria a me e le dicevo addio.
Ricordavo il palmo della sua piccola
mano sulla mia guancia
mentre puliva via una lacrima che mi ornava il viso. Ricordavo ogni
istante,
ogni microgrammo di dolore, ogni attimo di agonia che mi aveva condotto
fino a
quel momento.
Perché erano passati mesi,
ma non avevo ancora smesso di
soffrire.
Non avevo smesso di piangere per lei
e forse non avrei
smesso mai…
Non capì nemmeno quando mi
avvicinai così tanto, ne come mi
trovassi alle spalle dell’angelo che volteggiava tre metri da
terra, sapevo
solo di essere li, il colpo in canna l’espressione decisa.
E le sparai… le sparai
tante volte, ed ogni mio colpo la
trapassò facendole perdere qualche goccia di sangue prima di
rigenerarsi. Non
c’era modo di battere un angelo, lei non era umana, non era
come Freed la cui
base per quanto perversamente cambiata sarebbe stata sempre mortale.
Ogni mi attacco, ogni affondo del mio
coltello a farfalla,
non furono più utili che se stessi tagliando
l’aria. Non ero pronto a questo,
non ero pronto a trovarmi di fronte un nemico che non poteva essere
ferito…
Ma anche così, il me in
Hysteria Mode poteva farcela. C’era
sempre una soluzione, un trucco, un punto debole. La situazione non era
poi
troppo diversa da quando avevo affrontato Vlad l’Impalatore,
il Dracula delle
leggende.
In quell’occasione dei
marchi mi indicarono la via, bastò
che questi fossero colpiti contemporaneamente per mettere K.O.
l’aberrante
creatura, ma ora…
Non c’erano marchi ne punti
deboli, l’unica cosa che sapevo
era che il mio nemico non poteva morire…
E poi avvenne
l’illuminazione, il bagliore dorato che mise
fine ai miei tormenti.
Il mio avversario non poteva morire.
“Regolamento Butei, Articolo 9: Indipendentemente dalla situazione un Butei non
può uccidere.”
Ero sempre vissuto seguendo questa
regola, questo principio
che serviva a separare i Butei dai volgari mercenari, ma ora non dovevo
farlo
più. Non dovevo limitarmi per paura di uccidere il nemico,
perché il mio nemico
non poteva morire.
Schivai una lancia di luce che si
mosse come al
rallentatore, superai una serie di proiettili e piume nere che mi
passarono
accanto senza nemmeno sfiorarmi, tranciando qualsiasi cosa fosse alle
mie
spalle, e saltai.
Il muro della chiesa mi fece
d’appoggio, il rimbalzo mi
portò da lei. Avevo lasciato la pistola, avevo lasciato il
coltello, non mi
serviva quel tipo d’armi, ora avevo di meglio.
La mia mano corse alla cintura, ed il
cavo in carbonio usato
solitamente per scalare i palazzi venne strattonato fuori. Lo avvolsi
senza
pietà intorno al collo dell’angelo, ed iniziai a
tirare. La fibra era super
sottile, estremamente tagliente, la carne venne lacerata mentre il cavo
penetrava in profondità.
E poi di nuovo il miracolo, le ferite
che si rigeneravano,
solo che in questo caso si rigeneravano con il cavo ancora bloccato nel
collo
della donna. Lei si agitava e gemeva, iniziando a sbattere contro il
muro solo
per levarmi di dosso, ma mi tenni saldo, feci scivolare l cavo intorno
alle sue
ali, intorno alle sue braccia, intorno alle sue gambe.
Ogni volta ripetevo
l’operazione, il cavo la feriva,
lasciavo che la ferita si rimarginasse sul cavo e passavo al punto
successivo.
Continuai a legarla, annodarla,
torturarla.
Perfino quando cademmo a terra e le
smise di muoversi, anche
allora non mi fermai.
Dovettero strapparmi dal suo corpo,
dovettero condurmi via
dalla chiesa, dovettero portare lei con me, perché era
ancora attaccata al cavo
della mia cintura e non c’era modo di separarmi da lei ne di
avvicinarsi a me.
Poi fui colpito alla testa.
Più volte e con forza. Non
riuscì ad evitarlo, anche se avrei potuto, perché
a colpirmi fu proprio lei che
le somigliava così tanto.
Koneko mi fece perdere i sensi e
l’ultima cosa che vidi fu
il suo viso impaurito sovrapporsi a quello di Aria.
XXXXXXXXXXXX
[Hysteria][Savant][Syndrome].
O Hysteria mode come la chiamavo io.
Per chi aveva questa
sindrome, quando in situazioni romantiche le endorfine B nel cervello
superavano
un livello critico, si generava un aumento dei neurotrasmettitori nel
cervello,
nel cervelletto e nella colonna spinale, accelerando di conseguenza i
movimenti
del sistema nervoso centrale.
Il risultato è che in
Hysteria Mode aumentava rapidamente
l'abilità di pensare e fare decisioni, così come
aumentano i riflessi del
corpo.
Be', dicendolo semplicemente:
Quando persone con questa speciale
condizione venivano
incitate sessualmente, entravano temporaneamente in un super stato,
dove si
comportano come un'altra persona.
Per me era vitale tenere questa
abilità nascosta.
Specialmente alle ragazze.
(Questo perché le ragazze
erano...creature terrificanti...)
Tutti gli uomini avevano
l'abilità naturale di potenziarsi
quando era necessario proteggere le donne, in modo da poter in futuro
avere una
famiglia con loro. Sembrava che l'Hysteria Mode fosse una forma
altamente
evoluta di quell'istinto.
Per questo motivo quando entravo in
Hysteria Mode, la mia
debolezza era che mi comporto in modo stravagante verso le ragazze.
Innanzitutto
avrei protetto le ragazze a prescindere dalla situazione. Se una
ragazza avesse
avuto dei problemi o fosse stata nei guai, sarei costretto ad usare
questo
potere per aiutarla.
Secondariamente, la parte
dell'Hysteria Mode che non potevo
sopportare era…
Che iniziavo a parlare e ad agire in
modo davvero
melodrammatico verso le donne.
La stessa abilità
dell'Hysteria Mode mi faceva comportare
come un altro ragazzo... In Hysteria Mode diventavo molto gentile con
le
ragazze, le lodavo, le confortavo, le accarezzavo gentilmente,
diventando un
terrificante personaggio da libro rosa. Argh, ogni qualvolta ricordavo
cosa
avevo fatto mi sentivo morire
In questa particolare occasione
però, al mio risveglio mi resi
conto che non era l’ordinaria Hysteria Mode lo stato in cui
ero entrato. A
quanto pare, in qualche modo, forse per via delle molte ferite o
più
probabilmente per il dolore della perdita di Aria, ero entrato in uno
stadio
più evoluto e terrificante della malattia.
Durante lo scontro, quando persi
completamente il controllo
e dovettero fermarmi e sedarmi, mi trovavo in uno stadio a
metà tra l’Hysteria
Agonizzante e l’Hysteria Berseker.
In passato vidi mio fratello usare la
prima e durante lo
scontro con Sherlock Holmes fui io stesso vittima della seconda, ma
ancora
questo non spiegava come mai avessi perso il controllo.
L’Hysteria Agonizzante si
attivava quando l’uomo affetto da
Hysteria Savant Syndrome si trovava in punto di morte, in quel momento
il suo
corpo si ribellava all’idea di morire e l’istinto
di avere figli attivava
questa forma potenziata della malattia.
L’Hysteria Berseker invece
era la più potente e forse più
pericolosa delle forme d’Hysteria, ed era dovuta unicamente
alla gelosia che si
provava quando un uomo tentava di rubare la donna amata. La
pericolosità di
questa trasformazione era la perdita parziale di lucidità e
l’aumento della
rabbia, che avrebbe portato l’affetto dalla malattia perfino
ad attaccare e
ferire la donna stessa che amava.
Gli effetti regolari
dell’Hysteria Mode, aumentavano le mie
capacità di circa trenta volte, cosa che spiegava come fossi
in grado di vedere
al rallentatore gli attacchi dei miei avversari e di come potessi ogni
volta
fare le cose eccezionali che facevo, ma se questo era strabiliante
immaginate
questo…
…l’Hysteria
agonizzante aumentava le mie capacità di
quaranta volte mentre, l’Hysteria Berseker di cinquanta.
A conti fatti, trovandomi a
metà tra le due trasformazioni,
i miei riflessi, la mia capacità di pensare e la mia rabbia
erano circa
quarantacinque volte quelle di un umano normale, aldilà
persino delle stesse
capacità del mio corpo.
Quando mi risvegliai, feci queste
costatazioni, mentre
attendevo.
Attendevo che qualcuno venisse a
trovarmi nella stanza buia
in cui mi trovavo, liberandomi dalle catene che mi ancoravano ad una
sedia di
metallo ricoperta di sigilli.
Non sapevo cosa fosse successo dopo
che Koneko mi aveva
messo fuori combattimento, ma le mie ferite erano del tutto sanate, e
mi
ritrovavo con ancora in dosso i miei vestiti logori e stracciati. Anche
l’uniforme dell’Accademia Butei, con il suo
polimero in carbonio aveva dei
limiti e lo dimostravano i numerosi strappi e bruciature che
l’avevano rovinata.
Per quasi un’ora non venne
nessuno, ma poi la porta si apri
docilmente, richiudendosi un istante dopo. Al buio non fui in grado di
capire
chi fosse entrata, ma avverti un odore intenso.
Vaniglia.
“Perché lo hai
fatto?”
Anche senza poter vedere, riconobbi
la voce della ragazzina
conosciuta quel giorno stesso. La ragazzina che mi aveva accompagnato a
Tokyo,
che aveva combattuto al mio fianco, che avevo baciato e che alla fine
mi aveva
fatto perdere i sensi. Sicuramente aveva domande per me, ma davvero non
sapevo
se ero pronto a risponderle.
“Mi sono lasciato
trasportare…”
Tentai una via risposta evasiva,
senza davvero dire o negare
nulla.
“Sei stato
crudele…”
La voce della ragazza era senza
inflessioni, come suo
solito.
“Lo so.”
Non potevo negare che verso la fine
ero caduto nella
crudeltà e nel sadismo, ed anche se forse la colpa non era
del tutto mia, non
potevo che assumermene la piena responsabilità.
“Perché? Era a
terra, l’avevi battuta, ma hai continuato a
colpirla. Abbiamo dovuto tirarti via da lei. È sopravvissuta
per miracolo.”
Sgranai lo sguardo. Ero sinceramente
convinto che gli angeli
fossero immortali ed era per questo che avevo combattuto con tutta
quella foga,
senza alcuna restrizione morale.
“Il suo corpo si
rigenerava…”
Provai a difendermi in qualche modo,
ma avverti un verso di
irritazione da parte sua.
“Aveva rubato la Sacred
Gear della suora, Asia, per questo
riusciva a farlo. Ma quello che le hai fatto tu…
è stato orribile.”
Abbassai lo sguardo, consapevole di
non avere scusanti. Non
sapevo cosa fosse una Sacred Gear, ma evidentemente era quella sorta di
potere
che dalla suora era volata verso l’angelo.
“E mi hai baciato. Quello
era il mio primo bacio.”
Questa volta nella sua voce
c’era una traccia di cedimento,
doveva essere ancora confusa riguardo a quello. Se le avessi detto la
verità e
cioè che l’avevo baciata solo per usarla come
innesco per l’Hysteria Mode…
davvero non sapevo come l’avrebbe presa.
Se fosse stata Aria mi avrebbe
inseguito cercando di
ricoprirmi di buchi, ma lei non era Aria.
Aria non esisteva più.
“Mi dispiace, non volevo
rubare il tuo primo bacio…”
Tenni le distanze, frapponendo un
muro tra me e ciò che avrei
dovuto realmente dire. Dovevo fare come avevo sempre fatto e tenere le
mie
capacità nascoste a tutti.
Per il mio bene…
“Dopo quel bacio sei
diventato strano. Più forte. Hai
battuto Freed ed un angelo.”
Purtroppo non tutti erano lenti come
Aria a capire le cose,
c’era anche la possibilità che lei scoprisse
qualcosa senza che io dicessi
nulla.
“Già…”
“Sei davvero
umano?”
La domanda mi fece sorridere. Ero
davvero umano? Non ci
avevo mai riflettuto veramente. Dal punto di vista biologico lo ero
sicuramente, ma dentro di me…
“… una persona
morta dentro, ma che continua a vivere, può
davvero definirsi umana?”
Risposi in modo enigmatico, senza
aggiungere nulla di più.
Koneko non si avvicinò, non mi fece altre domande, rimase
semplicemente lì.
Restammo in silenzio per quella che
mi parve un’ora prima
che lei aprisse la porta ed andasse via.
In quel momento mi lasciai sfuggire
un gemito di sofferenza.
Era dura essere me.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Note:
Pubblico a più non posso =) Spero che a qualcuno piaccia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Terza Pallottola - Raiting Game ***
Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non
posseggo ne Highschool DxD ne Hiden No Aria. La storia è
scritta senza scopi di
lucro
Terza Pallottola
- Raiting Game
Nell’oscurità il
tempo non scorre, non passa, non avanza.
Secondi sembrano minuti, minuti sembrano ore, ore sembrano giorni. Dopo
un
tempo infinito iniziai a sentire la sete, poi venne la fame.
Incominciai a
pensare che quella stanza tetra e buia sarebbe stata la mia tomba,
quando fui
avvolto dalla luce.
Non ricordo bene come accadde, in
quel momento ero
leggermente confuso, ma fui certo solo che la porta si fosse aperta.
Quando i
miei occhi si adattarono e riuscì a vedere di nuovo, mi
ritrovai davanti
l’intero team di demoni che mi aveva supportato nella chiesa
più persone che mi
erano sconosciute.
Fui lasciato solo per molto tempo ed
ora ero circondato di
persone, persone alte e basse, uomini e donne, ma tra tutti risaltava
lei, la
suora, che anche in mezzo ad un branco di demoni continuava ad
indossare le sue
vesti sacre.
Anche nella mia spossatezza fui
felice di vederla. Stava
bene, era viva, era salva. Dopotutto la missione non era stato un
completo
fallimento.
Sorrisi alla ragazza dai capelli
biondi, che mi guardò
spaventata riparandosi dietro Issei, il mio compagno di classe. Ora che
facevo
più attenzione, parecchie persone sembravano trovarsi a
disagio di fronte a me.
Nelle loro menti doveva essere ancora impressa l’immagine del
mio combattimento
con l’angelo caduto.
Il sorriso si spense così
com’era andato a formarsi, ed
anche se i miei muscoli erano completamente atrofizzati cercai di
mettermi più
comodo sulla sedia.
“Non sembri
agitato.”
Rias, la bellissima ragazza dai
capelli rossi, mi parlò con
naturalezza. Lei sembrava essere una delle poche persone a non temermi.
“Cerco di risparmiare le
forze. Urlare ed inveire non mi
farebbero andare via di qui più in fretta, invece conservare
quel po’ di
energia che mi resta potrebbe farlo.”
Il mio aspetto doveva essere
orribile, non so da quanto
tempo non mi lavavo, probabilmente puzzavo un sacco.
Rias mi si avvicinò
stringendo un mazzo di chiavi, con le
quali iniziò a sciogliere tutte le cinghie e catene che mi
legavano. Sul suo
volto c’era un’espressione dispiaciuta, quasi fosse
colpa sua se mi trovavo lì.
“Toyama-kun, mi dispiace
per quello che ti abbiamo fatto, ma
dovevamo essere sicuri che tu fossi realmente umano. Abbiamo raccolti
campioni
del tuo sangue e li abbiamo fatti analizzare negli inferi,
c’è voluto un po’ di
tempo, ma ora sappiamo che non sei una minaccia per noi.”
Quando mi sciolse di tutte le catene
la prima cosa che feci
fu di massaggiarmi i polsi. Non provai nemmeno ad alzarmi, prima dovevo
riavviare la circolazione in quelle parti atrofizzate, altrimenti
l’unica cosa
che mi sarebbe successa era di cadere.
“Non devi scusarti
Gremory-san, hai fatto quello che hai
fatto per proteggere i tuoi compagni, non c’è
nulla di vergognoso in questo. Mi
dispiace solo avervi fatto vedere un lato tanto orribile di
me.”
Le sorrisi di nuovo, passando in
rassegna le persone dietro
di lei. Oltre ai membri del gruppo che già conoscevi,
c’erano altri ragazzi,
tutti con l’uniforme della scuola e tutti guardinghi. Una
donna teneva addirittura
una mano sulla spada portata alla cintura, come se tu potessi saltarle
addosso
da un momento all’altro.
“Sei molto, molto diverso
da quello che mi aspetto. Che
tutti noi ci aspettavamo. So che non hai voluto spiegare la fonte di
quel tuo
potere, ma devo chiedertelo comunque, da dove arriva? È
forse opera di Dio? Nel
tuo corpo potrebbe esserci una sacred gear, ed in quel caso dovremmo
insegnarti
ad usarla prima di lasciarti andare…”
Anche se era un demone, Rias si
dimostrò buona e
comprensiva, forse perfino troppo. Per un secondo
un’espressione di fastidio
balenò sul mio viso, ma presto anche quella fu messa da
parte.
“Grazie, ma davvero non
credo ci sia nulla che voi possiate
fare per me. Non ho idea di cosa una sacred gear sia, ma la mia
è solo… una
patologia ereditaria. Mia padre l’ha avuta prima di me, e mio
nonno prima di
lui. Tutti i maschi della mia famiglia ne sono affetti.”
Le diedi quel briciolo di
verità in cambio della sua
gentilezza, ma davvero non potevo sopportare oltre quel pubblico che mi
fissava. Facendo leva con le braccia sui manici della sedia, cercai di
rimettermi in piedi. In quel momento Issei assunse una posa
d’attacco coprendo
Asia con il suo corpo, Kiba evocò una delle sue spade ed
Akeno fece scintillare
la magia sul palmo della mano.
In tutta risposta io barcollai e
quasi caddi. Le mie gambe
non avevano ancora recuperato a sufficienza, ed ora stavo per rovinare
al
suolo, tuttavia la mia caduta fu frenata da un piccolo corpo sottile
che mi
sorresse. Mentre gli altri si preparavano a combattere, aspettandosi da
parte
mia un qualche attacco a tradimento, lei fece in modo che non mi
facessi
ulteriore male.
Io mi appoggiai completamente a lei e
quando i nostri occhi
si incontrarono le sorrisi.
“Grazie.”
Parlai semplicemente, ma di fronte a
quella semplice parola
lei arrossì e distolse lo sguardo.
“Ti abbiamo già
trattato male abbastanza. Tu hai salvato
Kiba-kun e Issei-kun ed hai aiutato a salvare Asia-chan, non meriti il
nostro
disprezzo e la nostra ingratitudine.”
Quando la piccola ragazzina
pronunciò quelle parole, una
sensazione di vergogna serpeggiò tra i demoni, che si
rilassarono e posarono le
armi. Rias, che ci era di fianco sorrise, anche se sembrava che
sorridesse più
a Koneko che a me.
“Hai detto che la tua
è una patologia? Negli esami del
sangue non abbiamo trovato nulla di simile, sei sicuro di quello che
dici? Asia
è quella che ha curato le tue ferite e qualsiasi altro
problema sarebbe dovuto
scomparire sotto il suo potere.”
Per un attimo strabuzzai lo sguardo,
cercando la suora che
mi fissava da dietro la schiena del suo eroe. E se davvero avesse
rimosso da me
la maledizione dell’Hysteria Mode? Se mi avesse curato
arrivando a cambiare
quello che c’era di sbagliato nel mio corpo? Era una teoria
che dovevo
assolutamente provare, dovevo provarla per capire se finalmente ero
riuscito ad
ottenere una vita normale.
Sempre sorretto da Koneko, mi chinai
quel tanto che bastava
per sfiorare la sua fronte con le mie labbra, carezzandole nel
frattempo il
viso. Il mio sangue gorgogliò, iniziò ad
accumularsi, ma non superò il livello
limite che mi avrebbe trasformato. La malattia era ancora presente e davvero non
c’era nulla che nessuno potesse
fare.
“Ehi! Non avvicinare le tue
brutte labbra a Koneko-chan! Lo
sapevo, sei solo un Lolicon!”
Eh?
Ah già, avevo di nuovo
sfruttato Koneko, questa volta come
cavia per vedere se la malattia era ancora presente. A ribellarsi
davanti al
mio gesto spudorato fu Issei, che gridò e si fece avanti
quasi saltandomi
addosso. Solo l’intervento di Kiba gli impedì di
colpirmi, ma anche così potevo
capire che non aveva intenzioni davvero ostili. Stava solo cercando di
proteggere la sua Kohai da quello che credeva essere un maniaco.
Koneko d’altra parte era
avvampata, ed ora aveva iniziato a
tremare.
“Disgustoso…”
Tra
tutte le cose che
avrebbe potuto dire quella era l’ultima che mi sarei
aspettato. Scrollandomi di
dosso fino a farmi ricadere sulla sedia, la piccola ragazza mi
guardò con
rabbia, allontanandosi dalla stanza.
Rias ridacchiò e lo stesso
fece la maggior parte delle
persone presenti.
“Fufu, fammi indovinare hai
voluto vedere se Asia era
riuscito a curarti. Vedendo la tua faccia direi che no, non
c’è riuscita.
Quindi la tua non è una malattia del sangue?”
Di nuovo sulla sedia, sospirai
affranto, poggiandomi allo
schienale.
“No, non è nel
sangue, è qualcosa a livello di DNA, non può
essere curato in nessun modo, ma dovete stare tranquilli, sono
diventato
piuttosto bravo a tenere a bada questa condizione, non
c’è davvero bisogno che
vi preoccupiate. Anzi, penso sarebbe meglio per tutti se cambiassi di
nuovo
scuola.”
Le mie parole tolsero il sorriso a
Rias.
“Cambiare scuola? Se sei
preoccupato per le assenze puoi
stare tranquillo, Sona-chan è la presidentessa del consiglio
studentesco ed ha
fatto chiudere un occhio ai professori.”
Rias mi indicò una delle
persone che non conoscevo, una
ragazza dai corti capelli neri ed occhiali bordati di viola.
“Rias, ti ha già
detto che a scuola devi chiamarmi Kaichou,
e sì, per questa volta il consiglio studentesco
coprirà le tue assenze, del
resto è colpa di noi demoni se hai saltato due giorni di
scuola.”
Due giorni? Contando la missione,
avvenuta nel mio secondo
giorno di scuola, ero rimasto incosciente per davvero poche ore, ed
ancora meno
erano le ore che avevo passato sigillato in quella stanza. Socchiusi gli occhi, presi
fiato, cercando di
rimettermi in piedi.
Questa volta le gambe mi ressero e
fui capace di muovere
qualche passo senza bisogno d’aiuto.
“Non è per voi,
o per le assenze, solo che sono venuto qui
per cercare una vita normale, ed è evidente che in questa
scuola non c’è nulla
di normale. Perfino il consiglio studentesco è formato da
demoni. Davvero, qui
sarei solo d’intralcio a tutti voi.”
Non senza sforzo mi tastai i vestiti,
mi guardai intorno, tornando
a Rias.
“Le mie cose? Pistola,
coltello ed anche la cintura, è
sparito tutto.”
Rias sembrava voler ribattere ancora,
convincermi a non
trasferirmi, ma dovette capire di non avere possibilità.
Alla fine si arrese
all’evidenza non senza rimpianto.
“Va bene, abbiamo
già incassato il nostro pagamento, non
abbiamo ulteriori motivi per trattenerti. Ti prego seguimi, ti
permetteremo di
fare una doccia, cambiarti e ti ridaremo le tue cose, così
sarai libero di
andare.”
La donna si fece strada, i demoni
servitori si spostarono
davanti a lei ed io mi limitai a seguirla. Mi sentì gli
occhi di tutti addosso
mentre passavo, ma la maggior parte dell’ostilità
sembrava essere evaporata ed
ora erano sguardi incerti e curiosi a cercarmi.
Una volta fuori dalla stanza,
capì dove mi trovavo, era lo
stesso edificio in cui mi ero risvegliato dopo aver perso i sensi in
camera di
Rias ed a seconda dei corridoi che stavamo attraversando e del numero
di
trascuratezza dei corridoi e delle aule, doveva essere il vecchio
edificio scolastico.
Rias mi guidò fino ad un
bagno al piano terra, che sembrava
ristrutturato a nuovo e conteneva più lussi di quanti ne
servissero. Una volta
lì fui lasciato solo e finalmente potei rilassarmi e
ragionare. Mi spogliai dei
miei logori abiti, mi immersi nella calda acqua della vasca da bagno,
grande
almeno quattro metri e profonda un metro e mezzo, lasciando che
l’acqua facesse
il suo dovere.
I muscoli si distesero, il torpore in
tutto il corpo iniziò
a svanire ed anche lo sporco che ancora avevo addosso venne lavato via.
Dopo
poco meno di mezz’ora fui sul punto di uscire, rinfrancato e
pronto ad andar
via. Dei morbidi vestiti dell’accademia erano stati lasciati
fuori dalla porta,
così che potessi indossare qualcosa di pulito.
Terminai di prepararmi, mi guardai
allo specchio e sorrisi.
Avevo un accenno di barba sul mento, ma tolto questo il mio aspetto era
passabile. Quando raggiunsi il resto del gruppo nella sala
d’attesa, notai
immediatamente i miei beni più preziosi su un tavolino.
La mia Desert Eagle, un caricatore
tolto all’arma per
lasciarla senza munizioni, il coltello a farfalla e
soprattutto… i resti
infranti del mio cellulare.
Il telefono era rotto,
inutilizzabile, eppure si trovava
comunque tra i miei effetti personali come se qualcuno si aspettasse
che io lo
rivolessi indietro. Guardi il tavolino, cercai con gli occhi lo sguardo
della
ragazzina che mi aveva accompagnato fino a Tokyo e quando le sorrisi
lei alzò
lo sguardo al soffitto.
Non mi importava nulla del telefono,
quello avrei sempre potuto
cambiarlo, ma il cordoncino che c’era attaccato con il
piccolo pupazzetto di
Aria, l’ultimo ricordo di lei, era inestimabile per me. Come
un fantasma
avanzai nella stanza, presi il telefono tra le mani, carezzando il
piccolo
Leopone.
Aria.
Aria.
Aria.
Srotolai di nuovo
l’etichetta, lessi di nuovo le sue parole.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
E cosa stavo facendo ora se non
scappare? Ero scappato dalla
mia vecchia vita, stavo scappando dalla mia nuova vita, ovunque andassi
c’era
sempre qualcosa che mi ricordava lei. Non ero mai riuscito a vivere con
coraggio, la mia ricerca di pace e tranquillità era una fuga
dal dolore della
morte di mio fratello, ed ora continuavo a fuggire dal dolore della sua
morte.
Guardai di nuovo Koneko, questa volta
avevo gli occhi lucidi
e lei non distolse lo sguardo. Qualcuno chiamava il mio nome, ma non mi
importava. Quegli occhi dorati sembravano dirmi qualcosa che non ero
sicuro di
riuscire a cogliere.
“Toyama-kun! Mi senti? Se
vuoi andare ti conviene farlo
prima che tramonti il sole, altrimenti arriverai a casa che
è già buio.”
Rias mi parlava, mi diceva in effetti
qualcosa di sensato.
Sarei dovuto andare, ritirarmi nel mio piccolo appartamento e preparare
la
domanda di trasferimento. Da qualche parte avrei trovato un luogo dove
vivere
in pace. Da qualche parte sarebbe esistito un luogo solo per me.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
“Gremory-san, ho cambiato
idea. Ho deciso di restare.”
Lo dissi senza distogliere lo sguardo
dagli occhi di Koneko.
Sul suo volto in genere inespressivo c’era il più
piccolo dei sorrisi. Strinsi
con forza il pupazzetto, mi promisi di nuovo di non fuggire mai
più e non solo
dalle lotte o dai miei doveri, ma dalla mia vita.
Le mie parole lasciarono di stucco
tutti i presenti, nessuno
a parte me e Koneko ci aveva capito un beneamato...
XXXXXXXXXXXX
La cerimonia di reincarnazione fu
piuttosto informale. Non
c’erano candele, ne rituali oscuri, ne sacrifici di sangue.
Sembrava proprio
che tutte le idee che gli umani avessero sui demoni fossero
semplicemente il
prodotto della propaganda corrotta della chiesa, che cercava di far
passare i
demoni per malvagi in modo da giustificare il continuo combattere con
loro.
Un pezzo degli scacchi venne posto
davanti al mio petto, una
luce intensa avvolse me e la mia padrona Rias, ed il pezzo
entrò nel mio petto
causandomi una dose minima di fastidio.
Adesso qualcuno si
domanderà sicuramente, perché asservirsi
ad un demone come Rias, se avevo solo deciso di restare?
La risposta era semplice, avevo
assistito in prima persona
ad una battaglia della squadra della principessa cremisi, ed oltre ad
approvare
i loro metodi che li portarono a non uccidere nessun umano presente,
non potei
non lodare lo spirito di gruppo e l’amore che si respirava
trai ranghi di
quella formazione.
Rias era un padrone docile, molto
affezionata ai suoi servi,
che era arrivata al punto da trovare un pretesto per combattere contro
gli
angeli caduti piuttosto che lasciar andare Issei da solo a salvare
Asia. Se
davvero dovevo ricominciare, senza più fuggire, mi sarei
immerso anima e corpo
in quella nuova avventura, accettando volentieri di diventare il
servitore di
quella persona.
Il pezzo che mi fu assegnato, per la
mia grande capacità
tecnica in Hysteria Mode, fu il cavallo, il che mi poneva al pari di
Kiba.
L’unica differenza tra noi era che le mie capacità
avevano delle restrizioni
ferree per essere attivate, mentre le sue erano naturali.
Mi aspettai un ferreo interrogatorio
riguardo queste
restrizioni, ma dopo un iniziale rifiuto di spiegazioni, tutti smisero
di
domandare, dando per scontato che nel momento di bisogno avrei mostrato
le mie
reali capacità. Questo gesto mi fece apprezzare ancora di
più i miei compagni,
che lentamente si stavano abituando a me e mi stavano accettando,
mettendo da
parte l’idea di pazzo psicotico che si erano fatti.
La mia vita cambiò
radicalmente nel giro di pochi giorni,
passai dall’essere un uomo distrutto ad essere un demone
rinato, con ancora
tanto dolore e sofferenza, ma anche un briciolo di felicità.
Iniziai a fare
volantinaggio, ad assolvere i miei doveri come servitore, passando le
mie notti
ad esaudire i desideri degli umani che volevano contrattare la loro
anima.
A differenza di Issei, con la
trasformazione in demone
guadagnai anche una piccola quantità di potere magico, utile
ad utilizzare il
teletrasporto, quindi le cose furono facili per me. O almeno furono
facili fino
a che non mi capitava di dover fare qualche commissione con Koneko, o
non
capitava per qualche strana ragione che nei due fossimo lasciati da
soli.
I membri più grandi del
club di ricerca per l’Occulto
(quella era la nostra copertura a scuola), cercavano in ogni modo di
farci
interagire e parlare tra noi, ma mentre io mi trovavo in imbarazzo per
tutte le
cose che le avevo fatto, lei si limitava a non parlarmi o a voltare i
tacchi
quando ero io a rivolgerle la parola.
Per certi versi Koneko mi ricordava
uno strano incrocio tra
Reki il cecchino ed Aria, la mia vecchia… amica. Come Reki
era perlopiù
silenziosa ed impassibile, ma se messa alle strette era capace di fare
espressioni adorabili e tenerissime, proprio come Aria.
Il mio interesse per lei era sincero,
ma non romantico,
l’unica cosa che volevo era appianare le divergenze che si
erano create tra
noi, riprendendo la nostra vita come compagni di club e compagni
demoni.
Tuttavia avevo rinunciato ad una vita
tranquilla divenendo
un demone, ed i primi imprevisti erano dietro l’angolo.
Avvenne tutto senza che
me ne rendessi conto, un giorno durante la riunione del Club.
L’aria era tesa,
Issei era rosso in viso e nella stanza oltre a noi membri
c’era una strana
donna dai capelli argentei, vestita come cameriera.
Come noi anche lei doveva essere un
demone, ed in me iniziò
a crescere la convinzione che non esistessero brutte donne
all’inferno, perché
fino a quel momento tutte quelle che avevo incontrato erano
estremamente
avvenenti. La donna che si trovava davanti a noi non faceva eccezione.
“Sembra che tutti siano
qui. Prima di iniziare con il club,
c'è qualcosa che ho bisogno di dirvi.”
“Ojou-sama, vuole che
spieghi io la situazione?”
La Buchou rifiutò
l'offerta della cameriera, con un cenno
della mano.
“La verità
è...”
Nello stesso momento in cui la Buchou
iniziò a parlare, un
cerchio magico brillò sul pavimento. I disegni e le rune del
cerchio
cambiarono, formando un simbolo diverso da quello del clan Gremory,
cosa che mi
lasciò perplesso. Mi voltai verso i miei compagni, molti dei
quali avevo
espressioni confuse come la mia, solo Kiba ed Akeno sembravano sapere
chi fosse
in arrivo.
“....Phenex”
Ecco ciò che disse Kiba,
che stava accanto a me. Non avevo
mai sentito il nome dei Phenex, ma era evidente
dall’espressione del suo viso
che non fosse qualcuno con cui di raccomandabile.
La luce esplose, c'erano delle fiamme
che provenivano dal
cerchio magico e che si scatenarono in tutta la stanza. Caldo! Le
scintille mi
stavano bruciando la pelle. Dietro le fiamme c'era la sagoma di un
uomo. Quando
mosse il suo braccio di lato, le fiamme scomparvero.
“Fuu. Era un po’
che non venivo nel mondo umano.”
Dal cerchio magico apparve un uomo
con abiti casual rossi,
con la camicia aperta sino al petto e nessuna cravatta a fare
compagnia. Non
fui impressionato dalla sua apparizione, ma il modo in cui si
atteggiava ed il
suo modo altezzoso di porsi, me lo fece diventare subito antipatico.
Appena
dopo aver fatto un passo fuori dal cerchio magico iniziò a
guardarsi intorno, i
suoi occhi vagarono su di noi servi a cui non parve interessato. Mi
fece
irritare il modo in cui i suoi occhi si soffermarono qualche istante su
Koneko,
ma poi la vera destinataria di quegli occhi voraci si fece avanti.
“Mia amata Rias. Sono
venuto a prenderti.”
I miei occhi si restrinsero e per un
momento rimasi
interdetto cercando di leggere l’atmosfera. Il nuovo
arrivato, con l’aria del
tipico bullo da liceo, si rivolse alla mia padrona, che di suo
socchiuse gli
occhi prendendo un profondo respiro. Non sembrava che lei gli stesse
dando il
benvenuto, anzi al contrario sembrava irritata dalla sua presenza. Con
un
movimento lento della mano sbottonai la giacca a prova di proiettile e
sganciai
la sicura della fondina.
“Allora Rias. Andiamo a
dare un'occhiata alla sala della
cerimonia. La data della cerimonia è decisa quindi dobbiamo
controllarla prima
di allora.”
L’uomo continuò
ad avvicinarsi, non diede conto a noi, e
nemmeno a Rias, che si lasciò afferrare il
bracciò, ma non si mosse di un passo
dalla sua posizione.
“……Lasciami
andare, Raiser.”
Rias gli spostò la mano
stringendola e lo disse con una voce
seria e profonda. In quel momento sembrava davvero arrabbiata,
probabilmente
neanche lei apprezzava i modi dell’uomo davanti a lei. Lo
sconosciuto che
rispondeva al nome Raiser, dal canto suo, non sembrò per nulla impressionato, ed
al contrario
sorrise.
Io ero pronto ad intervenire se il
nuovo arrivato avesse fatto
una mossa azzardata contro il mio padrone, ma altri meno pazienti di me
scattarono.
“Oi, tu. Ti stai
comportando male con la Buchou. Pensi che
questo sia accettabile?”
Issei parlò con foga,
alzandosi in piedi per fronteggiare
l’uomo. Da come fu guardato in risposta, era facile intuire
che Raiser lo
considerava spazzatura. Da lì iniziò un
battibeccò interminabile, una sequela
di frasi senza senso e situazioni imbarazzanti che non voglio nemmeno
ricordare.
Troppe nudità e cose vergognose per la mia povera mente,
dunque eviterò di
richiamarle e passerò oltre.
Il succo fondamentale del discorso
era che la mia padrona,
Rias Gremory, come erede principale della casata Gremory era stata
promessa in
sposa al bell’imbusto appartenente alla famiglia Phenex. Il
matrimonio sarebbe
stato un vantaggio per entrambe le famiglie, ma per gli spasimanti le
cose non
erano così. Certo, Raiser ci avrebbe guadagnato, del resto
chi non vorrebbe
sposare una donna formosa e bellissima come Rias mantenendo al contempo
un
harem fatto dai propri servitori?
Ma al contrario la bella Gremory
avrebbe solo perso le sue
libertà sposando Raiser, venendo costretta a tornare negli
inferi, costretta a
vivere un uomo che non amava e costretta ad avere figli da lui. Quello
che
prese peggio la notizia fu Issei, che sembrava essersi infatuato della
sua
padrona che ora voleva salvare ad ogni costo.
Quasi risi per la sua
ingenuità, ricordando il tempo in cui
anche io ero così. Non esitai ad affrontare ogni sorta di
creatura per
proteggerai Aria, arrivai addirittura al punto di cavalcare una testata
nucleare intercontinentale… ma quel tempo era passato ed ora
per quanto volessi
salvare la mia padrona, il mio non era più un fuoco ardente
che brillava di
innocenza e passione.
Per evitare ulteriori grattacapi,
alla fine Raiser e Rias si
erano accordati, con il benestare degli alti demoni
dell’inferno, per una sfida
ai Raiting Games. La squadra d Raiser avrebbe affrontato quella di Rias
e quali
delle due avrebbe vinto, avrebbe guadagnato il diritto di far valere la
sua
ragione.
Per Raiser era la volontà
di avere una donna docile ed
ubbidiente, che appagasse tutte le sue perversioni, per Rias il rompere
il
contratto matrimoniale avendo dunque la possibilità di
innamorarsi di chiunque
lei volesse.
Il che ci riporta alla settimana di
allenamento infernale
sui monti in previsione dello scontro. La nostra squadra aveva bisogno
di
migliorare, ma soprattutto Issei aveva bisogno di imparare ad usare il
suo
Sacred Gear che gli permetteva di raddoppiare ogni dieci secondi la sua
forza.
L’allenamento fu duro, mi
vennero insegnate tante cose,
soprattutto da Kiba ed Akeno (Koneko si rifiutava di insegnarmi), ma
anche io
insegnai qualcosa ai miei compagni. Senza di me il gruppo sembrava come
privo
di mente, un corpo muscolo pronto a colpire qualsiasi cosa si muovesse,
senza
una ben precisa strategia.
Resomi conto di questo mi feci carico
della situazione ed
organizzai meeting su base giornaliera per discutere e trovare un modo
per
affrontare e vincere i nostri avversari.
La nostra squadra era in svantaggio sia numerico che per
livello di esperienza
ed abilità, ma avevamo anche qualche carta vincente che
intendevamo far valere.
Per prima cosa modificammo le nostre
divise, basandole tutte
sul polimero con cui erano costruite quelle per l’accademia
Butei. Ciò avrebbe
aumentato le nostre difese rendendo ai nostri avversari più
difficile porta a
segno i colpi. A tutti vennero date siringhe ripiene con il cocktail
“Razzo!”,
utile per riprendersi dalle ferite ed evitare il ritiro forzato. Questo
ci
avrebbe dato il tempo di retrocedere per farci curare da Asia, il
nostro Jolly.
Finchè lei fosse stata
viva ed a portata di mano, una nostra
sconfitta era improbabile. Qualsiasi nostra ferita sarebbe stata curata
e l’adrenalina
avrebbe nascosto temporaneamente lo spossamento. A tutti furono
consegnate
manette a prova di abilità speciali, fumogeni e per ogni
precauzioni teaser,
che comunque avrebbero avuto poco o nessuno effetto sui demoni.
Io ordinai anche altre cose, cose
introvabili perfino per i
Butei di alto rango, ma che grazie alle connessioni della famiglia
Gremory
ricevetti a tempo di record.
E poi si arrivò al giorno
dello scontro.
Con Koneko ero ancora ai ferri corti,
ma per la fine dello
scontro le cose sarebbero molto cambiate.
XXXXXXXXXXXXXXXXX
“Rias, ti dico che
è la soluzione migliore. Ho studiato
tutte le schede di valutazione e visto i filmati, un combattimento di
questo
tipo è la nostra migliore risorsa per vincere.”
Stavo ancora cercando di fare valere
le mie ragioni. Si era
arrivati al giorno dello scontro decisivo, ed eravamo già
stati trasportati con
la magia nel luogo dello scontro. Ad occhio sembrava che non ci fossimo
dalla
stanza del club, ma in realtà eravamo passati dalla
realtà, ad un mondo
fittizio, del tutto uguale a quello di partenza, dove avremmo potuto
combattere
e distruggere quanto avessimo voluto senza trattenerci.
“Ed io ti ho detto di
ascoltare la tua padrona! Non metterai
in pericolo la tua vita in questo modo, non ti permetterò di
fare di testa tua!
Sia per te, che per i tuoi avversari! Cosa succederebbe se perdessi di
nuovo il
controllo?! Non tutti hanno superato l’incidente di quel
giorno ed al momento c’è
solo un fragile equilibrio tra di noi. Seguì la strategia
che IO ho deciso e
vedrai che andrà tutto bene.”
Digrignai i denti, presi un profondo
respiro iniziando a
giocherellare con Leopone. Era diventato un mio vizio stringere tra le
mani il
piccolo pupazzo, domandandomi in ogni momento come si sarebbe
comportata Aria
al mio posto. Ero stato un Butei, mi era stata insegnata
l’importanza della
catena di comando, ma anche così non riuscivo a tollerare un
piano con così
tante variabili imprevedibili.
“So di essere un nuovo
membro del gruppo, che quasi nessuno
qui si fida di me, ma io posso farcela. Posso porre fine a tutto questo
prima
ancora che i nemici capiscano cos’è successo. Sei
un grande Leader Rias, con
carisma ed una volontà di ferro, ma verranno giorni in cui
dovrai affidarti a
qualcun altro e non contare solo su te stessa. Sai qual è il
primo articolo di
noi Butei? Credi nei tuoi amici e proteggetevi gli uni con gli
altri…”
Ancora pochi minuti e sarebbe
iniziato lo scontro, il
dibattito tra me e la Bochou era acceso, ma nessun altro sembrava
esserne
interessato. Nessuno in quella stanza aveva appoggiato la mia idea,
alla fine
ero stato il solo a voler rischiare in un’unica mossa, tutti
gli altri
preferivano far valere la loro ragione con la forza…
…poveri sciocchi, in
questo mondo non era la forza a
prevalere, ma l’arguzia.
Rias soppesò le mie
parole, sembrò quasi sul punto di
cedere, ma poi un forte gong riecheggiò nell’aria.
Lo scontro era iniziato, non
c’era più modo di tornare indietro. Rias prese un
sospiro, si sedette sul
divano della sala del club, ignorandomi completamente.
“Avete tutti i vostri
ordini, inizierete ad andare tra dieci
minuti. Akeno, ti va di mettere su un po’ di the?”
Un fremito di agitazione mi percorse
il corpo, ma lo misi a
tacere. La strategia di una battaglia in campo aperto, con divisione a
squadre
ed assalti mirati non era male, anzi era perfino ben congegnata, ma non
ci
avrebbe portato alla vittoria.
Avevo passato l’ultima
settimana a sfruttare il difetto fatale
dei miei avversari contro di loro. Quell’unico difetto che
loro avevano e noi
invece no.
Loro erano famosi.
Erano giocatori esperti dei raiting
games ed in quanto tali
le quantità di notizie che era possibile reperire era quasi
illimitato. Studiai
i loro scontri, le loro vittorie, le loro sconfitte e le
capacità generali di
ognuno di loro, arrivando ad un unico
esito possibile.
Noi avremmo perso.
Per quanto forti, per quanto capaci,
non avremmo potuto
battere la loro regina senza sforzo. Ed anche se l’avessimo
battuta non avremmo
potuto battere il loro re.
Raiser era della casata Phenix, nel
cui sangue scorreva il
potere della mitologica creatura. Una creatura leggendaria, prolifica,
con una
potenza di fuoco invidiabile ed una resistenza quasi assoluta. Pochi
attacchi
erano capaci di danneggiarla realmente e nessuno di noi era capaci di
sferrarli.
L’unica possibile via
d’uscita era il piano che avevo
concepito durante l’Hysteria Mode della mattina, quando il
sangue affluì senza
controllo voi-sapete-dove (come in ogni maschio sano), ed entrai in
quello
stato per qualche minuto.
La trasformazione era sparita da
tempo, ma il piano era
rimasto. Mi allontanai dalla stanza dei miei compagni, mi inoltrai in
un
corridoio buio che non sboccava da nessuna parte, e li diedi sfogo alla
mia
rabbia. Un muro di mattoni fu il mio triste avversario e quando
finì con lui
era leggermente ammaccato e le mie mani erano sanguinanti.
Tornai nella stanza in tempo per
partire, ed insieme ai miei
compagni mi allontanai dall’edificio scolastico. Uscimmo in
quattro dal nostro
campo base, ma ci dividemmo subito in gruppi da due. Io viaggiai in
coppia con
Koneko, mentre Kiba era con Issei.
Le squadre vennero decise in maniera
tale che ci fosse un veterano
con esperienza (Kiba e Koneko), ed un giovane demone inesperto (me e
Issei).
Anche così era improbabile che finissi con Akeno, visto e
considerato che
ultimamente a stento riuscivamo a stare nella stessa stanza insieme, ma
la
necessità di una coppia formata da persone capaci sia nel
corpo a corpo, che in
attacchi a distanza giocò a mio favore.
Io andai con Koneko, in maniera tale
che mentre lei teneva
occupata i nemici a distanza ravvicinata, io li spazzavo via a
distanza. Stessa
cosa valeva per Issei e Kiba, anche se la loro squadra era leggermente
tendente
al corpo a corpo per via dell’incapacità di Issei
di usare la magia.
Per dirlo semplicemente, fu tutto
organizzato dalle nostre
sempai che cercavano di fari riappacificare.
Durante i primi minuti di marcia
nella fitta foresta che
divideva i due edifici scolastici, nessuno parlò. Koneko si
teneva qualche
passo di fronte a me, facendo ben attenzione a non guardarmi nemmeno
per
sbaglio.
“Andrà avanti
ancora per molto?”
Parlai con voce stanca, quasi spenta
e lei mi rispose nel
suo solito modo freddo ed atono.
“Il gioco è
appena iniziato.”
Non si dilungò, ne cerco
di trovare un modo di conversare,
fui io a cercare di far chiarezza.
“Non sto parlando del
gioco, sto parlando di noi.”
Il corpo della mia kohai si
irrigidì, ma oltre a questo non
diede altro segno di tensione.
“Non esiste nessun noi. Non
esisterà mai. Sei solo un
pervertito.”
Ogni sua frase una coltellata, ogni
coltellata un dolore
lancinante. Cercai di ridacchiare per alleggerire la tensione, ma non
venne
fuori niente.
“Mi sono già
scusato per averti baciato… non volevo farlo
davvero…”
Provai ancora la stessa strategia che
non mi aveva portato a
nulla nell’ultimo mese, ma stavolta a differenza del solito,
non ricevetti la
solita risposta. La ragazza si fermò, il suo sguardo
impassibile sostituito da
un affranto.
“Proprio non
capisci… Quando mai ti ho chiesto di scusarti
per quello?”
Il mio cuore mancò un
battito, ma non ci fu tempo per dire
altro perché arrivammo alla nostra meta primaria. Davanti a
noi, oltre il
limitare degli alberi si estendeva la palestra della scuola. Quello era
uno dei
punti cruciali, in cui sarebbe stato facile sia difendere che attaccare
e
dovevamo assolutamente conquistarlo.
“Andiamo.”
Koneko si lanciò
all’assalto a testa bassa, ed io tenni il
passo dietro di lei facilmente. Grazie alla mia trasformazione in
demone, ed in
particolare alle mie specifiche di cavallo, la mia velocità
era aumentata
enormemente, rendendomi facile quel compito particolare.
Koneko sfondò la porta con
un pugno, io andai in
avanscoperta con la pistola sguainata e trovai tre persone ad
attenderci. I file
che avevo attentamente letto riconobbero le persone di fronte a noi
come una
torre e due pedoni. Nemici non troppo ostici per noi due soli.
“E così siete
arrivati. Se volete saperlo era una mossa fin
troppo prevedibile, ma non otterrete questa palestra, abbiamo ricevuto
l’ordine
di difenderla con la vita. Io presi posizione, Koneko si
spostò davanti a me
per difendermi e lo scontro cominciò.
Le torri si scontrarono tra loro
mentre io mi occupavo dei
pedoni. Lo scontro era duro, lo scontro era difficile, ma ero pur
sempre un
cavallo, ed anche senza Hysteria Mode dovevo solo tenermi a distanza e
sparare.
Molti miei proiettili colpirono il bersaglio, ma nessuno di questi fece
danni
sufficienti ad eliminare i due pezzi.
I demoni erano più
resistenti degli umani, perfino i
proiettili di una Desert Eagle avrebbero penetrato la carne per solo
qualche
centimetro, rendendo i miei attacchi decisamente più deboli
di quanto sarebbero
stati normalmente. Lo scontro si protrasse e sembrò quasi
che i nostri
avversari stessero cercando di guadagnare tempo, cosa che si
rivelò vera quando
nella palestra arrivarono altri due pedoni ed un cavallo.
Lo scontro era ora a nostro
svantaggio, con sei nemici
contro solo noi due. Ma mentre loro pensavano di averci messo sotto
scacco, la
verità era che noi avevamo messo sotto scacco loro.
“Akeno-san. È il
momento.”
“Fufu, grazie Kinji-kun,
avete fatto un buon lavoro.”
Comunicammo con la sempai tramite le
auricolari che tutti i
demoni in gioco avevano a disposizione, dimostrando ai nostri nemici
come la
loro trappola si fosse rivolta contro di loro. Corsi più
veloce che potei,
raccolsi Koneko tra le mie braccia, ed insieme ci fiondammo fuori dalla
palestra, giusto in tempo per evitare uno scoppio pauroso di magia che
investi
l’edficio.
[Quattro pedoni, una torre ed un
cavallo della squadra di
Raiser sono eliminati.]
La voce del conduttore del gioco
annunciò questo alla
squadra ancora in gara, dandoci di che rallegrarci. Con la nostra avanzata
sconsiderata, avevamo fatto
finta di puntare all’edificio, mentre tutto quello che
volevamo era raccogliere
il maggior numero possibile di nemici al suo interno.
Avevamo così sacrificato
una valida postazione in campo
nemico per 1/3 dei suoi servitori.
Akeno discese dal cielo con le sue
sottili ali da
pipistrello e ci sorrise vedendo Koneko ancora stretta tra le mie
braccia.
“Fufu…
Kinji-kun, non pensi di dover fare questo genere di
cose dopo il game? Forse la nostra piccola Koneko non è
ancora pronta a queste
dimostrazioni di pubblico affetto.”
Koneko arrossì,
tremò e quando la lasciai andare mi colpì
con un pugno che quasi mi fece volare via. Rialzandomi a fatica guardai
verso
la regina del nostro gruppo, che ancora ridacchiava.
“Akeno-san, per favore
smettila di dire cose del genere,
altrimenti finirò eliminato per colpa di un mio compagno di
squadra.”
Parlai con voce supplichevole, ma la
ragazza si limitò a
continuare a ridere, volando via. Il piano prevedeva che ora lei
andasse a fare
da supporto ad Issei e Kiba, che sentendo quanto comunicavano via radio
erano
in difficoltà.
Fu quello il momento in cui le cose
per me e Koneko volsero
al peggio.
Rimasti da soli in uno spiazzo
desolato, con pochi nemici da
affrontare, dovevamo infiltrarci nel nuovo edificio scolastico
cominciando ad
eliminare le difese che coprivano Raiser, in modo che
l’intero gruppo potesse
poi caricare il re nemico, eliminandolo.
Il nostro errore fu quello di pensare
che Raiser ce lo
avrebbe lasciato fare.
La magia venne dall’alto,
era al livello di quella di Akeno,
ed entrambi ce ne accorgemmo all’ultimo momento
perché nascosta da un’illusione.
Avverti i miei piedi alzarsi da terra, il mio corpo volare, la mia
schiena
sbattere forte contro uno degli alberi della foresta.
Respirai a fatica, mi tastai le
costole contandone almeno un
paio rotte.
Questo però era nulla in
confronto al dolore che provai
quando alzai lo sguardo sullo spiazzo davanti a me. La palestra non
esisteva
più, ma ora anche lo spiazzo che la costeggiava era sparito,
sostituito da un
grande cratere.
Al centro del cratere, coperta di
sangue, con gli occhi a
malapena aperti c’era Koneko. Era stata lei a spingermi via,
a rinunciare alla
possibilità di difendersi per mettere in salvo me. In
qualche modo si era
accorta un istante prima dell’attacco, in qualche modo lei
aveva fatto quello
che sarebbe dovuto essere compito mio.
Lei mi aveva protetto.
Dall’alto discese una
donna. Bella, fiera, imponente.
Era la regina di Raiser, venuta a
sterminarci per la nostra
recente carneficina ai danni della loro squadra.
Non mi curai di lei, non mi curai del
suo sguardo divertito
ne del modo in cui mi guardava. Scesi
nel
baratro, fui accanto a lei, la sostenni. Stava piangendo, i suoi occhi
erano
bordati di lacrime, ma non sembrava soffrisse. Tra le mani stringeva
una
siringa vuota, aveva usato l “Razzo!” per comprarsi
qualche minuto prima di
sparire.
Ma anche senza sentire dolore non
poteva impedire alle sue
gambe rotte di rimanere accasciate al suolo, ne al suo piccolo petto di
respirare affannato.
“Kinji…”
La sua voce era acquosa, senza dubbio
colpa delle lacrime.
“… non volevo
essere un peso, scusami…”
Un piccolo pezzo del mio cuore si
infranse, mentre l’altro
venne investito dalla rabbia.
“… devi vincere
per la Bochou. Promettimi che vincerai per
la Bochou.”
Una luce bianca aveva iniziato ad
avvolgerla. Il team medico
la stava teletrasportando in infermeria, dove si sarebbero presi cura
di lei. Lei
non sarebbe morta, non sarebbe stato come con Aria. Il suo pezzo era la
torre,
aveva le difese più alte di tutti in campo, anche con un
attacco del genere
sarebbe sopravvissuta.
“Io
vincerò.”
Lo dissi con voce sicura, prima che
anche il suo busto
sparisse. E le nostre labbra si toccarono, fui lei a cercare il bacio
stavolta,
ed io non potei che assecondarlo. Il sapore di menta selvatica,
l’odore di
Vaniglia e quel gusto salato di lacrime.
[La torre del gruppo Gremory
è stata eliminata]
Il calore mi avvolse. Il calore mi
circondò.
Il calore eruppe nel mio petto.
Ero entrato in Hysteria Mode.
**************************
Note: Non ho un
beta, dunque se trovate errori segnalatemeli. Grazie =) RFM
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Quarta Pallottola - Scontro nell'alto dei cieli ***
Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non
posseggo ne Highschool DxD ne Hiden No Aria. La storia è
scritta senza scopi di
lucro
Quarta
Pallottola – Scontro
nell’alto dei cieli.
Avvertì
l’Hysteria Mode attivarsi e la rabbia pervadermi. Se
da umano potevo battere un angelo, da demone le mie risorse erano molto
maggiori. Per prima cosa estrassi l’auricolare
dall’orecchio gettandola in
terra. Avrei terminato la battaglia da solo, in fretta, senza che altri
fossero
costretti a farsi male per colpa mia.
Dopo questo alzai lo sguardo vero
l’alto. Mi trovavo ancora
sul fondo del cratere mentre la regina nemica era alta nel cielo. Per
lei ero
solo un cavallo la misera pedina di una donna fin troppo piena di
sé. Non si
era presa nemmeno la briga di colpirmi durante i momenti in cui ero
distratto
dall’uscita di scena di Koneko, si era limitata a ridacchiare.
Misi un freno alla mia Hysteria, non
volevo ricadere
nell’Hysteria Berseker. Koneko stava bene, lei era viva e
l’avrei rivista alla
fine dei giochi. Quello che dovevo fare ora era vincere e farlo alla
svelta.
Con un unico balzo fui fuori dal cratere, con uno scatto laterale mi
immersi
nella boscaglia.
Le mie mani si mossero, le pallottole
della Desert Eagle
vennero gettati e sostituiti con speciali pallottole Butei ordinate in
settimane. Le pallottole Butei erano armamenti non convenzionali, dal
prezzo
astronomico che potevano avere diversi effetti a seconda delle
richieste
dell’acquirente.
Ne avevo comprati due caricatori da
quindici colpi, ed il
primo era già stato inserito. Con uno scatto la pallottola
venne spostata in
canna mentre iniziai a muovermi per la boscaglia. Qualche istante
più tardi
iniziarono le esplosioni. Se il nemico non poteva vedermi avrebbe
semplicemente
distrutto tutto, ma questa era strategia stupida, che le avrebbe fatto
sprecare
potere e mi avrebbe lasciato in una situazione di vantaggio, in quando
dopo la
prima esplosione, anziché continuare ad avanzare
retrocedetti, nascondendomi
nella polvere che impregnava l’aria.
Con la manica della giacca mi
coprì la bocca, assistendo al
delirio del mio nemico che continuava a distruggere sezioni di foresta
l’una
dopo l’altra cercandomi ovunque tranne che dove aveva
già colpito. Dopo un
minuto di attesa, feci crescere sulla mia schiena un paio di ali
demoniache. Nella
settimana appena trascorsa ero riuscito a malapena ad imparare ad
usarle, ma
ora come ora era come se fossero semplicemente un prolungamento del mio
corpo.
Schizzai verso il cielo, lo sguardo
della regina nemica mi
intercettò e verso di me volarono numerosi proiettili
magici. Evitai di
sprecare proiettili contro di loro, avevo calcolato che la temperatura
media di
ogni attacco era di circa 3000 °C e colpirli avrebbe
semplicemente fondere le
pallottole, mi limitai a schivarli, avvicinandomi sempre
più.
Ad ogni deflagrazione magica ero
più vicino, e man mano che
la distanza tra me ed il mio avversario diminuiva potevo leggere sul
suo viso
la preoccupazione. Del resto io ero solo un demone reincarnato, in
possesso del
pezzo del cavallo, lei era la regina, la più forte della
scacchiera. Sarebbe dovuto
essere facile per lei annientarmi, annichilirmi, mettermi a tacere.
Ed i suoi attacchi divennero
più impetuosi, più veloci, ma
anche così io mi limitai ad evitarli, spostandomi
all’ultimo istante per darle
l’illusione di avermi colpito, prima di avvicinarmi ancora. E
sorrisi al suo
sguardo stupido, alla sua espressione spaventata.
Doveva temermi.
Doveva pagare.
Lei l’aveva fatta soffrire,
l’aveva fatta piangere ed era
giunto il momento di incassare la mia vendetta.
Alzai la pistola, sparai un unico
colpo. Un
proiettile che viaggio alla velocità di
300 Km/h ed esplose in un’onda di fuoco. Il fuoco avvolse la
regina avversaria,
che per un istante non riuscì a vedere nulla se non le
fiamme che la
divoravano. Ma non era ancora sufficiente, delle fiammelle non erano
paragonabili all’esplosione che aveva investito Koneko
spezzandole entrambe le
gambe.
E la mia pistola sparò
ancora, due colpi, uno per ogni
ginocchio, ognuno dei due caricati con una miscela esplosiva.
Più delle ossa,
sarebbe stato difficile riparare quelle articolazioni, così
fragili ed
importanti o per meglio dire far ricrescere quel che restava del
moncone delle
sue gambe... E la donna urlò, si gettò in
picchiata, cercò nella fuga la sua
salvezza. Tra le dita stringeva una
fialetta con un liquido trasparente.
Lacrime della Fenice.
Nel rapporto era scritto che
avrebbero potuto usarle, dunque
non fui sorpreso di vederle. Le lacrime della Fenice curavano ogni
ferita,
ripristinando anche un certo livello di stamina. Non poteva permettere
che le
usasse, dunque semplicemente lo impedì. Quando la donna
stappò la fiala, sparai
altri due colpi. Non mirai alla fiala in se, al contrario calcolai al
millimetro la posizione delle gocce prima che toccassero la ferita,
colpendole
a mezzaria. Le lacrime furono spazzate via, le gambe rimasero
maciullate.
E l’espressione sul suo
viso era di puro Shock. Doveva
fuggire, ma sapeva che non l’avrei permesso.
L’avrei torturata, un pezzo alla
volta fino a farla sparire per abbandono. E fu in quel momento che
nell’aria
risuonò la voce del commentatore.
[La regina del gruppo Phenex si
ritira!]
Non l’avevo eliminata, il
ritiro era stato deciso dal re del
suo gruppo. Alzai lo sguardo quando sentì i suoi occhi su di
me. Le mie ali da
pipistrello mi permisero di fluttuare mentre lui mi raggiungeva usando
le sue
ruggenti ali di fuoco.
Ecco l’ultimo nemico, la
fenice. Dal basso sentì le urla del
resto delle nostre squadre che si combattevano, ma con la regina fuori
la
bilancia pendeva dal nostro lato. Ora mi sarei dovuto occupare solo del
bell’imbusto,
e poi sarei tornato da lei.
“Quello che hai
fatto…”
Raiser sembrava alterato, mi raggiuse
in alto rimanendo
sospeso proprio davanti a me.
“… tu la
pagherai!”
Le ali di fuoco crebbero e si
estesero in ogni direzione, ne
fui avvolto e per un momento vidi tutto rosso, poi cominciò
la mia caduta.
Un attacco inaspettato e veloce mi
aveva colto di sorpresa,
ma anche così i mei riflessi trenta volte superiori alla
media mi avevano
permesso di subire un danno minino, restando in partita. La mia veste
ignifuga
fumava, le mie pistole erano bollenti.
Questo complicava la situazione, ma
mi sarebbe bastato
aspettare. Con un gesto rapido sostituì il caricatore,
spostando le munizioni
bollenti in tasca. C’era il rischio che esplodessero da un
momento all’altro,
ma calcolai una possibilità del 53% che non lo facessero.
Finchè le
possibilità erano superiori al 50% allora potevo
scommettere su di esse. Il nuovo caricatore sostituì il
vecchio e poi la
pistola tornò alla fondina, questa volta quella legata in
vita e non sotto la
giacca. Con un gesto rapido estrassi il mio coltello a farfalla,
sorridendo all’ironia
della sorte.
Ora che non potevo sparare, dovevo
affrontare un nemico al
quale sarebbe stato difficile avvicinarsi. Il coltello venne rigirato
tra le
mie dita, mentre Raiser tornava su di me. Era indubbiamente infuriato,
probabilmente più per l’inutile
teatralità dietro il mio scontro con il suo
servo, che per i danni in sé che le avevo procurato.
Questa volta non mi lasciai cogliere
impreparato, il getto
di fiamme che volò nella mia direzione fu abilmente scansato
e mi ritrovai
tranquillamente a girare intorno al nemico. Il suo potere era grande,
il suo
fattore rigenerativo pure, ma non poteva reggere il confronto con la
mia
velocità.
Un’onda di potere cremisi
volò verso di noi mentre Rias si
univa alla battaglia, con un’espressione infuriata in volto.
“Kinji! Dov’è la
tua auricolare? Non stai assolutamente seguendo il piano!” La
rossa era
arrabbiata, con ragione, per il mio comportamento dissennato, ma il me
in
Hysteria Mode non era spaventato da lei, al contrario trovava
stuzzicante
queste sue emozioni.
Con un tuffo carpiato evitai
l’ennesimo attacco di fuoco,
avvicinandomi quel tanto che bastava alla mia padrona per sorriderle.
Questa volta
non ero in Hysteria Berseker, ero perfettamente lucido e conscio di
me… ok,
forse non era una cosa così positiva visto che appena a
portata di mano, mi
inginocchiai ai suoi piedi, sfiorandole una mano per trattenerla tra le
mie.
“Scusami mia padrona, sto
agendo in maniera avventata, ma
tutto ciò che faccio è per te. Non posso
sopportarlo, il mio cuore non può
reggerlo, non posso cederti a lui.”
Con un cenno della mano indicai
Raiser, che dal canto suo
creò una sfera ancora più grande lanciandola
contro entrambi noi. Senza nemmeno
voltarmi abbracciai Rias, feci una piroetta laterale, come se stessimo
ballando
il tango, evitando l’attacco poderoso. I nostri corpi erano
uniti un’inscindibile
magia, avvertivo il suo enorme seno sul mio petto ed il battito dei
nostri
cuori che risuonavano l’uno nell’altro. Tutto
intorno a noi bruciava il fuoco
degli attacchi che avevo evitato, ma più di qualsiasi cosa
avvertivo l’ardore
del mio desiderio e della mia passione.
“K-Kinji! Cosa stai
facendo?!”
Le sorrisi, un sorriso tranquillo,
seducente, degno del me
stesso in Hysteria Mode. Ed avvicinai il mio viso a quello di lei,
arrivai
quasi a sfiorarle le labbra, ma all’ultimo istante devia
verso il suo orecchio.
“Tu sei troppo importante per me. Sei la mia padrona, la mia
amica, la mia
seconda possibilità. Mi hai dato degli amici ed una famiglia
quando ero
convinto di non poterne più avere. Se con la mia vita o con
la mia morte sarò
in grado di proteggerti, io lo farò….”
Sussurrai queste parole, sfiorai la
sua guancia con le mie
labbra di velluto e lei avvampò come se mai nessuno le
avesse detto cosa più
bella. Quando la lasciai andare, per tornare al combattimento, lei
perse
lentamente quota, guardandomi scioccata. Ero completamente diverso dal
pazzo
scatenato della chiesa, il me di adesso era il perfetto principe venuto
a
salvare la sua amata dal temibile drago.
Ed a proposito del drago, anzi della
fenice, il nostro
alterco amoroso non era sfuggito ai suoi occhi acuti, che ora avevano
iniziato
a fissarmi con rabbia ancora maggiore. Smise di lanciare palle di fuoco
a
casaccio e volò contro di me. Cercava lo scontro diretto,
l’avevo infine
condotto alla mia trappola.
Per la prima volta da quando il re
nemico era apparso in
campo, non cercai la fuga, affrontai
il
suo lato più spaventoso, voltandomi un’ultima
volta verso Rias che assisteva
alla lotta.
Le sorrise ed ammiccai
impercettibilmente.
E poi venni colpito. Un pugno
poderoso, carico di magia,
impattò contro il lato destro del mio volto. Fiamme si
espansero in ogni
direzione partendo dal quel punto e la mia carne iniziò a
bruciare. Il dolore
era insopportabile, ma anche così resistetti alla voglia di
urlare.
La lama del mio coltello
incontrò lo stomaco del mio nemico
e lo perforò squarciandolo. Per chiunque quella sarebbe
stata una ferita da ritiro,
ma per la fenice era solo un attimo di dolore. Le stesse fiamme che
avevano
corroso il mio viso, comparvero dalla ferita, l’avvolsero per
poi sparire,
lasciando la pelle lucida ed intatta.
Osservai con attenzione quel
fenomeno, verificando la mia ipotesi.
L’attacco avrebbe
funzionato, il mio prossimo colpo sarebbe
stato l’ultimo e ci avrebbe portato alla vittoria.
Raiser era retrocesso per un istante,
aveva fatto guarire la
sua ferita, per poi tornare su di me. Il mio occhio destro era chiuso e
carbonizzato, dunque la mia visuale era limitata, ma anche
così evitai i suoi colpi
successivi.
Dal basso sentivo i miei compagni
gridare. Rias li aveva
fermati dall’intervenire.
Probabilmente aveva capito che al
livello attuale sarebbero
stati solo d’impiccio
se fossero
intervenuti.
E scansai un montante, una gomitata,
perfino un calcio che
mi sfiorò il mento, ma alla fine sorrisi quando con la mano
sfiorai la pistola,
capendo che era quasi giunta la mia occasione. Il nostro scontro a
mezz’aria
continuò e perfino con le mie capacità potenziate
dall’Hysteria Mode avvertì i
primi segni di stanchezza.
Il mio corpo non si mosse per tempo e
venni colpito allo
stomaco. Una seconda esplosione di fiamme carbonizzò una
parte dei miei vestiti
ignifughi bruciando la pelle sottostante. Poi toccò alle
spalle, al viso, alle
braccia. In breve iniziai a subire tutti i suoi attacchi, ritrovandomi
sempre
più vicino alla morte.
Eppure la mia presa sul coltello
rimase salda per tutto il
tempo. Perfino quando fui colpito al braccio che lo reggeva e questo si
carbonizzò al punto da non fare neppure male. Perfino quando
sentì le ossa del
mio cranio incrinarsi sotto la sua forza. E quando arrivò il
calcio allo
stomaco che tanto aspettavo, fu chiaro perché non
l’avevo lasciato andare.
Fu solo una frazione di secondo, un
taglio chirurgico e l’inserimento
di qualcosa nel suo petto, prima che iniziassi a precipitare verso
suolo.
Ed anche ridotto così
continuai a sorridere. Sorrisi perché sebbene
lui non si fosse accorto del mio attacco, le fiamme eruppero dalla
ferita. Le fiamme
l’avvolsero, le fiamme la curarono e …. La fecero
esplodere.
Gli stessi proiettili Butei, resi
instabili dal calore che
avevo deciso di tenere in tasca, li avevo inseriti nella ferita fatta
sul suo
petto. Sapevo che la ferita si sarebbe rigenerata, che per farlo
avrebbe usato
il fuoco e che il fuoco avrebbe provocato l’esplosione,
dunque usai questo suo
punto di forza contro di lui.
L’equivalente di una paio
di granate esplose nella sua cassa
toracica e perfino per una fenice quello risultò essere un
colpo quasi fatale.
L’esplosione scosse l’aria, il mio corpo
continuò a cadere e venne recuperato
dalla Buchou prima che toccasse il suolo.
Intorno a noi iniziarono a volare i
nostri amici e compagni
di team.
Mi rallegrai nel vedere che oltre a
Koneko, nessun altro era
stato eliminato dal gioco.
Il mio piano era riuscito.
Un piano avventato, che
risultò essermi quasi fatale, ma che
era necessario per aggiudicarci la vittoria. Eppure nessuno sembrava
aver
capito quel fantastico piano architettato dal me in Hysteria Mode, ed
io
sorrisi ai loro visi spaventati e perplessi, mentre molti alzavano lo
sguardo
verso quella massa fumante che era Raiser.
Probabilmente sarei stato interrogato
su quanto era accaduto
nelle fasi finali dello scontro, ed avrei dovuto spiegare tutto fin dal
principio, su come avevo schivato tutti i suoi attacchi a distanza per
indurlo
in un corpo a corpo, su come durante il corpo avessi iniziato ad
incassare i
suoi colpi più potenti per fargli abbassare la guardia, e su
come infine lo
aveva battuto proprio mentre sferrava il suo attacco finale, usando
giusto un po’
di astuzia e tanta, tanta fortuna.
Ed
il mondo iniziò ad
oscurarsi.
Probabilmente sarei stato
interrogato, ma per ora era solo
tempo di riposare…
Nel mio ultimo attimo di
lucidità pensai a Koneko…
…avevo mantenuto la
promessa che le avevo fatto.
E sorrisi.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Note:
Capitolo
più corto, ma in mia discolpa: Domani ho un esame, non avevo
tempo per l’epilogo,
che comunque arriverà a giorni. Grazie a chi ha recensito ed
a presto!
RFM
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Ultima Pallottola - Avanti Tutta! ***
Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non
posseggo ne Highschool DxD ne Hiden No Aria. La storia è
scritta senza scopi di
lucro
Ultima
Pallottola – Avanti
tutta!
Era passata una settimana, una
settimana dallo scontro con
il gruppo di Raiser Phenex e dalla nostra plateale vittoria. Nessuno si
sarebbe
aspettato che un gruppo di demoni così giovani prevalesse su
un campione
collaudato dell’arena, ne che un giovane demone reincarnato
come me, battesse
un membro immortale delle indomabili fenici.
Era inutile dire che la cosa ci
creò dei grattacapi. Secondo
gli accordi presi, il fidanzamento di Rias fu infranto ed a lei venne
concessa
piena liberta per scegliere il suo futuro marito, ma tolto questo le
cose erano
solo peggiorate. Erano peggiorate al punto che ora mi ritrovavo seduto
su una
comoda poltrona nel regno degli inferi, in pieno territorio Gremory,
nello
studio personale del Maou suo fratello.
“E quindi sei tu che hai
salvato la mia sorellina…”
L’uomo sembrava gentile,
cordiale, con gli stessi capelli
cremisi che lo accomunava alla mia padrona, ma a differenza di lei,
aveva una
quieta aura di potere intorno a sé. Debole come la risacca
del mare quando la
si osserva da un alto promontorio, ma allo stesso tempo intensa come
uno
Tsunami pronto a sommergermi.
“S-Si!”
Mi sedetti più dritto,
cercando di ignorare il sudore che mi
colava dalla fronte. L’invito mi era stato inviato giorni
prima, quindi avevo
avuto modo di prepararmi e di conoscere la storia, almeno quella
pubblica, del
mio Cicerone, l’uomo che si era offerto di mostrarmi il mondo
degli inferi, ma
che fino a quel momento si era limitato a fissarmi da dietro la
scrivania del
suo ufficio.
“C’è
qualcosa di strano in te, sei completamente diverso da
quando hai sconfitto Raiser. È forse successo qualcosa con
Rias? Avete per caso
avuto rapporti sessuali non protetti?”
Sbiancai, arrossì e
divenni una statua di gesso, tutto
contemporaneamente. La domanda mi aveva spiazzato, mi aveva spiazzato
al punto
che non sapevo come rispondere. In effetti nell’ultima
settimane le dinamiche
tra me e la mia padrona erano cambiate, ma da questo a fare s-sesso, il
passo
era lungo.
Lucifer parve prendere il mio
silenzio nel modo sbagliato ed
iniziò a ridacchiare. Ridacchiò mentre quella
fievole sensazione di potere
intorno a lui iniziava ad estendersi nella stanza. “Quindi
era per questo che
la mia sorellina, la mia piccola e tenere sorellina, che amavo portare
a
cavalcioni sulla mia schiena, ha voluto rompere il fidanzamento. Aveva
già
trovato qualcuno da amare e quel qualcuno ha paura di
affrontarmi...”
Aprì bocca, provai a
parlare, ma semplicemente annaspai,
biascicando qualche parola. Qualche parola sbagliata.
“I-I-Io… N-n-no,
cioè, noi n-n-non siamo innamorati…”
Lucifer si alzò in piedi,
il potere aveva iniziato ad
assumere la parvenza di mulinelli cremisi intorno a lui mentre il suo
sguardo
diventava sempre più rabbioso ed allucinato.
“Quindi mi stai dicendo che
hai avuto rapporti sessuali non
protetti con la mia sorellina, senza amarla. Che la stai
illudendo…”
Mi vidi già morto, questa
volta non ero in Hysteria Mode,
non c’era un qualche piano selvaggio e brillante pronto a
salvarmi, era
semplicemente il mio destino venire schiacciato come fossi una pulce,
da uno
dei reggenti dell’inferno.
Avvertì come un vento
potente che mi spinse indietro, ma fu
tutto lì, quando tornai ad aprire gli occhi, Lucifer mi
guardava bonariamente
sorridendo. “Pensavi che ti avrei ucciso? Ahah,
chissà perché pensano sempre
tutti il peggio di me, sarà per i miei capelli rossi come il
sangue? Proprio
non lo so.”
L’uomo continuò
a ridacchiare ed io presi fiato.
“Noi non
l’abbiamo fatto!”
I suoi occhi si sgranarono
leggermente ed il suo sorriso si
allargò un po’ di più.
“Non avete fatto cosa? Si
più specifico.”
Come pendendo dalle mie labbra,
incrociò le mani al petto,
rimanendo in attesa. Probabilmente non sarei morto, ma quella era
sicuramente
una situazione spaventosa per me.
“N-Noi non abbiamo fatto
s-sesso! Sono ancora vergine!”
Lo dissi ad alta voce, come se fosse
qualcosa di cui andare
fieri, ma del resto avevo a malapena sedici anni, non era poi
così strano per
un ragazzo della mia età esserlo. E per la prima volta da
quando fui introdotto
nello studio, sentì l’aria distendersi. Lucifer
sembrava visibilmente
sollevato.
“Oh, è un
piacere sentirlo. Scusami se sono stato un po’ grezzo,
ma durante lo scontro mi sei sembrato un po’ un Don Giovanni,
non molto meglio
di Raiser, anche se decisamente più forte in
combattimento.”
L’uomo trasse a se un
bastone da passeggiò e si alzò.
“Lo hai sconfitto in
maniera egregia, soprattutto se si considera
che hai usato solo artifizi umani e sei un demone reincarnato da
così poco. Allora,
andiamo a fare il nostro giro? Ti ho invitato qui per vedere gli
inferi, no?”
Come se nulla fosse mai successo,
venni condotto fuori dal
palazzo, mentre nella mia mente insultavo il me stesso in Hysteria Mode
in modi
che probabilmente non avrei mai potuto ripetere a voce alta. Era colpa
sua se
mi trovavo in una situazione del genere, colpa del suo stupido
comportamento
galante e protettivo, che non aveva fatto altro che causarmi problemi,
il primo
dei quali si manifestò già il giorno successivo
alla battaglia.
Mi ritrovai a scendere le scale del
maniero in compagnia di
un vivace (e completamente diverso da pochi minuti prima) Lucifer,
mentre la
mia mente ritornò a quella morbida sensazione intorno alla
mia mano. Quasi potevo
ancora sentirla. Soffice, vellutata, con
un’elasticità unica.
Era il seno di Rias. Il suo seno
nudo, che mi ritrovai a
stringere mentre entrambi dormivamo nel mio letto. Ovviamente io ero
quello in
trappola, proprio come la prima volta che mi svegliai a letto con lei.
La verità
era che eravamo tornati nel mondo umano, le mie ferite erano state
sanate, ma
lo stress psicologico dovuto all’Hysteria Mode mi aveva
costretto in un sonno
profondo.
Il mio corpo potenziato da demone,
aveva permesso alla mia
Hysteria Mode di superare i limiti che avevo da umano e questo aveva
richiesto
un costo alto alla mia mente, che riuscì a malapena a tenere
il passo. A quanto
mi raccontarono quando mi svegliai, dormì per circa dodici
ore durante le quali
Rias pensò bene di coricarsi con me.
Lo fece in privato, senza dare
nell’occhio, come se stesse
commettendo una qualche sorta di cattiveria nei confronti di qualcuno,
qualcuno
che potevo solo immaginare essere io. E così mi risvegliai
aggrovigliato a lei,
con il suo corpo caldo a contatto con il mio ed il suo seno nel palmo
della mia
mano.
Strinsi leggermente il palmo, da
appena sveglio ero ancora
confuso, ed un gemito sommesso le sfuggi nel sonno facendomi capire.
Certe immagini
sarebbero rimaste per sempre impresse nella mia memoria, per questo non
mi fu
difficile ignorare il cicaleccio del mio accompagnatore, ricordando
come
immediatamente mi trasformai in Hysteria Mode sotto
l’influsso di quel calore.
Fu un istinto potente,
l’istinto più potente, quello di
procreare. Iniziai con l’accarezzare Rias, il solleticarla
piano, il
massaggiarla sul ventre piatto, fino a che non iniziò a
svegliarsi. Sebbene fossi
sotto il giogo di quel forte impulso, non avrei mai potuto
approfittarmi di lei
mentre era ancora incosciente, preferì farla svegliare
dolcemente. E sempre dolcemente
la baciai appena i suoi occhi si socchiusero cercando di capire cosa
l’avesse
riportata alla realtà.
Non ero padrone di me, lo ammetto, ma
mi godei il forte
sapore delle sue labbra così come le nostre lingue che
iniziavano lentamente a
sfiorarsi. Lei era insicura, anzi più che insicura, era
completamente basita. Era
stata lei ad infilarsi nel mio letto, ma chissà
perché si aspettava che non
reagissi. Forse era abituata con qualche uomo più passivo,
fatto di sole parole
e niente fatti (*), ma il me in Hysteria Mode era diverso, era capace
di
manipolare gli eventi, plasmare le sensazioni, trasformando tutto in
rovente
vortice di passione.
Non ci volle molto prima che guidassi
Rias all’altezza del
mio cavallo. La sua piccola mano strinse la mia virilità, ed
io l’avvolsi di
più a me. Sarebbe successo, lo avremmo fatto, lo avremmo
sicuramente fatto… se
in quel momento, con un fragore spaventoso, la porta non si fosse
sfondata
verso l’interno della stanza.
Il mio slancio fu rapido ed
istintivo, con il mio corpo mi
portai su Rias per proteggerla da eventuali schegge vaganti, ma questo
non fece
che peggiorare la situazione, in quanto, fuori dalla porta che lei
stessa aveva
sfondato, giaceva in lacrime Koneko.
Doveva averci visto, sentito ed aver
dunque frainteso. Non era
per amore che facevo ciò che facevo, era semplicemente il
mio istinto portato
oltre la ragione dalla mia malattia. Ed andò via, si volse e
scappò nel
corridoio, ed il lato della mia Hysteria Mode, che aveva le
virtù di un
cavaliere, non poté che lasciare tutto per inseguirla.
Fui veloce a rivestirmi, ed
altrettanto velocemente sfiorai
le labbra di Rias con le mie prima di dirigermi nell’edificio
scolastico dove eravamo
accampati. A quanto pare nessuno era tornato a casa propria e come
un’enorme
famiglia felice avevamo deciso di rimanere lì a dormire per
riprenderci dallo
scontro, con l’unico problema di una relazione illecita in
corso d’opera…
Trovai Koneko nella stanza del club.
Era seduta sul divano,
teneva la testa bassa e singhiozzava. Il me normale sarebbe
probabilmente
rimasto lì imbambolato come un allocco, ma il me in Hysteria
Mode sapeva cosa
fare. Mi inginocchiai davanti a lei, le sollevai il mento con due dita,
schivando
il gancio dentro che mi venne rivolto contro.
E lei continuò a tentare
di colpirmi, di farmi del male, di
sfogare il suo dolore. Normalmente non l’avrei capito, avrei
arrancato nel
tentativo di intuire cosa l’affliggeva, ma in quel momento mi
fu chiaro come il
sole. Koneko si era innamorato di qualcuno come me. Forse non il vero
me, l’idiota
incapace che non era stato in grado di salvarla, forse solo
dell’immagine riflessa
dal me in Hysteria Mode, ma era indubbiamente innamorata.
E dopo aver raccolto il suo coraggio,
concedendomi un bacio
pieno di sentimento e di cose non dette, io avevo flirtato con Rias
durante lo
scontro, ed ero stato beccato a far quasi sesso con lei. Per empatia mi
sentì
morire e misi insieme i pezzi della nostra breve conoscenza. Lei mi
aveva visto
fragile, debole, mi aveva accompagnato a Tokyo e visto il lato
più miserabile
di me.
Lei mi aveva visto raccogliere il
coraggio per salvare
persone appena conosciute in una chiesa piena di creature
soprannaturali. Lei mi
aveva visto accettare il suo piccolo pensiero quando raccolsi il
cellulare
infranto da quello stesso tavolino che era alle mie spalle e mi aveva
visto
ricambiare il suo interesse quando entrai a far parte della schiera di
servitori di Rias. E dopo questo aveva evitato ogni contatto con me per
paura. Paura
che avrebbe sofferto, che fosse tutto nella sua testa, che non avrei
mai
ricambiato.
Non potei negare a me stesso che
molte cose che lei aveva
visto non erano altre che fantasie, ma anche così non mi
sentì in grado di
respingerla. La feci sfogare facendomi colpire, e quando volai contro
il muro
sfondando la parete, i suoi occhi si contrassero.
Mi si avvicinò, si
assicurò che stessi bene e poi pianse. Pianse
molto, tanto che quando i nostri compagni ci raggiunsero, allertati dal
fracasso di un muro distrutto, era ancora stesa su di me, ad usare la
mia
camicia come fazzoletto. Incredibilmente le erano spuntate coda ed
orecchie
bianche come la neve, che in situazioni normali avrei trovato bizzarre,
ma che
in quella circostanza reputai adorabili.
Ed io la consolai per tutto il tempo,
alzando infine lo
sguardo su miei amici e compagni.
“Devo parlavi. Devo parlare
a tutti voi. A questo punto è
giusto che sappiate la verità…”
Sospirai, mi voltai verso
l’ennesimo palazzo o monumento di
una città di cui non avrei nemmeno ricordato il nome, quando
finalmente il girò
finì. Avevamo camminato per ore, eravamo stati sotto il sole
ed in molti ci
avevano fermato per parlare con il Maou.
I tratti tra le città
vicine li avevamo fatti in carrozza,
quelli più lunghi con il teletrasporto, per questo quando il
Maou mi poggiò una
mano sulla spalla e sorrise, rimasi scioccato dalle sue parole.
“E con questo finisce il
giro dei territori che mi
appartengono. So che sono un po’ pochi, soprattutto vista la
mia carica, ma ho
preferito cedere molte delle mie proprietà alla mia famiglia
che avrebbe avuto
più tempo per gestirle e farle fruttare. Se vuoi possiamo
organizzarci ed una
cinquantina di visite di circa otto ore, fartele visitare tutte.
Sarebbe stupendo
avere compagnia!”
Sbiancai immaginandomi altre
cinquanta volte a camminare per
le strade in quel modo, ma per fortuna da dietro un angolo
spuntò una mano
protesa che stringeva un enorme ventaglio bianco. Il ventaglio
colpì la testa
del Maou, che si voltò verso la sua regina/moglie/cameriera
Graphia.
“Tu devi lavorare, se
Kinji-san vorrà visitare le terre di
famiglia, allora dovremo trovargli un accompagnatore.”
Scossi violentemente il capo cercando
di declinare.
“N-N-No, grazie, va bene
così. Sono più che soddisfatto di
quanto mi è stato mostrato. Avrò diecimila anni
per imparare il resto, non c’è
fretta no?”
Ridacchiai, sudai, ma parvero bersela.
Alla fine fui rimandato a casa con un
sorriso ed un mare di
pacchi per Rias. Il Maou mi aveva passato in confidenza un pacchetto di
preservativi, ridendo sommessamente.
E tornai a casa, dove lo scontro tra
le donne che volevano
far parte della mia vita era ancora in corso.
Era davvero, davvero dura essere me.
*****************
Note:
Questa
sarebbe dovuta essere la conclusione del capitolo precedente. Spero
possa
piacervi.
(*) Un chiaro riferimento a
quell’asessuato di Issei,
che parla in continuazione di tette, dice di essere un pervertito, ma
non ha
ancora inzuppato il biscotto. Un qualsiasi altro ragazzo avrebbe fatto
centro e
Kinji in Hysteria Mode non è da meno.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3021918
|