Voglio essere le labbra che baci.

di alicehorrorpanic
(/viewuser.php?uid=147091)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love, cigarettes and jealousy. ***
Capitolo 2: *** Walking contradiction. ***
Capitolo 3: *** Know your enemy. ***
Capitolo 4: *** Take back. ***
Capitolo 5: *** Bleeding out. ***
Capitolo 6: *** Looser. ***
Capitolo 7: *** How we do. ***
Capitolo 8: *** Epilogo. ***
Capitolo 9: *** Strawberry. ***
Capitolo 10: *** Body on me. ***
Capitolo 11: *** Again. ***
Capitolo 12: *** Swear. ***
Capitolo 13: *** After. ***
Capitolo 14: *** Valentine. ***
Capitolo 15: *** Always. ***
Capitolo 16: *** Happy ending. ***



Capitolo 1
*** Love, cigarettes and jealousy. ***


[TATATAAN, SONO TORNATA AHAH
Annuncio che questo è il sequel di 

Voglio te nel mio letto.

 

e vi segnalo anche


Voglio te nel mio letto—Missing Moment

 

Buona lettura kidz]




Love, cigarette and jealousy






Giugno.
Vacanze e niente scuola, e il mio Ken preferito tra le mani.
E ancora non ci credevo.
Ogni secondo pensavo che lui avrebbe cambiato idea, che mi avrebbe lasciato come sua abitudine, che mi avrebbe buttata nella spazzatura, invece no.
Eravamo ancora qua, insieme, uniti più che mai, nonostante incomprensioni, litigi, azzuffate e tirate per i capelli.
Dicevo di fidarmi di lui ma in realtà ero sempre all'erta, il primo mese mi ero messa quasi a pedinarlo durante gli intervalli a scuola, per paura di una delle sue scappatelle in bagno con qualche gatta-morta, che io avrei definitivamente ucciso.
A mio difesa, posso dire che ogni mio dubbio era fondato, nessuno credeva alla nostra storia, nessuno credeva che potesse durare ed era circondato da ragazze uscite dalla rivista di Playboy.
E lui le assecondava, le ascoltava, le guardava per bene e poi se ne andava, lasciandole imbambolate e confuse, comportamento da vero stronzo qual'era.
«Alice nel paese delle meraviglie» mi apostrofò appoggiandomi un braccio sulle spalle e distogliendomi dai miei pensieri.
«Che mi sono persa?» chiesi alzando le sopracciglia e guardandolo di sottecchi.
«Non ti sembra troppo scollata questa canotta?» ribattè, soffermandosi un po' troppo a lungo sulla scollatura della mia maglia e facendo una smorfia contrariato, a lui si che faceva piacere stare impalato a guardare.
«Fa caldo, non rompere» sdrammatizzai, facendogli la linguaccia «e ti ricordo che sei stato tu a rinfacciarmi di essere piatta» lo guardai in tralice con le braccia incrociate.
Vidi Gaia comparire nel corridoio e mi sbracciai per farmi notare in mezzo agli altri ragazzi.
«Ti si alza la maglietta» ringhiò infastidito e seccato, cercando di pararsi davanti a me.
«Già a litigare state voi?» lei ci raggiunse frettolosa con i capelli arruffati e l'aria allegra, e l'immancabile canotta degli AC/DC.
L'abbracciai saltandole quasi addosso, nonostante non ci vedessimo solo da tre giorni.
Mi sembravano molto di più, anche se eravamo state per ore e ore al telefono a spettegolare.
«Come sempre» rispose lui, stringendo la presa sulla mia spalla e alzando gli occhi al cielo, sbuffando.
«Ehi bro, pronto a vedere i quadri?» Chris comparve dal portone e quasi urlò, giusto per dare poco spettacolo.
Tutte le ragazze-gatte morte si girarono verso di lui con gli occhi a cuoricino e l'aria sognante.
Alzai gli occhi al cielo e razionalizzai: ecco perché eravamo a scuola, a giugno, e di mattina.
«Buongiorno signora Rizzo» mi canzonò, sorridendo e beccandosi una spallata dal mio ragazzo.
«Ma quanto sei scemo» sbuffò Gaia, incrociando le braccia.
«Gaietta smettila, faccio ridere pure te» ammiccò lui, facendole l'occhiolino.
«Taci va» sbuffò e si imbronciò.
Ridacchiai e diedi un bacio sulle labbra al mio ragazzo «andiamo?»
Alzò le spalle, indifferente «tanto prima o poi mi tocca»
«Vedrai che sarà tutto a posto» lo consolai, passandogli una mano sul braccio.
«Sicuramente ho giù latino e italiano, quella stronza mi odia» si passò una mano fra i capelli, nervosamente.
«Dai bro, ti faccio compagnia»
«Andiamo bionda, questi fanno notte»
Gaia mi prese per un braccio e mi trascinò verso il corridoio dove vi erano appesi i risultati.
Ansia.
Ansia.
Ansia.
Anche se ero abbastanza sicura di essere a posto, di aver concluso l'anno perfettamente, l'agitazione era parte di me.
«Chi guarda per prima?» sorrise lei gioiosa.
«Ma che hai oggi?» chiesi curiosa.
Scrollò le spalle «niente perché?»
«Sei iperattiva» scherzai, dandole una gomitata.
Risi e guardai i tabelloni.
Feci scorrere l'elenco fino al mio nome.
Bucci Alice, seguii la linea fino alla botta finale: Ammessa.
«Promosse!» gridò Gaia, senza farsi troppi problemi e attirando l'attenzione degli altri ragazzi.
Feci un gridolino di vittoria e guardai in fondo all'elenco.
Rizzo Niccolò, seguii la linea con il dito e chiusi gli occhi: Ammesso.
Tirai un sospiro di sollievo e sorrisi sicura al mio ragazzo, che invece aveva un'aria nervosa.
Gli andai incontro abbracciandolo, e mettendogli le braccia al collo.
«Sei in quinta anche tu»
«Adesso si che ci tocca sgobbare» Chris si mise le mani fra i capelli sconsolato, bloccandosi due secondi dopo.
«Proprio voi cercavo» la professoressa coordinatrice ci raggiunse velocemente, gonna al ginocchio e tacchi: io sarei già stramazzata al suolo, altro che mettermi a correre.
Si mise le mani sui fianchi e puntò i due «bad boy» che erano impietriti.
«Marconi hai proprio detto bene, vi toccherà sgobbare, come dite voi, siete stati promossi per miracolo e riconoscenza verso Bucci, che vi ha spronati, soprattuto tu Rizzo. Ma devi imparare a cavartela da solo» concluse, sorridendo maligna, e se ne andò.
«Simpatica» constatò Gaia, spalancando gli occhi.
«Che grande donna» guardammo tutti Chris con facce confuse e sbalordite.
Lui in risposta alzò le spalle e bofonchiò: «era per dire, ci ha parato il culo»


*****************


Ero lì sul suo letto, sdraiata al suo fianco, le mani appoggiate al suo petto, i nostri respiri smontavano l'aria, sentivo il suo profumo intorno a me nonostante stesse fumando la terza sigaretta.
Non l'avevo mai visto così nervoso, di solito l'ansia e il panico erano una mia caratteristica, forse standogli vicino gliel'avevo attaccata per osmosi.
«Stai fumando come un turco» osservai, ma senza il tono di rimprovero che, ormai avevo capito, non avrebbe dato nessun risultato.
Lui di smettere, non ne aveva nessuna intenzione.
«Mh?» mugugnò distratto, volgendo poi lo sguardo verso di me, dopo aver passato una buona mezz'ora a fissare il soffitto pensieroso, incontrai i suoi occhi e vi vidi tutta la preoccupazione che lo tormentava.
Non risposi a parole, lo accarezzai, gli passai una mano tra i capelli scompigliandoli, passando poi a sfiorargli una guancia, la sua pelle morbida, senza ancora nessun accenno di barba, lui chiuse gli occhi, lasciandosi andare alle mie attenzioni e sospirando pesantemente.
«Vieni qui» mormorò, afferrandomi per i fianchi e facendomi avvicinare ancora di più a lui, facendomi rabbrividire per il contatto, nonostante fosse giugno e si morisse di caldo, io stavo andando in ibernazione.
Lui aveva ancora in bocca la sigaretta e la cosa mi dava non poco fastidio, decisi di porre fine una volta per tutte a quel suo malsano amore per il fumo che, ne ero sicura, superasse quello per me.
«Togli di mezzo questa» dissi con una smorfia e lui inarcò un sopracciglio con aria interrogativa e sorpresa quando mi misi a cavalcioni su di lui.
Sorrisi malefica vedendo la sua espressione confusa, per una volta avevo io in mano la situazione, gli presi la sigaretta e me la misi tra le labbra, aspirai e la spensi nel portacenere poggiato sul comodino, tutto sotto il suo sguardo insistente.
«Bene, ora va meglio» conclusi soddisfatta, e armeggiai per sfilargli la maglietta che aveva addosso cercando di non far caso alla sua espressione seria e tesa.
«Ma che..» cercò di parlare ma si interruppe subito non appena rimasi in reggiseno e mi liberai della mia canottiera.
«Mh, ora va decisamente meglio» ammiccò e sorrise malizioso iniziando ad accarezzarmi la schiena e alzandosi per avvicinarsi al mio viso.
«Mi ami?» chiesi, proprio quando era a due centimetri dalla mia bocca.
Aggrottò la fronte e smise di guardare le mie labbra per concentrarsi sui miei occhi: i suoi erano due pozzi neri di desiderio.
«Sì» rispose solo, deglutendo, cercando di trattenersi per rispettare il mio improvviso terzo grado.
Il fiume di parole mi arrivava sempre nei momenti peggiori, o migliori, e non si arrestava fin quando non avevo ottenuto ciò che volevo sentirmi dire.
«Sicuro?» domandai, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi.
«Sicurissimo» rispose, alzando gli occhi al cielo e sbuffando seccato, ma era anche divertito dalla mia insicurezza cronica.
«Ami più me o le tue sigarette?» Doveva essere una domanda ironica e scontata, non prevedeva una sua inaspettata risposta che mi avrebbe lasciata di stucco.
«Ovviamente le mie sigarette» ridacchiò e cercò di baciarmi, ma lo allontanai ributtandolo sul letto e facendomi reagire in un modo che solo nei miei sogni avevo avuto il coraggio di fare.
«Ah si?» lo provocai, posizionandomi meglio sopra di lui e facendo scontrare neanche tanto delicatamente le nostre intimità.
Trattenni il respiro non interrompendo però il contatto visivo con i suoi occhi mentre lui smorzava di colpo la risata e iniziava a mordersi il labbro inferiore.
«E quindi, preferisci le tue sigarette a me» lo guardai con un sopracciglio alzato e un'aria divertita e sadica, il suo sguardo ora era serio e quasi timoroso.
Faceva bene ad aver paura, la prossima volta si sarebbe guardato bene dal rispondere in modo sbagliato, sbruffone dei miei stivali.
Poggiai le mie mani sul suo petto nudo e muscoloso, iniziando ad accarezzarlo in circolo, facendolo sussultare e sentendo sotto il mio tocco il battito accelerato del suo cuore che andava allo stesso ritmo del mio.
«E le tue sigarette fanno questo?» aggiunsi e mi abbassai per baciare ciò che pochi secondi prima stavo sfiorando con le dita, partii dal collo a lasciargli dei baci umidi, per poi passare alla clavicola e infine sul petto, iniziando a giocare con la lingua.
Sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi e stringerli con forza, il suo petto si alzava e abbassava velocemente e il suo respiro pesante mi colpiva, facendomi venire i brividi.
«Allora?» lo sollecitai tra un bacio e l'altro, volevo che mi rispondesse, ero curiosa di sapere cosa gli passasse per la testa.
«Mi stai torturando?» la sua voce uscì così roca che mi stupii che fosse per causa mia, per le mie carezze e per i miei baci sul suo corpo.
«Può darsi» risposi sorridendo e alzando gli occhi verso di lui che mi stava già fissando, stava osservando ogni mio minimo movimento, ogni mio bacio, ogni mio contatto con la sua pelle, in condizioni normali mi sarei vergognata da morire ma ora che il mio cervello era stato completamente fulminato non mi avrebbe fermato più nessuno.
«Eccitante» riuscì a dire quasi divertito, spostando le mani sulla mia schiena.
«Potrei smettere in qualunque momento» soffiai sulla sua pelle.
«Ti prego non farlo, mi servi per dimenticare questa giornata di merda»
«Ah quindi mi stai usando?» dissi, fingendomi offesa e rialzandomi dal suo corpo.
«Dove pensi di andare?» mi afferrò per i polsi e mi buttò schiena sul letto, sorrise e mi morse il labbro inferiore.
«Il tuo giocattolino non se ne va» risposi ghignando.
«Così mi piaci» e riprese a baciarmi con foga.



************


«Andiamo a fare shopping?» la voce squillante e allegra di Gaia interruppe quel mio dolce e tanto agognato sonnellino di quel pomeriggio.
Inizialmente mi ero sistemata sul divano per guardare alla tv The vampire diaries ma poi mi ero addormentata come una pera cotta, sognando gli occhi azzurri di Damon Salvatore, o del mio ragazzo, la faccenda al momento era abbastanza confusa.
Ero così su di giri che dovetti chiederle di ripetere la domanda.
«Ma ci sei?» mi sentii dire dall'altro capo del telefono.
«Si, stavo dormendo» alzai gli occhi al cielo immaginando la sua espressione contrariata.
«Ma dico, fuori c'è un sole che spacca le pietre e tu te ne stai richiusa a casa a dormire?» sembrava un'isterica e dovetti allontanare il telefono dall'orecchio per non perdere il timpano.
«Stavo sognando» precisai.
«Ah, mi scusi allora» fece l'offesa, sicuramente facendo un'espressione imbronciata.
«E tu hai ciclo» ridacchiai.
«Ecco, allora saprai bene che non devi contrariarmi» 
«Dammi mezz'oretta e sono in centro» mi arresi e iniziai ad alzarmi dal divano, o almeno ci provai.
«Adesso si che ragioni, a dopo bionda»
«Sisi» bofonchiai e attaccai.
Guardai lo schermo della televisione facendo una smorfia alla pubblicità delle scarpe Pittarosso espensi il tutto.
Mi diressi in camera e scelsi una canotta rosa chiaro abbinata a dei jeans leggeri strappati in più punti, Nico mi avrebbe mangiata viva ma ne ne fregai, lui non ci sarebbe stato a farmi la predica.
Indossai le allstar bianche borchiate e andai in bagno a specchiarmi: i miei capelli furono la prima cosa che vidi, gonfi, vaporosi e spettinati in modo indicibile.
Sbuffai e cercai di domarli con una treccia spettinata, truccai leggermente gli occhi con una matita grigia e provai il rossetto nuovo di chanel, che qualche pazzo mi aveva regalato dopo avergli rotto le scatole, e altro, per settimane.
Sorrisi al pensiero e feci un'espressione buffa alla specchio, prima di prendere la borsa e sgattaiolare fuori di casa lasciando un biglietto in cucina ai miei genitori, nel caso fossero rientrati prima.
Il sole di giugno mi picchiò forte in testa ricordandomi di non aver preso su i miei occhiali da sole preferiti con le lenti rosa-viola.
Feci qualche passo e imprecai sotto voce «cazzo di caldo fa»
Dopo dieci minuti di sbuffi ininterrotti maledicendo in ogni lingua quella peste che mi aveva buttata fuori di casa, arrivai in centro e la vidi tranquilla, fresca, all'ombra, seduta a un tavolino che si gustava il suo cono di gelato.
Alzai gli occhi al cielo e cercai di stare calma per non prenderla per i capelli.
Mi avvicinai sorridendo nervosa e sedendomi senza troppe cerimonie davanti a lei.
Gaia alzò lo sguardo e sorrise sollevata, probabilmente pensava fosse un maniaco o chissà chi altro.
«pensavo dovessi chiamare i pompieri per portarti qui» disse sarcastica.
«Ti prego, non è giornata, sono sudata come un maiale, sto morendo di caldo» mi lamentai, sollevando la maglietta per farmi aria.
Lei mi guardò sorridendo dubbiosa per poi scoppiare a ridere.
Mi fermai e la guardai come se fosse diventata pazza in due secondi «che ti ridi adesso?»
«Scusa» biascicò mettendosi una mano davanti al viso per calmarsi «sembri mia zia in menopausa».
«Magari lo fossi» sbuffai alzando gli occhi al cielo e incontrando due occhi neri.
Deglutii e mi ricomposi in due secondi «uhm, ciao» dissi timida e a disagio.
Forse era meglio se me ne stavo a casa a dormire sul divano, non avrei fatto questi incontri imbarazzanti e fuori luogo.
«Guarda chi si rivede» rispose in tono piatto agitando il blocchetto in aria.
Gaia finalmente fermò la sua risata isterica e mi guardò interrogativa spostando poi lo sguardo sul ragazzo di fronte a noi.
«Vorrei un the alla pesca» mi affrettai a dire per smorzare l'imbarazzo, dopotutto era il cameriere del bar, quindi doveva solo ed esclusivamente portarmi qualcosa da bere al più presto o sarei morta disidratata.
Lui prese appunti su un blocchetto e tornò a fissarmi.
«Jacopo giusto?» si intromise la mia amica «che ne dici di smammare?» ecco, il tatto non era proprio il suo dono ma la ringraziai mentalmente.
Per niente scosso dalle sue parole lui continuò imperterrito «e così stai con quel..» guardò in alto come per cercare la parola adatta «stronzo troglodita».
Chiusi gli occhi per fingere di non aver sentito e lo guardai truce «senti, mi dispiace per come sia andata tra noi, non volevo illuderti in alcun modo e te l'ho fatto capire in tutte le maniere che io ero presa da un altro, quindi..»
«Si ho capito, le solite cose insomma, colpa mia che non ti ho lasciato spazio giusto?» disse fingendo di essere divertito e alzando le sopracciglia, rientrando poi nel bar.
Mi afflosciai allo schienale e respirai profondamente per darmi una calmata.
«Ma che cazzo vuole ancora quello?» come non detto, Gaia si stava agitando sulla sedia nervosa e stava sgocciolando tutto il gelato sul tavolino «insomma, mi sembra che le abbia anche prese, il concetto non era abbastanza chiaro?»
Alzai le spalle e guardai altrove, mentre lei continuava a rimuginare sotto voce.
«Comunque, giusto per informarti, io non me ne starei tranquilla mentre il tuo..» fece una smorfia schifato porgendomi il the «ragazzo, se così ti piace chiamarlo, non è con te» insinuò velenoso.
Mi girai a guardarlo e socchiusi gli occhi «come scusa?»
Lui scrollò le spalle sorridendo sghembo «nel senso che non mi fiderei a lasciarlo da solo» alzò un sopracciglio «so che è molto richiesto dalle ragazze, non mi stupirei se ti tradisse con un'altra» rincarò.
Sgranai gli occhi e tremai dalla rabbia: come cazzo si permetteva a insinuare quelle cose?
«Senti coso, ti conviene correre, e anche veloce, se non vuoi che ti sgozzi qui, davanti a tutti» ringhiò Gaia che si era perfino alzata dalla sedia, facendo attirare parecchi sguardi su di noi.
Se avessi visto la scena da persona esterna forse avrei riso per le sue parole, ma in quel momento mi veniva solo da piangere a dirotto.
Dentro di me era in corso una tempesta, brutale e pericolosa.
«Senti cosa» ammiccò lui «siediti e calmati, il mio era solo un consiglio da amico» si giustificò.
Lei rise nervosa e lo trucidò «da amico, sei serio? Perché a me sembrava tutta scena per spianarti la strada»
Digrignai i denti e strinsi gli occhi per non esplodere.
Aprii la borsetta e cercai il portafoglio, pagai il the e mi alzai da quel tavolo.
Allontanandomi sentii solo uno «sei un lurido stronzo sai?» urlato e dopo delle imprecazioni neanche tante velate verso la mia amica.
Mi girai curiosa, con le lacrime agli occhi e vidi Gaia avvicinarsi e abbracciarmi con forza, nonostante il caldo opprimente, e Jacopo che cercava di pulirsi la maglia con un tovagliolo.
Tirai su col naso e borbottai «mi dispiace per il tuo gelato»
Lei accennò una risata «sai cosa me ne frega, ne posso prendere un altro, tu sei più importante e quello è un bastardo»
Sorrisi e la strinsi ancora più forte senza accorgermene.
Avevo bisogno di un appiglio sicuro a cui aggrapparmi per non sprofondare, per riuscire ad alzarmi di nuovo a testa alta.
«Bionda, mi stai soffocando» ridacchiò e la mollai, facendola respirare e prendere aria.
«Scusa» mimai e mi guardai le scarpe a disagio «tu ci credi?» mi uscì, prima ancora di rendermene conto.
Lei sbuffò e si grattò la testa «ho sempre pensato che il tuo ragazzo fosse imbecille, senza cervello, stronzo e approfittatore» sorrise divertita per poi sussurrarmi un «scusa» a bassa voce.
Sbuffò e si attorcigliò una ciocca di capelli scuri «ma ho dovuto ricredermi, quando sta con te è diverso, non riesce a staccarti gli occhi di dosso, è geloso per ogni minima cosa» abbassò lo sguardo sui miei pantaloni e sorrisi «per esempio, questi non te li avrebbe mai fatti mettere» ridacchiò anche lei «però io credo nel cambiamento delle persone, almeno in parte, voglio dire, da quando è con te, sembra un'altra persona, completamente opposta» alzò le spalle e mi guardò negli occhi «non voglio dirti cosa devi credere, lo so che ti fidi di lui, ma ti ho vista prima, stavi tremando, e non posso assicurarti che lui non ritorni tutto a un tratto un intrattabile stronzo, ma lui ti ama e non credo proprio che sprecherà questa felicità che ha ottenuto per buttarla chissà dove e calpestarla».
Annuii e incrociai le braccia al petto, fragile «ho paura che lui un giorno si stuferà di me» ammisi.
Lei mi mise le mani sulle spalle e mi accarezzò la testa «non succederà, ma se mai dovesse accadere chiamami e gli strapperò le palle».
Quelle parole mi fecero sorridere e passare il broncio che tenevo.
«Hai sorriso eh?» esclamò lei euforica iniziando a farmi il solletico.
Oddio, sarei morta in mezzo alla piazza.
Iniziai a ridere come una demente senza riuscire a fermarmi mentre lei sfoggiava un sorriso soddisfatto e sollevato. 
«Basta, ti prego» riuscii a borbottare tra una risata isterica e l'altra.
Lei sbuffò e finalmente mi lasciò andare «va bene, va bene, basta così, ma ora non hai scuse, ti trascinerò in ogni negozio» mi strizzò l'occhio e mi afferrò un braccio senza lasciarmi scelta.
Più di due ore dopo uscivamo dall'ennesimo negozio di vestiti per poi rientrare in uno di intimo.
Avrei voluto sprofondare in quel momento, quando Gaia si avvicinò a dei completini non proprio casti e coprenti.
Ne prese in mano qualcuno senza preoccuparsi degli sguardi che le lanciavano le altre signore e del mio imbarazzato «su chi devi fare colpo?» chiesi infine.
Lei sembrò risvegliarsi e buttò ciò che aveva in mano di nuovo nella cesta, improvvisamente a disagio e rossa in volto «su nessuno, ero solo curiosa» scrollò le spalle e si diresse verso l'intimo decisamente più puritano.
Non ero per niente soddisfatta della sua risposta, non mi convinceva, ma non volevo sforzarla a sputare il rospo, anche se mi sarebbe piaciuto sapere cosa le frullava in testa.
La raggiunsi e mi lanciò davanti un reggiseno nero di pizzo, molto lavorato, con lo slip abbinato.
La guardai interrogativa e sorpresa «non prendo sta roba io» gli rifilai, ridandole il completo.
Lei sbuffò e mi guardò stizzita «bionda quando imparerai? Fidati di me, il tuo bad boy sverrà alla vista» e mi fece l'occhiolino.
Alzai gli occhi al cielo e riguardai l'intimo che avevo tra le mani, in effetti non era per niente male e poteva farmi comodo in particolari occasioni.


Tornai a casa esausta, con tre borse strapiene - ed erano quasi le sette di sera - e i miei genitori erano già arrivati, infatti mia madre mi accolse imbronciata e con le braccia incrociate.
Oltre alla fatica di aver salito la montagna di scale dovevo subirmi anche le sue lamentele «alla buon ora eh» mi rivolse uno sguardo ammonitore e tornò in cucina a preparare la cena, ticchettando con i piedi.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, andando ad abbracciare mio padre che reclamava un bacio «torna prima la prossima volta» mi avvertì e io annuii.
Andai di corsa in camera e mi buttai sul letto pensierosa lanciando le borse di shopping sulla scrivania.
La mente vagò e l'allegria di qualche minuto prima sparì in un attimo.
Le insinuanti parole di Jacopo mi rimbombarono in testa provocandomi un leggero fastidio che mi fece diventare ancora più nervosa.
Sbuffai e presi il telefono dalla tasca dei jeans, e senza pensarci digitai un messaggio:

Dove sei stato oggi?

La curiosità regnava ma anche la gelosia non era da meno.

Volevo fidarmi, eppur quando qualcuno insinuava qualcosa mi spezzavo in mille pezzi e diventavo creta da modellare.
Odiavo quella parte di me, quella nascosta, quella insicura e fragile, quella che quasi nessuno conosceva.
Nell'attesa decisi di farmi una doccia fredda per scacciare i pensieri, così avviai la musica per sentirmi in compagnia e mi diressi in bagno.
«Will you love me tomorrow?
Is this a lasting treasure
Or just a moment's pleasure?
Can I believe the magic of your sighs?
Will you still love me tomorrow?
Tonight with words unspoken
And you say that I'm the only one, the only one, yeah
But will my heart be broken
When the night meets the morning star?
I'd like to know that your love
Is love I can be sure of
So tell me now, cause I won't ask again
Will you still love me tomorrow?»
Senza accorgermene mi ritrovai a piangere sotto la doccia, l'acqua fredda mi percorreva il corpo, avevo le braccia intorno alla mia vita come per proteggermi, e tremavo.
Tremavo perché ero stupida.
Tremavo perché mi facevo trascinare.
Tremavo e mi stavo facendo male da sola.
La canzone cambiò, ma il mio umore non migliorò neanche di un millimetro.
«How can you see into my eyes like open doors 
leading you down into my core 
where I've become so numb without a soul my spirit sleeping somewhere cold 
until you find it there and lead it back home 
Wake me up
Wake me up inside 
I can't wake up
Wake me up inside 
Save me
call my name and save me from the dark 
Wake me up
bid my blood to run 
I can't wake up
before I come undone 
(Save me) 
save me from the nothing I've become 
now that I know what I'm without 
you can't just leave me 
breathe into me and make me real 
bring me to life»
Sospirai e decisi di tornare sulla terra, stare a rimuginare avrebbe solo peggiorato la situazione.
Mi avvolsi nell'asciugamano e tornai in camera, presi il telefono e notai la sua risposta.

Ciao anche a te eh, perché vuoi saperlo?

Per poco non buttai il telefono dall'altra parte della camera.
Dio che nervoso, perché non poteva rispondermi senza farmi altre domande?

Perché sono la tua ragazza e non ti ho sentito tutto il giorno, scemo.

Cercai di non far trapelare il mio nervosismo e iniziai a grattarmi nervosamente un braccio fino a farlo diventare viola.
Perfetto, pure autolesionista mi aveva fatto diventare.
Gettando lo sguardo ai sacchetti raccolsi quello con all'interno l'intimo e lo provai.
Mi guardai allo specchio e avvampai di colpo, il tutto era troppo trasparente, avrei ammazzato Gaia per avermi obbligata a comprare quella robaccia piena di pizzo e merletti.
Mi cambiai in un nano secondo e indossai una tuta grigia con i pantaloncini corti, decisamente più coprenti di quel completo.
Quando mi coricai di nuovo notai un nuovo messaggio comparso sul telefono che avevo abbandonato sul letto:

Sono vivo se è questo che ti preoccupava, comunque sono stato in giro.

Divertente. Con chi?

Digitai e inviai. 
Forse ero esagerata, ma lui mi stava rispondendo a monosillabi facendomi saltare i nervi a fior di pelle.

Con una mora tutta tette e culo.
Era anche carina.


Lessi e imprecai in turco.
Non meritava neanche una risposta, quando faceva lo sfacciato lo odiavo da morire.
Infilai il telefono in tasca e andai in cucina senza fiatare.
I miei capirono l'antifona e non fecero domande per fortuna, altrimenti sarei scoppiata completamente.
Me ne stavo rigida e con gli occhi abbassati sul piatto, fingendo di ascoltare e annuire ai discorsi dei miei genitori.
Non ascoltai nemmeno una parola, la mia testa era un groviglio incasinato che non voleva sciogliersi.
Dopo cena mi sistemai nervosamente sul divano e presi il telefono per controllare se qualche fidanzato-stronzo mi avesse risposto.

Amore stavo scherzando dai.

Evitai di soffermarmi sul suo «amore» e lessi gli altri messaggi.

Immagino sia incazzata nera con me ora.

Mi arrendo, depongo l'ascia di guerra.
Sono andato a un colloquio di lavoro.


Inarcai un sopracciglio e aggrottai la fronte confusa.
Colloquio di lavoro?
E ci voleva tanto a dirlo?

Stronzo.

La risposta non si fece attendere molto quella volta.

Ti amo anche io.

«Fanculo» imprecai a bassa voce e sistemai la televisione sull' Esorcista, almeno mi avrebbe fatto cambiare pensieri per qualche ora, sarei stata impegnata a saltare sul divano coprendomi gli occhi con le mani.
«Che hai detto tesoro?» mio padre si posizionò si fianco a me, storcendo il naso per la mia scelta di film per la serata.
Alzai le spalle sussurrando un «niente» sospirato e tornai a fissare lo schermo, immaginando di essere posseduta dal demonio e legata al letto.
Notte in bianco senza chiudere occhio, complice anche il film horror che avevo visto la sera prima, oltre a quel cretino del mio ragazzo.



************



Ormai erano quasi le nove di mattina e me ne stavo ancora sdraiata a letto, con il sole che filtrava dalla finestra.
Presi il telefono appoggiato sul comodino e alzai a tutto volume la prima canzone che trovai.
«Bless your soul, 
you've got you're head in the clouds,
You made a fool out of you,
And, boy, she's bringing you down,
She made your heart melt,
But you're cold to the core,
Now rumour has it she ain't got your love anymore,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh,
Rumour has it, ooh»
Scagliai la sveglia rosa shocking di Barbie per terra e mi alzai, andando in cucina a passo di elefante.
Digitai un messaggio a Gaia e inviai.

Sai dove dice di essere stato ieri? 
A un colloquio di lavoro.


Presi la mia tanto odiata tazza di Hello Kitty e ci versai il caffè, saccheggiando poi il sacchetto delle Gocciole al cioccolato.
Quando sentii il telefono vibrare lo presi in mano nervosamente.

Bionda, il tuo messaggio mi ha buttato giù dal letto, ti ringrazio.
Comunque ritornando al tuo bad boy, non gli bastano i soldi che gli escono da tutte le parti?


Risi per la prima parte del messaggio, rimuginando sulla sua strana finezza mattutina.

Non c'è di che.
Non lo so, non mi ha detto altro, ho dovuto tirarglielo fuori con le pinze.


Riposi il telefono sul tavolo e misi la tazza nel lavandino, promettendo a me stessa di comprarne al più presto una più decente e da ragazza di diciotto anni compiuti.

Alice cara, non mi puoi dire certe cose, me le servi su un piatto d'argento.

Aggrottai la fronte interrogativa e quando capii quasi mi soffocai con il succo.

Mi hai fatto quasi strozzare scema.

Andai a sedermi sul divano di pelle nera appoggiando poi le gambe sul tavolino di vetro e accendendo la tv.
Esultai mentalmente quando trovai su un canale Il diario di Bridget Jones, proprio nel momento in cui si era data da fare per ubriacarsi e deprimersi al massimo.

Colpa tua signorina.

Ridacchiai e tornai con gli occhi sullo schermo della televisione.
Più di due ore e tremila occhi a cuoricino dopo ritornai nella mia stanza non sapendo come occupare il tempo, visto che la scuola era finita e non avevo compiti urgenti da svolgere.
Mi coricai sul letto inciampando quasi nella sveglia di Barbie sul pavimento e fissai il soffitto bianco su cui si rifletteva la luce del sole.
Pensai alle cattive parole di Jacopo.
A quelle confortanti di Gaia.
E al messaggio del mio ragazzo.
La testa mi sarebbe scoppiata da li a poco, volevo a tutti i costi trovare un filo connettore quando in realtà non c'era
Jacopo era solo geloso, era arrabbiato perché l'avevo respinto e aveva preso pugni in faccia per la sua determinazione, quindi voleva vendicarsi, voleva riempirmi la testa di dubbi, e ci era riuscito alla grande.
Ma quel cretino del mio ragazzo ci metteva del suo, scomparendo un giorno intero senza farsi sentire, senza neanche scrivere un misero «ciao», silenzio assoluto, non mi aveva pensato minimamente, se ne era fregato.
Non potevo fare sempre io la prima mossa, si doveva svegliare e pensare di prendere l'iniziativa per qualcosa.
Sbuffai rumorosamente e sentii vibrare il cellulare nella tasca, così lo tirai fuori per vedere chi mi avesse cercato.

Sono sotto casa tua, aprimi.

Rilessi più volte per assicurarmi di ciò che avevo davanti al naso e, in un momento maligno, pensai anche di far finta di niente e lasciarlo fuori.
Ma poi vinse la parte irrazionale di me che mi fece correre alla porta per trovarmelo davanti con canottiera bianca, jeans strappati e sorriso malizioso.
Tutto quello che mi ero preparata in testa, insulti e urla da lanciargli addosso, scomparì in un nano secondo alla sua vista.
«Mi vuoi lasciare fuori dalla porta in eterno?» ghignò soddisfatto mettendosi le mani in tasca e inclinando la testa.
Deglutii e borbottai un «no, entra» sussurrato.
Appena chiusi la porta mi ci ritrovai spalmata contro con lui addosso, che iniziò a riempirmi di baci il collo, per poi arrivare alle mie labbra e morderle con forza.
Afferrai le sue spalle e cercai di allontanarlo inutilmente, poiché lui continuò la sua scia di baci imperterrito fino a sfilarmi la maglietta che indossavo.
«Cazzo, niente reggiseno» imprecò «vuoi farmi crepare?» ironizzò, stringendomi i fianchi e scendendo a baciarmi il seno.
Ormai la parte razionale del mio cervello era scoppiata e il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi ma sembrava dotato di vita propria, totalmente sconnesso da me.
Ero persa completamente in un vortice da cui non avrei più voluto svegliarmi, immersa nei suoi baci, nelle sue carezze, nei suoi morsi sul mio corpo.
Volevo che tutti i nostri problemi sparissero, si dissolvessero in un battito di ciglia, in un respiro.
Strinse forte tra le mani il mio petto e dedicò la sua attenzione al mio ventre, fino ad arrivare tra le mie cosce.
Avevo le gambe che tremavano, il battito accelerato, le dita avvinghiate ai suoi capelli neri e un uragano dentro al mio corpo pronto ad esplodere.
Venni, travolta dal piacere e mi accasciai addosso a lui che si sedette sul pavimento e mi strinse fra le braccia «dovevo farmi perdonare per ieri, sono stato uno stronzo» sospirò «scusami» soffiò baciandomi sulla fronte.
Lo guardai accigliata e storsi il naso «solo per quello l'hai fatto?» dissi sconcertata alzando lo sguardo dal suo petto per osservarlo in viso.
Lui scrollò le spalle e mi accarezzò con le nocche una guancia arrossata «no» ridacchiò «anche perché volevo farlo»
Mi morsi un labbro con forza per non picchiarlo «ah, quindi..» alzai le spalle «hai unito le due cose» mormorai fredda.
Lui mi squadrò interrogativo e spostò il mio viso per averlo davanti al suo «si può sapere che hai?» sospirò pesantemente distogliendo lo sguardo «ho fatto qualcosa che non va?»
Strinsi gli occhi per non piangere e negai con la testa.
Sbuffò rumorosamente «cazzo, mi vuoi dire cosa ti passa per la testa per favore?» sembrava disperato e si mise le mani tra i capelli esausto.
Mi scostai da lui e recuperai la maglietta rimettendomela addosso per coprirmi e tirai su i pantaloncini del pigiama con cuoricini rossi stampati.
Mi alzai e mi appoggiai alla parete, incrociai le braccia al petto e lo guardai, anche seduto sul pavimento «allora» iniziai titubante «ieri sei andato a un colloquio di lavoro?»
Lui si passò le mani sul viso nervoso e mi fissò «sì, te l'ho già detto»
«Me l'hai detto dopo tre ore che te l'ho chiesto» mi lamentai puntando i piedi «e spero che sia vero» aggiunsi a bassa voce.
«Cosa?» sbraitò alzandosi di scatto e mettendosi davanti a me serio «che fai, non mi credi?» urlò e io mi paralizzai «invece di andare avanti torniamo indietro Alice?»
«Non urlare» lo ammonii con un sussurro «è solo che..»
«Non ti fidi di me, non ancora, neanche dopo mesi che stiamo insieme, non ce la fai proprio vero?» disse con rabbia, e io avrei voluto tagliarmi la lingua.
Mi misi le mani tra i capelli «si che mi fido»
«Non dire stronzate» rispose secco «cosa ti fa pensare che..» sbuffò, portandosi davanti a me e posando le mani ai lati del mio viso sul muro «pensi che io ti tradisca con altre ragazze?»
Deglutii e cercai di pensare razionalmente «no» risposi con voce tremante e con in testa le parole di Jacopo.
«Allora perché stiamo litigando?»
Alzai le spalle «non lo so»
«Si che lo sai, chi ti ha messo in testa queste cose?» incalzò.
Non potevo dirgli che era stato Jacopo, sarebbe andato a casa sua come l'ultima volta e gliela avrebbe fatta pagare.
E non potevo dirgli che avevo creduto alle sue insinuazioni.
Così, decisi di stare zitta e non parlare.
Lo guardai negli occhi, c'era rabbia e delusione, e tutto per colpa mia.
Sospirò «non me lo vuoi dire vero?» si mise diritto e si allontanò leggermente da me «se non mi credi puoi chiedere a Chris e Luca, erano con me, ma questa cosa che non mi credi mi fa incazzare da morire, pensavo che avessi superato questa fase tempo fa, invece mi sbagliavo e non so come farti cambiare idea, a parte dirti che ti devi fidare perchè..» si interruppe e il mio cuore prese a martellarmi nel petto «io voglio solo te e non riesco a pensare di stare con un'altra, non credo di farcela, penserei solo a te mentre sto con quella, impazzirei»
Avevo le lacrime agli occhi e non riuscivo a muovermi, ero rigida, appoggiata alla parete e lui mi guardava con un'espressione esasperata, e forse furono i suoi occhi blu a farmi fare qualche passo per raggiungerlo.
Gli misi le braccia al collo e lo avvicinai per stampargli un bacio sulle labbra «non voglio che tu stia con qualcun'altra»
Lui sembrò sorpreso dal mio gesto ma rispose subito stringendomi i fianchi in un abbraccio «neanche io, ma devi fidarti di me» mi sussurrò tra i capelli.
Gli infilai le mani tra i capelli e lo baciai forte, come se fosse l'ultima volta, come se non ne avessi mai abbastanza, come se fosse per sempre.
Mi sollevò da terra e mi appoggiò al tavolo della cucina senza smettere di baciarmi «sono perdonato?»
Annaspai in cerca d'aria per rispondere e mi uscii un mugolio mentre le sue mani mi sfioravano «sì..e io?»
Mi baciò il collo e scese verso le spalle «sì, anche se sono ancora arrabbiato con te» e a prova delle sue parole mi scostò la canotta e mi morse forte la pelle vicino al seno, facendomi quasi urlare per il dolore.
Lui ghignò divertito e continuò a mordermi fino al ventre per poi posare i suoi denti da vampiro sulle mie cosce.
Mi morsi un labbro per il fastidio «mi vuoi uccidere?»
Alzò la testa e mi guardò, con una strana luce negli occhi «mh, voglio fare tante cose con te, ma non ucciderti, come farei dopo senza di te?» fece finta di pensarci e fissò il soffitto «ah si, dovrei trovare una tua sosia, bionda, senza tette..» a quest'affermazione storse il naso.
Boccheggiai oltraggiata e lo spinsi via scherzosamente facendolo scontrare con lo schienale del divano «sei violenta oggi»
Annuii e strinsi tra le mani la sua canotta, desiderando di strapparla in mille pezzi «sono arrabbiata»
Mi prese la mano e la strinse forte, facendomi poi scontrare con il suo petto «che ne dici se ci arrabbiano insieme?» ammiccò malizioso e io corrugai la fronte interrogativa.
Con l'altra mano mi sfiorò la pelle nuda sotto i pantaloncini e rabbrividii istantaneamente «però in camera tua, è più comoda»







[Che ne dite di questo primo capitolo? Ve lo aspettavate così zuccheroso?

Il capitolo è moolto più lungo rispetto agli altri e quindi ci metterò un po' tanto per pubblicare, sorry
Bacibaci ]




[Vi segnalo anche il gruppo facebook per le mie storie e altre mie due opere deliranti]


 

Gruppo Facebook


Lividi nel cuore.


Baci al cianuro

[in revisione]

Betta nel mio letto.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Walking contradiction. ***


2
Walking contradiction



 
Erano diverse ore che stavamo sdraiati a letto, a sfiorarci, tanto da pranzare alle due del pomeriggio arrangiandoci con un Mc menù ordinato all'ultimo, solo per il gusto di mangiare qualche schifezza insieme piuttosto che digiunare e stare ancora a letto come due malati.
Il tempo passava così velocemente che non ci rendemmo conto neanche che fosse quasi sera, e che lui doveva andarsene per evitare brutte figure.
«Passami la maglia» mi ripeté con voce annoiata per la centesima volta alzando gli occhi al cielo e sbuffando, mentre io lo guardavo compiaciuta e beandomi di quella vista per la milionesima volta.
Di lui non ne avevo mai abbastanza e questo mi spaventava.
«Alice, che facciamo se tua madre arriva e mi trova così?» affermò indicandosi e osservandomi di sottecchi, pronto ad esultare a un minimo mio cedimento.
Lo scrutai di nuovo assottigliando lo sguardo: aveva i jeans slacciati ed era senza maglia, la quale era prigioniera delle mie mani, e lo guardavo come se volessi mangiarlo.
Ma anche lui, il suo sguardo scuro, non era indifferente al fatto che fossi coperta solo da un leggero lenzuolo fino al petto.
Potevo leggere nei suoi occhi quanta poca voglia avesse di andarsene e lasciarmi da sola.
Respirai a fondo e chiusi gli occhi, mossa azzardata e pericolosa, poiché sentii il materasso muoversi e delle labbra morbide posarsi sulle mie.
Il mio cervello era partito di nuovo per la tangente, non capiva più niente ed eravamo e entrati nel nostro mondo isolato sulla mia nuvoletta dove tutto il resto contava zero.
Ma non come l'espressione di mia madre che vidi appena mi staccai da lui che era sceso con la mano ad accarezzarmi il petto sotto il lenzuolo.
Sbiancai e mi irrigidii come un sasso e lo stesso fece lui, ma l'imbarazzo e lo sgomento regnavano sovrani, in realtà avevo paura che mia madre svenisse o prendesse a bastonate il mio ragazzo, di cui lei non sapeva niente o quasi.
Lei tossì per smorzare la tensione e ci guardò seria «vestitevi per carità, non voglio sapere e vedere niente» e si richiuse la porta alle spalle, scomparendo veloce.
Pensavo di morire dopo aver trattenuto il respiro per così tanti secondi che quando respirai di nuovo mi sentii svuotata di ogni cosa.
«Merda» borbottò lui alzandosi velocemente e recuperando la maglia tra le mie mani e infilandosela «dici che mi farà uscire di casa vivo?»
Abbozzai un sorriso e annuii «non credo ti ammazzerebbe, ormai il danno è fatto» 
Lui si corrucciò e mi guardò inespressivo «il danno saremmo noi?»
Annuii di nuovo e cercai una maglietta da indossare, scomparsa chissà dove «tanto la ramanzina la farà a me non a te»
«Mi sembra giusto» ridacchiò e si allacciò i jeans nervoso «io non ho fatto nulla»
Lo guardai alzando un sopracciglio e non credendo alle mie orecchie «sei tu che mi sei saltato addosso trenta secondi fa» puntualizzai con voce grave.
Lui si fermò e incrociò le braccia con aria seccata «vuoi dire che è colpa mia se ci ha beccati?» sospirò e si avvicinò puntandomi il dito contro «ti ricordo che eri tu quella che non voleva ridarmi la maglia» 
«Adesso sarebbe colpa mia?» rincarai «sei stato tu a venire a casa mia e trascinarmi nel letto, e sei stato ancora tu stamattina a sbattermi contro la porta e fare quel cazzo che volevi senza chiedermi niente» conclusi sentendo le guance andare a fuoco.
«Lascia stare, non dovevo venire qua a romperti il cazzo vero?» si interruppe «dopotutto non sei la mia ragazza e devo chiederti il permesso di fare cose che vuoi anche tu?» sputò acido e minaccioso «ma ti senti quando parli?»
«Vaffanculo» urlai prima che potessi fermarmi e darmi uno schiaffo in testa.
«Bene, come vuoi, fatti viva quando la pazza in menopausa uscirà dal tuo corpo» prese in mano le sue cose e si avviò verso la porta della mia stanza.
Volevo parlare, dire qualcosa, fermarlo, ma le parole mi si erano bloccate in gola, un groppo inscioglibile.
E invece rimasi zitta, e lui con passi pesanti e con espressione seria scomparì dalla mia vista.
Mi sentii vuota, spezzata a metà, come se avessi perso qualcosa di così importante e così necessario alla mia vita.
Lui.
Di nuovo, nell'arco della stessa giornata, avevo sbagliato, mi ero lasciata trasportare dalla rabbia del momento senza pensare alle catastrofiche conseguenze.
E io senza di lui non ci potevo stare, non ci riuscivo, già mi mancava.
Sentii scendere qualcosa di caldo sulle guance, mi pulii gli occhi con le mani e andai in cucina ad affrontare Malefica, tanto peggio di così non poteva esserci nient'altro.
Trovai mia madre seduta in cucina che sfogliava un libro di ricette e appena mi sentì arrivare lo chiuse con un tonfo «e così era il tuo ragazzo quello?» 
Chiusi gli occhi e respirai profondamente «in teoria, ma..»
Sorrise allegramente, stupendomi e bloccando le mie parole «eh brava la mia bambina, te lo sei scelto bene, è proprio carino» squittì con gli occhi a cuoricino.
Boccheggiai e risi nervosa cercando di farla tornare sulla terra «si, grazie, ma abbiamo litigato, di nuovo»
Lei fermò la sua eccitazione e mi guardò seria «tesoro, sei giovane, viviti questa storia, si vede che ci tiene a te, non far diventare le cose più complicate di quelle che sono» accarezzò con le dita la copertina del ricettario e poi tornò a guardarmi «vivi al massimo e non pensare, goditela finchè puoi, divertiti ma non soffrire già da ora» 
Rimasi a bocca aperta e non potei che darle ragione ma, purtroppo, avevo già rovinato tutto, come sempre.
Ridacchiò e si coprì la bocca con il dorso della mano «certo, basta che non mi fate un nipotino, a tuo padre potrebbe venire un infarto e vorrà cacciare dalla faccia della terra chiunque sia stato»
Sorrisi più rilassata e mi sedetti sulla sedia, guardando in faccia la felicità in persona.
Alla fine, ero sempre io che complicavo le cose, ci tenevo troppo e pretendevo troppo.
Lui non era come gli altri, non aveva incorporate le istruzioni per essere un perfetto fidanzato, era lui e basta.
Non potevo basarmi sulle mie aspettative e sui miei desideri, dovevo accettarlo così come veniva, nel bene e nel male.
Dovevo viverlo a pieno, fino all'estremo e oltre ogni limite.

A cena non mangiai, avevo davanti agli occhi il piatto pieno eppure, più lo guardavo e più mi veniva la nausea.
Non avrei mai pensato che lui mi avrebbe portato fino a questo punto, a non avere più voglia di fare nulla, nè dormire nè mangiare.
Ogni volta che chiudevo gli occhi mi compariva il suo viso davanti, arrabbiato, deluso, ferito, e piangevo tutta la notte, mi faceva male il cuore a furia di trattenere i singhiozzi.
«Alice, non mangi?» mio padre mi stava osservando, con sguardo quasi preoccupato mentre io avevo gli occhi bassi sul mio cibo.
«Non ho fame» mentii, cercando di convincerlo in qualche modo, aiutata da qualche magia vodoo.
«Ha litigato con il suo ragazzo» affermò tranquilla mia mamma, facendomi quasi soffocare con la saliva.
Cadde un silenzio tombale, spezzato solo dalla lancetta dei secondi dell'orologio da parete e dal mio respiro pesante.
Pregai in ogni lingua possibile che non iniziasse ad urlare come un pazzo come quando aveva scoperto anni prima che frequentavo Lore.
«Ah» se ne uscì freddo e serio «e da quanto tempo avresti un..ragazzo?» anche pronunciare quella parola per lui costava una fatica immensa ma mi stupii comunque che non avesse fatto ancora nessuna cavolata.
«Uhm, da qualche mese» mormorai titubante e nervosa, iniziando a mordermi le labbra e guardando di sottecchi mia madre che se ne stava compiaciuta in silenzio.
«Ah» ripetè lui «beh, ormai sei abbastanza grande da poter fare ciò che vuoi con chi vuoi» sospirò pesantemente e poi lanciò un'occhiata a mia madre «però tu sarai sempre la mia bambina, quindi non vorrei proprio avere brutte sorprese» 
Aggrottai la fronte non capendo cosa intendesse realmente dire così alzai lo sguardo e cercai la risposta nei suoi occhi «papà..» iniziai.
«Credo che sappiano cosa fanno caro, sono giovani ma non stupidi» intervenne mia madre e posò una mano su quella di mio padre, rassicurandolo.
«Non ne dubito, ma non conosco questo ragazzo e..» sussurrò lui in preda alla preoccupazione che sua figlia rimanesse fregata in qualche modo.
Scossi la testa e interruppi il suo discorso deleterio «papà, per favore» supplicai, non volevo continuare quella conversazione imbarazzante a tavola e con i miei genitori. 
«Scusa tesoro» tossì e tornò a inforchettare la sua pasta e a riempirsi la bocca per non parlare ancora.



*****************



Tre giorni.
Erano passati tre giorni e di lui nessuna notizia, nessun messaggio, nessuna chiamata.
A me sembrava quasi un'eternità che non sentivo la sua voce, la sua risata.
Mi mancava immensamente e non riuscivo a colmare quel vuoto che mi sentivo dentro con niente e nessuno.
Era frustrante vivere di una persona che non aveva bisogno di me.
«Bionda, ci sei?» Gaia mi schioccò due dita davanti per farmi rinsavire dai miei pensieri depressivi «hai una brutta cera, sei pallida, hai le occhiaie» constatò osservandomi attentamente e inclinando la testa.
Era una cosa rassicurante che la mia amica notasse tutto quello che avevo cercato di ignorare per giorni, non guardandomi allo specchio.
«Ti ringrazio per l'informazione» ironizzai sbuffando e guardando il cielo azzurro estivo, azzurro come i suoi occhi.
«Non stai bene» affermò seria prendendomi per le spalle «Satana, esci da questo corpo!» urlò un tratto con occhi spiritati e rompendomi sicuramente i timpani.
«Ma che cazzo fai?» gridai di rimando cercando di scrollarmela da dosso.
Lei rise, tenendosi la pancia con le braccia e asciugandosi le lacrime «oddio, sto morendo» 
«Tu non stai bene» affermai, puntandole un dito contro seria e alzandomi dal letto su cui eravamo sedute.
«Dai, stavo scherzando, più o meno» si schiarì la voce e riprese «insomma, non stai bene, sei dimagrita, sciupata, depressa, e ci scommetto le palle che lui sta benissimo» mi girai e la osservai con le braccia incrociate e inarcando un sopracciglio «no, nel senso che lui starà bene fuori ma non dentro» si affrettò ad aggiungere «gli manchi, tanto»
«E come fai a dirlo?» ribattei quasi in lacrime «non mi ha cercata per tre giorni, neanche un cazzo di messaggio e secondo te gli manco?»
«Non dimenticare che è un maschio ed è orgoglioso, soprattutto lui» sospirò e si alzò, ponendosi davanti a me «e toccava a te chiamarlo in realtà» mormorò cauta.
«Credevo ci pensasse lui» ammisi e mi nascosi il viso con le mani «cosa devo fare?» chiesi supplicando.
«Vai da lui, è così semplice» alzò le spalle e aggrottò la fronte, dopo due secondi tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo telefono «pronto?» 
Dopo qualche attimo alzò gli occhi su di me e sorrise furba «certo, ci sta di brutto» 
Alzai le sopracciglia e mi chiesi con chi stesse parlando in quel modo, sicuramente qualche persona strana.
«Sei un genio» urlò in estasi «ti amo» 
si zittì e si tappò la bocca con la mano «no, scherzavo» rise nervosa e attaccò.
La guardai in attesa di una risposta soddisfacente ma invece lei sorrise di gusto «abbiamo la soluzione» esordì «non temere»
«Perchè dovrei temere qualcosa?» chiesi allarmata e già in ansia per il non sapere quali piani lei abbia in mente.
«Niente paura, baby» disse sicura stampandosi un sorriso diabolico sul viso.
Gaia era impazzita, era l'unica risposta plausibile al suo muoversi in modo completamente senza senso e schizzato. 
Da almeno mezz'ora andava da una parte all'altra della stanza borbottando in maniera incomprensibile, avevo persino pensato che fossero quelle parole magiche che pronunciano le streghe quando vogliono far accadere qualcosa a tutti i costi.
Eppure lei e il suo avanti e indietro mi stavano provocando un fastidiosissimo giramento di testa.
«Si può sapere che stai facendo?» osai chiedere almeno per la decima volta, era stancante, lei non mi rispondeva mai, o scuoteva la testa o sbuffava.
In pratica, mi stava bellamente ignorando, come se fossi un insetto inutile.
«Zitta o mi deconcentri» berciò ammonendomi e donandomi un'occhiataccia da fare invidia ai film horror, mi aveva fatto venire i brividi sulla pelle.
«Almeno dimmi che hai in mente» la supplicai, feci gli occhi dolci e sbattei le ciglia peggio di una bambina di cinque anni che vuole il giocattolo appena adocchiato e sbatte i piedi a tera finchè non lo ottiene.
In poche parole, insopportabile, ma preferivo essere paragonata agli occhioni del gatto con gli stivali di Shrek.
«Sei noiosa» sbuffò e finalmente si fermò mettendosi le mani sui fianchi «stasera esci» sentenziò, inarcando un sopracciglio diabolica.
«Ma io dovrei..»
«Ah no carina, non mi interessa cosa avevi in mente di fare» mi ammonì, scuotendomi un dito davanti in senso negativo «ti porterò fuori e non accetto un rifiuto» alzò la testa in senso di superiorità: sua maestà la regina era davanti a me in tutta la sua imponenza.
Fu il mio turno di sbuffare e alzare gli occhi al cielo, anche se non avevo più libertà di scelta.
Sarei uscita quella sera ma solo perché ero obbligata, altrimenti me ne sarei stata sul divano a guardare il solito film deprimente del sabato sera.
Mi mancavano le serate folli e ribelli, quelle in cui non si sapeva mai cosa fare e alla fine si finiva per combinare cavolate e rischiare denunce.
Le cosiddette notti brave dei quasi non più adolescenti.
Se non lo facevo adesso che «avevo l'età» come mi raccomandava sempre mia nonna, a quarant'anni me ne sarei pentita e mi sarei ridotta a girovagare per le strade ubriaca e vestita da ragazzina.
Pensavo spesso al mio futuro ma vedevo bianco, completamente, con un bel punto interrogativo nel mezzo.
Potevo immaginare di essermi costruita una famiglia con marito e marmocchi al seguito che correvano per casa, ma poi tutto sfumava e me ne ritornavo seduta sul letto della mia stanza a guardare impotente il tempo che scorreva.
Stavo sognando con gli occhi aperti.
Una mano sventolò davanti alla mia faccia da pesce lesso e io mi riscossi, guardandomi intorno con sguardo perso. 
«Dove eri andata?» mi domandò Gaia, sorridendo sorniona.
Alzai le spalle e la guardai imbronciata «a fare un giro con la testa»
Lei annuì e acchiappò un vestitino dall'armadio: una specie di tubino blu elettrico con dei ricami in pizzo sul fondo e sulle spalline, con una grande scollatura sulla schiena.
Acquisto vecchio e impolverato, mai indossato per pudore.
Inarcai un sopracciglio in una muta domanda e lei si affrettò a spiegare, quasi non stesse più nella pelle «metterai questa meraviglia di abito» mi ordinò, girandosi poi a proprio agio per raccogliere un paio di zeppe argentate «e queste» annuii più volte convinta e soddisfatta della scelta.
«Agli ordini capo» ironizzai sorridendo.
«Mi ringrazierai un giorno» sospirò e si buttò sul letto a peso morto, come se avesse appena corso la maratona di Boston. 



********



Tutto mi sarei aspettata ma non una festa.
Una di quelle da spaccarsi i timpani per la musica impiantata al massimo con le casse ad ogni angolo, con almeno cinque ragazzi al bancone per servire alcolici, altri che vendevano robaccia e pacchetti vuoti di sigarette e cicche in ogni dove.
Quello era il Bollywood, locale attivo da qualche anno in cui avevo messo il piede massimo due volte.
La puzza di fumo già mi riempiva gli occhi e la bocca e non ero ancora arrivata a metà locale.
Mi girai con una smorfia verso Gaia che alzava il collo e faceva roteare gli occhi come una pazza, segno che stesse cercando qualcuno in particolare.
Dovevo immaginarmelo che avrebbe organizzato qualcosa, ancora aleggiava il mistero su chi l'aveva chiamata qualche ora prima.
Mi prese per mano e mi fece sprofondare in uno dei tanti divanetti scuri sparsi per quello spazio pubblico dove era già tanto se riuscivo a beccare ossigeno puro non contaminato.
«Allora?» strillai per farmi sentire, odiavo la musica troppo alta, sembrava mi uscisse direttamente dal petto.
Mi fece segno di attendere con la mano e dopo si sbracciò come una ossessa.
La guardai accigliata finchè non comparì un sorriso sulle sue labbra.
Tutto si svolse in un millisecondo e non ebbi il tempo di collegare i vari pezzi del puzzle.
Una testa castana e sul riccio si avvicinò a lei e senza degnarmi di uno sguardo o di un saluto si stese quasi su di lei, senza pudore, per stamparle un bacio sulla bocca.
Rimasi sconvolta ed impietrita, non tanto per la scena ma piuttosto perché il ragazzo incriminato assomigliava a qualcuno di ben conosciuto.
Continuavo a ripetermi che non era possibile, che se fosse stato lui l'avrei saputo in qualche modo invece, quando si girò dalla mia parte con gli occhi sgranati e lucidi, dovetti ricredermi.
Gaia impallidì visibilmente mentre io mi atteggiai da offesa e incrociai le braccia esigendo delle spiegazioni.
«Bucci» incominciò lui con voce roca e in evidente imbarazzo «chi si rivede»
Inarcai un sopracciglio e sbuffai «non cambiare argomento con me» ribattei dura e gridando per farmi sentire dalla musica a palla, era tutto un controsenso unico.
«Te lo avrei detto» intervenne invece Gaia «ma è la tua serata, la tua occasione»
Feci per domandare di che diavolo stesse parlando e soprattutto di quale occasione quando il mio sguardo cadde proprio su di lui. 
Smisi di respirare per troppo tempo.
Non lo vedevo solo da tre giorni ma sembrava fosse passata un'eternità dall'ultima volta in cui avevo incontrato i suoi occhi blu cielo.
Era sempre bello, perfettino e con i capelli scompigliati.
L'unica pecca era una canottiera troppo larga che non lasciava nulla da immaginare.
Sorrisi inconsapevolmente sperando che si girasse dalla mia parte, il mio sguardo fisso avrebbe dovuto svegliarlo dal suo drink alcolico.
La mia espressione però mutò dopo poco, quando vidi delle braccia abbracciarlo da dietro, la solita ragazza che gli si appolipava addosso.
Pensavo che se la scrollasse di dosso o che almeno protestasse.
Invece, con mio disappunto non si mosse di una virgola, anzi, si girò per sorriderle, anche se in modo scazzato e annoiato.
Aguzzai la vista e osservai meglio la ragazza: capelli lunghi scuri e abito dorato striminzito e cortissimo.
Si girò appena per darsi qualche aria e scuotere la sua folta chioma in mezzo a fumo e quant'altro, e fu proprio in quegli istanti che capii che non era una ragazza casuale, non era una delle tante.
Abbassai lo sguardo di colpo e mi coprii gli occhi: non volevo vedere, qualunque cosa ci fosse da guardare.
«Gaia» iniziai seria e tremando dalla testa ai piedi «perché mi hai fatto venire qui?»
Ci fu qualche minuto di silenzio e poi lei parlò sovrastando la musica «volevo aiutarti a ritrovarti con il tuo bad boy, e anche se ora sembra impegnato con quella..»
«Samantha» la interruppe Chris saccente.
Quel nome destò in me brutti ricordi e brutti momenti da eliminare dal mio cervello.
«Comunque, a lui non interessa, non la sta cagando di striscio» concluse, per poi fulminare con lo sguardo il riccio di fianco a lei.
«Che ne sai, magari è una nuova tattica di conquista» dissi sarcastica e lanciando un'occhiata veloce si due.
Erano sempre nella stessa posizione di poco prima, ma lei cercava in modo evidente di saltargli addosso.
«Bucci, ti posso assicurare che non ha scopato con nessun'altra in questi giorni» berciò Chris, guardandomi serio, anche se il discorso era peggio di un scaricatore di porto.
Sbuffai e mi guardai le scarpe, non sapendo come agire.
«Vai da lui, fatti vedere» mi spronò la pazza davanti a me.
«No» ringhiai decisa, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Bucci» iniziò l'altro, sfregandosi le mani «o ci vai tu da lui o ci va qualcun'altra»
Dentro di me si stava svolgendo una lotta interna capitanata dal cuore che diceva «sì, corri da lui, che stai aspettando?» e la ragione, seduta su un banco di tribunale con le braccia incrociate che gridava a gran voce un grosso e deciso «no, tu non ti muovi»
C'era così tanto fracasso intorno che mi faceva male la testa.
Avevo bisogno di aria pura, ossigeno e basta, senza altre sfumature calcerogene.
Mi alzai di scatto, cercai di allungarmi il vestito sulle gambe e traballante me ne andai fuori.
I due pazzi innamorati non mi fermarono, probabilmente pensavano che sarei andata da lui, che ingenui.
Attraversai mezzo locale e spintonata da una parte all'altra finalmente riuscii ad uscire da quel postaccio.
Presi un lungo respiro e mi guardai intorno: buio, cielo stellato, qualche faro di macchina ogni tanto e luminarie accese.
Pensai alle case vicine e alle loro lamentele per il baccano fino a tarda notte.
Mi sedetti sui gradini al fianco dell'entrata, nascosti da un cespuglio verde da cui spuntavano delle rose bianche che quasi brillavano nella notte.
Non so quanto restai in quella posizione, immersa nel buio della notte e quasi con la pelle d'oca.
I miei pensieri vagavano su molti fronti e avevano come sottofondo la musica rimbombante del locale.
Non era il massimo della vita, ma c'era di peggio, come quei due ubriachi fradici che si strusciavano in mezzo alla strada, per poi finire contro il tronco di un albero, il tutto senza smettere di baciarsi.
Li osservai di nascosto e scossi la testa sorridendo a metà tra il divertito e la tristezza.
Quella scena mi ricordava troppo qualcuno che in quel momento non stava pensando affatto a me, ma alla tizia bruna davanti al suo naso.
Iniziarono a bruciarmi gli occhi, ma non potevo permettermi di piangere come una bambina abbandonata.
Mi sfregai forte le mani sotto gli occhi evitando di far marcire in due secondi il trucco che avevo addosso.
Sentii dei passi pesanti e altri di tacchi a spillo, mi immobilizzai, non tanto per il rumore ma piuttosto per la voce troppo conosciuta.
«Cazzo, la finisci di fare la cozza?» 
Deglutii e cercai di farmi ancora più piccola e trasparente per non farmi scoprire.
«Una volta ti piaceva così tanto invece» odiavo quel tipo di voce che voleva essere provocante ma che a me sembrava solo di una ragazzina viziata e permalosa.
«Hai detto bene, una volta, ora non più, quindi smettila» ripetè lui, e si posizionò proprio davanti al mio nascondiglio, appoggiandosi con la spalla al muro e accendendosi una sigaretta.
«E cosa sarebbe cambiato da allora?» domandò la bruna, con fare mieloso e offeso.
«Tante cose» sospirò lui, facendo arrivare il suo fumo fino a me.
Inspirai e chiusi gli occhi, immaginando di averlo davanti ai miei occhi.
«Anche il fatto che sarà tipo la decima sigaretta che ti fumi stasera?» 
«Questi sono cazzi miei, il cancro verrà a me, non a te»
«E tutto questo perché?» chiese, non sopportando forse di essere all'oscuro di questioni importanti.
«Perchè sto con una pazza psicopatica, ti soddisfa come risposta?» 
Strabuzzai gli occhi alla sue parole, mi aveva davvero chiamata in quel modo?
L'altra ridacchiò e dopo riprese a parlare «abbastanza, ma a quanto vedo quello non soddisfatto sei tu» ribattè, in tono altamente provocante e malizioso.
Strinsi i pugni per non saltarle addosso e soffocarla.
Come caspiterina si permetteva quella cosa di parlare in quel modo?
«Ti sbagli, più soddisfatto di me non c'è nessuno: tre birre, una vodka, otto sigarette e una ragazza impazzita che non vedo da più di tre giorni»
Smisi di respirare per il suo tono disperato e lamentoso.
«Ora si che si spiega tutto» disse in tono sensuale «perché non ti lasci andare un po' con me, come ai vecchi tempi?» 
Lui rise e buttò la sigaretta a terra «non credo che sarei in grado di soddisfarti come una volta, mi dispiace»
«Perché non provare?» tentò di nuovo lei.
«Se vuoi, io sono qui davanti a te ma qualcuno non sarà d'accordo là sotto» alzai leggermente la testa indignata e lo vidi ghignare rassegnato.
«Sicuramente mi riconoscerà» disse, quasi ormai con la mano sui pantaloni del MIO ragazzo.
Per Grazia Divina, lui le bloccò il braccio «dicevo sul serio» e io ripresi a respirare normalmente.
«Anche io» affermò l'altra, aggrottando la fronte.
«Intendo che non mi funziona con nessun'altra che non sia lei» il suo tono era quasi dispiaciuto, o forse trasmetteva solo accettazione.
«Uh, allora è proprio amore vero» schernì la mora, ridendo rumorosamente.
Storsi la bocca e per poco non mi alzai per strapparle tutti i capelli che si ritrovava.
«Non dire cazzate, è quello che è, ma solo per ora»
Per la seconda volta, smisi di respirare e il mio cuore saltò almeno trenta battiti in un secondo.
«Cioè non la ami?»
«Non intendevo quello, mi piace si, ma durerà non so fino a quanto. Ci sarà un momento in cui dovremo dividerci e tutto andrà perso, e quello che abbiamo costruito in due anni svanirà in un soffio»
«Due anni?»
«Sì, fino alla maturità, poi me ne andrò»
Ci fu qualche attimo di silenzio dove io mi sentii solo semplicemente morire dissanguata.
«Sei veramente uno stronzo, come pensi che reagirà lei in tutto questo?»
«Lei potrà decidere: stare qui e trovare una persona migliore di me, oppure seguirmi e farsi male per una vita intera»
«E se invece quello a farsi male sarai tu?» dissi, spuntando fuori dal mio nascondiglio con aria seria, sopracciglio inarcato e braccia incrociate al petto.




BOOM sono tornata.
Fatemi sapere che ne pensate, miraccomndo.
BaciBaci





Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Know your enemy. ***


SONO VIVA RAGA
Sono super mega imperdonabile, lo so, ma l'università mi sta uccidendo!
Devo ancora rispondere a mille recensioni, AIUTO.
Miraccomando fatemi sapere cosa ne pensate e.e

Vi ricordo il gruppo su Facebook “alicehorrorpanic's stories”
e sono anche su ask se volete, mi chiamo Giulia Alice Mortosien.




 
3
Know your enemy






«E se invece quello a farsi male sarai tu?» dissi, spuntando fuori dal mio nascondiglio con aria seria, sopracciglio inarcato e braccia incrociate al petto.

Calò il silenzio e tutto si svolse al rallentatore mentre i due si voltarono sorpresi verso di me.

La gatta morta col vestito dorato striminzito decise di buon grado di svignarsela in punta di piedi, o meglio, di tacchi, così mi potei concentrare sull'altro essere maschile.

«Quindi» feci una pausa, fissandolo negli occhi intensamente senza smettere di avvicinarmi a lui «sono vere quelle stronzate che hai detto? Che il nostro rapporto ora é così e poi svanirà nel nulla, come se non ci fosse mai stato niente?»

Lui non si mosse, il suo viso era inespressivo, senza emozioni, senza sentimenti.

Passarono lunghi secondi nei quali pensai seriamente di prenderlo a calci, solo per innestare una qualsiasi sua reazione.

Il suo silenzio mi stava innervosendo, così tirai un calcio a vuoto e alzai le mani in segno di resa, scuotendo la testa ormai rassegnata alla sua improvvisa mancanza di parole.

Stavo per girarmi e rientrare, per bere qualche bicchiere e svuotarmi il cervello da tutto quanto quando mister stronzo decise di lasciare la sua paralisi «ogni cosa ha una fine, e anche noi l'avremo, non credere alle tue illusioni del per sempre felici e contenti» virgolettò con le mani e fece una smorfia seccata, girando poi lo sguardo dall'altra parte.

«Senti signorino, se la pensi veramente così per quale strano motivo ti sei messo con me?» ribattei adirata e iniziando a gesticolare come una schizzata «per ridere di me?»

«Scema, no» rispose, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.

«Allora perché l'hai fatto?» gridai, tanto nessuno mi avrebbe sentita.

«Perchè mi andava» 
Boccheggiai e mi guardai intorno in cerca di un oggetto affilato da lanciargli contro «ti andava di metterti con me, così a caso allora» borbottai piena di rabbia e con gli occhi già pieni di lacrime.

«Senti, non capiresti comunque» sentenziò, senza provare minimamente a tirarmi su il morale, o almeno il cuore caduto a terra.

«Sei uno stronzo, non sono un oggetto che puoi prendere e poi lasciare quando cazzo ti pare, non sono come quella gatta morta di prima che non aspettava altro che saltarti addosso»

E lui rise.
Lo guardai seria e infuriata, e alla fine gli tirai un pugno sul petto «stronzo, stronzo, stronzo» seguito da altri, e continuai per non so quanto tempo a insultarlo, perché mi stava facendo sentire meglio sfogarmi su di lui come una matta.

«Dolcezza» provò a fermarmi per la prima volta, ma senza avere successo, continuavo a tartassarlo di pugni, ormai ero fuori controllo.
«Alice, cazzo» imprecò e mi afferrò i polsi per bloccarmi.

Lo guardai negli occhi aggrottando la fronte minacciosa, cercando di liberarmi dalla sua presa.
«Fermati» ringhiò.
«Stronzo» ripetei per la millesima volta, senza smettere di fissarlo.

Alzò la testa verso il cielo e sbuffò, per poi tornare a guardarmi serio «non l'ho fatto perché mi andava di farlo ma perché volevo davvero mettermi con te» 

Persi il respiro mentre parlava ma continuai a scrutarlo seria «allora perché mi vuoi lasciare?» chiesi con la voce mozzata.

Lui si irrigidì e mi lasciò i polsi, passandosi poi una mano fra i capelli già molto scompigliati.

Era evidente che non voleva rispondermi, era già la terza volta che evitava quella domanda ma io esigevo una risposta, ora e subito.

«Nicolò Rizzo sto aspettando la tua risposta» 
Alzò gli occhi al cielo e si guardò intorno, come se qualcuno lo stesse spiando «non ti voglio lasciare» disse infine in un sospiro, facendo respirare di nuovo anche me.

«Allora per quale cazzo di motivo hai detto quelle cose prima?» 
«Quello che ho detto lo penso davvero, tutto finisce»

«Ma noi possiamo durare, possiamo andare avanti insieme, non tutto finisce» 
«Ad esempio, cosa non finisce?» schernì, inarcando un sopracciglio «pure quello che pensi sia eterno smette di esserlo, da un giorno all'altro»

«Non ti chiedo l'eternità» mormorai con voce fioca «ma neanche di mollarmi basandoti su una prospettiva senza senso, che vita sarebbe senza combattere per ciò che si vuole?»

«Alice» disse, prendendosi la testa fra le mani «non capisci»
«Allora aiutami a capire, io voglio stare con te finchè non ne avremo, nausea uno dell'altro» 

Sbuffò e si allontanò da me, poggiandosi alla parete esterna del locale.

Non sapevo più che dire e pensare, ma ero quasi sicura che avesse qualcosa in mente, non poteva uscirsene con quei discorsi così all'improvviso.

«Tu non ti stuferai mai di me?» domandò, senza rivolgermi lo sguardo e infilando le mani in tasca.

Lo guardai in cerca di una risposta: i suoi occhi blu li amavo, erano pieni di emozioni, la sua risata, la sua bocca, i suoi abbracci, erano il paradiso.

Non potevo permettere a me stessa di cambiare il posto dove stavo meglio in assoluto.

«No, mai» risposi sicura, incrociando le braccia.

«Sono un casino, sai?» ridacchiò scuotendo il capo «non sono il classico principe azzurro che salva la sua principessa dal cattivo, perché io sono il cattivo che vuole rubare la principessa a quel finocchio, capisci?» si voltò verso di me, alzando un angolo della bocca.

Mi avvicinai lentamente a lui alzando le spalle «a me sono sempre piaciuti i cattivi, li ho sempre trovati molto affascinanti» 

Lui inarcò un sopracciglio accennando un sorriso «allora lo ammetti che sono affascinante»
«Non ho mai detto il contrario» dissi, ormai davanti a lui.

«Ma ora mi stai odiando» 
«Vorrei, ma non ci riesco proprio»
«Che cattiva ragazza» ridacchiò, mordendosi il labbro inferiore.
«Ho imparato dal migliore, no?» ribattei inarcando un sopracciglio. 

Chiusi gli occhi di scatto quando una luce accecante mi colpì d'improvviso, a causa dell'apertura della porta del locale.

Neanche il tempo di un respiro o di un lamento che sentii le sue labbra desiderose sulle mie.

Mi strinse i fianchi con forza e mi fece indietreggiare, senza smettere di baciarmi, fino a quando incontrai un ostacolo, che probabilmente era una macchina parcheggiata, o qualcosa del genere.

Continuò a baciarmi e a far vagare le sue mani sul mio corpo, fino ad allacciare le mie gambe intorno si suoi fianchi.

Gli misi le mani al collo, sui capelli e poi sul suo petto, sollevando anche la sua canottiera striminzita.

Nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi, ma sentii un gruppo di ubriachi ridere sguaiatamente e borbottare qualcosa di incomprensibile.

Si staccò da me, restando sempre vicinissimo e si leccò le labbra «neanche io mi stuferò mai di te, sei la mia cattiva ragazza»

Sentii degli applausi e degli urletti di sottofondo, ma non ci feci molto caso poiché il mio cervello, insieme al cuore, stava rielaborando le sue ultime parole: «neanche io mi stuferò mai di te, sei la mia cattiva ragazza» 

Ero come una qualsiasi macchina messa in stand-by, inceppata, a cui serviva una nuova carica per ripartire e prendere conoscenza.

«Bro, finalmente, ero stufo di vederti depresso» 

«Sta zitto idiota»

«Brava bionda» a questa affermazione seguì una pacca forte sulla mia spalla e ritornai sulla terra, con la faccia di Gaia sorridente davanti agli occhi. 

Aggrottai la fronte e scossi la testa rimbambita più che mai.
Nessuno fece caso al mio strano comportamento a parte la mora che continuava a guardarmi su di giri e annuendo soddisfatta. 

«C'è da festeggiare» strillò Chris in preda a qualche crisi alcolica, ero troppo felice e pazzo per essere sobrio.

Accennai una risatina e sentii un braccio sulla mia spalla «come vuoi festeggiare?» mi chiese malizioso lo stronzo-ragazzo affascinante, accentuando la domanda con un ghigno che non prometteva nulla di buono.

Alzai le spalle e mi voltai a guardare Gaia che osservava la scena sorridendo furbescamente «e se andassimo un giorno al mare?»

Il riccio schioccò la lingua e alzò un braccio al cielo urlando «tutti al mareee» ma la sua pazzia fu frenata sul nascere da una pacca sul collo neanche tanto debole da parte di Nico «cazzo urli idiota»

Mi morsi un labbro per non ridere e mi guardai in giro per verificare che nessuno avesse assistito alla scena imbarazzante.
Zero pubblico, per fortuna.

«Allora, che ne dite?» continuò la mora, lanciando occhiate ammonitrici a Chris e scuotendo la testa divertita allo stesso tempo.

«Per me va bene» annuii felice osservando Chris ora seduto a terra che ci guardava dal basso sorridendo come un ebete.

«Ma che c'ha?» chiese preoccupato e sarcastico il mio ragazzo, abbassandosi per dargli un'altra pacca leggera sulla testa. 

«Credo si sia fumato qualcosa prima e sta facendo effetto solo ora» spiegò Gaia, sempre più divertita.

Non avevo mai visto Chris in quello stato in tutti gli anni passati a scuola, probabilmente era un episodio da incorniciare in qualche modo.

«La finisci di picchiarmi?» disse lui rivolto al suo amico che iniziò a ridere a crepapelle per l'espressione imbronciata dell'altro. 

«Andiamo a casa riccioli d'oro» lo canzonò Gaia, sorridendo sotto i baffi seguita anche da me.

«Ma non sono biondo» protestò lui, incrociando le braccia al petto.

«Vuol dire che te li tingerò» sbuffò lei guardandomi in cerca di un aiuto.

«Dai rompicoglioni, alzati» berciò il suo caro amico, cercando di tirarlo su di peso.

«Non hai muscoli bro» lo beffeggiò l'altro.
«Presto mi iscriverò in palestra, non temere, per te questo e altro» ribattè, riuscendo finalmente a rimetterlo in piedi anche se in equilibrio precario. 

«Uomini» mormorò Gaia al mio orecchio.

«Ma ti piace questo uomo» strascicò il riccio girandosi a guardarla, aggrappato a un braccio dell'amico «e anche tanto direi» ammiccò malizioso squadrandola dalla testa ai piedi e ricevendo una pacca sul braccio dalla mia amica.

«Siete violenti voi due» indicò gli altri e poi mi sorrise «e tu Bucci, non mi vuoi picchiare anche tu?»

«Per ora no, ma picchierò la tua ragazza» chiesi interrogativa «che mi ha nascosto la vostra storia segreta» le puntai un dito contro scherzosa e lei alzò le mani in segno di resa «chiedo venia»



**************



«Ho sonno» un lamento accompagnato da uno sbuffo seccato ruppe il silenzio quasi totale, a parte per il rumore delle rotaie e il chiacchiericcio sul vagone, proveniente dall'essere reduce da una nottata post-sbronza.

In effetti, non era stato molto produttivo e ragionevole buttarlo giù dal letto alle sette di mattina per arrivare a salire sul treno delle nove.

Ancora mi domandavo come aveva fatto, probabilmente Gaia l'aveva tempestato di chiamate, conoscendola, o era andata direttamente a casa sua per massacrarlo di botte e aspirine per fargli avere un aspetto almeno presentabile e da umano.

«Manca poco brontolone» ribattè la mora alzando gli occhi al cielo e rifilando la rivista Cosmopolitan nella borsa a tracolla nera.

Sorrisi e mi girai verso destra dove il mio sguardo fu catturato da una chioma scura e da degli occhi blu luminosi.

Accennai una risata imbarazzata per l'intensità del suo sguardo e scossi la testa, pensando al casino della sera prima.

Tutto era finito o quasi, nel migliore dei modi, a parte il discorso del per sempre felici e contenti che era stato prettamente abolito.

Sbuffai e allungai lo sguardo per ammirare il mare baciato dai raggi del sole, le palme alte e verdi, le case colorate in modo quasi troppo allegro, ma che trasmettevano felicità anche all'essere più depresso sulla terra.

Sentii qualcosa sfiorarmi la mano, aggrottai la fronte e abbassai lo sguardo, notando due mani aggrovigliate: la mia e la sua.

«Dimmi che la casa ha un letto grande» borbottò Chris sempre con l'aria assonnata di due ore prima.

«Ce ne sono due e sono matrimoniali, quindi si» spiegò Gaia annuendo «ma non lo vedrai neanche, siamo venuti per andare al mare» continuò con tono autorevole e guardando di sbieco il riccio, che alzò a sua volta lo sguardo e appoggiò la testa sul sedile. 

«Ti è andata male bro» lo schernì Nico, infierendo ancora di più sul suo mal di vivere dopo la notte scorsa.

«Dai pecoroni, dobbiamo scendere alla prossima» berciò lei dopo aver ascoltato con fatica la voce dell'autoparlante che annunciava la prossima fermata.

Afferrai la borsa e mi alzai, cercando di rimanere in equilibrio e non volteggiare a destra e a sinistra.

Delle mani si posarono strette sui miei fianchi e mi spinsero più avanti, fino alla porta d'uscita.

Il treno si fermò con un fischio e scendemmo in massa quei gradini alti e malefici, finendo tra i vacanzieri con cappelli di paglia e camicie a fiori.

Storsi il naso e seguii Gaia che sembrava essere il capo di una comitiva con le mani alzate per farsi vedere, le mancava la bandierina rossa e avrebbe potuto condurre un esercito intero.

Assaporai la ancora lieve aria di mare e respirai a fondo quell'aroma, amavo quella sensazione.

«Drogata» mi canzonò il mio ragazzo guardandomi perplesso per l'espressione del mio viso «muoviti o ci perdiamo» ridacchiò e mi prese per mano, raggiungendo una pazza che correva e uno che si trascinava a fatica.

Sorrisi divertita e mi affrettai anche io dietro di loro attraverso varie stradine piene zeppe di negozietti, ristoranti e gelaterie. 

Dopo circa dieci minuti arrivammo davanti a un portone di legno vecchio e rovinato, ma a parte ciò l'esterno perfettamente bianco prometteva più che bene. 

Tre scalini e cinque rampe di scale dopo, nonostante il calpestare un tappeto rosso fuoco degno delle star di Hollywood, ero stanca morta e potevo sposarmi subito con Chris che stava sbuffando e imprecando già dal primo gradino.

Finalmente dopo la scalata del secolo arrivammo a una porta bianca lucida, Gaia si girò sorridente e con un ghigno strano stampato in viso e inforcò la chiave per entrare nella reggia della regina.

Era tutto al buio ma appena la luce iniziò a traspirare dalle tapparelle alzate, un bianco accecante mi colpì negli occhi.

Basta bianco, in futuro avrei preso una casa tutta nera, dark totale.

Il corridoio lungo portava a sinistra verso le due camere da letto, grandissime e ben accessoriate con matrimoniale, divanetto, scrivania e armadio a tre ante, a destra invece c'era la cucina, piccola ma con tutto il necessario.

In fondo, il bagno mi trasmetteva un'aria strana, mi affacciai e mi luccicarono gli occhi, mi sarei messa a saltare da lì a poco.

«Bucci» il riccio mi squadrò da capo a piedi per assicurarsi che non avessi qualche verme che mi correva su per il corpo «cazzo c'hai, sembri pazza»

«Meraviglia, che hai visto che ti eccita più di me?» chiese l'altro con un ghigno malizioso e scrollando la testa per scompigliarsi ancora di più i capelli.

Gaia mi arrivò alle spalle e mi sorrise complice «sapevo che avresti apprezzato bionda»

«Avete rotto con sti segreti» berciò Chris avvicinandosi e bloccandosi poco dopo, con aria sconvolta «stai scherzando vero?» chiese speranzoso, mentre io e la mora gli scoppiammo a ridere in faccia.

Nico aggrottò la fronte non capendo lo scambio di battute senza logica, così ci raggiunse e poi guardò comprensivo l'amico negando con la testa «non ci entrerò mai» affermò sicuro.

«Che sarà mai, quanto la fare lunga» sospirò la mora, divertita più che mai.

«Come cazzo faccio ad entrare in un bagno completamente rosa?» strillò indignato il riccio «non mi esce neanche se lo prego in ginocchio»





«Riccioli d'oro vuoi uscire dal bagno?» Gaia era esasperata, dava colpetti insistenti sulla porta, come se la persona dall'altra parte fosse in grave pericolo o avesse fatto la fine di 'giù per il tubo'.

Mi avvicinai a lei incrociando le braccia e fissando la porta chiusa come se un mentale 'apriti sesamo' e un 'alhomora' facessero schioccare la serratura: erano più di dieci minuti che Chris era in bagno e non ne era ancora uscito, stavamo aspettando solo lui per scendere finalmente in spiaggia e festeggiare la vacanza.

«Ti ho già detto che non mi si alza» berciò il rinchiuso, con voce seccata e sofferente «e poi, riccioli d'oro a chi?» la sua voce arrivò attutita ma si poteva capire benissimo la sua confusione e l'evidente dimenticanza causata dalla sbronza.

«A te pezzo di idiota, muoviti ad uscire» strillò l'altra, continuando a dare pugni alla porta che si aprì di scatto, facendo comparire un Chris seccato e perplesso, quando si ritrovò un colpo di Gaia sul petto.

Mi trattenni dal ridere vedendo le loro facce sorprese «vuoi picchiarmi tesoro?» ironizzò il riccio, afferrando con delicatezza il suo polso e allontanandolo da sè.

Lei non accennò a una reazione, era come imbambolata su di lui, come se fosse in trance.

Scoppiai a ridere poco carinamente, facendo rinsavire Gaia dal suo momentaneo svenimento.

«Allora pelandroni vi muovete?» Niccolò ricomparve nel corridoio e ci chiamò infastidito dall'attesa, sbuffando e incrociando le braccia al petto.

Tutto era pronto e finalmente dopo un'eternità uscimmo dall'abitazione, attraversando di nuovo le scale infinite e malefiche, mentre Gaia e Chris si scambiavano battute come due bambini. 

Spostai lo sguardo sul ragazzo appena davanti a me e l'unico pensiero che riuscii a formulare era che fosse davvero bellissimo. 

Aveva caricato sulla spalla un borsone arancione e ci guardava sorridente dai suoi occhiali da sole, rispondendo con l'occhiolino alla mia espressione ebete.

La stradina che ci avrebbe condotto alla playa era sterrata, sabbia colore del sole, e palme tutte intorno a creare ombra e un minimo di refrigerio dai raggi scottanti.

«Perché noi siamo carichi come due muli e voi siete libere come farfalle?» berciò il riccio, girandosi a indicarci contrariato, sottolineando l'ombrellone in mano e lo zaino sulle spalle.

Gaia alzò gli occhi al cielo e lo guardò diabolica «perché voi siete gli uomini» asserì soddisfatta e guardandomi divertita.

Lui sbuffò e borbottò qualcosa di incomprensibile prima di girarsi e continuare l'avanzata verso la spiaggia.

La mora mi circondò con il braccio le spalle, facendomi ondeggiare da una parte all'altra a ritmo della canzone che stava intonando.

«Marco se n'è andato e non ritorna più»

«Il preservativo è vuoto, Marco è dentro me 
È dolce il tuo respiro sulla bocca mia» continuò Chris, facendo sbuffare rumorosamente la mia amica e ridere il suo compare.

«Cose enormi sembrano dividerci» ironizzò il moro di fianco a lui, provocando il disappunto di noi donne.

«Il cuore batte forte dentro me» conclusi, evitando altri spargimenti di doppi sensi, e mettendomi una mano sul cuore sbattendo gli occhi verso il cielo.

Scoppiammo a ridere come quattro matti proprio quando arrivammo davanti al baretto affollato di vacanzieri con davanti caffè e brioche.

Azzererai il mio istinto di fame davanti a quelle visioni e seguii gli altri per cercare un posto dove piazzare l'ombrellone e goderci questo giorno di mare e divertimento.

Trovammo un pezzetto di spiaggia libera e gli uomini buttarono le cose sulla sabbia, mentre noi donne iniziammo a spalmarci la crema.

Due minuti che non avevamo il controllo e la situazione stava degenerando: Chris iniziò ad andare avanti e indietro a chiedere secchieli e palette ai bambini mentre Niccolò lo guardava scuotendo la testa e facendo finta di non conoscerlo. 

Dopo vari tentativi falliti tornò con un bambino sulle spalle che reggeva due palette e due secchielli rossi.
Era paffuto e dai lineamenti familiari. 

«Lui è Batman» annunciò il riccio vittorioso «e mi aiuterà a fare dei castelli di sabbia vero piccolo?»

Il bambino annuì entusiasta e insieme iniziarono a riempire i secchielli di sabbia bagnata.

Scossi la testa, sorridendo e guardandomi intorno: pessimi costruttori crescono.

Guardai verso Gaia che aveva gli occhi luccidi e un sorriso sulle labbra. 

Le diedi una gomitata per riportarla sulla terra e via dalla sua nuvoletta rosa piena di cuoricini che potevo vedere incastrata tra i suoi capelli.

«Ehy!» disse lei, scuotendo la testa e tornando a sorridere sognante «sarebbe un papà perfetto»

«Insomma, ti pare il caso?» strillò Niccolò, interrompendo il nostro idillio, allargando le braccia e inarcando le sopracciglia, e osservando Chris che si inzuppava di sabbia come un bambino di quattro anni.

«Mi è sempre piaciuto fare i castelli» ribattè l'altro, concentrato insieme al suo aiutante a riprodurre la maestosa residenza della regina Elisabetta.

«Bro, hai diciotto anni» affermò, scuotendo la testa «non ti vergogni?»

«Eh tu coso moscio! Non ti vergogni te che sei più depilato di tutte le ragazze su questa spiaggia!»

Mi girai di scatto verso quella voce che d'un tratto mi apparve troppo familiare, più acuta ma già sentita.

«Senti pel di carota, che cazzo..»

«Lelly, sei davvero tu?» il rosso si girò dalla mia parte e rimasi al contempo sorpresa e scombussolata dalla sua immagine.

«Si, Lelly Kelly le mie scarpine» imprecò seccato il moro, offeso.




***




«Aveva l'apparecchio»
«Sì»
«Ed era grasso»
«Sì»
«E anche brutto»

Alzai gli occhi al cielo e guardai Gaia di traverso «la vuoi smettere di ripetere quello che ti ho detto dieci minuti fa?» 

«Scusa bionda ma sto cercando di capire la sua evoluzione da bambinone sfigato a bell'imbusto» asserì pensierosa, continuando a osservare il ragazzo incriminato come farebbe un investigatore vecchio ed esperto «è matematicamente impossibile»

«E invece ti dico di si, non stiamo sognando e non siamo dentro a un film americano» ribattei piccata, perdendomi a guardare il gruppo di ragazzi intenti a costruire il castello di sabbia più strano e cadente che abbia mai visto.

«Lelly» storsi la bocca a sentire quel nomignolo e alzai lo sguardo, incontrando due occhi scuri «ti da fastidio se ti chiamo così?» chiese cauto, notando la mia espressione seccata.

«No, figurati» risposi educata, incontrando per un attimo uno sguardo chiaro e curioso. 

«Quanto restate qui?» chiese, alzando le braccia, come per stirarsi, che misero in risalto le braccia appena muscolose e gli addominali scolpiti.

Dopo qualche secondo ricevetti una gomitata da Gaia, probabilmente era passato troppo tempo e avrei già dovuto rispondere da almeno mezzo secolo.

Deglutii e sorrisi a disagio «stasera torniamo, abbiamo fatto solo una fuga oggi»

La sua espressione si rabbuiò di botto «state così poco» si interruppe pensieroso mentre cercavo di riprendermi con respiri profondi, con le risate trattenute di Gaia in sottofondo «venite da me per pranzo, così io e te possiamo recuperare questi anni perduti»

La sua era sicuramente una proposta normale, da amici, ma mi ingozzai comunque come una cretina.

Arrossii per mancanza d'aria e lui ridacchiò, facendomi un cenno con la mano e tornando dagli altri in riva al mare.

«Bionda non mi morire» mi prese in giro Gaia, che mi stava guardando divertita «contieniti»

Alzai gli occhi al cielo e il sole che prima cercava di farmi sembrare meno un vampiro si oscurò «che voleva quella carota da te?» il tono con cui aveva parlato e l'espressione che aveva in faccia non promettevano nulla di buono.

«Mangiarla» rispose al mio posto la vipera di fianco a me.

La fulminai con lo sguardo e tornai a guardare in alto dove trovai uno sguardo minaccioso e la mascella contratta «niente, solo che ci invita a mangiare da lui» 

«Che carino» ribattè ironicamente, voltandosi a guardarlo mentre aiutava il fratello con secchiello e paletta.

«Almeno risparmiamo i soldi dai» si intromise il riccio più ragionevolmente e meno sul punto di guerra.

«Ei architetto, non siamo così poveri» lo provocò la nemica amica che stava seduta a prendere il sole al mio fianco, mostrando un'espressione seccata per quelle due ombre che ci erano capitate davanti. 

«Ma devo risparmiare per la nostra casa Gaietta» 
Esattamente come me qualche minuto prima, la mora si ingozzò e rischiò di morire sulla spiaggia per eccessiva velocità dei battiti cardiaci.

«Ti sei emozionata tesoro?» ridacchiò lui, ghignando e sorridendo come un ebete.

«Tu sei ancora ubriaco» 
«Lo sono ogni giorno, ma di te»

Sarei morta al posto di Gaia anche se lei non sembrava messa tanto meglio, era diventata pallida e respirava a fatica, segno che sarebbe svenuta per la troppa emotività.

«Non fatelo in spiaggia davanti a me» ovviamente Niccolò doveva interrompere quel momento così tremendamente romantico con una frase così tremendamente inadatta.

Lo guardai malissimo ma lui, senza spiegazioni, mi afferrò per un polso e appena alzata, mi prese in braccio senza nessuno sforzo e senza preoccuparsi degli sguardi degli altri bagnanti.

Sarei morta di vergogna, perché quel cretino voleva buttarmi in acqua e farmi affogare sicuramente, o fare qualcosa di altamente stupido.

Cercai di fermarlo, dandogli colpetti sul petto, graffiandolo e iniziando a parlare come uno spirito posseduto dal diavolo. 

Nulla si reputò abbastanza per fermarlo, continuò la sua avanzata verso quel mare trasparente e arrivato poco più distante dalla riva mi strinse più forte a sè «non farti mangiare dalla carota» 

Inarcai le sopracciglia interrogativa ma non feci in tempo a formulare nessuna risposta e men che meno un pensiero di due sillabe che mi ritrovai sott'acqua, da sola e senza più braccia sicure a cui aggrapparmi.

*** 

Per l'ora di pranzo per fortuna ero ritornata in me, ad eccezione dei capelli ancora umidi e disordinati.

Iniziammo a raccogliere le nostre cose, ombrellone e borse varie e colorate, prima di essere chiamati.

«Dov'è la casa della carota?» domandò Niccolò, che ancora non aveva smaltito l'arrabbiatura per motivi non identificati.

«Ha un nome» ringhiai infastidita e guardandolo di sottecchi.

La sua espressione non variò di una virgola «e sarebbe?»
«Andrea» 
«Il nome gli si addice» commentò, guardando torvo nella direzione da cui stava arrivando il mio amici perduto e ritrovato.

«Ei Lelly» corse verso di me mettendomi poi un braccio sulla spalla e rivolgendosi agli altri «casa mia è appena fuori dalla spiaggia, seguitemi» sembrava più una guida turistica che altro, ridacchiai e feci lo sbaglio più grande della mia vita: avevo due occhi blu addosso che sembravano voler incenerire il ragazzo che mi stava quasi abbracciando, deglutii in imbarazzo e cercai di districarmi.

Il suo sguardo si fece meno fulminante e io tornai a respirare.
«Muoviamoci che ho fame» esultò Chris, gasato per poter mettere finalmente qualcosa nella pancia.

«Allora Lelly, che fine avevi fatto?» mi chiese Andre, standomi vicino come una guardia del corpo.
Che ansia di situazione.

«Nessuna» risposi, cercando di restare indifferente «e tu?»
«Ma se sei sparita e non ti ho più sentita» si lamentò facendo espressioni degne di un attore.

Sorrisi a disagio e gettai uno sguardo dietro di me: Gaia sorrideva felice e appena mi vide mi fece l'occhiolino, Chris era tranquillamente appiccicato alla sua ragazza e il cretino semi geloso stava fissando una ragazza che gli era passata di fianco. 

La scrutai a mia volta e trovai che fosse perfetta: curve al punto giusto, alta, capelli scuri, occhi magnetici e soprattutto non si ritrovava una retromarcia al posto del seno.

Arrivammo velocemente a casa di Andrea, era la solita, quella in cui ci divertivamo da bambini a guardare i film e fare stupidi puzzle. 

Non avevo idea del perché ma mi vennero le lacrime agli occhi, era tutto come mi ricordavo, quella casa e le sue pareti sembravano immutabili nel tempo.

«Potete fare la doccia, ho quattro bagni, nel frattempo ordino le pizze?» chiese gentilmente sorridendoci.

«Che ci devi fare con quattro bagni?» domandò Chris inarcando le sopracciglia e facendo ridacchiare Andrea «forse lo scoprirai» rispose semplicemente, lasciandoci con un dilemma esistenziale irrisolto nell'aria.

«Questo é peggio di noi» commentò il riccio «ma in meglio» aggiunse, dando una gomitata all'amico.

Niccolò fece una smorfia e poi silenzioso, iniziò a salire le scale.

«Bellina la casa» asserì Gaia guardandosi in giro e fermandosi su una fotografia appesa. 

Seguii il suo sguardo e sbiancai: io e Andrea abbracciati sulla spiaggia, in costume, almeno dodici mila anni prima.

«Sembrate due piccioncini» ridacchiò Chris, scrutando ogni minimo dettaglio di quell'immagine «ei bro, hai visto?» si girò verso la fine del corridoio trovando un Niccolò annoiato e indifferente.

Alzai un sopracciglio perplessa ma lui mi ignorò, girandosi dall'altra parte «vado a farmi una doccia» poi i suoi occhi chiari incontrarono per un secondo i miei prima di concentrarsi sulla rampa di scale «chi vuole venire con me lo dica ora o taccia per sempre» la sua voce non era per niente divertita o maliziosa come era di solito, sembrava quasi che non gli importasse davvero se avessi risposto o meno.

Non sapevo come comportarmi, un momento prima sembrava il bambino più felice sulla terra e l'attimo dopo sembrava fosse appena tornato dall'oltretomba.

***

La tavola era perfettamente apparecchiata, con quattro pizze che ci attendevano fumanti.

«Lelly» mi richiamò, cominciavo a farci l'abitudine «questo era il tuo posto» sorrise raggiante e mi spostò la sedia per farmi accomodare.

Arrossii e cercai di riprendermi, ma la faccenda risultò assai ardua visto che lui si sedette al mio fianco.

Cercai con gli occhi Gaia e lei arrivò in mio soccorso, trafelata e ancora con i capelli bagnati.

Si sedette al mio fianco e cercò di capire la situazione, facendo ballare gli occhi da una parte all'altra. 

«I tuoi genitori e tuo fratello?» domandai, cercando di restare in un territorio neutrale.

«Sono rimasti in spiaggia, non volevano essere di intralcio» sorrise e non accennò a smettere di guardarmi.

Deglutii a disagio e guardai la pizza davanti a me «se aspettiamo ancora un po' diventa fredda»

«Appunto, mangiamo che ho fame» strillò Chris, facendo la sua entrata trionfale in cucina seguito dal suo compare, con addosso praticamente una maglia bagnata che non serviva affatto alla sua funzione di copertura.

«Ho visto che hai delle medaglie appese in giro» incominciò il riccio, dopo aver azzannato il primo pezzo di pizza.

Andre annuì «sì, le ho vinte giocando a calcio, mi hanno premiato come migliore attaccante» rispose fiero, voltandosi a darmi un'occhiata.

Sorrisi avvampando e tornai a concentrarmi sul piatto.
«Anche a lui hanno premiato» ridacchiò rivolgendosi verso Niccolò «ma come peggiore difensore»

Lui lo fulminò con lo sguardo e guardò davanti a sè con espressione seria «preferisco fare altro, difendere ciò che è mio»

Mi ingozzai e cercai di mascherare la mia prematura morte, tossendo quasi silenziosamente.
Impresa pressoché impossibile.

«Ad esempio?» incalzò Andre, curioso.

Il moro alzò la testa per scrutarlo e si soffermò sulla mia canotta, alzando poi un angolo della bocca «un bel paio di tette» mi schernì ancora «anche se qui qualcuno è piatta» 
Arrossii e mi venne voglia di sgozzarlo.

«Io preferisco un bel carattere piuttosto che due tette grandi» 
Per fortuna esisteva ancora un ragazzo con un cervello sano e non contaminato da neuroni inesistenti e malati.

«Cambiate discorso, per favore, mi state facendo fare filmini porno» disse Chris con voce roca facendoci sorridere tutti, tranne uno.

«Ho dimenticato il telefono di sopra» e così mister sarcasmo scomparì dalla mia visuale.

Presi un grande respiro e tornai a gustare la mia pizza con patatine fritte.
Era la mia preferita da quando ero bambina, i miei gusti non erano cambiati di una virgola.
«Ti piace ancora così tanto eh?» sorrisi alla sua domanda e annuii «da morire» 

Senza pensarci mi misi in bocca una patatina come se fosse una sigaretta e Andre mi guardò con uno sguardo luminoso «ti ricordi ancora?»

Aggrottai la fronte e lo vidi avvicinarsi e, prima che potessi reagire in qualche modo mi trovai le sue labbra sulle mie, ma con solo metà patatina in bocca. 

Sbiancai e arrossii allo stesso tempo, ma calò un silenzio tombale, anche se dei passi risuonarono nel corridoio che dava sulla cucina. 

Gaia mi pizzicò un fianco e mi girai verso di lei ancora stordita «che cavolo è successo?» mi chiese, ma io ero immobile ed incapace di dare segni di vita «hai..provato qualcosa?»

Aprii la bocca per rispondere ma Niccolò comparve sulla porta livido in volto e con un'espressione serissima «non ha importanza» ringhiò, come se stesse rispondendo a Gaia «tanto non mi importa» berciò e scomparve di nuovo senza lasciare alcuna traccia di sè.






Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Take back. ***


4

Take back





[NICCOLÒ POV]

Mi morsi forte un labbro prima di rendermi conto che ciò che avevo visto era tremendamente vero.

Nessuna allucinazione mi aveva colpito in testa, non avevo visto male.

Quella carota aveva baciato la mia ragazza come se niente fosse, davanti a tutti e davanti a me.

Alice sembrava in trance, incapace di agire in qualche modo e non ero arrabbiato da questa cosa, ma deluso.

Mi faceva anche innervosire, sembrava così ingenua da non accorgersi che faceva colpo su tutti, anche sulle teste di carota.

L'avrei fatto a pezzettini e buttato in mare, nessuno si sarebbe fatto nulla a parte il diretto interessato.

«Non ha importanza» dissi gelido, con la mano che tremava dal nervoso «tanto non mi importa» aggiunsi, cercando di calmarmi e non fare una strage picchiando violentemente un pugno contro il muro e magari, spaccando quell'orribile foto. 

Feci retromarcia e percorsi velocemente il lungo corridoio di quella casa sconosciuta e aprii una porta a caso, finendo nel retro, sul giardino pieno di rose e altre migliaia di fiori.
Che cosa romantica, avrei dato fuoco a tutto.

Schioccai la lingua e mi sfregai le mani una contro l'altra, spostai il peso da una gamba all'altra per smorzare la tensione e cercai in tasca l'unica soluzione a portata di mano.

Le svuotai con frenesia fino a quando non mi venne in mano il pacchetto di Camel.

Storsi il naso seccato, odiavo quelle sigarette, avevano un sapore schifoso che rimaneva in bocca fino al giorno dopo.

Sbuffai rassegnato e incapace di fare altro, così afferrai l'accendino e mi accessi quella sigaretta, la prima di una lunga serie.

Feci una ventina di tiri se non di più prima di calmarmi e non ritornare indietro ad ammazzarlo, in compenso però sentivo di avere una faccia di un pazzo da manicomio.

Sembravamo due bambini, litigavamo per cose stupide, facevamo pace e poi arrivava il coglione di turno a rovinare di nuovo tutto. 

Era questo l'amore?
Amarsi e sbaciucchiarsi ovunque e poi perire le pene dell'inferno? 
A un passo dal paradiso ma sempre troppo lontani da entrarci?

Un po' era colpa mia, dei miei pensieri contorti che ricollegavo alla mia famiglia, e un po' perché non volevo deludere nessuno ma alla fine facevo più casini che altro.

Feci un ultimo tiro alla sigaretta che ormai stava scomparendo, ancora qualche minuto e me la sarei mangiata, tanto era l'omicidio che avevo in corpo.

Iniziai a tirare sassi immaginari coi piedi, cercando di calmarmi e preparare un discorso civile per la carota sgozzata. 

Ghignai e buttai sull'erba la sigaretta, prima di calpestarla per bene e creare un solco scuro su quel verde immacolato.

«Ei» una voce mi raggiunse, ma purtroppo era un timbro maschile, più o meno, visto che sembrava molto effemminata «che stai facendo qui?» mi domandò affiancandosi e guardando a terra.

Poi mi squadrò dalla testa ai piedi come se realmente avessi commesso qualche strano tipo di reato nel suo giardino, ma a parte bruciare tutte quelle rose non potevo fare altro purtroppo.

Inarcai un sopracciglio e abbassai la testa «volevo rubarti tutte queste fottute rose» ridacchiai e rialzai gli occhi per guardarlo. 

Forse sembravo pazzo, ma era proprio Alice la causa della mia pazzia, perché io, nonostante tutto sarei sempre stato profondamente e sinceramente pazzo di lei. 

Lui aggrottò la fronte non capendo il mio sarcasmo «e per chi?» 

Mi passai una mano fra i capelli, fingendo di prendere tempo «per la mia ragazza, ovvio» dissi allusivo.

Per chi se no? Per la fata turchina? Per Chris? Nah, a lui bastava la pizza. 

Mi guardò scettico e incrociò le braccia «un tipo come te ha una ragazza fissa?»
No ma uno come te perché ha avuto il dono della parola? 

«Perchè, che tipo sarei io?» chiesi indicandomi a mia volta, come se non sapessi di che pasta ero fatto.

La carota alzò le spalle, probabilmente ci aveva ripensato «sembri uno che vuole divertirsi senza impegno»

Tu sembri uno che vuole divertirsi senza cervello, pensai, trattenendomi ancora. 

«Non è così da un po'» risposi deciso e fissando intensamente una rosa rossa: era più bella delle altre, con sfumature strane quasi tendenti al fucsia, ed era grande come la mia mano.

«Comunque» iniziai, ritornando a guardarlo e mostrando un'espressione da squilibrato mentale, che al vedere la sua faccia funzionò alla perfezione «volevo darti dei consigli su Alice»

I suoi occhi si fecero guardinghi ma non mi sfuggì il suo sorriso brillante «ah si, e quali sarebbero questi consigli?»

Ridacchiai e inarcai un sopracciglio, guardandolo con superiorità «in realtà è solo uno, è semplice e facile da mettere in pratica» sorrisi alzando un angolo della bocca, mi sentivo tanto un profeta che veniva a illustrare la nuova strada per la felicità eterna «non toccarla»

La mia risposta lo spiazzò visibilmente, indietreggiò e mi guardò a bocca spalancata, come se avessi detto chissà quale idiozia «cosa vorrebbe dire non toccarla?»

«Non toccarla» ripetei freddo «significa non mettere le tue mani su di lei, nè sulle spalle nè sulle braccia, nè in altri posti in cui vorresti ESSERE con tutto te stesso»

«E tu chi saresti per dirmi cosa non posso toccare di lei?» rispose sulla difensiva «siamo amici e non mi sembra che le sia dispiaciuto» 

Alzai gli occhi al cielo e schioccai la lingua «amico, tu segui questo piccolo ma essenziale consiglio e nessuno si farà del male»

«È per caso una minaccia?» ribattè, con un cipiglio serio in volto.

«Lo sarà se la toccherai di nuovo» cercai di incenerirlo con lo sguardo, peccato che i desideri non si realizzino all'istante.

«Non mi fai certo paura tu, e poi ti ricordo che ci siamo baciati e lei ha risposto» inarcò un sopracciglio e mostrò quel sorrisetto odioso da arrogante e sfacciato.

«Ah si?» dissi apparentemente tranquillo, prima di rifilargli un destro sul naso «ti aggiungo un altro consiglio» ringhiai, mentre lui si teneva la parte colpita con entrambe le mani «non baciarla» gli diedi una leggera spinta che lo fece barcollare e stendere a terra «e non dimenticare di non toccarla» asserii ghignando vittorioso.


[ALICE POV] 

«Ti è piaciuto si o no?» Gaia mi stava guardando con occhi imploranti e lucidi da cinque minuti, cioè da quando Andrea era andato a cercare Niccolò. 

Sbuffai e mi presi la testa fra le mani «no, cioè si» alzai gli occhi al cielo «non lo so»

Lei battè una mano sul tavolo e guardò la pizza ormai mezza fredda.

«La mangi?» domandò Chris, come se niente fosse, come se non ci fosse in atto una tempesta di cuori.

Lei sbuffò e negò scuotendo la testa.

Il riccio sorrise e iniziò a mangiare ancora, come se fosse fuori dal mondo.

«Forse mi è piaciuto, anche se non era niente di che»

«Ma tu ami il tuo bad boy no?» 

«Sì, ma, non mi da sempre la certezza che vorrei avere» sputai fuori, tormentandomi le mani. 

«Bucci» si intromise Chris, tra un boccone e l'altro «se entro trenta secondi non lo vai a cercare potrebbe fare una cazzata di cui dopo si pentirà» 

Inarcai un sopracciglio «del tipo tradirmi ancora?»

«Lui non ha mai toccato nessun'altra da quando sta con te, anche alle feste dove tu non c'eri non considerava nessuna di quelle che ci provavano con lui» mi rispose, rassicurandomi il minimo indispensabile
«non posso negare che rimane sempre un cretino, ma ti vuole davvero bene e credo che te lo abbia dimostrato, altrimenti avrebbe lasciato perdere»

«Che discorso romantico riccioli d'oro» scherzò Gaia, osservandolo attentamente «spero che anche tu abbia evitato le gatte morte» sfrecciò pungente.

«Ma ovvio mio amor» asserì, impallidendo di poco, probabilmente temendo le botte della sua ragazza.

«Mi accompagni?» le chiesi, prima che si soffermasse troppo sul pomo d'Adamo di Chris, che stava facendo su e giù da un po' troppo tempo.

Lei annuì pensierosa e mi prese per mano «non vieni tu?»

Lui scosse la testa «no, ho ancora fame e devo finire qui»

Sorridemmo e ci avviammo verso il corridoio che conduceva a una porta socchiusa che dava sul giardino.

Sentimmo delle voci e Gaia mi fece cenno di stare in silenzio.

«Perché che tipo sarei io?» a sentire quella voce, quasi scontrosa, mi venne la pelle d'oca.

«Sembri uno che vuole divertirsi senza impegno»

«Non ha tutti i torti eh» borbottò Gaia al mio fianco, la guardai truce e lei si zittì.

«Volevo darti dei consigli su Alice» deglutii e sentii caldo, che gioco stava facendo?

«Ah si, e quali sarebbero questi consigli?»

«Che carino, ti avevo detto che ti muore dietro» ridacchiò la mora, la zittii mettendole una mano sulla bocca, ignorando le sue proteste.

«Non toccarla, significa non mettere le tue mani su di lei, nè sulle spalle nè sulle braccia, nè in altri posti in cui vorresti ESSERE con tutto te stesso»

«Però, ci sa fare il ragazzo eh, a suon di minacce però ci sta» 
«Vuoi stare zitta?» le berciai contro.

Lei alzò le mani in segno di resa e si cucì la bocca.

Alzai gli occhi al cielo e osservai la scena: Niccolò era visibilmente arrabbiato e si vedeva lontano un miglio che si stava trattenendo da fare altro, soprattutto per le sue mani chiuse a pugno che davano un segno d'allarme. 

Lo guardai in volto e mi persi nei suoi lineamenti perfetti, la pelle morbida e liscia e le labbra carnose e invitanti, nonostante l'espressione corrucciata.

Mi sentii avvampare e scrollai la testa: perché combinavo sempre casini?

«Ti ricordo che ci siamo baciati e lei ha risposto» a quelle parole spalancai gli occhi inorridita e Gaia mi diede una gomitata.

Negai freneticamente quelle parole, non avevo risposto al bacio, era stato a stampo e per colpa di uno stupido gioco che facevamo da bambini.

Nulla poteva intaccare i miei sentimenti per Niccolò, non un bacio, non un gesto gentile, non un vecchio amico spuntato dal nulla.

«Che colpo» aggrottai la fronte e seguii lo sguardo di Gaia che era puntato su Andrea, barcollante e quasi a terra, con le mani sul viso.

«Non baciarla, e non dimenticare di non toccarla»

«Sposalo» asserì la mora al mio fianco, arpionandosi al mio braccio e scuotendolo «voglio fare la madrina dei vostri figli»

Scossi la testa divertita e sorrisi «forse» risposi, e aprii la porta per andare incontro al mio ragazzo che aveva un'espressione livida ma indecifrabile.

«Ei» dissi titubante quando i suoi occhi inchiodarono i miei.

Fece una smorfia con la bocca e incrociò le braccia «mi dispiace per il tuo amico» asserì, indicando Andrea che si stava rialzando.

Girai lo sguardo e mi avvicinai a lui «non importa, non ha importanza» dissi, ripetendo le sue stesse parole di qualche minuto prima.

Niccolò alzò un sopracciglio perplesso «che fai, mi copi anche le battute?»

«Sì, perché siamo una cosa sola e se non facciamo casini non è la stessa cosa e non saremmo noi» 
«Già» alzò gli occhi al cielo sorridendo «siamo un casino»

Amavo il suo sorriso sincero, quello che non mostrava a tutti, quello che mi ricordava perché mi ero innamorata di lui.

«Un bel casino, aggiungerei»
«Un casino fatto da te e me» disse lui, stringendomi tra le sue braccia, al sicuro da qualsiasi imprevisto.

Sentivo il suo profumo sul mio viso e mi accorsi in quel momento che non lo avrei mai dimenticato, perché ognuno è quel che è, con i propri mille difetti e cinquanta pregi, ma se si ama, si ama incondizionatamente e una parte del mio cuore sarà sempre legata a lui.

Eravamo due corpi uniti, due anime inseparabili, qualsiasi disastro avremmo combinato, dopo ci saremmo ritrovati, perché non potevamo fare casini stando separati, ma solo insieme.



*****


«Come sei paffuta qua» 
Gli rifilai un'occhiata e lui riprese a ridere di gusto, come stava facendo da almeno mezz'ora, cioè da quando avevo avuto la malsana idea di mostrargli l'album di fotografie. 

Dopo appena cinque minuti avevo compreso che non era stata affatto una buona idea.

Mi pentii amaramente ma ormai era inevitabile, lui si stava divertendo da matti a prendermi in giro e io non potevo fare nulla.

«Dai, sto scherzando» sospirò, portando un suo braccio a stringermi il fianco.

Incrociai le braccia e feci finta di nulla, sfogliando ancora una volta una pagina che mi raffigurava in costume a sette anni.

Sorrisi spontaneamente a vedere quella faccina felice ma allo stesso tempo mi commossi, sembrava ieri eppure erano passati già dieci anni.

«Sei caruccia qua» mormorò, portando le braccia dietro la testa «sembra che hai più tette quasi» 

«Se vuoi me le rifaccio eh» esclamai sbuffando e girandomi a guardarlo seccata. 

«Non voglio toccarle e avere paura che mi scoppino in mano» storse il naso e si dipinse in volto una strana espressione, come se stesse immaginando davvero ciò che aveva detto «preferisco le tue non tette» ghignò, dopo essersi ripreso.

«Accontentati allora» intimai, ritornando con gli occhi sulle foto.

Sentii le sue mani posarsi prima sulle mie spalle per poi scendere sulle braccia e infine, intrecciarsi alle mie dita.

«Mi piaci anche se non sei come avevo sempre immaginato» soffiò al mio orecchio, facendomi rabbrividire.

«Mi piaci anche se sei una psicopatica» asserì, senza nascondere il suo tono divertito.

Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa per il momento romantico immancabilmente mandato in frantumi.

«Ma mi piaci anche per questo» riprese, scendendo con la bocca sul mio collo e stampandoci dei baci delicati.

Le sue mani lasciarono le mie per posarsi ad accarezzare le mie gambe. 

«Mi piaci perché sei tu e non ti cambierei con nessun'altra» proferì suadente, scendendo a baciarmi le spalle. 

Chiusi gli occhi e portai la testa indietro, lasciandomi cullare dal suo profumo e dal suo respiro che si scontrava con la mia pelle. 

Ormai le prese in giro erano un lontano ricordo e la mente non riusciva a formulare nessuna frase di senso compiuto. 

Il cuore mi batteva a mille e il corpo tremava in preda alle sue attenzioni.

Riportò le mani sui miei fianchi prima di mordermi forte il braccio sinistro.

Trattenni un lamento e strinsi gli occhi per il dolore, prima di riuscire ad osservare il danno sul mio povero arto.

«Ho fame» si interruppe e mi morse di nuovo.

Mi irrigidii di nuovo per la sua azione sconsiderata più che per le sue parole che avevo a stento compreso.

«Alice» mi chiamò, con voce roca.
«Mh» risposi sussurrando flebilmente, come se Ursula mi avesse strappato le corde vocali.
«Ho fame davvero, prendiamo una pizza?»


***


«Amore, guarda chi ho trovato» sentii mia madre esclamare e pregai tutti gli dei che non avesse incontrato una delle vicine pettegole e con la parlantina infinita.

Mi voltai dalla sua parte ancora mezza abbracciata a Niccolò e dovetti strizzare gli occhi più volte per mettere a fuoco «A-Andrea?» balbettai, incapace di proferire altro.

Deglutii e sentii la presa sul mio polso farsi ancora più forte.

«Sì cara, non sei contenta?» continuò a parlare tutto d'un fiato, mentre ero imbambolata a guardare il ragazzo davanti a me.

La mia testa formulava vari interrogativi senza fermarsi e senza ricevere una risposta.
Perché era venuto qui?
Cosa voleva ancora?
Scossi la testa per far uscire tutte quelle domande ignote.

«Che ci fa la carota qui?» ringhiò il moro infastidito fissandolo truce.
«Calmati» gli intimai, cercando di farlo stare tranquillo posandogli un bacio a stampo.

«Andrea!» esclamò di nuovo mia madre spuntando fuori dalla cucina e osservando la scena «non stare lì impalato, e Alice, presentagli il tuo ragazzo» concluse lanciandomi un'occhiata per non aver fatto gli onori di casa.

Alzai gli occhi al cielo e cercai di uscire da quel groviglio di mani e braccia in cui stavo così tanto bene.

«Si può sapere che vuoi?» ringhiò di nuovo, alzandosi dal divano e andandogli in contro minaccioso.

«Parlare» si affrettò a dire Andrea, alzando le braccia in segno di resa, o stile 'veniamo in pace'.

«Parlare» ripetè Niccolò, sarcastico «non ti è bastato il pugno dell'altra volta?»

«Ragazzi, per favore basta» mi intromisi, prima che ricomparisse mia madre e che qualcuno mandasse all'ospedale l'altro.

«Mi pare che nei consigli non ci fosse il 'non puoi parlare con Alice'» mimò le virgolette e lo guardò con aria di sfida.

«Perfetto» sentenziai «Andre vieni che parliamo»
«Tu non ci stai sola con questo..» 

«Dobbiamo solo parlare!» sibilai guardandolo infastidita.
Possibile che non possa fare nulla senza che ci sia anche lui?
Anche parlare con un ragazzo è proibito ora?

«Okey» sospirò dispiaciuto e mi si avvicinò «scusa» disse, prima di prendermi il volto tra le mani e baciarmi di getto.

Mi staccai e sentii il sangue arrivarmi in ogni angolo di pelle «andiamo» mi schiarii la voce e condussi Andrea in camera mia.

Non sapevo cosa aspettarmi e cosa dire, se non che fosse solo colpa mia.

«Siamo al sicuro qui?» chiese, dopo che ebbi chiuso la porta.

Alzai le spalle e annuii «non sfonderà la porta, tranquillo»

Parve più rilassato e si strinse nelle spalle «così, è il tuo ragazzo» disse retorico, spostando il peso del corpo sull'altro piede.

Mi stava facendo venire il mal di testa questo suo dondolare a destra e a sinistra, sembrava un pendolo che doveva ipnotizzare qualcuno.

«Vai dritto al dunque Andre» dissi sbuffando e incrociando le braccia.

«Si certo» annuì e si mise le mani in tasca «insomma mi dispiace per il bacio, non era niente, era innocente come cosa» farfugliò e si guardò intorno come se stesse cercando le parole giuste da dire «tu mi piaci, mi sei sempre piaciuta e non avrei mai pensato che quello sbruffone fosse il tuo ragazzo» esclamò, pieno di risentimento.

«Andre» lo interruppi.
«No fammi finire, non lo vedi? Lo vedi come si comporta? Sembra un bambino viziato che alla prima cosa bella si appiccica e poi quando si stufa ne vuole un'altra, diversa e ancora più bella» spiegò, pungente come una lama.

«Non credi che questo sia un mio problema?» risposi atona, ero stufa di quei discorsi sempre uguali, sempre contro di lui, era snervante.

Se un giorno fosse successo non mi sarei pentita del prima, di ciò che eravamo stati e avevamo vissuto insieme. 
Non era amore se non si rischiava una parte di cuore.

«Ti sei rincretinita?» strillò con gli occhi fuori dalle orbite «quanto tempo pensi ci metta a trovarsi un'altra perché tu non gli vai più bene?» 

«Smettila» lo attaccai, avvicinandomi a lui e puntandogli un dito contro «non sarai tu a dirmi cosa fare, come comportarmi e soprattutto non sarai tu a dirmi chi posso amare» 

«Ma ti sto avvertendo, non farti del male per una persona come lui, non ti merita»
«E allora chi mi meriterebbe?» domandai «tu forse, dirai, ma io sono innamorata di lui non di te, quindi resterò con lui finchè tutto questo paradiso non diventerà un completo inferno»

«Tu ci stai già dentro all'inferno» mormorò serio «e da quanto vedo non ci uscirai tanto facilmente»

Appena si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, scoppiai a piangere.
Una moltitudine di lacrime rigavano il mio viso, ma erano lacrime di rabbia non di paura.

Rabbia perché tutti erano contro Niccolò, mi avvertivano, come se non sapessi il suo passato da una ragazza ogni giorno, o quasi.

Almeno, questo era ciò che si diceva in giro, ma chi poteva dire che fosse la verità?
Chi poteva saperlo se non lui stesso?

Mi sfregai il volto con le mani e mi asciugai gli occhi, respirai a fondo per qualche secondo e tornai in sala, rigida come un palo.

Trovai Andrea imbronciato seduto su una sedia e il moro ancora sul divano che osservava insistentemente la mia porta, probabilmente era stato indeciso se entrare un azione o meno.

Ringraziai Zeus perché non mi aveva visto crollare e sbriciolarmi davanti ai suoi meravigliosi occhi blu.

Amavo quello sguardo tenero e dolce che ogni tanto gli sfuggiva, e non avrei mai voluto lasciarlo andare via da me.


****

«Gaia mi faresti un favore?» domandai speranzosa e mostrando un muso da cane bastonato sperando nella sua clemenza.

Mi servivano quelle informazioni ora e subito, dovevo sapere ogni cosa della sua vita privata passata.
Aggrottai la fronte e scossi la testa per scacciare l'immagine di lui con qualcun'altra.

«Devo svaligiare una banca?» ironizzò divertita dalla mia espressione buffa.
«No» esclamai sbuffando e incrociando le braccia offesa «devo parlare con il tuo ragazzo»

Lei inarcò un sopracciglio e si mise le mani sui fianchi «bionda, non fare la misteriosa e sputa il rospo»
«Uh, dunque, devo parlare con Chris di una faccenda delicata..» abbassai lo sguardo sul pavimento e sulle mie scarpe, iniziando ad analizzare ogni singola borchia.

«Delicata?» domandò spaesata, spalancando gli occhi.
«Sì ma non riguarda lui eh»
«Sputa tutto il rospo, subito» incalzò fingendosi arrabbiata, o forse lo era veramente.

«Insomma, vorrei chiedergli delle ex di Niccolò» sputai tutto d'un fiato, senza pensarci due volte e senza guardarla in faccia.

Dopo qualche secondo di silenzio alzai gli occhi e la trovai intenta a smascherare una folle risata con le mani davanti alla bocca.

«Che c'è da ridere?» chiesi, inarcando un sopracciglio.
«Non credo che abbia mai avuto una storia seria prima di te» ribattè ridacchiando a scatti, sembrava una matta da manicomio.

«Nessuno lo sa, come fai a dirlo?» 
«È risaputo che lui andasse con tutte senza scrupolo, solo con te si è fermato»

«Sono solo voci che circolano, magari non è neanche vero» esclamai, alzando le braccia in preda a una crisi mistica.

Tutti credevano di sapere ma in realtà nessuno conosceva i veri fatti della storia. 
I pettegolezzi creavano aria vuota non verità assolute.

«E cosa speri di trovare nel suo passato?» chiese di nuovo, ma la vedevo come mi guardava e non era affatto convinta e partecipe della mia missione suicida.

Se avessi scoperto che era stato con una ragazza per un certo periodo mi sarei sentita spaesata ma anche alleggerita.

Era stato dimostrato che anche un bad-boy avesse un cuore pulsante e funzionante, capace di attrarre sentimenti. 

«Scheletri nell'armadio» 
Cose nascoste a tutti, storie passeggere, storie importanti, storie di una notte e via.

**

«Bucci, dimmi che vuoi sapere» 
Gaia, nonostante il suo parere contrario, mi aveva dato una mano per incontrare l'uomo delle caverne, proprio nel suo posto preferito e davanti a un piatto strapieno di pasta.

Eravamo tre nel tavolo e Chris mangiava per sette persone, aveva ordinato anche cotoletta e patatine fritte come un bambino.

«Te l'ho già detto» risposi, mentre sgranocchiavo un grissino.
«Non è stato con nessuna di importante» bofonchiò con la bocca piena.

«Perché è stato con tutte» ribattè retorica Gaia, che non mi era d'aiuto neanche un po', anzi, sembrava che mi stesse scoraggiando dal mio intento.
«Ma avrà avuto qualche storiella più lunga no?»

Lui scosse la testa mentre inforchettava un nuovo nido di spaghetti «insomma, ci sono state quelle da una botta e via, come abbiamo fatto tutti» 

La mora al mio fianco tossì, come per schiarirsi la voce, ma sapevamo tutti che non era per quel motivo che l'aveva interrotto.

«C'è stata Samantha, ma non stavano insieme e lui non era innamorato di lei»
«Non si è mai innamorato di nessuna prima di Alice» esclamò Gaia, saccente.
«Vero» confermò lui «ma lasciamole il beneficio del dubbio»

«Che intendi?» attaccai, afferrandogli il polso con cui teneva la forchetta per guardarlo negli occhi «vuoi dire che è stato quasi innamorato di una ragazza?»

«Non ti dirò mai chi è» soffiò, scrollandosi dalla mia presa.
«Riccioli d'oro, stai vaneggiando?» domandò Gaia, allarmata.

«No, sto dicendo che forse una c'è stata, ma queste cose dovresti chiederle a lui»
«Ma tu sei il suo migliore amico!» esclamai, probabilmente facendomi sentire da tutto il ristorante.

«Ma non sono una spia Bucci» si lamentò, spostando il piatto da una parte «ti ho già detto fin troppo, dalla mia bocca non uscirà più nulla» 

«Voglio parlarle» dissi d'un tratto, accecata dal rapporto tra il mio ragazzo e questa presunta ex fidanzata.

«Non è in città ora, è in America, ma tornerà tra poco» spiegò il riccio, lasciandoci di sasso.
«E tu come mai sai così tante cose di lei?» chiese la mora al mio fianco, visibilmente gelosa e arrossata in viso.
«È la mia vicina di casa»

**

«Sei pronta?» mi domandò Gaia, proprio quando Chris pigiò sul campanello di fronte.

Scossi la testa incapace di aprire bocca e per evitare di mettermi a piangere.
La brillante idea che pensavo di aver avuto in realtà ora mi sembrava un'enorme cavolata.

Volevo sapere ma nello stesso momento non volevo sapere, volevo che il suo passato rimanesse un mistero a me sconosciuto.

Sentii la serratura girare e chiusi gli occhi per due secondi, prima di sentire una voce squillante e allegra «oh ciao tesoro» esordì al settimo cielo, rivolgendosi probabilmente al riccio.

Sentii chiaramente uno sbuffo scocciato della mora al mio fianco così aprii gli occhi lentamente e vidi Chris stretto in un abbraccio stritolatore.

Appena si staccarono ebbi un colpo: la ragazza era praticamente uguale a me, stessi capelli biondi, stessi occhi verdi, sembrava la mia fotocopia riuscita meglio.

«Senti Pic, queste sono due mie amiche» iniziò lui, rompendo il momentaneo silenzio provocato dall'osservarci a vicenda.

«Questa è Gaia e lei è..Alice» continuò, potevo regalargli un hamburger solo per avermi chiamata per nome.

Lei ci sorrise raggiante e ci fece segno di entrare ma Chris la bloccò prontamente «Pic, Alice ti vorrebbe parlare di una questione quindi vi lasciamo sole» proferì, e io annuii titubante, iniziando ad entrare in casa.

«Coraggio bionda» mormorò Gaia per farmi forza, peccato che iniziassi già a girarmi la testa.

«Prego accomodati» disse lei, accompagnandomi verso il tavolo della sala grandissima, tappezzato di fotografie e copie di quadri famosi. 

«Allora, vuoi qualcosa da bere?» 
«No grazie» risposi, dopo essermi seduta su una sedia ricoperta da un telo bianco.

Mi sembrava di essere nella dimora della regina, tutto perfetto, tutto pulito, tutto di grande classe e raffinato.

«Allora, di cosa vuoi parlarmi?» domandò, dopo aver bevuto un sorso di succo.
«Ehm, ecco, io so che sei stata con un ragazzo..» iniziai titubante e la guardai in volto, ma mi sembrava di vedere me stessa riflessa nello specchio.
Scossi la testa e continuai «Niccolò, ti dice niente?»

Lei si rigirò il bicchiere tra le mani qualche volta prima di annuire «sì, siamo stati insieme per un po'»

Accusai il colpo e strinsi gli occhi 
prima di proseguire apparentemente tranquilla «e com'era lui?» sospirai cercando di non farmi prendere dal panico «come si comportava?»

«Era dolce, premuroso, mi accompagnava sempre a scuola» abbassò gli occhi prima di ridere lievemente «mi prendeva in giro per il mio cognome, ma sembrava che ci tenesse davvero a me, tutti ci prendevano come una coppia innamorata» 

«E lo eravate?» chiesi, non volevo sapere veramente la risposta.
«Forse si, forse no, però ci piacevamo molto, eravamo sempre insieme, lui era gelosissimo e faceva scenate assurde appena un ragazzo mi si avvicinava»

Ripensai a Lorenzo, Jacopo ed Andrea, e mi trattenni dal piangere: le stesse cose che aveva fatto con lei ora le faceva con me.

«Certo, neanche io ero da meno, litigavamo per cose stupide e dopo non ci parlavamo per giorni»

Deglutii e avrei voluto scomparire all'istante: perché tutto questo prendersi e lasciarsi non mi sembrava nuovo?

«Sembrava mi amasse davvero, mi ha portato in tanti posti, nella sua casa al mare, in montagna, in collina a capodanno» continuò, persa nei ricordi, mentre il mio cuore si stava crepando a poco a poco.

«Sembrava una favola» concluse, con tono amareggiato e alzando lo sguardo verso di me «ma non lo era, non mi chiamava mai amore, usava sempre un nomignolo stupido sai, per non essere troppo un fidanzato serio»

Le sue parole mi fecero impallidire a poco a poco, sentivo le gambe tremare sotto al tavolo di legno.
«Lo ha fatto anche con te?» 

Annuii soltanto e lei sospirò, congiungendo le mani «è un bravissimo ragazzo in fondo, non ha peli sulla lingua e ti fa sentire l'unica principessa sulla terra»

«Allora che cosa è andato storto?» domandai, toccando la nota dolente della questione.

«Il destino, il karma, la vita» disse d'un fiato, come se non vedesse l'ora di pronunciare quelle parole «non so neanche io come è finita, o il perché, so solo che un giorno tutto è sparito, e mi sono sentita come fatta a brandelli, per questo sono partita e sono andata in America a studiare. 
Un amore vissuto in quel modo non lo scordi più, è stato troppo intenso per lasciarlo andare via così, dovevo cambiare aria e andare in un posto dove lui non esistesse e la sua immagine non mi tormentasse»

«Troppo intenso?» chiesi, con voce strozzata e con le sue parole che mi rimbalzavano in testa.
«Mi aveva detto di amarmi, ma forse non lo provava veramente»



****


Uscii da quella casa con la testa vuota, incapace di formulare un qualsiasi sorta di pensiero o mettere in atto un'azione, ad esempio respirare.

Avevo smesso di farlo tanto tempo prima, quando pensavo di morire seduta stante su quel tavolo.

E non per colpa di una malattia incurabile ma per colpa di un ragazzo bellissimo e misterioso, forse troppo.

Mi girava la testa e mi guardavo intorno spaesata, come se non conoscessi nè quella strada nè quella città, nè tanto meno me stessa.

Ero stata presa in giro tutto questo tempo?
Davvero avevo creduto ad ogni sua moina senza accorgermi che in realtà era tutta finzione?

Avrei voluto vivere in un film, con attori pagati per recitare la loro parte, perché tutto questo non sarebbe mai esistito realmente. 

E invece, era tutto scritto sulla mia pelle e sul mio cuore, ormai intento a strapparsi in mille pezzi. 

Tirai su col naso nel vano tentativo di trattenere le lacrime che iniziavano ad offuscare i miei occhi, ma tutto era inutile.

La strada era mezza deserta, nessun rumore di sottofondo, nessun rombo di macchina, eppure l'unica cosa che infangava l'aria erano i miei singhiozzi.

Mi trascinai a terra sul marciapiede e piansi a dirotto, proprio come una pioggia da cui non potevo sottrarmi, perché completamente alla sua mercè.

Restai in quello stato pietoso per qualche minuto o forse di più, non riuscivo a smettere di pensare che tutto ciò che avevo vissuto in questi sei mesi fosse una presa in giro. 

I baci, i ti amo sussurrati all'orecchio e l'amore che facevamo era tutto finto, costruito alla perfezione.

Sentii il portone aprirsi alle mie spalle e dei passi veloci raggiungermi.

Non volevo che nessuno mi vedesse in quello stato anche se era inevitabile e non potevo impedirlo.

«Allora bionda come..» la voce allegra di Gaia si spense non appena mi guardò in faccia, con gli occhi rossi e il mascara colato sulle guance «oddio» si sedette al mio fianco e mi abbracciò, stringendomi per le spalle.

Fu inevitabile tornare a piangere di nuovo.

«Fai piangere anche me così, cosa ti ha detto quella per ridurti così? Guarda che prendo un macete, la faccio a pezzettini e la butto in mare» continuò con voce abbastanza seria che mi ammutolii per qualche secondo prima di scuotere la testa «non servirebbe a nulla tanto»

«Ehi ragazze, che state facendo così appiccicate?» anche il tono divertito di Chris si frantumò quando scorse le mie lacrime.

«Cosa è successo?» domandò, piegandosi sulle gambe per essere alla nostra stessa altezza.

«Lo so che non vuoi parlarne, ma devi farlo per buttare fuori il dolore» la mora mi accarezzò la testa e mi mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per farmi forza.

Annuii piano e deglutii prima di aprir bocca «lei ha detto tante di quelle cose, che non so da dove cominciare» la mia voce era così roca e bassa che stentai a riconoscerla.

«Vai con calma» mi consolò il riccio, accennando un sorriso.

«Sono stati insieme» spiegai, cercando di non ritornare a piangere «a lui piaceva, tanto che la portava a scuola in moto ed era geloso»

Vidi Chris aggrottare la fronte accigliato, per poi farmi segno di proseguire.

«L'ha portata alla sua casa al mare, in montagna, in collina, come una vera coppia di innamorati» mi interruppi, sentendo un brivido freddo attraversarmi la spina dorsale.

«Vai avanti» mi sostenne Gaia, in un sussurro, ancora abbracciata a me.

«Faceva scenate appena lei parlava con un altro»
«Beh, non ha perso il vizio almeno» commentò la mora, inarcando un sopracciglio.

«Lei non sa perché sia finita tra loro, ha detto che un giorno è sparito tutto e lei era distrutta» andai avanti, titubante e con la pelle d'oca.

«È stato un amore intenso secondo lei perché lui le aveva detto di..» iniziai, ma non riuscii a finire la frase, aprivo la bocca ma usciva solo aria fredda.

«Cosa le ha detto?» domandò con cautela la ragazza al mio fianco. 

«Una cosa» sputai fuori in un soffio «che forse lui non provava davvero, per come poi si sono lasciati..» 

Presi un lungo respiro prima di far uscire quelle parole quasi in un urlo disperato «ha detto che l'amava» 

Quell'ultima frase ebbe il potere di annullare ogni respiro che fino a quel momento sentivo addosso. 

Chris ritornò in piedi, senza proferire parola, forse queste cose lui le conosceva già, anche meglio di me. 

«Quindi..cosa pensi?» domandò cauta Gaia, mettendosi le mani tra i capelli.

«Che mi sta prendendo in giro, mi aveva detto di non aver mai amato nessuno e invece»

«Da quel che ho capito, sembra che abbia un copione, il che è disgustoso ma non capisco perché ti abbia mentito su una cosa così importante» si infervorò lei, alzando il tono della voce.

«Dovresti parlarne con lui» sentenziò il riccio, rompendo il suo silenzio. 

«Che intendi dire?» domandai perplessa.

«Che devi parlare con lui, nient'altro»


**


Ero davanti alla sua porta di casa, indecisa se suonare o sfondarla direttamente, tanto mi sarei fatta male in ogni caso. 

Chiusi gli occhi e calciai un sasso immaginario, ma la mia scarpa colpì lo zerbino che andò a scontrarsi contro la porta. 

Sbuffai e mi decisi a suonare quel bottoncino che spuntava dal muro: lo suonai una volta, e poi tante altre.

Non mi importava se avessi svegliato qualcuno, non mi importava di nulla.

Volevo vederlo subito e chiarire questa situazione schifosa in bilico tra la verità e la menzogna.

Avevo sempre odiato le bugie e non avrei permesso a nessuno di prendermi in giro così astutamente. 

Sentii girare la chiave nella toppa e apparve un Niccolò a torso nudo, sudato e con un asciugamano intorno al collo.

Mi guardò sorpreso e accigliato, la sua espressione cambiava continuamente «meraviglia, non credevo che prima o poi saresti venuta a casa mia, eri impaziente di vedermi?» concluse ghignando come suo solito.

In questo momento lo stavo odiando, forse più di come lo odiassi un anno prima.

«Dobbiamo parlare» asserii seria e senza farmi distrarre dai suoi occhi maliziosi.

Senza aspettare un suo cenno superai la porta e mi voltai, incrociando le braccia.

Lui chiuse la porta e vi appoggiò la schiena «va bene, dimmi» ribattè, scocciato e rassegnato.

«I tuoi sono in casa?»
«No, sai che non ci sono quasi mai»

«Bene» annunciai sentendomi mancare le forze «vorrei che tu fossi sincero con me»

Inarcò un sopracciglio e aggrottò la fronte «che significa?»

«Tu mi ami davvero o è tutto finto?» sputai fuori, senza accorgermi di aver alzato la voce e che probabilmente da lì a poco, avremmo fatto uno spettacolino per tutto il palazzo.

«Per quale cazzo di motivo dovrei fingere di amarti?» rispose, livido in volto e con la mascella contratta.

Si stava arrabbiando, vedevo i suoi occhi scurirsi e il suo corpo irrigidirsi, ma non poteva immaginare come mi sentissi ferita io.

«Sono stata la prima a cui l'hai detto?» continuai, quasi sussurrando per la gola infiammata.

«Sì, lo sai, te l'ho già detto» rispose, cercando di avvicinarsi e forse farmi tranquillizzare tra le sue braccia ma mi scostai, non volevo toccarlo.

«Allora come mai una certa Pic mi ha detto che amavi anche lei?» strillai, sentivo il cuore uscirmi dal petto e le gambe tremare. 

Non avrei sopportato una sua risposta positiva a quella domanda, non avrei sopportato che tra noi finisse senza sapere il perché.

Lui schioccò la lingua e scosse la testa «ci sei andata davvero»

Mi ammutolii e indietreggiai, finendo con le spalle al muro.

Non volevo sentire oltre, avevo paura della sua verità o bugia che fosse.

«Davvero, Alice, mi stupisci» alzò le spalle e iniziò a venirmi incontro, con passi lenti e studiati «non avrei mai pensato che tu non ti fidassi così tanto di me da andare a scavare nel mio passato»

Serrai le labbra e mi strinsi in me, la sua voce faceva paura, lui mi faceva paura. 

«Pensavo saresti venuta da me, che sono il tuo ragazzo» fece una pausa e appoggiò le mani ai lati della mia testa «invece, sei andata da lei, senza sapere neanche cosa ci fosse veramente sotto» 

Si staccò da me e andò a frugare in un cassetto nascosto, da cui tirò fuori una sigaretta e un accendino.

«Sono stato con lei per una scommessa e non la amavo, era tutto una presa per il culo, contenta?» ringhiò, buttandomi il fumo in faccia.

«E ti dirò di più, tutte quelle cazzate che ha detto sono false, gliel'ho detto io di dirtelo» soffiò, quasi ripugnante «mi hai stancato»

«Sei un bastardo» dalla mia bocca uscì solo questo, nient'altro.

Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli e io ci ero cascata con entrambe le gambe. 

«Solo una cosa» disse, afferrandomi il polso con forza «perché adesso? Stiamo insieme da sei mesi, non pensi che ti avrei già mollata se non ti amassi? Non pensi che me ne sarei fregato di quelli che ci hanno provato? Non pensi che non avrei fatto nulla di ciò che ho fatto?»

«Non so più cosa pensare di te» ribattei dura, cercando di liberarmi dalla sua presa ferrea. 

«Allora smettila di pensare, inizia a pensare solo a noi, dimenticati di tutto il resto»

«Non c'è più un noi, ormai» sussurrai, con voce strozzata e finalmente libera dalla sua mano. 

Corsi per quei pochi metri fino ad arrivare all'unica via d'uscita, ma fui schiacciata tra la porta e il suo corpo.

Mi girò fino a farmi scontrare con la superficie fredda e avere il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Non ci provare neanche a lasciarmi» disse con voce dura, prima di sentirmi le sue mani addosso, le guancie schiacciate tra le sue dita e le sue labbra sulle mie.

Era un bacio irruente, forte e arrabbiato, sembravamo due bocche che si stavano dilaniando a vicenda, fino ad uccidersi.





GIURO
che il prossimo capitolo sarà di calma piattissima, lo prometto!
attendo con ansia le vostre opinioni/minacce XD
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Bleeding out. ***


Tranquillo per modo di dire XD 
 5



Bleeding out


[ALICE POV]

Da giorni ormai giravo come una vagabonda senza meta nella mia stessa casa, la routine era scandita sempre dalle solite azioni: alzarsi come uno zombie, colazione da far invidia a un fast food, sdraiarsi sul divano a mangiare e sporcare come se non ci fosse un domani, ritornare a letto mettendo la musica al massimo volume, risvuotare il frigo e ritornare a poltrire.

Mi sentivo un ameba, un essere inutile, e forse lo ero davvero.

Mi ero incasinata da sola, odiavo la mia curiosità perenne e inutile, non mi portava mai a nulla di buono.

Avevo sbagliato e non c'era un facile rimedio per tornare come prima.

Anche i miei genitori mi facevano pesare questa situazione, per loro ero solo un'ombra che camminava per casa.

Avevo le occhiaie e gli occhi stanchi, non avevo neanche la forza di passarmi il correttore per coprire quelle macchie scure, perché alla fine me lo meritavo.

Mi meritavo tutto questo dolore perché ero stata io la causa.

Questa volta era tutta colpa mia, lui aveva solo inserito la ciliegina sulla torta.

Forse stavamo meglio separati che insieme, meglio amici che fidanzati, avremmo combinato meno danni a noi stessi.

Eppure non passava un secondo che non pensassi a lui, a cosa stesse facendo e soprattutto con chi.

Di questo passo non ne sarei uscita intera, perché continuavo ad amarlo nonostante i nostri reciproci sbagli.

«Fase restauro» sentii un urlo strano provenire dall'ingresso e dopo due secondi due ragazze varcarono la porta della mia stanza, con sguardo vittorioso e mani sui fianchi.

Mi sembrava di essere stata catapultata in un film d'azione, dove gli eroi facevano la loro entrata trionfale.

«Bea, tu da quella parte» ordinò la mora, avvolta in una luce strana «io penso al trucco»

Inarcai le sopracciglia pronta a svegliarmi e a convincermi che tutto questo fosse un sogno ma purtroppo il pizzicotto che ricevetti sul braccio fu abbastanza forte da farmi svegliare sul pianeta terra.

«Ahi» mi lamentai, con qualche secondo di ritardo e con un espressione imbronciata.

«Smettila di deprimerti, stasera esci a divertirti» squittì, saltellando per la felicità.

La guardai male e continuai a stare sdraiata sul letto, che mi ricordava tristemente il suo profumo.

«Gaia, io qua ci sono» strillò l'altra, uscendo dall'armadio con un vestito rosso striminzito in una mano e dei tacchi neri nell'altra.

Mi coprii gli occhi con le mani e cercai di unirmi al materasso, ma quattro mani mi tirarono su con forza e mi misero seduta.

«Sono un disastro» esclamai sbuffando e abbassando lo sguardo.

«Lo sappiamo, per questo siamo qui biondina» mi schernì la mora, sollevandomi il mento con le dita.

«Ti serve anche una tinta, hai la ricrescita» rincarò l'altra, prendendosi gioco della mia pessima situazione mentale.

«Nah, questa mezza ricrescita più scura fa stile» le fece eco Gaia, esaminando attentamente i miei capelli lasciati alla deriva.

Ero sempre stata sul castano chiaro tendente al biondo, per questo avevo cercato di schiarirli per renderli più luminosi e più chiari, all'epoca rappresentavano una svolta nella mia vita.

«Ora stai ferma che ti sistemo queste occhiaie» berciò di nuovo contrariata, non lasciandomi neanche il tempo di controbattere che lei stava già trafficando con i trucchi per darmi un aspetto presentabile.

«Chiudi gli occhi» ordinò e io eseguii come una marionetta, quel tono non ammetteva repliche.

«Potresti fare la truccatrice»
«Grazie Bea, infatti avevo intenzione di fare un corso l'anno prossimo»

Sentii una pressione prima su un occhio e poi sull'altro, non era pesante, era delicata e potevo immaginare la sua espressione concentrata anche se non potevo vederla.

«Perfetto, apri» sentenziò, prima di pressarmi un rossetto sulle labbra.

«Direi molto meglio» ridacchiò l'altra, guardandomi con tenerezza.

«Vai, muoviti a vestirti che dobbiamo scendere» sollecitò la mora con tono scocciato, prima di buttarmi addosso abito e scarpe «ti aspettiamo giù bionda» dissero quasi in coro, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Afferrai il vestito e lo indossai di malavoglia, scoprendo poi che aveva una scollatura profonda e lunga e che di certo non l'avevo comprato io.

Imprecai e mi tolsi il reggiseno, non avevo scelta visto che indossandolo, spuntava fuori dal vestito proprio sul davanti.

Mi esaminai allo specchio con quel rosso fuoco che incorniciava il mio corpo con zero curve, ma trovai che quella scollatura così provocante mi si addiceva e me la potevo permettere, non era nulla di volgare per la mia seconda scarsa.

Mi guardai in viso e quasi ebbi un infarto, non mi riconoscevo nel mio riflesso, ero truccata come una diva del red carpet.

Anche i capelli avevano delle leggere ondine sulle punte, sicuramente Bea aveva fatto qualche genialata delle sue per renderli così belli e brillanti.

Recuperai il telefono sparso tra le lenzuola e mi incamminai con passo d'elefante verso la porta d'ingresso, i tacchi non erano proprio il mio forte.

«Tesoro stai benissimo» squittì mia madre, battendo le mani e saltellando allegramente, prima di rivolgersi a mio padre che annuì solo con la testa «sembri una principessa»

«Senza il suo principe però» borbottai a bassa voce prima di uscire da quella casa. 

Sul marciapiede c'era una macchina scura parcheggiata con appostati davanti quattro ragazzi: Gaia, Chris, Bea e Andre.

Sospirai e mi venne da piangere, perché erano così tanto buoni con me che non facevo altro che combinare casini?

«Sali piagnucolona» mi abbracciò e mi schernì il ragazzo di Bea, prima di schioccarmi un bacio sulla guancia.

«Bucci, ben tornata tra noi eh» ridacchiò il riccio, roteando gli occhi scherzoso.

Salii in macchina tremando, non tanto perché non mi fidassi del guidatore ma piuttosto perché erano tutte coppiette: al mio fianco avevo Chris che teneva una mano sulla gamba lasciata scoperta dal vestitino bianco di Gaia, mente davanti c'erano Bea e Andre.

Ero l'unica scompagnata e anche se stavamo uscendo per farmi divertire il mio umore era già calato a meno sette.

Dopo quasi venti minuti di macchina arrivammo alla discoteca tanto decantata dagli altri: il Nirvana, il nome non prometteva nulla di buono ma la pista da ballo era grandissima, non c'era troppo affollamento e ci si poteva muovere liberamente senza essere schiacciati.

«Voi ballate, noi due andiamo a prenderci qualcosa da bere» strillò il riccio, prima di scomparire insieme all'altro.

Seguii le ragazze e mi accodai a loro, iniziando a ballare prima impacciata e poi più spontaneamente, muovendo il bacino e le braccia in modo sensuale.

Le altre furono raggiunte dai rispettivi partner mentre io ero l'unica sola.

Avrei voluto avere lui dietro di me, che mi stringesse i fianchi e che minacciasse con lo sguardo chiunque tentasse di avvicinarsi a me.

Ma avevo fatto una cazzata e l'avevo perso, forse per un po' o forse per sempre.

Avrei voluto baciarlo, sentirmi protetta tra le sue braccia, drogarmi del suo profumo e perdermi nei suoi occhi.

Perché si capisce quanto non si può vivere senza una persona solo dopo averla persa?

Dovrebbe capirsi subito, all'istante, e agire in modo che non avvenga mai un addio.

Ma la mente è razionale e il cuore è impulso, e quasi sempre si agisce senza pensare al dopo ma al presente, al farsi valere, a far valere le proprie ragioni.

Tanto il dolore arriverà dopo, col tempo, quando tutto sarà già stato distrutto da un'ondata di fulmini.

Percepii uno spostamento d'aria e dopo cinque secondi un corpo si stava strusciando sul mio, posando delicatamente le mani sui miei fianchi.

Mi girai di scatto e nella poca luce vidi un ragazzo con un cappellino scuro che gli copriva il volto, dei jeans chiari e una camicia bianca.

Mi bloccai in mezzo alla pista e incrociai le braccia «ti dispiace staccarti?» berciai irritata, ma il ragazzo non si mosse, anzi, vidi solo spuntargli un lieve sorriso sulle labbra.

«Mollami» ripetei con tono gelido, cercando di darmi un tono.

«Balla» mimò con le labbra, senza che io potessi sentire la sua voce.

Inarcai un sopracciglio e fui attirata a lui dalle sue braccia, le sue mani percorsero la mia schiena e le sue labbra si posarono sul mio collo.

Percepii una serie di brividi su tutto il corpo e un profumo travolgermi completamente.

Lo sconosciuto si allontanò lentamente, senza smettere di osservarmi, e solo in quel momento notai una scritta sulla parte interna del braccio "you or nobody".


[NICCOLÒ POV]

«Stai bene bionda» asserii osservandola in tutto il suo splendore, anche dopo un anno era sempre bellissima e impeccabile, come la prima volta che l'avevo incrociata nei corridoi della scuola.

Quei capelli lunghi e odulati, quel corpo magro ma formoso, mi avevano stregato già all'inizio, ma Alice era l'esatto opposto, non aveva curve pronunciate ma aveva stregato il mio cuore.

Mi morsi la lingua per i discorsi sdolcinati che la mia mente procreava e tornai con gli occhi su di lei. 

«È così che si accoglie una vecchia amica?» storse il naso leggermente offesa, ma sapevo che sotto sotto era lusingata per il mio complimento.

«Tu sei tutto tranne che una vecchia amica Pic» ghignai e le misi un braccio sul fianco, per farle muovere quelle dannate gambe.

Le donne erano così lente, parlavano per ore e non si muovevano di un centimetro.

«Hai ragione, abbiamo condiviso molto» 

Mi irrigidii e mi schiarii la voce a disagio «appunto per questo, vorrei parlarti»

«Mi dispiace per quella ragazza, Alice giusto?» mi chiese rivolgendomi uno sguardo strano «era davvero sconvolta, non so perché ho acconsentito a quella messa in scena, avrei voluto non dirle nulla»

«Non è colpa tua» replicai freddo e la feci fermare davanti alla porta di un bar «entriamo e beviamo qualcosa» sentenziai spingendola dentro prima che potesse criticare qualsiasi cosa.

«Sembri agitato» 
«Lo sono, perché devo dirti delle cose che non ti faranno piacere»

Le lanciai un'occhiata e la vidi abbassare lo sguardo sul tavolino di legno laccato.

Mi passai una mano sul viso e mi guardai intorno «aspetta due secondi» proferii e mi alzai andando al bancone per ordinare due birre.

Quando tornai a sedermi lei era ancora nella stessa posizione, ma non avevo scelta, dovevo liberare il mio passato dal mio corpo.

«Allora» disse, bevendo un sorso di quel liquido giallastro «spara ciò che devi dire»

Annuii e presi un respiro profondo «promettimi che non farai scenate ma devo dirtelo»

Lei roteò gli occhi e mi fece segno di continuare.

«Quando ti ho vista la prima volta..»
«Salta le carinerie, per favore» mi supplicò, sgranando gli occhi.

Sbuffai e continuai a spiegare «voglio che tu sappia che stavo bene con te, non mi annoiavo e non era un peso passare le giornate insieme ma tutto è nato da..una scommessa con i miei amici» mi fermai e notai che si era irrigidita, così mi affrettai a concludere «tu mi piacevi molto e mi prendevano in giro perché tu non mi calcolavi di striscio quindi hanno avuto la brillante idea di scommettere e ovviamente..»
«Hai vinto» terminò lei per me.

Buttai fuori aria e annuii solo, scrutandola nei suoi occhi appena arrossati.

«Non era una vera presa un giro, a me piacevi davvero tanto»

Non era una ragazza qualunque, era una delle più belle della scuola, e io la volevo solo per me, non per puro egoismo, ma mi piaceva davvero, non riuscivo a non pensare a lei per un intero giorno.

«Non ha più importanza ora, il passato è passato e non ritorna»

«Non ti amavo ma ero vicino a farlo» 

«Allora perché mi hai costretto a dire quelle cazzate ad Alice?» berciò offesa e irritata «le hai fatto la stessa cosa forse?»

Scossi la testa e bevvi dalla bottiglietta «sono innamorato di lei ma non si fida di me»

«E fa bene» sentenziò dura e con la voce strozzata.

«Le ho solo dato una lezione, così la smette, anche se forse ho solo peggiorato le cose»

«Lei sa della tua famiglia?»
Mi bloccai e alzai un angolo della bocca «no, sai che non mi piace parlarne»

Avevo sempre odiato parlare dei fatti miei a qualcuno, non ero sentimentale e non volevo la compassione degli altri.

«Con me l'hai fatto»
«Perché era appena successo, ero sconvolto» la attaccai, seppur non volendo, quell'argomento mi faceva salire i nervi a fior di pelle.

«Capirebbe tante cose, che non sei il duro che vuoi far credere ma che sei vulnerabile come tutti» 

La fissai per qualche istante con un'espressione indifferente e poi svuotai la bottiglia.

«È per questo che mi hai mollato, non volevi la stessa fine per te, vero?» parlava e a aveva gli occhi luminosi, come se avesse risolto un rompicapo di livello avanzato.

«Che stai dicendo?» 

«Non volevi finire come loro, che si erano amati tanto e poi un giorno tutto è scoppiato, con te come vittima» si interruppe ma non riuscii a risponderle perché continuò di getto «lascia che ti dica una cosa, tu non sei come loro, sei loro figlio si ma questo non vuol dire che finirai anche tu con un divorzio e tutto il resto: tu sei tu e loro sono loro, lasciati vivere e ti prego, fallo, non per me ma per Alice, lei ti ama e se non la vivi ora potrai pentirtene domani, tra una settimana, tra un anno, o per tutta a vita»

«E se finisco come mio padre?» 
«Non succederà, tu sei diverso da lui»

«E come fai a dirlo?»
«Lo vedo dai tuoi occhi, sono trasparenti e parlano di lei» 

«Non credo lei mi voglia ancora» 
«Ma ti ama e ti perdonerà ogni cosa» 

Alzai le spalle e guardai l'ora dal telefono: dovevo andare via.

«Devo andare Pic, grazie» dissi in imbarazzo e accennando un sorriso.

«Di nulla» sorrise e mi stampò un bacio sulla guancia «carino il cappellino»



*****



Era domenica mattina e io non avevo chiuso occhio per tutta la notte.

Non facevo che pensare a quel ragazzo col cappellino, sembrava così strano eppure mi ricordava qualcuno.

Ma non poteva essere, non aveva senso non farsi riconoscere e ballare in una discoteca come due sconosciuti.

Non poteva essere lui, anche se ogni suo gesto me lo ricordava, e anche le sue mani, le sue labbra, il suo sorriso.

Sbuffai e decisi di alzarmi e tenermi occupata, per mettere fine a quei pensieri contorti che affollavano la mia mente da troppe ore.

Ogni angolo della stanza mi ricordava lui, era difficile muoversi senza farci caso e senza avere la testa fra le nuvole.

Scossi la testa e cercai di far uscire ogni pensiero riguardante Niccolò e mi diressi a passo di marcia verso l'armadio, per poi estrarne dei jeans strappati e un top nero.

Faceva ancora caldo, ormai eravamo a luglio inoltrato, ma non mi piaceva andare in giro per la città con i pantaloncini corti, mi vergognavo e mi mettevano a disagio.

Una cosa stupida visto che quasi tutte le ragazze li indossavano, ma io preferivo mostrarli solo al mare.

Mi vestii e calzai le mie Nike vissute, prima di dirigermi verso la cucina dove mia madre stava già preparando il cappuccino tipico della domenica.

Mi guardò con un sopracciglio alzato e con uno sguardo ancora appannato dal sonno «dove avresti intenzione di andare?»

«Voglio andare a fare una passeggiata» alzai le spalle e afferrai una brioche dal piattino sul tavolo.

«Non vuoi fare colazione prima?»

«Sto già mangiando» ribattei, dondolando il croissant che tenevo in mano.

Lei sbuffò visibilmente confusa ma mi scrollò le mani davanti «vai pure, ma stai attenta»

Roteai gli occhi e mangiai l'ultimo boccone «si mamma, non ti preoccupare, faccio solo un giro qua intorno»

Annuì e camminai verso la porta per poi chiuderla alle mie spalle, scesi le scale velocemente e mi ritrovai in strada, era tutto così silenzioso e deserto che faticai ad abituarmici.

Respirai l'aria quasi libera dallo smog e chiusi gli occhi per qualche secondo, per poi riaprirli e trovare qualcosa di strano sull'asfalto sotto alle mie scarpe.

Mi spostai come se avessi preso una scossa e osservai quella scritta in inglese creata con uno spray rosa: i'm bleeding out for you.

Mi mancò il fiato e dovetti appoggiarmi allo stipite del portone, c'era solo una persona che poteva fare un gesto simile, solo una persona conosceva il significato di quella canzone e la mia vecchia ossessione per il rosa.

Deglutì e mi guardai intorno come una pazza, muovendo la testa a destra e a sinistra freneticamente, ma di lui nessuna traccia.

Non c'era nessuno in giro, probabilmente l'aveva scritta a tarda notte, per non farsi vedere.

Presi un respiro profondo e iniziai a camminare lungo il marciapiede, stando però sempre all'erta.

Non c'era neanche un filo di vento, era tutto paurosamente silenzioso, nonostante non fosse così presto.

Alzai gli occhi e mi persi a contemplare quel cielo azzurro così perfetto, senza un velo di nuvole bianche ad offuscare quel grande sole splendente.

Sorrisi inconsapevolmente ancora con la testa rivolta verso l'alto, verso quella luce, prima di vedere tutto nero.

Una mano sugli occhi e una mano stretta sul fianco, con una tale forza da trascinarmi in disparte, fuori dalla strada principale.

Il cuore mi batteva a mille, avevo smesso di respirare e avevo perso anche la forza di urlare per la paura e lo spavento che mi avevano travolta in pochi secondi. 

Sentii la mia schiena aderire con una superficie dura e pregai che non mi trovassi di fronte un ladro, un maniaco o uno psicopatico che voleva farmi a pezzi.

Quando il vicoletto nascosto si sostituì al buio, incrociai solo due occhi.

Sgranai lo sguardo e cercai di allontanarmi, rifilandogli uno spintone che come al solito non lo spostò di mezzo centimetro.

Sembrava di pietra, incastonato nel terreno.

«Voglio solo parlarti» disse d'un fiato, afferrandomi i polsi per frenare la mia furia e solo dopo aver notato il mio sguardo consenziente mi lasciò libera.

«Sto sanguinando» sussurrò flebilmente, a pochi centimetri dal mio viso e guardandomi fisso negli occhi «non voglio farti star male» continuò, con la voce incrinata e ancora più bassa «conto i miei peccati e chiudo i miei occhi» poggiò le mani ai lati della mia testa e abbassò lo sguardo sull'asfalto.

Non sapevo cosa fare, più lo guardavo e più lo volevo baciare fino a non avere più fiato in gola.

«So che ho sbagliato tante volte, ma io voglio stare con te ancora» incrociò di nuovo i miei occhi e li vidi lucidi, quasi rossi «ti prego, ti chiedo solo di fidarti e non lasciarmi»

«Anche io ho sbagliato» riuscii a dire, col viso imperlato di lacrime e la voce soffocata  «abbiamo sbagliato entrambi»

Annuì e scrollò le spalle, distanziandosi da me e andando ad appoggiarsi al muretto di fronte «quindi?»

«Non lo so» risposi, sbuffando e cercando di asciugarmi le guance.

«Mi ami ancora?»

Alzai lo sguardo su di lui e notai la sua espressione così seria che mi provocò dei brividi di paura «e tu?»

Roteò gli occhi e ridacchiò nervoso «e questo come lo spieghi?» berciò, piazzandomi davanti agli occhi il tatuaggio sul braccio.

Era lui, lo sconosciuto della discoteca, era lui. 

Mi irrigidii e annuii solo, incapace di dire altro.

«Sei uno stupido, quella scritta resterà per sempre» soffiai, dopo qualche minuto di silenzio.

«Lo so» rispose freddo, squadrandomi da capo a piedi «perché per me ci sarai solo tu, non avrò spazio per un'altra persona»

Restai in silenzio, perché ormai non ci credevo più a un noi pieno di felicità e cose belle.

Avevo smesso di credere ma lo volevo ancora.

«Sei tu che me l'hai insegnato, vivere fino alla fine, amare fino alla noia» 

«Non ci credo più neanche io» ribattei, spostandomi una ciocca bionda dietro l'orecchio, per camuffare il grido interno che quelle parole mi avevano provocato.

«Siamo sempre noi, non siamo cambiati, siamo solo più incasinati di prima» 

«Non voglio una storia incasinata» 

«Vuoi una di quelle storie tutta rose e fiori?» asserì contrario «io voglio stare con te, non mi interessa se è una storia incasinata o da favoletta, voglio te e basta» 

«Sarà sempre più incasinata, noi due facciamo un casino bello grosso» 

«Non mi interessa» sentenziò, venendo a passi lenti verso di me «voglio stare con te, voglio essere le braccia che cerchi quando sei triste, voglio essere le labbra che baci, voglio sentire il tuo cuore battere forte solo per me» 

Mi morsi il labbro e incatenai i miei occhi ai suoi, mentre la sua mano risaliva il mio ventre fino ad arrivare al mio cuore, che stava pulsando per lui fin dall'inizio.

Forse non avrebbe mai smesso di battere per lui, anche se avessi voluto.

Non avrei sopportato un altro tocco che non fosse stato suo, o un bacio, una carezza, uno sguardo.

«Alice» mi richiamò, posando le mani a coppa sul mio viso «tu mi ami ancora?»

Lo fissai intensamente prima di annuire e di sentire la sua bocca sulla mia a bloccarmi il respiro.




Beh, almeno non si sono tirati per i capelli XD 
E non ci saranno più litigate, tranquilli, pace e amore per sempre, forse.

Manca poco alla fine, ma aggiungerò dei capitoli su Gaia e Chris e infine l'epilogo.
And aggiungerò degli extra, maybe.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Looser. ***



BIM BUM BAM
sono viva XD

6

Looser



 

«Allora, avete fatto pace?»

«Ci siamo dati una seconda possibilità» annuii e continuai a mangiare la mia pizzetta tranquillamente, mentre Gaia non smetteva di fissarmi.

«Niente più paranoie quindi?» domandò scrutandomi e rilassandosi leggermente sulla sedia.

«Esatto» confermai, girandomi verso la porta d'ingresso del bar da cui entrarono i due bad boys, con un'entrata scenica che attirò tutti gli sguardi su di loro.

«Eccoci» squittì il riccio, abbassandosi per stampare un bacio alla sua ragazza e sedendosi al suo fianco, ammazzando tutte le ragazze intorno a noi.

«Sono stanco morto» asserì Niccolò, scompigliandomi i capelli scherzosamente.

Lo guardai male e lui ridacchiò, lasciandomi poi un bacio a fior di labbra.

«Sai di fumo» sentenziai, facendo una smorfia con la bocca e bevendo subito dopo il mio spritz per togliermi quell'odoraccio dalla bocca.

Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò, prima di rubarmi il bicchiere dalle mani.

«Non iniziate già a litigare eh» berciò Gaia, con il sorriso stampato in faccia.

«Siamo in pace, vero meraviglia?» domandò retorico, indirizzandomi un sorrisetto ammiccante.

Ghignai e gli diedi un pugno leggero sul braccio per scherzare e mi ripresi il mio drink soddisfata.

«Ma gli altri sono spariti?» chiese a Chris, dopo avermi mandato un bacio volante.

«Tutti al mare, Luca torna settimana prossima, Gugi starà via tutto il mese come sempre»

«Che noia» ribattè, dopo aver ascoltato le parole dell'amico.

«Ti mancano?» chiesi, accarezzandogli il petto.

«No è che senza di loro non possiamo fare le solite cazzate»

«Del tipo?» indagò Gaia, dopo aver lanciato un'occhiata curiosa al suo ragazzo.

«Meglio che non lo sappiate» ribattè lui, con aria misteriosa.

La mora fece una smorfia e mi lanciò un calcio da sotto al tavolo, la fulminai con gli occhi e dopo si schiarì la voce «bionda, quel tipo ti sta guardando da mezz'ora, che ne dici di andarci a bere qualcosa insieme?»

Strabuzzai gli occhi prima di capire che stesse scherzando apposta per far sputare il rospo ai due ragazzi al nostro fianco.

Sorrisi e mi girai per dare un'occhiata dietro di me: un ragazzo biondino e con gli occhiali da sole tra i capelli mi stava veramente guardando e sorrise appena notò la mia curiosità.

Mi rigirai e annuii, ma proprio quando stavo per alzarmi fui risbattuta sulla sedia da due mani forti e da due occhi che mi scrutavano scocciati «siete veramente perfide» commentò e scosse la testa, facendo un cenno al riccio davanti a lui «usciamo a rimorchiare» disse infine e vedendo i nostri sguardi pungenti si affrettò a concludere «per finta ovviamente, ci scherziamo su»

«Anche perché siete fidanzati» puntualizzò Gaia, rivolgendo uno sguardo ammonitore ai due.

«Noi si, ma gli altri no» replicò Chris, scrollando le spalle e mangiando una patatina.

«Quindi fate i cretini con altre e poi le mollate lì come delle sceme?»

«Esattamente, si fa per ridere»

«Ho bisogno d'aria, bionda vieni con me» disse lei, prendendomi per un polso e trascinandomi fuori dal bar.

«Sono dei bambini» brontolò, guardandosi intorno confusa.

«Non te la prendere» minimizzai, fingendo che la cosa non mi avesse colpito.

Non tanto per loro, ma per le povere ragazzette che credevano di essersi trovate qualcuno con cui fare festa.

I ragazzi ci raggiunsero qualche minuto dopo ghignando e prendendoci da dietro per abbracciarci, pensando di farsi perdonare facilmente in quel modo.

Gaia fu la prima a ribellarsi e a staccarsi dal riccio, mentre io ero rinchiusa tra braccia e mani che si stavano preparando a fare il solletico.

Iniziai a contorcermi prima che qualcuno ponesse fine a quel supplizio con delle minacce «cretino, fatele in privato ste cose» ridacchiò Gaia, aiutandomi a riprendere un certo contegno davanti a dei genitori con bambini che ci lanciavano occhiate sconvolte.

«Ehi ragazzeee» sentimmo un semi urlo provenire dall'altro capo della strada e ci girammo per poi incontrare la compagnia di Bea e Andre.

Sorrisi allegra e li abbracciai entrambi e, mentre erano intenti a salutare gli altri, scorsi tra i vari sconosciuti degli occhi scuri familiari: Jacopo.

Mi venne incontro ghignando e guardando Niccolò a pochi passi da me «ancora insieme vedo» asserì con sarcasmo e prima che potessi rispondergli mi parò davanti una ragazza che riconobbi a prima vista: Mara, probabilmente l'aveva incrociata davanti a scuola per caso.

«Alice» grugnì lei con disgusto, guardandomi dall'alto in basso con la sua solita superiorità del cavolo.

«Mara» ribattei incrociando le braccia e osservandola con sfida.

Lei storse il naso e lanciò un'occhiata ammiccante al mio ragazzo, che ora era dietro di me «ciao tesoro, ancora attaccato a questa stai?» attaccò con voce mielosa e da tira schiaffi in faccia.

«E tu dove hai lasciato le tue schiavette?» rispose lui di rimando.

Mara rimase a bocca asciutta e io sorrisi diabolica, accarezzando una guancia di Niccolò con finta provocazione.

«Che amori, siete fidanzati?» soffiò ironica Gaia che si era avvicinata a noi con circospezione.

«E tu stai con lui?» domandò la bionda rivolgendo uno sguardo a Chris, che stranamente era serio in volto «lo sai che mi sono fatta anche il tuo ragazzo?» rincarò la dose e vidi la mia amica impallidire e arrossire allo stesso tempo dalla rabbia.

«E tu non hai perso l'abitudine di prendere gli scarti degli altri» replicai gelida lanciandogli uno sguardo truce che lei accolse con un sorrisetto furbo.

«Almeno io mi diverto, sono stata più di una volta con loro due» ribattè indicando i ragazzi alle nostre spalle «e sono stata una delle prime per loro, se non la primissima» ghignò e si leccò le labbra.

«Smettetela di fare i bambini ragazzi, andiamo via» berciò Andre, da dietro di noi, cercando di farci allontanare perché la distanza si era lentamente azzerata.

«Resterai sempre una tappa buchi, non sarai mai la ragazza fissa di nessuno, sarai sempre uno scarto»

«Non schifare ciò che eri anche tu solo qualche mese fa, non dimenticare che io ero tra le tue tappa buchi»

«Eri, ora non mi servi più»

«Lo vedremo Niccolò Rizzo» 

 

**********************************

 

«No, non mi piace» mi lamentai con una smorfia per la millesima volta e cancellai in un secondo la foto incriminata dalla memoria del telefono.

Non ero fotogenica, per niente, se sorridevo assomigliavo a un bradipo e se stavo normale sembravo una depressa del cavolo.

Non avrei mai potuto fare la modella, che mondo crudele.

«Sei una palla» asserì scocciato Niccolò al mio fianco, davanti allo specchio, e rubandomi l'oggetto incriminatore per impugnarlo «abbiamo fatto un centinaio di foto e non te ne piace neanche mezza, sono esausto» sbuffò sonoramente e mi afferrò per una spalla avvicinandomi ancora di più a lui, in modo da essere fianco contro fianco «questa sarà l'ultima, siamo in ritardo di dieci minuti per colpa tua»

Roteai gli occhi e mi guardai nel riflesso: un ammasso di capelli spettinati prigionieri delle mie mani che avevano cercato di acconciarli in diversi modi senza riuscirci, magliettina bianca anonima e jeans skinny che si intravedevano sopra il lavandino.

Non mi ero messa in tiro, anche perché non avrei potuto competere molto con un ragazzo come quello al mio fianco, sempre perfetto anche con un accenno di barba e la maglia bucata.

Lui si che poteva fare il modello, qualunque smorfia facesse restava sempre bellissimo, che nervoso.

«Mettiti in posa meraviglia» mi schernì fissandomi dallo specchio e scattando la foto subito dopo.

Alzò un angolo della bocca e sorrise «devo dire che è perfetta» ribattè retorico prima di mostrarmi ciò che ne era uscito.

Ridacchiai e gli diedi una spinta scherzosa «va benissimo non ti preoccupare»

«Non si vede il tuo bel faccino da culo» scherzò, prima di raggiungermi e uscire da quella casa infestata da spiriti maligni.

«La metto su Facebook ora» accennai una risata sentendolo sbuffare nuovamente e poi circondarmi il fianco con un braccio «contenta te»

«A me piace, non rompere»

«Mi chiederanno se sto con una senza faccia»

«Scemo» gli feci eco e riguardai la foto sorridendo: lui stava facendo la linguaccia e io all'ultimo secondo mi ero coperta con le mani il viso, sembravamo una di quelle coppiette esaurite e impazzite, ma avremmo fatto invidia a tutti, soprattutto a chi voleva separarci.

«Arrivati» constatò lui lasciandomi libera dalla sua presa e conducendomi all'interno dell'atrio e poi lungo un corridoio infinito che si concludeva con una porta bianca con infissa una targhetta dorata Free model agency.

«Sei nervoso?» domandai vedendolo incerto e pensieroso sull'abbassare la maniglia.

«No che dici, sono tranquillissimo, è solo un aperitivo tra di noi»

Appena entrati ci accolse una musica dai toni leggeri e vari chiacchiericci tra ragazzi e professionisti del campo.

Mi guardai intorno prima di sentire una voce femminile vicina a noi, mi voltai e trovai una donna, di qualche anno più vecchia, con sguardo ammiccante e tacco a spillo, oltre a un vestitino nero corto al ginocchio.

«Caro, sei riuscito a venire alla fine» affermò riferendosi a Niccolò, che mi sembrò a disagio al mio fianco.

Inarcai un sopracciglio perplessa, alternando lo sguardo da uno all'altro.

«Sì, come vedi e ho portato la mia fidanzata» si affrettò a ribattere, stringendomi tra il suo braccio e il fianco.

Sorrisi imbarazzata quando la suddetta donna mi squadrò da capo a piedi, forse avrei fatto meglio a vestirmi elegante e non come una scappata da casa.

«Carina» commentò con una smorfia «piacere io sono Giada, coordino un po' tutto qui» aggiunse fiera di sè, facendomi sentire una misera cacchina.

Annuii complimentandomi e accennando vari sorrisi accondiscenti, più falsi che altro.

«Certo che attiri tutte tu eh» sentenziai appena lei si allontanò per andare ad accogliere un altro ragazzo appena arrivato sul posto.

«Sono bello per tutte» rispose alzando le spalle indifferente, come se fosse ormai abituato.

«Devo dire che sei modesto»

«Non fare la gelosa meraviglia» disse con tono dolce, abbracciandomi e lasciandomi un bacio sulla fronte e facendo passare qualche secondo in quella posizione così tenera.

«Bro» una voce familiare ci costrinse a separarci per incontrare un biondino con i capelli tutti scompigliati, Luca, e al suo fianco Gugi, il riccio, che iniziò a squadrare ogni ragazza senza farsi troppi problemi rischiando di essere sorpreso.

«Chris dove si é cacciato?» Niccolò diede voce anche ai miei pensieri e gli altri due si guardarono sorridendo complici.

«Diciamo che ha preferito occupare questo tempo con altro» ribattè il riccio, ghignando e poi soffermandosi su qualcuno o qualcosa che destò la sua attenzione «interessante» commentò poco dopo.

«Che cosa?» chiesi curiosa seguendo il suo sguardo e pentendomene subito dopo.

Che cavolo ci faceva lei qui?

La osservai e constatai che era bellissima, la chioma rossiccia ben raccolta e gonfia sul davanti e un vestito bianco stretto che metteva in risalto ogni singola parte del suo corpo.

Provai un moto di invidia molto alto, al confronto io ero il nulla, troppo magra e con zero forme, una cosa poco attraente.

Gli sguardi dei ragazzi erano fissi su di lei, che lanciava occhiate a tutti, inondando sensualità anche bevendo da un semplice bicchiere di vetro.

«Lo sapevi vero?» domandai rabbuiata al moro al mio fianco che ancora mi stringeva a sè.

Lui annuì solo e distolse lo sguardo, facendo calare un velo immenso di imbarazzo e silenzio.

«La pantera sta arrivando» annunciò Luca, senza toglierle gli occhi di dosso.

Guglielmo invece scosse la testa e si guardò intorno, cercando di nascondere i suoi pensieri chiudendo gli occhi.

«Ehi ragazzi» la sua voce non era cambiata, piuttosto si era affinata per fare colpo dopo solo dieci secondi.

Cercai di ignorarla ma la fortuna non era dalla mia parte visto che si rivolse direttamente al mio ragazzo, senza mezzi termini: «allora, ci vediamo settimana prossima per il sevizio fotografico?»

Deglutii e cercai di mantenere un'espressione neutra e non da pazza serial killer, intento molto difficile quando la tensione era alle stelle e tutti gli occhi erano puntati su di me.

«Si certo, è mercoledì giusto?» si informò il cretino al mio fianco, sempre però con tono scazzato.

«Si hai detto bene» sorrise allegra e quando capii che se ne stava andando sospirai e feci per chiedere delucidazioni ma fui interrotta dalla sua stessa voce tornata indietro «ah e non dimenticarti di depilarti visto che poseremo in costume e mezzi nudi»

Boom.
Alice 0 Arianna 1




 


SBAAAM

+Arianna è tornata alla ribalta e vi annuncio che il prossimo capitolo non vi piacerà per nulla, cioè all'inizio sarete felici ma alla fine vorrete farmi fuori XD

MA no problem, non vi dovete preoccupare per nulla al mondo xD

xoxo
attendo vostri insulti/pasticcini/torte [ho sempre fame ultimamente]

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** How we do. ***


7

How we do


 



[NICCOLÒ POV]

 

Dopo una mattinata passata a giocare alla play con gli altri, mi aspettava un pomeriggio di lavoro e una serata da quella psicopatica guarita, il miglior programma della vita praticamente.

Mi sentivo un perfetto organizzatore, ero riuscito a unire tutto senza trascurare nessuno.

Ormai i miei pensieri erano questi, mi sentivo abbastanza sfasato, forse perchè non ero più abituato a giocare per tante ore e sudando per la concentrazione e l'obbligo di vincere.

Guardai l'orologio e sospirai, buttandomi sul letto di peso: avevo ancora qualche ora di pausa per riposare i miei nervi.

Incrociai le braccia dietro la testa e chiusi gli occhi: le ultime parole famose prima del suono del cellulare.

Sbuffai sonoramente e mi rimisi seduto, dando uno sguardo allo schermo e facendo una smorfia.

«Gugi» risposi roteando gli occhi e appoggiando la schiena al muro.

«Bro, devo parlarti» affermò telegrafico.

«Eri a casa mia fino a mezz'ora fa» berciai, roteando gli occhi e guardando fuori dalla finestra.

«Si lo so, ma c'era troppa gente» immaginai la solita smorfia che faceva quando qualcosa non era di suo gusto e sorrisi «muoviti a parlare che voglio dormire» incitai spazientito, conoscendolo ci avrebbe messo secoli a sputare il rospo.

«Si dunque, ho conosciuto una ragazza l'altro giorno all'aperitivo»

«E?» domandai, spronandolo a continuare dopo la sua pausa.

«Alta, mora, bella»

«Ti ha stregato insomma» ridacchiai e mi passai una mano fra i capelli divertito.

«Ma ha solo quindici anni»

«Piccolina» commentai contrario aggrottando la fronte.

«Ha degli occhi magnifici, verdi, quasi trasparenti, li voglio»

Alzai gli occhi e sorrisi scuotendo la testa sentendo il suo tono serissimo «hai il suo numero

«Ovvio, per chi mi hai preso?» lo sentii ridacchiare e borbottare qualcosa di incomprensibile: un altro amico rincitrullito dall'amore, ora mancava solo Luca.

«Bene allora sai cosa fare, invitala fuori a mangiare o al cinema»

«Stasera usciamo e me la bacio»

«Vacci piano pedofilo» schernii prendendolo in giro.

«Ehi, io sono un ragazzo d'oro» rispose con tono da finto offeso e lo salutai, prima di sorbirmi altre smancerie inutili.

Neanche trenta secondi dopo ricevetti un messaggio:

Lo so che quando leggerai il mio nome non ci crederai, e neanche io so con precisione il motivo per cui ti sto scrivendo.
Forse perché voglio che tu sia l'ultima persona che sentirò e che io sia il tuo unico pensiero di questi minuti. Sono innamorata di una persona che non mi vuole, che ha preferito un'altra ragazza, che mi ha sbattuto la porta in faccia e mi ha spaccato il cuore a metà. 
Sono fragile e ti amo, per questo sono qui al ponte e guardo giù, osservo l'acqua colpita dai raggi del sole e penso a come sarebbe bello essere così luminosa, essere trafitta dalla luce. Addio

Rilessi più volte quel messaggio pensando che Arianna fosse completamente impazzita, o così drogata da fare una pazzia simile.

Deglutii spaventato e iniziai a camminare avanti e indietro, non sapendo cosa fare di preciso, come agire, se chiamare qualcuno o tentare l'impossibile.

Mi sentivo responsabile di questo suo gesto insensato e come tale dovevo fare qualcosa, almeno provarci.

Dovevo lasciare andare ogni incomprensione, ogni litigio e tutto quello successo in mezzo, i baci, le litigate, le scene di gelosia, era stata tutta colpa della mia insicurezza e ignoranza sull'amare qualcuno.

Presi una decisione e uscii di casa correndo, me ne fregai delle occhiate che ricevevo, dovevo fare il mio dovere da uomo.

Arrivai al ponte col fiato corto, mi guardai in giro come un pazzo, guardando in ogni angolo, facendo avanti e indietro, e lo attraversai tutto senza trovare nessuna traccia di lei.

Sbuffai e ritornai indietro, gettai un'occhiata casuale sotto e la vidi, appoggiata alla colonna di sostegno, seduta scomposta sull'erba.

Tirai un sospiro di sollievo e scesi i gradini di pietra per raggiungerla, appena mi vide sgranò gli occhi sorpresa e potei scorgere un rossore profondo che li incorniciava: aveva pianto, e il senso di colpa mi risalì in gola.

«Non pensavo saresti venuto davvero»

«Ti volevi buttare, pensavi che sarei stato a guardare?» asserii con un sopracciglio alzato continuando a fissarla sconcertato e cercando di capire cosà frullasse nel suo cervello.

«Non l'avrei fatto davvero» alzò gli occhi verso di me e subito dopo distolse lo sguardo «era una scusa per vederti, per parlarti, mi mancavi» 

«Ti mancavo» ripetei perplesso con l'irritazione che iniziava a salire «e non potevi evitare di fare questa sceneggiata?»

«Non saresti venuto, avevo bisogno di una scusa»

«Avevi bisogno di un finto suicidio per farmi venire da te?» ringhiai incredulo per le sue conclusioni senza capo nè coda.

«Non ci paliamo da mesi, come potevo fare secondo te?» urlò quelle parole taglienti e si alzò, venendomi in contro per fronteggiarmi.

Le lanciai un'occhiata infuocata prima di ribattere «come una persona normale Arianna, non come una pazza che si vuole ammazzare»

Non era capace di scrivere un messaggio da persona sana di mente senza farmi venire degli attacchi di panico inutili?

Evidentemente no, era impazzita, così pazza di me da fare una cazzata simile.

La guardai serio e le voltai le spalle per andarmene, prima di essere afferrato per un braccio  e voltato «dove vai?» domandò con voce bassa e flebile.

«Me ne vado» dissi con tono deciso e strattonai il braccio per liberarmi dalla sua presa ferrea tale da farla cadere involontariamente in ginocchio davanti a me.

Magnifico, e ora come me ne libero?

«Ti prego, non andartene» mi supplicò guardandomi dal basso «ho sbagliato okay?!» strillò con le lacrime agli occhi «ma volevo vederti. Mi rode il fegato Niccolò! Mi chiedo cos'abbia lei che io non ho!»

«La sanità mentale, Arianna»

Mi girai di nuovo e iniziai a calpestare pesantemente quell'erbaccia, unico mio sfogo nervoso in quel momento.

Sentii dei singhiozzi e mi bloccai, voltandomi la vidi piangere, con le mani a coprirle il viso e i miei fottuti sensi di colpa ritornarono a galla, facendomi fare marcia indietro.

Mi avvicinai a lei, col solo intento di consolarla in qualche modo, non erano da me certe attenzioni, ma le accarezzai delicatamente una guancia sperando che si calmasse e smettesse di attirare gli sguardi dei passanti che mi avrebbero di sicuro incolpato come ragazzo senza cuore.

Lei mi circondò i fianchi e si strinse a me in una presa disperata, ma non ci feci molto caso, e mi fissò intensamente negli occhi prima di abbassarli sulla mia bocca e unire la sua alla mia.

Le sue labbra cercavano di nuovo le mie, mi sentii catapultato nel passato, tanti mesi prima quando ancora potevo fare ciò che mi andava senza alcuno scrupolo, ma adesso non potevo sopportare un bacio che non fosse di quella bionda che mi aveva illuminato la vita.

Con una mossa brusca mi staccai da lei e la guardai scocciato «sei impazzita?! Che cazzo ti prende?!» la strattonai di nuovo, e quando alzò gli occhi, notai quanto fossero luminosi con le lacrime che li graffiavano.

La abbandonai di nuovo, stufo di lei, del suo modo di fare e del suo potere su di me.

«Niccolò» mi richiamò, ma la ignorai.

I miei passi erano decisi, e non mi sarei fermato.

«Niccolò!» la sua voce era dannatamente assordante, quasi avrei voluto diventare sordo per non sentirla.

Quando la sua mano prese la mia, ringhiai, optando deciso per rimuovere quel contatto.

La guardai, occhi contro occhi, odio contro amore.

Ma la odiavo davvero?

No, semplicemente odiavo il suo modo di fare.

«Lo scoprirà» asserì velenosa, ghignando compiaciuta e facendo quasi scomparire quelle lacrime false.

«Vai a farti fottere, Arianna» così me ne andai, lasciandola nella sua cattiveria.

Mi allontanai, e questa volta non mi guardai indietro quando ritornò a piangere.



 

«Guglielmo, ora mi confesso io» accennai un tono scherzoso che scemò appena mi fermai a pensare.

Mi ero seduto su una panchina, confuso e stanco, guardando di fronte a me senza però vedere ciò che avevo davanti, tutto aveva perso significato in qualche minuto.

«Bro, sei fatto

«Cretino, devo parlarti di una cosa seria»

«Mh, fammi indovinare» tacque per qualche secondo e aspettai la sua cazzata «Bucci è incinta e vuoi sposarla?» affermò e rise subito dopo.

Roteai gli occhi anche se lui non poteva vedermi «riguarda Arianna e i miei sensi di colpa»

«Sensi di colpa per non aver scelto una pantera e aver preferito una..a che animale può assomigliare la tua ragazza

Per sua fortuna eravamo al telefono e non potevo rifilargli un cazzotto in piena faccia.

Sbuffai e mi alzai da quella ancora più nervoso e infastidito da tutto «deficiente, fai il serio, Arianna è ancora innamorata di me e prima mi ha mandato un messaggio dove diceva che voleva uccidersi, perché ho preferito Alice a lei»

«Che coraggio, anche io lo farei se Martina mi darà buca»

«Ho fatto una cazzata a chiamarti, non sai cosa vuol dire» berciai seccato e feci per chiudere la chiamata quando la sua voce rischiò di rompermi un timpano tanto era acuta: «okay, va bene, faccio il serio, ma non si ripeterà più, fammi pensare»

«Pensa con il cervello»

Lo sentii sbuffare prima di rispondermi «vedila così» il suo tono era stranamente serio, quasi rassicurante «Alice ti ha dato una possibilità quando l'hai tradita» dove voleva andare dannatamente a parare con quel suo discorso filosofico? «Dai una possibilità ad Arianna per essere migliore. Sai come puoi farlo

Il mio sguardo era fisso davanti a me, cercavo di capire cosa intendesse, annuendo in modo ebete.

«Grazie Gugi, a volte sembri intelligente» scherzai, ma ero serio.

Mi aveva davvero dato il migliore dei consigli.

«Lo sono sempre, lo sono sempre» ghignò, chiudendo la telefonata, non prima che gli augurassi uno scherzoso in bocca a lupo per il suo appuntamento.

Mi girai più volte il telefono tra le mani prima di scrivere: 
Al muretto, ora.

Mi limitai dallo scrivere qualche appellativo poco gentile e scuotendo la testa mi incamminai verso quel luogo isolato e tranquillo dove nessuno ci avrebbe infastidito e guardato con curiosità.

Lei era già lì e appena mi vide mi si avvicinò con uno sguardo serio da far paura «dovevo farlo, almeno per una volta, per l'ultima»

«Non dovevi comunque» dissi con voce dura e pungente «non posso darti ciò che vuoi perché non provo lo stesso per te» mi addolcii leggermente e la vidi sprofondare la schiena sul muretto e tirare fuori dalla tasca dei jeans il pacchetto di sigarette.

«Vuoi?» mi domandò senza ormai nessuna emozione a segnarle il viso pallido.

Annuii e mi sedetti al suo fianco, accettando quella valvola di sfogo come la fine dei problemi.

«L'amore é una cazzata, una semplice ed assoluta cazzata»

«Intanto arriva per tutti, Arianna»

«Non per me, non arriverà mai. Sono così difettosa, tanto da perdere la mia migliore amica»

«Sì, anche io ero difettoso»

«E poi?»

«E poi é arrivata lei, magari anche più difettosa di me» accennai un sorriso ebete e scossi la testa per ritornare in me «ma mi ha salvato, e ad un certo punto non importa più quanto potremmo essere difettosi, ci curiamo l'un l'altro»

«Ma per me é diverso, nessuno potrebbe innamorarsi di me, guardami»

«Non hai niente che non va, Arianna. Sei simpatica, hai un bel fisico e sei anche carina. Troverai qualcuno che ti ami per quello che sei, che ti guardi con quello sguardo»

«Quello con cui tu guardi lei?»

«Quello con cui io guardo lei»


_______________________________________________________________________________________________


..due settimane dopo..



[ALICE POV]

 

«Luca fa una festa»

Annuii solo a queste sue parole, perché concentrata ormai da qualche minuto sulle sue dita che mi accarezzavano delicatamente i capelli, le guance, le spalle, le braccia, fino ad intrecciarsi alle mie e stringerle in una presa ferrea.

«Stasera» aggiunse con tono attento e premonitore, prima di interrompere i suoi gesti e di farmi elaborare quell'informazione scomoda.

«E me lo dici così?» saltai su come una molla districandomi con poca grazia dal suo abbraccio e guardandolo storto, storcendo il naso per il suo sorrisetto sul viso leggermente più rilassato.

Era strano, da parecchi giorni, sembrava sulle nuvole, non era il solito Niccolò spaccone, c'era qualcosa che lo turbava e di cui lui non mi voleva accennare.

Decisi comunque di non fargli il terzo grado che tanto odiavo quando io stessa ero sotto interrogatorio, non volevo diventare insopportabile e appiccicosa, dovevo trattenere i miei istinti da investigatrice per vivere una relazione normale e tranquilla, senza incasinarla ulteriormente.

«Non è una tragedia» continuò a parlare con tono più rilassato senza nascondere il suo sorrisetto sornione «tra un'ora dobbiamo essere là»

«Questa si che è una vera tragedia» commentai di nuovo storcendo il naso e iniziando ad aprire le ante dell'armadio in modo nervoso e alla ricerca di qualcosa da indossare.

«Non fare la sclerotica, vestiti comoda»

«La fai facile» sbuffai mettendomi le mani sui fianchi indispettita.

«Lascia fare a me, facciamo prima» ridacchiò e subito fu al mio fianco, squadrò qualche vestito, tirò fuori e rimise al loro posto diversi abiti troppo corti e troppo scollati non adatti all'occasione e infine mi buttò tra le mani una canotta bianca corta e un paio di jeans molto strappati «mi piace il fatto che gli altri possano vederti solo a pezzi mentre io posso avere il pacchetto completo» alzò le spalle e ritornò a sedersi sul mio letto con le braccia incrociate e uno sguardo malizioso.

«Vado a cambiarmi» roteai gli occhi e sorrisi, aspettando una sua risposta che non tardò ad arrivare.

«Fallo davanti a me»

Scossi la testa e mi voltai a guardarlo «non avevi detto che volevi ricominciare dall'inizio, con calma?» sottolineai le ultime parole e inarcai un sopracciglio interrogativa.

«Non con troppa calma» ammiccò e fu di nuovo davanti a me, mi stampò un bacio dolce sulle labbra e iniziò a sfilarmi il vestito che portavo con estrema lentezza, come se stesse calibrando ogni suo movimento.

«Ora chiudo gli occhi e quando li riapro devi essere coperta» asserì, con un cipiglio serio stampato in viso e un sorrisetto di circostanza.

Annuii e indossai subito i jeans quasi inesistenti, e sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi «fatto?»

«Mi manca la maglia»

Alzò un angolo della bocca e aprì gli occhi, scrutandomi e rubandomela dalle mani.

«Faccio io» sorrise di nuovo e mi infilò la canotta dalla testa, accompagnando le sue mani sulle mie spalle e poi sulle braccia, a piccoli baci sulla mia pelle, prima che venisse coperta.

«Mi piaci quando improvvisi»

«Allora devo farlo più spesso, se mi rispondi con quella voce» sorrise soddisfatto e risalì di nuovo sulla mia bocca per darmi un bacio «ora vai a metterti quel rossetto, anche se dopo non potrò più baciarti» asserì, facendo una smorfia.

«Se vuoi non lo metto»

«No mettilo, così avrai una scusa per non baciare nessuno»




 

«Ehi tu» Luca sbraitò per la centesima volta prima di rubare il bicchierino dalle mani del ragazzo davanti a lui «e tu» aggiunse, puntando il dito contro la ragazza «no martini no party» scherzò, beandosi delle espressioni stralunate dei due «a meno che la tua donna non voglia fare party con me, niente preservativi usati sul mio letto»

«Non sei normale» commentai, scuotendo la testa costernata.

«Bucci, vale anche per te» ghignò e bevve il liquido bianco, iniziando a muoversi a ritmo della canzone che usciva dalle casse.

«Dai Luchino troverai qualcuna anche tu» Gaia rise della sua stessa battuta prima di rifugiarsi tra le braccia di Chris, che alzò le spalle divertito dalla situazione.

«Come mi hai chiamato?» berciò il biondo, fulminandola e adocchiando qualcuno di suo interesse subito dopo, salvo poi vedere il suo sorriso spegnersi e diventare una smorfia «ecco i nuovi piccioncini»

Seguii il suo sguardo e trovai Guglielmo abbracciato teneramente a una moretta, altina e magra, e quella gonnellina blu scozzese la slanciava ancora di più.

Sorrisi impercettibilmente nel vedere quella ragazza a suo agio, nonostante la baraonda che la circondava.

«Ebbravo» Niccolò diede una pacca sulla spalla all'amico, dopo essersi scambiati uno sguardo che capivano solo loro.

Inarcai un sopracciglio perplessa e lanciai un'occhiata a Gaia, anche lei con un'espressione strana stampata in volto.

Tutti gli sguardi andarono sulla nuova arrivata, che abbassò lo sguardo sulle sue scarpe per i troppi occhi che la squadravano, come darle torto, quando volevano gli uomini sapevano essere intimidatori.

«Ehi raga, ci siete tutti» Gugi sorrise raggiante per poi rivolgersi al suo fianco «lei è Martina» continuò, passandosi una mano tra i ricci ribelli «mi sembra di stare a una riunione di famiglia» ridacchiò e lo seguimmo a ruota, poi ci presentammo tutti cercando di sovrastare la musica altissima.

«Bro avevi detto che era piccola» ironizzò Luca, continuando a fissare intensamente la moretta, che iniziò ad attorcigliarsi una ciocca tra le dita per il suo sguardo insistente.

«Lo sono, ho quindici anni» rispose lei, sorridendo e storcendo la bocca in una piccola smorfia.

«Ma io mi aspettavo la bambina col biberon, non una piccola bellezza»

«Bro se la guardi un'altra volta finisci con la testa nel bancone»

Luca ghignò e alzò le mani in segno di resa, cambiando direzione del suo sguardo verso altre ragazze.

«Marti, ti accorgerai che questi sono pazzi maschilisti, ma in fondo sono simpatici» Gaia ridacchiò e io annuii, aggiungendo solo «ma molto in fondo»

«Dove, lo scoprirai presto» Chris ghignò e noi scuotemmo la testa rassegnate dalla sua stupidità.

«Lascia stare questo idiota che mi ritrovo come ragazzo» berciò la mora al mio fianco fulminando il riccio con lo sguardo «che scuola fai?»

«Liceo classico» rispose, senza nascondere una nota di divertimento per le parole di Gaia e successivamente una piccola smorfia.

«Te la sei scelta anche intelligente» Luca ridacchiò ma noi lo ignorammo.

«E che materia ti piace di più?» domandai, avvicinandomi per sentire meglio la risposta.

«Inglese, leggo molti libri in lingua originale» asserì compiaciuta e sorridendo a tutti, evitando di guardare negli occhi gli altri ragazzi che le buttavano spesso occhiate ammiccanti.

«Allora potresti dare qualche lezione a Gugi, è una schiappa nelle lingue» commentò Gaia con ilarità, facendo ridere tutti, tranne il diretto interessato «ehi, così mi sento offeso»





 

Mi ero allontanata dal gruppetto per prendere un po' di distanza, volevo prendere una boccata d'ossigeno, così aprii la porticina posteriore che dava sul cortile e prima di rendermene conto incontrai uno sguardo che non dimenticherò mai, un misto tra tristezza e rassegnazione.

 

Scorrevo nelle varie pagine tumblr sul mio pc, osservando qualche citazione e foto qua e là, mentre mi mordevo l'interno guancia, annoiata.

Era settembre inoltrato, e quel pomeriggio, stranamente, non avevo molti compiti.

Il mio sguardo vagava assente sullo schermo, quando la mia attenzione fu catturata da una foto appesa allo specchio.

Erano due anni che quella foto era ferma lì, due anni in cui mi ricordava cosa avevo e non dovevo perdere.

La porta si aprì con un tonfo silenzioso, mostrando la figura del mio migliore amico, che anche se di vista, sembrava assente.

«Ehi» gli sorrisi calorosa, chiudendo il pc e avvicinandomi a lui, volendo abbracciarlo.

Lui ricambiò, ma con freddezza «Lore..?»

«Ali..» soffiò, quasi lacrimante, mentre tentava di perdere i nostri sguardi «Dobbiamo parlare»

 

«Lore, che ci fai qui?»

«Quello che ci fai tu, bere e dimenticare« alzò le spalle e mi sorrise amaramente, incastrando i suoi occhi nei miei.

«Non bevo per dimenticare» scrollai il bicchierino che avevo tra le dita e lo buttai giù, in un unico sorso.

«Io voglio ricordare ciò che eravamo, ma mi conviene non farlo»

Annuii accondiscente e abbassai la testa, per non incontrare più il suo sguardo.

«Giocavamo sull'altalena, poi con la disney, fino ad uscire assieme e fare l'amore» mormorò, varcando il confine dei ricordi «come siamo finiti ad odiarci?»

«È più facile iniziare ad odiarsi, piuttosto che continuare ad amarsi senza possibilità»

«Noi avevamo queste possibilità, Alice, ma non le abbiamo afferrate, le abbiamo lasciate andare via»

«Noi ci siamo lasciati, è diverso»

«Sì, ma potevamo combattere per non perderci»

«Hai ragione, ci siamo persi. La parte divertente é che nulla di questo era programmato. Io ho perso te, tu hai perso me»

«Non deve essere per forza»

«A volte credo che ci pieghiamo al destino, come semplici marionette» scrollai le spalle, distrattamente.

«Magari le marionette dovrebbero prendere i fili, Alice»

 

«Non puoi dire sul serio!» la mia voce rieccheggiava nella stanza, ed ero perfettamente consapevole che anche mia madre la sentisse.

Lui non rispose, piangeva ancora, come me del resto.

«Lore e la scuola? I tuoi hobby? I tuoi amici? Io?» le mie mani vagavano in aria, mentre cercavo negli angoli remoti della mia mente una sorta di contegno «Non puoi davvero trasferirti. Da quando lo sai?!»

«Ali..»
«Dimmelo!»

«Qualche settimana» mi cadde il cuore, potevo giurare di averlo sentito infrangersi per terra.

«Qualche settimana..» mi morsi la lingua, incazzata «qualche settimana..» risi amareggiata.

«Alice.. perfavore!»
«Alice un cazzo, Lore! Tutte le volte in cui mi dicevi che non mi avresti mai lasciato, in qualche settimana, era tutto finto!Finto!» piansi sconfitta, accasciandomi per terra.

Avevo bisogno di lui, ma lui se ne andava.

Saremmo rimasti ricordi.

Come quelle fotografie mai attaccate, ma impresse nel cuore.

Un puzzle che era destinato a non essere mai completato.

Un cuore prima aggiustato, poi distrutto dal suo salvatore.

Lui si sedette accanto a me, abbracciandomi.

Assorbii per l'ultima volta quel suo profumo, perchè lui mi avrebbe lasciato.

«Io ho bisogno di te, e ti conserverò proprio qui.» posò una mia mano sul suo cuore, e giurai stesse sfondando la gabbia toracica.

Mi limitai ad annuire, poggiando la testa su di lui, lasciandomi andare al sonno.

 

«Tu sei partito Lore! Non io. Io ero qui! E credi che per me sia stato bello che dopo tutto ciò che avevamo condiviso tu mi abbia detto che ti saresti trasferito?»

«Non dipendeva da me, l'ho fatto perché volevo custodire una parte di te, una parte che sarebbe stata mia per sempre! E poi quando sono tornato tu eri..lasciamo perdere!»

«Ero con chi? Niccoló? Lore tu sei sparito, tu mi hai distrutto. Ho solo ricominciato, senza guardarmi indietro»

«Mi hai dimenticato allora» non avevo la forza di rispondere, la voce mi era morta in gola, ero a pezzi, di nuovo «sai, invece io non ti ho dimenticata, per quanto io ci abbia provato per anni. Ti ho sempre pensato, ogni giorno, pensavo a te. Sei stata importate Alice, io ero innamorato di te, non è stato semplice non poterti più vedere, abbracciare e baciare»

«Eri innamorato di me?» sussurrai, a metà tra una domanda e una affermazione.

«Sì, lo ero, e forse lo sono anche ora»

Scossi la testa e volsi lo sguardo altrove, dove lui non poteva esserci «sai quando quel giorno ti ho attaccato..dicendoti di starmi lontano, me ne sono pentita» alzai gli occhi al cielo per non far scendere le lacrime che minacciavano di uscirmi «eri il mio migliore amico, eri colui che mi faceva sentire a posto, e per quanto male mi hai fatto, ho ancora bisogno di te»

«Anche io ho bisogno di te, ancora, forse non nello stesso modo che vorrei, ma ci posso provare»

«Quindi amici?» mi lasciai andare a un sorriso, prima di avvicinarmi a lui cautamente.

Roteò gli occhi e sbuffo divertito «vieni qui, stupida» ridacchiò e mi intrappolò tra le sue braccia, come una volta

I ricordi fanno male, questo é vero.

Forse era per questo che con Lore era finito tutto, troppi ricordi a galla, troppi fili che ci mantenevano, spezzati.

I ricordi sono proprio questo, mattoni per costruire pilastri, il terremoto che li distrugge.



 

Quando lasciai Lore, trovai Niccolò sulla porta, con uno sguardo strano.

«Da quanto sei qui?» domandai, guardandomi in giro.

«Da un po'» rispose, alzando le spalle «che vi siete...» i suoi occhi vagavano confusi, era nervoso, lo si capiva dal tono e dal continuo trascinare le mani nei capelli.

Ridacchiai interiormente alla scena dolce.

«Che vi siete detti?»

«Abbiamo ricordato» la buttai lì, calciando nel vuoto e sospirando all'aria fresca di quella sera «abbiamo capito di aver bisogno l'uno dell'altro» sbiancò e non potei che sorridere «da amici» precisai.

«Perché gli hai parlato?»

«Sai come si costruisce un futuro?» chiesi retorica, lasciandogli scuotere la testa.

I suoi occhi blu brillavano alla luna.

«Chiudendo il capitolo del passato. Ed io stasera, ho cominciato a lavorare per il mio futuro»

«E cosa ci sarebbe in questo futuro?» ammiccò malizioso, provocandomi i brividi quando mi toccò i fianchi
«io e te, Niccolò Rizzo»



NB: le parti in corsivo tra Alice e Lorenzo sono dei flashback



Buongiornoo
sono successe un po' di cose, ahi, spero di non avervi incasinato e come sempre aspetto le vostre opinioni/insulti XD


impo::: il prossimo capitolo sarà un epilogo per quanto riguarda la coppia Alice-Niccolò, poi ci sarà qualche missing moment su Gaia e Chris e per finire altri due epiloghi, che roba complicata xD

xoxo
alla prossima


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogo. ***


EPILOGO

Coppia Alice Niccolò




 


«Insomma, si può sapere dove mi stai portando?»
«Ancora un po' di pazienza meraviglia»
«Sto congelando»
«Consolati, anche io»
«Perfetto, allora spero che il posto sia vicino»
«Possibile che stai sempre a lamentarti?»
«Ho freddo»
«L'hai già detto» 
«C'è la neve»
«Perspicace, adesso ti ci butto dentro»
«Stronzo»
«Anche questa l'ho già sentita»
«Spero solo ne valga la pena»
«Secondo te ho guidato quasi due ore per niente?»
«Non lo so»
«Ti fidi di me?»
«No»
«Chiudi gli occhi»
«Mi vuoi buttare veramente tra la neve?»
«Sono uno che mantiene le promesse»
«Stronzo»
«Sei ripetitiva, chiudi gli occhi»
«Ma non farmi ibernare completamente»
«Avrei potuto farlo già cinque minuti fa e non l'ho fatto»
«Devo ritenermi fortunata allora»
«La più fortunata del mondo che può avermi quando vuole, ora chiudi quei bellissimi occhi per cinque secondi»
«E che intenzioni hai?»
«Di portarti in paradiso»

*****

«Mi sento sola»
«Sono a due metri da te»
«Non è la stessa cosa»
«Fammi finire la sigaretta e ti raggiungo» 
«Sempre con sta sigaretta»
«Sempre con te»
«Ora no»
«Lagnona»
«Mi mollerai per quella»
«Ora ti mollo uno schiaffo»
«Violento»
«Solo con te»
«E con chi altro, sennò?»
«Sapessi»
«Dimmi chi»
«Con una»
«E chi sarebbe?»
«L'amore della mia vita»
«Nome cognome indirizzo»
«Stalker»
«La ammazzo»
«Ammazzeresti te stessa?»
«Non ho ancora manie suicide per colpa tua»
«Ne sono felice»
«E poi perché mi dovrei ammazzare?»
«Perché mi riferivo a te, stupida»
«Non sono stupida»
«No infatti, sei bella, soprattutto ora, baciata dall'acqua»
«Baciami tu»
«Per sempre»
«Ora»
«Autoritaria»
«Muoviti a venire qua, ho freddo»
«Ancora?»
«Senza di te, ho freddo»
«Che romantica»
«Più di te, sicuramente»
«Bugiarda»

Si alza dalla poltroncina bianca di legno, spegne la sigaretta schiacciandola nel portacenere e mi guarda con due occhi così trasparenti da essere irreali, o forse lui stesso è un angelo caduto dal cielo, misterioso e attraente allo stesso tempo.

Tira in dentro il labbro inferiore e si sporge ad afferrare una piccola rosa racchiusa nel vasetto trasparente sopra al tavolino.

Inarca un sopracciglio e cammina verso di me, si avvicina ed entra nella vasca termale al mio fianco, tra le dita ha ancora quel fiore di un rosso acceso, quasi innaturale.

«Ora dimmi se non sono romantico»
«Per una rosa rubata»
«L'ho rubata per te»
«Ladro»
«Tu sei la ladra del mio cuore»

E saremmo andati avanti così, tra litigate e baci, tra amore e odio, tra inferno e paradiso, ma senza smettere di far sposare i nostri battiti.


Haloaa

spero che questo primo epilogo vi piaccia, anche se strano, spero vi possa portare dove ha portato loro.

impo::: a seguire i missing moment su Gaia e Chris e altri due epiloghi

xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Strawberry. ***


Missing moment uno

Strawberry




[GAIA POV] 


Il momento più bello dell'anno era proprio questo periodo tra Natale e Capodanno, pieno di feste ogni giorno, alcool, musica, niente scuola, solo divertimento, anche se questo significava andare a casa di mezzi sconosciuti.

Ormai era tradizione che qualcuno di importante nella scuola organizzasse una mega festicciola nella propria villetta firmata, ovviamente, invasa da sfarzo e ricchezza, giusto per farci sentire delle piccole formiche in mezzo ai leoni, re della giungla.

Quest'anno era stata la volta di un certo Federico qualcosa, mai visto in giro ma aveva invitato mezza scuola, la nostra classe inclusa, anche perché nessuno poteva evitare di invitare le galline più belle, Mara e le sue pecorelle svestite.

Feci una smorfia appena incrociai il suo sguardo nella cucina dove mi ero rifugiata e mandai giù un bicchiere di birra gelata: ottimo modo per aver una congestione e morire il giorno dopo.

Sbuffai e cercai qualche volto amico, o meglio, l'unico volto che in questo momento era occupato a fare altro, sicuramente.

Diedi un'occhiata veloce al telefono e rilessi per la decima volta il messaggio di Alice che diceva di essere arrivata, ma più mi guardavo in giro in cerca della sua chioma bionda più mi si appannava la vista, sia per il fumo che iniziava a pizzicarmi gli occhi sia per le luci abbaglianti.

Odiavo queste feste inutili piene di ragazzini che volevano sbronzarsi o fare colpo sulla prima ragazzetta che lanciava loro uno sguardo, che veniva interpretato sempre in modo positivo quando magari era solo disgusto.

Mi guardai intorno di nuovo, facendo vorticare gli occhi da una parte all'altra e finalmente riconobbi un ciuffo biondo spuntare da un cappellino, che cercava di appiccicarsi a una ragazzina impaurita dai suoi gesti.

Alzai lo sguardo al cielo e scossi la testa, mi avvicinai e gli diedi una pacca sulla spalla «ehi Luchino, la stai traumatizzando» gli feci notare, quando sobbalzò per lo spavento del mio gesto e poi mi fece l'occhiolino «è una tecnica segreta tesoro»

«Che non funziona per niente» sogghignai e lui mi fulminò con lo sguardo, mentre la poveretta pensò bene di darsi alla fuga «hai fatto sfuggire la mia preda»

«Come sei melodrammatico»

«Ci ho messo una buona mezz'ora ad afferrarla» sbraitò infuriato e incrociando le braccia, iniziando a squadrarmi il vestito nero che indossavo.

Sorrisi e replicai «guarda che con me non attacca quello sguardo»

Inarcò un sopracciglio e distolse lo sguardo «lo so, tu sei una dura, ma ci ho provato lo stesso»

Ridacchiai e gli abbassai la visiera con una manata «hai visto per caso Alice e company?»

Luca si risistemò il cappellino prima di annuire e indicarmi un punto dall'altra parte «sono tutti lì, vengo anche io» alzò le spalle e lo seguii attraverso i barboni ubriachi seduti per terra, le coppiette che copulavano e i danzatori improvvisati: che scempio.

Arrivati a destinazione incrociai gli occhi del riccio che mi lanciò un'occhiata indecifrabile mista ad ammirazione, forse, capire gli sguardi dei ragazzi stava diventando un'impresa impossibile.

Distolsi gli occhi dai suoi e mi lanciai tra le braccia di Alice, stampandole un bacio sulla guancia «ti ho trovato» le sorrisi e lei ridacchiò divertita «sono sempre stata qua»

«Insieme al principe» indicai Niccolò al suo fianco «e al terzo incomodo» squittii riferendomi a Chris, che in quell'istante aggrottò la fronte e scosse la testa.

«Dov'è Gugi?» domandò Luca, interrompendo quello scambio di battute insensate.

«L'ho visto prima che saliva al piano di sopra, seguito a ruota da una tipa» il riccio ridacchiò poco convinto e alzò le spalle «come dovrei fare io»

«Io ho fallito, la prima preda mi è sfuggita» si lamentò il biondino, dandomi una gomitata «anzi, tu me l'hai fatta sfuggire»

«Ehi bello, la stavi spaventando»

«Secondo me l'hai messa in soggezione con il tuo fascino da schizzata»

Inarcai un sopracciglio scettico alla replica di Chris mentre gli altri scoppiarono a ridere, senza troppe cerimonie.

«Non è colpa mia se Luchino non ci sa fare» sghignazzai e mi allontanai trascinandomi dietro Alice, sentendo un improvviso mutismo alle mie spalle.

Ballammo, per modo di dire, per un tempo indefinito sotto ogni canzone che usciva dalle casse, anche quelle più deprorevoli, rifocillandoci ogni tanto con qualche drink che ci veniva offerto, mi sentivo tanto una irrispettosa della regola madre «non accettare nulla da bere dagli sconosciuti», ma poco mi importava, volevo divertirmi e l'avrei fatto.

Ormai stremate ci dirigemmo verso dei divanetti rosso fuoco e ci buttammo sopra, in modo sgraziato e poco femminile.

«Avevate gli occhi di tutti addosso» Niccolò ci fu davanti e parlò con voce divertita, anche se la sua espressione infastidita lo tradiva.

Cercai di mascherare una risata e voltai lo sguardo, incontrandone uno che mi stava osservando le gambe fasciate da dei collant neri trasparenti, lasciate più in vista dal vestito che mi era salito di qualche centimetro «guardone» lo rimbeccai scherzosamente e lui sembrò risvegliarsi meccanicamente, mentre intrufolava una mano tra i suoi ricci.

«Luca è sparito di nuovo?» domandai, non vedendolo nei paraggi.

«Ha pensato bene di fare il gioco della bottiglia, così sicuro rimorchia qualcuna» Chris ridacchiò e mi lanciò un'occhiata ammiccante «ti preoccupi per lui?»

«Era solo curiosità» alzai le spalle e mi scontrai di nuovo con i suoi occhi chiari «e Guglielmo?» deglutii mentre pronunciavo quelle parole, invasa da alcuni brividi, provocati sicuramente dall'alcool in circolo nel mio corpo.

«Allora meraviglia» vidi Niccolò afferrare per un polso la sua bella e guardarla con fare malizioso mentre lei sembrava quasi ipnotizzata.

Alzai gli occhi al cielo e presi il riccio per un braccio «andiamo va»

«Gaietta, dove mi porti?» sghignazzò e gli rifilai una manata sullo stomaco «volevo lasciarli soli, o meglio, vogliono stare da soli»

Lui annuì solamente e senza rendermene conto mi ritrovai intorno a un tavolo, dove riconobbi il cappellino scuro di Luca.

«Bro, ci uniamo anche noi a sto giochetto del cazzo» Chris parlò e si sedette in un mini spazio tra due ragazzette mentre io rimasi in piedi, assimilando dieci secondi dopo ciò che era uscito dalla sua bocca «ehi, io non gioco»

«Allora stai lì a fare la bella statuita tesoro» alzò un angolo della bocca in modo sarcastico e qualcosa dentro di me mi suggerì che c'era un'aria di sfida, o forse era solo la vodka che stava ragionando al mio posto.

Così, mi sedetti in mezzo a quegli sconosciuti, Luca ridacchiò e il riccio sorrise soddisfatto.

La bottiglia iniziò a girare su stessa e si fermò su una certa Laura, occhi azzurrissimi e capelli ossigenati, ma piuttosto carina, e al secondo giro la bottiglietta si bloccò su un ragazzo: alzai lo sguardo sul diretto interessato e deglutii inspiegabilmente quando riconobbi il suo viso «devo ringraziarti per avermi trascinato qui Gaietta» ghignò e si avvicinò subito alla bocca della bionda, accarezzando le sue guance con le dita e iniziando a baciarla avidamente.

Scostai lo sguardo di scatto, non volevo vedere nulla, non volevo vedere lui che usava la sua lingua per fare qualcosa di diverso dal parlare, volevo solo ignorare quel groppo che mi sali in gola e che mi fece irrigidire per qualche secondo.

Tornai sulla terra solo quando sentii una voce pronunciare un «complimenti ragazzi, ma ora continuiamo che è meglio per tutti»

Di nuovo la bottiglia vorticò e colpì altri due ragazzi: Luca e Valentina, capelli rossi e occhi scurissimi, col viso pieno di lentiggini, ma non riuscii a vedere altro perché il biondo le si fiondò addosso, facendo ridacchiare tutti, e senza farmi sentire nessun groppo.

Mi stavo abituando alla situazione, stavo iniziando a divertirmi, ma tutto cambiò quando la bottiglia decise di mandarmi al patibolo, assegnandomi come destinatario del mio bacio proprio chi non avrei mai voluto.

Mi immobilizzai e non feci nessun passo avanti, mentre lui sembrava alquanto divertito dalla situazione.

«Avanti, è solo un bacio»

Scossi la testa energicamente in segno di diniego, col cavolo che avrei appoggiato le mie labbra impregnate di rossetto sulle sue.

«Gaietta, se non giocavi risolvevi tutto eh» si lamentò, guardandomi scocciato ma con un lampo malizioso negli occhi.

«Ragazzi, entro domani» berciò qualcuno di cui non riconobbi la voce, ero troppo concentrata ad estraniarmi da quello stupido gioco della bottiglia infame, chi me l'aveva fatto fare?

Ah si, l'alcool e la bionda che si stava sbaciucchiando contro il muro il suo bad boy personale.

Sbuffai e scossi le braccia in aria «che stronzata» commentai, avvicinandomi a passo di lumaca al viso di quell'ammasso di ricci tirati indietro: Christopher Marconi, il solo nome mi dava il voltastomaco.

Sentii una spinta sulla schiena che mi fece scontrare in un secondo con la sua bocca: spalancai gli occhi per il gesto traditore ma mi ripresi subito sentendo quelle labbra morbide sulle mie: sapevano di fumo, di fragola e di desiderio.




S B A A M
In questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Body on me. ***


Missing moment due

Body on me




[GAIA POV] 

Faceva freddo, mi sentivo un ghiacciolo tanto che l'aria filtrava anche attraverso il mio cappotto verde militare e il mio cappellino di pelo che avevo messo apposta per ripararmi.

Ma nulla si poteva fare contro l'inverno, neanche la sottoscritta Gaia Blasi aveva un metodo infallibile.

«Gaia, vieni o no?»

Mi girai verso Alice che mi stava chiamando per la decima volta su quella cavolo di pista di pattinaggio, anche lei coperta fino alla testa come un'eschimese.

Scossi la testa e mi sorpresi che non si fosse incriccata per tutti quegli spifferi gelidi sul collo «per ora no, vai tu» le sorrisi e ritornò a volteggiare sul ghiaccio insieme al suo bad boy fresco di conquista.

Si muoveva con così tanta leggerezza e sicurezza che sembrava volasse.

«Non ti piace pattinare?»

«Non ho bei ricordi» storsi la bocca e vagai con lo sguardo su tutte quelle persone che giravano a cerchio, come se fosse qualcosa di automatico nella loro vita.

«Non mi dire» lui ridacchiò e mi diede una gomitata «una piccola Gaietta che cade sul ghiaccio?»

Lo fulminai e assottigliai lo sguardo «non c'è niente da ridere, mi sono slogata una caviglia per colpa di una bambinetta idiota che mi è venuta addosso»

«L'hai stesa con il tuo fascino»

«Sarebbe più giusto dire che lei mi ha steso e si, il bambino che le piaceva aveva occhi solo per me, era gelosa e mi ha fatto un dispetto» grugnii al solo ricordo di quella scenetta, avevo fatto la figura dell'imbranata e quell'arpia non mi aveva mai chiesto scusa.

Se l'avessi incontrata ora gliele avrei suonate di santa ragione.

«Uh, facevi già stragi allora» rise e scosse la testa divertito dalle mie disgrazie infantili.

«La farò davvero ora se non la smetti di parlare»

Quell'ammasso di ricci stipato nella sua cuffia giallo ocra alzò le mani in segno di resa e pensò bene di starsene zitto.

Dovetti ammettere a me stessa però che vedere la sua bocca muoversi per sputare fuori parole inutili e poco confortanti mi riportò con la mente all'altra sera, alla festa, al gioco della bottiglia, alle sue labbra sulle mie, al bacio a cui ero stata costretta, ai brividi comparsi subito dopo, alla gola secca e alla voglia di rifarlo.

No, scossi la testa con forza per far uscire quei pensieri malsani e lui mi guardò con un sopracciglio alzato, ma non osò dire nulla e gliene fui grata, non avrei potuto scommettere che uscisse qualcosa di sensato dalla mia bocca.

Così, accolsi come un'ancora di salvezza il ventesimo invito della bionda di mettere quei dannati pattini e scivolare per un po' sul ghiaccio, per liberare la mia testa da quei pensieri macabri e insulsi che stava macchinando da qualche minuto.

Niccolò era uscito a far compagnia all'amico, mentre Alice mi aveva preso per mano e mi stava accompagnando attraverso quel percorso circolare ricalcato da tutti.

Dopo qualche tempo in cui la mia barriera di pericolo sfumò, riuscii a cavarmela da sola, a pattinare con sicurezza, come se lo facessi da tutta la vita.

Ogni tanto gettavo occhiate dietro di me, dove trovavo sempre la mia compare, e all'ingresso dietro al muretto, notando di avere sempre gli occhi di Christopher addosso, tranne l'ultima volta, perché i due bad boys erano scomparsi dalla loro postazione.

Mentre il mio cervello macchinava ipotesi irreali e la mia testa era ancora mezza girata, andai a sbattere contro qualcuno, il mio corpo era letteralmente spalmato contro un altro e avevo chiuso gli occhi per non dover guardare l'ennesima figuraccia causata da una maledetta pista da pattinaggio.

Da oggi in poi avrei chiuso i ponti, non c'era altra soluzione.

Eppure trovai la forza di girare la testa e aprire un occhio, e sospirare di sollievo quando mi accorsi che non fosse uno sconosciuto ma subito mi irrigidii e avvampai quando constatai che ero stretta tra le braccia del nemico.

Ero incapace di muovermi, sia perché le sue braccia circondavano la mia vita sia perché i suoi occhi verdi mi guardavano con una luce strana a pochissimi centimetri di distanza.

«Non credevo di fare questo effetto anche su di te» gongolò alzando un angolo della bocca, rovinando immancabilmente quel momento di ipnosi reciproca.

Con un movimento brusco mi allontanai e mi raddrizzai, e con testa alta e petto in fuori, inarcai un sopracciglio e feci scorrere i miei occhi sulla sua figura dal basso verso l'alto «nessun effetto, non almeno quello che pensi tu»

«Vorresti dire che non mi trovi affascinante?»

«Esatto, ti trovo repellente, soprattutto conciato in questo modo da barbone» soffiai, dipingendo sulle mie labbra un sorrisetto di scherno.



[CHRIS POV]

«Mi tratti male perché ci siamo baciati l'altra sera?» le domandai, con un tono di voce malizioso e occhiate ammiccanti.

«È stato un bacio non voluto, colpa di quello stupido giochetto» grugnì e scosse la testa indispettita, per poi salire le scalette di legno.

«Allora non mi parli perchè ti è piaciuto?»

«Non dire cazzate» bofonchiò e si bloccò di colpo, vagando con lo sguardo sulla pista di pattinaggio per inquadrare dove fossero i due piccioncini.

«Non ti costa nulla ammetterlo»

«Non ho intenzione di alzare ancora di più il tuo ego»

«Arrenditi Gaietta» la provocai di nuovo, stavo ridacchiando ormai da dieci minuti cercando di estorcergli quell'informazione che mi premeva conoscere, mi ero trasformato in una donnetta pettegola, ma ero troppo affamato di curiosità, e di speranza.

Lei si girò di scatto pronta a fronteggiarmi con il suo sguardo duro «ti avverto, finiscila»

Schioccai la lingua e scrollai le spalle «devi solo rispondere di sì»

«Non ti dirò mai di si» rispose pignola e continuando a camminare tra gli spalti, dandomi le spalle.

I suoi capelli lunghi mossi ondeggiavano da una parte all'altra, il suo corpo si muoveva con una sensualità tale che lei sicuramente ignorava ma che io notavo benissimo.

Mi schiarii la voce e interruppi il flusso dei miei pensieri per tornare sul pianeta terra «quindi ti è piaciuto di più il bacio di quel tizio?» aggrottai la fronte sconcertato e per niente convinto.

«Dio, che strazio che sei»

«Avrei preferito dicessi altro su di me» alzai un angolo della bocca ammiccando nella sua direzione, ma lei si bloccò e si girò, trovandomela vicinissima al mio viso, ai suoi occhi celesti e alla sua bocca rosea.

Deglutii e sentii lei fare lo stesso, prima di inspirare profondamente e trattenere il respiro «Chistopher Marconi, se dicendoti che il tuo bacio è stato il più bello della mia vita, mi lascerai in pace?»

Mossi le mie labbra in un sorrisetto sfacciato e inclinai la testa di lato «forse»





S B A A M
NB: in questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Again. ***


Missing moment tre

Again




[GAIA POV]

Ennesima festa ed ennesimo bicchierino di liquido bianco buttato giù, con la gola quasi in fiamme.

Ormai bere era diventato l'unico passatempo possibile, Alice era sempre insieme al suo boy e io non conoscevo nessun altra ragazza che volesse stare tranquilla senza doversi strusciare su un ragazzo.

Non che non l'avessi mai fatto prima ma io e l'alcool non eravamo in buoni rapporti, rischiavo di fare cose che mai avrei fatto da sobria e non volevo certo ritrovarmi mezza nuda di fronte a uno sconosciuto.

Poggiai pesantemente il bicchiere sul bancone e facendo vagare lo sguardo intravidi tra i vari ballerini improvvisati il nemico numero uno, disinvolto e scatenato che si stava dando da fare con la povera sventurata al suo fianco, o meglio, sdraiata sul suo corpo statuario.

La musica mi entrava da una parte e usciva dall'altra, non riuscivo a connettere, i miei occhi seguivano bramosi quei movimenti sinuosi e spudorati, le mani sui fianchi, sulle braccia, sulle spalle, intorno al collo, a sfiorare le guance e due corpi che sembravano attaccati con la colla tanto erano vicini.

Non sapevo cosa provavo, non certo gelosia, ma solo una punta di curiosità mista a qualche altro ingrediente sconosciuto.

Deglutii e mi schiarii la voce quando mi accorsi con immenso imbarazzo che gli occhi verdi di Christopher non erano più sulla bella malcapitata ma fissi su di me, accompagnati da un ghigno che gli solcava la bocca.

«Che avevi da fissare?»

«Non ti stavo fissando» cercai di controbattere senza farmi intimorire ma nonostante negassi ogni cosa, la falsità mi si leggeva in fronte «e torna a ballare con quella» feci un cenno con la mano ad indicare la poverella che se ne stava da sola con le braccia incrociate e mi prendeva a mazzate con lo sguardo.

«No» scosse la testa sorridendo  e allungando l'occhio sulla mia scollatura «vieni tu a ballare con me»

Non feci in tempo a metabolizzare che lui mi afferrò per un polso trascinandomi al centro e, senza troppe cerimonie, liquidò la ragazzina e incollò i nostri corpi, di nuovo, come sulla pista da pattinaggio.

Rabbrividii e inarcai un sopracciglio cercando di mostrare un'espressione spavalda «perché mi hai trascinato qui?»

«L'altra volta sei stata tu a trascinarmi, ora ho preso la rivincita» scrollò le spalle e fece vagare le sue mani sui miei fianchi, con un movimento che assomigliava troppo a una carezza.

«Ehi, stai fermo con quelle manacce»

«Gaietta, rilassati e muovi il tuo bel corpicino»

«Pervertito» dissi, appena guidò il mio bacino contro il suo.

Lui ridacchiò «era per farti sciogliere»

«Ti sciolgo io ora, ma nell'acido» replicai, mentre il mio petto toccava quasi il suo.

E dannazione, dovevo staccarmi da lui all'istante.

«Come sei stronza»

«Tu sei un coglione»

Mi fissò e inclinò la testa divertito «ti ho già detto che mi piaci quando dici parolacce?» mormorò sul mio collo, provocandomi dei brividi così forti che mi immobilizzai sul posto.

Come poteva farmi quell'effetto che mi faceva andare in tilt tutto il corpo?

Con una spinta forte mi staccai e mi allontanai da lui, da ciò che mi faceva provare e dalla paura di sapere il perché.

Era solo uno stupido gioco e sicuramente lui si stava divertendo da matti.

Mi rifugiai in disparte, lontana da tutti e da ogni sguardo.

Peccato che nulla di questo servì, lui mi aveva inseguita e con due falcate me lo ritrovai di nuovo di fianco, con i suoi occhi ipnotici che mi guardavano inquisitori.

«Io penso di piacerti»

«Pensi male»

Inarcò un sopracciglio scettico e mi squadrò dalla testa ai piedi nella mia posizione di difesa contro i nemici: braccia incrociate, sguardo assassino e tacco a spillo pronto all'uso.

«Gaietta»

«Non chiamarmi Gaietta» ringhiai, ma solo sulla prima parola, il resto della frase mi si strozzò in gola a causa delle sue dita fredde che mi solleticavano la guancia.

Un ammaliatore professionista, non c'era da ridire su questo.

«Allora» prese in mano la situazione vedendo il mio repentino blocco degli arti e della parola e fece scontrare la mia schiena contro un muro li vicino, posizionato in un angolo strategico che riusciva a racchiudere due corpi in modo perfetto: il mio e il suo.

«Ti hanno tagliato la lingua?» mi prese in giro di nuovo, beffandosi della mia attuale vulnerabilità che in realtà nascondeva un progetto ben più grande: staccarmelo di dosso.

Non avevo molte possibilità, ogni essere in quella sala si faceva gli affari propri, chi beveva, chi fumava, chi ballava e chi procreava direttamente su un divano, nessuno quindi avrebbe fatto caso a due adolescenti nascosti in un angolino buio, neanche la luce si degnava di venirmi in aiuto.

C'erano solo due possibilità: lasciarlo fare o lasciarlo fare.

L'idea non mi piaceva affatto, ma il solo ricordo del nostro primo bacio qualche giorno prima mi creava sempre delle farfalle nello stomaco.

E non perché fosse amore o robe del genere, ma perché mi era piaciuto, mi era piaciuto il sapore delle sue labbra, la loro morbidezza, ma soprattutto quell'accenno di fragola sulla lingua, forse era solo per quel gusto che mi era piaciuto più del dovuto, un ultimo bacio e avrei scoperto che non ne valeva la pena, che era stato solo un caso provocato dal troppo alcool assunto.

«Respiri ancora, sei viva» mi risvegliai dalla nube grigia in cui ero caduta non tanto per le parole pronunciate trattenendo a stento le risate ma perché c'era qualcosa che non andava.

Fino a prova contraria avevo due mani, le quali erano incrociate ancora sul petto, allora perché mi sentivo un intruso addosso?

Abbassai lo sguardo titubante e trovai una mano sconosciuta appoggiata sul mio seno sinistro, in origine probabilmente l'attenzione era concentrata sul cuore ma poi l'istinto era prevalso.

Seguii con gli occhi sbarrati la piega del polso fino a percorre l'intero braccio e arrivare al collo, per poi deglutire quando il mio sguardo si focalizzò sulle labbra e infine arrossire quando incrociai degli occhi verdi brillanti.

«Christopher Marconi» diedi voce al mio pensiero e prima che potessi continuare e strappargli quella mano a morsi lui la staccò dal mio corpo e sfoderò un sorriso a trentadue denti «bentornata sulla terra, pensavo fossi morta per il troppo fascino che emano»

«Idiota» berciai, assottigliando lo sguardo e spingendolo via da me, con una forza degna di una formica.

L'avevo allontanato per due secondi di circa venti centimetri ma lui pensò bene di ritornare alla posizione iniziale, ancora più appiccicato.

Non abbassai lo sguardo e continuai a rifilargli occhiate di odio che lui ricambiava con un ghigno malizioso e repellente.

Appoggiò le mani ai lati del mio viso per mettermi in trappola e impedirmi così di scappare, ma non aveva calcolato il mio piano perfetto che prevedeva l'uso di un ginocchio sul cavallo dei suoi pantaloni attillati.

Come se mi avesse letto nella mente mi bloccò le gambe, incrociandole con le sue e bloccandomi l'ultima via di fuga dal suo corpo «non fare scherzi»

Sbuffai ormai rassegnata e senza speranza di riuscire ad evitare un suo bacio, nonostante dentro di me gioissi di felicità, ma in una parte molto profonda del mio cuore.

Il suo viso iniziò a ad avvicinarsi impercettibilmente al mio, molto lentamente e con mosse studiate tali da farmi trattenere il respiro, fino a quando non appoggiò le sue labbra sul mio collo, per poi salire a baciarmi la guancia e a lasciarsi un piccolo morso vicino alla bocca.

Sarei andata in ipotermia, volevo respingerlo ma nello stesso momento volevo che mi baciasse solo per  autoconvincermi che tra noi era tutto uno gioco, uno scherzo di cattivo gusto.

«Strano che non mi stai urlando addosso» mi schernì con voce roca ma rivolgendomi un'occhiata divertita.

«Se non mi avessi bloccata con il tuo corpo saresti a terra stecchito» replicai secca, stupendomi della mia forza nell'aver parlato nonostante il mio tono di voce basso e flebile.

«Immaginavo, sei sempre pronta ad attaccare»

«Esatto, ti avrei dato una bella ginocchiata o ti avrei infilato un tacco nei..»

La mia esplosione di parole mi morì in gola, o meglio, morì sulle sue labbra, ancora più morbide di quanto mi ricordassi.

Questa volta sapevano di fumo e di birra, nessuna punta di fragola, eppure baciarlo mi stava piacendo lo stesso.





S B A A M
NB: in questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Swear. ***


Missing moment quattro

Swear




[GAIA POV]

Avevo freddo, di nuovo, e uscire in terrazza per respirare aria non era stata un'idea tra quelle più geniali.

Dentro si moriva di caldo e fuori si gelava.

Mi ero stretta da sola, in una sorta di abbraccio solitario, aspettando che qualcuno mi ributtasse nella mischia dentro all'Hollywood.

«Gaietta, tu non hai freddo?» il nemico numero uno mi lanciò un'occhiata divertita e ammiccante, e io cercavo di non guardarlo negli occhi perché se lo avessi fatto avrei perso completamente il controllo.

L'ultima volta che lo avevo fatto eravamo finiti a baciarci in un angolo e nascosti da tutti, immersi solo nel nostro mondo immaginario dove due come noi andavano d'accordo.

«Posso riscaldarti se vuoi» aggiunse ridacchiando mentre io con una falcata mi allontanai di scatto «non toccarmi» avevo ancora impresso i ricordi del suo corpo attaccato al mio, delle sue mani che mi accarezzavano e non potevo cedere di nuovo «non voglio spiaccicarmi addosso a lui» diedi voce ai miei pensieri quando notai che Alice mi aveva guardato male, ma cosa poteva saperne lei?

Era accovacciata vicino al suo bad boy che amava ed era felice, inutile distrarla con i miei problemi adolescenziali con quell'ammasso di ricci che continuava ad osservarmi e a ridere da solo «sei testarda eh, dai vieni qui, stai congelando scema»

E nonostante tutto il mio impegno mi ritrovai schiacciata contro il suo corpo, un suo braccio mi circondava i fianchi come se avesse paura che potessi scappare da un momento all'altro.

Ma lui non poteva sapere che non mi sarei mai azzardata a scappare, perché le sue braccia sul mio corpo mi piacevano e avrei voluto stare sempre così, stretta a lui come una bambina che aveva paura del buio.

Tutti questi pensieri melensi erano solo nella mia testa perché fuori mostravo un'espressione imbronciata e concentrata per mettere ordine a questo mio disordine interno.

Volevo stare con lui ma allo stesso tempo non volevo perché avevo paura di essermi già scottata prima del tempo.

Sentii una sua mano scendere delicatamente e prima che potessi sciogliermi ringhiai un falsissimo «non palparmi» anche se avrei voluto che lo facesse, perché nessuno mi aveva toccato così attentamente e dolcemente come lui.

Questa cosa mi faceva una grandissima paura, me la facevo sotto al solo pensiero.

«Vuoi stare un po' calma per favore? Non sono mica un molestatore»

No, certo che no, infatti le sue mani non erano sul mio seno sinistro l'ultima volta.

Grugnii infastidita e gli mollai una gomitata nello stomaco che lo fece smettere di ridere come un demente.

Fu il mio turno di ridacchiare vittoriosa ma l'emozione durò poco perché quella vipera di Niccolò pensò bene di allontanarsi per andare a ballare con la sua principessina, senza pensare ai problemi mentali che mi stavano affliggendo.

Non sapevo cosa fare, come comportarmi e cosa dire, perciò me ne stavo tranquilla e tremante tra le sue braccia, in attesa che quei due tornassero.

Non volevo muovermi perché se lo avessi fatto mi sarei imbattuta nel suo viso, nei suoi occhi e ciao mondo, quei due brillanti verdi avevano qualche potere sconosciuto, erano in grado di ammaliare qualunque essere femminile, o forse ero solo io che avevo un debole per loro.

Mi mossi cercando di scacciare quel pensiero dalla mia testa e ne uscii con una frase che era più una domanda, dettata dalla mia impazienza «ma dove cazzo sono finiti quelli»

Lo sentii sospirare e soffiare un finissimo «che ne so, saranno andati a scopare»

Inarcai un sopracciglio e gli rifilai un'altra gomitata «come sei rude cazzo» e tentando di incrociare le braccia al petto incontrai le sue mani gelate che mi lanciarono varie scariche elettriche in tutto il corpo.

Digrignai i denti e mi rimisi le mani in tasca chiudendo gli occhi per ignorare quei brividi traditori.

«E tu sei eccitante quando dici le parolacce»

Sorrisi al pensiero che fosse già la seconda volta che me lo confessava ma decisi di non far vedere quanto fossi appagata di saperlo, mascherando il tutto con una risatina «se non stessi congelando ti avrei già riempito di botte»

Alzai lo sguardo e lui fece lo stesso, trovandomi il suo volto a pochi centimetri dal mio e deglutii rumorosamente, sentendo anche colorarsi le mie guance.

«Mi devo ritenere miracolato allora» soffiò questa risposta sul mio viso e mi districai appena in tempo dal suo abbraccio anti-congelamento «devo andare in bagno» peggior scusa non potevo trovare ma dovevo allontanarmi da lui per un po' per liberare la mia mente da certi pensieri.

«Fumo una sigaretta e ti raggiungo»

«Non ce ne è bisogno, sono capace di andarci da sola» precisai e volevo anche convincerlo a non seguirmi per nulla al mondo.

Roteò gli occhi e mi linciò con quei bellissimi occhi verdi «lo spero per te, comunque era per non perderci»

«Allora potevi fumartela prima la sigaretta no?» gli feci notare ovvia.

«So che ti da fastidio»

Che amore, come faceva a ricordarsi una frase detta cent'anni prima?

«Comunque non ti preoccupare, farò in fretta e ti raggiungerò Gaietta mia»

Mascherai i miei occhi a cuoricino e un imminente infarto con un grugnito e uno sguardo assassino.

Dopo un'ultima occhiata rientrai per dirigermi ai bagni, o in qualunque posto avrei trovato a patto che fosse isolato da tutti.

La musica mi frastornava e mentre cercavo di farmi spazio nella ressa afferrai un bicchiere da un tavolo e lo buttai giù velocemente.

La gola mi bruciava ma mi sentivo rinvigorita e meno infreddolita.

In fondo trovai la porta della toilette femminile ed entrai, mi slacciai il giubbotto e mi guardai allo specchio grande come tutta la parete: il tubino blu che indossavo mi stava alla perfezione, mi fasciava perfettamente tutto il corpo lasciando poco all'immaginazione, i capelli mi scendevano sulle spalle in leggere onde che miracolosamente ero riuscita a fare con quella dannatissima piastra per i ricci e il trucco era ancora perfetto, non era sbavato e incorniciava i miei occhi azzurri leggermente dilatati.

Stavo farneticando su quest'ultimo aspetto quando sentii la porta aprirsi e mi intrufolai velocemente nel bagno bofonchiando un «ma che cazzo» essendo stata presa alla sprovvista ma poi riconobbi la risata divertita e passato lo spavento momentaneo sospirai «ah sei tu»

«Chi pensavi che fossi scusa? Ti avevo detto che ti avrei raggiunta»

«Hai fatto presto»

«Sono scappato da una biondina ubriaca»

Nascosi il conato che mi era salito in gola nel sapere che qualcuna ci aveva provato con lui e sorrisi inconsapevolmente per il fatto che lui non era stato con lei.

Scossi la testa per eliminare quei pensieri insensati e uscii dal bagno, per lavarmi le mani «strano, non è nel tuo stile scappare, di solito le accontenti» ghignai e mi girai a guardarlo, notando che i suoi occhi stavano percorrendo intensamente ogni centimetro del mio corpo in modo quasi innaturale, senza farsi sfuggire nessun dettaglio.

«Accontento chi voglio» sottolineò, lanciando un'occhiata al mio viso leggermente arrossato.

Poi ritornò a farmi la radiografia e di colpo si passò le mani sugli occhi, come per non vedere cosa avesse davanti.

Inarcai un sopracciglio divertita «che cazzo fai con le mani davanti? Hai visto un fantasma? Dove cazzo è andato ora?» la mia bocca scaricava domande a non finire e io continuavo a ridere come una scema.

«Gaietta» la sua voce bassa e roca mi fece bloccare le parole in gola «ti ho già detto che mi ecciti quando dici le parolacce?»

Mi morsi un labbro catturata dal suo sguardo intenso «e quindi?»

«Quindi» fece un passo avanti mentre io di riflesso ne feci uno indietro, incontrando il muro «non farlo più» il suo tono era così supplichevole che non potei non pensare che si stesse trattenendo da fare qualcosa.

Ma io non volevo che si trattenesse «va bene cazzone» sussurrai e subito dopo mi tappai la bocca «ops»

Lui mi guardò con gli occhi sgranati e ancora più brillanti «lo fai apposta per farmi impazzire vero?»

No, non lo facevo apposta ma mi stavo divertendo da matti a vederlo in quello stato, combattuto tra il resistere e l'osare.

«Cosa coglione?» replicai innocentemente e accennai un sorriso che subito fu nascosto dalle sue labbra che si avventarono sulle mie, mordendole.

Allacciai le mie braccia intorno al suo collo pensando solo a quanto mi fosse mancato baciarlo, anche se erano passati massimo due giorni, e quel sapore di fumo che tanto odiavo stava iniziando a piacermi, soprattutto se era nella sua bocca.

Il mio giubbotto era di troppo secondo lui, così me lo tolse con un istinto quasi violento e impaziente, mi afferrò per i fianchi e lo circondai con le mie gambe mentre lui scendeva a baciarmi il collo e le spalle, lasciando qualche morso nel suo percorso.

Le sue carezze non erano più delicate ma fameliche, e mi stavano facendo impazzire.

Gli tolsi il giubbotto e lo lasciai cadere a terra, intromisi le mie mani sotto la felpa scura che indossava e potei sentire il suo petto marcato, le sue spalle forti e le braccia muscolose ma non eccessivamente. 

Toccarlo, sfiorarlo e graffiarlo mi stava piacendo troppo e lui non si stava lamentando, anzi, a ogni mio tocco mordeva la mia pelle con più forza.

Stufa di non poter vedere gli tolsi con uno scatto anche quell'indumento di troppo per finalmente dare un'immagine a ciò che avevo percorso fino ad ora, marchiato da vari segni rossi e piccoli graffi sulla pelle bianca.

Sembrava tutto così irreale e fantastico, immersi nel nostro silenzio fatto di sospiri e respiri pesanti, finchè alle nostre orecchie non giunse la voce dello speaker che annunciava che mancavano pochi secondi a mezzanotte.

Fermarsi o andare avanti?

Smettere di sognare e tornare alla realtà o continuare questa pazzia?

Il mio cervello non ragionava più, il mio cuore batteva così forte che ero certa che anche lui lo sentisse, e il mio corpo rispondeva al suo tocco automaticamente «muoviti stronzo» mi uscì inconsapevolmente, quando mi pizzicò l'interno coscia e mi baciò dietro l'orecchio.

Si staccò e lo sentii ridacchiare mentre cercava nella tasca del giubbotto il preservativo, che non sarebbe servito ma non avevo la forza di parlare, per paura che uscissero frasi incontrollate dalla mia bocca.

Dopo pochi secondi ritornò da me e mi baciò dolcemente, mentre si slacciava i pantaloni e mi appoggiava sul bordo del lavandino freddo.

Alzò di poco il mio vestito e si bloccò, ponendo le mani sui miei fianchi e appoggiando la fronte alla mia «giurami che non te ne pentirai, che non me lo rinfaccerai e che soprattutto lo vuoi quanto lo voglio io in questo momento» la sua voce era bassa e tranquilla, senza nessuna punta di divertimento e pensai in che modo riuscisse a stare così calmo quando io scalpitavo, ormai vicino alla pazzia.

Mi mossi per far incontrare le nostre labbra ma lui si scostò incatenando i miei occhi ai suoi «giuramelo, dimmi che non sono solo io star impazzando, che è normale desiderarti così..»

«Ti giuro che ti voglio proprio ora come non ho mai voluto nessuno prima» bloccai il suo flusso di parole per confessare la mia insanità mentale e confermare la pazzia di entrambi.

Afferrai le sue mani e scostai del tutto il mio vestito, avvicinandomi a lui e iniziando a baciarlo piano.

Era strano che volesse conferme, lui che era sempre sicuro di sè e sparava battute a raffica, forse era vero che eravamo due pazzi e ci completavamo alla perfezione.

Il conto alla rovescia era già iniziato da un pezzo ma a noi non importava, il suo corpo si era già unito al mio con poca delicatezza, ma il sapere che non erano solo mie congetture mi faceva sentire sollevata e felice.

Anche lui mi voleva quanto me, anche se non sapevo quanto questa situazione fosse durata, l'indomani avremmo dovuto affrontare le conseguenze oppure ce ne saremmo dimenticati in fretta.

Ma più lui mi baciava e mi toccava, più pensavo che non sarei riuscita a dimenticare nulla, nessun gesto, nessun bacio, nessuno sguardo, niente di niente, perché lui mi piaceva, mi piaceva come mi guardava, come mi sfiorava con la paura di rompermi, come mi faceva sentire, e forse mi sarebbe piaciuto per sempre, fino a quando la realtà non sarebbe venuta a bussare dentro al nostro sogno.





S B A A M
NB: in questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** After. ***


Missing moment cinque

After




[CHRIS POV]

Confuso, ero lo stato in cui mi trovavo ed era l'unico aggettivo che mi rappresentava in quel momento, insieme a una parte di felicità interiore, che però non sapevo fin quando sarebbe durata.

Non sapevo come comportarmi ma non potevo ignorare la situazione, come se non fosse successo nulla, sarebbe stato da vigliacchi fingere che non ci fossero problemi.

Dopo la faccenda di capodanno, eravamo usciti insieme ai due decelebrati innamorati ma quasi non avevamo aperto bocca, l'unica cosa che incorreva tra di noi erano gli sguardi, ma non riuscivo a interpretarli e non era conveniente iniziare una conversazione in compagnia.

Mi sentivo impotente perché nulla del genere mi era mai successo, certo, ero stato con altre ragazze ma la questione era finita lì, non le frequentavo e quindi scomparivano senza ronzarmi troppo intorno, più o meno.

Ma Gaia era diversa, completamente opposta, di un'altra specie e con lei ero costretto a starci, anche se non mi dispiaceva per niente.

Mi divertivo a stuzzicarla e a farla arrabbiare, l'avevo baciata perché, non lo sapevo neanche io, semplicemente volevo farlo, come l'altra sera, volevo qualcosa di più di un semplice schiocco di labbra.

Mi ero pure lasciato scappare qualche romanticheria causata dal momento, ma se lei avesse rifiutato mi sarei tirato indietro, ma forse sarebbe stato meglio non iniziare proprio.

Era meglio restare ai baci, fantastici, piuttosto che andare oltre, ma il limite era già stato superato da un pezzo.

Non rinnegavo nulla ma rifiutavo questa situazione del cavolo, troppo complicata da affrontare per me.

Troppa confusione e i miei neuroni stavano facendo a botte nella mia testa per venirne a capo, provocandomi un forte mal di testa.

Di certo, prima o poi avrei dovuto parlare con lei e chiarire, e in base a ciò che desiderava io mi accodavo al suo volere.

Anche se avrei preferito che non mi costringesse a dimenticare tutto, perché non ci sarei riuscito, per me era impossibile cancellare dalla mia mente quei minuti che mi passavano davanti agli occhi ogni secondo, friggendomi il cervello.

Sbuffai un'ultima volta e spinsi la porta di vetro del bar, dove avrei trovato parte dei miei amici, impegnati a fare il nulla.

Volevo svagarmi e non pensare a lei almeno per cinque minuti.

Raggiunsi il tavolo e fui accolto da Luca e Guglielmo, intenti a decidere cosa mangiare e bere, io avrei preso sicuramente qualcosa di alcolico per finire in bellezza.

«Bella raga, vado a mandare l'ordine che questi sono lenti e io sto morendo di fame»

Inarcai un sopracciglio e gettai un'occhiata al riccio al mio fianco, meno perplesso del sottoscritto «Luca si è fatto una canna presumo, quindi è rimbambito più del solito»

«Ora si spiega tutto» accennai un sorriso tirato e iniziai giochicchiare col cellulare perso nel mio mondo immaginario.

«E tu che c'hai?»

Scossi le spalle preso alla sprovvista dal suo interessamento «niente»

«Sei troppo silenzioso fratello» avvicinò la sedia e mi scrutò attentamente «visto che stai zitto, tirerò ad indovinare» sorrise e iniziò ad elencare con le dita mentre scrollavo la testa «A:famiglia B:donna C:scuola»

«Che sei, Jerry Scotti?» domandai, cercando di sviare la  conversazione su altri campi.

«Nah, sono solo curioso di sapere chi ti ha ridotto in questo stato depresso che non è da te, anche se scommetto le palle che è una con due..»

«Cretino» lo fermai prima che potesse sparare altre cavolate inutili «non sono così superficiale»

«Lo so, ma almeno hai cambiato espressione» affermò vittorioso tornando all'attacco «e ora spicciati a parlare prima che arrivi quel rincoglionito»

Sbuffai e ruotai la testa dalla parte apposta «prometti di non giudicare»

«L'ho mai fatto?»

Inarcai un sopracciglio perplesso e lui sorrise divertito «dai Christopher, sai quante cazzate abbiamo combinato? Non può essere peggiore»

«L'ho fatto con Gaia»

Seguì qualche attimo di silenzio prima che lui rispondesse in modo quasi serio «già che non hai detto "scopato" la dice tutta» asserì saccente, come se riuscisse a capirmi più lui che io stesso.

«Perché è stato..non so»

«Io direi che sei stato fortunato, sai quanti ragazzi le vanno dietro e lei li manda a quel paese?»

Ridacchiai ma mi bloccai quasi subito «no fermo, chi sarebbero questi?»

Lui sorrise e alzò gli occhi al cielo, come se non aspettasse altro che quella domanda «ecco la parte in cui sei geloso»

Mi morsi un labbro per reprimere un'ondata di fastidio e mi mossi nervoso sulla sedia «non sono affatto geloso, sai cosa mi importa»

«Infatti non ti stai facendo problemi per il fatto che te la sei portata a letto, normalmente saresti felice della tua conquista e invece non lo sei»

«Non centra niente questo, il problema è che fa parte della compagnia e non ci siamo più parlati da..» deglutii un boccone amaro e mi coprii gli occhi con le mani, di nuovo avevo davanti le solite immagini che mi stavano perseguitando da giorni.

Cosa aveva lei di così tanto speciale da non farmi dormire la notte?

«Sai cosa?» cominciò, e si avvicinò ancora di più per non farsi sentire da Luca che ci stava per raggiungere con un sorriso ebete stampato in faccia «penso che tu abbia un minimo di interesse per lei, altrimenti non saresti qui di fronte a me con questa faccia che ha una scritta lampeggiante in fronte che dice che cazzo devo fare ora, quindi, tra di voi c'è un filo conduttore che si è acceso e che può bruciare da un momento all'altro. 
So che l'hai pensato, noi siamo quelli ribelli, quelli che rinnegano quelle cazzate, ma  penso che prima o poi tocchi anche a noi provare qualcosa per cui vale la pena rischiare un po' di più»




[GAIA POV]

OH
MIO
DIO

Una cazzata, un'enorme e magnifica cazzata.

L'avevamo fatto e per di più nel bagno dell'Hollywood, mentre tutti fuori festeggiavano il nuovo anno ignari di due deficienti rinchiusi a fare i loro comodi.

Ero scombussolata, fuori di testa completamente, ci eravamo guardati per qualche secondo in più e dopo ancora qualche bacio lieve ci eravamo risistemati ed eravamo usciti come se nulla fosse, tanto nessuno si sarebbe accorto di noi, o delle nostre guance arrossate o di tutto il resto.

Avevamo raggiunto gli altri e avevamo bevuto qualche drink, che a me servivano molto, e inventato qualche bugia per giustificare la nostra assenza.

Da quella sera del fattaccio, non ci eravamo più parlati, solo qualche parola monosillabica e troppi sguardi incompresi.

Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, in parte mi vergognavo perché avevo ceduto a ciò che lui era ormai abituato a fare e, non che meno, mi impauriva il confronto o quelle cose che fanno i maschi appena riescono ad abbordare qualcuna.

Anche se forse Christopher non era propriamente il tipo, ma chi poteva saperlo, dopo le sue parole ero andata in brodo e magicamente lo volevo anche io.

Volevo sentirlo contro la mia pelle in un modo più intimo che non fosse solo un semplice bacio.

Ero super nervosa inoltre, perché mi aveva chiesto di incontrarci per parlare, e questa cosa mi metteva addosso una tale agitazione che avevo ripreso a fumare da almeno mezz'ora, dopo un anno di stop, e stavo già per iniziare la quarta sigaretta.

Neanche quando fumavo regolarmente mi imbottivo così.

Era tutta colpa sua, del suo starmi appiccicato e di quello stupido gioco della bottiglia da cui era partito tutto.

Volevo strozzarlo con le mie mani eppure quando lo intravidi da lontano, tutta la rabbia svanì di colpo e mi ritrovai ad arrossire come una scema.

Perché mi faceva questo effetto?

Era solamente un ragazzo, normale, senza nè piercing nè tatuaggi come piaceva a me, quindi non c'era da preoccuparsi.

Avanzava lentamente verso di me anche lui con una sigaretta tra le labbra e mi stava guardando in modo perplesso «fumi?» domandò, con un sopracciglio inarcato appena mi fu davanti.

«Solo quando sono nervosa» alzai un angolo della bocca e buttai la cicca a terra, calpestandola con la scarpa.

Lui scrollò le spalle e imitò il mio gesto «entriamo»

«Qua?» chiesi, ingenuamente.

Seriamente, voleva farmi entrare in una specie di luna park con giostre da bambini?

«Vedi altro?» rispose, sbuffando scocciato.

Scossi la testa e lo seguii oltre i cancelli, sedendosi subito dopo su un tavolino di legno.

«Ho fame» si giustificò, passando una mano tra i suoi capelli, già più spettinati rispetto al solito, segno che anche lui non sprizzava serenità.

La cosa mi tranquillizzava, o forse avrei dovuto agitarmi ancora di più?

Decisi di non pensarci, buttandomi ad affogare i miei pensieri su patatine fritte e cheeseburger, ma anche questo non mi permetteva di liberare la mente.

Lui di sicuro lo faceva apposta a non togliermi gli occhi di dosso, a fissarmi per qualche secondo ininterrottamente, impedendomi di godermi anche qualche morso del panino «la finisci di guardarmi?» sbraitai, infastidita e imbarazzata all'inverosimile.

«Scusami, stavo pensando»

«Da quando i tuoi neuroni fanno il loro lavoro?» scherzai, ma lui non si scompose granché.

«Divertente» storse la bocca e addentò una patatina dal mio vassoio.

Oltraggio signori, chiamate le guardie.

«Ehi» gli schiaffeggiai una mano ma lui mi rise in faccia «che c'hai Gaietta, vuoi far metà?» mi schernì divertito, mentre dalle sue labbra scompariva il cibo di mia proprietà.

«La rivoglio» dissi cocciuta, assottigliando lo sguardo e impazzendo a furia di guardare la sua bocca.

«Vieni a prenderla, allora»

Mi immobilizzai e ritornai in me, quando mi ritrovai il suo viso serio a pochi centimetri dal mio.

Come ci ero finita così vicina?

Deglutii e mi risedetti composta, nascondendo ogni traccia di nervosismo abbassando la testa sul mio piatto «era tutta una tattica affinché io ti baciassi vero?»

«Fino a qualche giorno fa ha funzionato»

Rialzai gli occhi per guardarlo disgustata «non pensi che dovresti lasciar perdere queste stronzate con me?»

«Mi sembrava di aver capito che ti piacessero queste stronzate, come le chiami tu»

Sbuffai arrabbiata e incrociai le braccia al petto seria «mi hai portato qui per parlare o che cosa?»

Christopher roteò gli occhi e iniziò a fissare il suo piatto ormai vuoto «tu cosa credi?»

«Credo che tu sia un verme schifoso»

«Non la pensavi così l'altra sera quando abbiamo fatto..»

«Zitto» mi imputai e mi uscì un gridolino che cercai di portare indietro «non..»

«Perché dovrei starmene zitto e tacere il fatto che mi è piaciuto?»

Alzai gli occhi e il mio cuore accelerò i battiti, ma cercai di mascherare l'ondata di freddo che mi aveva colpito stringendomi nelle spalle «ti è piaciuto come qualunque altra..» mi morsi un labbro per evitare di pensare con quante altre ragazze abbia fatto la stessa cosa.

Non ero anormale, ero uguale a loro, avevo fatto la stessa fine, perché avrei dovuto essere diversa?

«Non è vero» le sue parole mi rimbombarono in testa come un martello «non è la stessa cosa, io stesso non ho provato la stessa cosa»

«E che cosa hai provato allora?» lo provocai, inclinando la testa e osservando ogni suo movimento: dagli occhi leggermente spalancati, alla bocca dischiusa e alla posizione rigida.

«Qualcosa di più del piacere stesso» e si affrettò a partorire un altro fiume di parole, ma io ero come bloccata, una lastra di ghiaccio «ma in realtà vorrei sapere cosa ne pensi tu»

Mi stava fissando eppure non lo vedevo, gli era piaciuto e io potevo morire felice in qualunque istante.

No, fermi, che assurdità stavo pensando?

«La smetti di guardarmi come se fossi in coma?» asserì scocciato «sei inquietante»

Scrollai la testa e assunsi l'espressione più indifferente del mio repertorio «cosa dovrei pensare secondo te?»

«Dovresti dirmelo tu, ma mi piacerebbe sapere che anche per te non è stato lo zero assoluto»

«Lo zero assoluto» ripetei assorta, girandomi il bicchiere di cocacola tra le dita «che standard hai tu?»

Inarcò un sopracciglio perplesso «che centra questo, sto parlando di noi due, non degli altri»

Mandai giù un groppo di romanticheria e continuai «cos'ho io di diverso dalle altre?»

Fece finta di pensarci e poi sorrise leggermente alzando le spalle «non sei bionda»

Inarcai un sopracciglio, guardandolo come se fosse l'essere più ignorante del mondo «e questo lo trovi un elemento fondamentale?»

Sbuffò, visibilmente seccato «no, non centra un cazzo, potresti avere i capelli anche verdi e l'avrei fatto con te comunque»

Spalancai la bocca per qualche secondo prima di riprendere la mia dignità perduta in pochi attimi «e cosa vorresti dire con questo?»

«Vorrei dirti che le altre che mi sono fatto non le ho portate fuori, che ciò che abbiamo consumato non mi tormenta da giorni e che sinceramente di loro non mi interessa un fico secco, invece tu, sei fuori, qui, con me, perché ho continui fotogrammi di quella sera e sto impazzendo, ti vedo ovunque e a dirtela tutta, mi sono stancato di aggrapparmi a questi sprazzi di ricordi e averti qui davanti»

La mia espressione da pesce lesso con occhi e bocca spalancati la diceva tutta, le sue parole mi avevano stupita, spaventata, entusiasmata, gasata e lusingata, troppi aggettivi e troppe emozioni contrastanti.

Pensavo anche io le stesse cose?

Quello che avevamo fatto mi tormentava da giorni?

In parte si, ma perché provavo vergogna e un pizzico di rimorso.

Lui mi interessava?

Sì, ma solo perché volevo strozzarlo, picchiarlo, torturarlo e baciarlo.

No, aspettate, l'ultima cosa da dove mi era uscita?

E stavo impazzendo?

Decisamente si, soprattutto in questo momento in cui i suoi occhi erano fissi in modo quasi spaventoso su di me, e percorrevano tutto ciò che potevano vedere.

Deglutii rumorosamente e voltai la testa dall'altra parte, incapace di reggere il suo sguardo intenso.

«Non parli?» domandò con una punta di agitazione sul viso.

«Non so cosa dire» ammisi, non sapevo come interpretare il suo discorso, era qualcosa detto tanto per o era una specie di dichiarazione nascosta?

Lui sospirò pesantemente e si mise le mani tra i capelli e poi sul viso, in un gesto disperato, forse per aver detto troppo «lo provi anche tu questo senso di..pazzia, vuoto e tutto il resto?»

Alzai di nuovo gli occhi su di lui e più lo guardavo più la mia mente si riempiva di lui «in parte si» lo vidi sorridere impercettibilmente e mi affrettai ad aggiungere «e in parte no»

Mi morsi un labbro e attorcigliai le dita fra loro, quanto ero disposta a nascondere ancora per paura?

«Stronza» bofonchiò «per una volta che dico qualcosa di serio» aggiunse con amarezza.

«Era una dichiarazione quella di prima?» domandai, il mio cervello era collegato alla bocca e non riuscii a bloccare questa curiosità stupida e infantile.

«Se vuoi pensarla così» scrollò le spalle, per niente turbato «ma scommetto che ne hai ricevute a migliaia e anche di migliori» schioccò la lingua, visibilmente infastidito.

Sorrisi e scossi la testa «non così tante»

«Allora lo ammetti, quanti ci provano con te?»

«Non più di quelle che ci provano con te» ribattei stizzita al solo pensiero.

Ridacchiò e incrociò le braccia al petto «cos'è, una sfida?» sussurrò per poi avvicinarsi di più «vuoi sapere con quante ragazze l'ho fatto?»

Ringhiai silenziosamente e roteai gli occhi «non mi interessa»

«Sai, c'è la cameriera che mi sta fissando da quando siamo arrivati e non ci metterei nulla a baciarla»

Strinsi gli occhi con enorme fastidio e provai a parlare in modo indifferente ma mi uscì un sussurro tutt'altro che tranquillo «e allora fallo»

Scoppiò a ridere e subito dopo si fermò «è questo il punto, non voglio farlo per quanto sia bella e..» si bloccò qualche istante a squadrarla attentamente e provai una strana sensazione di non sapevo cosa «tutto il resto»

Tornò a guardarmi con un sopracciglio inarcato «perché quando ti ho davanti il mio cuore inizia a battere più forte e quando mi guardi con quegli occhi maledettamente trasparenti divento un maniaco, capisci?»

Oh si, fin troppo caro.

Mi schiarii la voce ed esordii con una frase da demente «voglio andare sulla giostra»

Christopher mi guardò come se avesse davanti un alieno e poi scrollò la testa «come vuoi Gaietta» e probabilmente mi stava odiando o peggio, meditando il mio assassinio.

Corsi come se dovessi prendere un treno e mi sedetti per metà sulla zucca-carrozza di Cenerentola, ero troppo grande per starci ma non mi importava, a costo di fare figure squallide.

«Seriamente» lui mi raggiunse e iniziò a guardarsi intorno in evidente imbarazzo e con un po' di stizza, di sicuro le sue precedenti ragazze non avevano fatto nulla del genere.

Ridacchiai per la sua espressione e appena la giostra iniziò a girare si aggrappò posando le mani appena sopra di me sulla finta carrozza, così ce l'avevo di fronte, leggermente piegato in avanti.

«Sei una bambina» commentò, sarcastico.

«E non ti piacciono le bambine?»

Inclinò la testa e mi squadrò di nuovo con quei suoi occhi profondi «non sai quanto» mormorò e si inclinò di più su di me per avvicinarsi «mi piace il fatto che siano imprevedibili e anche pazze»

Il suo sguardo mi stava ipnotizzando di nuovo e non avevo la forza di staccarmi, mentre le sue parole mi riempivano la testa e i miei battiti acceleravano sempre di più, come se dovessero rincorrere qualcuno.

«Pazze?» riuscii a pronunciare in un sussurro.

Sorrise e mi accarezzò una guancia con le nocche «certo, sai che noia altrimenti?» replicò ovvio «vivere sempre la stessa storia»

«Le bambine sono dispettose, non ti annoieresti» commentai, non capendo dove volesse portarmi con quel discorso.

«Per questo mi piacciono»

Aggrottai la fronte perplessa «ma di che cosa stiamo parlando precisamente?»

Era per caso impazzito pure lui?

«Secondo te?»

«Delle bambine?» risposi, sconcertata.

«Appunto» e catturò la mia bocca con la sua in una morsa per poi separarsi di nuovo «tu sei una bambina» aggiunse, e le sue labbra si incollarono alle mie senza lasciarle scampo.





S B A A M
NB: in questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Valentine. ***


Missing moment sei

Valentine




[GAIA POV]

Ormai ero così abituata ad andare alle feste che non mi entusiasmava neanche più, anche se a questa avrei voluto tanto non andarci.

Ma era pur sempre una compagna di classe, una che andava con tutti, ma avevo bisogno di bere quindi, quale migliore occasione?

Anche se nelle precedenti feste ero caduta accidentalmente tra le braccia del nemico questa volta ero decisa a voltare pagina, a bruciare l'intero libro per iniziarne uno nuovo di zecca, con la copertina ancora fresca di stampa.

Niente me lo impediva, a parte il cuore che aveva iniziato a palpitare da qualche minuto e due occhi brillanti che mi scrutavano, distratti dalla festeggiata di turno: Mara, la biondina con qualche ciocca rosa alla Avril Lavigne, antipatica come poche e aperta a ogni essere dotato di palle, forse.

Non capivo perché parlava con lei e guardava me, a ruoli invertiti gli avrei rifilato un ceffone in pieno volto ma evidentemente lei era troppo impegnata a strusciarselo addosso per accorgersene.

Bevvi un altro bicchierino di vodka e con un istinto primordiale che avrei fatto meglio a nascondere mi avvicinai di soppiatto alla coppietta felice, picchiettando sulla spalla della bionda che subito mi lanciò uno sguardo omicida «scusami, te lo rubo due secondi» ignorai la sua smorfia e trascinai colui che era stata la rovina della mia vita da tutt'altra parte, guarda caso contro un muro, tanto per essere monotoni «smettila» ringhiai subito, con voce poco convinta a causa delle sue dita che si posarono sul mio volto che arrossì di colpo, giusto per non farmi mancare nulla.

«Di fare cosa precisamente?» domandò, innocente, come se cadesse dalle nuvole, appoggiando la testa alla parete.

«Di guardarmi, di starmi sempre intorno» spiegai fredda «poni fine a questo giochetto»

«Non sto facendo nessun giochetto, mi piace guardarti e starti attorno» ribattè tranquillo, alzando le spalle e sorridendomi come se nulla fosse.

Peccato che dentro di me stava nascendo una tempesta di emozioni contrastanti, ero partita con un'idea ben precisa in testa e ora volevo l'esatto opposto.

Volevo allontanarlo o sarei impazzita del tutto, volevo che mi stesse a distanza, il perché non lo sapevo neanche io ma ero ciò che sentivo e che il mio cervello razionale voleva fare, il cuore ormai aveva perso ogni considerazione, o quasi.

«Fallo con qualcun'altra» sentenziai, ma una piccola e profonda parte di me non era per niente d'accordo.

«Non è la stessa cosa»

«Non mi interessa, ti ho detto di smetterla» ripetei scocciata guardandolo fisso negli occhi, senza scompormi, apparentemente.

«Hai bevuto o sei gelosa?» ridacchiò e le sue dita passarono a circondarmi le spalle, provocandomi brividi freddi sulla pelle.

Ehi, sveglia, ammaliatore in azione parte due.

Con una mossa mi scrollai le sue mani e ritornai alla mia posizione rigida e decisa «nessuna delle due»

«Entrambe» mormorò sicuro di sè «ma non devi essere gelosa di Mara»

«Ti ho detto che non sono gelosa» sottolineai l'ultima parola e scossi la testa esausta di tutto, del suo sguardo, del suo corpo, di ogni cosa lo riguardasse «voglio che mi stai lontano»

«Impossibile» confessò, sbarrando leggermente gli occhi.

«No invece, stammi lontano» ribadii con più decisione ma lui mi circondò il volto con le dita, portandomi a due centimetri dai suoi occhi verdi «è quello che vuoi?» domandò in un sussurro.

Annuii circondata dalle sue mani e lui sospirò scocciato sul mio viso «come vuoi, ma fammi almeno fare questo» pronunciò in fretta ogni parola e non ebbi il tempo nè la forza di staccarmi prima che le sue labbra combaciassero con le mie.

Perché alla fine, nonostante tutti i miei buoni propositi, finivamo sempre col baciarci?

Fu un bacio a stampo, niente di più, perché mi divincolai immediatamente.

Volevo allontanarmi e lui stava sempre a un passo da me, questo non andava bene, mi faceva male, non riuscivo a gestirlo come avrei voluto.

«Basta» soffiai, in preda a una crisi respiratoria «trovati un'altra con cui fare i tuoi giochetti» dissi decisa, lui mi osservò ancora per qualche secondo con un'espressione piatta e poi mi voltò le spalle, tornandosene da Mara, ottima scelta, allora perché i miei occhi si stavano appannando?

 

**********


 

Avevo sempre odiato San Valentino, la festa degli innamorati quando volevano loro, insomma, se ci si amava, ogni giorno era una festa, non solo una volta all'anno.

Infatti i miei genitori erano usciti a cena, abbandonando la loro unica figlia alla solitudine, che coppia crudele ed egoista.

Sbuffai per l'ennesima volta e girai canale, per fortuna c'era Colorado che mi avrebbe tirata su il morale da single.

Stavo ridendo da sola già da un buona mezz'ora quando il campanello di casa mi fece bloccare il respiro.

Sbuffai, pronta a picchiare chiunque avesse suonato e mi alzai dal divano, guardai dallo spioncino e per poco non ci rimasi secca: che diamine ci faceva Christopher Marconi davanti alla mia porta?

Oddio, il panico mi stava invadendo, sembravo una barbona, struccata, capelli raccolti e pigiama di..meglio lasciar perdere.

Non potevo farmi vedere così, dovevo sistemarmi, non certo per farmi bella ai suoi occhi ma per mantenere una certa dignità femminile.

Velocemente, mentre lui ancora pigiava sul campanello, sciolsi i capelli e mi diedi qualche schiaffetto sul volto, giusto per incolorirlo un po', ma per il resto dovevo arrendermi.

Mi stampai addosso un sorriso scazzato e aprii la porta: inutile dire che lui era impeccabile e perfetto.

Scossi la testa per eliminare quei brutti pensieri e lo sentii ridacchiare di gusto «buon San Valentino anche a te Gaietta»

«Niente commenti per favore» berciai quando il suo sguardo percorse i miei indumenti con molta attenzione «che ci fai qui?»

«Mi fai entrare?» e mentre io rimanevo imbambolata lui era già in salone, dietro di me.

Roteai gli occhi, chiudendo con un tonfo la porta, e lo squadrai con le braccia incrociate al petto, mentre i suoi occhi facevano lo stesso «che vuoi?»

«Che accoglienza» scherzò, distogliendo lo sguardo da me in lieve imbarazzo forse «volevo portarti fuori»

Inarcai entrambe le sopracciglia e i miei occhi diventarono due cuori rossi, no okey, un minimo di contegno «che assurdità stai sparando?»

Aveva bevuto senza dubbio, altrimenti perché avrebbe dovuto presentarsi a casa mia con una richiesta del genere?

«Nessuna» scrollò le spalle e si appoggiò al bancone della cucina, portando la testa indietro.

Oh.Mio.Dio.

«Certo, se mi guardi così non ci arriviamo neanche fuori» rispose a parole al mio sguardo da maniaca, evidentemente tutti quei cioccolatini avevano avuto un effetto collaterale sul mio cervello, non c'era altra spiegazione.

«Cretino, non ho voglia di uscire» lo apostrofai e ripresi la mia maschera di indifferenza per eccellenza, seppur con qualche difficoltà.

«Preferisci stare da sola a casa?» ribattè, convinto di averla vinta già in partenza.

Sorrisi furba e inclinai la testa con sfida «sempre meglio che stare con te»

Non era vero, ma lui non poteva saperlo, e io stavo letteralmente dando i numeri.

Perché quando stavo con lui il mio cervello andava in black out?

«Non ci credo» bofonchiò e con tre falcate mi fu davanti con il suo solito sorrisetto di scherno.

«Credici, piuttosto chi ti ha aperto?» aggrottai la fronte dando voce a uno dei vari pensieri che mi frullavano in testa.

«Una signora»

Inarcai un sopracciglio perplessa «e ti ha aperto senza conoscerti?» replicai, ripercorrendo nella mia mente tutti i condomini per arrivare alla donna in questione per poi farle un bel discorsetto sulla sicurezza.

«Ha ceduto al mio fascino irresistibile»

Oddio, che ragazzo montato.

«Sei un cretino» parlai a rilento, così che ogni parola gli potesse entrare in testa con facilità senza perdersi nemmeno una sillaba.

«No, tu lo sei»

«E perché mai?» domandai, seguendolo con gli occhi mentre si sedeva sul divano e fissava la tv.

Sbuffò prima di lanciarmi un'occhiata «se vieni qui te lo spiego meglio»

«Perché sei venuto qui?» cambiai discorso repentinamente per tornare alla domanda iniziale.

«Volevo portarti in un posto»

«Perché proprio me?»

«Gaietta..»

«Rispondi» lo interruppi guardandolo seriamente.

Volevo sapere perché tra tutte quelle ragazze tra cui poteva scegliere era venuto proprio a rompere a me.

Volevo capire, una volta per tutte, questa situazione andava avanti da fin troppo tempo.

«Non lo so»

Non era certo la risposta che mi aspettavo, anzi, tutto il contrario.

Sbuffai di nuovo e con un cenno gli indicai la porta «vattene, stai perdendo tempo»

«No, aspetta» si alzò velocemente e si passò una mano fra i capelli forse in cerca di un'illuminazione, per poi volgere i suoi occhi su di me «noi..cosa stiamo facendo?»

Inarcai le sopracciglia interdetta «beh, io ti sto cacciando da casa mia»

«Dio no, voglio dire, cosa siamo noi?»

Ah, bella domanda.

Cosa eravamo? Nulla.

Amici? Forse.

Ma gli amici non si baciavano nè facevano altro quindi no.

Amici? No.

Fidanzati? Neanche.

«Non siamo nulla» ribattei, con tono tranquillo mentre il mio cuore martellava, perché in fondo sapevamo entrambi che qualcosa eravamo.

Schioccò la lingua scocciato dalla mia risposta «quindi non provi niente» era un'affermazione amara, non una domanda.

Ma ripetendomela nella testa non riuscivo a farla mia «non intendevo questo..» rischiai, perché non sapevo come continuare la frase, non sapevo cosa provavo per lui, era tutto un mistero infuso con la paura.

«E allora cosa intendevi?»

Non parlai, mi si leggeva in faccia la risposta e lui parve ancora più nervoso «non provi nulla quando ti bacio? Non senti una scarica elettrica che ti attraversa il corpo? Perchè io la sento e non me la so spiegare»

E i brividi dove li metteva?

«E con questo cosa vorresti dire?» replicai, con voce fredda.

«Che siamo collegati, c'è qualcosa di indefinito tra di noi» si interruppe mentre con lenti passi si avvicinava a me «c'è attrazione, questo non puoi negarlo»

Sospirai pesantemente e mi passai le mani sul volto «okey, e con questo?»

«Non possiamo resisterci» un altro passo.

«Parla per te» negai, con una smorfia.

Non dovevo cedere, non ora.

«Non fare la difficile» e con un ultimo slancio i nostri corpi si sfioravano e con riluttanza dovetti ammettere a me stessa che le sue parole erano più che vere: due poli opposti che si attraevano, ecco cosa eravamo, e non potevamo respingerci, più ci allontanavano più ci desideravamo: un circolo vizioso senza via di d'uscita, sempre che ne avessi voluta cercare una.

«Allora» proseguì respirando sui miei capelli «cosa ne dici?»

«Di cosa?» domandai spaesata nel ritrovarmi i suoi occhi verdi quasi attaccati ai miei.

«Di questo» e le sue labbra furono sulle mie, con forza, dolore, passione, disperazione e dolcezza.

Le sue mani erano un tutt'uno con il mio corpo, stringevano e  sfioravano la pelle che riuscivano a scoprire, e io non mi ricordavo più com'era stare stretta tra le sue braccia.

Mi incollai a lui e lentamente lo spinsi verso la mia camera, dove mi distese delicatamente sul letto.

Andammo avanti a baciarci per non sapevo quanti minuti, mi bastava solo averlo accanto per essere felice e perdere la testa completamente.

Non era normale una cosa del genere, ero stata con altri ragazzi ma mai avevo provato emozioni simili, così contrastanti tra loro.

Era solo attrazione o qualcosa di più?

Sentii vibrare il cellulare sul comodino e cercai di staccarmi, senza riuscirci.

«Lascialo perdere» sospirò sul mio collo mentre lo torturava con piccoli baci e stava per immobilizzarmi i polsi.

«No, rispondo» mi tirai su e Christopher rimase a cavalcioni sulle mie gambe con una smorfia a incorniciargli il viso «è Alice» gli comunicai, appena vidi il suo nome sullo schermo con di fianco il numero di chiamate, ben cinque.

Lo vidi alzare gli occhi e sbuffare, ma non si oppose quando accettai la chiamata «bionda, si può sapere che è successo

Dall'altro capo sentii uno sbuffo rumoroso e una voce squillante un po' seccata «ti ucciderò dopo, ora dimmi cosa cavolo devo indossare»

Non l'avevo ascoltata, o meglio, avevo recepito le parole ma non mi erano uscire dall'altro orecchio, perché Christopher aveva deciso di farmi morire: si era tolto la felpa e aveva iniziato a baciarmi il ventre, guardandomi fisso negli occhi con una tale intensità da farmi tremare.

Deglutii rumorosamente cercando qualcosa da fare ma Alice mi venne in soccorso, inconsapevolmente «dimmi che sei viva» sbuffò impaziente.

Scoppiai a ridere subito dopo quando lui a sorpresa iniziò a farmi il solletico sul fianco, senza lasciarmi scampo.

«Cazzo Gaia ma mi ascolti

«Scusa, é colpa di..» mi morsi un labbro per ciò che stavo per farmi sfuggire e anche per non urlare «del mio gatto, un vestito per cosa

«Da quando hai un gatto?» domandò ma riuscii a risponderle solo con un'altra risata «comunque, mi serve perché quel cretino ha deciso di portarmi fuori a cena» strillò, come se avessi avuto davvero la forza di starla ad ascoltare.

«Metti il tubino di Capodanno, stavi benissimo» replicai parlando velocemente, cercando di non esplodere in altre risate soffocate.

«Ma l'ha già visto» si lagnò di nuovo, conoscendola era immersa nel suo armadio pronta a rinunciare ad uscire «bionda, sai a cosa interessa lui vederlo di nuovo? Tanto poi te lo toglie, è solo una copertura»

Mentre pronunciavo quelle parole lui mi ributtò stesa sul materasso «scusa, non riesco più a sopportare sta cosa viola che hai davanti» sussurrò, cercando di sfilarmi la maglia del pigiama, facendomi ridere per la sua smorfia infastidita.

«Ma il tuo gatto ti fa ridere così tanto

«Sì, mi sta graffiando» respirai profondamente prima di continuare «comunque metti quel vestito e non pensarci più, buon San Valentino» conclusi, riattaccandole il telefono in faccia.

Non potevo continuare a parlare con lei se la persona che avevo davanti mi faceva mancare il respiro e ridere allo stesso tempo.

«Stavo dicendo» riprese, riuscendo a togliermi la maglia che non gli piaceva ma che io adoravo «ora va molto meglio» sorrise e si tuffò di nuovo sulla mia bocca, scendendo piano piano sul mio collo e poi sulla spalla.

Trattenevo il respiro e lo lasciavo andare solo quando si staccava dalla mia pelle, mentre le mie unghie lasciavano dei graffi sulla sua schiena appena il suo corpo si muoveva.

Le sue mani iniziarono a percorrere le mie cosce, ormai libere dai pantaloncini del pigiama, e io strinsi le mie gambe sui suoi fianchi per sentirlo più vicino, finchè non si fermò di colpo per poi scendere di nuovo a tracciare una scia di baci sulla mia pancia «possiamo provarci» mormorò, mordendomi la pelle.

«A fare cosa» chiesi in un soffio, provando a guardarlo negli occhi per capire cosa intendesse.

«A stare insieme, così, non ti piacerebbe?» calibrò ogni parola con maestria, senza interrompere il contatto di sguardi.

Volevo iniziare qualcosa con lui? Forse si e forse no.
Non lo sapevo.

«Starò solo con te» continuò, avvicinandosi al mio viso e lasciando un bacio al centro del mio petto.

«Mi stai chiedendo di stare insieme?»

«Solo se lo vuoi anche tu»

Lo volevo davvero?

«Dove sta l'inganno?»

«Nessun inganno, solo io e te» replicò, stampandomi un bacio sulla guancia «lo vuoi anche tu?»

«Ci ammazzeremo, lo sai?»

«Di baci, ovvio»





S B A A M
NB: in questi pochi missing moment racconterò la storylove tra Gaia e Chris, ambientata più di un anno prima eheh.
Alla prossima 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Always. ***


Ecco a voi il secondo epilogo della storia
Non aspettatevi chissà che da questo capitolo, è volutamente fatto così perché volevo dare qualche informazione sui personaggi della storia.
Spero vi piaccia comunque :D



Epilogo
Always

 


 
            •un anno dopo•


[ALICE POV]

Stare sdraiata al sole, stesa su un lettino e godersi l'aria estiva e il rumore delle onde che si infrangevano sulla riva, non era più solo oggetto dei sogni che mi avevano accompagnata tutti quei giorni in cui ero stata costretta a stare sui libri ma era ormai una realtà bellissima e appagante.

I giorni di reclusione erano finiti da poche settimane ma il senso di libertà che mi aveva avvolto fin da subito non era ancora svanito, forse perché l'avevo tanto desiderato e ora non voleva andarsene.

Gli ultimi mesi erano stati massacranti, verifiche e interrogazione a tutto spiano, simulazioni delle prove di maturità assurde e l'ansia che usciva anche dai libri.

Non ne potevo più, nessuno riusciva a stare dietro a ogni cosa, erano nate incomprensioni, litigi, e i professori non ci aiutavano per niente, anzi, aumentavano la mole di lavoro per farci arrivare super preparati, secondo loro, ma la verità era un'altra: il programma era troppo e il tempo era poco.

La routine era diventata ingestibile, sveglia presto e subito sui libri a ripassare e studiare la tesina, niente vita sociale, se non il ritrovarci insieme per farci coraggio con il motto alla matura senza paura, ma tutti ce la stavamo facendo sotto allo stesso modo.

E ora, eccoci qui, una banda di diciannovenni a costruire castelli di sabbia, fare tuffi mortali, spruzzare acqua, lanciare sabbia e..

«Amore, non hai caldo?» e una secchiata di acqua addosso, sul lettino e tutto intorno.

Amen, in realtà non ero sicura che i miei istinti omicidi si fossero conclusi con la maturità, ma non ero ancora pronta a sperimentare perché la vendetta era un piatto che andava servito freddo, e quindi dovevo pensarci molto bene.

Come da tradizione, durante l'anno avevamo programmato un viaggio post esami, e dopo varie indecisioni tra Grecia e Ibiza, qualcuno aveva proposto la Sunny Beach, in Bulgaria: 8km infiniti di spiaggia e tantissime discoteche per i più scatenati che quasi ogni sera non riuscivano a farne a meno.

Il posto perfetto per i pazzi della classe, come Mara, che ormai faceva coppia fissa con Jacopo, non sapevo se per loro piacere o per fare un dispetto a me, in ogni caso non mi importava nulla, la situazione non mi faceva nè caldo nè freddo, ma non potevo dire la stessa cosa delle sue schiavette Clarissa, Silvia e Francesca che evidentemente erano in lutto perché non erano più così tanto considerate: facevano un gruppetto a sè, spettegolavano di ogni cosa o essere mobile che respirasse, nessun dettaglio o gossip poteva sfuggire ai loro occhi e puntualmente riferivano al diretto interessato senza alcun tatto, tanto da aver creato vari litigi.

Nulla mi stupiva orma, neanche la loro scelta di continuare il loro terzetto alla facoltà di comunicazione, sicuramente il gruppetto si sarebbe allargato a dismisura.

Ginevra e Cecilia, le ricche e snob della classe, arrivavano in spiaggia senza poter rinunciare a una borsa di Chanel e ai gioielli Tiffany, ma a loro discolpa per questo loro lato da vip, potevo dire che negli ultimi mesi si erano ritrovate anche loro immerse nei libri e non nei soldi, e avevano deciso di collaborare con la classe, senza perdere però il loro tocco glam, che sicuramente avrebbe fatto invidia a tutte le studentesse di economia e giurisprudenza.

Arianna era cambiata, si era tagliata i capelli e non aveva fatto più nessun giochetto strano, ogni tanto la vedevo parlottare con Niccolò, lei sorrideva e gli occhi le si illuminavano ma non era più come una volta, non era per amore verso di lui ma verso un altro ragazzo e non potevo che essere felice per lei, anche se accettarla di nuovo nella compagnia non era stato così facile come immaginavo ma alla fine eravamo tornate ad essere 'amiche' ma ancora con molta freddezza da parte mia, che però non mi impedì di sbarrare gli occhi quando ammise di essersi iscritta alla facoltà di matematica, lei che l'aveva sempre disdegnata con fermezza.

Lorenzo era ritornato ad essere una spalla importante nella mia vita su cui potevo sempre contare, anche se non come nel passato ed era spesso al centro dell'attenzione per il suo essermi appiccicato a volte, dimenticandosi che non eravamo più io e lui soli ma anche tutti gli altri che lo prendevano in giro ma non sapevano che mi stesse confidando la sua cotta per una ragazza della classe, che non svelerò perché sotto un giuramento di silenzio.

Christopher e Gaia stavano ancora insieme, anche se loro continuavano ad affermare di non essere fidanzati, in realtà lo erano eccome per ogni occhiata o gesto che si scambiavano e negli ultimi tempi si erano avvicinati ancora di più, staccandosi ogni tanto anche dal gruppo, come in questo momento, sdraiati al sole e in disparte: un giorno avrei scoperto il loro segreto.

La cosa bella era che non litigavano mai, si punzecchiavano, si prendevano in giro, ma non erano mai imbronciati l'uno con l'altra, in un certo senso li invidiavo, anche perché avevano deciso di frequentare la stessa facoltà di lettere, ma non avrei scommesso nessun soldo su Christopher.

Luca aveva iniziato a sentirsi con una ragazza ultimamente e sprizzava felicità da tutti i pori, tanto da aver trascurato in parte lo studio per passare più tempo con lei, la quale era stata costretta a cacciarlo di casa per fargli aprire i libri e superare la maturità con il minimo, ovviamente, e nessuna idea sul futuro, a parte la sua amata Carlotta.

Guglielmo stranamente era cotto perso di Martina, e ora le mancava così tanto che aveva deciso di estraniarsi da tutti per stare appiccicato al telefono e sentire la sua voce, e aveva fatto la stessa fine di Luca, quei due andavano in coppia.

E io, ero ancora innamorata di Niccolò, come non esserla dopo tutto ciò che avevamo passato insieme?

Era passato un anno e mezzo dal nostro fidanzamento ufficiale, un anno e mezzo incasinatissimo, ma che per arrivare fin qui, lo avrei ripercorso tutto quanto, tutti i giorni, ogni secondo, per sempre.

Avrei cambiato qualche gesto, qualche azione, e avrei aggiunto qualche bacio in più e tolto qualche paranoia inutile.

L'amore non sempre era stato bello, mai noioso certo ma non privo di problemi.

Qualche litigata, forse troppe e forse insensate, dettate dalla paura di perderci e non ritrovarci, dalla paura di dirci addio per sempre.

Lo stesso addio che ci eravamo detti tante volte ma che non avevamo mai messo in pratica, perché due come noi era impossibile mantenerli separati.

Stessi cuori che battevano insieme, che offuscavano ogni cosa, anche la capacità di pensare razionalmente.

Il cuore comandava e la testa eseguiva, niente regole, solo una: amarsi, fino alla follia, fino a impazzire, fino a piangere, fino a odiarsi.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Happy ending. ***


HELLO
IT'S ME
GIULIA

 

HAPPY ENDING




In perfetto orario, fino a dieci minuti fa.

Ora, non riuscirò mai ad arrivare in tempo, tra chiamare il taxi, aspettarlo e percorrere la strada per arrivare al luogo predestinato farò la mia bella figura e Martina mi ucciderà senza pensarci due volte.

Di certo non posso mettermi a correre avendo dei tacchi vertiginosi che sicuramente dopo la cerimonia lancerò da qualche parte.

Il vestito in compenso mi piace un sacco, di un grigio chiaro senza spalline che mi arriva quasi alle ginocchia, perfetto per questa giornata più che estiva anche se è solo metà aprile.

Afferro la tracolla con dentro solo il necessario, cioè un cellulare che da mezz'ora non la smette di suonare e che ho paura di guardare, e col telefono di casa compongo il numero del mio pseudo-salvatore che mi condurrà sana e salva al luogo predestinato.

Dopo aver fatto anche questo mi preparo psicologicamente a scendere in fretta le scale, per modo di dire, e contemporaneamente mi metto sulle spalle una giacchetta leggera giusto per non crearmi troppi imbarazzi ed evitare sguardi strani dai passanti.

Per l'ansia inizio a battere il tacco sul marciapiede e incrocio le braccia al petto maledicendo il mondo babbano per non aver creato un teletrasporto istantaneo.

Appena intravedo il taxi mi precipito ed entro in macchina, pronuncio così velocemente il nome della via che l'autista mi chiede di ripeterlo un'altra volta, classica figuraccia.

Mi rilasso qualche secondo prima di controllare l'ora sul cellulare e inevitabilmente i messaggi, tutti da Martina:

Giulia, dimmi che sei quasi arrivata.

Evidentemente no, perché non ti vedo.

Giulia...

Sei la mia testimone devi essere qui ORA

...

Ecco perché non volevo leggere i suoi messaggi.

Sbuffo infastidita dal mio stato di ritardo cronico e invito gentilmente l'autista ad accelerare e passare anche col rosso, mi basta arrivare in tempo per preservare la mia vita.

Magicamente, la strada da lì a poco appare vuota, come se gli Dei avessero ascoltato le mie preghiere, e riesco ad arrivare puntualissima, più o meno insomma.

Pago ed esco fuori come una furia, vedo tutti ma non saluto nessuno, devo trovare le altre e unirmi a loro, ma sul mio cammino trovo un piccolo marmocchio che mi viene in contro e cerca di abbracciarmi: occhi azzurrissimi e capelli chiari, impossibile da non riconoscere.

«Brando, lascia stare la zia» alzo gli occhi e mi trovo Niccolò poco distante, perfetto nel suo completo nero, che sorride divertito, non riesce mai a stare serio quando si tratta di suo figlio ma del resto, come dargli torto?

Ha la personificazione in carne ed ossa di un angelo.

«Non ti preoccupare» prendo in braccio il marmocchietto e lo riconsegno al padre, non con poca fatica «dove sono le altre?» chiedo, con voce di nuovo impanicata.

«Ti stanno aspettando» mi dice, indicandomi una casona bianca di fronte «buona fortuna»

Corro, per quel che posso, sull'erba verdissima fino ad arrivare a un portone di legno, spingo e subito sento degli urletti e poi dei mormorii concitati.

Mi faccio il segno della croce e salgo velocemente le scale in marmo provocando un ticchettio assordante e alla fine della rampa finalmente, le vedo tutte: Alice, che evidentemente non sa più come calmare Martina, ha un abito scuro e i capelli raccolti in una treccia strana; Gaia, stressata al massimo, con un abito color cipria che mette ben in mostra il pancione; Carlotta, perfetta nel suo abito blu stretto fino alla vita per poi scendere più morbido, che scuote i suoi capelli lunghi mossi in cerca di una qualche soluzione; Arianna, col suo vestito chiaro e i capelli raccolti, che cerca di calmare la sposa e Bea, stretta nel suo abito chiaro ormai senza più speranze di ritornare a un clima tranquillo.

Passa solo qualche secondo prima che il chiacchericcio si abbassi e che la mia figura si mostri in primo piano.

Vedo la sposa, ancora con capelli e trucco da sistemare, girarsi lentamente e puntare gli occhi su di me, con un'espressione spiritata.

«Dove caspita eri finita?» urla in preda a qualche crisi isterica «la parrucchiera é in ritardo coi tempi, ho il trucco sbavato, manca meno di un'ora, la chiesa si sta riempendo, odio i fiori che hanno usato anche se li ho scelti io e non so se si nota, sono in preda ad una crisi isterica!»

Si, me ne ero già accorta dai messaggi ma questo non posso dirglielo, peggiorerei la situazione, che già è fuori controllo.

Tutte mi stanno guardando, ormai rassegnate a questi strilli sclerati ma anche infastidite dal mio ritardo che ha creato questo mostriciattolo.

Prendo un respiro e inizio a togliermi la giacca, poso la borsetta su un mobile e cerco di non farmi prendere dal panico: «okay, sono in tremendo ritardo, non ho scusanti, ma» mi interrompo per riprendere fiato e inizio a gesticolare come una pazza.

«Niente ma! Dobbiamo muoverci!»

In questo momento la trovo peggio di un dittatore, infatti dopo questo ennesimo strillo tutte ritornano all'opera, c'è chi si sistema i capelli, il trucco o le pieghe del vestito.

Gaia si è lanciata sul viso di Martina per sistemare il trucco e mettere un rossetto, mentre io mi concentro sui capelli, raccolti in una crocchia disordinata.

«Okay» sospiro «come li vuoi?»

«Raccolti» risponde con strana tranquillità «ma devono scendere a boccoli» mi spiega, gesticolando e facendomi capire la pettinatura che ha in mente, spero vivamente di farcela altrimenti mi sentirei in colpa «ah, non dimenticare i brillantini»

Già sto facendo un casino, dovrei avere quattro mani per fare questa acconciatura elaborata e non solo due.

«Donna, ti aiuto» Carlotta mi si affianca e mi sorride, aiutandomi in questa impresa, forse così riusciremo a non farci mangiare dalla tigre.

Tutte sono concentrate su di lei, Arianna la sta aiutando col vestito, Bea aiuta Gaia, mentre Alice cerca di calmarla con discorsi strani e filosofici puntando sul post cerimonia e sulla luna di miele che, sorprendentemente fanno calmare la sposa, facendola cadere in uno stato paradisiaco, molto meglio per noi che possiamo lavorare con più calma.

Dopo quasi mezz'ora possiamo tutti ammirarla nello specchio, racchiusa in questo abito bianco che scende a sirena fino ai fianchi, per poi aprirsi con diverse pieghe che sembrano infinite, il tutto impreziosito con dei ricami neri che non fanno di lei la classica sposa.

La trovo magnifica, gli occhi le brillano e non posso fare a meno di sorridere ed essere felice per lei.

Tutta questa atmosfera viene interrotta e rovinata dalla parrucchiera che arriva trafelata, probabilmente dopo aver corso la maratona per arrivare in questo posto sperduto.

Appena la vediamo, tutti spalanchiamo gli occhi e tentiamo di non far girare la sposa da quella parte, consce che ci troveremmo in mezzo a un genocidio di massa.

Così, colta da un istinto salva vita, frettolosamente blocco la suddetta ritardataria e la caccio fuori dalla parte, sibilando un dolce «sei licenziata, non ci servi più»

Questa, sconvolta e amareggiata, pensa bene di darsela a gambe, probabilmente ha intravisto lo sguardo di fuoco della sposa.

Respiro profondamente e ritorno nella stanza, dove la felicità è tornata a regnare sovrana.

Alle nostre orecchie arriva una melodia così rilassante che Martina sembra essersi catapultata in un altro mondo, ci sorride dolce, senza nessuna traccia del nervosismo di poco prima e si avvia col suo lungo strascico verso le scale.

Scende con leggerezza, come se stesse sfilando per una casa di moda e non per raggiungere il suo futuro sposo.

Gli occhi sono tutti puntati su di lei, sul suo vestito, sui suoi occhi felici e sullo sposo che la attende sotto una corona di fiori bianchi, anche lui trattiene il fiato alla sua vista.

Io le sto appena dietro, e non posso che sciogliermi quando Guglielmo le si avvicina e le sussurra con dolcezza «sei bellissima»

*****

Un tintinnio ci fa zittire quasi subito e tutti guardiamo verso l'autore di quel gesto: Luca.

È visibilmente imbarazzato, anche se di lui non l'avrei mai detto, eppure eccolo lì, che si aggiusta la cravatta e la piega della giacca, con un sorrisetto appena accennato: «Sono il testimone e mi sento in obbligo nel dire qualcosa» si interrompe e Carlotta, al suo fianco, gli stringe la mano per spronarlo a continuare «dovrei fare un discorso serio anche se io non lo sono mai stato, ho sempre scherzato su tutto, anche sull'amore» scuote la testa divertito forse pensando al passato «ma con gli anni mi sono accorto che ho sbagliato anche su questo fronte, che l'amore è qualcosa di meraviglioso, trovare una persona che sta al tuo fianco in ogni occasione, che tu sia nel torto o nella ragione, che ti ama sempre e comunque» lancia uno sguardo dolcissimo alla sua fidanzata e solleva le loro mani intrecciate «è questo che auguro a tutti i miei amici, ma anche ai nemici, di trovare la persona giusta e non lasciarsela scappare e soprattutto viversela, senza rancori, senza freni, senza dubbi, siete solo voi contro tutti» sorride e si rivolge agli sposi e a un Guglielmo spiazzato da questo discorso dell'amico «vi auguro il meglio perché lo meritate, siate felici insieme e» ridacchia e conclude senza smentirsi «sfornate tanti marmocchi»

Gli applausi iniziati poco prima si mischiano alle risate degli invitati, e poco dopo tutti ritornano a mangiare e a parlare come qualche minuto prima.

Siamo disposti in qualche tavolata bianca sul giardino, dove si è svolta la cerimonia, e circondati da fiori rosa pallido tutt'intorno, mi sembra di stare in una reggia all'aperto, tutto è stato costruito in ogni dettaglio, senza farsi sfuggire nulla.

«Mi hai stupito» dichiara il riccio, ancora scosso ma felice, con al fianco la sua Martina, che ha stampato in viso un sorriso ebete ed è così tranquilla che sembra in stato di trance.

«Beh, dovevo fare un'eccezione no?» sorride e guarda di sottecchi Carlotta «però non ho detto tutto»

Attimi di silenzi in cui gli occhi sono puntati su di lui, irremovibili, e sulla biondina al suo fianco «tra qualche mese ci sposiamo»

Degli urletti entusiasti escono dalle nostre bocche e non posso fare a meno di vedere l'imbarazzo e la felicità di Carlotta passarle davanti agli occhi, gli altri sono stupiti ma io ovviamente sapevo già tutto, niente mi sfugge.

«Allora devo prepararmi un discorso» annuisce tra sè Guglielmo, sorridendo felice all'amico.

«E non dimenticare l'aggiunta dei marmocchi» rincara Christopher, seduto al fianco della sua Gaia, con un evidente pancione.

«Non parlare di bambini» sibila lei in risposta, fulminandolo.

Tutti scoppiamo a ridere mentre Alice si porta in braccio Brando, che non smette di recitare frasi senza significato «non lo trovi tenero?»

«Troverò tenera mia figlia quando sarà fuori da me e quando non mi sveglierà di notte»

«Dai Gaietta, ti aiuterò io»

Lei alza gli occhi al cielo e scuote la testa «allora mia figlia morirà entro due giorni, voi uomini siete inutili»

«Guarda che io ho aiutato quando Brando era appena nato eh» si intromette Niccolò, punto sul vivo.

Alice conferma annuendo piano e io ridacchio divertita, attirando tutti gli sguardi su di me «scusate» mormoro, coprendomi la bocca con la mano.

«Stai ridendo di noi?» insinua Gaia, con un sorriso celato.

Scuoto la testa per salvarmi la vita una seconda volta, la mora incinta mi fa quasi più paura di Martina qualche ora fa.

«Gaietta, rilassati» prova suo marito, senza risultati ovviamente.

«Stai dicendo di rilassarsi a una donna incinta di otto mesi»

«Il nervosismo è incluso nella gravidanza, poi passerà, tranquillo» Alice poggia una mano sulla spalla di Chris per consolarlo, ma lui sorride «mi piace anche se è così 24 ore su 24»

I miei occhi sono diventati dei cuoricini ma subito sento qualcosa arpionarmi il vestito, abbasso gli occhi e noto una testolina bionda e subito abbozzo un sorriso «Brando»

«Zia, lo dici tu a mamma e papà che voglio un fratellino?»

Inarco un sopracciglio e guardo i diretti interessati che scuotono la testa «non se ne parla» afferma Alice contrariata, appoggiata da Gaia che finalmente sorride radiosa.

«Magari tra qualche anno eh amore?» sentenzia Niccolò, stupendo tutti.

Alice gli lancia un'occhiataccia e lui scuote le spalle «non distruggere i suoi sogni»

Lei fa per ribattere ma tutti siamo presi alla sprovvista da un annuncio: «io sono incinta» la voce tremante e imbarazzata proviene da Arianna, seduta al fianco di Marco, suo compagno da anni.

Tutte le sorridiamo felici e Carlotta dà voce ai pensieri di tutti «e vi sposate prima o dopo?»

Lei scuote la testa con dissenso «nessuna delle due, non ci sposeremo per ora»

Rimaniamo leggermente spiazzati ma il moro al suo fianco ci spiega «stiamo bene così, senza legami ufficiali, poi chissà un giorno, mai dire mai»

Annuisco e provo a riportare sulla terra la neo-sposa «Marti, tu vuoi dei figli vero?»

Lei sembra illuminarsi e con voce emozionata inizia il suo monologo «oh si, ne voglio tanti, però non subito, ora è troppo presto eh» Guglielmo spalanca gli occhi ma poco a poco si rilassa «no, ripensandoci ne voglio solo uno, una femmina, Sarah» conclude, entusiasta, sotto gli sguardi ammirati di tutti.

Sorrido e guardo Carlotta con insistenza, e lei sbuffa prendendo la parola «io invece vorrei un maschio, Gianmarco, e basta»

«Solo uno?» domando curiosa e non convinta dall'espressione del suo compagno.

Lei annuisce soltanto «ho paura di partorire»

«Tranquilla amore, te la faccio passare io la paura» Luca le sorride e lei ricambia, ma pur sempre non convinta.

«Non credo che tu ne sia in grado» lo riprende Alice, poco distante da lui.

«Ehi, ho le mie tecniche infallibili»

«Non è che le puoi usare anche su di me?» scatta Gaia, improvvisamente interessata all'argomento.

Christopher la guarda contrariato e Luca la smonta subito sul nascere «mi spiace, queste tecniche sono off-limits, e sono solo per lei» ridacchia divertito per l'espressione della moretta e poi stampa un bacio tenero sulla fronte della sua amata.

Tutti scoppiamo a ridere con serenità e, mentre Brando si arrampica sulle mie gambe vedo in lontananza una faccia conosciuta che si affretta a raggiungerci: Lorenzo, ma dove si era cacciato?

«Scusate il ritardo» ci sorride e si siede al suo posto.

«Lore, dove eri finito?» chiede Alice, divertita dalla sua espressione accaldata.

«Oh beh, ecco, mi sono fermato a parlare con una ragazza»

«Qui gatta ci cova» bofonchia sottovoce Niccolò, ma tutti l'abbiamo sentito.

«Oh no, cioè, é fidanzata» risponde, poco convinto.

«E il suo ragazzo é qui?» chiede Gugi, con uno strano sorriso.

«No» e Lore ha un sorriso troppo grande per convincermi che ci ha solo parlato.

Li osservo tutti, dal primo all'ultimo, e non posso fare a meno di pensare a come sono cambiati negli anni, chi più chi meno, sono cresciuti, maturati, hanno un lavoro e una famiglia in via di costruzione, e forse era questo il progetto fin dall'inizio, ma loro non lo sapevano, erano all'oscuro dei miei progetti per loro.

E allora, sarà questo il loro per sempre?



THE END



E' strano ma è successo di nuovo, un'altra storia conclusa, e solo per questo dovrei essere felice e soddisfatta di me stessa.
Invece sono qua a dispiacermi, perchè lascio i miei personaggi, i primi a cui mi sono affezzionata e dedicata con impegno, che mi hanno accompagnata in questi quasi due anni come dei vecchi amici.
Ma so che nella mia testa loro ci saranno sempre, combineranno casini, come loro solito, penso sia il loro marchio di fabbrica a questo punto.
E non so che altro dire e non vorrei creare un lago sulla tastiera ahah
quindi vi saluto, spero che tutto sia stato di vostro gusto, alla fine l'amore vince tutto, su ogni problema e su ogni dolore.

Amor vincit omnia.

 




NB: ultima cosa poi vi mollo ahah
Giulia sono io, quindi questo ultimo capitolo è raccontato dal mio punto di vista, dall'autrice stessa, che è una pazza ovviamente ahah.


 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3033621