Amrâdu adad di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 1 *** Prima parte ***
Amrâdu
adad
Tante
volte, sedendo negli alloggi di Dís a Ered Luin,
Thorin aveva rimuginato sul fatto che lei – una principessa
della stirpe di Durin – avrebbe meritato stanze ben
più lussuose.
Oggi,
però, la sua mente non aveva spazio per quel genere di
pensieri. Oggi, quel genere di pensieri gli sembrava triviale.
All’esterno
della montagna si era fatto buio da qualche ora,
e lui si sentiva esausto come se non dormisse da anni.
Quel
giorno era partito all’alba con una manciata di altri
Nani. Avrebbe dovuto trattarsi di una semplice battuta di caccia, ma
quando erano stati attaccati si era trasformata in una carneficina.
I
loro avversari, seppur cruenti e rabbiosi, erano in svantaggio
numerico e completamente disorganizzati, e alla fine i Nani erano
riusciti a prevalere.
Alcuni
di loro erano rimasti feriti, però, e il cognato di
Thorin era stato ucciso da un colpo d’ascia alla testa. Era
stato proprio lui a trovare il corpo, e ancora lo rivedeva nella
propria mente. Quei capelli biondi inzuppati di sangue, quegli occhi
scuri vitrei e sbarrati…
Non
aveva una memoria precisa del viaggio di ritorno, ma sapeva che era
stato lento e difficoltoso. Ciò che ricordava bene era il
momento in cui era arrivato alla porta di sua sorella.
Dís
gli aveva aperto reggendo il piccolo Kíli con
un braccio, e Fíli aveva fatto capolino da dietro la gonna
della madre con aria curiosa.
Nel
vedere l’espressione di Thorin, Dís era
impallidita.
Le
sue labbra si erano dischiuse, ma poi lei aveva abbassato lo sguardo
su Kíli – impegnato a mangiucchiare felicemente un
cavallino di pezza – e si era sforzata di ricomporsi.
Aveva
posato a terra il suo secondogenito, ed aveva detto a
Fíli di andare in camera col fratello.
Il
bambino biondo aveva guardato Thorin ma non aveva protestato,
limitandosi a prendere la mano di Kíli e a fare come aveva
detto sua madre.
«Dov’è?»
aveva chiesto
Dís, con voce incrinata, non appena i suoi figli erano
scomparsi nell’altra stanza.
Quando
Thorin le aveva spiegato quanto era accaduto, lei non aveva
né pianto né urlato. Era diventata ancora
più pallida, invece, e si era premuta una mano sulla bocca
come per cercare di contenere lo strazio.
Riguardando
indietro, Thorin avrebbe preferito che si fosse accasciata
tra le sue braccia singhiozzando, poiché il dolore nel suo
sguardo muto era stato devastante.
Adesso,
Dís si trovava a preparare il corpo di suo marito
per il funerale – aveva rifiutato con fermezza che se ne
occupasse qualcun altro – e a vegliare su di lui secondo le
tradizioni.
Prima
di andarsene, aveva parlato a lungo con Fíli e
Kíli, cercando di spiegare loro cos’era successo,
e li aveva messi a letto.
Thorin
chiuse brevemente gli occhi, sfiorando la benda che gli
avvolgeva la mano. Un taglio sul palmo era l’unica ferita che
avesse riportato. La cosa lo assillava: suo cognato era morto, lui non
avrebbe dovuto star bene.
Non
che avesse mai avuto uno stretto rapporto col marito di sua sorella
– anzi, all’inizio era stato riluttante a concedere
la mano di Dís ad un Nano di origini tanto modeste
– ma pian piano era giunto a considerarlo parte della
famiglia.
Ed
ora Dís aveva perso il suo sposo, e Fíli e
Kíli sarebbero cresciuti senza un padre.
Thorin
sfiorò il tessuto rattoppato del divano su cui era
seduto. Ricordò l’eterno ottimismo di suo cognato,
il suo incrollabile buonumore, l’orgoglio e l’amore
con cui guardava sua moglie e i suoi figli.
Con
occhi assenti, fissò un ciocco di legno che anneriva nel
focolare.
Alla
fine, la stanchezza ebbe la meglio su di lui. Dopotutto, tra la
marcia e la battaglia, senza contare i danni emotivi, quel giorno era
stato davvero sfibrante.
Quando
riaprì gli occhi con un sussulto, l’aurora
era vicina, e Fíli lo guardava con le mani appoggiate sul
suo ginocchio.
«Fíli?»
domandò Thorin, con
voce impastata. Si passò il dorso della mano
sull’angolo delle labbra. «Come mai sei in piedi?
Dov’è tuo fratello?»
«Dorme».
Thorin
strizzò gli occhi. Ma certo.
Dopotutto,
Kíli era ancora molto piccolo. Aveva da poco
imparato a camminare, e i suoi lunghi monologhi erano tanto vivaci
quanto incomprensibili.
Thorin
supponeva che avrebbe dovuto esser grato del fatto che fosse
troppo giovane per risentire di quanto era appena accaduto…
Tutto ciò che riusciva a pensare, però, era che
probabilmente da qualche anno a quella parte Kíli non
avrebbe più serbato alcun ricordo di suo padre.
«Non
so dov’è amad» gli disse
Fíli.
«Si
sta… occupando di alcune cose»
rispose Thorin, raddrizzando la schiena. «Tornerà
quando sarà mattina».
«Oh».
Suo nipote lo guardò da sotto in
su. «E quando torna adad?»
Il
cuore di Thorin sprofondò. Era probabile che ci sarebbe
voluto un po’ di tempo, prima che il bambino capisse
pienamente cos’era accaduto.
«Fíli… Tuo padre non
tornerà».
Fíli
aggrottò la fronte.
«Perché no?»
Thorin
lo guardò, e in quel momento desiderò che
ci fosse qualcun altro, qualcuno che sapeva come spiegare le cose ad un
bambino. Ma non c’era nessun altro, e in più
Fíli era suo,
persino più suo di quanto non lo
fosse Kíli.
«Tuo
padre è morto».
Fíli
lo guardò con la fronte aggrottata.
Evidentemente quelle parole – che peraltro aveva
già sentito sulle labbra di sua madre – non gli
erano chiare. E allora?
Non può tornare se è morto? sembrava
voler
chiedere. Invece, fece segno di no con la testa, poi il suo labbro
inferiore tremò e lui parve esitare.
Thorin
notò che il bambino occhieggiava le sue gambe in
maniera inequivocabile. Mentre Kíli – quel piccolo
impudente – non si faceva problemi ad arrampicarsi in grembo
allo zio, Fíli pareva nutrire una certa soggezione nei suoi
confronti.
Thorin,
allora, si chinò in avanti e lo prese su, issandolo
sulle proprie ginocchia. Fíli si girò di lato e
si rannicchiò contro di lui, appoggiandogli un orecchio sul
petto come per ascoltargli il cuore.
Ci
fu un istante di silenzio, riempito soltanto dal crepitio del fuoco.
«Zio
Thorin?» chiese poi Fíli, con voce
minuscola. «Ho fatto qualcosa di brutto?»
Thorin
credette di aver capito male. «Come?»
Il
bambino tenne la testa bionda appoggiata contro il suo petto mentre
riformulava la domanda: «Sono stato cattivo? Adad
è andato via perché sono stato cattivo?»
Thorin
rimase immobile per un istante, poi sollevò il mento
del bambino per guardarlo in faccia.
«Fíli,
non è colpa tua» gli
disse, con la massima serietà. «Tu non hai fatto
niente di male».
Il
bambino tirò su col naso. «Davvero?»
A
Thorin si strinse il cuore. Gli permise di tornare ad appoggiare la
testolina, e gli accarezzò i capelli biondi in modo un
po’ impacciato. «Davvero. Tuo padre è
stato ucciso».
Fíli
rimase zitto, e Thorin maledisse le proprie parole
goffe e forse troppo dirette. Non ci sapeva fare con i bambini.
Quando
Fíli si mise a tremare, lui raggelò, poi
lo avvolse nelle proprie braccia, cercando di offrirgli conforto e
calore.
Fíli
si aggrappò alla sua camicia consunta e
nascose il viso contro il suo petto.
A
Thorin mancò il fiato. Il bisogno di rassicurare suo
nipote era così intenso da essere quasi un dolore fisico, ma
non conosceva né le parole né i gesti
più adatti.
Temeva
che, se solo avesse allentato la presa, Fíli avrebbe
tremato più forte, così non si azzardò
nemmeno ad accarezzarlo. Si limitò a tenerlo stretto, mentre
le ore si trascinavano lente una dopo l’altra.
Quando
sopraggiunse la mattina e i cinguettii degli uccelli arrivarono
sino a loro, il bambino aveva smesso di rabbrividire.
Thorin,
però, sospettava che si trattasse di un sintomo di
stanchezza, non di un’improvvisa tranquillità.
Si
frugò la mente alla ricerca di qualcosa da dire, e si
schiarì la gola. «Andiamo a controllare tuo
fratello?»
Subito,
Fíli non rispose. Poi, però,
sollevò il viso dal petto di Thorin per guardare suo zio
negli occhi ed annuì.
Provando
un certo sollievo, Thorin si alzò in piedi,
reggendo il bambino. A quel punto, si diresse nella stanza dei figli di
Dís… e per poco non gli venne un colpo nel vedere
che entrambi i giacigli erano vuoti.
Poi
Fíli indicò il pavimento, e Thorin
abbassò lo sguardo.
Kíli
era raggomitolato sul tappeto morbido che si trovava
tra i due letti. Aveva una coperta appallottolata vicino ai piedi, un
dito in bocca, ed era profondamente addormentato.
Thorin
mise giù Fíli, ricordando che
Dís gli aveva parlato delle abitudini notturne del suo
secondogenito.
A
quel che pareva, quasi tutte le notti Kíli rotolava dal
proprio letto al pavimento, dove seguitava a dormire come se nulla
fosse. Ogni tanto, Fíli si svegliava e scendeva dal letto a
sua volta, per poi rimettersi a dormire abbracciato al suo fratellino.
Vista
la frequenza con cui questo accadeva, la loro madre aveva
sistemato sul pavimento di pietra un tappeto spesso e morbido ed una
coperta.
Thorin
osservò Fíli avvicinarsi al suo fratellino
e chinarsi su di lui. Sembrava un po’ meno agitato di prima.
Quasi
avesse percepito la sua presenza, Kíli si
stiracchiò e aprì gli occhi. Vedendo il fratello
torreggiare su di lui, sorrise radiosamente ed allungò le
braccia. Si aggrappò al collo di Fíli,
obbligandolo a chinarsi di più, e a quel punto gli
stampò un bacio sonoro sulla guancia.
Fíli
emise uno squittio di protesta, ma il più
piccolo rise – una risata a dir poco deliziata.
Alle
orecchie di Thorin, suonò al contempo come un balsamo e
come un dolore.
Poi
Fíli ricambiò l’abbraccio, e si
rotolò sul tappeto insieme a Kíli. Erano
avvinghiati l’uno all’altro, e i capelli biondi di
Fíli e gli occhi scuri di Kíli – che
ora cercava di liberarsi – saltarono all’occhio di
Thorin.
Per
un momento, un raggelante momento che gli tolse il fiato, a Thorin
parve di vedere del sangue insudiciare i ciuffi dorati di
Fíli, e gli occhi splendenti di Kíli gli parvero
privi di vita. Poi il più piccolo strillò e
l’altro lottò per tenerlo fermo, e
quell’attimo terribile passò.
D’impulso,
Thorin si avvicinò ai suoi due nipoti.
I due bambini si fermarono un attimo, stretti l’uno
all’altro, e lo guardarono ad occhi sgranati.
Lui,
allora, prese la coperta lì accanto, e con un gesto
fluido la avvolse attorno a quei due furfanti. «Vi ho
presi!»
La
risata argentina di Kíli esplose subito, e stavolta fu
accompagnata da quella di Fíli.
Thorin
attirò bambini e coperta contro il proprio
petto… e mentre Kíli si dimenava con un anguilla
senza smettere di ridere, Fíli diede una manata al braccio
dello zio.
Poco
a poco, smisero di agitarsi, e ai gridolini si sostituirono degli
sbadigli assonnati. Non fu una sorpresa. Sì, era mattina, ma
dopotutto Fíli si era svegliato prima dell’alba, e
Kíli certo non si alzava col sole.
Cautamente,
Thorin permise ai due bambini di rannicchiarsi sul tappeto.
«Zio?»
biascicò Fíli, mezzo
addormentato. «Non voglio stare senza adad».
Thorin
respirò bruscamente, ma prima che potesse pensare a
una risposta il bambino era già sprofondato nel sonno.
Lui
tese una mano verso i suoi capelli biondi, poi la ritirò
con una stretta al cuore. Rimase semplicemente lì, in
ginocchio accanto ai suoi nipoti addormentati.
Non
avrebbe saputo dire quanto tempo passò, ma ad un certo
punto udì un rumore, e voltandosi vide Dís sulla
soglia della stanza.
Sua
sorella era di un pallore spettrale, e il dolore le segnava il
volto. Si era tagliata la barba scura in segno di lutto,
notò Thorin, ora era molto corta. Più corta
persino della sua, che lui non lasciava crescere in memoria di coloro
che erano periti tra le fiamme di Smaug.
Senza
dir nulla, Dís venne a sedersi sul pavimento accanto
al fratello. Non lo guardò, posando invece gli occhi sui
propri figli.
Fíli
e Kíli erano stretti l’uno
all’altro, le boccucce semiaperte, il respiro regolare.
«Non
hanno ancora compreso quanto è accaduto,
vero?» sussurrò Dís, la voce roca.
Prima
che Thorin potesse rispondere, lei inclinò il viso per
osservare Fíli, e venne percorsa da un tremito.
«Dís?»
chiamò sommessamente
suo fratello.
Lei
girò la testa verso di lui e lo guardò con
aria desolata. «Gli somiglia così tanto»
si limitò a dire, la voce incrinata.
Thorin
esitò. «Lo so».
Dís
si passò una mano sul volto.
«Voglio che partecipino anche loro» disse poi.
«Al suo funerale, intendo». I suoi occhi azzurri,
di solito così sicuri, parvero improvvisamente incerti.
«Sei d’accordo? O forse sarebbe meglio se non lo
vedessero. Pensi…»
«No,
credo sia giusto» la interruppe Thorin.
«Devono dire addio al loro padre».
Lei
gli rivolse un sorriso tremulo, e andò a poggiare la
testa sulla sua spalla. Thorin rimase immobile, respirando il suo odore
familiare e desiderando con tutto se stesso di poter alleviare il suo
dolore.
Note:
A quel che pare, non posso proprio astenermi dal scrivere su questa
famiglia.
Il titolo, a prova del fatto che la mia originalità fa
davvero schifo, significa ‘la morte del padre’.
Mi auguro con tutto il cuore di non aver scritto idiozie
(sì, sono molto preoccupata, va bene?). Grazie per aver
letto :)
Quasi dimenticavo! Pubblicherò la seconda e ultima parte
questo sabato,
il 28 febbraio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Seconda parte ***
Seconda parte
Il
funerale si tenne quello stesso giorno.
La
cripta delle Montagne Azzurre aveva un soffitto a volta alto nemmeno
un terzo dei saloni di Erebor, e la sua costruzione era stata ultimata
solo due anni prima.
Il
corpo del defunto era steso su un piccolo altare di marmo.
Dís aveva lavato ed intrecciato i suoi capelli e i suoi
baffi, sistemando le ciocche bionde in modo che nascondessero lo
squarcio nel cranio, e lo aveva vestito col suo abito più
bello. Infine, gli aveva poggiato la spada sul petto immobile,
chiudendo l’elsa nella sua presa già rigida.
Ora
lei si trovava in piedi di fianco all’altare, con Thorin
alla propria sinistra e i figli alla propria destra.
Fíli
stava dritto sulle sue gambette, mentre Kíli
era stato messo in braccio ad un Nano chiamato Bifur.
Inizialmente,
Thorin si era meravigliato della scelta di
Dís. Bifur non era della stirpe di Durin, e in
più – come conseguenza dell’accetta che
sporgeva dalla sua fronte, una vecchia ferita di guerra –
parlava solo in antico Khuzdul e si muoveva in modo nervoso e
scoordinato.
A
quanto pareva, però, mettergli in braccio un bambino era
il modo giusto per farlo diventare quieto e delicato. Kíli
sembrava tranquillo, e fortunatamente non sembrava interessato
all’oggetto che spuntava dalla fronte del Nano adulto.
Nella
cripta si trovavano anche altre persone: i guerrieri che avevano
partecipato alla battaglia in cui il marito di Dís aveva
perso la vita, e coloro che avevano lavorato con lui in miniera.
Balin,
il calmo e compassionevole Balin, affiancava Thorin e dirigeva
la cerimonia.
Si
trattava per lo più di preghiere rivolte a Mahal, ma
anche di qualche invocazione a Durin, siccome il morto aveva sposato
una principessa della sua stirpe.
Thorin
cercò di non pensare a Frerin, e al fatto che per lui
non c’era stata alcuna tomba. Il suo corpo era bruciato su
una pira insieme ad un centinaio di altri.
Col
procedere della cerimonia, Thorin si ritrovò a guardare
a più riprese verso i propri nipoti.
Kíli
si era messo a mangiucchiare la barba ruvida di Bifur,
che bizzarramente sembrava gradire la cosa.
Fíli
era silenzioso, e seguiva ogni gesto di sua madre ad
occhi sgranati. Non aveva nemmeno risposto al sorriso gentile che gli
aveva indirizzato Balin. Thorin avrebbe dato l’anima per
sapere cosa stesse pensando il bambino.
In
quanto a Dís, all’inizio della cerimonia aveva
mormorato qualcosa ai figli, e riuscì a mantenere un regale
autocontrollo per quasi tutta la sua durata.
Quando
iniziarono a spostare il corpo del defunto verso la tomba che lo
attendeva, però, Kíli smise di masticare i
capelli di Bifur e si girò a guardare cosa stava succedendo.
Come
notò la sagoma immobile di suo padre, si mosse e
chiamò «da!». Nel silenzio, la sua voce
infantile risuonò nitida ed argentina.
Thorin
sentì che, accanto a lui, Dís tratteneva
bruscamente il respiro, per poi rompere in un singhiozzo strangolato.
In una mossa istintiva, le circondò le spalle con un
braccio, e colse gli occhi azzurri e spaventati di Fíli.
Dís
si ricompose in fretta, osservò senza lacrime
mentre suo marito veniva calato nella sua tomba e due Nani si facevano
avanti per sigillarla.
Guardando
il profilo di sua sorella, Thorin intonò a bassa
voce una delle canzoni del popolo di Erebor, una canzone che parlava di
viaggi, addii, e ricordi incancellabili. Balin fu il primo ad unirsi a
lui, e una dopo l’altra si aggiunsero le voci degli altri
presenti.
Dís
guardò Thorin per un momento che a lui parve
interminabile, quindi si girò verso Bifur tendendo le mani.
L’altro districò le dita di Kíli dalla
propria barba e lo restituì a sua madre.
Fíli
le si avvinghiò alle gambe, e Dís
gli accarezzò la testolina con una mano e gli disse che suo
padre si era recato nelle Aule di Mandos, e avrebbe incontrato i loro
padri, e Mahal si sarebbe preso cura di lui. Poi si
raddrizzò, e anche lei – le labbra vicine
all’orecchio di Kíli – si unì
al canto.
Forse,
sperò Thorin, in un inizio di consolazione.
Nei
giorni seguenti, visitò sua sorella non appena i suoi
doveri nei confronti del popolo ed il suo lavoro alla fucina glielo
permettevano.
Talvolta
Dwalin lo accompagnava, per la gioia di Fíli e
Kíli. Thorin non si capacitava di come i due bambini,
anziché essere intimoriti dalla stazza del guerriero, gli
dedicassero sguardi che rasentavano la venerazione.
Il
funerale sembrava aver impressionato Fíli, che spesso si
chiudeva in lunghi silenzi, forse cercando di afferrare un concetto
come mai più. In quanto a Kíli, un paio di volte
aveva gironzolato per la casa chiamando «da!» a
gran voce, ma era facilmente distraibile, e sembrava che i suoi ricordi
iniziassero già a sbiadire.
Francamente,
Thorin non aveva idea di come sua sorella fronteggiasse la
situazione senza avere un crollo emotivo.
Avrebbe
voluto starle il più vicino possibile, ed
iniziò a contemplare l’idea di trasferirsi da lei.
In passato aveva già trascorso qualche notte nei suoi
alloggi, quando gli era successo di rientrare tardi da un viaggio e di
non avere il tempo di aspettare che il fuoco scaldasse ragionevolmente
le sue stanze di pietra fredda. In quelle occasioni, aveva dormito in
una terza camera da letto che ultimamente Dís utilizzava
come ripostiglio.
Non
sarebbe stato difficile, però, spostare i vestiti e le
pentole di rame che la ingombravano al momento.
L’unica
cosa che lo preoccupava era un’eventuale
reazione di sua sorella… Dís era fiera, forte e
indipendente – come avrebbe accolto la proposta di avere il
fratello maggiore in casa propria?
Alla
fine, come era già successo innumerevoli volte, lei lo
colse alla sprovvista.
«Sai»
gli disse, una sera in cui Dwalin non era
presente, «potresti venire a vivere qui».
Thorin
era appena rientrato dalla fucina, e sedeva al tavolo mentre
Dís gli dava le spalle e finiva di preparare la cena.
Tacque, sorpreso.
«Potresti
usare la solita stanza» aggiunse
Dís, «ho già iniziato a liberarla. So
che sarai via spesso, ma quando ti troverai qui ti farà bene
avere qualcuno che si prenda cura di te. E credo che Fíli e
Kíli sarebbero felici della tua presenza».
Thorin
si schiarì la gola. Sua sorella era una persona
pratica; doveva aver riflettuto sulla situazione e deciso che una mano
in più per crescere i bambini le sarebbe tornata utile.
«È una buona idea».
Dís
si spostò un ciuffo corvino dal volto.
«Certo. È una mia
idea».
Ma
c’era una vena scherzosa nella sua voce, e Thorin quasi si
concesse un sorriso.
«Potresti
apparecchiare?» chiese poi
Dís, mettendo una pagnotta sul tagliere ed iniziando ad
affettarla con rapidità e precisione. «Qui
è quasi pronto».
Thorin
annuì ed andò alla credenza per prendere
piatti, posate e bicchieri. Mentre iniziava a disporli sul tavolo,
osservò: «Oggi Fíli
sembrava… giù di morale».
Aveva
visto il bambino solo brevemente, quando Dís aveva
chiamato lui e Kíli perché salutassero lo zio, ma
prima che sparisse nuovamente in camera col fratello aveva fatto in
tempo a notare il suo cipiglio infelice.
«Gli
manca il suo adad» rispose Dís,
voltandosi per posare le fette di pane sul tavolo ed evitando lo
sguardo del fratello. «Oggi più del
solito».
Thorin
non sapeva cosa dire, così si limitò a
finire di apparecchiare.
Quando
Dís chiamò a tavola Fíli e
Kíli, i due bambini accorsero quasi immediatamente.
Il
più piccolo andò a piazzarsi davanti a Thorin,
che si era accomodato sulla propria sedia, e gli rivolse un ampio
sorriso.
«Su!»
reclamò.
«Kíli,
adesso si mangia»
interloquì Dís, portando in tavola la zuppa.
«Non hai fame?»
Il
sorriso del bambino si allargò mentre lui annuiva
energicamente. «Pappa» concordò.
«Su».
Thorin
non era per niente sicuro di cosa volesse dire, così
scoccò un’occhiata a Dís, che da parte
sua gli rivolse un sorriso serafico. «Vuole mangiare sulle
tue ginocchia».
Lui
scosse la testa, posando una mano sulla spalla esile di
Kíli e allontanandolo appena. «Non mi sembra una
buona idea».
«Kíli,
amrâl, va’ al tuo
posto» disse Dís. «Anche lo zio deve
cenare».
Kíli,
però, fece segno di no.
«Su» ribadì.
Thorin
trovava stranamente difficile essere duro con Kíli.
Così, invece di allontanarlo con più decisione,
guardò di nuovo la propria sorella, ma lei gli rivolse un
sorriso di scuse che non gli piacque per niente.
«Mi
dispiace. È testardo quanto te».
E
fu così, grossomodo, che Thorin si ritrovò a
dover mangiare con un piccolo Nano appollaiato sulle proprie ginocchia.
In cuor suo, sospettava che a Dís piacesse vederlo in
difficoltà.
In
quanto a Fíli, rimase taciturno per tutta la cena, e da
quel poco che mangiò si sarebbe detto che il suo piatto
fosse pieno di mele – frutto verso il quale nutriva una
sorprendente ostilità.
Alla
fine, Dís gli si rivolse con delicatezza.
«Fíli?»
Il
bambino sollevò lo sguardo dal piatto con una certa
titubanza.
«C’è
qualcosa che ti preoccupa,
lukhdel?»
Fíli
lanciò un’occhiata furtiva verso
Kíli, che stava cercando di infilarsi in bocca un pezzo di
pane decisamente troppo grosso, e rimase in silenzio.
Dís
attese, lasciando che si prendesse tutto il tempo che
gli serviva.
«Siamo
stati io e Kíli» disse infine il
bambino, con l’aria di chi confessa un gran peccato. Ci
pensò su e si affrettò a precisare:
«Soprattutto io».
Thorin
spezzò la fetta di pane per Kíli,
aggrottando lievemente la fronte e chiedendosi a cosa si riferisse il
suo nipote più grande.
«A
far cosa?» chiese Dís, con voce
incoraggiante.
«A
finire la marmellata preferita di adad».
Lei
sbatté le palpebre. «Oh».
Fíli
si agitò sulla propria sedia. «Ma
non lo facciamo più».
«Va
bene» disse Dís, con una certa
cautela, «sei stato bravo a dirmelo».
Gli
occhi azzurri del suo primogenito si rischiararono, speranzosi.
«Allora adad torna?»
Thorin
quasi si strozzò col proprio cibo, mentre
Kíli sbocconcellava il suo pane e gli sbriciolava
abbondantemente sui pantaloni.
«Fíli»
respirò Dís.
«Prometto
che faccio il bravo» insistette il
bambino, quasi disperatamente. «Non gli rubo più
la marmellata».
Thorin
non poté fare a meno di pensare al giorno in cui era
morto il marito di Dís. Sono stato cattivo? gli aveva
chiesto Fíli.
Forse
avrebbe dovuto parlarne con Dís. Aveva visto che suo
nipote sembrava turbato da qualcosa, ma non gli era nemmeno passato per
la testa che continuasse a considerarsi in qualche modo responsabile
della scomparsa del padre.
«Lukhdel,
no, non si tratta di questo» gli
assicurò Dís, accorata. «Tu sei sempre
stato bravissimo».
«Butto»
considerò Kíli, che
aveva aperto la mano di Thorin e stava esaminando la sua ferita ormai
rimarginata.
«Ma…»
iniziò Fíli,
guardando sua madre con aria terribilmente confusa. «Ma
allora perché preferisce stare nelle Aule di Mandos invece
che con me?»
Thorin
sentì qualcosa di molto simile allo shock, e per un
istante nemmeno Dís riuscì a rispondere.
«Fíli,
tu… Tu credi sia per questo che
adad non torna? Perché preferisce la compagnia di qualcun
altro?»
A
quel che pareva, il bambino non aveva molti dubbi in proposito.
«Loro non gli rubano la marmellata».
Sua
madre, allora, si sporse in avanti per prendergli il volto tra le
proprie mani ed incontrare il suo sguardo. «Fíli,
ascoltami. Ascoltami molto attentamente. Non è
così, tu non c’entri».
Lui
si corrucciò e, senza distogliere gli occhi da quelli di
Dís, allungò una manina a toccarle la barba.
«Non
è colpa tua» continuò
lei, «te lo giuro su Mahal. Adad non è felice di
essere lontano da te. Non voleva andarsene… non ha avuto
scelta».
Kíli,
ancora ignaro della serietà del discorso
che si stava svolgendo a pochi metri da lui, si sporse sul tavolo nel
tentativo di raggiungere il proprio bicchiere. Dopo un istante, Thorin
si riscosse ed intervenne per aiutarlo a bere un po’
d’acqua.
«Adad
non tornerà più, non
può, ma veglierà su di te per sempre, e
sentirà la tua mancanza ogni singolo giorno. Ti vuole bene.
Sapeva della marmellata, e non gli importava, dico davvero. Non era
arrabbiato».
Ci
fu un momento di silenzio, poi…
«No?»
pigolò Fíli.
Dís
gli accarezzò la guancia col pollice.
«No».
Finalmente,
il bambino diede un piccolo accenno di pianto, e la testa
di Kíli si girò verso di lui con uno scatto
allarmato.
Dís
si alzò, chinandosi sul proprio primogenito e
prendendolo in braccio. «Nessuno potrebbe mai decidere di
lasciarti, lukhdel. Nessuno».
Lo
strinse con più forza, e Thorin fu quasi certo di
sentirla soffocare un singhiozzo tra i capelli biondi del bambino, che
iniziò a piangere più liberamente.
Guardando
la madre e il fratello, Kíli disse qualcosa di
incomprensibile, ma il tono era inequivocabilmente preoccupato.
Thorin,
allora, gli posò una mano sulla testolina scura e
disordinata. «Va tutto bene» gli disse, e si
guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui distrarlo.
Prese
il proprio tovagliolo e, dopo aver sfiorato il braccio di
Kíli per ottenere la sua attenzione, iniziò a
piegarlo e a ripiegarlo cercando di dargli la forma di una piramide.
Funzionò:
Kíli sbatté le palpebre, e
prese a fissare come ipnotizzato le dita di suo zio che si muovevano
rapide.
Se
gli occhi di Thorin erano concentrati sul suo nipote più
piccolo, le sue orecchie erano focalizzate su Fíli e
Dís.
Da
quanto gli risultava, era la prima volta che sua sorella piangeva la
morte del proprio marito… E sperava che quelle lacrime
avrebbero fatto bene sia a lei che a Fíli.
Quando
la piramide – una piramide un po’ floscia, a
onor del vero – fu pronta, Kíli se ne
appropriò immediatamente, dopodiché
scivolò giù dalle gambe dello zio.
Il
primo istinto di Thorin fu di cercare di riafferrarlo, ma poi decise
di lasciarlo fare.
Kíli
raggiunse la madre e il fratello, e
strattonò la gonna di Dís. Quando ebbe la sua
attenzione, e anche gli occhi pieni di lacrime di Fíli si
furono posati su di lui, alzò la manina per offrire
l’origami fatto dallo zio.
Gli
angoli che Thorin aveva unito iniziavano già a
separarsi, ed ora il tovagliolo stropicciato aveva tutta
l’aria del fiore più brutto della Terra di Mezzo.
A
quella vista, Dís emise una risata strangolata.
Fíli rimase fermo mentre gli ultimi due lacrimoni gli
solcavano le guance, quindi si allungò per prendere il
tovagliolo da Kíli.
Fu
un momento strano.
Thorin
vide che gli occhi di sua sorella brillavano, e fu come se
l’ottimismo di suo cognato avesse rischiarato la stanza.
Una
volta individuata una ferita, era possibile curarla e permetterle
di guarire. Anche se non sarebbe mai scomparsa del tutto, avrebbe
smesso di fare tanto male.
Note:
Questa seconda parte è stata un parto, spero che il
risultato non sia deludente.
(E sì, i Nani hanno un talento per gli origami…
non è ovvio?)
Ringrazio di nuovo chi si è preso il tempo di commentare lo
scorso capitolo, e mi auguro che anche questo sia stato una lettura
piacevole.
Alla prossima!
P. S. Per quanto riguarda le parole in Khuzdul (a
parte gli ovvi amad e
adad):
amrâl: amore
lukhdel: luce di tutte le luci (mi piace
l’idea che sia il
vezzeggiativo di Dís per Fíli)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3036460
|