Eternamente. Para Siempre.

di Luna_R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 (presentazioni) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Eternamente

Eternamente

(Para Siempre)

 

 

 

Il mio sentimento per te è grande come la giovinezza,
senza tremiti, o baci, o pie discolpe.

Alda Merini.

 

 

C’era un caldo insopportabile fra i campi quell’agosto del millenovecentocinquanta, si respirava a malapena.

Morena guardava al cielo domandandosi che ne sarebbe stato di lei quando Javier sarebbe andato via.

Il ragazzo le era sdraiato accanto, su un vecchio sacco di stoffa grezza che utilizzavano spesso come coperta, guardava al cielo anche egli, sognando la capitale; era stato ammesso all’accademia militare più importante del paese, avrebbe avuto l’opportunità di proseguire l’antica tradizione di famiglia che vedeva i membri maschi arruolati nella gendarmeria, si sarebbe costruito un futuro.. se questo non fosse stato così insopportabile perché lontano da lei, Morena. Erano cresciuti insieme, lui figlio dei più ricchi possedenti delle terre che vedevano intorno e oltre l’orizzonte, lei l’emarginata delle barracas, nella sperduta Fuentesauco una piccola frazione di quella Spagna dimenticata da Dio. E dagli uomini.

Non si trovavano mai d’accordo nel ricordare come cominciò la loro amicizia, ma da quel giorno non si erano più lasciati; Morena viveva per le ore passate lontano da casa insieme al suo Javier ed egli bramava vederla alla stessa maniera perché insieme, seppure per poco, riuscivano a dimenticare tutto. Il tempo, le guerre, le impostazioni della rigida educazione della famiglia di lui, il sudiciume, la trascuratezza della matrigna e la puzza di alcool che aleggiava nella baracca di lei.

Se era amore non lo sapevano ancora, i loro giovani cuori pulsavano tumultuosi e non sempre avevano le risposte.

Oppure non c’era mai stato bisogno di trovarle.

Javier conosceva a memoria il suo viso a cuore incorniciato da morbidi capelli neri, il corpo voluttuoso cresciuto un’estate in cui avevano smesso di fare il bagno nudi al fiume, il suo temperamento forte e gli occhi nocciola striati d’oro, perdendo battiti ogni qual volta lei lo guardava maliziosa da sotto le lunghe ciglia scure, quando lo canzonava sugli inaspettati rigonfiamenti nei pantaloni, le rare volte che era vestita da signorina o si trovavano a dormire abbracciati a cucchiaio.

Dal suo canto Morena poteva asserire lo stesso, i tratti somatici di Javier le facevano strappare un pensiero ambiguo molto spesso; il volto squadrato dagli zigomi alti, le labbra carnose posate su denti di porcellana bianca, le spalle larghe e il portamento dritto frutto di un duro addestramento fisico che suo padre, fin da bambino, lo indusse a compiere per ritrovarsi un corpo formato e forte. Ma se c’era una cosa che la faceva impazzire erano i suoi occhi verdi e profondi, un contrasto di pura bellezza con la pelle bruna.

Si, probabilmente si amavano.

Ma il loro amore era qualcosa che andava oltre i comuni mortali.

Erano certamente l’uno la parte complementare dell’altro.

Insieme o divisi per sempre.

 

«Non voglio sentirti parlare così, mi hai capito? Nulla ci terrà divisi per sempre.»

Javier si era alzato dalla coperta e le si era parato di fianco al bordo del fiume, allacciando la mano nella sua; la ragazza aveva girato debolmente il capo, gli occhi lucidi e un sorriso sterile.

«Sei così infantile Javier, credi ancora nelle favole. Sposerai una ricca ragazza della capitale e tuo padre sborserà milioni di pesetas pur di tenerti lontano da Fuentesauco.. lontano da me.» Calciò un sasso che con un tonfo profondo finì nelle torbide acque del fiume, slegò le loro mani e proseguì con voce amara. «Lui vede in noi il pericolo, la minaccia per il tuo futuro.. ed anche tu sai che è così, infondo.»

La scrollò per le spalle, offeso. «Tu sei la mia migliore amica, quello che pensa lui non mi interessa.»

Migliore amica,come era dolceamara la verità; strinse forte i pugni, prima di spingerlo via con rabbia e rassegnazione. «Oh, vattene via Javier! Lasciami in pace!»

Guadagnò passi verso il campo ma la rincorse trattenendola per un braccio. «Aspetta!» Ella girò il viso e lo scoprì arrossato da lacrime. Lacrime sommesse che gli annegarono il cuore per sempre. «Non piangere ti prego.»

La tirò a se baciandole una ad una, leccandole via come quando faceva da bambino. «Hai il visino tutto sporco..» Con la manica della camicia asciugò infine l’umido, guardandola intensamente. «Sei così bella Morena. Vorrei tanto sapere cosa ti passa per la testa.»

Lei non rispose ma si allungò con le punte dei piedi alle sue labbra e vi si posò delicatamente; restarono a fissarsi con occhi aperti e increduli, fino a quando Javier non schiuse le sue e iniziò a giocare con la lingua nella sua bocca prima timido e incuriosito, poi affannato, vorace, intenso. Si divisero solo quando l’apice della passione toccò tinte inesplorate, Javier guardò terrorizzato al viso di Morena accaldato, al suo petto che si alzava ed abbassava in un ritmo impazzito. Indietreggiò.

«Io.. non so che mi è preso.»

«Io si.» Lo riportò ancora alla sua bocca, stavolta aggiungendo mani lungo il suo corpo scolpito; Javier riscosso la prese a se stringendola forte fino a farla gemere, la sollevò da terra tenendosela addosso come una bambina per poi posarla dolcemente sulla coperta sdraiandosi accanto.

Morena lo guardò agognante. «Voglio che sia tu.. il primo.» Il ragazzo si irrigidì, scostandosi. «Non c’è altro uomo che io desideri più di te Javier.» Prese la sua mano e se la portò alle labbra; impacciata passò le sue dita forti lungo il contorno e ridiscese per il collo, lungo il profilo del seno, giù per il fianco. Il respiro anelante copriva il silenzio di Javier e il tremito del suo labbro mentre scorreva sul quel corpo a cui aveva guardato inconsapevole con profondo desiderio, camuffato negli anni dall’affetto reciproco che si scambiavano.

Ma il tempo delle fiabe era cessato.. e la desiderava tantissimo.

 

Approvò con un bacio da subito incalzante, premendo le dita su quel fianco fino a farsi diventare le nocche bianche.

La ragazza incoraggiata da tanto ardore si tirò su con il busto, sfilando la veste dal capo e gettandola via; era già nuda, scandalosa, perfetta.

«Oh Morena..» Si avventò sui seni pieni e desiderò posarvi su le labbra, molto delicatamente, provocando nella giovane dei singulti quando li leccò e titillò i capezzoli fra i pollici; con mani a coppa li strizzò e scese giù verso le cosce aperte per accoglierlo, fino alla fessura bagnata che lo fece fremere d’ansia e stupore. «Non voglio farti male.»

«Baciami. Besa ella.» Rispose lei con uno sguardo vacuo e la voce roca, baciala.

Ubbidì frastornato da tanto fervore posandosi con bramosia fra le gambe; le mani di Morena si avventarono nei suoi capelli dirigendo quel capo bellissimo e nero corvino in un assillante movimento godurioso.

Pieno e soddisfatto dal suo sapore si tirò per le braccia risalendo alla sua bocca con lentezza disarmante.

Si guardarono consci e inesperti, ma sicuri di appartenersi.

Javier le fu dentro e niente fu più come prima.

 

«Sii mio, Javier. Eternamente.»

«Tuo, Morena. Para siempre.»

 

Ma sapevano entrambi fosse una bugia.

 

 

*

NDA:

La mia mente ha bisogno di storie d’amore come il corpo di cibo.

Sono ossessionata dalle mie stesse fantasie, che se non scrivo mi martellano fino alla nausea.

Ho riflettuto più e più volte sull’ipotesi di non scrivere l’ennesima storia di amore interrotto/disastrato/tragico, ma non ci posso fare niente.. lo faccio.

Se come inizio pensate possa piacervi, o incuriosirvi, lasciatemi pure un vostro commento.

Voi non sapete quanto mi fareste felice!

Grazie,

Lunadreamy.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Si nasce con metà del proprio destino già scritto.

E non da noi.

Fonte: dal Web.

 

 

Fuentesauco vantava una certa storia nella guerra civile spagnola, si dicesse fosse patria di valorosi condottieri sebbene il mondo l’avesse lasciata indietro nell cammino per la civiltà.

A Fuentesauco la gente si divideva in due categorie ben distinte; i signori fattori e i contadini poveri in canna.

E come ogni anno, a marcare la discrepanza fra l’una e l’altra categoria, accadeva la festa d’estate in cui si omaggiava la mietitura del grano, che mai come in luglio era stata così ricca e prospera.

La mietitura era capeggiata ovviamente dalla famiglia di Javier; il ragazzo era un puro Sauco di nascita -le sue origini risalivano ai primi insediati civili nel lontano milleduecento- tanto da avvalersi, nella radice del cognome, del nome con cui veniva chiamato anticamente il posto: La Fuente.

La terra non era mai stata aspra, catene montuose e corsi d’acqua la cullavano intorno; i contadini che si spaccavano le mani lo sapevano bene, come un elisir magico che si dicesse albergasse in quella brulla distesa.

La famiglia di Morena, fra queste; il padre, Lucio Soler, lavorava su un fazzoletto minuscolo di terra a ridosso del fiume, appartenente all’altra famiglia ricca del posto, i Roquez. Sfortunatamente come per Javier, entrambe le famiglie ricche avevano generato solo figli maschi e i loro pargoli d’oro raggiunta giusta età andavano a cercar moglie con dote lontano, lasciando amministrare la fortuna ai pezzenti.

Era una ruota che girava senza fine ma che garantiva la sopravvivenza ai ricchi e soprattutto ai poveri.

 

«Terra.. terra.. niente altro che terra!»   

 

Morena era al fiume insieme al suo Javier, dopo la fine di una giornata dura.

I loro ritmi era molto diversi, lo sapevano entrambi, quando il sole sorgeva lei era nei campi a piegare la schiena sulle spighe, lui nelle sale sconfinate della sua tenuta ad istruirsi di storia e geografia piuttosto che scienze mediche.

Anche le loro vite subivano le discrepanze delle loro condizioni sociali.

 

«Perché ti arrabbi tanto? Si lava via..»

«Guarda le mie unghie Javier! Non sembrano neanche unghie di donna! La odio tutta questa terra..»

 

Giurò di sentirla piangere fra le imprecazioni e le andò vicino, le girò il viso con forza costringendola a guardarlo e si incupì; piangeva eccome. «Ti aiuto io, vieni qua.»

Morena era cambiata tanto nell’ultimo mese da quando.. beh da quando avevano fatto l’amore -al solo pensiero stava male per quanto era stato intenso e speciale- era diventata scostante, irrequieta e piangeva spesso.

Se avesse sommato gli anni in cui erano stati amici, poteva asserire che non aveva pianto mai tanto come ora.

Erano stati amici, già. Per lui era straziante. Adesso ne era innamorato e vederla contorcersi nei suoi pensieri loschi, le provocava un turbamento interiore che gli causava fitte di dolore.

 

«Devi passare la raschietta per obliquo, così..» Con i suoi polpastrelli stretti delicatamente fra le mani le mostrò come fare, lei sorrise debolmente guardandolo addolorata. Ne era innamorata persa e sapeva che più tempo passava e più sarebbe stato peggio dirgli addio.

Certi giorni erano così, semplicemente ci pensava.

Altri giorni invece il tempo passava fra risate e giochi, il lavoro duro certo e poi fare l’amore ovunque capitasse.

Erano diventati parecchio bravi a dirla tutta, ma per Javier sembrava non essere mai abbastanza.

Come in quel momento, che le baciò le dita una ad una con leggera malizia.

«Visto?Adesso sei pulita..» La cinse per i fianchi premendosela addosso.

«Javier lasciami stare!» La ragazza si divincolò, facendolo ruzzolare all’indietro nell’acqua.

«Ma si può sapere cosa hai?» Riemerse sputando acqua dalla bocca.

«Sono stanca! Stanca, possibile tu non lo capisca?»

Il ragazzo si rimise in piedi fissandola immobile; era bello, irresistibile, con i muscoli del petto teso sotto la canottiera bianca e la fila di peli che spuntava come una freccia a indicare la via per il paradiso. «Bastava che lo dicessi.»

Si passò le mani sul viso scostando la massa di capelli fradici, per arrancare verso riva.

Aveva il viso mesto.

Morena si morse il labbro pentita.

«Non posso, non è che non voglio.»

Ma lui non rispose, perciò gli corse dietro e gli si parò davanti bloccandolo per un braccio.

«Dai non fare il bambino adesso! Ho detto che non posso Javier..»

«Non puoi?» La guardò accigliato e perplesso.

«Sveglia! Non sei tanto furbo per essere uno che studierà in un’accademia illustre.»

Javier allargò gli occhi intuendo finalmente il problema. «Non è un po’ tardi per mettersi a fare la puritana adesso?»

La ragazza gli mollò un pugno. «Sei disgustoso! Sei.. sei un pervertito, ecco cosa sei!»

«Pervertito?» Rispose disgustato. «Morena conosco il tuo corpo da quando siamo ragazzini, abbiamo condiviso tutto, te ne sei dimenticata? Mangiavamo la terra che tu tanto odi insieme, ci siamo scambiati gli umori, i sapori, la nostra pelle ha persino lo stesso odore.. cosa c’è di così sconvolgente se ti voglio così tanto?»

Si morse il labbro, dopotutto non aveva tutti i torti. Ma era testarda, testarda e indomita.

«Dove era la tua voglia fino a ieri, La Fuente?»

Javier la guardò con gli occhi ombrati dalla delusione. «Sei stupida e insensibile. Non capirai mai quanto io ti ami.»

Si mise la sacca del raccolto in spalla e si incamminò verso la strada di ritorno per casa.

Morena non disse una parola.

 

 

Dal fiume a casa della ragazza –se la baracca in legno e paglia poteva dichiararsi tale- la strada era una stretta viuzza dissestata che sfiorava l’antica foresta di querce ai margini del paese. Questo particolare aveva fatto sì che il distaccamento di baracche esistenti si avvalesse del nome “Vecchia quercia”.

Sull’atrio trovarono don Lucio intento a spaccar legna per l’inverno; si separarono sempre in silenzio, Morena sfilò sul retro della casa e Javier svuotò la sacca sotto l’occhio vigile dell’uomo.

«Allora Javier, tutto pronto per la partenza?»

Lucio Soler non era un uomo cattivo.

Più che altro un uomo disperato.

Donna Marta se ne era andata dopo una devastante forma di tifo che l’aveva stroncata in meno di due settimane, quando Morena era poco più che una bambina, e si era risposato con Elvira Morales la giovane figlia di un fattore medio che pur di togliersi una bocca da sfamare dalla sua numerosa progenie – sette figli fra femmine e maschi in totale- l’aveva svenduta al primo offerente.

Lucio non cercava moglie, Marta era sempre stata l’amore della sua vita, quella che si diceva una coppia solida, ma la generosa dote della gentil signorina e il caldo focolare di una donna in casa lo avevano convinto ad abbandonare il nero e ridarsi ad una nuova vita.

Sfortunatamente Elvira Morales era quanto di peggio Dio creò sotto spoglie di donna e negli anni si era rivelata affatto affettuosa o accogliente ma al contrario, era una creatura dispotica, anaffettiva e soprattutto arcigna.

L’unico slancio d’amore di cui era stata capace era di dargli un’altra figlia, Stella, una bellissima bambina dai capelli scuri come il caffè e la pelle chiara di luna che lui amava profondamente come amava Morena.

Viveva per le sue figlie anche se non era esattamente il padre esemplare per loro, si svegliava e andava a letto pensando come donargli una vita dignitosa al di sopra dello stento e della sopravvivenza, e ci riusciva in qualche modo mescolando sudore e fatica nei campi, ma il vizio della bottiglia, nelle giornate nere di pece, lo facevano rantolare in un baratro che neanche un sorriso di quelle stesse figlie riusciva a schiarire.

«Sì signore. Sono in attesa dell’ultimo richiamo dal rettore, poi sarò ufficialmente un soldato della nazione.»

«Ben fatto ragazzo!» L’uomo sorrise vibrando una pacca sulla sua spalla. «Ti lascerà andare?» Indicò la casa alle sue spalle guardandolo attentamente negli occhi. «Tu mi piaci Javier, mi sei sempre piaciuto. Ma lei non sarà molto felice quando verrà il momento. Ed io sono suo padre, non voglio vederla soffrire.»  

Il ragazzo annuì, facendosi forza. «Sebbene può sembrar difficile da credere signor Soler, io intendo onorare sua figlia, quando sarà il momento e con il suo permesso.»

«Quindi la sposerai?» L’uomo abbassò l’ascia, facendola volteggiare per il manico; Javier annuì compito.

«E rinuncerai a te stesso per averla? Don Estefan e donna Guadalupe non saranno molto contenti.»

«Non rinuncerò a nulla, signore. Quando sarò un soldato disporrò di abbastanza denaro per offrirle tutto me stesso in ogni caso. Finito gli studi lei.. potrebbe trasferirsi a Madrid, con il suo permesso ovviamente.»

L’uomo si strofinò i baffi, perplesso. «E’ un impegno a lungo termine, ragazzo.»

«Mi piacciono gli impegni. Ciò che mi spaventa è sapere se anche lei è d’accordo.» Rise guardando alle imposte serrate della casa; Lucio sorrise a sua volta, sospirando.

«Mi ricorda tanto la sua adorata madre, testarda come un mulo!» Sorrise e l’ombra dell’uomo che era stato, balenò nei suoi occhi; ma scacciò via in fretta i fantasmi ed afferrò di nuovo l’ascia a due mani guardandolo. «Cosa posso augurarti figliolo, se non di avere abbastanza fegato per onorare le tue promesse.»

Vibrò ancora un’altra pacca e ridendo si congedò, trascinandosi dietro il raccolto fortunato della giornata.

Ce la farò, io la amo.

Guardò ancora a quella casa e al silenzio della sua dichiarazione.

“Accidenti.. devi amarmi anche tu Morena!”

 

 

“Ragazzino sfrontato! Mi ama.. cosa ne sa lui dell’amore se fino a ieri ci rotolavamo nel fango chiamandoci fratelli?Lo odio!”

Le foglie del granoturco cadevano in terra una ad una in un lamento disperato.

Morena era una furia, sfilava le mani frenetiche inveendo contro Javier.

Ce l’aveva con lui e non sapeva nemmeno il perché. Lo odiava e basta.

Odiava la sua famiglia.

Odia il suo futuro così lontano da lei.

E.. odiava, odiava amarlo.

«Santi numi, eccola che frigna!» Donna Elvira uscì dal retro con una cesta di panni freschi di bucato; Morena si asciugò in fretta gli occhi guardandola con occhi ferini. «Vieni qui e dammi una mano, lascia stare il grano ne abbiamo a sufficienza per oggi. Come ieri e l’altro ieri ancora.. sempre la stessa solfa Dios mio

«Che c’è?» Si alzò strafottente pulendosi svelta le mani sul grembiule. «Mio padre ti fa fare una vita indegna garantendoti un pasto tutti i giorni? Ricorda, il tuo ti ha venduta per molto meno.» Sputò a terra e fece per rientrare in casa ma Elvira urlò con quanto più fiato avesse in corpo.

«Morena Soler, dove credi di andare? Fermati e chiedi scusa!»

 Don Lucio allertato dalle urla della moglie le raggiunse, imprecando; afferrò al volo la ragazza passatagli accanto come una furia guardandola interrogativo. «Morena, nina mia, ancora liti?»

«Lasciami andare papà, lasciami andare!»

«Che c’è, cosa è successo?»

«Tua moglie ci disprezza.»

L’uomo guardò Elvira che a sua volta scosse il capo agitata, mettendosi a sistemare le lenzuola pulite lungo il filo di corda per non guardarlo in viso. «Tua figlia è uscita fuori di senno! E come il contrario.. mi hanno detto che ha aperto le gambe a La Fuente e che lui non si sia fatto scrupoli a cogliere il frutto proibito, ma il serpente tentatore se ne andrà presto e lei rimarrà nel suo paradiso tutta sola. E deflorata.»

Don Lucio non si fece intimidire dal muro di bucato, lo oltrepassò e la schiaffeggiò malamente; la donna gemette raggomitolata su se stessa mettendosi poi a frignare.

A grandi passi si portò verso la figlia e l’afferrò per il braccio.

«Morena..» C’era rassegnazione nella sua voce e dispiacere, rabbia, gelosia forse.

«Papà..» Il flebile alito di fiato che uscì dalle sue labbra confermò ogni singola parola.

«Che cosa hai fatto!» Si passò furioso le mani fra i capelli. «Chi ti vorrà adesso?! Chi Ti vorrà?!» In preda ad un raptus schiaffeggiò anche lei, più forte e più cattivo. Aveva perso il controllo, sentiva il corpo attraversato da mille schegge. Tremante, si portò in casa svuotando i cassetti e scaraventando qualsiasi cosa trovasse a tiro.

Aveva bisogno di bere. Aveva disperato bisogno di bere.

«Papà..» Morena lo raggiunse prostrandosi ai suoi piedi, il viso bagnato di lacrime e in ogni lacrima la verità che urlava al mondo la sola cosa possibile. «Io voglio lui! Voglio solo lui!»

L’uomo non rispose, il vino tinto gli serrò la gola e annebbiò la vista; dopo una bottiglia, i lamenti strazianti della figlia e minuti interminabili, sentenziò il suo verdetto.

«Credevo che il tuo Javier fosse un uomo d’onore.» Gettò la bottiglia in un angolo che andò a schiantarsi in mille pezzi. «Non lo vedrai mai più chiaro? Dio m’è testimone, anche se ti dovessi legare in casa, tu non vedrai mai più Javier Garcia La Fuente.»

 

 

La musica era stonata e i canti distorti dalle troppe bottiglie di vino tinto.

Le quaglie succulenti giravano sugli arrosti fendendo l’aria con un profumo invitante e le ceste di grano in bella vista rendevano allegri persino i morti; la gente ballava e mangiava e si accoppiava dietro i fienili e questo si poteva dir far festa a Fuentesauco.

Javier si guardava intorno cercandola; c’erano proprio tutti, i Ramirez, allevatori, con le due figlie Guendalina e Georgina due galline dalle uova d’oro con più soldi che sale in zucca, i Portos, arrabattai, che vivevano di espedienti con il loro unico figlio, Milo, un ragazzino talmente deformato e con una capigliatura così diversa da quella del padre e della madre da sembrare un cucciolo bastardo, don Pedro, il parroco dell’unica chiesa del paese più ubriaco lui che i tenutari delle vigne sulle colline fuori città e infine sulle panche più defilate, Alfredo Roquez e sua moglie Francisca -pallida per colpa di una misteriosa malattia del sangue che la stava rendendo anemica e allo stremo delle forze- mano nella mano, da provocare nel ragazzo un moto di pena per l’uomo; Carlos Pena, medico e chirurgo di Fuentesauco, aveva sentenziato ancora solo qualche mese di vita per la donna.

 

Morena non c’era.

I Soler non avevano mai perso una mietitura, Javier si accigliò preoccupato e prese la via per casa della ragazza.

Se era arrabbiata o peggio se era con qualcun altro si sarebbe scontrata contro tutta la sua forza, non poteva più sopportare che fosse così volubile e lunatica con lui.

La casa era buia, come pure la sua stanza.

Lo stomaco gli si attorcigliò, girò guardingo sul retro finché non udì un tonfo secco; una macchia scura e agile era saltata fuori dalla finestra. E appena lo aveva visto aveva urlato.

«Dios mio Javier, mi hai spaventata!» Morena si rialzò, sistemandosi il vestito. «Non dovresti essere alla festa a far volteggiare le due fesse Ramirez, come vuole tua madre?»

Il ragazzo sbuffò prendendola a se senza riguardo. «L’unica ragazza che voglio far volteggiare sei tu.» Era teso lo percepiva, quindi si sciolse un po’, non valeva la pena tenere il punto per qualcosa che neanche ella stessa capiva. «Andiamo? Ho preso la bicicletta faremo prima.»  

Seduta davanti a lui poteva sentire l’eco basso della sua felicità; Javier teneva saldo il manubrio ma le baciava i capelli, sorpassava una curva e le sussurrava quanto la amasse, questo per interminabili minuti che sembrarono ore, tanto che quando scese non riuscì a tener salde le gambe a terra.

«Vieni!» Corsero a nascondersi dietro una stalla e presero a ballare stretti, Javier la fece volteggiare proprio come aveva promesso. «Voglio fare l’amore.» Morena si stese sulla paglia ebbra di vino, di gioia, concitata, lui la guardò teneramente prima di suggellare le sue labbra con un bacio.

«Credevo non potessi.»

«Posso fare tutto quello che voglio, Javier. Persino prenderti in giro..» Lo guardò con un finto sguardo da bambina, lasciandosi andare poi in una risata. «Sei buffo!» Spianò con il dito la ruga sulla fronte del ragazzo che la guardava accigliato.

«Quando la smetterai di prenderti gioco di me?»

«Oh, questo non cambierà mai. Noi siamo fatti così, Javier.»

«Non mi interessa come siamo fatti, io sono innamorato di te Morena e pretendo, ansi no esigo, che tu mi tratti con rispetto!» Si alzò con il busto, guardando dritto davanti a se, il respiro irregolare.

Morena lo imitò, allacciandogli le braccia al petto da dietro. «Anche io ti amo Javier.» E sospirò.

Il ragazzo girò la testa verso di lei, gli occhi adesso scintillanti. «Mi ami?»

«Certo che ti amo. Ma questo amore fa male, perché tu te ne andrai.»

Javier voltandosi la baciò, carezzandole la schiena dolcemente. «Ho detto a tuo padre che ti sposerò quando tornerò.»

La ragazza ghignò. «Lui vuole castrarti invece.»

«Non capisco.. sembrava fosse d’accordo.» Si alzò adesso veramente adirato, prese a camminare avanti e indietro cercando di mettere insieme i pezzi.

«Calmati..» Morena si alzò per guardarlo meglio. «Non sarebbe di certo la prima famiglia che abbiamo contro.»

«Ma tu proprio non vuoi capire? Non mi interessa chi o cosa dovremmo affrontare, io voglio stare con te! Ma anche tu devi crederci Morena! Devi credere in noi, non sono niente senza il tuo appoggio.»

«Credere in noi sì.. sai cosa faranno di me quando te ne andrai? Mi faranno a pezzi! Tu pensi che io sia l’elemento più forte della catena ma non è così! Tu sarai a Madrid per tre anni, tu studierai e diventerai un alto grado di gendarmeria, tu sarai colto e istruito.. io resterò sempre la contadina con le mani sporche di terra. E’ questo che vorrai davvero fra tre anni?»

La prese per le spalle e la scrollò. «Io voglio te. Voglio te!»

«Adesso sì mi vuoi, ma fra tre anni quando assaggerai il vero sapore della vita lontano da questo posto..»

«Non puoi sapere cosa vorrò io fra tre anni. Parliamo piuttosto di te, mi aspetterai?»

«Non si tratta di me e non si tratta di te Javier. Si tratta di quello che vogliono loro, capisci? Non permetteranno mai un unione fra di noi.» Lo aveva sempre saputo. Lo aveva letto negli occhi di sua madre, Guadalupe Garcia, quegli infimi occhietti scuri che la squadravano da capo a piedi tutte le volte che si incrociavano; l’avrebbe schiacciata come si fa con gli scarafaggi o le formiche e avrebbe goduto nel farlo. Si rattristò. «Siamo diversi. Troppo diversi.»

Javier si era fatto via-via sempre più cupo e silenzioso.

Erano diversi sì, ma lo erano sempre stati! Eppure questo non gli permetteva di non amarla, volerla nella sua vita.

Perché lei non riusciva a vedere al di là di Fuentesauco, di sua madre, di suo padre, della loro patetica vita e non si immaginava in un futuro roseo insieme a lui?

La guardò, il volto perfetto anche nella drammaticità, i tratti scolpiti, come scolpite le sofferenze che aveva dovuto attraversare nella sua ancora giovane vita.

Aveva perso sua madre. E anche se non fisicamente, aveva perso anche suo padre.

Non sapeva nulla dell’amore, o quasi nulla, perché due delle persone più importanti della sua vita erano state impossibilitate a spiegarglielo, insegnarglielo, dimostrarglielo.

Semplice.

Morena non sapeva amare perché nessuno l’aveva amata.

 

«Dove vai?»

Si era lanciato verso la bicicletta con un solo obbiettivo in testa; prenderla con sé, portarla via da quel mare piatto di emozioni e farla innamorare della vita. Spiegarle come era facile, con carezze che le avrebbe distribuito la sera prima di andare a dormire e baci tutto il giorno a fargli sentire che lui c’era. Era con lei. E l’amava.

«Voglio parlare con tuo padre. Verrai a Madrid con me!»

Ma la ragazza lo tirò giù, calciando via la bicicletta. «Non dire stupidaggini! Non verrò a Madrid con te Javier!» Tremava e tirava pugni sul suo petto, indomita. «Non c’è nessun futuro per noi. C’è solo il presente, arrenditi! Arrenditi e amami. Amami Javier!»

E mentre il suo cervello gli imponeva di risponderle lei si era già buttata sulle sue labbra in quel modo così prepotente che gli faceva pulsare forte le vene del collo, i polmoni nella cassa toracica e il cuore, al suo posto, già suo.

Le abbassò le braccia già stanche di quella lotta e corrispose al bacio tirandola giù verso terra.

 

Si rivestirono in fretta e con la stessa fretta Javier montò in sella offrendo la sua mano per aiutarla a salire.

«Sei estenuante mio amor!» Affondò il naso fra i suoi lunghi capelli, ridendo.

«Solo perché non posso darti ciò di cui hai bisogno.» Era stranamente arrendevole e docile mentre parlava appoggiata al suo petto e con le mani si teneva forte alla canna della bicicletta. «Solo perché sono una Soler.»

«Una Soler è tutto ciò di cui ho bisogno.» Sospirò, aumentando la velocità per sparire fra i boschi.

Quando arrivarono a Vecchia Quercia c’era trambusto e fiaccole accese.

Qualcuno indicandoli urlò alla volta delle persone stipate dinnanzi la baracca di Morena.

 

«Dios mio, sei qui!»

 

Donna Guadalupe si portò una mano al petto guardando con occhi di fuoco il figlio; Lucio Soler, dal suo canto, irato e certamente più pragmatico, brandì il fuoco dalle sue mani sparando un colpo con il fucile che teneva stretto a se, colpendo perfettamente il raggio della ruota della bicicletta nel suo centro.

 

«Papà che ti prende! Sei impazzito?!»

I due ragazzi si gettarono in terra, per poi abbracciarsi forte.

Donna Guadalupe e suo marito Estefan per un attimo dimenticarono il loro amato figlio inveendo senza mezzi termini alla volta di Lucio. «E’ pazzo! E’ uscito fuori di senno!»  La donna gesticolava verso la gente intorno cercando nei loro sguardi spaventati la conferma delle sue parole. «Potevi ammazzarmelo!»

«Posso ancora provare su di te, donna!» La spintonò, raggiungendo a grandi passi spediti i due ragazzi ancora abbracciati. «Toglile le mani di dosso Javier, non sto scherzando.»

Donna Guadalupe guardò con orrore la canna del fucile protesa al volto del suo amato primogenito e urlò disperata.

«Fa quello che dice! E’ un pazzo ubriacone figlio mio!»

Per tutta risposta Soler sparò un colpo sul terreno, proprio vicino alle gambe di Javier, che nel tirarsi indietro slegò Morena dal suo abbraccio. «Il prossimo te lo pianto nelle palle se non te ne vai.»

L’uomo tirò a se la giovane, strattonandola verso casa.

«No! Lasciala stare!» Javier per nulla spaventato si gettò sulle sue spalle ma quello gli rifilò una gomitata sul labbro, spaccandoglielo; si tastò la bocca, assaporando il sapore ferroso del sangue.

Morena urlò con quanto più fiato avesse nei polmoni.

«Lasciami! Non voglio venire con te! Lasciami!» Si girò disperata verso Javier, che a sua volta venne portato via dai suoi genitori e caricato sull’auto ultramoderna, che mal si accostava al degrado tutto intorno.

 

«Morena!»  

 

La chiamava, la chiamava disperato.

Ma quell’urlo cessò, scemò come la rabbia dalle sue membra per far posto alla disperazione e alla più totale sconfitta.

 

Quella, fu l’ultima volta che lo vide.

 

 

Il mattino seguente con l’anima tormentata e infelice, tornava dai campi con le sementi per la nuova coltura, si imbatté in don Roquez, il fattore e signore del campo presso il quale lei e la sua famiglia lavoravano, riscosse la paga e si intrattenne con la signora Roquez, sempre più emaciata.

Aveva fretta di correre al fiume e abbracciare Javier. Non desiderava altro.

Nessuno sarebbe riuscito a tenerli divisi, ne era certa. Il tempo era prezioso e dopo la notte insonne a divagare la mente su i pensieri più assurdi, aveva disperatamente bisogno di un abbraccio dell’uomo che amava.

 

«C’entra per caso qualche ragazzo in questo visino corrucciato?»

 

Francisca Roquez era una visione ultraterrena.

Una donna di una bellezza così eterea, addolcita da maniere gentili e un animo buono; don Alfredo l’aveva avuta in sposa che era poco più di una bambina, anni addietro, da un ricco signore di un paese vicino. Con lei si era comportata sempre più come una buona amica premurosa, piuttosto che come signora fattrice, provava grande tristezza nel vederla spegnersi mano a mano che i giorni passavano. I due non avevano avuto figli, chi sosteneva per via del sangue tormentato dalla funesta malattia di Francisca, chi sparlasse invece di una poca virilità del marito, fatto sta che i terreni di loro proprietà venivano curati ormai da anni dalla famiglia Soler a gran giovamento delle loro finanze.

Don Roquez era quella che si dicesse una persona rispettabile.

Modi da uomo del sud –era nato a Malaga- forte temperamento ma con una gran indole da lavoratore.

Morena non aveva idea di quanti anni avesse. Era molto affascinante, questo sì.

Da piccola credeva di esserne innamorata; tutte le mattine era solerte fare lunghe cavalcate e quando lo vedeva arrivare in sella del suo destriero, agitando i mossi capelli bruni al vento, lo immaginava il principe delle favole che sua madre le sospirava nell’orecchio prima di andare a dormire.

Dei mossi capelli bruni oggi restava una chioma spruzzata d’argento, ma la sua bellezza era immutata.

«Oh donna Francisca, perdonate. Sono piuttosto distratta, dicevate?»

La donna sorrise, coprendosi la bocca ad un improvviso attacco di tosse. Morena si chinò su di lei, sulla sedia a rotelle che il marito teneva stretta, ma ella la bloccò. «Lascia, passa quasi subito.» La ragazza annuì, cercando conforto negli occhi lucidi di don Alfredo. «Dicevo, hai proprio il viso di chi è innamorato.»

Arrossì, sorridendo. L’uomo sopra di loro rispose riempiendo il silenzio.

«Non la tormentare mia cara, Morena ha già il suo bel da fare con questa storia.» La guardò e quello sguardo severo la diceva lunga sulle chiacchiere circolate nella sola notte appena trascorsa.

Arrossì violentemente, chiudendosi nelle spalle. «Mi dispiace causarvi tanto fastidio don Alfredo..»

L’uomo si accigliò turbato. «Oh no! Non volevo dire questo..» Mosse un passo incerto verso la ragazza, forse per aiutarla a tirarsi su o consolarla, ma si ritirò quasi subito. «Mia moglie adora le storie da romanzo.»

La ragazza sospirò. «E chi non le adora don Roquez!» Rise un po’ più leggera. «In questo paese ci si annoia a morte.»

L’uomo alzò le spalle compiacente. «Ma allora me lo dite chi è il fortunato o conviene farmi una passeggiata fino alle locande?» Donna Francisca batté annoiata un piede, Morena rise sospirando fra i denti.

«Javier Garcia La Fuente

«Garcia.. il figlio di Guadalupe Garcia?»

«Proprio lui, signora.»

Gli occhi della donna si adombrarono, Morena guardò ad Alfredo che inspirò impacciato. «S’è fatto tardi, giovane ragazza. Saluta i tuoi genitori e digli pure che gli manderò le nuove sementi non appena la diligenza tornerà a Fuentesauco.»

L’uomo spinse via la carrozzella speronandola come se avesse nominato un fantasma.

L’anima di Morena si contorse nelle viscere, lasciandola sola e spaventata a morte.

Sapeva benissimo che Guadalupe Garcia non era di certo adorata da tutti, arcigna donna dispotica quale fosse, ma provocare persino fughe al suo solo nominare.. beh questo le sembrava un po’ troppo.

Come un presentimento nefasto, Morena sentì la necessita di gettarsi in corsa oltre le colline e per il fiume, dove il suo cuore bramava di trovare Javier.

 

Al fiume trovò solo un orda di bambini che giocavano a tirarsi il fango.

Si sciacquò in fretta mani e viso e sempre correndo raggiunse Villa Ortensia, la tenuta secolare appartenete a Javier; da tempo immemore la tenuta si stagliava, oltre un viale di una lunga cascata di salici piangenti dalle lunghe fronde che accarezzavano il terreno, conferendo al posto una teatralità degna di altri tempi.

I nonni e i bisnonni prima di loro l’avevano issata da un cumulo di macerie che si raccontasse fosse la roccaforte di avi lontani, quando Fuentesauco era meno di niente; le mani e la modernità dei successori l’avevano resa la deliziosa e imponente tenuta in stile neoclassico che oggi appariva.

Prima che potesse avvicinarsi all’alta cancellata di nero ferro battuto, fu fermata da uno stuolo di inservienti che andavano e rivenivano dalla casa al giardino; c’era fermento e caos, si sforzò di restare lucida ma quella che le si prospettava dinanzi non era una visione felice. Vide passare mobili e vettovaglie di ogni genere, bauli dalle maniglie d’oro e tutto fu caricato su una grossa auto moderna; tremò, aveva paura di quei mostri striscianti.

 

«Signorina Soler, cosa ci fate qui?!»

 

Una giovane ragazza dalla pelle d’ebano, la redarguì agitata dalla sua presenza.

«Lui.. lui dov’è, Karim

«Oh..» la ragazza sempre più agitata la portò fuori dalla visuale della villa, dietro gli alberi del viale. «Voi non dovreste essere qui! Se donna Garcia vi vedesse.. oh mi dolor! Ve ne dovete andare subito signorina Soler, subito!»

Morena urlò e quella si passò le mani agitate sul grembiule inamidato. «Dov’è Javier, dimmelo!»

«Testarda ragazza, mi farete picchiare! Dovete andare via!»

«Prima voglio sapere dove. E’. Javier.» Sibilò implacabile, scandendo le parole una ad una.

L’inserviente guardò angosciata alla casa, quasi a scrutare l’orizzonte, poi scosse il capo e parlò.

«Il signorino La Fuente è partito all’alba per Madrid. La signora Garcia ha urlato tutta la notte, Madre de Dios!» Si fece il segno della croce, quando a Morena ormai mancavano le forze; fu costretta ad appoggiarsi all’albero, il capo riverso all’indietro. Annegando, stava annegando. «Proprio un bel guaio signorina Soler, un bel guaio! Ve ne dovete andare, ha giurato di ammazzarvi se vi trovasse qui.. per amor del cielo, andatevene.»

«Andarmene.. sì..» La testa vorticava pericolosamente, i pensieri s’erano fatti nebbia fitta.

Chiuse gli occhi. Javier era andato via. Cadde a terra senza alcun rumore.

 

Li riaprì e sembrò che il mondo continuasse a girare, anche se percepiva  un dondolamento fisico più che papabile.. si sentiva stretta e protetta, avvicinata da un calore così reale.. li richiuse, se era un bel sogno, se stava sognando Javier era lì che voleva stare. Nell’oblio.

La coscienza tornò a smuoverla, i suoi sogni astratti la rigettavano al mondo, tentò nuovamente d’aprire gli occhi e stavolta percepì bene il morbido contatto di piume sotto le membra stanche; la visuale era calda, di un colore vivo tutto attorno, si sforzò di mettere a fuoco e non capì dove si trovasse.

Tentò di muovere le mani, qualcuno tossì in lontananza.

«Morena sei sveglia?»

D’improvviso, oppure era sempre stato lì e lei non se ne era accorta, la figura di don Alfredo Roquez capeggiava sul letto; accanto a lui il dottor Pena e ai piedi del letto, rannicchiata in una sedia e con il filato sulle ginocchia, donna Francisca le sorrideva calorosamente.

«Dov.. dove m-mi trov..» si agitò, il dottore le bloccò il braccio; con un gesto d’intesa si fece aiutare da don Roquez a tirarla su. «Don.. c-cosa ci faccio qui.. dove mi trovo?»

«Ti abbiamo trovata riversa in terra, al fiume. Non ricordi nulla Morena?»

La ragazza alzò le spalle; il medico le ispezionò le tonsille, verificò la reazione delle pupille e si prodigò a sentenziare che la ragazza stava bene, aveva solo una lieve escoriazione al capo per via della caduta, da curare con un unguento, aggiungendo poi che doveva nutrirsi di più.

Roquez gli passò tre monete e lo pregò di non lesinar visite se mai i Soler avessero bisogno di lui; l’uomo si infilò il soprabito e fu scortato via dalla cameriera.

«Siete troppo gentile padrone. Io.. vi sto recando fastidio ancora una volta.»

«Di certo non ti avremmo mai lasciata lì, sciocchina.» Rispose donna Francisca, avvicinandosi a bracciate al capo del letto. «Te la senti di dirci cosa è successo?»

Strinse forte le coperte fra le mani, prima che il volto le si coprisse di lacrime. «E’.. è andato via.»

«Lo abbiamo saputo.» Notò tristemente la donna, prendendole la mano. «E’ stato lui a lasciarti lì?»

«No, non lo farebbe mai.» Alzò le spalle e un singulto la devastò. «Ero andata a cercarlo alla tenuta dopo che vi ho incontrati alle campagne.. e lui non c’era più. Credo di essere svenuta.. poi non ricordo più nulla.»

«Oh per amor del cielo! Quindi tu non sapevi nulla?!»

La ragazza annuì. «Donna Guadalupe..» Non resse la portata di dolore, non più, e scoppiò a piangere. «Perdonate.. perdonate..»

Don Alfredo le passò un fazzoletto, Francisca sospirò. «Quella donna è il diavolo.»

Un movimento impercettibile del capo dell’uomo, fece ritirare la donna in un mutismo frenetico condito da mani che si muovevano agitate in grembo; Morena, sempre più angosciata, in un impeto di coraggio osò chiedere.

«Cosa vi ha fatto quella donna?»

Francisca alzò gli occhi, due grandi pozze lucide. Il labbro superiore tremava vistosamente e il respiro agitato gonfiava la veste crema ad un ritmo esasperante. Si sforzava di rispondere, ma sembrava sull’orlo di una catastrofe.

«Calmati Francisca, respira.» Alfredo le stava addosso cercando di infonderle coraggio; non la toccava e questo era ben evidente, teneva inchiodato gli occhi in quelli di lei che ricambiava lo sguardo in cerca di forza. Mano a mano il respiro si calmò e il petto tornò ad alzarsi ad un ritmo regolare.

Morena si morse il labbro pentita. «Vi prego don Roquez aiutatemi a ridiscendere.» Cercò di farsi forza sulle braccia, ma il capo le doleva e trattenne la rabbia fra i denti. «Sono stata indelicata e scortese. Ve ne prego, permettetemi di scusarmi con donna Francisca.» L’uomo sospirò avvicinandola e le passò delicatamente le braccia intorno alla schiena per issarla; per un breve istante i loro sguardi si incontrarono. Erano molto vicini, Alfredo si scansò visibilmente turbato e Morena s’allontanò confusa.

Era.. stato strano pensò, mentre si accucciava alle ginocchia della donna.

«Mi dovete perdonare signora, tenterò di mantenere la mia linguaccia a freno in futuro.» Non la toccò, come aveva visto fare suo marito, ma si alzò e le sorrise grata. «Siete stati gentili a portarmi qui, ma adesso devo proprio tornare. Mio padre sarà infuriato ed Elvira..» Non terminò la frase, ma i suoi occhi al cielo la dicevano lunga.

Francisca sorrise debolmente, Morena emise un mugolio di dispiacere.

«Vi prego scusatemi ancora con lei.»

«Non mancherò, ma vi prego io di farvi accompagnare con la nostra carrozza.

«No signore, siete stato fin troppo generoso.

E mentre face per andarsene, la donna l’afferrò per la mano. «Stai attenta piccola Morena, non sai di cosa è capace, stalle lontana più che puoi.» E fece ricadere debolmente l’arto sulle gambe, accasciandosi allo schienale della sedia a rotelle. «Più che puoi.»

 

Corse a perdifiato verso Vecchia Querce, la testa le pulsava, ma voleva portarsi lontano da quella casa il prima possibile; gli occhi della signora Roquez le bucavano il cervello, le sue mani fiacche erano presagio di morte e quelle parole.. «stalle lontana», «stalle lontana» aveva detto.

Correva e le lacrime solcavano le guancie e si disperdevano nel vento.

Correva e il cuore le  balzava nel petto, soffocandola.

Odiava Fuentesauco, odiava Guadalupe Garcia ed Estefan La Fuente, odiava Javier che l’aveva lasciata sola ed odiava tutto ciò che rappresentava la sua vita, il suo passato e ancor più il suo futuro.

Senza Javier.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

E’ nel momento delle decisioni,

che si plasma il destino.

A. Robbins.

 

 

Madrid profumava di vita, questo pensò Javier, svicolando fra le auto ad un incrocio di una grande strada.

Tanto grande. Non ne aveva mai viste così e perlopiù sgombre di terra e posate da un intruglio chimico che un trio di britanni avevano brevettato ottanta anni prima; lo chiamavano asfalto, ed era lì da almeno metà del tempo.

Ottanta anni.. che era successo a Fuentesauco in ottanta anni?

La domenica era il suo giorno libero, l’unico, dopo una settimana di studi intensi sulla disciplina militare e sulla materia scelta sulla quale basare il corso di laurea; aveva scelto medicina e chirurgia, sua grande passione fin da ragazzino quando assieme a Morena vivisezionavano le rane del fiume sporco di Fuentesauco.

Morena.. un brivido gli percorse la spina dorsale e non era solo per il freddo dicembrino.

Non la vedeva dall’estate e se ne era andato così, alla chetichella; si chiedeva fin troppo spesso se avesse mai scoperto che era stata sua madre ad infilarlo in auto, dopo che Lucio Soler gli aveva sparato fra le gambe e spaccato il labbro.

Se ci passava la lingua, poteva ancora sentire la cicatrice.

A volte capitava che in quelle domeniche, per una manciata di pesatas, aiutava un tale che aveva un banco di fiori al mercato generale a scaricare la merce di mattina presto, solo per racimolare i soldi necessari per comprarle un biglietto in andata alla volta di Madrid; voleva vederla, non aveva che questo pensiero ma sua madre gli controllava tutti i conti.

Le aveva scritto non appena arrivato in città, ma a quella lettera non aveva mai risposto nessuno e qualche volta, da solo al buio della sua branda da camerata, si domandava se era esistita veramente, se non fosse una proiezione dei suoi più reconditi desideri. Poi ricordava le sue mani, quella pelle ambrata e coriacea, gli occhi striati d’oro e conveniva che era bella come un sogno, ma esisteva davvero.

 

«Javier! Siamo qui! Javier!»

 

Benedicta Ruiz Navarro e Leonor Ruiz Delgado lo aspettavano alla Mallorquina, la pasticceria in Puerta del Sol dalle frittelle al miele più buone di tutta la città; Benedicta era sorella di Lorenzo, un commilitone con il quale aveva stretto amicizia, la piccola Leonor invece, sua cugina per conto di madre. Le aveva conosciute in occasione di un pranzo alla villa di Lorenzo, una domenica di riposo e da allora si circondava spesso e volentieri della loro compagnia.

Le due ragazze erano delle guide molto attente per la città; conoscevano tutte le bettole dalla quale stare lontane quando si trattava di cibo, frequentavano gli ambienti giusti e le persone che contavano, avevano gusto per l’arte ed erano terribilmente ricche e raffinate.

Non si stupiva d’essere loro amico, sua madre -già da Fuentesauco- aveva stretto contatti con le rispettive famiglie delle giovani affinché il suo baldo figlio avesse due dei nuclei caposaldo di Madrid come ala protettiva, e poteva scommetterci, non mirava solo alla sua protezione; i Delgado erano famosi costruttori di immobili lussuosi in città e i Ruiz, ai tempi d’oro, proprietari terrieri di ogni zolla di Madrid.

Ovunque la si guardasse, le due giovani apparivano come la realizzazione di tutte le aspettative di Guadalupe Garcia e Javier era sempre più inorridito da tutti i fili che sua madre era in grado di muovere a chilometri di distanza.

Tuttavia vi era affezionato, Benedicta era risoluta e forte, una giovane indipendente sebbene il suo conto sfiorasse più di qualche zero, per contro Leonor era la ragazza più dolce e intelligente che avesse avuto il piacere di conoscere da quando era arrivato.

 

«Ce l’hai fatta, finalmente! Stiamo morendo di fame!»

Javier sfoderò il suo sorriso migliore, aiutandole a sedersi.«Propongo un giro abbondante di Torrijas per farmi perdonare!» Chiamò il cameriere e ordinò, sfilò la propria sedia e prese posto. «Sto morendo di fame anche io.»

Leonor lo guardò con grandi occhi verdi curiosi. «Giro in metropolitana? O ti sei fermato al Buen Retiro come al tuo solito?» Sorrise, passandogli una copia de El Pais un po’ stropicciato.

«Grazie.» Ricambiò il sorriso, appoggiandolo sulle gambe. «Metropolitana.» Rispose con aria sognante. «E’ così..»

«..caotica?» Benedicta lo interruppe, alzando gli occhi al cielo.

«Innovativa!» Risposero allora i due all’unisono, guardandosi frettolosamente, per poi perdersi in un mare di risate.

«Mio Dio!» Aggiunse l’altra fintamente disgustata. «Voi due siete fatti l’uno per l’altra.»

Leonor alzò timidamente lo sguardo su Javier che scosse il capo noncurante.

«E’ che lei è molto più sensibile di te, mia cara!»

«Cosa c’è di così poetico in un mucchio di ferraglia sfrecciante in gallerie buie, me lo dite?»

«Tutto!» Risposero insieme nuovamente, stavolta arrossendo entrambi; Eleonor fece cenno a Javier di continuare, nascondendo poi l’imbarazzo dietro una grande salvietta. «Da dove vengo io la sola cosa a sfrecciare, sono gli uccelli. Quando migrano. E dovreste vederli, gruppi di mille, duemila esemplari.. volano verso sud in questo periodo e..» il cameriere lo interruppe servendo la colazione in pesanti vassoi d’argento «..e forse è meglio mangiare che ascoltare noiosi trattati sul volo degli uccelli!»

«Io non lo trovo noioso invece.» Eleonor affondò una zolletta di zucchero nel suo tè aromatico e si portò la tazza alle labbra, soffiandoci su; era delicata qualsiasi cosa dicesse o facesse, guardarla gli dava sollievo, pace. «Qui i palazzi hanno coperto quasi interamente il cielo..» Sospirò e Javier trovò quel suono così delizioso. «Come hai detto che si chiama il paese da dove vieni?»

«Fuentesauco, perché?»

«Mi piacerebbe visitarlo un giorno.»

«Dici sul serio?» Stavolta il coro all’unisono fu con Benedicta che sbuffò spazientita, ma con il sorriso sulle labbra.

«Sì, perché vi stupite tanto?»

«Non è esattamente come te lo aspetti Eleonor.. l’aspetto poetico passa in fretta.» Javier guardò lontano, malinconico.

«Mia madre dice che oltre Madrid, il mondo non esiste.. senza offesa Javier!» Benedicta tagliò con precisione il suo toast guardando l’amica. «Dove è finita la tua voglia innovativa? Senza contare poi che i palazzi che oscurano il cielo li costruisce tuo padre!» Rise chiassosa e Javier non poté far altro che sorridere a sua volta.

«Oh siete due guastafeste!» Sbuffò, ma nascose lo sguardo divertito dietro la tazza. «Una signorina per bene non può sognare con voi due!»

«, sogna quanto vuoi.. basta che non mi fai mettere naso fuori da Madrid!»

La ragazza le fece la linguaccia, guardò poi sognante a Javier e si domandò se era così impossibile un giorno essere lì.

Insieme a lui.

 

 

El pais terminava sugli spettacoli di teatro, annotò mentalmente qualche orario prima di richiuderlo.

Al loro tavolo si era aggiunto Lorenzo, di ritorno da alcune commissioni e stava amabilmente discutendo con Benedicta su un menù improponibile di un ristorante de La latina, la zona più bohèmien della città.

«Trovato nulla di interessante?» Eleonor si era sganciata dalla conversazione indicando il giornale.

Javier negò con il capo. «Non questa domenica purtroppo, ma che ne dici della prossima?Danno una trasposizione della “Celestina” al Teatro Real.»

«Una tragicomedia? Niente di meglio per una domenica a Madrid. Ok, ci sto!» Rispose con aria sicura, rivolgendosi poi ai cugini. «Voi sarete dei nostri?!»

«Un’altra commedia Javier?» Benedicta rispose agitando i lunghi capelli biondi.

«Mia cara, niente di meglio per una domenica a Madrid!» E Javier rise guardando Eleonor e senza sapere perché anche Lorenzo si unì a loro e per finire, con la malizia di chi vedeva lungo, anche l’ultima componente del tavolo sorrise, compiaciuta, appagata e sicura di sentire nell’aria il profumo dei fiori d’arancio.

 

*

 

Dicembre era arrivato con il suo freddo secco e la brezza costante.

A Fuentesauco si scaldavano le ultime castagne sul fuoco e si sorseggiava vino benedicendo le provviste di maiale.

I campi erano incoltivabili, il fiume ghiacciato, gli alberi spogli di vita; il tempo in inverno sembrava fermarsi, la vita scorreva lenta e pesante e anche i suoi passi, nel pantano delle piogge passate, arrancavano stanchi.

 

«E’ permesso?»

 

Entrò silenziosa nel piccolo studio del Dottor Pena, godendo del tepore emanato dalla stufa a legna stipata nell’angolo sotto la finestra; il medico la guardò da capo a piedi indicandole la sedia. «Siediti.»

«Cosa c’è che non va?»

«La tua salute è pressoché perfetta, Morena. Le vitamine che hai assunto con la fine dell’estate ti hanno fatto un gran bene.» Già, le medicine che le aveva pagato don Alfredo Roquez; doveva tenere a mente di passare a ringraziarlo, erano mesi che non lo vedeva, ne lui e neppure donna Francisca, ma era inverno e il signore fattore non aveva bisogno di loro e loro non avevano bisogno di lui. Lui però, non aveva dimenticato le maniere da bravo uomo e dopo l’incidente, quando l’aveva rinvenuta al fiume priva di sensi, si era offerto di pagarle la cura. Sì, sarebbe passata a ringraziarli.

«Tuttavia devo chiederti qualcosa sulla tua..»  Si mosse nella poltrona visibilmente agitato «Non è facile parlare di queste cose con una giovane ragazza, ma nutro dei sospetti ed è meglio affrontare la questione con domande dirette.»

«Quale questione dottore?»

«Ragazza mia hai raggiunto la tua età fertile?»

Morena corrucciò la fronte. «La scorsa estate, dottore.»

«Quindi sai cosa succede quando due un uomo e una donna..»

Schizzò dalla sua seduta come punta da uno spillo. «Sa dottore ha ragione, non è facile parlare di questo.» Ciondolò avanti indietro per lo studiolo; era passato tanto tempo ma non aveva dimenticato.

Non aveva dimenticato le sue mani.

Non aveva dimenticato il suo corpo sinuoso che scivolava nel suo.

Non aveva dimenticato quanto fosse commovente la sensazione di sentirsi riempire, appartenere ad un attimo d’eterno che l’inverno aveva portato via con se, lasciando posto ad un gelido presente.

«Io.. non capisco dove vuole andare a parare, Pena!»

«Benedetta ragazza!» L’uomo si alzò, tenendosi per i palmi aperti sul tavolo; scuoteva il capo borbottando fra se e se, prima di inchiodarla ad uno sguardo severo. «Ti sto dicendo che i malori che accusi sono derivati da uno stato interessante!»

La bocca disegnò una O perfetta e il viso plasmò un’espressione del tutto paralizzante.

«Bene, come sospettavo.» L’uomo si sfregò il mento cercando nel vuoto alcune risposte. «Ho bisogno di sapere quando hai avuto il tuo ultimo mestruo Morena, così da valutare i tempi e avere dei dati più precisi. Puoi fornirmi quello che ti ho chiesto?»

Non aveva dimenticato Javier, ma aveva dimenticato cosa significava essere donna.

Fece un rapido calcolo mentale, perdendosi in giri larghi due volte. «Non lo ricordo.»

«Perché non mi stupisce ciò? Orientativamente, fa uno sforzo.»

Si accasciò sulla sedia, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Ho diciassette anni, avere un figlio non rientrava nei piani.» Javier.. nostro figlio, pensò con amarezza.

La potenza di quel pensiero la riempì di rabbia.

Se ne era andato, fuggito con la luce dell’alba e le aveva piantato un figlio nella pancia.

Erano passati mesi e non si era degnato nemmeno di scriverle una lettera, due righe di scuse, di rammarico, di speranza se era vero che l’amava. E quel silenzio, parlava e urlava adesso al posto suo.

«Era estate. Sì, era estate.» E come se la sua anima rispondesse per lei, cominciò a piangere.

Perché il cuore lo si può ingannare, egli può accettare alcune risposte e dolere, ma l’anima no, sa cose che non avremmo mai il coraggio di pronunciare e non la si può ingannare nemmeno se si vuole.

 

La bufera non era cessata, si stringeva negli strati di lana grezza che portava addosso cercando il modo di far cessare anche quella che si portava dentro; camminava senza meta, lungo i campi appena imbiancati dove correvano insieme e le sembrava di vedersi bambina insieme a lui rotolarsi nella neve e poi scivolare sulla lastra di ghiaccio che era il fiume con il terrore di finire in acqua. Rimpiangeva quella fanciullezza fatta di niente eppure di tutto; quando bastavano l’uno per l’altra e non c’era amore, non c’era passione, non c’era nemmeno l’odio che li aveva cambiati e portati lontano l’uno dall’altra.

 

«Via! Via di lì!»

 

Il trotto impazzito del carro degli enterradores la costrinse a gettarsi sul ciglio della strada.

Morte, pensò tristemente, qualcuno era morto.

Che fosse un presagio?!

 

«Morena, via! Via!»

 

Si voltò verso l’altro cavallo sulla quale trottava un po’ meno di fretta il dottor Pena, appena lasciato in paese.

 

«Chi?» Urlò morbosa e impaurita seguendo il suo passo.

«Francisca Roquez» Rispose lui laconico e prima di schioccare la frusta la guardò severo. «Non stare al freddo troppo a lungo, corri a casa benedetta ragazza!»

Francisca Roquez era morta.

E lei aspettava un bambino.

La vita era un mistero che non aveva ancora capito; si fece svelta il segno della croce e si convinse più che mai che era arrivato il momento di andare a trovare don Alfredo e regalare a quell’uomo un briciolo di compassione.

Se la meritava.

E poteva tenersi lontano da “Vecchia Quercia” e dal fucile di suo padre ancora per qualche ora.

 

La tenuta dei Roquez si ergeva su di una collina degradante nella foresta, dalla quale si ammirava una vista del paese da togliere il fiato. Lassù anche l’aria era diversa.

Don Alfredo l’aveva avuta in eredità da suo padre e suo padre dal padre prima di lui; come ogni tradizione che si rispetti a Fuentesauco anche la famiglia Roquez aveva reso onore al paese durante le guerre civili e la casa era stata spesso rifugio per i compaesani sfortunati.

Al contrario della sfarzosità di “Villa Ortensia”, la tenuta dei La Fuente -acerrimi nemici in questioni legate al commercio e alla produzione dalla notte dei tempi- questa appariva meno imponente e sfacciata, ma gridava dall’alto una magnifica semplicità. La costruzione era in pregiato cotto chiaro e legno di quercia e dava alla tenuta la tipica aria di campagna dei grandi signori; vetrate interne con grandi finestre, il portico rialzato con la staccionata bassa orlata di fiori, il tetto spiovente dalle tegole a vista e un grande prato dinnanzi dove far sfrenare urlanti bambini.

Bambini con i capelli scuri e gli occhi verdi.

Rabbrividì e si dette della stupida per quei pensieri da favola così lontani dalla bruta realtà.

Non ci sarebbero stati prati, ne colline per loro e Dio solo era a conoscenza di cosa sarebbe successo quando la notizia sarebbe giunta agli orecchi del paese. Doveva riflettere sul da farsi.

Ma non in quel momento, adesso doveva pensare a don Alfredo e al suo dolore; scosse il capo e si apprestò a salire per la strada che vi portava in cima, studiando un piccolo discorso di condoglianze da tenere in sua presenza.

Chissà quanto stava soffrendo. Il solo immaginarlo la fece stare male.

 

«Zia?»

 

Sul grande prato e sull’orlo di una crisi di nervi, Milagros Blanco, sorella della sua adorata e defunta madre, dettava legge su come dovevano essere disposte le sedute per la funzione funeraria e i fiori –rigorosamente calle bianche- tutto intorno; non la vedeva dal matrimonio di suo padre con Elvira, ma era una zia presente e in qualche modo il facoltoso marito che aveva accalappiato in un paese vicino la città, permetteva loro di avere di tanto in tanto qualche generoso aiuto economico.

 

«Morena? Ecco dove ti eri cacciata!» Le girò intorno, squadrandola da capo a piedi. «Un bel bocconcino tesoro, proprio come ricordavo.» Le aprì il cappotto strizzandole un occhio. «E che belleza abbiamo qui sotto, non devi nasconderla!» Per sua zia essere donna e avere la carrozzeria adatta era importante quasi quanto avere cervello per un filosofo.

«Zia cosa ci fai qui?» Chiese sarcastica, richiudendosi il cappotto infastidita.

«Avremmo tempo per parlare di questo, mio amor. Tu cosa ci fai qui? Tuo padre era molto preoccupato, quando sono passata per casa vostra, dice che ti comporti in maniera strana.» La guardava con fare serio prima di urlare alla volta del garzone del fornaio perché aveva allineato male le sedie. «Allora, dicevamo?»

«Papà dice che sono strana.»

«Ah sì, giusto! Perché lo fai dannare tanto mio amor, non basta che sia sposato a quel’arpia della tua matrigna?» Rise chiassosa e fu una benedizione per il cuore sentirla ridere; era una donna eccentrica, fuori dal normale, ma assomigliava incredibilmente a sua madre ed era quanto di più vicino avesse per ricordarla.

L’abbracciò. «Oh zia, quanto vorrei che tu vivessi qui.»

«Non mi vuoi proprio bene, allora!» Ricambiò l’abbraccio ridendo ancora, stavolta facendo ridere anche la ragazza. «E’ per Javier che ti dai tanta pena?!» Si scostò e lasciò la sensazione di caldo amorevole ad una più amara freddezza.

Non sapeva se dirle tutto fosse una buona idea, dall’altro canto moriva dalla voglia di parlarne con qualcuno, qualcuno che le dicesse che sarebbe andato tutto bene, o che l’avrebbe aiutata a trovare una soluzione, qualcuno anche solo che le tenesse la mano, senza dire altro. «Non..solo.»

«Non dovresti. Ma parleremo anche di questo. Allora, perché sei qui?»

«Non.. dovrei, perché?»

«Oh! Sei petulante proprio come lo era tua madre! Dopo, discuteremo di molte cose mio amor!» Guardò verso la casa e cambiò espressione; don Alfredo era uscito sul portico e con le mani in avanti si teneva saldo alla staccionata. Era una visione tragica, così alto, così possente e così bello, adombrato dalla tristezza. «Va a parlagli, è molto scosso pover’uomo.» La girò, spingendola leggermente in avanti, sospirò e a voce più bassa sospirò la sua benedizione. «Umetta le labbra e slaccia il cappotto, signore sembri proprio una contadina!»

Poi s’allontanò imprecando ancora verso il garzone che a metà mattinata mollò tutto e scappò via.

 

 

Alle tre era tutto pronto.

Una processione lenta di persone risalì dalla valle per la collina; c’era tutto il paese ovviamente, persino i La Fuente a dare l’ultimo saluto all’angelica donna che era stata Francisca Roquez.

Il parroco arrancava verso il prato ubriaco come al solito, la tunica sgualcita e il vangelo stretto fra le mani paffute; quando Morena passò con la sua famiglia in rassegna alcuni posti defilati, monsignor Pedro e donna Elvira si lanciarono uno sguardo carico di promesse.

«Stella va ad aiutare il prete con il leggio, non si tiene in piedi per amor del cielo.»

Lucio guardò furente sua moglie. «Non qui. Non ti permetterò d’essere umiliato a casa del mio padrone.»

Era sempre così, ovunque comparissero e ovunque c’era anche l’altro, li accompagnavano voci sulla presunta paternità di Stella attribuita a don Pedro in tempi non sospetti.

Ed Elvira non faceva nulla per metterle a tacere; lunghe erano le ore delle sue confessioni e solerte era il suo aiuto quando si trattava di dare una mano al parroco e alla sua chiesa. Una donna devota, certo.

Devota all’arnese di Don Pedro a quanto pare.

«Sei così patetico.»

E quelle furono le sole parole che riuscirono a scambiarsi durante tutta la cerimonia; quando la piccola bara di donna Francisca venne fatta calare nella terra, Morena si defilò dal gruppo mettendosi a cercare sua zia Milagros per conoscere finalmente tutta la verità su Javier.

La trovò in compagnia di don Alfredo, con le mani giunte nelle sue, sul retro della tenuta.

Don Alfredo impallidì quando la vide. «N- non è come pensi, Morena.»

«Non sta a me giudicare i suoi affari, signore.» Guardò a Milagros con impazienza. «Dobbiamo andare, Lucio ed Elvira non si tengono più.»

La donna mal celò un sorriso di scherno. «Questo succede a voler sposare la donna sbagliata.» Si infilò al braccio della nipote e con ultima occhiata teatrale si rivolse a don Alfredo, visibilmente scosso. «Pensi bene a quanto le ho proposto. Mi tratterrò a Fuentesauco giusto il tempo di risolvere questo.. “affare” con lei, don Roquez. Spero di avere al più presto sue buone notizie.»

L’uomo annuì paonazzo in viso, e ancor più turbato, quando lo sguardo di Morena incrociò il suo e la vide mimare leggera con le labbra le sue più sincere scuse; abbassò definitivamente lo sguardo mortificato.

 

«Cosa ti rende così soddisfatta, si può sapere?»

«Tutto mia cara. Guardati intorno, un giorno questo sarà affar tuo.»

Morena spalancò gli occhi. «Lascerai lo zio Eduardo per sposare un.. vedovo?»

Milagros rise stridula, accompagnando il gesto con la mano sulle labbra. «Oh no mia cara, tu sposerai il vedovo Alfredo Herrero Roquez e la tenuta di Legno di Quercia e tutto ciò che vi appartiene sarà tuo

 

*

 

I giorni in accademia passavano in un susseguirsi di lezioni noiose e altre invece molto più interessanti.

Pensava sempre tanto a lei, ma dopo un’ultima lettera senza risposta, aveva deciso di comprare un biglietto per Fuentesauco, non appena avesse riscosso il suo salario dal padrone del banco di fiori; se le cose sarebbero andate per il verso giusto poteva sperare di tornare da lei entro la fine di Dicembre e nessuno avrebbe impedito che ciò accadesse.

Sospettava che alla base delle sue lettere mute ci fosse sua madre, come nel resto delle cose.

Non riusciva a sopportare l’idea di essere spiato, che la sua posta fosse intercettata o peggio che  tutto ciò che faceva lo fosse, ma doveva tenere duro, presto l’avrebbe rivista e le parole, il suo cuore, il suo corpo e la sua anima avrebbero risposto al posto suo.

 

Eleonor lo stava aspettando in Plaza de Santa Ana, dolcemente accomodata a uno dei tavolini delle numerose caffetterie; sorseggiava caffè e fece cenno con la mano d’avvicinarsi. Era domenica e sarebbero andati a quello spettacolo che Javier bramava di vedere da più di una settimana.

Morena lo adorerebbe, pensò tristemente raggiungendo la ragazza.

«Javier perché quel muso lungo?! Cambiato idea sulla “Celestina?”»

«Pensieri Eleonor, nostalgia di casa.»

La ragazza sorrise, porgendogli il cestino con il pane al burro. «Assaggia questi e dimmi se non sono favolosi! Forse riusciamo a farti dimenticare per un po’ Fuentesauco, che ne dici?!» Sapeva cosa stava cercando di fare e l’apprezzò, apprezzò il suo tatto e i suoi modi generosi, la sua discrezione e il suo sorriso gentile; se avesse mai avuto una sorella era così che l’immaginava, esattamente come Eleonor. Dolce, intelligente, spiritosa.

«Ti prometto che non sarò laconico per tutto il giorno.» Addentò il pane e annuì con approvazione, la ragazza alzò le spalle e chiamò il cameriere per il conto. «Lascia..» Javier passò qualche moneta al servitore pregandolo di tenere il resto per sé, prima di passare il braccio ad Eleonor per aiutarla ad alzarsi. «Sai, mi chiedo sempre come facciate a tenervi in piedi in quelle gonne così gonfie!»

«Secondo te perché siamo sempre aggrappate al braccio di qualche cavaliere?»

«Io credevo per tenervi stretta la sua fortuna.» Le sussurrò all’orecchio, strizzandole un occhio.

«E non è una fortuna avere un uomo ricco che ti tenga in piedi?» Sussurrò lei.

«Ottima osservazione. Come sempre.»

Eleonor aumentò la presa e per un attimo i loro sguardi si incrociarono; erano esattamente lo specchio delle parole appena dette, ma quando Javier si voltò per chiamare il taxi e lasciò la presa della giovane, tornarono ad essere semplicemente due ragazzi spensierati, che godevano della reciproca compagnia, in una limpida domenica a Madrid.

 

«Oh ragazzi, ho un terribile raffreddore! Andate voi vi prego, non voglio contagiarvi.»

Bendicta si fece trovare in vestaglia e ammalata nel salone buono del suo palazzo sulla Gran Via; si era prodigata in infinite scuse e nel giro di dieci minuti li aveva rispediti in taxi direzione del Teatro Real.

Lorenzo si era fatto trovare ai giardini attigui di Plaza de Oriente abbracciato stretto ad una dinoccolata ragazzotta della vecchia borghesia che poco prima di prendere posto in platea, aveva accusato un malore e si era fatta riaccompagnare a casa.

«Ma cos’ha questa città oggi?» Bisbigliò Eleonor fra sé e sé, nell’accomodarsi in poltrona.

Javier si piegò verso il suo orecchio sorridendo. «Credo siano in combutta. Tutti quanti!»

Eleonor spalancò gli occhi, stupefatta della tranquillità di Javier, si strinse al suo braccio e il ragazzo le sorrise ancora proseguendo. «Non volevano vedere la Celestina insieme a noi.»

Sospirò delusa dal fraintendimento; era assolutamente certa che anche lui si fosse accorto delle attenzioni e delle battutine che i suoi cugini rivolgevano loro, sul fatto che presto sarebbero diventati una coppia.

A quanto pare Javier non era dello stesso avviso.

E a quanto pare pensava ad altro. O a un’altra.

Era determinata nel sapere chi o cosa tempestasse l’animo del giovane cavaliere, perché da quando lo aveva visto la prima volta, aveva deciso che era proprio lui il ragazzo che l’avrebbe tenuta in piedi.

Gli sorrise enigmatica, volse lo sguardo in sala e attese in silenzio che le luci calassero, con il cuore colmo di felicità.

 

Era innamorata di Javier.

 

 

Dopo tre atti di Melibea e Calisto, del loro amore tragi-comico e di altrettante risate e lacrime, Eleonor era in piedi ad applaudire la maestria degli attori, con il sorriso dipinto in faccia e gli occhi raggianti.

Javier la tirava giù per le gonne, ma lei si rialzava divertita e applaudiva come non ci fosse un domani.

«E’ stato divertente, non trovi? Mi è piaciuto tantissimo Javier, promettimi che torneremo spesso!»

Il ragazzo la scortò verso l’uscita, beandosi degli ultimi scampoli di sole fra le fronde degli alberi; si sentiva sereno, quel pomeriggio le era stato davvero d’aiuto per non pensare.

«Vieni, ti compro un dolce. Te lo sei meritato mia giovane amica.»

La trascinò verso una pasticceria e le comprò una di quelle paste con la frutta e la crema che lei adorava tanto e la guardò soddisfatto mentre la saggiava felice.  «Mi fa bene passare il tempo insieme a te.»

Eleonor addentò il suo ultimo boccone, troppo emozionata per continuare.

Si sedette insieme a lui su di una panchina del parco d’Oriente e lo fissò.

«E’ questo che fanno gli amici Javier, ti tirano su il morale.» Sospirò e proseguì. «E tu sembri averne bisogno, mi querido

«Già, ma non voglio rattristarti. Hai un sorriso tanto bello, mi querida.»

Le accarezzò la guancia e quel gesto la riempì di forza e coraggio. «Sorrido per te Javier.» Si voltò dalla sua parte guardandolo dritto negli occhi, senza esitazione. «So che da dove vieni tu le ragazze probabilmente non dicono certe cose e non sono nemmeno stupida Javier, so che pensi a qualcosa.. qualcuno che hai lasciato , ma io.. io voglio essere molto più che un’amica per te.» Prese fiato, spostando candidamente le sue mani dal grembo a quelle di lui. «Conoscendoti sono sicura che non ci hai mai pensato prima d’ora, ma io sì! E se lo facessi anche tu, e bene, capiresti che noi due siamo perfetti insieme. Forse il meglio che possa capitare ad una persona è proprio sposare il migliore amico, che aspettare il grande amore.»

«Lei è la mia migliore amica.»

Avrebbe voluto dirle altro, essere sincero ma delicato come era sempre stata lei nei suoi confronti, ma aveva ragione anche stavolta, era l’unico che non aveva capito niente ed era spaventato da questo.

L’aveva ascoltato rapito e ne era lusingato, ma il viso di Morena aveva bucato ogni parola.

Non poteva amarla, questo avrebbe voluto dirle, non perché fosse incapace o lei non lo meritasse, ma perché le avrebbe fatto del male, perché semplicemente era nato per amare un’altra.

Il suo cuore lo sapeva ed era questo che voleva.

«E dov’è questa amica?» Eleonor ruppe il silenzio con il suo incanto fatto di fermezza e calma.

«Eleonor..»

«Voglio capire Javier. Capire se c’è un fantasma fra di noi o devo mettermi il cuore in pace.»

«Partirò fra qualche giorno.» Sibilò, abbassando poi lo sguardo colpevole.

Lei sorrise, si alzò e posando il resto della pasta sulla panchina si fermò a guardarlo immobile, sicura, una maschera di ghiaccio. «Buon viaggio, mi querido

 

La guardò andare via nei suoi passi sicuri, oltre la fila di alberi, verso la città ormai illuminata dai lampioni.

Sapeva di doverla seguire per abbracciarla o confortarla, ma non riusciva a schiodarsi da lì.

La piccola e fiera Eleonor, che le aveva dichiarato i suoi sentimenti come una grande donna stava andando via.

D’un tratto, la paura di averle fatto male, lo fece sobbalzare.

Ma lei, puntino lontano, adesso si era messa in corsa.

Spaventato mosse allora dei passi incerti verso la sua direzione, ma era schizzata in taxi vedendoselo arrancare dietro.

E lo capì, guardando il suo viso cupo attraverso i finestrini.

Era troppo tardi.

 

*

 

«Io non sposerò mai Alfredo Roquez! Mai!»

 

Le sembrava che le fosse passato un carro di bestiame addosso o che peggio, addormentandosi la sera precedente avesse viaggiato verso un interspazio che sembrava fosse la sua vita, ma non lo era.

Erano tutti lì, stipati in quella baracca mai stata così claustrofobica come adesso; suo padre che aveva imbracciato il fucile pronto al peggio, Elvira fra lo sconcerto della fortuna che era capitata a quella sciocca e capricciosa figliastra e il disgusto per essere stata estromessa dalla decisione, Stella eccitata di vedere la sorella in abito da sposa e Milagros eccitata per essere stata l’artefice di un idea così brillante.

Senza tante cerimonie, aveva raccontato d’esser amica di Francisca fin da quando erano ragazzine e che ogni tanto a loro insaputa passava per Fuentesauco per accettarsi della sua salute, aspettando, con enorme tristezza nel cuore certo ma anche con impazienza dovuta a qualche altra mente scaltra come la sua, che la povera donna passasse a miglior vita per impalmare il vedovo con la sua adorata nipote a corto di lignaggio e finanze che le permettessero di avere una vita dignitosa.

 

«Non capisco perché ti scaldi tanto. E’ ancora un uomo piacente e soprattutto la povera Francisca era d’accordo con me che si risposasse. E anche lui.. non mi è sembrato così dispiaciuto della scelta.»

«Zia, sei disgustosa! Come hai potuto agire in questo modo, con il corpo di donna Francisca ancora caldo!» Morena strinse i pugni ai fianchi, rossa in viso. «Papà dì qualcosa, non puoi essere d’accordo con questa farsa!»

Lucio guardò la cognata senza batter ciglio. «Chi mi assicura che non le farà del.. male?» La ferita della virtù violata della sua amata bambina ancora gli doleva nel petto, ma voleva esser certo che Morena non pagasse un prezzo troppo alto per i suoi errori. Avrebbe ucciso pur di non vederla umiliata.

«Ma chi, don Alfredo? Il tuo padrone? E’ placido come un agnellino.. e in più è ignaro di come e quanto tua figlia se la sia spassata con La Fuente. Tu non devi pensare a queste cose, penserò a tutto io. E’ sangue del mio sangue dios mio!Non avrei mai proposto un matrimonio, se non fossi più che certa che Morena trarrà solo vantaggi.»

«La gente mormora..» Elvira sogghignò arcigna.

«E proprio tu hai coraggio di dire questo?» Milagros la guardò disgustata. «Dovresti solo ringraziare la buona anima di mia sorella che morendo ti ha permesso di andare in  moglie a quest’uomo qui, un contadino sì e fesso anche, perché chissà tuo padre a chi ti avrebbe venduta.. dios mio

Elvira tuonò furente. «Non ti permetto di offendermi in casa mia!» Si aggrappò al bavero di suo marito guardandolo con occhi imploranti. «Mandala via! Manda via questa strega!»

Alla parola strega gli occhi di Milagros si illuminarono di ironia, stava per risponderle se non fosse per Lucio che l’anticipò piuttosto adirato.

«Elvira è mia moglie adesso..devi portarle rispetto, Milagros.» E proprio mentre Elvira sospirò soddisfatta Lucio l’allontanò con un gesto secco dal petto, intimandole con uno sguardo da non ammettere repliche, di andarsene in cucina, che quello era il suo posto e che lì non sarebbe stata di nessun aiuto.

«E tu..» puntò il dito verso la cognata «prendi una sedia e calmati, abbiamo questioni più urgenti di cui parlare.»

La donna si accomodò, slacciò due bottoni del vestito e riprese fiato. «Dobbiamo battere il ferro finché è caldo. Tua figlia deve sposare Roquez, se vuole avere un futuro.» Si girò verso la nipote che la guardava con disgusto e sprezzo. «So che può sembrarti abominevole adesso, ma un giorno mi ringrazierai. Alfredo è un uomo buono, ed è ricco!Se non vuoi farlo per te.. fallo almeno per il tuo..bambino.» ridusse l’ultima parola ad un biascichio.

Morena si era fatta pallida e tremante. «Come.. lo sai?»

Lucio le guardava sconvolto, Milagros lo ignorò. «Me lo ha detto il dott. Pena, perché dorassi la pillola a tuo padre. Come se si potesse porre rimedio a questa cosa.. con un po’ di zucchero! Una lavata di testa e più buonsenso niña mia, ecco cosa ci servirebbe!»

Morena si passò le mani nei capelli, avvilita. «Non ci posso credere, ti ha detto tutto! Dov’è il rispetto per me, adesso? Possibile che qui, tutti debbano decidere al posto mio?»

Sua zia si alzò dalla sedia e con un colpo secco colpì il tavolo. «Quando hai deciso con la tua testa hai sbagliato tutto! Ora hai conseguenze ben più gravi da pagare, non puoi essere così egoista nei confronti di quella creatura!»

Lucio si girò verso la figlia come una pantera, gli occhi a fessura, il respiro accelerato. «E’ vero quindi? Sei.. incinta?»

Morena annuì silenziosamente ma con lo sguardo fermo in quello di suo padre.

«Perché?» Sapeva fosse una domanda retorica, ma il suo cuore gli impose di rispondere.

«Perché lo amo.»

Aspettava di vederselo correre addosso, schiaffeggiarla anche se non era mai stato un uomo violento, ma tutto ciò che fece fu guardarla con disprezzo, imbracciare una bottiglia di rum dalla dispensa ed uscire di casa in assoluto silenzio.

 

«E’ così che volevi dorargli la pillola, zia?»

 

Le lacrime scendevano copiose sulle guancie e andavano infrangersi fra le labbra, amare.

Non c’era peggiore offesa che quegli occhi, quel silenzio così carico di delusione.

Aveva il cuore a pezzi.

Aveva ucciso suo padre.

E molto probabilmente la sua stessa vita.

 

«Tuo padre ha molti difetti, ma un unico pregio; ti ama più di qualsiasi cosa. Non è un testone, capirà. E’ di te che mi preoccupo, invece. Con la tua ostinazione non andrai da nessuna parte. Il figlio che ti porti dentro è un La Fuente è vero, ma agli occhi di questo paese sarà solo un altro piccolo bastardo. E’ questo quello che vuoi? Che tu venga marchiata a vita come una puttana e che tuo figlio venga chiamato hijo bastardo

«No.» Non c’era esitazione nella sua voce, semplicemente perché sapeva cosa voleva; lei, Javier e il piccolo bambino dai capelli neri che corre sulle colline. Non avrebbe accettato nessun compromesso, non ci sarebbe stata nessun’altra storia, o così o senza. «Non avrò questo bambino. E non sposerò don Roquez, fine della storia.»

 

 

 

Adesso le sembrava che tutti la stessero guardando, come se il suo segreto fosse un po’ di chiunque.

Sapeva fosse suggestione.

E sapeva che fosse perché probabilmente, era più pallida del solito.

Nessuno sapeva di lei e nessuno avrebbe saputo più di quanto la sorte non avesse già raccontato.

Erano passate solo poche ore da quando aveva scoperto di aspettare un figlio e si trovava nuovamente alle porte di quel piccolo ambulatorio. Era quasi sera ormai.

L’imbrunire di una giornata estenuate, lunga e dolorosa. C’era buio fuori e c’era buio dentro di lei.

Stava per aprire quella porta, quando una piccola mano, le bloccò la sua. Si voltò; c’era una figura, ed era coperta da uno spesso strato di lana e un cappuccio che le copriva il volto, conferendole un aspetto spettrale.

Non parlò, non si mosse, la tenne solo stretta nella sua mano. Ebbe paura, ma non riuscì a gridare.

 

«Chi sei?»

«Conosco un modo più pulito». E finalmente si mosse, portandola verso un’altra direzione.

Quella voce non le era nuova. Aveva un che di mellifluo, ma arcigno. Da brividi.

«Con ago e filo rischi di lasciarti dietro qualcosa. Segui me, so io chi può aiutarti.»

La trascinò verso un carro, strattonandola per farla salire; si divincolò, brandendo la figura per un braccio.

«Non vado da nessuna parte se non mi dici chi sei.»

«Colei che può salvarti la vita, togliendotene una che non vuoi.» Allungò la mano invitandola ad accettare, quella esitò ancora. «Conosco la tua storia e mi sta a cuore la sua soluzione. Posso essere la chiave di tutti i tuoi problemi, ma per questo devi fidarti di me e seguirmi.»

Sfiorò poco convinta quella mano e trasalì.

Non aveva nessuno ad aiutarla e per quanto tetra fosse quella figura, le stava porgendo una soluzione.

Ma non era nemmeno la paura a farla tentennare.

Era l’odore della morte.

Aveva sentito di storie in cui le protagoniste erano donne capaci di strani “poteri; Fuentesauco era stato un groviglio di storie incantate, ma tutte risalivano all’epoca delle streghe, dove gli uomini non sembravano essere nemmeno uomini e dove la superstizione valesse più della ragione, che aveva pensato spesso fossero solo favole di madri sfiancate da bambini capricciosi e mai aveva immaginato fossero vere e così vicine a lei.

Salì e prese posto al bordo più esterno della carrozza, era una brava saltatrice, nel caso si fosse presentata la necessità.

La donna incappucciata salì dopo di lei guadagnando il centro; colei aveva detto, almeno aveva svelato il suo sesso e questo la rendeva un po’ più sicura, pensò, vedendola schioccare la frusta sul dorso del baio.

«Adesso cosa succederà?» Le chiese, dopo che la bestia fu indotta ad un trotto più rilassato.

«Conosci l’infuso di Dea?»

Negò con il capo, non sapeva di cosa stesse parlando. «Fin dall’antichità, donne di qualsiasi genere o razza se ne servono per eliminare dal proprio corpo l’invasore. Un metodo molto antico ma allo stesso tempo efficace; ne basta ingerirne una tazza, per far sì che si torni come prima.»

L’invasore. Come prima.

Un senso d’abbandono e vuoto la percorsero, ma mandò giù tutto dichiarandosi forte e decisa ad andare avanti.

«L’hai usato sul tuo corpo per dire questo?»

La figura sogghignò. «Se sei così determinata come dimostri abbi fiducia, lo vedrai con i tuoi stessi occhi.»

 

S’inoltrarono nel bosco, l’aria s’era fatta umida e rarefatta.

A poche spanne da lì, “Vecchia Quercia”, riposava con poche luci alle finestre; tirò su il cappuccio e la figura ghignò ancora. «Sta giù se ti fa sentire sicura.»

Obbedì, non che fra la coltre di nebbia e di alberi qualcuno potesse davvero vederle, ma la prudenza non le sembrava eccessiva, visto come si erano messe le cose. «Come fai a sapere di me?»

«Ascolto i mormorii, ragazza. Gli alberi parlano, persino il fiume parla. A Fuentesauco non ci sono segreti che possono essere tenuti nascosti. Oh.. oh..» Tirò le redini a sé finché il galoppo non scemò e la carrozza si arrestò. «Da qui proseguiremo a piedi. Vieni, lascia che ti aiuti.»

«Faccio da sola.»

Era tornata ad essere guardinga, mentre le piante le frusciavano ai piedi e i rami degli arbusti le graffiavano la faccia, gettava sempre un’occhiata alle sue spalle; la donna le camminava avanti spedita e sicura, di tanto in tanto si voltava per constatare che ci fosse, poi riprendeva senza emettere fiato.

Arrivarono all’imbocco di una grotta nascosta da cespugli di bacche rosse; non aveva mai visto quelle grotte prima ad ora e giurò di non averne mai sentito parlare. La figura rise arcigna, addentrandosi.

«C’è sempre qualcuno che ha voglia di caccia alla strega.»

Morena sbuffò. «Stai cercando di intimorirmi?»

«Perché, c’è qualcosa che ti intimorisce?»

Sembrava una minaccia e anche una costatazione mentre il suo tono di voce s’era fatto più aspro e allo stesso tempo accalorato; fu strano, ma le parve di parlare come si fa di consuetudine con una persona familiare.

«Mi infastidiscono tutti i tuoi misteri. E no, non credo di avere paura di te.»

«Io ho ascoltato. Tu hai emesso una sentenza, lei ti offre una soluzione. Non siamo qui per giocare o spaventare nessuno. E di questo non faccio alcun mistero.» Si fermò, dopo aver percorso uno stretto cunicolo che terminava su una scalinata dissestata formata da rocce. «Da qui ci muoveremo cautamente, lei ci aspetta in basso. Non parlare, non dire nulla se non interpellata. Fa parlare me e tutto si sistemerà alla svelta.»

Annuì, aggrappandosi alle pareti.

Le girava la testa, più in basso si portavano più mancava aria; si strinse forte nel cappotto respirando contro il suo stesso petto, anche se costava fatica, poi la donna si fermò e le fece cenno di non fiatare.

Erano finite in una sottogrotta più ampia di quella d’entrata e arredata come fosse un rifugio primitivo.

C’erano utensili appese alle pareti, un grande fuoco crepitante in un angolo, sul quale si ergeva un calderone fumante che spargeva nell’aria un tepore piacevole e un refolo di stufato altrettanto piacevole. Il particolare che non sfuggì al suo sguardo furono le innumerevoli mensole incastonate nella roccia e gli altrettanti barattoli di spezie e fluidi strani adagiati su e sui quali capeggiavano scritte incomprensibili.

Non la vide subito, ma lei era lì, al centro esatto della stanza, seduta ad un tavolaccio di legno marcio e scuro.

Aveva i capelli neri striati di bianco, lunghi fino al pavimento e tenuti insieme da una treccia arruffata.

Guardava dritto davanti a se, uno sguardo inanimato, spento, freddo.

Si chiese se fosse cieca.

Non disse nulla dapprima, non fiatò, non si mosse.

Annusò l’aria, borbottò e infine imprecò.

«Chi mi hai portato?»

«Una donna e ha bisogno di te, madre

«Vieni avanti.» Tuonò con voce roca. Era meno spettrale della figura alle sue spalle, convenne, movendo pochi passi; da vicino sembrava ancora più vecchia di quello che aveva immaginato. «Sei giovane. Quanti anni hai?»

La figura annuì col capo.

«Diciassette, signora.»

Si rifiutava di chiamare quella figura avvizzita mamma e comunque la figura non contrastò, anzi l’aiutò a spiegare. «Chiede che tu l’aiuti, madre. Ha un invasore nella pancia.»

Le sembrò che la vecchia increspò le labbra dal dolore della notizia.

«Come ti chiami?»

Morena negò con il capo, la figura sorrise, passando una mano da destra a sinistra e più volte dinnanzi al volto della donna. Quella non emise fiato; era cieca dunque, non sarebbe stata in grado di rivelare mai chi fosse e comunque la sua parola non sarebbe valsa a niente confinata nel buco della terra.

«Mi chiamo Morena, signora. So che potete aiutarmi, ve ne prego illustratemi il modo se ve ne compiace.»

«Quanta fretta.. e che temperamento! Sento il tuo fuoco fino a qui. Prego, vieni più avanti, ancora un po’.»

Deglutì, avvicinandosi di molto alla figura inerme; teneva le mani incrociate e nel mezzo un rosario di perle nere gli imprimeva la pelle, per quanta pressione esercitata. Il volto era contornato da un velo di pizzo nero, le labbra si sfioravano veloci come se recitasse una muta e perpetua preghiera; la vide allungare con un guizzo le mani sulle sue e solo allora emise un gridolino spaventata.

«Non avere paura, adesso. Raccontami di te.»

La figura alle sue spalle parlò impaziente prima che Morena potesse pronunciarsi.

«Madre la ragazza qui chiede solo che tu l’aiuti. E al più presto.»

«Lasciaci sole, tu. Hai l’animo tormentato, lo sento e mi distrae.»

«Ma madre..»

La donna girò il capo esattamente alle sue spalle, nel punto in cui la figura tremava e si agitava; Morena strinse gli occhi a fessura, cercò di captare il disagio e quella voce così familiare.. il suo tormento..

«Come desideri, chiamami quando sei pronta.»

Passò a capo chino urtando la spalla di Morena; dal cappuccio intravide un ciuffo di capelli castani e al posto del ghigno, una linea dura di disprezzo sulle labbra.

«Raccontami di te, ora.»

La signora parlò ancora, stavolta più despota.

«Cosa desidera sapere?»

«Tutto.» Prese il respiro, si girò il rosario fra le dita. «Devi comprendere che una volta entrata qui, non puoi più tornare indietro. Le mie soluzioni sono irreversibili.»

«Capisco ma è ciò che mi serve.»

«Il tuo fuoco dice altro.»

«Non posso avere questo figlio. Le basta come verità?»

«Il potere scinde dal volere, ragazza.» Posò il rosario sul tavolo, volgendo lo sguardo fermo nel suo; le sue pupille vibrarono e s’erano fatte grandi e nere. Istintivamente, si portò un passo indietro. «Forse un giorno ti sveglierai volendolo e sarà il potere ad esserti contro. Sei pronta a tutto questo?»

Strinse forte i pugni, sibilando.

«Io non voglio questo figlio. E neanche quelli a venire. Può aiutarmi, oppure no?»

La donna mosse le labbra fino a quasi un sorriso, spostò la treccia ai suoi piedi gettandosela alle spalle e si alzò; camminò sicura fino a delle mensole dalla quale prese pizzichi di erbe e una ciotola in cui riversarle; con energia pestò l’intruglio, che bagnò successivamente con del liquido bollente e rossastro tolto dal fuoco, cantilenando una nenia struggente dalle parole incomprensibili.

«Se la tua determinazione è forte manda giù tutto d’un fiato, finché ne avrai.» Quando ebbe finito si voltò camminando per la sua direzione; erano l’una di fronte all’altra, riusciva a sentire l’olezzo del suo respiro nefasto. I suo occhi erano divenuti spettrali, grandi e di un blu profondo, quasi velluto, sembrava la vedesse, sembravano occhi vivi, maligni, accusatori. Si portò ancora un passo indietro, ma sbatté contro la figura riemersa dalle tenebre e ora dietro di lei, finendo fra le sue braccia; quella la cinse forte, immobilizzandola.

«L’infuso di Dea è un liquido antico come la notte dei tempi, le erbe che lo compongono sono capaci di togliere la vita in poco meno di un respiro. Soffrirai, avvertirai come dei crampi, ma domani mattina ti sveglierai come se nulla sia successo. Bada bene, tu ora non vuoi figli e a tuo dire non vuoi averne mai, questo fluido è talmente potente che può accontentarti veramente. Potrai non essere fertile per i prossimi anni, addirittura mai più.» Le passò la boccetta dove aveva filtrato e passato il tutto e sospirò; il druido sembrava acqua densa, lo afferrò con mano tremante. La signora sembrò vederla, sospirò ancora e prima che lei potesse stapparlo, l’ammonì un ultima volta. «Pensaci bene. Pensaci bene, Morena.»

«Non hai nulla a cui pensare, Morena. Bevi.. bevi e tutto passerà. Sarà come se nulla sia accaduto..»

La figura alle sue spalle sovrastò la voce della signora, suadente e ipnotica. «Bevi..»

«Tutto d’un fiato..» Ripassò lei mentalmente.

«Tutto d’un fiato..» Rispose quella, cantilenando. «L’elleboro nero ti aiuterà a disfarti di quel hijo bastardo che ti porti dentro. Bevi..»

 

Hijo bastardo.

 

«E’ questo quello che vuoi? Che tu venga  marchiata a vita come una puttana e che tuo figlio venga chiamato hijo bastardo?»

 

Le parole di sua zia Milagros la svegliarono.

 

«Hijo bastardo. Tu non puoi saperlo..»

Nessuno poteva sapere; era a casa sua quando vennero pronunciate tali parole, ed erano poche le persone presenti che avrrebbero potuto affermare questo. A meno che..

La figura cambiò tono di voce e passò al nervoso, spazientito. «So tutto, mio malgrado. Certe voci non le puoi sopprimere, anche se ti addolorano. Ma possiamo dimenticare, basta che tu beva..»

A meno che.. il marcio non fosse infilato in casa sua.

Fra le sue pareti.

Nei suoi letti.

Nel suo cibo.

 

«No!» Si divincolò con quanta più forza avesse in corpo.

Era una combutta. Una macchinazione dedita solo a liberarsi di lei, del suo bambino, del pericolo che esso rappresentava. La sua vita le sembrava una grossa farsa ogni ora che passava e si sentiva quanto di più vicino a uno di quei fantocci con i fili manovrati da un perfetto attore.

Chi poteva essere così spietato, così ostile e incurante della creatura che portava in grembo?

Quello stesso qualcuno che l’aveva gettata al fiume sperando che una corrente se la portasse via, forse.

D’un tratto capì e il suo corpo espresse bene il rifiuto del sapere, oscillando.

Respirò affannosamente percorsa dagli spasmi, ma si ordinò di calmarsi; stappò la boccetta con fermezza e fece per portarsela alle labbra, la signora indietreggiò verso il fondo della grotta che sembrava volare, lo sguardo nuovamente spento.

La figura alle sue spalle rise con soddisfazione, fino a quando dalla sua bocca non uscì un grido lancinante; Morena con uno sguardo mesto e furente si era voltata, e con un gesto secco e rapido, le aveva gettato riluttante tutto il fluido in viso. Quella si accasciò sulle sue stesse gambe, tirando la veste fino agli occhi per pulirsi, gridando ancora e ancora per il bruciore, sempre più forte, fino a quando anche la signora con la treccia non urlò dal dolore che i suoi occhi pallidi e morti le facevano vedere. Era un coro di terrore e desolazione.

 

«Non avrai mai la vita di mio figlio!»

 

L’oltrepassò sputandole addosso, e nell’attimo in cui si allontanò prendendo a correre si sentì per la prima volta veramente una madre e pianse, pianse dalla disperazione, senza fermarsi e in corsa per sfuggire via dall’inferno.

 

 

«Aprite! Aprite, ve ne prego!»

 

La pensione di donna Flora era quasi fuori al bosco, su di ansa larga del fiume e godeva di uno spettacolo da mozzare il fiato, con i suoi fiori variopinti e la vegetazione tutto intorno; non era stato difficile trovarla, era l’unica in paese e la proprietaria ne traeva una vera fortuna.

Milagros non poteva che essere lì.

Non si sarebbe mai abbassata a dei pagliericci e qualche coperta sdrucita.

 

«Arrivo, arrivo!» Flora aprì la porta con il fucile imbracciato, quando la vide impallidì. «Oh santo cielo, Morena! Che è successo? Ti sembra questa l’ora di venire a bussare?»

«Devo vedere mia zia, immediatamente.»

«Calmati.. ci sono altri clienti, non vorrai svegliarli con le tue grida! Vado a vedere se è svegl..» Ma Morena si era fatta spazio sgattaiolandole alle spalle, verso la scala che conduceva ai piani superiori; dalle varie porte in fila per i corridoio provenivano i più sinistri e ambigui rumori; scosse il capo, prendendo a bussare a tutte le porte.

Aprì la gente più disparata; viaggiatori assonnati, suore e puttane.

Poi aprì Milagros e trovandosela davanti imprecò.

 

«Buon Dio, sei tu! E sei qui finalmente!» La prese a se, portandola dentro. «Che ti è passato per la testa, scappare così. Ho dovuto sedare tuo padre con un rilassante per cavalli. Ma guardati, hai una faccia sconvolta! Che ti è successo?»

I suoi occhi si bagnarono di lacrime; non c’era altra soluzione, ci aveva pensato bene stavolta.

Non poteva più scappare come quando era una bambina e i suoi genitori andavano a cercarla sotto al letto.

Non lo era più da un pezzo. Era una donna e doveva assumersi le sue responsabilità.

«Non posso tornare a casa, zia. Non posso è.. è pericoloso per me, per la mia vita e per quella del mio bambino.» Prese fiato, asciugandosi gli occhi pronti a nuove lacrime. «Resterò qui con te fino a quando non sistemeremo le cose e tutto andrà per il meglio.»

«Sistemare le cose? Morena che è successo?»

«Lo sposerò. Sposerò Alfredo Herrero Roquez.»

Milagros s’accasciò sul letto e la fissò seria. «E il bambino?»

«Il bambino non si tocca.»

La donna annuì con un sorriso dolce, Morena s’accigliò. «Cos’è quel sorriso? Ti prendi gioco di me?»

«Tempo fa presi una strada diversa. Non c’è giorno che non mi penta della mia scelta.» Rispose in punta di lacrime ma scacciò via il pensiero agitando la mano vicino alla sua testa e proseguì. «Dovrai fargli credere che sia suo. E’ un uomo mite è vero, ma non puoi rischiare che mandi tutto a monte

«Quando saremo sposati, e solo allora, adempierò a tutti i miei doveri coniugali.»

«E’ doveroso che tu lo faccia. La stupida messa in scena del lenzuolo è una tradizione.»

«Ma studieremo una soluzione anche per questo, vero?»

Gli occhi di Milagros s’accesero di malizia. «Vero.»

Poi si guardarono in profondo silenzio; sua zia l’aiutò a svestirsi, procurarle dei vestiti puliti per la notte e organizzò tutta la giornata successiva assicurandole che sarebbe andato tutto per il meglio.

Le credeva, ma aveva giurato sulla sua stessa vita che una volta divenuta la signora Soler, Herrero-Roquez ,nessuno avrebbe potuto più decidere del suo destino.

Avrebbe manovrato lei stessa quei fili, anche a discapito della vita degli altri.

 

«Chi era il padre di quel bambino?» Le chiese, prima di spengere la lampada ad olio.

«Non ha importanza, chiudi gli occhi adesso. E’ stata una lunga giornata.»

 

La guardò ancora una volta; i suoi capelli scuri e mossi, gli occhi verdi come pietre preziose.

Era ancora giovane e bella anche se la sua vera età era un mistero per tutti.

Cercò di leggere ancora in quelle rughe lungo il suo viso, nel silenzio della sua anima forte, ma il sonno ebbe la meglio e le chiuse inesorabilmente gli occhi.

Sognò la signora della grotta.

Javier.

E il suo bambino.

Un bellissimo bambino dalla pelle scura e gli occhi verdi come pietre preziose.

 

 

NDA:

Ho disperatamente bisogno di sapere se questa storia fa proprio schifo o vale la pena andare avanti.

Aiutatemi voi, cari amici e amiche di efp!

Un abbraccio forte a chi volesse aiutarmi con un suo parere, a chi mette la storia fra le seguite/preferite/ricordare.

Grazie,

Lunadreamy.

  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

Era ancora troppo giovane

per sapere che la memoria del cuore

elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli

e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato.
Gabriel Garcia Marquez

 

 

 

«La mia carrozza, per cortesia.»

 

Milagros era al bancone, fasciata in sontuose vesti; ticchettava nervosa le unghie sul legno guardando donna Flora con impazienza e sgarbo. La donna le aveva promesso un carro coperto, ma il cocchiere tardava ad arrivare.

 

«Buon Dios!» E mentre donna Flora si agitava per rivolgerle le ennesime scuse, si rese conto che non ce l’aveva affatto con lei, ma con la graziosa figura che ridiscendeva le scale; Morena era perfetta, in un vestito ampio color amarena e il cappotto di panno dal taglio avvitato color crema.

Sorrise con soddisfazione, da quando la ragazza si era fatta così alta e aveva messo su le forme giuste aveva più volte accarezzato l’idea di rinnovarle il guardaroba con gli abiti della sua giovinezza, ancora perfettamente conservati e che lei non metteva più. Suo marito Eduardo, banchiere di città, non le faceva mancare nulla quando si trattava di stoffe pregiate e vestiti; era un uomo molto generoso, più grande di lei di una manciata d’anni e spesso via per lavoro, quindi il perfetto marito, o almeno perfetto per le sue estrosità e ambizioni.

Non sarebbe mai stata una di quelle ricche mogli che lavorano la maglia e si tengono in serbo per il maritino, assolutamente no, aveva imparato in fretta cosa significava essere donna ed essere assoggettata dagli uomini, così e con ogni mezzo aveva accalappiato Eduardo convenendo che sarebbero stati perfetti insieme, due metà contrastanti ma allo stesso tempo che si compensano. Non aveva sbagliato con lui e spesso le capitava di vederci giusto, come adesso, mentre guardava quella giovane donna -oggi con un fuoco nuovo nello sguardo, lo stesso che aveva lei alla sua età- vedeva chiaro il futuro roseo che le spettava; moglie di uno dei capisaldi di Fuentesauco, con ricchezze e beni sconsiderati a disposizione, e per giunta così affine al suo animo in qualche modo.. selvaggio, aspro come la terra che entrambi amavano e conoscevano. Don Alfredo tuttavia era un uomo raffinato e con il tempo e il denaro, avrebbe raffinato anche la sua giovane sposa, ne era convinta e si era convinta che formavano già una coppia invidiabile.

 

«Perdonate, signora. I vostri cavalli sono arrivati!»

Donna Flora interruppe il flusso dei suoi pensieri annunciando l’arrivo della carrozza, Milagros sbuffò senza neanche guardarla in faccia, raggiungendo sua nipote per offrirle il braccio.

«Cosa ti adira tanto, zia?» Le chiese sarcastica Morena, facendosi scortare fuori.

«Sappi che hai il diritto di chiedergli di portarti via da qui quando vorrai!» L’ammonì quella, prima di entrare nella pomposa carrozza tutta raso e seta. «Sono passati quindici anni da quando io e tua madre giocavamo a sognare di essere passeggere di una di queste..» batté energicamente la mano sul cuscino «..eppure non è cambiato niente. Questo paese è annichilito dalla sua stessa storia. Dubito che ci sarà mai progresso a Fuentesauco! E don Alfredo è un abile commerciante, non capisco come tolleri tutto questo.»

Morena la fissò intensamente. «Parli proprio come una ricca e arrogante donna di città, lo sai?»

«Lo sono! E non intendo pentirmene.»

«Eppure sembri così infelice.»

Milagros arrossì. «Che dici sciocchina!» Poi volse lo sguardo verso il finestrino, alla ricerca di pensieri e parole che sfuggivano via. «Odio aspettare. Mi annoia.»

«Non dovresti annoiarti così facilmente, tu ci sei salita su una di queste, zia.» Morena accarezzò il raso bianco della seduta con una punta di amarezza, pensando a sua madre, morta troppo giovane e in una vita che non rispecchiava i suoi sogni, a quanto pare.

Milagros non rispose subito, sospirò pesantemente e tamburellò la mano sulla gamba. «Ci è salita una volta.»

E non disse più nulla, il viso si trasformò in una maschera di cera e Morena non ebbe il coraggio di chiedere oltre.

 

«Si fermi pure qui, per cortesia.»

Il cocchiere tirò le redini fino a che i cavalli non rallentarono e si fermarono; la collina di Legno di Quercia era avvolta in una foschia che la faceva sembrare un miraggio. «Metta pure la corsa sul mio conto.»

«Oh no signora Blanco, mi permetta di sdebitarmi per il mio ritardo.»

«Se ci tiene tanto.. faccia pure.»

«Insisto. Tutto a mio carico.»

«Bene! Bando alle ciance adesso, ci aiuti a ridiscendere.»

«No, aspetta!» Morena la fermò per un braccio. «Prima voglio sapere.»

«Oh cielo! E cosa vuoi sapere?»

Guardò con titubanza a l’uomo fra loro e Milagros capì, liquidandolo alla svelta. «Sai già quello che devi dire. Che accetti la sua proposta e sei felice di diventare sua moglie, che lo ritieni un onore e bla bla bla.. gli uomini non sono attenti ascoltatori, perderà in fretta il filo del discorso e andrà avanti senza che ti sbrodoli troppo.»

«Io voglio sapere di Javier, zia.» Sottolineò lo zia con forza e quella si abbandonò avvilita allo schienale. «Non posso farlo se non so.. cosa gli è successo.. perché non mi ha più cercata. Capisci?»

La donna inspirò e annuì. «So per certo che la sua famiglia lo ha promesso alla primogenita del più ricco e influente costruttore di Madrid. Si sposerà Morena, proprio come farai tu.»

Fu come ricevere una stilettata al cuore; nulla che non avesse previsto, nei suoi incubi più vividi, ma sentirli avverarsi era un tipo di dolore tutt’altro che immaginario.

Era come se ingoiasse vetri, se la stessa aria fosse velenosa e le bruciasse in gola.

Non pianse però, nemmeno una lacrima. Solo un piccolo rantolio dal fondo delle viscere, un lamento, un gemito e poi il silenzio, fatto di pensieri densi e corposi; lo immaginava felice, con una donna dalle fattezze nobili come lo erano le sue, una donna intelligente, spiritosa e amorevole.

Javier non aveva paura dell’amore. Non l’aveva mai avuta.

E la donna che gli era accanto probabilmente era in grado di dargliene a sufficienza, perché si dimenticasse di lei.

Inspirò profondamente, guardando dritto davanti a se.

Dunque era questa la fine; si sarebbero sposati entrambi e sarebbero andati avanti ognuno con la propria vita, senza chiedersi perché fosse successo proprio a loro, cosa ne era stato del loro amore e altre domande che non aveva più un senso porsi, ormai.

 

*

 

La stazione era affollata quel tanto da offrigli un diversivo per non pensare all’ansia del momento.

Lorenzo era piuttosto taciturno, da quando si era proposto di accompagnarlo, e questo non giovava alla sua testa piena di pensieri tragici.

La sua paura più grande era quella di non trovarla, paura piuttosto sciocca dal momento che non immaginava Morena da nessun’altra parte, all’infuori di Fuentesauco; l’avrebbe rivista finalmente, avrebbe potuto parlarle, toccarla, guardarla negli occhi e capire finalmente il perché di quel silenzio assurdo.

Probabilmente era solo eccessivamente preoccupato, ma loro due si amavano e avrebbero risolto, ne era certo anche se l’unica certezza di quel momento erano i mesi passati da quel silenzio e che si sommavano a quattro.

E diciamo che le sue sicurezze si scardinavano di ora in ora ma.. voleva essere fiducioso.

Doveva essere fiducioso e non poteva mostrarsi debole, non adesso che era ad un passo da poterla avere di nuovo.

Avrebbero risolto, sì.

 

Le avrebbe mostrato il suo cuore e lei avrebbe capito.

 

«Questa è la chiamata per il tuo treno, amico.»

Lorenzo gli passò la valigia, rimasero a guardarsi per un po’, imbarazzati e a corto di parole fino a che Javier si addentrò nel treno, prendendo posto in una carrozza ancora desolata.

L’amico lo seguì dalla banchina. «Buona fortuna, allora.»

«Mi servirà.»

Lorenzo si girò le mani nella tasche, visibilmente a disagio. «Mi ero ripromesso di non farti mai un discorso del genere ma.. voglio bene a Leonor e sono sicuro che gliene vuoi anche tu. Mi auguro che tu possa trovare ciò che cerchi laggiù ma sappi che qui avrai sempre una famiglia, Javier. Non dimenticarlo.»

Leonor.. non l’aveva più rivista; provò un moto di tristezza ma allo stesso tempo si sentì il cuore riempito e investito da un affetto sempre presente, così familiare e benevolo. «Lei come sta?»

«Sai come sono fatte, no? Piangono un po’ e il giorno dopo sono lì insieme, tutto un sussurro e risate. Si riprenderà, non pensarci.»

Si, aveva ragione è così che sarebbe andata. Le cose sarebbero tornate a posto, per tutti.

 

Il capostazione sfilò lungo tutta la banchina, intimando ai signori passeggeri di affrettarsi nel sistemarsi e sigillare bene le porte di chiusura di ogni vagone; quando tutto fu a posto, agitò le braccia verso il macchinista dando vita al protocollo d’avviamento. Il treno si mosse impercettibilmente, Javier guardò ancora una volta a Lorenzo.

 

«Grazie di tutto. Non lo dimenticherò, amico mio.» L’altro alzò la mano in segno di saluto, sorridendo.

 

Non ci sarebbe voluto molto per andare in contro al suo destino; in meno di tre ore sarebbe arrivato a Salamanca e da lì la diligenza, che in un’ora circa lo avrebbe condotto a Fuentesauco.

Aveva molto tempo a disposizione per pensare a cosa dire o fare, ma era ancora troppo presto; si arrese al volere del fato, distendendosi per il tutto il suo peso sulla poltrona di pelle scura, invecchiata dal tempo, dalle storie dei passeggeri e dal passato.

Per lui c’era ancora un futuro tutto da scrivere.

Lo avrebbe scritto.

 

*

 

La tenuta di don Alfredo era calda e accogliente proprio come ricordava, un ricordo soave disturbato solo dal momento infelice nel quale vi aveva messo piede, ferita e dolorante.

C’era ancora donna Francisca e se guardava attentamente in giro, la vedeva ancora, ovunque, in ogni angolo.

Si sforzava di non pensare a lei, ma le risultava pressoché impossibile; non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di essere una ladra, un’approfittatrice, ma bastò pensare al suo bambino, alla madre e ai suoi infusi, alla grotta e alla sua accompagnatrice malevola, per scacciare  via quella sensazione in un sol colpo.

La vita del suo bambino era più forte di qualsiasi superstizione e ne aveva avuto largamente e sufficientemente prova.

Lui arrivò dal retro della casa, con passo cadenzato e uno sguardo sicuro.

Portò con se una nuvola di profumo fresco; aria di campagna, fieno, fiori di campo.

Morena inchinò il capo in segno di rispetto, poi guardò Milagros. «Lasciaci soli adesso.»

La donna fu sul punto di obbiettare ma la fermezza che lesse negli occhi di Morena fu sufficiente ad azzittirla.

Chinò anch’ella il capo. «Vi aspetto fuori.» E volteggiò verso l’uscita.

 

«Non credevo di rivedervi tanto presto.» La sua voce calda sapeva di speranza.

 

«Don Alfredo..»

 

Con lentezza, sentiva il nodo delle sue parole risalirle in gola.

Non sapeva definirsi se più terrorizzata o elettrizzata; si sentiva viva, piena di qualcosa che la devastava ma che la faceva sentire incredibilmente forte, pronta, carica. «Potrei perdermi in infiniti giri di parole per dimostrarle tutta la mia infinita gratitudine per avermi chiesta in moglie..» sorrise, sciogliendo la tensione «..in maniera così spontanea..» stavolta fu il turno di Alfredo di ridere e Morena continuò senza proteste «ma non è nel mio carattere, compiacere le persone con certi mezzi. Tuttavia, sono qui e questo può avere un solo significato, ai vostri occhi.»

Alfredo smise di sorridere, tornando serio e composto. «Sono davvero un uomo fortunato.»

«Non si prenda gioco di me, la prego.» Inspirò, avvicinandosi di pochi passi, per guardarlo a fondo negli occhi; non li aveva mai notati prima d’ora, erano cangianti, di un castano che annegava in un verde chiarissimo, indefinito. «Non ha bisogno che le racconti la mia storia, il mio nome basta a presentarmi da sola. Quello che non sa, ma sento doveroso dirle, è che ero completamente all’oscuro dei piani di Milagros Bianco.»

«Questo è ovvio.» Disse, tornando a sorridere.

«Mi trova così ingenua?» Rispose lei piccata, vagamente infastidita da quelle risa.

«Non è lei ad essere ingenua, è sua zia che è così maledettamente petulante.»

«Sì, sembra proprio essere una caratteristica dei Blanco, questa.»

«Uhm..Petulante. Giovane. Irrequieta. Diretta, molto diretta. Vediamo che altro..» Si toccò il lieve accenno di barba sul mento e invitandola a seguirlo la scortò fin dietro la tenuta, dove si godeva di una bella vista sulle montagne circostanti e l’aria era sferzante, «..tutto sembrerebbe a mio sfavore.» La guardò arrossire e farsi piccola in un vestito troppo grande. «Ho perso mia moglie due giorni fa e solo ieri le ho dato il mio ultimo addio. No Morena, neanche io ho bisogno di stupide gratitudini e parole vuote, ma so come va il mondo. La vita continua e fra tutte le vicissitudini i miei affari contano più di qualsiasi sofferenza; non ho figli, Francisca se ne è andata ed io che speravo di andarmene prima di lei, devo fare i conti con questa realtà.» Le cinse le spalle con le sue mani grandi, passando ad un tono di voce più tenero e confidenziale. «Tu sei giovane e forte, puoi essere il proseguo di tutto quello che vedi intorno a te. Non ti chiederò di amarmi come se non avessi mai amato nessun’altro. So che sarebbe una bugia e questo mi basta, per ora. Ti chiedo solo d’accettare, perché se ti guardo vedo la sola cosa che ti fa apparire come la scelta giusta: la tua forza, giovane Morena.»  

Le sembrava la dichiarazione d’amore più bella che avesse mai sentito.

Se non fosse stato per il matrimonio combinato e l’assoluta sincerità che don Alfredo le aveva riservato.

Bene, poteva asserire che era andata bene.

Non era innamorato di lei e non l’avrebbe costretta ad amarlo.

Voleva qualcuno che perpetrasse il buon nome dei Roquez, e quel qualcuno voleva fosse lei.

Non se lo dissero apertamente, ma quel giorno sancirono ben più che una promessa di matrimonio; Morena sarebbe stata il faro nel futuro per Legno di Quercia e Alfredo a sua volta, sarebbe stato il porto protettore per la creatura che portava in grembo, paradossalmente proprio colui che avrebbe fatto sì che i Roquez continuassero ad esistere e risplendere.

«Dovrà aiutarmi, la sola forza non può bastare.»

I polsi le tremavano, sentiva il peso ma anche la soddisfazione per quelle responsabilità, voleva fare bene e si dichiarò stupita all’idea di avere anche una certa fretta nel farlo; questo l’avrebbe aiutata a dimenticare chi oggi sembrava impossibile da dimenticare.

«Certo, ma cominciamo col darci del tu, ti prego.» Sorrise di un sorriso sincero sembrando di colpo più giovane. «Ti istruirò su tutto quello che c’è da sapere, non c’è alcun dubbio su questo. Ah.. dovremmo rivedere un po’ le tue maniere.. non voglio essere scortese a dir questo, ma non tutti vogliono sentirsi dire la verità nuda e cruda, specie gli uomini d’affari con la quale tratteggio! Per il resto, sono sicuro che te la caverai.»

«Ti ringrazio, Alfredo. Ai tuoi uomini no, ma a me piace un po’ di sana verità, questo ti chiedo io, che tu sia mio amico prima che mio.. amante.»

L’uomo socchiuse gli occhi. «Odio quella parola.» E la guardò dolce, lasciandole le spalle ancora cinte fra le sue mani. «Sarai una moglie, soltanto questo.»

Morena inspirò soddisfatta. «Bene!» Ed allungò la mano verso la sua.

«Bene!» Replicò lui, stringendola a sua volta.

 

Sancirono il patto del loro matrimonio con una stretta di mano e poi scoppiarono a ridere.

 

«Alleluja  Milagros era fuori di sé, quando li vide arrivare. «Stavo congelando qui fuori!»  Poi li guardò attentamente, sorridevano e i loro visi trasmettevano serenità. Sorrise ambigua. «Mi sembra di capire che sta per nascere una nuova famiglia, sbaglio?»

 «No, non sbagli.» Don Alfredo si voltò verso Morena prendendole la mano e depositandovi leggero le labbra. «Pregate vostro padre di attendermi nel pomeriggio, per il suo consenso e benedizione.»

La ragazza si mosse incerta. «Mio padre ha acconsentito alla prima volta che s’è fatto il tuo nome, caro Alfredo, non credo avrà di che ridire.» Poi si piegò in cenno di riverenza e quando furono vicini quel tanto da poter tenere le parole ad un bisbiglio, proseguì. «Vorrei evitarti questo inutile e imbarazzante passaggio.»

«Non avere paura, mi è successo di peggio.»

Morena rise tirandosi su; Milagros che attendeva impaziente dalla carrozza, fece cenno loro di sbrigarsi.

I due si presero per mano e la raggiunsero.

 

*

 

La diligenza incontrò un ostacolo fra Gomecello e Pedrosillo, due delle infinite tappe che aveva davanti a se; un gregge poco mansueto aveva occupato l’intera strada per tutta la sua larghezza e il povero pastore non riusciva a farsi ascoltare dalle bestiole.

In preda ad un raptus ansioso Javier era schizzato fuori dal carro, aveva imbracciato il suo soprabito e il borsone, e si era messo a camminare lungo la statale di terra e fango; era una strada parecchio frequentata, nonostante i paesi che l’attraversavano fossero parecchio emarginati rispetto ai grandi comuni a ridosso di Madrid, ma era anche l’unica via di fuga accettabile e percorribile per quegli abitanti, che la sfruttavano in lungo e in largo per favorire commerci, vendite, spostamenti più o meno importanti.

Avrebbe rimediato un passaggio, pensava, ma dopo una decina di chilometri aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti, nonostante le temperature dicembrine; impossibile si diceva, la strada più frequentata di tutto il comune di Zamora, quel giorno sembrava assomigliare più al deserto dei tartari che alla via per l’eden.

Si armò di pazienza –e dovette raschiare fino in fondo all’anima per trovarne ancora- e vista lunga, cercando di adocchiare una qualche sperduta pensione in cui passare la notte, dato che era quasi pomeriggio e la situazione non prometteva nulla di buono.

Fino a quando dalla radura, non spuntò un giovane dai capelli rossi con un trattore, diretto alla prossima Villaescusa.

Gli sembrò un miracolo.

Il ragazzo accettò di scortarlo fino a lì e fu una vera fortuna, avrebbe potuto riposarsi e riprendere il cammino, dal momento che il paese era l’ultimo della provincia e molto vicino a Fuentesauco.

Il viaggio fu interessante, non tanto per la compagnia dal momento che il ragazzo dai capelli rossi era l’autentica figura del vero contadino spagnolo –mani grosse e poche parole- piuttosto perché, forse in preda alla stanchezza e al freddo che mano a mano stava salendo, Javier fu un fiume di parole e tutto quel gran parlare lo sbloccarono dalle sue paure.

Come se non fossero mai esistite.

Parlò di Morena, di come erano stati amici e di come se ne era innamorato.

Raccontò di sua madre e il padre di lei che gli aveva sì spaccato il labbro, ma che nessun dolore sarebbe stato pari se lei adesso lo avesse rifiutato.

Parlò di Madrid. L’incantevole Madrid.

Del suo futuro e che stavolta non sarebbe tornato senza di lei.

Aveva pensato a una soluzione per tutto; le avrebbe trovato un appartamento presso la quale vivere e parlando già con il banchista dei fiori del mercato principale si era messo d’accordo che poteva farla lavorare lì per i primi tempi, guadagnando qualche pesetas, che le avrebbero permesso di pagare una pigione.

E comunque lui ci sarebbe stato ad aiutarla sempre, come quando erano ragazzini; non poteva dirgli di no.

Era quello il loro futuro.

 

«E’ questo il nostro futuro.»

 

Il rosso lo guardò con una vena malinconica nello sguardo, annuendo e sorridendo allo stesso tempo, poi indicò il cartello alle porte di Villaescusa e prima che Javier saltasse giù dal trattore, lo bloccò per un braccio.

Aveva gli occhi lucidi.

 

«Buena vida y mucha suerte, Javier.»

«Tambien para ti

 

E saltò giù, senza voltarsi mai indietro, fino a quando la radura lo risucchiò nella sua coltre verde.

 

 

Vecchia Quercia era desolata.

Provò un misto di frustrazione, rabbia e anche paura.

Dove erano finiti tutti?

Montò in sella alla sua bicicletta ferma dietro al capanno delle provviste e pedalò alla volta del fiume.

Sapeva di non trovarla lì, anche se fra tutti, era il solo posto dove voleva vederla.

Non si separava mai dalla sua bicicletta, constatò pensando al peggio, neanche in inverno.

Con il fiato corto e il cuore in gola fiancheggiò gran parte della riva destra, attraversando amareggiato l’altro versante non trovandola; le era successo qualcosa, forse?

Si gettò sulla strada principale, quella che portava in paese, ma presto fu costretto a fermarsi dato il capannello di persone che si trovò davanti, quasi una barriera umana protesa sullo spettacolo che lui, alle loro spalle, non riusciva a intravedere; riconobbe le ghirlande di fiori che le vecchie donne intrecciavano per gli sposi e sbuffò.

Un matrimonio, dunque, s’allontanò dalla mischia sfilandola per il lato meno confuso, quando un nome venne chiamato a gran voce. Quel nome.

Allora non vi fu più tempo da perdere, sgomitò per uscire dal raggio ristretto della calca e s’arrampicò sulle scale di servizio di una casa alle sue spalle; per poco non perse l’equilibrio, ruzzolando rovinosamente a terra.

Lei era al centro della folla.

Lei era lì.

 

 

«Correte gente!»

«Don Alfredo Herrero Roquez e la sua sposa, Morena Blanco Soler!»

 

La gente scalpitava per constatare quanta verità ci fosse nella notizia che aveva sconvolto un immobile e freddo pomeriggio a Fuentesauco; di colpo tutto era fuoco, la terra ribolliva, parole, fiumi di parole e fermento.

Loro erano lì, presto accerchiati dalla folla, quando Milagros Blanco a gran voce aveva dato l’annuncio, in perfetto stile contadino mettendosi ad urlare nella piazza principale finché tutti udissero la buona novella, per recarsi poi insieme al padre della futura sposa al cospetto dell’uomo disegnato da Dio come pastore, Don Pedro, per firmare il vincolo che legava le due persone per la vita.

Questo era la forma più pratica del matrimonio; il festeggiamento, gli sfarzi, erano considerati quasi una cosa volgare, lontana da cristo e dalla povertà della Chiesa, spesso del tutto lasciati all’oblio dato anche lo scarso numero di abitanti che potevano permettersi un vero festeggiamento.

Anche in questo Fuentesauco era spietatamente spaccata in due, ma conservava quel poco di umanità da non creare ulteriori occasioni in cui la divisione fra ricchi e poveri fosse così netta.

Ovviamente il discorso non valeva per Alfredo Herrero Roquez.

Lui poteva permettersi matrimoni fino alla fine dei tempi, se il fato avesse voluto e fosse stato tanto ingiusto con le sue spose, ma a questo ci pensavano le donnine delle locande a luci rosse, che infilarono nelle tasche del soprabito di Morena amuleti e boccette di acquasanta, bestemmiando preghiere.

Lei era tutta sorrisi invece, di circostanza e ben studiati certo, bella come non si era mai fatta vedere prima e affettuosa nei riguardi dell’uomo che era Alfredo, che la protesse con il proprio corpo finché nessuno potesse toccarla veramente. E questa fu la messa in scena per il popolo; qualche giorno dopo, nell’intimità della loro casa e al cospetto di Dio e solo lui, Morena e Alfredo vestiti come dovevano essere vestiti due sposi, avrebbero recitato le loro promesse e si sarebbero uniti in giusto matrimonio.

 

 

Sentì le gambe tremare e la fronte imperlarsi di sudore.

Barcollando si portò lontano dallo spettacolo sgattaiolando dietro le botteghe, fino a quando non raggiunse una locanda di indubbio gusto, dove il vino tinto era annacquato e costava meno della metà.

Prese posto ad una panca defilata, coprendosi il capo con il cappuccio del soprabito.

Ordinò una caraffa e ancora una.

Le prostitute gli gironzolavano intorno ma lui le scacciava via senza emettere fiato.

Il tempo passò inesorabile, fra lo stordimento dell’alcool e il tepore fetido dell’aria intorno, finché risultò essere abbastanza buio e abbastanza ubriaco da andarsene.

Camminò a lungo e senza meta, poi chiuse gli occhi e tutto il dolore sparì.

 

*

 

Aprì gli occhi ed era buio sopra la sua testa.

L’erba umida gli aveva infradiciato i vestiti, le ossa, l’anima.

Si alzò o almeno provò, perché tutto intorno il mondo sembrava girare.

Non aveva idea di dove si trovasse e non aveva idea di ciò che era accaduto dopo che..

.. finché ricordò.

Il suo sorriso.

I suoi capelli mossi.

Quel vestito troppo sontuoso per piacerle davvero, ma che le cadeva così bene.

E infine lui.

Insieme.

Nel giorno del loro matrimonio.

 

Non si rese nemmeno conto di star piangendo, sentiva qualcosa bagnargli le guance ma non se ne preoccupava.

In realtà non gli importava gran che di nulla.

Si chiedeva perché si fosse svegliato e se era il caso tornare giù e farsi uccidere dal freddo.

L’idea lo solleticava, ma poi udì un rumore nella boscaglia retrostante e l’istinto di alzarsi e scappare fu più forte.

Un dolore lancinante gli bucò le tempie, guardò attorno alle bottiglie vuote di vino sparse nell’erba.

Si era preso una bella sbronza.

Era stanco e si arrese.

Tornò giù e desiderò non svegliarsi mai più.

 

«Ragazzo!»

 

Si sentì scuotere il braccio, aprì gli occhi.

Era giorno. Ed era ancora vivo.

 

«Sono sveglio.. sono sveglio!»

 

C’era una ragazza piegata su di lui, con i capelli color del grano e due occhi interrogativi.

Ricambiò lo sguardo lamentandosi e quella scosse il capo.

«Se resti qui va a finire che qualcuno chiamerà gli interradores, che ti è successo?»

«Sono morto.»

Quella lo guardò male. «A me non sembra. E comunque, affari tuoi. Adios..»

«Aspetta!» Con un balzo maldestro si tirò su, dandosi una veloce rassettata generale. «Dove siamo?»

«Poco fuori Fuentesauco, sulla via per Villaescusa. Non sei di queste parti? Mi sembra di conoscerti.»

Scansò la domanda, ponendone una nuova. «Quando passa la prossima diligenza?»

«Se vai avanti con quella..» e indicò la bicicletta nera di Morena «..non riuscirai a prendere nemmeno quella di mezzogiorno.» Poi quasi combattuta sul restare zitta o parlare, aggiunse in un sol fiato «ti posso accompagnare io a Villaescusa. Con il mio carro.»

«Subito?!»

«E’ una domanda?»

«No, volevo dire.. subito!» E rise poco convinto.

«Sei strano..» aggiunse la ragazza, mettendo fine a qualsiasi forma di parola fra di loro.

 

Non aveva voglia di parlare.

Non aveva voglia di stare zitto.

Ogni tanto provava a intavolare qualche discorso, ma subito cambiava idea; gli tornavano in mente i flash della notte passata, fino a quando non ebbe il quadro completo della situazione e vomitò fuori dal carro.

Si sentiva scottare il viso e probabilmente era febbre da freddo e umido.

 

«Tieni, prendi questa.»

 

La ragazza lo aveva aiutato a togliersi il cappotto zuppo e gli aveva posato una vecchia coperta prelevata dal carro sulle spalle, lui la ringraziò sottovoce e tornarono nel mutismo.

«Dovresti mangiare e riposare.» Disse lei ad un certo punto, come se stessero conversando da una vita.

«Non sarei mai dovuto tornare.»

«Questo lo vedo.» Aggiunse lei quasi dispiaciuta.

«Non dovrei essere qui.» Insistette Javier.

Non riusciva a capire se stesse parlando con lei, con se stesso o se farneticasse per via della febbre, ma decise che era giusto parlargli, così non si sarebbe addormentato rischiando di schiattare proprio sul suo carro.

«Non manca molto, cerca di resistere.»

«Tu le somigli.»

«Io? A chi somiglio, scusa?»

«A Leonor. Avrei dovuto sposarla. Lei lo sapeva.»

«Sì, capisco.»

«Tu credi che io sia pazzo.»

«Io credo che tu stia male, invece. Sei accaldato.»

Javier si toccò la fronte. «Non voglio restare qui.»

«Non ci resterai allora.»

E si addormentò piangendo, svegliandosi solo quando quella strana ragazza lo avvertì che era quasi mezzogiorno.

Lo aveva fatto dormire nel suo carro, in quella coperta puzzolente mentre lei sbrigava le sue commissioni, per farlo riposare e affrontare il resto del viaggio perlomeno un po’ in forze. Gli aveva comprato anche del pane con del formaggio e gli aveva categoricamente vietato di toccare vino e altri alcolici per almeno due giorni.

Annuì, come se fosse un suo superiore.

«Come ti chiami?»

«Olivia. Olivia Herrero.»

Un lamento gli risalì dalla gola. «Auguri per il matrimonio.» E abbandonò la coperta e i viveri in terra andandosene.

Quella restò a fissarlo andare via, incollerita e scioccata.

«Mio cugino dovrebbe togliervi il saluto..» e rise sarcastica, saltando nel carro.

 

Arrancò verso lo spaccio, attraversando l’ampia piazza del paese; era domenica, i bambini vestiti a festa e le donne con i veli di pizzo sul capo, animavano l’aria. Il grande orologio del municipio segnava le undici e mezza.

 

«Potrei fare una chiamata?»

«Il telefono è sul retro, ragazzo.» Rispose l’uomo con i baffi dietro al bancone. «Devi passare di qua.»

Javier ringraziandolo tirò fuori dalla tasca qualche moneta, le infilò nella fessura e dopo qualche squillo si trovò a rispondere ad una calda voce maschile.

«Lorenzo..» Fu sul punto di piangere, ma certe cose non dovevano succedere fra maschi.

«Javi! Sei tu?! Non ti sento molto bene..»

Si morse la lingua per resistere, appoggiando la fronte al muro. «Sì. Sì sono io.. sto.. sto tornando a Madrid. Puoi.. puoi venire a prendermi?!» Soffiò greve, per poi ansimare vinto dagli spasmi del pianto.

«Certo. Ci vediamo in stazione.» Lorenzo non gli dette modo di replicare, attaccò veloce mettendo fine alla sofferenza; girò le spalle al muro, scivolando in basso e prendendosi il capo fra le mani pianse come un bambino.

 La diligenza era poco affollata e il percorso fu diretto, senza intoppi stavolta.

Quando arrivò a Salamanca si gettò in stazione, sapeva che mancava poco per buttarsi tutto alle spalle, ed era esattamente ciò che desiderava adesso, oltre ad un letto caldo e cibo.

Non mangiava da due giorni e non sapeva quando gli sarebbe tornato l’appetito.

Pensava ai suoi genitori, adesso.

Lo credevano a Madrid, fieri di quel ragazzo e di ciò che sarebbe diventato.

Come poteva essere stato tanto stupido?

Come aveva potuto anche solo pensare che lei sarebbe stata sua per sempre?

Quella ragazza con la quale era cresciuto, quella bambina adesso così incredibilmente adulta –e sposata!- non esisteva più. Aveva lasciato il posto a quest’altra donna per lui un’estranea, un’estranea come tutte le altre.

Morena era morta.

E anche lui.

 

Tre ore dopo, una sirena accompagnò l’arrivo del treno in stazione.

Lorenzo era lì, con i vestiti della domenica e un odore di colonia costosa.

Prese la sua sacca e lo abbracciò senza dire una parola.

Ecco che gli argini si ruppero e poco importava se non era una cosa da maschi, pianse ancora e ripetutamente.

Finché Madrid non l’accarezzò con il suo tramonto, al di là dei vetri dell’auto.

Contemplò quella bellezza in silenzio, poi si voltò verso l’amico che lo guardava sinceramente affranto.

«Lei si è sposata.»

Lorenzo rimase immobile, schiuse un po’ le labbra e sussurrò. «Starai meglio, vedrai.»

«Lo so.» Si girò nuovamente sulla strada e sussultò «Dove stiamo andando?»

«Hai bisogno di dormire e mangiare Javier, non hai un bell’aspetto, perciò ho chiesto a Gustavo di portarci a casa mia. Sei mio ospite stanotte. Niente branda, va bene?»

L’idea di dormire in un comodo letto bastò a convincerlo da subito. «Grazie.»

«Non ringraziarmi. E’ questo che fanno gli amici.»

Aveva già sentito quella frase, ed era di Leonor.

 

Il palazzo in stile liberty sulla Gran Via fu la seconda cosa familiare della giornata.

Quello e Lorenzo ovviamente, alla quale si aggiunsero poi Clara e Ignazio –i suoi genitori- e Benedicta con i suoi boccoli lucenti e la parlantina veloce; e proprio Benedicta lo subissò di domande, prediche, ma anche abbracci sinceri come solo il suo carattere verace sapeva dimostrare.

Lo accompagnò nella stanza di Lorenzo e si prese cura di lui come fosse un cucciolo da salvare.

«La febbre è molto alta, accidenti a te!» Scaricò il termometro velocemente e gli poggiò una pezzuola bagnata sulla fronte. «Dormire in aperta campagna.. spero per te che sia stato illuminante, almeno!»

«Molto.» Cercò di restare serio, ma la sua testardaggine lo face sorridere. «Non morirò sta tranquilla.»

«Ti ucciderei io con queste mani, se potessi!»

«Le donne non sanno proprio resistermi..» Soffiò sarcastico, prima di chiudere gli occhi in segno di resa.

La sentì sospirare e tornare a controllargli la temperatura diverse ore dopo, quando sparì e fu buio fuori alle finestre.

Il chiacchiericcio basso dal fondo della strada lo accompagnarono verso un sonno agitato e confuso.

Si svegliò l’indomani mattina molto presto, con Lorenzo che era rientrato in accademia prima dell’appello; per buona pace comune aveva accettato di passare il congedo per malattia in casa Navarro anziché alla scuola, come si faceva di solito, ed ora pentito dal silenzio intorno, guardava al soffitto in preda alle allucinazioni.

Qualcuno bussò alla porta, con un fil di voce lo incitò ad entrare.

Una figura femminile vestita di colori chiari, era sullo stipite e lo stava fissando; il sole fuori alle imposte batteva sul suo viso facendola sembrare disegnata.

«Ciao Javi..» C’era una sola persona, insieme a Lolerenzo, che lo chiamava così; si sentì grato per quella familiarità.

«Leonor..» sospirò, tirandosi a sedere. «Come stai?»

«Bene.» Uscì dal raggio di luce, avvicinandosi al letto; si sfilò i guanti posandoli sul settimino accanto al letto posando poi lo sguardo al vassoio della colazione ancora intatto, con una smorfia di disapprovazione. «Non si può dire lo stesso di te, però. Non hai  mangiato nulla, vuoi che ti aiuti?»

«Per l’amor del cielo, no!» Rispose sgarbato; lei alzò le mani in segno di resa e sul punto di rimettersi i guanti. «La cosa sarebbe davvero umiliante.» Corresse il tiro un po’ forzato, ma bastò a strapparle un piccolo sorriso.

«Non lo racconterò a nessuno, puoi stare tranquillo.»

Rise gaia e fu felice, era sempre stata spiritosa ed era un piacere starla a guardare, perché quando rideva creava due fossette sulle guancie che la rendevano un’eterna bambina.

La cosa che lo sorprendeva di più era quanto le fosse mancata, quella risata; la sua ultima immagine di lei era piuttosto sbiadita e orribile. Temeva di averla spezzata, ma era lì davanti a lui e nel momento del bisogno.

«Sarà il nostro piccolo segreto..»

Concluse, scostando i capelli su di un lato; erano di un biondo molto chiaro, leggermente ondulati ad incorniciarle il volto perfettamente ovale, sulla quale spiccavano incredibili occhi verdi simili a velluto, molto profondi.

E lo guardavano spesso, come se volessero leggerlo.

«Va bene! Va bene! Mangerò. Ma non mi imboccherai.»

«Ok..» Alzò gli occhi al cielo, avvicinando il vassoio per poi guardarlo impaziente.

«Devo mangiare tutto?»

«Tutto!» E gli sedette accanto, ridendo. «Esegui gli ordini, soldato!»

«Signorsì signore!»

 

Javier ubbidì, scoprendosi affamato; Leonor gli parlava delle novità, condendo i suoi racconti di verve ed umorismo, alimentando il suo spirito come lui stava facendo con il suo corpo. In meno di dici minuti il piatto era vuoto e una soddisfatta ragazzina bionda aveva dato ordine alla cameriera di far sparecchiare.

«Lo sai, mi sono iscritta ad un corso di teatro! Benedicta dice che ho la giusta impostazione, dice che so essere davvero melodrammatica a volte. Non riesco a capire se sia un complimento o meno.»

«E chi lo sa cosa le passa per la testa..»

«Già. Voglio fare l’attrice Javier, voglio girare il mondo!»

Gli raccontò di averlo capito dopo lo spettacolo della Celestina che avevano visto insieme e che quando era tornata a casa la sera e lo aveva comunicato ai suoi genitori, loro le avevano promesso di diseredarla, se mai avesse provato a fare sul serio. Ma lei aveva alzato le spalle e con supponenza aveva risposto loro che ce l’avrebbe fatta con le sue gambe e Javier guardando quegli occhi che brillavano di ardore le credeva ciecamente.

«Ah proposito di Celestina..»

Leonor si azzittì, guardandolo profondamente.

«No Javi, ti prego. Non ha più importanza. Ho dimenticato, fallo anche tu.»

«Importa, invece. Non sono stato un buon amico, prima di tutto; non dovevo permetterti di andare via senza prima raccontarti di me. E’ questo che fanno gli amici, no?»

Lei sorrise. «Sì.»

«Va bene.» disse, aprendo le braccia. «Vieni qui. Ho intenzione di farlo adesso, se vuoi.»

Gli occhi di Leonor s’illuminarono. «Voglio sapere tutto.» E si stese fra le sue braccia, con gli occhi al soffitto mentre Javier parlava come se stesse raccontando una fiaba vecchia di mille anni.

Passarono dai sorrisi alle lacrime, dalle speranze ai sogni infranti, proprio come se fossero a teatro, da spettatori, con i personaggi di carne e di ossa che si alternavano sulle scene dando vita a una storia molto triste ma anche molto bella, senza rendersi conto che chi stava raccontando era proprio il protagonista di quella storia e che l’aveva scritta con le sue lacrime e il suo sangue. Leonor non osò chiedere più di quanto Javier non desiderasse raccontargli e alla fine di quel racconto, occhi lucidi dentro occhi persi e lontani, lo baciò; un bacio affettuoso, tenero, senza alcun infimo tocco di passione o lussuria. Javier aprì gli occhi e la guardò con dolcezza e un briciolo di disperazione.

«Shh.. non tremare.. non accadrà così mi querido.» Soffiò lei, rauca e profondamente sensuale. «Una donna può possedere molte cose e ottenerne molte altre con diversi metodi, ma una cosa che non può possedere è l’amore. Tragico, non ti pare? Per fortuna c’è l’amicizia a consolare chi non riesce a consolarsi. Io sarò al tuo fianco, quando avrai bisogno di me.» Lo baciò su una tempia tirandosi a sedere; guardò all’orologio sul suo piccolo polso e sospirò.

«Mi dispiace per te, non potevo sapere.»

«Ti prego, non andartene.»

Protestò con voce infantile, toccandole il braccio; Leonor gli accarezzò la guancia, ricambiando lo sguardo e anche se sapeva fosse ingiusto per lui, provò pena. Per la prima volta, Javier si mostrò ai suoi occhi debole e impaurito e non ebbe più così tanto timore dei suoi sentimenti, si sentì al suo pari perché infondo, convenne con una punta di amarezza nell’animo, dinnanzi alla sofferenza tutti gli uomini e tutte le donne erano uguali; e fu un attimo, nel realizzare ciò, il mito di Javier Garcia La Fuente sparì lasciando il posto all’essere molto umano e normale che era.

Si sentì leggera, afferrando i guanti. «Ce la farai e domani torneremo a ridere insieme, promesso.»

E un giorno forse mi ringrazierai, pensò, sparendo nella luce che l’aveva condotta lì.

 

*

 

Le prime luci del mattino rischiarirono il suo viso dolcemente addormentato sul cuscino.

Quando aprì gli occhi e non ebbe come una sensazione di annegamento e frustrazione, guardando le pareti che la circondavano, si ricordò dove si trovava.

C’era del calore, accanto al suo corpo; si voltò con delicatezza, guardando all’uomo brizzolato che riposava beato come un soldato di ritorno da una guerra lunga e spossante. La loro era stata giocata su un campo di battaglia nettamente meno tragico e a giudicar dalla piacevole sensazione di torpore che le sue ossa e la sua carne portavano addosso era stata una guerra.. piacevole.

Guardò ancora a don Alfredo, al suo viso rilassato, alle braccia nude che uscivano fuori dalle lenzuola scolpite e possenti e provò rabbia e frustrazione; non era stata una catastrofe, Alfredo Roquez non era l’abominio che aveva tormentato le sue notti prima di diventar sua moglie e soprattutto era in grado di non farle pesare i dubbi che a sua volta nutriva nei suoi confronti.

Era stato piuttosto chiaro, non l’amava e la stava sposando per salvare Legno di Quercia.

Eppure.. le sue labbra scottavano ancora sulla sua pelle, la sentiva bruciare là dove aveva depositato i suoi baci, amandola nella prima notte da marito e moglie.

Aveva adempiuto al suo dovere di donna, presto avrebbe potuto svelare di essere incinta; le girava la testa, quei piani sembravano fossero più grandi di lei, ma con la giusta determinazione e coraggio stavano già prendendo forma.

Alfredo sarebbe stato felice.

Lei sarebbe stata al sicuro.

Il suo bambino sarebbe vissuto.

 

Scosse il capo abbandonando i folli pensieri da prima notte di nozze e si diresse senza esitazioni al suo cappotto; Milagros le aveva infilato in una tasca interna della mistura di fragole e ciliegia che avrebbe potuto usare come prova della verginità perduta. Sorrise amara, pensando per la prima volta, dopo il caos di avvenimenti che le era piombato addosso, a Javier; si morse il labbro con violenza, fino a farlo sanguinare.

Doveva lasciarlo andare, non doveva pensare a lui. Mai più. Era una fonte di guai e distrazioni che avevano cambiato per sempre il corso della sua vita, non poteva permettergli di rovinare tutto.

«Non farlo.» La voce greve di Alfredo piombò alle sue spalle.

Arrossì, cercando di nascondere la boccetta. «Di cosa parli?»

«Di questa.» Glie la sfilò di prepotenza dalle mani, guardandola ferito. «Non sono stupido.»

Morena si morse il labbro. «E’.. è solo un ricostituente.»

«Morena..» Le strinse le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi. «Non sono stupido.» Ribadì il concetto, ma non sembrava essere arrabbiato, dava più l’impressione d’essere impacciato, come se volesse spiegarsi e non riuscisse a trovare parole adatte. «Tanto meno cieco.»

«Cieco?» Mormorò lei, poi allargò gli occhi. «Lo hai capito.»

«Non sono stupido.»

«Oh ti prego.. smettila di dire così. Non penso tu sia stupido.» Gettò la boccetta in terra che andò rotolando alle spalle dell’uomo. «La stupida sono io.» Tentò di svicolare ma le braccia di Alfredo la tennero salda.

«Voglio che tu ti senta in dovere e diritto di dirmi sempre la verità, Morena. Pensavo ci fossimo trovati d’accordo su questo. Devi fidarti di me.»

«Fidarmi.. di te?»

«Lo amavi e probabilmente lo ami ancora, non lo so e non mi interessa saperlo, ma ho giurato di fronte a Dio che ti proteggerò e avrò cura di te finché morte non ci separi. Sono disposto a farlo, a qualsiasi prezzo, ma devi fidarti di me, non voglio essere trattato da mentecatto.»

Mollò la presa e Morena gli finì sul petto, addolorata da tanta franchezza. «Non so nemmeno perché lo stavo facendo.  Ma so che ti tormenteranno se non vedranno quello stupido lenzuolo. Sento ancora le risate al di là della nostra staccionata, quando mio padre sposò Elvira.. e quella macchia.. sembravano fragole.. la gente gli rideva dietro. Non si vedevano, alcuni restavano nascosti, ma io le sentivo quelle risa.» Alzò lo sguardo implorante. «Non voglio succeda anche con te. Non lo meriti.»

«Neanche tu.» Si abbassò a raccogliere la boccetta e la stappò. «Lo farò io.» Si diresse a grandi passi verso il letto dove versò il contenuto rossastro in piccole gocce sul lenzuolo; quando ebbe fatto le tornò accanto, guardandola severo. «Da adesso in poi voglio che tu sia libera da tutto quello che è stato. La tua vita comincia oggi, insieme a me.» Con voce risoluta chiamò la serva, alla quale ordinò che il lenzuolo fosse portato via e messo in bella mostra sulla staccionata, per poi passarle accanto sospirando e andare via.

Non vide nessuno per parecchio tempo.

Poi udì dei passi sulla strada di ghiaia che conduceva a Legno di Quercia e dei movimenti fortuiti fra i cespugli dal basso della collina; si rannicchiò sul letto, con le spalle sulla parete fredda e rimase immobile finché non tornò il sonno e quei sibili infimi sparirono.

 

 

 

a Ricordiamo solo quello che non è mai accaduto. a
Carlos Ruiz Zafón

 

 

 

 

NDA:

Grazie di cuore a ChiaraColfer95 per la recensione che mi ha lasciato.

Grazie a chi mi segue.

A chi mette la storia in seguite/preferite/ricordare.

Luna.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

Le strade non portano a nessuna meta.

Tutte terminano in noi.

José Hierro, poeta del ‘900.

 

 

 

«Per quanto tempo ancora ha intenzione di tenermi sequestrata in questo abito, signor artista?»

 

Morena guardava divertita nella direzione di Alfredo, che agonizzate, le chiedeva con lo sguardo di esser un po’ più cauta; Manuél Lima era un noto ritrattista talentuoso, che da circa mezzo secolo veniva incaricato di imprimere su tela, i volti della famiglia Roquez, come testimonianza d’eternità. Quando Alfredo le aveva raccontato una ad una la storia di quei visi di giovani donne e giovani uomini –chi la guardava dal caminetto, chi dai corridoi solitari di Legno di Quercia- lei aveva sorriso come chi considerava l’arte, quel tipo di arte, uno spreco inutile di denaro, che serviva a nutrire più l’ego degli occhi e qualche bocca piena di favole antiche, che un animo conservatore attaccato alla famiglia; Alfredo l’aveva guardata dispiaciuto e aveva smesso di parlare, Morena si era data della stupida contadina –lei che aveva la stirpe dei Soler e dei Blanco al cimitero con insulse croci di legno senza nemmeno un’effige- e lo aveva pregato di perdonarla, che avrebbe accettato di posare per lui, se questo bastava a ridargli il sorriso; Alfredo l’aveva abbracciata e ringraziata, ma non aveva più parlato per l’intera serata e di notte era venuto a letto solo dopo che ella si era addormentata.

Poi un giorno, come niente, l’aveva avvicinata con un bacio e si era scusato.

E Morena sentì che qualcosa dentro di lei si era mosso. E non era il suo bambino.

 

«Siete dotate di una bellezza carismatica, signora Roquez. Il vostro viso è radioso, ritrarla è un piacere.» L’uomo si puntellò i baffi e con l’altra mano accarezzò con pennellate tenue la tela prima di fermarsi. «Ma convengo che restarsene a fissare il vuoto vestita in abiti nuziali, non è molto divertente. Don Alfredo, voi che dite?»

Morena guardò Alfredo implorante.«Che avete ragione su tutto.» Soffiò, lo sguardo addolcito, poi tornò all’uomo ed assunse il piglio deciso di sempre. «Vi prego di farvi aiutare dalle nostre cameriere per riordinare e passate dal mio studio per i compensi della giornata.»

Manuél abbassò il capo ringraziandolo, Morena sgattaiolò verso suo marito e le loro stanze.

 

«Tutto ciò che mia moglie desidera.» Rimasti soli Alfredo la strinse dolcemente a se posando le labbra alle sue.

«Non farmi indossare più questo abito, ti prego.»

L’uomo sospirò e poi sorrise. «Dovresti recarti in paese e farlo avere a don Pedro. Per le meno fortunate.»

Gli occhi di Morena brillarono orgogliosi. «Tutto ciò che mio marito desidera.»

 

 

Più tardi, come di consueto, Milagros era passata a trovarla.

Contava di vederla sparire non appena Alfredo le avrebbe infilato l’anello al dito, ed invece era solida in quel di Fuentesauco non intenzionata a far valigie fino a quando la nipote non si sarebbe decisa a dirgli del bambino.

«Non puoi far passare altro tempo niña mia. Stai ingrassando.»

Morena strinse il labbro in una smorfia e si controllò la pancia alla specchio; sospirò, stava ingrassando.

Non che fosse mai stata magra, ma il piccolo rigonfiamento sul suo addome rivelava il suo dolce segreto.

«Vorrei trovare il momento giusto, ecco tutto.»

Sua zia rise, guardandola maliziosa. «Mi parli di momento giusto? Passate tutto il vostro tempo chiusi in casa. E so per certo che non hai ancora visitato le terre di tuo marito. Errore imperdonabile mia cara!» Era passata in un secondo da zia complice a zia comandante, la ragazza sbuffò agitando nervosamente il capo. «Dal rossore delle tue guance devo dedurre che erano solo voci quelle sulla presunta impotenza di tuo marito, ne sono felice niña ma.. non puoi sottrarti agli altri tuoi doveri di moglie! Devi farti vedere più spesso in giro, devi camminare due- tre centimetri dal suolo, proprio come ti spetta di diritto! Se te ne stai rintanata qui, darai adito solo ad altre chiacchiere.»

Morena s’adirò. «Zia sta zitta! E smettila di ficcare il tuo impertinente muso negli affari miei e di mio marito!» Si vestì tutta trafelata, intenzionata a buttarla fuori dalla tenuta a calci nel sedere, ma spossata si appoggiò al letto e strinse forte i pugni sulle ginocchia. «Credevo che io e Alfredo fossimo fuori dai pettegolezzi.»

Milagros colpita dall’animo affranto della nipote, le andò vicino, stringendole la mano.

«Non devi preoccuparti, ogni cosa è andata per il verso giusto.» Sapeva a cosa si riferiva; nessuno aveva parlato della ridicola messa in scena del lenzuolo. Morena arrossì di nuovo, alzando gli occhi un po’ meno feriti. «Ma devi essere sempre un passo avanti a quella sporca gente. Sposando Alfredo hai sposato anche ciò che lui rappresenta, non dimenticarlo.» Le scostò i capelli dalle spalle, adagiandoli sulla schiena. «Quell’ uomo ti adora, farebbe qualsiasi cosa per te e tu puoi farlo felice davvero con poco.»

Sapeva che era vero.

Alfredo era un uomo semplice nonostante i lussi dal quale era circondato, e le stava dando giorno dopo giorno, dimostrazioni che andavano ben oltre l’atto pratico che avevano sancito il giorno del loro matrimonio; era gentile, affettuoso, premuroso.. e il suo ardore fisico e intellettuale pareva gridare amore da ogni poro.

Cosa poteva dargli in cambio?

Amore? Non era sicura di poter amare ancora. Non dopo Javier.

Il pensiero la terrorizzava, sebbene si lasciasse condurre con curiosità e partecipazione fra le lenzuola, non poteva definirsi innamorata. Era fermamente convinta che una cosa potesse prescindere dall’altra.

E le stava bene, il suo uomo non avrebbe mai potuta accusarla di poco interesse.

Ma oltre questo cosa aveva portato nel loro rapporto?

Oltre al figlio che portava in grembo –frutto fra l’altro dell’amore e della passione con un altro uomo- e del quale lui era ignaro dell’esistenza, non aveva aggiunto molto altro.

Non era stata molto attenta alle esigenze di Alfredo che non implicassero solamente la sua soddisfazione personale, e non aveva mai curato l’aspetto di moglie di potente uomo d’affari; si era tenuta nel bozzolo protettivo, vivendo una perenne luna di miele e questo adesso la faceva rattristare terribilmente.

Con molta probabilità anche suo marito stava soffrendo, non le diceva nulla e conservava quel suo aspetto un po’ burbero e scostante, ma aveva imparato a conoscerlo.

Capiva i suoi silenzi, certi silenzi.

E voleva riempirli tutti.

Se non con amore, con parole che potessero spiegarlo per lei.

 

«Va bene. Cominceremo con l’andare da Don Pedro.»

«Don Pedro?» Milagros la guardò perplessa, Morena indicò il suo abito nuziale.

«Tranquilla, per espiare i tuoi peccati servirebbe ben altro..» La ragazza rise, mentre si aiutava con mani e piedi ad avvolgere la nuvola di tulle dell’abito nel proprio portabiti, cercando di restare seria. «I tuoi informatori ti avranno certo detto che Alfredo ha commesso a Lima un ritratto di me vestita come nel giorno delle mie nozze; beh, dal momento che lo detesto ha acconsentito di regalarlo alla parrocchia.»

«Peccato perché è proprio un bell’abito.»

«Lo vorresti per te? Non parli mai dello zio Eduardo.»

«Tuo zio è un uomo molto impegnato, non mi rimane molto di lui, ma è sempre nel mio cuore.»

Gli occhi sfuggenti non passarono inosservati, mentre parlava e aspettava seduta sul letto; Morena chiuse il portabiti e lo fece caricare sulla carrozza, si portò al suo fianco guardandola attenta. «Zia, perché non ti trasferisci qui?»

«Tu mi vuoi morta niña!» E scacciò via i pensieri ridendo ed ergendosi come una sentinella.

Morena non schiodò lo sguardo dal suo. «Un giorno mi dirai perché odi tanto Fuentesauco?»

Milagros emise un fiato anelante. «Un giorno, forse. Ma non oggi. Oggi è il tuo giorno, andiamo!»

I segreti restarono a volteggiare nella stanza.

 

Mischiandosi nella confusione di carrozze e cavalli, si rese conto del lungo periodo di tempo che era passato dall’ultima volta che era scesa in paese. La neve era attecchita, la terra brulla era coperta da un sottile manto simile a una crosta, non ne era più scesa e ora tutto era coperto di un candido bianco.

Era passato un mese.

Ed Alfredo, quasi a leggerle i pensieri nella mente, l’aveva aiutata a nel tenersi al sicuro, proteggendola dai fantasmi del passato e del presente; erano tutti lì, stipati chi nelle locande, chi nei porticati delle loro case, chi riverso in strada.

I bambini giocavano a fare chiasso e gli animali –galline e cani che a volte si comportavano allo stesso modo- si mischiavano alla vita delle persone come una normale consuetudine.

Era giorno di mercato.

I banchi sfilavano uno ad uno sull’unica via principale, fulcro dell’intero paese, come il tronco di un albero dal quale si sviluppavano stradine strette come rami; dalle montagne, Fuentesauco, assumeva le sembianze di un piccolo abete che terminava in cima con la grande foresta di querce e il Rio Cochino, il fiume sporco, che le girava intorno.

I Portos furono i primi ad individuarla; il loro bambino, Milo, le si avvicinò porgendole un cartoccio di uova, che la madre indicò come piccolo regalo per il matrimonio. Sorrise scuotendo il capo.

«Devi tenerle per lui. Fa come se le avessi accettate.»

Quella piegò il capo in segno di rispetto ma Milagros tuttavia scansò malamente il marmocchio dalla loro traiettoria.

«Ci mancano le uova a Legno di Quercia.. ecco, questa è una delle cose che non mi piace di Fuentesauco; le persone.»

Morena lasciò sul banco della frutta alcune arance e la guardò maliziosa. «Non ti ho chiesto chi. Ti ho chiesto perché.»

Camminando si imbatterono in saltimbanchi, prestigiatori e nel chiasso si persero completamente di vista, almeno fino a quando Morena s’imbatté in Elvira e Guadalupe, strette in un fitto chiacchiericcio a ridosso di un banco di tessuti e Milagros spuntata dal nulla dall’altra direzione; rimase senza fiato.

Sapeva di poter fare qualche incontro poco felice, ma non si aspettava di certo la sua “adorabile” matrigna a braccetto con la sua “adorabile” e mancata suocera. Sentì brividi d’orrore.

Milagros la fissò totalmente immobile, facendo cadere di tanto in tanto lo sguardo astioso sulle due.

Elvira fu la prima a parlare. «Allora è vero che sei viva.»

Milagros si mosse, Morena la fermò con lo sguardo. Rovente. «Che si sappia.» Si toccò la pancia, un gesto curato, ponderato; entrambe ci fecero caso, una più dell’altra, cerea in viso. «Nonostante alcuni sforzi per togliermi di mezzo, io sono ancora qui. E intendo restarci.»

«E’ risaputo.. i Soler cadono sempre in piedi.» Berciò Guadalupe, fra le labbra viola.

Morena la guardò come se volesse annientarla e si avvicinò con fermezza, abbastanza vicino però da farsi udire da entrambe. «Voi non lo dimenticate. Mai.» Le sorpassò agile e infilandosi al braccio di Milagros la trascinò via con se.

 

«Non mi hai lasciato dire una parola.» La donna riemerse dallo shock in grande stile.

«Volevo una conferma. Le tue parole mi avrebbero solo confusa

«Quale conferma?»

Morena si fermò, tirandola a se. «Adesso è il mio turno di fare domande. Elvira e mio padre erano i soli, insieme a te, a sapere del bambino. Uno di voi ha parlato.»

Milagros s’adirò talmente tanto da farsi gonfiare le vene del collo. «Non penserai che sia stata io!»

«Tu no.» La incalzò l’altra, leccandosi le labbra. «E neanche papà arriverebbe a tanto. Ma Elvira sì, sebbene per me sia una novità quella di vederla leccare le scarpe di un La Fuente.»

«Non ti seguo.»

La guardò mortalmente cupa. «Era Guadalupe quella notte, nella grotta. Elvira deve averle detto che il bambino è di Javier. Il suo sguardo d’odio era eloquente.» Si strinse nelle spalle come se il ricordo di quell’inferno potesse ancora in qualche modo toccarla.

Seguì un lungo silenzio, Milagros vagava con gli occhi evitando platealmente di guardare nei suoi. «E qualcosa mi dice che tu non sei affatto sorpresa da questo.»

«E come posso esserlo. Quella donna è un mostro.»

«Che tu sembri conoscere bene. E anche Francisca. Lei mi disse la stessa identica cosa.» Sospirò esasperata. «Adesso mi racconterai tutto zia, o continuerò questa corsa da sola. Sono stanca di bugie e sotterfugi.»

La donna piegò il capo contro il colletto del suo soprabito, quasi a volersi proteggere dai segreti che il suo animo e gli occhi tempestosi raccontavano senza parole.

Guardò in basso e fu consapevole di non poter più tacere alcune verità.

Che prima o poi qualcosa sarebbe venuto a galla.

Che era ancora in tempo per decidere cosa.

 

«Come reagiresti se ti dicessi che un tempo io, Guadalupe e Francisca eravamo amiche?»

 

*

 

 

«Bueno! Esta chica tiene capacidad!»

 

Benedicta era entusiasta.

Quella sera, in uno dei più controversi teatri di Madrid, L’Eslava, andava in scena Leonor con un operetta melodrammatica che tanto le si addiceva; a neanche due mesi dall’inzio del corso, il suo maestro l’aveva fatta debuttare con la piccola compagnia da lui messa in scena.

Già se l’immaginava calcare i palcoscenici maggiori di tutta la Spagna e perché no, di tutto il mondo.

Quando erano ragazzine, la timida e dolce Leonor, dava il massimo dell’impegno nel recitare le poesie del Natale intorno al tavolo imbandito e ai parenti entusiasti, ed era particolarmente brava, dotata di talento straordinario per essere solo una bambina ancora in età prescolastica –inventava lei le composizioni ed era in grado di commuovere anche i più irriducibili cuori di ghiaccio in famiglia- ma non pensava fino a tal punto da definirla attrice.

Invece lo era e lei ne era felice.

La cugina di un’attrice famosa, chi lo avrebbe mai detto!

 

«La stai coprendo di ridicolo con queste urla!» Berciò Lorenzo, guardandosi attorno in imbarazzo. «E anche noi!»

Benedicta gli mollò un buffetto sulla testa schernendolo. «Rilassati, sei ancora tu el mas guay del gruppo!»

«Certo che sono il figo del gruppo!» Sottolineò Lorenzo, sgomitando nella direzione di Javier. «Diglielo anche tu che è così Javi!» Javier non rispose, impegnato a tener incollato lo sguardo sul palco; non riusciva a togliere gli occhi di dosso ad Eleonor, al suo sorriso stanco ma felice, alla carica emotiva che gli aveva procurato vederla recitare, alla sferzante energia che ella emanava tutto intorno.

Era la prima volta che si trovavano riuniti per un suo spettacolo.

Ogni tanto Leonor improvvisava degli spettacolini quando si vedevano al parco, o durante i pranzi della domenica ma niente di paragonabile che vederla lì, piccola eppure forte come una roccia, con il trucco di scena, agli abiti adattati alla commedia e il suo interagire con un pubblico che allargasse il campo a più persone.

Era davvero preparata.

E non era vero, come le aveva detto la sera antecedente in stato d’ansia, che era ancora modesta.

Disponeva del talento innato di chi ha trovato una vocazione e sa cosa sta facendo.

L’ammirava.

«Javi!» Qualcuno gli stava dolorosamente uccidendo una spalla, a forza di colpi; si girò, Lorenzo lo guardava perplesso e Bendicta con sopracciglio alzato lo fissava. «Javi sei fra noi?»

«Non è stata grandiosa?» Chiese come a volersi giustificare, Benedicta allargò il sorriso con aria soddisfatta e Lorenzo calò il braccio in segno di arresa. «Che facciamo, la raggiungiamo dietro le quinte

 

La trovarono in uno di quei camerini a tutto tondo, dove grucce di vestiti, attori seminudi e specchi quadrati con grandi lampadine a fare luce si alternavano; lei era in prima fila, seduta su una poltrona circondata da fasci di rose rosse con un tizio intorno che stringeva la mano, coprendola di complimenti.

Quando li vide sorrise raggiante e il tizio si dileguò all’istante.

«Allora..» si alzò in piedi per stringerli tutti. «Come sono stata?»

«Sarai la nuova Carmen Sevilla, ma che dico.. la nuova Ava Gardner!» Trillò Benedicta, perdendosi nei suoi capelli e in un abbraccio tanto forte da farla sussultare. «Javier non riusciva a toglierti gli occhi di dosso.»  Soffiò infine per poi perdersi nella sua tipica risata chiassosa.

Leonor guardò immediatamente verso Javier; non era arrossito e non aveva nemmeno battuto ciglio. «Ah proposito di Carmen Sevilla, noi due Javier dobbiamo assolutamente andare a vedere il suo prossimo film!» Aprì le braccia per accoglierlo e il ragazzo sorrise muovendo passi nella sua direzione.

«Credo sia qualcosa con Granata sullo sfondo.» Asserì lui, piegandosi per abbracciarla. «Sei stata più che brava.»

«Sì credo ci sia Granata. E grazie amico mio

Lorenzo sbuffò, tagliando di netto la conversazione. «Come siete noiosi voi due! Qui c’è da festeggiare la mia cugina preferita, non perdersi in chiacchiere!»

Benedicta batté le mani, saltando sul posto eccitata. «Festeggiamo, sì!»

«Potremmo andare al Club Allard, che ne dite?» Rafforzò Lorenzo, già pregustando il sapore dei churros salati.

«Oh no!» Disse Leonor poggiandosi il palmo della mano sulla fronte. «Ho promesso al maestro che sarei stata dei loro stasera. Vuole presentarmi José Hierro, vi rendete conto?! Andate voi ragazzi, non voglio rovinarvi la cena.»

«Perfetto, andiamo ragazzi!»

Benedicta incenerì con lo sguardo il frettoloso Lorenzo. «José Hierro.. il poeta?»

Leonor annuì allegra. «Che fortuna che hai! Dicono sia un uomo davvero affascinante!» Benedicta si mosse impacciata verso il suo orecchio. «Non è che possiamo raggiungerti dopo cena? Hierro.. e quando mi ricapita più!»

«I ragazzi che dicono?»

Lorenzo sbuffo più per la fame, Javier non si mosse anche se nei suoi occhi baluginava una strana luce.

«Accettano!» Sentenziò Benedicta prendendoli sottobraccio entrambi; schioccò un bacio sulla guancia della cugina e dopo essersi annotata mentalmente il nome del locale la salutò tirandosi dietro i due poveretti.

 

Il club Allard si confermò superlativo e costoso come sempre; la cena, piuttosto lunga e ricca di portate soprattutto a carico dell’affamato Lorenzo, fu un tripudio di ottima carne, churros come stuzzichini e del vino rosso accompagnato dalla vellutata alle mandorle e zafferano di Benedicta e al gazpacho di Javier.

I tre ragazzi chiacchierarono animatamente e al momento del conto alzarono in alto i calici per Leonor, infilandosi nel primo taxi in direzione del Lavapiés, il quartiere multi culturale e culla degli artisti di città.

Javier era piuttosto silenzioso -per lui il vino era una specie di eccitante con effetto inverso- mentre Lorenzo, passata la fame, era sulla modalità “troppe parole”; Benedicta lo osservava parlare e parlare alzando ogni tanto gli occhi al cielo e complice lo sguardo appuntito di Javier.

Tirava una strana aria.

«Chissà se è così bello come dicono..» la ragazza interruppe il flusso di negatività parlando più con se stessa che con i due ancora incentrati nei loro pensieri. «Lo sapevate che è stato un grande attivista politico? Si dice che nelle prigioni di Santander ancora ricordino le sue poesie e i trattati politici.»

«Un galeotto.» Lorenzo taglio corto i sogni della sorella. «Proprio quello che ci vuole per nostra cugina.»

«Non è un galeotto! E’ un uomo che corre dei rischi per seguire i propri ideali.. quindi sì, proprio la persona giusta per Leonor; un uomo passionale e appassionato, stravagante, intellettuale. Perfetto, direi.»

«Un uomo che si è opposto al regime franchista non è un eroe, dopotutto, Benedicta.» Javier riemerse dall’oblio dell’alcool proferendo ironico. «Guardalo oggi. Lecca culo di quegli stessi che lo hanno messo dietro le sbarre.»

«Se lo tengono stretto, ti dico. Ha una potente voce europea ed è insindacabilmente un uomo affascinante, per questo.» «Non posso asserire se tu abbia ragione o meno..  abbiamo gusti differenti.»  E stemperò la tensione sorridendo; Benedicta lo rimproverò con una linguaccia, prima di battere due colpetti rapidi sul sedile guidatore intimando all’autista di fermarsi.

 

«Che ti dicevo?» Quando le porte dello stabile nel barrio Maravilla si aprirono, e le servette con il camice bianco e la pelle color ebano li raggiunsero, Javier tuonò in un grossa risata alla volta di Benedicta. «Decisamente un leccapiedi. Altro che eroe.» Scoccò un occhiata verso Lorenzo –che accennava dileguarsi all’inseguimento di una mora in pelliccia- ed arreso al destino della serata, si portò nella sala attigua da dove si levavano un brusio vivace e un accenno di musica.

Il salone era gremito di persone; c’era tutta la mondanità di Madrid, sparsa in abiti eccentrici, con grossi sigari alla mano e innumerevoli calici di quello che aveva l’aspetto di essere costosissimo champagne della vicina Francia.

Il colpo d’occhio dei tavoli da gioco era esilarante; da lì si alzavano cori e sproloqui degni di scaricatori di porto e le peseta volavano e si ammonticchiavano sui tavoli come foglie in autunno.

Le donne erano finemente vestite, ornate di stole di ermellino sui lunghi abiti pesanti dato le temperature rigide dell’inverno appena cominciato, e se ne stavano sedute composte in piccoli gruppi a conversare come se il mondo non esistesse e il tempo si fosse fermato.

Leonor era in disparte e sorrideva a un tizio dal viso squadrato e un accenno di baffi sulle labbra sottili; intorno a loro riconobbe i volti dei più noti intellettuali della “Generazione del cinquanta”, un movimento d’artisti che si erano fregiati di tale nome all’inizio del nuovo anno, come marchio di riconoscimento in quanto nati tutti a cavallo fra gli anni venti e trenta e tenutari di successo nell’anno corrente, il cinquanta appunto.

Sembrava concentrata sulle parole dell’uomo sedutole di fronte, una macchia di colore in un fiume di volti tutti uguali. Afferrò un calice di champagne da uno dei vassoi e lo ingollò d’un fiato.

Si sentiva strano.

 

«Ah quello sì che è un bel bocconcino.»

Si voltò nella direzione della voce e per poco impallidì. «Ma sappi che competere con quel bastardo di Hierro sarà molto dura. Le donne gli cadono ai piedi come mosche.» Manuel Caballero in persona, lo scrittore emergente più promettente del nuovo millennio, aveva appena giocato d’ironia insieme a lui.

Restò a fissarlo a bocca aperta per un po’, almeno fino a quando quello, scuotendo il capo, gli aveva passato un flute di bollicine dorate. «Brindo alla vostra.» Riuscì ad emettere in un sol fiato, fra lo sconcerto e l’eccitato.

Quello ridendo, fece collidere i due calici rumorosamente. «Ma allora ce l’avete la lingua. E siete anche un buon bevitore. Cameriere un altro giro!» Javier ingollò il secondo d’un fiato, scuotendo il capo nel momento in cui l’anidride carbonica gli pizzicò le narici.

«E ce l’avete un nome ragazzo?»

«Javier Garcia La Fuente, maestro.»

«Maestro? Non mi hanno mai chiamato così.» Rise ancora, battendogli dei colpi precisi sul braccio. «Suona stramaledettamente bene però! Mi siete simpatico Javier, diamoci del tu.» Lo accompagnò verso il tavolo dove se ne stava Leonor, ma prima di arrivare si fermò.

«Avet..hai travisato Manuel. Conosco già quella ragazza.»

«Che gran fortuna. Ma io no!» E lo incitò ad avvicinarsi con grandi pacche dietro la schiena.

«JaviLeonor scese dalla sedia e gli circondò il petto in un abbraccio. «Ti presento i miei amici, Angél Gonzàlez,  Rafael Guillen e lui..» si girò guardando l’uomo con i baffi con aria adorante. «E’ Josè Hierro

L’uomo sorrise all’angolo della bocca, squadrandolo dall’alto al basso; Manuel lo guardò perplesso, poi con la sua voce da baritono ruppe l’imbarazzante silenzio.

«Javier non mi hai detto cosa stai scrivendo.»

«Oh, ma io non sono uno scrittore.» Disse, trafiggendo con lo sguardo quello attento e velenoso di Hierro. «Sono un soldato della patria a cui piacciono le buone letture come la vostra, Manuel.»

L’uomo emise un gemito di stucco. «Ora capisco l’amore per la bottiglia!» E rise sedendosi definitivamente accanto ad Hierro che guardava a Javier con crescente e rinnovato disprezzo; Manuel lo redarguì ironicamente. «Josè per l’amor di Dio, la guerra civile è finita da un pezzo!»

«C’è chi non lo ricorda.» Berciò l’altro, sfilando da una scatola d’argento un sigaro.

Per tutta risposta Javier non si fece intimorire, sostenendo lo sguardo.

«Servire la patria è un onore che va al di là di ogni credo, per me, signore.»

Hierro lo fissò, umettandosi le labbra. «Ah sì? E in cosa credete?»

Leonor perse il sorriso, mentre smaniava di portare via Javier da quella banda di intellettuali psicotici; lui la guardò sorridendole dolce, prima di voltarsi verso Hierro e sospirare. «In un mondo civile signore. Da dove vengo io nulla di quello che abbiamo intorno stasera è lontanamente immaginabile. Le nostre case e le nostre strade sono ancora come ce le hanno lasciate i vecchi coloni e questo, se mi perdonate, è ancor meno immaginabile in un epoca in cui il progresso è così vivo e costante. Ecco, questo è in ciò che credo io. Nel futuro.»

Alla fine del discorso Manuel applaudì e anche Josè si lasciò andare un sorriso, allungando una mano. «Piacere di averla conosciuta..»

«..Javier La Fuente  Ricambiò la stretta con orgoglio, Leonor si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, afferrando il ragazzo per un braccio e conducendolo verso un’altra direzione, ma Josè li interruppe.

«Solo un’ultima cosa, Javier. Da dove venite?»

«Fuentesauco, signore.»

«Fuentesauco..» Si toccò i baffi socchiudendo gli occhi nello sforzo di pensare. «Non ci sono mai stato.»

«Se mai passaste di là, sarete mio ospite signor..»

L’uomo sorrise stando al gioco. «Josè Hierro

 

«Oh Señor! Lo hai steso Javier!»

Leonor si faceva aria con la mano mentre proseguivano alla ricerca di Benedicta e Lorenzo; era accaldata e bellissima vestita di un tessuto broccato blu profondo che risaltava il colore candido della sua pelle.

«Ti prego non parliamo più di quello sbruffone. Parliamo di te, sei stata superlativa.»

«Ti ringrazio Fece un mezzo inchino, individuando Lorenzo in lontananza a regger in mano una pelliccia; gli fece cenno di raggiungerli, mentre Benedicta faceva capolino al braccio di Manuel Caballero.

«Ragazzi conoscete già il signor Caballero?» E strinse un occhio alla cugina.

«Toh chi si rivede.» Gli fece eco Manuel; Benedicta alzò un sopracciglio in direzione di Javier sbuffando.

«E’una lunga storia.» Mimò Leonor con le labbra e con le mani intimando alla cugina di non insistere.

«Che si fa allora?» Lorenzo scaricata la pelliccia e la signora si era unito al gruppo smanioso di finire la serata in bellezza. «Non so voi ma qui ci si annoia parecchio.»

Tutti lo guardarono male, guardando poi Manuel. «Oh non vi preoccupate. Il vostro amico ha ragione. Non ci si diverte mai ad un ritrovo di artisti. Dico bene Javier?»

Il ragazzo alzò il pollice approvando in toto.

«Signori a tal proposito se può essere di vostro gradimento, ho un appartamento proprio qui vicino e.. champagne e bourbon non mancano.» Guardò nuovamente a Javier strizzandogli un occhio. «E la notte è ancora giovane.»

I ragazzi si scambiarono profonde occhiate fra loro e mentre Lorenzo stava per esalare il verdetto, Hierro sbucò a braccio con un tale in soprabito grigio fumo.

«Leonor, ti cercavo.» Ignorò categoricamente il resto del gruppo, volgendo le sue attenzioni esclusivamente alla ragazza. «Volevo presentarti il mio amico Martino Leon Sierra, drammaturgo e impresario teatrale.» Sussurrò con veemenza. Veemenza che però udirono bene tutti.

Leonor gli sorrise, stringendo la mano di Sierra. «Vogliate perdonare l’attesa, vi raggiungerò al tavolo.» Hierro annuì sparendo come era arrivato; la ragazza guardò colpevole i suoi amici. «Temo che la festa proseguirà senza di me.»

Lorenzo fischiò platealmente provocando la roca risata di Manuel Cabellero, Benedicta inarcò il sopracciglio maliziosamente come era solita fare. «Cosa ci fai ancora qui? Vai!» La esortò, spingendola affettuosamente, quella dapprima tentennò, poi entusiasta distribuì baci volanti con le mani.

«Javier fammi sapere per lo spettacolo di Carmen!» E sparì fra la folla senza nemmeno dare il tempo di rispondere.

«Allora, andiamo?» Rimarcò Lorenzo.

Tutti annuirono ad eccezione di Javier che alzò le spalle, tornando nel bozzolo di mutismo.

 

*

 

Milagros Blanco amica di Guadalupe Garcia. Questa sì che era una notizia da far tremare la terra.

Osservandole bene non c’erano due persone più diverse fra loro, e il pensiero che la tanto temuta estrazione sociale difesa dall’una, un tempo fosse del tutto messa da parte dinnanzi a un’amicizia, la rendeva scettica all’infinito.

Che Guadalupe Garcia prima di diventare il mostro tanto decantato, fosse stata anche un’ingenua ragazzina?

L’immagine di quella donna proiettata nel passato le dette la nausea.

«Amiche.» Le labbra tremarono al suono di quella parola. «Tu sei strana e lo posso capire. Ma Francisca, lei cosa c’entrava con voi due?»

Sua zia sorrise, un riso amaro. «Guadalupe non è sempre stata così. Le piaceva il potere e aveva un’insana predisposizione nel godere delle disgrazie altrui. Era strana questo sì, ma le volevamo bene; questo è stato il suo più grande difetto, se vogliamo. E anche il nostro. Si è sempre sentita protetta.»

«Aveva bisogno di essere protetta? Da chi, da se stessa?» Incalzò ironicamente Morena. «E tu la stai giustificando, ti fa pena adesso? L’hai definita mostro se ben ricordo.»

«So che è difficile da capire, ma tu potresti farlo.»

«Mi sfugge in che modo..»

«La sua famiglia. Erano persone senza niente, maledette. Si diceva provenisse da un’antica famiglie di.. streghe. Dicerie certo, nessuno credeva a queste cose veramente eppure questo non impedì di tagliarli fuori dalla vita sociale del paese, ridotti ai margini e con il divieto di mettere piede a Fuentesauco.  Le cose cambiarono quando Estefan la prese in sposa. Le voci si acquietarono, ma lei divenne spietata e per anni covò nel cuore le ingiustizie che subì. Questo l’ha fatta diventare la donna che è. Un mostro. E lo è davvero. E’ capace di tutto pur di ottenere vendetta.»

«Quindi questo dovrebbe convincermi a provare pietà per lei?» Morena per nulla intimorita la guardò con occhi di fuoco. «Giammai, ti dico! Quella donna ha un animo oscuro ed io, e solo io, so bene dove può arrivare la sua cattiveria; il punto è che voglio capire come si può essere amici del diavolo e poi odiarlo perché lo è. E questo me lo devi dire tu Milagros, e subito.»

La linea dura delle labbra si trasformò in ghigno, sulla donna; alzò gli occhi lentamente, erano umidi. «Purtroppo non solo tu sei a conoscenza della sua cattiveria, Morena. Siamo cresciute nello stesso paese, era inevitabile; ma a quel tempo si pensava solo alla guerra, a campare e riuscire a non farsi ammazzare, non vi era tempo per combatterne altre fra di noi, senza senso. Crescendo le cose sono cambiate, non potevamo più chiudere gli occhi e tutto è andato in rovina.»

«Cosa è successo?» Chiese la ragazza spazientita.

Milagros sospirò come se un grosso macigno le pesasse in petto, cominciò a narrare la storia con due lacrime che scesero velocemente sulle guancie, e che andarono a infrangersi sulle mani strette al grembo.

«Francisca era bella, la più bella di tutte e quando venne data in sposa ad Alfredo, un moto di gelosia scaturì in Guadalupe; non ce ne crucciammo, credevamo fosse solo uno sciocco capriccio figlio del suo carattere..  fino a quando ad una festa di primavera, offrì a Francisca uno strano druido, facendole perdere il bambino che portava in grembo. Francisca venne da me disperandosi, la pozione era talmente forte che restò in uno stato di coma per tre giorni, solo al risveglio ricordò il particolare del ghigno di Guadalupe sul viso, nel momento in cui gli porse il bicchiere apparentemente ricolmo d’acqua.»

 

«Conosci l’infuso di Dea?Fin dall’antichità, donne di qualsiasi genere o razza se ne servono per eliminare dal proprio corpo l’invasore. Un metodo molto antico ma allo stesso tempo efficace; ne basta ingerirne una tazza, per far sì che si torni come prima.»

 

Morena impallidì al ricordo che quella terribile immagine aveva provocato.

 

«Non volli crederle. Nessuno le credé. Certe cose non potevano accadere veramente e se accadevano le nostre antenate, bisnonne e prozie, avevano fatto di tutto per insabbiarle. La verità saltò fuori durante un concilio per la ricostruzione del paese dopo la guerra, al quale presero parte il parroco, il sindaco e i fondatori della città, ma nella concitazione dei fatti, una vecchia fondatrice venne arsa viva; fu colpevolizzata di soggiogare i partecipanti mediante l’uso di stregoneria, un crimine vecchio di cento anni e abolito da almeno metà del tempo! Ci rendemmo subito conto della realtà delle cose, nessuno aveva smesso di credere a quelle vecchie storie e s’agitò fra le persone la voglia e il desiderio di eliminare chiunque fosse ritenuto sapiente di certe arti; non ce ne accorgemmo subito, ma Guadalupe sparì. Apparse innumerevoli anni dopo, con Javier stretto al petto come un trofeo.»

«Cosa successe dopo? Perché non l’avete fatta processare?»

«Francisca non riuscì mai ad avere figli come tu sai e questo non l’aiutò; perse il senno. Non fu mai creduta e purtroppo in quello stato nessuno se la sentì di appoggiare la sua tesi, nonostante fu provato che tali arti erano in uso fra noi.»

Morena contrasse le labbra indignata. «Nemmeno tu, che ti sei riempita la bocca al suo funerale chiamandovi amiche?» La donna negò con il capo. «Ma che razza di donna sei?» Sentì montare una rabbia così devastante che il respiro affannato le squarciava i polmoni. «Sapevi che era lei infondo a quella grotta e mi hai fatta disperare per una notte intera! Eri a conoscenza di questa tragedia e mi hai data comunque in sposa ad Alfredo. Hai voltato le spalle alla tua amica in vita e lo hai fatto anche dopo morta. Che razza di donna sei?»

Milagros chiusa in un bozzolo di disperazione scosse velocemente il capo asciugandosi le lacrime. «Era necessario. Tutto è stato necessario.» Recitò,cantilenando. Poi si riscosse, ispirando profondamente. «Per Francisca non c’erano più speranze ormai. E la malattia le ha dato il colpo di grazia; sapeva che Alfredo nutriva un certo interesse per te, diceva di percepirlo guardandolo fissarti mentre aiutavi tuo padre a spaccarsi la schiena nei loro campi. Non le ho mentito sulle mie intenzioni nei tuoi riguardi, anche se avrei potuto farlo e lo sai.» Strinse le mani a pugno, fissandola ora con lucidità. «Quanto a te eri scossa quella notte, ma allo stesso tempo determinata. E sei stata più che capace di renderti conto fin da subito del pericolo. Non c’era bisogno che io aggiungessi altro dolore.»

«Tu non ti rendi conto.» Morena sovrastò le sue parole urlando di rabbia, attraversata da fremiti che le nascevano dalle viscere. «Ho ingiuriato contro mio padre e l’ho ripudiato. Non vedo Stella dal giorno del mio matrimonio, l’unica componente della mia famiglia alla quale ho permesso d’assistere.. e tu dici che era necessario?» La spostò, facendosi largo verso la chiesa. «Non voglio più vederti, da qui proseguirò sola.»

«Sbagli a giudicarmi.» Rispose la donna alle sue spalle, sull’orlo del pianto. «Ho pagato i miei debiti.»

«Come?» Si girò l’altra denigrandola con un sorriso accusatorio. «Manovrando le vite dei tuoi cari, giocando a patti col diavolo?» 

«Era necessario.» Insisté Milagros, con il poco di fiato rimasto in gola; allora Morena si voltò, cerea in viso.

«Sai Milagros, avevi ragione tu. Le persone sono la feccia di questo paese, e tu ne fai parte, che ti piaccia o no. Ho guardato negli occhi di quella donna e c’ho visto odio, rancore, frustrazione; le stesse identiche cose che vedo nei tuoi. Forse non siete così diverse, dopotutto, ed io non voglio essere come voi. Non mi interessa sapere per chi o cosa fosse necessario, non voglio fare parte di questo gioco. E soprattutto, non voglio averti più nella mia vita.» Enfatizzò la durezza delle parole voltandosi a guardarla come se guardasse spazzatura. «Sparisci, raccogli i tuoi stracci e vattene via. Il più lontano possibile da me. Evitami lo spiacevole disprezzo, che proprio non riesco a trattenere guardandoti, al cospetto di Alfredo. Non se lo merita, è un uomo buono lui, un’altra vittima.»  

«Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per te!»

Non aveva mai visto Milagros così.. implorante. Era sempre stata una donna forte.

Con delle fragilità al di là della comprensione umana, ma risoluta nelle scelte, mai piegata.

Si rese conto quanto poco conosceva le persone.

Quanto poco conoscesse tutto ciò che la circondava.

Si rese conto quanto poco sapesse della sua vita e quanto poco le fosse stato detto.

E questo faceva paura. Tremenda paura.

 

Si portò svelta verso il sagrato, Milagros alle sue spalle vaneggiava, finché anche quella litania ebbe fine.  

 

«L’ho fatto per te. E Per lui.»

 

*

 

Deviò per i campi, quando lasciò Don Pedro e lo sfarzoso abito nuziale.

Non aveva intenzione di dividere la corsa con sua zia ma restava pur sempre una signora, perciò le permise di rientrare alla pensione con la carrozza, assicurandosi così che avesse recepito bene il messaggio e che avrebbe impiegato il tempo a preparare i bagagli per tornarsene a Madrid. O dovunque ella volesse tornare.

Era fremente di rabbia, ma i suoi consigli non erano del tutto sbagliati.

Sapeva che in quel grande gioco, misterioso e via- via più pericoloso, bisognava necessariamente affermare e ristabilire il suo ruolo, se davvero la sua intenzione era quella di essere lasciata in pace.

E ci sarebbe riuscita, non avrebbe permesso a nessuno di intralciare la felicità sua e quella di suo marito.

 

Lui era lì, con il cappotto aperto e gli stivali di gomma tutti inzaccherati.

Dava ordini come un comandante eppure aveva arrotolato le maniche e porgeva aiuto, quando serviva.

Conosceva quei braccianti uno ad uno; era lei, fino a poco tempo prima, una di loro.

Quando la vide sbucare fra i mucchi di neve fresca, sorrise sincero, emozionato.

«Che è successo alla tua carrozza?» Le chiese, fra il perplesso e il preoccupato.

Morena sventolò la mano in aria, all’altezza degli occhi. «E’ una lunga storia. Ma non preoccuparti, sto bene.» Si sfilò lentamente il cappotto dalle spalle, abbandonandolo nel carro a poche spanne da Alfredo; lui la guardò enigmatico. «Forza, non stare lì impalato a guardarmi. La neve ha bisogno di essere posata!»

«Che è successo, Morena?» Berciò lui, poco convinto.

«Deve essere successo qualcosa, perché io mi interessi agli affari di mio marito?» Sentenziò lei per tutta risposta.

«C’entra Milagros, giusto?»

Sapeva che era evidente, abbassò lo sguardo, colpevole. «Non sono stata presente, Alfredo. E la tua perplessità conferma questa tesi. Non voglio essere più solo il tuo.. passatempo, se hai capito quello che intendo.»

Alfredo si guardò intorno; i contadini erano riversi con la faccia sulla terra e le vanghe piene di neve in mano, intenti a sparpagliarla sui campi quasi come un concime -che avrebbe aiutato a mantenere i germogli di granoturco sempre freschi e dissetati- per nulla attratti dalla loro conversazione.

L’avvicinò a se rudemente. «Mi offendi parlando in questo modo. Sei mia moglie e mi sembra di trattarti con il rispetto che meriti.» Graffiò fra i denti, roco e sensuale.

«Proprio perché lo sono, hai bisogno che io mi interessi a te.» Gli accarezzò dolcemente la guancia, sospirando. «Sei un gentiluomo non era mia intenzione offenderti, ma lascia che ti aiuti, mi fa sentire utile. E non dimenticare che io so tutto di granoturco!» Sorrise, sperando di sciogliergli i nodi dall’animo.

«Tu invece ricorda che non mi devi niente, Morena.» Non si rabbonì, ma la sua mano passò dolcemente dal fianco al collo, con una carezza. «Tuttavia non posso che essere d’accordo sulle tue conoscenze; l’idea che gli scarti di cuoio potessero esse impiegati come concime l’hai avuta tu, e guarda qui!» Si chinò, scavando con mani nude nel ghiaccio. «I germogli sono duplicati.»

«Non mia. Di mio padre. E’ sempre stato convinto che fossero altamente fertilizzanti.» Sorrise tristemente e questo non sfuggì allo sguardo attento di Alfredo che la prese a sé stavolta con dolce fermezza, chiudendola nel suo cappotto.

«Non puoi avercela con lui per sempre. Qualsiasi sia il motivo, farà sempre parte di te.»

«Gli ho detto cose terribili, Alfredo, non mi perdonerà mai.»

«Lo farà.» Disse cullandola. «Lo ha già fatto.»

«Lo hai visto? E’ qui?» Mosse il capo velocemente cercandolo fra i braccianti, ma non riuscì a trovarlo; da quando era andata in sposa ad Alfredo, si vedeva sempre meno in giro e l’ultima volta in sua presenza era stato il periodo della concimazione, quando con gli occhi lucidi se ne stava a guardarla spiegare agli altri contadini che aveva rinnovato il composto per la fertilizzazione utilizzato da suo marito, con uno nuovo da una bizzarra idea di un genio visionario.

Quel genio era lui, ed anche se non si parlavano da troppo tempo, sua figlia non lo aveva dimenticato.    

«Ho fatto molto di più.» Alfredo indicò i bordi del campo, a ridosso del fiume; c’era fermento, un andirivieni di quelli che all’apparenza sembravano manovali, con i loro secchi e martelli.

«Quello non è il tuo mulino?» La ragazza corrugò perplessa la fronte. «Lo stai.. demolendo? Ampliando?»

«Il nostro mulino.» La corresse. «L’uno e l’altra, mia cara.» Per la prima volta da quando aveva intavolato l’ardita conversazione sulla sua inutilità di moglie, Alfredo aveva riso sincero. «L’inverno è ancora lungo, disponiamo del tempo necessario per attuare tali modifiche. La mia intenzione è quella di aumentare la produzione, estenderla a largo raggio. Vieni con me.» Le posò una mano alla base della schiena accompagnandola verso il capannello di persone in lontananza; i braccianti vedendola passare la salutarono con discrezione. Alfredo si fece consegnare da Alberto -un ragazzo che per poche peseta gli teneva la contabilità sfruttando il praticantato per la primavera prossima, quando avrebbe raggiunto il padre a Madrid e lavorato presso uno studio contabile vero e proprio- i registri con le annotazioni, sfogliandole sotto gli occhi curiosi di Morena. «Potremmo duplicare il fatturato, se non addirittura triplicarlo! La farina “Lorenzo Montenero” piace per la sua morbidezza, per il suo profumo e il colore paglierino.» L’uomo infilò la mano nel sacco e ne prese una manciata, passandola poi nella mano della moglie. «Annusa. Tutti gli odori e il sole di Fuentesauco vi sono racchiusi.» Morena obbedì portandola al naso; non era la prima volta che la vedeva ovviamente, nella loro casa circolavano difatti esclusivamente prodotti della terre Roquez, ma non si era mai soffermata sulla poesia che Alfredo nutriva per ciò che creava; le aveva dato il nome dai due cognomi della defunta moglie, Lorenzo Montenero e se non suonava poetico questo non sapeva cosa altro. Si sentiva sciocca ad annusarla, certo, ma sapeva quanto amore e quanta dedizione quell’uomo metteva in tutto ciò che faceva e si sentiva male, malissimo per le menzogne che gli aveva detto e per quelle che doveva ancora dirgli; ripose la farina nel sacco e annuì debolmente.

Nel rialzarsi però la testa prese a vorticare e le gambe cedettero.

Una sensazione di nausea la pervase dalla punta dei piedi fin su i capelli; tremò e Alfredo le fu subito addosso.   

«Morena che ti prende?!»

La donna indicò il terreno, Alfredo si tolse di fretta il cappotto, accomodandola su.

«Morena rispondi, stai bene?!» I suoi occhi erano pieni di ansia e di terrore; la donna si fece forza inspirando e gli porse una mano lieve sulla guancia.

«Aspetto un bambino, Alfredo.» Chiuse gli occhi, lasciando che la schiena si rilassasse sul sacco alle sue spalle.

L’uomo si lasciò andare in un sospiro, poi letteralmente in un gemito di pianto.

«Oh no ti prego.. sapevo che non era il momento giusto.» Cercò di ridere, ma le convulsioni del petto la fecero rimettere. «Non è andata come credevo..» Si asciugò di fretta la bocca, aprendo gli occhi; Alfredo era su di lei che la guardava emozionato, con gli occhi pieni di gioia.

«Un bambino.» Sussurrò.

«Un bambino.» La voce atona di Lucio Soler sbucò dal mulino. Morena allargò gli occhi spaventata.

«Che ci fa lui qui?» Chiese in preda al panico e allo stupore.

Alfredo, rinsavito, l’aiutò a rimettersi in piedi. «Hai di fronte a te il nostro nuovo mugnaio.»

La ragazza traballò di nuovo, l’uomo la issò in braccio.

«Aiutami Lucio, porta qui il mio carro, Morena ha bisogno di ritornare a casa.»

«No..» protestò lei debolmente. «Vai tu a prendere il carro, ho bisogno di stare con lui.» L’uomo la guardò apprensivo, lei lo fissò con quel poco di fermezza che le era rimasta. «Ti prego, va..»

Lucio si mosse nella loro direzione, posò un braccio sulla spalla di Alfredo e lo pregò d’ascoltarla.

«Non le succederà niente. La amo più di qualsiasi cosa al mondo.»

I suoi occhi lucidi non lo tradirono mentre riceveva quel minuscolo corpo fra le braccia.

Alfredo annuì, lanciandosi di corsa verso il centro del campo.

 

«Grazie.. papà. So quanto ti costa mentire.»

«Sta zitta.» La rimproverò aspramente. «Tua zia mi ha raccontato tutto. Pover’uomo..»

«Lo so è terribile.» Espirò lei, desolata. «Non avevo intenzione di rovinare la sua vita, ma lo hai visto con i tuoi occhi no? Non mi ha lasciata nemmeno il tempo di finire.. lo uccido se gli dico che il bambino è di Javier.»  

«Non devi dirglielo.» Soffiò repertorio. Poi addolcì lo sguardo. «Lo amerà, lo amerà molto più di quanto lo ami già adesso. E capirà, non è un uomo che si può ingannare, ma non è nemmeno un uomo come tutti gli altri. Ho imparato a conoscerlo e merita di vivere in pace. E anche tu. Promettimi che non gli dirai niente, ti prego.»

Se Lucio Soler voleva strapparle quel giuramento, lui che aveva amato e cresciuto Stella nell’ombra del sospetto che non fosse figlia sua, allora poteva e doveva essere in grado di pronunciarlo; doveva essere forte, anche se questo contribuiva ad accrescere il mare di menzogne nel quale annegava il suo matrimonio, doveva preservare le loro vite e quella del figlio che portava in grembo. E quest’ultima era la sua prima priorità.

«Lo giuro.» Sentenziò, prima che le braccia di suo padre la lasciarono per adagiarla sul carro dalla quale Alfredo svettava; era preoccupato, lo si leggeva ben in viso, ma vi si leggeva anche un certo orgoglio appeso agli occhi. 

«Papà..» Gli toccò velocemente il petto prima di congedarlo. «Mi dispiace.. per tutto.»

«Pensa solo a stare bene.» Lucio strinse forte quella mano e nel farlo vi depositò un biglietto. «Dottoressa Velasco, la..ginecologa di Milagros, dalla vicina Salamanca. Desidera che ti lasci seguire da lei.» Gettò un occhiata alle spalle di Alfredo, che nel frattempo stava ricevendo complimenti e auguri, e tornò su di lei. «E’ l’ultima cosa che ti lascio fare per conto di quella di donna. Ma è necessario e sono d’accordo con lei.»

Morena inspirò; Pena sapeva troppe cose. «Dimentichi che Pena però ha già spifferato tutto una volta.»

«Milagros ha pagato il suo silenzio, da allora. Lui ha detto che andrà in pensione presto e che si toglierà di mezzo.»

La ragazza si morse il labbro. «Quindi lei è..

«Sì, se ne è andata.»

 

Non meritava nessuna delle sue lacrime, ma non riuscì a trattenerle.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Tocca la vita le sue palme e suona i suoi strumenti.

Forse incendia la sua musica, solo per farci dimenticare.

Ma ci sono cose che non muoiono e altre che mai vissero.

E ce ne sono altre che riempiono tutto il nostro universo.

Josè Hierro - Poeta del 900

 

 

La Velasco si affacciò alla loro porta come la primavera, con i primi venti tiepidi.

Era una donna dal temperamento caldo, una madre nata a sentir dire; cinque erano le creature che aveva messo al mondo e ne parlava come fossero l’unica cosa in terra capaci di tenerla in piedi.

Le era piaciuta da subito, quando con schiettezza aveva raccontato delle gioie e dei dolori della maternità, con gli occhi che rilucevano d’amore puro, amore che solo un figlio era capace di provocare e questo, aveva fatto sì che il suo istinto materno prevalesse sulla sua risolutezza prodigandosi spesso in consigli da donna più che da medico.

 

«Ecco fatto!» Annunciò, sfilandosi i guanti. «Puoi dormire sogni sereni, la gravidanza procede liscia come olio.» Si voltò sorridendo all’agonizzante Alfredo, in un angolo riparato.

L’uomo abbozzò una smorfia evidentemente imbarazzato.

«La vedevo così pallida.» Tentò di giustificarsi, sistemandosi il panciotto per sviare l’attenzione.

«Non devi preoccuparti Alfredo, hai sentito la dottoressa?»  Morena si ricompose, uno sguardo complice con la Velasco la mise in guardia. «Adesso puoi andare a riempirti d’orgoglio con gli atri zoticoni dei tuoi amici maschi in paese. Io ho ancora qualche consiglio da donna da farmi rifilare.»

«Ho capito, mi volete fuori.» Si gingillò sulle gambe prima di lasciarsi andare in un sorriso. «Se è per i discorsi da donna.. siete certe che non mi nascondete qualcosa di brutto?»

«Sua moglie gode di ottima salute, don Roquez.» Rispose la Velasco tempestivamente. «Sembra sia nata apposta per mettere al mondo figli.»

«Lo penso anche io.» E si avvicinò alla ragazza, baciandole i capelli. «Vado a fare quelle cose da maschio che hai appena detto. Ci vediamo a pranzo. Dottoressa..» Strinse forte la mano della donna e se ne andò via fischiettando.

 

«Dobbiamo parlare.»

 

La donna richiuse la porta alle sue spalle e sospirò.

«Siamo ufficialmente entrate nel settimo mese.» Morena ridacchiò per il siamo entrate; le piaceva quella donna, confermava la sua profonda empatia. Tuttavia non sembrò darle importanza  proseguendo con risolutezza. «Il che significa che manca poco perché lei accusi dei malori e perché io trovi qualcosa di interessante da fare a Fuentesauco, per i prossimi.. diciamo.. due mesi? Fortunatamente hai mantenuto il tuo peso forma e la tua pancia è perfetta, non sembri nemmeno in dirittura d’arrivo.»

Il sorriso andò via come era tornato. «Quindi mi sta dicendo che allo scadere del mio settimo mese, non-ufficiale, insceneremo un parto improvviso?»

«Proprio così. Qualche ripensamento?»

«Potrei ripensarci?» Si toccò la pancia prominente sorridendo ironica.

«Direi di no.»

E si voltò per disinfettare gli strumenti medici e riporli nella borsa di cuoio invecchiato.

Fino ad allora era stato tutto più o meno facile, Alfredo l’aveva coccolata nell’attesa che il suo corpo mostrasse molto più che una promessa d’arrivo, ed ora che finalmente il suo attendere era diventata una certezza, cominciava il gioco pesante. Inspirò; era forte. Sarebbe sopravvissuta.

La questione era.. come.

«Se lei sarà qui già da adesso, non pensa che si insospettirebbe?»

«E perché mai? Una ginecologa segue sempre la puerpera nella fase finale.»

«Fuentesauco non è un posto molto divertente. Preferirei venire io da lei, quando sarà il momento.»

La donna ci pensò su. «Questo lo terrebbe lontano il tempo necessario perché io l’aiuti a camuffare la cosa, certo. Ma se non fosse il momento giusto? Sprecherebbe un’occasione e si costringerebbe ad affaticarsi.»

«Devo rischiare.»

«Oh santo cielo! Un parto non è una cosa con la quale rischiare. Qualcosa potrebbe andare nel verso sbagliato, ci pensi bene.» Afferrò il soprabito e i suoi effetti personali, facendosi condurre dalla giovane verso l’uscita. «E comunque abbiamo ancora tempo per decidere, stia serena.»

Gli occhi di Morena si velarono di dubbi. «L’ultima cosa che voglio è farlo soffrire.»

La Velasco annuì affettuosamente. «Sono qui per questo, no?»

 

Sì, era lì per questo; l’ultimo regalo di Milagros, prima che sparisse con i venti d’inverno.

 

*

 

«Via da lì, ragazzo!»

Un uomo a bordo di una costosa Rolls lo rimbrottò dalla capote abbassata, per aver attraversato senza guardare; alzò la mano in segno di scusa, benedicendo la fortuna che quei giocattoli roboanti possedessero ancora una velocità in via di sperimentazione. Riacquistata lucidità scrollò le spalle e si rimise in cammino, quando all’angolo fra la Gran Via e Calle de Silva fu attratto da un baracchino che vendeva mazzi di fiori d’occasione, sapientemente elaborati da una signora corpulenta con uno spiccato accento del nord; era affascinato.

«Auguri? Condoglianze? Amor, qué pasa ragazzo?»

Javier fissò dubbioso un mazzo di primule blu; la donna lo imitò per poi alzare gli occhi al cielo sorridendo.

«Ah.. Amore e Speranza. E che altro? Dimmelo, ti posso aiutare nel tuo messaggio.»

Alzò le spalle. «Pentimento.. e perdono.»

Quella lo squadrò, alzando il sopracciglio nero e arcuato. «L’hai tradita?»

Il ragazzo negò con il capo, la donna si lasciò andare in una smorfia. «Respinta? Oh qué dolor!»

Lo invitò a spostarsi e cominciò ad armeggiare con i fiori e le erbe distese sul baracchino, borbottando.

«Qui ci serve un po’ di fiordaliso, delicatezza. Felce, sincerità. E in ultimo.. Iris, che racchiude l’essenza di tutto ciò. L’iris è la porta attraverso la quale, passano le parole.»

Legò i fiori con un nastro sottile di velluto smeraldo annodato a fiocco e glielo passò. «Ti piace?»

Javier rimase senza parole; quel piccolo mazzo di fiori racchiudeva in sé mesi di parole inespresse, parole che aveva avuto il coraggio di pronunciare soltanto al buio, dal fondo della sua lettiga e non troppo ad alta voce per non ammettere che fossero vere.

 

Era innamorato.

 

«E’ perfetto.» Disse, stringendo il tripudio di blu e indaco, che si alternavano nella sua mano, come un arcobaleno infinito. «I suoi occhi hanno questo colore.» Aggiunse emozionato, porgendo dalla tasca dei suoi pantaloni tre peseta.

La donna lo ringraziò più del dovuto e prima di vederlo svoltare l’angolo lo chiamò.

«Il cuore ragazzo. Fa parlare il tuo cuore, più di tutto.»

Già, pensò. E percorse la Gran Via con la testa piena di pensieri e lo stomaco in subbuglio.

 

La cameriera lo accolse con un vassoio dal quale prelevò un calice di Vermut bianco, prima di consegnarle il cappotto ed essere raggiunto da Helena, squisitamente vestita da pranzo della domenica; la casa era stranamente silenziosa, calda e accogliente come sempre, ma cosparsa da una strana allure.

«Oh Javier! Per fortuna che sei già qui.» Rimasti soli la donna gli parlò con agitazione, porgendogli la mano intorno al braccio; guardandola bene notò gli occhi rossi e i capelli arruffati del raccolto.

«E’ successo qualcosa di spiacevole?»

«Una catastrofe da rotocalco peggio solo a quelle del El Pais!» Borbottò la donna, ingollando il fondo del calice che Javier teneva stretto fra le mani. «Mia sorella per lo spavento se ne è tornata a casa, figurati. E Leonardo è nel suo studio che minaccia di far saltare tutto per aria! Una vera catastrofe!» Inspirò ed espirò a ritmo forsennato tentando di non scomporsi, ma ad ogni respiro era sempre peggio; Javier la fissava stralunato, non capiva, l’intera situazione gli sembrava inverosimile e al contempo esilarante.

«Ti prego..» esalò Helena «Puoi provare a parlarle tu? Leonor da molto peso alle tue parole.»

Leonor, certo.. come aveva fatto a non capirlo prima.

La ragazzina che si era messa in testa di fare cinema e teatro; ai loro occhi solo una capricciosa richiesta di attenzioni, questo le aveva raccontato lei, tempo prima, quando di pessimo umore erano andati ad uno spettacolo e non la smetteva più di piangere anche se la commedia era piuttosto divertente.

«A sua discolpa, Helena, e spero tu non ce l’abbia troppo con me per quello che sto per dire, Leonor è davvero molto presa da questa storia della recitazione. Ed è davvero in gamba, inserita, con le giuste conoscenze.»

La donna annuì in modo forsennato. «E’ proprio questo il problema!» Chiamò la cameriera e si fece portare altri due calici di Vermut -che Javier negò categoricamente, non proprio amante delle sbronze prima di un pranzo- lo accompagnò in una saletta attigua al salone e rimasti soli, chiuse a chiave la porta. «Quel tale Hierro, le ha messo in testa di portarla in Europa entro l’inizio dell’estate. Meditano di stare via un anno, due forse!»

«Passami quel calice.» Alle parole della donna pensò che non era poi tanto male annegare certe notizie in bollicine.

«E non è tutto; se la vuole sposare! Leonardo è furioso, quello scapestrato glielo ha mandato a dire tramite un conoscente, come se parlasse di una qualsiasi ragazzina dei bassifondi. E’ così.. così spocchioso, irritante e.. vecchio! Potrebbe avere la mia età, chi può dirlo veramente?No, non posso sopportarlo! Dobbiamo impedirgli di commettere una sciocchezza simile. Javier.. che hai, sei pallido, tutto bene?»

Non sapeva cosa era peggio; se se la stava portando via o se avesse intenzione di sposarla.

No, non si sentiva affatto bene.

 

«Javier?!»

 

«Devo parlarle Helena, ora!» Posò il bicchiere rumorosamente sul tavolo di marmo, ormai vuoto, e schizzò via come un fulmine; sapeva bene dove andarla a cercare.

Non bussò nemmeno alla sua stanza, la spalancò con quanta più forza avesse in corpo e si annunciò con il fiato corto, ma con una rabbia da ribollire il sangue nelle vene.

 

«Che ti sei messa in testa? »

 

«Buongiorno.. Javier!» Era seduta al soppalco sotto la finestra, con la fila di bottoni sul colletto del vestito aperta e le guance paonazze; scese per salutarlo, ma barcollò.

«Sei ubriaca, anche?» La raccolse, appena in tempo prima di vederla caracollare sul pavimento.

«Un po’. Ma come sei noioso.. tutte queste domande..» Posò lo sguardo sul mazzo di fiori e si accese di rinnovato fulgore. «Per me? Grazie!» Ci infilò il viso dentro e fu impossibile avercela ancora con lei; i suoi occhi si confusero nell’indaco dell’iris .

«Proprio ciò di cui parlavo..» Commentò ad alta voce, conducendola nuovamente al soppalco per farla sedere; prese i fiori e li infilò nel vaso posto al centro del comodino, accanto al suo letto, da dove spiccavano piccole e fresche margherite gialle. Inspirò turbato.

«Ho saputo che Hierro ha chiesto la tua mano.»

«Da quando lo ha saputo mio padre, lo sa anche tutta la Gran Via, dato le sue urla.»

Javier sorrise, cercando per di mantenersi serio. «E’ troppo vecchio per te.»

Leonor alzò un sopracciglio. «E’ maturo, non vecchio.»

«Maturo..» protestò ironico. «Perché ha cacciato via Franco? Ha vinto una delle sue battaglie? Per quanto mi risulta Franco è vivo e vegeto e lui ha fatto del carcere una questione d’onore più grande di quella che è. E stato solo un rivoltoso, ecco tutto. Uno spocchioso, arrogante rivoltoso.»

«Tu non lo conosci, Javier. Ha degli ideali, è un uomo colto, carismatico e interessante!»

«Quanti aggettivi per un solo uomo.. però sai, gli uomini che si definiscono tali non hanno bisogno di tutti questi fronzoli.» Si passò il pollice lungo il labbro mentre la fissava con intensità. «Lo ami?»

Leonor arrossì. «Oh Javier, ma che vuoi!» Voltò la testa sulla strada e si morse un labbro.

«Risposta sbagliata.» La canzonò, sedendole di fronte; delicatamente, con due dita, le fece voltare il viso. «Sei troppo bella e sei troppo giovane per sposare un uomo che non ami.»

«E a chi importa questo, se non a me? Io so cosa voglio, non sei certo tu, con tutto il rispetto, il più indicato a darmi consigli sull’amore Javier.»

«Forse hai ragione. Io non so nulla dell’amore, ma sbagli su una cosa; a noi importa quanto te, del tuo futuro. Importa a tua madre che è di sotto e sta per prendere una bella sbronza perché te ne andrai via. Importa a tuo padre, che è chiuso nel suo studio con l’incubo di vederti andare in sposa ad uomo che non rispetta, perché egli non ha rispettato lui. E poi.. anche se  meno importante di tutto il resto, importa a me. Perché ti voglio bene Leonor e non voglio vederti sciupare la tua vita per un uomo per la quale non ammetti amore.»

Leonor sorrise sardonica. «Non tutti hanno la fortuna di nascere con l’amore della propria vita accanto.»

«Già.. e guarda come è andata, penserai.» Non gli avrebbe reso la cosa facile, l’aveva sempre saputo, dal primo momento che aveva ammesso di esserne innamorato; sorrise, era il prezzo da pagare per averla fatta fuggire la prima volta che gli aveva dichiarato il suo amore. «E’ sbagliato pensare così! Siamo troppo giovani per buttarci via. Arrenderci! Ed io questo ora lo so, perché qualcosa è successo.»

«Ti sei innamorato?!» Soffiò in un misto di ansia e delusione, abbassando lo sguardo.

«Di te.» Incalzò lui; Leonor alzò il capo stupefatta. «Volevo dichiararmi già da tempo, ma ho pensato che serviva un momento speciale. A quanto pare, sbaglio sempre i tempi. E’ un mio difetto, ma ci sono affezionato.»

Rise, sentendosi incredibilmente leggero e sollevato.

Non credeva fosse capace di scherzare della sua vita passata, ma a quanto pare era riuscito a dimenticare.

«Mia madre deve averti fatto il lavaggio del cervello..» Protestò lei, scuotendo il capo.

«Avanti!»  Scalpitò Javier. «Come puoi essere così spietata? Sapevi che sarebbe successo, lo hai detto tu.»

«Non sei il mio primo pensiero, sai? Non più.» Bofonchiò ma con occhi allegri.

«Avevi ragione Leonor, l’avevi fin dall’inizio. Io e te siamo fatti l’uno per l’altra.» Si alzò, per poi inginocchiarsi e prendere fra le mani la giovane. «Voglio avere io il privilegio di chiamarti mia sposa. Dimmi di sì.»

Leonor mugolò. «Due dichiarazioni in un giorno. Benedicta aveva ragione. Per una qualche motivazione che deriva dai tempi delle scimmie, voi uomini siete in grado di capire le cose, solo quando queste vi sfuggono di mano.»

«Due dichiarazioni.. e una fra queste sarà ricordata come la più lunga della storia.» Incalzò lui, ignorando categoricamente il riferimento ad Hierro, guardandola con coraggio e trepidazione.

«Io non rinuncerò a me stessa, sia chiaro.»

«Non voglio rinunci a niente.»

«Allora sappi che partirò Javier, quella che mi è stata proposta è un’opportunità da cogliere al volo.»

«Oh.. ne parleremo.» Leonor negò con il capo. «Lasciami negoziare sul tempo, almeno!»

«Nessun genere di negoziazione. Ma un accordo sì.»  Studiò il suo viso mentre si appellava ad un silenzio carico di aspettative e sentì di volerla più che mai nella sua vita. «Una turneé di sei mesi, poi il matrimonio.»

Javier aggrottò le sopracciglia, poi si illuminò. «Che ne dici invece di una turneé di un anno?»

«Vuoi sposarmi o cosa?»

«Ti sposo oggi, ti sposo subito.» Disse con fermezza, tirandola su con lei. «Poi la turneé.»

«Ah, così non vale!» Gli batté la mano sul petto adirata.

«Non hai parlato di accordi puliti.. perciò mi sposi e poi partiamo.»

«Partiamo? » Chiese allibita. «Stai giocando sporco. Molto sporco, sappilo!»

«Lo so.» Rispose flautato. «Ancora qualche mese e avrò concluso il mio primo anno di accademia. Posso avere una pausa, anche un congedo matrimoniale a questo punto; riuscirei a passare con te almeno sei mesi in Europa, poi a malincuore ci saluteremo. Ma tu sarai mia moglie e a quel punto cosa saranno mai altri sei mesi? Mi sembra un buon accordo, no? Tu non rinunci a niente e nemmeno io. Allora, Leonor Ruiz Delgado, mi dirai di sì?»

 

Lei rispose si, ma in silenzio e con un bacio senza fine.

 

*

 

Maggio portò con se delle piogge devastanti.

Fuentesauco appariva come una grande pozzanghera a cielo aperto, ferita ed esposta agli eventi.

Il Rio Cochino era straripato a ridosso dei campi di spighe e questo aveva compromesso i raccolti, andando a rovinare l’imminente mietitura del mese di Giugno; vi era malcontento fra la gente, i signori fattori subivano perdite sulle future vendite e i braccianti già pronti al guadagno, vedevano sfumare la possibilità di poter passare un altro inverno.

Ad aggravare la situazione, fu l’inondazione di Vecchia Quercia e le capanne trascinate via dalla furia dell’acqua; nessuno fu risparmiato, bestie e animali pagarono il prezzo con la vita.

L’aria si era fatta malsana, pestilente e questo segnò l’arrivo di malattie, febbri, morti da aggiungere ad altri morti.

Alfredo era devastato; il raccolto era andato perduto -ma non sarebbe stato il grande signore di Fuentesauco se non avesse riposto negli anni una riserva in scorte e denaro per le emergenze- e al suo umore nero si aggiungeva la preoccupazione per Morena nel pieno della gravidanza e addolorata per le perdite che avevano subito i suoi cari.

Lucio Soler, aveva perso tutto.

Una vita di sacrifici, la sua casa, scorte e ricordi spazzati via in un attimo.

Lo si vedeva spesso vagare per i campi come un ombra nefasta a cercare cose, cercare qualcosa, la forza e la speranza, che lo inducessero a non mollare, a guardare avanti e rimboccarsi le maniche.

L’unica cosa che gli restava era il nuovo mulino e da quello non si separava mai; dopo incessanti richieste da parte di Alfredo -che lo voleva con se alla tenuta e dopo aver categoricamente rinunciato a questa ipotesi e a quella di stabilirsi presso il clericato di Don Pedro- si era convinto a trasformarlo in una sorta di abitazione temporanea fin quando le condizioni climatiche non avrebbero permesso di ricostruire.

 

Un giorno di tregua, qualcuno bussò a Legno di Quercia.

Lucio Soler e altri braccianti avevano trovato Alfredo riverso a terra, in preda alle allucinazioni da febbre.

«Mettetelo sul divano, presto!» Urlò Morena, non appena lo vide inerme e pallido da spaventare anche i morti. «Papà devi correre subito dal dottor Pena e portarlo qui.» Poi guardò al nido di persone stretto in quella stanza e mormorò. «Il vostro padrone vi sarebbe grato per quanto avete fatto per lui, ma vi prego tornate alle vostre famiglie. Adesso è nelle mani del buon Dio.»

«Se possiamo aiutarla ancora in qualche modo donna Roquez, vorremmo poterlo fare.»

«Pregate per lui.»

Pena arrivò dopo venti minuti e procurò subito un salasso al povero Alfredo febbricitante.

Nei concitati minuti d’attesa, Morena al suo capezzale e stretta al suo braccio, si era prodigata a tenergli umida la fronte e ripulirlo dal fango portatore e causale di malattie; la terra, quella terra che tanto amavano, si era fatta improvvisamente nemica e condanna.

«Ha la pelle molto calda.»

«Una pellaccia molto dura.» Rimarcò il medico, auscultandogli i polmoni. «Ti ha mai raccontato di quando ha superato il vaiolo, da piccolo?»

Morena negò con il capo, accarezzandogli amorevolmente i capelli. «Sua madre purtroppo non ebbe la stessa fortuna. Aveva cinque anni e un cuor di leone. Tante volte ho scherzato con lui chiamandolo così.»

«El leon.» Sussurrò Morena. «Stavolta avrà la stessa fortuna?»

«Limitiamoci a passare la notte. I polmoni stanno bene, potrebbe essere una nuova forma di febbre.»

«I contadini dicono di averlo sentito delirare.»

«Dopo questa catastrofe, ho udito alcuni sostenere sussurrare gli alberi.» Rispose lui ironico.

«E’ stato chiaro. Bisogna aspettare.»

L’uomo s’allontanò per pestare le medicine in un mortaio con acqua tiepida.

«Lei come sta?» Le chiese, in modo distaccato e professionale, porgendole il bicchiere.

Morena lo guardò. «Credo che lei abbia capito la situazione, non è così?»

«Sì, sua zia è stata molto convincente.»

«Mia zia sa quello che vuole.»

«Non lo avrei mai detto a nessuno comunque. Ma quel che è fatto è fatto.»

«Bene.» Asserì Morena. «Sto.. bene. Grazie per averlo chiesto.»

Alfredo si mosse convulsamente nel suo sonno senza sogni, mugolando parole incomprensibili; Morena gli strinse forte la mano, sussurrandogli affettuosamente nell’orecchio. «Sei a casa Alfredo, stai tranquillo ci sono io accanto a te.» Posò il bicchiere e con l’aiuto del medico sistemò alcuni cuscini dietro la schiena del marito. «Apri la bocca amore mio, solo un po’.» Alfredo cercò di rispondere, ma le labbra si aprirono in un’innaturale smorfia di dolore, quel tanto per che bastò a far defluire il liquido giù per la gola.

«Non farlo spostare e accertati che dorma ad intervalli di un ora. Il mio lavoro per ora è terminato.»

Morena asciugò le labbra di Alfredo e si alzò.

«Può rimanere qui, per stanotte, se lo desidera. Le faccio sistemare la camera degli ospiti.»

L’uomo corrugò la fronte e sospirò. «Purtroppo ho altre visite da fare. E per la stessa causa.»

Capì e lasciò correre. «Lasci che l’accompagni, allora.»

Richiamò la servitù con il carro e gli effetti personali di Pena, ma su l’uscio lo trattenne.

«Che ne è stato dei Roquez? Alfredo li tiene esposti in soggiorno, nei loro bei quadri, ma ho l’impressione che tutto quello che c’è da sapere è sepolto nel suo cuore.»

L’uomo annuì, lo sguardo vacuo. «Nell’anno in cui arrivò il vaiolo, molte vite furono portate via. I Roquez, vennero decimati e per quello che so, Alfredo è figlio unico.»

«Non gli è rimasto proprio nessuno?»

«Quei pochi rimasti hanno provveduto a togliersi di mezzo da soli. Legno di Quercia era una grande comune, tuo suocero amava circondarsi della famiglia, condividere con loro le enormi ricchezze. Quando capì che il resto dei capisaldi non erano altrettanto morigerati e dediti alla famiglia, depositò un testamento in calce che lasciava ad Alfredo la tenuta e gli altri beni. Con l’arrivo della pestilenza, e dopo la morte di Alvaro e la sua consorte, i sopravvissuti rimasti a bocca asciutta fuggirono via da Fuentesauco, sparsi per la Spagna o Dio solo sa dove.»

«Chi si è preso cura di Alfredo?»

L’uomo scosse il capo. «Nessuno. Si è preso cura da sé.» Il carro arrivò e Pena fece per salire. «Alvaro Roquez era un uomo assennato, diligente e amorevole. Suo figlio è della stessa pasta e a quanto vedo si è scelto la moglie giusta. Sei molto cambiata Morena, continua a prenderti cura di lui come stai facendo e tutto andrà bene.»

«Grazie.» Sospirò lei, porgendogli la mano; l’uomo corrispose, si toccò la tesa del cappello e il cocchiere lanciò i cavalli verso il ridiscendere della collina.

 

Sarebbe andato tutto bene.

 

 

La febbre calò nei giorni successivi, gradualmente e lentamente, ma dopo quindici giorni la situazione poteva dirsi migliorata; Morena si era fatta sistemare nel salone per averlo sempre sotto controllo, rinunciando da subito all’idea di farlo spostare nelle loro stanze private, umide e così lontane.

«Morena..» Tossì violentemente, Pena aveva detto che il muco era provocato dal tempo che aveva passato nella pozzanghera e che con frequenti effluvi balsamici sarebbe guarito in me che non si dica.

«Sono qui.» Si era appisolata sulla poltrona; sgranchì le gambe e l’avvicinò. «Hai sete?»

L’uomo annuì. «Devo.. devo parlarti.»

«Sono tutta orecchi.» Sorrise, aiutandolo a bere. «Prima però mangerai qualcosa, sei ancora molto debole.»

«Proprio di questo volevo parlare.»

Ma Morena era sparita nelle cucine senza dargli il tempo di aggiungere altro; quando tornò stringeva fra le mani una ciotola fumante di brodo e dei crostini di pane inzuppati.

«Ti stai affaticando, lo vedo.» Brontolò. «Hai l’aria di una persona che non mangia da giorni.»

«Sto bene Alfredo.» Alzò gli occhi al cielo, sventolando del pane e formaggio come a volergli dire “visto?” «Piuttosto, cosa volevi dirmi?» Affondò il primo cucchiaio nella minestra e glielo porse.

L’uomo rispose con vigoroso appetito. «La tua pancia è cresciuta molto.»

«Va bene, non hai perso la vista.» Incalzò sorridendo. «Volevi dirmi solo questo?»

«No.» Sorrise energico. «Devi farmi un piacere. Nel mio ufficio c’è una cartella verde con la dicitura Herrero.» Morena fu tutta orecchi. «Aprila, c’è un indirizzo. Devi scrivere alla persona citata in intestazione, che è giunto il momento che lei torni a Fuentesauco.»

«Herrero, hai detto?»

Alfredo alzò un sopraciglio. «La parte migliore di quella famiglia che potessi sperare di avere ancora in vita.»

«E cosa vorresti mai desiderare da questa famiglia?» Chiese, ironicamente spazientita.

«Ho una cugina della tua età a Villescusa. Negli anni mi sono prodigato affinché ricevesse istruzione, sai sogna di fare l’architetto;  una ragazza bizzarra, ma con la testa sulle spalle.» Sospirò. «Le ho chiesto di prendersi cura di te al momento opportuno. E questo lo è.»

«So badare a me stessa.» Rispose lei fra i denti. «Abbiamo abbastanza inservienti alla tenuta.»

«Olivia è della nostra famiglia, Morena.» La corresse Alfredo con voce roca.

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare, ma non riuscì a trattenere la rabbia. «Quelle stesse persone che hanno pensato bene di sparire, quando hanno capito che tuo padre non gli lasciava il becco di un quattrino? Perdonami, ma non riesco a capire come tu possa chiamarla ancora famiglia!»

Si alzò stizzita gettandogli addosso la coperta che aveva sulle gambe; andò nel suo studio e cercò meccanicamente e senza interesse ciò che aveva chiesto. Dalla cartella scivolarono dei fogli, oltre l’indirizzo richiesto; li raccolse e si ritrovò a leggere un atto di proprietà che contava alcuni vigneti e terreni di Villaescusa, a quanto pare ad usufrutto di un piccolo nucleo di Herrero, e ciò che la colpì fu il suo nome bello in chiaro, sigillato a fondo pagina con il sigillo d’autorità in lacca rossa, che la deteneva padrona di quei beni a tutti gli effetti.

Il suo nome, prima di quello di Alfredo.

Rimase di sasso, poi il senso di colpa bussò prepotentemente alla sua porta.

 

«Tu sei giovane e forte, puoi essere il proseguo di tutto quello che vedi intorno a te.»

 

Le aveva detto tempo fa. Era stato di parola. E l’aveva messa bene per iscritto.

Sentì il bisogno di sedersi, ricomporsi prima che quell’immane senso di desolazione la distruggesse.

Era stata burbera e rozza, di nuovo. E con lui.

Non sarebbe più dovuto succedere.

Quell’uomo le aveva praticamente messo la propria vita nelle mani.

 

«Io..perché?» Sentì il bisogno di chiedergli, quando tornò con l’atto impugnato.

La fissò gelido, anche se un qualcosa di eternamente sincero brillava nei suoi occhi.

«Sono vecchio, Morena. Vecchio abbastanza da non sperare di sopravvivere a mia moglie. E non lo desidero, per tutto l’oro del mondo.»

Morena si lasciò cadere ai suoi piedi, stringendogli le mani. «Dovevi dirmelo.» Soffiò in punta di lacrime.

«Non mi piace la pietà.» Disse, accarezzandogli la guancia. «Sono innamorato di te proprio per quella che sei.»

A quel punto gli argini si ruppero e non ci fu scappatoia altrettanto forte da reggere il pianto sommesso che sentiva salirgli su dalla gola. «Non piangere.» Disse lui, cingendole le spalle per consolarla. «L’ho stipulato molto tempo fa, quando te ne andasti dopo essere piombata qui, appena saputo che tua zia ci aveva promesso; ho capito subito di che pasta eri fatta, dovevi solo capirlo anche tu. Il tempo mi ha dato ragione, sei risolutiva e pragmatica, proprio come una vera Roquez.» Le alzò il viso, cercando i suoi occhi umidi e ottenebrati di tristezza. «So che non riesci ad amarmi come vorrei, ma ti prendi cura di me -e sono sicuro molto presto- della creatura che porti in grembo, che vedo amore in ogni cosa e comunque.» Sospirò nel vederla sorridere e lasciò la presa dalle sue spalle. «Adesso mi serve quella risolutezza, Morena. Avrei dovuto depositare subito l’atto presso il consolato di Madrid, contavo di farlo questa primavera ma bloccato qui non posso, così quel pezzo di carta vale meno che niente. Per questo voglio che Olivia ci raggiunga; deve aiutarti a mettere le cose a posto.»

Morena si asciugò definitivamente gli occhi, guardandolo con aria di sfida. «Non intendo far viaggiare una sconosciuta con gli atti di proprietà della nostra famiglia.»

Alfredo scosse il capo allarmato. «Non viaggerai tu, non nella tua condizione.»

«Sto bene e sono risoluta.» Affermò facendogli il verso ma con una chiara determinazione a fiammeggiargli nelle pupille. «Andrò a Madrid insieme ad Olivia, se proprio ci tieni, ma sono tua moglie e non mi farò condurre nella mia vita al braccio come un’incapace!»

Si alzò, raccogliendo le stoviglie e si diresse alle cucine; i volti del tempo passato adesso sembravano sorriderle dai muri banchi della casa. Era felice, dopo tanto tempo tornava ad assaporare la fierezza per una conquista.

Finalmente poteva restituire un po’ di gratitudine.

 

«Fammi chiamare se hai bisogno di me. Sbrigherò la corrispondenza dallo studio.»

 

Gli baciò il capo e si domandò se era il caso o meno di avvertire la Velasco di questo imminente viaggio; nello stesso momento il bambino scalciò dal suo ventre così forte che non ebbe più tentennamenti. «Sarà bene che io scriva anche una missiva a Salamanca.» Si toccò la pancia affettuosamente cercando la complicità negli occhi attenti di Alfredo. «Manca così poco. Forse la Velasco potrebbe accettare di passare del tempo a Fuentesauco come nostra ospite.»

«In passato era un usanza molto praticata, fra i benestanti.» Asserì Alfredo, guardando le fiamme del camino crepitare. «Sei preoccupata per qualcosa?» Chiese poi con una punta di agitazione.

«Solo del tempo che passa.» Cercò di minimizzare, sorridendo.

«Sarò al tuo fianco, qualsiasi cosa succeda.» Sospirò quasi profetico, e Morena sentì nuovamente un nodo alla gola.

«Certo.» Boccheggiò, insicura.

«Devo esserci.» Rincarò Alfredo, improvvisamente cupo.

Mai come adesso pensò che avere il medico vicino fosse un’idea brillante, non fosse che l’imminente nascita del piccolo coincidesse proprio con la sua partenza per Madrid; forse, pensò amaramente, partorirò davvero ai confini del mondo. Scosse il capo, scacciando via il pensiero di lei lontana e l’animo triste di Alfredo, privato della gioia di udire il vagito del neonato che lui credeva suo figlio, tenendosi salda alla speranza e alla fede.

Dios perdonami e tu mio amor“ pensò guardandosi il grembo, “non correre. Non avere fretta!”

«Pensavo a Riccardo, come nome.» Esalò sottovoce Alfredo, chiudendo gli occhi verso pensieri nascosti. «Il primo Roquez e la prima pietra di Legno di Quercia.»

Morena anelò un respiro sognante. «Sei capace di rendere poetica qualsiasi cosa tu dica, Alfredo.»

«Il passato è poesia.» Le sorrise, addolcendo lo sguardo e Morena annuì conscia; ricordò con gioia la storia di Riccardo Roquez -nonno di Alfredo- un migrante che da Malaga, nel tempo vessata dalla fame che aveva portato l’assolutismo di Re Ferdinando VII, partì alla volta del nord e fermatosi in pianta stabile in quel di Fuentesauco, dopo aver aiutato in primis la città -che lo aveva così calorosamente accolto- all’ennesima esondazione del Rio Cochino, e secondo poi essersi innamorato della giovane ricca contadina Isabella Carbonero, facendosi valere per le sue doti filantropiche. In breve tempo aveva tirato su di una collina, una comune per rifugiati con il legno di quercia da sempre simbolo di forza, virtù e coraggio, dividendo con quella stessa gente il pane e i viveri, senza distinzione sociale; la comune si era rilevata una grande risorsa sociale e andava allargandosi a vista d’occhio, e quando le cose -lentamente ma inesorabilmente- tornarono al loro posto come le persone, si trasformò nella bellissima tenuta, che Alvaro padre di Alfredo in seguito di generazione, raffinò conferendogli l’aspetto di una elegante casa di campagna.

Il resto fu tutta un’altra storia da scrivere, e le terribili conseguenze della dipartita di quest’ultimo, così come le aveva raccontato Pena, ne scrisse il più tragico epilogo.

 

«Io ti aiuterò a scrivere il futuro.» Disse, stringendogli la mano, prima di congedarsi e lasciarlo riposare.

 

*

 

Guadalupe Garcia era la donna più felice di tutta la provincia di Zamora e dintorni.

Il motivo, presto detto, consisteva nell’affrontare il viaggio verso Madrid alla volta di suo figlio e di quella che sarebbe stata la sua nuova famiglia; i Ruiz Delgado.

Tutto era andato esattamente come nei piani stipulati nel suo cuore e mente di madre, anni e anni addietro, quando il suo piccolo Javier imparava a leggere e fare di conto; avrebbe maritato una giovane e ricca signora di città e sarebbe finito gendarme della nazione conducendo una vita piena e felice. Perché lui era un La Fuente e da quel nome passava la nobiltà dei signori di Fuentesauco, meritava qualcuno della sua stessa estrazione, qualcuno che lo stimolasse e lo appagasse con l’intelletto e una sana e cospicua fortuna in peseta.

Leonor Ruiz Delgado, era tutto ciò che aveva sempre sognato per lui.

Quando si era fatto il tempo di pensare al suo futuro, si era data molto da fare, intrattenendo rapporti con le famiglie bene di Madrid affinché il figlio rientrasse nella cerchia degli eletti e vi si impiantasse il più a lungo possibile. Al giungere della notizia dell’imminente fidanzamento, con quella che rappresentava la crema dell’alta borghesia delle costruzioni, aveva quasi sorriso -il ridere o sorridere non erano cose per lei, i sentimenti andavano frenati secondo la sua logica se non si voleva sopperire nella vita- e si era chiusa in un bozzolo di autocompiacimento che rischiava di farla collassare proprio nel giorno culmine delle loro vite.

Non doveva succedere.

Doveva tenere la mente lucida e i polsi fermi.

Allora pensava alla sgualdrina Soler, all’odio che covava per lei ad un passo dal rovinare tutti i suoi piani portando in grembo il figlio che Javier gli aveva piantato dentro, e si fomentava di nuova e rifulgente ambizione.

L’odio l’aveva aiutata a sopravvivere ieri.

E l’odio l’aiutava a vivere oggi.

La vita era stata così ingiusta per lei; nata e cresciuta in una famiglia nomade, emarginati prima ancora di impiantarsi a Fuentesauco, definiti pericolosi, inconcepibili, aveva toccato il fondo quando sua nonna venne arsa viva perché ritenuta sapiente di arti magiche e una strega; nella foga e nella concitazione degli eventi, quando la donna venne prelevata dalla baracca in cui vivevano, qualcuno l’aveva picchiata e abusato di lei ingravidandola.

Fu il periodo più nero della sua esistenza e i Garcia, pienamente coscienti che le voci che giravano intorno a loro non fossero solo voci perché discendenti da un ramo congenito di streghe e stregoni, si erano visti scoperti, il vaso di pandora tenuto sigillato in anni di solitudine e silenzio, scoperchiato; la sua famiglia fu costretta a ripiegare al confine, fra i boschi, vivendo da selvaggi più di quanto non fossero abituati già.

Non ebbe altra scelta se non quello di bere l’infuso di Dea, ma questo causò al suo corpo danni irrimediabili.

Sola e discriminata, si era chiusa nel livore che la consumava, fino a quando il destino non portò sul suo cammino Estefan La Fuente, giovane discendente degli antichi signori di Fuentesauco, che a dispetto di tutto si innamorò perdutamente di lei e la sposò, elevando la sua vita da feccia quale era a splendore.

Il destino le donò in seguito anche Javier.

Il regalo più bello. Ma anche quello era costato lacrime e dolore e sangue.

 

Ma quella era una storia che non poteva e non voleva ricordare.

 

«Signora i suoi bagagli sono in auto. Don La Fuente l’attende in cortile.»

«Prendi il mio cappello Karim e il foulard pesca.»

 

Era tutto pronto. Inspirò profondamente.

Si rivolse  un’ultima volta allo specchio,guardando con disapprovazione il colorito cereo e chiazzato del volto. L’inserviente, in aria di burrasca, ripiegò sgattaiolando a recuperare quanto chiesto.

“Niente e nessuno mi impedirà di ottenere quello che voglio. A qualsiasi prezzo.”

Pensò, passandosi il dito là dove la pelle era diversa, non troppo evidente agli occhi altrui, ma ai suoi sì, e un ghigno malevolo si dipinse sulle sue labbra, in ricordo di una notte di molti mesi prima.

 

L’acido dell’infuso di Dea che le era stato sbattuto in viso, le aveva bruciato la pelle cambiandole il colore.

 

*

 

«E’ un carro quello che sento?»

 

Tornò un po’ di pace a Legno di Quercia.

Morena s’affaccendava nelle questioni quotidiane ed Alfredo, ancora non completamente ripreso ma comunque capace di tenersi in piedi per qualche ora, faceva la spola dai campi alternandosi a Lucio.

La ragazza sapeva che era il solo modo per farli stare tranquilli circa la sua attuale situazione, ma avere sempre suo padre intorno la faceva sentire ansiosa; la seguiva come un ombra, ancora poco convinto che la figlia fosse in grado di tacere i suoi inconfessabili segreti.

 

«Aspettavi qualcuno?» Rispose Lucio, imbracciando il fucile.

Morena scosse il capo, scortandolo e precedendolo alla porta retrostante.

«Non ti preoccupare, ci penso io. Tu va ai campi e avvisa Alfredo;credo di sapere di chi si tratti.»

L’uomo esitò, la ragazza alzò gli occhi al cielo esortandolo a muoversi.

Quando Lucio fu lontano, aprì la porta principale; una ragazza minuta dagli occhi azzurri la stava fissando.

«Immagino tu sia Morena.» Esordì allegra.

«Morena Blanco Soler. Senza ombra di dubbio, tu sei Olivia.»

Si guardarono a lungo senza proferire verbo, per poi scoppiare a ridere.

«Ti credevo diversa.» La ragazza interruppe il flusso di risate, imbracciando la sacca sulla spalla; un cenno di Morena e fu prontamente prelevata dalla cameriera, insieme al soprabito. «Anche io. Vieni, entra.»

La ragazza sussultò dopo pochi passi; si voltò con il viso verso lei, cercando di scusarsi con lo sguardo.

«Mi fa strano essere qui.» Arrossì, scorrendo con gli occhi le pareti intorno. «Non è cambiata poi molto.»

Morena alzò le spalle divertita. «E’ innamorato della storia e delle sue cianfrusaglie.» 

La ragazza annuì, compitamente. «So che per te è strano che io sia qui, ma non avrei accettato se non fosse stato lui a chiederlo. Devo molto ad Alfredo, ma di questo credo tu sia già stata informata.»

Morena sospirò. «Il suo cuore è sigillato quando si tratta della sua famiglia. Ma di te ha molta stima.»

La guidò verso il salone principale, una stanza molto grande e comunicante con i due esterni mediante archi che davano sui giardini; da quello posteriore intravide suo padre sbracciarsi, alzò la mano rassicurandolo per vederlo rimettersi subito al lavoro.

Fece arrivare dalle cucine pasticcini caldi e limonata, che versò in un bicchiere porgendolo alla giovane, visibilmente più rilassata; era vestita alla maniera degli uomini, con comodi pantaloni di lino al ginocchio ma dal un taglio decisamente più femminile e sotto il bolero una camicia a pieghe color crema fermata al colletto da un cammeo rosa cipria raffigurante una deliziosa dama. Era audace ma non troppo,elegante eppure sobria, smorzata dall’aria giovanile accentuata dai capelli raccolti in una treccia volutamente scomposta e adagiata sulla spalla sinistra.

Dava l’impressione di essere una persona molto pragmatica. Quando incrociarono lo sguardo, lei le sorrise.

Un bel sorriso su gote lentigginose e rosse.

Era bella nella sua straordinaria semplicità.

«Lui come sta? Nella missiva che mi mandasti scrivesti che era malato?!»

«Oh..» sorrise. «E’ nei campi che da ordini come un generale. Dice che il grano non aspetterà che lui si rimetta completamente in sesto, ed ora passa tutto il tempo che riesce, lì. Il dottore dice che la buona aria e il lavoro fortificano il suo animo, così lo lascio fare. E’ un uomo perso senza la sua terra.»

«So di cosa parli.» Ammise lei divertita. «Da ragazzina, quando passava a trovarci, mi faceva giocare a scavare fossati con la vanga. Le ragazzine della mia età mi guardavano sbalordita dai loro patii bianchi candidi e con le loro bambole di ceramica in mano, mentre io mi insozzavo le vesti e ridevo di gioia.»

«Già.» Morena si passò la mano sulla pancia prominente, sorridendo.

«E così.. diventerà padre. Non credo ci sia uomo più felice.»

Morena sgranò gli occhi, stupefatta da tanta sincerità e complicità che intercorrevano fra suo marito e la ragazza seduta di fronte a lei. Non si sentiva infastidita, solo incuriosita.

«E’ di questo che parlate nelle vostre lettere?»

Olivia scosse il capo. «Lui finanzia i miei studi, nella gran parte delle lettere vuole sapere dei miei profitti. Tipico suo, no?» Berciò ironicamente prima di farsi seria. «Credo che come uomo possa dire di aver ottenuto tutto nella vita; una bella casa, un lavoro onesto e frutto di molta passione e dedizione, un buon nome. Dio lo ha ricoperto di ricchezze; eppure nulla potrà renderlo più completo, se non sentirsi finalmente chiamare padre. Con Francisca, non è stato così.» Rabbuiò lo sguardo nominandola, girando la testa di scatto due-tre volte verso il corridoio per le camere, come se aspettasse di vederla arrivare; poi tornò su Morena, avvampando. «Oh, ma che sciocca! Ti prego, perdonami l’impudenza.»

Fece per alzarsi in evidente stato di agitazione, ma Morena la trattenne. «Rispetto molto la sua memoria, non devi sentirti in imbarazzo a parlare di lei. Sono entrata in questa casa in punta di piedi, voglio che Alfredo si senta libero di poter onorare il suo ricordo.»

Olivia rilassò le spalle ma si alzò comunque, andando a fermarsi dinnanzi la grande vetrata che dava sul giardino alle spalle della tenuta; da lì ,oltre le vette delle montagne, spiccava netta la visuale sui campi circostanti e il suo viso s’illuminò di letizia, quando scorse il cugino.

«Venendo qui non sapevo cosa aspettarmi. Adesso capisco perché è così protettivo nei tuoi confronti; lui ti ama, se è questo che vuoi sapere. Le sue lettere sono piene di te.»

Sorrise timida, abbassando gli occhi e per un attimo Morena ripensò con nostalgia a Francisca.

Al suo viso bello, al suo animo etereo.. e alle atroci sofferenze che la vita le aveva gettato addosso.

Scosse il capo senza esitazione. «E io amo lui.» Poi le mise una mano sulla spalla e la guardò trepidante. «Andiamo a salutarlo?»

Olivia aprì gli occhi in un sorriso raggiante. «Con immenso piacere.»

 

*

 

Le avevano detto che il fetore dello sterco di vacca era meglio dell’aria inspirabile di Madrid, ma quando apprese certa notizia, Guadalupe sorrise senza darvi peso; con rammarico si ritrovò ad assentire.

Fu un viaggio lungo ed estenuante e quella che si aprì ai suoi occhi fu una città del tutto nuova.

Vi era stata anni addietro, prima di diventare la signora di Fuentesauco; per pochi spiccioli aiutava sua madre a confezionare abiti in uno scantinato di Calle Montera per le prostitute del borgo, esigenti e poliedriche donne al passo con la moda e con la fortuna, fonti di storie tragicomiche che le avevano insegnato tutto sull’essere donna e i suoi infiniti poteri e con le quali il tempo era trascorso, in un soffio, a suon di risate e bestemmie.

Agitò il capo, scacciando via reminescenze passate e ravvivò i capelli al di sotto del capello, sorridendo; un ragazzo stretto ad una giovane, all’entrata di un palazzo in stile neoclassico, li aspettavano insieme ad un capannello di persone trepidanti e ben vestiti.

Inspirò affondo, prima di lasciarsi condurre dalla mano di suo marito verso quella nuova famiglia.

 

«Mamma!»

 

Javier era quanto di più bello avesse immaginato ritrovare.

I capelli erano più chiari del solito bruno e la sua pelle dorata dai primi raggi di sole di primavera.

Quando lo aveva visto per la prima volta, non poteva credere che quella creatura gli somigliasse in maniera così reale; agitava le sua manine al cielo e aveva strillato di gioia riconoscendola come sua madre e quel richiamo, così viscerale e primordiale le avevano instillato dentro un amore che andava oltre ogni confine, ogni legame di sangue possibile.

Da quel richiamo aveva capito che per quel piccolo essere avrebbe fatto di tutto.

Anche essere sua madre.

 

«Javier!»

Si abbracciarono calorosamente, le buone maniere messe nell’angolo, prima di fare spazio ad un’altrettanto entusiastico Estefan. La dolce Leonor, con la fermezza e l’equilibrio del suo buon carattere, li accolse poi in casa dove vennero fatte le presentazioni con i capisaldi Ruiz-Delgado, Helena e Leonardo.

La donna la guardava con caloroso trasporto benedicendo ogni cellula del suo corpo per aver generato quel concentrato di buona educazione, cultura, bellezza e cordialità che era il figlio.

«Oh, donna Helena siete troppo gentile. La verità è che Javier è stato un bambino così dolce da educare, che non mi sono nemmeno resa conto fosse diventato adulto, ormai.» Inspirò con teatralità, facendosi venire i lucciconi agli occhi; adorava farlo, i suoi occhi verdi divenivano ancora più grandi di quelli che erano.

Javier alzò gli occhi al cielo. «Non potremmo evitare la parte in cui vengo messo in mezzo, vero?!»

Leonor rise battendogli un veloce colpetto sulla mano. «Ti ci dovrai abituare mi amor! Voglio sapere tutto quello che donna Guadalupe ha da raccontare su di te!» E gli lasciò la mano andando ad infilarsi al braccio della stessa, che la guardò visibilmente colpita. «Ovviamente senza alcuna censura.»

«Nessuna censura.» Incalzò quella. «Siamo a Madrid dopotutto, esiste ancora qualcosa di censurabile?»

Leonor rise appoggiandosi una mano alle labbra. «Adoro tua madre, Javier

Furono accompagnati nella rispettiva stanza al piano superiore, una grande ad angolo con le vetrate a tutta parete; la vita sul corso principale scorreva con le ultime luci del pomeriggio. Si guardò attorno visibilmente colpita dai particolari attenti e curati che la adornavano; grandi calle bianche il suo fiore preferito sul settimino centrale, e le pareti di un azzurro tenue che ricordavano un cielo terso, un grande specchio fumé adagiato al muro e in prossimità della luce naturale dell’esterno –amava passare ore a contemplarsi, figlia di un profondo narcisismo- dove vi riposava accanto una di quelle poltrone dalla seduta imbottita e arrotondata, comoda da passarci del tempo, appunto.

Disfò i bagagli sistemando con estrema cura i capi inamidati e lindi negli appositi vani armadio, con leggiadria e perfezionismo innati; odiava il caos, era totalmente intollerante a qualsiasi forma di disordine.

Estefan la guardava volteggiare per la stanza e sorrise.

«Ti vedo molto felice.»

«E lo sono.» Si fermò, restituendogli il sorriso; era l’unico che riusciva a farla sorridere, davvero. «Tutti i nostri sforzi finalmente ripagati.» Sospirò, voltandogli le spalle e riprendendo da dove era rimasta.

«Avresti permesso di vederlo accasarsi con qualcun’altra?» Chiese lui vagamente ironico.

«So che non approvi i miei metodi, caro marito. Ma sappi che abbiamo in comune molto più di quello che pensi; la felicità di Javier. E non sembra che questa donna abbia sbagliato nel pretenderla.» Poi lo fissò intensamente e tristemente. «Si stava innamorando..»  Soffiò in fil di voce. «Avrebbe rovinato tutto.»

Estefan sospirò turbato. «Mi chiedo se sappia ciò che sta facendo, il resto non lo metto in discussione.»

I suoi occhi si addolcirono per un po’; Estefan era sempre stato l’anello debole della coppia e lo aveva detestato per questo. Il suo buon carattere, la sua docilità, il suo protendere sempre per l’amore anziché per gli interessi, avevano fatto di lui il suo più acerrimo nemico, a volte, con atroci sofferenze per conseguenza. D’altro canto, quella stessa bontà d’animo era stata la sua salvezza, quando l’aveva raccolta dalla miseria.

Con lui doveva avere sempre la pazienza di una madre e la crudeltà di un’amante.

«Chi lo sa il domani cosa ci attende. Noi siamo il faro sulla sua via, Estefan, chi meglio di noi può sapere quanto la vita sia imprevedibile? Leonor è perfetta e tuo figlio sembra aver fatto la sua scelta, rallegratene e sii felice per lui.»

Si voltò e prese un abito da sera da una delle grucce. «Che ne dici di questo?»

 

L’indomani la casa era tutto un fermento.

Javier e Leonor avrebbero reso pubblico il fidanzamento, con ricchi festeggiamenti e un ricevimento da mille e una notte. Il salone principale, che risplendeva alle luci dei lampadari in cristallo rimessi al mondo dalla servitù tutta la notte, era addobbato con i colori della tradizione spagnola, e tanti fiori da sembrare di essere in un campo.

Helena e Guadalupe –passata velocemente da ospite ad organizzatrice- correvano da una parte all’altra assicurandosi che nulla sfuggisse al caso e che tutto gridasse al mondo un’ovazione di perfezione e regalità.

Le sarte arrivarono con i vestiti freschi di tintoria già nelle prime ore del mattino.

Leonor smaniava dalla voglia di vedere Javier, parlargli, toccarlo, ma le due furie avevano vietato qualsiasi contatto fra di loro, nemmeno fosse il giorno del matrimonio! Se ne stava in preda all’agitazione seduta di fronte ad uno specchio con il flute di Rueda in mano, mentre una truccatrice arrivata apposta da Barcellona la stava conciando come un’allegra ragazza del barrio de Chueca.

A mezzogiorno, qualcuno bussò alla sua porta.

«E’ permesso?»

La truccatrice guardandola estasiarsi alla vista del giovanotto in un perfetto smoking nero, sussultò. «Questo bel ragazzo dovrebbe essere allo scalone ad esperar la novia!» Rimbrottò con il sorriso sulle labbra.

«Pochi giorni ancora e potrò chiamarla così.» Rispose lui, cadenzando passi sinuosi alla volta di Leonor. «Per te.» Le porse un pacchetto sigillato da un semplice nastro rosso; lo scartò in pochi gesti e vi scoprì un orologio. «Da tradizione, potrai tenerlo o regalarlo a tuo padre, come prova delle mie buone intenzioni e della mia serietà.»

La maquilladora sentendosi di troppo si congedò, raccogliendo i suoi strumenti e i complimenti frivoli che Javier le porse accompagnandola fuori; quando rientrò nella stanza, Leonor scosse il capo sorridendo.

Prese l’orologio fra le mani e lo indossò; era di piccola montatura, con il cinturino sottile e di pelle nera.

«Javier, non ti facevo così romantico.»

«Ci sarà così poca convenzionalità in questo matrimonio..» Si piegò alle sue ginocchia, afferrandogli la mano e portandosela alle labbra. «Forse non ti piace?»

«Oh, no! Lo adoro.» Esclamò, schioccandogli un sonoro bacio. «Sei nervoso?»

«Lo sono sempre, quando mia madre gravita nel mio universo.»

Gli occhi attenti di Leonor non poterono non notare l’improvviso cambio di umore del giovane; sapeva che era qualcosa a che fare con il suo passato, qualcosa di irrisolto che ogni tanto tornava ad angosciarlo e sapeva che aveva a che fare con la ragazza che gli aveva spezzato il cuore, ma in che modo e maniera centrasse sua madre in tutto questo, non lo aveva mai detto apertamente. Si morse il labbro, improvvisamente angosciata.

«Lei non sembra così male, dopotutto.» Abbozzò, guardando i suo occhi aprirsi di stupore. «Voglio dire è decisamente teatrale e non fa nulla per nasconderlo, ma non posso negare che ogni volta che ti nomina è come se nominasse il Buon Dio sceso in terra. In questo mi sento molto vicino a lei.» Sorrise timidamente, nascondendosi fra i folti boccoli biondi che le incorniciavano il volto, prima di sentire la mano di Javier poggiarsi delicatamente sulla guancia; alzò il viso e i loro sguardi si incrociarono.

«Quella donna è capace di farmi tremare i polsi, Leonor, eppure tu la senti vicina.» Rise, cercando di fare dell’ironia per tornare a vederla sorridere. «Ero già sicuro della mia scelta, ma sono piacevolmente colpito dalle ulteriori conferme che mi dai. Sei sorprendente!»

«Ti prendi gioco di me, adesso?»

«No, ti sto solo dicendo che non vedo l’ora di farti mia sposa.»

Leonor tornò a sorridere. «Perciò non c’entra niente.. il fantasma di Fuentesauco, in quegli occhi tristi?»

«Quali occhi tristi?» Sorrise sincero, porgendole la mano per farla alzare. «Indossa il tuo abito più bello e corri subito da me. Sarò sul fondo della scalone ad aspettarti, mi futura esposa.» Si guardò intorno prima di lasciarla andare, e anche se non aveva più pensato a quel fantasma dai capelli neri e le labbra carnose e indisponenti ci pensò, lasciandosi cullare dal nulla e dall’oblio. Alla fine fu come un brivido gelato, ma che passò in fretta, come era passato quel tornado, lasciando il posto ad un cielo limpido.

 

 

*

 

«Sta attenta ti prego

 

La partenza per Madrid aveva fatto la sua venuta; tutto era pronto, Olivia aveva fatto preparare la carrozza che le avrebbe scortate fino a Salamanca, da dove un treno le avrebbe condotte in giornata nella capitale.

Alfredo era caduto in uno stato di ansia circa dieci giorni prima e questo non aveva facilitato per nulla il gravoso compito che l’attendeva; doveva attraversare la provincia per depositare i documenti più importanti di tutta la sua vita in avanzato stato interessante, cercando di raccogliere tutte le forze possibili per continuare a recitare la parte di quella per nulla preoccupata di partorire strada facendo, in compagnia per giunta della cugina dell’amato marito, un’estranea alla quale era finita per affezionarsi, ma pur sempre estranea ed ignara delle sue combutte.

Si diceva che era un gioco da ragazzi, che ne aveva viste di peggiori e allora pensava a Guadalupe.

La signora di Fuentesauco, la donna che in sol colpo avrebbe cancellato il suo futuro, se avesse accidentalmente avuto il genio di ingerire l’infuso di Dea, tempo prima.

Pensare a lei la caricava di autostima.

Di vendetta, anche se sapeva che era deleteria e che faceva solo male.

Allora la incanalava nelle viscere, la dove sentiva ormai nitidamente il suo bambino scalciare e la trasformava in determinazione, speranza, e tutto appariva come un semplice bagliore di prima mattina.

E lei era la fiamma che bruciava.

 

«Farò attenzione, sta tranquillo. Piuttosto, vedi di riuscire a cavartela fino al mio ritorno.» Disse, facendosi aiutare per salire in carrozza; l’uomo la guardò agognante. «Mi sembri più tu quello che deve fare attenzione.»

L’uomo la incalzò come se non l’avesse udita. «Cercate di stare unite. Madrid è una città molto grande.»

Olivia, già accomodata, scavalcò con il busto Morena agguantando la maniglia della vettura con fare intimidatorio. «Alfredo fai sul serio? Ti giuro che se insisti ancora un po’, ti lascio il mio posto!»

L’uomo negò con il capo e la donna incrociò le braccia. «Avanti.. da un bacio a tua moglie e falle gli auguri.»

«E’ giovane..» sussurrò Morena, protendendosi verso di lui per baciarlo; l’uomo si aggrappò ai suoi capelli tenendola premuta sulle sue labbra qualche istante. «Quando tornerò sarò la signora di Legno di Quercia.»

«Morena.. tu lo sei sempre stata.»

 

E la lasciò andare, con il cuore gonfio di promesse. 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 (presentazioni) ***


Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

E’ giunta l’ora delle presentazioni!

Questi, più o meno, sono i personaggi così come li ho identificati nella mia immaginazione.

Spero siano di vostro gusto.

Lunadreamy.

(le immagini non sono di mia proprietà. Fonte: web)

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Le coincidenze, sono le cicatrici del destino.

Carlos Ruiz Zafón, scrittore.

 

 

«Sveglia pigrona!»

 

Aprì svelta gli occhi, udendo chiasso.

Si alzò impaurita, trovandosi dinanzi un’elettrica Benedicta che saettava in lungo e in largo nella stanza, scansando tende e spalancando finestre; si coprì la faccia con la mano, borbottando insonnolita.

«Cosa stai facendo?»

«Io e te, oggi, ce ne andiamo a spasso fino a tarda sera!»  

«Fantastico.» Mormorò, abbandonandosi nuovamente fra le lenzuola.

«Non fare la guasta feste!» Quella la raggiunse, balzando sopra il letto. «E’ il tuo ultimo giorno di libertà e vuoi passarlo a letto?» Le scostò la mano dal viso e rispose al posto suo. «Non credo proprio.»

«La colazione? Hai portato anche quella con te?»

«Frittelle al miele e the aromatico.» Batté le mani con enfasi e la cameriera entrò con il vassoio fumante. «Per servirla.» Fece un inchino e un sorrisino sarcastico prelevando le vivande per lei e la cugina e le accomodò sul tavolino accanto la finestra. «Non ti prederò in braccio.» L’ammonì scherzosamente.

«Quella è un’esclusiva di Javier.» Ammiccò l’altra maliziosamente, alzandosi per raggiungerla. «Sei la mia cugina preferita!» Disse poi baciandola sulla guancia e buttandosi sulle frittelle invitanti.

«Ti ricordo che sono anche l’unica.» Berciò divertita Benedicta; poi si soffermò sul suo polso e se l’attirò sotto al naso. «Regalo prematrimoniale?» Disse in riferimento all’orologio nuovo di zecca che spiccava sulla sua pelle candida. L’altra annuì con gli occhi offuscati d’amore.«E il poverino sa a cosa va incontro?»

Alzò le spalle per nulla offesa. «Diciamo che ha qualche peccatuccio da farsi perdonare.»

«Già.» Enfatizzò l’altra. «Ma io lo sapevo che sareste finiti insieme.»

«Per questo dico che ti adoro, mia unica e speciale cugina.»

Scoppiarono a ridere e terminarono la colazione fra chiacchiere e risate su quello che sarebbe stato l’indomani, quando una delle due avrebbe lasciato il nido d’origine e lo status sociale che la vedeva chiamarsi señorita, per adottare quello più consono di señora e ciò che esso comportava.

 

Dall’altra parte della città, il futuro sposo si alzava al richiamo di una fumante tazza di caffè nero; sua madre lo aveva svegliato come faceva da bambino, canticchiando dolcemente la filastrocca del buongiorno.

 

«Buenos dias mi vida, buenos dias luz de mis ojos, buenos dias mi dulce Amor!»

 

Alloggiavano da qualche giorno in uno splendido palazzo di Plaza Isabelle II –una delle innumerevoli proprietà dei Delgado, dove poi avrebbe vissuto con Leonor- e tutte le mattine dalle grandi vetrate si alzava maestoso il Teatro dell’Opera; adorava sorseggiare caffè a quelle finestre e sentire sua madre cantare, il rumore lontano del rasoio di suo padre battere contro il pirozzo di marmo mentre si faceva la barba.

Erano sapori lontani, neppure un anno fa contemplava le spighe dorate di Fuentesauco e si domandava cosa ne sarebbe stato di quella vita; tutto era cambiato e i suoi occhi godevano di paesaggi diversi, amabili, dal sapore nuovo.

Si sentiva onnipotente, da lassù.

Sentiva che tornare a quelle strade era bello e sicuro, ma nel sangue, chiaro e nitido, sentiva che non ne aveva più la necessità, che Fuentesauco doveva restare solo un sapore lontano, che Madrid aveva regalato tutto un altro gusto ed era la sola cosa di cui voleva cibarsi.

 

«E’ arrivato Lorenzo.» Disse la donna, prendendo dalle sua mani la tazzina ormai fredda; Javier le sorrise, accarezzandole la guancia. «Sai già cosa farete?»

«Con lui è tutto un mistero.» Ammise. «Vorrei comprare dei fiori da portare a Leonor. Credi sia consono?»

«Un fiore per una donna è sempre consono. Cercate solo di non esagerare.»

E di certo non si riferiva ai fiori. E di certo lui non le avrebbe detto che sarebbero arrivati fino a Barcellona per passare la notte in riva al mare, come la tradizione di buon auspicio richiedeva. «Sta tranquilla madre

Lorenzo entrò appena in tempo, Guadalupe era sul punto di replicare. «Buenos dias esposo

«Buenos dias, testimone del esposo

«Donna La Fuente.. è sempre un piacere per gli occhi incontrarla.» Lorenzo capì lo stato di angoscia dell’amico e si arruffianò la fonte, prendendole la mano fra le sue e posandovi delicatamente le labbra.

«Il tuo charme non ti salverà Navarro!» Rispose Guadalupe trattenendo il sorriso. «Assicurati di non vederlo rotolare giù da qualche duna e brillo, por favor, e niente bagni di mare che ancora non è caldo e nessuno vuole un esposo con la raucedine. Per il resto.. divertitevi!» Strizzò l’occhio ad entrambi che restarono di sasso e ammutoliti. «Sono stata maritata prima di voi, cosa credete.» Poi guardò Javier con malizia e giovialità che sembrò finalmente la donna giovane quale era. «Tuo padre tornò da Barcellona con un carico di pecore. A tua nonna per poco non venne un colpo, trovandolo sull’uscio la mattina del matrimonio, sporco di merda fino al collo. E perdonami la franchezza signorino Navarro, ma lei usò tale espressione.»

«Perlomeno ha portato bene, no mamma?» Incalzò Javier; Lorenzo era piegato in due dal ridere al solo nominare pecore, che riuscì solamente a rassicurare la signora con la mano agitata a mezz’aria.

«Benissimo. Ma ti prego..»

«..starò lontano dalla merda, juro por mi honor

A quel punto la donna se ne andò ridendo e Lorenzo caracollò per terra in preda alle convulsioni del riso.

 

 

«Le ragazze ci aspettano in Saint Miguel, dovevano sbrigare delle commissioni di non so cosa.»

Mezzora più tardi, Javier ben vestito e profumato e Lorenzo impeccabile nel suo vestito di lino chiaro, si avventuravano per una limpida e tersa giornata di inizio Giugno madrilena.

«Perfetto!» esclamò l’altro. «Avevo proprio intenzione di passare per il mercato e comprare dei fiori a Leonor.» Fermò un taxi e si girò verso l’amico. «Ti sei ricordato di prenotare l’autista, vero?»

«Per chi mi prendi.. certo!» Berciò quello infilandosi nella macchina.

«E lei è ancora all’oscuro di tutto, giusto?»

Lorenzo guardò al cielo implorante. «Che ti prende Javier? Sei ansioso?»

«E tu non lo saresti?» L’altro alzò le spalle; non lo avrebbe saputo chissà per quanto altro tempo ancora. Era stato chiaro con se stesso, prima che con la famiglia; nessun matrimonio fino ai trenta anni. «Fino a ieri ero solo un ragazzo con grandi sogni e aspettative. Domani sarò un uomo.»

«Ecco perché voglio restare ragazzo il più a lungo possibile.» Disse l’altro con un sorriso sornione dipinto sulle labbra, abbandonandosi al sedile.

«Ti ho mai raccontato di quando credevo che Leonor fosse solo un’amica?»

Berciò sarcastico, Javier. Lorenzo protese una mano in avanti e strinse forte gli occhi agitando il capo in segno di diniego. Il tassista tossicchiò impaziente e i due si ricordarono improvvisamente della sua presenza; si guardarono come due invasati. «Plaza San Miguel!» Esclamarono in coro ridendo e l’uomo s’avviò borbottando.

 

*

 

Olivia era in piedi da un po’ che cercava di stendere le pieghe sulla camicetta di raso, traumatizzata dal lungo viaggio; era una ragazza mattiniera –abituata com’era a levar presto le lenzuola per dirigersi alle vigne- e del tutto autosufficiente. In questo si somigliavano molto, sebbene Alfredo aveva messo a sua disposizione uno stuolo di aiutanti per Legno di Quercia, nel suo piccolo anche Morena amava sbrigare le proprie cose in completa autonomia.

Si era rivelata una preziosa compagna di viaggio; Madrid si era presentata subito come la realtà frenetica e megalomane quale era, ad un iniziale impatto, presa dal panico, non sarebbe sopravvissuta senza la calma e il pragmatismo di Olivia. Benediceva la sua razionalità ed osannava i suoi silenzi, quando sapeva che le parole erano di troppo e che la costante vicinanza poteva farsi rancida.

Si era svegliata con un gran mal di testa, colpa certo di Don Mariano Nieto Cabrera –un tale presso il quale Alfredo le aveva raccomandate in caso di necessità- e del buon vino tinto che i suoi vigneti producevano dalla notte dei tempi e con la quale aveva annaffiato la cena della sera prima; sospettava che il poveretto –in età avanzata e scapolo d’oro- si fosse innamorato della bella Olivia e che per questo le assistesse più del dovuto, ma poco male si diceva, Mariano era un inesauribile fonte di meraviglie da assaporare e godere nella capitale, tenutario delle amicizie più influenti della città e in più, le aveva sistemate in un delizioso appartamento di modeste misure alle spalle di Plaza Mayor.

 

«Buongiorno.. commissioni in vista?» Biascicò, passandole accanto; quella alzò gli occhi trucidandola con lo sguardo. Solo allora notò i fiori sul tavolo da pranzo. «Cabrera? Ancora?»

«Stamattina ha mandato un mazzo di fresie bianche, ha scritto, come il colore della nostra amicizia.» Adagiò la camicetta al petto e si diresse al grande specchio all’ingresso, incastonato in un mobile d’acero. «Una vera volpe, non c’è che dire.» Trillò dall’altra stanza. «Peccato io non sia minimamente interessata.»

«E lui lo sa?» Rispose divertita Morena, vedendola spuntare nuovamente.

«Sto per andare da lui.»  Cambiò espressione, seria, immobile; Morena smise di ridere chiudendosi nelle spalle.

«In bocca al lupo.»

«Mi serviranno.»

«Non maltrattarlo troppo, ti prego. Non vorrei che Alfredo si ritrovasse un amico in meno.»

«Tuo marito dormirà sogni tranquilli, invece.» Ridacchiò. «Se è un accordo quello che vuole, che si chiami matrimonio sociale o d’interessi, a chi vuoi che importa?»

«Non.. ti seguo.»

«Secondo te perché Alfredo ha così insistito che venissi io a Madrid?»

Morena allargò gli occhi stupefatta. «No.. Alfredo vuole combinarti con Mariano?»

«Chiaro come acqua!» Sentenziò. «Ma io invece gli combino un affare di quelli che lo faranno cadere dalla sedia, quando glielo comunicherò.» Dosò bene una pausa di silenzio e proseguì. «Sulla base della nostra amicizia, il buon Mariano Nieto Cabrera, non può negarmi un matrimonio fra le nostre viti; per mio contro gli assicurerò una buona percentuale sul fatturato e un amore sconsiderato quasi fosse un figlio. Potrebbe essere il fiasco più totale, magari invece il successo che gli manca. Di certo, a differenza di un matrimonio, vero, potrà tornare indietro senza perdite, e al contrario dello stesso, avrà solo che da guadagnarci.»

Morena la fissò incredula. «Un innesto delle vostre viti?»

«Un matrimonio è la parola chiave. Se le aspettano entrambi.. perché deluderli?»

La fissò sinceramente colpita. «Devi assolutamente metterti una delle mie gonne.» Sentenziò alzandosi e spingendola affettuosamente per il gomito, verso la sua stanza. Aprì l’armadio e vi estrapolò una longuette di quelle strette sui fianchi e leggermente morbide sul fondo perfettamente intonata per colore e tessuto alla camicia che aveva avuto tanta accortezza di rimettere a nuovo. «I tuoi pantaloni alla garçonne per oggi possono restare a casa. Provala, ti starà bene, abbiamo più o meno la stessa taglia.»

Olivia la guardò perplessa; alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Ce l’ho da prima che scoprissi di essere incinta. Volevo metterla per il colloquio al consolato ma.. indovina? Non mi entra.» La ragazza la prese esitante e sempre esitante prese a spogliarsi per indossarla. Morena le procurò la camicetta dalla stanza attigua e quando tornò fischiò.

«Stai benissimo!»

Olivia annuì, senza fiato. «S..sembro altissima.»

«Lo sei.»

«E guarda qui che gambe!»

Morena annuì. «Non volevo dirtelo ma.. siamo in città, devi riguardare un po’ il tuo stile. Se vuoi possiamo pensarci insieme, mia zia mi ha istruito su tutto.»

E quando pensò a Milagros si rabbuiò in viso; Olivia fra una piroette e l’altra s’accorse del troppo silenzio, impallidì e voltandosi le mise una mano sulla spalla. «Non ti senti bene?»

«Ho solo bisogno di sedermi.» Raggiunse il letto a testoni, toccandosi la pancia. «Mio figlio non ama i brutti ricordi.» Disse sorridendo tesa. «Ti prego tienila, Olivia. Stai benissimo, lo stenderai.»

La ragazza scese la gonna lungo le gambe e si rivestì di tutta fretta. «Non ti lascio sola.»

«Così mi fai arrabbiare però.» Fece forza sulle braccia, rimettendosi in sesto. «E’ già passata. E’ stato solo un momento di sconforto. Sono una sciocca sentimentalista e mio figlio è già abbastanza sveglio da averlo capito.»

Si portò in cucina con passo tremante, ma inspirò profondamente per non preoccupare ulteriormente la cugina che la seguiva con aria tramortita e dubbiosa. «Non devi sforzarti.» La guardava dallo stipite della porta, appoggiata. «Non avrò dei vestiti da signora. Non sarò ricca. Ma so capire le persone. E mi basta vedere la tua faccia adesso per sapere che non stai bene e non è per il bambino.»

«Lascia perdere.» Mormorò l’altra versandosi dell’acqua in un bicchiere.

«Insomma, portarsi dietro una gonna che sai non potresti mai indossare..» Proseguì senza darle peso. «Non abbiamo mai parlato di noi. Ma io so che c’è qualcosa annidato nel tuo cuore, che non riesci a sciogliere.»

Morena posò rumorosamente il bicchiere sul bancone di marmo; aveva il volto pallido e teso.

«Sono nata povera, Olivia. Il mio cuore è pieno di nodi.»

«Ti va, se ne sciogliamo qualcuno insieme?»

«Cosa stai cercando di fare?»

«Non farlo.» L’azzittì lei. «Non mettere un muro. Lo hai fatto anche quando ci siamo incontrate la prima volta; non permetti alle persone di attraversarti. Perché

Morena allargò gli occhi; l’aria intorno si era fatta dolorosamente greve e quella ragazzina la guardava con affetto, anche se seria. «Perché quelli che amo prima o poi se ne vanno via.» Soffiò, libera di un peso che le gravava sul cuore. Sorrise per effetto e proseguì, sbloccata. «Mia madre è morta quando ero piccola. Mia zia era tutto ciò che mi rimaneva di lei. Se n’è andata via perché io l’ho cacciata.» L’improvvisa potenza della sua ammissione di colpa, la fece tremare e luccicare gli occhi. «Attiro catastrofi, che lo voglia o meno. Faresti bene ad andartene il prima possibile.» Si asciugò gli occhi e scosse il capo, dandole le spalle.

«Non puoi dire davvero..» Olivia l’aveva avvicinata, carezzandole la schiena. «A meno che tu non l’abbia uccisa, e non mi risulta, che colpa puoi avere della morte di tua madre? E tua zia, sono sicura che avevi le tue ragioni per mandarla via.» Morena sorrise e il suo corpo vibrò; si voltò lentamente guardandola con il fuoco della verità nelle pupille. «Davvero Olivia, non fa niente. Io sto bene. Ci sono troppi nodi da sciogliere è vero, ma non voglio e non posso farli sciogliere a te. Non sarebbe giusto. Tu vedi la vita come un’impresa da cogliere ogni giorno. Sei mossa da una scintilla di puro bene e ingenuità, ma sei anche così forte.. io non posso spezzare i tuoi sogni facendoti entrare nel mio mondo così oscuro

Olivia si fermò, levò la mano e la posò sulla sua spalla, nuovamente; aveva un tocco gentile, rassicurante, i suoi occhi brillavano di luce ferma. «Quando dicevo di averti immaginata diversa, è stato perché non credevo fossi così vera, Morena. E le persone vere hanno vite vere. Soffrono. Dicono bugie a fin di bene, cacciano via le persone. Ma poi si rialzano e vanno avanti, chiedono scusa e perdonano, perché la forza ce l’hanno radicata nelle ossa, e un uragano è solo pioggerella d’estate per loro. La forza è la nostra fede, amica mia.»

Alzò gli occhi nei suoi, senza dire nulla, e s’abbandonò in un abbraccio fatto di lacrime sommesse e silenzi che urlavano come parole; Olivia la strinse a se, ridendo.

Perché è così che le persone forti affrontano la vita.

Sorridendo. Anche se le cose non sono andate come previsto.

Anche se i piani sono stati spazzati via da quella gran cosa imprevedibile chiamata vita.

 

*

 

«Giù! Sta giù!»

 

Lorenzo lo prese per il braccio tirandoselo dietro ad un banco di dolciumi; il mercato era tutto un fermento, all’ora di punta, le signore si accalcavano ai banchi con le loro sporte cariche dei cibi, malmenandosi fra loro come a una partita del Real Madrid. In quel caos di colori, voci, sapori, l’occhio di lince di Lorenzo non sfuggì di catturare la visione di Leonor e Benedicta che danzavano intorno ad un banco di fiori freschi.

 

«Stanno scegliendo qualcosa?» Chiese Javier ansioso.

L’amico si rialzò di poco per controllare. «Fiori. Ancora fiori! Mia nonna dice che la chiesa di San Isidro domani sarà un campo della statale. Le donne non ne hanno mai abbastanza?»

«Servono per farne bracciali per la testimone.» Berciò Javier scuotendo il capo. «Se Leonor mi vede spuntare le viene un colpo. Dobbiamo dividerci.»

Lorenzo si toccò il mento. «Io le distraggo. Tu fa il giro largo e vedi se il padrone può farti un mazzo di sottobanco.» L’amico gli batté la mano e si dileguò alla sua sinistra, quello fece per alzarsi, quando un’incantevole ragazza lo scontrò; aveva le gambe più lunghe che avesse mai visto.

E un sorriso da fine del mondo.

«Disculpe..» Esalò dalle labbra rosa, muovendosi a destra e sinistra. «Disculpe..» Proseguì, leggermente irritata, indicando il passaggio con la mano;  voleva passare oltre, ma la sua mole glielo impediva.

Sorrise imbarazzato per non aver capito e tentò di riprendersi.

«Mi scusi. Sono un vero sciocco, prego!» Si scostò e quella lo oltrepassò sbuffando; affilò il sorriso da sbruffone e la trattenne leggermente per il braccio, portandosela al fianco. «Non fuggite via senza prima avermi detto il vostro nome. Avete un sorriso tanto bello che sarebbe un peccato lasciarlo nell’anonimato.»

Quella inarcò un sopracciglio guardandolo disgustata. «Non mi piacciono gli sbruffoni, tanto piacere.» Cantilenò soddisfatta, allungando la mano; Lorenzo piacevolmente colpito allungò la mano libera con una faccia da schiaffi, ma quella lo strattonò con tale forza che riuscì a divincolarsi.

«Incantato» Mormorò, vedendola sparire.

 

Javier raggiunta la meta, mimò indubbi gestacci con la mano per esortarlo a raggiungerlo; inspirò e impettì le spalle, sbottonò la giacca e con passo da leone raggiunse l’amico, o meglio, le due cugine ignare della manfrina che stava per proporgli.

«Avete visto passare la donna della mia vita?» S’annunciò con il sorriso; le due levarono il capo da un’esposizione di rose bianche, per fissarlo truci.

«Che ci fai qui?» Brontolò Benedicta irritata. «Ti avevo detto che questa era zona nostra!» Sussurrò fra i denti.

«Ho seguito la scia di una donna bellissima. L’avete vista per caso? Capelli biondi e lunghi, occhi azzurri da cerbiatta.. era proprio qui.» Finse di cercarla voltandosi su se stesso un paio di volte, ma Leonor scavalcò la cugina e gli batté un colpo sul braccio.

«Sei solo? Javier non deve vedere le mie composizioni! Prega che non sia qui intorno o puoi pure dire addio alla tua donna dei sogni, chiaro?» Dichiarò con voce stridula; Javier aveva ragione, le sarebbe venuto un colpo.

Guardò alla sorella indicando con un leggero movimento del capo il bancone alla sua sinistra, questo dopo aver preso Leonor sottobraccio e distratta con mille chiacchiere che non arrivavano a nessuna parte.

Benedicta allora aveva girato il banco su stesso e per poco non urlò, quando vide Javier con un mazzo di rose rosse dallo stelo lungo e assolutamente perfetto; il ragazzo le tappò la bocca giusto in tempo, si accucciò al suo orecchio e bisbigliò.

«E’ una sorpresa, non agitarti. Abbiamo prenotato una macchina che ci porterà a Barcellona per il bagno di tradizione, vi abbiamo raggiunte di proposito, ok?» La ragazza annuì, lasciò cadere la mano. «Prendi le composizioni e con una scusa portale subito a San Isidro, ti veniamo a prendere lì.»

Benedicta protestò. «Ma così mi perderò tutto lo spettacolo!»

Javier batté un piede impaziente. «Vuoi che a tua cugina venga un infarto?»

Lo fulminò con sguardo scintillante e lo scansò; con fare da maliarda s’avvicinò al giovane banchista, che li aveva sorpresi a bisbigliare come due malavitosi e li stava guardando adesso parecchio preoccupato, per rubargli una telefonata; tornò dopo poco, con un sorriso raggiante. «Li verranno a ritirare per mio conto. Pablo è stato così gentile da acconsentire di tenerli in fresco fino ad allora e lontano dalla tua vista.» Lo sgomitò con aria di sfida. «Non mi perdo lo spettacolo.»

«Via libera.» II giovane banchista, Pablo, confermò alzando il pollice; Javier sospirò, vinto dall’ansia.

Benedicta levò la sua faccia da ragazzina dispettosa per sorridergli affettuosa. «Andrà tutto bene.» Gli sistemò il colletto della giacca, ravvivò le rose e accarezzò con voce flautata tutte le sue paure. «Sei perfetto. Vai!»

Annuì, uscendo dal retro.

Leonor era ancora stretta al braccio di Lorenzo e sembrava ridere di quello che il ragazzo castano le andava raccontando; riuscì a captare qualche parola, le sembrò di udire qualcosa riferito ad una ragazza con un sorriso bellissimo, ma poi tutto si fece sbiadito, quando ella si voltò; il suo meraviglioso viso assunse varie espressioni dallo scioccato, al perplesso, alla serenità e infine, ma non ultima, alla felicità.

«Por ti.» Disse, con voce roca; le si avvicinò piano, porgendole i fiori per poi abbracciarla. «Oggi è l’ultimo giorno delle nostre vite, Leonor; domani ci attendono di migliori, ma insieme.»

La ragazza si commosse, nascondendo il volto in un abbraccio. «Credevo ti avrei visto solo domani. Riesci sempre a stupirmi, Javier

«E non è tutto.» Rise, portando via le lacrime dagli occhi azzurri e innocenti di Leonor. «Andremo a Barcellona, io, te, Lorenzo e Benedicta. Che mi ucciderà perché è ancora lì dietro che ci sta guardando.»

«Ah, tremenda!» Si voltò e la cugina uscì dal nascondiglio di vasi e piante, ridendo. «E tu..» Disse rivolgendosi a Lorenzo con dito contro e il sorriso stampato sul viso. «Non cederò mai più alle tue chiacchiere strambe, sappilo

«Dicono tutte così..» Rispose il ragazzo, attratto poi da qualcosa alle loro spalle.

Javier si voltò curioso.

Benedicta corse ad abbracciare Leonor.

 

Proprio in quel momento, la ragazza dalle gambe più lunghe del pianeta sbucò sulla loro traiettoria.

 

*

 

L’incontro si era protratto più del previsto e Mariano Cabrera, un osso duro che aveva mal giudicato.

Ma sua madre glielo diceva spesso; gli uomini non mettono i sentimenti di fronte agli affari e questa, era la prima lezione che andava imparata da loro. Aveva cercato di metterla in pratica fedelmente e tutto sommato non era andata male, considerando che Cabrera aveva voluto in cambio solo il trenta per cento del fatturato e qualche garanzia sui terreni dove avrebbe impiegato gli innesti così che avrebbe avuto licenza nel dire che l’idea era sua, figlia di quel sogno che aveva fin da ragazzino di fortificare gli appezzamenti di Spagna con la sua uva.

Olivia acconsentì anche a quello; certi personaggi andavano compiaciuti nutrendo il loro ego, per preservare i propri scopi, così se quella piccola omissione le permetteva di allargare il giro di vendite e introiti, non le sarebbe costata molta fatica dichiarare che il grande viticoltore, Mariano Nieto Cabrera, l’aveva onorata  proponendole tale accordo.

Alfredo si sarebbe trovato compiaciuto e nutriva il desiderio di metterlo al corrente il prima possibile, non prima di comunicarlo con dovizia di particolari e risate, alla ormai amica Morena.

Pensava a lei, al suo tremore, alle sue parole grevi e provava un’infinita tristezza.

Capì come si sentisse e trovò una benedizione che il buon Dio l’avesse mandata ad Alfredo, un uomo altrettanto colpito dalle vicissitudini della vita ma di buon cuore e buon carattere, perché essi si completavano a vicenda.

Dal canto suo le si era affezionata e nutriva per lei il bene che si prova per un parente; le cose si sarebbero messe a posto e tutti, finalmente, avrebbero goduto di pace e armonia.

 

«Morena!»

 

La trovò raggiante all’incrocio fra due banchi, l’ombra della donna sconfitta che era stata, svanita.

Si erano date appuntamento al mercato, che a mezzogiorno era ormai campo di nonnine avvizzite che cercavano di spuntarla sui costi aprendo dispute e tarantelle con i banchisti.

Si era vestita di tutto punto -le aveva detto che non avrebbe permesso a certi ricordi di guastarle la giornata- e non poté che assentire, dato il meraviglioso vestito a ruota che aveva scelto di indossare, di un color crema che risaltava la sua ambrata; indossava più gioielli, sobri certamente e presenti in punti strategici, le spalle scoperte riparate da un giacchino in fantasia vichy color carta da zucchero e quasi come un richiamo alla dolcezza del suo viso, la sua pancia arrotondata dalla maternità.

Si presero sottobraccio e cominciò a raccontarle dell’incontro, impaziente e piena di parole; Morena l’ascoltava attenta, sorridendo a tratti ma mai interrompendola.

Mai.. fino a quando nell’impeto del racconto, Olivia non finì contro delle spalle solide; alzò il viso tramortito dal colpo e s’irritò. Un giovane., quel giovane sbruffone, la guardava con una faccia da babbeo.

«Ci incontriamo ancora..» Mormorò flautato.

«Che fortuna.» Si ridestò lei, sistemandosi i capelli scocciata. «Mi fa passare o ha intenzione di intrattenermi ancora?»

Fu allora che Morena parlò, uscendo dal raggio della figura di Lorenzo; un ragazzo dall’altra parte dello stesso raggio, vedendola sussultò.

«Credo d’essere di troppo.» Borbottò divertita avanzando passi oltre la figura di quel giovane distinto, dagli occhi affilati di chi sa d’essere piacente e non fa nulla per nasconderlo e solo allora, alzando lo sguardo, notò le altre figure dietro di lui.

Una ragazza, bellissima e dalla pelle candida e un’altra, altrettanto bella da sembrare sorelle.

E un ragazzo. Quel ragazzo.

Si fermò.

Era Javier.

 

Si guardarono, incatenandosi con gli occhi, incapaci di parlare, muoversi, proferire alcun fiato che determinasse vita nei loro corpi immobili; sguardi spenti, labbra come linee dure e tese, mani serrate ai fianchi.

Morena vibrò per prima e Javier s’agitò, mangiando con gli occhi la sua figura così diversa, così nuova e piena.. di vita; le sembrò di sentirlo fremere, un gemito di sorpresa e dolore.

Non riuscì a dir nulla. Neanche sforzandosi e lui, si fece sempre più cianotico e cupo.

Poi cambiò espressione, e dal dolore che gli marchiava brutalmente il viso, passò a uno fiero. Al veleno.

La testa di lei mulinava pensieri come vortici, mentre una delle due ragazze bionde al suo fianco, lo guardava perplessa e con un’ombra di paura sul viso; si mosse impercettibilmente, tentando di reagire al nulla che la sovrastava e schiacciava in quel corpo ora pesante e denso, ma quel gesto lieve mosse nel ragazzo una scarica elettrica che lo fece rinsavire dalla rigidità degli arti.

«Javier, cosa hai, non ti senti bene?» Chiese Leonor con una punta di angoscia, aggrappandosi al suo braccio; Morena percepì il gesto confidenziale, il modo in cui la giovane si era stretta a lui apprensiva, e la dolce cadenza delle sue parole. Solo allora, notò il diamante che se ne stava appoggiato sul suo anulare.

Trasalì e strinse forte le labbra fino a farle sanguinare.

E provò la stessa medesima rabbia che aveva visto nello sguardo fiero di lui, che perfetto padrone dei suoi gesti e movimenti, circondò con affetto le mani della ragazza con le sue, confortandola.

«Sto bene, non preoccuparti. Mi era sembrato di vedere qualcuno che conoscevo.»

«Mi hai fatta spaventare.»  Proseguì lei con voce bassa, piegandosi al suo orecchio. «Chi è costui?» Aggiunse poi con aria leggera e divertita.

«Nessuno.» Rispose sorridendole.

 

«Accidenti, se era petulante!» Olivia si era messa nuovamente al suo braccio, scartato il giovane; sbatteva le lunghe ciglia nere mandandosi aria con la mano. «Dicevamo? Ah sì, di Cabrera e quindi.. Morena, ma dove guardi?» Seguì con lo sguardo gli occhi della ragazza ma di fronte a lei si apriva solo uno spiazzo vuoto. «Tesoro non ti senti bene?»

«Sì.» Sospirò, nella nauseante sensazione che qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. «Ho male

Non se lo fece ripetere due volte, le tastò il viso e la fronte e si accorse immediatamente che Morena era accaldata e bagnata fradicia; le teneva stretta la mano, mentre infilate in un taxi di corsa correvano all’hospital.

Non sapeva nulla di gravidanze e puerpere -a dirla tutta avrebbe preferito rimanere all’oscuro ancora per un po’- ma era chiaro che qualcosa in quella ragazza si era attivato per farle mettere al mondo la sua creatura.

Benedisse l’iniziativa di intrattenersi oltre e scrivere due righe –nel salotto buono di Cabrera dove avevano sancito i patti sulle viti- alla misteriosa zia di Morena che a suo dire aveva cacciato via da Fuentesauco, mossa da un’innata propensione alle riappacificazioni di famiglia ma soprattutto mossa dal bene e dal dispiacere che aveva provato quando l’aveva vista soffrire per quella situazione.

Con la posta in partenza a mezzogiorno, la signora avrebbe avuto notizie della nipote in giornata –le faceva sapere fosse a Madrid- e se avesse avuto buon cuore, poteva sperare di vedersela arrivare in città in giornata.

Ci sperava, la presenza di un’adulta era strettamente necessaria per la venuta di quella creatura che altrimenti si sarebbe trovato a elargir vagiti fra due ragazzine alle prime armi.

«Oh que dolor

Scosse il capo mandando via gli angoscianti pensieri e trafugò nella borsetta delle monete per una chiamata ad Alfredo; loro se la sarebbero cavata, dopotutto, ma come faceva a dire a suo cugino che la moglie stava per partorire a trecento chilometri da casa?

 

«Un nome, Olivia..» Rantolò Morena distesa sulla lettiga in un asettica camera dalle pareti nocciola. «Non ho nemmeno scelto un nome da bambina.»

La ragazza aprì gli occhi; si era appisolata nell’attesa che arrivasse un medico. «Credo che qualsiasi nome ti venga in mente adesso vada scartato. Sei troppo agitata!»

«Non sarei dovuta venire.» Bisbigliò in un lamento e Olivia si riscosse del tutto.

Quelle parole.. le suonavano davvero familiari.

Ci pensò un po’, diversivi certo per non farsi travolgere troppo dal patos del momento, quando udì del trambusto dal corridoio alle sue spalle.

 

«Niña?!»

 

La porta si spalancò e una donna dalle fattezze brune entrò nella stanza; era benvestita e stringeva fra le mani un ombrellino per ripararsi dal sole. Si guardarono velocemente, prima che Morena lanciasse loro degli sguardi carichi di domande, ansia e disperazione.

«Milagros?» Chiese scandendo ogni lettera. «Olivia..» Borbottò inspirando.

«Prima che arrivi Alfredo ci vorranno delle ore.» Sottolineò, sperando che l’amica recepisse il messaggio e abbandonasse una guerra inutile di parole. «Io sono Olivia Herrero, signora, cugina di Alfredo. Vi ho scritto questa mattina.»

Milagros alzò gli occhi. «Un gesto di cui vi sono molto grata.» Poi la fissò attentamente. «Siete Herrero di Villaescusa?» Olivia annuì. «Conoscevo vostro padre. Una grande uomoE si girò nuovamente sulla nipote accarezzandole i capelli senza dire una parola; si attardò sulla scena di queste due donne in preda all’amore e all’odio, alle cose non dette, a quelle dette senza senno e sentendosi di troppo, andò via sospirando ma fiduciosa.

 

Alle cinque del pomeriggio, trafelato ed emozionato, arrivò in Madrid anche Alfredo.

La Velasco, lo precedeva con la sua camminata impettita e la valigetta dei suoi preziosi strumenti, lamentandosi degli spazi angusti della struttura e della poca luce che entrava dalle finestre.

«Dare alla luce, si dice!» Strepitò. «Esto hijo piangerà per la paura di questo posto, questo è certo!»

Alfredo la rimbrottò. «Faccia il suo dovere e stia buona, che sono già così agitato donna Velasco.» L’uomo arrancava alle sue spalle, di porta in porta, di scala in scala; finalmente arrivarono alla stanza prevista e senza tante cerimonie, scavalcarono i medici presenti, accorrendo da Morena.

«Sono la dottoressa Anita Velasco, ginecologa di Salamanca da tre generazioni.» Si presentò a gran voce fra gli sguardi attoniti dei medici e dei parenti intorno. «La signora Soler-Roquez è una mia paziente in quel di Fuentesauco, ho seguito fino ad ora la sua gestazione, vi chiedo cortesemente di lasciare a me il compito di far venire alla luce –e Dios ci aiuti tutti a trovarla in questa stanza- il suo primo figlio.»

Una donna annuì silenziosamente stringendo l’attestato di medicina che la donna aveva portato con sé, passandole il camice e il bacile d’acqua con del sapone; Anita ci infilò le mani e cominciò a sfregarle fra loro. «Faccia uscire tutti i parenti. Li rassicuri.» Bisbigliò. «Poi torni da me con un resoconto dettagliato della situazione.» La donna sparì e fece quanto richiesto.

Quando tornò, la ginecologa era già china fra le gambe della ragazza.

«Ha avuto le prime contrazioni a seguito della rottura delle acque, tre ore fa. Le abbiamo somministrato della morfina. Dice di sentire dei dolori lancinanti, ma ammette che il termine previsto del parto è superiore alla trentasettesima settimana. La cervice si è dilatata di due centimetri ogni ora, un po’ strano non pensa

La Velasco alzò gli occhi e sorrise sardonica. «Sarà un parto pre-termine, cosa c’è di strano?» Puntò poi uno sguardo fintamente distaccato e proseguì. «Lo aveva capito, vero?»

«Ce..certo.» Rispose l’altra arrossendo.

«Può capitare quando la paziente è molto giovane, contrariamente a quello che si pensa, si incombe molto spesso in complicazioni di questo genere. Ma il bambino è pronto, lo sento, e questo è l’importante.» Si alzò, deterse le mani nell’acqua e s’avvicinò a Morena. «Ci siamo quasi. Vuoi che faccia entrare Alfredo?» Quella annuì flebilmente. «Devi caricarti di tutta la forza che possiedi, piccola Morena. Dobbiamo farlo nascere prima che la morfina arrivi a lui e tu potresti sentire dolore, ma te ne dimenticherai, presto molto presto. Va bene?»

«Ce la posso fare.» Disse aiutandosi con i gomiti a sistemarsi sulla lettiga; la dottoressa le sistemò dei cuscini alla base della schiena e le accarezzò i capelli.

«Vado a chiamare Alfredo.» Poi guardò l’altro medico. «Può cominciare a sterilizzare gli strumenti.»

L’uomo rientrò in stanza malfermo sulle gambe; Morena alzò gli occhi al cielo allungandogli una mano.

«Ti prego non svenire proprio adesso.» Tentò di risollevare il morale con l’unico effetto di vedere il bel viso di Alfredo farsi più pallido di quello che era. «Non scherzo, ora. Sembra proprio che stia per arrivare. Riccardo.. o non so chi altro.»

Alfredo sorrise, un sorriso tirato che finì con il fargli increspare la fronte in rughe sottili. «Potremmo chiamarla Marta, se è una bambina. E’ un nome così dolce. Olivia mi ha raccontato tutto.»

«Tutto? Tutto cosa?» Tossì in preda alla paura.

«Della tua avventura al consolato. Della sua con Cabrera. E di quello che è successo al mercato. Che ti sei sentita male mentre stavate passeggiando..» S’interruppe, la voce rotta dal pianto. «Non dovevo farti venire quaggiù, non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa.»

Morena gli strinse più forte la mano. «Sarebbe successo comunque e ne io, ne te, avremmo potuto fare altro. Senza contare che sono più i momenti che passo con me stessa alla tenuta, che in questa città; non si è mai soli qui, Alfredo.» Girò il volto verso le finestre che davano sulla strada ed ebbe voglia di piangere. «Mi manca la nostra casa.»

Alfredo la strinse a se e la baciò. «E tu manchi lì. Partiremo non appena ti sarai ripresa, con nostra figlia o figlio finalmente, e ti prometto che non ti sentirai mai sola.»

Lo guardò attentamente, soppesando il respiro; gli prese nuovamente la mano e sorrise. «Voglio studiare Alfredo, voglio anche io uno scopo nella mia vita che non sia dipeso da nessuno. Non è l’amore o la tua presenza quello che mi manca per essere felice. Io voglio essere. Questo mi manca.»

«Lo avrai. Non hai di che chiedere.»

Morena annuì grata. «Marta è un bellissimo nome ed oggi ho più che un motivo per amarlo tanto.» Lo baciò tirandolo per il bavero. «Va a chiamare la dottoressa, sono pronta.»

 

*

 

Calle de Toledo brillava ai raggi del sole quella mattina del diciotto giugno millenovecentocinquantuno.

La chiesa di San Isidro, una facciata risplendente di granito bianco maestoso.

L’entrata imponente era un tripudio di rose bianche e rosa candido, alternate a fili di erba in una semplice eleganza fatta di buongusto e meraviglia; la cattedrale si apriva poi per un lungo corridoio alternato per i lati da colonne corinzie intervallate da finestre dalla quale filtrava una luce dorata fiabesca.

Al centro esatto sui due lati, come un monito, le due cappelle che narravano e innalzavano la storia del santo protettore della città, un umile agricoltore dai portentosi doni, dal nome di Isidro o Isidoro, per poi finire sull’altare a volta, ricoperto alle sue spalle d’oro zecchino.

Non era una giornata come le altre e Padre Ignazio che ben lo sapeva, stringeva fra le mani la sua bibbia consumata dagli anni di sacerdozio in cui aveva avuto a cuore l’insegnamento e i sacramenti della bambina che adesso, vestita da sposa e ormai donna, stava percorrendo la navata stretta al braccio di suo padre.

 

Quella bambina era Leonor Ruiz Delgado, figlia di Leonardo Delgado meglio conosciuto come il costruttore.

 

Ce n’era voluto di tempo per di scegliere il vestito che avrebbe indossato, ma quando aveva posato gli occhi su quel modello dalle vetrine di Rafael Garcia in calle Arenal, aveva capito d’essersi innamorata e che avrebbe fatto di tutto per averlo; Helena Ruiz, che fino a quel momento aveva comandato i lavori come una gendarme, era letteralmente esplosa in una valle di lacrime vedendoglielo addosso.

Era di eleganza di altri tempi, molto visto fra le principesse e i casati reali di tutto il mondo, a trapezio ma con ogni parte totalmente a se stante e per nulla banale; il corpetto rivestito di pizzo era aderente fino al punto vita, impreziosito tramite cucitura invisibile, da una mantilla dello stesso pizzo spagnolo con il tradizionale motivo di fiori e forme geometriche circolari che le copriva le spalle e le braccia fino ai gomiti. Dal punto vita e fino ai piedi si apriva in una sontuosa gonna di raso morbido dritta sul davanti e leggermente asimmetrica sul dietro, dove terminava in una lunga coda lucida e vaporosa.

Era bella, bella da mozzare il fiato e camminava per la navata come se fluttuasse.

Javier la guardava fiero ed emozionato nel suo tight di tre pezzi di alta sartoria, sui toni del grigio e le sue sfumature, con il pantalone in tessuto fresco più scuro e il panciotto color ghiaccio dalla quale spiccava la camicia bianca e il cravattino dello stesso colore del gilet; non gli era stato permesso di indossare la divisa di gendarme in quanto non ancora un graduato, ma poco male, la giacca del completo stretta in vita e con la coda di rondine posteriore, gli risaltava la figura magra e slanciata in modo assolutamente divino.

E se Javier aveva dovuto rinunciare alla divisa ufficiale, fra i banchi della chiesa c’era tutta l’alta uniforme di Madrid, generali, ufficiali, capitani, tutti stipati nel loro manipolo di gloria e autocompiacimento; sfilavano poi i migliori fra avvocati, notai, giudici e qualche politico stretti a braccetto in un valzer d’ovvietà.

Tutto gridava opulenza, ma nei brevi istanti che Leonor impiegò per raggiungere lo sposo all’altare, la chiesa di San Isidro trattenne il respiro come fosse in apnea.

«Sei bellissima.» Mormorò lui, baciando il padre sulle guance ed accogliendola al suo cospetto; le alzò il velo con lentezza straziante, incontrando i suoi occhi colmi di serenità e forza. «Ci siamo.»

«Ci siamo.» Ella annuì, lasciandosi condurre all’altare.

 

«Il Signore benedica questi anelli che vi donate scambievolmente in segno di amore e di fedeltà.» 

La predica di Don Ignazio fu breve e coincisa come richiesto; la tradizione, in Spagna, voleva che i matrimoni fossero celebrati in tarda sera, un po’ per contrastare le calure del clima ma anche per far sì che i preti si perdessero in salamecchi senza fine che portavano direttamente a tavola, ma in questo caso, le regole erano state cambiate da entrambe le famiglie e dagli sposi stessi, che avevano optato per una cerimonia di giorno, leggera e senza inutili tiritere sul disegno divino della coppia, parabole e misteri che servivano solo ad allungar il brodo già freddo.

«Amen.» Risposero tutti in coro.

Javier sfilò il suo anello dal cuscino che la testimone, Benedicta, stringeva fra le mani come una reliquia preziosa; si voltò esultante e lo portò all’anulare di Leonor, guardandola dritto negli occhi.

«Io accolgo te, come mia sposa. Con la grazia di Cristo, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»

Al cenno di infilarle l’anello tremò, vinto dalle palpitazioni che il cuore pulsava scalmanato; guardò ancora quella ragazza, quella donna, così piena di vita, ingegno, passione e si ritenne un uomo davvero fortunato.

Era sua.

Voltò poi lo sguardo verso le panche dove era seduta sua madre, che gli sorrise; non era solo felicità, era di più.

Rivincita, riscatto, orgoglio e Dio solo sapeva cos’altro o perché.

Nell’infelicità del suo animo, lo aveva fatto incappare in quella creatura meravigliosa che era la sua sposa e che con lo stesso sguardo, ora, lo implorava di far scivolare quell’anello al suo dito; lo trattenne ancora portandoselo infine alle labbra dove baciandolo, fece sì che quelle promesse divenissero realtà.

«Io accolgo te, come mio sposo. Con la grazia di Cristo, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.» Recitò a sua volta Leonor, con voce ferma e gli occhi che brillavano; inspirò a fondo, prima di ricambiare il gesto solenne e pensò a dove l’aveva condotta aspettare che quel ragazzo si accorgesse di lei.

Poi fu un attimo, capì; quella ragazza al mercato.. nessuno aveva detto lui.

Spalancò gli occhi e si trattenne visibilmente turbata, ma Javier la guardò sicuro e forte, accarezzandole dolcemente la mano con l’anello fermo a mezz’aria carico di voti; quello sguardo valeva più di cento parole.

«Ti amo.» Mormorò lui, come se avesse udito i suoi pensieri e Leonor sospirò, lasciando che la fede scivolasse al dito, di quello che i voti nuziali dichiararono poi, essere suo marito.

 

«Per il potere conferitomi dalla Chiesa, io vi dichiaro marito e moglie.» La voce da baritono di Don Ignazio sovrastò il silenzio; guardò ai due giovani invitandoli al bacio consueto e stringendo le loro mani come una benedizione, si riferì alla folla. «Vi presento la signora e il signor La Fuente.»

Fu allora che Javier fece scivolare la sua mano intorno al collo bianco di Leonor e le scoccò un bacio degno da cinema; in men che non si dica, scattò l’applauso e le persone presenti ripresero a respirare, dando sfogo agli istinti festanti con fischi e ululati degni delle taverne del più pittoresco dei posti.

Ma questa era la tradizione; era nata una nuova famiglia.

«Mi hai fatto penare fino all’ultimo.» Sussurrò Javier offrendole la mano; gli invitati stavano a mano a mano ridiscendendo la navata per guadagnare l’uscita, tutto intorno le damigelle e i parenti si congratulavano fra loro; Leonor li invitò affettuosamente ad attenderli fuori, ostentando sorrisi e ovazioni, poi si voltò verso Javier e lo guardò seria. «Paura che sarei scappata?»

«Un po’.» Ammise lui, più divertito che impaurito.

«E’ il più bel giorno della mia vita, signor La Fuente.» Pronunciò con aria sognante, prendendo la mano del suo sposo e conducendosi lentamente verso il portone.  Il riso era pronto nei cartocci rosa pallido, ma prima di oltrepassare l’uscita si fermò, stringendosi più forte a quella mano. «Nessuno avrebbe impedito che si compiesse.»

Javier annuì con un espressione dolce in viso; si sistemò il cilindro sul capo e batté compitamente il bastone in terra come un vecchio duca. «Nessuno.»

 

«Evviva gli sposi! Evviva gli sposi!»

 

Il riso volò alto in cielo e solo allora ebbe inizio la festa.

 

*

 

«Morena..» Qualcuno la chiamò dal fondo di un sonno pieno di sogni; aprì piano gli occhi, controvoglia e si trovò davanti la commovente immagine di suo marito con al petto un bambino . Loro figlio. «Oh, la mamma si è svegliata finalmente.» Distolse lo sguardo dal neonato e lo posò su di lei; la giovane annuì, allargando le braccia.

«Non era un sogno.» Pronunciò, investita dal calore di quel corpicino agitato. «Chi abbiamo qui?» Esalò stupefatta. «Riccardo.» Rispose Alfredo con voce roca, dal piglio orgoglioso. «Riccardo Soler Roquez

«Un maschio!» Strepitò Morena, abbracciandolo e annusandolo; sapeva di un odore sconosciuto, di sapone costoso, bucato forse e solo allora notò la tutina che aveva indosso. Guardò ad Alfredo inarcando un sopraciglio.

«Tua zia.» Annuì lui.

«Non importa.» Senza dire altro lo spogliò, portandolo al petto, contro la sua pelle; il bambino reagì cercando il suo seno, Morena lo aiutò ad arrivarci con mani delicate e inesperte. «Ho sentito dire che il calore corporeo li aiuta a creare una sintonia con la madre. E’ una cosa che toglie il fiato.» Tirò indietro la schiena e si abbandonò alla poppata vigorosa del piccolo; con una mano invitò Alfredo a sedersi accanto, visibilmente impacciato e inesperto quanto lei. «Possiamo parlare, adesso.» Rise del laconico uomo che le stava vicino. «Come stai? Come sono andate le cose?»

«Quando è venuto al mondo, hai perso i sensi per lo sforzo. La Velasco mi ha preso a schiaffi per non permettere che svenissi anche io. Ha detto che dovremmo pensarci seriamente prima di mettere in cantiere il prossimo.»

Morena rise e il bambino protestò. «Brontolone..» L’incalzò affettuosamente. «Mi vuoi già tutta per te? Ti prego Alfredo continua, mi sembra di essere stata lontana da qui per troppo tempo.» 

«Quando me lo hanno fatto tenere in braccio la prima volta sono scoppiato a piangere come un ragazzino, ci credi? Lo tenevo stretto e non sapevo dove mettere le mani, come stringerlo, se parlargli. Dios, ho pensato, hai maneggiato cose più fragili di questa e dalla quale dipendeva la tua vita, hai paura ti tenere in mano tuo figlio? Poi ho capito che avevo paura perché insieme a te lui è la cosa più importante della mia vita adesso e tutto il resto si è annullato.» Prese il respiro, profondo, e continuò con gli occhi un po’ più lucidi. «Ti guardo e sono così fiero di te. Sai esattamente cosa fare, senza che nessuno ti abbia mai insegnato niente. Penso, che non c’è cosa più bella del mistero che aleggia intorno alle donne quando diventano madri. E’ un vero miracolo.» 

«Spero di essere all’altezza della fiducia che riponi in me.»

«Non dovrai fare tutto da sola, comunque

«Che vorresti dire?» Mormorò spaventata.

Alfredo sorrise, stringendole forte la mano. «Che potrai contare su di me e Olivia.. e tua zia Milagos mormora di trasferirsi a Salamanca per i primi mesi in cui ti servirà aiuto. Le ho già detto che non serve che faccia questo, ma è girata sui tacchi ed è sparita.»

«Non ci posso credere.» Morena si portò un braccio sugli occhi afflitta. «Quella donna è una mina vagante Alfredo, sappi che non ce la leveremo di torno tanto presto.»

«Non faccio i salti di gioia ad averla intorno, ma è una donna adulta, sa come aiutarti. Ma se ti reca fastidio..»

«No, non preoccuparti ci penso io. Delineerò i confini e farò in modo che ci resti.» Levò il braccio dagli occhi e aiutò il poppante ad attaccarsi all’altro seno; il bambino però sbruffò piccole bolle di saliva prima di gorgogliare e chiudere gli occhi insonnolito. «E’ così piccolo.. credi che potrei tenerlo a dormire qui vicino a me?»

«Ti chiamo immediatamente la Velasco. E’ in una pensione qui vicino, ci metterò poco.»

Morena lo trattenne per il braccio. «No! Lasciamola riposare, siamo in un ospedale dopotutto, non voglio recarle fastidio per questa sciocchezza.» L’uomo si rimise seduto, guardandola con amore. «Cosa ti fa sorridere?»

«Tu.. così.» E indicò lei e il bambino stretti nelle lenzuola. «Sono molto fortunato.»

«Siamo, molto fortunati.» Aggiunse lei, invitandolo sul letto; Alfredo si alzò e prese posto accanto a loro. «Adesso che gli atti sono a posto, pensavo di battezzare Riccardo prima di andare via, per la sua anima. La cattedrale di Madrid è un posto bellissimo, potremmo provare lì.» Alfredo trattenne un sorriso, ma Morena lo redarguì con un occhiata. «Trovi ironico che io mi preoccupi dell’anima di nostro figlio? Don Pedro venne a casa nostra in piena notte, quando nacque Stella, redarguendo mio padre ed Elvira per averci messo così tanto prima di farla battezzare. Ero piccola e udii tutto; parlava di inferno, anime dannate e.. ho i brividi al solo pensiero.» Si strinse forte contro Alfredo, che le passò una carezza vigorosa sul braccio freddo nonostante la calura estiva. «Voglio che accada presto, solo questo.»

«Perdonami se sono stato indelicato.» Le baciò i capelli e proseguì serio. «Mi piace la cattedrale, ho avuto modo di visitarla in un mio viaggio qui a Madrid di molti anni fa; il santo dalla quale prende nome, era un contadino. Di buon auspicio, direi.»

«Oh Alfredo, tu sei molto più di un contadino!»

La porta si spalancò ed Olivia annunciò la sua sfolgorante presenza; Morena e Alfredo la guardarono attoniti poi l’uomo scivolò dal suo posto e si irrigidì accanto al letto. «Non volevo origliare, ma comunque approvo la scelta!»

La ragazza posò cappello e soprabito sulla sedia appoggiata al muro nocciola e si avvicinò a loro. «Come ti senti mammina? E questo bellissimo bambino?»

Morena alzò gli occhi al cielo. «Stiamo bene, grazie.» Sorrise e proseguì. «Sono contenta che ti piaccia la cattedrale, sicuramente avremmo tenuto conto del tuo parere.»

Olivia alzò un sopracciglio. «Ho capito, parlo troppo.» Guardò ad Alfredo improvvisamente stretto nelle spalle e sospirò. «Dico solo che è un posto veramente magico.»

Morena le strizzò l’occhio. «Hai sentito Alfredo? Con questo ho un terzo voto a favore. Direi che dobbiamo fare di tutto per averla!» Olivia tirò un sospiro di sollievo e guardò l’uomo in trepidazione.

Alfredo scosse il capo. «Mi attivo subito.» L’avvicinò baciandola, accarezzò il capo del neonato e con un veloce saluto alla cugina si portò fuori. «A più tardi!»

Rimaste sole Morena invitò Olivia a prendere il posto di suo marito. «Vuoi tenerlo?» Lei sorrise raggiante e dopo essersi lavata le mani nel bacile prese il piccolo a se. «Morena ti somiglia molto!»

Al di sotto della zazzera color caffè si nascondevano furbetti occhi scuri, il viso a cuore e la pelle ambrata facevano ben pensare che il piccolo Riccardo avesse ereditato praticamente tutto quello che c’era da ereditare dalla sua mamma.

«Me ne compiaccio.»

E non poteva essere altrimenti. Non avrebbe sopportato, ne era certa, fare i conti con le sembianze di ciò che era Javier, anche se era troppo presto per giudicare e nessuno si era posto il problema di farlo.

Riccardo era suo e questo era innegabile.

 

 

Cinque giorni dopo, con il consenso di medici e il ben volere di Dio, Morena, Javier, il piccolo Riccardo ed Olivia si recavano in Calle de Toledo per officiare la cerimonia di battesimo; il buon nome di Mariano Nieto Cabrera aveva fatto sì che le porte venissero addirittura spalancate per la famiglia Roquez, questo in vista anche delle sessanta peseta versate dagli stessi per prenotarla. La chiesa era fresca di addobbi, il parroco –tale don Ignazio- aveva raccontato loro che nell’ultimo matrimonio officiato si erano avuti così tanti fiori che sarebbero bastati per cerimoniare funzioni per tutto il mese; Morena lo aveva guardato asserendo che a lei non importava molto dei fiori, voleva l’anima del suo bimbo preservata dai peccati e questo aveva fatto sì che il sacerdote capitolasse prendendola a cuore.

Cinque giorni erano assai pochi, ma vi era fretta di tornare in quel di Fuentesauco, alle loro consuete vite e lontano, molto lontano dai pericoli che la città aveva messo sopratutto dinnanzi agli occhi di Morena.

«Non vi ho mai ringraziato per questa nomina.» Mormorò Oliva tenendo in braccio il bambino mentre Morena sistemava il foulard nel colletto della camicia ad Alfredo. «Essere la madrina di Riccardo è un onore per me.»

«Sei quanto di più buono io conosca Olivia, non devi ringraziarci.» Le rispose l’uomo sorridendo.

Morena assentì. «Sono arrivata in questa città per sistemare gli affari di famiglia; io e Alfredo. Me ne vado che ho una cugina che è quasi una sorella per me e con un figlio. Tutto questo deve pur significare qualcosa.» Poi si voltò, guardandoli seria nei loro visi e i loro occhi commossi. «Qualsiasi cosa accada, noi saremo l’uno per l’altra; una nuova ed eterna famiglia.»

«Amen.» Sussurrò Alfredo come se avesse udito una preghiera liturgica.

«Amen.» Mormorarono Olivia e Morena.

 

 

 

La famiglia è dove il cuore trova sempre una casa.
Stephen Littleword, scrittore.

 

 

 

NDA: Grazie a chi inserisce la storia fra i seguiti/preferiti/ricordare.

Spero tanto che vi piaccia e di ricevere presto i vostri pareri.

Grazie.

In ultimo, vi posto i due sposini Javier e Leonor, così come li ho immaginati. Fonte:web

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Decidete che una cosa si può e si deve fare.

E troverete il modo.
Abramo Lincoln, politico, 16° presidente USA.

 

 

 

Fuentesauco, Maggio 1956.

 

Il pianto di un bambino squarciò il silenzio della casa addormentata.

Alfredo alzò gli occhi turbato da quel lamento, si tirò su velocemente e stiracchiandosi come poté accorse verso il figlio, nella stanza accanto; accese le luci e il bambino scemò il pianto, allargando le braccia.

«Sono qui» Gli sussurrò all’orecchio, beandosi dell’odore delizioso che i suoi capelli emanavano; il piccolo si strinse al suo collo affogando i singulti contro la sua pelle. «Hai la fronte calda.» Mormorò spostandogli il visino contro la sua mano grande e coriacea. «E forse anche un po’ di febbre. Vogliamo andare a trovare la mamma?»

Il bambino annuì con il capo rituffandosi fra le braccia del padre. «La mamma mi fa guarire.»

Alfredo sorrise, stampandogli un bacio fra i capelli scuri e mossi. «La mamma è proprio brava a far guarire le persone. Avanti, vestiamoci così glielo diciamo di persona.» Lo prese in braccio e lo portò al catino, dove giaceva l’acqua calda per il bagno che Clementina la cameriera preparava tutte le mattine, prima che il bambino si svegliasse e fosse preparato per andare a scuola, così come volevano le nuove leggi del paese che avevano sopperito del tutto l’abitudine dell’istruzione in casa. Molte cose erano cambiate nel tempo; Riccardo era adesso un bellissimo e vivace bambino di cinque anni, aveva cominciato a parlare prestissimo e con un po’ di aiuto da parte di entrambi i genitori, si era anche messo a scrivere le prime parole; Morena aveva sostenuto fin da subito l’idea di passarlo ad un’istruzione di primo grado e dopo i primi battibecchi con Alfredo –più propenso a tenerlo in casa per non privarlo delle attenzioni che un bambino necessitava e che a lui erano state negate- l’aveva convinto che staccarlo dal nido e renderlo indipendente fin da subito gli sarebbe giovato in futuro. Sarebbe diventato forte, diceva.

E aveva ragione, il bambino nutriva già una spiccata propensione indipendente, era vivace in mezzo agli altri ragazzini ma molto riflessivo fra gli adulti; ne erano molto orgogliosi e Morena si ritrovava spesso a contemplare quel figlio nel silenzio della sua stanza quando dormiva, mormorando che era impossibile che una rozza contadina come lei avesse generato un bambino tanto sveglio. Alfredo allora la stringeva a se e le diceva che era stupida sì, ma nel pensar questo, le ricordava di quanto era stata intelligente nell’innovarsi come persona e che non doveva mai dimenticare dove aveva spinto propri limiti: Morena era diventata medico, difatti.

Cinque anni prima aveva svezzato quel fagotto amorevole che era il loro figlio e successivamente si era iscritta all’università di Salamanca; la Velasco –in pieno titolo d’amica a conti fatti- appena saputo la notizia aveva smosso mari e monti affinché la ragazza eseguisse praticantato presso di lei e che prendesse la specializzazione in ginecologia; e così era andata –o meglio stava andando perché la ragazza doveva ancora eseguirla- fino al momento di stallo che vigeva in Fuentesauco da quando Pena era andato in pensione, e il posto di medico era vagante; Morena allora aveva provvisoriamente occupato quel posto fino a data da destinarsi.

 

«Mamma!» Esclamò il bambino aggrappandosi al collo di Morena, mezzora più tardi allo studio; la ragazza staccò gli occhi da alcuni tomi di anatomia e guardò ad Alfredo con aria interrogativa, contraccambiando l’abbraccio di suo figlio. «Sto male.» Svelò il bambino, toccandosi la testa con un ditino. «Mi puoi guarire?»

Morena gli tastò subito la fronte e il collo, alzandosi a recuperare un termometro dalla vetrina delle medicazioni. «Alza il braccio..» Gli solleticò il fianco e il bambino rise argentino, sbottonò di alcuni bottoni la camicia e gli infilò lo strumento al di sotto della canottiera. «Qui ci vuole proprio un po’ di sangue di drago.» Proferì come se parlasse di un grande segreto del quale solo loro due erano a conoscenza, riferendosi all’insulsa miscela che si usava per curare il mal di gola che Riccardo, come tutti i bambini, mal tollerava.

«Non mi piace il sangue di drago.» Sentenziò il bambino voltandosi verso Alfredo.

«Cosa avevamo detto a proposito della mamma?»  Incalzò lui.

«Che guarisce le persone e che è brava.» Ammise il bambino.

«Gli facciamo vedere quanto sei bravo anche tu?» Alfredo lo avvicinò, accarezzandogli i capelli. «Anche papà prende sempre il sangue di drago quando sta male, perché glielo dice la mamma.»

Il bambino arricciò il naso, ammutolendo; Morena gli portò il cucchiaio alla bocca. «Se guarisci presto, papà potrà portarti ancora sul trattore» Lui la guardò scocciato e l’aprì controvoglia. «Non mi piace.» Insisté brontolando.

Morena gli sorrise scompigliandogli i capelli. «Bravo il mio ometto.»

Alfredo lo rivestì, mentre la donna scaricava il termometro per riporlo nella ciotola con il disinfettante, e gettando un’occhiata ai libri sul tavolo mormorò. «Si è svegliato piangendo, mi dispiace averti disturbata»

Morena si asciugò le mani e lo raggiunse, abbracciandolo da dietro. «Non mi disturbate mai.»

L’uomo si voltò e la prese fra le sue braccia a sua volta. «Ha la febbre?»

«E’ solo un alterazione, credo dipenda da quel brutto mal di gola che si è trascinato dietro. Niente scuola per un po’.» Sorrise, appoggiandosi delicatamente alle labbra del marito; Alfredo la strinse più forte, tracimando passione dalla bocca rovente. Morena si staccò, quando il bambino sorrise di quell’improvviso attacco del padre nei confronti della madre. «Tuo figlio ci prende in giro.»

«Tuo figlio ti somiglia troppo.» Sospirò cercando di ricomporsi. «Come va lo studio?»

«Ho pochissima concentrazione questo oggi.» Scosse il capo passandosi la mano fra i capelli. «Poco male comunque, il sindaco mi ha avvisata dell’arrivo imminente del nuovo medico; entro breve avrò tutto il tempo di dedicarmi alle mie passioni.» Si gettò nuovamente fra le braccia del marito che la fermò, indicando il bambino con un cenno del capo.«Andrai ai campi?»

L’uomo annuì e si piegò per prendere in braccio Riccardo; Morena sull’uscio schioccò un bacio al piccolo e uno a suo marito trattenendolo per il braccio. «Di alla cuoca di preparare brodo caldo di gallina. Ci vediamo a casa.»

 

Il progresso era ancora una cosa molto lontana da loro, pensò, mentre ridiscendeva il corso principale del paese con il fascio di libri stretti al petto; tutto attorno si muoveva lento e sporadico il tocco di futurismo che aveva assaggiato a Madrid, tuttavia visibile la dove si necessitava di cambiamento; nelle case, adesso rivestite perlopiù di cemento grezzo –il sindaco aveva dato il via ad un piano regolamentare che obbligava tutti i cittadini ad adoperarlo nel tirar su le proprie abitazioni, concedendo comunque libero arbitrio sulla provenienza e qualità- nelle strade che si avviavano verso la pavimentazione –il corso principale era stato il primo esperimento, i corsi minori erano alla mercé e alle disponibilità dei cittadini che vi avevano dimora, con il risultato che fra baruffe e accuse una strada su cinque si poteva dire  ultimata veramente e bene- e nel clericato di Don Pedro, che prendeva sempre più aspetto di un vero e proprio convento con giardini e un ampio cortile, che aveva sostituito il campo di fango ed erbacce, dove i bravi cittadini, anziani e bambini fra tutti, passavano il tempo vigilati dall’occhio del buon Dio.

Era nata anche una piazza, battezzata con il nome de España blasonato in tutto il territorio, ma di buon auspicio per l’avvenire e vi erano state dispute fino all’ultimo sangue fra i concittadini commercianti per ottenere una posizione privilegiata su suddetta piazza con i loro chioschi o botteghe; vi sorgeva una piccola locanda in passato, appartenente alla famiglia dei Portos, gli arrabattai del paese che erano riusciti a spuntarla sui Ramirez, allevatori da generazioni, ma la trattativa era finita in tragedia con Lauro Portos e Giuliano Ramirez al camposanto –i due si erano ammazzati a vicenda con due colpi di fucile- e la povera Guendalina Ramirez che per lo shock della morte del padre perse tutti i lunghi capelli e mai le ricrebbero. Morena ci metteva gli occhi ogni volta che passava di là; progettava di aprirsi uno studio tutto suo una volta presa la specializzazione per esercitare a tutti gli effetti la professione di levatrice, ma ovviamente la nomina del luogo non era delle più felici e questo aveva fatto sì che il prezzo per acquistarla fosse diventato improponibile, quasi che gli antichi proprietari desiderassero vederla inghiottire in una voragine fatta di oblio e negazione. Non le erano mai piaciute tanto le chiacchiere, per questo aveva accettato di occupare, seppur a breve termine, il posto del dottor Pena, così avrebbe racimolato qualche soldo per farlo suo e non gravare troppo sulle casse di famiglia, assumendosi a tutti gli effetti le responsabilità di quell’acquisto.

Una cosa era certa, non aveva perso le buone vecchie abitudini e continuava a passeggiar fra la gente come una comune mortale, nonostante da parecchio tempo non lo era più; la costruzione del nuovo mulino aveva ampliato il commercio della farina “Lorenzo Montenero” proprio come aspirava Alfredo ed i primi introiti cominciavano a sonar nei loro forzieri, anche se con qualche anno di ritardo; purtroppo, il clima continuava ad essere la costante negativa per un contadino e questa, nessuna invenzione geniale sarebbe riuscita a contrastarla.

 

«Buenos dias Morena!»   

 

Una voce familiare richiamò la sua attenzione. «Buenos dias Olivia.» Si voltò sorridendo, la ragazza minuta e bionda se ne stava allegramente appollaiata al braccio di Abel Vincente Del Carmen il nuovo sindaco che aveva spazzato via Fernando “il vecchio” in una decina di minuti, sindaco da svariati mandati e una vera istituzione nella vecchia Fuentesauco. I due se la intendevano certamente, ma più che affari di cuore per Olivia era diventato un vero affare politico-sociale; la ragazza si era laureata in architettura con il massimo dei voti tre anni prima, ma nonostante le terre e i vigneti di Villaescusa, aveva quasi formalmente preso cattedra in paese abbracciando la nuova filosofia di progresso di Del Carmen, che animato da ardore nei suoi confronti le affidava qualsiasi incarico; c’era indubbiamente anche una componente affettiva nel suo attaccamento a Fuentesauco, da quando erano state a Madrid –ormai cinque anni addietro- il baricentro degli affetti si era innegabilmente spostato e il senso di famiglia, proprio come Morena aveva pronunciato dinnanzi a Dio il giorno del battesimo del piccolo Riccardo, si era fatto più forte e accentuato da una voglia di appartenere a qualcosa, a qualcuno. «Sindaco..»

L’uomo ricambiò il saluto toccandosi il cappello; era un bel signore, distinto e accattivante, con quell’aria fiera e saggia data dalla ribelle capigliatura striata d’argento e, particolare altroché irrilevante, possidente di alcuni appezzamenti sparsi per tutta la provincia di Zamora. Un nuovo ricco dunque, ma Olivia non sembra tanto interessarsene, presa com’era dalla carriera e dagli interessi che quell’amicizia portava con se.

«La signorina Herrero ed io, ispezionavamo le proprietà del comune.» Disse con tono pacato, indicando poi la locanda abbandonata dinnanzi a loro. «Ancora interessata?»

Morena annuì leggermente con il capo. «E’ ancora spropositatamente in vendita?»

«La vedova Portos non molla di un duro* (n.p.d).»

La ragazza alzò le spalle. «Non ne capisco il senso ma dopotutto la proprietà è sua.»

«Purtroppo non possiamo sottovalutare ciò che una superstizione esercita sulle menti.»

«Non venga a parlare di superstizioni ad un medico, per l’amor del cielo!» Disse sorridendo. «Mi stupisce che un uomo così all’avanguardia come lei parli di certe cose; la malvagità esiste signor sindaco ed è tangibile ma, Portos e Ramirez riposino in pace, qui si tratta più di stupidità che di malasorte.»

L’uomo abbozzò un sorriso guardandola negli occhi. «Mi faccia una proposta.»

Morena sgranò gli occhi. «Temo di non seguirla.»

«Sono imparentato ai Portos per vie lontane. Chissà che la mia prozia non venga in mente di ragionare.»

«Sta scherzando per caso?»

«Serissimo come un morto.»

«Oh! Lasci stare i morti..» Scosse il capo, affilò lo sguardo e puntò Olivia. «Tu.. lo sapevi!»

La ragazza fino a quel momento in disparte e ammutolita sghignazzò. «Sono mesi che lo tampino per te, cosa credi. Abel può confermarlo, vero?» L’uomo annuì mortificato. «Per contro devo dirti che la vedova è un osso duro e in questo lo compatisco.. povero il mio Abel.» Si strinse contro il suo braccio addolcendo lo sguardo; l’uomo arrossì ma sorrise prontamente catturato dalla ragazza.

«Allora la proposta?» Chiese infine.

Morena tornò seria. «Cinquecento peseta e due duro per le pratiche.» Sparò secca.

«Settecento, pratiche incluse.» Incalzò lui.

La donna inarcò il sopracciglio. «Stiamo ancora giocando?»

«Mia zia non cederà.»

«Sua zia può tenersi la proprietà e anche tutti i fantasmi. Cinquecento più le pratiche.»

Del Carmen sorrise all’angolo della bocca. «Mi presenterò con seicento peseta; i due duro li pagherò io, se riuscirà a spuntarla sul prezzo. Che ne dice, affare fatto?»

Olivia annuì con il capo guardando alla cugina con occhi fuori dalle orbite, quella trattenne il respiro per attimi interminabili cadenzando l’attesa. «Vada per seicento. Ma insisto ad essere io a darle i due duro, se riuscirà a farla ragionare; se li sarebbe guadagnati.» Gli allungò la mano attendendo impaziente e con un sorriso altezzoso; quello allungò la sua e sigillarono un tacito, innocuo e silenzioso patto.

 

«Tutto bene quel che finisce bene.» Sospirò Olivia, adesso stretta al suo braccio. «Del Carmen è proprio un uomo da scoprire..» Sentenziò, passandosi poco innocentemente la lingua sul labbro; Morena si voltò a guardarla basita.

«Sempre che ci sia rimasto, qualcosa da scoprire.»

«Che vai farneticando, cugina!» Disse, battendo due colpi rapidi e leggeri sulla sua mano. «Siamo buoni amici.»

«Oh ma non fraintendermi, cara. A me Del Carmen piace.. anche ad Alfredo a quanto pare. Non fa che blaterare di quanto sarebbe opportuno un matrimonio fra voi.»

Olivia alzò gli occhi al cielo. «Alfredo si comporta come fosse mio padre. E’ così antidiluviano, a volte.»

Morena trattenne un sorriso. «Di sicuro non possiamo negargli che a te ci tiene eccome, dato i buon partiti che ti va cercando.. Dio non voglia se hai intenzione di deluderlo. E comunque..» Disse gonfiando il petto e abbassando di un tono la voce al passaggio di due donne dalla parte opposta. «Non è così vecchio come credi tu.»

«Buon per te.» Aggiunse l’altra ridendo. «E’ che io vedo molti signori e così pochi uomini.»

«Credevo di averti appena sentito dire che il tuo Abel ti piace.»

Olivia abbassò lo sguardo rammaricata. «Ho conosciuto un tale, Morena.»

«Non è una bella notizia?» Chiese l’altra raggiante.

«Vuole che lo segua a Madrid.»

Morena spalancò la bocca. «Olivia Herrero, io e te abbiamo molto da raccontarci.»

«Lo penso anche io. Da dove comincio vediamo..»

 

 

Villaescusa, due mesi prima.

 

«Olivia, sbrigati o faremo tardi!»

«Arrivo! Arrivo!»

L’arrivo della primavera cominciava a farsi notare nella vasta radura di Villaescusa.

Gli alberi si adornavano a festa e gli animali sbucavano dalle loro tane popolando i boschi di nuova vita.

La natura non era la sola a darsi da fare per apparire più bella, anche le ragazze del paese facevano del loro meglio in questo periodo salutando l’inverno sfoggiando belletti a regola d’arte, proprio come stava succedendo ad Olivia intenta a tirarsi su i lunghi capelli biondi e acconciarli secondo la moda del tempo.

Loretta, sua amica e compagna dai tempi che furono, si era presentata come al solito in largo anticipo, ed ella in largo caos come al solito, si era fatta trovare in vestaglia e con i capelli pieni di forcine.

«Anselmo ha portato anche un suo amico! Vedessi quanto è carino, si chiama Felipe ed è di Salamanca anche egli. Fa praticantato presso uno studio di avvocati e guardandolo bene..» Si sistemò con cura la veste, sedendosi sul letto «ce l’ha un po’ quel piglio sicuro tipico di chi è abituato a fare arringhe.»

Olivia la rimirò dallo specchio dove stava sbrogliando la matassa bionda che aveva in testa, inarcando un sopracciglio. «Sei sempre così esaustiva amica mia, dovresti darti alla politica. O cercar marito nella guardia civil

«Sì, ridi bene tu. Al giorno d’oggi con tutti i mascalzoni che ci sono in giro, faccio bene a informarmi di questo o quello. Ti sei dimenticata della brutta storia accaduta a Catalina?»

«Come potrei? Me la ripeti almeno ogni due giorni..»

Catalina era una giovane ragazza di Villeuscusa cresciuta con loro ma di estrazione superiore; un giorno la sua famiglia, credendo di avergli combinato un matrimonio da capogiro con un bel giovanotto di Siviglia che millantava di possedere mezza città, l’aveva caldamente invitata a farsi mettere incinta dal suddetto per suggellare il patto che la vedeva ereditiera di tale fortuna, salvo poi scoprire che il giovane era uno scansafatiche della peggior specie e figlio di contadini, che aveva investito un modesto gruzzoletto per ripulire la sua immagine intento ad accalappiare qualche gallinella dalle uova d’oro di paese. La poveretta si era trovata umiliata, defraudata, abbandonata e soprattutto madre di una creatura che aveva avuto la sventura di essere messa al mondo con l’inganno.

«E comunque non credo di correre questo pericolo; ho due cugini che stanno ribaltando il paese nell’intento di trovarmi il principe azzurro.» Aggiunse sarcastica, voltandosi verso di lei. «Come sto

«Sei bella.» Ammise quella. «Ed è proprio per questo che devi fare un buon matrimonio, perché purtroppo non sei ricca quanto bella, ed in più hai quasi ventidue anni! Lo sai cosa si dice di una donna che non trova marito..»

Olivia l’avvicinò posandole un dito sulle labbra; aveva lo sguardo lucente e il sorriso scherzoso.

Voleva bene alla sua amica, sapeva di che genere di stampo fosse e da dove proveniva; non a caso Anselmo apparteneva ad una modesta famiglia di viticoltori di Salamanca, perfetto per una come lei che proveniva da una di semplici braccianti, ed Olivia capiva bene che questa era una conquista per la ragazza.. ma per se stessa desiderava altro, aveva sempre desiderato altro; non c’entravano i soldi e nemmeno le ricchezze, voleva essere una persona, una donna, prima che una moglie e una madre.

«Significa che devi smetterla di dare retta alle chiacchiere.» Sussurrò. «Quando lui sarà quello giusto, io lo capirò.»

 

Il Cafè moderno era nei primi anni cinquanta, il club più in voga di Salamanca; qui si promuovevano le attività più innovative e girava senza sosta la musica migliore, non solo del paese, ma di tutto il mondo; il Rock and roll.

Felipe non si era rivelato poi tanto male, pensò Olivia, quando quest’ultimo dalla capote abbassata dell’auto di Anselmo, la sollevò per la vita facendola volteggiare in aria sulle note lontane di un pezzo di un tizio emergente che si faceva chiamare Elvis Prestley; quando la mise giù, corsero dentro, mano nella mano, con quella frenesia e allegria senza senso, ma che fa bene al cuore.

Il locale era al di sopra della sua stessa nomina; un’unica grande sala circolare, con pavimento a scacchi nero e bianco, finti juke box pieni di luci dislocati qui e là e piccole sedute di pelle con annessi tavolini agli angoli; la cosa strabiliante era il soffitto, attraversato da segmenti rettangolari composti da lampade neon che sprigionavano ognuna una luce diversa dall’altra.

L’orchestra era stipata sul fondo del locale, dove diversi elementi alternavano pezzi contaminati da jazz e soul, perfetti per gli scatenati ospiti della serata; le donne facevano volteggiare le gonne a ruota a ritmo in un tripudio di colori sgargianti e gli uomini ancheggiavano nei loro jeans scuri arrotolati alle caviglie  rigorosamente con calzino a vista. Era tutto perfetto e vivo, Olivia sorrise estasiata, addentrandosi nella mischia insieme al suo cavaliere.

«Vuoi un frullato?» Le chiese Felipe, parlando al di sopra della musica.

Annuì con il capo, lasciando andare le braccia al cielo; il ragazzo sparì verso il bancone quindi chiuse gli occhi e cullò il corpo sulle note di una canzone lenta e dal ritmo doloroso.

Quando li riaprì, un giovane dal ciuffo lucido di brillantina la stava fissando sornione.

«E’ il tuo ragazzo quello?»

«Scusa?» Lo incalzò scocciata, stupendosi però di non riuscire a staccargli gli occhi da dosso.

«Mi chiedevo se quel tipo curioso fosse il tuo ragazzo.»

Olivia sorrise; era strano davvero Felipe, tuttavia non voleva dare allo sconosciuto alcuna soddisfazione. «Sì.»

«Che peccato.» Mormorò l’altro, sul punto di andarsene; era sicura di provare una sensazione mista a delusione, per questo, ma alzò le spalle e fece finta di nulla. Il tipo passandole accanto dondolò un po’ sui suoi passi, prima di avvicinarsi al suo viso con aria accigliata. «Sei sicura che non ci siamo già visti

Nel momento in cui glielo chiese, si soffermò a guardarlo bene; belle labbra disegnate, ciuffo castano su occhi di un verde cristallino, naso regolare.. prepotentemente bello, non c’era altro da aggiungere.

«Avrei dovuto ricordarti?» Disse invece in maniera arrogante.

«Sono un tipo che non si dimentica facilmente.» Aggiunse lui per nulla turbato.

«Non mi dire.. perché io non mi ricordo di te.» E sorrise dispettosa. E bella. Il ragazzo si passò la lingua sulle labbra, lentamente ed Olivia arrossì, turbata; che diamine le stava prendendo?

«Se ti sono così indifferente, perché mai sei arrossita?» Le sussurrò, pericolosamente vicino al volto.

«Fa molto caldo.» Rispose lei, con le gambe improvvisamente molli e il cervello come gelatina.

«Vieni con me.» Le allungò la mano. «Fuori c’è una luna bellissima.. e non ci credo che quel rammollito è il tuo ragazzo.» Sorrise e sembrò essere più un ragazzino trepidante, che un grande conquistatore; allungò la sua e disse sì con occhi brillanti.

«Aiutami a cercare la mia amica.»

Lui annuì divertito. «Siamo quasi cinquecento persone, stasera.»

«Ha un vestito blu e capelli rossi.» Rispose lei, guardandosi attorno in cerca di Loretta. «E poi come lo sai che siamo cinquecento, ti sei messo a contarci?» Disse ridendo.

«Sono un soldato. Occhi vigili e calcoli approssimativi sono il mio forte.» Indicò un punto alla loro sinistra che corrispondeva proprio alla descrizione che gli aveva fornito; Olivia annuì impressionata, prendendolo per mano fino alla coppia che se ne stava stretta in un ballo.

Loretta si accorse di loro e fulminò Olivia con lo sguardo; Anselmo quando posò lo sguardo sul ragazzo esplose in un boato di gioia. «Lorenzo!»

 

I due ragazzi si abbracciarono parecchie volte prima di fare le presentazioni.

Anselmo aveva raccontato di aver conosciuto il ragazzo a Madrid in quanto la famiglia di lui teneva consulenze commerciali e di esservi incappato nel momento in cui suo padre aveva licenziato il vecchio ragioniere tacciato di aver arruffato ogni ben di Dio dalle loro casse; Olivia li ascoltava rapita, Loretta capita l’antifona la prese in disparte.

«E Felipe

«Per l’amor del cielo.. non vorrai metterti a fare la bacchettona, adesso?» Rispose scocciata. «Mi si è avvicinato dopo che il tuo Felipe è andato a prendermi un frullato. E non è più tornato.»

«Volevo solo sapere dove fosse.» Disse l’altra con una vena sarcastica. «Sono preoccupata.»

«Tornerà..» Borbottò. «E’ solo un frullato, mica la guerra!»

«Ma no sciocca!» E la tirò per un braccio. «Mi sa che questo chico ti piace.»

Olivia la guardò seria, poi guardò il ragazzo. «Mi sembra di conoscerlo da sempre. E’ una strana sensazione. A te è mai successo?»

Loretta scosse la testa inspirando. «Allora è vero che ti piace.. oh signor

Olivia alzò gli occhi al cielo. «Che strana sei, se ti ho detto che l’ho appena conosciuto!» Scosse il capo più volte cercando di raccapezzarci qualcosa, ma sbottò isterica. «Mi fai venire i dubbi.. mi confondi!»

Loretta fissò il ragazzo per qualche istante. «Beh, non è poi tanto male.» Poi si girò a guardarla con aria compita. «Con Anselmo è come se ci conoscessimo da una vita, ma è una cosa diversa. Sta attenta, va bene?»

Olivia sorrise dolcemente. «Certo.»

 

Sull’uscio furono intercettati dal povero Felipe con un frullato alle labbra e uno stretto in mano talmente tanto forte, da far straboccare il contenuto; Lorenzo lo dribblò con sapiente maestria, facendo volteggiare Olivia davanti a se e spingendola affettuosamente verso l’uscita.

«Sei arrivato troppo tardi.» Gli bisbigliò sarcastico e con una faccia da schiaffi, prima di saltare fuori anche egli e raggiungere la donzella a passo di musica.

«Ti ho sentito.» Sottolineò Olivia con una strana espressione fra il divertito e lo spazientito, quando la raggiunse.

«Volevo sentissi.» Rispose lui, porgendogli la mano. «Balli?» Sul punto di replicare, le posò un dito sulle labbra; quel contatto la fece ondeggiare. «Dimmi solo sì. Dovresti essere già contenta che abbia rischiato di fare a pugni per te. E non intendo con quel rammollito sulla porta.. sia chiaro che mi riferisco alla tua amica. Ho visto come mi guardava.»

Tentò di ridere, ma il suo cipiglio la infervorò. «Sei molto sicuro di te.» Insisté. «Uno sbruffone. E a me non piacciono gli sbruff..» Si fermò, sulla sua bocca socchiusa di stupore e poi agli occhi, vivaci e spalancati.

«Non ci posso credere! Ora ricordo!» Strepitò lui, precedendola. «L’avevo detto di averti già vista.. signorina a- me -non -piacciono -gli –sbruffoni -tanto -piacere..» E lo vide portarsi una mano al fianco e scuotere il capo.

«Ti ricordi proprio tutto..» Sogghignò lei, leggermente senza fiato. «Sono passati.. quanto? Cinque? Sei anni? Eri tremendamente odioso, come ho potuto dimenticarti?»

«Mi ricordo tutto ciò che è bello.» Rispose, alzando la testa e guardandola intensamente.

«E lo sei ancora del resto. Odioso.» Berciò lei incalzandolo.

«Sono cinque gli anni.» Disse lui, addolcendo la voce e porgendogli nuovamente la mano. «Mi credi adesso? Come potrei mentire? Sei bellissima.. ragazza senza nome.»

«Mi chiamo Olivia.» Sussurrò, la voce rotta di emozione per quelle parole; allungò la mano e fu catturata dalle vigorose braccia del ragazzo. «E devo ammettere che sai come far sentire una ragazza lusingata.»

«E’ un complimento, spero.» Lo sentì ridere nel suo orecchio, mentre la cingeva a se così forte da riuscire a percepire il calore del suo corpo. «E posso permettermi di chiederti cosa ci fa una bella ragazza tutta sola a Salamanca?

«Non sono di Salamanca a dire il vero.» Sospirò. «Vengo da un paese disperso della provincia. E la mia storia è più lunga di quanto tu possa credere.»

«Mi piacciono le storie lunghe.» Si staccò, conducendola al parcheggio e verso una Royce Rolls Silver controllata a vista da un uomo ben vestito; Lorenzo gli fece un cenno leggero, quello abbassò il capo e sparì. Aggirò l’auto, lasciandole la mano per recarsi al bagagliaio insieme ad un ansia montante.

«Oh.. no.. credo tu abbia travisato il mio comportamento, soldato.» Biascicò nervosa, quando lo vide riemergere dal fondo con una coperta di flanella.

«E’ sbagliato mettersi a guardare le stelle?» Olivia inarcò un sopracciglio poco convinta e Lorenzo arrossì forse per la prima volta in vita sua. «S-sono un soldato, mica un mascalzone.. che idea vi siete fatta?» La ragazza si portò la mano alla bocca soffocando una risata. «Vi faccio ridere?» Aggiunse scocciato.

«Mi state dando del voi. Quando mi avete appena invitata a raccontarvi la mia storia.»

«E’ vero.» Ammise lasciandosi andare in un sorriso meraviglioso; Olivia sentì il cuore accendersi a quella visione e l’avvicinò, prendendo a se la coperta e adagiandola sul cofano dell’auto.

«E’ vero.» Ribatté invitandolo ad aiutarla nel risalire l’auto, vedendolo sul momento interdetto e agitato. «Che ti prende?»

Lui scosse il capo, Olivia insisté con lo sguardo. «Mi stupisci. Ed è una cosa molto rara, per me.»

La ragazza alzò le spalle, Lorenzo la prese in braccio e la sistemò con cura dove aveva chiesto; rimasero per un po’ a guardarsi incerti e vinti dalle emozioni che come venti d’estate avevano spazzato via la calma e la tranquillità.

Quando finalmente anche lui aveva preso posizione, Olivia si sdraiò su un fianco e cominciò a raccontare la sua vita di giovane, piccola.. donna.

 

«Accidenti, sembriamo avere molto in comune.» Sospirò lui dopo un po’.

«Già..» Ammise lei e tremò; un refolo d’aria fredda si era levato scompigliando la sera mite.

Quando Lorenzo se ne accorse e l’abbracciò per nulla turbato, quasi fosse una cosa naturale, lei lo baciò; un bacio casto, appena accennato, di una commovente semplicità.

Lui aveva allargato gli occhi stupito e stringendola più forte le aveva sussurrato. «Non voglio perderti ancora.»

 

 

«E non ci siamo persi.. da tre mesi ormai.»

Olivia tornò dai suoi ricordi con occhi vagamente lucidi; scosse il capo e guardando la cugina ammutolita e dello stesso colore della cera da morto, trasalì. «So di essere stata impulsiva, Madrid è così lontana.. ma sai, non ho mai provato nulla del genere, prima ad ora; credo di esserne innamorata.»

Morena non rispose dapprima, si agitò e guardandola smarrita prese a camminare senza direzione, bofonchiando.

«Aspettami!» Strillò, raggiungendola. «Ma che ti prende, sei impazzita?»

«Non lo so Olivia tutta questa storia mi sembra così.. assurda.»

«Assurda?» Rispose lei accigliata. «Proprio da te, questo commento? Credevo fossi dalla mia parte.» E si sganciò dal suo braccio irritata; Morena allora si voltò, fissandola dispiaciuta.

«E lo sono ma..» Sentiva montarsi dentro la collera, la repulsione, il dolore, lo sfinimento.

Era mai possibile, che Javier fosse così prepotentemente in coincidenza con il suo destino?

La trovava irritante come cosa e assolutamente insopportabile.

«Ci sono delle cose che dovrei raccontarti.. ma oggi non è il caso, forse. Devi scusarmi Olivia, è ovvio che sono certamente felice per te; ti prego non dubitare mai di questo, va bene?»

Le sembrava un trito di parole senza senno ma non poté fare altro che annuire, perché Morena aveva affrettato il passo lasciandola sola in quella piazza ormai vuota.

E il vento tirò forte come nei suoi ricordi.

E si ritrovò a tremare di paura.

 

*

 

Madrid, Maggio 1956.

 

«Papà, questi fiori sono per la mamma?»

«Si amore mio, fiore d’iris come i suoi occhi. Sono belli, vero?»

La piccola annuì e l’uomo le strinse dolcemente la mano, vibrando ogni qualvolta quella bambina le ricordava quanto fosse dolce, indifesa e parte di lui. Era impressionante osservare il suo visino paffuto e trovarci stampati i suoi stessi tratti; occhi grandi e verdi, la bocca disegnata, un nasino adorabile.

«La mamma è tanto triste.» Commentò lei, guardando le persone aggirarsi lungo la Calle Bailen; mosse un po’ il capo e i suoi boccoli castani oscillarono, si girò verso il padre e cercò conforto nel suo viso.

«E’ solo addolorata. Ma tornerà a ridere, te lo prometto.» La bambina sospirò, Javier se la portò alle ginocchia. «Sai cosa le servirebbe? Questo sorrisino qui..» Disse, premendole delicatamente il pollice e l’indice sulle guance per tirare in su la curva del sorriso; la bambina si chiuse nelle spalle ridendo graziosamente. «Oh, questo sì che le piacerebbe tanto.»

«Più dei fiori?»

«Più di tutto quanto.»

La strinse a se, chiedendosi se queste sue parole non fossero una rimostranza di disagio e accarezzò la paura che la piccola non si sentisse al centro delle loro attenzioni.

E come sarebbe potuto essere il contrario, d’altronde, non era stato un inverno molto felice, il loro.

 

Leonor era in attesa del loro secondo figlio quando, durante le prove per uno spettacolo che sarebbe andato in scena in quella primavera, scivolò per le scale di servizio perdendo prematuramente il bambino; i medici sentenziarono il verdetto dopo ore interminabili e un emorragia che costrinse la ragazza a rimanere a letto per due settimane.

Quel tempo, aveva scandito su di lei una pena mortale.

Non l’aveva più vista ridere. O sorridere. Il suo bel volto una maschera indecifrabile di afflizione e amarezza.

A nulla era valso il rimettersi in piedi, aveva aborrito qualsiasi forma d’arte e accantonato i progetti futuri di piece teatrali per un tempo che suonava come una pena da ergastolani; mai.

I giornaletti di folclore scandalistico poi non furono benevoli; Leonor La Fuente, decretato astro nascente della commedia spagnola da artisti come Hierro ormai dedito al lavoro di radiofonico e Caballero scrittore affermato, si era rivelata in realtà una chimera che andava a nutrire la sconfinata costellazione di artisti anonimi.

Dal canto suo, era passata dal ritenersi l’unica colpevole per quanto accaduto, alla più totale indifferenza; non sembrava dare peso alle chiacchiere più di quanto ella stessa aveva ammesso che quella parte della sua vita era finita, che non sarebbe stata più quella di prima e che comunque fingere la vita di altri era diventato di una noia mortale e un paradosso, considerando che la realtà era già abbastanza teatrale.

Si auto commiserava certo, ma non aveva perso lo smalto dei tempi migliori e Javier guardandola cantare, le rare volte il cui suo viso non era adombrato di malinconia, sperava di vederla presto rinascere. Nelle vesti che più desiderava. Perché gli mancava; gli mancava la moglie e gli mancava quella madre affettuosa e spiritosa che era stata da quando la piccola Camila aveva esalato al mondo il suo prima vagito, quattro anni addietro.

Gli mancavano i loro sproloqui sulla politica, sul cinema e sulle nuove dive Taylor, Monroe, Kelly, bellezze eteree e senza tempo proprio come lei, gli mancava la vita piena che avevano vissuto fino a quel momento e sapeva che non poteva arrendersi proprio ora.. con tutte le cose straordinarie che dovevano ancora accadere!

Avevano solo ventidue anni, infondo, per smettere di sperare e per quanto suonava egoistico, nei suoi pensieri era certo che avrebbero avuto un altro figlio, prima o poi; si rendeva conto di non riuscire a percepire lo stesso dolore di una donna, ma ciò che era stato non si poteva cancellare e la sua Leonor, la sua incrollabile Leonor, doveva essere forte per quella piccola creatura che già c’era e che aveva bisogno e diritto dell’amore incondizionato di entrambi i genitori.

Quella era cominciata come una mattina vissuta già altre cento volte, in cui la casa di Plaza Isabelle, fremeva tutta come la sua giovane padrona. Il giornale era stato consegnato come di consueto alle sette in punto e come di consueto ella aveva fatto apparecchiare la tavola nella sala padronale per la colazione; quando Javier era sceso, l’aveva trovata con il viso devastato dalle lacrime e le labbra gonfie e rosse.

«Dai qua.» Le aveva detto, togliendole il notiziario dalle mani. «Devi smetterla di leggere questa spazzatura.»

«Mi accusano di essere un’altra ricca con la puzza sotto al naso.» Disse, scostando malamente il piatto ancora intatto che aveva davanti. «Vengo presa come monito per ogni nuova leva.. quasi fossi un malaugurio. Non posso sopportare oltre, Javier.» Aggiunse, con voce tremante.

«Neanche io.» Javier si appoggiò di peso al tavolo con entrambe le braccia, inspirando a pieni polmoni per non bruciare di rabbia; la donna allungò una mano verso la sua, coprendola. «Quelle sono solo porcherie alle quali non devi prestare ascolto Leonor, sei una donna intelligente sai che si stancheranno presto.» Girò il polso ed accolse quella mano nella sua, carezzandola dolcemente. «La tua vita è ora invece. Mi chiedo cosa hai intenzione di fare.»

«Che intendi dire?»

«Cosa vuoi fare del tuo futuro. Del nostro. Di quello della nostra famiglia.»

«Mi stai spaventando, Javier 

«Devi, avere paura. Il mondo là fuori è tremendo. Cosa farai domani, quando di te non si parlerà più e tutta questa storia finirà nel dimenticatoio? Mi chiedo se hai un piano di riserva, se ci hai mai pensato. Niente dura in eterno, infondoE si accasciò accanto a lei, con gli occhi vitrei che guardavano la sontuosa tovaglia bianca senza in realtà vedere nulla. «Cosa stiamo facendo?» Sussurrò esausto, a fil di voce.

«Non lo so, Javier.» Rispose lei con il fiato corto. «Sei infelice, vero?»

Lui girò il capo, gli angoli della bocca rivolti al basso. «Sono infelice se tu lo sei.»

«Al diavolo questa spazzatura!» Replicò la donna, spazzando via il giornale sul pavimento. «Riprenderò i contatti con il mondo, se è questo che vuoi.»

«Io voglio che tu stia bene, Leonor. Come e quando vuoi. Ma devi stare bene. Abbiamo una figlia stupenda, una bella casa, non ci manca niente. Da quanto tempo non prendi le pillole che ti ha prescritto il dottore?»

Abbassò il capo. «Da un po’. Non voglio prenderle, ho la testa offuscata dopo.»

Javier sorrise. «Ce l’hai anche senza.» E la scapigliò affettuosamente, per poi allungarsi verso il bricco di caffè. «Ho delle commissioni da svolgere, ho dato istruzioni di preparare la bambina; è bene che prenda un po’ d’aria fresca. Quando avrai deciso che cosa fare, mettiti il vestito più bello che hai, vi porto a pranzo fuori.»

«Ma è domenica Javier. C’è il pranzo dai miei.»

«Non scoppierà un’altra guerra mondiale se manchiamo.»

Leonor sorrise e annuì con il capo. «Vado a fare qualche telefonata.»

«Non hai toccato cibo. Ti prego, resta.»

«Una cosa alla volta Javier, una cosa alla volta.»

E l’aveva lasciata così, ad attorcigliarsi i boccoli fra le dita dal nervoso mentre con l’altra mano stringeva la cornetta del telefono intenta a svegliare la Madrid che aveva accantonato un po’ come la sua vita.

Era fiducioso. Sentiva che sarebbe successo qualcosa di grandioso, che quello non sarebbe stato un altro giorno in cui girava la luna storta e la loro sorte sembrava appesa ad un filo, ma un giorno di quelli da ricordare, da annoverare in un qualche cassetto della memoria da rispolverare anni dopo.

 

 

Consuelo li accolse annunciando al suo padrone che c’era un ospite in visita.

Javier sfilò il soprabito alla bambina e le lasciò portare il mazzo di fiori alla mamma.

«L’ospite è con sua moglie in soggiorno, dottor La Fuente.»

«Chi è?»

«Il signorino Navarro.»

«Grazie Consuelo. Puoi ritirarti.»

La donna accennò un inchino con il capo e sparì per il corridoio di servizio.

Quando entrò in sala, trovò Lorenzo con Camila in braccio e sorridente che volteggiava in un fantomatico aeroplano; sorrise di cuore nel vedere sua moglie tuffata nel mazzo di fiori e circondata dalle risate dell’infante.

«Ancora zio! Ancora!»

«Tieniti forte che questo è più alto!» E issò di più la bambina tenendola per le braccia; quando la mise giù quella rise leggermente ondeggiante sui piedini malfermi. «Tutto bene?» Lei annuì vigorosamente ridacchiando.

«Lo zio Lorenzo sì, che sa come far girare la testa alle donne

«Javier!» Il ragazzo si sistemò il panciotto, accogliendolo con un sorriso sincero. «Perdonami se sono passato senza avvisare ma avrei da esporti alcune cose con urgenza.»

Leonor scambiò un’occhiata divertita con il marito, prima di giustificare la sua assenza per andare alla ricerca di un vaso. «Saluta lo zio, piccola.»

La bambina fece un leggero inchino tirando la veste per gli angoli, come le aveva insegnato la madre.

«Salute zio, a presto.»

«Non me lo dai un bacio?» Chiese l’uomo fintamente dispiaciuto.

«Devi chiedere il permesso al mio papà.» Rispose lei piccata.

Lorenzo rise di gusto, guardando a Javier che guardava la sua piccola Camila tutto fiero.

«Se lei lo vuole..»

La bambina si avvicinò al ragazzo e lo tirò per la manica stampandogli un rapido bacio senza nemmeno sfiorarlo; Lorenzo le accarezzò i capelli e la baciò a sua volta sulla testa. «Arrivederci cugina.» Aggiunse, vedendo madre e figlia lasciare la stanza mano nella mano.

«Allora, le questioni di cui parlavi?»

«Ti conviene sederti.» Disse in un impeto di ansia, slacciandosi il panciotto e volgendo il passo verso il carrello dei liquori; prese due bicchieri e li annaffiò di brandy Cardinal Mendoza. «Alla salute.»

Alzò il bicchiere passando il suo a Javier che scosse il capo.

«Lo sai che non bevo prima di pranzo.»

«Al diavolo, Javier! Quando t’avrò dato una certa notizia avrai da festeggiare, lo sento.» E posò il bicchiere fissandolo intensamente negli occhi. «Ho conosciuto una ragazza, cugino.»

«Tu che conosci ragazze.. è questa la novità?»

«Non una ragazza. Una donna.. più precisamente, la donna della mia vita.»

Javier alzò un sopracciglio. «Mi sembra di avertelo già sentito dire. Cugino, hai preso una svista stamattina o che cosa? Mi sembra tu stia vaneggiando.»

«Javier ascoltami bene perché non sto scherzando. L’ho conosciuta due mesi fa, in una balera di Salamanca.»

«E’ così che passi il tuo tempo da tirocinante?» Scherzò, ma l’altro lo fissò talmente affilato che assunse nuovamente una postura impettita e attenta. «Stavi dicendo.. lei è di Salamanca.»

«No in verità è di una certa Villaescusa.» E si grattò il mento. «Mai sentita nominare, non sono nemmeno sicuro che si trovi in Spagna se è per questo.»

«E’ in Spagna, tranquillo.» Lo incalzò. «La ragazza è quasi una mia compaesana.»

Lorenzo si lasciò andare in sorriso sornione. «E’ qui che ti volevo! Non so per quale motivo ha dei contatti indovina dove? A Fuentesauco. Ed è li che noi andremo.»

«Andremo? Lorenzo posa il bicchiere e datti pace. Cosa vuoi andare a fare a Fuentesauco? Che cosa c’entra questa ragazza con quel posto? E soprattutto che ti sei messo in testa.. andiamo? Sei impazzito!»

Javier si alzò e si sfilò la giacca malamente, camminando avanti e indietro sui suoi passi.

Lorenzo lo guardava interdetto. «Adesso chi è che deve calmarsi?» Gli passò il brandy. «Bevi, che non ti ho mica proposto l’inferno.»

«Oh.. sì.» Berciò l’altro, afferrando il bicchiere e ingollando il contenuto d’un fiato. «Sì che è l’inferno.»

«Per una qualche ragione che non riesco a intendere, ero sicuro mi avresti detto una cosa del genere.»

«Forse perché manco dal mio paese da..» Le parole gli si strozzarono in gola.

«Lo so da quando. Ma Dio mio tu sei sposato, lei anche, non pensi sia il caso di mettere fine a questa storia? Probabilmente lei non vivrà neanche più là. Javier, con tutto il rispetto, ha sposato un uomo facoltoso a tuo dire, ti pare che se la tenga rilegata a Fuentesauco

«Tu non sai di che parli; i Roquez sono una famiglia di antica tradizione, nel mio paese. Quell’uomo è nato per invecchiare e morire a Fuentesauco.»

«E allora? Chi ti dice che non sia morto!» Javier imprecò, alzando gli occhi al cielo. «Voglio dire.. che ti importa di loro, non fanno parte della tua vita eppure ti sei fatto condizionare già abbastanza.» Lo fissò con un balugino di speranza negli occhi ma c’era  anche di più. Spavento. «Perché non ti importa vero?»

L’uomo che aveva di fronte sorrise amaro.

«E’ di tua cugina che mi importa; come ben sai cammina già su un filo fragile e barcollante, non voglio esporla ad ulteriori colpi che potrebbero farla crollare inesorabilmente.»

«Leonor non è una bambina. Non è compito tuo proteggerla dalle insidie del mondo.»

«E invece sì.» Berciò l’altro infervorato. «E’ questo che fa un marito e non mi stupisce che tu non riesca a capirlo. Vattene a casa adesso e riflettici su;quando capirai che è solo un altro dei tuoi capricci, noi saremo ancora qui.» E fece per scortarlo verso l’uscita, ma l’altro lo fermò per un braccio.

«La mia colpa è quella di essere stato un uomo superficiale per troppo tempo, perché io ora venga preso sul serio. Lo capisco, ma adesso è diverso Javier. Io la amo.» Gonfiò il petto e serrò la mascella come se ammettere i suoi stessi sentimenti lo rendessero orgoglioso ma anche vulnerabile. «Le ho chiesto di seguirmi a Madrid, ma lei ha desistito per qualcosa che la tiene legata al vostro paese. Non so dire cosa e non voglio fargli pressioni, ma sono sicuro che se mi vedesse arrivare là si convincerebbe nel fidarsi di me.»

Sentì i muscoli tesi di Javier allentarsi e mollò la presa, guardandolo dritto negli occhi da uomo a uomo; l’altro ricambiò lo sguardo e si fece serio, la voce roca.

«Non ti seguirà, se non la sposerai, questo lo sai vero

Lorenzo sorrise sincero, gli occhi un po’ lucidi. «Non sarei qui a chiederti di aiutarmi. E di essere mio testimone, se quel giorno vedesse la luce del sole.» Javier inspirò profondamente, chiudendo con un calcio la porta della stanza.

«Che cosa vuoi esattamente?»

«Partite insieme a me; tu, Leonor e la bambina. Un mese o tutta l’estate, decidete voi.» Si staccò dall’amico e andò verso il divano dove aveva adagiato la giacca quando era arrivato; infilò la mano nella tasca e ne tirò fuori una busta. «So che a Fuentesauco è vacante un posto da medico. Qui ci sono descritte le credenziali d’attività e una dettagliata lettera di referenza del hospital per tuo conto, ma non preoccuparti ho agito per vie traverse, nessuno sa di questa iniziativa.» Lasciò cadere la busta lentamente sul tavolo ed andò verso la finestra, in compito silenzio, le braccia conserte appoggiate alla base della schiena. «Non so niente di faccende coniugali ma se guardo te e Leonor insieme, mi convinco che sia la cosa giusta; voi due siete l’uno per l’altra ma allo stesso tempo non indispensabili, ed io credo che l’amore sia un po’ questo, no? Due persone che si trovano ma continuano ad essere due persone differenti, pur concedendosi con trasporto e dedizione.»

«A dire il vero..» Javier lo avvicinò. «Leonor ed io stiamo camminando insieme, su quel filo fragile. Non so quanto ancora ci terremo in piedi, Lorenzo. Non so se un colpo di vento ci spazzerà via, non so se invece le nostre radici ci terranno. Come vedi, l’amore è imperfetto.»

«Ma possiamo decidere chi amare eternamente

«Sì, possiamo.»

 

*

 

Se c’era qualcosa di immutato nelle loro esistenze, questa era la passione e la dedizione che Alfredo metteva nei campi; Morena se ne stava beatamente passeggiando verso la tenuta, quando udì un gran baccano provenire dal mulino giù al fiume. Sospirò, deviando per gli appezzamenti di terra al loro massimo splendore e prossimi alla mietitura.

 

«Non dirmi che quello in acqua è nostro padre.» Borbottò, incontrando l’incantevole profilo della sorella, stagliato in un nugolo di chiassosi epiteti degli uomini ammassati intorno alla costruzione. «Cosa è successo?»

«Buongiorno, sorella!» Stella si voltò scoprendo il viso dalla pelle di porcellana, incorniciato da lunghi capelli scuri. «Pietre nelle paratie. Nostro padre si augura di trovarci qualche pepita d’oro, un giorno di questi.» Sorrise fanciullescamente e sembrò essere esattamente la giovane ragazzina tredicenne che era, nonostante le sembianze fisiche fossero già quelle di una donna.

«Di nuovo?» Chiese ancora.

«Tuo marito sostiene che non sia un caso, difatti.»

Morena sorrise di sbieco. «Gli uomini fanno pensieri arditi a pancia vuota.» E si incamminò verso il mulino, non senza prima rischiare di essere travolta da Alberto il contabile –ormai a tutti gli effetti e con nomina- e il suo carro lasciato andare a ruota libera, distratto dalla bellezza di Stella.

«Dio ci aiuti.» Mormorò, quando il ragazzo era sceso per constatare che fosse tutta intera. «Quando ti deciderai nel farle una promessa come si deve

«Oh Morena, sono dispiaciuto!» Poi arrossì alle sue parole e all’arrivo accalorato della ragazza dei suoi desideri.

«Alberto che hai combinato!» Stella strillò, spostandolo per accertarsi che la sorella stesse bene.

«Non torturarlo.. sto benissimo, guarda.» Morena allargò le braccia e le scrollò, poi li guardò bene. Erano davvero una bella coppia; Alberto era di quella bellezza tipica del sud dalla pelle ambrata, capelli scuri e vivaci occhi nocciola, per contro sua sorella di una più delicata e fine . Si compensavano, un colpo d’occhio affascinante.

Ma cosa andava a pensare?

Era tutto il giorno che si fissava su papabili coppie. Sorrise, scuotendo il capo energicamente.

I due ragazzi la fissarono, poi si guardarono fra loro, anche se Stella si voltò subito dall’altra parte ancora indispettita.

«Credo che Alberto abbia qualcosa da dirti. E fossi in te non terrei il muso..» Le strizzò l’occhio e si affrettò a sparire.

 

«Morena, ho sentito trambusto!»  Alfredo sbucò dal Mulino tutto zuppo. «Pensavo qualcuno ci avesse rimesso le penne.»

«Trambusto, dici?» La ragazza fu sul punto di rotolarsi in terra dalle risate. «Le vostre esclamazioni colorate si sentono dalla strada del paese! Comunque non è successo niente di così spaventoso è solo arrivato Alberto. Ma non parliamo di questo, che cosa è successo al mulino?»

Alfredo alzò un sopracciglio, incontrando il suo viso impaziente. «Qualcuno ci riempie i canali di pietre. E’ impossibile che questi risalgano dal letto del fiume per andare ad otturare i condotti idraulici del mulino.»

«Quanto sono grandi queste pietre?» Obbiettò lei.

«Quanto la mia testa.» Rispose lui certo di dove volesse andare a parare la donna. «E’ stata la prima cosa di cui mi sono accertato. Non può essere una coincidenza, qualcuno sta manomettendo il mulino.»

Seguì un momento di silenzio. «La Fuente.» Borbottarono all’unisono, per poi trovarsi a sorridere.

«Non hanno mai digerito che sia stato costruito più a monte del loro. Mi rendo conto che è sterile come accusa, ma non riesco a trovarne uno straccio più soddisfacente.» Commentò Alfredo.

«La trovo più che plausibile.» Berciò lei, stringendo i pugni. «Vorrebbero piegare persino il flusso dell’acqua, così impari per natura, sotto al loro controllo. Certa gente è malata di superbia.»

E come niente, si ritrovò a tremare sulle gambe cedevoli; Alfredo se ne accorse e la sorresse, accalorato.

«E’ da tempo che aspetto di bussare a quella porta..» Soffiò fra i denti, adirato da rimembranze passate. «Troppo tempo. E’ giunto il momento di spalancarla e fargli sentire cosa ho da dire.»

«No!» Gridò la ragazza per poi portarsi una mano alla bocca, nel vano gesto di tamponare un conato alla sola immagine di Alfredo attorniato dalle persone che più le facevano paura; corse verso l’argine e si piegò sul fiume. «Non farai nulla di azzardato.» Sollevò il capo, asciugandosi la bocca. «Giuramelo!» Ma l’uomo non riusciva a parlare, terrorizzato dalla vista della moglie sofferente.

Morena lo capì e gli si avvicinò a passo fermo, sicuro. «Sto bene, Alfredo.» Allungò la mano così che lui potesse stringerla e sentire la vita scorrere. «Ma l’idea di te che te la vedi con quegli.. esseri.. mi terrorizza. Lo capisci?»

«L’idea che possano farti questo, terrorizza me invece.» Disse lui, ancora in punta di rabbia. «Non lo sopporto.»

«Alfredo..» Cercò di ridere, ma lo sforzo le provocò altra nausea. «Per quanto superbi, i La Fuente non possano arrivare a tanto.»

«Oh Morena..» La strinse a se, obbligandola a moderare il respiro per non crollare nuovamente. «Cerchi sempre di sdrammatizzare, ma la verità è che non li ho mai perdonati per quello che ti hanno fatto.»

«Il tempo e l’amore mi hanno guarita.» Morena si scostò lentamente, costringendolo a guardarla negli occhi. «Se non abbiamo altro da fare qui.. nostro figlio ci aspetta a tavola, ricordi?»

«Ho perso completamente il senso del tempo.» Rispose lui grattandosi il capo.

«Sono qui per questo.»

 

«Quell’Alberto.. sbaglio o si vede ronzare da queste parti sempre più spesso?»

Lucio Soler riemerse dalle torbide acque del Rio Cochino bofonchiando alla volta dei due giovani poche spanne più in là; Morena ed Alfredo si scambiarono un’occhiata complice, tornando a sistemare il carro per il rientro.

«Fate gli indiani?»  Insisté l’uomo.

«Nessuno fa niente, papà.» Rispose divertita Morena. «Riccardo non sta bene, vogliamo metterlo a letto prima di tornare ai nostri affaccendamenti.»

«Mio nipote sta male e sei stato qui a sorbirti le rimostranze di questo vecchio?» Lucio guardò il genero mortificato. «Per due pietre poi.. il piccolo cosa ha?»

«Un leggero malanno, nulla di grave. Le tue rimostranze sono molto utili, non scordarti che sei il mio mugnaio.»

«Alfredo ha ragione!» Morena saltò sul carro, ignorando l’aiuto del marito. «Di drammi ne abbiamo avuti abbastanza per oggi, stai su e tieni d’occhio Stella.» Batté un colpo d’approvazione sulla mano del marito che annuì, lanciando i cavalli al trotto. Tutto quello che si sentì dopo, fu lo sbraitare dell’uomo rivolto al povero Alberto.

«Era necessario?» Chiese Alfredo scuotendo il capo.

«Ho bisogno di capire di che tempra è fatto il ragazzo, se vuole davvero mia sorella.»

«Guai a chi si mette i Soler contro..»

«Può ben dirlo, don Roquez

 

La tenuta era silenziosa, ma generosamente calda, proprio come aveva chiesto Alfredo.

Morena sfilò per le cucine, accertandosi che quanto ordinato fosse caldo e pronto nei calderoni; annuì entusiasta e affamata, lo stomaco brontolante. Questo le dava da pensare su quanto poco avesse mangiato quella mattina.

Staccò un mollica di pane e lasciò che questa raccogliesse un po’ di salsa da una ciotola in cui riposavano peperoni e olive, non senza tornarci una seconda volta.

Poi smise di masticare. Un lampo veloce le attraversò la mente.

«Signora siete qui!» La cuoca entrò tutta trafelata. «Vostro marito vi aspetta in tavola.»

«Sì.. sì lo raggiungo subito.» Annuì meccanicamente. «Che giorno è oggi?»

«Tredici maggio, signora.»

«Tredici maggio..»

Lasciò morire le parole sulle labbra, allontanandosi ciondolando; non si era resa conto del tempo passato dall’ultima volta che aveva avuto il periodo di mestruo. Continuò a fare calcoli ma Riccardo appena la vide le si buttò al collo, facendole perdere irrimediabilmente il conto, come le ultime dieci volte.

«Come ti senti piccolo mio?» 

«Stanco.» Sbadigliò portandosi le mani al viso. «Agueda e io abbiamo cucinato e poi mi ha insegnato a contare e io gli ho fatto vedere come si lotta, perché lei è una femmina e non è che si può difendere con il sedano.»

«Avete fatto tutte queste cose?» Gli accarezzò il collo e la fronte costatando se la febbre fosse scesa, poi guardò alla cuoca e mimò un grazie fra le labbra. «Hai fatto il bravo o Agueda ha da dire qualcosa?»  

La donna sorrise. «E’ stato un angelo, signora.»

«Io sono bravo mamma!» Berciò lui indispettito.

«Sì, il mio angelo dei sedani.» E scoppiò a ridere seguita dal bambino.

Il pranzo trascorse bonariamente, Alfredo e Morena conversarono allegramente accompagnati dai borbottii infantili del piccolino che terminò il brodo senza batter ciglio, ma alla seconda portata negò con la testolina; all’ennesimo sbadiglio, Alfredo si alzò accogliendolo fra le sue braccia.

«Un bacio alla mamma e si va alla siesta.»

«Siesta.» Ripeté in un sussurro, con il musino leggermente in fuori, appollaiato con il capo sulla spalla del padre.

«Vi raggiungo appena sistemato.» Li rassicurò Morena, alzandosi e mettendosi a sparecchiare insieme ad Agueda che la liquidò in fretta e furia, asserendo di trovarla troppo pallida in viso.

Si sentiva stanca effettivamente e doveva ancora raccontare ad Alfredo dell’incontro con il sindaco.

Ma Alfredo non era certo pronto a riceverla, dal momento che se ne stava sdraiato con il bambino intrecciato al suo braccio e ronfante; si sfilò gli indumenti e indossò una vestaglia, risalendo il letto cautamente.

L’uomo sentì il peso della donna far abbassare il materasso e si girò a guardarla con un debole sorriso.

«Scusa..» Mormorò lei, accucciandosi verso Riccardo.

«Morena.. devi farti qualche analisi.» Sussurrò lui a metà fra il sogno e la veglia.

E quelle parole, così familiari e accalorate, risvegliarono la sua voglia di mettersi a far calcoli.

 

*

 

La sera aveva steso il suo manto di luci sulla città di Salamanca.

Una ragazza, stretta in un soprabito dalle tinte tenui, stringeva al petto una cartelletta che confermava quelli che erano da tempo i suoi sospetti; aspettava un bambino.

Non che la notizia la rendesse particolarmente stupita, o di cattivo umore, tutto al contrario.

Era innamorata folle dell’uomo che l’avrebbe resa madre, il problema risiedeva nel fatto che egli non fosse ancora suo marito e che al momento, a dirla tutta, la loro situazione pareva appesa a un filo.

Di una cosa era certa; desiderava ardentemente quel bambino, una famiglia vera.

Proprio come quella in cui era stata accolta, anche se adesso sembravano sorte incomprensioni.

Si accarezzò la pancia, con un velo di malinconia. Tutto si sarebbe aggiustato, pensò, i bambini portano luce, portano pace e al sol pensiero di un altro piccolino nelle loro vite le tornò il sorriso.

 

*

 

C’era un’altra sera, poco più lontano, a dare buone nuove.

Javier cingeva il corpo nudo di Leonor fra le braccia e pensava che era immensamente bella, quando non aveva i suoi personali mostri a gustarle l’animo; a dire il vero c’erano altri pensieri che gli vorticavano per la mente.

Pensava incessantemente alla proposta di Lorenzo.

Ci aveva pensato da quando se ne era andato. E non aveva pensato altro per tutto il pranzo e la cena.

Non era in grado di capire cosa significassero per lui tutte le emozioni che sentiva addosso al sol pensiero di rivedere Fuentesauco, la sua vecchia casa, quei punti di riferimento che tanto tempo fa erano vita per lui.. e soprattutto, più di tutto, non riusciva a capire cosa significasse ancora quel senso di soffocamento che provava immaginandosi di rivedere lei, Morena. L’aveva amata così tanto.. per poi odiarla allo stesso modo.

Erano passati sei anni dall’estate in cui avevano divorato il loro amore nella fretta di appartenersi e altri sei anni dal quel matrimonio, quella pancia arrotondata dalla maternità e da quella vita che non gli apparteneva e che non gli era mai appartenuta; c’era astio a ricordarla, non poteva metterlo in dubbio, non lo aveva mai cercato ma d’altronde lui aveva fatto altrettanto. Allora cosa era che bruciava? Cosa logorava il suo animo al solo ripensarla?

Aveva dato la colpa ad Alfredo Herrero Roquez, riposto ogni animosità in quell’uomo che la sola colpa che aveva era quella di vivere una vita che per primo aveva già scritto nei suoi pensieri, quando l’aveva avuta per sé.

Ma lei lo aveva cacciato dicendogli di venire a Madrid,  che non lo avrebbe seguito.

Non aveva creduto nel loro amore.

E se non ci aveva creduto allora, significava solamente una cosa: il loro amore non era mai esistito e probabilmente, la sola risposta che riusciva a darsi per quell’animosità, era il dispiacere di averla persa, perché se l’amore non era mai stata roba loro, insieme erano stati qualcosa di più; amici per la pelle.

E questa certezza dinnanzi a qualcosa di incerto e volubile, valeva cento volte di più.

Chissà che questo viaggio non avrebbe messo a posto le cose. Per tutti.

Non ci aveva mai pensato, e forse adesso accarezzava l’idea di un equilibrio stabile nell’universo in cui gravitavano.

 

Proprio in quel momento Leonor si mosse, aprendo gli occhi come spaventata.

«Javier, che ore sono?»

«Sono solo le dieci.» Sussurrò, girandosi con il viso verso il suo. «Non riesco a prender sonno.»

«Vuoi che ti prepari una camomilla?» Chiese lei amorevolmente.

«Sto bene, grazie.» Tentennò, poi passò una leggera carezza sul suo viso e si decise. «Cosa ne pensi se andassimo a Fuentesauco per l’estate?»

Leonor si allungò ad accendere la abatjour sul comodino mettendo su uno sguardo incredulo. «Credo che sia una bellissima idea.. se non fosse che ci hai messo cinque anni per partorirla.»

«Lorenzo mi ha fatto una proposta.» Alzò le spalle. «Ed eccomi qui a parlartene.»

«Che genere di proposta?» Incalzò, appoggiando la schiena ai cuscini.

«Non ci crederai mai.» La imitò, incrociando le mani sul ventre. «Vuole chiedere in sposa una fanciulla di Fuentesauco

«Mi trovo davanti a un bel dilemma.» Sentenziò Leonor allegramente compita. «Non so se credere al fatto che Lorenzo vuole maritarsi, o che la ragazza sia così pazza da non sapere a cosa va incontro.» E rise  cristallina.

Javier la fissò interdetto. «La ragazza è di Fuentesauco.» Insisté come se a sua moglie fosse sfuggito il particolare più importante. «Sembra fare piuttosto sul serio.»

Leonor alzò le spalle. «E’ una brava ragazza, degna di lui?»

«Questo non l’ha detto, ma suppongo di sì.»

«Cosa c’entreresti tu con tutto questo? La conosci, forse?»

«Non so il suo nome, a dire il vero.» Scosse il capo, arrendendosi alla vorace curiosità e intraprendenza di sua moglie per poi vederla accendersi come una miccia.

«Ma insomma Javier, non sai proprio nulla!» Gli batté un rapido colpo sulla gamba, contrariata.

«L’ha conosciuta a Salamanca in primavera.» L’anticipò beffardo. «La ragazza in realtà è di Villaescusa, un piccolo paese della provincia, molto vicino al mio. Lorenzo non sa quali affari la leghino a Fuentesauco, ma intende scoprirlo e darle riprova dei suoi sentimenti.»

«Ti ha detto proprio così?»

«E’ andato molto più sul personale.» Trasalì ricordando gli occhi lucidi dell’amico nell’attimo della confessione. «Ma in quanto suo amico, non intendo mettere alla mercé i suoi sentimenti per farne il divertimento tuo o di Benedicta.»

«Accidenti, fa sul serio veramente.» Leonor affilò lo sguardo. «Cosa ti ha proposto esattamente? Lo puoi dire o anche questo fa parte del vostro codice d’onore sull’amicizia?»

«E’ passato dal chiedermi di essere suo testimone, all’accennarmi di un posto vagante da medico proprio a  Fuentesauco, per completare il tutto con un inno alla coppia che secondo lui rappresentiamo io e te –così liberi e indipendenti- e che vuole prendere come esempio con questa che, dice, è la donna della sua vita.»

Leonor sgranò gli occhi. «Ha scoperto subito tutte le carte. Deve avere davvero paura.»

«Paura?» Chiese lui incerto.

«Sì. Di lei, di egli stesso, dei suoi sentimenti, di perderla.» Inspirò profondamente, passandosi il braccio di Javier intorno alle spalle. «Nostro cugino è innamorato, questa è una certezza. Cosa faremo, dunque

Javier non osò guardarla da tanto stupore per quella domanda così poco innocente, sentì solo i battiti del suo cuore accelerare e le parole tremargli in gola. «Fuentesauco è un bel posto d’estate. Il popolo si prepara per la mietitura e l’aria si riempie di un profumo fine che colma in canti e feste di lode alla vita. I miei genitori ogni anno tengono un ballo nel prato dinnanzi la tenuta; è un luogo incantevole, i salici piangenti sul viale oscillano alla leggere brezza e sembrano danzare anche loro.. ma non prenderei mai nessuna decisione che arrechi confusione alle nostre esistenze.»

«Ero già conquistata alla parte della lode alla vita, Javier. Credo tu abbia ragione da vendere, deve essere proprio un bel posto. Immagino già la nostra Camila sgambettare su quel prato.»

«E’ un sì, Leonor?» Chiese trepidante.

«Sì.. ma torturiamo ancora un po’ Lorenzo, ti va?»

 

*

 

Abel Del Carmen si rese conto, di essere sulla via di “Legno di Quercia” ad un ora troppo tarda, ma non riusciva a trattenere l’entusiasmo per ciò che avrebbe letto in viso della dottoressa Soler, alla notizia che sua zia aveva ceduto all’offerta di seicento peseta per la vecchia locanda.

Si fece annunciare trattenendosi sul patio esterno, contemplando l’attesa con un sigaro all’aria mite della sera; gli era sempre piaciuta la tenuta dei Roquez, nutrendo grande stima per quel capostipite decantato nei racconti dei vecchi del paese che lo descrivevano come un uomo dedito alla comunità. Un po’ come lui e di questo ne andava fiero.

La dottoressa lo accolse con stupore e buone maniere, gli offrì un bicchierino di cherry seduti comodi in veranda dove dopo un po’, furono raggiunti da Don Roquez.

«Signor sindaco, ci porta buone notizie?» Alfredo allungò la mano che fu prontamente stretta dall’altro uomo notando che era vestito piuttosto informale, con un dolce vita di maglia sottile a maniche corte e pantalone dritto chiaro; se si era precitato fin lì, poteva ben sperare che fosse per qualcosa di buono.

«La vedova Portos ha ceduto.» Sparò secco Abel. «Seicento peseta al lordo delle imposte.»

«Più due duro per le pratiche, giusto?» Scherzò Alfredo, stringendo la mano di Morena nella sua.

«Giusto.» Rispose lei, spostando lo sguardo sull’altro uomo. «Signor sindaco, deve svelarmi come c’è riuscito. E non mi incanti con la storia della parentela alla lontana perché non mi faccio prendere per il naso, sa.»

«Che qui si dica e qui resti; sono un uomo dalle sorprendenti doti loquaci.»

«Senza dubbio.» Proruppe Alfredo divertito.

«..e?» Domandò impaziente Morena.

«La donna ha cominciato a soffrire di lacune mentali da un po’ di tempo; all’inizio credevo si burlasse del sottoscritto, quando ho constatato che il problema era reale e valutato il rischio che la proprietà potesse finire in mano a qualche delinquente che si potesse approfittare della situazione, ho pensato di stilare un piano d’emergenza.» Morena e Alfredo si scambiarono un’occhiata sorniona prima di tornare su di lui. «Poi siete arrivata voi dottoressa, o meglio vostra cugina, a riempirmi la testa di chiacchiere su quanto sarebbe stato produttivo avere una levatrice in paese con tanto di ambulatorio –sa con le imposte su ogni paziente- che ho pensato seriamente fosse la soluzione giusta per tutti; allora ho cominciato a fare il lavaggio del cervello alla vedova. E non me ne vergogno, ma vi gradirei che queste informazioni rimanessero private.»

«La discrezione mia e di mio marito è ben nota, come sa.» Morena accarezzò con voce vellutata le paure di Del Carmen. «In parole povere, lei sta investendo su di me e la ringrazio, ma comunque trarrà vantaggio dal mio acquisto.» Guardò felina ad Abel che ricambiò lo sguardo per nulla turbato. «Lo sapevo che sotto quell’aria bonaria si nascondeva un vero uomo d’affari. Tuttavia, mi permetta di negoziare qualche punto.»

Alfredo la guardò allarmato, Abel tirò un sorriso malizioso. «Sono tutto orecchi.»

«La proprietà sarà agli atti mia e della mia famiglia e ne disporremmo come meglio ci renderà opportuno.»

«Certamente.»

«Le imposte. Un dieci percento credo possa bastarvi.»

«Ma dottoressa Soler, i tassi d’imposta sono univoci!»

«Vuole dirmi che a questo punto conosce qualche d’un altro che possa permettersi di acquistare quella baracca?» Arcuò il sopracciglio mentre lasciava che il silenzio enfatizzasse il momento. «No, non c’è e lei lo sa bene. Come sa che non c’è nessuna parentela che la giustificherebbe nell’aver sottratto una proprietà a una povera demente. E a questo punto, che se la prenda il primo delinquente che passa o no, non vi sarebbe molta differenza.»

«Dottoressa Soler, credo di averla appena sentita udire darmi del delinquente.»

«Suvvia.. qui si dica e qui resti che sono una donna dalle sorprendenti doti loquaci.»

A quel punto Alfredo guardò a bocca aperta la moglie mentre Abel si lasciò andare ad uno schiocco di lingua, colpito dalle sue stesse parole. «Del Carmen, come vede sono l’acquirente perfetto, non dilunghiamoci oltre su questo punto e passiamo ai fatti; quando posso passare da lei per firmare il contratto?»

L’uomo trattenne il fiato visibilmente spiazzato. «Non.. non ne dispongo di uno al momento.»

«Allora lo stili.. e presto!»

«Lasci che mi appunti le condizioni..» Borbottò lui in contropiede; Morena alzò gli occhi, ordinando che le fosse portato della carta e un pennino. «Il pieno possesso della proprietà e il tasso d’imposta al dieci per cento. Altro?»

«Il mio nome e quello di mio marito come intestatari principali.» Alfredo fece per ribattere ma una veloce occhiata di Morena lo intimò di rimanere cauto. «Incaricherò presto il fabbro affinché venga vergato su lastra d’oro, lei mi assicuri che questo particolare sia messo bene per iscritto su carta.»

«Come lei desidera, signora. Possiamo ritenere l’affare concluso?»

Morena sorrise enigmatica.  «Abel deve farmi un favore.» L’uomo la guardò angosciato. «Mi chiami pure Morena.» Allungò la mano sicura e fiera di questa grande vittoria.

Del Carmen la strinse certamente sollevato, ma abbastanza soddisfatto.

 

Morena insisté perché l’uomo tornasse in paese con una carrozza, attardandosi insieme a lui sul prato antistante la proprietà, nell’attesa di vederla arrivare.

«Ah proposito di Olivia..» Chiese titubante e con il senso di colpa di essersi comportata in malo modo con lei nella mattinata. «So che trascorrete molto tempo assieme, l’ha più vista oggi?»

«Mi ha accennato ad un impegno in quel di Salamanca. Siete preoccupata per qualcosa?»

Si sforzò di sorridere cercando di deviare l’attenzione. «No Del Carmen, sciocchezze.»

«Morena posso chiedervi un favore?»

«Prego, dite pure.»

«Chiamatemi Abel.» E lo vide sorridere di gusto per la prima volta da quando era arrivato.

«Abel, lei non molla mai vero?»

«No Morena, ma d’altronde potrei asserire lo stesso di voi. Tuttavia sono compiaciuto di come siano andate le cose; quando sarà pronto il contratto la manderò a chiamare.» Guardò in lontananza alla carrozza in prossimità di arrivo e abbozzò un inchino. «Arrivederci.» La ragazza ricambiò il saluto vedendolo sparire in fondo alla collina.

 

 

«Quel sorriso è di compiacimento, forse?»

Congedato gli inservienti e controllato che il bambino dormisse sereno, Morena raggiunse Alfredo nella sua camera; l’uomo la guardava con avidità e una vena di lussuria nello sguardo rovente.

«Mi piace molto quello che vedo.» Si alzò, leccandosi le labbra e con passo felino; la ragazza indietreggiò divertita ma ben presto si ritrovò fra le braccia del marito che l’aveva alzata di peso da terra. «Sono fiero di te.» Disse, baciandola sulla punta del naso. «Sei stata molto coraggiosa.» Le rubò un bacio veloce. «E impudente.» La baciò ancora. «Ma coraggiosa.» Confermò, guardandola con occhi brillanti.

«Alfredo.. ma tu quanti anni hai?» Lo canzonò, tirando dietro il capo in una risata squillante; l’uomo sorrise selvaggio e insolente, gettandola di peso sul letto e non attardandosi troppo nello stendersi su di lei con il suo corpo possente e indomito.

 

 

(N.p.d) * un duro equivalevano a cinque peseta.

 

**

 

Quanti aggettivi o verbi possiamo aggiungere per descrivere una persona? Ogni persona ha un suo determinato tempo parallelo di esistenza nella nostra vita. C'è chi cambia, c'è chi si dimentica, c'è chi si ricorda di te, c'è chi ti sostiene, c'è chi ti apprezza, c'è chi ti resta accanto. C'è e ci sarà sempre un viaggio, dove tutto si trasforma, si divide e si unisce in un dialogo di racconti infiniti. Pensieri, comprensioni, giustificazioni, sono solamente aggettivi che ci affiancheranno nella nostra lunga e strampalata vita.

Sebastiano Rastiello, dal web.

 

**

 

NDA:

So che dovrei arrendermi, rinunciare a questa storia, visitata da tanti.. recensita da nessuno.

Ma allora non sarei io e quindi eccomi qua, da brava testona, a portare avanti questo progetto.

Non penso faccia schifo e non lo dico con presunzione; l’ho letta e riletta e tutte le volte è stato sempre più forte in me il desiderio di portarla avanti, piuttosto che cancellare anche solo una virgola.

Ecco, forse è questo mi fa andare avanti; io ci credo.

Nel mio cuore, spero che anche qualcuno di voi, creda in me.

Vi abbraccio forte lettori.

L.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Da un certo punto in là, non c'è più ritorno.

È questo, il punto da raggiungere.

Franz Kafka.

 

 

 

Il contratto arrivò circa una settimana dopo l’incontro con Abel Del Carmen.

Morena si sistemò per l’occasione come una gran dama, al braccio dell’avvocato designato oltre venti anni addietro, per seguir pratiche della famiglia Roquez; questo le dava un senso di potere, ma anche di spavento.

Sapeva che quell’ambulatorio sarebbe diventato tutta la sua vita e che rappresentava i sacrifici che aveva compiuto per diventare medico, le notti bianche passate con gli occhi semi chiusi sui libri e il piccolo Riccardo attaccato al seno, ma rappresentava anche i mostri con cui aveva combattuto negli anni, tipo il senso di inferiorità che provava nei confronti di Alfredo; si sentiva talmente grata a quell’uomo, che non vedeva l’ora di dimostrare in fatti la fiducia che egli aveva riposto in lei. Ed oggi, camminando fra la polvere di quel posto, tomba di ciò che era stato in passato, sentiva di avercela fatta in qualche modo e quella smania d’arrivare si era trasformata in gaudio battito di cuore.

La notizia era stata tenuta alquanto segreta, Abel si era assicurato che certi dettagli su come fossero andate le cose, venissero elargiti tramite alcuni leccapiedi alla quale aveva promesso questo o quello; così girò voce che la dottoressa Soler -Roquez avesse sborsato un ingente somma di denaro per avere la baracca e che la trattativa era andata avanti per ben cinque anni, prima che la vedova Portos si convincesse nel cederla.

Era un mezza verità infondo, ma d’altronde la vedova stessa non poteva -suo malgrado- asserire il contrario dato le sue lacune mentali e questo, alla luce di quanto aveva ottenuto, era lo scotto da pagare con la propria coscienza di certo un po’ più pesante, ma di certo più felice. Dio avrebbe ripulito la sua anima, si diceva. E se non lo avesse fatto, restava il fuoco dell’inferno che lei, a soli ventidue anni di vita, aveva letteralmente già provato sulla sua pelle.

 

«Sapevo che questo posto sarebbe stato tuo, un giorno.»

 

Aveva chiesto ad Alfredo di tenere lontano i curiosi, una volta preso possesso dell’edificio, ma quando udì quella voce si girò trepidante ed emozionata; Olivia era tornata a Fuentesauco, dopo una settimana che non aveva avuto più sue notizie. Una settimana da quella brusca conversazione sul suo futuro, una settimana da quando le aveva confessato che si era innamorata di uno dei papabili amici di Javier La Fuente, l’uomo che meno di tutti voleva sul suo cammino.

Non aveva chiuso occhio per notti intere.

Si dimenava fra le lenzuola e provava nelle viscere una sensazione di disagio e fastidio.

Cominciava a far caldo e l’aria si era fatta di colpo più pesante, ma sapeva che ogni sua angustia era dovuta al comportamento che aveva riservato per lei; era stata egoista, insensibile, e si era decisa che fosse arrivato il momento non solo di chiedere perdono, ma anche di spiegare. Raccontarsi.

Non sapeva se Olivia avrebbe capito o avesse accettato, ma se guardava quella ragazza negli occhi sapeva che era stata sempre sincera con lei, molto più che un’amica ma anche più di una cugina e doveva in qualche modo riservagli la stessa franchezza. Era donne adulte ormai, se la loro amicizia fosse finita, doveva essere per una giusta causa.

 

«Vederti qui mi riempie di gioia.» Le andò incontro, abbracciandola; non seppe dire cosa, ma quando si trovarono unite provò come la strana sensazione che qualcosa fosse cambiato. «Voglio parlarti da giorni.. sono stata scortese, ma abbiamo bisogno di tempo per parlare.. ti tratterrai?»

Quella slegò l’abbraccio e si guardò intorno. «Questo posto è il caos.» Tornò su Morena, sorridendo. «Se non io, chi può aiutarti a mettere ordine? Perciò sì, credo proprio che mi tratterrò Sfilò per l’angusto spazio dinnanzi a loro, aiutandosi con palmi aperti nel tirare via le ragnatele dal soffitto; l’aria era satura di pulviscolo lucente, la tenue luce che filtrava dalle imposte serrate creava un gioco di ombre e chiarore spettrale. «Mi aspetto che ciò di cui tu voglia parlare tratti della tua ridicola fuga alla notizia del mio fidanzamento.»

«Ti sei fidanzata?» Morena abbandonò la veste di cugina afflitta e la raggiunse con viso imbronciato.

«A dire il vero ancora no. Ma ho la netta sensazione che stia per succedere.»

Morena alzò gli occhi al cielo. «Come, se te ne resti a Fuentesauco

Olivia sospirò. «Lo sento qui.» E si toccò la pancia. «Ma magari è solo fame.» Alzò le spalle e proseguì il giro di ispezione. «Per cominciare dovrai farmi avere la pianta del posto, poi insieme dovremmo stilare una bozza su quella che è la tua idea di ambulatorio. Sei un chirurgo infondo, no? Avrai bisogno di diverse stanze suppongo, sai in modo da dividere le pazienti gravide in visita da quelle da sgravare; c’è bisogno di più intimità per certe cose, basta separé.»

«Sì, credo che le tue idee siano buone però.. io devo assolutamente parlarti. Ora. E non so se poi te ne verranno in mente altre.. tipo uccidermi. O ripudiarmi. O..»

«.. frena Morena. Ucciderti? Ripudiarti? D’accordo, non sei stata molto gentile una settimana fa, ma sono sicura che conoscendo meglio Lorenzo –questo è il suo nome fra le altre cose- ti ricrederai e non sarò costretta a metodi tanto duri. Sono convinta che vi piacerà. E’ un adulatore, sbruffone ma adorabile.»  

Si lasciò andare ad un piccolo sorriso, sentendola parlare come una qualsiasi ragazza innamorata parlerebbe del suo uomo, salvo poi ricordare il piccolo particolare  “amico -dell’uomo –che –mai –vorrebbe –rivedere” e s’impietrì nuovamente. «In realtà lui c’entra molto con la mia reazione.» Buttò lì.

«Perché lo conosci?» La vide agitarsi e con il respiro corto. «Sono attorniata da coincidenze quando si tratta di lui; sai che la prima volta che ci siamo scontrati è stato al mercato di San Miguel, quando io e te eravamo a Madrid?» Prese un bel respiro a pieni polmoni e si accigliò turbata. «Non dirmi che si è scontrato anche con te? Delinquente!»

«Senti non so cosa intendi ma io no, non mi sono scontrata con lui. Ma con il suo amico.. Javier La Fuente.»

«La Fuente, come i signori fattori di Fuentesauco

«Proprio loro. Il loro unico figlio per l’esattezza.» Inspirò e si lasciò andare. «Un tempo, mio grande amore.»

«Cosa stai cercando di dirmi, non capisco..»

«Vorrei raccontarti la mia storia, se hai voglia di stare a sentire.» Batté nervosa il piede in terra e proseguì. «Chiamalo destino, coincidenze.. ma sono arrivata a pensare che determinate persone finiscono con l’appartenersi anche quando la vita decide di separarli. Para siempre.»

Olivia accese di curiosità e bramosia i suoi occhi verdi limpidi e cristallini e Morena capì che si era fatto il momento.

Non poteva più rimandare, doveva accettare l’idea di poterla perdere ma di essere stata sincera almeno una volta.

«Tutto è cominciato un’estate di sei anni fa, o forse.. nemmeno allora; io e Javier siamo praticamente cresciuti insieme e siamo finiti inevitabilmente con l’innamorarci. Come è tristemente noto, le nostre estrazioni hanno finito con il separarci, lui a Madrid per cominciare una vita da soldato ed io qui a leccarmi le ferite per il modo in cui tutto è successo.» Olivia non fiatò, ma con gli occhi espresse una domanda muta alla quale Morena si apprestò a rispondere. «Sua madre, Guadalupe Garcia, ha fatto in modo e maniera che non ci fossero addii strappalacrime e promesse di matrimonio; la sera prima della sua partenza ci ha scoperti insieme e si è vista bene di spedirlo sulla prima diligenza diretta a Salamanca e da lì.. Madrid. Il giorno dopo quando mi recai a cercarlo presso la sua tenuta e non lo trovai, dalla disperazione persi i sensi. Quando mi sono svegliai ero in casa di Alfredo e Francisca;  qualcuno” mi aveva gettata a ridosso del fiume, come fossi un rifiuto. Il paragone rende bene l’idea del messaggio trasmesso, non trovi?» Sorrise amara, una ruga a increspargli la fronte liscia. «Questo è stato l’inizio per la discesa negli inferi.»

«Continua.» Ordinò tristemente la ragazza.  

«Mesi dopo, sulla via di casa appresi dallo sfrecciare degli interradores della dipartita di donna Francisca; il mio cuore si squarciò, rendendomi vulnerabile e piena di pietà nei confronti di Alfredo al punto da recarmi alla tenuta per dimostrargli tutto il mio cordoglio; quando arrivai feci scoperta che mia zia Milagros –nel pieno titolo di confidente e amica della povera donna- ci aveva promessi in matrimonio. Fu un totale shock, ma accettai per delle condizioni a me care.»

«Quali condizioni?» Chiese Olivia nel pieno della lucidità.

«Aspettavo un bambino.» Rispose senza tentennamenti.  

 

La ragazza annuì, un sorriso di sconfitta sulle labbra.

Morena non parlò, ma aspettò in silenzio qualsiasi giudizio.

«Quindi Riccardo non è figlio di Alfredo.» Non era una domanda e nemmeno un’accusa; la vide mordersi il labbro e tentennare un po’ prima di proseguire. «Mi rendo conto che solo un cieco non se ne sarebbe accorto, e non parlo di qualcuno che non vede con gli occhi, ma con il cuore. Ero lì vicino a te, sentivo che c’era qualcosa..tu stessa lo hai ammesso.. e non ho mai capito niente.»

«Tutto è stato eseguito secondo piani ben strutturati.» Ammise senza vergogna.

«Perché?» Olivia la incalzò.

«Paura.»

«Paura?» Le sue labbra si aprirono in una smorfia. «A tuo dire sei stata un’abile calcolatrice, Morena. La paura non credo tu sappia cosa sia, a questo punto. Sono sicura che ci sia altro e vorrei che tu me lo dicessi, se vuoi essere sincera veramente, perché ti sento come un’estranea adesso e non mi piace. Mi spaventa.»

«E’ una storia trita e priva di interesse.»

«Lascia giudicare me. Non puoi trascinarmi in questo abisso e poi scusarti per averlo fatto. Siamo qui io e te, davanti ad un nuovo inizio.. per la seconda volta. Pensaci, non avremmo un’altra occasione come questa.»

E Morena non poté che constatare che era davvero così.

C’erano stati gli atti da depositare in passato, e c’era adesso la prospettiva di un futuro professionale nuovo e roseo.

Olivia appariva in entrambi. Voleva che restasse, lo desiderava fortemente.

«Non volevo questo figlio. Non senza Javier.» Pronunciò, con l’aria martoriata. «Ma tutto ad un tratto mi sembrava che tutti potessero decidere per me. Mia zia, mio padre; tutti con una loro visione di quella che doveva essere la mia vita.. senza chiedermi cosa desiderassi io per me.» Il ricordo di quella sensazione spiacevole le velò gli occhi e incrinò la voce. «Ho cercato un modo per sbarazzarmi di lui, non riuscivo a sopportare l’idea della vita mera che avevamo davanti; sul punto di farlo Guadalupe Garcia, sotto false vesti, mi ha intercettata e condotta ad una grotta con l’intento di assicurarsi che non mi facessi cogliere dai sensi di colpa tirandomi indietro e che la paternità della creatura restasse segreta.»

«In che modo intendeva assicurarsi il tuo silenzio?»

«Facendomi ingerire infuso di Dea.»

«Ma è una sostanza proibita e letale!» Berciò Olivia. «Che razza di donna può far questo?»

«Non una donna.. il diavolo.»

Olivia chiuse gli occhi e li riaprì spaventata. «Ho udito delle voci una volta.. riguardavano Francisca..»

Morena guardò in basso. «Non erano solo voci.» E quando terminò di parlare udì chiaramente Olivia trasalire; levò allora lo sguardo al suo. «Capisci perché ho detto paura? E’ stato solo toccando il fondo, che ho capito quanto desiderassi far vivere il mio bambino. A qualsiasi condizione; i miei stupidi capricci non erano più importanti della sua stessa vita. Così giurai di proteggerlo sempre, anche a costo della mia felicità.» Inspirò e poi sorrise teneramente. «Ho fatto molti sbagli, ma su due cose ho avuto ragione; sposare Alfredo e mettere al mondo Riccardo. Alfredo è stato l’unico che mi ha accettata per quella che sono, parlandomi chiaro e offrendomi la prospettiva di un futuro; si è rivelato quanto di più buono, vero e pulito io potessi sperare. Riccardo è l’amore della mia vita, tutto il dolore per ciò che ho vissuto è sparito nell’attimo in cui l’ho preso fra le mie braccia. Il resto non ha più importanza, ha smesso d’esistere.. se mai sia realmente esistito. Ci sono giorni in cui guardo al passato e ho come la sensazione di ricordare solo una fitta nebbia di cose astratte. La mia vita è questa. Qui e adesso, mentre parlo con te, mentre muovo passi in quello che sarà il mio studio, quando abbraccio mio marito e mio figlio. E parlo ancora con te, amica mia. Adesso, sai la verità e sappi che non mi aspetto che tu capisca, solo che tu sappia perché sono stata sgarbata una settimana fa, come cinque anni fa. Adesso, finalmente, sai chi sono

Olivia la guardò spaesata e tutto quello che fece fu abbracciarla d’istinto.

Quell’abbraccio, pensò Morena, sarebbe valso più di cento parole, comunque fossero andate le cose.

Ma la ragazza minuta che adesso le respirava sommessa sulla spalla, parlò. E le si gelò il sangue nelle vene.

«Ciò che penso di te già lo sai, quanto detto può solo rafforzarlo.» Sciolse l’abbraccio asciugandosi un occhio. «Chi sono io per giudicare ciò che una madre fa per il proprio figlio

«Non mi reputi una donnaccia, quindi?»

«Come potrei? Tu hai reso felice mio cugino, malgrado tutto

«Il mio solo e unico scopo.» Ammise, avvicinandosi alle finestre; con un leggero colpo di mano scostò l’imposta che scricchiolando si spalancò.«Una metafora perfetta.» Disse, indicando il fascio di luce che aveva squarciato il buio.

Olivia l’avvicinò, aprendo l’altra. «Ci sarà sempre più luce, d’ora in avanti.»

«Lo spero.»

«Lo sai che non mi sbaglio mai.» Sospirò e si voltò a guardarla; Morena la imitò. «Allora, te la senti di visitare la tua prima paziente?» Allargò le braccia e mise su una faccia tanto buffa da farla ridere.

«Cosa hai, sentiamo?»

Olivia le prese la mano e se la portò alla pancia. «Diventerò madre.»

 

*

 

«Donna Leonor, dove vuole che li metta questi?»

 

Da quando la decisione di partire per Fuentesauco,si era trasformata in fatto, l’intera casa si era trasformata in una gigantesca valigia in cui sostavano quadri, abiti, utensili e suppellettili di vario genere, in attesa di giusta sentenza.

Era facile quindi vedere la piccola Camila ridere di suo padre, quando puntualmente, andava a sbattere sulla specchiera barocca che Leonor aveva acquistato per sua suocera, ed adagiato fra lo stipite del salone e la parete del corridoio.

«Odio questa specchiera LeonorLo si sentì urlare dal fondo del corridoio. «E’ così pacchiana!»

«Oh non lamentarti troppo! Tua madre la adorerà!» Gli rispose guardando divertita Consuelo. «Dicevamo?»

«Le chiedevo dove riporre i candelabri, signora.»

«Ne lasci due fuori e li incarti. Gli altri al solito posto, grazie.» Sbuffò togliendosi un boccolo indomito dal viso e sorrise alla bambina che la guardava incantata dal divano. «Dovremmo incartare anche tuo padre, vero?» Camila si portò le mani alla bocca soffocando una risatina. «Ma dove è andato a cacciarsi?» Disse infine, portandosi le mani ai fianchi.

«Sono qui.» Javier apparse trafelato, con la cravatta al collo ancora da annodare.

«Stai uscendo?»

E mentre l’uomo stava per rispondere suonò il campanello; si guardarono l’uno in cerca di risposte dall’altro.

«Io e Lorenzo dobbiamo accordarci con il sindaco sul nostro arrivo; ha molto insistito di offrirci un caldo benvenuto. Non capita loro tutti i giorni di ricevere signori da Madrid, specie colui che sarà il futuro medico. In merito a questo stavo pensando anche di stilare un inventario di medicinali da portare in donazione.» Si annodò la cravatta e il campanello squillò ancora. «Temo che Consuelo non sia sopravvissuta a qualche spigolo.» Berciò sarcastico.

«JavierLeonor lo redarguì, indicando la bambina con il capo.

«Oh.. ma la mia piccolina non ha paura di nulla, vero?» E lo vide piegarsi su di lei per baciarle la testolina castana.

«Non ho paura di nulla, mamma.» La bambina ripeté ciondolando le gambe.

Leonor alzò gli occhi al cielo divertita. «Ti assomiglia in tutto e per tutto.»

Javier alzò le spalle mostrando una faccia schifosamente soddisfatta per poi affrettarsi ad andare ad aprire la porta.

Dopo qualche istante si udì il chiasso di una risata inconfondibile in tutta Madrid.

 

«Date delle feste da sballo e non mi invitate?» Benedicta fece ingresso in tutta la sua algida bellezza.

«Scusaci se non sapevamo nulla del tuo ritorno dalla Baviera.» Rispose Leonor cercando di mantenersi seria.

«Colpa mia. D’altronde vi facevo più noiosi..»

«Oh Benedicta.. sei sempre la solita!» E scoppiarono a ridere, per poi ricorrersi ad abbracciarsi forte. «Come stai? Come è andato il viaggio di nozze? Raccontami!» Si accomiatarono sul sofà dove vennero avvicinate da Camila che tirò la zia per il vestito.

«Zia, noi non siamo noiosi. Siamo interessanti.»

Benedicta la guardò divertita. «Certo amore, tu lo sei tantissimo. Io parlavo dei tuoi genitori.»  Poi guardò la cugina a bocca aperta. «Chi le insegna certe cose?»

«Secondo te?»

La ragazza scosse il capo. «Ovviamente, La Fuente.» La bambina si sistemò sulle gambe della mamma che la baciò come d’approvazione. «Ho capito.. chiedo scusa per avervi offeso.» Si affrettò a dire Benedicta ridendo di una calorosa risata. «Mi siete mancati tanto.»

«Anche tu.» Risposero mamma e figlia all’unisono. «Insomma, il viaggio?» Aggiunse Leonor.

«E’ stato tutto perfetto.» Disse con aria trasognante. «Siamo stati a Parigi per il mio compleanno e.. cielo Leonor! Avevi ragione, quel posticino che mi consigliasti serve piatti sublimi! E di Londra vogliamo parlare? Fredda ma incantevole. Vi ho portato dei cappottini adorabili, Consuelo deve essere di là a sistemarli.»

Fece per alzarsi, ma la cugina la trattenne per un braccio; chiese dolcemente alla bambina di raggiungere la cameriera per indossarli e sfilare per loro, così da rimanere sola con lei.

«Mi sbaglio o vedo un pancino da queste parti?» Chiese in un fil di voce, scorrendo gli occhi sulla sua figura.

«Oh Leonor.. è già così visibile.» Confessò dispiaciuta, tornando seduta. «Cercavo il modo di fartelo sapere con il maggior tatto possibile, ma Guglielmo mi ha sempre consigliato di dirlo così, occhi negli occhi. Gli ho risposto che siamo come sorelle noi due e..» Si commosse fino alle lacrime, mentre cercava di parlare.

«Noi siamo come sorelle.» La rassicurò l’altra, prendendole la mano. «E’ una bellissima notizia.»

Benedicta si era sposata nel mese di Dicembre con Guglielmo Rojas Meyer, un giovanotto appartenente all’antica divisione della nobiltà germanica degli Uradel da parte di padre e spagnolo per parte di madre, conosciuto in un prestigioso collegio che la stessa aveva frequentato in passato; i due, come spesso accadeva quando due famiglie ben si accettavano fra di loro, si fidanzarono non appena conclusero gli studi, culminando il tutto non con uno, ma due matrimoni in pompa magna, ognuno per paese di provenienza degli stessi.

L’ultimo fu in Spagna, nell’inverno passato appunto, dato le temperature più clementi che nella lontana Germania.

Dopo questa festa i due avevano gironzolato un po’ per il vecchio continente, nell’intento di saldare entrambe le famiglie – il buon Guglielmo disponeva di un albero genealogico lungo quanto un trattato di guerra- per poi accasarsi in pianta stabile a Norimberga. La primavera li aveva ricondotti nuovamente a Madrid, a quanto pare per spargere voce della lieta notizia e per apprenderne altre, tipo l’avventura fuori porta che il giovane fratello di lei stava per intraprendere allo scopo di chiedere in sposa una fanciulla.

«Oh sono così felice di sentirtelo dire, Leonor.» Sospirò e si sentì meglio. «Ho appena saputo che sarà una femminuccia. Ci pensi? Una piccola compagna di giochi per la piccola Camila.» Si girò una ciocca di capelli fra le mani. «Spero d’essere una buona madre.»

«Certe cose vengono da se, non stare a preoccuparti.»

Camila rientrò nella stanza con un adorabile cappottino color acquamarina intonato ai suoi occhi; fece una breve piroetta sul posto e guardò le due donne in trepida attesa.

«Sei un incanto piccola mia.» La zia la chiamò a se; la bambina si avvicinò salendo sulle sue ginocchia e ringraziandola con un bacio. «Lo sai che presto avrai una cuginetta

«Davvero? E dov’è?»

«Nella mia pancia che dorme.» Sussurrò Benedicta e a Leonor gli si strinse il cuore per la tenerezza del momento.

Sull’uscio apparvero Guglielmo –visibilmente ingrassato ma dal viso sereno- e Javier titubante.

«Sto bene.» Esalò Leonor, guardandolo dritto negli occhi.

«Fra qualche mese la conosceremo e giocherai insieme a lei.»

«Potrò tenerla in braccio, zia?»

«Certamente. La tua mamma lo insegnerà a me e io lo insegnerò a te. Va bene?»

«Va bene.»

Leonor la guardò con occhi luccicanti. «Sarò all’altezza?»

«Lo sei sempre, in tutto ciò che fai.» Poi scambiò un’occhiata fugace con Javier. «Ho conosciuto manager importanti in Germania, persone che hanno a che fare  con il settore cinematografico. Quando vi sarà passata questa smania da gita estiva fuori porta.. perché non venite a Norimberga voi tre? Se avessi saputo che eravate disposti a muovervi per così tanto tempo, vi avrei invitati da subito.»

«E’ stata una scelta improvvisa.» Rispose Javier, armeggiando dello cherry e del the, al carrello delle bevande.

«Si lo so.. Lorenzo.» E scosse il capo. «Dio solo sa se sta compiendo la giusta scelta. I miei rispetti alle tue origini Javier ma.. una contadina dalla provenienza modesta? Non credete meriti qualcosa di più?»

Leonor le lasciò la mano. «E’ determinante che lei sia ricca almeno o quanto lui? Si amano.»

«Suvvia Leonor.. l’amore non sfama e tanto meno può farti avere questo.» E si guardò attorno. «Spero solo non si penta delle sue scelte, tutto qua.»

«E’ un uomo intelligente e un adulto consenziente. Non abbiamo ragione di credere che stia compiendo un’idiozia.» Javier le raggiunse accompagnato da Guglielmo; accarezzò le spalle di sua moglie infondendole sicurezza. «Brindiamo alla vita Benedicta. Ai cambiamenti. D’altronde.. non eri tu quella che aveva paura di mettere il naso fuori da Madrid?»

«Ben detto Javier  Guglielmo asserì, facendo collidere il suo calice a quello del cugino.
«Guardati cugina mia. Sorella mia.»  Leonor le sorrise avvicinando i rispettivi bicchieri. «Cittadina d’Europa, viaggiatrice del mondo.. e presto madre. Non puoi non ammettere che l’amore sia il fattore determinante e inevitabile del cambiamento di ognuno di noi. L’unica cosa davvero importante.» Lo schiocco delle due coppe, coprì la risatina colpevole di Guglielmo che si beccò un’occhiataccia dalla moglie.

«Ah proposito di Lorenzo..» Javier ribaltò la situazione attirando l’attenzione. «Stavo giusto andando da lui per stilare una lista di donazioni per Fuentesauco e altre cose noiose ma doverose. Volete unirvi a me?»

«Una lista di donazioni?» Chiese Guglielmo.

«Medicinali per lo più. Con i tempi lunghi delle spedizioni, avere una scorta è un bene.»

«Possiamo contribuire in qualche modo?» Chiese Benedicta, visibilmente imbarazzata. «Credo di essere stata travisata e non vorrei mai che si pensasse che sono un avida sputasentenze

Camila si illuminò. «Mamma cosa è una sputasentenze?»

Gli adulti si guardarono fra di loro scoppiando a ridere sonoramente.

 

 

«Allora, come ti è sembrata?»

L’auto accostò dinnanzi al grande palazzo stile liberty sulla Gran Via.

Javier trattenne Benedicta nel guardaroba in attesa d’essere annunciati, con un espressione preoccupata.

«Non so Javi.. vuoi la sincera verità? »

«Devi essere sincera come so che sei.»

In tanti anni di amicizia e poi parentela, aveva imparato bene quanto a volte potesse risultare ruvida Benendicta, ma oltremodo schietta; se volevi un parere franco su una determinata cosa dovevi per forza di cose rivolgerti a lei, dotata quale fosse di una lingua lunga e al contempo di una ruffianeria come poche in giro.

Si era chiesto spesso come riuscisse a ballare su quel delicato equilibrio, ma con un’alzata di spalle era convenuto che ad ognuno spettava una dote morale nella vita, una sorta di asso nella manica che caratterizzasse la persona.

Lei era spietata eppure adulatrice.

«Mi è sembrata molto fragile e impaurita, ma sincera, nel mostrarsi felice per me e questo fa ben sperare.» Alzò le spalle, il viso attraversato da un lampo di tristezza ai ricordi passati. «Chissà che questa partenza non l’aiuti a superare le sue angosce, che come ha detto, l’amore sia il fattore determinante per il suo cambiamento. Il motore che scateni una rinascita. Ma tu.. devi promettermi una cosa per il suo bene, Javier, sul tuo onore.»

Il ragazzo la fissò turbato. «Non hai che da chiedere, sai che farei di tutto per lei.»

«Lo so. Fino ad oggi sei stato un marito e un padre eccezionale. Ma il passato è una spina nel fianco, amico mio.» Cadenzò l’attesa con uno sguardo glaciale e fermo. «Promettimi che lascerai mi raggiunga in Baviera, qualora si presentasse.. la necessità

Javier inspirò velocemente, il fiato corto. «Solo se lei lo vorrà.»

«Speriamo mai, allora.»

E gli batté un colpo affettuoso sul petto, prima di uscire fuori e raggiungere suo marito al braccio.

Speriamo mai, ripeté mentalmente Javier.

 

*

 

Guardava al vecchio ambulatorio di Fuentesauco con occhi nuovi, quella mattina.

Come ogni giorno si era svegliata, aveva adempiuto ai suoi doveri di moglie, di madre e quando il sole era alto nel cielo aveva imbracciato la sua sacca coi libri, il camice bianco lindo di lavaggio, lo stetoscopio e la borsa con gli strumenti medici e si era recata in paese. Solo mettendo piede nel luogo che l’aveva vista nascere come medico, si era resa conto di quanto fosse cambiata. Quanto fosse cresciuta. Quanto fosse più forte.

Quello spazio fatto di luce, pochi mobili e sostanzialmente una sola vetrina contenente i medicinali generici era stato il suo tempio per circa un anno o poco più. Il suo primo paziente se lo ricordava ancora, Thiago un dolcissimo bambino figlio di una coppia di contadini poverissimi al quale non aveva chiesto nemmeno un duro per le cure, incoraggiandoli a tenerlo al caldo e al sicuro; la donna si era presentata allo studio con questo scricciolo di bambino di sei anni in braccio, pregandola di alleviargli tutte le sofferenze, ma quando aveva scavato a fondo nella loro storia e nei polmoni del bambino, vi aveva trovato tutta la fatica e il lavoro che lei e suo marito gli avevano fatto provare – e da chissà quanto tempo- pur di avere due braccia in più che producessero. La pregò incessantemente di tenere il piccolo a riposo e nemmeno il suo aiuto bastò, Thiago se ne andò dopo qualche settimana, provato da una polmonite batterica.

Si era detto di rimanere distaccata. Si era detto che era il ciclo della vita. Si era detto che non sarebbe stato ne il primo ne l’ultimo, ma non aveva immaginato che avrebbe fatto così male e che di notte avrebbe sognato quegli occhi da bambino che la guardavano imploranti di smetterla, di farla finita con il dolore. Così aveva pianto, a lungo e rannicchiata sotto la coperta come una donna qualsiasi e il giorno dopo si era alzata, con gli occhi gonfi e l’umore mesto ed era andata avanti.

Un brivido le percorse la schiena, al solo pensiero, ma poi ricordò che aveva visto nascere anche qualche bambino e che c’erano stati casi risolti per il meglio. Era tornata anche la morte, certo, ma il ciclo della vita era inarrestabile, per ogni gioia si contrapponeva il dolore, lei poteva ostacolarlo, ritardarlo o combatterlo a volte, ma non era certo Dio e doveva affrontare questo come un “dono” abilitato ad un essere con delle fragilità e dei sentimenti.

Aprì le finestre e lasciò che il tepore della giornata di fine primavera s’espandesse nella stanza, il tutto dopo aver dato un’occhiata fugace al tavolo dove riposavano appunti, qualche traccia di passaggio del piccolo Riccardo e i consueti libri di medicina, secondo una precisa abitudine: il caos.

Si rammentò di dover scrivere due righe alla dottoressa Velasco e pregarla di accoglierla quale sua praticante entro breve; i lavori per lo studio nuovo sarebbero presto iniziati e smaniava nell’attesa di essere abilitata a tutti gli effetti alla professione che avrebbe svolto presso quello che sarebbe stato il suo nuovo tempio.

Olivia aveva preso in mano le redini della ricostruzione, così a Fuentesauco erano arrivati dieci manovali fra falegnami, fabbri e carrettieri e nessuno meglio di lei sapeva che quella benedetta ragazza avrebbe tirato su un qualcosa di perfetto e funzionale in brevissimo tempo, anche se in dolce attesa.

Quello era rimasto il loro piccolo segreto.

 

Qualcuno bussò alla porta.

«Avanti!» Vociò, nascosta fra il tavolo e dei cassetti bassi dell’unico mobile che aveva sulla parete.

La porta si aprì e quando si tirò su, schioccò la lingua sorpresa. «Buongiorno don La Fuente

Da quando aveva sostituito Pena, non li aveva mai visti palesarsi al suo capezzale; Guadalupe Garcia si era data pena di far sapere in giro che la salute sua e dei suoi cari era impeccabile e comunque delegata strettamente ad un famoso luminare di Salamanca, ergo, non si sarebbe mai fatta mettere le mani addosso da una sporca plebea quale riteneva che fosse. «Si accomodi.» Esordì professionale e distaccata.

Estefan La Fuente era un uomo dall’aspetto pacifico, bonario quasi, se ti dimenticavi che in tempi non sospetti si era innamorato e poi unito in matrimonio con Guadalupe Garcia; voci popolari narravano di un matrimonio osteggiato dai signori di Fuentesauco, che ambivano per il figlio un unione più consona per quello che sarebbe divenuto l’erede di metà dei beni e delle terre del paese e che non vedevano in quella ragazza figlia di vagabondi senza gloria.

Tutto questo era ridicolo, lei lo sapeva. Aveva provato sulla sua stessa pelle cosa significava la diversità in ambito sociale, il diritto negato di amare chi si vuole, che proprio non riusciva a capacitarsi come quella donna, riuscisse a provare per lei tanto odio da essere riuscita a separarla definitivamente da Javier.   

Amava Riccardo, ma sapeva già che non avrebbe mai anteposto quelli che sarebbero stati i suoi consigli su come vivere la vita, alla sua intelligenza. Per lei era chiaro; diventare madre non significava diventare un essere spietato e selettivo con il prossimo, avrebbe accompagnato quella creatura nel tempo scritto per loro, come una presenza costante ma non invasiva e autoritaria.

L’uomo si sfilò il cappello, entrando a passo insicuro; solo allora Morena notò lo squarcio che aveva fra il sopracciglio e la guancia. Senza dire una parola si procurò un recipiente medico con del disinfettante, e messi su i guanti, lo invitò a farsi avanti.

«Mi preme dirle che sono costernato da questa mia visita improvvisa.» Disse impacciato, sedendosi all’estremità del lettino. Morena imbracciò una pinza guardandolo perplessa.

«Stia sereno. Il dovere prescinde dal mio volere, don La Fuente.» Morena sorrise, impregnando il batuffolo nell’alcool. «Posso chiederle come si è procurato questa brutta ferita?» Mirò alla lesione tamponando e l’uomo s’irrigidì.

«La festa d’estate..» Sussurrò a denti stretti. «Una trave del capanno mi ha colpito di striscio.»

«E’ stato fortunato.» Asserì lei senza inflessione. «Ma per dovere l’avviso che dovrà farsi lo stesso un iniezione antitetano. Sa.. germi.. batteri.. residui invisibili.» Afferrò del filo scuro e l’ago e sorrise ancora. «Me le ricordo tutte le vostre feste d’estate. I violinisti, l’aria dolce della sera e quel capanno.. Javier diceva che ne andava molto fiero.» Sospirò involontariamente, ricordando i tempi in cui bambina rimirava, insieme al suo migliore amico, la festa più attesa dell’anno che la famiglia La Fuente, teneva nel suo parco privato e alla vista di pochi eletti, come buon auspicio per il raccolto del grano alle porte.

Tempi belli e lontani.

Tempi andati e forse, gli unici ricordi ancora vivi, di un passato che la nebbia non aveva inghiottito.

Tutto a un tratto, si pentì di essersi lasciata andare.

Sentiva come delle emozioni stringergli la gola e un assalire di tristezza.

Ma l’uomo sorrise sereno e guardando quel sorriso dalle labbra piene, rivide quel bambino che correva con lei mano nella mano, fra i tavoli sull’erba verde e profumata, giocando a rincorrersi e far volare le gonne delle signore per bene, che a quelle feste ondeggiavano ebbre di vino e ricamavano il tempo con parole di festa chiassose e tutto sembrava immortale allora, senza fine.

«So che è solo un vezzoso orpello, ma vi sono molto affezionato.» Poi lo udì parlare. E tutto svanì in una bolla fragilissima; si stava confessando, con la stessa spensieratezza che aveva usato lei. «Ho sposato mia moglie sotto quel tendone. E lì vi ho battezzato mio figlio. Mi ricorda molte belle cose.»

Si guardarono intensamente, prima che ella distogliesse lo sguardo per schiarirsi la voce commentando il suo lavoro; ci vollero dieci minuti per completare un giro di filo che chiudesse la ferita, un’altra breve tamponata e qualche raccomandazione sulla pulizia della stessa, per dichiarare svolto l’arduo compito.

«Quando i punti cadranno dovrà farsi controllare.» Sorrise appena, un po’ turbata dall’accenno di confidenza che avevano avuto. «E si faccia fare al più presto l’iniezione. D’estate è più facile contrarre infezioni.»

Si stupì del tono di voce accalorato e diede le spalle all’uomo per mettere subito una distanza; prese a sistemare le sue cose come se non ci fosse, dannandosi per la sua lingua lunga.

«Può farmela lei a questo punto.» La sua voce scacciò l’irragionevole dubbio sulla sua presenza. «E’ un medico, no? Un ..bravo medico.» Si voltò e lui era esattamente dove lo aveva lasciato, nel sorriso impacciato di quando era entrato. «E non credo voglia uccidermi, dopotutto.»

Incerta se ribattere o meno si recò alla dispensa dei medicinali preparando l’occorrente per la puntura.

Due schiocchi al corpo metallico della siringa e lo avvicinò nuovamente.

«Su questo avrei da ridire veramente.» Affondò l’ago in un punto preciso del braccio. «Dopo lo scherzo delle pietre sulle pale mulino, dei Roquez c’è chi vorrebbe volentieri torcerle il collo.»

L’uomo sussultò. «Temo di non seguirla.»

«Avanti don La Fuente.. avete paura ad ammettere le vostre colpe di fronte ad un ago?» E scosse il capo sorridendo sarcastica. «Visto i trascorsi non avrei bisogno nemmeno di una confessione, ma dato che siamo in vena di ammissioni ed io sono certo più mansueta di mio marito.. volevo solo sentirglielo dire.»

«Mansueta.» Rispose facendole il verso. «Lei è impudente, piuttosto.»

«Sono un’impudente è vero. Ma sempre alla ricerca della verità.» Sorrise sghemba e alzò le spalle. «Comunque, dimentichi tutto e mi presti attenzione, adesso. Avrà dei capogiri, probabilmente da qui a Villa Ortensia. Deve riposare, lasciare che la formaldeide entri in circolo e questo richiederà tutte le sue forze. Lasci stare il tendone e i suoi ricordi per un po’ di giorni e se si sente male, presenta degli sfoghi o la ferita le sembra di brutto aspetto, sa dove venire a cercarmi.»

Tamponò il foro invisibile con del batuffolo, portando via la goccia rossa di sangue appena formata; nel piegarsi si accorse, con udito sopraffino da medico, di un’irregolarità nel respiro dell’uomo, che era tornato rigido come un pezzo di ghiaccio a guardare il pavimento ai suoi piedi.

«Don, la prego, faccia due colpi di tosse.» Quello la guardò perplesso, ma ubbidì portandosi le mani a coppa sulla bocca. «Siete a contatto con un ambiente umido?» Chiese ancora, brandendo lo stetoscopio dalla borsa nei paragi ma mantenendo l’attenzione fissa sul paziente.

«Non saprei dire. Probabilmente sì. Villa Ortensia sorge in una fitta vegetazione.»

Morena non rispose, auscultandogli i polmoni e scuotendo il capo di tanto in tanto. «Sembrerebbe qualcosa di pregresso e latente. Cominciamo con una piccola dose di streptomicina.» Gli tirò giù la camicia, dandogli ancora le spalle per recarsi al lavatoio a disinfettarsi le mani. L’uomo si rivestì in silenzio, ma quando i loro sguardi si incrociarono tradirono angoscia.

«Un antibiotico, dottoressa?»

«Sebbene non presenti tosse, ritengo opportuno che lei la utilizzi per sciogliere l’addensamento nei polmoni.» Si sedette alla scrivania appuntando degli scritti su un foglio di carta, pregandolo di prendere posto di fronte a lei. «Ha notato sostanziali perdite di peso?»

«Diciamo che non ho più lo stomaco di ferro di un tempo. Mangio molto poco

Morena annotò ancora. «Sudorazioni eccessive?»

«Notturne, spesso.»

Lo guardò un attimo, per poi tornare agli scritti. «Magari anche un senso di affaticamento o la sensazione di non avere una forte presa delle mani?»

L’uomo deglutì, palesemente spaventato. «Pensavo fosse l’età. Poi.. non sono riuscito a tener salda la trave oggi e so che è stato per via della mano destra.» Seguì un silenzio lungo e compito, Morena posò la penna e giunse le mani vicino al petto. «Ultimamente ho come la sensazione che sia un po’ rigida.» Estefan fu sul punto di piangere, ma si mantenne solido, inspirando a più riprese. «So cosa vuole dirmi. Mio padre e un cugino prima di me ce l’hanno avuta. Qualcuno sostiene che sia ereditaria, altri che dipende da dove nasci.. ad ogni modo, la tubercolosi ti deturpa. Ricordo ancora le mani da artigiano di mio padre tese come cuoio.»

Morena sospirò. «Non era mia intenzione allarmarla, ma tenendo conto di questo, deve assolutamente assumere la streptomicina.» Tornò a scrivere sul foglio e vi strappò la parte finale che consegnò ad Estefan. «Un’iniezione due volte al giorno, da domani, quando l’altro farmaco che ha in circolo verrà smaltito. Ha già in mente qualcuno che possa aiutarla?»

«Mia moglie, la ringrazio.»

Morena ghignò, involontariamente. «Si figuri. Pensi a riposare piuttosto, e mi tenga al corrente della situazione. Sono il medico del paese, non voglio assolutamente procurare del panico generale, ma ho dei doveri rispetto alla comunità.. lei mi capirà e Dio mi perdoni se penso a questa a gente, adesso.»

«La capisco.» Disse lui, alzandosi a recuperare giacca e cappello; sul punto di pagare la parcella, venne fermato.

«Lasci solo l’imposta per le casse comuni.»

«Ma..»

«Don La Fuente, nessun ma. E’ il mio modus operandi e non si discute.»

Estefan allargò le braccia, arreso. «Mi lasci dire che ho conosciuto molti nobili nella mia vita, ma pochi signori come lei, dottoressa Soler.» Morena alzò gli occhi e lo ringraziò con una leggera inflessione del capo.

«Sono solo un medico, i titoli li lascio a chi ne dispone, don. Ma grazie lo stesso.» Gli allungò la mano, sorridendo, lui ricambiò la stretta vigorosamente.

«Grazie a lei.» Si sistemò il cappello e la salutò con un inchino; sull’uscio si voltò ancora, lo sguardo martoriato e cerchiato. «Perdonaci..Morena

 

Ed ebbe la sensazione nettissima che non si riferiva alle pietre nel mulino.

 

*

 

Guadalupe era sul prato a dirigere i lavori come una schiavista, ottenebrata dal caldo e adirata per quello sciagurato marito che si era lasciato cadere la trave in testa; le era toccato prendere in mano anche le redini del tendone per giunta, mentre lui si attardava presso lo studio di quella tediante ombra scura che era Morena Soler.

Non avevano certo potuto disturbare il loro medico da Salamanca per un graffietto, tuttavia non riusciva a darsi pace su dove fosse andato a cacciarsi Estefan.

Lo vide spuntare dal viale di salici piangenti come una furia, su quell’auto che dalla foga con la quale era guidata sbandava da un lato all’altro. Ma non si trattava di foga; acuì bene la vista e quando s’arrestò e lo vide uscire, caracollò sul prato stracciandosi i pantaloni, sotto agli occhi di decine di inservienti.

«Oh signore!» Strepitò, raggiungendolo; quello aveva messo tutta la forza che aveva nelle mani per tirarsi su, barcollando nuovamente e ruzzolando ancora. «Estefan! Cosa ti prende santo cielo!»

La donna si chinò per aiutarlo a rialzarsi, ma indietreggiò alla zaffata di alcool che fuoriuscì dalla risata sguaiata di suo marito. «Karim! Essien!» Gridò alla volta del personale della villa che uscì trafelato dal sontuoso ingresso. «Tirate su questa bestia e portatelo nelle sue stanze.» Si sistemò il vestito e ravvivò i capelli guardando il resto delle persone che si era attorniato nel frattempo. «Che cosa avete da guardare voi altri!» Tuonò. «Non vi pago per acchiappar mosche! Tornate a dove eravate, inetti perdigiorno!» 

Li oltrepassò a grandi falcate, i pugni serrati ai fianchi; il gruppo sciamò, disperdendosi da dove era venuto.

 

«Ti mando in paese per una medicazione e mi torni ubriaco?»

Giunti alle loro stanze, la donna congedò la servitù e prese a spogliare personalmente il marito, totalmente incapace di tenersi in piedi da solo; lo adagiò sul letto, si procurò un catino d’acqua fredda con la quale sferzare l’ubriacatura dal suo viso e dalle cucine ordinò del caffè forte.

«Tu non capisci.» Biascicò lui, la lingua incollata al palato. «E’ una vergogna!» Cercò di tuonare, indicando con l’indice a mezz’aria, il viso della moglie. «Una vergogna!»

«Cosa Estefan?!» Chiese lei spazientita. «Che cosa è una vergogna?»

«La mia famiglia vanta un commercio fluente in tutto il paese da due secoli, e noi ci prendiamo la briga di riempire delle stupide pale di un mulino avversario, con delle pietre? Inaccettabile! Voglio i nomi di chi hai comandato a fare un gesto tanto stupido. Li voglio fuori dalla mia proprietà. I -m –m –e –d –i –a –t –a –m –e –n –t -e!»

Guadalupe illividì. «Cosa ti ha raccontato quella sgualdrina?»

«Sgualdrina.» Berciò lui, scalciando; con i gomiti ben impiantati nel materasso, si tirò indietro fino a raggiungere i cuscini di piume dove vi si gettò con la schiena a peso morto. «Lo sai che si chiama Morena? Io non lo sapevo. E’ cresciuta insieme a mio figlio ed io non sapevo nemmeno che questo fosse il suo nome.»

La donna batté nervosamente il piede in terra. «Certo che lo sai, non essere stupido! Come puoi dimenticare il nome della megera che voleva fottere tuo figlio? Hai così tanto vino in corpo che ti sei bevuto anche il cervello!»

«Nulla è mai stato così chiaro, invece. L’unica megera che vedo.. sei tu!»

Guadalupe ansimò, lo raggiunse e gli mollò uno schiaffo a pieno viso.

La guardò spaventato, d’improvviso sveglio, lucido.

La donna abbassò la mano lentamente, il corpo che tremava, gli occhi annegati di lacrime.

«Vedo che ti sei fatto incantare da un’altra puttana.»

E se ne andò con l’anima ferita.

 

 

Rimase con gli occhi chiusi e il corpo disteso il tempo sufficiente per riprendersi.

La villa era silenziosa, gli operai erano stati pagati e la servitù, solo un piccolo brusio di sottofondo dalle cucine.

Non sapeva dire quanto tempo fosse passato da quello schiaffo.

Lei non era più tornata. E la sua mancanza si sentiva, intorno.

Guadalupe riusciva a riempire una stanza con la sola presenza, per questo si era innamorato di lei, venti anni prima; era così piccola allora, umiliata dalla vita ed emarginata dagli uomini, ma aveva un carisma trascinante, un sorriso che non riuscivi a toglierti dalla mente, una risolutezza da far sembrare le preoccupazioni, un banale mal di testa.

Le aveva tolto lui il sorriso, anni dopo quel primo incontro.

E non si era perdonato mai abbastanza per quella crudeltà.

Quell’unico colpo di testa, aveva macchiato per sempre la tela bianca che avevano deciso di comporre insieme; l’aveva tradita. E da quel tradimento, la sua amabile e carismatica moglie si era trasformata in una donna severa e dura cambiando il corso delle loro vite in maniera indelebile e inaspettata.

Doveva cercarla e parlarle.

Voleva abbracciarla, infondergli calore, presenza.

Forse l’ultima.

Tremò.

 

C’era un angolo di giardino che lei amava tanto e presso il quale si rifugiava quando le giornate erano nere, ed era lì che stava recandosi, in vestaglia e a piedi nudi, come gli aveva insegnato suo padre; devi sentire la terra, gli diceva, per amarla e farla tua, devi sentire la sua energia e la sua forza. Gli piaceva sentire l’erba sotto ai piedi e aveva fatto sì che suo figlio imparasse a fare altrettanto, e che un giorno, tramandasse questa usanza anche ai suoi figli.

Era fresca e bagnata di rugiada. Sapeva che non avrebbe più dovuto farlo, ma questo non sembrava tanto importante.

Camminò verso le siepi stipate, là dove il sole stava scendendo verso sera, con la sicurezza di incontrarla; aveva voluto fortemente che le costruisse quell’angolo di bellezza regale, perché come diceva lei, era dalla natura che proveniva e per tanto tempo, erba e piante erano state la sua casa. Lui scherzando la chiamava ninfa e lei rideva sicura e per nulla frivola, come se le facesse tutte le volte il complimento più bello del mondo.

Quelle siepi nascondevano un piccolo mondo antico, fatto di fontane a coppa dalla quali zampillava acqua fresca, viottoli d’acqua che si intersecavano fra di loro secondo un disegno geometrico di raggi di sole, che convergevano al centro di una fontana con una statua, raffigurante una donna.

L’aveva fatta scolpire con le fattezze del volto di sua moglie, così che non dimenticasse la sua originale bellezza.

Adesso, quell’eterea divinità di marmo, riluceva alla luce del tramonto e passandole accanto, percepì in quegli occhi la stessa tristezza che aveva letto in quelli di Guadalupe, prima che andasse via e si sentì rammaricato e spaventato.

Lei era lì.

Intravedeva il luccichio dei suoi brillanti occhi verdi, dal fondo del piccolo tempio coperto, all’estremità finale del giardino di siepi; occhi indagatori, tanto piccoli quanto grandi e capaci a volte, di saper leggere ciò che non si capisce.

«Ci hai messo più del solito.» Si sentì dire, in un misto di pena e ansia.

«Perdonami» Rispose, camminando a tentoni nella semi oscurità; era seduta su una panca di pietra, prese posto accanto a lei. «Sono malato.» Sospirò in un sibilo.

«Non sei malato.» Berciò lei. «Eri ubriaco. E se hai preso il mio decotto d’erbe a quest’ora sei soltanto sbronzo.»

«Sono malato, Guadalupe.» La sua voce acquistò tono e serietà, la donna si voltò e tirò su le gambe appoggiandole sulle sue; lui sorrise, massaggiandole i piedi. «Tubercolosi. E’ al primo stadio, credo, non presento ancora tutti i sintomi, ma c’è una fetta considerevole di probabilità che sia così.» Guadalupe cambiò espressione, ma non fiatò. «E’ stata lei ad accorgersene. Un difetto nel respiro, ha detto. Non è impressionante come una perfetta estranea colga un particolare così importante e noi che siamo dentro le nostre vite non ce ne accorgiamo?» Guadalupe alzò le spalle ma la linea dura delle labbra non concedeva nessuna attenuante. «Io credo di sì. E credo che l’abbiamo giudicata troppo in fretta, ed anche se adesso è troppo tardi per riparare, possiamo sotterrare l’ascia di guerra e lasciarle vivere in pace la sua vita.» Smise di muovere le mani e le guardò affranto. «Avremmo cose più impellenti a cui pensare d’ora in poi. Dobbiamo preoccuparci di sistemare le cose, chiamare il notaio e..»

La donna lo azzittì posandogli l’indice sulle labbra. «Lascia che me ne occupi io, troverò il modo di guarirti

Estefan le prese la mano e la chiuse nella sua. «Non permetterò che tu metta la tua vita in pericolo» La lasciò delicatamente ricadere in grembo, carezzandole con l’altra la guancia. «Devi accettare il fatto che non siamo eterni, amore mio. Non possiamo opporci alla natura o cambiare il destino.»

«Questo significa che ti perderò.»

«Questo significa che il tempo è prezioso e non dobbiamo sprecarne nemmeno una goccia.»

 

Gli occhi di Guadalupe si riempirono di lacrime, che lente, scesero una ad una sul suo volto abraso dalle conseguenze dell’odio che aveva provato combattendo le persone, la morte, la vita e anche ella stessa. E si sentì stanca.

 

E come un miracolo, una liberazione, la donna si disperò in un pianto di singhiozzi, fra le braccia dell’adorato marito.

 

*

 

Era una mattina dal cielo terso, quella. E caldissima, troppo calda per essere solo all’inizio dell’estate.

Giugno era arrivato in sordina, ma prometteva grandi feste e molto fermento in quel di Fuentesauco.

I contadini erano all’inizio della mietitura e si respirava già nell’aria l’odore della fatica, il cantico delle donne per buona prosperità e il canzonare dei grandi signori terrieri per la sfida imminente; le colture erano state messe a dura prova durante l’inondazione di inizio primavera, c’era spirito di rivalsa e voglia di scacciare via la mala sorte.

Come tutti gli anni le preghiere erano rivolte allo spirito del grano, che nel folklore europeo assumeva la reincarnazione di un animale; quell’anno era stata scelta la volpe, così il contadino che avrebbe colto l’ultimo covone di grano su tutto l’appezzamento di terra di Fuentesauco, sarebbe stato eletto lui stesso “spirito del grano” e questo secondo le leggende portava molta buona fortuna. Al contrario si scongiurava di ammalarsi, perché chi cadeva malato durante il raccolto, sempre secondo la leggenda, era colui che aveva “pizzicato” lo spirito, scacciandolo via dai campi.

Il paese era quindi molto silenzioso, quella mattina.

Un’ottima condizione per sbrigare qualche commissione che richiedeva accortezza.

«Permesso!» Olivia si aiutò ad aprire la porta dello studio con un calcetto maldestro; stringeva fra le braccia le bozze cartacee del suo progetto e smaniava dalla voglia di sottoporle a Morena, anche se questo significava che la giornata appena iniziata sarebbe stata molto lunga ed estenuante. Sua cugina sapeva essere molto testarda, quando voleva.

«Ma che è successo qui? C’è nessuno?»

Dei rumori provenivano dal basso, dietro il grande tavolo in noce e s’arrestò impietrita sull’uscio; un’ombra sbucò dalla sinistra, là dove Morena teneva un piccolo spogliatoio e si lasciò andare ad un urlo spaventata.

I disegni le caddero di mano, indietreggiò fino a quando non fu fuori dalla portata della stanza, senza accorgersi degli imminenti scalini alle sue spalle; perse l’equilibrio cadendo all’indietro ed urlò stavolta terrorizzata, ma in un attimo fu raggiunta da due solide braccia che la presero stringendola forte.

Inspirò velocemente contro un petto assai familiare, ma i nervi e lo spavento per la creatura che portava in grembo le provocarono dei singulti che le fecero dimenticare tutto il resto; pianse un po’ fra quelle braccia, fino a quando si sentì accarezzare i capelli.

«Non ti facevo così piagnucolona..»

Alzò gli occhi tramortita da quella voce. «Lorenzo?!» Strepitò incredula; era proprio lui, bellissimo in un completo color ghiaccio che faceva risaltare i capelli castani lucenti e un’espressione vittoriosa sulle labbra. «Lorenzo!» Si allacciò al suo collo spingendolo in direzione dello studio dove richiuse la porta alle sue spalle con enfasi.

Isolati da sguardi indiscreti, gli suggellò le labbra con un bacio.

«Quando sei arrivato?» Domandò, scostando il volto. «E cosa ci fai, , a Fuentesauco?!»

«Sono qui da poche ore. Aiutavo il mio amico a stabilirsi nel suo nuovo studio.»

«E dov’è questo amico?» Lo canzonò, guardandosi attorno.

Lorenzo si voltò verso il fondo dello studio, inspirando.

Dopo un po’ qualcuno tossicchiò, tirandosi su da dietro il tavolo, su visibilmente imbarazzato.

«Perdonate lo spavento, non era mia intenzione.»

Olivia sussultò scioccata. «Certo..»

 Lorenzo la guardò interrogativo, poi guardò l’amico che alzò le spalle. «Olivia, lui è il mio amico Javier, nonché cugino acquisito. Ti ricordi, ti ho parlato di lui nelle mie lettere. Siamo a Fuentesauco perché prenderà posto come nuovo medico qui all’ambulatorio.»

«Certo. Sussurrò ancora, la voce incrinata.

«Olivia, che ti prende? Sei strana.» Osservò Lorenzo, muovendosi impacciato.

La ragazza spalancò gli occhi, scosse il capo e guardò Javier come se lo vedesse bene per la prima volta; quel viso scolpito, gli occhi verdi e la carnagione ambrata.. non era stata Madrid la prima volta in cui lo aveva visto; erano passati molti anni, ma il suo viso non era cambiato tanto e a vederlo adesso, in compito silenzio, quasi assorto come se il mondo intorno non ci fosse, era quasi inconfondibile.

«Certo!» Proclamò a conferma dei suoi pensieri; s’avvicinò a Lorenzo e premette le labbra alle sue, tenendolo fermo per il bavero. «Sono felice di averti qui, ma adesso devo proprio andare!» Raccolse velocemente i disegni da terra e lo guardò un’ultima volta con occhi sognanti. «Spero di averti presto quale ospite a Legno di Quercia.»

Il ragazzo annuì ed ella sparì via in una folata di vento.

 

«Grandioso!» Borbottò, mani ai fianchi. «Le dico che sono qui e lei che fa? Va via!»

Javier si pulì le mani battendole energicamente fra loro. «Io so dove è andata.»

«Da lei?»

«Mi ha riconosciuto. Ne sono sicuro.»

«Giusto.. il matrimonio della ragazza.» Lorenzo rispose a scoppio ritardato, come se l’unico particolare rilevante dell’intera faccenda fosse inutile polvere. «Ma questo è un bene! Pensaci, sarebbe stato molto imbarazzante ritrovarvi faccia a faccia dopo tutti questi anni. In questo le donne sono molto più brave di noi e al massimo se vorrà, farà di tutto per evitarti.»

Javier annuì anche se poco convinto e svuotò le ultime borse con i medicinali della lista di donazioni; l’amico lo avvicinò scuotendolo affettuosamente per una spalla e lui gli sorrise. «E’ bella come ricordavo. E sicuramente ti dirà di sì.» Ricambiò la pacca e sorrise beffardo.

Lorenzo guardò in basso, quasi preoccupato. «Lo spero.»

 

*

 

«Agueda, dov’è donna Roquez

Le porte di Legno di Quercia erano spalancate e tutto attorno vi era aria di tempesta, come se poco prima, fosse passato un tornado; Olivia si guardò attorno accigliata e guardava alla serva con ansia e trepidazione.

«E’ nella sua camera che riposa, signorina Olivia.» Rispose quella angosciata. «Il sindaco l’ha rinvenuta in paese priva di sensi. Oh qué dolor.. quella povera ragazza, cos’altro deve passare?!» Agitò le braccia giunte come in una preghiera e si lasciò andare in un singulto scenografico.

Olivia scosse il capo. «Da quanto va avanti?»

«Sono settimane che la signora è pallida, ma dice che è solo stanchezza.»

«Tipico suo.» Berciò, prendendo la via per le stanze padronali in un tumulto di emozioni; aveva il cuore in gola per quanto doveva dirle, l’anima martoriata al pensiero di doverle infliggere un’ulteriore preoccupazione e in più era arrabbiata perché non le aveva detto nulla dei malori.

Morena era distesa sul letto, gli occhi socchiusi. Del Carmen era accomiatato in un angolo della stanza che parlottava con Alfredo e quest’ultimo appena la vide entrare, alzò gli occhi lasciando la conversazione a mezz’aria.

«Sono sollevato che tu sia qui. Continua a dire che è solo stanchezza, ma so che lo dice solo per tenermi buono.»

Olivia si girò nuovamente verso la donna; non notava nulla di particolarmente strano, il suo viso era forse un po’ più pallido del solito ma le guance sembravano rosee. «Ti prego parlale tu o finirò per impazzire.»

La ragazza gli strinse affettuosamente il braccio, confortandolo. «Va pure, ci penso io.»

Abel si spostò raggiungendo il padrone di casa; nello sfilare accanto ad Olivia, la guardò per una frazione di secondo abbassando il capo e senza dir nulla, richiuse la porta alle sue spalle con stizza.

Olivia restò di sasso. «Ma cosa prende a tutti, oggi

Rimaste sole, Morena gettò le coperte da un lato sospirando sollevata. «Non se ne andavano più, santo cielo! Fortuna che sei arrivata!» Fece per scendere, ma la cugina la incenerì con lo sguardo. «Sto bene, sta tranquilla. Ma devi aiutarmi a liberarmi di loro; mio marito lo posso anche sopportare, ma quel Del Carmen.. ay Dios mio! Perché mi stai guardando a quel modo?»

«E me lo chiedi?»

Morena inspirò, guardandosi attorno affranta. «Stavo lavorando quando.. Abel Del Carmen si è presentato allo studio annunciandomi che il medico che avrebbe sostituito Pena era in paese e non vedeva l’ora di fare la mia conoscenza. Quando mi ha fatto il suo nome sono scappata via come se avesse la peste; Javier La Fuente, da Madrid.» Andò al catino e si sciacquò il viso con dell’acqua, come se nulla fosse stato detto o peggio ripetesse una cantilena imparata a menadito. «Tutto ciò che ricordo poi sono le braccia di Del Carmen che mi faceva sistemare in carrozza dopo che ho perso i sensi di fronte la bottega del fornaio.» Cercò a tentoni la salvietta per asciugarsi ed Olivia l’aiutò porgendogliela; i loro sguardi si trovarono complici, ma Morena sospirò nuovamente. «Quanto sto per dirti esula da quello che è successo, quindi mi devi fare la cortesia di non dirlo a nessuno.. per ora. Ho visitato un paziente con un accenno di tisi quest’oggi, questo sai che significa vero?»

«Pestilenza.» Pronunciò Olivia, tremando.

«Esatto, motivo per cui devi tornare a Villaescusa e restarci fino ai tempi migliori.»

«Non.. non può essere vero.» Esalò la ragazza con voce incrinata.

«Può anche darsi che sia un caso isolato, ma non voglio rischiare.» Poi quasi un pensiero velato, sussurrato in sol fiato. «Non posso sopportare che un’altra delle persone a me care soffra

Olivia si irrigidì e la fissò nelle pupille nere e dilatate. «Chi?»

«Estefan La Fuente

 

Adesso riusciva a comprendere perché si era sentita male.

E quel silenzio si era fatto denso e pesante. La vedeva camminare in avanti e indietro come se cercasse di mettere ordine nei pensieri, a piedi nudi sul pavimento di cotto, senza trovare pace.

Era una bella stanza, quella; la grande vetrata a mezzaluna dava direttamente sul giardino che adesso brillava del sole alto di mezzogiorno. Morena  sembrava un angelo che fluttuava tutto intorno, al riflesso della luce contro la sua vestaglia di tessuto leggero. Non sapeva cosa dire e in un attimo tutte le rimostranze svanirono.

Aveva davanti tempi bui e cupi se l’avanzare della malattia si fosse espanso, e tutto quello a cui riusciva a pensare era il peso che la donna aveva davanti e che doveva sopportare; un carico fatto di vite umane, amici e parenti, poco importava se presunti tali o effettivi.

Si morse il labbro, gli occhi leggermente umidi, e si cacciò le parole a forza dalle labbra.

«L’ho visto, Morena. Ero venuta a dirti questo, ma sono arrivata troppo tardi. Vorrei fare qualcosa per alleviare il peso di questo momento ma.. sento che devo dirti una cosa.» La ragazza non fiatò, ma si fermò e la guardò. «Il giorno del vostro matrimonio, di ritorno da Fuentesauco, mi imbattei in un giovane sul ciglio della strada, in pessime condizioni fisiche e in stato confusionale; aveva passato la notte all’agghiaccio, nella radura. Sembrava così infelice.. ne ho avuto pena e l’ho portato con me a Villaescusa. Si è infilato nella prima diligenza per Salamanca e non l’ho più visto. Dapprima non l’avevo neanche riconosciuto; sono passati così tanti anni.. e quel giorno a Madrid, Dio solo sa a cosa stavo pensando! Ma oggi quando l’ho rivisto non ho avuto alcun dubbio; quell’aria malinconica.. gli occhi verdi e cristallini.. quel ragazzo era Javier, Morena!»

La bocca della giovane donna si schiuse in una vocale di stupore muta e i suoi occhi si mossero velocemente e impauriti, quasi cercassero di razionalizzare i pensieri; si portò una mano alla bocca e una all’addome cercando di evitare di andare in mille pezzi. A tentoni raggiunse il letto, vi si accomodò e incrociò le mani sul grembo, cercando di concentrarsi sulla respirazione.

«Mi dispiace, oh mi dispiace così tanto..» La voce di Olivia era accalorata. «Non dovevo dirti niente.. che sciocca egoista sono stata!»

«Smettila!» Tuonò l’altra, per poi guardarla dolcemente. «Non è certo tua la colpa delle nostre azioni; il destino interviene quando gli uomini sono incapaci di compiere delle scelte, Olivia. E dal momento che siamo persone adulte, non dovremmo starcene qui a frignare. Tu soprattutto.» Tentò di sollevare il morale alla cugina e scacciare via il tarlo del dubbio che si era depositato sulla sua coscienza, abbozzando un sorriso tirato.

Olivia le fu accanto, intrecciando la mano nella sua. «Sai già cosa fare?»

Quella donna se avesse voluto, avrebbe ribaltato il mondo. Ne era sicura.

Per questo non aveva avuto mezza esitazione, correndo da lei.

Anche se continuava a stare male.. un dolore che forse, c’entrava assai poco con quel grande amore di cui aveva parlato.

«Sono medico. Mi comporterò da medico.» E sorrise, stavolta più sincera. «Sono sicura che Guadalupe avrà trovato un modo per tenermi lontana da Villa Ortensia e dai suoi fiori preferiti. Non che io abbia intenzione di coglierli.»

«E di te invece, che mi dici? Alfredo è sinceramente preoccupato. E anche io.»

«Sto bene, ti dico. Stavo giusto per analizzare alcuni campioni.»

 Si alzarono insieme, ma la ragazza bionda la trattenne. «Stai scherzando, vero?»

«Cara cugina..» La prese sotto braccio con fare compito. «..non scherzo mai quando si tratta della mia libertà. Mi creerai il diversivo per una fuga? Sai che ascendente provochi su quei due.»

«Forse su uno dei due non più. Abel si è comportato in maniera così strana!»

Morena la guardò teneramente. «Presto o tardi quella pancina si farà vedere, non potrai più rimandare il momento della verità.» Poi alzò le spalle e guardando lontano sorrise sghemba. «Senza contare che quasi tutta Fuentesauco sa dell’arrivo di un baldanzoso giovane venuto a dichiararsi alla sua bella misteriosa.»

Olivia si lasciò andare ad un lamento. «In questo paese non ci si annoia mai?»

«E non hai ancora visto niente.» La incalzò l’altra, avvertendo un brivido freddo correrle lungo la schiena.

Si guardò attorno, le finestre erano serrate e il sole batteva ostentatamente nel suo chiarore.

Chiuse gli occhi e inspirando, si portò fuori dalla stanza con il cuore in gola, e un aria di presagi.

 

 

**  Per quanto un albero possa diventare alto,

le sue foglie, cadendo, ritorneranno sempre alle radici.

Proverbio cinese. **

 

 

NDA:

Grazie.

Grazie ai lettori silenziosi.

Grazie a M e J che gravitano nella mia testa, nel mio cuore, nei miei polmoni.

Grazie a chi mi lascerà un commento, uno stralcio di emozione, una critica, un insulto.

Grazie.

Grazie a me.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


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Eternamente

(para siempre)



Quando perdi, lasci andare quello che non riesci a tenere.

Antonio Cuomo, scrittore.






Il suono vivace delle urla di Camila, riempivano lo spazio intorno.

La bambina stava inseguendo un gattino spelacchiato a perdifiato, sotto lo sguardo vigile di Leonor, che da sotto la cupola in ferro battuto posta in un angolo di giardino, stava godendo del benefico tocco dei raggi di sole sulla sua pelle candida.

Javier annunciò il suo arrivo a bordo del ford coupé di Estefan, con un generoso squillo di clacson; il micio si arrestò incuriosito e la bambina gli fu addosso, acchiappandolo per la coda e provocandogli un’isteria da metter spavento.

Leonor si alzò redarguendola bonariamente con un’alzata d’occhi.


«Non si udiva un tale canto da molto tempo.»


Guadalupe arrivò alle sue spalle, mirando alla bambina con aria divertita; si accompagnava ad un’anima malinconica e fu felice di constatare che la presenza della cara nipotina riusciva a dissipare almeno qualche nuvola. Le sorrise, aiutandola a sistemare sul tavolino il vassoio con la limonata fresca e i pasticcini.

«Don Estefan come si sente? Credi che potremmo passare a salutarlo?»

La donna serrò la mascella prima di rispondere. «Da quando quella donna gli ha instillato il dubbio, se ne sta rinchiuso nell’altra ala della villa escluso dal mondo esterno; sono preoccupata, dice che non vuole vedere nessuno.»

«E’ comprensibile, credo.» Leonor si strinse nelle spalle. Tubercolosi, un incubo finito da un pezzo in quel di Madrid, ma non senza lasciare brutte cicatrici e ricordi anche solo in chi ci ha camminato accanto; sua madre Helena, aveva perso una sorella in tenera età per la stessa causa e ne raccontava come una cosa terribile e spaventosa. «Spero con tutto il cuore che questa brutta faccenda si risolvi per il meglio. Se hai bisogno conta pure sul mio aiuto.»

Guadalupe guardò alla nuora con gratitudine e affetto; quando le era giunta da Madrid la notizia del loro arrivo, per poco non ci restava secca e di certo non perché nutrisse astio per l’amato figlio o la donna che aveva di fronte, ma perché era troppo tardi per impedire ad Estefan di succhiargli via tutte le forze, e ancora di più per quella promessa che gli aveva fatto; non avrebbe più importunato Morena Roquez.. ah, se questa non fosse così insopportabilmente una costante delle loro vite!

La detestava. Non riusciva a provare un sentimento diverso, pensando a lei.

Mille volte aveva osservato quel ragazzino dai folti capelli scuri con la quale si accompagnava, e mille volte aveva girato il capo dalla repulsione; non poteva credere che in quella creatura scorresse il medesimo sangue delle carni e non riusciva a credere di non essere stata capace di impedire che ciò accadesse.

E il suo viso.. il suo bel viso, deturpato dall’acido quella notte.

Scosse il capo, contrasse ancora la mascella.

Leonor con il tempo, si era rivelata sempre più la scelta perfetta per suo figlio da non riuscire a pensare, neanche lontanamente che qualcosa, o meglio “qualcuno”, potesse insinuarsi fra loro e rovinare tutto.

Doveva far si che la ragazza divenisse i suoi occhi, i suoi orecchi, doveva introdurre in lei il dubbio e renderla accorta.

«Una cosa forse ci sarebbe.»

La vide posare il bicchiere di limonata sul tavolo e piantargli addosso curiosi occhi azzurri; si avvicinò trascinando la sedia quel tanto che bastava per ridurre la loro conversazione ad un sussurro, e la ragazza acuì l’udito sorridendo ambiguamente. «Non hai che da chiedere.»

«Gli uomini sono tendenzialmente degli esseri molto fragili, Leonor. Il mio stesso buon marito in passato ha commesso peccato, per sua ammissione così, anche l’uomo più innamorato può cadere in tentazione se provocato.» Sfilò una pausa tetra, il sorriso della giovane si trasformò in un ghigno involontario. «Sono sicura che Javier ti ama molto, ma a Fuentesauco c’è qualcuno che può minare questo suo stesso sentimento con astute movenze. Sii la sua ombra e la sua guida, te ne prego. E se ti stai chiedendo perché ti dico questo..» Giocò ad attorcigliarsi una ciocca di capelli fra le dita, prima di rispondere affilata come un rasoio. «Perché ti voglio bene e provo molta stima per te.»

E perché non riuscirei a sopportare la disfatta della nostra famiglia, pensò, ma si guardò bene d’ometterlo.

Leonor appiattì lo sguardo. «Quella donna che ha parlato a Don Estefan, convincendolo ad isolarsi.. è lei? E’ medico a Fuentesauco?»

«L’una e l’altra, sì.» Ammise e l’altra trasalì, come sfiorata da un pensiero orribile. «Come lo sai?»

«Non lo so, difatti. L’ho capito dal tono di disprezzo della tua voce.» Guadalupe avvampò, ancora una volta incapace di trattenere gli infidi sentimenti che provava per quella donna. «Nessun essere umano arriva ad odiare il medico che tenta di salvare la vita del proprio marito, se non per ovvie ragioni personali. E qui, ne abbiamo una a noi molto cara.» Si alzò, quando intravide Javier spuntare dalla rimessa e sospirò, cercando di rilassare il volto; poi girò il viso dalla sua parte, estremamente calma e sicura. «Sono un’attenta osservatrice. E anche se Javi mi ha raccontato tutto di questa donna, so cosa succede ad avvicinare un truciolo alla fiamma; capisco il motivo per cui ha evitato Fuentesauco come la peste, ma io ho i miei buoni motivi per credere che sia molto più forte di quanto tu ed io pensiamo, oggi. Tuttavia ti ringrazio, ma convengo di dargli fiducia. La fiducia dissipa l’insicurezza e la sicurezza lo terrà al mio fianco.»

Guadalupe la guardò fra lo stupore e la meraviglia. «So che avete un rapporto molto speciale e sono davvero compiaciuta e colpita da questa intesa, perdona se con le mie lagne ti ho recato offesa. Vedo che sai già cosa è meglio fare e questo è un bene per voi.»

Si alzò anche lei, stringendole la mano affettuosamente; la ragazza sapeva il fatto suo e le aveva fatto capire a grandi lettere che doveva tenere il naso fuori dai loro affari, l’avrebbe rispettata suo malgrado, pregando tutti i giorni che avesse ragione.

E se non l’avesse avuta.. beh, avrebbero trovato il modo di averla.

La sua famiglia non sarebbe annegata. Mai.


«Papiii!» Camila si buttò fra le braccia di Javier, non appena egli entrò nel suo campo visivo; il gattino scappò via fra i cespugli e quando la bambina, dalle braccia del padre lo cercò ai suoi piedi, sbuffò irritata. «Gatto cattivo!»

Javier rise di gusto, baciandole i capelli e riportandola giù.

«Quella bestiola non si farà vedere per giorni, ne sono sicura.» Leonor li raggiunse con due bicchieri, uno di limonata e una spremuta per la piccola, che l’afferrò con due mani paffutelle e impacciate. «Come è andata?»

Javier si piegò sulle sue labbra, sfiorandole in un casto bacio prima di rispondere. «Direi bene. Lorenzo non ha fatto altro che parlarmi della ragazza e della proposta, il sindaco si è dileguato quasi subito lasciandomi la gestione dell’ambulatorio e i compaesani si sono dimostrati accoglienti. Soprattutto dopo aver visto le provviste.»

«Sono felice per te. E Lorenzo?»

«L’ho perso circa a metà strada, quando gli ho indicato Legno di Quercia.»

«Legno di Quercia? Dovrei sapere di cosa parli?»

«Oh no, che sciocco! Olivia, questo è il suo nome, è imparentata ai tenutari del podere al di là dei campi. Ti ricordi? Quando ci siamo passati accanto, mi hai chiesto chi abitasse in quella maestosa tenuta in cima alla collina.»

Leonor sorrise. «Ah sì! Mh.. e tu hai risposto.. Roquez! Giusto?» Poi lo guardò impettita. «Sto cercando di tenere a mente qualche nome, ci tengo nel farti fare bella figura.»

Javier si lasciò andare in un sorriso inquieto. «Brava.» Guardò oltre le sue spalle, Guadalupe in lontananza lo guardava con ardore nelle pupille, apparentemente distaccata dalla loro conversazione, ma in realtà conscia di tutte le parole che si erano detti; quegli occhi bruciavano e un’indomita rabbia prese corpo in lui, vecchi rancori e dubbi sulla natura sincera di sua madre e di quanto avesse influito nelle scelte delle sua vita, fino ad allora. «Chi vuole vedere il tendone del nonno?» Proferì, appellandosi a tutta la calma del mondo e cercando una via di fuga da quella presenza, che adesso stagliata sotto la cupola e al riparo del sole, sembrava essere un’ombra malvagia.

«Io! Io!» Trillò la bambina.

Javier le prese la mano e consegnò il braccio libero alla moglie, che vi si aggrappò con malcelata perplessità; guardò prima lui e poi Guadalupe, rincorrersi fra sguardi accusatori e colpevoli e per la prima volta da quando erano insieme, si sentì come un’estranea. Ed ebbe forte, una sensazione di paura.


*


Il cuore gli era salito fino in gola e non era per l’impervia strada in salita per arrivare a Legno di Quercia; era per la natura del suo stesso sentimento e per le intenzioni che questo portava a desiderare.

Desiderava fare di quella ragazza una donna giusta, la sua sposa.

Aveva pensato a cento parole adatte per l’occasione, al momento perfetto, ma adesso le veniva in mente una sola parola; sposami. Sposa quest’uomo. Ed era sicuro, che non avrebbe potuto usare parole più efficaci e dirette di queste, per far capire a quella ragazza quanto ardisse che rispondesse di sì.

Così s'era fatto coraggio, ed anzi che raggiungere Villa Oleandra insieme a Javier, aveva deviato per la collina alta del paese, quella al di là dei campi di grano per raggiungere la sua bella e dichiararle tutto il suo amore.

Tutto intorno vi era pace e suo cugino aveva ragione; Fuentesauco era un posto incantevole.

Tante volte gli aveva ricordato che era un effetto effimero, dato dalla naturalezza degli elementi in completo equilibrio fra loro, ma che sarebbe svanito in fretta, non appena si fosse accorto che quella naturalezza era in contrasto con i tempi moderni e non portava nulla di buono se non perdita di tempo e crescita.

Javier non aveva mai avuto l’aria da contadino.

E tuttavia non lo era mai stato, forse.

Gli aveva raccontato poche cose frammentarie della sua vita e tutte riconducevano a Madrid, a quella vita da soldato che sembrava calzargli a pennello e a quella da medico, per la quale studiava fin da bambino; alle volte in quei suoi racconti c’era una vena malinconica, una quasi estraneità da Fuentesauco, salvo poi i rari momenti, sempre più rari da quando lo aveva conosciuto a dire il vero, in cui si scioglieva in racconti appassionati e coinvolgenti.

E tutto questo, adesso non sapeva spiegarsi bene come, gli mettevano addosso una certa tristezza per quel ragazzo che aveva imparato ad apprezzare e alla quale voleva bene tanto da chiedergli di essere suo testimone, se il giorno del suo matrimonio con Olivia avesse mai visto luce del giorno.

Arrivato in cima all’altura si fermò; la dimora che aveva davanti era maestosamente rustica ed elegante insieme, una di quelle case che certi nobili di città avevano a disposizione pochi chilometri fuori il centro urbano.

Avrebbe voluto avere accanto Benedicta in quel momento, tanto da sbattergli in faccia la disapprovazione per la scelta fatta; non che gli importasse molto il suo parere, o i soldi –il suo animo da zingaro lo portava spesso a respingere certi agi che per nascita gli venivano predisposti, convinto che minassero la sua libertà- ma Olivia ne usciva sempre troppo svalutata ai suoi occhi, ed invece la verità stava lì, in quella casa dal legno pregiato, il giardino finemente tagliato, la vista sul paese da una parte e i campi assolati dall’altra.. anche se la giovane era un tripudio di semplicità.

Tutto questo era sbalorditivo.

Si sentì piccolo, intimorito, quasi nullità.

Qualcuno proruppe alle sue spalle, schiarendosi la voce.

«Vi siete perso?» Chiese l’uomo, un signore distinto dalla capigliatura folta e brizzolata.

Alfredo Roquez, pensò, passando al rassegno le sue vesti fini e il volto affascinante; Olivia non aveva sbagliato una descrizione, parlandogliene. Parlava di lui come il tutore che si era preso cura dei suoi interessi fino alla maggiore età e cugino da parte di madre defunta proprio come l’adorato padre di Olivia, suo fratello.

Una storia molto triste la loro, accomunati da un destino che aveva visto lo sfracello delle loro famiglie fra liti e guerre sulla spartizione dei possedimenti e tedianti malattie che li avevano decimati.

«Il mio nome è Lorenzo Ruiz Navarro, signore.» Si tolse il cappello e lo avvicinò con un gran sorriso amichevole e la mano tesa nella sua direzione, a palmo aperto. «Sono qui per chiedere la mano di vostra cugina.»

Nel mezzo di elucubrazioni mentali, si era anche detto che era meglio un pugno in faccia subito, che uno schiaffo morale dopo, se lei avesse detto di no, perciò strizzò gli occhi quando terminò di parlare e porse la guancia da vero uomo.

«Ah, bene. E lei lo sa?» Dopo attimi simili all’eterno, Alfredo rispose con un sorriso dipinto in viso. «Perché ha nominato diversi affari questa mattina, ma sono certo che tutti escludevano un matrimonio.»

Lorenzo aprì gli occhi e si affrettò a rispondere, il sorriso forzato. «Temo di no, signore. Giungo quest’oggi da Madrid, per farle la mia dichiarazione. E mi rivolgo a lei per il suo consenso, dato il rapporto di parentela e fiducia che intercorre fra voi.»

L’uomo affilò lo sguardo. «Quante belle parole, don.. Navarro avete detto? Ho conosciuto certi Navarro in quel di Salamanca, dottori commercialisti se non vado errando. Li conoscete?»

«Fra i miei parenti, signore. Io discendo dai Navarro di Madrid, ma ho eseguito il dottorando presso la città che avete nominato. Lì, ho conosciuto vostra cugina.»

Alfredo sorvolò il particolare melenso. «Quindi siete un commercialista?»

Lorenzo sfoderò il suo sorriso sornione e rispose. «Mi piace definirmi un umile soldato abilitato alla professione contabile, signore.» Sostenne lo sguardo dell’uomo che vagava con un certo interesse e divertimento sugli “umili” abiti che indossava e capì di averlo colpito almeno per simpatia. «Non sono un disgraziato che cerca di mettere le mani su ciò che vi è più caro, questo vi è chiaro come acqua, solo concedetemi la possibilità di farmi conoscere, signore.» Poi esalò un sospiro delicato. «Tengo molto ad Olivia.»

Il sorriso di scherno sparì dalle labbra di Alfredo, che lo afferrò per la spalla e le scosse vivacemente. «Vieni, andiamo dentro, che a ragionar sotto al sole non conviene.» Gli fece strada, ma si voltò a guardarlo. «E chiamami pure Alfredo.» Il ragazzo sospirò e annuendo lo seguì di certo più sollevato.


La casa era un’opulenza di stile rustico, un vero inno alla campagna, con tocchi di elegante raffinatezza qua e là; ciò che lo colpì furono gli arazzi alla parete in netto contrasto con le travi a vista in legno scuro, raffiguranti donne e uomini da soli o in compagnia. Saltò all’occhio la splendida raffigurazione di una donna in abito da sposa, sopra il camino nella stanza principale, accanto a dei vasetti di erbe aromatiche; sembrava essere molto giovane, le guance piene e rosse della fanciullezza e i capelli scuri vaporosi, quasi corvino. Aveva degli occhi enigmatici, che il pittore aveva saggiamente illuminato con dei tocchi di pittura per esaltarli ancora di più; si percepiva nettamente, che ne era rimasto affascinato anche lui. Deglutì imbarazzato, come se poggiare lo sguardo su quelle labbra piene fosse peccato, volgendo lo sguardo alle tenue tinte della tappezzeria intorno, cercando conforto.

«E’ quello l’effetto sperato.» Alfredo lo raggiunse, facendo segno di accomodarsi sul sofà, mentre gli porgeva un bicchiere di vino bianco che ben conosceva; il Cabrhero, l’investimento per la vita che la sua giovane amata aveva ottenuto lavorandosi uno dei più grandi viticoltori del paese, Mariano Nieto Cabrera da Madrid. Da lì, il suo nome curioso, un innesto dei loro cognomi; era rimasto colpito ed affascinato quando gli aveva raccontato tutta la storia. Alzarono i calici ed Alfredo proseguì. «Mia moglie ha detestato quel vestito dal primo momento che l’ha visto. Ma era così bella che non ho saputo resistere; la pittura è una mia grande passione. Come lei del resto.»

Lorenzo guardò velocemente il dipinto, poi guardò lui esterrefatto.

«Oh sì è proprio lei, per quanto sia possibile credere che un angelo sposi un comune mortale come me. E sa la cosa divertente? E’ ancora così.» Rise, cercando di stemperare l’imbarazzo nel suo ospite, che trattenne un risolino portandosi il vino alle labbra. «L’ho sposata che era molto giovane. Abbiamo un figlio, Riccardo, e la nostra vita come può vedere..» Indicò, roteando l’indice «..è fatta di cose genuine. L'apparenza inganna giovane Navarro.»

Lorenzo inspirò profondamente, prima di lasciare che il vino confortasse i suoi nervi tesi.«Mi prenderò cura di lei. Sempre, questo posso assicurarglielo. Capisco le sue perplessità.. il giovane ragazzo di città, quello con una buona famiglia alle spalle che rattoppi tutti i problemi.. ma io non sono solo questo, don Alfredo. Sono un soldato come le ho detto e conosco la disciplina, il duro lavoro e la fatica. E in più sono innamorato di Olivia, profondamente e non intendo disonorarla. Mi guardi, le sembrerò uno sbruffone, un arrogante, ma sono sicuro di piacerle di già almeno un pò.. quindi mi dia il suo consenso e faccia sì che questa unione abbia inizio.»

Alfredo sul punto di replicare, fu interrotto da una voce emozionata e incrinata dal pianto.

«Ce l’hai gia!»

Olivia lo raggiunse correndogli incontro; Lorenzo si alzò nell’attimo in cui ella gli finì fra le braccia.

Lo abbracciò forte, dinnanzi agli occhi di Alfredo che attendeva con compostezza, ma con una gioia velata nello sguardo e intenerito dalla scena; la ragazza si staccò e fissò il parente in trepida attesa.

«E’ l’uomo migliore che potesse capitarmi. E lo amo.»

Alfredo si alzò, le accarezzò la guancia come se cercasse in quegli occhi verdi di splendente amore, la bambina che con lo stesso sguardo gli chiedeva di insegnargli ad arare un campo; una lacrima scese dai suoi occhi e morì sulle labbra rosso rubino. «Lo ha avuto dal primo momento che ha aperto bocca. Auguri ragazzi miei.»

Lorenzo gli strinse forte la mano ma l’altro lo tirò con gesto secco a se, abbracciandolo; dopo un primo e breve momento di imbarazzo, ricambiò quella stretta e senti dentro di sé un moto di benessere e di speranza.

La donna che amava aveva detto di sì e la sua famiglia, uno straordinario uomo del quale stupidamente aveva avuto paura e riserbo, non li avrebbe ostacolati; non poteva chiedere di più, non avrebbe desiderato altro.

«Ti chiederei di trattenerti per il pranzo, mia moglie è sgattaiolata all’ultimo momento ma sarebbe stata entusiasta di fare la tua conoscenza..» Guardò verso Olivia con aria di rimprovero, provocando nella giovane un risolino. «Ma immagino tu non voglia offendere chi ti ha per ospite e che certamente si starà chiedendo dove sei finito.»

Lorenzo alzò gli occhi al cielo divertito. «Difatti Donna La Fuente ha giurato di uccidermi se non sono a tavola a provare il suo cordero guisado. Dicono che sia l’agnello più buono di tutta la provincia!»

Olivia e Alfredo si scambiarono un’ardita occhiataccia; la ragazza rise chiassosa tentando di sviare l’attenzione e infilandosi al braccio del ragazzo, lo obbligò a prendere la via per l’uscita.

«E’ meglio andare, adesso, abbiamo un mucchio di cose di cui parlare.. a più tardi Alfredo!»

«Arrivederci don! E grazie ancora!» Il poveretto si fece trascinare fuori, ignaro di tanta fretta. «Ho detto qualcosa che non andava? L’ho offeso?» Si infilò il cappello e la guardò con occhi smarriti. «Accidenti! Mi sembrava fosse andato tutto bene.. ce l’avevo in pugno e..»

Olivia lo azzittì, con due dita premute sulle sue labbra. «Tu non c’entri niente, sta tranquillo.» Sorrise e sostituì la sua mano con la bocca; Lorenzo sciolse le spalle a quel contatto e l’abbracciò, restituendo un bacio passionale. Quando si furono staccati, Olivia guardò alle imposte; la casa da fuori sembrava disabitata e silenziosa, la cosa la fece sorridere. «Ma forse è meglio se tieni a mente che quel nome qui.. non è molto gradito.»

«Chissà com’è lo immaginavo.» Lorenzo imitò l’espressione terrea di Alfredo.

Olivia sospirò. «I Roquez e i La Fuente sono due famiglie molto potenti nel commercio, la loro rivalità nasce in tempi in cui ne tu ne io eravamo di questo mondo. E’ un concetto molto rurale, ma per loro questa è vita, capisci?»

E’ vero, pensò. Olivia gliene aveva già parlato.

Roquez. Un pensiero legato ad un ricordo passato, balenò nella sua mente.

Roquez.. ripassò mentalmente, proprio come i Roquez ..che anche Javier aveva nominato!


I Roquez sono una famiglia di antica tradizione, nel mio paese. Quell’uomo è nato per invecchiare e morire a Fuentesauco.”


Ricordò con un brivido quella conversazione; aveva parlato di morte proprio dell’uomo che pochi istanti prima, lo aveva abbracciato, accogliendolo nella sua famiglia. Si sentì a disagio e scosso.

«Sì. Si hai ragione Inspirò fissando il terreno con occhi vuoti. «Starò più attento. Più attento, sì.»

Olivia lo guardò al limite dello sconcerto. «Sai di lei, vero?»

Bisognava essere proprio rimbambiti per aver sorvolato su un particolare del genere, pensò, annuendo tristemente, e portandosi entrambe le mani fra i capelli. «Sono stato uno sciocco! L’ho convinto a venire qui credendo che la sua presenza mi avrebbe aiutato.. sono stato così egoista.. fremevo dalla voglia di chiederti in sposa! Oh quale idiota sono! Non ho prestato attenzione alle sue parole.. al particolare più importante di tutta la faccenda!»

«Calmati..» Olivia lo riscosse per le spalle, dolcemente. «Che sia stato tu oppure no, cosa cambia? E’ un adulto consenziente e un uomo sposato, Dio non voglia che non sappia come comportarsi!» Poi i suoi occhi si accesero, di una malizia che gli infiammò l’animo; gli allacciò le braccia intorno al collo e lo baciò ancora. «A tua discolpa c’è da dire che non abbiamo passato molto tempo a parlare molto delle nostre famiglie..»

Lorenzo si guardò attorno agitato al sol pensiero che qualcuno potesse udire i loro discorsi arditi.

Olivia era capace di tirare fuori una passionalità che lo faceva andare fuori di testa e questa sua caratteristica, il sentirsi libera dagli schemi e le imposizioni d’etichetta, lo rendeva conscio sempre più che fosse la donna con la quale condividere il resto dei suoi giorni. Ma qualcuno doveva pur tenere il controllo o avrebbero rischiato di bruciarsi.

La trascinò via dalle imposte per condurla in un angolo riparato del giardino, dove la tirò a se con voluttuosità e al limite della pudicizia. «Queste sue parole nascondono un messaggio velato, futura signora Navarro?»

Le accarezzò il fianco, fasciato da uno svolazzante tessuto, riscoprendolo deliziosamente arrotondato; Olivia, il petto ansante e l’emozione a stringergli la gola, lo scansò di poco.

«Aspetto un bambino.» Gettò in un sospiro. «L’ho saputo da poco, volevo trovare il modo giusto per dirtelo, probabilmente alla fine dell’estate, quando avrei raggiunto Madrid per i miei affari. Ma adesso che sei qui.. e conosco le tue intenzioni..» Inspirò per trattenere il pianto, una sorta di sfogo per quel segreto che non aveva ancora potuto rivelare, proprio a lui che era il suo amore più grande, a causa di sciocche paure. «Oh Dios! Mi sento così stupida se ci ripenso!»

Lorenzo le prese il viso fra le mani, guardandola intensamente. «Come hai potuto credere che non fosse la notizia più bella che potessi darmi? Oh cielo, Olivia!» La strinse forte, unendosi alla commozione. «Marito e padre.» Sussurrò con voce rotta.

Javier aveva ragione, avrebbe capito cosa significava preoccuparsi per qualcuno più di se stesso, solo nel momento in cui sarebbe stato disposto a sacrificare ogni sforzo e la sua stessa vita pur di proteggerlo. E adesso, guardando quella ragazza meravigliosa e il loro piccolo miracolo, sentì forte e potente quell’istinto farsi spazio nelle viscere e nulla più fu come prima.


*


Accovacciata sul pavimento, non si accorse nemmeno della porta che veniva spalancata.

Udì solo dopo qualche istante, i passi sulle aste di legno e la voce sgomenta dell’uomo che l’aveva trovata così.

La rana era matura; il piccolo animale sarebbe morto da lì a qualche ora, secondo la tecnica di Aschheim-Zondek -che consisteva nell’iniettare l’urina della presunta puerpera nel corpo della bestiola e se quest’ultima avesse ovulato, significava che la donna era incinta- per non incappare in un falso positivo, dato che il primo esito era risultato positivo.

Ciò che la rendeva inquieta non era il macabro ma necessario sezionamento dell’animale, quanto il risultato stesso, l’ulteriore risposta da aggiungere allo shock iniziale.


Quel test, era il suo.


«Chi va là?»


Alzò la testa, piegata fra le mani alla ricerca di coraggio, calma e Dio solo sapeva cosa.

Quando era ragazzina e combinava qualche guaio lei non faceva come tutti gli altri bambini, non faceva come Javier che andava a nascondersi sotto al letto lasciando che le urla disumane di sua madre aleggiassero nella stanza, lei si accovacciava in qualche angolo tutto suo e meditava, pensava, sperava e aspettava.

Che la tempesta passasse.

Ma mentre se ne stava seduta lì, ad aspettare che la burrasca interiore passasse, non faceva che chiedersi, “Che stai facendo?”.

Un altro figlio. Non ci aveva mai pensato.

Dopo la nascita di Riccardo, non aveva realmente creduto che sarebbe potuta diventare madre ancora una volta e sebbene le probabilità era altamente numerose –Alfredo era passionale e appassionato- chissà come, questa le sembrava una possibilità assai remota.

Un altro figlio, pensò nuovamente.

Una creatura da mettere al mondo, da amare e allevare.. un bambino.

Un bambino. Il figlio di Alfredo.

Sorrise, ma quel sorriso divenne una curva puntata verso il basso.


«Javier?» Esalò di soprassalto, trovandoselo viso a viso e inginocchiato; l’impatto fu forte, ma non così forte come anni prima.

«Ah, stai bene.» Borbottò lui, rialzandosi come se la scarica di adrenalina fosse salita tutta insieme. «Pensavo ti fossi fatta male, lì accucciata.. mi sono preoccupato.»

Morena rise. E poi si stupì d’averlo fatto.

L’imperturbabile Javier La Fuente, medico di Madrid e membro della guardia civil, era preoccupato perché se ne stava rannicchiata sul pavimento; non era cambiato di una virgola, il solito perfezionista attento al prossimo.

«Mi dispiace averti fatto preoccupare inutilmente.» Si alzò con un sorriso di scherno, lui fece cenno d’aiutarla ma negò con il capo. «Stavo solo riflettendo.. prima che piombassi da quella porta.»

Javier alzò un sopracciglio. «E di grazia, quello è il tuo solito modo di riflettere?»

«Sì.» Disse altezzosa, ma con un vago sorriso all’angolo della bocca.

Si guardarono.

Si guardarono intensamente e pieni di sorrisi che sfociarono in risa, dapprima isteriche, poi di cuore, a pieni polmoni, liberatorie quasi; poi con lacrime agli occhi, tutto cessò come era arrivato e il silenzio tornò plumbeo intorno a loro.

«Sei un medico.» Morena fu la prima a parlare, danzando intorno al tavolo dove l’aspettava il verdetto finale.

«Anche tu.» Rispose il ragazzo, con una punta d’orgoglio nella voce. Poi cambiò espressione. «E sono felice di constatarlo, mi chiedevo quando ti saresti affacciata; hai con te tutte le cartelle dei miei pazienti.»

La ragazza levò il viso ai suoi occhi, il sorriso all’ingiù. «Javier io..»

Bloccò ogni sua parola scuotendo le mani difronte al viso. «Ti prego, non è mia intenzione rovinare questo equilibrio, era un appunto del tutto innocente. Ho davvero bisogno di quelle cartelle per iniziare il mio lavoro.» Si guardò attorno in maniera distratta e proseguì. «A dirla tutta, mi sembra un miracolo che stiamo parlando come nulla fosse.»

La ragazza si accese. «Non sembravi molto loquace l’ultima volta..» Poi inspirò, indicando il cassetto al di sotto della scrivania. «Lì dentro c’è la chiave per questo scomparto.» Batté la mano sull’anta più in basso della dispensa dove venivano conservati i medicinali e gli strumenti medici e sorrise. «Le cartelle dei pazienti sono qui, disposte in ordine alfabetico e con un etichetta colorata per ogni singolo caso. L’elenco dei casi è appeso all’interno, come promemoria, ma imparerai in fretta cosa affligge la maggior parte di questa gente.»

«La noia?» Asserì lui ironico, sporgendosi verso il tavolo per recuperare la chiave. «Non vedo cosa avrei potuto dire.» Sussurrò poi con voce piatta, piegandosi accanto ad ella per recuperare le cartelle dal mobile. Quando ebbe davanti i fascicoli, sussultò involontariamente; c’era una vasta raccolta di fogli tenuti in dispense di carta grezza e spessa, rilegate con del nastro di cotone, tutto rigorosamente bianco e vergato con una scrittura precisa, senza sbavature. Sorrise compiaciuto e volse lo sguardo alla sua destra; la lista dei casi era una pergamena piuttosto lunga, la staccò via dall’anta con forza, scorrendo con gli occhi le varie diciture.

«Non curerai solo noia.» Rispose lei con voce profonda. «E sarà meglio che tu sappia cosa rispondere; questa gente ne ha viste parecchie nel corso degli anni. Ti sarai accorto che tutto è fermo esattamente al giorno in cui te ne sei andato.»

Javier annuì compito, mentre slegava alcuni incartamenti e si metteva comodo sul pavimento esattamente dove aveva trovato Morena.

«Direi che è peggiorato.» Ammise con rammarico. «Alcuni di questi casi a Madrid sono stati debellati da anni.» Poi alzò il volto e incrociò il suo sguardo, consapevole che lo stesse guardando. «Non volevo offendere il tuo operato. Anzi, speravo che ti affacciassi presto per ringraziarti di quello che hai fatto per mio padre.»

«Non ho fatto nulla che non avrei fatto per chiunque altro.»

«Sai cosa intendo.» Disse lui senza staccare gli occhi dalla cartella “La Fuente.”.

Morena alzò le spalle e si sentì contenta d’essere passata in quello studio, anche se il motivo non aveva smesso di darle pena; neanche in migliaia di anni avrebbe immaginato di vivere un momento così “normale” in compagnia di Javier, un momento di ordinaria amministrazione, due medici che si confrontano sulla vita e il progresso.

Accarezzò l’idea di quella che sarebbe potuta essere la loro vita senza tutto il dolore passato e si ritrovò a sperare che da lì in eterno fosse sempre così. Eterno. Schioccò la lingua.. non aveva mai desiderato l’eterno.

«Javier, sinceramente, cosa avrei dovuto fare? Spingerlo a suon di calci fuori dallo studio?» Rise e il ragazzo staccò gli occhi dalle carte per guardarla stupito di quel suono piacevole. Rise anche egli.

«E’ quello a cui ho pensato.»

Morena tornò seria, i loro sguardi anche. «Visto che hai preso tu il discorso.. sai che dovremmo allertare la comunità, se la streptomicina non dovesse dare gli effetti desiderati, vero? Non esistono le condizioni ideali perché il virus resti un ceppo isolato. Forse sarà un bene se tuo padre prenda in considerazione l’idea di trasferirsi in un luogo salubre, adatto alle sue condizioni.»

«Dovremmo alzare i dosaggi per prima cosa, non credi?»

Morena corrucciò la fronte. «Non lo ha già fatto il suo medico?»

«Il suo medico sei tu.» Disse Javier come se fosse la cosa più ovvia; poi si guardarono consci e scossero il capo simultaneamente. «Mia madre.. certo!» Javier si alzò, gettando la cartella sulla scrivania con stizza. «Questa storia deve finire, non posso credere che siamo in ritardo sulla cura perché lei si oppone.. si oppone.. non posso crederlo vero!»

Morena sentì un brivido correrle lungo la schiena. «Puoi dirlo Javier.. non avere timore di offendermi.»

«Non si tratta più di te!» Berciò lui, battendo un pugno sul tavolo. «E’ di mio padre che si parla, come può essere tanto cieca? Cosa le abbiamo fatto, per meritarci tanto?!»

La furia di quell’uomo bastò a intimorirla, farla rimanere in silenzio.

Cosa poteva aggiungere, se Javier aveva espresso in una sola richiesta ciò che pensava già?

La odiava a tal punto che avrebbe ucciso suo marito, pur di non permetterle di sfiorare con la sua presenza tutto quello che gravitava intorno a suo figlio. Si sentì meno, barcollò, annusando l’odore di morte che già una volta aveva accompagnato quella donna e rimise tutto, anche l'anima.

L’uomo le fu addosso, sorreggendola; con una mano le alzò la fronte e con l’altra la tenne stretta per la vita.

«Ti prego..» Sussurrò lei, asciugandosi la bocca con il fazzoletto che il ragazzo prontamente le passò.

«Non cominciare, per favore!» Protestò, ansioso. «Non ti lascio sola!»

Non ti lascio sola.

Si sentì stanca e sopraffatta, ma soprattutto stanca e nauseata.

La contentezza di averlo rivisto sparì presto e al suo posto solo una mera paura.

Si portò istintivamente le mani al grembo e si lasciò andare in un gemito gutturale che fece preoccupare Javier ancora di più; sentì le sue braccia afferrarla dolcemente per le gambe per portarsela al petto e in modo ancor più delicato, posarla sulla lettiga dell’unica parete libera.

«Ti prego..» Esalò ancora, come se i pensieri scalpitassero ad uscire; Javier le dava le spalle, battendo nervosamente il piede in terra. Lo tirò per la giacca, strattonando due, tre volte, prima che si convinse a girarsi.

«Che c’è?!» Chiese contrariato.

«Non fare nulla di stupido.» Disse, con occhi dilatati. «Sei tu il suo medico, adesso. L’importante è questo.» Inspirò, cercando di calmarsi; gettò un’occhiata rapida alla rana e protestò ansimando, certa che non le sarebbe servito a nulla un contro test, anche se la sua professione richiedeva scrupolosità; era incinta, contro ogni ragionevole dubbio. «Pensa solo a lui, non voglio essere causa di altro male.» Una lacrima muta e silenziosa scivolò sulla guancia andando ad infrangersi sulle labbra di Javier che, come quando erano solo dei ragazzini, la portò via in un bacio.

«Mi opporrò, stavolta.» Sibilò, accarezzandole i capelli come ad una bambina e rialzando il capo a sua volta.

Era bello, pensò.

Anche nel dolore riuscì a scorgere il suo viso perfetto e immutato.

Ma quella bellezza, dalle rimembranze della sua paura, adesso le sembrava fredda cenere.

«Ti ucciderà. E’ il solo modo per mettere fine a questo odio. E farà sì che io sia presente, perché quella sarà la mia punizione.. vederti morire.» Si tirò su, scostandolo freddamente. «Devi starmi lontano Javier, tu non sai di cosa è capace.» Scivolò dalla lettiga e in fretta si portò accanto al tavolo dove giaceva la rana; brandì il bisturi e provocò le incisioni a regola d’arte, in freddo mutismo.

L’uomo scosse il capo quasi ad allontanare quelle parole disgraziate, poi la fissò, muoversi come un automa.

Si avvicinò, riscosso dalla portata di quel gelido ghiaccio sceso su di loro. «Di cosa stai parlando?»

Morena proseguì senza prestargli ascolto. «Quando avrò finito qui, non sarai più costretto a parlarmi. Non le darò modo di torturarti.»

Poi ci fu un attimo di silenzio. E un lungo sospiro della ragazza, seguito da una risatina isterica.

Javier guardò all’animale e poi alla donna. «Complimenti, avrai presto una puerpera da accudire.»

Dalla sua bocca uscì un lamento fioco.

Un figlio.



«Aspettami!»


Era corsa via, sulle gambe snelle di quando era solo una ragazzina.

Non era cambiata affatto; i lucidi capelli neri, morbidi sulle spalle, gli occhi intelligenti e grandi di oro fuso nel color nocciola e quel broncio che l'aveva sempre contraddistinta. Anche la sua lingua biforcuta non era mutata, la sua parlantina appuntita e il suo schernirlo per ogni cosa.

Morena era esattamente la stessa ragazza che aveva lasciato. Non era stata un sogno, dunque.

E la stava inseguendo. E seguiva un istinto che lo portava a desiderare ancora qualche momento, sentirla parlare, prenderlo in giro persino.

Aveva sbattuto la porta dello studio malamente e malamente si era messo le chiavi in tasca per poi sentirle scivolare via, ma continuava a correre per raggiungerla, farsi raccontare cosa quegli occhi spauriti non avevano avuto coraggio di raccontare, mettere fine a quel gioco stupido e spaventoso. Era stato uno sciocco a credere che le cose sarebbero andate a posto senza il bisogno di sforzarsi troppo.

Morena era un incavo in cui riposavano i dolori addormentati che aveva vissuto.

Ed anche lui. Perché mentre correva, sentiva ogni lancinante fitta che quegli anni addietro, al buio della lettiga di caserma, aveva provato.

Ma lei era stata sempre più veloce. Sempre un passo più avanti e fuori il corso principale, quando si trovò a sbattere contro delle braccia apparentemente sconosciute, provò il dispiacere di averla persa ancora una volta.

«Javier!» Lorenzo era il muro contro il quale era andato a sbattere; lo guardò con disperazione e con la stessa disperazione quel giovane contraccambiò. «Grazie al cielo sei tu, Javier!» Quelle parole bastarono a svegliarlo dal torpore della perdita per gettarlo in uno molto più grande e più tetro. «Tua madre mi ha mandato a chiamarti, devi correre alla villa, tuo padre ha avuto un malore!»

Si sentì morire e non riuscì più a distinguere dove cominciasse e finisse il dolore.


*


L'acqua aveva un potere terapeutico, sentiva il suo benefico tocco sulla pelle e per questo provava pace.

Il capo era chino all'indietro, sulla porcellana fredda e bianca della pregiata vasca che Alfredo aveva fatto incassare nel muro; era stato il suo regalo di compleanno l'anno passato, diceva che se la meritava una vasca degna di questo nome, dopo le fatiche di una giornata.

Se avesse voluto, quell'uomo avrebbe messo il mondo ai suoi piedi e sapeva che non servivano in cambio certo chissà quali fatiche.

L'amava incondizionatamente e per questo, non c'era attenuante che bastava.

Distesa in quel mare caldo, non si sentiva però all'altezza di niente.

Javier La Fuente era ossessivamente entrato a far parte dei suoi pensieri; pensava costantemente a come gli era sfuggita via, al suo modo di parlarle come se fossero ancora buoni amici e sopratutto al suo richiamo primordiale. Aspettami, le aveva urlato dietro.

Come se avessero davvero e ancora qualcosa da dirsi.

Qualcosa a cui rimanere aggrappati che non fosse solo l'incombente ombra di Guadalupe Garcia su di loro; quella donna era il male e lei lo percepiva attorno, sentiva il suo influsso negativo che come una mano pesante si era messa sul suo capo.

Schiaffeggiò via il pensiero, schiaffeggiando l'acqua che s'era fatta densa melma, oltre i suoi occhi appannati e offuscati dalle lacrime.

Era tornato l'odio.

E questo la terrorizzava a morte.

Alfredo si affacciò sulla stanza, lo sguardo greve, una ruga a solcargli la fronte.

La stava guardando come si guarda un fenomeno da baraccone, solo senza risa.

«Non hai toccato cibo.» Disse, fermo sulla stipite che divideva la camera da letto dalla toilette. «Sei qui da molto, ormai.»

Morena gli fece cenno d'avvicinarsi, sfregandosi malamente gli occhi. «Ho perso la cognizione del tempo. Sono molto stanca.»

L'uomo si avvicinò, inginocchiandosi alla grande vasca e poggiandosi con le braccia per il suo bordo; non le toglieva gli occhi di dosso, mentre con una mano carezzava l'acqua ormai tiepida e torbida di sapone. Morena allungò una mano verso di lui, leggiadra.

«Sembri molto stanco anche tu.»

Alfredo annuì. «E' stata una lunga giornata.»

La ragazza sospirò, chiudendo gli occhi e abbandonando il capo all'indietro. «Javier La Fuente è tornato a Fuentesauco.» Esalò dal nulla, come se emettesse un verdetto senza speranza. «E' il sostituto di Pena che stavamo aspettando.» Riaprì velocemente gli occhi, Alfredo la stava guardando senza tradire emozione.

«E' per questo che piangi?» Chiese asciutto. «Che sei qui e non vuoi parlare?»

«Piango perché sono esausta. Non travisare emozioni che non hanno ragione d'esistere.»

«Ed è così? Devo temere il tuo silenzio o credere che va tutto bene?»

«Va tutto bene.» E provò il rimorso per quella piccola e innocente bugia. «Non sono in pena per i motivi che credi tu.»

Alfredo prese un lungo respiro, socchiudendo gli occhi. «Ho da dirti qualcosa anche io.» Morena si alzò con il busto, guardandosi velocemente intorno.«Agueda ha messo Riccardo a dormire da un po'.»

La vide sospirare di dispiacere e poi quasi subito di sollievo; quando rilassò le spalle gli rivolse un sorriso di gratitudine.

«Entra anche tu.» Disse in tono pacato, allungando una mano. «Parlami da qui.» Indicò l'acqua e l'uomo si alzò, liberandosi della camicia e dei pantaloni in due mosse piuttosto veloci; tirò un sospiro di sollievo nel vederlo accontentarla.

Il corpo tonico di Alfredo entrò a contatto con l'acqua, che di riflesso sciabordò oltre gli argini; le sue mani grosse, da contadino, si tenevano salde al bordo, mentre le sue lunghe gambe le attorniavano la vita. La spinse verso di lui con erotica riluttanza, al che gli si trovò sopra senza nemmeno rendersene conto. «Di cosa vuoi parlare?» Sospirò sulle sue labbra con voce rotta.

«Sapevo già fosse in paese.» Esordì. «Non sai chi ha avuto la brillante idea di bussare alla nostra porta questa mattina.»

«Chi?» Chiese con voce flebile.

«Lorenzo Ruiz Navarro.» Ripeté, facendo il verso al ragazzo. «Pretendente di nostra cugina Olivia, nonché amico di quella gente.» Al pronunciare di quel nome si scostò, guardandolo come se cercasse di capire se dicesse il vero. «E' venuto qui e mi ha chiesto la sua mano con una tale spavalderia.. non aveva timore, capisci? Ho avuto immediatamente il sospetto che sapesse già tutto di me.. e di noi.. fino a quando non ha fatto il nome di quella famiglia.. e ho capito tutto. Quello che non sapevo, lo hai aggiunto tu.»

Una prova, pensò Morena; l'aveva messa alla prova. Si morse il labbro, avvampando; distolse lo sguardo dal suo viso e prese a cercare la grossa spugna sul fondo della vasca per cospargerla di sapone e tamponargli le braccia.

«E lui com'è?» Chiese per scacciare quel pesante e imbarazzante silenzio.

«Arrogante. Affascinante. Tuttavia sincero, nel dichiarare i suoi sentimenti.» Si lasciò accarezzare dalle mani della moglie che diligentemente lo stavano lavando con la stessa grazia e delicatezza usate per un bambino, chiudendo gli occhi estasiato. «Mi ha ricordato me alla sua età.»

«Olivia mi ha detto che è un gran conquistatore.» Berciò Morena insinuante al suo orecchio, di colpo rinfrancata. «E' questo che mi hai tenuto nascosto fino ad ora, don Roquez?» Alfredo aprì gli occhi nell'istante in cui la ragazza stava per premergli giocosamente la spugna sul viso, bloccandole il polso con fermezza; il suo sguardo brillava di una fiamma ardente, un misto di rabbia, desiderio e angoscia.

«E tu? Cosa mi nascondi?»

L'attirò a se con prepotenza baciandola come volesse morsicarla, le parole ingoiate nella sua stessa gola riarsa dalla medesima passione; fu un bacio primitivo, senza pudore, carnale che quando si staccarono, dalle labbra di Morena uscì un rivolo di sangue.

La ragazza lo leccò via spudoratamente e allo stesso modo gli si avventò addosso; con una sola mossa Alfredo la spinse per il bacino verso di lui, dove nudo e pronto se ne stava per accoglierla. Morena mugolò al contatto delle sue mani che cercavano la via per possederla e quando le fu dentro, il mugolio divenne un sussulto roco e improvviso, come lo stupore che provò alle spinte veloci che le mani di Alfredo comandavano cingendola per i fianchi. Fu tutto molto rapido, senza lamenti o gemiti. Una passione silenziosa, fatta di sguardi, mani che si tenevano strette nelle mani, gambe che si stringevano ad altre gambe e poi ci fu un boato interno, nei loro cuori e solo due sospiri sommessi in due petti ansanti che si alzavano e abbassavano allo stesso ritmo, l'uno contro l'altro.

«Ho amato due sole donne, Morena.» Alfredo ruppe il silenzio, parlando con voce spezzata e il respiro corto. «Tu sei una di queste.» Poi senza aggiungere nulla, si tirò su, tenendola stretta nel suo abbraccio. L'acqua grondava dai loro corpi nudi e caldi di sesso; si portò al baule nella stanza attigua, dove recuperò un panno di lino fresco che adagiò sulla donna e sempre senza fiatare, la fece scivolare sul letto, al caldo e al sicuro.

Quando si scostò, Morena aveva gli occhi lucidi. «Ti prego resta, non andare.»

«Non hai bisogno di pregarmi. Sono qui e intendo rimanere.»

«Ho bisogno di te.» Continuò, con estrema indolenza nella voce.

«Sono qui.» Disse lui, sdraiandosi sopra al suo corpo; il calore che emanava Alfredo bastò a calmarla. Chiuse gli occhi inondati ormai di lacrime; Alfredo le tolse via dalle guance, con i pollici grinzosi del lavoro dei campi. Quel contatto, quel ritrovare la quotidianità che le era appartenuta fino a quel momento, fece sì che i suoi morbidi occhi nocciola si aprirono sorridendo. «Resta qui..» Sussurrò lui, baciandoli. «Resta qui con me.»

Morena gli allacciò le braccia al collo e la furia di passione, si trasformò in lenta e deliziosa notte d'amore.


*


La brezza estiva della notte, entrava dalla finestra come un sussurro.

Accarezzava ogni angolo, ogni viso tramortito in quella grande stanza dal sapore liberty, in toni freddi del bianco asettico ed essenziale.

Estefan si era addormentato, abbattuto dalla massiccia dose di cortisone e calmanti, il respiro lento e regolare, dopo la crisi avuta un'ora prima; Javier gli era accanto e in poltrona, in dormiveglia, il breviario di medicina stretto fra le mani, le labbra che si sfioravano in un sussurro.

Stava pregando, sebbene la sua prima fede, la scienza, gli ricordasse che quello era solo il primo passo verso il destino, che l'uomo piazzato e disteso sul letto, il leone che era stato e che era con la criniera di capelli nero inchiostro e bianco latte sparsa sul cuscino, avrebbe compiuto prima di lasciare definitivamente questo mondo.

Leonor era all'altro capo del letto, la mascherina premuta sulla bocca che, contro ogni intimidazione di suo marito, aveva finito con l'accettare di indossare pur d'essere presente e d'aiuto; recitava anch'ella le sue preghiere dalla bocca come petali di rosa giovane, mai sporcata dall'orrore.

Il gelo ammantava le loro anime, sebbene nel camino a parete crepitasse un piccolo focolaio.

E la brezza estiva era solo una puntura di spillo, a confronto.

Estefan rinsavì, tossicchiando.

Javier aprì gli occhi come colpito da un fulmine; si alzò, brandendo la candela dal comodino.

«Padre sei con noi?» Disse, facendola oscillare dinnanzi ai suoi occhi; l'uomo reagì, muovendoli da una parte all'altra.

Leonor pigolò, stringendogli la mano. «Sono Leonor, tua nuora, mi riconosci?»

Quello la guardò impassibile, i due giovani si scambiarono un'occhiata perplessa, Javier annuì attirando la sua attenzione.

«Ricordi qualcosa? Il tuo nome? Il mio?»

«Certo.» Affermò sicuro, le pupille a mano a mano di nuovo dilatate. «Sono Estefan La Fuente, figlio discendente dei primi insediati di Fuentesauco; Vinicio La Fuente, mio padre, è nato in questa casa e suo padre prima ancora di lui.» Girò il volto verso il ragazzo e lo indicò. «Tu sei Javier Vinicio Garcia La Fuente. Mio figlio.» Il ragazzo sospirò di sollievo e lo guardò con un enorme sorriso di gioia.

«Bentornato.» Sospirò. «Avevo dimenticato quanto fossero bizzarri i miei bisnonni sulla scelta dei nomi.»

Leonor si lasciò andare in un risolino ed anche Estefan, alzando gli occhi al cielo.

Le loro mani come niente si trovarono allacciate l'una all'altra, in un vortice di sollievo e allegria che avrebbe restituito loro per un po', la speranza di aver superato, se non la guerra, almeno una sua battaglia.


Guadalupe era sparita quando Estefan aveva perso i sensi. La luna era alta nel cielo, quando si affacciò nella stanza.

L'uomo si era addormentato, Javier chino su di lui e con profonde occhiaie infossate, gli detergeva la fronte dal sudore della febbre.

«Torna da tua moglie ci sono io adesso, avrà senz'altro un letto freddo e stanco senza te.»

Il ragazzo voltò lentamente il capo nella sua direzione e la fissò come volesse incenerirla.

«Dove eri.. quando aveva più bisogno di te?» Berciò con livore.

La donna avvampò, scioccata da tale accusa. «Avevo bisogno di raccogliere i pensieri.» Si avvicinò senza guardarlo in faccia, togliendogli malamente il panno dalle mani. «Una donna non riesce ad accettare di perdere il grande amore della vita.» Si piegò su stessa, portandosi una mano alla bocca, soffocando un singhiozzo di pianto; Javier la guardò gelido, da capo a piedi.

«Vorrei poterti credere, ma queste tue lacrime sono più false della rugiada del mattino!»

Guadalupe irata si voltò per schiaffeggiarlo, ma i riflessi pronti di Javier intercettarono il movimento fulmineo, bloccandola per il polso; quando lo portò giù con forza, si trovarono occhi negli occhi.

«Come osi! Lasciami!» Strepitò cercando di divincolarsi, ma il ragazzo non solo non la lasciò, bloccò anche l'altro braccio, avvicinando sempre più minaccioso il viso contro il suo, un'espressione furibonda a storpiargli i connotati.

«Urla quanto vuoi, nessuno oserebbe fermarmi dal voler stringere il tuo collo con queste stesse mani!» E mentre lo diceva le alzò all'altezza degli occhi, per enfatizzare il gesto e spaventarla. «Tuo marito è gravemente malato e tu non hai mosso un dito per curarlo! Si accorse di star urlando quando il silenzio della casa rimandò un eco oltremodo spaventoso. Probabilmente se l'avesse uccisa non se ne sarebbe reso conto nessuno e quando l'avrebbero fatto sarebbe stato troppo tardi. L'idea cominciava a farsi interessante. «Ti sei messa a fare la guerra a Morena Soler impedendole di portarti la streptomicina per curarlo e tutto questo.. per il tuo odio malato e il tuo rancore! Guardalo!» Gridò ancora al suo viso, ora una maschera contrita di paura. «E' vivo per miracolo. Respirava a stento quando sono arrivato.. se Lorenzo non mi avesse trovato.. adesso piangeresti la sua morte. Se t'avessi lasciata viva a guardarla..» Esalò con voce greve e asciutta. «Guardalo!» Insisté. La donna ubbidì, grosse lacrime le ricadevano giù dagli occhi. «Ne è valsa la pena? Questo è il grande amore che dici di riservargli? Tu sei pazza!» La spinse via, contro il letto e il corpo del povero uomo che sussultò dal fondo del sonno, agitandosi. «Adesso fuori di qui! Non ti permetterò di toccarlo, mai più!»

«Non oserai!» Lo incalzò lei, memore di un briciolo di irruenza, seppur con voce rotta. «Non ti permetterò di privarmi di lui! Mi appartiene Javier.. e ne tu, ne quella puttana che tenta di metterci contro per fotterti senza pietà, riuscirete a fermarmi!» Sgattaiolò dall'altra parte del letto come una bestia, trascinandosi per rifugiarsi e lì, si rialzò in posizione di difesa, i capelli arruffati, il viso paonazzo.

«Quella puttana gli ha salvato la vita!» Rispose Javier dall'altra parte del letto, una barricata fra loro, ormai. Nel mezzo, il povero Estafan ignaro.

«Sta già distruggendo la tua e glielo lasci fare!» Sbraitò lei.

Javier strinse forte i pugni, il corpo scosso dal tremore. «Non lei, tu.»

Le unghie gli conficcarono la carne, da tanta pressione esercitata per non saltare quel muro e farle male seriamente; il sangue denso e scuro macchiò il pavimento, Guadalupe seguì il suo flusso con una certo appagamento e malignità nello sguardo.

«E' qui che ti sbagli.» I suoi occhi si velarono, ma non erano più lacrime; lo guardava come se non fosse più lei a comandarli, veloci e impazziti, mentre le parole uscivano come un fiume. «Ho cercato di salvarvi entrambi, redimervi dal peccato e preservarvi dal fuoco dell'inferno e per questo mi sono macchiata di atti di indubbia malvagità, lo ammetto. Ma rifarei tutto quanto, schiaccerei chiunque si frapponesse al bene della mia famiglia, perché questa è la mia natura e non intendo cambiarla.»

Il tono della sua voce era mutato, come i suoi occhi; un lamento gutturale, figlio di una natura non umana.

I peli sul braccio di Javier si drizzarono, al segnale di pericolo che quel suono emetteva.

«Questo non avresti dovuto dirlo.» Sussurrò a voce bassa. «Avrei dovuto farlo quando ero ancora in tempo.. perdonami padre.» Levò gli occhi dalle labbra dell'uomo, leggermente schiuse come in cerca di ossigeno e inspirò pesantemente. «Darò disposizioni affinché venga trasferito nella residenza estiva di Gijòn, che ti piaccia oppure no. Respirerà aria salmastra e vita.. lontano da te e dai tuoi riti pagani e impuri.» Le diede le spalle, raccogliendo le sue cose; l'uomo disteso sembrava sereno, dal suo sonno imperturbabile. «Mettiti contro di me e non ci sarà nessuno stavolta a salvarti dalla furia cieca che ti riserveranno, quando sapranno chi sei veramente.»

«Lui morirà.» Asserì Guadalupe dal lontano angolo della stanza, lo sguardo perso nel vuoto.

«Sta già morendo. E tu sei troppo sciocca per accorgertene.»

La guardò un'ultima volta ed anche se motivato da un incredibile forza di volontà e dalla consapevolezza che non le avrebbe più permesso di fare del male, ebbe netta e consolidata la sensazione di averne veramente paura; Guadalupe Garcia era sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo e generato e fin da piccolo era stato educato affinché l'adorasse. Forse troppo. Quando aveva osato chiedere perché, suo padre le aveva risposto che ne lui, ne nessun altro, avrebbe capito quanto ella li amasse. Più della sua stessa vita.

E così era stato. Si erano amati senza fine, senza domandarsi più il motivo di tanto amore.

Fino a quella sera maledetta, a quel giorno in cui aveva capito chi fosse sua madre.

Una donna con seri problemi di autostima e forse qualche latente lacuna mentale che negli anni era stata compensata con il tanto amore.

Quel tanto amore era la chiave di tutto, ne era certo. E avrebbe fatto qualsiasi cosa per scoprire cosa celasse.

Ma adesso c'era suo padre da salvare, o per meglio dire, accompagnare nel suo ultimo viaggio.

Doveva preservarlo da quel tanto, troppo amore che sarebbe stata la sua tomba, prima di ogni tempo.

«Digli addio. O per te sarà la fine.»

E girandosi sui suoi passi, andò via in silenzio.


Si accompagnò alla sua stanza sui piedi pesanti e le membra stanche.

Quei corridoi lugubri sussurravano le loro imprecazioni, ne era certo, sentiva gli occhi della notte sulle sue spalle.

Con se un fardello grande da portare, ma necessario; stava scindendo la sua famiglia, presto non sarebbe rimasto che il nulla, dei signori antichi di Fuentesauco e questo, lo sapeva bene, avrebbe portato delle conseguenze che non gli avrebbero permesso di chiudere gli occhi ne quella notte, ne tutte le altre notti che avrebbe avuto da vivere. Andava fatto. Bisognava recidere i rami secchi e ridare nuova linfa all'albero.

«Javier!» Leonor lo accolse in vestaglia, ancora sveglia e il viso pallido. «Vi ho sentito gridare.. ho temuto il peggio! Cosa è successo?!» Si spostò con reticenza i capelli dal volto e rabbuiò lo sguardo. «La bambina non smetteva di piangere.»

Javier passò oltre, recandosi nella stanza attigua dove riposava Camila; si fermò accanto al suo lettino, sospirando spossato.

Non riuscì più a trattenersi, si inginocchiò e pianse lacrime da uomo; sommesse e amare.

«Ti prego, non fare così.. o dovremmo calmare anche lei. Di nuovo.» Leonor fu alle sue spalle, inginocchiandosi anche ella; gli accarezzava le braccia con vigore, cercando di scemare i singhiozzi sordi che gli squassavano il petto. «Parla.. parlami Javier..»

Javier si voltò e l'abbracciò, soffocando il pianto fra i suoi capelli di grano.

«Se non fossimo stati qui.. cosa sarebbe successo..»

«Di cosa stai parlando?»

La voce spaventata di sua moglie, lo riportò alla calma e alla razionalità; si asciugò gli occhi in fretta, chiedendosi se fosse il caso trascinarla in quell'abisso e percependo i contorni delicati del suo volto al buio, si sentì morire e investito da un unica possibilità; non avrebbe mai e poi mai dovuto trascinarla in quell'inferno. «Vieni. Hai ragione, non svegliamo la bambina.»

Si infilarono a letto, così come si erano trovati, Javier con ancora i vestiti indosso.

«Discutevamo sul futuro di Villa Ortensia, perché tu lo sappia, Estefan andrà a stare nella tenuta di Gijòn.. fino a che il Buon Dio lo voglia. Mia madre è uscita fuori di senno. Va compresa certo, quell'uomo è stato il suo unico punto di riferimento per tutta una vita, ma non è in grado proprio per questo, di ragionare con lucidità.» Leonor lo ascoltò annuendo debolmente, Javier cambiò tono di voce, meno freddo e più intenso. «Sono dispiaciuto di avervi portate qui, e lo sono ancor di più perché non sei affatto felice come desideravo..» Leonor mosse una protesta subito azzittita da un Javier nel pieno della vigoria. «Proprio per questo è mia intenzione parlare con Lorenzo quanto prima, a fidanzamento ufficializzato, per..» stavolta prese il respiro e la fissò serio, senza tentennamenti. «..farvi rientrare a Madrid insieme a lui il prima possibile.»

Gli occhi azzurri di Leonor si spalancarono d'orrore. «No! Noi non ce ne andiamo, Javier!» Si tirò su, fissandolo con sguardo mesto. «Non è tutto, vero? Mi stai tenendo all'oscuro di qualcosa, non mentirmi.. Javier non mentirmi!» Javier non rispose, negando con il capo. «C'entra lei, vero? La dottoressa di Fuentesauco, la ragazza che ti ha spezzato il cuore.» Si limitò a guardarla, chiedendo con gli occhi quanto altro sapesse di lei. «Guadalupe mi ha messo in guardia. Credo che conservi del livore che non riesco a spiegarmi.. e che tu, adesso, devi spiegarmi.»

«Non c'è nulla da spiegare. Ne è ossessionata.»

«Perchè?»

«Paura.. credo. Ciò che non si conosce, incute spavento.»

«Oh Javier..» Sbatté i pugni stizzita. «Sii sincero per l'amor del cielo!»

«Sono sincero.» Le prese le mani, lo sguardo ferito. «Guardami.. sono sincero. Tutto quello che so è ciò che ti ho sempre raccontato.»

«Ho fiducia in te.» E sembrò poco sicura nel pronunciarlo, quasi una domanda che rivolgeva ad ella stessa.

«Non voglio farti soffrire, Leonor, mai.»

«Non mandarci via, allora.»

«E' per il vostro bene.»

«Il nostro bene è dove sei tu.»

La trascinò nel suo abbraccio, premendole forte le labbra sui capelli; si sentì sporco, ma doveva mantenere il silenzio e omettere i particolari torbidi di tutta quella storia, se sperava di avere ancora un futuro roseo e felice; quando tutto sarebbe finito, avrebbero tirato insieme le somme, anche quelle del loro rapporto, se necessario. Non aveva mai creduto troppo al destino, ma la sua presenza in quel posto, in quel determinato momento, ad un bivio così delicato della sua vita, fra passato e futuro, era un monito assai chiaro di quanto invece il destino credesse in lui; scavare nel suo passato per proteggere la sua famiglia in futuro. Sì, era pronto.

«Preparati allora, perché potremmo non andarcene mai

E stavolta Leonor non rispose, il capo sul suo petto e la leggerezza dei suoi arti stavano ad indicare che era scivolata in sonno dolce e arrendevole; si scostò con cura per non disturbarla e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori quello che al primo aspetto dava l'impressione d'essere un taccuino.

La calligrafia inconfondibile di sua madre, vergava quelle pagine ingiallite e consunte.


*


Alberto Castro Torres -detto il contabile- era lo “spirito del grano”, quell'anno.

Dopo un mese e mezzo esatto, dall'inizio della raccolta, suo era stato l'ultimo covone di grano radunato; alle sedici circa di un pomeriggio asfissiante di fine luglio, una delegazione fra i nomi più illustri del settore, Alfredo Roquez, Lucio Soler, Mauricio Vega e quell'anno in veste di rappresentante del casato ma parte attiva della raccolta -nonostante la carriera di medico soldato ormai avvita nella capitale- Javier La Fuente, lo scortarono in veste ufficiosa all'alloggiamento del sindaco per la registrazione della nomina.

Il ragazzo era sporco, sudato, i vestiti lerci appiccicati addosso, ma il sorriso veleggiava tranquillo sul suo volto perfetto; da quel giorno non sarebbe stato più Alberto “il contabile”, bensì Alberto “la volpe”, come prima di lui tutti gli uomini eletti erano stati chiamati con i nomi scelti dell'animale spirito guida dei campi. Gli piaceva quel nome, gli piaceva il prestigio che portava e cosa ancora più importante, Lucio Soler avrebbe capito finalmente di che pasta era fatto e forse, avrebbe preso in considerazione l'idea che un giorno, la giovane Stella, potesse diventare sua moglie.

«Javier, aspetto tuo padre per un boccale di birra, dal giorno in cui quella fottuta trave lo ha colpito in testa; siamo certi che sia ancora vivo?»

Mauricio Vega e la sua voce rauca da troppi sigari, ruppe il silenzio che circondava il carro sulla quale gli uomini stavano rientrando alle loro abitazioni, dopo la festa per Alberto; Mauricio era il migliore amico di suo padre, figlio di una ricca stirpe contadina di Villaescusa, con particolari appezzamenti anche nei paesi vicini. Suo nonno era stato in battaglia con Vinicio La Fuente, ed entrambi vennero insigniti da alte cariche di onorificenza una volta rientrati ai rispettivi villaggi; Vinicio aveva tirato su Villa Ortensia e ne aveva fatto una roccaforte militare -per questo motivo una parte della villa assumeva più le sembianze di una caserma che di un alloggiamento campagnolo- Pablo Vega invece si era dato alle tecniche agrarie, sue un paio di invenzioni di questa epoca che avevano sveltito il lavoro nei campi consentendo un maggior guadagno e quasi contemporaneamente, si era messo a sfornar figli; era stato fregiato del titolo di el toro, ed ovviamente questo per lui era un gran vanto.

«Sta bene, ti porta i suoi saluti e vi aspetta tutti per la festa d'estate.»

Javier sorrise da commediante, mentre il carro imboccava la strada fuori il paese; Alfredo gli gettò un'occhiata rapida annuendo con sufficienza.

Si erano osservati con sospetto, da quando avevano messo piede sul barroccio, troppo da non cogliere le frecciatine di Javier alla sua direzione.

Negli anni aveva sempre partecipato alla vita sociale dei La Fuente e loro erano stati nella sua, dai momenti felici a quelli più brutti, quando aveva sepolto sua madre o l'amata Francisca, o quando Estefan aveva sposato Guadalupe o il vecchio Vinicio aveva tirato le cuoia.. si erano sempre comportati da persone civili, mettendo in secondo piano le questioni commerciali, ma adesso, mentre guardava a quel ragazzo, bello e con il viso disegnato della bellezza della sua giovane età, provava un'irrispettosa voglia di picchiarlo, togliergli quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia.

Sentiva montargli dentro la paura e sapeva che doveva stargli lontano il più possibile, perché tutte quelle sensazioni spiacevoli portavano ad unica e sola persona; Morena. Non era sciocco a tal punto di credere che sua moglie fosse impassibile dinnanzi al suo primo e giovane amore ritornato, ma non voleva essere sciocco da poterla perdere con un atteggiamento poco consono alla sua persona.

Fino ad allora era stata la moglie di tutte le sue aspettative; sincera, arrendevole pur preservando il suo carattere coriaceo.

Si era concessa animo e corpo e non l'aveva mai deluso.

Eppure.. eppure il suo animo bruciava, bruciava di gelosia.

Inspirò, pregando che Lucio tirasse forte quelle briglie.

«Buon Dio.. un'altra stazione!» Muricio rise sguaiato, quando all'incrocio del pensionato di donna Flora, alcune donne del paese fra cui Morena e Stella Soler, li attendevano per un altro giro di festeggiamenti e buon vino rosso; Alfredo si accese di rinnovato fulgore, scavalcando dal bordo del carro con un agile salto. «Goditi il tuo momento ragazzo!» Vega scosse Alberto vigorosamente per le spalle, che un po' alticcio si tuffò fra la gente causando risa. «E noi che si fa?» Chiese agli altri rimasti sul carro.

Javier fissò Morena per la sua intera figura, il vestito giallo paglierino svolazzante mentre si congratulava con il giovane campione e stringeva in braccio, con amore e premura, il suo bambino.

Lucio fissò Javier dapprima e poi guardò Alfredo che guardava anche egli Javier. «Tutta la mia famiglia è qui.» Disse ad alta voce, richiamando l'attenzione del giovane che si voltò a guardarlo stralunato. «Don Vega a lei il suo carro e i miei ossequi.» Si toccò il cappello in cenno di saluto e prima di scavalcare, a bassa voce, si rivolse a Javier. «Tornatene a casa, ragazzo, qui non c'è niente per te.»

Javier annuì, tornando con lo sguardo a quella famiglia così estranea, così distante.

Scese dalla parte opposta con un balzo e per una frazione di secondo, i suoi occhi incrociarono quelli di Morena; erano occhi angosciati e impauriti. Sorrise incerto, la ragazza levò il capo verso un'altra direzione, ignorando del tutto la sua presenza.

Poggiò i gomiti al carro e strinse forte i pugni, inspirando velocemente.

Dopo aver compreso le parole di Lucio, diede un agile colpo al fianco del carretto, indicando a don Mauricio il via libera.

Il barroccio slittò sulla strada polverosa, i bicchieri di vino collisero fra di loro.

Per la prima volta, si sentì un estraneo a casa sua.


*


Un'allegra compagnia risalì la collina per Legno di Quercia quando il sole era ormai calato.

Alfredo Roquez e Alberto “la volpe” cantavano stonati, i cori della buona raccolta.

Quello era un giorno importante per la famiglia Roquez, non solo per il giovane Alberto; si teneva la conta del raccolto, a notte inoltrata o all'alba del nuovo giorno, si attendeva il contadino incaricato di riportare il peso esatto di grano raccolto, con la speranza fosse abbondante almeno quanto l'anno passato. Era una notte senza fine quella, come i fiumi di vino che scorrevano nell'inganno dell'attesa.

«Miei gentili amici e parenti, siete invitati a restare quali miei ospiti!» Proferì alticcio il padrone di casa.

«Bisognerà avvertire la cucina dei posti in più.» Una voce alle sue spalle, una presenza stagliata su di loro, all'ombra della sera parlò.

«..zia?» Morena sfilò dal corteo, superando Alfredo e portandosi verso la luce fioca delle lampade a gas.

«Mi sono presa la briga di farlo al posto tuo.» Confermò con quel piglio altezzoso che la contraddistingueva. «Dovrà pur mangiare questo piccolino! Ah proposito, avrei da dirti due parole a riguardo..»

Morena la incenerì con lo sguardo, quella tacque, abbracciando il bambino che si era buttato fra le sue braccia. «Zia Mila!»

La donna cambiò espressione, addolcendo lo sguardo e perdendosi nelle effusioni del bambino; il resto della compagnia la seguì entrare in casa.

«Sono arrivati i guai..» Alfredo canzonò Morena, rimasti soli e defilati.

«Non lo dire nemmeno.» Alzò gli occhi al cielo, portandosi a passo di soldato e seguita da lui, verso le cucine; quando aprirono la porta, Agueda li fissò mortificata, alzando le spalle.

«Mia signora, non mi ha lasciato il tempo di dire nulla.»

«E' proprio questo il problema, vedi?» Sorrise, guardando la donna di servizio con aria bonaria e poi Alfredo, sospirando. «Ha lo strano potere di arrivare nei momenti meno opportuni!» I due si lasciarono andare in una risata, Morena li seguì, la testa leggera.

Infondo le era mancata Milagros.

Da quando Riccardo era al mondo, sempre più facile era vederla migrare dal suo quartier generale di lusso fino a Fuentesauco; era così affezionata al bambino che spesso Morena li guardava con tenerezza, chiedendosi se anche sua madre sarebbe stata felice alla stessa maniera se fosse stata con loro. Quel pensiero la rendeva triste, eppure stranamente le capitava di identificare sua zia come una madre e una nonna, sebbene il posto di Marta Blanco nel suo cuore, non lo avrebbe occupato nessun'altra.

«Ti ho sentita sai!» La donna arrivò alle loro spalle con un vassoio di bicchieri sporchi; guardò ad Alfredo indicando la stanza alle sue spalle da dove arrivava chiasso e l'uomo congedandosi con un sospiro sparì.

«Bene, volevo mi sentissi!» L'aiutò a posare il vassoio sul grande tavolaccio della cucina e poi l'abbracciò. «Come stai?»

Si guardarono intensamente, sapevano entrambe che la domanda inespressa era.. “cosa ci fai qui?”

«A meraviglia.» Rispose, indicando con un leggero movimento del capo la stazza di Agueda, di spalle e ricurva su un calderone.

«Oh.. di lei ci fidiamo. E di là c'è un orda di uomini ubriachi. Scegli tu.»

Milagros alzò gli occhi al cielo. «Come vuoi.. ho udito alcune voci, prima di giungere qui. Pare che Javier La Fuente sia in paese»

«Già.» Berciò lei scocciata nel dover ammettere che tutte le sue visite in un modo o nell'altro c'entravano con lui; la guardò con sospetto. «Perché questo dovrebbe interessarti?» La condusse alla finestra abbastanza lontano persino da Agueda e abbassò la voce di un tono. «E non mi dire che sei preoccupata perché mi aspetto una scusa migliore da te.»

«Così dicendo mi dai tu da pensar male..ma comunque no, non sono qui perché mi preoccupo di te; il tempo e quell'amore di figlio che hai messo al mondo ti ha infilato in quella testa un po' di sale, ho avuto modo di vedere. Te lo dicevo, Alfredo è un uomo d'onore.»

«Alfredo crede che Riccardo sia figlio suo.» Sussurrò ironica a fil di voce; si voltò, Agueda stava maneggiando con i calderoni ignara di tutto.

«Ma non è stupido.» Incalzò l'altra. «Si vede da lontano un miglio che quel ragazzino non gli appartiene. E' alto e forte per essere un bambino nato prematuro ed ha i modi ruffiani tipici dei La Fuente.»

Morena la guardò scherzosa ma infiammata. «Ti proibisco di parlare in questi toni di mio figlio!» Poi tornò seria, il sorriso sparito. «Tu cosa ne sai dei modi dei La Fuente?»

«Solo i modi della parte migliore. Va meglio, così?»

«Migliore o no, so solo che questo è il peso che dovrò portarmi dietro fino alla fine dei giorni.»

«Ci sono donne che pagherebbero oro per portare certi pesi.» Negli occhi di Milagros sparì tutta la giocosità e un riso amaro gli dipinse le labbra. «Ma per alcune, la vita può rivelarsi sorprendentemente aspra. Ma tu guardati, hai tutto; hai tuo figlio.»

«Non avrei mai creduto di sentirti pronunciare queste parole. La vecchiaia ti sta bene, zia.» Soffocò una risatina e la guardò. «Allora, cosa ti porta a Fuentesauco, oltre il tuo caro nipote

Milagros rispose con una punta di malizia. «I La Fuente danno belle feste.»

Rubò dal tavolo una fragola fresca di pulito e sparì prima che ella potesse replicare.


Agueda fu insuperabile, come sempre.

Una cena frugale si presentò come un pasto luculliano alla quale anche gli animi più accesi della festa, risposero con il silenzio e la sonnolenza dell'ultima portata; a fine serata Alberto e Stella erano in giardino a contemplare le stelle, Alfredo in poltrona con gli occhi quasi chiusi e Milagros con il piccolo Riccardo addormentati accanto a lui, sul sofà.

Morena si aggirava per la casa aiutando l'inserviente a sistemare il piccolo caos intorno, cercando di restare sveglia il più possibile ad attendere le buone nuove dai campi; dalle finestre tutto taceva e la notte, si era fatta densa e scura su di loro.

«Quei due passano troppo tempo insieme.» Lucio arrivò dalle stalle dove aveva assicurato le bestie, prima di chiudere i fienili; guardava attraverso le imposte il giovane Alberto gesticolare verso il cielo ad una stella. La sua, Stella. La ragazza ricambiava gli sguardi con il sorriso di una donna.

Morena gli lasciò una carezza sul braccio. «Cosa le può succedere di tanto brutto, papà?» Chiese dolcemente. «Che sposi il giovane di cui è innamorata e che lui la renda felice?»

Lucio si voltò a guardarla e sorridendo le baciò la mano grato. «La volpe..» Sentenziò. «E la stella.»

La ragazza sospirò. «Poetico e romantico. Proprio come noi Soler.»

Lucio la guardò perplesso, Morena scosse il capo persa nei suoi pensieri; pensò a Milagros, alla gioventù di Alberto e Stella e al loro amore appena sbocciato, a suo padre che aveva rischiato di perdere molti anni prima e che invece era lì, a dargli sostegno anche nei momenti più difficili e si sentì vibrare di vita e allo stesso tempo spaventata.

Posò il capo sulla spalla del padre e sospirando, in preda alle emozioni che stava provando, lasciò che il suo segreto trovasse una casa.

«Aspetto un figlio da Alfredo, papà.»

L'uomo mancò il respiro ma non disse niente, la strinse forte a se e insieme si persero nel silenzio della notte.


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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


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Eternamente

(para siempre)


In fin dei conti, si tradisce solo ciò che si ama.

Günter Grass, scrittore.


    La cuenta era arrivata, il raccolto fruttuoso giaceva nei capanni pronto ad essere macinato o barattato, qual dir si voglia, alla mercé del contadino possessore; un altro inverno poteva dirsi salvo, un altro ciclo di vita avrebbe avuto inizio a Fuentesauco ma prima, più di tutto e sopra ogni altra cosa, venivano i festeggiamenti.

    E chi, meglio dei La Fuente, sapeva come festeggiare la raccolta.

    Javier si era dato da fare ultimando il tendone tanto caro a suo padre, per dovere e simbolicamente perché l'ultimo capostipite di quella che era stata una grande famiglia, ma sopratutto per tenersi occupato e non pensare; il taccuino di Guadalupe, che conservava stretto come una reliquia fra i mattoni del muro della sua vecchia stanza da bambino, svelava i più torbidi pensieri della donna che era sua madre. Non si aspettava resoconti noiosi di giornate di un qualsiasi esponente del gentil sesso abituato ad avere tutto e occupata nel come riempire le giornate, ma nemmeno così tante pagine di insulti rivolti a qualsiasi forma vivente e respirante avesse intorno. Erano pensieri macchiati di odio.

    Sua madre odiava in un modo così ripetuto e continuo, che leggere quelle parole gli costava un certo sforzo d'anima e di corpo.

    Per quanto la cosa fosse deplorevole, c'era altro di più a ferirgli l'anima; rendersi conto che persino Villa Ortensia, stava decadendo.

    Da quando suo padre giaceva malato e con la fine del raccolto, un accolito di fornitori, contadini e arrabattai di qualunque specie, erano sopraggiunti alla loro porta chiedendo riscatto per i servigi prestati; aveva così scoperto che i conti di Estefan rasentavano la bancarotta, monito di uno sperpero improprio di denaro e poca attenzione, non degna certo dell'uomo di grandi affari che era stato e solo attingendo al fondo personale che divideva con Leonor, era riuscito a sistemare la precarietà di alcuni debiti.

    Impossibile non domandarsi cosa avesse spinto suo padre ad agire in maniera così poco oculata e ad affidarsi a certi delinquenti della peggior specie pari in fama solo a quelli del carcere Carabanchel, ma ciò che era certo, dopo l'evidente inammissibilità di fronte alla rovina di Villa Ortensia, era il crescendo d'astio che provava nei confronti della madre, riconducendola quale unica colpevole quantomeno per non aver aperto gli occhi ad Estefan, circa il futuro della via impervia che aveva scelto di intraprendere.

    Qualcuno bussò alla porta. «Avanti.» Disse con voce fiacca.

    «Ti ho portato la corrispondenza e un buon caffè nero.» Leonor entrò in stanza volteggiando; erano giorni che si comportava in maniera strana, aveva ripreso a prendere le medicine e sulle prime dava la colpa a quello. Era stranamente felice, per così dire, non che mancasse di compiacersene, solo risultava una manovra un po' forzata, una felicità artificiosa. «Perché mi guardi così?» Chiese con quell'aria ingenua e fanciullesca che il suo bel viso incorniciato da boccoli dorati riusciva a conferirle alla perfezione. «Ho terminato di stilare gli inviti che mi hai chiesto e dato che sei rintanato qui da ore..» Lo avvicinò ancheggiando e stringendo la tazzina fra le mani a coppa. «..ho ritenuto opportuno gradissi un po' di distrazione.» Si inchinò, mostrando il solco dei seni dalla camicia leggermente sbottonata, quando alzò il viso e incrociò i suoi occhi, rideva maliziosa e leggermente arrossata in viso.

    «Sei strana.» Javier arcuò un sopracciglio, indugiando sulla scollatura.

    «Fa molto caldo.» Rispose sempre più rossa, portandosi alle sue spalle e circondandolo in modo lascivo.

    Javier le sfregò una carezza ruvida sul braccio, prima di tornare ai libri contabili. «Molto.»

    La ragazza sbuffò, trascinando verso l'esterno la sedia accanto a lui; l'uomo non si voltò, ma quando con la coda dell'occhio la vide armeggiare ancora con i bottoni, chiuse di stizza il libro e la fissò torvo. «Che c'è? Cosa vuoi Leonor?»

    «Tu non mi guardi.» Le disse, imbracciando le mani al petto.

    «Adesso ti sto guardando, mi sembra.»

    «No, non intendo questo.» E gesticolò nell'aria. «L'ho vista, ed è molto bella.»

    «Hai visto chi?»

    «Lei, la tua dottoressa.»

    Javier si infilò le mani nei capelli e abbassò il capo sul tavolo. «Non è mia.» Rialzò la testa e mordendosi il labbro come a voler aggiungere altro, tergiversò. «E poi ti sembra il momento di parlare di questo? La tenuta vive una situazione..»

    «Precaria, lo so. Ma non è standotene chiuso qui che risolverai i problemi.»

    «Tu suggerisci un'idea migliore?» Incalzò sarcastico.

    «Sì.» Si accovacciò verso di lui, le mani nelle mani. «Devi dare quella festa. Quella di cui tutti parlano da giorni; forse non te ne sei reso conto ma manchi dal paese da diverso tempo, le persone cominciano a vociferare. Azzitta quelle voci, da la festa più opulenta di cui sei capace e falli tacere per sempre.»

    Si allarmò, fissandola senza dire nulla, le labbra schiuse. Leonor strinse le sue mani più forte.

    «Non sono cieca Javier, tanto meno sorda. So come vanno certe dinamiche, non sono cresciuta rinchiusa in un castello dorato! Sono una ragazza di città e, tanto per la cronaca, quando tuo cugino ti nomina suo testimone quanto meno ci si deve dare pena nel conoscere la futura sposa, una perfetta sconosciuta in questo caso, e poi chiedere, indagare sulle sue credenziali.. così, ho fatto un giro nelle botteghe -luoghi interessanti se vuoi sapere cosa c'è in giro- ed ho avuto modo di ascoltare le chiacchiere quotidiane e anche quelle sul conto della giovane, certo. Ma è sulle prime che mi concentrerei e riguardano tutte Villa Ortensia e la tua famiglia.»

    Javier sospirò, conscio che sua moglie non aveva sbagliato nemmeno mezza parola.

    «Mio padre non si è visto più. Mia madre è un fantasma. Io me ne sto chiuso qui.. come mai non ci ho pensato io stesso?»

    «Alle volte serve un parere esterno per guadare con lucidità una determinata situazione.»

    «Quindi ritieni opportuno sfruttare il fidanzamento di Lorenzo per distogliere l'attenzione su mio padre?»

    «Presto sarà a Gijon, ma fino ad allora ti farai venire qualche idea e farai sì che tuo padre viva i suoi ultimi giorni qui in santa pace.»

    Javier annuì compito, stringendole a sua volta le mani con gratitudine.

    «Le nostre feste d'estate sono da sempre un'istituzione a Fuentesauco.» Parlò con aria sognante e gli occhi vagamente lucidi. «Mia madre faceva splendere l'argenteria dai mobili ed era come se il giardino fosse attraversato da tanti piccoli bagliori, mio padre la faceva danzare a piedi nudi sul prato e tutti li guardavano come fossero rarità, un esemplare di cigni stupendi; la musica spargeva nell'aria della sera il suo brio ed anche gli alberi danzavano con le loro fronde nodose e il grano.. piccoli coni di grano che venivano regalati agli ospiti, profumava di prosperità, ricchezza e salute.» Scosse il capo come per uscire dal sogno e tornò alla realtà dagli occhi angosciati. «Non posso pensare che tutto questo un giorno non esisterà più. E' un dolore troppo grande.»

    «Tua madre ne verrà fuori, finché le le resterai accanto.»

    Scosse il capo. «Dovrebbe essere qui, non trovi? Ad aiutarmi con i conti, ad accudire suo marito e invece passa il suo tempo chi sa dove!»

    «E' una donna molto testarda, ma non puoi fare finta che non esista, Javier.»

    Il ragazzo si alzò dalla sedia, strusciandola malamente alle sue spalle. «Preferirei fosse così!» Si agitò, pensando alle volte che aveva immaginato fosse lei quella a letto malata e non suo padre. Si sentì bruciare lo stomaco dalla rabbia e il rimorso da pensieri così foschi. «Sono combattuto, Leonor, in me vivono dei sentimenti confusi che mi stanno annientando.. tuttavia, non posso ignorare la cattiva influenza che mia madre ha sulle persone e le cose a lei più care.»

    «Cosa farai, dunque?»

    «Non lo so.» Sapeva fosse una bugia. Odiava mentirle ma si sforzò comunque di sembrare angosciato.

    «Ci faremo venire qualche idea. La festa è il nostro pensiero più imminente, adesso.» Javier annuì, sorridendo debolmente. «Spedirò gli inviti oggi stesso, perciò è bene che tu mandi a chiamare Lorenzo e ti renda disponibile per l'annuncio del fidanzamento.» Fece per andarsene ma con una giravolta tornò ai suoi occhi verdi e cristallini pieni di rammarico. «Ho scelto il color lavanda, spero ti piaccia. Si intona ai salici del viale e mette allegria.» Restò in attesa con il capo piegato da un lato, in quella precisa movenza, la copia esatta della piccola Camila.

    La guardò intenerito ma subito tornò il bruciore allo stomaco; anche i sentimenti che nutriva per lei, giocavano a far la guerra.

    «Perfetto.» Esalò distratto e senza convinzione.

    Leonor strusciò i passi verso la porta e la richiuse, restandovi appoggiata; rimasta sola, contemplò il senso di paura che le ammantava il petto.

    Non è mia, aveva detto. I brividi le scossero le spalle fino a che si ordinò di stare calma e attuare un piano per evitare che quella fiamma da lei paventata divenisse un incendio.



    La incontrò nel suo giardino, gli occhi verdi sfavillanti sembravano quelli di un gatto all'ombra delle siepi.

    Appena la vide stirò un sorriso ambiguo, di chi è abile a giocare e non fa nulla per nasconderlo; l'aveva in pugno, in qualche modo, adesso toccava a lei girare la ruota. Guadalupe parlò prima ancora che le si sedesse accanto.

    «Dal tuo viso, non mi porti buone notizie.»

    «Quali buone notizie speri di ottenere? Non ho mai visto Javier così determinato e infuriato.»

    «E' un uomo!» Sorvolò aspra e ironica. «Il testosterone gli annacqua il cervello. Piuttosto, che ti ha detto?»

    «Avrei io per prima una domanda, se non ti dispiace.»

    Guadalupe socchiuse gli occhi. «Leonor così la fai sembrare una cospirazione!» Rise scioccamente e la ragazza se ne accorse; arcuò un sopracciglio e la donna tornò seria in un istante. «Cosa vuoi sapere?»

    «Perché hai così tanta paura di tuo figlio? Siete legati dal sangue che vi scorre nelle vene, eppure vi comportate come foste degli estranei. Perché temi possa mandarti via?»

    La donna sogghignò, i piccoli occhi verdi stirati dal sorriso malefico. «Tu perché sei qui? Non è forse per lo stesso motivo? Te la faccio io una domanda, adesso; ha cominciato forse a comportarsi in maniera strana? Ti evita quasi, sfugge i discorsi quando le parli di lei

    Leonor strinse i pugni arricciandosi il vestito. «Ancora lei!» Si alzò stizzita. «Ne sei ossessionata, Javier dice il vero!»

    «Se dicessi il falso te ne staresti qui a schernirmi come la prima volta, ricordi? Ora non sembri più tanto sicura, mia dolce Leonor.» Si alzò anche ella, sfiorandole il braccio con una carezza impercettibile ma terribilmente fredda; Leonor rabbrividì. «Pensi che io sia pazza, vero? Ho i miei buoni motivi per dirti che non è affatto così.. è quella donnaccia che mi perseguita. Lei, la sua famiglia, quel sangue così familiare che ho imparato a conoscere e domare; Dio solo sa che ho fatto tutto il possibile affinché non accadesse di nuovo..quel sangue mischiato al nostro.. tutto quel sangue..» La donna s'era accasciata nuovamente, delirando dalla sua posizione accovacciata sul freddo marmo della panchina.

    Leonor le fu addosso, scuotendola per le spalle. «Quale sangue, Guadalupe?»

    Una lacrima scivolò lungo la guancia facendole brillare le cicatrici. Se le toccò e la guardò intensamente.

    «Un giorno ha bussato alla nostra porta, dopo che Javier era partito per Madrid. Ci disse che aspettava un figlio da lui e che voleva dei soldi in cambio del silenzio. Ci accusava di averli divisi, che portava dentro una croce e chiese che io la restituissi alla terra, altrimenti avrebbe fatto sì che l'avremmo pagata cara. Tutti quanti.» Leonor, occhi sbarrati e labbra socchiuse esalò un singulto di dolore. «So quello che provi, io stessa l'ho provato quel giorno e i giorni successivi; mi domandavo dove fosse la verità, dove fosse il giusto e speravo di sapere cosa fare. Dovevo rovinare la vita e il buon nome di mio figlio? Darlo in sposo a quell'avida e meschina figura.. che portava in grembo il figlio di non so chi? Mai! Solo allora, seppi cosa fare. Gli demmo ciò che chiedeva, seppur a caro prezzo.» Si toccò ancora e volutamente le cicatrici non distogliendo lo sguardo da quegli occhi azzurri impietriti.

    «Che ne è stato del bambino?» Chiese Leonor con un fil di voce.

    «Mia nonna discende da un gruppo di gitani castigliani, nella sua famiglia certe pratiche di espulsione ti vengono insegnate da bambina; è una prassi molto pericolosa che non si va certo a raccontare, come potrai immaginare. Lei ne era a conoscenza, tempo addietro un'altra donna della sua famiglia si è recata al mio cospetto chiedendo di praticarla.. così, si è presentata alla tenuta con un compare, probabilmente il padre del bambino chi può dirlo, ha incassato i soldi e si è resa disponibile a procedere con una certa urgenza.»

    «Che ti è successo al viso?»

    «In preda ai fumi dell'alcool mi ha schizzato l'acido in viso; è un intervento molto doloroso, l'alcool annebbia i sensi e anestetizza, purtroppo qualcosa deve essere andato storto; sembrava posseduta, ricordo ancora le sue urla e il sangue che colava dal mio viso e si mischiava al suo, sulle lenzuola candide e bianche. Non c'era niente di puro in quella stanza, sono stata male mesi e mesi prima di dimenticare.»

    Leonor restò sgomenta, il dolore scacciato via dalla rabbia. «Dimenticare? Come si può dimenticare?!»

    «Ho dovuto farlo!» Tuonò l'altra. «E dovrai farlo anche tu. Javier non sa nulla di questa storia, ed è bene che la sua mente resti pura.» Si alzò, muovendosi stancamente, avanti e indietro. «Adesso sai Leonor e mi aspetto che agirai per il bene della tua famiglia; non ti chiedo chissà quanto, solo di morigerare sull'integrità di tuo marito. E' un debole, proprio come suo padre! Si farà convincere che io sono il male, la pazza.. e finirà per allontanarci e distruggere la nostra famiglia! E' questo che vuoi, cara ragazza? L'umiliazione di tornare in città e affrontare da sola la perfidia della gente? Ma più di tutto, sopporterai il sorriso spezzato di tua figlia? L'infanzia distrutta da un simile accadimento?»

    Leonor fissò il vuoto, scuotendo il capo; la piccola Camila non avrebbe pagato il prezzo di tutta quella scellerataggine.

    Si tirò su, costringendola a fermarsi e guardarla. «Mi resta un'ultima curiosità.» Ella acconsentì, con un'alzata di spalle.«L'altra donna che bussò alla vostra porta, quella che dici essere della famiglia di Morena Soler è la stessa con cui ti ha tradito tuo marito?» Quella le gettò un'occhiata atterrita ma vigile, prima di annuire lievemente con il capo. La ragazza si morse il labbro, preoccupata d'ascoltare la risposta. «E come finì all'epoca?»

    Guadalupe prese un bel respiro, prima di rispondere. «Fummo più fortunati. Milagros Blanco fu decisamente più furba.»

    *


    Le lenzuola bianche e fresche di pulito danzavano nel vento, dai loro fili di corda; il loro profumo riempiva l'aria intorno, come le urla di Riccardo che vi passava attraverso giocando a nascondersi. Morena guardandolo, tornò indietro nel tempo, a quando sua madre cantava stendendo il bucato e lei l'ascoltava rapita seduta sul prato, ad immaginarsi donna un giorno ma non riuscire a vedersi.

    Quelle grida le sembravano un miracolo, un qualcosa di inspiegabile e che aveva messo lei in questo mondo.. qualora fosse ancora più incredibile; si piegò sulla cesta per raccoglierla, un leggero scossone nel basso ventre le ricordò che un'altra meraviglia le stava crescendo dentro e che il tempo necessario affinché l'embrione attecchisse bene stava scorrendo veloce, presto quel dolce segreto sarebbe potuto essere rivelato se non altro per i continui malumori che il suo corpo in cambiamento le creava e che svelava al posto suo.

    Alfredo la credeva affaticata dal lavoro e dalla loro vita così densa, mai avrebbe immaginato una cosa tanto bella, pensava. Questo aveva fatto sì che sua zia si stabilisse alla tenuta senza troppe remore, qualora ne avesse avute; continuava ad essere ambigua ed enigmatica sul perché del suo ritorno ma si era rivelata un prezioso aiuto, da quando Olivia tornava sempre meno da Salamanca, presa com'era dal suo amore per Lorenzo e il bambino che portava in grembo. Avrebbero goduto della gioia della maternità con pochi mesi di distanza l'una dall'altra, questo le portava a fantasticare sul futuro delle due creature, rendendo la meno esperta fra le due più sicura di avere come compagna d'avventura e maestra la propria cugina nonché amica, già madre bella e fatta.

    «Mamma!» Riccardo attirò la sua attenzione, si voltò; la sua testolina scura spuntava da sopra un lenzuolo, agitava le mani come a dimostrare che fosse cresciuto e non c'era alcun trucco, la scena la fece sorridere. «Sono più alto di te, mamma.» Con le mani paffute l'attirò per il capo baciandola sulla fronte, qualcuno però, al di là del lenzuolo sorrise. «No zia Mila! Era divertente!»

    Milagros spostò il lenzuolo. «Lo immagino signorino, ma la zia Mila da quaggiù è un po' meno contenta; cresci a vista d'occhio!» Richiuse il lenzuolo e il bambino per protesta si lasciò cadere in avanti, fra le braccia di Morena che con una giravolta lo depose a terra.

    «Non lanciarti in avanti quando sei sulle spalle di qualcuno, è pericoloso.» Lo ammonì con voce dolce ma ferma, poi indicò il lenzuolo agitato al loro fianco e sorrise. «E non far arrabbiare la zia, è anziana dobbiamo capirla.»

    «Guarda che ti ho sentita!» Gridò Milagros da lontano.

    Il bambino rise e guardò alla mamma con trepidazione. «Vai, ma attento al bucato!» Non finì nemmeno di terminare la frase che il bambino saettò attraverso le lenzuola come una scheggia.

    «Il piccolo cresce a vista d'occhio!» La voce di Olivia arrivò alle sue spalle.

    «Devi smetterla di arrivare così!» La raggiunse abbracciandola calorosamente, poi si staccò e si guardò la pancia. «E' impossibile si noti già.. piuttosto, adesso che ti guardo bene, il tuo piccolino comincia a farsi notare, non il mio! Sei raggiante, Olivia, come stai?»

    «A parte il fatto che mi riferivo a Riccardo.. bene, mia cara cugina. Non potrei stare meglio! Alfredo è in casa?»

    Morena la guardò interdetta. «E' ai campi con Alberto. E' diventato il suo nuovo compare a quanto sembra; il leone e la volpe, mi auguro non si azzannino troppo!» Olivia sospirò sollevata, ed arrossì. «Sei qui per dargli la bella notizia?»

    «Sì. Ma non è tutto.» Inspirò e guardò oltre le sue spalle; Morena provò un brivido di paura ed entusiasmo. «Vogliamo sposarci entro l'estate. Qui a Legno di Quercia, se sarete d'accordo.» Prese la mani della cugina nelle sue e la guardò con gioia appesa agli occhi. «Non sto nella pelle nel cominciare la mia vita insieme a lui, Morena. Ed anche se questo ci porterà a non vederci più come prima, sappi che nel mio cuore voi siete la mia cara famiglia. La mia prima famiglia.»

    «Ti ha chiesto di seguirlo a Madrid, vero?»

    Olivia si morse il labbro ed annuì. «Per la prima volta nella mia vita, non ho paura di appartenere a qualcuno. Sento come se il male del passato non mi fosse mai appartenuto. Sono rinata, capisci?» Posò una carezza sulla sua pancia prominente e i suoi occhi azzurri scintillarono.

    «Certo che ti capisco.» Morena la trascinò fra le sue braccia, accarezzandole i capelli con la mano. «La mia piccola Olivia è cresciuta..» Singhiozzò con voce rotta dal pianto. «Siamo simili io e te, questo lo so. La vita ci ha istruite alla sofferenza e alle tragedie, ma noi siamo esseri forti e con il tempo ci siamo guadagnate la nostra piccola parte di felicità. Sono davvero felice per te.» Olivia si scostò, asciugandosi gli occhi bagnati a sua volta, si guardarono intensamente e scoppiarono in una risata fragorosa.

    «Cos'è questa novità di Alfredo e Alberto suo compare?»

    Morena alzò gli occhi al cielo, invitandola a seguirla in casa. «Dove vuoi che cominci?»


    Lorenzo fu il primo a rincasare.

    Nelle mani stringeva un biglietto con l'ansia montante di chi aveva grosse notizie da dare, ma troppo preoccupato affinché queste uscissero liberamente dalla propria testa; Olivia lo stava aspettando con trepidazione e con la stessa tensione indugiava dalla sua seduta, stringendogli forte le mani. I suoi occhi pieni di curiosità e il suo respiro accelerato lo convinsero a parlare.

    «Javier si dice entusiasta nell'apprendere la nostra a scelta. A tal punto, si è offerto persino di officiare il fidanzamento alla villa.» Seguì una pausa lunghissima durante la quale il viso di Olivia si illuminò di gioia muta e subito d'apprensione, motivo per cui anche Lorenzo si angustiava. Morena entrò in sala porgendo loro un cocktail rinfrescante, notando da subito il leggero imbarazzo nei suoi ospiti.

    «Se avete bisogno di altro chiamatemi, sono nelle cucine con Agueda.»

    «No..» Lorenzo si alzò, visibilmente agitato. «Donna Roquez, permettetemi, vorrei restasse per apprendere le liete novelle.»

    Morena inarcò il sopracciglio, Olivia alzò gli occhi al cielo. «Mia cugina è al corrente delle nostre intenzioni.»

    «E comunque non mi opporrei mai dinnanzi ad una scelta così onorevole.» E nel dirlo si coprì la bocca per soffocare una risata.

    «Qualcosa mi dice che è a conoscenza anche di tutto il resto..» Il ragazzo borbottò, voltandosi in direzione dell'amata che alzò le spalle sorridendo sghemba. «Tuttavia sono felice di sapere che siete al corrente delle mie intenzioni.. e anche dell'altra cosa.. Olivia non fa che ripetermi che buona madre siete e questo mi rassicura circa l'influenza che avrete su di lei.»

    «Allora cos'è che vi preoccupa tanto, Lorenzo? Siete giovani, innamorati, presto sposi e genitori di una vostra creatura..» Morena strinse gli occhi a fessura e scosse il capo intuendo il problema. «Ah! Vi preoccupa mio marito, forse? E' un uomo tradizionalista, ma vi assicuro non un testone ottuso. Tutt'altro.»

    Lorenzo sorrise. «Per carità non intendevo certo dire questo.. il punto è che mia cugina Leonor e suo marito, Javier La Fuente, desiderano dare la festa di fidanzamento in nostro onore in concomitanza con una festa locale tradizionale, festa d'estate mi pare d'averli sentiti dire, che si terrà a Villa Ortensia molto presto ed io non vorrei recarvi offesa accettando.»

    Morena e Olivia si scambiarono un'occhiata fugace, Olivia prese le redini del discorso con piglio sicuro. «Alfredo è un uomo, non si metterebbe mai a far scenate di ripicca, qualsiasi cosa io ti abbia detto in merito.. dimenticatene; sono più che certa che egli tiene alla nostra felicità più di noiose faide rurali.»

    Morena annuì dolcemente, poi lo slittare delle ruote di un carro sulla ghiaia esterna, la convinsero ad anticipare le notizie. «Si rallegri per la bella notizia che state per dargli e non pensi troppo alle cose futili. A quelle ci penso io.»

    «La ringrazio donna Roquez.»

    «Ah.. Lorenzo?»

    «Ditemi.»

    «Diamoci pure del tu. Saremo presto parenti, che diamine!»


    Il volto di Alfredo emanava gioia, seppur segnato dalla fatica e il sudore; come sempre, dopo aver concentrato la maggior parte delle ore mattutine al lavoro dei campi e alla sua gestione, l'uomo risaliva alla tenuta per amministrare la casa, accudire il piccolo Riccardo e permettere così a Morena di portarsi avanti con il lavoro per il nuovo ambulatorio. Era un periodo di fermento; il raccolto aveva dato i suoi buoni frutti, Milagros Blanco era riapparsa nelle loro vite come un tornado, sua moglie, la sua bellissima moglie, stava per realizzare il sogno di tutti i sacrifici spesi.

    «Ti vedo sereno.» La trovò sull'uscio della stalla a braccia conserte, che lo guardava come se cercasse di carpire qualche segreto. «Buone nuove?»

    «Tuo padre ha invitato a pranzo “la volpe”.. ed io che pensavo volesse trucidarlo.»

    «Perché mai?» Chiese Morena con una smorfia sulle labbra.

    «Questa mattina, Alberto Torres ha formalmente chiesto la mano di Stella.» Sorrise, in un misto di incredulità e ammirazione. «Avresti dovuto sentirlo. E Lucio? Lui mi ha stupito davvero..non ha imbracciato il fucile come di consueto, anzi, con tutta la calma del mondo gli ha risposto che ne avrebbero parlato difronte a un buon bicchiere di vino. Spero vivamente per lui che ritorni per raccontarci come è andata.»

    La ragazza schiuse le labbra dallo stupore. «Mio padre? Lucio Soler dal grilletto facile?»

    «Proprio lui.» Sorrise ancora, prima di baciarle i capelli e condurla abbracciati verso casa.

    «Ah proposito di cambiamenti.» Morena si arrestò, voltandosi a guardarlo. «Lorenzo Navarro ed Olivia sono in casa.»

    «E perché mai tu sei qui fuori? Devo preoccuparmi?»

    La donna gli passò una carezza sul viso. «Non per le catastrofi che leggo nei tuoi occhi, sta tranquillo.» Alfredo sospirò, guardandola un po' più rilassato. «Vorrebbero celebrare il matrimonio qui a Legno di Quercia, entro la fine dell'estate.. sono teneri, non vedono l'ora di appartenersi. Non ho obbiettato, certa che non lo avresti fatto nemmeno tu.»

    «Non lo avrei fatto, questa notizia mi rende orgoglioso.»

    «Sono una buona coppia; solida, due elementi forti e con le idee chiare circa il loro futuro. Questo mi ha ricordata come sono arrivata qui, anni fa. Lorenzo ha il tuo stesso temperamento, avevi ragione su di lui.»

    Alfredo sorrise, stringendola a se affettuosamente. «Stanno cambiando tante cose, lo senti anche tu vero?»

    Morena lo guardò in stato di grazia e lieta per quell'uomo così sensibile che aveva il privilegio d'amare. «Non potrebbe essere più vero.» L'uomo la guardò enigmatico, la donna si sfiorò il ventre e poi guadò la casa in lontananza. «La nostra forza è stata non giudicarci mai, Alfredo, perciò promettimi che qualsiasi cosa accadrà da qui in futuro, che sia lontano dalla nostra comprensione, spaventoso oppure doloroso, tu continuerai su questa strada. La nostra strada. Promettimelo su ciò che hai di più caro.»

    Un refolo di vento si alzò alle loro spalle scompigliando l'ordinaria calura estiva; Alfredo mirò alla casa, poi al sorriso dolce di speranza di sua moglie e lasciò che le ansie e le paure scivolassero via dal suo viso. «Te lo prometto.»


    La coppietta se ne stava su di un angolo del sofà, così stretta da sembrare un corpo solo; alzarono entrambi gli occhi quando Morena ed Alfredo entrarono nella stanza, Olivia sorrise ai cugini alzandosi in preda all'agitazione.

    «Alfredo! Ti stavamo aspettando.»

    «Sono qui.» Disse lui accomodandosi in poltrona, di fianco a loro. «La tenuta e le sue risorse sono a vostra completa disposizione.»

    Olivia annuì entusiasta sprofondando nella seduta. «Bene!» Poi si scambiò un'occhiata veloce con Morena che richiamò Agueda dalle cucine con un vassoio di flûte colmi di El Cava, l'equivalente spagnolo dello champagne francese. «Come ti avrà certamente detto anche Morena, non vediamo l'ora che le nozze vengano celebrate, per essere formalmente una coppia.» Olivia aspettò che Alfredo mandasse giù qualche sorso prima di parlare, contorcendosi lo stomaco dalla frustrazione di non poter sciogliere anche lei i nervi con qualche bollicina. «Ti starai chiedendo perché tanta fretta, suppongo.»

    Alfredo sorrise. «Diciamo che l'aspetto melenso della faccenda che tu e Morena state cercando di propinarmi, non mi ha convinto un gran che in effetti. Ma aspetto di sentirti parlare prima di giudicare.»

    Lorenzo diventò cianotico e in preda ad uno scompenso accavallò le gambe, colpendo per distrazione il flûte sul tavolo; si sfilò velocemente il fazzoletto dalla giacca asciugando alla bella e meglio la piccola pozza sul pianale di cristallo, ma si mosse così affannosamente che fece caracollare anche il bicchiere di Olivia; la ragazza lo guardò scocciata, bloccandogli le mani per rimetterle al loro posto. «Ciò che io e Lorenzo stiamo catastroficamente cercando di dirti è che..» Ripulì svelta il piccolo laghetto dorato e lo fissò sospirando. «Diventeremo presto genitori.

    Aspettiamo un bambino per la fine dell'anno, Alfredo.»

    L'uomo schioccò la lingua, saltando sulla poltrona come un gatto. «Lo sapevo!» Si alzò ed abbracciò la cugina costringendola ad alzarsi.

    La ragazza si guardò attorno spaesata. Lorenzo rise isterico. Morena alle sue spalle, strabuzzò gli occhi per l'impetuosa reazione del marito.

    «Alfredo non riesco a respirare.» Soffiò la ragazza in preda la panico; l'uomo si scostò, guardandola come un invasato.

    «Perdonami.» E si gettò su Lorenzo che si alzò prima ancora che la stazza di quell'omone lo sovrastasse.

    «C'è troppa felicità qui dentro.. non si riesce a respirare!» Olivia sorpassò Morena ancora inebetita, spalancò le finestre sul prato e inspirò a pieni polmoni; fu allora che scoppiò a piangere di felicità. Alfredo le fu accanto in un baleno.

    «Cosa ti prende?»

    La ragazza tirò su con il naso. «Tu! Morena aveva ragione.. non sei un ottuso come vuoi far credere!»

    Alfredo la guardò accigliato, poi si girò verso la moglie che alzò le spalle. «Non capisco.. non sei felice?»

    «Avevi capito tutto e hai lasciato che mi consumassi d'ansia! A Lorenzo sono caduti i capelli dalla preoccupazione!»

    Il ragazzo avvampò, coprendosi il viso per la vergogna.

    «Ah, quindi sarebbe colpa mia se vi siete creati un pregiudizio sul mio conto.» Alfredo strinse le braccia al petto, quasi offeso. «Pensa un attimo; voi due siete spariti da Fuentesauco. Morena è tutta un mistero.. e tu, o c'era qualcosa che non andava nella tua dieta o quelle rotondità erano da attribuire ad una gravidanza.» Sorrise di riflesso e questo scatenò in Olivia una risata liberatoria. «La seconda, a quanto pare. Meglio, no?!»

    «Oh Alfredo, sei una continua scoperta!» Lo abbracciò, invitando Lorenzo ad unirsi a loro.

    «Congratulazioni.» Gli disse l'uomo quando li raggiunse, stringendogli la mano.

    «Ti ringrazio Alfredo e grazie anche a te, Morena.» La ragazza da lontano annuì, Lorenzo prese il respiro e guardò l'uomo negli occhi. «Mi auguro di non rovinare questo momento annunciando il nostro fidanzamento presso “Villa Ortensia”, la casa dove dimora mia cugina, Leonor Ruiz Delgado e suo marito, Javier La Fuente. Questi..» Si infilò la mano nella giacca e ne tirò fuori dei cartoncini color lavanda tiepida. «Sono i vostri inviti ufficiali.» Alfredo allungò la mano per raccoglierli fra le sue, in religioso e compito silenzio. «Spero con tutto il cuore di veder riunite entrambe le mie famiglie, quel giorno. Sarebbe una vera gioia.»

    Alfredo guardò Morena, sentiva i suoi occhi inquieti su di lui; la sua voce fuori al capanno, la sua richiesta di mantenere quella promessa così criptica circa il loro futuro che stava cambiando.. accarezzava le più recondite paure. Lei non si mosse, sorrise impercettibilmente e quel sorriso gli fece tremare il cuore; quella donna sapeva esattamente come prenderlo, raddrizzare il suo caratteraccio, ammorbidire gli spigoli del suo essere con pochi semplici gesti e parole che assumevano il significato profondo di ciò che erano assieme.

    Un'unione votata al prendersi cura l'uno dell'altra, semplicemente.

    «Sarà un onore per noi essere lì.» Si lasciò andare, con voce profonda e lo sguardo perso in quello di sua moglie, che gli sussurrava dolcemente, quanto lo amasse.


    *


    Villa Ortensia era circondata da una celestiale nebbia mattutina che filtrava timidamente i raggi del sole.

    Leonor si era svegliata presto, aveva fatto il bagno alla piccola e l'aveva portata con se nella biblioteca al piano superiore della villa.

    La sala era un complesso architettonico che riprendeva lo stile liberty dell'intera dimora, dalla pianta circolare e con un grande soffitto a volta aperto al centro, da un lucernario di vetro piombato, che catturava la luce dall'esterno; le enormi scaffalature di legno massiccio, contenenti più di trentamila volumi divisi per genere, correvano lungo le pareti intervallate a sezione, da vetrate colorate raffiguranti bellissime fenici.

    Amava quella stanza, le sembrava di trovarsi al centro di un arcobaleno.. non v'era che per i lamenti attutiti dalle stanze attigue, in cui giaceva delirante Estefan; le era stato proibito di salire fin lassù almeno fino a quando l'uomo non fosse stato in grado di rimettersi in piedi, ma certi divieti le sembravano così ridicoli. Era Javier a prendersi cura di Estefan adesso, se avessero dovuto contrarre la malattia non c'era nulla che lo impediva, a parte forse la minuziosa scrupolosità in igiene e pulizia di suo marito. Per quanto appariva assurdo, i problemi adesso le sembravano altri e mentre si barcamenava in un doppio gioco fra Javier e Guadalupe, si rendeva conto di quanto poco conoscesse quest'ultima e quanto le confidenze a cui ella aveva dato voce in giardino non rivelassero più di ciò che aveva taciuto.

    «La mamma adesso deve cercare una cosa..» Sussurrò alla piccola, mentre l'accompagnava su una delle poltrone di stoffa scura posta in un angolo. «Tu sta buona qui a giocare, va bene?» Le passò la bambola dai capelli rossi e la bambina l'agguantò incuriosita.

    «Cosa devi cercare mamma?»

    «Un libro di ricette.» Le voltò le spalle, dirigendosi verso uno degli scaffali. «Voglio fare una torta da lasciare tutti a bocca aperta.»

    Camila rise. «Con le fragole di nonno Estefan?»

    Leonor sfilò alcuni tomi e portandoseli al petto passò oltre. «Con la sapienza di nonna Guadalupe.» E il silenzio scese come una cappa scura.


    I Kalé erano un gruppo di gitani partiti dall'India più di mezzo secolo addietro e stabiliti in Spagna, dai quali forse Guadalupe discendeva. Il grande libro sul Porajmos -così come fu chiamata da loro stessi la deportazione del popolo durante il periodo nazista- che stringeva fra le mani, li descriveva come un gruppo della grande popolazione dei romaní. Vennero sterminati quale miscuglio pericoloso di razze, tacciati di comportamenti ritenuti impuri e abitudini additate a indegni individui primitivi; adulti, bambini, più di tre milioni di persone.

    Leonor rabbrividì, guardando l'innocente piccolina difronte a lei giocare ignara delle disgrazie della terra.

    I racconti proseguivano mettendo in luce un astio risalente ai tempi antichi, dove l'ignoranza e la superstizione facevano da padrone fra gli uomini portandoli alla sempre più evidente emarginazione, per via dell'usanza delle donne di leggere la mano, per le pratiche mediche e curative non cristiane e altre stregonerie che avrebbero costituito una prova del loro "carattere demoniaco". Nel volgere di pochi anni, l'immagine di pellegrini che egli stessi avevano contribuito a crearsi, diventò l'immagine di accattoni, ladri e oziosi che portò così alla promulgazione di molti editti e bandi e -come avevano avuto riprova dai fatti più recenti- anche alla eliminazione fisica e totale.

    Un altro libro parlava chiaramente di una grande diffusione di pratiche magiche presso queste popolazioni descrivendo la vita delle Drabarni, le maghe depositarie di conoscenze ancestrali e il loro suddividerle in Bahtali, magia bianca, e Bibahtali magia nera.

    Leonor appuntò il tutto su un foglio di carta, fino ad arrivare ad una lista di ingredienti ed erbe medicinali che attirarono la sua attenzione; segale cornuta, butofenina dalla secrezione della pelle di rospo e amanita, tutti estratti usati nelle pratiche di espulsione.

    Fra queste anche l'elleboro nero, che aveva una nota proprietà acida e corrosiva.

    «Che ti è successo al viso?»

    «In preda ai fumi dell'alcool mi ha schizzato l'acido in viso.»

    Ricordò e pensò che almeno su questo non le aveva mentito; aveva praticato davvero quell'intruglio su Morena Soler.

    E non solo, aveva fatto un altro nome. Milagros Blanco, la donna che Estefan aveva amato tradendola.

    Perché, si chiedeva. Se era una pratica vietata e di tale pericolosità, perché aveva accettato di sottoporla senza esitazione su una donna che.. poi il cuore le si bloccò; Milagros Blanco era incinta.. era incinta di Estefan.

    Si portò una mano alla bocca, sussultando in preda allo stupore.

    «E come finì all'epoca?»

    «Fummo più fortunati. Milagros Blanco fu decisamente più furba.»

    Più furba, ricordò esattamente il ghigno sulle sue labbra.

    Più furba. La sua voce fra i suoi pensieri, le annebbiò la vista; chiuse il libro di stizza e Camila si fermò ad osservarla.

    «Mamma stai male?» Disse, abbandonando la bambola e portandosi alle sue ginocchia; con una mano le accarezzò la guancia fredda come il ghiaccio e s'accigliò, sul punto di piangere. Leonor girò il viso, trattenendo a stento il tremore.

    «Sono solo stanca. C'è poca luce qui.» Le accarezzò i capelli e la prese in braccio; immerse il naso fra i boccoli dorati, mentre nella sua testa vorticavano le più assurde congetture. «Vuoi venire in paese con la mamma? Un po' di sole ci farà senz'altro bene.»

    «Voglio cercare il gattino, prima.»

    «Va bene, andiamo allora.»

    Ripose i libri sugli scaffali e lasciò che Camila la precedesse uscendo, tentennò guardandosi alle spalle e scuotendo il capo in segno di rifiuto uscì.


    La bambina si lanciò sul prato non appena scorse l'animale crogiolato al sole.

    Javier era al tendone, poco più in là, che si dava da fare con gli allestimenti per la festa che da lì a qualche giorno avrebbe avuto luogo.

    La guardò attendendo un verdetto.

    «E' molto bello, Javier. Sono sicura che sarà un incanto per la festa.»

    «E' ciò che penso anche io.» Gli disse con una punta d'orgoglio, poi l'abbracciò baciandola sul capo. «Ti trovo pallida, sicura di sentirti bene?»

    «Sto andando con la bambina a fare una passeggiata. Siamo chiuse in casa da troppi giorni. A questo punto con gli inviti già a destinazione, farci vedere tranquilli e spensierati rafforzerà i nostri piani.»

    Javier rise. «Non sapevo d'aver sposato il diavolo. Ma ammetto che i tuoi ragionamenti sono tutt'altro che frivoli.»

    Leonor fece una smorfia. «Ah proposito di questo..» Lo guardò fisso negli occhi, stretta nel suo abbraccio. «Ho notato che fra gli invitati figurano pochi, se non esigui, esponenti della famiglia Garcia. So che può sembrarti strana questa mia curiosità ma.. mi chiedevo come mai, dal momento che non sono a conoscenza di faide familiari.»

    Javier sorrise debolmente. «Sei mia moglie Leonor, questa tua curiosità ha un buon fondamento oltre che un'ottima osservazione. La famiglia Garcia non è ben vista a Fuentesauco per fatti accaduti in passato, quando mia madre era poco più che una ragazza.»

    «Quali fatti?» Chiese con avidità, troppa forse da scatenare in Javier irrequietezza. «Non voglio essere invadente, cerco di stabilire un contatto con lei ma se non so cosa la tormenta.. le risulta difficile fidarsi di me.» Mentì sapendo di mentire e questo rafforzò l'impassibilità del suo volto, via via sempre più lontano dallo scossone emotivo. «Non la biasimo comunque, qualsiasi cosa sia deve essere terribile.»

    Javier impartì gli ultimi ritocchi, la prese sotto braccio e si appartarono. «E' una storia vecchia, talmente trita che a volte ho bisogno di tutta la mia buona fede, per credere che ci sia del vero. Riguarda mia nonna, una fra i fondatori di Fuentesauco. Anni fa durante un concilio per la ricostruzione del paese, dopo l'ennesimo conflitto, fu fatta giustiziare per impeto di delirio collettivo della comunità; dissero che influiva negativamente sulla congrega additandole dei misfatti verso persone e cose della comunità stessa.»

    «Che genere di misfatti?»

    Il ragazzo acuì la vista, una ruga profonda gli solcò la fronte. «Credenze popolari la chiamano superstizione. Gli uomini di scienza come me la chiamano selezione naturale.. comunque la si voglia chiamare, fu incolpata di qualsiasi accadimento a cui l'uomo non sapeva dare una risposta; malattie, morti, sparizioni. Qualsiasi cosa venne collegata a lei e questo bastò, per così dire, a fare una prova.»

    Leonor annuì con il capo; anche le letture della mattinata erano state chiare in merito. Tuttavia sentiva che non era abbastanza, che per quanto Javier fosse stato coinciso, al puzzle mancava qualche tassello che credeva fermamente volesse nasconderle forse per proteggerla.. o chissà forse per qualche piano nascosto che architettava quando stava chiuso nel suo studio ore e ore a contabilizzare. Non le importava più tanto. Non le importava più nulla che non riguardasse il bene supremo della sua famiglia; lei stessa, Camila e Javier. Qualsiasi fosse il futuro in serbo per Guadalupe alla quale suo marito stava lavorando, era per lei totale disinteresse. Una volta arrivata in fondo a quella storia avrebbe accettato di tornare a Madrid con Lorenzo e la sua futura sposa, pregando il cielo che suo marito fosse abbastanza forte da seguirla e lasciarsi alle spalle l'orribile storia; a momento debito e se opportuno, avrebbe confessato quanto saputo sulla bella dottoressa così da spegnere una volta per tutte quel fuoco pericoloso che scintillava nelle pupille di Javier al solo pensarla.

    «Come fu uccisa?»

    «Non credo tu voglia saperlo veramente.» Rispose lui sempre più mesto in viso. «Ti ho raccontato più di quanto osi raccontarmi io stesso. A volte, ho come l'impressione di non appartenere realmente al mondo in cui sono vissuto.»

    Leonor lo fissò ma stemperò l'ansia con un sorriso. «Forse è un desiderio, chissà.. ci hai mai pensato?» Non gli dette il tempo di rispondere, richiamò la bambina a se e s'incamminò verso il paese. «Non mi aspettare, pranzeremo in in quella bella locanda vicino al fume.»



    Fuentesauco appariva ai suoi occhi come un meravigliosa figura di quella che doveva essere una Madrid di almeno cento anni addietro, che sua nonna, un'arzilla carampana dei vecchi ricchi di città, le raccontava nei pomeriggi pigri nel suo stabile di lusso in calle del pintor Rosales. Dai racconti di Javier ne usciva sempre un po' malandata, ma con i propri occhi aveva scoperto che non era del tutto vero; Fuentesauco era il perfetto connubio fra natura e progresso, lento e innocuo quasi, ma presente e impronta di ciò che sarebbe potuto diventare.

    Gli uffici comunali non erano molto lontani dall'agglomerato di case che costituivano il cuore principale della cittadella, a passi spediti passò accanto alle bettole d'artigianato e alle locande dove le signorine in vesti succinte la squadrarono ammiccando fra loro borbottii e frasi sconce.

    «Donna Delgado!» Un uomo in abito carta da zucchero l'avvicinò; Abel Vincente Del Carmen, in tutto il suo sfacciato fascino. «Via voi! Fate spazio dannate megere!» Aggiunse poi malamente alla volta delle prostitute schierate sui loggiati di legno delle osterie; quelle fischiarono dileguandosi ma da dietro le imposte dei locali i loro occhietti infimi brillavano come lanterne curiose.

    «Buongiorno sindaco, grazie per averci soccorse. Come sta, ha ricevuto il nostro invito?»

    Abel sorrise sfoderando una dentatura perfetta; era un bell'uomo per essere ancora scapolo, convenne arrossendo un po'. «Proprio come tutte le persone che contano in città, mia giovane dama. Tuttavia, sono addolorato, ma avrò un impegno che mi porterà lontano qualche giorno. Posso scortarla altrove? Per me è un piacere nonché un dovere.»

    «Avrà senza dubbio questioni più importanti che presenziare ad una frivola festa di fidanzamento, lo capisco.» Sorrise a sua volta per i sussurri poco velati circa un suo infatuamento per la bella Olivia Herrero e al fortuito impegno coincidente con il fidanzamento, posandosi lievemente al suo braccio in attesa. «Se vuole farmi strada, stavo giusto recandomi in comune.»

    «Cosa la porta a bussare alla mia casa? Ha adocchiato qualche proprietà?»

    «Oh, tutt'altro. La finanza la lascio a mio marito, il mio passatempo preferito sono le conversazioni con persone colte come lei.»

    Abel rise sarcastico. «Mi sta adulando signora Delgado, non è un buon segno!»

    Leonor schiuse le labbra in ghigno malizioso. «Lo dicevo che siete un uomo intelligente.»


    Dopo mezzora di chiacchiere e menestrelli per incantare il sindaco, si trovava esattamente nell'unico posto di Fuentesauco in cui mirava stare con le sue delicate mani bianche che scorrevano minuziose sugli archivi del paese. Era tutto lì; articoli sugli accadimenti principali, proprietà, catasti ed ogni più riservato documento di ogni singolo abitante del posto. Scorse velocemente alla lettera elle e alla lettera e sparpagliò intorno a lei il materiale; i La Fuente avevano forse il faldone più voluminoso dell'intero paese ma Javier più volte aveva decantato l'origine secolare del suo ceppo. Gli articoli di giornale erano un susseguirsi di scandali e trattati di agricoltura perlopiù così saltò all'occhio subito il piccolo trafiletto a bordo pagina del millenovecentoventinove, dove una Fuentesauco vessata dal crollo economico e dalla guerra civile, si macchiò di uno dei crimini più orribili; una donna venne arsa viva dopo un concilio di città, tale Domnica Vasile.. nonna di Guadalupe Andrei Garcia, additando l'accaduto come un fortuito incidente scaturito da un focolare presso le baracche dove la donna abitava. Note a fine, proseguiva lo scritto, la famiglia risulta dispersa. Leonor aprì immediatamente il fascicolo dei Garcia e notò tristemente la mancanza di qualsiasi documento su di loro, solo un mucchio di pergamene bianche messe lì a caso e un misero atto di matrimonio della stessa Guadalupe del millenovecentotrenta; cercò qualcosa sui Vasile e gli Andrei ma nella roccaforte comunale non v'era nulla su di loro. Pensò che era stato più difficile far sparire tutto, che convincere l'unica superstite a non reclamare questo fatto e ancora una volta si trovò ad asserire che non aveva minimamente idea di chi fosse in realtà la madre di suo marito. Con riluttanza aprì lo schedario dei La Fuente e fu immersa in quella che era davvero una dinastia secolare; gli atti di nascita, di matrimoni, morti e proprietà si susseguivano in un valzer cadenzato dallo scorrere della vita, inesorabile. Gioì quando una consunta pergamena vergata in ferro gallico – sicuramente un originale dell'epoca- testimoniava la presenza en la fuente di una famiglia che si avvalorò con quel nome del marchio del proprio casato nel lontano milleduecento. Estefan come i suoi genitori prima di lui, avevano amministrato sapientemente un impero fondato da signori di epoche distinte e lontane e tutto era stato florido e prosperoso almeno fino al matrimonio del giovane che come descrivevano i giornali dell'epoca, aveva congelato i rapporti con i La Fuente señores che mal vedevano questa unione frettolosa e con una giovane dal passato così burrascoso, tanto che il ragazzo si tenne lontano da Fuentesauco più di due anni, prima di fare la sua comparsa al braccio di quella che era ormai sua moglie a tutti gli effetti. Per amor del proprio figlio e per tener salda la famiglia -la coppia non aveva avuto altri figli, questa la maledizione di Fuentesauco che vedeva grandi famiglie ricche di denaro e averi, povere di generazioni- donna Adelaide convinse il marito ad accettare la giovane, convenendo che il piglio deciso di una romanì poteva raddrizzare il carattere troppo farfallone del figlio; la poverina non sarebbe mai arrivata a scoprire che il suo dolce Estefan era tutto fuorché raddrizzabile, stroncata da un prematuro infarto pochi mesi dopo. Leonor sospirò dispiaciuta, quando fra le mani, le capitò l'attestato di nascita di Javier, sigillato nel millenovecentotrentatré; nato da Estefan La Fuente, citava il documento e il particolare l'accigliò, ricordando come potevano essere retrograde certe leggi dell'epoca, specie in un piccolo paese di provincia come quello, dove il nome della madre non veniva neanche menzionato. E proprio mentre ci pensava, con il gomito urtò un foglio di giornale che volò sul pavimento in un valzer leggero; Leonor si inchinò a raccoglierlo, gettando distratta uno sguardo su quella che era la notizia del giorno. Tornano i signori di Fuentesauco e con loro anche l'erede della dinastia, il piccolo Javier Vinicio. Tenute in gran riserbo data e luogo di nascita dell'infante, certa l'immane fortuna ereditata con la triste dipartita di Vinicio señor che lascia ai posteri più di un buon nome. Il paese fa gli Auguri alla neo famiglia, stringendosi per il lieto evento.

    Javier non era nato a Fuentesauco dunque e la cosa di per sé le appariva alquanto strana; avvicinò il suo attestato di nascita che non la pensava allo stesso modo. Afferrò le altre carte dal faldone dei La Fuente e con rapidi calcoli pensò al matrimonio celebrato nel millenovecentotrenta e alla prima apparizione in paese di Estefan e Guadalupe circa due anni dopo, poi per un motivo sconosciuto i due furono lontani di nuovo per riapparire nuovamente alla morte del padre di lui e con Javier appena nato l'anno seguente. Troppo poco tempo, fu il suo primo pensiero, accompagnato da un rivolo di sudore freddo lungo la schiena; Guadalupe doveva essere già incinta quando tornarono la prima volta pensò, non trovando comunque alcun riscontro in nessun articolo anzi il loro ritorno con Javier al seguito appariva come un gran mistero, ed Estefan doveva averla tradita quando si trovava in quella circostanza? Questo dava una spiegazione alla loro seconda sparizione, ma più ci pensava e più credeva impossibile tale ipotesi; quale razza di uomo poteva agire in modo tanto vile? Con rammarico scosse il capo, la realtà sembrava così tanto una finzione che chiunque gravitasse intorno a quella storia così torbida, poteva essere un commediante.

    Era così allora, la carne debole difronte alla vita e al proprio sangue?

    Gli occhi si appannarono mentre pensava al dolore lancinante della bugia, al pericolo delle menzogne; si alzò di stizza, riponendo tutto negli scaffali richiudendoli forte alle sue spalle. Vi restò poggiata, con il fiato corto mentre si sbottonava il colletto dell'abito tastandosi la pelle madida di sudore. Milagros Blanco è stata decisamente più furba.

    La testa le pulsava, un emicrania terribile accompagnata da pensieri laceranti, si scostò ma l'audacia non l'aveva abbandonata; sfilò alla lettera bi timorosa e guardinga. Una modesta cartelletta raccontava la storia dei Blanco. L'afferrò, ma la porta si aprì di scatto; l'incartato le scivolò di mano.

    Sull'uscio, Camila si divincolò da Abel per raggiungerla. «Mamma?!» Chiese con una vocina fra il curioso e l'arrabbiato.

    «Vostra figlia è un vero portento!» Abel le raggiunse, aiutando Leonor a tirarsi su; la donna cercò di coprire il faldone portandoselo sotto al braccio ma l'uomo la fissò come un incantatore di serpenti. Avvampò, rimettendola al suo posto impicciata. «D'altronde non mi stupisce.»

    Leonor ispirò, ordinando a se stessa di calmarsi. «Adesso è lei che mi sta adulando, signor sindaco.»

    «Credevo l'affascinasse la storia del nostro paese.» Abel proseguì con un'alzata di spalle.

    «Quella di alcune persone mi incanta di più.»

    «E ha trovato nulla di interessante, riguardo ai Blanco?» Leonor si morse il labbro. «Non intendevo essere invadente, ma se posso aiutarla in qualche modo non ha che da chiedere.» La ragazza si illuminò, sfoderando un sorriso trionfante.

    «Forse lei è un po' giovane per sapere ciò voglio..» Tirò un po' la corda per vedere fino a che punto il sindaco si sarebbe spinto.

    «Mi creda il peggior sbaglio che possa fare una persona nei miei confronti è sottovalutarmi.»

    E in quel momento se fosse stato un pavone, avrebbe fatto la ruota; Leonor sorrise gelida. «Che ha da raccontarmi su Milagros Blanco?»

    «Milagros Blanco?» Abel inarcò un sopracciglio esterrefatto, come se quel nome appena fatto lo risvegliasse da un sonno profondo e la donna lo fissò appuntita. «Non sentivo parlare di lei da molti anni, ormai.»

    «Quindi è così, qualcosa da dire c'è.» Incalzò lei con una punta di malizia nella voce.

    Del Carmen annuì. «Se don La Fuente non protestasse, mi piacerebbe trattenerla per pranzo, donna Delgado.»

    «Con vero piacere.» Il sorriso genuino della donna si trasformò in un ghigno trionfante. «Ma non dimentichi che sono una La Fuente signor sindaco, gradirei mi chiamasse con il nome di mio marito.»

    Abel arrossì e la coda di pavone si richiuse di getto. «Non.. non lo dimenticherò.»


    *


    Le porte del nuovo ambulatorio erano aperte sulla strada di modo che l'aria calda asciugasse le pareti appena tinteggiate.

    Morena era seduta nel centro ad un tavolaccio di fortuna a destreggiarsi con la corrispondenza e le fatture degli operai. Intorno il caos; il mobilio più alcuni attrezzi medici necessari erano arrivati -con largo anticipo sulla stima di consegna- e se ne stavano ammonticchiati al centro esatto dello studio insieme a lei. Sospirò, dopo aver finito di leggere una lettera con della costosa e spessa carta avorio.

    «Brutte notizie?» Domandò Stella passata di là per dare una mano.

    «Il mio praticantato sta slittando. La dottoressa Velasco è in partenza e ne avrà almeno per due mesi.» Ripose la lettera in un faldone e alzandosi si guardò intorno rammaricata. «Questo secondo le leggi spagnole significa che ho un bellissimo studio nuovo in cui non posso esercitare la professione di medico. Ma..» Si piegò su uno scatolone ai piedi del tavolo, scavando sul fondo. «Io non aspetterò tanto. Trovata!» Sussultò alla vista di un agenda piatta chiusa da un filo con alla base un ciondolo a forma di chiave. «Nel periodo fiorente dei miei studi ho avuto l'accortezza di crearmi diversi contatti. Scriverò a tutta la provincia se necessario!»

    Stella sorrise. «Ne sono sicura sorella.»

    La donna alzò le spalle, trattenendo lo sguardo su di lei. «E i tuoi progetti invece?»

    «Mi sto appassionando all'astronomia. Alberto non fa che parlarmi di stelle, mi ha riempieto la testa di chiacchiere.» Arrossì e Morena trovò sul suo viso la bellezza di una ragazzina appena sbocciata. «Ti sei mai chiesta se è davvero tutta qui la vita?»

    «Un sacco di volte e non posso credere che la bellezza dell'universo finisca con noi.» La ragazza annuì con un'alzata di spalle, Morena inspirò forte per un attacco di nausea improvvisa. Sorrise, portandosi cautamente sull'uscio della stanza; la sferzata di aria sul viso la liberò del fastidio. «Sono felice di sapere che hai una vocazione, è importante per il tuo futuro e per la coppia che verrà.»

    Stella versò dell'acqua in un bicchiere e le si avvicinò. «Come è importante che nel tuo stato tu stia buona qui e lontano da questi odori.»

    Morena bevve un sorso non staccandole gli occhi di dosso. «Quindi lo sai..»

    «Conosci la zia, non riesce a tapparsi la bocca.» Poi scosse il capo prima che ella l'incalzasse. «Lo ha saputo involontariamente da nostro padre; è in estasi, dovresti sentirlo parlare di voi.. sono certa che ha accettato la proposta di Alberto perché pieno d'amore come non mai. Ma sta tranquilla, ci ha avvisate che Alfredo non sa ancora nulla e gli abbiamo promesso che manterremmo il segreto.»

    «Oh dolce Stella, fosse così facile per nostra zia!» Poi s'accigliò. «Ah proposito, non doveva essere qui?»

    «Si è dileguata prima del tuo arrivo e non è più tornata. Hai notato anche tu che ultimamente si comporta in modo strano?»

    Morena soppesò attentamente le parole della sorella prima di rispondere, pensando a Milagros e al suo arrivo turbolento a Fuentesauco.

    «Credi stia combinando qualcosa?»

    «E' più triste e più saggia.»

    Si guardarono in silenzio, Morena incapace di credere che la sua piccola sorellina fosse cresciuta così in fretta e che portasse con sé un'aria così sensibile e delicata verso il prossimo; volò con lo sguardo oltre il paese, verso la collina lontana dov'era la sua casa, oltre i tetti del paese e pensò a sua zia, a dove si fosse cacciata e cosa aveva in mente, quando Olivia arrivò tutta trafelata dal corso principale e saettò nello studio come un razzo.


    «Vi prego serrate le porte!» Le due donne la guardarono come se fosse un invasata, non schiodando di mezzo centimetro dalle loro posizioni. «Abel Del Carmen.. sta scendendo per questa direzione! Per l'amor del cielo, non voglio sostenere un'altra conversazione con lui!»

    Stella inarcò un sopracciglio. «Morena ha bisogno di aria. E anche tu.»

    Indicò la finestra ancora coperta dai fogli di giornale e quella vi si portò senza battere ciglio.

    «Lo sa.» Confermò Morena sarcastica. «E lo sa anche mia zia. Ergo.. presto tutto il paese saprà. Ah proposito, l'hai vista?»

    «Di sfuggita a Legno di Quercia. Doveva svolgere delle commissioni fuori città.» Rispose quasi distrattamente, mentre con la mano stracciava quel tanto di giornale per avere una visuale sull'esterno. Morena scosse il capo, quella la incendiò. «Ha fatto sapere che non ci sarà alla festa per il nostro fidanzamento. Questioni di massima urgenza..» Calcò la frase con lo stesso tono mellifluo dell'uomo, schioccando la lingua sonoramente. «Non voglio subire un altro sguardo accusatorio da lui. Il suo dispiacere è ostentato e fastidioso. Mi capisci?»

    «Una volta eravate amici.» Morena capiva, ma amava stuzzicarla.

    «L'amicizia non si basa su scambi di favore. Eravamo una squadra. Colleghi.. ma amici mai.»

    «Capisco.» Ammise l'altra, voltandosi a guardare il suo passaggio imminente.

    Abel camminava impettito e fiero, al braccio una dama vestita e pettinata finemente altrettanto fiera e bella; l'osservò, aveva già visto quel viso splendido brillare sotto alla luce del sole. «Lei chi è?» Chiese pacata.

    «Ma come non lo sai?» Rispose Olivia in tono rammaricato. «Quella è Leonor La Fuente, Morena..» E prima che potesse aggiungere il resto, Stella le fece da eco. «Consorte di Javier.»

    Morena le guardò entrambe, ed entrambe adesso la fissavano imbarazzate. «Beh, che avete da guardare? Ha una moglie e allora? Nulla che non sapessi già.» Volse lo sguardo nuovamente alla figura femminile in lontananza. «E' passato più di un mese da quando sono qui, non si era mai vista, credevo fosse scappata non appena messo piede in paese.» Rise ma le due ragazze continuavano a fissarla malamente. «Si può sapere che avete?»

    Le due dal buio della stanza indicarono la bambina spuntata dalle gonne della donna; Morena sussultò, Abel si era voltato in direzione dell'ambulatorio e la stava salutando alzandosi il cappello. Ricambiò il saluto con un sorriso imbarazzato.

    «Ecco, adesso penserà che parlo da sola come i pazzi.» Berciò, non appena i due adulti con la bambina furono di spalle.

    «Chissà cosa stanno tramando quei due.» Chiese Olivia rivolta a Stella con fare cospiratorio, ignorandola.

    «Conoscendo la nomea del sindaco, direi nulla di buono.» Sentenziò l'altra, d'un tratto giovane donna navigata.

    «Ehi voi due?!» Morena schioccò le dita a mezz'aria. «Qualsiasi cosa sia, non sono affari nostri!» Chiuse la porta d'entrata indugiando sulla piccola testolina bionda piena di boccoli che andava via e sospirò. «Mi turba doverlo ammettere, ma devo ringraziare quell'uomo se questo posto oggi è mio.. perciò finiamola qui. E anche tu.» Puntò il dito verso Olivia. «Se non vuoi vederlo ti capisco, ma ricordati che sei una signora e una signora non scappa di fronte agli ostacoli. Li affronta. E tu ne hai tutte le potenzialità. Per quanto riguarda te..» Il suo tono si fece brusco quando vide Stella sgattaiolare a nascondersi. «Oggi hai imparato due cose importanti; non giudicare all'apparenza e sopratutto, tenere per se i segreti!» Le guardò entrambe in modo greve. «Mi avete capita? Questo non è un gioco.»

    Olivia la guardò con sconcerto ma per dare buon esempio alla più giovane, annuì; l'altra la imitò scocciata. «Sei diventata noiosa.» Aggiunse.

    «Sono solo più saggia.» Concluse, portandosi nella sala attigua, quella destinata ai parti e alle operazioni.

    Rimasta sola restò a contemplare il vuoto, la calma e la pace che vi era lì dentro, in conflitto con la sua se stessa interiore; un magma incandescente che sgorgava dalle pareti, incendiandola.


    *


    Conosceva quei giardini, come se fossero stati sempre suoi; una catena di Ortensia e Hibisco, i fiori dell'estate, come era stato il loro amore.

    Fugace, caldo e intenso, divorato dalla passione all'ombra di quei fiori inebrianti.

    Era certa che doveva averla amata, anche se era stata una stella che si era consumata in fretta, lui l'aveva amata.. era sicura.

    E le lacrime scendevano lente sulle guance, al pensiero che di quella fiamma restavano solo ossa stanche e un corpo martoriato dalla malattia più atroce che potesse esistere; gli aveva dato forse il suo ultimo addio, non avrebbe partecipato a quell'insulsa festa d'estate per vederlo umiliarsi dinnanzi a tutto il paese e fingere che, Estefan La Fuente, era vivo e non morto come tutti andavano domandandosi ignari.

    Non avrebbe partecipato al coro dei sussulti di falsa gioia, nel vederlo ancora al capezzale con la sua signora, Re di Fuentesauco e padrone del mondo intero. Non avrebbe acclamato ancora la sua potenza, la sua forza, il suo dominare la scena.

    E tutto questo perché lo amava. Non c'era stato giorno in cui aveva smesso. E mai ci sarebbe stato.


    «Chi va là?»


    Una voce, arrivò alle sue spalle. Si voltò come un gatto alla quale avevano pestato la coda; una giovane donna dai capelli biondi come il granoturco, la guardava con grandi occhi spalancati e azzurro cielo. In lontananza la carrozza di Abel Del Carmen alzava polvere sulla strada.

    Sorrise ironicamente, incasellando la figura in un immagine ben precisa dei suoi ricordi. Calò il capo già coperto dal cappuccio, per tenere nascosti i suoi tratti ancora di più. «Voi non mi avete vista.» Sussurrò con voce falsata e autoritaria.

    «Oh sì. Io vi ho vista, vista eccome. State uscendo dalla mia proprietà come una ladra.»

    «Vi sbagliate.» Girò il volto, lontano da quegli occhi pungenti. «Ho perso la mia strada. Addio.»

    La ragazza la trattenne per un braccio, per nulla spaventata. «Chi siete? Fatemi vedere il vostro viso!» Cercò di tirarle giù il cappuccio, ma l'altra le afferrò il braccio con la mano libera; con i loro occhi ben allineati, la giovane sussultò spaventata. «Voi..Milagros Blanco?!»

    Milagros la fissò, la bocca una linea dura. «I vostri occhi..» Sussurrò Leonor, in un fil di voce strozzata.

    Era così che l'aveva immaginata, dal primo istante in cui Abel aveva aperto bocca; profondi occhi come gemme, belli e sconcertanti.

    Le braccia cedettero e si afflosciarono ai fianchi, la donna ritirò in fretta le sue strette a pugno, il petto ansante e il terrore nelle pupille.

    Guardò in fretta verso il punto in cui la carrozza aveva solcato il terreno e tornò su Leonor. «I miei occhi.. cosa?»

    «Sono spaventosi.» Deglutì. «Che cosa ci fate qui

    «Nulla che tu avresti dovuto mai sapere.»

    Gli occhi di Leonor si allargarono per lo stupore. «Oh Nostra Signora del Cielo.. è tutto vero, dunque?»

    La donna indietreggiò lentamente. «Dimentica in fretta ciò che sai.» L'ammonì. «Ricorda, una donna ignorante può essere perdonata. Una donna sciocca, no.» E non le lasciò il tempo e lo spazio materiale per replicare, perché sparì fra le siepi della strada, lasciandola sola e disperata.


    «Leonor? Ti senti bene, cara?»

    Non ricordava nulla, ma sentiva esattamente qualcosa di molto morbido accarezzarle la schiena; allargò una mano e il tessuto soffice della coperta sul suo letto rispose alla stretta. Era in camera da letto, Javier torreggiava su di lei, profondi cerchi neri intorno agli occhi.

    «Lei dov'è?» Chiese con voce esile.

    «Lei chi?» Rispose Javier, coprendole la fronte con la mano. «Hai la febbre. Probabilmente hai mangiato qualcosa che ti ha disturbato. Abel Del Carmen è stato qui, si scusa.. è mortificato anche se non ne capisco il motivo. Può capitare a tutti un'intossicazione alimentare.»

    Leonor sussultò di dolore. «Non fare sforzi. Prendi subito l'aspirina. Ti prego, ho bisogno che tu stia bene. Ho bisogno di te.» Le sorrise, passandole il bicchiere con l'acqua e il preparato di acido acetilsalicilico.

    «Hai bisogno di me..» Rispose terrorizzata dai ricordi incombenti della mattinata, piccole schegge nel cervello.

    Javier travisò del tutto il suo viso cereo. «Per un attimo ho creduto che.. mio padre e poi anche tu. Che razza di uomo può tenere suo padre malato accanto alla sua famiglia?» Si passò le mani sul viso, traumatizzato dai pensieri nefasti.

    Leonor gli sfiorò lievemente la mano per attirare il suo sguardo. «Questa è una reggia, non una catapecchia che ci costringe a stare vicini. E tu hai preso tutte le precauzioni del caso, quindi ti prego non crucciarti inutilmente.» Studiò il suo viso perfetto nei minimi dettagli; la bocca scolpita e carnosa, gli zigomi alti e le folte ciglia scure che incorniciavano occhi verdi e profondi come pietre preziose. Tremò. «Mi dispiace che il sindaco ti abbia fatto perdere del tempo inutilmente. Con tutti gli impegni che avrai, ricevere visite deve essere l'ultima delle tue preoccupazioni.»

    Javier sorrise, baciandola sulla fronte. «Per fortuna quest'oggi a parte lui non si è visto nessuno.»

    Un sorriso melodrammatico fiorì sulle labbra di Leonor. «Tua madre dov'è?»

    «Dov'è sempre stata nell'ultimo mese. Nei luoghi di nessuno.»

    Quella donna le aveva mentito. Non aveva importanza quanto e come lo aveva fatto; adesso le faceva davvero paura.

    Chissà quali e quanti altri segreti portava con sé. Quante vite aveva amministrato e continuava ad amministrare.

    Non riusciva a sopportare oltre, le sua presenza nelle loro vite. Dovevano sbarazzarsene subito.

    «Così non si può andare avanti, Javier. Devi trovare una soluzione, seppur difficile, devi decider del suo futuro.»

    Javier la guardò incredulo e preoccupato. «Credevo ti piacesse.»

    «Un po' meno, da quando preme affinché io ti controlli temendo che tu possa tradirci.. se hai capito quello che intendo.»

    L'uomo schiuse le labbra interdetto. «Ti vuole contro di me?»

    «Mi vuole dalla sua parte, mettiamola così.» Inchiodò lo sguardo nel suo, cadenzando il respiro. «Tu la biasimeresti? E' convinta che l'allontanerai da suo marito.. per quanto questa mi sembra la soluzione migliore per Estefan, ai suoi occhi appare come una catastrofe. Diciamo che sa qual'è il mio punto debole. Tu. Ma io ho fiducia in mio marito.. il mio punto a favore

    Javier la guardò come se la vedesse per la prima volta; determinata, forte, furba. Questa era sempre stata Leonor, sotto la facciata del suo viso angelico, si chiedeva spesso dove fosse finita; sperò con tutto il suo cuore che fosse sulla via per la rinascita, sebbene l'avesse aiutata poco affinché questo accadesse. Pensò quindi, che doveva sapere. Era pronta.

    «Esiste già una soluzione. Ho agitato le acque e qualcosa è risalito; una nuova sistemazione che.. sono sicuro le piacerà.»

    Leonor trattenne il respiro, la mano a mezz'aria sulla sua bocca dipinta da un ghigno beffardo. «Mi fido di te.»



    NDA:

    Grazie di cuore a chi spende il proprio tempo per questa storia; è incredibile quanto il pensare a voi, mi motivi ancora di più.

    L'ho già detto, amo questa storia perché anche se non è recensita praticamente da nessuno, mi spinge per essere scritta; è qualcosa che non riesco a spiegare ma ne sento la necessità. Spero comunque che qualcuno a cui piaccia veramente più di me, prima o poi, mi lasci il suo parere.

    Luna.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


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Eternamente

(para siempre)


La verità è raramente pura. E mai semplice.

Oscar Wilde, scrittore.



La carrozza slittò sulla ghiaia, quando il cocchiere dette ordine agli animali di arrestarsi.

Lo sportello venne aperto e una giovane donna con al braccio un bambino, seguita da un'altra che all'apparenza sembrava essere sua madre, ridiscero trattendo le vesti dalla polvere della strada. Il cancello sul viale di salici piangenti, si aprì dinnanzi a loro illuminando la via fino alla grande villa sullo sfondo con grosse fiaccole, impiantate in vasi di terracotta. Restarono entrambe pochi secondi ad ammirare le fiamme avvilupparsi l'una all'altra, ognuna con dei ricordi personali legati a quel luogo, pregno di felicità, passione, spensieratezza ed oggi invece casa di dubbio, mistero, paura. L'uomo dietro di loro tossicchiò; una delle due si girò borbottando.

«Eccovi le vostre peseta, quanta fretta!» Quello non rispose, serrò le briglie e ripartì in tutta fretta.«Dannato ubriacone!» Gli gridò dietro la donna.

La ragazza con il bambino si voltò e la incenerì. «Noto che sei di ottimo umore.» Scosse il capo e invitò il bambino a precederle. «Riesci a contenerti? Te ne prego.. non voglio che imprechi davanti a Riccardo. Se non sei felice d'essere quì, tornate a Legno di Quercia come avevi saggiamente deciso all'inizio, Alfredo capirà.»

«La puzza di vino si sentiva da qui a Villaescusa!» Rispose l'altra piccata, cercando il ventaglio sul fondo della borsetta. «E comunque Alfredo merita tutto il mio rispetto e la mia comprensione, non gli farei mai questo torto. Piuttosto..» La squadrò da capo a piedi. «Neanche tu sembri così felice. Il tuo volto è tutta una smorfia timorosa.»

Morena si morse il labbro, ma guardò duramente dinnanzi a se. «Il timore è per chi si sente colpevole, zia. Io sono a posto con la mia coscienza.»

Milagros annuì da dietro il ventaglio di pizzo nero perfettamente in tono con il suo lungo abito di seta scura scivolato, con un accenno di coda in pesante e raffinato pizzo dello stesso colore. «Anche io.» Disse infine in tono compunto, avviandosi.

Morena fermò lo sguardo sulle sue spalle solide, così familiari.

I soler cadono sempre in piedi. Una voce dentro sè si svegliò, e quella voce, le ricordò che avrebbe presto rivisto Guadalupe Garcia, non più spettro dei suoi incubi passati, ma viva presenza. Non era caduta, mormorò fra se e se.

Nonostante quella donna avesse cercato in tutti i modi di farla stramazzare, non era caduta mai.


Proprio come da migliori aspettative, il tendone di Estefan si ergeva come una cupola ai piedi della villa e al centro del parco immenso di erba verde finimente rasata, per la quale si accedeva tramite un viottolo principale delineato da fiori di lillà, come il colore degli inviti. Sostanzialmente la struttura era di forma ellittica, costituita da pilastri di ferro battuto e travi di legno sul soffitto dalle quali scendevano grappoli di glicine profumato e aperto su tutti i lati da tende di seta bianca chiuse a ventaglio da nastri dello stesso colore. Al suo interno Javier aveva fatto sistemare dei tavoli presso i quali avrebbe avuto luogo il banchetto per gli ospiti, rigorosamente rivestiti di bianco e adornati con degli specchi che aveva fatto intagliare da un mastro vetraio, così che il soffitto si riproducesse all'infinito e si avesse davvero la percezione di trovarsi in un bosco incantato anche per via della luce tenue proveniente dalle lampade ad olio posizionate in punti strategici.

Morena sfilò accanto a quella meraviglia tirata da Riccardo, stregato, da una delle numerose vasche di acqua dolce con ninfee e pesci rossi fuori il gazebo, ma sparpagliate quà e là lungo tutto il giardino. Il bambino si era accovacciato sulle ginocchia e insieme ad altri bambini giocava immergendo le manine nell'acqua, per acchiappare le bestiole; Morena si guardava intorno alla ricerca di Milagros sparita nel flusso di persone che iniziavano ad animare la festa, quando una musica jazz interruppe il vociare attirando l'attenzione sull'ingresso della villa.

Il complesso musicale era armoniosamente collocato sulla scalinata di marmo che divideva l'atrio dell'abitazione dal prato, composto da diversi elementi ognuno con un proprio strumento, vestiti in abiti lunghi le donne e in smoking gli uomini con i rametti di lillà a fuoriuscire dal taschino della giacca; stavano suonando un vecchio brano dal ritmo divertente quando alle loro spalle, con un ingresso quasi trionfale, la famiglia La Fuente tutta, apparì. Javier e Leonor, mano nella mano con la loro primogenita nel centro, alcune carampane che Morena ricordò essere le zie paterne del giovane dal paese vicino di Canizal, Guadalupe ed Estefan sorridenti a chiudere.

La tensione salì alle stelle quando quest'ultimo alzò una mano verso la folla a mò di saluto; quasi dal nulla, partì un applauso roboante.

Qualcuno imprecò bestemmie, qualcun'altro pregò, Morena giurò di sentire qualcuno addirittura piangere.

Poi tutto era svanito, Javier aveva preso in mano un microfono invitando le persone ad entrare nel gazebo.

«Miei gentili ospiti..» Tuonò con tono affabile e movenze da vero presentador. «E' con lieto piacere che le porte di Villa Ortensia si aprono per voi, questa notte. Come sapete, la festa d'estate è una delizia che la mia famiglia ed io da tradizione condividiamo con i nostri amici più cari e parenti, e ancor più lieti quest'anno, festeggeremo la nascita di nuovi congiunti; Lorenzo Navarro, cugino della mia splendida moglie Leonor, e Olivia Herrero, che molti di voi conosceranno per mezzo delle sue ottime uve. Presto diverranno sposi, a noi il compito di omaggiarli come essi meritano.» Morena scosse il capo infastidita; si erano visti bene di tralasciare le origini d'appartenenza della futura sposa e fu grata che ne Alfredo ne Olivia fossero ancora giunti alla villa e comunque questo, non le evitò un chiassoso applauso da parte della folla.

«Un salamecco degno di nota.» Milagros le fu alle spalle con due flute di Cava stretti in mano. «La sposa fa buon vino. Non mi stupirei se l'avesse vergato Guadalupe con le sue stesse mani.»

«A giudicare dalla sincerità, credo lo abbia scritto proprio lui.» E guardò rapidamente alla donna bruna allacciata al braccio del suo uomo.

«Già. Spero che questa farsa abbia vita breve. Non riesco a guardare Estefan senza pensare che lo accompagnerà piano piano alla morte.»

Morena si voltò schioccando la lingua. «Perchè sei quì, allora?»

«Perchè non voglio perdermi la sua faccia quando il ragazzo annuncierà il da farsi.»

«Sai già quale sarà il loro futuro?» La incalzò.

«Oh andiamo..» Ricambiò lo schiocco, guardandola con irriverenza. «Vuoi dirmi che non hai pensato, neanche per un secondo, all'ipotesi che Javier li tolga di mezzo entrambi in un colpo solo?»

La ragazza arcuò un sopracciglio. «Certo che ci ho pensato. Il problema, cara zia, è che ne io ne te abbiamo mai parlato dei motivi.»

Milagros avvampò, ma non perse la lucidità. «Credi veramente che ci sia qualcosa che riguardi quell'uomo che possa sfuggirmi?»

Fu come una scossa. Rapida. «Tu.. lo hai amato?» Esalò Morena, con voce incrinata e gli occhi spalancati per lo choc. «E lo ami ancora.»

La donna s'umidì le labbra con il vino, una strana malinconia nello sguardo. «Come si può smettere d'amare qualcosa che non è mai cominciato?»

La musica coprì il silenzio, cadenzando con un ritmo lento e straziante, l'aria tumultuosa.

Morena guardò verso la famiglia, Javier nello stesso istante girò il volto nella sua direzione; il suo cuore mancò un battito e capì perfettamente, una ad una, quelle parole. Se smettere d'amare sembrava la cosa più difficile per sua zia, prima c'era da chiedersi altro.

Si può amare qualcosa che non è mai cominciato?

«Perchè sei quì, zia?» Disse in tono asciutto, scacciando via le domande e il tedioso fastidio di non trovare alcuna risposta.

«Per lo stesso motivo per cui ci sei anche tu.» Inspirò l'altra, guardandola intensamente. «Per la speranza. Per amore. Per dire addio


*

«Quanto manca per la villa?» Olivia si contorceva la veste, sulla carrozza di raso e merletto che Alfredo aveva ordinato per la serata. «Non credevo fosse tanto lontano.» Aggiunse ridendo nervosamente.

Alfredo le colpì affettuosamente il dorso della mano sorridendo. «Non avere timore e goditi il momento. Quando farai il tuo ingresso e Lorenzo ti vedrà, capirà che uomo fortunato è. Sei un incanto.»

E lo era. Alfredo aveva ordinato da Madrid un tessuto di crêpe georgette in seta color champagne che aveva fatto ricamare in un abito scivolato stile impero apposta per lei, che accarezzasse ed esaltasse la sua figura florida; ne era uscito un abito dalla linea semplice e dritta, impreziosito dal corpetto stretto, dal quale al centro si apriva una V formata da due fasce dello stesso tessuto, che andava ad allacciarsi dietro il collo mediante un medaglione di agata rossa con una cascata delle stesse pietre che le ricadevano sulla schiena, lasciato in bella mostra dall'acconciatura raccolta.

«Quindi credi che io possa essere all'altezza?» Chiese dal nulla.

«Qualcuno ti ha fatto credere il contrario?» Incalzò lui, guardandola serio.

La ragazza scosse il capo, Alfredo indugiò ancora con lo sguardo. «Sei intelligente, sicura di te e cosa non meno importante, provieni da una buona famiglia. Una famiglia che tiene molto a te. Non te lo dimenticare mai questo, nei momenti di smarrimento e confusione Fuentesauco, io, Morena e il piccolo Riccardo, ci saremo.» Picchiò un colpo sulla parete che li separava dal cocchiere e quello rallentò, fino a scemare la corsa. «Anche se sono certo che non ne avrai bisogno. Tu e Lorenzo date l'impressione di sapere già dove è che vi condurrà il destino.»

«Don Roquez?» Li interruppe la voce roca di Rodrigo, calando il separè e con le briglie ancora strette fra le mani.

«Chieda di farci passare oltre il viale. Olivia Herrero non toccherà terra prima.»

L'uomo annuì, toccandosi la tesa del cappello. «Devo suonare anche le trombe a festa?»

«Vedo che ha capito cosa intendo.» Alfredo si lasciò andare in un sorriso che contagiò un poco, quello teso della giovane difronte a lui.

«Alfredo non ti ho mai ringraziato veramente, per tutto quello che hai fatto per me.»

«Non ce n'è mai stato il bisogno.»

E calò il silenzio, conosceva bene l'uomo in smocking adagiato sulla poltrona di velluto rosso che guardava fuori al finestrino con aria compita e attenta; non una parola di più avrebbe detto, perchè Alfredo mirava ai fatti più che alle parole. L'aveva salvata dall'oblio di una stirpe in continua lotta, vegliando sul suo futuro quasi fosse un padre. Le aveva permesso di studiare, e quando ce n'era stato bisogno l'aveva aiutata ad avviare e gestire gli affari della tenuta vinicola che i suoi genitori avevano avuto il buonsenso di tirar su, dall'ammasso di polvere e cenere che il buon Alvaro Roquez aveva lasciato dietro di se.

Si sentì parlottare, dopo che la carrozza s'arrestò presso il cancello di "Villa Ortensia" e si rese conto di essere arrivata quando la luce delle fiaccole diradò il buio intorno a loro; Rodrigo spinse al trotto la vettura, poterono ammirare da lontano la villa illuminata e il lungo viale di alberi.

«Ci siamo.» Disse per stemperare gli ultimi residui d'ansia.

«Ci siamo.» Affermò lui, improvvisamente meno rilassato di ciò che le era sembrato fino a quel momento. «Sembra che non avremmo problemi a trovare la via, stanotte.» E si parò il viso melodrammaticamente per coprirsi dalla luce.

Olivia rise. «Sembra che non voglio che lasci la mia mano.»

«Sarai tu a lasciare la mia.» Rispose Alfredo poeticamente, quando Rodrigo spalancò la porta e li invitò a scendere.

«Spero il viaggio sia stato di vostro gradimento.» L'uomo allungò una mano verso Olivia che l'afferrò energica; inspirò forte e ridiscese senza riuscire a staccare lo sguardo dalla villa maestosa.

«Sembra quasi un mausoleo.» Berciò sarcastica alla volta di Alfredo.

L'uomo si trattenne a stento, infilò cauto una busta nel taschino della giacca del cocchiere e accordandosi per il ritorno, lo congedò.

«In un certo senso. Mio nonno raccontava che un tempo fungeva da caserma.»

«Tutto quà?» Domandò lei con un sopracciglio arcuato. «Credevo chissà quali storie albergavano dietro questa opulenza in marmo.» Poi scostò un pò la veste e si mise al braccio dell'accompagnatore, volgendo attenzione ai cespugli rigogliosi e profumati accanto a loro. «I giardini sono molto belli però.»

«Estefan La Fuente ha mitigato il suo ascendente militare con i fiori.»

Olivia rise beffarda. «Questo me lo rende assai più simpatico.»

«Finalmente.» Lo sentì pronunciare nel pieno della soddisfazione. «Mi chiedevo quando saresti tornata in te.»


Lorenzo la intercettò prima ancora che la sua presenza divenisse di tutti gli occhi presenti.

Le fu vicino, emozionato e teso come una corda di violino, fissandola come fosse un miraggio in pieno deserto; abbozzò un leggero inchino, il perfetto smocking nero risaltava la sua figura snella e i tratti chiari avvolgendolo come una seconda pelle, posò delicatamente le labbra sul dorso della sua mano e si tirò sù sorridendo soavemente.

Alfredò seguì il loro impercettibile sfiorarsi con gli occhi e colpì con un delicato buffetto la mano che Olivia teneva ancora salda al suo braccio; la ragazza voltò il capo lentamente e lentamente annuì, slegandosi. In quel preciso istante, Lorenzo fece sue quelle mani libere, stringendole.

«Buonasera Don Roquez.» Proferì il ragazzo con aria solenne. «Sono lieto di vederla.»

«Il piacere è tutto mio ragazzo.» Poi, come quasi una promessa di ciò che sarebbe accaduto molto presto, gli mise una mano sulla spalla. «La lascio alle tue premure.» Girò il capo due tre volte per salutare i compaesani che l'avevavo riconosciuto e tornò su di loro. «Immagino di dover cercare mia moglie adesso. Buona serata.»

Lorenzo sorrise e prima di congedarsi insieme ad Olivia indicò una vasca fra la folla, dove dall'alto Morena guardava divertita il piccolo Riccardo affondarci dentro le mani; Alfredo li guardò compiaciuto, raggiungendoli.

Il passaggio non fu del tutto innocuo; si prodigò varie volte in saluti e cerimonie e varie volte fu costretto invece ad ignorare i sussurri che i meno audaci spingevano nella sua direzione. Li sorvolò come non esistesse nessuno se non la figura lontana di quella donna e del suo bambino.

Non ricordava l'ultima volta che era stato a Villa Ortensia, ma qualsiasi ricordo riguardasse i La Fuente comportava il codice di un patto molto molto sottile e implicito che li vedeva rispettarsi ed omaggiarsi nelle occasioni formali e farsi la guerra tolti i grandi abiti; mai avrebbe immaginato di sentirsi così frustrato nel trovarsi al loro cospetto, mai avrebbe immaginato che gli affari per i quali si sarebbe trovato a combattere, un giorno avrebbero esulato il commercio. E questo, non riusciva a nasconderlo nemmeno a se stesso, lo rendeva insofferente.

Arrivò alle spalle di sua moglie e le sfiorò.

«Alfredo.» Mormorò lei.

Si voltò. Era incantevole, con il sorriso dei giochi di loro figlio ancora stampato sul viso. «Cosa mi sono perso?» Chiese.

«Non molto a dire il vero. Sono insieme?»

Annuì. «Ci ha visti arrivare da fuori le mura, suppongo. La guarda come se fosse di cristallo.»

«Anche tu.» Scherzò lei, stringendosi al suo braccio. «Pensavo che dovremmo dare anche noi delle feste del genere.»

Alfredo la guardò stupito, poi guardò in basso e proferì sarcastico. «E' una vasca per i pesci quella?!»

«Sono seria.» Protestò. «Ok, la vasca per i pesci è un pò troppo. Ma festeggiare gli amici, di tanto in tanto, non sembra una cattiva idea. Potremmo anche sfruttare certe occasioni per allargare il giro delle conoscenze e consolidare le alleanze. Il futuro si avvicina Alfredo, il millenovecentosessanta non è poi così lontano.»

«E cosa ci riserverà la nuova decade, mia dolce signora?» La canzonò bonariamente.

«Non lo so, ma se gli americani lanceranno presto il primo uomo nello spazio, qualcosa sta già accadendo, non trovi?»

«Non ti facevo così progressista moglie adorata.»

«Se un uomo può arrivare così lontano, non vedo cosa c'è di tanto spaventoso nel dare una festa di tanto in tanto.» Disse, alzando le spalle ed agitando i lunghi capelli scuri come se parlasse di cose per nulla astratte; questo gli strappò un sorriso e l'impudenza di rubarle un bacio sulle labbra.

«A patto che resti sempre quella che sei.» E la baciò ancora.

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Il profumo del cumino si sparse nella tendone, aprendo le danze alla cena.

Javier aveva seguito alla lettera i consigli di Leonor, ordinando del prelibato cibo, secondo la tradizione castigliana; prosciutto dolce, salame, salsicce e formaggi arricchiti con il buon Alcarria, il miele di cui i saucani andavano tanto fieri, solo per cominciare.

I camerieri, rigorosamente vestiti di bianco con un tocco lilla del panciotto, alternavano i piatti come fossero mazzi di fiori per gli ospiti in una perfetta sincronia dei gesti, sfilando fra i tavoli e creando un leggero vortice di aria che muoveva le tende sciolte per creare maggiore intimità.

Questo smosse non solo l'apettito, ma anche il tipico chiacchiericcio conviaviale che presto coprì del tutto la musica di sottofondo, ridotta ad un bisbiglio lieve. Javier si guardava intorno soddisfatto, mentre con il coltello tagliava la tenera carne del Toston, il maialino cotto al forno.

Leonor accanto a lui abbozzava sorrisi e con un occhio teneva ferma l'immagine della donna a pochi tavoli dal loro, che parlava all'uomo sedutole accanto; sussurravano per lo più e nel mezzo un bel bambino dai folti capelli scuri mangiava obbediente il suo chorizo, nonostante l'abbondante paprika ne alterasse il colore. Doveva avere più o meno l'età della piccola Camila, che in braccio al suo papà guardava schizzignosa nel suo piatto. Non era mai stata una bambina molto appetente, sospirò, gettando ancora un occhio al bambino e ai suoi bocconi di carne piccante.

Guadalupe ed Estefan erano stati rilegati ad un tavolo molto esterno rispetto alla disposizione degli altri tavoli, contrariamente a quanto deciso in partenza la donna aveva insistito perchè il marito non saltasse il banchetto e Javier, accomodante, aveva creato una barricata con il proprio tavolo disponendo le zie in prima linea così che tamponassero con la loro parlantina, qualsiasi iniziativa d'approccio estranea; l'uomo era talmente emaciato che non serviva una vista d'acquila per rendersene conto e ad un certo punto arrivò persino a sperare che le generose dosi di vino Rioja lo aiutassero a confondere la vista e porsi poche domande.

«Quel bambino ha un non so che di familiare.»

Il commento appuntito di Leonor, squassò di colpo tutti i pensieri; seguì con lo sguardo la sua traiettoria e quando si posò sull'infante seduto al tavolo dei Roquez, s'agitò. Sapeva che era una cosa stupida, ma non riusciva a sostenere lo sguardo su quella creatura più del dovuto.

«La signora Rocio poc'anzi mi ha gentilmente fatto notare se è lei l'oggetto delle tue mire o hai il torcicollo.»

Cercò di sorridere ma uscì solo una brutta smorfia. La donna s'irritò.

«Che c'è Javier, perchè sei preoccupato di ciò che pensa la signora Rocio?»

«E me lo domandi?» Posò la forchetta stizzito e la guardò stralunato. «Non voglio dare altro spettacolo.»

«Allora è vero che quella donna esercita su di te un innato istinto di protezione.»

Javier serrò la mascella, lo sguardo aquilino. «Lo sai cosa intendo.» E fece per chiudere la conversazione, ma Leonor si levò il tovagliolo dalle gambe, scostando delicatamente la sedia verso l'esterno.

«Dove stai andando?» Le chiese scattando e urtando istintivamente le gambe contro tavolo che tremò -bicchiere contro bicchiere- sopra essi; le zie e gli invitati più prossimi li fissarono, ma Javier prontamente sorrise a tutti, incrollabile e spavaldo.

«Tua madre se ne sta incollata ad Estefan come fosse la sua ombra, tu stai quì a compiacerti del nulla. Dove credi che stia andando?» Chiese lei con una venatura di malizia nello sguardo. «Ad ingraziarmi i nostri ospiti, chiaro. A fare commenti stupidi sul tempo buono e l'aria mite della sera, assicurarmi che la cena sia stata all'altezza delle loro aspettative e sopratutto, a sgonfiare quei sussurri sul fantoccio che se potesse, tua madre imboccherebbe dalla sua stessa bocca. Non te ne sei accorto? Da quando abbiamo iniziato, tutti gli sguardi sono rivolti a questo lato della sala.» Javier girò lentamente il capo in direzione dei suoi ospiti; qualcuno parlava, altri spiluccavano o perlomeno sembravano attenti a ciò che avevano nel piatto, ma la maggioranza, nemmeno troppo velata, guardavano tutti verso Estefan. Sospirò, girandosi verso Leonor come per attendere sentenza. «Madrid non ti ha insegnato nulla?» Aggiunse lei piccata.

«Mi è sfuggita la parte sul mentire spudoratamente, Leonor. A quanto vedo, l'hai imparata bene tu per entrambi.»

Il sorriso malizioso sfuggì dal viso della donna per lasciare spazio ad uno più tirato, rassegnato. «No Javier, hai ragione. Tu non sai mentire.»

E si alzò, senza prima aver ingollato il bicchiere di vino dinnanzi a se con gli occhi pieni di tristezza muta.


La seguì con gli occhi, muoversi sinuosamente di tavolo in tavolo.

Aveva indossato una nuova maschera; rideva alle battute degli uomini e si cimentava in complimenti alle dame presenti, perfetta attrice qual'era stata, con la grazia e la sapienza di chi aveva mestiere e conosceva bene l'effetto che procurava guardandola.

Si era innamorato di lei per questa sua caratteristica; quando parlava o la sola vivivacità dei suoi occhi quando le raccontavi qualcosa, bastavano a farti sentire la persona più importante e forte sulla faccia della terra. Questo l'aveva resa molto amata in tempi non sospetti e lo era sempre stata; quando le chiedeva come ci riusciva, lei rispondeva che era naturale, come respirare, come vivere.

Ma Javier non aveva mai visto nessun esemplare di donna tanto bello e affascinante, riuscire dove riusciva lei. Era la sua dote; nutrirsi delle storie delle persone e trasformarle in poesia, essere costantemente al centro dell'attenzione e non perdere mai la calma. Sì, decisamente era una dote.

Per Leonor, non v'era altra trasposizione del mondo che non quella di un palcoscenico sul quale dibattere la propria vita.

L'ammirava in certo qual senso, anche se dopo la tragedia del bimbo che avevano perso non era stata più la stessa e il suo carattere era mutato, lasciando più spazio alle ombre, si chiedeva se quella che aveva davanti, non fosse la vera lei mai celata; rara malizia nello sguardo, la mente svelta e calcolatrice, la complicità e la freddezza con la quale si era abbandonata ai suoi piani folli circa la sorte dei suoi genitori, con il solo obbiettivo di difendere con le unghie la sua famiglia. Tutto ciò lo scombussolava e cosa non meno importante, pensando ad occhi scuri come il caffè che le bucavano il cervello.. lo rendevano tremendamente colpevole.

E proprio mentre si domandava come sarebbe stato il loro futuro all'indomani di quella notte bizzarra, in una perfetta coordinazione di movimenti e risolini acuti, ella s'avvicinò al tavolo dei Roquez, schierati come una grande famiglia che si rispetti.

Alfredo, di spalle al giardino e la visuale ben aperta sulla sala proprio come spettava ad un capotavola e membro "anziano", subito di fianco al lato sinistro, Morena sua consorte e il loro primogenito seduto nel mezzo su di un seggiola alta, a seguire Milagros Blanco accompagnata per l'occasione da Tito Costa, un lontano parente di Lucio Soler seduto immediatamente dopo e accompagnato da una silenziosa Elvira Morales e la giovane Stella, che dava il fianco e lo sguardo, ad Olivia Herrero al lato destro di Lorenzo Navarro a chiudere il cerchio.

Leonor li guardò sinceramente colpita, intorno a loro si respirava un'aria di bonaria serenità e accettazione, nonostante le loro origini fossero così diverse e disparate; prima della festa si era fatta consegnare da Javier un decalogo con i nomi delle famiglie che avrebbero partecipato alla serata e grossolanamente, cosa si poteva raccontare di loro e cosa assolutamente no. Così aveva saputo che Lucio Soler era stato contadino presso i Roquez, coniugato in seconda battuta alla donna mansueta sedutagli di fianco che, contrariamente a quanto si pensasse, di mansueto aveva ben poco, dato voci popolari che davano Stella non frutto del suo stesso seme -la confidenza le era stata rilasciata da Abel Del Carmen durante il pranzo intimo che avevano avuto tempo addietro e si era ben vista di trovarne conferma in Javier- che Tito Costa era in realtà un traffichino ben vestito dall'ampia conoscenza delle carceri di Zamora e provincia e che Alfredo Roquez nemmeno, era novellino in fatto di matrimoni, giunto al suo secondo come il consuocero, con la donna che fra tutte quelle presenti, non l'aveva degnata di uno sguardo vedendola avvicinarsi; Morena Soler Roquez, la dottoressa di Fuentesauco.

Questo, la rese più agguerrita che mai.

«Signori Roquez, signori Soler.» Proferì, alzando un calice prelevato al volo da un cameriere passatole accanto. «Signorina Herrero, cugino Navarro. E' un piacere avervi al mio cospetto questa sera.» Mosse un sorriso per tutti e tornò a guardare il suo obbiettivo preferito.

Passarono brevi attimi in cui i presenti si lanciarono sguardi, fino a che Alfredo raccolse il consenso di tutti.

«Signora La Fuente, data la gioia che ci accumuna, possiamo dire che è un piacere anche per noi festeggiare questa sera.»

Leonor annuì lievemente con il capo. «Già, due famiglie così grandi che si uniscono.» Marcò, con maestria e solennità, cercando di attirare i due occhi sfuggevoli accanto a quelli dell'uomo. «Il mio buon marito mi ha raccontato cose entusiasmanti sul vostro conto, sono affascinata dalla storia della vostra famiglia. So per certo, e quì può dar voce la sua signora se le aggrada, che il vostro matrimonio è stato il più chiacchierato del secolo in quanto a sfarzo ed eleganza. Mio marito era presente, parla di un paese in festa.»

Riuscì nel suo intento. Morena alzò il viso nel suo, i pensieri scritti a chiare lettere nei suoi occhi divertiti; se lo conosceva un minimo, sapeva bene che lo Javier di cui stavano parlando, non era consono mettersi a colloquiare di matrimoni e fasti in situazioni normali, figuriamoci dopo quello che avevano appena passato.. e la signora era furba, molto furba, anche se non capiva a quale gioco stesse giocando.

Sorrise appena, inchiodando gli occhi nei suoi e proferì con voce flautata.

«Suo marito, donna La Fuente, conserva intatto il carattere dei saucani; generosità, bontà d'animo e menestrelli quando servono.»

La signora Palacio, dalla sedia confinante la sua, trattenne a stento un risolino. Milagros la incenerì, nascondendosi dietro il grande tovagliolo.

«Deve aggiungere la modestia.» La incalzò l'altra e sorrise allusiva. «Sono sicura che comprenda ciò di cui parlo, donna Roquez.»

«La modestia è una forma raffinata di vanità; quasi sempre porta ad un elogio.» Prese un bel respiro e affondò con due mani la lama nel suo sciocco risolino. «Ma non dica ad un saucano che è modesto; da noi la modestia è anche sinonimo di menzogna.»

Leonor si fece terrea in viso, tuttavia non cedette. «Lo terrò a mente, donna Roquez.» E alzò le spalle spostando lo sguardo sulla sala, quasi ad ignorarla, cercando ardentemente qualcuno che richiamasse la sua attenzione; era stata assai superficiale nel sottovalutare quella donna solo perchè di origini modeste. Aveva sposato a tutti gli effetti quello che era il caposaldo dell'economia di Fuentesauco, un signore a conti fatti e questo traspariva dalla sicurezza delle sue parole, dal suo portamento e la fierezza dello sguardo. Tuttavia, poteva dirsi soddisfatta del modo piccato in cui l'aveva messa a posto, per quanto le scocciasse doverlo ammettere; l'esca che aveva lanciato aveva provocato una reazione e per quanto soddisfacente fosse il risultato, era sicura che molto presto la verità si sarebbe presentata nuda e cruda.

Solo allor, sarebbe stata in grado di valutare, se e quanto, fosse pericoloso il suo nemico.


Fontane di tre piani di cioccolata colante, vennero fatte posizionare all'interno del tendone.

Ogni piano racchiudeva una prelibatezza fusa nella salsa, come il Perdizcon chocolate, un brasato di pernice posizionato alla base, poi ancora frutta nei piani intermedi -fragraria, plátano, higo- e i dolci tipici, nei ripiani più alti tipo i churros e altro genere di frittelle, per chi avesse voglia di saltare il sontuoso secondo e passare direttamente alla chiusura della cena loculliana.

Proprio quando nell'aria si respirava già l'appagamento del cibo, sulle note dell'intermezzo della Cavalleria Rusticana eseguita ad arte dai violinisti, Javier richiamò l'attenzione dei suoi ospiti e in particolare di Olivia e Lorenzo; il ragazzo si alzò, allungando cortesemente la mano verso la dama al suo fianco, che rispose posandovi la sua e insieme si alzarono. Molti sussurrarono.

«Mi hanno insegnato, ed io stesso l'ho appreso con il tempo, che il cambiamento è una linfa preziosa che ci alimenta e che senza, resteremmo persempre uguali, persempre noi. Quelli che una madre e un padre mettono al mondo con amore e con lo stesso amore crescono non badando ai sacrifici del sudore, ai dolori misti alla felicità.. solo per arrivare a questo momento; il cambiamento. L'evoluzione.» Si girò di un poco, verso quei genitori che ora stretti, si tenevano per le mani e lo guardavano pendere dalle sue labbra. Annuì un poco, tornando al suo pubblico. «Miei amatissimi amici, molti di voi si sono chiesti cosa stesse succedendo a Villa Ortensia, perchè tanto silenzio, perchè così poca partecipazione. Ebbene i motivi sono davanti ai nostri occhi; uno, il più speciale e fonte di perfezione è in piedi in mezzo a voi. I miei cugini, Lorenzo e Olivia, promessi sposi questa notte e nuova famiglia domani. A loro va un applauso speciale e tutto il nostro affetto.» Incoraggiò i suoi ospiti, battendo le mani in direzione dei giovani ragazzi che ricambiarono gli applausi con inchini di gratitudine modesta, mentre un cameriere consegnava alla donna un mazzo di ortensie lilla. Quando tornarono a sedere e il silenzio tornò padrone, Javier proseguì. «E per una famiglia che nasce segnando il cambiamendo di ogni suo singolo individuo, un'altra si appresta a compiere un nuovo viaggio in tal senso e direzione. La famiglia La Fuente.» Il silenzio s'era fatto più forte, al limite del sopportabile, quando anche la musica calò; il ragazzo fece cenno ai musicisti di proseguire. «Guardatevi attorno, amici miei. L'evoluzione è nell'aria. Guardate al vostro vicino, alla vostra compagna, ai vostri figli.. alla generazione che verrà. Il cambiamento è un processo naturale dell'esistenza dell'uomo e sottrarvisi è testardaggine e peccato. I discendenti di questa famiglia, Estefan Ignacio Eloy La Fuente e Guadalupe Andrei Garcia grandi fautori del commercio che fu, sanno che, in un momento di stallo e di crisi che stanotte rendiamo noto, questa è una lezione di vita che non va mai dimenticata. Ed è per questo, che con grande umiltà hanno preso l'ardua decisione di partire presto per il nord, alla volta di un nuovo canale commerciale dalla quale ripartire, per consolidare, il prestigio che i signori fondatori di Fuentesauco si sono forgiati nei lustri fino a noi quì, oggi. Brindiamo a loro!» Tuonò.

«Cosa ne sarà di Villa Ortensia?» Una voce si levò dal coro ammutolito.

«E' mia intenzione – e Dio m'è testimone se non ci metterò tutta la mia forza- investire le risorse attuali in un progetto, ancora in fase di sviluppo, che vedrà impegnata la comunità in prima linea con la sua forza lavoro.» Riuscì a distinguere uno per uno gli occhi della sua famiglia pungerlo come spilli ma non si voltò a cercare il loro consenso, piuttosto sorrise strammatizzando. «A meno che amico mio tu non disponga di cinquecentoventimilioni di pesetas più annessi debiti e te la voglia comprare per te. In quel caso ti faccio un contratto seduta stante.»

Gli ospiti si lasciarono andare in una risata e il pover'uomo s'azzittì.

Possederere Villa Ortensia era forse il sogno di molti, ma un sogno che aveva il suo prezzo, ed era decisamente caro e irraggiungibile.

«Lo scetticismo non è figlio del nostro carattere, abbiamo superato una barbara guerra civile venuta braccetto ad una mondiale ancor più devastante, eppure eccoci qua, ognuno con i propri sogni realizzati o ancora da realizzare, a testimonianza che niente, può davvero scalfirci. Avanti amici miei, non abbiate paura del progresso e del futuro!» Tuonò. «Siamo saucani!» E si versò del vino inneggiando con il calice dinnanzi a se. «Ai veri saucani! Che il coraggio brilli sempre sulle loro teste!»

«Ai veri saucani!» Qualcuno gli fece eco, piccole voci rotte dall'emozione.

«Ai veri saucani!» Risposero altri in un crescendo, fino a che ebbri di vino e di gaudio, non furono un coro.

Javier guardò incredulo dinnanzi a se, inspirando ed espirando alla velocità del cuore impazzito.

Leonor gli teneva la mano guardando lo spettacolo di euforia generale mista a pazzia degli ospiti che si erano alzati e si abbracciavano ululando e fischiando; c'era riuscito, li aveva catturati. Girò il capo verso Guadalupe nascosta dietro al ventaglio, incapace di trattenere dentro di sè la commozione; si mosse appena e fu incredibile, come riuscì a dileguarsi con il suo Estefan sottobraccio passando inosservata.

Quando la vide voltarsi verso di loro ancora una volta, aveva dipinto sul viso un sorriso trionfante.


*


Sulla scia dei canti, si aprirono le danze e i giochi per quelli che si tenevano ancora saldi sulle gambe.

Il tendone fu fatto svuotare alla svelta ad eccezione di un unico e grande tavolo, rimasto adorno per ospitare i cadeau -piccoli coni di carta contenti le spighe di granoturco portafortuna- che i padroni di casa donavano per festeggiare il raccolto propizio.

Il pubblico fu riversato sul grande prato, dove partirono i fuochi d'artificio sparati nel cielo blu profondo.

Fu subito magia.

«Adesso questo piccolino se ne va a dormire.»

Morena passò dalle sue braccia a quelle di Milagros il piccolo Riccardo sonnolente. «No mamma.. io non ho sonno..» Disse il bambino sbadigliando, appollaiandosi sulle spalle della zia. «Io.. fuochi.. ancora..» E si addormentò, come una candela spenta dal vento.

«Che ti avevo detto?» Milagros fu sul punto di scoppiare. «Due in un solo colpo!»

La ragazza le lanciò un'occhiata torva mentre adagiava sulle spalle del bimbo il proprio scialle.

«Dico che non sono affari nostri. E che la situazione è più tragica di ciò che sembra. Lo sai che è malato, vero?»

Milagros la fissò con grandi occhi verdi liquidi. «Certo che lo so. E stasera ho avuto conferma di ciò che sospettavo; non ce la farà.»

«Adesso non sembra più tanto divertente questo gioco, zia.»

«No, non lo è più.» Sospirò. «Per quanto il pensiero mi addolori, il mio addio lo ha ottenuto molto tempo fa.» Poi abbassò di un poco la voce, con fare preoccupato. «Mi sembra di capire che per qualcun'altro non è così.» Si guardarono intensamente, Morena alzò le spalle e si morse il labbro. «Ti guardava come se fosse sull'orlo di un precipizio. Con un aurea angosciata intorno a se.»

«Credo si tratti di sua moglie.» Tentò di divagare con un gran sorriso, ma Milagros non s'abbandonò allo scherzo.

«Sta' attenta a lei.» La riprese, memore del fortuito incontro avuto con la giovane ficcanaso. «Sembrava guardarci come cavie da laboratorio. E quel commento allusivo poi.. tuo marito si che è un maestro in galanteria, non le ha dato alcuna soddisfazione.»

«Alfredo è un uomo. E tu ti preoccupi del niente; Javier era presente il giorno delle mie nozze? Lo ha detto lei, tutta Fuentesauco era lì.»

«Ma Javier non è tutti.» Incalzò Milagros testardamente.

«Non farlo, non metterti a provocarmi anche tu. Javier è stato ciò che è stato. Conta solo il presente adesso; questo meraviglioso bambino, quello che ho in grembo e l'uomo che si prende cura di noi.» Milagros annuì e tacque; dolcemente le posò una bacio sulla guancia e stringendo a se Riccardo fece per andarsene. «Di a mio padre che provvederemo noi nel riaccompagnare Stella al mulino.»

La donna si voltò e sorrise. «Ti conviene trovare una scusa convincente.. se vuoi restare.» Blaterò ormai di spalle, canzonandola. E come se parlasse al bambino cantilenò ironica. «Ohi amorcito! Aquí están todos locos!»

Morena non riuscì a sorridere.

Che avesse ragione? Che stesse cercando delle scuse per l'ovvio?

Sbuffò, tediata da quei pensieri.


«Posso invitarla a ballare?»

La voce suadente di Alfredo la scosse dall'oblio di uno sguardo corrucciato; prontamente diede il consenso, ma ritirò in fretta la mano non appena vide Leonor La Fuente mettersi in cammino sulla loro traiettoria. Mugolò. L'uomo la guardò divertito.

«Non c'è nulla di divertente, amore mio.» Sbuffò. «Ti prego intrattienila finchè non trovo Stella, così protremmo andarcene via da quì.»

«Credevo ti piacessero queste feste.»

«Va bene, hai vinto tu. Le detesto.» E lo baciò frettolosamente, dileguandosi come una gazzella all'arrivo del leone.


*

Ora che la festa poteva dirsi conclusa, con il via vai di carrozze da e per il cancello, Javier decretò che se l'era proprio meritato, un bicchierino di porto in santa pace e senza l'ombra di scocciatori in giro; si acquattò oltre le siepi che confinavano con il giardino personale dei suoi genitori, convinto che sua moglie avrebbe fatto squisite veci al suo posto e che la sua mancanza non avrebbe turbato l'animo di nessuno.

C'era un silenzio innaturale intorno, fra quelle piante, anche se aveva l'impressione che degli occhi lo scrutassero.

Da bambino quando ne combinava una e suo padre era in casa, lo costringeva ad inseguirlo per tutta la tenuta; alla fine demordeva per sfinimento e lo lasciava andare convinto, come gli avrebbe raccontato poi divenuto grande, che il solo modo per ragionare sui propri errori era il silenzio della propria coscienza. Così, se ne stava per delle ore in giardino a rimuginare fino a quando la fame non saliva su e puntualmente, sull'uscio di casa, trovava gli schiaffi sonori di Guadalupe ad attenderlo. Suo padre era stato sempre un uomo mite, più incline al ragionamento che alle azioni di forza, per quelle bastava Guadalupe e per tutti gli astri celesti pensò, bastava e avanzava.

Pensava a loro da giovani con rammarico e sconforto, anche se sapeva bene che non era il momento di lasciarsi andare ai rimorsi; necessitava di tutta la forza e la lucidità che possedeva per condurre il gioco diabolico, solo a metà dell'opera completa, perchè più volte aveva avuto riprova che separarli fosse la soluzione migliore per entrambi. Si rese conto che non era così difficile guardare da fuori lo sfacelo della sua famiglia, ed ebbe forse un pò paura di se stesso; prepotentemente, si era riaffacciato il senso di non appartenenza verso quelle due persone che chiamava madre e padre, un misto di silenzio freddo e glaciale, e la rabbia devastante, per non aver fatto di più molto tempo prima.

Ingollò un bicchierino dopo l'altro, fino a che i sensi risultarono intorpiditi.

Qualcuno frusciò dalle siepi e s'immobilizzò non appena lo vide.

Le sembrò un angelo, mentre le scorreva gli occhi lungo la veste bianca e scarlatta e si disse che no, un angelo non poteva suscitare tale clamore.

«Che ci fai quì?» Chiese lei con irriverenza.

«E tu, cosa ci fai?»

La donna si sistemò i lunghi capelli scuri sulle spalle e prese posto accanto a lui, sulla panchina. «Mi nascondo dalla tua adorabile moglie.»

«Oh Morena..» Si passò imbarazzato una mano sul viso, lasciando scoperto il bicchierino alla luce della luna.

«Sei ubriaco?» Si rialzò in fretta, disgustata e perplessa.

«Cercavo di rilassarmi, ma chissà come mai spunti sempre nei momenti meno opportuni.» Si tirò su anche egli, abbottonandosi di fretta la camicia lasciata aperta sul petto. «Prenditi pure il mio posto, ma non dire a nessuno che sono stato quì.» E mirò con lo sguardo alla bottiglia di porto, prima di incamminarsi dalla parte opposta del ricevimento.

«No, aspetta!» Morena lo richiamò e si sentì subito sciocca di quel gesto impulsivo e la voce così speranzosa. Javier si voltò subito. «Nonostante le nostre divergenze.. sono.. sono dispiaciuta per Villa Ortensia; non ero al corrente di una situazione tanto critica.» Il ragazzo restò immobile sui suoi passi, finchè non gli spuntò un sorriso sarcastico sul viso.

«Ti ringrazio per il pensiero, ma non credo tu sia sincera.»

«Ah no?» Incalzò, stupefatta.

«Alfredo Roquez ne trarrà i suoi vantaggi e questo ti coinvolge non poco.. dal momento che sei sua consorte.»

Morena alzò un sopracciglio, la bocca spalancata. «Dunque tua moglie dice il vero.. sei diventato un pettegolo Javier, uno che si perde in pensieri così meschini da non sembrare nemmeno lui. Vantaggi? Parli sul serio di vantaggi? Con.. me? Oh signore altissimo, questa sì che è bella!»

Lo oltrepassò, scuotendo il capo ancora sconcertata, ma lui la bloccò per il braccio. «Mi hai detto tu che dovevo starti lontano, ricordi? Non riesco a trovare altra ragione plausibile perchè tutto ad un tratto hai deciso che è come se non esistessi

Se le avesse dato uno schiaffo avrebbe fatto meno male, pensò, mentre malediceva il riso isterico che fuoriuscì dalle sue labbra.

«Come se non esistessi.» Sussurò. «Eri quì il giorno del mio matrimonio e.. te ne sei andato!»

Javier livido in viso, abbassò il braccio e la tirò verso sè. «Ero quì per te.» Soffiò fra i denti. «Avevo un biglietto del treno comprato con il salario del lavoro di un mese presso un banco di fiori, perchè avevo il sospetto che non ricevessi le mie lettere. E quando sono arrivato..» Non terminò la frase e la liberò dalla morsa, come se il ricordo gli squassasse il petto al solo nominarlo; Morena spalancò gli occhi dallo stupore, portandosi una mano alla bocca e flettendosi in avanti sulle ginocchia. Javier, riflessi pronti, le fu addosso. «Devi farti un autodiagnosi, non è possibile che un medico rimetta tanto senza chiedersi perch..» Il suo tono autoritario si trasformò in un rantolo soffocato. «L'hai contratta?»

Morena lo scansò, troppo scossa per parlare negò con il capo.

«Vado a prenderti dell'acqua, aspettami quì.» Annuì ancora, certa della via di fuga che avrebbe intrapreso non appena fosse sparito fra le siepi.

Quando tornò, la presenza di Guadalupe torreggiava su di lei.

«Scommetto che eri impaziente di affondare i tuoi artigli su di lui.» Indossava la vestaglia da camera e la guardava con profondo disprezzo; solo quando avvertì la presenza del figlio, distolse lo sguardo. «Guardala, probabilmente è tutta una scena per impietosirti. Lasciala andare, prima che qualcuno vi veda e crei uno scandalo. Leonor è salita fino alle stanze a cercarti.»

Javier fu sul punto d'azzittarla malamente, ma il buonsenso prevalse.

«L'ho trovata quì rantolante.» Porse il bicchiere d'acqua alla donna che ci si specchiò dentro titubante; la fissò torvo, attendendo con ansia che bevesse. «Non serve che aggiunga il resto, dato le circostanze, madre.»

«Sto bene.» Pronunciò lei, rifiutandolo e mirando ad una Guadalupe visibilmente agitata. «Forse lo gradite voi?»

«Mi sta sfuggendo qualcosa?» Chiese l'uomo notando gli sguardi assassini che le due donne si lanciavano.

«Sono certa che donna Garcia sa di cosa parlo.» E riacquistando colore e vigoria assunse una posizione di comando; non vrebbe avuto mai un'altra occasione come quella, voleva sfruttarla bene. «Forse dovresti chiedere adesso, dov'è che andavano a finire le tue lettere per me, Javier. O il perchè nessuno ti ha mai detto che stavo per sposarmi -il che forse può sembrarti meno strano dal momento che non c'è mai stata alcuna premeditazione- o forse potresti farti raccontare una storia del passato che vede Guadalupe Garcia, Francisca Roquez e Milagros Blanco essere molto amiche; ti sorprenderesti nello scoprire com'è andata a finire e che certe persone non smettono mai di rivelarsi, neanche quando hanno il nostro stesso sangue nelle vene.» La rabbia nella donna che aveva difronte, tracimava da ogni singolo poro della pelle; il collo, come pure il resto del viso, si era cosparso di macchie rossastre e le sue mani, si erano strette a pugno lungo i fianchi. Inspirò in fretta, prima che replicasse e le togliesse la soddisfazione di vederla accortorciarsi nella sua misera figura. «Ma sono sicura che lei abbia già trovato una soluzione per tutto. Il bel castello di bugie che ha costruito, mattone dopo mattone, pur di arrivare dove siamo oggi; a me non importa più, ma tu dovresti riflettere, prima di parlare di vantaggi con la persona sbagliata.» Le pupille di Javier si dilatarono quando terminò di parlare e un lampo le attraversò; Morena si sentì come svuotata e rigenerata, viva, forte. Seguì un silenzio lunghissimo e i loro sguardi incatenati che si rincorrevano.

Guadalupe guardò al figlio terrorizzata, cercando nei suoi occhi, vacui e persi, di carpire una risposta che temeva di trovare.

Si portò le mani al petto, sbattendole in modo teatrale come per dannarsi di ciò che aveva appena sentito, ma Javier con un occhiata incendiaria, la immobilizzò, gettandola nel panico più totale. «Chi ha peccato, scagli la prima pietra.» Proferì revenziale e atono.

Sua madre lo guardò incredula; non stava parlando a lei, ma alla tediosa Soler.

«Bene.» Rispose Morena con una punta di delusione e amarezza. «Hai fatto la tua scelta.» Javier non avrebbe mai capito. Non si sarebbe mai ribellato a quella donna e la patetica scenetta, prima che apparisse fra loro, ne era una dimostrazione lampante; subiva il suo influsso, la sua negatività e purtroppo temeva il suo giudizio più di ogni ragionevole dubbio. Non riusciva a capire se fosse più disgustata, o infelice, o semplicemente arresa al volere, perchè quella conferma le ordinava di tornare alla sua vita al più presto e di rilegare quell'infelice momento, in un cassetto della memoria da chiudere con la calce. «Addio Javier.» Li oltrepassò, sostenendo i loro sguardi.

Scartò la fila di siepi e quando fu lontana, nel silenzio della propria solitudine e irrequietezza, vi si gettò contro, afferrando i rami con brutalità, ferendosi nel tentativo di strapparli via con la forza.

Adesso era furente, piena di rabbia incontrollabile.

Il sogno di gloria si era trasformato in un incubo, doveva andare via da quella prigione il prima possibile.


*

L'alba del giorno più importante per Villa Ortensia, arrivò in sordina.

Decine di cameriere e inservienti facevano la spola dai piani alti della casa fino al patio, con i bagagli di una vita dei signori La Fuente.

Guadalupe aveva ammonticchiato negli anni diversi suppellettili, mobilio di ogni fattura, sfarzosi abiti dei tessuti più pregiati, per non parlare poi dell'armadio fornitissimo di Estefan, della sua passione per il legno e delle creazioni che ne derivavano, fino ad arrivare ad ogni sorta di superfluo

che i due erano stati in grado d'accumulare.

«Con delicatezza!» Strepitò la donna inseguendo passo-passo una cameriera che trasportava un baule di cuoio invecchiato. «Ci sono i miei vasi e gli appunti, le mie cose.. per cortesia faccia attenzione.» Si lisciò la veste, uscendo in cortile, imbarazzata dagli sguardi appuntiti che Javier le lanciava ogni qual volta tornava a dove tutto era stato riposto, pronto ad essere caricato sulla carrozza che li avrebbe condotti a Gjion. «Dieci, undici e dodici. Dodici?» Domandò in preda al panico, verso l'entrata della villa.

«Con questa tredici signora.» Le rispose un giovanotto dall'aria dinoccolata. «E son tutte. Manca solo don La Fuente.»

«Beh? Che aspetti! Vai a prenderlo no?» E sbattè le mani come a voler accellerare i tempi.

Javier la raggiunse. «E' tutto?» Domandò a mezza bocca.

«Direi di si.» Si guardò attorno soddisfatta, fino a che dall'orizzonte non seguì una nuvola di polvere. «Ecco la nostra carrozza.» Pronunciò ancor più soddisfatta, girando il capo verso il garzone ed Estefan, praticamente appoggiato sulle spalle del ragazzo, che muveva appena le gambe. «Che il buon Dio ci aiuti.» Sussurrò.

«Oh, si che lo farà.» Sentenziò Javier, fissando il viale di salici; cinque carrozze arrivarono alla corte, disponendosi come se avessero già un piano ben preciso, una di queste più prossima delle altre ed anche la prima ad essere resa accessibile. Lo sportello si spalancò di getto e con sorpresa negli occhi di Guadalupe, ne uscì una donna dai capelli rossi con grembiule bianco e camicia dello stesso colore, chiusa fino al collo da un crocifisso d'argento. «Ma tu non sarai lì quando succederà.»

Guadalupe scosse il capo interdetta, Javier fece un cenno e due uomini grandi e grossi l'attorniarono.

«Buongiorno don La Fuente, sono Miranda Galvano del Principato delle Asturie, per servirla.» La donna rossa abbozzò un inchino.

«Spero che il viaggio sia stato poco penoso, dotteressa Galvano. L'uomo di cui vi prenderete cura come da accordi è Estefan La Fuente, mio padre.» Il garzone fece un passo avanti e aspettò il consenso di Javier per farlo salire in carrozza ma il ragazzo si voltò prima verso Guadalupe. «Ti concedo un ultimo saluto, dopo di che verrà traferito a Gjion, dove vivrà finché non raggiungerà la grazia di Dio.. senza di te.»

Guadalupe si ridiscosse dal silenzio glaciale che l'aveva avvolta. «Ma tu hai detto che saremmo andati via. Io e lui, insieme!»

Javier congedò il garzone e la donna rossa, ordinando loro di far salire a bordo il malato. Con gli occhi verdi scintillanti di rabbia, si rivolse poi alla donna accanto a se. «Oh sì, tu te ne andrai.. te ne andrai eccome.» Prese il respiro e mentre metteva in fila nella testa il progetto che le aveva saggiamente taciuto, un ghigno gli disegnò le belle labbra piene. «Leonor ed io abbiamo organizzato tutto. Ti aspettano oggi stesso al monastero di Toledo, venti pie sorelle che ti aiuteranno a redimere tutti i tuoi peccati. Uno dopo l'altro, per il resto dei tuoi giorni.»

Un lampo di sorpresa passò negli occhi della donna; in lontananza, oltre le spalle di Javier, l'ombra di Leonor stagliata sotto il portico con la grande villa alle spalle, fu come un presagio di sventura. «Hija de puta..» Sussurrò fra i denti poi si lasciò andare in una risata isterica e tutti allora furono ipnotizzati dal suono spettrale di quella voce. «Quanto siete ingenui a pensare di potermi mettere da parte..» Javier mosse appena il capo, gli omoni le si gettarono addosso immobilizzandola; Guadalupe sussultò, dimendosi da quelle mani forti. «Guarda cosa hai fatto!» Sbraitò verso la giovane che la guardava fiera e immobile senza nemmeno respirare. «Pensi di essere forte? Di esserti conquistata il suo cuore?» Rise ancora, glutturale. «Sei solo una stupida! Lui ti tradirà.. non ha che quella puttana nella testa, io li ho visti! Il loro sangue è più forte di ogni maleficio.. e tu sei tanto sciocca da non aver ascoltato.» Poi girò gli occhi all'indietro e si lasciò cadere, quasi a svenire, ma prontamente gli uomini la tirarono su. «Soffrirai Leonor..» Disse con un tono di voce inaturale. «E questo pensiero mi renderà felice, perchè è quello che meriti.»

Javier le si gettò addosso, colpendola con un malrovescio in viso. «Smettila con queste angherie!» Poi si rivolse ai due che lo guardavano con occhi fuori dalle orbite. «Portatela dentro la carrozza di mio padre, ma sorvegliateli a vista. Quando avrà terminato il suo colloquio, conducetela -anche con la forza- nella carrozza più esterna del viale e mettetivi subito in marcia.»

Gli uomini annuirono, trascinandola da Estefan.

Javier si voltò in cerca degli occhi di Leonor, ma tutto ciò vide, furono le sue spalle per rientrare in casa.


«Non puoi farmi questo.» Quando lo sportello della vettura si aprì nuovamente, ne uscì una Guadalupe segnata dalla sofferenza e da occhi asciutti e scavati. Sembrava che la furia fosse sparita lasciandole addosso mera rassegnazione. «Che ne sarà della tenuta quando tu sarai andato via? Vuoi davvero distruggere ciò che i tuoi avi hanno costruito con le loro mani?»

Javier le si avvicinò lento, pregando gli uomini di rallentare la presa su di lei. «Ciò che non vuoi capire, madre, è che proprio così, preserverò Villa Ortensia dalla sua disfatta, da anni di sperperi scellerati e cattiva condotta. E dopotutto, non mi stupisce questo tuo commento, anzi, rafforza ciò che è il mio pensiero. Da quanti anni non controlli le cartelle dei conti? Ti sei mai data pena di farlo? O le guerre personali con Morena Soler ti hanno convinto che eliminandola, automaticamente le nostre casse si sarebbe riempite?» Sorrise beffardo e attese.

«Tuo padre si occupava dei conti, ha amministrato questa tenuta per venti lunghi anni, da molto prima che io arrivassi! Come puoi credermi davvero l'artefice di ogni misfatta della nostra vita?!»

«Mio padre ti ha amato a tal punto da aver assecondato ogni tua follia.» Indicò le carrozze cariche dei loro beni e proseguì. «E' come se non fosse stato mai abbastanza per te. Come se con il donare espiasse la colpa di non valere nulla come uomo.»

«Sei ingiusto!» Trepidò. «Lui ha amato il lusso quasi quanto me. Estefan è il figlio nobile di Fuentesauco, o te ne sei dimenticato?»

«Come posso dimenticarlo?» Berciò amaro. «Mi hai fatto crescere pensando che l'unica donna della quale fossi innamorato, non mi meritasse perchè nata povera.. che senso ha adesso, tutto ciò? Mio padre morirà. Villa Ortensia, morirà. Dimmi madre.. cosa resterà di questa estenuante battaglia..se non cenere? Hai vissuto una vita fatua, piena di falsità e di rancore, perdendo le due persone forse più importanti della tua vita.. per inseguire il fantasma di una ragazzina.» Si sentì crollare, la voce incrinata dall'emozione nell'ammettere che il riassunto della vita di quella donna era anche il suo; aveva amato Leonor e ancor di più la bambina nata da quell'unione, ma non riusciva più a ignorare gli incessanti messaggi che arrivavano dal passato. «Ti sorprenderesti nello scoprire com'è andata a finire. Il bel castello di bugie che ha costruito, mattone dopo mattone, pur di arrivare dove siamo oggi.» Morena nascondeva qualcosa che li riguardava e che molto probabilmente andava a incorniciare il grande quadro di mistero che aleggiava intorno a quella storia. E il rendersi conto che avrebbe messo a dura prova anche il suo matrimonio, pur di scoprirlo, gli fece comprendere che non poteva pensare di andare avanti nel futuro, senza aver prima messo un punto nel passato. «Vuoi sapere cosa sono arrivato a credere, madre?» Non le lasciò davvero il tempo per rispondere, raccimolando più contegno che potesse, come se parlasse con il suo io più intimo. «Che odi così tanto Morena Soler perchè in lei rivedi la te stessa di tanti anni fa. Solo più felice e più sincera.»

E senza aggiungere altro, con gli occhi vacui e la mascella contratta, girò le spalle e se ne andò.

Seguì un breve trambusto, probabilmente i due uomini stavano eseguendo gli ordini, quando la voce gracidante di Guadalupe scrollò il silenzio.

«Tu!» Strepitò con quanto più fiato avesse nei polmoni. «Tu non saresti stato niente senza di me!»

Poi quelle urla divennero rumore sordo, seguito dal galappo dei cavalli e il fischio dei cocchieri che all'unisono, mossero le carrozze verso il grande viale di alberi e la sua uscita.

Javier rientrò in casa con l'animo in tormento.


Era finita.


«Quindi è così?» La figura di Leonor apparì in tutta la sua gracile bellezza. Stringeva fra le mani un fazzoletto e i begli occhi verdi erano arrossati dal pianto; aveva sentito tutto, come temeva. «Tu e lei.. sta succedendo davvero, Javier?»

«Devo capire molte cose del mio passato, Leonor. Devo, se voglio pensare di avere un futuro ancora insieme.» Voleva accarezzarla, ma si scansò al minimo gesto. «Potrai mai perdonarmi?» Chiese vinto dal dispiacere. Seguì il silenzio e lei che se ne andava via di schiena.


O forse, tutto stava per accadere.


*

«Signora?» Una voce la chiamò dal buio delle imposte serrate. Aprì gli occhi, le palpebre pesanti dolevano. «E' quasi ora di pranzo, mi accertavo che stesse bene e se avesse voglia di mangiare qualcosa.»

Si tirò su dal letto, guardandosi attorno spaurita. «Lui dov'è?»

«Non è più tornato mia signora.» La donna abbassò gli occhi. «Nathaniel lo ha visto in paese.»

«E' con lei?» La donna annuì. Leonor si lasciò cadere all'indietro, seguita da un sospiro, pesante e denso. Si voltò di peso verso la finestra, in preda al panico e a una sensazione che le squarciava il petto; la gelosia. Era impossibile stesse accandendo davvero, non riusciva a credere che lo avrebbe perso così. «Dì a Nathaniel di sellarmi un cavallo.» Concluse, alzandosi di scatto e rivestendosi. «Corri!»

Svuotò la dispensa, fino a quando non trovò la fiaschetta che ricordava essere sempre stata ben acquattata dietro un sacco di patate, e che aveva avuto il sospetto fosse di Guadalupe; l'annusò, le note dolciastre del rum le pizzicarono le narici.

Era ancora piena. Vi si attaccò con senno, ma Karim la intercettò nelle cucine e la fermò.

«Signora che fate!» Tentò di levargliela dalle mani, ma quella la spinse via bruscamente. «Siete uscita fuori di senno?!»

«Non mi toccare!» Gettò in terra la fischetta ormai vuota e si recò alle stalle.

Salì sul cavallo maldestramente, Nathaniel allarmato dall'olezzo di alcool tentò anche egli di fermarla.

«Signora non è prudente andare a cavallo in queste condizioni, potreste cadere e farvi molto male.»

«Sta zitto e apri il cancello, piuttosto.» Serrò le briglie intorno alle mani e scalciò il cavallo partendo alla carica.


*

«Cos'è questo silenzio?»

Chiese Miranda Galvano agli uomini attorno; si erano allontanati di poche miglia, i carri che distanziavano i loro, non potevano essere tanto lontani da risultare addirittura silenziosi. Con un balzo, scese dalla carrozza e intimò al cocchiere di proseguire a passo lento, ispezionando con occhio vigile la radura intorno; udì un lamento, provenire dalla boscaglia e ci si fiondò senza remore.

Un uomo, uno dei piantoni incaricati da don La Fuente di scortare sua madre fino a Toledo, era riverso in terra, con una visibile ferita al volto.

«Che è successo?» Chiese costatando l'entità del taglio. «Briganti? Vi hanno assalito?»

«E' stata lei.» Sussurrò l'uomo con un fil di voce. «Non ho mai visto una donna con tale furia in corpo. Non la smetteva di urlare, diceva di stare male se potevamo concederle un pò d'aria. Sono sceso io con lei, arrivati nelle sterpaglie mi si è gettata addosso ferendomi al viso, poi è scappata.»

«Vi ha ferito.. a mani nude?»

«Dio sa con quale forza. E' una belva.» Tremò. «Aiutatemi ve ne prego.»

«Questo non piacerà a don La Fuente.»

«Me ne frego, di cosa dirà quel damerino.» E si toccò il viso ritrovandosi la mano inzaccherata di sangue. «Saranno almeno tre punti.» E sputò.

«Quattro.» Sentenziò l'altra, aiutandolo a mettersi in piedi. «Dove sono i carri?»

«Signora Galvano!» Gridò da lontano il cocchiere che aveva mandato in avanscoperta, indicando un punto non meglio indicato dinnanzi a se.

«Hanno abbandonato quì i carri?» Protestò la donna non appena li raggiuse ed ebbe chiara la situazione. «Quale razza di imbecille può arrivare a fare una cosa tanto stupida?»

«La razza che ha visto il diavolo in vesti da donna.» Berciò l'uomo ferito.

«Non me la dia a bere con queste storie! E' pursempre una donna e ve la siete fatta sfuggire come rammolliti!» Inspirò velocemente muovendo passi avanti e indietro. «Dovrei lasciarla quì a marcire, non fosse che la mia etica me lo proibisce! Ho avuto dei precisi ordini, devo scortare don Estefan La Fuente fino a Gijon entro tre giorni.. non posso perdere tempo dietro inutili contrattempi. Vi medicherò, dopo di chè il secondino che è con noi vi scorterà nuovamente a Villa Ortensia e sarete voi, a dare la notizia al vostro padrone. O almeno farete finta di farlo.»

Quello annuì compito; sapeva che sarebbe scappato non appena finito di medicarlo, ma al momento la vita dell'uomo che le era stato affidato e la ricca paga che le spettava per accudirlo, valeva più di una sciocca donna che si era messa a giocare a nascondino terrorizzando gli uomini. «Nessuno di voi altri ci ha visto quì.» Tagliò il filo che univa le carni del soppraciglio, tuonando minacciosa. «Ovviamente qualora venissimo interrogati, noi altri faremmo lo stesso. A voi la scelta. Sono stata chiara?» I due piantoni annuirono. «Buona fortuna, allora. Vi servirà.»



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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


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Eternamente

(para siempre)


La vita è sempre creazione, imprevedibilità e, nello stesso tempo,

conservazione integrale e automatica dell'intero passato.

Henri Bergson



Alfredo aprì gli occhi all'alba, quando si accorse che la parte di letto accanto alla sua era vuota e fredda.

Morena era già uscita di casa, constatò, sicuramente doveva essere molto tesa e nervosa; quello era il giorno in cui lo studio avrebbe preso vita, se non fosse per il ritardo con cui veniva posticipato l'apprendistato di Morena a guastare l'evento. Questo le impediva a tutti gli effetti di eseguire operazioni chirurgiche, ma non la esulava da tutti gli altri compiti che un medico doveva assumere nei confronti della comunità.

Se non glielo avesse categoricamente proibito, avrebbe pagato pur di farle conseguire il benedetto apprendistato.

Odiava vederla repressa, ed anche se ella si sforzava molto nel non darlo a vedere, si percepiva benissimo il suo senso di frustrazione.

Anche Milagros era già in piedi, si udiva la sua voce dare ordini come un gendarme.

La raggiunse in cucina, dove stava versando del caffè bollente in due tazze.

Appena lo vide sorrise. «Stavo giusto per farti servire la colzione.» Gli passò il piatto con il pane e il burro e fece per accomiatarsi. «Se non hai riserve, pensavo di portare Riccardo da Morena, l'ho vista così agitata stamattina.. la storia dell'apprendistato sta mettendo a dura prova i suoi nervi che sono certa il sorriso di questo ometto la tirerà su di morale.» Fece l'occhiolino al bambino che ricambiò con il suo, in modo buffo e maldestro. «Non capisco perchè quella ragazza sia tanto cocciuta da non accettare la tua offerta di pagamento!»

Alfredo scosse il capo. «Per la sua morale, dice.»

«La morale non le farà svolgere il suo mestiere tanto presto.» Poi affondò gli occhi turchesi nei suoi. «Sei sicuro di non voler intercedere per altre vie?»

«Senza che lo sappia?» Alzò un sopracciglio. «Mai.» Bevve un sorso di caffè e guardò oltre la finestra; il cielo andava schiarendosi. «Non me lo perdonerebbe, sai quanto é orgogliosa. Si è messa in testa di occuparsene lei anche a costo di lasciare che La Fuente si spartisca tutti i pazienti, se ci vorranno anni per far sì che sia abilitata alla professione. Oltretutto dalla festa mi è sembrata più scontrosa e cupa, quindi.. lungi da me volerla contraddire o creare tensioni.»

«Come vuoi.» Rispose lei con aria bonaria, soffermandosi sul suo sguardo basso e lontano. «Se vuoi farti una bella chiacchierata sai dove trovarmi.» Affermò con un mezzo sorriso, catturando i suoi occhi castani spruzzati di verde smeraldo.

«Toglimi una curiosità.. come mai stamattina sei tanto saggia e.. allegra

«Ho i miei buoni motivi.» Aiutò Riccardo a scendere dalla sedia e lo consegnò fra le braccia benevole di Agueda, poi si fermò come se avesse del tutto dimenticato cosa volesse dire. «Sai sul filo dei bei discorsi sul progresso e il coraggio, ho pensato che dal momento Fuentesauco diverrà un pò più libera e meno provincialotta.. potrei trasferirmi a tempo indeterminato.» Alfredo spalancò gli occhi per la sorpresa. «Beh non quì alla tenuta sia chiaro, non sono così invadente quanto do a vedere, anzi a tal proposito vedrò il sindaco quest'oggi, per una stima delle dimore in vendita e adatte alle mie esigenze.»

«Mi è sfuggito qualcosa?» Borbottò lui ancora incredulo. «Hai mormorato di esigenze e che ti trasferirai quì.»

«Si.. si! Non stare a fare lo stoccafisso, adesso! Hai sentito bene. E ti pregherei di non dire nulla a tua moglie, se ci tieni perchè non le venga un colpo.. appena lo saprà. So già che avrebbe da ridire, ma Eduardo mio affezionatissimo marito sa già tutto e non ha riserve in merito.»

«Non mi lasci altre opzioni.» Allargò le mani. «Ma devi parlare con Morena subito. Non so mentirle.»

«Questo mi è chiaro.» Berciò lei annoiata.


*


Il quotidiano riportava in prima i pagina i fatti del giorno.

Non si parlava d'altro; la partenza imminente -l'ennesima- di Estefan e Guadalupe.

L'articolo era denso di particolari, vero o presunti tali, circa il loro trasferimento che corrispondeva alla data odierna e tutta una serie di nozioni circa la storia della famiglia e le avventure che i passati avi erano andati a compiere per cercar fortuna.

Morena alzò le spalle e lo richiuse in fretta. Proprio non le serviva mettersi in testa Javier La Fuente già di primo mattino.

«.. si e ti rendi conto? Gijon! Ma a chi vogliono darla a bere?»

Un duetto di linguacciute compaesane, stipate fra gli scaffali della drogheria tra spezie e viveri, non erano dello stesso avviso.

«Il mio Ramon dice che andranno in America e che ha sentito più volte nominare dei parenti che la signora ha oltreoceano.» La donna si lasciò andare ad un risolito basso. «Si sa che i nomadi non si fanno tanti scrupoli quando si tratta di cercar affari..»

«Perchè non hai sentito l'ultima.» Sgomitò l'atra. «Pare che il poveretto abbia contratto una rara malattia del sangue e che le cure siano troppo costose persino per loro. Lo hai sentito il figlio? Non sapeva più come giustificare la vendita della villa, l'altra sera..»

«A me non è sembrato che usasse la parola vendere.»

«Carmen come sei ingenua.. ti dico che c'è già un'offerente.»

«No.. cosa mi dici?»

«Dicono si tratti di Milagros Blanco. Pare che il sindaco abbia udienza con lei quest'oggi.»

Morena scosse il capo scocciata da tanto ciarlare, sfilò dalla sua fila e le colse volutamente in flagrante.

«Dottoressa Soler!» Gridarono le due all'unisono.

«Fate.. fate pure.» Disse lei, passandogli nel mezzo per recuperare un sacco di fecola di patate da uno degli scaffali più prossimi.«I vostri racconti sono delizia per i miei orecchi.» Poi sorrise glaciale e temeraria. «Ma alle vostre fantasie vi siete dimenticate di aggiungere che i due poveretti sbarcheranno nelle Americhe a bordo di un mercantile perchè sono così ridotti male da non potersi permettere neanche una nave da crociera.» Le salutò con un inchino. «Ah.. dimenticavo; Milagros Blanco farà di Villa Ortensia una casa di appuntamenti; un bel giardino di puttane è quello che manca a Fuentesauco, non trovate?» Le due non risposero e se la diedero a gambe a testa bassa.

«Non se ne andavano più.» Mugolò il proprietario raggiungendola. «Parlano.. parlano.. e non vedo mai un becco di quattrino!»

«Oh buon Rinaldo, se guadagnassero una peseta per ogni scemenza che ho sentito pronunciare, a quest'ora sarebbero ricche!»

«Come darvi torto, dottoressa Soler.» Spuntò dalla lista della donna qualche altra provvista e raggiunse la cassa. «Se non occorre altro, mando a chiamare il garzone che porti tutto alla tenuta.»

«Ve ne sarei grata. Donna Agueda ha istruzioni.»

«Non stia neanche a sottolinearlo, dottoressa. Le caramelle sul fondo sono un omaggio per il piccolo. Mi saluti don Alfredo.»

Si congedò e tornò in strada.

Stella l'aspettava vestita di tutto punto; sarebbe stata la sua segretaria, sperando che ne avesse avuto il bisogno.

La ragazza si era resa disponibile non appena il suo desiderio di frequentare l'università a Salamanca fu ben accolto fra i suoi cari, perchè le permetteva di mettere qualche soldo da parte per le spese; Lucio Soler non si era di certo arricchito con il lavoro al mulino, ma le nuove entrate gli garantivano d'accantonare quel tanto che bastava per assicurare alla giovane figlia un percorso di studi soddisfacente.

Una volta conseguito la laurea, trovato un lavoro che le permettesse di pensare ad una famiglia, Alberto avrebbe fatto di lei la signora Torres.

«Perchè quella faccia?» Chiese alla sorella non appena la vide spuntare dalla bottega con la fronte corrucciata.

Morena si guardò attorno e la invitò a proseguire per lo studio; quando aprì l'ambulatorio e furono sole parlò.

«Cosa ne sai di zia Milagros e l'incontro che avverrà con il sindaco?»

«Assolutamente nulla.» Ma le si leggeva chiaro e tondo in viso che mentiva. E difatti all'insistenza dei suoi occhi addosso, si morse il labbro e prese a camminare avanti e indietro imbarazzata. «Lei vuole trasferirsi a Funtesauco.» Ammise di getto.

«Come pensavo.» Rispose l'altra quasi automaticamente. «Nasconde qualcosa di grosso.» Cantilenò.

«Oh sì questo è chiaro.» La ragazza si tirò su i capelli e distribuì ordinatamente sul tavolo fogli e penne. «Cosa potrebbe essere? Divorzia dallo zio, forse? Io nemmeno me lo ricodo più lo zio Eduardo. Che poi.. siamo sicure non l'abbia fatto fuori?»

Morena arricciò le labbra disgustata. «Per l'amor del cielo! Ci manca l'assassina in famiglia. Poi le figure sono al completo.»

«Io chi sarei.. scusa?» Chiese piccata.

«Oh tu.. tu saresti la empollóna, la prima della classe.» E rise, allacciandosi il camice bianco in vita.

Qualcuno bussò alla porta, si guardarono sorprese e raggianti finchè Stella non andò ad aprire.

«Ecco la asesina de maridos.» Proferì ironica la ragazza, quando sull'uscio apparvero Milagros e Riccardo.

La donna le guardò corrucciata. Morena scosse il capo divertita. «Mamma!» Gridò il piccolo, attaccandosi alle sue gambe.

«Ho pensato..» E le guardò ancora entrambe con uno sguardo accusatorio. «Dato che questo è un giorno importante per te, volevi iniziarlo con l'augurio dal tuo portafortuna personale.. ma vedo che ci si diverte quì.. e alle mie spalle per giunta!»

«Ora non fare la vittima zia Mila.» Stella le scoccò un sonoro bacio sulla guancia. «Piuttosto.. niente da dirci?»

La donna la guardò sottecchi. «Cos'ha questo paese stamattina? Tutti che mi guardano con la stessa morbosità con cui mi fai questa domanda!»

«Non è difficile pensarlo.. Abel Del Carmen è un gran chiacchierone.»

La donna brontolò come una pentola di fagioli. «Ecco perchè sono andata via da quì!» Protestò. «Come posso aver pensato di tornarci a vivere!»

Le due ragazze scoppiarono a ridere, Riccardo le guardava incuriosito. «Basterà che ti scelga fidate compagnie.» Morena alzò le spalle.

«Dovrò iniziare a fare una lista.» Rispose lei.

Stella le passò carta e penna, Milagros la incenerì. «Se mi avessi chiesto di ottenere informazioni per te, tutto questo non sarebbe successo.» Incalzò la ragazza, infastidita dallo sguardo della parente. «Ma ormai è troppo tardi. Adesso ce lo dici perchè vuoi vivere quì o no?»

Milagros schioccò la lingua. «Ragazzina impudente! Tua madre ti sta crescendo esattamente come lei, eh?!» E non le dette modo di rispondere. «Comunque, cos'è questa storia dell'assassina di mariti o di cosa stavate blaterando..»

«Si trovava un ruolo ad ognuno di noi. Un gioco stupido.» Rispose Morena.

«Io chi sono mamma?» Chiese il bambino tirando il camice alla madre.

«Tu sei el gordito.. Mi amor! Mi deleite!» E gli pizzicò lievemente la guanciotta paffuta. «Zia Stella la empollóna. Zia Milagros.. quisquillosa.» Permalosa, inventò al momento per non turbarlo con storie di omicidi.

«E papà?»

«El caballero.» Rispose di getto e il bambino rise. «Non prendertela è un gioco.» Guardò a Milagros e le sorrise. «Qualsiasi sia la motivazione a noi importa solo che tu stia bene e se così non fosse, sappi che puoi dircelo. Ormai siamo adulte, querida tía.»

«Questo mi piace di più.» Affermò la donna, guardando entrambe le nipoti con un gran sospiro. «Ho fatto molti errori in passato, errori che mi hanno portata lontano da quì e da voi, per molto tempo. Tuttavia mi si apre il cuore a vedervi cresciute così bene e forti, donne sagge che sanno esattamente dov'è che la vita le condurrà. Io non ho avuto molta scelta. Ero così giovane e non avevo nulla.. se non me stessa.» La voce di Milagros s'incrinò al ricordo di una giovane donna su di una diligenza che l'avrebbe condotta al confino della sua vita, lontano da chi aveva amato, con il cuore lacero e la testa piena di dubbi; finì con il maledire tutto e tutti e questo livore arrivò a farle credere che non avrebbe messo più piede lì dove era nata e cresciuta, perchè lei era speciale, era bella e meritava di più che finire sposata a uno sciocco qualsiasi per condurre una vita qualunque.


Era il millenovecentotrentatrè.

E un ragazzo nascosto dietro la fila di colonne di un patio, guardava la donna che aveva amato fuggire via, con in braccio loro figlio.

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«Ma la vita è così straordinaria, si rinnova ogni giorno e non sai dove può condurti. A me ha portato Eduardo.. e sapete come è andata. Quando sarà il momento, vi racconterò il resto.» Prese un bel respiro e si asciugò gli occhi. «Oh pestiféré! Mi avete fatto rovinare tutto il trucco con questi salamecchi!»

Le ragazze la guardarono come si guarda una madre, consce che quella donna che avevano davanti era davvero speciale; c'era affetto nei loro sguardi, comprensione -anche se forse non era tutto chiaro- e accettazione, per iniziare a sperare in un nuovo futuro che le vedeva insieme.


Lasciato i primi appuntamenti da annotare alla giovane Stella, Morena ne approfittò per accompagnare Milagros e Riccardo al carro.

«Lui se ne andrà quest'oggi.» Sussurrò. «La notizia era sul giornale del mattino.»

La donna mancò un battito, un lampo nelle pupille. «Te l'ho detto, il mio saluto gli è stato porto molti anni addietro.»

Morena si morse il labbro. «Era per te, vero? Il bicchiere con il druido. Era destinato a te, ma lo prese Francisca.»

«Lo sai?» Chiese quella livida in viso.

«Vedo il tuo senso di colpa. La tua riverenza nei confronti di Alfredo. Sai che sarebbe andata diversamente se lo avessi preso tu.»

«Tu non immagini quanto.» Disse fra i denti, guardando un punto in lontananza sempre più cianotica; Morena seguì la traiettoria del suo sguardo e finì con il posarsi su Javier, dal lato opposto della strada che a grandi falcate si avvicinava a loro. «Adesso devo proprio andare, Morena. Ho già perso troppo tempo e il sindaco mi sta aspettando.»

La ragazza accarezzò il viso del bambino accucciato al parapetto che la salutava e poi si scostò, lasciandoli andare.

Guadalupe Garcia voleva davvero colpire Milagros e la povera Francisca si era trovata nel mezzo.. o colpire la poveretta era la vendetta più atroce che quell'essere malvagio avesse orchestrato?

Lo sai. Le aveva risposto. Ecco, che la seconda ipotesi appariva così sempre più remota.

Questo stava a significare soltanto una cosa.. Milagros Blanco, aspettava un bambino.. il figlio di Estefan La Fuente.


«Morena Soler!» Javier le fu di fronte, tuonando con voce imperiosa. «Noi dobbiamo parlare.. e subito!»


*


«Donna Gravelo.»

La voce suadente di un uomo, arrivò alle sue spalle come una carezza.

Girò il viso annoiata dall'attesa e inarcò un sopracciglio, quando fu faccia a faccia con il suo interlocutore.

«Gradirei essere chiamata con il mio cognome, don Del Carmen.» Sorrise appena e abbozzò un saluto all'altro uomo che entrò nella sala del comune dove l'avevano messa in attesa. «Una mia peculiarità, usare il cognome da nubile fuori città.»

«Forse perchè è molto sicura dei propri mezzi.» Rispose l'altro, baciandole la mano a mò di saluto. «E come darle torto, dopotutto.»

«Veniamo al dunque.» Tagliò corto, provocando nell'altro uomo una certa irrequietezza. «Il signor avvocato ha le carte richieste?»

Abel annuì. «Le diverse proprietà sono state ben scandagliate, tuttavia mi ha incuriosito molto la sua richiesta, di includere nella ricerca, dei terreni sfitti. Ha intenzione di espandere il commercio già cospicuo della sua adorata nipote Soler?»

Milagros lo gelò con un'occhiata aspra. «Mia nipote non ha certo bisogno dei miei rimpingui, come ha già fatto notare.» Poi tergiversò e chiese di guardare il faldone con i documenti che l'avvocato teneva gelosamente stretto a se.

Sbuffò diverse volte, prima di alzare gli occhi. «Queste dimore non vanno bene per me. C'è altro?»

L'avvocato Gutiérrez schioccò la lingua come se lo avessero insultato. «Signora quel materiale si fregia di quanto più lussuoso Fuentesauco disponga attualmente. Non è certo la capitale dei marmi questa.» Abel tossicchiò, l'uomo lo guardò sconcertato.

«E questa, non è la fiera dell'ovvio, dottor Gutiérrez.» Incalzò Milagros, alzandosi. «Sono una donna abituata a determinati standard e non spillerò una peseta se questi non verranno esauditi. Quando avete del nuovo materiale tornate a chiamarmi.»

Gutiérrez ripose tutto nella borsa con riluttanza e con la medesima, uscì dallo studio senza neanche salutare.

«Devo dire che lei sa come essere convincente.» Abel scalciò via il silenzio imbarazzante.

«Quell'uomo mi ha contradetta senza nemmeno chiedermi cos'è che mi rende così scrupolosa.» Sentenziò. «Vede signor sindaco, io non ho mai detto che sarebbe stata una cosa facile. Pretendo il meglio, sempre, perchè sono i miei soldi e voglio spenderli come più mi aggrada.»

L'uomo la guardò con sguardo affilato e un sorriso sornione sulle labbra. «Non posso che essere d'accordo. Ma è come se avesse già in mente qualcosa. Sbaglio?»

Milagros affilò gli artigli. «So che siete un uomo molto socievole e dalle innate capacità colloquiali, come posso notare io stessa del resto. Qualcosa in verità ha catturato già la mia attenzione, avete indovinato.»

«Ditemi il nome e vi darò una risposta.»

«Villa Ortensia.»

«Villa Ortensia?» Ripetè l'altro sconcertato.

«Esatto.» Inspirò. «Non le sto dicendo che voglio possederla -non credo che il suo attuale proprietario stia seriamente pensando di disfarsene- e qui entra in gioco lei.»

«In quale modo?»

«Mi presterà i suoi occhi e l'udito; Javier La Fuente ha parlato di un progetto molto ambizioso, scopra di che si tratta perchè voglio farne parte. Dispongo del denaro sufficente affinchè io possa definirmi un “socio”. Percontro chiedo solo la più totale discrezione e il completo anonimato.»

«Credevo cercasse una casa, non un'entrata.» Incalzò Abel perplesso.

«Darò ancora un'occhiata al faldone di Gutiérrez, se questo serve a schiarirle le idee. Per l'altra questione, se le fa più comodo, mi chiami pure benefattrice a tempo debito.»

«Ho capito perfettamente, donna Blanco.» Gocherellò con le dita prima di cacciarsi di bocca la tanto ardita domanda. «Mi perdoni la confidenza, perchè le interessa così tanto la tenuta dei La Fuente?»

«Crede che io sia così sciocca che glielo direi?» Milagros si portò una mano al petto. «Suvvia Del Carmen! Sono una donna, ma non una sprovveduta. Gli affari sono il suo pane quotidiano, amministra questo paese da qualche tempo, non faccia l'ingenuo proprio con me, adesso. Mi dica solo se accetta quanto le ho proposto, avvalendosi del vantaggio della sua posizione privilegiata, certo.»

«Perchè se avesse potuto, lo avrebbe chiesto a qualcun'altro..» Berciò lui sarcastico.

«La discrezione è la nota fondamentale dello spartito che le ho suonato.» Rispose seria. «Non ho gradito molto il fatto che tutto il paese fosse a conoscenza di questo nostro incontro. A tal proprosito..»

«Sarò ancor più discreto.» La interruppe, con aria solenne. «Chiedo venia per la leggerezza di certe fughe di notizie.»

«Ci conto.» Insistè lei, recuperando la mantella leggera del suo abito.

L'uomo si alzò prontamente, posandogliela cortesemente sulle spalle e scortandola fino all'uscita; se ne andò senza aggiungere null'altro e mentre la vedeva andare via, mano nella mano con il bambino dei Roquez, si chiese se erano tutte vere le storie che aleggiavano intorno a quella donna molto forte e aspra. Appariva dal nulla e dal nulla se ne andava, spesso come ebbe modo di ricordare, in concomitanza di qualche accadimento importante, al punto da far sembrare alla luce dei fatti, la cosa non più come una banale coincidenza.

Quasi sempre schiva, riluttante come la descrivevano i più, adesso se ne andava in giro valutando soluzioni per un trasferimento, addirittura posandondo gli occhi su Villa Ortensia; qualcosa, stava accandendo veramente. Valutò e combattè contro la sua coscienza, per non agghindarsi e presentarsi alla tenuta e tener colluquio con Leonor La Fuente, ma si impose appunto sobrietà e un profilo basso; semmai Javier La Fuente avesse avuto bisogno di altri benefattori e le intuizioni di Milagros Blanco fossero azzeccate, sarebbe stato il primo a saperlo e con il suo congruo patrimonio avrebbe potuto egli stesso avvalersi di tale effige, mettendo mani finalmente, su quello che ai suoi occhi e agli occhi di tutti, appariva come l'oro di Fuentesauco. Pregustandone già il sapore, si accese un sigaro, restando appollaiato sul patio.


Non c'era stato bisogno di andare da lei, Leonor La Fuente arrivò come un razzo dalla strada delle campagne.


«Donna La Fuente! Dove state andando così di corsa?» Le disse, quando gli lasciò il cavallo affinchè lo assicurasse allo steccato dove riposavano gli altri. «Ho saputo che la partenza dei vostri suoceri era oggi. Come stanno?»

«Del Carmen non ho tempo per voi, adesso!» Rispose, mentre era intenta a proseguire a piedi sulla medesima strada che conduceva fino al paese. «Tornerò più tardi!» E sparì nel profilo dell'orizzonte quasi ciondolando, se il sole ormai alto non l'avesse acciecato con qualche miraggio.

Tentennò prima di tornare al suo sigaro, convinto che se fosse successo qualcosa prima o poi l'avrebbe saputo.


*

«Mi devi delle spiegazioni.»

Javier intimidì Stella di lasciarli soli, prima di lanciare il taccuino di Guadalupe sul tavolo dove se ne stava seduta una collerica Morena; la donna gli lanciò un'occhiata ed alzò le spalle guardandolo stralunata. «Aprilo.» Ordinò con voce imperiosa.

Morena si alzò, enfatizazzando il gesto. «Adesso basta!» Sbattè una mano sul tavolo facendo traballare il quaderno. «Non puoi venire quì e comportarti da pazzo. Non lo tollero! Cosa non hai capito della frase “hai fatto la tua scelta, addio!”?»

«Ti prego.» Javier modulò la voce ad un sussurro. «Ho bisogno che tu lo veda. Sto cercando di capire.»

Morena rise isterica. «Il problema è che tu non vuoi capire!» Il ragazzo chiuse gli occhi, scuotendo il capo; sembrava esasperato. Lei sospirò, appellandosi ad un'autocotrollo che sperava di avere nascosto da qualche parte. «Ho tentato di dirti delle cose e.. e tu.. l'hai difesa Javier. La difendi sempre. E' tua madre dovrebbe essere chiaro, ma io proprio non riesco a capirti. Perciò.. dico davvero, fuori di quì. Adesso!»

Non si mosse di un centimetro. Riaprì gli occhi e la guardò implorante. «Ho mentito alla festa; ho fatto finta di non capire. Sono mesi che sto dietro quella cosa.» Indicò il taccuino e riprese a parlare. «Sono pronto ad ascoltarti.»

«Hai fatto finta?» Replicò lei come se tutto il resto fosse scivolato via.

«Lei doveva rimanere all'oscuro di tutto.» Abbassò gli occhi al pavimento e la voce s'incrinò. «Non serve che ti spieghi il perchè.»

«Forse perchè è il diavolo in persona?» Sputò ironica.

«Forse. Ma adesso ho davvero bisogno di sapere la verità su mia madre, Morena.» Alzò di nuovo lo sguardo e lo posò nel suo con infinita tenerezza. «Hai tentato di dirmi qualcosa alla festa è vero, qualcosa che so mi devasterà e che ti riguarda, ma niente potrà scalfirmi più di quello che è arrivata a fare lei, nel tentativo di coprirlo.»

Ogni traccia di sorriso svanì dal volto di Morena. «Javier, adesso non ti seguo.»

«Apri il taccuino e capirai.»

Morena restò qualche minuto in silenzio, ma obbedì; posò lo sguardo su una pagina e poi un'altra ancora, fino a quando si ritrovò a stringere fra le mani il quaderno di pelle, corrucciando il viso in smorfie di incredulità. «Dove lo hai trovato?»

«Lo ha lasciato incusodito accanto al letto di mio padre. E' in parte scritto in romaní, ma ciò che mi ha colpito è quell'elenco di date.. tutti quei numeri così assurdi e poi strani versi di.. formule? Se posso chiamarle così. Sì, sembrano proprio formule con accanto annotati dei nomi familiari. Tipo il tuo.»

I loro occhi si trovarono, Morena trasalì, il terrore a farla vacillare.

«E' tutto.. sbagliato.» Soffiò, infilandosi le mani fra i capelli con disperazione. «Fuori!» Ordinò poi con voce tremante. «E porta via quella cosa, insieme a te. Non voglio saperne niente.» Senza attendere replica, tentò di spingerlo verso l'uscita contro la sua forza, ma Javier non oppose resistenza, anzi, la circondò con le braccia lasciandosi trasportare; fu così che si ritrovarono in strada, abbracciati, con i passati che li fissavano.

Morena entrò in panico, il fiato corto, i bisbiglii della gente che le trapassavano il cervello; con un gesto secco della mano si scansò, prendendo a camminare dapprima molto lentamente, poi sempre più veloce per la strada della campagna.

Javier, stretto in un silenzio carico di dubbi e il cuore martellante nel petto, la seguì come un'ombra.


«Oh santo cielo! Vuoi lasciarmi in pace?»

Ben lontani dall'ambulatorio, da tutti e da tutto, Morena si voltò nella sua direzione, urlandogli contro.

«No. Non me ne vado, a costo di seguirti fin capo al mondo!» Strepitò, accendendosi come un truciolo avvicinato alla fiamma. «Perciò farai bene a fermarti se non vuoi che ti ossessioni fin là. E ti avverto, non mi spaventa affatto scontrarmi con tuo marito.» Le sue labbra si colorarono di un sorriso malefico. «Anzi, non vedo l'ora di togliergli quell'aria compiaciuta dalla faccia!»

La ragazza schioccò la lingua, scioccata.«Hai perso la testa, La Fuente?! Tu non farai un bel niente.»

«Me lo impedirai, forse?» Approfittando del fatto che la ragazza si era finalmente arrestata, con cautela s'avvicinò, passo dopo passo; la conosceva bene, sapeva quanto fosse orgogliosa e dalla lingua tagliente, continuò il gioco sperando che non se ne accorgesse e fuggisse via come la prima volta che si erano incontrati. «Alfredo Roquez..» Protestò quindi con una smorfia di disgusto. «Quanti anni ha? Potrebbe essere tuo padre!»

«Lui almeno è un uomo.» Arrivò pronta la sua risposta, Javier nascose il sorriso trionfante; erano quasi allineati e lei se ne stava lì a contorcersi dalla rabbia di quelle parole. Dimenticale.. diceva la sua coscienza, non pensarci è furiosa.

«Se è un uomo come ha potuto accettare di sposare una ragazzina con la metà dei suoi anni?» Continuò, attraversato da una sorta di coraggio onnipotente che sentiva scorrere nelle vene. «Come ha potuto accettare il fatto che tu amassi un altro uomo?»

Era fatta, erano vicini, così vicini che Morena lo colpì con uno schiaffo; lo accettò di buon grado e quando rialzò il viso, la guardò sfoderando un sorriso consapevole. «Tu mi amavi, ma hai preferito sposare lui. Come ti sei sentita la prima volta che ha posato gli occhi su di te e non ero io a guardarti? Cosa hai provato quando le sue mani ti hanno accarezzata, quando avete fatto l'amore la prima volta e il corpo che ti ha scaldata non era il mio?» Prese il respiro, la potenza delle sue stesse parole provocava nella mente delle immagini che lo facevano stare male. «Hai mai desiderato che ci fossi io al suo posto? Hai mai pensato a me? Perchè io sì. Tutti i giorni che sono venuti da allora.»

Morena strinse forte gli occhi e senza guardare tentò di colpirlo ancora. Stavolta Javier intercettò il colpo, lei riaprì velocemente gli occhi.

«Mia madre ha potuto dividerci, ma non ha potuto nulla sul mio amore per te. E lo aveva capito. E lo ha capito anche adesso. Mi ha urlato contro delle cose... il nostro sangue è più forte di ogni maleficio, ha detto; comincio a crederle e questo mi spaventa.» Inspirò velocemente, i pugni tanto stretti da graffiarsi i palmi con le unghie. «Come mi spaventa il pensiero che come ho amato te, nessun'altra.»

Dal nulla, Morena scoppiò a piangere come una bambina, grosse lacrime a inondarle gli occhi, che non riusciva a controllare.

Era davvero troppo, una dichiarazione inattesa che la gettava nel più tremendo panico di non uscirne viva.

E adesso, aveva solo bisogno di respirare. Respirare.. il suo Javier.

«Javier.» Sussurrò, piegando il capo verso il suo, fronte contro fronte. «Che cosa stai dicendo?»

«Quello che tu stessa non hai il coraggio di ammettere.» Replicò lui, gli occhi fissi al terreno. «Lei non può più farti del male, adesso.»

Il corpo della ragazza si riscosse ancora di un tremore innaturale, le lacrime si mischiarono al sudore freddo della paura.

Come una doccia gelata si accorse di quelle labbra troppo vicine alle sue, di quell'odore forte di pelle troppo uguale al suo, di quel terrore d'essersi ritrovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

«Non posso..» Gemette angosciata. «Non siamo più tu e io, quei ragazzini che giocavano al fiume come se dovessero appartenersi per sempre. E' stato bellissimo, ma tutto questo è solo un ricordo, ormai.» Si asciugò gli occhi e indietreggiò, la paura nello sguardo di Javier si fece tangibile. «Non cercare altre risposte su tua madre, finiresti con l'odiarla e l'odio è un tarlo che ti corrode l'anima persempre. Lo hai detto tu no? Non è più un pericolo per nessuno. Torna a casa Javier, fa le valigie e vattene. Oppure resta, ma vivi la tua vita come prima che arrivassi io.»

Si voltò e prese nuovamente a camminare svelta.

Sta scappando. Pensò il ragazzo, intorpido dalle sue parole ma ancora vigile. «Sta scappando!» Mormorò poi ad alta voce.

Con un balzo le fu addosso e quando non riuscì ad acchiappare le sue mani, allungò un piede fra le sue gambe e le fece perdere l'equilibrio; mentre la donna caracollava in avanti, lui l'aveva già presa a se e insieme, erano scivolati nell'erba alta.

Con un dito le premette le labbra, non troppo forte ma saldamente, per evitare che urlasse quando voleva solo che lo ascoltasse.

«Non posso vivere più una vita in cui tu non ci sei. Non lo capisci?» Si scostò per permetterle di respirare, la guardò con occhi lucidi di promesse e rimpianti. «L'ho ferita, quando ho capito che ti stavo perdendo; ero a seicento chilometri da quì e pensavo solo a te, mi chiedevo cosa fosse successo, perchè non mi avessi scritto o almeno tentato di contattarmi. Sapevo che non ti avrei mai visto a Madrid e me ne facevo una colpa, perchè tutto ciò che avevo desiderato per noi era già lì, tutto pronto. Ti avevo trovato un lavoro.. volevo sposarti e vivere la mia vita con te. Non sono stato abbastanza forte da costringerti ad aprire gli occhi e farti vedere quanto fosse bello il nostro amore e che lo meritassi, perchè eri solo una bambina Morena.. e le persone muoiono tutti i giorni, tu non hai colpe della morte di tua madre. Io avrei riempito la tua vita, il tuo cuore, i tuoi silenzi bui e invece? Invece tu hai sposato lui. Perchè?» Con il dorso della mano scacciò via la lacrima scesa giù sulla guancia in attesa di sentire la sua voce a dargli conforto. Morena sospirò come se l'avessero colpita con un pugnale in pieno petto.

«Lui mi ha salvata.» Rispose con la voce incrinata. «Gli devo tutto. Tutto ciò che sono è merito di Alfredo.» Poi si morse il labbro trattenendo il pianto. Scosse il capo come se Javier non fosse lì, persa nei suoi pensieri. «Io.. gli ho già mentito abbastanza.»

«Ed io? Io non sono significato nulla per te?»

«Tu sei significato tutto invece.» Sparò serafica. «Ma non vuoi capire.»

«Cosa? Cosa dovrei capire?» Esalò esasperato.

«Tua madre ci ha divisi perchè sapeva che non te ne saresti mai andato e che avresti cambiato il tuo futuro per me. Non poteva accettarlo, perchè così i suoi piani sarebbero andati in fumo.»

«Certo che lo avrei fatto.» Incalzò, tirandosi su con il busto e sedendole accanto. «Ero sinceramente innamorato di te, ma tu non mi credevi.»

«Non credevo in me stessa Javier.» Lo imitò e allungò un mano ad accarezzargli lentamente la guancia. «Come avrei potuto credere in te?»

«Forse se ti fossi confidata con me..»

«Non sarebbe cambiato niente. Avrebbe trovato il modo di dividerci.» Girò il volto e s'incupì. «E il mio bambino non avrebbe mai visto giorno.»

«Il tuo bambino.» Soffiò con l'amaro in bocca. «Credi che non avrei amato l'idea di avere un figlio nostro?» Morena scoppiò in una risata isterica, Javier girò il capo e la fissò. «Perchè deridi i miei sentimenti a questo modo?» Chiese incredulo.

«E' questo di cui ti sto parlando! Non di fantasticherie, Javier.» Prese il respiro; all'apice della disperazione sentiva che quello era il momento giusto per dirgli tutta la verità. Nulla più sarebbe tornato com'era, tanto valeva schiarire una di quelle ombre e affrontarne le conseguenze quando sarebbero arrivate. «E' già successo.» Disse con sguardo timido e incerto. «Quando lo ha saputo ha fatto ciò che era in suo potere perchè non venisse al mondo. Compreso ucciderci

Javier restò come pietrificato; le parole uscirono con un immenso sforzo. «Cosa stai cercando di dirmi?»

«Riccardo è figlio tuo.» Sibilò, affondando gli occhi scuri nei suoi. «Quando sei partito per Madrid non sapevo di essere incinta. Per una fortuita serie di concidenze -alcune delle quali perpetrate dalla mano di tua madre- l'ho scoperto solo in dicembre inoltrato. E questo è tutto, fino a quì.» Si aspettava di sentirlo urlare, dare di matto, ma restò perfettamente immobile.

«Voglio conoscere il resto.» Disse come un automa, un automa pallido e rigido.

Annuì leggermente con il capo e iniziò a raccontare.

«Mi ha fatta gettare nel fiume freddo, il giorno della tua partenza; sono svenuta e mi hanno ritrovata lì, Francisca e Alfredo di ritono dai campi. Mi hanno offerto delle cure e quando Peña mi ha visitata l'ultima volta, mi ha dato la lieta notizia. Diciasette anni e incinta di un uomo che se stava a far carriera dall'altra parte del paese e di cui non avevo avuto più notizie, non sapevo dove sbattere la testa e un solo pensiero in mente; non volevo questo figlio, non senza di te.» Si fermò per constatare che respirasse ancora e se era vero che risultasse freddo, i suoi occhi erano assennati e fermi nei suoi. «Milagros Blanco con il tempismo che le appartiene, è arrivata in paese e mi ha offerto la soluzione; sposare Alfredo Roquez, l'uomo che mi avrebbe offerto una vita agiata e che mi avrebbe salvata dalla vergogna facendogli credere che quel figlio fosse il suo. E per far sì che questa proposta risultasse più allettante, si è sincerata che sapessi prima della tua promessa nei confronti di una giovane e promettente ragazza di città.»

«Non eravamo promessi.. non ancora.» Borbottò lui con un fil di fiato.

«Non potevo saperlo.» Ammise lei con rammarico, alzando le spalle. «Mi è crollato il mondo addosso e l'unica soluzione possibile era quella di eliminare il problema alla fonte.» Javier sbiancò, la bocca schiusa. «Non giudicarmi ti prego. Neanche tu hai mai compreso quanto ti amassi. Ho creduto che fosse la soluzione meno dolorosa fra le due e questo ti fa capire quanto male provassi, Javier.»

«Continua.» Chiese con il dispiacere dipinto in viso.

«Non..»

«Ti prego.» Le accarezzò le mani, stringendole nelle sue. «Voglio sapere tutto e a questo punto me la devi un pò di verità.»

La ragazza annuì. «Elvira Morales è corsa da tua madre e le ha spifferato tutto. Sì..» Annuì al suo disgusto. «A quanto pare è una sua spia e questo ha fatto si che mi intercettasse e mi conducesse in una grotta, vestita da stracciona e con il volto coperto, proponendomi la sua soluzione.. irriversibile; ingerire l'infuso di Dea. Al momento fatidico, ho avvertito nella sua voce un accanimento che mi ha risvegliata dalla follia, le ho gettato il druido in faccia e sono scappata. E questo è tutto.» Proferì a testa bassa. «Il resto.. lo conosci già, lo hai visto con i tuoi occhi.»

«Non tutto.» Incalzò lui, ritirando le mani per chiuderle a pugno sul grembo. «Era sola?»

«C'era una donna con lei. Era molto anziana e.. faceva paura.»

«La chiamava madre

«Si.» Rispose tremando. «La chiamava madre e voleva che la chiamassi così. Cosa sai di lei?»

«Nel suo taccuino ne parla spesso. In realtà credo sia mia nonna.» Ammise guardando un punto lontano, la mascella contratta. «Arriviamo al dunque, Morena. Cosa.. sono? E non elemosinare aggettivi, ti scongiuro.»

Sembrava freddo e distante come quando aveva iniziato a parlare, razionale per quanto possibile e questò la terrorizzò.

La terrorizzava parlare, aggiungere dei dettagli che era impossibile non aver notato da sè.

Erano sua madre e sua nonna. Ma erano anche dei mostri.

Perchè voleva sentirlo udire proprio da lei?

Non si fidava del suo stesso istinto, logico. Javier aveva paura d'ammettere che fossero..

«Streghe.» Sibilò. «Gitane. Praticanti di magia nera. Adoratrici del Beng. El diablo.». Il ragazzo strinse gli occhi a fessura, ansimando quasi. Morena cercò di consolarlo, accarezzandogli la spalla. «Ti prego non fare così, non te lo avrei mai detto se non mi avessi implorato.»

«Ti avrebbero fatto del male.» Soffiò fra i denti, scansandola. E fu chiaro che non gli importava il dolore della verità, quanto più l'idea di ciò che sarebbe conseguito se Morena non le avesse fermate. «Avrebbero ucciso mio figlio!» Si alzò passandosi le mani fra i capelli esasperato; si spolverò i pantaloni e senza pensarci troppo si lanciò verso la radura a passo svelto, quasi di corsa.


*

Mio figlio.

Aveva udito bene.

Il bel bambino dai capelli neri che mangiava serenamente il suo chorizo era il figlio naturale di Javier.

L'istinto di mettersi a urlare fu la prima cosa che bussò dentro di sè. Poi arrivarono la delusione. La vergogna di essersi fatta prendere in giro. La repulsione per l'uomo che aveva detto d'amarla, con la quale aveva costruito una famiglia e tutto ciò che aveva intorno.

Fuentesauco, Morena Soler e ogni singolo abitante.

La testa continuava a girare e colpa anche del rum, rimise fra i cespugli dove se ne stava nascosta da un pò e da dove aveva visto tutto, attirata da quelle voci così familiari nella sua discesa erso il paese; le sembrava tutto un brutto incubo, ma lo sforzo che le bruciava la gola e le lacrime salate che cadevano sulla terra arida, erano così veri da togliere il fiato.

Non c'era più partita, più nessun gioco.

Lo aveva perso e si era resa conto con il passare dei minuti, che aveva fatto finta di nulla per troppo tempo, che come diceva Guadalupe Garcia era stata stupida, che il cuore di suo figlio non si era fatto domare dall'amore che aveva provato per lei e che quella puttana le era rimasta dentro come un marchio a fuoco. Cadde con le ginocchia a terra, troppo debole per continuare, desiderò che la morte la raggiungesse all'istante.


«E così è successo esattamente ciò che avevo previsto.»


Un'altra voce familiare la raggiunse.

Si asciugò in fretta gli occhi e si voltò; Guadalupe Garcia, il viso sporco e le mani lorde di sangue, era stagliata sopra di lei in groppa a un cavallo.

Sussultò. «E tu cosa ci fai quì?»

«Riparo i danni che una sciocca saputella non ha saputo evitare. Erano loro? Dove sono andati?» Chiese sprezzante, ridiscendendo.

«Tu..» Leonor si alzò e sputò in terra. «Tu sei solo una bugiarda che merita di marcire all'inferno insieme a tutte le menzogne che hai creato! Hai rovinato la vita del tuo stesso figlio, se è così che possiamo chiamarlo, Guadalupe Andrei Garcia, romaní discendente dei kalè, abusata quand'eri ragazza da un'orda di balordi venuta a cercare tua nonna e sterile per mezzo dei tuoi stessi intrugli da quando hai saputo che attendevi un figlio covato dal dolore e figlio di nessuno.. tu, dai degli ordini a me?» Si avvicinò con fare brusco e la colpì in pieno viso con uno schiaffo. «Non meriti di vivere in questo mondo e spero arditamente che Javier ti trovi e ti uccida prima che tu possa vedere l'alba di un nuovo giorno. Maledico te e la tua stirpe, l' uomo che giace derelitto verso nord e tutti i fantasmi che ti porti dietro.»

Guadalupe illividì, lasciandosi cadere in terra, sulle gambe. «Javier non lo deve sapere.» Sussurrò.

«Lui sa già tutto.» Replicò l'altra con disprezzo. «Lei gli ha raccontato per filo e per segno cosa volevi fare a loro figlio

«No!» Strepitò l'altra.

Leonor rise e la guardò come si osserva un verme strisciare. «Troppo tardi Guadalupe. Hai perso anche tu.»

E la superò, lasciandola sola e smarrita nei suoi lamenti.


*

«Fermati!»

Morena gridò a perdifiato, mentre rincorreva Javier nel fitto bosco di querce; oltre le fronde degli alberi e stipata presso un'ansa del fiume, prima che l'alluvione la spazzasse via, sorgeva Vecchia Quercia il nugolo di baracche dove era nata e cresciuta. Al suo posto, mentre sfilava ansimante dietro l'uomo che le aveva cambiato radicalmente la vita, un vuoto surreale e spettrale, dopo che Del Carmen ne aveva ordinato la bonifica e messo in vigore il divieto di costruzione; gli sfollati si erano spostati leggermente a est, verso il cammino per Villaescusa, avvelendosi del nome di Cochecitos, i camminanti, anche per l'assonanza con il nome del rio che li aveva spazzati via, Cochino.

Chi aveva avuto fortuna come suo padre era andato via e aveva avuto una vita migliore.

Qualcunaltro era andato via persempre, chi per l'altro mondo, con la speranza che fosse migliore di quello lasciato.

«Perfavore fermati! Ti rendi conto almeno dove stai andando?!»

Javier rallentò il passo. «So esattamente dove stiamo andando.» Guardò anch'egli allo spiazzo isolato prima di fermarsi del tutto. «Da ragazzino mi portava quì. A giocare nei boschi, diceva, come veri avventurieri. E' da quì che ti ho vista la prima volta.» Indicò un punto e scorse con il dito orizzontalmente come se delineasse un percorso. «Sei uscita da lì, con le tue gambe gracili e ti trascinavi dietro una cesta con immensa dignità.» Si girò a guardarla e nei suoi occhi brillò un fuoco chiamato amore. «Credo di averti amata da allora.»

«Oh Javier..» Un singhiozzò squassò la quiete e le spalle di Morena.

«Andrà tutto bene.» La strinse fra le sue braccia dove ella si abbandonò stavolta senza remore e così restarono, perfetta raffigurazione di un tempo che fu, dove i loro corpi combaciavano alla perfezione l'uno con l'altro. «Aiutami a cercare quella grotta. Lei mi lasciava fuori ad aspettarla, vi entrava e spariva per ore, così lunghe che alle volte mi trovava addormentato, così tanto che credevo fosse frutto dei miei sogni di bambino. Aiutami a trovarla e ti prometto che sisteremo tutto.» Morena alzò il capo, un'espressione stanca e interrogativa. «Siamo stati entrambi manipolati ed entrambi abbiamo fatto delle scelte che non avremmo compiuto, se non ci avessero diviso. Questo è chiaro, adesso. E non sarà facile, ma se dal tuo cuore non sono mai andato via e pensi che ci meritiamo un'altra occasione, io ti aspetterò.» Passò una carezza sul suo volto a cuore e proferì serio. «Qualsiasi tempo impiegherai.»

«E' questa dunque la tua scelta?» Sussurrò Morena fermando lo sguardo nel suo.

«Eternamente.» Proferì sincero.

«Para siempre.» Annuì lei con voce roca, abbracciandolo ancora. «Andiamo.» Disse poi dopo un tempo che sembrò infinito. «Una fila di cespugli di bacche rosse e conifere nane ad alternarsi. E' questo che cercheremo.» Lo prese per mano e iniziò a camminare. «Da questa parte!»



Girarono a vuoto tre volte, prima di trovare un punto corrispondente ad entrambi i ricordi.

Nessuno dei due seppe indicare con esattezza dov'è che si trovava l'entrata, oltretutto non furono aiutati nemmeno dalla morfologia del terreno, che negli anni era andata cambiando, ma con un pò di fortuna Javier, che per disperazione aveva lanciato un sasso contro dei cespugli e resosi conto che questo aveva sbattuto contro qualcosa di massiccio, era riuscito a trovare almeno il costone laterale della grotta.

Con un pò di pazienza, palmo dopo palmo, si erano messi a seguirlo arrivando, dopo un pò, alla presunta entrata.

«Il passaggio è ostruito.» Disse Javier con delusione, dopo aver scostato una tenda di rampicanti da un masso che nascondeva una discesa sospetta. «Sei sicura che fosse proprio quì?»

La donna si avvicinò sbuffando impaziente. «Ti dico di sì!» E la sua voce squillante rimbombò dal fondo del buio provocando rumori sinsistri. «Ho i brividi al solo ricordo.» Disse scansandosi e avvertendo uno strano odore di marcio assai familiare.

Un odore di morte. E di muffa.

Tremò, voltandosi molto lentamente.

La vecchia dai lunghi capelli neri striati di bianco latte, era in piedi dietro di loro che li fissava con un sorriso grigio e gli occhi vitrei.

«Sta.. lontana.. da noi.» Sibilò incerta, in mano ancora il sasso che aveva raccolto come arma, semmai avessero avvistato qualche bestia selvatica.

Javier, voltato anche egli, sussultò alle sue spalle; lentamente e senza battere ciglio, le strinse la mano libera.

«E intendi colpirmi con quello?» Rispose la figura, muovendo velocemente le labbra come due pallidi vermi rigonfi. Poi scoppiò a ridere glutturalmente, una risata che increspò la loro pelle di brividi. «Povera ragazza..»

Fu un attimo, quasi un balzo impercettibile, uno spostamento d'aria e di massa non percettibile all'occhio umano; la vecchia si era scaraventata nella loro direzione brandendo uno strano scintillio fra le mani.

«Ha un coltello!» Gridò Javier spostando Morena di getto sul fianco libero e gettandosi in terra per il suo.

Poi veloce come era arrivata, sparì letteralmente, prima che si scontrasse contro la parete.

Javier riacquistata posizione, gattonò verso Morena che giaceva in terra immobile; la ragazza aprì gli occhi, un leggero graffio sulla tempia dovuto all'urto contro una pietra del terreno, ma le si allargarono di terrore in un'istante e nelle sue pupille scorse l'orrida figura di nuovo alle sue spalle.

Stavolta non riuscì a scansarsi e la lama acuminata affondò nella spalla con un rumore sordo.

«Ah!» Le grida di sorpresa furono più terribili di quelle che venirono per il dolore, seguite da una seconda coltellata, stavolta alla schiena.

Morena non riusciva a muoversi, Javier l'aveva intrappolata con le braccia come una gabbia, difendendola come uno scudo umano.

Sarebbe morto per lei. Questo pensò.

Poi dalla foresta partì un urlo e la vecchia lasciò sospeso il braccio a mezz'aria prima di affondare nuovamente la lama.


*

Erano lì.

E Javier era in terra, sulle ginocchia, la camicia macchiata da una colata di rosso vivo. Sangue.

Era arrivata troppo tardi, pensò, mentre lo vide girarsi per impedire all'enorme figura che aveva davanti di colpirlo, facendo nascere una collutazione di corpi e mani; c'erano anche quelle di Morena Soler, che come un gatto da dietro le sue spalle, colpiva la madre senza riserve.

Quella scena le spinse più veloce e più forte le gambe per raggiugerli.

E nella sua mente, le immagini del passato.

La prima volta che l'aveva chiamata mamma.

La prima volta che aveva camminato e le si era gettato addosso, fidandosi che le sue braccia lo avrebbero accolto.

La prima volta che aveva indossato la divisa da gendarme, che le cascava così larga perchè appartenuta a suo nonno, e con la fierezza dei suoi occhi cristallini così simili ai suoi, le aveva chiesto se fosse all'altezza e lei aveva pianto rispondendo che era sua. Fatta apposta per lui.

E sopratutto ricordò, bagnando le guance di lacrime, la prima volta che aveva avuto in braccio quel fagottino amorevole così tanto rabbiosa e astiosa, aveva sentito come se tutti i mali del mondo scivolassero via e che quella carne calda e quel sangue le appartenessero per davvero.

E ricordò quella promessa. E quella donna, così uguale eppure così diversa da lei e le parole che disse.


«E' tuo figlio, adesso. Promettimi che lo proteggerai anche a costo della tua stessa vita.»

«La mia vita per la sua.» Aveva risposto, innamorata già. «Mio figlio.»


«Ferma! E' mio figlio!»

Urlò più forte che poté; Morena Soler si voltò a guardarla sorpresa e scioccata dal suo arrivo, ma anche sollevata.

Si lanciò fra la vecchia e il coltello che si stava abbassando sul petto di Javier, frapponendosi nel mezzo con il suo corpo.

Seguì un tonfo. La lama l'aveva colpita all'altezza del cuore.

«Mio figlio..» Sussurrò allo stremo delle forze e l'uomo che la teneva abbracciata la strinse forte a se, come fosse un manichino molle.

Poi successe qualcosa di spaventoso.

La vecchia urlò di dolore e la mano che brandiva il coltello lordo di sangue, prese fuoco; Morena scivolò dalle sue spalle in fretta, rotolandosi accanto ai corpi martoriati di Guadalupe e Javier, guardando ipnotizzata le fiamme avvilupparsi dalla mano al braccio e successivamente rincorrersi sui vestiti, bruciando letteralmente viva la donna che svanì sottoforma di polvere scura in un'esplosione.

«Morena..» Javier la chiamò, allungando la mano verso la sua.

«Sto bene. Non fare sforzi.» Con la mano intanto vagava sul collo di Guadalupe, alla ricerca di battito; c'era, lento e flebile, ma respirava ancora. «Devo.. devo correre in paese.. un carro..» Farfugliò, mentre con lo sguardo sperava ardentemente di avvistare un mezzo con il quale la donna era arrivata fin laggiù, quando scorse un baio scuro poche spanne da loro. «Resta immobile, vedo un cavallo.»

Si alzò e con passo agile lo avvicinò, aggirandogli il fianco e accarezzandolo per tranquillizzarlo.

Colpiva ansioso il terreno con lo zoccolo, era nero e aveva un manto lucidissimo; il cavallo perfetto per la sua padrona, si ritrovò a pensare e pregare che non la colpisse nel tentativo di domarlo. «Ti prego..» sussurrò come se parlasse ad una persona. «Ho bisogno di te.»

Le pupille grandi della bestia si aprirono ancor di più, mentre abbassava la testa e si lasciava trasportare. «Bravo.. così..» Molto lentamente lo condusse verso lo spiazzo dove aiutò Javier ad alzarsi e montargli in groppa, senza prima aver tirato su Guadalupe e fatto in modo di farla salire insieme a lui.

«Tocca a te.» Il ragazzo allungò la mano per farla salire.

«No Javier, dovete andare voi e in fretta. Il suo battito è molto lento.»

«No.» Ringhiò. «Non ti lascio quì.» Guardò furente al mucchio di cenere sparso sulla terra e il suo sguardò si incupì. «Dammi la mano, adesso.»

Alzò le spalle e gliela tese; lui l'afferrò e con un gemito della spalla dolorante, la tirò su, fra il corpo inerme di sua madre e il suo.

«Prendi le briglie.» Ordinò con voce ferma. «E ti prego tienila ferma con l'altra mano se puoi.»

Annuì, scalciando il fianco dell'animale che partì al trotto sostenuto; sentì il calore della fronte di Javier, poggiarsi alla sua schiena e le sue mani cingerla per i fianchi. «Devi darle tutta la morfina che abbiamo quando arriveremo al tuo studio. Che sia il meno doloroso possibile.» Poi prese il respiro e il suo tono si fece più greve. «E dovrai darne anche a me, va bene?»

«Non morirai!» Strepitò Morena schioccando le redini più forte. «Non sappiamo ancora quanto profonde sono le tue ferite! Posso cauterizzarle e ho medicine a sufficenza perchè tu sopravviva, perciò adesso prendi fiato e sta zitto!»

Javier soffocò una risata. «Va bene.» Ma guardò incerto la mano che teneva premuta sulla spalla per bloccare il sangue.


*

«Morena sei tornat.. per tutti i numi! Che è successo?»

Stella fece spazio sull'uscio permettendo alla sorella di passare, con una moribonda Guadalupe Garcia al seguito; Javier conciato peggio, la sorreggeva, mentre lei si sbatteva da una parte all'altra arraffando l'occorrente per prestare un primo soccorso.

«Non abbiamo tempo per parlare.» Sparò angosciata. «Procurati della morfina e somministrane dieci milligrammi per due siringhe, come ti ho fatto vedere.» La giovane annuì sparendo, Morena adagiò la donna ferita sulla lettiga strappandole la sontuosa veste per verificare la ferita.

Si scambiò un'occhiata veloce con Javier, decidendo poi di passare a lui; con la stessa velocità gli strappò la camicia, pulendo con minuzia la ferita più grave fra la sommità della spalla e il braccio.

«Non è tanto profonda.» Sentenziò con soddisfazione. «Basteranno pochi punti.» Lo guardò, lui serrò le mani in avanti intorno alla sua vita, mentre con concentrazione lei ispezionava l'altra ferita sulla schiena. «Questa farà un pò più male.» E vi infilò il dito dentro provocando nell'uomo uno spasmo. «Sarai felice di sentirti dire che non morirai dottor La Fuente.» E prese a pulire anche l'altra ferita con un sorriso ironico.

Stella tornò con le punture cariche e si dettero il cambio. «Brutta ferita..» Constatò la ragazza. Morena la incenerì. «Ma non grave.» Si affrettò ad aggiungere abbassando il capo imbarazzata.

Javier sorrise. «Stessa vocazione e stessa lingua lunga. Mi farete a fettine lo so.» Protestò bonariamente.

«Io sarò un'astrofisica a dire il vero.»

«Grazie per avermi rassicurato.» La schernì, ma lo sguardo era carico di gratitudine.

«Occorre altro?» Chiese gentilmente; Morena alzò gli occhi e si scambiarono un cenno d'intesa.

«Pensi di riuscire a sopportare il dolore?» Domandò a Javier che negò con il capo. «Va bene. Cinque milligrammi stavolta, grazie Stella.»

La ragazza agitò il capo in cenno d'assenso e sparì.

«E' svenuta.» Disse Morena, aggirando la lettiga di Guadalupe per avvicinarsi all'uomo. «Non posso fare altro, mi dispiace.» Gli posò una mano sulla spalla che lui strinse prontamente, senza dire nulla. «Se sei pronto passerei a chiudere questi brutti tagli.»

Javier annuì con aria assente, poi strinse gli occhi e seguirono gemiti.


Stava scendendo l'imbrunire, le prime luci della sera si confondevano con il cielo striato d'arancio e di viola.

Javier dormiva anestetizzato, Guadalupe sempre più agonizzante respirava a fatica.

«Lasciala andare.» Sussurrò Morena, preparando altre due siringhe da venti milligrammi di morfina; neanche in un'altra vita, avrebbe mai detto di provare pietà per quella donna, ma adesso che la ferita sembrava necrotizzata e l'odore non conferiva null'altro di buono, pregò che il Buon Dio l'aiutasse ad andarsene senza soffrire ancora. «Nessuno merita di andarsene così. Neanche lei.»

Con sommo stupore, quella aprì piano gli occhi, sbattendo le ciglia nello sforzo di parlare. «Buona..» Le accarezzò i capelli come si fa a una bambina e infine si spostò, pensando che dovesse svegliare Javier per permettere ai due di parlarsi ancora una volta, ma quella negò con il capo, strusciando un flebile «No.»

«Te.» Aggiunse. «Parlare con te.»

Allora Morena si fermò e si sistemò più vicino, così che non dovesse sforzarzi troppo per farsi udire.

Ci siamo, pensò. Le confessioni su letto di morte.

Pregò che non fossero ingiurie, ricordando le blasfemie che da ragazzina udì dalla bocca soave di sua madre quanto giunse l'ora, ricordando con tristezza che se n'era andata imprecando e che, infondo al cuore, non voleva davvero assistere alla dipartita di una donna che per quanto avesse cercato di distruggerla in tutti i modi, era stata a suo modo, una figura nella sua vita.

Le bagnò le labbra con un fazzoletto imbevuto d'acqua e annuì. «Ti ascolto.»

«Non ho saputo.. guardare oltre le cose.» Sussurrò grata. «Quando mia nonna morì, mia madre temendo il peggio semmai ci avessero scoperto ancora, per preservare la famiglia da atroci sofferenze ordì un incantesimo che ci legasse tutti a doppio filo; bastava che una sola di noi, una sola bruja colpisse un'altra, perchè entrambe morissero. E questo all'infinito, senza dare l'opportunità ad altri di farci torturare o crudeltà simili.»

Morena scosse il capo interdetta. «Cosa stai dicendo?»

«Sono una strega, ragazza. E tu hai capito tutto fin da subito.. ero io infondo a quella grotta. Io.. prima di oggi.»

«Perchè?» Chiese l'altra a bruciapelo.

«Non è ovvio?»

Era ovvio parlare di streghe, morti atroci e incantesimi con quella donna?

Probabilmente sì, l'aveva sempre considerata un mostro. Aveva cercato di ucciderla e di uccidere il figlio che portava in grembo.

«Temevi che potessi portartelo via, che avrei rovinato la sua vita? Io lo amavo, volevo solo renderlo felice.»

Guadalupe inspirò e chiuse gli occhi; una lacrima cadde veloce sul cuscino. «Se ve lo avessi permesso allora.. forse non sarei quì. Ma non posso cancellare il passato o la persona che sono. Probabilmente tu puoi capirmi; sei madre, sei testarda. Hai messo in gioco la tua stessa vita per proteggere tuo figlio.» E nel dirlo girò il capo esponendo la guancia deturpata dall'acido. «Ma io ho potuto solo lottare con le mie forze, non ho potuto niente sul legame di sangue, che è più forte e cementa le persone. Ero io sola, sola contro tutti e ho dovuto difendermi come potevo.»

«So cosa è successo. Estefan ti è rimasto accanto, dopotutto.»

La donna la corresse, dando fondo alla riserva d'aria. «Estefan è rimasto accanto a suo figlio, Morena.»

La vide sforzarsi di respirare, restare attaccata all'ultimo brandello di vita rimasta.

Nella sua testa un vortice di confusione, pensieri, parole che non avevano un senso. Ed era stanca, preoccupata, la nausea tornata prepotente.

Era caduta malamente, quando la vecchia aveva cercato di colpirla.

Gemette. E come un fulmine a ciel sereno le parole di Guadalupe si schiarirono.

«Legame di sangue.» Sibilò. «Javier è stato colpito dalla stessa mano che ha colpito te.. e la vecchia non è morta.» La guardò, quella alzò impercettibilmente il labbro in un sorriso e capì d'essere vicino alla verità. «Non è figlio tuo.» Anelò terrorizzata e incredula. «Di chi?»

La mano di Guadalupe si alzò stanca e tremante; con un dito indicò il suo ventre, sfiorandolo appena.

Per un breve attimo aprì gli occhi stupita, come se avesse percepito la vita che vi batteva dentro e sorridendo un'ultima volta, spirò.

Il braccio cadde in un tonfo.

Guadalupe Garcia era morta. Era morta per mano della sua stessa famiglia.


Aveva bisogno d'aria. Tutto ciò che chiedeva era aria pura. Fresca. E sollievo.

Non c'erano lacrime sul suo viso, ne l'ombra del dispiacere; se n'era andata senza pentimento ammettendo le sue colpe e lasciando a lei la custiodia di un terribile segreto. I flash degli ultimi anni, le conversazioni con Milagros, tutto il male che si erano scambiate improvvisamente avevano una faccia, un volto, un colore. Ed era la più terribile, la più malvagia delle verità.

Non si era accorta che Stella le era venuta vicino, ne della sua mano che le accarezzava la schiena.

«E' molto tardi, tuo marito e tuo figlio ti stanno aspettando.»

«Non posso tornare a casa. Devo allertare gli interradores e aspettare che Javier si svegli per consultarlo sulla sepoltura.» Scosse il capo affranta. «Non posso lasciarlo solo. Potrebbe subire un'infezione e..»

«Ha una moglie. Non spettano a te certe decisioni.» Le disse Stella duramente.

«E io ho un marito.» Rispose fredda. «Questo non ci ha evitato alcun dolore.»

Stella la guardò preoccupata. «Spero tu sappia cosa stai facendo.» Entrò nello studio ed uscì dopo poco con la borsa in mano. «Passerò per Legno di Quercia per impedire che ad Alfredo venga un colpo non vedendoti arrivare.» Tentennò prima di andarsene. «Metti in conto l'ipotesi che potrebbe fare irruzione quì.. appena saputo che il paziente per cui ti struggi tanto è Javier La Fuente.»

Non rispose, guardando l'orizzonte in maniera distaccata; il cielo s'era fatto improvvisamente grigio e una volta accomiatata dalla giovane rientrando nello studio, si accorse che la lettiga di Javier era vuota.


*

Abel Del Carmen era un uomo frivolo, pensò posando lo sguardo sul suo scultereo profilo nudo, soffermandosi sulle braccia che stringevano il cuscino come volessero dominarlo e la curva della schiena fino al sedere. Un uomo frivolo alla quale si era concessa senza riserve perchè la sua vita faceva schifo e aveva avuto la vana e sciocca illusione di poter, anche solo per un attimo, dimenticarsene; lui era lì quando era tornata a riprendere il cavallo, le aveva prestato la sua voce e i suoi modi gentili, le aveva preparato una tisana per calmarla e poi l'aveva baciata.

Si era sentita desiderata e piena di rancore, aveva corrisposto quel bacio e anche tutto il resto.

Così adesso restava solo il vuoto riflesso di ciò che era accaduto; lui nudo, addormentato e appagato sul letto e lei in un mare nervoso di inappagatezza e frustrazione con al centro del petto una voragine.

Doveva tornare a casa, allontanarsi da quella situazione che gridava all'errore e presto, prima che il pianto della vergogna e del pentimento, rendesse il tutto ancora più patetico. Ma nel vestirsi, il luccichio dell'accendi sigari di Abel le tramortì il cervello con un pensiero diabolico.


Morena Soler e Javier La Fuente, dovevano pagare per i torti che aveva subito.


Se il cuore umano può fare qualche sosta quando ascende verso le altitudini dell'affetto,

raramente si arresta sul ripido declivio del rancore.

Honoré de Balzac.



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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


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Eternamente

(para siempre)


A volte i momenti migliori e peggiori della vostra vita possono coincidere.

Questo è il paradosso di un addio

Fragmentarius, blog anonimo.




Le spighe di grano divelte, o almeno ciò che ne restava dopo la mietitura, frusciavano sotto i suoi piedi, mentre camminava a passo lento nell'oscurità, con un sorriso dolceamaro dipinto sulle labbra. Non era mai stata una persona cattiva, ma adesso sentiva un gran bisogno d'esserlo.

Di sentire il sapore della vendetta sotto al palato, di provare qualcosa che mitigasse l'onta di vergogna che ammanentava il suo essere.

Si era lavata due volte nell'abbeveratoio per le vacche sulla strada per i campi e tutte e due le volte aveva imprecato come mai nella sua vita; si era ridotta davvero male, al pari di una comune donnaccia di strada e per di più con la demenza in senno!

Sentiva ancora l'odore di Abel Vincente Del Carmen addosso, pessima acqua di colonia e patchuli e il fuoco, per ogni centrimetro di pelle che aveva sfiorato con le sue labbra; sentiva nitido il calore delle sue mani sul suo corpo e i suoi gemiti di piacere nell'averla posseduta, quegli occhi avidi che l'avevano scrutata con la bramosia repressa di chi aveva sperava, ma non aveva mi osato.

Era davvero troppo, aveva davvero bisogno di annebbiare e stordire quei momenti immediatamente.

Sfilò dalla sacca assicurata al cavallo, il fiasco di vino che aveva trafugato dalle cucine del comune -in parte sorseggiato per trovare coraggio d'abbandonare la folle idea ma con scarsi risultati- e quasi meccanicamente, cominciò a spargerlo quà e là in aria, riversandosi irrimediabilmente sul terreno; tutto intorno, l'odore del vino aspro si mischiò a quello di humus e polvere e terra bagnata.

Quando fu soddisfatta, restò qualche minuto a contemplare i bei campi di Alfredo Herrero Roquez in tutta la loro meravigliosa estensione; ettari di erba verde e campi fertili dalla quale attingere vita e denaro, sarebbero stati spazzati via dalla furia cieca del suo tormento. Sapeva ben poco di quell'uomo, molto meno di quanto avrebbe voluto, senza dubbio il più cordiale essere che aveva avuto la fortuna di conoscere in quell'inferno che aveva il nome di Fuentesauco, ma questo non lo salvava dall'infliggergli il male che la sventura che aveva per moglie, aveva inflitto prima a lei.

E già pregustò la catastrofe -il dover scoprire che quella donna lo aveva umiliato e ingannato per molti anni, unito alla congiura di aver perso tutto- con un certo compiacimento. Si sentì improvvisamente meglio e squisitamente cattiva, la curva del sorriso si arcuò all'insù abbracciando anche gli occhi più piccoli e malvagi che mai, quando afferrò l'accendisigari di Abel e lo gettò senza remore nel campo dinnanzi a se.

Seguì un sibilo sordo, poi la fiammata che giunse fu impetuosa.. e implacabilmente, si estese a perdita d'occhio avviluppandosi su se stessa.

Lo sguardo di Leonor si fece gelido, immobile, mentre le fiamme le coloravano il volto di riflessi disumani.

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*

Stava correndo, non se ne rese conto subito, ma stava correndo e ad ogni passo montava l'ansia per la sorte di Javier.

Aveva udito tutto e probabilmente aveva visto la mano che Guadalupe aveva proteso verso di lei, alla sua domanda di chi fosse figlio.

Come era potuta essere tanto cieca e stupida da non averlo capito subito?

Forse lo aveva sempre saputo infondo; una sorte tanto amara e avversa, per due giovani che si amano, nasconde sempre un terribile segreto.

Ma Javier.. poteva solo immaginare cosa stesse provando, quale caos lo attraversasse e il solo pensarlo bastava a farle accapponare la pelle; quale sorte crudele ti fa cullare da braccia che non ti appartengono e ti fa innamorare, invece, della tua stessa carne e del tuo stesso sangue?


«Javier? Sei quì?»


All'ultimo baluardo prima del crocevia che portava fuori paese, s'era fermata per riprendere fiato, per impedire che il cuore gli fuoriuscisse dal petto; cercando di riflettere, aveva posato gli occhi sulla villetta in stile georgiano che ospitava il comune, quella dalle molte finestre e il portico alto e convenne con una certo trasporto che poteva davvero essersi intrufolato lì.

Aggirò la casa dalle luci spente cercando alcune finestre basse di sue conoscienza, ben attenta a non sollevare rumori sinistri; tutto appariva inanimato e il buio non aiutava nell'impresa, ma proprio quando stava rinunciando all'idea, trovò una finestra spalancata che dava su una sala zeppa di armadi. Sospirò, sapeva che nel suo stato era sconsigliabile mettersi a fare movimenti bruschi, ma l'angoscia di sapere Javier sano e salvo la spinse a scavalcare il parapetto e caracollare quindi nella stanza.

«Perdonami.» Sussurrò al suo bambino. Sorrise, era la prima volta che riteneva quel piccolo pensiero astratto una persona, suo figlio.

«Per cosa dovrei perdonarti?» Rispose una voce greve dal buio; era Javier, anche se non riusciva a vederlo.

Sospirò di gioia. «Oh signore sei quì! Menomale, mi hai fatta spaventare. Dove sei, non ti vedo!»

Calciò dei fogli ai suoi piedi, lei li raccolse seguendo la traiettoria fino all'incavo fra due armadi; era seduto in terra e al suo fianco una bottiglia di Bourbon giaceva aperta. «Posso?» Domandò, ma Javier non rispose limitandosi ad alzare le spalle; non doveva fare neanche questo, ma un goccetto se lo meritava dopo lo spavento, per rilassarsi un pò.

«Leonor è stata quì. L'ho vista uscire dagli appartamenti privati del sindaco e mi sono nascosto.» Adesso che lo udì articolare una frase di senso compiuto notò che la sua voce aveva acquisito un leggero intercalare biascicato tipico da troppo alcool; tappò la bottiglia e se la nascose dietro la schiena, accucciandosi accanto a lui. Non sembrava attendesse una risposta, ma si sentì in dovere di essere accondiscendente.

«Mi dispiace.»

«Oh, tu non hai proprio niente di cui farti perdonare o scusarti. Solo in un mondo in cui non esistessi tutto ciò non sarebbe avvenuto, ma è anche vero che io stesso non sarei esistito. Buffo, no? Sembrerebbe poesia, ma è la realtà dei fatti.»

Non riusciva ad inquadrare la situazione come bizzarra, per cui scosse il capo e parlò con tono fermo. «Sei troppo razionale, io ti conosco, questo non sei tu.» Cercò la sua mano e la strinse forte, lui ricambiò la sua stretta strattonandola con dolcezza dalla sua parte, fino a farla cadere fra le sue braccia. «Non devi indossare una maschera con me. Sai che puoi sentirti libero di esternare ciò senti.» Gli sussurrò fra l'incavo del collo e la spalla; era caldo e confortevole e desiderò che parlasse ancora.

«Sono stanco. Sono ferito non solo nella carne, ma anche nello spirito. E poi sono confuso, spiazzato ma allo stesso tempo è tutto chiaro nella mia testa; non è cambiato nulla. Io non voglio perderti.» Morena si scostò e lo fissò, per quanto il buio camuffasse i contorni, era chiaro il suo sguardo spaesato. Javier le passò una carezza sulla guancia e proseguì fluido e ardente. «Cosa dovrebbe cambiare? Che siamo parenti? Perchè tu non credevi già che il nostro legame fosse qualcosa al di sopra del riduttivo amore? Che mia madre fosse pazza, beh avevo ragione di crederlo.. ma lei ha cercato in tutti i modi di famelo capire e una cosa ha detto giusta; non ho avuto in testa che te. Solo e soltanto te, che sia il sangue oppure no, io sono innamorato di te e questo non cambierà mai.»

Morena abbassò lo sguardo sui fogli e imbarazzata tergiversò. «Cosa sono questi?»

«Era tutto scritto in quel maledetto quaderno. La donna che mi ha partorito mi ha dato il nome di Blanco Angel, ed è così che sono deposto in questi archivi, ma sono solo un'appendice, guarda tu stessa.»

«Non ho bisogno di guardare.» Ribattè sicura, salvo poi mordersi il labbro. «Angel Blanco è il mio defunto nonno da parte di madre. Lei ti ha dato quel nome affinchè chiunque capitasse in questi archivi non arrivasse a te, credendoti nostro nonno.»

«Quindi è così? Milagros Blanco è mia madre?» Chiese in un fil di voce.

«Vorrei poterti dire di no in questo momento, ma so che mentirei.»

«Perchè lo ha fatto

Morena strinse gli occhi, quando udì formulare quella domanda.

Sapeva che sarebbe arrivata, nell'attimo in cui aveva realizzato che la madre biologica dell'uomo che aveva sempre amato, era in realtà sua zia.

«Non lo so. Ma posso provare ad immaginarlo, visto che a quanto pare siamo accomunate dalla stessa sorte; innamorate dell'uomo sbagliato.» Sorrise a malapena mentre dalle labbra uscì lieve la verità. «Quando ho accettato l'idea di avere un figlio tuo, ho capito che non me ne sarei separata mai, che lo avrei cresciuto nella menzogna, se questa sarebbe servita a salvargli la vita; per Milagros è andata diversamente e sono sicura che l'unico uomo per la quale avrebbe cambiato la sua natura fosse proprio Estefan. Sospetto che sia stato il grande amore della sua vita, forse l'unico, ma quando scoprì che ti aspettava, lui era già sposato con un'altra donna; Guadalupe.» I loro occhi si sfiorarono, le anime silenziose restarono a guardarsi per attimi come l'eterno. «Il resto sfugge anche alla mia comprensione, ma da un senso a molte cose se ci pensi bene.» Javier annuì lievemente con il capo, ma non disse nulla. «Tu cosa hai trovato?»

Lo sentì fremere. «Avevano un accordo, anche se non ho prove per dimostrarlo.» Sentenziò. «Guadalupe Garcia non avrebbe mai accettato di crescere il figlio di un'altra donna. Mi raccontava una storiella quando ero piccolo e non mi comportavo a modo, di un bambino nato in una grotta e di come fosse stato baciato dalla fortuna, quando una famiglia di ricchi signori mossi da compassione lo presero con se, togliendolo da una vita di stenti e di agi, che ho sempre creduto fosse una parabola morale per farmi crescere più coscienzioso. Era la storia della mia vita.» Morena inclinò lo sguardo verso il basso, Javier socchiuse gli occhi sostenendo il suo su di lei. «Sai altro, vero?»

«Pensi davvero che quella donna fosse in grado di essere compassionevole? Che non abbia fatto di tutto per impedire che tu nascesti?»

«Ancora infuso di Dea?» Chiese rammaricato.

«Mi duole dirti che quella volta fu indirizzato a Milagros, ma il destino volle fu Francisca Montenero a farne le spese.» Fu come se un'intuizione gli passò dagli occhi e poi alle labbra, schiudendole di stupore e poi dispiacere. «Lo so cosa stai pensando; è orribile, ma per quanto orribile il passato si è compiuto e tu sei sopravvissuto perchè era il tuo destino, Javier.»

«Quando ti sei sottomessa agli eventi?» Domandò con un accenno di sarcasmo nella voce.

«Quando ho conosciuto la crudeltà di questo mondo, ma anche le sue regole. E le ho accettate; si chiama sopravvivenza.» Gli porse nuovamente la mano e lo invitò a stringerla. «Adesso è meglio rientrare, ci sono questioni da sistemare e tu devi assolutamente riposare un pò.»

Si tirarono sù ma Javier la trattenne ancora, sull'uscio della finestra. «Hai detto che sei innamorata di me.»

«Non ho detto questo.» Puntualizzò con voce rotta. «Ho detto che..» Ma Javier non le dette modo di terminare la frase perchè la baciò. «Non posso!» Gracidò terrorizzata, spingendolo via per le spalle. Javier indietreggiò, la mani aperte in segno di resa e di scuse. «Alfredo non lo merita.» E d'improvviso le si riempirono gli occhi di lacrime. «Accidenti..» Inveì, tentando di asciugarle.

«Vuoi restare con lui?» Chiese Javier rabbrividendo.

«Non credere che la mia vita si risolva con te con torni dal nulla e giuri d'amarmi, perchè la questione è molto più complicata.»

«Ho appena scoperto che siamo cugini, pensi di impressionarmi ancora?»

«Aspetto un figlio da Alfredo.» Esalò come un verdetto di morte. E senza aggiungere null'altro, scalvalcò il parapetto.



Camminavano in silenzio come l'una l'ombra dell'altro, ed è mentre guadagnarono passi verso lo slargo che li riportava in paese, che notarono la cappa di fumo e cenere sparsa nell'aria e sullo sfondo e come un graffio, il cielo arancio e viola minaccioso e cupo.

Morena in testa, tossì come se il petto le si squarciasse, piegandosi sulle ginocchia per lo sforzo. «Buon Dio..» Sussurrò fra i denti.

Javier, dietro di lei e ancora sotto shock per la notizia, le posò una mano sulla spalla per confortarla mentre con l'altra si copriva la bocca.

Guardarono entrambi al cielo innaturalmente plumbeo per guardarsi poi spaesati e impauriti.

Da lontano, un uomo spuntato dai cespugli che costeggiavano le vie fuori paese, corse loro incontro sbracciandosi.

«Dottor La Fuente!» Riprese fiato mentre si faceva il segno della croce. Era Cristobàl Ginés, uno dei capi braccianti che lavoravano la terra dei Roquez e che aveva preso il posto di Lucio Soler, con la sua squadra fra le migliori braccia della provincia. «Ho bisogno che lei apra l'ambulatorio il prima possibile! I miei uomini stanno tornando dal campo..» Guardò con un'occhiata greve la donna che lo stava fissando immobile e s'interruppe bruscamente.

«Che cosa è successo?» Lo esortò quella, improvvisamente in preda al panico. «Parla Cristobàl!»

«E' scoppiato un incendio nei campi di don Roquez, donna Morena. Sono accorsi decine di uomini per spegnere il focolaio, ma la situazione era già compromessa quando siamo arrivati; suo marito mi ha mandato a cercare più soccorsi e il medico.»

Morena si portò una mano alla bocca, terrorizzata. Alfredo era in pericolo, fra le fiamme e Dio solo sapeva come stava. Inspirò velocemente un paio di volte mentre cercava di raggruppare le idee. «Javier, tu sei l'unico che può dare una mano reale, quì. Andrò al campo a prestare i primi soccorsi ed organizzare una staffetta che porti tutti i feriti fino a te, in ambulatorio.» Si infilò le mani in tasca ed estrasse la chiave del suo studio medico che lasciò cadere poi bruscamente nelle sue mani. «Se dovesse servirti, preleva dal mio studio tutto ciò che ti occorre. Cristobàl andrà a chiamare Stella, sa fare iniezioni e medicazioni, può darti una mano.» Poi si rivolse all'altro uomo. «Da quì alla tenuta è poca strada, và e procurati un carro a mio nome il più in fretta possibile. Io mi avvierò a piedi, ci vediamo al campo!» Fece per andarsene e Cristobàl corse dalla parte opposta eseguendo gli ordini, ma poco dopo fu raggiunta da Javier che la trattenne per un braccio. «Che fai, sei impazzito?»

«Non puoi andare in un campo pieno di fumi, nelle tue condizioni.» Le disse con tono fermo ma dolce.

«Sono un medico Javier! Posso!» Strepitò su tutte le furie.

«Vai tu ad aprire gli studi, sei più esperta, sai come muoverti mentre io ho fatto poca pratica da quando sono quì.» La donna negò con il capo, gli occhi d'improvviso lucidi. «Perchè sei così testarda da rischiare la tua stessa vita e quella della creatura che porti in grembo? Te lo riporto, lo giuro sul mio onore, te lo riporto sano e salvo, ma non fare l'ostinata e và a chiuderti in ambulatorio. Ti prego

«Javer io..» I fragili argini dei suoi occhi si ruppero e sgorgarono calde lacrime amare. «Io non ho conseguito l'attestato che mi permette di essere legalmente un medico. Sono pressoché inutile alla mia funzione.»

«Ti ho vista con mia madre e con me. Non sei inutile.» Berciò. «Da adesso sei sotto il mio praticantato, fine della storia.»

Non potè opporsi perchè schizzò verso i campi lasciandola sola al suo destino.

Quello del medico.


*

Riccardo non la smetteva di piangere. Aveva pianto per ore e questo non era nel suo normale carattere, nonostante non ci si aspettasse altro da un bambino che non aveva avuto il bacio della buonanotte della sua mamma e che aveva visto il padre schizzare fuori di casa come un tornado impazzito. Stella lo cullava al suo petto d'adolescente e intanto la sua mente veniva attanagliata da una tremenda sensazione di colpa; era passata per le tenute di Alfredo, poco prima che questo venisse richiamato da uno dei braccianti per un problema non ben precisato, quando aveva deciso di deviare per Legno di Quercia e non era sicura, ma adesso le sembrava sempre più chiaro, d'aver scorto sulla sdrada buia un'ombra assai familiare che le faceva crescere dentro un sentimento d'ansia adesso che era certo, fosse successo qualcosa di brutto.

Forse, la stanchezza le aveva giocato brutti scherzi o forse se avesse avvertito il pericolo prima che nascesse, avrebbe fatto in tempo ad evitare o quantomeno allertare suo cognato del pericolo che incombeva, evitando così di struggersi nell'ignoto per la sorte dello stesso e preoccuparsi oltremodo della latitante sorella che proprio quella sera si era messa a giocare col fuoco.

Qualcuno bussò energicamente alla porta, poi vide entrare Agueda tutta trafelata nella stanza del bambino.

«Signorina Blanco, ci sono don La Fuente e Don Ginés che la desiderano alla porta.» Stella lasciò scivolare il piccolo nel suo sonno agitato e le puntò addosso uno sguardo interrogatorio. «Temo sia successo qualcosa di grave.» Sentenziò l'altra con aria martoriata.

Annuì alzandosi velocemente dal lettino di ferro battuto. «Stai con Riccardo e non muoverti da quì, te ne prego.»

Si legò in fretta i capelli, quasi da presagio, ed uscì sull'atrio dove un pallido Javier, con la ferita sulla spalla inzaccherata di sangue e un collerico Cristobal, stavano ad attenderla. Il secondo uomo quasi l'assalì nel parlare in fretta.

«Mi manda vostra sorella. Devo prelevare dalle stalle un carro che mi porti ai campi!»

Stella annuì con il capo quasi senza capire le sue parole e Javier prese in mano la situazione. «Ci penso io don Ginés, vada pure a procurarsi il carro che l'aspetto quì.» Il bracciante sparì senza aggiungere altro, lui guardò la ragazza e modulò la voce. «Morena ha bisogno di te all'ambulatorio perchè è scoppiato un incendio giù alle terre di Roquez e potrebbero esserci dei feriti. Cristobàl ed io lo stiamo raggiungendo per cercare di dare una mano e prestare un primo soccorso. Puoi condurre un'altro carro in paese e far sì che qualche buon uomo ci raggiunga?»

«Certo!» Asserì vigorosamente. «Il tempo di dare istruzioni alla donna di servizio e recuperare qualcosa che possa tornarci utile. Non startene impalato sulla porta, entra, torno subito!»

Tentennò, non era mai entrato in quella casa e mai prima d'ora aveva avvertito un timore reverenziale verso il suo padrone, come allora; i motivi erano discutibili, certo, era innamorato di sua moglie e nonostante ella avesse messo un freno a quel trasporto, si sentiva esattamente come un ladro. Se ne restò sulla porta spalancata pregando che Cristobàl arrivasse in fretta.

Spuntò un bambino, invece. E il cuore gli finì in gola.

«Mamma?» Domandò, non riconoscendo l'ombra alla porta.

La donna di servizio arrivò quasi subito dietro alle sue spalle. «Riccardo!» Lo richiamò con voce altisonante. «Furfante che non sei altro, vuoi farmi venire un colpo?» Il bambino la guardò indispettito e poi tornò alla porta avvicinandosi; solo allora la donna si accorse di La Fuente. «Don, siete ancora quì? Che è successo?»

Javier non l'aveva nemmeno udita, Riccardo gli aveva allungato una mano e lui l'aveva presa, ipnotizzato; non aveva mai avuto il coraggio di guardarlo e adesso che l'aveva davanti, che sapeva che era frutto del suo stesso sangue, gli sembrava di non aver visto mai bambino più bello, dopo Camila. «La mamma sta aiutando delle persone che non stanno tanto bene, ma presto tornerà a casa da te.»

«Tu chi sei?» Chiese lui stropicciandosi gli occhi ancora addormentati.

«Io sono Javier e sono un dottore, proprio come la tua mamma.»

«Anche tu sei bravo?»

Javier sorrise. «Io sì e tu? Tornerai nel tuo lettino così quando lei tornerà, dirà che ha proprio un bravo bambino che fa la nanna senza fare i capricci?» Agueda si avvicinò vedendo che il bambino ciondolava su se stesso e lo prese in braccio.

«Oh sì che è un bravo bambino.» Disse, accarezzandogli la schiena.

«Ma lei torna presto?» Chiese ancora Riccardo con gli occhi semichiusi.

«Glie l'ho promesso.» Rispose Javier con voce rotta, pensando che sì lo aveva promesso a Morena e adesso anche a quel bambino, che avrebbe portato Alfredo al suo posto e ora era diventata una questione d'onore, lo avrebbe fatto.

Ma Riccardo era già nel mondo dei sogni e lui era tornato ad essere un estraneo.

«La prego.» Sussurrò la donna. «Faccia il possibile per farmi avere notizie del signore e la signora al più presto.»

«Sarà fatto.» Asserì spostandosi per fare spazio alla ragazza, ritornata dalle stanze.


«Hai fatto la sua conoscenza?» Chiese con voce argentina mentre congedava Agueda e caricava le sporte sul carro che il bracciante aveva recuperato anche per lei. Javier annuì e la guardò profondamente negli occhi nocciola domandandosi quanto dovesse sapere, ma quegli stessi occhi lo inchiodarono, azzittando i pensieri. «C'è una cosa che voglio chiederti prima di andare e non voglio sembrarti scortese o peggio, invadente.»

«Chiedi pure.»

«La tua signora.. è alla villa come suppongo sia una qualsiasi donna di buon ceto?»

Javier sospirò. «Purtroppo non è il ceto che fa di una donna una buona donna. L'hai vista uscire dagli appartamenti del comune?» Chiese senza pudore, a quella ragazza che sentiva più vicina di una semplice conoscente o assistente, dato le circostanze.

Stella restò di sasso per quel piccolo segreto svelato, ma si riprese subito. «L'ho vista gironzolare nelle terre di Alfredo due ore fa. Sono sicura fosse lei, indossava una mantella color rubino che le avevo già visto.» Javier si pietrificò sotto ai suoi occhi; quella mantella gliela aveva regalata lui stesso in primavera. Stella lo capì e sospirò. «Mi dispiace causarti dolore e apprensione ma era giusto che sapessi.. prima che lo sapessero tutti, Javier; c'è una baracca lungo lo sterrato che dai campi porta sulla strada, alcuni uomini di Cistobàl ci dormono persino, ed è nascosta per via dell'erba alta.» Prese il respiro e si morse il labbro nervosamente. «Non so perchè te lo sto dicendo, ma so che mia sorella tiene a te più del dovuto e non riesco ad immaginare quanto questa notizia devasterà Alfredo e sconvolgerà le loro vite.»

Javier la tranquillizzò posandogli una mano sulla spalla. «Questa notizia mi destabilizza e mi getta nello sconforto alla stessa maniera. Non sono venuto quì per distruggere la loro vita, nonostante io la ami con tutto il mio cuore. Ma ti prego di rendermi egoista chiedendoti riserbo su questa notizia fino a quando non avrò modo di constatare i danni, parlare con Leonor e trovare una soluzione; è la madre di mia figlia non sopporterei vederla alla gogna.»

«Che Dio ci aiuti.» Mormorò la ragazza risalendo sul carro; poi lo guardò intensamente, prima di scorgere l'ardua giornata che li attendeva alll'orizzonte. «Da parte mia avrai il silenzio, ma solo perchè sarai tu stesso a porre rimedio. Buona fortuna.» Esalò e lanciò il baio al trotto, senza guardarsi indietro.


*

La situazione era critica, se non pessima e quando Javier arrivò al campo, questo era ormai gremito di persone che s'affaccendavano a spengere il fuoco e far si che non compromettesse tutto ciò che incontrava lungo il suo avanzare; si accordarono con Cristobàl di dividersi, lui avrebbe proseguito a piedi per valutare la situazione sul campo, mentre l'altro avrebbe raggiunto gli uomini a monte dell'origine dell'incendio.

Lucio Soler fu il primo che gli venne incontro, affannato.

«Javier, c'è della brava gente con qualche escoriazione nel mio mulino, Elvira ha prestato qualche cura sommaria ma non credo servirà che tu faccia nulla di più se non aiutarmi ad ariginare queste stramaledette fiamme!»

«Roquez dov'è?» Chiese cercando di sembrare tranquillo. «Come diamine è successo, si sa?»

Soler negò con il capo. «Alfredo è al fiume a coordinare le sporte d'acqua. Per di quà!» Disse, introducendosi nelle strettoie che separavano le file di spighe le une dalle altre; riconobbe il piccolo fazzoletto di campo del clericato, esattamente un lembo di terra che separava le terre di Roquez da quelle della sua famiglia e realizzò brevemente che quella notte, se il vento fosse spirato dalla parte opposta del loro senso di marcia, la tragedia sarebbe potuta diventare catastrofe, con le fiamme ad invadere le case e il paese.

Spinse più velocemente le gambe, tanto da sorpassare Lucio e farsi strada a bracciate fra la vegetazione.

Si arrestò, quando un innaturale spiazzo vuoto e fumante gli fecero perdere il senso dell'orientamento.

Guardava attorno sbigottito, finchè anche Soler non gli fu accanto. «E' bruciato tutto. Credevo lo sapessi, tutta le terre da quì al mulino. I tuoi uomini hanno fatto muro spalando terra e spingendo le fiamme verso ovest dove gli uomini di Alfredo le hanno abbracciate con l'acqua. Ti ha mandato a chiamare perchè non sapeva come sarebbe andata a finire, ed è là che ti sto portando.» Javier s'inginocchiò, battendo il pugno nella terra ardente; quell'uomo non aveva più niente, aveva permesso che tutto il suo campo ardesse per aiutare i suoi uomini a non soccombere all'onta di fuoco, che uomini La Fuente avevano contribuito ad indirizzare e circoscrivere alzando mucchi di terra, pur sapendo che li avrebbe investiti presto e che aveva dovuto fare una scelta. Il solo pensiero che fosse Leonor -la sorridende, dolce e minuta ragazza che aveva sposato- l'artefice del disastro gli toglieva il respiro e tutte le forze. L'aveva distrutta; solo gettarsi nelle fiamme avrebbe cancellato la vergogna d'ammettere che la storia aveva un solo colpevole e quel colpevole portava il suo nome. «Javier che ti prende? Mi hai sentito no? Le tue terre sono salve, ma adesso devi aiutarmi a salvare quegli uomini, le fiamme corrono veloci verso la foresta, presto!»

Lucio lo scosse per le spalle e quasi come ossigeno dopo l'apnea, Javier rinsavì boccheggiando; purtroppo o per fortuna il suo nome, la sua stessa persona, adesso erano tutto ciò che gli rimanevano per aiutare, rimediare in qualche modo e non si sarebbe comportato da vigliacco, non avrebbe nascosto la testa nella sabbia piangendosi addosso o dannandosi per il male procurato.

«Dobbiamo andare da Alfredo, si.» Rispose meccanicamente e allo stesso modo alzandosi per mettersi in marcia velocemente; Lucio approvò con un mezzo sorriso, camminandogli affianco. «Ho promesso a Morena che lo avrei salvato.» E infine corse, con il cuore che gli scoppiava nel petto.


Alfredo non c'era.

C'erano uomini dai volti esausti, escoriati, chi con qualche arto lussato, molti intossicati.

Cristobàl era ad attenderlo con il carro che strabordava di persone che Javier segnava sulla fronte con del terriccio umido, per non allarmare le due donne che aspettavano accorresse qualcuno agli ambulatori, ma certo non tutta quella gente, immaginando così di doverle indirizzare per essere più veloci e efficienti possibile anche se lui non era fisicamente con loro.

«Voi quattro..» Disse indicando alcuni contadini dopo averne auscultato il respiro e controllato occhi e bocca. «Potete scendere, la situazione non è grave da non farvi rincasare sulle vostre gambe.» Girò intorno al carro e toccò la spalla di qualcun altro. «Anche voi, basterà una soluzione di acqua e sale due volte al giorno.» Gli uomini obbedirono ridiscendendo e si incamminarono in direzione delle case in un silenzio religioso.

Prima di dare il suo assenso, Javier chiese ancora una volta se qualcuno di loro avesse visto don Roquez, ma all'ennesimo coro di "No", e solo una volta accertato che non ci fosse più nessuno da ispezionare, spedì la prima staffetta in paese con un totale di sei pazienti.

Un'ora dopo, coperto da un coro di fischi e bestemmie, arrivò il primo distaccamento della Guardia Civìl e Bomberos.

Javier con l'aiuto di Lucio aiutò loro a fonire le coordinate perimetrali esatte della distesa, sedando gli animi surriscaldati degli uomini di buona lena, arrivati ormai all'apice della forza e stanchezza, incoraggiandoli con cori e canti goliardici e parole sulla loro virilità di uomini duri, che molto altro ancora potevano dare alla comunità, togliendosi per primo il camicie per rimboccarsi le maniche.

In quella sorta di clima isterico e ilare, non si rese conto che camminando si erano letteralmente e completamente spostati verso il margine del bosco di quercie, dove solo poche ore prima aveva giurato all'unica donna della sua vita che l'avrebbe aspettata anche in eterno e dove sua madre era caduta uccisa e quando il pensierò lo accarezzò, un lungo brivido freddo gli percorse la schiena, costatando che doveva esserci una qualche giustizia divina per la quale proprio lui, quel giorno, era il colpevole assoluto di tutte le disgrazie che stavano accadendo.

E tutto.. perchè si era innamorato.

E quasi senza rifletterci, si infilò nella catena perfetta di braccia e muscoli che dal fiume risaliva con l'acqua e in quella che spalava la terra da gettare per soffocare nuovi focolai fino a quando, sospinti da un pò di buona fortuna, tutto cessò con un silenzio innaturale successivamente rotto dalle urla di gioia e felicità di tutti gli uomini che avevano fatto squadra; Alberto la volpe, svenne ai suoi piedi e qualcuno lo canzonò che il suo spirito guida quella sera era a infrattarsi con qualche anima megera, due dei cugini dei rispettivi Portos e Ramirez si azzuffarono per il troppo testosterone in circolo memori della tradizione iniziata dai loro avi, Lucio Soler portò dal mulino delle bottiglie di vino che tracannò come fosse acqua fresca di torrente e lui.. lui si guardava attorno stordito da quel mare di assurda felicità, come se non riuscisse a gioire, pallido fantasma di se stesso.

«Dovremmo fare la conta dei danni..»

Gli uomini lo spalleggiavano. «Domani penseremo al da farsi!» Berciavano ubriachi di sonno e di vino. «Beva un goccio dottore!»

E buttava giù vino quasi senza accorgersene, come se dovessero imboccarlo.

Era quasi l'alba quando Cristobàl s'affacciò nel nugolo di persone dove se ne stava, rannicchiato sulla terra nera, ormai spenta e assopita; appena lo vide si alzò e gli andò incontro come se avesse visto una figura celeste.

«Il mio padrone è qui?» Domandò quello.

Javier allargò gli occhi; Alfred Roquez.. lo credeva al sicuro ormai, non fra quegli uomini certo e tanto meno non grazie al suo aiuto, ma lo immaginava salvo per la forza del suo animo e al sicuro fra le braccia di sua moglie. «Non l'ho visto per tutta la sera.» Sussurrò asciutto. «Non è con la dottoressa Soler?»

«E' lei che mi ha invitato a richiamarvi entrambi.»

Javier socchiuse gli occhi. «Dobbiamo cercarlo.» Disse, portandosi una mano nervosa fra i capelli. «Se non è quì quacosa lo ha trattenuto; dove lo avete visto l'ultima volta?»

«Era al mulino di Soler con la mia squadra.»

«E loro..?»

Cristobàl negò con il capo. «Non è nemmeno con loro.»

Javier svegliò Lucio appisolato a poche spanne da loro. «Javier perchè ti agiti tanto?» L'uomo gli sbadigliò in viso; puzzava di alcool e sudore.

«Alfredo Roquez è sparito. Temo sia successo qualcosa, dobbiamo andare al mulino e cercarlo.»

«Oh Signore!» L'uomo sbarrò gli occhi e si alzò alla velocità della luce. Prese il respiro e si guardò intorno. «Nessuno di voi ha visto Alfredo Roquez?» Chiamò a piena voce così che tutti si voltassero a guardarlo.

«Io!» Un uomo da alcune file più estreme alzò la mano. «Era nei pressi del mulino con Ezequiel Espinosa.» Guardò all'orologio da polso e con un dito levò via la fuligine dal quadrante. «Tre ore fa. Poi non l'ho più visto.»

«Tre ore fa!» Berciò Javier scuotendo il capo sempre più nervoso.

«Che gli è accaduto?» Chiese un altro, alzandosi di riflesso.

«Alfredo Roquez è disperso, signori.» Esalò Lucio Soler. «Chiunque abbia ancora forza e coraggio può aiutarci a cercarlo.»

Si alzarono tutti.


*

Il sole del mattino fluttuò dalla finestra e nelle stanza, irradiandola di luce; provò ad aprire gli occhi, ma un tremendo mal di testa la costrinse a richiuderli in tutta fretta. Un lamento uscì dalle labbra schiuse, quando percepì che il lato di letto accanto al suo era vuoto.. per metà.

Si tirò a sedere, accarezzando la schiena della bambina che le dormiva accanto beata e ingenua, di tutte le brutture che le correvano attorno.

Javier non era rincasato. Lei era finita a scaldare il letto di Abel Vincente Del Carmen ma.. c'era qualcosa di molto più orribile che trapelava dai suoi ricordi annebbiati; scese dal letto e corse alla finestra con morboso desiderio, mirando al cielo in lontananza.

Le sembrava di scorgere un chiarore fittizio, quasi una cappa a coprire i tetti del paese e una lieve scia di fumo là dove corrispondevano i campi.

Lo aveva fatto davvero.

Si portò una mano alla bocca e l'istinto fu quello di raccogliersi, seduta sul bordo del letto; la luce del giorno aveva schiarito le idee, ed aveva reso le cose chiare per quelle che erano; non solo aveva biecamente tradito suo marito, aveva anche distrutto l'unica fonte di sussistenza forse dell'intero paese, senza pensare per un momeno a quel gesto e quali conseguenze avrebbe riportato.

E se fosse morto qualcuno? Pensò, rabbrividendo.


Dei calpestii e delle voci risalirono per le scale, temendo il peggio si infilò a letto come se potesse scacciarle via nascondendosi.

La porta venne spalancata senza prima chiedere il permesso, s'agitò tirandosi su nuovamente e con un'espressione indignata accolse Del Carmen tutto sudato e trafelato, seguito da una Karim dall'espressione mortificata e impaurita.

«Mia signora gli ho detto con insistenza che dormivate ma non ha voluto ascoltarmi.»

«Cosa è accaduto perchè manchiate di buona educazione a casa mia?» Chiese gelida rivolta al sindaco.

L'uomo si fermò, spiazzato da tanto distacco ma abbozzando ugualmente un leggero inchino. «Perdonate le mie maniere, ma vi porto tristi notizie dal paese che vi riguardano, donna La Fuente.»

Leonor s'irrigidì, si voltò verso Camila e prima di condurli entrambi fuori, le lasciò un bacio sulla guancia. «Karim ci trasferiamo in salotto, non serve che tu ci porti nulla, ma resta nei paragi se dovessi aver bisogno d'altro.»

La domestica annuì e li scortò fino alla sala privata, prima di sparire.

Una volta rimasti soli, Abel prese le mani di Leonor e le strinse fra le sue. «Perchè questo astio, mia signora?»

La donna si divincolò stizzita, ma convenne che era meglio tenerselo buono e carpirgli quanto sapesse, piuttosto che indispettirlo. «E' il dolore che mi consuma a farmi parlare così, mio Abel. Quello che è successo stanotte non è che un dolce errore che non dovrà più ripetersi; sono sposata con Javier La Fuente e come ben sapete, non gli resto che io e nostra figlia a questo mondo.»

Abel sussultò. «Quindi siete già informata della dipartita di Guadalupe Garcia?»

Leonor lo guardò come se non avesse udito bene, poi come se nulla fosse, scoppiò in una fragrorosa risata. «E' questo che siete venuto a dirmi?»

«Mia Leonor non sono sicuro che tu mi abbia capito. Guadalupe Garcia è morta. La Guardia Civìl sta indagando, pare sia stata pugnalata al cuore. La donna s'azzittì, la risata scemò in un lamento di disgusto. «Con tutto quello che sta succedendo in paese poi, c'è poco da stare allegri!»

«Oh Abel! Sono nervosa te l'ho detto, non mi controllo!» Si voltò dandogli le spalle e cercò di trovare contegno. Guadalupe era stata assassinata? Il pensiero volò immediatamente a Milagros Blanco ma il buonsenso lo scacciò in fretta. «Briganti?» Sussurrò.

«Si sospetta. La carrozza che la scortava è stata trovata sottosopra.» Rispose, sfiorandole la spalla. «Condoglianze.»

Fu allora che Leonor si ricordò d'essere stata un'attrice e con una teatrale giravolta, si tuffò nelle braccia del prode cavaliere, fingendo un pianto sommesso e disperato; l'uomo l'accolse con parole di conforto e una faccia da cinema tragico.

«Abel sembri così stanco.» Alzò il capo asciugandosi gli occhi e tornando la dolce e ingenua Leonor di sempre. «Parlavi di altro e vedo la fuliggine nel cielo. Che cosa è accaduto?»

Come se non aspettasse altro Abel scosse il capo. «E' scoppiato un incendio al campo di don Roquez, un focolaio che si è esteso fino ai margini della foresta di Quercie, devastando ogni cosa. Il poveretto risulta disperso, tuo marito e un accolito di contadini sta muovendo ricerche al fine di trovarlo.» Al silenzio muto di Leonor, Abel travisò e si affrettò subito a specificare che le terre dei La Fuente erano state salvate. «Una bella fortuna ma dicono abbia coordinato lui le manovre che hanno impedito di estendere i danni ben oltre la provincia.»

«Ha sempre avuto l'istinto d'eroe.» Convenne secca. «Immagino debba seguirti in paese per organizzare le esequie della mia defunta suocera e rispondere a qualche domanda della Guardia Civìl che il mio valoroso marito s'attarda a dare.»

Abel la guardò affilando lo sguardo. «Oggi sembrate molto rigida, mia signora.» Poi l'avvicinò, massaggiandogli le spalle in maniera lasciva. «Se ne hai il piacere terrò alla larga chiunque voglia tediarti.» Leonor sorrise gelida e si voltò, guardandolo smarrita.

«Saresti tanto gentile da farlo davvero?»

«Sei così bella che non ti si può negare nulla.» Poi in preda ad un attimo di coraggio esalò disperato. «Non c'è niente che non ti darei.»

«Oh ma tu hai già fatto molto per me, più di quanto immagini.»

Mi hai restituito la libertà, pensò, mentre stemperava l'animo ardito dell'uomo, invitandolo ad attendere che si preparasse per uscire.


«La signora è morta?» Per quanto si sforzasse anche Karim appariva sollevata dalla notizia.

«Proprio così. Se quello scellerato di mio marito dovesse risanvire dalla follia e tornare, diglielo tu.» Poi prese un bel respiro, tirando su la cerniera della gonna un pò troppo allegra per un lutto e la guardò sodisfatta, inforcando gli occhiali da sole. «Prepara i bagagli miei e di Camila. Il signor La Fuente non deve essere informato, in questo caso.» Sorrise sarcastica ed uscì sollevando una nuvola di profumo costoso.


*

L'aria fresca del mattino sollevava un pò di quiete, ora che finalmente, tutto era taciuto.

I lamenti delle donne, la sofferenza dei feriti, il battito del suo cuore accellerato quando dai quei campi erano tornati tutti tranne che loro due.

Guardava incessantemente fuori dalla finestra nella speranza di scorgere un carretto, una barella persino, qualcosa che testimoniasse che erano vivi entrambi e che poteva chiudere gli occhi, anche solo per un pò.

Stella le era accanto, seduta sull'altra sedia al margine dell'uscio, che teneva gli occhi chiusi da almeno mezzora; se l'era cavata bene, nonostante la catastrofe non aveva procurato troppi feriti gravi o perlomeno quelli che erano arrivati, mandati con la staffetta da Javier, se la sarebbero cavata con qualche giorno di prognosi e riposo ma ciò che temeva di più, era un altro carro con chi invece non avrebbe avuto bisogno d'altro se non di preghiere.

Una carrozza sontuosa con il lutto in bella vista, sfrecciò veloce e per poco non la fece sobbalzare dalla sedia; Abel Vincente e Leonor La Fuente che filavano dritti probabilmente verso il cimitero, fu una scena che trovò particolarmente funebre più della morte stessa, salvo poi ricredersi quando dalle case in lontananza sfrecciò a tutta velocità il carro che aspettava con ansia.

Svegliò Stella puntellandola per un braccio e spalancò la porta d'entrata dell'ambulatorio, calciando via le sedie per fare spazio; il carro era guidato da Cristobàl dalla quale accanto, svettava la figura solida di Javier.

Girò il capo due volte alla sua destra e alla sua sinistra, ma di Alfredo non v'era traccia.

Imprecò e si portò sul viale, rischiando di farsi travolgere.

Javier la redarguì, saltando fuori come una gazzella. «Sei pazza!» La trattenne per le braccia, stringendole con forza lungo i fianchi. «Adesso guardami. Guarda me.» Gli sussurrò sibillino, mentre due uomini per lato, caricavano una barella con la figura corpulenta di uomo; gemette, riconoscendo i folti ricci di Alfredo, immobile e semilucido coperto da una tovaglia sudicia di sangue. «Inalazione fumo tossico, cosciente ma disorientato, difficoltà respiratorie e sibilio nella voce. Ustione termica di secondo grado sulla gamba destra, dobbiamo sedarlo e anestetizzarlo.»

Morena inspirò ed annuì lentamente, metabolizzando tutte le nozioni; li condusse dentro, nella sala riservata agli interventi e cominciò ad armeggiare con la morfina mentre Javier tagliava via i vestiti.

«Adesso lasciateli lavorare, vi prego.»

Stella mandò fuori i braccianti che avevano accalcato la prima stanza e guardavano curiosi verso i due medici, chiedendosi se non fosse stata quella, l'ultima giornata in cui el leon avrebbe smesso di ruggire; c'era un brusio dato da panico ed aspettativa, che rendeva nervosa persino lei, spettatrice come chiunque là fuori. Mormorò una preghiera, quando l'urlo di Morena squassò i muri.

Alfredo era in arresto cardiaco.

«Alfredo! Alfredo!» Urlava cercando di carpire l'essenza vitale in quel corpo rigido.

Javier alla sua destra, prontamente gli reclinò la testa all'indietro, piegandosi con un orecchio verso la sua bocca, con lo sguardo fisso al petto. Contò fino a dieci, ma non successe nulla, senza farselo dire due volte allungò le mani al centro del torace e cominciò a premere con forza e ritmo sul suo cuore assente. «Ventotto, ventinove, trenta!»

Terminato il massaggio, guardò alla donna che con un cenno d'assenso, si prodigò all'insufflazione d'aria.

«Non ti azzardare a morire Alfredo!» Strepitò lei, all'immobilità continua dell'uomo

Javier riprese il massaggio, Morena contava nervosamente le spinte, attendendo il suo turno.

«Uno!» Soffiò aria nei polmoni con tutto il trasporto che p

ossedeva. «Due!»

Si fermarono, Alfredo rantolò e gogogliò del liquido nella bocca; in breve lo girarono su un fianco, assicurandosi che espellesse ciò che gli ostruiva le vie respiratorie, ma il suo corpo s'irrigidì nuovamente e Morena scosse il capo.

«Alfredo tu non morirai.. mi senti? Aspettiamo un figlio, non puoi morire!» L'uomo aprì gli occhi, uno sguardo vacuo ma fermo nel suo, frenetico e al culmine della disperazione; quell'attimo cessò ed Alfredo smise ancora di respirare. «Dobbiamo eseguire una tracheotomia, Javier.» Si staccò dal lettino e andò a lavarsi le mani e a procurarsi dei guanti; Javier la seguì, spazzolandosi bene le dita una a una. «Non permetterò che muoia! Non così!» E battè il pugno sul tavolo.

Javier le posò una mano sulla spalla. «Non è facile e lo capisco, ma ci sono io con te. Forza, lavati di nuovo le mani e raggiungimi.»

Aveva ragione, non era facile.

Il suo praticantato iniziava quel giorno, su un paziente che mai avrebbe voluto necessitasse della sua abilità, controllo, conoscienza e coraggio.

Il bisturi brandito nella sua mano destra, scintillava alla luce della lampada del soffitto e ardeva di compiere un piccolo miracolo; accanto a lei, l'altro uomo che mai avrebbe creduto di ritrovare proprio lì, al suo fianco, come tutto era cominciato.

Doveva compiere una scelta, lo sapeva bene.

Nascondersi per sempre, oppure spalancare la porta dell'ignoto e gettarsi in una nuova sfida.

Era la dottoressa Morena Soler e moglie del paziente Alfredo Roquez, ma ciò che avrebbe dovuto tenere bene a mente consisteva nel fatto che in quel preciso momento, non era ne l'uno ne l'altro, perchè quel bisturi scintillante adesso le ricordava che lei era solo la scienza ed anche la salvezza e tutto ciò che girava intorno, doveva essere congelato fino a quando l'ultimo punto di sutura non fosse cucito e la vita del paziente ora completamente nelle sue mani, non fosse salva.

«Pronta?» Le chiese Javier con un luccichio negli occhi.

«Pronta.» Rispose, incidendo la base anteriore del collo con fermezza e concentrazione.



Il primo a riemergere fu Javier, accolto da una folla di curiosi e qualche reduce della nottata.

«Don Roquez è stabile e ho ragione di credere che si riprenderà. La dottoressa Soler ha eseguito un lavoro magistrale, pertanto vi prego a nome suo e del suo consorte, di salutarci quì e attendere che il buon Dio faccia la sua volontà. A nome mio invece vi ringrazio per avermi dato ulteriore dimostrazione, se mai ce ne fosse stato il bisogno, di quanto sono fiero d'appartenere a questa comunità, che non si è tirata indietro davanti al pericolo per Don Roquez e l'incoscienza, quando si è trattato del futuro della mia stirpe. Grazie di cuore, Saucani.»

Tutti applaudirono e per un pò, quella sorta di cappa fatta d'adrenalina e ansia che li aveva avvolti, sparì.

Lo spiazzo cominciò a diradarsi dalle persone; il sole si era fatto alto e nell'aria si avvertiva già una calura incombente.

Ci vorrebbe un diluvio che portasse via le ferite, pensò, guardando l'orizzonte e i campi sporchi di nero.

Non c'era compito più straziante che fare la conta dei danni, l'indomani; quello sarebbe stato ricordato come il giorno del riposo, della meditazione e delle attese.


«Sarebbe chiederti troppo, staccarti da lei per vegliare il feretro di tua madre?»


Leonor era stagliata all'ombra di un ombrello di seta, per riparare la sua pelle bianca traslucida, che lo fissava severo e piena di disprezzo. «Ho dato disposizioni di farla tumolare nel mausoleo di famiglia, dopo una cerimonia intima nella cappella del cimitero. Don Pedro è stato così cortese da non farmi troppe domande e Abel Del Carmen.. Dio solo sa quanto sia stato generoso nell'offrirmi il suo aiuto con le pratiche burocratiche e quei tedianti dei gendarmi.» Scosse il capo da commediante e a Javier venne il sangue al cervello; era stanco di menzogne e falsità.

Era a pezzi e la sua anima in frantumi. «A quanto so non ti ha offerto solo il suo aiuto.» Si mosse nervoso per la sua direzione e quando l'ebbe di fronte la trascinò per il braccio verso il retro dell'ambulatorio. «So tutto Leonor, prima che tu possa sporcare anche l'ultima goccia di considerazione che ho per te, farai bene a stare zitta.» La donna non fiatò, si ricompose ribellandosi dalla stretta, ma il colore cinereo del suo viso ammetteva ogni singola parola. «Qualcuno ti ha vista ieri notte nei campi di don Roquez, poco prima che divampasse l'incendio che ha devastato la tenuta e che tiene attaccato quell'uomo ad un filo fra la vita e la morte. Come se non bastasse il fuoco non ha divorato solo l'unica fonte di sostentamento di una famiglia, ricca certo e che avrà comunque una polizza che gli frutterà migliaia di peseta con la quale sfamarsi, ma di intere famiglie povere; hai idea di quale riflesso avrà tale gesto sulla vita di decine di contadini, padri, mogli e figli? Sai quanto ci metterà la terra a rimaginarsi e tornare fertile? Ti sei mai chiesta quale diritto avessi di far pendere la bilancia della vita e della morte a tuo piacimento? Non credo. E più mi sforzo per trovarti degli alibi, più penso che ti uccidirei seduta stante, con queste mie mani.» Le alzò vicine al viso, così che potesse vederne il tremolio che le attraversarva e le richiuse di stizza, portandosele lungo i fianchi; Leonor deglutì aria, ma non distolse lo sguardo dal suo.

«E tu ovviamente gli hai creduto. Hai creduto subito che fossi io.» Esalò tremando. «O dovrei dire le, visto che non sei rientrato stanotte.»

Javier sorrise amaro. «Volevo essere gentile con te, ma vedo che non vuoi capire. Io ero lì, Leonor, e ti ho vista uscire nel cuore della notte, dalle stanze private di Abel Del Carmen come una puttana qualsiasi. Il resto mi è di facile immaginazione, dato la tua fragile e instabile situazione mentale; hai giocato a incastrare Guadalupe per prima e poi hai fatto lo stesso gioco con me. Ti guardo e mi chiedo chi sei veramente.»

«Come osi dire a me chi sono!» Strepitò indignata. «Io sono la donna che ti ha raccolto e messo insieme Javier, che ha guarito le tue ferite quando ti struggevi per un'altra e che ti ha seguito fino all'inferno perchè ritrovassi te stesso!» Trattenne il pianto e il suo volto divenne una smorfia distorta. «Hai trovato ciò che avevi perso ed io ho perso tutto ciò che avevo, nell'esatto istante in cui è accaduto. E' così che sono andate le cose, siamo entrambi responsabili di questa situazione.»

«Io non sono sceso tanto in basso.» Sussurrò fra i denti.«E tu parli esattamente con la presunzione di chi ha avuto tutto.»

Leonor sbottò. «Ho avuto tutto, certo. Una buona educazione e una famiglia sana che mi tirasse su. No, non posso capirti Javier hai ragione e non ho alibi sufficenti se non quello di odiare tutto questo; Fuentesauco, te, lei.. tutti. Ma facciamola finita quì, perchè non ti concederò l'umiliazione del perdono se è questo che vuoi, perciò dimmi quando devo costituirmi e lo farò.»

«Ho scritto a Benedicta perchè tu e la piccola Camilla la raggiungeste in Baviera e lei ha accettato di buon grado. Sarebbe una soluzione temporanea, certo, ma ci farebbe guadagnare tempo, prima del vostro rientro a Madrid, per sistemare la situazione con la calma dovuta.»

Leonor lo guardò accigliata. «Nessuna gogna collettiva, dunque? Solo il pungente, accusatorio, sguardo di mia cugina come punizione?»

Javier scosse il capo. «Non voglio che la madre di mia figlia subisca un'umiliazione pubblica.» E come se avesse ingoiato vetro proseguì. «Anche se questo significa separarmi dalla bambina, sono pronto a sacrificarmi purchè lei cresca serena.. e sopratutto lontano da quì.»

«Su una cosa siamo d'accordo, buon per noi. E per i nostri avvocati.» Un lampò attraversò le pupille di Javier e Leonor proseguì tranquilla. «Ho contattato il mio quando ho appreso che suo figlio è figlio tuo, perchè vedi javier, una donna deve saper tutelarsi in questo mondo così difficile.» Alzò le spalle e sorrise ingenuamente e Javier pensò che quella era l'ultima volta che l'avrebbe vista così; ingenua, perfetta, drammatica. Il loro matrimonio era finito e insieme a questa certezza, fu come se un peso invisibile scendesse dalle sue spalle. «Non ti rivedrò più.» Sussurrò lei, ma non era una domanda quanto più una costatazione arrendevole di una fine già scritta. E come se fosse passato un temporale e il sole rischiarasse già il mattino, tornò a sorridere. «Il funerale è alle quattro di questo pomeriggio. Ti faccio preparare il vestito, tu pensa a una storia da raccontare alla Guardia Civìl e all'elogio di commianto. Io, non l'ho conosciuta veramente.» Javier annuì e insieme tornarono in pubblico.

La vide andare via su di una carrozza, alta e fiera, seguendola con lo sguardo fino a che divenne un puntino. Stella lo avvicinò da dietro, percepì il profumo di rosa del suo camice e si voltò a guardarla, pronto a rispondere a qualsiasi domanda; ma la ragazza non disse nulla, si limitò a leggere nei suoi occhi il dolore, la rassegnazione ma anche la speranza per il futuro, ovunque questo lo avrebbe condotto.

«Cederò i miei ettari di terreno ad Alfredo.» Disse dal nulla, guardando la ragazza, ma non vedendola veramente.

«Non credo debba preoccuparti di questo.» Gli rispose quella, credendolo pazzo. «Olivia Herrero è qui e ti conviene trovare qualcosa da dire.»

Fu come se non ascoltasse. «Sono molto stanco. Andrò a riposare e poi ci sarà l'ultimo saluto, ancora.»

Qualcosa dentro di lui si incrinò, le ferite pulsanti, le palpebre pesanti.. era martoriato.

E pianse in silenzio, mentre Stella lo guardava dritto negli occhi e in silenzio restava così, presente, solida.

E fu anche l'unica della famiglia ad assistire in disparte al funerale di Guadalupe Garcia; c'erano troppi visi, troppe facce, troppe espressioni di finta commiserazione, per rendere pubblico il dolore che provava per l'amico. Si era detto che era stata ferita a morte da una coppia di briganti sulla via che li avrebbe condotti a Gijon e che del povero Estefan non si era ancora trovato il corpo, come dei piantoni che erano con loro, probabilmente dileguatisi dopo l'aggressione; la sua morte se non altro avrebbe impedito il ficcanasare di qualche concittadino, sui progressi del fantomatico canale commerciale che Estefan era andato a intraprendere e per quanto apparisse macabra come cosa, era stata provvidenziale.

Eppure lui la vide, nascosta fra i cipressi austeri, con il capo chino che mormorava preghiere con il rosario stretto fra le mani nervose.

E le fu grato, per quella delicatezza, che contrastava con l'impenitente e sfacciato dolore collettivo.



*

Dopo quasi quattro giorni dall'intervento, Alfredo aveva ripreso a respirare normalmente e Javier si era convinto a rimuovere la canula dalla gola per evitare che i tempi di guarigione risultassero troppo lunghi e scongiurare qualsiasi tipo di infezione; dopo sette giorni, era libero da qualsiasi corpo estraneo, anche se parlava poco e piano, per evitare che il taglio -lasciato a riemarginarsi come natura comandava- venisse compromesso da movimenti bruschi e sforzi inutili.

Olivia e Lorenzo arrivati daVillaescusa e riemersi dal loro bozzolo prematrimoniale fatto di amore e speranza, si erano tuffati completamente nel disastro di cui avevano soltanto sentito il mormorio, apportando conforto e qualche consiglio pratico dato l'occupazione del giovane Navarro.

«Fortunatamente la polizza multirischio stipulata da Alfredo coprirà le spese per il reimpianto di coltivazioni arboree intensive.» Asserì Lorenzo, tornato dai campi in ricognizione. «Il danno è incalcolabile e se non altro frutterà il suo cospicuo indennizzo, ma temo la ripresa sia lunga.»

Morena guardò Alfredo nel profondo degli occhi, lui abbozzò una smorfia di rassegnazione e come se non li ascoltasse più, alzò il volto verso il soffitto; fece cenno a Lorenzo di lasciare la stanza, prima di inniettargli una dose di sedativo per farlo sprofondare in un sonno lungo e artificiale.

Erano tutti lì ad aspettarla, Javier defilato in un angolo che cercava di estraniarsi dalle faccende private della famiglia, ma con il cuore pesante.

«Lo sai che non è stato un incidente, vero?» Soffiò Lorenzo, non appena la vide tornare. «Credo che prima lo sappia e meglio sarà.»

«Lo sa bene. Ma non voglio torturarlo proprio adesso che sta meglio.» Poi guardò Javier con uno sguardo carico di promesse. «Quel vile si è nascosto con il manto della notte, se esiste una giustizia divina ci pensarà questa a punirlo.»

Javier fece cadere una boccetta di disinfettante sul pavimento, mentre fingeva di sistemare il comparto dei medicinali, Stella si alzò come se l'avessero fulminata e corse ad aiutarlo. «Cerca di mantenere la calma» bisbigliò al suo orecchio.

Ma lui la guardò con degli occhi affossati e pieni di strazio e prima di mettersi ad urlare, uscì dall'ambulatorio quasi correndo.

Olivia battè le mani per distrarre l'attenzione da quell'aria densa. «Questi discorsi tediano tutti. Rallegriamoci per la salute di Alfredo!»

Morena sorrise e andò incontro alla sorella, piegata sul pavimento. «Cosa gli prende?»

Stella alzò gli occhi e la fissò. «Sua madre è morta e il suo matrimonio è finito. Al suo posto lancerei fiamme.. perdona l'ironia.»

La donna scosse il capo e sospirò; guardò ai cugini e immediatamente fuori alla finestra, dove Javier appoggiato al parapetto respirava forte come se stesse soffocando. «Pensa tu a loro, vado a sentire come sta.»


«Ti senti male?» Gli chiese freddamente. Erano due giorni che si comportavano come due perfetti estranei e parlavano solo quando si trattava della salute di Alfredo, ma la donna non aveva digerito il silenzio iniziale di Javier sulla responsabilità da parte di Leonor dell'incendio; ne aveva compreso le motivazioni ma non l'aveva giustificata, dopo la rabbia aveva accettato che il danno era ormai fatto e che portare rancore sarebbe servito solo ad alimentare nuovo odio quando in quel momento doveva solo pensare a tenere in vita Alfredo, ma restava presente in lei il dubbio sulla persona che era Javier e non riusciva ad essere tranquilla con lui.

«Per tua delusione, no. Mi sento già meglio.» E sorrise all'angolo della bocca, sfrontato.

«Smettila.» Rispose secca. «Questa guerra fra di noi è inutile e deleteria. Abbiamo bisogno di tenere unite le nostre forze.»

«Non ci riesco. Non dopo quello che.. non con te che mi giudichi. Costantemente.» L'incendiò, il sorriso diventato una linea dura.

«Dopo quello che hai fatto per me? E' questo che stavi dicendo?» Morena s'avvicinò, Javier strinse forte le mani a pugno, investito dal suo odore; era più bella che mai, la fronte corrucciata, le guance paonazze e gli occhi nocciola socchiusi come scaglie di giada. «Sai cosa sarebbe stato giusto fare, eppure non lo hai fatto; non lo hai fatto perchè quella è la donna che hai avuto al tuo fianco in questi lunghi anni, la madre di tua figlia, la donna che hai condotto all'altare. Tu dici di aver amato solo me, ma ciò che hai fatto per lei è amore. Ed io l'ho accettato. Ma non osare dire ancora che lo hai fatto per me, Javier! Lo hai fatto per te stesso. Lo so io e lo sai anche tu.»

Olivia e Lorenzo li interruppero uscendo sul portico, per salutarli e rinnovare loro i complimenti per quanto fatto per l'uomo.

Lorenzo vedendole il viso segnato dalla stanchezza le passò dolcemente una mano sulla spalla.

«Passerò le carte al mio studio. Vedrai risolveremo tutto in tempi brevi.»

«Grazie.» Mormorò Morena in risposta, vagamente distratta.

Olivia invitò il proprio uomo a precederla e quando fu dinnanzi alla cugina le strinse la mani, seguendo con lo sguardo Javier che rientrava nello studio. Non ci fu bisogno di dire nulla, l'altra donna capì subito.

«Sono successe molte cose dal fidanzamento.» Ammise. «Sono completamente e assolutamente confusa, ma Alfredo resta una mia priorità.»

«Non devi rassicurare me.» Disse lei, piegando leggermente la testa di lato, verso l'edificio. «Qualsiasi cosa sia successa ne parleremo, certo. E qualsiasi cosa succederà, io so chi sei e so cosa hai fatto per Alfredo.»

Morena sorrise e l'abbracciò forte, prima di congedarla e vederla andare via verso la tenuta che li avrebbe ospitati per qualche giorno.

Rincasò, Javier l'attendeva in piedi al centro della stanza e di spalle.

«Adesso che la situazione è stazionaria sarà il caso che mi trasferissi all'altro ambulatorio, così da alleggerirti dai pazienti quotidiani..»

Non si voltò nel parlare, restò così, fermo e con la voce cupa.

«.. ma..» Morena abbozzò un obiezione ma l'uomo alzò la mano, pregandola di farlo proseguire.

«Se rimanessi, finiremmo solo con lo starci fra i piedi, ed ora tutto ciò per cui stai lottando, richiede calma e pazienza. Se avrai biosogno di me non avrai che da chiedere, sono solo dall'altra parte della strada, non dall'altra parte del continente. E questo non è un addio.»


Ma lo sembrò.


*


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Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo,

in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare.

Emanuele Trevi, scrittore.


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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


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Eternamente

(para siempre)



Il mondo è rotondo e il luogo che può sembrare la fine


può anche essere l’inizio

Ivy Baker Priest Treasurer of United States.




Settembre arrivò in sordina, come le buone notizie, ad alleviare i colpi bassi della sorte.

I giorni infausti si erano susseguiti in una sarabanda affannata che avevano visto Morena al capezzale di Alfredo a tenergli la mano, confortarlo e aggiornandolo sulla situazione delle terre, ora che si era ripreso del tutto e non aveva più bisogno di essere sedato, ma con il pensiero fisso e costante sulle parole di Javier e sull'effetto di terribile angoscia che le avevano lasciato.

Non era più venuto in visita, anche se le rare volte che s'incontravano per caso in paese, egli si accertava sempre che le condizioni di Alfredo fossero buone. Si era persino dato da fare affinchè la posizione di insegnante della dottoressa Soler fosse aggiornata alle autorità, ma di fatto, evidente e appurabile, era tornato ad essere solo Javier La Fuente, un conoscente, un estraneo.

Tutto ciò era terribile e le faceva male.

Poi capì. L'aveva lasciata sola a riflettere sulla sua assenza e quanto questa influenzasse sul suo futuro, ed anche se aveva chiaro davanti agli occhi la sua sofferenza, ricordando le amare scoperte della sua vita privata con i risvolti tragici e il suo sacrificio nei confronti della comunità, era tornata a maledirlo.

Erano parenti, pensò con un brivido, ma non sapeva come ci si doveva comportare.

Dall'altra parte c'era l'uomo che aveva sposato, che l'aveva salvata e dalla quale aspettava un figlio; guardava il suo volto provato dalla ingiustizie della sorte e sentiva nel petto una carica d'affetto e stima da gettarla nello sconforto anche solo a pensare ad occhi verdi che le dicevano addio.

Le sembrava di impazzire, ed era molto stanca. Desiderava chiudere gli occhi, appoggiare la testa su un cuscino morbido e svegliarsi solo quando avesse capito cosa ne sarebbe stato del suo futuro, fino a ieri così chiaro e limpido.

Ma i tempi dell'oblio erano finiti, perciò prese un bel respiro e tornò alla realtà.


«Ahh..» Alfredo protestò dal letto della loro stanza; gli aveva punto il braccio per trovare una vena con insuccesso. «Sei distratta?»

Morena alzò il viso. «Dobbiamo controllare costantemente la tua emoglobina. Se l'ossigeno non circola a dovere..»

«Lo so.» La interrupe lui, abbozando un sorriso sarcastico. «Non morirò, sta tanquilla. Devo accompagnare Olivia all'altare.»

La donna posò la siringa sul tavolo, stizzita. «Non lo trovo divertente, Alfredo.»

Quando trovò la via si chiuse nelle spalle evitando, senza successo, lo sguardo inquisitorio dell'uomo. «Se hai bisogno di riposare, puoi sempre delegare qualche compito. Non è peccato chiedere aiuto quando si ha bisogno, sopratutto nella tua condizione. Stare quì non è necessario, prendi qualche giorno per te, dedicati a te stessa, ti prego.» Le posò una mano sul polso, accarezzandolo affettuosamente. «Olivia è sempre fra i piedi ed anche i suoi preparativi di nozze e Stella.. sa benissimo fare un prelievo. Come vedi, non sarò solo.»

«Non saprei dove altro andare.» Esalò stupefatta e tentata.

«Dove ti senti serena.» La guardò, scoprendola con gli occhi. «Perchè è chiaro che quì, ora, non lo sei.»

Morena s'illuminò e si piegò per baciargli la guancia. «C'è un piccolo seminario all'università di Salamanca sulle pratiche avanzate del parto, potrei andare lì qualche giorno, sarei comunque vicina se servisse e..»

Alfredo le posò un dito sulle labbra. «Và a quel seminario prima che ti ci spedisca io!»

La donna rilassò il viso teso ed annuì entusiasta. «Vado a preparmi, allora.»

L'uomo acconsentì, ma prima di vederla uscire dalla stanza parlò ancora. «Ti prego di non far entrare nessuno.» Quindi tentennò prima di uscire, così egli si affrettò nel placare i suoi dubbi. «Voglio riposare.»

«Come desideri.» Rispose.

Ma calato il silenzio nella stanza, Alfredo fissò il vuoto con in faccia il volto della paura.


*

«Amico mio!» Lorenzo gli venne incontro abbracciandolo affettuosamente; da quando era a Fuentesauco, Javier non aveva avuto un attimo di tempo per scambiare quattro chiacchiere con l'amico giovialmente, come erano consoni fare in quel di Madrid.

Molte cose erano cambiate da allora; il pensarci fu come se una folata di vento lo colpisse alla nuca costringendolo a rabbirividire.

Ricambiò la stretta, colpendo la spalla del ragazzo per scacciare via la malinconia. «Mi porti notizie dai campi?» Chiese poi cauto.

«Si e no.» Ammise seriamente. «Ricordi ancora che mi promettesti d'essere il mio testimone, vero?»

«Il matrimonio!» Esclamò desolato per non averci pensato subito. «Certo che lo ricordo e sono ancora per quella scelta. Perdonami se non sono tanto attivo, ma come tu ben sai ho questioni che mi assorbono tutto il poco tempo a disposizione che mi rimane. Vedrò Don Pedro il prima possibile per l'espiazione dei peccati e preparrmi a questo compito, sta tranquillo.»

«Parli proprio come un vecchio uomo d'affari.»

«A volte vorrei esserlo.» Soffiò laconico. «Che notizie dai campi?»

«La stima dei danni è un pò al di sopra della somma che tu hai intenzione di donare, tuttavia nella situazione economica in cui ti trovi, non credo tu debba alzare ulteriormente il tiro. Ancora mi chiedo perchè vuoi farti carico delle pene di questa gente. Per carità, non predermi per un uomo senza cuore, ma farsi carico di così tanti debiti..» Lorenzò arricciò il naso quasi fanciullescamente. «..lo trovo un pò avventato.»

«Il denaro va e viene, amico mio. La mia gente ha dato più volte riprova di fiducia che spenderlo per ricambiarli, non può che arricchirmi là dove nessuno può riuscire a vedere. Nell'anima.» Fece cenno al ragazzo di sedersi e con le mani incrociate proseguì. «Ho modo di credere che verrò ripagato di questa fiducia, motivo per cui ti ho chiesto di analizzare ipotetici profitti del progetto di rinascita di Villa Ortensia; sono certo che con la sinergia giusta fra la forza dei Saucani e i miei fondi, ne uscirà qualcosa di veramente grandioso.»

«Già. La tua idea di albergo di lusso. Anche quella avventata..» Lo redarguì, ma sorrise speranzoso. «Ma non posso che essere d'accordo con te. Se introdotta bene, può essere il vero colpo grosso della tua vita, Javier.»

«Ah ben detto! Ora sì che riconosco il mio amico!» Gli strinse la mano e insieme sorrisero. «Sai ho davvero bisogno di credere in qualcosa di nuovo, di pulito e sopratutto qualcosa di mio, Lorenzo; per troppo tempo ho vissuto così come mi volevano vedere gli altri, mentre adesso non sento che questa grande forza che mi spinge ad andare avanti per la mia strada, finalmente.» Inspirò e si lasciò cadere sullo schienale della sedia. Sono cambiate così tante cose.»

«Ho saputo da mia cugina Leonor che se ne andrà in Baviera. Mi dispiace così tanto per voi due.»

«Se fossimo rimasti insieme, distruggendoci a vicenda e compromettendo il futuro di Camila, allora sì che avresti dovuto dispiacerti. Siamo cresciuti in mondi e modi diversi, sarebbe potuta funzionare ed essere il matrimonio idilliaco, ma non è andata così. Mi rallegro pensando che qualcosa di buono abbiamo fatto, nonostante tutto.»

«Questa saggezza ti aiuterà, ne sono certo.» Asserì Lorenzo, estraendo dalla borsa di pelle ai suoi piedi una lista che gli porse. «Ma prima di tutto serve la fortuna. E quella non ti manca amico mio.» Indicò dei nomi su quel foglio e si soffermò a lungo su uno sorridendo. «Milagros Blanco Gravelo moglie dell'ereditiere bancario Eduardo Gravelo, è solo una degli interessati a farti un prestito. Ci pensi? E non hai idea degli altri, pare anche don Abel Vincente Del Carmen, il sindaco per divertimento, pare ricco sfondato sia interessato.»

Un'ombra scura passò veloce sugli occhi di Javier, accarezzò il primo nome con l'indice e rispose con distacco. «Gli darò un'occhiata.»

«Certo, l'ultima parola sta sempre a te don La Fuente.» Lorenzo rise bonario e l'inziale tensione dallo sguardo di Javier, scivolò via.

«Che sciocco, non ti ho neanche chiesto come sta la tua futura sposa.» Aggirò il discorso e lo sguardo di Lorenzo si sciolse.

«E' quì fuori che attende, a dire il vero.» Un leggero imbarazzo colorò le guancie del giovane che proseguì. «Sono dell'idea che i discorsi finanziari non siano argomento da trattare in presenza di donne, se mi spiego, ma ha bisogno di un tuo consulto medico.»

Javier corrugò la fronte e fece cenno con una mano di farla entrare. «Manderò a chiamarti quando avrò studiato quella lista.» Sussurrò quando una più che gravida Olivia, fece cenno d'entrare nello studio. «Signorina Herrero..» quando aprì bocca, Lorenzo uscì frettolosamente dalla stanza.

«Olivia, prego. Dal momento che tu e mio marito siete grandi amici, credo dovremmo saltare i convenevoli.»

Javier sorrise e invitò la donna sul lettino.


«Ho dei dolori atroci, il bambino ha cominciato a farsi sentire.» Piagnucolò, per poi guardare il medico quasi vergognandosi. «Lorenzo dice che sono paranoica, ma a me sembra che questa creatura si muova un pò troppo, ecco. Ed è come accadesse in più parti contemporaneamente.» Javier annuì e tastò il pancione lateralmente. «Lo so che può pensare che sono solo la sciocca apprensiva di turno, ma io sento qualcosa di strano e devo assolutamente scoprire cosa, prima che i nervi mi facciano a pezzi proprio quando dovrò percorrere la navata per sposarmi.»

«Adesso non pensare a questo.» La rabbonì, controllandole il battito e il respiro con assoluta tranquillità. «Ogni donna ha il proprio modo di reagire a affrontare la gravidanza; la buona notizia è che non esiste uno migliore dell'altro. Il corpo deve adattarsi ad ospitare una nuova vita e francamente, questo è già straordinario avvenga in maniera così naturale.» Le sorrise e la vide respirare, finalmente.

«La dottoressa Soler aveva ragione. Il dono della calma è tuo amico.» Poi sussultò. «Eccolo che ricomincia!» E gli portò la mano sulla pancia per fargli constatare di ciò che parlava. Javier auscultò dapprima con molta attenzione, poi con un lampo nelle pupille agguantò lo stetoscopio. «Allora? Non tenermi appesa con lo sguardo..»

«Hai mai pensato che il bambino in realtà.. siano due?» Olivia ammutolì fra lo stupore e la paura, ansimando. «Ti prego respira.. seguimi, respira.» La guidò con calma ad un battito regolare e quando la vide concentrata sgattaiolò a chiamare Lorenzo; il ragazzo tornò dentro e quando vide Olivia intenta a calmarsi raggelò. «Sta bene non allarmarti. Dato la circonferenza della sua pancia e ai primi sintomi da lei descritti, ho pensato subito che questa potrebbe trattarsi di una gravidanza gemellare, Lorenzo. La probabilità si può riscontrare in famiglie in cui siano già accadute circostanze di questo genere, ma questa è una domanda che faccio io a voi. Nulla di grave come vedi e.. Lorenzo!» Esclamò quando il ragazzo cominciò a vacillare; lo aiutò ad appoggiarsi al lettino dove era stesa Olivia e li rabbonì. «Ragazzi miei, dovrete essere nel pieno delle vostre capacità fisiche e mentali per affrontare questa benedizione, capisco che adesso può sembrare una catastrofe, ma così stiamo esagerando!» Sorrise guardando Olivia ora più calma. «Dovresti parlarne con Morena, lei disporrà sicuramente di argomenti più specifici.»

«Perchè non lo sai? Ha lasciato Fuentesauco stamane.»

Javier la inchiodò con lo sguardo. «Sta bene?» Chiese serafico.

«Non lo so, speravo me lo dicessi tu.» Rispose Olivia ricambiando lo sguardo. «E' andata a Salamanca per un convegno medico.»


*

Morena era partita, ripeteva mentalmente questa nenia nella sua testa e più la ripeteva, più questa le sembrava assumesse un significato intrinseco che doveva riuscire a sbrogliare; non le parlava da tempo e volutamente aveva messo una barriera fra di loro, quando aveva capito che le stava facendo soltanto del male, confondendola con sentimenti che non riusciva più a reprimere, ma adesso, non riusciva a smettere di pensare che quella partenza fosse solo una muta richiesta d'aiuto.

Una folata di vento gelido gli ricordò il motivo del suo peregrinare lungo il perimetro del paese, dagli argine del fiume ai campi martoriati, evitando Villa Ortensia, dove Leonor stava ingrossando le carrozze con i suoi averi e stava andando via con la loro primogenita al seguito. Le aveva promesso che non avrebbe offerto scene pietose al limite della decenza, perciò aveva salutato la piccola Camila alla sua maniera, giurando a se stesso che sarebbe venuto il giorno in cui avrebbe dimostrato di essere molto più, che il padre rimasto a far la guerra ai suoi fantasmi del passato nelle terre di nessuno. Calciò via un sasso e imboccò il viale per il pensionato di donna Flora.

L'aria pullulava di fermento per il matrimonio della piccola Herrero, sul prato c'era grande baccano di persone, invitati a giudicare dai pacchi che i più portavano con se come dono; in mezzo a loro, la padrona della locanda si destreggiava a gran voce con una lista delle camere assegnatarie e modi poco consoni per una di quel mestiere. Javier sorrise divertito, avvicinandosi.

«Don La Fuente?!» La donna lo inchiodò con uno sguardo che la diceva ben lunga sul suo stupore. «Cercate una camera? Perchè siamo al completo.» Rispose ruvida, per poi sbuffare e imprecare verso la porta d'entrata. «Maria! Quanto ti ci vuole per scendere per l'amor del cielo?»

«Arrivo signora!» Una ragazzotta corpulenta arrivò affannata e vestita da cameriera.

«Mi farai pentire del giorno in cui ti ho tolto dalla strada, maledetta te!» Proseguì ancora la donna. «Accompagna i signori Olivades nella camera otto. E cerca di non perderti.» La ragazza annuì prendendo in consegna gli spiti che la seguirono in rigoroso silenzio.

«Dovete cercare di mantenere la calma, donna Flora. Non vi fa bene alle arterie farvi il sangue amaro.»

«Ciò che farebbe bene alle mie arterie sarebbe la nullafacenza. Ma come vedete voi stesso, questo è impossibile.»

Javier strinse gli occhi a fessura e le parlò flautato. «Siete stata una gran lavoratrice, la pietra miliare del commercio di Fuentesauco, permettetemi di consigliarvi, tenuto conto della vostra esperienza che questa può essere incanalata in un'attività più consona alla vostra età, ecco.»

«E voi avete in mente qualcosa, giusto?» Chiese quella guardandolo dal basso verso l'alto con fare sospettoso. «Non si parla d'altro, ma sapete come siamo fatti noi gente del commercio, non crediamo fino a quando non vediamo.» Lo scansò con un mezzo sorriso, invitando i successivi ospiti a farsi avanti.

«Non sareste la donna concreta che conosco, se così non fosse.» Flautò lui. «E' per questo che tornerò a farvi visita.» Prese la via del ritorno, ma la donna lo trattenne; un sorriso giubilante gli dipinse il volto, prima di voltarsi. «Sì, donna Flora?» Domandò con un tono indefinito.

«Chi stavate cercando esattamente?» E la voce della donna sembrò una puntura di spillo.

Javier la inchiodò al suo sguardo trapassandola. «Donna Milagros Blanco Gravelo.»

Quella sembrò sul punto di spezzarsi. «Non è quì.»

«Ha idea dove posso trovarla?»

«Provi al guado del fiume, credo mormorasse così al suo avvocato.» Poi piegò la testa di lato e socchiuse gli occhi. «Deve essere un progetto ambizioso per spingere la signora a scomodarsi dai suoi affari di città.»

«Avrà modo di saperlo, se è sua intenzione ascoltare donna Flora.» Ma aveva già la sua risposta, gliela leggeva negli occhi, perciò si finse compiaciuto e quel tanto distaccato da far credere che di qualsiasi cosa stesse parlando riguardante la Blanco, sua madre, lui sapesse.

Suo padre glielo aveva insegnato. Far credere alla gente ciò che vuole sentirsi dire, perchè quando gli affari erano il fine ultimo dell'impresa, più dimostravi di possedere competenze e l'interesse da parte di un blasonato nome o rango, più avevi possibilità di spuntarla sull'altra metà; il popolo, il vero e utile consumatore. Per questo la congedò con un sorriso trionfante e il silenzio della compiacenza.


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Chiese che gli venisse portata una carrozza per risalire lungo il fiume e dopo poco era in marcia verso il Rio Cochino.

La trovò al grande slargo dal quale si intravedeva tutto il paese, specchiato sull'acqua come un dipinto.

Era circondata da due uomini e gesticolava con tanto ardore, mentre parlava e muoveva nervosa il piede al di sotto della veste color indaco.

Quasi come un richiamo, voltò leggermente il capo alle sue spalle, lì dove se ne stava a fissarla senza fiatare; rimasero così, a parlarsi con gli occhi, fino a quando ella abbassò il capo congedandosi dai suoi interlocutori, per avanzare verso la sua direzione.

«Immagino il motivo per cui tu sia quì.» Esalò, senza staccare gli occhi dai suoi. «Non credevo avessi l'audacia per farlo alla luce del sole.»

«Ho lasciato credere che complottassimo del mio progetto.» Javier seduto in carrozza, le allungò la mano per farla salire. Il tocco della sua mano era freddo e gentile; la strinse e sentì come una strana forza attraversarlo. «Mi auguro questo non ti crei imbarazzo.»

«Nessun imbarazzo. Si tratta pur sempre della verità.» Guardò al cocchiere e poi a lui in apprensione; il ragazzo capì e lo congedò. «Ora va meglio, ti ringrazio.» Javier alzò le spalle, lei proseguì. «Sono sempre stata uno spirito libero ragazzo e Dio solo sa se non ho sempre fatto tutto quello che volevo.» Javier sorrise, le spalle tese di Milagros si rilassarono. «Mi sono innamorata di Estefan La Fuente quando era inaccesibile, ma io lo volevo con tutte le mie forze e l'ho avuto, anche se era di un'altra donna. Non ho pensato alle conseguenze del mio gesto, ero giovane e sciocca, anche se mossa da un sentimento sincero. La mia conseguenza.. è stato scoprire d'aspettarti. Sì Javier, sono io la donna che ti ha portato in grembo e messo al mondo ventidue anni fa.»

Ci fu silenzio, lunghissimo ma necessario. Javier guardò il volto di quella donna regolare e bellissimo, i suoi occhi verdi scintillanti e pieni di verità; si somigliavano, infondo, anche se il suo orgoglio fin da piccolo era riconoscere nei tratti tutto il sangue dei La Fuente.

Si soffermò sulle labbra piene e sugli zigomi fieri per poi tornare a quegli occhi dai quali, indubbiamente, aveva ereditato il colore.

Sospirò, straziato e scosso dal pensiero che quest'immagine subito rimandò. «Cosa è successo dopo?»

«Iniziamo con perchè.» Ribattè lei e capì che era arrivato il difficile. «Parlò di annullare il suo matrimonio, di voler scappare in un'altra città e che saremmo stati felici, ma la verità è che Guadalupe era ed è sempre stata sua moglie. L'unica che fosse in grado di tenerlo a se, ricucirlo e tenerlo insieme e il perdono che ne seguì è la prova di ciò che dico. Lo lasciai, girovagai per la provincia ma ero infelice e quando tornai ormai non potevo più nascondere l'evidenza, neanche sotto strati di abiti pesanti. Fu allora che presi la decisione più difficile di tutta la mia vita, ma anche la migliore.»

«La.. migliore?» Domandò, inghiottendo aria.

«Non ero capace di badare a me stessa, figuriamoci di una creatura innocente. Saltavo da un paese all'altro e non avevo abbandonato i miei sogni di uscire dall'incubo di una vita fatta dallo stereotipo di matrimoni combinati e nidiate di figli. Sentivo che c'era qualcosa lì fuori per me e che se fossi rimasta qui, rischiavo di rimanere incastrata in qualcosa che non mi apparteneva.» Prese il respiro e guardò velocemente fuori dal finestrino. «Lei non poteva avere figli, tuo padre ti amava come se ti avesse sempre desiderato.. il cerchio si chiuse con questa scelta.»

«Non un ripensamento?»

«Promisi loro che non avrei rivendicato il mio diritto su di te, se avessero permesso visite o quanto altro.»

«Non ti ho mai visto alla villa.»

«Il fatto che tu non mi abbia vista non significa che io non ci fossi, anche se con il tempo sono dimunuite le occasioni, fino a sparire completamente. La tua mente però può aiutarti a ricordare che sono stata sempre a Fuentesauco, quando accadeva qualcosa di particolare che ti riguardava.» Javier chiuse gli occhi e annuì, lasciandosi andare indietro con il peso sullo schienale. Milagros fissò il suo volto ora contratto in una smorfia di dolore e rassegnazione. «Sono stata sincera con me stessa Javier e non pretendo che tu mi capisca. Il tempo passato e gli ultimi eventi spiacevoli che ti hanno coinvolto mi hanno fatto capire che è arrivato il momento per me di fare la mia parte.. e non dico di mettermi a fare la madre, ma aiutarti.»

Il ragazzo aprì gli occhi come una sentinella. «In che modo?»

«I soldi sono un buon modo per provvedere ai bisogni di un figlio.»

«Come lo sai?» Chiese serafico.

«Quel ficcanaso del sindaco è prima di tutto un merlo canterino. E ho l'impressione che voglia arraffare anche lui una parte della torta. Non mi è mai piaciuto e ti dico questo perchè da donna con un bel pò di esperienza, non mi fiderei a fare affari con lui.»

«Sono dello stesso avviso, non darti pena per questo.» Poi sorrise, cercando con tatto, di arrivare al nodo della questione. «Per quanto mi risulti difficile ammetterlo capisco le buone intenzioni che ti muovono e non mi serve altro, come non mi servirà giudicarti, perchè tu meglio di me sai che sono invischiato in una questione analoga.»

Milagros sospirò. «Che tu ci creda o no avrei voluto vedervi insieme. Ma le scelte della tua vita non erano dettate dal mio volere, mentre per Morena.. giurai a sua madre sul letto di morte, che mi sarei presa cura di lei a qualunque costo. E così è stato. Adesso siete entrambi adulti responsabili, non sta a me ne a chiunque altro, dirvi cosa è meglio per il vostro futuro. Io veglierò sempre su di voi, volevo dirti questo se mai te lo stessi domandando; ci sono sempre stata, sempre ci sarò.»

«Non so cosa devo fare con lei. Questa è la verità.» Scosse il capo passandosi la mano fra i capelli insofferente.

«Allora fa solo quello che è meglio per te.» Gli toccò il ginocchio e sorrise. Si guardarono e Milagros spostò la maniglia della portiera verso il basso. «Un fondo a tuo nome aspetta di essere versato. Il mio avvocato risiede al pensionato, al nome di Gaudentio Roldan.»

«Aspetta.» Javier la trattenne. «Vorrei poterti aiutare, so che stai cercando di sistemarti a Fuentesauco.»

«Vuoi propormi di spostarmi a Villa Ortensia?» Chiese la donna con una punta di ironia.

«Non subito. Magari fra due o cinque anni, quando l'hotel sarà pronto potrai essere mia ospite.. fissa.»

Milagros schiuse le labbra fra lo sconcerto e la trepidazione. «Un hotel. E magari in grande stile madrileno.»

«L'idea è quella. E converrà che tu risparmi i tuoi denari per allora, piuttosto che in un acquisto a perdere.»

La donna rise di gran gusto. «Sei intrepido proprio come tuo padre!» Poi abbozzò una smorfia. «Ci penserò.»

«Ancora una parola.»

«Chiedi pure.»

«Sono nato in quella grotta, vero?»

Gli occhi di Milagros si adombrarono, ma il sorriso non scivolò dalle sue labbra; era un sorriso caldo, cordiale e sincero.

«Sei un vero Saucano Javier, forte e generoso, ti basta sapere questo.»

E gli bastava.

Milagros scivolò dalla carrozza e tornò ai suoi affari; sorrise di cuore nel vederla tornare a gesticolare con gli uomini che adesso la guardavano, vinti da chiassà quali giri di parole e menestrelli stava adoperando. Ordinò al cocchiere di tornare a bordo.


*

La diligenza era affollata come al solito, si fece spazio fra i corridoi cercando un'anima pia che la facesse sedere.

Un ragazzo balzò da un sedile, cedendogli il posto, lo ringraziò e riposta la sua borsa sullo scaffale in alto, s'accomodò.

La donna seduta di fronte, parve protestare, quando alzò gli occhi riconobbe nelle sue fattezze Leonor.

Leonor La Fuente. Ed era troppo di cattivo gusto alzarsi e cambiare scomparto.

Non disse nulla, spostò lo sguardo verso il finestrino dove il panorama aveva preso a scorrere lento e cadenzato, dalle buche sul terreno che la ruota del carro incontrava ogni dieci passi.

Camila le guardava insistente la pancia appena prominente, come se un grande segreto fosse nascosto lì dentro e ogni tanto sorrideva come sorridono i bambini scoperti a curiosare. «Non sta bene fissare le persone.» La rabbonì Leonor, guardandola sorridendo.

«Presto avrò un cuginetto.» Rispose la bambina ignorando il commento della mamma. «La mia cugina maggiore ha la pancia proprio così.»

Morena sorrise. «E se sarà una cuginetta?»

«Le metterò i vestiti delle mie bambole.» Sorrise coprendosi la bocca con le mani.

«Devo scrivermela questa, così non farai i capricci quando non li troverai.» Commentò Leonor divertita.

«Non tutti, mamma, qualcuno!» Protestò la bambina, volgendo poi attenzione alla bambola di porcellana che stringeva sulle gambe; la strinse forte a se e cominciò con lei un'ardita discussione su quanto sarebbe stato meraviglioso il loro viaggio.

Leonor le rivolse uno sguardo materno di protezione che aveva però il sapore dei sogni infranti, poi alzò gli occhi sulla donna e le parlò come se fosse di vetro, uno spettro impalpabile. «Non era così che avevo immaginato di voltare pagina.»

«Nemmeno io.» Replicò Morena, spalancando i grandi occhi nocciola.

«Mi consolo pensando che avrai anche tu la tua bella gatta da pelare adesso. E ti dirò, mi fa sentire già meglio.»

«Sono sicura che a questo punto, tu conosca abbastanza la storia, da sapere che nessuno meglio di me, può capire come ti senti.»

«Vuoi dirmi che a questo punto..» Ribatté l'altra scandendo bene la voce. «..non ti senti vittoriosa?»

Morena scosse il capo sorridendo sarcastica. «Cosa avrei vinto? Comunque andranno le cose qualcuno soffrirà o ha già sofferto. C'è un confine molto sottile fra il vincere e perdere; l'una o l'altra cosa, mostra sempre la sua doppia faccia.»

«Sei una donna con un alto valore morale, non sono sorpresa che voglia rimanerti accanto.» Agitò lievemente il capo, Morena corugò la fronte per la sorpresa. «E sei troppo arguta per non essertene resa conto. Tuttavia, non mi interessa più nulla di ciò che vuole. E nemmeno di te, senza offesa per questo viaggio che abbiamo ancora da condividere.»

«Leonor..» La richiamò con una voce flautata e soave. «Senza offesa, a me interessa ancor meno.»

E chiuse il discorso con un gran sorriso. Non era questo che avrebbe voluto dirle, ma quella donna non aveva pazienza e voglia d'ascoltare e d'altronde, non poteva che biasimarla. Dalla battaglia appena conclusa qualcuno ne era uscito ferito, qualcun'altro confuso e poi c'era chi scappava. Non erano più importanti le conseguenze, s'era fatto il tempo d'agire e di mettere fine anche alla guerra.


Un cielo terso e limpido, il cielo di Salamanca, la salutò non appena scese dalla diligenza.

S'era lasciata alle spalle quella donna e la bambina, mentre a grandi passi svelti raggiungeva il portale dell'università.

Era rimasta immutata, sebbene mancasse dalla città non da troppo tempo; le effigi scolpite nel marmo con le fattezze di alcuni dei letterati più famosi di Spagna, giusto per ricordare quanto fosse prestigiosa e la quiete una volta che si era attraversato.

Il patio interno abbracciava un fazzoletto verde di erba finemente rasata e il chiostro alternava colonne con intarsi di pregio risalenti all'epoca della sua nascita, il lontano milleduecento; proprio da sotto il portico, Eulalia, sua vecchia compagna di studi la stava aspettando con un fascio di libri al petto, diligente e ordinata come se la ricordava. Si sfilò i guanti e la salutò vigorosamente con un braccio inalzato.

Un carico di ricordi bellissimi e intensi la sconvolsero.

Era felice di trovarsi lì.


*

Adesso che nel grande mosaico che era la sua vita, qualche pezzo era stato rimesso a posto, a Javier mancava solo un'ultima cosa da fare.

In realtà erano due, ma la più importante richiedeva una forte dose di coraggio a cui avrebbe attinto in un secondo momento.

Saldò il conto e scese dalla carrozza con aria tetra.

Camminava stretto nel soprabito, riparandosi dai primi venti autunnali alle porte, cercando ordinare i pensieri e le parole ma con scarso successo.

Fu per questo motivo che quando intercettò Abel Del Carmen dietro alla casa Georgiana che era il comune, gli si avventò contro con tutte le sue forze, colpendolo al viso con un cazzotto degno di qualsiasi sobborgo di città.

«Siete impazzito, La Fuente?» Gracidò l'uomo, toccandosi il labbro dalla quale un rivolo di sangue fece capolino.

«Sono pronto a ripetermi se non avrete l'arguzia di stare in silenzio. Ho del materiale che attirebbe quì anche il gazzettino nazionale.»

Abel annuì vigliaccamente, scortandolo nei magazzini della proprietà, lontano da occhi e orecchi indiscreti. «Leonor vi ha detto tutto, dunque.» Ammise. «E' stato solo il peccato di una notte, per quanto possa servire saperlo.»

«Una notte o dieci non cambia lo stato delle cose. Siete un codardo e ignobile.» Javier lo avvicinò con fare minaccioso, gli occhi piccoli e furenti.

«Codardo?» Balbettò l'altro sorpreso.

«Codardo e lo ripeto. Vi atteggiate con le vostre sete e profumi approfittandovi della debolezza della malcapitata di turno con modi leziosi.» Alzò il pugno vicino al suo viso e lo tenne lì stretto finchè non tremò per lo sforzo. L'altro strizzò gli occhi per la paura così lo portò giù, sorridendo beffardo. «Siete una nullità, francamente mi annoia persino parlarvi, ma ho da chiarire una questione che mi sta molto a cuore.»

«Se è per la vostra signora posso assicurarvi che..» Ribattè l'altro.

«La mia signora è stata così furba da andarsene. A quest'ora è sulla via per Madrid..non lo sapevate?» Rise sarcastico e lo squadrò dal basso verso l'altro. «Non riesco a provare per voi nemmeno un briciolo di pena.» Lo vide accigliarsi per la notizia, abbassare lo sguardo intuito d'essere stato messo in scacco e infine adirato, quando finalmente levò gli occhi nei suoi.

«Cosa siete venuto a cercare allora?» Sentenziò senza alcun segno di debolezza, le spalle dritte, leggermente proteso verso di lui.

Javier incanalò aria nei polmoni. «Ascoltatemi bene, perchè non lo ripeterò una seconda volta; qualunque sia il futuro di Villa Ortensia, in questa vita o in un'altra voi non ne farete parte in alcun modo. Sono stato chiaro?»

«Come l'acqua.» Rispose fra i denti. «Ma non mettetemi i bastoni fra le ruote se non volete che io li metta voi.»

«Per me tornerete ad essere insignificante come sempre.» Javier si sistemò il colletto della camicia, poi con un sorriso ironico fece per allontanarsi. «Almeno fino alle prossime elezioni, signor sindaco.»

«Il vostro giubilo resterà deluso quando si renderà conto di quanto è forte la mia voce, don La Fuente.»

«Stremo a vedere, don Del Carmen. Chi lo sa, magari mi verrà voglia di mettermi a praticare la politica.»


E si guardarono lanciandosi una sfida con gli occhi; poi Javier abbozzò una smorfia sarcastica alla quale Abel rispose con il sorriso migliore e si congedarono voltandosi a vicenda le spalle.

Rimasto solo il ragazzo guardò alla collina alta di Fuentesauco e allora e solo allora si sentì piccolo, ma audace ed ebbro di coraggio come non era mai stato in vita sua.


*

Seguirono notti agitate e insonni, Villa Ortensia era desolata e ogni spiffero o rumore lo destavano dal già leggero sonno di cui soffriva.

Pensava incessantemente a Morena, alla sua mancanza e non riusciva a sopperire a questo disagio, continuando a ripetere a se stesso che doveva lasciarla in pace; tutto di quel silenzio urlava "prendimi" e lui voleva prenderla, stringerla a se, tentando di rimediare al passato.

Si alzò con l'alba, consumò una leggera colazione e vestito di tutto punto, decise che doveva fare qualcosa per entrambi.

Forse lo avrebbe odiato per sempre, oppure sarebbe stata sua.


Contò cento passi, quando fu in cima a Legno di Quercia.

La tenuta era addormentata e avvolta dalla nebbia del mattino, tranne per il bagliore di una grande finestra sul retro.

Fissò a lungo l'entrata, prima di decidersi a bussare con vigore.

Una voce greve palesò la figura di Alfredo, sull'uscio. «Ti aspettavo.» Proferì sommesso.

Sgranò gli occhi perplesso, ma si rese subito conto che dall'altra parte, vi era un uomo tormentato almeno quanto lui; la barba incolta gli arrivava fin sotto agli occhi cerchiati di nero e la cicatrice dell'intervento che gli attraversava la trachea di netto gli donavano un'aspetto truce, tuttavia migliore, da quando l'ultima volta giaceva esanime sul lettino dell'ambulatorio.

Alfredo distolse lo sguardo spostandolo alla casa alle sue spalle, c'era preoccupazione nei suoi occhi, s' infilò di fretta il soprabito ed uscì.

Lo condusse al ricovero dei carri poche spanne più a sud, dove socchiuse la porta, una volta soli; appoggiato alla parete incrociò le braccia al petto e in silenzio, attese di sentirlo parlare.

«Sono innamorato di lei.» Esordì Javier senza troppi fronzoli. «Sono quì perchè sono innamorato di lei e sono sicuro che anche lei sia innamorata di me.» L'altro alzò le spalle ma non parlò. «La nostra storia la conoscerai meglio di chiunque altro, quello che non sai è ciò che ho giurato di non dirti ma che mi spinge oggi a desiderare averla con me, alla luce del sole. Sono quì oggi perchè mi ritengo un uomo d'onore, ed anche se potrà sembrarti strano, penso di te la medesima cosa. Nutro per te sincero rispetto.»

Alfredo si lisciò la barba pensioroso. «Tu mi rispetti. Eppure hai fatto tanta strada per dirmi che ti sei innamorato di mia moglie. A parte le nobili questioni d'onore, mi sfugge il senso. Se sei così sicuro che lei ricambi il tuo amore, perchè sei quì a dirlo a me? Cerchi il mio consenso forse?» Sentenziò con una vena ironica nella voce. «Non credi di sapere con chi stai parlando ragazzo, e a questo punto nemmeno io.»

«So benissimo chi sei. Un uomo che si è fatto da solo e che si è preso cura della donna che ho sempre amato. Per questo, avrai sempre il mio rispetto. Chi sono io? Io sono Javier La Fuente e sono cresciuto con la certezza che avrei reso quella donna la mia compagna per la vita. Purtroppo fino ad oggi e per cause che scindono dal nostro volere, non è stato possibile. Non credere sia stato facile prendere oggi questa decisione, ma ho dovuto; siamo ad un bivio della nostra vita per cui non possiamo più tornare indietro. Mi chiedi perchè sono quì.. ebbene, perchè solo tu puoi lasciarla andare. Lei non riesce ad ammetterlo e detesta l'idea di ferirti, di sconvolgere la vostra vita, perchè tutto ciò che è lo deve a te

Alfredo vacillò. «Sono sue parole?»

«Sì.»

L'uomo strinse gli occhi addolorato. «Da quando sei arrivato in paese, non è stata più la stessa. Mi ripetevo che era stanca, poi pensavo fosse malata.. mi rendo conto che erano scuse che servivano più a me per non guardare in faccia la realtà, che a lei.» Quando li riaprì e levò il viso al suo sembrava disperato. «Non l'ho mai costretta ad amarmi o prendersi cura di me, cosa l'ha trattenuta in questa farsa?»

«Sei un uomo intelligente, hai vissuto al suo fianco per molti anni e nessuno meglio di te può sapere se giudicarla farsa o qualcosa di profondo, che va al di là del comune amore. Adesso sai che noi due ci amavamo molto più di due semplici ragazzini. Quello che non sai è che la mia famiglia in particolar modo, ci ha ostacolato con ogni mezzo possibile e che Morena è dovuta crescere molto in fretta.»

Alfredo annuì. «Francisca ed io la trovammo al fiume mezza annegata, quando partisti per la capitale. Non disse mai chiaramente che era stata lei, ma fece il nome di Guadalupe. La temeva e non ha smesso di averne paura neanche dopo.»

«Lo credo bene; quella donna è stata capace di ogni sopruso nei suoi riguardi.» Lo guardò come se volesse trapassargli l'anima, Alfredo mosse impercettibilmente il capo, memore di tanta cattiveria. «Compreso spedirmi a Madrid in piena notte appena sapute le mie intenzioni di portarla con me, depistare le nostre missive una volta lontani, fino a farci allontare completamente. Finchè ad un certo punto.. lei era sposata e non rappresentava più un pericolo per i suoi piani.»

«Di quali piani parli?» Sparò a bruciapelo.

«Quelli che mi vedevano ammogliato ad una ricca ragazza di città e non ad una contadina qualsiasi.»

Afredo inarcò un sopracciglio. «Mi risulta difficile credere che sia questa tutta la verità.»

«Lo so.» Ammise l'altro. «Ma scavare nel torbido di questa storia non ti porterà le risposte che vuoi, solo parlare con lei ti chiarirà ogni dubbio.»

L'uomo strinse nuovamente gli occhi, come se contemplasse dei ricordi molto dolorosi. «E' stata onesta fin da subito. Dal primo momento che l'ho vista ho capito fosse la donna giusta da avere al mio fianco; se ne stava in piedi al centro della stanza con il terrore appeso nelle pupille eppure con una grande dignità. So cosa significa amare e sentirsi perduti quando questo amore ci viene strappato, ma so anche cosa significa donarsi nuovamente, dare fiducia, riempire il cuore di nuova vita. Se tutto questo venisse a mancare, io non sarò certo l'ostacolo che si frapporrà fra la mia felicità o la sua.» Sospirò e fu come se un peso scivolasse dalle sue spalle. Dopo molto tempo si sentì nuovamente vecchio e stanco. «Non sopporterei veder distrutta la nostra ìntegrità di persone.»

«Se sono quì è perchè la penso esattamente come te. E parlare da uomo a uomo mi fa credere che vecchie e sterili rivalità possano appartenere solo al passato.»

Alfredo sorrise amaro. «Comunque non vi sarà più alcuna rivalità commerciale.»

«Oh no, non ci sarà.» Ammise Javier, beffardo. «Ma solo da parte mia in quanto sto riflettendo sul lascito delle mie terre alla tua gestione.»

L'uomo lo guardò con severità, come se la notizia lo indignasse più che stupisse. «Non mi farò comprare da te, La Fuente.»

«Non sarebbe nel mio stile.» Sebbene il clima cominciasse a surriscaldarsi, Javier prese la palla in balzo e sfoderò il suo sorriso più accattivante. «Tuttavia non posso non ritenerti il solo responsabile della loro conservazione, dopo l'incendio delle settimane passate e ciò che ti offro, non è altro che la somma della mia gratitudine.»

«Forse ti riferisci ai tuoi uomini e alla barricata di terra che hanno innalzato per preservarle. Loro si che si scannerrebbero per gli avanzi della tua gratitudine. Ma non io.» Commentò piccato Alfredo.

«I miei uomini non avrebbero avuto tanta fortuna, se al mulino non ci fossi stato tu.» Sentenziò Javier con tono gravoso. «La mia è riconoscenza, accettala per quella che è, Morena non c'entra nulla con questa storia.»

«Allora i dannati borbottii sulla vendita di quel mausoleo in cui te ne stai trincerato, sono veri?»

Javier rise. «Prima o poi tutti dovremmo fare i conti con il progresso. Io mi sto solo portando avanti ed offro a te, l'occasione per ricominciare. Se accetterai so che le mie terre non andranno perdute, se fosse diversamente andrei avanti lo stesso, proprio come farai tu.»

«Credevo tu fossi un' arrogante..» Protestò Alfredo con il sorriso sulle labbra. «Sono lieto di non essermi sbagliato.» Si spostò verso l'uscita e fece cenno di seguirlo; Javier capì d'essere stato affrettato e non aggiunse altro. «Non farò affari con te, forse ti prenderai mia moglie, ma non ti cederò anche la mia rispettabilità, La Fuente.» Allungò la sua mano in saluto, il ragazzo rispose prontamente al gesto.

Non dissero altro, non sarebbe servito, si limitarono a guardarsi, mai uomini più differenti fra loro e non solo per una questione anagrafica.

Javier guardò lo spiazzo e alla casa sul fondo, di legno scuro come se non fosse sufficente la sua maestosità capeggiante, nella natura intorno; vi riposava suo figlio, in quella casa, il pensiero lo commosse e lo turbò. Si cacciò in gola il tormento, non appena delle luci si accesero nel buio.

Alfredo seguì la traiettoria del suo sguardo mirando anche egli al bagliore con curiosità.

«Addio Roquez.» Esalò il ragazzo laconico.

«Addio La Fuente.»


Javier se ne andò senza voltarsi.


*

«Ma il progresso cresce veloce quanto la demografia dell'umanità. Più bambini verranno al mondo, più si avrà la costante e necessaria ambizione, di rendere questo evento una straordinaria opera scientifica.» La professoressa Irene Castillo fu celebrata con un lungo applauso dalle balconate della sala ovest del rettorato di Salamanca. Morena la guardava incantata e fiera di aver appreso lezioni dalla donna che nel suo corso, trentanni addietro, venne ribattezzata la promessa della medicina ginecologica. Avevano ragione. «E questo è tutto miei cari, al prossimo seminario, che si terrà ci tengo a riperterlo, nella primavera dell'anno a venire. Chi fosse interessato può rivolgersi alla segreteria dell'ateneo che vi fornirà tutte le informazioni necessarie. Arrivederci a tutti.»

La ragazza s'appuntò velocemente un promemoria e ridiscese in fretta i gradini per poterla raggiungere prima che prendesse l'uscita.

«Morena Roquez!» L'accolse con tono vigoroso, come la sua persona così piena di ingegno e vitalità.

«Professoressa Castillo, ci tenevo a dirle che sono una sua grande estimatrice, un domani spero proprio di seguire le sue orme.»

«E perchè dovresti sperare?» Le passò velocemente una carezza sull'estremità alta della pancia. «I figli sono una benedizione non dimenticarlo, possiamo raggiungere i nostri obiettivi anche come madri, anzi confido in te più di tutti su una buona riuscita.» La baciò frettolosamente sulle guance e riprese spedita la sua corsa verso l'uscita, con un'orda di studenti impazienti a farle da sciame.

«Ci hai parlato?» Eulalia riemerse dal nugolo di persone paonazza e con il fiatone.

«Sì.» Rispose interdetta.

«Le hai detto di venirti a trovare in ambulatorio?»

«Mi ha toccato la pancia e mi ha detto che confida in me per il futuro.» Sentenziò senza calore. «Poi è sparita.»

«Dai!» Quella l'abbracciò. «Andrà meglio il prossimo anno.»

«Quando sarò assorbita da un altro marmocchio?» Berciò dolcemente guardandosi la rotondità sotto seno. «Ci tenevo proprio affinchè trovasse del tempo per dare un'occhiata allo studio.» Alzò le spalle e sospirò, prendendo la via d'uscita.

«Perlomeno te ne torni a casa con un bel carico di nozioni, che non mi sembra poco.. e comunque non hai detto che sei seguita da un buon medico della capitale? Sei fortunata e non te ne rendi conto!»

Javier, già. Nell'estasi della partenza aveva smesso di ossessionarsi con il suo pensiero.

Ed ora che mancava poco meno di un'ora alla partenza della diligenza, sentiva il cuore stringersi in una morsa che le toglieva le forze. Sorrise a malapena, Eulalia le schioccò uno sguardo perplesso. «Ho detto qualcosa di spiacevole?»

«Ma no! Che vai a pensare, solo che.. detto fra noi, non ho proprio voglia di ritornare a casa.»


Ridiscesero il paese verso il fiume, in totale silenzio.

Eulalia acquistò dei souvenir e un biglietto per Terradillos, una frazione poco più a sud di Salamanca mentre l'altra entrò in una rinomata panetteria dove d'abitudine avevano consumato parecchie merende; si ritrovarono al Ponte de Tormes il crocevia per le destinazioni della provincia, appena fuori città.

«Morena insisto. Non ti ho mai sentita parlare così.»

La guardò sorridendo nel voltarsi a guardarla, era una ragazza lungimirante Eulalia e per questo un'ottima amica e compagna di studi.

Si appoggiò al parapetto del ponte, fissando l'acqua torbida del fiume Tormes sotto di loro e parlò con aria tetra. «Hai mai provato la brutta sensazione di riconoscere una catastrofe, prima che questa arrivi?»

La ragazza sorrise enigmatica. «Riconoscerla o volerla scatenare? Perchè sono due cose differenti.» Poi si stese con la schiena contro il parapetto e voltò il capo verso la sua direzione. «Qualsiasi sia la sensazione che stai provando, scappare dai problemi non è mai la soluzione migliore. Le paure vanno affrontate, anche a costo di soffrire.»

«Allora soffrirò.» Soffiò pungente. «Perchè il mio cuore e la mia testa vanno in due direzioni differenti e una scelta sarà inevitabile.» Con stupore ammutolì delle sue stesse parole e quasi sorvolando sull'accaduto, tirò fuori dalla sacca la focaccia per il pranzo. La divise in due parti e ne passò una all'amica, che continuava a guardarla enigmatica. «Suvvia Eulalia, non pensare a ciò che ti ho detto ma godiamo della nostra compagnia finchè ne abbiamo! I pensieri del futuro non ci riguardano ora, ed io saprò cavarmela come ho sempre fatto.»

Eulalia prese la sua parte di focaccia e l'addentò poco convinta. «Forse dovresti scrivere alla Castillo di venirti a trovare in primavera, prima del seminario. Fuentesauco è così vicina che non credo sia un aggravio per le sue finanze.»

«Sì, forse dovrei.» Asserì, ma poi pensò che avrebbe dovuto prima trovare parole sufficenti per un addio.


«Teniamoci in contatto.» L'amica era sporta al finestrone della diligenza quasi piena; il flusso di persone andava via via diradandosi, mentre si avvicinava l'ora della partenza; Morena annuiva e intanto sentiva incombere una strana ansia. «Voglio sapere quando nascerà il bambino!»

«Bambino?» Chiese divertita.

«Hai la pancia con la punta alta.» Abbassò lo sguardo, non ci aveva ancora fatto caso.

«E pensare che avrò a che fare queste cose tutti i giorni.» Scosse il capo sorridendo, l'altra addolcì lo sguardo e le restituì il sorriso.

«E' come il sarto che deve cucirsi un abito sulla propria pelle; potrebbe farlo ad occhi chiusi se si trattasse di qualcun'altro, ma avrà sempre qualche dubbio o incertezza nel farlo su di sè.» Il capo guidatore fischiò ai passeggeri di affrettarsi nelle manovre di salita, Eulalia guardò ancora Morena e la salutò con la mano. «Sei una brava levatrice. Devi solo prenderti cura di te.»

«Lo farò.» Rispose l'altra indietreggiando e ricambiando il saluto.


*

La diligenza si fermò esattamente alle porte di Fuentesauco, le lunghe distese di grano ondeggiavano al vento e lontano, nel centro, una macchia scura si allargava come un cielo notturno, in quella poesia dorata.

Strinse forte il manico della sua borsa sospirando e ridiscendendo con il cuore pesante e l'animo in tormento.

Quando la polvere della corriera si abbassò, rivelò la figura di Alfredo alla guida di una carrozza.

Sussultò per la sorpresa, avvinandosi.

Cosa era quella strana sensazione di adrenalina e paura che sentiva nascere nella testa ed arrivare in fondo alle ginocchia?

«Non mi aspettavi, lo so.» Sussurrò. La sua voce era ancora provata dall'intervento delle settimane passate; il suo bel volto non più giovane rivelava esattamente tutti gli anni che portava, ma era decisamente molto più colorito di quando si erano salutati. «Ma questa era l'ultima diligenza della giornata, se non ti avessi vista arrivare sarei venuto fin là.» Si morse il labbro al pensiero di quell'uomo nel tormento di non vederla tornare e comprese che non vi era molto altro a cui appellarsi, solo alla verità. Tremò ed Alfredo sgranò gli occhi; la barba era fatta, il viso era pulito, la cicatrice nascosta dal fazzoletto di seta, ma nulla di tutto ciò, nessun belleto o artificio, potevano più nascondere la tristezza che risiedeva nei suoi occhi. Prese gentilmente la sua borsa e la sua mano, aiutandola a salire e senza dire molto altro, guidò i cavalli verso i campi, al limitare del bosco.

Ci siamo, pensò Morena, guardando dritta davanti al lei il paesaggio cambiare e il lento moto dei cavalli cambiare andatura.

Erano dove un tempo sorgeva "Vecchia Quercia", la sua prima casa.

«Perchè proprio quì?» Chiese con tono greve, quando Alfredo entrò al coperto.

«Perchè vorrei ti sentissi libera di essere esattamente ciò che sei.» Prese posto con leggiadria, accomodandosi sulla poltrona di fronte a lei. «Javier La Fuente è stato a "Legno di Quercia" mentre tu eri via e vorrei credere che quanto gli ho sentito pronunciare, fossero solo parole dettate dalla pazzia per quanto gli è capitato ma.. io per primo non vi credo e vorrei che tu mi aiutassi a capire.»

Morena strinse le mani a pugno; Javier non solo si era tirato fuori dalla sua vita, si era messo anche a fare confessioni con quello che allo stato attuale era ancora suo marito! «Quindi vuoi sapere cosa.. se ho giaciuto con lui alle tue spalle?» Alfredo s'agitò nella seduta, Morena scosse il capo. «Non è questo?» Cominciò ad avere paura. Paura di Javier e dei suoi sentimenti.

«Lui è innamorato di te ed è convinto che se non fosse per il destino e le persone che vi sono state avverse negli anni della vostra giovinezza, voi sareste insieme adesso.» Ti ha detto questo, pensò con occhi sgranati del tutto incapace di credere a Javier così esposto, nudo per lei. Era vero dunque, lui l'amava. E lei era stata capace di dirgli solo parole terribili. Il ritorno a Fuentesauco, l'incendio, la morte della stessa Guadalupe.. quante prove ancora doveva darle per essere creduto? Non posso vivere più una vita in cui tu non ci sei. Aveva detto, sfidando la sorte, sfidando persino Alfredo Herrero Roquez! Era giunta l'ora di restituirgli quell'amore, perchè per quanto difficile, l'unica verità accettabile era quella.

Non aveva mai smesso d'amarlo.

«E' così.» Ammise quasi piangendo, con il capo che annuiva lento e metodico. Poi chiuse gli occhi per un attimo, inspirò e li riaprì guardando il mondo come fosse nuovo. «Riccardo è figlio suo.» Sentenziò. «Questo è uno dei motivi per cui saremmo insieme, ma è anche l'unico per cui ci hanno diviso. Tu lo sai, tu c'eri quel giorno al fiume.. ed io non potrò mai perdonarmi per questo.»

La sicurezza, la spavalderia, si spensero sul volto d'Alfredo e tutto ciò che vi rimase, appena le parole fluttuarno nell'aria, fu un maschera cinerea priva di emozioni e calore. «Le mie parole adesso ti sembreranno niente, ma devi sentirmi Alfredo, capisci?!» Gli strinse la mano; era fredda, come la sua figura e il silenzio che emanò. «L'ho saputo quando ormai per noi due era troppo tardi. Quelle persone hanno fatto in modo di dividerci e così è stato; ma non era abbastanza per loro, così hanno deciso di prendersi la mia vita e quella della creatura che portavo in grembo, con una malvagità che non è figlia di questo mondo, ma che tu conosci molto bene, Alfredo.» Morena inspirò e scosse il capo. Il volto contratto per le lacrime che vide scendere dalle guancie dell'uomo. «Dovevo fare una scelta.. e l'ho fatta. Ho scelto di vivere a qualunque prezzo.. finchè sei arrivato tu.. e hai rimesso a posto tutto. Mi hai fatto credere con parole gentili e sicure che tutto sarebbe andato per il verso giusto e che ti saresti preso cura di me, semplicemente. Mi hai mostrato il futuro che io stessa avevo paura di vedere, per cui non ho avuto più bisogno di guardare al passato. Mi hai fatta donna.. e ti ho amato per questo, Alfredo! E mi hai resa madre.. una seconda volta.» Spostò la mano sul ventre, ma al contatto con il suo corpo, Alfredo si ritirò e delle grosse ombre adombrarono i suoi occhi. «Credi che avrei potuto fingere questo?» Chiese sull'orlo delle lacrime. «So che ti ho spezzato, ma sono sicura che tu sai chi è la donna che hai di fronte.»

«Che lo amassi non era un mistero per me. Lo avevo accettato perchè in cambio avrei avuto te e.. la vita, la mia famiglia.» Parlò come se il silenzio non fosse mai esistito, fissandola con disprezzo. «Io ti ho amata davvero Morena, non ho accettato le conseguenze, ho semplicemente deciso di amare una donna dopo Francisca e quella donna eri tu. Hai idea di come mi senta adesso?»

«Defraudato?» Azzardò.

«Peggio!» Picchiò forte un pugno contro lo sportello della vettura, gli occhi fiammeggianti. «Illuso. Sciocco.. un debole!»

«Non sei niente di tutto questo, perchè hai avuto esattamente ciò che volevi. Me. Una famiglia. La vita! Guardami!» Intimò alzando la voce.

L'uomo guardò il suo ventre e sospirò. «Non posso accettarlo.»

«E' tuo figlio!» Gracidò.

Alfredo sorrise mero, il volto inclinato verso il basso. «Lo crescerà lui. Un figlio per un figlio.»

Morena gli mollò uno schiaffo in pieno volto. «Mentirti è stato da vile, ma non starò quì a farmi dare della sgualdrina. Ti prego di accompagnarmi da mio figlio. Quando il sangue sarà freddo, potremmo parlare ancora.» Il cuore le balzava nel petto, Alfredo lanciò un lamento. «Non ti azzardare a dire null'altro. Ce ne andremo al pensionato se esprimerai disappunto, tutto riavrai indietro, ma non la mia dignità o quella dei miei figli.»

«Non voglio scandali al matrimonio di Olivia.» Disse lui senza inflessioni di voce.

«Mi stai proponendo un accordo?» Chiarì con voce sconcertata la donna. Alfredo annuì, stanco di aggiungere altro. «Bene, fino ad allora mi comporterò come ho sempre fatto. Devo cercarmi un avvocato, Alfredo?»

«Ho poche pretese. Voglio che Riccardo continui ad essere mio figlio.»

E' dell'altro figlio che non gli interessa nulla. Morena ebbe un conato di vomito al pensiero. «In quali termini, lo deciderà la legge.»

«Nei miei termini sarà sufficente.» Ribattè sicuro. «La legge non decreterà quello che provo per lui. Ho amato quel ragazzino dal primo istante che l'ho avuto in braccio, il sangue è solo un pretesto per detestare sua madre. Ma io non sono un vigliacco, ne una bestia.»

No, solo con il figlio che mi sta crescendo nella pancia. Pensò, con disappunto la donna. «Niente legge allora. Riccardo continuerà ad essere figlio tuo a patto che tu rispetterai, da quì alla sua maturità, tutte le scelte che sua madre prenderà per lui.»

«Farai in modo che continuerà a portare il mio cognome, se vuoi che non interferisca con queste scelte.»

Morena si morse il labbro. Javier lo odierà.. pensò tristemente. «Sei sleale.» Ammise infine affranta.

«Quasi quanto lui, che ha avuto il fegato di volermi cedere le sue terre a titolo di riconoscenza.» Sfoderò un sorriso lampante, l'intraprendenza ritrovata. «Devo ammettere che quasi ci credevo. Non fosse che conosco bene la malvagità del suo sangue.»

«Forse dovresti dargli un opportunità.» Sorrise sghemba. «Sono certa non si farà troppi scrupoli a crescere un figlio non suo. Non c'è peggior sconfitta che giudicare una persona per la sua copertina.»

La incenerì con lo sguardo. «Vorrei me lo avessi detto il giorno che ci siamo presentati.»

«Avrei voluto dirti tutto. Ma ho scelto la via più facile. Adesso sta a te scegliere le conseguenze.»

«Non voglio farti la guerra, Morena. Dammi solo quello che ti ho chiesto e un giorno forse potrei anche perdonare.»

«Ma tuo figlio.. Disse toccandosi la pancia. «No.»

«Quello è un limite assoluto.»

Morena scansò lo sguardo dai suoi occhi per non piangere. «Non so che farmene del tuo perdono, allora. C'è altro?»

«Tuo padre e la sua famiglia possono restare al mulino se lo desiderano e sono sempre d'accordo con il finanziare gli studi di Stella.»

Sorrise ironica. Sarebbe finito tutto parlando della sua famiglia. «E' tutto?» Chiese fredda.

«Tieni quel damerino lontano da me.»

Allungò la mano in silenzio, lui ricambiò la stretta ed uscì senza dire nulla.

Nel silenzio della cappotta, le immagini di quegli anni, che erano stati meravigliosi e duri,sicuramente lontani da quello che aveva sempre immaginato, le passarono davanti agli occhi con un valzer melanconico e struggente. E pianse lacrime di frustrazione, gioia e disperazione.


Era finita.



Così come il caos tumultuoso di un temporale porta una pioggia nutriente, che consente alla vita di fiorire,

anche nelle vicende umane i momenti di progresso sono preceduti da momenti di disordine.

Il successo arride a coloro che sono in grado di resistere alla tempesta.

I Ching.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


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Eternamente

(para siempre)



Se non cambiasse mai nulla, non ci sarebbero le farfalle.

Anonimo.




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Il giorno di festa che tutti aspettavano, arrivò sfoggiando un tiepido sole d'inizio autunno.

Olivia Herrero ridiscese il portico dalla tenuta di Legno di Quercia, come se fosse un cigno sul pelo d'acqua, fluttuando in un vestito leggero di chiffon neutro, come si vedeva nello stile più attuale e ricercato delle ragazze di campagna; incrociato sul busto come un'avvolgente abbraccio e imprezziosito sotto seno da un gioco di ricami a crochet, a evidenziare la cascata di chiffon che scendeva poi morbida lungo tutta la figura.

Era perfetta, un misto di eleganza e semplicità, una madre ma anche una sposa.

Il velo, dono del nipote Riccardo che da bravo pagetto stendeva petali di rosa al suo passaggio, era l'unico vezzo che si era concessa; una lunga distesa di tre metri che partiva alla sommità del capo e fermato in cima da una fascia di cristalli che le cingeva la fronte, voluto come da tradizione per proteggersi dagli spiriti maligni.

Aveva scelto suo cugino Alfredo, come mentore e uomo che l'avrebbe introdotta nella vita coniugale e del resto non poteva che essere così; l'aveva accompagnata e seguita nel corso degli anni come se fosse davvero compito suo, con l'amore di un fratello o di un padre e vederlo camminare al suo fianco impettito e orgoglioso, scortandola quasi fosse una creatura ultraterrena, la riempiva di ammirazione e gioia.

Dietro di loro, a chiudere la processione ma non meno importante, la donna che l'aveva aiutata a rendere concreto tutto ciò, Morena in veste di damigella, che sfilava con altrattanta grazia, con il cuscino delle fedi appoggiato sui palmi della mano.

Si respirava un aria serena, distesa, sebbene le circostanze avessero messo a dura prova i suoi nervi.

Non era tutto rose e fiori, purtroppo; Morena e Alfredo erano inevitabilmente ai ferri corti e la reticenza con cui cercavano di proteggerla per non metterla in ansia, non l'aiutava a capire cosa realmente stesse accadendo. La cugina e amica tornata da Salamanca appariva schiva e nervosa, più della sua incline natura caratteriale, e cosa assai più palpabile era la tristezza che le offuscava lo sguardo, la stessa che leggeva nelle pupille di Alfredo. Tutto ciò la rendeva molto triste e preoccupata; presto, avrebbe imboccato la via per Madrid, dove i genitori di Lorenzo molto entusiasti all'idea dello sposalizio, li attendevano per una seconda funzione nella chiesa di San Isidro come la tradizione familiare dei Navarro richiedeva e c'era davvero così poco tempo fino ad allora, senza contare la sempre più rada presenza in quel di Fuentesauco.

Li avrebbe costretti ad essere sinceri anche con la forza, se necessaria, perchè non si sarebbe perdonata salutarli a quella maniera.

I tormenti cessarono quando i suoi occhi trovarono quelli un pò lucidi di Lorenzo, in piedi sotto il grando arco dove Don Pedro, li avrebbe uniti per l'eternità; era impeccabile nel suo tight di tre pezzi color ghiaccio, il volto ancora abbronzato dal sole caldo dell'estate passata, le mani nervose sul grembo in contrasto con il sorriso aperto, nel vederla avanzare verso di lui. Tutti si alzarono dalle panche, applaudendo in festa.

Morena, Alfredo e Riccardo defilarono ai loro posti sulla sinistra degli sposi, Olivia abbracciò il giovane che soavemente le innalzò il velo dal volto, scoprendo la commozione dei suoi occhi; ci furono sorrisi beati e sguardi carichi di promesse.

Poi l'euforia cessò e un leggero brusio si levò dal fondo.

Ai piedi dell'altare avanzò Javier La Fuente, testimone dello sposo, al braccio di una graziosa fanciulla di un secondo ramo di parentela dei Navarro, ramo fra l'altro di maggiore esponenti familiari del giovane, che appariva però molto tranquillo per i grandi assenti e soddisfatto della sua scelta al punto che accolse l'amico con un vigoroso abbraccio.

Per un breve istante, i due gruppi separati chiamati ai compiti, si guardarono fra di loro in leggero imbarazzo.

Morena volse immediatamente il capo verso i due giovani sposi, Alfredo prese il bambino sulle ginocchia guardando con insistenza La Fuente.

Gli invitati s'accomodarono, Don Pedro giunse le mani al petto e il brusio d'eccitazione cessò.


«Miei cari giungo oggi nelle mie vesti di umile servitore di Dio, a contrarre in matrimonio due giovani anime sul camino verso Cristo.»


Recentemente Alfredo si era recato al clero, esortando il prete con maniere non troppo delicate, di omettere qualsiasi predica durante la celebrazione sulla fornicazione al di fuori del matrimonio, se non avesse voluto che altri racconti piccanti che lo vedevano protagonista, venissero messi in luce; Morena lo aveva pregato di non farlo, che un uomo con il marchio del peccato già sulla pelle come lui si sarebbe tenuto lontano da solo da evidenti prediche morali, ma lui aveva insistito quanto fosse necessario ribadire il concetto e questo aveva causato un ulteriore tensione che aveva gelato del tutto i contatti fra di loro. Morena sorrideva solo se necessario, Alfredo parlava solo se interpellato.


«Lorenzo Ruiz Navarro. Olivia Vargas Herrero. Siete chiamati ad unire la vostra vita l'un l'altro di fronte all'Altissimo. Siete giunti quì di vostra spontanea volontà?»

I due giovani pronunciarono insieme. «Si»

«Siete disposti a educare con amore i vostri figli, secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?»

«Si.»

«Se è dunque vostra intenzione unirvi in matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete davanti a Dio il vostro consenso.»

Con ardore la donna si portò alla mano destra del compagno e guardandolo amorevolmente cominciò a parlare.

«Io Olivia Vargas Herrero accolgo te Lorenzo, come mio legittimo sposo. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita

L'uomo imitò il rituale ringraziando sottovoce il cugino che gli aveva conferito il suo benvolere e pronunciò a gran voce le sue promesse. «Io Lorenzo Ruiz Navarro accolgo te Olivia, come mia legittima sposa. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»

Il sarcedote annuì vigorosamente. «I testimoni per favore.» Alfredo e Javier si mossero ognuno per il fianco del prediletto.

«Voi siete chiamati al compito più arduo. Istituzionale al fine di attestare la validità del rito e sentimentale, l'aspetto forse più delicato, morigerando e offrendo supporto agli sposi nel loro cammino di vita insieme.» Don Pedro li guardò entrambi. «Alfredo Herrero Roquez. Javier Garcia La Fuente. Vi recate quì in piena coscienza dei vostri compiti?»

«Si.» Esordì Alfredo squillante.

«Si.» Gli fece eco Javier.

«Sia fatta la volontà di Dio.» Aggiunse infine il sarcedote e sciorinò la sua predica per buona pace degli ospiti che sprofondarono sui cuscini di seta, certi di una buona ora di parole dense, officiose e inevitabilmente noiose.


«L’uomo non osi separare, ciò che Dio unisce. E benedica questi anelli che vi donate scambievolmente in segno di amore e di fedeltà. Per Cristo nostro Signore.»

Il prato gremito di persone rinsavì. «Amen.» Dichiararono tutti.

Morena avanzò al capezzale di Alfredo offrendogli i due anelli legati al cuscino; l'uomo li porse alla sposa, che con delicatezza slegò quello corrispondente al suo sposo. «Lorenzo, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.» La fede scivolò al suo dito e brillò del riflesso del sole.

«Olivia ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.» Vi depositò un bacio e lasciò che prendesse la via dell'eterno sulla sua mano.

Don Pedro rivolgendosinpoi alla comunità, esultò. «Cari! Sono lieto di presentarvi il Signore e la Signora Navarro.» Poi ridendo colpì affettuosamente la spalla del giovane. «Puoi baciare la tua sposa ragazzo!»

Il riso volò il cielo, tutti festeggiarono la nuova coppia con cori festanti e di buon'auspicio.

Olivia guardò Lorenzo e finalmente sospirò di gioia, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio che commosse tutti.


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*

«Lo dicevo a tua madre che ci sarebbero stati dei gemelli!»

«Ma no sono da parte di padre. Me li ricordo, quei parenti del trisavolo..»

Due vecchie carampane, zie di Lorenzo da un non meglio specificato ceppo familiare, avevano smesso di mangiare per congratularsi della lieta novella con i due giovani. Olivia guardava annoiata suo marito da sotto le ciglie chiare, tanto che l'uomo intenerito lasciò che si divincolasse dalla morsa e prendesse il respiro.

«Se non mi vedi in giro per la proprietà.. dichiarami pure morto.» Sussurrò il ragazzo divertito.

Olivia lo baciò teneramente. «Spero tu abbia fatto testamento.» Blaterò con gli occhi all'insù prima di mettersi a ridere e scappare letteralmente verso casa. «Accidenti!» Si tolse i sandali sfinita ed afferrò un flute di champagne che un gentile cameriere stava portando fuori per gli ospiti.

«Quello dovresti metterlo giù.» Morena era in cucina che coordinava le sporte di cibo.

«E' il primo e l'ultimo. Giuro. Sono già stanca.»

«Tutto bene?» Disse la donna corrucciando la fronte preoccupata.

«Parenti noiosi. Vorrei fosse già sera.» Rispose l'altra arricciandosi una ciocca bionda fra le mani. «Tu che ci fai quì? Hai chiesto dieci inservienti per un manipolo di ospiti, dovresti goderti la festa e me, lo sai?»

Morena rise di gusto. «Nella buona e nella cattiva sorte, cosa credi che intendeva il sacerdote?» Poi guardò per un secondo il prato al di fuori del finestrone e si rabbuiò. «Vuoi che ti sistemi i capelli?» Chiese gentilmente.

Olivia annuì e si voltò dandogli le spalle. «Delle promesse tue e di Alfredo invece che mi dici?» Chiese a bruciapelo.

Le dita affusolate s'arrestarono fra le ciocche. La donna sospirò prima di rispondere. «Olivia.. è il tuo giorno di festa. Non devi pensare ad altro se non essere felice.» Modellò le ciocche intorno alla fascia, stringendo le forcine come sapientemente aveva fatto alle prime luci dell'alba e si portò davanti al suo viso. «Schifosamente felice.» Sorrise spostandosi verso la cucina. Olivia le prese la mano; erano perfettamente allineate, la più giovane alzò il viso guardandola con dolci occhi verdi. «Sei proprio tediante quando ti ci metti, eh?» Morena rise nervosamente.

«E tu, quando smetterai di proteggermi come se fossi una bambina? Pensi che non mi sia accorta che fra di voi non va per niente bene?» Le lasciò la mano e proseguì. «Non ho molto tempo a mia disposizione, presto sarò a Madrid e poi solo il buon Dio sa dove. Il mio cuore è in frantumi sapendo che non potrò appoggiarvi e andare via voltando le spalle.. non ci riesco. Ho provato a parlare con Alfredo, ma figuriamoci per lui sono come una figlia.. mi ha detto che è tormentato dai pensieri sul futuro dei campi. Lo sapevi che La Fuente gli ha proposto di cedergli la sua parte.. in nome della riconoscenza?» Morena aprì gli occhi stupita. «Lo sapevo! E sono quasi sicura che lui sappia della vera paternità di Riccardo, altrimenti l'unica spiegazione che mi do per un gesto come questo è follia

Morena abbassò lo sguardo, le spalle rilassate. «Vorrei ucciderlo per questo. Ma in realtà mi sono resa conto di amarlo ancora.»

«Questo era abbastanza chiaro per tutti, credo anche per lo stesso Alfredo, querida.» Non c'era giudizio nel tono della sua voce, era piuttosto addolcita, come la voce di una mamma che coccola il figliolo che si è sbucciato le ginocchia correndo incontro alla vita. «E scommetto hai detto a tuo marito quello che provi.»

«Sa tutta la verità, Olivia.» Il labbro superiore di Morena tremava sotto il peso della sua stessa ammissione. «Sa di Riccardo, del matrimonio combinato alle sue spalle per proteggere il segreto e sa che sarei rimasta con Javier se lo avessero permesso. Sa che non avrei mai voluto mentirgli e che a mio modo lo ho amato molto, ma da uomo ferito vuole soltanto ciò per cui ci siamo legati e niente altro. Quando tutto sarà terminato, io e Riccardo ci sposteremo in paese, a patto che lo mantenga un Roquez e lo cresca come tale.»

Olivia scosse il capo interdetta. «Perchè questa distinzione? Parla come se potessi portarglielo via, senza contare che aspettate un figlio.»

Morena si morse il labbro. «Credo che infondo temi questo, non si fida più di me e non posso biasimarlo. Per contro ce l'ha a morte con Javier che tutto ad un tratto si è messo a far confessioni come un moribondo!» Scosse il capo stizzita e si toccò le tempie con una mano, visibilmente preoccupata. «Vuole punirci in qualche modo, ma sta rovinando tutto ciò di buono abbiamo crato; i nostri figli.»

«Gli parlerò.» Sbottò Olivia. «Riccardo è piccolo e l'altro deve ancora vedere la luce del mondo, c'è tempo perchè rinsavisca!»

«I miei tentavi sono stati vani, ti avviso. E' pieno di collera e tormento, anche se al di fuori sembra incrollabile.» La donna sorvolò sulla spiacevole condizione che aveva messo Alfredo sull'altro figlio convinta forse che quello scricciolo di ragazza potesse davvero rabbonire il suo animo ferito. «Promettimi solo che non discuterai con lui per colpa mia. Sono io che l'ho spezzato, non sopporterei essere l'artefice di una vostra rottura.»

«Deve essere davvero distrutto se mi metti in guardia.» Puntualizzò Olivia. «Ma cercherò di essere buona.»

«Ti prego.» Sussurrò Morena. «In poche ore ha visto crollare ogni certezza.»

La ragazza si tirò su e le accarezzò affettuosamente la spalla. «Tutti commettiamo degli errori, Morena. A tuo modo adesso sei stata sincera e credo fermamente che sappia, quanto amorevole tu sia stata con lui. Io vi ho osservato e ho sognato molto, guardandovi.» Calzò nuovamente i sandali e scrollando le spalle, sospirò. «E' ora che io torni ai miei ospiti, ma gradirei averti al mio fianco, damigella.»

«Sempre.» Replicò l'altra dolcemente e insieme, al braccio, uscirono dalla tenuta.



Le note rock&roll di "Johnny B. Goode", a quanto si vociferava pezzo del cuore dei novelli sposi, spargevano nell'aria allegria e coloravano il prato di una grande festa; le donne volteggiavano nei loro abiti a ruota esagerati, sempre più esagerati sulla finire della decade, gli uomini in panciotto e le giacche abbandonate ormai alla rinfusa in terra, le facevano scatenare improvvisando passi e movenze da provetti ballerini.

«Chuck Berry?» Disse Morena sorridendo in una smorfia buffa.

«Chi meglio di lui per far festa?» Poi la prese per mano e la condusse verso il centro del prato dove Lorenzo e un gruppo di cugini si stavano dimenando. «Ti faccio vedere.» Ammiccò poi verso il suo sposo e quello appena gli si avvicinò la prese in braccio, passandola da un fianco all'altro senza pausa, ma con molta delicatezza. «Avremo dei figli rock!» Esultò Olivia.

«Puoi ben dirlo!» Replicò Lorenzo, facendola volteggiare per poi accorglierla fra le sue braccia, dopo la piroetta, con un bacio.

«Lasciati andare!» Le disse Olivia alzando le mani al cielo e ruotandole fino in basso. «Ti assicuro che è prodigioso l'effetto che fa.»

Morena alzò le spalle, si guardò attorno e poi chiuse gli occhi. Cominciò a scuotere i fianchi e poi le braccia quasi simultaneamente, finirono al cielo; la musica si insinuò nel suo corpo e il ritmo fu facile da raggiungere, d'improvviso.. stava ballando. Era una bella sensazione tutto sommato, si sentiva libera e scatenata, incapace di pensare; Olivia aveva ragione, ma constatò che era meglio tenere gli occhi aperti.

Anche Javier pensò la stessa cosa, perchè le si parò davanti non appena li riaprì.

La donna sussultò, arretrando di qualche passo. «Non volevo spaventarti!» Gracidò Javier sorpreso dalla sua reazione.

La sua giunonica accompagnatrice però sbucò alle sue spalle e lo reclamò a se offesa, scorrendo lo sguardo sull'incantevole vestito color malva di Morena. «Mi avevi promesso un altro ballo!» Parlò piccata al di sopra della musica; il ragazzo alzò gli occhi al cielo, Morena li guardò sorridendo sotto ai baffi, coinvolgendo la cugina per cercarsi una via di fuga.

«Perchè invece non mi aspetti all'angolo bar.» Soffiò mieloso Javier, baciandole il dorso della mano. «Li potremmo ballare.. indisturbati.» Proseguì con uno sguardo intenso e affascinante a cui la giovane rispose annuendo, imbambolata, con il capo.

Rimasti soli sospirò. «Tutto il rispetto per la parentela, amico mio, ma è petulante come una suocera!»

Lorenzo lo guardò sorridendo sghembo. «Sei incontentabile!» Olivia lo fulminò con lo sguardo, Morena rise. «E' la verità.» Continuò non capendo perchè sua moglie fosse tanto adirata. «Mia cugina lo ha piantato, senza offesa amico mio, più di un mese fa e lui sembra stia sempre in attesa di qualcosa.. la vita va avanti e sopratutto bisogna cogliere al volo le occasioni!»

Olivia guardò disperata Morena che guardò Lorenzo ancora più divertita; l'unico che non sembrava cogliere l'ironia della situazione era proprio Javier che guardava quest'ultima come se fosse un miraggio nel deserto. «E' che sono un uomo romantico.» Blaterò senza inflessione nella voce.

«E noi siamo assetati!» Convenne Olivia trascinando con se il suo sposo prima che potesse aggiungere altri dettagli non richiesti.

«Non mi sembra d'essere stato indelicato!» Sentirono Lorenzo blaterare, prima di guardarsi e scoppiare a ridere.

Javier fu il primo che parlò. «Sono una bella coppia. Credo che Oliva sia una benedizione per lui.»

«Fa che lo sia, o sentirai le urla di Alfredo fino a Madrid.»

«Oh.. ma io non tornerò a Madrid, lo sai.»

Morena si trovò a sorridere di gioia, ma si costrinse a morsicarsi la guancia. «So molte altre cose che avrei preferito discutere insieme.» Scosse il capo e lo fissò negli occhi verdi smeraldo, gli occhi di Milagros; la musica scemò e divenne un lento, una ballata per coppie di innamorati. Javier allungò la mano, grande e coriacea e la donna sentì un sussulto in fondo alla pancia, un richiamo primordiale.

Accettò, avvicinandosi cauta per poi trovarsi completamente soprafatta dalle braccia di Javier.

«So che avrei dovuto rispettare le tue scelte, ma sei fuggita via e quella fuga era per me una grande risposta. Tu mi ami Morena, volevi solo esserne sicura. Beh, un pò ti aiutato lo ammetto, ma non riesco a guardare il tempo sfuggirmi ancora di mano. Io ti voglio.» Il suo corpo tremò, ma non fuggì via, si strinse a lui ancora più forte. Al suo silenzio Javier si scostò un poco per guardarla in viso; le sue guancie erano paonazze, la sua pelle ambrata scottava. I loro occhi si trovarono. «E' così.» Una domanda smorzata dall'emozione, si posò sulle labbra dell'uomo. L'abbracciò ancora, desiderando che quel lento non finisse mai. «Ho grandi progetti per la testa e voglio condividerli con te. Voglio averti vicina a me, voglio svegliarmi tutte le mattine guardando il tuo viso e prima di tutto ancora, voglio essere tuo, Morena, finalmente

«Sei stato avventato.» Sospirò lei. «Cedere le terre ad Alfredo.. c'è chi ti crede folle.»

«Gli ho detto che ti amo e lui racconta solo questa parte della storia?»

Morena rise. «Sei un'arrogante come se ne vedono pochi, La Fuente. Sarà questo che mi ha spinto a dire a mio marito tutta la verità e ciò che non posso più nascondere, nemmeno al mio cuore?» Si guardarono ancora, Javier trepidante d'emozione. Il tono di voce della donna si fece più greve. «Dopo il matrimonio di Olivia sarò al pensionato di donna Flora con Riccardo.. a tempo indefinito. Ma dovremmo parlare di molte cose, purtroppo ciò che sembra essere risolto non lo è affatto e forse dovrai accettare qualche conseguenza.»

«Credi che mi interessino quante altre sfide avremmo poste dalla vita?»

«No, non credo.» Ammise certa.

Javier si fermò. La musica cessò. «Visto che lo sai, ora tocca a te dirmi se vuoi essere mia.»

Gli occhi di Morena brillarono d'amore.. ma nel cercare le parole, finirono alle spalle di Javier, dove incontrarono un Alfredo con la faccia scura.

Ebbe paura. L'uomo si mosse, lasciò che il bambino sulle sue spalle scendesse e strinse forte i pugni ai fianchi.

«Vattene.» Esalò Morena in un fil di voce. «Vattene, ti prego.» Javier si voltò e vide Alfredo Roquez torreggiare verso di loro molto lentamente, quasi defilato; sorrise arreso a ciò che la sua mente da uomo aveva già elaborato. «Ascolta!» La donna lo girò di prepotenza. «Gli ho promesso che oggi ti avrei tenuto lontano da noi, per amore di Olivia. Ti prego, vattene via da quì.»

Javier strinse i pugni e la guardò a lungo prima di rispondere. «Prima o poi ce la daremo di santa ragione e tu non potrai tenerci lontano in eterno.»

«Quel giorno non è oggi.» Replicò fra i denti la donna.

La fronte dell'uomo si corrugò, gli occhi si strinsero come due fessure. Era combattuto, il suo corpo vacillò. «Se non ti amassi così tanto..» Lasciò correre le parole sulle labbra disegnate e in un silenzio che valeva più di mille parole, le passò accanto senza guardarla e se ne andò.

Dall'altra parte del prato Alfredo fu intercettato, se non braccato, da una piccola Olivia di cui si scorgeva il solo profilo prospero.

Morena inspirò e rimase immobile al centro del prato, sola, con una musica strimpellante a martorizzarle il cuore.


*

Il giorno delle partenze, era arrivato.

Ma se per la prima era la normale conseguenza di un atto chiamato amore, per l'altra era la conseguenza di un posto che non aveva più quel nome.

Morena preparò la colazione come se nulla fosse cambiato, apparecchiando anche il posto di Alfredo che sempre più raramente si era alzato con il sole, per andare ai suoi amati campi ormai arsi. Lucio Soler lo tirava giù dal letto di tanto in tanto con degli intrugli -che per suo conto- prima o poi sarebbero stati la giusta cura per far tornare fertile la terra e lui ci credeva, aveva il disperato bisogno di credere e quella mattina così buia e triste nella sua vita, ancora di più; sua moglie e suo figlio, quello che lui aveva creduto tale, avrebbero lasciato la tenuta.

Gli accordi erano assai semplici e Morena non aveva battuto ciglio; Riccardo restava un Roquez e avrebbero cercato le soluzioni possibili e meno traumatiche per vedere il bambino entrambi alla stessa frequenza. Non lo avrebbe mai strappato alla sua mamma, tutto quello che chiedeva era continuare a crescerlo come fosse suo, perchè infondo al cuore, era ciò che sentiva e non voleva separarsene.


«Signora.. » Agueda fissava la ragazza con un intensità d'occhi che credeva fosse sul punto di scoppiare.

«Agueda per l'amor del cielo, Riccardo è qui.» La rabbonì con dolcezza, accarezzandole il braccio. «Dovrai essere molto forte per prenderti cura di Alfredo. Me lo prometti?»

«Ma si certo. E' che mi sembra così triste questa storia..»

«Ciò che oggi sembra triste, domani con la luce del sole apparirà giusto.» Le passò una tazza di caffè nero e la invitò al tavolo. «E poi saremo in paese, non dall'altra parte del continente. Vero amore mio?» Riccardo addentò la focaccia e annuì buffamente. «Il bambino resterà con Alfredo tutte le volte che lui lo desidererà.» Proseguì a voce bassa. «Non ti libererai di questa piccola peste.»

«Oh signora!» Agueda le strinse la mano. «Voi mancherete alla stessa maniera.»

«Sarai mia gradita ospite per una tazza di the nella mia nuova casa, quando sarà pronta. Così ci mancheremo un pò meno.»

«Così dunque quei costruttori di Madrid hanno accettato il suo incarico?»

«Stanno vagliando una serie di dettagli della quale francamente non ho idea ma si, c'è una grande probabilità che avrò la mia casa sullo studio.»

«Sono certa che sarà così.» Pulì la bocca del bambino e ritirò le stoviglie prima di guardarli entrambi con tenerezza. «Vi meritate il meglio. E con il tempo chi lo sà, quel vecchio orso brontolone si rabbonirà.»

Morena alzò le spalle e lasciò correre. «Sarà meglio sbrigarci. La giornata è ancora lunga.» Prese il bambino per mano e lo vestì del suo soprabito beige; sembrava proprio un nobile ometto mentre calzava il suo berretto marrone. «Hai preso tutto?»

«Si. Quando vedrò papà?» Chiese innocentemente il bambino.

La donna accarezzò la sua piccola mano. «Stasera ti porterà a mangiare il chorizo che ti piace tanto, amore mio.» Poi gli sorrise amorevolmente proseguendo. «E potrai vederlo tutte le volte che vorrai, anche se non saremo più quì, mi hai capita bene?»

Il piccolo annuì abbozzando un piccolo sorriso. «Tu verrai con noi?»

«Ho tante cose da fare per la nostra nuova casa e per stasera farete a meno di me. Ma saremo tutti insieme molto presto, te lo prometto.»



Olivia era sul prato che l'aspettava con un ombrello per ripararsi dal sole; la salutò vigorosamente e sorrise.

«Sei già tremendamente snob.» Le sussurrò Morena sorridendo, lasciando che Riccardo si tufasse in una corsa verso Lorenzo e la carrozza.

«Sono grassa e sto per sposarmi una seconda volta. Non puoi essere gentile con me?»

«Se la metti così..» Alzò le spalle. «Allora, sei pronta?»

«Mio marito ha mandato avanti tre facchini con la diligenza dell'alba e..» controllò l'orologio sul polso e alzò gli occhi al cielo «..la prossima sta per partire in questo momento, solo per rassicurarmi che i bagagli arrivino prima di me -non senza blaterare sull'acquisto di un armadio più grande- ma a parte questo.. direi di si, sono pronta. E tu?»

«Non mi spaventa più nulla, Olivia. E' una strana sensazione, mi sento libera ma allo stesso tempo non provo nulla.»

«Il tempo rimetterà a posto le cose, ne sono sicura.» Le massaggiò la spalla affettuosamente prima di guardare intorno come se cercasse qualcosa o meglio cercasse di trattenerla. «Sto per dire qualcosa che suonerà strano ma.. questo posto ha qualcosa di magico.»

Si girarono entrambe verso il pendio della collina e il sentiero che ridiscendeva verso il paese, con un aria nostalgica; Morena abbozzò un sorriso ricordando una ragazzina vestita come fosse un costoso regalo da scartare, con i suoi diciasette anni che pesavano come un macigno e un segreto da custodire. Quella ragazzina era lei.

«Avrei detto la stessa cosa.» Sussurrò con voce rotta dall'emozione.

Olivia la prese per mano. «Dobbiamo dirle arrivederci.»

«Oh no. Il mio capitolo si chiude quì. E' stato davvero molto bello, ma devo dare il benvenuto ad un'altra storia.»

La ragazza annuì. «Lui lo sa?»

«Non lo vedo dal giorno del tuo matrimonio.» Ammise con un sorriso sarcastico pensando alle ultime parole di Javier. «Sarà trincerato dietro la sua coltre d'orgoglio di uomo ferito.» Scosse il capo ma proseguì con piglio deciso. «La dissiperò.»

«Ben detto!» Olivia sollevò in aria le loro mani intrecciate e la invitò a precederla nel passo. «Sei sicura che vuoi ti accompagnamo allo studio? Non sarà il caso prendersi un giorno per riposare?»

«Prima si comincia e prima avrò la sensazione di muovermi verso una direzione, cugina. Perciò si, allo studio grazie.»

Lorenzo aiutò entrambe le donne a salire a bordo, prima di dare la comanda al cocchiere di partire.

«Dovrai assolutamente aggiornarmi sull'andamento dei lavori.. e non solo.» La redarguì benevolmente.

Lorenzo scosse il capo guardando al piccolo Riccardo. «Donne.. chi le capisce è fortunato.»

Olivia e Morena si guardarono arrossendo. «Sarai la prima a conoscere gli sviluppi della situazione.» Ammiccò la seconda. «Spero solo la casa sia pronta in tempi brevi, donna Flora non mi mollerà un minuto.»

«Non ti preoccupare per questo.» Rispose Lorenzo. «I costruttori arrivati da Madrid sono una mia conoscenza e disposizioni di direttive dettagliate.»

«Non finirò mai di ringraziarti, caro cugino.»

«Non devi ringraziare me, Javier si è fatto carico della richiesta.»

«Se sapessi dove si è cacciato..»

«A me ha detto solo che sarebbe stato impegnato con dei sopralluoghi nel bosco di querce.» Alzò gli occhi al cielo. «Ultimamente è parecchio visionario.»

Morena si morse il labbro capendo immediatamente perchè Javier fosse sparito.

La carrozza si mosse lentamente mentre si calava giù per la collina; Legno di Quercia da laggiù era tornata ad essere un puntino e per un ultima volta, la donna con il suo bambino, la guardarono chiamandola casa.


*

La zappa affondava nel terreno sempre più violentemente.

Ormai non distingueva più le lacrime o il sudore, il dolore o la fatica; stava torturando un povero terreno morto e anche i suoi nervi, per non ammettere che stava soffrendo come un cane. Poche spanne più in là, Lucio Soler di spalle ammonticchiava cumuli di brace e humus risevandogli la maggiore intimità possibile; probabilmente se non ci fosse stato lui avrebbe disseminato buche nel terreno senza alcun senso, avrebbe stappato una bottiglia di porto e quando il sole sarebbe stato alto nel cielo, sarebbe crollato in terra ubriaco fradicio.

Quello era il suo modo per tenerlo impegnato, perchè non avevano ancora parlato apertamente della situazione che si era venuta a creare con sua figlia, ma glielo leggeva chiaro in faccia, nelle rughe increspate agli angoli della bocca per la tristezza, che aveva capito tutto senza chiedere.

Per un pò aveva persino accarezzato l'idea che Lucio fosse uno dei complici del suo falso matrimonio, ma era un pensiero così devastante che lo aveva abbandonato subito; spargere il seme del dubbio e dell'odio altrove non sarebbe bastato a guarirgli il cuore, doveva perdonare se stesso e andare avanti, rimboccandosi le maniche come aveva sempre fatto.

Una carrozza si fermò lungo sterrato che costeggiava il campo, la testa bionda di Olivia vi fece capolino; Lorenzo l'aiutò a ridiscendere e insieme attesero che li raggiungesse. Abbandonò la vanga e li raggiunse nel suo passo fermo e dritto.

«Cugino! Strepitò. Puoi nasconderti da Fuentesauco, ma non dalla sottoscritta.

Alfredo rise. «Non ne avevo alcuna intenzione.» Il sorriso smorzò in un'espressione corrucciata. «Ti facevo già in partenza per la Capitale.»

«Una parola ancora.» E si voltò verso Lorenzo che abbandonò il suo posto passeggiando lung'argine del fiume in solitaria. «Lo so che ci siamo già salutati.» Proseguì Olivia dolcemente. «Ma sono quì per Morena e immagino tu sappia perchè.»

I muscoli del volto di Alfredo s'irrigidirono. «Non c'è niente altro che si possa dire, cugina.»

«Oh, si che c'è. So tutto, ha avuto l'accortezza di dirmi la verità e sai una cosa? Per quanto io ti ami come un padre Alfredo, non ho potuto fare altro che constatare il coraggio e l'amore che ha messo anche nei tuoi confronti, scegliendo di rinunciare alla sua vita confortevole per amare un uomo che non conosce, infondo. Questa è la donna che hai sposato, cugino. E che porta in grembo un figlio tuo, del sangue dei Roquez, quale altra prova cerchi?» Inspirò velocemente, fissandolo nei castani occhi cangianti. «E' una tale scelleratezza non tenere in considerazione questo fatto, solo perchè odi l'uomo che ama e che suo malgrado, non ha avuto l'opportunità quanto te, di dire la sua in tutta questa faccenda. Siete tutti e tre irrimediabilmente legati dal destino, ma potete convivere con questi lacci nel miglior modo possibile per i vostri figli. Promettimi che ci pensarai, quando il dolore sarà cessato.»

«Non so se cesserà mai.»

«Quando è morta Francisca hai detto la stessa cosa e guarda cosa hai costruito, invece. Il rammarico c'è, il dolore si dimentica, resta la vita.»

Gli occhi di Alfredo si velarono. «Ho fatto un buon lavoro con te.»

«Si chiama amore, cugino e me lo hai insegnato proprio tu.»

Si abbracciarono, Olivia respirò forte l'odore dei suoi capelli e rievocò tutti i ricordi di bambina quando la sua ombra protettiva era sempre accanto; pregò che tutto si aggiustasse e sussurrò preghiere di buona sorte al suo orecchio. «Ricorda sempre che le vigne degli Herrero, per quanto modeste, sono anche tue. Mia madre ha bisogno di qualcuno l'aiuti.»

«Mi rimetterò in piedi, sta tranquilla.» La rassicurò, asciugandosi gli occhi, prima di slegare l'abbraccio. «Fa buon viaggio e in bocca al lupo per la tua nuova vita.»

«Prenditi cura di te e dei tuoi figli.» Replicò la donna, commossa. Lorenzo tornò loro vicino, stringendola per un fianco. «Va tutto bene.»

I due uomini si strinsero la mano con vigore e rispetto, poi Alfredo indietreggiò tornando ai campi.

I cavalli nitrirono e la carrozza fu lanciata verso una destizione chiamata futuro.


*

«Buongiorno dottoressa Soler!»

«Buongiorno Ottavia.»

La dinoccolata segretaria che Javier aveva assunto come aiuto, le porse una tazza di caffè nero bollente; l'accolse con gioia prima di guardare intorno, nel silenzio assordante. «Il dottor La Fuente non è in visita neanche oggi?»

«Non lo ha detto.» Rispose quella incerta. «Passa di sera a chiudere i conti e mi lascia disposizioni per il mattino.»

«E lascia a me i suoi pazienti..» Aggiunse ridendo la donna bruna.

L'altra sorrise intimidita. «Fortuna che non ci si ammala spesso, mi sento ancora impacciata.»

Morena le sorrise dolcemente, aveva si e no la maggiore età e un viso paffuto molto tenero. «Ma so che lui è molto contento del tuo lavoro.»

«Davvero?» Chiese entusiasta. «La medicina mi interessa parecchio, difatti.»

«L'università di Salamanca offre un eccellente piano studi. La mia formazione è avvenuta lì, se ti servono chiarimenti sono a tua disposizione.»

Alla ragazzina brillarono gli occhi. «Ci penserò dottoressa, la ringrazio.»

«Bene.» Posò la tazzina sul tavolo, sorridendole. «Sarà opportuno scoprire dove si è cacciato il dottor La Fuente. Arrivederci Ottavia.»

«Dottoressa..» La ragazza la fermò, arrossendo. «E' molto bello che fra di voi non ci sia rivalità. Si evince il profondo rispetto che nutrite l'uno per l'altra e questo è commovente.»

Morena sospirò. Era innamorata di lui, mai come adesso, attraverso le parole di quella giovane ragazza, si sentì investita dalla potenza del suo stesso sentimento. Rise, raggiante. «Grazie Ottavia, grazie davvero!» Strepitò, improvvisamente di fretta.

Si portò fuori dallo studio a passo spedito verso Vecchia Quercia, al limitare del bosco, sperando di trovare la fonte di tanto ardire.

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Gli alberi erano lì che sembravano attenderla, oscillati da una leggera brezza.

Non aveva chiara una direzione, camminava fin dove i suoi sensi la conducessero.

Il pensiero della grotta della strega la fece tremare, ma come era già capitato in passato, quel posto camuffava nei suoi meandri tutti uguali ogni temibile segreto; si trovò fuori la foresta, così d'improvviso che la delusione la fece gridare di rabbia.

«Dove sei Javier..» Sussurrò.

Meditò di andare a Villa Ortensia che adesso sembrava lontana anni luce.

Cosa le stava succendo? Perchè sentiva le gambe molli e la testa che girava?

Si fermò ad ascoltare i battiti del suo cuore e la voce dei ricordi.


«Non voglio sentirti parlare così, mi hai capito? Nulla ci terrà divisi per sempre.»


Le sembrò di rivedere quei due ragazzini, uno accanto all'altra; lei con un sorriso debole e sterile e lui con la fronte corrucciata per il dolore di vederla così fragile e incapace di dichiarare i suoi sentimenti. Aveva sempre avuto ragione per entrambi.


«Sei così infantile Javier, credi ancora nelle favole. [..] Tuo padre sborserà milioni di pesetas pur di tenerti lontano da Fuentesauco.. lontano da me.»


Era successo. Ma lui aveva avuto il coraggio di tornare.

Poi soffermò il suo sguardo a quel campo, quel campo così familiare, intatto, bellissimo scampato allo scempio del fuoco.

«Javier!» Strepitò, riconoscendo nei suoi ricordi il posto dove tutto era iniziato.

Corse a perdifiato scostando le erbacce, fremendo, piangendo.

Quando lo scrosciare dell'acqua del Rio Cochino si fece chiaro, rallentò, chiamandolo ancora. «Javier?!»

La sua voce spaventò uno stormo di uccelli che si librò nell'aria. Nessuno rispose, si lasciò cadere a terra stravolta.


Riaprì gli occhi dopo un tempo indefinito, un'ombra copriva la vista del cielo; urlò terrorizzata.

«Morena sono io!» Gli occhi cristallini di Javier, spantati e spalancati la riportarono al presente; si tirò a sedere allacciandosi al suo collo, piangendo e singhiozzando. «Calma, respira, sono qui.» Le sussurrava quieto, accarezzandole la schiena con dolcezza.

«Sei qui.» Ripetè lei anelante. «Ti ho cercato tanto, ti ho trovato quì.»

Javier rise. «Sono giorni che vengo a pescare, non credevo dovessi preoccuparmi. Mi credevate morto?»

Morena slegò l'abbraccio e lo fissò torva. «Tu peschi, qui? Queste sono le tue idee illuminanti riguardo al futuro?»

Javier si mise seduto. «E' una pratica molto rilassante. E dovranno trovare un altro nome a questo fiume; sembra che grazie ad alcuni apparecchi che filtrano l'acqua alla fonte e non solo al momento dell'irrigazione, il fiume sia meno inquinato. Ma comunque no, non sono queste le mie idee illuminanti.» Cambiò registro, fissandola serio. «Mi cercavi.»

«Voglio essere tua, Javier La Fuente.» Disse con impeto. «Hai ragione tu, non c'è più tempo da spendere separati.» L'uomo chiuse gli occhi e inspirò. «Anche se non so come inizieremo questa vita insieme, solo da oggi ne comincio una io insieme a Riccardo.»

Javier rinsavì. «Voglio stare con voi.» Le prese le mani, baciandole.

«Lo so.» Morena si liberò, accarezzandogli il viso, i capelli scuri e folti. L'uomo la prese a se, sollevandola da terra per tenerla stretta sulle sue gambe. I loro volti erano perfettamente vicini e Javier non esitò, baciandola con dolcezza. La donna, rise divertita. «Fuentesauco parlerà di questa storia per lunghi anni.»

«Non ci faranno caso invece. Noi siamo nati per stare insieme, lo sai?»

«Lo fai sembrare vero, Javier. E' questo il punto, tu hai sempre creduto in noi. Ma dobbiamo essere realistici, sarà dura.» Passò un indice sul profilo della sua bocca sulla quale impresse un bacio passionale. «Alfredo vuole la patria podestà su Riccardo, mentre per contro se potesse decidere di far sparire il figlio che porto in grembo, lo farebbe.»

Javier si mosse nervoso. «Dovevi lasciare che ci picchiassimo.»

«Ti prego, sii serio adesso.»

«Vuole mio figlio e tratta con te come fossi una prostituta. Se mi lasci il tempo di riflettere, sai da sola che non sto scherzando affatto.»

«Non ti lascerò fare una cosa tanto stupida.» Berciò Morena scansandosi infastidita.

Javier le girò il volto. «Vuoi davvero questo?»

«Non posso impedirgli di crescerlo come se non fosse il suo. Anche tu hai visto toglierti un figlio dalle braccia, dovresti capirlo.»

«Sono due, i figli che vedo andare via.» Replicò in tono sciutto. «Ho il destino segnato a quanto pare.»

«Stiamo già litigando, Javier.»

«Non litighiamo affatto. Discutiamo del nostro futuro piuttosto. E di quanto sia meschino Roquez.»

«Forse.» Ammise Morena dispiaciuta. «Ma credo anche che Riccardo sia un bambino fortunato, dopotutto ha l'amore incondizionato di tre adulti che farebbero di tutto per crescerlo sereno. So che è difficile e se non te la senti ti capirei, ma desidero ardentemente la pace Javier.»

«Il bambino vivrebbe con noi, giusto?»

«Certamente.» Rispose di getto.

Vide la sua fronte corrugarsi dai dubbi e dalle domande alla quale rispose dopo un lungo silenzio.

«Non mi chiamerà papà, ma non sarà questo che mi esulerà da essere un padre

«Esattamente.» Rispose la donna addolcendo lo sguardo. «E faremo si che anche le cose con la tua bambina si sistemino.»

«Spero che un giorno Camila mi perdoni.»

«Certo che ti perdonerà, i bambini sono puri Javier, loro non giudicano.»

«Fino a stamattina non avevo nulla se non me stesso. Adesso vedo una famiglia e la vedo grazie a te.»

«Devi avere fede. Tua madre andandosene ci ha insegnato che certi legami sono indissolubili; il tempo, lo spazio, sono solo dettagli.»

Javier annuì. «Abbiamo superato indenni molte prove, supereremo anche questa.»

«Quindi tu ci sarai?» Chiese Morena speranzosa.

«E' l'unica certezza che posso darti.»

«Eternamente?»

«Para siempre, mio amor



Fine.



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