All this and Heaven too.

di bradbury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Un grazie infinito a Gabriella che mi ha mostrato entusiasmo e minacciata quotidianamente. 

******************************************** NOTE *******************************************
L'idea per questa storia ha iniziato a balenare nella mia testa sovraffollata di pensieri, esattamente quindici minuti dopo avere visto il quinto episodio di questa decima stagione (che giusto perché voi lo sappiate, sta mettendo a dura prova il mio stato emotivo già largamente danneggiato). Per giorni ho tentato d'ignorare la parte di me che fremeva dall'impazienza di scrivere perché sarò sincera, non ho mai scritto storie prendendo in prestito personaggi di altra gente, perciò ero piuttosto preoccupata dal risultato. Sapete, nella nostra mente sembra sempre tutto più bello e perfetto e logico, mentre alla fine, la dura realtà dei fatti è che ad alta voce fa solo ed esclusivamente schifo. Ad ogni modo, mi sono buttata, avevo da tempo delle teorie su come si sarebbero delineati gli eventi della decima stagione e volevo imprimerli su carta - foglio di word - per vedere quanto funzionassero le mie doti di veggente/sensitiva. Ancora non ho idea del perché ho deciso di pubblicare ma non appena mi sarà chiaro sarete i primi a saperlo. Tutto ciò che leggerete non è una rielaborazione degli avvenimenti ma come io penso e desidero vadano le cose. Se capita che alcune cose coincidono col canon è perché sono una fottuta profeta del Signore (ovviamente sto scherzando, sono Dio). E niente, spero che le retine dei vostri occhi non si siano carbonizzate leggendo il primo capitolo, ho fatto del mio meglio, l'ho revisionato all'incirca il numero di volte in cui è morto e risorto ogni personaggio di Supernatural. Mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate e ricordate, ogni recensione bella o brutta che sia porterà alla luce una fatina e renderà felice un unicorno. Alla prossima settimana!


 






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1.
 
 
Dean Winchester non riusciva a dormire. Se ne stava supino sopra un malconcio materasso dell'ennesimo motel, con le braccia incrociate dietro la nuca, in attesa di sprofondare nel buio dell'incoscienza. Erano passate più di tre ore da quando lui e Sam avevano spento le luci dopo essere tornati da una caccia particolarmente stancante, perciò a quel punto dubitava di riuscire a prendere sonno. Ormai erano un paio di settimane che andava avanti così, due interminabili ed insonni settimane. A tenerlo sveglio fino all’alba erano i fastidiosi pensieri che gli ronzavano nella mente, viaggiando prepotentemente in tutto il corpo, saltando di sinapsi in sinapsi e rendendolo irrequieto.

Aveva cercato a tutti i costi di sopprimerli, nascondendo quei bastardi nei recessi inesplorati della sua mente incasinata, perché se li avesse ignorati forse alla fine l'avrebbero lasciato in pace. All'inizio, quando non erano stati altro che degli impercettibili rumori di sottofondo, gli era bastato distrarsi: beveva qualche bicchiere di whisky scadente, si concentrava sulla caccia, si era persino iscritto su un cavolo di sito per incontri, e il suo cervello aveva semplicemente smesso di focalizzare la propria attenzione su quelle insignificanti riflessioni, o almeno si era convinto di poterle definire tali.

Dean sbuffò e aprì gli occhi, trovandosi di fronte un soffitto ammuffito immerso nell'oscurità. Era cominciato tutto quando si erano imbattuti in quella stravagante rappresentazione studentesca basata sulle loro vite.

Sam sembrava non esserne stato sconvolto quanto il fratello, al contrario, escluso l’attimo di shock che aveva attraversato il loro volto dopo aver compreso davanti a quale strana messinscena si trovassero, si era mostrato assolutamente euforico per ragioni misteriose a cui Dean non riusciva a dare un senso.

Dannato Chuck per aver scritto quelli stupidi libri e dannata Becky per averli pubblicati in formato digitale su Internet, senza chiedere nemmeno il consenso. Non che si aspettasse qualcosa di diverso da parte di quella psicopatica. Ad ogni modo, scoprire che in un'anonima scuola superiore del Michigan un gruppo di studentesse avesse deciso di realizzare il musical di “Supernatural” come progetto scolastico, oltre a farlo parecchio incazzare lo aveva scosso nel profondo.

Non perché lo spettacolo fosse stato uno schifo totale (tirando le somme e volendosi sbilanciare, non era niente male) ma perché aveva visto tutto il proprio passato – gli eventi che più l'avevano segnato nel cuore e nella mente – attraverso gli occhi di perfette sconosciute e da una prospettiva a lui completamente estranea. Era scattato qualcosa in Dean e come conseguenza si ritrovava a fare i conti con la spaventosa maturazione di una serie di consapevolezze che avrebbe gradito non dover mai affrontare. Non sapeva se averle acquisite potesse considerarsi un bene o un male, eppure si era convinto che fossero state sempre lì, cariche di aspettative ed impazienti di essere dissotterrate.

Dean si massaggiò con due dita la sommità del setto nasale, al limite dell’esasperazione. Provò a concentrarsi sul respiro profondo di Sam, beatamente addormentato nel letto accanto, giusto per fare qualcosa di diverso dal rimuginare.

Il cellulare poggiato sul comodino prese a vibrare, rompendo il silenzio notturno e il caos martellante nella sua testa, avvisandolo dell’arrivo di un messaggio. Dean sobbalzò e come un fulmine la mano saettò ad afferrarlo. Lo schermo si accese, abbagliandolo e facendolo lacrimare copiosamente. Una volta che la vista si fu abituata alla luminosità dello schermo, riuscì a controllare se il nome dell’idiota in sovraimpressione fosse quello che si aspettava di leggere. Poteva per una volta provare l'ebrezza di essere baciato dalla fortuna? Certo che no.

Dean, ricacciò indietro la frustrazione che minacciava di farlo contorcere sotto le coperte. Si trattava di una certa Ashley, del sito d’incontri, capelli biondi, occhi castani, un fisico da urlo…insomma, una ragazza con cui avrebbe volentieri condiviso il letto e impiegato il tempo in modo migliore.

Si scrissero qualche messaggio vietato ai minori fino al momento in cui la batteria del telefono non decise di abbandonarlo proprio mentre la situazione iniziava a farsi davvero eccitante, oscurando il display e lasciando Dean vagamente indispettito. Abbandonò quell’inutile scatoletta nera che gli era costata un mucchio di soldi, in un punto indefinito del materasso e si girò sul fianco, più sveglio che mai.

C’era da prendersela solo con una persona se l’insonnia prima o poi l’avesse ammazzato mandando a puttane la sua onorata carriera di cacciatore. Così si ritrovò in piedi, al buio della camera, alla ricerca di un caricabatteria, incapace di evitare che i suoi pensieri convergessero nuovamente su chi stava provando a non considerare da giorni: Castiel. Ottimo lavoro, Dean. Sei un coglione.

Se Castiel avesse avuto bisogno d’aiuto e lui non fosse stato reperibile non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. Certo, avrebbe potuto chiamare Sam ma Dean sapeva che il primo numero a venirgli istintivamente in mente in una situazione potenzialmente pericolosa sarebbe stato il suo. Castiel non avrebbe avuto il lusso di sprecare minuti preziosi per tentare con un altro se quello del cacciatore fosse stato irraggiungibile. 

Ovviamente sarebbe accaduto un miracolo se il fottuto angelo si fosse degnato di farsi vivo dall’ultima volta che si erano visti. Prima, quando Dean aveva ricevuto il messaggio aveva vergognosamente sperato si trattasse di lui. Castiel era semplicemente sparito nel nulla con la sua nuova amichetta alata e tanti saluti. Gli importava poco di lasciarlo ad affogare nella preoccupazione. Stronzo.

Dean ormai avrebbe dovuto essere abituato al modus operandi dell'amico, tuttavia quella lontananza prolungata gli metteva addosso una sgradevole sensazione di disagio.
All’improvviso, una voce sorprendentemente simile a quella del fratello minore lo rimproverò mentalmente, dicendogli che avrebbe potuto benissimo chiamarlo lui Castiel, e non aspettare che fosse l’altro a decidersi.

Dean però non aveva il coraggio.

Era solo una sensazione, eppure inconsciamente temeva che ascoltare per qualche breve minuto la voce roca dell'angelo attraverso un altoparlante, gli avrebbe confermato ciò che stava negando in maniera così spudorata a sé stesso.

Era consapevole che prima o poi le loro strade sarebbero inevitabilmente tornate a rincrociarsi e a quel punto non avrebbe più potuto scappare dai suoi sentimenti e dalle sue paure – perché di quello si trattava, ma avrebbe dovuto farci i conti e provare a gestire la situazione in perfetto stile Winchester. Non c'era niente che gli impedisse di sfoderare la sua faccia da poker e comportarsi come se nulla fosse. Dean era bravo a tenersi tutto dentro, a non lasciar trapelare le sue emozioni più del necessario e niente e nessuno, tantomeno un angelo, l’avrebbero colto in fallo. Ignorare il problema era la via della salvezza.

Il cellulare, grazie alla poca energia accumulata, vibrò un'altra volta e il cacciatore trasalì ancora, un po’ perché era convinto che quello stupido affare fosse spento, un po' perché i suoi ormoni non funzionavano più come quelli di un fottuto uomo adulto. Diede un rapido sguardo al mittente: era ancora Ashley. Gli chiedeva se la settimana successiva avessero potuto incontrarsi. Oh sì, Dean avrebbe fatto di tutto pur di togliersi dalla testa Castiel e di certo una sana e movimentata nottata di sesso non gli avrebbe compromesso la salute. Chissà, magari affondare in una bella ragazza, sentirla ansimare in preda al piacere sotto di lui, avrebbe riportato nella propria vita l'equilibrio a cui era abituato.
 
 
***
 
 
Era riuscito ad addormentarsi soltanto alle sei del mattino, con il cellulare stretto nella mano e il sole che già faceva capolino attraverso i vetri lievemente incrostati delle finestre di quella squallida stanza di motel. Purtroppo, mezzora dopo Dean venne svegliato da Sam, il quale sembrava ansioso di mettersi in macchina per occuparsi di un nuovo caso in una città distante chilometri da dove si trovavano loro.

"Los Angeles?" biascicò Dean mentre beveva una generosa sorsata di caffè, "ci vorranno almeno due giorni interi di strada e cinque pieni alla mia piccola per arrivarci, sei sicuro che ne valga la pena?" chiese.

"Ti dico di sì, in quell'hotel sono successi troppi casi strani per essere solo coincidenze. Inoltre, guarda qui, non lo trovi inquietante?" Sam girò il computer portatile, in modo che il fratello potesse vedere una ripresa della telecamera di sorveglianza di un ascensore che aveva registrato una ragazza comportarsi in modo abbastanza bizzarro, per non dire da brividi.

"Magari era solo strafatta ed uscita fuori di testa" ironizzò Dean, alzandosi da tavola per andare ad infilarsi una maglietta pulita e meno stropicciata.

"No. Questa studentessa è stata trovata morta all’interno del serbatoio dell’acqua, sul tetto del Cecil Hotel." cominciò a spiegare Sam con il solito tono da sapientone, "il coroner del Dipartimento di Los Angeles ha stabilito che la causa della sua morte è stata accidentale e dovuta all’annegamento. Durante l'autopsia non hanno trovato nessuna traccia, né di droghe né di alcol, quindi direi che almeno questo possiamo escluderlo dalla lista" disse Sam. "Inoltre, hai visto anche tu la registrazione, la ragazza sembrava scappare da qualcuno o qualcosa." aggiunse sovrappensiero.

"Per non parlare di quando ha iniziato a conversare come se davanti a lei ci fosse stata un'altra persona. Potrebbero basarci un film horror su questa storia. Pensi si tratti di un fantasma?" domandò Dean, convinto dalle parole del fratello.

"È probabile, ma non ne sono certo. Comunque, prima arriviamo sul posto minori saranno le probabilità che qualcun altro si faccia ammazzare."

"Okay, dammi un minuto, lasciami finire questa tazza di caffè."

"Dean, è la terza che ti scoli nel giro di dieci minuti, sicuro di star bene?" domandò Sam, preoccupato.

"Mai stato meglio" mentì Dean.

"Le tue occhiaie la dicono diversamente."

"Ascolta, Sammy. Ho passato la notte a scambiarmi messaggi erotici con una pollastrella da urlo” ammiccò, “non ho avuto il tempo di dormire. Direi che la caffeina è più che necessaria, soprattutto se dovrò affrontare quarantotto ore di viaggio." Il fratello minore lo studiò per qualche istante e poi scrollò le spalle, lasciando cadere l'argomento.

Ultimamente Sam sembrava essere più attento del solito ai suoi comportamenti, soprattutto dopo l’incontro ravvicinato di qualche giorno prima con la mutaforma, durante il quale si era lasciato prendere la mano, scaricando l’intero caricatore addosso al corpo senza vita della falsa cameriera, per stare tranquillo ed evitare un’eventuale resurrezione. O perlomeno era quello che Dean aveva raccontato a Sam.

Perché chi voleva prendere in giro? Non era stata un’azione dettata dalla prudenza o dall’adrenalina, il Marchio di Caino rimaneva una presenza costante incisa sulla pelle del suo avambraccio e sebbene riuscisse a tenerlo sotto controllo, la furia cieca e la sete di sangue erano difficili da ignorare. Era al di là del salvabile, nessuno poteva aiutarlo, nemmeno le persone che gli volevano più bene in quel fottuto mondo sarebbero state capaci di allontanarlo dal suo destino.

“…ha abbandonato il suo tramite ed è ritornata in Paradiso.” Dean, era così preso ad autocommiserarsi da non essersi accorto che il fratello avesse ricominciato a parlare.

“Chi?” domandò riscuotendosi, prima di sfilare la sua sacca da viaggio consunta da sotto il letto.

“Hannah, l’angelo che viaggiava con Cas. Non mi stavi ascoltando, vero?” Sam storse la bocca in una smorfia di disappunto.

“Scusami Samantha, la prossima volta cercherò di prestare più attenzione alle tue necessità. Comunque, come fai a saperlo?” si mantenne sul vago.

“Me l’ha detto Cas.”

Mancò poco che Dean si ferisse il palmo della mano con il coltello che stava riponendo nel borsone. “Cosa vuol dire che te l’ha detto Cas? Quando?” addio indifferenza, benvenuta curiosità morbosa. Dean provò a nascondere l’irritazione che gli attanagliava lo stomaco senza riuscirci veramente.

“L’ho sentito al telefono ieri, pensavo lo sapessi anche tu.” riferì Sam, incerto.

“No, non parlo con quel figlio di puttana da settimane” disse Dean, ficcando con eccessiva violenza un paletto di legno, fra il resto delle altre armi.

E così, quel bastardo aveva ritenuto opportuno non metterlo al corrente su ciò che stava accadendo: adesso viaggiava per conto suo e solo Dio sapeva quali altre informazioni gli stesse tenendo nascoste. L’aveva detto a Sam, da non credere. Era bello scoprire quale fosse la considerazione che l’angelo avesse di lui. Sentì la rabbia montargli dentro, seguita subito dopo da uno spiacevole senso di umiliazione. Porca puttana, l’aveva persino sognato quelle rare volte che il sonno l’aveva sopraffatto, inclusa la notte precedente. Lo perseguitava anche lì.

Non erano sogni chissà quanto elaborati, solo un paio d’intensi occhi blu che lo fissavano e in cui era sempre riuscito a leggervi eternità, gentilezza, potenza ed infinita tristezza. Quegli occhi gli davano pace, erano l’unica cosa ad infonderli un minimo di speranza quando tutto il resto andava in pezzi. Lo facevano sentire degno. Evidentemente non era più così, non da quando Castiel l’aveva visto tramutarsi in un folle demone del cazzo.

Probabilmente adesso quegli occhi sarebbero stati freddi e schivi come era giusto che fossero, perciò non c’era da meravigliarsi se l’amico avesse deciso di mettere della distanza fra di loro e se preferisse fidarsi più di Sam che di lui. Avrebbe dovuto immaginarlo già da un pezzo.

Il cacciatore strinse il pugno tanto stretto da sbiancargli le nocche.

“Dean…” iniziò Sam, avvicinandosi, avvertendo la sua tensione.

“Se ci muoviamo adesso saremo lì entro sera. Sbrigati.” afferrò con un colpo secco il manico della sacca e uscì nell’aria fredda del mattino senza incrociare lo sguardo interdetto del fratello. 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


A Chiara, che in qualche modo dice sempre la cosa giusta al momento giusto.
***************************************** NOTES ***************************************
Per prima cosa vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che hanno aggiunto la storia fra le seguite o preferite e tutte quelle che hanno perso del tempo a recensire il capitolo precedente. Non me l'aspettavo, ad essere sincera. E' stata una bella sensazione vedere che ciò che scrivo a voi non fa ribrezzo. Spero di non aver deluso le aspettative con questo nuovo capitolo, di non aver toppato completamente con la caratterizzazione dei personaggi e di avervi fatto provare qualche emozione positiva. Oh, vorrei sapere anche se qualcuno è riuscito a capire il simbolismo del sogno, perché nella mia testa aveva senso logico ma non sono certa di aver reso in modo concreto quello che volevo rappresentare. Concludo, augurandovi una buona, felice e rilassante Pasqua, mangiate quanta più cioccolata possibile anche da parte mia che non ne mangio un pezzetto da tre mesi strazianti.


 






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2.
 
 
Come lui e Sam avevano ipotizzato, il problema in quell’hotel erano gli spiriti, una massiccia infestazione di fantasmi arrabbiati che sfogavano le proprie frustrazioni ammazzando clienti a caso. Avevano scoperto che l’edificio era stato teatro di suicidi e omicidi, fin dal giorno in cui venne inaugurato nel lontano millenovecentoventisette.

Una donna si era lanciata dall’ottavo piano e un’altra ancora si era suicidata dopo aver litigato con il marito. Due serial killer vi avevano alloggiato: il primo aveva stuprato e ucciso tredici donne mentre il secondo, uno scrittore di gialli per una rivista, era uscito di testa strangolando tre prostitute con il loro stesso reggiseno.

Dean si asciugò le gocce di sudore che gli erano scivolate sulle tempie quando lui e Sam finalmente ebbero finito di profanare l’ultima tomba. Sam aprì la bara, rivelando al suo interno uno scheletro disgustoso che li fissava inespressivo attraverso due profonde cavità nere come la pece, in cui un tempo c’erano stati gli occhi.

“Dai Sammy, dai fuoco anche a questo figlio di puttana e andiamocene. Ho bisogno di farmi un bagno per togliermi di dosso la puzza di morto.” disse il cacciatore, passando al fratello una confezione di sale formato famiglia.

Sam vi cosparse le ossa, dopodiché passò alla benzina e poi al fuoco, il quale le avvolse fra le sue fiamme scarlatte, riducendo in cenere ogni piccola traccia di materia organica.

“Direi che qui abbiamo finito” esordì Sam, scrollandosi via un po’ di terriccio e qualche filo d’erba dai pantaloni.

“Era ora.” disse Dean mentre s’incamminava nella direzione opposta, diretto verso l’Impala, bramando il riposo.

Era talmente sfinito che se avesse passato senza dormire anche quella notte, sarebbe andato da un cazzo di dottore a farsi prescrivere un flacone di sonniferi per elefanti. Inoltre, aveva giurato che sarebbe stata anche l’ultima trascorsa dentro ad un motel, perché il giorno successivo aveva intenzione di fare ritorno al bunker e al suo adorato materasso a memoria di forma.

Bastò percorrere pochi chilometri per trovare un motel lungo la strada a poche miglia fuori dalla città. Dall’esterno dava l’impressione di essere un posto fatiscente ma una volta dentro conservava una certa decenza se si escludevano la tappezzeria consumata e l’impianto elettrico precario. I due fratelli si sistemarono in una stanza al pianterreno e a turno si concessero una lunga e approfondita rinfrescata.
Dean era sfiancato, talmente tanto che a malapena si rese conto di essere finito sotto il getto pressante della doccia. Poggiò la fronte contro le mattonelle della cabina e permise all’acqua calda di scorrergli indisturbata lungo la schiena, sperando che riuscisse a far scivolare via con sé la tensione accumulata durante le ultime ore. Il Marchio aveva ricominciato a bruciare.

Aveva iniziato come un tenue formicolio la mattina precedente, a caccia, mentre cercava di non farsi trapassare la testa da un fantasma particolarmente malvagio. E dato che non si poteva realmente ammazzare qualcuno già morto, Dean non aveva sfogato la rabbia a sufficienza e iniziava a notare l’influenza del Marchio in modo più concreto. Lo rendeva nervoso più del normale, sull’attenti e pronto a scattare in qualsiasi momento per le ragioni più banali. Non voleva ritornare ad essere un demone e ad uccidere semplicemente per il piacere di farlo.

Inconsapevolmente si ritrovò a strofinarsi il punto in cui il braccio era segnato, tracciando il profilo di quel simbolo maledetto.
La prima volta era riuscito a cavarsela grazie all’intervento tempestivo di Sam e all’aiuto di Castiel ma se fosse successo un’altra volta, non era così stupido da pensare che la sorte sarebbe stata di nuovo clemente con lui e con loro. Avrebbe potuto far del male a Sam o uccidere Castiel e il solo pensarci lo paralizzava dal disgusto e dall’orrore per se stesso.

Dean chiuse con un movimento repentino le manopole dell’acqua e uscì dalla doccia più distrutto di quando ci era entrato. Prese un asciugamano, lo avvolse in vita e si posizionò davanti allo specchio. Chi era l’uomo riflesso che gli restituiva lo sguardo? Non riusciva più a riconoscersi, a ritrovare un barlume di ciò che era stato, la corda che teneva uniti i pezzi si era sfilacciata e minacciava di recidersi lasciandolo precipitare nel vuoto. Nei suoi occhi verdi ormai c’erano il tormento e la certezza che avrebbe trovato pace solo tre metri sotto terra, anche se su quest’ultimo punto non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Era sicuro che all’Inferno ci fossero almeno un centinaio di demoni ansiosi di fargli il culo come lui l’aveva fatto a loro prima di rispedirli in quel buco dal nauseante odore di zolfo.

Sam avrebbe voluto essere messo al corrente di quello che gli stava succedendo ma sinceramente, Dean non trovava giusto addossare al fratello le proprie angosce, non ora che sembrava aver ritrovato un po’ di serenità. Dopo essersi asciugato ed infilato la brutta copia di un pigiama, si trascinò fuori dal bagno fino al letto, con un peso di mille tonnellate ad opprimergli il petto. Dean rabbrividì, aveva la pelle d’oca. Ultimamente sentiva sempre freddo e a volte era così intenso da ritrovarsi a tremare come una fottuta foglia nonostante fuori ci fossero trenta gradi all’ombra.

Il gelo proveniva da dentro, come se il Marchio di Caino gli stesse risucchiando la linfa vitale rimpiazzandola con del veleno. Cristo, c’erano momenti durante i quali si sentiva così solo.

Cas, dove diavolo sei? Ho bisogno di te, amico.

Fu un pensiero fugace, quasi inconscio, una preghiera silenziosa che attraversò la mente affaticata di Dean qualche istante prima di addormentarsi.
 
 
***
 
 
Tutto continuava ad essere immerso nel buio notturno quando Dean sollevò pigramente le palpebre. Intorno a lui aleggiava un’insolita quiete, si sentiva distaccato e leggero, quasi come se stesse fluttuando, alleggerito sia del peso del corpo che della mente. Doveva essere l’effetto del dormiveglia a creargli quella sensazione e a fargli percepire in modo singolare ciò che lo circondava.

Come la luce della luna dalle insolite sfumature azzurre, accecante in modo irreale tanto che guardarla direttamente era impossibile. Eppure, nonostante il bagliore, i mobili e gli oggetti nella stanza restavano immersi in una fitta oscurità. Dean si sollevò facendo forza sui gomiti, confuso.

C’era qualcosa di strano. Si passò una mano sulla faccia per cancellare ogni residuo di sonnolenza che gli annebbiava la mente e si guardò intorno con circospezione.

Sembrava che fosse tutto come al solito eccetto per quella fonte luminosa. Afferrò la pistola che teneva sotto il cuscino e si avvicinò alla finestra, lentamente, assottigliando lo sguardo man mano che la distanza con la luce si accorciava. Non riusciva a vedere nulla oltre il vetro solo pura e limpida energia azzurra. Alle sue spalle regnava l’oscurità più totale, non era in grado nemmeno di distinguere la sagoma di Sam fra tutto quel nero.

“Ciao, Dean.”

Una voce pericolosamente vicina al suo orecchio sinistro riecheggiò nell’aria. Il cacciatore si mosse con rapidità ed esperienza, puntando la canna della sua pistola, esattamente al centro della fronte dell'uomo che aveva parlato, fra due occhi blu che lo guardarono impassibili. Porca puttana.

Era Castiel. Trenchcoat, capelli pettinati di lato, braccia a penzoloni lungo i fianchi, compresi.

“Dio, Cas devi piantarla di apparire dal nulla, prima o poi mi farai venire un infarto.” esclamò Dean abbassando l’arma e provando ad ignorare il fastidioso senso di agitazione che avvertiva nello stomaco. Se erano quelle le famose farfalle di cui tutti parlavano tanto, le avrebbe digerite una ad una.

“Che ci fai qui? Non potevi aspettare domani invece di svegliarmi? Di questi tempi ho davvero bisogno di farmi una maledetta dormita” disse, tenendo a malapena a bada il risentimento. Si rendeva conto di star esagerando ma era troppo incazzato per importagli qualcosa.

“Stai sognando Dean." lo avvertì l'angelo.

Ah. Di solito riusciva a distinguere i sogni dalla realtà, ma era trascorso troppo tempo da quando Castiel era abituato a comunicare con lui in quel modo.

"Non posso essere qui in carne e ossa" continuò, "non sono abbastanza forte per permettermelo. La grazia che possiedo si sta esaurendo più rapidamente di quanto sperassi e non posso accedere ai miei poteri come vorrei” lo sguardo di Castiel s’incastrò in quello del cacciatore, più dispiaciuto di quanto dovesse. Non era colpa sua se gli avevano rubato la grazia, doveva sentirsi colpevole per ben altro.

“Allora non avresti dovuto nemmeno apparire nel mio sogno” disse Dean, interrompendo il contatto visivo. Era una sofferenza guardare in quegli occhi blu e continuare a vedervi le stesse cose di sempre, avvertire che l’amicizia di Castiel nei suoi confronti fosse rimasta invariata.

Non aveva dubbi che stesse sognando, solo in un universo irreale l’amico avrebbe potuto continuare a guardarlo in quel modo particolare che non usava con nessuno tranne che con lui, ed era certo che nonostante il Castiel che si ritrovava davanti fosse una proiezione di quello vero, l'angelo non avesse alcun controllo sui dettagli del sogno.

Quelli dipendevano esclusivamente da Dean. E Dean voleva disperatamente essere guardato così intensamente.

“Ma tu mi hai pregato, Dean” disse Castiel, corrugando la fronte come faceva ogni volta che si sforzava di capire qualcosa di estraneo alla sua mentalità di angelo del Signore.

Le vecchie abitudini erano dure a morire, anche se aveva vissuto fra gli umani da abbastanza tempo per riuscire a distinguere buona parte dei loro comportamenti e reazioni.

“Di che diavolo stai parlando, non ti ho preg-” s’interruppe Dean, ricordando ciò che aveva pensato prima crollare per la stanchezza. “Non era niente Cas, è stato accidentale, non volevo disturbarti” era sulla difensiva anche se non aveva fatto niente di male. Odiava dire preghiere, lo considerava l’equivalente di una supplica ma chissà perché con Castiel non si era mai posto il problema.

Specialmente durante e dopo il soggiorno forzato in Purgatorio, pregarlo era diventata l’unica via per sentirlo vicino, quando fra loro c’erano chilometri di distanza a separarli, o il Paradiso o la paura che dall’altra parte ormai non ci fosse più nessuno a starlo a sentire. Anche se Castiel non gli rispondeva mai e spesso e volentieri si faceva vivo con tutta la calma dell’universo.

“Puoi tornare a quello che stavi facendo” concluse, dandogli le spalle e tornando indietro per riporre la pistola da dove l’aveva tirata fuori.

“Dean, parla con me” sbottò Castiel, afferrandolo per una spalla, bloccandolo a metà strada fra la luce e l’oscurità, costringendolo a girarsi di nuovo verso di lui. “Mi stai evitando” constatò rafforzando la presa. Ed eccola la goccia che fece traboccare il vaso.

Una risata roca, priva di entusiasmo uscì dalle labbra del cacciatore. Un momento prima i due uomini erano al centro della camera, adesso invece, Castiel si trovava appiattito contro il muro in ombra, con il braccio di Dean premuto sullo sterno, a immobilizzarlo.
“Non sono stato io a sparire nel nulla per due mesi senza dare notizie. Anzi no, Sam mi è sembrato piuttosto aggiornato su quello che ti sta succedendo.” ringhiò Dean a pochi centimetri dal volto dell'angelo.

“Neanche tu ti sei sforzato molto per metterti in contatto, oggi è stata la prima volta dopo…” mormorò Castiel, pronunciando la curva della mascella in segno di sfida.

“Che cosa? Cas, l’ultima volta che ho visto la tua stupida faccia è stato il giorno in cui sono ritornato umano! Mi hai liquidato dicendo che c’era una donna ad aspettarti in macchina, che c’erano delle questioni di cui dovevi occuparti, che dovevi andare. Mi è sembrato una maniera piuttosto ovvia di mettere in chiaro le tue intenzioni."

"Ti sbagli" lo contraddisse Castiel, agitandosi sotto il peso di Dean.

"Allora non saresti andato via. Mi hai lasciato, Cas." Che schifo, era patetico. Non si era mai sentito così vulnerabile in vita sua.

"Dean..."

"Lo capisco, non te ne faccio una colpa" non riusciva a frenare le parole, continuavano a scorrere fuori dalle sua labbra come un fiume in piena. "Chiunque non avrebbe voluto più niente a che fare con me dopo aver visto che razza di mostro ero e che potrei tornare ad essere, ma non accetto" afferrò con una mano entrambi i lembi del trench di Castiel in una presa ferrea e furiosa, tirandolo ancora più vicino, tanto che i loro menti si sfiorarono per un istante, "che tu m'incolpi per averti ignorato, che mi faccia sentire una merda solamente perché mi vergogno di me stesso come un ladro per quello che ho fatto." fece una pausa che sfruttò per riprendere fiato.

Castiel continuava a fissarlo, blu contro verde. Dean non riuscì a capire cosa gli stesse passando per la mente ma dall’espressione triste avrebbe scommesso non fosse niente di particolarmente superficiale.

Poi, avvertì le dita dell’angelo scorrergli lungo l’avambraccio, quello che non lo teneva bloccato, alla ricerca di qualcosa, finché non raggiunsero il simbolo in rilievo inciso sulla pelle. Lo sfiorarono con delicatezza tracciandone ogni linea, più e più volte, ancora e ancora.

Dean inclinò la testa ad osservare il movimento, poi ritornò a fissare Castiel, diventando improvvisamente cosciente della vicinanza fra loro. Ogni centimetro dei loro corpi era a contatto. Cristo santo, pensò Dean. Quel sogno stava decisamente prendendo una piega inaspettata.

“E’ colpa del Marchio” sussurrò Castiel e il suo respiro gli solleticò le labbra che involontariamente si socchiusero. L’angelo catturò quel movimento e deglutì, senza smettere di accarezzargli il braccio.

Se solo Dean si fosse chinato leggermente in avanti, il risultato sarebbe stato un bacio. Avrebbe contato? Dopotutto quello rimaneva un sogno, quando si sarebbe svegliato forse nemmeno l’avrebbe ricordato.

“E’ colpa sua se dici queste cose” continuò l’altro, mentre un altro barlume di amarezza gli attraversava il viso, distogliendo il cacciatore da quel desiderio bruciante, “perché, altrimenti non capisco proprio come tu possa pensarle, Dean. Sei l’uomo migliore che abbia mai incontrato. Dopo tutto quello che ho fatto, a te e Sam, dopo i tradimenti, la mancanza di giudizio, le menzogne, mi sei sempre rimasto accanto. Non mi hai mai rinunciato a me anche se tu, amico mio ne avresti avuto pieno diritto. Potevi odiarmi e invece continui a riporre la tua fiducia nell’eco di un angelo. Non potrei mai cambiare opinione su di te, soprattutto non per colpa di qualcosa che non sei in grado di controllare. Non lo farei mai. Mai.”

C’era un nodo che stringeva la gola di Dean, odiava quella sensazione, avrebbe preferito di gran lunga rispondere con qualcosa di estremamente sarcastico ma se avesse parlato non sarebbe uscito alcun suono.

Così si limitò a stare immobile e a lasciare che il discorso di Castiel s’insinuasse in lui, in profondità. Sarebbe anche stato il caso di togliersi di dosso e riacquistare un po' di contegno ma era già una benedizione che Dean non lo stesse abbracciando stretto, trasportato dall'impeto delle emozioni.

Castiel sorrise e per un momento Dean temette che gli avesse letto la mente. Si sbagliava.

“Dean, mi sono fatto da parte perché sarebbe stato da egoisti turbarti anche con i miei problemi” confessò tirando un sospiro di sollievo, come se tenere per sé quella verità gli fosse costata una fatica sovrumana.

A quel punto Dean indietreggiò, incredulo.

“No, non lo sarebbe stato” gli disse scuotendo la testa, “siamo amici io e te, fai parte della mia famiglia e se c’è qualcosa che non va lo dici perché è così che funziona. Mi hai sentito?”

Castiel annuì senza troppa convinzione. “Tu non parli con Sam riguardo ciò che il Marchio ti sta facendo.” Come diavolo facesse a saperlo era una domanda a cui Dean era intenzionato a farsi rispondere in un secondo momento.

“E’ diverso.”

“No, non lo è, Dean.”

Dean corrugò la fronte. Castiel non capiva, lui non riempiva la vita di Sam con le sue cazzate perché non volesse ma perché non poteva. Sam era suo fratello e alle persone a cui si vuole bene, che si amano più di se stessi...oh, merda.

Dean s'irrigidì sul posto, il cuore prese a martellare come un tamburo. Poteva Castiel, l'angelo più imbranato del Signore, avergli appena fatto una confessione così grossa? Perché l'amore che legava lui e Sam e a cui Dean si riferiva era prettamente fraterno non...l'amore. Impossibile, sicuramente Castiel intendeva qualcos’altro, era Dean che ormai aveva fottutamente perso la ragione. Doveva calmarsi e tornare a respirare.

“Mi dispiace se ti ho dato l’impressione sbagliata” disse Castiel e di nuovo gli diede l’impressione di avergli letto nella mente, “suppongo che avrei potuto essere meno discreto.”

Quel pensiero però, venne immediatamente sostituito da un altro più urgente, qualcosa che Castiel aveva appena detto, attirando l'attenzione dell'uomo.

“Essere meno…” Dean si schiarì la voce, “discreto? Cas, che stai cercando di dirmi?” domandò ma l’amico non gli diede alcun tipo di chiarificazione.

“Puoi sempre contare su di me, Dean. Non dimenticartelo.” rispose invece Castiel, curvando la bocca nell’accenno di un sorriso. Poi scomparve così come era arrivato.

“Ehi, no. Cas, torna indietro!” esclamò Dean rivolto al muro, “sei un gran figlio di puttana, lo sai?” Era tutto così fottutamente complicato.

Quando un istante dopo, Dean si risvegliò nella penombra mattutina, per la prima volta dopo mesi si sentì sereno. Era piacevole, pensò, godendosi il torpore che dal centro del petto, s' irradiava fin alla punta dei piedi.

Cas non l’odiava, era ancora il suo angelo. Il Marchio aveva smesso di bruciare.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Chiara, smettila di mettermi fretta.
 
************************************* NOTE *************************************
Come al solito, grazie a tutti coloro che si prendono la briga di recensire, di fingere entusiasmo ogni volta che pubblico un nuovo capitolo e che hanno messo la storia fra le seguite. Chiusa parentesi...lo so, questo capitolo fa veramente schifo - e non avete ancora letto il prossimo - ma purtroppo è tutto ciò che il mio cervello ha prodotto quindi vi dovrete arrangiare e mostravi gentili come al solito. Come credo si sia notato ciò che ho scritto si colloca e riprende alcuni avvenimenti della 10x08 (forse è la 10x09, non ne ho idea), in pratica quella che c'è stata prima della pausa natalizia. Spero di essere riuscita a ricreare lo stato d'animo generale dei personaggi e di non aver reso tutto tremendamente depressivo. Ah, giusto scusate, non è colpa mia ma di Supernatural a.k.a la serie tv più dolorosa dell'universo. E niente, non ho altro d'aggiungere se non che SERIETVSUBITA CI METTE UNA VITA A FAR USCIRE I SOTTOTITOLI DELLA 10X18 E IO STAREI POCO POCO IN ANSIA. Se vi fa piacere e se volete guadagnarvi un posto in Paradiso, lasciate una recensione per rendere la mia vita meno schifosa e degna di essere vissuta.







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3.
 
 
Nessuno si aspettava che il peggio si sarebbe ripresentato davanti alla loro porta così presto. Persino Sam che aveva mantenuto la guardia alta per tutto quel tempo, era profondamente sconvolto dall' accaduto. Perché in fondo, una parte di lui aveva creduto alle sue menzogne, realizzò Dean.

Ogni volta che gli aveva detto di star bene, sorridendogli e dandogli una vigorosa pacca sulla spalla, Sam si era voluto ardentemente fidare. Che ingenuo. Dean a malapena riusciva a guardarlo in faccia mentre gli teneva il volto sporco di sangue fra le mani e lo scuoteva per ottenere dei chiarimenti, perché una parte del suo cuore ci sperava ancora, nonostante non fosse rimasto più nulla a cui aggrapparsi. Mi dispiace, Sammy…

"Dimmi che sei stato costretto, Dean. Che dovevi scegliere fra la tua o la loro vita!"

Si, aveva dovuto prendere una decisione e anche alla svelta, quegli uomini avevano delle pistole e lui solo un coltello ma nulla lo giustificava dall'averli massacrati tutti. Senza pietà. Senza esitazione. Piantandogli la lama fra le costole, recidendogli la gola con un taglio netto e preciso. Era un mostro.

Anche Castiel era lì a fissare in silenzio la scena, con Claire, che singhiozzava spaventata fra le sue braccia protettive.
Proprio quella mattina Dean l'aveva trattenuto in una tavola calda per parlargli. L'angelo aveva richiesto l'aiuto dei due cacciatori per ritrovare la ribelle figlia adolescente di Jimmy Novak, che era scappata la sera precedente come ringraziamento nei confronti di Castiel per averla tirata fuori dalla casa famiglia in cui era stata scaricata. Era la prima volta dopo un lungo periodo di lontananza che lui e Castiel si vedevano di persona – se si escludeva la visita in sogno – e il cacciatore ne aveva approfittato, trattenendolo insieme a lui con la scusa di aspettare lì Claire, nel caso la ragazza avesse deciso di tornare indietro.

La presenza di Castiel per qualche inspiegabile ragione sortiva sempre un effetto calmante su di lui, non aveva idea se fosse la sua aurea da creatura celestiale a emanare tranquillità da ogni poro, o quegli occhi blu intenso che si soffermavano a osservarlo come se fosse un biglietto vincente della lotteria. Come potesse meritarsi tanta ammirazione non lo capiva.
Tutto era proceduto bene, finché inevitabilmente la conversazione aveva virato sulla questione “Marchio” e Dean aveva fatto promettere a Castiel di trovare il modo di ucciderlo, nell'eventualità che le cose si fossero messe nuovamente male. Era consapevole di essersi comportato da perfetto stronzo e della complessità di quella richiesta ma Castiel era l’unico a poterla esaudire. Ed ecco uno degli svantaggi d’imbattersi nei fratelli Winchester e d’instaurare dei rapporti con loro: non era un’esperienza piacevole e prima o poi ti saresti ritrovato morto o fottuto. Spesso entrambe le cose.

Sul momento Castiel aveva assunto l’espressione di chi stava per vomitare e non era sembrato molto convinto dalla prospettiva ma ora, circondato da pareti imbrattate di sangue a causa della carneficina che Dean aveva creato, in quegli occhi sgranati non c'era altro che paura. Paura per quello che alla fine sarebbe stato costretto a fare, gli piacesse o no.
Perdonami, Cas. Vorrei fosse andata diversamente.

"Cas, devi portarlo al bunker e stare con lui finché non torno." disse Sam.

"E lei?" domandò Castiel facendo un cenno verso Claire, "non posso lasciarla qui."

"Portala con voi." tagliò corto Sam, non poteva addossarsi anche quel problema, non quando uno più grande gli era appena esploso sotto il naso.

"Te la senti?" domandò l'angelo rivolgendosi alla ragazza, la quale annuì, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca.

Nel frattempo, Sam aveva sollevato di peso Dean dal pavimento e l'aveva spinto fino all'ingresso visto che non si decideva a collaborare. Il maggiore dei Winchester si trascinò in avanti come un automa, senza realmente vedere dove stesse mettendo i piedi. Sembrava assente, come un sonnambulo o come un uomo annientato dalla sconfitta.

"Dean, reagisci" lo strattonò Sam afferrandolo per le spalle, "devo risolvere la situazione con la polizia, non puoi essere qui quando arriverà."

"Fai provare me" intervenne Castiel, poggiando una mano sulla spalla di Sam per bloccarlo. "Claire, tu entra in macchina e aspettaci lì, ti raggiungeremo fra un attimo" aggiunse in direzione della figlia del suo tramite. La ragazza tirò su col naso e aprì la bocca come per protestare ma alla fine sembrò ripensarci. S'infilò le mani nelle tasche dei jeans e si avviò verso l'Impala parcheggiata fuori. Castiel si accertò che fosse chiusa dentro prima di proiettare la propria attenzione su Dean.
Teneva gli occhi bassi e non si sforzava di rispondere agli stimoli del fratello minore. L'angelo purtroppo sapeva bene a cosa fosse dovuto quel comportamento così estremo, così estraneo agli atteggiamenti sfacciati tipici da Dean Winchester. Gli si strinse il cuore in una morsa talmente stretta da provocargli un vuoto allo stomaco.

Dean era caduto.

Non nel senso angelico del termine ma alla maniera degli esseri umani. Castiel aveva provato la stessa sensazione del cacciatore, amplificata di un milione di volte. Lo sapeva perché era caduto anche lui e si era trovato a vagare sulla Terra per la prima volta come un vero e proprio umano, privato della sua grazia. Non era stato un bel periodo.

Poteva definire l’intera esperienza come una tremenda e assordante solitudine; non sapeva cosa fare, dove andare, di chi fidarsi, Dean l'aveva mandato via dal bunker e gli altri angeli caduti gli stavano alle calcagna per vendicarsi di ciò che aveva fatto in buona fede o a causa della sua stoltezza. Lo smarrimento e l'abbandono, per non parlare del senso di colpa che gli divorava le viscere, erano ancora vividi in lui. Non avrebbe permesso che Dean si sentisse così. Gli sarebbe stato accanto in modo più costante, l'avrebbe protetto e aiutato a combattere la battaglia che lo stava distruggendo dall’interno come se fosse la propria. Se Dean era convinto che lui avrebbe mantenuto la sua insignificante promessa, era totalmente fuori strada.

Come aveva potuto minimamente pensare di affidargli quel compito? Castiel avrebbe sacrificato la propria vita senza battere ciglio piuttosto che ucciderlo. Era riuscito a salvarlo dalla perdizione una volta, niente gli avrebbe impedito di rifarlo.

Allungò una mano per afferrare il braccio di Dean ma questi si ritrasse prima che le dita riuscissero a sfiorarlo. Castiel aggrottò la fronte, spiazzato, mente Sam osservava la scena in silenzio dietro di loro, altrettanto confuso. Attese qualche secondo dopodiché riprovò ad afferrarlo, fallendo. Il cacciatore si allontanò ancora più da lui sbattendo contro il battente della porta.

“Dean…” lo ammonì Castiel, non voleva essere costretto ad usare la sua forza angelica per portarlo di peso via di lì, non gli piaceva farlo.

Voleva vedere il viso dell’amico, scrutare ogni millimetro di quei lineamenti marcati e allo stesso tempo delicati, incrociare il suo sguardo per potergli leggere dentro e trasmettergli un po’ di conforto. Ma Dean si ostinava a proiettare il capo verso il basso, rendendo quel desiderio irrealizzabile.

Proprio mentre Castiel stava per tentare di riafferrarlo, l’altro si riscosse inaspettatamente e uscì dalla casa a grandi passi, raggiunse l’auto e si accomodò sul sedile del guidatore pronto a partire.
Claire, appollaiata su quello posteriore gli lanciò uno sguardo piuttosto eloquente che sembrava dire: “Sei impazzito? Non vorrai guidare in queste condizioni, pezzo di scemo.”

“Cercherò di fare più in fretta che posso, Cas” gli assicurò Sam, sfregandosi la base del collo con aria preoccupata, “tienilo d’occhio.”

“Non preoccuparti. Dean è al sicuro con me.” disse Castiel, sorridendo debolmente. Poi andò via.

Sam vide il fratello e l’angelo discutere su chi avrebbe dovuto guidare l’Impala e alla fine, chissà come, Castiel riuscì a spuntarla.
 

***

 
Viaggiarono tutta la notte, raggiungendo il bunker qualche istante prima dell’alba. Claire dormiva rannicchiata su se stessa, il respiro lento e i lineamenti del viso contratti, tipici di chi stava facendo un sonno tempestato da incubi. Dean invece, non si era riposato affatto, affrontando il viaggio in religioso silenzio e con i pensieri persi chissà dove. Castiel aveva fatto numerosi tentativi per instaurare un dialogo, senza successo. I Winchester sapevano essere estremamente testardi.

Non era stanco, a dispetto dei chilometri che avevano percorso, ma fu piacevolmente sollevato quando si ritrovò davanti all’entrata blindata del loro rifugio.

“Claire, svegliati. Siamo arrivati.” Chiamò dolcemente, ricevendo come risposta un brontolio incomprensibile.

“Forza, Claire. Devi svegliarti.”

“Stai zitto” borbottò la ragazza, “lo sai che hai una voce irritante?” continuò, mettendosi a sedere, cercando di districare la biondissima matassa di capelli arruffati e reprimendo a stento uno sbadiglio. Dean sbuffò e iniziò a tamburellare impaziente le dita contro il finestrino.

Non era dell’umore per sorbirsi la lingua tagliente di una ragazzina arrabbiata, perciò fu ben lieto di sgattaiolare lontano da lei una volta che Castiel fermò la macchina. L’angelo lo chiamò ma lui ignorò il comando, non aveva intenzione di stare nemmeno vicino a lui.

All’interno il bunker degli Uomini di Lettere era immerso nella penombra e ogni passo risuonava come un rintocco, riempiendo la quiete assordante. Dean si avviò camminando deciso verso uno dei corridoi che portava all’archivio, in cui era allestita la cella dove qualche mese pima avevano tenuto prigioniero Crowley per estorcergli informazioni utili.

Ora era arrivato il suo turno, pensò con amarezza, si sarebbe incatenato alla sedia con le sue stesse mani e avrebbe atteso che Castiel lo finisse nel modo più rapido e indolore possibile. Era necessario legarsi se non voleva rischiare di far del male all’angelo, l’istinto del demone avrebbe preso il sopravvento come forma di autodifesa e se le catene non fossero state ben strette sarebbe riuscito a liberarsi mandando a puttane il piano. Sam si sarebbe incazzato come un pazzo con lui per non avergli detto addio.

Stava armeggiando con un paio di robuste manette d’acciaio quando qualcuno gliele sfilò dalla presa, scagliandole dal lato opposto della stanza.

“Cosa hai intenzione di fare?” tuonò la voce di Castiel. L’ultima volta che Dean l’aveva visto così arrabbiato l’aveva gonfiato di botte. Il cacciatore non batté ciglio, se voleva picchiarlo non si sarebbe tirato indietro.

“E’ abbastanza ovvio, Cas. Mi sto imprigionando.” disse mentre tornava a recuperare le manette. Percepiva lo sguardo dell’angelo su di sé, lo sentiva forte e chiaro. Avrebbe tanto voluto ricambiarlo, sfoderare uno delle sue più trionfali occhiate da spaccone, ma quello era un lusso che uno scarto dell’umanità come lui non era degno di possedere. Inoltre, il tormento nel dover evitare quel contatto gli sembrava l’inizio di una giusta punizione.

“Perché?” chiese Castiel semplicemente.

“Come se non lo sapessi.”

L’angelo sospirò affranto e per un lungo minuto non disse niente. Dean invece continuò a tirar fuori metri e metri di spesse catene d’acciaio con ogni sorta di simbolo inciso sopra.

“Renditi utile invece di startene fermo senza far niente” imbeccò Dean rivolto all’amico, “aiutami a fissare queste ai braccioli della sedia” disse facendo tintinnare le file di anelli.

“No” fu la risposta secca di Castiel. Il cacciatore si accigliò.

“Che vuol dire no? Cas, datti una mossa, prima finiamo questa cosa meglio sarà per tutti.”

“Ho detto di no” ripeté l’angelo scandendo ogni parola. Dean perse la pazienza, e in uno scatto d’ira lasciò cadere con violenza le catene per terra.

“Dannazione, Cas!” ringhiò perdendo il controllo, “avevamo un accordo, perciò adesso muovi il culo piumato, mi leghi a quella maledetta sedia e mi uccidi. Per piacere, non rendermi tutto più difficile” durante l’intera sfuriata aveva guardato con intensità un punto indefinito del muro e lottato contro l’irresistibile voglia di scaraventarci l’angelo contro. Quasi a voler dimostrare che anche volendo, non ci sarebbe riuscito, Castiel si mosse più rapidamente di quanto i riflessi di Dean fossero in grado rilevare e gli afferrò il mento fra le dita in una morsa ermetica.

“Guardami.” voleva essere un ordine ma suonava tremendamente come una supplica. Dean strattonò la mascella sollevando il viso in su, non dandogliela vinta. Gli fece un male cane ma il dolore scomparve in fretta. Di nuovo, Castiel si lasciò sfuggire un sospiro affranto, prima di parlare.

“Non posso farlo.”

“Lasciami andare!”

Avevano comunicato all’unisono ed entrambi si presero un momento per elaborare l’uno l’affermazione dell’altro. Castiel trovò estremamente curioso come le due singole frasi si combinassero alla perfezione. 

“Ascoltami…” ricominciò il cacciatore, precedendolo.

“No, ascoltami tu, Dean. Non posso lasciartelo fare, non voglio. Non ci riesco. Ti ho fatto una promessa, è vero, ma non ho mai avuto intenzione di rispettarla. Mi dispiace, sono un pessimo amico.” allentò la presa sul mento e lasciò ricadere il braccio lungo il corpo.

“Vuol dire che affiderò il compito a qualcun altro” replicò Dean, fingendo di non aver sentito la parte in cui Castiel era convinto di non essere un buon amico solo perché si rifiutava di ammazzarlo.

“A chi? Crowley?” l'irritazione nell'espressione di Castiel era tangibile.

“Si, se necessario. Andiamo Cas, c’eri anche tu in quella casa, hai visto cosa ho fatto. Non c’è via d’uscita. Ho sfogliato ogni schifoso libro presente in questo edifico e nessuno descriveva come liberarsi dal Marchio.”

“Possiamo ancora cercare.”

“Mi piacerebbe ma è già scattata la mezzanotte, amico. E’ finito il tempo che avevamo a disposizione.” la voce gli si affievolì sull'ultima parte, fino a diventare un mormorio impercettibile che non sfuggì all’udito sensibile di Castiel.

Anche se non si stavano né toccando né guardando, Dean avvertì ogni singolo muscolo dell’altro irrigidirsi e poi, quasi con uno scatto la mano dell’angelo raggiunse la sua, intrecciandovi le dita, stringendola. Aggrappandosi ad essa. A rigor di logica, quel tocco non eccessivamente invadente ma pur sempre intimo, avrebbe dovuto metterlo a disagio, invece non accadde.

Al contrario, Dean si ritrovò a ricambiare la stretta e ad accarezzare il dorso della mano di Castiel con il pollice, nella speranza di tranquillizzarlo. Cosa stava facendo passare al suo angelo? Era stato un bastardo egoista, lo era sempre stato nei suoi confronti, anteponendo i propri bisogni a quelli dell’altro. Non si era mai soffermato a riflettere sull’eventualità che le sue azioni e le decisioni prese, avrebbero potuto far soffrire Castiel. Con gli anni aveva instaurato un profondo legame con quello strano angelo ma l’abitudine di sottovalutare i suoi sentimenti e la sua volontà aveva sempre prevalso, l’aveva considerato come qualcuno di cui potersi fidare ciecamente e a cui rivolgersi in caso d’aiuto. Cristo, era davvero un gran coglione. Non gli aveva mai veramente dato la possibilità di rifiutarsi né tantomeno Castiel aveva opposto resistenza. Eccetto adesso. La domanda era, perché?

“Ho bisogno che tu mi conceda dell’altro tempo, solo un poco” lo implorò Castiel, mentre allungava l’altra mano, quella che non era serrata nella sua, per poggiargliela sulla fronte e guarirgli la ferita secca. Un angelo che pregava un demone, a che punto erano arrivati.

Una volta che il taglio fu rimarginato, Castiel anziché scostarla la fece scivolare le dita lungo la sua tempia fin sulla guancia ruvida. Dean abbandonò il viso contro il palmo, chiudendo gli occhi e ricacciando indietro le lacrime.

“E se non troverai quello che cerchi?” sussurrò contro il viso di Castiel.

“Allora terrò fede alla mia promessa.”





 

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Capitolo 4
*** 4 ***


 
************************************************ NOTES **********************************************
Si, non mi sono dimenticata di questa storia, non l'ho abbandonata, ho solo dovuto pendere una pausa di riflessione dopo l'immensa delusione che è stata per me la decima stagione di supernatural. Ora, non dico che vorrei farmi rimuovere la memoria e dimenticare per sempre ciò che ho visto, ma quasi (10x23 sto parlando di te). In pratica, il 98% delle mie teorie e supposizioni erano assolutamente sbagliate, non perchè i miei ragionamenti fossero assurdi ma perchè fondamentalmente da qualche annetto a questa parte gli autori stanno facendo uso di droghe potentissime, altrimenti non mi spiego la schifezza che hanno prodotto quest'anno. Comunque, ho ripreso in mano questa storia e la scriverò nel modo in cui io, me stessa medesima avrei voluto che andassero le cose, non ho nemmeno paura di aver scritto cazzate visto che tanto, peggio di loro non potrei mai riuscire a fare. Spero che il capitolo vi piaccia. Buona lettura. NB: ogni recensione corrisponderà ad un insulto creativo che invierò a casa di Robert Singer e Jeremy Carver, perciò siate generosi!







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4.
 

Castiel si richiuse la porta della camera da letto di Dean alle spalle e ci si appoggiò con la schiena contro, concedendosi un momento per schiarirsi le idee.

Se non fosse stato un angelo, avrebbe trovato il primo letto o divano disponibile, per poi sprofondare nel sonno più profondo e soffocare almeno per qualche ora le preoccupazioni che gli martellavano il cervello.
Purtroppo, gli angeli non avevano bisogno di dormire e così l’unica cosa che restava da fare era distrarsi e attendere che Dean finisse di sistemarsi. Grazie al cielo era riuscito a convincerlo a ritardare il suo assurdo piano suicida e a coinvolgerlo nell’ennesima sessione di ricerche. Non bisognava essere un genio per notare la totale mancanza d’interesse da parte del cacciatore ma Castiel gli era comunque grato per lo sforzo. 

Ripensò agli eventi di poco prima, al viso di Dean poggiato sulla mano che aveva azzardato tenere contro la sua guancia, alle loro dita intrecciate. Dean non era mai stato così vulnerabile in vita sua, ne era consapevole, eppure sperava che quei piccoli gesti ricambiati fossero dettati dalla volontà, non solo una necessità momentanea di cui non si sarebbe più fatta menzione.

Castiel corrugò la fronte. Era un insensibile per aver pensato alla propria felicità quando non ne aveva il diritto, c’erano questioni più immediate di cui preoccuparsi, i suoi bisogni erano all’ultimo posto nella lista delle cosa da fare. Anche se stava diventando difficile ignorarli. Aveva sempre provato qualcosa per Dean, fin da quando era sceso all’Inferno e si era ritrovato davanti alla sua anima torturata. L’anima più bella e brillante che avesse mai visto. Quella di un combattente inarrestabile ancora capace di provare gioia e speranza, nonostante l’orrore con cui si era costantemente fronteggiato sin da bambino.

All’inizio Castiel non era riuscito a catalogare quella sensazione nei riguardi di Dean, non ne era in grado, e per i primi tempi non aveva fatto altro che porsi domande a cui si era dato risposte spesso e volentieri insoddisfacenti. Poteva solo paragonarla alla devozione nei confronti di suo Padre, dei suoi adorati fratelli o del Paradiso, ma nulla di più. Mai, nella sua lunga esistenza si era sbagliato così tanto.

Era in circolazione da eoni, aveva osservato l’umanità dall’alto senza veramente comprenderla, era rimasto distaccato da essa finché non si era imbattuto in un singolo essere umano e il suo baricentro aveva vacillato ed era crollato, dividendosi in centinaia di particelle. Per Dean si era ribellato al volere di Dio, aveva messo in discussione ciò per cui era stato creato, era caduto ed era temporaneamente diventato uno di loro, restando folgorato dalla potenza di quei sentimenti: era innamorato di Dean Winchester in un modo talmente esclusivo che persino Dio ne sarebbe stato invidioso.
A volte Castiel pensava di essere stato uno sciocco ad aver stravolto l’ordine naturale delle cose per i suoi capricci. Perché si desidera sempre ciò che non si potrà mai avere e Dean non l’avrebbe mai ricambiato.

Come dargli torto, per l’angelo l’amore non aveva sesso, amare un uomo o una donna non faceva alcuna differenza, per l’altro invece, costituiva un ostacolo difficile da ignorare. Ed era quello il motivo per cui Castiel si era sempre limitato a stargli intorno senza palesemente manifestare il suo affetto se non donandogli tutto ciò che poteva offrigli e soffocando i propri istinti, pur di non fare a Dean alcun tipo di pressione.

Non voleva rischiare di essere rifiutato e di conseguenza, perdere quel legame intimo che li univa. Fingere di essergli soltanto amico gli andava ugualmente bene. Certo.

Dei passi in fondo al corridoio lo distrassero da quel monologo interiore, riportando a fuoco i contorni delle pareti spoglie del bunker. Era Claire e sembrava essere alle ricerca di qualcosa. Non si era accorta di lui e perciò, proseguì per un altro corridoio svanendo alla sua vista. Castiel la seguì in silenzio per quasi dieci minuti.

La ragazza apriva ogni porta, sbirciava dentro e la richiudeva seccata, chiaramente alla ricerca di qualcosa.

“Hai intenzione di seguirmi ancora per molto o saresti così gentile da dirmi dove posso trovare del cibo in questo stupido labirinto?” sbottò Claire, proseguendo in avanti senza degnarlo di uno sguardo. Castiel arrossì sentendosi vagamente colpevole per aver giudicato male le sue azioni e anche per essere stato beccato a seguirla di nascosto.

“Gira a destra e poi prosegui dritto. Ti ritroverai davanti alla porta della cucina” le spiegò, alzando il passo per affiancarla.
Claire rimase zitta finché non ebbe varcato la soglia della stanza incredibilmente tirata a lucido.

“Finalmente. Morivo di fame!” esclamò, lanciandosi verso il frigo e tirando fuori un barattolo di marmellata. Poi spalancò tutti gli stipi, sorridendo soddisfatta davanti ad un sacchetto di fette di pane. Prese anche quelle e iniziò a farcirle con ingordigia.

“Ne vuoi uno?” chiese distrattamente, rivolgendosi a Castiel, il quale scosse la testa.

“Noi angeli non avvertiamo la necessità di nutrirci.”

“Peggio per voi, qusto toast è booniffimo.” affermò, con la bocca piena. La venerazione con cui lo degustava era quasi comica, tanto che Castiel si lasciò sfuggire un sorriso affettuoso. Non c’era da sorprendersi se aveva provato fin da subito una certa affinità con quella diciassettenne arrabbiata.

“Che hai da ridere?” domandò Claire, corrugando la fronte con fare circospetto.

“Nulla, mi hai solo ricordato una persona.”

“Chi?” sollevò tutte e due le sopracciglia. Rispondere sarebbe stato potenzialmente imprudente perciò Castiel rimase zitto. Claire sbattè lentamente le palpebre, fissandolo interdetta.

“Cavolo se sei strano” disse infine, infilandosi una lunga ciocca di capelli dietro l’orecchio. Scese il silenzio, intervallato solo dal rumore dei denti di Claire che masticavano. Una cosa che Castiel aveva imparato era che fra le persone esistevano due tipi di silenzi: quelli piacevoli in cui parlare non era necessario ai fini di mantenere l’atmosfera rilassata, e quelli imbarazzanti durante i quali l’unica possibilità plausibile era girare i tacchi e andarsene oppure tirare fuori un argomento a caso e sperare nel meglio. Al diavolo la prudenza, avrebbe sfidato il destino a testa alta. Castiel prese un profondo respiro.

“D-Dean” confessò.

“Uhm?”

“Sto rispondendo alla tua domanda. Mi ricordi Dean.” Silenzio tombale. I tratti smussati del viso di Claire, s’indurirono così repentinamente da spingere Castiel a deglutire per il disagio.

“Non ho nulla in comune con quell’assassino” sputò la ragazza fra i denti.

“Claire devi capir-” cominciò l’angelo senza avere l’occasione di concludere la frase.

“No, Castiel, non provare a giustificarlo! Lo odio. Ha ucciso Randy, era l’unico straccio di famiglia che mi era rimasto e adesso non ho di nuovo nessuno con cui stare.” strinse i pugni con rabbia sopra il tavolo.

“Non sei sola, ci sono io. Posso aiutarti.”

“Tu non sei mio padre!” urlò Claire a pieni polmoni, “non osare sentirti in diritto di fingerti lui solo perché ti agiti nel suo corpo!”

“Nemmeno Randy era tuo padre.” constatò Castiel. Non voleva essere brusco e infatti si stupì quando si accorse di non esserci riuscito.

“Lui mi ha accolta in casa sua, mi voleva bene!” gli occhi le erano diventati lucidi e arrossati con le lacrime pronte a sfondare l’argine.

“Ti ha venduta al suo strozzino, Claire. Non penso che quello potesse considerarsi affetto.”

“L’ha fatto perché non aveva altra scelta. L’avrebbero ucciso se non l’avesse fatto e sono sicura che avesse già in mente il modo di riprendermi…”

“Ora sei tu quella che prova a dare una giustificazione” disse Castiel, “come fai a sapere che sarebbe tornato a riprenderti anziché cambiare città e sparire dalla circolazione?” le fece notare, rimediando all’errore precedente e usando il massimo della gentilezza in suo possesso per non turbarla.

Tutta l’energia esplosiva di Claire si prosciugò al sentire quelle parole, come se le fosse stata risucchiata da un’entità invisibile.

“Immagino che non lo scopriremo mai, visto che il tuo amico l’ha ammazzato.” mormorò la ragazza, guardandolo dritto negli occhi dell’esatta sfumature dei suoi. Di Jimmy, si corresse Castiel a malincuore.

“Ascolta Claire, non è così semplice. Dean è sotto l’effetto del Marchio di Caino, non è in grado di valutare cosa sia giusto e cosa sbagliato, uccide perché è il suo istinto ad ordinarglielo. Non prendertela con lui per qualcosa che non può controllare, si sente già abbastanza in colpa. Sam e io stiamo cercando una cura da mesi ma siamo ad un punto morto.”

“E’ quello che si merita…” mormorò Claire.

C’era una profonda freddezza in quell’affermazione, che non si addiceva affatto ad una ragazza di quell’età. Castiel si sentì infinitamente colpevole per ciò in cui si era trasformata. Se ci fosse stato il modo di resuscitare Jimmy Novak non avrebbe esitato a restituirgli suo padre, anche a costo di rinunciare a lui come tramite. Claire non meritava la vita in cui era stata trascinata. Stava per esprimere quei pensieri a voce alta ma venne preceduto.

“Comunque, che cos’è questo posto?” era il debole tentativo di Claire di dirigere la conversazione su qualcosa di più leggero.

“La base centrale degli Uomini di Lettere.”

Per la prima volta da quando si erano incontrati, Castiel vide accendersi in lei una scintilla di curiosità, così ne approfittò per aggiornarla sulla storia del bunker, sul compito che avevano svolto queste persone e di come Sam e Dean fossero gli eredi di quel posto.

Claire l’aveva ascoltato con attenzione, facendogli poche domande ma tutte estremamente intelligenti. Lui le aveva risposto nel modo più dettagliato ed esauriente possibile.

“Succede qualcosa se prendo in prestito qualche libro che c’è qui dentro?” gli chiese.

Era pura formalità. Sapevano benissimo entrambi che li avrebbe letti anche senza permesso.

“No, a meno che tu non decida di sperimentare qualche incantesimo. Non hai intenzione di farlo, giusto?” aggiunse, allarmato dalla prospettiva.

“Non tentarmi.” rispose lei, fingendosi seria ma il breve sorriso che intaccò il suo volto truce, la tradì. Fu proprio quello che convinse Castiel a continuare a provare a farsi perdonare, ad avvicinarla, dimostrandole di essere degno di fiducia.
 
 
***
 
Era impossibile non sentirle.

Le urla di Claire Novak erano così potenti da rimbalzare contro le pareti e riecheggiare lungo i vuoti corridoi del bunker.
Dean non riusciva ad ignorarle a dovere, non se quell’isterica ragazzina raggiungeva picchi vocali così estesi.
Il contenuto di quell’accesa discussione avrebbe dovuto tormentarlo a vita – dopotutto aveva reso la mocciosa, orfana per la seconda volta – ma in realtà non gliene fregava un cazzo. Voleva solo che la piantasse, perché se avesse continuato sarebbe stato costretto ad occuparsene personalmente.

Uccidendola, Dean avrebbe fatto un favore ad entrambi: lui avrebbe goduto del silenzio e Claire finalmente si sarebbe ricongiunta col suo paparino surrogato che tanto elogiava. Gli sembrava un giusto compromesso, no? Dean, non era certo di quando esattamente avesse cominciato a camminare. Aveva quasi raggiunto la fonte del rumore quando questo cessò di colpo.

Tirò un sospiro di sollievo e avanzò di qualche passo con l’impugnatura della lama angelica ancora ben salda nella mano destra. Castiel l’aveva lasciata nella sua stanza, se per distrazione o per stupidità, non poteva dirlo, restava il fatto che aver riposto fiducia nella capacità di controllo di Dean fosse la stronzata del secolo.

Il Marchio bruciava più che mai, famelico, insaziabile.

Gli ordinava di proseguire, di completare l’opera per la quale era arrivato fino lì; nessuno avrebbe pianto la morte di Claire Novak, nessun parente o conoscente avrebbe reclamato la scomparsa di quella mocciosa, era la vittima ideale. Dean si umettò le labbra e allungò il braccio per agguantare la maniglia gelida della porta. Esercitò una leggera pressione lasciando aprire lo spiraglio necessario ad osservare ciò che accadeva all’interno della cucina e poter organizzare un rapido piano d’attacco. Ovviamente Castiel era insieme a lei, anche se da lì non riusciva a né a vederlo né a sentirlo, perché in quel momento la ragazza gli stava rivolgendo una domanda a cui Dean non prestò attenzione.

Doveva conoscere la posizione esatta dell’angelo per poter colpire direttamente Claire ed evitare di essere intralciato. Castiel gli sarebbe saltato subito addosso ma il cacciatore contava sull’effetto sorpresa. Oppure, l’avrebbe condannato alla stessa sorte della ragazza, doveva ancora deciderlo.

Allargò di un altro centimetro lo spiraglio dietro il quale era acquattato, dominato dalla cieca assuefazione del Marchio di Caino e trovandosi davanti alla panoramica dell’intera scena. Claire era seduta sul bancone con le gambe fasciate dai jeans strappati a penzoloni, mentre Castiel le stava lateralmente, in piedi nella tipica posizione rigida e impacciata che lo caratterizzava. Da dove si trovava, Dean riusciva a guardarlo chiaramente. Osservò la tranquillità che gli distendeva il volto mentre soddisfaceva l’interesse di Claire e l’impercettibile curva della bocca, quando si rendeva conto di godere della sua piena attenzione.

L’angelo adorava quella piccola teppista, glielo si leggeva stampato in fronte a caratteri cubitali. Una fitta d’impazienza attraversò il braccio di Dean.

Se Claire fosse morta, molto probabilmente Castiel sarebbe stato l’unico al quale sarebbe mancata, e quegli occhi così maledettamente blu – che ora rilucevano di ammirazione e affetto, così come avevano guardato Dean un numero indefinito di volte – quegli occhi, sarebbero stati irrimediabilmente rovinati dalla tristezza e dal disprezzo. Per lui. Qualcosa si agitò nel petto di Dean strappandolo brutalmente dal baratro in cui era quasi precipitato. 

Un altro crampo lancinante gli attraversò il braccio in segno di ribellione, ma ormai aveva riacquistato abbastanza autocontrollo da sopprimerla. Indietreggiò, dapprima lentamente come un filmato in slow motion, e man mano aumentando la velocità, fino a correre il più lontano possibile da lì.

Raggiunse il bagno e ci si lanciò dentro senza curarsi di chiudere l’entrata. Abbandonò per terra la lama che ancora teneva serrata fra le dita e si aggrappò al bordo del lavandino per riprendere fiato. Stava tremando dal panico.

Per poco non aveva ammazzato Claire e inflitto a Castiel la stessa sorte. Rifiutava di pensare a quello che stava per fare, al corpo esanime della ragazza immerso in una pozza di sangue scarlatto, al volto pallido e immobile del suo angelo e a lui, con le mani e l’anima macchiata dell’ennesimo crimine imperdonabile. Ammesso e non concesso di possedere ancora un’anima.

Dean rafforzò la presa sul lavabo mentre cercava di rallentare il battito accelerato del proprio cuore. Non riusciva a pensare lucidamente e in quel momento era l’unica cosa che gli servisse. Doveva esserci una fottuta spiegazione logica sul perché quella volta il Marchio fosse tornato alla carica utilizzando metà del tempo rispetto alla precedente. Se avesse continuato di quel passo, la linea sottile che lo separava dal ritrasformarsi in un demone si sarebbe presto dissolta.

Il cacciatore sollevò la testa per incrociare lo sguardo con il suo io dall’altra parte dello specchio. Un cadavere avrebbe avuto un aspetto più salubre. La pelle del viso era tirata e madida di sudore, gli occhi erano circondati da aloni scuri e…no.

Dean smise di respirare e un sapore disgustoso di bile gli inondò la lingua.

Quegli occhi che gli ricambiavano il suo sguardo erano neri. No.

La mente gli si annebbiò e con un pugno infranse il vetro, ferendosi la mano. Poi passò a quello affianco, lo colpì facendo ricorso a ogni grammo di forza.

Non di nuovo.

Un grido rabbioso gli graffiò la gola. Distrusse ancora un altro specchio per non vedere il suo peggiore incubo tornato in superficie. Dean non si fermava, continuava ad accanirsi contro quell’oggetto mentre le schegge di vetro gli laceravano la pelle, insinuandosi sempre più in profondità.

No. No, no, no. Non voglio essere così.

Un altro pugno, un’altra puntura, il dolore non era abbastanza forte da sopprimere quello che gli stava dilaniando il centro petto.

Dean!” una voce lontana e indistinta lo stava chiamando. Chiunque fosse, non capiva quanto fosse pericoloso stargli vicino.

“Stai indietro. Allontanati!” ringhiò il cacciatore, in segno di avvertimento.

“Dean, hai bisogno di calmarti!” esclamò la voce.

Poi due mani salde lo afferrarono da entrambi i lati, distanziandolo dallo specchio spruzzato di rosso, e trascinandolo in un punto indefinito della stanza.

“Concentrati! Sono io, sono Castiel. Va tutto bene.”

Cas. Perché era lì? Dean gli avrebbe fatto del male.

“Devi andartene” implorò, cercando di spingerlo via.

“Non vado da nessuna parte” disse Castiel fra i denti, per lo sforzo di tenerlo fermo.

Era come rivivere il giorno in cui con un’accetta, aveva quasi aperto in due il cranio di Sam e se non fosse stato per il placcaggio di Castiel…

Dean sbattè la nuca contro quelle che avevano tutta l’aria di essere mattonelle e poi un getto di acqua gelata lo colpì in pieno. Si dimenò come un animale selvaggio ma l’uomo che lo bloccava non si mosse di un millimetro.

“Dean, basta” ordinò Castiel, “basta!”

Ed eccola lì, la sua ancora, materializzarsi proprio dritta davanti a lui. Due occhi terrorizzati, blu come la notte lo stavano fissando intensamente. Erano così vicini e limpidi, che Dean ci si vide riflesso dentro e rilasciò il respiro che si accorse di aver trattenuto. Non era un demone, non per il momento. Gli occhi dell’angelo non mentivano, bruciando di un’energia così pura che distrusse ogni barriera finemente creata in anni e anni di pratica. Era uscito così fuori di testa, da aver avuto un allucinazione talmente potente da impedirgli di distinguere la realtà dall’incubo.

Dean cadde in ginocchio, trascinando con sé Castiel che si ostinava a non mollare la presa. Avevano l’affanno.

“Cosa è successo?”

“Per un attimo ho creduto di aver visto i miei occhi diventare neri e sono andato nel panico”

“Era un’illusione. Devi riposarti, Dean, non ti fa bene stare così tanto sveglio” 

Dean scosse la testa. “Te ne devi andare, Cas. Prendi Claire e mettete tutta la distanza che potete fra voi e me”

“Che significa?”

“Non vi voglio qui, potrei farvi del male.”

“Non lo farai.”

“Cas, smettila di fare il coglione. Non capisci? Il Marchio mi ha in pugno, non so mai quando perderò il controllo, potrei scattare in qualsiasi momento. Se ti succedesse qualcosa a causa mia io-” il nodo alla gola gli rese impossibile continuare. Si coprì la faccia con le mani, tentando di nascondere la propria debolezza. Castiel era stato l’unico oltre a Sam a vederlo piangere: all’ospedale, quando gli aveva confessato di non voler essere il tramite di Michael o dopo la morte di Kevin.

Quella volta però non si meritava nemmeno di piangere. Gli assassini a sangue freddo non si meritavano un privilegio del genere. Sarebbe stato facile pentirsi e continuare con la propria vita facendo finta di niente. Piangere, nel suo caso, non faceva guadagnare il perdono, era solo patetico.

“Ehi” chiamò Castiel dolcemente, avvolgendogli i polsi con le sue dita ruvide per liberargli il viso. “E’ finita.”

“Mi dispiace” disse Dean. Accumulò il coraggio e sollevò la testa trovandosi difronte un angelo inzuppato e infreddolito che gli sorrideva timidamente.

“Non volevo, Cas. Te lo giuro…” gli si spezzò la voce, “mi dispiace.”

“Per cosa?” domandò Castiel, mentre catturava con la punta dell’indice una lacrima intrappolata fra le ciglia lunghissime di quegli innaturali occhi verdi, da cui spesso e volentieri era complicato riemergere. Non aveva la minima idea a cosa Dean si riferisse, non era a conoscenza del destino scampato, pensava solo che lui avesse avuto un crollo nervoso.

“Per tutto.”

Si fissarono per un’eternità, estraniandosi dall’intero universo, come ipnotizzati. In Castiel, Dean vedeva un miliardo di sfaccettature diverse e contrastanti, invece cosa vedeva l’angelo riflesso in lui? Niente di buono.

“Smettila” lo rimproverò Castiel, “non ho niente da perdonarti, perciò smettila d’incolpare te stesso per questa situazione. Riesco a vederlo nei tuoi occhi e non lo sopporto. Smettila.” E prima che l’altro potesse reagire in qualsiasi modo, Castiel lo attirò semplicemente a sé e lo strinse.

Dean spalancò gli occhi, colto di sorpresa da quel gesto improvviso e di riflesso s’irrigidì, anche se solo per un attimo. Davvero quel comportamento lo turbava? Perché fra tutto ciò che era successo nell’ultimo anno della sua vita, essere avvolto dalle braccia del suo migliore amico era la cosa migliore che gli fosse capitata dopo tanto tempo. Se lo faceva sentire così bene allora non era poi tanto sbagliato. Il cacciatore si abbandonò completamente alla volontà del suo angelo, poggiando la fronte nell’incavo del collo, respirando quell’odore ormai così familiare, mentre nuove lacrime ricominciarono lentamente a cadere.

“Troverò un modo. Si risolverà tutto.” gli stava cantilenando Castiel all’orecchio.

Troverò un modo.




 

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Capitolo 5
*** 5 ***


****************************** NOTES *****************************
Mi sono appena resa conto di non aver risposto a nessuna delle recensioni che mi avete lasciato. Faccio schifo e non mi merito le belle parole che mi avete scritto, quindi adesso per punizione andrò a sedermi in un angolino e rivedrò in loop la 10x23 (che non smetterò mai di ripeterlo, è stata così brutta ma così brutta che dovrebbero utilizzarla come tecnica di tortura durante le guerre). Ma non è questo il punto. Volevo ringraziarvi per tutte le cose che scrivete sotto ai miei capitoli, mi aiutano davvero molto a livello di autostima e a darmi la giusta carica per continuare a scrivere questa storia che sinceramente ogni tanto mi fa venire voglia di vomitare. Volevo ringraziare anche tutta la gente che l'ha messa fra le seguite, davvero, grazie. Poi volevo ringraziare Obama e i miei genitori che...ok basta. Addio.


 






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5.
 

La testa di Dean sarebbe esplosa. Il cacciatore ne era sicuro. Adesso che si era tranquillizzato e che indossava dei vestiti asciutti, tutta la stanchezza accumulata nelle ultime ore, minacciava di metterlo fuori gioco.
 
“Hai parlato con Sam?” chiese mentre Castiel gli estraeva, con una pinzetta, gli ultimi residui di schegge di vetro conficcate nelle nocche. Erano ritornati nella sua camera, passando inosservati alla presenza di Claire, rintanata chissà dove nel bunker.
 
L’angelo scosse la testa con fare distratto, impegnato a non procuragli troppo dolore a causa della sua inesperienza in campo di medicazione manuale. Aveva la fronte corrugata dalla concentrazione come se si trovasse nel bel mezzo di una rischiosa operazione chirurgica.
 
“Gli dirai quello che ho fatto?” insisté Dean, muovendosi irrequieto sul bordo del letto.
 
“Non ti muovere” lo ammonì Castiel. “Se tu non vuoi che Sam lo sappia, non lo farò. Anche se ritengo sia sbagliato tenerglielo nascosto” aggiunse.
 
“Non voglio che si preoccupi” si affrettò a chiarire, Dean. Ed in parte era vero. Non voleva impensierire ulteriormente il fratello ma allo stesso tempo, non riusciva ad accettare che i ruoli si fossero invertiti e di essere lui quello da dover tenere d’occhio ventiquattro ore su ventiquattro.
 
“Ma lo è già, perciò-”
 
“Perciò niente. Non glielo diremo, okay?”
 
“Come vuoi” si arrese Castiel, troppo impegnato a curarlo per obiettare ulteriormente. 
 
“Bene” asserì il cacciatore, scordandosi di non dover muovere la mano.
 
“Ah!” esclamò, quando l’estremità della pinzetta, anziché afferrare il vetro, strisciò contro la carne viva.
 
“Dean, ti avevo avvertito di stare fermo” mormorò l’amico, usando un velato tono saccente. Dean lo fulminò con gli occhi.
 
“Lo so, lo so” tagliò corto, “tu, piuttosto, datti una mossa.”
 
“Avrei già finito se non mi avessi proibito di guarirti con i miei poteri” ribatté Castiel, assumendo un cipiglio severo.
 
“Cas, ne abbiamo già discusso. Non puoi sprecare energie per una stupida ferita che oltretutto, fra qualche giorno si sarà rimarginata. O devo ricordarti che la grazia che ti tiene ancora in vita, non è la tua e si consuma?” 
 
Spesso poteva sembrare che Dean non fosse interessato ad altro se non al suo mastodontico fratello minore e all’assassinio del cattivo di turno. Tutto il contorno non contava o non era abbastanza rilevante da fargli scollare il culo dalla sedia per lanciarsi nella mischia. Il che in alcune circostanze era vero, ma in realtà nel grande, vecchio, rude, cuore ammaccato di Dean era rimasto abbastanza posto da permettere ad uno stupido angelo del Signore, di entrare e prendervi residenza. Magari, Dean non ci sapeva fare quando di mezzo c’erano da manifestare sentimenti, e tutte quelle altre cazzate da femminuccia come l’amore e…l’amore, ma senz’ombra di dubbio, ci teneva a lui. Castiel era il suo migliore amico, il guardiano e un immenso idiota ad aver preso in considerazione l’idea che Dean non ritenesse importante la sentenza tangibile di morte che rintoccava minacciosa sulla sua vita.
 
Castiel rimase zitto fintanto che terminava la medicazione. Dean lo osservò, provando ad immaginare cosa stesse attraversando la mente di quell’imbranato. A giudicare dall’indelicatezza con la quale gli stava legando la fasciatura, non doveva essere molto contento.
 
“Qual è il problema?” gli chiese cautamente.
 
“Nessuno. La benda dovrebbe reggere, credo di averla stretta abbastanza bene.”
 
Puoi giurarci, pensò Dean, talmente stretta, da bloccargli il flusso circolatorio. Ma non era quello il punto. Fece ricorso a tutta la sua pazienza, prima di dirgli, “Non è questo che intendevo, Cas.”
 
“Non ti seguo” rispose l’angelo alzandosi in piedi e allontanandosi a gettare dei batuffoli di ovatta intrisi di disinfettante e sangue dentro il cestino per le carte, nascosto nell’angolo vicino il comodino. Qualcosa suggerì a Dean che stava solo fingendo di non capire, tanto valeva smetterla di girarci intorno.
 
“Sei incazzato. Perché?”
 
C’era stato un tempo in cui Castiel, nel sentire rivolgersi una domanda simile, si sarebbe dissolto nel nulla. Lo faceva sempre quando voleva evitare un confronto o semplicemente riteneva superfluo fornire delle risposte, mentre adesso che la sua grazia era dispersa chissà dove, il karma stava perfettamente svolgendo il suo lavoro e ora, i suoi piedi erano regolarmente incollati al suolo. Dean godette di tutte le emozioni che si susseguirono sul volto di Castiel mentre decideva quale versione fornirgli. Era straordinario quanto umano sembrasse in quel momento, dando l'impressione di essere fragile e indifeso a causa di quell’umanità assimilata con l'esperienza.
 
Evidentemente, dopo alcuni secondi di valutazione, Castiel doveva aver optato per la verità, perché prima di parlare, inalò una gran quantità d’aria.
 
“Non puoi essere tu a decidere come utilizzare la grazia in mio possesso. Non puoi proibirmi di usarla” esternò, più serio del normale. “E’ mia, Dean e tu non hai alcuna voce in capitolo, devi fartene una ragione.”
 
Doveva trattarsi di uno scherzo. Dean sollevò un sopracciglio.
 
“Sei un figlio di puttana” si lasciò sfuggire, prima di sollevarsi sulle gambe, raggiungendolo.
 
“Quindi, fammi capire, tu puoi struggerti per me notte e giorno, mentre io invece dovrei infischiarmene di te che – tieniti forte – stai morendo. Mi sembra logico.”
 
“Non sto morendo. Non ancora.”
 
“E cosa diavolo ti fa pensare che a me vada bene?”
 
“Non deve andare bene a te, Dean!”
 
Fu come essere presi ripetutamente a calci.
 
La mascella di Dean si contrasse mentre una disarmante ondata di terrore s’insinuò sotto la sua pelle, scavando in profondità. Non c’era alcuna traccia di ilarità nell’angelo, non un fottuto indizio a dimostrazione che fossero solo parole campate in aria, dettate dallo stress guadagnato nelle ultime ore. Ma d’altronde Castiel non era noto per i suoi giri di parole.
 
Dean era incapace di trovare qualcosa di sagace da dire: una battuta per alleggerire la tensione, oppure un commento sarcastico mirato a cambiare argomento su qualcosa che non gli mandasse in tilt i circuiti. Al momento aveva persino scordato come articolare delle semplici sillabe e se ci avesse provato, probabilmente si sarebbe trattato di suoni sconnessi e aggressivi. Voleva disperatamente capire il perché di quel desiderio suicida ma aveva paura della risposta.
 
Un flebile fruscio alle sue spalle, catturò la sua attenzione. Dean non si era accorto di essersi mosso e spostato dall’altra parte della stanza, escludendo Castiel dalla suo campo visivo, così come non si era reso conto di stare stringendo con più forza del necessario la testiera del letto.
 
“Dean…” chiamò Castiel, poggiandogli una mano gentile ma decisa, sulla spalla. Ogni volta nella voce di Castiel, vi era impressa una sfumatura differente, nella quale era racchiuso il suo stato d’animo. A volte era preoccupato, altre arrabbiato o frustrato. Altre ancora pentito, comprensivo o bisognoso di qualcosa che Dean si rifiutava a dargli.
 
Succedeva sempre, tranne questa volta. Quando Castiel aveva detto il suo nome, era stato abbastanza astuto da renderlo inespressivo. C’era qualcosa che gli stava tenendo nascosto.
“Metatron non sembra avere intenzione di restituirmi la grazia” stava dicendo Castiel, “e io non posso uccidere altri angeli e privarli della loro. Durante questa battaglia ne sono morti già troppi ingiustamente. Mi farò bastare quella che ho per aiutarti a trovare una cura, non preoccuparti.”
 
A quel punto, successero due cose contemporaneamente: il Marchio riprese a bruciare e Dean picchiò Castiel tirandogli un pugno dritto sul naso.
 
L’angelo retrocesse di mezzo passo a causa dell’impatto e strabuzzò gli occhi. Dean si ergeva imponente di fronte a lui, il pugno ancora serrato e pulsante, la garza fino a poco prima immacolata adesso era cosparsa da piccole chiazze rossastre.
 
“Tu… tu credi che il motivo per cui io sono preoccupato per te è…” dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non colpirlo di nuovo. “Puoi andartene anche adesso e non tornare. Che stai aspettando, vai!” esclamò, “lasciati morire, torna nel tuo merdoso Paradiso e chiuditi i cancelli alle spalle. Non ho bisogno del tuo aiuto per trovare una maledetta cura, ho già Sam ad occuparsene.”
 
“Mi dispiace, pensavo…non volevo-”
 
“Cas, ti dispiace sempre.”
 
“Cosa vuoi che ti dica?”
 
Il palese smarrimento dipinto negli iridi di Castiel, il solco d’ingenua incomprensione fra le sopracciglia corrugate, lo facevano assomigliare ad un bambino. Dean rise tetramente.
 
“Voglio che tu mi dica, che per una volta penserai al tuo bene e lotterai per sopravvivere” parlò lentamente come se avesse paura di lasciarsi sfuggire qualcosa di troppo.
 
Castiel scosse la testa, spazientito, “ho già pensato al mio bene, Dean…”
 
“Bugiardo. Maledizione, guardati! Sei più debole, accusi i colpi, hai appena rabbrividito perché porti ancora quei tuoi ridicoli vestiti fradici appiccicati addosso. Tieni…” Dean aprì un cassetto ricolmo di vecchie magliette appallottolate. Ne prese una a caso e la lanciò a Castiel, che non l’afferrò intenzionalmente.
 
“Cambiati” ordinò.

“Dean, non ho freddo. Sto bene.”
 
“Già, continua a ripetertelo…” disse il cacciatore mentre si avvicinava. Senza troppi preamboli, gli sfilò il trenchcoat e la giacca con prepotenza, lasciando che si accatastassero malamente sul pavimento. Dean era un fascio di nervi e non stava affatto riflettendo.
 
“Che stai facendo?” chiese Castiel e Dean non sapeva proprio descrivere la sua espressione.
 
Il cuore aveva preso a battergli freneticamente contro la costole, pulsava così intensamente che aguzzando l’udito avrebbe potuto sentirlo chiunque. Merda.
 
“Quello che sembra. Ti sto spogliando, Cas, visto che hai deciso di non collaborare” rispose il cacciatore, con un tono basso e roco, privo di alcuna ironia, col potere di far rizzare i capelli dietro la nuca dell’angelo.
 
Poi arrivò il turno della camicia.
 
Era ancora piuttosto umida, perciò si riusciva a scorgere il profilo dei muscoli attraverso il tessuto. Dean l’afferrò dalle due estremità inferiori e tirò finché non furono saltati tutti i bottoni. Castiel era nudo dalla vita in su.
 
Dean, fece scivolare gli occhi verdi lungo il petto di Castiel e fantasticò su cosa sarebbe successo se avesse lasciato scorrere le sue dita lungo quella pelle pallida e increspata dai brividi di freddo. Riportò lo sguardo sul viso dell'uomo: aveva il respiro accelerato e le guance arrossate. Dean, evitò categoricamente di pensare a quanto lui si sentisse eccitato
 
Non era previsto sentirsi attratto dal suo migliore amico, le intenzioni iniziali erano assolutamente innocue, voleva solo che la piantasse di dire stronzate e si mettesse dei fottuti vestiti asciutti, mentre adesso aspirava a toglierli uno per uno. Controllati, Dean.
I suoi occhi, guizzarono per l'ennesima volta sul corpo esposto di Castiel, fino a soffermarsi sui due solchi tracciati dalle anche che sparivano oltre il margine del pantalone.
 
Dean si leccò impercettibilmente il labbro inferiore. Che diavolo stava succedendo? Non voleva nemmeno immaginare a cosa stesse pensando Castiel in quel momento. Dovevano essere le controindicazioni del Marchio, doveva pur trovare una valvola di sfogo. O forse…
Dean, si chinò davanti all'angelo e lo vide irrigidirsi ed emettere un suono a metà fra un gemito e uno sbuffo. L'uomo sollevò il mento e si trovò faccia a faccia con l'inguine di Castiel. Con uno scatto fulmineo, si rimise dritto, stringendo qualcosa fra le mani.
 
“Fossi in te m’infilerei la maglia” disse, schiarendosi la voce e porgendo l’indumento all’amico che sembrava avere appena avuto un incontro ravvicinato con gli extraterrestri. “Non vorrai sprecare la tua preziosa Grazia per curarti il raffreddore” aggiunse Dean, fingendo disinvoltura mentre abbandonava Castiel nella camera senza prendersi la briga di chiuderla. Andava di fretta. Aveva l'adrenalina a mille e un’erezione che andava immediatamente nascosta.
 
 
***
 

“E’ l’idea peggiore che tu abbia mai avuto” constatò Sam, esausto.
 
Era rientrato da qualche ora, assicurando che non avrebbero avuto problemi futuri con la polizia. Nessuno sospettava minimamente di Dean.
 
“Dobbiamo sfruttare tutte le alternative che abbiamo” spiegò Castiel, pragmatico. Assomigliava molto all'angelo che era stato: distaccato e concentrato nel portare a termine l'obiettivo.
 
“Cas, liberare Metatron e portarlo qui non mi sembra una mossa astuta, anzi, la definirei una stronzata bella e buona” intervenne Dean.
 
Castiel cominciò a camminare avanti e indietro, iniziando a innervosirsi. Aveva trascorso l’intero pomeriggio diviso fra il ripensare allo sguardo lascivo di Dean mentre lo spogliava e lo sfogliare i volumi sugli scaffali impolverati, senza trovare niente che potesse tornare utile. In effetti, non l’aveva mai creduto.
 
Le conoscenze degli Uomini di Lettere non erano illimitate e per quanto vaste fossero, c’erano cose a cui non sarebbero mai stati capaci di dare una risposta in maniera soddisfacente. Il Marchio di Caino, ad esempio, risaliva agli albori della civiltà umana, non c’era da sorprendersi se nei testi moderni a malapena fosse menzionato. Faceva parte di quel gruppo d’informazioni riservate, a cui solo Dio o Lucifero avevano accesso. Al momento, il primo aveva abbandonato la nave e il secondo passava i suoi giorni a marcire chiuso dentro la Gabbia, come era giusto che fosse. 
 
Castiel, ci aveva girato intorno ma in cuor suo aveva sempre saputo che l’unico essere abbastanza importante e potente rimasto in circolazione, era Metatron. Aveva personalmente scritto le tavolette degli angeli e quelle dei demoni, sulle quali vi erano incise la parola di Dio e segreti divini di estrema importanza.
Se c’era qualcuno capace di fornire informazioni sul Marchio, nonostante le tavolette fossero andate distrutte, era proprio lui.
 
“Purtroppo non vedo alternative” disse inflessibile.
 
Lo sguardo di Dean scattò in alto e si serrò col suo. Sai qual è l’alternativa, gli stava suggerendo, ma Castiel lo ignorò rivolgendosi direttamente a Sam.
 
“Preparate tutte le trappole e gli incantesimi a vostra disposizione, una volta portato qui Metatron non dovrà avere modo di scappare.”
 
Sam annuì, era disposto a tutto pur di salvare il fratello, anche mettere da parte i suoi dubbi nei confronti del piano dell’amico. Castiel non aveva nemmeno dovuto provare a convincerlo.
 
“Cas, no” insisté Dean, "è un rischio troppo grande. Non sei in condizio-"
 
"Sarò di ritorno entro domani, per allora assicuratevi di aver tracciato tutti gli incantesimi necessari" disse Castiel, determinato a non ascoltare nemmeno una sillaba di quelle proteste. Doveva guidare fino al luogo di accesso al Paradiso, in cui era collocata la cella di Metatron. Avrebbe tanto voluto che le sue ali fossero ancora integre e al loro posto, per smaterializzarsi e accorciare i tempi ma purtroppo erano rimaste solo due invisibili cicatrici frastagliate sulla schiena. Adesso era costretto a spostarsi in automobile. Senza aggiungere altro, raggiunse la scala che l'avrebbe condotto all'uscita e falcò i gradini a gruppi di due.
 
"Cas!" chiamò Dean, in preda alla frustrazione. Cercò il supporto del fratello ma tutto ciò che ottenne fu una misera scollata di spalle. Dean emise un gemito esasperato.
 
"Aspetta!" esclamò, sfrecciando in mezzo alle scale.
 
Guidato da un impeto d'impulsività, si era lanciato all'inseguimento di Castiel, sperando di riuscire ad acciuffarlo prima che tagliasse la corda. Una vana speranza, a quanto pareva. Una volta oltrepassata la soglia del bunker, Dean vide l’angelo accendere il motore di quel catorcio che continuava a definire auto e sgommare in avanti, senza nemmeno dargli l’occasione di persuaderlo a restare per trovare un’altra soluzione più sensata e meno suicida.
 
"Maledetto idiota" sbraitò Dean passandosi rapidamente entrambe le mani fra i capelli e tirandoli all’indietro mentre la macchina lo superava, sollevando una scia di polvere. "Castiel, torna qui, ti stai comportando da stronzo!" urlò il cacciatore, pur sapendo di star sprecando fiato. Non era stupido, fra le varie, Castiel lo stava evitando per colpa del disastroso assalto di quella mattina, se n’era accorto. Dean, doveva riconoscere quanto fosse stato estremamente imbarazzante, perciò non rimproverava l'amico se per un po' avesse deciso di mantenere un certo distacco.
 
Ciò per cui gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, invece, era quell’atteggiamento strafottente del quale si stava servendo per prendere decisioni che non spettavano interamente a lui.
 
Ma ormai il danno era stato fatto e al maggiore dei Winchester non rimaneva che rientrare e aiutare Sam a piazzare trappole in ogni fessura di quel bunker. Il posto poteva anche essere stato costruito con l’intento d’impedire al soprannaturale di entrare, ma era pur sempre di Metatron che stavano parlando, non si era mai troppo prudenti quando c’era lui di mezzo.
 
Dean era a un passo dall’afferrare la maniglia della porta quando si bloccò.
 
"Dean…"
 
L'uomo sussultò e spalancò gli occhi, sinceramente spiazzato. Castiel era a qualche metro di distanza da lui, aveva abbandonato l’auto in fondo alla strada con la portiera aperta e il motore acceso e adesso lo stava raggiungendo a piedi.
"Non era mai successo" mormorò il cacciatore. Sembrava una riflessione a voce alta, piuttosto che un'effettiva constatazione dei fatti.
 
"Che cosa?" chiese Castiel, fermandosi esattamente di fronte a lui, sforzandosi di arrivarci da solo.
 
Si era rimesso la sua divisa da impiegato modello e l'impermeabile. I bottoni della camicia erano stati malamente ricuciti al loro posto da Castiel, anche se ne mancava uno all’appello che così facendo esponeva una porzione piuttosto generosa di collo e clavicole.
 
A Dean tornò in mente la visone dell’angelo con indosso la sua maglietta, chino su un libro intento a documentarsi, e a come lui fosse stato tentato di prendere i vestiti che stavano asciugando e dargli fuoco, perché insomma, Castiel aveva del potenziale che andava esaltato non coperto da tre strati di tessuto.
 
"Di solito non torni indietro quando te lo chiedo" spiegò Dean focalizzandosi sul presente e scacciando quei pensieri, mentre un piccolissimo sorrisetto compiaciuto gli increspava le labbra.
 
"Di solito non mi chiami con il mio nome intero. Non mi piace." replicò l'angelo, "Perché l'hai fatto?"
 
"E sei tornato indietro per chiedermi questo?" se Dean non si fosse sentito troppo depresso per scoppiare a ridere, a quell'ora si starebbe già sbellicando. Accidenti, se avesse saputo bastasse così poco per riportarlo indietro, avrebbe cominciato ad abituarsi a chiamarlo per intero.
 
"Si." risposte Castiel. Dean non voleva esagerare ma dava l'impressione di essere sulle spine.
 
"Ero…sono arrabbiato. Con te. Perché ti stai comportando come un fottuto bambino” gli disse brusco. 
 
Castiel corrugò la fronte e contrasse le labbra, non aveva mai gradito quel paragone. Dean lo sapeva, perciò si prendeva il disturbo di dargli quell’appellativo solo quando l’angelo lo faceva davvero esasperare.
 
“Ti sbagli. Ma non mi aspetto che tu comprenda.” replicò Castiel scrollando le spalle, prima di allontanarsi.
 
"Ehi, ehi, non scappare di nuovo." Dean si precipitò ad afferrargli un braccio per trattenerlo, "devi ascoltare quello che ho da dire."
 
"So già quello che vuoi dirmi. Non ti fa impazzire l'idea di rivolgerci a Metratron" usò un tono petulante che inasprì il cacciatore.
 
"Puoi biasimarmi? Cas, ogni volta che ci siamo affidati all'aiuto di qualcuno di cui generalmente non ci fidiamo, non è mai andata a finire bene" gli ricordò Dean.
 
"Non dobbiamo fidarci di Metatron. Lo tortureremo finché non ci dirà come toglierti il Marchio…"
"E dove ha messo la tua Grazia" intervenne Dean, "non sono l'unico che ha bisogno d'aiuto, qui" sottolineò.
 
"No, ma resti comunque la priorità."
 
Dean prese aria per contestare ma Castiel continuò il discorso. "Quando ci avrà dato tutte le informazioni, lo uccideremo."
 
"Sai bene che il bastardo è astuto. S'inventerà qualcosa per prenderci per il culo e una volta morto rimarremo con un pugno di mosche in mano. Non possiamo permettercelo, Cas."
 
"Non succederà, so quello che faccio." disse Castiel sottraendosi alla presa delle dita di Dean attorno al proprio avanbraccio. A quel punto, Dean esplose.
 
"Certo, come lo sapevi quando mi hai mentito alleandoti con Crowley, o sei rimasto in Purgatorio o hai liberato i fottuti Leviatani del cazzo" Dean fece una pausa, scacciando via il ricordo di quel periodo doloroso. Prese un respiro e proseguì. "Poi c'è stata quella volta in cui Naomi controllava la tua mente come se fossi un burattino. Oppure quando eri convinto che Metatron volesse ricostruire il Paradiso e l’unica cosa che hai ottenuto è stato farti fottere la grazia e vedere i tuoi stupidi fratelli precipitare dal cielo." Il viso di Castiel si contrasse in una smorfia addolorata ma non si scompose. 
 
Faceva schifo rinfacciargli quelle cose quando ormai l’aveva perdonato. Stava solo provando nel peggiore dei modi possibili a farlo restare.
 
"E’ normale che tu abbia delle riserve sulle mie capacità di giudizio ma questa volta è diverso" disse Castiel, fissandolo negli occhi. Il blu sembrava quasi nero al buio della notte, eppure era straordinario quanto acceso sembrasse mentre parlava.
 
"Questa volta devo proteggere te."

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