Sole di Primavera

di leila91
(/viewuser.php?uid=623339)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Orfani ***
Capitolo 2: *** Fratello e sorella ***
Capitolo 3: *** Zio Thèoden ***
Capitolo 4: *** Un Re mantiene sempre le sue promesse ***
Capitolo 5: *** Cambiamenti ***
Capitolo 6: *** Compleanno (parte 1) ***
Capitolo 7: *** Compleanno (parte 2) ***
Capitolo 8: *** Impazienza ***
Capitolo 9: *** Strane notizie ***
Capitolo 10: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 11: *** Veleno ***
Capitolo 12: *** Il Grigio Pellegrino ***
Capitolo 13: *** I Guadi dell'Isen ***
Capitolo 14: *** L'arrivo della Speranza ***
Capitolo 15: *** Partenze ***
Capitolo 16: *** Ricordi e ritorni ***
Capitolo 17: *** Racconti e confidenze ***
Capitolo 18: *** Una cocente delusione ***
Capitolo 19: *** La breve notte di Dernhelm ***
Capitolo 20: *** Io non sono un uomo ***
Capitolo 21: *** Lasciami andare ***
Capitolo 22: *** Faramir ***
Capitolo 23: *** Non più una regina ***
Capitolo 24: *** Un ultimo saluto ***
Capitolo 25: *** Elboron ***



Capitolo 1
*** Orfani ***


 


🌸 Orfani 🌸
 

I fiocchi di neve turbinavano caotici nell’aria, senza seguire uno schema.
Scontrandosi tra loro, mulinando, sferzando senza pietà il viso, le mani, i piedi, di chiunque osasse avventurarsi incautamente all’aperto.
Un inverno rigido, come pochi se n’erano visti prima di allora nel regno di Rohan.
Albeggiava.
Thèodwyn  figlia di Thengel, sorella del Re e sposa di Éomund dell’Ovestfalda , osservava i suoi figli dormire sereni.
Un sorriso amorevole le incurvava le labbra.
Éomer, il maggiore, avrebbe compiuto di lì a poco undici anni: decisamente alto per la sua età, con una precoce peluria a coprirgli il mento, superava già quasi tutti i coetanei in forza e destrezza.
 
“Voglio diventare maresciallo del Mark come voi, padre”, amava ripetere ad Éomund, “E aiutarvi a combattere gli orchi”.
Éomund ne andava palesemente fiero, e sfruttava ogni momento possibile per istruire Éomer nell’arte del combattimento.
“Voglio che nostro figlio cresca forte e fiero. Voglio che sia pronto a battersi per la sua casa, se arriverà il momento; che sappia difendere sé stesso e la sua famiglia, se mi dovesse accadere qualcosa.” 
Così replicava Éomund di fronte alle immancabili occhiate di disapprovazione della moglie.
Non dire così amore mio, non dirlo nemmeno per sbaglio” pensava Thèodwyn, lo sguardo pieno di angoscia, “Non sopravvivrei se non dovessi tornare”.
 
Ogni volta che Éomund partiva per qualche missione era un tremendo travaglio: una morsa le stritolava il petto, impedendole di respirare, fino quando non rivedeva spuntare all’orizzonte Halerof, il fido destriero del marito, e non udiva nell’aria il potente squillo del suo corno.
 
Accanto ad Éomer riposava Éowyn, la figlia più piccola: sette anni di splendente bellezza e delicata innocenza. I lunghi e setosi capelli avevano lo stesso colore del grano nei campi d’Estate, e i grandi occhi grigi ricordavano un mare in tempesta.
La piccola stringeva al petto una bambola, Tyna l’aveva chiamata, regalatale dal padre pochi giorni prima.
 
Thèodwyn sospirò, richiudendo la porta della cameretta, invidiando il sonno sereno dei figli, e maledicendo quelle bestie degli Uruk, che ancora una volta avevano portato suo marito lontano da casa.
Non erano orchi comuni: erano più feroci e più resistenti, la luce del sole non sembrava dare loro fastidio. Da alcuni anni affliggevano la belle terre dei Rohirrim, razziando, uccidendo e rubando i Maeras, i loro possenti e maestosi cavalli.
Ad Éomund erano stati assegnati in difesa i confini orientali.
 
Un cane abbaiò in lontananza, catturando l’attenzione di Thèodwyn.
Dopo qualche minuto lo scalpiccio di alcuni zoccoli si mescolò ai latrati: cavalieri in arrivo, non c’erano dubbi. La giovane donna corse fuori senza indugio, incurante del freddo e della neve.
Ciò che vide le fermò il cuore.
 
Hadèmar, uno dei più fedeli compagni di suo marito, smontò da cavallo e le si avvicinò lentamente.
Fra le mani insanguinate teneva un oggetto purtroppo assai familiare: l’elmo di Éomund.
 
“No…” mormorò Thèodwyn, tendendo in avanti le mani tremanti per prendere l’elmo.
“No…” ripetè, con voce spezzata.
“Mi dispiace, mia signora” fu tutto ciò che riuscì a dire Hadèmar, prima che la donna si accasciasse innanzi a lui, squassata dal pianto.  


           

                                                       
Un’imboscata negli Emyn Muil.
Gli orchi li avevano colti di sorpresa, attaccandoli senza pietà, con ferocia, come le bestie a cui somigliavano tanto.
Éomund si era battuto strenuamente, senza risparmiarsi, nel tentativo di garantire una ritirata ai suoi uomini.
Un eroe, così l’avevano definito i pochi superstiti, ma che importava ormai?
Saremo per sempre al servizio della vostra famiglia, per qualunque cosa vi occorra mia signora,non esitate-
 
Un marito, mi occorre un marito, MIO marito, il mio Éomund!  Avrebbe voluto gridare Thèodwyn, ma non trovava la forza.
Freddo, nient’altro che freddo tutto intorno a lei.
Spento e vuoto come non mai le appariva ora il mondo. E vane, inutili, fatue, tutte le parole di condoglianza dei soldati, le promesse di aiuto, gli elogi tardivi…
Non avrebbero riportato da lei suo marito.
 
Ogni volta mi dicevi di non preoccuparmi, che erano solo cattivi pensieri… Che saresti sempre tornato da me… E adesso mi hai lasciata da sola! Cosa farò senza di te amore mio? Come posso vivere senza averti al mio fianco? Tu eri tutto per me, la mia forza, il mio coraggio, la mia luce… Fa tanto freddo ora, Éomund…
E all’improvviso sono così stanca…
 
“I miei figli”, disse la donna ad alta voce, cercando di usare un tono deciso.
“Mia signora?” domandò Hadèmar, con voce incerta.
“I miei figli”, ripetè Thèodwyn,“Portateli a Meduseld. Portateli da mio fratello.”
“Ma dama Thèodwyn, e voi-”
“Io resterò qui” lo interruppe lei bruscamente.
“Mia signora, vi prego! I vostri bambini non sanno ancora nulla, avranno bisogno di voi! Non potet-”
 
“Mamma!”
Una flebile vocina interruppe il discorso dell’uomo.
La piccola Éowyn era apparsa sulla soglia della sua cameretta. Con una mano reggeva Tyna tenendola appoggiata contro il suo petto, con l’altra, stretta a pugno, si strofinava gli occhi gonfi di sonno.
“Non riesco a dormire… ” si lamentò la bimba.
“Mamma… Perché piangi?” esclamò poi preoccupata.
Éowyn… Amore mio, ascoltami attentamente” mormorò dolcemente sua madre, abbassandosi al suo livello e ponendole le mani sulle spalle, “La mamma ha bisogno che tu sia coraggiosa adesso…”
“Dov’è papà?” pigolò Éowyn, gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime.
 
Sii forte Thèodwyn, sii forte per i tuoi figli!
 
“Papà non è potuto tornare questa volta. Ma andrà tutto bene, te lo prometto. Sveglia tuo fratello e preparate un bagaglio coi vostri vestiti. Appena pronti partirete con Hadèmar”.
“Ma… Ma… Per dove? Tu non verrai con noi?” chiese confusa la piccola, tirando sul col naso e stringendo forte Tyna tra le braccia.
Thèodwyn s’impose di sorridere prima di risponderle.
“La mamma è tanto stanca e non si sente bene. Ma ti prometto che vi raggiungerò il prima possibile. Vai adesso” le disse, premendo un bacio sulla sua fronte.
Poi si rialzò, e una volta assicuratasi che Éowyn fosse rientrata in camera, si rivolse nuovamente ad Hadèmar: “Spiegate a mio fratello che cosa è accaduto. Ditegli che lo prego con tutto il cuore di avere cura di loro e di… Di perdonarmi” concluse in un soffio.
“Mia signora, vi prego. Venite con noi” insistette ancora il soldato.
“Non oggi, Hadèmar… Oggi voglio solo dormire…”
La sua voce era flebile come non mai, lo sguardo spento e il passo incerto, mentre si dirigeva verso le proprie stanze.
Riuscì appena a raggiungere il letto prima che le forze le venissero meno del tutto.
“Bambini miei… Mi dispiace” mormorò, prima di chiudere gli occhi.

 

  


Angolino Autrice:
Un ciao a tutti, e innanzitutto grazie mille per aver letto fin qui ^^
E’ da un po’ che mi frullava nella testa l’idea di scrivere qualcosa su Eowyn, un personaggio che amo con tutto il cuore… Quello che vorrei provare a fare è una raccolta di flash/ one-shot (ora vedrò in base alla lunghezza) su vari momenti della sua vita (dall’infanzia all’incontro con Aragorn e Faramir), alcuni inventati di sana pianta dalla sottoscritta.
Questo primo (deprimente lo so, zorry =/ ) episodio riguarda la morte di suo padre, e lascia intravedere il tremendo sconforto in cui è caduta Thèodwyn, che di fatti morirà di lì a poco.
I giovani Eomer ed Eowyn verranno condotti a palazzo da zio Theoden…E da lì ripartirò ^^.
Ovviamente ho trovato l’ispirazione giusto adesso che sto per riprendere l’università no -.-? Quindi non posso garantire di essere puntuale con gli aggiornamenti… Ma cercherò di fare del mio meglio (ispirazione permettendo!) e di non farvi attendere troppo!
Sempre sperando ovviamente che questo primo tentativo vi sia piaciuto! Let me know, non siate timidi ^^.
E se trovate errori/sviste non esitate a segnalarmelo ;)
Che i Valar vi proteggano,
Benni 


@crediti fan art del banner: https://www.deviantart.com/leksotiger/art/Skuld-532069432

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fratello e sorella ***


 


🌸 Fratello e sorella 🌸
 

“Éowyn, non vorrai certo rimanere tutto il giorno chiusa lì dentro?”
“Sì, invece! Non voglio rivedere quell’uomo cattivo, dice solo bugie! Resterò qui!”
“Zio Thèoden non è affatto cattivo, sorellina. Ti prego Éowyn, lasciami entrare!”
 
La massiccia porta di legno si aprì lentamente, cigolando appena. Un dolce visino, completamente arrossato, fece capolino esitante.
Éomer ebbe una piccola fitta al cuore nel vedere la sua sorellina ridotta in quello stato: i capelli completamente scarmigliati, come se non fossero stati pettinati da giorni; le morbide labbra tutte screpolate, il naso gocciolante… E gli occhi, oh, i suoi bellissimi, luminosi e fieri occhi grigi, gonfi e arrossati dal pianto, e pieni di altre lacrime non ancora versate.
Il ragazzino sorrise, sforzandosi di trovare un modo per alleggerire un po’ la tensione: “Non è giusto! Ti hanno dato una stanza molto più grande della mia! E persino più bella! Guarda che magnifico panorama fuori dalla tua finestra… E il letto sarà almeno due volte quello di casa nostra…”
Ma cercare di distrarre Éowyn era generalmente un’impresa destinata a fallire.

“Quell’uomo è cattivo” ripetè infatti la bimba, tirando su -assai poco dignitosamente- col naso, “Ho sentito che cosa ha detto ieri sera”.
Éomer sospirò, prendendole la mano: “Sei tutta gelata. Vieni, cerchiamo di scaldarci un po’” disse, conducendola davanti al grande camino che si trovava di fronte al letto. Non erano rimaste che braci, del vivace fuocherello che vi scoppiettava la sera prima, ma andava bene comunque.
 
I due fratellini vi stesero sopra le mani, sedendosi per terra, e chiudendo poi gli occhi per godersi al meglio quel rassicurante e piacevole calore.
Da non credere come a volte possa bastare qualcosa di così semplice, di così familiare, come il chiarore di un focolare, per alleggerire i pesi e le preoccupazioni… E farci sentire come se fossimo a casa.
 
Per alcuni minuti tra loro regnò il silenzio.
“Ehi, e Tyna dov’è?”, domandò poi Éomer, “Di sicuro avrà freddo anche lei, portiamola qui con noi…”
Eowyn si voltò e fece un cenno verso il suo letto: la bella bambola dai capelli rossi vi giaceva sopra, abbandonata.
“Lo so che le bambole non possono sentire il freddo Éomer”, sbottò in tono duro, “Tyna non è che uno stupido ammasso di stoffa!”
Éomer rimase impietrito di fronte a quelle parole, e per un attimo non seppe che cosa ribattere.
“Ma… Che cosa ti prende? Fino a ieri le volevi così bene, dicevi che ti faceva pensare a pa-”
S’interruppe di colpo, come se avesse finalmente capito qualcosa. Ma certo, era proprio quello il problema: papà!
“Sorellina, ascolta…”, mormorò, “Mi dispiace che tu l’abbia scoperto così…”  
 


 

                                                     
Era sera ormai, e molti servitori si erano già ritirati.
Hadèmar aveva portato i bambini a palazzo quella stessa mattina, ed era rimasto con loro lungo tutta la giornata, in attesa del ritorno di Thèoden.
Éomer bruciava dalla voglia di fare domande, ma l’amico di suo padre quel giorno era stranamente elusivo: non aveva detto loro quasi nulla, limitandosi a tenergli compagnia. Éowyn era crollata dal sonno appena prima di cena: una serva l’aveva presa tra le braccia, come spesso soleva fare Thèodwyn, e l’aveva portata in una stanza già preparata per lei.
Poco più tardi il Re era finalmente rientrato, ed Éomer aveva infine appreso tutta la verità: suo padre era morto in un' imboscata e sua madre si era spenta quello stesso pomeriggio, stroncata da un dolore troppo forte per lei.
Il ragazzino si era lasciato andare ai singhiozzi, urlando, e maledicendo gli orchi che in un solo giorno gli avevano strappato sia padre che madre.
Anche a zio Thèoden era tremata la voce durante il racconto: aveva amato teneramente la sorella minore, specialmente dopo essere rimasto vedovo.
 
“Questa è tua, ora”, aveva detto infine al nipote, porgendogli la spada di Éomund.
“E questo palazzo sarà per sempre casa vostra. Da oggi in poi mi prenderò cura di voi. E tu ragazzo vorrai seguire le orme di tue padre, immagino? Sarei onorato di averti al mio servizio…”
Intenti com’erano a conversare, nessuno dei due si accorse della figurina tremante apparsa da poco in fondo alla sala, che aveva ascoltato tutti i loro discorsi, compreso il racconto della morte dei suoi genitori.
Quando finalmente Éomer la notò fu troppo tardi: Éowyn era già fuggita, il suo piccolo cuore gonfio di lacrime.
 



“Avrei voluto prepararti, darti la notizia di persona. Ma la realtà dei fatti non sarebbe comunque cambiata…”
Éomer sospirò, cercando di nascondere il suo turbamento: la ferita era ancora fresca. E profonda. Troppo profonda.
Ma doveva essere forte: non era forse questo che gli aveva detto molte volte papà?
Sua sorella aveva bisogno di lui… Lui, ciò che restava della sua famiglia.
Oltre a zio Thèoden ovviamente, ma prima di allora non lo avevano visto che in un paio di occasioni… E per Éowyn, ancora così piccola, era più un estraneo che un parente.
“Ad ogni modo cosa ci facevi nascosta in fondo al salone ieri sera?”, le chiese, “Credevamo stessi dormendo…”
“È così. Poi però mi sono svegliata ed ero sola. Quando mi sveglio tu sei sempre con me e ieri non c’eri. Ho avuto paura, sono uscita a cercarti e… e…”
Èowyn non riuscì a proseguire: si gettò di slancio fra le braccia del fratello che la strinsero forte.
“È tutto vero, non è così? Non erano bugie?” domandò tra i singhiozzi.
“Mi dispiace… Mi dispiace tanto…” mormorò Éomer, tenendola stretta a sé, “Andrà tutto bene, sono qui con te…”
Dolci e ingenue promesse… Tenere rassicurazioni, dalle quali cercava di trarre conforto egli stesso.
Si separarono poco dopo.
“Cosa faremo adesso?” chiese la piccola.
“Da oggi abiteremo qui. Zio Thèoden si prenderà cura di noi”.
 
Éowyn s’irrigidì solo un istante nell’udire quel nome ma Éomer lo notò comunque.
Sua sorella si sentiva a disagio nel sentir parlare di lui, perché le prime ed uniche parole che aveva udito dalla sua bocca, riguardavano la morte dei loro genitori.
Avrebbe per sempre associato lo zio a quella tragica immagine?
Era un pensiero agghiacciante e il ragazzino si sforzò di cacciarlo.
 
“Scommetto che non vede l’ora di conoscerti. Ma non vorrai che ti veda così, non è vero? Dovremo dare una sistemata a questa criniera…” , scherzò, ottenendo in cambio una piccola smorfia, che ben presto si trasformò però in un’espressione divertita.
“Ecco, lo vedi?”, disse Éomer soddisfatto, “Sei molto più bella quando sorridi”.
Questa volta un vero risolino abbandonò le labbra della piccola, illuminandole il viso.
“Dovresti farlo più spesso”, pensò teneramente il fratello, “Diventi più radiosa di un cielo stellato”.
“Ora esco, così puoi cambiarti e darti una rassettata” sentenziò poi.
“Éomer!”, lo richiamò lei, prima che raggiungesse la porta.
“Sì?”
“Tu… Tu non mi lascerai mai, vero? Promettimelo!”
Éomer sorrise: una tale promessa era al di sopra delle sue capacità, ma in quel momento -e soprattutto per Éowyn!- si sentiva pronto a fare di tutto, pur di mantenerla.
 
“Te lo giuro”, rispose.

 

  


Angolino Autrice ^^:

Speravo di riuscire a postare ieri sera, ma è andata così: venerdì 17 zanzanzan!! Spero non mi porti sfiga ^^"
In realtà non mi dispiace come data: un mese prima del mio compleanno e due dall'uscita de La battaglia delle cinque armate..

Ma come sono patatosi questi due fratellini <3! Non so voi ma io mi sono ufficialmente innamorata di Eomer, lo voglio adottare dehehehe.
 

Ok, a parte gli scherzi, spero davvero che vi sia piaciuto anche  questo capitolo. Se vedete errori non esitate a segnalare!
Un abbraccio a tutti i lettori e un grazie speciale a Kano_Chan, Evelyn80, Melianar e Xingchan per aver recensito lo scorso capitolo^^!
Alla prossima!


Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Zio Thèoden ***


 


🌸 Zio Theoden 🌸
 



 

“Che strano posto”.
Fu questo il primo pensiero di Éowyn, non appena ebbe raggiunto la sala del trono.
 
La bambina, una volta rimasta sola nella propria stanza, si era lavata e pettinata come suggeritole dal fratello.
“Vado a cercare lo zio” aveva annunciato questi nel mentre, subito dopo essere uscito.
“Ehi aspetta!” aveva esclamato lei, gettandosi di slancio verso la porta, “E poi come faccio a trovarvi? Io non conosco la-”
“Strada…”
L’ultima parola le uscì sottovoce, dopo che ebbe tirato la maniglia e si fu affacciata a guardare fuori.
Il corridoio era completamente deserto, nessuna traccia di Éomer.
Éowyn aveva sbuffato infastidita: “Perché non mi aspetta mai?! E adesso da che parte vado?”
Beh, se era riuscita a ritrovare la strada la sera prima al buio, rifarlo ora alla luce del giorno non poteva essere troppo difficile, giusto?
Sbagliato!
In qualunque parte del palazzo si trovasse ora, era chiaro come il sole che non si trattava dello splendido salone dove avevano desinato il giorno prima.
Ma dove aveva sbagliato?
Era sicura che bisognasse svoltare a destra dopo quella strana statua con la corona… o forse era a sinistra? E da dove era sbucata quella rampa di scale?
 
Éowyn si guardò attorno con un’espressione mista di curiosità e stupore.
 
Il soffitto della sala era alto, e sorretto da imponenti colonne. Qua e là i raggi di sole penetravano come strali scintillanti dalle finestre orientali, che si aprivano nella parte superiore del muro. Il pavimento era ricoperto di pietre dai molti colori; rune ramificate e strani disegni s’intrecciavano sotto i suoi piedi.
All’estremità della sala, e oltre un focolare situato al centro del salone, vi era una pedana in cima a tre gradini. E al centro di essa una sedia dorata.
Ma ciò che più colpì la piccola fu uno dei molti arazzi appesi alle pareti.
Vi era raffigurato un cavaliere, un prode Rohirrim per la precisione, che la bambina associò istintivamente al padre.
Un elmo ricopriva il suo volto, lasciando intravedere un paio di splendenti occhi verdi.
Una folta chioma di capelli biondi danzava nell’aria come una nube dorata.
L’uomo indossava una verde divisa, come verde era il mantello che gli copriva le spalle. La sua cavalcatura era bianca come la luna, e riccamente bardata. Un fiero animale, tra i cavalli più belli che Éowyn avesse mai visto.
Il cavaliere era stato ritratto nell’atto di suonare un corno e c’era qualcosa nel suo sguardo e nel suo portamento, qualcosa di così maestoso e regale, da suscitare un improvviso sentimento di ammirazione e reverenza nel cuore della bambina.
Si fermò a contemplarlo incantata, con la bocca leggermente socchiusa.
 
“Eorl il Giovane” disse una voce gentile alle sue spalle.
 
Éowyn sobbalzò e si girò di scatto.
Riconobbe immediatamente il suo interlocutore: l’uomo che aveva visto la sera prima, il fratello di sua madre.
Re Thèoden.
Sembrava più alto di quanto le fosse parso a prima vista.
Il viso era segnato da alcune rughe, e nella barba vi erano già parecchi fili grigi, ma gli occhi nocciola erano identici a quelli della sorella più giovane e il suo sorriso era caldo e indulgente.
 
 
Éomer apparve al suo fianco subito dopo: aveva il fiatone e un’espressione preoccupata.
“Ma dove ti eri cacciata?!” le chiese, praticamente urlando, “Mi hai fatto spaventare! Si può sapere perché non mi hai aspettato in camera tua?”
Questa poi! Era lui che se n’era andato senza fornirle indicazioni, completamente sordo ai suoi richiami.
Come si permetteva di rimproverarla? Lei aveva semplicemente agito di conseguenza! E poi, che si aspettava, che fosse stata mangiata da un lupo?
 
Éowyn aprì la bocca, pronta a dar voce a quei pungenti pensieri, ma Thèoden intervenne prima che potesse dire alcunché: “Éomer perché non vai avanti tu? Io e tua sorella ti raggiungiamo tra un momento”.
 
“Sì, zio” sbuffò il ragazzino, dopo aver alzato gli occhi al cielo, o meglio al soffitto.
Thèoden aspettò finchè non se ne fu andato, prima di voltarsi nuovamente verso Éowyn, che lo fissava incerta e timorosa.
 
“Vedo che questo ritratto ti ha colpita particolarmente, principessa”.
Nell’udire quell’appellativo così inusuale la piccola fece una leggera smorfia, ma cercò comunque di essere cortese: “È così, signore”.
“Niente ‘signore’, Éowyn” sorrise nuovamente il Re, “Sono tuo zio, ricordi? Sono venuto a trovarvi l’inverno scorso. Eri molto raffreddata quel giorno, perché avevi passato troppo tempo a giocare nella neve”.
 
Oh sì! Éowyn se ne ricordava bene! Lei ed Éomer avevano sfidato a palle di neve i bambini del vicinato: una battaglia che era perdurata per tutta la mattina, finchè la mamma non era arrivata furiosa per riportarli a casa, tirando Éomer per un orecchio. Continuava a sbraitare e a lamentarsi per lo stato dei loro vestiti, completamente inzuppati d'acqua.
“Vi buscherete sicuramente un malanno, incoscienti che non siete altro!”
E così era stato, ma solamente Éowyn. Éomer no, lui era forte… Éowyn non ricordava di averlo mai visto malato.
E il pomeriggio era arrivato quello strano signore, che aveva baciato la mamma su entrambe le guance, dopo aver arruffato i capelli di Éomer.
 
Il resto del ricordo era annebbiato, come se Éowyn fosse caduta addormentata subito dopo, anche se era certa di rammentare un bacio ispido e leggero, che le aveva solleticato la fronte.
Quando poi si era svegliata la febbre era scesa, e lo sconosciuto non c’era più.
 
“Era tuo zio, il mio fratello maggiore” le aveva detto sua madre, “Non ti ricordi di lui, tesoro? No, forse eri troppo piccina l’ultima volta che è passato a casa nostra. Sai, Éowyn, lui è il Re, e i suoi impegni a palazzo lo tengono sempre molto occupato…”
 
La voce dello zio riportò la bimba al presente: “Coraggio, Éowyn, è ora di fare colazione, non facciamo aspettare troppo tuo fratello”.
“Ma… ma io volevo…”
Voleva che cosa? Rimanere a contemplare l’arazzo? Éowyn non sapeva spiegarsi bene il perché ma in quel momento non desiderava altro, per quanto assurdo potesse sembrare, che poter conoscere quel bel cavaliere, che suo zio aveva chiamato Eorl il Giovane. Che pensiero sciocco, i dipinti non parlavano! E poi cosa avrebbe mai avuto da dire a una persona della sua età, per di più femmina?
 
“Non ho molta fame, signore…” dichiarò infine.
 
Thèoden sospirò: era dispiaciuto di sentirsi chiamare in quel modo, specialmente dopo che l’aveva pregata di non farlo, ma non poteva certo costringerla.
Era accaduto tutto così in fretta, non poteva biasimarla: avrebbe dovuto rispettare i suoi tempi, cercando di starle vicino con amore e discrezione.
Con Éomer era stato tutto incredibilmente più semplice, Éowyn invece…
Sembrava diffidente e sospettosa, come una gattina ferita.
Ma al Re non era sfuggita la scintilla che splendeva nei suoi occhi quando l’aveva scoperta a fissare l’arazzo. Chissà, forse in qualche modo avrebbe potuto sfruttare la cosa…
 
“Dimmi, Éowyn” le chiese, “Ti piacerebbe sentire la storia del prode Eorl? Io la conosco a menadito ma nessuno vuole mai ascoltarla… Mi chiedevo se tu volessi farmi l’onor-”
“Oh sì! Sì, vi prego signore!”lo interruppe lei, strappandogli una risata per l’ardore con cui lo fece.
I suoi sospetti erano fondati dunque, anche se non si aspettava una reazione tanto entusiasta.
“Anche Éomer mi raccontava spesso le favole sui cavalieri, poi però la mamma lo ha scoperto e gli ha proibito di farlo” continuò la bambina, un poco rattristata.
“Molto bene, allora sono sicuro che anche lui vorrà unirsi a noi” rispose Thèoden strizzandole l’occhio: “Ti propongo un patto, però: io vi narrerò delle gesta di Eorl solo dopo che avremo fatto una bella ed abbondante colazione tutti insieme. Che ne dici, accetti?”
Éowyn annuì con vigore, pregustandosi già il momento; poi corse verso l’estremità del salone, dove si era diretto Éomer pochi minuti prima.
 
“E solo dopo che avrai imparato a chiamarmi zio” avrebbe tanto voluto aggiungere Thèoden, ma non lo fece.
Si limitò semplicemente a pensarlo con una punta di amarezza, prima di raggiungere i nipoti nel salone centrale.


   





Angolino dell’autrice
 
Sono strabiliata: è già la terza volta che riesco a postare puntuale! Ma ho paura che da settimana prossima le cose cominceranno a peggiorare =(…l’uni si fa sentire.
Anyway veniamo a questo capitolo: finalmente Eowyn ha incontrato suo zio ^^! Mi è piaciuto moltissimo descrivere questo momento…spero che a voi sia piaciuto leggerlo =).
La descrizione della sala del trono è quasi tutta presa dal libro, invece quella dell’arazzo di Eorl è farina del mio sacco (*gongola soddisfatta*). La descrizione intendo non l’arazzo, che è anch’esso citato nel libro.
Qualunque errore notiate segnalate pure!
Come sempre un grazie gigante a tutti i miei meravigliosi lettori, a Melianar, Evelyn80, Xingchan, Kano_Chan e Feanoriel per le vostre recensioni <3, e alle suddette più Electra Pascal per aver messo la storia tra le seguite <3
 
Un buon tutto a tutti xD, e alla prossima!
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un Re mantiene sempre le sue promesse ***


 
Un Re mantiene sempre le sue promesse


Thèoden guardava con affetto i suoi nipoti consumare la colazione.
Lui non aveva mangiato molto.
Da qualche giorno infatti il suo appetito sembrava essere stranamente diminuito: la vista del cibo non gli procurava più lo stesso piacere che in passato, al contrario, gli causava un leggero senso di malessere…
La situazione era peggiorata alquanto dopo aver appreso della tragica notizia riguardante Thèodwyn ed Éomund: era come se l’improvviso calo di fame fosse stato una sorte di segnale premonitore, culminato poi con i recenti e drammatici avvenimenti.
Quella mattina quindi il Re si era accontentato di due fette di pane e un bicchiere di latte.
Per fortuna Éomer ed Éowyn non sembravano avere problemi del genere, anzi, se l’appetito era indice di buona salute, allora i due fratellini dovevano essere certamente in forma smagliante.
Il che, ovviamente, era un vero sollievo.
 
Thèoden li sorvegliò attentamente fino a quando sul tavolo non rimasero neanche le briciole, poi soddisfatto si sfregò le mani ed esclamò: “Bene! Chi vuole conoscere la storia di Eorl?”
Il sorriso con cui Éowyn gli rispose avrebbe potuto ripagarlo di un’intera giornata di massacrante lavoro.


 * * * 
   
                                                                       
La stanza in cui si erano sistemati era calda e accogliente: il fuoco scoppiettava nel camino, di fronte al quale si trovavano un paio di poltrone. Per terra, ai loro piedi, erano invece distese alcune pellicce.
Éowyn avrebbe tanto voluto tornare nella sala del trono, ed ascoltare lo zio di fronte all’arazzo di Eorl.
Ma una volta sedutasi sulle pellicce smise di sollevare obiezioni.
Si accucciò tra le gambe di Éomer, che teneramente la teneva abbracciata da dietro. Thèoden invece prese posto sulla più grande delle due poltrone.
E il racconto ebbe inizio.
 
Posti esotici e lontani, creature spaventose, coraggiosi cavalieri nelle loro scintillanti armature scorrevano davanti agli occhi spalancati della piccola Éowyn, mentre la calda voce dello zio, intrisa di malinconia e passione, narrava loro le gesta del capostipite della dinastia di Rohan.
Eorl figlio di Lèod, appena sedicenne quando salì sul trono. Sei soli anni più di Éomer.
Fu questo che gli valse l’appellativo di “Il giovane”, senza contare il fatto che mantenne tale aspetto fanciullesco per tutta la vita.
Thèoden si soffermò a lungo sulla sua impresa più famosa: la battaglia dei Campi di Celebrant.
 
“Gondor” disse, “Forse il più potente fra i reami dei mortali nella Terra di Mezzo, era stato invaso da una popolazione di Uomini crudeli, conosciuti come Balchoth. Erano penetrati da nord, attraverso la provincia del Calenardhon.
Gondor era in seria difficoltà e così Cirion, il Sovrintendente reggente in quel periodo, cercò aiuto inviando dei messaggeri nelle valli settentrionali del fiume Anduin, dove dimoravano gli Éothèod, di cui il nostro Eorl era il capo. Grazie al loro intervento una grande vittoria fu conquistata quel giorno, e un nuovo vincolo di amicizia fu formato.
Gli Éothèod ottennero le terre del Calenardhon come ricompensa, esattamente le stesse dove ci troviamo noi ora: Eorl vi fondò infatti il regno di Rohan, di cui divenne sovrano”.
 
Una piccola ‘oooh’ di stupore sfuggì alle labbra dei due bambini.
 
Thèoden annuì e proseguì sorridendo: “Pronunciò poi un solenne giuramento innanzi a Cirion. Tramite esso i due sovrani stipularono un’importante alleanza e si promisero vicendevole aiuto in caso di necessità, per tutti i giorni a venire”.
 
“Sciagura ed ombra attendono chiunque che, tra i discendenti di Eorl, dovesse venire meno a quanto fu stipulato quel giorno” concluse con tono sentito.
 
I due fratellini erano rimasti a bocca aperta, talmente partecipi da non rendersi subito conto che il racconto fosse ormai finito.
Non appena si riscossero presero a urlare più o meno contemporaneamente.
“È stato meraviglioso!”
“Un’altra, raccontaci un’altra storia!”
“E poi che ne è stato di Cirion?”
“E come si chiamava il cavallo di Eorl?”
 
“Piano, piano!” esclamò Thèoden alzando le mani, “Cirion rimase amico degli Eothèod per tutto il resto della sua vita, e fu uno dei migliori Sovrintendenti che Gondor abbia mai avuto.
Il fedele destriero di Eorl si chiamava Felaròf, ed è curioso che tu mi abbia chiesto di lui, Éowyn.
Era un animale straordinario, il primo e il più grande tra i Maeras. La sua storia è interessante quanto quella del suo padrone. Vedete ragazzi, dovete sapere che Lèod, il padre di Eorl, morì nel tentativo di domarlo. Questo rese il
rapporto tra suo figlio e la bestia ancora più intenso. Si narra che Felaròf sapesse inoltre comprendere il linguaggio degli umani e addirittura parlarlo!”
 
Gli occhi di Éomer erano più dilatati che mai:“Da grande voglio diventare anch’ io come lui! Forte, coraggioso, e uccidere centinaia di orchi e-”
“Oh sì, sì! Anche io!”
 
Éomer si girò verso la sorellina leggermente sorpreso: “Non dire sciocchezze Éowyn, tu sei una femmina”.
La bambina fece una smorfia, offesa: “Posso imparare anch’io a combattere, scommetto che sarei più brava di te”.
“Sì certo, vorrei proprio vederti” ribattè il fratello, con tono canzonatorio.
“Senti tu, razza di-”
“Va bene ragazzi, basta così!” intervenne Thèoden prima che la situazione potesse degenerare in un litigio più acceso. “Sono sicuro che il tuo ardimento sia pari, se non superiore a quello di tuo fratello Éowyn. Ma Éomer ha ragione, le battaglie non sono il posto per una donna. Non parliamone più”.
Il viso di Éowyn si oscurò un poco ma la piccola non aggiunse altro.
 
“Cos’è un Sovrintendente?” chiese invece. Non aveva mai sentito quella parola, ed era rimasta parecchio perplessa, nonostante avesse capito che dovesse trattarsi di una personalità alquanto importante.
“Il Sovrintendente è un guardiano, un custode del trono” le rispose lo zio, “Egli non è il re, ma ne fa le veci. Governa il popolo fino al suo ritorno”.
“Ritorno da dove? Dov’era andato il Re di Gondor?”
“Non sono più abituato all’inesauribile curiosità dei bambini” pensò Thèoden, sebbene fosse alquanto felice che la sua nipotina si fosse sciolta in così poco tempo.
“Questa è un’altra lunghissima storia… Per un altro giorno direi…”
 “Promesso?” chiese Eowyn speranzosa, con gli occhi che brillavano.
“Ma certo, principessa” rispose lui dolcemente, “E un Re mantiene sempre le sue promesse”.
Zio e nipote si scambiarono uno sguardo complice.
La piccola sembrava sul punto di aggiungere qualcosa quando Éomer proruppe con un “Ora ho di nuovo fame!” che fece scoppiare tutti a ridere.


 * * * 
                                                                                       
                                                                              
Lasciarono l’accogliente locale poco dopo.
 
I bambini avevano già ripreso a battibeccare, e Thèoden era in procinto di richiudere la porta dietro di sé, quando sentirono qualcuno esclamare “Mio Signore!”
L’uomo che aveva parlato si affrettò a raggiungerli dal fondo del corridoio.
 
Non particolarmente giovane, ma ben lungi dall’essere vecchio, aveva una voce melliflua e suadente. I capelli, scuri come le ali di un corvo, erano talmente lisci da sembrare unti. Le labbra erano sottili, il volto completamente glabro, e l’incarnato tra i più pallidi che Éowyn avesse mai visto. Non era molto alto, e una leggera gobba, quasi impercettibile per la verità, pareva diminuire ulteriormente la sua statura.
Sembrava così diverso da tutti gli uomini di Rohan!
I suoi occhi scrutarono curiosi i due fratellini, ed Éowyn si ritrovò a rabbrividire sotto quello sguardo. Ebbe come l’assurda sensazione di trovarsi di fronte a un pericoloso animale, e istintivamente si ritrasse, stringendosi ad Éomer.
Suo fratello la guardò con aria interrogativa, circondandole poi le spalle con un braccio, non appena notò il suo tremore.
Zio Thèoden invece non sembrava essersi accorto di niente.
 
“Ah, Grima!” esclamò rivolgendosi allo strano uomo, “Stavo giusto venendo a chiamarti. Finalmente puoi conoscere i miei nipoti. Questo giovanotto è Éomer, questa incantevole signorina invece è la piccola Éowyn”.
Grima sorrise ai bambini: “Davvero incantato”. Il suo tono era gentile, e il sorriso pareva sincero, ma la precedente sensazione di disagio non abbandonò Éowyn.
“Mio Signore, sono spiacente di dovervi interrompere, ma ci sono diverse questioni che richiedono la vostra attenzione. Come vostro umile e fidato consigliere è mio compito-”
“Certo, certo amico mio, non hai bisogno di darmi spiegazioni” lo interruppe il Re.
“Sembra che per adesso vi debba salutare ragazzi miei”, borbottò rivolto ai nipoti, “Ci rivedremo questa sera a cena. Per oggi siete liberi di fare ciò che volete, a patto che non lasciate il palazzo. E possibilmente cercate di rimanere insieme, intesi?”
 
I due annuirono con vigore prima di correre via, eccitati all’idea di avere a disposizione un’intera giornata di svago, da trascorrere in un palazzo reale.
“Vi voglio bene”  mormorò il Re prima che i due fratelli sparissero dalla sua vista, poi si voltò e con un sospiro si avviò assieme a Grima incontro ai suoi compiti.


 






 


Angolino Autrice:
Buonasera amici! Ebbene sì, sono proprio io puntuale anche stavolta. Se domani dovesse nevicare sapete a chi dare la colpa ^^.
Sono assai curiosa di sapere che ne pensate della descrizione di Grima, spero di non esserci andata troppo pesante povero…
Credo di essermi presa una piccola licenza poetica, perché non sono sicura che a quel tempo lavorasse già a palazzo. Nel qual caso perdonatemi =).
Che altro dirvi..spero vi piaccia!
Ringrazio moltissimo tutti i lettori, chi mi ha aggiunta tra preferiti e seguiti (_Son Hikaru, Halfblood_Slytherin, Vshj, Electra Pascal e Jordan  Jordan) e mando un super abbraccio alle mie recensiste <3.
Infine un ringraziamento speciale va a  La Figlia della Montagna. Un abbraccio amica mia!  
 
 
 

A tutti voi il mio più sincero affetto, alla prossima!
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cambiamenti ***


 
Cambiamenti



Quando ripensava ai suoi primi mesi trascorsi a Meduseld, ad Éowyn pareva quasi di stare vivendo in un sogno.
La vita che aveva prima di allora le appariva così lontana… Sfocata, si poteva dire.
Molti dei ricordi erano confusi, nebulosi… Quasi irreali. Come se la sua mente avesse inconsciamente deciso di rimuoverli, in maniera forse lenta, ma inesorabile.
 
I giorni divennero settimane, le settimane mesi.
Piano piano la neve si sciolse lasciando il posto ad immense distese di fiori, e ai colori e profumi della Primavera.
Si era ormai instaurata una quieta routine nella vita di Éomer ed Éowyn.
Zio Thèoden aveva insistito fin da subito che i due ragazzi ricevessero una degna istruzione, e così la mattine passavano tra compiti e lezioni, tenute loro da un anziano precettore, che a suo tempo era stato il maestro di Thèodred, il figlio del Re, il quale attualmente portava il grado di secondo Maresciallo del Mark, ed erano lontano, impegnato in missione.
 
Contrariamente alla maggior parte dei bambini, ad Éowyn le ore passate sui libri non pesavano affatto.
La bambina era avida di sapere, la sua sete di conoscenza pareva non avere mai fine.
La storia del Mark l’affascinava in maniera particolare, tuttavia ben presto non le bastò più e volle studiare anche le vicende di altri paesi. Era curiosa, aperta e irrequieta: non di rado si ritrovava a sognare a occhi aperti le meravigliose imprese dei suoi nobili antenati, e invidiava Éomer, che aveva da poco iniziato un apprendistato, in compagnia dei figli delle guardie reali.
Le era capitato di assistere ad un paio di allenamenti, poi però l’istruttore glielo aveva proibito perché, a sentir lui, la sua presenza era “fonte di distrazione per le piccole reclute”.
La bimba non l’aveva presa molto bene, e appena riusciva sgattaiolava comunque in quella che i soldati chiamavano ‘palestra’, nascondendosi prima dell’arrivo degli altri.
 
Era però la sera, a costituire il suo momento preferito, ed Éowyn l’attendeva sempre con gioiosa impazienza.
Zio Thèoden infatti, non si era affatto dimenticato della sua promessa. Ogni volta che poteva, e se la sua nipotina si era comportata bene nel corso della giornata, si ritirava con lei ed Éomer nella piccola sala che avevano già usato in precedenza, e, una volta lì, raccontava loro le più belle storie.
Che si trattasse di eventi reali o più semplicemente di leggende poco importava: Éowyn ne rimaneva comunque ogni volta estasiata.
Quel piccolo salottino aveva un posto speciale nel cuore di Thèoden: lui e sua moglie infatti, usavano rifugiarvisi spesso, quando volevano passare del tempo da soli. Seduti nelle loro rispettive poltrone chiacchieravano amabilmente davanti al fuoco, o leggevano qualche libro, inconsapevoli dell’importanza che quel posto avrebbe acquistato in futuro per la loro nipotina.
Il rapporto tra la piccola e il Re si faceva più stretto giorno dopo giorno, e l’iniziale timore maturava in un affetto via via più profondo.
Fu però durante una notte di tempesta che avvenne finalmente una cosa bellissima.


* * * 
 
                                                                   
Éowyn si svegliò di soprassalto, il respiro affannato e la bocca spalancata.
Un lampo, subito seguito dal rombo minaccioso del tuono, le illuminò il viso, rigato di lacrime. Si tirò su lentamente a sedere, il corpo che pareva scosso da un tremolio inarrestabile.
Le era già successo in precedenza ma questa volta era peggio.
Decisamente peggio.
Questa volta non riusciva a ricordare più niente.
 
Éomer. Doveva trovare Éomer. Lui avrebbe aggiustato tutto, lo faceva sempre, lo avrebbe sempre fatto.
Si scaraventò verso la porta, e quando l’aprì, si ritrovò praticamente fra le braccia di suo zio.
 
“Éowyn! Stavo giusto venendo a controllare se stessi bene. Questo è il primo temporale così violento da quando siete arriv- piccola mia, che succede?”
Éowyn si era infatti lasciata andare ai singhiozzi, stringendolo forte: “Non ricordo più il viso della mamma!” gemette tra le lacrime.
 
 
La camomilla era calda e speziata, un vero balsamo per i nervi.
Dopo averla fatta preparare, Thèoden aveva portato la sua nipotina in quella che ormai era diventata per loro la ‘sala dei racconti’.
“Qui conservo alcune delle cose a cui tengo di più” le aveva detto chinandosi per aprire un vecchio baule, dal quale aveva poi estratto un paio di ritratti.
“Tua madre aveva una bellezza fiera e delicata nello stesso tempo” le disse porgendoglieli, “Proprio come te”.
Éowyn guardava i disegni come un uomo assetato avrebbe guardato un torrente; beandosi, perdendosi in quei tratti così armoniosi, che tanto le somigliavano.
Sarebbe potuta rimanere a contemplare il volto di sua madre per sempre, ma uno sbadiglio la tradì.
Fece per riconsegnare i fogli a suo zio ma lui la sorprese dicendole: “Vorrei che li tenessi tu. Non dovrai più avere paura di poter dimenticare”.
“Ma ricorda sempre, Éowyn, che molto di ciò che erano i tuoi genitori ora fa parte di te. È qui dentro” aggiunse indicandole il petto, a livello del cuore, “E questo nessuno potrà mai portartelo via”.
“Grazie” rispose lei abbracciandolo forte, e la spontaneità con cui aggiunse ‘zio’ alla fine, fu il regalo più bello che Thèoden potesse ricevere.


* * * 
                                            

Per quanto confortevole, calda e sicura potesse essere Meduseld, capitava a volte che Éowyn vi si sentisse soffocare.
Non succedeva spesso, ma in quei momenti tutto ciò che desiderava era sentire il vento tra i capelli e il sole accarezzarle la pelle.
Allontanarsi dai suoi doveri, da tutti i servitori che discretamente la tenevano d’occhio e dalle massaie del palazzo, che insistevano ogni giorno nel volerle insegnare assurdità come il cucito.
Voleva respirare a pieni polmoni, lasciar vagare lo sguardo fin dove occhio poteva vedere: ammirare le sconfinate praterie, che si stendevano come un verde mare fino ai piedi dell’Emyn Muil, e le maestose cime innevate degli Ered Nimrais, i Monti Bianchi di Gondor.
 
Le sue fughe, se così si potevano chiamare, finivano sempre prima che qualcuno potesse accorgersi della sua assenza, e per maggior sicurezza avvenivano solo quando zio Thèoden non era a palazzo.
Solo in un paio di occasioni era riuscita a spingersi oltre le mura di Edoras, approfittando della confusione generata da qualche carovana in arrivo.
Oggi era una di quelle volte: Éowyn stava correndo felice lungo il crinale della collina sulla quale si ergeva la città.
La sua meta era un piccolo un piccolo lago che aveva scoperto poco tempo prima, nel quale solitamente sguazzavano diverse ranocchie.
Creaturine buffe e inoffensive, assai divertenti da osservare.
 
Così presa dalla gioia e dall’eccitazione che ogni volta quelle scappatelle le procuravano, la bambina si accorse solo all’ultimo momento di un cavaliere che le veniva incontro velocemente al galoppo.
L’uomo riuscì a frenare in tempo il destriero, che però, impennandosi rischiò comunque di colpire la piccola, e di disarcionare lui.
 
“Maledizione!” urlò il soldato, smontando velocemente da cavallo, “Ti sei fatta male, ragazzina? Dovresti stare più attenta, dannazione! Ti rendi conto che avrei potuto travolgerti?!”
Nel frattempo si era tolto l’elmo, rivelando il suo viso.

Ad Éowyn, che aveva già il fiato corto, il respiro mancò quasi del tutto: l’uomo di fronte a lei non poteva avere più di venticinque anni, ed era… Beh, bellissimo fu la prima parola che le venne in mente, ma non esprimeva bene l’idea.
Ricordava in tutto e per tutto il dipinto di Eorl: stesso portamento, stessa chioma dorata, stessa maestosa possanza.
Gli occhi però erano diversi, le ricordavano… Per il cielo, erano gli stessi dello zio Thèoden! Possibile che…
 
“Ehi piccolina, sto parlando con te!” le si rivolse di nuovo il giovane, “Come ti chiami? E cosa ci fai qui in giro da sola?”
“Io…io…” balbettò lei “Mi chiamo Eowyn e-”
“Eowyn? La figlia di Éomund? Non posso crederci!” esclamò il ragazzo, con una sonora risata. “Come sei cresciuta! Non credo che ti avrei mai riconosciuta. Io sono Thèodred, figlio di Thèoden”.
“Tuo cugino” concluse.
“Lo sapevo, lo sapevo!” squittì la piccola, estasiata. “Hai gli stessi occhi dello zio! Ho sentito tanto parlare di te! E da dove arrivi? Dove sei stato finora? Torni a casa con me? Posso salire con te a cavallo?”
“Ehi, una cosa alla volta!” le rispose Thèodred, decisamente divertito dalla sua esuberanza, “Per rispondere alle tue ultime domande, sì, torno a casa con te, e certamente puoi salire sul mio cavallo. Coraggio andiamo, ti staranno cercando ”.
Così dicendo le tese una mano, issandola dietro di sé; poi ripartirono insieme alla volta di Meduseld.
 

* * *
                                                                         

Con gran dispiacere di Éowyn, fu Grima a venire loro incontro, una volta giunti in città.
Quell’uomo proprio non riusciva a piacerle… non aveva alcun motivo fondato per provare così tanto ribrezzo, ma molto spesso è la prima impressione a contare davvero, e a condizionare per sempre il nostro giudizio riguardo alle altre persone.
“Sire Thèodred, siete tornato! È un vero sollievo vedervi sano e salvo”.
“Vi ringrazio, Grima” disse il giovane, reprimendo una smorfia, “Mi è stato detto che mio padre non è attualmente a palazzo”.
“Tornerà questa sera, mio signore. Sarà davvero lieto del vostro ritorno. Come lo siamo tutti, del resto” rispose l’uomo.
“ Principessa Eowyn!” soggiunse poi, una volta accortosi della bambina.

Pessimo approccio, Eowyn detestava essere chiamata così: non era una figlia di re, né lo sarebbe mai stata.
Solo a zio Thèoden era concesso usare quell’appellativo, e anche a lui in rarissimi casi.

“Da dove arrivate?” continuò Grima, “Credevamo foste nelle vostre stanze, a leggere un libro. Non è così che ci avevate detto?”
Eowyn arrossì, completamente presa alla sprovvista: E adesso che cosa gli dico?
“Ecco… io…”
“Oh, l’ho trovata poco più sotto, mentre raccoglieva dei fiori” intervenne suo cugino, “Un piccolo dono per mio padre, non appena farà ritorno”.
Éowyn gli rivolse un sorriso riconoscente, sperando che Grima non notasse la totale assenza dei suddetti fiori fra le sue mani.
Thèodred sembrò pensare la stessa cosa, ma nella fretta del momento non era riuscito a inventarsi una scusa migliore.
Si affrettò quindi a dire: “Col tuo permesso, Grima, vorrei ritirarmi. È stato un lungo viaggio, e ci sono ancora molte persone che vorrei salutare”.
“Oh, sì!” esclamò Éowyn, “E devi assolutamente conoscere Éomer!”
E prima che Grima potesse dire alcunché, i due cugini erano già ripartiti. 


 








 

 
Angolino di Bennuccia:

 
E… ladies and gentlemen, per la vostra gioia Thèodred è arrivato <3!!
So che si è visto poco ma non temete, avremo modo di conoscerlo meglio più avanti.
Mi sono attenuta alla versione cartacea, secondo la quale a quel tempo il nostro bel principe dovesse avere circa 24 anni..
Ragazze mie, che dirvi? Niente, siete voi che dovete dire a me xD! Io come al solito spero che vi sia piaciuto
Ringrazio come sempre tutti i lettori, le ragazze che recensiscono, e chi mi preferisce o semplicemente mi segue (di recenteFede95).
Vi spedisco al volo un bacio e… alla prossima!
Ps: nell’introduzione ho dichiarato che si sarebbe trattata di una raccolta di OS, tuttavia come qualcuno ha già notato, sto seguendo per ora (mio malgrado) un andamento lineare.. Per adesso preferirei lasciare l’intro così com’è, perché l’intenzione è ancora decisamente quella di una raccolta..ispirazione permettendo grr, mi porta dove vuole lei!

Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Compleanno (parte 1) ***


 

Compleanno (parte 1)
 


La mattina del 15 maggio, Éowyn si svegliò con la netta sensazione che ci fosse qualcosa di diverso in camera sua.
Non sapeva spiegarsi nemmeno lei da dove le venisse quello strano presentimento: chiamatelo intuito femminile se volete.
Insomma, la sua stanza era diversa rispetto a quando si era addormentata la sera prima, e questo è quanto!
Che vi fosse entrato qualcuno?
Ma chi?
E soprattutto perché?
La bambina fece per avviarsi a spalancare la finestra, con il cuore che le batteva leggermente più forte, quando sentì un’anta del suo armadio cigolare in maniera sinistra.
Prima che Éowyn potesse anche solo voltarsi, alla ricerca di una qualche arma impropria, l’anta si spalancò del tutto, e un trafelato Éomer saltò fuori dal guardaroba, urlando “Sorpresa!”
“Éomer!” strepitò la piccola, “Ma sei impazzito? Che diamine ci facevi là dentro? Mi hai spaventata a morte!”
“Uff, per così poco? Davvero?” ghignò suo fratello, “Credevo fossi più coraggiosa…”
“La prossima volta mi nasconderò sotto il tuo letto, come quel mostro di cui ci parlava la vecchia Cledia” ribattè lei,  riferendosi a un’anziana indovina del loro villaggio natale.
“Così vedremo chi è davvero fifone” concluse con una punta di acidità.
“Accipicchia, come siamo suscettibili questa mattina” ridacchiò lui, “E pensare che volevo solo essere il primo…”
“Il primo? Il primo a fare cosa?” domandò la bimba confusa.
“Beh, a farti gli auguri ovviamente! Hai dimenticato che oggi è il tuo compleanno?”
 
Il suo compleanno!
Éowyn rimase di stucco: com’era possibile che l’avesse completamente rimosso?
 
“Sei stata parecchio distratta in questo mese, sorellina” continuò Éomer, “C’è forse qualcosa che ti preoccupa?”
“No, affatto!” rispose lei.
Non poteva certo raccontargli di tutte le sue “fughe segrete”! 
“Ѐ solo che non credo di essermi ancora abituata del tutto. Accidenti, il mio compleanno…”
Inevitabilmente il pensiero la riportò indietro nel tempo, ed Éowyn non poté fare a meno di chiedersi come sarebbe stato quel giorno, se avesse avuto ancora accanto a sé i suoi genitori.
Mamma l’avrebbe certamente svegliata con un bacio, papà invece, dopo averla presa in braccio, l’avrebbe portata a fare un giro a cavallo.
Al loro ritorno avrebbero trovato ad attenderli, appena sfornato, il suo dolce preferito: la torta di mele.
Infine, dopo pranzo, lei ed Éomer sarebbero corsi giù al villaggio, a festeggiare con gli altri bambini.
Il rimpianto e la nostalgia per quella vita perduta, non l’avevano mai colpita così intensamente come fecero in quel momento: il giorno in cui si apprestava a cominciare un anno di vita completamente ‘nuovo’.
Éomer parve indovinare i suoi pensieri, perché le si fece più vicino, stringendola appena.
 
“Mi mancano così tanto…” mormorò Éowyn.
“Anche a me, ogni giorno” rispose Éomer.
“Ma sono felice che tu sia qui con me, fratellone…”
“Te lo avevo promesso, no? Ci sarò sempre.”
“Sì, sempre”.
 

* * *
 
                                                                                       
A quanto pare un uccellino doveva aver spifferato al cuoco di corte quanto le piacesse la torta di mele, perché Éowyn, con sua somma gioia, ebbe il piacere di trovarla sulla tavola, una volta scesa a fare colazione.
La bambina si voltò verso Éomer, che sorrideva sornione, mimando un silenzioso ‘grazie’.
Nella sala l’attendevano zio Thèoden e metà della servitù del palazzo.
Il Re si avvicinò, chinandosi per baciarla sulla fronte.
“Ed eccola qui, la mia bella nipotina! Buon compleanno Éowyn!” esclamò, accarezzandole poi i capelli.
“Grazie, grazie di cuore!” rispose lei.
Nel frattempo i suoi occhi vagavano inquieti lungo il salone, come se fossero alla ricerca di qualcuno
.
Dov’era Thèodred? Possibile che fosse ripartito senza dirle nulla, proprio nel giorno del suo compleanno?
 
“Ho fatto preparare qualcosa per te” annunciò Thèoden.
Fece poi un cenno con la mano ad una coppia di donne, le quali si avvicinarono immediatamente.
Fra le braccia reggevano uno dei vestiti più belli che Éowyn avesse mai visto.
La bambina, contrariamente alle sue coetanee, non aveva mai avuto un debole per gli abitini eleganti.
Preferiva dei completi più semplici e comodi, coi quali poter correre o giocare senza intralcio.
 
Ma quel vestito era diverso.
Elegante, sì, ma non in maniera eccessiva; sontuoso, certo, ma senza risultare sfarzoso.
Sembrava racchiudere in sé il misto perfetto di bellezza e signorilità, e risvegliò all’istante la parte più femminile di Éowyn.
Il colore verde del morbido tessuto le ricordava gli immensi prati, che tanto amava; le cuciture dorate invece, s’intonavano perfettamente ai suoi boccoli biondi.
Era divino.
 
“Zio, è… è…meraviglioso” mormorò la bimba, stringendolo fra le mani.
“Davvero ti piace?” Il tono di Thèoden era quasi titubante, bisognoso di conferme.
Éowyn annuì, con gli occhi che brillavano.
“Bene, allora spero vorrai indossarlo questa sera” soggiunse il Re, con aria improvvisamente misteriosa.
“Stasera? Che succede stasera?”
“Vedrai”rispose lui sorridendo, “Ora, su! Fai in fretta colazione, qualcuno ti sta aspettando alle scuderie”.
Éowyn non se lo fece ripetere due volte, la curiosità e l’impazienza rischiavano di sopraffarla.
Qualcuno la stava aspettando alle scuderie continuava a rimuginare, mentre era intenta ad addentare la prima fetta di torta, possibile che fosse…

 


* * *
 
 
                                                             
E infatti si trattava proprio di Thèodred.
Il giovane le sorrise radioso, non appena la vide arrivare. Spalancò poi le braccia, tra le quali lei non esitò a tuffarsi.
Thèodred la strinse forte, sollevandola da terra e facendola girare sopra di lui, fino a quando Éowyn non lo pregò di fermarsi.
“Basta, basta per favore!” esclamò tra le risa, “Mi gira la testa!”
Thèodred rideva ancora più forte di lei, ma nel tentativo di rallentare inciampò, e in men che non si dica, i due cugini si ritrovarono distesi sopra la paglia, i visi paonazzi per l’eccitazione.
 
“Oh, Thèodred!” sospirò la bambina,  non appena ebbero ripreso fiato, “Quando non ti ho visto in salone, ho temuto che fossi ripartito per qualche missione, senza dirmi nulla”.
“Senza dirti nulla? Pensi davvero che farei mai una cosa del genere?” domandò lui, fingendosi offeso.
Poi senza darle il tempo di ribattere aggiunse: “Stavo semplicemente preparando una sorpresa di buon compleanno”.
“Ooh! E che cosa sarebbe?” chiese Éowyn, più emozionata che mai.
Il giovane le rivolse un sorriso malandrino.
“Non indovini? Secondo te perché Huròin è tutto bel che bardato?” disse, riferendosi al cavallo dietro di lui, che nitrì in quel preciso momento.
“E a cosa potrà mai servire quel cestino del pranzo?”
 
Éowyn non credeva alle sue orecchie.
 
“No! Vuoi dire che…”
“Che quest’oggi io e te lo passeremo in giro a cavallo” concluse Thèodred, strizzandole l’occhio.
“Coraggio, salta su! Ci sono molti posti che ti voglio mostrare”.
 
Si prospettava una giornata meravigliosa, furono pressappoco i pensieri di Éowyn, non appena oltrepassarono le mura della città. 


 




 

Angolino della Benni:
Ebbene sì, lo confesso: l’imminente arrivo del mio compleanno (lunedì 17) ha probabilmente ispirato questo capitolo.
Chiedo venia per la ‘cortezza’, ma se non lo avessi diviso in due sarebbe venuto troppo lungo.
E lo so, sono pessima a inventare nomi di cavalli, ergo se qualcuno ne ha in mente uno migliore lo cambierò volentieri!
 
Venendo ai grazie, essi vanno come sempre a tutti i meravigliosi lettori, alle mie adorabili recensiste, e in particolare un ringraziamento speciale a Durhilwen e Aven90,aggiuntisi da poco.
Grazie infine a Missing23 e Johnlock is the way per aver messo la storia tra le preferite.
Tanti ♥ a tutti voi, buona lettura e buon weekend!!
 
Benni
 
Ps: ormai è ufficiale… Adoro Thèodred!

PPs: la data del compleanno è completamente inventata!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Compleanno (parte 2) ***


 

Compleanno (parte 2)
 
   
Éowyn aveva dimenticato l’incredibile sensazione che si prova nel sentire il vento scorrere sul viso, e fra i capelli, mentre si galoppa velocemente verso l’orizzonte.
L’ultima volta che era stata a cavallo non se la ricordava nemmeno più.
Nulla, in questa vita, le aveva mai suscitato nell’animo un tale sentimento di esaltazione, di… di… Di libertà, ecco!
Probabilmente è così che dovevano sentirsi gli uccelli, pensava la piccola, perché il cavalcare, a suo parere, era quanto di più simile potesse esistere al volare.
Thèodred comandava Huròin con maestria e destrezza, risultato di anni e anni di esperienza, e il possente animale ubbidiva docilmente ad ogni suo tocco.
 
In breve si lasciarono Edoras alle spalle: davanti a loro, le sconfinate praterie del regno di Rohan.
“Tieniti forte!”
Thèodred aumentò ulteriormente l’andatura del cavallo.
Éowyn ubbidì, stringendosi ancora di più alla sella.
I suoi occhi erano lucidi, in parte a causa del vento, che continuava a colpirli senza tregua, ma soprattutto per la gioia e la profonda emozione.
 
Dapprima fecero volta in direzione dell’Estfalda, verso le pianure erbose alle pendici dei Monti Bianchi.
Thèodred la portò ad ammirare le Foci dell’Entalluvio, punto in cui il suddetto fiume si unisce al maestoso Anduin, e che segna il confine orientale con l’Anorien.
Pur essendo nata e cresciuta in quelle zone, Éowyn non si era mai spinta tanto avanti, e così ogni cosa era come nuova per lei.
Non lontana da lì si trovava la regione del Folde, al cui interno vi era Aldburg, la città natale sua e di Éomer, e che molto tempo prima era stata la capitale del regno.
In seguito si diressero verso il fiume Acquaneve, che segnava invece il confine con l’Ovestfalda.
Thèodred avrebbe voluto portare la cugina al Fosso di Helm, per mostrarle l’imponente fortezza del Trombattorione.
Ne sarebbe andata matta, di questo era sicuro. O perlomeno era ciò che poteva dedurre, basandosi sul fatto che la piccola amasse ascoltare le epiche imprese del suo popolo.
E il Fosso di Helm aveva un’importanza assai particolare nella storia dei Rohirrim.
 
Ma il sole era giunto ormai allo Zenit, e il caldo e la fame cominciavano a farsi sentire.
Senza contare che Huròin pareva alquanto affaticato, povera bestia.
Sì, era decisamente il momento del pranzo.
Come a voler confermare i suoi pensieri, lo stomaco di Thèodred ruggì con fierezza in quel preciso momento.
Cosa che fece divertire immensamente Éowyn: “Hai fame, cugino?” scherzò la bambina.
“Puoi ben dirlo! Non ho avuto il privilegio di assaggiare quella bella torta stamattina, io!”ribattè lui.


 * * *
 
 
Una ventina di minuti più tardi, Huròin brucava allegramente nel prato, a qualche metro da uno dei guadi dell’Acquaneve.
Éowyn e Thèodred avevano steso una coperta poco distante, e dopo aver consumato il pasto vi si erano distesi, l’uno accanto all’altro.
Per un po’ si erano divertiti a guardare le poche nuvole che offuscavano il cielo quel giorno, e ad associare le loro bizzarre forme a persone o animali (“Ѐun coniglio, ti dico, un coniglio!” “Vorrai scherzare, è chiaramente una volpe!” “Il Sole ti ha reso orbo, cugin-ahi! Questa me la paghi!)
 
Qualche pizzicotto più tardi, fra loro era calato il silenzio.
Entrambi avevano chiuso gli occhi e si stavano godendo il calore del Sole sul viso.
Dopo un po’, Éowyn si girò lentamente su un lato: Thèodred aveva ancora gli occhi chiusi, e il respiro pesante, come se stesse dormendo.
“Thèo…” tentò la bambina.
“Uh?”
Éowyn sorrise: era sveglio, allora.
“Grazie, Thèodred. Ѐ stata una mattina meravigliosa”
Il giovane aprì gli occhi e rispose: “E la giornata non è ancora finita! Oggi pomeriggio voglio portati nell’Estmnet: a ovest è delimitato dalla foresta di Fangorn. Non è saggio avventurarsi lì dentro, ma potremmo comunq-”
“Come fai?” lo interruppe lei, “Riesci a leggermi nell’animo così facilmente…”
 
Thèodred la osservò, sorridendo indulgente; nella mente il loro primo incontro, avvenuto durante una ‘fuga’ di lei.
Aveva intuito subito che non doveva trattarsi della prima volta in cui la piccola scappava da palazzo.
In questi gesti impulsivi aveva riconosciuto la stessa intraprendenza, la stessa sete di libertà, che aveva lui da ragazzo, e ne aveva sorriso, nonostante si fosse anche preoccupato per l’incolumità della cugina.
 
“Non potevo desiderare regalo più bello” continuò Éowyn, “A parte forse…”
“Sì?” la incoraggiò Thèodred, quando lei si interruppe.
“Niente. Solo una sciocchezza”.
“Coraggio, Éowyn, dimmelo. So che ami molto i cavalli, ma mio padre è stato categorico. Non sei abbastanza grand-”
“No, no, non si tratta di quello!” intervenne lei, con tono deciso, “O meglio, anche. Ma non era ciò a cui stavo pensando ora”.
“Di che cosa si tratta dunque?” chiese ancora Thèodred.
 
Éowyn fece un respiro profondo, ancora indecisa se confidarsi o meno.
Poteva parlarne con Thèodred, decise infine: lui la capiva meglio di chiunque altro, persino di suo fratello.
“Vorrei potermi allenare con Éomer” proruppe tutto d’un fiato, “Vorrei imparare anch’io tutto ciò che insegnano a lui. Ciò che gli insegni tu. Quando vi vedo combattere insieme mi sento così esclusa… Non è giusto! Perché non posso imparare anch’io come si usa una spada?”
Thèodred sospirò.
“Éowyn, tu sei…”
Se dice ‘una femmina’ potrei perdere seriamente le staffe, pensò la bambina.
“… Una ragazzina davvero particolare” , concluse Thèodred.
Éowyn lo fissò sorpresa: non era certamente quella la risposta che si aspettava!
Rivolse al cugino uno sguardo dubbioso.

Come doveva considerare quella frase? Un’offesa? Un complimento? Nessuno dei due?

“Ho l’impressione che tu abbia ereditato in pieno il carattere di tuo padre. Possiedi la sua stessa intraprendenza” continuò il giovane.
Éowyn fece spallucce, rimanendo in silenzio, e aspettando che Thèodred venisse al sodo, e le dicesse, come tutti gli altri, che combattere non era compito delle ragazze.
Ma la successiva frase di lui la lasciò basita.
 
“Nonostante tu sia decisamente molto matura per la tua età, hai comunque solamente otto anni. E combattere, uccidere delle persone… La guerra non è un gioco Éowyn. Non c’è nulla di glorioso, nulla di poetico, nel togliere la vita a un altro essere umano. Te ne rendi conto solo una volta che sei davvero là fuori, ed è già troppo tardi. Tutto quello che ti è stato raccontato non ha più alcun valore, quando sei circondato da tutte quelle grida, tutto quel sangue… Tutta quella morte.”
 
Éowyn lo ascoltava sconvolta, con gli occhi sbarrati e senza saper cosa dire: suo cugino le sembrava così distante… Perduto in chissà quali oscuri ricordi.
Poi però, il giovane parve riscuotersi:
 
“Ma tu sei testarda, mia piccola Éowyn” le disse, “E ho l’impressione che troveresti comunque il modo di imparare da sola, le cose che nessuno vuole insegnarti. E sia. Ti insegnerò a combattere. Ma tra alcuni anni, quando sarai più grande e solo, ascoltami bene Éowyn, solo, affinché tu sappia difenderti. Il mio cuore mi dice che potresti averne bisogno purtroppo, in un futuro non così lontano…”
 
Éowyn parve non fare caso all’ultima sinistra osservazione. A onor del vero solo quattro parole furono degne di nota per il suo cervello: ‘ti insegnerò a combattere’.
La piccola si gettò entusiasta fra le braccia del cugino, cogliendolo di sorpresa, e stringendolo così forte da mozzargli il fiato.
“Grazie, grazie, grazie!”, continuava a ripetere.
“Ouf! Ehi! Ma hai ascoltato bene tutto quello che ti ho detto? Solo tra qualche anno e sol-”
“Sì, sì ti ho sentito! Oh, sei il cugino migliore del mondo!”
 
Thèodred sorrise imbarazzato, un sottile e fastidioso alone rosso gli si stava diffondendo sul viso.
“Promettimi una cosa, Éowyn”
“Tutto quello che vuoi!”
“Non dimenticarti mai quello che ti ho raccontato oggi. E non ti dimenticare chi sei.”


 * * *
 
                                                               
Il suo nuovo abitino la aspettava ben disteso sul letto.
Éowyn lo indossò felice, una volta finito il bagno caldo e ristoratore che le era stato preparato.
I festeggiamenti quella sera furono splendidi, e degni di una vera figlia di re.
Il clima era particolarmente disteso, e non una sola ruga di preoccupazione increspava il viso di Thèoden.
Il sovrano sorrideva benevolo a tutti i suoi ospiti, ma la sua attenzione era principalmente per i suoi nipoti, i quali sembravano starsi godendo alquanto quella serata.
 
Éomer rideva e scherzava con gli altri ragazzi del suo corso di addestramento. Si era fatto molti amici tra di loro. I bambini non badavano al suo ‘status sociale’ ed Éomer stesso evitava a sua volta di farlo pesare, comportandosi umilmente, come un ragazzo qualunque.
Senza saperlo si stava guadagnando l’affetto e l’ammirazione incondizionata dei suoi futuri compagni d’arme, che, Thèoden ne era sicuro, sarebbero stati pronti a seguirlo ovunque, un giorno.
 
La piccola festeggiata invece, era uno splendore. Il vestito che Thèoden le aveva commissionato le donava davvero molto, e quella sera i suoi occhi sembravano brillare in maniera particolare.
Aveva ballato a lungo: con suo fratello, i suoi amici, suo cugino, e adesso si stava avvicinando a lui.
Thèoden le tese la mano: “Ti stai divertendo, principessa?”
Éowyn annuì, radiosa: “Ѐ il più bel compleanno che abbia mai festeggiato”.
E lo pensava davvero.
In un solo anno la sua vita era radicalmente cambiata, e prima di tutto in maniera drammatica, questo era innegabile.
Aveva perso molto, ma altrettanto aveva guadagnato, ed Éowyn, guardandosi intorno, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì nuovamente a casa.
 
 
 



 
 
 

ANGOLINO DELLA BENNI:

Lo so. Lo so, lo so, lo so. Non uccidetemi
Ѐ alquanto azzardato pensare che sia stato Thèodred ad insegnare ad Eowyn a combattere… però mi sono detta, da qualcuno avrà pur imparato no? E visto il rapporto che si sta creando tra loro due, volevo che fosse lui. Senza contare che è molto più grande di lei e ha parecchia esperienza.
Ovviamente Thèodred ha anche cose più importanti a cui badare, quindi cercherò di gestire la cosa in maniera plausbile ;)
Colgo l’occasione per dire che con questa, si chiude un primo ‘blocco’ di one-shot: quello relativo all’infanzia della nostra eroina.
Nelle prossime la ritroveremo un po’ cresciutella, e piano piano ci avviciniamo sempre più agli ‘eventi Lotr’.
Vi informo anche che avendo un esame martedì, probabilmente posterò in ritardo la prossima volta… Spero non di molto.
 
Angolino del grazie:
A tutte quelle meravigliose persone che continuano silenziosamente a leggere.
Alle altrettanto meravigliose persone che recensiscono, e che coi loro pensieri contribuiscono ad alimentare la mia ispirazione (sul serio, siete stra-importanti, alcune idee mi vengono dai vostri commenti, quindi… Continuate xD!!)
New Red Eyes Virgo00 per aver aggiunto la storia tra le seguite =)
Concludo ringraziando tutti per gli auguri di buon compleanno <3, siete stati gentilissimi!!
 
Vi abbraccio tutti, torno ahimè a studiare.
Buon week end!
 

Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Impazienza ***



   
Impazienza
 
 

“Éowyn, se continui a torcere il collo in quel modo a ogni rumore che senti, finirai per farti male”.
“Uh? Hai detto qualcosa, zio?”
 
Thèoden ridacchiò, mentre sua nipote si voltava nuovamente verso di lui.
Era una bella mattina di Settembre, e i due si stavano godendo qualche momento di pace, seduti insieme a uno dei tavoli del salone principale.
O perlomeno sarebbero stati momenti di pace, se Éowyn l’avesse smessa di saltare sulla sedia e girarsi di scatto, ogni qual volta sentisse dei passi nell’ingresso, o udisse delle nuove voci, pensava Thèoden.
 
Conosceva il motivo di tutta quella agitazione: Éomer e Thèodred sarebbero tornati quel giorno da una missione, che li aveva tenuti lontani da casa quasi tutta l’Estate.
Il suo giovane nipote ormai diciottenne, era impaziente come un piccolo puledro di dimostrare il suo valore in una vera spedizione. Thèodred lo aveva preso particolarmente a cuore, addestrandolo personalmente, e adesso il cugino apparteneva ufficialmente alla sua Compagnia.
 
Thèoden si chiese divertito chi, fra i due giovani, Éowyn sarebbe stata più felice di rivedere.
La fanciulla stravedeva per il cugino, diventato una sorta di nuovo fratello maggiore per lei, e il Re sospettava che a volte Éomer ne fosse un filo geloso.
 
“Siediti composta, e concedimi l’onore della tua compagnia ancora per un po’. I ragazzi non arriveranno prima di questo pomeriggio, te l’ho già detto”.
Éowyn sbuffò, impaziente.
Lo sapeva benissimo, eppure non poteva fare a meno di continuare a voltarsi inconsciamente verso l’ingresso.
Il tempo sembrava non trascorrere mai…
Suo fratello le mancava terribilmente: non erano mai stati separati così a lungo, e a volte senza di lui si sentiva così sola… Era ingiusto, lo sapeva: zio Thèoden faceva di tutto per restarle accanto il più possibile, e a palazzo tutti le volevano bene.
Forse più che sola, il termine giusto era abbandonata, ma avrebbe dovuto abituarsi.
Éomer sarebbe diventato capitano un giorno, e quelle separazioni si sarebbero fatte molto più frequenti.
La consueta frustrazione che provava al pensiero di non potersi unire a lui e Thèodred la colpì con rinnovato vigore.
E come sempre le tornò in mente la promessa fattale dal cugino sei anni prima.
Quando sarai più grande… beh, ora lo era no?
 
Completamente all’oscuro dei suoi pensieri, Thèoden osservava con affetto la nipote, meravigliandosi di come fosse cambiata in quei pochi anni: era cresciuta molto in altezza, e il viso aveva perso la rotondità tipica dell’infanzia, facendosi più affilato. I suoi meravigliosi capelli dorati le arrivavano ben oltre metà della schiena, e il suo corpo si era fatto più morbido, inevitabilmente più femminile, pur mantenendo una stupefacente snellezza.
Éowyn era come un fiore appena sbocciato, e non ancora nel pieno della sua maturazione… Ma la promessa di tutto ciò che sarebbe diventato era già lì, un soffice misto di grazia e innocenza.
 
Sua nipote non la pensava affatto così, e come ogni adolescente era giustamente insoddisfatta del proprio aspetto fisico.
Ogniqualvolta si specchiava da qualche parte trovava da ridire su qualcosa: la pelle troppo chiara, la fronte troppo spaziosa, i fianchi così stretti… E il suo viso! Com’era diverso! Come se una qualche mano invisibile lo stesse rimodellando giorno dopo giorno. Mano alla quale avrebbe volentieri dato un aiuto, guidandola nel modo giusto…
Quattordici anni…
Che periodo strano nella vita di una ragazza… Quando senti di poter diventare di tutto, ma non sei ancora niente, sospesa in un limbo tra l’ignoto e l’infanzia.
Quando il tuo corpo sembra preda di chissà quale misterioso cambiamento, al quale non puoi fare altro che assistere impotentemente. E ti ritrovi a fantasticare su cose che non avresti mai immaginato.
 
Così presa dai suoi pensieri Éowyn non si accorse che un sorriso divertito aveva improvvisamente incurvato le labbra di suo zio, e sussultò quando sentì due mani calare a coprirle gli occhi.
“Indovina chi è?” le chiese una voce ben conosciuta.
 


* * *
 
                                         
                                                            
E così zio Thèoden aveva mentito.
La sorpresa era riuscita in pieno, ed Éowyn era stata letteralmente estasiata di rivedere i ‘suoi ragazzi’ diverse ore prima del previsto.
Aveva riconosciuto all’istante le mani ruvide e callose di Thèodred, per non parlare della sua voce calda e rassicurante.
Nonostante non fosse più una bambina, Éowyn si era gettata senza esitazione fra le sue braccia.
Aveva poi baciato suo fratello, lasciando che lui la stringesse teneramente a sé. Ancora una volta, Éowyn si era meravigliata di quanto alto fosse diventato Éomer, e di come si fossero fatte forti e muscolose, quelle braccia che l’avvolgevano. Il suo volto era abbronzato, segnato in parte dalle intemperie e da una piccola cicatrice sotto lo zigomo. La barba si era fatta più incolta, e la chioma ribelle era raccolta in una coda di cavallo.
Éowyn era certa che suo fratello avesse già catturato parecchi sguardi femminili, e il solo pensiero le aveva procurato un improvviso e irrazionale moto di gelosia.
 
Avevano pranzato tutti insieme, come non capitava più da molto tempo, ed era stato proprio Éomer a monopolizzare completamente la conversazione, ancora su di giri per la sua prima missione.
Poi, quel pomeriggio, Éowyn era finalmente riuscita a rimanere sola con Thèodred.
 
“Mi siete mancati da morire… Tutti e due”.
“E tu a noi, Éowyn. In questi pochi mesi sei diventata ancora più bella”.
La fanciulla arrossì, non avvezza a quel genere di complimenti.
“Scommetto che fra non molto cominceranno a ronzarti intorno i compagni di Éomer”, proseguì Thèodred, “E lui diventerà il classico fratellone geloso. Non vorrei essere nei loro panni” ridacchiò.
“So difendermi perfettamente da sola, grazie!” sbottò Éowyn, fingendosi infastidita, “Ma non nego di essere ancora leggermente inesperta” scherzò, “Motivo per cui volevo chiederti…”
“Se rispetterò la mia promessa di insegnarti a combattere” concluse per lei suo cugino, “Anche se quando ho detto che avresti potuto avere bisogno di difenderti un giorno, non intendevo certo da quei rozzi ragazzacci della mia divisione” aggiunse divertito.
“Mi insegnerai o no?” ribattè Éowyn mettendo il broncio, e incrociando le braccia.
Thèodred sospirò: “Sei testarda come sempre, cugina. Cominceremo domani, per quest’oggi desidero solo riposare”.



* * * 
 
 
                                                     
 
Trovare un posto adatto non fu facile, ma Thèodred conosceva Edoras come le sue tasche, e un vecchio magazzino abbandonato, a un centinaio di metri da Meduseld, divenne il loro punto di ritrovo.
 
Come promesso cominciarono il giorno seguente, di primo pomeriggio.
Éowyn era comprensibilmente impaziente, ma come cercò di spiegarle ragionevolmente suo cugino, prima di poter anche solo pensare di brandire una vera spada, doveva imparare come muoversi.
 
“Il movimento è fondamentale. Molti non lo capiscono, ma senza un adeguato gioco di gambe, meneresti semplicemente fendenti alla cieca. Non è facile, Éowyn, ma una volta che avrai imparato come muovere i piedi, tutto il resto sarà solo una naturale conseguenza”.
 
Più che una lezione di scherma, quella sembrò quasi una lezione di danza.
Éowyn si chiese distrattamente se anche Éomer avesse dovuto sorbirsi quelle noiose tiritere, e ripetere quelle assurde combinazioni di passi.
 
“Ancora una volta, avanti segui me! Così bene, avanti, di nuovo… Di lato, e ora indietro!”
Thèodred era stimolante e paziente: i suoi movimenti erano fluidi ed eleganti, come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
“Sì, così! Brava, te la cavi bene!” esclamò il giovane, dopo quelle che ad Éowyn sembrarono ore.
La giovane sorrise orgogliosa: bene, quindi era giunto finalmente il momento di…
“Tornare a casa!”

Aspetta, che cosa?

“Stai scherzando?!” urlò la ragazzina, “Tutto qui? Credevo che mi avresti insegnato a combattere!”
“Ed è quello che sto facendo”, rispose Thèodred con calma: si aspettava una reazione del genere. “Ti fidi di me?”
Éowyn annuì lentamente, sebbene in quel momento si sentisse alquanto incerta: benchè suo cugino avesse ribadito alquanto la loro importanza, aveva sperato di imparare qualcosa di più di semplici mosse di gambe, in quella prima lezione! Non sapeva se sentirsi delusa o meno…
“So bene che adesso queste cose ti potranno sembrare inutili e ridicole, lo pensavo anche io! Ma ti prometto che capirai presto la loro importanza” ribadì Thèodred, come leggendole nel pensiero.
“Ora andiamo, si sta facendo buio, e siamo stati assenti più di quanto fosse saggio”
“Non mi ero accorta che fosse passato così tanto tempo!” esclamò Éowyn, “Tuo padre ci starà sicuramente cercando! Cosa gli diremo?”
“Per oggi ci ho già pensato io, non preoccuparti. Ufficialmente siamo andati ad Aldburg per trovare i tuoi genitori. Ma dovremo stare più attenti le prossime volte, evitare di stare via così a lungo... E soprattutto limitare questi incontri a non più di una volta alla settimana.”
“Che cosa? Ma così non imparerò mai…” si lamentò lei.
“Qualcuno potrebbe insospettirsi se ci assentiamo troppo spesso. E ad ogni modo, ho anche altri impegni, sai?” ribattè Thèodred, leggermente scocciato.
Nel notare però l’espressione dispiaciuta della cugina, il suo tono si raddolcì subito: “Sei sveglia e agile Eowyn. E oggi hai imparato già più di quanto tu creda. Non ti ci vorrà molto per apprendere gli elementi essenziali. Credimi, è la soluzione migliore”.
Éowyn annuì rasserenata: “Quindi… La prossima volta passeremo alle spade?” domandò con un ghigno.
“Sei incorreggibile!” esclamò Thèodred, scoppiando a ridere.



 * * *
 
                                                                

“Mi sei mancata oggi”.

Éomer l’attendeva in camera sua, sdraiato davanti al camino.
La ragazza sorrise: “Diciotto anni quasi compiuti, e ancora ti nascondi in camera mia, come quando eravamo bambini”.
Éomer fece spallucce, sorridendo, mentre sua sorella prendeva posto accanto a lui.
“Mi è stato detto che ti sei recata a far visita ai nostri genitori. Perché non me ne hai parlato? Ti avrei accompagnata molto volentieri”
Éowyn s’irrigidì, sentendosi improvvisamente in colpa: odiava mentire, o nascondere qualcosa a suo fratello.
“Ho pensato che meritassi una giornata di riposo… Sei tornato solo ieri…”
“Come pure Thèodred, eppure per lui non ti sei fatta problemi” borbottò Éomer, mettendo il broncio.
Éowyn sorrise spazientita: a volte suo fratello si comportava come se fosse un bambino.
La domanda non la colse di sorpresa e la risposta era già bella che pronta:
“Thèodred non è crollato addormentato ieri sera, nel suo stesso piatto di zuppa! Se ti avessi chiesto di venire con me, avresti corso il rischio di appisolarti a cavallo, caro il mio dormiglione” disse, prendendolo in giro.
“Avevi bisogno di dormire un po', vecchietto che non sei alt-”
Ma Éowyn non fece in tempo a finire la frase, che Éomer le era già praticamente balzato addosso, cominciando a farle il solletico senza pietà.
“Te lo do io il vecchietto! Ripetilo se ne hai coraggio!”
“Ahahah! Sei un vecchiet-No va bene, ahahaha, lì no! Ahhh!”
 
E il resto della serata trascorse così: tra gare di solletico, battaglie di cuscini e magici momenti strappati all’infanzia.  
 
 
 
 



 

 
Angolino Bennina:
Cucù!
Perdonate il ritardo ma ieri proprio non ce l’ho fatta (sono uscita alle due del pomeriggio e sono rientrata a mezzanotte -.-).
Ed eccoli di nuovo i nostri amici un po’ cresciuti, alle prese con prime missioni, primi allenamenti.. e l’arrivo dell’adolescenza  ^^.
Non ho molto da dire in realtà.. spero di aver descritto in modo plausibile come ci si sente ad avere quattordici anni.. mi sono basata su quello che ricordavo xD.
 
*Angolino del grazie*
-Lettori: siete meravigliosi, un bacio!
-Recensiste: vi adoro tutte, dalla prima all’ultima xD e benvenuta a Laylath
A chi mi preferisce e segue (Durhilwen)
 
Alla prossima!
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Strane notizie ***


 

Strane notizie
 

“Mia signora, siete sicura di non voler prendere Dahira?”
“Più che sicura, Galmond. Ho paura che mi sarebbe solo d’intralcio in città… Mi sentirò più libera a piedi”.
 
Il vecchio servo sospirò, scuotendo la testa.
Quella ragazza, pensò affettuosamente, Prima smaniava per avere un cavallo tutto suo, poi, quando finalmente il Re le aveva fatto dono di una delle più belle puledre del regno, lei asseriva di sentirsi più libera a piedi!
Adolescenti, borbottò affettuosamente.
Vi era abituato, con due figlie all’incirca della stessa età di Éowyn.
La principessa, così la chiamavano tutti, sebbene lei non volesse.
Galmond ricordava come fosse ieri, la mattina in cui l’aveva vista arrivare a palazzo assieme al fratello, entrambi in groppa al possente destriero di Lord Hadèmar.
Difficile credere che quel pulcino tremante e spaurito, fosse diventata davvero la splendida fanciulla che si trovava ora di fronte a lui.
 
Éowyn indossava una comoda casacca color del vino, morbidi stivali di pelle, e una mantella marrone, con tanto di cappuccio.
Abiti semplici, per chi semplice tuttavia, non era per nulla.
Ma era così che la giovane preferiva vestirsi, specialmente quando doveva recarsi in visita a Edoras.
Non che vi fosse un’occasione speciale, tutt’altro!
Semplicemente, Éowyn amava stare il più possibile a contatto con la sua gente, quando le condizioni lo permettevano.
E il popolo le voleva ancora più bene per questo.
 
“Rientrerò questa sera, vecchio amico. Portala a sgranchirsi le gambe per me”
Dopo avergli rivolto queste parole, Éowyn diede le spalle a Galmond, accarezzò affettuosamente il muso della sua bella puledra, e si avviò velocemente verso l’uscita delle stalle.



* * * 
 
 
                                      
L’agglomerato di vecchie case di pietra, costituenti Edoras, si trovava ben distribuito lungo i fianchi della collina sulla quale sorgeva Meduseld.
 
Piccole spirali di fumo s’innalzavano lentamente da diversi camini, e vi era una sorta di strano silenzio, per le vie lungo le quali si avviò Éowyn.
Alcune guardie la seguivano a distanza, vegliando su di lei in maniera discreta.
Lungo la strada la gente era dedita alle attività giornaliere, ma nell’aria mancava quel brio, quel cicaleggio, che ci si aspetterebbe in una grande città.
Edoras pareva… spenta! Sì, quella era la parola giusta, pensò Eowyn.
 
“Che mi venga un colpo! Ma è la principessa!”
A parlare era stata una giovane donna, intenta a vendere del pane all’incrocio con la via principale.
Le sue parole catturarono immediatamente l’attenzione della gente vicina, e ben presto Éowyn si ritrovò circondata da una piccola folla eccitata.
 
“Principessa, siamo così felici di rivedervi!”
“Non ci aspettavamo una vostra visita…”
“Vi fermerete molto in città?”
“Vorreste assaggiare uno dei miei dolci, Altezza?”
 
“Vi prego, vi prego, chiamatemi Éowyn…” rispose lei, sorridendo imbarazzata, senza sapere più da che parte voltarsi.
Il vociare della folla non faceva che aumentare, mentre le persone si stringevano ancora di più attorno alla giovane. Ben presto quindi, un paio di guardie intervennero per tenere a bada la situazione.
“Dama Eowyn, credo che sia meglio andare…”, cominciò una delle due.
“Non ancora, Haradan” ribatté lei, risoluta, “Voglio parlare con loro”.
“Mia signora! Quale onore!” esclamò una voce diversa dalle altre: più autoritaria si sarebbe detto.
Éowyn si girò verso il nuovo venuto: “Arleon!”
Si trattava di uno dei cittadini più illustri: ai suoi tempi era stato un valoroso soldato, ma si era ritrovato costretto a ritirarsi dopo una brutta ferita, subita in battaglia, che l’aveva lasciato gravemente menomato.
Éowyn aveva sentito spesso suo zio Thèoden parlare di lui, con rispetto e ammirazione, ed era molto benvoluto anche dai suoi concittadini.
Era a lui infatti, che la gente di Edoras si rivolgeva spesso in caso di piccole dispute, che non necessitavano dell’attenzione del Re.
“Sono felice di rivedervi, caro amico!” esclamò la giovane; “E come sta la vostra famiglia?” s’informò poi, “Mi raccomando, portate i miei omaggi a vostra moglie Darla…”
“Ma certo, ne sarà felice” rispose l’uomo, “Ma… Mia signora, non vorreste salutarla di persona? Ѐ quasi ora di pranzo e saremmo onorati di avervi come nostra ospite!”
“Con immenso piacere”, fu la risposta.



 * * *
                                             
 
                                                                     
“Avresti dovuto avvertirmi che avremmo avuto a pranzo la principessa, razza di somaro!”, borbottò la vecchia Darla, rivolta a suo marito, mentre cominciava a sparecchiare la tavola.
“Forse avrei avuto modo di preparare qualcosa di decente…”
“Vi prego, è solo Éowyn” ridacchiò la giovane, “E avete fatto fin troppo per me…”
“Ѐ stato un vero piacere, mia signora”: l’espressione truce di Darla si raddolcì immediatamente.
“E ditemi, come sta vostro zio, il Re?” interloquì Arleon, “Non vi nascondo che siamo stati tutti un po’ preoccupati per lui di recente, viste le voci che circolavano…”
“Voci? Quali voci?” chiese Éowyn improvvisamente preoccupata, corrugando la fronte.
Arleon la fissò, leggermente incerto, prima di rispondere: “Beh, ecco… Pensavo lo sapeste meglio di me. Ci è stato riferito tramite quello strano uomo, quel Grima, che il Re non è stato molto bene di recente. Affaticato e bisognoso di riposo, così ci ha detto. Immagino sia per questo che non lo abbiamo più visto in pubblico…”
 
Éowyn non credeva alle proprie orecchie: che razza di malignerie andava diffondendo Grima?! Quell’uomo non le era mai piaciuto, fin dal primo momento! Suo zio malato, ma che sciocchezza! Ѐ vero, era da molto che non lo si vedeva in città, dov’era solito recarsi tanto spesso quanto la nipote, ma questo non voleva certo dire che…
 
Éowyn si bloccò costernata, e all’improvviso in preda ai sensi di colpa: possibile che fosse stata così distratta nell’ultimo periodo, da non accorgersi che qualcosa non andasse nella salute del Re? 
 
Da quando, tre anni prima, aveva segretamente iniziato lezioni di scherma con Thèodred, nella sua mente non c’era stato quasi più spazio per altro…
Persino adesso il pensiero volava spesso suo malgrado a quando sarebbe stato il prossimo incontro: era diventata davvero brava, anche se c’erano voluti mesi e mesi di paziente allenamento. Dapprima Thèodred l’aveva fatta combattere con dei bastoni -una volta assicuratosi che le sue gambe si muovessero a dovere, ovviamente!- poi erano finalmente passati a usare delle spade vere.
“Presto mi darai del filo da torcere, cugina” amava spesso ripeterle Thèodred per prenderla in giro, ed Éowyn, puntualmente, si arrabbiava ogni volta. Ma per quanto scherzose, quelle parole non erano poi così lontane dalla verità: Éowyn aveva un talento naturale.
 
Egoista, mormorò una vocina dentro di lei, È così che lo ripaghi dopo tutto quello che ha fatto per te? Lasciandolo solo, nel momento del bisogno?
No, il suo signore non poteva essere malato. Non negava di averlo trascurato alquanto durante gli ultimi mesi, ma non al punto da non essersi accorta di una cosa del genere.
Avrebbe fatto chiarezza il prima possibile, e meglio per Grima che avesse una scusa plausibile.
 
“Vi ringrazio per l’informazione, mastro Arleon, credetemi questa è la prima volta che una tale notizia mi giunge all’orecchio” disse, dando voce ai suoi pensieri, “Indagherò su questa faccenda all’istante. Vi prego, vogliate scusarmi”.
“Vi prego altezz- ehm, dama Éowyn! Vogliate voi perdonarmi, se vi ho arrecato una simile preoccupazione. Non era mia intenzione turbavi, ero solo convinto che-”
“Non avete nessuna colpa della quali scusarvi, amico mio” lo interruppe lei ponendogli gentilmente una mano sulla spalla, “Avevate ogni ragione di credere che ne fossi già a conoscenza. Sono sicura che chiarirò presto l’equivoco”
Perché di un equivoco doveva trattarsi, Éowyn si rifiutava di credere diversamente!


* * * 
 
                                                                     
Quando vide la principessa rientrare così presto dalla sua visita a Edoras, il vecchio Galmond ne restò parecchio sorpreso.
“Mia signora! Ero convinto di non rivedervi che tra qualche ora! Ѐ forse successo qualcosa?”
“Ѐ ciò che intendo scoprire” fu l’enigmatica risposta, “Dimmi Galmond, dov’è mio fratello?”
L’anziano servo si accarezzò la barba prima di rispondere: “Vostro fratello e il mio signore Thèodred sono in ricognizione ai confini orientali. Dev’esserci stato un altro attacco degli Orchi. Infami creature”.
 
La paura strinse con una morsa improvvisa lo stomaco di Éowyn: “Molto bene, aspetterò il loro ritorno” disse imponendosi di mantenere un tono di voce fermo e sicuro.
“Non temete mia signora, sono sicuro che rientreranno a breve” la rassicurò Galmond, notando immediatamente il suo turbamento.
Poco dopo infatti, si udì nell’aria il chiaro squillo dei corni del Mark: i principi erano a casa!
“Che cosa vi dicev-”
Ma Galmond non fece in tempo a finire la frase, che Éowyn era già corsa via, come se avesse le ali piedi, e con il cuore immediatamente più leggero.
 
 

 


 


Angolino Benninico:
 
Per prima cosa scusate il ritardo amici e amiche, sono stata via per il week end e non ho fatto in tempo a postare Giovedì.
Seconda cosa, non temete! Thèodred e Eomer torneranno prestissimo, mi scuso per la loro assenza ^^.
Questo capitolo doveva svolgersi in modo diverso: inizialmente volevo mostrare una giornata tipica di Eowyn a Edoras per mostrare il suo legame col popolo, poi l’ispirazione ha deviato su un sentiero più ‘Grimoso’ unfortunately... Così vediamo i suoi primi tentativi (un po’ precoci lo so) di minare la salute del Re.
Bene, vedrete presto (spero) come proseguiranno le cose :)
 
*Angolo della gratitudine*
Lettori, vi abbraccio tutti forte forte;
Recensiste, mi date una carica stratosferica, vi lovvo assai.
Chi mi ha inserita tra le preferite: __scream
O tra le seguite: aelfgifu, Echadwen e Valerie (a queste ultime due un grazie speciale anche per la recensione!)
 
Spero di non aver dimenticato nulla, grazie a tutti per rendere possibile il mio lavoro.
 
Benni ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Preoccupazioni ***



Preoccupazioni

 
 
“Sorellina, sto bene. Ѐ solo un graffio…”
“Non mi chiamare così, incosciente che non sei altro! Non sono più una bambina. E non osare dirmi che questo è solo un graffio, perché giuro-”
“Éowyn! Adesso basta, guardami. Guardami, maledizione!”
 
La giovane alzò gli occhi verso suo fratello, rilasciando un sospiro.
Stava trattenendo il fiato? Non se n’era nemmeno accorta…
Quando poco prima aveva sentito lo squillo dei corni, e avvistato in lontananza i destrieri di Thèodred ed Éomer, si era sentita il cuore incredibilmente più leggero.
Mano a mano che il gruppo di cavalieri andava avvicinandosi alla Città però, si era accorta che qualcosa non tornava.
 
Così pochi… È mai possibile che abbiano affrontato una simile missione con un numero così ridotto di uomini?
 
Fu solo poco dopo che scoprì, grazie alle parole di suo cugino, che in realtà erano partiti in circa il doppio.
Metà di loro non ce l’aveva fatta, trucidata dagli Orchi.
Thèodred se l’era cavata con qualche piccola escoriazione, Éomer invece, si era procurato un brutto taglio lungo tutto l’avambraccio sinistro.
Il giovane continuava a sanguinare.
Éowyn era sbiancata a quella vista, poi però si era fatta forza, e preso da parte il fratello, aveva iniziato a medicarlo.
Non si era mai sentita così spaesata in tutta la sua vita.
Quella era la prima volta, dopo la tragica scomparsa dei suoi genitori, in cui si era trovata così vicina a perdere nuovamente qualcuno di caro.
La prima volta, dopo tutti quegli anni, in cui la realtà della guerra l’aveva colpita improvvisamente, con tutta la sua crudezza.
La neo acquisita consapevolezza di come stessero davvero le cose, le fece tremare le ginocchia, mentre il fuoco caldo della rabbia si accendeva dentro di lei, mischiato alla frustrazione.
Sentirsi poi dire che quella brutta ferita, altro non era che un graffio, fu chiaramente la goccia che fece traboccare il vaso.
 
“Sono qui, davanti a te. Sto bene. Stiamo bene, anche Thèodred è qui”, le stava dicendo Éomer, lentamente, in una maniera che voleva essere rassicurante, ma lei faceva fatica a concentrarsi sulle sue parole.
“Metà…” la giovane deglutì prima di proseguire, “Metà di voi non ce l’ha fatta. Avrei… Oggi avrei potuto perdervi entrambi, senza riuscire a impedirlo, dannazione! E adesso anche zio Thèoden sta male, e io…”
Le ultime parole le erano sfuggite di bocca senza che intendesse davvero pronunciarle, e volarono dritte fino alle orecchie di Thèodred, che si trovava poco distante.
“Che cosa hai detto?” domandò il giovane incredulo, afferrandola per le spalle, “Che cos’ha mio padre?!”
“Io… Io non lo so! Oggi in città, mastro Arleon mi ha riferito che Grima-”
“Grima?!” la interruppe il cugino, sputando la parola con ferocia.
“Thèodred, lasciami, così mi fai male!”
 
Thèodred si allontanò di un passo liberando la cugina dalla sua stretta: “Io… Perdonami Éowyn, non volevo prendermela con te”.
Poi, con un sospiro, strinse la ragazza fra le sue braccia, questa volta in maniera completamente diversa: “Raccontaci tutto, piccola. Non tralasciare nulla”.
Éowyn fece una piccola smorfia nel sentire l’appellativo, poi una volta al riparo da sguardi e orecchie indiscrete, raccontò ai due giovani tutto quello che aveva sentito in città.

 
 * * *
                                                                 
                                                                               
Thèodred aprì con una mossa decisa le porte del grande salone principale.
Alle sue spalle, Éowyn ed Éomer lo seguivano col fiato mozzo.
 
“Mandate a chiamare mastro Grima, ho bisogno di vederlo immediatamente!” intimò ai primi vassalli che si fecero avanti per salutarlo.
Questi s’inchinarono rispondendo: “Subito, mio Signore”, ma appena prima che potessero allontanarsi una voce untuosa risuonò nell’aria: “Sire Thèodred! Ho sentito che mi stavate cercando”.
 
Éowyn sentì un brivido correrle lungo la schiena nel veder apparire la gobba figura di Grima, e cercò di non lasciar trapelare dagli occhi il disgusto che provava.
“Dov’è il tuo signore, mastro Grima?” chiese Éomer, con la sua solita irruenza, e con tono fin troppo accusatorio.
Thèodred gli posò una mano sul braccio, per zittirlo educatamente, e si rivolse all’uomo in maniera decisamente più pacata e diplomatica: “Sì, vi cercavo, mastro consigliere. Ho alcune domande da farvi, e questioni che desidero chiarire”.
La risposta di Grima lasciò i tre cugini spiazzati: “Ma certo, so perfettamente di cosa si tratta. Vi prego, vogliate seguirmi”.
 
Pochi minuti dopo, giunsero insieme nella camera privata del Re.
Thèoden era a letto ma non stava dormendo. Era seduto, appoggiato contro lo schienale, e stava leggendo alcune lettere.
Il suo colorito era decisamente più pallido rispetto al normale, e vi erano delle ombre scure sotto i suoi occhi.
A parte questo però, non sembrava diverso dal solito.
 
“Zio!” Éowyn non riuscì a trattenersi e corse di slancio ad abbracciarlo.
“Éowyn! Figlia mia, che gioia vederti”
“Zio! Mi avete fatta così preoccupare, credevo che…”
“Su, su non è nulla! Solo un leggero malessere dovuto all’età. Non sono più giovane come una volta, sai?” provò a scherzare Thèoden, facendole l’occhiolino.
“Un leggero malessere che però vi ha costretto a letto diversi giorni, padre” ribattè Thèodred, guardando di sbieco Grima nel frattempo.
“Ero in buone mani, figlio mio, Grima si è preso cura di me. Dovrei piuttosto essere io quello preoccupato. Per te ed Éomer, specialmente. Il mio cuore ha gioito nel vedervi tornare incolumi così presto”.
“Padre, se permettete…”, cominciò Thèodred.
“Mio signore, il Re ha bisogno di riposare ora” s’intromise Grima.
“Senti tu, pompos-”
“Éomer! Basta così! Grima sta solo cercando di prendersi cura di me”, sbottò Thèoden.
“Andate ora figlioli”, aggiunse poi raddolcito, “Avete bisogno di riposare anche voi. Vi vedrò questa sera a cena”.
“Rimettetevi in fretta zio” sussurrò Éowyn, prima di richiudersi la porta alle spalle, “Il vostro popolo ha bisogno di voi”
Ed Edoras non mi è mai sembrata così spenta.
 

* * *
                                                                           

“Nasconde qualcosa, mi pare ovvio.” borbottò Éomer, con tono più preoccupato che polemico, quando i tre giovani furono di nuovo soli.
“Non nego che questa faccenda mi preoccupi alquanto. E ci sono alcune cose che mi rimangono tutt’ora oscure. Ma questa non è un’accusa leggera, amico mio” rispose Thèodred, “Grima è al servizio della nostra famiglia da molti anni, e ci ha sempre reso dei buoni servigi. Non intendo dubitare di lui senza un valido motivo”.
“Un valido motivo?” ringhiò suo cugino, “Cosa vorresti fare, aspettare che…”
“Éomer, calmati! Cosa credi, che la salute e la sicurezza di mio padre non siano importanti per me? Ma abbiamo solo sospetti, e per di più nemmeno fondati. Gli attacchi degli Orchi si fanno ogni giorno più frequenti e feroci, la nostra priorità è…”
“La mia priorità è la mia famiglia” sibilò Éomer, “Ancora prima del mio stesso popolo” concluse, allontanandosi.
 
“Éomer!” provò a richiamarlo sua sorella, ma fu tutto vano, il giovane la ignorò.
“Mi dispiace” cominciò Éowyn, voltandosi verso il cugino, “Se vuoi posso provare a…”
“No, in questo momento sarebbe inutile” sospirò Thèodred.
“Lui è fatto così” mormorò la giovane, come a volersi scusare.
“Lo so Éowyn, non preoccuparti. Tuo fratello ha un cuore sincero e uno spirito nobile, ma a volte il suo carattere impulsivo lo porta ad agire in maniera avventata, e pericolosa. Specialmente per se stesso. Io capisco perfettamente le sue ragioni. E non credere che non condivida in pieno le sue paure”.
“In questo momento però, ritengo sia più saggio adottare una diversa strategia” continuò, “Ed è per questo che vorrei chiederti di tenere gli occhi aperti, e di vegliare su mio padre, quando a me non sarà possibile. Puoi farlo, Éowyn?”
La ragazza annuì decisa: “Non hai bisogno di chiedermelo, cugino”
Ma una parte di lei, una parte piccola, eppure pericolosamente insistente, le sibilò: Pessima decisione, ragazza mia. Ti stai cacciando in una trappola, lo sai?
 
Quel fastidioso sussurro durò solo una manciata di secondi, tuttavia c’era stato, ed eliminarlo mai sarebbe stato possibile.
“Ora però vai da Éomer. Cercate di chiarirvi, ti prego.”
Thèodred annuì sorridendo, e dopo averle dato un bacio in fronte si allontanò.
 

* * *     
                                                       
 
“Mi dispiace aver reagito in quel modo, oggi pomeriggio”
“Hai parlato con Thèodred?”
 
Fratello e sorella erano seduti davanti al fuoco, nella loro vecchia ‘sala dei racconti’.
 
Éomer fece un cenno positivo col capo: “Ma le mie preoccupazioni ovviamente rimangono. Quando non saremo a palazzo…”
“Veglierò io su di lui” annunciò solennemente Éowyn.
“Ma fa' attenzione sorella, te ne prego. Se ti dovesse accadere qualcosa…”
“Non dire sciocchezze, sei tu quello che rischia la vita là fuori” ribattè lei, rabbrividendo al pensiero, “Non può succedermi nulla a palazzo”.
“Éowyn, parlo sul serio: promettimi che non farai nulla di avventato!”
“Solo se tu farai altrettanto,” rispose la giovane, sforzandosi di sorridere: “Torna da me.”
“Sempre,” annuì Éomer.
“Sempre.”
 

 




 



Angolino Benninico:
*devo smetterla di mangiare la pastafrolla o non ne rimarrà più per i biscotti >.<*
 
Saaalve!
Mentre aspetto che il forno si scaldi ne approfitto per postare il capitolo 10, enjoy!
 
Volevo solo dire che ho adorato descrivere Eomer ♥ lo amo ogni giorno di più.
Spero come sempre che vi piaccia!
Grazie infinite come sempre a tutti voi che leggete, alle recensiste ♥ e a chi mi segue e preferisce =D
Siete la mia gioia ♥
 
Un grande abbraccio, alla prossima!
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Veleno ***


 

Veleno
 
 



“Mamma! Mamma, dove sei?”
“Sono qui Éowyn. Segui la mia voce, piccola! Sono proprio davanti a te…”
“Mamma… 
É tutto buio qui, non vedo nulla…”
 
La giovane avanzava a tentoni, cercando di seguire la dolce voce della madre, ma intorno a lei non vi era altro che la più cupa oscurità.
 
“Éowyn!”
Una seconda voce, più profonda e indubbiamente maschile, si aggiunse a quella di Thèodwyn.
“Papà!” esclamò l’interpellata, “Papà, sei tu?”
“Sono Éomer, sorellina! Non mi riconosci? Vieni da me, Éowyn, da questa parte…”
“Éowyn! Éowyn!”
Thèodred, suo padre, zio Thèoden… Erano tutti lì.
 
Non vi vedo, non riesco a trovarvi, avrebbe voluto gridare la giovane, in preda alla frustrazione, ma non riusciva ad articolare alcun suono.
Finalmente, dopo quello che le sembrò un tempo interminabile, riuscì a distinguere una sagoma, in fondo a quello che aveva tutta l’aria di essere un corridoio.
Non appena fu abbastanza vicina, l’ombra si voltò verso di lei, rivelando le fattezze di Grima.
“Tu!” sibilò Éowyn, a denti stretti.
“Dov’è la mia famiglia?” chiese poi.
“Sono morti. Sono tutti morti” rispose Grima, con un ghigno crudele.
 
Éowyn urlò. Urlò e urlò. Stava ancora urlando quando, aprendo gli occhi, si ritrovò nel suo letto.
Era madida di sudore, e si sentiva come se tutta l’aria le fosse stata rubata dai polmoni.
Si tirò su a sedere di scatto, scendendo poi dal letto, e dirigendosi verso una delle grandi finestre della sua camera.
Ai suoi piedi, una delle assi ricoprenti il pavimento, era parzialmente rimovibile, e al di sotto di essa si trovava una sorta di vano.
Quando lo aveva scoperto, la giovane ne aveva immediatamente fatto il suo ‘nascondiglio segreto’.
Vi custodiva gelosamente tutti gli oggetti più preziosi che possedeva. Tra di essi, i ‘cimeli’ a cui teneva di più erano costituiti da una spada regalatale segretamente da Thèodred, e dai vecchi dipinti di sua madre, una volta appartenuti a suo zio.
 
Come sempre, le bastò dare uno sguardo al bel volto sereno di Thèodwyn, perché il suo cuore tornasse a battere normalmente, e il suo respiro si acquietasse.
Sentiva sua madre incredibilmente vicina in quel modo, come se stesse ancora vegliando su di lei.
Non era la prima volta che simili incubi la tormentavano.
Tuttavia, si facevano così oscuri e frequenti solo quando i suoi fratelli non erano a palazzo, lasciando ogni volta la ragazza spossata e angosciata.
 
Una volta calmatasi però, subentrava la rabbia, profonda e bruciante.
Rabbia contro tutto e tutti, senza alcuna distinzione.
Contro la sua natura di donna e le convenzioni sociali, che le impedivano di agire come avrebbe davvero desiderato.
Rabbia contro gli Uruk Hai, creature disumane e infernali, che razziavano senza pietà la sua bella terra, tenendo lontane da lei le persone più care, e minacciando di strappargliele da un momento all’altro.
Rabbia verso Grima, perché, Éowyn ne era certa, il lento ma inesorabile decadimento che aveva colpito suo zio, non poteva essere che opera sua.
Infine però, il biasimo più grande era rivolto a se stessa, e alla promessa fatta al cugino sei anni prima.
Éowyn ricordava fin troppo bene quel giorno: il sollievo per il ritorno dei suoi fratelli, la costernazione di Thèodred, la rabbia di Éomer… E suo zio, debole ma sorridente… Sì, sorridente e fiducioso nei confronti di chi, invece, non aveva fatto e non faceva tuttora altro che approfittarsi di lui.
 
Éowyn avrebbe voluto urlare, e prendere a calci qualcosa: mai prima di allora si era sentita così impotente, così… in trappola! In trappola nella sua stessa casa!
Una gabbia, ecco cos’era diventata per lei Meduseld, ormai. Una gabbia che lei stessa aveva contribuito a costruire.
Il suo amore per colui che l’aveva allevata come una figlia, la teneva incatenata lì, allontanando per sempre i suoi sogni di gloria.
Colui che era stato come un padre per lei… e che adesso era ridotto all’ombra di se stesso.
Thèoden non usciva quasi più ormai, non chiedeva più consiglio a nessuno che non fosse Grima, trattando con diffidenza e sospetto persino coloro del suo stesso sangue.
La sua pelle era avvizzita, le membra fiacche, gli occhi spenti, vuoti, indicibilmente stanchi.
E Rohan, insieme al suo Signore, appassiva giorno dopo giorno.
 
Com’erano giunti a quel punto, si chiedeva Éowyn, mestamente, come avevano potuto lasciare che qualcosa del genere accadesse? E come sarebbe stato possibile ora, porvi rimedio?
Grima era troppo astuto per lasciare prove, e il Re era completamente in sua balia, stregato e ammaliato dalle sue velenose parole.
Sembrava vi fosse qualcos’altro all’opera, dietro le diavolerie del Vermilinguo, come aveva preso a chiamarlo la gente: una minaccia più oscura, dai contorni indefiniti e sfocati, alla quale Éowyn non riusciva a dare chiaramente forma.
Che cosa poteva, una donna come lei, di fronte a tutto ciò? A cosa le erano servite tutte quelle lezioni, tutti gli allenamenti, tutte quelle ore spese a faticare pazientemente, sognando un futuro diverso, un futuro di gloria? A nulla! Non era diversa da tutte le altre donne, e il suo compito altro non era ormai che quello di un bastone. Un’umile verga di legno, alla quale un vecchio si appoggiava per cercare sostegno.
 
L’oscurità le riusciva insopportabile quella notte: era opprimente, toglieva il respiro.
Forse una passeggiata mi aiuterà a calmarmi pensò, incapace di riprendere sonno, potrei recarmi alle cucine, per cercare un po’ d’acqua.
Fosse stato giorno, sarebbe probabilmente saltata in groppa a Dahira, e poi via lontano… Solo per un po’… Solo fino a sera…
Ma a quell'ora del mattino, non era forse la cosa più saggia da fare rimuginò tra sé e sé, allontanandosi dalla sua stanza e dirigendosi verso le scale.


* * * 
 
                                                                            
Alla fine decise di scaldarsi una camomilla, una delle poche cose che erano sempre riuscite a calmarla davvero.
Il ricordo della prima volta in cui Thèoden gliel’aveva fatta preparare, la trafisse con un’intensità tale da farle salire le lacrime agli occhi. Si era svegliata di soprassalto a causa di incubo anche quella notte, ma allora un temporale infuriava, contrariamente ad adesso: il cielo ora, infatti, era limpido come non mai. Eppure, nonostante la calma e il silenzio, il suo turbamento attuale era assai più profondo. Quella notte aveva pianto, ma aveva avuto zio Thèoden accanto a sé… ora invece era sola.
 
Sola…
 
Éowyn, non si accorse di aver parlato a voce alta fino a quando non udì qualcuno risponderle: “Dev’essere difficile per voi, mia signora… Sempre confinata qui a palazzo, senza sapere nulla dei Principi, lontani là fuori…”
Una voce subdola e sibilante, che l’aveva seguita fin da dentro i suoi incubi…
 
Éowyn sussultò, mentre un rivolo freddo di sudore le correva lungo la schiena. Quasi inconsapevolmente afferrò un coltello, che giaceva abbandonato sul tavolo, e lo nascose sotto la veste, prima di voltarsi.
“Che cosa ci fai qui, mastro Vermilinguo?” chiese con veemenza.
 
Grima non sembrò impressionato, né dal nomignolo, né dal tono rabbioso della giovane.
Si avvicinò al tavolo, con una lentezza inquietante, umettandosi le labbra con la lingua, e senza mai interrompere il contatto visivo.
Éowyn in cuor suo avrebbe solo voluto fuggire, come quando si avvista una serpe velenosa, ma s’impose di non tremare e di restare al suo posto.
Sii forte, sii più forte della paura: parole che molte volte aveva sentito suo padre ripetere a sua madre, le risuonavano ora nella testa.
 
“Potrei chiedervi la stessa cosa” rispose infine l’uomo, “Nel mio caso si è trattato di un improvviso… Languore”
Così dicendo si avvicinò ancora di più, quasi a volerla sfiorare, poi però cambiò direzione all’ultimo momento.
Si sedette su una delle panche e allungò la mano verso un vassoio, su cui si trovavano alcune fette di dolce avanzate dalla sera prima.
Il Vermilinguo ne prese una buona porzione, poi il suo sguardo tornò su Éowyn: “Non vorreste farmi compagnia, vostra altezza? Credevo vi sentiste sola...”
Éowyn scosse il capo, improvvisamente incapace di ribattere, mentre Grima continuava a mangiare.
Una volta finito, leccò sia il piatto che le dita: Éowyn lo fissava, piena di disgusto.
 
“Dolcissima Éowyn…” soffiò l’uomo, alzandosi e avvicinandosi a lei: era passato a darle del tu, di punto in bianco.
“Così bella, così fiera… E così sola. Non senti le pareti di questo palazzo farsi ogni giorno più strette attorno a te? Non desideri poter uscire a tuo piacimento da qui, come fa tuo fratello? Lui non si cura della salute di tuo zio, non è vero?”
Éowyn sussultò a quelle parole menzognere: come poteva anche solo insinuare una cosa del gener-
Ma la voce di Grima interruppe nuovamente i suoi pensieri: “Le cose non devono per forza restare così, sai, Éowyn? Potresti essere una donna diversa, IO, potrei darti una vita diversa… Sì potrei, se solo tu…”
Lasciò deliberatamente la frase in sospeso, allungando una mano verso il suo viso, ma prima che potesse raggiungerlo, la ragazza si era già ritratta.
 
“Non osare sfiorarmi, serpente!” urlò.
“Non ascolterò una parola di più” aggiunse poi, “Esse sono solo… Veleno!”
 
E prima che Grima potesse reagire era già corsa via.
Lacrime, calde ed amare, le scendevano lungo le guancie.
Éowyn pregò intensamente, per la prima volta in vita sua dopo tanto tempo.
Pregò che i suoi fratelli fossero salvi, che Grima si strozzasse nel sonno, che zio Thèoden tornasse cosciente di sé e della realtà delle cose… E che una nuova alba sorgesse presto, per portarle speranza, e promesse di libertà.

 
 
   
 




 


Angolino Benninico:
Lo so, lo so, lo so! Perdonatemi amici, sono in ritardo mostruoso >.<…
Tra vari casini e preoccupazioni, poi cali d’ispirazione, poi Bofa che mi ha lasciata con un miscuglio di emozioni tutte diverse e contrastanti e concentrazione zero… riesco a postare solo ora. E per di più con un capitolo assai angosciante appena prima di Natale ^^”… Perdonatemi!!
Però devo dirvelo, ne sono stranamente soddisfatta: sono (credo!) riuscita a esprimere bene quello che volevo… ci tenevo a dedicare un capitolo solo a loro due… Per quanto io detesti quell’uomo, grrr.
Ho inventato questa scena, come avrete notato, sfruttando alcune battute dette nel film in un’altra scena.
Ho immaginato che Grima seguisse spesso Eowyn di nascosto, perché ce lo vedo bene a fare una cosa del genere, e lo rende ancora più inquietante.. voi che ne pensate? Vi è piaciuto?
Ah, il fatto che Eowyn chiami sia Eomer che Thèodred fratelli è perché li ama e considera tali tutti e due.. e perché non mi andava ogni volta di scrivere ‘fratello e cugino’ xD.
Siamo nel 3018, Eowyn ha 23 anni… praticamente la Guerra dell’Anello è imminente ;)
Direi che ho detto tutto, passiamo all’…
 
Angolino del grazie:
A voi santi che continuate a leggere, seguire o preferire, per la vostra fedeltà e pazienza infinita.
Come sempre un grazie speciale alle mie fantastiche recensiste che mi danno la carica ogni volta, e un grande benvenuto a Carmaux_95!
Grazie di rendere possibile tutto ciò amici e amiche ♥
Infine un abbraccio di cuore alla mia cara Xingchan che mi ha fatto un grande onore citandomi nella sua bellissima storia : 
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il Grigio Pellegrino ***


                                                                         
                             
   A Melianar
                                                                                                                          Buon compleanno, amica mia!
 

 
Il Grigio Pellegrino
                                                       


“Lo sai, vecchio mio, dovresti proprio smetterla di infastidire Dhaira. Come dici? Qui ci sei arrivato prima tu? Lo so bene, ma lei è una signora, caro mio, va rispettata”.
 
Éowyn ridacchiò fra sé e sé: splendido, ora parlava anche con i cavalli.
Se qualcuno l’avesse sentita…
 
Che vadano tutti quanti in malora, pensò amaramente, me ne infischio di ciò che potrebbe dire la gente…
E poi, il quadrupede con cui stava ‘conversando’ non era un animale qualunque…
Si chiamava Ombromanto, signore di tutti i cavalli: il più possente e regale fra i Mearas del regno di Rohan.
Aveva uno spirito indomito, e non si lasciava cavalcare quasi da nessuno, e ad ogni modo, anche in quei rari casi, solamente alla maniera elfica, ossia senza sella.
Il suo carattere, forte e imperioso, lo portava spesso a bisticciare con Dahira, che in quanto a testardaggine non era da meno.
 
Éowyn ne era completamente stregata: Ombromanto rappresentava l’incarnazione stessa di tutto ciò che la ragazza avrebbe mai potuto desiderare… Forza, agilità, destrezza, indipendenza…
Libertà.
“A volte ti invidio davvero molto, amico mio” mormorò, socchiudendo gli occhi e appoggiando la fronte contro il muso dell’animale, “Tu, che non lasci che sia nessuno a decidere del tuo destino. Solo a chi viene scelto da te è concesso l’onore di salirti in groppa… E sempre e comunque alle tue condizioni”.
 
Ombromanto nitrì, sfiorandole affettuosamente la mano col muso, mentre con una zampa batteva per terra.
Sembrava quasi che avesse capito perfettamente ciò che la giovane gli aveva detto… E a dire il vero di questo Éowyn era praticamente sicura: c’erano più arguzia e intelligenza in quel magnifico animale, che non in alcuni sciocchi e vanitosi damerini di corte… Più lealtà e onore, che non in quel sudicio e disgustoso rettile di nome-
 
“Sapevo che ti avrei trovata qui”
Éowyn si riscosse e sorrise al suono di quella voce.
“Ciao fratellone” rispose, senza voltarsi.
Éomer le si avvicinò lentamente, andando poi ad accarezzare Ombromanto con una mano, e a cingere le spalle della sorella con l’altra.
Per alcuni istanti rimasero così, in silenzio, godendosi il Sole che faceva capolino da una delle finestre delle scuderie.
 
“Quanto durerà?” Éowyn udì infine la sua voce chiedere.
Éomer s’irrigidì al suo fianco, e si volse a guardarla: “Che cosa?”
“Tutto questo…” sospirò la fanciulla, “Questa situazione… Sempre sospesa nell’ansia di non sapere come stiate tu e Thèodred, sempre in attesa del vostro ritorno, sempre aggrappata a questi pochi giorni di pace in cui entrambi siete qui, e che mi sembrano momenti irreali, sbagliati, rubati alla vita… E quando la realtà si ripresenta con tutta la sua spietatezza, trascinandovi immancabilmente lontani da me, per quella che potrebbe essere l’ultima volta, sento una lama trafiggermi il petto! E nostro zio è così lontano ormai, da sembrarmi irraggiungibile. Quanto ancora, Éomer? Quanto ancora dovrò sopportare tutto questo?”
La sua voce si era rotta ormai, ed Éowyn scoppiò a piangere, come non faceva da tempo, sulla spalla di suo fratello.
 
“Si aggiusterà tutto” mormorò lui, stringendola e baciandole dolcemente i capelli, “Te lo prometto, troveremo il modo. Non so come, ma lo faremo. Non lascerò che il nostro popolo continui a marcire così”
Erano solo parole, lo sapeva bene, ma di più in quel momento non poteva fare.
 
“Éowyn…” chiese poi titubante, “Tu stai bene però, non è vero?”
La giovane lo fissò perplessa: “Ma certo. Perché me lo chiedi?”
Éomer esitò: forse perché non è da te lasciarti andare in questo modo? Certo, ognuno di noi ha un suo punto di rottura, ma se le fosse successo qualcosa mentre non ero qui? Qualcosa che non vuole raccontarmi? Ma perché mai dovrebbe volermi tenere nascosto qualcosa?
A quest’ultimo pensiero però sussultò: non sarebbe stata certo la prima volta…
 
“Nulla, sorellina” rispose, “Semplice preoccupazione fraterna. Anche se ormai dovrei saperlo che sai perfettamente difenderti da sola”aggiunse con un tono quasi cospiratorio, e facendole l’occhiolino.
Éowyn ci mise qualche secondo a capire che cosa il fratello intendesse davvero: “Tu… Tu lo sai? Come? Ѐ stato forse Thèodred a dirtel-”
“Oh no!” la interruppe lui, “No, l’ho scoperto da solo. Vi ho seguiti un giorno” ammise col tono di chi si vergogna un po’.
“E non sei… arrabbiato?” chiese
Éowyn, leggermente incerta.
“Forse all’inizio” sospirò Éomer, “Poi però ho pensato che dovevate avere entrambi le vostre buone ragioni. E che insomma, Thèodred non ti avrebbe mai messa in pericolo deliberatamente, no? Ora come ora sono solo che felice che tu sappia difenderti, a patto ovviamente che ti limiti a quello. Tutto ciò che è rimasto allora, è stata la delusione. Mi dispiaceva sapere che me lo stavi tenendo nascosto, e ancora di più che non avessi chiesto a me di darti lezioni”
“Mi dispiace fratello, perdonami! Non è che non mi fidassi di te… E sarei stata felice di averti come insegnante… Ma Thèodred… ecco lui…”
“Shh, non mi devi spiegazioni” la zittì il giovane, ponendole un dito sulle labbra, “Thèodred è speciale, lo capisco benissimo. Vedo in che modo lo ascoltano gli uomini, come lo guardano, e come lo guardo io. È un uomo che seguirei in capo al mondo, un uomo che sarei pronto a chiamare ‘Mio Re’ in questo preciso istante. Lui è nato per tutto questo… Sarà un grande sovrano”.
“Anche tu lo sarai un giorno” disse dolcemente Éowyn, prendendolo per mano.
“Forse” ridacchiò lui, “Ma temo di avere una testa troppo calda”
“Oh sì, ci si potrebbe cuocere un uovo” lo prese in giro sua sorella, unendosi alle sue risate.
 
 
                                                   
* * *


 
Non appena rientrata, Éowyn notò una certa agitazione a palazzo.
 
“Sembra che vostro zio abbia ricevuto un visitatore inatteso” le spiegò il vecchio Galmond, “E a quanto pare non molto gradito”.
Non gradito a mio zio, o non gradito a Grima? avrebbe voluto chiedere Éowyn, con tono pungente, ma Galmond quel giorno non sembrava essere particolarmente in vena di chiacchiere.
La fanciulla decise quindi di andare a verificare di persona, e, salutato l’anziano servo, si avviò verso la sala del trono.
Quando vi giunse però, il colloquio era già praticamente concluso.
 
“Non sei il benvenuto qui, ti ripeto!”
 
La voce di suo zio pareva più alta del solito, e c’era una strana nota nella sua voce: una nota maligna, che Éowyn non aveva mai sentito, e che le fece accapponare lievemente la pelle. La giovane si nascose dietro una delle alte colonne.
 
“Prendi un cavallo, sceglilo a tuo piacimento, e lascia subito le mie terre!”
 
Éowyn non udì la risposta del misterioso visitatore, poté solo scorgere un’anziana figura ammantata di grigio allontanarsi furente, e il ghigno soddisfatto di Grima, alla destra di Thèoden.
Animata da un curioso presentimento la giovane tornò di corsa verso le scuderie.


* * *

 
Non appena vi giunse, trovò che Ombromanto era ancora al suo posto.
“Grazie al cielo!” esalò la fanciulla, “Credevo davvero che quello strano uomo avrebbe scelto te…”
Ma che sciocca, cosa vado a pensare? Quasi nessuno è in grado di domarti…
 
“Vi prego di scusarmi mia signora, ma temo proprio che mi occorra quel cavallo”
 
Come non detto…
 
Éowyn si voltò, trovandosi faccia a faccia proprio col misterioso interlocutore di suo zio.
Come aveva già in parte intravisto, si trattava di un uomo decisamente anziano. Oltre a una tunica grigia, il suo vestiario comprendeva un grande cappello blu a punta, una sciarpa argentata e dei neri stivali.
La caratteristica che più colpì Éowyn furono le sopracciglia: erano così lunghe e folte, da spuntare addirittura da sotto l’orlo del cappello.
Il suo viso era stanco e sciupato, e nelle rughe che incorniciavano gli straordinari occhi azzurri parevano scolpite pesanti preoccupazioni, come se fosse scampato per un pelo a un tremendo pericolo.
 
“Chi siete?” domandò Éowyn, timidamente.
 
Non sapeva spiegarsi il perché, ma quell’individuo le ispirava una sorta di timore reverenziale.
Nonostante infatti, l’aspetto umile e dimesso traesse in inganno, Éowyn percepiva, in maniera misteriosa, di trovarsi di fronte a uno spirito assai nobile e antico.
Era una convinzione senza alcun basamento logico o razionale, ma Éowyn era testardamente certa di avere ragione: e poi bastava guardare quanto docile e remissivo si mostrava Ombromanto, ad ogni suo tocco!
 
“Un amico” rispose l’uomo nel frattempo, con voce profonda, “O perlomeno è ciò che ho provato a ricordare al Re. Lo conosco da molti anni”
“Mio zio sembrerebbe non essere più capace di distinguere gli amici dai nemici” mormorò Éowyn con amarezza, come parlando fra sé.
 
L’espressione del vecchio si addolcì, e un guizzo passò nei suoi occhi: rimase alcuni istanti in silenzio, osservando la giovane con fare pensoso.
Éowyn non si sottrasse a quello scrupoloso scrutinio, e sostenne con fermezza quello sguardo penetrante, senza mai distogliere il suo.
L’uomo ne parve alquanto soddisfatto e riprese a parlare, sorridendo: “Vostro zio dite? E così voi dovete essere dama Éowyn, figlia di Éomund dell’Ovestfalda”.
 
Conosce il mio nome! Era forse anche amico di mio padre?
 
Prima che la giovane potesse formulare a voce alta la domanda, lo sconosciuto continuò: “Ho sentito il popolo di Edoras parlare con affetto di voi, mentre mi avviavo a palazzo. E ora ho potuto constatare di persona che siete più bella e più fiera di quello che dicono. Adesso devo purtroppo lasciarvi, affari urgenti mi reclamano altrove. Ma non perdete la speranza, coraggiosa signora: voi non siete sola. Rohan non è sola”.
 
E detto ciò montò senza fatica in groppa a Ombromanto, con un unico fluido movimento, partendo poi di gran carriera al galoppo.
 
Éowyn lo guardò andare via, leggermente intontita.
E così, in pochi minuti, anche Ombromanto l’aveva lasciata. E chi era davvero quello strano uomo, che sembrava sapere così tante cose di lei, e che si diceva amico di Rohan?
 
La ragazza, ancora frastornata, si avviò verso l’uscita delle scuderie: cominciava a imbrunire, e si stava alzando il vento.
Alle sue spalle udì qualcuno avvicinarsi di corsa: era Thèodred.
Suo cugino le si fermò di fianco, il viso rosso per lo sforzo: “Ѐ già ripartito?”, domandò col fiato ancora mozzo.
“Tu lo conosci?” chiese Éowyn di rimando.
Thèodred annuì: “Non lo vedevo da molto tempo. Si chiama Gandalf, Gandalf il Grigio. O perlomeno questo è il nome con cui è noto nelle nostre terre. Era amico di mio nonno, come pure di mio padre, sai, prima che…”
Thèodred lasciò la frase in sospeso, ma entrambi sapevano fin troppo bene che non c’era bisogno di aggiungere altro.
“Chissà che cosa voleva” continuò Thèodred, “Non sono nemmeno riuscito a parlarci… Ti ha detto qualcosa?”
“Di non perdere la speranza” rispose Éowyn, “E che… Non siamo soli”
Thèodred non disse nulla, e le circondò le spalle con un braccio, come aveva fatto Éomer, quella stessa mattina.
I due cugini rimasero così, dolcemente abbracciati, a guardare il Sole tramontare a Occidente, mentre Ombromanto e il suo grigio cavaliere, svanivano a poco a poco all’orizzonte.

 
 
 
   
 



 

 
Angolino Benninico:
Buon anno a tutti e ben ritrovati!
Perdonate l’ennesimo ritardo ma sono tornata oggi dalla montagna, e non sono riuscita a terminare il capitolo prima di partire.
E così ha fatto capolino Gandalf ^^! Vi ho sorprese? Vi è piaciuto?
Il nostro stregone, durante il consiglio di Elrond, racconta di essersi recato a Rohan una volta fuggito da Orthanc, e che qui Thèoden gli abbia ‘gentilmente’ chiesto di andarsene, prendendo pure il cavallo che desiderava: con grande disappunto del Re, Gugo scelse Ombromanto.
E a proposito di Ombromanto mi sono presa due piccole libertà: quando Gandalf lo trova non è nelle scuderie, ma libero nei prati, e poi ho scritto che quasinessuno lo aveva cavalcato. Tolkien invece se non ricordo male dice proprio nessuno.
Anyway a parte ciò spera vi sia piaciuta questa mia invenzione dell’incontro tra il grigio pellegrino ed Eowyn ^^!
E quel furbone di Eomer sapeva degli allenamenti ;)…. Beh, dai alla fine penso ci stia come cosa… Non ce la facevo a tenerglielo del tutto nascosto..
Bien credo sia tutto, ringrazio come sempre tutti quelli che mi dedicano del tempo leggendo queste righe, le mie fanta meravigliose recensiste, e chi mi segue e ricorda.
Per ultimo auguri al nostro amato professore, che domani avrebbe compiuto… 123 anni!!! ♥
 
Alla prossima, vi abbraccio!
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I Guadi dell'Isen ***


 

I Guadi dell'Isen
 
 
Nda: il momento è giunto D: solo una parola di avviso: angst!!!

 
Poche cose su questa terra possiedono la terrificante forza devastatrice dell’odio: esso annebbia la mente, distorce la ragione, imprigiona l’anima in un tormento di tenebra e fiamme: un tormento autodistruttivo certo, ma che inevitabilmente finisce per travolgere tutto ciò che sta intorno.
Odio, cieco furore: ecco l’unico, pericoloso sentimento, che governava la vita (se di vita si può parlare) degli Orchi di Isengard.
Ma ancor più pericoloso di quelle laide creature, era colui che le controllava, che tirava i fili.
Saruman, lo Stregone Bianco, Signore della torre di Orthanc.
Un tempo alleato di Rohan, mirava ora alla sua distruzione.
Non c’era tempo per chiedersi il perché: molto era già stato fatto dal nemico, per raggiungere il suo ultimo scopo, e la mossa più malevola e infida, se ne rendeva conto ora Thèodred, era stata quella di ridurre all’impotenza suo padre.
Grima, che altro non era a sua volta che uno schiavo dello Stregone Bianco, aveva agito con astuzia e sconfinata pazienza, stringendo a poco a poco il Sovrano di Meduseld fra le sue spire, come il peggiore dei serpenti.
Per la prima volta, dopo molti anni trascorsi dalla sua infanzia, Thèodred aveva paura.
Non per sé stesso, o meglio anche, ma principalmente per il suo regno e la sua famiglia.
 
Cosa succederà a Rohan, a mio padre, ai miei cugini, se mi dovesse accadere qualcosa?”
E gli scenari possibili che gli si aprivano di fronte lo lasciavano angosciato e sgomento.
Più di ogni altra cosa temeva per Éowyn: il loro rapporto era stato profondo e speciale, fin dal primo giorno.
Thèodred era diventato ben più di un semplice cugino per lei: era come un secondo fratello, e lei, per lui, la sorella che non aveva mai avuto.
Con l’aggravarsi delle condizioni di Thèoden poi, Thèodred aveva anche assunto una sorta di ruolo paterno: la sua era una figura unica e insostituibile nella vita della giovane.
L’affetto che Éowyn provava per lui non era certo superiore a quello per il suo vero fratello, ma si sa: ai familiari più stretti si tende spesso a disobbedire.
Thèodred invece aveva un ascendente particolare: non essendoci cresciuta insieme fin dalla nascita, la giovane gli dava molto più retta.
 
Thèodred cercò di riscuotersi, e si rimproverò mentalmente: “Questi pensieri funesti non ti porteranno da nessuna parte. Sei sempre tornato, sei in gamba, e circondato dai uomini migliori che potresti mai desiderare al tuo fianco! Perciò smettila, e concentrati sulla situazione presente”
 
Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a scacciare l’oscuro presagio che si era instillato nella sua mente fin dal momento della partenza, rodendogli l’anima e il cuore senza alcuna pietà.
Forse era anche per quello che aveva ordinato ad Éomer di restare a casa.
 
 
“Cosa ti fa credere anche solo per un momento che ti lascerò andare da solo? Io ci sarò! Starò la fuori, al tuo fianco, come ho sempre fatto e sempre farò. Quello è il mio posto, Thèodred, e tu non puoi chiederm-”
“E infatti non te lo sto chiedendo, cugino. Te lo sto ordinando” ribattè l’altro, sottolineando con enfasi l’ultima parola, “Come tuo capitano, e come tuo principe”.
Éomer era rimasto spiazzato per qualche secondo: quella era la prima volta, da quando conosceva il cugino, che Thèodred faceva valere apertamente la sua alta carica e la sua autorità. Era sempre stato molto umile, persino con i soldati più semplici: mangiava con loro, parlava, scherzava, era costantemente in prima fila, come uno di loro. Il suo solo carisma gli procurava più lealtà e devozione dei tanti prestigiosi titoli di cui poteva legittimamente fregiarsi.
“Perché?” si udì infine chiedere Éomer, “Io non ho paura…” mormorò, pur sapendo che non era quello il problema.
Thèodred parve raddolcirsi comunque: “Non so spiegarmelo nemmeno io, amico mio. Cattivi presentimenti mi tormentano da ieri, e ho bisogno di saperti a palazzo, vicino a mio padre e a tua sorella, se mi dovess-”
“Non dirlo, non voglio sentire simili discorsi!” lo interruppe Éomer con stizza.
“Il fatto che tu non voglia non cambia la realtà delle cose” proseguì Thèodred, con un sorriso carico di amarezza, “Perciò promettim- Éomer guardami!- Promettimi che ti prenderai cura di loro. Che farai tutto il possibile per proteggere ciò che rimane di Rohan, e della nostra famiglia”.
“E tu promettimi che mi manderai a chiamare, se ti servisse il mio aiuto” chiese Éomer in cambio, prima di stringere a sé il cugino in un lungo e silenzioso abbraccio.
 
Congedarsi da Éowyn non era stato altrettanto ‘semplice’.
 
“Ricordami di che assurda missione si tratta questa volta”.
Thèodred sospirò, abituato al pungente sarcasmo che ogni tanto sua cugina amava sfoderare.
“Conosci bene quanto me le intenzioni di Saruman. I nostri esploratori parlano di battaglioni di Orchi, intenzionati a invadere il Regno da un giorno all’altro. I Guadi dell’Isen sono un punto nevralgico per la difesa di Rohan, ed è da lì che il nemico-”
“Penetrerebbe con più facilità” concluse per lui la ragazza, con un sospiro.
“Precisamente” proseguì Thèodred, “Quindi capisci perch-”
“No!” urlò Éowyn, stupendosi lei stessa di quell’improvvisa aggressività, “O meglio sì! Capisco il perché, ma non lo accetto! Non può pensarci qualcun altro? Hai già fatto tanto per Rohan! Ti prego, non lasciarmi ancora una volta…”
“Se davvero mi vuoi bene non dovresti nemmeno chiedermela una cosa del genere” rispose Thèodred, imponendosi di usare un tono severo, nonostante le parole di lei gli spezzassero il cuore “Perderei il rispetto di me stesso e di tutti i miei sudditi”.
“Ma io non voglio perdere te…” mormorò Éowyn, spietatamente sincera, lasciandosi andare contro il suo petto.
Le muscolose braccia di lui salirono immediatamente a circondarle la schiena: “Tu non mi perderai mai. Te lo prometto”.
 
 
Quelle ultime parole continuavano a tormentarlo, come pure le immagini di quelle tristi separazioni.
E pensare che non aveva nemmeno detto addio a suo padre… Addio… perché addio? No, arrivederci piuttosto! Perché sarebbe tornato, DOVEVA tornare, aveva fatto una promessa. E i Re mantengono sempre la parola data, no?
 
Quello mattina era sembrato andare tutto per il meglio: dopo aver lasciato tre compagnie di cavalieri, assieme a palafrenieri e cavalli di riserva, sulla linea orientale, egli stesso aveva superato i Guadi con otto compagnie, in aggiunta ad una di arcieri.
Si erano battuti contro un’avanguardia nemica, venti miglia più a nord, infliggendole gravi perdite.
Poi però era andata sempre peggio: nuove forze Isengardiane giunte da Ovest li avevano costretti a un’improvvisa ritirata, ed erano riusciti a raggiungere i Guadi per miracolo, mentre il giorno stava morendo.
Thèodred aveva appena mandato Grimbold, uno dei suoi migliori capitani, a difendere la riva Occidentale, quando accadde il vero disastro: i reparti di Saruman che procedevano sulla parte Orientale fecero irruzione con improvvisa facilità. Tra di loro vi erano alcuni cavalleggeri Dunlandiani e una grande muta dei tremendi Mannari, assai temuti dai cavalli.
Si scatenò il panico.
 
Non così… Non poteva essere davvero quella la fine.
 
Ma una parte di lui lo sapeva: lo sapeva dal momento in cui aveva lasciato casa sua.
Sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta, in cui avrebbe visto le mura dorate di Meduseldgli occhi fieri e sinceri di Éomer, il viso stanco e quasi irriconoscibile di suo padre… E il volto più bello e luminoso di tutti: il volto di Éowyn.
Perdonatemi… Perdonatemi tutti.
“A me, Eorlingas!” urlò con quanto fiato aveva in corpo.
 
E Grimbold lo sentì. Presi con sé i pochi uomini che aveva vicini si precipitò all’isolotto dove il suo Signore si stava battendo come una furia.
Lo vide urlare, menare colpi precisi e letali, a qualunque nemico gli capitasse a tiro. Ma quelli erano in troppi.
Thèodred gli cadde tra le braccia, proprio nell’istante in cui era riuscito finalmente a raggiungerlo, abbattuto da un grande Mannaro.
Grimbold non riusciva a credere ai suoi occhi: occhi dai quali sgorgarono all’istante copiose lacrime.
L’uomo rimase lì, paralizzato, a dispetto di tutto ciò che stava succedendo attorno a lui.
 
“Grimbold…”
Il capitano abbassò lo sguardo: Thèodred era di un pallore mortale, la sua voce indicibilmente debole e stanca, e un rivolo di sangue gli scorreva lungo le labbra.
“Sì, mio Signore” rispose, imponendosi di essere forte.
“Non potrò mantenere le mie promesse…” Thèodred venne interrotto da un violento colpo di tosse: un nuovo fiotto di sangue zampillò dalla sua bocca.
“Manda messaggeri ad Edoras… abbiamo bisogno di rinforzi… e poi lasciami a difendere i Guadi, fino all’arrivo di Éomer…”
“Mio Principe…” singhiozzò Grimbold, senza riuscire a trattenersi, ma Thèodred non lo stava più ascoltando.
Molte immagini vorticavano caoticamente davanti ai suoi occhi: la prima volta in cui aveva montato un cavallo, l’abbraccio stritolante di suo padre nel giorno in cui aveva terminato il suo addestramento, l’incontro con i suoi meravigliosi cugini.
No, non cugini: i suoi fratelli.
E da ultimo vide qualcosa di totalmente inaspettato e sorprendente, qualcosa che credeva di avere ormai dimenticato per sempre: un sorriso dolce, armonioso e innocente.
Il sorriso di sua madre.
Il dolore parve tornare improvvisamente alla carica, colpendolo con un’intensità tale da levare il respiro.
Ma durò solo una frazione di secondo, prima che il buio ricoprisse infine ogni cosa.
 
                                               
* * *
 

Quando due giorni dopo giunsero a Medulseld dei messaggeri, Éowyn seppe che recavano brutte notizie, ancora prima che questi iniziassero a parlare.
Per tutta la notte si era sentita inquieta, e non era riuscita a prendere sonno che alle prime luci dell’alba.
Accanto a lei, Éomer fremeva d’apprensione e di rabbia.
Gli inviati provenivano dal Mark Occidentale, ed erano al servizio del comandante Erkenbrand, di stanza nel Trombattorione.
 
 
“Vostro figlio è caduto combattendo da valoroso, come il prode Eorl del quale è discendente. Ma prima di morire ha pregato che facciate in modo che tutto ciò non sia stato invano…”
 
Caduto… Morire… che cosa andavano dicendo quegli uomini? No, si sbagliavano non era così…
 
Se fino a qualche secondo prima, il cervello di Éowyn si era già come preparato all’idea, ora sembrava stranamente rifiutare quell’assurda notizia, come se il fatto di apprenderla sul serio l’avesse resa improvvisamente inverosimile.
 
Caduto… Morire… quelle parole non avevano alcun senso. Non associate al suo Thèodred. No lui stava bene, aveva promesso di tornare…
Éowyn sentì le lacrime inumidirle il viso, e si chiese infastidita il perché: Thèodred era vivo, andava tutto bene. Éomer l’abbracciò forte.Che sciocco, anche lui credeva davvero…
 
“Il mio capitano Erkenbrand ci ha inviati per riferirvi queste ultime parole di vostro figlio” proseguì il messaggero, rivolto a Thèoden, “E per chiedere che vengano inviate ad Ovest, al più presto, tutte le forze disponibili”.
 
“Dovrò partire” mormorò Éomer ricacciando indietro le lacrime.
Éowyn lo guardò confusa.
 
“Riceverete una risposta al più presto, messaggero” interloquì Grima, come era solito fare sempre, “Ora rifocillatevi vi prego, dev’essere stato un lungo e faticoso viaggio”.
 
“Mio signore” proruppe Éomer all’indirizzo di Thèoden, una volta che nella sala furono rimasti solo loro quattro, “Permettimi di partire subito, così com’era volontà di tuo figlio. In questo modo poi, forse riuscirò a riportartelo…”
“Quanta fretta, Éomer figlio di Éomund” sibilò Grima, “Non ti accorgi di quanto questa tragica notizia abbia turbato tuo zio? Sempre assetato di sangue, battaglie e di morte! La sua salute non ha alcuna importanza per te?”
Fece una piccola pausa effetto prima di continuare, questa volta rivolgendosi al Re: “Non ve lo avevo detto Sire? Vostro nipote è solo bramoso di aumentare la propria autorità. È sempre stato pronto ad agire senza consultare voi e il vostro erede”
 
Per una fortunata coincidenza Éowyn intervenne appena prima che Éomer potesse anche solo avvicinarsi a Grima, probabilmente con l’intenzione di strangolarlo con le proprie mani.
“È morto…” sussurrò la giovane, “È morto davvero…”
Vacillò, mentre si dirigeva verso l’uscita del salone: aveva gli occhi sbarrati, ma inespressivi.
“Éowyn!” esclamò suo fratello, accorrendo per sorreggerla.
“Sto bene!” esclamò lei, ritraendosi, “Thèodred è morto… 
È morto, e nessuno ha intenzione di fare nulla!” urlò, “Nessuno, nemmeno suo padre! Nessuno onorerà ciò per cui è caduto, il suo sacrificio sarà reso vano, perché nessuno ha il coraggio di opporsi a quel disgustoso serpente, e al suo malvagio padrone! Oh Éomer, ti prego! Ti prego, almeno tu, fa' qualcosa!”
La giovane si aggrappò convulsamente alla veste del fratello, tirandolo verso di sé.
“Sorella, ti scongiuro, calmati!” esclamò lui, seriamente turbato. Con delicatezza le prese le mani fra le sue, e se le portò alla bocca.
“Tu hai ragione: se Thèoden farà ciò che vuole Grima, nessun aiuto verrà inviato. Prima che Thèodred partisse gli ho fatto una promessa: restare a palazzo per prendermi cura di te e di nostro zio, se gli fosse accaduto qualcosa. So che è stato lui ora, a richiedere il mio intervento, ma se mi oppongo al volere del mio Re, potrei finire in guai seri, e in questo momento non posso proprio permettermelo, lo capisci?”
Capire, capire, capire!
Sembrava che non le fosse richiesto altro nella vita! Oh sì, Éowyn figlia di Éomund aveva un talento speciale nel ‘capire’. Ma che poi si dimostrasse d’accordo… beh, era tutto un altro discorso.
Éowyn non pianse, non in quel momento: si allontanò con passo incerto lungo il corridoio senza più dire nulla, quasi più simile a uno spettro che a un essere umano.
 
Quello stesso pomeriggio, Éomer lasciò comunque il Palazzo per inseguire una pattuglia di Orchi, calatasi a Rohan dagli Emyn Muil.
Quando rientrò, dopo appena due giorni, venne arrestato in nome del Re.
 

 

 
 

 
 

 
Benni’s Hole:
Ok, spero vivamente di ritrovarmi con ancora qualche lettore dopo questo tremendo capitolo D:
È stato un vero parto… venuto alla luce dopo un esame universitario fallito (rabbia rabbissima e delusione) temo sia stato un po’ influenzato dal mio umore  ^^”
Vi chiedo scusa se mi sono distaccata dalla visione che generalmente è quella più conosciuta (film) ma durante questo lavoro sto cercando di seguire il libro il più possibile (a meno di alcune piccole libertà che ci sono anche qui, ma stavolta non vi dirò quali muahahahh) sebbene in realtà più avanti potrei deviare verso il movieverse… vedremo.
Spero ad ogni modo (oltre al fatto che vi sia ‘piaciuto’ lo stesso) di essere riuscita a coinvolgervi emotivamente, rendendo credibile e reale la scena, così come il dolore della nostra Eowyn… a voi la parola su ciò.
Che altro… Ho scelto di impostare la prima parte del capitolo in maniera Thèodred-centrica, perché mi aiutava nella narrazione.
I fatti a cui mi sono ispirata sono narrati nei ‘Racconti Incompiuti’ a cui vi rimando per ulteriori informazioni e dettagli (sennò chiedetemi pure direttamente, farò il possibile =))
Con questo capitolo, ‘Sole di Primavera’ diventa la storia più lunga che io abbia mai scritto (Che forza eh? L’unica altra long era di appena 12 capit-sta zitta!!) e quindi vorrei davvero ringraziarvi tutti, uno ad uno, per aver reso possibile questo mio schizzo di pazzia ♥
Di alcuni conosco solo il nick, di altri anche il nome, di altri ancora proprio nulla, eccovi qui:
Lettori: pazienti, fedeli e preziosissimi.
Tutti coloro che in maniera continua, o solo occasionalmente, mi esprimono/ hanno espresso il loro straordinario supporto tramite le recensioni (in ordine di apparizione): Marta, Evelyn, Giulia, Stella, Mary, Son_Hikaru, Giulia, Andrea, Electra Pascal, Hika86, Giulia, Elena, Valerie, Bea, Scream, Nari92.
A chi mi segue (oltre alle recensiste): Aelgifu, Fede95, Halfblood_Slytherin, Jordan Jordan, New Red Eyes, Virgo00, Vshj
A chi mi preferisce (stesso discorso): Missing23, Just Izzy
E ricorda: Valerie ♥… sei fantastica e spero mi perdonerai… fosse per me non sarebbe mai morto, lo sai…
 
Sono commossa e non so che altro dirvi… Siete meravigliosi e vi voglio bene ♥
Alla prossima!
 

Benni

Ps: a meno che l'ispirazione non mi faccia brutti scherzi, nel prossimo capitolo.... Aragorn!!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** L'arrivo della Speranza ***


 
 
 

L'arrivo della Speranza
 


Le cose non potevano andare peggio di così.
Imprigionato per aver cercato di difendere il Regno… poteva esistere qualcosa di più paradossale e ingiusto di questo?
Perché nessuno aveva fatto nulla? Éomer era il loro capitano, il loro futuro Re, ormai! Perché nessuno trovava la forza e il coraggio per fare ciò che era giusto?
Perché…
Éowyn era stanca di domandarsi il perché… stanca di tutto, oramai. L’intera situazione era diventata così tragica e sconvolgente da sembrare irreale, e da lasciarla paradossalmente indifferente. In uno stato di apatia simile a quello di suo zio, come se tutto quello fosse diventato troppo pesante da sopportare.
Le cose non sarebbero mai cambiate e non c’era nulla che lei potesse fare. Perché continuare a tormentarsi, dunque?
Sarebbe fuggita lontano in quello stesso istante, ma l’antica promessa fatta a Thèodred le rodeva l’animo e la coscienza come un tarlo. Non poteva, nel bene e nel male, abbandonare suo zio…
Dormire, tuttavia, le era ancora concesso… Sì, un lungo sonno senza sogni… Niente pensieri, niente parole, niente preoccupazioni… Solo per un po’, solo per poco…

Éowyn appoggiò le mani sul parapetto, sporgendosi lentamente in fuori.
Diverse nuvole oscuravano il cielo, ma l’elemento che più di tutti rifletteva la tempesta nel suo cuore, era il forte vento che soffiava impetuoso. Una delle verdi bandiere, raffiguranti lo stemma dei cavalieri del Mark, venne strappata via con violenza dalla sua asta, e trascinata lontano.
Éowyn la seguì con lo sguardo, la visione lievemente annebbiata dalla nuvola dorata dei suoi capelli, che le danzavano intorno al viso.
Fu allora che si accorse di tre cavalcature, che andavano avvicinandosi rapidamente alla Città.
Il suo cuore perse un battito quando riconobbe quella più chiara e veloce: Ombromanto!
 
* * *
 
Éowyn rientrò velocemente a Palazzo, con un tumulto nell’animo.
Non aveva dimenticato nemmeno un istante del suo incontro con Gandalf il Grigio: ogni parola da lui pronunciata era rimasta marchiata a fuoco nella sua memoria.
 
“Non perdete la speranza, coraggiosa signora. Voi non siete sola… Rohan non è sola”.
 
Ed ora, quando ogni speranza sembrava svanita, quando il mondo non le era mai apparso così buio ed ostile, eccolo ritornare!
Come se in qualche sconosciuta maniera avesse udito il suo silenzioso grido d’aiuto.

Éowyn sentì un improvviso calore invaderle il petto, mescolato allo stesso tempo a uno strano timore: come se avesse paura di illudersi ancora una volta e non osasse davvero sperare che quell’incubo potesse finire.

Ѐ solo un vecchio… Suo zio lo aveva già cacciato una volta: in che modo uno come lui avrebbe mai potuto aiutarla? 
E tuttavia non riusciva a smettere di sorridere.
 
 
Una combinazione di eventi le impedì di raggiungere immediatamente la sala del trono, e così, come l’ultima volta, arrivò quando la conversazione era già entrata nel vivo.
I toni erano parimenti accesi.
“La cortesia è alquanto diminuita nel tuo palazzo, Thèoden, figlio di Thèngel” sentì dire a Gandalf, e non potè che trovarsi d’accordo.
Grima sembrava essere finalmente in seria difficoltà, e la giovane ne gioì alquanto: quel viscido individuo aveva infine trovato pane per i suoi denti!
Gandalf il Grigio ribatteva con secchezza ed arguzia a ogni sua ingiusta argomentazione, e l’uomo pareva addirittura più pallido del solito.
Éowyn non avrebbe saputo dire se il tremore che lo scuoteva fosse dovuto alla rabbia o alla paura.
Probabilmente a entrambe.
La giovane si concentrò poi sui compagni del Grigio Pellegrino: erano in tre. Un Nano, fuor d’ogni dubbio, minuto e fiero, con una lunga e folta barba rossiccia; un Elfo, alto ed etereo, con le caratteristiche orecchie a punta di cui aveva tanto sentito parlare, pur senza averle mai viste, e un uomo.
Pur essendo l’unico appartenente alla sua stessa ‘razza’, fu proprio costui a colpire maggiormente Éowyn, che rimase a fissarlo, piena di meraviglia.
 
Era alto, molto più alto rispetto agli uomini di Rohan.
Éomer, che non era certo minuto, sarebbe quasi potuto passare per un ragazzino al suo confronto.
Éowyn non avrebbe saputo dirne con certezza l’età: doveva certamente aver visto molti più inverni di lei, ma allo stesso tempo pareva nel fiore degli anni, e nel pieno del suo vigore.
Il bel viso era segnato dall’intemperie e dalla stanchezza, come se avesse percorso a piedi decine di miglia.
I capelli erano scuri, come pure la barba che gli ricopriva il mento. Gli occhi invece, severi e penetranti, erano grigi come i suoi, caratteristica che colpì la giovane.
Così come i suoi compagni, indossava un curioso mantello, dal colore non ben definito e di una fattura particolare, che Éowyn non conosceva.
“Dei cenci Elfici” li aveva definiti poco prima Grima.
C’era qualcosa in lui… qualcosa di diverso, che Éowyn non riusciva a spiegarsi, così come le era capitato durante il primo incontro con Gandalf.
Era come se quell’uomo fosse circondato da un alone di mistero e regalità, mischiate tra loro.
Éowyn si rese conto che doveva essere rimasta a fissarlo più di quanto avesse inizialmente intenzione, perché anche lui la stava guardando di rimando, e il suo sopracciglio si era alzato in maniera quasi impercettibile.

Éowyn arrossì lievemente, e distolse immediatamente lo sguardo riportandolo invece verso Gandalf e suo zio.
A quanto pare doveva essere stata persa nei suoi pensieri più di quanto immaginasse, perché la situazione si era alquanto evoluta: Grima giaceva a terra, privo di sensi.
 
 
“Ridestati, Signore del Mark!”
La voce di Gandalf tuonò, sicura e autoritaria: “Troppo a lungo sei rimasto seduto nelle ombre, fidando in racconti contorti e suggerimenti disonesti. Abbandona le tenebre, abbi fede, e respira di nuovo l’aria libera, amico mio!”
Thèoden si alzò lentamente, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno.
Éowyn gli fu accanto in un battito di ciglia: si fermò poi, incerta su come comportarsi. Fu suo zio a fare la prima mossa: una luce limpida e sincera brillava di nuovo nei suoi occhi, e sulle sue labbra aleggiava un dolce sorriso. Un sorriso che Éowyn aveva quasi scordato, e che temeva di non rivedere mai più.
Thèoden le accarezzò dolcemente una guancia: “Conosco il tuo viso… Éowyn!”

Éowyn riuscì a stento a trattenere le traditrici lacrime di felicità, mentre abbandonata ogni riserva, stringeva forte a sé il sovrano di Rohan.
 
 
Sostenuto dalla nipote, e accompagnato da Gandalf e da i suoi compagni, Thèoden uscì finalmente all’aperto, come non faceva da tanto, tantissimo tempo.
Il Re gettò infine via il bastone, respirando a pieni polmoni.
E la gente che passava lo vide, e le grida di giubilo giunsero fino alle porte di Meduseld, mischiandosi al fragore di alcuni tuoni, provenienti da Ovest.
 
“Cupi sono stati di recente i miei sogni” mormorò
Thèoden, “E ora vorrei che tu fossi giunto prima Gandalf. Ma no! Tu venisti in effetti, ma a quel tempo non ti seppi ascoltare… Mia è la colpa, se non fosse stato per me forse Thèodred…”
Éowyn sentì un groppo stringerle la gola al sentir nominare il cugino, e al pensiero che suo zio potesse ingiustamente ritenersi responsabile di quanto avvenuto.
“Non ha senso recriminare ora su quanto accaduto” lo interruppe Gandalf, “Saruman ha tessuto scaltramente la sua rete, e il suo viscido servo è pienamente riuscito nell’intento di annebbiarti la mente. Ma non tutto è perduto, amico mio. Possiamo ancora onorare tuo figlio, facendo in modo che non sia morto invano” .
Thèoden annuì, deciso.
“E ora mio Signore, credo che le tue dita ricorderebbero più facilmente la loro antica forza, se afferrassero l’elsa di una spada”, continuò Gandalf.
“Prendi la mia, Sire!”, disse una limpida voce, “Ѐ sempre stata al tuo servizio”
Éowyn si girò col cuore in gola, e rapida come un fulmine, corse ad abbracciare il fratello.
 
* * *
 
Era stato Hama, la sentinella che aveva accolto il Grigio Pellegrino a Palazzo, a liberarlo, spiegò Éomer più tardi.
“Westu Thèoden hàl!” esclamò, “Ѐ una grande gioia per noi, vedere che hai ritrovato te stesso”.
“Figli miei…” rispose Thèoden, stringendo il braccio ad entrambi, “Potrete mai perdonarmi?”
“Non c’è nulla da perdonare, zio” replicò Éowyn, e suo fratello assentì, con un cenno del capo.
“Siete una benedizione” mormorò il Sovrano, di modo che solo loro due udissero.

“Temo sia giunto il momento di occuparsi di Grima” sbottò poi, rivolto a tutti gli altri.
 
Il pallido uomo venne condotto al loro cospetto ancora disorientato e tremante.
Le guardie che lo scortavano recavano seco anche Herugrim, la spada del Re, e asserirono di averla trovata nel baule del Vermilinguo, assieme a molti altri oggetti che gli uomini credevano perduti da tempo.
Grima si difese in ogni modo possibile: la parola ‘Menti!” fu quella che più volte scivolò dalle sue labbra.
Per metterlo alla prova Thèoden lo pose di fronte a una scelta: seguire il suo Re nella guerra imminente, dimostrando la sua presunta lealtà, o andarsene per sempre dal Regno, senza amicizia alcuna.
Ancora una volta Grima provò a giocare d’astuzia, e con voce untuosa e suadente si offrì di rimanere ad Edoras in sua assenza, quale amministratore fedele.
 
Fu troppo per Gandalf:
“Giù serpe! Striscia sul ventre!” tuonò con voce terribile,“Da quanto tempo ti sei venduto a Saruman? Qual era la ricompensa promessa? Morti tutti gli uomini avresti preso la tua parte del tesoro, e la donna dei tuoi desideri? Troppo spesso l’hai osservata con gli occhi socchiusi, troppo a lungo hai seguito i suoi passi!”
 
Un rivolo di sudore gelato le corse lungo la schiena, ed Éowyn si rese improvvisamente conto Gandalf che si stava riferendo a lei.
E così tutto ciò che aveva temuto era vero: la giovane trattenne un conato di vomito, e si sentì assalita dalle vertigini, al pensiero del pericolo corso.
Éomer, al suo fianco sembrava sul punto di voler sfoderare la spada da un momento all’altro: “Lo sapevo” sibilò con rabbia, “Mi sarebbe bastato per ucciderlo tempo fa”
“Sono al sicuro adesso” gli bisbigliò Éowyn, cercando di calmarlo.
“Non importa, io lo ammazzo questo disgustos-”
Ma Grima, approfittando della confusione generata da quella rivelazione, non aveva perso tempo, e dopo aver sputato ai piedi del Re, aveva eluso le guardie, balzando giù dalle scale.
 
“Inseguitelo!” disse Thèoden, “Badate che non faccia del male a nessuno, ma non ostacolatelo, e dategli un cavallo, se vuole andarsene”
“E se ve n’è uno disposto a portarlo” soggiunse Éomer.
“E ora venite, ospiti miei!” esclamò il Re, rivolto a Gandalf e agli strani viandanti, “Approfittiamo del poco ristoro che ancora ci è concesso”.
 
 
* * *


 
Éowyn vide suo fratello fermarsi a conversare con i tre compagni dello Stregone.
Sembrava conoscerli piuttosto bene, pensò la giovane, perplessa: com’era possibile?
L’uomo, di cui Eowyn ancora non sapeva il nome, gli stava porgendo il braccio: Éomer lo strinse con entusiasmo, come si faceva tra vecchi amici.
 
Rientrarono tutti insieme poco dopo nel grande salone, dove Thèoden aveva dato ordine di servire un pasto veloce.
Éowyn si avvicinò velocemente ad Eomer, in preda alla curiosità: “Fratello… Tu conosci quegli strani compagni?”
Éomer annuì e le rispose: “Li ho incontrati lo stesso giorno che ho lasciato Meduseld per inseguire gli Orchi. Erano a piedi, e rincorrevano il branco a cui anche noi davamo la caccia. Sostenevano che quelle bestie schifose avessero rapito due loro amici”.
“Ma quali sono i loro nomi?” volle sapere 
Éowyn.
“Il Nano si chiama Gimli, e l’Elfo Legolas” fu la risposta.
“E l’uomo?” Éowyn sperò con tutto il cuore che la voce non l’avesse tradita, mentre poneva l’ultima domanda, perché lei era certa di averla sentita tremare.
Éomer esitò prima di rispondere, come se fosse a conoscenza di un grande segreto, e non sapesse se fosse o meno il momento di rivelarlo.
“Aragorn, figlio di Arathorn. Erede di Elendil e possessore di Anduril, la Lama che fu Spezzata” disse infine, prima di sedersi al tavolo.
 
L’erede di Isildur!
 
Éowyn rimase basita per alcuni secondi, e dimentica del mondo circostante.
Le leggende prendevano vita, proprio davanti ai suoi occhi! Quante volte, durante l’infanzia, suo zio le aveva narrato la storia della caduta di Gondor… Di come la stirpe dei Re venne spezzata! E ora davanti a lei, vestito con i panni più strani e meno regali che si potessero immaginare, stava il legittimo erede di quell’antica e distante dinastia!
Non c’era da stupirsi che le fosse sembrato tanto diverso! Che avesse percepito quell’aura di potere latente, tutto intorno a lui…
 
In neanche mezza giornata la sua vita era di nuovo cambiata completamente.
E mentre osservava Aragorn conversare con Gandalf e suo zio, Éowyn sentì il cuore riempirsi passione e speranza.
 
 

 
 
   
 

 

Benni’s Hole:
Ciaoooooo a tutti! E buona Domenica =)
Per la nostra gioia è finalmente arrivata la Compagnia, ziiiii (con un certo Ramingo al seguito…)
Come avrete potuto notare sto continuando a seguire la ‘linea libro’ sebbene abbia mischiato in alcuni punti le battute.
Or dunque che ne pensate? E che mi dite di Aragorn? Lo so, si è visto pochissimo ma vi prometto che troverà presto più spazio…
Bien, vi saluto :*
E come sempre un grazie di cuore a tutti i lettori, alle recensiste (quando ho visto il contatore arrivare a 100 sono andata in iperventilazione *-* grazie grazie grazieeeeeeeeee) e a chi mi preferisce/segue/ricorda.
 
Alla prossima gente, un bacione!
 

Benni

Ps: sì, la banalità del titolo è dovuta all'arrivo di Aragorn -.-... Non sono buona con i titoli, io...

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Partenze ***



 
Partenze

 
 
Rapidamente il pasto venne servito, e altrettanto rapidamente venne consumato.
La guerra non era mai stata così vicina a Rohan, e il tempo scarseggiava.
Thèoden confabulava animatamente con i suoi ospiti, in particolar modo con Gandalf ed Aragorn.
Éomer li ascoltava con attenzione, inserendosi talvolta nel discorso, mentre Gimli e Legolas si limitavano ad annuire.
Éowyn si avvicinò al loro lato del tavolo per servire il suo Signore secondo la tradizione, e come era solita fare sempre.
Mentre si apprestava a riempire con del vino i calici degli uomini, le sue dita sfiorarono inavvertitamente quelle dell’erede di Isildur.
Lui le sorrise benevolo ed Éowyn provò una strana sensazione, simile a un blocco, a livello della bocca dello stomaco.
Infastidita da quella reazione del suo corpo, mai provata prima di allora se non per degli spaventi improvvisi, Éowyn si scordò di rispondere al sorriso, e si voltò quasi con malagrazia dall’altra parte, per versare da bere al fratello.
 
“Occorre mettere al sicuro la popolazione” stava dicendo Gandalf, “Conduci velocemente la tua gente al Forte di Dunclivo sui colli! Lì troverete riparo e potrete difendervi a lungo. Nel frattempo noi partiremo e-”
“No, Gandalf” lo interruppe bruscamente il Re, “Non intendo nascondermi un secondo di più. Io stesso partirò in guerra, e cadrò in battaglia, se così dovrà essere. Lo devo ai miei sudditi… E lo devo a Thèodred”.
Éowyn trattenne il fiato: avrebbe dovuto aspettarselo.
“Mio Signore! Il tuo popolo ha bisogno di una guida!” obiettò lo Stregone, “Troppo a lungo è già stato privato del suo Re! Chi seguiranno altrimenti?”
“Troverò una soluzione al più presto…” rispose Thèoden abbassando la voce, ma Éowyn sentì comunque.
Un fastidioso presentimento si fece strada nella sua mente, e la giovane si allontanò quasi di corsa dalla sala, non appena gli uomini ebbero finito di pranzare.
 
 
 
 * * *
 
 
Indietro, due passi avanti, poi di lato…
E ora affondo! Piega le ginocchia, più fluida, così! E poi fai mulinare la spada sopra di te, di nuovo affondo e-
 
Clang!
 
Éowyn fece tanto d’occhi quando la sua spada cozzò inaspettatamente contro un’altra.
La spada dell’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di trovarsi di fronte. Maledizione, era convinta di essere sola!
Aragorn figlio di Arathorn aveva appena parato il suo immaginario affondo, e ora la fissava con uno sguardo imperscrutabile.
Éowyn si sentì la gola secca, consapevole di avere probabilmente dipinta sul viso la più ridicola delle espressioni.
 
“Hai destrezza con la lama”.
Oh potenti spiriti, stava parlando con lei! 
Aveva una voce così sicura, severa, autoritaria…
“La cosa vi sorprende così tanto, messere?” domandò aspra, “Forse da dove venite le fanciulle sono docili e delicate, ma vi assicuro che qui hanno imparato a difendersi ormai da molto. Quelle che non hanno una spada possono perire sopra di essa”.
C’era una grande baldanza nel suo tono, mentre cercava di mostrarsi forte e orgogliosa, ma nella sua mente si agitavano pensieri totalmente diversi:
Ma che cosa mi prende? Perché gli sto dicendo tutte queste cose? Lui è l’erede di Isildur. Ragazza mia, sei forza impazzita per rivolgergli parole tanto sfrontate e scortesi?
Aragorn da parte sua non ne sembrò tuttavia affatto impressionato: “Vi chiedo perdono, non era mia intenzione recare offesa alcuna”.
“N-no. Perdonatemi voi” balbettò
Éowyn, spiazzata, “Mi avete semplicemente colta di sorpresa…”
Aragorn le sorrise di nuovo: “Eravate particolarmente concentrata, in effetti. Dimentica del mondo circostante… E avete ragione, non è consuetudine per me, vedere una donna combattere. Come avete…?”
“Ho imparato tempo fa” rispose lei sbrigativa intuendo la domanda, e rinfoderando contemporaneamente l’arma.
“Mi ha… Mi ha insegnato una persona a cui tenevo molto…” continuò con un sussurro, quasi rivolta a se stessa.
All’improvviso arrossì, rendendosi conto di una cosa: non avevo più parlato con nessuno di Thèodred, da quel terribile giorno.
Éomer se n’era andato quasi subito, salvo venire poi arrestato, e suo zio in quel periodo era ancora in balia di messer Vermilinguo.
Aveva pianto a lungo da sola la notte, senza mai avere la possibilità di sfogarsi ed elaborare il lutto con qualcuno a lei caro.
E non era passata nemmeno una settimana…
Éowyn si sentì sopraffatta da una profonda emozione: gli occhi le pizzicavano, e temette di non riuscire a trattenere le lacrime.
“Lui ora non c’è più, ma io… Io vorrei tanto renderlo fiero di me, e…” si fermò, non sapendo come proseguire: era certa che se avesse detto una sola parola di più, la voce le si sarebbe inevitabilmente spezzata, e non voleva, non poteva, piangere. Non davanti a quell’uomo.
Ma Aragorn sembrò capire lo stesso: “Era vostro cugino, vero? Vostro fratello mi ha parlato molto di lui”
Éowyn annuì, tentando di riacquistare una postura fiera e composta.
“Perché siete qui?” chiese poi, con il chiaro intento di cambiare argomento: non si sentiva pronta a parlare a lungo di Thèodred, non ancora. E non con uno sconosciuto…
 
Sconosciuto… Ma lo era davvero? Per quanto assurdo potesse sembrare, questo Aragorn figlio di Arathorn sembrava comprenderla alla perfezione. Come se la conoscesse da tutta la vita, e non solo da poche ore.
Il pensiero la inondò di un calore mai provato, e per un assurdo momento ebbe la sensazione di sentirsi invincibile… Nel suo cuore si fece largo la convinzione che nulla le sarebbe mai parso impossibile, se avesse potuto restare per sempre al fianco di quell’uomo…
 
La voce di lui la riscosse da quei pensieri inaspettati, che l’avevano colta di sorpresa, mandandole piccole scariche di adrenalina lungo tutto il corpo: “Vostro zio vi sta cercando, ha urgente bisogno di parlare con voi. Vi avevo vista allontanarvi da questa parte, e sono venuto a riferirvelo”.
Éowyn sospirò, mentre i suoi presentimenti si facevano via via sempre più forti.
“Lo raggiungerò subito, dunque”, disse, “Vi ringrazio p-per il vostro messaggio…”
Ma che le era preso, perché balbettava adesso?
Aragorn le fece un cenno del capo, prima di allontanarsi in silenzio.
 
 
* * * 
 
 
“Ho bisogno che tu rimanga a Meduseld, a vegliare sul nostro popolo. Dovranno seguire la tua guida, in mia vece”.
 
Ed eccole le parole che tanto aveva temuto di dover ascoltare.
Avrebbe dovuto immaginarselo… E in effetti lo aveva fatto. Ma questo non rendeva la faccenda più semplice, nè la aiutava ad accettarla. Lasciata da parte… Ancora una volta.
“Mio signore, per favore ascoltami…”
Forse fu del tutto involontario, ma questa volta proprio non riuscì a chiamarlo zio.
“Éowyn”.
Nemmeno lui l’aveva chiamata ‘figlia’.
“Non rendere tutto più difficile, te ne prego. Io partirò, e tuo fratello con me. Così deve essere, non abbiamo scelta. Che razza di Sovrano sarei, se scappassi ora di fronte al nemico? La guerra aperta incombe, e non è possibile ignorarla un secondo di più”.
Éowyn sospirò, abbassando il capo rassegnata.
“Il popolo ti ama, e si fida di te” continuò
Thèoden, “So che non ti ha mai aggradata venire considerata una principessa, ma è anche questo che sei. E hai dei doveri adesso, verso la nostra gente, verso Rohan. Se non dovessimo tornare…”
“Non dirlo!” proruppe
Éowyn quasi con violenza, “Farò come desideri. Resterò a Meduseld, e aspetterò pazientemente il vostro ritorno, giorno dopo giorno. Perché tornerete! So che tornerete, non potete non-”
Ma le sue ultime parole vennero soffocate nella tunica di Thèoden, quando questi la strinse a sé senza preavviso.
Éowyn si abbandonò contro il suo petto, cercando di annullare in quell’abbraccio tutta la tristezza e la paura, e bramando di trovarvi invece conforto, pace, sicurezza.
Nel frattempo si ritrovò anche a riflettere sulle ultime parole del suo Re: “So che non ti ha mai aggradata venire considerata una principessa…”

Thèoden aveva ragione, fino a non molto tempo prima quel titolo non le aveva procurato altro che fastidio… Eppure… Eppure da qualche tempo ormai, le cose avevano preso una piega diversa. Ed erano cambiate definitivamente dal momento in cui i suoi occhi si erano specchiati in un paio di stupefacenti iridi grigie. 
Éowyn si era resa conto allora con sgomento, che l’idea di diventare regina non le appariva più così spaventosa. Tutto il contrario invece: ora quel titolo recava in sé promesse di gloria, fama, prosperità… E libertà.
 
 
 
Tutto era pronto per la partenza.
L’atmosfera era alquanto solenne, ma non lugubre: regnava una sorta di calma rassegnazione tra gli uomini.
Éomer si stava aggiustando l’elmo, dopo aver raccolto i capelli nella sua caratteristica coda di cavallo.
Nei suoi occhi brillavano insieme determinazione e impazienza. In assenza del Re sarebbe dovuto toccare a lui assumere la reggenza di Meduseld, invece che ad Éowyn, ma trattenerlo a palazzo sarebbe stata un’impresa impossibile. La sua sete di vendetta, per la perdita del cugino e dei suoi genitori, non si era ancora esaurita: la sua spada avrebbe dovuto saziarsi del sangue di molti altri Orchi.
Guardandolo,
Éowyn provò un moto di orgoglio, misto a paura: così bello, nobile e fiero…
I due si erano abbracciati forte qualche minuto prima, e non c’era stato bisogno di alcuna parola tra loro.
“Non lo perderò” si ripeté convinta la giovane, “Aragorn si prenderà cura di lui…”
Si stupì di quest’ultimo pensiero, uscitole da non si sa dove, ma poi si rese conto che era davvero così: gli uomini -suo fratello e suo zio in particolare- sembravano alquanto rasserenati dalla presenza dell’erede di Isildur.
Oltre che da quella di Gandalf: lo stregone aveva subito un cambiamento radicale, rispetto alla prima e ultima volta in cui Éowyn lo aveva visto. I suoi abiti adesso erano candidi come la neve e il suo sguardo si era fatto, se possibile, ancora più antico e penetrante.
 
Thèoden aveva scelto personalmente le più belle armature per i suoi ospiti, prelevandole direttamente dall’armeria reale: scudi, elmi, lucenti cotte di maglia… A Gandalf invece, aveva ufficialmente fatto dono di Ombromanto, su esplicita richiesta dello Stregone.
Lo stallone correva libero nei prati circostanti scuotendo la sua splendida chioma, senza mai allontanarsi troppo, e sotto lo sguardo rapito di quasi tutti i soldati.
 
Il Nano, Gimli, sembrava uno dei pochi non interessati a quello spettacolo, e borbottava fra sé e sé sottovoce.
Éowyn lo osservava divertita: pur non avendo ancora avuto modo di parlare con lui, aveva provato fin da subito un improvviso moto di simpatia per quella burbera creatura.
Poco prima aveva sentito Éomer offrirsi di portarlo con sè sul suo cavallo.

Éowyn si avvicinò senza farsi sentire.
“Bah, cavalli, che assurdi animali!” stava mugugnando il Nano “Proprio non capisco la necessità di tenerli così appresso e-”
“Qualcosa vi turba, mastro Nano?” domandò Éowyn dolcemente, ridendo poi sotto i baffi nel vedere l’espressione mortificata dell’altro.
“Oh, no no! Assolutamente nulla, mia Signora!” esclamò Gimli, e si sarebbe potuto dire che fosse addirittura arrossito, “È solo che… Ecco non mi sento del tutto a mio agio sui vostri animali. Sapete, tra la mia gente si usa di più andare a piedi e-”
“Non dovete preoccuparvi, messer Gimli” lo interruppe lei con una risata, “Zoccofuoco è assolutamente affidabile, e mio fratello è uno straordinario cavallerizzo”.
“Ma- Ma certo! Preoccupato io, aha! Ho affrontato ben di peggio, sono sicuro che gestirò la situazione alla perfez-”
Venne interrotto una seconda volta, ma questa volta da un bacio, che la bella Éowyn gli lasciò sulla guancia: “Che la fortuna vi assista, mastro Nano. E mi raccomando, vegliate su mio fratello” gli disse la giovane, prima di allontanarsi.
Con la coda dell’occhio poté scorgere l’Elfo, Legolas, ridere divertito dell’imbarazzo dell’amico.
 
Lo sguardo di 
Éowyn si posò infine su suo zio, che si apprestava a montare in groppa a Nevecrino, il suo fedele destriero.
“Il Re tornerà” sentì dire una voce alle sue spalle.
Si girò e si trovò a tu per tu con Aragorn: “Il nostro destino finale ci attende ad Est, non ad Ovest” continuò questi.
“Lo so bene” ribattè lei, “Il mio cuore ha paura per tutti voi, sarebbe assurdo il contrario. Ma non è questo a tormentarmi maggiormente adesso”.
“Che cosa temi dunque, mia signora?”
“Una gabbia” rispose Éowyn, senza riflettere, “Rimanere chiusa dietro le sbarre, finchè il tempo e l’età ne avranno fatto un’abitudine, e ogni occasione di valore sia diventata un lontano ricordo o un desiderio”
Non fece quasi in tempo a finire la frase, che subito si pentì di averla pronunciata. Si portò le mani alla bocca, come se in quel modo potesse ricacciarvici dentro tutte quelle parole, ma ormai era troppo tardi.
Le pensava, le pensava davvero, una per una, ma mai e poi mai avrebbe voluto pronunciarle davanti ad Aragorn, ed apparirgli debole, insicura… E in qualche maniera incurante del suo stesso popolo.
Ma l’enigmatica risposta di lui la lasciò senza parole: “Tu sei figlia di re. Non credo che questo sarà il tuo destino”.
E si allontanò con un leggero inchino.
 
Essere figlia di re… Non era esattamente questo che le stava impedendo di fare ciò che il suo cuore davvero bramava? Erano questo, e la sua natura di donna, a tenerla incatenata a Meduseld…
Proprio non riusciva a cogliere il senso di quelle parole.
 
Lo squillo dei corni del Mark risuonò nell’aria, limpido e chiaro, infondendo speranza a tutti coloro che l’udirono.
“Avanti, Eorlingas!” esclamò Thèodred, spronando poi Nevecrino, che partì di gran carriera.
 
Éowyn rimase sola, accanto alla soglia: alcuni raggi dell’ultimo sole s’imprigionarono nei suoi capelli, altri le scivolarono sulla cotta di maglia, che indossava.
I luccichii da essa riflessi furono l’ultima cosa che Aragorn vide prima di avventurarsi definitivamente oltre le mura di Edoras.

 

 
 



 
 
 
Benni’s Hole:
Scusateeeeeeeee!
Lo so è tardissimo, ma è stato un week end di studio super intensivo e avendo a casa ‘ospiti’ (compagni di studio) trovo qualche minuto solo ora.
Come avrete notato sto continuando a seguire le fila del libro (e il motivo è semplice, non avendo bandito Eomer, la versione movieverse era ormai compromessa ^^”)… Tuttavia come vedete qualche scena fa lo stesso capolino, anche se ho riadattato il dialogo Aragorn-Eowyn secondo le mie esigenze… Spero vi sia piaciuto!
Vi chiedo di nuovo scusa se per ora mi sto discostando dalla versione più conosciuta (film)… spero risulti comunque bella e coinvolgente, dopotutto la storia è comunque quella di Tolkien xD
Ho dimenticato che altro dovevo dirvi ed è pronta la cena ^^”…
Ringrazio come sempre i lettori, le recensiste, chi mi preferisce, ricorda, segue e in particolare Clio93, Fiddler e GretagGrace per avermi aggiunto alle seguite.
Grazie per il vostro straordinario supporto ♥
Alla prossima,
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Ricordi e ritorni ***


 

Ricordi e ritorni


 

 
 
“Mamma, papà dov’è andato?”
“Ѐ dovuto partire con il Re, piccola mia. Quando il Re chiama, noi dobbiamo rispondere”.
“Ma perché lo ha chiamato? Poi torna, vero? Mi porterà un regalo?”
 
Éowyn osservava con la coda dell’occhio la piccola Elsa tempestare di domande Marion, sua madre.
Conosceva di vista quella vivace bambina, che sapeva essere tra le più sveglie in città, a dispetto dell’assai tenera età.
Suo padre aveva all’incirca la stessa età di Éomer, e apparteneva alla sua stessa Eothèd.
Marion era a disagio, Éowyn lo vedeva: non sapeva come rispondere alle domande di sua figlia senza farla preoccupare.
Tenere i bambini al sicuro, proteggere almeno loro da quell’incubo che troppo velocemente, troppo brutalmente, aveva sconvolto la vita del popolo di Rohan, sembrava essere la cosa più importante ora, per le donne rimaste a casa.
Preservare l’innocenza, ancora per qualche anno, ancora per poco.
 
Ma a che cosa sarebbe servito, si chiese amaramente Éowyn, che senso aveva negare la realtà dei fatti? La guerra e la morte non facevano distinzioni… A loro non interessava l’età delle persone, o il loro genere. Che fossero uomini, donne, vecchi o bambini… Non aveva alcuna importanza.
La realtà era fatta anche di quello, e prima o poi anche i più piccoli avrebbero dovuto farci i conti. Perché nasconderglielo, perché dare loro false speranze?
 
Avevo solo sette anni quando mi è stato portato via tutto…
 
Éowyn impallidì nel sentire un tale sconforto nei propri pensieri: non era sempre stata così… E fino solo al giorno prima si era sentita nuovamente piena di speranza e di forza, pronta a riprendere in mano i fili della sua vita.
Fino a quando non era stata abbandonata nuovamente.
Lasciata indietro a badare alla casa, perché in quanto donna era quello il suo mestiere.
Ma era anche una principessa, così le aveva ricordato suo zio.
E quelli che ora affollavano il salone principale di Meduseld, dov’erano stati accolti per volere del Re prima che questi partisse, erano i suoi sudditi.
Gente che come lei aveva famiglia e rischiava ora di perderla.
Gente che come lei aveva dei sogni, delle speranze, dei desideri, sebbene pensò Éowyn con una piccola punta di malignità, non certo grandiosi come i suoi.
Gente di cui lei era responsabile, che le piacesse o meno.
Gente come Marion e sua figlia. Figlia, che ora aveva steso le mani verso il fuocherello che scoppiettava nel camino centrale, cercando inconsciamente di trovarvi non solo calore, ma anche conforto.
C’era stato un tempo, riflettè Éowyn, in cui non era stata molto diversa da quella bambina. Un misto di rimpianto e nostalgia le offuscò per un secondo la mente.
Fece infine un sospiro profondo, e, alzatasi dalla panca, si diresse verso le due.
 
“Voglio tornare a casa” stava dicendo Elsa, con un filo di voce.
Con le manine rosse per il freddo, il naso che gocciolava e i capelli arruffati, faceva una tenerezza infinita.
“Perché dobbiamo restare qui, mamma?”
A Marion fu risparmiata la fatica del doverle rispondere grazie all’arrivo provvidenziale di Éowyn.
“Mia Signora!” esclamò la donna alzando lo sguardo, incapace poi però di aggiungere altro.
“Buongiorno, Marion” rispose
Éowyn, “E buongiorno a te, piccola Elsa! Come ti senti oggi?”
La bambina si limitò a guardarla, con i grandi occhi azzurri resi lucidi dalla vicinanza col fuoco e da lacrime non versate.
Era troppo intimorita per risponderle.
“Oh, noi stiamo bene, mia Signora, non dovete preoccuparvi” interloquì sua madre, “Si tratta solo di un po’ di stanchez-”
“Tornerà presto il mio papà?”
La sottile vocina di sua figlia la interruppe, cogliendola di sorpresa.
Nemmeno Éowyn si aspettava una tale domanda diretta da quel pulcino tremante: la bambina si stava ora mordicchiando le labbra ed era diventata ancora più rossa, ma il suo sguardo non vacillò nemmeno per un istante.
Éowyn si commosse nel vederla così, e ben presto, con suo sommo stupore, si ritrovò a esibire il più dolce dei sorrisi: “Sono sicura che farà del suo meglio per tornare quanto prima da te. Nel frattempo lo aspetteremo insieme, vuoi?”
Elsa annuì e il suo volto si illuminò all’istante, come se le fosse stato promesso il più bello dei regali.
“Vieni con me” le disse ancora Éowyn, tendendole la mano, “C’è una cosa che desidero farti vedere”.
Marion mimò un silenzioso ringraziamento, scambiando con la principessa uno sguardo d’intesa, prima che le due si allontanassero, tenendosi per mano.
 
 
* * *

 
Éowyn era stata la prima a stupirsi del suo gesto impulsivo.
Consolare le donne e i bambini non era certo mai stato fra le sue doti.
Eppure di fronte all’espressione afflitta di Elsa non era riuscita a trattenersi. Davanti a quello sguardo perso, pieno di fragilità, e allo stesso tempo d’aspettativa, il suo cuore aveva sussultato, sgomento.
Vi aveva rivisto se stessa.
E mentre conduceva la ragazzina lungo i corridoi che portavano alle sue stanza private, Éowyn si ritrovò a ricordare, quasi inconsciamente… Contro la sua volontà.
 
 
“Mamma! Éomer mi ha di nuovo sporcato la bambola! Guarda!”
Éowyn era appena corsa in casa, aggrappandosi con tutte le sue forze alla gonna della madre, indaffarata davanti a un grande pentolone.
Nella mano stringeva una bambola, completamente ricoperta di fango.
Thèodwyn sospirò, sul suo volto era dipinto qualcosa di simile alla rassegnazione: “Ma insomma, bambini! Proprio non riuscite a stare tranquilli senza farvi i dispetti per più di cinque minuti? Sono molto indaffarata, ve l’ho già detto…”
“Ma non è colpa mia!” sbuffò 
Éowyn , “Ѐ lui che l’ha buttata nel-”
“Se tu non vuoi essere la damigella in pericolo, per forza di cose doveva toccare a Lalla!” esclamò Éomer, sopraggiunto in quell’istante, “E dovevo metterla in pericolo in qualche modo, no?”
“Così l’hai solo sporcata, rimbambito!”
“Éowyn!” tuonò Thèodwyn, girandosi di scatto, “Da chi le hai imparate certe parole? Certo non da tua madre…”
All’udire quella frase Éomer fece una piccola linguaccia alla sorella, e si dileguò in un lampo.

Thèodwyn tornò a dedicarsi alla zuppa, brontolando tra sé.
“Mamma?”
“Mh?” 
La voce di Éowyn aveva assunto tutt’altro tono ora: “Quando tornerà papà? Perché sta sempre via così a lungo?”
Thèodwyn lasciò cadere il mestolo con cui stava mescolando, ma non si voltò subito: la domanda di sua figlia era naturale e senza dubbio legittima… Eppure risponderle le riusciva sempre maledettamente difficile. Facendolo infatti, si sarebbe trovata costretta a pensare a suo marito, a quanto fosse lontano, ai pericoli che probabilmente stava affrontando, al fatto che avrebbe potuto non tornare mai più.
E Thèodwyn aborriva quelle riflessioni con tutto il suo cuore: durante quelle dure separazioni faceva il possibile per tenere la mente sua, e quella dei suoi figli, impegnata in altre faccende.
Ma dalla realtà non si poteva scappare.
Prima che potesse però rispondere finalmente a sua figlia, il gridolino entusiasta di Éomer davanti a casa fece accorrere entrambe verso la porta principale.
“Sei tornato!”
Qualche istante dopo un uomo alto, con una criniera biondo-rossiccia e profondi occhi grigi varcò la soglia: con un solo braccio reggeva saldamente Éomer, gettato oltre la sua spalla come un sacco di patate, mentre il ragazzino si dibatteva ridendo.
Thèodwyn si portò una mano al petto, l’altra invece salì a coprirle le labbra tremanti: “Sei a casa…”mormorò.
“Papà!” squittì Éowyn gettandosi a peso morto contro l’uomo, che, deliziato, sollevò anche lei assieme al fratello.
“Eccole qui, le mie principesse!” esclamò, prima di chinarsi a baciare la moglie.
 
Principesse.
Era sempre stato un loro scherzo, fin da ragazzi, a causa della discendenza reale di Thèodwyn.
La giovane donna osservava con amore suo marito, la sua roccia sicura, mangiare con appetito la zuppa. 
Anche Éomer ed Éowyn ne avevano presa una bella razione, questa volta senza lamentarsi, come invece erano soliti fare.
Nel frattempo avevano assillato il padre con infinite domande riguardo il suo ultimo ‘viaggio’.
Finita la cena l’uomo aveva recuperato le sue bisacce, ancora affrancate alla sella di Halerof, e ne aveva estratto dei piccoli doni, acquistati poco prima di fare ritorno a casa.
Una volta messi a letto i bambini poi, i due giovani sposi si erano goduti alcuni momenti di pace, stretti l’uno accanto all’altro, davanti al fuoco che andava ormai estinguendosi.
Thèodwyn, circondata dalle forti braccia del marito, aveva come al solito pregato silenziosamente che non vi dovessero più essere altre separazioni.
Éomund, altrettanto assorto, aveva ripensato alle espressioni radiose di sua moglie e dei suoi figli, e a come quest’ultimi stessero crescendo così velocemente, giorno dopo giorno, in salute e beltà.
 
Quella sera Éowyn era andata a dormire senza fare storie, con il cuore colmo di gioia.
Accanto a sé stringeva il regalo del padre, una splendida bambola dai capelli ramati, che aveva deciso di chiamare…
 
 
 
“Questa è Tyna” esclamò
Éowyn porgendo l’amato pupazzo della sua infanzia alla piccola Elsa.

Éowyn era stata tentata più volte di disfarsene, durante i giorni successivi al suo arrivo a Meduseld, ma alla fine non ne aveva avuto il cuore. Pur avendo perso ogni interesse per lei in appena una giornata, Tyna rimaneva comunque uno dei pochi ricordi di suo padre. L’aveva lasciata sepolta, in uno dei suoi bauli, quasi dimenticandosi della sua esistenza.
La bambola era completante ricoperta di polvere adesso, ma non sembrava diversa dall’ultimo giorno in cui Éowyn l’aveva usata.

“Ho pensato che si stesse sentendo sola, qui sopra” tentò, rivolta alla bambina, “Perché non la porti giù con te, a scaldarsi davanti al fuoco?”
Le bambole non sentono freddo, mormorò una vocina dentro di lei.
Ignara di tutto, Elsa annuì, entusiasta: “Certo, signora!” pigolò, stringendo Tyna contro il suo petto.
 
                                                
* * *

La gioia di tutti coloro che erano rimasti ad Edoras, quando due giorni dopo il Re e i soldati fecero ritorno, non può essere descritta a parole.
Ovunque si voltasse, Éowyn scorgeva qualcuno avvinghiato a un familiare o un amico: figli che baciavano le madri, i mariti le mogli… Elsa e Marion erano strette fra le braccia di un uomo alto e robusto, col viso ancora coperto dall’elmo.

Éowyn aveva già salutato la sua famiglia: l’abbraccio che aveva scambiato con lo zio e il fratello era stato lungo e silenzioso, più eloquente di mille parole.
Il suo cuore aveva fatto una piccola capriola nel rivedere Aragorn sano e salvo: lui si era chinato lievemente innanzi a lei, come segno di saluto e rispetto.
Éowyn aveva ricambiato, e dopo un attimo di esitazione, spinta da chissà quale vena di coraggio o pazzia, gli aveva preso il viso tra le mani, come per assicurarsi che fosse davvero lì, davanti a lei.
Aragorn l’aveva lasciata fare per una frazione di secondo, poi prendendole le mani tra le sue, se le era allontanate dal volto, e con ultimo inchino era passato oltre.
Legolas e Gimli invece, stavano disquisendo a proposito di una certa disputa: da quel poco che Éowyn riuscì a cogliere si trattava di una competizione tra loro, che il Nano si stava vantando di avere vinto.

Éowyn provò un improvviso moto di affetto per quel burbero individuo che già l’aveva conquistata prima di partire.
Si stava chiedendo se fosse o meno il caso di metterlo in imbarazzo con un altro bacio, quando vide sopraggiungere Gandalf.

Lo Stregone sembrava stanco e provato, come se avesse appena affrontato una grande prova.
Si comportava esattamente come al solito, ma nei suoi occhi Éowyn riuscì a scorgere l’ombra di un dolore bruciante, che la lasciò senza fiato.
Come quello che si prova dopo aver perso un amico si disse, impensierita.
E di persone care, gli abitanti di Rohan ne avevano perse di sicuro tante: molti soldati non avevano fatto ritorno, e strazianti lamenti si mescolavano nell’aria alle grida di sollievo e di giubilo.
Sarebbe stata una notte di profondo cordoglio oltre che di festeggiamenti.
 
Lo sguardo di Éowyn venne infine catturato dalle creature più strane che la giovane avesse mai visto.
Se ne stavano lievemente in disparte, stretti tra loro come se temessero di perdersi di vista e seguivano Aragorn passo passo.
Sembrava conoscessero molto bene l’erede di Isildur.
A una prima occhiata sarebbero potuti passare per dei bambini, poiché in quanto ad altezza non erano superiori ai ragazzini di Edoras.
Guardandoli meglio però, Éowyn si accorse di quanto i loro visi fossero maturi.
Sembravano addirittura dimostrare più anni di suo fratello!
Avevano folte chiome ricciute, entrambe castane, ma quella di colui che sembrava il maggiore aveva un tono leggermente più chiaro, quasi tendente al rossiccio.
I visi erano aperti e gioviali; gli occhi, spalancati e colmi di stupore, vagavano curiosi lungo il salone di Meduseld, e sembravano quasi sconvolti da quanto fosse alto il soffitto.
Gli abiti che indossavano erano assai semplici, e parecchio consunti, ma la cosa che lasciò più soncertata Éowyn, furono i loro piedi.
Erano completamente nudi e… coperti di peli? Che storia era mai quella? A che curioso popolo potevano mai appartenere quei buffi esserini?
Nel frattempo i due sconosciuti erano stati raggiunti da Gimli, che dopo aver circondato con un braccio le spalle di entrambi, li aveva condotti verso Éomer e gli altri soldati.
“Dovete allietarci con una delle vostre canzoni della Contea” stava dicendo il Nano, “Razza di lestofanti, quanto ci avete fatto penare…”
 
Indubbiamente avrebbe avuto molte storie interessanti da ascoltare quella sera, pensò 
Éowyn, ancora più confusa.
Non vedeva l’ora.
 


 
 
 





 

Benni’s Hole:
Sono stata colpita da un tremendissimo calo d’ispirazione questa settimana, difatti non riesco a credere che stia davvero aggiornando. E guai a chi osa criticare il titolo -.- lo so da me che è pessimo u.u
Ricordi perché… Ho deciso di inserire un flashback deheheh (ma va?) per creare un parallelismo tra l’attesa di Eowyn ‘ragazzina’ e l’attesa ‘attuale’, non solo sua, ma anche di tutte le mogli, figlie/i ecc…
E poi ho pensato ci stesse come missing moment  ^^
Ritorni perché… I nostri eroi sono tornati dal Fosso di Helm! Con Hobbitis al seguito (che ne pensate della descrizione?)
Vi chiedo scusa se non ho descritto la famoso battaglia, ma seguendo il libro Eowyn non vi partecipa ^^”… Nei prossimi capitoli sia devia però verso il movieverse (o meglio un mix dei due!) come suggerisce l’accenno della festa a palazzo.
Aspetto con ansia i vostri pareri çç… spero davvero vi sia piaciuto.
Come sempre la mia gratitudine infinita va a lettori, preferiti, ricordati, seguiti e alle straordinarie recensiste tra le quali do il benvenuto a Fjorleif! E grazie anche di avermi aggiunta alle preferite!
 
Un abbraccio gigante, siete tutti meravigliosi!
Alla prossima
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Racconti e confidenze ***



Racconti e confidenze
 



 
Era stato il freddo pungente a svegliarla.
Il freddo e alcuni sassolini, che erano andati a ficcarsi precisamente sotto la sua schiena, pungolandola fastidiosamente.
Probabilmente erano finiti li sotto a causa di tutto quel suo continuare a rivoltarsi: Éowyn aveva spesso il sonno agitato.
Inizialmente si era spaventata quando, aprendo gli occhi, non aveva ritrovato sopra di sé il familiare soffitto di camera sua.
Ma la memoria era tornata nel giro di pochissimi istanti: si trovava in una tenda, o più precisamente, nell’accampamento di Dunclivo.
Era la prima volta, nei suoi ventiquattro anni di vita, che le capitava di dormire all’aperto, e non aveva da biasimare che se stessa per quella scomoda situazione.
Ma non si sarebbe lamentata, si disse, oh no, mai e poi mai!
Éomer, Thèodred, suo zio, suo padre, gli altri Rohirrim… Avevano tutti sopportato ben di peggio, e durante circostanze indubbiamente molto più avverse!
Perlomeno lei era al coperto, relativamente al sicuro, e in compagnia di tutti coloro che amava.
Arrossì a questo pensiero, ricordandosi chi stesse riposando in quel preciso momento, a non molti metri da lei: una delle ragioni, ammise quasi controvoglia a se stessa, per le quali lei si trovava lì.
Per una volta nella vita, realizzò Éowyn, si trovava esattamente doveva voleva essere.
Tuttavia nel bel mezzo della notte, mentre l’umidità calante dalle montagne circostanti le penetrava viscidamente fin dentro le ossa, non poté biasimarsi quando il suo pensiero e i suoi desideri, si rivolsero quasi inconsapevolmente al calore rassicurante di Meduseld.   

 
* * *

Era stata una festa come non se ne vedevano da tempo nel regno di Rohan.
L’intera Edoras pareva quasi essersi svuotata, ed essere andata invece a confluire nel grande salone di Meduseld.
Il fuoco era stato acceso in ogni camino, e il palazzo pareva illuminato a giorno.
Grandi porzioni di carne appena grigliata erano state portate dalle cucine, assieme a vassoi ricolmi di frutta e verdura.
La birra non poteva mancare ovviamente, e quella sera sembrava ancora più buona.
L’aria era satura dei più diversi e deliziosi profumi, cosi come di musica, di risate…
 
Ma anche di velata tristezza.
Un brindisi ai caduti: così era cominciata la festa.
Thèoden, alzatosi in piedi, aveva invitato tutti i presenti a levare in alto i calici: un ultimo tributo per tutti coloro che avevano dato la vita nella battaglia del Fosso di Helm, in difesa della loro terra.
L’espressione sui visi di coloro che erano sopravvissuti era scura e tirata, ma mai una volta lo sconforto aveva preso il sopravvento.
Nemmeno da parte dei familiari dei caduti.
Nessuno si era lasciato andare a scene di pianto incontrollato: era stato un momento di cordoglio sobrio, pieno di dignità, proprio come quegli uomini meritavano.
 
In seguito poi, l’atmosfera era cambiata di colpo.
Come se per una sera tutti volessero dimenticare, fare finta che andasse ancora tutto bene: che la guerra non fosse mai giunta entro i confini del regno.
Éowyn aveva avuto comunque modo di ascoltare il resoconto della battaglia da suo zio in persona.
Il Re si era mostrato inizialmente reticente, ma in seguito aveva ceduto alle richieste della nipote, cercando lo stesso di non scendere troppo nei particolari.
Era infatti ancora profondamente turbato da tutte quelle perdite, e in particolare da quella di Hama, il capitano della guardia reale, il cui corpo era stato orrendamente fatto a pezzi, innanzi alle mura del Trombattorione.
“Quando giungemmo alla Fortezza era ormai sera inoltrata” raccontò il Re, “E non vi trovammo che appena un migliaio di uomini, rifugiatisi lì assieme al resto della popolazione dell’Ovestfalda. Di Erkenbrand non si sapeva più nulla: persino fra noi molti lo ritenevano morto. Ma non Gandalf. Egli partì di gran carriera alla sua ricerca. Non l’ho mai visto cavalcare così veloce: pareva un tutt’uno con Ombromanto! Non so davvero cosa avremmo fatto senza di lui… Probabilmente ora non saremmo qui” ammise infine, socchiudendo gli occhi.
Éowyn annuì, col cuore che le batteva forte: aveva già molti motivi per essere grata al misterioso Stregone, ma questa volta era l’intera popolazione di Rohan, a ritrovarsi in debito con lui!
“Egli fece ritorno all’alba” proseguì Thèoden, “Recando con sé il ritrovato Erkenbrand e il suo battaglione: duemila uomini, contro un esercito di diecimila fra Uruk Hai e Dunlandiani”.
 
In condizioni normali, pur con quegli insperati rinforzi, l’esito sarebbe stato catastrofico per i Rohirrim.
Ma l’arrivo di Erkenbrand riuscì a riempire di coraggio e nuovo vigore i cuori e le membra dei difensori.
Gli Orchi furono sopraffatti dalla costernazione a quella vista: credevano infatti di avere ormai in mano le sorti della battaglia.
Molti si diedero alla fuga, solo per finire inghiottiti da una foresta di Ent ed Ucorni.
“Avresti dovuto vederli, Éowyn” mormorò il Re, con lo sguardo perso lontano, “Gli alberi erano vivi… Vivi! Un’intera foresta, completamente animata! Non avevo mai visto nulla del genere in vita mia, né mai più la rivedrò, temo… Ma forse i due Mezz’uomini potrebbero parlartene meglio. Pare che abbiano vissuto per qualche tempo con uno di loro”.
“Mezz’uomini?” lo interruppe Éowyn, “Dunque è così che si chiamano quei due… Giovanotti?”
“Credo che il termine più corretto sia ‘Hobbit’. O perlomeno pare sia così che sono conosciuti nel loro Paese, la Contea. Si trova su a Nord, nell’Eriador. Noi li abbiamo incontrati lungo la via per Isengard”.
E la sua voce si riempì di astio e furore mentre prendeva a narrare dell’incontro con Saruman, e di come costui, ormai intrappolato e senza più alcun potere, avesse tentato fino all’ultimo di ingannarli con parole piene di lusinghe e malizia.
“La sua voce, Éowyn, è qualcosa che non mi è possibile descrivere. Così vellutata e suadente… Per un attimo ho quasi… Io ho quasi dimenticato tutto il dolore che quell’uomo ci ha causato! Grima ha avuto davvero un eccellente maestro, non vi sono dubbi!”
“E lui lo vedeste?” chiese Éowyn con ansia, riferendosi appunto al Vermilinguo.
“Solo di sfuggita” rispose una voce alle sue spalle: si trattava di Éomer, che li aveva appena raggiunti.
Bevve un lungo sorso di birra dal boccale che teneva fra le mani, prima di riprendere: “E meglio per lui, che si trovasse al sicuro in cima a una torre. O avrei anche potuto...”
“Pace, Éomer!” lo interruppe Thèoden, “Non possono più farci alcun male, oramai. Né lui né il suo padrone. E sono condannati a sopportarsi a vicenda, rinchiusi insieme, per chissà quanto tempo”.
“Meriterebbero ben di peggio!” sbottò nuovamente Éomer.
 
Éowyn dapprima annuì pensierosa, poi, prendendo coraggio, fece la domanda che la tormentava da quando Thèoden aveva iniziato a parlare: “E di lui… Avete saputo nulla? Il suo corpo è stato…?”
Non sapeva bene nemmeno lei cosa stesse chiedendo, o cosa volesse davvero sapere. Ma il pensiero che il corpo di Thèodred fosse andato disperso, o peggio ancora, dilaniato dagli Orchi, le faceva tremare le ginocchia.
Non avrebbe sopportato una cosa del genere: sarebbe stato come perderlo una seconda volta.
Ma per fortuna le sue preoccupazioni si dimostrarono vane:
“Gli uomini lo hanno sepolto non molto lontano da dove è caduto” le rispose Éomer, stringendola a sé, “Non abbiamo avuto modo di passare da lui, ma ti prometto che ci torneremo insieme, quando tutto questo sarà finito”.
Éowyn gli sorrise grata, e anche Thèoden fece un cenno col capo, rasserenato.
“Ora basta con i discorsi lugubri” disse, “Tornate a godervi la festa. Siamo vivi, siamo insieme… Abbiamo molto di cui essere grati”.
 
I due fratelli si allontanarono insieme e nessuno di loro vide l’ombra di rimpianto e amarezza, che per qualche secondo passò sul viso del loro zio: le recenti imprese non erano riuscite a estirpare l’ingiusto senso di colpa dal cuore del Re, e il sovrano si chiese distrattamente se avrebbe dovuto conviverci per il resto della vita.
Era come se in qualche modo l’incantesimo di Saruman non si fosse davvero sciolto del tutto… Sarebbe mai tornato veramente libero?
 
Éomer si era avvicinato a un tavolo dove, circondati da alcuni uomini, Gimli e Legolas si stavano sfidando a una gara di bevute.
L’Elfo pareva in netto vantaggio: dopo una decina di giri asseriva di sentire solamente un lieve formicolio alle dita della mano!
Il povero Gimli era ovviamente in condizioni ben peggiori: “Sono i Nani che vanno a nuotare… con le donnine pelose!”* stava borbottando, ridacchiando di gusto.
 
Éowyn invece, mossa dalla curiosità, si era diretta verso i due giovani Hobbit: Merry e Pipino.
Costoro, tra i fischi e le risate dei soldati, avevano dato il via a una danza improvvisata sulle note di una delle loro allegre canzoni della Contea.
Éowyn battè le mani entusiasta e sentì una risata spontanea sgorgarle dal petto.
D’istinto si portò le mani alla bocca, quasi sconvolta: da quanto tempo non si divertiva così? Quando era stata l’ultima volta che aveva riso così liberamente?
Éowyn scoprì di non riuscire a ricordarlo.
 
Dall’altro lato della sala anche Aragorn e Gandalf osservano i due piccoletti dare spettacolo, ma le loro espressioni sembravano più corrucciate che divertite.
Chissà di cosa staranno parlando, si chiese Éowyn, che cosa avrà mai increspato i suoi lineamenti in quel modo?
Éowyn scoprì essere all’improvviso alla ricerca di una scusa -una qualunque!- per potersi recare a parlare con l’erede di Isildur.
Pochi minuti dopo quindi, gli stava offrendo un bicchiere di vino, sorridendo radiosa e augurandogli salute con la formula che usava generalmente col suo Re.
Aragorn non rispose a parole, ma il suo sguardo fermo e profondo ebbe l’effetto di farle tremare le ginocchia, e di illuminare al contempo ogni cosa.
 
 
 
Durante la notte era poi successo qualcosa di terribile.
Qualcosa di talmente grave da costringere Gandalf ad andarsene nel primo mattino, portando con sé il più giovane dei due Hobbit, quello che si chiamava Pipino.
Un grande pericolo li aveva sfiorati, le aveva spiegato sempre Thèoden, attraverso un oggetto tanto antico quanto pericoloso, se manovrato dalle mani sbagliate.
In questo caso quelle ingenue e curiose del giovane Mezz’uomo.
L’oggetto in questione era un Palantir, una delle perdute pietre veggenti di Numenor, utilizzate dagli antichi Re per guardare lontano, e comunicare tra loro.
Come fosse entrata in loro possesso, Thèoden non lo spiegò.
Ciò che Éowyn apprese invece, fu che Pipino vi aveva scorto l’Oscuro Nemico in persona, e cosa ben più importante, parte dei suoi futuri piani di attacco.
Le mire di Sauron si erano ora incentrate su Minas Tirith, capitale del regno di Gondor.
Che Gandalf vi si fosse recato per avvertire il Sovrintendente e il popolo fu la logica e inevitabile deduzione.
 
Il Mezz’uomo rimasto con loro, Merry, pareva confuso e spaesato senza il suo migliore amico.
Ad Éowyn faceva una tenerezza infinita.
Quando due giorni dopo Thèoden annunciò che l’esercito sarebbe nuovamente partito, questa volta in aiuto di Gondor, Éowyn non si stupì.
Non riusciva forse a comprendere in pieno la portata di quell’evento, ma sentiva che ormai erano di fronte a un momento epocale: si avvicinava uno scontro risolutivo, alla fine del quale si sarebbero probabilmente decise non solo le sorti di Rohan, ma quelle dell’intera Terra di Mezzo.
Ottenne il permesso di seguire gli uomini fino a Dunclivo, facendo appello ad un’antica tradizione.
Ma se la fortuna l’avesse assistita, non si sarebbe di certo fermata lì!  
 
* * *
                                                  
Nonostante l’aria frizzante, Éowyn si alzò, e uscì dalla tenda stiracchiando le braccia.
Il suo sguardo fu catturato dall’immensa volta stellata che sovrastava l’accampamento, e non potè che sentirsi immensamente piccola, di fronte a quello spettacolo.
 
“Etcì!”
 
Il suono di uno starnuto la fece voltare di scatto: sorrise immediatamente, non appena capì di chi si trattava.
“Merry!” mormorò, sorpresa, “Che ci fai qua fuori? Non riesci a dormire?”
“Mia Signora!” rispose la buffa creatura -Éowyn non poteva fare a meno di trovarla buffa… Con quei grossi piedi pelosi!- “Mi dispiace, non volevo disturbare…” blaterò sfregandosi il naso, “Non mi ero accorto che anche voi foste qua fuori”.
“Nessun disturbo, amico mio” tagliò corto Éowyn, offrendogli quello che sperò fosse un sorriso rassicurante, “Perché non ci sediamo un po’ vicini, dal momento che siamo svegli tutti e due?”
Merry accettò di buon grado, e i due giovani si accomodarono su un masso non lontano.
“Dunque, che cosa ha disturbato il tuo sonno, mastro Hobbit?” chiese nuovamente la fanciulla, “Non sei abituato a dormire all’addiaccio? O forse sei troppo affaticato dalla lunga cavalcata? Credevo te la fossi cavata bene su Stybba” concluse riferendosi al cavallino scelto appositamente per il Mezz’uomo dal Re.
“Infatti è così, mi avete visto, no?” borbottò Merry: i due infatti avevano passato gran parte del viaggio vicini, e piano piano Merry si era aperto sempre di più, iniziando persino a raccontare alla giovane delle storie riguardanti la Contea.
Éowyn non si era più sentita così a suo agio con qualcuno da parecchio tempo: aveva sentito una sorta d’istinto di protezione verso il giovane Hobbit; come se fosse una specie di fratellino.
Forse dipendeva dal fatto che fosse così piccolo; oppure perché era rimasto ormai solo, senza alcun parente o amico della sua stessa razza.
Éowyn non sapeva spiegarselo: percepiva soltanto che Merry aveva uno spirito a lei affine, che le rendeva piacevole la sua vicinanza.
“E riguardo al dormire all’aperto, beh… Ci sono purtroppo ormai ben abituato. Il punto è che… mi manca Pipino. Non siamo mai stati separati così a lungo” ammise lo Hobbit in un soffio.
Éowyn lo lasciò parlare senza interromperlo, e comprendendo bene il suo stato d’animo: ricordava perfettamente come si era sentita la prima volta che Éomer era partito per una missione.
“L’ho sempre cacciato nella peggior specie di guai, poi però ero sempre lì, pronto a tirarlo fuori. Ѐ ancora così giovane, ingenuo e imbranato… E soprattutto lontano! Odio l’idea che non potrò essere là per proteggerlo se dovesse accadergli qualcos-”*
“Cosa ti fa credere che non potrai essere là?” sbottò Éowyn, infastidita.
“Beh io… io credevo… Pensate quindi che mi lasceranno partire con loro?” domandò Merry, con un tono speranzoso, e gli occhi carichi di aspettativa.
“Ciò che penso è che ognuno di noi debba avere il diritto di combattere per coloro che ama. Hai il mio pieno appoggio su questo”.
Non era una vera risposta, Éowyn lo sapeva benissimo, ma il Mezz’uomo sembrò apprezzarla lo stesso, perché in un impeto di coraggio le gettò le braccia al collo, riconoscente.
Poi qualche secondo più tardi sembrò ricordarsi improvvisamente di chi si trattasse, e la lasciò andare imbarazzato: “Scusatemi, non so che cosa…”
Ma Éowyn gli arruffò affettuosamente i capelli, lasciando intendere che non fosse minimamente arrabbiata, né tantomeno offesa da quel gesto spontaneo:
“Ritroveremo il tuo amico, Merry” gli promise “E sono certa che starà bene: dopotutto c’è Gandalf al suo fianco, no?”
 
Il mattino seguente li attese una sorpresa insperata: molti uomini di Rohan non avevano risposto all’adunata del Re, ma in compenso una compagnia di Raminghi, composta da compagni d’arme di Aragorn, era giunta a Dunclivo, accompagnata dai figli di Elrond, signore Elfico di Gran Burrone.
 

 

 






 

Benni’s Hole:
 
E… diamo ufficialmente il via al mix!
Come avrete potuto notare il capitolo è un po’ un frullato di bookverse e movieverse, ma ormai è da una vita che ve lo sto dicendo xD.
Le frasi con l’asterisco sono direttamente prese da Il Ritorno del Re (anche se quella di Merry l’ho modificata un po’).
Spero che la descrizione della festa abbia soddisfatto le aspettative, e che vi sia piaciuto il dialogo tra Merry ed Eowyn =D. Devo dirvi che ho adorato scriverlo!
Qualche nota: Erkenbrand è un maresciallo del Mark dato per disperso dopo gli agguati dell’Isen. Nel libro il suo ruolo è quello svolto da Eomer nel film, durante la battaglia del fosso di Helm.
I raminghi giunti alla fine del capitolo con i figli di Elrond, sono coloro che accompagneranno Aragorn Gimli e Legolas lungo il sentiero dei morti.
Spero di non aver fatto un casotto ^^”… se ci fosse qualche incongruenza di tempistica spero davvero sia minima e trascurabile deheh ^^”…
Ci si risente spero settimana prossima, ma non posso prometterlo, sono giorni infernali çç!
Ringrazio infinitamente tutti coloro che leggono silenziosamente, le mie meravigliose recensiste, chi mi segue, ricorda e preferisce (LilyLilian)
 
Un grande abbraccio a tutti voi, siete la mia gioia ♥
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Una cocente delusione ***


 

Una cocente delusione


 
   
L’arrivo dell’alba recò con sé diverse novità.
La più importante riguardava sicuramente la compagnia di raminghi, giunta assieme ai figli di sire Elrond: i due gemelli Elladan e Elrhoir.
Il loro arrivo aveva portato un certo scompiglio fra gli uomini di Rohan: bisbiglii di stupore e curiosità serpeggiavano lungo tutto l’accampamento.
Il capitano dei raminghi, Halbarad, doveva essere un grande amico di Aragorn. I due uomini si erano infatti abbracciati con molto affetto, e ora stavano discutendo tra loro, leggermente appartati dagli altri. Persino il Re non aveva osato interferire, garantendo loro un rispettoso riserbo.
 
Éowyn avrebbe dato qualsiasi cosa per poter ascoltare i loro discorsi: l’espressione di Aragorn non era mai stata così solenne.

Éowyn non ricordava di averlo visto sorridere spesso, ma in quel momento il suo viso era di un grigiore alquanto innaturale: era come se durante la notte fosse improvvisamente invecchiato di oltre vent’anni!
Ma poi, quale doveva essere la sua vera età?
Éowyn si accorse di non saperlo… Non si era nemmeno mai data pena di scoprirla, in verità.
 
Éowyn distolse lo sguardo, concentrandosi invece sui due principi Elfici: erano indubbiamente le creature più belle che avesse mai visto.
Avevano tratti infinitamente più delicati e armoniosi di quelli di Legolas, che pur superava in bellezza tutti gli uomini presenti.
Il Silvano sfigurava al loro confronto: era come paragonare un paffuto bambino a un adulto nel pieno della sua Estate.
I due Elfi erano alti e slanciati, senza tuttavia risultare gracili, e con capelli lunghi e setosi, scuri come ali di corvo.
Il colore dei loro occhi non era paragonabile ad alcun elemento terreno, quanto piuttosto allo splendore di un cielo stellato: in essi pareva racchiusa un’antica saggezza, assieme ad una luce calda e allo stesso tempo remota, come se in loro fossero fuse le caratteristiche di due razze diverse.
 
Sarebbe potuta rimanere ad ammirarli tutto il giorno.
 
Merry, poco distante, sembrava invece più preoccupato, che ammirato.
“Cosa ti succede, piccolo amico?” gli domandò la fanciulla, avvicinandosi a lui.
Il Mezz’uomo sospirò tristemente prima di risponderle: “Una brutta sensazione. Ho paura che presto sarò lasciato indietro, ancora una volta. Tutti i miei amici hanno preso strade diverse, e io rimarrò solo, come un inutile bagaglio che nessuno vuole accollarsi”.
Éowyn avrebbe voluto chiedergli il perché di tutte quelle parole, così pieno di scoramento; o da dove gli venisse quella strana sensazione, ma a quale scopo? Non era forse così che si sentiva lei stessa? Si stupì ancora una volta di quanto quel piccolo uomo le fosse affine.
“Tu non sei solo, Merry” gli rispose con tono convinto, “Hai me, e mio zio, ed Éomer… E sono sicura che nemmeno Aragorn e gli altri stiano andando da nessuna parte senza di te. Vedrai, quegli uomini sono solo venuti per unirsi a noi, e sono i benvenuti ovviamente!”, concluse.
L’espressione di Merry rimase molto dubbiosa, ed Éowyn non potè biasimarlo: come poteva convincere l’amico di una cosa di cui non era certa nemmeno lei stessa?
Se solo avesse potuto ascoltare il colloquio di Aragorn…
 
“Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, ti va?” propose a Merry, nel tentativo di distrarre entrambi da quella situazione sospesa.
Il volto dell’amico s’illuminò, ed Éowyn sorrise intenerita: a quanto pare doveva aver toccato la corda giusta.
“Molto volentieri” le rispose lui infatti, “Non c’è niente di meglio che del buon cibo e una sana fumatina, per cacciare via i cattivi pensieri”.
 
Ma ahimè, le preoccupazioni a volte si possono solo nascondere.
 

 
 * * *

 
 
Fu suo fratello a darle la notizia.
“Aragorn sta partendo” le disse, circa mezz’ora più tardi.
Éowyn sentì come il terreno mancarle da sotto i piedi: “Pa- partendo?” balbettò, “Che significa?”
Éomer le rivolse un’occhiata perplessa ed Éowyn si maledì mentalmente per aver lasciato intravedere a tal punto il suo turbamento:nessuno, men che meno Eomer avrebbe dovuto sapere nulla di quella faccenda!
“Voglio dire…” continuò, cercando di ricomporsi, “Dove mai dovrebbe andare? Credevo vi avrebbe guidati in battaglia, che sarebbe rimasto al nostro fianco…”
“Lo credevo anch’io” rispose suo fratello con un sospiro sconsolato, “Non desideravo altro che partire in guerra con lui, e il mio cuore era rasserenato dalla sua vicinanza. Ma egli cerca i Sentieri dei Morti, la maledetta via del Dwimorberg, dove nessuno di noi può seguirlo”.
“I Sentieri dei Morti? Che storia è mai questa?”
Éowyn era senza parole: tetri ricordi, immagini dai contorni oscuri e sfocati si riaffacciarono alla sua mente. Retaggi di vecchi racconti, narratigli da zio Thèoden durante l’infanzia: il Dwimorberg, il Monte Invasato, un luogo maledetto nel quale nessuno aveva mai osato avventurarsi.
Nessuno sapeva con certezza quali diavolerie fossero nascoste al suo interno, o era mai tornato per raccontarlo, ma le vie che lo attraversavano non erano state chiamate ‘Sentieri dei Morti’ senza un buon motivo!

“Ѐ a causa di quegli uomini” raccontò Éomer, riferendosi ai raminghi e ai figli di Elrond, “Devono avergli recato nefaste notizie. Aragorn non ha voluto dire a nessuno il contenuto del messaggio che gli è stato recapitato; afferma solo di avere fretta, e che per lui non esista altra via se non quella all’interno del Dwimorberg. Ahimè, temo che non lo rivedremo mai più!” concluse affranto.
 
Éowyn era parimenti sconvolta: non aveva mai visto suo fratello in preda a una tale sconforto, mai, nemmeno nel periodo più buio della loro vita! Éomer era sempre stato una roccia sicura, alla quale appoggiarsi: mai una volta aveva vacillato, mai una volta le aveva mostrato segni di debolezza. Di rabbia sì, oh, e molta anche! Éowyn aveva temuto in ripetute occasioni che il suo temperamento focoso potesse condurlo alla rovina, e vi era andato effettivamente molto vicino, ma ogni volta
Éomer era sempre tornato da lei.  
Vederlo ora così abbattuto, stanco, sconfitto, fu forse la cosa che la spaventò di più, e che la indusse a pensare: Aragorn ha dunque deciso di morire!
 
No! Non può farci questo, non può farmi questo! Non ne ha alcun diritto, non dopo quello che ha scatenato
nel mio cuore. Non può avermi riportato la speranza, per poi sottrarmela di nuovo così velocemente, così crudelmente! Andrò con lui piuttosto. Sì, è questo che devo fare! Non ho paura del dolore, non m’importa della morte, se potrò andarmene al suo fianco…
Era dunque questo l’amore?
 
Éowyn non lo sapeva. Sentiva solo di non aver mai provato nulla di così intenso in tutta la sua vita, e proprio ora, quando finalmente stava riuscendo a dargli un nome, questo le veniva portato via!
Le promesse fatte a Merry, l’affetto per la sua famiglia persero all’istante ogni valore… Improvvisamente non le importava più nulla!
Éowyn mise a tacere con malagrazia il fastidioso senso di colpa che cominciava a farsi largo nella sua mente: era completamente accecata, oramai.
 
“Sorella? Ti senti bene?”
La voce di Éomer, carica di preoccupazione, era così lontana, sembrava provenire da un altro mondo.
“Devo parlare con lui” fu l’unica risposta che suo fratello ottenne da lei.
Éowyn si allontanò come una furia, incurante di ogni cosa circostante.
 
 
                                           
 * * *

 
 
Quando lo trovò, Aragorn stava discutendo con Legolas e Gimli.
Éowyn potè udire i borbottii del Nano ancora prima di averli raggiunti.
“Ma certo che verremo con te, giovanotto. Non ti volteremo di certo le spalle proprio quando hai più bisogno di noi! E non sia mai detto che un Nano non abbia il coraggio di andare sotto terra quando dei dannati Orecchie a Punta osano farlo”.
Aragorn gli battè una mano sulla spalla, divertito: “Non ho mai dubitato della vostra lealtà, amico mio, e sarò onorato di avervi al mio fianco”.
 
Se ne stava andando davvero!
Non che dubitasse delle parole di suo fratello, ma udire di persona quella notizia l’aveva sconvolta se possibile ancora di più.
 
“Mio Signore!” udì la sua voce esclamare, “Permetti una parola?”.
Éowyn si augurò di non essere parsa troppo supplicante: non lo avrebbe sopportato.
Aragorn si voltò verso di lei, e nei suoi occhi la giovane lesse qualcosa che le procurò insieme tristezza e disgusto: un’immensa pietà.
Si rese conto all’improvviso di sapere già come sarebbe andata a finire quella discussione, e il pensiero le fece salire le lacrime agli occhi.
Ma non avrebbe pianto.
Non davanti a lui.
E forse nemmeno dopo.
 
Éowyn fece appello a ogni briciolo di coraggio e dignità che sapeva di possedere.
“Aragorn”.
Era la prima volta che lo chiamava per nome.
“Perché devi prendere quella via? Non c’è nulla per te oltre quel maledetto cancello, solo rovina e morte. Non conosci dunque il suo nome? Nessuno si è mai avventurato lì dentro, per poi farvi ritorno”
 
“Mia dolce Signora, conosco fin troppo bene quelle vie. Da ben prima che tu arrivassi su questa terra per allietarla con la tua presenza. E la mia strada mi conduce proprio lì dentro. Ѐ il mio destino, non posso evitarlo. Se potessi seguire la voce del mio cuore, a quest’ora starei passeggiando per sentieri ben diversi, lassù nella bella valle nascosta di Imladris”
 
Éowyn non perse tempo a domandarsi il significato di quelle ultime parole: sapeva soltanto che Aragorn non si sarebbe mai lasciato convincere a rimanere, e nella sua mente non rimase spazio che per un solo pensiero. Una supplica, in realtà.
 
“Lasciami venire con voi, allora”. Ma era inutile, lo sentiva.
“No, mia Signora” rispose lui infatti, ed Éowyn capì che si era aspettato una domanda del genere.
Per un istante si vide improvvisamente attraverso i suoi occhi, e non provò altro che rabbia e ribrezzo.
Una sciocca ragazzina infatuata, è così che doveva apparire, per la quale non si poteva provare altro che pena e compassione. Delle ondate di nausea la scossero, ma cercò di non darlo a vedere.
“Sai bene che non è possibile. Il tuo posto è qui, con il tuo popolo, non in una qualche missione suicida, o nel ventre di una montagna, e nemmeno…”
“Al tuo fianco?” concluse Éowyn, e si stupì lei per prima della totale assenza di stizza in quelle parole: non contenevano altro che una calma e fredda rassegnazione.
Non desiderava più nulla delle misere profferte che Aragorn aveva da offrirle: piuttosto la morte!
L’espressione negli occhi dell’altro non cambiò minimamente, salvo poi farsi infinitamente più addolorata.
L’erede di Isildur le sfiorò il viso con la mano, sforzandosi di sorriderle dolcemente: “Credimi, Éowyn: non ti ho augurato altro che gioia fin dal primo momento in cui ti ho vista. Mi spezza il cuore sapere di non poterti dare quello che cerchi”.
E senza aggiungere altro le voltò le spalle e si allontanò da lei.
Partì poco dopo, assieme alla grigia compagnia di Elfi e Raminghi, e ai fedeli Gimli e Legolas.
 

* * *
 
 
Éowyn non ebbe la forza di assistere all’addio fra il piccolo Merry e i suoi amici, ma il giovane Hobbit sembrava ancora più abbattuto di lei, mentre insieme li guardavano allontanarsi.
Attorno a loro i soldati borbottavano sconsolati: ognuno voleva dire la sua, e giravano le opinioni più discordanti: c’era chi pensava che Aragorn partisse perché non c’era speranza, chi perché gli era stata assegnata una qualche misteriosa missione, altri ancora credevano che stesse andando a morire di sua spontanea volontà.
 
“Parte perché deve farlo” tagliò corto re Thèoden, con un tono secco e autoritario, “E anche noi dobbiamo fare altrettanto. Non vi è altro tempo da perdere, Gondor ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Smontate l’accampamento, spegnete i fuochi, sellate i cavalli e tenetevi pronti!”
 
Stava succedendo tutto troppo velocemente, pensò
Éowyn.
Ma forse era meglio così: almeno non avrebbe avuto il tempo di rimuginare su quanto successo e continuare a piangersi addosso.
Poteva vedere con chiarezza il suo futuro, come se fosse già stato scritto, e scorresse fluidamente davanti ai suoi occhi: una vita fatta di angosce e di attesa, una vita nella quale non veniva considerata altro se non una creatura fragile e delicata, capace solo di occuparsi della casa e di quelli più deboli di lei.
Una donna come le altre, nonostante il suo rango, il suo coraggio, le sue aspirazioni, le sue abilità… 
 
“Rimanere chiusa dietro le sbarre, finchè il tempo e l’età ne avranno fatto un’abitudine, e ogni occasione di valore sia diventata un lontano ricordo o un desiderio”.
 
Non erano passati che pochi giorni da quando aveva rivelato ad Aragorn la sua peggiore paura, ed anche in quell’occasione lui se ne stava andando, e lei era stata lasciata indietro.
 
Ormai ne era totalmente convinta: una morte gloriosa in battaglia era l’unica via d’uscita da quella insopportabile situazione.

Se Thèodred fosse qui perderebbe le staffe! Non è per questo che ti ha istruita! Non pensi al dolore che provocherai con un atto del genere?

No, non ci pensava, non voleva pensarci, non le importava più niente! E poi chi volevano prendere in giro? Se la situazione era così disperata come aveva sentito, vi era un’altissima probabilità che nemmeno ciò che restava della sua famiglia tornasse mai più dalla guerra. E lei non voleva sopravvivere a nessuno, non più. Non ne vedeva ragione.
 
Questa sarà la fine della casa di Eorl, pensò, sorridendo amaramente.


 
 * * *
 
 
“Sai bene che cosa mi aspetti da te, non è vero? Ne abbiamo già parlato altre volte”
 
Thèoden appoggiò la fronte contro la sua socchiudendo gli occhi: “Non ti dirò addio figlia mia, perché voglio credere che vi sia ancora speranza oltre le nubi che ci sovrastano”.
“So che mi renderai fiero di te” concluse con un bacio, che sapeva di lacrime e rimpianti.
Éowyn rimase in silenzio, per paura che la voce tradisse le sue vere intenzioni, ma il Re non parve dispiacersene: il rapporto con sua nipote si era sempre basato più sui gesti che sulle parole.
 
Anche il saluto con Éomer fu completamente muto, ma in quel caso dipese più del temperamento burbero del fratello.
Éomer aveva il cuore a pezzi, ma la coscienza pulita: sarebbe stato fiero di dare la vita nella battaglia più importante che avesse mai affrontato, per tenere al sicuro lei e la loro terra, ed Eowyn lo invidiò, nonostante i pericoli che lo attendevano.
Almeno lui non avrebbe dovuto ricorrere ad alcun sotterfugio.
 
Poco distante vide suo zio discutere alacremente con Merry, e una volta finita la breve discussione, vide lo Hobbit abbassare il capo, abbattuto e sconsolato.
Non aveva avuto il permesso di partire con loro, proprio come l’arguto giovane si era aspettato fin dall’inizio.
 
Approfittando del tumulto e della confusione generati dal momento della partenza, Éowyn si avvicinò non vista ad un armatura ed un elmo rimasti incustoditi.
Dovevano appartenere a qualche disertore dell’ultimo minuto, si disse distrattamente.
Nascosta sotto la sella di Dahira si trovava invece la vecchia spada regalatale da Thèodred, e custodita come un tesoro per tutti quegli anni.
 
Una volta che fu sicura che suo zio e suo fratello fossero lontani, in testa alla colonna di uomini,
Éowyn montò anch’essa a cavallo, dirigendosi al galoppo verso una figurina rimasta immobile in mezzo a tutto quel caos.
 
Merry soffocò un urlo di spavento quando si sentì sollevare da sotto le ascelle: era stato un soldato giunto di gran carriera alle sue spalle, che ora l’aveva depositato innanzi a sè, dividendo generosamente la sella con lui.
Merry si voltò a guardare il suo misterioso cavaliere, ma quando stava per chiedergli chi fosse o cosa diamine avesse intenzione di fare, le parole gli morirono in gola.
Pur da sotto l’elmo, riconobbe senza esitazione i profondi occhi grigi e il meraviglioso sorriso ostinato di dama Éowyn.
“Ti avevo detto che non ti avrei lasciato da solo, mastro Hobbit. Cavalca con me!”
Ancora incredulo Merry le restituì il sorriso, e una fiera luce di determinazione gli si accese negli occhi.
 
Il giovane Hobbit tornò guardare in avanti, pronto ad affrontare insieme ad 
Éowyn, quella che si  prospettava essere la sfida più grande della vita di entrambi.
 

   
 








 

Benni’s Hole:
Sono di fretta, di frettissima e ho pure un gran mal di testa, perciò scusate se non m’intrattengo troppo çç
Che dire? E’ stato un pessimo San Valentino per la nostra Eowyn ^^”… battuta pessima, scusate xD.
Spero di essere riuscita a descrivere bene la scena perché vi assicuro che è stato un parto çç.
Devo dirvi che la parte che mi piace di più del capitolo è la descrizione dei gemelli. Per il resto invece non sono convintissima, ma aspetto i vostri pareri.
Insomma, ci siamo! Siamo quasi alla battaglia çç help!!!
Vi chiedo già scusa in anticipo ma avendo due esami tra il 23 e il 24 mi sa che la prossima settimana salta l’aggiornamento… Abbiate pazienza che poi torno, promesso!
 
Un grandissimo grazie a tutti coloro che leggono, alle recensiste, preferitori/seguitori (in particolar modo a Kanako91 e Xingchan che mi hanno aggiunta di recente) e ricordatori xD
Non so dirvi quanto vi sia grata per tutto l’affetto che mi state dimostrando, siete tantissimi e vi adoro :*
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La breve notte di Dernhelm ***


 

La breve notte di Dernhelm


                                                                                                                 


Che l’apparenza molto spesso inganni, è abbastanza risaputo.
Ma ciò non impedì ad Éowyn di meravigliarsi ancora una volta, e sempre in negativo, di quanto fosse faticoso cavalcare per diversi giorni di fila. O addirittura durante la notte.
Senza trascurare il fatto che la cavalcatura in questione non fosse interamente per lei, ma abbia dovuto condividerla con un’altra persona. E per quanto piccolo e leggero potesse essere Merry, una certa differenza comunque la faceva.
Perciò quando il re ordinò finalmente di fermarsi, a pomeriggio inoltrato, la fanciulla non si sorprese nel sentire ondate di puro sollievo invaderle l’animo.
Dopo aver aiutato Merry a smontare da Dahira, Éowyn si prese un paio di minuti per osservarlo, e per capire se stesse bene.
Il Mezz’uomo sembrava provato tanto quanto lei, ma Éowyn non lo aveva mai sentito lamentarsi. Non una singola volta.
Lei da parte sua decise di non domandargli nulla, temendo che avrebbe potuto ferirlo nell’orgoglio, se mai avesse fatto trasparire la sua preoccupazione.
Merry si era guadagnato il diritto di essere lì con loro, di essere trattato da pari. Nessuno poteva capire questa cosa meglio di lei, e che potesse essere dannata se ora avesse rovinato tutto con atteggiamenti da mamma apprensiva!
 
Éowyn venne distratta dai quei pensieri da una fitta lancinante al fianco, più o meno a livello della milza.
Si accorse di avere le membra completamente intorpidite: nulla di cui stupirsi dopo tutte quelle ore a cavallo!
Provò a stendere gambe e braccia, passando poi a massaggiarsele, nel tentativo di riattivare completamente la circolazione sanguigna.
La pesante cotta di maglia che aveva addosso le impedì di riprendere fiato come avrebbe voluto: chi avrebbe mai immaginato che le armature dei soldati avrebbero potuto rivelarsi così scomode!
“È tutto così diverso da come me l’ero sempre immaginato!” pensò tra sé, “Quante cose credevo di sapere, e invece…”
Già, invece.
 
Solo pochi giorni prima era la Dama Bianca di Rohan, splendida signora di Meduseld. Una creatura delicata da servire e proteggere.
Ora invece eccola lì, nel bel mezzo di quel vasto mondo che tanto aveva agognato di poter esplorare, circondata da migliaia di soldati, che tanto nella sua infanzia, quanto nell'adolescenza, aveva spesso invidiato.
 
Mentre stava cominciando a guardarsi intorno, in cerca di legna secca per accendere il fuoco, vide venirle incontro Efhelm, il comandante dell’Éored della quale era entrata a far parte.
L’uomo era l’unico, oltre a Merry ovviamente, ad essere a conoscenza della sua vera identità: a tutti gli altri soldati Éowyn aveva scelto di fornire il nome ‘Dernhelm’. Elmo segreto.
 
Efhelm chinò lievemente il capo, guardingo, cercando di non farsi notare dagli altri uomini.
Éowyn si fidava ciecamente di lui: era infatti uno dei superstiti della battaglia dei guadi dell’Isen, ed era stato grande amico di Thèodred.
Da esperto soldato, e grande osservatore qual’era, Efhelm l’aveva inquadrata subito. Dopo essere stata messa alle strette, il giorno stesso in cui avevano lasciato Dunclivo, la giovane aveva rischiato il tutto per tutto, rivelandogli la sua vera identità, e quella di Merry.
Il comandante l’aveva guardata con una sorta di incredulo stupore, e per diversi secondi non era riuscito a dirle nulla.
Poi una volta ripresosi si era mostrato incredibilmente accondiscendente, come mai Éowyn si sarebbe aspettata, e aveva benedetto la sua buona stella.
Niente rimproveri, provvedimenti o ramanzine… Chi lo sa, forse Efhelm aveva provato per davvero a mettersi nei suoi panni; forse la credeva animata dal bisogno di vendicare il cugino. Oppure più probabilmente si era semplicemente rassegnato, considerando il minore dei mali avere una donna -seppure la nipote del Re!- all’interno delle sue truppe, rispetto a tutto ciò che presto avrebbero dovuto affrontare. Éowyn non sapeva dire quale delle tre ipotesi potesse essere quella giusta -anzi, magari le motivazioni del comandante erano in realtà tutt’altre- ma non le importava. Tutto ciò che contava era avere la sua approvazione, oltre alla sua complicità. Cose per le quale sentiva di essergli incredibilmente grata.
 
“Mia signora” le stava mormorando ora l’uomo, “State bene? Vi ho vista affaticata! C’è forse qualcosa che posso fare per voi?”
“Avete fatto già molto mantenendo il segreto, amico mio” rispose Éowyn, “Vi prego dunque di continuare a trattarmi come uno dei vostri uomini. Destare sospetti per un trattamento preferenziale è l’ultima cosa che voglio”.
L’uomo assentì col capo: “Sta bene, ma di qualunque cosa possiate avere bisogno non esitate a riferirmelo, mia Signo-”
“Sono Dernhelm adesso, ricordate?” lo interruppe lei, accennando un sorriso, “Di una cosa avrei effettivamente bisogno: ho perso di vista il mio compagno” disse guardandosi intorno alla ricerca di Merry, “Sapete forse dove sia…”
“Eccolo, è laggiù” rispose Efhelm, facendo segno col dito a qualche metro da loro.
“Una creatura davvero singolare” ridacchiò, “Credo stia cercando di fare amicizia con gli altri soldati”
Merry era infatti circondato da alcuni uomini, coi quali stava discutendo in maniera alquanto concitata.

Éowyn sorrise, intenerita, ma allo stesso tempo preoccupata: E se lo Hobbit si fosse inavvertitamente fatto sfuggire qualcosa? Ma no, che sciocchezze, poteva fidarsi di lui…

Beh, meglio non correre rischi, comunque.
 
“Messer Meriadoc!” lo chiamò, rimettendosi l’elmo, “Vieni qui! Ho bisogno del tuo aiuto!”
Lo Hobbit sembrò dispiaciuto alla prospettiva di dover lasciare i suoi ‘nuovi amici’, tuttavia fece comunque come gli era stato detto, tornando trotterellando verso di lei.
“Comandate, mia sign- ehm volevo dire, Dernhelm!” le disse, correggendosi all’ultimo.
“Coraggio, Merry, accendiamo un fuoco” fu la risposta, “Dobbiamo cercare di sfruttare al meglio questi momenti di riposo”.
 
 

* * *
 
 
Un’ora più tardi i due compagni giacevano sdraiati accanto alle braci morenti, che emanavano ancora un piacevole, per quanto tenue, calore.
Il sole era tramontato, e centinaia di stelle si erano accese nel cielo, illuminando la notte con il loro chiarore.
Per un po’ l’unico pensiero di Éowyn fu quanto risultasse scomodo e fastidioso riposare all’addiaccio. Non aveva ancora trovato una posizione che li si confacesse, e stava perdendo le speranze di trovarla del tutto.
Durante il pasto serale Merry si era dimostrato incredibilmente loquace: aveva raccontato all’amica dei precedenti discorsi con i soldati, e nella sua voce Éowyn aveva avvertito, con suo grande sollievo, un inusuale entusiasmo.
 
“Non facevano altro che prendermi in giro all’inizio, ma ci sono abituato” aveva detto lo Hobbit, “Ѐ da quando ho lasciato la Contea che, dovunque io vada, le persone mi guardano meravigliate, dandosi di gomito e bisbigliando fra loro. Non avrei mai immaginato che noi Mezz’uomini potessimo destare così tanta confusione!
Voglio dire! Io sono a conoscenza dell’esistenza di Elfi, Nani e della Gente Alta da tutta la vita. Non mi è mai capitato di restare a fissarli con la bocca spalancata dallo stupore. Di noi invece sembra non sapere niente nessuno!”
 
Mentre parlava agitava le mani ed era decisamente più buffo del solito.
Éowyn si trovò a ringraziare silenziosamente più volte la Sorte, per averle donato un tale compagno di viaggio: quello spirito fresco, puro ed ingenuo, ancora così capace di stupirsi davanti a tutto, era un vero balsamo in una situazione così tenebrosa come la loro.
“Ti hanno chiesto qualcosa di me?” domandò la giovane, cercando di non far trapelare la sua ansia da quelle parole.
“Sì, a un certo punto hanno effettivamente iniziato a farmi delle domande”, rispose Merry grattandosi il mento, e sforzandosi di ricordare, “Ma il comandante Efhelm che passava di lì li ha zittiti, asserendo che garantiva lui per voi”.
 
Éowyn sospirò sollevata, chiedendosi poi quando quel testone avrebbe iniziato finalmente a darle del tu.
“Allora hanno ricominciato a dileggiarmi, chiedendomi cosa ci facesse una creaturina come me in mezzo ad un esercito di cavalieri”.
“Che cosa gli hai risposto?” domandò ancora Éowyn, curiosa.
“Che non lo sapevo nemmeno io… Che volevo solo rendermi utile, perché ero stanco di venire sempre lasciato indietro. Che tutti quelli che amo sono partiti per luoghi oscuri e missioni pericolose, e che anche io volevo fare la mia parte, per quanto piccolo e insignificante possa essere il contributo di uno come me. Poi non sapevo più cosa aggiungere, e allora gli ho raccontato di Pipino”.
“Merry…” cominciò Éowyn con tono addolcito: sapeva bene quanto non fosse facile, per lo Hobbit, parlare del suo amico e parente, così lontano.
“I loro sguardi sono cambiati completamente” continuò imperterrito il Mezz’uomo, come se l’interruzione non ci fosse mai stata, “Non erano più canzonatori, ma pieni di rispetto. Mi hanno dato tante di quelle manate sulla schiena da lasciarvi probabilmente il segno” ridacchiò, “Per fortuna poi, è arrivato mastro Dernhelm a salvarmi” concluse, azzardandosi a farle una strizzatina d’occhio.
Éowyn in risposta gli arruffò i capelli, irrigidendosi però pochi secondi dopo: non era proprio da lei un gesto del genere!
 
Infine tra loro era sceso un silenzio così profondo da indurre
Éowyn a credere che il compagno si fosse ormai addormentato.
Uno starnuto arrivò immediatamente a smentirla.
“Ci siamo quasi” sentì la sua voce dire.
“Già” fu la risposta.
“Non mi sembra ancora vero di essere qui” esalò, “Ad appena poche ore da Minas Tirith”
“Dernhelm…”
Éowyn sorrise: lo Hobbit aveva imparato bene la lezione.
“Dimmi, Merry”
“Potremmo morire domani …”
“Lo so bene”. Lo aveva accettato ormai da diversi giorni.
Tuttavia questo non le impedì di sentire comunque una morsa, acuta come una stilettata e fredda come il ghiaccio, opprimerle il petto.
“Hai forse qualche ripensamento, piccolo amico?”
“No… e se anche fosse oramai è troppo tardi. Vorrei solo che tutto questo non fosse necessario. Vorrei essere un grande guerriero, forte come vostro fratello e fiero come il Re. Vorrei poter sbaragliare tutti i nostri nemici con la sola forza del pensiero e arrivare galoppando in Città, per salvare Pipino. Vorrei poter tenere al sicuro anche voi, vorrei potervi offrire di più di quello che sono. E ciò che sono è solo… solo uno Hobbit!”
“Quante parolone, messer Meriadoc…” borbottò Éowyn, per nulla impressionata da quello sfogo, almeno apparentemente.
 
“Stammi bene a sentire” sbottò poi, ufficialmente stanca di sentire l’amico sminuirsi e ad auto commiserarsi in quel modo, “Tu possiedi più forza e coraggio di molti altri uomini, alti almeno il doppio di te, che ho conosciuto in vita mia. Il tuo cuore è sincero, e ti ha portato fin qui, e io non potrei desiderare compagno d’arme migliore al mio fianco! Perciò ora basta con questi discorsi, e piuttosto cerca di riposare finché puoi!”
 
“Ѐ solo che siete così giovane e bella” mugugnò ancora l’altro, abbassando ulteriormente la voce, come se si vergognasse di quelle confidenze o temesse la reazione della giovane, “Non posso sopportare l’idea di vedervi spezzata. Voi non dovreste nemmeno esser-”
 
Per sua fortuna il suo tono di voce era decisamente troppo basso, e le parole troppo indistinte, perché Éowyn riuscisse pienamente a coglierne il significato, altrimenti, Merry ne era sicuro, avrebbe potuto seriamente arrabbiarsi con lui.
E, sempre per sua fortuna, lo squillo di un corno si mangiò la parte finale della sua frase.
 
Éowyn si tirò su di scatto, scordandosi all’istante della loro discussione, i nervi a fior di pelle.
“Ma come… Com’è possibile? Non ci siamo coricati che da un paio d’ore!”
 
Tutto intorno a loro si era fatto un gran vociare, e numerosi soldati, ancora frastornati come lei, stavano lasciando malvolentieri i loro giacigli, e dopo aver raccolto la propria roba, stavano correndo di gran carriera verso i cavalli.
 
Efhelm era già in sella al suo destriero, e gridava ordini a destra e a manca, in mezzo al parapiglia generale.
“Prepararsi a partire immediatamente! Avanti uomini, non c’è tempo da perdere. Minas Tirith ci attende!”
 
Merry non aveva impiegato che pochi minuti per rassettarsi, ed era anche riuscito a raccogliere qua e là frammenti di informazione.
“Sembra che la situazione a Gondor sia ancora più critica rispetto al previsto” riferì con un rantolo ad Éowyn: aveva il fiatone per aver corso come un forsennato in giro per il campo; “Poco fa sono giunti di gran carriera dei messaggeri da Minas Tirith, assieme a dei nostri esploratori, recando infauste notizie. Ѐ per questo che Efhelm ha deciso-”
 
“Sì, sì lo avevo immaginato”, lo interruppe forse troppo bruscamente Éowyn.
 
E così il momento era finalmente arrivato, non si poteva più tornare indietro.
 
Éowyn serrò le palpebre e cercò di rimuovere dalla mente qualunque tipo di emozione, finchè non rimase altro che una feroce e fiera determinazione.
Quando riaprì gli occhi essi bruciavano di passione, come mai prima di allora.
 
Montò velocemente su Dahira, tendendo poi una mano allo Hobbit: “Ci siamo, Merry. Sei pronto?”
 
“Come si fa ad essere pronti per una cosa del genere?” avrebbe voluto risponderle lui. All’improvviso non desiderava altro che potersene tornare a casa all’istante, nella sua bella e pacifica Contea, lontano dai pericoli e dai ricordi.
“Ma non esisterà più la Contea se non faccio qualcosa. Non solo fisicamente. Non sarà proprio più lo stesso posto per me. Non mi potrei più guardare in faccia se abbandonassi ora i miei amici, dopo tutto quello che ho passato per giungere qui”.
Tutti questi pensieri gli attraversarono la mente in appena una frazione di secondo.
 
Merry annuì deciso, e afferrò la mano che gli veniva offerta.

 
 

   
 
 




 

Benni’s Hole:
Lo so sono in ritardo.
Lo so, è corto (lo dice pure il titolo ^^”)
Lo so è di transizione.
Giuro che è l’ultimo prima di arrivare finalmente al Re Stregone, lo giuro, lo giuro xD
Il punto è che mi sembrava troppo forzato passare direttamente alla battaglia, e volevo dedicare un paio di righe alle vicissitudini di Dernhelm ( per la gioia di alcune di voi xD) ossia la nostra Eowyn in panni maschili, alle prese con la quotidianità da soldato…
Spero come sempre che vi sia piaciuto e grazie infinito di aver letto :-*
Un abbraccio a tutti i lettori, recensiste, ricorda tori, preferitori (Laylath che mi ha aggiunta da poco) e seguitori (Crisbo e PuccaChan_Traduce che mi hanno aggiunta da poco ♥)
 
Siete meravigliosi, alla prossima!
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Io non sono un uomo ***


 

Io non sono un uomo


   
 

Per quanti racconti, leggende o canzoni, relativi a battaglie ed imprese gloriose, si possano ascoltare, nessuno di essi potrà mai preparare davvero una persona ad affrontare tali situazioni.
Éowyn ricordava di aver già sentito parole simili a quelle che ora si stavano agitando caoticamente nella sua mente.
Era stato Thèodred a menzionargliele, a metterla in guardia. Sempre lui, il suo meraviglioso cugino, che l’aveva amata come pochi altri, con sincerità e passione.
 
Che cosa direbbe se mi vedesse ora?
 
No, non doveva pensarci, non c’era più tempo per riflessioni del genere.
Nessun ripensamento, nessun indugio, nessuna paura.
Concentrati, Éowyn, le stava dicendo una voce non sua, se sarai in grado di visualizzare il pericolo, allora saprai anche affrontarlo. Da che parte arriva il tuo nemico?

Il problema è che queste bestie sono troppe, dannatamente troppe, fu la sua risposta, secca e risolutiva.
Ed era la verità: neanche nelle sue più accese fantasie,
Éowyn aveva mai immaginato che potesse davvero esistere un simile esercito.
 
Le terre del Nemico devono essersi sicuramente svuotate! 
 
I cavalieri di Rohan erano giunti alle prime luci dell’alba: timidi raggi di sole avevano annunciato il loro arrivo, squarciando il minaccioso manto di nubi che ottenebrava il cielo.
Le verdi e sconfinate pianure del Pelennor si stendevano rigogliose innanzi agli occhi dei Rohirrim, e al loro limitare, sorgeva Minas Mirith, la Città Bianca, Roccaforte dei Re.
 
Un panorama assai suggestivo, che normalmente avrebbe mozzato il fiato a qualunque viandante in procinto di entrare nel regno di Gondor, appariva ora completamente deturpato.
Toglieva sì, ancora il respiro, ma per motivi completamente diversi e, -Éowyn non riusciva a trovare una parola più adatta- sbagliati.
L’erba sarebbe dovuta essere verde, fresca, intrisa di rugiada e profumata di Primavera.
Invece era putrida e di un innaturale colore vermiglio: il colore del sangue, che dilagava sul campo di battaglia.
Là dove normalmente avrebbero dovuto sorgere felci, pianticelle e distese di fiori, non vi era altro che una moltitudine di fetidi Orchi.
Finalmente, dopo averne tanto sentito parlare, Éowyn aveva potuto mirarli con i suoi occhi.
Quella vista le aveva procurato orrore e sgomento, ma anche cieco furore.
Per colpa loro, aveva perso tutto ciò che di più caro aveva al mondo.
Per colpa loro, ancora una volta, rischiava di ritrovarsi nuovamente da sola.
E per sempre.
 
No, si disse, non se la mia spada potrà dire la sua. In una maniera o nell’altra, tutto avrà fine oggi.
 
E si sentiva stranamente sollevata all’idea.
 
Con una mano la giovane reggeva le redini; l’altro braccio invece era avvolto attorno al petto di Meriadoc.
Sentì il piccolo Hobbit irrigidirsi e trattenere il fiato, come se avesse preso solo ora coscienza, tutto di un colpo, di che cosa li stesse realmente aspettando.
 
Prima che potesse anche solo pensare a una qualche -benché inutile!- parola di conforto, vide Nevecrino, il destriero di suo zio, sfrecciare velocemente davanti alle prime file di cavalieri.
Éowyn si sforzò di concentrarsi sul discorso che il Re stava pronunciando, per scuotere ed incoraggiare i suoi uomini, ma molte di quelle parole si persero nel vento, prima di giungere alle sue orecchie.

Éowyn si rese conto, con profondo sconcerto, che avrebbero potuto essere le ultime che avrebbe mai sentito pronunciare da lui.
 
“Un giorno rosso, prima che sorga il sole! Morte!” esclamò Thèoden, levando alta la spada.
L’esercito gli fece eco, alzando le lame verso il cielo.
 
“Avanti, Eorlingas!” concluse lui, tornando a guardare davanti a sè.
Il caratteristico segnale della carica, dettato da un corno, risuonò nell’aria, e fu così che tutto ebbe inizio.
 

* * *

 
Éowyn si sentiva come se ogni cosa stesse sfuggendo al suo controllo.
Pochi minuti prima era al sicuro sulla cima di un colle, ora invece aveva già tranciato di netto la testa ad una decina di Orchi, e mutilati barbaramente altrettanti.
Il giovane Merry non era stato da meno: la sua piccola lama si era data parecchio da fare.
Il morso dell’Hobbit è profondo!* pensò
Éowyn quando vide il Mezz’uomo infilzare l’ennesimo nemico.
 
Da vicino gli Orchi erano, se possibile, ancora più ripugnanti: gli occhi maligni, vacui e spenti, erano privi di quella calda scintilla vitale che abita in ogni essere umano; la pelle secca, quasi in putrefazione, era ricoperta di macchie simili a disgustose pustole.
Creature disumane, che non meritavano la vita, così pensava, o si sforzava di pensare Éowyn, e nel suo cuore non sentiva alcuna pietà.
 
“Per la Contea!” sentì urlare Merry.
“Per Rohan!” gli fece eco lei.
 
L’essere a cavallo forniva a entrambi un considerevole vantaggio: i loro colpi piovevano micidiali dall’alto, quelli degli Orchi invece erano meno potenti, a causa dello sforzo che costoro dovevano sostenere per alzare le armi, al fine di raggiungere i cavalieri.
 
Quella carneficina sembrava non avere mai termine: laddove un nemico cadeva pareva ad Éowyn che ne spuntassero fuori altri dieci.
Quanto tempo doveva essere passato dall’inizio della battaglia? Un’ora? Due? Un’intera giornata?
Dopo quella che le parve un’eternità, gli assalti cominciarono incredibilmente a farsi meno frequenti, e di minore violenza.
O forse era solo una sua illusione, dovuta alla stanchezza?
Merry accanto a lei stava ansimando pesantemente, ma aveva anche un’espressione soddisfatta, quasi esaltata.
La sua lama grondava sangue e la sua fronte, coperta da un piccolo elmo, era impregnata di sudore.
Merry digrignò i denti, assumendo un’espressione così diversa dal solito, così innaturale per lui, che Éowyn ne fu quasi scioccata.
Lei non doveva essere in condizioni migliori, lo sapeva bene: il braccio che reggeva la lama era alquanto intorpidito, per non parlare dei muscoli delle gambe.
 
“Rendete sicura la Città!”
 
Era stato suo zio a parlare: per la prima volta dopo molti giorni l’espressione di Thèoden sembrava nuovamente spavalda, sicura, e non più rassegnata.
 
“Forse… Forse il peggio è passato! Forse ce l’abbiamo davvero fatta!”
Per qualche secondo fu questo che Éowyn si concesse di sperare, mentre assisteva alla fuga di innumerevoli Orchi.
I suoi compagni stavano massacrando i rimanenti, e sembrava solo questione di tempo prima che la strada verso Minas Tirith venisse finalmente liberata da quelle fetide bestie.
Con la coda dell’occhio vide Elfhelm avvicinarsi a suo zio: sembrava in procinto di dirgli qualcosa.
“Ѐ fatta!” pensò rassegnata, “Ora gli racconterà tutto. Ma perché fare una cosa del genere? Rischierebbe solamente di finire nei guai…”
Ma che cosa il suo capitano avesse avuto veramente intenzione di dire a Thèoden, Éowyn non lo scoprì mai. Un gemito sommesso di Merry la costrinse a voltare il capo dalla sua parte.
Confusa, seguì lo sguardo dello Hobbit, che era fisso davanti a sé e pieno di terrore, e fu allora che li vide.
 
Parevano usciti direttamente da uno dei libri della sua infanzia.
Molti anni prima aveva letto di loro in alcuni racconti: creature esotiche e imponenti, ma anche inesorabilmente letali.
Non le avevano portato altro che incubi, pieni di zanne e fragori simili a tuoni.
Incubi che credeva ormai sopiti per sempre.
 
“Quelli… Quelli sono…” balbettò Merry.
“Olifanti…” concluse
Éowyn.
 
 “Tieniti forte” sibilò a Merry, cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni.
Tirò le redini di Dahira, incitando la cavalla al galoppo con fare deciso.
“Ma cosa… Cosa fai?” urlò il piccolo Hobbit, incredulo, “Non staremo veramente…?”
Tanto grande era l’agitazione che si era impadronita di lui, da indurlo a balbettare, e a dimenticarsi persino di rivolgersi a lei con il consueto ‘voi’.
“Per i nostri amici, Merry!” esclamò Éowyn, come se non lo avesse nemmeno sentito.
Non erano certo arrivati fino a quel punto per tirarsi indietro proprio ora!
 
 
L’impatto di quelle mastodontiche zampe con il terreno fu più forte di quanto Éowyn si fosse mai aspettata.
Il suolo tremò sotto gli zoccoli di Dahira, ma fortunatamente la cavalla non s’impennò, continuando imperterrita il suo galoppo.
“Vai così bella, vai così!” la incalzava Éowyn digrignando i denti, e con gli occhi ridotti a fessure.
Facendo appello a ogni briciolo della sua abilità, acquisita durante le innumerevoli cavalcate, guidò l’animale sotto l’enorme e pingue ventre dell’Olifante, tenendosi sulla traiettoria che li avrebbe portati a passare esattamente in mezzo alle sue gambe.
 
“Prendi le redini!” intimò a Merry, quando non furono che a pochi metri di distanza.
Lo Hobbit obbedì senza esitare, ed Éowyn, libera da ogni impaccio, imbracciò la spada, e assestò un paio di fendenti ben precisi alle zampe posteriori dell’animale.
La bestia si accasciò al suolo, appena una manciata di secondi dopo che Dahira fu sbucata dall’altra parte.
 
Molti altri soldati stavano adottando una simile tattica, e non passò molto tempo prima che diversi Mumakil* giacessero trafitti a terra, con profonde ferite agli arti.
 
La tempra dei Rohirrim non è facile da scalfire pensò Éowyn con orgoglio, di fronte a quelle scene.
Sussultò involontariamente poi, quando con la coda dell’occhio scorse suo fratello poco distante, in sella a Zoccofuoco.
Lo vide imbracciare la lancia, e con precisione letale abbattere uno degli uomini a cavallo degli Olifanti.
Quando costui cadde a terra, senza vita, Éowyn notò che aveva gli occhi più allungati rispetto a quelli del popolo di Rohan, e il viso coperto da una strana tintura.
 
Éowyn rimase qualche secondo immobile ad osservare il fratello, come se fosse indecisa se rivelargli o meno la sua presenza.
Così presa da quei pensieri non udì la voce terrorizzata di Merry chiamarla, e quando si accorse del pericolo era ormai troppo tardi.
L’Olifante appartenente al guerriero ucciso da Éomer, senza ormai più nessuno al suo comando, stava rovinando brutalmente al suolo, travolgendo ogni cosa sulla sua traiettoria.
Éowyn e Merry compresi.
 
                         
                                                          
* * *


 
Come fosse riuscita a uscirne indenne, senza neanche una costola incrinata, Éowyn non riusciva davvero a spiegarselo.
Fu l’adrenalina che la spinse a reagire, accantonando ogni inutile pensiero sul fondo della mente.
Piantando i gomiti riemerse a fatica dalla gigantesca carcassa dell’animale abbattuto, tossendo e sputando a terra.
Era ricoperta di polvere e fango dalla testa ai piedi, ma incredibilmente incolume.
“Merry!” urlò, guardandosi intorno febbrilmente: dov’era finito? Se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdona-
 
Uno strillo micidiale fendette l’aria, interrompendo i suoi pensieri.
 
Éowyn voltò il capo sgomenta, alla ricerca della fonte di quel suono.
Non assomigliava a niente che le fosse mai capitato di udire in precedenza.
Era un urlo agghiacciante, disumano, stridulo e affilato come una lama.
 
Un’ombra scura e indistinta sfrecciò, rapida come una saetta, qualche metro sopra di lei, calando poi in picchiata poco distante.
L’obiettivo che aveva puntato era un uomo dritto e fiero, dal portamento regale e dalla chioma brizzolata, a cavallo di un bianco destriero.
Il cuore di Éowyn perse un paio di battiti nel riconoscerlo: era suo zio.
 
Il mondo circostante parve inizialmente fermarsi, poi tutto prese a vorticare.
Tutta la sua intera esistenza passò davanti agli occhi sgranati di Éowyn, in appena un battito di ciglia.
Rimase, come imbambolata, a guardare quel terrificante essere alato conficcare gli artigli nella carne di Nevecrino, e scaraventarlo per terra.
Il cavallo travolse completamente Thèoden, imprigionandolo sotto di lui, e non si mosse più.
Se fosse stato il terrore a ucciderlo, o le tremende ferite, Éowyn non avrebbe saputo dirlo.
Tutto ciò che la sua mente riuscì a percepire fu che il Re non avesse più scampo, completamente alla mercè di quel mostro.

Come mossa da una forza misteriosa,
Éowyn si avvicinò di corsa alla carcassa di Nevecrino, vincendo la paura e la repulsione, che l’avevano tenuta immobilizzata fino a un secondo prima.
 
Con somma angoscia, nell’avvicinarsi si accorse che la misteriosa creatura alata aveva un cavaliere sul dorso, anch’esso scuro come una notte senza stelle.
I suoi abiti parevano consistere in un unico tetro mantello, mentre le mani erano ricoperte da quelli che sembravano guanti di ferro.
Il capo era circondato da una maschera nera, attorno alla quale era disposta una corona d’acciaio, scintillante di una luce micidiale.
Era alto, terribilmente alto.
Almeno due volte un uomo mortale.
Ma ciò che più colpì Éowyn, fu il fatto che il terrificante cavaliere non avesse volto!
Tutto ciò che riuscì a intravedere, nella spaventosa orbita, buia e vuota, al centro della maschera, furono due sottili bagliori rossi, simili a delle fiamme.
 

Éowyn sguainò la spada, tremante, andando a porsi fra il mostro e Nevecrino, senza arretrare di un centimetro.
La voce di quell’essere, sibilante e glaciale, le fece tremare le ginocchia.
 
“Spostati, stolto! Non metterti fra il Nazgul e la sua preda, se vuoi avere salva la vita!”
“Non avvicinarti!” ribattè Éowyn, cercando di racimolare ogni stilla di coraggio, “Ti ucciderò se osi toccarlo!”
“Uccidermi?” la voce del Nazgul si fece quasi gracchiante, “Come osi rivolgermi simili parole? Non sai niente della morte! Nessun uomo mortale può uccidermi!”
 
L’orrenda bestia, simile a un incrocio fra un rettile e un serpente, sibilò a quelle parole del suo padrone, spalancando poi le fauci e avventandosi contrò Éowyn.
Lei si spostò fulminea di lato: le sue gambe si erano mosse quasi da sole, seguendo degli schemi e dei passi ormai ben radicati nella sua mente da molto, moltissimo tempo.
Schiva di lato, più fluida… Il nemico non se lo aspetta! E poi colpisci!
Calò inesorabile, con tutta la forza della disperazione.
La lama di Thèodred* colpì a più riprese il collo della bestia alata, fino a quando non la decapitò del tutto.
I suoi ultimi strilli, pieni di lamento e dolore, avrebbero perseguitato Éowyn in molte notti a venire, ma non furono nulla rispetto alla collera del suo padrone.
 
Il Nazgul si districò lentamente dalla carcassa della cavalcatura, ergendosi alto e terribile di fronte alla giovane.
Tra le mani reggeva una spaventosa e acuminata mazza nera.
Éowyn si ritrovò improvvisamente paralizzata, e il Nazgul, con un solo potente colpo, le mandò in frantumi lo scudo.
Éowyn cadde in ginocchio: sentì una fitta lancinante al braccio sinistro e comprese immediatamente che doveva essersi spezzato.
Il pensiero le fece salire un’ondata di nausea e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: E così, quella era la fine. Aveva fallito, non era riuscita a salvare il suo popolo, Merry, la sua famiglia… Il suo cuore pianse per Thèoden, che giaceva ad appena un paio di metri, all’oscuro di tutto. Non avrebbe mai potuto dirgli addio, domandargli perdono, ringraziarlo per tutto e dirgli che lo aveva amato quanto e più di un padre…
 
Mi dispiace così tanto.
 
Chiuse gli occhi preparandosi all’inevitabile, ma a farglieli riaprire quasi immediatamente, non fu il freddo colpo di grazia che si sarebbe aspettata, quanto un sorprendente ed acuto grido di angoscia.
Éowyn fissò incredula il Nazgul accasciarsi a terra davanti a lei, in preda a innaturali spasmi di dolore.
Si contorceva, come se stesse subendo i più atroci tormenti: ma chi, chi poteva mai avergli inflitto una tale sofferenza? E in appena pochi secondi?
Éowyn si rialzò, racimolando ogni briciola di energia rimanente: sarebbe stato da pazzi non approfittare di un’occasione del genere.
Con la mano destra si sfilò l’elmo, rivelando le sue fattezze al Nazgul, che per un attimo cessò le sue grida disumane, fissandola in preda allo stupore.
 
Éowyn ghignò: non c’era assolutamente nulla di divertente in quella situazione, ma non riuscì a trattenersi, fu più forte di lei.
 
Promettimi una cosa, Éowyn.
 
“Nessun uomo mortale può ucciderti, dici tu!” proruppe con voce ferma, avvicinandosi allo Spettro, “Ebbene, voglio che ti resti impressa nella memoria l’immagine di colei che libererà la terra dalla tua mefitica presenza…”
 
Tutto quello che vuoi!
 
“Questa è la tua fine, orrendo dwimmerlaik*, signore delle carogne!”
 
Non ti dimenticare chi sei.
 
“Io non sono un uomo! Tu stai fissando negli occhi una donna: Éowyn figlia di Éomund, io sono!”
 
Urlando con quanto fiato avesse in corpo,
Éowyn conficcò la lama nello spazio dove avrebbe dovuto esserci il volto dell’infernale creatura, fra la corona e il manto.
 
Una volta assestato quel colpo tremendo,
Éowyn ritrasse velocemente la lama, e la lasciò cadere a terra, come se scottasse.
Appena toccato il suolo, essa si ruppe in mille pezzi.
Éowyn sentì le ginocchia cedere nuovamente, e le forze venirle meno, mentre osservava il corpo del Nazgul disfarsi, accartocciarsi, ripiegarsi su sé stesso, completamente svuotato.
Un ultimo urlo, straziante, si levò nell’aria; poi anche quell’ultima atroce nota si spense, perdendosi nel vento, e dello Spettro non rimase più nulla, se non il vestiario vuoto.
 
Éowyn si allontanò con repulsione, strisciando dolorante fino al corpo immobile di Nevecrino, un solo angosciante pensiero nella sua mente:
 
Zio!
 
 
 
 
 







 

Note:
* frase pronunciata da Aragorn nel libro, riferendosi a un buon colpo sferrato da Frodo.
* altro nome degli Olifanti (si ringrazia Melianar per la consulenza :-*).
* vi ricordo che nella mia versione la spada di Eowyn le è stata regalata dal cugino.
* non ho idea di che voglia dire ma Eowyn a un certo punto lo chiama così.

Le ultime frasi in corsivo sono un dialogo tra Eowyn e Thèodred, preso dal capitolo 7 (il punto in cui lui promette di insegnarle a combattere).
 
Benni’s Hole:
 
Per prima cosa perdonate l’attesa! Questo capitolo mi ha dato parecchio filo da torcere e come avrete potuto notare è il più lungo che abbia scritto finora. Spero che la cosa compensi il ritardo.
Mettetevi comodi, ho un po’ di cosette da dire:
Dunque, lo so che è crudele finirlo così, ma avevo paura di mettere troppa carne al fuoco inserendo anche il dialogo tra zio e nipote. Quello sarà quindi posticipato nel prossimo capitolo, e dovrebbe essere anche l’ultima scena ‘movieverse’. Nel libro è Merry a raccogliere le ultime parole del re, ma sinceramente questo è uno dei pochi momenti in cui preferisco la versione PJ: è troppo toccante l’addio Thèoden/Eowyn e non posso non inserirlo, per come ho scelto di gestire la storia.
Spero che il capitolo non sia risultato troppo lento o pesante da seguire. Non avevo mai scritto una scena d’azione e so che l’attendavate tutti con ansia… Mi scuso veramente tantissimo se dovessi aver rovinato qualcosa ç_ç
Alcune espressioni sono prese dal libro ma ho cercato di limitarle il più possibile, mettendoci del mio e rendendo la scena più Eowyn-centrica possibile.
Ah, il cavallo di Eowyn e Merry nel libro si chiama Windolfa, ma qui ho deciso di lasciare la mia Dahira.
Se voi eravate di curiosi di leggere del Re Stregone io lo sono ancora di più di sapere che ne pensate ^^ (aiutooooo)
Perciò fatevi sotto xD, vi aspetto.
A parte gli scherzi grazie di cuore a tutti voi che leggete, recensite, preferite, seguite o ricordate: non mi stancherò mai di ripetervi quanto siate meravigliosi. Il vostro supporto è commovente, siete la mia gioia virtuale.
Nello specifico grazie in particolare a:
new entry tra le recensiste: Crisbo, Kanako91, PuccaChan_Traduce
chi mi ha aggiunta tra le preferite: Chibi_Hunter
 
dopo questo papiro lungo quanto il capitolo mi dileguo e torno a studiare (si sto ancora studiando -.-”, ma da domani sarò in vacanzaaaaaa ♥)
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Lasciami andare ***


 

Lasciami andare
 
 


Ogni azione, persino quella più banale, che generalmente si esegue in maniera spontanea, senza riflettere, risultava adesso tremendamente faticosa.
Arrancare era doloroso, respirare era doloroso, vivere era doloroso.
 
Ci sei quasi.
 
Éowyn strinse i denti e si trascinò ancora più vicina al cadavere di Nevecrino.
La giovane era totalmente incurante del mondo attorno a lei.
La battaglia non era ancora terminata, lei aveva un braccio spezzato, Merry era sparito…
E senza neanche sforzarsi troppo poteva ancora udire nell’aria, le agghiaccianti grida dell’infernale Essere senza volto né nome, che si era dissolto in polvere, sotto il colpo della sua lama.
Eppure al momento tutto ciò le appariva distante, di secondaria importanza e della stessa consistenza di cui sono fatti i sogni.
 
La realtà, tutto ciò che contava davvero, giaceva a terra poco distante, intrappolato sotto il peso della sua stessa cavalcatura.
 
Fedele servitore eppur rovina del padrone
Nato da Pieleggero, Nevecrino è il suo nome.*

 
“Zio…”
Quella sola parola le costò uno sforzo tremendo.
Éowyn tossì e nel mentre sputò a terra del sangue; poi, finalmente, riuscì a raggiungere la pallida figura distesa al suolo.
Il volto di Thèoden era stanco e cinereo: sembrava dimostrare all’improvviso molti più dei suoi anni.
Ma al contempo pareva anche straordinariamente sereno.
Il suo sguardo era quello di un uomo finalmente in pace col mondo, e ancor di più con se stesso.
Ma ad Éowyn quel pensiero non recò gioia, né tantomeno sollievo, poiché non c’era niente che la giovane odiasse di più della rassegnazione.
 
Che cos’erano queste voci che le stavano bisbigliando: “Non c’è più niente da fare?”
Si sbagliavano, e anche parecchio, ecco cosa! Suo zio sarebbe guarito, sì, ci avrebbe pensato lei a salvarlo.
Sarebbero tornati a casa, tutti insieme, non appena tutto quello fosse finito.
Non avrebbe perso anche lui, no non poteva permetterlo, non sarebbe successo…
 
“Éowyn… Figlia mia”.
 
Per il cielo, com’era flebile la sua voce!
 

Éowyn ricacciò indietro le lacrime, e avvicinò il suo viso a quello tanto amato del Re.
Il sorriso che gli rivolse fu tanto falso quanto tirato.
“Sì, sono qui” rispose dolcemente, deglutendo, “Sono qui, e adesso andrà tutto bene”.
Thèoden distese anch’egli le labbra, a imitazione della nipote: “La mia principessa… Sono così fiero di te, mia coraggiosa Éowyn”.
Sollevò la mano, e le accarezzò teneramente il viso.
 
Fiero di lei? Dunque non era arrabbiato perché aveva deliberatamente disobbedito ai suoi ordini?
 
“Sei qui…” continuò il Re, “Non potevo desiderare nulla di più. Ora finalmente potrò andarmene in pac-”
“No!” lo interruppe lei con veemenza. Veemenza dettata da un improvviso terrore.
“Non dire sciocchezze! Tu non andrai da nessuna parte, zio. Ci penserò io, posso salvarti…”
“Lo hai già fatto, Éowyn” mormorò il Re con una dolcezza quasi insopportabile, e sorrideva, sorrideva davvero stavolta!
“Mi hai salvato ora, figlia mia, e mi hai salvato diciassette anni fa. Tu e tuo fratello siete stati la mia luce, lungo tutti questi anni. Non avrò mai modo di ripagare la vostra straordinaria fiducia e il vostro intramontabile affetto; io… io… Non li merito…”
La sua voce si faceva ogni secondo più flebile.
“Zio… Caro zio… Sono stanca di vederti così abbattuto per delle azioni di cui non hai alcuna colpa. Non c’è da nulla da perdonare, e siamo così orgogliosi di te. Anche lui lo sarebbe”, sussurrò Éowyn.
 
“Così come di te, figlia mia” sorrise Thèoden intuendo all’istante a chi si riferisse sua nipote, “ Di voi”.
Un forte colpo di tosse lo costrinse a fermarsi, e il poco colore che ancora rimaneva scomparve del tutto dal suo volto.
“Ti chiedo un ultimo sforzo Éowyn, figlia e sorella” continuò il Re, “Sii coraggiosa, ora come non mai, e lasciami andare”.
 
“Non posso…”, Éowyn si era lasciata ormai andare al pianto, incurante di tutto.
“Non dovrò più vergognarmi di nulla, quando giungerò d’innanzi ai miei padri”: lo sguardo di Thèoden era già lontano, come perso in parte in un altro mondo, “Addio…”
 
La mano scivolò via dalla guancia di Éowyn, per ricadergli sul petto.
 
“Zio…”
Éowyn lo scosse leggermente, incapace di arrendersi a quell’evidenza: era uno scherzo, un orribile, stupido scherzo…
“Zio, no!”
Ma Thèoden non poteva più udirla: la scintilla nei suoi occhi nocciola si era spenta per sempre.
 
L’urlo disperato di 
Éowyn si perse fra le grida e i rumori della battaglia.
 
Rimase lì, per terra, accanto a lui, piangendo fino a quando non sentì la gola bruciare e gli occhi inaridirsi.
 
Non lui! Perché, perché, perché anche lui?
 
Poi, dopo quella che le parve un’eternità, tutto si fece ovattato e confuso.
I suoni, le luci, i colori, tutto le giungeva attenuato e distorto.
Éowyn non seppe dire il momento preciso in cui accadde, ma infine perse i sensi anche lei, scivolando nella più totale oscurità.
 
                                    
* * *
 
 
E fu nella più totale oscurità che si risvegliò.
Se quello si poteva definire veramente un risveglio.
 
“Dove sono finita? Che posto è questo? Sono forse morta anch’io, come infine desideravo? Ma se lo sono, perché sento ancora così tanto dolore?”
 
Mille domande si agitavano nella sua mente: domande destinate a rimanere senza risposta, dal momento che non sembrava esserci nessun’altro in quel luogo, oltre a lei.
Solo un buio senza fine.
 
Nondimeno, il naturale istinto che porta le persone a chiedere aiuto, la spinse ad aprire la bocca, per pronunciare quelle parole.
Fu con sgomento che si accorse di non riuscire ad articolare alcun suono.
Tremando, Éowyn si premette le mani contro le labbra: Ma che cosa succede? Che incubo è mai questo?
 
Éowyn? Siete voi, mia signora?
 
Il cuore di 
Éowyn ebbe un piccolo guizzo: avrebbe riconosciuto ovunque quella voce.
 
Merry! Merry, sei davvero tu?”
“Così pare…” fu la risposta, e nonostante il tono titubante ad Éowyn parve di scorgervi un sorriso.
Sono felice di averti ritrovato, amico mio! Ero davvero preoccupata per te... Ma ora… Ora dove siamo? Che cosa è successo, Merry? E perché non possiamo parlare?”
“Temo davvero di non saperlo” rispose Merry, rammaricato, “Tutto ciò che ricordo è quell’orribile essere che avanzava verso di voi… Vi aveva mandato in frantumi lo scudo e io… Io ho agito d’istinto, pugnalandolo sotto il ginocchio. Non ho mai provato così tanto dolore: credevo che avrei perso il braccio, e che presto anche il resto del mio corpo sarebbe finito in cenere”.
 
Éowyn lo ascoltava strabiliata, quasi senza credere alle proprie orecchie: Merry, il suo piccolo Merry! Era stato lui a colpire quell’immonda creatura, distraendola nel momento cruciale. Lui, sottovalutato da tutti, un semplice Mezz’uomo della Contea, aveva salvato la vita alla nipote del Re!
 
“Poi… Poi Pipino deve avermi trovato! Sì, sì ricordo chiaramente la sua voce! Mi implorava di tenere duro, che eravamo quasi giunti in Città. E c’era anche Gandalf! L’ho sentito accarezzarmi i capelli, ma non riuscivo a rispondergli… E, ora ricordo! Ho sentito la voce di Aragorn chiamarmi ed io…”
 
Merry? Merry!”
 
Così com’era arrivata, la voce dell’amico si spense improvvisamente.
Éowyn si ritrovò nuovamente sola.
 
E con la scomparsa di Merry l’oscurità tornò a farsi ancora più soffocante.
 
Non sapendo che altro fare, Éowyn si sedette per terra, notando con sorpresa quanto fosse morbido il suolo.
Soffice come l’erba dei campi innanzi ad Edoras, e come il fieno sul quale amava saltare da piccola.
L’angoscia dovuta alla solitudine e al non sapere nuovamente che ne fosse stato di Merry si attenuò un poco: quel posto non era poi così male. 
C’era una tale pace…
Pur sapendo che nulla sarebbe cambiato riaprendoli,
Éowyn chiuse gli occhi.
Un’innaturale calma s’impossessò di lei, e la sua mente prese a vagare.
 
Si rivide bambina, il giorno del suo arrivo a Meduseld, e il mattino seguente, quando aveva conosciuto suo zio davanti all’arazzo di Eorl.
Lo rivide raccontare le più belle storie a lei ed Éomer, donarle il ritratto di sua madre, ammalarsi lentamente fino a sprofondare nel più nero dei baratri, dal quale era poi riemerso grazie all’aiuto di Gandalf.
 
Tutto ciò che aveva amato e perso durante la vita, le scorrette davanti agli occhi, come in una lenta tortura…
 
“Devi lasciarmi andare… Éowyn… Lasciami andare”.


Éowyn sorrise: un sorriso amaro, che sapeva di lacrime.
Era lì, poteva sentirlo di nuovo
“Non voglio…”, rispose, “Se questo è tutto ciò che mi rimane di te… Di voi… Io non voglio perderlo”.
“Tu non mi perderai mai, figlia mia. Non ricordi più che cosa ti dissi? Molto di ciò che erano le persone a te care…”
“Fa parte di me” concluse
Éowyn.

Thèoden le asciugò le guance ormai umide: poté sentire chiaramente il suo tocco.
“Svegliati, ora”.
 
Non era più suo zio che le stava parlando, ma una persona completamente diversa.
Una persona che Éowyn non avrebbe più pensato di rivedere.
 
“Destati, Éowyn, scudiera di Rohan! Il tuo nemico è partito per sempre!”
Il tono di Aragorn era severo come sempre, ma allo stesso tempo sembrava diverso: infinitamente più deciso ed autoritario.
 
E perché, perché dovrei dargli retta? Nulla egli può offrirmi, per cui valga la pena svegliarmi, pensò con amarezza Éowyn.
 
Poi senza preavviso la voce cambiò ed 
Éowyn ebbe un sussulto.

“Sorella! Sorella, ti prego svegliati. Éowyn, sorella mia, torna da me.”
 
Ed
Éowyn, ansimando, finalmente aprì gli occhi.
 
 
* * *
 

Dapprima la forte luce la costrinse a strizzare le palpebre per il fastidio.
Poi lentamente riuscì ad abituarsi a quel brusco cambiamento, e a poco a poco mise a fuoco ogni cosa attorno a sé.
Era distesa in un soffice letto, e seduto accanto a lei c’era Éomer.
Le stava tenendo la mano, carezzandola con infinita delicatezza.

“Éowyn!” esclamò, “Sei tornata… Sei tornata da me!”
“Éomer…” rispose lei quasi non credendo ai suoi occhi, “Oh Eomer! Fratello, mi dispiace…”
“Shh!” Éomer le pose un dito sulle labbra, guardandola con affetto, “Non ci pensare. Va tutto bene ora, va tutto bene…” ripeteva, come una litania.

Éowyn si lasciò stringere tra quelle amorevoli braccia che infinite altre volte l’avevano accolta e confortata.
Quelle braccia erano tutto ciò che le rimaneva, ora.
Il pensiero la fece nuovamente tremare, assieme ad un improvviso senso di colpa.
“Éowyn, che succede?” domandò suo fratello, notando il tremolio, “Ti sto stringendo troppo? Il tuo braccio è…”
“No, non è quello” proruppe lei, “Il Re… Zio Thèoden… Se n’è andato. Se n’è andato anche lui…”
“Lo so”, annuì amaramente Éomer, “Ma è morto come avrebbe voluto, da grande sovrano qual’era”.
“Ho sentito la sua voce” mormorò
Éowyn, “Sai, poco fa, quando stavo ancora… Dormendo?” concluse titubante, non sapendo esattamente come definire lo strano stato nel quale si era trovata fino a poco prima.

Éomer annuì, fissandola con apprensione, ma senza interromperla.

“Era tutto buio intorno a me, non vedevo nulla, né sapevo dove mi trovassi. E l’ho sentito chiamarmi. Mi ha detto che dovevo lasciarlo andare… Ma io non volevo. Poi però la sua voce è diventata quella di Aragorn, e infine la tua… È stata la tua voce a farmi tornare”, concluse Éowyn.
“Sono così felice che tu abbia ritrovato la strada”, mormorò semplicemente Éomer, stringendola più forte.
In qualunque oscura parte della sua mente si fosse precedentemente smarrita, poco importava: ora sua sorella era nuovamente lì, al sicuro fra le sue braccia.
 
Più tardi si disse, più tardi le avrebbe raccontato ogni cosa: la disperazione che aveva rischiato di annientarlo quando l’aveva trovata sul campo di battaglia, apparentemente senza vita, accanto al corpo del loro zio; la sottile ma tenace speranza che lo aveva pervaso, quando gli avevano comunicato come in realtà fosse ancora viva; le miracolose cure di sire Aragorn che l’avevano riportata da lui…
Tutto quello avrebbe potuto aspettare, ma c’era una cosa che doveva dirle subito.

“Perdonami, Éowyn”.
 
L’interpellata lo guardò, senza capire.
 
“Ti ho lasciata sola quando avevi più bisogno di me. Non ho mai compreso fino in fondo quali fossero i tuoi veri desideri, e sono stato cieco di fronte a tutto il dolore che ti ha colpita di recente. Col mio atteggiamento ho contribuito anch’io a creare una gabbia attorno a te, e se ora ti trovi qui metà della colpa è mia. Perdonami”.
 
Éowyn era senza parole: una parte di lei, quella meno nobile e coraggiosa, avrebbe voluto dare ragione a suo fratello, e colpevolizzarlo per ogni cosa: le lunghe e dilanianti attese e gli interi mesi passati in solitudine, costretta ad assistere all’inarrestabile avvizzimento di colui che aveva amato come un padre.
Ma allo stesso tempo Éowyn aveva agito in piena libertà, quando aveva scelto di partire per il Pelennor: Éomer non era responsabile delle sue azioni, né avrebbe potuto cambiare lo stato delle cose.
Era stata lei a desiderare la morte con tutta se stessa, senza pensare al tremendo dolore che avrebbe arrecato a chi le voleva bene davvero.
Fu in quel momento che si rese conto con certezza, di quanto l’affetto che nutriva per suo fratello fosse immensamente più vero e sincero di qualunque sentimento aveva mai creduto di provare per Aragorn.
 
Sollevò dolcemente il viso di Éomer, ponendogli due dita sotto il mento: “Hai sempre voluto solo il meglio per me, e tutto quello che hai fatto è stato solo cercare di proteggermi. Lo so bene questo, e non ti biasimo. Non hai nessuna colpa per questa situazione, Éomer… Ѐ la guerra”.
 
“Sai a cosa mi riferisco, Éowyn. Se fossi stato più presente, forse…”
 
“Non avresti comunque potuto cambiare la mia indole, fratello. Vi avrei seguiti in battaglia in ogni caso, perché è tutto ciò che il mio cuore ha sempre desiderato davvero. E sono felice di averlo fatto. L’unica cosa che rimpiango davvero è di averti quasi perso per sempre… Per semplice vanagloria”.
 
“No” ribattè Éomer, baciandole le mani, “Ѐ stato l’amore a guidarti. E nonostante tutto, nonostante la paura e la rabbia, sono fiero di te. Fiero come non mai, sorella mia”.
 
Chi dei due avesse davvero ragione, quale fosse stata la vera ragione che l’aveva spinta a fare tutto quello, Éowyn in quel momento non avrebbe saputo dirlo.
 
Si lasciò cullare, beandosi di quei momenti di pace, che lei e suo fratello non avevano più condiviso da molto, moltissimo tempo.
Non era certo finita lì, Éowyn lo sentiva: vi erano ancora molte cose da chiarire tra loro e tanto altro di cui parlare.
Ma il passo più difficile era stato fatto e in quel momento Éowyn si concesse di sperare che il peggio fosse ormai alle spalle.  
 


   
 





 

Benni's hole:
 
Thèoden, sniff D:
sapevo che doveva arrivare questo momento…
Non ho quasi nulla da dire in realtà… C’è qualcosa che non mi convince molto nella parte in mezzo: so che è poco ‘Tolkeniano’ come intermezzo e onestamente non saprei dire nemmeno io ‘dove’ si trovasse esattamente Eowyn in quel momento, a parte sospesa tra la vita e la morte.
Un po’ azzardato farle sentire (o immaginare?) le voci di Merry e Thèoden, lo so… Ripeto probabilmente poco Tolkeniano, spero mi perdonerete..
Anche il dialogo con Eomer mi ha dato un po’ di filo da torcere: diciamo che ciò che volevo trasmettere è che ci sia stato sì un chiarimento tra loro, con reciproca ammissione di colpa, ma che non per questo Eowyn starà magicamente subito meglio.
Dopotutto Eomer sta per partire nuovamente!
Credo sia tutto :)
 
Grazie come sempre a chi legge in silenzio, alle recensiste, preferitori, ricordatori e seguitori ♥
Non mi stancherò mai di dirvi quanto mi rendiate felice ♥
 
Benni

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Faramir ***


 

Faramir
 
 
Xingchan, con una valanga di auguri <3



Éomer tenne fede alla parola data e le raccontò ogni cosa.
Inizialmente si era mostrato titubante, quasi timoroso di ferire la sorella con quei racconti, ma un’occhiataccia di lei l’aveva infine convinto.
E dopotutto, a che cosa sarebbero valse tutte le sue scuse, se ora si fosse rifiutato di trattarla da pari?
No, non avrebbe più commesso un simile errore.
In ogni caso ogni sua preoccupazione si dimostrò vana: Éowyn accolse con incredibile flemma ogni notizia che le fu riportata.
 
“Le mani del Re sono mani di guaritore, continuava a ripetere quella donna”
Così le aveva detto suo fratello, riferendosi alle parole pronunciate di Ioreth, anziana veggente di Gondor, riguardo alle sorprendenti ed inaspettate capacità curative di Aragorn, “E sono così lieto di averne avuto la conferma”, aveva concluso Éomer.
Non si era sbagliata dunque, pensò Éowyn, era davvero la voce dell’erede di Isildur, quella che aveva avvertito nel suo sonno tormentato.
Forte e autoritaria come non mai, accompagnata da una misteriosa fragranza: fresca, delicata e soave.
L’Athelas, la Foglia di Re: un’erba dalle straordinarie proprietà officinali, cheAragorn aveva usato per guarire anche Merry.
 
Doveva la vita ad Aragorn…
 
Il pensiero la faceva quasi star male, ma cercò di nasconderlo come meglio poteva, per non impensierire o spaventare il fratello.
Tra tutte le persone, proprio a lui…
Lui, che non aveva mai provato altro se non una profonda pena per lei.
Persino quest’azione non risultava altro che un atto di pietà agli occhi di Éowyn, di semplice buonismo.
 
 

Éowyn si era recata il pomeriggio stesso, sostenuta dal fratello, a fare visita a suo zio, e in un momento di improvviso sconforto lo aveva invidiato.
Thèoden era stato composto nelle sue vesti migliori, e il suo corpo era stato ripulito da ogni traccia di sangue o sporcizia.
Pareva di nuovo giovane, e il suo volto era così sereno…
Davanti a lui solo la pace, la gloria, l’eterno ricordo e le lodi imperiture.
 
Ad Éowyn, invece, che cosa restava?
Si sentiva beffata e tradita: le cose non sarebbero dovute andare così.
Sarebbe dovuta morire anche lei accanto al Re, tra la gloria e gli onori.
E tutto il senso di colpa che aveva provato nei confronti di suo fratello, immaginando il dolore e la disperazione di cui sarebbe divenuto preda, se lei non si fosse mai più risvegliata, era sparito di colpo nell’esatto istante in cui lui l’aveva lasciata di nuovo.
 
Era accaduto il 18 del mese di Marzo, appena tre giorni dopo il risveglio della giovane.
Un esercito formato da poche migliaia di Uomini, tutto ciò che rimaneva dopo l’assedio di Gondor e la battaglia dei campi del Pelennor, era partito alla volta della valle di Morgul, capeggiato naturalmente da sire Aragorn.
Al suo fianco cavalcavano Imrhail, signore di Dol Amroth, Uomo di straordinario coraggio e di rara bellezza, Legolas, Gimli, Gandalf ed infine Eomer, alla guida degli ultimi Rohirrim.
Oramai era lui il futuro sovrano di Rohan, e gli uomini lo amavano già, al pari di quanto avevano amato in precedenza Thèoden.
Un’ultima marcia, un’ultima alleanza: Uomini di Gondor, del Lebennin, del Lossarnach, di Rohan e di Amroth.
Tutti uniti per un’ultima disperata battaglia.
Perfino il piccolo Pipino era andato con loro, con gran dispiacere di Merry, che lo aveva appena ritrovato.
Al giovane Mezz’uomo invece non fu ovviamente dato il permesso di unirsi all’esercito: era ancora convalescente e troppo debole.
Ad Éowyn non era neanche passata per la mente l’idea di provare a consolarlo: si sentiva, infatti, ancora peggio di lui.
 
Per un paio di giorni cercò la solitudine più totale, evitando di rivolgere la parola a chiunque, e trattando in malo modo le donne che avevano il compito di prendersi cura di lei.
 
Poi però, quando sentì di non essere più in grado di sostenere quella situazione, decise finalmente di recarsi da uno dei custodi delle Case di Guarigione: così si chiamavano le strutture dov’erano trattenuti lei e Merry.
 
 
 
* * *


 
Il giardino era inondato dal Sole e impregnato dei più dolci profumi.
Vi crescevano numerose piante, dai più diversi colori, e con nomi assai più complicati rispetto a quelle che invece si potevano trovare nei prati di Rohan.
 
“Molte persone troverebbero probabilmente piacevole, ritemprarsi in un simile posto” pensò Éowyn, mentre si avvicinava a un anziano custode, “Per quel che mi riguarda, questa non è altro che un’ennesima gabbia nella quale vengo rinchiusa, a dispetto di tutta questa luce e dell’aria salubre”.
 
“Serve aiuto, mia Signora?” le chiese il guardiano, notandola avvicinarsi.
“Non il tipo di aiuto che credete voi, messere” rispose lei secca, “Desidero solamente poter lasciare all’istante questo posto, per recarmi ad Est. Voglio raggiungere il Re e mio fratello, prima che sia troppo tardi”.
L’uomo sbiancò in volto e la guardò come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie: “Gentile signora” ricominciò, “Temo davvero che non stiate bene: non sapete di cosa parlate. Venite, vi riaccompagno nella vostra stanz-”
“So perfettamente di che cosa sto parlando, signore!” lo interruppe lei, irritata, “E sono guarita, ormai! Ora vi ripeto, lasciatemi uscire da qui e…”
“Mia signora, vi prego! Non spetta a me concedere un tale permesso, ma al signore di Gondor, ed egli mi ha espressamente indicato di curarvi con particolare attenzione…”
 
Éowyn sentì il sangue ribollire di rabbia di fronte a quell’ultima osservazione: cosa diamine significava? Perché tutti continuavano a trattarla come se fosse ancora una bambina? Era una donna libera e se ne sarebbe andata quando lo avesse voluto! In quel preciso istante, se possibile!
 
Stava per ribattere nuovamente, con parole ancora più di dure, quando un altro uomo li raggiunse.
Non indossava gli abiti dei custodi, oltre ad essere più giovane ed alto di molti di loro.
“Che cosa succede qui, mio buon Angus?” chiese il nuovo arrivato al guardiano, con genuina curiosità.
 
Aveva un timbro gentile, ma allo stesso tempo autoritario, ed Éowyn lo fissò per qualche secondo, incuriosita.
Nonostante non sembrasse molto più vecchio di Éomer, qualcosa in lui pareva suggerire che avesse avuto molte più esperienze in battaglia.
I capelli erano di un bel castano scuro, e gli occhi grigi ricordavano incredibilmente quelli di Aragorn.
Aveva un portamento fiero e regale ma allo stesso tempo pareva dolorante e affaticato.
Doveva essere anch’egli ospite in quella Casa, pensò Éowyn, probabilmente ferito durante la battaglia.
 
Angus s’inchinò con deferenza: “Sire Faramir, non vi avevo visto arrivare. Come state oggi, Sovrintendente?”
“Costui era dunque il Sovrintendente di Gondor?” si chiese Éowyn, stupefatta.
Ricordava di aver sentito spesso suo zio parlare di quella figura: un custode del trono, le aveva spiegato una volta.
Faramir… Che strano! Lei ricordava un nome completamente diverso
 
“Molto meglio, vi ringrazio”, rispose l’interpellato, “La pace e la bellezza di questi giardini mi sono di grande aiuto, sebbene non quanto vorrei. Ma ora ditemi, qual è il problema?”
“Dama Éowyn è inquieta e non soddisfatta di…” cominciò Angus, ma venne nuovamente interrotto.
“Non fraintendetelo, Signore!” proruppe infatti Éowyn, “Non è la mancanza di cure che mi affligge, di quelle non potrei essere più soddisfatta, o riconoscente. Ma ecco… Vedete…”
 
Improvvisamente Éowyn si trovò a corto di parole, come non le capitava da tanto: le era bastato rivolgere uno sguardo agli occhi di quell’Uomo per sentirsi tutto a un tratto a disagio.
Essi brillavano di un’incredibile tenerezza mischiata a saggezza ed 
Éowyn si era trovata di colpo preda del dubbio.
Quello non era un uomo comune: sembrava più forte, saggio e severo di tutti quelli che Éowyn aveva avuto modo di incontrare nelle Case di Guarigione, oltre ad essere innegabilmente di un lignaggio assai superiore.
L’ultima cosa che
Éowyn avrebbe voluto, era quella di apparire per l’ennesima volta come una bambina capricciosa, agli occhi di una persona valorosa e meritevole.
 
Faramir parve intuire il suo disagio, come per incanto; difatti congedò il custode piuttosto sbrigativamente.
Tornò poi a rivolgersi a lei, concedendole un sorriso intriso allo stesso tempo di dolcezza ed amarezza.
“Non vi è molto da fare qui, non è vero? La mia anima è inquieta e nulla può la bellezza di questo posto… Ma ahimè, temo che non vi sia scelta, ed entrambi siamo destinati a rimanere qui, sopportando con pazienza le ore di attesa, fino al ritorno dei Capitani dall’Est”.
 
“Torneranno, voi dite?” domandò Éowyn, “Il mio cuore ne dubita alquanto. Cosa darei per trovarmi ora al fianco di mio fratello, Éomer di Rohan. Se la morte è davvero giunta per noi, preferirei andarmene accanto a lui, in battaglia: egli è tutto ciò che mi resta”.
 
Se Éowyn avesse potuto vedere lo sguardo che le rivolse Faramir, quando ella pronunciò quelle parole, vi avrebbe probabilmente scorto una profonda compassione, mista a qualcosa di molto simile alla comprensione: come se quell’uomo fosse stato afflitto dai suoi medesimi tormenti, e fosse passato attraverso agli stessi dolori.
Ma 
Éowyn era persa nei suoi pensieri, e si era ritrovata a dargli involontariamente le spalle.
 
“Se almeno la mia camera fosse rivolta ad Oriente” sospirò piano infine, quasi parlando a sé stessa.
 
Faramir ridacchiò, intenerito da quelle parole, che sembravano essere state pronunciate più da una bambina delusa, che da quella donna forte e fiera, che stava appena cominciando a conoscere: “A questo possiamo porre rimedio” rispose, “Farò dare ordine immediatamente in merito, e spero che questo contribuisca ad alleviare in parte la tua pena. Vorresti fare qualcosa tu ora, per provare ad alleviare la mia?” le chiese sorridendo.
 
Éowyn lo guardò di traverso, colta alla sprovvista da quella insolita richiesta, da parte di un uomo appena incontrato: “Cosa potrebbe mai fare una semplice donna come me, per alleviare le sofferenze di sire Faramir, Sovrintendente di Gondor?”
C’era una piccola nota di scherno nel suo tono, come a dire che a dispetto delle sue parole, non si considerasse affatto una semplice donna.
 
Faramir però non parve farvi caso e la sorprese nuovamente con la sua risposta: “Vorrei che mi facessi compagnia nei giorni seguenti, e camminassi con me in questi giardini. Sei bella, Dama Éowyn, e forse non ci restano che pochi giorni prima che l’Oscurità sommerga il mondo, ma poterti vedere e parlare con te finchè brilla il Sole, mi sarebbe di grande conforto”.
E se ne andò, prima che
Éowyn potesse ribattere, lasciandola senza parole e con un profondo colorito sulle pallide guance.
 
 
* * *

 
E fu così che per i cinque giorni seguenti, Dama Éowyn di Rohan e Sire Faramir, figlio di Denethor e Sovrintendente di Gondor, camminarono assieme nei giardini delle Case di Guarigione.
Nessuno sembrava avere l’ardire di disturbarli; persino Merry non si recò mai in cerca della sua giovane amica scudiera.
Come se qualche piano segreto fosse all’opera, per concedere intimità e pace alla coppia di giovani.
 
Éowyn non parve farvi caso inizialmente.
La compagnia di Faramir era molto piacevole: l’uomo era straordinariamente colto e portato all’ascolto.
Éowyn si ritrovò a parlare di cose che credeva sepolte nella sua memoria per sempre, e che mai avrebbe pensato di condividere.
Non si sentì mai giudicata, né guardata con pietà, e a sua volta accolse a cuore aperto e senza giudizi le rivelazioni che Faramir scelse di dividere con lei.
 
Il momento più difficile fu quando Faramir le spiegò il motivo per cui si trovava in quelle Case.
Era molto peggio di quanto Éowyn avesse mai potuto immaginare: mandato a morire… Dal proprio padre!
 
“Avrei fatto di tutto per lui. E per Minas Tirith” dichiarò Faramir, come a se stesso: pareva perso in lontani e dolorosi ricordi, nei quali Éowyn non poteva raggiungerlo, e dai quali non avrebbe saputo come richiamarlo, se non semplicemente standogli accanto.
 
Mai avrebbe immaginato che il dolore per la perdita di un figlio, potesse condurre a tanto un padre.

“No”, la contraddisse Faramir, “Non è stato a causa di mio fratello… Mio padre, lui… Beh, mi ha sempre trattato in maniera diversa, ma non ne ho mai compreso il motivo. Quando Mithrandir, lo Stregone Grigio, veniva a farci visita, io ne ero sempre entusiasta e amavo passare il mio tempo con lui. Questo a mio padre non è mai piaciuto, ma solo più tardi sono venuto a conoscenza di quanto profondo fosse in realtà il suo risentimento. Pupillo di uno Stregone, così mi ha chiamato. Sono sempre stato il figlio meno degno per lui, ma gli volevo bene lo stesso. Non mi pento di nessuna delle mie azioni”.
 
Né io delle mie, si disse Éowyn contemporaneamente, ma tenne quel pensiero per sé.
Mossa dall’istinto, si limitò a stringere dolcemente la mano del coraggioso capitano, che in quei giorni aveva imparato a conoscere ed ammirare, sperando di recargli un po’ di conforto.
La vita era ingiusta, nessuno lo sapeva meglio di lei: non è colpa tua, avrebbe voluto sussurrargli.
Ma quelle parole, così intime e delicate, l’avrebbero portata su un sentiero ancora così misteriosamente ignoto e nuovo per lei, del quale aveva una grandissima paura.
Sarebbe cambiato tutto, inevitabilmente.
Non si sentiva pronta per un’emozione del genere.
E perché il dolore e la rabbia andavano via via scemando con il passare del tempo, e con la compagnia del Sovrintendente?
Éowyn non capiva ed era spaventata: stava cambiando, lentamente, senza rendersene conto.
 
I due smisero di camminare, e si fermarono nello stesso istante davanti ad una delle molte arcate di pietra che circondavano il giardino, e che era rivolta ad Est.
Lo sguardo di Éowyn si perse lontano: “Ѐ come se tutto il calore fosse scomparso dal mondo…” sentì la sua voce mormorare.
“Sole di Primavera” sussurrò Faramir in risposta, “Ancora debole e fioco, non sufficiente a portare conforto. Eppure, se guardi con attenzione, ti accorgi della promessa di rinascita che reca con sé. Éowyn, Éowyn… Bianca Dama di Rohan. Qui, con te, in questo momento, io non riesco davvero a credere che alcuna Oscurità possa durare”.

Éowyn non disse niente ma stringendosi a lui chinò la testa, e l’appoggiò sulla sua spalla.
Non potè vedere il sorriso pieno di gioia che si allargò sul volto dell’Uomo; percepì invece chiaramente il bacio, appena accennato, che egli depose sulla sua fronte.
 
Fu qualche momento dopo che accadde.
Un grande vento si levò nell’aria e ad entrambi parve di udire un possente rombo proveniente da Oriente.
Un tremito percorse la terra, e le mura del giardino, della Casa, di tutta la Città tremarono.
Tremarono i loro cuori, mentre stupiti e attoniti si guardarono negli occhi.
Il vento aveva scompigliato i capelli di entrambi, e quelli di Éowyn danzavano nell’aria, come una nuvola dorata.
Faramir si accorse di stare trattenendo il respiro davanti a quella visione.
Le terre innanzi a loro non sembravano più grigie e tetre: la Luce pareva essere tornata a permeare ogni cosa, più nitida, più forte e più veradi prima.
 
Una grande Ombra sembrava finalmente scomparsa dal mondo.
 
Éowyn rabbrividì, turbata, e si strinse nel grande manto, scuro come la notte, che Faramir le aveva fatto portare quella mattina.
Il mantello di Finduilas di Dol Amroth, madre del Sovrintendente.
“Hai sentito anche tu…” cominciò Faramir, ed Éowyn annuì stringendogli la mano in silenzio, combattendo l’impulso di andarsene via, di scappare da tutte quelle emozioni così soverchianti, che l’avevano colta del tutto impreparata.
Il suo cuore non aveva mai battuto così forte, e cercò di dare la colpa agli ultimi avvenimenti.
Qualcosa di sconvolgente, e tuttavia meraviglioso, era accaduto al mondo, entrambi lo avevano percepito.
 
La sera stessa, poco prima che calasse il Sole, tutta la Città ne ebbe la conferma: una grande Aquila giunse da Est, recando le migliori notizie in cui la gente potesse sperare.
La guerra era vinta, la Torre Oscura e il suo malvagio Signore erano caduti: una nuova Era, un’Era di pace aveva finalmente inizio per la Terra di Mezzo.
 
Non erano passati che sette giorni dalla partenza del Re e dei capitani dell’Ovest: era il 25 di Marzo.
 
 

   






 

 
Benni’s Hole:
Tadaaaaaan! Signore e signori, eccolo qui tutto per voi: Faramir al vostro servizio!
Lo aspettavate tutte con impazienza (*ghigna*) e sono curiosissima di sentire le vostre opinioni in merito (*trema*)
Le situazioni descritte sono più o meno quelle del libro salvo qualche piccola libertà/ riarrangiamento qua e là...
Piccole parti di dialogo sono rimaste come nell’originale, ma come sempre ho cercato il più possibile di ‘personalizzare’ la cosa inserendo battute mie ed Eowynizzando il tutto (anche se forse meno del solito, perché volevo dividere un po’ i due punti di vista, suo e di Faramir).
E Saury è finalmente caduto, yeeeee!
Nel prossimo… beh… Immagino immaginiate (scusa il gioco di parole ^^”) tutte cosa accadrà ♥
Vi aspetto!
Un grazie di cuore a tutti coloro che continuano a leggere, seguire, preferire, ricordare e recensire ♥ senza di voi sarei persa :-*.
In particolare grazie a: ladyw (nuova seguitrice) e andalusia (nuova preferitrice)
 
Love you all ♥
Bacioni,
 
Benni

Ps: Mel cara, grazie di nuovo per il consulto ;)
Pps: sìììì ho inserito il titolo in una frase ^^! Ci tenevo tantissimo

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Non più una regina ***


 


🌸 Non più una regina 🌸
 

 

 
Valerie, con i miei più affettuosi auguri 


 

Éowyn lesse e rilesse diverse volte la lettera che le era arrivata poche ore prima, fino quasi ad impararla a memoria.
Il mittente era suo fratello, Éomer figlio di Éomund, Primo Maresciallo del Mark e futuro Sovrano di Rohan.
 
Oltre a confermarle la fine della Guerra, e la loro schiacciante, quanto insperata vittoria, Éomer nel suo scritto pregava la sorella di raggiungerlo al Campo di Cormallen, oltre Cair Andros, per assistere al suo fianco ai festeggiamenti.
 
I Portatori dell’Anello, due semplici Mezz’uomini di nome Frodo Baggins e Samvise Gamgee, avrebbero lì ricevuto i massimi onori da tutto il popolo e dal Re stesso, per la loro straordinaria impresa.
 
Era al loro incredibile coraggio, che si doveva infatti la caduta dell’Oscuro Signore, e la nuova Era di pace che stava per avere inizio nella Terra di Mezzo.
Da soli avevano marciato nei meandri maledetti della terra di Mordor, fino a giungere all’Orodruin, la Montagna di Fuoco, dove il fato di tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo si era infine compiuto.
Un’impresa da molti ritenuta sconsiderata, impossibile, senza speranza.
E a ragione.
 
Ancora ti stupisci di fronte alla tempra dei Perian? Tu stessa sei viva in parte grazie ad uno di loro.
 
E fu proprio il Mezz’uomo in questione a distrarre Éowyn dalla sua ennesima rilettura.
Merry infatti, era appena apparso sull’uscio della sua stanza, con un contagioso sorriso che si allargava lungo il viso gioviale.
Tra le mani teneva anch’egli un pezzo di carta.
 
“È di Pipino!” esclamò lo Hobbit, sventolandolo, “Mi scrive per dirmi che stanno bene, stanno tutti bene! Oh, Éowyn…”
Merry era un vero spettacolo: rideva e piangeva nello stesso tempo, e mai come in quel momento era parso tanto somigliante a un bambino.
 
Éowyn si sentì scaldare il cuore, guardandolo: Merry ormai aveva preso a darle del tu, senza più alcun imbarazzo o ripensamento.
Il vincolo che era andato ad unirli, a seguito della Battaglia dei Campi del Pelennor, era come quello fra veri fratelli d’arme: forte, sincero e indissolubile.
 
“E ne ho anche una da parte di Aragorn!” continuò Merry, “Mi ha convocato ufficialmente ai festeggiamenti! Rivedrò i miei amici… Giorni celesti, non mi sembra vero! È tutto finito, e torneremo a casa…”
 
Éowyn rimase in silenzio, fissando il giovane Hobbit ma senza in realtà vederlo davvero, persa nei suoi pensieri.
 
Casa…
Casa era così lontana, ormai. 
 
Con sgomento, Éowyn si accorse di non ricordare più alcuni piccoli dettagli, che un tempo conosceva bene quanto se stessa: il colore del soffitto della sua stanza, gli intrecci ricamati dell’arazzo di Eorl che aveva tanto osservato nella sua giovinezza, la disposizione dei libri sopra il camino, nella sua amata stanza dei racconti.
E ancora: le scorciatoie segrete che conducevano alla Sala del Trono o i nascondigli dove le cuoche conservavano il vino migliore, quello per le grandi occasioni.
 
Piccoli spaccati di quotidianità, di vita domestica e ricordi d’infanzia…
 
Tutto si era fatto così sfocato, confuso e lontano, da quando, pochi giorni prima, aveva incontrato un paio di malinconiche, e tuttavia dolcissime, iridi grigie.
Casa non sapeva più di casa, non come prima… Come se il vero posto di Éowyn fosse ora da tutt’altra parte.
Sì, ma dove?
 
“Éowyn? Stai… Stai bene?”
Éowyn si riscosse: lo sguardo che Merry le stava rivolgendo era carico di preoccupazione, ed Éowyn ebbe un improvviso moto d’affetto per quella creatura, alla quale si era ormai affezionata come se fosse un vero fratello.
 
“Non è nulla, Merry, non ti angustiare. Stavo solo pensando…”
“A Faramir?” suggerì lo Hobbit, con un sorriso impudente e un tono scherzoso.
 
Éowyn arrossì appena, mentre lo fissava stupita: la battaglia lo aveva davvero reso infinitamente più audace!
“Cosa mai te lo fa pensare, giovane Hobbit?” gli chiese, cercando di mostrarsi altera e distaccata come era solita fare, ma lasciando suo malgrado trapelare l’emozione: come era riuscito a capirlo con tale facilità?
 
“Qualche giorno fa mi ha preso da parte, dopo essersi presentato” rispose Merry, “E mi ha chiesto di parlargli di te: voleva sapere tutto, era davvero incuriosito. Inoltre vi ho visti spesso discorrere e passeggiare insieme, e così ho pensato… Sai quando ti vedevo con lui, mi sembravi davvero…”
Felice, avrebbe voluto dire, ma non ne ebbe il coraggio.
 
Éowyn tuttavia parve capire comunque.
Faramir aveva chiesto notizie su di lei! Doveva essere accaduto appena in seguito al loro primo incontro
Il pensiero le procurò un piccolo vuoto allo stomaco: una sensazione che aveva già provato in precedenza, quando aveva conosciuto Sire Aragorn.
Ma che cosa mi succede?
 
“Ho sentito dire che il Sovrintendente non partirà con noi per il campo di Cormallen. Preferisce rimanere in questa Casa, per il momento”, proseguì Merry.
“Noi?” Éowyn si odiò per il tono incerto con il quale pronunciò la domanda.
“Esatto, io… E te” rispose il Mezz’uomo, e questa volta fu lui a mostrarsi dubbioso, “Non è forse un invito da parte di Re Éomer, quello?”
Aveva infatti già preso a chiamare con quell’appellativo il giovane Maresciallo, nonostante non gli fosse ancora stato conferito in piena regola.
“Sì, sì è così…”, rispose, “Tuttavia, io non so se…”
 
Non era possibile… A lungo aveva atteso notizie, piena di angoscia. A lungo aveva agognato l’arrivo di una tale richiesta. E ora che finalmente aveva la possibilità di riunirsi definitivamente a suo fratello, il suo cuore non aveva più alcun desiderio di lasciare le case di Guarigione.
 
Una parte di lei cercava disperatamente delle scuse, delle giustificazioni: sarebbe partita all’istante, se l’invito le fosse giunto da Aragorn.
Ma dentro di sé sentiva che era solo una menzogna, e che era semplicemente la paura ad impedirle di ammettere le sue vere motivazioni.
Un’incredibile paura, mai provata prima di allora, nemmeno sul campo di battaglia.
 
“Resterò qui, Merry”, dichiarò, decisa.
 
E sono sicura che tu sappia il perché, piccolo amico. Forse lo hai saputo da prima di me, ma ti prego non chiedermi nulla. Non ancora, almeno.
 
Come se avesse udito quella supplica silenziosa, Merry si limitò ad abbracciarla, stringendola forte.
 
“Buona fortuna…” le bisbigliò nell’orecchio, prima di sciogliersi da lei e avviarsi verso la porta.
“Fatti onore” fu la risposta di Éowyn, “E porgi i miei più calorosi saluti a colui che presto chiamerò Re”.
 
Se intendesse suo fratello o Sire Aragorn però, Merry non riuscì a capirlo.
 
 
 
Il giorno seguente passò velocemente, senza particolari novità od eventi eclatanti: solo la pigra e rassicurante routine, alla quale Éowyn si era ormai abituata e perfino sì, affezionata.
 
Aveva cercato per tutto il giorno di evitare Faramir, dopo che questi aveva saputo che la giovane non era partita per Cormallen.
Fu verso l’ora del tramonto che lui riuscì finalmente a trovarla.
Éowyn era in giardino, più precisamente davanti a quell’arcata dalla quale, pochi giorni prima, avevano assistito insieme alla caduta di Sauron.
Aveva un fiore nei capelli, mossi dalla leggera brezza serale, e le spalle erano ricoperte dal manto blu di Finduilas.
 
“Sei qui…” mormorò Faramir avvicinandosi.
“Mio Signore!” esclamò lei, girandosi di scatto.
“Éowyn, ti prego: cosa sono questi improvvisi formalismi?”
 Éowyn non seppe come rispondere e si limitò a fissarlo negli occhi, con uno sguardo fiero.
Mentre a sua volta osservava la morbida curva del suo mento, e la pelle candida come neve, Faramir si rese conto di non averla mai trovata così bella, come appariva ora in quel frangente.
 
“È tutto il giorno che ti cerco. Mi hanno detto che hai scelto di rimanere qui, e speravo di poter godere della tua compagnia. E se possibile, scoprire che cosa ti abbia indotta a restare” soggiunse Faramir con un sorriso: un piccolo sorriso compiaciuto, che Éowyn trovò alquanto irritante.
“Ti credevo impaziente di raggiungere tuo fratello e l’esercito”.
 
Una piccola vena di malizia s’insinuò allora nell’animo di Éowyn, che decise di canzonarlo lievemente.
“La tua lungimiranza non ti è stata d’aiuto, Sire Faramir? Quale risposta ti sei dato?”
 
Se Faramir fosse rimasto ferito da quelle parole, non lo diede a vedere: “Due motivi, mia cara Éowyn, sono sorti nelle mia mente, ma quale sia quello vero, questo solo tu puoi dirmelo”.
 
“Non desidero giocare agli indovinelli! Parla chiaramente!”
 
Faramir sospirò: “E sia. Inizialmente ho creduto che il motivo della tua reticenza fosse dovuto all’orgoglio. Nessun invito ti è giunto da sire Aragorn; solamente tuo fratello ti ha mandata a chiamare. So quello che credevi di provare per il Signore di Gondor… Desideravi la gloria, la fama, la libertà e pensavi che solo lui fosse in grado di donartele. Ma quando egli non ti offrì altro che semplice pietà, la tua unica via di fuga rimase la morte. Quale gioia ti procurerebbe ora, il rivederlo in tutto il suo splendore? Nessuna, oserei dire. Null’altro che un cupo risentimento”.
 
Éowyn non lo contraddisse, al contrario annuì, tenendo a bada l’emozione.
“E il secondo motivo?” chiese con voce incredibilmente ferma, nonostante il suo tumulto interiore.
 
“Esso invece, mi è stato dettato dalla speranza” rispose Faramir, arrossendo lievemente, “La speranza che tu, sapendomi qui, non sia voluta partire per rimanere al mio fianco. Éowyn di Rohan… Tu non mi ami, o non vuoi amarmi?”
 
Questa volta Éowyn arrossì veramente, e il suo sguardo cedette, di fronte a quella domanda così sincera, diretta e non eludibile.
“Come bene hai capito, desideravo l’amore di un altro” mormorò infine, “Ma non voglio la pietà di nessuno! Ed è pietà che quella che ho letto anche nei tuoi occhi, la prima volta che ci siamo conosciuti…”
 
“Se hai guardato con attenzione, come credo tu abbia fatto, ti sarai accorta di come in seguito tutto ciò sia cambiato!” ribattè Faramir con foga, “Non nego di aver provato compassione, quando ti vidi discutere con Angus quel giorno, così fiera, così bella e tuttavia così triste. Fredda come il pallido Sole di queste giornate. Poi però, ho imparato a conoscere il tuo valore: il tuo coraggio in battaglia, la tua passione, il fuoco che arde nascosto nel tuo cuore e che né la guerra né il rifiuto degli Uomini sono riusciti a placare. Ho scoperto la tua gentilezza, la tua bontà d’animo, la tua disponibilità ad ascoltare e la tua semplicità nell’accogliermi così come sono”.
 
“Ed io ti amo, Éowyn” proseguì con tono infinitamente più dolce, “Con tutto quello che sono, e per tutto quello che sei. Un tempo ebbi pietà della tua tristezza; quest’oggi sarei solo incredibilmente onorato di poterti considerare mia. Sei la donna più coraggiosa, e dal cuore più puro, che abbia mai conosciuto. Non m’importa che cosa deciderai, o se i tuoi sentimenti trovano dimora altrove. Non m’importa del tuo rango o del tuo passato: fossi tu anche la benefica Regina di Gondor, io ti amerei lo stesso”.
 
Éowyn rimase in silenzio per tutta la durata di quella insperata confessione, ma i suoi occhi brillavano come non succedeva da molto, e ad ogni parola di Faramir, Éowyn sentiva uno strano calore aumentarle nel petto, e sciogliere tutto quel freddo che da troppo tempo ormai, la stava opprimendo.
Si accorse improvvisamente di non avere più dubbi: fu questione di pochi secondi e la scelta era fatta.
 
Quando Éowyn rispose, infine, la sua voce tremò leggermente.
Ma il sorriso che esibì, fu uno fra i più dolci e sinceri che Faramir avesse mai visto.
“Credo sia un bene, dunque”, disse quasi timidamente, “Che io non desideri più essere una Regina”.
 
Faramir la guardò sbalordito, prima di scoppiare a ridere scuotendo la testa, senza riuscire a fermarsi.
 
“Oh sì! Decisamente un bene!” esclamò fra le risa, tirandola teneramente a sé per la vita.
 
“E ditemi, sire Faramir, Sovrintendente di Gondor” proseguì Éowyn, radiosa, con tono leggermente canzonatorio, “È dunque questo, ciò che vorreste che dica la vostra gente? Ecco un uomo che ha saputo domare una fiera fanciulla dei Rohirrim! Non ve ne era dunque nessuna fra la sua gente, che egli potesse scegliere?”
 
Faramir inclinò la testa di lato, divertito, guardandola con un tale affetto che Éowyn sentì le ginocchia tremare.
L’uomo aspettò solo alcuni istanti, prima di rispondere in tono dolce ma deciso: “Sì, è questo che voglio”.
 
Éowyn non avrebbe saputo dire chi di loro due colmò la rimanente distanza.
Tutto ciò che ricordava fu che le loro labbra si erano infine trovate, con un’intensità e un bisogno tali da credere che si stessero cercando da tutta la vita.
E forse, in fondo, era davvero così.
 
Il Sole stava tramontando lentamente a Occidente, e i suoi ultimi raggi creavano scintillanti giochi di luce lungo le vesti e le capigliature dei due giovani.
Essi si trovavano al limitare delle mura, visibili a chiunque passasse in quel momento per le strade di Minas Tirith.
E molti infatti li videro, e si fermarono ai piedi della Casa, incantati, gioendo per loro.
 
Ma Faramir ed Éowyn non si accorsero di nulla, persi l’uno nel rassicurante calore emanato dall’altro, le loro labbra impegnate in una danza antica quanto lo stesso mondo.
 
Stretta fra le braccia dell’unico uomo, del quale si fosse mai innamorata davvero, Éowyn sentì di aver finalmente trovato tutto quello che stava cercando.
 
E la Primavera cedette il passo all’Estate.
 


 





 


 
 
Benni’s Hole:
 


E… Ce l’abbiamo fatta!
Ok, devo ammettere che a parte la patetica ultima riga (giuro, non sapevo come concludere, perdonatemi ç_ç)
questo è in assoluto il mio capitolo preferito. O perlomeno quello che più mi è piaciuto scrivere finora =)
Spero apprezziate il mio sforzo con tutti questi dialoghi u.u (è stata dura, mooooolto dura xD ahahahaha sapete che il mio forte sono più le introspezioni); inoltre giuro che stavolta non ho riletto il libro e ho cercato di limitare ‘intromissioni’ della versione originale ai minimi storici xD.
La scena con Merry all’inizio è totalmente made in Benni e mi è piaciuto moltissimo scriverla ^^, mi mancava il piccolo Hobbit. Spero sia piaciuta anche a voi!
E riguardo al momento clue?? Che mi dite? Troppo sdolcinata? Mielosa? OOC ç__ç?!? No, vi prego, dite di no a tutto çç!! XD Ok a voi l’ardua sentenza!
Siamo quasi alla fine, caro pubblico, e io non smetterò mai di ringraziarvi per lo straordinario affetto che mi avete dimostrato, oltre che per la pazienza e la costanza nel seguire.
Grazie come sempre ai lettori, chi segue (in particolare annael)/ ricorda/ preferisce e alle recensiste <3 (in particolare misslegolas86).
Vi adoro tutti, dal primo all’ultimo ♥
Alla prossima!
Vostra,
 
Benni
 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Un ultimo saluto ***


 


🌸 Un ultimo saluto 🌸
 



 

Il folto e variopinto fascio di fiori, era composto principalmente da Alfirin e Simbelmynë.
Questi ultimi erano più comunemente noti tra la gente come ‘ricordasempre’.
Piccoli e pallidi boccioli, che crescevano rigogliosi nei campi di Rohan, e avevano la curiosa nomea di non appassire mai.
 
Ricordasempre, pensò Éowyn, che ironia
 
Non ti dimenticare chi sei
 
Éowyn si chinò a terra, deponendo con infinita delicatezza quel mazzo colorato sul tumulo dove riposava suo cugino.
 
“Desideri rimanere qualche momento da sola?” le chiese Éomer, in piedi appena dietro di lei.
“No, resta” fu la semplice risposta.
Éowyn afferrò poi il braccio del fratello, stringendolo lievemente, come ad enfatizzare quella richiesta.
 
“Grazie per avermi accompagnata, Éomer”.
“Te lo avevo promesso, o sbaglio? E ad ogni modo desideravo anch’io ritornare qui… Per dirgli addio veramente”.

Non avere avuto modo di separarsi dal cugino in maniera ‘appropriata’, era uno dei più grandi rimpianti del giovane Sovrano di Rohan.
Inoltre, tutt’ora non si dava pace per non essere stato al suo fianco, in quel momento fatale.
 
Rimorsi ingiusti, lo sapeva bene, che tuttavia continuavano a perseguitarlo, procurandogli persino incubi, di tanto in tanto.
Per quel motivo, non appena Éowyn aveva espresso il desiderio di recarsi a visitare il suo tumulo, Éomer non aveva esitato ad offrirle la sua compagnia, memore anche della promessa fattale a Meduseld tempo prima, durante la festa per la vittoria al Fosso di Helm.
 
I Guadi dell’Isen, il luogo dove Thèodred aveva perso la vita: era lì che i suoi Uomini lo avevano seppellito.
Sullo stesso isolotto dove era caduto, combattendo strenuamente, come l’eroe che tutti avrebbero ricordato per sempre.
L’erba era verde e fresca, intrisa della limpida rugiada mattutina.
Vita che cresceva a discapito della morte.
 
“Si chiama Faramir, e forse nel corso dei tuoi viaggi lo avevi già conosciuto”.
 
La voce della sorella richiamò Éomer dall’abisso dei suoi pensieri.
 
Con sgomento si accorse che Éowyn stava parlando da sola, o meglio, si stava rivolgendo all’ombra di Thèodred, che forse ancora dimorava in quel luogo.
 
“L’ho conosciuto nelle Case di Guarigione, a Gondor, dopo che sono stata gravemente ferita, e in seguito salvata” stava dicendo la fanciulla, “Avevi ragione sai? La guerra non era come mi aspettavo… Ma non ho dimenticato la mia promessa, Thèodred. Non ho dimenticato chi sono”.
 
Éomer si chiese distrattamente se Éowyn si fosse accorta delle copiose e silenziose lacrime, che le stavano rigando ormai entrambe le guance, scendendo poi a incorniciarle il mento.
 
Trattenne l’impulso di avvicinarsi a lei per asciugargliele, e stringerla poi a sé.
Si sentiva a disagio, come se stesse invadendo qualcosa di intimo e privato.
Éowyn gli aveva chiesto di restare, è vero, tuttavia egli aveva l’impressione che quello non fosse il suo posto.
Non in quel momento, almeno.
 
Éowyn però, parve incredibilmente leggergli nel pensiero in quel preciso istante, perché dopo essere indietreggiata di alcuni passi- ossia fino ad affiancarsi totalmente a lui- gli strinse forte la mano, intrecciando le loro braccia.
 
“E questo scavezzacollo, testa-calda e lingua-veloce adesso è il nostro Re!” esclamò Éowyn con un tono fin troppo allegro, quasi isterico, “Lo avresti mai detto, cugino? Ah, ma io sono fiera di lui! E anche tu lo saresti se fossi qui, ne sono sicura… L’incoronazione è succeduta di non molto a quella di Re Elessar. È stato un momento meraviglioso”.
 
Toccante e solenne, come molti altri avvenimenti di quegli ultimi giorni.
Il peso della corona, posta con grazia sul suo capo; l’improvvisa realizzazione che una fase della sua vita si stava chiudendo, ed una nuova stava avendo inizio; le paure e la preoccupazioni derivanti dalle responsabilità che ora gravavano sulle sue spalle: aveva un popolo di cui prendersi cura, adesso.
 
“Tuo padre, il nostro caro, carissimo zio, è stato composto ufficialmente nelle esequie reali, e ha trovato il suo meritato riposo accanto a te e ai vostri antenati. Ci siamo separati da lui quello stesso giorno”.
 
Éomer ricordava bene, con estrema chiarezza: era avvenuto poche ore prima della sua proclamazione quale Sovrano del Mark.
Tutto il popolo aveva accompagnato Thèoden di Rohan fino al luogo del suo riposo perenne, del suo ultimo sonno.
Gli uomini portavano il lutto, le donne piangevano.
Assai amato era stato ad Edoras, il figlio di Thengel, come in ogni altra città del suo Regno.
Éomer rammentava inoltre la mano di Éowyn, stretta attorno alla sua; le lacrime di Merry, che aveva voluto bene al loro caro zio alla stregua di un padre, e le parole sagge e confortanti di Aragorn.
 
“Merry è partito pochi giorni dopo. È ritornato alla sua pacifica Contea, con i suoi piccoli amici e congiunti. Ah, Thèodred, quanto vorrei che tu avessi potuto conoscerli! Sono straordinari, sai? Dei bambini a prima vista; fino a quando non ti avvicini, e scorgi la saggezza e la maturità nei loro occhi, mista ad un ingenuo e delizioso stupore. Dolci come il miele, ma anche impavidi, testardi e tenaci. Merry mi ha salvata; mi è stato vicino quando ogni speranza sembrava perduta, e mi mancherà… Per il Cielo, se mi mancherà! Gli ho donato un corno simile al tuo, e mi sono fatta promettere di ricevere presto una sua visita. Se il mio dovere e il mio cuore non mi trattenessero qui, mi piacerebbe recarmi da me, lassù nell’Eriador, dove dicono si trovi la loro terra”.
 
Le braccia di Éowyn avvolgevano il piccolo corpo del Mezz’uomo, quasi a non volerlo lasciare andare mai più.
 
“Cavalca verso la buona fortuna e torna presto da noi” gli avevano detto, e avrebbero tanto voluto ricoprirlo di doni, perchè li meritava - oh se li meritava!- ma anche affinché non dimenticasse.
Ma Merry si era opposto, accettando solamente un paio di oggetti.
 
“Ricorderò per sempre tutto quello che hai fatto per noi” aveva esclamato Éomer, dopo avergli baciato dolcemente la fronte, “E sarai il benvenuto qui, Meriadoc figlio di Saradoc, cavaliere di Rohan, ogniqualvolta lo desidererai”.
 
“Non lasciare passare troppo tempo prima di spedirmi una lettera”, aveva ribadito Éowyn, “Mi mancherai, piccolo amico”.
 
“Conoscervi è stato l’onore più grande a cui uno come me potesse aspirare”: Merry era ormai prossimo alle lacrime; “Non ho parole per dirvi quanto vi sia grato, e non vi dimenticherò mai. Possano le nostre strade rincrociarsi al più presto”.
 
I suoi ultimi pensieri infine, erano stati per Colui che in pace riposava nei sepolcri poco distanti.
 
“E da ultimo, caro cugino, la notizia più bella! E al contempo la più spaventosa…”
 
Le labbra di Éomer si piegarono in un sorriso amaro e divertito allo stesso tempo, all’udire quelle ultime parole.
Nemmeno lui si era ancora abituato all’idea.
Ma non erano passati che pochi giorni, in fondo…
 
Desidero dare un lieto annuncio al mio popolo, nel giorno della mia incoronazione e della sepoltura di colui che mi ha cresciuto come un padre. Faramir figlio di Denethor, Sovrintendente del Regno di Gondor, ha chiesto in moglie mia sorella, Éowyn, Bianca Dama di Rohan. Ed ella lo ha accolto, con tutto il suo cuore”.
 
Grida di giubilo si erano alzate dalla folla, seduta ai numerosi tavoli del salone principale di Meduseld.
“Alla nostra Principessa!” avevano proposto all’unisono Galmond e il vecchio Arleon, levando in alto i boccali.
Éowyn aveva riso, radiosa, di fronte a quell’entusiasmo, e al profondo affetto che il suo popolo nutriva per lei.
Lacrime avevano bagnato le guance di molte delle donne presenti, ma questa volta erano solo di gioia.
Faramir e la sua futura sposa si erano poi alzati in piedi, per inchinarsi lievemente davanti a tutti, tenendosi per mano.
Aragorn, anch’esso presente e seduto con loro al tavolo d’onore, aveva infine elargito la sua benedizione alla coppia.
“Tuo fratello non dimostra certo di essere avaro, mia Signora” aveva detto rivolto ad Éowyn, “Dando al Regno di Gondor ciò che di più bello vi sia nel suo”.
Éowyn aveva sostenuto con fierezza il suo sguardo, accorgendosi con sollievo quanto ormai questo non le facesse più male.
Ogni residua traccia di rabbia, delusione e rancore: tutto era sparito dal suo cuore per sempre.
 
“Vederti finalmente ricolma di gioia è una benedizione, Éowyn. Non ho desiderato altro per te, fin dal primo momento in cui ti ho vista” mormorò il Sovrano; e parvi quasi che Aragorn si stesse come scusando, per tutto il dolore che ella aveva dovuto patire, sebbene il Re non ne avesse direttamente colpa.
Ora Éowyn lo capiva… Ogni cosa era finalmente andata al suo posto.
Al suo giusto posto.
 
“Che possiate vivere lunghi e sereni anni, mio Signore, e che la vostra grazia e la vostra saggezza ci illuminino nel tempo a venire” gli aveva risposto, “Sarò per sempre al vostro servizio, mio Re e mio guaritore”.
 
 
 
“Sai, cugino, non pensavo che avrei mai detto una cosa del genere, ma ho come l’impressione che la mia vera avventura debba ancora iniziare. La vita che avevo prima di conoscere Faramir… Mi sembra quasi, beh una non vita, adesso!”
 
Alcune nubi, nere e minacciose stavano giungendo da Est, oscurando il cielo.
Éomer le guardò preoccupato, mentre Éowyn non sembrava essersi accorta di nulla.
Stava parlando da una buona mezzora, oramai.
 
“Sorella…” cominciò Éomer, “Éowyn, credo che sia meglio tornare. Sta venendo a piovere e Faramir sarà sicuramente preoccupato” concluse, sperando di attirare in quel modo la sua attenzione.
 
“Oh, mi conosce bene!” lo liquidò lei con un gesto della mano, “Sa quanto ami passare più tempo possibile all’aperto”.
 
“Éowyn”.
 
Questa volta il tono usato da Éomer fu diverso, più severo ed autoritario.
 
“Per oggi basta, dobbiamo…”
 
Ma il resto della frase gli morì in gola quando si accorse che Éowyn si era piegata al suolo, e dopo essersi coperta il viso con le mani, si era lasciata andare al pianto.
Un pianto silenzioso, controllato, così come sempre controllata era stata lei stessa.
Niente singhiozzi, niente eccessi. Solo uno sfogo, forse troppo a lungo rimandato.
 
“Éowyn…”
 
Éomer le si avvicinò titubante, sfiorandole appena la spalla con la mano.
Éowyn si irrigidì all’istante: “Sto bene” decretò, secca, con un tono leggermente infastidito.
Come se si vergognasse di quell’improvviso momento di cedimento.
Non era abituata a mostrarsi debole, Éomer lo sapeva bene, ma avrebbe tanto voluto dirle che non c’era assolutamente niente di male.
 
“Sto bene” ribadì lei, tirandosi su lentamente, “È solo che a volte mi manca così tanto”.
“Lo so…” mormorò suo fratello in risposta, “Anche a me. Tutti, non solo lui. Ma noi siamo qui, e dobbiamo continuare vivere anche per loro”.
“Non è giusto…” si lasciò sfuggire Éowyn in un soffio, pentendosene subito, ma fortunatamente Éomer non la udì.
Molte, troppe cose a questo mondo non erano giuste, ma lei era stata già più fortunata di altri.
Aveva quasi dovuto morire per comprendere quale fosse veramente il suo posto nella vita, e ora finalmente aveva una seconda possibilità.
 
Non la sprecherò, Thèodred, te lo prometto. D’ora in poi mi prenderò cura di tutto ciò che cresce e porta con sé vita.
 
“Sono pronta a tornare a casa” dichiarò finalmente, voltandosi verso il giovane Sovrano di Rohan.
 
Un sorriso sollevato illuminò il viso di Éomer: “Bene. Sono certo che Faramir non veda l’ora di rivederti”.
 
L’impazienza nel suo tono non sfuggì però a Éowyn, che sorrise sospettosa.
“Non ti credevo così entusiasta, di vedermi trascorrere la maggior parte del mio tempo con lui. La tua gelosia è scomparsa assai velocemente”.
 
“Beh, lui ti rende felice non è così?” borbottò Éomer, improvvisamente a disagio, “Non è forse questo, tutto ciò che un fratello può chiede-”
 
“Uhm, è questo il motivo, eh? E dunque dimmi, fratello” inquisì lei maliziosamente, interrompendolo, “Il tuo impellente desiderio di tornare al più presto a palazzo, non ha nulla a che vedere con la bella cugina del mio caro promesso? Dama Lothiriel, se non vado errata. Lunghi capelli corvini, occhi color del cielo… È giunta ieri da Dol Amroth, e sarà nostra ospite per i prossimi giorni”.
 
“Non so proprio di che cosa tu stia parlando…” grugnì Éomer, montando in fretta su Zoccofuoco, e allontanandosi il più velocemente possibile.
 
“È forse del rossore, quello che vedo allargarsi sulle guance di mio fratello? Il prode, stoico e valoroso Primo Maresciallo del Mark! Torna qui, mascalzone! Ti stai vergognando come un ladro!”
 
La voce fintamente minacciosa, e velata di divertimento della sorella lo inseguì lungo tutto il tragitto di ritorno, ma per bontà divina Zoccofuoco era ancora, nonostante l’età, assai più veloce di Dahira.
 
Le loro risate si persero nel vento della sera primaverile, mischiandosi agli striduli richiami degli uccelli.
 
Il passato era definitivamente alle loro spalle. Il futuro avanti.
 
 




 



Benni’s Hole:
 
A dispetto del titolo questo non è l’ultimo; vi aspetta ancora un piccolo capitoletto conclusivo =)
Ho paura di aver sfiorato leggermente l’OOC con le ultime righe ^^”, ma ci tenevo a inserire questo momento di ‘leggerezza’ e di scherzo tra i due fratelli (oltre a citare la futura Signora Eomer buahahaha)
Ok, tornando serie: spero vi sia piaciuta l’alternanza tra narrazione e flashback: ho scelto questo tipo di sviluppo perché volevo sia raccontare gli ultimi avvenimenti del libro, sia concedere ad Eowyn un ultimo saluto ‘definitivo’ con il cugino :)… Due piccioni con una fava ;)
Ah l’ultima frase è presa in prestito (riadattata) da Lo Hobbit.
L’ultimo capitolo è quasi pronto, perciò potrei anche farcela prima di Pasqua… Stay tuned!
Abbraccio e ringrazio di cuore tutti i lettori, preferitori, ricordatori, seguitori (in particolare zebraapois91)
E ovviamente tutte le recensiste ♥ (in particolare sempre Sylvie e J_ackie)
 
A prestissimo tessssssori ♥♥
 
Benni 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Elboron ***


 


🌸 Elboron 🌸
 



 

La pallida luce della luna filtrava attraverso le finestre della grande camera da letto, come argento liquido, disegnando giochi di luce sulla pelle delle due figure addormentate.
 
Éowyn, signora dell’Ithilien, e un tempo di Rohan, stava riposando serena, cinta dal tenero abbraccio del marito, quando qualcosa turbò il suo sonno.
 
Ella aprì gli occhi debolmente; strizzandoli poi, per mettere a fuoco la realtà circostante.
D’un tratto lo udì di nuovo: il debole vagito che l’aveva raggiunta fin dentro ai suoi sogni, strappandola a quel mondo illusorio.
 
Éowyn sospirò; poi, dolcemente, si districò dalle forti braccia del marito, tirandosi su a sedere.
 
Un’intera notte di sonno, senza interruzioni, era indubbiamente chiedere troppo
 
Giunta nella camera appena adiacente alla sua, Éowyn si diresse a passo sicuro verso il piccolo lettino, situato lì al centro.
 
Si chinò poi, sollevando amorevolmente fra le braccia un minuscolo fagottino, dalla riccia capigliatura castana, e dalle morbide guanciotte rosse.
La luce dei suoi occhi: Elboron, principe d’Ithilien.
Suo figlio.
 
Éowyn prese a cullarlo con infinita delicatezza, mormorando parole di conforto e intonando una dolce melodia.
 
Il piccolo, all’udire la familiare e rassicurante voce della madre, si calmò all’istante.
Emise un debole suono indistinto, a metà tra uno sbadiglio e un mugolio; poi, richiudendo gli occhi, cominciò a succhiarsi amabilmente il pollice.
 
L’espressione sul volto di sua madre era a dir poco adorante.
 
Éowyn quasi non riusciva a credere di essere in parte responsabile della vita di quel frugoletto.
Fino ad alcuni mesi prima non era stato altro che un prominente –e talvolta fastidioso!- rigonfiamento della sua pancia… E adesso eccolo lì, così placido e dolce durante il sonno… e un vero terremoto da sveglio!
 
Éowyn ricordava come fosse ieri l’istante in cui aveva scoperto di portarlo dentro di sé.
Ricordava ogni singola ora, ogni minuto e ogni secondo, di quei nove mesi di gravida e trepidante attesa.
E ancor di più ricordava quel prezioso momento in cui ogni promessa si era avverata, attraverso la forma di un pianto acuto, dirompente, che sapeva di salute e di vita.
 
“Tutto bene, tesoro?”
 
Il fiato caldo di Faramir le solleticò l’orecchio, mentre le braccia di suo marito scivolavano veloci ad agganciarsi attorno alla sua vita.
Il sorriso di Éowyn si accentuò: girò appena la testa per deporre un bacio leggero sulla guancia dell’uomo.
 
“Mi dispiace averti svegliato”.
“Non lo hai fatto; sai bene che ho il sonno leggero. Mi sono semplicemente accorto, di come il letto fosse improvvisamente molto più freddo…” sussurrò Faramir, con un tono profondo e sensuale, che le mandò piccole scariche di adrenalina lungo tutto il corpo.
“Vi pare questo il momento per simili discorsi, messere?”, lo riprese scherzosamente Éowyn, avendo intuito dove il marito volesse andare a parare, “Sto cercando di far riaddormentare vostro figlio…”
 
Faramir ridacchiò sommessamente, sfiorando la testa del neonato con un’affettuosa carezza.
“E come sta il mio piccolo birbante?”
 
“Credo non si sia ancora pienamente abituato a dormire da solo…” sospirò Éowyn, “Ma, aspetta, forse ci siamo!”
 
Elboron infatti, aveva dischiuso leggermente le labbra; e il pollice, che fino a poco prima si trovava nella sua bocca, giaceva ora abbandonato lungo il fianco.
 
Éowyn lo depositò con delicatezza al centro del lettino, prestando la massima attenzione a non svegliarlo di nuovo.
 
Era ancora troppo piccolo, perché si riuscisse capire in maniera precisa a chi rimandassero le sue fattezze, ma riguardo ai suoi dolcissimi occhi nocciola, Éowyn non aveva dubbi: erano gli stessi della sua famiglia.
Gli occhi di Thèodwyn e Thèoden.
 
La sua nascita aveva benedetto il matrimonio di Faramir ed Éowyn dopo appena due anni.
 
Due anni che erano volati via, rapidi come un battito di ciglia.
In quel lasso di tempo, Faramir aveva assunto pienamente il ruolo che una volta era stato di suo padre; Éowyn invece, aveva scelto di divenire una guaritrice, per prendersi cura, come aveva detto tempo addietro, di tutto ciò che cresceva e recava con sé la vita.
 
Quella occupazione le aveva portato infinite soddisfazioni, ed una grande serenità.
Se glielo avessero detto qualche anno prima, Éowyn sarebbe probabilmente scoppiata a ridere, guardando con disprezzo il latore della notizia.
 
Dormi, piccolo mio, pensò contemplando affettuosamente il figlio, e possa il tuo sonno essere sereno. Sei al sicuro qui, e noi ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo.
 
“Éowyn? Coraggio, amore mio, hai bisogno di riposare”.
La voce di Faramir, velata appena di preoccupazione, la raggiunse dalla soglia della camera, verso la quale egli si era già incamminato.
 
“Starà bene, non è così?” si ritrovò a mormorare Éowyn, quasi d’istinto, afferrando la mano che le veniva tesa.
 
Sembrava riluttante a venire via, come se potesse accadere qualcosa al bambino, nell’esatto momento in cui suoi genitori avessero lasciato la stanza.
 
“Starà benissimo” rispose dolcemente Faramir.
 
Conosceva abbastanza bene la moglie, da capire quanto la paura di perdere nuovamente qualcuno di caro, fosse ancora radicata profondamente nel suo cuore.
E forse mai se ne sarebbe andata, nonostante tutto: il suo rassicurante e caloroso affetto, che non si vergognava di dimostrarle, giorno dopo giorno; la pace che li circondava, sia lì nella loro accogliente dimora nell’Ithilien, che in tutto il Regno di Gondor… Era qualcosa con cui avrebbero dovuto convivere entrambi, per tutti i giorni a venire; anche quando Elboron fosse divenuto abbastanza grande da essere in grado di badare a se stesso.
In alcuni momenti quel timore si faceva più manifesto, in altri giaceva sepolto, come un mostro in agguato, sul fondo del cuore.
Ma Éowyn non sarebbe più stata sola ad affrontarlo, si ripromise il giovane Sovrintendente.
Avrebbe per sempre potuto contare sul suo aiuto; così come lei aveva più volte offerto il suo, per lenire invece, le preoccupazioni di diverso tipo di Faramir.
Le sue paure di non rivelarsi un buon padre, di commettere con suo figlio gli stessi errori che Denethor aveva compiuto con lui.
 
Ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro, e per Elboron.
Di più non potevano fare, di più non potevano chiedere.
 
“Meriadoc ci ha scritto; la sua lettera è arrivata oggi pomeriggio”, raccontò l’uomo, una volta che si furono distesi nuovamente nel letto, ma Éowyn non rispose, limitandosi ad un mugugno di assenso, carico di sonno.
 
Faramir la guardò intenerito cercare di mantenere desta la concentrazione; ma la stanchezza infine fu più forte di lei.
Le palpebre pesanti si chiusero in appena pochi attimi, il respiro si fece più regolare e le labbra si piegarono in morbido sorriso.
 
La maternità l’aveva resa, se possibile, ancora più bella, si ritrovava spesso a pensare Faramir; come se una luce misteriosa avesse preso dimora dentro di lei.
 
Nonostante le occhiaie, i pianti, e gli inevitabili cambiamenti che il suo corpo aveva subito, Éowyn era rimasta la fiera, indomabile, e coraggiosa giovane donna, della quale si era innamorato anni prima.
Ma allo stesso tempo era diversa, più saggia e matura.
 
La donna dal Braccio di Scudo, così era conosciuta fra la gente.
 
“A che cosa stai pensando così intensamente?”
 
L’uomo si riscosse, stupito, nell’udire quella domanda: la credeva già addormentata!
 
“A niente”, rispose sorridendo con dolcezza, “E a tutto”.
 
A quanto sia cambiata la mia vita, da quando ti ho trovata, avrebbe voluto dirle, a quanto sono stato fortunato che tu mi abbia accettato. Al passato, al futuro, a quel meraviglioso e sorprendente presente, che riposa nella camera accanto.
 
Ma forse l’ora era eccessivamente tarda, per discorsi del genere.
 
“Proprio quello a cui stavo pensando io…” mormorò in risposta Éowyn, e Faramir poté come sentire un sorriso nella sua voce.
La giovane gli si fece più vicina, intrecciando le loro dita, e sbuffando un sospiro carico di soddisfazione.
 
Il sonno vinse entrambi nello stesso momento; e fu mano nella mano, che li avrebbe ritrovati il Sole il mattino seguente.
 
E per moltissimi anni a venire.

 
 




Benni’s Hole:
 
E questa volta è davvero finita… avevo in mente fin dall’inizio di concludere in questo modo: un piccolo e semplice quadretto della nuova vita di Eowyn. Chiedo scusa per aver glissato sui vari matrimoni, ma proprio non avevo l’ispirazione per delle scene del genere… Di Elboron invece, morivo dalla voglia di parlare ^^.
So che è molto breve, ma credo che il più sia stato fatto nei capitoli precedenti; questo consideratelo davvero l’epilogo conclusivo.
 
Non mi rimane molto altro da dire se non un gigantesco, riconoscente, strepitoso e assai commosso GRAZIE a tutti voi.
Sono sinceramente toccata e stupita dal successo che ha avuto questa fic; e non so dirvi quanto abbia significato per me la vostra compagnia e il vostro affetto durante questi mesi, senza risultare banale o sdolcinata…
 
Sono divisa tra la malinconia, il sollievo e la soddisfazione per aver portato a termine il compito che mi ero prefissa, ma non scherzo quando dico che non ce l’avrei fatta senza ognuno di voi…
 
Voi lettori, silenziosi, numerosissimi e preziosi… ad ogni visita avevo il cuore in gola.
Chi mi ha seguita: siete tantissime e ci tengo a citarvi tutte: aelfgifu, Annael, Clio93, Crisbo, Durhilwen, Echadwen, electra pascal, evelyn80, Feanoriel, fede95, fiddler, GretagGrace, Halfblood_Slytherin,
Jordan Jordan, Kanako91, Kano_chan, ladyw, Laylath, nari92, New Red Eyes, PuccaChan_Traduce, Siria_Ilias, Valerie, Virgo00, vshj, xingchan, zebraapois91.
Chi mi ha preferita: andalusia, Chibi_Hunter, Fjorleif, Just Izzy, Laylath, LilyLilian, Missing23, Valerie, xingchan, zebraapois91, _Son Hikaru, __Scream.
Chi mi ha ricordata: Valerie
Last but not least… tutte le mie fantastiche recensiste (e recensore ^^)! Sia quelle più assidue, sia chi ha recensito anche solo per una volta… grazie a tutte/i voi per aver speso parte del vostro tempo per farmi conoscere il vostro parere: è stato un piacere e un onore chiacchierare con voi, siete delle persone meravigliose, dico davvero <3
Marta, Evelyn, Giulia, Stella, Maria, Hika, Giuli Fee, Andrea, Electra, Giulia, Giulia, Elena, Giorgia, Beatrice, Scream, Nari92, Fjorleif, Alessia, PuccaChan_Traduce, Cristina, Maria, Chiara e Silvia <3!
 
Grazie infine, a tutti quelli che leggeranno o commenteranno la storia da questo giorno in poi xD
 
Bella gente… questa avventura è finita, ma un’altra mi attende! L’8 Aprile parto per Londra, dove mi fermo sei mesi a fare la tesi! Non ho in cantiere altri progetti, e credo quindi che per quanto riguarda Efp mi limiterò a recensire… anche se chi mi conosce sa che il mio cervello matto ogni tanto partorisce qualche fic demenziale, perciò… magari ci si risente ^^!
 
Concludo questo papiro facendo a voi e ai vostri cari i miei più sinceri auguri di buona Pasqua!
Spero si sia colto tutto il mio ammmmmore e la mia gratitudine per voi <3…
 
Buona vita a tutti!
 
Benni
 
Ps: se avete voglia di dirmelo sarei curiosissima di sapere quale sia il vostro capitolo preferito ^^! Io scelgo il primo, nonostante il tristume… troppo affezionata!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2863370