Se non ci sarà abbastanza tempo per noi, lo ruberò alle vite degli altri di Mania (/viewuser.php?uid=588696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP O1 | Ciò che è andato perduto ***
Capitolo 2: *** CAP O2 | Ricordi consumati come candele ***
Capitolo 3: *** CAP O3 | Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ***
Capitolo 1 *** CAP O1 | Ciò che è andato perduto ***
SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI
▬
C A P I T O
L O O
1 ▬
“ Se non ci sarà
abbastanza tempo per noi,
lo ruberò
alle vite degli altri
„
» CAP O1 ||
Ciò che è andato perduto
Vi
erano rari momenti della sua vita in cui gli pareva di vivere in una
bolla di sapone. Tutto avveniva, si protraeva all’estremo,
sino a spezzarsi, e poi ricominciava nuovamente, in un ciclo privo di
fine – come il grande serpente avvolto attorno alla Terra,
costretto a mordersi la sua stessa coda in un cerchio, dove
conclusione e inizio si confondevano. Il senso di
déjà vu arrivava senza preavviso, piombava
addosso a Loïc Odilon con la stessa repentina insensatezza con
cui i temporali solevano scoppiare d’estate, quando il cielo
limpido veniva trafitto da fulmini, d’un tratto.
L’unica costante, ciò che accumunava
irrazionalmente quegli istanti di luce accecante tra loro, era la
morbida presenza – concreta o anche solo di vaghi riferimenti
– di Séline Tyler.
«Qualcosa non va, signor Odilon?»
domandò con una punta di sarcasmo il suo datore di lavoro,
ovvero il poco transigente Signor Gold, richiamandolo alla
concentrazione che desideravano avere i documenti della
contabilità, aperti davanti a lui.
«Il lavoro è stato già ultimato, non si
preoccupi. Merito un attimo di riposo dopo aver riordinato tale
quantità di scartoffie» chiosò con il
perenne ghigno mellifluo a incurvargli le sottili labbra. Le iridi
degli occhi di Loïc erano di un verde particolarmente
penetrante, formati da scaglie chiare a balenare in un manto di foglie
scure sullo sfondo, rendendo una foresta impenetrabile i propri
sguardi. Quindi non c’era da meravigliarsi che le occhiate
che si scambiavano lui e il suo datore di lavoro fossero
particolarmente criptiche, anche quando sembrava che si stesse parlando
di una sciocchezza come l’ordine contabile – ma per
due come loro, nulla era quello che appariva.
Il sorriso poco rassicurante del Signor Gold si accentuò di
un poco. Il suo socio non era certo una persona semplice da
comprendere, i pensieri che attraversavano la sua mente erano contorti
e impastati di nodi almeno quanto i propri, eppure, fin dal loro primo
incontro, c’era sempre stata un’unica cosa chiara
in lui. Non era un merito proprio di Loïc, era un dono che gli
era stato concesso – una tregua dalla sua insoddisfazione,
dai suoi macchinosi progetti e dai sentimenti rattrappiti. Qualcosa che
il Signor Gold conosceva, ma che perseverava a biasimare almeno
apparentemente nel giovane collega – un modo indiretto per
biasimare se stesso e il risultato osceno al quale le sue scelte da
vigliacco lo avevano condotto.
«Riposo, eh? La signorina Tyler non è il tipo di
donna che concede riposo ad alcuno, specialmente a un uomo come
lei» replicò Gold, prima di infilarsi il
soprabito, decretando conclusa la sua permanenza nel negozio,
almeno per quella giornata. Rise appena nel ricevere
l’occhiata bieca di Loïc Odilon, colma forse di una
dose di risentimento eccessivo – ancora perseverava a nutrire
rancore per non aver incluso anche la sua innamorata nel patto, che
aveva stretto troppi anni addietro con Regina, cosa che Gold trovava
divertente in una certa dose. «Intendo dire che vi farebbe
penare come non mai anche solo per un invito a prendere un
caffè; e credo sia proprio ciò a suscitare il
vostro interesse, vero signor Odilon?»
Non rispose Loïc, tornando ad abbassare le straordinariamente
verdi iridi sulle carte contabili. Le avrebbe ricontrollate anche dieci
volte più del necessario se sarebbe servito ad evitare una
discussione su Séline – poteva passare sopra molte
cose, ma non su Gold che si permetteva di sciorinare pseudo consigli o
conclusioni su loro due. D’altronde, se ora quando passava,
Séline vedeva semplicemente in lui Loïc Odilon, era
per un vezzo capriccioso e crudele di Gold – e
d’altro canto, cosa avrebbe mai potuto aspettarsi
dall’Oscuro? Probabilmente – anzi, certamente
– lui avrebbe agito nel medesimo modo se si fosse trovato al
suo posto. Una via subdola, meschina e odiosa, ma che era
l’unica possibile per assicurargli la sua continua
collaborazione, fino a quando sarebbe stato necessario.
In fondo, se Loïc quando ancora portava il suo vero nome, non
fosse stato tanto orgoglioso da non volersi abbassare a chiedere aiuto
al proprio padre e a suo fratello, non si sarebbe trovato in tale
situazione. Ma aveva sempre peccato di superbia, il suo ego
aveva regole che non potevano essere abbandonate nemmeno per amore e
lei non aveva mai posto recriminazioni per tale comportamento
– anche per ciò l’aveva sempre
considerata l’unica
degna, l’unica
possibile,
l’unica
in grado di accettarlo per ogni più infimo
peccato. Non l’aveva amata per tali capacità in
sé, ma
perché la sua anima appariva come la più candida
dei Nove Regni, avvolta di una luce abbagliante per nascondere un cuore
corroso da una morale rotta, traballante quanto la propria.
Un’anima affine.
L’altra faccia della propria.
Ancora ricordava quando si era presentato nel castello
dell’Oscuro, attraversando per lei mondi e tempo, giungendo
fino a quel luogo per molti considerato solo leggenda e mito, ma per
lui
una possibile via da percorrere e in fondo alla quale trovare
ciò che gli era
stato sottratto.
Seppur vi fosse una sontuosità indiscutibile
nell’arrendamento, nella scelta dell’architettura e
altrettanto gusto nel modo con cui abbellire le stanze, una nota di
abbandono era presente ad alleggiare tra i corridoi, rimbombando
insieme ai passi del visitatore giunti da incredibilmente lontano.
Loki sapeva che la propria presenza era già stata colta dal
padrone di casa, non aveva contato in un’entrata scenica per
evitare di cominciare burrascosamente con quell’uomo. La sua
maestria nell’arte della magia era alta, ma non ancora
così sopraffina da poter pensare di competere completamente
con l’Oscuro – non ancora, per lo meno, era ancora
giovane e aveva tutta l’eternità
davanti per pensare a piani che prevedessero conquiste di
potere tanto ambiziose. Per il momento, la ragione della sua visita era
rivolta al riottenimento di qualcosa che era stato strappato a lei per
colpa di lui
– e nonostante questo, neppure
un’ombra di risentimento si era abbattuto sui lineamenti
d’adolescente del suo viso.
Trattenne il sorriso al ricordo delle proteste di Sigyn per non averla
condotta con sé – era giovane, una guerriera
abile, con la testardaggine orgogliosa pari solo a quella di lui
–, calmate unicamente dalla promessa di considerare
l’ipotesi di condurla con sé la volta successiva.
Le aveva ovviamente mentito riguardo la sua meta, ma questo
già lei lo sapeva – ovviamente, come ogni volta.
Respirò a fondo prima di aprire le porte che conducevano
alla sala principale del palazzo, osservandosi in giro, con fare
lievemente insoddisfatto, per via del caos che regnava sul tavolo e per
i mobili. Mancava evidentemente il tocco di una domestica che sapesse
come sistemare quel luogo, cosa che rendeva l’ambiente pregno
di penombre pesanti, dentro le quali si ammassavano angoli di tenebra,
sporco e pericoli.
Percepì la presenza dell’Oscuro ancora prima di
udirne la risata risuonare tra le alte mura, serrando le falangi in
pugni duri per evitare di esplodere di indignazione per un simile
trattamento – e altrettanto dovette fare, stringendo
maggiormente la presa, successivamente.
«Un principe di Asgard! Che ci fa qui un principe? Anzi, il
minore. In più di un senso, non è
vero?», domande divertite e di sbeffeggio, maliziosamente
intessute per insinuare verità che l’animo
orgoglioso e arrogante di Loki non potevano accettare, architettare
appositamente per indispettirlo.
«Potrei ucciderti per la tua insolenza, Tremotino»
sibilò gelido, stringendo i denti tanto da sentire
scricchiolare i molari.
«No. Non è vero. E se anche potessi, non lo
faresti, quindi non prendiamoci in giro con menzogne da poco e dimmi
che cosa desideri da me. Più potere, forse?
Un’arma migliore di quella di tuo fratello? Conoscenze?
Artefatti?», le sue frasi cominciarono a piovergli addosso e
la sua presenza si concretizzò accanto a Loki,
sorprendendolo in modo impercettibile. Con un ghigno divertito a
tendergli gli angoli della bocca, rendendo l’espressione del
suo volto da folletto una maschera di ilarità fastidiosa e
inappropriata, Tremotino prese a girare attorno a Loki per studiarne la
figura, sondarne i poteri e provando a capirne l’anima
– impresa ardua anche per lui, perché pareva
irraggiungibile il cuore di quel dio, ammantato di risentimenti,
insoddisfazioni, seti di poteri e una scia di desideri così
ben nascosti da essere indecifrabili.
«Sono tutte cose di cui mi posso occupare da solo»
lo liquidò brevemente Loki, rilassando i muscoli per
riottenere pienamente l’apparenza di impeccabile eleganza
controllata, con la quale amava cospargersi. «Desidero
recuperare una cosa perduta, una cosa che appartiene a
un’altra persona».
«Ogni cosa ha il suo prezzo, e per stabilirlo mi occorre
sapere ogni dettaglio. Chi è questa persona?»,
incuriosito dall’inaspettata richiesta, l’Oscuro
andò a sedersi alla sua poltrona per vagliare più
attentamente la situazione che Loki gli stava sottoponendo –
un’inaspettata visita che avrebbe forse potuto, se non
accelerare vertiginosamente i suoi piani, renderli più
rapidi una volta entrati nell’ultima fase.
«La mia promessa sposa, Lady Sigyn.»
Malevolo, il sogghigno di Tremotino si ampliò naturalmente,
sospinto dall’affermazione del principe di Asgard. Chiedergli
di utilizzare il Bifrost era un prezzo esagerato e impossibile da
pretendere, questo l’Oscuro lo sapeva perfettamente,
perché nessuno poteva attraversare il Ponte senza che il
Padre di Tutto lo sapesse e mai avrebbe concesso permesso
affinché proprio lui, un mago del suo calibro e fama
maligna, lo utilizzasse per scorazzare indisturbato da un mondo
all'altro. Ma Loki aveva
abilità che potevano tornargli utile, sia in questo mondo
sia nell’altro, abilità che avrebbe utilizzato
fino all’ultima goccia per riavere suo figlio. Doveva solo
decidere in quale maniera incastrarlo nel suo progetto, poi, non
avrebbe avuto alcuna difficoltà a ottenere la collaborazione
se di mezzo vi era il Vero Amore; lezione impartita a Tremotino
scontando il più caro dei prezzi – perdendolo per
codardia, ottenendo giusto la consapevolezza di
ciò che era capace la magia più potente di tutte
quante.
Fece comparire due tazze da thé e una teiera, invitando con
un gesto Loki a sedersi – avevano molto da discutere e le
lancette del pendolo avevano appena scoccato le cinque del pomeriggio.
Quando aveva sentito il rintocco dell’orologio, aveva provato
la sgradevole sensazione che esso si fosse in qualche modo protratto in
echi muti, fino a giungere nella sua anima – aveva avvertito
smottamenti in essa, crepe sulla sua superficie guasta e malandata, ne
aveva avvertito le faglie farsi più pressanti, giungendo a
una profondità alla quale era stata disabituata
dall’assenza di qualcosa che non riusciva a carpire. E in
quelle increspature invisibili che avevano creato dentro di lei,
Séline, per la fugace durata di un attimo, ebbe
l’impressione di scorgere qualcosa dentro se stessa
– un ritrovamento importante, una consapevolezza perduta.
Tale sensazione fu troppo effimera per rimanerle impressa chiaramente,
lasciando dietro di sé unicamente schiuma malinconica
– quasi dolce nei suoi ultimi istanti, una promessa da
mantenere.
Da quando aveva preso a funzionare l’orologio della torre,
quella sensazione tornava con costanza sempre crescente. Una parte di
lei l’aveva afferrata nella sua stranezza, ma
l’altra razionale le suggeriva che non poteva esserci nulla
di mistico – o
magico – dietro i rintocchi di una
campana.
«Siete ancora in servizio, signorina Tyler?», la
domanda del sindaco Mills la riscosse dai propri pensieri, incagliati
su
terre misteriose, riportandola alla realtà della strada. Era
appena uscita dall’ufficio dello sceriffo Swan, con il sole
rosso del tramonto alle spalle, rendendo suggestivo lo scenario di un
cielo dalle acque marine intinte di sangue e oro a cospargersi sopra la
sua testa, mentre le prime stelle comparivano timidamente. Era una
serata serena, nemmeno il vento dalle punte fredde riusciva a smorzare
la bellezza di uno spettacolo tanto meraviglioso.
«Ho appena staccato, sindaco. Avete bisogno per
caso?» domandò la giovane agente voltandosi verso
Regina Mills. Aveva da sempre una strana impressione riguardo quella
donna, per quanto le apparisse eccessiva in molte sue decisioni,
dall’altra ammirava la forza delle stesse, la
dedizione che metteva nel raggiungere i propri scopi. Era difficile
lavorare sia per lei sia per Emma Swan, tutto si trasformava in un
continuo cercare di
rimanere neutrali, mentre le guerre si intensificavano ai confini
– ma essere campo di nessuno a Séline riusciva
discretamente bene, portando avanti i propri compiti come agente di
servizio e insieme evitando qualsiasi lavoro che esulasse dai suoi
incarichi ufficiali. Con una sola eccezione.
«Devo rimanere per un’emergenza in ufficio, potete
occuparvi voi di Henry?» domandò sollevando appena
un sopracciglio – era evidentemente infastidita da qualcosa,
qualcosa che non riguardava Séline, la quale quindi finse di
non rendersene conto, concentrandosi solamente sul quesito posto.
«Certo, nessun problema», era appunto Henry la sua
unica eccezione alla regola di non interferenza tra le due madri del
bambino. Fin da quando era piccolo, aveva da sempre dato una mano a
Regina a badare a lui, facendogli da babysitter quando il lavoro glielo
permetteva, e andando a portargli i fumetti anche quando non era
stata chiamata. Se avesse dovuto scegliere uno schieramento, avrebbe
indubbiamente privilegiato Henry – lui e forse qualche
d’un altro.
«Avete bisogno di un passaggio,
Séline?», la voce di Loïc Odilon la
riscosse dai suoi pensieri, mentre si avviava all’ufficio di
Archie, per recuperare Henry dopo la seduta con lo psicologo. Non aveva
problemi a riconoscere il timbro della sua voce, lo avrebbe
probabilmente afferrato anche in mezzo a una folla di centomila persone
da quanto particolare appariva alle sue orecchie – profondo,
sinuoso, dalle venature perennemente intrise di
un’ambiguità insondabile, nelle cui pieghe si
perdeva per cercare di scoprire cosa celasse.
«Camminare mi piace molto, non disturbatevi» lo
rassicurò voltandosi appena nella sua direzione, ma senza
diminuire l'andatura. L’aveva affiancata con la sua bella
auto
oltremare, tenendo un braccio per metà appoggiato oltre il
bordo del finestrino abbassato, procedendo lentamente per seguirla
mentre le parlava. Convincere Loïc di qualsiasi cosa,
solitamente, era un’impresa ardua nella quale
Séline adorava imbattersi – non lo avrebbe mai e
poi mai ammesso, ovviamente, soprattutto davanti a lui. Le discussioni
che intratteneva con Loïc erano interessanti proprio per
l’indeterminatezza sul loro esito, grazie alla dialettica
pronta dell’uomo e all’incapacità di
accettare di non avere l’ultima parola di Séline.
Aveva una non discreta inclinazione verso quell’uomo
elegante, dai modi da
gentiluomo a nascondere un’anima contorta, dove
l’ambiguità era la sua unica forma di chiarezza. E
anche tale dettaglio la giovane lo avrebbe custodito con incredibile
determinazione, perché cedere alle lusinghe di Loïc
Odilon non era nei suoi piani – non ancora. Non era una preda
da conquistare, una fanciulla il cui cuore poteva essere espugnato con
belle adulazioni infiocchettate abilmente e regali costosi, questo
Loïc lo sapeva e per questo perseverava a parlare con lei
– semplicemente parlare, senza chiederle nulla di
più di cinque minuti del suo tempo al giorno. Un rituale che
si ripeteva costantemente da anni, talmente tanti da non saper dire
nemmeno quanti fossero – come se in realtà il
mondo fosse sempre girato in quel modo e non esistesse un tempo nel
quale loro due non avessero avuto quei cinque minuti per loro.
«Se fosse un disturbo, non mi soffermerei a chiedervelo, non
pensate?» ribatté divertito Loïc,
osservando con interesse il profilo della giovane. Visivamente,
Séline appariva più giovane di lui di una decina
d’anni, con la sua ventina d’anni apparente
impressa nei lineamenti candidi, ancora riempiti da residui di
adolescenza, che stavano per essere scrostati via. Con i capelli
raccolti in una treccia laterale a scivolarle sul petto, Loïc
la adorava in segreto, senza rivelare quanto reputasse incredibilmente
meravigliosi quelle ciocche talmente pallide da apparire bianche
– luce solida intrappolata nella sua chioma da un incanto
arcano. Lo aveva sempre fatto, fin dal loro primo incontro, scoprendo
con i secoli la loro morbidezza, quando si era arrogato il diritto di
affondarvi le mani, e poi le labbra.
Quasi trent’anni erano un tempo abbastanza ridotto per un
dio, ma trent’anni senza Sigyn era un tempo comunque
eccessivo – lo sarebbe stato anche un giorno soltanto.
Nonostante la sua capacità recitativa impeccabile,
inalterabile anche nel caso in cui si fosse ritrovato a dover
affrontare il resto della sua
millenaria vita senza di lei, trattenendo come un segreto indicibile il
dolore, non implicava reale facilità d’animo nel
mantenere un distacco, difficile da soffrire quando si
trattava di Sigyn.
Era nato come un capriccio – come buona parte delle cose
nelle quali si invischiava, e con la stessa regolarità, gli
svolgimenti successivi avevano avuto pieghe impreviste. Impreviste e
stranamente ben accette.
«Penso che voi siate un uomo troppo poco chiaro per sapere
che cosa avete in mente, e sicuramente siete capace di compiere azioni
che
non vi aggradano unicamente per altri fini» sibillina,
rispose
Séline senza concedergli la vista sui suoi occhi
d’ossidiana.
«Avete una pessima opinione di me, non è vero
Séline?», constatazione che stranamente gli
strappò una risata bassa, divertita
dall’affermazione appena fatta dall’uomo.
«Non è un giudizio negativo, piuttosto
neutro» lo confutò Séline, accompagnando le
parole a
un lieve movimento del capo lateralmente, a sottolineare
l’incapacità di affidare una collocazione negli
assoluti a tale constatazione.
«Questo è incredibilmente un punto a mio favore.
Voglio davvero darvi solo un passaggio se me lo permettete, o potrei
unirmi a voi» perseverò, sfoderando uno dei
sorrisi quasi sinceri e privi di malizia. Séline
silenziosamente aveva da sempre serbato un’adulazione per
quella sghemba linea, la quale spuntava sulle labbra di Loïc
quando le si rivolgeva in particolari circostanze. In quei momenti, lui
la inchiodava a uno sguardo che Séline reputava essere sogno
di ogni donna vedersi rivolto, almeno una volta nella vita –
e che a lei veniva donato quasi quotidianamente. Ed era in quei
frangenti, ritrovandoselo incollato addosso, che allora
Séline cedeva di un passo, almeno un po’ e non
sempre, per ringraziarlo e per trattenerlo maggiormente a
sé. Per questo si fermò, aspettando che
parcheggiasse in modo da proseguire a piedi insieme.
Era uno strano modo, il loro di comunicare. Prevalentemente era
costruito con le montagne di frasi celate sotto le poche che
pronunciavano, ramificando dedali e labirinti di sottointesi nei quali
amavano immergersi, perdendosi lì dove nessun altro poteva
raggiungerli.
Molto spesso, Loïc aveva la tentazione di dirle che
Loïc non era il suo nome, come Séline non era
quello
di lei. Ripassava vari scenari mentalmente nei quali le rivelava la
verità, eppure già in partenza che non era quella
la via che sapeva avrebbe percorso – la verità era
mutevole e non era stata mai il suo campo d’azione, come
d’altronde non apparteneva nemmeno a quello di lei.
Straordinariamente,
nemmeno privata della sua identità, Séline
smetteva di essere Sigyn, e mai, infatti, aveva avuto un sussulto di
timore nel lasciare le proprie iridi di pece posarsi su quelle
smeraldine di Loïc.
«Gli altri, normalmente, non sostengono il mio sguardo come
fate voi, Séline», glielo disse perché
era una sorpresa costante – una realtà che si
ripeteva, ma che possedeva il dono di rinnovarsi anche nella sua
essenza
estatica.
«Dipenderà dal fatto che gli affari che svolgete
per conto del Signor Gold non vi rendono particolarmente
simpatico», una risposta che non intendeva incriminare
nessuno – come sempre, Séline si teneva lontana
dai giudizi di merito, e nonostante possedesse un distintivo e lo
utilizzasse per far rispettare una legge, ai suoi occhi sfuggivano le
implicazioni morali in tale atto. Era una delle doti che aveva sempre
maggiormente amato in lei, quella di non recriminare le mancanze degli
animi e le loro colpe – soprattutto quelle di cui lui
possedeva un’ampia collezione.
«Non mi rendono particolarmente innocuo, e
nonostante
ciò avete accettato di rimanere da sola con un tipo come me,
una volta in
più. Cosa dicono di voi, Séline? Che
siete coraggiosa o avventata?» la interrogò
parandosi davanti a lei, allungando il passo per poterla finalmente
osservare distintamente in volto. Le arcate delle sopracciglia erano
prive di crepature a rendere afferrabili i pensieri che la scuotevano,
gli occhi rimanevano distese di inchiostro sotto i quali tutto rimaneva
impenetrabile alla luce esterna e le sue labbra carnose appena
dischiuse, erano un invito al quale Loïc non sapeva come
riusciva a resistere.
Un lieve sorriso mosse gli angoli della bocca di Séline,
assumendo una sfumatura delicata – nonostante la delicatezza
fosse sempre stata una sua qualità unicamente apparente. Da
quei pochi centimetri che li separavano, le sue narici si riempivano ad
ogni inspirazione dell’odore della sua pelle – una
lieve punta di gelsomino a mischiarsi con quello più forte
di foresta –, e ogni volta le appariva sempre più
famigliare di quanto sarebbe dovuto essere.
«Grazie per la passeggiata, vi auguro buonanotte,
Loïc» lo superò senza concedere risposta
alle sue domande, finendo per sfiorargli – forse
inavvertitamente – la mano con la propria. Non ricordava
quando si era innamorata di Loïc Odilon, come per le loro
chiacchierate le appariva semplicemente che fosse sempre stato
così – una realtà alla quale non poteva
sfuggire, né sottrarsi, anche nell’irrealistica
possibilità in cui avesse voluto.
«Notte, Séline», lo udì
rispondere poco prima del rumore della portiera dell’auto che
si richiudeva, e del rombo dei motori che lo conducevano
dall’altra parte della città.
E mentre avvertiva distintamente la lontananza crescere e
l’orologio far scoccare l’ora, Séline
Tyler si domandò per quale assurda ragione stesse
continuando a portare avanti quella stupida recita, quando avrebbe
potuto avere per sé molto più che cinque minuti
al giorno.
»
Continua
M A N I A’ s W O R D S
E dopo decenni, ebbene sì, torno a pubblicare.
Dato che le spiegazioni sul perché sono sparita, sono poco
interessanti, passiamo direttamente alle note autrici vere e proprie.
Prima di tutto, questa è una mini-long composta di soli tre
capitoli.
Come da didascalia, è un crossover con Once Upon a Time,
durante la prima stagione, quindi se non si conosce il telefilm, credo
che non sia molto chiara l'intera vicenda.
Loki e Sigyn, per motivi che verranno in seguito spiegati, sono stati
catapultati anche loro a Storybrooke insieme agli altri personaggi di
favole - ma anche di qualche libro, alla fin fine -, e quindi vittime
entrambi dell'incantesimo che circonda la città. Le
controparti nel nostro mondo, hanno le identità che avevo
usato per le loro reincarnazioni in un'altra storia - « Riflessi di un'altra vita
» -, e se Loki si ricorda chi è davvero come e grazie a Gold,
Sigyn invece non ricorda minimamente chi sia.
In teoria, questa storia sarebbe un preambolo a una long più
corposa, che dovrebbe poi riprendere e riadattare l'ultima stagione di
Once Upon a Time. Progetto che partirà quando la quarta
stagione sarà terminata - un po' per paraculaggine nel
vedere come va a finire e un po' perché sicuramente da
maggio in poi sono più tranquilla a livello di tempo.
(Dato che Charming e Snow hanno nominato il Bifrost, non mi pare
nemmeno più tanto campato per aria questo crossover e mi
apre la vana speranza che un giorno qualcuno di Asgard arrivi davvero a
Storybrooke!).
Come sempre, le recensioni sono sempre accette e ringazio in anticipo
chiunque leggerà - grazie, grazie e ancora grazie
♥
Come sempre, lascio il link alla pagina FB: Mania
FB.
Mania
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Capitolo 2 *** CAP O2 | Ricordi consumati come candele ***
SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI
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C A P I T O
L O 0 2 ▬
“ Se non ci sarà
abbastanza tempo per noi,
lo ruberò
alle vite degli altri
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» CAP O2 || Ricordi
consumati come candele
L’effetto
dei caldi raggi solari a infrangersi sulla cascata dei capelli di
Sigyn, era particolarmente affascinante agli occhi di Loki –
un
dettaglio al quale era affezionato, irrazionalmente, ma di cui andava
geloso. Scoloriti di natura, le ciocche intrecciate della donna,
possedevano un intrinseco chiarore a richiamare
l’opacità
della luce, la quale assumeva una nota ancora più candida
quando
si trovavano sotto il sole – come se fossero neve resa
solida,
compattata nella sua chioma.
Nel chiarore del giardino più privato del palazzo reale di
Asgard, il profilo di Lady Sigyn intenta a leggere era delicato
all’apparenza, come lo ricordava nella priva visione che ebbe
di
lei. Era solo un inganno il suo aspetto niveo, perché tra
tutte
le creature dei Nove Regni, lei possedeva il cuore macerato e storpiato
da una moralità tutta sua – una logica creata da
sé, scostata da quella della maggioranza –, degno
tra
tanti di accompagnarsi a quello di Loki.
La osservava silenziosamente, carpendone ogni minimo movimento per
decifrarne i pensieri – cosa non semplice con una mente persa
per
i propri sentieri come quella di lei, ma con lo scorrere dei secoli
ormai aveva imparato il suo silenzioso dizionario. Dunque non gli era
difficile comprendere la sua stizza e nemmeno la sua origine, cosa che
lo divertiva per come le sue sopracciglia si flettessero lievemente,
creando sottili rughe e incidendo sul suo sguardo, rendendolo
più
duro nel consueto.
«So quel che pensi, mia devota Sigyn, non ho bisogno che
parli per
capirlo» asserì improvvisamente, interrompendo la
lettura
di entrambi per rispondere alle sue mute affermazioni.
Riuscì a
intercettare finalmente in pieno le sue iridi nere, abissi prive di
fondo, nelle quali scovò tracce maggiori riguardo i dubbi
che la
affliggevano circa il piano da lui elaborato. «Non desideri
che accetti
l’accordo con Tremotino, troppo pericoloso e insidioso. Hai
ragione, ma non chiederò soccorso a mio padre o a
nessun’altro di questo mondo! Sono loro i colpevoli, i veri
responsabili di tutto ciò! Se solo riconoscessero il mio
valore,
il mio potere, il mio posto! Se solo comprendessero che sono loro
quelli che dovrebbero inginocchiarsi, rimanendo all’ombra
della
mia gloria, tutto questo non sarebbe mai capitato.»
La osservò alzarsi con calma dal punto del prato che aveva
in precedenza scelto con cura, per avvicinarsi a lui, tagliando via i
pochi metri di
distanza a separarli. Gli si sedette da parte, appoggiandosi con il
fianco a lui, cominciando ad accarezzare con lentezza dolce i
lineamenti del volto, in un tentativo estremo di calmare parte del
rancore che lo affliggeva. La soddisfazione, Sigyn lo sapeva, non era
parte del suo re
– eppure, non desisteva dal provare a
concedergliene almeno un po’.
«Sei troppo buona con me, mia Sigyn, nonostante quello che ti
è capitato per un mio errore sei ancora qui. E ci rimarrai
per
sempre», continuava a parlare, questa volta sussurrando
appena
all’orecchio della donna, per colmare il silenzio forzato al
quale lei era relegata. Per aver giocato i nemici di suo padre con
l’astuzia e non con la forza, mostrandoli per gli inetti
incapaci
che erano, deridendoli per la loro stupidità, essi si erano
presi una rivincita che non sarebbe passata impunita – una
vendetta calma, non appena avrebbe riavuto ciò che
desiderava.
Le avevano strappato la lingua[1], per punirla per la sua dedizione a
lui, per il ruolo centrale che aveva giocato nella loro disfatta e per
le battute di compassione malevola con la quale li aveva accompagnati
alla rovina – ma soprattutto, per ferirlo colpendo
l’unica persona alla quale davvero tenesse, oltre se stesso.
«La magia ha
sempre un prezzo,
quello che devo pagare io è rimanere a disposizione di
Tremotino
per i suoi affari fino a quando lo deciderà lui. Non lo
trovo
esagerato per ridonarti la parola – nessuno lo sarebbe per me
–, quindi non essere troppo indispettita se non ti do retta una volta in più.»
Con un braccio a cingerle la vita, si chinò sulle sue labbra
carnose per baciarla. Tutti avrebbero prima o poi subito il
contrappasso per ciò che stavano attraversando –
anche suo
Padre, che non aveva preso provvedimenti nei confronti di chi aveva
protratto un simile crimine, e suo fratello e tutti gli asgardiani, che
non comprendevano la forma della sua gloria. Tuttavia, ciò
che
ora maggiormente desiderava era udire nuovamente la voce di Lady Sigyn,
prima delle loro nozze imminenti.
La sua voce, quella di Séline Tyler com’era stata
di Lady
Sigyn, era composta di tonalità alte, seppur mai stridule,
ma
che richiamavo più quelle di un’adolescente
rispetto a
quelle di una donna – la morbidezza fanciullesca di anni non
ancora scrollati, come dai suoi lineamenti in cui si respiravano ancora
note di fresca gioventù. E con essa, aggrottando la fronte
in
una marea di onde interrogative, si ritrovò a domandare
chiarimenti ad Emma Swan circa quanto le stava chiedendo di fare,
oltrepassando le sue normali mansioni lavorative.
«L’Operazione Cobra?»
«Sì, Henry dice che te ne ha già
parlato del libro
delle fiabe…» continuò Emma, cercando
di rendere
sensato un discorso che sapeva non poterlo essere davvero per qualsiasi
persona raziocinante. Spiegare a Séline perché e
come le
occorresse il suo aiuto non era semplice, ma desiderava più
che
mai essere convincente per amore di suo figlio. Conoscendo bene il
secondo lavoro della sua partner, era certa che non le avrebbe negato
il suo apporto se si trattava di Henry – teneva a lui,
d’altronde era la sua babysitter da anni e non sarebbe potuto
essere diversamente.
«Oh, certo, della maledizione» asserì
mentre
chiudeva il cassetto della propria scrivania, riponendo ordinatamente i
documenti, prima di alzarsi. Non sembrava particolarmente turbata dalle
fantasticherie di Henry, prendendole con una tranquillità
insolita che Emma trovò quanto meno bizzarra – non
più di quanto Séline non lo fosse in generale, in
ogni
caso. Una donna particolare, con gusti alquanto strani e un modo di
lavorare in polizia bastato sull’istinto e
sull’assenza di
un senso di giustizia prepotente – cosa che si sarebbe
aspettata,
al contrario, di riscontrare. Sembrava quasi che avesse scelto il
lavoro nelle forze dell’ordine più per capriccio
che per
una vocazione, come se fosse semplicemente un gioco al quale prendere
parte.
«È convinto che anche il signor Odilon sia un
personaggio
delle fiabe – bhé, più della mitologia
dovremmo
dire, ma d’altronde sono racconti fantastici anche quelli. E
vorrebbe che venisse anche lui alla festa di stasera, ma
sa che non ci ha mai preso parte negli anni passati»
continuò Emma, cercando di giungere al punto della sua
richiesta
– non aveva la minima idea di come avrebbe reagito ad essa,
d’altronde il rapporto di Séline con Loïc
era
insolito. Aveva provato a domandarle qualcosa al riguardo, ma mai lei
si era scoperta in tal senso, cambiando argomento e rifilandole mezze
risposte prive di contenuto, cosa che rendevano maggiormente
indecifrabile quel che la legava a quell’uomo – la
cui
reputazione sicuramente non brillava, tutt’altro.
«E io che cosa c’entro, capo?»
«Emma»
la corresse
per quella che doveva essere la millesima volta da quando aveva preso
il distintivo di sceriffo, anche se già sapeva che sarebbe
stato
inutile – Séline pareva particolarmente immune a
dar retta
al prossimo, soprattutto quando si fissava su piccolezze come quella.
«Dice che se glielo chiedi tu, verrà»
continuò, riprendendo le fila del discorso principale,
«Non ti ha mai detto che personaggi siete voi due,
vero?»
Lo sguardo di Séline si fece improvvisamente più
interessato, assottigliando lo sguardo lievemente nel ricambiare quello
di Emma. Ovviamente, quando Henry per la prima volta le aveva riferito
della sua idea – per quanto assurda e fantasiosa fosse
–,
Séline lo aveva assecondato credendo che nulla di malsano ci
fosse
nell’immaginazione di un bambino. Inoltre, era una teoria
intrisa
di un romanticismo delicato, tanto da catturare l’attenzione
della giovane donna e spingerla a incuriosirsi al riguardo.
«Gliel’ho chiesto, ma mi ha sempre risposto che non
era il
momento e dopo un po’ ho smesso di domandare. Chi siamo,
allora?»
«Loïc sarebbe… Sarebbe Loki, il dio del
Male e del
Caos» rispose a metà Emma, indugiando sul
continuo.
Persino pronunciare per scherzo un simile scenario era insensato, cosa
che la rendeva indecisa su quale forma fosse più adatta per
mettere a parte Séline del ruolo che le era stato assegnato
– ma Emma era una persona diretta, non era fatta per
immettersi
in dedali tortuosi, assaporando la bellezza di una dialettica ambigua.
Così, semplicemente terminò la frase:
«E tu sei
Sigyn, sua moglie.»
«Giusto, se non è complicato non mi
piace»
osservò ridendo Séline Tyler. Si mise a
cospargere le
proprie parole di risa, più per non pensare seriamente a
quanto
le era stato detto che per l’inverosimiglianza, di cui
sentiva
che si sarebbe dovuta riempire davanti a una simile prospettiva. Una
piccola fastidiosa parte della sua mente le suggeriva che le piaceva
quello scenario, le era gradevole essere vista come la compagna di
Loïc – perché alla fine lo era davvero,
anche se si
ostinava a volerlo tenere segreto. Era un capriccio, una sua stupida
voglia che lui assecondava per chissà quale ragione
–
forse perché anche lui provava una certa vena di gelosia
verso
ciò che erano
loro, cercando disperatamente a tenerlo lontano dagli
occhi del mondo. O
più semplicemente, gli era indifferente come lei decidesse
di
vivere la loro relazione.
«Non capisco comunque cosa dovrebbe succedere se glielo
chiedessi», l’autocontrollo di Séline
era
impeccabile come di consueto, un mare immobile sotto il quale nessuno
poteva avvicinarsi per tentare di sbirciare gli abissi. Tesori, mostri
e
correnti erano mantenuti al segreto dal quel manto oscuro con il quale
velava i propri pensieri, interpretando la parte che si era scelta con
la bravura dell’attrice che era.
«Nel suo libro c’è scritto che Loki ha
chiesto la
mano di Sigyn durante il Giorno di Yggdrasill[2], giorno che cade
durante la festa del paese che si terrà stasera. Quindi
è
convinto che potrebbe recuperare la memoria se partecipaste
entrambi», prese un respiro profondo mentre affondava le mani
nelle tasche dei pantaloni, cercando di rintracciare
perplessità
sul volto di Séline senza trovarne. Nonostante la calma
comprensiva con la quale la giovane donna si comportava, Emma la
avvertiva come una reazione del tutto insolita – sbagliata
–, e forse proprio tale constatazione le rendeva
più
ostico spiegarsi. Increspò lievemente i muscoli attorno i
propri
occhi, riducendo al minimo l’esteriorità dei
propri dubbi
circa le non reazioni di Séline, perseverando nello
studiarla
con fermezza. «Archie è convinto che mettere Henry
davanti
all’evidenza della realtà lo aiuterà a
capire da
solo che non c’è nessuna maledizione, personaggi
delle
fiabe e quant’altro. Mi dispiace di chiederti tanto, non
voglio
metterti in una scomoda posizione nel caso il signor Odilon
acconsentisse, non sembra particolarmente una piacevole compagnia. Come
il suo capo. E come il signor Gold, dubito che possa partecipare alla
festa.»
«Gli chiederò di uscire, per Henry naturalmente.
Comunque, Loïc accetterà», avvicinandosi
alla porta
per uscire dall’ufficio, si voltò di tre quarti
per
rispondere allo sceriffo con un sorriso indecifrabile a incurvarle
lievemente le labbra. «In un modo tutto suo, fa sempre quello
che
gli chiedo.»
«Lui ti piace?» chiese improvvisamente Emma,
cercando di
capire qualcosa dei suoi sentimenti, ponendole un interrogativo
inatteso – e decisamente personale. Sperava che almeno la
sorpresa, il tema e l’assenza di giri di parole la facessero
titubare, rendendo almeno in parte qualcosa afferrabile.
«A stasera, capo», ed Emma infine giunse alla
conclusione
che non c’erano sfumature di menzogna di Séline
per il
semplice fatto che si asteneva dal rispondere concretamente. Si
asteneva dall’asserire ciò che le veniva
richiesto,
ritraendosi per lasciare la penombra del suo sorriso delicato perdurare
su ogni cosa che la riguardasse. E non riuscire a vederla
completamente, scoprendone almeno la maggior parte, rendeva Emma
incerta sul se era un bene fidarsi di lei o meno –
d’altronde era a Regina che aveva risposto fino al suo
arrivo,
perché mai avrebbe dovuto aiutarla? Per Henry, ovviamente,
solo
per lui e non per alcuna motivazione in cui bene o male, giusto o
sbagliato, vi rientrassero in qualche modo.
Sperava solo che non sopravvenessero complicanzioni, come vi erano
state - e continuavano ad esserci - quando aveva chiesto un favore
molto simile a Mary Margaret. Cominciava a sospettare che a Storybrooke
vi era una matassa di intrecci, caotici, impossibili da sbrigliare e
che ogni passo che si compiva, non faceva altro che incasinare
notevolmente il tutto, invece di semplificarlo.
Sbuffò, scrutando allontanarsi la figura di
Séline, sperando in una serata tranquilla.
Evanescente, ecco come appariva ai più la figura di
Séline Tyler. Lo era sempre stata, anche prima di possedere
quel
nome, e ancora prima che i Nove Mondi avessero quell’aspetto,
prima della creazione di quell’Universo, in quello precedente
e
quello precedente ancora. Una costante inamovibile, come lo era il suo
seguite perpetuamente l’anima di Loki – o forse era
quella
di lui a ricercare l’unica che riuscisse a concedergli
un’oasi di serenità in
un’oscurità perpetua.
Non c’erano definizione a presiedere l’alto compito
di
descrivere il legame che li univa, li trascendeva e sfuggiva anche alla
loro comprensione – cosa che rendeva più semplice
accettare l’ineluttabilità del fato, o del caso, o
del caos che li aveva
voluti unire.
Un connubio insolito, una contrapposizione che era tale solo agli occhi
degli altri, perché Loki mai avrebbe potuto pensare che la
Fedeltà potesse essergli avversa. Così la
scrutava, di
nascosto, con un misto di orgoglio e riconoscenza, senza farsi notare
nemmeno dalle iridi scure della donna, dissetandosi della sua presenza
pacifica e chiedendosi se era solo lei l’unica vera vittoria
che
avrebbe mai ottenuto.
Così anche nel giorno in cui riebbe la parola, sorrise nel
sentirla rimbeccare Tremotino con una delle sue battute sarcastiche,
dipinte di serenità per rendere maggiormente pungenti le
proprie
asserzioni. Aveva sperimentato sulla propria pelle la bravura
dialettica di Sigyn, era stata una delle prime qualità che
aveva
scoperto in lei e che aveva suscitato un interesse sempre
più marcato, nel tempo.
«La vostra deliziosa sposa era maggiormente deliziosa prima
che
ricominciasse a parlare. Comincio a pensare che avrei dovuto lasciarla
senza lingua» commentò acidamente
l’Oscuro
rivolgendosi al principe di Asgard, lanciando un’occhiata
risentita alla donna che si muoveva nello studio del folletto per
studiarne gli oggetti in mostra, soffermandosi a esaminare le provette
e miscele che occupavano un intero tavolo. Era stato semplicemente un
commento riguardo la polvere accumulata sulle mensole e su come
trovasse
adorabile la tazzina da tè esposta insieme ad altri oggetti,
con
i quali non aveva alcuna affinità, ma era stato intessuto
con
sottointesi resi evidenti dalla noncuranza apparente ad affilare le sue
frasi.
«Me l’hanno strappata per un motivo,
effettivamente.
Comunque, non ve la prendete troppo, signor Tremotino, la mia
osservazione era del tutto innocua» riprese a parlare Sigyn,
alzando i propri occhi di oceani neri dalle fiale per posarli in
quelli di oro sporco del loro ospite. Non le piaceva che Loki avesse un
debito con quell’uomo, pericoloso e ambiguo, temeva che ci
avrebbero unicamente rimesso nonostante l’abilità
del
proprio sposo di ingannare e truffare. Una parte di lei le suggeriva di
non dubitare del piano di Loki, ma l’altra le rendeva chiaro
quanto fosse un enorme azzardo – e probabilmente era tale
constatazione ad aver convinto Loki a perseguire un simile progetto,
ammaliato dal profumo di una scommessa irresistibile. «Come
lo
è quella sulla vostra raccolta notevole di oggetti magici
rari,
eppure non vi facevo affatto un collezionista. O forse è solo una
ricerca disperata la vostra, e questi sono i vostri fallimenti?»
«Non avrei mai potuto sposare una donna che non fosse alla
mia
altezza, e che fosse sufficientemente sconsiderata da non avere remore
di alcun tipo» commentò divertito Loki. Gli era
mancata la
voce di Sigyn, il suo modo di porgere osservazioni e di irritare le
persone – anche lui stesso, talvolta, per stuzzicarlo
–,
come aveva avvertito la mancanza delle note dolci che riservava
unicamente a lui, quando nessun altro avrebbe potuto udirli.
«Giusto, ognuno è libero di scegliersi la propria
pena» replicò Tremotino, scrollando le spalle.
«Quando vi chiamerò, dovrete venire ad aiutarmi. E
puoi
portare anche la tua mogliettina se ti va»
continuò,
riprendendo il discorso sui termini del loro contratto.
D’altronde, era l’unica cosa che interessasse a
Tremotino
– mettere le mani sulla magia di un altro mondo, potente come
quella di Loki, era stato un inatteso dono che si sarebbe rivelato
estremamente utile quando il suo piano si sarebbe avvicinato agli
ultimi passi.
Lanciò uno sguardo di rimproverò alla dama dai
capelli
lucenti, muovendo l’indice in senso negativo per avvertirla
di
non toccare i tomi di magia posti sugli scaffali, e intanto
continuò a discutere d’affari con suo marito.
Eppure,
mentre continuavano ad accordarsi loro due soli, ebbe
l’impressione che se Sigyn avesse avuto qualcosa da ridire,
la
sua opinione avrebbe avuto un peso maggiore di quanto se ne sarebbe
potuto percepire – e Tremotino comprendeva
quell’insolito
potere, un ascendente irrazionale, caotico, perché anche lui
l’aveva sperimentato. Si lasciò sfuggire
unicamente una
smorfia incomprensibile, stropicciato e criptico, prima di tornare a
rivolgersi unicamente al principe di Asgard, per spiegargli quale
sarebbe stato il primo piccolo favore con il quale avrebbe dovuto
ripagarlo.
Il Signor Gold non era dunque affatto sorpreso di aver ritrovato la
stessa fanciulla, priva delle sue memorie e ricca dello stesso spirito,
aggirarsi per il proprio negozio sfiorando copertine di antichi volumi
e oggetti trovati chissà in quale luogo lontano. Ovviamente
era
venuta per il suo socio, e per quanto avesse finto platealmente di
essere stupito, nulla di diverso si sarebbe atteso da quella donna
forgiata da una delicatezza crudele – ingannatrice,
inafferrabile
nella sua vera essenza. Era invece rimasto sinceramente sorpreso quando
Séline Tyler aveva chiesto con un sorriso dolce e malizioso
a
Loïc di accompagnarla alla festa di paese, inclinando appena
il
collo verso destra, lasciando scivolare lievemente i ciuffi dei propri
capelli quasi bianchi sulla guancia.
Ammetteva di essere rimasto più che perplesso
dall’improvviso invito di Séline. Era arrivata
avvolta in
un abito in stile anni cinquanta, che le avvolgeva la vita e
sottolineava il ventre piatto, risaltando con il rosso scuro del
tessuto la neve della sua chioma, lasciata sciolta in cascate dove
nemmeno una piega aveva la speranza di sopravvivere. L’aveva
inchiodato con i propri occhi di un nero troppo profondo per chi non
era abituato all’immensità
dell’impossibile,
domandando informazioni di cui conosceva già la risposta sui
libri in vendita, solo per poter avere un pretesto palesemente ridicolo
prima di chiedergli di uscire insieme.
«Come mai questa decisione di venire alla festa di paese
insieme?», glielo domandò quando stavano
già
danzando e le loro dita era intrecciate con la naturalezza di cui solo
Loïc serbava il ricordo.
Prima dell’arrivo di Emma Swan, la staticità della
città dettata dalla maledizione gli aveva impedito di
avvicinarsi a Séline più di quanto desiderasse,
imbrigliato dalla magia che era stata gettata su di loro a renderli
quasi immobili nel tempo. Ma dalle otto di sera del giorno in cui il
nuovo sceriffo aveva preso la decisione di rimanere a Storybooke, era
cambiata la dinamica del loro rapporto – finalmente, si era
evoluta. Si era ritrovato a ghignare tra sé e sé,
ritrovando piccoli dettagli di quanto aveva già vissuto
secoli
prima, quando aveva corteggiato a suo modo Sigyn – o forse
era
lei ad averlo sedotto? Non avrebbe saputo dire con esattezza.
«Ne avevo semplicemente voglia» replicò
la donna senza modificare la propria espressione facciale.
L’illuminazione dello spiazzo sul quale le varie coppie
danzavano
era soffusa, gettata in caldi raggi da luci arrampicanti che si
inerpicavano sui pali e rimanevano sospesi in aria tra un estremo
all’altro, riempiendo la notte di lucciole artificiali a
coronare
i presenti come regine e re. Nel calore di una serata primaverile,
Loïc ricordava un’altra sera molto simile a quella
in cui
aveva deciso di vincere l’amore di Sigyn per le zone grigi,
domandandole la mano con la sua strafottenza abituale – quasi
pretendendola, perché già conosceva la risposta e
adorava
osservarla con i lineamenti lievemente tirati per
l’irritazione.
«Ricorderò male, eppure mi pareva che tu
apprezzassi
maggiormente i sotterfugi e gli appuntamenti clandestini, lontano dagli
occhi» replicò Loïc tirando le labbra in
un ghigno
divertito. Come quando vivevano ad Asgard, anche lì
Sigyn si era rifugiata nelle ombre delle notti, negli angoli
disabitati e nei locali in cui la penombra rendeva i volti di tutti
irriconoscibili per assaporare la nuova svolta alla loro relazione. E
come in passato, nemmeno in questa nuova occasione lui si era lamentato
della sua decisione, l’aveva assecondata –
d’altronde, la soddisfazione effimera di essere riuscito a
riaffondare le dita tra i suoi capelli, ritornare a baciare la sua
pelle, riscoprire i suoi sospiri e gli sguardi dedicati unicamente a
lui, era ancora vivida, poteva abbeverarsene per un po’ prima
di
sentire la gola ardere da nuova sete.
«Non ho interesse delle chiacchiere di paese» disse
Séline, alzando lievemente le spalle – la sola
idea di
essere al centro dei mormorii della cittadina le provocava nelle
viscere un'alterazione sottile, di quelle capaci di far sorgere alla
mente brutali scenari di sangue e morte, nonostante la consapevolezza
della loro futilità. «È per
Henry», aggiunse,
decidendo di fidarsi di lui come aveva sempre fatto, senza comprendere
bene per quale ragione avvertisse tale sicurezza nei suoi riguardi.
«Il figlio del sindaco?»
«Il figlio del nuovo sceriffo» lo corresse in
automatico la
donna. Non era mai voluta entrare nel vivo della discussione su con chi
sarebbe dovuto crescere Henry, la posizione che si era ritagliata in
quella faccenda era la più neutrale possibile.
D’altronde
non era decisamente affare suo, e riteneva che mettersi tra Emma Swan e
Regina Mills fosse più controproducente che altro
–
nessuno delle due avrebbe anche solo finto di prestare ascolto a sue
eventuali parole, tutt’altro, quindi non vedeva
perché
perdere tempo. Tuttavia, se glielo avessero irrealisticamente
domandato,
avrebbe risposto che secondo lei sarebbe dovuto vivere con entrambe
– d’altronde Henry aveva cercato Emma, dunque
doveva essere
decisamente fondamentale per lui averla attorno e non poteva essere
sottovalutato tale desiderio. «Lui crede la città
vittima
di una maledizione, e che ognuno di noi non sia di questo mondo ma di
altri. Emma sta cercando di seguire il suggerimento del dottor Hopper,
metterlo davanti all’evidenza dei fatti che non sia
così,
quindi mi ha chiesto di domandarti di venire alla festa.»
Ridacchiò, seriamente divertito. Séline non
poteva
intuire quale fosse l’origine reale di tale sentimento, ma
Loïc era certo che avesse scrutato in quel ghigno fino a
trovare
molto più di quanto avrebbe potuto afferrare razionalmente.
Non
stava giocando pulito
nemmeno con Séline, ma d’altronde non lo aveva mai
fatto
–
Sigyn lo amava anche per quello, per qualche strana ragione conosciuta
unicamente a lei, e lui non poteva che arrendersi alla sua
capacità di accettare ogni suo difetto con quella
naturalezza
esclusivamente in suo possesso. Dunque non soppesò nemmeno
per
scherzo la possibilità di pronunciare qualche parola circa
la
correttezza dell’ipotesi di Henry, ma si limitò a
porre
una più ovvia domanda dopo una tale dichiarazione:
«Chi
crede che io sia?»
«Loki», non esitò nel rivelarglielo. E
forse
Loïc ebbe troppa immaginazione a scorgere soddisfazione nel
suo
tono, però gli piacque il modo deciso con il quale
scandì
il suo vero nome – e non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno se
avesse dovuto pagarne caro il prezzo, che gli era mancato
incredibilmente udire il proprio nome pronunciato da Sigyn.
«Interessante. E
tu chi saresti,
Séline?» la interrogò, inclinando
lievemente il
capo nella sua direzione, ampliando la linea curava delle sue sottili
labbra in un sogghigno lupesco. Voleva sentirglielo scandire,
desiderava metterla davanti alla possibilità
dell’irrealtà, spingerla anche solo per una
frazione di
secondo a credere in quello scenario impossibile delineato da Henry.
Una parte irragionevole di Loki, quella che non prendeva assolutamente
in ascolto la logica che dichiarava che mai lei si sarebbe potuta
ricordare chi fosse fino a quando Emma Swan non avesse rotto
l’incantesimo, era ferma della decisione di volerla spingere
a
rastrellare i ricordi senza aspettare nessun altro se non loro stessi
–
seguendo il loro,
di tempo.
«Non è questo l’essenziale della serata,
ma
dimostrare a Henry che non sei Loki» replicò nel
bel mezzo
di un volteggio, arrivato all’improvviso.
La melodia suonata dall’orchestra non era sincronizzata con
quella che stava danzando Loïc – e sulla quale stava
sospingendo Séline. Dal suo punto di vista, erano i
musicisti a
non seguire i suoi desideri, dunque gliene importava poco di star
eseguendo i passi di una canzone che aveva ballato per la prima volta
molti secoli prima, una notte al chiaro di luna e tappezzata di
un’infinità di stelle, pianeti e nebulose che
Midgard
poteva unicamente sperare di accarezzare nei suoi sogni - o rubare
clandestinamente dai
telescopi. Eppure, per quando lo scenario fosse più povero,
non
adatto alla magnificenza del principe di Asgard e alla sua sposa,
avvertiva in egual misura le stesse emozioni che soltanto Sigyn aveva
il dono di infondergli. La sua parte migliore, quella che regalava a
lei, erano la ricompensa per ricordargli costantemente di avere il
diritto come tutti di ritagliarsi pezzi di felicità, nel
mare di
insoddisfazione e bramosie rancorose di rivalsa che lo animavano.
«E se lo fossi?»
«Bhè, per Loki non finisce mai bene a quanto ne
so.»
Sempre la risposta pronta, sempre senza paura di pronunciarla.
Ampliò il ghigno nell’osservarla mentre contraeva
lievemente le sopracciglia e nel nero dei suoi occhi si accendeva una
nota di dubbio.
La strinse con più forza, fino a quando non
arrivò a
sfiorare la punta del suo naso con il proprio, guardando direttamente
dentro la sua anima e scavandoci dentro senza che lei potesse correre
ai ripari. Era ardente la voglia di confessarle ogni cosa, ma ancora di
più bramava vederla cadere davanti alla consapevolezza che
riaffiorava da sola. Per poterla sorreggere.
«Dipende da chi racconta la storia,
Sèline», glielo
mormorò all’orecchio mentre arrestava il passo. La
musica
continuava, ma quella su cui si erano destreggiati loro due soli era
giunta al termine e ora rimanevano unicamente dita intrecciate e corpi
abbracciati. «Dimmi chi crede che tu sia. Voglio saperlo»,
continuò tornando a depositare le proprie iridi verdi su di
lei.
«Anzi, lo so già. Devi solo dirlo tu, ad alta
voce.»
Contrasse i muscoli degli occhi per via di uno spasmo improvvisto alle
tempie. Non era una semplice emicrania fulminante, giunta come un lampo
a rovinarle la serata; era come se vi fosse qualcosa che stesse
premendo
da dentro per riemergere e lei dovesse sopportare le vibrazioni di
possenti colpi, finiti a infrangersi contro un’invisibile
resistenza. Soltanto squarci di immagini indistinte le balenarono
davanti gli occhi quando si sforzò di aiutare quel qualcosa
che
desiderava ritornare al proprio posto, ma erano talmente sfuocate e
bagnate di un oceano di luce da impedirle di capire di cosa si
trattasse.
Qualsiasi cosa fosse, tuttavia, aveva la totale certezza che avesse a
che vedere in qualche modo con Loïc. Era una sensazione,
un’intuizione priva di fondamenta logiche, ma con lui era
sempre
stato così – dunque si fidò e
cercò di
mantenere il più possibile tale fastidio per sé,
lasciandolo emergere solo lievemente, quel tanto che la sorpresa le
aveva impedito di sopprimere.
«Perché?»
mormorò appena, provando a comprendere quale fosse la
direzione
nella quale Loïc voleva condurla - o dalla quale, forse, fino
a
quel momento l'aveva solo distolta. La sua reazione alla teoria di
Henry era
stata differente da quanto si aspettasse, e quell’interesse
per
farle sapere chi era per il ragazzino la confondeva – come la
sua
sicurezza nel ritenere di sapere quale fosse la risposta.
E se fosse stato vero?
Se lei fosse stata davvero Sigyn? La sua Sigyn?,
erano queste gli interrogativi che le affollavano la mente. Avrebbe
significato che quell’amore nato per sfida era qualcosa di
completamente diverso da ciò che aveva avuto in mente
all’inizio, o forse non lo aveva mai sottovalutato e
semplicemente compresso in dimensioni minori per paura di essersi messa
in una situazione più grande di lei. Loïc era
pericoloso
d’altronde e lei sarebbe dovuta essere una ligia guardiana
della
legge; eppure anche senza che nessuno glielo avesse domandato, sapeva
già che per lui le avrebbe infrante tutte quante, senza
alcun
senso di colpa – senza esitazione.
Non era di Loïc che aveva paura, ma di sé stessa
– della portata che le sue scelte potevano avere.
«Perché voglio sentirtelo dire,
nient’altro»
cercò di persuaderla con voce roca, abbassandola di qualche
tonalità per renderla più suadente –
melliflua nei
risvolti delle sillabe, rese scivolose per insinuarsi in lei e
allargare le crepe di indecisione che aveva creato. «Stai al
gioco, Séline, è più
divertente.»
Il secondo spasmo di dolore alla testa fu maggiormente prepotente,
tanto da darle le vertigini e indurla istintivamente ad aggrapparsi
più marcatamente all’uomo. Non abbassò
lo sguardo,
tenendolo saldamente incatenato a quello di Loïc nonostante le
venature di sofferenza si fossero ormai ingrossate, tanto da essere
palesemente visibili. Se anche le fosse importato, non sarebbe riuscita
a vedere altro all’infuori del suo volto – solo una
nebbia
a rendere sfuocato il palco, i musicisti intenti ad amare i loro
strumenti, le luci a incorniciare la festa, gli altri stretti nei loro
abiti da sera che improvvisamente le apparivano così poco
adatti
a un ricevimento reale, e anche sui suoi stessi pensieri.
Poi prese un respiro profondo, inspirando quanto più
ossigeno
fresco le fosse possibile – per una, due, tre, quattro volte,
fino a quando solo il cuore rimaneva impostato su un ritmo irregolare e
almeno la mente aveva ripreso il passo come di consueto. Si
staccò da Loïc con decisione, ma senza
brutalità,
semplicemente ricreando la divisione che era consuetudine tenessero
– con la quale le era più semplice pensare
razionalmente,
fingere, quanto meno, di essere in pieno possesso delle redini degli
eventi.
«È più divertente se non ti
ubbidisco»,
sorrise dicendoglielo come solo Séline era solita fare
quando si
rivolgeva a lui – una delicatezza costruita su misura, mista
a
una nota di malizia e sfida. Poi, senza aggiungere altro, si
voltò e sparì oltre gli altri danzatori non
concedendo
repliche o ulteriori parole – e una parte di lei avrebbe
voluto
che la seguisse, la bloccasse e costringesse a tornare a ballare.
Sapeva non sarebbe mai accaduto, non era nello stile di Loïc.
Vide solo di sfuggita le sagome di Emma e Henry, ma non aveva alcuna
voglia di fermarsi a parlare. Finse di non vedere i loro saluti,
sgusciando tra la folla con semplicità felina e i residui
del
mal di testa ad accompagnarla.
Per Emma non c’erano dubbi: qualsiasi cosa avesse indotto
improvvisamente Séline a lasciare la festa, era
responsabilità di Loïc. L’uomo non le
piaceva
particolarmente, nonostante i modi da galantuomo, la voce perennemente
controllata, l’aspetto attraente e oltremodo curata,
perché sotto tutto quello vi era una perenne aria di
ambiguità e arroganza alterigia.
«Cosa le hai fatto?», Emma non si perse in mezze
parole.
Gli si piantò davanti con sguardo torvo, irritata dal
sorriso
cordiale con la quale l’accolse come se non ci fosse nulla di
rilevante di cui parlare, solo ovvietà e pure molto banali.
Non
servivano i completi eleganti, si sarebbe potuto vestire con qualunque
indumento e avrebbe sempre prodotto il medesimo effetto di
nobiltà raffinata, condita dalla sensazione di essere sempre
inferiori a lui - tuttavia Emma non si fidava di lui per un altro
motivo, perché le sue parole erano sempre impresse di
venature
bugiarde a infettare la verità.
«Le ho solo ricordato una cosa. O almeno credo»
rispose
senza rispondere davvero, spostandosi dal centro del palco per
raggiungere il prato sul quale erano state sistemate alcune panchine,
tavoli e banconi dove prendere da mangiare. L’odore della
cucina
casalinga si espandeva nell’aria, aleggiando sopra tutti e
mischiandosi alle note della musica, rendendo l’atmosfera
quanto
di più lontano da quel che ricordava essere la vita a
Frohheimr[3].
«Ah, davvero? E che cosa?» chiese curioso Henry,
senza
remore nell’essere tanto schietto – e poca
importanza diede
allo sguardo torvo che sua madre gli lanciò.
Si limitò a sorridere in un primo momento, poi Loïc
stropicciò i capelli del ragazzino prima di voltarsi di tre
quarti, annunciando la sua uscita di scena, senza però
togliersi
la soddisfazione dell’ultima parola. «Sei un
bambino
sveglio, Henry, ma bisogna anche essere furbi oltre che intelligenti,
altrimenti si rischia di mettersi nei guai», una lezione che
Loïc aveva subito molte
volte e imparato di rado.
»
Continua
M A N I A’ s W O R D S
Puntuale? Ebbene sì - speriamo che ora non torni l'inverno
per ciò.
Prima di tutto le note, così ce le leviamo di torto e poi
parto a sproloquiare:
[1]
• L'idea che a Sigyn
venga strappata la lingua come ritorsione contro Loki, non è
propriamente mia. L'ho presa da una delle storie dei fumetti Marvel,
molto ma molto marginale, perché era autoconclusiva in pochi
numeri e appena accennata come cosa. Comunque, viene da lì,
e io
l'ho giusto ripresa e riadattata - che poi comunque è
un'idea
ripresa dalla mitologia, quando a Loki vengono cucite le labbra per
impedirgli di mentire ancora, mavvabbé.
[2]
• Sono andata a
spulciarmi le festività nordiche (se siete curiosi, potete
leggervele QUI) e alla fine ho scelto quella
del 22 aprile per far
cadere la festa della città di Storybrooke, in concomitanza
con
quella del Giorno di Yggdrasill
(l'Albero del Mondo). L'ho scelta perché mi pareva la
più
appropriata, essendo dedicata alla rinascita e alla celebrazione del
ripetersi del ciclo vitale, volendo in un certo modo riprendere
indirettamente il fatto che le anime di Loki e Sigyn continuano a
ritrovarsi in ogni loro esistenza.
[3]
• È il nome del palazzo di Odino.
Ora il resto.
Prima di tutto ci tengo a precisare una cosa.
Uso sì come caratterizzazione di Sigyn la stessa delle altre
mie
storie, tuttavia non vanno considerate queste come "passato" di Sigyn e
Loki in modo ferreo. Essendo un crossover ho dovuto cambiare varie cose
- cose che scoprirete se riesco a scrivere la vera e propria long! -;
qui per esempio si sposano molto prima, quando sono ancora "giovani" e
le vicende del film di Thor sono estremamente lontane - lontanissime.
Infatti il Loki che va a trattare con Tremotino è un Loki
"adolescente" - come lo può essere un dio -, mentre a
Storybrooke, essendo passati giusto qualche secolo tra quando stringe
l'accordo e la maledizione (secolo che va calcolato anche
perché
immagino che il tempo che scorre tra la Foresta Incantata e Asgard
abbia una cadenza diversa, come sull'Isola Che Non C'È),
è il Loki adulto che conosciamo.
Credo di essermi un po' incasinata a spiegare questa parte, spero non
troppo, nel caso chiedetemi delucidazioni!
Come ho anticipato sulla mia pagina Facebook, settimana prossima dovrei
finalmente aggiornare « Cuore di Sale » - se ancora
qualcuno poi la segue, chissà. Nel caso qualcuno fosse
interessato, sempre su Facebook trova una piccola ancitipazione. Vi lascio il link
alla pagina, se volete farci un giro: Mania
FB.
Non mi rimane che ringraziare tantissimo chi ha letto il primo capitolo
e inserito tra le preferite/seguite/ricordate, come sempre poi un
ringraziamento in particolare a chi l'ha recensito: ovvero AlessiaOUAT96 e Yoan Seiyryu♥
Grazie di cuore!
Alla prossima,
Mania
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Capitolo 3 *** CAP O3 | Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ***
SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI
▬
C A P I T O
L O 0 3 ▬
“ Se non ci sarà
abbastanza tempo per noi,
lo ruberò
alle vite degli altri
„
» CAP O3 || Non importa
tra quanto tempo, ci ritroveremo
La
prigione era esattamente come quella che ci si sarebbe immaginati se
gli
avessero chiesto di pensare alle segrete di un castello. Scarsamente
illuminata, per rendere ad effetto la comparsa del prigioniero, posta
alla fine di un lungo corridoio umido sulle cui pareti non vi erano
torce lasciate accese, e pietra intrisa di muffa e bagnata per via
della temperatura del sottosuolo, a incorniciare ancora più
magistralmente il cliché del quadro generale.
Tremotino non se ne lamentava, comunque. Era esattamente dove voleva
stare, senza che nessuno lo sapesse, se non Regina, la Regina Cattiva
per la precisione – la stessa donna vestita di nero che gli
era
di fronte in quel preciso momento a stringere un altro accordo con lui.
La cosa più divertente dell’essere il Signore
Oscuro era
che nessuno imparava mai la lezione: la magia aveva sempre un prezzo,
eppure tutti lo pagavano senza pensarci grandemente. E proprio puntando
sulla debolezza umana, Tremotino aveva architettato il proprio piano
– e tutti erano sue pedine, solo che non lo sapevano.
«Altre condizioni?» domandò la donna,
increspando le labbra scarlatte in un sorriso malevolo.
«Sì, dovrai portare due persone per me, dove
andremo» rispose Tremotino. Avrebbe seriamente fatto a meno
della
sposina petulante, ma se non l’avesse condotta con loro
avrebbe
avuto un enorme problema del quale occuparsi – e non gli
occorreva un problema, ma un alleato. La magia del principe di Asgard
era potente, diversa da quella del loro mondo, e avrebbe resistito
all’incantesimo lanciato da Regina forse – forse,
avrebbe
persino mantenuto le memorie almeno lui, protetto da un potere tanto
forte.
«Come mai?»
«Perché lui non ha finito di pagarmi,
riscuoterò
nel mondo in cui ci porterai, e se non porto anche lei sarebbe un guaio
per tutti quanti. Anche per te» rispose ridacchiando il
Signore
Oscuro, divertito – perché era divertente almeno
immaginarsi come Loki avrebbe potuto vendicarsi se lo avessero separato
da Sigyn.
«Accordato. Come li trovo?»
«Ti servirà una gazza[1].»
Erano gracchi quelli che riempivano la mattinata plumbea, di corvi e
cornacchie in attesa dell’imminente pioggia. Il Signor Gold
li
osservò appollaiarsi sui rami e le grondaie, una smorfia
simile
a un sorriso gli si dipinse sul volto ricordando le gazze che inviava
ad Asgard, per comunicare con il giovane principe della
città
più splendente dei Nove Regni.
«La tua bella Séline ha sempre un brutto carattere
anche
in questo mondo» asserì interrompendo il silenzio
consueto
con cui lavoravano nel negozio di pegni – e antiquariato. Il
futile tentativo di Loïc proteso a riportare a galla i ricordi
di
Sigyn nella mente della giovane agente non avevano ovviamente portato
all’effetto sperato, anche se Gold doveva dirsi decisamente
stupito di come una parte delle sue memorie fossero riemerse in sogni
che la stavano tormentando, concedendole poche ore di sonno. Pareva
qualcosa di simile a ciò che era avvenuto con il precedente,
e
alquanto sfortunato, sceriffo Graham, anche se non con lo stesso
impatto. A quanto sembrava l’influsso della magia di Loki,
latente e non cancellata come quella di tutti gli altri –
compresa la propria –, era sufficiente ad affievolire
l’effetto della maledizione su Séline.
Ciò
implicava che i suoi calcoli riguardo la natura dei poteri magici della
del Dio del Caos erano corretti, e li avrebbe potuti usare per andare a
cercare suo figlio non appena Emma Swan avesse compiuto il suo destino.
«Alla fine aveva ragione su di voi» si
limitò ad
asserire laconico Loïc. Non aveva alcun bisogno di specificare
riguardo a cosa, gli bastò sorridere con soddisfazione
mentre
continuava a riordinare le carte contabili. Lady Sigyn aveva sempre
posseduto la particolare qualità dell’osservazione
accurata, lei le persone le sviscerava con uno sguardo, le comprendeva
– e proprio per tale ragione era assurdo credere che
l’avesse in qualche modo costretta a compiere
alcunché per
lui, al massimo era il contrario. E così aveva fatto anche
sull’Oscuro Signore, senza preoccuparsi di tenere a freno la
lingua e con la stessa aria delicata con la quale si ammantava
perpetuamente.
La sua anima avulsa dallo scivolare nello sfacelo delle grandi
passioni, la rendeva una creatura particolare, lontana dal mondo
– una scrutatrice che aveva scelto di passeggiare su quelle
terre
unicamente per lui. Era questa sua distanza a renderla particolarmente
irritante quando si prodigava nelle sue conclusioni che nessuno le
aveva domandato, ed era ad esse che si riferiva Loïc.
Con gli anni, anche senza volerlo, alla fine il rapporto tra lui e Gold
era diventato persino confidenziale in alcuni casi, dunque conosceva
ora il nome dell’unica donna che aveva amato con quel che
rimaneva del suo cuore. E proprio perché comprendevano a
vicenda
cosa significasse avere al proprio fianco una persona dotata della
capacità di accettare ogni sfaccettatura del proprio animo,
nessuno dei due si era mai permesso di spendere troppe parole al
riguardo. Tuttavia, da quel che aveva osato raccontare Gold, Loki si
riteneva particolarmente fortunato ad avere con sé non solo
una
persona non solo abile nel sviscerare i suoi più reconditi
pensieri, emozioni e menzogne, ma che non provava il minimo desiderio
di renderlo migliore – d’altronde, il concetto di
migliore
dipendeva sempre dal punto di vista, e per Sigyn erano gli altri a non
essere alla loro altezza.
Era il suono sordo del bastone sul pavimento impolverato ad annunciare
i passi di Gold, i quali risultavano comunque incredibilmente fermi
nonostante la gamba non fosse quella di un giovane. La forza
carismatica dell’uomo rendeva del tutto irrilevanti i suoi
limiti
fisici; era uno dei motivi per cui Loïc stimava, ovviamente in
un
modo tutto suo, lo stregone. C’era qualcosa di
incredibilmente
simile nei loro animi, una ricerca perpetua per ottenere i propri
scopi, altro potere, e un’insoddisfazione incapace di sedarsi
anche al fianco dell’amore.
Perché l’amore non bastava, non a tutti. Non si
poteva
essere felici senza, ma nemmeno realizzati unicamente possedendolo, era
un rompicapo insolubile e loro ci si muovevano dentro causando caos,
giocando con le vite degli altri unicamente per prendere quanto
più possibile di ogni cosa, nel disperato tentativo di
trovare
almeno un po’ di pace prima di ricominciare a seminare
distruzione.
«Tra poco la maledizione sarà spezzata, si
ricorderà di voi. Quando avrò trovato mio figlio,
potrete
andarvene», la sentiva la forza di
quell’incantesimo che
aveva confezionato appositamente per essere lanciato da Regina, farsi
sempre più debole. Anche se non possedeva i suoi poteri
magici,
avvertiva il tremito di essa esattamente come quando Loïc
provava
a evocare i propri poteri – era una questione di
sensibilità, di affinità alla magia stessa.
«Non c’è fretta. Questo è un
mondo
interessante» asserì Loïc alzando le sue
iridi feline
dalla documentazione che stava riesaminando – la precisione
era
una delle sue poche qualità, nessun dettaglio era trascurato
e
proprio per tale ragione era un’eccellente collaboratore. Uno
dei
motivi che in un certo senso rendevano dispiaciuto Gold
all’idea
di perdere un alleato di tale calibro, e anche la sua graziosa sposa
– poteva pure essere avvezza a commenti poco opportuni, ma le
sue
capacità strategiche, forza e abilità erano
indiscutibili.
«La tua magia funzionerà meglio della mia non
appena la faremo tornare.»
«Per questo mi avete voluto qui.»
Non proprio una notizia, ma era la prima volta da molto tempo che Gold
affrontava l’argomento. Tale circostanza faceva supporre a
Loïc che fosse veramente vicino il momento in cui la
maledizione
sarebbe stata infranta, e scorgeva nello sguardo inaccessibile di Gold
un luccichio che conosceva perfettamente, era quello che aveva lui
stesso quando stava architettando qualcosa che stava per compiersi.
Dunque, fu per questo che non si disse sorpreso davanti alla successiva
affermazione di Tremotino: «In ventotto anni nessuno
è
venuto a cercarti, non credo che una tua permanenza più
lunga
fuori casa li scombussolerà troppo.»
Loïc rise, come non rideva da moltissimo tempo. Se lo sarebbe
dovuto aspettare dall’Oscuro una mossa del genere, un
tentativo
di manipolarlo usando la scarsa considerazione che la sua famiglia
aveva di lui, per trattenerlo lì, a Storybrooke, dove
avrebbe
potuto usufruire di una magia che nessuno conosceva e poteva sperare di
contrastare.
«Casa. Sigyn
è la mia casa. Il resto è solo un gioco che non voglio perdere»
replicò quando le risa gli morirono sinistramente in gola,
in un
suono aspro e cupo. «Comunque, conoscendo Odino e mio
fratello,
temo che ci abbiano provato a cercarmi, ma questa maledizione
è
potente, ha schermato la vista di chiunque.»
«La cosa sembra compiacerti» osservò
Gold. Aveva il
sospetto che in qualche modo, la sua collaborazione con Loki non
sarebbe terminata definitivamente nemmeno quando il pagamento sarebbe
stato ultimato; semplicemente, la volta successiva avrebbero trattato
in modo diverso – uno scambio di favori che avrebbe potuto
avere
ripercussioni più forti del ritrovare un figlio o ridare la
parola alla donna amata. Ed era ciò, invece, a divertire
Tremotino.
«Da morto, ho sicuramente più
possibilità» si
limitò a rispondere prima di ritornare a concentrarsi sulle
carte di fronte a sé.
Non che gli desse chissà quale soddisfazione sistemare la
contabilità di Gold, come non gliene dava aiutarlo a
riscuotere
chi non pagava in tempo o assicurarsi che il tutto avvenisse nel
più discreto dei modi – per quanto ovviamente
fossero
quanto meno attività più interessanti di una
montagna di
scartoffie –, tuttavia Loïc era il tipo di persona
incapace
di sopportare anche solo una piega fuori posto. La perfezione era una
forma di eleganza, e Loïc non faticava a vestire i panni del
gentiluomo distinto solo per rendere più contrastante
l’impressione esteriore con la sua natura.
Era avvenuto mentre stava riordinando cartelle e documenti, dopo che
aveva visto Gold allontanarsi insieme alla donna che aveva chiamato
Belle, come colei che credeva morta decenni prima. Gli era scappato un
sorriso osservando la scena da un angolo del negozio, senza interferire
minimamente o ricordare a qualcuno della propria presenza. Era stata
una bella riunione, anche se lei ancora non ricordava chi fosse
l’uomo che le stava di fronte; e a discapito di quanto la
maggior
parte delle persone ritiene, anche il cuore di chi viene definito come
essere privo dello stesso, poteva provare emozioni forti
nell’assistere a qualcosa di meraviglioso.
Dunque era rimasto in negozio, anche se sarebbe dovuto andare con Gold
per riportare la magia a Storybooke, perché lo trovava
sconveniente e probabilmente l’altro lo avrebbe ucciso nel
caso
si fosse voluto unire, per interpretare il ruolo del terzo incomodo. Ed
era stato un bene che in quella giornata nella quale Gold gli aveva
annunciato che la maledizione si sarebbe spezzata, con tono pregno di
soddisfazione, che se ne fosse rimasto a stazionare tra oggetti
provenienti da chissà quanti mondi, tutti con storie cariche
di
importanze diverse e collegate tra loro per quel che avevano
significato per i proprietari.
Era entrata portandosi una folata di vento con sé, feroce
come
il suo sguardo. Il tintinnio dei campanelli era apparso come i
rintocchi di una campana da quanto aveva sbattuto veementemente la
porta, facendogli levare il capo con le sopracciglia alzate in
un’espressione interrogativa per il fracasso improvviso e il
sollevamento di qualche foglio per via della corrente creata dal nulla.
«Tu
ti ricordavi»,
la sua voce era a metà tra il rimprovero veemente, lacrime
trattenute a stento con la forza dell’orgoglio e una
scintillante
gioia, talmente tanto esasperante da sentirla pesarle addosso, su ogni
poro della propria pelle e dell’anima. «Da quanto
tempo lo sai?
Da quanto tempo ti sei preso gioco di
me?»
I preamboli non erano adatti a Sigyn, non se n’era nemmeno
aspettati. Quel grumo di emozioni che le affollavano voce e volto,
tuttavia rendevano difficile a Loïc scegliere il comportamento
da
tenere in quella circostanza – era diviso tra scoppiare a
ridere
per il risultato estremamente buffo delle sue contrazioni facciali,
parlare seriamente della situazione e cominciare immediatamente a
recuperare il tempo perduto. Aveva la netta sensazione che nel caso
avesse scelto la prima e l’ultima soluzione,
Séline
avrebbe afferrato una delle spade a disposizione in negozio per
infilzarlo senza eccessivi problemi, quindi sfoderò il suo
sorriso più smagliante, dalle sfaccettature baldanzose e
maliziose, superando il bancone per portarsi di fronte a lei.
«Non mi sono mai preso gioco di te. Hai sempre pensato che
Henry
fosse pazzo, perché avresti fatto un’eccezione per
me?»
Lo schiaffo che ricevette non era particolarmente doloroso,
semplicemente fu inaspettato. Era così raro vedere Sigyn
perdere
il controllo sulle proprie emozioni, uno spettacolo ogni volta
differente e che lo aveva affascinato incredibilmente – la
rarità di quelle increspature sull’acqua del suo
spirito
immacolato, avevano la forza di catturare completamente la sua
attenzione. Il suo animo costruito di oceani placidi, contenenti mille
e più segreti, non conosceva burrasche durature e tanto meno
frequenti, ma quando esse si dibattevano in lei, avevano la
maestosità delle forze della natura più spietata.
«Ti avrei creduto. Dopo la festa, ti avrei creduto»
sibilò, modulando la propria voce in un sussurro appena
udibile,
andandogli maggiormente vicino per incollargli occhi accusatori
addosso. Era l’essere tenuta al nascosto di tutto per quasi
trent’anni a renderla furiosa, l’essere per una
volta
vittima inconsapevole
delle
cospirazioni di Loki senza ricordarsene – perché
lui
glielo aveva detto prima che la maledizione venisse lanciata, ma
ovviamente non aveva potuto tenerle con sé le sue parole di
conforto su come si sarebbe preso cura di lei nonostante tutto. Era
soprattutto il dolore di non aver saputo quanto profondamente lo amava
– e quanto lui amasse lei – per quel lasso di tempo
a
ferirla, quella divisione che li aveva tenuti separati nonostante la
vicinanza, a renderla furiosa.
«Quello non è credere, Sigyn, quello è
intuire ed
avere una conferma» glielo disse con calma, massaggiandosi la
guancia con espressione divertita – e rasserenata,
perché
doveva ammetterlo, era una soddisfazione vibrante quella di riavere
Sigyn con sé completamente.
«Anche prima ti avrei creduto, lo sai. Ho sempre avuto fede in te»,
le parole di Séline questa volta vennero pronunciate
mozzate,
con sillabe perse e imprecise nella loro delineazione per via del bacio
con il quale si era aggrappata alle labbra di Loïc. Non aveva
dovuto aspettare nemmeno un attimo per avvertire le braccia
dell’uomo stringersi attorno alla propria vita, fino a
scorrere
lungo le cosce e sollevarla per appoggiarla sul bancone, mentre
ricambiava con passione il bacio – le mordeva le labbra, con
forza, per sentirne a fondo il sapore, e le guidava i movimenti per
avere la massima consapevolezza della sua totale presenza lì
in
quel momento, sentendola dentro di sé con quanta
più
prepotenza potesse disporre. Fino a far male, fino a non poter
desiderare altro che quel dolore condiviso perché sapeva di
piacere.
«Ma i miei piani non ti prevedevano con la memoria intonsa, mia devota sposa»
lo sospirò al suo orecchio, prima di scendere a baciarle il
collo, mordendo la pelle candida e slacciando la camicetta. Sentiva la
presa delle gambe di lei salde attorno alla propria vita, e la stessa
voracità con la quale la desiderava essere presente anche in
Sigyn stessa. Non si preoccupò nemmeno di aver lasciato la
porta
aperta, di chi e quando sarebbe potuto entrare, perché era
solo
lei a occupargli la mente – ogni suo respiro che si
infrangeva
sulle sue labbra, ogni carezza con la quale lo toccava, ogni graffio
che gli procurava tenendosi alle sue spalle per seguire il ritmo delle
spinte, ogni mezza parola con la quale lo cercava maggiormente.
Le spostava i capelli ogni volta che le ricadevano davanti al volto,
con poca grazia, tirandoglieli e spezzandone alcuni. Non poteva
permettere nemmeno alla bellezza della sua chioma di luce solida di
impedirgli la vista delle iridi di Sigyn, non in quel momento in cui
fare l’amore con lei era l’unico modo per
riscoprirla
completamente e sedare una sete che aveva tenuto sotto controllo
lungamente.
«Sono stati ventotto anni lunghi, ma comunque trascorsi
assieme,
non avercela troppo con me», le prese il volto tra le mani
per
chiederglielo, rimanendo avvinghiato a lei nonostante entrambi avessero
raggiunto l’orgasmo, incapaci di staccarsi troppo velocemente
– quasi per paura di perdersi nuovamente.
Nel sorriso morbido di Séline rivide pienamente Sigyn, e
seppe
che non c’era più rabbia o irritazione. Le dita
sottili
della donna continuavano a delineargli i contorni del volto, rimanendo
imbrigliate nell’ebano dei capelli lisci quando vi
affondavano
dentro. Le guance arrossate, il sudore a renderle lucida la pelle e il
petto a sollevarsi irregolarmente la rendevano maggiormente splendida
agli occhi di Loïc, una vera dea – inarrivabile per
chiunque
altro.
Increspò le labbra in una piega indecifrabile, osservando
come
anche in quel mondo Loki continuasse a possedere l’inusuale
capacità di rivestirsi rapidamente, egregiamente e senza il
segno di una piega fuori posto sui propri abiti o sul suo volto. Era
qualcosa che Sigyn aveva sempre invidiato, forse perché i
suoi
capelli rimanevano inspiegabilmente ricoperti di nodi, ogni suo
indumento spiegazzato a rendere palese quanto accaduto nel recente
passato. Un dettaglio che amava e che era felice di ritrovare.
«Suppongo che nonostante tutto, ci sia ancora qualcosa in
sospeso
con Tremotino» asserì rimettendosi la camicia
all’interno dei pantaloni, prima di raccogliere la giacca.
Non ne
era particolarmente certa, ma aveva la netta sensazione che le cose
stessero in quel modo e le sue intuizioni su Loki erano sempre state
corrette – la sua abilità innata di comprenderlo,
di
sviscerare ogni suo più recondito pensiero era un dono che
l’aveva spinta ad avvicinarsi a lui, comprenderlo e amarlo.
«Il mio debito non è ancora estinto. E poi
è
divertente, il caos che crea Tremotino è di mio
gradimento», arricciò le labbra in un ghigno
insano, uno
di quelli che avrebbero provocato brividi a chiunque avesse un briciolo
di istinto di autoconservazione – dunque non a Sigyn.
«Non vuoi tornare ad Asgard?» chiese semplicemente,
non
perché le mancasse tale posto, semplicemente per capire
quali
piani stessero frullando nella mente del proprio sposo. Non le
importava di ritornare nel luogo in cui era nata, non provava alcuna
nostalgia per esso, a lei bastava poter rimanere accanto a Loki per
tutta la durata della sua esistenza – il resto era contorno
dispensabile. Una richiesta che avrebbe realizzato da sola,
distruggendo chiunque avesse provato a impedire tale circostanza.
«Per il momento, no, e anche volendo non abbiamo un portale.
Non
ancora», le diede un bacio sulla fronte prima di allontanarsi
per
controllare fuori l’improvvisa fuga della luce –
un’oscurità insana stava calando precipitosamente
su
Storybrook. La nuvola viola che invadeva la città poteva
avere
una sola origine e il ghigno di Loki divenne più amplio sul
suo
volto – un taglio di un coltello, affilato. Stava diventando
tutto sempre maggiormente divertente, su questo non c’erano
dubbi
e lui adorava le partite complicate.
Avvertì le dita di Sigyn insinuarsi tra le proprie,
stringendogli la mano per poi appoggiarsi sul suo fianco. Non chiese
nulla riguardo all’insolita nebbia colorata che invadeva le
strade della cittadina – parve comprenderlo senza alcuna
spiegazione ciò che era appena stato risvegliato, percependo
le
vibrazioni differenti nell’aria.
Il gelo era ovunque, era quel mondo. L’aria era ghiaccio,
così come la terra, l’acqua, le rocce, il
paesaggio tutto
– il bianco della neve avvolgeva ogni cosa, rendendola
candida
nonostante la natura insidiosa, melliflua, dei suoi pericoli nascosti
sotto la coltre. I raggi del sole si infrangevano nei fiocchi di neve e
sulle superfici di acqua solida, rendendo maggiormente luminoso
l’ambiente, creando un’illusione di chiarore
amplificato
che si ripercuoteva in un cielo il cui azzurro era una lama negli
occhi.
Lame che a Sigyn non arrecavano alcun fastidio, perché per
lei
non vi era colore più intenso dello smeraldo degli occhi del
marito. Respirò a fondo, inspirando spilli di gelo,
gustandosi
il clima dalle rigidissime temperature come da molto tempo non poteva
fare per suo dispiacere.
«Non siamo ad Asgard», era una costatazione
estremamente
ovvia, senza supporto di chissà quale quantità di
sorpresa. Ma quel mondo non lo conosceva, mai prima d’allora
vi
aveva messo piede, e di terre crepate dal ghiaccio ve ne erano troppe
sparse per i Nove Regni per poter giocare a indovinare quale essa fosse.
«Ovviamente no, non ancora. Avevo intenzione di fare un
viaggio per l’anniversario del nostro matrimonio, e Arendelle è una meta
turistica affascinante – come i suoi abitanti»
rispose all’implicita domanda. Loki le teneva un braccio
stretto
attorno al fianco, osservandola di soppiatto riempirsi della grandezza
- l’immensità delle pianure ghiacciate si
riversava nelle
sue iridi di ambra nera.
«Ho la sensazione che non sia puro piacere»
ridacchiò Sigyn.
«Sappiamo entrambi che per noi il piacere ha variopinte
sfumature» chiosò Loki, cominciando a incamminarsi
verso
la sua meta – una cittadella arroccata vicino al mare,
imprigionata in una morsa d’inverno che pareva averla
paralizzata
completamente, ma Sigyn era troppo distante per poter capire quale
natura avesse quello strano immobilismo di cui aveva sentore.
«Cerchiamo di non trascurarne alcuna, allora.»
» Fine (?)
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed è finita. Ovvero è finito il preambolo,
perché
come avete capito dalla fine, Loki se ne è andato ad
Arendelle a
combinare qualche casino del suo – e dato che
l’intento era
quello di scrivere poi la quarta stagione di «Once Upon a
Time», mi pare ovvio che una visitina ad Anna ed Elsa fosse
d’obbligo...
Non so quando giungerà la long vera e propria,
perché
devo ancora finire di elaborarla e poi mettermi a scriverla, quindi
probabilmente ci impiegherò un po' - anche perché
vorrei prima vedere come finisce la quarta stagione. Abbiate pazienza,
tanto se state sintonizzati sulla mia pagina FB (→ Mania
FB),
lo dirò quando sarò quasi pronta!
Comunque, chiarimenti: la maledizione si è spezzata nello
stesso
modo in cui si era spezzata nello show, non ho mai avuto pretese di
cambiare questa parte, ma parti successive. Loki si ricorda chi
è non perché Regina alla fine abbia fatto in modo
che così
fosse, mentre lanciava l’incantesimo, ma perché la
magia di
Loki è diversa e opposta a quella da lei usata, in modo da
contrastarne gli effetti - non abbastanza da contrastare anche gli
effetti su Sigyn, su cui comunque gli effetti sono stati indeboliti.
Inoltre, come e quando Loki e Sigyn lasciano Storybrooke, e tutte le
cose lasciate in sospeso, verranno ovviamente riprese e spiegate nella
long - che almeno è in fase di elaborazione, eh, mi sto
facendo tutti gli schemini di quel che deve capitare, quindi
è un progetto che sto concretamente cercando di portare
avanti, nonostante il tempo che scarseggia!
La nota:
[1] → Nei fumetti Marvel, quando Loki torna bambino
–
diciamo così per semplificare, che è
più
incasinato in realtà –, è accompagnato
da una gazza
che altro non è se non lo spirito di Loki Vecchio
– sempre
per semplificare. Per questo ho usato la gazza come animale per
comunicare con lui.
Comunque spero che questa specie di anticipazione vi sia piaciuta!
Avrei voluto rileggere di più, ma ero già
terribilmente in ritardo con l'aggiornamento e se mi fossi persa via
nel controllare come un'ossessa il capitolo, ventimila volte come
faccio di solito, dubito che l'avrei mai pubblicato. Perdonate se sono
tanto irregolare, ma con la tesi che sto scrivendo e la vita sociale
mai stata così intensa, ho seriamente problemi a stare
dietro in modo costante come vorrei alle storie. Non temete, anche il
capitolo di « Cuore
di Sale », comunque, è quasi pronto,
quindi arriverà senza far passare eoni.
Ringrazio tutti quelli che l’hanno seguita e magari che
decideranno di seguire anche la prossima! Un particolare grazie va a
chi ha recensito - AlessiaOUAT96 e Yoan Seiyryu.
Alla prossima,
Mania
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