Un Butei alla Kuoh Academy
Disclaimer: Non posseggo ne Highschool DxD ne
Hidan No Aria. La storia è scritta senza
scopi di lucro
Ricarica:
Il Dovere di
un Butei
Finalmente ne ero scampato. Lotte,
odore di polvere da
sparo, botti assordanti e
morte, tutto
questo era il mio passato, ed ora un futuro luminoso si spalancava
davanti a
me. Ne fui certo nel momento stesso in cui misi piede nella nuova
scuola, in
cui varcai i suoi vasti cancelli ed i miei occhi incontrarono studenti
normali,
sereni e tranquilli, senza nessun pensiero al mondo.
Era finita l’era delle
divise scolastiche a prova di
proiettile, dell’obbligo di portare sempre con me una
pistola, del dovere di
servire un paese che non aveva fatto altro che tradire la mia fiducia,
finalmente ero libro. Mi imposi di essere felice, di sorridere
preparandomi ad
incontrare i miei compagni di classe, ma nonostante fossero passati
mesi ancora
non riuscivo a superare la sua morte.
Ignorando i suoi occhi, che mi
fissavano rancorosi nella mia
mente, imboccai il corridoio del terzo piano, presi il primo corridoio
a
destra, dirigendomi verso la sezione C del secondo anno. Il professore,
un uomo
allampanato sulla trentina, mi aspettava fuori dalla classe con il suo
miglior
sorriso di circostanza.
“Oh, sei arrivato, tu devi
essere Tōyama Kinji, dico bene?
Io sono il professore responsabile della classe, mi chiamo Akira Muto,
ma per
te sono Akira-sama o semplicemente sensei, tutto chiaro?”
L’uomo sorrise, ed io
feci altrettanto. Non era la peggior persona che potessi incontrare,
sembrava
gentile ed ispirava immediatamente fiducia, cosa che mi
portò ad annuire
energicamente.
“Si sensei, sono Toyama
Kinji, appena trasferito dall’accademia
Butei di Tokyo, abbia cura di me.” Dissi quelle parole per
togliermi il
pensiero, aspettandomi una qualche reazione sorpresa o a seconda del
caso
spaventata, ma l’uomo si limitò ad annottare su un
block notes la notizia.
“Va benissimo, spero che
riuscirai ad ambientarti bene. Alcuni
tuoi compagni di classe sono… eccentrici, ma sono anche
degli idioti bonaccioni,
quindi non dovrebbe essere troppo difficile legare con
loro…” Ripensai ad Aria,
Reki, Jeanne d'Arc e tutti gli altri strambi individui della mia
vecchia scuola
e sospirai.
“Non potranno mai essere
peggio delle persone che mi sono
lasciato alle spalle, si fidi. Cercherò di fare amicizia in
fretta sensei…” L’uomo
annuì sempre sorridendo, incominciando ad aprire la porta
dell’aula. “Appena
chiamerò il tuo nome tu entrerai e ti presenterai, mi
raccomando niente discorsi,
giusto nome, cognome ed una frase a tua scelta che attiri
l’attenzione della
classe.”
L’uomo lasciò la
porta socchiusa, ed io mi misi in attesa,
preparandomi ad entrare. Mi sentivo stranamente eccitato ora che
finalmente ero
riuscito a trasferirmi da quell’accademia infernale, ma
più di questo avevo paura
di fare brutta impressione. I Butei, o chi aveva studiato alla loro
accademia,
non erano mai ben visti dalla popolazione. Certo, erano necessari,
quasi
indispensabili per affrontare la criminalità crescente, ma
nonostante questo
una scuola che permettesse a dei ragazzini di girare armati ed
insegnasse loro
ogni sorta di strategia o arte marziale, era comunque spaventosa.
“Ed ora, vorrei che deste
tutti il benvenuto ad un nuovo
studente, appena trasferitosi dalla capitale per studiare nella nostra
piccola
scuola. Toyama-kun, prego accomodati.” Con molta
più delicatezza di quanto mi
aspettassi, l’insegnante omise di dire da che scuola mi fossi
trasferito,
dandomi modo di evitare il clamore che ne sarebbe conseguito, ma la sua
gentilezza fu inutile, dato che un altro difetto mortale dei Butei era
che
finivano in televisione…
Io in particolar modo ero parecchio
famoso per aver sventato
il piano terroristico di Riko Mine Lupin la IV°, salvando un
centinaio di
passeggeri su un aereo di linea, effettuando un atterraggio
d’emergenza su una
zona brulla ed abbandonata, senza quasi nessun aiuto o contatto visivo
da
terra. Considerato questo non fui sorpreso quando una volta in aula
sentì molti
trattenere il fiato ed iniziare a parlottare. Per quanto il sensei
avesse
cercato di evitarmi quel momento di impaccio, ero pronto da settimane
ad
affrontarlo.
“Ciao a tutti, mi chiamo
Tōyama Kinji e sono un vostro nuovo
compagno di classe. Spero avrete cura di me.” Goffamente mi
inchinai, sentendo
il professore richiamare la classe all’ordine. Era un evento
raro che uno
studente si trasferisse a metà anno, ancora più
raro, era che questo fosse un
Butei.
“Toyama-kun, puoi sederti
nel posto libero che desideri, e
mi raccomando voi della classe, non tormentate il nuovo arrivato con
domande
inopportune, altrimenti dovrò mettervi in
punizione.” L’uomo lo disse con il
sorriso, ma immediatamente la classe si sedò. Evidentemente
non era una
minaccia da poco la sua.
Rincuorato, ma ancora gli occhi di
tutti addosso, mi sedetti
al primo posto libero che trovai lungo la fila di banchi. I miei
compagni mi
guardavano quasi tutti spaventati, tranne qualcuno che sembrava
sinceramente
interessato a me.
Beh, non potevo dare loro torto, del
resto un ‘Butei’ era
una qualifica nazionale che aveva il compito di combattere contro il
preoccupante dilagare della criminalità nel paese. Le
persone che possedevano
questa licenza erano abilitate ad armarsi e ad entrare in una scena del
crimine
per catturare i criminali, proprio come un organo di polizia, ma, a
differenza
della polizia, un ‘Butei’ era motivato da denaro e
poteva assolvere qualunque
tipo di incarico consentito dal Regolamento Butei, senza preoccuparsi
di quanto
fosse pericoloso o al contrario futile.
Per dirlo chiaramente, era un
mercenario legalizzato…
All’Accademia Butei, gli
studenti potevano seguire materie
specifiche riguardanti l’attività di un Butei, ma
anche le materie ordinarie
che studiavano gli studenti normali. Quando intendevo materie
specifiche, volevo
dire che vi erano differenti divisioni che uno studente poteva
scegliere, ad
esempio la divisione
Inchiesta in cui
venivano insegnati i metodi standard di investigazione e di logica.
Probabilmente era la più
sensata fra tutte le divisioni.
Subito dopo l’Inchiesta
c’era Comunicazioni e Scientifica.
Queste divisioni non erano poi così male perché
portavano ad una strada tutto sommato
pacifica e non violenta.
Ma tra tutte, quella che
più risaltava era la famosa
divisione Assalto, a cui ero stato assegnato per i miei primi due
semestri del
mio primo anno.
In silenzio ascoltai la lezione del
professore,
rallegrandomi nel costatare quanto poco fossi indietro rispetto loro. Pensavo che a causa
delle missioni e
degli addestramenti mi fossi perso almeno un semestre di concetti, ma
erano
poche le lacune che mi restavano da colmare. Diligentemente presi
appunti,
ascoltai la lezione e rimasi in attesa del momento in cui tutti mi
sarebbero
venuti addosso.
Non dovetti aspettare poi tanto visto
che non appena suonò la
campana della ricreazione fui sommerso di domande. Molti mi chiesero se
avevo
armi con me, se ero venuto per una qualche indagine, addirittura se
avessi mai
ucciso qualcuno, ma a tutti risposi di voler solo dimenticare del tempo
trascorso in quella scuola. Nel bene o nel male era tutto finito, e non
mi
restava che il coltello a farfalla di mio fratello a testimoniarlo.
Quella particolare arma era
l’unica che avessi continuato a
portare con me nonostante tutto, e questo non per una questione di
praticità o perché
ci fossi abituato, ma semplicemente perché non potevo
separarmi dall’ultimo
dono che mio fratello mi aveva fatto prima di morire.
Sospirai di sollievo quando venni
etichettato come chiuso e
venni finalmente lasciato in pace, ma quello che non sapevo era di come
viaggiassero veloci le notizie all’interno di una scuola
comune. Per quando le
lezioni terminarono e mi fu permesso di lasciare l’aula, una
folla tutta nuova
di studenti mi attorniava e molte di queste erano ragazze.
Vidi le loro gonne svolazzanti, i
loro seni premere contro
il tessuto della camicetta. Mi avevano quasi chiuso
all’angolo, stavano per
stringersi intorno a me con quella carne peccaminosa ed invitante che
mai avrei
dovuto assaggiare.
Chiusi gli occhi, mi avvicinai alla
finestra del terzo piano
e saltai. Grida spaventate mi raggiunsero da dietro, ma non stavo
cercando di
suicidarmi, il mio era solo un riflesso della mia vecchia vita. Il
gancio alla
cintura era stato fissato alla finestra ed ora scendevo dolcemente il
muro
esterno della scuola come se fosse una parete rocciosa, grazie al filo
ultrasottile in carbonio che proveniva dalla mia cintura.
Ok, anche se non avevo più
le armi, non avevo abbandonato
tutta l’attrezzatura in dotazione di un Butei, avevo ancora
qualche piccolo
gadget pensato per occasioni come queste, in cui potevo scegliere solo
tra
essere attorniato da ragazze o scappare da una finestra.
Vi domanderete il perché
di questa scelta ridicola, che mi
porta a scappare da donne eccitante preferendo un salto nel vuoto a
loro, ma
purtroppo per me sono afflitto da una terribile malattia che ho
ereditato da
mio padre.
Un’orribile, orribile
malattia…
Una volta al sicuro a terra, sganciai
il cavo in cima alla
scuola con l’apposito comando della cintura, e riavvolsi il
filo da traino
facendo attenzione a non tagliarmi. Quel piccolo cavo, sottile come un
capello,
poteva reggere il peso di centinaia di chili, ma se usato
impropriamente era
più tagliente di una lama affilata.
“Bella prova quella, per un
momento ho pensato ti volessi
suicidare.”
D’istinto sobbalzai,
portando la mano all’interno della
giacca per estrarre la pistola, solo che quest’ultima non
c’era. Non ero più un
Butei, dovevo farmene una ragione.
“Non mi sarei mai
suicidato… volevo solo evitare… delle
persone.”
Davanti a me trovai
l’equivalente di una principessa. Aveva
lunghi capelli vermigli, bellissimi occhi azzurri, ed
un’espressione curiosa. Dietro
di lei sostavano un gruppo eterogeneo di studenti e tra questi potei
riconoscere
un mio compagno di classe, Isei o qualcosa del genere.
Lui era uno dei pochi che non mi
aveva bombardato di domande
durante la pausa pranzo, per questo non mi fu difficile riconoscerlo.
“Il mio caro Issei mi
diceva che sei un nuovo studente
trasferito e devo ammettere che sei piuttosto curioso. Tieni, prendi
questo,
potrebbe tornarti utile prima poi.” La ragazza trasse a se la
cartella e da uno
dei libri di testo estrasse un foglio ripiegato con sopra il disegno di
un
pentacolo. Scritte in lingue sconosciute lo circondavano, ma nonostante
questo
era solo un foglio, niente di più, niente di meno.
Per qualche momento fui riluttante ad
accettare qualcosa di
offerto da una ragazza così bella e soprattutto formosa, ma
poi l’educazione
prevalse e facendo attenzione a non sfiorare la sua mano, lo presi.
“Ehm… si,
grazie…”
Non sapevo bene come reagire visto
che non sapevo bene cosa
fosse, ma lei si limitò ad annuire con un sorriso, facendo
segno agli altri di
seguirla. “CI vediamo suicida-kun, cerca di non morire troppo
presto, ok?”
“Ehi, non sono un
suicida!” Provai a ribattere, ma le mie
parole si persero nel vociare del gruppetto, che sembrava molto
affiatato ed
unito. Almeno non mi avevano chiesto nulla del mio passato, ne avevano
cercato
ti tirare in ballo l’addestramento da Butei, che
perlopiù era riservato.
Sbuffai sconsolato, alzando appena lo
sguardo ai compagni di
classe che si sbracciavano dall’alto verso di me,
allontanandomi lentamente
dalla scuola.
Di certo perdere tutte le abitudine
acquisite negli anni da Butei
era impossibile, ma prenderne le distanze era consigliabile.
XXXXX
Il tragitto che feci per tornare a
casa fu lungo e noioso. Era
nuovo della citta, non avevo una bicicletta, che era esplosa durante un
dirottamento (si, fui vittima di un raro caso di dirottamento di
bicicletta), e
come se questo non fosse sufficiente non avevo alcuna indicazione. A
memoria
ricordavo l’indirizzo della mia abitazione, ma senza una
cartina o un GPS,
potevo fare ben poco, dunque camminai per le vie sconosciute, cercando
di evitare
le zone malfamate o oscure, convinto che prima o poi sarei arrivato
alla meta.
Era arrivata la sera senza che
riuscissi a trovare la strada
di casa, quando incappai in quell’uomo solitario. Avanzava a
tentoni,
barcollando come un ubriaco, indossava vesti da prete, ma
più che questo fu la
spada macchiata di sangue che portava legata alla cintura ad attrarre
la mia
attenzione. Quella e la forma accasciata sulla sua spalla con indosso
panni da
suora…
“Ah, gustoso, gustoso,
così gustoso. Le sue grida erano
incredibili, piangeva quel profano… indegno del
signore… feccia indecente….”
L’uomo
farfugliava, continuando a camminare, era evidente che avesse commesso
qualcosa
di illegale, e fui quasi sul punto di parlare quando mi ricordai di non
essere
più un Butei.
Non avevo obblighi verso la
società, verso i civili, verso
nessuno all’infuori di me. L’uomo mi
passò accanto, tutto
il mio corpo combatté la voglia di
fermarlo, ma non feci nulla. Quando fu lontano e non potei
più sentire i suoi
inquietanti borbottii, mi concessi il lusso di respirare.
Aria non l’avrebbe lasciato
andare, lo avrebbe inseguito,
gli avrebbe sparato, lo avrebbe minacciato con le Kodachi e poi lo
avrebbe
arrestato, ma lei ormai era morta e non c’era niente che
potesse farla tornare
indietro. Il suo sguardo dispettoso baluginò un attimo nella
mia mente, ma lo
scacciai con forza.
Non dovevo cedere, non potevo farlo.
Ripresi a camminare,
ancora alla ricerca della strada verso casa, ma come guidato da una
forza
invisibile seguii le scie di sangue che il prete si era lasciato
dietro. Non che
volessi farlo, non che avessi scelta, semplicemente le seguii arrivando
in un
condominio, da lì mi feci strada su una stretta scala
antincendio, che correva
in alto per tutto l’edificio raggiungendo tutte le finestre.
Trovai quello che cercavo dopo soli
pochi minuti. Una stanza
diroccata, con i vetri della finestra infranti ed un odore
inconfondibile, che
avevo sentito fin troppe volte. Odore di ruggine, odore di morte, odore
di
sangue.
Mi affacciai alla finestra
dell’appartamento, feci
attenzione a non lasciare alcun tipo di impronta e per poco non
vomitai. La stanza
era pregna di sangue, al muro era appeso un uomo crocifisso, il corpo
era
capovolto e delle scritte inquietanti adornavano la parete.
“Colui
che uccide nel
nome del Signore…”
I riferimenti biblici e le ferite
d’arma da taglio, oltre
all’ovvia scia di sangue che avevo seguito a ritroso,
designavano il
fantomatico prete come colpevole. Un uomo era morto e non avevo fatto
niente
per fermarlo...
…Anzi avevo fatto meno di
niente, perché nonostante non
fosse un problema mio fermare un sospettato, avrei comunque potuto
avvisare la
polizia, che forse, improbabilmente, sarebbe riuscita a prenderlo. I
sensi di
colpa iniziarono a rodermi lo stomaco, ma più di questo mi
sentivo in colpa per
la suora.
Cosa le avrebbe fatto quel pazzo?
Quale sarebbe stato il
prezzo che lei avrebbe pagato per la mia codardia?
Respirai a fatica e dovetti
appoggiarmi contro il muro per
non cadere. Il mio corpo tremava, era madido di sudore, e quasi non
credevo di
aver lasciato la mia vita all’accademia Butei solo per
arrivare a questo.
Carta Butei, Articolo 3
Dovete diventare forti, ma soprattutto
dovete supportare la
giustizia.
Non ero più un Butei, non
mi sarebbe dovuto importare del
codice, delle parole che mi era stato insegnato a rispettare, ma anche
così il
fuoco della giustizia ardeva dentro il mio petto. Dovevo adempiere alla
missione, dovevo farlo per quell’uomo non più in
vita, con il corpo deturpato
dalle ferite e per quella suora che era rimasta incastrata in una
situazione
del genere a causa mia.
“Io… Io
adempierò ai mei doveri di Butei, io lo
farò!”
La mia tasca iniziò a
brillare, il foglio che la principessa
dai capelli rossi mi aveva donato alla fine della lezione splendeva
più che
mai.
“Hai
determinazione….”
La luce iniziò ad
affievolirsi e da quella stessa luce parve
comparire proprio lei.
“… non pensavo che
tra tutti i posti ti avrei trovato qui, ma il tuo desiderio
è forte e la tua
anima può essere contrattata per un ottimo prezzo. Vuoi
aiutarci a salvare
quella la suora? La preziosa amica del mio servo adorato?”
Non capì cosa stava
succedendo, mi limitai ad arretrare fino
alla finestra…
Fu quello il momento in cui
inciampai, perdendo l’equilibrio
vicino la scala antincendio e finendo col battere la testa contro la
ringhierà.
Il mondo si appannò,
divenne opaco e poi fu inghiottito dall’oscurità.
XXXXXXXXXXXX
Note:
Questa è la mia prima storia in questo fandom e spero
davvero che vi piaccia. Come avrete capito è una cross-over
tra due serie di
Light Novel davvero belle. La prima è Highschool DxD, la
seconda Hidan No Aria.
Visto che Hidan No Aria è
perlopiù sconosciuto, vi lascio il
link di wikipedia dove se ne parla, anche se spero vogliate aspettare
il
prossimo capitolo, quando si scopriranno la maggior parte degli
altarini.
Vostro: ForteMartello!