Un destino diverso di sundayrose (/viewuser.php?uid=129752)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I cattivi muoiono tardi ***
Capitolo 2: *** Si chiama disperazione ***
Capitolo 3: *** L'Universo trama ***
Capitolo 4: *** L'amore è libero ***
Capitolo 5: *** Bisogna essere cauti ***
Capitolo 1 *** I cattivi muoiono tardi ***
* Un
destino diverso *
I cattivi
muoiono tardi
“I migliori non possono
eludere
il loro destino: i buoni muoiono
presto, e i cattivi muoiono
tardi.”
- Daniel Defoe -
Arrivò prima il
freddo, intenso,
gelido, così affilato da penetrarle perfino nelle ossa.
Poi arrivarono le voci,
confuse, urlanti, mescolate ad immagini sfocate, inconsistenti.
Infine arrivò il dolore,
straziante e muto, come se qualcuno l’avesse ridotta a
brandelli e, di seguito,
ricomposta in modo casuale, senza alcuna logica né
attenzione.
Galleggiava dolorosamente tra
il sonno e la veglia. Frammenti di sogno e di parole scivolavano
attorno a lei
ai margini dell’incoscienza: una stanza; urla; lacrime sul
suo volto…
- … non capisci che ti sta
solo usando? -
- Sei orribile…! –
- Non sei come pensavo che tu
fossi… Vorrei che… -
Cercò di afferrare con forza
quelle parole, di aggrapparsi a quelle immagini sbiadite per poter
ritornare a
galla. Ma era come voler afferrare fumo con le mani, oppure voler
trattenere
l’acqua con le dita: impossibile. E mentre tentava ancora di
provare a
ricordare l’aveva già dimenticato.
Non ricordò
come fosse finita
sul pavimento, ma la sensazione fredda e sgradevole delle pietre a
contatto con
il suo corpo la fece tornare subito in sé.
Aprì gli occhi e impiegò
qualche secondo a riconoscere il soffitto ad arco e pieno di ragnatele
di uno
dei corridoi di Hogwarts. Ma non era colpa sua. Quella parte del
castello era
stranamente buia, nonostante le torce crepitassero sempre al loro
posto. Era
come se la luce del fuoco non contribuisse a rischiarare
l’ambiente, né a
renderlo più caldo.
Nuovi brividi di freddo
l’attraversarono e lei provò ad alzarsi, ma se ne
pentì quasi immediatamente.
Un dolore lancinante alla testa e un senso di terribile nausea la
investì, facendola
crollare di nuovo sul pavimento con gli occhi spalancati e il respiro
corto.
Che diavolo le stava
succedendo?
Cercò di ricordare con forza
che cosa l’avesse portata lì, in quel corridoio,
che cosa le fosse successo.
Cercò di ricordare gli istanti che avevano preceduto la sua
perdita di
conoscenza, ma la sua mente era buia e vuota. E silenziosa.
Questo la spaventò più di
qualunque altra cosa.
Provò ad alzarsi di nuovo,
cauta, stavolta più lentamente, ma non fece in tempo a fare
forza sulle braccia
che un sussulto e passi affrettati la fecero sobbalzare a sua volta e,
meno di
mezzo secondo dopo, una testa piena di riccioli biondi coprì
la sua visuale del
soffitto.
- Ehi! Cosa ti è successo? Ti
senti male? -
La ragazzina aveva i colori
di Tassorosso, parlava velocemente e i suoi occhi castani erano grandi
e
spaventati. Si guardò intorno, ansiosa.
- Riesci ad alzarti? – Le
chiese alla fine, con un accento nella voce che denotava apprensione e
qualcos’altro, forse paura, ma non per lei.
Non aspettò nemmeno la
risposta che quella le mise due mani sotto le ascelle e la
tirò in piedi, a
fatica.
Una nuova ondata di vertigine
e nausea la investì e le gambe le cedettero, facendola
crollare contro il muro
del corridoio. Le pareti giravano in modo così vorticoso da
costringerla a
chiudere gli occhi, cercando di ricacciare indietro la bile che le era
salita
in gola.
- No, no, no! Ti prego non
cadere! Non ti fermare! Sarò costretta a lasciarti qui se
non ti muovi. –
Singhiozzò la ragazzina, in maniera così isterica
da chiedersi che cos’era che
la spaventasse tanto. E’ vero che girare per i corridoi dopo
il coprifuoco era
severamente vietato, ma nessuno l’avrebbe punita per aver
dato una mano ad una
ragazza che si era sentita male.
Tuttavia non aveva la forza
di replicare, per cui si lasciò trascinare quasi di peso
lungo il corridoio.
- Sei una Grifondoro, vero? –
Le chiese, gettando un’occhiata ai colori della sua divisa -
Ti riporto alla
tua Torre, ma dobbiamo fare presto! -
In quel momento non ci fece
caso, ma in seguito avrebbe capito che quella era la prima avvisaglia
del fatto
che qualcosa non andava. Tutti sapevano chi era lei e a che Casa
apparteneva,
non era necessario osservare i colori della propria cravatta o lo
stemma del
Grifone sul mantello per capire che fosse una Grifondoro.
- Forse… forse è meglio che
tu mi porti da Madama Chips. – Balbettò lei con
voce flebile – Non mi sento
molto bene. -
Di solito non era il tipo di
ragazza che andava in infermeria se non ci era costretta, ma quella
volta si
sentiva davvero morire e il solo pensiero delle cure amorevoli e delle
medicine
dell’infermiera la fecero già sentire meglio.
Ma la strana ragazzina era di
un altro avviso. Voltò di scatto il volto verso di lei e,
per la prima volta da
quando l’aveva trovata, la osservò davvero,
socchiudendo gli occhi sospettosa,
quasi se stesse decidendo dentro di sé se fosse pazza o
avesse solo preso una
grande botta in testa.
- Mi dispiace, ma non è
possibile. – Borbottò alla fine, evitando il suo
sguardo e continuando a
trascinarla per il corridoio.
- Ma… non credo che gli
insegnanti ci punirebbero se dicessimo che stiamo andando in
infermeria. –
Tentò di nuovo lei, mentre la vista le si annebbiava e il
pavimento cominciava
a dondolare pericolosamente davanti ai suoi occhi. Si
accasciò sulle ginocchia.
- Io… non mi sento bene.
Devo… devo andare in infermeria. –
- No! Dobbiamo andarcene di
qui! – La voce della ragazza si era fatta acuta, quasi
isterica.
- Non riesco ad alzarmi. – Si
lamentò lei – Ti prego, aiutami! –
Ma la ragazza bionda non la
guardava più. Un rumore di passi lontani l’aveva
impietrita e ora guardava con
terrore crescente l’ombra che si allungava
all’angolo del corridoio.
Le sfuggì un gemito e, senza
dire altro, si girò e cominciò a correre dalla
parte opposta, abbandonandola
lì, sul pavimento, mentre i passi rimbombavano sulle pareti
vuote del
corridoio.
Non corse a lungo. L’uomo e
il fascio di luce verde sbucarono nello stesso istante dal corridoio
laterale
e, senza nemmeno un lamento, la ragazza si accasciò al
suolo, morta.
Lei rimase senza fiato per
l’orrore. Non era possibile! Cos’era successo? Chi
aveva fatto entrare un
assassino ad Hogwarts?
Girò la testa verso l’uomo
che ora si stava avvicinando sempre di più a lei. Non lo
vedeva bene, la sua
vista era sfocata, ma lo svolazzare del suo mantello nero era ben
visibile ad
ogni passo.
Con la forza della
disperazione si aggrappò al muro e si alzò sulle
gambe malferme, mentre con una
mano cercava la bacchetta nella veste da strega. Ma le dita si chiusero
sulla
stoffa vuota e fu con un sussulto di orrore che comprese che la
bacchetta non
era al suo posto.
- Ferma! -
Quell’ordine sibilò come una
frusta scoccata nell’aria e lei sobbalzò, come se
la frusta l’avesse colpita
davvero.
- Cosa credevi di fare,
ragazzina? – Sbottò l’uomo, colmando i
pochi metri che li separavano con tre
lunghe falcate.
Ora poteva vederlo bene e,
nonostante la sua vista non fosse più sfocata come prima,
temette seriamente di
aver riportato un grave danno agli occhi o, in alternativa, di essere
uscita di
senno.
Davanti a lei, con i capelli
neri e lunghi, il naso adunco e la carnagione giallastra, si ergeva il
suo
vecchio insegnante di Pozioni: Severus Piton.
Il fiato le si mozzò in gola,
mentre il colore le defluiva quasi dolorosamente dalle guance
già pallide.
No! Non era possibile! Piton
era…
- Lei è morto!
– Esclamò in un sussurro, forse più per
convincere se
stessa. Forse credendo che, se l’avesse detto ad alta voce,
il professor Piton
sarebbe scomparso, ritornando nel regno dei morti, dove avrebbe dovuto
essere.
Ma quello non si mosse da lì,
anzi, un lieve ghigno di divertimento gli increspò il viso
– Mi dispiace
deluderla, signorina, ma io sono tutto fuorché morto.
Purtroppo per lei. – La
guardò dall’alto in basso con quei suoi occhi
scuri e guardinghi, la bacchetta
ancora sguainata – Come ha fatto ad entrare? –
L’assurdità della domanda le
fece per un attimo dimenticare l’altrettanto assurda e
illogica visione che
aveva davanti. - Come? - Balbettò
confusa.
Piton socchiuse gli occhi –
Come ha fatto ad entrare qui dentro? Questa scuola è
protetta da incantesimi
difensivi potentissimi, nessuno che non sia uno studente o un
insegnante può
avervi accesso. –
La ragazza lo guardò come se,
all’improvviso, la pazza non fosse più lei ma lui
– Professor Piton, io sono una
studentess… -
Lo schiaffo arrivò improvviso
e doloroso, molto doloroso, tanto da girarle la faccia dal lato
opposto. Si
portò una mano al viso, tremante, e quando la
allontanò vide che le dita erano
macchiate di sangue.
- Crede forse di potermi
prendere in giro? – Gli occhi del professore fiammeggiavano,
non l’aveva mai
visto così arrabbiato – Io conosco ogni singolo
studente di questa scuola e lei
non rientra fra quelli, mia cara signorina. -
La ragazza era troppo
sconvolta per riuscire a parlare. Tremava vistosamente e si guardava le
dita
insanguinate come se non potesse credere a quello che vedeva.
Alzò la testa,
mentre lacrime calde le scendevano lungo le guance – Lei non
può fare questo!
Schiaffeggiare uno studente è contro le regole…
– Ma le parole le morirono in
gola quando si rese conto che quel gesto non era il peggiore che avesse
compiuto. Pochi minuti prima aveva ucciso
una studentessa senza alcun motivo.
Le girava la testa. Che
diavolo stava succedendo?
- Mi risponda! – Sbottò
all’improvviso, afferrandole il polso e strattonandolo forte
– Come ha fatto ad
entrare? Anzi, chi l’ha
fatta
entrare? -
Ma lei non rispose, troppo
sconvolta per dire alcunché.
- Crede forse che non lo
scoprirò? Anzi, crede forse che io non lo sappia
già? –
Ghignò malvagiamente – Voi dell’Ordine
siete così maledettamente stupidi da pensare di poterla
sempre fare franca.
Credevate davvero di potermi trarre in inganno solo con un misero
travestimento? Evidentemente siete molto più idioti di
quanto pensassi. -
La ragazza rimase a bocca
aperta. L’Ordine? Stava parlando dell’Ordine della
Fenice?
Il professore la strattonò di
nuovo – Mi vuoi rispondere, stupida ragazzina? –
Ma lei non lo fece. Non era
più in grado di articolare alcun pensiero, figurarsi qualche
parola.
- Bene, magari il preside le
scioglierà la lingua. – E detto questo le
voltò le spalle e la trascinò quasi
di peso lungo il corridoio da cui era venuto.
Lei non si oppose nemmeno.
Forse nella caduta aveva battuto la testa. Forse quello che stava
vivendo era
solo un sogno, o meglio, un incubo! Non poteva esserci
nessun’altra
spiegazione.
Severus Piton la stava
trascinando rudemente su per le scale di pietra. Severus Piton aveva
appena
ucciso una studentessa innocente. Quello stesso Severus Piton che
avrebbe
dovuto essere morto e che, cosa ancor più incredibile, non
l’aveva
riconosciuta.
Tuttavia, nell’assurdità
della situazione, la ragazza non potè fare a meno di
rilasciare un sospiro di
sollievo. Se Piton era vivo, anche Silente avrebbe dovuto essere vivo,
e lui
sicuramente l’avrebbe riconosciuta e l’avrebbe
creduta. Ma quella flebile
speranza soffocò non appena si rese conto che, se Silente
fosse stato vivo, non
avrebbe mai permesso che un professore facesse del male ad un suo
studente.
Ma allora Piton da chi la
stava portando? Chi era il preside di Hogwarts in quel mondo assurdo e
così
oscuro? Perché ora ne era convinta, quella non era la stessa
Hogwarts in cui
aveva vissuto per quasi sette anni. Lo percepiva perfino dalle mura di
pietra
attorno a lei, così fredde e buie nonostante le torce
accese. E poi c’era un
silenzio tombale, inquietante, che le faceva accapponare la pelle molto
più
dell’aria gelida che le si insinuava sotto i vestiti.
La ragazza si lasciò
trascinare senza opporsi su per quattro rampe di scale e attraverso una
decina
di corridoi e in tutto quel percorso mai, nemmeno una volta,
percepì un’altra
presenza oltre la loro. La scuola sembrava completamente vuota.
Dopo circa una decina di minuti
il professor Piton si fermò di fronte un muro completamente
spoglio, dove un
tempo c’erano stati la coppia di gargoyle di pietra, il quale
si aprì non
appena lui vi poggiò sopra il palmo della mano, rivelando
una scala a
chiocciola che saliva verso l’alto. Quando furono arrivati in
cima, Piton bussò
due volte contro la massiccia porta di legno, poi entrò,
senza aspettare alcuna
risposta.
Lo shock che provò non appena
fu entrata nella stanza fu quasi peggiore di tutto il resto.
L’ufficio era
ingombro di oggetti, come al solito, ma non erano i soliti fragili e
scintillanti strumenti che si potevano vedere quando Albus Silente era
preside
di Hogwarts. Gli scaffali, le mensole, i tavolini a tre gambe e le
librerie
erano ingombri di oggetti chiaramente oscuri e, alcuni, decisamente
raccapriccianti, che inondavano lo spazio di una luce cupa e gelida,
molto
diversa dallo splendore festoso di un tempo.
Il camino era vuoto e freddo
e le candele erano spente. La ragazza rabbrividì, di nuovo,
e di nuovo non per
la mancanza di calore o di luce.
Lo strano e raccapricciante
silenzio si percepiva anche lì, ma questa volta
capì a che cosa era dovuto. Le
pareti erano vuote e fredde: i ritratti dei presidi erano spariti e
quindi
anche il loro quieto ronfare.
Il professor Piton la spinse
più avanti, al centro della stanza, dove la scrivania del
preside svettava sul
pavimento sopraelevato. Ma dietro di essa non c’era nessuno,
la sedia era
vuota. La ragazza si chiese che cosa dovesse guardare. -
Vi ho portato una spia, mio
signore. – Disse ad un tratto il professore, la voce ormai
priva della rabbia
di poco prima.
- Io non sono una… - Cominciò
lei, ma le parole le morirono subito in gola.
Un movimento ai margini del
suo campo visivo attirò la sua attenzione e, dove prima
c’erano solo ombre, ora
c’era un ragazzo alto, dalla carnagione pallida e i capelli
scuri. Davvero
attraente se non fosse per quella luce malvagia che gli illuminava gli
occhi.
Il ragazzo si avvicinò e lei
si sentì morire. Nonostante non l’avesse mai visto
di persona con quell’aspetto
l’aveva riconosciuto immediatamente: Tom Riddle. Tom Riddle
con ancora la
bellezza della gioventù. Tom Riddle non ancora trasformato
in un mostro ma, se
possibile, ancora più terribile.
- Quale grazioso dono mi hai
fatto, Severus. – Un sorriso diabolico gli
attraversò il viso. Si avvicinò di
più e allungò due dita verso di lei, fino a
toccarle la guancia coperta di
sangue. – E’ davvero carina. -
- Non mi tocchi! – Sbottò lei
impulsivamente, ritraendosi dalla sua mano.
- E morde anche. – Sghignazzò
divertito – Potrei metterla incatenata a guardia dei questo
ufficio. Sono
sicuro che farebbe molta più paura dei gargoyle di Silente.
–
La ragazza era senza parole,
letteralmente. La paura e lo sgomento ora avevano lasciato il posto
alla
rabbia, all’incredulità,
all’indignazione. Come poteva quel mostro essere
lì?
Al posto di Silente, al posto che ora avrebbe dovuto occupare la McGranitt?
Possibile che
non l’avessero davvero distrutto? Possibile che, dopo tutti i
loro sforzi,
fosse ancora vivo?
E Piton? Anche lui era morto.
Harry l’aveva visto con i suoi occhi. Harry era
lì.
Harry!
- Dov’è
Harry? – Chiese
all’improvviso, guardando prima l’uno e poi
l’altro con espressione
interrogativa e spaventata. Gli doveva per forza essere successo
qualcosa. Lui
non avrebbe mai permesso tutto questo. Non avrebbe mai permesso che Tom
Riddle
divenisse preside di Hogwarts.
Quest’ultimo, per la prima
volta, tradì un’espressione di sorpresa
– Harry?-
- Harry. – Ripeté lei – Harry
Potter!
-
- Harry Potter?! – Una risata
sincera e, per questo, molto più raccapricciante,
fuoriuscì dalle sue labbra
perfette di diciassettenne, mentre un rossore giovanile gli
colorò le guance
pallide.
Nonostante tutto, nonostante
l’assurdità di quella situazione, lo sconcerto, la
paura, la rabbia, la ragazza
notò quanto gli donasse quel rossore, rendendolo
più affascinante di quanto non
fosse già. E in quel momento capì come, da
giovane, fosse riuscito ad
accattivarsi tanta gente e a portarla drasticamente dalla sua parte.
Ma quei pensieri sciocchi e
inutili si dissolsero come brina ai primi raggi del sole quando lui
pronunciò
le parole fatali: - Harry Potter è morto. –
E di colpo tutto fu buio e
freddo, mentre il barlume di speranza che ancora provava venne
estirpato a
sangue dalla sua anima con uncini di ferro. E lei si sentì
morire, ancora.
NOTE DELL’AUTRICE:
Un saluto affettuoso a tutti
quelli che hanno letto il primo capitolo di questa mia piccola long. In
realtà
avrebbe dovuto essere una one-shot, ma scrivendo mi sono resa conto
che,
concentrando tutto in un solo capitolo, non sarei riuscita ad esprimere
al
meglio tutti gli aspetti e le sfaccettature di questa storia e,
naturalmente,
dei suoi personaggi.
I capitoli in tutto
dovrebbero essere cinque ( salvo imprevisti) e li
pubblicherò a una distanza di
quattro giorni l’uno dall’altro ( salvo
imprevisti).
Bene, spero che il primo
capitolo della mia storia vi sia piaciuto e che abbia instillato in voi
quel
po’ di curiosità per far sì che
continuiate a leggerla.
Baci.
Sundayrose
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Capitolo 2 *** Si chiama disperazione ***
Si chiama
disperazione
“Nel destino di ogni uomo
può esserci
una
fine del mondo fatta solo per lui.
Si
chiama disperazione.”
- Victor Hugo -
- Harry Potter è
morto. -
Quella frase, quell’unica
frase ebbe il poter di farla crollare completamente e di colpo nulla
aveva più
importanza. Non importava che Tom Riddle fosse ancora vivo. Non
importava che
Piton fosse diventato il suo più fedele seguace. Non
importava che Hogwarts non
fosse più la stessa. Non importava nemmeno come lei ci fosse
arrivata. Harry
era morto e questo bastava, questo era tutto. Perché, se lui
non c’era più,
allora era tutto inutile, Tom Riddle sarebbe vissuto in eterno e il
mondo
avrebbe vissuto per sempre nell’oscurità.
Eppure una parte di lei
ancora si rifiutava di crederci. “Non è
possibile” si diceva, “è tutta una
bugia”. Ma allora come… come…
- M…morto?! – Balbettò alla
fine, incapace di dire altro.
- Certo che sì! Accidenti,
Severus, me l’ero perfino dimenticato. Quanto tempo
è passato! –
Tuttavia, quando si voltò a
guardarlo, Severus Piton non sembrava condividere
l’ilarità del suo padrone.
Anzi, una piccola espressione di dolore parve attraversargli il viso.
Ma
scomparve così velocemente che la ragazza pensò
di essersela solo immaginata. Le
incomprensibili espressioni del professore erano le ultime cose a cui
pensava,
mentre le parole di Tom Riddle avevano avuto il potere di fare breccia
nel
solido guscio di disperazione che si era creato attorno a lei.
- Che… che vuol dire “ quanto
tempo è passato”? -
Tom Riddle la guardò con
sufficienza e finta compassione, più una smisurata dose di
arroganza e di superiorità
che ben si leggeva sui suoi lineamenti delicati e terribili.
- Quello stupido ragazzino
pensava di potermi fermare. Il fatto che, per chissà quale
misteriosa ragione,
mi avesse “sconfitto” quando aveva appena un anno
gli aveva donato un’arroganza
senza pari. Arroganza che l’aveva portato a fermarmi di
nuovo, al suo primo
anno qui ad Hogwarts. Pensava di poter fare tutto, pensava di essere il
salvatore del Mondo Magico. Lui, un misero ragazzino di dodici anni
contro il
più grande mago di tutti i tempi. Da solo contro tutto il
mio potere. Aveva
un’arroganza senza limiti e quella gli è stata
fatale. – Rise di gusto, come se
quello fosse uno dei ricordi più belli della sua esistenza.
– Pensava
addirittura di poter fermare il Basilisco. -
- Harry ti ha fermato! –
Sbottò improvvisamente lei, incapace di trattenersi anche se
fosse stata in
gioco la sua vita. Ormai non aveva più niente da perdere.
– E ha fermato il
Basilisco. L’ha ucciso con la spada di Godric Grifondoro!
–
Una nuova ondata di ilarità
trasformò il viso del ragazzo che non sarebbe mai diventato
un mostro, almeno non
nell’aspetto. – Harry Potter ha tentato
di
fermare il Basilisco, ma non ha mai trovato l’accesso alla
Camera dei Segreti.
Era così esaltato dalla sua capacità di riuscire
a capire il linguaggio dei
serpenti che non ha esitato un attimo a seguire la voce del Basilisco
quando
l’ha sentita. Merlino solo sa che cosa aveva in mente di
fare. Probabilmente si
credeva superiore, invincibile. E’ morto a causa della sua
stessa superbia: ha
girato l’angolo e si è trovato di fronte
l’enorme serpente. Il bambino che è
sopravvissuto ucciso dal mostro dell’erede di Serpeverde.
– Assaporò quelle
parole come un piatto prelibato – E io… e io
riportato alla vita grazie alla
forza vitale di una ragazzina dai capelli rossi. –
La ragazza chiuse gli occhi.
Di cosa stava parlando? Quelle ultime parole risuonavano ormai vuote e
distorte
alle sue orecchie, come se, dopo tutto quello che aveva appreso in
quegli
ultimi istanti, non potesse sopportare nessun altra notizia. Si
sentì girare la
testa e una nuova ondata di nausea l’assalì. Si
costrinse a ricacciarla indietro
e ad avere la mente lucida.
- No! – Esclamò alla fine,
con tutta la forza che riuscì a trovare – Non
è andata così! Io ho scoperto che
il Basilisco circolava attraverso le tubature. Grazie a me Harry e Ron
hanno
scoperto che l’accesso alla Camera dei Segreti si trovava nel
bagno dove è
morta Mirtilla Malcontenta. Harry ha raggiunto la Camera
dei Segreti e ha
ucciso il Basilisco con la spada di Grifondoro. E’
così che è andata! -
Ma Tom Riddle non la stava
più ascoltando. Ad un certo punto del suo discorso si era
fermato, congelato al
suo posto come sotto l’effetto di un Petrificus.
L’ilarità sprezzante che fino
a quel momento l’aveva trasformato in un ragazzo quasi umano era scomparsa e ora sul suo viso si
poteva leggere solo
rabbia, sospetto e forse… forse una punta di paura?
- Come fai a conoscere
l’accesso alla Camera dei Segreti? Nessuno lo sa. Nessuno
l’avrebbe dovuto
sapere! – Gettò un’occhiata a Severus,
sufficiente a farle capire che neanche
lui avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
- L’ho appena detto. Harry
ha… -
- NO! – Sbottò lui, scattando
come un serpente al minimo segnale di pericolo – Tu menti!
Harry Potter è
morto. E’ morto, piccola mocciosa, è morto! Io
l’ho sconfitto e non può più tornare
per intralciare i miei piani.-
Perché si ostinava a
ripeterlo? Si chiese lei. Non poteva essere vero, lei sapeva che non
era vero.
Ma sapeva anche che, al contrario, erano Voldemort e Piton ad aver
dovuto
essere nella tomba e invece erano proprio lì, accanto a lei,
che la
osservavano, la parlavano, la giudicavano. Tutto quello di cui era
assolutamente certa stava crollando come un castello di carte e ad un
certo
punto le venne il dubbio che anche a lei fosse successo qualcosa e che
quello
fosse una specie di bizzarro aldilà dove ognuno di loro
riviveva all’infinito
gli istanti della propria vita secondo chi vi si trovava. Ma
quell’idea era
troppo assurda per essere plausibile, soprattutto perché lei
era viva, sapeva
di esserlo, ne era convinta! Ma ormai sembrava che tutte le sue
convinzioni
dovessero crollare da un momento all’altro.
- No, non è vero. – Sussurrò
dopo un po’ – Harry Potter era il prescelto e ti ha
distrutto. Io l’ho visto! -
- E tu chi sei per dire
questo? Chi, per affermare quanto stai dicendo? – Le chiese
lui, quasi avesse
bisogno di una risposta che confermasse quanto fosse bugiarda.
- Sono Hermione Granger. –
Rispose semplicemente, sperando che questo potesse bastare.
Tom Riddle si voltò verso
l’insegnante di Pozioni – Hai mai sentito questo
nome, Severus? –
- Mai in vita mia. -
La ragazza puntò lo sguardo
su di lui, sconcertata – Professor Piton , io sono stata una
sua alunna. Ero la
migliore amica di Harry e Ron. – Non sapeva nemmeno lei
perché si ostinasse a
ripetere quelle cose quando era evidente che per loro non erano altro
che
bugie. Ma doveva farlo. Lo doveva a sé stessa e alla sua
sanità mentale.
- E’ vero, Severus? -
- No, non l’ho mai vista, mio
signore. E io ricordo sempre i miei studenti. Mi sarei ricordato di
lei,
soprattutto se fosse andata in giro con Harry Potter. –
Tom Riddle parve soddisfatto,
mentre lei cominciava a sentirsi perduta.
- Una bugiarda! Una spia! –
Esclamò lui, quasi compiaciuto – Per conto di chi
sei entrata in questa scuola?
– Si era avvicinato di colpo, ma lei non si era mossa,
nonostante avrebbe
voluto fuggire da quella stanza come la peggiore delle codarde.
- Io frequento questa scuola. Sono
al settimo anno. –
- Bugiarda. BUGIARDA! – Ormai
urlava, senza alcun controllo. Gli occhi scintillanti d’ira.
– Chi ti ha
mandato? Forse quei quattro bacucchi che ancora si fanno chiamare
“Ordine della
Fenice”? Credevano forse che non ci saremmo accorti della tua
presenza? Che
avresti potuto circolare liberamente sotto le false spoglie di una
studentessa?
–
- Io sono… -
- Basta! – La interruppe di
nuovo lui – Questo affronto avrà delle
ripercussioni gravi. Nessuno deve
pensare di potermi aggirare. Severus! –
Quell’ultima parola schioccò come una
frusta – Falla portare nei sotterranei. Forse una notte al
freddo e in
compagnia dei topi basterà a farle sciogliere la lingua. E
se invece nemmeno
quello sarà sufficiente ricorreremo a metodi decisamente
più sgradevoli. –
Hermione non trovò più la
forza di dire altro. Quello che stava vivendo era un incubo, non
c’era altra
spiegazione.
Sprofondò in sé stessa e
nelle sue paure come se fossero una palude di acqua melmosa e scura,
che le
impregnava i vestiti e le ossa rendendola sempre più pesante
e trascinandola
giù, sempre più a fondo. Avvertì come
da lontanissimo il professor Piton
suonare un piccolo campanello d’argento e dopo pochissimi
secondi, o lunghe ore,
la porta dell’ufficio che si apriva.
- Mi avete chiamato, mio
signore? -
E improvvisamente ritornò a
galla, come se quelle semplici parole fossero state un braccio teso
pronto ad
afferrarla prima dell’agonia. Più delle parole,
però, era stata la voce a farla
ritornare in sé. Quella voce che le era così
tanto familiare, quella voce che
aveva imparato ad amare pian piano, senza alcun preavviso. Quella voce
che
ormai era tutto il suo mondo e che caratterizzava ogni singolo momento
felice
della sua vita. Quella voce che aveva dimenticato in quegli istanti
orribili e
si sentì immensamente colpevole per questo.
Non aveva ancora alzato lo
sguardo, ma sentiva prepotente la sua presenza accanto a sé.
Il suo corpo
reagiva istintivamente, anche in quel mondo assurdo e, se avesse avuto
anche
solo un minimo dubbio, in quel momento fu del tutto dissipato, certa al
cento
per cento che fosse lui.
- Si, signor Malfoy. –
Rispose Tom Riddle, seduto dietro la scrivania. Hermione non si era
neppure
accorta dello spostamento. Ormai tutti i suoi sensi erano rivolti al
ragazzo
che le stava affianco, immobile, il profilo rigido rivolto verso la
scrivania.
- Voglio che tu scorti la
signorina Granger nei sotterranei. E che sia sorvegliata a vista.
–
- Agli ordini, mio signore. –
Draco si avvicinò ad Hermione
con la stessa compostezza e rigidità di un soldato e con la
stessa freddezza la
afferrò per un braccio e la guidò fuori
dall’ufficio. In quei brevissimi
istanti non l’aveva guardata negli occhi neppure per un
momento, osservandola
superficialmente come se fosse stata niente di più che un
ordine da eseguire.
Mentre lei l’aveva guardato, a fondo, intensamente, cercando
nei suoi occhi il
minimo segnale del fatto che l’avesse riconosciuta. Ma quelli
erano spenti e
vuoti, come se uno spesso strato di nebbia celasse l’anima
burrascosa che di
solito vi leggeva così chiaramente. Sembrava un guscio
vuoto, un automa, una
statua di marmo senza sentimenti né volontà.
Il rumore della porta che si
chiudeva alle loro spalle la riscosse e lei si ritrovò a
scendere la ripida
scala a chiocciola guidata da quello che ora era diventato la sua
guardia e il
suo carceriere. Draco le stringeva l’avambraccio in una presa
salda, ma non
così forte da farle male.
Quando spuntarono nei
corridoi vuoti e silenziosi il suo primo istinto fu quello di
divincolarsi e
scappare, subito soffocato dal suo innato e dannato buonsenso. Davvero
pensava
di riuscire ad uscire da Hogwarts? E, se davvero ci fosse riuscita,
dove
sarebbe potuta andare? Non sapeva come fosse il mondo lì
fuori, non ora che
tutto sembrava stravolto, inconcepibile, incoerente con tutto quello
che sapeva
e ricordava. E poi… e poi ora aveva trovato Draco. Se
davvero avesse voluto
scappare avrebbe voluto farlo con lui.
Si voltò a guardarlo. Era
sempre lo stesso, nulla nel suo aspetto poteva farle pensare che fosse
cambiato
in qualche modo; eppure era inesorabilmente diverso. Non il ragazzo che
aveva
conosciuto, non il ragazzo che aveva amato.
- Draco… - Tentò lei, con un
lieve tremito nella voce.
Lui voltò la testa di scatto
e, per la prima volta da quando l’aveva visto, scorse un
barlume di umanità in
quei suoi occhi così belli – Come sai il mio nome?
–
“So molte cose di te”,
avrebbe voluto dirgli. Ma tacque. Lui la guardava ancora e
improvvisamente si
rese conto che era cambiato, sì. Era immensamente
più bello, seppur più magro,
sofferente. Quella bellezza che viene solo da chi ha sofferto tanto.
Aveva il
fascino dell’angoscia negli occhi.
- Non ti ricordi di me? –
Chiese alla fine.
Lui sembrò sorpreso, confuso,
ma poi parve decidere che non fosse il caso di indugiare e riflettere
troppo
sulle parole di una spia, una nemica che stava per imprigionare nelle
viscere
del castello di Hogwarts.
- Io non ti ho mai vista. –
Constatò semplicemente dopo qualche secondo, riportando lo
sguardo davanti a
sé.
Anche lei lo fece e, mentre
scendevano nei sotterranei, cercò di ignorare le lame di
ghiaccio che le
trafiggevano il petto ad ogni passo. Quelle lame che non erano state
così
dolorose nemmeno quando Tom Riddle le aveva detto che Harry era morto.
Draco la portò nella
parte
più profonda dei sotterranei, quella più fredda,
più umida, così buia che anche
la luce della torcia si rifugiava nelle ombre. Molto più in
basso dell’aula di
Pozioni.
Il ragazzo si fermò davanti
ad una cella oscura e angusta. Hermione poteva sentire le gocce di
umidità
scivolare lungo le pareti ricoperte di muschio e muffa. Non
c’erano finestre lì
sotto e l’unica fonte di luce era la piccola torcia che Draco
stringeva tra le
mani, la cui luce si rifletteva sinistra e verdastra sulle sbarre
stranamente
lisce e lucide.
Metallo magico, pensò.
Metallo che non poteva essere intaccato né dal tempo
né dalla ruggine.
Le sbarre erano conficcate in
profondità nella roccia del pavimento e si innalzavano per
quasi tre metri fino
a sparire nella volta gocciolante del soffitto. Non c’erano
aperture, né
passaggi attraverso i quali sarebbe potuta entrare. La grata si
stendeva da un
capo all’altro del muro senza alcuna interruzione di maniglie
o serrature. Si
stava appunto chiedendo come avrebbe fatto ad entrare quando Draco mise
una
mano sulle sbarre, abbassò la testa e chiuse gli occhi. E in
quel momento
Hermione si permise di osservarlo più attentamente.
Era decisamente più magro, il
profilo deciso della mandibola svettava sul suo viso pallido e la
camicia scura
che indossava mal celava l’ossatura spigolosa delle scapole.
Aveva la testa
piegata in avanti e in quella posizione i capelli biondi, e molto
più lunghi
del solito, ricadevano sugli occhi chiusi, mentre una ruga di
concentrazione svettava
sulla sua tempia candida.
Quando riaprì gli occhi e
alzò la testa la scoprì ad osservarlo e una
piccola e veloce espressione di
sospetto e curiosità passò sul suo viso.
- Entra! – Le ordinò,
guardandola ancora.
Lei impiegò qualche secondo a
capire, finchè non girò la testa e vide un varco
nella grata di ferro che prima
non c’era. Con passi incerti lei lo attraversò e
quello si richiuse dietro le
sue spalle.
La cella in cui si trovava
era appena più grande dello sgabuzzino delle scope al
secondo piano e
scommetteva che, se si fosse sdraiata sul pavimento, non sarebbe
riuscita ad
allungarsi completamente. Non c’erano finestre e
l’aria era fredda, umida e stantia.
Tossì un paio di volte quando quel sentore di muffa le
entrò in gola e
improvvisamente la consapevolezza di quanto stava vivendo la
colpì in piena
faccia come una secchiata di acqua gelida.
Era prigioniera! Era
prigioniera in una scuola che sembrava la sua ma che non lo era, come
se il suo
doppio malvagio fosse all’improvviso affiorato cancellando
quanto di bello,
allegro, caldo e luminoso c’era prima. E questo non valeva
solo per la
struttura, no, ma anche per le persone che vi vivevano. Persone che non
avrebbero più dovuto esistere e persone che esistevano
ancora ma in modo
completamente diverso. E poi c’era lei… che
inspiegabilmente era stata
catapultata in quel mondo assurdo, senza sapere se sarebbe riuscita
prima o poi
a ritornare nel suo mondo, quello
vero. Perché quello… quello era solo una
grottesca imitazione, un’imitazione
che le faceva paura, ancora di più perché era
completamente sola e abbandonata
a se stessa.
Il rumore di passi che si
allontanavano la riportò alla realtà. Si
girò di scatto e afferrò le sbarre con
la stessa disperazione con cui avrebbe potuto afferrare la sua ultima
scintilla
di speranza.
- No! Ti prego, non andare
via! Draco! – Urlò disperata.
Poco prima che la figura del
ragazzo venisse risucchiata dalle ombre, si fermò,
concedendo a lei di scorgere
ancora i riflessi biondi dei suoi capelli. Si girò,
guardingo.
- Ti prego, aiutami! – Continuò
– Non so cosa stia succedendo ma qui è tutto
diverso. Piton dovrebbe essere
morto, anche Voldemort e tu… -
- Nessuno lo chiama in quel
modo. – La bloccò lui, ritornando sui suoi passi
con espressione severa – Per
noi tutti è il Signore Oscuro. –
- Non è vero, non per te. Tu
lo odiav… lo odi! Io lo so! –
L’espressione di Draco,
dapprima guardinga, ora divenne furibonda – Che cosa stai
insinuando,
ragazzina? – La fronteggiò da dietro le sbarre. I
suoi occhi ora mandavano
lampi, ma Hermione vi vide anche qualcos’altro: paura.
- Lo so che ora non puoi dire
niente, ma io so cosa c’è dentro il tuo cuore.
– Cercò, solo con gli occhi, di
fargli capire che era sincera, che stava dicendo la verità -
Tu lo odi così
come lo odio io, se non di più. Ha rovinato la tua vita, ti
ha tolto gli anni
migliori della gioventù e ora sei costretto a servirlo per
paura che faccia del
male a te o ai tuoi cari. E non puoi nemmeno soffermarti su questi
pensieri, su
queste paure, perché hai il terrore che lui ti legga nella
mente e scopra
tutto, cioè che tu non gli sei fedele. -
Il ragazzo sbarrò gli occhi e
indietreggiò di qualche passo. Con un’angoscia
quasi febbrile si guardò
intorno, come se si aspettasse che Voldemort in persona sbucasse dalle
dense
ombre attorno a lui e lo uccidesse all’istante. –
Come fai a dire queste cose?
Chi te le ha dette? – La sua voce ormai era un sussurro
angosciato.
- Tu! Me le hai dette tu
stesso, Draco. Certo, me le hai dette in un tempo di pace, dove non
dovevi più
temere la minaccia di Voldemort, ma me le hai dette. E sono sicurissima
che le
pensi tutt’ora, non è vero? -
Hermione stringeva le sbarre
con disperazione mentre pronunciava quelle parole, forse sperando che,
quanto
più stringesse, più lui le avrebbe creduto. Ma
Draco la guardava confuso e
atterrito, scuotendo la testa.
- Quel tempo non esiste, non
è mai esistito. Sei solo una pazza! -
Lei fu assalita dall’angoscia
– Draco… -
- Io non so nemmeno chi tu
sia, come posso averti detto queste cose se non ti ho mai vista? E,
anche se ti
conoscessi, non avrei di certo pronunciato quelle parole
perché non è la
verità. Il Signore Oscuro è il mio padrone e a
lui va tutta la mia fedeltà. -
Hermione capì che stava
dicendo quello più per convincere se stesso che lei, ma non
potè fare a meno di
allungare comunque una mano verso di lui, attraverso le sbarre.
- Draco… ti prego! -
Il ragazzo guardò con occhi
vacui le dita che si protendevano verso di lui, ma non le
afferrò, né si
avvicinò per poter fare in modo che queste lo toccassero.
- Ti prego, guardami!
Possibile che non ti ricordi di me? Sono Hermione! – La voce
le si spezzò in
gola, mentre lacrime gelide cominciavano a rigarle le guance.
- Tu stai cercando di
manipolarmi. – Sbottò lui alla fine, ritraendosi
ancora di più dalla sua mano
protesa – Sei una spia. L’ha detto il Signore
Oscuro. Non devo fidarmi di te,
stai cercando di confondermi. – La guardava con occhi
accusatori, come se la stesse
incolpando di quanto stava dicendo, come se la stesse incolpando di non
poter
dimostrare quanto stava dicendo, come se volesse davvero
credere in quanto stava dicendo, ma non osasse minimamente.
Lei vide tutti quei
sentimenti contrastanti combattere dentro di lui una battaglia senza
speranza,
e perdere. Lo capì ancor prima di veder muovere i suoi
passi. Un passo
indietro, poi un altro e un altro ancora…
- No! Ti prego! Draco! -
Ma lui era già scomparso tra
le ombre. Il rumore dei suoi passi veloci che andava perdendosi in
lontananza.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Salve lettori, eccoci
arrivati al secondo capitolo. Spero tanto che vi sia piaciuto!
Un grazie infinito a chi,
sulla fiducia, ha messo la storia nelle seguite e nelle preferite e a
chi ha
recensito.
Come tutti gli aspiranti
scrittori, mi interessa moltissimo il vostro parere (che sia esso
positivo o
negativo) perciò recensite, mi raccomando!
Un bacione grande a tutti voi
e buona domenica.
Sundayrose
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Capitolo 3 *** L'Universo trama ***
L’Universo
trama
“Quando desideri una
cosa,
tutto l’Universo trama
affinché tu possa
realizzarla.”
- Paulo Coelho -
Teneva ancora la mano
protesa
verso le ombre, come se sperasse ancora che lui sarebbe tornato
indietro per
afferrarla. Ma quelle rimasero mute e immobili, dense come acqua
melmosa e lei
fu costretta a lasciarla ricadere inerme accanto al corpo, premendo la
fronte
sulle sbarre gelide della sua prigione.
Lasciò che le lacrime le scorressero
copiose sulle guance e, lentamente, si accasciò sul
pavimento, permettendosi di
crollare completamente per la prima volta. Non sapeva nemmeno per cosa
piangeva. Forse per il fatto che Draco non l’avesse
riconosciuta? Forse perchè
non l’aveva creduta? Forse perché era prigioniera?
Forse perché Voldemort era
vivo? Forse perché era Harry a essere morto? Forse
perché Hogwarts non era più
la stessa? O forse perché lei si trovava lì,
senza la minima idea di come ci
fosse arrivata né come avrebbe fatto ad andarsene? Piangeva
un po’ per tutte
queste cose messe insieme, finchè il suo pianto silenzioso
non divenne un vero
e proprio tormento, mentre i suoi lamenti rimbombavano tra le pareti
scivolose
dei sotterranei.
Fece uscire tutto: la confusione, lo sgomento, il dolore, lo
strazio di quell’ultima ora che a lei pareva lunga come anni
interi e, quando
smise, si sentì immensamente più vecchia,
più fragile, più disposta ad
arrendersi alla realtà, esausta.
- Piangi, ragazza mia,
piangi. Le lacrime che non escono si depositano sul cuore e con il
tempo lo
incrostano e lo paralizzano. -
Hermione si raddrizzò di
scatto, scrutando terrorizzata tra le tenebre alla ricerca
dell’uomo che aveva
parlato. Ma quelle rimasero scure e impenetrabili.
- Chi sei? – La sua voce
risultò molto più acuta del normale in
quell’aria immota e spessa come lana.
Quello non rispose. Al suo
posto, un rantolo agonizzante che le fece accapponare la pelle ruppe di
nuovo
il silenzio. Solo dopo qualche secondo lei capì che si
trattava di tosse.
- Chi sei? – Chiese di
nuovo, stavolta alzandosi e aggrappandosi alle
sbarre di ferro.
- Solo un vecchio. – Rispose
alla fine.
C’era qualcosa di familiare
in quella voce. Sotto il timbro rauco e malato Hermione poteva
percepire calore
e affetto, nonché una dose considerevole di autorevolezza,
sebbene fosse
nascosta alla perfezione sotto la coltre di dolore e sofferenza. Si
sentì in
soggezione senza nemmeno sapere il perché.
- Da quanto tempo è qui? -
Le parole si persero
nell’oscurità fino a che non ne rimase solo
l’eco nella sua mente. Quando
l’altro rispose lei aveva già perso la speranza
che l’avrebbe fatto.
- Ben presto capirai, mia
cara, che il tempo non ha alcun valore qui sotto. Che importanza
può avere il
mese, il giorno, l’ora quando non sai nemmeno se è
giorno o notte? Se fuori c’è
il sole o un tremendo temporale? Se è primavera o inverno?
–
Un nuovo rantolo di tosse
scosse il vecchio. Hermione poteva quasi vederlo, rannicchiato su se
stesso,
con una mano premuta sul petto e l’espressione sofferente.
Doveva essere lì da
parecchio tempo se si era ridotto in quel modo. Si chiese se avrebbe
fatto la
stessa fine.
- Siete malato. – Disse
quando i rantoli terminarono. Non era una domanda.
- Non è nulla. – Rispose il
vecchio – Solo qualche acciacco. –
Hermione riuscì a percepire
il sorriso nella voce dell’uomo e sorrise a sua volta,
nonostante non ce ne
fosse alcun motivo. Si sentiva come quelle persone che raccontavano di
essere
sull’orlo di un baratro, solo che lei era già
caduta e per quanto allungasse le
mani verso l’alto non c’era nessuno ad afferrarle.
Poggiò la fronte contro le sbarre
e si sentì trascinare sempre più giù,
come se in quel buio ci fossero mani di
mostri o labbra di Dissennatori che volevano strapparla alla
realtà, per
condurla nell’oblio della disperazione, dove ogni attimo
infelice veniva
rivissuto all’infinito. Per un momento quasi cedette,
consegnandosi alle ombre.
Il vecchio sembrò leggerle
nel pensiero perché qualche istante dopo disse: - Qui sotto
è sempre tutto
uguale e immoto. Le tenebre avvolgono tutto e, dopo qualche tempo,
sembra che
ti avvolgano anche il cuore. Ma ti voglio dire una cosa, ragazza mia,
la
felicità o la speranza la si può trovare anche
negli attimi più tenebrosi, se
solo uno si ricorda di accendere la luce. –
Hermione alzò la testa di
scatto e, nello stesso momento, risuonò un sonoro clic mentre uno scintillio attraversava
il suo campo visivo e
andava a posarsi sui ciocchi di legno attaccati alle pareti, freddi e
spenti
fino ad un attimo prima.
Il sotterraneo in cui si
trovavano venne rischiarato quasi immediatamente e finalmente lei
potè vedere
l’uomo con cui aveva parlato fino ad un attimo prima.
Si trovava a due celle di
distanza dalla sua, rannicchiato contro le sbarre come uno straccio
vecchio e
abbandonato. La lunga barba, un tempo candida come la neve, era grigia
e sporca
e si confondeva con i vestiti sudici e i capelli aggrovigliati.
Nonostante
tutto, i suoi occhi azzurri e cristallini rilucevano vispi anche in
quello
squallore, liberi dalle lenti degli occhiali a mezzaluna.
L’aveva riconosciuto appena
un attimo prima che riaccendesse le luci con il Deluminatore e si
chiese, con
sgomento e disappunto, come avesse fatto a non riconoscerlo ancor
prima.
- Professor Silente! -
La sua voce era ancora di più
un sussurro ora che vi si era aggiunta la sorpresa e la speranza.
Sorrise quasi
contro la propria volontà contro le sbarre di ferro, mentre
lacrime copiose le
rigavano il viso facendosi spazio quasi con forza tra il metallo e la
pelle.
- Non le sembra che tutto
abbia riacquistato una nuova luce? Non fa così paura adesso,
vero? -
Sapeva a cosa si stava
riferendo. Il sotterraneo ora si mostrava per quel che semplicemente
era: un
cunicolo di roccia e metallo. Non c’erano mostri
lì sotto, né Dissennatori. La
paura e la disperazione si erano rintanate negli angoli più
remoti di quella
prigione, insieme alle ombre che prima la circondavano.
- Professor Silente, come è
finito qui? – Era una domanda stupida, lo sapeva. Ma sarebbe
stato
tremendamente più indelicato chiedergli per quale motivo Tom
Riddle non
l’avesse ucciso.
- Oh… divergenze di opinioni,
temo. Con il nuovo preside. –
Parlava tranquillamente, come
se con Voldemort non avesse avuto nulla di più che un
alterco verbale. Tipico
di Silente, pensò.
- Ma basta parlare di me.
Dimmi di te, ragazza. Come ti chiami? -
Hermione titubò un attimo
prima di rispondergli – Hermione Granger, signore.
–
- Mh… che nome interessante.
Un nome che esige una personalità altrettanto interessante.
Non credo di aver
mai conosciuto nessuno chiamarsi così, al di fuori dei
libri, naturalmente. -
La ragazza si sentì crollare,
di nuovo – Allora non… non si ricorda di me,
professore? – Era un’altra domanda
stupida, ma non poteva farci niente. L’ovvio era tutto
ciò a cui si aggrappava
ormai.
Il vecchio sembrò pensarci,
perché tacque per qualche momento - Mi rincresce ma quando
mi hanno condotto
qui i miei occhiali sono andati persi. Non vedo granché bene
da questa distanza.
E poi la mia memoria ormai non è più pronta e
scattante come un tempo. -
Hermione abbassò la testa,
mentre quell’ultima flebile speranza si spegneva. Sapeva che
non era un
problema di occhiali o di memoria. Silente, il vero
Silente non si sarebbe mai dimenticato di lei. Come non si
sarebbe mai dimenticato di nessuno dei suoi studenti.
- Ha fatto la stessa domanda
al ragazzo che l’ha condotta qui. Il giovane Malfoy. -
Hermione sussultò, sentendosi
improvvisamente nuda e arrossendo visibilmente.
Certo, Silente aveva
ascoltato tutto quello che aveva detto a Draco, le preghiere che aveva
cercato
di far penetrare nel suo cuore, le suppliche, le parole che aveva
ostinatamente
ripetuto affinché le credesse. Ma allora ignorava che ci
fosse qualcun altro ad
ascoltare quanto stava dicendo.
Era inutile negare – Sì. –
Rispose mestamente.
- Davvero interessante.
Sembrava quasi che lei lo conoscesse perfettamente. Mentre non si
poteva di
certo dire il contrario. –
Aveva un tono meditabondo e
ammaliato al tempo stesso. Hermione pensò che forse quella
era la cosa più
eccitante che gli fosse capitata negli ultimi anni.
- Già. – Borbottò alla fine,
senza sapere cos’altro avrebbe potuto dire.
Staccò le mani dalle sbarre e
si accovacciò contro di esse. Bastò un attimo e
tutti i suoi vestiti furono
impregnati dall’umidità che gocciolava dalle
pareti fino al pavimento di
roccia.
- E, mi permetto di aggiungere,
non credo che lei sia legata al ragazzo da semplice conoscenza, non
è vero? -
Hermione ancora una volta lo
fissò stupita, sebbene forse non avrebbe dovuto esserlo
più di tanto. Silente
era Silente, perspicace come pochi.
- Perché non mi racconta la
sua storia, signorina Granger? – Le chiese lui tutto ad un
tratto - Che cosa ha
portato una bella ragazza come lei in queste squallide segrete? -
Hermione titubò per un attimo,
rimuginando se fosse o no una buona idea. Poi però
arrivò alla conclusione che
non aveva nulla da perdere e così cominciò a
raccontare.
Dapprima le parole le
uscirono smorzate ed esitanti, quasi come se le dovesse estirpare con
forza
dalla mente e dal cuore. Poi però cominciarono a fluire in
modo più copioso,
come un fiume in piena, e si ritrovò a raccontare con
passione sempre più
travolgente, non solo quello che aveva appena vissuto, ma tutta la sua
storia,
la sua vera storia, ma anche di
Hogwarts e di tutte le persone che ne facevano parte.
Il professor Silente ascoltò
in silenzio e mai, neppure una volta (nemmeno quando Hermione gli
parlò della
sua morte per mano di Piton), sembrò tradire il minimo segno
di disappunto o
sorpresa.
- Una storia davvero
avvincente. – Disse alla fine, quando ormai la ragazza ebbe
finito di parlare –
Molto meglio di quella che stiamo vivendo, senza dubbio. E sono
convinto che
raccontarla le abbia fatto bene. -
Tuttavia Hermione si sentiva
più avvilita di prima – Sono sicura che ora mi
considererà una pazza o
un’impostora. Non la biasimo se non crede a quanto le ho
appena detto. –
- Al contrario, ragazza mia.
Al contrario. -
Hermione sollevò di scatto il
capo, sorpresa.
- Io ho ascoltato con molta
attenzione le sue parole. E, benché alcuni punti della sua
storia mi siano
completamente oscuri, altri sono straordinariamente familiari. Nessuno
avrebbe
mai potuto conoscere l’esatta ubicazione della Camera dei
Segreti, né
l’esistenza degli Horcrux (cosa di cui io già
sospettavo fortemente) e di come
distruggerli. E’ decisamente impossibile che lei si sia
inventata una storia
così ricca di particolari così, su due piedi.
Particolari che risultano essere
molto più che attendibili. -
- Quindi lei mi crede! –
- Naturalmente! –
Si sentì improvvisamente
leggera, mentre un sorriso si allargava involontario sul suo viso,
buttando
fuori la tensione che non si era accorta di provare fino a quel
momento. Sapeva
che era una cosa inutile, il fatto che Silente credesse alla sua storia
non la
agevolava in alcun modo. Non la rendeva meno prigioniera, non le donava
una via
di fuga, non la riportava nel “suo mondo”. Ma
sapere che qualcun altro riponeva
fiducia in lei le dava quel briciolo di forza in più di cui
aveva bisogno.
Si voltò a guardarlo, il viso
quasi nascosto sotto i capelli e la barba aggrovigliati. Le stringeva
il cuore
vederlo in quel modo. Lui, il mago più potente e saggio di
tutti i tempi,
gettato come uno straccio vecchio nelle segrete di quella che un tempo
era la
sua scuola.
- Qui è tutto così diverso. –
Esclamò alla fine, guardandosi intorno – Non
capisco come possa esistere tutto
ciò. –
- Io invece temo di
cominciare a comprendere. – Disse lui dopo qualche attimo di
silenzio.
Hermione lo fissò sgomenta –
Davvero? –
Silente annuì – Nel suo
racconto, signorina Granger, mi sono balzati alla mente alcuni
particolari,
forse marginali per lei, ma alquanto significanti per me. Per
comprendere
meglio quello che le è accaduto, almeno. –
- Di quali particolari sta
parlando? –
Lui congiunse le mani,
raccogliendo i pensieri – Nella sua versione della storia mi
ha raccontato che
al primo anno, lei, Ron Weasley e Harry Potter avete superato
l’ostacolo del
cane a tre teste per poter arrivare alla Pietra Filosofale e fermare
Voldemort.
–
- E’ così. – Confermò
Hermione.
- Bè qui le cose sono andate
un pochino diversamente. Una volta arrivati al Tranello del Diavolo
Harry
Potter, probabilmente grazie al suo sangue freddo, è
riuscito a rimanere calmo
e a superare l’ostacolo. Mentre Ron Weasley… -
La ragazza trattenne
bruscamente il respiro. Si ricordava come se fosse successo soltanto
ieri le
urla terrorizzate di Ron quando quella pianta malefica
l’aveva stretto così
forte da mozzargli il respiro. Era stata lei a liberarlo da quelle
grinfie,
scagliando contro il Tranello del Diavolo un fascio di luce solare.
Una strana inquietudine si
impossessò di lei – Professore… che
cosa è successo a Ron? –
Lo chiese con un’apprensione
fuori dal comune, forse perché già sapeva, dentro
di lei, la risposta.
Il vecchio preside sospirò –
Credo che già lo sappia, non è vero? E’
morto, signorina Granger. E’ morto
soffocato dal Tranello del Diavolo. –
Sì, lo sapeva o, almeno, lo
immaginava. Ma sentirselo dire non rese la cosa più facile.
Nuove lacrime le
bruciarono gli occhi e minacciarono di uscire impetuose. Lei le
ricacciò
indietro, ostinata.
- Tom Riddle mi ha detto che
Harry è stato ucciso l’anno dopo, dal Basilisco.
– Riprese lei, con voce
tremante.
- E’ così. Non ha mai trovato
l’accesso alla Camera dei Segreti. –
E improvvisamente Hermione
capì dove Silente voleva farla arrivare: era stata lei ad
indirizzare Ron ed
Harry sulla buona strada, facendo loro trovare l’appunto
sulle tubature quando
era pietrificata. Ma se lei in quel mondo non esisteva allora nulla di
tutto
ciò era mai successo.
Questa volta le lacrime
sgorgarono senza che lei potesse fare niente per fermarle –
E’ colpa mia! E’
tutta colpa mia se le cose sono andate così. E’
colpa mia se ora Voldemort è al
potere e lei è rinchiuso in questa cella. –
- Come può essere colpa sua,
signorina, se lei nemmeno esiste? – La logica spiazzante del
professore la
colse per un attimo impreparata, costringendola a guardarlo - Io credo che la frase
vada riformulata in
maniera diversa. E’ merito
suo,
signorina Granger, se nella realtà in cui vive Voldemort
è stato sconfitto e
ora tutti vivete in un tempo di pace. – Hermione
scosse la testa con
forza – Non è vero, professore. E’ stato
Harry. Harry ha distrutto Voldemort e…
-
- Oh sì, certo. Harry Potter
ha ucciso Voldemort una volta per tutte. Ma senza di lei, signorina,
senza il
suo aiuto, Harry Potter sarebbe morto all’età di
dodici anni, senza avere
alcuna possibilità di compiere il suo destino. –
Hermione rimuginò a lungo su
quelle parole, soffermandosi sui suoi gesti forse per la prima volta
nella sua
vita.
Davvero era stata così
decisiva? Davvero il suo contributo era stato così
importante? Davvero, se lei
non fosse mai nata, il mondo magico sarebbe crollato in
un’era tanto oscura?
Sapeva già la risposta, ma
non voleva peccare di presunzione o superbia nel pronunciarla ad alta
voce. Lo
vedeva con i suoi occhi, l’alternativa era a portata di mano,
la circondava
senza pietà e la soffocava.
Non l’avrebbe permesso. Se
davvero lei aveva fatto la differenza in passato l’avrebbe
fatta anche questa
volta.
Si issò in piedi,
aggrappandosi alle sbarre di metallo.
- Devo mettere le cose a
posto, professore. Non posso permettere che il Mondo Magico sprofondi
nell’oscurità. –
Silente la guardò ammirato –
Un obiettivo nobile, non c’è che dire. Ma credo
che stia affrontando il
problema dalla parte sbagliata, signorina. –
- Che… che vuol dire? –
- Non può rimettere a posto
questo mondo, non può riportare in vita i suoi cari, non
può cambiare le cose
che sono già successe perché, semplicemente, sono
già successe. – Davanti alla
sua espressione costernata si affrettò a spiegare
– Questa realtà esiste. Non
è un’illusione, non è un
inganno della sua mente che lei può modificare a suo
piacimento. Il male esiste, così
come esistono le realtà
parallele dove il male prevale e credo che lei sia capitata proprio in
una di
queste. – Silente chiuse gli occhi e sospirò
– La domanda da farsi, il problema
da porsi è: come ci sia
capitata. –
Hermione si guardò le mani,
afflitta – Ci ho già provato, ma non riesco a
ricordare. – Ammise.
- Credo che lei affronti il problema
in maniera errata. Non cerchi di ricordare gli eventi, i luoghi, le
parole.
Chiuda gli occhi, signorina Granger. Chiuda gli occhi e ricordi le sensazioni. Quali sensazioni
l’hanno
condotta qui? –
La ragazza lo osservò per un
momento, chiedendosi che cosa volesse dire. Come avrebbe fatto a
ricordare
delle sensazioni? Le sensazioni si ricordano, certo, ma se ci sono
degli
elementi che le riportano alla mente. Così, in questo modo,
sarebbe stato quasi
impossibile.
- Professore, è sicuro che… -
- Chiuda gli occhi, signorina
Granger. Provi! – La incitò lui.
Ed Hermione provò.
Chiuse gli occhi sul mondo
che la circondava, risucchiando la luce che Silente aveva evocato
tramite il
Deluminatore nelle tenebre della sua mente.
Tornò indietro, passando in
rassegna gli ultimi avvenimenti fino ad arrivare a quelli meno recenti.
I
ricordi della sua vera vita erano
sbiaditi come un sogno. Ne vedeva i contorni e i volti, ma le parole
sfuggivano, scivolavano come acqua sulle dita.
Le
sensazioni, si
disse, ricorda le sensazioni.
E allora chiuse la mente
anche alle immagini, cercando di evocare le emozioni che
l’avevano catapultata
in quel luogo.
Non accadde nulla per
parecchio tempo e stava quasi per perdere la speranza finchè
una scintilla non
sfiorò la sua coscienza. Schiuse la bocca per lo stupore.
La scintilla emanava rabbia,
una rabbia dolorosa e straziante, mista allo sgomento e alla certezza
di
qualcosa. Ma quella convinzione piano piano svanì, rivelando
il dubbio, il
sospetto, amaro come bile.
E improvvisamente le urla
esplosero nella sua mente, tanto che dovette tapparsi le orecchie.
Cadde in
ginocchio con un gemito.
“
– Se tu non avessi salvato il Mondo Magico, se tu
non fossi così popolare lui non si sarebbe mai interessato a
te. Non capisci
che ti sta usando per riacquistare la sua popolarità? Per
risollevarsi agli
occhi del Mondo Magico? Lui non è innamorato
di te, è solo innamorato
dell’idea
del successo e della fama che tu gli regali; quella
stessa fama che prima
aveva grazie al suo nome e che ora non ha più! –
- Sei orribile, Ron! Come fai
solo a pensare queste
cose? Draco è cambiato, è diverso. Lui mi ama
profondamente e anch’io lo amo.
Quello che stai insinuando è semplicemente assurdo! La
verità è che tu sei
geloso, geloso marcio e per questo motivo tenti di distruggere il
nostro
rapporto insinuando cose che non sono vere. -
Disse quelle parole con foga, ma il dubbio ormai si
era insinuato in lei.
- Non sei come pensavo che tu fossi, Hermione. E
pensare che ti ho amata per così tanto tempo. Vorrei che non
fossi mai
esistita! - ”
Riaprì gli occhi di
scatto e
il sotterraneo si materializzò di nuovo attorno a lei. Era
inginocchiata sul
pavimento, le mani ancora a coprirle le orecchie.
- Allora? Ci siete riuscita?
– Chiese Silente con impazienza. Si era alzato in piedi e
Hermione percepì come
fosse stato faticoso per lui compiere quel semplice gesto.
Annuì in risposta.
- Un desiderio. – Mormorò
alla fine – E’ stato un desiderio a condurmi qui. -
Le parole di Ron ancora le
rimbombavano nella mente e, più della rabbia,
provò dolore.
- Un desiderio espresso da
chi? – Le chiese il vecchio professore.
- Da Ron Weasley. – Ammise
lei alla fine.
- Interessante. – Esclamò lui
meditabondo – Davvero interessante! –
- Ma questo come potrà
riportarmi nel mio mondo? Se il desiderio di Ron è stato
esaudito allora non
c’è più niente da fare. –
Silente si sventolò l’indice
davanti al naso – Mi permetto di correggerla, signorina
Granger. Il desiderio
di Ron Weasley non avrebbe avuto alcun potere se non fosse stato
mischiato al
suo. –
- Il mio? – Chiese Hermione
sgomenta – Crede che fosse una mia volontà
desiderare di non essere mai
esistita? Crede che fosse una mia volontà finire qui?-
- No, di certo. Credo che lei
volesse solo fugare un dubbio o appurare qualcosa. Qualcosa che le sta
molto a
cuore e che non avrebbe mai potuto constatare nel “suo
mondo”. –
E improvvisamente Hermione capì
cosa Silente voleva dirle e cosa avrebbe dovuto fare da lì
in poi. Doveva
dissipare il dubbio dal suo cuore, solo allora sarebbe potuta ritornare
a casa.
NOTE DELL’AUTRICE:
Buon pomeriggio, miei cari
lettori.
Eccomi di nuovo qui,
puntualissima, a postarvi il terzo capitolo.
Come avete visto c'è una sorprendente new entry,
che aiuterà Hermione a svelare un po' di misteri.
Spero tanto che vi sia
piaciuto e che mi farete sapere cosa ne pensate!
Un bacione a tutti voi.
Sundayrose.
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Capitolo 4 *** L'amore è libero ***
L’amore
è libero
“L’amore
è libero,
non è sottomesso mai al
destino.”
-
Apollinaire
–
Draco se ne stava
nascosto
con accortezza dietro una parete di roccia, attento anche a non
respirare
troppo rumorosamente per il timore di essere scoperto. Si era assentato
solo
per una decina di minuti, il tempo di andare a prendere un
po’ di pane e una
brocca d’acqua per i prigionieri dalle cucine, ma quando era
tornato aveva
notato subito che qualcosa non andava. Il bagliore che
s’intravedeva fin dai
primi gradini che scendevano nelle segrete non era normale per quella
parte del
Castello, di solito perennemente al buio. Per questo era sceso con
circospezione, scivolando come un’ombra fino ad una
rientranza appena prima
della cella della ragazza e del vecchio preside.
Le torce appese al muro erano
accese, si accorse con sgomento. Come era possibile? Nessuno dei due
avrebbe
potuto farlo, erano entrambi privi di bacchetta.
Stava appunto per sgusciare
fuori dal nascondiglio ed interrogarli quando la voce di Albus Silente,
e
quello che disse, non lo fecero bloccare al suo posto.
- Ha fatto la stessa
domanda al ragazzo che
l’ha condotta qui. Il giovane Malfoy. -
- Sì. – Rispose la ragazza
con tono triste. Hermione Granger, gli pareva si chiamasse.
- Davvero interessante. Sembrava
quasi che lei lo conoscesse perfettamente. Mentre non si poteva di
certo dire
il contrario. –
- Già. –
Di nuovo quel tono disperato,
afflitto, lo stesso che aveva percepito quando lei l’aveva
supplicato di
crederle pochi istanti prima.
Una
trappola, pensò,
è solo una trappola.
- E, mi permetto di
aggiungere, non credo che lei sia legata al ragazzo da semplice
conoscenza, non
è vero? -
Draco si fece più attento,
deciso a non perdere nemmeno una parola della sua risposta. Ma la
ragazza non
parlò e il silenzio tra quelle mura divenne una prova ancor
più schiacciante
del suo imbroglio.
Non
risponde perché non sta dicendo la verità,
pensò.
Non sa
cosa dire. Ha mentito fin dall’inizio.
- Perché
non mi racconta la sua storia,
signorina Granger? –
La richiesta del vecchio
preside gli sembrò assurda. Che cosa avrebbe mai potuto
raccontare una spia,
un’imbrogliona? Di certo avrebbe costruito una storia senza
capo né coda,
avvalorando ancor di più la sua tesi e quella del Signore
Oscuro. Avrebbe fatto
meglio ad intervenire e quietare sul nascere quella assurda scenata.
Tuttavia
non riuscì a muoversi di un passo, ancora di più
quando la ragazza si mise a
raccontare.
All’inizio sembrava
titubante, incerta su cosa dire, probabilmente perché non
aveva previsto che
qualcuno le facesse quella domanda e ora cercasse di porvi rimedio
inventando
di sana pianta una storia assurda.
Poi però le parole si fecero
più sicure, il discorso più lineare e preciso. Ma
la storia che stava
raccontando era ugualmente assurda. Come poteva pensare che qualcuno ci
credesse?
E invece il vecchio bacucco
ci aveva creduto. Forse la lunga prigionia l’aveva fatto
andare fuori di testa.
- Quindi lei mi crede! –
- Naturalmente! –
Quella scenata era ridicola.
Che senso aveva rimanere ad ascoltare ancora? Era palese che fosse
tutta una
congettura per riuscire ad uscire di lì e salvarsi la pelle.
Non poteva essere
altrimenti.
E allora perché una parte di
sé avrebbe voluto che fosse vero?
“
- Tu lo odi così come lo odio io, se non di più.
Ha rovinato
la tua vita, ti ha tolto gli anni migliori della gioventù e
ora sei costretto a
servirlo per paura che faccia del male a te o ai tuoi cari. E non puoi
nemmeno
soffermarti su questi pensieri, su queste paure, perché hai
il terrore che lui
ti legga nella mente e scopra tutto, cioè che tu non gli sei
fedele. –”
Come faceva a
conoscere
quelle cose? Le sue paure più profonde, i suoi
più intimi desideri? Non l’aveva
mai confessato a nessuno e persino quando le pensava non lo faceva mai
con
libertà, temendo sempre di essere scoperto.
Possibile che fosse una Legilimens tanto
abile? Possibile che
avesse scoperto una parte di sé che perfino il Signore
Oscuro ignorava?
“–
Come fai a dire queste cose? Chi te le ha dette? –
- Tu! Me le hai dette tu stesso, Draco. –”
Era assurdo! Non poteva
essere vero. Lui non aveva mai visto quella ragazza. Come poteva averle
detto
quelle cose? Un ennesima bugia, così
come
la sua patetica storia.
Ricordava Harry Potter, un
insulso ragazzino che si era permesso di rifiutare la sua amicizia, al
primo
anno. Ricordava anche quando era morto, l’anno dopo, e di
come tutto fosse
cambiato da allora. Tom Riddle era rinato e la scuola era sprofondata
nell’oscurità.
E ora, invece, quella ragazza
sosteneva che Harry Potter avesse ucciso Voldemort al settimo anno. Il
più
grande mago oscuro di tutti i tempi sconfitto da un misero ragazzino
che non
era capace nemmeno di pronunciare un Wingardium
Leviosa decente.
Eppure… eppure come avrebbe
voluto che fosse vero!
Il mondo che Hermione Granger
aveva descritto con tanto ardore gli sembrava meraviglioso, anche se ci
era
voluto tanto tempo e sacrificio per conquistarlo. Eppure a lei sembrava
non
importare. Era mossa da sentimenti che lui conosceva ma che non aveva
mai
provato: speranza e combattività.
C’era anche lui in quella
storia. A Draco fece uno strano effetto sentirsi raccontare da
un’estranea, e
così bene poi che sembrava che lei lo conoscesse meglio di
sé stesso. Tuttavia
aveva avuto la sensazione che ci fosse dell’altro. Il
racconto aveva solo
sfiorato la sua persona, come se fosse stato solo una comparsa, un
attore
marginale su cui era inutile soffermarsi più di tanto.
Eppure lei cambiava tono
quando si apprestava a raccontare di lui. Non sapeva spiegare che tono
fosse,
era solo… diverso.
Ah, ma che sciocchezza! Era
solo un imbroglio, no? Una commedia preparata a puntino e recitata solo
allo
scopo di farsi liberare. Lui non ci sarebbe cascato.
Stava quasi per uscire allo
scoperto e smascherarla quando un grido lancinante lo
inchiodò al suo posto,
facendogli accapponare la pelle.
I suoi ultimi pensieri
l’avevano distratto da quanto stava avvenendo nelle celle
poco distanti da lui,
perciò fu sorpreso di vedere la ragazza in ginocchio, le
mani premute sulle
orecchie e un’espressione di profondo dolore impressa sul
viso.
Cosa stava accadendo?
Gettò uno sguardo al vecchio
preside, distante solo un paio di celle da quella di Hermione. Si era
alzato in
piedi, non senza un certo sforzo, e ora osservava la scena curioso,
quasi
rapito.
Non durò che qualche secondo,
poi la ragazza aprì nuovamente gli occhi e si
alzò in piedi, stordita.
- Allora? Ci siete riuscita?
–
Nella voce di Silente la trepidazione
era quasi tangibile.
- Un desiderio. E’ stato un
desiderio a condurmi qui. -
- Un desiderio espresso da
chi? –
- Da Ron Weasley. –
Draco era stordito e confuso.
Non riusciva a capire il senso di quanto era appena accaduto,
né di cosa
stavano parlando.
Cercò di dar pace ai propri
pensieri dicendosi, ancora una volta, che era tutta una messa in scena
per
imbrogliarlo. Ma a che scopo continuare a recitare se la ragazza non
sapeva
neppure che lui fosse presente? Per quale motivo stava ancora mentendo?
A meno che… a meno che non
stesse mentendo. A meno che non avesse mai mentito.
Qualche istante dopo
ritornò
su per le scale, per poi ridiscenderle il più rumorosamente
possibile e dare
loro la possibilità di spegnere le torce ed interrompere la
conversazione.
Non seppe nemmeno lui perché
lo fece.
Quando arrivò nel cunicolo in
cui si trovavano le loro celle il buio e il silenzio erano tornati,
densi ed
impenetrabili. Quindi tirò fuori la bacchetta e accese una
torcia lì vicino.
Hermione se ne stava
rannicchiata in un angolo della cella, la testa alta,
l’espressione dura,
nemmeno un briciolo dell’angoscia di poco prima era visibile
sul suo volto. I
suoi occhi castani lo fissavano imperturbabili e lui si
sentì quasi in
soggezione.
Era forte, era molto forte. Di
questo Draco doveva dargliene atto.
- Ti ho portato qualcosa da
bere e da mangiare – Disse, facendo passare il vassoio con
l’acqua e il pane
attraverso un passaggio tra le sbarre che lui ebbe la premura di
richiudere
subito dopo.
Ma lei non li degnò nemmeno
di uno sguardo. Continuava a fissarlo, come se i suoi occhi fossero
molto più
interessanti del cibo a portata di mano.
Cercò di non dare peso a quei
pensieri e le voltò le spalle, sistemandosi a terra di
fronte alla sua cella.
- Il Signore Oscuro mi ha
ordinato di sorvegliarti a vista. – Si giustificò
lui, quasi come se ce ne
fosse bisogno.
Ma Hermione non disse una
parola, continuava solo a guardarlo, in un modo così intenso
che più di una
volta Draco ebbe la tentazione di abbassare gli occhi e fuggire al
fuoco del
suo sguardo.
Per quanto fosse duro e
freddo all’apparenza aveva paura di cosa quegli occhi
riuscivano a scatenare.
Era sempre stato convinto di essere ghiaccio, solido ed imperturbabile,
tanto
forte da credersi imbattibile. Eppure, anche se il ghiaccio poteva
bruciare
come fuoco, il fuoco era l’unico a poterlo piegare, a poterlo
sconfiggere e di
questo se ne rese conto solo in quel momento.
- Ho ascoltato la tua storia.
– Disse all’improvviso, quasi contro la propria
volontà. Aveva fatto di tutto
per non farsi scoprire e invece ora le stava confessando tutto.
Nella sua maschera di
impassibilità Draco intravide una scintilla di sorpresa
– Davvero? –
Draco annuì, continuando a
tenere gli occhi nei suoi – Una storia molto fantasiosa.
–
L’espressione sul viso di
Hermione si indurì di nuovo e la scintilla di sorpresa e
falsa speranza
scomparì veloce così come era arrivata.
- Quindi non hai creduto
nemmeno ad una parola. - Non era una domanda.
- Esattamente. – Mentì lui.
Non seppe nemmeno il perché, ma si stava accorgendo, piano
piano, che quella
ragazza aveva un potere straordinario su di lui. Potere che sarebbe
aumentato a
dismisura se le avesse dato ragione.
- E allora perché non sei
andato a dire tutto a Voldemort? – Sbottò lei.
L’ira che si percepiva nelle sue
parole strideva quasi dolorosamente con il tono freddo della sua voce -
Perché non
sei strisciato ai suoi piedi come una vile serpe e non gli hai
spifferato
tutto? Potevi dirgli di aver sentito la prigioniera confessare di far
parte
dell’Ordine della Fenice, la cui missione principale
è distruggerlo e riportare
Hogwarts e l’intero Mondo Magico all’antico
splendore. Potevi offrirgli la mia
testa di traditrice su un vassoio d’argento e, forse, in quel
modo ti avrebbe
preso più in considerazione, elevandoti ad un ruolo per te
più dignitoso.
Questa era l’occasione della tua vita. Non deve aver riposto
molta fiducia in
te se ti ha relegato per così tanto tempo al misero ruolo di
carceriere. –
Draco scattò in piedi, punto
nel vivo. La rabbia e l’indignazione scaturivano da lui come
scariche
elettriche.
- Come osi rivolgerti a me in
questo modo? Sporca Mezzosangue. E’ così che ti
chiamavo nella tua storia,
vero? Bene, perché è quello che sei. Una
traditrice della peggior specie. Una
nemica. Un viscido neo nel perfetto piano del mio signore. Dovrei
punirti a
suon di Cruciatus per quello che
hai
detto. -
- E allora perché non lo fai?
– Lo provocò lei, con aria di sfida, alzandosi in
piedi e afferrando le sbarre
con forza.
Draco, quasi
involontariamente, si allontanò di un passo.
- Io so che non lo faresti
mai. – Disse lei alla fine. La voce morbida e pacata non
sembrava nemmeno la
sua dopo la freddezza di un attimo prima. – Non ci sei mai
riuscito. Hai sempre
rifiutato con forza il potere di ferire, torturare, uccidere.
Io so che non
lo faresti mai! Come non avresti mai fatto la spia per Voldemort. -
- Chi ti dice che io non
l’abbia già fatto? – Ribattè
lui, quasi provocandola. Ma era una provocazione
talmente debole che Hermione sorrise del suo tentativo.
- Perché ti conosco, Draco. –
- Non è vero. Tu non mi
conosci affatto! – Sbottò. La rabbia e la paura lo
costrinsero a serrare i
pugni lungo i fianchi.
Hermione
scrollò le spalle –
E allora fallo! – Allargò le braccia
semplicemente, esponendo tutto il suo
corpo al potere di lui – Torturami, Draco! –
Il ragazzo rimase allibito,
inchiodato al suo posto dallo sgomento e dal terrore. Che cosa stava
dicendo?
Non voleva mica che lui lo facesse davvero?
No, certo. Voleva solo
metterlo alla prova, dimostrare che non l’avrebbe mai fatto.
Dimostrare che era
un debole.
Ma lui non era un debole!
Con mano tremante sfilò la
bacchetta dalla tasca dei pantaloni e la puntò contro di
lei. La mira che
oscillava tremendamente a causa del suo tremito incontrollato.
Di contro, Hermione sembrava
tranquillissima. Gli occhi due pozzi profondi in cui lui avrebbe potuto
perdersi con grandissima facilità… e sollievo.
Scosse la testa, non doveva
distrarsi. Tutto il suo onore, la sua credibilità, il suo
potere stavano in
quel gesto. Lui avrebbe solo dovuto compierlo.
Eppure esitava. Perché?
Hermione le stava di fronte,
le braccia spalancate, immobile, indifesa, chiunque sarebbe stato in
grado di
scagliarle contro tutte le maledizioni del mondo se avesse voluto. Ma,
si rese
conto all’improvviso, era proprio quello il problema: lui non
voleva.
Abbassò leggermente la
bacchetta - Io… -
- Perché ti ostini a voler
apparire crudele? -
Draco arretrò di un altro
passo quando si accorse che ora, nella voce di Hermione, non
c’erano più
freddezza, sfida o provocazione, ma solo lacrime. Lacrime amare che le
rigavano
il viso rilucendo tristi nel bagliore della torcia.
- Tu non sei così, Draco. Tu
sei molto meglio di questo. -
Stava per risponderle, di
nuovo, che non poteva saperlo, ma si bloccò quando si rese
conto che era una
bugia. Lei lo sapeva, lei lo
conosceva
più di se stesso, forse. Rivelava cose, diceva
verità con cui lui non era
ancora sceso a patti e che, invece, per lei erano verità
assolute,
inconfutabili. Con uno shock quasi fisico si rese conto che lei si fidava di lui. Per questo aveva
spalancato le braccia con tanta facilità un attimo prima.
Lei conosceva i
segreti del suo animo meglio di se stesso e sapeva
che non le avrebbe mai fatto del male.
Era la prima persona a
fidarsi di lui così, incondizionatamente.
- Cosa sono allora? – Chiese
alla fine, con spaventosa innocenza.
Hermione sorrise – Tu sei
Draco Malfoy e sei un ragazzo buono. Un ragazzo che ha imboccato la via
sbagliata, ma questo non vuol dire che non possa ritornare sui propri
passi. Io
so cosa c’è dentro il tuo cuore, Draco.
–
Aveva allungato una mano
oltre le sbarre e l’aveva poggiata sul petto, proprio sopra
il suo cuore. Draco
non si era neppure accorto di essersi avvicinato a lei.
Il tocco della sua mano
emanava calore e pace, una pace che non aveva mai provato e che ora si
irradiava
dal punto in cui lo stava toccando in tutto il corpo. Era una
sensazione
bellissima, era simile all’amore, ma Draco non aveva mai
conosciuto quel
sentimento, quindi non poteva dirlo con certezza.
Alzò la mano sinistra con
lentezza e la poggiò su quella di lei, come per impedire che
lei spezzasse quel
contatto, per essere sicuro che nulla avrebbe potuto interrompere quel
momento.
Ma il male era in agguato e,
un istante dopo, un dolore simile ad una scarica elettrica
attraversò il
braccio sinistro di Draco, costringendolo ad allontanarsi e ad
afferrarsi
dolorosamente l’avambraccio.
Il Marchio Nero bruciava come
fuoco sulla sua pelle pallida e, nel momento stesso in cui lo
sentì, Draco
seppe quale fosse il messaggio.
- Che succede? – Chiese
Hermione, il volto trasfigurato dall’angoscia.
Il ragazzo alzò la testa e
quasi si scusò con gli occhi – Il Signore Oscuro.
Vuole che andiamo
immediatamente da lui. –
L’ufficio di
Tom Riddle era
ancora più immerso nelle tenebre quando Draco ed Hermione
entrarono. Un’esigua
fiammella riluceva sulla scrivania ma, a parte quella,
nessun’altra luce era
accesa.
Il ragazzo accompagnò
Hermione per un braccio fino al cospetto del Signore Oscuro con mano
rigida e
tesa e un’espressione non meno tranquilla.
Tom Riddle si accigliò –
Qualcosa ti turba, Malfoy? –
Draco cercò di ricomporsi –
Nulla, mio signore. –
Voldemort lo fissò per un
momento, poi spostò la sua attenzione su Hermione.
- Ebbene, signorina Granger?
Ha qualcosa di meglio da raccontarmi stavolta? -
- Ho già esposto la mia
versione dei fatti. – Ribattè lei.
Sembrava sicura, quasi
impertinente, ma Draco notava con chiarezza il suo tremore e si chiese
se lo
avesse notato anche il Signore Oscuro.
- Dunque non vuole
dirmi chi
l’ha fatta entrare. -
- Nessuno mi ha fatta
entrare. Io sono una studentessa di questa scuola. –
- Peccato che nessuno si
ricordi della sua esistenza. –
Mentre parlava, Tom Riddle
girava attorno a lei e la scrutava con attenzione. Quando Hermione si
accorse
cosa stava facendo, tremò più vistosamente. Non
era mai stata brava in Occlumanzia.
Cercò di fermare i ricordi di
quanto aveva appena vissuto, ma quelli, con più ostinazione,
balenarono nella
sua memoria come fotogrammi di un film.
Si sentì nuda e vulnerabile.
Gettò un’occhiata a Draco, dietro di
sé, e quasi immediatamente si accorse di
aver commesso un passo falso. Il Signore Oscuro ora fissava lui.
- Raccontami di quanto hai
sentito nelle segrete, Draco. -
- Mio signore, io non… -
- Obbedisci! – Gli ordinò
lui. Il suono della sua voce come una frusta sulla pelle.
- Erano solo fantasie, mio
signore. Una favola raccontata dalla ragazza solo con lo scopo di non
essere
punita, tutto qui. Non c’è niente di vero.
– Cercava di risultare il più
convincente possibile, ma il Signore Oscuro era difficile da ingannare.
- Ne sei sicuro, Draco? – Chiese
infatti lui.
- Assolutamente, mio signore.
–
Con uno scatto fulmineo Tom
Riddle afferrò Hermione per i capelli e la
trascinò di fronte a Draco – E
allora perché la mente di questa ragazzina dice che
è tutto vero? Perché i suoi
ricordi confermano quanto ha detto? –
Draco sobbalzò, colto alla
sprovvista – Io… non lo so… -
Balbettava e cercava disperatamente di trovare
qualcosa da dire, qualunque cosa. Ma gli occhi disperati di Hermione e
le sue lacrime
di dolore annullavano completamente la sua capacità di
ragionamento.
- Te lo dico io. Perché è
vero! Questa ragazzina viene davvero da
un altro mondo. Un mondo dove
io non esisto più. Un mondo che lei
ha
contribuito a creare. – Scagliò Hermione lontano
da sé, quasi come se non
volesse toccarla oltre, e lei finì sul pavimento con un
gemito.
Draco la osservò con
disperazione, mentre le parole di Voldemort penetrarono negli strati
della sua
mente e cominciavano a prendere forma.
No! Gemette
dentro di sé.
- E adesso vediamo quanto mi
sei fedele, Draco. Tira fuori la bacchetta! -
- Mio signore, io… -
- TIRA FUORI LA BACCHETTA, DRACO!
–
E lui lo fece, non staccando
mai gli occhi da lei che piangeva ancora sul pavimento, il viso
nascosto dai
suoi capelli scompigliati.
- E ora uccidila! –
L’ordine non arrivò
inaspettato, ma Draco sobbalzò ugualmente, mentre un tremito
incontrollabile
gli attraversava il corpo.
- Ti non vuoi che mi
distrugga, vero Draco? – Mormorò Voldemort. La
voce strascicante e seducente
come quella di una biscia. – Tu vuoi che questo mondo resti
così com’è, vero?
Con me al potere e con il prestigio della tua famiglia ancora intatto.
Se lei
sopravvivrà, Draco, tutto questo andrà in pezzi.
Quindi fallo! -
Draco titubò. Ma come poteva
sottrarsi? Come? Se non l’avesse uccisa, il Signore Oscuro
avrebbe ucciso lui.
Hermione ora non piangeva
più, si era voltata a guardarlo e di nuovo aveva
quell’espressione dura e
splendente, quella forza che lui poteva solo sognarsi.
- Uccidila, Draco. ORA! -
E Draco pronunciò
l’incantesimo, ma non fu quello che il Signore Oscuro si
aspettava, né fu
contro di lei.
Con un movimento fulmineo
aveva spostato la bacchetta contro Tom Riddle e aveva urlato uno Schiantesimo talmente potente da farlo
volare attraverso la stanza, fino a schiantarsi contro il muro opposto,
dove migliaia di piccole crepe spuntarono con la forza del suo impatto.
E poi il suo corpo privo di sensi cadde a terra, come una marionetta a
cui erano stati tagliati i fili.
Con sgomento Draco osservò
quanto aveva fatto, ma durò solo un millesimo di secondo.
Non c’era tempo da
perdere, presto il Signore Oscuro si sarebbe risvegliato e allora
nessuno dei
due sarebbe stato più al sicuro.
Afferrò Hermione per un
braccio e la aiutò ad alzarsi in piedi.
- Andiamo! – Esclamò poi e la
trascinò per una mano, correndo precipitosamente fuori
dall’ufficio.
NOTE DELL’AUTRICE:
Ciao, lettori.
Ebbene sì, siamo arrivati al
penultimo capitolo. Mi dispiace un po’ ma questa storia non
era stata
programmata per essere più lunga. Spero però che
vi sia piaciuta lo stesso e
che mi farete sapere il vostro parere a riguardo.
Un bacio a tutti.
Sundayrose
|
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Capitolo 5 *** Bisogna essere cauti ***
Bisogna
essere cauti
“Bisogna essere cauti
nell’esprimere
desideri,
perché potrebbero
avverarsi.”
-
J.K.
Rowling –
Si precipitarono a perdifiato
giù per le scale, scendendo i gradini a due a due,
completamente indifferenti al
baccano che stavano facendo. Draco trascinava Hermione per una mano e
ogni
tanto si voltava verso di lei, forse per sincerarsi che stesse bene o
per
controllare che ci fosse davvero.
I corridoi erano ancora
deserti e silenziosi e, per un attimo, la ragazza dubitò che
ci fosse davvero qualcun
altro in quella scuola oltre loro. Non aveva visto né
sentito alcun studente
fino a quel momento, oltre la ragazzina di Tassorosso che Piton aveva
ucciso
così a sangue freddo poche ore prima.
- Non possiamo uscire dalla
porta principale. – Esclamò Draco
all’improvviso, affannato per la lunga corsa
– E’ protetta da incantesimi potentissimi.
–
- Ci sono dei passaggi
segreti. – Ribattè lei – Uno
è nascosto dietro la Strega Orba,
l’altro è dentro la Stanza delle Necessità. Portano
entrambi ad
Hogsmeade. –
Draco la guardò confuso per
qualche momento, evidentemente non ne aveva mai sentito parlare. Ma
durò solo
un attimo perché, un istante dopo, scosse la testa
– Hogsmeade non esiste più.
E’ stata rasa al suolo molto tempo fa. Non è altro
che un cumulo di macerie. –
L’espressione di Hermione si
paralizzò mentre, piano piano, la sua mente veniva invasa da
immagini di detriti,
polvere, calcinacci, cercando di collegare il silenzio di tomba che di
certo
c’era ora con il tepore
delle locande,
dei negozi e con le risate calde della gente che vi si riversava un
tempo. Il
male aveva distrutto anche quello.
- E allora come facciamo a
uscire? – Chiese, ricacciando indietro le lacrime di dolore.
Lui la guardò, pensieroso e
teso al tempo stesso – C’è un altro
modo, ma è complicato. Tu sai nuotare? –
Hermione fu presa alla
sprovvista – Ehm… sì. Direi di
sì. –
- Bene allora. Muoviamoci! -
Invece di guidarla
nell’ingresso, Draco la trascinò nuovamente nei
sotterranei, precipitandosi giù
attraverso gradini di pietra scabra e scivolosa di umidità.
Hermione rischiò di
cadere più di una volta.
Quando vide che Draco
imboccava il cunicolo che portava alle prigioni sotterranee la sua
espressione
si fece perplessa.
- Perché siamo di nuovo qui?
– Chiese lei, mentre file e file di celle scorrevano ai loro
lati.
- Aspetta e vedrai. –
L’umidità appiccicosa dei
cunicoli in cui correvano trasformò il sudore di Hermione in
tante goccioline
che le scivolarono giù per le tempie, per poi gelarsi a
causa del freddo
intenso man mano che scendevano sempre più in
profondità.
Erano appena arrivati nel
corridoio che portava a quella che era stata la sua cella quando
Hermione si
ricordò improvvisamente di una cosa.
- Fermati! – Esclamò,
interrompendo inaspettatamente la sua corsa e trattenendo Draco per un
braccio.
- Che cosa c’è? –
- Mi sono dimenticata… come
ho fatto a dimenticarmene? – E senza dire altro
scappò via, lasciando il
ragazzo da solo.
Quando Draco la raggiunse la
scoprì in ginocchio di fronte alla cella del vecchio
preside, le mani attaccate
alle sbarre e lo sguardo supplicante. Silente la guardava con occhi
lucidi,
quasi commossi, ma il ragazzo non riuscì ad immaginare per
quale ragione.
- Che succede? –
Hermione sobbalzò
vistosamente, evidentemente non l’aveva sentito arrivare. Si
alzò in piedi, asciugandosi
con un gesto deciso le lacrime appena affiorate nei suoi occhi, e lo
affrontò
con quell’espressione risoluta che tanto ammirava in lei.
- Devi liberarlo! – Gli disse
in modo autoritario, quasi fosse una qualche specie di capo a cui
doveva solo
obbedire.
L’improvvisa ammirazione per
lei svanì quasi immediatamente, sostituita da un fulmineo
senso di orrore.
- Sei impazzita? – Esclamò
sgomento.
- Non possiamo lasciarlo qui,
Voldemort lo ucciderà di certo. Dobbiamo portarlo con noi!
–
Draco era allibito. Non
glielo stava chiedendo davvero, no. Stava rischiando tutto per lei,
aveva
schiantato Tom Riddle per lei, non poteva chiedergli questo. Era un
suicidio!
- Non possiamo portarlo con
noi. – Ribattè dopo un po’ - Ci
rallenterà e alla fine non verrà ucciso solo
lui, ma tutti e tre! –
Lei sollevò lo sguardo,
fiera, altezzosa, come se non avesse alcuna paura –
Preferisco essere uccisa
piuttosto che lasciare il professor Silente qui un altro minuto.
–
Draco stava per ribattere, ma
venne interrotto da un sussurro quasi impercettibile.
- Il signor Malfoy ha
ragione, signorina Granger. -
Hermione voltò la testa di
scatto verso il preside, gli occhi sbarrati
dall’incredulità – Ma
professore… -
Silente alzò una mano scarna
e rugosa per interromperla – Signorina Granger, mi ascolti.
Lei deve tornare
nel suo mondo e per farlo ha bisogno di velocità, prontezza
e una dose
smisurata di fortuna. Non so come voi due siate riusciti a sfuggire, ma
Tom
Riddle non è uno stupido, né uno sprovveduto,
avrete l’intero Castello alle
calcagna prima di quanto pensiate. – Si girò verso
Hermione e le prese una mano
fra le sue – La ringrazio, signorina Granger, ma la mia vita
è già finita e
fuggire da questa prigione non basterà per sfuggire alla
morte. – Un nuovo
rantolo di tosse scosse il suo corpo ormai troppo esile e malandato
perfino per
alzarsi in piedi.
La ragazza si accasciò
nuovamente accanto a lui e questa volta non impedì alle
proprie lacrime di
solcarle le guance – Vorrei davvero portarla con me,
professore, nel mio mondo,
ma… -
- … ma lì io sono già morto,
lo so. Non mi dispiaccio di questo, né ne soffro. Dal suo
racconto ho capito
che ho fatto tutto quello che ho potuto per fermare Voldemort e il
sapere che
alla fine i miei sforzi hanno portato ad un risultato concreto mi
ripaga di
tutti i fallimenti che ho conseguito in questa vita. Non pianga per me,
signorina Granger, la mia vita è finita, la sua è
appena cominciata e le
riserva ancora tantissime cose. Non sprechi la sua
opportunità di viverle
indugiando ancora. Vada, scappi via e si salvi. Ritorni nel suo mondo e
viva
con ardore tutto quello che ancora le aspetta. Non rimanga ancorata al
passato.
Vada. Vada! -
Ma Hermione non sembrava
intenzionata a lasciare la mano debole ed avvizzita del vecchio
preside, né
sembrava intenzionata ad abbandonarlo. Draco era quasi pronto a
prenderla per
le ascelle e trascinarla via, quando un boato, assordante e cupo, si
propagò da
diversi piani sopra di loro fin nelle segrete dove si trovavano,
facendo
tremare pericolosamente le sbarre di ferro magico delle celle.
Hermione si alzò di scatto e
fissò Draco, allarmata.
- Il Signore Oscuro – Spiegò
lui – Si è accorto della nostra fuga. Dobbiamo
andarcene e alla svelta. -
La ragazza si voltò di nuovo
verso il vecchio preside, gli occhi colmi di lacrime – Non mi
dimenticherò mai
di lei, professor Silente. –
- E io non mi dimenticherò
mai di lei, signorina Granger. -
Temendo che Hermione si
lasciasse di nuovo prendere dall’emozione, Draco la prese per
un braccio e la
trascinò via, conducendola nei corridoi oscuri che avevano
abbandonato poco
prima.
I boati sopra di loro si
facevano sempre più assordanti e sempre più
vicini, uniti ad un crescente
rumore ritmico che sembrava incombere su di loro come tanti martelli
pneumatici.
- Passi. – Esclamò Draco
allarmato – Lord Voldemort ha svegliato gli studenti.
–
- E’ questo è un male? –
Chiese Hermione, affannata per la corsa. Forse gli studenti avrebbero
potuto
aiutarli. Se si escludeva i Serpeverde, le altre Case non avrebbero mai
fatto
del male ad altri ragazzi senza alcun motivo.
- Questo è terribile! –
Rispose invece lui, la voce resa roca dalla paura e
dall’urgenza – Dobbiamo
uscire di qui il più in fretta possibile, capiranno presto
dove siamo e allora
per noi sarà la fine. –
Svoltarono in un nuovo
corridoio, più stretto e più basso del
precedente. Draco stringeva con una mano
il braccio di Hermione e con l’altra la torcia. Le fiamme
sembravano correre
insieme a loro e molte volte la ragazza temette che i suoi capelli
potessero
prendere fuoco. Tuttavia quella era la loro unica fonte di luce, senza
la quale
sarebbero stati ciechi e persi in quel labirinto di cunicoli e ombre,
senza
alcuna possibilità di riuscire ad uscirne più
fuori.
Svoltarono di nuovo e poi
ancora e ancora, a volte scendendo, a volte salendo. Hermione perse
completamente l’orientamento e si chiese, con una punta di
timore, se Draco
sapesse davvero dove stavano andando.
Svoltarono ancora, ma stavolta
quello che si ritrovarono davanti fu una galleria grande e spaziosa,
con una
strana luminescenza in fondo.
- Quando te lo dico,
trattieni il respiro. – Le disse Draco, voltandosi a
guardarla per un millesimo
di secondo.
- Cosa? – Hermione era
confusa.
- Fa’ come ti dico! –
Il ragazzo sembrò prendere
velocità. Le gambe di Hermione stavano quasi cedendo per la
stanchezza ma si
costrinse a continuare a correre, stringendo i denti e lasciandosi
guidare
dalla mano ferma e sicura di Draco.
Il bagliore perlaceo in fondo
al tunnel si faceva sempre più grande e sempre
più nitido, accompagnato da un
rumore scrosciante che Hermione capì essere acqua che cadeva
sull’acqua. Si
aspettò di vederla, quindi, di vedere la cascata che
già era comparsa nella sua
mente non appena aveva percepito quel rumore; ma l’unica cosa
che vide fu un
muro, un muro che baluginava perlaceo come l’acqua, ma pur
sempre un muro fatto
di solida e dura roccia, e loro gli stavano finendo proprio addosso.
Cercò di fermarsi, puntando i
piedi e trattenendo con entrambe le mani il braccio di Draco, ma lui
non sembrò
neppure sentire tutti i suoi sforzi e quando ormai non rimanevano che
pochi
metri allo schianto, Hermione chiuse gli occhi e urlò,
urlò con quanto fiato
aveva in gola, aspettandosi il dolore, il colpo, la pelle che si
lacerava, il
sangue che fuoriusciva e poi l’oblio. Ma nulla di tutto
questo avvenne. Sentì
solamente un altro urlo, quello di Draco, ma non era di disperazione,
né di
paura. Era determinato e sicuro, quasi fosse un ordine. E allora lei
capì.
Inspirò più aria di quanta ne
potessero contenere i propri polmoni e serrò la bocca,
trattenendola dentro di
sé come un tesoro raro e prezioso.
Poi, all’improvviso, non
stava più correndo. I suoi piedi si muovevano come nella
corsa ma non c’era
pietra sotto di essi, né superficie alcuna e
l’aria sferzava la sua faccia in
modo quasi violento e doloroso.
Stavano precipitando.
Fu tentata di urlare, ancora,
ma si costrinse a serrare le labbra e a trattenere dentro
l’aria che aveva inspirato
un attimo prima. Non poteva mollare, non ora.
La caduta sembrò durare
un’eternità. Il suo senso del reale
l’aveva abbandonata, tutto attorno a lei
c’era solo oblio e l’unica cosa che la ancorava
fermamente alla realtà era la
mano di Draco, stretta così vigorosamente attorno alla sua
da farle quasi male.
Ma era un dolore dolce, immensamente dolce.
Quando finalmente penetrarono
l’acqua fu quasi un sollievo. Tutto scomparve attorno a lei:
le segrete, il
rumore, il mondo intero si dissolse. Tutto, tranne la mano di Draco.
Quando arrivarono
sulle rive
del Lago Nero erano entrambi esausti ed intirizziti. Avevano nuotato
per più di
un’ora, prima fuori dalla caverna nascosta sotto le segrete,
poi attraverso il
lago, fino a raggiungere la sponda più vicina a loro.
Non appena toccò terra, Hermione
crollò supina sull’erba, respirando a pieni
polmoni e cercando di calmare il
cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Draco la
raggiunse un attimo dopo
e si chinò su di lei, offuscandole la vista delle stelle.
- Stai bene? - Le chiese,
mentre gocce d’acqua colavano dai suoi ciuffi biondi e
cadevano fin sulla sua
fronte.
Hermione annuì,
raccogliendone una con la punta delle dita prima che cadesse.
- Allora sarà meglio andarcene
immediatamente. Il Signore Oscuro capirà presto dove siamo.
– Un altro boato si
propagò nella notte, più forte dei precedenti
– O forse l’ha già capito. -
La aiutò ad alzarsi. Sotto la
luce della luna la loro pelle scintillava di migliaia di piccole gocce
e i loro
vestiti grondavano di acqua fredda e limpida. Hermione
rabbrividì nell’aria
gelida della notte.
- Andiamo, dobbiamo
raggiungere il cancello. – La prese di nuovo per mano, come
se lei non potesse
fare un passo senza la sua guida e la sua protezione. E per un momento,
per un
breve momento, si cullò in quella sensazione magnifica.
Ma fu solo un attimo.
Crack!
Il rumore li colse
impreparati, facendoli sobbalzare. Una figura esile emerse dagli alberi
lì
intorno, a un centinaio di metri di distanza, con la bacchetta puntata
contro
di loro e gli occhi accesi di determinazione.
Hermione corrugò la fronte,
perplessa. Era solo un ragazzino, forse del secondo anno o addirittura
del
primo, ma quello che le fece strabuzzare gli occhi furono i colori
della sua
divisa: rosso e oro.
Alzò le mani quasi
istintivamente – Ehi, stai tranquillo, non vogliamo farti
alcun male… -
L’incantesimo la colpì ancor
prima che finisse di parlare, lasciandole uno squarcio nella pelle
delicata
sotto l’avambraccio. Il sangue cominciò a
fuoriuscire dalla ferita quasi
immediatamente.
- Dovresti preoccuparti più
del male che potrei farti io. – Rispose il ragazzino, la voce
dura e decisa.
Hermione si portò la mano
alla ferita, incredula, mentre, nello stesso momento, Draco puntava la
sua
bacchetta contro il giovanissimo Grifondoro.
- No! – Esclamò lei,
terrorizzata – E’ solo un bambino. -
- E’ sotto Imperio.
– Ribattè Draco – Come tutti
loro. –
Hermione capì a cosa si stava
riferendo quando decine, centinaia di studenti emersero dal folto degli
alberi,
tutti con le bacchette in pugno, tutti con quell’espressione
letale sul viso.
Draco si mosse in avanti per
coprirla, ma Hermione lo trattenne per un braccio – Non puoi
far loro del male.
Non sanno quello che fanno. –
- Purtroppo sanno benissimo
lanciare un incantesimo e tu sei senza bacchetta. -
Su questo non poteva
ribattere. Si era risvegliata in quel mondo senza la sicurezza e la
protezione
della sua bacchetta e anche in quel momento non poterla stringere fra
le mani
la faceva sentire stranamente nuda e immensamente più
vulnerabile. Ma, allo stesso
tempo, non riusciva a capire come Draco potesse affrontare da solo
centinaia di
studenti di Hogwarts, in grado di lanciare decine di incantesimi da
decine di
angolazioni diverse.
Fece scivolare una mano in
quella di lui, quella che non impugnava la bacchetta, e
insinuò le dita tra le
sue, stringendole in una morsa ferrea. Draco voltò la testa
di scatto, puntando
lo sguardo sulle loro mani intrecciate, ed Hermione capì
immediatamente che
l’espressione che era affiorata sul suo viso era diversa da
qualsiasi altra
espressione lei avesse visto fino ad ora. Come lui capì che
quella stretta era
completamente diversa dal tocco con cui l’aveva trascinata
per quasi mezzo castello.
Quello era semplice e disperato, dettato da un bisogno di sopravvivenza
e
protezione. Questo, invece, esprimeva forza, coraggio, determinazione,
diceva
che non era solo e che insieme avrebbero potuto affrontare tutto, anche
centinaia di studenti i quali non desideravano altro che ucciderli.
- Non mi metterò da parte
mentre tu rischi la vita per me. E’ per causa mia che siamo
in questa
situazione. -
L’espressione sul viso del
ragazzo si rabbuiò – Hermione, non… -
- Non mi nasconderò dietro di
te, Draco! -
Lui evitò di ribattere, anche
se la conosceva da poco sapeva che sarebbe stato tempo perso. Tuttavia
non potè
fare a meno di irritarsi. Era quasi tentato di lasciarle la mano, se
quel gesto
non fosse stato così piacevole.
- Ma che quadretto commovente.
-
Per un attimo, per un
piccolissimo istante, entrambi si erano perfino dimenticati di dove si
trovavano e di quante persone stavano loro attorno, ma quella voce li
riportò
bruscamente alla realtà. Una voce che sarebbe potuta essere
scambiata per
quella di uno studente qualunque, se non fosse stato per il gelo insito
in ogni
suono, in ogni sillaba di quella frase sprezzante. Anche il suo aspetto
era
normale, quasi anonimo, con quei suoi capelli neri, il volto pallido e
gli
occhi scuri, tanto che si sarebbe potuto confondere perfettamente con
gli altri
studenti, se questi non si fossero fatti da parte al suo passaggio,
circondandolo ora come le ali di un immenso corvo nero.
Tom Riddle li osservava
gelidamente, il volto una maschera di odio puro, gli occhi ridotti a
due
fessure.
- Credevate davvero di
potermi raggirare? Di poterla fare franca in questo modo? Di poter
prendere in
giro ME? -
Fece qualche passo verso di
loro. A differenza degli altri non aveva la bacchetta puntata, ma tutti
e due
sapevano che gli sarebbe occorso un millesimo di secondo per estrarla
ed
ucciderli entrambi.
Hermione strinse più forte la
mano di Draco e questa volta lui rispose al gesto quasi immediatamente.
Tom
Riddle non mancò di notarlo.
- Questo però va oltre le mie
fantasie più argute. Mi hai deluso profondamente, Draco.
– E sarebbe potuto
sembrare davvero deluso, se il suo disgusto non fosse stato tanto
palese.
- Punti di vista, mio
signore. – Rispose lui, la voce ferma intaccata solo
leggermente da una punta
di nervosismo. Strinse la mano di Hermione ancora più forte
– Io, al contrario,
non sono mai stato bene come adesso. Sono libero finalmente!
–
Voldemort rise. E il riso era
talmente strano sul suo volto da risultare immediatamente inquietante.
- E quanto vale la libertà
per un uomo morto, Draco? Sai rispondere a questa domanda? -
- Meglio morire da uomo
libero che vivere da prigioniero. –
- Una risposta dannatamente
stupida. A cosa servirà la tua libertà quando non
sarai altro che cibo per i
vermi? A cosa sarà servito il tuo tradimento quando anche i
tuoi genitori
verranno sterminati e del nome dei Malfoy non rimarrà
nient’altro che un
pallido ricordo nei libri di genealogie magiche? –
Draco deglutì ed Hermione si
rese conto che forse per la prima volta lui stava pensando alle reali
conseguenze delle sue azioni. Tutti gli sforzi compiuti in quegli anni,
la
difficoltà nel celare al Signore Oscuro i suoi veri
sentimenti, l’obbedienza
cieca alle sue regole per far in modo che a nessuno dei suoi cari
venisse fatto
del male, la bile ingoiata decine e decine di volte quando era
costretto a fare
cose che non voleva. Tutto bruciato
per una sola scelta, tutto finito per l’unica volta in cui si
era ribellato.
Tutto per lei.
La guardò e per un attimo
Hermione temette che lui avesse cambiato idea e che improvvisamente la
gettasse
tra le braccia di Voldemort, dandosi dello stupido per essere crollato
per
quell’unica volta.
Ma nulla di tutto questo
accadde. Il ragazzo riportò lo sguardo su Voldemort e sui
suoi improbabili
seguaci, lo sguardo fermo come mai era stato fino a quel momento.
- Confido che quando questo
accadrà anche tu sarai un pallido ricordo, mio
signore. -
Tom Riddle contrasse il volto
in maniera spaventosa, distorto dall’ira e dalla furia. Con
un movimento
fulmineo estrasse la bacchetta e la puntò, ma non contro di
lui, non contro
Draco.
- AVADA KEDAVRA! –
Hermione vide la luce verde che
si dirigeva inesorabile verso di lei, senza avere la forza di spostarsi
e
scappare. Rimase immobile ad aspettare la morte. Terrorizzata, certo,
ma forse
anche rassegnata. Forse era quello il suo destino. Se tutti i suoi
amici erano
morti, perché doveva sopravvivere soltanto lei?
Venne strappata da quei
pensieri da un urto violento, lo stesso urto che le fece staccare i
piedi da
terra e la fece volare, libera per un solo istante, finchè
la sua schiena non
toccò dolorosamente l’erba sotto di lei.
Non venne il silenzio, come
invece si aspettava. Il mondo ancora esplodeva attorno a lei e la terra
rimbombava di centinaia di passi in rapido avvicinamento.
Aprì gli occhi e fu
solo in quel momento che notò qualcosa che le premeva
pesantemente sul torace.
No, non qualcosa. Qualcuno.
I capelli biondi le
solleticavano il viso e, mentre faceva forza sulle braccia per alzarsi,
già
aveva capito cosa era successo.
- No! – Urlò – NO!-
Il corpo di Draco le impediva
di respirare, ma non era per questo che piangeva, né per il
dolore della
caduta, né per il terrore che Voldemort la uccidesse.
Voltò la testa. L’esercito di
studenti e di insegnanti di Hogwarts, con Tom Riddle in testa, era a
poco più
di un centinaio di metri da lei. Da loro.
Non poteva permettere che li
raggiungessero.
Sfilò la bacchetta dalle mani
inerti di Draco e la puntò contro il cielo.
- PROTEGO! –
Un lampo di luce azzurra
sprizzò dalla bacchetta, con talmente tanta forza che anche
lei ne fu stupita.
Scie di luce caddero tutte attorno a loro, fino a formare una cupola
impenetrabile. Nessuno poteva più toccarli ora.
Hermione sollevò con
delicatezza il corpo di Draco e lo voltò fino a poggiarlo
accanto a lei. Aveva
uno squarcio alla base del collo che sanguinava copiosamente,
impregnando i
vestiti già bagnati.
Hermione ignorò le lacrime e
si sfilò il maglioncino della divisa, premendolo sulla
ferita sanguinante.
- Perché lo hai fatto? –
Gemette dopo un po’, quando non riuscì
più a trattenere le lacrime – Non mi
conoscevi nemmeno. Non ero niente per te.- Le sue parole vennero
interrotte da
uno spasmo improvviso, la ragazza sobbalzò vistosamente.
- Tu eri… sei la mia
salvezza. –
Il sussurro era quasi
impercettibile, ma di certo inconfondibile. Merlino, non era morto. Non era morto!
- Draco! Ma come… - Era
confusa. L’anatema che uccide non da’ scampo.
L’unico che era riuscito a sopravvivere era morto da tempo in
quel mondo. Draco
si era frapposto fra lei e la maledizione, avrebbe dovuto
anch’esso essere
morto, come Harry, come Ginny, come Ron.
- Io ci credo davvero nel tuo
mondo. – Balbettò flebilmente. La sofferenza
impressa in ogni parola – Credo
davvero che io possa essere meglio di così. Ora
ci credo. –
Hermione gli strinse la mano
– Draco… -
Ormai non riusciva a dire
altro.
- E’ stato solo grazie a te. Tutto è
stato solo grazie a te. –
Sorrise debolmente –
Non morire. –
- Tu non morire! Non puoi, non
puoi! – Urlava istericamente, una mano
aggrappata a quella di lui, l’altra a premere sulla ferita.
Quasi non si
accorgeva del caos che stava avvenendo fuori la sua protezione. Tutto
quello
che importava era lì dentro.
- Io ero già morto, prima.
Questo, adesso, è solo un dolce
sogno. Tu mi hai salvato. Hai risvegliato la parte migliore di me. Ora
sono vivo! -
Hermione lo guardò,
incredula, stupita. Lui sorrideva e mai visione era stata
più bella. E in quel
momento capì che quello che aveva detto Ron non era affatto
vero. Draco non
fingeva di amarla solo perché era famosa, solo
perché era un’eroina, solo per
riscattare il suo nome agli occhi del Mondo Magico. Se fosse stato
così, ora
non l’avrebbe guardata con quegli occhi, spalancati,
profondi, colmi di un
sentimento immenso. Era la stessa espressione che vedeva ogni volta che
lui la
guardava e che ora era più vera che mai perché
lui non aveva la minima idea di
chi fosse. Draco la amava perché, sia lì che nel
mondo da cui veniva, lei aveva
catturato la parte migliore di lui e l’aveva messa a nudo,
spogliandola da
tutti gli artifizi, da tutte le catene morali, dall’orgoglio,
dal pregiudizio
radicato, dal falso perbenismo. Lei lo aveva denudato di tutto
ciò mostrandolo
al mondo per ciò che era davvero: un ragazzo fragile ma
coraggioso, un ragazzo
che aveva dimostrato, soprattutto a se stesso, che non è mai
troppo tardi per
tornare indietro, per fare le scelte giuste, per amare davvero. E
questo lei lo
aveva fatto anche lì, in appena poche ore.
Si era innamorato di nuovo di
lei, così velocemente da esserne anch’essa
sorpresa e in quel momento capì
quanto fosse stato forte il dubbio che Ron avesse ragione. Ma ora non
c’era più
alcun dubbio, lei era sicura e fu con un cuore immensamente
più leggero che
avvicinò le labbra alle sue, toccandole con delicatezza e
assaporando il suo
odore. Odore di vittoria, odore di riscatto.
Ma tutto finì troppo presto e
lei lo stava ancora baciando quando il cielo sopra di loro esplose, le
stelle
caddero tutte intorno e il terreno si aprì, inghiottendola
nelle sue
profondità.
Gridò, gridò con quanto fiato
aveva in gola, allungando la mano affinché lui la
afferrasse, affinché la
salvasse. Ma tutto era ormai scomparso, inghiottito
dall’oscurità.
- Draco! DRACO! –
***
- Hermione! Hermione,
svegliati! HERMIONE! -
Mani la stavano scrollando
vigorosamente, ma non senza una certa dolcezza.
Lei aprì gli occhi,
lentamente, sbattendoli più di una volta. Aveva la vista
annebbiata e la mente
ancora più confusa. Le urla, gli incantesimi, lo scoppio e i
tonfi, tutto si
era acquietato e ora solo la voce del ragazzo che la scrollava rompeva
il
silenzio.
Tutto intorno a lei c’era un
biancore innaturale e, chinati su di lei, figure evanescenti con
sfumature
dorate, rosse, corvine. Non riusciva a distinguere i loro volti.
- Sono in paradiso? – Chiese,
con una voce che stentò a riconoscere come la propria.
Ci fu una risata, sommessa,
nervosa, quel tipo di risata che fuoriesce incontrollata quando la
tensione
scende di colpo.
- Beh… se fosse così saremmo
il gruppo di angeli più strampalati che si sia mai visto. -
Lei sorrise, quasi contro la
propria volontà. Ora le immagini attorno a lei si stavano
facendo più nitide e
precise, ma non erano state necessarie quelle per capire chi le stava
parlando
e la stava toccando.
- Draco… -
- In carne ed ossa. – Rispose
lui, la tensione ancora percepibile in fondo alla sua voce.
Stava chinato su di lei. Ora
Hermione poteva vedere con chiarezza la sua espressione angosciata e
sollevata
al tempo stesso. I suoi capelli biondi erano scompigliati e gli
ricadevano
disordinatamente davanti agli occhi. Lo immaginò mentre, in
preda alla
tensione, aveva fatto passare la sua mano destra innumerevoli volte tra
quei
ciuffi. Ciuffi su cui ora si rifletteva il bagliore dorato del sole al
tramonto
e Hermione capì che era quello il bagliore che
all’inizio lo aveva fatto
scambiare per un angelo.
Dietro di lui, con
espressione ugualmente preoccupata, stava Harry, quasi in disparte. Non
disse
una parola ma quando lei gli sorrise la sua espressione si
rilassò di molto.
Alla sua sinistra invece
stava Ginny, il viso congestionato dal pianto mentre stringeva una mano
tra le
sue.
Mancava una persona. Hermione
lo cercò con lo sguardo attraverso l’Infermeria
finchè non lo vide, accanto
alla porta, le mani in tasca, mentre la guardava con
un’espressione strana.
Colpevole, forse, con una faccia che voleva chiederle scusa ad ogni
sguardo. Ma
lei lo aveva già perdonato.
- Che cosa mi è successo? –
Disse dopo un po’, a nessuno in particolare.
- Stavi litigando con Ron e
ad un tratto sei svenuta, così, senza motivo. –
Era stato Harry a rispondere.
- Ci siamo preoccupati un
sacco, Herm. – Ginny, le lacrime ancora che sgorgavano dai
suoi occhi - Non
riprendevi conoscenza e poi parlavi, urlavi, piangevi. Non sapevamo
cosa fare
così ti abbiamo portato qui. Madama Chips ha detto che non
dovevamo disturbarti
e che presto saresti tornata da noi. –
- Che cosa ti faceva urlare
in quel modo? – Le chiese Harry – Abbiamo avuto
paura, sembrava che stessi
soffrendo molto. –
E lei aveva sofferto, in una
maniera indicibile, più di quanto avesse mai sofferto in
vita sua, anche se
credeva che ormai non fosse più possibile. Ma come poteva
dirlo ad Harry? A
Ginny? A Ron? Come poteva dirgli che tutti loro erano morti? Come
poteva
spiegare il senso di abbandono e sofferenza che aveva provato in quei
momenti?
Non ci sarebbe mai riuscita.
- Non ha più importanza
adesso. – Intervenne Draco, la voce sicura e perentoria di
chi vuole
risparmiarle altre sofferenze - E’ tutto finito. E’
stato solo un brutto sogno.
–
Ma lei sapeva che non era
vero. Era stato solo un semplice ed imprudente desiderio, combinato
alla sua
disperata ricerca della verità a farla precipitare in quel
luogo orribile. Ma
ora non aveva più importanza. Draco era lì e
anche i suoi amici erano lì e
tutti la amavano, sebbene ognuno in maniera diversa, e il mondo non
sarebbe
potuto essere più perfetto.
Ma ugualmente pensò a quello
che si era lasciata alle spalle e capì che cosa sarebbe
successo se lei,
semplicemente, non fosse mai nata: tutti i suoi affetti più
cari non sarebbero
sopravvissuti e il mondo avrebbe avuto, tanto semplicemente quanto
drasticamente, un destino diverso.
NOTE DELL’AUTRICE:
Ed ecco qui l’ultimo
capitolo, miei lettori. Un capitolo che ha richiesto molto lavoro,
molto più
del previsto, nonostante avessi già chiaro in mente quello
che sarebbe dovuto
accadere. Spero quindi che vi sia piaciuto.
Questa storia, come molti mi
hanno fatto notare, voleva essere un elogio ad Hermione, alla sua
astuzia, al
suo coraggio, alla sua prontezza, senza le quali la storia che tutti
conosciamo
non sarebbe mai esistita. Era da tanto che l’avevo in mente e
spero di aver
fatto un buon lavoro, sarete voi a giudicare.
Un grazie affettuoso a tutti
quelli che mi hanno seguito in questa breve avventura, con la speranza
di
ritrovarvi presto a commentare in un’altra delle mie storie.
Baci.
Sundayrose
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