You will be in my heart di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cosa ho fatto? ***
Capitolo 2: *** È colpa mia ***
Capitolo 3: *** Tornare indietro ***
Capitolo 4: *** Silenzioso ***
Capitolo 5: *** Ninnananna ***
Capitolo 6: *** Tre anni dopo - Incubo ***
Capitolo 7: *** Euforia ***
Capitolo 8: *** Aura ***
Capitolo 9: *** Troppo semplice ***
Capitolo 10: *** E la fine diventa l'inizio ***
Capitolo 11: *** Illusione ***
Capitolo 12: *** Il passato ***
Capitolo 13: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 14: *** Oltre la ragione ***
Capitolo 15: *** Dove nessuno si fa male ***
Capitolo 16: *** Sodalizio ***
Capitolo 17: *** Chi va e chi resta ***
Capitolo 18: *** Cadere e rialzarsi ***
Capitolo 19: *** Al peggio non c’è mai fine? ***
Capitolo 20: *** Un tentativo in più ***
Capitolo 21: *** Abbracci ***
Capitolo 22: *** Ritorno al futuro ***
Capitolo 23: *** Perché? ***
Capitolo 24: *** Tu sarai nel mio cuore ***
Capitolo 1 *** Cosa ho fatto? ***
AVVERTIMENTO: L'inizio della storia è ispirato a "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano. Visto e considerato, però, che quel benedetto romanzo non l'ho mai finito, il resto della trama sarà completamente di mia invenzione.
You will be in my heart
Capitolo 1
– Cosa ho fatto?
«Trunks, io sono stufa!»
Il ragazzo
sospirò esasperato.
E Trunks
sono stanca e Trunks ho sete, e Trunks mi prendi quel gioco, e
Trunks entriamo in pasticceria… Certo che sua sorella era
davvero una lagna!
Per di
più, quel giorno era stato obbligato a portarsela
appresso.
E pensare
che avrebbe dovuto essere una festa tra ragazzi, lui, Goten e
basta!
Invece, a
causa di un convegno, sua madre si era ritrovata fuori casa,
e di conseguenza lui era stato obbligato a trascinarsi dietro quella
mocciosa di quattro anni, che non faceva altro che piagnucolare,
urlando e battendo i piedi.
Il giovane
aveva provato a convincere i genitori che quella serata era
davvero importante, e in fondo era più di un mese che lui e
il suo migliore amico la progettavano!
Quella,
poi, era la loro occasione: Chichi era riuscita a trascinare il
marito in un locale di cui aveva letto ottime critiche,
perciò la casa sui Paoz sarebbe stata tutta per loro due.
Avrebbero potuto spassarsela in santa pace, chiacchierando e guardando
qualche film. Magari avrebbero persino ritentato la tecnica della
Fusione, dopo tanti anni in cui non l’avevano più
sperimentata.
I suoi,
però, non gli avevano dato il minimo ascolto. Anzi,
persino suo padre l’aveva apostrofato seccamente,
intimandogli di non fare il bambino. E pensare che mai prima di allora
si era intromesso in una faccenda simile!
«Comprami
un gioco, così dal tuo amico non mi
annoio!» pretese in quel momento Bra, pestando i piedi e
strattonando la mano del fratello.
«Io
il gioco non te lo compro» ribatté
Trunks, irritato da tutti quei capricci. Altro che serata tra uomini!
Con la sorellina che si lagnava ininterrottamente, sarebbe stato un
inferno!
La bambina,
dal canto suo, non pareva per niente contenta della
risposta del ragazzo. «Io voglio un gioco!»
strillò, gonfiando le guance per dare maggior enfasi alla
dichiarazione.
Trunks fece
per replicare, esasperato, ma i suoi occhi furono distratti
dall’entrata del Parco della Città
dell’Ovest, che si trovava poco lontano. Era in quel parco
giochi che lui e Goten avevano sempre giocato da bambini; in quel parco
giochi che Bra era stata più volte accompagnata…
E,
improvvisamente, un’idea balenò nella mente del
giovane. «Senti, Bra» esordì lui,
deviando verso l’entrata del parchetto, «vorresti
stare in un luogo da principesse?»
La bambina
lo guardò, e il suo visetto mostrò
un’espressione compiaciuta. «Io sono una
principessa» ricordò. «Ci voglio stare!
Dimmi dov’è!»
Trunks la
condusse vicino ad una casetta di legno, posta proprio
accanto allo scivolo che un tempo era stato il suo preferito,
perché più alto di tutti gli altri.
«Eccola» disse alla sorellina, «questa
dimora fa parte di un regno incantato… Vuoi restare qui ad
aspettarmi?»
«Io
sono una principessa» ribadì Bra.
«Sto nel luogo delle principesse».
Ciò
detto, lasciò la mano del fratello ed
andò a sedersi all’interno della casetta,
tenendosi ben stretta nella propria giacchetta di jeans.
«Bene»
sorrise Trunks, «allora io
vado». Deglutì, esitando. «Tu non
muoverti, però» si affrettò a
raccomandarsi. «Rimani ferma qua».
Bra
alzò gli occhi azzurri, incrociando quelli dello stesso
colore del fratello, ed annuì.
Allora,
incerto, il ragazzo si diresse verso l’uscita del
Parco. Dapprima si voltò indietro ogni due passi a cercare
con gli occhi la chioma turchina della sorellina, poi, assicuratosi che
Bra restava ferma nella casetta, prese a camminare con maggior
velocità, e infine si alzò in volo.
L’aura
di Bra non era potente, eppure baluginava nella mente
del ragazzo, e per merito della natura mezza saiyan e mezza terrestre
della bambina, era abbastanza particolare per non smarrirsi tra tutte
le altre forze spirituali del mondo.
Infatti,
nel momento in cui il ragazzo atterrò davanti a
casa Son, riusciva ancora a percepire distintamente la bambina.
Goten lo
accolse con entusiasmo ed impazienza. «E
Bra?» domandò, perplesso, quasi si fosse ricordato
di colpo del fatto che la piccola avrebbe dovuto essere presente.
«Non
l’ho portata» rispose Trunks,
evasivo, sentendo un’ondata di disagio.
Goten
sorrise con la spontaneità che lo caratterizzava.
«Visto? Sapevo che i tuoi genitori avrebbero
capito!» esclamò.
“Invece
no, non hanno capito” pensò
Trunks, e per un momento il malessere causato dall’aver
lasciato sola la sorellina fu sostituito dalla scontentezza per il
fatto che tanto il padre quanto la madre avessero preso le difese di
quella peste.
Seguì
Goten in salotto, mentre prendevano a parlare del
più e del meno.
L’amico
si era organizzato in modo che ci fosse il
frigorifero pieno e a loro completa disposizione. Tra un morso e
l’altro, i due ebbero maniera di scherzare e concordare su
quanto i loro padri premessero affinché loro si allenassero.
Goten era
allegro, spensierato come quando era un bambino ma con un
interesse decisamente più spiccato per le ragazze.
Trunks,
però, non riusciva a sentirsi a proprio agio. Aveva
la gola asciutta e, nonostante fosse sicuro di avvertire
l’aura di Bra, bastò che trascorresse una manciata
di minuti perché l’ansia lo invadesse.
Ad un certo
punto, poi, non resse più. Si alzò di
scatto dal divano e, ignorando le domande esterrefatte e gli occhi
interdetti di Goten, si lanciò in volo verso il Parco.
Col cuore
in gola, notò che ormai si era fatto buio.
Immaginò la sorellina sola, e il senso di colpa mise gli
artigli sul fondo del suo stomaco.
Vedere le
luci della Città dell’Ovest non gli
comunicò nessun sollievo, e quando finalmente
atterrò ebbe l’impressione di essere sul punto di
soffocare. Corse a perdifiato sino alla casetta, e quando
sbirciò all’interno si sentì mancare.
Di Bra non
era rimasta neanche l’ombra, ma solo un guantino
di lana con un cagnolino ricamato sopra.
«Bra!»
urlò il ragazzo, con il cuore che
batteva all’impazzata. La sua voce uscì distorta e
stonata. “Cosa ho fatto, cosa ho fatto?!”
«Bra!»
Il silenzio
che gli giunse in risposta lo fece tremare sin dentro le
ossa.
«Bra!»
Si mise
alla ricerca della bambina, disperato, chiamandola ad alta
voce, correndo da un gioco all’altro. Il cigolio della
altalene mosse dal vento sembrava aggiungere un ché di
spettrale all’atmosfera cupa del Parco deserto.
«Bra!»
gridò ancora, angosciato.
Nulla.
Barcollante,
il ragazzo si sentì assalire da
un’ondata di nausea, e per evitare di cadere dovette
appoggiarsi ad un albero. La corteccia graffiò la sua pelle,
ma lui non vi badò.
Ripensò
agli occhioni azzurri della sorellina…
Come aveva potuto essere così bastardo?
Tremante,
sconvolto, si prese il volto tra le mani.
In quel
momento, Goten atterrò accanto a lui.
«Trunks» chiese, confuso, «che
è successo?»
Il giovane,
pallido in viso, fissò l’amico.
«Goten» mormorò. «Che cosa ho
fatto...»
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Capitolo 2 *** È colpa mia ***
Capitolo 2 – È colpa mia
«Come ho potuto, Goten?! Come ho potuto!»
Trunks
sollevò gli occhi sconvolti sull’amico.
Avevano
cercato tutta la notte in lungo e in largo, ma di Bra non
avevano trovato nemmeno una minima traccia. Anche l’aura
della bambina non si sentiva più, come uno sbuffo di profumo
cancellato dal vento.
«Tu
non sai cosa le ho detto… Ho detto che la
lasciavo lì perché era un posto da
principesse» proseguì il giovane, con voce
straziata. «E lei ci credeva, Goten, mi credeva. Avrei dovuto
pensarci! Avrei dovuto considerare che è solo una
bambina!»
Il moro lo
guardò in un silenzio allarmato. Era agitato a
propria volta – tanto che il sudore iniziava ad attaccargli
la maglia alla schiena –, ma guardando Trunks non poteva fare
a meno di sentirsi maggiormente nervoso.
«Trunks»
disse, tentando di dare alla propria voce
un tono ragionevole, «non preoccuparti. Non può
essere lontana. Andiamo… andiamo a casa tua, poi potremo
chiamare la polizia».
Trunks si
sentì, se possibile, ancor più
sgomento. Dire ai propri genitori quel che era successo… Sua
madre avrebbe sofferto, e tutto per colpa sua. Come aveva potuto
abbandonarsi a quel gesto, cedendo all’esasperazione? Avrebbe
dovuto fermarsi a ragionare, ricordare la risata di Bra e quanto la
bambina sapesse essere affettuosa…
E suo
padre, poi?
Al pensiero
di come avrebbe potuto reagire Vegeta, si sentì
rabbrividire, ma poi si dissi che, qualunque punizione il padre gli
avrebbe inflitto, se la sarebbe meritata.
«Andiamo»
disse, faticando a tirar fuori le parole
dalla propria gola.
Camminarono:
Trunks barcollava ed aveva la nausea, e si sentiva troppo
stremato per volare.
Nel
constatare la propria debolezza, cercò di riprendersi.
“No” pensò, “non devo sembrare
debole di fronte ai miei genitori. Loro devono sapermi dare tutta la
colpa che ho”.
Si
appoggiò a Goten.
Continuava
a pensare a Bra, solo a Bra, al suo sguardo curioso quando
loro madre le faceva vedere qualcosa di nuovo, alle sue manine,
così impacciate ogni volta che provava a sistemarsi
l’elastico per capelli, ai suoi occhi blu… Si
sentiva soffocare dal peso di quel che aveva fatto, a desiderare
disperatamente di poter tornare indietro e cambiare atteggiamento, e la
notte era solo una cornice scura attorno all’impotenza che
minacciava di fargli scoppiare il petto.
Eppure,
nonostante tutto, una parte di lui, un minuscolo angolo della
sua mente, continuava a sperare.
Sperava.
Sperava di
arrivare a casa e trovare la sorellina, al caldo e al
sicuro, con i genitori. Sperava che lei, stufa di attenderlo, fosse
semplicemente tornata alla Capsule Corporation.
E lui
l’avrebbe abbracciata con tutte le proprie forze,
sentendo le lacrime pungergli gli occhi, e non gli sarebbe importato
nemmeno dei rimproveri dei suoi genitori.
E mentre
quei pensieri si agitavano nella sua mente, continuava ad
incespicare dietro a Goten.
Dopo un
po’, la sagoma della Capsule Corporation
iniziò a profilarsi in fondo alla via. I due ragazzi
procedettero lenti, quasi con cautela. I fanali delle auto li
illuminavano per pochi istanti, momenti in cui sembravano spalancarsi
sbalorditi, chiedendosi come mai quell’aria di tragedia.
Infine, a
passi lenti e faticosi, Goten e Trunks giunsero alla porta
dell’abitazione dei Briefs. Il giovane dai capelli lilla
sentì lo stomaco serrarsi maggiormente, mentre la nausea e
l’orrore salivano. Com’era possibile che ci fosse
una tale atmosfera di pace?
Le sue dita
gelate annasparono alla ricerca delle chiavi, a malapena
riuscirono ad afferrarle. Le passò a Goten, poggiandosi
pesantemente allo stipite, colto da un giramento di testa.
Iniziò a sforzarsi di respirare piano, tentando di calmarsi
almeno un po’.
Quando
udì la porta girare sui cardini, si tirò
in piedi, entrando con Goten.
I due
giovani percorsero il corridoio nel più completo
silenzio, sino a sbucare nell’atrio.
Lì,
Trunks si fermò di colpo. Sia sua madre che
suo padre erano davanti a lui. Bulma era evidentemente appena
rincasata, mentre Vegeta sembrava aver soddisfatto da poco il proprio
appetito.
Entrambi si
voltarono simultaneamente verso i mezzi saiyan che avevano
fatto il loro ingresso.
«Già
finita la serata?»
domandò Bulma con un sorriso: evidentemente non si era
accorta dell’assenza di Bra.
Trunks
barcollò in avanti. «Mamma»
iniziò, con voce tremante, «Bra
è…»
Poi, senza
poterne fare a meno, nonostante ciò che si era
ripromesso, vomitò sul pavimento.
Bulma, se
nell’udire quanto suonava incerta la voce del
primogenito si era allarmata, ora era davvero preoccupata.
«Trunks, che è successo?!»
esclamò, balzando verso il figlio.
Il ragazzo
alzò il viso, passandosi un braccio sulla bocca.
«Mamma, io… Bra… oh, mamma!»
Fece una pausa. «È successa una cosa orrenda,
mamma, ed è colpa mia, è tutta colpa
mia».
Bulma si
protese verso di lui, angustiata. «Ma che
dici?»
«Io…
ho lasciato Bra da sola al parco»
riuscì finalmente a dire il ragazzo, sentendosi come se ogni
suono emesso gli avesse trafitto la gola. «E poi, quando sono
tornato…»
Non ebbe la
forza di concludere, ma le sue parole non dette aleggiarono
nell’aria con maggior presenza di quanto avrebbero fatto se
pronunciate.
Dopodiché,
Trunks si girò verso Vegeta, che aveva
assistito a tutta la scena. «Forza,
papà» mormorò, tentando di soffocare il
dolore che gli lacerava il petto. «Puniscimi, fammi del male.
Dammi quel che merito».
Il Principe
dei Saiyan alzò lentamente il capo.
Prima aveva
ricevuto la notizia che la sua secondogenita era scomparsa
– la sua Bra, finita chissà dove – e ora
suo figlio, con espressione sconvolta, lo spronava a ferirlo. Tutto
ciò era troppo per riuscire a mantenere la maschera di
indifferenza che lo contraddistingueva.
«Ma
che vai dicendo, Trunks?!
Piuttosto…» Si rivolse a Goten che, impietrito,
aveva osservato tutto, e gli disse bruscamente: «Accompagnalo
in camera sua. Io vado a cercare Bra. Bulma»
proseguì, rivolgendosi seccamente alla moglie,
«chiama la polizia e tutto ciò che
vuoi…» Si interruppe per un momento, poi concluse:
«Avverti anche Kakaroth e il resto dei tuoi amici».
La donna
annuì e, nonostante avesse le guance pallide rigate
di lacrime, si affrettò a fare come ordinato dal saiyan.
Goten si
riscosse e prese a sospingere Trunks in direzione della sua
stanza, ma ad un certo punto il giovane Brief si voltò.
«Papà, stai sbagliando!»
urlò, in tono disperato. «Sono stato io, non
capisci?! È colpa mia!»
Goten
dovette trattenerlo per evitare che si lanciasse verso Vegeta e
lo costrinse a proseguire, nonostante Trunks si ribellasse con forza.
Il Principe
restò immobile per qualche istante, le linee del
viso più tese del consueto, dopodiché si
girò ed uscì dalla porta.
Nel
frattempo, il secondogenito di Goku era riuscito a far sedere
Trunks sul letto. Il ragazzo fissava un punto indefinito con aria
assente, tremando violentemente, e continuava a ripetere quanto fosse
colpa sua, e a pronunciare il nome della sorella.
Di Bra,
nessuna traccia. La bimba sembrava semplicemente svanita nel
nulla; tutto ciò di tangibile che restava di lei era quel
guantino ricamato che Trunks stringeva in una mano.
Era colpa
sua e non se lo sarebbe mai perdonato.
Il giorno
dopo, la notizia della sparizione della bimba compariva sui
giornali a caratteri cubitali. Su ogni rivista spiccavano titoli che
annunciavano: SCOMPARSA
LA FIGLIA DEI BRIEFS; SVANITA
NEL NULLA LA
PICCOLA BRA BRIEF; ERA
USCITA CON IL FRATELLO MAGGIORE: DI LEI NESSUNA
TRACCIA.
Quell’evento
sembrava aver congelato le vite di tutti.
Persino Goku, che dopo una pausa presso la famiglia sarebbe dovuto
tornare ad allenare il giovane Ub, aveva rinunciato ai suoi progetti.
Goten si
era trasferito momentaneamente alla Capsule Corporation, per
poter sostenere Trunks come poteva. Si trovava appunto nella stanza
dell’amico quando, guardando fuori dalla finestra, scorse
sciami di giornalisti che si accalcavano davanti al cancello
dell’azienda.
Si
girò un attimo ad osservare l’altro giovane,
che stava fissando il vuoto con aria assente e tormentata, e si
sentì disgustato. Perciò, dopo essersi assicurato
che Trunks non si sarebbe mosso, corse fuori, attraversando il giardino
come una furia e andando ad allontanare i cronisti.
Mentre
pressava su un uomo, un microfono gli colpì la nuca.
Il giovane protestò con veemenza, spingendo da parte una
donna che gli domandò: «Com’è
l’atmosfera in casa Brief?»
La maggior
parte degli inviati, quando venne sbattuta fuori,
iniziò a lamentarsi. Solo alcuni sembravano seriamente
preoccupati per quanto stava accadendo, e fissavano dispiaciuti il
ragazzo.
Questi
voltò le spalle a tutti e tornò
nell’abitazione, e quando rientrò nella camera di
Trunks sbatté la porta dietro le proprie spalle.
Il Brief
alzò lo sguardo, con un sorriso tirato che
somigliava ad una smorfia di dolore. «Ho sbagliato,
Goten» affermò, con il tono roco e incerto di chi
ha il pianto bloccato da qualche parte tra la gola e il cuore,
«accidenti se ho sbagliato…»
La sua voce
calò man mano che proseguiva la frase,
finché non restarono altro che le sue labbra socchiuse in un
soffio.
Goten non
seppe cosa rispondere e si limitò a fare un
sorriso triste.
Trunks si
rigirò tra le dita il morbido guantino della
sorella scomparsa, poi, con voce strozzata, dichiarò:
«È colpa mia… Papà avrebbe
dovuto punirmi. Avrebbe dovuto farmi soffrire, come può non
vedere che sono io la causa di tutto?»
Si
alzò di scatto, e Goten sobbalzò.
«Dove vai?!» non poté fare a meno di
esclamare, allarmato.
Sentire
come l’amico sembrava desiderare terribilmente una
punizione fisica da parte del genitore, infatti, gli aveva serrato lo
stomaco.
«A
cercare Bra» replicò Trunks.
Goten lo
guardò, deciso. «Allora vengo con
te».
Sorvolarono
attentamente l’area attorno a quel maledetto
parco giochi.
Scesero a
terra per poter cercare meglio, chiamarono Bra a gran voce
sino a sgolarsi, nulla.
Quando
tornarono alla Capsule Corporation, esausti e demoralizzati,
Trunks, in un impeto di rabbia, scaraventò a terra un vaso
decorato, ed esso si ruppe in innumerevoli schegge di porcellana.
Il giovane,
sotto gli occhi pietrificati di Goten, si chinò,
quasi rammaricato dal proprio gesto, e tese una mano a sfiorare quei
frammenti aguzzi.
Non la
ritirò nemmeno quando si tagliò,
arrestandosi invece a fissare i danni alla pelle.
Solo quando
il sangue purpureo fluì dalla ferita,
bagnandogli il polso, alzò la mano, portandosela davanti al
volto per osservarla.
Goten
contemplava la scena, turbato, sentendosi le gambe bloccate, il
cuore sul punto di scoppiare.
Trunks
alzò lo sguardo sofferente su di lui e
sillabò una frase in silenzio.
Il Son
sentì un brivido corrergli lungo la schiena non
appena comprese quelle parole. “È colpa
mia”.
Spero che questo capitolo non appaia
in qualche modo ridicolo, e di
essere riuscita a comunicare ciò che provano Bulma, Vegeta,
Goten ma soprattutto Trunks. Credo che un senso di colpa
così sia terribile. Se i loro sentimenti vi sono parsi non
appropriati, vi prego di non farvi problemi a comunicarmelo, credo sia
molto probabile. È la prima volta che mi inoltro in un
genere a questo livello di drammaticità^^”. Ed
è una faticaccia descrivere sentimenti di tanta
intensità...
Non mi aspettavo tante recensioni, grazie di cuore a tutti!
DarK_FirE: Gemy!!! Che bello, sei anche qui! (Questa è
autentica fedeltà *-*) Okay, non la cancello, tranquilla^^
In quanto a Bra… si saprà di più
avanti ^-^ L’hai messa anche tra le preferite, grazie mille!
bellissima90: tranquilla, non la cancello. Grazie mille, spero ti
piaccia anche questo capitolo...
Swwtcica: sai che mi hai fatto davvero piacere con la tua recensione?
Sia perché, si sa, è sempre bello ricevere un
commento, ma soprattutto perché mi piace molto come scrivi
(sono una fan del tuo racconto “Io nel mondo di
DBZ”... anche se non l’ho mai recensito ^///^ dato
che l’ho cominciato in ritardo. Comunque prima o poi lo
farò... speriamo^^).
lu88: okay, a questo punto è lampante che non la
cancellerò affatto, spero di essere riuscita a mantenere
vivo il tuo interesse… Dimmi tu!
vegetaismine: che ne dici? La reazione di Trunks è adatta
secondo te (è ancora sotto shock, povero
ç_ç) o ti aspettavi un comportamento diverso?
Oddio, grazie, grazie, grazie (lo so che l’ho già
detto, ma sono talmente contenta delle vostre recensioni…).
Al prossimo capitolo!
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Capitolo 3 *** Tornare indietro ***
Capitolo 3 – Tornare indietro
Trunks giocherellò con il righello
di plastica azzurra che
teneva in mano.
Goten lo
aveva persuaso a disinfettarsi il taglio. Non che avesse
faticato a convincerlo, in realtà: se Trunks non se ne era
occupato subito, infatti, non era stato per masochismo, ma solo per
disinteresse.
Il giovane
dalla spettinatissima zazzera di capelli neri osservava
preoccupato l’amico, che al momento appariva assorto nei
propri pensieri. Poi, di colpo, sussultò, ricordando di aver
promesso a sua madre di informarla su come andavano le cose.
Chichi era
rimasta davvero sconvolta sentendo quanto era accaduto, e
aveva subito fornito a Bulma il proprio sostegno.
Goten
gettò un’occhiata in tralice a Trunks,
dopodiché prese il cellulare e compose rapidamente il numero
di casa.
A quanto
pareva sua madre doveva ancora essere sull’attenti,
dato che rispose dopo un solo squillo: «Pronto?»
«Mamma,
sono Goten» borbottò lui, serio.
«Tesoro!»
esclamò la donna, in tono
preoccupato. «Cosa mi dici? Ci sono notizie di Bra?»
Il ragazzo
ciondolò avanti e indietro, con un nodo alla
gola. «Veramente no» sussurrò.
«Mamma, volevo dirti che penso di restare con
Trunks…» Abbassò ulteriormente la voce,
guardando appena l’amico: «Mi sembra molto sotto
shock».
«Lo
immagino, povero ragazzo» disse Chichi,
partecipe a quel dolore. «Spero che si riprenda… E
che la piccola Bra salti fuori…»
«Già»
mormorò Goten,
«lo speriamo tutti».
In quel
momento, Trunks sollevò gli occhi azzurri
sull’amico. Li riabbassò subito dopo, prendendo a
passarsi distrattamente il righello sul polso. Avanti e indietro,
ripetutamente.
Goten si
sentì sussultare davanti a quella scena.
Salutò Chichi, spense il cellulare e chiamò ad
alta voce l’amico. «Trunks!»
Questi
sobbalzò, lasciando cadere il righello.
«Stai
bene?» domandò il moro, con un
groppo alla gola, avvicinandoglisi.
Gli sarebbe
andato bene anche un “no” deciso e
sofferente – certo non era così stupido da
aspettarsi una risposta affermativa.
Ma Trunks
lo guardò a lungo negli occhi, senza parlare.
Distolse lo sguardo e mantenne il proprio doloroso silenzio.
Goten
sentì che il nodo alla gola si stringeva.
Aveva
sempre vissuto con Trunks. E in ogni situazione era sempre stato
il Brief il leader, il ragazzino allegro che li trascinava in un mare
di guai. Era stato Trunks, sempre, ad essere il più sicuro e
deciso.
Vederlo
così tormentato gli faceva male. Lo confondeva, in
un qualche modo. Era come svegliarsi e scoprire
all’improvviso che il cielo non era azzurro.
«Goten»
disse di colpo Trunks, con voce rauca,
«come si fa?» A fatica, alzò il viso ad
osservare l’amico. «Come si fa a tornare
indietro?»
Goten si
morse la lingua. Inghiottì a vuoto, pensando
disperatamente ad un modo per rispondergli, ma non gli venne in mente
niente. E del resto pareva che Trunks non attendesse una replica, non
davvero.
“Indietro
non si torna, Trunks” pensò il
giovane Son, avvertendo un vuoto allo stomaco, “non resta che
trovare un modo per andare avanti…”
«E
alla bambina piacevano i negozi?»
Bulma
annuì, torturando il fazzoletto che stringeva tra le
mani. «Sì, lei…»
Soffocò un gemito, sentendosi gli occhi velati di lacrime
non versate. «A lei piaceva dire in giro che la portavo a
fare shopping».
L’agente
che le stava davanti annuì comprensivo.
Si voltò un istante per rivolgere un cenno ad un paio di
suoi sottoposti, i quali uscirono con discrezione del salotto.
«C’è
speranza?»
trovò la forza di domandare Bulma.
L’uomo
la guardò, provando pietà per
lei. «Signora» le ricordò,
«c’è sempre speranza. La
bambina
è scomparsa solo ieri…»
«Ma
è piccola» sussurrò la
donna con voce spezzata, straziata, come se da quel dettaglio
dipendesse l’esito della ricerca stessa.
L’agente
annuì. «Lo sappiamo»
affermò. «Ora, se mi vuole scusare, dovrei
andare...» aggiunse, in tono rispettoso.
Uscendo, la
salutò di nuovo.
Bulma
appoggiò la testa sul bracciolo del divano, chiudendo
gli occhi. Si sentiva tremare. Pensava alla sua bambina, alla sua
piccola Bra, smarrita chissà dove… Si
raggomitolò, con l’impressione di essere
cent’anni più vecchia e cent’anni
più giovane, inerme e impotente.
Forse
sarebbe stato meglio, se avesse trovato la forza per piangere, al
posto di tenersi tutto dentro…
Ma non ci
riusciva.
Trunks
voleva tornare indietro.
Voleva
cambiare ciò che aveva fatto, ricordare allo sciocco
ragazzo che aveva lasciato la propria sorellina al Parco quanto le
voleva bene, e quanto sarebbe stata dura continuare a vivere senza di
lei.
Avrebbe
voluto tornare indietro e beffarsi del destino quando esso lo
avrebbe visto tornare a cambiare le proprie azioni.
Se solo
avesse potuto, avrebbe abbracciato Bra con tutte le forze,
l’avrebbe coccolata, vezzeggiata, fatta giocare in giardino,
non si sarebbe affatto sentito obbligato se sua madre
gliel’avesse affidata, nemmeno se in un giorno importante.
Persino il
ricordo dei capricci della bambina, adesso, gli sembrava
dolce e consolatorio come il miele. Gli sembrava la felicità
più grande a cui poter anelare.
Il tempo,
però, non poteva retrocedere.
Lui non
poteva cambiare passato con presente e futuro.
Sospirò
– un respiro vuoto e freddo –, e
riprese a guardare fuori dalla finestra, per quanto i suoi occhi non
carpissero nemmeno la minima parte del paesaggio al di là
del vetro.
Dov’era
Bra, la sua Bra?
Che ‘chifo di capitolo.
Ditemelo che magari smetto di
scrivere... -.-“
Dunque, non preoccupatevi, la storia entrerà nel vivo dal
prossimo capitolo, in questo ho voluto sottolineare il
“Tornare
indietro” del titolo.
Che dite, la smetto di cianciare e passo alle risposte alle vostre
recensioni? Meglio, eh?
s_ara: grazie^^ Non ti preoccupare, pian piano farò luce sul
mistero! (Non pensavo fosse così bello dirlo *_*)
(-.-“ N Tua). Comunque cercherò di continuare al
più presto...
DarK_FirE: ciao! Non preoccuparti, mica temevo che non si capissero i
sentimenti dei personaggi (perché naturalmente
l’idiota della situazione sono io XD) (scusala, questa notte
non ha dormito Nd Qualcuno Di Onnisciente). Piuttosto avevo paura di
non essere stata brava a portarli sul foglio (foglio, poi...).
lu88: grazie mille, è stato fantastico apprendere di averti
interessata ancora di più^^
bellissima90: già ç__ç che
crudeltà, povero ragazzo... No, ora mi sento in colpa!
(Problemi psicologici -.-“).
Grazie di cuore a tutti, al prossimo capitolo!
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Capitolo 4 *** Silenzioso ***
Capitolo 4 – Silenzioso
Goten camminava fianco a fianco con Trunks. In
quanto a
quest’ultimo, era talmente silenzioso che dimenticarsi della
sua presenza era tutt’altro che faticoso.
Con le
settimane passate senza che nessuno trovasse la minima traccia
di Bra, Trunks si era fatto sempre più introverso e
taciturno, sempre più propenso ad evitare i contatti con le
altre persone.
Finalmente,
un giorno, aveva deciso di tornare a scuola, ma Goten
sospettava lo facesse non tanto per tornare in mezzo alla gente, quanto
per fuggire dallo sguardo della madre e da quello del padre.
Che Bulma
soffrisse era facile vederlo. In quanto a Vegeta…
Vegeta era meno trattabile che mai.
Quando
Goten da bambino andava a casa Brief, il Principe dei Saiyan gli
incuteva una sorta di timore istintivo, ma non ne aveva avuto mai
davvero paura. Adesso era cresciuto, e da quando Bra era scomparsa si
sentiva raggelare ogni volta che incrociava per caso Vegeta.
Era come se
gli occhi dell’uomo fossero divenuti due voragini
in grado di fagocitare qualsiasi cosa, e davanti ad uno sguardo simile
il giovane non poteva che provare una punta di sgomento.
Quella
mattina, si separò da Trunks con una certa
ansietà, e fu assai sollevato nel ritrovarlo al suono della
campanella. Lo affiancò in tutta fretta, ed erano sul punto
di andarsene quando vennero raggiunti da un ragazzo che Goten conosceva
solo di vista, Takei, di un anno più grande.
«Oh,
guarda chi si vede!» esclamò
questi, in tono ilare, rivolto al gruppo di amici che lo seguivano.
«Son e Brief!»
«Sta’
zitto» sussurrò Trunks,
senza guardarlo.
Il ragazzo
rise, mentre Goten si ritrovava a pensare che avrebbe
preferito continuare a non avere contatti di alcun tipo con lui.
«Come? Non ho capito, Brief».
«Stai
zitto!» urlò Trunks, girandosi di
scatto sotto lo sguardo preoccupato di Goten.
Il giovane
Son si augurava che Takei, capita l’antifona,
lasciasse perdere e se ne andasse, ma quello non si mosse di un
millimetro.
«Qualcuno
è irritabile»
constatò anzi. «Cosa c’è,
Brief, ti manca la sorellina alla quale fare le coccole? Ti manca la
stupida mocciosetta? È davvero un peccato che non possa
crescere abbastanza per diventare una sgualdrinella».
A quelle
parole, Goten sbiancò, mentre Trunks, furioso,
scattava verso Takei e gli indirizzava un pugno, senza preoccuparsi di
trattenere la propria forza. Se non usò la piena potenza fu
solamente per abitudine.
Goten, per
quanto fosse d’accordo sul fatto che
l’altro ragazzo avesse bisogno di una bella strigliata, si
allarmò di fronte all’ira del proprio migliora
amico, e si pose subito davanti al terrestre che si stava rialzando con
le mani premute sul volto sanguinante. «Trunks!»
esclamò, nervoso, tentando di guardarlo dritto negli occhi.
«Fermati!»
Il giovane
sembrò riaversi e, con una certa fatica,
fissò Goten. Dopodiché puntò gli occhi
azzurri su Takei. «Prova a parlare ancora di mia sorella e
sei morto» minacciò, gelido.
Un silenzio
irreale pervase il corridoio. La scolaresca che un momento
prima si accalcava verso l’uscita era ora bloccata, e gli
alunni fissavano ammutoliti i ragazzi che avevano scatenato una rissa.
Takei,
inorridito, fissò prima la propria mano e poi Trunks,
il quale ricambiò con uno sguardo in cagnesco.
«Si
può sapere cos’è successo
qua?»
Goten
alzò lo sguardo, con lo stesso raccapriccio che Takei
aveva dedicato al danno procuratogli da Trunks. I suoi occhi neri, come
previsto, incontrarono la figura austera di un professore, che si era
appena fatto strada tra gli studenti.
Il Son
imprecò tra i denti.
«Brief,
Son, Takei!» li rimproverò
l’uomo, facendo scorrere lo sguardo severo anche sugli amici
dell’ultimo nominato. «Esigo che mi spiegate il
motivo del vostro comportamento».
Trunks
rimase in silenzio, continuando a fissare il ragazzo a terra con
la stessa espressione feroce di un carnivoro che scruta la propria
preda.
«Mi
ha aggredito, professore!»
piagnucolò Takei, additandolo.
Il figlio
di Vegeta irrigidì la mascella e non distolse lo
sguardo da lui.
«Ma
l’ha provocato!» sbottò
Goten.
L’insegnante
fissò entrambi, poi fece vagare lo
sguardo sul giovane immobile.
«Si
è comportato come una furia
scatenata!» esclamò un ragazzo appartenente alla
schiera degli amici di Takei.
«E
chi è che aveva paura di provocare Trunks senza
una sfilza di compari?!» lo rimbeccò Goten,
alzando la voce.
«Be’,
ma se pensa che la
violenza…»
«Insomma!
Spiegatemi cosa è successo
per…»
Goten,
Takei e gli amici di quest’ultimo presero a parlare
contemporaneamente, alcuni gesticolando con energia, sotto lo sguardo
ugualmente severo e confuso del professore.
«Ha
insultato Bra» disse improvvisamente Trunks,
facendo trasalire e zittire all’istante tutti i presenti.
«Quel verme ha parlato male di mia sorella».
Il docente
scrutò preoccupato il ragazzo che non staccava
gli occhi da Takei e la maniera minacciosa con la quale lo fissava. Era
a conoscenza di ciò che era accaduto a casa Brief e non
poté fare a meno di rimanere senza parole, disgustato.
«È
così?» chiese infine.
La schiera
di Takei non lo contraddisse, mentre Goten si
affrettò ad affermare: «Esatto».
«Ma
professore, mi ha aggredito!»
L’uomo
sospirò, dopodiché
spedì Takei in infermeria – Trunks lo
seguì con sguardo torvo finché non fu scomparso
dietro l’angolo – e si recò in
segreteria, dove si fece dare il telefono su cui digitò il
numero di casa Brief.
Rispose una
donna che l’uomo suppose essere la madre di
Trunks. Sembrava angosciata e molto, molto stanca.
«Sono
professore alla scuola di suo figlio,
signora» si presentò l’insegnante, con
un moto di compassione nei confronti della donna. Aveva visto come
doveva soffrire il fratello della bambina scomparsa, e non osava
pensare a quel che doveva provare la madre della piccola Bra.
«Che
cos’è successo?»
domandò la voce della donna, ansiosa.
L’uomo
tamburellò per un attimo le dita sulla
scrivania lì vicino, nervoso, dopodiché rispose:
«Ehm… In poche parole, ha fatto a pugni con un
ragazzo e gli ha spaccato il naso».
Nel
silenzio che seguì dall’altro capo della
cornetta c’era più di una dolorosa rassegnazione.
«Devo venire lì?» domandò poi.
Il
professore percepì, oltre all’allarme,
un’enorme stanchezza. «Mmm, no, non si
preoccupi» replicò, di slancio. «Non
è necessaria la sua presenza, volevo solo avvertirla che per
questo Trunks potrebbe rincasare più tardi del
consueto».
“Che
diavolo ho detto?” si chiese un attimo dopo,
sbigottito. Non era da lui – non era professionale
– farsi condizionare dalla situazione privata di una
famiglia. Non così tanto.
Ma gli
mancò il coraggio per rimangiarsi quanto aveva appena
affermato, e si limitò a salutare la madre di Trunks.
«Perfetto»
mugugnò poi, una volta spento
il telefono.
Appena
fuori dalla stanza da dove aveva effettuato la chiamata, sentiva
le voci concitate dei genitori di Takei.
Aggrottando
la fronte, ripensò allo sguardo di
Brief… la maniera in cui fissava
l’altro… Con un brivido, allontanò quel
ricordo.
Sfregò
tra loro le mani ed uscì in corridoio,
preparandosi all’ondata di lamentele che, ne era certo, lo
avrebbero investito di lì a poco.
«Io
pretendo che lei espella quel ragazzaccio che ha ferito
il mio bambino!» lo aggredì da subito la madre di
Takei.
«Be’,
signora» replicò il
professore, gettando un’occhiata fugace a Trunks.
«Certamente non rimarrà impunito, ma dobbiamo
considerare che è stato provocato. Piuttosto pesantemente,
anche». Vide che la donna stava per protestare, e la
prevenne, aggiungendo in tono ragionevole: «Lo hanno
testimoniato quasi trenta ragazzi che hanno assistito alla
scena».
Lei,
allora, richiuse la bocca. «E cos’avrebbe
detto di talmente brutto, il mio pulcino?» si
informò dopo qualche momento.
Goten,
presente perché si era rifiutato di lasciare solo
Trunks, non poté fare a meno di storcere la bocca,
disgustato.
«Ha
insultato» rispose il professore, pazientemente
«la sorella minore di Trunks». Fece una breve
pausa. «E in maniera abbastanza pesante, come le ho
già detto».
La donna
rimase interdetta per qualche attimo, ma poi sbuffò
con fare sprezzante. «Come se gliene importasse qualcosa, a
quel delinquente. Ho sentito che è stato lui a lasciarla da
sola, la sua preziosa sorellina».
Goten si
voltò verso Trunks, e vide che l’amico
aveva il viso nascosto tra le mani.
Il giovane
Son sapeva che Bulma e Vegeta avevano preferito cercare di
non diffondere quel dettaglio, che era stato comunque raccontato ai
poliziotti. Se esso era giunto alle orecchie di quella donna,
probabilmente era stato a causa di Trunks, che non aveva mai negato il
ruolo avuto nella scomparsa della sorellina.
«Signora!»
esclamò in quel momento il
professore, che, nonostante cercasse di essere soggettivo, iniziava a
seccarsi. «Non siamo ad un processo. Tolga pure il disturbo e
sia certa che prenderò le giuste misure di
punizione».
La madre di
Takei storse il naso, offesissima. «E
perché mi ha chiamata, se ora mi caccia via?»
«Per
farle venire a prendere il suo pulcino»
replicò il docente, imperturbabile.
Goten lo
guardò stupito: non aveva mai pensato che un
professore potesse prendere le sue difese, o quelle di Trunks.
La donna
fece per ribattere, ma a quel punto fu suo marito ad
intervenire: «Lascia stare, cara, l’importante
è che ora nostro figlio stia bene».
«Ti
sembra che stia bene?!» strepitò
subito lei, ma alla fin fine si lasciò persuadere
dall’uomo.
Quando si
avviarono verso l’infermeria per passare a prendere
Takei, lei lo fece borbottando accidenti a non finire.
«Wow,
prof» esalò Goten, senza riuscire
a trattenersi, non appena i due se ne furono andati. «E non
è stato nemmeno maleducato!» esclamò,
con sincera ammirazione.
L’uomo,
sorpreso, si voltò per rivolgergli un
sorriso un po’ tirato, e a quel punto Goten si
ricordò di Trunks. Sussultò, andando ad
avvicinarsi all’amico.
Quest’ultimo
era ancora immobile con la testa tra le mani.
«Goten,
grazie per aver accompagnato Trunks sino a
casa» gli disse Bulma, realmente sollevata.
La
telefonata del professore l’aveva davvero angustiata.
«Di
nulla» replicò Goten, imbarazzato.
«Semmai grazie a te: ormai è un bel po’
che mi ospitate».
«Scusami
mamma» intervenne Trunks, mestamente.
«Vado in camera mia».
Si
voltò e si allontanò sotto gli sguardi della
madre e dell’amico.
Goten non
poté fare a meno di notare quant’erano
cauti i suoi passi. Sembrava che Trunks avesse quasi paura di far
rumore, come se sentisse di non avere più il diritto di
occupare un posto nel mondo, di disturbare ciò che lo
circondava con la propria presenza.
Silenzioso,
il giovane scomparve dalla loro vista.
Ehm, forse mi sono fatta trascinare
con 'sto simpaticissimo
professore... Okay, basta esprimere pareri sulla mia storia... Lascio a
voi questo compito U.ù
s_ara: in effetti Trunks non si è affatto comportato bene
>_> Povera Bra… Ho cercato di sottolineare
ancora l’amicizia tra Goten e Trunks, infatti gli amici veri
si riconoscono nel momento del bisogno ^_- Grazie mille (a proposito di
“Una persona speciale”, appena trovo un decente
straccio di tempo leggo e recensisco, scusa per il ritardo!)
DarK_FirE: wow, bella la tua vena poetica. Ti cito:
“purtroppo non si può tornare
indietro,però si può cercare di rimediare al
presente”. Graaaande! Lo so, sono cattiva (mwahahahahah).
Prometto che cercherò di aggiornare al più
presto, in modo da non farti soffrire troppo XD
Alla prossima!
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Capitolo 5 *** Ninnananna ***
Capitolo 5 – Ninnananna
Poco a poco, la speranza di ritrovare Bra era
andata scemando,
lasciando posto ad un dolore sordo ma straziante.
Bulma si
rannicchiò sul letto matrimoniale, allungando
istintivamente la mano a sfiorare la parte di materasso lasciata vuota
da Vegeta.
Il Principe
aveva ormai preso l’abitudine di uscire ogni
notte, per perseverare più a lungo nella ricerca di Bra.
Bulma
chiuse gli occhi, disegnando sul copriletto dei cerchi immaginari
con la punta del dito. Era terribile che le sue deboli speranze si
aggrappassero in quella maniera alle uscite notturne del compagno.
La donna
trasse un respiro dal naso, e sobbalzò quando la
finestra venne spalancata. Aprì gli occhi e si
alzò velocemente, osservando il Principe dei Saiyan che
scivolava dentro la stanza.
«Niente?»
gli sussurrò, nonostante la
risposta fosse evidente nello sguardo cupo di Vegeta.
Lui scosse
la testa evitando i suoi occhi, e andò a sedersi
sull’orlo del materasso.
Bulma si
sentì scuotere dal dolore. Fece per dire qualcosa,
ma ebbe l’impressione di udire una voce roca intenta a
sussurrare qualcosa, e si zittì immediatamente.
Dal canto
suo, Vegeta si era immobilizzato, e aveva alzato la testa in
ascolto.
Improvvisamente,
Bulma si irrigidì, e afferrò il
braccio del saiyan. Quest’ultimo contrasse appena le labbra,
attento.
«Non
è possibile» bisbigliò
Bulma. «Questo è Trunks… Ma
cosa…?»
Vegeta non
replicò, ma si alzò in piedi, e la
donna lo seguì in corridoio, e più si
avvicinavano alla stanza del loro primogenito, più la voce
si faceva chiara. Ben presto, i due riuscirono a distinguere quelle
parole che venivano cantilenate a bassa voce.
«Avanti, smetti di piangere
Andrà tutto bene
Prendi solo la mia mano
Stringila forte…»
Bulma
aumentò la propria stretta sul braccio di Vegeta,
spalancando gli occhi mentre continuavano ad avanzare nel corridoio.
«Io ti proteggerò
Da tutto ciò che ti circonda
Sarò qui
Non piangere…»
La canzone
sussurrata si interruppe, e a quel punto Vegeta
aprì di colpo la porta della stanza del suo primogenito.
Trunks era
seduto sul proprio letto a gambe incrociate, lo sguardo
assorto. Quando il padre lo chiamò seccamente,
sembrò tornare con lentezza al presente, e accorgendosi
della presenza di entrambi i genitori, rivolse alla madre il fantasma
di un sorriso, come per rassicurarla che andava tutto bene.
«Che
stavi facendo?» domandò Bulma con
voce rotta, in un sussurro.
Negli
ultimi tempi, non faceva altro che bisbigliare, come se
raggiungere un tono più alto fosse per lei troppo faticoso.
Sul volto
di Trunks ricomparve quel pigro e vuoto sorriso che non
contagiò in alcun modo i suoi occhi, i quali rimasero tristi
e desolati. «È tutto a posto, mamma»
rispose.
Bulma si
portò una mano al petto, mentre le dita
dell’altra stringevano maggiormente il braccio di Vegeta. Il
Principe, allora, disse rigidamente: «Non ti ha chiesto se va
tutto bene». “Perché tutto bene non
va”. «Ha chiesto perché
cantavi».
In
risposta, ottenne nuovamente quel sorriso, fugace, e tutto, tutto
meno che un’espressione di gioia. Era una smorfia
angosciante, che induceva a desiderare la serietà sul volto
del ragazzo.
«Nulla»
affermò Trunks, scrollando le
spalle, «stavo solo cantando una ninnananna a Bra».
Bulma
rabbrividì, lasciandosi sfuggire un gemito convulso, e
i suoi occhi azzurri fissarono scioccati il ragazzo, mentre Vegeta,
irrigidendosi, si avvicinava di più a lei,
d’istinto, come a volerla proteggere almeno da quello.
«Comunque
adesso ho finito» proseguì
Trunks, in tono neutro, apparentemente ignaro delle emozioni violente
dei suoi genitori. «Non avete interrotto nulla».
Con la
massima tranquillità, scese dal letto per poterlo
disfare, dopodiché si infilò sotto le coperte.
Notando che Bulma e Vegeta erano ancora fermi sulla soglia della sua
stanza, li salutò: «Buonanotte, mamma. Buonanotte,
papà».
Loro non
risposero, arretrando di qualche passo, per poi voltarsi e
percorrere di nuovo il corridoio.
Bulma
resistette sino a quando non entrarono nella loro camera. Una
volta seduta sul letto matrimoniale, scoppiò in lacrime.
«Orribile» farfugliò, tra i singhiozzi.
«È… Orribile…»
Era la
prima volta che piangeva. Da quando era scomparsa Bra fino ad
allora, si era tenuta dentro tutto il dolore. Ma in quel momento la
paura lacerante per la propria bambina, la pazza incertezza per la sua
sorte, il ricordo del sorriso vuoto di Trunks, ma soprattutto della
voce del ragazzo che modulava in tono piatto quella
ninnananna… Tutto le esplose in petto, abbandonandola ai
singulti.
Vegeta la
fissava. Poi, muto e tenebroso, le si avvicinò,
giungendole alle spalle, e l’abbracciò da dietro,
reclinando il capo sulla sua spalla.
Bulma,
piangendo, si aggrappò a quelle mani forti, come se
fossero le sole a potere tenere insieme i pezzi della sua anima.
Continua...
EDIT del 16/10/2011: La ninnananna che canta Trunks è You'll be in my heart di Phil Collins. Inizialmente avevo riportato pari pari in inglese le parole della canzone. Solo che, per me, Dragonball parla di un vero e proprio mondo a parte. E di conseguenza, credo che i personaggi non parlino giapponese, ma nemmeno italiano o qualsiasi altra lingua realmente esistente, bensì un idioma proprio del loro universo (non so come spiegarmi >.>). La canzone in inglese, pertanto, mi stonava un po', ed ho deciso di sostituirla con una sua traduzione (fatta sul momento, ma credo non errata) in italiano.
Spero di essermi spiegata =D
Breve capitolo... a me l’idea ha dato un
po’ i
brividi, poi non so voi... Comunque dalla prossima volta (e da un sacco
che lo ripeti NdVoi) (vero ^^” ma ‘sta volta sul
serio) si entrerà un po’ più nel vivo
nel mistero “Bra”.
DarK_FirE: grazie mille. Hai ragione, Takei doveva
fare una fine ben
peggiore che cavarsela col naso rotto... Per msn non so, in questo
periodo ci sono le ultime interrogazioni e sto diventando matta =_=
però martedì (alla solita ora, più o
meno) dovrei esserci... Kiss
s_ara: ho un’idea: dato che siamo tutti
d’accordo
sul fatto che Takei è uno st***zo, possiamo organizzare una
gita a casa sua e dargliele di santa ragione è_é
W il professore (mi sta sempre più simpatico^^). Baci
Inoltre ringrazio:
babypunk90;
bellissima90;
Christy 94;
DarK_FirE;
monicar92;
s_ara
Per aver aggiunto questa storia alle preferite^^
Alla prossima!
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Capitolo 6 *** Tre anni dopo - Incubo ***
Capitolo 6 – Tre anni dopo: incubo
Goten respirò due volte, prima di
parlare.
«Va
tutto bene, Trunks?» domandò, in
tono ansioso.
L’amico,
in risposta, annuì senza guardarlo, al
ché Goten si sentì sprofondare.
No che non
andava tutto bene.
Era
bizzarro. Era assurdo.
Senza dire
nulla, osservò Trunks giocherellare
distrattamente con un guanto minuscolo. Sempre lo stesso guantino
ricamato. Quello di Bra.
Goten quasi
non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui
aveva visto l’amico senza quell’oggetto morbido tra
le mani.
«Sai
cosa c’è di strano?»
disse Trunks, all’improvviso. «I poliziotti, gli
investigatori… Ormai non vengono più a casa
nostra». Aggrottò la fronte, come per sforzarsi di
ragionare, ed infine strinse le labbra. «Ma probabilmente
sono occupati nelle ricerche».
“Nessuno
è più occupato nelle ricerche,
Trunks, sono passati tre anni, ormai. Accidenti”
pensò Goten, con una fitta di rimpianto, ma non
osò esprimersi ad alta voce.
C’erano
momenti in cui Trunks sembrava essere consapevole di
come stavano le cose, in cui pareva che sapesse che le
probabilità di ritrovare Bra erano ormai nulle; ma
c’erano anche momenti in cui parlava come se avesse visto la
sorellina per l’ultima volta solo il giorno prima. Era una
cosa che gli dava i brividi.
Solo la
sera prima aveva parlato con Bulma. Infatti, sebbene ormai
fosse tornato a casa propria, passava dalla Capsule Corporation almeno
una volta al giorno, e se non ci riusciva faceva almeno una telefonata
alla famiglia Brief.
Accigliandosi,
ripensò alle parole della donna.
“Non
so, Goten, mi sento così stanca…
Fa ancora così male. E per di più non
è questo il peggio, no. Il peggio è Trunks. Ti
giuro, mi vengono i brividi, la notte, quando canta quella ninnananna.
Sembra convinto di parlare a Bra, in quei momenti. Non è
affatto normale”.
A quanto
pareva, Bulma aveva paura di portare il figlio da uno
psicologo. Diceva di credere che non sarebbe servito: secondo lei
Trunks non avrebbe proferito parola, quindi sarebbe risultato tutto
inutile.
Goten
allontanò quei ricordi. «Trunks, ti va di
fare qualcosa?» domandò, in tono teso.
L’altro
fece un gesto vago, dopodiché
chinò la testa.
«No,
a dire la verità mi sento stanco»
mormorò. «Stanco» ripeté,
fissando l’asfalto.
Per un
attimo, il tempo sembrò congelarsi in
quell’istante, ma poi i due giovani ripresero a camminare.
Trunks non proferì parola sino a quando non arrivarono alla
Capsule Corporation.
Una volta
giunti lì davanti, Trunks alzò la testa
a guardare Goten e sussurrò, con occhi disperati:
«Non tornerà, vero?»
Il moro
sussultò. Fece per dire qualcosa, ma
l’amico non attese risposta ed entrò, lasciando
Goten solo e a disagio.
Il
secondogenito di Goku impiegò qualche istante per
riscuotersi. Aveva un nodo alla gola. Aveva nostalgia del Trunks
iperattivo e dispettoso con il quale aveva condiviso
l’infanzia e l’adolescenza fino a tre anni prima.
Soffriva per il dolore del suo amico, e la malinconia più
forte e struggente era per la serenità che non vedeva da
tempo nello sguardo di Trunks.
Con un
sospirò, si voltò, pronto a dirigersi
verso casa.
È
buio, ogni cosa sprofonda
nell’oscurità.
Lui cerca
di vedere qualcosa assottigliando gli occhi e sforzando lo
sguardo, ma è inutile.
Poi, di
colpo, ecco la luce. Lontana, sfuggevole.
Lui la
insegue, correndo a perdifiato. Scivola su qualcosa di viscido,
si sporca le mani, ma non può vedere di cosa si tratta. Si
alza in fretta, riprendendo la corsa.
E poi
l’ambiente, l’universo, non è
più solo buio. Ora lui riesce a vedere e si guarda attorno.
Dopodiché,
davanti a lui, compare qualcosa, qualcuno. Ed
è una visione che gli lacera il cuore.
Una bambina
di circa quattro anni. I capelli azzurri disordinati, gli
occhi cobalto grandi e curiosi, le guance rosee, la pelle liscia. Le
manine paffute.
No, la
manina.
Lui ne vede
solo una.
È
nuda, quella manina, e lui si chiede perché.
C’è freddo – all’improvviso la
temperatura esiste, ed è gelida, invernale. Il dorso e le
dita della mano della bambina, infatti, sono arrossate e screpolate.
Lui
vorrebbe dirle di metterla in tasca, ma in quel momento lei fa
qualcosa.
Gli mostra
anche l’altra mano.
Questa
calza un guantino. Un piccolo guanto ricamato con
l’immagine di un cagnolino.
Lui sente
il sangue gelarsi nelle vene e non è colpa del
freddo.
Perché
lui ha in tasca un minuscolo guanto che è
la copia esatta di quello della bambina. Due guanti dello stesso paio.
La bambina
si fa pallida, sempre più sfocata.
«BRA!
No!»
Trunks
tende le mani in avanti, cerca di afferrare la sorellina, di
stringerla a sé.
Ma le sue
dita sfiorano il nulla: ormai non è rimasto
più niente di lei.
Allora
prende il guantino che tiene in tasca, in un disperato tentativo
di richiamare a sé la bambina. Ma, quando lo sguardo gli
cade sulle proprie mani, urla, in un impulso di orrore.
I palmi
sono ricoperti di sangue. La vista gli si annebbia, capisce
cos’era la pozza vischiosa nella quale è caduto.
Apre la
bocca.
Per urlare,
perché sa di essere colpevole…
Trunks si
svegliò di soprassalto. Si passò una
mano sulla fronte per detergere il sudore e contrasse le dita sulla
propria pelle.
Respirando
affannosamente, ripensò al sogno, per quanto gli
facesse male.
Era
incredibile la nitidezza con la quale aveva visto Bra. Dopo tanto
tempo, i ricordi che aveva della sorella si erano fatti sfocati,
imprecisi.
Non era
stato un sogno normale, no. Gli sembrava di sentire ancora
qualcosa di umido sui polsi; istintivamente li guardò, ma
scoprì la pelle rosea e liscia, pulita.
«No!»
urlò, preso da
un’improvvisa frenesia. Cercò il guantino della
sorella, ma non lo aveva con sé. Si toccò il
corpo, gemendo, tentando, come impazzito, di trovare su di
sé una traccia che gli indicasse che quello era stato
più di un incubo. «No, non era un incubo!
No!»
Si
bloccò, rendendosi conto di come suonava la sua voce.
Strana. Non era roca come avrebbe dovuto essere dopo il sonno. Era come
se l’avesse già usata.
Ma certo!
Nel sogno aveva urlato, quindi la sua gola si era abituata a
far vibrare le corde vocali.
Iniziò
a ridere, in reazione alla tensione spezzata. Fu una
risata convulsa, simile a singhiozzi, e Trunks smise quasi subito di
darle voce.
Senza
attendere oltre, corse in camera dei suoi genitori.
«Mamma,
mamma! Papà!»
esclamò, battendo la mano sull’interruttore per
accendere la luce.
Scoprì
che loro erano già svegli e il sollievo lo
invase: almeno avrebbe potuto dare subito la notizia che aveva in serbo.
«Trunks,
che diamine…?»
domandò Vegeta, secco, nonostante fosse rimasto piuttosto
sorpreso del comportamento del primogenito, così…
così vitale, così improvvisamente vivo.
Gli occhi
azzurri del ragazzo fremevano di un’eccitazione
quasi febbrile. «Mamma, Bra è viva! Lo so, mamma!
Papà, lo so!»
Bulma
gemette, tirando istintivamente le coperte fino al proprio mento.
«Davvero,
ho fatto un sogno, ma non era solo un sogno! La
realtà, mamma, Bra è viva!»
«Trunks!»
Il ringhio secco di Vegeta fece
ammutolire il giovane.
«Trunks,
ti prego, per favore, smettila»
implorò Bulma, ansiosa.
Lui
fissò per un attimo i genitori, senza capire, poi gli
parve di comprendere il motivo della loro agitazione.
«Avanti, smettila di piangere, andrà tutto
bene» mormorò fra sé, sicuro di aver
trovato la ragione di tanto allarme. «Mamma, papà,
non è come la sua ninnananna! Questa volta è
diverso! Questa volta è vero! Bra è
viva!»
«Trunks,
smettila subito».
«Ma
papà…»
«Fuori
di qui! Ora!»
Il ragazzo
indietreggiò, confuso dall’improvvisa
ira del padre, ma ancor più dall’espressione
glaciale comparsa sul volto di Vegeta… perché suo
padre… Tentò di ordinare le proprie idee per
esprimere la spiegazione che sentiva… Questo comportamento
faceva soffrire il Principe.
Rapido, con
un’ultima occhiata ai suoi genitori, Trunks
batté in ritirata.
Una volta
fuori dalla porta, pensò allo sguardo di sua
madre… Non era solo preoccupata, era terrorizzata, aveva
paura di quel che lui aveva detto. Aveva paura del suo comportamento.
Gli
dispiacque per lei, soprattutto perché sapeva di essere
la causa della sofferenza della donna, ma non poteva fare finta di
nulla.
Bra era
davvero viva, lo sentiva.
Continua...
Salve,
bella gente! ^0^ lo sapete che vi adoro tutti vero? E in questo
capitolo (finalmente!) la nota “Sovrannaturale”
inizia a farsi sentire un pochino.
Christy
94: grazie mille... Lasciare senza parole la gente...
be’, suppongo sia una cosa ottima! Voglia dire che riesco a
comunicare quel che provano i personaggi^^
DarK_FirE:
ora suppongo che Trunks ti preoccupi ancora di
più, eh? Purtroppo non è che faccia proprio luce
sulla scomparsa di Bra ^^””” piuttosto
diciamo che incentra nuovamente la storia sul mistero che la tiene in
piedi... (XD ma che vado a dire?! XD) (sì, sono impazzita).
babypunk90:
ecco, ho riportato la storia più sul mistero...
ma ancora (almeno secondo me >_> è un
po’ smorta... ebbe’, rimedierò!! ^^).
Felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo... Grazie^^
s_ara:
concordo, anche a mio parere quella della
“ninnananna” è una scena da brivido,
l’ho inserita appunto perché mi sembrava
scioccante. Be’, dopotutto Bulma ha fatto bene a sfogarsi,
no? Bacio
Un
grazie di cuore, un bacione, alla prossima!
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Capitolo 7 *** Euforia ***
Capitolo 7 – Euforia
Trunks, seduto sul proprio letto, tentò
di decidere cosa
fare. Parlare ancora della sua sensazione ai genitori era impensabile,
data la reazione che avevano avuto entrambi. Il ragazzo si morse il
labbro. La voglia di agire, di scagliarsi semplicemente fuori, in
strada, e cercare Bra fino all’esaurimento di tutte le sue
energie era enorme. Quando si trovò a valutare quanto
effettivamente desiderasse passare all’azione, si
accigliò. Sarebbe stato un po’ un suicidio il
ritmo che, se solo avesse potuto, si sarebbe imposto per la ricerca di
Bra.
Giudicando
la propria avventatezza in modo oggettivo, come gli aveva
insegnato il padre, si accigliò ancor più. Seppur
riluttante, doveva ammettere che era una pazzia. Già, la
scomparsa di sua sorella doveva averlo fatto diventare pazzo,
pensò con amarezza. Ammesso che non lo fosse sempre stato.
Cupo, si
alzò e si avvicinò alla finestra.
Osservò
torvo la città addormentata.
Fissò
di sbieco il letto disfatto, e decise che cercare di
tornare a dormire sarebbe stato inutile. Perciò rimase
immobile, davanti alla finestra (l’aria fredda della notte
rendeva il vetro gelato) senza muoversi, mentre il senso di vita che
provava di nuovo, finalmente, gli cresceva in petto. Bra era viva!
Sapeva che
trovarla avrebbe cambiato tutto, in meglio. Sarebbe tornato
tutto come prima. Anzi, più perfetto di prima,
perché lui non avrebbe mai più negato il proprio
affetto a Bra.
Si
passò una mano tra i capelli, lentamente.
Si
voltò e prese tra le mani il guanto della sorellina. Lo
lisciò con cura, assorto nei propri pensieri. Se Bra sarebbe
tornata (quando Bra sarebbe tornata) avrebbe dovuto trovare il suo
guantino in ottime condizioni, in modo che le sue manine non si
screpolassero per il freddo.
Con quei
pensieri, assisté alla venuta del nuovo giorno.
Finalmente
poteva guardare il sole sorgere senza provare rancore, senza
prendere come un’offesa la sua luce che si permetteva di
illuminare un mondo così sporco. Di illuminare e scaldare
lui, dopo quello che aveva fatto a Bra.
Fu una
tortura fingersi calmo, fare come se non fosse accaduto nulla,
come se quel sogno non gli avesse dato una nuova forza. Ma sapeva che
era necessario, che non poteva riempire di ansia i suoi genitori.
Quando
finalmente la giornata si concluse andò a letto
presto. Non appena il sonno lo raggiunse un sogno si
presentò vivido alla sua mente, quasi lo avesse aspettato
dietro alle palpebre tutto quel tempo.
Una radura.
La bambina è davanti a lui, sembra spaventata da
qualcosa che lui non riesce a capire, ad identificare. Vorrebbe
raggiungerla, ma qualcosa gli fa temere che se ci provasse lei
svanirebbe. Come se fosse la replica di qualcosa già
accaduta.
Sente il
bisogno di abbracciare la bambina farsi sempre più
forte, sino a diventare un dolore fisico. «Bra!»
implora con voce rotta. «Ti prego!»
Fa un passo
verso di lei, ma poi nota i suoi occhi sbarrati dal
terrore, e capisce: non c’è nessun mostro, nessuna
presenza inquietante. La bambina, sua sorella, ha paura di lui.
«Bra,
per favore...»
Prima che
possa fare qualsiasi altra cosa, la bambina gli lancia
un’occhiata impaurita, poi si sgretola. E lui rimane solo.
Cammina in
fretta, percorrendo la radura, tentando di scorgere dove sia
finita la sorellina. Quando sente uno schizzo sui jeans. Si abbassa a
guardarli ed eccoli sporchi di un liquido vermiglio.
Improvvisamente
sa che urlando si risveglierà dal sogno, e
non potrà capire dov’è Bra, ma non
può impedirsi di farlo. Grida, grida dall’orrore.
Trunks
ansimò, riemergendo dal sogno.
«Bra» balbettò, in un sussurro
incoerente.
Una parte
di lui lo spronava a provare disgusto per quello che aveva
visto in sogno, ma non poteva impedirsi di sentire una strana euforia
scaldarlo.
Un sorriso
pallido gli incurvò le labbra. Sua sorella era
viva, e lui la avrebbe trovata! Si passò una mano sulla
fronte sudata, ma in quel momento non riusciva a trovare un motivo per
provare spavento per quel sogno, quell’incubo che gli
permetteva di sperare.
Di sapere
che sua sorella era viva.
Continua...
Devo
ammettere che questo capitolo non mi soddisfa pienamente... Spero
solo di sbagliarmi. In fondo è solo una specie di intermezzo
per sottolineare come si sente Trunks, no?!?!
DarK_FirE:
thanks very much, twin^^ Come vedi il comportamento di
Trunks si fa sempre più preoccupante. Fa un sogno orribile e
si sveglia euforico... mah. Certa gente... (in effetti io non potrei
dire nulla, dal momento che sono quella che decide le mosse del
ragazzo^^” Kiss
Christy 94:
grazie per la recensione! Trunks è logorato dai
sensi di colpa, Bra ha fatto chissà quale fine... Hai
ragione, è terribile che abbiano interrotto le ricerche
=°( Ciao, grazie ancora!
S_ara: in
effetti tre anni sono un gran bel po’ di tempo...
è stato bello leggere che hai trovato il sogno commovente e
raggelante allo stesso tempo, perché è proprio
quel che volevo ottenere ^_^ quindi immagina la mia soddisfazione... In
effetti Bulma e Vegeta hanno molte riserve nel credere che loro figlio
sia stato “illuminato”. D’altronde non
hanno mica tutti i torti... Grazie millle^^ Un bacio!
babypunk90:
mi fa piacere che ti piaccia (piacere che ti piaccia... va
be’...) Wow, grazie, magari prima o poi (credo poi
>_>) proverò a mettermi alla prova con qualche
horror... Purtroppo non riesco ad andare avanti senza capitoli in cui
non succede un bel niente (tipo questo...) ma a scanso che la cosa non
funzioni, penso che il prossimo capitolo ti piacerà^^ Ciao^^
Al prossimo
capitolo!
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Capitolo 8 *** Aura ***
Capitolo 8 – Aura
Goten era esterrefatto. In poche settimane, Trunks
sembrava essere
tornato quello di prima. Rispondeva al cellulare, parlava senza dare la
sensazione di essere da tutta altra parte col pensiero, a volte persino
un sorriso gli sfiorava il viso. Un’espressione di gioia che
non accendeva mai del tutto i suoi lineamenti, ma che gli restituiva un
po’ di umanità.
Eppure non
era del tutto tornato il suo amico di un tempo. A volte gli
diceva (con poche e concise parole) di avere incubi su Bra, ma mentre
ne parlava sembrava quasi esaltato, non solo spaventato. A tratti
tornava ancora torvo e introverso, escludeva il mondo e rimaneva solo
con se stesso. Ma accettava di uscire con lui e non rivolgeva
più occhiate furiose a chi si lamentava dei propri fratelli
minori.
Nonostante
tutti i miglioramenti, gli mancava qualcosa.
Gli mancava
Bra.
Trunks era
chino ad allacciarsi una scarpa. Goten lo osservò
per qualche momento, poi azzardò a proporre:
«Trunks... stasera ti andrebbe di venire a casa
mia?»
Il Brief si
rialzò. Parve riflettere per un attimo, poi
domandò: «Dopo cena?»
«Sì,
pensavo di sì» rispose
cautamente il figlio di Goku.
«Allora
no» replicò deciso Trunks,
«devo andare a letto presto...»
Goten non
ribatté, mordendosi il labbro. Poi chiese, temendo
la risposta: «Perché devi andare a letto
presto?»
Una strana
luce passò negli occhi di Trunks, e Goten la
riconobbe. Quello era lo sguardo del Trunks che era stato profondamente
cambiato dalla scomparsa della sorellina. Poi il lilla fissò
l’amico come se avesse fatto la domanda più idiota
del mondo. Infine rispose: «Devo sapere
dov’è lei».
Goten si
trattenne dal replicare alcunché e si incamminarono
in silenzio.
Trunks era
immerso nei propri pensieri. I sogni lo angosciavano e lo
facevano sentire vittorioso allo stesso tempo. Quando era sveglio non
anelava ad altro che a immergersi nei propri incubi. Per ogni risveglio
che lo trovava sudato e urlante, la sicurezza che Bra fosse ancora viva
diventava più tangibile. Quegli incubi lo rassicuravano, gli
toglievano la paura che Bra potesse essersene andata definitivamente.
Sua madre
era in cucina. Da quando era scomparsa Bra, non apparecchiava
più la tavola, ma lasciava che tale compito venisse svolto
da una domestica. Troppo, per Bulma, dover accorgersi ogni volta di
aver calcolato quattro posti, quando erano solo in tre. Lei, Trunks e
Vegeta. Bra non c’era più, non occorreva
più il piatto e la forchetta e il cucchiaio e il bicchiere
che le sarebbero spettati.
«Cosa
si mangia, mamma?» chiese Trunks,
indifferente.
Lei gli
rivolse un sorriso tirato e una risposta incerta.
«Buono»
commentò il ragazzo, senza
mutare il proprio tono piatto.
Fu il primo
ad alzarsi dalla tavola. Diede una frettolosa buonanotte ai
genitori e si ritirò nella propria stanza.
Indossò svelto il pigiama, si coricò impaziente.
Esitò
un solo momento prima di chiudere le palpebre, turbato
dall’aspettativa di vivere nuovamente quell’incubo,
poi serrò gli occhi.
Rimase
immobile per un tempo indefinito, poi sbadigliò e
scivolò nel sonno.
Un pianeta,
un pianeta rosso. Il ragazzo non capisce dove si trova,
né da quale prospettiva vede quel pianeta. Dopo qualche
istante capisce: è così che si immaginava il
mondo di origine dei saiyan.
Una lieve
insoddisfazione gli suggerisce che non è quello
che voleva vedere, ma, dal momento che si trova lì, decide
di stare a guardare.
Compaiono
delle linee frastagliate sulla superficie del pianeta, si
allargano sempre più ed infine esso esplode, scomparendo per
sempre dalla Galassia.
Il ragazzo
non sa come sentirsi.
Non capisce
cosa c’entri.
Prima che
possa riflettere, il paesaggio cambia, e si ritrova in un
prato enorme. Muove qualche passo smarrito, sentendosi confuso e
incerto. Poi la vede.
Una bella
bambina, dalle guance paffute e i ciuffi azzurri. Allora il
suo passo si fa più deciso, gli sembra che i pensieri gli si
schiariscano all’improvviso.
Va da lei.
È
seduta sul prato e piange. Gli occhi celesti sono pieni di
lacrime.
Lui
vorrebbe consolarla, ma ha paura dell’aria triste della
bambina. Quando non ce la fa più muove un passo verso di
lei. Il momento dopo si ritrae.
La bimba
irradia disperazione, un’angoscia totale che per lui
è come più di una ferita fisica.
Il ragazzo
si siede, non riesce a proseguire oltre. Ascolta i
singhiozzi della piccola farsi più laceranti. Sa, senza
bisogno di parole, che se la abbracciasse la spaventerebbe ancora di
più.
Ma si sente
inutile, e stupido.
Inutile
perché non può fare nulla, stupido
perché, nonostante tutto, si sente lui quello senza via di
uscita, si sente lui quello che desidera un po’ di calore
umano.
La bambina
piange, e lui si sente un verme. È tutta colpa
sua, lo sa. Lui le ha preso i suoi genitori, la sua vita fatta di
piccole cose. Lui l’ha abbandonata.
«Bra,
io...» sussurra.
La piccola
alza lo sguardo smarrito, pervaso di solitudine.
Trunks si
irrigidisce, ha la gola secca. «Bra, io ti voglio
bene». La sua sorellina ora piange il pianto di chi si sente
tradito dopo una bugia troppo grande per essere perdonata.
«Io
ti voglio ritrovare. Dove sei?»
All’improvviso
si sente un caldo intenso, che mozza il fiato
a Trunks. Bra non sembra accorgersene.
«Dove
sei?» ripete Trunks, ma si sente soffocare.
Indietreggia, quasi d’istinto. Scivola su qualcosa, poggia la
mano su una pietra bollente. Ritrae il palmo arso.
«Dove
sei?»
La bambina
scompare.
Lui rimane
solo.
La mano gli
bruciava. Trunks inspirò pesantemente, convinto
di essere ancora nel sogno, deciso a svegliarsi, a tentare di
cancellare dalla propria mente l’immagine di sua sorella in
lacrime.
«Era
solo un sogno» disse a voce alta, per la prima
volta sperando che fosse davvero così.
Il dolore
alla mano divenne insopportabile. Il ragazzo si
alzò di scatto e corse in bagno, dove sottopose il palmo ad
un getto di acqua fredda.
Una volta
che il bruciore si fece meno intenso, il giovane
alzò la mano e la osservò. Non c’era
alcun segno di ustione, se non una piccola macchia scura che scottava.
Assorto, vi premette sopra il polpastrello del dito indice della mano
destra. Combaciava perfettamente. Non aveva coperto l’ustione
con il dito, l’aveva fatta coincidere in modo esatto con esso.
Era assurdo
e strano.
Ed era il
modo per trovare Bra, si disse subito.
Tornò
nella propria stanza, rovistando tra le cose che
possedeva. Si fermò al guanto della sorella. E a quel punto
avvertì qualcosa che lo fece cadere in ginocchio con le
braccia strette al petto.
L’aura
di Bra.
Una
percezione debole, timida, incerta, ma reale.
Trunks
sentì una lacrima bagnargli la guancia.
Si
alzò in piedi, spalancò la finestra con una
spinta decisa. Inspirò l’aria fredda della notte,
e improvvisamente fu preso da un capogiro. La vista gli si
annebbiò per un attimo, e in quel nero scorse nella propria
mente lo scintillio di una lama.
La vista
gli si schiarì. Lui tese i sensi. Percepiva ancora
la lieve forza spirituale della sorellina.
Seguendo
quell’aura così speciale, si
alzò in volo.
Continua...
Eccomi qua,
stranamente non ad un ritardo catastrofico (ebbene
sì, i miracoli esistono! xD). Grazie a quelli che leggono e
naturalmente ai recensitori!!! <-- Parola inesistente, con ogni
probabilità, ma vabbe’...
DarK_FirE:
bene Gemy!!! Hai espresso esattamente quel che volevo
comunicare con lo scorso capitolo U_U A me onestamente metteva molta
inquietudine la parola euforia pensando a Trunks che si sente
vittorioso dopo gli incubi XD Ci si avvicina al mistero ^__^ Kiss (io
msn me lo sto dimenticando ç__ç è il
periodo delle verifiche/interrogazioni, grr!)
babypunk90:
infatti lo scorso capitolo era più che altro un
passaggio, per far appunto capire i sentimenti di Trunks ^-^ Mentre
scrivevo questo avevo anche più ispirazione... credo si
capisca, fammi sapere ^_- Baci
giusiemo291:
non preoccuparti, la tua recensione è stata
molto gradita! ^-^ Posso dire che ha fatto male alla mia modestia, ma
in compenso un gran bene all’autostima... Mi ha fatto piacere
sapere che hai seguito così tanto questa ff e altre
nonostante non fossi ancora in grado di recensire^^ Un grazie enorme^^
Spero di risentirti presto!
Al prossimo
capitolo, allora!
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Capitolo 9 *** Troppo semplice ***
Capitolo 9 –
Troppo semplice
L’aria della notte gli arrossava appena le guance, gli
riempiva i polmoni di vita.
Ma la vita vera – o la vera volontà di vivere
– era generata dalla percezione di quella forza spirituale
che aveva creduto di non sentire più. Improvvisamente, si
sentiva come se avesse potuto allungare il braccio e stringere la
sorellina in un abbraccio.
L’avrebbe riportata a casa, e tutto sarebbe stato come prima.
Forse loro padre, una volta che si fosse ripreso, lo avrebbe punito
giustamente per la sua sconsideratezza. Ma cosa importava, se Bra
tornava a casa?
Le stelle brillavano, minuscoli diamanti di luce incastonati nel manto
nero della volta celeste. La luce dei lampioni che punteggiavano le
strade, al confronto, risultava smorta e pallida.
Trunks inspirò una boccata d’aria, mentre il vento
gli spettinava i capelli.
Si concentrò sull’aura di Bra e aumentò
la velocità del volo.
Non badò allo scorrere del tempo. Quando si rese conto di
essere in prossimità del luogo dal quale proveniva la forza
spirituale della sorellina, stava ormai albeggiando.
Il sole si affacciava quasi con timidezza sul cielo, forse temendo che
alcune nuvole potessero offuscarlo come cappe grigie. I suoi raggi
carezzavano la volta tingendola di lilla e rosa, protendendosi a
schiarire il blu ad un azzurro tenue.
Trunks osservò il terreno sotto di sé. Si trovava
sopra un prato. Si era lasciato alle spalle il cemento della
città da tempo, ormai. Non riuscendo a localizzare con
esattezza la provenienza dell’aura che lo guidava, decise di
abbassarsi. Toccò l’erba coi piedi, poi si
guardò attorno.
Davanti a lui si apriva un modesto bosco dalle piante piuttosto rade.
Le cortecce erano umide, e il ragazzo si chiese, a disagio, quando
fosse piovuto in quei giorni. Non lo ricordava, ed aggrottò
la fronte. Tese i sensi verso la sorellina e mosse passi fra gli alberi.
Un lieve strato di foglie cadute da chissà quanto tempo
ricopriva il terreno. Il giovane si mosse con agilità, quasi
senza rumore alcuno.
Respirava piano.
Ancora qualche passo, e si ritrovò in una radura circolare.
Il sole lo spronò a schermarsi gli occhi con una mano mentre
avanzava lentamente.
Si inoltrò in quel prato enorme.
Poi si bloccò di colpo.
Lo aveva già visto, quel posto. Quella notte, nel sogno. Lo
sapeva, era lì che aveva visto Bra in lacrime –
deglutì a quel ricordo. Si guardò attorno quasi
famelico, frugando con gli occhi per cercare la sorellina.
L’aura della piccola pulsava nella sua consapevolezza, ma non
riusciva a localizzarla con esattezza.
«Bra» chiamò esitante.
«Bra!» ripeté, alzando la voce.
«Benvenuto, saiyan» sussurrò una voce
alle spalle del ragazzo.
Trunks si voltò di scatto. Non aveva sentito nulla. Si
ritrovò a fissare il viso bianco di una creatura. La
osservò. Indossava uno strano mantello, dal quale spuntavano
braccia e gambe bianche e lisce al pari del viso. Non aveva capelli,
solo una macchia rossa sulla nuca.
«Chi sei?» domandò, sulla difensiva, il
figlio di Vegeta.
«Sicuro che abbia importanza?» chiese con un tono
che sfiorava la dolcezza l’alieno. «Non
è più importante quel che sei venuto a
cercare?»
Il saiyan si irrigidì. Come poteva sapere di Bra?
«Certo che è più importante!»
esclamò, quasi senza accorgersene.
«Cosa vorresti che accadesse, nelle prossime ore?»
incalzò l’alieno, la voce suadente e subdola, che
pareva infiltrarsi nella mente con delicatezza, ma allo scopo di
estorcere le informazioni più preziose.
«Vorrei...» Per un momento Trunks si
domandò per quale motivo stesse rispondendo. Forse aveva
solo bisogno che qualcuno – un qualcuno qualsiasi –
sapesse come si sentiva. «Voglio trovare Bra. Voglio
abbracciarla, voglio tenerla in braccio e vederla ridere e voglio
vedere i suoi capelli scompigliati dal vento. Voglio portarla a
casa».
L’alieno ghignò, beffardo. «No, saiyan.
Così è troppo facile».
Continua...
Scusate l’orribile ritardo. Purtroppo non solo ho avuto un
periodo di salute nient’affatto degna di questo nome, anche
la mia chiave per computer ha deciso di smettere di funzionare
facendomi perdere una marea di capitoli quasi conclusi. Questo fra i
tanti, avrebbe dovuto essere più lungo, temo che non
verrà mai bene come la prima volta
ç__ç Lo ho per così dire tagliato in
modo di poter aggiornare senza far diventare ulteriormente esagerato il
tempo tra questo e l’ultimo capitolo. Scusate ancora
Babypunk90: in effetti il punto di Trunks che fa combaciare il dito con
la bruciatura è parecchio confusionario... Temo che questo
capitolo non sia all’altezza della situazione, purtroppo. Baci
DarK_FirE: non preoccuparti, sto lavorando per districare questo
mistero con le parole ^_- Wew, Trunks sarà contento di
passare al grado di veggente U_U xD Grazie mille, kiss^^
Giusiemo291: tranquilla, Trunks è il mio personaggio
preferito, quindi forse (devo mantenere la suspence U_U) lo
terrò in salvo. Ciao, e non preoccuparti, non infastidisci^^
S_ara: non preoccuparti, dal momento che sono una ritardataria nata, ti
capisco benissimo. Grazie mille, spero di riuscire a trovare il modo
– con la scuola e tutto – di aggiornare con
più frequenza.
FullmoonDarkangel: Cugi, Cugi, Cugi, non si trattano male i fazzoletti
di carta >_> Okay, sono scema. Ci sentiamo^^
|
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Capitolo 10 *** E la fine diventa l'inizio ***
Capitolo
10 – E la fine diventa l’inizio
«Troppo facile?»
ripeté Trunks, inquieto
ed incredulo.
Nella sua
mente balenarono i mesi – gli anni –
trascorsi dalla scomparsa della sorellina, le giornate vuote, le notti
insonni, i pasti durante i quali non aveva avuto appetito. I silenzi
che non potevano essere riempiti se non dalla risata cristallina della
bambina.
L’alieno
iniziò a camminare in cerchio attorno a
lui, le braccia dietro la schiena, mentre il ragazzo si voltava per
seguirlo con lo sguardo.
«Troppo
facile?» reiterò Trunks.
«Tu cosa c’entri con mia sorella?» Aveva
appena posto quella domanda che il cuore batté
più forte nel suo petto. Temeva di saperlo...
L’altro
ignorò le sue domande, ponendone
un’altra. «Ricordi dov’è
iniziato tutto?»
Trunks
sussultò.
«Bene»
constatò l’alieno,
facendo poi un gesto sbrigativo con la mano.
Il
paesaggio attorno a loro sfumò, mentre i colori parevano
confondersi come tinture su una tela sulla quale viene versata acqua.
Quando il
mondo tornò a definirsi, si trovavano in un luogo
completamente diverso. Trunks si guardò attorno, stordito,
tenendo al contempo – automaticamente – sottocchio
l’altro.
Non aveva
bisogno di alcuna consulenza per riconoscere il posto. Era il
Parco, quello stesso parco in cui aveva abbandonato Bra tre anni prima.
Sembrava molto più lugubre, come se una nebbiolina fosse
calata improvvisamente.
L’alieno
lo osservò. «E così
finiamo dove tutto è iniziato» sussurrò.
Il giovane
si irrigidì.
«Dov’è mia sorella?»
domandò sotto voce, guardingo.
L’alieno
si limitò a continuare a guardarlo con
gli occhi di bronzo screziato di smeraldo.
«Dov’è
Bra?» chiese Trunks, a
voce più alta. Iniziava a tremare incontrollabilmente.
«Ma
quanto siamo impazienti...» commentò
l’altro. Mosse qualche passo verso il ragazzo, fermandosi
esattamente davanti a lui. «Non sei curioso? Nemmeno un
po’?»
«Ho
detto che voglio sapere dov’è mia
sorella» replicò Trunks, gelido, «credo
che la curiosità sia più che
sufficiente...»
L’alieno
rise brevemente. «Non vuoi sapere
perché l’ho rapita?»
Fu
più forte di lui. Non riuscì a trattenerlo.
Trunks digrignò i denti, fissando furioso
l’alieno. «Cosa le hai fatto?»
sbottò.
«Io?
Io non più di quanto le abbia fatto
tu...»
La testa di
Trunks ebbe un breve scatto rabbioso, forse per il
desiderio istintivo di attaccare, o forse per cercare di liberarsi di
pensieri troppo dolorosi.
«Dov’è?» domandò,
tremando di rabbia e disperazione.
L’alieno
sospirò. «Vedo che senza di lei
non ascolterai mai davvero quanto ho da dirti...» Si
voltò, guardandosi attorno con aria svagata, quasi distratta.
Quando si
voltò nuovamente verso Trunks il suo viso era
contratto come a voler trattenere un ghigno.
«Dov’è
Bra?»
«Dov’è
Bra?» gli fece eco
l’alieno. Fece un sorriso sghembo, poi si scostò
di lato di un unico passo, lasciando una bambina di circa sette anni
allo sguardo attonito di Trunks.
Lei
alzò impaurita gli occhi. Due cristalli cobalto. I
capelli che le incorniciavano il visino erano di un morbido blu.
«Bra»
ansimò Trunks. Quanto era
cresciuta...
Mosse un
passo in avanti, ma il mostro sconosciuto tornò a
porsi davanti alla bambina spaventata. «Lei ora è
qui» gli fece notare. «Ora vuoi
ascoltare?» C’era una pericolosa piega di
impazienza nella sua voce.
Trunks
ansimava. A fatica, le braccia strette al petto,
riportò lo sguardo sull’alieno.
«Parla» sussurrò.
Non
riusciva più a vedere la bambina, ma ora
l’aura di Bra pulsava chiaramente.
«C’era
una volta, un essere chiamato
Freezer», Trunks alzò di scatto gli occhi,
«che iniziò una giusta opera di sterminio della
razza saiyan. Però, evidentemente, qualcuno gli
sfuggì. E un giorno trovò la morte per le mani di
un ragazzo...» Alzò lo sguardo su Trunks.
«Un ragazzo che ti somigliava parecchio...»
Il giovane
lo fissò confuso. Continuò a prestare
attenzione all’energia spirituale della sorellina, ma
ascoltava meglio lo sconosciuto. A dire il vero, non era
così concentrato su una conversazione da tanto, troppo
tempo. «Io allora non ero ancora nato» gli fece
notare.
«Sì,
ma gli somigli davvero tanto. Gli somigli
davvero troppo» sibilò l’alieno.
«Chi
sei tu?»
«Algid»
rispose quello, «ex soldato al
servizio del grande Freezer».
Il tono con
il quale pronunciò il nome di Freezer era acceso
da una fanatica venerazione che brillò anche nel suo sguardo.
«Vedi,
quando Freezer morì, un dispositivo aveva
registrato il tutto. La nave spaziale del grande Freezer è
andata distrutta, ma quella registrazione è sopravvissuta...
ed io l’ho decifrata. Perciò sono venuto qua a
vendicarmi... di te» concluse, fissando Trunks con una sorta
di oscena soddisfazione.
«Per
questo hai rapito Bra?» domandò il
ragazzo. Voleva essere certo di aver capito bene. Al distratto cenno
d’assenso dell’altro – come se quello
fosse un dettaglio irrilevante – si sentì
avvelenare da una fitta d’odio.
«Allora
ti sei impegnato per nulla. Lei è
innocente e io non ho ucciso il tuo Freezer»
ringhiò.
«Lo
so» confermò distrattamente
l’alieno, «è stato il tuo alter ego del
futuro. Ma cosa mi importa» aggiunse, mentre la sua voce si
faceva gelida come il suo nome, «di questi dettagli, quando
alla fine siete comunque la stessa persona?» Era una domanda
retorica, Trunks lo lesse nel suo sguardo.
La rabbia,
l’odio e la disperazione che si agitavano nel suo
petto gli impedivano di pensare con chiarezza. Non riusciva a trovare
uno spazio nella sua mente – nel suo animo straziato
– che non fosse invaso e posseduto dal desiderio agonizzante
di poter stringere Bra tra le braccia. Vederla era stato riaprire una
ferita mal rimarginata, bruciare il suo cuore, alimentare le sue folli
speranze.
Voleva
toccarla. Lo voleva così tanto che gli dolevano le
braccia.
«Cosa
vuoi, dunque?» domandò
faticosamente, rivolto ad Algid.
L’alieno
lo guardò con un’evidente
soddisfazione impressa nei lineamenti sinuosi. «Voglio
te» affermò, con misurata lentezza. Ed ogni parola
era un ghigno, era una condanna, era un taglio mai rimarginato.
Trunks lo
fissò, interrogativo, mentre un brivido gli
scorreva lungo la schiena.
«Vedi»
iniziò Algid, «Freezer
era a dir poco geniale
quando si trattava di tecniche di tortura. In
particolare, aveva il talento di riconoscere cosa faceva soffrire
davvero i suoi avversari. Sapeva che non sempre le ferite peggiori sono
quelle carnali. Ora: potrei sbarazzarmi della tua sorellina solo per
vederti distrutto».
L’espressione
di Trunks si fece sgomenta e nauseata.
«Ma
non voglio» continuò
l’essere, ed il ragazzo si rilassò visibilmente
nonostante mantenesse la posizione di guardia. «Penso di
essermi divertito abbastanza a scrutarti ogni tanto in questi anni. Fa
male la disperazione, vero? Fa male il senso di colpa,
giusto?»
«Cosa
vuoi?» domandò di nuovo Trunks,
osservandolo furibondo.
«Voglio
battermi con te. Non potrai fermarti.
Perché, se anche tu dovessi provare ad evitare anche solo
per un attimo lo scontro, la tua sorellina la pagherà cara.
Dopo che ti avrò distrutto la riporterò a casa,
perché avrò avuto la mia vendetta. Ti
è chiaro il concetto?»
«Cristallino».
Il suo tono
era stato gelido e calmo, ma dentro sé Trunks
sentì un’ondata di angoscia. Non aveva idea di
quanto fosse forte il suo avversario.
Non aveva
mai avuto così tanta paura in vita sua, prima di
un duello. Morire era una possibile conclusione, lo sapeva, lo leggeva
nello sguardo di Algid. Ma il pensiero di morire prima di poter
stringere tra le braccia Bra, prima di poterle dire, guardandola negli
occhi, che gli dispiaceva, era semplicemente insopportabile.
«Cosa
succede se rifiuto la sfida?» chiese,
sentendosi infinitamente stanco. In cuor suo sentiva di sapere
già la risposta.
Ne ebbe la
conferma quando sul volto dell’alieno si
disegnò un ghigno perfido. «Dovrai raccogliere i
pezzettini della piccola Bra» rispose.
Di nuovo il
ragazzo sentì uno scatto d’odio dentro
sé, così acuto e repentino da annebbiargli la
vista per un attimo.
«Posso
dirle una cosa, almeno... Prima?» chiese.
«Ti prego» aggiunse, incrociando gli occhi
dell’alieno.
Non aveva
mai supplicato apertamente un avversario.
Un lampo
perverso balenò negli occhi dell’alieno.
«No». Fece un gesto beffardo. «Ma urlalo,
se vuoi, lei è qui» e fece cenno dietro di
sé. «Ah, un’altra cosa. Se tenti di
fuggire con la tua sorellina, giuro che vi darò la caccia
fino alla fine dei miei giorni. E quando la troverò, la
ucciderò subito».
«Se
vinco?» domandò Trunks.
«Se
vinci, do la mia parola che ti lascerò
allontanare e non ti darò mai più fastidio.
Né a te né alla tua preziosissima Bra».
«Cosa
mi assicura che manterrai la parola? Cosa mi
dà la certezza che, se morirò, tu la riporterai a
casa?» chiese Trunks, con il cuore che batteva
all’impazzata.
«Ti
giuro che farò così»
replicò Algid. «E poi...» aggiunse, con
una mezza smorfia. «Come potrebbe essere altrimenti? Cosa
dovrei farmene di una mocciosa come lei, una volta compiuta la mia
vendetta su di te?»
Trunks lo
fissò raggelato per qualche istante, poi
annuì lentamente. Si sentiva tremendamente disperato, ma non
poteva far altro che fidarsi della parola dell’alieno.
«Un
attimo» sussurrò. Cercò
di individuare almeno parte della sorellina, ma Algid la nascondeva
completamente. Fece un respiro profondo e cominciò:
«Bra.
Perdonami,
ti prego. Sono stato egoista. Non sono stato il fratello che
avresti meritato. Lo so che tu devi aver sofferto almeno il doppio di
quanto ho sofferto io, ma ti chiedo di perdonarmi. Ti prego, per favore.
Forse...
Forse me ne dovrò andare, piccola, ma non ti
preoccupare. E soprattutto, non pensare, mai, per nessun motivo, che
sia in qualche modo colpa tua. Ti amo tantissimo, piccola,
perché sei tu. Non avere mai rimpianti, per favore, non ne
hai motivo. È da un secolo che non mi sento così
vivo».
Tacque e
deglutì.
Raddrizzò
la schiena, fronteggiando Algid. «Sono
pronto» affermò, osservando il profilo crudo
dell’alieno.
Questi
sorrise con lentezza. Avanzò di un passo.
Spazio dell’Autrice:
No. Non è un’allucinazione. Sono tornata davvero,
dopo mesi di assenza. Mi dispiace tantissimo e spero di non avervi
fatto fuggire tutti con la pausa enorme che mi sono permessa (anche se
forse me lo meriterei). No, se dico “permessa”
sembra sia stato intenzionale farvi attendere così tanto.
Non è così e vi chiedo scusa.
Spero il capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative.
Luna_07: Come
vedi, Bra finalmente è saltata fuori, e
l’alieno ha spiegato la propria provenienza. Spero ti piaccia
l’aggiornamento – che, finalmente, è
arrivato.
S_ara: Non
immagino ora che balzo farai (forse di rabbia, anche) quando
vedrai che finalmente, dopo mesi e mesi di nulla, ho aggiornato questa
storia. Come vedi, Freezer c’entra... Un bacio
Babypunk90: Almeno
questo capitolo è più lungo.
Viene molto in ritardo ma almeno come lunghezza non scarseggia
– almeno spero, sigh!
Giusiemo291:
Infatti Freezer, pur non essendo esattamente questo nuovo
personaggio, entra nella sua storia ed in un certo senso è
la causa indiretta di quanto è accaduto. Spero che tu possa
perdonare il mio orribile ritardo! Grazie per i complimenti!
DarK_FirE: Gemy!
Perdona TU per il ritardo! Sono un disastro, ci ho
messo così tanto ad aggiornare... Purtroppo ti ho tenuto
molto sulle spine, ma ora tenterò di non farlo
più, mi sono già fiondata a scrivere i capitoli
che seguiranno. Vedi che il tuo Freezer c’entra? Ti anticipo
che non ci si scorderà certo di lui, in questa storia...
Bacioni
FullmoonDarkangel: Funghi?
Io adoro i funghi! Vabbe’,
probabilmente già lo sai, data la quantità di
riso ai funghi che ho mangiato su al campo... Sono felice che ti
piaccia questo nuovo alieno.
Giuliiiiii: Ed
ecco il continuo. Lo so, sono stata molto più
che ritardataria. Spero sia perdonabile questa attesa che vi ho fatto
fare... Grazie mille per i complimenti, sono molto contenta che ti sia
piaciuta!
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Capitolo 11 *** Illusione ***
Capitolo 11 – Illusione
“È rapido”.
Il pensiero
si delineò con irreale precisione nella mente di
Trunks, mentre questi veniva scagliato all’indietro da un
pugno al mento indirizzatogli da Algid.
Cadde
pesantemente sul prato, precedendo con essa il resto del corpo
poggiò una mano al terreno e si rialzò in piedi,
fulmineo. Osservò Algid in posizione di guardia.
Un rivolo
di sangue gli bagnava il labbro.
Lo sentiva
sulla lingua, in bocca. Eppure, quel sapore salato e
metallico aveva un che di inebriante, come se improvvisamente ogni
percezione fosse diventata elettrizzante. Non avrebbe saputo dire se
era dato dal fatto che aveva ritrovato Bra o dalla prospettiva di
morire.
Il secondo
scatto dell’alieno non lo trovò
impreparato. Il primo attacco, nella sua rapidità, lo aveva
spiazzato, ma ora sapeva che la velocità era elevata sino a
quel punto. Non c’era più spazio per la sorpresa,
fortunatamente.
Indietreggiò,
stando a qualche centimetro da terra, mentre
l’aria gli passava tra i capelli, poggiando i piedi sul
terreno solo raramente, per avere un migliore equilibrio;
arretrò sotto i colpi di Algid, parandoli, restando in
posizione di difesa in attesa di cogliere qualcosa dello stile del
nemico.
Dopo
gomitate, pugni, manate, ginocchiate e calci iniziò a
trovare il proprio ritmo in quello frenetico e spietato
dell’alieno. Lentamente, senza lasciare la difesa,
iniziò ad adattarsi ad esso, cercando di abituarsi.
Per un
attimo, colse l’immagine di ciuffi azzurri e
scompigliati da dietro la spalla di Algid. Un boato gli esplose nella
mente, un momento dopo l’alieno lo scagliò
impietoso sul terreno.
Si
rialzò e riprese a danzare nell’aria, in
equilibrio sul filo del rasoio.
Quando
credette di essersi fatto una vaga idea dello stile di Algid
azzardò un colpo poco convinto per testare la sua difesa.
Come previsto, l’alieno lo parò senza problemi.
Il ragazzo
si alzò un po’ di più
nell’aria, con una capriola in volo evitò una
manata in pieno viso da parte dell’essere, quindi mosse
fulmineamente la gamba... Ed il suo ginocchio raggiunse deciso lo
stomaco dell’alieno, che si fece appena un po’
indietro.
Il
combattimento riprese.
Nonostante
l’angoscia che gli serrava lo stomaco, Trunks
sapeva di non aver mentito (né mentito né
esagerato) quando aveva parlato a Bra.
Era da
tanto che non si sentiva così vivo.
Sentiva il
battito del proprio cuore contro il petto, sentiva il sangue
pulsare nelle vene, l’aria fresca pungere sulla pelle, il
vento a scompigliargli i capelli.
Percepiva
ogni aura degli essere più o meno vicini. La
splendida forza spirituale di Bra e quelle opache, deboli e dolcemente
ottuse dei piccoli animaletti che si aggiravano lì intorno.
E le aure
erano una musica, erano la colonna sonora della vita. E
quella di Bra era la melodia più soave, bella e speciale.
Ogni nota
racchiudeva una storia.
Erano
storie, erano immagini nella sua testa, al di sopra dei movimenti
del suo corpo che si opponevano ai colpi di Algid. Erano racconti che
avrebbe voluto narrare alla sua sorellina. Voleva raccontarle storie
della buonanotte.
Voleva
sentirla ridere, voleva vederla premere le mani sulla bocca
– simile ad un minuscolo bocciolo di rosa rossa –
in un moto di sorpresa. Voleva udirla reclamare a gran voce il continuo
del racconto.
Un pugno lo
fece crollare a terra. Sbatté la testa sul
prato, per un attimo stelle e luci gli esplosero davanti agli occhi. Si
rialzò di scatto mentre, contro la sua volontà,
una nuova ipotetica storia si faceva strada nella sua mente.
Bra che
sorvolava i tetti della Città dell’Ovest
sorretta da Algid.
Bra che
correva tra le braccia di Bulma ridendo.
Bra che
riportava il sorriso sulle labbra di sua madre ed un ghigno
meno rigido su quello del padre.
Bra che
tornava ad accucciarsi sul proprio letto, mentre Bulma, felice,
prendeva dalla soffitta gli oggetti che aveva messo via.
Bra che
rideva.
Bra che
piangeva.
Bra, Bra,
Bra.
Bra...
Senza di lui.
Avrebbe
voluto essere meno egoista, avrebbe voluto che non gli
importasse nulla di se stesso, se solo sua sorella poteva riavere
ciò che le era stato tolto per colpa sua. Ma gli importava.
Eccome se gli importava.
Non voleva
morire.
Una
ginocchiata lo colpì al mento, facendogli perdere il
ritmo, permettendo ad Algid di raggiungerlo con un calcio ben
indirizzato.
Il ragazzo
scattò indietro, stordito. Mentre si rilanciava
contro l’alieno cercò il modo di liberare la
propria testa dalle immagini in cui sua sorella viveva senza di lui, in
cui lui non aveva l’occasione di abbracciarla nemmeno un poco.
Non gli era
mai stato troppo difficile liberare la mente durante un
combattimento, e non riusciva a capire come mai ora quelle immagini
premessero così tanto sui suoi pensieri.
Poi, mentre
spingeva la mano in avanti, colse un bagliore degli occhi
di Algid che si erano alzati a incontrare i suoi, e capì.
Era stato
Algid a creare gli incubi che lo avevano tormentato e
ossessionato in quegli anni. Era stato lui, ed ora era lui a
sommergergli la mente di ipotesi sgradite.
Con un
gemito, il ragazzo sollevò un pugno ed
andò a colpire in viso l’avversario, per poi
ricevere in cambio una sfera d’energia dritta nello stomaco.
Trunks
compì una mezza capriola all’indietro per
sottrarsi da un altro Ki Blast, quindi si raddrizzò e
tentò di colpire Algid sul petto, senza risultato.
Le immagini
che, nella sua mente, soffocavano gli altri pensieri gli
stavano facendo perdere gran parte della concentrazione.
«Basta!»
gridò, fermando un pugno
dell’alieno. «Che stai facendo?!» chiese
con rabbia, mentre entrambi si guardavano, uno davanti
all’altro.
«Ti
combatto» replicò Algid, con un
bagliore serpentino negli occhi.
«Sta’
fuori dalla mia mente!»
«Perché?»
domandò
l’alieno, in tono strisciante, con parole che sembravano
insinuarsi viscide nella mente del giovane saiyan. «Io
combatto con quello che ho. Con tutto
quello che ho».
Con un
balzo l’alieno si scostò dal ragazzo, per
poi ripartire all’attacco, con una nuova marea di immagini ed
un’ondata di colpi.
Il ragazzo
riuscì a mettere da parte i propri pensieri e a
focalizzarsi sul duello.
Stava
riacquistando il ritmo quando le forme nella sua mente
cambiarono. Non erano più una vita nuova per Bra.
Erano il
passato.
Era Bra che
piangeva nei suoi incubi, era Bra che si sedeva alla
casetta nel Parco, fiduciosa del fatto che lui sarebbe tornato a
prenderla. Bra, ed i suoi occhi erano azzurri. Erano smarriti, traditi,
infelici.
Il globo
energetico che Algid creò con una mossa fulminea lo
colpì in pieno petto, travolgendolo in un’ondata
di scintille.
Il ragazzo
cadde all’indietro, battendo la testa contro il
prato. Le sue narici vennero immerse dall’odore di terra
bagnata e da quello di bruciato.
Stordito,
alzò a fatica la testa, mentre Algid si avvicinava
con lentezza.
Spazio
Autrice:
Eccomi! Lo so, sembra incredibile, è incredibile, ma
è la verità. Sono di nuovo qua, ad aggiornare
questa storia. Devo dire che, quando ho ideato questo capitolo, ero un
po’ scettica riguardo all’idea di riuscire a
descrivere un combattimento – stile Dragonball –
senza farlo diventare troppo pesante e ripetitivo. Invece, quando mi
sono messa a lavorarci sopra, mi sono divertita. E penso di essere
riuscita a non farlo diventare troppo tedioso – ma questo
dovete dirmelo voi.
Super Sirod: Oddio, non sai quanto mi ha fatto
arrossire – di
piacere, diciamolo pure – la tua recensione. Non so,
è sempre bello poter dirsi che può esserci
qualcuno, oltre a quelli che recensiscono, che segue la storia. Sono
felice che ti piaccia così, sono felice di essere riuscita a
rendere i sentimenti di Trunks così realistici e di essere
riuscita a creare un’atmosfera nel quale sei riuscita ad
immedesimarti. Non so se riuscirò a ringraziarti mai
abbastanza per il piacere che mi ha fatto la tua recensione. Comunque
intanto ti dico grazie, e mi impegnerò per provare a non
lasciarti più in lunga attesa – senza dubbio, non
di certo lunga come quella che c’è stata... Ciao^^
Luna_07: Le parole che Trunks rivolge a Bra prima di
iniziare il duello
sono senz’altro importanti. A dire il vero, ero un
po’ preoccupata che alla fine sembrasse un discorso messo
là con tanti termini più o meno eccessivi e
perdesse il significato che volevo dargli. Quindi, quando ho letto il
tuo commento, ho anche tirato un bel sospiro di sollievo. Sono felice
che ti siano piaciute. Al prossimo capitolo^^
Giusiemo291: Eh, quando ho pensato alla storia non
ho potuto fare a
meno di inserire un qualche collegamento con Trunks del futuro (che
è anche il mio personaggio preferito). Diciamo che la scena
madre – esiste la scena madre nei capitoli di una storia?,
comunque – del capitolo è proprio quando Trunks
rivede Bra dopo tanto tempo. Insomma, io cerco sempre di comunicare
qualcosa a chi legge quel che scrivo e sono molto più che
felice di leggere che i brividi, le emozioni e i sentimenti di Trunks
ti siano giunti con tanta chiarezza. Anche l’immagine di una
Bra spaventata era importante, per me, quindi sono contenta che tu
l’abbia colta. Sì, è rimasta
traumatizzata davvero, povera cucciola (Bra mi fa sempre questo
effetto. Mi intenerisce moltissimo). Per i suoi sentimenti riguardo il
fratello li vedremo presto, non preoccuparti. Ciao, un bacio.
Dea Nemesis: Non preoccuparti per non aver recensito
prima. Cavolo, non
credevo di saper coinvolgere sino al punto di indurre a leggere dieci
capitoli in un fiato... Be’, mi fa piacere di esserci
riuscita. Riguardo alla scena della ninnananna volevo qualcosa di
“normale”, come dire, che potesse risultare
inquietante, Trunks che ripete a bassa voce le frasi di una canzone
rivolgendosi alla sorellina che, di fatto, non
c’è, mi sembrava adatto alla situazione. Sono
contenta di averti fatto immedesimare e provare quasi lo stesso shock
che ha sentito Bulma. Stesso discorso per gli incubi – nel
senso che anche loro sono una parte importante della storia.
Anch’io credo che mi sarei terrorizzata abbastanza, sognando
cose simili... Per finire, ebbene sì, la colpa è
in gran parte di Algid. Alla prossima e grazie!
Angelo Azzurro: Sono contenta che ti sia piaciuta
l’idea
della storia e il modo in cui poi l’ho sviluppata. Ti
capisco, anch’io ultimamente non frequento più la
categoria “Dragon Ball”, senza dubbio non come
facevo un tempo. Così come te, pure io ogni tanto
però vengo a dare un’occhiata, e leggere una cosa
qui e una cosa lì mi aiuta a riprendere
l’ispirazione, soprattutto se è qualcosa di ben
scritto. Cercherò di aggiornare il prima possibile! Al
prossimo capitolo...
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Capitolo 12 *** Il passato ***
Capitolo 12 – Il passato
Faceva male.
Faceva
maledettamente male.
Il petto
gli doleva, le braccia gli dolevano, ogni muscolo sembrava
spossato ed esausto, teso sino allo spasmo per la stanchezza.
Sfinito,
osservò Algid farsi sempre più vicino.
L’aspetto più positivo della faccenda era senza
dubbio il fatto di non riuscire a pensare a nulla, mentre continuava a
fissare l’alieno che incedeva con lentezza studiata, quasi
goduta.
Sbatté
le palpebre e provò a tendere i muscoli,
ma loro non risposero, se non con una protesta di dolore. Il ragazzo
rilassò come poteva il proprio corpo.
Di punto in
bianco, il suo cervello riprese a funzionare. I pensieri
che parevano essere scomparsi sino a qualche attimo prima tornarono di
colpo a invadergli la mente, frenetici. Allo stesso tempo, si
impegnò in modo di controllare i propri respiri affannati,
regolandoli.
Di scatto,
balzò in piedi, mentre la sua aura si increspava.
Le sue pupille parvero sbiadire, inghiottite dall’azzurro
dell’iride, colore che mutò in un brillante verde
acqua. I capelli sudati diventarono di un biondo sfolgorante alzandosi
appena verso il cielo. La forza spirituale che lo circondava si fece
visibile in una fiammata d’oro.
Algid si
bloccò. Per un momento i due si limitarono a
guardarsi, poi Trunks scattò in avanti con la rinnovata
potenza dovuta al suo stadio di super saiyan.
I suoi
colpi si fecero più precisi e mirati, spiazzando
l’alieno e costringendolo ad indietreggiare, visione che
provocò al ragazzo una soddisfazione quasi selvaggia.
Con una
testata diretta al viso dell’avversario
sancì definitivamente lo spazio tra loro due.
Algid
traballò, poi alzò il capo. Sembrava,
mentre arretrava sempre di più, che tentasse di cogliere la
sfumatura e i sentimenti che si celavano negli occhi estranei del
giovane.
Qualcosa
balenò nel suo, di sguardo, e Trunks, seppure per
un frammento di secondo, esitò, disorientato da una nuova
sequenza di immagini nella propria testa.
Strinse i
denti e si abbassò ad attaccare l’alieno.
Ma, contro
la propria volontà, si ritrovò
trasportato indietro, tre anni prima, dai ricordi di Algid su quanto
era accaduto dopo che lui se n’era andato lasciando Bra sola
al parco.
Correva.
Il freddo della notte sembrava
cristallizzarsi sul suo corpo liscio, ma
lui non ci badava, si rifiutava di rallentare anche di un poco la
frenetica andatura.
I colori della notte
sfrecciavano attorno a lui, una massa indefinita a
causa della velocità; un nero schizzato di poche luci
scialbe.
Non si era mai sentito
così vittorioso ed esultante, non
dall’uccisione del suo signore.
Quando aveva assistito alla
scena in cui quel... ragazzino si
permetteva di sfidare il grande Freezer, non aveva avuto più
pace. E sapeva che non ne avrebbe avuta sinché non avesse
trovato la propria vendetta.
Finalmente – doveva
ringraziare tutti gli dei che si
onoravano sul suo pianeta natale, dei ai quali lui non aveva mai
creduto – l’occasione della rivalsa gli si era
presentata.
Quello stupido ragazzino aveva
lasciato la sua sorellina sola al parco.
Per mera fortuna, in quel momento lui, Algid, era focalizzato sulle
aure dei fratelli Brief. E così aveva sentito la prima
(così odiata, così chiaramente saiyan) separarsi
dalla seconda (lieve e ostinata nella sua mente). Senza osare credere
alla fortuna che gli stava capitando, aveva seguito con la mente
l’aura di Trunks. L’aveva sentita incontrarsi con
quella del figlio minore di Son Goku ed aveva compreso cosa doveva
essere accaduto.
Trunks aveva lasciato la
sorellina, che gli era stata affibbiata, sola
al parco.
Un ghigno si dipinse sul viso
gelato di Algid. Saiyan o no, combattente
o meno, il ragazzo era decisamente succube di tutti i difetti umani. La
scarsa pazienza non faceva eccezione.
Una svolta, ed Algid se lo
ritrovò davanti, il parco in cui
il figlio di Vegeta aveva lasciato sua sorella minore.
Alla luce scialba delle prime
ore della notte, illuminato a stento da
qualche pallido lampione, il prato sul quale si trovavano alcuni giochi
sembrava stranamente lugubre.
Ma non era così che
Algid lo vedeva. Oh, no. Per lui ogni
singolo stelo d’erba brillava di magnificenza e
soddisfazione, ogni scheggia arrugginita delle catene delle altalene
irradiava compiacimento.
Il gran momento era giunto,
finalmente.
L’alieno
atterrò con calma sul prato, nonostante
gli sembrasse di avere il corpo teso per l’impazienza
famelica.
Si avvicinò alla
casetta giocattolo dalla quale proveniva
l’aura modesta e quasi indistinguibile di Bra. Già
in lontananza poteva distinguerla.
La bambina, ciuffi di capelli
blu e occhioni dello stesso colore a
sottolineare la sua razza ibrida, sedeva là dentro,
sfilandosi accigliata uno dei guantini che indossava.
Quando l’alieno le fu
davanti, sussultò come se lo
avesse percepito ed alzò repentinamente lo sguardo,
spaventata.
In risposta a quello sguardo
impaurito, il ghigno di Algid si fece
minacciosamente ironico. Ah, che delizia! La vendetta si preannunciava
molto più meravigliosa di quanto se la fosse mai figurata!
«Ciao, piccola
Bra» la salutò, mentre il
ghigno si allargava maggiormente.
Lei mosse la testa in uno scatto
curioso. «Chi sei
tu?» strillò, alzandosi in piedi. Il guanto cadde
dalla sua mano nuda.
Naturalmente, avrebbe potuto
caricarsela in spalla senza tanti
complimenti e portarsela via così, come se niente fosse. O
avrebbe potuto stordirla con un colpo ben mirato e condurla via
altrettanto facilmente.
Ma l’euforia che
provava gli suggerì di giocare un
poco.
«Oh, sono un amico,
piccola Bra, te lo assicuro»
ghignò.
Lei scosse la testa, scrutandolo
torva nonostante la paura fosse
più che evidente. «No! Non è vero! E
non mi parlare!» aggiunse, in tono quasi disperato.
«La mamma dice di non parlare con gli estranei!»
Algid sorrise. Sì,
sì, sì! Che gaudio!
Poteva quasi sentire il cuore della bambina battere, veloce e impaurito
come quello di un uccellino in trappola. Assaporò ogni
singolo palpito spaventato, godendolo come il piacere supremo.
«Vattene!»
urlò la bambina, atterrita.
«Sei tutto freddo, vai via, non mi piaci!»
«E dovrei lasciarti
qui sola soletta?»
domandò Algid, con un nuovo ghigno. «Io, almeno,
ti posso dire che conosco tuo padre e tuo fratello. Pensa che brutti
cattivi e veri
sconosciuti potrebbero arrivare da un momento
all’altro». Fece un gesto ampio. «Tra
poco sarà buio» aggiunse, quasi in tono di sfida.
La bambina seguì con
gli occhi la mano dell’alieno
che si tendeva ad indicare tutt’attorno. Una piccola dose di
incertezza e di rinnovata inquietudine si disegnò sul suo
visino.
«Tanto Trunks mi viene
a prendere!»
esclamò, in tono di sfida.
Questa era bella! Bellissima!
«Oh, ma davvero?»
sogghignò Algid. Guardò per bene il volto della
bimba, assicurandosi di averlo sott’occhio in modo ottimo.
Sarebbe stato un piacere vedere con chiarezza ogni fiducia scomparire,
lasciandolo infreddolito e terrorizzato.
«Mia cara, piccola
Bra, temo che tu abbia frainteso. E di
molto, anche. Il tuo fratellone, quello che in teoria dovrebbe tornare
a salvarti, ti ha scaricata. Ti ha lasciata qui per non averti fra le
scatole, ti ha abbandonata perché non ne può
più delle tue lagne, perché vuole godersi una
bella giornata in compagnia del suo amico Goten senza di te».
La certezza sul volto della
piccola iniziava a sgretolarsi. Quasi a
sottolineare quel cambiamento, il labbro inferiore iniziava a tremare,
quasi lei fosse prossima al pianto.
«Non è
vero!» disse, ma la sua voce era
fievole e quasi patetica. «Il mio fratellone mi vuole
bene!»
«No» la
contraddisse pacato Algid, quasi con
dolcezza. «No... Lui vuole disfarsi di te. Pensa che bella la
sua vita, prima che arrivassi tu! Aveva papà e mamma tutti
per sé. Ora, invece, sia papà che mamma si
occupano della sua sorellina, trascurandolo. Non è bello
essere trascurati, piccola mia, non è per nulla bello. Ti ha
raccontato una bugia e ti ha scaricata qui. Ma non verrà a
prenderti più. Mai più».
Le guance rosee della bimba
iniziarono ad essere rigate dalle prime
lacrime. Bra iniziava a sentire il freddo. Prima, quando pensava che
Trunks sarebbe tornato, non c’era così freddo.
Pensò disperata al
suo fratellone, a tutti i capricci che,
in fondo, aveva fatto solo per attirare la sua attenzione.
Pensò ai suoi sorrisi quando le faceva il solletico.
Ed era tutto una bugia? Non era
vero niente? Era tutto cattivo?
Un brivido scosse la piccola,
facendola piangere di più.
Voleva correre via e non tornare più su quel mondo in cui
tutto era brutto, nero e cattivo.
Algid posò le dita
sulla fronte della piccola,
concretizzando ogni sua paura, consolidando le debolezze e distruggendo
le certezze.
Quando tolse la mano si
ritrovò davanti una Bra molto
più indifesa e terribilmente disperata di quella che gli
stava innanzi prima che la sfiorasse.
La guardò piangere,
assaporò la sua solitudine.
Poi la strinse e se la caricò in braccio. Essere circondata
dalle braccia dell’alieno aumentò i singhiozzi
spaventati della bambina.
Sola. Sola. Sola.
Strillava solo quello, ormai, la
sua mente: solitudine.
«L’ho
portata via e ho teso la mente verso voi
saiyan, ingannando i vostri sensi e, così facendo,
nascondendo l’aura della bambina ad ognuno di voi»
concluse Algid, recuperata la solita beffa nella propria espressione,
evitando il pugno fiacco e sfiduciato di Trunks.
Il ragazzo
si riscosse ed attaccò con maggior convinzione.
Ma si sentiva malissimo.
Aveva la
nausea, la testa gli girava.
La sua
mente era sopraffatta dall’immagine di Bra in lacrime.
Si sentiva soffocare dalla voce di lei che sosteneva che suo fratello
sarebbe tornato a prenderla, dalla fiducia che si sgretolava e che,
frammento a frammento, scivolava via dal visino della bambina.
Ansimò
e si costrinse a concentrarsi sul duello.
Poco
lontano, smunta e impaurita, Bra osservava ad occhi sbarrati quel
combattimento.
Spazio Autrice:
Mamma mia. Scusate il ritardo, ma avevo una paura pazzesca che questo
capitolo suonasse un po’ ripetitivo. Cioè, sono
tutte cose già viste: il senso di colpa di Trunks,
l’insopportabile bastardaggine (?) di Algid, la paura di Bra.
Comunque mi sentivo in dovere di completare quello che è
successo dopo che Trunks ha lasciato la sorellina al parco, una specie
di escursus sul personaggio di Algid, anche.
Come se non bastasse, ci si è messa di mezzo la scuola,
tutte le sue orrende interrogazioni e/o verifiche e tutto
ciò che ne deriva. Per non parlare della febbre che mi
è venuta...
Spero di non avervi annoiato.
Super Sirod: Okay.
So che l’ho già detto, ma,
nonostante tu abbia scritto che credi che i complimenti siano meritati,
non posso fare a meno di ripeterlo: Grazie. In effetti quando mi
appresto a scrivere un combattimento, come dici tu, alla Dragonball, mi
sento un po’ irrequieta: mi sembra di essere in equilibrio
molto precario. E in effetti, ho sempre un timore insopportabile di
calcare o troppo o troppo poco la mano sulle azioni più
fisiche. Sono felice che ti piaccia come scrivo. Ora penso tocchi a me
scusarmi, e mi scuso per non aver aggiornato prima. Spero di non
lasciare attendere un mese di nuovo!
Trunks94_cs:
Ciao! Ti ringrazio per i complimenti. Mi fa piacere che la
mia storia ti abbia catturato ed invogliato a leggerla tutta in
un’unica serata. Ho visto la tua mail, dopo tanto che me l'hai mandata, ma non riesco a inviarti la risposta! Poi riprovo e spero di riuscirci!
Dea Nemesis: Okay,
qui spero di non essere inciampata nella
ripetitività, come ho paura che sia. Il combattimento
è sempre un punto critico, perciò sono stata
più che grata di leggere che non ti è parso
pesante, così come è stato bello leggere che hai
apprezzato il modo in cui ho trattato il personaggio di Trunks. Spero
di continuare a mantenere un tale “livello”.
Finaltrunks: Come
vedi, sei capitato proprio giusto, con la domanda:
“Ma Trunks non è ancora trasformato in super
saiyan?”, dal momento che proprio in questo capitolo
finalmente lo diventa. Il cambiamento di Trunks e le reazioni di Vegeta
e Bulma, oltre naturalmente alla scomparsa della piccola Bra, sono i
“pilastri” della storia, i punti che mi premeva
maggiormente far apparire reali al massimo. Quindi ti ringrazio per
averli apprezzati^^
Giusiemo291:
Guarda, anche a costo di prendere a calci la modestia, ti
assicuro che non è affatto noioso leggere dei complimenti.
Mi fa sempre un piacere immenso leggere che sono riuscita a trasmettere
quel che mi ero progettata di comunicare. Le tue recensioni, poi, non
sono mai troppo striminzite, anzi! Riesci sempre a darmi una dritta, e
quando le rileggo mi viene sempre voglia di aggiornare le storie su DB
(purtroppo, però, a volte la scuola e gli altri impegni non
possono essere sconfitti dalla mia voglia di scrivere
ç_ç). In quanto a quel che scrivi...
Be’, mi sento sempre – se posso dirlo con un
aggettivo che di solito non mi piace molto, salvo situazioni
particolari – deliziata,
dal modo in cui capisci o interpreti
quanto scrivo. A volti guardi addirittura più in fondo di
quanto ho guardato io. E mi dà una felicità che
non ti dico, vedere che riesco a comunicare qualcosa addirittura oltre
quanto mi ero programmata di far capire.
Credo sia un peccato che le storie sul futuro alternativo, e quindi sul
nostro amato Mirai No Trunks, scarseggino. Mi trovo in completo accordo
con te: Trunks del futuro okay, ma per pietà non quello del
GT!
Un bacio.
DarK_FirE:
Ehehe, Gemy, vedrai che i riferimenti al tuo adorato Freezer
non mancheranno, lo garantisco! Per adesso mi sa che, crudele come sono
(bisogna essere consapevoli della propria cattiveria, ogni tanto
>.<) torturerò ancora un po’
psicologicamente il povero Trunks. Sono d’accordo, Algid
è senza dubbio un incallito servitore (e come potrebbe
essere altrimenti?! Lo sappiamo noi che Freezer ha carisma a palate),
ma allo stesso tempo è anche un gran rompiballe. La sua
concezione di “giusta vendetta” è un bel
po’ distorta. Io dico “Evviva ottobre
perché compiamo gli anni!!!”, no?
Baci.
S_ara: In
effetti Bra poverina non c’entrava praticamente
niente. Anzi, proprio nulla. Ma si sa che i nemici devono sempre
escogitare la vendetta più contorta del mondo, invece che
essere diretti e prendersela con il responsabile. In effetti la tua
teoria è interessante xD Infondo è SEMPRE colpa
di Goku, non bisogna dimenticarlo... Mmm. ^^ Ciao, un bacio!
Raven85: Addirittura "Spettacolare"?! Oddio, grazie mille! In quanto alla tua domanda... Certo che la finisco!
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Capitolo 13 *** Faccia a faccia ***
Questo voglio dedicarlo a Valerio (alias Trunks94_cs)
Ragazzi, è tutto merito suo se ho ripreso in mano questa
storia!
Capitolo 13 – Faccia a faccia
Trunks fendette l’aria con un
manrovescio che finì
per abbattersi sul viso di Algid, furibondo. Non ne poteva
più delle immagini e dei ricordi che parevano impazzire
nella sua mente. Si sentiva male nel percepire i propri pensieri fuori
controllo, ma non voleva smettere di combattere.
Grazie alla
trasformazione in super saiyan era molto superiore
all’alieno sia in potenza che in velocità
– almeno sperava. La prontezza di riflessi era un
po’ frastornata dai continui ricordi che Algid inviava alla
sua mente, ma non se la cavava troppo male.
Sussultò
all’immagine mentale di Bra rannicchiata
in un angolo, terrorizzata; un momento dopo si abbassò per
evitare appena in tempo il pugno chiuso di Algid. Si
risollevò fulmineamente, afferrando il braccio
dell’alieno e, facendo presa su quella stretta,
scaraventò a terra l’avversario, alzandosi di
qualche metro nell’aria.
«Perché...»
ansimò Algid, una
volta che si ritrovò a fluttuare davanti al saiyan, a
distanza di sicurezza, «credi... di avere... il diritto di
essere qui?»
Trunks lo
ignorò e lo colpì con una gomitata, per
poi creare un Ki Blast e mandare la piccola sfera d’energia
ad infrangersi contro il petto dell’alieno.
Quest’ultimo reagì scagliando un ricordo contro il
presente del ragazzo.
Il figlio
di Vegeta barcollò appena, sopraffatto
dall’immagine di una Bra in lacrime, spaventata, disperata.
«Cosa
le hai fatto?!» ruggì, scattando
in avanti.
Algid si
scansò con una mezza capriola.
«Perché
piangeva? Cosa le avevi fatto?»
gridò di nuovo il ragazzo. Una parte di lui pensava che non
era importante, perché comunque gli avrebbe fatto pagare
ogni cosa. Ma un’altra voleva assolutamente essere a
conoscenza di cosa aveva dovuto patire la piccola Bra.
«Cosa
le ho fatto?» urlò Algid, di
rimando. «Devi accettare che sei stato tu a farle del male!
Io l’ho solo portata via da quel parco gelido dopo che tu
l’avevi abbandonata! Chissà chi sarebbe arrivato,
se non fossi giunto io a trascinarla via! Un maniaco? Un pazzo? Un
ubriaco?»
Trunks
allungò una manata, ma Algid la evitò con
facilità, per poi prendere l’attacco e colpire il
giovane con una testata al petto che gli fece mancare per un momento il
respiro.
«Io
ho deciso di mostrarti la strada per venire da
lei!» continuò Algid.
Trunks
scrollò la testa e lo attaccò, ma
l’alieno riuscì ad evitarlo.
«Avresti
continuato ad annaspare nel buio, se io non ti
avessi mostrato come venire qui».
«Non
ci sarebbe stato il buio, se tu non l’avessi
portata via!» urlò Trunks, colpendolo sotto il
collo con un pugno violento che fece barcollare all’indietro
l’alieno.
Algid per
poco non crollò sul terreno, ma riuscì
a recuperare l’equilibrio e a portarsi fuori dalla portata
del giovane.
«Errato»
corresse, in tono sprezzante.
«Non ci sarebbe stato il buio se tu non l’avessi
lasciata al parco».
«Continua
a rigirare la frittata come vuoi»
sibilò Trunks tra i denti. «Niente può
togliere che comunque sono tornato a prenderla».
«Oh,
è questo?» domandò
Algid. «Quindi tutto bene? Non importa cosa lei ha patito,
basta che tu alla fine ti sia dato una svegliata?»
Trunks
scosse la testa, tenendo d’occhio l’alieno e
aspettando il momento giusto per partire di nuovo
all’attacco. «Non è questo che sto
dicendo» affermò, quasi sottovoce.
Con uno
scatto, si lanciò contro Algid e lo
scaraventò a terra, per poi iniziare a indirizzargli dei
colpi su ogni centimetro di pelle dell’alieno che riusciva a
raggiungere, percuotendolo senza il minimo ritegno.
Algid,
all’ultimo momento, mentre un livido bluastro iniziava
ad allargarsi su una sua guancia che sembrava ormai tumefatta,
riuscì a sgusciare via dal saiyan. Volò verso
l’alto, digrignando i denti furibondo.
Si
fermò e guardò verso Trunks, che lo stava
fissando con disprezzo.
L’alieno
si irrigidì. Non doveva permettere a quel
ragazzino di batterlo, per nulla al mondo!
Pensò
a Freezer, il suo sovrano, e sentì una
nuova ondata di rancore bollente invaderlo. Quel bastardo, che non
poteva nemmeno vantare un sangue puro, non aveva il minimo diritto di
continuare a vivere, dopo la nefandezza compiuta.
Passato,
presente o futuro non importava. Sempre Trunks era stato, e
sempre Trunks doveva pagare.
Però
stava iniziando a resistere ai suoi attacchi mentali.
Avrebbe dovuto evitare di insistere su Bra, almeno per un poco. Doveva
cambiare soggetto.
Ma chi...?
Un ghigno
gli si disegnò sul volto alieno.
«Vediamo
se non ti confonde questo, bastardo»
sibilò tra i denti, aspettando che Trunks arrivasse a
raggiungerlo.
Il ragazzo
non si fece attendere troppo. In men che non si dica, si
lanciò nella direzione del rivale, un’espressione
determinata e rabbiosa insieme.
Algid
attaccò con precisione la sua mente.
Come aveva
previsto, Trunks si bloccò, frastornato,
disorientato dall’improvvisa visione di se stesso davanti ai
propri occhi. O meglio, non se stesso.
Un’altra
persona.
Un ragazzo
come lui, ma con lo sguardo più triste.
Trunks
avvertì un’improvvisa stretta allo stomaco
quando si rese conto di star guardando negli occhi il suo alter ego del
futuro.
Per un
momento dimenticò Algid, sommerso dal turbinio
frammentario di eventi che arrivarono con l’immagine
dell’altro Trunks.
In un solo
istante, seppe cos’aveva passato quel ragazzo.
Aveva perso
il padre, gli amici, il proprio maestro... Non aveva mai
avuto un amico come Goten, non aveva mai avuto una sorellina.
Bra...
Appena in
tempo, Trunks riuscì a riscuotersi da
quell’illusione. Tornò al presente, scostandosi in
fretta dalla traiettoria di Algid, il quale cercò di
colpirlo approfittando dello smarrimento del mezzo saiyan.
Evitato il
colpo dell’alieno, Trunks partì al
contrattacco, andando a segno con una testata.
L’aria
gli soffiava tra i capelli, il cuore gli batteva nel
petto, le tempie gli pulsavano, l’adrenalina pareva
scorrergli a fiumi nelle vene. Ma nel suo cuore, adesso,
c’era anche qualcos’altro.
L’immagine
di qualcuno che, pur non essendolo, era lui.
Se in un
primo istante l’idea l’aveva sconvolto,
ora Trunks lo accettò. Nella storia c’era stato un
altro Trunks, che aveva avuto una vita completamente diversa dalla sua,
che aveva maturato un carattere quasi opposto, ma che avrebbe
combattuto per Bra esattamente nello stesso modo in cui stava lottando
lui.
Trunks
trovò nuova forza e nuova decisione in quel pensiero.
Improvvisamente,
gli parve di non essere il solo a combattere quella
battaglia.
Algid
sibilò tra i denti, frustrato, accorgendosi che le
nuove immagini, invece di confondere il Saiyan come aveva sperato,
sembravano addirittura avergli dato una nuova determinazione.
Il suo
potere, in realtà, non consisteva nel creare immagini
illusorie. Lui era in grado di distorcere le barriere del tempo e dello
spazio, in maniera che i suoi avversari avvertissero eventi passati e
ne fossero distratti o sconvolti.
In quel
momento, aveva dato a Trunks solo un assaggio –
davvero minimo e distante – di quella che era stata la vita
del suo alter ego del futuro. E così, contrariamente ai suoi
piani, gli aveva dato un motivo in più per continuare a
lottare. Se invece gli avesse fatto percepire con più
intensità tutti gli orrori che quell’altro
bastardo aveva vissuto, se avesse scaraventato nella sua mente gli
incubi e le paure della sua controparte…
Si
sollevò più in alto, e assottigliò
gli occhi fissando Trunks che gli si avvicinava rapidamente.
Individuò
senza problemi la barriera spazio temporale sulla
quale avrebbe dovuto far forza per cogliere alla sprovvista quello
sbarbatello. Quindi, con la propria capacità,
iniziò a deformarla, quasi immergendo Trunks in una nuova
realtà.
Il ragazzo,
da parte sua, era più che deciso a finire
quell’incontro una volta per tutte, sbarazzandosi di Algid in
fretta per poi poter correre finalmente da Bra.
Accelerò
il proprio volo, ma improvvisamente nuove immagini
del suo alter ego lo colpirono, e questa volta erano più
nitide e forti delle precedenti. Trunks si sentì ghiacciare
il respiro – la sensazione era proprio quella di essere
finito in un pozzo d’acqua gelata.
Nella sua
mente paralizzata, si fecero largo alcuni ricordi che non gli
appartenevano, che avevano l’odore nauseante del sangue.
Quando
allungò un braccio per colpire Algid, il suo pugno fu
goffo e inefficace, e venne facilmente schivato dall’alieno.
Quest’ultimo, se fino a un momento prima era stato furibondo,
ora si concesse un sorrisetto di scherno, mentre attaccava di nuovo la
mente del Saiyan.
Allora
Trunks, investito dalla violenta immagine del cadavere di Gohan
giacente a terra, non poté che serrare gli occhi e abbassare
di scatto la testa, prendendola tra le proprie mani. Sentiva una
disperazione che non gli apparteneva salire ad ondate dal suo petto,
travolgendolo.
Un orrore
incontenibile, un’angosciosa impotenza…
La gomitata
con cui Algid lo colpì violentemente alla nuca
lo colse del tutto alla sprovvista.
«Prova
quanto fa male questo, Saiyan!»
gridò l’alieno, mentre Trunks, con la vista
annebbiata a causa del colpo ricevuto, si spostava quasi alla cieca
dalla sua traiettoria.
Il giovane
non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che il suo nemico
lo colpì di nuovo, con più furia, facendolo
precipitare di parecchi metri verso terra.
Riuscì
a frenare la propria caduta appena in tempo, ma a
quel punto Algid gli inviò contro diverse sfere di energia e
il ragazzo non riuscì ad evitarle tutte.
Gemette di
dolore sentendo la propria carne che veniva bruciata, ma
proprio mentre stava ripartendo al contrattacco fu devastato dalla
consapevolezza che suo padre non c’era.
Suo padre
era morto.
Un urlo
strozzato gli uscì dalla gola, mentre i confini
della sua realtà venivano invasi dai ricordi di una vita che
non era stata la sua.
Spazio Autrice:
Okay, dopo un secolo dallo scorso capitolo, eccone uno nuovo ^^
Lo so, ho un ritardo terribile, e per questo direi che non ci sono
scusanti. Spero almeno che lo sviluppo non vi deluda (riguardo al
potere di Algid, si capirà meglio più avanti di
cosa si tratta).
Il prossimo aggiornamento sarà mercoledì
28
Settembre (si va un po’ avanti con i giorni, lo so,
ma voglio
essere sicura di rispettarlo).
Ad allora!
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Capitolo 14 *** Oltre la ragione ***
Capitolo 14 – Oltre la ragione
Bra, poco lontano, si era accucciata tra
l’erba.
Tremava
lievemente.
Guardava in
alto, verso i due combattenti, che a lei sembravano macchie
sfumate senza un significato particolare. A volte, quando Trunks e
Algid si arrestavano per squadrarsi e soppesarsi a vicenda, li poteva
vedere meglio, ma il loro senso non cambiava.
Per lei, il
ragazzo che un tempo era stato suo fratello non aveva un
significato diverso dall’alieno che l’aveva rapita.
Algid faceva solo più paura.
Bra si
rannicchiò più stretta, senza staccare lo
sguardo dal cielo. Aveva gli occhi spalancati. E le iridi azzurro
intenso, così simili a quelle della madre e del fratello,
sembravano ancora più grandi nel visino pallido della bimba.
Probabilmente,
se quei tre anni li avesse passati a casa propria, a
farsi viziare dai genitori e a farsi coccolare dal fratello –
quando questi era di buonumore –, a quel punto si sarebbe
messa a piangere, impaurita ed esausta com’era.
Ma quei tre
anni Bra non li aveva trascorsi a casa propria.
Aveva
conosciuto il tradimento e, sebbene ormai il ricordo di quella
giornata grigia e fredda fosse ormai solo una macchia sfumata nella sua
memoria, ne portava ancora dentro la pallida desolazione.
Aveva
passato tre anni con un alieno che non aveva nulla di umano, nel
corpo o nella mente. Un alieno dalla mente calcolatrice, che in ogni
singolo momento passato con la bambina non aveva fatto altro che
pregustare la propria vendetta, senza mai provare un unico bagliore di
pietà per lei, nonostante avvertisse la sua disperazione.
Bra aveva
passato anni con un mostro che detestava la razza di suo
padre e disprezzava la gente di sua madre, e che portava un odio
sconfinato nei riguardi di suo fratello. Un mostro che non aveva mai
provato un barlume di sentimento verso nessuno. Un mostro che non
conosceva altro che il rancore tanto vecchio da essere ormai marcito e
una cieca e assoluta venerazione per colui che un tempo era stato
giudicato padrone della Galassia, il potente Freezer.
La bambina
non osava piangere, per timore delle conseguenze che le sue
lacrime avrebbero potuto portare. Non conosceva più la
consolazione che le avrebbe offerto la sua mamma, il burbero
incoraggiamento di suo padre, l’affetto di suo fratello.
Sapeva solo
che Algid non sopportava i singhiozzi, che li detestava dal
profondo dell’anima. Perché lui li considerava
segni di una debolezza che, da parte sua, non si era mai potuto
permettere.
La bambina
tremava lievemente.
Aveva il
viso serio, immobile, gli occhi all’erta.
Ma non
piangeva.
Algid era
euforico.
I ricordi
della sua controparte del futuro destabilizzavano il giovane
Trunks più di quanto l’alieno avrebbe mai potuto
sperare.
Quel
ragazzo era davvero vissuto nella bambagia – gli unici
grandi problemi che avesse mai dovuto affrontare erano quelli che gli
aveva causato lui – e come se non bastasse suo padre era il
suo principale punto di riferimento.
Non sapeva
come fronteggiare la sensazione di non poter crescere con
Vegeta accanto, di non avere l’amicizia di Goten a sostenerlo.
Si sforzava
di recuperare la lucidità, di schiarire i propri
pensieri, di spingere lontano le sensazioni che Algid scatenava dentro
di lui, ma era in evidente difficoltà.
Non reagiva
più con la prontezza che aveva dimostrato
inizialmente, e tra i colpi dell’alieno erano sempre di
più quelli che andavano a segno.
E il
ragazzo ne era consapevole.
Erano tre
anni che non si allenava. Nel momento in cui Bra era
scomparsa, aveva perso ogni sorta di interesse per quegli esercizi che,
a dire il vero, non avevano mai costituito per lui una grande
attrattiva.
Con uno
scatto, si allontanò bruscamente da Algid, alzandosi
di parecchi metri nell’aria. A quella distanza, i calci e i
pugni dell’avversario non potevano raggiungere, ma quei
ricordi spezzati che non gli appartenevano – e che allo
stesso tempo gli sembravano così suoi –
continuavano a rincorrersi nella sua mente.
Trunks
scosse velocemente la testa. Ingoiò alcune avide
boccate d’aria, nella speranza che quella freschezza potesse
aiutarlo a schiarirgli le idee.
Certamente,
però, Algid non era intenzionato a lasciargli il
tempo per una pausa. Infatti, con un ghigno freddo stampato sulle
labbra, l’alieno si lanciò verso il ragazzo.
Trunks
serrò rigidamente la mascella, e compiendo una sorta
di capriola a mezz’aria si allontanò da Algid,
scagliandogli contro una sfera d’energia.
Di nuovo,
però, un’ondata di emozioni che non gli
erano mai appartenute gli si riversarono addosso, facendogli scorrere i
brividi lungo tutto il corpo.
Era
insopportabile e frustrante, e lui sapeva che era anche stupido,
eppure non poté fare a meno di seguire il filo di quei
pensieri… Era assurdo… Non aveva mai visto tanti
cadaveri in vita sua…
Vedendo
sopraggiungere un globo infuocato creato dalle dita di Algid,
si scansò rapidamente, ma era tanto confuso che il risultato
fu una mossa goffa. Riuscì ad evitare la sfera, questo
sì, ma non a impedirsi di trovarsi nella traiettoria del
pugno di Algid.
«Ma…
cosa…?» gli
sfuggì dalle labbra.
Si sentiva
stordito e disorientato. Gli sembrava che le mosse
dell’avversario stessero avvenendo ad un ritmo
insostenibilmente rapido. Aveva sentito tante volte, sul fondo della
gola, il sapore amaro della sconfitta, e l’umiliazione che
quei cyborg…
Con
un’esclamazione soffocata, cercò di sottrarsi
all’incalzare di Algid, ma senza un particolare successo.
Quei
terribili robot avevano un sorriso glaciale ed inumano, e ormai
lui era rimasto il solo a combatterli.
“Maledizione!”
imprecò Trunks,
mentalmente, quasi disperato. “Non ci sto capendo
più niente!”
E nel
momento stesso in cui quel pensiero prese forma nella sua mente,
gli sembrò di udire la voce di suo padre che lo rimbrottava.
Se hai la testa tra le nuvole in
quel modo, non riuscirai mai a portare
avanti un duello decente!
Con una
sorta di sorpresa, il ragazzo unì rapidamente le
mani, dopodiché le utilizzò per colpire
violentemente Algid, ma quella mossa non smarrì
l’alieno come Trunks aveva sperato.
Intanto,
però, quasi fosse stata estranea al combattimento,
la sua mente correva.
Ricordava
benissimo quando gli erano state rivolte le parole che aveva
appena rammentato. Era stato più o meno cinque anni prima,
durante uno degli allenamenti a cui aveva cercato di sottrarsi sino
all’ultimo momento. E anche quando suo padre aveva dato il
via al combattimento, lui vi aveva partecipato distrattamente,
focalizzato sulla festa che lo attendeva quella sera… Vegeta
lo aveva atterrato in poco tempo, rivolgendogli quindi quel brusco
rimprovero.
L’aura
dorata che circondava il ragazzo si accese come una
fiammata, mentre Trunks schivava agilmente il pugno di Algid, poggiando
poi le mani sul braccio dell’alieno in modo da prendere la
spinta giusta per scagliargli un violento calcio a piè pari
in piena faccia.
Si sentiva
ancora dolorante e un po’ intorpidito, ma
finalmente era riuscito a riportare chiarezza nei propri pensieri.
Lui non si
era mai allenato in quel
modo, lui non aveva mai trovato il
cadavere di Gohan, lui era cresciuto con un padre vicino.
Già…
Lui aveva sempre avuto Vegeta
accanto… E aveva avuto Bra.
Quella
sorellina dolce e insopportabile, affettuosa e detestabile.
Mentre un
urlo gli raschiava la gola, Trunks bloccò
prontamente il pugno di Algid, piantando i propri occhi –
occhi smeraldini, splendenti di furia, gli occhi del super saiyan
– in quelli dell’alieno.
I suoi
denti si scoprirono appena in una smorfia di rabbia, e dopo un
attimo il giovane colpì il suo avversario con una violenta
testata.
Nella sua
infanzia, era riuscito a trasformarsi senza alcuna
difficoltà, al punto che lì per lì non
gli era nemmeno parsa una faccenda da dover mostrare a suo padre nella
speranza di un elogio.
Di
conseguenza, gli parve di capire solo in quell’istante
l’ira che poteva ardere nelle vene del guerriero leggendario,
di percepire solo allora il furore che il suo petto era in grado di
contenere.
È la rabbia che ci
trasforma in super saiyan,
sussurrò flebilmente nella sua testa una voce familiare e
sconosciuta al contempo, una voce alla quale lui non prestò
la minima attenzione.
Era come se
il sangue, da sangue, si fosse trasformato in collera.
Quando
Trunks lo colpì ferocemente al basso ventre, Algid
dovette piegarsi su se stesso, e sul fondo della gola riuscì
a sentire il sapore del sangue.
Con un
sibilo gutturale, l’alieno cercò di
allontanarsi dal giovane saiyan.
Era
esterrefatto. La forza spirituale che attorniava come una vampa il
corpo di Trunks sembrava ardere con più energia di prima.
Uno strappo
alla maglia e alcune contusioni –
nonché un livido che si allargava lentamente sotto
l’occhio sinistro – mostravano chiaramente che il
ragazzo non era passato indenne attraverso il combattimento. Eppure
sembrava che la sua potenza fosse esplosa in quel momento, con una
forza del tutto nuova.
Era come se
avesse cominciato a lottare seriamente solo in
quell’istante.
Ed era un
pensiero assurdo, dato che fino a quel momento si era
chiaramente battuto con le unghie e con i denti, con la disperazione
che gli deriva dal desiderio di tornare ad abbracciare la propria
sorellina.
Trunks lo
colpì in pieno viso. Ma Algid, più
forte del dolore, sentì la frustrazione.
Com’era
possibile? Eppure era certo di aver dato a quel
bastardo abbastanza ricordi da fargli perdere completamente
l’orientamento.
Furibondo,
tentando al contempo di non venire ferito troppo
brutalmente, Algid tese la propria mente a cercare la barriera che
separava le due dimensioni in cui erano cresciuti i due Trunks
differenti. Poi, con tutta la sua forza, la spinse contro il proprio
avversario, per avvicinarlo violentemente alla vita del suo alter ego.
Eppure
aveva già contorto tanto quella barriera spazio
temporale… Possibile che Trunks non risentisse
più di quelle sensazioni estranee?
Algid aveva
sempre saputo che il proprio era un potere che andava
utilizzato con cura. In quel momento, però, fuori di
sé per la rabbia, continuò a far forza su quella
barriera… E lo fece oltre il limite della ragionevolezza.
Davanti a
lui, Trunks si fermò di colpo, irrigidendosi e
sbattendo le palpebre come se i pensieri che l’aveva travolto
all’improvviso gli avessero annebbiato la vista.
Il ragazzo
non fece in tempo a distinguere quei ricordi estranei
l’uno dall’altro, che gli parve di sentire
esplodere qualcosa di immateriale tra sé ed Algid.
E la forza
di quell’esplosione invisibile fu sufficiente per
scagliare brutalmente all’indietro sia lui che il suo
avversario.
Trunks
sbatté con violenza la schiena contro il terreno. Il
colpo fu così duro che il ragazzo sentì il
proprio corpo reagire abbandonando la trasformazione in super saiyan.
Confuso, ma con i sensi all’erta, il giovane si
tirò a sedere, e i suoi occhi corsero subito a cercare Bra,
con la paura che fosse stata travolta da quell’esplosione di
energia.
Fortunatamente,
ancora rannicchiata tra l’erba, la bambina
sembrava illesa, sebbene si fosse abbassata maggiormente.
Algid era
stato scaraventato più in là ed era
finito bocconi. Si rialzò di scatto, ma quando i suoi occhi
si sollevarono istintivamente verso il cielo, perse di colpo ogni
interesse nei riguardi del duello che lo aveva catturato sino a quel
momento.
Spazio Autrice:
Buondì!
Dunque, come al solito spero di non aver scritto niente di pesante.
Devo dire che stavolta forse la faticaccia maggiore è stato
scegliere il titolo del capitolo (e forse si nota xD).
Per il resto… be’, speravo di poter accorciare i
tempi d’attesa tra un aggiornamento e l’altro, ma
purtroppo credo sia meglio darvi di nuovo appuntamento tra due
settimane (quindi al 12 d’Ottobre).
Perdonatemi, ma la scuola mi sta uccidendo ç_ç
Cioè, dopo le mattinate di lezione non riesco a scrivere
niente, quindi dovrò ripiegare sulle domeniche e su
eventuali miracoli.
Alla prossima!
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Capitolo 15 *** Dove nessuno si fa male ***
Capitolo 15 – Dove nessuno si fa male
Trunks, inginocchiato e con una mano premuta contro
il terreno per
potersi rialzare rapidamente, tirò un sospiro di sollievo.
Bra si
stava guardando attorno, con movimenti timorosi, e sembrava star
bene.
Per un
momento, al saiyan mezzosangue importò solo quello.
Ma nell’istante successivo, voltò di scatto il
viso verso Algid, così velocemente che i capelli gli
frustarono la faccia.
Sorpreso,
il ragazzo vide che l’alieno non si stava
preparando ad attaccarlo, anzi, sembrava essersi completamente
dimenticato di lui. Nella frazione di secondo in cui si
domandò a cosa fosse dovuto quell’atteggiamento,
Trunks percepì una nuova aura che lo fece rabbrividire e,
rendendosi conto che era proprio il possessore di quella forza
spirituale a distrarre Algid, seguì meccanicamente lo
sguardo dell’alieno verso l’alto…
E
sgranò gli occhi, mentre il respiro gli si bloccava in
gola per un istante.
Trunks
sapeva qual era il suo aspetto, lo sapeva grazie agli specchi e
alle fotografie, grazie ai riflessi sbiaditi che rimandavano le
superfici trasparenti. Al contempo, però, conosceva molto
meglio le sembianze di chi gli stava attorno: i visi degli altri poteva
rimirarli da più angolazioni, ed aveva più modo
di trascorrere un tempo maggiore a scrutare coloro che lo circondavano
che non a esaminare se stesso.
Eppure,
quando vide il giovane che, come apparso dal nulla, restava
fermo a mezz’aria, si sentì scuotere fin dal
profondo.
Perché
quel ragazzo era uguale a lui.
Non si
trattava di una somiglianza leggera, né di una
somiglianza forte. Erano identici,
e Trunks dovette impiegare qualche
istante prima di accorgersi di essersi immobilizzato a fissarlo con
aria stranita.
A quel
punto, riuscì a serrare le labbra che aveva schiuso
quasi senza rendersene conto e a deglutire, e gli parve che a quel
gesto la sua mente riprendesse a lavorare.
Improvvisamente,
tutti – o quasi – i tasselli del
puzzle si incastrarono l’uno con l’altro. Quel
ragazzo uguale a lui era il Trunks proveniente dal futuro di
un’altra dimensione. Era lui che aveva eliminato Freezer,
scatenando il rancore di Algid. Era a lui che appartenevano i ricordi
che l’alieno aveva utilizzato per cercare di destabilizzarlo
durante il combattimento.
L’unico
dubbio che gli rimaneva era come avesse fatto ad
apparire in quel luogo.
Nel momento
stesso in cui Trunks realizzò chi era quel
giovane, questi abbassò lo sguardo, con aria interrogativa,
e i loro occhi si incrociarono.
Trunks lo
vide spalancare gli occhi e assumere l’espressione
di chi non crede a ciò che vede, e un istante dopo
aggrottare la fronte e schiudere le labbra come a voler domandare
qualcosa.
“Questa
è la situazione più assurda in
cui mi sia mai trovato” fu il primo pensiero coerente di
Trunks.
Prima che
l’altro giovane potesse dire alcunché,
entrambi furono distratti dalla vampata di energia che esplose a
livello del terreno.
Trunks
distolse lo sguardo dal suo alter ego, irrigidendo la mascella e
assumendo un’espressione allertata, ed ebbe la vaga
percezione del fatto che anche quel ragazzo là in alto si
era girato di scatto a guardare nella stessa direzione.
Ciò
che aveva catalizzato i loro sguardi era Algid, il
quale, raccolta la propria energia, sembrava più che
intenzionato a scagliarsi contro il nuovo arrivato.
Trunks vide
l’alieno scattare in volo verso il giovane
sconosciuto, vide che il ragazzo, nonostante con ogni
probabilità non ci stesse capendo niente, si metteva in
posizione di difesa con un’esclamazione soffocata, e allora
si alzò in piedi con un ringhio di rabbia, sollevandosi da
terra.
«Tu!»
ruggì Algid, e la sua rabbia parve
vibrare ed esplodere in quell’unica parola.
Se aveva
creduto che tutto l’odio dell’alieno
potesse essersi riversato su di lui, Trunks si sbagliava. Lo
capì in quel momento, notando che
l’aggressività di Algid nel raggiungere il ragazzo
appena comparso era ben più grande di quella che aveva
dimostrato nei suoi confronti.
Per di
più, quel recente arrivo sembrava aver distolto
totalmente l’alieno da lui.
Quasi senza
accorgersene, Trunks digrignò i denti,
aumentando la propria velocità.
Algid
poteva anche essersi completamente dimenticato di lui, ma lui non
poteva dimenticare ciò che l’alieno gli aveva
fatto, né tanto meno perdonargli quel che aveva fatto a Bra.
Il suo
avversario, però, aveva un vantaggio notevole su di
lui, e Trunks non era riuscito a riempire nemmeno la metà
della distanza tra loro che Algid aveva attaccato il ragazzo del
futuro, il quale, preso alla sprovvista, venne colpito di striscio da
una sfera d’energia.
«Chi
sei tu?» urlò a pieni polmoni, e
persino lontano com’era Trunks sentì un brivido
nell’udire quella voce, così identica alla propria.
«Sono
un soldato al servizio di Freezer»
esclamò in risposta Algid, con voce stridente a causa della
rabbia. Si era fermato, e squadrava malevolo il giovane che gli stava
davanti.
Questi
sgranò gli occhi. «Freezer è
morto!» disse, con una punta di durezza nella voce.
Il gelo
passò nello sguardo dell’alieno.
«Esattamente» confermò.
«L’hai ucciso tu».
Scagliò
un pugno in direzione del ragazzo, ma lui lo
bloccò per un soffio, afferrando la mano
dell’alieno e gettandolo lontano da sé. Forse lo
calcolò, forse invece non lo fece apposta, ma di fatto Algid
venne scaraventato verso Trunks.
Il ragazzo
era pronto, e colpì violentemente
l’alieno, con tutte le proprie forze.
Algid, non
appena riuscì a riprendersi, indirizzò
una ginocchiata al giovane, evidentemente impaziente di tornare ad
occuparsi dell’assassino del suo amato Freezer.
«Togliti
di torno, moccioso!» ringhiò,
sbuffando d’ira, quando Trunks evitò il suo colpo
senza problemi.
«Non
ci penso neanche!» ribatté il
ragazzo, furibondo, concentrando l’aura, che
guizzò potente prima di esplodere nell’oro del
super saiyan.
Algid
scoprì i denti in una smorfia di rabbia, poi tese
fulmineo la mano verso il basso, e scagliò un’onda
energetica proprio verso dove si trovava la piccola Bra. Trunks
sentì il respiro bloccarsi nella propria gola, e un momento
dopo si stava precipitando in picchiata verso il terreno, gli occhi che
bruciavano per l’aria che gli soffiava in faccia…
Bra stava guardando in alto, e nelle sue iridi blu sembrava riflettersi
l’enorme sfera che si stava per abbattere su di
lei…
Appena in
tempo, il fratello riuscì a porsi tra la bambina e
l’onda d’energia.
L’impatto
fu così doloroso che gli
sembrò che la pelle minacciasse di bruciare, gli parve che
qualcuno cercasse di strappargli la carne dalle ossa… Ma
alla fine il dolore scomparve, e Trunks si trovò quasi
riverso a terra.
E, sotto di
lui, un corpicino tiepido e infantile tremava.
Il giovane
sussultò e si scostò di colpo da Bra.
La bambina si tirò a sedere tra l’erba, e lo
guardò con occhi azzurri colmi di qualcosa che Trunks non
riusciva a decifrare.
«Stai…
stai bene?» le
domandò, con voce malferma.
Bra rimase
zitta, ma infine mosse la testa, facendo un timido cenno di
sì.
Trunks
respirò di sollievo, e improvvisamente gli
sembrò che il cuore stesse per esplodergli per il sollievo e
a causa di un’emozione troppo grande per essere descritta.
Bra era
lì. La sua piccola Bra era di fronte a lui, ed era
viva, e stavano respirando la stessa aria, e per un istante lui aveva
potuto percepire il suo calore sulla propria pelle.
Un momento
dopo, sentì il sangue gocciolare lungo il suo
braccio destro. Con una smorfia, portò immediatamente la
mano sinistra sulla spalla lesa, e strinse i denti, mentre i capelli,
tornati della loro tinta originaria, gli ricadevano sugli occhi.
Per un
istante, non seppe spiegarsi come mai era tornato normale. Forse
era per non sprecare energie che potessero aiutarlo a placare il dolore
fisico, forse per il desiderio disperato che Bra, guardandolo, tornasse
a riconoscerlo come il suo fratellone.
La bambina
era ancora seduta, il respiro appena più veloce
del consueto, e lo guardava con due occhi blu che sembravano ancora
più grandi nel suo visino pallido e smagrito.
Trunks non
osò accorciare lo spazio che c’era tra
loro, temendo di spaventarla. Una parte di lui stava malissimo
perché probabilmente sua sorella aveva paura di lui, ma
l’altra provava solo il sollievo di averla vicino.
Schiuse le
labbra, ma non riuscì ad emettere un solo suono.
Dopo tanto
tempo trascorso a immaginare di cullarla tra le proprie
braccia, di raccontarle tutto e anche quello che non le poteva
interessare, di chiederle scusa dalla mattina alla sera in un milione
di modi, adesso che si trovava di fronte a lei non aveva la
più pallida idea di cosa dirle.
«Ti
porto via da qui, Bra» sussurrò
improvvisamente, d’impulso. «Non dovrai
più preoccuparti. Nessuno ti farà più
del male».
La bambina
sembrò rannicchiarsi più strettamente,
ma i suoi occhi non lasciarono il viso di Trunks. Lo studiava
minuziosamente, in maniera non dissimile da quella in cui una giovane
gazzella avrebbe potuto esaminare il più pericoloso dei suoi
predatori.
«Io
non volevo che succedesse tutto questo, Bra, ti
giuro» le disse allora Trunks, con voce spezzata.
«So che ti ho fatto male, e che ho fatto del male anche alla
mamma e al papà, e a me stesso. Non sai quanto ho desiderato
di poter tornare indietro, ma il passato non si può
cambiare. Adesso, però, ho l’occasione di
sistemare questo casino, e ho tutte le intenzioni di riportarti a
casa».
La piccola
non cambiò espressione, né si mosse.
In quel
momento, un grido giunse alle orecchie di Trunks, il quale
sussultò: si era completamente dimenticato di aver lasciato
il proprio alter ego a combattere contro Algid.
Alzò
di scatto gli occhi verso il cielo, stringendo la mano
sinistra in un pugno. La sua controparte del futuro si era trasformata
in super saiyan, e stava cercando di difendersi dai ripetuti attacchi
dell’alieno.
Trunks
credette di provare pietà nei suoi confronti,
perché probabilmente si era ritrovato scagliato
lì senza avere la minima percezione di quanto stava
succedendo. Forse non aveva capito dove si trovava, forse sì
ma non riusciva a spiegarsi né il come né il
perché.
Trunks si
alzò in piedi, stringendo i pugni.
Fece per
darsi la spinta per alzarsi in volo, ma un pensiero improvviso
lo bloccò. Perché mai avrebbe dovuto aiutare quel
ragazzo? In fondo era colpa sua se Algid aveva rapito Bra.
Poi,
però, l’alieno colpì il giovane
con una testata, e Trunks trasalì nuovamente
nell’udire l’esclamazione di sorpresa e dolore del
proprio alter ego.
No…
Ciò che era successo non era colpa di quel
ragazzo.
In un modo
o nell’altro, Freezer era da eliminare. E se
proprio occorreva cercare un colpevole per quel che Algid aveva fatto a
Bra, quello non poteva essere che lui, perché aveva lasciato
da sola la sua sorellina.
Riabbassò
gli occhi sulla bambina.
Sentiva di
dover aiutare il proprio sostituto, ma allo stesso tempo la
paura gli strisciava sin dentro le ossa al pensiero che Algid, per
allontanarlo, potesse nuovamente prendersela con Bra.
Si
guardò attorno febbrilmente, alla ricerca di un posto o
di un nascondiglio relativamente sicuro… E gli
sembrò di sentirsi morire quando capì che
l’unica cosa vagamente somigliante ad un rifugio era una
casetta di legno accanto ad uno scivolo.
Quella casetta di
legno.
Le aure che
si scontravano al di sopra della sua testa gli ricordavano
che non c’era tempo: che doveva sbrigarsi e in fretta.
Stringendo
la mascella, si chinò su Bra e, più
delicatamente che poteva, le infilò le mani sotto le
ascelle, in maniera tale da poterla sollevare senza stringerla troppo a
sé.
Per evitare
di spaventarla, la tenne distante dal proprio petto. Bra lo
fissava con gli occhi sgranati, e teneva le ginocchia piegate, come se
tutto il suo corpo volesse rannicchiarsi per difendersi dal mondo
esterno.
Trunks la
sentì tremare di nuovo, e sentì il
bisogno – così acuto da essere quasi un male
fisico – di parlarle, di tentare di darle un conforto.
«Bra» iniziò, «piccola,
ascolta. Io ti voglio riportare a casa, e ti ci
riporterò». Iniziò a muoversi, con
lentezza, sempre tenendola come un cucciolo impaurito. «Ma
prima devo sconfiggere Algid… E perché io possa
riuscirci» aggiunse, sentendosi la gola dura e secca,
«tu devi essere al sicuro».
Era
arrivato di fronte alla casetta, e gli sembrava di avere la testa
sul punto di esplodere.
Con le
braccia che tremavano, si chinò in avanti per
poggiare la sorellina lì dentro… Bra
girò la testa, e Trunks vide la consapevolezza e la paura
passare nei suoi occhi azzurri… Poi, in maniera del tutto
inaspettata, la bambina allungò le mani verso di lui e si
aggrappò alla sua maglia, stringendola forte, e intanto lo
guardava dritto in faccia.
«Bra…
no… giuro che…
è diverso… no…
Io…» mormorò Trunks, confusamente.
Sentendosi straziare dentro, cercò di aprire le dita della
bambina per costringerla a lasciare la presa su di lui, ma i suoi gesti
erano incredibilmente deboli.
Bra non lo
fissava più, ma continuava testardamente a
tentare di serrare di nuovo le mani sulla maglia del fratello.
«Bra…
non è come credi… io
ti voglio bene… tornerò a
prenderti…»
Il ragazzo
non riusciva nemmeno più a dare un senso alle
parole frammentate che gli uscivano dalle labbra. Senza alcun
preavviso, sentì che qualcosa di bagnato gli stava scorrendo
sulle guance; era lacerato: solo qualche momento prima aveva desiderato
come non mai che Bra riuscisse ad accettarlo di nuovo, e adesso che la
bambina manifestava di voler rimanere accanto a lui era costretto a
staccarla da sé… E farlo non gli
sembrò meno doloroso dello strapparsi la carne dalle ossa, o
addirittura il cuore dal petto.
Gli
sembrò qualcosa contro natura, qualcosa simile ad un
suicidio.
La spalla
destra gli faceva un male tremendo, ma alla fine
riuscì a staccare Bra da sé, per quanto lei,
senza emettere nemmeno un suono, tentasse di tenersi aggrappata a lui,
e la appoggiò laddove l’aveva abbandonata tre anni
prima.
«Non
muoverti da qui» le disse, con voce malferma,
nel bisogno di accertarsi che la bambina non si ponesse di nuovo come
un facile bersaglio per Algid. «Io torno a prenderti, e
andremo a casa» proseguì, sentendo le proprie
parole spezzate e il proprio respiro irregolare.
Quasi
incespicando, come se i suoi piedi avessero dimenticato come
camminare, indietreggiò di qualche passo…
«Io non mi sono mossa».
La voce di
Bra gli arrivò chiara alle orecchie. Era la prima
volta che la sentiva parlare, quel giorno.
La bambina
lo guardava, e a Trunks parve che nel suo tono ci fosse
quasi una gemito impaurito, un lamento inconsolabile.
Il ragazzo
si sentì invadere dall’atavico terrore
dell’animale braccato.
«Questa…
Questa volta tocca a me rispettare la mia
parte di promessa» trovò la forza di dirle, con
gli occhi che bruciavano. «Questa volta…
è solo un posto dove non ti farai niente».
Bra non
disse nulla.
Era
lì, in una casetta di legno per bambini, ma somigliava a
tutto meno che ad una piccola che si diverte. Era lì, con
dei vestiti troppo piccoli per lei, e guardava suo fratello.
In quanto a
Trunks, fece ciò che si era ripromesso di non
fare più finché avrebbe avuto vita.
Distolse lo
sguardo da lei e le voltò le spalle.
Spazio Autrice:
Troppa roba, troppa roba xD
Sul serio, questo capitolo è stato un lavoraccio.
Da una parte la comparsa di Mirai no Trunks, dall’altra la
scena tra Trunks e Bra… Spero di essere riuscita ad
equilibrarle per bene, senza mettere in disparte il ragazzo del futuro!
Per limitare la confusione, chiamo Trunks solo quello del presente,
mentre a quello del futuro do vari appellativi…
La frase di Trunks, “Non muoverti da qui”, richiama
quello che aveva detto a sua sorella quando l’ha lasciata nel
parco all’inizio della storia.
Mmm, okay, sarà meglio chiuderla qui e lasciare a voi la
parola U.U
A mercoledì 26 Ottobre!
P. S. Sto riscrivendo un po’ i primi capitoli (la revisione
è arrivata sin dove il testo è in Arial,
le parti in Times New Roman non le ho ancora riguardate U.U),
perché in certi punti la scorrevolezza mi sembra un
po’ carente… Ma non preoccupatevi, il senso della
storia non cambia, non dovete rileggere tutto xD
|
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Capitolo 16 *** Sodalizio ***
Capitolo 16 – Sodalizio
Per un attimo, credette che il cuore gli sarebbe
scoppiato.
O che, in
alternativa, la sua testa non avrebbe più saputo
contenere il dolore rimbombante tra le tempie, e sarebbe esplosa.
In ogni
caso, alla fine lui sarebbe finito in mille pezzi.
Invece,
contro ogni aspettativa, il suo corpo si muoveva come sempre,
ed era ancora integro quando piantò i piedi per terra e
strinse i pugni, trasformandosi in super saiyan. Evidentemente, era
solo la sua anima a sfaldarsi.
Spiccò
il volo, e non sentiva alcun danno fisico, se non la
spalla che gli doleva terribilmente.
Passò,
rapido e deciso, una mano sul proprio viso,
asciugando le tracce salate delle lacrime che gli avevano bagnato le
guance.
Algid e il
ragazzo del futuro stavano ancora combattendo.
Mentre si
avvicinava, Trunks notò con sollievo –
eppure gli sembrava ancora di avere il cuore pesante come un macigno
– che il suo alter ego sembrava più o meno illeso.
In effetti,
ciò che rendeva Algid un osso duro era la sua
indiscutibile rapidità e la sua capacità di
introdursi nella mente dell’avversario. Per il resto, non era
niente che un super saiyan non potesse tenere a bada.
Il giovane,
ben deciso a non cadere nuovamente nei tranelli mentali del
nemico, aveva appena finito di formulare quel pensiero, quando
notò con un certo allarme che la sua controparte proveniente
da una dimensione alternativa si era bloccata nel mezzo di un attacco.
Trunks
capì che probabilmente Algid gli aveva fatto rivivere
qualche sgradevole ricordo; senza accorgersene, strinse a pugno le
proprie mani, aumentando la velocità.
Se davvero
le memorie con cui l’alieno lo aveva disorientato
appartenevano a quel ragazzo identico a lui, allora non c’era
da stupirsi che rivivendole egli ne fosse disorientato.
Dentro a
quei ricordi c’era abbastanza sofferenza per
stordire chiunque – Trunks ne sapeva qualcosa.
«Lascialo
in pace, Algid!» si sentì
urlare, con voce tremante di rabbia repressa, non appena giunse alle
spalle dell’alieno.
Quest’ultimo
si girò di scatto, digrignando i
denti, ma Trunks non gli diede tempo di attaccarlo: lo colpì
violentemente, ma il movimento gli diede uno strappo alla spalla destra
e gli strappò una smorfia di dolore.
Distratto
dalla fitta, si accorse all’ultimo momento del
pugno che stava arrivando verso il suo viso, ma dall’altra
parte il suo alter ego si era riscosso, e si era prontamente slanciato
in avanti per colpire Algid con un calcio a piè pari.
L’alieno
precipitò vertiginosamente verso il
suolo, andando a schiantarsi a terra.
Trunks
trasse un paio di respiri affannosi… Alzò
lo sguardo, incrociando quello del ragazzo che gli stava davanti.
Questi lo fissava con aria quasi stupita, come chi si ritrova innanzi
il proprio riflesso e non riesce a capacitarsi di come abbia fatto ad
uscire dallo specchio.
«Tu
sei Trunks?» domandò infine.
Il giovane
annuì rapidamente, gli occhi puntati verso Algid,
il quale si stava rialzando a fatica. «Sì, ma
credo sia meglio rimandare a dopo le spiegazioni».
Con la coda
dell’occhio, notò il suo alter ego
annuire.
Trovava
strano vedere se stesso da una simile angolazione. Se non
avesse avuto il cuore dolente per essere stato nuovamente costretto a
lasciare Bra da parte, lo avrebbe trovato impressionante.
In quel
momento, con un boato assordante, Algid si sollevò
dal suolo, tornando verso i due ragazzi ad una velocità
sorprendente. Trunks si irrigidì in posizione
d’attacco, ma di nuovo l’alieno pareva interessato
soltanto all’altro guerriero, tanto che urlò:
«Tu stanne fuori, ragazzino! Non c’entri niente in
questa storia!»
Trunks
sentì il proprio sangue ribollire nelle vene e
risalirgli sino al volto, incendiandogli le guance. «Sei
stato tu a trascinarmi dentro questa faccenda!»
gridò di rimando, furiosamente. «Dopo tutto quello
che ci hai fatto passare, dopo tutto il male che hai fatto a Bra,
questa storia mi riguarda eccome!»
Algid si
spostò in modo da tenersi a debita distanza dai due
saiyan, e gettò all’indietro lo sguardo per dare
una rapida occhiata verso il basso. Trunks capì che
l’alieno stava cercando di individuare Bra, e la rabbia gli
avvelenò il respiro.
«I
tuoi avversari sono qui, vigliacco!» esplose,
con voce terribile.
Senza
attendere oltre, anche per la paura che il mostro potesse trovare
sua sorella, gli si scagliò addosso, colpendolo
violentemente.
Il tempo di
un istante, e il ritmo della lotta si era già
fatto serrato.
Algid
cercava ancora di scagliargli addosso dei ricordi spiacevoli, ma
Trunks ormai poteva dire di averci fatto l’abitudine. Ormai
era ben ancorato al presente ed aveva tutte le intenzioni di non farsi
più distrarre e ferire in quel modo…
L’alieno gli fece arrivare una gomitata in pieno volto,
quindi sgusciò via per aggredire l’altro ragazzo.
Quest’ultimo
non si fece cogliere impreparato, ma quando
Algid lo assalì con uno dei suoi attacchi mentali non
poté fare a meno di allontanarsi appena
dall’avversario, scrollando il capo con espressione sgomenta,
e l’alieno ne approfittò per colpirlo con forza
allo stomaco.
Cosa poteva
avergli mostrato?
Una fila di
cadaveri ammassati sulle strade di una città
rasa al suolo?
Il corpo di
Gohan riverso a terra, privo di vita?
Trunks non
perse tempo a tirare ad indovinare, intromettendosi nel
duello prima che Algid potesse attaccare nuovamente il suo alter ego.
Il giovane
si accanì con furia contro quel nemico che gli
aveva portato via Bra per tanto tempo, con tutta l’ira che
poteva provare al di là della propria disperazione.
Quando
Bulma si svegliò, prima ancora di aprire le palpebre,
fu invasa dalla consapevolezza di aver perso la sua bambina.
Non
c’era freddo, eppure la donna si sentì
rabbrividire, e la sua mano destra si strinse convulsamente attorno al
lenzuolo che la copriva. Era un gelo che le era strisciato sin dentro
le ossa, così come la stanchezza che sembrava avvolgerla
come una nebbia soffocante.
Eccolo, un
altro giorno che cominciava, e a Bulma sembrò di
trattenere il respiro quando si mise a sedere, aprendo gli occhi e
lasciando che le coperte le ricadessero in grembo.
Il sole
invadeva la stanza e la donna dovette schermarsi il volto con
un braccio.
Fu a quel
punto che notò Vegeta, in piedi davanti alla
finestra. Il saiyan era immobile e non si girò verso di lei,
così Bulma si lasciò scivolare fuori dal letto,
infilando i piedi nudi nelle proprie pantofole.
Gli si
avvicinò lentamente.
Quando
giunse di fianco a lui, non disse nulla, ma studiò il
suo profilo accigliato, i suoi occhi di pece concentrati su qualcosa al
di là del vetro, quindi allungò una mano per
sfiorargli appena il braccio.
A quel
punto, Vegeta si girò verso di lei.
«A
cosa stai pensando?» sussurrò la
donna.
Per un
istante, il saiyan parve rimuginare su qualcosa. «Non
percepisco l’aura di Trunks» disse infine.
Bulma
sbatté le palpebre. «Come?»
domandò, mentre una sgradevole sensazione si faceva strada
nel suo petto.
Qualcosa
balenò negli occhi di Vegeta. «Ho dato
un’occhiata alla sua stanza, e non si trova
lì».
La donna
guardò con agitazione verso la porta della stanza,
e Vegeta chiuse saldamente la propria mano attorno al polso di lei per
costringerla a calmarsi.
«Avrà
azzerato la sua aura, uscendo»
affermò quindi.
Bulma si
morse il labbro. «Vorrà stare da
solo…» mormorò, mentre il suo stomaco
si chiudeva dolorosamente.
Vegeta non
replicò, ma le lasciò il polso e
tornò a girarsi verso la finestra.
Bulma lo
fissò in silenzio. La luce feriva gli occhi del
saiyan, eppure lui non accennava nemmeno ad abbassare lo sguardo.
«Vegeta»
esordì la donna, dopo qualche
istante, con voce instabile. «Tu… Tu credi che
avrai una fine, tutto questo?»
Lui si
girò a scrutarla.
«Voglio
dire, so che le cose non potranno mai
tornare come
prima» proseguì Bulma, mentre il ricordo di Bra,
della sua bambina, le arpionava lo stomaco. «Ma questa storia
potrà mai concludersi? Quest’agonia, perlomeno,
potrà mai terminare?»
Vegeta la
fissò intensamente, pur senza parlare.
Bulma era
forte. La era sempre stata, anche se a volte in maniera
isterica e nevrotica, ed era una delle cose di lei che lo avevano
colpito per prime.
Lei era
coraggiosa. Si spezzava, certo, ma trovava sempre il modo di
rialzarsi e andare avanti.
Il non
sapere, però, la stava distruggendo – li
stava distruggendo tutti e tre, alla fine dei conti.
«Non
lo so» le rispose, tornando a guardare il sole.
Senza dire
nulla, Bulma infilò la propria mano in quella del
compagno. Lui non la sottrasse, e lasciò che le dita della
sua donna si intrecciassero alle sue.
Spazio Autrice:
Okay, quasi mi vergogno a presentarmi con questo.
Un capitolo un
po’ corto che probabilmente non è nemmeno un
granché.
Nonostante siano una delle mie coppie preferite di Dragonball
(probabilmente la preferita insieme alla
Marron/Trunks), non ho mai
scritto molto su Vegeta e Bulma, perciò spero di non aver
fatto gaffe!
A proposito, Vegeta non sente l’aura di Trunks
perché Algid sta nascondendo le forze spirituali di chi gli
sta attorno affinché nessuno intervenga nel
duello…
Che posso dire?
Be’, vi do appuntamento al 25 Novembre
(sì,
così avanti T.T Vi prego, non fucilatemi).
|
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Capitolo 17 *** Chi va e chi resta ***
Capitolo 17 – Chi va e chi resta
Dopo pochi istanti, la situazione sembrava volgere
ormai in completo
favore dei due saiyan mezzosangue.
Algid
poteva anche essere incredibilmente veloce. Poteva anche avere
dalla propria la brillante capacità di far leva sui peggiori
ricordi dei suoi avversari, ma non poteva certo tener testa a due
membri di quella razza guerriera.
Trunks si
accorse quasi subito delle difficoltà
dell’alieno.
Il suo
cuore, però, ormai ferito a sufficienza da tutto
ciò che gli era accaduto negli ultimi tre anni, ormai
disilluso dopo tante speranze infrante, non si concesse di gioire
vedendo la prospettiva di vittoria farsi più probabile.
Una parte
del ragazzo si stupì nel notare come gli risultava
semplice combattere assieme al suo alter ego.
Forse solo
con Goten poteva dire di aver provato una sensazione di
maggiore sincronia.
Certo, i
loro stili erano differenti: Trunks sapeva di lottare in
maniera assai simile a Vegeta, e gli parve di intravedere qualcosa
delle tecniche di Gohan nei metodi dell’altro giovane. Eppure
sembrava che il loro modo più personale e istintivo di
affrontare l’avversario fosse molto simile.
“In
fondo è logico” ragionò
Trunks, mentre si abbassava di scatto per evitare un pugno di Algid,
“dato che siamo la stessa persona”.
Se la
sensazione di vertigine che provò un momento dopo
fosse dovuta a quel pensiero o alla frenesia del combattimento, non
avrebbe saputo dirlo.
In
realtà, il vero vantaggio che i due giovani trovarono nel
combattere insieme fu il fatto che si compensavano a vicenda.
Trunks era
ormai abituato ai tranelli mentali di Algid e quindi ne era
quasi immune, cosicché poteva intervenire rapidamente quando
il suo alter ego veniva tratto in inganno da uno dei ricordi che
venivano richiamati ad affollargli la mente.
Trunks era
il più forte tra i due, ma anche quello
decisamente più fuori allenamento; il ragazzo del futuro,
invece, poteva contare su un addestramento che era continuato
incessantemente anche dopo la sua definitiva vittoria contro i due
cyborg. Era meno provato e più esercitato, e le sue mosse
risultavano tutto sommato più fluide di quelle di Trunks.
Dal canto
suo, Algid era furibondo.
Era
arrivato sulla Terra per vendicare Freezer. Aveva giudicato che
Trunks fosse colpevole quanto il suo alter ego della morte
dell’alieno – dimensioni parallele o meno, futuri
alternativi o no, erano la stessa persona – e si era occupato
di fargliela pagare.
Nel momento
in cui, però, era comparso il ragazzo davvero
responsabile, il suo interesse nei riguardi di colui che
aveva
attaccato sino a quell’istante era svanito completamente.
Quando
aveva avuto davanti il vero e proprio uccisore di Freezer, la
voglia di fargli sputare sangue si era fatta tanto corrosiva da
bruciargli le vene.
Di
quell’altro ragazzino, ormai, non gli importava nulla, ed
un vero e proprio ringhio gli salì alla gola quando Trunks
gli lanciò contro una sfera d’energia che lui
riuscì a parare all’ultimo istante.
Se solo
fosse riuscito ad individuare quella mocciosa, toglierselo di
torno sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua.
Purtroppo, però, non riusciva più a vederla, e il
ritmo incalzante dello scontro gli impediva di concedersi anche un solo
secondo per cercarla.
Trunks,
approfittando della frustrazione che aveva distratto
l’alieno, si gettò su di lui, riuscendo ad
afferrarlo da dietro e a bloccarlo in modo tale che non potesse
più far danno.
In
sincrono, il ragazzo del futuro unì le mani, pronto a
dare il colpo di grazia all’avversario.
La voce
sgradevole di Algid, però, lo fermò.
«Sei davvero sicuro di volerlo fare?»
insinuò l’alieno. «Come pensi di poter
tornare nella tua dimensione, quando io non ci sarò
più?»
Il ragazzo
del futuro si bloccò.
«Tu sei arrivato qui
perché io
ho creato una
distorsione spazio temporale» continuò Algid,
velenosamente. «Come pensi di tornare nella tua epoca, senza
di me?»
Trunks
sussultò. Mentre guardava il proprio alter ego,
allentò involontariamente la presa
sull’avversario, per un solo istante, ma Algid ne
approfittò subito. Con una mossa fulminea, si
girò nella stretta, pronto ad attaccare Trunks, ma prima che
potesse fare un gesto, ci fu un’esplosione di luce.
Trunks, che
aveva affrettato una posa difensiva, sbatté le
palpebre.
Algid, di
fronte a lui, sembrava stranamente sospeso
nell’aria, la bocca molle, gli occhi vuoti.
Poi, dopo
un istante, la sua testa si rovesciò in avanti, e
l’alieno precipitò pesantemente al suolo.
Impietrito,
il ragazzo rimase a fissare il suo avversario –
il nemico che, per vendicare Freezer, aveva rapito Bra –
mentre quello giaceva al suolo.
Dopodiché,
sollevò la testa e guardò
il proprio alter ego, consapevole del fatto che il tempestivo
intervento dell’altro gli aveva probabilmente salvato la vita.
«Grazie»
riuscì a dire. Aveva la gola
secca, e la testa gli rintronava.
L’altro
non sorrise, ma scrollò le spalle.
«Di niente» rispose.
Trunks si
sentiva completamente stravolto.
Dunque era
finita? Era davvero
finita?
Lentamente,
iniziò a perdere quota, sino a poggiare i piedi
sull’erba. A quel punto, forse per la stanchezza, forse per
il sollievo, sentì le gambe cedere, e cadde in ginocchio,
ansimando piano.
Il ragazzo
del futuro atterrò lì vicino, ed
andò ad osservare il corpo di Algid. Con espressione
impenetrabile, sollevò la mano, e ridusse il cadavere
dell’alieno in cenere, per poi dirigersi verso Trunks.
«Stai
bene?» gli domandò, aggrottando la
fronte.
Trunks
riuscì ad annuire. Aveva lo stomaco sottosopra:
persino in quel momento, a causa dell’orgoglio ereditato da
Vegeta, si sentiva un idiota per essersi fatto prendere così
alla sprovvista da Algid. “Come diamine ho fatto a
permettergli di liberarsi dalla mia presa?” si
domandò, e quel pensiero parve riecheggiare nella sua mente
svuotata.
L’inattività,
si rispose dopo un momento. Aveva
trascurato sin troppo gli allenamenti. Erano secoli che non combatteva,
né sul serio né per gioco, da quando…
«Bra!»
esclamò improvvisamente, con voce
soffocata.
Un momento
dopo, scattò in piedi sotto lo sguardo
interrogativo del suo alter ego, e si precipitò verso la
casetta di legno che aveva infestato i suoi incubi per tanto tempo.
Là
dentro, Bra era seduta – rannicchiata, per
meglio dire – con gli occhi spalancati. Udendo dei passi che
si avvicinavano, mosse la testa in uno scatto spaventato.
Poi si
irrigidì, e guardò fuori, e vide
avvicinarsi due ragazzi.
Per quanto
quei due giovani fossero pressoché identici, la
bambina riconobbe immediatamente il fratello, e fu solo su di lui che
fissò il proprio sguardo, ignorando del tutto il ragazzo del
futuro.
Trunks
aveva una mano premuta sulla spalla destra, ma non sentiva
affatto il dolore.
Il cuore
gli rintronava nelle orecchie – batteva
così forte che sembrava sul punto di scoppiare – e
lui faticava a trattenere le proprie gambe. Avrebbe voluto correre,
invece di camminare, precipitarsi su Bra e afferrarla e stringerla
contro di sé, ma a frenarlo interveniva il desiderio di non
spaventare la bambina, e il timore che lei avesse effettivamente paura
di lui.
Quando
però la vide, gli sembrò che tutte le sue
ansie non avessero più importanza.
Bra era
seduta e lo guardava, con un’espressione seria che un
po’ strideva sul suo viso che – seppur pallido e
aguzzo – era pur sempre quello di una bambina.
Quasi
inconsapevolmente, d’istinto e contrariamente ai propri
desiderio, Trunks rallentò appena il passo, invece di
sveltirlo, e si avvicinò alla sorellina con
un’estrema cautela.
Lei,
immobile, lo fissava con i suoi occhi grandi e celesti.
«Bra,
sono io» sussurrò Trunks, con voce
rotta. «Sono tornato a prenderti».
Tese le
braccia senza pensarci. Non credeva che Bra si sarebbe lasciata
stringere, ma il desiderio di toccarla era tale che quel gesto gli
venne d’impulso.
La bambina,
però, prendendolo totalmente alla sprovvista,
non aspettò nemmeno che lui la invitasse ad abbracciarlo: si
alzò in piedi e si rifugiò contro il petto del
fratello, le manine che si aggrappavano veloci e incerte alla maglietta
del giovane.
Trunks,
sentendo quella testolina che spingeva contro il suo collo, si
sentì mancare il fiato. Fu solo un attimo, però,
e il momento dopo si chinò in modo da abbracciarla, prima
con cautela perché Bra, disavvezza com’era al
contatto fisico, tremava appena, poi con più forza quando i
tremiti della bimba si calmarono.
Trunks
sentì i primi singhiozzi della sorellina, e fu solo
quando aprì la bocca per cercare di confortarla che si
accorse di star piangendo a propria volta.
Poi lei
iniziò ad agitarsi furiosamente, scalpitando
perché il fratello la lasciasse andare.
Confuso e
col cuore ferito, Trunks la lasciò, e Bra gli
diede una testata in pieno stomaco.
Con le
guance ancora bagnate di lacrime, il ragazzo rimase fermo. Quel
colpo non gli aveva fatto male fisicamente, ma psicologicamente
sì. Stordito e dolorante, non riusciva a muoversi.
Allora…
Allora Bra lo odiava.
Allora era
arrivato troppo tardi, alla fine.
Allora…
La bambina
sollevò su di lui due occhi carichi di biasimo,
poi allungò una manina verso il suo volto… e gli
asciugò doverosamente le lacrime, senza dire una parola.
«Bra,
mi dispiace»
gemette Trunks.
Lei
annuì, guardandolo seria, poi gli abbracciò
il petto.
Osando a
malapena a credere a ciò che stava accadendo, il
giovane ricambiò la stretta, assaporando il profumo della
bambina. Era odore di bruciato e di erba e di terra, con un pizzico di
sudore infantile, ma era decisamente odore di casa, e le labbra del
ragazzo tremavano mentre la prima ondata di felicità lo
invadeva, così violenta e improvvisa da farlo traballare.
Da quanto
tempo non si sentiva in quel modo?
Gli
sembrava che il petto avrebbe potuto scoppiargli per la gioia da un
momento all’altro.
Chinandosi
sulla bambina, affondò il viso nei suoi capelli
turchini, e per un attimo interminabile rimase fermo così,
immemore di tutto.
Anche
quando sciolse l’abbraccio e si raddrizzò,
continuò a tenere la manina di Bra nella propria.
Fu solo con
molta fatica che riuscì a distogliere lo sguardo
da lei per posarlo sul proprio alter ego – della cui presenza
si era quasi dimenticato.
«E
ora?» domandò, senza sapere
cos’altro dire. «Tu come farai? A tornare nel tuo
tempo, voglio dire».
Il ragazzo
del futuro si morse il labbro inferiore, ma poi
cercò di sembrare sicuro di sé. «Penso
che si troverà il modo».
«Algid
ha detto…» cominciò
Trunks.
«Non
importa quello che ha detto» lo interruppe
l’altro, con decisione. «Sono certo che la
mamma… Tua madre, intendo, potrà
aiutarmi».
Trunks si
morse il labbro, mentre Bra, accanto a lui, si muoveva
appena. «Lo spero proprio» disse il saiyan,
sinceramente, per poi aggiungere: «Mi dispiace».
L’altro
lo fissò. «Per cosa?»
«Be’,
è stato a causa mia che sei
rimasto coinvolto in questa faccenda» replicò
Trunks, mentre il senso di colpa cominciava ad agitarsi nel suo petto.
«Se non avessi combinato questo gran pasticcio, non sarebbe
successo niente»
aggiunse, con voce strozzata.
Bra
alzò la testa a guardare il fratello.
Il ragazzo
del futuro sembrava confuso.
«E
poi» riprese Trunks, «mi hai salvato
la vita, anche se così facendo potresti aver preso la
possibilità di tornare a casa tua».
«Non
è detto» replicò
l’altro, poi azzardò: «Ehm…
Scusa se te lo chiedo, ma… Puoi dirmi chi è
lei?»
La prima
reazione di Trunks fu di assoluto sbalordimento, ma poi si
ricordò che nella dimensione dove era cresciuto
l’altro Bra non esisteva.
Quel
pensiero gli diede un brivido.
«È
Bra» disse, per scacciare la propria
ansia. «È mia sorella».
Così
dicendo, abbassò lo sguardo su Bra, che
sollevò la testolina per fissarlo a propria volta.
«Sorella?»
ripeté il ragazzo del futuro,
sorpreso, senza riuscire a trattenersi.
Trunks
strinse la manina di Bra, e si disse che non doveva essere una
passeggiata, scoprire che un altro se stesso aveva una parente in
più.
«Scusa»
disse, perciò.
Contro ogni
sua aspettativa, però, il suo alter ego sorrise.
«Una sorellina» disse, serenamente. «Mi
piace».
Si
passò una mano tra i capelli.
«Però
ancora non ho capito cosa lei
c’entri con Algid e tutto il resto…»
Trunks
sentì un fremito percorrerlo. Si sedette a terra, e
Bra si mise sulle sue ginocchia. «È una storia un
po’ lunga» disse, a fatica. «Vieni, ti
racconto».
Gli
riuscì spaventosamente difficile, ripercorrere quella
che era stata la realtà della sua vita negli ultimi anni, ma
col peso caldo di Bra contro il proprio petto, in qualche modo ci
riuscì.
Anzi, ad un
certo punto la bambina, sentendolo tremare, gli
passò una manina impietosita sul viso, come per consolarlo.
Trunks ne
fu grato e allibito.
Non si
meritava un simile perdono, e soprattutto non meritava una
sorellina tanto affettuosa.
«Aspetta,
però» intervenne il suo alter
ego, «qua la Sfere del Drago non sono attive? Non avete
chiesto aiuto al Dio Drago?»
Trunks
accarezzò la testa azzurra di Bra.
«Sì, lo abbiamo fatto» rispose, in tono
assente. «Gli abbiamo chiesto di trovare Bra, ma lui ha
risposto che non gli era possibile, così come non gli era
possibile determinare se fosse viva o morta».
Per un
istante, seguì quel ricordo, poi si riscosse.
«Non
riuscivamo a capire perché»
riprese. «Ora credo che Algid abbia trovato il modo di
nascondere Bra al Dio Drago così come ha nascosto a tutti la
sua aura».
«Non
gli dev’essere stato difficile»
ragionò il ragazzo del futuro. «Se era
più forte di Dio, poteva prevalere sul Dio Drago».
Dopodiché,
scrollò le spalle, e Trunks
abbracciò Bra.
«Adesso»
sussurrò il giovane, contro la
pelle della sorellina, «credo sia ora di tornare a
casa».
Spazio
Autrice:
Scusatemi, scusatemi, SCUSATEMI!
È un secolo che non mi faccio sentire, ed è
un’ingiustizia fatta e finita nei vostri confronti.
Vorrei addossare tutta la colpa alla scuola (e in effetti un
po’ di colpa ce l’ha: nelle ultime settimane di
lezione avevo poco più di un nanosecondo da dedicare alla
scrittura), ma va detto che ho avuto anche carenza
d’ispirazione e di buona volontà .-.
Mi sono scoraggiata, insomma.
Comunque, oggi mi presento con questo, che mi sembra tanto un CC
(=
Capitolo Cavolata), brutto e scontato. Spero solo di sbagliarmi T.T
E alla fine spuntano fuori le
Sfere del Drago. Inizialmente,
l’intenzione era di mostrare con un flashback
l’apparizione di Shenron e tutto, ma a questo punto mi
sembrava che stonasse con la trama, quindi ho cercato di riassumere la
scena solo con le parole di Trunks.
Il succo, comunque, è che, come Dragonball ci
insegnò, chi è più potente di Dio
può fregare Shenron alla grande, ed è almeno
dalla saga dei saiyan che gli avversari sono tutti più
potenti del Supremo.
Boh. Spero bene.
Alla prossima?
|
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Capitolo 18 *** Cadere e rialzarsi ***
Capitolo 18 – Cadere e rialzarsi
Nuvole nere avvolgevano in cielo, mutandolo in
un pozzo
d’oscurità, mentre le sfere si illuminavano e
pulsavano.
La forma possente e sinuosa del drago comparve
nel cielo.
La bocca si mosse, e una voce tonante
riempì
l’aria. «Ditemi, qual è il vostro
desiderio?»
Trunks strinse la presa su Bra, come per accettarsi che lei fosse
davvero lì, tra le sue braccia.
Il freddo alle
gambe, il suo cuore che batteva all’impazzata
mentre Vegeta si faceva avanti, chiedendo a gran voce di portare
lì Bra, o almeno di indicare loro dove si trovava.
La bambina guardò il fratello e si rannicchiò
contro di lui, aggrappandosi più forte alla maglietta
bruciacchiata del giovane.
Il freddo al viso,
il suo cuore che smetteva di battere quando il drago
proclamava: «Spiacente, non posso esaudire questo
desiderio».
Trunks le sorrise debolmente, prima di rivolgere uno sguardo al proprio
alter ego.
Il ragazzo
del futuro camminava accanto a lui in perfetto silenzio,
apparentemente immerso nei suoi pensieri.
«Che cosa?» Goten era
scattato in avanti.
«Almeno dicci se è sana e salva!»
Trunks non era stato in grado di muoversi,
mentre il drago ripeteva:
«Mi dispiace, non posso esaudire questo desiderio».
Una parte di Trunks si meravigliò, faticando a capacitarsi
di quanto fosse discreta la presenza dell’altro.
Il tonfo nel momento in cui le gambe di Bulma
avevano ceduto, e la
donna era caduta in ginocchio.
«Trunks, siamo arrivati?» domandò Bra,
con voce esile. «Voglio vedere la mamma».
Il ragazzo
annuì, con un nodo alla gola. “Mi
dispiace, Bra” pensò, ricordando che era colpa sua
se la piccola non vedeva Bulma da molto tempo. Solo colpa sua.
«Sì,
ci siamo quasi» le
assicurò.
«E
anche il papà» sottolineò
la bambina.
La voce di Goku che spezzava il silenzio
sconvolto, commentando:
«Questo complicherà le cose».
L’ira di Vegeta.
Il rumore di stoffa strappata nel momento in
cui il Principe aveva
afferrato l’altro per il colletto, sbottando con rabbia:
«Che significa, Kakaroth?! Vorresti dire che dovremmo
rinunciare!»
Trunks faticava a riemergere dai ricordi che gli affollavano la mente,
ma per fortuna, a trattenerlo nel momento presente, c’era la
manina di Bra, fresca e minuta, posata sul suo collo.
Goku che replicava, in tutta calma:
«Niente affatto. Dico
solo che dovremmo impegnarci ancora di più».
La manina di Bra.
La manina
di Bra.
Bulma si
trovava in giardino.
Dal momento
che Trunks non era ancora rientrato, lei non poteva fare a
meno di preoccuparsi.
Stentava a
ricordare l’ultima volta che aveva visto il suo
primogenito sorridere – sorridere davvero – e per
quanto ne sapeva, perso chissà dove, Trunks avrebbe potuto
sentirsi abbastanza sconvolto da farsi del male.
Ormai, alla
donna sembrava che l’angoscia fosse diventata
l’unica emozione che le era dato di provare.
Sentendo la
porta sbattere violentemente, si voltò, e vide
Vegeta avanzare ad ampi passi verso di lei. Quando notò
l’espressione del Principe, Bulma non poté fare a
meno di sussultare.
Vegeta
sembrava fuori di sé, intento a fissare la strada al
di là del cancello, le narici dilatate e gli occhi ardenti.
Bulma
sentì un vuoto allo stomaco.
Non credeva
che ci sarebbe mai stato niente di più
spaventoso di quello che tutti loro stavano vivendo in quei giorni, ma
si chiese se stesse per giungere un nuovo nemico, e di fronte a quella
prospettiva le gambe minacciarono di cederle.
Non ce
l’avrebbe fatta a mostrarsi forte, non mentre una
nuova minaccia scuoteva la Terra, non mentre la sua bambina –
la sua bellissima bambina – era scomparsa chissà
dove…
Impallidendo,
fronteggiò il saiyan. Cercò di
parlare, di chiedere al compagno il perché del suo
sconvolgimento. «Vegeta, cosa…?»
Lui,
però, stava guardando al di là delle spalle
di lei. «Non è possibile»
sussurrò, con voce roca.
A quel
punto, Bulma si voltò…
E il cuore
minacciò di scoppiarle nel petto.
Vicino al
cancello, a pochi passi da lei, c’era Trunks, gli
abiti strappati e il viso arrossato. In piedi accanto a lui
c’era il ragazzo del futuro, il figlio che Bulma aveva sempre
ricordato con amore, e tra le braccia di Trunks si trovava la piccola
Bra.
La piccola
Bra che era cresciuta, ma che non esitò a tendere
le mani verso la madre in un gesto smanioso, riconoscendola
all’istante.
Di fronte a
quella scena, Bulma impiegò qualche tempo per
ricordarsi di dover respirare.
La testa le
girava, e lei non riusciva a credere ai propri occhi.
Non era
possibile.
Non era
possibile, no, e per un attimo un gemito minacciò di
sfuggirle dalle labbra.
Lei aveva
tentato di essere forte. Ci aveva provato davvero –
nonostante il dolore per Bra, nonostante lo sguardo cupo di Vegeta,
nonostante la sofferenza di Trunks.
A quanto
pareva, però, alla fine era sopraggiunto un crollo
nervoso, o qualcosa di simile o di peggiore, e lei aveva iniziato a
vedere cose che in realtà non c’erano.
Poi la
bimba tra le braccia di Trunks si mosse, chiamando:
«Mamma!», e Bulma si riscosse, rendendosi conto che
era tutto reale, dannazione, e che lei stava perdendo istanti preziosi
nella convinzione di essere impazzita.
Per
fortuna, Trunks fu svelto ad arrivare verso di lei, dato che Bulma
non era affatto sicura che le gambe l’avrebbero retta.
E a quel
punto, lei poté strappare la sua bambina dalle
braccia del figlio maggiore, e stringersela al petto, e sentire i suoi
capelli tiepidi contro l’incavo del collo.
«Oddio,
Bra… Oddio» disse, con voce
rotta, accarezzandola sulla nuca e sulla schiena, su quei vestitini
troppo stretti. «Bra… Bra!»
Sentì
Vegeta avvicinarsi, intravide la sua mano che si
posava per un momento sulla guancia della piccola.
Poi la
donna diede a Bra un bacio su una guancia, e
sull’altra, e sulla fronte, e sotto il mento, sul collo,
sulle manine… Su ogni parte di lei che riusciva a
raggiungere, stringendola e sentendola concreta contro il proprio seno,
e tra un bacio e l’altro ripeteva il suo nome, mentre le
lacrime sfuggivano al suo controllo.
Si riscosse
da quell’incanto soltanto quando il Principe
scattò in avanti senza preavviso, colpendo Trunks con tanta
violenza da farlo cadere all’indietro.
«Vegeta!»
esclamò Bulma, allarmata,
mentre il ragazzo del futuro faceva un gesto e poi si bloccava, come
incerto se porsi o meno tra il padre e il proprio alter ego.
Il
Principe, però, era del tutto concentrato sul
primogenito, che ora si sollevò a sedere e lo
fissò ad occhi spalancati, ammutolito, con una mano sulla
guancia.
«Questo
è per aver abbandonato tua
sorella» disse Vegeta, cupamente.
Trunks
sbatté le palpebre. Era incredibile come una frase
potesse fare più male di un pugno.
«E
questo» aggiunse Vegeta, chinandosi a porgere la
mano verso il figlio, «è per averla riportata a
casa».
Trunks
esitò. Poi, però, afferrò
quella mano, prendendola come se fosse la sua ancora di salvezza, e
lasciò che il padre lo rimettesse in piedi.
Ricordò
quell’orribile giorno di tanti anni primi,
quando il Principe si era rifiutato di picchiarlo nonostante lui avesse
implorato una punizione fisica… E si ritrovò a
sussurrare, guardando in faccia il padre sotto gli occhi degli altri
presenti: «Grazie».
Non per
averlo colpito, ma per averlo infine perdonato.
Spazio
Autrice:
Buondì.
Innanzitutto, vi ringrazio
moltissimo per le recensioni allo scorso
capitolo. Non avete idea di quanto mi avete fatta felice (solo
trovare Loki (guardare qui
per capire) in camera da letto avrebbe potuto darmi altrettanta gioia
:D).
Comunque, ecco il nuovo capitolo.
Alla fine, come vedete, sono ritornata sulla scena delle Sfere del
Drago, che dovrebbe collocarsi da qualche parte in mezzo al secondo
capitolo (cronologicamente parlando) :D
Forse avrei potuto farne a meno, ma avevo in mente da un bel
po’ di tempo la scena della “litigata”
tra Goku e Vegeta, e volevo inserirla >.<
Ho cercato di essere chiara e al contempo di fare apparire la cosa un
po’ confusa, perché sono i ricordi di Trunks che
affiorano qua e là nella mente del ragazzo.
Per questo capitolo, comunque, ho deciso di concentrarmi su Bulma e Bra
in particolare. Spero di non aver tagliato troppo fuori Mirai Trunks,
ma ho pensato che subito i pensieri di Bulma e Vegeta si sarebbero
concentrati sulla bambina ^^
Spero vi sia piaciuto!
Alla
prossima!
|
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Capitolo 19 *** Al peggio non c’è mai fine? ***
Capitolo 19
– Al peggio non c’è mai fine?
Nel momento in cui Bulma aveva posato gli occhi
su Bra, aveva avuto
l’impressione che il tempo avesse iniziato a scorrere a
velocità doppia.
Voltarsi
verso la sua bambina, prenderla in braccio, stringersela al
cuore… Era stato come se tutte quelle azioni si fossero
succedute ad una rapidità impressionante.
Adesso che
la donna si era finalmente resa conto che sua figlia era
lì e lei non l’avrebbe più persa,
però, il tempo aveva rallentato docilmente, tornando a
muoversi alla consueta velocità.
E con la
normalità del tempo, erano tornati anche i
pensieri, le domande…
Bulma si
volse verso il ragazzo del futuro.
«Trunks»
lo salutò, meravigliata,
cercando di stringerlo in un mezzo abbraccio un po’
impacciato – poiché non era affatto intenzionata a
lasciare a terra Bra nemmeno per un istante.
«Mamma»
replicò lui, posandole un lieve
bacio sulla guancia.
La donna
fece scorrere lo sguardo da lui a Trunks – che era
in piedi accanto a Vegeta – e assunse un’aria un
po’ confusa.
«Come
mai sei qui?» gli chiese.
«Cioè» precisò, stringendo
più forte la sua bambina, «sono felice di vederti,
ma…»
Il ragazzo
del futuro abbozzò un sorriso, poi
scambiò uno sguardo con Trunks.
«Se
vuoi racconto tutto io» disse, semplicemente.
Trunks
rimase interdetto per un attimo, dopodiché
annuì, con gratitudine.
Aveva
l’impressione che aver narrato al suo alter ego della
scomparsa di Bra e del rancore di Algid lo avesse svuotato. Anche se
ora non ci sarebbe stato bisogno di raccontare la parte iniziale
– la parte peggiore
– ai suoi genitori, che ne
erano già a conoscenza, Trunks si sentiva girare la testa al
solo pensiero di dover spiegare l’insana vendetta
architettata dal seguace di Freezer.
Il ragazzo
venuto dal futuro capì, e prese la parola,
attirando l’attenzione di Bulma e Vegeta – la mano
destra della donna non cessò mai di accarezzare la testolina
di Bra, mentre il Principe era appena girato verso la bambina.
Trunks si
sedette sul prato e li osservò, e una parte di lui
si stupì della familiarità con cui il suo alter
ego si rivolgeva ai suoi genitori.
Mano a mano
che il giovane del futuro procedeva parlando della lotta
contro Algid, Trunks scoprì di non sentirsi particolarmente
scosso per quelle cose appena accadute.
La cosa lo
stupì: in quei quattro anni, il passato gli aveva
sempre artigliato il cuore con violenza. Ora che aveva recuperato Bra,
però, sembrava che potesse riprendere a guardare al futuro,
vivendo nel presente.
Certo, si
sentiva ancora mostruosamente in colpa, ma la lotta contro
Algid non lo toccava più.
Aveva
combattuto ed era riuscito a portare il salvo Bra. Il resto
– le botte ricevute, alla mente e al corpo – non
aveva più importanza.
Dal canto
loro, Bulma e Vegeta sembravano sinceramente impressionati
dal racconto.
Il Principe
pareva trattenersi a stento dal digrignare i denti, e
stringeva i pugni come se avesse voluto stritolare Algid, mentre Bulma,
a un certo punto, strinse a sé Bra con un gemito di orrore,
tremando mentre immaginava ciò che la figlia aveva dovuto
subire.
Trunks
avrebbe voluto dire di nuovo che gli dispiaceva –
sentiva che non si sarebbe mai
scusato abbastanza – ma il
ragazzo del futuro procedeva nel racconto senza lasciare spazio ad
alcun intervento.
Quando
infine la narrazione si concluse, calò il silenzio,
che contro tutte le aspettative venne interrotto da Bra.
«Algid
non mi piaceva» dichiarò la
bambina, con voce risoluta. «Era cattivo».
Trunks
sollevò la testa di scatto, sorpreso,
perché sino a quel momento la bambina non aveva espresso
alcun pensiero riguardante il suo rapitore.
Bulma
accarezzò la figlia con mano tremante. Lo sguardo di
Vegeta si era fatto impenetrabile.
Per un
momento, nessuno disse niente. Poi, con un certo sforzo, Bulma
si rivolse al ragazzo del futuro.
«E
così, ora, temi di essere bloccato
qui».
Sulle
proprie spalle, la donna sentiva gravare il peso di tante notti
insonni. Al contempo, però, le sembrava che la piccola Bra
tra le sue braccia le stesse già restituendo la sua forza
d’animo.
Il giovane
la guardò. «Tu puoi
aiutarmi?» domandò, con uguale misura di ansia e
speranza.
Anche
Trunks rivolse gli occhi verso sua madre. Non voleva che il suo
alter ego si ritrovasse bloccato in un’altra dimensione per
colpa sua.
Bulma
sbatté le palpebre.
«Be’…» esitò.
«Pensi
che riusciresti a costruire una macchina del
tempo?» suggerì il ragazzo.
Bulma
restò per un attimo senza parole. Poi,
però, sfiorò con le labbra la fronte di Bra e
dichiarò, decisa: «Se ci sono riuscita nella tua
epoca, non vedo perché non dovrei riuscirci qua».
Vegeta la
guardò. Era da tempo che non sentiva nella sua
voce quella scintilla di caparbietà.
Trunks era
sorpreso. «Mamma, hai costruito una macchina del
tempo?»
Lei lo
fissò. «Perché sei tanto
meravigliato?»
Il giovane
alzò le mani come a scusarsi, ma non ebbe bisogno
di dire niente. A riportare immediatamente la pace, infatti, intervenne
un suono melodioso e argentino, spontaneo e soddisfatto.
La risata
di Bra.
Bulma se ne
riempì le orecchie, sentendo il cuore battere di
gioia. Un sorriso balenò non visto sulle labbra di Vegeta,
mentre Trunks guardava la sorellina.
Poi la
donna si rivolse al ragazzo del futuro: «Quanto tempo
ci ha messo, tua madre – io –, a costruire la
macchina del tempo?»
Il giovane
fece una smorfia. «Almeno tre anni»
rispose.
Bulma
inorridì – aveva fatto la domanda
più sbagliata.
«Però»
riprese il ragazzo del futuro,
«lei doveva ancora capire tutto. Io ho visto i progetti
finali della macchina del tempo, potrei descriverteli».
Bulma si
passò la lingua sulle labbra. Bra poggiò
la testa sulla spalla della madre, sbadigliando e stropicciandosi gli
occhi con fare assonnato.
Sia Trunks
che Vegeta fissavano la bambina.
«Allora
per me sarà semplice, dovrò
solo seguire le istruzioni» concluse Bulma, in tono
ottimista, cercando di confortare il ragazzo del futuro.
Quest’ultimo
abbozzò un sorriso.
«Bene,
adesso andiamo dentro» accennò la
donna.
Non appena
si mosse, Trunks la affiancò. Non voleva restare
lontano da Bra nemmeno un istante.
Il ragazzo
del futuro fece per seguire il trio, ma inaspettatamente
sentì Vegeta richiamarlo un attimo.
«Sì,
papà?»
domandò il giovane, stupito e lieto insieme.
Il saiyan
guardò da tutt’altra parte mentre
borbottava: «Ti ringrazio per aver salvato la vita di
Trunks».
Il ragazzo
del futuro lo guardò, meravigliato. Il Vegeta che
aveva lasciato anni prima non lo avrebbe mai ringraziato,
né
tanto meno avrebbe ammesso – neanche così
velatamente – di essere sollevato che il figlio fosse sano e
salvo.
Del resto,
ormai suo padre sembrava ben inserito nella propria famiglia.
Vegeta gli
diede una mezza pacca sulla spalla. «Andiamo
dentro anche noi» disse, piuttosto burberamente.
Il ragazzo
del futuro ne rimase stupefatto, poi sorrise, capendo che
quel gesto era il modo spiccio di suo padre di dirgli che era felice di
rivederlo.
Bra si era
addormentata, e Bulma continuava a guardarla.
Anche
Trunks la osservava da sopra la spalla della madre, riempiendosi
gli occhi di quelle labbra dischiuse, di quelle guance fresche, di quei
capelli azzurri.
Poi,
d’un tratto, il giovane esclamò:
«Goten!»
Fino a quel
momento, il suo amico non gli era venuto in mente. Ora si
disse che era il caso di avvisare la famiglia Son che Bra era tornata.
Il
telefono, però, si trovava in un’altra stanza,
e l’ultima cosa che Trunks voleva era allontanarsi da Bra.
Del resto,
ricordava bene come l’amico avesse cercato di
sostenerlo e infondergli forza, e si sentiva in colpa a lasciarlo
ancora a preoccuparsi per lui.
«Chi
è Goten?» domandò a quel
punto il ragazzo del futuro, interrogativo.
Trunks lo
fissò. Quella domanda posta dalla sua stessa voce
gli suonava parecchio strana, quasi assurda. «È il
mio migliore amico» replicò. «Il
secondogenito di Goku».
«Goten
è stato concepito poco prima del Cell
Game» precisò Bulma, senza staccare gli occhi
dalla piccola Bra.
«Caspita»
commentò il ragazzo del
futuro, scuotendo la testa.
«Già»
sorrise la donna, sollevando lo
sguardo. «Hai dato a ben due famiglie
l’opportunità di espandersi».
Trunks
fissò il proprio alter ego, sentendo un vuoto allo
stomaco. La sua controparte venuta dal futuro era molto migliore di
lui. Era un ragazzo altruista, generoso, che non aveva esitato un
attimo prima di aiutarlo, e oltretutto aveva salvato tutte le persone a
cui Trunks teneva.
Trunks,
invece, si sentiva sciocco ed immaturo, un ragazzino viziato
che aveva condannato sua sorella a quattro anni infernali, e aveva
fatto passare una tragedia alle persone a lui più vicine.
“Io
non credo potrò mai aggiustare del tutto il
presente” pensò. “Lui, invece, ha
cambiato il futuro”.
«Forse
dovresti chiamare i Son» intervenne Bulma,
carezzando lievemente i capelli di Bra.
La bambina
arricciò appena il naso, ma continuò a
dormire pacificamente.
«Già»
mormorò Trunks.
«Non devono preoccuparsi inutilmente».
Si
alzò in piedi e si diresse fuori dalla stanza. Quando
prese in mano il telefono, si rese conto che non vedere Bra lo agitava
moltissimo. Come se, invece della sorellina, avesse lasciato in
un’altra camera il proprio braccio, o metà gamba.
Pertanto,
compose più in fretta che poteva il numero di
cellulare di Goten, per poi portare la cornetta al proprio orecchio.
L’amico,
se non altro, non lo fece aspettare, e rispose dopo
soli tre squilli.
«Pronto,
Goten? Sono io. Ho bisogno di
parlarti…»
Qualche
minuto dopo, Trunks tornò dove si trovavano gli altri.
I suoi
occhi saettarono immediatamente su Bra, e per un momento si
dimenticò quello che doveva riferire.
«Allora?»
domandò però Bulma.
«Ehm»
disse il giovane, riscuotendosi,
«credo che Goku, Chichi e Goten saranno qui a
momenti».
«Goku?»
intervenne il ragazzo del futuro,
perplesso. «Ma è morto nella battaglia contro
Cell».
Trunks si
girò verso di lui. «In effetti
sì, poi però è resuscitato…
Kaioshin il Sommo gli ha donato la sua vita, visto che
Gohan…» Vedendo l’espressione del
proprio alter ego, decise che era meglio tagliare corto:
«Be’, è una storia lunga da raccontare,
quel che devi sapere è che è vivo».
«E
visto che sa teletrasportarsi» aggiunse Bulma,
guardando Bra con affetto, «penso ce lo ritroveremo in
giardino a momenti».
«Vado
a vedere» disse Trunks, anche se un
po’ a malincuore.
Era quasi
arrivato alla porta d’ingresso quando percepì diverse auree comparire nella stanza che lui
aveva appena lasciato.
A quel che
pareva, Goku non aveva voluto sprecare tempo, e si era
teletrasportato direttamente dentro la Capsule Corporation.
Trunks non
perse tempo a chiedersi se quella del saiyan fosse
sfacciataggine o senso pratico, e si affrettò a tornare sui
propri passi.
«Wow,
è davvero sana e salva»
commentò Goten, mentre sua madre scoppiava praticamente in
lacrime di gioia, abbracciando Bulma ed esclamando: «Oh, sono
così felice!», mentre Goku si grattava la testa e
mormorava: «Dai, Chichi, finirai per svegliare la
piccola». Anche lui, però, stava sorridendo.
Goten, da
parte sua, tirò un sospiro di sollievo.
Quando
aveva sentito Trunks dirgli che Bra era sana e salva, per un
momento aveva creduto che l’amico stesse parlando a vanvera,
e si era chiesto preoccupato se per caso lo stress non lo avesse fatto
impazzire sul serio.
E a
proposito di Trunks… Goten alzò gli occhi e
incrociò lo sguardo del suo migliore amico, che a dirla
tutta gli sembrava un po’ diverso dal solito. Anche per il
modo in cui gli sorrise, un sorriso cortese e curioso, come se lui
fosse un estraneo, non il sorriso ampio e allegro che gli aveva sempre
dedicato – prima della scomparsa di Bra, almeno.
Cercando di
capire perché Trunks sembrasse tanto diverso,
gli si avvicinò, dicendo: «Allora ce
l’hai fatta davvero a riportarla a casa».
L’altro
lo fissò e sembrò sul punto di
dire qualcosa, ma non fece in tempo, perché in quel momento
la porta della stanza si spalancò ed entrò
– Goten spalancò gli occhi, convinto di star
sognando – Trunks.
«Goten»
lo salutò
quest’ultimo. «Siete già qui?»
Il
secondogenito di Goku sbatté le palpebre. Ecco, quello
sì che era il suo migliore amico. Ma allora chi era
l’altro?
Confusissimo,
si girò verso la copia sputata di Trunks, e a
quel punto Trunks intervenne precipitosamente: «Goten, lui
è il mio alter ego venuto dal futuro. Sai, era stato lui a
sconfiggere Freezer».
Goten
sbatté le palpebre, a dir poco stupefatto.
«Accidenti» commentò.
«È come se avessero appena clonato il mio migliore
amico».
Un momento
dopo, sfoderando il suo consueto candore in un sorriso
entusiasta, aggiunse: «Che forza!»
«E
Gohan?» stava chiedendo Bulma.
«Gohan
è fuori con la cara Videl e la piccola
Pan» rispose Chichi. «Gli ho lasciato un messaggio
in casa, quindi dovrebbero arrivare anche loro».
Vegeta
sbuffò. Era un po’ infastidito, sebbene non
riuscisse a sentirsi veramente seccato, non dopo che sua figlia, dopo
tanti anni in cui l’avevano data per dispersa, era tornata.
Anche se
non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe voluto trascorrere
un po’ di tempo con la propria famiglia.
Quel
buffone di Kakaroth, con moglie e progenie allegati, non era
esattamente la gente che avrebbe voluto accogliere in casa sua.
In quanto a
Goku, del tutto inconsapevole dei pensieri astiosi che
Vegeta gli stava rivolgendo, si era avvicinato a Goten e ai due Trunks.
«Oh,
ma tu sei il ragazzo del futuro!»
esclamò, aprendosi in un sorriso.
«Signor
Goku» replicò il giovane,
«è un piacere rivederla in vita».
In quel
momento, Bra si svegliò e, sfregandosi una mano
contro il nasino, si raddrizzò. A quel punto, nessuno
poté preservarla dall’abbraccio commosso di
Chichi, né da Goku – che le scompigliò
i capelli – o da Goten che la salutò chiamandola
“piccoletta”.
La bambina
valutò per un momento il fratello di Gohan.
«Ho fame» gli disse, alzando la voce per sovrastare
i commenti di chi la circondava.
Bulma si
alzò immediatamente, prendendola in braccio.
«Allora andiamo in cucina» replicò,
sorridendo alla figlia.
Udendo
quelle parole, Goku fu subito accanto all’amica.
«Sai» le disse, in tono speranzoso,
«anch’io avrei un certo languorino».
«Tu
puoi prepararti la merenda da solo»
ribatté Bulma, acidamente.
Di fronte
all’espressione abbattuta dell’altro,
però, scoppiò a ridere allegramente. «E
va bene, seguimi» gli concesse.
Così, alla fine, si recarono tutti quanti in cucina.
Trunks,
infatti, non voleva lasciare Bra, Goten non voleva lasciare
Trunks, il ragazzo del futuro decise di andare con loro e, quando anche
Chichi li seguì, Vegeta alzò gli occhi al cielo,
prima di unirsi alla comitiva.
Non
l’avrebbe mai confessato, ma era un po’
preoccupato per Bulma. Aveva visto che ora la sua donna sembrava star
bene… La felicità di riavere Bra,
però, per grande che fosse, non valeva tanto da restituirle
le energie per le notti insonne e per i pasti saltati.
Avrebbe
dovuto riposare, non mettersi a fare panini imbottiti per
quell’idiota di Kakaroth.
«Sai»
disse in quel momento la voce di Bulma,
rivolta a Chichi, «forse sarebbe il caso di informare anche
gli altri amici… Il maestro Muten, Crilin e C-18,
Yamcha…»
Vegeta
spalancò gli occhi, inorridito.
Al peggio
non c’era mai fine?
In quel
preciso istante, Bra gli rivolse un sorriso da sopra la spalla
di Bulma, e il saiyan si sentì improvvisamente meno cupo:
sì, il peggio era finito. A quel punto, la presenza di
quegli irritanti terrestri che Bulma chiamava
“amici”… Be’, sarebbe stato
solo un piccolo fastidio.
Spazio Autrice:
What do you mean by that? That is not an aaanswer!
E questa era la mia ottima interpretazione di Pilato in Jesus Christ
Superstar (sto ascoltando la colonna sonora del film e mi faccio un
po’ trascinare .-. Mi piace troppo come dice:
“You’re deep in trouble, friend”
=°D).
Chiusi gli approfondimenti culturali (?),
ho una gran paura di aver
scritto un capitolo noioso e incasinato…
Soprattutto la
fine… Sarò io che sono imbranata,
ma muovere
tanti personaggi tutti insieme è una faticaccia
>.<
Spero di sbagliarmi e che non sia uscita una cosa proprio
orribile…
Alla
prossima!
(But – if
– I – die…)
P. S. Ho
spaventato qualcuno col titolo del capitolo? >.<
|
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Capitolo 20 *** Un tentativo in più ***
Capitolo 20 – Un tentativo in
più
Il sole, quel giorno, batteva impietoso su due
teste identiche.
Trunks e il
suo alter ego si trovavano nel giardino della Capsule
Corporation, seduti sul prato, ed entrambi usavano una mano per
schermare gli occhi dalla luce.
Se qualcuno
li avesse visti, probabilmente si sarebbe divertito nel
constatare quanto le loro posizioni fossero uguali, ma ad un certo
punto Trunks ruppe quell’armonia, passandosi la mano sulla
fronte per detergere le ultime tracce di sudore.
Si erano
appena allenati. Ripensando alla scarsa prontezza di riflessi
che aveva dimostrato nello scontro con Algid, infatti, Trunks aveva
deciso di riprendere a esercitarsi nelle Arti Marziali.
Dato che
una parte di lui era ancora restia a chiedere un favore a suo
padre, e in più non voleva che Vegeta notasse quanto si era
rammollito, aveva chiesto al ragazzo del futuro di allenarsi con lui.
E, tutto
sommato, la cosa faceva bene a entrambi.
Trunks
stava recuperando rapidamente le proprie abilità, e
il suo alter ego si distraeva un po’ dalla propria ansia. Da
quando Bulma aveva cominciato a costruire una Macchina del Tempo
– facendo in modo di avere sempre Bra attorno – il
giovane non poteva fare a meno di sentirsi sulle spine, chiedendosi in
continuazioni quanto tempo sarebbe servito e angosciandosi al pensiero
che qualcosa potesse andare storto.
Per un
momento, il ragazzo del futuro lasciò vagare lo
sguardo.
Ripensò
alla festa che Bulma aveva improvvisato per il
ritrovamento della piccola Bra. Se all’inizio la bambina era
stata vezzeggiata in mille modi, dopo un po’ gli invitati,
rallegrati e rinfrancati per bene, si erano permessi di guardarsi
attorno… E ovviamente il ragazzo del futuro si era subito
ritrovato circondato.
Per lui era
stato uno shock particolare vedere Gohan. Il primogenito di
Goku era cresciuto, e ora somigliava terribilmente al maestro che lo
aveva allevato.
Anche a
distanza di giorni da quell’incontro, al giovane
bastava ripensarci per sentirsi assalire dalla nostalgia.
Ciò che al momento lo faceva un po’ vergognare,
era la punta di gelosia che aveva provato di primo acchito vedendo la
figlia di Gohan, Pan, aggrapparsi alle gambe del padre. Fortunatamente,
quell’invidia immotivata aveva avuto vita breve, e il ragazzo
del futuro era riuscito a sentirsi felice per il fatto che, almeno in
quella dimensione, Gohan avesse avuto modo di costruirsi una famiglia.
Per il
resto, lo aveva sconcertato vedere 18 al fianco di Crilin, e lo
sbalordimento era salito alle stelle quando il basso terrestre gli
aveva presentato la figlia avuta con la cyborg.
Marron era
una ragazzina apparentemente tranquilla, con due codini
biondi e un modo di tenere alta la testa che ricordava molto sua madre.
Sembrava
stravedere per la piccola Bra, e durante la festa aveva fatto
volentieri comunella con Trunks e Goten, e il ragazzo del futuro si era
meravigliato vedendo che trio affiatato formavano.
Se
qualcuno, prima di quel giorno, gli avesse detto che in
un’altra dimensione era molto amico della figlia di
C-18… Be’, probabilmente gli avrebbe dato del
pazzo.
Tra le
vecchie conoscenze, a stupirlo particolarmente era stato Yamcha,
che l’aveva salutato con un sincero entusiasmo, e gli si era
poi affiancato per parlare con lui tutto il tempo.
A
riportarlo al presente, distogliendolo da quei ricordi, fu Trunks,
che si stiracchiò con un movimento pigro.
Il ragazzo
del futuro lo fissò. Trunks adesso si massaggiava
il polso, distrattamente, e il suo sguardo si era perso in lontananza.
Si mordeva
il labbro e sembrava quasi tormentato.
Il ragazzo
del futuro sapeva che, quando faceva così
– e lo faceva molto spesso –, stava ripensando a
tutto il rapimento di Bra, rivivendo per l’ennesima volta il
senso di colpa, perciò frugò nella propria mente,
cercando qualcosa da dire per distrarlo.
«Che
ne pensi?» gli domandò dopo un
po’, assumendo un tono indifferente. «Mi avrai
rotto qualche osso, oggi?»
Trunks si
riscosse e lo guardò, ma impiegò
qualche momento per replicare. «Ma se sei tu che mi hai quasi
staccato un braccio!» lo accusò, esagerando
volutamente.
«Io?»
disse il ragazzo del futuro, scuotendo la
testa. «Ti avrò sfiorato giusto due volte durante
tutto il combattimento».
Gli
sembrava di essere tornato alla sua infanzia, quando Gohan lo
stuzzicava per tirarlo su di morale e distrarlo dai suoi pensieri,
sempre troppo cupi per un bambino della sua età.
Trunks gli
scoccò un’occhiata e inarcò
un sopracciglio. Sembrava essersi ripreso. «Due volte,
dici?» chiese, alzando gli occhi al cielo.
«Qualcuno dovrà ripassare un po’ di
matematica…»
Il ragazzo
del futuro abbozzò un sorriso, e dopo qualche
momento Trunks lo ricambiò.
Poi
tornarono seri e si guardarono, comprendendosi a vicenda.
«Mia
madre è molto brava»
commentò Trunks, sommessamente. «Vedrai che
riuscirà a costruire la migliore Macchina del Tempo su cui
tu abbia mai viaggiato».
Il ragazzo
del futuro si strinse nelle spalle. Lo sperava.
In quel
momento, la piccola Bra uscì in giardino,
chiamandoli ad alta voce. Teneva a fatica contro il petto una bottiglia
e due bicchieri.
«Trunks
e Trunks!» li chiamò, con una
voce autoritaria che ricordava molto Vegeta. «La mamma dice
che dovete bere».
Trunks le
sorrise immediatamente. «Grazie, piccola»
disse, mentre Bra gli consegnava il bicchiere.
«B-bevi»
replicò lei, per tutta risposta.
Bulma era
stata la prima ad accorgersi che Bra, certe volte, nel bel
mezzo di un discorso pronunciato con voce spedita, inciampava in alcune
lettere, mettendosi a balbettare.
Il ragazzo
del futuro non aveva commentato, ma aveva pensato al proprio
mondo. Prima che tornasse la pace, non era raro che i bambini che
avevano subito dei traumi inciampassero nelle parole. Un gran numero di
loro diventava addirittura muto.
Fortunatamente,
per parlare, Bra parlava un sacco, ma non si poteva
negare che nelle sue parole c’era una sorta di nervosismo del
tutto inadatto a una bambina di sette anni.
«Quando
si suda» stava spiegando la bambina,
«è l’acqua che abbiamo bevuto che
rinfresca la pelle. Me l’ha detto la mamma. Ah, e ha anche
detto che siamo fatti dal sess… no, ottanta per cento? Non
mi ricordo. Abbiamo tanta acqua dentro, p-p-però».
Le
sopracciglia di Trunks ebbero un lieve fremito, ma il ragazzo si
sforzò di apparire del tutto naturale.
«È vero» concordò.
«Per questo è importante bere molto».
Bra
annuì e gli rivolse un sorriso, piccolo come una perla
in fondo all’oceano ma altrettanto prezioso.
La bambina
aspettò che il fratello avvicinasse il bicchiere
alle labbra, poi gli diede un colpo, e Trunks si rovesciò
tutto addosso.
Bra si mise
a ridacchiare. «Sei tutto bagnato»
commentò, con una certa soddisfazione.
Poi si tese
a dargli un bacio sulla guancia. Doveva appena aver fatto
merenda, visto che le sue labbra erano un po’ appiccicose e
il suo fiato sapeva di cioccolata.
«Io
vado dalla mamma» annunciò poi,
lasciando lì la bottiglia e correndo via.
Trunks la
seguì con lo sguardo, strizzandosi distrattamente
la maglietta. Sentiva su di sé gli occhi del proprio alter
ego, ma era restio a condividere i propri pensieri con qualcuno.
Però, diamine, erano la stessa persona!
«Credo
voglia punirmi» disse, prima di rendersi
conto di aver aperto bocca.
Il ragazzo
del futuro lo guardò perplesso.
«Chi?» domandò.
«Bra»
rispose Trunks, in tono piatto.
«Non è la prima volta che mi fa dispetti di questo
genere… A tavola finisce sempre per versarmi qualcosa
addosso… E quel pomeriggio, quando è venuto Goten
e io e lui ce ne stavamo qua a prendere il sole… Ci
è passata accanto e mi ha pestato la mano».
Aggrottò la fronte, cercando di spiegare
l’inquietudine che sentiva.
Il ragazzo
del futuro non diceva niente. Passava un dito attorno a un
ciuffo d’erba.
«E
tutte le volte, dopo che mi ha fatto un dispetto, mi
dà un bacio, o una carezza, o mi prende la mano».
Trunks
tacque, deglutendo.
Quando
riprese a parlare, la sua voce era tanto bassa che il suo alter
ego si tese verso di lui: «È come…
Sembra che Bra cerchi di imitare quello che ha fatto papà
quando l’ho riportata a casa. Quando mi ha colpito e poi mi
ha teso la mano. E credo che… credo lo faccia
perché ha capito che è in quel momento che lui mi
ha perdonato, e vuole perdonarmi anche lei. Ma è chiaro che
non ci riesce, per questo continua a tentare».
Il ragazzo
del futuro esitò. Prese in considerazione
l’idea di dirgli che non poteva essere sicuro che le cose
stessero davvero così. Che semplicemente Bra aveva un
carattere dispettoso, e ogni volta che ne combinava una poi chiedeva
scusa al fratello con un gesto d’affetto.
Alla fine,
però, non disse nulla.
Dentro di
sé, infatti, credeva che le cose stessero come
aveva detto Trunks, e non era nel suo carattere mentire.
«È
un buon segno» osservò.
Trunks lo
guardò, inarcando le sopracciglia.
«Che
lei continui a tentare, intendo»
spiegò il ragazzo del futuro. «Perché
se lo fa, se non si arrende, vuol dire che crede che ne valga la pena.
Vuol dire che per lei è importante riuscire a
perdonarti».
A sorpresa,
Trunks reagì a quelle parole con una rabbiosa
scrollata di spalle. «Già, ma perché
dovrebbe farlo? Perché dovrei meritarmelo?»
Il ragazzo
del futuro rimase per un momento senza parole. Non si
aspettava quello scoppio di collera. Pensò di dire che forse
Bra voleva perdonarlo perché tutti sbagliano,
perché gli voleva bene, o perché –
comunque fossero andate le cose – alla fine era tornato a
prenderla.
Alla fine,
però, scelse delle altre parole.
«Non
lo so» rispose, con sincerità.
«Evidentemente, però, Bra lo sa, quindi fidati di
lei. Fidati di lei e basta. Se vuole provare a perdonarti, lasciaglielo
fare».
Trunks lo
fissò, con le labbra dischiuse. Sembrava sorpreso.
«Grazie»
sussurrò dopo un lungo
silenzio, con voce flebile.
Il ragazzo
del futuro accennò un sorriso. «Ma ti
pare?»
Quando
Trunks li poggiò sul secchiaio, i due bicchieri
cozzarono fra loro, tintinnando.
Il giovane
non ci fece caso. Con la coda dell’occhio,
notò suo padre che entrava, dirigendosi dritto verso il
frigorifero, dove cercò qualcosa da mettere sotto i denti.
Trunks era
abituato a incrociare Vegeta in cucina – infatti,
durante la propria infanzia, la considerava quasi la sua stanza
preferita: il punto di ritrovo di due saiyan perennemente affamati.
Di solito,
nel corso di quegli incontri, si limitavano a scambiarsi
un’occhiata, a volte nemmeno quella. Proprio mentre Trunks
stava per uscire dalla porta, però, la voce del Principe lo
fermò.
«Trunks».
Il giovane,
colto di sorpresa, si voltò con
un’espressione interrogativa.
«Papà?»
Vegeta non
rispose subito, forse poco convinto che richiamare il figlio
fosse stata una buona idea.
Alla fine,
però, lo informò, col tono impassibile
che gli era tanto congeniale: «Ho visto i vostri allenamenti,
oggi».
Trunks
sbatté le palpebre e cercò di leggere la
sua espressione, ma gli occhi dell’altro saiyan erano
impenetrabili come sempre.
Quando
Vegeta parlò di nuovo, sembrò quasi che
qualcuno gli stesse estraendo le parole dalla gola con una grossa pinza.
«Hai
fatto un buon lavoro» disse. Forse con fatica,
forse con riluttanza. O forse senza nessuna delle due.
Trunks lo
fissò, preso alla sprovvista dal calore che gli
salì dal petto, arrivando sino alla gola. Conosceva quella
sensazione: un tempo, ne era invaso ogni volta che suo padre gli
rivolgeva una parola da approvazione. Poi Bra era scomparsa, e con lei
se n’era andata ogni cosa che non la riguardasse.
Trunks si
sentì stranamente sorpreso. Era da tempo che non
si sentiva così… Felice? O sollevato?
Non sapeva
più definire quella sensazione, che poteva
somigliare all’orgoglio, sapeva solo che era molto piacevole.
Vegeta gli
rivolse un cenno del capo. Per un attimo, i loro occhi si
incrociarono, azzurro nel nero, poi il Principe dei saiyan lo
sorpassò.
«Grazie»
riuscì a mormorare il ragazzo,
dopo qualche istante.
Suo padre
non si voltò, non disse nulla, ma Trunks era certo
che l’avesse sentito.
Spazio dell’autrice
morta di caldo:
Alzi la mano chi mi vuole impiccare per il vergognoso ritardo.
*conta le mani con aria preoccupata* Ahem, ho capito, vado a prendere
il cappio .-.
Parlando di questo capitolo… Mi dispiace, ma ci ho pensato,
e non credo che ciò che ha fatto Trunks possa essere
cancellato come se non fosse mai successo.
Alla fine è questo il dramma.
Una cosa fatta è fatta, e a volte quel che si fa in seguito
per porvi rimedio conta solo sino a un certo punto.
…
Oddio, come sono profonda oggi!
Riguardo al pezzo finale su Trunks e Vegeta, l’idea me
l’ha data Devandro, che nello scorso
capitolo era dispiaciuto
di non aver visto una scena tra il Principe e il figlio del presente.
Spero non sia venuta fuori troppo pessima.
Be’, alla prossima!
|
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Capitolo 21 *** Abbracci ***
Capitolo 21 – Abbracci
Circa quattro mesi dopo il ritrovamento di Bra,
la macchina del tempo
poteva dirsi quasi pronta.
Il ragazzo
del futuro era ormai nervoso e inquieto. Aveva iniziato a
trascurare un po’ gli allenamenti con Trunks, e passava
sempre più ore in compagnia di Bulma, cercando di spiegarle
per filo e per segno il lavoro compiuto da sua madre.
La piccola
Bra era sempre lì a gironzolare per
l’officina, e ogni tanto faceva qualche comparsa anche
Vegeta, non foss’altro che per dare un’occhiata
alla figlia.
Trunks non
se l’era presa per l’abbandono
dell’addestramento da parte del suo alter ego,
poiché capiva il suo nervosismo. Per non mandare
all’aria i miglioramenti fatti negli ultimi giorni, si
allenava anche da solo, ma finiva per recarsi a sua volta in officina.
Avendo
ereditato dalla madre l’interesse per la tecnologia,
non poteva che trovare interessante la costruzione della macchina del
tempo, e inoltre preferiva avere Bra sott’occhio.
Non che il
rapporto con la sorellina sembrasse essere migliorato, anzi.
La piccola continuava a fargli i dispetti più disparati,
pestandogli i piedi o lanciandogli contro “per
sbaglio” un cacciavite.
E poi, come
ormai era consuetudine, gli si accostava tremando e
domandando scusa, e gli stampava dei baci sulle guance.
Bulma, che
era rimasta a lungo estranea a quella nuova dinamica,
iniziò a notare il comportamento della figlia e ad
impensierirsi.
Una sera,
dopo aver messo a letto Bra, si recò nella stanza
del proprio primogenito.
Trunks era
sveglio, seduto sul letto e intento a giocherellare con
qualcosa di morbido.
«Posso?»
chiese Bulma, dando un colpo leggero alla
porta.
Il ragazzo
parve riscuotersi dai propri pensieri.
«Certo» replicò, intascando
l’oggetto che fino a un po’ di tempo prima si
rigirava distrattamente tra le mani.
Bulma
andò a prendere posto sul materasso accanto al figlio.
Lo studiò per qualche momento, incerta su come esordire.
«Vuoi
parlarmi di Bra» dedusse Trunks.
La donna
sussultò, sorpresa, ma poi annuì.
«Ho notato come si comporta con te».
A quelle
parole, il ragazzo scrollò le spalle.
«È tutto a posto, mamma»
affermò. «Lasciala fare».
Bulma lo
guardò, inclinando la testa. Nel corso dei tre
terribili anni in cui Bra era scomparsa, non poteva negare di aver
provato un po’ di risentimento nei riguardi del figlio
maggiore. Anzi, risentimento era riduttivo: talvolta avrebbe proprio
voluto prenderlo a schiaffi.
Ciò
che l’aveva sempre trattenuta,
però, era la consapevolezza della sofferenza del figlio, il
suo doloroso desiderio di una punizione.
Ora che Bra
era tornata, poi, lei aveva perdonato Trunks.
Ci aveva
pensato, e aveva concluso che il figlio aveva fatto una cosa
stupida – molto stupida – che aveva avuto
conseguenze terribili. Aveva concluso anche che Trunks si meritava una
punizione terribile, ma aveva capito senza problemi che il giovane
quella condanna l’aveva già scontata.
Già,
l’aveva scontata nelle lunghe notti che aveva
trascorso insonne, l’aveva scontata nel momento in cui era
quasi impazzito, ma soprattutto quando era riuscito a recuperare la
sorellina.
Adesso, per
quel che riguardava Bulma, Trunks era stato punito a
sufficienza.
E si era
meritato il perdono che lei gli aveva dato.
«Sai
cosa credo, mamma?» disse il ragazzo, in tono
sommesso. «Bra sta cercando di trovare un modo per
perdonarmi. Non voglio che smetta, anche se ho paura che i suoi
tentativi continueranno ad andare a vuoto».
Bulma
aggrottò la fronte. Studiò il viso smagrito
e sofferente del figlio maggiore… E lo abbracciò,
spinta da un’ondata di empatia.
«Andrà
tutto bene» gli disse,
accarezzandogli la nuca come se lui fosse stato ancora un bambino.
«Vedrai, andrà tutto bene».
Trunks non
ne era sicuro, ma non sciolse quella stretta.
Era la
prima volta, da quando Bra era scomparsa, che sua madre lo
abbracciava.
Il mattino
dopo, il ragazzo del futuro si recò di
buon’ora nell’officina.
Bulma non
era ancora scesa, ma lui si avvicinò ansiosamente
ai progetti della donna, studiandoli da cima a fondo, sforzandosi di
ricordare se aveva dimenticato qualcosa…
Così
preso da quell’occupazione,
impiegò qualche istante per rendersi conto che
c’era qualcuno nei paraggi.
Era
un’aura modesta, che proveniva da sotto il tavolo.
Immaginando
chi potesse essere, il ragazzo del futuro sorrise tra
sé e sé.
Dopo
qualche istante, una testolina azzurra fece capolino.
«Ciao» disse Bra, studiandolo per bene, in modo da
vedere se era rimasto sorpreso dalla sua apparizione.
Il giovane
si finse più stupito che poteva.
«Ehi» rispose. «Che ci fai, lì
sotto?»
La bambina
si alzò in piedi, sgusciando fuori dal tavolo.
«Aspetto la mamma» replicò.
Sporgendosi,
cercò di vedere i progetti che il ragazzo aveva
in mano. «Cosa guardi?» gli chiese, incuriosita.
Lui
scrollò le spalle. «Controllo che la macchina
del tempo sia a posto».
Bra
annuì, con aria quasi saggia. «Vuoi t-tornare
a casa, eh?»
«Eh,
già» confermò il giovane.
«Anch’io
lo volevo, quando stavo con
Algid» dichiarò la bambina. Allargò le
braccia. «Però non p-potevo» concluse,
gettando un’occhiata nervosa attorno a sé.
«Immagino
che tutta la tua famiglia volesse tornare a
casa» disse il ragazzo del futuro.
Bra lo
guardò, perplessa. «Loro erano
già a casa!» gli fece notare.
«Sì,
ma non penso la sentissero davvero
così, visto che tu non c’eri».
La bambina
parve affascinata da quella risposta. Ci pensò su
a lungo, poi mosse appena le labbra, come in un accenno di sorriso.
«Ti
manca la tua mamma?» volle sapere poi.
Il ragazzo
del futuro sentì un improvviso nodo alla gola, e
le sue dita si strinsero sulla carta del progetto. Si
affrettò a posare quello schizzo sul tavolo, poi rispose,
sommessamente: «Sì. Sono preoccupato per
lei».
«La
mia mamma ha detto che a casa tua c’erano dei
mostri cattivi» riprese Bra – sembrava che la
risposta del ragazzo lo avesse stupita. «Per questo sei
preoccupato?»
Il giovane
scosse il capo. «No, non è per
questo… I mostri cattivi non ci sono più, li ho
sconfitti».
Bra scosse
la testa. «Allora perché sei
preoccupato? La tua mamma è a casa. A me la mia mamma
mancava tantissimo, ma non ero preoccupata. Ero io ad essere in un
b-b-brutto posto, non lei».
Il ragazzo
del futuro la valutò per un momento, domandandosi
come spiegare ciò che provava a una bambina di sette anni,
senza confonderla o disorientarla.
«Be’…
Sai, io so che mia madre mi vuole
molto bene» iniziò, con una certa
difficoltà. «Così, mi preoccupo
perché lei non sa dove sono, e so che questo la fa star
male».
«Però
nessuno la picchia»
constatò Bra, apparentemente decisa ad accertarsene.
Il giovane
annuì. «Nessuno la picchia»
confermò, e la bambina parve abbastanza sollevata.
«Ma, sai, la mia lontananza le dà un
male… diverso».
«Ho
capito» sostenne Bra, cogliendolo di sorpresa.
La bambina si portò una mano al petto.
«È un male qua dentro, non un male
fisico».
Il giovane
annuì nuovamente.
Impietosita,
la bimba gli posò una mano sulla gamba.
«Sai»
mormorò il ragazzo del futuro,
«certe volte le ferite emotive sono dolorose come quelle
fisiche, se non di più».
Bra,
allora, lo abbracciò – con una certa
difficoltà, data la differenza d’altezza.
«Non essere triste» gli disse, affondandogli il
viso contro il petto. «Quando andrai a casa, la tua mamma
sarà felice. Guarirà subito».
Il giovane,
sorpreso dal gesto della bambina, le posò una
mano sui capelli.
«Lo
spero, piccola» disse alla fine, mordendosi
l’interno della guancia. «Lo spero
davvero».
I suoi
occhi andarono a posarsi, con un certo rimpianto, sulla sagoma
della macchina del tempo.
Era quasi
ultimata, ma quel “quasi” gli impediva di
dormire la notte.
Pensava
sempre di più a sua madre. Dopo tutto quello che lei
aveva fatto per lui, gli sembrava mostruoso, da parte propria,
abbandonarla così… Certo, la colpa era solo di
Algid se lui era capitato lì, però… Il
ragazzo del futuro non si sentiva con la coscienza a posto, a
sonnecchiare quando avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e lavorare
per tornare a casa il prima possibile.
Chissà
se sua madre lo dava per morto…
Chissà se piangeva, credendo di averlo perduto…
Bra si
strinse un po’ di più a lui, affondando il
naso nella sua maglietta. Il ragazzo del futuro aveva lo stesso odore
di Trunks, e abbracciare lui era un po’ come abbracciare suo
fratello…
Spazio Autrice:
Scusate l’attesa ^^”
E scusate, se potete, la brevità del capitolo.
Spero che vi possa essere piaciuto comunque…
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, vi do appuntamento a
Giovedì 30 Agosto ;)
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Capitolo 22 *** Ritorno al futuro ***
Capitolo 22 – Ritorno al futuro
Finalmente, il gran giorno era arrivato.
Bulma si
passò una mano sulla fronte, poi diede
un’occhiata soddisfatta al mezzo che le stava davanti.
«Ecco»
annunciò, rivolgendo un sorriso
radioso al ragazzo del futuro, «la macchina del tempo
è pronta!»
Il giovane
non disse nulla, limitandosi ad avanzare di qualche passo
per osservare meglio il frutto del lavoro di quegli ultimi mesi.
Era un
po’ diversa dalla macchina del tempo costruita da sua
madre, ma solo nell’aspetto, e quel genere di dettagli non
gli interessavano certo. Non in quel momento.
«Pensi
vada bene?» chiese Bulma.
Il ragazzo
si voltò a guardarla, e sul volto aveva
un’espressione di sollievo e trepidazione. «Penso
di sì» rispose, in un soffio.
Bra, che
fino a quel momento era rimasta a giocare poco lontano, si
avvicinò.
«Vuoi
dire che vai via?» domandò,
rivolta al ragazzo del futuro.
Quest’ultimo
la guardò con serietà,
facendo cenno di sì.
«Oh»
disse Bra. «Mi dispiace, sei
simpatico». Poi fece un sorriso. «Però
sono contenta che puoi tornare a casa».
Il giovane
la guardò. «Ti ringrazio,
piccola».
E, a quelle
parole, il sorriso della bambina si fece radioso.
Bulma la
contemplò con aria intenerita, poi si
avvicinò al ragazzo del futuro.
«Allora?» indagò, sistemandogli delle
pieghe invisibili della maglia. «Come stai? Ti senti
pronto?»
Lui
sbatté le palpebre. Si sentiva agitatissimo, a dire il
vero. Nella sua dimensione, sua madre gli aveva spiegato fin troppo
bene tutti i rischi che avrebbe potuto correre con una macchina del
tempo imperfetta.
“Però”
si disse, “questa non
è imperfetta. L’abbiamo costruita con attenzione,
basandoci su ciò che ricordo dei progetti che mia madre ha
concluso dopo anni di lavoro… Qua, inoltre, abbiamo potuto
usare degli strumenti che nel mio tempo non erano disponibili a causa
dei cyborg… Andrà tutto bene”.
Quando
incrociò lo sguardo di Bulma, lo fece con grande
determinazione. «Sono pronto» dichiarò.
La donna,
allora, gli si gettò tra le braccia.
«Bra ha ragione: sono contenta anch’io che tu possa
tornare a casa… Da tua madre»
sottolineò.
Negli
ultimi anni, aveva avuto modo di scoprire quanto fosse orribile,
per una madre, non sapere dove si trovasse il proprio figlio,
perciò desiderava che la sua alter ego si tranquillizzasse
il prima possibile… Del resto, alla Bulma del futuro non
rimaneva altro che il figlio…
«Però
non ti nascondo che mi mancherai»
aggiunse, stringendolo brevemente.
Il ragazzo
del futuro accennò un sorriso. «Mi
mancherai anche tu, mamma» replicò.
Bulma
sorrise a propria volta, poi si guardò attorno.
«Allora» considerò,
«bisognerà chiamare Trunks e Vegeta…
Sono certa che vogliono salutarti tutti e due…»
Bra
alzò la testa. «Vado io a chiamare
Trunks!» annunciò, dirigendosi quasi di corsa
verso la porta dell’officina.
Mentre
usciva, sentì sua madre pronunciare un «Va
bene» un po’ basito.
La bimba
trovò Trunks in giardino. Si era portata a dietro
la palla di gomma con cui aveva giocato in officina… Sapeva
che non faceva molto male.
Quando vide
il fratello seduto sull’erba, probabilmente dopo
una sessione di allenamento solitario, Bra non esitò a
lanciargli contro la palla.
Proprio in
quel momento, però, Trunks percepì la
presenza della sorellina e si girò, e di riflesso prese la
palla al volto.
La bambina
divenne rossa in viso, ma poi scrollò la
testolina.
Scacciando
le lacrime di frustrazione e il proprio disappunto, si
avvicinò al fratello.
«La
macchina del tempo è p-pronta»
annunciò. «Vieni a salutare Trunks?»
Trunks
sbatté le palpebre. «È
già pronta?» domandò, alzandosi in
piedi.
Tese la
palla alla sorellina. Bra esitò, lanciando
un’occhiata veloce e nervosa al volto del fratello, ma poi
prese il proprio giocattolo.
«Vai
avanti t-t-tu» disse, rivolta a Trunks, e lui
si avviò verso l’officina.
Bra
aspettò che tra loro ci fosse una certa distanza, poi lo
seguì trotterellando.
Quando
arrivarono, videro che Vegeta li aveva già preceduti,
e stava litigando con Bulma. Il punto era che avrebbe dovuto spostare
all’aria aperta la macchina del tempo, ma evidentemente alla
donna non andava bene il modo in cui lo stava facendo.
«Ehm,
mamma, papà… Avete bisogno di una
mano?» azzardò Trunks.
Bulma si
girò di scatto verso di lui. «Fermo dove
sei!» esclamò. «Tuo padre deve imparare
a lavorare!»
«Okay…»
Il giovane quasi
indietreggiò, scambiando un’occhiata col suo alter
ego. «Ma perché non la rimettete nella capsula,
prima di…?»
«Esatto,
donna!» sostenne subito Vegeta.
«Perché non la rimettiamo nella capsula?»
«Perché
tu non fai mai niente!»
Il
Principe, però, la ignorò, e trovò
il pulsante che serviva per ridurre la macchina del tempo alle
dimensioni di una compressa per il mal di testa.
Così,
dopo circa altri dieci minuti di battibecchi, la
macchina del tempo si trovava in mezzo al prato, nella posizione ideale
per la partenza.
Il ragazzo
del futuro esitò, osservando quella sua famiglia
di un’altra dimensione.
«Allora…
Ci vediamo…»
mormorò.
Bulma ero
commossa. «Certo, tesoro» disse, andando
ad abbracciarlo. «Mi dispiace di non averti organizzato una
bella festa in occasione della tua partenza…»
«Non
fa niente» replicò lui.
«Non credo che sarei riuscito ad essere di buona compagnia,
sarei stato troppo impaziente di partire. Salutami gli altri,
però».
Bulma
annuì. «Certamente».
Vegeta, da
parte sua, bofonchiò un burbero
«Fa’ buon viaggio», mentre la piccola Bra
andò a stringersi con forza al petto del giovane.
Il ragazzo
del futuro le scompigliò i capelli, poi si volse
verso il suo alter ego.
Trunks gli
sorrise. «Be’… è
stato un piacere conoscerti» disse.
L’altro
gli restituì il sorriso, seppur
brevemente. «Anche per me» replicò.
«Grazie…
per Bra, per gli allenamenti…
Per tutto quello che hai fatto, insomma» disse Trunks.
Il ragazzo
del futuro sorrise, stringendogli la mano. Poi, facendosi
udire solo da Trunks, disse, in tono sereno: «Sai, a mia
madre sarebbe piaciuta molto, una bambina».
E poi
aggiunse, sempre a voce bassa: «Per lei è
importante, riuscire a perdonarti».
Trunks lo
fissò, poi mormorò un ultimo
«Grazie».
Il ragazzo
del futuro gli fece un cenno, poi salutò di nuovo
gli altri. Dopodiché, volò sino alla carlinga
della macchina del tempo, accomodandosi sul sedile.
Guardò
i pulsanti che aveva davanti, cercando di non badare
al cuore che gli martellava tra le costole.
“Andrà
tutto bene” si disse.
“Andrà tutto bene”.
E a quel
punto, qualcosa scattò nella sua testa. Riconosceva
i comandi, sapeva usare quella macchina alla perfezione… E
ciò lo fece sentire più sicuro.
Premette
alcuni tasti, inserendo le coordinate giuste.
La macchina
del tempo iniziò a sollevarsi verso
l’alto. Il ragazzo del futuro, attraverso il vetro,
continuò a salutare la sua famiglia… Poi tutto
scomparve.
Quando la
macchina si posò a terra, in uno sbuffo di
polvere, Trunks aveva i palmi sudati.
Guardò
apprensivo fuori dal vetro e, con immenso sollievo,
riconobbe la Capsule Corporation… La sua Capsule
Corporation, quella in cui era cresciuto… La Capsule
Corporation del suo tempo.
Con un
balzo, fu fuori.
Non si
fermò a mettere la macchina del tempo nella capsula,
troppo ansioso di raggiungere sua madre.
Tese i
sensi, individuando senza difficoltà l’aura
della donna.
A quel
punto, si lanciò dentro casa a rotta di collo.
La
trovò, pallida e angosciata, seduta accanto al telefono,
intenta a tormentare un fazzoletto tra le mani. Sentendolo entrare,
Bulma si girò di scatto… E
un’espressione di gioia incredula si dipinse sul suo volto,
assieme ad un sollievo così intenso da apparire
straziante…
«Sono
qui, mamma» disse Trunks, ansimando appena
per la corsa.
La donna si
alzò, chiamando il suo nome con voce strozzata e
correndogli incontro. L’impatto tolse per un momento il fiato
al ragazzo, mentre Bulma gli si avvinghiava contro.
«Oddio,
Trunks!» disse poi, scostandosi per
guardarlo in faccia. «Ero così in ansia per te!
Dove sei stato? Perché non mi hai fatto sapere niente? La
preoccupazione mi stava uccidendo…»
Trunks le
prese le mani tra le proprie, con affetto. «Lo so,
mamma, mi dispiace. Credimi, ti avrei informata che stavo bene, se solo
avessi potuto…»
Bulma
sembrava confusa. «Se avessi potuto? Perché,
cos’è successo? Stai bene?»
Nei suoi
occhi, il ragazzo vide il timore per una nuova minaccia alla
Terra e scrollò le spalle. «Sto bene, sto bene.
È solo che… Ecco, sono finito nel
passato».
Bulma lo
guardò, ancora più disorientata di
prima. Trunks, allora, la fece sedere e mise su l’acqua per
un tè.
Mentre
l’acqua si riscaldava, le raccontò tutto:
di come si fosse ritrovato improvvisamente su un campo di battaglia, di
come avesse visto una copia di se stesso, di come avesse aiutato il
proprio alter ego contro Algid…
Ad un certo
punto, si alzò e riempì di
tè due tazzine, per poi tornare verso il divano e offrirne
una a sua madre.
Bulma parve
accorgersi a stento di quella bevanda calda. Fissava il
figlio con aria a dir poco scossa.
«Sicuro»
disse alla fine, «che sia la
verità? Non ti sarai inventato tutto come alibi?»
«Alibi?»
ripeté Trunks, del tutto preso
alla sprovvista.
«Sì,
alibi. Davvero hai trascorso questi mesi nel
passato, e non con una bella ragazza?»
Al giovane
per poco non andò di traverso il tè.
«Mamma, non ti avrei mai fatto preoccupare così
per una ragione simile!» protestò.
Bulma,
però, si mise a ridere. Una risata piena di sollievo.
«Lo so, tranquillo, stavo solo scherzando».
Lui
sospirò, e lei tornò seria.
«Be’, credo dovrò telefonare alla
polizia e ritirare la denuncia della tua scomparsa».
«Già»
mormorò il ragazzo.
Bulma
rimase qualche istante in silenzio, riflettendo e osservando il
figlio. «Trunks?» lo chiamò.
«Mmm?»
«Hai
fatto bene ad aiutare l’altro te
stesso» rispose lei. Esitò, e per un attimo i suoi
occhi si fecero distanti. «Sai, mi sarebbe piaciuta molto,
una bambina» confessò quindi, in tono nostalgico.
Trunks le
sorrise con calore. «Lo so, mamma»
rispose, lasciando che lei poggiasse il capo sulla sua spalla,
«lo so».
Spazio Autrice:
E così, Mirai no Trunks è tornato a casetta sua.
Inizialmente, non pensavo di descrivere il suo incontro con la Bulma
del futuro, per non distogliermi dalla trama centrale, ma poi ho
preferito riportarlo così che non ci fosse il dubbio
“Ma sarà arrivato sano e salvo nel suo tempo o
no?”.
Spero solo che questo non abbia reso il capitolo noioso, ma senza
dubbio era una questione che doveva essere risolta U.U
A martedì 4 Settembre per il prossimo
capitolo! =)
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Capitolo 23 *** Perché? ***
Capitolo 23 – Perché?
Goku sembrava abbastanza dispiaciuto di non
aver avuto modo di salutare
il ragazzo del futuro.
«Chissà…»
disse, grattandosi
la nuca. «Magari lo rivedremo… Potrebbe arrivare e
annunciarci una disgrazia imminente… Non sarebbe
male» aggiunse, illuminandosi all’idea.
«Non
sarebbe male rivederlo»
puntualizzò
Bulma, quasi minacciosa. «Una disgrazia imminente lo sarebbe,
invece, eccome».
Goku si
affrettò a darle ragione. «Certo,
certo», ma il suo sguardo distratto diceva
tutt’altro.
La piccola
Bra, seduta sul tappeto poco lontano e piuttosto annoiata
dalla conversazione, si tirò su e uscì dal
salotto. Si diresse verso la camera di Trunks, quasi per caso, tenendo
gli occhi fissi sul pavimento.
Più
o meno a metà percorso, uno scricchiolio la
fece sobbalzare.
La bambina
si lanciò accanto al muro, appiattendosi contro
di esso, col cuore a mille e il respiro che accelerava…
Giusto un momento prima di andare nel panico, però,
capì di essere stata lei stessa a provocare il rumore che
l’aveva spaventata.
Inspirò
profondamente, toccandosi le guance per assicurarsi
che non le fosse sfuggita nemmeno una lacrima.
Per un
istante, aveva temuto… aveva temuto che…
“Algid” pensò, col cuore in gola.
Quando il
suo respiro tornò ad avere un ritmo normale, la
bambina riprese a camminare. Dopo poco, giunse davanti alla porta della
stanza del fratello ed entrò senza esitare.
Trunks era
seduto sul proprio letto, ed alzò di colpo la
testa, colto di sorpresa.
Lo sguardo
di Bra cadde sulle mani del giovane… E la bimba
sgranò gli occhi. Tra le dita del fratello, riconobbe un
guantino di lana, con un cagnolino ricamato sopra. Era il suo guantino,
quello del paio che indossava quando Trunks l’aveva
abbandonata.
Per un
istante, Bra rimase senza respirare. Poi, le sue guance
s’infiammarono, mentre il fiato le tornava tutto.
«Ti
odio!» gridò lei, prima che Trunks
avesse il tempo di fare niente. Si chinò ad afferrare una
ciabatta posata sul pavimento, e la scagliò verso Trunks.
«Ti odio!» ripeté, con voce stridente.
La suola
dell’oggetto colpì il giovane sulla
fronte, ma lui non parve accorgersene. Si era irrigidito, e fissava la
propria sorellina, le labbra dischiuse nel respiro spezzato.
«B-bra»
balbettò.
«Ti
odio!» strillò la bambina. Si era
messa a piangere, ma quando si avvicinò al letto del
fratello, lo fece per assestare un calcio contro la gamba del ragazzo.
«Ti odio!» reiterò, afferrando il
cuscino e prendendo a sbatterlo contro Trunks, con tutte le proprie
forze.
«Ti
odio, ti odio, ti odio! Tu non sei mio fratello! Non mi
vuoi abbastanza bene! Ti odio!»
La bambina
continuò a ripeterlo, singhiozzando, e nel
frattempo continuava a dare cuscinate al fratello.
Trunks non
si muoveva. O meglio, ad ogni colpo le sue spalle parevano
sussultare, ma il ragazzo non cercava minimamente di evitare le
percosse.
«Ti
odio!»
Quando le
dita cominciarono a farle male, Bra lasciò andare
il cuscino. Con un grido disperato, la bambina piantò uno
schiaffo sulla guancia del giovane, dandogli un dito
nell’occhio.
Trunks non
si mosse neanche allora.
«Ti
odio!»
Senza
fiato, Bra si fermò. Guardò Trunks, e lui
ricambiò lo sguardo – respirava a malapena, e due
lacrime silenziose gli rigavano le guance.
Quasi con
ferocia, la bambina gli strappò di mano il
guantino.
«Ti
odio!» urlò, per poi lasciar cadere
a terra il guanto. Iniziò a pestarlo con rabbia.
«Ti odio!» ripeté, per
l’ennesima volta, alzando gli occhi e piantandoli in viso al
fratello.
«Ti
odio…» mormorò.
Si
immobilizzò, poi si girò e corse via.
Trunks
restò fermo dov’era, impietrito, mentre il
dolore che aveva dentro si faceva sempre più straziante.
Incapace di pensare, di parlare – incapace anche di piangere
–, il ragazzo si lasciò scivolare di lato.
Bra correva
più veloce che poteva.
Non
riusciva a capire cosa provava… Rabbia? Odio?
Sapeva solo
che voleva scappare via, e non vedere Trunks mai, mai
più.
Quando si
trovò davanti ad uno dei bagni, entrò
svelta e chiuse a chiave, andando a rannicchiarsi in un angolo. Il
pavimento e le pareti erano di marmo freddo, e Bra, accaldata
com’era, si sentì rabbrividire a quel contatto.
Si sentiva
come se il petto le stesse per esplodere.
Era come se
tutta la paura, tutto il dolore e la nostalgia che aveva
provato durante la prigionia impostale da Algid fossero tornate a
colpirle, più violente che mai.
Tremando a
più non posso, la bambina si mise le braccia
sulla testa, come per proteggersi. Era una posizione che aveva assunto
spesso, quando Algid era vicino a lei…
Adesso
Algid non c’era, ma Bra si sentiva lo stesso come se
qualcuno le stesse riempiendo la mente di brutti ricordi.
Riusciva
solo a pensare a quella sera, a quanto aveva aspettato Trunks,
ancora e ancora… Al fatto che lui non era tornato…
O meglio,
si corresse la bambina, era tornato sì, ma dopo
tre anni!
Per poco
non le sfuggì un singhiozzo.
Perché
aveva un fratello così cattivo? Non poteva
averne uno buono? Perché aveva questo Trunks?
Perché, invece, suo fratello non era il Trunks del futuro?
Quello
lì sì, che era buono.
Ripensò
a quando lo aveva abbracciato… Ma a
tornarle in mente furono soprattutto le parole che lui le aveva
detto… Sai,
certe volte le ferite emotive sono dolorose come
quelle fisiche, se non di più.
La bambina
si immobilizzò.
Lentamente,
abbassò le braccia, togliendosi le mani da sopra
la testa.
Il suo
respiro riprese ad accelerare, come le succedeva quando si
spaventava, quando pensava che Algid fosse tornato a prenderla.
Adesso,
però, non vedeva l’alieno, dentro la
propria testa.
Vedeva
l’espressione stordita di Trunks, le sue guance
arrossate rigate di lacrime, i suoi occhi pieni di dolore…
Bra
iniziò ad agitarsi.
Cercò
di star ferma, ma dopo un po’ si accorse che
proprio non ci riusciva.
Si
tirò in piedi ed uscì dal bagno.
Riprese a
correre lungo il corridoio, e ad un certo punto
sbatté contro qualcosa – o, per meglio dire,
contro qualcuno.
Non se lo
aspettava proprio, e incespicò
all’indietro, cadendo sul sedere.
Alzò
gli occhi, intontita dal dolore all’osso
sacro, e si ritrovò a guardare la faccia di Goku.
«Bra»
la salutò il saiyan.
«Non ti sei fatta male, vero?»
La bambina
sbatté le palpebre un paio di volte. Quando il
dolore della botta passò, scosse la testa.
«No» pigolò.
«Ah,
bene» disse Goku, aprendosi in un sorriso. La
prese per un braccio e la aiutò a rimettersi in piedi.
«Ecco fatto… Sto cercando il bagno,
comunque… Puoi dirmi dov’è?»
Bra
indicò la direzione che l’uomo avrebbe dovuto
prendere.
«Oh,
è vero» disse Goku, allegramente.
«Ora ricordo… Be’, grazie,
piccola» disse, scompigliandole i capelli mentre le passava
accanto.
La bambina
si girò per seguirlo con lo sguardo, e
improvvisamente le uscirono di bocca alcune parole farfugliate.
Goku si
voltò indietro. «Come dici?» le
domandò, confuso.
Bra si
morse le labbra. Ripeté quanto aveva già
detto, ma per la seconda volta le venne fuori solo un borbottio
incomprensibile.
Goku
sembrò perplesso. Gettò
un’occhiata verso la direzione appena imboccata, ma poi
tornò sui propri passi, sino a giungere di fronte alla
bambina.
Si
accoccolò persino, in modo da avere il volto
all’altezza di quello di Bra.
«Come
dici?» ripeté.
Bulma gli
aveva detto di essere preoccupata per la figlia. Dato
ciò che era successo, non poteva nemmeno provare a farla
aiutare da uno psicologo. Chi poteva dire come avrebbe reagito un
terrestre qualsiasi, ascoltando una bambina di sette anni che sosteneva
d’essere stata rapita da un alieno?
Però,
chissà, magari lui poteva darle una mano.
Bra
respirò a fondo, disperatamente. «Si
può morire per la tristezza?» domandò
poi.
Goku
sgranò gli occhi. Non si era minimamente aspettato una
domanda del genere… Di colpo, parve molto più
serio, e s’accigliò appena.
«Non
lo so» rispose alla fine. «Mio nonno
diceva che l’anima e il corpo sono collegati,
che…»
«Le
ferite emotive sono dolorose come quelle
fisiche» farfugliò Bra, ripetendo le parole del
ragazzo del futuro.
Goku le
lanciò un’occhiata stupita, quindi
annuì. «Già» disse, serio.
«Allora
si può morire di tristezza?»
insistette Bra.
Goku si
portò una mano dietro la nuca.
«Be’» tentennò, «non
lo so…»
Bra,
però, non lo ascoltò: le era appena tornata
in mente una cosa.
«Certa
gente si uccide!» gridò, facendo
sobbalzare il saiyan.
«Cosa?»
chiese Goku.
«Lo
diceva Algid» rispose la bambina, prendendo a
tremare. «Diceva che c’è gente che
è debole e che non è capace di sopportare la
tristezza e allora si uccide perché non ne può
più…»
Goku si
irrigidì.
Bra
iniziò a tremare più forte.
«Io… Io non l’ho ascoltato…
P-p-perché… la mia mamma, il mio
papà… Trunks… Pensavo che loro erano
forti, quindi mi dicevo che non avrebbero fatto una cosa simile,
p-però…»
Però,
il ragazzo del futuro si era preoccupato per la sua
mamma, anche se la sua mamma era forte.
Allora
doveva voler dire che anche i forti, certe volte, non ne
potevano più… Quindi sì, di tristezza
si poteva morire davvero…
La bambina
venne attraversata da una scarica d’orrore.
«Bra?»
la chiamò Goku, allarmato.
Senza
rispondere, lei si voltò, incespicando, e prese a
correre disperatamente verso la stanza di suo fratello. Aveva
ricominciato a piangere, e sentiva le lacrime che le gocciolavano dal
mento…
Perché,
perché, perché,
perché, perché, perché,
perché?
Perché
non le era venuto in mente subito?
La bambina
quasi si buttò addosso alla porta della stanza
del fratello per aprirla ed entrare… E, vedendolo immobile
sul letto, gridò con quanto fiato aveva in gola.
Spazio Autrice:
Ed eccolo qua.
Il prossimo aggiornamento, se ce la faccio, sarà
Martedì 11… E, mi duole dirlo,
dovrebbe essere
l’ultimo (o il penultimo) capitolo.
NOTA di martedì 11: Il capitolo è quasi pronto, ma dato che devo studiare francese (domani ho un esame orale, brrrrr! =S) non credo di riuscire a finirlo per oggi, perciò l'aggiornamento è rimandato a domani, mercoledì 12. Scusate ^^"
Alla prossima!
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Capitolo 24 *** Tu sarai nel mio cuore ***
Capitolo 24
– Tu sarai nel mio cuore
Udendo quell’urlo, Trunks si
sollevò a sedere di
scatto.
«Bra?!»
esclamò, stupefatto.
La bambina
era sulla soglia, gli occhi arrossati dal troppo piangere,
l’espressione stravolta… Di colpo, chiuse la
bocca, mentre Goku faceva capolino da dietro di lei, controllando
allarmato l’interno della stanza…
Trunks
scambiò appena un’occhiata con
l’uomo, ma poi dovette distogliere lo sguardo,
poiché Bra gli si era gettata addosso.
La bambina
si inerpicò sulle ginocchia del fratello,
gettandogli le braccia al collo. «Sei forte, sei forte, sei
forte» singhiozzava.
«Bra,
che cosa…?»
Lei,
però, non rispose: stava piangendo così
forte che non aveva fiato per parlare.
«Bra…»
sussurrò Trunks.
Non
riusciva a credere di averla sulle proprie gambe, non riusciva a
credere che lei si stesse davvero premendo contro di lui con autentica
disperazione… Dopo la scena di poco prima, aveva pensato di
non vederla mai più… Okay, forse di vederla
sì, ma solo durante i pasti o quando si fossero incrociati
casualmente in casa… Di certo, aveva pensato che non
l’avrebbe mai più toccata.
Il pianto
della piccola si calmò un po’, quel poco
che bastava per permetterle di mettere in fila qualche parola senza
soffocare.
«Non…
Tristezza…»
farfugliò. «Per favore, guarisci, guarisci! Io ho
detto a Trunks che la sua mamma sarebbe guarita subito, non appena lui
fosse tornato da lei!»
Stranito,
Trunks portò una mano sulla nuca della sorellina.
In quel
momento, si accorse che sulla soglia non c’era
più nessuno: Goku si era dileguato in tutto
silenzio…
«Io
sono tornata» continuò Bra,
«e allora tu… Guarisci!»
Sollevò
gli occhi lacrimanti sul fratello.
«Io…
ti faccio guarire?»
domandò, con un fil di voce.
Trunks
impiegò qualche istante prima di riuscire a parlare.
Quella bambina poteva fare di lui tutto, tutto… Poteva
guarirlo e poteva distruggerlo.
E in quel
momento stava certamente facendo la prima cosa.
«Sì,
Bra» le rispose perciò,
con forza. «Sì».
La bimba
tirò rumorosamente su col naso. «Tu non
sei cattivo…» piagnucolò. «Il
cattivo è Algid, e io non voglio un altro
fratello…»
Lo
abbracciò di nuovo, mentre Trunks si sentiva quasi
stordito.
Le diede un
bacio delicato sulla guancia, sfiorandola appena con le
proprie labbra. E poi ripeté il gesto, per asciugarle le
gote bagnate.
Bra,
intanto, gli accarezzava la spalla. Aveva smesso di tremare.
Improvvisamente,
irruppe in una sorta di risatina. Trunks, stupito,
alzò gli occhi a guardarla, e lei rise più forte.
Il ragazzo, allora, contagiato da quell’allegria forse
immotivata – forse dovuta più a una crisi nervosa
che ad autentica felicità –, si mise a ridere a
propria volta.
Lei gli
fece il solletico, lui la imitò, e continuarono a
ridere insieme.
Poi si
fermarono, e Bra si strinse contro di lui, e insieme piansero un
po’.
Quando
ebbero esaurito tutte le loro lacrime, Bra inarcò la
schiena, premendo la faccia contro il petto del fratello. Ecco,
sì… Era lo stesso odore del ragazzo del futuro,
però… Però era questo, il suo Trunks.
«Trunks?»
sussurrò la bambina, con voce
esilissima.
Lui le
accarezzò i capelli.
«Non è
vero che ti odio…»
Il giovane
le rivolse un’occhiata timorosa.
«No?»
Bra scosse
la testa, con decisione.
«Ne
avresti tutte le ragioni, sai?»
La bambina
annuì. «Sì, ma non
voglio» rispose. «Io ti voglio bene».
Trunks la
guardò attentamente, mentre sentiva il proprio
cuore gonfiarsi di sollievo. «Non mi merito il tuo
perdono» obiettò, giusto perché gli
sembrava di doverlo dire.
Bra,
però, gli picchiò una mano sul petto, senza
fargli male. «Lo decido io!» pretese. «E
io ti perdono!»
Dopo averlo
detto, sembrò abbastanza soddisfatta.
«Sono
buona?» s’informò poi,
guardando il fratello dritto negli occhi.
«La
bambina più buona che io conosca»
confermò lui. La abbracciò, affondando le labbra
nei suoi capelli turchini, e pensò che stare così
per sempre… Gli sarebbe bastato.
Bra fece un
piccolo sbadiglio. «Posso dormire qui?»
pigolò, timidamente.
Trunks
sorrise debolmente, perché era più di
quanto avesse mai sperato. «Certo»
sussurrò.
La bambina
gli si spostò dalle ginocchia con
agilità, andando a rannicchiarsi sul materasso del letto del
fratello.
Quest’ultimo
la seguì con lo sguardo.
Bra
sembrava assonnata, ma continuava a tenere gli occhi aperti e ad
osservare il ragazzo.
«Trunks?»
chiamò, dopo un po’,
con voce triste. «Le cose non torneranno più come
erano prima,
vero?»
Lui
sentì una stretta al cuore. «No» si
ritrovò costretto ad ammettere.
«Però»
mormorò Bra,
confusamente. «Però… Possono diventare
più belle di come sono adesso, giusto?»
Trunks
annaspò, come se le parole pronunciate dalla
sorellina fossero per lui come una boccata d’ossigeno dopo
anni di apnea.
Bra, non
udendo nessuna risposta, parve riscuotersi. Fissò
Trunks e ripeté, un po’ preoccupata:
«Giusto?»
Lui tese la
mano, accarezzando la testa della bimba. La piccola chiuse
gli occhi, come un gattino che si crogiola nell’affetto del
proprio padrone.
«Giusto»
confermò Trunks, in un sussurro.
Bulma era
sinceramente perplessa.
Goku,
infatti, l’aveva salutata con un mezzo sorriso, con
l’aria di chi pregusta una felice sorpresa, e se
n’era andato senza protestare o attendere con aria speranzosa
che lei lo invitasse a restare per cena.
In
più, nonostante ormai fosse sera tarda, l’unico
ad essersi presentato per reclamare l’ultimo pasto della
giornata era stato Vegeta.
E dire che
tanto Trunks quanto Bra facevano solitamente onore al
proprio sangue saiyan con un appetito decisamente fuori dal comune.
Improvvisamente
preoccupata, la donna si avviò verso la
porta della sala da pranzo, ignorando lo sbuffo seccato di Vegeta.
Il saiyan
occhieggiò con un certo desiderio la pentola
posata in mezzo al tavolo, poi si accigliò e si
alzò da tavola, seguendo la sua donna.
Bulma
passò dapprima in camera di Bra ma, visto che della
bimba non vi era traccia, decise poi di proseguire verso la stanza di
Trunks.
Quando
giunse a metà del corridoio, però, le
parve di udire qualcosa. Si arrestò d’istinto,
tendendo le orecchie… E si sentì raggelare.
Prima che
Vegeta potesse dire alcunché, si rimise in moto,
quasi di corsa, precipitandosi verso la stanza del suo primogenito.
Non poteva
star succedendo di nuovo, non poteva!
E invece,
quando fu accanto alla porta, capì che stava
accadendo eccome.
«Prendi solo la mia mano
Stringila forte»
cantava la voce di Trunks, in tono sommesso,
ripetendo le parole che per un lunghissimo tempo avevano infestato gli
incubi di Bulma.
La donna
cercò gli occhi di Vegeta, che rispose con uno
sguardo imperscrutabile.
Prima di
chiedersi perché il saiyan sembrasse
così poco preoccupato, Bulma posò una mano sulla
maniglia. Aprì la porta piano, silenziosamente…
E fece
bene, perché la scena che si stava svolgendo
all’interno della camera era assai diversa da quella che lei
si stava immaginando.
Trunks
cantava sì, ma lo faceva senza lo sguardo vacuo e
perso che aveva accompagnato quella melodia tempo addietro. E lo faceva
non rivolto al vuoto, ma alla bambina che dormiva accanto a lui.
Bulma
trattenne il fiato, osservando la piccola Bra raggomitolata sul
letto del fratello.
Abbassò
appena gli occhi, notando la manina della bimba
aggrappata inconsciamente a quella più grande del fratello,
e improvvisamente si sentì come se il cielo avesse esaudito
il più grande dei suoi desideri.
Sentendo
voglia sia di ridere che di piangere, perché era
felice e commossa allo stesso tempo, si tirò silenziosamente
indietro, richiudendo piano la porta.
«Io ti proteggerò
Da tutto ciò che ti
circonda
Sarò qui
Non piangere».
Bulma
scambiò uno sguardo con Vegeta. Ora capiva
perché lui le era sembrato molto meno allarmato: il saiyan
doveva aver percepito subito che il figlio non era solo, e che quindi
stava cantando la ninnananna alla sua sorellina. Davvero, questa volta.
«Andrà
tutto bene?» sussurrò.
Lui mosse
il capo e lei lo interpretò come un sì.
Più
serena, gli diede un colpetto scherzoso sullo stomaco.
«Vieni, saiyan» mormorò, prendendogli un
braccio, «andiamo a riempire quel tuo pozzo senza
fondo».
Lo trasse
con sé con un sorriso, mentre dietro di loro
ancora si sentiva la voce di Trunks.
Una voce
emozionata, incredula e piena di speranza.
La voce di
un Trunks che non sarebbe più tornato come prima,
ma che sarebbe riuscito a sentirsi un po’ meglio.
«Perché tu sarai nel
mio cuore
Sì, tu sarai nel mio
cuore
Da questo giorno in avanti
Ora e per sempre».
Spazio dell’Autrice:
E così si conclude la storia.
Non. Ci. Credo.
E sono anche un po’ triste, a dire il vero
>.<””
Scusatemi per la posticipazione dell’aggiornamento, ma ieri
dovevo proprio studiare...
Non sono del tutto convinta di come è venuto questo
capitolo, spero di sbagliarmi e che vi sia piaciuto!
La ninnananna, naturalmente, è la traduzione di
You’ll be in my heart di Phil Collins (quella di Tarzaaaan!
:D).
Comunque, grazie a tutti!
A tutti quelli che hanno letto;
a tutti quelli che hanno recensito;
a tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le preferite;
a tutti quelli che l’hanno messa tra le seguite;
a tutti quelli che l’hanno aggiunta alle ricordate.
GRAZIE,
davvero!
Ah, se vi mancano già Trunks e Bra, sappiate che presto
riprenderò in mano un’altra fanfiction in cui compaiono loro
due, anche se decisamente diversa (il genere è comico, e poi non è così incentrata sul legame fraterno,
quindi... XD). Se vi interessa, non avete che da cliccare qui
(oddeo, ora mi sento in colpa per essermi fatta pubblicità
da sola O_O).
Alla prossima (prima o poi)!
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