Un destino diverso

di sundayrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I cattivi muoiono tardi ***
Capitolo 2: *** Si chiama disperazione ***
Capitolo 3: *** L'Universo trama ***
Capitolo 4: *** L'amore è libero ***
Capitolo 5: *** Bisogna essere cauti ***



Capitolo 1
*** I cattivi muoiono tardi ***


* Un destino diverso *

 

I cattivi muoiono tardi

 

“I migliori non possono eludere

il loro destino: i buoni muoiono

presto, e i cattivi muoiono tardi.”

- Daniel Defoe -

 

Arrivò prima il freddo, intenso, gelido, così affilato da penetrarle perfino nelle ossa.
Poi arrivarono le voci, confuse, urlanti, mescolate ad immagini sfocate, inconsistenti.
Infine arrivò il dolore, straziante e muto, come se qualcuno l’avesse ridotta a brandelli e, di seguito, ricomposta in modo casuale, senza alcuna logica né attenzione.
Galleggiava dolorosamente tra il sonno e la veglia. Frammenti di sogno e di parole scivolavano attorno a lei ai margini dell’incoscienza: una stanza; urla; lacrime sul suo volto…
- … non capisci che ti sta solo usando? -
- Sei orribile…! –
- Non sei come pensavo che tu fossi… Vorrei che… -
Cercò di afferrare con forza quelle parole, di aggrapparsi a quelle immagini sbiadite per poter ritornare a galla. Ma era come voler afferrare fumo con le mani, oppure voler trattenere l’acqua con le dita: impossibile. E mentre tentava ancora di provare a ricordare l’aveva già dimenticato.

 

Non ricordò come fosse finita sul pavimento, ma la sensazione fredda e sgradevole delle pietre a contatto con il suo corpo la fece tornare subito in sé.
Aprì gli occhi e impiegò qualche secondo a riconoscere il soffitto ad arco e pieno di ragnatele di uno dei corridoi di Hogwarts. Ma non era colpa sua. Quella parte del castello era stranamente buia, nonostante le torce crepitassero sempre al loro posto. Era come se la luce del fuoco non contribuisse a rischiarare l’ambiente, né a renderlo più caldo.
Nuovi brividi di freddo l’attraversarono e lei provò ad alzarsi, ma se ne pentì quasi immediatamente. Un dolore lancinante alla testa e un senso di terribile nausea la investì, facendola crollare di nuovo sul pavimento con gli occhi spalancati e il respiro corto.
Che diavolo le stava succedendo?
Cercò di ricordare con forza che cosa l’avesse portata lì, in quel corridoio, che cosa le fosse successo. Cercò di ricordare gli istanti che avevano preceduto la sua perdita di conoscenza, ma la sua mente era buia e vuota. E silenziosa.
Questo la spaventò più di qualunque altra cosa.
Provò ad alzarsi di nuovo, cauta, stavolta più lentamente, ma non fece in tempo a fare forza sulle braccia che un sussulto e passi affrettati la fecero sobbalzare a sua volta e, meno di mezzo secondo dopo, una testa piena di riccioli biondi coprì la sua visuale del soffitto.
- Ehi! Cosa ti è successo? Ti senti male? -
La ragazzina aveva i colori di Tassorosso, parlava velocemente e i suoi occhi castani erano grandi e spaventati. Si guardò intorno, ansiosa.
- Riesci ad alzarti? – Le chiese alla fine, con un accento nella voce che denotava apprensione e qualcos’altro, forse paura, ma non per lei.
Non aspettò nemmeno la risposta che quella le mise due mani sotto le ascelle e la tirò in piedi, a fatica.
Una nuova ondata di vertigine e nausea la investì e le gambe le cedettero, facendola crollare contro il muro del corridoio. Le pareti giravano in modo così vorticoso da costringerla a chiudere gli occhi, cercando di ricacciare indietro la bile che le era salita in gola.
- No, no, no! Ti prego non cadere! Non ti fermare! Sarò costretta a lasciarti qui se non ti muovi. – Singhiozzò la ragazzina, in maniera così isterica da chiedersi che cos’era che la spaventasse tanto. E’ vero che girare per i corridoi dopo il coprifuoco era severamente vietato, ma nessuno l’avrebbe punita per aver dato una mano ad una ragazza che si era sentita male.
Tuttavia non aveva la forza di replicare, per cui si lasciò trascinare quasi di peso lungo il corridoio.
- Sei una Grifondoro, vero? – Le chiese, gettando un’occhiata ai colori della sua divisa - Ti riporto alla tua Torre, ma dobbiamo fare presto! -
In quel momento non ci fece caso, ma in seguito avrebbe capito che quella era la prima avvisaglia del fatto che qualcosa non andava. Tutti sapevano chi era lei e a che Casa apparteneva, non era necessario osservare i colori della propria cravatta o lo stemma del Grifone sul mantello per capire che fosse una Grifondoro.
- Forse… forse è meglio che tu mi porti da Madama Chips. – Balbettò lei con voce flebile – Non mi sento molto bene. -
Di solito non era il tipo di ragazza che andava in infermeria se non ci era costretta, ma quella volta si sentiva davvero morire e il solo pensiero delle cure amorevoli e delle medicine dell’infermiera la fecero già sentire meglio.
Ma la strana ragazzina era di un altro avviso. Voltò di scatto il volto verso di lei e, per la prima volta da quando l’aveva trovata, la osservò davvero, socchiudendo gli occhi sospettosa, quasi se stesse decidendo dentro di sé se fosse pazza o avesse solo preso una grande botta in testa.
- Mi dispiace, ma non è possibile. – Borbottò alla fine, evitando il suo sguardo e continuando a trascinarla per il corridoio.

- Ma… non credo che gli insegnanti ci punirebbero se dicessimo che stiamo andando in infermeria. – Tentò di nuovo lei, mentre la vista le si annebbiava e il pavimento cominciava a dondolare pericolosamente davanti ai suoi occhi. Si accasciò sulle ginocchia.
- Io… non mi sento bene. Devo… devo andare in infermeria. –
- No! Dobbiamo andarcene di qui! – La voce della ragazza si era fatta acuta, quasi isterica.
- Non riesco ad alzarmi. – Si lamentò lei – Ti prego, aiutami! –
Ma la ragazza bionda non la guardava più. Un rumore di passi lontani l’aveva impietrita e ora guardava con terrore crescente l’ombra che si allungava all’angolo del corridoio.
Le sfuggì un gemito e, senza dire altro, si girò e cominciò a correre dalla parte opposta, abbandonandola lì, sul pavimento, mentre i passi rimbombavano sulle pareti vuote del corridoio.
Non corse a lungo. L’uomo e il fascio di luce verde sbucarono nello stesso istante dal corridoio laterale e, senza nemmeno un lamento, la ragazza si accasciò al suolo, morta.
Lei rimase senza fiato per l’orrore. Non era possibile! Cos’era successo? Chi aveva fatto entrare un assassino ad Hogwarts?
Girò la testa verso l’uomo che ora si stava avvicinando sempre di più a lei. Non lo vedeva bene, la sua vista era sfocata, ma lo svolazzare del suo mantello nero era ben visibile ad ogni passo.
Con la forza della disperazione si aggrappò al muro e si alzò sulle gambe malferme, mentre con una mano cercava la bacchetta nella veste da strega. Ma le dita si chiusero sulla stoffa vuota e fu con un sussulto di orrore che comprese che la bacchetta non era al suo posto.
- Ferma! -

Quell’ordine sibilò come una frusta scoccata nell’aria e lei sobbalzò, come se la frusta l’avesse colpita davvero.
- Cosa credevi di fare, ragazzina? – Sbottò l’uomo, colmando i pochi metri che li separavano con tre lunghe falcate.
Ora poteva vederlo bene e, nonostante la sua vista non fosse più sfocata come prima, temette seriamente di aver riportato un grave danno agli occhi o, in alternativa, di essere uscita di senno.
Davanti a lei, con i capelli neri e lunghi, il naso adunco e la carnagione giallastra, si ergeva il suo vecchio insegnante di Pozioni: Severus Piton.
Il fiato le si mozzò in gola, mentre il colore le defluiva quasi dolorosamente dalle guance già pallide.
No! Non era possibile! Piton era…
- Lei è morto! – Esclamò in un sussurro, forse più per convincere se stessa. Forse credendo che, se l’avesse detto ad alta voce, il professor Piton sarebbe scomparso, ritornando nel regno dei morti, dove avrebbe dovuto essere.
Ma quello non si mosse da lì, anzi, un lieve ghigno di divertimento gli increspò il viso – Mi dispiace deluderla, signorina, ma io sono tutto fuorché morto. Purtroppo per lei. – La guardò dall’alto in basso con quei suoi occhi scuri e guardinghi, la bacchetta ancora sguainata – Come ha fatto ad entrare? –
L’assurdità della domanda le fece per un attimo dimenticare l’altrettanto assurda e illogica visione che aveva davanti. - Come? - Balbettò confusa.
Piton socchiuse gli occhi – Come ha fatto ad entrare qui dentro? Questa scuola è protetta da incantesimi difensivi potentissimi, nessuno che non sia uno studente o un insegnante può avervi accesso. –
La ragazza lo guardò come se, all’improvviso, la pazza non fosse più lei ma lui – Professor Piton, io sono una studentess… -
Lo schiaffo arrivò improvviso e doloroso, molto doloroso, tanto da girarle la faccia dal lato opposto. Si portò una mano al viso, tremante, e quando la allontanò vide che le dita erano macchiate di sangue.
- Crede forse di potermi prendere in giro? – Gli occhi del professore fiammeggiavano, non l’aveva mai visto così arrabbiato – Io conosco ogni singolo studente di questa scuola e lei non rientra fra quelli, mia cara signorina. -

La ragazza era troppo sconvolta per riuscire a parlare. Tremava vistosamente e si guardava le dita insanguinate come se non potesse credere a quello che vedeva. Alzò la testa, mentre lacrime calde le scendevano lungo le guance – Lei non può fare questo! Schiaffeggiare uno studente è contro le regole… – Ma le parole le morirono in gola quando si rese conto che quel gesto non era il peggiore che avesse compiuto. Pochi minuti prima aveva ucciso una studentessa senza alcun motivo.
Le girava la testa. Che diavolo stava succedendo?
- Mi risponda! – Sbottò all’improvviso, afferrandole il polso e strattonandolo forte – Come ha fatto ad entrare? Anzi, chi l’ha fatta entrare? -
Ma lei non rispose, troppo sconvolta per dire alcunché.
- Crede forse che non lo scoprirò? Anzi, crede forse che io non lo sappia già?  – Ghignò malvagiamente – Voi dell’Ordine siete così maledettamente stupidi da pensare di poterla sempre fare franca. Credevate davvero di potermi trarre in inganno solo con un misero travestimento? Evidentemente siete molto più idioti di quanto pensassi. -
La ragazza rimase a bocca aperta. L’Ordine? Stava parlando dell’Ordine della Fenice?
Il professore la strattonò di nuovo – Mi vuoi rispondere, stupida ragazzina? –
Ma lei non lo fece. Non era più in grado di articolare alcun pensiero, figurarsi qualche parola.
- Bene, magari il preside le scioglierà la lingua. – E detto questo le voltò le spalle e la trascinò quasi di peso lungo il corridoio da cui era venuto.
Lei non si oppose nemmeno. Forse nella caduta aveva battuto la testa. Forse quello che stava vivendo era solo un sogno, o meglio, un incubo! Non poteva esserci nessun’altra spiegazione.
Severus Piton la stava trascinando rudemente su per le scale di pietra. Severus Piton aveva appena ucciso una studentessa innocente. Quello stesso Severus Piton che avrebbe dovuto essere morto e che, cosa ancor più incredibile, non l’aveva riconosciuta.
Tuttavia, nell’assurdità della situazione, la ragazza non potè fare a meno di rilasciare un sospiro di sollievo. Se Piton era vivo, anche Silente avrebbe dovuto essere vivo, e lui sicuramente l’avrebbe riconosciuta e l’avrebbe creduta. Ma quella flebile speranza soffocò non appena si rese conto che, se Silente fosse stato vivo, non avrebbe mai permesso che un professore facesse del male ad un suo studente.

Ma allora Piton da chi la stava portando? Chi era il preside di Hogwarts in quel mondo assurdo e così oscuro? Perché ora ne era convinta, quella non era la stessa Hogwarts in cui aveva vissuto per quasi sette anni. Lo percepiva perfino dalle mura di pietra attorno a lei, così fredde e buie nonostante le torce accese. E poi c’era un silenzio tombale, inquietante, che le faceva accapponare la pelle molto più dell’aria gelida che le si insinuava sotto i vestiti.
La ragazza si lasciò trascinare senza opporsi su per quattro rampe di scale e attraverso una decina di corridoi e in tutto quel percorso mai, nemmeno una volta, percepì un’altra presenza oltre la loro. La scuola sembrava completamente vuota.
Dopo circa una decina di minuti il professor Piton si fermò di fronte un muro completamente spoglio, dove un tempo c’erano stati la coppia di gargoyle di pietra, il quale si aprì non appena lui vi poggiò sopra il palmo della mano, rivelando una scala a chiocciola che saliva verso l’alto. Quando furono arrivati in cima, Piton bussò due volte contro la massiccia porta di legno, poi entrò, senza aspettare alcuna risposta.
Lo shock che provò non appena fu entrata nella stanza fu quasi peggiore di tutto il resto. L’ufficio era ingombro di oggetti, come al solito, ma non erano i soliti fragili e scintillanti strumenti che si potevano vedere quando Albus Silente era preside di Hogwarts. Gli scaffali, le mensole, i tavolini a tre gambe e le librerie erano ingombri di oggetti chiaramente oscuri e, alcuni, decisamente raccapriccianti, che inondavano lo spazio di una luce cupa e gelida, molto diversa dallo splendore festoso di un tempo.
Il camino era vuoto e freddo e le candele erano spente. La ragazza rabbrividì, di nuovo, e di nuovo non per la mancanza di calore o di luce.
Lo strano e raccapricciante silenzio si percepiva anche lì, ma questa volta capì a che cosa era dovuto. Le pareti erano vuote e fredde: i ritratti dei presidi erano spariti e quindi anche il loro quieto ronfare.
Il professor Piton la spinse più avanti, al centro della stanza, dove la scrivania del preside svettava sul pavimento sopraelevato. Ma dietro di essa non c’era nessuno, la sedia era vuota. La ragazza si chiese che cosa dovesse guardare. - Vi ho portato una spia, mio signore. – Disse ad un tratto il professore, la voce ormai priva della rabbia di poco prima.
- Io non sono una… - Cominciò lei, ma le parole le morirono subito in gola.

Un movimento ai margini del suo campo visivo attirò la sua attenzione e, dove prima c’erano solo ombre, ora c’era un ragazzo alto, dalla carnagione pallida e i capelli scuri. Davvero attraente se non fosse per quella luce malvagia che gli illuminava gli occhi.
Il ragazzo si avvicinò e lei si sentì morire. Nonostante non l’avesse mai visto di persona con quell’aspetto l’aveva riconosciuto immediatamente: Tom Riddle. Tom Riddle con ancora la bellezza della gioventù. Tom Riddle non ancora trasformato in un mostro ma, se possibile, ancora più terribile.
- Quale grazioso dono mi hai fatto, Severus. – Un sorriso diabolico gli attraversò il viso. Si avvicinò di più e allungò due dita verso di lei, fino a toccarle la guancia coperta di sangue. – E’ davvero carina. -
- Non mi tocchi! – Sbottò lei impulsivamente, ritraendosi dalla sua mano.
- E morde anche. – Sghignazzò divertito – Potrei metterla incatenata a guardia dei questo ufficio. Sono sicuro che farebbe molta più paura dei gargoyle di Silente. –
La ragazza era senza parole, letteralmente. La paura e lo sgomento ora avevano lasciato il posto alla rabbia, all’incredulità, all’indignazione. Come poteva quel mostro essere lì? Al posto di Silente, al posto che ora avrebbe dovuto occupare la McGranitt? Possibile che non l’avessero davvero distrutto? Possibile che, dopo tutti i loro sforzi, fosse ancora vivo?
E Piton? Anche lui era morto. Harry l’aveva visto con i suoi occhi. Harry era lì.

Harry!
- Dov’è Harry? – Chiese all’improvviso, guardando prima l’uno e poi l’altro con espressione interrogativa e spaventata. Gli doveva per forza essere successo qualcosa. Lui non avrebbe mai permesso tutto questo. Non avrebbe mai permesso che Tom Riddle divenisse preside di Hogwarts.
Quest’ultimo, per la prima volta, tradì un’espressione di sorpresa – Harry?-
- Harry. – Ripeté lei – Harry Potter! -
- Harry Potter?! – Una risata sincera e, per questo, molto più raccapricciante, fuoriuscì dalle sue labbra perfette di diciassettenne, mentre un rossore giovanile gli colorò le guance pallide.
Nonostante tutto, nonostante l’assurdità di quella situazione, lo sconcerto, la paura, la rabbia, la ragazza notò quanto gli donasse quel rossore, rendendolo più affascinante di quanto non fosse già. E in quel momento capì come, da giovane, fosse riuscito ad accattivarsi tanta gente e a portarla drasticamente dalla sua parte.
Ma quei pensieri sciocchi e inutili si dissolsero come brina ai primi raggi del sole quando lui pronunciò le parole fatali: - Harry Potter è morto. –
E di colpo tutto fu buio e freddo, mentre il barlume di speranza che ancora provava venne estirpato a sangue dalla sua anima con uncini di ferro. E lei si sentì morire, ancora.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Un saluto affettuoso a tutti quelli che hanno letto il primo capitolo di questa mia piccola long. In realtà avrebbe dovuto essere una one-shot, ma scrivendo mi sono resa conto che, concentrando tutto in un solo capitolo, non sarei riuscita ad esprimere al meglio tutti gli aspetti e le sfaccettature di questa storia e, naturalmente, dei suoi personaggi.
I capitoli in tutto dovrebbero essere cinque ( salvo imprevisti) e li pubblicherò a una distanza di quattro giorni l’uno dall’altro ( salvo imprevisti).
Bene, spero che il primo capitolo della mia storia vi sia piaciuto e che abbia instillato in voi quel po’ di curiosità per far sì che continuiate a leggerla.
Baci.
Sundayrose
 

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Capitolo 2
*** Si chiama disperazione ***


Si chiama disperazione

 

 

“Nel destino di ogni uomo può esserci

 una fine del mondo fatta solo per lui.

 Si chiama disperazione.”

- Victor Hugo -

 

 

- Harry Potter è morto. -
Quella frase, quell’unica frase ebbe il poter di farla crollare completamente e di colpo nulla aveva più importanza. Non importava che Tom Riddle fosse ancora vivo. Non importava che Piton fosse diventato il suo più fedele seguace. Non importava che Hogwarts non fosse più la stessa. Non importava nemmeno come lei ci fosse arrivata. Harry era morto e questo bastava, questo era tutto. Perché, se lui non c’era più, allora era tutto inutile, Tom Riddle sarebbe vissuto in eterno e il mondo avrebbe vissuto per sempre nell’oscurità.
Eppure una parte di lei ancora si rifiutava di crederci. “Non è possibile” si diceva, “è tutta una bugia”. Ma allora come… come…
- M…morto?! – Balbettò alla fine, incapace di dire altro.
- Certo che sì! Accidenti, Severus, me l’ero perfino dimenticato. Quanto tempo è passato! –
Tuttavia, quando si voltò a guardarlo, Severus Piton non sembrava condividere l’ilarità del suo padrone. Anzi, una piccola espressione di dolore parve attraversargli il viso. Ma scomparve così velocemente che la ragazza pensò di essersela solo immaginata. Le incomprensibili espressioni del professore erano le ultime cose a cui pensava, mentre le parole di Tom Riddle avevano avuto il potere di fare breccia nel solido guscio di disperazione che si era creato attorno a lei.
- Che… che vuol dire “ quanto tempo è passato”? -
Tom Riddle la guardò con sufficienza e finta compassione, più una smisurata dose di arroganza e di superiorità che ben si leggeva sui suoi lineamenti delicati e terribili.
- Quello stupido ragazzino pensava di potermi fermare. Il fatto che, per chissà quale misteriosa ragione, mi avesse “sconfitto” quando aveva appena un anno gli aveva donato un’arroganza senza pari. Arroganza che l’aveva portato a fermarmi di nuovo, al suo primo anno qui ad Hogwarts. Pensava di poter fare tutto, pensava di essere il salvatore del Mondo Magico. Lui, un misero ragazzino di dodici anni contro il più grande mago di tutti i tempi. Da solo contro tutto il mio potere. Aveva un’arroganza senza limiti e quella gli è stata fatale. – Rise di gusto, come se quello fosse uno dei ricordi più belli della sua esistenza. – Pensava addirittura di poter fermare il Basilisco. -
- Harry ti ha fermato! – Sbottò improvvisamente lei, incapace di trattenersi anche se fosse stata in gioco la sua vita. Ormai non aveva più niente da perdere. – E ha fermato il Basilisco. L’ha ucciso con la spada di Godric Grifondoro! –
Una nuova ondata di ilarità trasformò il viso del ragazzo che non sarebbe mai diventato un mostro, almeno non nell’aspetto. – Harry Potter ha tentato di fermare il Basilisco, ma non ha mai trovato l’accesso alla Camera dei Segreti. Era così esaltato dalla sua capacità di riuscire a capire il linguaggio dei serpenti che non ha esitato un attimo a seguire la voce del Basilisco quando l’ha sentita. Merlino solo sa che cosa aveva in mente di fare. Probabilmente si credeva superiore, invincibile. E’ morto a causa della sua stessa superbia: ha girato l’angolo e si è trovato di fronte l’enorme serpente. Il bambino che è sopravvissuto ucciso dal mostro dell’erede di Serpeverde. – Assaporò quelle parole come un piatto prelibato – E io… e io riportato alla vita grazie alla forza vitale di una ragazzina dai capelli rossi. –
La ragazza chiuse gli occhi. Di cosa stava parlando? Quelle ultime parole risuonavano ormai vuote e distorte alle sue orecchie, come se, dopo tutto quello che aveva appreso in quegli ultimi istanti, non potesse sopportare nessun altra notizia. Si sentì girare la testa e una nuova ondata di nausea l’assalì. Si costrinse a ricacciarla indietro e ad avere la mente lucida.
- No! – Esclamò alla fine, con tutta la forza che riuscì a trovare – Non è andata così! Io ho scoperto che il Basilisco circolava attraverso le tubature. Grazie a me Harry e Ron hanno scoperto che l’accesso alla Camera dei Segreti si trovava nel bagno dove è morta Mirtilla Malcontenta. Harry ha raggiunto la Camera dei Segreti e ha ucciso il Basilisco con la spada di Grifondoro. E’ così che è andata! -
Ma Tom Riddle non la stava più ascoltando. Ad un certo punto del suo discorso si era fermato, congelato al suo posto come sotto l’effetto di un Petrificus. L’ilarità sprezzante che fino a quel momento l’aveva trasformato in un ragazzo quasi umano era scomparsa e ora sul suo viso si poteva leggere solo rabbia, sospetto e forse… forse una punta di paura?
- Come fai a conoscere l’accesso alla Camera dei Segreti? Nessuno lo sa. Nessuno l’avrebbe dovuto sapere! – Gettò un’occhiata a Severus, sufficiente a farle capire che neanche lui avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
- L’ho appena detto. Harry ha… -
- NO! – Sbottò lui, scattando come un serpente al minimo segnale di pericolo – Tu menti! Harry Potter è morto. E’ morto, piccola mocciosa, è morto! Io l’ho sconfitto e non può più tornare per intralciare i miei piani.-
Perché si ostinava a ripeterlo? Si chiese lei. Non poteva essere vero, lei sapeva che non era vero. Ma sapeva anche che, al contrario, erano Voldemort e Piton ad aver dovuto essere nella tomba e invece erano proprio lì, accanto a lei, che la osservavano, la parlavano, la giudicavano. Tutto quello di cui era assolutamente certa stava crollando come un castello di carte e ad un certo punto le venne il dubbio che anche a lei fosse successo qualcosa e che quello fosse una specie di bizzarro aldilà dove ognuno di loro riviveva all’infinito gli istanti della propria vita secondo chi vi si trovava. Ma quell’idea era troppo assurda per essere plausibile, soprattutto perché lei era viva, sapeva di esserlo, ne era convinta! Ma ormai sembrava che tutte le sue convinzioni dovessero crollare da un momento all’altro.
- No, non è vero. – Sussurrò dopo un po’ – Harry Potter era il prescelto e ti ha distrutto. Io l’ho visto! -
- E tu chi sei per dire questo? Chi, per affermare quanto stai dicendo? – Le chiese lui, quasi avesse bisogno di una risposta che confermasse quanto fosse bugiarda.
- Sono Hermione Granger. – Rispose semplicemente, sperando che questo potesse bastare.
Tom Riddle si voltò verso l’insegnante di Pozioni – Hai mai sentito questo nome, Severus? –
- Mai in vita mia. -
La ragazza puntò lo sguardo su di lui, sconcertata – Professor Piton , io sono stata una sua alunna. Ero la migliore amica di Harry e Ron. – Non sapeva nemmeno lei perché si ostinasse a ripetere quelle cose quando era evidente che per loro non erano altro che bugie. Ma doveva farlo. Lo doveva a sé stessa e alla sua sanità mentale.
- E’ vero, Severus? -
- No, non l’ho mai vista, mio signore. E io ricordo sempre i miei studenti. Mi sarei ricordato di lei, soprattutto se fosse andata in giro con Harry Potter. –
Tom Riddle parve soddisfatto, mentre lei cominciava a sentirsi perduta.
- Una bugiarda! Una spia! – Esclamò lui, quasi compiaciuto – Per conto di chi sei entrata in questa scuola? – Si era avvicinato di colpo, ma lei non si era mossa, nonostante avrebbe voluto fuggire da quella stanza come la peggiore delle codarde.
- Io frequento questa scuola. Sono al settimo anno. –
- Bugiarda. BUGIARDA! – Ormai urlava, senza alcun controllo. Gli occhi scintillanti d’ira. – Chi ti ha mandato? Forse quei quattro bacucchi che ancora si fanno chiamare “Ordine della Fenice”? Credevano forse che non ci saremmo accorti della tua presenza? Che avresti potuto circolare liberamente sotto le false spoglie di una studentessa? –
- Io sono… -
- Basta! – La interruppe di nuovo lui – Questo affronto avrà delle ripercussioni gravi. Nessuno deve pensare di potermi aggirare. Severus! – Quell’ultima parola schioccò come una frusta – Falla portare nei sotterranei. Forse una notte al freddo e in compagnia dei topi basterà a farle sciogliere la lingua. E se invece nemmeno quello sarà sufficiente ricorreremo a metodi decisamente più sgradevoli. –
Hermione non trovò più la forza di dire altro. Quello che stava vivendo era un incubo, non c’era altra spiegazione.
Sprofondò in sé stessa e nelle sue paure come se fossero una palude di acqua melmosa e scura, che le impregnava i vestiti e le ossa rendendola sempre più pesante e trascinandola giù, sempre più a fondo. Avvertì come da lontanissimo il professor Piton suonare un piccolo campanello d’argento e dopo pochissimi secondi, o lunghe ore, la porta dell’ufficio che si apriva.
- Mi avete chiamato, mio signore? -
E improvvisamente ritornò a galla, come se quelle semplici parole fossero state un braccio teso pronto ad afferrarla prima dell’agonia. Più delle parole, però, era stata la voce a farla ritornare in sé. Quella voce che le era così tanto familiare, quella voce che aveva imparato ad amare pian piano, senza alcun preavviso. Quella voce che ormai era tutto il suo mondo e che caratterizzava ogni singolo momento felice della sua vita. Quella voce che aveva dimenticato in quegli istanti orribili e si sentì immensamente colpevole per questo.
Non aveva ancora alzato lo sguardo, ma sentiva prepotente la sua presenza accanto a sé. Il suo corpo reagiva istintivamente, anche in quel mondo assurdo e, se avesse avuto anche solo un minimo dubbio, in quel momento fu del tutto dissipato, certa al cento per cento che fosse lui.
- Si, signor Malfoy. – Rispose Tom Riddle, seduto dietro la scrivania. Hermione non si era neppure accorta dello spostamento. Ormai tutti i suoi sensi erano rivolti al ragazzo che le stava affianco, immobile, il profilo rigido rivolto verso la scrivania.
- Voglio che tu scorti la signorina Granger nei sotterranei. E che sia sorvegliata a vista. –
- Agli ordini, mio signore. –
Draco si avvicinò ad Hermione con la stessa compostezza e rigidità di un soldato e con la stessa freddezza la afferrò per un braccio e la guidò fuori dall’ufficio. In quei brevissimi istanti non l’aveva guardata negli occhi neppure per un momento, osservandola superficialmente come se fosse stata niente di più che un ordine da eseguire. Mentre lei l’aveva guardato, a fondo, intensamente, cercando nei suoi occhi il minimo segnale del fatto che l’avesse riconosciuta. Ma quelli erano spenti e vuoti, come se uno spesso strato di nebbia celasse l’anima burrascosa che di solito vi leggeva così chiaramente. Sembrava un guscio vuoto, un automa, una statua di marmo senza sentimenti né volontà.
Il rumore della porta che si chiudeva alle loro spalle la riscosse e lei si ritrovò a scendere la ripida scala a chiocciola guidata da quello che ora era diventato la sua guardia e il suo carceriere. Draco le stringeva l’avambraccio in una presa salda, ma non così forte da farle male.
Quando spuntarono nei corridoi vuoti e silenziosi il suo primo istinto fu quello di divincolarsi e scappare, subito soffocato dal suo innato e dannato buonsenso. Davvero pensava di riuscire ad uscire da Hogwarts? E, se davvero ci fosse riuscita, dove sarebbe potuta andare? Non sapeva come fosse il mondo lì fuori, non ora che tutto sembrava stravolto, inconcepibile, incoerente con tutto quello che sapeva e ricordava. E poi… e poi ora aveva trovato Draco. Se davvero avesse voluto scappare avrebbe voluto farlo con lui.
Si voltò a guardarlo. Era sempre lo stesso, nulla nel suo aspetto poteva farle pensare che fosse cambiato in qualche modo; eppure era inesorabilmente diverso. Non il ragazzo che aveva conosciuto, non il ragazzo che aveva amato.
- Draco… - Tentò lei, con un lieve tremito nella voce.
Lui voltò la testa di scatto e, per la prima volta da quando l’aveva visto, scorse un barlume di umanità in quei suoi occhi così belli – Come sai il mio nome? –
“So molte cose di te”, avrebbe voluto dirgli. Ma tacque. Lui la guardava ancora e improvvisamente si rese conto che era cambiato, sì. Era immensamente più bello, seppur più magro, sofferente. Quella bellezza che viene solo da chi ha sofferto tanto. Aveva il fascino dell’angoscia negli occhi.
- Non ti ricordi di me? – Chiese alla fine.
Lui sembrò sorpreso, confuso, ma poi parve decidere che non fosse il caso di indugiare e riflettere troppo sulle parole di una spia, una nemica che stava per imprigionare nelle viscere del castello di Hogwarts.
- Io non ti ho mai vista. – Constatò semplicemente dopo qualche secondo, riportando lo sguardo davanti a sé.
Anche lei lo fece e, mentre scendevano nei sotterranei, cercò di ignorare le lame di ghiaccio che le trafiggevano il petto ad ogni passo. Quelle lame che non erano state così dolorose nemmeno quando Tom Riddle le aveva detto che Harry era morto.

 

Draco la portò nella parte più profonda dei sotterranei, quella più fredda, più umida, così buia che anche la luce della torcia si rifugiava nelle ombre. Molto più in basso dell’aula di Pozioni.
Il ragazzo si fermò davanti ad una cella oscura e angusta. Hermione poteva sentire le gocce di umidità scivolare lungo le pareti ricoperte di muschio e muffa. Non c’erano finestre lì sotto e l’unica fonte di luce era la piccola torcia che Draco stringeva tra le mani, la cui luce si rifletteva sinistra e verdastra sulle sbarre stranamente lisce e lucide.
Metallo magico, pensò. Metallo che non poteva essere intaccato né dal tempo né dalla ruggine.
Le sbarre erano conficcate in profondità nella roccia del pavimento e si innalzavano per quasi tre metri fino a sparire nella volta gocciolante del soffitto. Non c’erano aperture, né passaggi attraverso i quali sarebbe potuta entrare. La grata si stendeva da un capo all’altro del muro senza alcuna interruzione di maniglie o serrature. Si stava appunto chiedendo come avrebbe fatto ad entrare quando Draco mise una mano sulle sbarre, abbassò la testa e chiuse gli occhi. E in quel momento Hermione si permise di osservarlo più attentamente.
Era decisamente più magro, il profilo deciso della mandibola svettava sul suo viso pallido e la camicia scura che indossava mal celava l’ossatura spigolosa delle scapole. Aveva la testa piegata in avanti e in quella posizione i capelli biondi, e molto più lunghi del solito, ricadevano sugli occhi chiusi, mentre una ruga di concentrazione svettava sulla sua tempia candida.
Quando riaprì gli occhi e alzò la testa la scoprì ad osservarlo e una piccola e veloce espressione di sospetto e curiosità passò sul suo viso.
- Entra! – Le ordinò, guardandola ancora.
Lei impiegò qualche secondo a capire, finchè non girò la testa e vide un varco nella grata di ferro che prima non c’era. Con passi incerti lei lo attraversò e quello si richiuse dietro le sue spalle.
La cella in cui si trovava era appena più grande dello sgabuzzino delle scope al secondo piano e scommetteva che, se si fosse sdraiata sul pavimento, non sarebbe riuscita ad allungarsi completamente. Non c’erano finestre e l’aria era fredda, umida e stantia. Tossì un paio di volte quando quel sentore di muffa le entrò in gola e improvvisamente la consapevolezza di quanto stava vivendo la colpì in piena faccia come una secchiata di acqua gelida.
Era prigioniera! Era prigioniera in una scuola che sembrava la sua ma che non lo era, come se il suo doppio malvagio fosse all’improvviso affiorato cancellando quanto di bello, allegro, caldo e luminoso c’era prima. E questo non valeva solo per la struttura, no, ma anche per le persone che vi vivevano. Persone che non avrebbero più dovuto esistere e persone che esistevano ancora ma in modo completamente diverso. E poi c’era lei… che inspiegabilmente era stata catapultata in quel mondo assurdo, senza sapere se sarebbe riuscita prima o poi a ritornare nel suo mondo, quello vero. Perché quello… quello era solo una grottesca imitazione, un’imitazione che le faceva paura, ancora di più perché era completamente sola e abbandonata a se stessa.
Il rumore di passi che si allontanavano la riportò alla realtà. Si girò di scatto e afferrò le sbarre con la stessa disperazione con cui avrebbe potuto afferrare la sua ultima scintilla di speranza.
- No! Ti prego, non andare via! Draco! – Urlò disperata.
Poco prima che la figura del ragazzo venisse risucchiata dalle ombre, si fermò, concedendo a lei di scorgere ancora i riflessi biondi dei suoi capelli. Si girò, guardingo.
- Ti prego, aiutami! – Continuò – Non so cosa stia succedendo ma qui è tutto diverso. Piton dovrebbe essere morto, anche Voldemort e tu… -
- Nessuno lo chiama in quel modo. – La bloccò lui, ritornando sui suoi passi con espressione severa – Per noi tutti è il Signore Oscuro. –
- Non è vero, non per te. Tu lo odiav… lo odi! Io lo so! –
L’espressione di Draco, dapprima guardinga, ora divenne furibonda – Che cosa stai insinuando, ragazzina? – La fronteggiò da dietro le sbarre. I suoi occhi ora mandavano lampi, ma Hermione vi vide anche qualcos’altro: paura.
- Lo so che ora non puoi dire niente, ma io so cosa c’è dentro il tuo cuore. – Cercò, solo con gli occhi, di fargli capire che era sincera, che stava dicendo la verità - Tu lo odi così come lo odio io, se non di più. Ha rovinato la tua vita, ti ha tolto gli anni migliori della gioventù e ora sei costretto a servirlo per paura che faccia del male a te o ai tuoi cari. E non puoi nemmeno soffermarti su questi pensieri, su queste paure, perché hai il terrore che lui ti legga nella mente e scopra tutto, cioè che tu non gli sei fedele. -
Il ragazzo sbarrò gli occhi e indietreggiò di qualche passo. Con un’angoscia quasi febbrile si guardò intorno, come se si aspettasse che Voldemort in persona sbucasse dalle dense ombre attorno a lui e lo uccidesse all’istante. – Come fai a dire queste cose? Chi te le ha dette? – La sua voce ormai era un sussurro angosciato.
- Tu! Me le hai dette tu stesso, Draco. Certo, me le hai dette in un tempo di pace, dove non dovevi più temere la minaccia di Voldemort, ma me le hai dette. E sono sicurissima che le pensi tutt’ora, non è vero? -
Hermione stringeva le sbarre con disperazione mentre pronunciava quelle parole, forse sperando che, quanto più stringesse, più lui le avrebbe creduto. Ma Draco la guardava confuso e atterrito, scuotendo la testa.
- Quel tempo non esiste, non è mai esistito. Sei solo una pazza! -
Lei fu assalita dall’angoscia – Draco… -
- Io non so nemmeno chi tu sia, come posso averti detto queste cose se non ti ho mai vista? E, anche se ti conoscessi, non avrei di certo pronunciato quelle parole perché non è la verità. Il Signore Oscuro è il mio padrone e a lui va tutta la mia fedeltà. -
Hermione capì che stava dicendo quello più per convincere se stesso che lei, ma non potè fare a meno di allungare comunque una mano verso di lui, attraverso le sbarre.
- Draco… ti prego! -
Il ragazzo guardò con occhi vacui le dita che si protendevano verso di lui, ma non le afferrò, né si avvicinò per poter fare in modo che queste lo toccassero.
- Ti prego, guardami! Possibile che non ti ricordi di me? Sono Hermione! – La voce le si spezzò in gola, mentre lacrime gelide cominciavano a rigarle le guance.
- Tu stai cercando di manipolarmi. – Sbottò lui alla fine, ritraendosi ancora di più dalla sua mano protesa – Sei una spia. L’ha detto il Signore Oscuro. Non devo fidarmi di te, stai cercando di confondermi. – La guardava con occhi accusatori, come se la stesse incolpando di quanto stava dicendo, come se la stesse incolpando di non poter dimostrare quanto stava dicendo, come se volesse davvero credere in quanto stava dicendo, ma non osasse minimamente.
Lei vide tutti quei sentimenti contrastanti combattere dentro di lui una battaglia senza speranza, e perdere. Lo capì ancor prima di veder muovere i suoi passi. Un passo indietro, poi un altro e un altro ancora…
- No! Ti prego! Draco! -
Ma lui era già scomparso tra le ombre. Il rumore dei suoi passi veloci che andava perdendosi in lontananza.
 

 

 
NOTE DELL’AUTRICE:

Salve lettori, eccoci arrivati al secondo capitolo. Spero tanto che vi sia piaciuto!
Un grazie infinito a chi, sulla fiducia, ha messo la storia nelle seguite e nelle preferite e a chi ha recensito.
Come tutti gli aspiranti scrittori, mi interessa moltissimo il vostro parere (che sia esso positivo o negativo) perciò recensite, mi raccomando!
Un bacione grande a tutti voi e buona domenica.
Sundayrose

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Capitolo 3
*** L'Universo trama ***


L’Universo trama

 

 

“Quando desideri una cosa,

tutto l’Universo trama

affinché tu possa realizzarla.”

- Paulo Coelho -

 

 

Teneva ancora la mano protesa verso le ombre, come se sperasse ancora che lui sarebbe tornato indietro per afferrarla. Ma quelle rimasero mute e immobili, dense come acqua melmosa e lei fu costretta a lasciarla ricadere inerme accanto al corpo, premendo la fronte sulle sbarre gelide della sua prigione. 
Lasciò che le lacrime le scorressero copiose sulle guance e, lentamente, si accasciò sul pavimento, permettendosi di crollare completamente per la prima volta. Non sapeva nemmeno per cosa piangeva. Forse per il fatto che Draco non l’avesse riconosciuta? Forse perchè non l’aveva creduta? Forse perché era prigioniera? Forse perché Voldemort era vivo? Forse perché era Harry a essere morto? Forse perché Hogwarts non era più la stessa? O forse perché lei si trovava lì, senza la minima idea di come ci fosse arrivata né come avrebbe fatto ad andarsene? Piangeva un po’ per tutte queste cose messe insieme, finchè il suo pianto silenzioso non divenne un vero e proprio tormento, mentre i suoi lamenti rimbombavano tra le pareti scivolose dei sotterranei. 
Fece uscire tutto: la confusione, lo sgomento, il dolore, lo strazio di quell’ultima ora che a lei pareva lunga come anni interi e, quando smise, si sentì immensamente più vecchia, più fragile, più disposta ad arrendersi alla realtà, esausta.
- Piangi, ragazza mia, piangi. Le lacrime che non escono si depositano sul cuore e con il tempo lo incrostano e lo paralizzano. -
Hermione si raddrizzò di scatto, scrutando terrorizzata tra le tenebre alla ricerca dell’uomo che aveva parlato. Ma quelle rimasero scure e impenetrabili.
- Chi sei? – La sua voce risultò molto più acuta del normale in quell’aria immota e spessa come lana.
Quello non rispose. Al suo posto, un rantolo agonizzante che le fece accapponare la pelle ruppe di nuovo il silenzio. Solo dopo qualche secondo lei capì che si trattava di tosse.
- Chi sei? – Chiese di nuovo, stavolta alzandosi e aggrappandosi alle sbarre di ferro.
- Solo un vecchio. – Rispose alla fine.
C’era qualcosa di familiare in quella voce. Sotto il timbro rauco e malato Hermione poteva percepire calore e affetto, nonché una dose considerevole di autorevolezza, sebbene fosse nascosta alla perfezione sotto la coltre di dolore e sofferenza. Si sentì in soggezione senza nemmeno sapere il perché.
- Da quanto tempo è qui? -
Le parole si persero nell’oscurità fino a che non ne rimase solo l’eco nella sua mente. Quando l’altro rispose lei aveva già perso la speranza che l’avrebbe fatto.
- Ben presto capirai, mia cara, che il tempo non ha alcun valore qui sotto. Che importanza può avere il mese, il giorno, l’ora quando non sai nemmeno se è giorno o notte? Se fuori c’è il sole o un tremendo temporale? Se è primavera o inverno? –
Un nuovo rantolo di tosse scosse il vecchio. Hermione poteva quasi vederlo, rannicchiato su se stesso, con una mano premuta sul petto e l’espressione sofferente. Doveva essere lì da parecchio tempo se si era ridotto in quel modo. Si chiese se avrebbe fatto la stessa fine.
- Siete malato. – Disse quando i rantoli terminarono. Non era una domanda.
- Non è nulla. – Rispose il vecchio – Solo qualche acciacco. –
Hermione riuscì a percepire il sorriso nella voce dell’uomo e sorrise a sua volta, nonostante non ce ne fosse alcun motivo. Si sentiva come quelle persone che raccontavano di essere sull’orlo di un baratro, solo che lei era già caduta e per quanto allungasse le mani verso l’alto non c’era nessuno ad afferrarle.
Poggiò la fronte contro le sbarre e si sentì trascinare sempre più giù, come se in quel buio ci fossero mani di mostri o labbra di Dissennatori che volevano strapparla alla realtà, per condurla nell’oblio della disperazione, dove ogni attimo infelice veniva rivissuto all’infinito. Per un momento quasi cedette, consegnandosi alle ombre.
Il vecchio sembrò leggerle nel pensiero perché qualche istante dopo disse: - Qui sotto è sempre tutto uguale e immoto. Le tenebre avvolgono tutto e, dopo qualche tempo, sembra che ti avvolgano anche il cuore. Ma ti voglio dire una cosa, ragazza mia, la felicità o la speranza la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce. –
Hermione alzò la testa di scatto e, nello stesso momento, risuonò un sonoro clic mentre uno scintillio attraversava il suo campo visivo e andava a posarsi sui ciocchi di legno attaccati alle pareti, freddi e spenti fino ad un attimo prima.
Il sotterraneo in cui si trovavano venne rischiarato quasi immediatamente e finalmente lei potè vedere l’uomo con cui aveva parlato fino ad un attimo prima.
Si trovava a due celle di distanza dalla sua, rannicchiato contro le sbarre come uno straccio vecchio e abbandonato. La lunga barba, un tempo candida come la neve, era grigia e sporca e si confondeva con i vestiti sudici e i capelli aggrovigliati. Nonostante tutto, i suoi occhi azzurri e cristallini rilucevano vispi anche in quello squallore, liberi dalle lenti degli occhiali a mezzaluna.
L’aveva riconosciuto appena un attimo prima che riaccendesse le luci con il Deluminatore e si chiese, con sgomento e disappunto, come avesse fatto a non riconoscerlo ancor prima.
- Professor Silente! -
La sua voce era ancora di più un sussurro ora che vi si era aggiunta la sorpresa e la speranza. Sorrise quasi contro la propria volontà contro le sbarre di ferro, mentre lacrime copiose le rigavano il viso facendosi spazio quasi con forza tra il metallo e la pelle.
- Non le sembra che tutto abbia riacquistato una nuova luce? Non fa così paura adesso, vero? -
Sapeva a cosa si stava riferendo. Il sotterraneo ora si mostrava per quel che semplicemente era: un cunicolo di roccia e metallo. Non c’erano mostri lì sotto, né Dissennatori. La paura e la disperazione si erano rintanate negli angoli più remoti di quella prigione, insieme alle ombre che prima la circondavano.
- Professor Silente, come è finito qui? – Era una domanda stupida, lo sapeva. Ma sarebbe stato tremendamente più indelicato chiedergli per quale motivo Tom Riddle non l’avesse ucciso.
- Oh… divergenze di opinioni, temo. Con il nuovo preside. –
Parlava tranquillamente, come se con Voldemort non avesse avuto nulla di più che un alterco verbale. Tipico di Silente, pensò.
- Ma basta parlare di me. Dimmi di te, ragazza. Come ti chiami? -
Hermione titubò un attimo prima di rispondergli – Hermione Granger, signore. –
- Mh… che nome interessante. Un nome che esige una personalità altrettanto interessante. Non credo di aver mai conosciuto nessuno chiamarsi così, al di fuori dei libri, naturalmente. -
La ragazza si sentì crollare, di nuovo – Allora non… non si ricorda di me, professore? – Era un’altra domanda stupida, ma non poteva farci niente. L’ovvio era tutto ciò a cui si aggrappava ormai.
Il vecchio sembrò pensarci, perché tacque per qualche momento - Mi rincresce ma quando mi hanno condotto qui i miei occhiali sono andati persi. Non vedo granché bene da questa distanza. E poi la mia memoria ormai non è più pronta e scattante come un tempo. -
Hermione abbassò la testa, mentre quell’ultima flebile speranza si spegneva. Sapeva che non era un problema di occhiali o di memoria. Silente, il vero Silente non si sarebbe mai dimenticato di lei. Come non si sarebbe mai dimenticato di nessuno dei suoi studenti.
- Ha fatto la stessa domanda al ragazzo che l’ha condotta qui. Il giovane Malfoy. -
Hermione sussultò, sentendosi improvvisamente nuda e arrossendo visibilmente.
Certo, Silente aveva ascoltato tutto quello che aveva detto a Draco, le preghiere che aveva cercato di far penetrare nel suo cuore, le suppliche, le parole che aveva ostinatamente ripetuto affinché le credesse. Ma allora ignorava che ci fosse qualcun altro ad ascoltare quanto stava dicendo.
Era inutile negare – Sì. – Rispose mestamente.
- Davvero interessante. Sembrava quasi che lei lo conoscesse perfettamente. Mentre non si poteva di certo dire il contrario. –
Aveva un tono meditabondo e ammaliato al tempo stesso. Hermione pensò che forse quella era la cosa più eccitante che gli fosse capitata negli ultimi anni.
- Già. – Borbottò alla fine, senza sapere cos’altro avrebbe potuto dire.
Staccò le mani dalle sbarre e si accovacciò contro di esse. Bastò un attimo e tutti i suoi vestiti furono impregnati dall’umidità che gocciolava dalle pareti fino al pavimento di roccia.
- E, mi permetto di aggiungere, non credo che lei sia legata al ragazzo da semplice conoscenza, non è vero? -
Hermione ancora una volta lo fissò stupita, sebbene forse non avrebbe dovuto esserlo più di tanto. Silente era Silente, perspicace come pochi.
- Perché non mi racconta la sua storia, signorina Granger? – Le chiese lui tutto ad un tratto - Che cosa ha portato una bella ragazza come lei in queste squallide segrete? -
Hermione titubò per un attimo, rimuginando se fosse o no una buona idea. Poi però arrivò alla conclusione che non aveva nulla da perdere e così cominciò a raccontare.
Dapprima le parole le uscirono smorzate ed esitanti, quasi come se le dovesse estirpare con forza dalla mente e dal cuore. Poi però cominciarono a fluire in modo più copioso, come un fiume in piena, e si ritrovò a raccontare con passione sempre più travolgente, non solo quello che aveva appena vissuto, ma tutta la sua storia, la sua vera storia, ma anche di Hogwarts e di tutte le persone che ne facevano parte.
Il professor Silente ascoltò in silenzio e mai, neppure una volta (nemmeno quando Hermione gli parlò della sua morte per mano di Piton), sembrò tradire il minimo segno di disappunto o sorpresa.
- Una storia davvero avvincente. – Disse alla fine, quando ormai la ragazza ebbe finito di parlare – Molto meglio di quella che stiamo vivendo, senza dubbio. E sono convinto che raccontarla le abbia fatto bene. - 
Tuttavia Hermione si sentiva più avvilita di prima – Sono sicura che ora mi considererà una pazza o un’impostora. Non la biasimo se non crede a quanto le ho appena detto. –
- Al contrario, ragazza mia. Al contrario. -
Hermione sollevò di scatto il capo, sorpresa.
- Io ho ascoltato con molta attenzione le sue parole. E, benché alcuni punti della sua storia mi siano completamente oscuri, altri sono straordinariamente familiari. Nessuno avrebbe mai potuto conoscere l’esatta ubicazione della Camera dei Segreti, né l’esistenza degli Horcrux (cosa di cui io già sospettavo fortemente) e di come distruggerli. E’ decisamente impossibile che lei si sia inventata una storia così ricca di particolari così, su due piedi. Particolari che risultano essere molto più che attendibili. -
- Quindi lei mi crede! –
- Naturalmente! –
Si sentì improvvisamente leggera, mentre un sorriso si allargava involontario sul suo viso, buttando fuori la tensione che non si era accorta di provare fino a quel momento. Sapeva che era una cosa inutile, il fatto che Silente credesse alla sua storia non la agevolava in alcun modo. Non la rendeva meno prigioniera, non le donava una via di fuga, non la riportava nel “suo mondo”. Ma sapere che qualcun altro riponeva fiducia in lei le dava quel briciolo di forza in più di cui aveva bisogno.
Si voltò a guardarlo, il viso quasi nascosto sotto i capelli e la barba aggrovigliati. Le stringeva il cuore vederlo in quel modo. Lui, il mago più potente e saggio di tutti i tempi, gettato come uno straccio vecchio nelle segrete di quella che un tempo era la sua scuola.
- Qui è tutto così diverso. – Esclamò alla fine, guardandosi intorno – Non capisco come possa esistere tutto ciò. –
- Io invece temo di cominciare a comprendere. – Disse lui dopo qualche attimo di silenzio.
Hermione lo fissò sgomenta – Davvero? –
Silente annuì – Nel suo racconto, signorina Granger, mi sono balzati alla mente alcuni particolari, forse marginali per lei, ma alquanto significanti per me. Per comprendere meglio quello che le è accaduto, almeno. –
- Di quali particolari sta parlando? –
Lui congiunse le mani, raccogliendo i pensieri – Nella sua versione della storia mi ha raccontato che al primo anno, lei, Ron Weasley e Harry Potter avete superato l’ostacolo del cane a tre teste per poter arrivare alla Pietra Filosofale e fermare Voldemort. –
- E’ così. – Confermò Hermione.
- Bè qui le cose sono andate un pochino diversamente. Una volta arrivati al Tranello del Diavolo Harry Potter, probabilmente grazie al suo sangue freddo, è riuscito a rimanere calmo e a superare l’ostacolo. Mentre Ron Weasley… -
La ragazza trattenne bruscamente il respiro. Si ricordava come se fosse successo soltanto ieri le urla terrorizzate di Ron quando quella pianta malefica l’aveva stretto così forte da mozzargli il respiro. Era stata lei a liberarlo da quelle grinfie, scagliando contro il Tranello del Diavolo un fascio di luce solare.
Una strana inquietudine si impossessò di lei – Professore… che cosa è successo a Ron? –
Lo chiese con un’apprensione fuori dal comune, forse perché già sapeva, dentro di lei, la risposta.
Il vecchio preside sospirò – Credo che già lo sappia, non è vero? E’ morto, signorina Granger. E’ morto soffocato dal Tranello del Diavolo. –
Sì, lo sapeva o, almeno, lo immaginava. Ma sentirselo dire non rese la cosa più facile. Nuove lacrime le bruciarono gli occhi e minacciarono di uscire impetuose. Lei le ricacciò indietro, ostinata.
- Tom Riddle mi ha detto che Harry è stato ucciso l’anno dopo, dal Basilisco. – Riprese lei, con voce tremante.
- E’ così. Non ha mai trovato l’accesso alla Camera dei Segreti. –
E improvvisamente Hermione capì dove Silente voleva farla arrivare: era stata lei ad indirizzare Ron ed Harry sulla buona strada, facendo loro trovare l’appunto sulle tubature quando era pietrificata. Ma se lei in quel mondo non esisteva allora nulla di tutto ciò era mai successo.
Questa volta le lacrime sgorgarono senza che lei potesse fare niente per fermarle – E’ colpa mia! E’ tutta colpa mia se le cose sono andate così. E’ colpa mia se ora Voldemort è al potere e lei è rinchiuso in questa cella. –
- Come può essere colpa sua, signorina, se lei nemmeno esiste? – La logica spiazzante del professore la colse per un attimo impreparata, costringendola a guardarlo  - Io credo che la frase vada riformulata in maniera diversa. E’ merito suo, signorina Granger, se nella realtà in cui vive Voldemort è stato sconfitto e ora tutti vivete in un tempo di pace. – Hermione scosse la testa con forza – Non è vero, professore. E’ stato Harry. Harry ha distrutto Voldemort e… -
- Oh sì, certo. Harry Potter ha ucciso Voldemort una volta per tutte. Ma senza di lei, signorina, senza il suo aiuto, Harry Potter sarebbe morto all’età di dodici anni, senza avere alcuna possibilità di compiere il suo destino. –
Hermione rimuginò a lungo su quelle parole, soffermandosi sui suoi gesti forse per la prima volta nella sua vita.
Davvero era stata così decisiva? Davvero il suo contributo era stato così importante? Davvero, se lei non fosse mai nata, il mondo magico sarebbe crollato in un’era tanto oscura?
Sapeva già la risposta, ma non voleva peccare di presunzione o superbia nel pronunciarla ad alta voce. Lo vedeva con i suoi occhi, l’alternativa era a portata di mano, la circondava senza pietà e la soffocava.
Non l’avrebbe permesso. Se davvero lei aveva fatto la differenza in passato l’avrebbe fatta anche questa volta.
Si issò in piedi, aggrappandosi alle sbarre di metallo.
- Devo mettere le cose a posto, professore. Non posso permettere che il Mondo Magico sprofondi nell’oscurità. –
Silente la guardò ammirato – Un obiettivo nobile, non c’è che dire. Ma credo che stia affrontando il problema dalla parte sbagliata, signorina. –
- Che… che vuol dire? –
- Non può rimettere a posto questo mondo, non può riportare in vita i suoi cari, non può cambiare le cose che sono già successe perché, semplicemente, sono già successe. – Davanti alla sua espressione costernata si affrettò a spiegare – Questa realtà esiste. Non è un’illusione, non è un inganno della sua mente che lei può modificare a suo piacimento. Il male esiste, così come esistono le realtà parallele dove il male prevale e credo che lei sia capitata proprio in una di queste. – Silente chiuse gli occhi e sospirò – La domanda da farsi, il problema da porsi è: come ci sia capitata. –
Hermione si guardò le mani, afflitta – Ci ho già provato, ma non riesco a ricordare. – Ammise.
- Credo che lei affronti il problema in maniera errata. Non cerchi di ricordare gli eventi, i luoghi, le parole. Chiuda gli occhi, signorina Granger. Chiuda gli occhi e ricordi le sensazioni. Quali sensazioni l’hanno condotta qui? –
La ragazza lo osservò per un momento, chiedendosi che cosa volesse dire. Come avrebbe fatto a ricordare delle sensazioni? Le sensazioni si ricordano, certo, ma se ci sono degli elementi che le riportano alla mente. Così, in questo modo, sarebbe stato quasi impossibile.
- Professore, è sicuro che… -
- Chiuda gli occhi, signorina Granger. Provi! – La incitò lui.
Ed Hermione provò.
Chiuse gli occhi sul mondo che la circondava, risucchiando la luce che Silente aveva evocato tramite il Deluminatore nelle tenebre della sua mente.
Tornò indietro, passando in rassegna gli ultimi avvenimenti fino ad arrivare a quelli meno recenti. I ricordi della sua vera vita erano sbiaditi come un sogno. Ne vedeva i contorni e i volti, ma le parole sfuggivano, scivolavano come acqua sulle dita.

Le sensazioni,
si disse, ricorda le sensazioni.
E allora chiuse la mente anche alle immagini, cercando di evocare le emozioni che l’avevano catapultata in quel luogo.
Non accadde nulla per parecchio tempo e stava quasi per perdere la speranza finchè una scintilla non sfiorò la sua coscienza. Schiuse la bocca per lo stupore.
La scintilla emanava rabbia, una rabbia dolorosa e straziante, mista allo sgomento e alla certezza di qualcosa. Ma quella convinzione piano piano svanì, rivelando il dubbio, il sospetto, amaro come bile.
E improvvisamente le urla esplosero nella sua mente, tanto che dovette tapparsi le orecchie. Cadde in ginocchio con un gemito.

 

“ – Se tu non avessi salvato il Mondo Magico, se tu non fossi così popolare lui non si sarebbe mai interessato a te. Non capisci che ti sta usando per riacquistare la sua popolarità? Per risollevarsi agli occhi del Mondo Magico? Lui non è innamorato di te, è solo innamorato dell’idea del successo e della fama che tu gli regali; quella stessa fama che prima aveva grazie al suo nome e che ora non ha più! –
- Sei orribile, Ron! Come fai solo a pensare queste cose? Draco è cambiato, è diverso. Lui mi ama profondamente e anch’io lo amo. Quello che stai insinuando è semplicemente assurdo! La verità è che tu sei geloso, geloso marcio e per questo motivo tenti di distruggere il nostro rapporto insinuando cose che non sono vere. -
Disse quelle parole con foga, ma il dubbio ormai si era insinuato in lei.
- Non sei come pensavo che tu fossi, Hermione. E pensare che ti ho amata per così tanto tempo. Vorrei che non fossi mai esistita! - ”

 
Riaprì gli occhi di scatto e il sotterraneo si materializzò di nuovo attorno a lei. Era inginocchiata sul pavimento, le mani ancora a coprirle le orecchie.
- Allora? Ci siete riuscita? – Chiese Silente con impazienza. Si era alzato in piedi e Hermione percepì come fosse stato faticoso per lui compiere quel semplice gesto.
Annuì in risposta.
- Un desiderio. – Mormorò alla fine – E’ stato un desiderio a condurmi qui. -
Le parole di Ron ancora le rimbombavano nella mente e, più della rabbia, provò dolore.
- Un desiderio espresso da chi? – Le chiese il vecchio professore.
- Da Ron Weasley. – Ammise lei alla fine.
- Interessante. – Esclamò lui meditabondo – Davvero interessante! –
- Ma questo come potrà riportarmi nel mio mondo? Se il desiderio di Ron è stato esaudito allora non c’è più niente da fare. –
Silente si sventolò l’indice davanti al naso – Mi permetto di correggerla, signorina Granger. Il desiderio di Ron Weasley non avrebbe avuto alcun potere se non fosse stato mischiato al suo. –
- Il mio? – Chiese Hermione sgomenta – Crede che fosse una mia volontà desiderare di non essere mai esistita? Crede che fosse una mia volontà finire qui?-
- No, di certo. Credo che lei volesse solo fugare un dubbio o appurare qualcosa. Qualcosa che le sta molto a cuore e che non avrebbe mai potuto constatare nel “suo mondo”. –
E improvvisamente Hermione capì cosa Silente voleva dirle e cosa avrebbe dovuto fare da lì in poi. Doveva dissipare il dubbio dal suo cuore, solo allora sarebbe potuta ritornare a casa.

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Buon pomeriggio, miei cari lettori.
Eccomi di nuovo qui, puntualissima, a postarvi il terzo capitolo. 
Come avete visto c'è una sorprendente new entry, che aiuterà Hermione a svelare un po' di misteri. 
Spero tanto che vi sia piaciuto e che mi farete sapere cosa ne pensate!
Un bacione a tutti voi.
Sundayrose.

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Capitolo 4
*** L'amore è libero ***


L’amore è libero

 

“L’amore è libero,

non è sottomesso mai al destino.”

-         Apollinaire –

 

 

Draco se ne stava nascosto con accortezza dietro una parete di roccia, attento anche a non respirare troppo rumorosamente per il timore di essere scoperto. Si era assentato solo per una decina di minuti, il tempo di andare a prendere un po’ di pane e una brocca d’acqua per i prigionieri dalle cucine, ma quando era tornato aveva notato subito che qualcosa non andava. Il bagliore che s’intravedeva fin dai primi gradini che scendevano nelle segrete non era normale per quella parte del Castello, di solito perennemente al buio. Per questo era sceso con circospezione, scivolando come un’ombra fino ad una rientranza appena prima della cella della ragazza e del vecchio preside.
Le torce appese al muro erano accese, si accorse con sgomento. Come era possibile? Nessuno dei due avrebbe potuto farlo, erano entrambi privi di bacchetta.
Stava appunto per sgusciare fuori dal nascondiglio ed interrogarli quando la voce di Albus Silente, e quello che disse, non lo fecero bloccare al suo posto.
 - Ha fatto la stessa domanda al ragazzo che l’ha condotta qui. Il giovane Malfoy. -
- Sì. – Rispose la ragazza con tono triste. Hermione Granger, gli pareva si chiamasse.
- Davvero interessante. Sembrava quasi che lei lo conoscesse perfettamente. Mentre non si poteva di certo dire il contrario. –
- Già. –
Di nuovo quel tono disperato, afflitto, lo stesso che aveva percepito quando lei l’aveva supplicato di crederle pochi istanti prima.

Una trappola,
pensò, è solo una trappola.
- E, mi permetto di aggiungere, non credo che lei sia legata al ragazzo da semplice conoscenza, non è vero? -

Draco si fece più attento, deciso a non perdere nemmeno una parola della sua risposta. Ma la ragazza non parlò e il silenzio tra quelle mura divenne una prova ancor più schiacciante del suo imbroglio.

Non risponde perché non sta dicendo la verità,
pensò. Non sa cosa dire. Ha mentito fin dall’inizio.
 - Perché non mi racconta la sua storia, signorina Granger? –
La richiesta del vecchio preside gli sembrò assurda. Che cosa avrebbe mai potuto raccontare una spia, un’imbrogliona? Di certo avrebbe costruito una storia senza capo né coda, avvalorando ancor di più la sua tesi e quella del Signore Oscuro. Avrebbe fatto meglio ad intervenire e quietare sul nascere quella assurda scenata. Tuttavia non riuscì a muoversi di un passo, ancora di più quando la ragazza si mise a raccontare.
All’inizio sembrava titubante, incerta su cosa dire, probabilmente perché non aveva previsto che qualcuno le facesse quella domanda e ora cercasse di porvi rimedio inventando di sana pianta una storia assurda.
Poi però le parole si fecero più sicure, il discorso più lineare e preciso. Ma la storia che stava raccontando era ugualmente assurda. Come poteva pensare che qualcuno ci credesse?
E invece il vecchio bacucco ci aveva creduto. Forse la lunga prigionia l’aveva fatto andare fuori di testa.
- Quindi lei mi crede! –
- Naturalmente! –
Quella scenata era ridicola. Che senso aveva rimanere ad ascoltare ancora? Era palese che fosse tutta una congettura per riuscire ad uscire di lì e salvarsi la pelle. Non poteva essere altrimenti.
E allora perché una parte di sé avrebbe voluto che fosse vero?

“ - Tu lo odi così come lo odio io, se non di più. Ha rovinato la tua vita, ti ha tolto gli anni migliori della gioventù e ora sei costretto a servirlo per paura che faccia del male a te o ai tuoi cari. E non puoi nemmeno soffermarti su questi pensieri, su queste paure, perché hai il terrore che lui ti legga nella mente e scopra tutto, cioè che tu non gli sei fedele. –”
Come faceva a conoscere quelle cose? Le sue paure più profonde, i suoi più intimi desideri? Non l’aveva mai confessato a nessuno e persino quando le pensava non lo faceva mai con libertà, temendo sempre di essere scoperto.
Possibile che fosse una Legilimens tanto abile? Possibile che avesse scoperto una parte di sé che perfino il Signore Oscuro ignorava?

“– Come fai a dire queste cose? Chi te le ha dette? –
- Tu! Me le hai dette tu stesso, Draco. –”

Era assurdo! Non poteva essere vero. Lui non aveva mai visto quella ragazza. Come poteva averle detto quelle cose? Un ennesima bugia, così come la sua patetica storia.
Ricordava Harry Potter, un insulso ragazzino che si era permesso di rifiutare la sua amicizia, al primo anno. Ricordava anche quando era morto, l’anno dopo, e di come tutto fosse cambiato da allora. Tom Riddle era rinato e la scuola era sprofondata nell’oscurità.
E ora, invece, quella ragazza sosteneva che Harry Potter avesse ucciso Voldemort al settimo anno. Il più grande mago oscuro di tutti i tempi sconfitto da un misero ragazzino che non era capace nemmeno di pronunciare un Wingardium Leviosa decente.
Eppure… eppure come avrebbe voluto che fosse vero!
Il mondo che Hermione Granger aveva descritto con tanto ardore gli sembrava meraviglioso, anche se ci era voluto tanto tempo e sacrificio per conquistarlo. Eppure a lei sembrava non importare. Era mossa da sentimenti che lui conosceva ma che non aveva mai provato: speranza e combattività.
C’era anche lui in quella storia. A Draco fece uno strano effetto sentirsi raccontare da un’estranea, e così bene poi che sembrava che lei lo conoscesse meglio di sé stesso. Tuttavia aveva avuto la sensazione che ci fosse dell’altro. Il racconto aveva solo sfiorato la sua persona, come se fosse stato solo una comparsa, un attore marginale su cui era inutile soffermarsi più di tanto. Eppure lei cambiava tono quando si apprestava a raccontare di lui. Non sapeva spiegare che tono fosse, era solo… diverso.
Ah, ma che sciocchezza! Era solo un imbroglio, no? Una commedia preparata a puntino e recitata solo allo scopo di farsi liberare. Lui non ci sarebbe cascato.
Stava quasi per uscire allo scoperto e smascherarla quando un grido lancinante lo inchiodò al suo posto, facendogli accapponare la pelle.
I suoi ultimi pensieri l’avevano distratto da quanto stava avvenendo nelle celle poco distanti da lui, perciò fu sorpreso di vedere la ragazza in ginocchio, le mani premute sulle orecchie e un’espressione di profondo dolore impressa sul viso.
Cosa stava accadendo?
Gettò uno sguardo al vecchio preside, distante solo un paio di celle da quella di Hermione. Si era alzato in piedi, non senza un certo sforzo, e ora osservava la scena curioso, quasi rapito.
Non durò che qualche secondo, poi la ragazza aprì nuovamente gli occhi e si alzò in piedi, stordita.
- Allora? Ci siete riuscita? –
Nella voce di Silente la trepidazione era quasi tangibile.
- Un desiderio. E’ stato un desiderio a condurmi qui. -
- Un desiderio espresso da chi? –
- Da Ron Weasley. –
Draco era stordito e confuso. Non riusciva a capire il senso di quanto era appena accaduto, né di cosa stavano parlando.
Cercò di dar pace ai propri pensieri dicendosi, ancora una volta, che era tutta una messa in scena per imbrogliarlo. Ma a che scopo continuare a recitare se la ragazza non sapeva neppure che lui fosse presente? Per quale motivo stava ancora mentendo?
A meno che… a meno che non stesse mentendo. A meno che non avesse mai mentito.

 

Qualche istante dopo ritornò su per le scale, per poi ridiscenderle il più rumorosamente possibile e dare loro la possibilità di spegnere le torce ed interrompere la conversazione.
Non seppe nemmeno lui perché lo fece.
Quando arrivò nel cunicolo in cui si trovavano le loro celle il buio e il silenzio erano tornati, densi ed impenetrabili. Quindi tirò fuori la bacchetta e accese una torcia lì vicino.
Hermione se ne stava rannicchiata in un angolo della cella, la testa alta, l’espressione dura, nemmeno un briciolo dell’angoscia di poco prima era visibile sul suo volto. I suoi occhi castani lo fissavano imperturbabili e lui si sentì quasi in soggezione.
Era forte, era molto forte. Di questo Draco doveva dargliene atto.  
- Ti ho portato qualcosa da bere e da mangiare – Disse, facendo passare il vassoio con l’acqua e il pane attraverso un passaggio tra le sbarre che lui ebbe la premura di richiudere subito dopo.
Ma lei non li degnò nemmeno di uno sguardo. Continuava a fissarlo, come se i suoi occhi fossero molto più interessanti del cibo a portata di mano.
Cercò di non dare peso a quei pensieri e le voltò le spalle, sistemandosi a terra di fronte alla sua cella.
- Il Signore Oscuro mi ha ordinato di sorvegliarti a vista. – Si giustificò lui, quasi come se ce ne fosse bisogno.
Ma Hermione non disse una parola, continuava solo a guardarlo, in un modo così intenso che più di una volta Draco ebbe la tentazione di abbassare gli occhi e fuggire al fuoco del suo sguardo.
Per quanto fosse duro e freddo all’apparenza aveva paura di cosa quegli occhi riuscivano a scatenare. Era sempre stato convinto di essere ghiaccio, solido ed imperturbabile, tanto forte da credersi imbattibile. Eppure, anche se il ghiaccio poteva bruciare come fuoco, il fuoco era l’unico a poterlo piegare, a poterlo sconfiggere e di questo se ne rese conto solo in quel momento.
- Ho ascoltato la tua storia. – Disse all’improvviso, quasi contro la propria volontà. Aveva fatto di tutto per non farsi scoprire e invece ora le stava confessando tutto.
Nella sua maschera di impassibilità Draco intravide una scintilla di sorpresa – Davvero? –
Draco annuì, continuando a tenere gli occhi nei suoi – Una storia molto fantasiosa. –
L’espressione sul viso di Hermione si indurì di nuovo e la scintilla di sorpresa e falsa speranza scomparì veloce così come era arrivata.
- Quindi non hai creduto nemmeno ad una parola. - Non era una domanda.
- Esattamente. – Mentì lui. Non seppe nemmeno il perché, ma si stava accorgendo, piano piano, che quella ragazza aveva un potere straordinario su di lui. Potere che sarebbe aumentato a dismisura se le avesse dato ragione.
- E allora perché non sei andato a dire tutto a Voldemort? – Sbottò lei. L’ira che si percepiva nelle sue parole strideva quasi dolorosamente con il tono freddo della sua voce - Perché non sei strisciato ai suoi piedi come una vile serpe e non gli hai spifferato tutto? Potevi dirgli di aver sentito la prigioniera confessare di far parte dell’Ordine della Fenice, la cui missione principale è distruggerlo e riportare Hogwarts e l’intero Mondo Magico all’antico splendore. Potevi offrirgli la mia testa di traditrice su un vassoio d’argento e, forse, in quel modo ti avrebbe preso più in considerazione, elevandoti ad un ruolo per te più dignitoso. Questa era l’occasione della tua vita. Non deve aver riposto molta fiducia in te se ti ha relegato per così tanto tempo al misero ruolo di carceriere. –
Draco scattò in piedi, punto nel vivo. La rabbia e l’indignazione scaturivano da lui come scariche elettriche.
- Come osi rivolgerti a me in questo modo? Sporca Mezzosangue. E’ così che ti chiamavo nella tua storia, vero? Bene, perché è quello che sei. Una traditrice della peggior specie. Una nemica. Un viscido neo nel perfetto piano del mio signore. Dovrei punirti a suon di Cruciatus per quello che hai detto. -
- E allora perché non lo fai? – Lo provocò lei, con aria di sfida, alzandosi in piedi e afferrando le sbarre con forza.
Draco, quasi involontariamente, si allontanò di un passo.
- Io so che non lo faresti mai. – Disse lei alla fine. La voce morbida e pacata non sembrava nemmeno la sua dopo la freddezza di un attimo prima. – Non ci sei mai riuscito. Hai sempre rifiutato con forza il potere di ferire, torturare, uccidere. Io so che non lo faresti mai! Come non avresti mai fatto la spia per Voldemort. -
- Chi ti dice che io non l’abbia già fatto? – Ribattè lui, quasi provocandola. Ma era una provocazione talmente debole che Hermione sorrise del suo tentativo.
- Perché ti conosco, Draco. –
- Non è vero. Tu non mi conosci affatto! – Sbottò. La rabbia e la paura lo costrinsero a serrare i pugni lungo i fianchi.

Hermione scrollò le spalle – E allora fallo! – Allargò le braccia semplicemente, esponendo tutto il suo corpo al potere di lui – Torturami, Draco! –
Il ragazzo rimase allibito, inchiodato al suo posto dallo sgomento e dal terrore. Che cosa stava dicendo? Non voleva mica che lui lo facesse davvero?
No, certo. Voleva solo metterlo alla prova, dimostrare che non l’avrebbe mai fatto. Dimostrare che era un debole.
Ma lui non era un debole!
Con mano tremante sfilò la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e la puntò contro di lei. La mira che oscillava tremendamente a causa del suo tremito incontrollato.
Di contro, Hermione sembrava tranquillissima. Gli occhi due pozzi profondi in cui lui avrebbe potuto perdersi con grandissima facilità… e sollievo.
Scosse la testa, non doveva distrarsi. Tutto il suo onore, la sua credibilità, il suo potere stavano in quel gesto. Lui avrebbe solo dovuto compierlo.
Eppure esitava. Perché?
Hermione le stava di fronte, le braccia spalancate, immobile, indifesa, chiunque sarebbe stato in grado di scagliarle contro tutte le maledizioni del mondo se avesse voluto. Ma, si rese conto all’improvviso, era proprio quello il problema: lui non voleva.
Abbassò leggermente la bacchetta - Io… -
- Perché ti ostini a voler apparire crudele? -
Draco arretrò di un altro passo quando si accorse che ora, nella voce di Hermione, non c’erano più freddezza, sfida o provocazione, ma solo lacrime. Lacrime amare che le rigavano il viso rilucendo tristi nel bagliore della torcia.
- Tu non sei così, Draco. Tu sei molto meglio di questo. -
Stava per risponderle, di nuovo, che non poteva saperlo, ma si bloccò quando si rese conto che era una bugia. Lei lo sapeva, lei lo conosceva più di se stesso, forse. Rivelava cose, diceva verità con cui lui non era ancora sceso a patti e che, invece, per lei erano verità assolute, inconfutabili. Con uno shock quasi fisico si rese conto che lei si fidava di lui. Per questo aveva spalancato le braccia con tanta facilità un attimo prima. Lei conosceva i segreti del suo animo meglio di se stesso e sapeva che non le avrebbe mai fatto del male.
Era la prima persona a fidarsi di lui così, incondizionatamente.
- Cosa sono allora? – Chiese alla fine, con spaventosa innocenza.
Hermione sorrise – Tu sei Draco Malfoy e sei un ragazzo buono. Un ragazzo che ha imboccato la via sbagliata, ma questo non vuol dire che non possa ritornare sui propri passi. Io so cosa c’è dentro il tuo cuore, Draco. –
Aveva allungato una mano oltre le sbarre e l’aveva poggiata sul petto, proprio sopra il suo cuore. Draco non si era neppure accorto di essersi avvicinato a lei.
Il tocco della sua mano emanava calore e pace, una pace che non aveva mai provato e che ora si irradiava dal punto in cui lo stava toccando in tutto il corpo. Era una sensazione bellissima, era simile all’amore, ma Draco non aveva mai conosciuto quel sentimento, quindi non poteva dirlo con certezza.
Alzò la mano sinistra con lentezza e la poggiò su quella di lei, come per impedire che lei spezzasse quel contatto, per essere sicuro che nulla avrebbe potuto interrompere quel momento.
Ma il male era in agguato e, un istante dopo, un dolore simile ad una scarica elettrica attraversò il braccio sinistro di Draco, costringendolo ad allontanarsi e ad afferrarsi dolorosamente l’avambraccio.
Il Marchio Nero bruciava come fuoco sulla sua pelle pallida e, nel momento stesso in cui lo sentì, Draco seppe quale fosse il messaggio.
- Che succede? – Chiese Hermione, il volto trasfigurato dall’angoscia.
Il ragazzo alzò la testa e quasi si scusò con gli occhi – Il Signore Oscuro. Vuole che andiamo immediatamente da lui. –

 

L’ufficio di Tom Riddle era ancora più immerso nelle tenebre quando Draco ed Hermione entrarono. Un’esigua fiammella riluceva sulla scrivania ma, a parte quella, nessun’altra luce era accesa.
Il ragazzo accompagnò Hermione per un braccio fino al cospetto del Signore Oscuro con mano rigida e tesa e un’espressione non meno tranquilla.
Tom Riddle si accigliò – Qualcosa ti turba, Malfoy? –
Draco cercò di ricomporsi – Nulla, mio signore. –
Voldemort lo fissò per un momento, poi spostò la sua attenzione su Hermione.
- Ebbene, signorina Granger? Ha qualcosa di meglio da raccontarmi stavolta? -
- Ho già esposto la mia versione dei fatti. – Ribattè lei.
Sembrava sicura, quasi impertinente, ma Draco notava con chiarezza il suo tremore e si chiese se lo avesse notato anche il Signore Oscuro.

- Dunque non vuole dirmi chi l’ha fatta entrare. -
- Nessuno mi ha fatta entrare. Io sono una studentessa di questa scuola. –
- Peccato che nessuno si ricordi della sua esistenza. –
Mentre parlava, Tom Riddle girava attorno a lei e la scrutava con attenzione. Quando Hermione si accorse cosa stava facendo, tremò più vistosamente. Non era mai stata brava in Occlumanzia.
Cercò di fermare i ricordi di quanto aveva appena vissuto, ma quelli, con più ostinazione, balenarono nella sua memoria come fotogrammi di un film.
Si sentì nuda e vulnerabile. Gettò un’occhiata a Draco, dietro di sé, e quasi immediatamente si accorse di aver commesso un passo falso. Il Signore Oscuro ora fissava lui.
- Raccontami di quanto hai sentito nelle segrete, Draco. -
- Mio signore, io non… -
- Obbedisci! – Gli ordinò lui. Il suono della sua voce come una frusta sulla pelle.
- Erano solo fantasie, mio signore. Una favola raccontata dalla ragazza solo con lo scopo di non essere punita, tutto qui. Non c’è niente di vero. – Cercava di risultare il più convincente possibile, ma il Signore Oscuro era difficile da ingannare.
- Ne sei sicuro, Draco? – Chiese infatti lui.
- Assolutamente, mio signore. –
Con uno scatto fulmineo Tom Riddle afferrò Hermione per i capelli e la trascinò di fronte a Draco – E allora perché la mente di questa ragazzina dice che è tutto vero? Perché i suoi ricordi confermano quanto ha detto? –
Draco sobbalzò, colto alla sprovvista – Io… non lo so… - Balbettava e cercava disperatamente di trovare qualcosa da dire, qualunque cosa. Ma gli occhi disperati di Hermione e le sue lacrime di dolore annullavano completamente la sua capacità di ragionamento.
- Te lo dico io. Perché è vero! Questa ragazzina viene davvero da un altro mondo. Un mondo dove io non esisto più. Un mondo che lei ha contribuito a creare. – Scagliò Hermione lontano da sé, quasi come se non volesse toccarla oltre, e lei finì sul pavimento con un gemito.
Draco la osservò con disperazione, mentre le parole di Voldemort penetrarono negli strati della sua mente e cominciavano a prendere forma.

No!
Gemette dentro di sé.
- E adesso vediamo quanto mi sei fedele, Draco. Tira fuori la bacchetta! -
- Mio signore, io… -
- TIRA FUORI LA BACCHETTA, DRACO! –
E lui lo fece, non staccando mai gli occhi da lei che piangeva ancora sul pavimento, il viso nascosto dai suoi capelli scompigliati.
- E ora uccidila! –
L’ordine non arrivò inaspettato, ma Draco sobbalzò ugualmente, mentre un tremito incontrollabile gli attraversava il corpo.
- Ti non vuoi che mi distrugga, vero Draco? – Mormorò Voldemort. La voce strascicante e seducente come quella di una biscia. – Tu vuoi che questo mondo resti così com’è, vero? Con me al potere e con il prestigio della tua famiglia ancora intatto. Se lei sopravvivrà, Draco, tutto questo andrà in pezzi. Quindi fallo! -
Draco titubò. Ma come poteva sottrarsi? Come? Se non l’avesse uccisa, il Signore Oscuro avrebbe ucciso lui.
Hermione ora non piangeva più, si era voltata a guardarlo e di nuovo aveva quell’espressione dura e splendente, quella forza che lui poteva solo sognarsi.
- Uccidila, Draco. ORA! -
E Draco pronunciò l’incantesimo, ma non fu quello che il Signore Oscuro si aspettava, né fu contro di lei.
Con un movimento fulmineo aveva spostato la bacchetta contro Tom Riddle e aveva urlato uno Schiantesimo talmente potente da farlo volare attraverso la stanza, fino a schiantarsi contro il muro opposto, dove migliaia di piccole crepe spuntarono con la forza del suo impatto. E poi il suo corpo privo di sensi cadde a terra, come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.
Con sgomento Draco osservò quanto aveva fatto, ma durò solo un millesimo di secondo. Non c’era tempo da perdere, presto il Signore Oscuro si sarebbe risvegliato e allora nessuno dei due sarebbe stato più al sicuro.
Afferrò Hermione per un braccio e la aiutò ad alzarsi in piedi.
- Andiamo! – Esclamò poi e la trascinò per una mano, correndo precipitosamente fuori dall’ufficio. 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Ciao, lettori.
Ebbene sì, siamo arrivati al penultimo capitolo. Mi dispiace un po’ ma questa storia non era stata programmata per essere più lunga. Spero però che vi sia piaciuta lo stesso e che mi farete sapere il vostro parere a riguardo.
Un bacio a tutti.
Sundayrose

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Capitolo 5
*** Bisogna essere cauti ***


Bisogna essere cauti

 

“Bisogna essere cauti nell’esprimere desideri,

perché potrebbero avverarsi.”

-         J.K. Rowling –

 

 

Si precipitarono a perdifiato giù per le scale, scendendo i gradini a due a due, completamente indifferenti al baccano che stavano facendo. Draco trascinava Hermione per una mano e ogni tanto si voltava verso di lei, forse per sincerarsi che stesse bene o per controllare che ci fosse davvero.
I corridoi erano ancora deserti e silenziosi e, per un attimo, la ragazza dubitò che ci fosse davvero qualcun altro in quella scuola oltre loro. Non aveva visto né sentito alcun studente fino a quel momento, oltre la ragazzina di Tassorosso che Piton aveva ucciso così a sangue freddo poche ore prima.
- Non possiamo uscire dalla porta principale. – Esclamò Draco all’improvviso, affannato per la lunga corsa – E’ protetta da incantesimi potentissimi. –
- Ci sono dei passaggi segreti. – Ribattè lei – Uno è nascosto dietro la Strega Orba, l’altro è dentro la Stanza delle Necessità. Portano entrambi ad Hogsmeade. –
Draco la guardò confuso per qualche momento, evidentemente non ne aveva mai sentito parlare. Ma durò solo un attimo perché, un istante dopo, scosse la testa – Hogsmeade non esiste più. E’ stata rasa al suolo molto tempo fa. Non è altro che un cumulo di macerie. –
L’espressione di Hermione si paralizzò mentre, piano piano, la sua mente veniva invasa da immagini di detriti, polvere, calcinacci, cercando di collegare il silenzio di tomba che di certo c’era ora con il tepore  delle locande, dei negozi e con le risate calde della gente che vi si riversava un tempo. Il male aveva distrutto anche quello.
- E allora come facciamo a uscire? – Chiese, ricacciando indietro le lacrime di dolore.
Lui la guardò, pensieroso e teso al tempo stesso – C’è un altro modo, ma è complicato. Tu sai nuotare? –
Hermione fu presa alla sprovvista – Ehm… sì. Direi di sì. –
- Bene allora. Muoviamoci! -
Invece di guidarla nell’ingresso, Draco la trascinò nuovamente nei sotterranei, precipitandosi giù attraverso gradini di pietra scabra e scivolosa di umidità. Hermione rischiò di cadere più di una volta.
Quando vide che Draco imboccava il cunicolo che portava alle prigioni sotterranee la sua espressione si fece perplessa.
- Perché siamo di nuovo qui? – Chiese lei, mentre file e file di celle scorrevano ai loro lati.
- Aspetta e vedrai. –
L’umidità appiccicosa dei cunicoli in cui correvano trasformò il sudore di Hermione in tante goccioline che le scivolarono giù per le tempie, per poi gelarsi a causa del freddo intenso man mano che scendevano sempre più in profondità.
Erano appena arrivati nel corridoio che portava a quella che era stata la sua cella quando Hermione si ricordò improvvisamente di una cosa.
- Fermati! – Esclamò, interrompendo inaspettatamente la sua corsa e trattenendo Draco per un braccio.
- Che cosa c’è? –
- Mi sono dimenticata… come ho fatto a dimenticarmene? – E senza dire altro scappò via, lasciando il ragazzo da solo.
Quando Draco la raggiunse la scoprì in ginocchio di fronte alla cella del vecchio preside, le mani attaccate alle sbarre e lo sguardo supplicante. Silente la guardava con occhi lucidi, quasi commossi, ma il ragazzo non riuscì ad immaginare per quale ragione.
- Che succede? –
Hermione sobbalzò vistosamente, evidentemente non l’aveva sentito arrivare. Si alzò in piedi, asciugandosi con un gesto deciso le lacrime appena affiorate nei suoi occhi, e lo affrontò con quell’espressione risoluta che tanto ammirava in lei.
- Devi liberarlo! – Gli disse in modo autoritario, quasi fosse una qualche specie di capo a cui doveva solo obbedire.
L’improvvisa ammirazione per lei svanì quasi immediatamente, sostituita da un fulmineo senso di orrore.
- Sei impazzita? – Esclamò sgomento.
- Non possiamo lasciarlo qui, Voldemort lo ucciderà di certo. Dobbiamo portarlo con noi! –
Draco era allibito. Non glielo stava chiedendo davvero, no. Stava rischiando tutto per lei, aveva schiantato Tom Riddle per lei, non poteva chiedergli questo. Era un suicidio!
- Non possiamo portarlo con noi. – Ribattè dopo un po’ - Ci rallenterà e alla fine non verrà ucciso solo lui, ma tutti e tre! –
Lei sollevò lo sguardo, fiera, altezzosa, come se non avesse alcuna paura – Preferisco essere uccisa piuttosto che lasciare il professor Silente qui un altro minuto. –
Draco stava per ribattere, ma venne interrotto da un sussurro quasi impercettibile.
- Il signor Malfoy ha ragione, signorina Granger. -
Hermione voltò la testa di scatto verso il preside, gli occhi sbarrati dall’incredulità – Ma professore… -
Silente alzò una mano scarna e rugosa per interromperla – Signorina Granger, mi ascolti. Lei deve tornare nel suo mondo e per farlo ha bisogno di velocità, prontezza e una dose smisurata di fortuna. Non so come voi due siate riusciti a sfuggire, ma Tom Riddle non è uno stupido, né uno sprovveduto, avrete l’intero Castello alle calcagna prima di quanto pensiate. – Si girò verso Hermione e le prese una mano fra le sue – La ringrazio, signorina Granger, ma la mia vita è già finita e fuggire da questa prigione non basterà per sfuggire alla morte. – Un nuovo rantolo di tosse scosse il suo corpo ormai troppo esile e malandato perfino per alzarsi in piedi.
La ragazza si accasciò nuovamente accanto a lui e questa volta non impedì alle proprie lacrime di solcarle le guance – Vorrei davvero portarla con me, professore, nel mio mondo, ma… -
- … ma lì io sono già morto, lo so. Non mi dispiaccio di questo, né ne soffro. Dal suo racconto ho capito che ho fatto tutto quello che ho potuto per fermare Voldemort e il sapere che alla fine i miei sforzi hanno portato ad un risultato concreto mi ripaga di tutti i fallimenti che ho conseguito in questa vita. Non pianga per me, signorina Granger, la mia vita è finita, la sua è appena cominciata e le riserva ancora tantissime cose. Non sprechi la sua opportunità di viverle indugiando ancora. Vada, scappi via e si salvi. Ritorni nel suo mondo e viva con ardore tutto quello che ancora le aspetta. Non rimanga ancorata al passato. Vada. Vada! -
Ma Hermione non sembrava intenzionata a lasciare la mano debole ed avvizzita del vecchio preside, né sembrava intenzionata ad abbandonarlo. Draco era quasi pronto a prenderla per le ascelle e trascinarla via, quando un boato, assordante e cupo, si propagò da diversi piani sopra di loro fin nelle segrete dove si trovavano, facendo tremare pericolosamente le sbarre di ferro magico delle celle.
Hermione si alzò di scatto e fissò Draco, allarmata.
- Il Signore Oscuro – Spiegò lui – Si è accorto della nostra fuga. Dobbiamo andarcene e alla svelta. -
La ragazza si voltò di nuovo verso il vecchio preside, gli occhi colmi di lacrime – Non mi dimenticherò mai di lei, professor Silente. –
- E io non mi dimenticherò mai di lei, signorina Granger. -
Temendo che Hermione si lasciasse di nuovo prendere dall’emozione, Draco la prese per un braccio e la trascinò via, conducendola nei corridoi oscuri che avevano abbandonato poco prima.
I boati sopra di loro si facevano sempre più assordanti e sempre più vicini, uniti ad un crescente rumore ritmico che sembrava incombere su di loro come tanti martelli pneumatici.
- Passi. – Esclamò Draco allarmato – Lord Voldemort ha svegliato gli studenti. –
- E’ questo è un male? – Chiese Hermione, affannata per la corsa. Forse gli studenti avrebbero potuto aiutarli. Se si escludeva i Serpeverde, le altre Case non avrebbero mai fatto del male ad altri ragazzi senza alcun motivo.
- Questo è terribile! – Rispose invece lui, la voce resa roca dalla paura e dall’urgenza – Dobbiamo uscire di qui il più in fretta possibile, capiranno presto dove siamo e allora per noi sarà la fine. –
Svoltarono in un nuovo corridoio, più stretto e più basso del precedente. Draco stringeva con una mano il braccio di Hermione e con l’altra la torcia. Le fiamme sembravano correre insieme a loro e molte volte la ragazza temette che i suoi capelli potessero prendere fuoco. Tuttavia quella era la loro unica fonte di luce, senza la quale sarebbero stati ciechi e persi in quel labirinto di cunicoli e ombre, senza alcuna possibilità di riuscire ad uscirne più fuori.
Svoltarono di nuovo e poi ancora e ancora, a volte scendendo, a volte salendo. Hermione perse completamente l’orientamento e si chiese, con una punta di timore, se Draco sapesse davvero dove stavano andando.
Svoltarono ancora, ma stavolta quello che si ritrovarono davanti fu una galleria grande e spaziosa, con una strana luminescenza in fondo.
- Quando te lo dico, trattieni il respiro. – Le disse Draco, voltandosi a guardarla per un millesimo di secondo.
- Cosa? – Hermione era confusa.
- Fa’ come ti dico! –
Il ragazzo sembrò prendere velocità. Le gambe di Hermione stavano quasi cedendo per la stanchezza ma si costrinse a continuare a correre, stringendo i denti e lasciandosi guidare dalla mano ferma e sicura di Draco.
Il bagliore perlaceo in fondo al tunnel si faceva sempre più grande e sempre più nitido, accompagnato da un rumore scrosciante che Hermione capì essere acqua che cadeva sull’acqua. Si aspettò di vederla, quindi, di vedere la cascata che già era comparsa nella sua mente non appena aveva percepito quel rumore; ma l’unica cosa che vide fu un muro, un muro che baluginava perlaceo come l’acqua, ma pur sempre un muro fatto di solida e dura roccia, e loro gli stavano finendo proprio addosso.
Cercò di fermarsi, puntando i piedi e trattenendo con entrambe le mani il braccio di Draco, ma lui non sembrò neppure sentire tutti i suoi sforzi e quando ormai non rimanevano che pochi metri allo schianto, Hermione chiuse gli occhi e urlò, urlò con quanto fiato aveva in gola, aspettandosi il dolore, il colpo, la pelle che si lacerava, il sangue che fuoriusciva e poi l’oblio. Ma nulla di tutto questo avvenne. Sentì solamente un altro urlo, quello di Draco, ma non era di disperazione, né di paura. Era determinato e sicuro, quasi fosse un ordine. E allora lei capì.
Inspirò più aria di quanta ne potessero contenere i propri polmoni e serrò la bocca, trattenendola dentro di sé come un tesoro raro e prezioso.
Poi, all’improvviso, non stava più correndo. I suoi piedi si muovevano come nella corsa ma non c’era pietra sotto di essi, né superficie alcuna e l’aria sferzava la sua faccia in modo quasi violento e doloroso.
Stavano precipitando.
Fu tentata di urlare, ancora, ma si costrinse a serrare le labbra e a trattenere dentro l’aria che aveva inspirato un attimo prima. Non poteva mollare, non ora.
La caduta sembrò durare un’eternità. Il suo senso del reale l’aveva abbandonata, tutto attorno a lei c’era solo oblio e l’unica cosa che la ancorava fermamente alla realtà era la mano di Draco, stretta così vigorosamente attorno alla sua da farle quasi male. Ma era un dolore dolce, immensamente dolce.
Quando finalmente penetrarono l’acqua fu quasi un sollievo. Tutto scomparve attorno a lei: le segrete, il rumore, il mondo intero si dissolse. Tutto, tranne la mano di Draco.

 

Quando arrivarono sulle rive del Lago Nero erano entrambi esausti ed intirizziti. Avevano nuotato per più di un’ora, prima fuori dalla caverna nascosta sotto le segrete, poi attraverso il lago, fino a raggiungere la sponda più vicina a loro.
Non appena toccò terra, Hermione crollò supina sull’erba, respirando a pieni polmoni e cercando di calmare il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Draco la raggiunse un attimo dopo e si chinò su di lei, offuscandole la vista delle stelle.
- Stai bene? - Le chiese, mentre gocce d’acqua colavano dai suoi ciuffi biondi e cadevano fin sulla sua fronte.
Hermione annuì, raccogliendone una con la punta delle dita prima che cadesse.
- Allora sarà meglio andarcene immediatamente. Il Signore Oscuro capirà presto dove siamo. – Un altro boato si propagò nella notte, più forte dei precedenti – O forse l’ha già capito. -
La aiutò ad alzarsi. Sotto la luce della luna la loro pelle scintillava di migliaia di piccole gocce e i loro vestiti grondavano di acqua fredda e limpida. Hermione rabbrividì nell’aria gelida della notte.
- Andiamo, dobbiamo raggiungere il cancello. – La prese di nuovo per mano, come se lei non potesse fare un passo senza la sua guida e la sua protezione. E per un momento, per un breve momento, si cullò in quella sensazione magnifica.
Ma fu solo un attimo.

Crack!

Il rumore li colse impreparati, facendoli sobbalzare. Una figura esile emerse dagli alberi lì intorno, a un centinaio di metri di distanza, con la bacchetta puntata contro di loro e gli occhi accesi di determinazione.
Hermione corrugò la fronte, perplessa. Era solo un ragazzino, forse del secondo anno o addirittura del primo, ma quello che le fece strabuzzare gli occhi furono i colori della sua divisa: rosso e oro.
Alzò le mani quasi istintivamente – Ehi, stai tranquillo, non vogliamo farti alcun male… -
L’incantesimo la colpì ancor prima che finisse di parlare, lasciandole uno squarcio nella pelle delicata sotto l’avambraccio. Il sangue cominciò a fuoriuscire dalla ferita quasi immediatamente.
- Dovresti preoccuparti più del male che potrei farti io. – Rispose il ragazzino, la voce dura e decisa.
Hermione si portò la mano alla ferita, incredula, mentre, nello stesso momento, Draco puntava la sua bacchetta contro il giovanissimo Grifondoro.
- No! – Esclamò lei, terrorizzata – E’ solo un bambino. -
- E’ sotto Imperio. – Ribattè Draco – Come tutti loro. –
Hermione capì a cosa si stava riferendo quando decine, centinaia di studenti emersero dal folto degli alberi, tutti con le bacchette in pugno, tutti con quell’espressione letale sul viso.
Draco si mosse in avanti per coprirla, ma Hermione lo trattenne per un braccio – Non puoi far loro del male. Non sanno quello che fanno. –
- Purtroppo sanno benissimo lanciare un incantesimo e tu sei senza bacchetta. -
Su questo non poteva ribattere. Si era risvegliata in quel mondo senza la sicurezza e la protezione della sua bacchetta e anche in quel momento non poterla stringere fra le mani la faceva sentire stranamente nuda e immensamente più vulnerabile. Ma, allo stesso tempo, non riusciva a capire come Draco potesse affrontare da solo centinaia di studenti di Hogwarts, in grado di lanciare decine di incantesimi da decine di angolazioni diverse.
Fece scivolare una mano in quella di lui, quella che non impugnava la bacchetta, e insinuò le dita tra le sue, stringendole in una morsa ferrea. Draco voltò la testa di scatto, puntando lo sguardo sulle loro mani intrecciate, ed Hermione capì immediatamente che l’espressione che era affiorata sul suo viso era diversa da qualsiasi altra espressione lei avesse visto fino ad ora. Come lui capì che quella stretta era completamente diversa dal tocco con cui l’aveva trascinata per quasi mezzo castello. Quello era semplice e disperato, dettato da un bisogno di sopravvivenza e protezione. Questo, invece, esprimeva forza, coraggio, determinazione, diceva che non era solo e che insieme avrebbero potuto affrontare tutto, anche centinaia di studenti i quali non desideravano altro che ucciderli.
- Non mi metterò da parte mentre tu rischi la vita per me. E’ per causa mia che siamo in questa situazione. -
L’espressione sul viso del ragazzo si rabbuiò – Hermione, non… -
- Non mi nasconderò dietro di te, Draco! -
Lui evitò di ribattere, anche se la conosceva da poco sapeva che sarebbe stato tempo perso. Tuttavia non potè fare a meno di irritarsi. Era quasi tentato di lasciarle la mano, se quel gesto non fosse stato così piacevole.
- Ma che quadretto commovente. -
Per un attimo, per un piccolissimo istante, entrambi si erano perfino dimenticati di dove si trovavano e di quante persone stavano loro attorno, ma quella voce li riportò bruscamente alla realtà. Una voce che sarebbe potuta essere scambiata per quella di uno studente qualunque, se non fosse stato per il gelo insito in ogni suono, in ogni sillaba di quella frase sprezzante. Anche il suo aspetto era normale, quasi anonimo, con quei suoi capelli neri, il volto pallido e gli occhi scuri, tanto che si sarebbe potuto confondere perfettamente con gli altri studenti, se questi non si fossero fatti da parte al suo passaggio, circondandolo ora come le ali di un immenso corvo nero.
Tom Riddle li osservava gelidamente, il volto una maschera di odio puro, gli occhi ridotti a due fessure.
- Credevate davvero di potermi raggirare? Di poterla fare franca in questo modo? Di poter prendere in giro ME? -
Fece qualche passo verso di loro. A differenza degli altri non aveva la bacchetta puntata, ma tutti e due sapevano che gli sarebbe occorso un millesimo di secondo per estrarla ed ucciderli entrambi.
Hermione strinse più forte la mano di Draco e questa volta lui rispose al gesto quasi immediatamente. Tom Riddle non mancò di notarlo.
- Questo però va oltre le mie fantasie più argute. Mi hai deluso profondamente, Draco. – E sarebbe potuto sembrare davvero deluso, se il suo disgusto non fosse stato tanto palese.
- Punti di vista, mio signore. – Rispose lui, la voce ferma intaccata solo leggermente da una punta di nervosismo. Strinse la mano di Hermione ancora più forte – Io, al contrario, non sono mai stato bene come adesso. Sono libero finalmente! –
Voldemort rise. E il riso era talmente strano sul suo volto da risultare immediatamente inquietante.
- E quanto vale la libertà per un uomo morto, Draco? Sai rispondere a questa domanda? -
- Meglio morire da uomo libero che vivere da prigioniero. –
- Una risposta dannatamente stupida. A cosa servirà la tua libertà quando non sarai altro che cibo per i vermi? A cosa sarà servito il tuo tradimento quando anche i tuoi genitori verranno sterminati e del nome dei Malfoy non rimarrà nient’altro che un pallido ricordo nei libri di genealogie magiche? –
Draco deglutì ed Hermione si rese conto che forse per la prima volta lui stava pensando alle reali conseguenze delle sue azioni. Tutti gli sforzi compiuti in quegli anni, la difficoltà nel celare al Signore Oscuro i suoi veri sentimenti, l’obbedienza cieca alle sue regole per far in modo che a nessuno dei suoi cari venisse fatto del male, la bile ingoiata decine e decine di volte quando era costretto a fare cose che non voleva. Tutto bruciato per una sola scelta, tutto finito per l’unica volta in cui si era ribellato. Tutto per lei.
La guardò e per un attimo Hermione temette che lui avesse cambiato idea e che improvvisamente la gettasse tra le braccia di Voldemort, dandosi dello stupido per essere crollato per quell’unica volta.
Ma nulla di tutto questo accadde. Il ragazzo riportò lo sguardo su Voldemort e sui suoi improbabili seguaci, lo sguardo fermo come mai era stato fino a quel momento.
- Confido che quando questo accadrà anche tu sarai un pallido ricordo, mio signore. -
Tom Riddle contrasse il volto in maniera spaventosa, distorto dall’ira e dalla furia. Con un movimento fulmineo estrasse la bacchetta e la puntò, ma non contro di lui, non contro Draco.
- AVADA KEDAVRA! –
Hermione vide la luce verde che si dirigeva inesorabile verso di lei, senza avere la forza di spostarsi e scappare. Rimase immobile ad aspettare la morte. Terrorizzata, certo, ma forse anche rassegnata. Forse era quello il suo destino. Se tutti i suoi amici erano morti, perché doveva sopravvivere soltanto lei?
Venne strappata da quei pensieri da un urto violento, lo stesso urto che le fece staccare i piedi da terra e la fece volare, libera per un solo istante, finchè la sua schiena non toccò dolorosamente l’erba sotto di lei.
Non venne il silenzio, come invece si aspettava. Il mondo ancora esplodeva attorno a lei e la terra rimbombava di centinaia di passi in rapido avvicinamento. Aprì gli occhi e fu solo in quel momento che notò qualcosa che le premeva pesantemente sul torace.
No, non qualcosa. Qualcuno.
I capelli biondi le solleticavano il viso e, mentre faceva forza sulle braccia per alzarsi, già aveva capito cosa era successo.
- No! – Urlò – NO!-
Il corpo di Draco le impediva di respirare, ma non era per questo che piangeva, né per il dolore della caduta, né per il terrore che Voldemort la uccidesse.
Voltò la testa. L’esercito di studenti e di insegnanti di Hogwarts, con Tom Riddle in testa, era a poco più di un centinaio di metri da lei. Da loro.
Non poteva permettere che li raggiungessero.
Sfilò la bacchetta dalle mani inerti di Draco e la puntò contro il cielo.

- PROTEGO! –
Un lampo di luce azzurra sprizzò dalla bacchetta, con talmente tanta forza che anche lei ne fu stupita. Scie di luce caddero tutte attorno a loro, fino a formare una cupola impenetrabile. Nessuno poteva più toccarli ora.
Hermione sollevò con delicatezza il corpo di Draco e lo voltò fino a poggiarlo accanto a lei. Aveva uno squarcio alla base del collo che sanguinava copiosamente, impregnando i vestiti già bagnati.
Hermione ignorò le lacrime e si sfilò il maglioncino della divisa, premendolo sulla ferita sanguinante.
- Perché lo hai fatto? – Gemette dopo un po’, quando non riuscì più a trattenere le lacrime – Non mi conoscevi nemmeno. Non ero niente per te.- Le sue parole vennero interrotte da uno spasmo improvviso, la ragazza sobbalzò vistosamente.
- Tu eri… sei la mia salvezza. –
Il sussurro era quasi impercettibile, ma di certo inconfondibile. Merlino, non era morto. Non era morto!
- Draco! Ma come… - Era confusa. L’anatema che uccide non da’ scampo. L’unico che era riuscito a sopravvivere era morto da tempo in quel mondo. Draco si era frapposto fra lei e la maledizione, avrebbe dovuto anch’esso essere morto, come Harry, come Ginny, come Ron.
- Io ci credo davvero nel tuo mondo. – Balbettò flebilmente. La sofferenza impressa in ogni parola – Credo davvero che io possa essere meglio di così. Ora ci credo. –
Hermione gli strinse la mano – Draco… - Ormai non riusciva a dire altro.
- E’ stato solo grazie a te. Tutto è stato solo grazie a te. – Sorrise debolmente  – Non morire. –
- Tu non morire! Non puoi, non puoi! – Urlava istericamente, una mano aggrappata a quella di lui, l’altra a premere sulla ferita. Quasi non si accorgeva del caos che stava avvenendo fuori la sua protezione. Tutto quello che importava era lì dentro.
- Io ero già morto, prima. Questo, adesso, è solo un dolce sogno. Tu mi hai salvato. Hai risvegliato la parte migliore di me. Ora sono vivo! -
Hermione lo guardò, incredula, stupita. Lui sorrideva e mai visione era stata più bella. E in quel momento capì che quello che aveva detto Ron non era affatto vero. Draco non fingeva di amarla solo perché era famosa, solo perché era un’eroina, solo per riscattare il suo nome agli occhi del Mondo Magico. Se fosse stato così, ora non l’avrebbe guardata con quegli occhi, spalancati, profondi, colmi di un sentimento immenso. Era la stessa espressione che vedeva ogni volta che lui la guardava e che ora era più vera che mai perché lui non aveva la minima idea di chi fosse. Draco la amava perché, sia lì che nel mondo da cui veniva, lei aveva catturato la parte migliore di lui e l’aveva messa a nudo, spogliandola da tutti gli artifizi, da tutte le catene morali, dall’orgoglio, dal pregiudizio radicato, dal falso perbenismo. Lei lo aveva denudato di tutto ciò mostrandolo al mondo per ciò che era davvero: un ragazzo fragile ma coraggioso, un ragazzo che aveva dimostrato, soprattutto a se stesso, che non è mai troppo tardi per tornare indietro, per fare le scelte giuste, per amare davvero. E questo lei lo aveva fatto anche lì, in appena poche ore.
Si era innamorato di nuovo di lei, così velocemente da esserne anch’essa sorpresa e in quel momento capì quanto fosse stato forte il dubbio che Ron avesse ragione. Ma ora non c’era più alcun dubbio, lei era sicura e fu con un cuore immensamente più leggero che avvicinò le labbra alle sue, toccandole con delicatezza e assaporando il suo odore. Odore di vittoria, odore di riscatto.
Ma tutto finì troppo presto e lei lo stava ancora baciando quando il cielo sopra di loro esplose, le stelle caddero tutte intorno e il terreno si aprì, inghiottendola nelle sue profondità.
Gridò, gridò con quanto fiato aveva in gola, allungando la mano affinché lui la afferrasse, affinché la salvasse. Ma tutto era ormai scomparso, inghiottito dall’oscurità.
- Draco! DRACO! –

 

***

 

- Hermione! Hermione, svegliati! HERMIONE! -
Mani la stavano scrollando vigorosamente, ma non senza una certa dolcezza.
Lei aprì gli occhi, lentamente, sbattendoli più di una volta. Aveva la vista annebbiata e la mente ancora più confusa. Le urla, gli incantesimi, lo scoppio e i tonfi, tutto si era acquietato e ora solo la voce del ragazzo che la scrollava rompeva il silenzio.
Tutto intorno a lei c’era un biancore innaturale e, chinati su di lei, figure evanescenti con sfumature dorate, rosse, corvine. Non riusciva a distinguere i loro volti.
- Sono in paradiso? – Chiese, con una voce che stentò a riconoscere come la propria.
Ci fu una risata, sommessa, nervosa, quel tipo di risata che fuoriesce incontrollata quando la tensione scende di colpo.
- Beh… se fosse così saremmo il gruppo di angeli più strampalati che si sia mai visto. -
Lei sorrise, quasi contro la propria volontà. Ora le immagini attorno a lei si stavano facendo più nitide e precise, ma non erano state necessarie quelle per capire chi le stava parlando e la stava toccando.
- Draco… -
- In carne ed ossa. – Rispose lui, la tensione ancora percepibile in fondo alla sua voce.
Stava chinato su di lei. Ora Hermione poteva vedere con chiarezza la sua espressione angosciata e sollevata al tempo stesso. I suoi capelli biondi erano scompigliati e gli ricadevano disordinatamente davanti agli occhi. Lo immaginò mentre, in preda alla tensione, aveva fatto passare la sua mano destra innumerevoli volte tra quei ciuffi. Ciuffi su cui ora si rifletteva il bagliore dorato del sole al tramonto e Hermione capì che era quello il bagliore che all’inizio lo aveva fatto scambiare per un angelo.
Dietro di lui, con espressione ugualmente preoccupata, stava Harry, quasi in disparte. Non disse una parola ma quando lei gli sorrise la sua espressione si rilassò di molto.
Alla sua sinistra invece stava Ginny, il viso congestionato dal pianto mentre stringeva una mano tra le sue.
Mancava una persona. Hermione lo cercò con lo sguardo attraverso l’Infermeria finchè non lo vide, accanto alla porta, le mani in tasca, mentre la guardava con un’espressione strana. Colpevole, forse, con una faccia che voleva chiederle scusa ad ogni sguardo. Ma lei lo aveva già perdonato.
- Che cosa mi è successo? – Disse dopo un po’, a nessuno in particolare.
- Stavi litigando con Ron e ad un tratto sei svenuta, così, senza motivo. – Era stato Harry a rispondere.
- Ci siamo preoccupati un sacco, Herm. – Ginny, le lacrime ancora che sgorgavano dai suoi occhi - Non riprendevi conoscenza e poi parlavi, urlavi, piangevi. Non sapevamo cosa fare così ti abbiamo portato qui. Madama Chips ha detto che non dovevamo disturbarti e che presto saresti tornata da noi. –
- Che cosa ti faceva urlare in quel modo? – Le chiese Harry – Abbiamo avuto paura, sembrava che stessi soffrendo molto. –
E lei aveva sofferto, in una maniera indicibile, più di quanto avesse mai sofferto in vita sua, anche se credeva che ormai non fosse più possibile. Ma come poteva dirlo ad Harry? A Ginny? A Ron? Come poteva dirgli che tutti loro erano morti? Come poteva spiegare il senso di abbandono e sofferenza che aveva provato in quei momenti? Non ci sarebbe mai riuscita.
- Non ha più importanza adesso. – Intervenne Draco, la voce sicura e perentoria di chi vuole risparmiarle altre sofferenze - E’ tutto finito. E’ stato solo un brutto sogno. –
Ma lei sapeva che non era vero. Era stato solo un semplice ed imprudente desiderio, combinato alla sua disperata ricerca della verità a farla precipitare in quel luogo orribile. Ma ora non aveva più importanza. Draco era lì e anche i suoi amici erano lì e tutti la amavano, sebbene ognuno in maniera diversa, e il mondo non sarebbe potuto essere più perfetto.
Ma ugualmente pensò a quello che si era lasciata alle spalle e capì che cosa sarebbe successo se lei, semplicemente, non fosse mai nata: tutti i suoi affetti più cari non sarebbero sopravvissuti e il mondo avrebbe avuto, tanto semplicemente quanto drasticamente, un destino diverso.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Ed ecco qui l’ultimo capitolo, miei lettori. Un capitolo che ha richiesto molto lavoro, molto più del previsto, nonostante avessi già chiaro in mente quello che sarebbe dovuto accadere. Spero quindi che vi sia piaciuto.
Questa storia, come molti mi hanno fatto notare, voleva essere un elogio ad Hermione, alla sua astuzia, al suo coraggio, alla sua prontezza, senza le quali la storia che tutti conosciamo non sarebbe mai esistita. Era da tanto che l’avevo in mente e spero di aver fatto un buon lavoro, sarete voi a giudicare.
Un grazie affettuoso a tutti quelli che mi hanno seguito in questa breve avventura, con la speranza di ritrovarvi presto a commentare in un’altra delle mie storie.
Baci.

Sundayrose

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