* Un
destino diverso *
I cattivi
muoiono tardi
“I migliori non possono
eludere
il loro destino: i buoni muoiono
presto, e i cattivi muoiono
tardi.”
- Daniel Defoe -
Arrivò prima il
freddo, intenso,
gelido, così affilato da penetrarle perfino nelle ossa.
Poi arrivarono le voci,
confuse, urlanti, mescolate ad immagini sfocate, inconsistenti.
Infine arrivò il dolore,
straziante e muto, come se qualcuno l’avesse ridotta a
brandelli e, di seguito,
ricomposta in modo casuale, senza alcuna logica né
attenzione.
Galleggiava dolorosamente tra
il sonno e la veglia. Frammenti di sogno e di parole scivolavano
attorno a lei
ai margini dell’incoscienza: una stanza; urla; lacrime sul
suo volto…
- … non capisci che ti sta
solo usando? -
- Sei orribile…! –
- Non sei come pensavo che tu
fossi… Vorrei che… -
Cercò di afferrare con forza
quelle parole, di aggrapparsi a quelle immagini sbiadite per poter
ritornare a
galla. Ma era come voler afferrare fumo con le mani, oppure voler
trattenere
l’acqua con le dita: impossibile. E mentre tentava ancora di
provare a
ricordare l’aveva già dimenticato.
Non ricordò
come fosse finita
sul pavimento, ma la sensazione fredda e sgradevole delle pietre a
contatto con
il suo corpo la fece tornare subito in sé.
Aprì gli occhi e impiegò
qualche secondo a riconoscere il soffitto ad arco e pieno di ragnatele
di uno
dei corridoi di Hogwarts. Ma non era colpa sua. Quella parte del
castello era
stranamente buia, nonostante le torce crepitassero sempre al loro
posto. Era
come se la luce del fuoco non contribuisse a rischiarare
l’ambiente, né a
renderlo più caldo.
Nuovi brividi di freddo
l’attraversarono e lei provò ad alzarsi, ma se ne
pentì quasi immediatamente.
Un dolore lancinante alla testa e un senso di terribile nausea la
investì, facendola
crollare di nuovo sul pavimento con gli occhi spalancati e il respiro
corto.
Che diavolo le stava
succedendo?
Cercò di ricordare con forza
che cosa l’avesse portata lì, in quel corridoio,
che cosa le fosse successo.
Cercò di ricordare gli istanti che avevano preceduto la sua
perdita di
conoscenza, ma la sua mente era buia e vuota. E silenziosa.
Questo la spaventò più di
qualunque altra cosa.
Provò ad alzarsi di nuovo,
cauta, stavolta più lentamente, ma non fece in tempo a fare
forza sulle braccia
che un sussulto e passi affrettati la fecero sobbalzare a sua volta e,
meno di
mezzo secondo dopo, una testa piena di riccioli biondi coprì
la sua visuale del
soffitto.
- Ehi! Cosa ti è successo? Ti
senti male? -
La ragazzina aveva i colori
di Tassorosso, parlava velocemente e i suoi occhi castani erano grandi
e
spaventati. Si guardò intorno, ansiosa.
- Riesci ad alzarti? – Le
chiese alla fine, con un accento nella voce che denotava apprensione e
qualcos’altro, forse paura, ma non per lei.
Non aspettò nemmeno la
risposta che quella le mise due mani sotto le ascelle e la
tirò in piedi, a
fatica.
Una nuova ondata di vertigine
e nausea la investì e le gambe le cedettero, facendola
crollare contro il muro
del corridoio. Le pareti giravano in modo così vorticoso da
costringerla a
chiudere gli occhi, cercando di ricacciare indietro la bile che le era
salita
in gola.
- No, no, no! Ti prego non
cadere! Non ti fermare! Sarò costretta a lasciarti qui se
non ti muovi. –
Singhiozzò la ragazzina, in maniera così isterica
da chiedersi che cos’era che
la spaventasse tanto. E’ vero che girare per i corridoi dopo
il coprifuoco era
severamente vietato, ma nessuno l’avrebbe punita per aver
dato una mano ad una
ragazza che si era sentita male.
Tuttavia non aveva la forza
di replicare, per cui si lasciò trascinare quasi di peso
lungo il corridoio.
- Sei una Grifondoro, vero? –
Le chiese, gettando un’occhiata ai colori della sua divisa -
Ti riporto alla
tua Torre, ma dobbiamo fare presto! -
In quel momento non ci fece
caso, ma in seguito avrebbe capito che quella era la prima avvisaglia
del fatto
che qualcosa non andava. Tutti sapevano chi era lei e a che Casa
apparteneva,
non era necessario osservare i colori della propria cravatta o lo
stemma del
Grifone sul mantello per capire che fosse una Grifondoro.
- Forse… forse è meglio che
tu mi porti da Madama Chips. – Balbettò lei con
voce flebile – Non mi sento
molto bene. -
Di solito non era il tipo di
ragazza che andava in infermeria se non ci era costretta, ma quella
volta si
sentiva davvero morire e il solo pensiero delle cure amorevoli e delle
medicine
dell’infermiera la fecero già sentire meglio.
Ma la strana ragazzina era di
un altro avviso. Voltò di scatto il volto verso di lei e,
per la prima volta da
quando l’aveva trovata, la osservò davvero,
socchiudendo gli occhi sospettosa,
quasi se stesse decidendo dentro di sé se fosse pazza o
avesse solo preso una
grande botta in testa.
- Mi dispiace, ma non è
possibile. – Borbottò alla fine, evitando il suo
sguardo e continuando a
trascinarla per il corridoio.
- Ma… non credo che gli
insegnanti ci punirebbero se dicessimo che stiamo andando in
infermeria. –
Tentò di nuovo lei, mentre la vista le si annebbiava e il
pavimento cominciava
a dondolare pericolosamente davanti ai suoi occhi. Si
accasciò sulle ginocchia.
- Io… non mi sento bene.
Devo… devo andare in infermeria. –
- No! Dobbiamo andarcene di
qui! – La voce della ragazza si era fatta acuta, quasi
isterica.
- Non riesco ad alzarmi. – Si
lamentò lei – Ti prego, aiutami! –
Ma la ragazza bionda non la
guardava più. Un rumore di passi lontani l’aveva
impietrita e ora guardava con
terrore crescente l’ombra che si allungava
all’angolo del corridoio.
Le sfuggì un gemito e, senza
dire altro, si girò e cominciò a correre dalla
parte opposta, abbandonandola
lì, sul pavimento, mentre i passi rimbombavano sulle pareti
vuote del
corridoio.
Non corse a lungo. L’uomo e
il fascio di luce verde sbucarono nello stesso istante dal corridoio
laterale
e, senza nemmeno un lamento, la ragazza si accasciò al
suolo, morta.
Lei rimase senza fiato per
l’orrore. Non era possibile! Cos’era successo? Chi
aveva fatto entrare un
assassino ad Hogwarts?
Girò la testa verso l’uomo
che ora si stava avvicinando sempre di più a lei. Non lo
vedeva bene, la sua
vista era sfocata, ma lo svolazzare del suo mantello nero era ben
visibile ad
ogni passo.
Con la forza della
disperazione si aggrappò al muro e si alzò sulle
gambe malferme, mentre con una
mano cercava la bacchetta nella veste da strega. Ma le dita si chiusero
sulla
stoffa vuota e fu con un sussulto di orrore che comprese che la
bacchetta non
era al suo posto.
- Ferma! -
Quell’ordine sibilò come una
frusta scoccata nell’aria e lei sobbalzò, come se
la frusta l’avesse colpita
davvero.
- Cosa credevi di fare,
ragazzina? – Sbottò l’uomo, colmando i
pochi metri che li separavano con tre
lunghe falcate.
Ora poteva vederlo bene e,
nonostante la sua vista non fosse più sfocata come prima,
temette seriamente di
aver riportato un grave danno agli occhi o, in alternativa, di essere
uscita di
senno.
Davanti a lei, con i capelli
neri e lunghi, il naso adunco e la carnagione giallastra, si ergeva il
suo
vecchio insegnante di Pozioni: Severus Piton.
Il fiato le si mozzò in gola,
mentre il colore le defluiva quasi dolorosamente dalle guance
già pallide.
No! Non era possibile! Piton
era…
- Lei è morto!
– Esclamò in un sussurro, forse più per
convincere se
stessa. Forse credendo che, se l’avesse detto ad alta voce,
il professor Piton
sarebbe scomparso, ritornando nel regno dei morti, dove avrebbe dovuto
essere.
Ma quello non si mosse da lì,
anzi, un lieve ghigno di divertimento gli increspò il viso
– Mi dispiace
deluderla, signorina, ma io sono tutto fuorché morto.
Purtroppo per lei. – La
guardò dall’alto in basso con quei suoi occhi
scuri e guardinghi, la bacchetta
ancora sguainata – Come ha fatto ad entrare? –
L’assurdità della domanda le
fece per un attimo dimenticare l’altrettanto assurda e
illogica visione che
aveva davanti.
Piton socchiuse gli occhi –
Come ha fatto ad entrare qui dentro? Questa scuola è
protetta da incantesimi
difensivi potentissimi, nessuno che non sia uno studente o un
insegnante può
avervi accesso. –
La ragazza lo guardò come se,
all’improvviso, la pazza non fosse più lei ma lui
– Professor Piton, io sono una
studentess… -
Lo schiaffo arrivò improvviso
e doloroso, molto doloroso, tanto da girarle la faccia dal lato
opposto. Si
portò una mano al viso, tremante, e quando la
allontanò vide che le dita erano
macchiate di sangue.
- Crede forse di potermi
prendere in giro? – Gli occhi del professore fiammeggiavano,
non l’aveva mai
visto così arrabbiato – Io conosco ogni singolo
studente di questa scuola e lei
non rientra fra quelli, mia cara signorina. -
La ragazza era troppo
sconvolta per riuscire a parlare. Tremava vistosamente e si guardava le
dita
insanguinate come se non potesse credere a quello che vedeva.
Alzò la testa,
mentre lacrime calde le scendevano lungo le guance – Lei non
può fare questo!
Schiaffeggiare uno studente è contro le regole…
– Ma le parole le morirono in
gola quando si rese conto che quel gesto non era il peggiore che avesse
compiuto. Pochi minuti prima aveva ucciso
una studentessa senza alcun motivo.
Le girava la testa. Che
diavolo stava succedendo?
- Mi risponda! – Sbottò
all’improvviso, afferrandole il polso e strattonandolo forte
– Come ha fatto ad
entrare? Anzi, chi l’ha
fatta
entrare? -
Ma lei non rispose, troppo
sconvolta per dire alcunché.
- Crede forse che non lo
scoprirò? Anzi, crede forse che io non lo sappia
già? –
Ghignò malvagiamente – Voi dell’Ordine
siete così maledettamente stupidi da pensare di poterla
sempre fare franca.
Credevate davvero di potermi trarre in inganno solo con un misero
travestimento? Evidentemente siete molto più idioti di
quanto pensassi. -
La ragazza rimase a bocca
aperta. L’Ordine? Stava parlando dell’Ordine della
Fenice?
Il professore la strattonò di
nuovo – Mi vuoi rispondere, stupida ragazzina? –
Ma lei non lo fece. Non era
più in grado di articolare alcun pensiero, figurarsi qualche
parola.
- Bene, magari il preside le
scioglierà la lingua. – E detto questo le
voltò le spalle e la trascinò quasi
di peso lungo il corridoio da cui era venuto.
Lei non si oppose nemmeno.
Forse nella caduta aveva battuto la testa. Forse quello che stava
vivendo era
solo un sogno, o meglio, un incubo! Non poteva esserci
nessun’altra
spiegazione.
Severus Piton la stava
trascinando rudemente su per le scale di pietra. Severus Piton aveva
appena
ucciso una studentessa innocente. Quello stesso Severus Piton che
avrebbe
dovuto essere morto e che, cosa ancor più incredibile, non
l’aveva
riconosciuta.
Tuttavia, nell’assurdità
della situazione, la ragazza non potè fare a meno di
rilasciare un sospiro di
sollievo. Se Piton era vivo, anche Silente avrebbe dovuto essere vivo,
e lui
sicuramente l’avrebbe riconosciuta e l’avrebbe
creduta. Ma quella flebile
speranza soffocò non appena si rese conto che, se Silente
fosse stato vivo, non
avrebbe mai permesso che un professore facesse del male ad un suo
studente.
Ma allora Piton da chi la
stava portando? Chi era il preside di Hogwarts in quel mondo assurdo e
così
oscuro? Perché ora ne era convinta, quella non era la stessa
Hogwarts in cui
aveva vissuto per quasi sette anni. Lo percepiva perfino dalle mura di
pietra
attorno a lei, così fredde e buie nonostante le torce
accese. E poi c’era un
silenzio tombale, inquietante, che le faceva accapponare la pelle molto
più
dell’aria gelida che le si insinuava sotto i vestiti.
La ragazza si lasciò
trascinare senza opporsi su per quattro rampe di scale e attraverso una
decina
di corridoi e in tutto quel percorso mai, nemmeno una volta,
percepì un’altra
presenza oltre la loro. La scuola sembrava completamente vuota.
Dopo circa una decina di minuti
il professor Piton si fermò di fronte un muro completamente
spoglio, dove un
tempo c’erano stati la coppia di gargoyle di pietra, il quale
si aprì non
appena lui vi poggiò sopra il palmo della mano, rivelando
una scala a
chiocciola che saliva verso l’alto. Quando furono arrivati in
cima, Piton bussò
due volte contro la massiccia porta di legno, poi entrò,
senza aspettare alcuna
risposta.
Lo shock che provò non appena
fu entrata nella stanza fu quasi peggiore di tutto il resto.
L’ufficio era
ingombro di oggetti, come al solito, ma non erano i soliti fragili e
scintillanti strumenti che si potevano vedere quando Albus Silente era
preside
di Hogwarts. Gli scaffali, le mensole, i tavolini a tre gambe e le
librerie
erano ingombri di oggetti chiaramente oscuri e, alcuni, decisamente
raccapriccianti, che inondavano lo spazio di una luce cupa e gelida,
molto
diversa dallo splendore festoso di un tempo.
Il camino era vuoto e freddo
e le candele erano spente. La ragazza rabbrividì, di nuovo,
e di nuovo non per
la mancanza di calore o di luce.
Lo strano e raccapricciante
silenzio si percepiva anche lì, ma questa volta
capì a che cosa era dovuto. Le
pareti erano vuote e fredde: i ritratti dei presidi erano spariti e
quindi
anche il loro quieto ronfare.
Il professor Piton la spinse
più avanti, al centro della stanza, dove la scrivania del
preside svettava sul
pavimento sopraelevato. Ma dietro di essa non c’era nessuno,
la sedia era
vuota. La ragazza si chiese che cosa dovesse guardare.
- Io non sono una… - Cominciò
lei, ma le parole le morirono subito in gola.
Un movimento ai margini del
suo campo visivo attirò la sua attenzione e, dove prima
c’erano solo ombre, ora
c’era un ragazzo alto, dalla carnagione pallida e i capelli
scuri. Davvero
attraente se non fosse per quella luce malvagia che gli illuminava gli
occhi.
Il ragazzo si avvicinò e lei
si sentì morire. Nonostante non l’avesse mai visto
di persona con quell’aspetto
l’aveva riconosciuto immediatamente: Tom Riddle. Tom Riddle
con ancora la
bellezza della gioventù. Tom Riddle non ancora trasformato
in un mostro ma, se
possibile, ancora più terribile.
- Quale grazioso dono mi hai
fatto, Severus. – Un sorriso diabolico gli
attraversò il viso. Si avvicinò di
più e allungò due dita verso di lei, fino a
toccarle la guancia coperta di
sangue. – E’ davvero carina. -
- Non mi tocchi! – Sbottò lei
impulsivamente, ritraendosi dalla sua mano.
- E morde anche. – Sghignazzò
divertito – Potrei metterla incatenata a guardia dei questo
ufficio. Sono
sicuro che farebbe molta più paura dei gargoyle di Silente.
–
La ragazza era senza parole,
letteralmente. La paura e lo sgomento ora avevano lasciato il posto
alla
rabbia, all’incredulità,
all’indignazione. Come poteva quel mostro essere
lì?
Al posto di Silente, al posto che ora avrebbe dovuto occupare
E Piton? Anche lui era morto.
Harry l’aveva visto con i suoi occhi. Harry era
lì.
Harry!
- Dov’è
Harry? – Chiese
all’improvviso, guardando prima l’uno e poi
l’altro con espressione
interrogativa e spaventata. Gli doveva per forza essere successo
qualcosa. Lui
non avrebbe mai permesso tutto questo. Non avrebbe mai permesso che Tom
Riddle
divenisse preside di Hogwarts.
Quest’ultimo, per la prima
volta, tradì un’espressione di sorpresa
– Harry?-
- Harry. – Ripeté lei – Harry
Potter!
-
- Harry Potter?! – Una risata
sincera e, per questo, molto più raccapricciante,
fuoriuscì dalle sue labbra
perfette di diciassettenne, mentre un rossore giovanile gli
colorò le guance
pallide.
Nonostante tutto, nonostante
l’assurdità di quella situazione, lo sconcerto, la
paura, la rabbia, la ragazza
notò quanto gli donasse quel rossore, rendendolo
più affascinante di quanto non
fosse già. E in quel momento capì come, da
giovane, fosse riuscito ad
accattivarsi tanta gente e a portarla drasticamente dalla sua parte.
Ma quei pensieri sciocchi e
inutili si dissolsero come brina ai primi raggi del sole quando lui
pronunciò
le parole fatali: - Harry Potter è morto. –
E di colpo tutto fu buio e
freddo, mentre il barlume di speranza che ancora provava venne
estirpato a
sangue dalla sua anima con uncini di ferro. E lei si sentì
morire, ancora.
NOTE DELL’AUTRICE:
I capitoli in tutto
dovrebbero essere cinque ( salvo imprevisti) e li
pubblicherò a una distanza di
quattro giorni l’uno dall’altro ( salvo
imprevisti).
Bene, spero che il primo
capitolo della mia storia vi sia piaciuto e che abbia instillato in voi
quel
po’ di curiosità per far sì che
continuiate a leggerla.
Baci.
Sundayrose