Se non ci sarà abbastanza tempo per noi, lo ruberò alle vite degli altri

di Mania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP O1 | Ciò che è andato perduto ***
Capitolo 2: *** CAP O2 | Ricordi consumati come candele ***
Capitolo 3: *** CAP O3 | Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ***



Capitolo 1
*** CAP O1 | Ciò che è andato perduto ***


SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI

C A P I T O L O   O 1 ▬
“ Se non ci sarà abbastanza tempo per noi,
lo ruberò alle vite degli altri






» CAP O1 || Ciò che è andato perduto

Vi erano rari momenti della sua vita in cui gli pareva di vivere in una bolla di sapone. Tutto avveniva, si protraeva all’estremo, sino a spezzarsi, e poi ricominciava nuovamente, in un ciclo privo di fine – come il grande serpente avvolto attorno alla Terra, costretto a mordersi la sua stessa coda in un cerchio, dove conclusione e inizio si confondevano. Il senso di déjà vu arrivava senza preavviso, piombava addosso a Loïc Odilon con la stessa repentina insensatezza con cui i temporali solevano scoppiare d’estate, quando il cielo limpido veniva trafitto da fulmini, d’un tratto. L’unica costante, ciò che accumunava irrazionalmente quegli istanti di luce accecante tra loro, era la morbida presenza – concreta o anche solo di vaghi riferimenti – di Séline Tyler.
«Qualcosa non va, signor Odilon?» domandò con una punta di sarcasmo il suo datore di lavoro, ovvero il poco transigente Signor Gold, richiamandolo alla concentrazione che desideravano avere i documenti della contabilità, aperti davanti a lui.
«Il lavoro è stato già ultimato, non si preoccupi. Merito un attimo di riposo dopo aver riordinato tale quantità di scartoffie» chiosò con il perenne ghigno mellifluo a incurvargli le sottili labbra. Le iridi degli occhi di Loïc erano di un verde particolarmente penetrante, formati da scaglie chiare a balenare in un manto di foglie scure sullo sfondo, rendendo una foresta impenetrabile i propri sguardi. Quindi non c’era da meravigliarsi che le occhiate che si scambiavano lui e il suo datore di lavoro fossero particolarmente criptiche, anche quando sembrava che si stesse parlando di una sciocchezza come l’ordine contabile – ma per due come loro, nulla era quello che appariva.
Il sorriso poco rassicurante del Signor Gold si accentuò di un poco. Il suo socio non era certo una persona semplice da comprendere, i pensieri che attraversavano la sua mente erano contorti e impastati di nodi almeno quanto i propri, eppure, fin dal loro primo incontro, c’era sempre stata un’unica cosa chiara in lui. Non era un merito proprio di Loïc, era un dono che gli era stato concesso – una tregua dalla sua insoddisfazione, dai suoi macchinosi progetti e dai sentimenti rattrappiti. Qualcosa che il Signor Gold conosceva, ma che perseverava a biasimare almeno apparentemente nel giovane collega – un modo indiretto per biasimare se stesso e il risultato osceno al quale le sue scelte da vigliacco lo avevano condotto.
«Riposo, eh? La signorina Tyler non è il tipo di donna che concede riposo ad alcuno, specialmente a un uomo come lei» replicò Gold, prima di infilarsi il soprabito, decretando conclusa la sua permanenza nel negozio, almeno per quella giornata. Rise appena nel ricevere l’occhiata bieca di Loïc Odilon, colma forse di una dose di risentimento eccessivo – ancora perseverava a nutrire rancore per non aver incluso anche la sua innamorata nel patto, che aveva stretto troppi anni addietro con Regina, cosa che Gold trovava divertente in una certa dose. «Intendo dire che vi farebbe penare come non mai anche solo per un invito a prendere un caffè; e credo sia proprio ciò a suscitare il vostro interesse, vero signor Odilon?»
Non rispose Loïc, tornando ad abbassare le straordinariamente verdi iridi sulle carte contabili. Le avrebbe ricontrollate anche dieci volte più del necessario se sarebbe servito ad evitare una discussione su Séline – poteva passare sopra molte cose, ma non su Gold che si permetteva di sciorinare pseudo consigli o conclusioni su loro due. D’altronde, se ora quando passava, Séline vedeva semplicemente in lui Loïc Odilon, era per un vezzo capriccioso e crudele di Gold – e d’altro canto, cosa avrebbe mai potuto aspettarsi dall’Oscuro? Probabilmente – anzi, certamente – lui avrebbe agito nel medesimo modo se si fosse trovato al suo posto. Una via subdola, meschina e odiosa, ma che era l’unica possibile per assicurargli la sua continua collaborazione, fino a quando sarebbe stato necessario.
In fondo, se Loïc quando ancora portava il suo vero nome, non fosse stato tanto orgoglioso da non volersi abbassare a chiedere aiuto al proprio padre e a suo fratello, non si sarebbe trovato in tale situazione. Ma aveva sempre peccato di superbia, il suo ego aveva regole che non potevano essere abbandonate nemmeno per amore e lei non aveva mai posto recriminazioni per tale comportamento – anche per ciò l’aveva sempre considerata l’unica degna, l’unica possibile, l’unica in grado di accettarlo per ogni più infimo peccato. Non l’aveva amata per tali capacità in sé, ma perché la sua anima appariva come la più candida dei Nove Regni, avvolta di una luce abbagliante per nascondere un cuore corroso da una morale rotta, traballante quanto la propria. Un’anima affine. L’altra faccia della propria.
Ancora ricordava quando si era presentato nel castello dell’Oscuro, attraversando per lei mondi e tempo, giungendo fino a quel luogo per molti considerato solo leggenda e mito, ma per lui una possibile via da percorrere e in fondo alla quale trovare ciò che gli era stato sottratto.
Seppur vi fosse una sontuosità indiscutibile nell’arrendamento, nella scelta dell’architettura e altrettanto gusto nel modo con cui abbellire le stanze, una nota di abbandono era presente ad alleggiare tra i corridoi, rimbombando insieme ai passi del visitatore giunti da incredibilmente lontano.
Loki sapeva che la propria presenza era già stata colta dal padrone di casa, non aveva contato in un’entrata scenica per evitare di cominciare burrascosamente con quell’uomo. La sua maestria nell’arte della magia era alta, ma non ancora così sopraffina da poter pensare di competere completamente con l’Oscuro – non ancora, per lo meno, era ancora giovane e aveva tutta l’eternità davanti per pensare a piani che prevedessero conquiste di potere tanto ambiziose. Per il momento, la ragione della sua visita era rivolta al riottenimento di qualcosa che era stato strappato a lei per colpa di lui – e nonostante questo, neppure un’ombra di risentimento si era abbattuto sui lineamenti d’adolescente del suo viso.
Trattenne il sorriso al ricordo delle proteste di Sigyn per non averla condotta con sé – era giovane, una guerriera abile, con la testardaggine orgogliosa pari solo a quella di lui –, calmate unicamente dalla promessa di considerare l’ipotesi di condurla con sé la volta successiva. Le aveva ovviamente mentito riguardo la sua meta, ma questo già lei lo sapeva – ovviamente, come ogni volta.
Respirò a fondo prima di aprire le porte che conducevano alla sala principale del palazzo, osservandosi in giro, con fare lievemente insoddisfatto, per via del caos che regnava sul tavolo e per i mobili. Mancava evidentemente il tocco di una domestica che sapesse come sistemare quel luogo, cosa che rendeva l’ambiente pregno di penombre pesanti, dentro le quali si ammassavano angoli di tenebra, sporco e pericoli.
Percepì la presenza dell’Oscuro ancora prima di udirne la risata risuonare tra le alte mura, serrando le falangi in pugni duri per evitare di esplodere di indignazione per un simile trattamento – e altrettanto dovette fare, stringendo maggiormente la presa, successivamente.
«Un principe di Asgard! Che ci fa qui un principe? Anzi, il minore. In più di un senso, non è vero?», domande divertite e di sbeffeggio, maliziosamente intessute per insinuare verità che l’animo orgoglioso e arrogante di Loki non potevano accettare, architettare appositamente per indispettirlo.
«Potrei ucciderti per la tua insolenza, Tremotino» sibilò gelido, stringendo i denti tanto da sentire scricchiolare i molari.
«No. Non è vero. E se anche potessi, non lo faresti, quindi non prendiamoci in giro con menzogne da poco e dimmi che cosa desideri da me. Più potere, forse? Un’arma migliore di quella di tuo fratello? Conoscenze? Artefatti?», le sue frasi cominciarono a piovergli addosso e la sua presenza si concretizzò accanto a Loki, sorprendendolo in modo impercettibile. Con un ghigno divertito a tendergli gli angoli della bocca, rendendo l’espressione del suo volto da folletto una maschera di ilarità fastidiosa e inappropriata, Tremotino prese a girare attorno a Loki per studiarne la figura, sondarne i poteri e provando a capirne l’anima – impresa ardua anche per lui, perché pareva irraggiungibile il cuore di quel dio, ammantato di risentimenti, insoddisfazioni, seti di poteri e una scia di desideri così ben nascosti da essere indecifrabili.
«Sono tutte cose di cui mi posso occupare da solo» lo liquidò brevemente Loki, rilassando i muscoli per riottenere pienamente l’apparenza di impeccabile eleganza controllata, con la quale amava cospargersi. «Desidero recuperare una cosa perduta, una cosa che appartiene a un’altra persona».
«Ogni cosa ha il suo prezzo, e per stabilirlo mi occorre sapere ogni dettaglio. Chi è questa persona?», incuriosito dall’inaspettata richiesta, l’Oscuro andò a sedersi alla sua poltrona per vagliare più attentamente la situazione che Loki gli stava sottoponendo – un’inaspettata visita che avrebbe forse potuto, se non accelerare vertiginosamente i suoi piani, renderli più rapidi una volta entrati nell’ultima fase.
«La mia promessa sposa, Lady Sigyn.»
Malevolo, il sogghigno di Tremotino si ampliò naturalmente, sospinto dall’affermazione del principe di Asgard. Chiedergli di utilizzare il Bifrost era un prezzo esagerato e impossibile da pretendere, questo l’Oscuro lo sapeva perfettamente, perché nessuno poteva attraversare il Ponte senza che il Padre di Tutto lo sapesse e mai avrebbe concesso permesso affinché proprio lui, un mago del suo calibro e fama maligna, lo utilizzasse per scorazzare indisturbato da un mondo all'altro. Ma Loki aveva abilità che potevano tornargli utile, sia in questo mondo sia nell’altro, abilità che avrebbe utilizzato fino all’ultima goccia per riavere suo figlio. Doveva solo decidere in quale maniera incastrarlo nel suo progetto, poi, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a ottenere la collaborazione se di mezzo vi era il Vero Amore; lezione impartita a Tremotino scontando il più caro dei prezzi – perdendolo per codardia, ottenendo giusto la consapevolezza di ciò che era capace la magia più potente di tutte quante.
Fece comparire due tazze da thé e una teiera, invitando con un gesto Loki a sedersi – avevano molto da discutere e le lancette del pendolo avevano appena scoccato le cinque del pomeriggio.

Quando aveva sentito il rintocco dell’orologio, aveva provato la sgradevole sensazione che esso si fosse in qualche modo protratto in echi muti, fino a giungere nella sua anima – aveva avvertito smottamenti in essa, crepe sulla sua superficie guasta e malandata, ne aveva avvertito le faglie farsi più pressanti, giungendo a una profondità alla quale era stata disabituata dall’assenza di qualcosa che non riusciva a carpire. E in quelle increspature invisibili che avevano creato dentro di lei, Séline, per la fugace durata di un attimo, ebbe l’impressione di scorgere qualcosa dentro se stessa – un ritrovamento importante, una consapevolezza perduta. Tale sensazione fu troppo effimera per rimanerle impressa chiaramente, lasciando dietro di sé unicamente schiuma malinconica – quasi dolce nei suoi ultimi istanti, una promessa da mantenere.
Da quando aveva preso a funzionare l’orologio della torre, quella sensazione tornava con costanza sempre crescente. Una parte di lei l’aveva afferrata nella sua stranezza, ma l’altra razionale le suggeriva che non poteva esserci nulla di mistico – o magico – dietro i rintocchi di una campana.
«Siete ancora in servizio, signorina Tyler?», la domanda del sindaco Mills la riscosse dai propri pensieri, incagliati su terre misteriose, riportandola alla realtà della strada. Era appena uscita dall’ufficio dello sceriffo Swan, con il sole rosso del tramonto alle spalle, rendendo suggestivo lo scenario di un cielo dalle acque marine intinte di sangue e oro a cospargersi sopra la sua testa, mentre le prime stelle comparivano timidamente. Era una serata serena, nemmeno il vento dalle punte fredde riusciva a smorzare la bellezza di uno spettacolo tanto meraviglioso.
«Ho appena staccato, sindaco. Avete bisogno per caso?» domandò la giovane agente voltandosi verso Regina Mills. Aveva da sempre una strana impressione riguardo quella donna, per quanto le apparisse eccessiva in molte sue decisioni, dall’altra ammirava la forza delle stesse, la dedizione che metteva nel raggiungere i propri scopi. Era difficile lavorare sia per lei sia per Emma Swan, tutto si trasformava in un continuo cercare di rimanere neutrali, mentre le guerre si intensificavano ai confini – ma essere campo di nessuno a Séline riusciva discretamente bene, portando avanti i propri compiti come agente di servizio e insieme evitando qualsiasi lavoro che esulasse dai suoi incarichi ufficiali. Con una sola eccezione.
«Devo rimanere per un’emergenza in ufficio, potete occuparvi voi di Henry?» domandò sollevando appena un sopracciglio – era evidentemente infastidita da qualcosa, qualcosa che non riguardava Séline, la quale quindi finse di non rendersene conto, concentrandosi solamente sul quesito posto.
«Certo, nessun problema», era appunto Henry la sua unica eccezione alla regola di non interferenza tra le due madri del bambino. Fin da quando era piccolo, aveva da sempre dato una mano a Regina a badare a lui, facendogli da babysitter quando il lavoro glielo permetteva, e andando a portargli i fumetti anche quando non era stata chiamata. Se avesse dovuto scegliere uno schieramento, avrebbe indubbiamente privilegiato Henry – lui e forse qualche d’un altro.
«Avete bisogno di un passaggio, Séline?», la voce di Loïc Odilon la riscosse dai suoi pensieri, mentre si avviava all’ufficio di Archie, per recuperare Henry dopo la seduta con lo psicologo. Non aveva problemi a riconoscere il timbro della sua voce, lo avrebbe probabilmente afferrato anche in mezzo a una folla di centomila persone da quanto particolare appariva alle sue orecchie – profondo, sinuoso, dalle venature perennemente intrise di un’ambiguità insondabile, nelle cui pieghe si perdeva per cercare di scoprire cosa celasse.
«Camminare mi piace molto, non disturbatevi» lo rassicurò voltandosi appena nella sua direzione, ma senza diminuire l'andatura. L’aveva affiancata con la sua bella auto oltremare, tenendo un braccio per metà appoggiato oltre il bordo del finestrino abbassato, procedendo lentamente per seguirla mentre le parlava. Convincere Loïc di qualsiasi cosa, solitamente, era un’impresa ardua nella quale Séline adorava imbattersi – non lo avrebbe mai e poi mai ammesso, ovviamente, soprattutto davanti a lui. Le discussioni che intratteneva con Loïc erano interessanti proprio per l’indeterminatezza sul loro esito, grazie alla dialettica pronta dell’uomo e all’incapacità di accettare di non avere l’ultima parola di Séline. Aveva una non discreta inclinazione verso quell’uomo elegante, dai modi da gentiluomo a nascondere un’anima contorta, dove l’ambiguità era la sua unica forma di chiarezza. E anche tale dettaglio la giovane lo avrebbe custodito con incredibile determinazione, perché cedere alle lusinghe di Loïc Odilon non era nei suoi piani – non ancora. Non era una preda da conquistare, una fanciulla il cui cuore poteva essere espugnato con belle adulazioni infiocchettate abilmente e regali costosi, questo Loïc lo sapeva e per questo perseverava a parlare con lei – semplicemente parlare, senza chiederle nulla di più di cinque minuti del suo tempo al giorno. Un rituale che si ripeteva costantemente da anni, talmente tanti da non saper dire nemmeno quanti fossero – come se in realtà il mondo fosse sempre girato in quel modo e non esistesse un tempo nel quale loro due non avessero avuto quei cinque minuti per loro.
«Se fosse un disturbo, non mi soffermerei a chiedervelo, non pensate?» ribatté divertito Loïc, osservando con interesse il profilo della giovane. Visivamente, Séline appariva più giovane di lui di una decina d’anni, con la sua ventina d’anni apparente impressa nei lineamenti candidi, ancora riempiti da residui di adolescenza, che stavano per essere scrostati via. Con i capelli raccolti in una treccia laterale a scivolarle sul petto, Loïc la adorava in segreto, senza rivelare quanto reputasse incredibilmente meravigliosi quelle ciocche talmente pallide da apparire bianche – luce solida intrappolata nella sua chioma da un incanto arcano. Lo aveva sempre fatto, fin dal loro primo incontro, scoprendo con i secoli la loro morbidezza, quando si era arrogato il diritto di affondarvi le mani, e poi le labbra.
Quasi trent’anni erano un tempo abbastanza ridotto per un dio, ma trent’anni senza Sigyn era un tempo comunque eccessivo – lo sarebbe stato anche un giorno soltanto. Nonostante la sua capacità recitativa impeccabile, inalterabile anche nel caso in cui si fosse ritrovato a dover affrontare il resto della sua millenaria vita senza di lei, trattenendo come un segreto indicibile il dolore, non implicava reale facilità d’animo nel mantenere un distacco, difficile da soffrire quando si trattava di Sigyn.
Era nato come un capriccio – come buona parte delle cose nelle quali si invischiava, e con la stessa regolarità, gli svolgimenti successivi avevano avuto pieghe impreviste. Impreviste e stranamente ben accette.
«Penso che voi siate un uomo troppo poco chiaro per sapere che cosa avete in mente, e sicuramente siete capace di compiere azioni che non vi aggradano unicamente per altri fini» sibillina, rispose Séline senza concedergli la vista sui suoi occhi d’ossidiana.
«Avete una pessima opinione di me, non è vero Séline?», constatazione che stranamente gli strappò una risata bassa, divertita dall’affermazione appena fatta dall’uomo.
«Non è un giudizio negativo, piuttosto neutro» lo confutò 
Séline, accompagnando le parole a un lieve movimento del capo lateralmente, a sottolineare l’incapacità di affidare una collocazione negli assoluti a tale constatazione. 
«Questo è incredibilmente un punto a mio favore. Voglio davvero darvi solo un passaggio se me lo permettete, o potrei unirmi a voi» perseverò, sfoderando uno dei sorrisi quasi sinceri e privi di malizia. Séline silenziosamente aveva da sempre serbato un’adulazione per quella sghemba linea, la quale spuntava sulle labbra di Loïc quando le si rivolgeva in particolari circostanze. In quei momenti, lui la inchiodava a uno sguardo che Séline reputava essere sogno di ogni donna vedersi rivolto, almeno una volta nella vita – e che a lei veniva donato quasi quotidianamente. Ed era in quei frangenti, ritrovandoselo incollato addosso, che allora Séline cedeva di un passo, almeno un po’ e non sempre, per ringraziarlo e per trattenerlo maggiormente a sé. Per questo si fermò, aspettando che parcheggiasse in modo da proseguire a piedi insieme.
Era uno strano modo, il loro di comunicare. Prevalentemente era costruito con le montagne di frasi celate sotto le poche che pronunciavano, ramificando dedali e labirinti di sottointesi nei quali amavano immergersi, perdendosi lì dove nessun altro poteva raggiungerli.
Molto spesso, Loïc aveva la tentazione di dirle che Loïc non era il suo nome, come Séline non era quello di lei. Ripassava vari scenari mentalmente nei quali le rivelava la verità, eppure già in partenza che non era quella la via che sapeva avrebbe percorso – la verità era mutevole e non era stata mai il suo campo d’azione, come d’altronde non apparteneva nemmeno a quello di lei. Straordinariamente, nemmeno privata della sua identità, Séline smetteva di essere Sigyn, e mai, infatti, aveva avuto un sussulto di timore nel lasciare le proprie iridi di pece posarsi su quelle smeraldine di Loïc.
«Gli altri, normalmente, non sostengono il mio sguardo come fate voi, Séline», glielo disse perché era una sorpresa costante – una realtà che si ripeteva, ma che possedeva il dono di rinnovarsi anche nella sua essenza estatica.
«Dipenderà dal fatto che gli affari che svolgete per conto del Signor Gold non vi rendono particolarmente simpatico», una risposta che non intendeva incriminare nessuno – come sempre, Séline si teneva lontana dai giudizi di merito, e nonostante possedesse un distintivo e lo utilizzasse per far rispettare una legge, ai suoi occhi sfuggivano le implicazioni morali in tale atto. Era una delle doti che aveva sempre maggiormente amato in lei, quella di non recriminare le mancanze degli animi e le loro colpe – soprattutto quelle di cui lui possedeva un’ampia collezione.
«Non mi rendono particolarmente innocuo, e nonostante ciò avete accettato di rimanere da sola con un tipo come me, una volta in più. Cosa dicono di voi, Séline? Che siete coraggiosa o avventata?» la interrogò parandosi davanti a lei, allungando il passo per poterla finalmente osservare distintamente in volto. Le arcate delle sopracciglia erano prive di crepature a rendere afferrabili i pensieri che la scuotevano, gli occhi rimanevano distese di inchiostro sotto i quali tutto rimaneva impenetrabile alla luce esterna e le sue labbra carnose appena dischiuse, erano un invito al quale Loïc non sapeva come riusciva a resistere.
Un lieve sorriso mosse gli angoli della bocca di Séline, assumendo una sfumatura delicata – nonostante la delicatezza fosse sempre stata una sua qualità unicamente apparente. Da quei pochi centimetri che li separavano, le sue narici si riempivano ad ogni inspirazione dell’odore della sua pelle – una lieve punta di gelsomino a mischiarsi con quello più forte di foresta –, e ogni volta le appariva sempre più famigliare di quanto sarebbe dovuto essere.
«Grazie per la passeggiata, vi auguro buonanotte, Loïc» lo superò senza concedere risposta alle sue domande, finendo per sfiorargli – forse inavvertitamente – la mano con la propria. Non ricordava quando si era innamorata di Loïc Odilon, come per le loro chiacchierate le appariva semplicemente che fosse sempre stato così – una realtà alla quale non poteva sfuggire, né sottrarsi, anche nell’irrealistica possibilità in cui avesse voluto.
«Notte, Séline», lo udì rispondere poco prima del rumore della portiera dell’auto che si richiudeva, e del rombo dei motori che lo conducevano dall’altra parte della città.
E mentre avvertiva distintamente la lontananza crescere e l’orologio far scoccare l’ora, Séline Tyler si domandò per quale assurda ragione stesse continuando a portare avanti quella stupida recita, quando avrebbe potuto avere per sé molto più che cinque minuti al giorno.


» Continua




M A N I A’ s  W O R D S
E dopo decenni, ebbene sì, torno a pubblicare.
Dato che le spiegazioni sul perché sono sparita, sono poco interessanti, passiamo direttamente alle note autrici vere e proprie.
Prima di tutto, questa è una mini-long composta di soli tre capitoli.
Come da didascalia, è un crossover con Once Upon a Time, durante la prima stagione, quindi se non si conosce il telefilm, credo che non sia molto chiara l'intera vicenda.
Loki e Sigyn, per motivi che verranno in seguito spiegati, sono stati catapultati anche loro a Storybrooke insieme agli altri personaggi di favole - ma anche di qualche libro, alla fin fine -, e quindi vittime entrambi dell'incantesimo che circonda la città. Le controparti nel nostro mondo, hanno le identità che avevo usato per le loro reincarnazioni in un'altra storia - « Riflessi di un'altra vita » -, e se Loki si ricorda chi è davvero come e grazie a Gold, Sigyn invece non ricorda minimamente chi sia.
In teoria, questa storia sarebbe un preambolo a una long più corposa, che dovrebbe poi riprendere e riadattare l'ultima stagione di Once Upon a Time. Progetto che partirà quando la quarta stagione sarà terminata - un po' per paraculaggine nel vedere come va a finire e un po' perché sicuramente da maggio in poi sono più tranquilla a livello di tempo.
(Dato che Charming e Snow hanno nominato il Bifrost, non mi pare nemmeno più tanto campato per aria questo crossover e mi apre la vana speranza che un giorno qualcuno di Asgard arrivi davvero a Storybrooke!).
Come sempre, le recensioni sono sempre accette e ringazio in anticipo chiunque leggerà - grazie, grazie e ancora grazie ♥

Come sempre, lascio il link alla pagina FB: Mania FB.

Mania



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Capitolo 2
*** CAP O2 | Ricordi consumati come candele ***


SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI

C A P I T O L O   0 2
“ Se non ci sarà abbastanza tempo per noi,
lo ruberò alle vite degli altri






» CAP O2 || Ricordi consumati come candele

L’effetto dei caldi raggi solari a infrangersi sulla cascata dei capelli di Sigyn, era particolarmente affascinante agli occhi di Loki – un dettaglio al quale era affezionato, irrazionalmente, ma di cui andava geloso. Scoloriti di natura, le ciocche intrecciate della donna, possedevano un intrinseco chiarore a richiamare l’opacità della luce, la quale assumeva una nota ancora più candida quando si trovavano sotto il sole – come se fossero neve resa solida, compattata nella sua chioma.
Nel chiarore del giardino più privato del palazzo reale di Asgard, il profilo di Lady Sigyn intenta a leggere era delicato all’apparenza, come lo ricordava nella priva visione che ebbe di lei. Era solo un inganno il suo aspetto niveo, perché tra tutte le creature dei Nove Regni, lei possedeva il cuore macerato e storpiato da una moralità tutta sua – una logica creata da sé, scostata da quella della maggioranza –, degno tra tanti di accompagnarsi a quello di Loki.
La osservava silenziosamente, carpendone ogni minimo movimento per decifrarne i pensieri – cosa non semplice con una mente persa per i propri sentieri come quella di lei, ma con lo scorrere dei secoli ormai aveva imparato il suo silenzioso dizionario. Dunque non gli era difficile comprendere la sua stizza e nemmeno la sua origine, cosa che lo divertiva per come le sue sopracciglia si flettessero lievemente, creando sottili rughe e incidendo sul suo sguardo, rendendolo più duro nel consueto.
«So quel che pensi, mia devota Sigyn, non ho bisogno che parli per capirlo» asserì improvvisamente, interrompendo la lettura di entrambi per rispondere alle sue mute affermazioni. Riuscì a intercettare finalmente in pieno le sue iridi nere, abissi prive di fondo, nelle quali scovò tracce maggiori riguardo i dubbi che la affliggevano circa il piano da lui elaborato. «Non desideri che accetti l’accordo con Tremotino, troppo pericoloso e insidioso. Hai ragione, ma non chiederò soccorso a mio padre o a nessun’altro di questo mondo! Sono loro i colpevoli, i veri responsabili di tutto ciò! Se solo riconoscessero il mio valore, il mio potere, il mio posto! Se solo comprendessero che sono loro quelli che dovrebbero inginocchiarsi, rimanendo all’ombra della mia gloria, tutto questo non sarebbe mai capitato.»
La osservò alzarsi con calma dal punto del prato che aveva in precedenza scelto con cura, per avvicinarsi a lui, tagliando via i pochi metri di distanza a separarli. Gli si sedette da parte, appoggiandosi con il fianco a lui, cominciando ad accarezzare con lentezza dolce i lineamenti del volto, in un tentativo estremo di calmare parte del rancore che lo affliggeva. La soddisfazione, Sigyn lo sapeva, non era parte del suo re – eppure, non desisteva dal provare a concedergliene almeno un po’.
«Sei troppo buona con me, mia Sigyn, nonostante quello che ti è capitato per un mio errore sei ancora qui. E ci rimarrai per sempre», continuava a parlare, questa volta sussurrando appena all’orecchio della donna, per colmare il silenzio forzato al quale lei era relegata. Per aver giocato i nemici di suo padre con l’astuzia e non con la forza, mostrandoli per gli inetti incapaci che erano, deridendoli per la loro stupidità, essi si erano presi una rivincita che non sarebbe passata impunita – una vendetta calma, non appena avrebbe riavuto ciò che desiderava. Le avevano strappato la lingua[1], per punirla per la sua dedizione a lui, per il ruolo centrale che aveva giocato nella loro disfatta e per le battute di compassione malevola con la quale li aveva accompagnati alla rovina – ma soprattutto, per ferirlo colpendo l’unica persona alla quale davvero tenesse, oltre se stesso.
«La magia ha sempre un prezzo, quello che devo pagare io è rimanere a disposizione di Tremotino per i suoi affari fino a quando lo deciderà lui. Non lo trovo esagerato per ridonarti la parola – nessuno lo sarebbe per me –, quindi non essere troppo indispettita se non ti do retta una volta in più
Con un braccio a cingerle la vita, si chinò sulle sue labbra carnose per baciarla. Tutti avrebbero prima o poi subito il contrappasso per ciò che stavano attraversando – anche suo Padre, che non aveva preso provvedimenti nei confronti di chi aveva protratto un simile crimine, e suo fratello e tutti gli asgardiani, che non comprendevano la forma della sua gloria. Tuttavia, ciò che ora maggiormente desiderava era udire nuovamente la voce di Lady Sigyn, prima delle loro nozze imminenti.

La sua voce, quella di Séline Tyler com’era stata di Lady Sigyn, era composta di tonalità alte, seppur mai stridule, ma che richiamavo più quelle di un’adolescente rispetto a quelle di una donna – la morbidezza fanciullesca di anni non ancora scrollati, come dai suoi lineamenti in cui si respiravano ancora note di fresca gioventù. E con essa, aggrottando la fronte in una marea di onde interrogative, si ritrovò a domandare chiarimenti ad Emma Swan circa quanto le stava chiedendo di fare, oltrepassando le sue normali mansioni lavorative.
«L’Operazione Cobra?»
«Sì, Henry dice che te ne ha già parlato del libro delle fiabe…» continuò Emma, cercando di rendere sensato un discorso che sapeva non poterlo essere davvero per qualsiasi persona raziocinante. Spiegare a Séline perché e come le occorresse il suo aiuto non era semplice, ma desiderava più che mai essere convincente per amore di suo figlio. Conoscendo bene il secondo lavoro della sua partner, era certa che non le avrebbe negato il suo apporto se si trattava di Henry – teneva a lui, d’altronde era la sua babysitter da anni e non sarebbe potuto essere diversamente.
«Oh, certo, della maledizione» asserì mentre chiudeva il cassetto della propria scrivania, riponendo ordinatamente i documenti, prima di alzarsi. Non sembrava particolarmente turbata dalle fantasticherie di Henry, prendendole con una tranquillità insolita che Emma trovò quanto meno bizzarra – non più di quanto Séline non lo fosse in generale, in ogni caso. Una donna particolare, con gusti alquanto strani e un modo di lavorare in polizia bastato sull’istinto e sull’assenza di un senso di giustizia prepotente – cosa che si sarebbe aspettata, al contrario, di riscontrare. Sembrava quasi che avesse scelto il lavoro nelle forze dell’ordine più per capriccio che per una vocazione, come se fosse semplicemente un gioco al quale prendere parte.
«È convinto che anche il signor Odilon sia un personaggio delle fiabe – bhé, più della mitologia dovremmo dire, ma d’altronde sono racconti fantastici anche quelli. E vorrebbe che venisse anche lui alla festa di stasera, ma sa che non ci ha mai preso parte negli anni passati» continuò Emma, cercando di giungere al punto della sua richiesta – non aveva la minima idea di come avrebbe reagito ad essa, d’altronde il rapporto di Séline con Loïc era insolito. Aveva provato a domandarle qualcosa al riguardo, ma mai lei si era scoperta in tal senso, cambiando argomento e rifilandole mezze risposte prive di contenuto, cosa che rendevano maggiormente indecifrabile quel che la legava a quell’uomo – la cui reputazione sicuramente non brillava, tutt’altro.
«E io che cosa c’entro, capo?»
«Emma» la corresse per quella che doveva essere la millesima volta da quando aveva preso il distintivo di sceriffo, anche se già sapeva che sarebbe stato inutile – Séline pareva particolarmente immune a dar retta al prossimo, soprattutto quando si fissava su piccolezze come quella. «Dice che se glielo chiedi tu, verrà» continuò, riprendendo le fila del discorso principale, «Non ti ha mai detto che personaggi siete voi due, vero?»
Lo sguardo di Séline si fece improvvisamente più interessato, assottigliando lo sguardo lievemente nel ricambiare quello di Emma. Ovviamente, quando Henry per la prima volta le aveva riferito della sua idea – per quanto assurda e fantasiosa fosse –, Séline lo aveva assecondato credendo che nulla di malsano ci fosse nell’immaginazione di un bambino. Inoltre, era una teoria intrisa di un romanticismo delicato, tanto da catturare l’attenzione della giovane donna e spingerla a incuriosirsi al riguardo. «Gliel’ho chiesto, ma mi ha sempre risposto che non era il momento e dopo un po’ ho smesso di domandare. Chi siamo, allora?»
«Loïc sarebbe… Sarebbe Loki, il dio del Male e del Caos» rispose a metà Emma, indugiando sul continuo. Persino pronunciare per scherzo un simile scenario era insensato, cosa che la rendeva indecisa su quale forma fosse più adatta per mettere a parte Séline del ruolo che le era stato assegnato – ma Emma era una persona diretta, non era fatta per immettersi in dedali tortuosi, assaporando la bellezza di una dialettica ambigua. Così, semplicemente terminò la frase: «E tu sei Sigyn, sua moglie.»
«Giusto, se non è complicato non mi piace» osservò ridendo Séline Tyler. Si mise a cospargere le proprie parole di risa, più per non pensare seriamente a quanto le era stato detto che per l’inverosimiglianza, di cui sentiva che si sarebbe dovuta riempire davanti a una simile prospettiva. Una piccola fastidiosa parte della sua mente le suggeriva che le piaceva quello scenario, le era gradevole essere vista come la compagna di Loïc – perché alla fine lo era davvero, anche se si ostinava a volerlo tenere segreto. Era un capriccio, una sua stupida voglia che lui assecondava per chissà quale ragione – forse perché anche lui provava una certa vena di gelosia verso ciò che erano loro, cercando disperatamente a tenerlo lontano dagli occhi del mondo. O più semplicemente, gli era indifferente come lei decidesse di vivere la loro relazione.
«Non capisco comunque cosa dovrebbe succedere se glielo chiedessi», l’autocontrollo di Séline era impeccabile come di consueto, un mare immobile sotto il quale nessuno poteva avvicinarsi per tentare di sbirciare gli abissi. Tesori, mostri e correnti erano mantenuti al segreto dal quel manto oscuro con il quale velava i propri pensieri, interpretando la parte che si era scelta con la bravura dell’attrice che era.
«Nel suo libro c’è scritto che Loki ha chiesto la mano di Sigyn durante il Giorno di Yggdrasill[2], giorno che cade durante la festa del paese che si terrà stasera. Quindi è convinto che potrebbe recuperare la memoria se partecipaste entrambi», prese un respiro profondo mentre affondava le mani nelle tasche dei pantaloni, cercando di rintracciare perplessità sul volto di Séline senza trovarne. Nonostante la calma comprensiva con la quale la giovane donna si comportava, Emma la avvertiva come una reazione del tutto insolita – sbagliata –, e forse proprio tale constatazione le rendeva più ostico spiegarsi. Increspò lievemente i muscoli attorno i propri occhi, riducendo al minimo l’esteriorità dei propri dubbi circa le non reazioni di Séline, perseverando nello studiarla con fermezza. «Archie è convinto che mettere Henry davanti all’evidenza della realtà lo aiuterà a capire da solo che non c’è nessuna maledizione, personaggi delle fiabe e quant’altro. Mi dispiace di chiederti tanto, non voglio metterti in una scomoda posizione nel caso il signor Odilon acconsentisse, non sembra particolarmente una piacevole compagnia. Come il suo capo. E come il signor Gold, dubito che possa partecipare alla festa.»
«Gli chiederò di uscire, per Henry naturalmente. Comunque, Loïc accetterà», avvicinandosi alla porta per uscire dall’ufficio, si voltò di tre quarti per rispondere allo sceriffo con un sorriso indecifrabile a incurvarle lievemente le labbra. «In un modo tutto suo, fa sempre quello che gli chiedo.»
«Lui ti piace?» chiese improvvisamente Emma, cercando di capire qualcosa dei suoi sentimenti, ponendole un interrogativo inatteso – e decisamente personale. Sperava che almeno la sorpresa, il tema e l’assenza di giri di parole la facessero titubare, rendendo almeno in parte qualcosa afferrabile.
«A stasera, capo», ed Emma infine giunse alla conclusione che non c’erano sfumature di menzogna di Séline per il semplice fatto che si asteneva dal rispondere concretamente. Si asteneva dall’asserire ciò che le veniva richiesto, ritraendosi per lasciare la penombra del suo sorriso delicato perdurare su ogni cosa che la riguardasse. E non riuscire a vederla completamente, scoprendone almeno la maggior parte, rendeva Emma incerta sul se era un bene fidarsi di lei o meno – d’altronde era a Regina che aveva risposto fino al suo arrivo, perché mai avrebbe dovuto aiutarla? Per Henry, ovviamente, solo per lui e non per alcuna motivazione in cui bene o male, giusto o sbagliato, vi rientrassero in qualche modo.
Sperava solo che non sopravvenessero complicanzioni, come vi erano state - e continuavano ad esserci - quando aveva chiesto un favore molto simile a Mary Margaret. Cominciava a sospettare che a Storybrooke vi era una matassa di intrecci, caotici, impossibili da sbrigliare e che ogni passo che si compiva, non faceva altro che incasinare notevolmente il tutto, invece di semplificarlo.
Sbuffò, scrutando allontanarsi la figura di Séline, sperando in una serata tranquilla.

Evanescente, ecco come appariva ai più la figura di Séline Tyler. Lo era sempre stata, anche prima di possedere quel nome, e ancora prima che i Nove Mondi avessero quell’aspetto, prima della creazione di quell’Universo, in quello precedente e quello precedente ancora. Una costante inamovibile, come lo era il suo seguite perpetuamente l’anima di Loki – o forse era quella di lui a ricercare l’unica che riuscisse a concedergli un’oasi di serenità in un’oscurità perpetua.
Non c’erano definizione a presiedere l’alto compito di descrivere il legame che li univa, li trascendeva e sfuggiva anche alla loro comprensione – cosa che rendeva più semplice accettare l’ineluttabilità del fato, o del caso, o del caos che li aveva voluti unire. Un connubio insolito, una contrapposizione che era tale solo agli occhi degli altri, perché Loki mai avrebbe potuto pensare che la Fedeltà potesse essergli avversa. Così la scrutava, di nascosto, con un misto di orgoglio e riconoscenza, senza farsi notare nemmeno dalle iridi scure della donna, dissetandosi della sua presenza pacifica e chiedendosi se era solo lei l’unica vera vittoria che avrebbe mai ottenuto.
Così anche nel giorno in cui riebbe la parola, sorrise nel sentirla rimbeccare Tremotino con una delle sue battute sarcastiche, dipinte di serenità per rendere maggiormente pungenti le proprie asserzioni. Aveva sperimentato sulla propria pelle la bravura dialettica di Sigyn, era stata una delle prime qualità che aveva scoperto in lei e che aveva suscitato un interesse sempre più marcato, nel tempo.
«La vostra deliziosa sposa era maggiormente deliziosa prima che ricominciasse a parlare. Comincio a pensare che avrei dovuto lasciarla senza lingua» commentò acidamente l’Oscuro rivolgendosi al principe di Asgard, lanciando un’occhiata risentita alla donna che si muoveva nello studio del folletto per studiarne gli oggetti in mostra, soffermandosi a esaminare le provette e miscele che occupavano un intero tavolo. Era stato semplicemente un commento riguardo la polvere accumulata sulle mensole e su come trovasse adorabile la tazzina da tè esposta insieme ad altri oggetti, con i quali non aveva alcuna affinità, ma era stato intessuto con sottointesi resi evidenti dalla noncuranza apparente ad affilare le sue frasi.
«Me l’hanno strappata per un motivo, effettivamente. Comunque, non ve la prendete troppo, signor Tremotino, la mia osservazione era del tutto innocua» riprese a parlare Sigyn, alzando i propri occhi di oceani neri dalle fiale per posarli in quelli di oro sporco del loro ospite. Non le piaceva che Loki avesse un debito con quell’uomo, pericoloso e ambiguo, temeva che ci avrebbero unicamente rimesso nonostante l’abilità del proprio sposo di ingannare e truffare. Una parte di lei le suggeriva di non dubitare del piano di Loki, ma l’altra le rendeva chiaro quanto fosse un enorme azzardo – e probabilmente era tale constatazione ad aver convinto Loki a perseguire un simile progetto, ammaliato dal profumo di una scommessa irresistibile. «Come lo è quella sulla vostra raccolta notevole di oggetti magici rari, eppure non vi facevo affatto un collezionista. O forse è solo una ricerca disperata la vostra, e questi sono i vostri fallimenti?»
«Non avrei mai potuto sposare una donna che non fosse alla mia altezza, e che fosse sufficientemente sconsiderata da non avere remore di alcun tipo» commentò divertito Loki. Gli era mancata la voce di Sigyn, il suo modo di porgere osservazioni e di irritare le persone – anche lui stesso, talvolta, per stuzzicarlo –, come aveva avvertito la mancanza delle note dolci che riservava unicamente a lui, quando nessun altro avrebbe potuto udirli.
«Giusto, ognuno è libero di scegliersi la propria pena» replicò Tremotino, scrollando le spalle. «Quando vi chiamerò, dovrete venire ad aiutarmi. E puoi portare anche la tua mogliettina se ti va» continuò, riprendendo il discorso sui termini del loro contratto. D’altronde, era l’unica cosa che interessasse a Tremotino – mettere le mani sulla magia di un altro mondo, potente come quella di Loki, era stato un inatteso dono che si sarebbe rivelato estremamente utile quando il suo piano si sarebbe avvicinato agli ultimi passi.
Lanciò uno sguardo di rimproverò alla dama dai capelli lucenti, muovendo l’indice in senso negativo per avvertirla di non toccare i tomi di magia posti sugli scaffali, e intanto continuò a discutere d’affari con suo marito. Eppure, mentre continuavano ad accordarsi loro due soli, ebbe l’impressione che se Sigyn avesse avuto qualcosa da ridire, la sua opinione avrebbe avuto un peso maggiore di quanto se ne sarebbe potuto percepire – e Tremotino comprendeva quell’insolito potere, un ascendente irrazionale, caotico, perché anche lui l’aveva sperimentato. Si lasciò sfuggire unicamente una smorfia incomprensibile, stropicciato e criptico, prima di tornare a rivolgersi unicamente al principe di Asgard, per spiegargli quale sarebbe stato il primo piccolo favore con il quale avrebbe dovuto ripagarlo.
Il Signor Gold non era dunque affatto sorpreso di aver ritrovato la stessa fanciulla, priva delle sue memorie e ricca dello stesso spirito, aggirarsi per il proprio negozio sfiorando copertine di antichi volumi e oggetti trovati chissà in quale luogo lontano. Ovviamente era venuta per il suo socio, e per quanto avesse finto platealmente di essere stupito, nulla di diverso si sarebbe atteso da quella donna forgiata da una delicatezza crudele – ingannatrice, inafferrabile nella sua vera essenza. Era invece rimasto sinceramente sorpreso quando Séline Tyler aveva chiesto con un sorriso dolce e malizioso a Loïc di accompagnarla alla festa di paese, inclinando appena il collo verso destra, lasciando scivolare lievemente i ciuffi dei propri capelli quasi bianchi sulla guancia.
Ammetteva di essere rimasto più che perplesso dall’improvviso invito di Séline. Era arrivata avvolta in un abito in stile anni cinquanta, che le avvolgeva la vita e sottolineava il ventre piatto, risaltando con il rosso scuro del tessuto la neve della sua chioma, lasciata sciolta in cascate dove nemmeno una piega aveva la speranza di sopravvivere. L’aveva inchiodato con i propri occhi di un nero troppo profondo per chi non era abituato all’immensità dell’impossibile, domandando informazioni di cui conosceva già la risposta sui libri in vendita, solo per poter avere un pretesto palesemente ridicolo prima di chiedergli di uscire insieme.
«Come mai questa decisione di venire alla festa di paese insieme?», glielo domandò quando stavano già danzando e le loro dita era intrecciate con la naturalezza di cui solo Loïc serbava il ricordo.
Prima dell’arrivo di Emma Swan, la staticità della città dettata dalla maledizione gli aveva impedito di avvicinarsi a Séline più di quanto desiderasse, imbrigliato dalla magia che era stata gettata su di loro a renderli quasi immobili nel tempo. Ma dalle otto di sera del giorno in cui il nuovo sceriffo aveva preso la decisione di rimanere a Storybooke, era cambiata la dinamica del loro rapporto – finalmente, si era evoluta. Si era ritrovato a ghignare tra sé e sé, ritrovando piccoli dettagli di quanto aveva già vissuto secoli prima, quando aveva corteggiato a suo modo Sigyn – o forse era lei ad averlo sedotto? Non avrebbe saputo dire con esattezza.
«Ne avevo semplicemente voglia» replicò la donna senza modificare la propria espressione facciale.
L’illuminazione dello spiazzo sul quale le varie coppie danzavano era soffusa, gettata in caldi raggi da luci arrampicanti che si inerpicavano sui pali e rimanevano sospesi in aria tra un estremo all’altro, riempiendo la notte di lucciole artificiali a coronare i presenti come regine e re. Nel calore di una serata primaverile, Loïc ricordava un’altra sera molto simile a quella in cui aveva deciso di vincere l’amore di Sigyn per le zone grigi, domandandole la mano con la sua strafottenza abituale – quasi pretendendola, perché già conosceva la risposta e adorava osservarla con i lineamenti lievemente tirati per l’irritazione.
«Ricorderò male, eppure mi pareva che tu apprezzassi maggiormente i sotterfugi e gli appuntamenti clandestini, lontano dagli occhi» replicò Loïc tirando le labbra in un ghigno divertito. Come quando vivevano ad Asgard, anche lì Sigyn si era rifugiata nelle ombre delle notti, negli angoli disabitati e nei locali in cui la penombra rendeva i volti di tutti irriconoscibili per assaporare la nuova svolta alla loro relazione. E come in passato, nemmeno in questa nuova occasione lui si era lamentato della sua decisione, l’aveva assecondata – d’altronde, la soddisfazione effimera di essere riuscito a riaffondare le dita tra i suoi capelli, ritornare a baciare la sua pelle, riscoprire i suoi sospiri e gli sguardi dedicati unicamente a lui, era ancora vivida, poteva abbeverarsene per un po’ prima di sentire la gola ardere da nuova sete.
«Non ho interesse delle chiacchiere di paese» disse Séline, alzando lievemente le spalle – la sola idea di essere al centro dei mormorii della cittadina le provocava nelle viscere un'alterazione sottile, di quelle capaci di far sorgere alla mente brutali scenari di sangue e morte, nonostante la consapevolezza della loro futilità. «È per Henry», aggiunse, decidendo di fidarsi di lui come aveva sempre fatto, senza comprendere bene per quale ragione avvertisse tale sicurezza nei suoi riguardi.
«Il figlio del sindaco?»
«Il figlio del nuovo sceriffo» lo corresse in automatico la donna. Non era mai voluta entrare nel vivo della discussione su con chi sarebbe dovuto crescere Henry, la posizione che si era ritagliata in quella faccenda era la più neutrale possibile. D’altronde non era decisamente affare suo, e riteneva che mettersi tra Emma Swan e Regina Mills fosse più controproducente che altro – nessuno delle due avrebbe anche solo finto di prestare ascolto a sue eventuali parole, tutt’altro, quindi non vedeva perché perdere tempo. Tuttavia, se glielo avessero irrealisticamente domandato, avrebbe risposto che secondo lei sarebbe dovuto vivere con entrambe – d’altronde Henry aveva cercato Emma, dunque doveva essere decisamente fondamentale per lui averla attorno e non poteva essere sottovalutato tale desiderio. «Lui crede la città vittima di una maledizione, e che ognuno di noi non sia di questo mondo ma di altri. Emma sta cercando di seguire il suggerimento del dottor Hopper, metterlo davanti all’evidenza dei fatti che non sia così, quindi mi ha chiesto di domandarti di venire alla festa.»
Ridacchiò, seriamente divertito. Séline non poteva intuire quale fosse l’origine reale di tale sentimento, ma Loïc era certo che avesse scrutato in quel ghigno fino a trovare molto più di quanto avrebbe potuto afferrare razionalmente. Non stava giocando pulito nemmeno con Séline, ma d’altronde non lo aveva mai fatto – Sigyn lo amava anche per quello, per qualche strana ragione conosciuta unicamente a lei, e lui non poteva che arrendersi alla sua capacità di accettare ogni suo difetto con quella naturalezza esclusivamente in suo possesso. Dunque non soppesò nemmeno per scherzo la possibilità di pronunciare qualche parola circa la correttezza dell’ipotesi di Henry, ma si limitò a porre una più ovvia domanda dopo una tale dichiarazione: «Chi crede che io sia?»
«Loki», non esitò nel rivelarglielo. E forse Loïc ebbe troppa immaginazione a scorgere soddisfazione nel suo tono, però gli piacque il modo deciso con il quale scandì il suo vero nome – e non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno se avesse dovuto pagarne caro il prezzo, che gli era mancato incredibilmente udire il proprio nome pronunciato da Sigyn.
«Interessante. E tu chi saresti, Séline?» la interrogò, inclinando lievemente il capo nella sua direzione, ampliando la linea curava delle sue sottili labbra in un sogghigno lupesco. Voleva sentirglielo scandire, desiderava metterla davanti alla possibilità dell’irrealtà, spingerla anche solo per una frazione di secondo a credere in quello scenario impossibile delineato da Henry. Una parte irragionevole di Loki, quella che non prendeva assolutamente in ascolto la logica che dichiarava che mai lei si sarebbe potuta ricordare chi fosse fino a quando Emma Swan non avesse rotto l’incantesimo, era ferma della decisione di volerla spingere a rastrellare i ricordi senza aspettare nessun altro se non loro stessi – seguendo il loro, di tempo.
«Non è questo l’essenziale della serata, ma dimostrare a Henry che non sei Loki» replicò nel bel mezzo di un volteggio, arrivato all’improvviso.
La melodia suonata dall’orchestra non era sincronizzata con quella che stava danzando Loïc – e sulla quale stava sospingendo Séline. Dal suo punto di vista, erano i musicisti a non seguire i suoi desideri, dunque gliene importava poco di star eseguendo i passi di una canzone che aveva ballato per la prima volta molti secoli prima, una notte al chiaro di luna e tappezzata di un’infinità di stelle, pianeti e nebulose che Midgard poteva unicamente sperare di accarezzare nei suoi sogni - o rubare clandestinamente dai telescopi. Eppure, per quando lo scenario fosse più povero, non adatto alla magnificenza del principe di Asgard e alla sua sposa, avvertiva in egual misura le stesse emozioni che soltanto Sigyn aveva il dono di infondergli. La sua parte migliore, quella che regalava a lei, erano la ricompensa per ricordargli costantemente di avere il diritto come tutti di ritagliarsi pezzi di felicità, nel mare di insoddisfazione e bramosie rancorose di rivalsa che lo animavano.
«E se lo fossi?»
«Bhè, per Loki non finisce mai bene a quanto ne so.»
Sempre la risposta pronta, sempre senza paura di pronunciarla. Ampliò il ghigno nell’osservarla mentre contraeva lievemente le sopracciglia e nel nero dei suoi occhi si accendeva una nota di dubbio.
La strinse con più forza, fino a quando non arrivò a sfiorare la punta del suo naso con il proprio, guardando direttamente dentro la sua anima e scavandoci dentro senza che lei potesse correre ai ripari. Era ardente la voglia di confessarle ogni cosa, ma ancora di più bramava vederla cadere davanti alla consapevolezza che riaffiorava da sola. Per poterla sorreggere.
«Dipende da chi racconta la storia, Sèline», glielo mormorò all’orecchio mentre arrestava il passo. La musica continuava, ma quella su cui si erano destreggiati loro due soli era giunta al termine e ora rimanevano unicamente dita intrecciate e corpi abbracciati. «Dimmi chi crede che tu sia. Voglio saperlo», continuò tornando a depositare le proprie iridi verdi su di lei. «Anzi, lo so già. Devi solo dirlo tu, ad alta voce.»
Contrasse i muscoli degli occhi per via di uno spasmo improvvisto alle tempie. Non era una semplice emicrania fulminante, giunta come un lampo a rovinarle la serata; era come se vi fosse qualcosa che stesse premendo da dentro per riemergere e lei dovesse sopportare le vibrazioni di possenti colpi, finiti a infrangersi contro un’invisibile resistenza. Soltanto squarci di immagini indistinte le balenarono davanti gli occhi quando si sforzò di aiutare quel qualcosa che desiderava ritornare al proprio posto, ma erano talmente sfuocate e bagnate di un oceano di luce da impedirle di capire di cosa si trattasse.
Qualsiasi cosa fosse, tuttavia, aveva la totale certezza che avesse a che vedere in qualche modo con Loïc. Era una sensazione, un’intuizione priva di fondamenta logiche, ma con lui era sempre stato così – dunque si fidò e cercò di mantenere il più possibile tale fastidio per sé, lasciandolo emergere solo lievemente, quel tanto che la sorpresa le aveva impedito di sopprimere.
«Perché?» mormorò appena, provando a comprendere quale fosse la direzione nella quale Loïc voleva condurla - o dalla quale, forse, fino a quel momento l'aveva solo distolta. La sua reazione alla teoria di Henry era stata differente da quanto si aspettasse, e quell’interesse per farle sapere chi era per il ragazzino la confondeva – come la sua sicurezza nel ritenere di sapere quale fosse la risposta.
E se fosse stato vero? Se lei fosse stata davvero Sigyn? La sua Sigyn?, erano queste gli interrogativi che le affollavano la mente. Avrebbe significato che quell’amore nato per sfida era qualcosa di completamente diverso da ciò che aveva avuto in mente all’inizio, o forse non lo aveva mai sottovalutato e semplicemente compresso in dimensioni minori per paura di essersi messa in una situazione più grande di lei. Loïc era pericoloso d’altronde e lei sarebbe dovuta essere una ligia guardiana della legge; eppure anche senza che nessuno glielo avesse domandato, sapeva già che per lui le avrebbe infrante tutte quante, senza alcun senso di colpa – senza esitazione.
Non era di Loïc che aveva paura, ma di sé stessa – della portata che le sue scelte potevano avere.
«Perché voglio sentirtelo dire, nient’altro» cercò di persuaderla con voce roca, abbassandola di qualche tonalità per renderla più suadente – melliflua nei risvolti delle sillabe, rese scivolose per insinuarsi in lei e allargare le crepe di indecisione che aveva creato. «Stai al gioco, Séline, è più divertente.»
Il secondo spasmo di dolore alla testa fu maggiormente prepotente, tanto da darle le vertigini e indurla istintivamente ad aggrapparsi più marcatamente all’uomo. Non abbassò lo sguardo, tenendolo saldamente incatenato a quello di Loïc nonostante le venature di sofferenza si fossero ormai ingrossate, tanto da essere palesemente visibili. Se anche le fosse importato, non sarebbe riuscita a vedere altro all’infuori del suo volto – solo una nebbia a rendere sfuocato il palco, i musicisti intenti ad amare i loro strumenti, le luci a incorniciare la festa, gli altri stretti nei loro abiti da sera che improvvisamente le apparivano così poco adatti a un ricevimento reale, e anche sui suoi stessi pensieri.
Poi prese un respiro profondo, inspirando quanto più ossigeno fresco le fosse possibile – per una, due, tre, quattro volte, fino a quando solo il cuore rimaneva impostato su un ritmo irregolare e almeno la mente aveva ripreso il passo come di consueto. Si staccò da Loïc con decisione, ma senza brutalità, semplicemente ricreando la divisione che era consuetudine tenessero – con la quale le era più semplice pensare razionalmente, fingere, quanto meno, di essere in pieno possesso delle redini degli eventi.
«È più divertente se non ti ubbidisco», sorrise dicendoglielo come solo Séline era solita fare quando si rivolgeva a lui – una delicatezza costruita su misura, mista a una nota di malizia e sfida. Poi, senza aggiungere altro, si voltò e sparì oltre gli altri danzatori non concedendo repliche o ulteriori parole – e una parte di lei avrebbe voluto che la seguisse, la bloccasse e costringesse a tornare a ballare. Sapeva non sarebbe mai accaduto, non era nello stile di Loïc.
Vide solo di sfuggita le sagome di Emma e Henry, ma non aveva alcuna voglia di fermarsi a parlare. Finse di non vedere i loro saluti, sgusciando tra la folla con semplicità felina e i residui del mal di testa ad accompagnarla.
Per Emma non c’erano dubbi: qualsiasi cosa avesse indotto improvvisamente Séline a lasciare la festa, era responsabilità di Loïc. L’uomo non le piaceva particolarmente, nonostante i modi da galantuomo, la voce perennemente controllata, l’aspetto attraente e oltremodo curata, perché sotto tutto quello vi era una perenne aria di ambiguità e arroganza alterigia.
«Cosa le hai fatto?», Emma non si perse in mezze parole. Gli si piantò davanti con sguardo torvo, irritata dal sorriso cordiale con la quale l’accolse come se non ci fosse nulla di rilevante di cui parlare, solo ovvietà e pure molto banali. Non servivano i completi eleganti, si sarebbe potuto vestire con qualunque indumento e avrebbe sempre prodotto il medesimo effetto di nobiltà raffinata, condita dalla sensazione di essere sempre inferiori a lui - tuttavia Emma non si fidava di lui per un altro motivo, perché le sue parole erano sempre impresse di venature bugiarde a infettare la verità.
«Le ho solo ricordato una cosa. O almeno credo» rispose senza rispondere davvero, spostandosi dal centro del palco per raggiungere il prato sul quale erano state sistemate alcune panchine, tavoli e banconi dove prendere da mangiare. L’odore della cucina casalinga si espandeva nell’aria, aleggiando sopra tutti e mischiandosi alle note della musica, rendendo l’atmosfera quanto di più lontano da quel che ricordava essere la vita a Frohheimr[3].
«Ah, davvero? E che cosa?» chiese curioso Henry, senza remore nell’essere tanto schietto – e poca importanza diede allo sguardo torvo che sua madre gli lanciò.
Si limitò a sorridere in un primo momento, poi Loïc stropicciò i capelli del ragazzino prima di voltarsi di tre quarti, annunciando la sua uscita di scena, senza però togliersi la soddisfazione dell’ultima parola. «Sei un bambino sveglio, Henry, ma bisogna anche essere furbi oltre che intelligenti, altrimenti si rischia di mettersi nei guai», una lezione che Lo
ïc aveva subito molte volte e imparato di rado.



» Continua




M A N I A’ s  W O R D S
Puntuale? Ebbene sì - speriamo che ora non torni l'inverno per ciò.
Prima di tutto le note, così ce le leviamo di torto e poi parto a sproloquiare:
[1] • L'idea che a Sigyn venga strappata la lingua come ritorsione contro Loki, non è propriamente mia. L'ho presa da una delle storie dei fumetti Marvel, molto ma molto marginale, perché era autoconclusiva in pochi numeri e appena accennata come cosa. Comunque, viene da lì, e io l'ho giusto ripresa e riadattata - che poi comunque è un'idea ripresa dalla mitologia, quando a Loki vengono cucite le labbra per impedirgli di mentire ancora, mavvabbé.
[2] • Sono andata a spulciarmi le festività nordiche (se siete curiosi, potete leggervele QUI) e alla fine ho scelto quella del 22 aprile per far cadere la festa della città di Storybrooke, in concomitanza con quella del Giorno di
Yggdrasill (l'Albero del Mondo). L'ho scelta perché mi pareva la più appropriata, essendo dedicata alla rinascita e alla celebrazione del ripetersi del ciclo vitale, volendo in un certo modo riprendere indirettamente il fatto che le anime di Loki e Sigyn continuano a ritrovarsi in ogni loro esistenza.
[3] • È il nome del palazzo di Odino.
Ora il resto.
Prima di tutto ci tengo a precisare una cosa.
Uso sì come caratterizzazione di Sigyn la stessa delle altre mie storie, tuttavia non vanno considerate queste come "passato" di Sigyn e Loki in modo ferreo. Essendo un crossover ho dovuto cambiare varie cose - cose che scoprirete se riesco a scrivere la vera e propria long! -; qui per esempio si sposano molto prima, quando sono ancora "giovani" e le vicende del film di Thor sono estremamente lontane - lontanissime. Infatti il Loki che va a trattare con Tremotino è un Loki "adolescente" - come lo può essere un dio -, mentre a Storybrooke, essendo passati giusto qualche secolo tra quando stringe l'accordo e la maledizione (secolo che va calcolato anche perché immagino che il tempo che scorre tra la Foresta Incantata e Asgard abbia una cadenza diversa, come sull'Isola Che Non C'È), è il Loki adulto che conosciamo.
Credo di essermi un po' incasinata a spiegare questa parte, spero non troppo, nel caso chiedetemi delucidazioni! 
Come ho anticipato sulla mia pagina Facebook, settimana prossima dovrei finalmente aggiornare « Cuore di Sale » - se ancora qualcuno poi la segue, chissà. Nel caso qualcuno fosse interessato, sempre su Facebook trova una piccola ancitipazione.
Vi lascio il link alla pagina, se volete farci un giro: Mania FB.
Non mi rimane che ringraziare tantissimo chi ha letto il primo capitolo e inserito tra le preferite/seguite/ricordate, come sempre poi un ringraziamento in particolare a chi l'ha recensito: ovvero AlessiaOUAT96 e Yoan Seiyryu♥ Grazie di cuore!


Alla prossima,
Mania



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Capitolo 3
*** CAP O3 | Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ***


SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI

C A P I T O L O   0 3
“ Se non ci sarà abbastanza tempo per noi,
lo ruberò alle vite degli altri






» CAP O3 || Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo

La prigione era esattamente come quella che ci si sarebbe immaginati se gli avessero chiesto di pensare alle segrete di un castello. Scarsamente illuminata, per rendere ad effetto la comparsa del prigioniero, posta alla fine di un lungo corridoio umido sulle cui pareti non vi erano torce lasciate accese, e pietra intrisa di muffa e bagnata per via della temperatura del sottosuolo, a incorniciare ancora più magistralmente il cliché del quadro generale.
Tremotino non se ne lamentava, comunque. Era esattamente dove voleva stare, senza che nessuno lo sapesse, se non Regina, la Regina Cattiva per la precisione – la stessa donna vestita di nero che gli era di fronte in quel preciso momento a stringere un altro accordo con lui. La cosa più divertente dell’essere il Signore Oscuro era che nessuno imparava mai la lezione: la magia aveva sempre un prezzo, eppure tutti lo pagavano senza pensarci grandemente. E proprio puntando sulla debolezza umana, Tremotino aveva architettato il proprio piano – e tutti erano sue pedine, solo che non lo sapevano.
«Altre condizioni?» domandò la donna, increspando le labbra scarlatte in un sorriso malevolo.
«Sì, dovrai portare due persone per me, dove andremo» rispose Tremotino. Avrebbe seriamente fatto a meno della sposina petulante, ma se non l’avesse condotta con loro avrebbe avuto un enorme problema del quale occuparsi – e non gli occorreva un problema, ma un alleato. La magia del principe di Asgard era potente, diversa da quella del loro mondo, e avrebbe resistito all’incantesimo lanciato da Regina forse – forse, avrebbe persino mantenuto le memorie almeno lui, protetto da un potere tanto forte.
«Come mai?»
«Perché lui non ha finito di pagarmi, riscuoterò nel mondo in cui ci porterai, e se non porto anche lei sarebbe un guaio per tutti quanti. Anche per te» rispose ridacchiando il Signore Oscuro, divertito – perché era divertente almeno immaginarsi come Loki avrebbe potuto vendicarsi se lo avessero separato da Sigyn.
«Accordato. Come li trovo?»
«Ti servirà una gazza[1].»
Erano gracchi quelli che riempivano la mattinata plumbea, di corvi e cornacchie in attesa dell’imminente pioggia. Il Signor Gold li osservò appollaiarsi sui rami e le grondaie, una smorfia simile a un sorriso gli si dipinse sul volto ricordando le gazze che inviava ad Asgard, per comunicare con il giovane principe della città più splendente dei Nove Regni.
«La tua bella Séline ha sempre un brutto carattere anche in questo mondo» asserì interrompendo il silenzio consueto con cui lavoravano nel negozio di pegni – e antiquariato. Il futile tentativo di Loïc proteso a riportare a galla i ricordi di Sigyn nella mente della giovane agente non avevano ovviamente portato all’effetto sperato, anche se Gold doveva dirsi decisamente stupito di come una parte delle sue memorie fossero riemerse in sogni che la stavano tormentando, concedendole poche ore di sonno. Pareva qualcosa di simile a ciò che era avvenuto con il precedente, e alquanto sfortunato, sceriffo Graham, anche se non con lo stesso impatto. A quanto sembrava l’influsso della magia di Loki, latente e non cancellata come quella di tutti gli altri – compresa la propria –, era sufficiente ad affievolire l’effetto della maledizione su Séline. Ciò implicava che i suoi calcoli riguardo la natura dei poteri magici della del Dio del Caos erano corretti, e li avrebbe potuti usare per andare a cercare suo figlio non appena Emma Swan avesse compiuto il suo destino.
«Alla fine aveva ragione su di voi» si limitò ad asserire laconico Loïc. Non aveva alcun bisogno di specificare riguardo a cosa, gli bastò sorridere con soddisfazione mentre continuava a riordinare le carte contabili. Lady Sigyn aveva sempre posseduto la particolare qualità dell’osservazione accurata, lei le persone le sviscerava con uno sguardo, le comprendeva – e proprio per tale ragione era assurdo credere che l’avesse in qualche modo costretta a compiere alcunché per lui, al massimo era il contrario. E così aveva fatto anche sull’Oscuro Signore, senza preoccuparsi di tenere a freno la lingua e con la stessa aria delicata con la quale si ammantava perpetuamente.
La sua anima avulsa dallo scivolare nello sfacelo delle grandi passioni, la rendeva una creatura particolare, lontana dal mondo – una scrutatrice che aveva scelto di passeggiare su quelle terre unicamente per lui. Era questa sua distanza a renderla particolarmente irritante quando si prodigava nelle sue conclusioni che nessuno le aveva domandato, ed era ad esse che si riferiva Loïc.
Con gli anni, anche senza volerlo, alla fine il rapporto tra lui e Gold era diventato persino confidenziale in alcuni casi, dunque conosceva ora il nome dell’unica donna che aveva amato con quel che rimaneva del suo cuore. E proprio perché comprendevano a vicenda cosa significasse avere al proprio fianco una persona dotata della capacità di accettare ogni sfaccettatura del proprio animo, nessuno dei due si era mai permesso di spendere troppe parole al riguardo. Tuttavia, da quel che aveva osato raccontare Gold, Loki si riteneva particolarmente fortunato ad avere con sé non solo una persona non solo abile nel sviscerare i suoi più reconditi pensieri, emozioni e menzogne, ma che non provava il minimo desiderio di renderlo migliore – d’altronde, il concetto di migliore dipendeva sempre dal punto di vista, e per Sigyn erano gli altri a non essere alla loro altezza.
Era il suono sordo del bastone sul pavimento impolverato ad annunciare i passi di Gold, i quali risultavano comunque incredibilmente fermi nonostante la gamba non fosse quella di un giovane. La forza carismatica dell’uomo rendeva del tutto irrilevanti i suoi limiti fisici; era uno dei motivi per cui Loïc stimava, ovviamente in un modo tutto suo, lo stregone. C’era qualcosa di incredibilmente simile nei loro animi, una ricerca perpetua per ottenere i propri scopi, altro potere, e un’insoddisfazione incapace di sedarsi anche al fianco dell’amore.
Perché l’amore non bastava, non a tutti. Non si poteva essere felici senza, ma nemmeno realizzati unicamente possedendolo, era un rompicapo insolubile e loro ci si muovevano dentro causando caos, giocando con le vite degli altri unicamente per prendere quanto più possibile di ogni cosa, nel disperato tentativo di trovare almeno un po’ di pace prima di ricominciare a seminare distruzione.
«Tra poco la maledizione sarà spezzata, si ricorderà di voi. Quando avrò trovato mio figlio, potrete andarvene», la sentiva la forza di quell’incantesimo che aveva confezionato appositamente per essere lanciato da Regina, farsi sempre più debole. Anche se non possedeva i suoi poteri magici, avvertiva il tremito di essa esattamente come quando Loïc provava a evocare i propri poteri – era una questione di sensibilità, di affinità alla magia stessa.
«Non c’è fretta. Questo è un mondo interessante» asserì Loïc alzando le sue iridi feline dalla documentazione che stava riesaminando – la precisione era una delle sue poche qualità, nessun dettaglio era trascurato e proprio per tale ragione era un’eccellente collaboratore. Uno dei motivi che in un certo senso rendevano dispiaciuto Gold all’idea di perdere un alleato di tale calibro, e anche la sua graziosa sposa – poteva pure essere avvezza a commenti poco opportuni, ma le sue capacità strategiche, forza e abilità erano indiscutibili.
«La tua magia funzionerà meglio della mia non appena la faremo tornare.»
«Per questo mi avete voluto qui.»
Non proprio una notizia, ma era la prima volta da molto tempo che Gold affrontava l’argomento. Tale circostanza faceva supporre a Loïc che fosse veramente vicino il momento in cui la maledizione sarebbe stata infranta, e scorgeva nello sguardo inaccessibile di Gold un luccichio che conosceva perfettamente, era quello che aveva lui stesso quando stava architettando qualcosa che stava per compiersi. Dunque, fu per questo che non si disse sorpreso davanti alla successiva affermazione di Tremotino: «In ventotto anni nessuno è venuto a cercarti, non credo che una tua permanenza più lunga fuori casa li scombussolerà troppo.»
Loïc rise, come non rideva da moltissimo tempo. Se lo sarebbe dovuto aspettare dall’Oscuro una mossa del genere, un tentativo di manipolarlo usando la scarsa considerazione che la sua famiglia aveva di lui, per trattenerlo lì, a Storybrooke, dove avrebbe potuto usufruire di una magia che nessuno conosceva e poteva sperare di contrastare.
«Casa. Sigyn è la mia casa. Il resto è solo un gioco che non voglio perdere» replicò quando le risa gli morirono sinistramente in gola, in un suono aspro e cupo. «Comunque, conoscendo Odino e mio fratello, temo che ci abbiano provato a cercarmi, ma questa maledizione è potente, ha schermato la vista di chiunque.»
«La cosa sembra compiacerti» osservò Gold. Aveva il sospetto che in qualche modo, la sua collaborazione con Loki non sarebbe terminata definitivamente nemmeno quando il pagamento sarebbe stato ultimato; semplicemente, la volta successiva avrebbero trattato in modo diverso – uno scambio di favori che avrebbe potuto avere ripercussioni più forti del ritrovare un figlio o ridare la parola alla donna amata. Ed era ciò, invece, a divertire Tremotino.
«Da morto, ho sicuramente più possibilità» si limitò a rispondere prima di ritornare a concentrarsi sulle carte di fronte a sé.
Non che gli desse chissà quale soddisfazione sistemare la contabilità di Gold, come non gliene dava aiutarlo a riscuotere chi non pagava in tempo o assicurarsi che il tutto avvenisse nel più discreto dei modi – per quanto ovviamente fossero quanto meno attività più interessanti di una montagna di scartoffie –, tuttavia Loïc era il tipo di persona incapace di sopportare anche solo una piega fuori posto. La perfezione era una forma di eleganza, e Loïc non faticava a vestire i panni del gentiluomo distinto solo per rendere più contrastante l’impressione esteriore con la sua natura.
Era avvenuto mentre stava riordinando cartelle e documenti, dopo che aveva visto Gold allontanarsi insieme alla donna che aveva chiamato Belle, come colei che credeva morta decenni prima. Gli era scappato un sorriso osservando la scena da un angolo del negozio, senza interferire minimamente o ricordare a qualcuno della propria presenza. Era stata una bella riunione, anche se lei ancora non ricordava chi fosse l’uomo che le stava di fronte; e a discapito di quanto la maggior parte delle persone ritiene, anche il cuore di chi viene definito come essere privo dello stesso, poteva provare emozioni forti nell’assistere a qualcosa di meraviglioso.
Dunque era rimasto in negozio, anche se sarebbe dovuto andare con Gold per riportare la magia a Storybooke, perché lo trovava sconveniente e probabilmente l’altro lo avrebbe ucciso nel caso si fosse voluto unire, per interpretare il ruolo del terzo incomodo. Ed era stato un bene che in quella giornata nella quale Gold gli aveva annunciato che la maledizione si sarebbe spezzata, con tono pregno di soddisfazione, che se ne fosse rimasto a stazionare tra oggetti provenienti da chissà quanti mondi, tutti con storie cariche di importanze diverse e collegate tra loro per quel che avevano significato per i proprietari.
Era entrata portandosi una folata di vento con sé, feroce come il suo sguardo. Il tintinnio dei campanelli era apparso come i rintocchi di una campana da quanto aveva sbattuto veementemente la porta, facendogli levare il capo con le sopracciglia alzate in un’espressione interrogativa per il fracasso improvviso e il sollevamento di qualche foglio per via della corrente creata dal nulla.
«Tu ti ricordavi», la sua voce era a metà tra il rimprovero veemente, lacrime trattenute a stento con la forza dell’orgoglio e una scintillante gioia, talmente tanto esasperante da sentirla pesarle addosso, su ogni poro della propria pelle e dell’anima. «Da quanto tempo lo sai? Da quanto tempo ti sei preso gioco di me
I preamboli non erano adatti a Sigyn, non se n’era nemmeno aspettati. Quel grumo di emozioni che le affollavano voce e volto, tuttavia rendevano difficile a Loïc scegliere il comportamento da tenere in quella circostanza – era diviso tra scoppiare a ridere per il risultato estremamente buffo delle sue contrazioni facciali, parlare seriamente della situazione e cominciare immediatamente a recuperare il tempo perduto. Aveva la netta sensazione che nel caso avesse scelto la prima e l’ultima soluzione, Séline avrebbe afferrato una delle spade a disposizione in negozio per infilzarlo senza eccessivi problemi, quindi sfoderò il suo sorriso più smagliante, dalle sfaccettature baldanzose e maliziose, superando il bancone per portarsi di fronte a lei.
«Non mi sono mai preso gioco di te. Hai sempre pensato che Henry fosse pazzo, perché avresti fatto un’eccezione per me?»
Lo schiaffo che ricevette non era particolarmente doloroso, semplicemente fu inaspettato. Era così raro vedere Sigyn perdere il controllo sulle proprie emozioni, uno spettacolo ogni volta differente e che lo aveva affascinato incredibilmente – la rarità di quelle increspature sull’acqua del suo spirito immacolato, avevano la forza di catturare completamente la sua attenzione. Il suo animo costruito di oceani placidi, contenenti mille e più segreti, non conosceva burrasche durature e tanto meno frequenti, ma quando esse si dibattevano in lei, avevano la maestosità delle forze della natura più spietata.
«Ti avrei creduto. Dopo la festa, ti avrei creduto» sibilò, modulando la propria voce in un sussurro appena udibile, andandogli maggiormente vicino per incollargli occhi accusatori addosso. Era l’essere tenuta al nascosto di tutto per quasi trent’anni a renderla furiosa, l’essere per una volta vittima inconsapevole delle cospirazioni di Loki senza ricordarsene – perché lui glielo aveva detto prima che la maledizione venisse lanciata, ma ovviamente non aveva potuto tenerle con sé le sue parole di conforto su come si sarebbe preso cura di lei nonostante tutto. Era soprattutto il dolore di non aver saputo quanto profondamente lo amava – e quanto lui amasse lei – per quel lasso di tempo a ferirla, quella divisione che li aveva tenuti separati nonostante la vicinanza, a renderla furiosa.
«Quello non è credere, Sigyn, quello è intuire ed avere una conferma» glielo disse con calma, massaggiandosi la guancia con espressione divertita – e rasserenata, perché doveva ammetterlo, era una soddisfazione vibrante quella di riavere Sigyn con sé completamente.
«Anche prima ti avrei creduto, lo sai. Ho sempre avuto fede in te», le parole di Séline questa volta vennero pronunciate mozzate, con sillabe perse e imprecise nella loro delineazione per via del bacio con il quale si era aggrappata alle labbra di Loïc. Non aveva dovuto aspettare nemmeno un attimo per avvertire le braccia dell’uomo stringersi attorno alla propria vita, fino a scorrere lungo le cosce e sollevarla per appoggiarla sul bancone, mentre ricambiava con passione il bacio – le mordeva le labbra, con forza, per sentirne a fondo il sapore, e le guidava i movimenti per avere la massima consapevolezza della sua totale presenza lì in quel momento, sentendola dentro di sé con quanta più prepotenza potesse disporre. Fino a far male, fino a non poter desiderare altro che quel dolore condiviso perché sapeva di piacere.
«Ma i miei piani non ti prevedevano con la memoria intonsa, mia devota sposa» lo sospirò al suo orecchio, prima di scendere a baciarle il collo, mordendo la pelle candida e slacciando la camicetta. Sentiva la presa delle gambe di lei salde attorno alla propria vita, e la stessa voracità con la quale la desiderava essere presente anche in Sigyn stessa. Non si preoccupò nemmeno di aver lasciato la porta aperta, di chi e quando sarebbe potuto entrare, perché era solo lei a occupargli la mente – ogni suo respiro che si infrangeva sulle sue labbra, ogni carezza con la quale lo toccava, ogni graffio che gli procurava tenendosi alle sue spalle per seguire il ritmo delle spinte, ogni mezza parola con la quale lo cercava maggiormente.
Le spostava i capelli ogni volta che le ricadevano davanti al volto, con poca grazia, tirandoglieli e spezzandone alcuni. Non poteva permettere nemmeno alla bellezza della sua chioma di luce solida di impedirgli la vista delle iridi di Sigyn, non in quel momento in cui fare l’amore con lei era l’unico modo per riscoprirla completamente e sedare una sete che aveva tenuto sotto controllo lungamente.
«Sono stati ventotto anni lunghi, ma comunque trascorsi assieme, non avercela troppo con me», le prese il volto tra le mani per chiederglielo, rimanendo avvinghiato a lei nonostante entrambi avessero raggiunto l’orgasmo, incapaci di staccarsi troppo velocemente – quasi per paura di perdersi nuovamente.
Nel sorriso morbido di Séline rivide pienamente Sigyn, e seppe che non c’era più rabbia o irritazione. Le dita sottili della donna continuavano a delineargli i contorni del volto, rimanendo imbrigliate nell’ebano dei capelli lisci quando vi affondavano dentro. Le guance arrossate, il sudore a renderle lucida la pelle e il petto a sollevarsi irregolarmente la rendevano maggiormente splendida agli occhi di Loïc, una vera dea – inarrivabile per chiunque altro.
Increspò le labbra in una piega indecifrabile, osservando come anche in quel mondo Loki continuasse a possedere l’inusuale capacità di rivestirsi rapidamente, egregiamente e senza il segno di una piega fuori posto sui propri abiti o sul suo volto. Era qualcosa che Sigyn aveva sempre invidiato, forse perché i suoi capelli rimanevano inspiegabilmente ricoperti di nodi, ogni suo indumento spiegazzato a rendere palese quanto accaduto nel recente passato. Un dettaglio che amava e che era felice di ritrovare.
«Suppongo che nonostante tutto, ci sia ancora qualcosa in sospeso con Tremotino» asserì rimettendosi la camicia all’interno dei pantaloni, prima di raccogliere la giacca. Non ne era particolarmente certa, ma aveva la netta sensazione che le cose stessero in quel modo e le sue intuizioni su Loki erano sempre state corrette – la sua abilità innata di comprenderlo, di sviscerare ogni suo più recondito pensiero era un dono che l’aveva spinta ad avvicinarsi a lui, comprenderlo e amarlo.
«Il mio debito non è ancora estinto. E poi è divertente, il caos che crea Tremotino è di mio gradimento», arricciò le labbra in un ghigno insano, uno di quelli che avrebbero provocato brividi a chiunque avesse un briciolo di istinto di autoconservazione – dunque non a Sigyn.
«Non vuoi tornare ad Asgard?» chiese semplicemente, non perché le mancasse tale posto, semplicemente per capire quali piani stessero frullando nella mente del proprio sposo. Non le importava di ritornare nel luogo in cui era nata, non provava alcuna nostalgia per esso, a lei bastava poter rimanere accanto a Loki per tutta la durata della sua esistenza – il resto era contorno dispensabile. Una richiesta che avrebbe realizzato da sola, distruggendo chiunque avesse provato a impedire tale circostanza.
«Per il momento, no, e anche volendo non abbiamo un portale. Non ancora», le diede un bacio sulla fronte prima di allontanarsi per controllare fuori l’improvvisa fuga della luce – un’oscurità insana stava calando precipitosamente su Storybrook. La nuvola viola che invadeva la città poteva avere una sola origine e il ghigno di Loki divenne più amplio sul suo volto – un taglio di un coltello, affilato. Stava diventando tutto sempre maggiormente divertente, su questo non c’erano dubbi e lui adorava le partite complicate.
Avvertì le dita di Sigyn insinuarsi tra le proprie, stringendogli la mano per poi appoggiarsi sul suo fianco. Non chiese nulla riguardo all’insolita nebbia colorata che invadeva le strade della cittadina – parve comprenderlo senza alcuna spiegazione ciò che era appena stato risvegliato, percependo le vibrazioni differenti nell’aria.

 

Il gelo era ovunque, era quel mondo. L’aria era ghiaccio, così come la terra, l’acqua, le rocce, il paesaggio tutto – il bianco della neve avvolgeva ogni cosa, rendendola candida nonostante la natura insidiosa, melliflua, dei suoi pericoli nascosti sotto la coltre. I raggi del sole si infrangevano nei fiocchi di neve e sulle superfici di acqua solida, rendendo maggiormente luminoso l’ambiente, creando un’illusione di chiarore amplificato che si ripercuoteva in un cielo il cui azzurro era una lama negli occhi.
Lame che a Sigyn non arrecavano alcun fastidio, perché per lei non vi era colore più intenso dello smeraldo degli occhi del marito. Respirò a fondo, inspirando spilli di gelo, gustandosi il clima dalle rigidissime temperature come da molto tempo non poteva fare per suo dispiacere.
«Non siamo ad Asgard», era una costatazione estremamente ovvia, senza supporto di chissà quale quantità di sorpresa. Ma quel mondo non lo conosceva, mai prima d’allora vi aveva messo piede, e di terre crepate dal ghiaccio ve ne erano troppe sparse per i Nove Regni per poter giocare a indovinare quale essa fosse.
«Ovviamente no, non ancora. Avevo intenzione di fare un viaggio per l’anniversario del nostro matrimonio, e Arendelle è una meta turistica affascinante – come i suoi abitanti» rispose all’implicita domanda. Loki le teneva un braccio stretto attorno al fianco, osservandola di soppiatto riempirsi della grandezza - l’immensità delle pianure ghiacciate si riversava nelle sue iridi di ambra nera.
«Ho la sensazione che non sia puro piacere» ridacchiò Sigyn.
«Sappiamo entrambi che per noi il piacere ha variopinte sfumature» chiosò Loki, cominciando a incamminarsi verso la sua meta – una cittadella arroccata vicino al mare, imprigionata in una morsa d’inverno che pareva averla paralizzata completamente, ma Sigyn era troppo distante per poter capire quale natura avesse quello strano immobilismo di cui aveva sentore.
«Cerchiamo di non trascurarne alcuna, allora.»



» Fine (?)




M A N I A’ s  W O R D S
Ed è finita. Ovvero è finito il preambolo, perché come avete capito dalla fine, Loki se ne è andato ad Arendelle a combinare qualche casino del suo – e dato che l’intento era quello di scrivere poi la quarta stagione di «Once Upon a Time», mi pare ovvio che una visitina ad Anna ed Elsa fosse d’obbligo...
Non so quando giungerà la long vera e propria, perché devo ancora finire di elaborarla e poi mettermi a scriverla, quindi probabilmente ci impiegherò un po' - anche perché vorrei prima vedere come finisce la quarta stagione. Abbiate pazienza, tanto se state sintonizzati sulla mia pagina FB (→ 
Mania FB), lo dirò quando sarò quasi pronta!
Comunque, chiarimenti: la maledizione si è spezzata nello stesso modo in cui si era spezzata nello show, non ho mai avuto pretese di cambiare questa parte, ma parti successive. Loki si ricorda chi è non perché Regina alla fine abbia fatto in modo che così fosse, mentre lanciava l’incantesimo, ma perché la magia di Loki è diversa e opposta a quella da lei usata, in modo da contrastarne gli effetti - non abbastanza da contrastare anche gli effetti su Sigyn, su cui comunque gli effetti sono stati indeboliti.
Inoltre, come e quando Loki e Sigyn lasciano Storybrooke, e tutte le cose lasciate in sospeso, verranno ovviamente riprese e spiegate nella long - che almeno è in fase di elaborazione, eh, mi sto facendo tutti gli schemini di quel che deve capitare, quindi è un progetto che sto concretamente cercando di portare avanti, nonostante il tempo che scarseggia!
La nota:
[1] → Nei fumetti Marvel, quando Loki torna bambino – diciamo così per semplificare, che è più incasinato in realtà –, è accompagnato da una gazza che altro non è se non lo spirito di Loki Vecchio – sempre per semplificare. Per questo ho usato la gazza come animale per comunicare con lui.
Comunque spero che questa specie di anticipazione vi sia piaciuta! Avrei voluto rileggere di più, ma ero già terribilmente in ritardo con l'aggiornamento e se mi fossi persa via nel controllare come un'ossessa il capitolo, ventimila volte come faccio di solito, dubito che l'avrei mai pubblicato. Perdonate se sono tanto irregolare, ma con la tesi che sto scrivendo e la vita sociale mai stata così intensa, ho seriamente problemi a stare dietro in modo costante come vorrei alle storie. Non temete, anche il capitolo di « Cuore di Sale », comunque, è quasi pronto, quindi arriverà senza far passare eoni.
Ringrazio tutti quelli che l’hanno seguita e magari che decideranno di seguire anche la prossima! Un particolare grazie va a chi ha recensito - AlessiaOUAT96 e Yoan Seiyryu.
Alla prossima,

Mania



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