Neko no kubi ni suzu wo tsukeru

di Hi Ban
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Violette dell'Uzbekistan ***
Capitolo 2: *** Antenati, ragni e narcisisti ***
Capitolo 3: *** Summer paradise ***
Capitolo 4: *** Vane speranze ***
Capitolo 5: *** Vecchi centenari e piante regalo ***
Capitolo 6: *** Shisui non veste Prada ***
Capitolo 7: *** Soggetti psicopatici ***
Capitolo 8: *** Fuji san ***
Capitolo 9: *** Summer paradise (II) ***
Capitolo 10: *** È sempre mare ***
Capitolo 11: *** Post it ***
Capitolo 12: *** Zombini ***



Capitolo 1
*** Violette dell'Uzbekistan ***


Neko no kubi ni suzu wo tsukeru


1. Violette dell'Uzbekistan




Benché Hidan decantasse la demenza di Shisui Uchiha come qualcosa di infinito e anormale, il suddetto ragazzo non era poi così idiota da credere che sarebbe vissuto in eterno. Certo, era ovvio che sarebbe morto anche lui, come tutti i comuni mortali. Il fatto che respirasse con i pori della pelle non lo metteva al di sopra di nessuno, per carità.
Sarebbe morto, alla sua ora, quando il creatore lo avrebbe chiamato a sé, ma era super sicuro che lo avrebbe fatto da vecchio. Con i capelli bianchi, le rughe e con più acciacchi di quelli che, alla veneranda età in cui avrebbe tirato le cuoia, sarebbe riuscito a contare.
E allora perché diamine si trovava in bilico tra la vita e la morte alla bellezza di ventidue anni da compiere, certo che di lì a qualche minuto la sua vita sarebbe tragicamente terminata?
Non aveva nemmeno fatto testamento, non aveva ancora comprato delle bellissime carpe e cui lasciare il testamento che non aveva ancora fatto e, cosa più importante, non si era auto invitato da Mikoto san per farsi fare un po’ dei suoi buonissimi biscotti che avrebbe sgranocchiato mentre componeva il suo importantissimo testamento in cui lasciava tutto alle carpe. Quando si trovava sotto pressione era capace di pensare più in fretta, probabilmente per un meccanismo di auto sopravvivenza: se pensava ad un modo per salvarsi non moriva, peccato che impiegava quella sua utilissima abilità per pensare a testamenti, carpe e biscotti non mangiati.
Hidan non sbagliava poi molto nel dire che era un imbecille.
No, non poteva morire così, non aveva senso, era ingiusto! Abbassando di poco lo sguardo poteva vedere letteralmente il vuoto sotto di sé, se solo avesse spostato il piede di un centimetro sarebbe cascato di sotto, morendo.
Era troppo giovane per morire!
Intanto il suo aguzzino, seduto a gambe incrociate a mezzo metro da lui, rideva, ghignava e lo sbeffeggiava, mentre attendeva che compiesse anche un solo gesto per ucciderlo.
O lo uccideva quello psicopatico o, per scappare dallo squilibrato, si buttava. Era una morte macabra in entrambi i casi.
Shisui fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente: «Mi butto, eh! Giuro che- che- che se ti avvicini mi butto! La faccio finita!»
Meglio togliere il sensata, veramente inadeguato.
A Shisui chiaramente non venne minimamente da pensare che al suo carceriere non gliene sarebbe importato niente se l’avesse fatta finita, perché quello era il suo scopo primario. Al massimo si sarebbe preso la briga di stringergli la mano prima che lo facesse, giusto per ringraziarlo di avergli facilitato il lavoro. Eh, non si trovavano più vittime così disponibili a quei tempi.
«Fai come credi, il mio intento è ammazzarti, se fai da te mi togli anche il problema di finire in prigione» gli fece presente serafico, con quel sorriso che lo faceva sembrare più pazzo di quanto non gli fosse mai sembrato.
Shisui imprecò e fece un mezzo passetto in dietro, per quanto glielo concedesse la ristretta base di appoggio su cui si trovavano i suoi piedi.
Evidentemente non era un assassino empatico ai tentativi di suicidio, ma quella era una cosa che sarebbe stata chiara a tutti, solo Shisui parve trovarla parecchio anomala.
«Allora, ti ammazzi tu o ci penso io?» chiese con una certa impazienza il novello criminale – o così credeva Shisui, non si era mai preso la briga di indagare ulteriormente.
L’Uchiha si guardò intorno più e più volte, alla ricerca disperata di un modo per salvarsi, ma se non aveva trovato nulla nei dieci minuti precedenti era poco probabile che comparisse qualcosa in quel momento.
Sarebbe morto da eroe, almeno.
Lo psicopatico si alzò in piedi e sorrise con una tale cattiveria che Shisui prese in seria considerazione l’idea di seccarsi da solo: se veniva ammazzato da lui probabilmente il suo corpo non sarebbe stato nemmeno riconoscibile.
«Mi butt-»
«Fai quel cazzo che ti pare, Uchiha! Tanto non vai via di qui vivo» sempre fine, eh.
Certo che anche lui tirava tutto per le lunghe, eh!
«Eddai, Hie! Può capitare a tutti, non è la fine del mondo!» sbottò Shisui, che nella foga di esplicare il suo punto di vista si era dimenticato della paura di essere assassinato e di cadere nel vuoto e gesticolava ancora parecchio irritato.
Hidan smise di sorridere per assumere l’espressione più spaventosa che l’Uchiha gli avesse mai visto fare.
«A te capita troppo spesso, pezzo di deficiente, e non meriti di camminare più su questa terra» così dicendo si mosse vero Shisui, che impallidì.
«M-» i butto!
«Me ne sbatto! Tanto se cadi al massimo ti rompi un mignolo, idiota!»
Shisui sbatté le palpebre, sconcertato dalla noncuranza con cui si riferiva all’enorme altezza a cui si trovava.
Abbassò di nuovo lo sguardo e adocchiò con fare critico la distanza che c’era tra il tavolo, su cui si trovava lui, e il pavimento.
Lui soffriva di vertigini, anche salire su uno sgabello era problematico, ma quello che gli sfuggiva era che per le persone normali salire su un tavolo e minacciare di buttarsi di lì non era poi così eclatante.
«P-perciò se mi butto…?» chiese esitante.
«Non scappi, Uchiha. Ti ucciderò» sembrava la personificazione moderna dello spirito dei samurai del periodo Edo. Peccato che loro lo facevano per onore, Hidan per uno stupido…
«Lo avevo appena comprato, quel fottuto bagnoschiuma, e tu lo hai finito! Quanto cazzo ne usi, mh?!»
«Ma è solo un bagnoschiuma!» tentò di protestare: che diamine, neanche fosse stato alle violette dell’Uzbekistan!
A Hidan non parve piacere particolarmente quella drastica riduzione dell’importanza del suo adorato bagnoschiuma, che a detta di Shisui era relativamente poco interessante, visto che era solo al pino silvestre.
L’Hie si buttò letteralmente sull’Uchiha, che ebbe giusto il tempo di urlare un poco virile ‘la faccio finita!’ e poi tutto quello che sentì la vecchietta del piano di sopra, passando sfortunatamente di lì quel giorno, fu il rumore di mobilia schiantata.
Ora gli sarebbe toccato comprare anche un tavolo. Stupido Uchiha.



Neko no kubi ni suzu wo tsukero – mettere un campanellino attorno al collo di un gatto (fare qualcosa che è praticamente impossibile fare).


Ah, sì, sto scrivendo una raccolta, yes, è bellissimo, meraviglioso, una vera fortuna per l’umanità!:D
Saranno tutte oneshot scollegate, alcune più lunghe altre più corte, tutte ambientate nello stesso disgraziato universo delle tre oneshot che ho già postato su loro due: perché io li adoro insieme, mi fanno tenerezza XD
La melodrammaticità di Shisui è proverbiale, la poca pazienza di Hidan pure, insieme cosa possono essere ‘sti due idioti insieme? Amùr, sono totalmente amùr, giuro!XD
Il titolo è riferito sia al fatto che due personalità del genere non possono convivere con tanta semplicità e anche al fatto che io ero partita con tutte le mie buone intenzioni a scrivere le oneshot, ma non è detto che non mi arrenda a metà strada: lo faccio spesso, lo ammetto XD
Ah, il rating giallo è solo per il linguaggio colorito di Hidan, nulla di scabroso, solo che ogni tano qualche parolaccia scappa.
Bene, detto ciò andate tutti a comprare un bagnoschiuma alle violette dell’Uzbekistan *O*

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Capitolo 2
*** Antenati, ragni e narcisisti ***


2. Antenati, ragni e narcisisti




Hidan se ne stava mollemente sdraiato sul divano, assaporando a pieno il totale silenzio che pervadeva l’intera casa. La causa stava nell’improvvisa necessità che aveva sentito l’Uchiha di andare a lavarsi, portandosi dietro la sua mole rumorosa. Necessità che poi lui stesso trovava poco fondata: perché doveva lavarsi, mica puzzava. Gli sfuggiva proprio e Hidan, in uno slancio di spassionato amore per il mondo in cui viveva, fu felice come non mai che il pensiero di Shisui non fosse in qualche modo comune.
Sentire lo scroscio dell’acqua era musica per le sue orecchie, ma piuttosto che sentire la voce di quell’ameba perfino un martello pneumatico sarebbe stato l’ideale.
Sarebbe stato troppo da parte sua chiedere che si lavasse in eterno? Era pronto a sacrificare l’intera scorta d’acqua mondiale – alla faccia del precedente slancio d’amore per il mondo. Restava sempre dell’opinione che la soppressione fosse migliore, ma nell’infattibilità di questa cercava altre soluzioni.
Hidan era già pronto a proclamare quella una delle giornate più belle che gli fossero mai capitate da quando aveva sputato in un occhio al suo ex capo – quello che lo aveva licenziato dal callcenter, cosa per cui avrebbe serbato rancore eterno – quando smise di sentire l’acqua scorrere.
Jashin, ti prego, dimmi che sono diventato sordo. Era perfino preferibile quello alla possibilità che avesse già finito di lavarsi. Ci aveva messo solo un’ora! Di solito ci metteva anche una mezz’oretta in più e la cosa scandalosa era che non gli venivano le mani rugose come quelle delle persone normali quando stavano troppo sotto l’acqua.
Quello avvallava solo la sua teoria sul fatto che fosse umano più o meno come lo era Bem il mostro umano e, visto che Hidan non era per la protezione di animali o alieni in via d’estinzione, potevano benissimo sopprimerlo.
Tirò un po’ su la testa dal divano, ma ebbe come risultato solo quello di apprendere per certo che lui non era diventato prematuramente sordo e che l’idiota aveva davvero finito.
Neanche stare sotto la doccia per mesi era in grado di fare, che essere inutile.
Stava anche fischiettando, un sibilo sconnesso e instabile che riproduceva una melodia incomprensibile. Beh, per Shisui era Jingle Bells, per i comuni mortali una nenia funebre.
Era insopportabile, una considerazione che Hidan si sentiva di fare senza scendere negli insulti scurrili.
Non poteva strozzarsi con la sua stessa saliva, inciampare nel bidè, finire di faccia nel cesso, morire semplicemente?
«Jashin» ringhiò a denti stretti.
Tutto di quel ragazzo gli dava fastidio, perfino quel mezzo fischiettio che sentiva a malapena, perché, diciamoci la verità, la porta era anche chiusa, perciò a lui giungeva davvero basso. Però era Shisui a farlo, bastava e avanzava a fargli odiare anche uno starnuto o un sospiro.
Neanche avesse ricevuto telepaticamente le imprecazioni dell’Hie, l’Uchiha smise improvvisamente di produrre quella specie di fischio, che sembrava quello di una teiera davvero molto depressa.
In verità, dal bagno non si sentiva più nessun rumore, cosa che, per quanto gradita, ad Hidan parve un po’ anomala. Shisui era rumoroso sempre, anche quando si prefissava lui stesso di non esserlo. Lo si poteva dare per morto solo quando smetteva di fare anche il più piccolo dei suoni.
… se era morto dava una festa e invitava anche la vecchietta di sopra.
«Ah!» fu quel che giunse improvvisamente dal bagno. Magari aveva preso lo spigolo del mobiletto con il mignolo.
Non era ancora morto, ma le speranze non erano del tutto perse: magari era caduto, aveva sbattuto la testa e ora stava morendo dissanguato. Sicuramente Hidan aveva una fervida immaginazione: perché invece di studiare psicologia non si dava al cinema? Avrebbe avuto una o due idee per un paio di drama niente male…
Mentre l’Hie pontificava sulla sua nuova carriera da novello Spielberg, l’altro elemento sano di mente in bagno non sembrava poi tanto sano di mente.
«Chi sei?»
Tua nonna, fu la prima cosa che pensò Hidan. Poi ci ripensò. Cosa stava dicendo?
Adesso parlava anche da solo? Ah, no, poteva anche accettare che fosse un po’ storto di suo, ma se iniziava anche a vedere i fantasmi lo cacciava. Non che avesse paura di quel genere di cose, sia chiaro. In fondo venerava il suo adorato – e perlopiù sconosciuto – Jashin, l’occulto non gli creava problemi.
«Non ti avevo mai visto da queste parti. Cioè, qui, in bagno» ah, meglio specificare, intelligente il ragazzo per la sua età.
Era idiota anche se parlava con uno spirito o che diavolo c’era in bagno.
Poi, conoscendo quella perla di intelligenza, stava solo dialogando con un ragno, ma non era a quelle cose che pensava Hidan in un momento del genere.
«Mi sembra ti averti già visto però…»
Capito! Hidan ebbe un’illuminazione fulminante e si tirò di scatto a sedere. Quell’idiota doveva aver fatto qualcosa che aveva fatto arrabbiare uno dei suoi antenati che ora lo perseguitava.
Era tutto estremamente chiaro.
… o poteva benissimo solo essere un ragno in un angolo, nessuno lo negava, ma Hidan in un remoto anfratto della sua mente rimpiangeva il suo talento sprecato come regista o scrittore di successo.
Doveva far cessare quella faccenda prima che degenerasse e lo spirito si impossessasse di un corpo solido e facesse fuori tutti. Lui compreso, gli Uchiha non erano molto centrati e tendevano a esagerare, perciò sicuramente finiva invischiato in stupidaggini in cui, effettivamente, non c’entrava nulla.
A passo di marcia si diresse verso il bagno, proprio mentre la discussione a senso unico continuava: «Sei davvero… bello
Hidan si arrestò all’istante, non sapendo nemmeno lui se per il tono estasiato di Shisui o per quel che aveva detto.
Chi cazzo c’era in quel bagno?!
Lui era sempre principalmente portato a mantenere la calma e la concentrazione, soppesando bene le sue azioni. Infatti, in un modo o nell’altro, si può dire che soppesò il suo corpo addosso alla porta.
Si buttò letteralmente contro di essa per aprirla – eufemismo per sfondarla orribilmente –, minacciando di scardinarla e quel che trovò all’interno gli fece pregare di non averla mai aperta.
Ma sua madre lo sapeva di non avere un figlio sano di mente? Una domanda come un’altra che avrebbe posto a Hiada san una volta che l’avesse incontrata al konbini sotto casa, come chiederle che tempo faceva a casa sua – sicuramente c’era il sole, non ci abitava più Shisui.
Il suddetto Shisui, comunque, se ne stava in accappatoio piegato in due sul lavandino, che, per una ragione ai più sconosciuta, era riempito d’acqua quasi fino all’orlo.
Se mai fossero usciti da quella tragedia si sarebbe premurato di chiedergli perché cazzo sprecava acqua.
Tra l’altro, non sembrava essersi accorto dell’irruzione veramente poco silenziosa di Hidan, così preso da quel che stava facendo. Il naso sfiorava la superficie dell’acqua e, benché non fosse il momento di pensare ad una cosa del genere, l’Hie sperò ardentemente che si piegasse ancora un po’ fino a soffocarsi da solo.
«Io mi chiamo Shisui– che coincidenza, anche tu?» commentò sorpreso, e Hidan, che lo fissava con la bocca spalancata – un tic al labbro superiore, l’orrore che dilagava in lui –, fu soltanto in grado di frugarsi le tasche alla cieca, alla ricerca del cellulare. Non sapeva quanto poteva fare l’ambulanza per un soggetto del genere, ma almeno se ne occupava qualcuno che non era lui.
O magari erano meglio le pompe funebri?
«Come ho fatto a non incontrarti prima? Dove sei stato per tutto questo tempo?!» il tono disperato ci aggiungeva sicuramente molto pathos, ma la situazione in sé sminuiva le sue abilità.
«La pensiamo allo stesso modo su un sacco di cose!» commentò l’Uchiha esterrefatto e Hidan fece un atto di pura magnanimità verso quel deficiente.
Gli diede una spallata, a cui il ragazzo reagì con un ‘hey!’ particolarmente indignato, e poi gli prese la testa e lo premette nell’acqua. Gli ci volle un grande sforzo morale per ritirarlo su, visto che soffocarlo sarebbe stato discretamente più utile al genere umano. Di certo a farlo desistere non furono i lamenti soffocati di Shisui né il suo sgambettare da assatanato in procinto di soffocare. Quelli se mai erano segni che lo istigavano a farlo secco.
«Razza di deficiente!»
Infine, gli lasciò la testa e mentre Shisui lamentava la quasi morte che gli stava infliggendo a tradimento e un sacco di altre cose che Hidan smise fin dal principio di ascoltare, tolse il tappo al lavandino, così che l’acqua venne svuotata.
Shisui non resistette oltre. Dimentico del quasi soffocamento, il novello Narciso si mise alla ricerca del suo amato. Forse forse, da qualche parte, l’orgoglio maschile di Hidan si sentì giusto leggermente urtato da tutto l’amore che professava per un riflesso – di se stesso tra l’altro – ma aveva ancora abbastanza dignità per ignorare egregiamente la cosa.
«No! Cos’hai fatto! Shisui! Dove sei andato- Shisui!» si appese al bordo del lavandino e strisciò a terra.
«Lo hai ucciso! E se non torna? Non torna» commentò in un ritratto della disperazione.
«Idiota» commentò semplicemente Hidan, conscio che non c’era nulla da spartire con uno che parlava con il suo riflesso e se ne innamorava perdutamente. Uscì dal bagno e lo mollò per terra agonizzante.
Minacciò una morte atroce alla piccolissima voce nella sua testa che si faceva beffe di lui, con una cantilena di ‘preferisce il suo riflesso, ah-ah-ahah-ah!’.



Bem il mostro umano (Yokai ningen Bem) è sia un anime sia un manga sia un drama giapponese; non ho letto né il manga né visto l’anime, ma io mi sono innamorata della demenza del drama, perciò ve lo consiglio vivamente XD
Vi prego di prendere la stupidità di questo capitolo per quello che è: stupidità. Però mi sono divertita a scrivere la stupidità di Shisui innamorato di Shisui/riflesso XD e le paranoie idiote di Hidan **
Ahm, sorridete, il prossimo è ancora più demente di questo, ma ha tutta una sua storia dietro u__u”
Comunque, per il momento ho sei o sette capitoli pronti, scritti in un boom creativo – come è venuto se n’è pure andato -___- –, finiti quelli non so ogni quanto aggiornerò: sia dia il via alle scommesse cari XD
Ringrazio Hoel per averla messa tra le seguite!:D

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Capitolo 3
*** Summer paradise ***


3. Summer paradise





«Non ci credo.»
«Cosa?»
«Non. Ci. Credo. Punto.»
«A che cosa non. Credi. Punto. Idiota?»
«Non c’è davvero. Ma davvero davvero. Dove diavolo vivi, Hie?!»
«Cosa non c’è?»
«Dio, si muore qui dentro!»
«La smetti di dire stronzate?»
«Mh. Ok. No, dai, però non c’è davvero! Pazzo psicopatico!»
«Che cazzo–»
«Non c’è, non c’è, non c’è~ moriremo, facciamocene un ragione.»
«Che cosa non c’è, idiota?!»
«… il condizionatore, cos’altro vuoi che vada cercando con ‘sto caldo, la borsa dell’acqua calda? Giusto per informarti, Hie, non c’è nemmeno quella, ma–»
«Stai rompendo le palle da ore per quello?»
«Minuti, non ore e comunque sì, fa caldo qui dentro, moriremo di caldo, sì.»
«Apriti la finestra, Uchiha.»
«È già aperta e fa comunque caldo.»
«Soffiati sulle mani e sta’ zitto, anche parlare a vanvera fa venire caldo.»
«Poi mi si disidrata la bocca e si secca. Muoio di caldo comunque, che ne dici di comprare un condizionatore?»
«No.»
«Che?! Ma allora vuoi ucciderci davvero! È per questo che mi hai portato a vivere con te, come un gattino abbandonato…»
«Ti sei trasferito tu da solo, quello schifo di sera, io non ti ci volevo qui.»
«… avevi già programmato tutto, sapevi che d’estate avrebbe fatto caldo e sarei morto…»
«Affogati nell’acqua fredda, così risolviamo due problemi in una volta sola.»
«Bastardo!»
«Crepa.»
«Perché mi vuoi morto? Credevo mi amassi, compra il condizionatoreeeee!»
«No, è solo uno spreco di soldi, fra un po’ farà di nuovo freddo, non rompere.»
«Ma siamo solo a fine luglio! C’è ancora agosto, io non voglio morire ad agosto, sono nato a dicembre, perché cacchio dovrei morire ad agosto?!»
«Muori ora, che è luglio, deficiente.»
«Sei insensibile alle mie esigenze, se comprassi un condizionatore…»
«Romperesti le palle con qualcos’altro, Uchiha.»
«Non puoi saperlo, inizia con il comprare il condizionatore!»
«Non me ne faccio niente di un condizionatore, smettila di assillarmi!»
«Ma io me ne faccio qualcosa!»
«Questa però è casa mia, perciò decido io che cazzo comprare.»
«Ma viviamo insieme!»
«Uno dei grandi problemi mondiali, come la mancanza di acqua e tutte ‘ste stronzate.»
«Preferiresti vivere con uno come Kakuzu?»
«Lui non romperebbe le palle con il condizionatore, almeno!»
«Perché?»
«Soldi sprecati.»
«Senti, senti, io ho caldoooooo! Fa’ qualcosa, almeno un ventilatore è possibile averlo?»
«No.»
«Eh?! Ma sei un… un… mostro, morirò di caldo davvero!»
«Apri la porta, se hai tanto caldo, smettila di lamentarti con me!»

«Fatto, non cambia niente! Non fa nemmeno corrente con la finestra aperta e ho aperto tutte le finestre, anche quella del bagno, sempre uguale, sempre caaaaaldo!»
«Vai a farti un giro, trova una fontana e mettici la testa dentro senza respirare, quando senti che sei in procinto di crepare, crepa e non tornare!»
«Ci sono ben trentanove gradi e sei, mi ustionerei solo a mettere il naso fuori dal cancello, ho la pelle delicata io.»
«Allora affogati nella vasca, basta che crepi, non mi fa differenza dove. Sono pronto anche ad occultare il tuo cadavere.»
«… E se mi togliessi la maglia?»
«Fai quello che vuoi.»
«Mh, magari me la tolgo. Te la togli anche tu?»
«Perché?»
«Se la tolgo solo io mi sento solo!»
«Sei l’Uchiha più idiota che porta ‘sto schifo di cognome, lo sai?»
«Nah, solo perché io ho senso dell’umorismo e mimica facciale? Anticonformista ci sta di più! Allora, te la togli?»
«No.»
«Dai~!»
«No.»
«Eddai Hie!»
«Vaffanculo.»
«Ci penso io per te!»
«Sta’ fermo, idiota!»

«Non si sta meglio adesso?»
«Stavo bene anche prima, l’unico che rompeva le palle qui eri tu.»
«Se avessi comprato un condizionatore fin da subito… oh, tu sì che dovresti andare a prendere un po’ il sole, sei bianco come la morte!»
«Jashin non bada a queste cose.»
«Che albino del cacchio che sei, Hie!»
«Stai ingrassando, Uchiha.»
«Che?! Non dire idiozie, sono in perfetta forma, ho superato anche la prova costume!»
«Ti sta venendo la pancetta da alcolizzato.»
«Sono muscoli, to’, non la vedi la tartaruga? È qua, vedi?»
«Sì, la vedo che affoga nel tuo grasso. E quello a lato, sui fianchi cos’è, merda?»
«Sei solo geloso che non ho le ossa che spuntano da tutte le parti!»
«Spari una stronzata dopo l’altra, Uchiha, ne pensi almeno una su dieci?»
«Sì, penso che ho caldo! Mi tolgo anche i pantaloni! Li–»
«No.»
«Non ti facevo così pudico, Hie!»
«Vai a rompere le palle a qualcun altro.»
«Uffa, continuo ad avere caldo! Io soffro il caldo, preferisco la montagna, il freddo, il caldo mi fa star male!»
«Sì vede. Mentalmente parlando sei disturbato da far schifo.»
«Jashin non ti dice di comprare un condizionatore se hai caldo?»
«No, mi dice di ammazzare qualche infedele di merda e gioire del suo dolore, per non pensare al caldo.»
«… continuo a pensare che un condizionatore sia più efficace.»
«Solo perché sei un eretico di merda.»
«Ma tu non hai caldo, giusto?»
«Perché?»
«Perché non voglio essere il tuo scacciapensieri contro il caldo, ti ho già detto che non voglio morire in mesi caldi e poi… boh, condividiamo lo stesso letto, siamo sotto lo stesso cielo, perché dovresti volermi uccidere–»
«A Jashin fanno schifo gli idioti senza cervello, sei a posto tu.»
«Ah, ok, meno male… Ehi!»
«Appunto.»
«Compra un condizionatoreeeeee!»
«Smettila con ‘sta storia! Sta zitto!»
«Allora fammi aria!»
«Eh?»
«Fammi aria con qualcosa… to’, i miei appunti di economia sono perfetti, poco scritti così l’inchiostro non appesantisce la pagina e si sventolano meglio!»
«Non ti farò aria, fattela da solo, demente!»
«No, muoviti, grondo sudore come una fontana, ho caldo, sai che potrebbe prendermi un collasso? Mi vuoi sulla coscienza per non avermi fatto un po’ d’aria e per non avermi comprato un condizionatore? Oh, beh, poi compra anche la borsa dell’acqua calda o quando serve poi siamo nella merda come adesso…»
«Sparisci da vicino a me, non ti farò aria!»
«Daaaaai!»
«No!»
«Siamo nella stessa stanza, sullo stesso divano, a mezzo metro di distanza, non vedo perché tu debba essere così restio a salvarmi la vita!»
«E te lo chiedi anche?»

«Aaaaaaria, Hie, non me ne arriva, sventola!»
«Crepa.»
«Non così forte, mi becchi il naso, la carta taglia, sai? Ieri mi sono tagliato con la stagnola, meno male che stavo coprendo i pomodori che sono rossi, ma c’erano fiumi di sangue!»
«Ho mangiato i pomodori con il tuo sangue?»
«Sì, ma non è questo il punto, non fare lo schizzinoso!»
«Hai qualche malattia di cui non so nulla?»
«Mmh… no, mamma non mi ha detto niente di recente, perciò non credo. Sventola!»
«Tua mamma? Quanti anni hai, due?»
«Sventola e non rompere, mi tiene solo informato sulle mie condizioni di salute!»
«Questo spiega perché non sei ancora crepato da solo. E tua mamma per caso ti ha detto se la tua idiozia è fottutamente trasmissibile con il sangue?»
«Mh… no, non mi pare, ma anche tu stai messo bene di tuo, perciò idiozia più, idiozia meno… non te ne accorgeresti, Hie!»
«Bastardo!»
«Sventola, Hidan, sventola… ho detto sventola, fammi aria, non devi picchiarmi con gli appunti, che li rovini e poi non posso studiarli!»
«Ci sono venti fogli e ci sono quattro righe per foglio, hai il coraggio di chiamare ‘sta merda appunti?»
«Guarda che ho sudato sette camicie per prenderli, cinque preziosissimi minuti dedicato al riposo degli occhi delle due ore di lezione ho dovuto sacrificarli per scrivere queste inutilità…»
«Tu non sei normale.»
«Da che pulpito… Jashin sama… aspetta, com’era? Jashin sama, se l’esame va male ti sacrificherò il professore e gli assistenti… ma se va bene farò una piccola strage nel konbini sotto casa, va bene? Se va così così, invece… Ahia! Ti ho detto che la carta taglia!»
«Allora alza bene il collo che cerco la giugulare e ti ammazzo al primo colpo!»
«Stavo solo riportando la verità dei fatti! Non è che mi lasceresti il collo? E-eh? Basta che fai aria, non ti ho chiesto di più…»
«Idiota.»
«Sicuro di non voler comprare un condizionatore?»
«Sì!»
«Mh, ok. Ti faccio aria!»
«Eh?»
«Ti faccio aria! Tu fai aria a me, io la faccio a te.»
«A ‘sto punto non puoi farti tu aria per te e non rompi il cazzo a me?»
«Ma poi mi sento solo, come per la maglia… dammi dieci appunti!»
«Idiota.»
«To’, ora non si sta meglio?»
«È uguale a prima.»
«Era una domanda retorica! Comunque, tra tutti e due stiamo formando una corrente d’aria, perciò se continuiamo così formeremo un uragano e–»
«Sta. Zitto.»
«Oh, è passata la vecchietta del piano di sopra… sta spiando dentro, che faccio, la saluto?»
«Tirale una scarpa.»
«Hie! Un po’ di rispetto per gli anziani!»
«Beccala in testa.»
«Oh, l’ho salutata e… oh, cacchio, starà male? È scappata… dici che le è preso un infarto per il caldo?»
«Si spera…»
«Uffa… mi ha visto ed è scappata… ci ha visto ed è scappata… perché? Tu sai perché, Hidan?»
«Vedi un po’ tu, Uchiha… è una vecchia rincoglionita e ci ha visto mezzi nudi…»
«Eh? Oh… oh! Capito! To’, io te lo avevo detto che è meglio avere un po’ di pelle addosso oltre alle ossa!»
«Cosa stai dicendo?»
«Ti avrà visto pallido e smilzo come sei, con tutte le costole sporgenti e le sarà preso un colpo… avrà pensato che stavo rianimando un cadavere! Andrà a denunciarmi alla polizia? Eh?»
«Idiota.»


«Singing la da da da da…»
«Hai solo ‘sta stupida di canzone sul cellulare? Sono tre ore che la metti e rimetti, mi hai stancato!»
«Sì, solo questa, bellissima, ecco perché solo questa! E poi saranno venti minuti scarsi, non rompere… esageri sempre, anche per il condizionatore!»
«Inutile come te.»
«Tsk. Poi i Simple Plan non rompono mai, sono sempre perfetti…»
«Inquinamento acustico.»
«Vogliamo parlare di quello che ascolti tu?»
«No.»
«Ok, non parliamone!»
«Cosa vuol dire, poi, quello che dice il tizio tra una strofa e l’altra? Ha una scarpiera incastrata in gola?»
«Sean Paul, qualcosa del genere, mai ascoltato… ma i Simple Plan sono perfetti come al solito~!»
«Ne hai ancora per tanto?»
«Non so, il cellulare ha ancora l’ottantotto percento di resistenza, perciò…»
«Te lo butto giù dalla finestra! E poi butto anche te, così ti levi dai coglioni!»
«Visto? Visto visto visto?! Il tuo unico scopo è davvero uccidermi! Non ci sei riuscito facendomi morire di caldo e ora tenti con maniere meno discrete! Ma con il caldo ti ho battuto, sventerò qualsiasi tuo tentativo–»
«Non si è ancora sciolto il ghiaccio nelle mutande? Non ti ha gelato il culo?»
«Si è sciolto da mezz’ora, infatti sembra che me la sia fatta addosso, vedi?»
«Stammi lontano, idiota.»
«Singing la da da da da…»
«L’hai ascoltata trecento volte ed è l’unica parte che sai? Fai schifo.»
«Hie, vogliamo parlare delle tue performance canore sotto la doccia?»
«No.»
«Ok, non parliamone! E comunque so anche altri pezzi, ma questo è quello che mi è rimasto più impresso, ignorante di un Hie!»
«Perché non vai ad imprimerti contro un coltello?»
«Brutale come al solito, cos’hai mangiato stamattina a colazione, pane e acido muriatico?» «No, fette biscottate con la nutella e il latte.»
«Io sono intollerante a quella roba bianca che il marketing fa ancora passare per latte ma che probabilmente non ha visto una mucca nemmeno da lontano…»
«Non puoi spegnere ‘sta lagna adesso?»
«No, mi rilassa e non mi fa pensare al caldo! Pensare a un summer paradise non ti fa venire in mente il mare…»
«No.»
«Le palme mosse dal vento…»
«No, cazzo!»
«Tante belle hawaiane sulle spiaggia… no, questo ovviamente no, che ne dici di tanti me che sculettano al sole?»
«Non ho problemi mentali, come invece sembri averne tu, perciò no, razza di imbecille!»
«Ah… Oh, sono le quindici e quindici, esprimi un desiderio!»
«Perché dovrei? È una stronzata.»
«Ah, già, voi jashincosi, lì, quelli che esprimono desideri li usate come scaccia pensieri per cosa, per non pensare alla caghetta?»
«Vaffanculo. Jashin ti punirà per le tue parole eretiche da miscredente di–»
«Dai, esprimi il desiderio!»
«No!»
«Dai, che sono le quindici e quindici ancora per ventitré secondi, poi non lo sono più e non puoi più esprimere il desiderio!»
«Non credo a queste stupidaggini.»
«Undici secondi!»
«Non esprimerò nessuno stupido di desiderio!»
«Quindici e sedici, bravo, ti sei lasciato scappare la più grande occasione della tua vita!»
«Ucciderti? Posso farlo anche alle quindici e sedici, diciassette e diciotto se voglio.»
«Per colpa tua, Hie, mi sono dimenticato pure io di esprimere il mio desiderio!»
«Se sei idiota il problema è tuo. Qual era il tuo desiderio, un po’ di intelligenza?»
«No, un condizionatore, volevo che Babbo Natale me lo lanciasse giù dal camino.»
«Non è Natale e qui non c’è un camino.»
«Infatti sia Babbo Natale che il camino facevano parte del desiderio! Si vede proprio che non hai la mente aperta…»
«Se vuoi posso aprire il tuo cranio, almeno uno dei due è a posto…»
«Grazie, ma per questa volta passo. Oh, oh, ora viene il pezzo bello che so–»
«Se lo ricanti ti stacco le palle.»
«… non è poi tanto bello come pezzo, eh.»
«Lo sospettavo.»
«Quel pezzo, intendo, il resto sì! La la la la la... mh, mh, sì, quella roba lì…»
«Stai. Zitto. Non te lo chiederò di nuovo con le buone, chiaro?»
«And I’ll be there in a heartbeat… oh-oh!»
«Sei un fottuto…»
«Ma quando parla questo, davvero, non si capisce niente! La la la…»
«Uchiha! Ti uccido!»
«Sex on the beach! Oh, ehi, questo l’ho capito!»
«Solo perché sei un pervertito.»
«Solo perché ho capito sex on the beach? Magari io mi riferivo al drink, se tu mi dai del pervertito è perché tu hai pensato ad altro, perciò il pervertit–»
«Tappati quel cesso solo per cinque minuti!»
«Uffa, sei noioooooooso!»
«Detto da te è davvero offensivo, Uchiha, eh.»
«Mh, qual è il tuo summer paradise?»
«Cosa c’entra ora?»
«Per sapere! Fare conversazione!»
«Saranno due ore che ti dico di stare zitto e parli di fare conversazione? Ucciditi.»
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Il tuo paradiso estivo! Il mio è–»
«Non te l’ho chiesto.»
«Sì, sì, va bene, ma il mio è–»
«Non me ne frega niente!»
«Un condizionatore, Hieeeee! Capito? Non mi interessa dove, voglio un condizionatore!»
«Hai rotto con ‘sto condizionatore! Non lo comprerò, dacci un taglio!»
«Ma non posso tornarci in un attimo al mio paradiso estivo, se non ho un paradiso estivo!»
«Vaffanculo tu e il condizionatore!»
«E qual è il tuo summer paradise
«Dove non ci sei tu, o in extremis dove c’è il tuo cadavere martoriato e decomposto in centinaia di pezzi, con il tuo condizionatore distrutto di fianco, così siete crepati tutti e due e la smettete di ossessionarmi con stronzate che non voglio ascoltare!»
«… il caldo ti sta facendo impazzire. Hai iniziato ad usare il plurale, parlavi anche con condizionatore san? Forse è il momento di comprarlo! Vedi che sarebbe utile? Aaaaahhh checcosastaifacendonontiavvicinare! Scusa, scusa, non mi uccidere, sto zitto, giuro. Giuuuuuuro! Aaaaah! Il mio cellulare! No! Pazzo!»
«Ti avevo detto di smetterla.»
«Ma- ma- ma! Io lo avevo pagato! Tu lo hai gettato dalla finestra! Che problemi hai?!»
«Io nessuno, tu troppi, non c’è uguaglianza in questo mondo. Una doccia. Vado a farmi una doccia. E tu. Tu sta alla larga da me per le prossime settantadue ore.»
«Si prospettano essere quelle più calde…»
«UCHIHA!»
«Do-doccia, capito, tu vai…»
«Mh.»

«Che incivile, urlare così… il caldo gli dà davvero alla testa. Forse è andato a farsi una doccia per meditare, per cercare il suo summer paradise! Come per trovare il nirvana, si concentra e lo trova! E–»
«Ti sento, Uchiha! Sta’ zitto se non vuoi che venga a dissezionare il tuo cadavere e venda gli organi al mercato nero!»
«Credo che andrò a comprare un condizionatore. Mh! Singing la da da da da~…»



Partiamo dalle cose serie (?): come avrete notato non c’è una sola descrizione nemmeno a pagarla, è tutto dialogo e la cosa è, ovviamente, voluta. L’avevo scritta come oneshot a se stante, poi l’ho messa nella raccolta; non credo ne scriverò altre con questo metodo, ma quando mi è venuta in mente me la sono immaginata così, perciò tanto valeva scriverla… nulla di che, solo un tentativo :D
Possiamo passare alle cose dementi.
Ah, questa è un tripudio di demenza, ne sono consapevole: sappiate che non l’ho scritta senza una fonte reale a cui ispirarmi – sì, la cosa dovrebbe angosciarvi, io lo sono XD
Comunque, l’estate è calda, Shisui non regge il caldo e Hidan non regge Shisui in qualsiasi periodo dell’anno. Cosa poteva venirne fuori se Hidan non compra un condizionatore? Ecco la risposta u-u
La canzone è quella dei Simple Plan – potevano mancare? –, io la adoro, strano a dirsi visto che per un sacco di tempo è stata la mia sveglia XD Passatemi il la da da da da, suvvia, è una licenza poetica!*non ci credo nemmeno io, ma dettagli*
E Shisui che si taglia con la stagnola... beh... come potevo lasciare che un mio memorabile incidente idiota andasse dimenticato, bisogna tramandarlo ai posteri – c'erano davvero fiumi di sangue, I swear u///u
Tra l’altro sono quasi certa che tutti ora stanno immaginando tanti Shisui sculettanti al sole è inutile negarlo!u__u … non lo state immaginando? Immaginatelo allora, non sapete cosa vi perdete!XD
Ringrazio Hoel per aver recensito (anche qui la nonnetta ha fatto la sua entrata in scena, non manca mai, anche se ha rischiato la morte poveretta XD) e chiunque abbia letto (:
Bye!

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Capitolo 4
*** Vane speranze ***


4. Vane speranze




Non era la prima volta che Shisui finiva in ospedale per un motivo o per un altro, ormai ci aveva fatto l’abitudine lui quanto la madre, che a buona ragione non si fiondava più dal figlio ogniqualvolta scopriva che si era rotto qualcosa facendo qualcosa di stupido. Suvvia, non era morto in ventidue anni di disastrose cadute, perché smettere di stendere il bucato per l’ennesima distorsione barra frattura barra contusione? Non che lo facesse apposta ad ammazzarsi ad ogni angolo di mondo, diciamo che faceva poco caso ai pericoli a cui andava incontro quando aveva qualcosa di più furbo a cui prestare attenzione.
Perciò Hiada san non sarebbe venuta a trovarlo prima che il bucato non fosse stato steso tutto con cura.
Il padre lavorava, di certo non aveva tempo da perdere con il figlio più rimbambito che i geni suoi e di sua moglie avevano concepito; Itachi aveva detto che sarebbe passato quando avrebbe avuto tempo, il che poteva anche voler dire che si sarebbe presentato tra un mese, ritrovandosi oltremodo stranito nello scoprire che nessuno Uchiha Shisui era più ricoverato. O forse ce lo trovava di nuovo, ma in quel caso si era distrutto un braccio tentando di prendere una coccinella dall’altro lato del vetro di un autobus in corsa. Un esempio a caso, eh.
Sasuke gli aveva chiaramente detto che l’unica volta che sarebbe giunto al suo, testuale, lurido capezzale sarebbe stato al suo funerale. E solo per ridere alla faccia della sua salma muta, perché non sarebbe stato capace, Sasuke, di sorridere a Shisui se questo non fosse stato morto o in procinto di passare a miglior vita.
E perciò se ne stava solo soletto, il povero Uchiha, in quella camera d’ospedale asettica e bianca, come venivano descritte tutte le stanze d’ospedale in qualsiasi libro di bassa categoria. Suvvia, poi la sua non era nemmeno bianca, aveva le pareti gialline… forse per l’umidità, ma comunque non erano bianche.
Fatto stava che, anche se al momento era solo, con il suo piede ingessato e dolorante, gli antidolorifici che facevano effetto come l’acqua di rose per il bruciore di stomaco, Shisui non contava più sulla presenza dei famigliari stretti a fargli visita. Erano obsoleti, non sarebbero venuti, era cosa vecchia vederlo sdraiato in un letto sorridente e con un po’ di gesso addosso. Lui sapeva che Hidan, però, di certo, non avrebbe mancato di fargli una visita dopo il suo delirante messaggio in cui gli spiegava freneticamente, e in tono parecchio drammatico, che era stato brutalmente investito mentre si dava ad una frenetica e sana corsa, per tentare di raggiungere in fretta lo stand che vendeva takoyaki dall’altro lato della strada. Il messaggio diceva proprio investito, ma la verità era che, oltre a non aver tenuto conto di cose banali come le strisce pedonali e i semafori, Shisui si era lanciato di corsa in mezzo alla strada ed era stato preso in pieno da una bici mentre raggiungeva il marciapiede. Ironia della sorte.
Aveva così finito col rompersi il piede, ma aveva preferito ingigantire le cose con Hidapyon, giusto per tenerlo un po’ sulle spine. Si poteva già immaginare la scena, in pieno shoujo farlocco, in cui lui riceveva il messaggio a lezione e balzava in piedi, buttando all’aria gli appunti, i vicini e il professore: doveva correre dal suo Shisui! E di corsa sarebbe giunto fino da lui, con il fiatone, i capelli sparati in aria, il timore che gli chiudeva lo stomaco, l’ansia di non essere arrivato in tempo…
Si era rotto un piede, vero, ma potevano esserci complicazioni, una febbre improvvisa dovuta allo shock che gli bruciava i neuroni e lo metteva in pericolo seriamente. Ah, certo che aveva talento in quelle cose, magari poteva disegnare un manga anche lui.
Comunque, Hidan sarebbe venuto per lui, ne era certo.
Ed infatti un secondo dopo quell’ennesimo pensiero più che convinto, alle sue orecchie giunse un bussare non esattamente delicato. Chi poteva essere, se non Hidan, a buttare quasi giù la porta nel solo tentativo di manifestare la sua presenza?
Shisui, nemmeno si trovasse davvero in uno di quei famosi manga shoujo ad alto contenuto di suspense, vide la porta aprirsi con una lentezza davvero insostenibile, ma magari era solo l’effetto di tutti gli antidolorifici che si era preso perché, non sentendo nessun effetto dieci secondi dopo aver preso la prima dose, aveva bellamente dedotto che non funzionava, meglio aumentare il dosaggio.
Quando vide la chioma argentea comparire per prima si lasciò andare ad un sorriso soddisfatto, perché lui lo sapeva che Hidan sarebbe venuto a vedere come stava, preoccupato e ansioso di sapere quanto male era messo.
Era esattamente da Hidan preoccuparsi per qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era Shisui Uchiha, era una cosa nota a tutti.
Una cosa ovvia.
Con la chioma grigia dell’Hie, poi, giusto per confermare la bella visione che Shisui si era ricamato in testa, comparve anche una piccola pianta. Non aveva fiori e le foglie sembravano più in procinto di morte di un cadavere, tuttavia era senza dubbio una splendida pianta in vaso con quelle che erano altrettanto ovviamente delle radici. Attorno al vaso, almeno, era annodato un fiocco. Una cosa bella ne annullava una cattiva, no? Quella filosofia di vita, al momento, non gli suonava troppo convincente.
Dal volto di Shisui scomparve il suo radioso sorriso e comparve un’espressione particolarmente scandalizzata, con tanto di tic al sopracciglio. Nello stesso momento comparve anche la faccia di Hidan, che aveva il suo solito ghigno divertito e compiaciuto.
«Yo, Uchiha. Scusa per il ritardo, sono passato a prenderti questa, ma ci ho messo più del dovuto perché il proprietario era un vecchiaccio rompiscatole con due piedi nella fossa che non era in grado di stare zitto!» commentò serafico, con una punta di stizza al ricordo dei terribili momenti passati in quel negozio. Intanto Shisui non aveva nemmeno la forza di emettere un suono, del nonnetto non gli importava granché.
Hidan si avvicinò a lui e l’Uchiha tentò di ritrarsi da quello che sicuramente era un segno di buon augurio piuttosto ambiguo.
«Rimettiti presto, eh, idiota!» così dicendo poggiò il vaso sul comodino, giusto forse con un po’ troppa forza: il sorriso che regalò al coinquilino – un ghigno satanico per i più esperti – per i seguenti venti minuti costituì la peggior esperienza che Shisui avesse mai vissuto in vita sua.
L’Uchiha era inorridito.
Perché, com’era? Hidan sarebbe corso con le lacrime agli occhi per accertarsi delle sue condizioni… certo.


* Secondo le superstizioni giapponesi, porta particolarmente sfortuna regalare una pianta in vaso, con le radici, a qualcuno che si trova in ospedale, perché simboleggia che il malato soggiornerà a lungo lì.

Ah, lo so, questa non è particolarmente avvincente, ma è legata a quella che viene dopo… sì, so anche che questa non è una giustificazione, ma per leggere l’altra è utile leggere questa! No, nemmeno, solo che io ho immaginato la cosa da tutte e due i punti di vista, perciò la prossima sarà completely su Hidan!*O* Cioia, io sono cioia allo stato pure, mi emoziono con poco ultimamente (è un puro esempio il fatto volevo piangere dalla felicità dieci minuti fa quando ho finito un ventiseiesimo della mia tesina *O* Sono disperata, di questo passo non la finirò mai .___.)
Uh, questa è corta e idiota, la prossima è leggermente più lunga, ma rimane fessa all’ennesima potenza lo stesso \**/
Ok, oggi sono bipolare, credo che andrò ad annegarmi nell’estathè.
E attenzione alle piante in vaso!°,°
Ringrazio dal profondo del mio cuoricino Hoel per le bellissime recensioni <3
Bye!

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Capitolo 5
*** Vecchi centenari e piante regalo ***


5. Vecchi centenari e piante regalo




Ah-ah, sì, la gente che uccide è cattiva, gli assassini sono deviati mentali, ok, il loro cervello non funziona a dovere, certo, delirio di onnipotenza, ah-ah, complessi, un po’ di questo, un po’ di quello, tanta cattiveria, blablabla…
Questo era, in sostanza, il brillante modo in cui Hidan riassunse nella sua mente la lezione corrente e si prese anche la libertà di non prendere uno straccio di appunto.
L’Hie sbadigliò sonoramente, incurante del fatto che fosse in una classe, in mezzo alla gente e ci fosse addirittura una professoressa che tentava di fare il lavoro che era qualificata a fare. Beh, su quell’ultimo punto Hidan aveva giusto una o due cose da ridire, visto che non ci voleva un genio per intuire le banalità che la tizia là davanti stava spiattellando da mezz’ora se non di più. Il massimo che stava facendo era aggiungerci qualche vocabolo forbito, inutile e incomprensibile tra una parola e l’altra – pragmatico? Psico-estetico? Almanaccare? Se le studiava la sera le parole strane da dire il giorno dopo?
Beh, tanto aveva deciso che si trovava lì solo per fare presenza, c’era il libro per studiare e quello che diceva l’intellettuale mancata alla cattedra era un’accozzaglia di parole incomprensibili, inutile trascriverle.
La si poteva vedere anche come una scusa come un’altra per non prendere appunti, ma dettagli.
Uh, ancora mezz’ora di quella tortura…
A distrarlo da quell’inferno fatto di parole impossibili dette con una voce estremamente nasale, fu la tipica vibrazione malaticcia del suo cellulare, che oltre a dirgli che gli era arrivato un messaggio gli faceva anche presente che forse era ora che cambiasse telefono. La vibrazione partiva piuttosto normale e si protendeva più del dovuto finché non si affievoliva come se la batteria stesse per morire da un momento all’altro e poi terminava. Inutile parlare del suono, quello ormai era fuori dalla portata di quel catorcio.
Di chi poteva essere la colpa della disastrata condizione del suo cellulare? Shisui Uchiha poteva essere usato come accompagnamento per tutto, dalla carne bianca a qualsiasi disgrazia che colpiva Hidan. Ma quella era un’altra storia.
E chi poteva essere ad infastidirlo in quel momento? Poteva essere o Shisui o sua madre o Shisui. Andando per esclusione era proprio Shisui, incredibile ma vero.
Hidan alzò gli occhi al cielo e fu vagamente tentato di ignorare il messaggio, ma era una buona distrazione alla situazione attuale. In più, rimase particolarmente perplesso quando, nel tentativo di aprirlo, il suo cellulare ci mise più del dovuto a caricarlo.
Era un messaggio di sette pagine, quell’imbecille gli aveva scritto sette pagine di idiozie - anche senza leggerle aveva imparato a non aspettarsi nulla di furbo da Shisui.
Testualmente, il messaggio era:


Yo, Hiechan! Sono in ospedale, tu non puoi immaginare cosa è successo! Sono stato investito! Brutalmente asfaltato, capisci? Sono vivo per miracolo, mi avevano già dato per morto, ho visto la luce e anche una vecchietta che tentava di farsi abbassare il prezzo delle zucchine al mercato! No, aspetta, quello è successo davvero… no, ma ehi!, anche la luce era vera, però io non l’ho seguita, se no non potevo mangiare i takoyaki! Ah, sì! È per quello che stavo correndo, c’era uno stand di takoyaki! Ma tu comunque non puoi immaginare, c’era sangue dappertutto, probabilmente mi ci vorrà un bel po’ per rimettermi, le mie ossa non saranno più le stesse dopo quest’esperienza… Credo che mi ci vorrà anche uno psicologo per le esperienze premorte, magari può aiutare… Oh! E po--- testo mancante.




Ah, erano sette pagine perché era troppo lungo per arrivare tutto.
Per i primi cinque minuti l’unica cosa a cui pensò Hidan fu il fatto che presto l’altra parte del messaggio gli avrebbe intasato il cellulare. Poi, quando ebbe concluso che spegnerlo avrebbe risolto il problema, passò a concentrarsi su quanto vi era scritto all’interno.
Il demente era all’ospedale? Se scriveva così tante idiozie voleva dire che stava fin troppo bene, perciò il massimo che si sentiva di fare lì per lì era andare a cercare chi lo aveva asfaltato e picchiarlo, perché non aveva fatto neanche un buon lavoro.
Comunque, bastò pensarci un attimo di più per soffermarsi maggiormente su quel ‘era in ospedale’. Oh, in ospedale! Ma davvero! Una cosa anomala, sicuramente fuori dagli schemi di quell’idiota che in ospedale aveva quasi una seconda residenza legalizzata.
E in un attimo gli balenò in mente un’idea abbastanza allettante, utile sia per uscire da quell’aula con una scusa decente, sia per farlo esaltare a dismisura. Era da quando aveva scoperto l’esistenza di un essere buono e giusto come Jashin che non era così emozionato, meglio cogliere l’occasione al balzo.
Con gesti veloci e sicuri in un attimo mise il portapenne e il quaderno – ancora chiuso – nella tracolla e balzò in piedi, facendo letteralmente squittire dalla paura la ragazza seduta di fianco a lui. Gli altri si limitarono a guardarlo sconcertati, mentre la professoressa ammutoliva e passava dall’incuriosito all’irritato: stava disturbando la sua lezione, che diamine!
Hidan si diresse verso l’uscita con un ghigno per nulla rassicurante e prima di uscire degnò anche di attenzione quella povera donna che balbettava cose sconnesse come: «Lei! Cosa sta… le sto parlando… mi scusi, lei! La lezione…»
«Continui pure senza di me, credo di poterci arrivare da solo a quanto gli assassini siano cattivi e deviati di mente senza prendere appunti come i leccaculo qui dentro» e uscì dalla porta. Poi rimise la testa dentro giusto per aggiungere: «Arrivederci» era una persona educata, lui.
Ora, come minimo, lo avrebbe utilizzato come esempio per la classe di tipico ragazzo con qualche disturbo da stress e futuro delinquente assassino. Giusto poi perché non era assolutamente un donna che guardava il lato esteriore come biglietto da visita, assolutamente no, avrebbe specificato che i capelli del giovane erano sicuramente un indizio sulla sua indole malata.
Ma a Hidan, al momento, di quella donna non gliele poteva importare di meno, visto che era troppo felice anche per essere depresso dalla possibilità di essere bocciato all’esame di quella vecchiaccia.
Era sicuramente una bella giornata, non c’era dubbio.
Uscito dall’edificio prese a camminare, avendo ben chiaro in mente il luogo che voleva raggiungere. Era stata un’idea fulminante quella di prima e mai come quel giorno se n’era presentata un’altra bella come quella.
Era troppo intelligente e quello era solo un segno del fatto che anche la presenza di Shisui non poteva instupidirlo a sua volta.
Una soddisfazione pure quella.
Era tanto compiaciuto da se stesso che guardò anche i semafori per evitare di venire ucciso prima di aver portato a termine la sua brillante missione divina.
Finalmente giunse alla sua meta. Ah. Soddisfazione.
Quando aprì la porta del negozio di piante e fiori a cui si era diretto, si produsse un certo scampanellio che Hidan sopportò a malapena, ma si trattenne dell’allungare una mano e strappare quell’aggeggio di satana solo perché era una giornata troppo bella per piantare casini a destra e a manca.
La sua dignità, comunque, ci teneva a specificare che in quel posto così… colorato, lui non ci aveva mai messo piede, ma ci passava davanti quando andava all’università. Tutto quel… colore, appunto, glielo aveva stampato in testa, nulla di più.
Si disse che forse stava impazzendo un pochino, visti i ragionamenti che faceva, ma si convinse che era solo un modo per ingannare il tempo in attesa che qualcuno comparisse, oltre a lanciargli dietro dei «solo un attimo! Arrivo! Un secondo solo, eh!» gridati; a quel punto sembravano voler dire piuttosto «solo un attimo! Vado ad Akihabara a piedi e torno! Un secolo solo, eh!».
Poi finalmente giunse. Un nonnetto, giunse proprio lui, con un bastone, cento anni ad un piede, ottocentonovantasei all’altro e la probabilità di campare per altri settecentottantotto alla sciatica. Era evidente che la longevità in Giappone era aumentata.
«Oh, figliolo, dimmi pure! Cosa ti serve?» era l’allegria fatta persona e Hidan non vedeva proprio il motivo per tutta quella felicità. Beh, fino a due minuti prima era stato anche lui così, ma lui aveva Shisui all’ospedale che lo attendeva, suvvia.
Motivazione moralmente discutibile, ma dettagli. «Una pianta» disse semplicemente Hidan, che lo osservava con sguardo tipicamente scettico, un sopracciglio alzato e mezzo steso sul bancone, intento ad osservarlo.
In verità l’Hie temeva che gli schiattasse da un momento all’altro, ma il nonnetto sapeva il fatto suo.
«Ooooh, allora voi giovani ve li fate ancora questi regali, eh! È per la tua ragazza, vero?» chiese, con un tono allusivo che fece inquietare Hidan non poco. Da dove diavolo usciva fuori quello lì?
«No» ribatté Hidan; se fosse stata una persona in età decente l’avrebbe insultata a dovere, ma aveva ancora abbastanza rispetto per gli anziani da evitare scene del genere. Poi continuava ad avere il sospetto che un parola di troppo e sarebbe collassato, ma Hidan le sue paranoie se le tenne per sé.
«Ah ah, certo» lo stava… assecondando?
Il vecchio, notando che Hidan non sembrava intenzionato a dire null’altro, si affrettò ad aggiungere: «E che pianta vorresti?»
Fosse stato per Hidan, gli avrebbe chiesto una palma in vaso, di quelle enormi, giusto perché in quel caso le radici sarebbero state altrettanto grandi e Shisui sarebbe crepato prima, ma temeva che sarebbe schiattato prima il nonnetto a prenderla, perciò si limitò a qualcosa di più modico.
«Una piantina in vaso, non molto grande» e vide l’anziano puntare ad uno scaffale in cui c’erano effettivamente delle piante non molto grandi né troppo care: lui era partito ben intenzionato a dare il suo personale buon augurio di pronta guarigione a Shisui, ma non aveva fatto troppo caso al fatto che il suo portafoglio non fosse esattamente stracolmo di soldi.
«Capito, capito, ragazzo. Certo, però, se è per la tua ragazza non ci starebbe meglio un bel mazzo di fiori?» aggiunse celere il nonnetto, tornando alla carica; probabilmente era anche conscio di star irritando Hidan, ma la cosa doveva divertirlo parecchio.
«Va bene la pianta» disse tra i denti, iniziando a credere che farlo fuori sarebbe anche passato come una cosa inosservata; era vecchio, suvvia, un infarto triplo ed era andato al creatore, mica c’era bisogno di andare a pensare che Hidan Hie gli aveva fatto ‘buh!’ facendolo morire di crepacuore.
Se sua madre lo avesse sentito parlare così di un vecchio lo avrebbe ucciso brutalmente, ma fortunatamente sua madre non c’era.
«Sicuro sicuro? Suvvia, figliolo, alle ragazze piacciono i fiori! Io alla mia bella Miyabi ho regalato fiori ad ogni suo compleanno ed è sempre stata felice!»
Benché la storia fosse tutto fuorché d’interesse per Hidan, quest’ultimo diede inconsciamente per scontato che la moglie fosse morta.
«Non si è mai dimenticato un singolo anno, il mio Hiroto» disse una voce femminile piuttosto anziana proveniente da dietro di lui. Hidan fece letteralmente un salto in avanti quando la sentì, non aspettandosela minimamente.
E lui pensava di far morire di crepacuore il nonnetto con un ‘buh’? Era già tanto se usciva lui vivo di lì.
Comunque, la vecchietta che era l’evidente moglie del vecchietto, gli sorrise allegra e scomparì dietro una porta alle spalle del nonnetto.
Quella doveva essere come minimo la famiglia più longeva del Giappone, o non si spiegava come mai entrambi dimostrassero i loro tremila anni tranquilli e stessero meglio di Shisui quando prendeva il raffreddore e lamentava acciacchi anche alle chiappe.
«Voglio la pianta» disse ad un tratto, tentando di mantenere un po’ di controllo in quella situazione; il tono doveva uscire con una buona dose d’arroganza, ma la contentezza del vecchio sembrava lenire qualsiasi iniziativa di Hidan.
Tutta colpa di Shisui, comunque. Perché l’idea di andare a comprargli una pianta con le radici era sua, certo, ma era lui che se l’era tirata addosso, visto che era finito in ospedale con rotto solo lui sapeva quale osso.
«Va bene, figliolo, la pianta, ho capito. Credi che la tua ragazza la apprezzerà?» chiese serafico, avvallando l’ipotesi di Hidan per cui il tal Hiroto se la stesse davvero spassando alla grande, vedendolo così irritato.
«È per un ragazzo» sbottò, sperando che il vecchio intuisse da che lato stava e la smettesse con l’ipotetica ragazza che non aveva. Ok, Shisui ogni tanto sembrava un po’ Shisuiko, ma era un maschio, sulla carta d’identità c’era una m maiuscola a contrassegnarlo. L’Hie ci avrebbe volentieri messo la d di deficiente, ma non era legalmente possibile a quanto pareva.
«Oh!» disse semplicemente e scoppiò in una di quelle tipiche risate da vecchio che faceva capire che ne sapeva fin troppo. Hidan aveva sperato si rivelasse un di quei nonnetti stile vecchia scuola che i gay li vedevano come satana in terra, ma era chiaro che nei suoi ottocentonovantacinque anni di vita aveva fatto anche la sua fase da figlio dei fiori e ora non c’era più niente che potesse scandalizzarlo a dovere.
«Voi giovani d’oggi non apprezzate le cose belle, che dispiacere, un bel mazzo di fiori sarebbe stato l’ideale» commentò scuotendo la testa e finalmente adocchiando seriamente quel santissimo scaffale su cui si trovava la santissima pianta. Se continuavano così, Shisui faceva in tempo ad uscire ed entrare in ospedale altre sedici volte e la pianta ad appassire.
«Già, quanto viene ‘st’affare?» chiese spicciolo, volenteroso come non mai di andarsene. Era pronto anche a pagare con gli scontrini della caffetteria.
«Oh, ma aspetta, aspetta! Te la devo impacchettare? È un regalo? Compleanno magari?» E che cos’era, un interrogatorio?
«Niente compleanno, è solo un regalo, va benissimo anche così» borbottò, certo che non sarebbe mai più tornato in quel posto. Oltre a troppi… colori, sì, c’era anche un proprietario che non aveva aggettivi esatti per essere descritto. Non c’erano aggettivi gentili da utilizzare, sarebbe stato meglio specificare, perché Hidan aveva già pronti in mente uno o due termini abbastanza scurrili per nominarlo.
«Sei un tipo romantico, allora, eh?» no, non c’erano dubbi, il vecchiaccio lo faceva apposta a torturarlo in quel modo, perché parve ridere ancora più di gusto quando vide le narici di Hidan fremere, il labbro superiore arricciarsi irritato, le sopracciglia scattare in alto e una vena sulla tempia farsi sempre più visibile. Doveva aver intuito che genere di persona era Hidan, facilmente irritabile e con poca pazienza, ma aveva anche capito che aveva abbastanza rispetto per i vecchi da non appenderlo al primo gancio che trovava. Era anziano, suvvia, perché non poteva prendersela anche lui qualche piccola libertà, divertendosi un po’? Era da un sacco che non veniva gente interessante in quel negozio.
Hidan, comunque, era al limite della sopportazione: «Non sono romantico, vecchio, chiaro? Ora dimmi quanto costa quella roba verde e chiudiamola qui» probabilmente il secondo nome di Hidan era gentilezza. O garbo. O gentilezza e garbo, ma era un dettaglio sconosciuto ai più.
«Oh, certo, certo, vediamo…» e con la stessa aria di chi asseconda un pazzo fuori di testa uscì da dietro al bancone ed aggirò Hidan, fino ad arrivare allo scaffale.
Prese la pianta e la poggiò delicatamente sul bancone. Poi guardò Hidan.
«Niente fiocco, figliolo? Sei sicuro? Un bel regalo, suvvia!»
L’Hie poggiò con poca grazia le mani sul bancone e si sporse fino al povero Hiroto, che non si tirò indietro, ma lo fissò sorridendo.
«Quanto costa» non era una domanda, ma un’affermazione che chiedeva una risposta celere. Nella Grammatica di Hidan si trovava nel paragrafo quattro dell’unità otto: ‘modi gentili per dialogare gentilmente con la gente’, Garbati&Gentili editore.
«Magari il tuo amico ci rimane male se non gli metti un bel fiocchetto!»
Hidan convenne che era chiaro che il vecchietto che non aveva paura di morire, o non lo avrebbe sfidato così apertamente.
In verità, Hiroto semplicemente sapeva che Hidan non sarebbe andato al di là di un tono poco gentile, il ragazzo era un libro aperto per lui. Si poteva dire che lo conosceva meglio di quanto si poteva immaginare.
«Devo portarla a quell’idiota di Shisui in ospedale, non credo che un… fiocco possa essere particolarmente apprezzato. L’idea è quella di non farcelo uscire più di lì, sono stato chiaro?» sbottò e si stava davvero sforzando di non mettere parolacce, cosa difficile, visto che stava parlando a raffica.
Poi perché ci aveva messo di mezzo anche Shisui? Tutta colpa sua, se non fosse stato l’idiota che era lui non sarebbe andato a prendergli una pianta da un fioraio per portargliela e non avrebbe incontrato una piaga come quel nonnetto. Ecco, erano due rompiscatole fin troppo simili, potevano benissimo essere parenti legati dall’essere entrambi noiosi, pedanti e poco furbi. Poco furbi perché non poteva appellare il vecchio in maniera più indecorosa, non era rispettoso. E dannato il suo rispetto per i vecchi che gli impediva di insultarlo come il suo cervello gli chiedeva di fare da venti minuti.
«In ospedale, ragazzo? E perché mai dovresti portare una pianta ad un giovanotto in ospedale? Ha le radici, porta male!» disse con tono sorpreso e incuriosito, ma non sconvolto come si aspettava Hidan, dopo aver realizzato che lo aveva messo al corrente dei suoi personali piani di buon augurio.
Era chiaro che non era uno di quelli che credevano nella superstizione.
«Se lo merita, quella piaga. Magari è la volta buona che mi riprendo il cesso e il bagnoschiuma tutto per me» quelli erano due dei motivo per cui, un giorno, sarebbe stato capace di far secco quel pezzo di demente.
«Oh, la convivenza non è mai facile, figliolo, ma devi imparare a sopportare a volte!» gli disse con fare conciliante.
Hidan alzò gli occhi al cielo e prese a fissare il soffitto; era quasi tutto ricoperto di quella cosa verde rampicante che lui non sopportava. L’edera, sì. Non la sopportava perché era come Shisui: si attaccava da tutte le parti e non era possibile estinguerla in nessun modo.
«Io non lo volevo, si è autoinvitato e si è autostabilito, l’idiota» mentre parlava continuava a fissare il soffitto con sguardo di sfida.
«Ah, voi giovani, ancora dovete capire il significato delle belle cose. Imparerai ad apprezzarlo, figliolo» e così dicendo gli diede una pacca sulla spalla, riportandolo con l’attenzione sul bancone.
Non trovava di particolare ispirazione la filosofia spicciola del vecchio, ma si limitò a muovere la testa come per scacciare una mosca. Poi vide la pianta in vaso e, in particolare, vide il vaso di plastica.
Ci aveva messo un fiocco, un dannato fiocco sul lato! Ah, stupido vecchiaccio, ne aveva approfittato mentre uccideva l’edera con lo sguardo: l’avrebbe pagata, un giorno.
«Ah, non credo che comunque sia una cosa tanto carina, quella di portargli una pianta in vaso all’ospedale, è di cattivo gusto. Ci ho messo un fiocco, che è una cosa carina» Hidan lo osservò senza capirci troppo e il vecchio scoppiò a ridere.
«Una cosa bella e una cosa brutta si annullano, perciò è come se fosse un semplice regalo, no?» Hidan sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Per lui sarebbe comunque stata una pianta con delle radici perciò di cattivo segno: Shisui aveva una possibilità in più di rimanere a vita in quello stupido ospedale, fine.
«Quanto?» chiese ed in risposta il vecchio scosse semplicemente la testa.
«Regalo, figliolo, sperando di rivederti presto qua dentro, magari con il tuo amico!»
Hidan non se lo fece ripetere due volte: inutile insistere, magari cambiava ancora idea. No, meglio cogliere la palla al balzo.
L’Hie uscì di lì facendo un semplice cenno con il capo e borbottando qualcosa, che poteva stare per un ‘arrivederci’ o per un ‘a mai più’.
Ora poteva andare da quell’idiota e augurargli una pronta guarigione.
Mentre la porta si richiudeva dietro di sé, lui ormai era già troppo lontano per sentire il vecchio Hiroto chi gli chiedeva di salutargli il nipote.
«Ah, non ti avrà sentito, caro. Un giorno lo andremo a trovare noi, il caro Shisui chan!»
«Ovviamente!»


Trafelato – sì, aveva anche corso, cosa che non aveva precedenti; la pianta si era anche rovinata, ma tant’era –, Hidan giunse alla camera in cui si trovava Uchiha Shisui. O almeno così diceva la targhetta sulla porta. Bussò, la aprì, ma non entrò subito. Prima mise dentro la pianta e poi si fece avanti.
La faccia che fece Shisui fu, probabilmente, uno dei maggior motivi di felicità di Hidan; quel terrore, quell’espressione sconvolta e sfacciatamente schifata… ah, no, nemmeno il suo miglior Natale era stato così bello per lui.
«Yo, Uchiha. Scusa per il ritardo, sono passato a prenderti questa, ma ci ho messo più del dovuto perché il proprietario era un vecchiaccio rompiscatole con due piedi nella fossa che non era in grado di stare zitto!»
L’Uchiha continuava a non dire nulla e Hidan non aveva mai apprezzato come allora un tale silenzio da parte del compagno. Pura estasi, sarebbe potuto morire con il cuore in pace. «Rimettiti presto, eh, idiota!»
Shisui emise un mezzo verso scandalizzato e Hidan gli mostrò il suo ghigno più crudele.
«Non vedo poi tutto questo sangue, speravo in qualcosa di meglio! Mi accontenterò, tanto non uscirai di qui tanto presto, no?»
Hidan rise soddisfatto come non mai, con quella risata da tipico invasato, acuta e sguaiata, alla faccia di quel vecchiaccio che tentava di sventare i suoi bellissimi piani e Shisui pregò il cielo che qualcuno venisse a salvarlo da cotanta malvagità.



Perché la tesina non si scrive da sola? Perché? E perché devo scrivere una tesina? Perché sono in quinta? Perché sono?
Spero che la mia demenza messa su carta vi faccia comprendere lo stato di deficienza in cui verso, navigo e affogo, perché sono veramente distrutta :(
Mh, ma tant’è, il tempo per Hidan e Shisui c’è sempre <3 No, in verità c’è solo perché queste sono già scritte, ecco l’amara verità… mi sono alzata male stamattina, abbiate pietà di me. E cosa importa che ora sono le sette e mezza di sera, io se mi sveglio male sono controproducente in tutto quello che faccio fino a che non vado a dormire XD
Ma io qui non dovrei scrivere aneddoti sulla mia stupidità, dovrei commentare questa bellissima (?) shot in cui Hidan tenta di reperire una pianta in vaso e il vecchietto gli fa perdere la pazienza perché si diverte!*O* E io mi sono divertita a scriverla, perché ‘sto vecchietto mi sta troppo simpatico XD All’inizio era solo un fioraio a caso, poi Shisui è diventato suo nipote: non è wonderful?
Very good, la prossima a me mi angoscia, ma non è per questo che non vi garantisco l’aggiornamento settimanale XD
Ringrazio Liberty89, Jenova e Hoel per aver recensito!
Bye!

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Capitolo 6
*** Shisui non veste Prada ***


6. Shisui non veste Prada




Per Hidan, quella che aveva appena trascorso non era da considerarsi né una giornata orribile né una spettacolare: era nella media.
Non aveva avuto brutti incontri, non ne aveva avuti di piacevoli, non aveva pestato una cacca, non aveva vinto alla lotteria, non aveva rischiato di morire. Una giornata nella norma di tanto in tanto ci voleva anche a lui, no? Vivere con Shisui era un’esperienza apocalittica, perciò dava per scontato già dal mattino che non sarebbe potuta essere una giornata bellissima, perciò aveva imparato ad accontentarsi del parametro neutro.
Eppure, giusto per rovinare il tutto, era da quando aveva iniziato a salire le scale del condominio che aveva una brutta sensazione. Un anomalo brivido di freddo, visto che c’erano ben quindici gradi.
Era come se, nel momento in cui era entrato dal cancelletto esterno, si fosse infilato dentro un’enorme sfera negativa e più saliva – più si avvicinava al suo appartamento – più tutto diventava intenso. Lui non era una persona superstiziosa, ma quelle erano cose che non si potevano ignorare. Certo, magari era solo stanco e si immaginava le cose, ma c’erano altrettante possibilità, se non di più, che stesse per accadergli qualcosa di orribile.
Prese a guardarsi intorno furtivamente, come pronto a stanare il potenziale assassino che voleva farlo fuori, ma ebbe solo modo di constatare che lì c’era solo lui.
Senza nemmeno accorgersene, poi, giunse di fronte alla porta di casa sua. E, non se lo stava immaginando, ne era certo, la sensazione di negatività si era condensata in una aura nera che usciva da sotto la sua porta. No, non era frutto della sua immaginazione, in casa sua c’era il demonio.
Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, ma stava quasi pensando di tornare indietro; magari avrebbe potuto accalappiare la nonnetta del piano di sopra per farla andare per prima. Se crepava perché il male l’aveva uccisa almeno lui si era salvato e poi aveva sacrificato il sacrificabile. La vecchietta era sicuramente più prossima di lui ad andare al creatore.
No, Jashin lo avrebbe protetto, era questo che gli dei facevano con i loro adepti, no? Li proteggevano.
O li sacrificavano per un bene superiore.
Doveva fare mente locale. Si sentiva un imbecille, ma non era una situazione normale, quella e lui studiava psicologia, non fenomenologia ultraterrena. Non sapeva nemmeno se esistesse una cosa con un nome del genere.
Andando con ordine: la presenza negativa che aveva sentito sicuramente era stata prodotta dalla sua mente, nulla di più. E l’aura nera che sbucava da sotto la porta come la lingua di una vongola era uno scherzo della sua mente, nulla di più. Doveva solo dormire un’oretta in più. Poi il demonio non si poteva manifestare in casa sua, non era una cosa umanamente possibile: si sarebbe spaventato della stupidità di Shisui e sarebbe scappato.
Oh. Shisui. Uchiha, giusto. Lui quel pomeriggio aveva detto che sarebbe rimasto a casa! Un sorriso vittorioso e molto rassicurato comparve sul suo volto: completamente dimentico di tutte le sue manovre per autoconvincersi che il Male non si era annidato in casa sua, decise che quest’ultimo sicuramente si era saziato mangiandosi l’anima di Shisui e, avendo fatto indigestione con un essere del genere, lui non aveva alcun problema. Quella roba nerognola era solo il segno del suo passaggio, come il marchio nero in Harry Potter. Forse doveva solo smettere di leggere tanti manga, ma in fondo non era nulla di cui preoccuparsi, suvvia… Dall’interno, all’improvviso, giunse un tonfo sordo. Hidan impallidì, anche se il suo incarnato era solitamente già bianco come quello di una sanissimo cadavere all’obitorio.
Il rumore poteva essere collegato a cose molto semplici, come qualcosa che cadeva o che veniva appoggiato con un po’ troppa forza, ma Hidan lo attribuì subito ad un cadavere che cadeva a terra.
No, no, no, così non andava bene. Si stava comportando come un deficiente, quell’imbecille di un Uchiha lo stava contagiando con la sua stupidità e di quel passo si sarebbe rammollito e sarebbe andato a raccogliere fiorellini in giardino. Lui ci passava su con la bici, a quelle fottute aiuole inutili che la vecchietta annaffiava, sprecando acqua inutilmente.
Inutile girarci attorno; si rimboccò le maniche e si aggiustò la tracolla, per un motivo ai più sconosciuto.
Pensandoci razionalmente, sicuramente dentro c’era Shisui che stava facendo qualcosa di idiota e quell’affare violaceo che usciva da sotto la porta era… era per una fuga di gas, a chi importava se il gas era trasparente e non ne sentiva l’odore nemmeno ad impegnarsi.
Era arrabbiato, adesso, l’Hie. Che diamine, stava facendo la figura dell’idiota. Prese le chiavi e aprì la porta, su cui abbatté la sua rabbia.
Pronto ad urlare contro qualsiasi cosa avesse trovato all’interno, entrò a passo di marcia, per nulla interessato al fatto che se continuava a stringere così la maniglia questa gli sarebbe rimasta tragicamente in mano.
Ciò che lo accolse in casa lo lasciò terribilmente spiazzato. O meglio, sconvolto. Destabilizzato. Schifato. Scandalizzato. Non c’erano aggettivi consoni per descrivere il suo stato attuale al momento, ma era dei peggiori, quello era certo. L’aura oscura e malvagia che si avvertiva da fuori, tra l’altro, all’interno era stata sostituita da un’aura scintillante e forse perfino più angosciante di quella di prima.
«Cosa cazzo-» erano tante le domande che voleva porre, ma non riusciva a comporre una frase di senso compiuto. Quello era solo indice di quanto la situazione fosse traumatizzante e spaventosa. Che poi forse il quesito era solo uno: cosa sei?
L’oggetto dell’orrore di Hidan parve accorgersi della presenza del proprietario dell’appartamento e gli sorrise in maniera raggiante.
«Yo, Hidapyon!» Shisui Uchiha non sembrava rendersi conto dello stato attuale del suo coinquilino, perché altrimenti sarebbe già andato a chiamare un medico per l’imminente infarto che stava per cogliere l’Hie, poi si sarebbe andato a nascondere. Lontano, molto lontano, forse sarebbe stato realmente al sicuro solo se ci fossero stati due o tre mari a dividerli.
«Cosa…» a Hidan continuavano a non venire le parole, le sue capacità intellettive erano completamente azzerate di fronte a quell’abominio umano.
Shisui, comunque, comprensivo come sempre, dopo un paio di minuti di silenzio parve cogliere lo stato d’animo dell’Hie e si fece l’enorme carico di chiedergliene la motivazione: «Qualcosa non va? Ti vedo silenzioso» commentò anche lui pensieroso, perché era strano non sentirlo almeno imprecare a bassa voce o sussurrare. Hidan, per natura, non era quella che si poteva definire una persona silenziosa.
La domanda fu posta con tanta innocenza che era chiaro che l’Uchiha non trovava nulla di strano in tutto quello e Hidan non poté trattenersi oltre. Non che ci avesse provato strenuamente, eh.
«E me lo chiedi anche?!» urlò con tutta la forza che aveva in corpo e una vena pulsante sulla tempia non era in grado di esplicare nemmeno minimamente quanta effettivamente fosse la rabbia di Hidan.
Shisui lo fissò con sguardo interrogativo e l’Hie esplose una volta per tutte.
«Come diavolo ti sei vestito, razza di imbecille?!»
Shisui afferrò gli orli del suo bellissimo – a parere suo, eh – vestito nero e lo osservò alla ricerca di quel qualcosa che tanto aveva sconvolto Hidan. Non trovando nulla fece spallucce e si azzardò a chiedere: «Beh, cos’ha che non va?»
Effettivamente, dal suo punto di vista non aveva nulla che non andava.
«È un cazzo di vestito!» provò ad aiutarlo, mentre l’isteria prendeva sempre più piede. Forse Shisui parve comprendere.
«Aaaah! Il vestito! Ah, capito capito. Nah, Hidepi, di che ti preoccupi! È solo un vestito!» e scoppiò a ridere, mentre gli fece un mezzo inchino. Hidan continuava a trovare sempre più difficile e aberrante osservare Shisui vestito in quel modo.
Era vestito da maid, Jashin! Da cameriera! Con i merletti, l’affare in testa e le ciabatte da casa! E, in tutto quello, Hidan aveva anche avuto tempo di notare che le ciabatte stonavano sotto quell’abominevole vestito!
Cos’aveva detto quando era fuori dalla porta? Che il demonio non andava in casa sua. No, infatti, non ci andava. Ci abitava già ed era vestito da cameriera con le ciabatte.
«Dimmi che tanta stupidità non è completamente tua e che stamattina ti sei svegliato e hai sbattuto la testa ripetutamente» sibilò Hidan, cercando di trovare ancora un po’ di dignità nel compagno e un po’ di sanità mentale per sé.
«Guarda che mi sta bene! No, comunque stamattina mi sono svegliato e ho deciso che mi sarei trovato un lavoro, non ho sbattuto da nessuna parte se non contro lo spigolo del tavolo prima di mettere le ciabatte» commentò sorridente ed allegro, come se quella non fosse la rivisitazione moderna di Apocalypse Now e presto non sarebbero morti tutti.
Hidan assunse la sua espressione più biasimante e fece del suo meglio per non scattare così, su due piedi, per afferrargli il collo e torcerglielo come se fosse stato il più inutile dei polli in un pollaio di polli inutili.
«Vai a cercarti un lavoro lontano da qui, allora! E perché diavolo ti saresti vestito così se vuoi un lavoro? Non ti paga nessuno per fare il deficiente!»
Shisui lo osservò allibito: «Non è forse ovvio?»
«Non che non lo è, razza di deficiente!» sbottò Hidan.
«Beh, allora te lo spiego, visto che da solo non ci arrivi» gli concesse con superiorità, perché Shisui Uchiha era davvero una persona magnanima.
E parlava lui di gente che non arrivava alle cose, eh.
«Visto che ho deciso di trovarmi un lavoro, ho anche deciso di diventare la casalinga, domestica cameriera, quel che è!, di questo appartamento che puzza di ginseng, perciò sei tu a dovermi pagare lo stipendio! Io tengo pulito e ben profumato questo buco e tu paghi! Non è un piano geniale? Il costume è per entrare nel vivo del mio lavoro, non è fatto super bene?»
Quell’essere era troppo imbecille per essere una persona normale, perciò Hidan si sentiva più che in dovere di ucciderlo.
Diceva cose così idiote che era difficile trovare un paragone senza pensarci piuttosto attentamente, benché lui non ci pensasse affatto, e poi non faceva nemmeno caso a quanto inconsistenti e illogici fossero i suoi ragionamenti. Non era normale.
Che diavolo voleva dire che aveva deciso di fare la maid? Se si svegliava e pensava cose così insensate c’era anche la possibilità che un mattino si alzasse con il buon proposito di suicidarsi?
«Tu decidi troppo, Uchiha. Che ne dici di deciderti ad ammazzarti e smettere di dire stronzate?»
«Si vede che tu non capisci nulla, Hie!» commentò con superiorità, incrociando le braccia e appoggiando tutto il peso su una gamba sola. Una posa molto femminile e raffinata. Certo, se andava a fare la cameriera spensierata in un porto, con tutta quell’altra gente tanto fine e gentile.
Poi sul viso dell’Uchiha comparve un sorriso furbo e per nulla rassicurante. Hidan credeva oggettivamente che il peggio fosse vederlo conciato così in casa sua, mentre diceva di essersi autoproclamato sua maid, ma era chiaro che si sbagliava.
«Beh, visto che tu sei il mio nuovo padrone, Hidapyon…» e così dicendo afferrò i lembi di quella cosa abominevole e si inchinò: «Okaeri, goshujin sama!
A Hidan non fregava assolutamente niente della dignità di quell’imbecille, però lui aveva un limite di sopportazione di cui quel giorno aveva già superato la soglia da un pezzo. Se fino a poco prima Jashin lo aveva trattenuto dal compiere la più grande delle stragi, ora anche il Sommo non aveva potuto sopportare una scena del genere. L’essere andava eliminato all’istante.
«Tu non sei degno di camminare su questa terra» e con quella dichiarazione che lo faceva sembrare molto un esorcista o un crociato che si preparava alla suprema battaglia contro il male, si buttò all’attacco.
Una frazione di secondo dopo lo spassionato commento di Shisui, infatti, quest’ultimo si ritrovò a correre strillando a più non posso rincorso da un Hidan che era tutto fuorché in sé. La vecchietta del piano di sopra, quando vide l’Uchiha vestito in quel modo – un giorno avrebbero dovuto imparare a chiudere le porte, già –, rincorso da un’Hie normale quanto lo poteva essere un feroce assassino, si rese conto che forse andarsene in un ospizio non poteva essere tanto male. Andarsene in qualsiasi posto che non fosse dove si trovavano esemplari del genere non poteva essere tanto male.


*okaeri, goshujin sama: bentornato, padrone


Ok, questa devo proprio averla scritta nel periodo in cui ho guardato Kaichou wa maid sama, un’avventura allucinante XD A me, personalmente, non piace neanche un po’, ma l’ho scritta, tanto valeva postarla XD Sì, un modo come un altro per postare le più immonde schifezza, ma tant’è ;o;
Mi sa che questa shot non fa altro che avvallare le teorie di Hoel su chi sia maschio e chi femmina tra ‘sti due dementi, ma si era già capito tutto, suvvia 7.7
Mh, bene. Non mi ricordo più cosa devo dire, eppure, quando ho pensato che avrei aggiornato, mi era anche detta qualcosa tipo ‘quando posto devo dire che…’ e beh… sono reduce da esperienze apocalittiche, i miei neuroni hanno fatto l’ultima sinapsi giorni fa, ma c’è da dire che sono stati un po’ come i violinisti sul Titanic: sono rimasto a bordo mentre il mio cervello affondava e ora le loro carcasse rotolano di qua e di là :D No, ok, piantiamola qui, sono indecente e mi faccio paura, ma forse ho solo bisogno di dormire XD
Sappiate che probabilmente ci sarà, se tutto va bene (e io non ci spererei poi tanto “^^), un’altra shot che si chiamerà summer paradise. Non perché io mi sia totalmente rincoglionita, anche se ci sta alla grande XD, ma perché è uscita la versione di summer paradise dei Simple Plan con l’adorabile partecipazione di Taka dei One Ok Rock!*O* Potevo lasciare che la cosa non venisse ricordata? No, ecco. Non so se la posterò tra sette milioni di anni o la settimana prossima (se state ridendo fatelo ancora e ancora, thanks), ma l’idea di scriverla c’è eccome :D
Boh, che l’incubo di Shisui vestito orribilmente tormenti i vostri sogni così come minaccia di fare con quelli di Hidan XD
Bye!

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Capitolo 7
*** Soggetti psicopatici ***


7. Soggetti psicopatici




Hidan era più che a conoscenza della demenza di Shisui, ma giusto un paio di cose – come la sua sanità mentale – gli avevano suggerito di tentare di sopportare quella sua peculiarità e provare a conviverci. Anche il vecchiaccio, Hiroto, gli aveva detto della storia dei compromessi… a quel proposito, Hidan aveva pensato a compromessi relativi a quello che avrebbe stabilito con la vecchia del piano di sopra. Lui seppelliva il corpo di Shisui nella sua aiuola e lei stava non fiatava. No, non era un compromesso, lo Hie aveva strane concezioni a riguardo, ma nel suo immaginario non c’era nemmeno bisogno di minacciarla la nonnetta. Sarebbe schiattata di crepacuore nel vedere il cadavere. Allora gli sarebbe toccato chiedere al vicino un po’ più in là se gli concedeva la sua aiuola.
Ammazzare creava davvero un circolo vizioso infinito… che rottura di palle.
Comunque, per il momento Shisui non era ancora morto. Però la sua stupidità viveva in maniera anche troppo rumorosa e Hidan doveva davvero trattenere se stesso dal trucidarlo. E non sempre ci riusciva.
Cioè, se per ogni minima stupidaggine di Shisui buttava giù tavoli e sedie, oltre a dover spendere un capitale mensilmente per mandare avanti la catapecchia, anche il suo sistema nervoso ne avrebbe risentito. Che poi, anche se proava ad accettare di avere un coglione che gli girava per casa in mutande la domenica mattina, non voleva dire che, di tanto in tanto, non si prendesse la libertà di mollargli qualche buon calcio. Era sempre utile.
Tuttavia, ogni volta che l’Uchiha faceva qualcosa di incomprensibile per il genere umano l’Hie proprio non ce la faceva a non pensare che quello doveva davvero essere il colmo del colmo.
E così era stato anche quel mattino, quando lo aveva trovato accucciato per terra, davanti alla libreria, piegato su qualcosa che Hidan non riusciva a distinguere.
Stava vomitando?
«Si può sapere che diavolo stai facendo?» era incantevole notare come Hidan potesse essere di tale gentilezza appena sveglio, davvero sconvolgente.
Shisui non rispose.
Si stava dondolando? Ecco, come faceva quella a non essere il culmine della sua stupidità? Ogni volta che si manifestava, il suo concentrato di intelligenza, Hidan dimenticava quante altre volte si era già dimostrato poco furbo.
«Idiota» così dicendo, Hidan era della più ferma opinione che ignorarlo, andare in bagno, vestirsi, mangiare e andare all’università fosse la migliore delle scelte.
«Non sapevo fossi così famoso, Hidan!» esclamò ad un tratto l’altro, con voce tanto estasiata che l’Hie faticava davvero a mettere in relazione la sua contentezza con quanto aveva appena detto.
«Io non sono famoso» ribatté sia seccato sia vagamente incuriosito. Da dove veniva fuori quello, adesso?
«Massì, sei citato qui!» e così dicendo indicò qualcosa che solo lui poteva vedere perché l’Uchiha non ebbe cuore di girarsi o mostrare cosa diavolo fosse quel ‘qui’. Agiva senza pensare, come si poteva essere tanto dementi? Cosa aveva mangiato la madre, quando lo aveva concepito, onigiri avariati, salsa di soia contaminata?
Probabilmente lo stesso Shisui dovesse avvertire l’aura di irritazione che Hidan stava spargendo attorno a sé – probabilmente la espelleva con il respiro –, perché mise in moto il cervello, riconobbe il problema e si voltò, rimanendo comunque seduto a terra a gambe incrociate.
Ah, stava leggendo, ecco perché prima ci aveva messo tanto per rispondergli: erano attività complesse, quelle, per lui. Farne di più insieme gli impallava il cervello.
Il sistema operativo è momentaneamente fuori uso. Si vuole terminare il programma o attendere una risposta del sistema?
«Cosa ci fai con il mio libro di psicologia?» si informò subito Hidan, notando come quel ragazzo fosse peggio di un cane: con un sacco di parolacce e pessimi epiteti, agli albori della loro convivenza, Hidan aveva fatto presente al ragazzo che la sua roba non avrebbe dovuto nemmeno guardarla da lontano, figurarsi toccarla. Eppure non imparava. I cani, almeno loro in tutti il mondo, dopo un po’ di allenamento, erano in grado di riportarti la pallina e darti la zampa, Shisui invece, più riceveva ordini in merito, più regrediva a stati di non apprendimento: ogni tanto gli fregava anche le mutande, così, a caso. E non dava né la zampa né riportava le palline. Le rompeva, le palle, ma nulla di più.
«Volevo leggere qualcosa mentre ero in bagno, è la prima cosa che ho trovato e si è rivelato tanto interessante che non l’ho più lasciato!» commentò allegro, non tentando minimamente di nascondere il fatto.
«Almeno per pulirti il culo lo hai lasciato?» sbottò irritato, anche se sapeva che non poteva essere tanto imbecille da… perché non rispondeva? Perché sorrideva solo?
«Ovvio, Hie, ovvio! Su, calmati! Non ti ho immerdato il libro, se è quello che il tuo cervellino bacato teme!» poi scoppiò a ridere da solo, appena finito di parlare: evidentemente aveva pensato a qualche battuta divertente che in ogni caso avrebbe capito solo lui. Ammesso e non concesso che vi fosse realmente un senso.
«Ah, comunque, comunque! Sei famoso!»
Ancora; no, non lo era, non ancora perlomeno. Certo, sarebbe potuto diventarlo come peggior efferato assassino degli ultimi trent’anni: Shisui non si rendeva mai pienamente conto del pericolo che correva ogni volta che gli dava fastidio.
Notando lo sguardo palesemente disinteressato di Hidan, Shisui si appresto ad aggiungere: «Ti citano! Cioè, parlano proprio di te! Cacchio, è il tuo libro, non te ne sei nemmeno accorto?» commentò indignato alla poca attenzione del ragazzo.
Shisui proprio non capiva come Hidan facesse a non capire – inutile dire che il resto del mondo non capiva lui. Comunque, era proprio lui, impossibile non rendersene conto. Era come vedere una foto e non riconoscerne il soggetto: inimmaginabile.
«Non dire stronzate» lo apostrofò Hidan, con tutta la finezza che poteva raccogliere dentro di sé in pochi attimi.
«Oh, disfattista di merda, senti qua: ci sono pazienti gravemente ammalati che dicono di star bene. Ad esempio, soggetti psicopatici possono violare la legge e fare cose terribili senza provare dispiacere, né rimorso*» lesse molto velocemente dal suo libro, senza fare pause e rendendo il testo quasi incomprensibile.
Hidan capì a stento cosa diavolo aveva detto, ma anche con ciò non comprese affatto cosa volesse dire.
«E allora?» si informò infatti, mentre Shisui gli restituiva in risposta uno sguardo allucinato e scandalizzato.
«Ma sei tu! Parlano di te, per scrivere ‘sta roba hanno preso te come modello d’ispirazione!»
Hidan non disse una parola, mentre Shisui era letteralmente un fiume in piena che neanche si accorgeva del sopracciglio di Hidan che tendeva sempre più verso l’alto.
«Tu sei un paziente gravemente ammalato che crede di stare bene! Non ti rendi conto del tuo problema! Beh, forse è anche per questo che non ti sei riconosciuto nella descrizione…» congetturo, grattandosi il mento con fare concentrato. Ah, doveva andare anche lui a fare psicologia, aveva un futuro.
Gli occhi di Hidan, notò, erano vagamente sgranati, sembrava vagamente uno… psicopatico, sì, qualcosa del genere.
«Beh, poi sei uno psicopatico che fa cose contro la legge! Hai tentato anche di affogarmi nel lavandino, assassinio preterintenzionale! E poi fai cose terribili, ogni tanto speri che la vecchietta si azzoppi per le scale così vengono a riparare l’ascensore per evitare altri incidenti! E adori la mattonella nel cesso, questo è fanatismo religioso!»
Hidan aveva completamente dimenticato il suo buon proposito di provare a convivere con quell’ammasso di stupidità. Shisui non doveva essersene accorto, perché continuò tranquillamente a parlare.
«Non provi nemmeno dispiacere! Sei soddisfatto quando tenti di uccidermi, pazzo psicopatico! Vogliamo parlare della pianta all’ospedal- Hidan? Cosa stai… quelli sono caaaapelli, fai male! Non tirare, il cuoio capelluto è debole! Il libro, Hidan chan, il libro, poi si rovina… B-beh, vedi? Sei uno psicopat- Ahia! Stacchi tutti i capelli così!»
«Non proverò rimorso, tranquillo, non sono i miei. Com’era? I soggetti psicopatici non provano rimorso, no?»»


*Tratto dal mio libro di psicologia, 'Psicologia oggi'



Ah, la Pasqua. E le uova di Pasqua. Il cioccolato. Ancora il cioccolato. Adoro il cioccolato, cari, mi rende euforica e non voglio neanche chiedermi a quanto sia il tasso di zucchero nel mio sangue, sarebbe a livelli imbarazzanti :D
Quando ho letto quella frasei sul libro di psicologia, comunque, è stato come un'apparizione. Sono andata in estasi mistica, incurante del fatto che, disgraziatamente, quella settimana fossi in prima fila e avesse la prof a mezzo metro di distanza. Suvvia, cosa non si fa per Hidan e Shisui? Anche le figure di mierda, yep!
Mh, diciamo comunque che ho finito quelle scritte, perché ho avuto alcune imbarazzanti (oggi è tutto imbarazzante, I'm really sorry) vicissitudini con la mia vena creativa e alcune cose mi piacevano meno di altre, perciò... ne ho una che ho quasi finito di scrivere. E poi alcune bozze. Titoli più che altro. No, nemmeno, ci sono le faccine, diciamo più annotazioni ù-u e poi summer paradise 2.0, giustamente, ma non ho la più pallida idea di quando posterò cosa, ma abbiate fede, cari! Non scomparirò né abbandonerò questo baluardo di scemenza!*balle di fieno*
Alla prossima, allora!^^ Bye~

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Capitolo 8
*** Fuji san ***


8. Fuji san




A Hidan piaceva dormire fino a tardi, la mattina, specialmente se non aveva lezioni a cui doveva andare per forza. Solo quelle necessarie, eh, le altre le saltava senza troppi complimenti.
E comunque la domenica non era certo il suo giorno preferito così, tanto per. No, la domenica poteva dormire, al caldo, sotto le coperte, con la certezza che niente e nessuno avrebbe avuto la facoltà di farlo alzare se non era lui a deciderlo.
No, un attimo, meglio ricominciare da capo, qualcosa stona.
A Hidan piaceva dormire fino a tardi, la mattina. Ecco, che a Hidan piacesse era un conto, non c’era scritto da nessuna parte che Shisui fosse d’accordo con il pigro Hie. Ed è giusto anche sfatare le convinzioni di Hidan riguardo alle facoltà di svegliarlo o meno.
Una domenica a caso, comunque, l’Uchiha ebbe il buon cuore di dimostrare al coinquilino quanto fosse stupido credere di poter dormire fino a mezzogiorno solo perché lo si voleva.
«Hidan! Hidaaaan! Hie, svegliaaaa! Svegliati, Hidapyon, su!»
Lo Hie sentiva giusto qualcosa come una vocina in sottofondo, qualcosa di particolarmente fastidioso come un ronzio molesto. Qualcuno aveva lasciato il phon acceso? La vecchietta del piano di sopra stava prendendo lezioni di merengue con un giradischi rotto? O forse si stava preparando un tè e la teiera fischiava? No, forse nella stanza c’era uno sciame di coleotteri particolarmente rumorosi che facevano quel rumore fastidiosissimo… No, i coleotteri non lo chiamavano per nome.
«Hiiiidaaaan, Hidapiiiii» era da un bel po’ che sua madre non lo chiamava per farlo alzare, poi era quasi certa che sua madre non fosse un uomo e suo padre non aveva una voce tanto… tanto odiosa.
E cosa rimaneva allora? Forse era proprio per proteggersi da solo che l’inconscio di Hidan, complice il fatto che era mezzo addormentato, non voleva saperne di fargli comprendere chi era che gentilmente gli urlava addosso.
Il suo inconscio poteva anche provare a salvargli orecchie, occhi e vita, ma aveva poteri limitati pure lui.
Ad un tratto qualcosa gli cadde addosso – o gli salto addosso, piombò dall’alto, lo avvinghiò dal lato, Hidan quello non lo poteva sapere, perciò ipotizzò.
«Hiiiidapyon!»
Quanti deficienti c’erano al mondo che lo chiamavano in quel modo idiota? No, nemmeno il più mieloso dei parenti acquisiti aveva il coraggio di avvicinarsi a lui e dirgli una cosa del genere; solitamente, vista l’espressione poco amichevole e l’aspetto che completava il quadro, gli stavano alla larga o facevano qualche semplice gesto fraintendibile: era un saluto o, in caso non avesse apprezzato, stavano scacciando una mosca.
Hidan incuteva timore a mezzo mondo, ma Shisui Uchiha quella peculiarità del ragazzo proprio non la notava.
Deficienza Uchiha? Forse, anche Sasuke non mostrava poi tutti quegli indugi ad insultarlo. Forse era un desiderio di morte precoce.
«Sve-glia-ti!» Hidan ebbe modo, in maniera non particolarmente carina, di rendersi conto che non c’era niente nella stanza oltre a Shisui che continuava a scuoterlo avanti ed indietro, chiedendogli di svegliarsi.
È facilmente intuibile che il ragazzo, essendo poco trattabile di giorno, al mattino non fosse minimamente in condizioni di tenere una discussione civile. Figurarsi dopo essere stato brutalmente svegliato senza un apparente motivo.
Non lo sentiva agonizzare a terra, perciò non poteva gioirne, ergo non c’era un motivo. Santo cielo, non c’era un motivo e quell’imbecille lo stava svegliando in modo orribile, Shisui avrebbe dovuto scappare a gambe levate; il rischio lo si poteva avvertire come una palata in faccia, eppure il ragazzo continuava a fare il suo comodo.
E poi si meravigliava pure se trovava una descrizione di Hidan riguardo a soggetti psicopatici; gli assassini molte volte non facevano tutto da soli, eh. Ammazzavano chi gli dava fastidio, a volte. Beh, Shisui era la vittima, Hidan l’assassino. Tutto tornava. E fu così che lo Hie si trovò citato anche nel nuovo manuale di Criminologia Oggi.
Quando l’ennesimo scossone rischiò di buttarlo giù dal letto e nemmeno mugugnare parolacce parve sortire alcun effetto, Hidan non poté resistere oltre.
Scattò a sedere con rabbia e irritazione, tanto da buttare quasi a terra il ragazzo, che per non cadere gli afferrò un ginocchio. E Hidan odiava che gli venissero toccate le ginocchia. E i gomiti. E qualsiasi dannata parte del corpo, perché lui la mattina odiava tutto, anche il fatto stesso di odiare tutto: lui appena sveglio era un essere senza simili al mondo, una specie in via d’estinzione che aveva il potenziale di far estinguere tutto il resto del mondo.
A modo suo anche l’Uchiha era un essere in via d’estinzione: non c’era alcuna possibilità che potesse sopravvivere alla furia di Hidan appena svegliato in modo atroce.
«Si può sapere cosa cazzo vuoi? Mh? E perché cazzo sei seduto addosso a me? E perché cazzo continui a scuotermi, razza di mentecatto?» La sequela di domande uscì dalla sua bocca in maniera poco perentoria e decisamente meno minacciosa rispetto a quel che avrebbe voluto. Shisui, almeno per una volta in vita sua, decise di tacere su quanto trovava sexy la voce di Hidan appena sveglio.
«Secondo me ci sono troppi ‘cazzo’ nella frase. È volgare, sai? Sei volgare Hidapi» fu la pacata risposta di Shisui, con tanto di sopracciglio inarcato e tono biasimante.
Hidan aveva gli occhi tanto spalancati che presto gli sarebbero usciti fuori dalle orbite e, non essendo troppo sveglio, non aveva poi tutta questa capacità di intendere e di volere. Da qui si potrebbe ricavare una nuova legge*, qualcosa come Legge del Mancato Istinto di Sopravvivenza negli Uchiha. E poi anche un corollario.
Comunque, era lodevole come lo Hie, nonostante fosse più di là che di qua, fosse stato in grado di mettere insieme più parole, creando addirittura tre frasi interrogative. Gli insulti venivano fuori da sé, erano come i punti, impliciti nella discussione. Di giorno, comunque, un freno se lo dava da solo, dopo un’angosciante avvenimento, come quello di essere brutalmente svegliato da un deficiente, si meritava di mettere tutte le parolacce esistenti al mondo.
Si sarebbe vendicato, comunque. Sì, oltre a formulare frasi era anche in grado di appuntarsi piani di vendetta verso l’ameba. Ammirevole.
«Cosa?» sibilò in risposta a quanto detto dall’Uchiha, che più o meno doveva essere interpretato come un ‘hai dieci secondi per ritrattare tutto, inginocchiarti a terra e baciarmi i piedi chiedendomi perdono’. Purtroppo il messaggio subliminale non fu minimamente colto.
«Sei sboccato, Hie, sboccato! Dici troppe parolacce! Lavati la bocca con il sap- ma brutto deficiente!»
Giusto parlando di sboccati.
Hidan non aveva resistito e con un gesto secco l’aveva buttato per terra.
Ah, ora era meno pesante.
L’Uchiha fece per rialzarsi, massaggiandosi più parti del corpo contemporaneamente – tutto il corpo era collegato, secondo le sue teorie poco logiche, e se si faceva male ad un gomito era ovvio che anche l’anca ne avrebbe risentito –, ma Hidan non gliene diede il tempo.
Sfidando il freddo che avrebbe incontrato fuori dalle coperte, allungò un piede e glielo schiaffò in faccia, così da farlo ricadere nuovamente a terra.
«Restaci per il resto dei tuoi giorni, imbecille, e non osare mai più svegliarmi. Muori» concluse; il ‘muori’ era la sua versione aggiornata del classico ‘notte’. E cosa importava che gli aveva augurato una notte un po’ troppo lunga – eterna – e che probabilmente era già mattina.
«Tu sei completamente stupido!» si lamentò Shisui, tentando di tirarsi in piedi, ma il piede di Hidan era ancora sulla sua faccia. Se c’era una cosa che si doveva riconoscere allo Hie era che, anche da addormentato, poteva fare molto cose insieme. Infatti si era già assopito di nuovo, ma la pressione del suo piede sul povero volto dell’Uchiha non era minimamente diminuita.
Come avesse fatto a riaddormentarsi così di sasso, da un momento all'altro, per Shisui era un mistero: un attimo prima urlava e il secondo dopo dormiva, il ragazzo doveva avere qualche disturbo a livello inconscio. Non che a livello conscio stesse messo tanto meglio, eh.
Shisui smise per un attimo di dimenarsi e lamentarsi giusto per sentire un leggero russare in sottofondo, molto fine per appartenere ad Hidan.
L’Uchiha, prevedendo che di lì a qualche minuto avrebbe iniziato suonare le trombe dell’apocalisse per annunciare la venuta del demonio, con una mano afferrò il piede del ragazzo e con l’altra gli tirò via le coperte.
Hidan, svegliato brutalmente per la seconda volta in dieci minuti, perse quel minimo di pazienza, se così si poteva definire lo stato di apatia dato dal sonno. Con una forza che nemmeno lui sapeva di avere, si tirò a sedere sul letto e afferrò letteralmente il collo di Shisui.
Forse era anche la volta buona che lo uccideva, infatti anche l’Uchiha parve cogliere il pericolo. «Hi-Hidan, il collo… mi serve, respiro con il- da-davvero, poi muohh- Hidan io ti amo tanth-» si bloccò immediatamente, notando che le moine in quel momento avevano solo peggiorato la situazione: probabilmente il pomo d’adamo era dall’altra parte del collo.
Stava per morire.
Addio mondo, per lui non c’era più niente da fare. E ancora non aveva comprato quelle dannate carpe!
A mali estremi, estremi rimedi.
«Razza di-» fu la mezza risposta irritata che brontolò Hidan quando Shisui riuscì a strisciare sul letto per poi spiaccicargli una mano in faccia. L’Uchiha era quasi certo di avergli messo accidentalmente una mano nel naso, ma erano in guerra, non poteva farsi bloccare da dettagli simili.
«Ok, Hie, io lascio te e tu lasci me» fu il pacifico tentativo di Shisui di risolvere le cose e Hidan emise un grugnito. In buona fede, l’Uchiha lo interpreto come un ‘ok’. Quando Hidan allentò la presa sul suo collo, Shisui staccò leggermente la mano dalla sua faccia.
Nell’esatto momento in cui lo Hie tolse completamente le mani dal suo collo Shisui scappò dall’altro capo della stanza, tastandosi gola, collo e trachea alla ricerca del suo amato pomo d’adamo.
Lui amava il suo pomo, era parte di lui. Aveva pianto lacrime amare quando Hidan gli aveva strappato qualche capello, amava anche quelli. Shisui si amava, era amore platonico, non poteva lasciare che Hidan scalfisse anche una sola parte del suo bellissimo corpo.
L’Hie, comunque, era fuori di sé dalla rabbia: «Dammi una buona ragione per cui mi hai svegliato, deficiente, o potrei decidere che devi crepare» disse con una calma pressoché assente visto che stava urlando a squarcia gola.
Pace all’anima della povera vecchietta san, là sopra, che era schiattata d’infarto sentendo le inumane grida dei due giovani di sotto.
Anche Shisui aveva urlato quando Hidan lo aveva buttato per terra; il suo era stato il preludio alla sfuriata dello Hie, perciò a modo suo era stato anche utile, benché inconsapevolmente.
«Sì, Dio, non credo tu possa arrivare a tanto, ma apprezzo il gesto. So che il voler decidere quando devo crepare in realtà è tutto un tuo modo astruso per dirmi che mi ami tanto da volermi tenere in vita e voler decidere tu stesso quando sarà la mia ora, ma- ma si può sapere che cazzo di problemi hai, tu, Hie?! È una scarpa quella! Fa male!»
Hidan aveva la faccia più infuriata che Shisui gli avesse mai visto. Ok, ne aveva combinate veramente tante, lui, una buona cinquantina delle sue bravate avevano davvero fatta arrabbiare Hidan – sarebbe troppo lungo elencare tutte le volte in cui qualche mobile era eroicamente deceduto nella guerra Hie-Uchiha – ma era chiaro che quel mattino aveva davvero dato il meglio di sé.
Quando Hidan si alzò dal letto, scalciando di lato le pantofole perché non avrebbe creato pathos perdere tempo per infilarle, Shisui vide passare dinnanzi a sé la sua intera vita. In genere quella era una cosa che capitava a quelli che stavano per morire, perciò o Shisui stava davvero per tirare le cuoia o stava solo esagerando. Ciò che vide, comunque, fu il bagnoschiuma nuovo in bagno – se fosse morto non avrebbe potuto usarlo! –, il fatto che lui l’avesse interpretata a posteriori come la visione della sua intera vita dovrebbe farvi capire in quale delle due casistiche sopra riportate rientra l’Uchiha.
«Uchiha, la tua ironia te la puoi ficcare su per il culo» fu il rude commentò di Hidan, che era furioso come non mai. Probabilmente era anche colpa del fatto che lui al mattino era davvero l’essere più intrattabile sulla faccia della terra, risvegli così non facevano altro che aumentare la sua letalità.
Benché fosse spaventoso un Hidan così propenso all’assassinio truculento, Shisui non riusciva a scollegare la rabbia del ragazzo dall’immagine di lui appena sveglio che trovava vagamente tenera. Lo Hie, infatti, aveva tutti i capelli sparati in testa, qualche ciuffo di qua, qualche altro di là e gli occhi erano ancora assonnati.
Una persona normale, se si fosse trovava Hidan davanti in quelle condizioni lo avrebbe trovato anche più spaventoso, ma dal punto di vista dell’Uchiha era come trovarsi di fronte un orsacchiotto di peluche e pretendere di trovarlo terrificante all’ennesima potenza.
Contro ogni logica, perciò, Shisui sorrise e ciò che disse lasciò spiazzato anche Hidan.
«Hie, lo sai che sei proprio tenero al mattino? Con quegli occhietti, poi!»
La sequela di insulti scurrili che Hidan aveva sulla punta della lingua scivolarono di nuovo giù per la trachea per poi disintegrarsi nell’acido che stava corrodendo le pareti del suo stomaco dopo il modo in cui se n’era uscito l’Uchiha.
Quel ragazzo andava soppresso. Aveva il potere di ucciderlo anche parlando soltanto, chissà quali altri poteri malefici aveva. Eppure lo slancio omicidi di Hidan era scomparso dopo che gli era stato detto che era tenero mentre minacciava di morte.
«Ti ho appena detto che voglio ucciderti, idiota, e tu mi dici che sono tenero?» chiese senza comprendere la logica dell’Uchiha. Non che ci tentasse, eh, aveva perso le speranze. Forse era più giusto dire che non ci aveva proprio nemmeno mai provato.
«Potrebbe essere sindrome di Stoccolma pensandoci… o forse ho senso dell’estetica, cosa di cui tu sembri disgraziatamente sprovvisto… te l’ho già detto che secondo me dovremmo ritinteggiare le pareti? Sono brutte… bianche poi!»
Perché diavolo quell’imbecille stava parlando di pareti da ritinteggiare quando solo cinque minuti prima la morte lo stava chiamando a sé? Cosa c’era che non andava in quel ragazzo? Perché era toccato a lui l’ingrato compito di sorbirselo senza nemmeno una retribuzione mensile per chi si occupava di animali in via d’estinzione? Ok, certo, non andava a raccogliergli la cacca in giro e mangiava pure da solo, ma lo sopportava. Ci provava, suvvia, eppure i suoi sforzi non venivano riconosciuti.
«Non ritinteggeremo proprio un cazzo, almeno che il tuo sangue non finisca sulle pareti mentre ti staccherò la testa» borbottò Hidan tra i denti, mentre uno sbadiglio lo coglieva impreparato. Al diavolo il pathos da perfetta scena dell’horror, aveva troppo sonno per trattenersi.
«Vedi? Il sangue non è bello, è brutto, tu non hai senso dell’estetica. È per quello che ti ostini a ricoprirti la testa di gel, stai meglio senza! Tipo adesso… con quei ciuffetti… che tenero!»
Hidan non sapeva se voleva uccidere l’Uchiha per le idiozie che stava dicendo o suicidarsi, perché non credeva di voler vivere un secondo di più con il ricordo di quel che stava dicendo. Era… orribile.
«Anche tu hai sonno, tornatene a dormire e lascia in pace me, imbecille» grugnì lo Hie, voltandosi per tornarsene a letto.
Si era alzato mosso dalla voglia di seccare quell’idiota, ma il sonno aveva prevalso. In più, sperava che quello fosse tutto un orribile sogno e che presto si sarebbe svegliato davvero, scoprendo che nulla di tutto quello era realmente accaduto. Era tutto così stressante, però, che si sarebbe addirittura svegliato stanco.
Le vane speranze erano uno dei pochi punti che accomunavano quei due casi patologici.
«Cosa ti fa credere che io sia assonnato?» chiese allegramente Shisui, stiracchiandosi come se da un momento all’altro avrebbe dovuto iniziare a correre per una maratona. Impossibile ipotesi, Shisui non correva mai, nemmeno quando decideva di attraversare con il rosso per un motivo ai più sconosciuto e le macchine passavano lo stesso.
Era convinto di essere immortale, forse; in un certo senso aveva anche ragione, dopo tutte le volte che era sopravvissuto all’ira di Hidan era logico convincersi del fatto di avere qualche carattere divino che lo proteggeva.
O forse era solo idiota e prima o poi sarebbe stato investito. Quello era il sogno nel cassetto dello Hie.
Hidan sbuffò: «Il fatto che dici stronzate. Se fossi sveglio voglio sperare ti zittiresti da solo» biascicò, mentre un altro sbadiglio lo costringeva a spalancare indecentemente la bocca.
Shisui scosse la testa di qua e di là, accendendo poi la luce della camera.
«Hie, muoviti! Faremo tardi!» sbottò, aprendo un cassetto a caso a lanciandogli il contenuto; doveva vestirsi o avrebbero davvero fatto tardi.
«Non è mai troppo tardi per ucciderti e smettila di lanciarmi mutando e calzini, idiota» gridò Hidan, mentre il cassetto della biancheria ormai era vuoto, poiché il contenuto era riverso sul pavimento.
Shisui voleva che si vestisse in fretta, non gli importava cosa si mettesse addosso. Fosse stato per lui sarebbe anche potuto andare in giro nudo, anzi, avrebbe apprezzato. Però avrebbe preferito di no: c’erano alcune cose che voleva tenere per sé. Gli M&M’s e Hidan.
Ah, l’amore.
«E tu vestiti invece di guardarmi come un assassino! Nemmeno Sas’ke chan mi guarda così male e a lui ne ho combinate di peggiori… mettiti i boxer neri, ti fanno un culo migliore» borbottò distrattamente, mentre afferrava una maglia e gliela tirava addosso.
«Shisui» l’Uchiha chiamato in causa si girò di colpo.
Raramente lo chiamava per nome.
No, non era romanticismo, era più qualcosa tipo che era incazzato come una biscia e lo avrebbe ucciso nell’arco di quattro secondi.
Una persona qualunque sana di mente si sarebbe buttata già dalla finestra, piuttosto che farsi impalare con la gamba della sedia dall’albino, che poi lo avrebbe anche appeso al lampadario per le palle.
Ma Shisui non era normale e, diamine, aveva dei piani per quella mattina!
Prima che l’Uchiha potesse dire qualcosa a sua discolpa, parlò ancora Hidan.
«Che ora è?» ringhiò con una ferocia tale che avrebbe fatto nascondere anche un leone molto arrabbiato. Ah, cosa non faceva l’essere svegliati alle quattro e mezza del mattino.
«Quattro e trentasei- sette, e trentasette» disse infatti, controllando distrattamente l’orologio.
«E si può sapere che cazzo vuoi da me alle quattro e mezza del mattino, razza di coglione? Vai ad affogarti nel cesso e non farti vedere da me per i prossimi vent’anni, se non vuoi che usi il tuo intestino per appenderti al lampadario» gridò con tanta irritazione che perfino il sonno per un po’ si era fatto da parte.
«Ah, mh, sì, una minaccia abbastanza convincente, ma non credo riusciresti ad appendermi con l’intestino… cioè, è lungo, sai, Hidapi? Tipo quattro metri e qualcosa. Quattro metri! Che te ne fai di tutti quello che avanza? E-»
«Perché diavolo mi stai dicendo della lunghezza dell’intestino a quest’ora? Perché sei sveglio a quest’ora e disturbi me? Perché esisti a quest’ora del mattino?!»
Shisui sventolò la mano per chiedergli implicitamente di calmarsi – era lui il maturo sotto quel tetto e Hidan era il moccioso che doveva essere ammonito. Meno male che c’era l’Uchiha a capire cose del genere.
«Io esisto a tutte le ore, ma se può farti sentire meglio non esisto nel sessantunesimo secondo di un minuto. O nel sessantunesimo minuto di un’ora. O nella venticinq- l’ho schivata!-» la sveglia gli volò dritto sopra le testa, ma il cellulare lo colpì in pieno stomaco.
«Questo no» borbottò Hidan, che poi prese a fissarlo in cagnesco.
A quel punto non sapeva nemmeno lui cosa fare. Shisui blaterava cose tipo ‘ahia, sto morendo, il cellulare mi ha disintegrato gli organi interni, non venderli al mercato nero, vedo tutto buio, ah! La luce, la luce!’ e lo Hie non sapeva se dargli il colpo di grazia, stare lì a guardarlo, tornare a dormire o andare a mangiare.
Non ebbe tempo di decidere la più ottimale delle soluzioni, perché Shisui parve notare l’ora che era segnata sul cellulare che teneva stretto in mano, segno della sua prossima morte.
«Aaaaah! Muoviti! Vestiti! Faremo tardi!» gridò in piena crisi, mentre si rimetteva in piedi e si muoveva freneticamente. «Io preparo qualcosa da mangiare! Anzi, no, prenderemo qualcosa là! Ma almeno il tè… no, non c’è tempo, muoviti!»
«E smettila di urlare, deficiente!»
«Ma sei tu che urli ora!»
«Perché stavi urlando tu!»
«Sì, ma-»
«Allora smettiamola e basta» sbottò Hidan e Shisui annuì: «Mi sembra una cosa ragionevole.»
Calò per il silenzio e nello stesso istante in cui vide l’Uchiha gesticolare di nuovo, l’albino parlò per primo.
«Si può sapere dove diavolo vuoi andare?» in effetti era una domanda più che logica.
L’Uchiha lo guardò con fare sconvolto. Poi fece per avvicinarsi, ma si bloccò. Fece così due o tre volte, prima di essere interrotto da un urlo irritato di Hidan, che aveva la pazienza sotto ai piedi e la voglia di ucciderlo che pompava sangue al posto del cuore.
«Come dove? Al Fuji! È domenica, possiamo andare al Fuji. Andiamo al Fuji?» Hidan si rese conto di aver notato due cose soltanto: la parola Fuji ripetuta troppe volte e lo sguardo da cagnolino bastonato di Shisui con cui gli chiedeva se ci andavano.
E sarebbe stato molto più da Hidan arrabbiarsi, chiedergli perché – con tante parolacce e imprecazioni – proprio alle quattro del mattino, informarlo che lo odiava, che un giorno avrebbe distrutto in suo cadavere in tanti piccoli pezzi grandi quanto i suoi peli e insultarlo ancora. Picchiarlo, magari. Ma, soprattutto, sarebbe stato molto più da lui dirgli no, diamine, no, nessuno andava al Fuji, Shisui da solo se proprio, ma lui non ci sarebbe andato.
Invece, il massimo che fece fu piegare la testa di lato, assottigliare lo sguardo e osservarlo per un po’, mentre Shisui muoveva le labbra in preghiere silenziose, alzava le sopracciglia e dava pieno sfogo alla sua idiozia. Poi afferrò un cuscino, glielo tirò dietro e borbottò qualcosa che all’Uchiha suonò come un ‘vado in bagno’ e vi lesse anche un non detto ‘ok, andiamo’.
Hidan ignorò anche tutti i commenti idioti di Shisui, mentre si muoveva tra la cucina e la camera, che gli fecero prendere in seria considerazione l’idea di infilarlo con la testa nel lavandino, ma si cambiò davvero, perché aveva deciso di assecondarlo. Il perché a lui era sconosciuto, ma così aveva deciso.
Era colpa del sonno, tutta colpa del sonno. Aveva accettato perché era troppo assonnato anche per fare due più due.
Due volte due…?
«Ma io lo sapevo che mi avresti accompagnato! Senza di me non puoi resistere, se io vado al Fuji tu rimani solo e ti deprimi… ah, come ti conosco io non ti conosce nessuno, Hidapyon! Forse nemmeno tua madre sa che dormi senza i calzini e-» ad un tratto l’Uchiha smise di parlare.
Forse gli era preso un infarto. Hidan incrociò le dita dei piedi cercando il pettine.
Un attimo dopo lo vide irrompere in bagno e afferrarlo per il cappuccio della felpa, rischiando quasi di soffocarlo.
«Che cazzo-»
«È tardi, è tardi, poi arriviamo quando c’è troppo sole e mi ustiono, vuoi forse far ustionare una pelle da idol come la mia? Pazzo!» così dicendo lo trascinò fuori dalla porta senza preavviso.
Lo Hie si pentì in un secondo di aver assecondato quell’idiota, ma c’era poco da fare. Per quel che ne sapeva Shisui, Hidan poteva anche essere in mutande, ma gli importava poco.
L’unica cosa che l’albino si sentì di promettersi, in un momento del genere, fu che appena tornato a casa sarebbe andato da un medico, forse dritto all’ospedale, reparto psichiatrico almeno. Per vedere se c’era una cura per quel suo improvviso attacco di remissività. Era malato, molto malato, forse addirittura morente.
«E ora si va al Fuji!»
Hidan voleva uccidere. Era più o meno come nel film di Harry Potter, il secondo, quando Harry sentiva la voce che gli diceva ‘sento odore di sangue’. Ecco, solo che in questo caso era Hidan che se lo ripeteva e voleva staccare la testa a Shisui, non era sangue generico. E non era nemmeno un basilisco.
Mentre i due facevano le scale in simbiosi – Shisui non si staccava da lui, continuando a tenerlo per il cappuccio e Hidan era costretto a scenderle all’indietro – lo Hie giurò a se stesso che mai si sarebbe assecondato ancora se era in preda al sonno.
Più di metà condominio poté sentire le dolci parole con cui Hidan apostrofò Shisui e la nonnetta, non comprendendo cosa stesse succedendo, decise che era bene sprangare porte e finestre.
Il demonio era vicino.
Avrebbe riempito la casa di omamori.


«Non c’è benzina nell’auto» commentò spassionatamente Hidan, convinto che ora avrebbe potuto tornarsene nel letto a dormire. Non avrebbe mai ammesso a se stesso che se si trovava fuori dall’appartamento era solo colpa sua, così come non avrebbe mai ammesso che forse un pochino si era fatto influenzare dall’espressione di Shisui. Mai.
Comunque, non era l’assenza di un mezzo di trasporto che lo avrebbe fermato.
«Cosa ce l’hai a fare una macchina se non la usi mai?» si lamentò Shisui e Hidan fu molto prossimo ad un omicidio lampo.
«Non sono fatti tuoi» semplicemente non aveva soldi per la benzina, le sue precarie condizioni economiche non erano un mistero, visti i suoi trascorsi nel tentare di trovare un lavoro. Riteneva ancora piuttosto irritante la storia del call center.
«Se vuoi posso ucciderti e mettere il tuo sangue nel serbatoio» propose con un sorriso molto ispirato, ma l’Uchiha fece di no con la testa, poco convinto.
«E come andiamo al Fuji?» chiese con disperazione, scompigliandosi i capelli più e più volte. La pazzia era qualcosa di spaventoso.
«Non ci andiamo.»
«Ma nemmeno per idea!»
Peccato.
Hidan sbadigliò e si staccò dall’auto, a cui si era parzialmente appoggiato.
«Ho sonno, me ne vado» borbottò, ma l’Uchiha gli si appese letteralmente ad una spalla e in un attimo il silenzio fu distrutto dalla finezza di Hidan e dai Shisui, che blaterava cose a caso.
Come sempre.
«Hie! Non ti tirare indietro!»
«Presto tirerò te avanti, contro un muro» lo minacciò, ma ovviamente l’Uchiha non gli prestò ascolto. Invece si staccò e prese a camminare avanti e indietro.
«Come, come, come…» borbottava tra sé l’Uchiha, mentre il rumore assordante di un motore si faceva sempre più vicino. Shisui si immobilizzò di colpo e un attimo dopo venne colto da un’illuminazione improvvisa.
«La nostra salvezza!»
«Cosa?» chiese Hidan senza comprendere, ma l’Uchiha non lo ascoltava.
«Honma san! Honma saaaaaan!» Shisui iniziò ad urlare, sbracciandosi come un pazzo e per poco non si fece tirare sotto da un furgoncino blu dall’aria poco sicura. Fortunatamente Hidan lo afferrò per un braccio, tirandolo indietro e l’Uchiha scoppiò a ridere. Il mezzo inchiodò e una risata giunse dall’interno.
Perché ride? Quella domanda aveva decisamente più importanza di quanta gliene attribuì Hidan appena la pensò.
«Ah, non sarei morto, però grazie per la premur-» Hidan gli mollò una spallata poco discreta e si accinse a commentare con uno sprezzante: «se crepavi non potevo avere io l’onore di essere la causa della tua morte.»
Shisui gli fece la linguaccia e in quel momento scese il proprietario del mezzo. Un nonnetto dall’aria piuttosto allegra che si reggeva in piedi per la grazia di Buddha, ma l’ultima volta che Hidan aveva pronosticato sulla possibile dipartita per vecchiaia di qualcuno, quella persona si era rivelata davvero ammorbante e idiota. Non per altro era parente di Shisui, ma quella era un’altra storia.
«Honma san!» disse ancora contento Shisui, portandosi davanti al vecchio con un mezzo inchino.
Lo Hie non ci stava più capendo niente, ma dubitava fosse solo perché aveva sonno. Con Shisui in genere c’era poco da comprendere.
Si scambiarono una serie di convenevoli che Hidan si rifiutò di ascoltare e prendervi parte era sicuramente fuori discussione. Ad un tratto un esultante ‘yatta’ provenne da Shisui, che si voltò verso di lui.
«Ci porta al Fuji!»
«Che?» chiese scandalizzato e non era un termine riduttivo.
«Con quel coso? Andremo a seppellirci, al Fuji» commentò con irritazione Hidan, senza premurarsi di tenere la voce bassa.
«Hie! Non fare l’idiota!» poi lo afferrò per un braccio e lo spinse sul retro scoperto. Non senza che l’altro opponesse resistenza, eh, ma in un modo o nell’altro ce la fece.
Il rumore che fece quella carretta per avviarsi fece prendere in considerazione ad Hidan l’idea di dire una o due preghiere.
No, no, meglio: se fosse sopravvissuto sarebbe diventato un monaco.
«Come torniamo indietro?» chiese lo Hie, mentre temeva silenziosamente che da un momento all’altro quel coso sbandasse e li mandasse tutti al creatore.
«Boh!»


«Non ci credo.»
«Cosa, Hie?»
«Un cazzo di furgoncino. Sono sul retro di un cazzo di furgoncino, senti gli insetti ronzarmi nelle orecchie e tu canticchi mentre andiamo su quello stupido monte di cui a me non è mai fregato niente. Non ci credo.»
«Sei molto prolisso di mattina-»
«Sono le cinque, io ho sonno, ti aspetti che stia zitto?»
«Dormi allora!»
«Come, di grazia, con ‘sto cazzo di coso che prende tutte le buche che- perché merda ha sbandato adesso! E-»
«Avrà sonno, non è colpa sua… sono le cinque del mattino per tutti, eh…»
«Dillo che sei un idiota, dittelo da solo perché mi sono stancato di dirtelo e- è un bastardo, il vecchio lo fa apposta, le prende tutte lei- E SMETTILA, QUELLA ERA NELL’ALTRA CARREGGIATA, LO FAI APPOSTA! Cazzo di-»
«Hie!»
«Cosa, figliolo? Non sento!»
«Ho detto- io una tampa gliela faccio in testa-»
«Hidan, calma!»
«Calmati tu, idiota! Ci farà uscire di strada!»
«Ma che-»
«Non sa guidare, moriremo. Colpa tua, dannato imbecille.»
«Sa guidare, lo fa da un sacco di tempo-»
«Investe la gente, sfonda i cancelli e passa sulle rotonde? E per caso lo fa nell’altro senso di marcia? No, in questo caso non vuol dire che sa guidare!»
«Idiota! Guida come tutti…»
«E cosa guidava, la bicicletta? Il triciclo?»
«Carro funebre.»
«Cosa?!»
«Dettagli, dettagli… Honma san sa guidare benissimo e questo furgoncino non ha problem- ahia! Beh, forse le botte non sono molto ammortizzate…»
«Provo un grande desiderio di ammortizzare la tua testa contro quella di quel vecchio rimbambito. Guardalo, sorride pure… no, guarda! Ha riso quando ha preso la buca! Lo fa apposta!»
«Ma cosa dic- Oh. Hai ragione. Ride!»
«Ci ucciderà. Pensa che siamo due cadaveri.»
«Dai, siamo quasi arrivati…»
«Quanto?»
«Tra poco-»
«Quanto, cazzo di Uchiha suicida e assassino?»
«Mezz’ora circa… no, ma guarda che-»
«Taci, Uchiha, o ti morderai la lingua quando prenderà la prossima buca.»


Hidan aveva una gran voglia di vomitare quel che non aveva mangiato, gli faceva male il sedere per tutte le botte, era quasi certo che qualcosa lo avesse punto, la testa minacciava di implodergli, ma nonostante tutto non aveva il coraggio di lamentarsi. Era sceso sano e salvo da quella trappola mortale, andava bene. Quella era il genere di esperienza che andava bene se la provavano gli altri, ma lui non ci teneva. Tipo se era lui a guidare e dietro c’era Shisui era perfetto.
«Bye bye~ Honma san» gridò Shisui sventolando la mano allegramente, mentre il nonnetto e l’aggeggio infernale tornavano indietro.
«E ora?» chiese svogliatamente Hidan, che si era abbandonato a terra, incurante del fatte si sarebbe sporcato i pantaloni; era pronto a vendere anche la sua milza per non dover ripetere un’esperienza del genere.
Non avevano nemmeno camminato, ma lui era stanco psicologicamente.
Shisui inspirò ed espirò più volte, incrociando le mani dietro la testa ed osservando il Fuji con aria soddisfatta. Erano proprio alle pendici e si stagliava dinnanzi a loro con aria maestosa.
«E adesso che diavolo facciamo?» sbottò di nuovo lo Hie, che avrebbe tanto gradito una risposta, visto che era stato lo stupido Uchiha a trascinarlo lì.
E ora come minimo sarebbe anche voluto salire fino in cima, già che c’era…
«Beh, ora niente… torniamo a casa!» disse allegramente e sedendosi a terra di fianco ad Hidan.
«Cosa cazzo vuol dire ‘torniamo a casa’? Mi hai fatto fare un viaggio con un pazzo che rideva e per poco non siamo finiti in un fosse quattro volte e tu te ne esci con un fottuto ‘torniamo a casa’?» disse furioso per l’ennesima volta in quella giornata. Aveva già perso il conto di tutte le volte che aveva perso la pazienza da quando si era dovuto svegliare, alle quattro, un orario indecente che non voleva nemmeno ricordare. Poi era più che legittimo che si arrabbiasse. Se ci fosse stato uno di quegli psicologi falliti che sparavano scemenze avrebbe logicamente detto che l’isteria di Hidan era data da una rabbia repressa. E ci avrebbe anche azzeccato, strano ma vero.
«Beh, il Fuji l’ho visto, cosa dobbiamo fare ancora qui?» chiese retoricamente, prendendo poi a frugarsi nelle tasche.
«Se volevi solo vederlo non potevi guardarlo in una foto? O venirci da solo?» non riusciva nemmeno più a dire parolacce, era talmente allibito dalla stupidità del ragazzo da non avere più parole abbastanza scurrili per decorare la conversazione.
«Te l’ho già detto! Da solo sarebbe stato triste! E poi in foto non sarebbe stato realistico… non ci sarebbe stato questo bellissimo odore…»
«È smog» borbottò Hidan.
«No, non è smog, non è nemmeno la puzza di ginseng che c’è nel tuo stupido appartamento, e-»
«Puoi sempre andartene, nessuno ti ha mai invitato» rimarcò lo Hie, che ricordava la verità amaramente. Stupido jankenpon, avrebbero dovuto dichiararlo illegale.
«Non dire scemenze, senza di me non sopravvivresti un giorno, Hidapi» commentò con fare supponente Shisui, ancora intento a cercare qualcosa nelle tasche. Se cercava il cervello, pensò Hidan, non lo avrebbe trovato nemmeno fra trent’anni, ma quella dritta se la tenne per sé.
«La tua utilità nella casa non mi è chiara» fece presente con irritazione e Shisui mosse la mano come per scacciare una mosca.
«Moriresti di crepacuore, Hie, di cre-pa-cuo-re, perché non puoi vivere lontano da me- oh!» Hidan non ebbe tempo di commentare quella perla di idiozia perché l’Uchiha finalmente trovò l’oggetto delle sue ricerche.
«Ah, l’orario del pullman!»
«A che ora possiamo mettere fine a questa stupidaggine?» si informò Hidan, che agognava il letto come un assetato desidera l’acqua nel deserto.
«Vediamo vediamo… oh, ok, il prossimo pullman è a mezzogiorno! Non ci resta che aspettare!»
«Sono soltanto le nove e dieci, mi rifiuto di aspettare qui per tre ore con un fottutissimo idiota come te!» sbottò Hidan con rabbia, perché non pensava di poter resistere oltre. E doveva anche andare in bagno.
«Ah, non fare il difficile, su! Che vuoi che siano tre orette? Se vuoi però possiamo andare in cima al Fuji mentre aspettiamo» disse Shisui allegramente, ignorando il commento poco simpatico del ragazzo.
Ah, quello Hie, qualcuno avrebbe davvero dovuto insegnargli un po’ di educazione.
«No» fu la secca risposta di Hidan, che non voleva nemmeno immaginare l’apocalittico scenario di loro due che si perdevano anche in un sentiero tracciato – per colpa di Shisui – e finivano con il morire di stenti in qualche punto sperduto della montagna.
Certo, lo Hie probabilmente si sarebbe dato al cannibalismo al secondo giorno, ma quelli erano dettagli.
Rimasero in silenzio per un po’, fino a quando Hidan ritenne troppo snervante lo sguardo dell’Uchiha su di sé.
«Cosa vuoi?» lo aggredì senza troppe cerimonie e Shisui sorrise in quel suo modo malandrino che l’albino non aveva mai sopportato.
«Non ti sei messo il gel stamattina!» ghignava, il bastardo, e Hidan non riusciva a capirne il motivo.
«Non ho avuto tempo, visto che qualche imbecille mi ha svegliato e buttato su uno stupido furgoncino» ringhiò in risposta.
«Oh, non rompere le scatole, Hie!» poi, a tradimento, Shisui passò una mano tra i capelli di Hidan e glieli scompigliò completamente; nei minuti seguenti, l’Uchiha tentò di convincersi che gli occhi ametista del ragazzo non fossero, per un attimo, divenuti rossi. Rosso stile rosso sangue-ora-ti-sventro-brutto-stronzo.
«Ah, sei tenero come ‘sta mattina adesso! Beh, eri meno sveglio prima…»
«Dacci un taglio» gli consigliò poco gentilmente Hidan, ma Shisui continuava a scompigliargli i capelli.
«No, è un’occasione più unica che rara poterti toccare i capelli senza che le mani rimangano incollate come se usassi colla per topi!»
«Uchiha…» lo avvertì tra i denti lo Hie, ma l’altro ragazzo se la rideva e ignorava la minaccia reale che costituiva il toccare i capelli a Hidan.
«Oh, è una cosa tenera toccarti i capelli! Sembriamo tanto teneri… ok, se vinci a jankenpon la smetto di toccarti i capelli- levati di dosso! Le mie costole! Le stai distrug- ahia!»
I due avevano preso a rotolarsi nella polvere che si sollevava a causa dei loro movimento convulsi, entrambi intenti ad avere la meglio in quella lotta last minute.
I vecchietti che passavano di tanto in tanto commentavano con afflizione i modi di fare della gioventù moderna, che era ormai totalmente priva di decoro.
Alla fine convennero che il tempio lì vicino sarebbe stato ottimo per passare il tempo.



*Riferimento alla Legge di Hidan e al Corollario alla Legge di Hidan dell’altra oneshot Jankenpon! Anche la storia del call center viene da lì.
Gli omamori sono degli amuleti giapponesi contro gli spiriti maligni.

Aaaaah, non sono morta! Che è una cosa emozionante rendersene conto, vi giuro! Dopo delle settimane del genere inizia a venire il dubbio di non essere più tanto in vita, davvero!;w;
Ed ecco a voi dieci pagine di demenzialità gratuita!:D Shisui è un povero genio incompreso, Hidan lo capisce ancora meno di tutti devo dire!XD No, Hidan in realtà gli vuole taaaanto bene, solo che non sa ancora convertire il suo bisogno di violenza verso l’Uchiha in tanto affetto… ma imparerà u-ù
Honma san è un tizio uscito due ore fa dalla mia testa evidentemente non troppo a posto; diciamo che grazie a lui, spuntato come un fungo dal nulla, ho cambiato la trama di mezza shot, ma chissene, l’importante è che sono riuscita a finirla senza arrivare tra due anni e chiedermi cosa stessi scrivendo XD Succede, davvero.
Mh, non so quando aggiornerò di nuovo (è diventata la mia frase tipo, ma abbiate pietà di me: siamo ormai a maggio e io sono disgraziatamente in quinta, si può dire che il mio tempo si è suicidato), ma di certo non la mollo: ‘sti due hanno un significato troppo idiota per me, non posso abbandonarli XD
Ringrazio di cuore chi recensisce, mette tra preferiti/seguiti/ricordate e chi legge soltanto!:D

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Capitolo 9
*** Summer paradise (II) ***


Summer Paradise (II)




«Hie! Hie! Alzati, non è il momento di poltrire sul divano! E dammi il tuo cellulare!»
«Buongiorno anche a te, rompicazzo, ora che mi hai fatto sanguinare le orecchie con le tue stupidaggini delle…»
«Undici e ventinove, mh.»
«Sì, puoi anche andartene.»
«Ok, me ne vado se mi lasci il cellulare. È una questione di vita o di morte!»
«Ah. Mh, se te lo do vivi?»
«Sìsì!»
«Se non te lo do muori, perciò.»
«Esatto!»
«… allora col cazzo che te lo do. Sloggia.»
«Hieeee! Non puoi farmi questo, ne va della mia vita! Mi serve internet per… cinque- no, dieci- ok, facciamo venti minuti e poi te lo rido!»
«Compratene uno tuo e smettila di infastidire me, sono impegnato.»
«Non starai guardando un porno, spero-»
«Ho solo più una vita a Candy Crush Saga e non sarai tu a farmi perdere. In caso lo facessi ti chiuderei di testa nel cesso.»
«Oh. È davvero una cosa seria. Ok, ti faccio finire la partita. Fighting!»

«Ma santo Jashin!»
«Ok, hai perso, ora dammi il cellulare, Hie, e nessuno si farà male.»
«Mi hai portato sfiga, è tutta colpa tua, meriti di crepare, perciò il cellulare te lo puoi anche sognare. Usa il tuo!»
«È scarico e io non posso aspettare che si carichi!»
«Non hai un computer? Usa quello!»
«Non ho aggiornato l'antivirus!»
«Problemi tuoi.»
«Dai, Hie! Intanto che aspetti che si carichi un’altra vita! Sono venti minuti, no?»
«Venti minuti che posso passare a cercare trucchi per vincere.»
«O venti minuti che puoi concedere a me, che attendo trepidante questo giorno da fin troppo tempo!»
«No- levati di dosso, togli quelle mani dalla mia faccia, piovra del cazzo!»
«Hie Hidan. Ti imploro in nome della rispettabilissima casata degli Uchiha-»
«Rispettabile? Il giorno in cui sei nato tu ha perso ogni parvenza di credibilità.»
«Comunque. Concedimi il cellulare e prometto di non toccare il tuo bagnoschiuma per un intero mese. Cross my heart and hope to die if I’m not telling the truth.»
«… ok, idiota, ma quando si ricarica la vita te ne vai e-»
«Sì, sì, certo, molla il cellulare e fammi spazio!»
«Idiota.»

«Oh, non ci posso credere, dopo tanto tempo…»
«Cosa, hai capito di essere un imbecille? Ce ne hai messo un po’ troppo.»
«Tu ce ne hai messo ancora di più a capire che senza la mia nobile presenza non puoi vivere!»
«E tu chiaramente non hai capito un cazzo, allora.»
«No, Hie, no, sei tu che non capisci nulla.»
«Parla per te.»
«Ma tu non capisci! Sono passati quanti, cinque, sei mesi? Anni? Secoli?»
«Di cosa stai-»
«E alla fine è arrivata! Dopo lunghe e dolorose attese, notti insonni-»
«Non dire stronzate, russi come un porco e sei tutto fuorché insonne.»
«Era il senso metaforico della questione quello importante, smettila di cavillare e gioisci con me, Hidan!»
«Gioire per cosa? Non sei mica morto!»
«Ah. Ah-ah. Simpatico. No, non sono morto, ma ho rischiato l’infarto quando ho letto la news!»
«Cosa, danno un premio in denaro in base alla deficienza? Cazzo, sei ricco, ora non mi pento di averti in casa mia.»
«Dovresti solo baciare il mio regale deretano per la presenza che ti concedo ogni giorno e, comunque, no, non sono ricco. MA! Il sogno della mia vita è stato raggiunto. Ora posso essere assunto nell’alto dei cieli e- idiota! Ci vado da solo al creatore se voglio!»
«Pensavo di darti una mano, il volontariato non è più apprezzato come una volta.»
«Sì, nonna Hidan, ora riprenditi la tua puzzolente scarpa e smetti di tentare di uccidermi, non posso morire ora che è uscita!»
«Hai appena detto che puoi schiattare e ora ti rimangi la parola? Smettila di darmi false speranze, stronzo.»
«Gli auricolari, veloce! Anzi, no, faccio senza, è pure meglio-»
«Eh?»
«Il tuo cerume rovinerebbe il sound, mh.»
«Che cerume-»
«Ora taci, che devo ascoltarla!»
«Di-che-cazzo-stai-parlando?!»
«Della versione giapponese di Summer paradise dei Simple plan!»
«…»
«Con le parti cantate da Taka!»
«… mpf.»
«La stessa che ascoltavo sempre quest’estate-»
«Ok, ridammi il cellulare, ho messo mesi per togliermi dalla mente quella schifezza, non voglio più ascoltarla nemmeno per sbaglio. Dammelo.»
«Una volta ti ho sentito canticchiarla sotto la doccia, tanto schifo non ti avrà fatto!»
«Ti ho appena detto che mi era rimasta in mente. E come fai a sapere che la canticchiavo?»
«… mh, comunque ora devo ascoltarla, perciò taci!»
«Non ignorare le mie-»
«Zitto, zitto!»
«Idiota.»
«Ah~ l’inizio promette già bene!»
«È identica all’altra.»
«Si vede che non capisci niente. È tutto un altro genere…»

«Quanto dura questo strazio?»
«Non hanno neanche ancora iniziato a cantare! Saranno passati quindici second- ah! Ora parla! Mi hai fatto perdere l’inizio! Mi tocca rimetterlo dall’inizio-»
«Scordatelo.»
«Ryokai~.»

«Ora possiamo toglierla?»
«Hie, smettila di parlare mentre cantano loro o per ascoltare le tue idiozie non sento la canzone e-»
«Ora sei tu che parli e ti distrai da solo.»
«Taci! Basta, la rimetto dal minuti uno, così impari!»
«Che bast-»
«Hie!»

«Il grande contributo di questo Raka-»
«Taka! Non puoi non conoscerlo! È Taka!»
«Sì, sì, Maka, sì, il suo grande contributo sarebbe ripetere la fine delle strofe cantate dall’altro?»
«Si vede che tu non capisci niente di vera arte! Non senti la sua voce piena di emozione mentre canta? Potrebbe anche cantare la lista della spesa, cosa importa, ha comunque una gran bella voce!»
«Ne hai ancora per tanto?»
«Perché, Hie chan? Ti infastidisco?»
«Tu non volevi ascoltare la canzone?»
«… no, perché è anche decisamente bello… non so, ha un suo fascino… forse è il culo, ha un bel culo in effetti.»
«Bel culo?!»
«Mh-mh! Dici che è gay? Ho qualche opportunità?»
«Di farti ricoverare in un centro psichiatrico? Sì, ti tengono già la porta aperta.»
«Guarda che è bello! Proprio il mio tipo… quei capelli mossi poi!»
«Sapevo che eri stupido, ma non sapevo fino a che punto però. Poi non è questa gran bellezza, sono meglio io…»
«Cosa, Hie? Non ho sentito l’ultima parte-»
«Taci o ti faccio togliere questo strazio.»
«Sarai mica geloso? Eh, Hidapyon, siamo gelosi~»
«Eh, Uchiha, siamo morti~ smettila di dire stupidaggini se non vuoi che ti cavi gli occhi e li usi per concimare il terreno.»
«La gelosia ti fa male, ti rende violento.»
«Esattamente quando avrei detto di essere geloso del fatto che a te piace quel mezzo cantante fallito che dici ha pure un bel culo e che palesemente è più brutto di m-»
«Coda di paglia? Bastava un semplice no, Hidapi!»
«Basta, sei morto, tu e il tuo stupido cantante riccio di cui mi toccherà cercare l’indirizzo per-»
«Per? Per cosa? Per togliere la concorrenza di mezzo così sarò sempre e solo tuo?»
«… per dirgli di scappare in qualche altro continente prima che ti avvicini a lui.»
«Certo, certo… Oh, canta! Ora canta lui!»
«Allora non è lì solo per fare da eco-»
«Zitto!»
«…»
«Il suo giapponese è bellissimo-»
«È giapponese, cosa ti aspetti che parli, un buon coreano?»
«Beh, il suo giapponese è migliore di quello degli altri!»
«Perché, il mio fa schifo?»
«Tu dici troppe parolacce! Kimi ga boku wo omoidasu tabi ni~»
«Razza di-»
«Aaaah, ho aspettato tanto ma ne è valsa la pena!»
«Sì, per quattro frasi nuove in una canzone che sapevi già a memoria… la tua scala delle priorità fa schifo.»
«Oh, che bei ricordi! Non ti ricorda la nostra estate? Senza condizionatore, il quasi infarto della vecchietta, i minuti…»
«Tendo a dimenticare le sciagure, si chiama istinto di autoconservazione.»
«Quanto sei crudele. È stata una bellissima estate invece! Oh, non mi hai mai detto il tuo summer paradise poi-»
«Non ricominciare con quella stronzata.»
«E-»
«E nemmeno con la cosa dei minuti.»
«Cattivo.»

«È finita! No!»
«Grazie, Jashin, vedo che ogni tanto dai segni di vita.»
«…»
«Perché mi guardi con quella faccia, Uchiha?»
«Posso?»
«Ucciderti? Sì, basta che non sporchi il pavimento.»
«No! Rimetterla di nuovo…»
«Cosa?»
«… di nuovo…»
«Eh? Non ho capito un cazz-»
«POSSO RIMETTERE DI NUOVO LA CANZONE?!»
«… Tu hai problemi. Fai cosa vuoi e poi porta te, il tuo culo e il demonio che è dentro di te fuori da questa casa.»
«Thank you, my dear!»
«Lurido… lurido… non trovo una parola abbastanza orribile da mettere dopo.»
«So che mi ami.»

«Oh la ta ta ta ta… Yeah, me and you in summer paradise
«Abbi almeno la decenza di tenere chiuso quel cesso che hai al posto della bocca!»

«… Oh, I don’t know-know-know what I’m gonna do
«Io lo so cosa sto per fare, ucciderti, Uchiha, sto per ucciderti in maniera orribile.»
«Ma questa è LA canzone, come fai ad essere così cattivo ascoltandola?»
«Tu non saresti scontroso ascoltando le unghie sulla lavagna per… quante volte l’hai già rimessa da quando me l’hai chiesto? Quattro. Per quattro volte che durano tre minuti?»
«Tre minuti e cinquantanove. Bisogna essere precisi su queste cose!»
«Io ti farò soffrire per tre minuti e cinquantanove secondi moltiplicato per tre minuti e cinquantanove elevato alla tre minuti e cinquantanove-»
«Hai perso il conto?»
«Giuro che proprio non capisco questo tuo desiderio di morte.»
«I can’t stop these feeling melting through- con la violenza non si risolve nulla- non staccarmi I capelli! Fai male! Il gomito! No, no, Hie, il cellulare no! Ridammelo!»
«Taci, tu e la tua stupida canzone.»
«M-ma- Stupido Hie!»
«Ha finito di caricare, ora vattene.»
«Oh, come siamo scontrosi! Volevo solo ascoltarla un’altra volta-»
«Se non te ne vai ti farò sentire ripetutamente il suono dello sciacquone con la testa infilata nel cesso. Ora taci che devo giocare.»
«… sì, bastava un semplice no, eh.»

«E che ne dici se mentre tu giochi mettiamo Summer parad-»
«Vuoi morire così disperatamente?»
«No, voglio ascoltare quella canzone disperatamente!»
«No.»
«Dai~!»
«No e stai zitto, mi sconcentri e poi perdo a ‘sto gioco di merda.»
«…»
«È inutile che mi guardi con quella faccia.»
«Non sono nemmeno un po’ tenero?»
«Come una randellata nei denti, da morire
«Daaaiiiii!»
«Giura, Uchiha, giura che starai zitto e non romperai il cazzo. Non osare farmi perdere o ti ucciderò in nome di Jashin.»
«Oh, che uomo di buon cuore-»
«Uchiha.»
«Ryokai.»

«Oh, oh, sposta il verde così ne fai quattro!»
«Tu non dovevi stare zitto?»
«Sposta il verde!»
«No, devo farne scendere uno per fare quello da cinque… e tu taci! Mi sconcentri!»
«Ma se aspetti quello da cinque finisci tutte le mosse! Fai-»
«Togli le mani di lì, Uchiha- non- ma sei- Perché hai fatto esplodere le gialle, imbecille!»
«Non l’ho fatto apposta! Se tu avessi tolto le mani da davanti avrei visto quel che facevo!»
«Tu non dovevi proprio fare niente!»

«Perché non sposti più niente? Cosa aspetti?»
«Sto cercando una mossa intelligente da fare.»
«Ah. Beh, non c’è poi molto da fare… toh, sposta ‘sto blu!»
«No! Era la mia ultima mossa, deficiente!»
«Ah.»
«…»
«Oh. Hai perso. Beh, in teoria abbiamo perso insieme… non solo io… cioè… tanto era solo più una mossa…»
«Mi mancava una sola gelatina.»
«Ah. Ah. Oh, è pure finita la canzone-»
«Taci, Uchiha, taci.»
«Su, era solo un gioco… e tutti lo sanno che le caramelle sono delle gran bastarde e-»
«Ammazzati. In fretta e silenziosamente. Vado a farmi una doccia, dovresti avere abbastanza tempo per ucciderti dolorosamente.»
«Ahm… sì, ok… E non cantare mentre sei sotto la doccia!»
«Cosa?»
«Niente, niente.»

«Ed ora, meglio scappare velocemente, prima che si accorga che-»
«UCHIHA! IL BAGNOSCHIUMA L’HAI GIÀ FINITO!»
«I’ll be there, I’ll be there, I’ll be there... fuori dalla porta prima che mi uccida, sì.»


Kimi ga boku wo omoidasu tabi ni: ogni volta che tu ti ricordi di me

Ho aggiornato, la cosa sconvolge più me che voi, sappiatelo XD
Finalmente sono riuscita a finirla, anche perché è da un sacco che ho detto di volerla scrivere (non sono mai in ritardo sulla tabella di marcia, io, maaaaaai)
L’ho scontatamente chiama summer paradise II ma in effetti è quel che è XD è anche sullo stesso stile, perciò niente descrizioni e solo dialoghi deficienti tra due deficienti: come potevo farmi sfuggire certe perle di saggezza?
Mh, Taka è il cantante dei One Ok Rock, quello che effettivamente canta in quella canzone e vi consiglio vivamente di vedere quanto è bello ascoltare le loro canzoni!
Candy Crush Saga è la mia dannazione ma anche il mio passatempo preferito: quando perdo (la maggior parte delle volte è sempre perché mi manca una stupida gelatina e non ho nemmeno uno Shisui a scassare) divento iper isterica e il fatto che giochi anche a scuola può creare qualche problema XD
Non credo esista una versione coreana, ma se mai dovessero farla farò un summer paradise III XD Non so bene sulla base di cosa, ma dettagli.
Penso che per un po’ mi prenderò una pausa, perciò non festeggiate spaventatevi se non mi vedete per un po’ nei dintorni (:
State ben certi che comunque Hidan e Shisui torneranno!
Un grazie grande quanto una casa va a chi legge, recensisce, mi segue, mette tra preferiti e via dicendo: mi rendete la persona più felice sulla faccia della terra!
Alla prossima!

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Capitolo 10
*** È sempre mare ***


10. È sempre mare




Era una domenica mattina come le altre. Sorvoliamo sul fatto che in quell’appartamento non ce ne fosse mai una normale, sarebbe un dettaglio superfluo. Shisui canticchiava allegramente in bagno e Hidan aveva solamente spinto il suo corpo ad avere un cambio di superficie piana su cui sdraiarsi. Pigro, molto pigro, ma era domenica, poteva permetterselo.
Era uno di quei rari attimi in cui non aveva Uchiha tra i piedi ed era una cosa tanto sporadica che non sprecava nemmeno quel tempo a rotolarsi sul divano dalla felicità come un porco in mezzo al fango, no. Semplicemente si rilassava. Perché il ragazzo nell’altra stanza aveva il fantastico dono di farlo ammattire anche solo respirando e, non potendo fargli venire i capelli bianchi, Hidan era nella trepidante attesa di vederne spuntare sulla sua testa uno nero.
Però. C’era un però. Hidan non lo avrebbe mai ammesso nemmeno per sbaglio, in stato di totale ubriachezza, ma ci si era abituato. Con un brivido, lo Hie scosse la testa e tremò prendendo atto della considerazione appena fatta.
Che poi, perché diavolo doveva avere pensieri così complessi di domenica?
Hidan, per quanto gli dolesse ammetterlo, doveva riconoscere che in lui c’era qualcosa che non andava. Suvvia, c’erano almeno due decisione che aveva inconsciamente preso e che gli permettevano di capire che sì, aveva bisogno di aiuto. Qualsiasi tipo di aiuto, forse anche un esorcismo sarebbe servito, se lo avesse liberato dal demonio che aveva preso possesso di lui. Anche se forse il Male abitava sotto il suo stesso tetto, più che dentro di lui, ma dettagli, era comunque vicino.
Ecco, la convivenza con Shisui era una delle due decisioni malate sopracitate – la seconda era l’aver scelto di andare all’università, ancora non capiva di cosa diavolo si fosse fatto a suo tempo per avere un tale colpo di genio.
Che poi l’avere Shisui in casa non era nemmeno stata una decisione, il jankenpon* aveva fatto tutto da solo e semplicemente gli aveva fatto notare che era una persona estremamente sfigata. E dopo la rivelazione del secolo si era trovato con l’Uchiha in mutande che gli girava per casa, lo infastidiva, lo molestava verbalmente – e fisicamente –, respirava, parlava, camminava… insomma, gli rompeva le palle.
Eppure si poteva dire che era diventato parte della sua routine e questa era la massima dimostrazione di affetto a cui lo Hie si sarebbe lasciato andare, anche in abito riflessivo, nei confronti dell’ameba. Inserirlo nel quadro della routine era ottimale, non gli dava troppo spessore ma rendeva bene l’idea. Non lo considerava più dell’abituale colazione a base di ciambelle al mattino, ma senza non sarebbe stata la stessa cos- No, ok, stava esagerando anche per un semplice pensiero, meglio non esporsi troppo.
Ad occhi esterni Hidan stava mettendo su una discretamente accurata pantomima, in cui digrignava i denti ed annuiva a tratti. Una specie di pazzo psicopatico solo per aver fatto due considerazioni mentali random sulla sua esistenza. Poi sua madre si chiedeva anche perché pensasse poco, quella capra di suo figlio. Un motivo c’era, ecco.
Fortunatamente era in casa sua, in cui l’unica persona che poteva vederlo era in bagno a cantare-
«Io e te non possiamo più convivere, siamo troppo diversi» la voce di Shisui Uchiha giunse chiara e forte a qualche metro di distanza da Hidan.
Lo Hie sbatté le palpebre un paio di volte, facendo varie considerazioni ad una velocità enorme – ‘diversi? Diversi in che senso? Convivere? Con chi? Con te, idiota!’ – in cui si era anche risposto e poi si tirò su a sedere repentinamente. Puntò lo sguardo su Shisui, che era dietro di lui e gli dava la schiena.
Lo Hie lo osservò per qualche secondo – minuto? Ora? – senza dire nulla, con la vaga consapevolezza che la sua bocca fosse storta in una smorfia e nella sua mente si stessero accavallando più e più pensieri pieni di qualcosa come odio, risentimento e biasimo verso il ragazzo.
Non ne conosceva la motivazione, ma come scusante aveva la velocità con cui era avvenuto tutto.
«Che cazzo vuol dire?» chiese poi dall’alto della sempiterna finezza, attirando l’attenzione di Shisui. Quest’ultimo si voltò e aveva come espressione facciale un misto tra tristezza, orrore e non comprensione. Una specie di mostro biblico, davvero brutto da vedere.
«Cosa vuol dire cosa?» si azzardò a domandare l’Uchiha, per poi voltarsi completamente verso il ragazzo che lo osservava con in maniera davvero poco benevola. Solo in quel momento, perciò, Hidan ebbe modo di vedere il paio di calzini malandati che Shisui teneva tra due dita, come se il prolungato contatto con più zone della pelle potesse procurargli morte istantanea. Con il senno di poi si rese conto che nessuno avrebbe avuto anche solo il coraggio di stare nella stessa stanza con i calzini di Shisui, il fatto che lui si azzardasse a tenerli addirittura in mano era già tanto.
L’Uchiha al momento se ne stava con un paio di calzini neri bucherellati in più punti ad osservare Hidan senza capire. Quest’ultimo, invece, abituato all’idiozia congenita del coinquilino, parve comprendere anche troppo.
Stava parlando con i calzini?
«Che diavolo stai dicendo?» sbottò, tentando di mantenere un profilo basso per non far assolutamente capire che, sì, per un attimo aveva pensato parlasse con lui e sì, sempre per un minuscolo attimo si era pure cagato addosso.
Perché, semplicemente, Hidan non voleva Shisui fuori dai piedi o lo avrebbe cacciato un sacco di tempo prima. Il lamentarsi in continuazione di lui era solo routine pure quello.
«Ah! Stavo parlando con i calzini, odio buttare la mia roba e avevo bisogno di un motivo valido per buttarli… lo so, ‘zini belli, anche io vi ho voluto bene ma davvero, non possiamo più convivere… voglio dire, voi siete bucati e io non posso più mettervi… mi piange il cuore a dirvi addio ma-» la cosa triste di quella scenata melodrammatica era che, se Hidan non lo avesse fermato, Shisui sarebbe andato avanti ancora per un bel po’.
Lo Hie si impose di non notare che l’Uchiha aveva davvero gli occhi lucidi, perché c’era un limite alla sopportazione umana e lui non era certo di potercela fare a vivere con uno che piangeva per dei calzini che al massimo potevano essere usati come arma di distruzione di massa in una guerra chimica.
«Smettila di dire stronzate, butta quei cosi che sento la loro puzza di merda fin da qui» lo rimbrottò con acidità non propriamente voluta – c’era ancora il vano tentativo del profilo basso, perché sì, Hidan si arrabbiava con Shisui per ogni minima cosa, ma poteva risultare strano se se la prendeva anche se metteva in scena Shakespeare con i calzini, ecco.
Shisui, con sprazzo del pericolo, annusò i calzini e anche lui dovette ammettere che non odoravano esattamente come le violette dell’Uzbekistan.
«Ma sono i miei calzini, come puoi essere così insensibile? Ne abbiamo passate tante insieme, già è stato difficile trovare un motivo per cui devo buttarli!» si lamentò, occhieggiando con antico dolore i calzini, che sembravano pronti a disintegrarsi da un momento all’altro dal momento che c’erano più buchi che stoffa.
«E ci hai messo anche così tanto a capire di dover buttare quella schifezza?» borbottò Hidan, voltandosi e tornando a dargli le spalle, sperando di mettere fine alla conversazione, così che l’altro se ne tornasse da dov’era venuto.
«Ho tentato di procrastinare questo momento, Hidapi, perché io a differenza di te ho un po’ di tatto!» ci sarebbe stata benissimo una voce in falsetto e sulla cassetta delle lettere all’entrata avrebbero potuto scrivere ‘Hie Hidan – Uchiha Shisuiko’.
Che poi lui aveva tatto, era Shisui che non ne aveva o non si sarebbe presentato nella stessa stanza in cui c’era lui a blaterare frasi senza senso e chiaramente fraintendibili che minavano la stabilità emotiva di Hidan. Sì, anche lui aveva una stabilità emotiva e l’unico problema collegato al destabilizzarla era che il tutto portava a istinti omicidi e ira funesta. Ovviamente con sangue annesso.
Seguì un silenzio piuttosto anomalo, perché non era davvero una cosa normale avere tranquillità in una stanza in cui c’era anche Shisui. In un modo o nell’altro quel ragazzo sapeva creare rumore, caos, disgrazie, tutto, anche solo battendo ripetutamente il piede alla fermata dell’autobus. Hidan era voltato di spalle, perciò non poteva vedere quel che stava facendo l’Uchiha, tanto che quando, un attimo dopo, dopo una serie di passi velocissimi, se lo ritrovò seduto davanti sul divano ad un palmo dal naso non poté evitare di sobbalzare.
«Che cazzo-» non poté terminare la frase perché Shisui si avvicinò ancora ed ancora, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia; arrivò tanto vicino che i loro nasi nemmeno si sfioravano, erano proprio premuti uno contro l’altro.
«Mai sentito parlare di distanza cortesia?» ringhiò senza tuttavia spingerlo via. Non vedeva molto oltre alla faccia di Shisui – troppo, troppo vicina – ma nei sei secondi prima gli era parso di notare che almeno non si era portato dietro l’arma mortale.
«La mia mamma mi ha sempre detto che sono una persona scortese, perciò non conta» e così dicendo premette maggiormente il naso contro quello di Hidan.
Visto da fuori erano quasi un quadretto idilliaco. Quel che vedevano loro, invece, era la versione ciclopica l’uno dell’altro.
«Che vuo-» sarebbe stata una domanda carina da porre, ma Shisui era davvero una persona scortese – o, meglio, spontanea – e lo interruppe.
«Perché ti sei arrabbiato tanto quando parlavo con i calzini?» parlò velocemente e l’unica cosa che al momento notava Hidan era lo snervante sorriso che gli si era disegnato sulle labbra. Come sapeva essere infantile Shisui non lo era nemmeno un bambino di due anni, a momenti. E per un attimo gli balenò nella mente l’immagine di uno Shisui bambino. Ringraziò il cielo più e più volte silenziosamente per aver avuto la fortuna nella sfortuna di averlo incontrato da adulto.
«Non mi sono arrabbiato» ribatté, ma Shisui parlò di nuovo, ignorando il commentò precedente.
«Eri geloso del calzini?»
«Non me ne frega nient-»
«Pensi preferisca te a loro?»
«Hai finito di dire stronz-»
«O forse pensavi parlassi con te quando dicevo che non possiamo convivere perché siamo diversi?» la velocità con cui espose la cosa non impedì a Hidan di comprendere, che tentò di tirarsi indietro istintivamente, ma l’Uchiha non era dello stesso avviso. Gli afferrò la testa con una mano e gli impedì di interrompere il contatto tra i loro nasi.
Lo Hie era leggermente perplesso; Shisui continuava a sorridere, mentre Hidan taceva e imprecava mentalmente.
Una cosa che non aveva mai capito dell’Uchiha era il modo di ragionare, probabilmente. O, più precisamente, quello che si agitava nella sua testa; per la maggior parte della sua vita passava il tempo a fare l’imbecille, facendo così credere a chiunque gli stesse intorno che sì, era un emerito imbecille. Eppure di tanto in tanto annientava questa convinzione, uscendosene con frasi argute o con intuizioni brillanti che non ci si aspetterebbe mai di sentire da uno che canta summer paradise in pieno inverno e parla con i calzini.
«Perché avrei dovuto pensare che ti stessi riferendo a me?» sbottò, perché in ventidue anni di vita aveva imparato che l’attacco era la miglior difesa.
Shisui fu scosso da una risatina che si propagò anche attraverso Hidan, visto che erano in contatto; sbuffò, perché Uchiha non sapeva nemmeno ridere come le persone normali, senza far tremare mezzo divano.
«Perché è fraintendibile, eri girato, non vedevi con chi parlavo» si fermò per un attimo e piegò un po’ di lato la testa, senza però allontanarsi da Hidan, per poi aggiungere: «E poi perché è vero.»
Hidan per un attimo – tentò di riprendere controllò di sé in breve, comunque – rimase leggermente perplesso da quella considerazione, forse perché non capiva in che modo la intendesse Shisui.
Per quel che ne sapeva lo Hie, l’Uchiha non aveva mai nemmeno preso in considerazione l’idea di staccarsi da lui, motivo, forse, che faceva sentire Hidan libero di trattarlo male e con poco riguardo. Tanto sapeva che era una presenza stabile, dov’era il problema? Routine. Non si era semplicemente mai chiesto se Shisui si fosse accorto dell’immensa diversità che c’era tra loro due, perché davvero erano l’uno l’opposto dell’altro. E ora che gli diceva che erano diversi – dimostrando che anche lui analizzava la realtà e, soprattutto, era dotato di facoltà di pensiero – non sapeva cosa aspettarsi.
Tentando di non far trapelare nemmeno un decimo di tutti quei pensieri, sbuffò e socchiuse gli occhi.
«Grazie per la grandissima rivelazione, genio della lampada, ma non ricordo di averti sfregato a suon di testate contro il muro per farti uscire» commentò piccato Hidan e quando giunse il confuso «Eh?» di Shisui scosse la testa e imprecò un paio di volte alla sua deficienza.
Come poteva passare da un atteggiamento pseudo intelligente ad uno totalmente idiota? Di che diavolo l’aveva imbottito la madre quando era piccolo, scemenza in pillole o in gocce? In entrambi i casi doveva aver sforato di un bel po’.
«È ovvio che siamo diversi, idiota» ripeté, per non fargli perdere il filo del discorso, in modo che non si concentrasse troppo sulla parte del genio, della lampada e del muro. A volte era davvero difficile intrattenere conversazioni con lui, specialmente se era qualcosa di vagamente serio.
«Abbiamo gusti diversi» commentò Shisui, quasi sovrappensiero. Il fatto di averlo così dannatamente vicino e non poterlo vedere bene in faccia impediva ad Hidan di capire quel poco che comunque ci sarebbe stato da capire sull’Uchiha in quel momento.
«Interessi diversi, gruppi musicali preferiti diversi, atteggiamenti diversi, faccia diversa, capelli diversi-»
«Un cervello diverso, io ce l’ho e tu no» non riuscì a trattenersi dall’aggiungere Hidan, che ottenne in risposta un vago cenno d’assenso di Shisui, che fece ovviamente annuire anche lui - perché diavolo non si erano ancora staccati?!
Proprio mentre Hidan si lamentava mentalmente di quella vicinanza leggermente scomoda, l’Uchiha si staccò di colpo, lasciandogli la testa e liberando finalmente il suo naso.
Prese a fissarlo con una certa determinazione che inquietò leggermente lo Hie. Quando pendeva quei colpi di testa il fattore eccentricità aumentava.
«E a chi dovrebbe importare, scusa?» chiese infine Shisui, mentre l’albino ancora si tastava il naso con qualche borbottio, contento che fosse ancora al suo posto.
Quella discussione non aveva un filo logico. L’Uchiha stava facendo tutto da solo e Hidan davvero stentava a stargli dietro.
«Che vuol dire?»
«Che non è importante se non abbiamo niente in comune» gli spiegò semplicemente, come se fosse qualcosa di sensato. Forse lo sarebbe anche stato se avesse avuto un contesto normale e logico in cui essere collocato.
Più che altro sembrava una considerazione che Shisui stesso stava elaborando per la prima volta in quel momento.
«Puoi parlare come mangi?» sbottò sardonico lo Hie, che si era seriamente perso per strada qualche pezzo.
Shisui piegò di lato la testa e si grattò il mento pensieroso.
«Tipo… mh, tipo tu di che colore vedi il mare?» chiese ad un tratto, giusto perché fino a quel momento non era ancora passato abbastanza di palo in frasca.
«Che domanda sarebbe?»
«Rispondi!» lo incitò, sedendosi meglio sul divano, mettendo una gamba sotto al sedere e lasciando l’altra a penzolare giù.
«E che ne so, non lo vedo da un sacco di temp-» ma perché diavolo non lo faceva finire di parlare?
«Potremmo andarci!» propose, colto da un’illuminazione divina, ritenendo quella la miglior idea che potesse venirgli.
«Sì, per fare la stessa stronzata del Fuji, arrivare, guardare la sabbia e tornare indietro. Pensi di piazzare la sveglia di nuovo alle quattro, imbecille?»
«Sei una persona davvero rancorosa, Hie, non fa bene al tuo karma» commentò desolato, scuotendo la testa.
«Pensa al tuo, di karma, prima che si stanchi di te e decida di venire a sgozzarti nel sonno» ringhiò Hidan, non sapendo nemmeno lui perché stesse assecondando la piega che Shisui continuava a dare alla conversazione.
«Quello se mai sei tu. È così che pensi di discolparti dal mio omicidio?»
«Oh, ma allora sai che un giorno ti farò crepare» era una buona notizia, quella.
«Sì, sì, certo… non cambiare discorso!»
«Ma se sei tu che-»
«Di che colore è ‘sto mare, Hidapi!»
Hidan sbuffò e prese in considerazione l’idea di affogarcelo, nel mare, magari dopo avergli tagliato la testa – anche se poi non era più morte per soffocamento, ma dettagli –, così da poter dire che lo vedeva di un bellissimo color sangue.
«Lo vedo blu, idiota, di che altro colore dovrei vederlo?»
«Specifica! Blu cosa, blu cornice che ti ha regalato tua madre?» ed indicò effettivamente il portafoto che sua madre gli aveva regalato un po’ di tempo fa e che ora troneggiava su uno scaffale. Dentro non c’era nessuna foto, ma un post it*. «O blu come la mia maglia?» e se la indicò con fare allusivo.
Perché dovesse fare domande così imbecilli proprio non sapeva spiegarselo e, soprattutto, Hidan non aveva assolutamente capito dove quell’ameba volesse andare a parare.
«Non lo so!» sbottò ancora, non si era mai messo a pensare che sfumatura di blu dovesse avere il mare ai suoi occhi e di certo non si sarebbe messo a pensarci perché l’Uchiha doveva fare riflessioni profonde senza né capo né coda.
Shisui sbuffò ed ebbe anche il coraggio di alzare gli occhi al cielo, ma, prima che Hidan potesse fargli rimpiangere tanta sfrontatezza, parlò di nuovo: «Tipo lo vedi blu corallo o blu cobalto?»
Lo Hie era senza parole. Sia perché non sapeva che sfumatura di blu associare al corallo e tantomeno al cobalto, ma anche perché davvero di domenica mattina quei due stavano parlando di una cosa del genere e non era una cosa umanamente accettabile.
Ne scelse uno a caso; «Cobalto» e Shisui schioccò la lingua, come se l’avesse predetto fin da subito.
«Appunto! Per me è blu corallo, siamo diversi! Non vediamo nemmeno il colore del mare uguale!» disse con tono deciso e Hidan ci capiva sempre di meno. Cosa voleva dirgli quella specie di scimmia che non vedeva un pettine da anni? E poi lui il colore lo aveva scelto a caso, non era una cosa attendibile.
«E…?» tentò facendo qualche gesto con la mano, come a volerlo invitare celermente a tirare le fila di quella cosa ingarbugliata che una volta era una discussione.
«E chissene frega!»
Il ragazzo era da ricoverare, fu l’unica cosa che pensò Hidan, che si prese qualche secondo per sbattere le palpebre varie volte, come se l’immagine del soddisfatto Shisui dinnanzi a sé potesse cambiare. Quest’ultimo aveva capito quel che voleva dire, ma lo Hie no.
Fortunatamente si premurò di spiegarlo anche ai comuni mortali.
«Non importa! Voglio dire, vedi il mare anche tu, no? Chissene frega del colore, è sempre mare, finché tu non vedi una capra e io un cavallo, tu un albero io una sedia, tu una scarpa io una ciotola di ramen, tu il mare io la montagna, tu-»
«Abbiamo capito» lo interruppe saggiamente l’albino.
«Eh, sì, voglio dire… vediamo le stesse cose, le vediamo con sfumature diverse perché siamo diversi, ma possiamo stare insieme benissimo» mentre Hidan ancora tentava di riprendere possesso delle sue facoltà di pensiero – era davvero una cosa rarissima sentire Shisui dire qualcosa di sensato –, l’Uchiha si avvicinò di nuovo a lui con fare cospiratorio.
«Sai, quella del ‘siamo troppo diversi’ è sempre una scusa, ma non dirlo ai calzini o ci rimangono male…»
Mentre l’Uchiha ancora complottava bisbigliando all’orecchio di Hidan, occhieggiando i calzini di tanto in tanto, lo Hie si rese conto che a poca distanza dalla faccia aveva un essere bipolare che attivava il cervello a fasi alterne e con una velocità impressionante. Ora gli stava facendo sapere che in verità i calzini doveva buttarli, ma doveva pensare ai loro sentimenti e perciò la scusa delle diversità era la migliore.
Hidan sentiva quasi una certa necessità di scoppiare a ridere in maniera incontrollabile e psicopatica, con la bocca indecentemente aperta, la pancia dolorante e probabilmente l’incapacità di controllarsi. Come un matto, in poche parole, ma si trattenne, perché sotto quel tetto uno sano di mente ci voleva. Ma voleva farlo, perché quella mezza preoccupazione che aveva era stata risolta dall’ignaro Uchiha e quella cosa lo faceva sentire un imbecille.
Mentre Shisui ancora parlava a vanvera di quei dannati calzini, Hidan si lasciò scappare un mezzo ghigno e gli afferrò la testa. Si ricreò la stessa scena di prima, naso contro naso, solo che questa volta era Hidan che teneva ferma la testa di Shisui.
«La prossima volta che vuoi fare il filosofo non metterci sei ore» lo sbeffeggiò con un ghigno.
«Puah, sei solo geloso perché tu non fai queste considerazioni intelligenti e-»
«Non credo esista nessuno al mondo che sia geloso di te» fece presente stizzito, anche perché chi sarebbe mai potuto essere geloso di un ammasso di deficienza con un cervello che funzionava a caso e per brevissimi momenti?
«Mh, hai ragione, la gente sa quando arrendersi di fronte alla perfezione e visto che io sono troppo perfetto e irraggiungibile non sono nemmeno più gelosi perché è inutile» questo era un chiaro esempio di cervello non in funzione.
«È per stronzate come queste che meriteresti di rimanere con la testa chiusa nel forno.»
«L’ho sempre detto che tu sei una persona tenerissima, Hidapi. Come i fiorellini in farm heroes saga*, sono così teeeeneri appena svegli!» ma quel ragazzo passava la sua vita a giocare o faceva anche altro? Probabilmente no.
E poi… lo aveva davvero appena paragonato ad un fiore?!
«Curati, Uchiha, davvero» commentò Hidan quasi schifato dal paragone. Poi aggiunse: «Ti puzza l’alito.»
«Anche a te» ribatté Shisui facendo spallucce.
«E staccati allora!»
«Non posso, Hie, hai arpionato la mia testa-» Hidan sbuffò e senza fargli terminare la frase lo baciò, anche se Shisui, per un attimo, vedendolo ritrarsi indietro, aveva temuto gli volesse tirare una testata. Non sapeva mai cosa aspettarsi da lui.
Poi Hidan si alzò e lasciò Shisui intento a sorridere come un deficiente.
«Ah! Hidapi! Qualcosa in comune ce l’abbiamo pure noi!» saltò su ad un tratto, disturbando il povero Hidan che aveva deciso di fare colazione – suvvia, erano solo le undici, ciambelle e tè ci stavano eccome.
«La casa?» commentò sarcasticamente, mentre faceva scaldare l’acqua nel bollitore.
«… Sì, anche, ma altro!»
«Cosa, Uchiha, cosa» mormorò tra i denti, in attesa dell’ennesima scemenza.
«Le mutande!» e così dicendo si abbasso di poco i pantaloni del pigiama per permettere ad Hidan di notare un tessuto verde acido piuttosto famigliare.
Rimase per un attimo con la bocca semi aperta, per poi rinsavire. Comprendere. Realizzare. E quando Shisui vide il lampo che gli attraverso lo sguardo, da folle omicida pazzo, comprese che forse avrebbe dovuto tacere.
«Sono le mie mutande, quelle?» erano le sue preferite, santo cielo! Verde acido!
«Beh…»
«E tu le hai addosso.»
«Ehm… Ma era per avere qualcosa in comune…»
«Sto benissimo anche così, grazie
«M-ma la- Hie, non ti avvicinare. Non ti-»
«Vieni, Uchiha, che te le cucio sul culo a suon di calci.»
E il fischio della teiera venne coperto dalle urla di Shisui e gli insulti di Hidan.


...
«Oh, calzini calzini! Perché siete voi, calzini? Rinnegate la vostra puzza, rifiutate la vostra avversione per i buchi cuciti o, se non volete, giurate che vi farete lavare e io non vi butterò! Solo il vostro tanfo mi è nemico, voi siete vo-»
«Che diavolo vuol dire ‘io non vi butterò’?! Sbarazzati di quella merda se non vuoi finirci tu nella lavatrice con la bocca cucita.»
«… Che cosa vuol dire ‘buttare’? Non è una mano, né un pied-»
«Vuol dire che se non la pianti ti butto dalla finestra e raccolgo il tuo sangue con i tuoi calzini.»
«… ryokai*.»










Il pezzo di Romeo e Giulietta che ho fatto amabilmente storpiare a Shisui XD è questo: «Oh Romeo Romeo, perché sei tu Romeo!? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti. Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu. Che vuol dire "Montecchi"? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo.» Spero Shakespeare non me ne voglia troppo XD

*Riferimento alla oneshot non della raccolta jankenpon che spiega più o meno perché Shisui abita con Hidan. In verità servirebbe ancora una shot prima di quella… *rimugina*
*La storia del post it devo ancora raccontarvela, diciamo che ho inserito il post it in questa storia come promemoria della storia sul post it. Adoro essere complicata.
*Sì, io gioco a ‘sto farm heroes invece di studiare, prego vorrei un giro di applausi XD
*Ryokai: capito, ricevuto

Oneshot seria (pseudo seria, non esageriamo), cosa strana, lo so XD c’è un filo della solita demenza, non può mancare (si può dire che la scemenza sia lo sputo che tiene insieme questa raccolta), ma per una volta ho voluto dare un taglio diverso al tema che ho trattato. So che non è da Hidan fare riflessioni profonde, esternare sentimenti, blablabla, però qui la faccenda è ambientata in un contesto AU, in cui non sacrifica la gente e perciò le cose sono un po’ diverse. Penso che anche lui abbia la capacità di affezionarsi alla gente (Shisui) e che, per quanto il suo carattere di merda lo renda dispotico e tutto quel che è XD”, dei sentimenti li provi anche lui. Non so se glieli ho fatti esternare in maniera comprensibile senza farglieli esternare davvero (… sì, va bene, sorridete ed annuite a quel che dico anche se non s’è capito niente), ma il tentativo c’era XD
La storia del mare, del blu corallo e del cobalto l’ho presa da un film, Cyrano Agency, che consiglio tantissimo. Il modo in cui ho sviluppato io la cosa non c’entra davvero una fava, nel senso che io ho solo preso i due colori e il mare e ci ho ricamato sopra, li la faccenda è completamente diversa (e non me la ricordo nemmeno benissimo, ma dettagli XD). Sì, avrei potuto prendere altri due colori e, chessò, un divano come oggetto, ma dal momento che quella scena mi ha fatto venire in mente la shot ho pensato di usare quella XD
… come potrete notare Babbo Natale non mi ha portato il cervello che tanto desideravo, il che mi riporta ad un’altra shot che stavo scrivendo per la raccolta, sul natale, che ovviamente non ho finito (shame on me) e che sarebbe stata sullo stile di summer paradise… magari un giorno la finisco e ve la posto per pasqua, voi apprezzato la buona volontà *schiva scarpa*.
Mh, anche se con una lentezza allucinante, the show must go on! Sì, le idee ci sono, nel senso che ne ho davvero tante che vorrei scrivere, ma non ho il tempo, avrei bisogno di quella cosa furbissima che usa Hermione in Harry Potter, una giratempo, ma anche in quel caso, conoscendomi, farei ben poco XD
Boh, ringrazio chi continua a seguirmi, mi rendete really happy (:

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Capitolo 11
*** Post it ***


11. Post it




Era davvero una cosa rara che, tra i due, ad arrabbiarsi fosse Shisui. Forse perché l’Uchiha tendeva a prendere tutto più alla leggera, al contrario di Hidan, che era capace di mettere a ferro e fuoco l’intero edificio anche solo se Shisui gli finiva i biscotti. E Hidan nemmeno ci credeva che uno come lui potesse prendersela per qualcosa: era semplicemente troppo… superficiale, valutava tutto secondo un metro di giudizio che attribuiva importanza alle cose più stupide, tralasciava completamente altre questioni ben più gravi e, comunque, anche per quanto riguardava ciò che gli interessava non andava mai oltre la tristezza, forse lo sdegno e, al massimo, l’irritazione non superiore ad una decina di minuti.
Era un essere molto strano, quello lo avevano capito tutti. Se qualcuno lo vedeva senza conoscerlo minimamente, comunque, poteva erroneamente pensare che fosse addirittura una persona vagamente composta.
Hidan non lo aveva visto serio nemmeno una volta. Non per più di sette secondi. Non per qualcosa di veramente importante.
Eppure ora ce l’aveva davanti, con un’espressione in volto che stonava davvero tanto con il solito comportamento che gli vedeva tenere; le sopracciglia erano aggrottate, gli occhi seri e le labbra serrate, mentre sbuffava infastidito per l’ennesima volta.
«Che diavolo hai da guardare con quella faccia di merda?» chiese immediatamente sulla difensiva Hidan, smettendo di cospargere di chili e chili di marmellata il suo toast – era l’ora della merenda. Era leggermente stupito per l’entrata in scena trionfale che aveva fatto l’Uchiha – era entrato a passo di marcia in cucina, con un «Ehi!» sbottato e la totale assenza della solita allegria – e ovviamente da lui non sapeva cosa aspettarsi.
La finezza non sarebbe mai divenuta una delle sue caratteristiche principali, inutile sperare in vano.
Shisui continuava a fissarlo senza dire nulla.
Hidan faceva lo stesso.
L’Uchiha non stava nemmeno sbattendo le palpebre.
Lo Hie era la persona meno paziente sulla faccia della terra.
«Allora?! Vuoi fissarmi ancora per tan-» non ebbe nemmeno tempo di finire la frase – cosa che forse avrebbe contato un'altra ventina di parolacce gratuite – che l’Uchiha mise la mano in tasca e ne estrasse un blocchetto di post it. Staccò il primo e lo appiccicò sulla guancia di Hidan.
«Sei deficiente?» si permise di chiedere lo Hie, afferrando con rabbia il pezzo di carta e leggendo la risposta alla sua domanda: sì, era deficiente.
“Io non ti parlo più” recitava il pezzo di carta giallo. Aveva davvero una grafia orribile, ma almeno su quello lo Hie non si pronunciò. Era vagamente consapevole che tra tutti e due nessuno poteva esibirsi nella raffinata arte dello shodo*.
«Che vuol dire?» sbottò lo Hie, guardando Shisui che a sua volta continuava a guardarlo con indifferenza, anche se c’era un che di soddisfatto negli occhi scuri.
Non gli rispondeva. Hidan lo invitò con un «Beh?» e spiegarsi, ma in risposta ottenne un cenno eloquente di Shisui al post it.
Non gli parlava, giusto.
«E a me dovrebbe fregarmene qualcosa?» si informò con una certa sfacciataggine.
Shisui fece spallucce per poi frugare nelle tasche e estrarvi una penna – quanta roba ci teneva, lì dentro?!
Scrisse qualcosa velocemente, ristrappò il foglio e glielo sventolò davanti. Hidan lo afferrò, dopo aver appallottolato l’altro ed averlo buttato alle sue spalle. Non badava a quisquilie come il fatto che fosse casa sua, perciò poi a pulire doveva essere lui. O Shisui. Magari con la lingua, così la smetteva almeno per un quarto d’ora di fare scemenze.
“Sì, visto che è colpa tua” lo accusò e Hidan non poté trattenersi dal leggere lo stupido bigliettino con il tono supponente che usava Shisui a sproposito quando aveva torto ma era erroneamente convinto di avere ragione.
Hidan socchiuse gli occhi e mentalmente gli rivolse le più traviali parolacce.
«Non ho tempo da perdere con le tue scemenze, se non vuoi più parlarmi la porta è quel-» prima che il suo più grande sogno potesse essere espresso a parole – Shisui fuori dal suo appartamento, non gli sembrava nemmeno di chiedere troppo –, l’Uchiha gli tappò la bocca con una mano e dopo qualche attimo la tolse. Mosse la testa con decisione, come se stesse ammonendo il cane che gli aveva urinato sul tappeto e infine si spostò nell’altra stanza e si sedette per terra a poca distanza dal tappeto.
«E adesso che diavolo stai facendo?!» sbottò in preda all’isteria, perché non c’era una sola cosa che Hidan riuscisse a capire di Shisui. Non riusciva ad anticipare mai nessuna sua azione, perché semplicemente quell’imbecille agiva a caso. La cosa che più lo interessava, però, era come gli venissero in mente cose del genere. Ad esempio parlargli tramite post it, sedersi per terra e ignorarlo, con le braccia incrociate e lo sguardo fisso di fronte a sé, come se stesse sfidando chissà quale grande divinità mistica e attendendo il giudizio divino. Sapeva essere parecchio melodrammatico.
Non ottenne risposta dall’Uchiha e la cosa lo fece irritare maggiormente. Santo cielo, se proprio doveva fare cose senza un senso logico non poteva evitare di metterlo in mezzo?
Hidan accartocciò il post it in cui era ingiustamente accusato e si diresse a passo di marcia verso il ragazzo, rischiando anche di perdere una ciabatta nella foga di muoversi.
«Ne hai ancora per tanto?» sbottò, mentre l’Uchiha non gli prestava più attenzione di quella che stava riservando alla polvere sotto al divano.
Lo Hie sentì una voglia irrefrenabile di prenderlo a testate contro il pavimento o, comunque, di sbattere una qualsiasi parte del suo corpo contro una superficie piana e non dell’appartamento. Era certo al novantanove virgola nove percento che dal fatto che Shisui avesse smesso di parlargli derivasse solo soddisfazione e felicità; eppure la cosa, al contempo, lo infastidiva. Era quello zero virgola uno di percentuale che lo fregava. Per mettere a tacere quella parte di sé che lo faceva irritare per cose che lo avrebbero dovuto far saltare fino al soffitto dalla gioia più pura si disse che era perché l’Uchiha aveva deciso di fare tutto da solo. E così le cose non potevano andare. Shisui taceva se lui gli diceva di farlo, non decideva di fare il muto di punto in bianco, perché si era svegliato male quel mattino e ci aveva messo otto ore per realizzare come manifestare la cosa.
«Smettila di fare l’imbecille e alzati prima che decida di chiuderti la testa nel forno a duecento gradi e spacciare il tuo cadavere alla vecchiaccia di sopra come torta bruciata» sibilò senza riprendere fiato e tacque per un minuto buono, in seguito, perché lui, a differenza dell’altro ragazzo, non aveva i pori magici.
Shisui inarcò un sopracciglio e Hidan giurò di aver visto anche un angolo della bocca alzarsi, ma non gli concesse nulla di più. Lo Hie gli diede uno spintone sulla spalla, seguito da uno un po’ più forte e quando stava per giungere il terzo Shisui alzò una mano, invitandolo a fermarsi. Dopodiché prese di nuovo quegli odiosi foglietti gialli che Hidan, da quel giorno, non avrebbe più potuto apprezzare. Una volta li usava per studiare, ora gli sarebbe toccato usare la carta igienica per appuntarsi le cose.
“Puoi andare avanti anche tutto il giorno” diceva il biglietto che gli aveva passato, mentre il secondo che gli porse diceva “ma non ti parlerò”.
«Dovrei forse scriverti anche io?» commentò Hidan sardonico, come se stesse proponendo qualcosa di talmente improbabile che era addirittura divertente.
Shisui gli rivolse un sorriso a trentadue denti – odioso – e annuì: “Finalmente ci sei arrivato, Hidapi!”
Lo Hie aveva la bocca spalancata ed era oltre lo scandalizzato.
Mai. Non lo avrebbe fatto mai. Nemmeno sotto tortura. Quel ragazzo era troppo idiota.
“Omedetou*!”, iniziò a tormentarlo Shisui con post it a raffica. “Sono fiero di te!”. Seguì una faccina commossa particolarmente orribile; poteva passare per una macchia di Rorscharch “Puzzi” aggiunse sull’ennesimo biglietto e “Hai messo su pancia” continuò.
«Piantala» lo ammonì Hidan, ma in risposta ottenne un altro post it.
“Sei cattivo, Hidapi” e ancora “Spero ti finisca il bagnoschiuma” e ancora “IO ti finirò il bagnoschiuma” – «Non ci provare nemmeno» – e ancora “Chiamerò Suigetsu kun” e ancora “Ed è tutta colpa tua!” e ancora-
«Hai intenzione di smetterla con ‘sti post it?!» urlò.
Un secco e mal scritto “NO” fece in modo che la rabbia in lui triplicasse e lo portasse ad assumere un colorito piuttosto pallido.
La praticità prevalse sulla ragione. Doveva procurarsi dei post it pure lui, anche se una consistente parte di lui continuava a dirgli di lasciarlo perdere, prima o poi si sarebbe stancato anche di quella fissa.
Hidan si chiese, facendo il breve tragitto che vi era dalla cucina alla sua camera, perché diavolo finisse sempre per assecondare quell’idiota. Ma non voleva sapere la risposta, altrimenti avrebbe dovuto venire a patti con se stesso e chiedersi davvero perché fosse andato in camera sua a prendere i post it che aveva sulla sua scrivania. Questa problematica passò in secondo piano quando si rese conto che post it che credeva di avere erano quelli che stava usando Shisui e la rabbia cieca offusco per un attimo le riflessioni più profonde.
Tornò in soggiorno, si sedette sul divano, munito di foglietti gialli – ne aveva altri, sfortunatamente o fortunatamente che fosse – e penna e si insultò pesantemente, prima di prendere parte a quella cretinata. Un giorno gli avrebbe fatto rimpiangere tutte quelle sceneggiate da primadonna.
“Allora?” scrisse velocemente, per poi lanciarglielo direttamente. Un attimo dopo il volto di Shisui era sorridente come quello di un bambino a cui erano state regalate scorte infinite di caramelle, ma un attimo dopo tornò estremamente serio. Giusto un po’ inquietante.
In risposta gliene passò un altro.
“Cosa?” domandò con fare innocente e fu in quel momento che nella mente dello Hie si figurò un bellissimo scenario in cui l’Uchiha moriva strozzato da tutti quei dannati fogli gialli che non voleva vedere mai più in tutta la sua vita.
Hidan gli passò un post it pieno di insulti ed imprecazioni che in una situazione normale gli avrebbe rivolto a voce.
“Perché non mi parli?” unica logica domanda che si poteva porre in un momento del genere. Shisui fece spallucce; “Così” scrisse, ma quando vide il volto di Hidan cambiare espressione in favore di una molto irritata aggiunse: “Impari a comportarti male”. Era assolutamente quello che voleva dire fin dall’inizio.
“Perciò io posso spaccarti la testa” nuovo post it: “Così” poi uno nuovo per esigenze di copione; “Impari a non essere un imbecille?”
“No, il mio ha un fine” a Shisui ne servì un altro per la parola “pedagogico”.
“Ucciderti ha un fine eroico” scrisse velocemente e dopo avergli attaccato il foglio sul naso ne scrisse un altro: “Salverebbe l’umanità dalla tua idiozia”.
Se Hidan avesse scritto i suoi appunti con la stessa scrittura piccola che si stava impegnando ad utilizzare per non sprecare troppi post it avrebbe risparmiato un sacco di spazio sui fogli, visto che per due nozioni era capace di far andare un quaderno interno. Scriveva male, in maniera disordinata e con dei kanji enormi. Già detto che non era portato per lo shodo, no? “Il mondo non può vivere senza di me” lo informò Shisui.
“Non direi proprio.”
“No, non uccidermi, Hie” l’espressione di Shisui era triste e angosciata, tanto che Hidan per un qualche secondo ipotizzò che forse aveva sbattuto la testa forte da qualche parte.
Prima che potesse chiedere perché, l’Uchiha gli sventolò davanti un post it delirante. Aveva avuto la premura di scrivere davanti e dietro, per risparmiare: “Piangerei anche io per la mia morte, è una cosa troppo triste” e “Morirei per la disperazione causata dalla mia morte!”
“Ti dai troppa importanza, idiota” egocentrico di merda.
“La mia vita ha un significato altro!”
“In cui altro sta per inutile” Hidan alzò gli occhi al cielo mentre l’Uchiha gli faceva la linguaccia, offeso. Sembrava tornato fin troppo in sé, cosa che ricordò ad Hidan il motivo per cui si trovava seduto sul divano, immerso nel totale silenzio, a scrivere su dei post it gialli orrendi.
“Perché sei arrabbiato?” non che gli interessasse il motivo, ma voleva almeno un qualcosa da scrivere sulla tomba. Qualcosa in stile: lo ricordano amici, parenti, cani, gatti e l’assassino, che l’ha ucciso in nome dei kami. Appunto, sarebbe stato carino specificare i motivi dell’assassinio barra atto eroico per il mondo.
“Il cielo è azzurro” gli fece presente, con un largo sorriso.
“E tu sei un idiota. Allora?”
“E… eh. E la luna c’è quando il sole non c’è” molto saggio, il ragazzo. Hidan si chiese davvero perché nessuno della sua famiglia sentisse tanto la sua mancanza da volerlo indietro al punto da rapirlo di notte dal suo appartamento.
“Vuoi avere la testa nel cesso quando il corpo è sotterrato nell’aiuola?”
“Poi non potresti scaricare l’acqua.”
“Farei cambio di appartamento con la vecchietta” lo Hie sorrise, perché maltrattare la nonnetta lo metteva sempre di buon umore. Come farsi la doccia. “Tanto se lei non va in bagno non fa niente” l’occhiata incerta di Shisui lo portò a terminare con: “In qualche modo deve pur crepare, no?”
L’Uchiha, sdegnato, gli mostrò ad un palmo dal naso il post it con scritto “Brutta persona!”
Hidan sbuffò e stava per scrivere qualcosa di altrettanto tagliente, cattivo, orribile e via dicendo, quando il ragazzo lo anticipò.
“Quanto bene mi vuoi?” gli chiese di punto in bianco, osservandolo con gli occhi leggermente spalancati, le labbra serrate e si era anche sporto un po’ di più verso di lui, sempre rimanendo a gambe incrociate. Forse quello per lui significava massima attenzione o quasi. Immaginava il terrore dei professori quando l’idiota si era trovato in prima fila.
«Che cazzo di-» domanda è?!, ma non continuò perché il signorino non gli parlava a voce e sarebbe solo stato inutile spreco di energie.
“Che cazzo di domanda di merda è?” si concesse anche qualche parolaccia in più perché se già doveva sprecarsi a scrivere quel che poteva dire a voce almeno voleva il bonus turpiloquio.
Shisui fece spallucce e continuò a fissarlo.
“Smettila di fissarmi.”
L’Uchiha fece segno di no con la testa.
“Piantala.”
“Tu rispondi!”
“Sei inquietante.”
“Dai!”
“Almeno chiudi gli occhi!”
“Sono belli, meritano di stare aperti.”
“Te li cavo.”
“Quanto mi ami!”
Hidan digrignò i denti per la disperazione. Sia perché stava portando avanti quel battibecco idiota con lui scrivendo su dei foglietti sia perché faceva delle domande deficienti.
Fece per alzarsi, ma Shisui gli afferrò una gamba.
Mentre lo teneva fermo, con l’altra mano riuscì a scrivere “Rispondi!” glielo attaccò sul ginocchio e lo spinse di nuovo sul divano.
Lo Hie si chiese cosa avesse fatto di male dal momento che gli era toccata una vita così difficile da vivere. Perfino vivere sotto un ponte – da solo – sembrava una prospettiva migliore.
Hidan, che era molto più intelligente di quel che i suoi genitori credevano, comprese che non si sarebbe più tolta quella piaga dai piedi perché era sempre così che andavano le cose. Shisui adorava prenderlo per disperazione, per sfinimento, e la cosa gli riusciva in maniera meravigliosa. Una delle tante doti degli Uchiha, però gli pareva di ricordare che né Itachi né il fratello cretino e spocchioso fossero così.
“Ho tutto il giorno” lo informò gentilmente. “Tu pure” all’occhiataccia di Hidan rispose con uno smile che prendeva tutto il post it seguente. Poi gliene attaccò uno su una guancia su cui c’era un cuore orribile che sembrava una b malfatta.
“Come sarà il tuo dopo che te l’avrò” gli servì un nuovo post it, cosa che riduceva di molto l’effetto della minaccia: “Fatto uscire dal naso”. Hidan non studiava anatomia per un motivo. Se ne accorse pure Shisui, che era venuto proprio male, perché ne fece un altro che ci assomigliava vagamente di più.
Lo Hie giurò su tutti i kami che non sarebbe mai più andato in un tempio, visto che all’inizio dell’anno ci era andato e ora gli toccava rispondere a quel genere di domande imbarazzanti ed idiote che nemmeno i mocciosetti delle scuole medie si facevano nella pausa pranzo.
Chiuse gli occhi, ignorando i pezzi di carta appallottolati che Shisui continuava a tirargli addosso, ognuno con un’esortazione diversa a dargli una risposta. Se li avesse aperti avrebbe trovato cose come “Daiiii~”, “Muoviti, Hidapiiii”, “Ti compro le ciambelle se rispondi”, “Potrei morire”, “Niente insulti, grazie”, “Se non risponderai mi ucciderò e ti farò tormentare dal mio spirito”, “Mi metto a cantare Summer paradise a squarcia gola!”.
Shisui scriveva veloce e Hidan ci mise anni a meditare sul da farsi, ma sbottò stizzito, afferrò la penna e i post it proprio quando l’Uchiha lanciò l’ultimo biglietto esortativo. Aveva un certo sesto senso, lo Hie.
I post it, tra l’altro, erano anche quasi finiti – che disgrazia.
“Non te ne voglio” scrisse e l’Uchiha lo lesse con una smorfia. Poi lo appallottolò e tese la mano. Notando che Hidan non reagiva gli scrisse “Dammi la risposta vera!” e tornò a tendere la mano.
“Se la sai perché devo scrivertela?”
“Ma io non la so!” prese poi a fissarlo con gli occhi spalancati, in quella che doveva essere una versione innocente e tenera di se stesso. Hidan lo trovò di nuovo inquietante, come la versione attenta.
“Allora come fai a sapere” ma quanto erano piccoli quei foglietti?! A momenti non ci stava nemmeno una parola. “Che la risposta di prima non sia vera?”
Shisui scosse la testa con sufficienza; “È ovvio che non è la risposta giusta”.
Hidan poteva mettere fine alle discussioni con Shisui solo se lo metteva a tacere fisicamente, mentre Shisui era estremamente bravo ad usare le parole. Anche messe a caso, anche inesistenti, faceva venire l’esaurimento nervoso anche ad un sordo che era costretto a vedere la sua bocca muoversi in continuazione. E anche a chi era costretto a leggere quel che scriveva. Veniva davvero da chiedersi se fosse stupido per finta o se non fosse consapevole della demenza letale che si portava dietro.
“E allora non puoi sapere se” Shisui gli strappò il biglietto di mano e velocemente gliene mise un altro davanti: “RISPONDI!”
Lo Hie alzò gli occhi al cielo e tentò, nella disperazione, di prendere a morsi la mano di Shisui, che la ritrasse appena in tempo, giusto prima che lo Hie gli staccasse qualche dito.
“Cannibale” commentò, ma poi tornò a mostrare il palmo aperto.
E Hidan sapeva che non l’avrebbe mai avuta vinta contro di l’idiota – e lui era diventato fin troppo arrendevole da quando lo aveva riconosciuto –, perciò prese l’ultimo post it e imprecò come se non ci fosse un domani.
Prese a scrivere calcando come se stesse zappando un terreno, infatti sbagliò a scrivere e cancellò con irritazione. Poi terminò e prima ancora che potesse pentirsi di quello che aveva fatto, l’Uchiha gli strappò il foglio di mano e scattò in piedi, esultante come un nonnetto che aveva vinto alla lotteria e finalmente, prima di passare a miglior vita, poteva farsi una vacanza alle Seychelles.
«Ah-ah!» esordì Shisui ad alta voce, facendo quasi prendere un infarto allo Hie che non si aspettava di sentirlo parlare – era stato troppo bello per essere vero, la prospettiva di non dover più sentire la sua voce lo aveva fatto illudere.
Non ebbe nemmeno tempo di iniziare la tormentata sequela di pensieri che avrebbero affollato la sua mente se avesse avuto qualche attimo per pensare: perché diavolo lo aveva scritto? Che gli passava per la testa? Lui aveva creduto che sarebbe andato perduto nella carta, che la raccolta differenziata avrebbe portato via il giorno dopo. Sarebbe stata la parola di Shisui contro la sua e tutti sapevano che quello che diceva l’Uchiha aveva la stessa validità dei buoni sconto del konbini sotto casa quando il periodo di promozione era finito. Eppure… Eppure…
«Non dovevi tacere tipo per sempre?» ringhiò Hidan, arrabbiato per essere stato ingannato.
Shisui lo ignorò: «Questo va incorniciato! Va tenuto per i tempi di magra in cui dici solo che vuoi uccidermi e trucidarmi, senza una parola d’affetto!»
«Non ci provare nemmeno, dammi quella merda-» lo avvertì Hidan, ma Shisui continuò a briglia sciolta, estasiato come non mai.
«È una cosa rara! Non è un ti amo in grande stile, è pure scritto male, ma è già qualcosa!» detto ciò scavalcò letteralmente lo Hie che aveva tentato di mettersi in mezzo e raggiunse la cornice che aveva adocchiato nello stesso petosecondo in cui aveva realizzato che doveva incorniciare quel post it e tramandarlo ai posteri.
Era una cornice blu normale, anonima, che la madre di Hidan aveva dato al figlio perché secondo la donna doveva mettere delle foto in casa. Lo Hie aveva preso la cornice e aveva rispettato la volontà della madre di metterla sullo scaffale. Sì, vuota, cosa che Shisui aveva contestato nello stesso momento in cui aveva messo piede in casa sua.
E ora l’Uchiha era felice come una pasqua di poter prendere due piccioni con una fava. Anche Hidan aveva una certa idea su come poter utilizzare delle fave, non era per prendere piccioni e si concludeva con tanto sangue. Possibilmente morti.
«Uchiha» sbottò Hidan irritato come poche volte in vita sua, mentre stritolava i post it che aveva in mano.
Troppo tardi. Aveva già afferrato il soprammobile, ci aveva infilato dentro il rettangolo di carta giallo che ora troneggiava sullo scaffale della libreria.
Recitava “Tanto” con la cancellatura davanti e ad occhi estranei non significava esattamente nulla, non poteva passare nemmeno per un’opera d’arte moderna, ma Shisui era soddisfatto lo stesso.
Lo Hie no.
«Non ti azzardare a toglierlo, Hidapi, tanto lo rimetto. E se butti la cornice ne compro una nuova- anzi! Lo dico a tua madre» la peggior minaccia, perché se c’era qualcosa che l’albino non poteva sopportare era sua madre che girava per casa, commentava i calcini sporchi sparsi per camera sua, controllava ogni ripiano per criticarne la scarsa pulizia e faceva comuella con Shisui, raccontando all’Uchiha tutti gli aneddoti imbarazzanti che in un secondo momento la piaga avrebbe utilizzato per sfotterlo a vita.
Hidan, che si era alzato giusto per togliere quella cosa dalla libreria – lui lo sapeva cosa significava quel “tanto”, era imbarazzante – ritornò a sedersi, riempiendo la stanza di ogni insulto colorito la sua mente potesse richiamare in quel momento; finì per ripetere più volte quelli peggiori, seguiti dal nome di Shisui.
«E perché ti sei finto arrabbiato, di grazia?» ringhiò, osservandolo giocherellare felice con i post it che aveva impilato uno sull’altro senza troppo ordine.
L’Uchiha fece spallucce e sorrise allegramente: «Altrimenti non mi avresti retto il gioco!»
«E cosa ti ha fatto pensare, in quel cervellino malato, che ti avrei assecondat-»
Shisui non lo stava minimamente ascoltando. «Avrei dovuto prendere i post it blu sono più belli di quelli gialli…»
Mentre Hidan lo fissava allibito senza emettere alcun suono – solo a lui poteva venire in mente una cosa del genere –, l’Uchiha aggiunse: «Però è stato divertente, ammettilo! Dobbiamo rifarlo!»
Lo Hie avrebbe anche lasciato perdere lui e la sua scemenza, se non avesse ancora aggiunto: «E poi è logico che mi avresti assecondato. Non puoi vivere senza di me!»
Hidan si limitò a prendere un post it dal tavolo e a schiaffarglielo in fronte con più forza del dovuto, ma senza preoccuparsene: non c’era più nulla in quella testa che potesse essere danneggiato.



*Shodo: è l’arte della scrittura giapponese.
*Omedetou: congratulazioni/complimenti
Questa è la fantomatica storia sui post it che ho citato nel capitolo precedente e che finalmente sono riuscita a scrivere! E mi sembra d’obbligo far presente che io ‘sta cosa dello scrivere sui post it l’ho fatta davvero, in inglese XD Ne era venuta fuori una discussione bellissima, ho tenuto i post it e uno l’ho usato come segnalibro per un libro che stavo studiando XD Mi esalto con poco, si era notato immagino…
Uhm, visto che non si sono parlati ma si sono scritti invece per segnare il dialogo ho usato le virgolette “” e non «», ma è un dettagli inutile, solo che mi piace specificare l’ovvio .v.
Buh, non so a quando la prossima shot, ma spero presto, perché non ho uno straccio di trama per altri capitoli, ma ho dei titoli: non so cosa ci sia di storto nel mio cervello che mi fa trovare i titoli e non le trame e quando mi fa trovare le trame non mi fa trovare i titoli, ma prendiamolo come un segno di buon auspicio e forse ritornerò presto XD
Ringrazio chi continua a seguirmi e recensisce!♥

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Capitolo 12
*** Zombini ***


12. Zombini




«Ho fame~» la voce lamentosa di Shisui rientrava tra quei suoni che Hidan non poteva sopportare nemmeno per un secondo. Come le unghie sulla lavagna, come quella specie di pernacchia che faceva il contenitore del bagnoschiuma quando non c’era più nulla da far uscire, come il suono della sveglia (erano svariate quelle che aveva fracassato contro il pavimento), come qualcuno che bussava alla porta (lo aspettava sempre qualche disgrazia quando andava ad aprire, sempre), come qualsiasi dannato suono che produceva l’Uchiha.
Quando poi si lamentava anche che era affamato non era umanamente qualcosa di sopportabile, perché l’ameba aveva quella strana impressione che dirlo una sola volta non bastasse mai. O forse riusciva a riempirsi lo stomaco che l’aria che gli entrava in bocca quando lo diceva settantasei volte in più, lo Hie non lo sapeva, ma fatto stava che non era assolutamente in grado a dirlo una volta soltanto.
Ma cosa ci si poteva aspettare da uno che la mattina parlava con lo scarico e gli chiedeva di ricordargli di scaricarlo? Niente, appunto. Il fatto che fosse anche mezzanotte meno dieci la diceva lunga sulle sue capacità mentali residue.
«Hiii-daaaaan! Ho fame! Tanta!»
Un bambino di due anni sarebbe stato meno rumoroso e come paragone doveva rendere abbastanza per far capire quanto effettivamente l’Uchiha stesse urlando in quel momento. In più Hidan si era riscoperto particolarmente intento a voler battere il record a Stick Run che, guarda caso, non era stato lui a fare, ma Shisui in una delle tante volte in cui gli aveva rubato il cellulare. Non era in grado di batterlo – aveva rischiato di scaraventare il cellulare per terra almeno venti volte da quando aveva iniziato – e pertanto il suo odio per Shisui era aumentato a dismisura. In primis perché si permetteva di prendere il suo cellulare ed usarlo a suo piacimento e, in secundis, perché non poteva farsi battere dall’Uchiha. E forse sapeva pure che l’ordine non era esattamente quello.
Mentre cominciava l’ennesima partita, pensò che poteva provare ad ignoralo… magari si zittiva da sol-
«HIE! Hiehiehiehie io ho fame!»
Hidan mise in pausa la partita solo per portare un attimo l’attenzione sull’idiota davanti a lui. L’ameba non poteva davvero essere in piedi sul divano, a braccia conserte e con lo sguardo del bambino a cui era stato fatto il peggior torto al mondo.
Beh, eppure lo era e la cosa lo irritò pure maggiormente. Come poteva sempre comportarsi come un bambino?! Non sapeva che il suo appartamento fosse un asilo o un baby parking.
«Mangia» fu l’unico consiglio che si sentì di dargli Hidan, mentre era ancora abbastanza certo di poter mantenere la calma.
L’Uchiha non parve cogliere la gentilezza e sbuffò sonoramente, per poi ricadere di peso sul divano, lamentarsi per la botta al culo che aveva preso nella foga di mostrare la sua irritazione e richiamare l’attenzione di Hidan con fare più che scocciato.
L’ehi poco silenzioso di Shisui sconcentrò lo Hie, che ovviamente perse. Ed aveva iniziato da cinque secondi, affettando il corpo del povero omino nero nelle lame. Più o meno la fine che si sentiva di far fare a Shisui quando abbandonò con davvero poca gentilezza il cellulare sul divano. In pratica lo lanciò letteralmente di fianco a lui, ma se c’era una cosa a cui Hidan teneva più della sua vita era il suo cellulare, perciò, imprecando, lo riprese e mormorando qualcosa lo rimise in tasca.
Era ordinaria amministrazione che Hidan si scusasse con il suo cellulare quando lo maltrattava, perciò nemmeno Shisui disse niente. In più aveva fame, tutto il resto era secondario.
«Ti ho detto che ho fame» gli ripeté ancora l’Uchiha, per quella che forse era la ventesima volta.
«E io ti ho detto di mangiare!» ringhiò Hidan a cui sfuggiva perché non riuscisse a mettere insieme le due azioni. Se aveva fame mangiava, se aveva sete beveva, se voleva morire andava da lui. Semplice, no?
Shisui spalancò gli occhi e lo guardò come se avesse detto la cosa più stupida del mondo, come se fosse scontato che mangiare, in quel momento, nonostante la sua pancia si stesse rivoltando come un calzino per la fame, non fosse minimamente possibile.
«Hie… Hie, ma sei almeno sveglio?» gli chiese sventolandogli la mano davanti.
E se c’era una cosa che Hidan odiava – ma che in verità odiavano tutto – era l’essere trattato come un idiota. Specialmente se a trattarlo così era un altro idiota.
«Tu sei vivo ancora per poco» Hidan non sapeva nemmeno perché si ostinava ancora a lanciargli dietro quelle minacce che lasciavano il tempo che trovavano. Forse doveva iniziare a passare ai fatti…
«No, seriamente» Hidan era diviso a metà del desiderio di schiaffarsi una mano in faccia e di schiaffarla in faccia a lui. «Non posso mangiare!»
«Perché?» si sforzò di chiedere, perché se non altro poteva trovare ispirazione sul motivo per cui di lì a poco avrebbe appeso il suo intestino al lampadario.
Shisui si tenne la pancia con una mano, come a voler dimostrare che la sua condizione peggiorava di minuto in minuto, poi rispose: «Non…» si fermò.
«Non?» possibile che dovesse anche cavargli le parole di bocca?!
«C’è…» stava tirando su con il naso? Pure?
«Cosa non c’è? Il tuo cervello? La tua dignità? Un po’ di buonsenso? La mia voglia di fracassarti ogni osso? In verità quella c’è-» Hidan fu interrotto dall’ululato che cacciò l’Uchiha. Non era un asilo, era un fottutissimo zoo.
«CIBO! Non c’è CIBO! Niente! Perché tu non vai mai a fare la spesa quando è il tuo turno!» l’Uchiha era esploso nella disperazione più totale, aveva gli occhi sgranati e un’aria poco sana. Hidan continuò ad osservarlo, senza ribattere. Shisui muoveva le mani ad intermittenza, invitandolo a rispondere, ma non giunse una sola parola dal coinquilino. Shisui non aveva minimamente capito che quella altro non era che rabbia silenziosa, la peggiore che esistesse al mondo. Fermentava nell’assenza di una reazione e, quando esplodeva, non c’era kami che potesse salvare la causa di tanta ira.
Lo Hie, dopo qualche momento di stasi incomprensibile per l’Uchiha, si alzò con una certa dignità e si diresse in cucina, seguito a ruota dall’ameba morente di fame.
L’intenzione era quella di aprire la dispensa, mostrargli tutto il cibo che c’era dentro per poi infilarglielo in gola – senza togliere la confezione, in caso l’alimento l’avesse avuta – procurandogli una morte atroce e zittendolo.
Sfregò le mani una contro l’altra, dopodiché poggiò una mano sulla maniglia. Prima di tirarla si voltò verso l’Uchiha, che lo guardava confuso, gli mise l’altra mano dietro al collo e lo attirò verso di sé. Quando fu certo di avere il naso di Shisui che sfiorava il suo, ringhiò poche, brevi parole: «La nostra convivenza finisce qui.»
Prima che l’Uchiha potesse esprimere tutte le sue perplessità, Hidan spalancò di colpò lo sportello della dispensa. Nella foga, quando lo aprì, la confezione di germogli di soia malamente poggiata sul primo ripiano scivolò giù, fino a cadere sui piedi di Hidan e rotolare un altro po’. Shisui ne seguì il tragitto con lo sguardo, mentre Hidan non staccò il suo dal ripiano totalmente vuoto. Vuoto eccetto per i germogli di soia fuggitivi, uno spicchio di limone che chiaramente non doveva trovarsi lì e una busta al fondo…
Con uno scatto repentino la afferrò, per poi scoprire che dentro c’era lo scontrino di quel che un tempo c’era nella busta.
«Sono scaduti…» mormorò Shisui riferito ai germogli di soia; come poche altre volte era successo da quando conosceva il suo coinquilino, poteva intravedere l’aura di malvagità e rabbia che aleggiava intorno a lui.
Hidan, con movimenti meccanici, si portò davanti al frigorifero e lo aprì con altrettanta foga. Questa volta, per la scossa che infierì nell’aprirlo con violenza, a rotolare giù fu una bottiglia di ketchup, che fece più o meno la stessa fine dei germogli.
Shisui la raccolse, aprì la bocca e tentò di spruzzarsi il contenuto in bocca, ma invano.
«È finito…» buttò lì, mentre Hidan rimaneva in trance ad osservare il vuoto presente nel frigorifero. C’era una confezione di latte, qualche confezione di cibo non meglio identificato, ma sostanzialmente si poteva classificare come nulla. Se fosse arrivato qualche scienziato sarebbe stato anche in grado di trovarci una traccia di antimateria lì dentro.
Cadde il silenzio per qualche attimo, dopodiché Shisui fece per dire qualcosa e Hidan esplose.
«E perché non me lo hai detto prima?! Perché non sei andato a fare la spesa tu se hai visto che non c’era niente?! E che diavolo abbiamo mangiato allora negli ultimi giorni?!»
Lo Hie sentiva l’isteria uscire ad ondate dai suoi pori. Finì con l’afflosciarsi di nuovo sulla porta ancora aperta del frigorifero. Non si sentiva più un ginocchio.
«Beh… ho ordinato qualcosa ieri… poi a pranzo in genere non ci siamo…» commentò lui, che pianissimi, ma proprio in maniera inudibile, aggiunse: «Poi era il tuo turno!»
Hidan si rivoltò di scatto, fulminando con la peggiore delle occhiate. Dopodiché sbatté lo sportello dell’inutile elettrodomestico, afferrò i germogli di soia e il ketchup, li buttò nella spazzatura e poi afferrò il collo di Shisui. «La raccolta differenziata- il mio pomo d’adamo» biascicò, ma lo Hie non lo stava ascoltando. Iniziò a spingerlo e Shisui si mosse all’indietro, assecondando quello che sembrava chiaramente un tentativo di omicidio colposo.
«Cosa- Hidapi- assassinio- bruttobrutto-» ad un tratto andò a sbattere contro qualcosa. Un muro o la porta, probabilmente.
Hidan si avvicinò un po’ e Shisui deglutì.
«Mettiti le scarpe. O vieni scalzo, non me ne frega.»
L’Uchiha annuì e fece come gli aveva detto senza nemmeno chiedere cosa, quando o perché.


Un quarto d’ora dopo




Ad Hidan non piaceva andare a fare la spesa. Se poteva evitare di andarci lo faceva ben volentieri, ma dal momento che era andato ad abitare da solo gli era toccato fare quell’enorme sforzo. Per le prime volte, sentendosi un idiota a spingere un carrello in un luogo pieno di gente, aveva tentato di tenere tra le braccia tutto e di uscire dal konbini in fretta. Il tutto si era concluso con lui che aveva attirato l’attenzione ancora di più di come avrebbe fatto con un anonimo carrello. Da quel giorno non ne aveva fatto a meno.
Con la venuta dell’Uchiha, aveva ben sperato che almeno quel problema sarebbe scomparso dalla sua vita – nelle disgrazie bisognava sempre tentare di vedere il lato positivo, no?
Beh, Shisui se ne era uscito con tattici schemini in cui entrambi si spartivano i compiti. Hidan, imperterrito, comunque, aveva tentato di saltare quella mansione. Shisui di tanto in tanto si rendeva conto che se fosse stato per il coinquilino sarebbero anche potuti morire di fame, sfamandosi alla bene e meglio con la moquette, pertanto faceva lui la spesa anche quando non era il suo turno, ma se c’era una caratteristica dell’Uchiha che non poteva cambiare nemmeno a causa di condizioni disastrate era la sbadataggine.
Se si ricordava bene, se non si ricordava si giungeva alla situazione di quella sera, dove, passata la mezzanotte, i due si erano trovati ad uscire di casa per andare a comprare qualcosa di commestibile che non fosse uno spicchio di limone che non era poi nemmeno così giallo.
Dal momento che era già tardi, avevano optato per il konbini più vicino al loro appartamento, posto di cui Hidan nemmeno conosceva l’esistenza e che Shisui aveva visto un paio di volte. Dopo un quarto d’ora di passeggiata non troppo apprezzata da Hidan, giunsero davanti al negozio.
«È questo?» chiese lo Hie e quella era palesemente non una domanda di cortesia, lo scetticismo trapelava da ogni poro.
«Mhmh» confermò lui, annuendo un paio di volte.
Entrambi si trovavano a pochi metri dall’entrata ed osservavano l’edificio che non doveva essere composto da più di tre stanze dalle dimensioni non eccessivamente grandi.
Non era la grandezza ad averli frenati dall’entrare, quanto più l’aspetto del posto.
La luce al neon dell’insegna lampeggiava ad intermittenza ed emetteva sibili sinistri.
All’interno non si intravedeva anima viva, né un possibile commesso né un improbabile cliente – chi avrebbe messo piede in un posto simile, in fin dei conti?
Per essere definito con un aggettivo, per riassumere l’intera faccenda, il konbini aveva un’aria come dire, inq-
«Dove stai andando?» chiese Shisui stranito, quando vide lo Hie fare marcia indietro. «’Sto posto è fottutamente inquietante, me ne vado» borbottò Hidan, lanciando qualche occhiata indietro e ben intento a continuare ad allontanarsi, quando Shisui lo afferrò per un braccio.
«Ma dobbiamo fare la spesa, no?»
«Sì, in un qualsiasi altro posto normale che non sarà questo» chiarì Hidan scettico.
«Ci mettiamo troppo ad arrivare all’altro, è lontano! È anche notte» si lamentò l’Uchiha, tentando di sembrare ragionevole, ma in realtà era disperato: il suo stomaco continuava a dare segni di cedimento con gorgoglii sempre più forti.
«Allora possiamo aspettare fino a domani mattina» borbottò lui, fortemente intenzionato a non muovere nemmeno un altro passo verso quel posto.
Si aspettava che da un momento all’altro la struttura sarebbe stata circondata da un alone bluastro che indicava la malvagità di quel luogo sinistro. Un posto simile chiaramente non poteva proporlo nessuno se non Shisui.
Hidan non credeva a quelle cose, o almeno così continuava a ripetere a se stesso, ma quando c’era qualche aura anomala lui era il primo a sentirla ed il primo ad allontanarsene – anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Da Shisui, anche avvertendo il pericolo prima tempo, non era riuscito a salvarsi.
L’Uchiha scosse la testa un paio di volte e non accennò a voler lasciare andare il braccio del coinquilino.
«Hie, non pensavo tu credessi a questo genere di cose…»br> Hidan si tese involontariamente, irritato.
«Io non credo a-» cominciò, intenzionato a spiegare che non voleva andarsene perché fosse spaventato da quel posto, quanto più perché poteva benissimo essere il ritrovo segreto di un clan della Yakuza, cosa che avrebbe spiegato perché non ci fossero clienti, e pertanto avrebbero inutilmente rischiato la loro vita per comprare due uova. Shisui lo interruppe immediatamente.
«Va bene, non ti preoccupare, capisco» Hidan era più che certo di non starsi immaginando il tono accondiscendente, come se stesse parlando ad un idiota, e nemmeno il sorrisetto che non riusciva a trattenere. Peccato che Shisui non si stesse accorgendo, allo stesso modo, della sempre più palese rabbia che pervadeva lo Hie. Infatti: «Possiamo cercare un altro konbini, ma non è assolutamente un problema se comunque te ne vuoi andare perché hai pa- ah! Questa volta non mi hai beccato!» commentò felice Shisui, dopo aver schivato il pugno poco amichevole che Hidan tentò di tirare al suo braccio.
Il calcio nella gamba però non lo schivò con altrettanta agilità.
«Ma fai male!» commentò scandalizzato Shisui, massaggiandosi il polpaccio dolorante, alternando saltelli a borbottii.
Hidan anche borbottava tra sé e sé, ma erano soprattutto parolacce, improperi irripetibili e promesse di future vendette truci e sanguinolente.
Un attimo dopo erano ancora entrambi a qualche metro dall’entrata; la porta automatica di tanto in tanto iniziava ad aprirsi per poi richiudersi, visto che non c’era nessuno che entrava. Shisui incrociò le braccia al petto e prese ad annuire la solo. Hidan voleva solo fare dietrofront ma sapeva che quel bastardo dell’Uchiha era stato tanto subdolo da mettere la sua dignità in prima linea e pertanto non poteva muoversi di lì se non per andare avanti.
«Ha un aspetto sinistro» commentò poi, annuendo da solo alla sua brillante deduzione, facendo qualche passo in avanti. Hidan non gradì troppo, ma suo malgrado si mosse anche lui. Stare da solo anche a sei metri di distanza dalla possibile casa del demonio mascherata da negozio non era il massimo, era meglio essere con Shisui: in caso fosse uscito il diavolo dal konbini avrebbe potuto offrire l’anima dell’idiota, salvandosi la vita. Una delle rare volte in cui l’Uchiha poteva ritenersi utile, in pratica.
«Grazie Sherlock, non ce ne eravamo accorti» ringhiò letteralmente Hidan.
«Potrebbe essere il nascondiglio della Yakuza!» considerò Shisui con improvvisa foga, che scemò lentamente; scosse la testa in segno di diniego. «Nah, non lo è.»
Hidan alzò gli occhi al cielo; tra l’altro Shisui continuava a fare passi in avanti, perciò erano quasi arrivati alla porta. «E tu come fai a saperlo? Sei forse un indovino?» lo scetticismo dello Hie non trovò la risposta che cercava perché l’Uchiha lo ignorò, continuando a parlare per i fatti suoi.
«Questo è chiaramente uno zombini» disse a quel punto Shisui con fare saputo, grattandosi il mento e guardandosi intorno come chi finalmente ha capito tutto e può osservare la situazione dalla giusta angolatura.
«Un cos-» Hidan non fece in tempo ad informarsi sulla sua nuova idiozia che saltò letteralmente di lato per lo spavento: «Oddio non voglio morire!» Una donna dai capelli lunghi neri, la pelle chiara, lo sguardo poco amichevole – inquietante – e una cassa in mano fece un mezzo inchino e chiese permesso per passare: dall’aspetto poteva solo essere una dipendente – se non la proprietaria – del negozio. O come minimo l’unica cliente che aveva il coraggio di metterci piede. Infatti entrò nel negozio e sparì dietro la prima fila di scaffali visibile.
Il perché fosse dovuta passare proprio in mezzo a loro due quando era pieno di spazio attorno non era chiaro a nessuno dei due. Hidan sentì un brivido di freddo corrergli lungo la schiena e un attimo dopo Shisui ridacchiò – solo lui poteva essere allegro in una situazione simile.
«Konbini degli zombi» chiarì l’Uchiha come se nulla fosse, poi guardò Hidan e sorrise ammiccante: «Siamo in un luogo pubblico, puoi saltarmi in braccio a casa, va bene?» lo prese in giro e Hidan imprecò un paio di volte. Nella foga si era avvicinato leggermente troppo a Shisui, finendogli praticamente addosso. Si staccò di colpo continuando a borbottare.
«Andiamo?» chiese a quel punto Shisui, facendo l’ultimo passo che serviva per far aprire automaticamente la porte dell’infer- del konbini.
«Andare dove? Sei scemo? Cerchiamone un altro! Non hai visto quella specie di fantasma che è entrato lì dentro?» Hidan non era solito farsi prendere dal panico né credere a stupidaggini come luoghi infestati, ma quella sera, complice il fatto che fosse tardi e si fosse anche svegliato presto, non era completamente in sé. Al diavolo pure la dignità, poteva rimetterla insieme con l’attack una volta arrivati a casa.
Shisui fece spallucce. «Nah, va bene questo!»
Quell’umano non aveva alcun istinto di sopravvivenza, quello era certo. Come poteva- come gli veniva in mente- Anche solo pensarci! Entrare! Cosa-
«Non va bene questo, brutto imbecille, puzza di morte da un chilometro di distanza!» fu inutile per Hidan esporgli concitatamente e scurrilmente le sue ragioni per cui quel konbini non andava assolutamente bene, infatti Shisui gli rispose con un vago: «Beh se c’è davvero qualcosa che non va usciamo, no?»
«Pensi che se davvero c’è qualcosa lì dentro una volta entrati ti farà uscire con un ‘arrivederci e buona serata’?»
«Ma di sicuro non ci sarà niente! Poi al massimo li stendiamo con due pugni e via» commentò improvvisamente esagitato, tirando pugni qua e là come dimostrazione.
«Se non fosse… umano?» Hidan digrignò i denti, non felice di dover dire cose del genere ad alta voce ma se c’era anche solo una minima possibilità che ci fosse qualcosa meglio mettere le carte in tavola. Che poi era inutile parlare con quell’idiota perché non sapeva distinguere ciò che era serio da ciò che non lo era.
Shisui infatti scoppiò in una risata esilarata. Adorava beccare il lato facilmente suggestionabile di Hidan: «Ma è ovvio che lì dentro non c’è niente! Cosa ti aspetti di trovare, il fantasma di una carota o del ramen andato a male che cerca vendetta perché nessuno lo ha comprato per tempo?»
«Allora cos’è la stronzata dello ‘zombini’?» il solo dire quella parola fece sentire lo Hie un imbecille più di chi l’aveva creata, ma lui in quel posto non voleva starci nemmeno un momento di più.
Shisui continuò a ridere e si piegò in due, tenendosi la pancia per quanto evidentemente dovesse trovare esilarante la faccenda.
In effetti chiunque conoscesse Hidan l’avrebbe preso in giro fino alla morte nel sentirlo dire una cosa del genere, ma dettagli.
«Gli zombi non esistono, Hidapi, era solo un gioco di parole» commentò lui con fare superiore, ma come si sul dire, il karma gira e un attimo dopo lui sobbalzò per lo spavento: «Ohmiodio Hidan proteggimi non-posso-morire-giovane!»
La stessa donna di prima, con i capelli lunghi e l’aura inquietante che si portava dietro mormorò un nuovo permesso e si inchinò.
Doveva passare di nuovo, chiaramente.
Meno evidente era il perché proprio in mezzo a loro, visto che in quella strada non c’erano nemmeno gatti randagi ad occupare il passaggio.
«Non hai detto che ci possiamo saltare addosso solo a casa?» ringhiò Hidan, visto che Shisui gli era addosso esattamente come prima era successo con lo Hie, solo che l’Uchiha gli si era appeso completamente al collo senza la minima traccia di pudore. Quest’ultimo lo spinse via e si guardò intorno.
«Ok, smettiamola di dire idiozie» commentò ad un tratto Shisui con fare serio.
Hidan era scandalizzato. Era la prima volta che lo vedeva agire con così tanta serietà e sensatezza. Aveva detto qualcosa di furbo. Aveva-
Ding ding.
Shisui, senza preavviso, aveva afferrato il braccio di Hidan e lo aveva trascinato dentro al negozio, facendo suonare quell’inquietante campanello che fece venire i brividi allo Hie.
Quest’ultimo era vagamente scandalizzato. Ci mise anche quindici secondi per far arrivare al cervello la consapevolezza del gesto del coinquilino ed altri sette per realizzare dov’era.
Aveva varcato la soglia. Era dentro allo zomb- konbini.
Di slancio afferrò Shisui per la maglia.
«Smettiamola di dire idiozie? Per passare direttamente ai fatti idioti? Mh?» Al momento Hidan era leggermente fuori di sé, tanto che perfino Shisui se ne accorse.
Non abbastanza, perché non ebbe la lungimiranza di tenere la bocca chiusa.
«S-su, non siamo mica morti! Esageri sempre!» l’Uchiha fu quasi certo di aver visto un paio di stelle sul soffitto quando Hidan gli pestò il piede per fargli capire con esattezza chi stesse esagerando e chi sminuendo eccessivamente.
Quel posto era totalmente deserto, alla cassa non c’era nessuno, ma chi sarebbe voluto entrare per rubare qualcosa in quella specie di bettola del male?
Il locale era piuttosto spoglio, le luci troppo luminose, faceva freddo nonostante fosse maggio, ma, ad onor del vero, sembrava avere scaffali piuttosto forniti. Sembrava. Se poi nei dorayaki c’era carne umana e non marmellata non lo si poteva intuire da una breve occhiata iniziale. Tutto quel che avrebbero comprato l’avrebbe assaggiato prima Shisui.
Hidan si fermò di colpo, valutando la situazione. Se erano entrati tanto valeva fare quel che dovevano fare ed uscire di lì il più in fretta possibile.
«Prendi un cestino» gli ordinò con fare funereo Hidan, senza neanche dargli tempo di ribattere. Shisui annuì incerto e ne afferrò uno dalla pila nell’angolo. Ovviamente ne prese uno rotto, infatti gli rimase solo il manico in mano e il resto si schiantò a terra producendo l’unico rumore in tutta la minuscola struttura.
«Non attirare l’attenzione di tutti i fottuti spiriti che ci sono qui dentro!» sibilò Hidan rabbioso e l’Uchiha iniziò a temere il peggio: e se il suo amato Hidan fosse stato posseduto dagli spiriti di cui aveva negato l’esistenza per farlo entrare solo perché lui aveva fame e voleva della zuppa di miso? Come poteva stabilirlo con certezza? Doveva andare in un tempio a prendere dei talismani? Non aveva tempo! Lo spirito poteva uccidere l’anima di Hidan! Doveva fare qualcosa, agire! E sarebbe comunque stata tutta colpa sua perché l’aveva trascinato lì dentro solo perché aveva fame!
Ovviamente dedusse tutto quello solo dalla visione di Hidan furioso, come se quello non fosse lo stato emotivo che assumeva quattro giorni su tre quando si trovava con lui. Forse bisognava stabilire meglio chi dei due fosse il facilmente suggestionabile.
«Hidan, sei stato posseduto?»
«Che cazzo stai dicendo?»
«Ti ho chiesto se sei stato posseduto!»
«Se lo fossi secondo te lo saprei? Mi usano tipo casa vacanze in affitto e prima mi avvisano così ci do una pulita?»
«Hidapi stai straparlando, vedi che c’è qualcosa che non va?!»
«Sei tu quello che ha qualcosa che non va!»
«C’è qualcuno lì con te?»
E quale miglior modo secondo l’Uchiha poteva esserci per scoprirlo se non chiederglielo direttamente?
Hidan sgranò gli occhi assumendo una delle espressioni più psicopatiche possibili.
«C’è qualcuno lì con te? Ma sei serio? Prova ad offrirgli un tè magari esce fuori di sua spontanea volontà» commentò sardonico lo Hie. Shisui attese qualche attimo, quasi stesse pensando alla risposta, poi annuì convinto. Hidan voleva chiuderlo nel banco frigo e lasciarlo lì a morire tra un filetto di salmone e una confezione formato famiglia di gamberi. «Poi pensi che ti risponderebbe anche?» glielo chiese a suo rischio a pericolo perché le risposte di Shisui in genere avevano una portata distruttiva non prevedibile.
«Beh, sono spiriti, dovrebbero essere sinceri…» suppose l’Uchiha facendo spallucce, per poi aggiungere: «Quello lì con te è sincero?»
Hidan chiuse gli occhi e scosse la testa. Era meglio darsi una mossa ed uscire di lì, prima che quell’idiota facesse incazzare qualche spirito non sincero a cui non piaceva sentirsi dire di esserlo.
«Qui con me non c’è nessuno! Non l’hai forse detto tu, idiota, che qui non c’è niente? Hai ragione, non c’è niente, se c’è qualcuno che ti appenderà per i peli delle nocche fuori dalla finestra e ti strozzerà quando torneremo a casa sarò io, nessun altro! Ora facciamo questa spesa di merda e non rompere ancora le palle.»
Shisui non ci mise un secondo di più a capire che quello era Hidan – gli spiriti non erano sboccati infatti –, perciò, sollevato, prese a camminare infilandosi nella prima fila di scaffali.
Il piano di Hidan era quello di fare il giro dei reparti alla velocità della luce, prendendo la prima cosa che la sua mano avesse raggiunto sugli scaffali ed uscire di lì. Semplice ed indolore, dopodiché il giorno dopo sarebbe andato in un tempio a far lavare la sua anima con qualsiasi ammorbidente avessero a disposizione contro il demonio.
Chiaramente l’Uchiha non la pensava come lui. Decise che era suo dovere morale interessarsi ad ogni prodotto sugli scaffali, come se non avesse mai visto prima né quella determinata marca né una confezione di germogli di soia.
Hidan ringraziò che fossero soli perché altrimenti sarebbe stata una situazione imbarazzante; si comportava come un bambino che metteva piede per la prima volta in un negozio, anche se un qualsiasi marmocchio si sarebbe spaventato ad entrare in un posto come quello.
«Pensi di dover guardare ogni etichetta o puoi muovere il culo e andare avanti?» erano già passati tre minuti e nel cestino c’erano solo tre confezioni di ramen istantaneo ed erano lì solo perché lo Hie magnanimamente aveva deciso di salvarli dall’essere confinati su quegli scaffali.
«Sto solo prestando la giusta attenzione nello scegliere cosa comprare, Hidapi! Vuoi mica che compri qualcosa che può far male ai miei poveri pori?»
Hidan sbuffò, ma quel che ne uscì fu piuttosto un ringhio: «Io sono la cosa più pericolosa per i tuoi pori, perché non sparisci dalla mia vista una volta per tutte?» chiese sibilando e Shisui gli regalò un sorriso a trentadue denti.
Fece effettivamente per allontanarsi nella direzione opposta, ma Hidan lo afferrò per un polso.
«Dove vai?»
«Via, no?» l’Uchiha sorrideva con malcelata soddisfazione e Hidan decise che per la sua sanità mentale avrebbe lasciato che calpestasse un altro pezzo della sua dignità.
«Sì- no- cioè, sì, vattene ma dopo, non ora, idiota» sbottò irritato e tanto bastò a Shisui per ricominciare a guardare il barattolo di sottaceti con estrema cura.
La pazienza di Hidan aveva un limite. «A te nemmeno piacciono i sottaceti, lascia questa merda e vai avanti» detto ciò gli strappò di mano di barattolo, lo rimise sullo scaffale e lo spinse avanti.
«Hie, perché bisbigli?» chiese Shisui, come se non fosse una cosa ovvia.
Hidan alzò gli occhi al cielo, mentre afferrava il ketchup e lo buttava con malagrazia nel cestino, per poi pentirsi perché aveva fatto troppo rumore.
Non c’era davvero nessuno lì dentro, nemmeno un insonne abitante del quartiere a cui era venuta un’improvvisa voglia di funghi e latte scremato e aveva solo quel konbini a disposizione.
Nes-su-no. Motivo per cui Hidan si rifiutava di dare corda alla sensazione che aveva che qualcuno lo stesse osservando.
«Perché non voglio attirare l’attenzione e visto che qui ci siamo solo io, te e il niente bisbiglio.»
«Beh, ma se oltre a me e te non c’è nessuno non c’è nemmeno bisogno di bisbigliare, no?»
Hidan era pronto a spappolare la testa del coinquilino contro lo spigolo dello scaffale, incurante del rumore, quando l’Uchiha puntò la sua attenzione sulle patatine ai gamberetti.
Senza neanche pensarci mise due sacchetti nel carrello, soddisfatto per l’acquisto.
«Controlla la data di scadenza, non voglio morire avvelenato» borbottò Hidan, non potendo evitare di guardarsi indietro di tanto in tanto, perché lui si sentiva davvero osservato.
Era da quando che avevano messo piede lì dentro che sentiva quella strana sensazione ma non aveva trovato niente che la confermasse. Se lo stava immaginando? Era inutile chiedere a Shisui se se ne fosse accorto, era appurato che l’imbecille non sentiva presagi di morte nemmeno quando Hidan era nella stessa stanza con lui con un coltello in mano.
«Non essere così acido, gli spiriti dei morti potrebbero aizzarsi» forse fu il tono in cui Shisui parlò o la strana sensazione che Hidan continuava a sentirsi addosso, ma lo Hie fu percorso da un brivido di freddo e il barattolo di pomodori secchi sott’olio gli scivolò di mano.
Fortunatamente Shisui aveva ottimi riflessi.
«Fa’ attenzione! O gli spiriti-»
«Tu smettila di dire stronzate!» sibilò sfregandosi le mani sulle braccia e imprecando verso ogni possibile cosa gli venisse in mente.
Con uno scatto fulmineo ad un tratto Hidan si voltò a destra, verso lo scaffale e la vide, la presenza che continuava a seguirli. Era la ragazza di prima! L’aveva vista! Era lì! C’era! Non era pazzo, per Jashin, c’era davvero!
Quando era già pronto a raggiungerla per fare nemmeno lui sapeva cosa – Urlarle dietro? Chiederle dove fosse il dentifricio? – Shisui lo tirò per un braccio.
«Prendiamo il latte di cocco?»
Hidan probabilmente lo guardò con tanto odio che concluse da sé che «No, hai ragione, il cocco fa schifo a tutti, mh.»
Ovviamente quando Hidan si voltò di nuovo verso lo scaffale non c’era più nessuno.
Dopo aver convinto Shisui che a nessuno dei due serviva una maschera facciale al mandarino e che no, nessuno dei due aveva bisogno di tisane al rabarbaro – perché diavolo avevano quel genere di cose lì dentro? –, finalmente giunsero all’ultimo scaffale, dopodiché avrebbero potuto pagare.
«Perciò non posso prendere la maschera?»
«No.»
«Sicuro? Migliora la pelle, c’è scritto! Toglie i segni di stanchezza!»
«Anche la morte toglie i segni di stanchezza, il rigor mortis ti ringiovanisce, vuoi provare?»
«E il sandwich agli spaghetti?»
«Credo sia tossico.»
«Ooooh! E questo nuovo tipo di sushi? È strano! Cosa sarà quella roba verdognola sopra?»
«Il cadavere del precedente idiota che ha tentato di comprare questa roba, ora va’ a avanti e usciamo di qui!»
Shisui gonfiò le guance come il peggiore dei bambini terribilmente offesi.
«Sei cattivo Hidapi! Nemmeno gli spiriti vorrebbero avvicinarsi ad una persona senza cuore come te!»
Hidan sgranò gli occhi, non seppe nemmeno lui se per l’isteria accumulata che tentava di esplodere o per l’improvviso brivido di freddo.
«Non sono cattivo, brutto imbecille, sono stanco e questo posto mi fa schifo, ma ovviamente uno come te non poteva scegliere un posto normale nemmeno per fare la spesa!» la rabbia non l’aveva mai saputa contenere molto, sua madre glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento fin dall’asilo, quando spingeva i bambini giù dall’altalena. Almeno quelli smettevano di chiamarlo albino malaticcio, Shisui anche se veniva insultato senza sosta non imparava un bel niente. Sarebbe stato un perfetto oppositore del cane di Pavlov. Non si accorse nemmeno che non stava più parlando a bassa voce; come disse qualche attimo dopo «me ne sbatto se viene qualche spirito a spaccarmi il culo, appena crepo vado a spaccarglielo tre volte di più!» Shisui avrebbe anche riso più forte se le circostante fossero state diverse, le invettive fantasiose di Hidan gli piacevano un sacco.
«Questo posto è normale, sei tu che esageri!»
«Normale? Non ti sei accorto di psycho che ci fissa da quando siamo entrati?»
«Magari pensa che siamo taccheggiatori, tu hai la faccia da delinquente» ribatté con noncuranza. «Tu hai la faccia da decerebrato, non mi pare abbiano chiamato una équipe di psichiatri per casi disperati.»
«Beh, ok, a parte la tipa strana di prima che oh! da vicino mi pare molto più bella e aggraziata e assomiglia a quella del film horror e tu sai come finiscono gli horror Hie? La gente muore, ma prima di farlo gli innamorati si dicono che si amano perciò io dovrei dirtelo ma tu non sei troppo lovey dovey perciò non posso dirtelo e devo morire con il peso sulla coscienza.»
L’Uchiha stava bisbigliando e parlando senza respirare ma sembrava tare abbastanza bene per il resto. Hidan tanto non aveva capito una singola parola.
«Cosa?!»
«Hai ragione, dovevamo bisbigliare, giuro che bisbiglierò sempre all’altro mondo o quando mi reincarnerò o quando-»
«Che-» Hidan non terminò la frase e fu colto da un altro brivido, quasi qualcuno avesse cambiato la stagione, passando da estate ad inverno, avesse lasciato una porta aperta nel bel mezzo di una bufera o gli avesse fatto scivolare un cubetto di ghiaccio sotto la maglia. Che, per inciso, quella si era dimostrata una sensazione più gradevole rispetto a quella inquietante che stava provando, ma il cubetto di ghiaccio lo aveva usato in altre circostante con Shisui, ma non era il momento per rivangare piccolezze come quella.
«Posso esservi d’aiuto?» chiese una lugubre voce alle sue spalle e Hidan fu certo di essere sbiancato; lui era già chiaro di natura, il fatto che avesse assunto una tonalità distinguibile dal solito riuscì a preoccupare anche Shisui.
Lo Hie si fece forza, convincendosi a voltarsi verso la persona che aveva parlato, mentre l’Uchiha se ne stava ancora con una mano mezza tremolante che indicava ciò che c’era alle sue spalle. Che, suvvia, si trattava pur sempre di una persona ma a quell’ora di notte quel genere di atmosfera rendeva tutti poco pacati.
Non si stupì molto quando si trovò faccia a faccia con la ragazza che prima si era ostinata a passare in mezzo a loro due quando c’era il resto del mondo attorno per muoversi.
«No. Finito. Pagare» quell’ultima parola pronunciata da Hidan sembrava più una domanda che un’affermazione ma nessuno ci fece caso.
«Oh. Ehm, voi…» cominciò la ragazza, senza incrociare lo sguardo con nessuno dei due. Rimase qualche attimo a spostare il peso da un piede all’altro, impedendo ai due di capire sia cosa volesse dire o fare sia cosa dovessero fare loro.
«Tu sei Hie san, vero?» mormorò d’un tratto, con i lunghi capelli che le coprivano gran parte del volto. La voce era molto meno inquietante rispetto a come si era presentata prima, probabilmente era dovuto al fatto che la ragazza era parecchio agitata.
«Sì» confermò Hidan, per nulla abituato a trovarsi in una situazione del genere. Come faceva a sapere come si chiamava? Si era forse dimenticato qualcosa? L’aveva già incontrata e si era dimenticato di lei? Non era colpa sua, tendeva a dimenticare le facce se non le vedeva per più di sei volte! Con Shisui era stato ben diverso, stranamente.
«E tu sei Uchiha san» si affrettò ad aggiungere, come se avesse commesso un’enorme mancanza. Shisui annuì, incuriosito.
La ragazza di fece forza e alzò la testa; «Mi chiamo- il mio nome è Fumiko» si presentò con un breve inchino rivolto principalmente verso Hidan. Quest’ultimo non ci lesse grandi significati ma Shisui vide più lontano.
«Ho trovato le chiavi- cioè, ti sono cadute dalla tasca quando uscivi. Vicino all’ascensore. Una settimana fa all’incirca» si fermò varie volte mentre parlava, mostrando quando fosse in imbarazzo. Lo Hie, totalmente ignaro di quanto potesse essere senza tatto, chiese: «Mi segui?» La ragazza avvampò e probabilmente chiese al pavimento di inghiottirla. «No, io- passavo di lì…» borbottò sommessamente e agitatamente.
Hidan nel frattempo stava pensando che era stata davvero una botta di culo andare in quel konbini altrimenti non avrebbe mai trovato le chiavi e avrebbe dovuto farne una copia da quelle di Shisui. Lui era ancora ostinato a cercarle in camera tra i vestiti sporchi, senza neanche prendere in considerazione l’idea di averle perse.
«Ti ho visto quando portavo la spesa all’anziana del piano di sopra» tentò con tutte le sue forze di discolparsi, intenzionata a sembrare una persona normale e non una spostata agli occhi di Hidan. Quest’ultimo annuì, però, senza sembrare molto interessato e rendendo vani i suoi sforzi.
Fortunatamente Shisui, tra una risata e l’altra, corse in suo soccorso. Non tutti erano bravi ad avere a che fare con il suo Hidan.
«Aaah, sì, la vecchietta! Se si fa portare la spesa questo spiega perché abbia ancora entrambi i femori in condizioni decenti, mh» commentò solare.
La ragazza sorrise leggermente; «Ti ho visto spesso…» disse rivolta ad Hidan e, felice per aver detto quello che doveva e rossa per la vergogna allo stesso tempo, un attimo dopo si congedò dicendo che andava a prendere le chiavi nella borsa.
Sparì giusto in tempo prima che Hidan potesse dire che no, lui non l’aveva mai vista ma quella ragazza aveva una qualche abilità segreta per cui si muoveva furtivamente meglio di un ninja. Finalmente riuscirono a pagare e la ragazza li salutò gentilmente, mentre Shisui pensava che quello era davvero uno zombini o, come minimo, un posto in cui non avrebbe mai più rimesso piede.


«Piaci a quella ragazza, Fumiko, lo sai?» gli chiese dopo qualche attimo e se fosse stato un attento ascoltatore di Shisui si sarebbe accorto che non aveva usato nessun ‘chan’ di sorta per la ragazza. Solo Fumiko; detto da uno come l’Uchiha voleva dire tantissimo visto che lui dava onorifici a tutto, piante, forbici, spazzolino, piatto e tappeto.
Hidan però non parve cogliere quell'aspetto e si limitò a notare che glielo aveva detto con nonchalance, come se la cosa non lo riguardasse.
«E perciò?» gli chiese e lui voleva intenderlo come un ‘non dici niente? La cosa non ti tocca, deficiente?’; Shisui vi lesse una nota di compiacimento.
«Perciò a te non te ne frega, no?» Shisui cercava una rassicurazione – “Sei palesemente ed inequivocabilmente e solamente omosessuale, vero?” –, Hidan vi lesse una dichiarazione di totale disinteresse.
Due gelosi che non si capivano tra di loro; potevano forse esistere due peggiori idioti che abitavano insieme?
Il tragitto verso casa si rivelò più lungo del previsto, tra una frecciatina fraintesa e una risposta, se possibile, ancora più equivoca.





Un konbini è un convenience store, un negozio.
Credo che il mio più grande problema sia sostanzialmente che inizio le cose e le finisco dieci mesi dopo; ovviamente mollo a metà o a tre quarti e poi quando le riprendo non so più che cacchio volevo dire perciò rileggo senza trovare un senso e invento a muzzo per coprire buchi incomprensibili XD Motivo per cui questa shot a cui avevo dato un nome che mi era piaciuto un sacco quando l’avevo pensato (!!) penso che sia un po’ storta dentro però mi va abbastanza bene. Se non l’avessi finita ora e avesse procrastinato ancora probabilmente non l’avrei mai finita. O forse sì, facendone uscire qualcosa di migliore (…).
Facciamo finta che non sia passato un anno e più dall’ultima volta che ho aggiornato così ho la coscienza a posto .-. La storia del maltrattare il cellulare e poi chiedergli umilmente scusa la faccio davvero, perciò in questo caso l’insanità mentale di Hidan ha una fonte di riferimento reale! (E non credo nemmeno che dovrei vantarmene ma lasciamo stare XD)
Il sandwich agli spaghetti, sfortunatamente per noi, esiste davvero in Giappone! Ricerche sul campo (?) lo hanno testimoniato… avendo scoperto la sua esistenza mi sono subito detta che andava infilato da qualche parte ed ecco qui l’unica nota puramente horror della oneshot XD
Perciò si è appurato che ‘sti due non sanno fare manco la spesa, mi cissa un sacco scrivere storie in cui mostro il loro lato più inetto! Mi riesce bene visto che c’è poco che sanno fare come persone normali!
Perdonate le sviste, sicuramente qualcosa è scappato! (tutto? I tre quarti di tutto? Il quarto di un quarto si è salvato! Forse.)
Ringrazio chi ancora continua a seguire questa raccolta nonostante i tempi di aggiornamento siano scandalosamente lenti! Grazie davvero!♥♥

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