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Autore: Mania    02/03/2015    2 recensioni
{ CROSSOVER con Once Upon a Time }
{ Loki/Sigyn + accenni Gold/Belle ● Ambientata a Storybrooke durante la prima stagione di Once Upon a Time }
→ C A P. O 3 || Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ||
«Sappiamo entrambi che per noi il piacere ha variopinte sfumature» chiosò Loki, cominciando a incamminarsi verso la sua meta – una cittadella arroccata vicino al mare, imprigionata in una morsa d’inverno che pareva averla paralizzata completamente, ma Sigyn era troppo distante per poter capire quale natura avesse quello strano immobilismo di cui aveva sentore.
«Cerchiamo di non trascurarne alcuna, allora.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI

C A P I T O L O   O 1 ▬
“ Se non ci sarà abbastanza tempo per noi,
lo ruberò alle vite degli altri






» CAP O1 || Ciò che è andato perduto

Vi erano rari momenti della sua vita in cui gli pareva di vivere in una bolla di sapone. Tutto avveniva, si protraeva all’estremo, sino a spezzarsi, e poi ricominciava nuovamente, in un ciclo privo di fine – come il grande serpente avvolto attorno alla Terra, costretto a mordersi la sua stessa coda in un cerchio, dove conclusione e inizio si confondevano. Il senso di déjà vu arrivava senza preavviso, piombava addosso a Loïc Odilon con la stessa repentina insensatezza con cui i temporali solevano scoppiare d’estate, quando il cielo limpido veniva trafitto da fulmini, d’un tratto. L’unica costante, ciò che accumunava irrazionalmente quegli istanti di luce accecante tra loro, era la morbida presenza – concreta o anche solo di vaghi riferimenti – di Séline Tyler.
«Qualcosa non va, signor Odilon?» domandò con una punta di sarcasmo il suo datore di lavoro, ovvero il poco transigente Signor Gold, richiamandolo alla concentrazione che desideravano avere i documenti della contabilità, aperti davanti a lui.
«Il lavoro è stato già ultimato, non si preoccupi. Merito un attimo di riposo dopo aver riordinato tale quantità di scartoffie» chiosò con il perenne ghigno mellifluo a incurvargli le sottili labbra. Le iridi degli occhi di Loïc erano di un verde particolarmente penetrante, formati da scaglie chiare a balenare in un manto di foglie scure sullo sfondo, rendendo una foresta impenetrabile i propri sguardi. Quindi non c’era da meravigliarsi che le occhiate che si scambiavano lui e il suo datore di lavoro fossero particolarmente criptiche, anche quando sembrava che si stesse parlando di una sciocchezza come l’ordine contabile – ma per due come loro, nulla era quello che appariva.
Il sorriso poco rassicurante del Signor Gold si accentuò di un poco. Il suo socio non era certo una persona semplice da comprendere, i pensieri che attraversavano la sua mente erano contorti e impastati di nodi almeno quanto i propri, eppure, fin dal loro primo incontro, c’era sempre stata un’unica cosa chiara in lui. Non era un merito proprio di Loïc, era un dono che gli era stato concesso – una tregua dalla sua insoddisfazione, dai suoi macchinosi progetti e dai sentimenti rattrappiti. Qualcosa che il Signor Gold conosceva, ma che perseverava a biasimare almeno apparentemente nel giovane collega – un modo indiretto per biasimare se stesso e il risultato osceno al quale le sue scelte da vigliacco lo avevano condotto.
«Riposo, eh? La signorina Tyler non è il tipo di donna che concede riposo ad alcuno, specialmente a un uomo come lei» replicò Gold, prima di infilarsi il soprabito, decretando conclusa la sua permanenza nel negozio, almeno per quella giornata. Rise appena nel ricevere l’occhiata bieca di Loïc Odilon, colma forse di una dose di risentimento eccessivo – ancora perseverava a nutrire rancore per non aver incluso anche la sua innamorata nel patto, che aveva stretto troppi anni addietro con Regina, cosa che Gold trovava divertente in una certa dose. «Intendo dire che vi farebbe penare come non mai anche solo per un invito a prendere un caffè; e credo sia proprio ciò a suscitare il vostro interesse, vero signor Odilon?»
Non rispose Loïc, tornando ad abbassare le straordinariamente verdi iridi sulle carte contabili. Le avrebbe ricontrollate anche dieci volte più del necessario se sarebbe servito ad evitare una discussione su Séline – poteva passare sopra molte cose, ma non su Gold che si permetteva di sciorinare pseudo consigli o conclusioni su loro due. D’altronde, se ora quando passava, Séline vedeva semplicemente in lui Loïc Odilon, era per un vezzo capriccioso e crudele di Gold – e d’altro canto, cosa avrebbe mai potuto aspettarsi dall’Oscuro? Probabilmente – anzi, certamente – lui avrebbe agito nel medesimo modo se si fosse trovato al suo posto. Una via subdola, meschina e odiosa, ma che era l’unica possibile per assicurargli la sua continua collaborazione, fino a quando sarebbe stato necessario.
In fondo, se Loïc quando ancora portava il suo vero nome, non fosse stato tanto orgoglioso da non volersi abbassare a chiedere aiuto al proprio padre e a suo fratello, non si sarebbe trovato in tale situazione. Ma aveva sempre peccato di superbia, il suo ego aveva regole che non potevano essere abbandonate nemmeno per amore e lei non aveva mai posto recriminazioni per tale comportamento – anche per ciò l’aveva sempre considerata l’unica degna, l’unica possibile, l’unica in grado di accettarlo per ogni più infimo peccato. Non l’aveva amata per tali capacità in sé, ma perché la sua anima appariva come la più candida dei Nove Regni, avvolta di una luce abbagliante per nascondere un cuore corroso da una morale rotta, traballante quanto la propria. Un’anima affine. L’altra faccia della propria.
Ancora ricordava quando si era presentato nel castello dell’Oscuro, attraversando per lei mondi e tempo, giungendo fino a quel luogo per molti considerato solo leggenda e mito, ma per lui una possibile via da percorrere e in fondo alla quale trovare ciò che gli era stato sottratto.
Seppur vi fosse una sontuosità indiscutibile nell’arrendamento, nella scelta dell’architettura e altrettanto gusto nel modo con cui abbellire le stanze, una nota di abbandono era presente ad alleggiare tra i corridoi, rimbombando insieme ai passi del visitatore giunti da incredibilmente lontano.
Loki sapeva che la propria presenza era già stata colta dal padrone di casa, non aveva contato in un’entrata scenica per evitare di cominciare burrascosamente con quell’uomo. La sua maestria nell’arte della magia era alta, ma non ancora così sopraffina da poter pensare di competere completamente con l’Oscuro – non ancora, per lo meno, era ancora giovane e aveva tutta l’eternità davanti per pensare a piani che prevedessero conquiste di potere tanto ambiziose. Per il momento, la ragione della sua visita era rivolta al riottenimento di qualcosa che era stato strappato a lei per colpa di lui – e nonostante questo, neppure un’ombra di risentimento si era abbattuto sui lineamenti d’adolescente del suo viso.
Trattenne il sorriso al ricordo delle proteste di Sigyn per non averla condotta con sé – era giovane, una guerriera abile, con la testardaggine orgogliosa pari solo a quella di lui –, calmate unicamente dalla promessa di considerare l’ipotesi di condurla con sé la volta successiva. Le aveva ovviamente mentito riguardo la sua meta, ma questo già lei lo sapeva – ovviamente, come ogni volta.
Respirò a fondo prima di aprire le porte che conducevano alla sala principale del palazzo, osservandosi in giro, con fare lievemente insoddisfatto, per via del caos che regnava sul tavolo e per i mobili. Mancava evidentemente il tocco di una domestica che sapesse come sistemare quel luogo, cosa che rendeva l’ambiente pregno di penombre pesanti, dentro le quali si ammassavano angoli di tenebra, sporco e pericoli.
Percepì la presenza dell’Oscuro ancora prima di udirne la risata risuonare tra le alte mura, serrando le falangi in pugni duri per evitare di esplodere di indignazione per un simile trattamento – e altrettanto dovette fare, stringendo maggiormente la presa, successivamente.
«Un principe di Asgard! Che ci fa qui un principe? Anzi, il minore. In più di un senso, non è vero?», domande divertite e di sbeffeggio, maliziosamente intessute per insinuare verità che l’animo orgoglioso e arrogante di Loki non potevano accettare, architettare appositamente per indispettirlo.
«Potrei ucciderti per la tua insolenza, Tremotino» sibilò gelido, stringendo i denti tanto da sentire scricchiolare i molari.
«No. Non è vero. E se anche potessi, non lo faresti, quindi non prendiamoci in giro con menzogne da poco e dimmi che cosa desideri da me. Più potere, forse? Un’arma migliore di quella di tuo fratello? Conoscenze? Artefatti?», le sue frasi cominciarono a piovergli addosso e la sua presenza si concretizzò accanto a Loki, sorprendendolo in modo impercettibile. Con un ghigno divertito a tendergli gli angoli della bocca, rendendo l’espressione del suo volto da folletto una maschera di ilarità fastidiosa e inappropriata, Tremotino prese a girare attorno a Loki per studiarne la figura, sondarne i poteri e provando a capirne l’anima – impresa ardua anche per lui, perché pareva irraggiungibile il cuore di quel dio, ammantato di risentimenti, insoddisfazioni, seti di poteri e una scia di desideri così ben nascosti da essere indecifrabili.
«Sono tutte cose di cui mi posso occupare da solo» lo liquidò brevemente Loki, rilassando i muscoli per riottenere pienamente l’apparenza di impeccabile eleganza controllata, con la quale amava cospargersi. «Desidero recuperare una cosa perduta, una cosa che appartiene a un’altra persona».
«Ogni cosa ha il suo prezzo, e per stabilirlo mi occorre sapere ogni dettaglio. Chi è questa persona?», incuriosito dall’inaspettata richiesta, l’Oscuro andò a sedersi alla sua poltrona per vagliare più attentamente la situazione che Loki gli stava sottoponendo – un’inaspettata visita che avrebbe forse potuto, se non accelerare vertiginosamente i suoi piani, renderli più rapidi una volta entrati nell’ultima fase.
«La mia promessa sposa, Lady Sigyn.»
Malevolo, il sogghigno di Tremotino si ampliò naturalmente, sospinto dall’affermazione del principe di Asgard. Chiedergli di utilizzare il Bifrost era un prezzo esagerato e impossibile da pretendere, questo l’Oscuro lo sapeva perfettamente, perché nessuno poteva attraversare il Ponte senza che il Padre di Tutto lo sapesse e mai avrebbe concesso permesso affinché proprio lui, un mago del suo calibro e fama maligna, lo utilizzasse per scorazzare indisturbato da un mondo all'altro. Ma Loki aveva abilità che potevano tornargli utile, sia in questo mondo sia nell’altro, abilità che avrebbe utilizzato fino all’ultima goccia per riavere suo figlio. Doveva solo decidere in quale maniera incastrarlo nel suo progetto, poi, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a ottenere la collaborazione se di mezzo vi era il Vero Amore; lezione impartita a Tremotino scontando il più caro dei prezzi – perdendolo per codardia, ottenendo giusto la consapevolezza di ciò che era capace la magia più potente di tutte quante.
Fece comparire due tazze da thé e una teiera, invitando con un gesto Loki a sedersi – avevano molto da discutere e le lancette del pendolo avevano appena scoccato le cinque del pomeriggio.

Quando aveva sentito il rintocco dell’orologio, aveva provato la sgradevole sensazione che esso si fosse in qualche modo protratto in echi muti, fino a giungere nella sua anima – aveva avvertito smottamenti in essa, crepe sulla sua superficie guasta e malandata, ne aveva avvertito le faglie farsi più pressanti, giungendo a una profondità alla quale era stata disabituata dall’assenza di qualcosa che non riusciva a carpire. E in quelle increspature invisibili che avevano creato dentro di lei, Séline, per la fugace durata di un attimo, ebbe l’impressione di scorgere qualcosa dentro se stessa – un ritrovamento importante, una consapevolezza perduta. Tale sensazione fu troppo effimera per rimanerle impressa chiaramente, lasciando dietro di sé unicamente schiuma malinconica – quasi dolce nei suoi ultimi istanti, una promessa da mantenere.
Da quando aveva preso a funzionare l’orologio della torre, quella sensazione tornava con costanza sempre crescente. Una parte di lei l’aveva afferrata nella sua stranezza, ma l’altra razionale le suggeriva che non poteva esserci nulla di mistico – o magico – dietro i rintocchi di una campana.
«Siete ancora in servizio, signorina Tyler?», la domanda del sindaco Mills la riscosse dai propri pensieri, incagliati su terre misteriose, riportandola alla realtà della strada. Era appena uscita dall’ufficio dello sceriffo Swan, con il sole rosso del tramonto alle spalle, rendendo suggestivo lo scenario di un cielo dalle acque marine intinte di sangue e oro a cospargersi sopra la sua testa, mentre le prime stelle comparivano timidamente. Era una serata serena, nemmeno il vento dalle punte fredde riusciva a smorzare la bellezza di uno spettacolo tanto meraviglioso.
«Ho appena staccato, sindaco. Avete bisogno per caso?» domandò la giovane agente voltandosi verso Regina Mills. Aveva da sempre una strana impressione riguardo quella donna, per quanto le apparisse eccessiva in molte sue decisioni, dall’altra ammirava la forza delle stesse, la dedizione che metteva nel raggiungere i propri scopi. Era difficile lavorare sia per lei sia per Emma Swan, tutto si trasformava in un continuo cercare di rimanere neutrali, mentre le guerre si intensificavano ai confini – ma essere campo di nessuno a Séline riusciva discretamente bene, portando avanti i propri compiti come agente di servizio e insieme evitando qualsiasi lavoro che esulasse dai suoi incarichi ufficiali. Con una sola eccezione.
«Devo rimanere per un’emergenza in ufficio, potete occuparvi voi di Henry?» domandò sollevando appena un sopracciglio – era evidentemente infastidita da qualcosa, qualcosa che non riguardava Séline, la quale quindi finse di non rendersene conto, concentrandosi solamente sul quesito posto.
«Certo, nessun problema», era appunto Henry la sua unica eccezione alla regola di non interferenza tra le due madri del bambino. Fin da quando era piccolo, aveva da sempre dato una mano a Regina a badare a lui, facendogli da babysitter quando il lavoro glielo permetteva, e andando a portargli i fumetti anche quando non era stata chiamata. Se avesse dovuto scegliere uno schieramento, avrebbe indubbiamente privilegiato Henry – lui e forse qualche d’un altro.
«Avete bisogno di un passaggio, Séline?», la voce di Loïc Odilon la riscosse dai suoi pensieri, mentre si avviava all’ufficio di Archie, per recuperare Henry dopo la seduta con lo psicologo. Non aveva problemi a riconoscere il timbro della sua voce, lo avrebbe probabilmente afferrato anche in mezzo a una folla di centomila persone da quanto particolare appariva alle sue orecchie – profondo, sinuoso, dalle venature perennemente intrise di un’ambiguità insondabile, nelle cui pieghe si perdeva per cercare di scoprire cosa celasse.
«Camminare mi piace molto, non disturbatevi» lo rassicurò voltandosi appena nella sua direzione, ma senza diminuire l'andatura. L’aveva affiancata con la sua bella auto oltremare, tenendo un braccio per metà appoggiato oltre il bordo del finestrino abbassato, procedendo lentamente per seguirla mentre le parlava. Convincere Loïc di qualsiasi cosa, solitamente, era un’impresa ardua nella quale Séline adorava imbattersi – non lo avrebbe mai e poi mai ammesso, ovviamente, soprattutto davanti a lui. Le discussioni che intratteneva con Loïc erano interessanti proprio per l’indeterminatezza sul loro esito, grazie alla dialettica pronta dell’uomo e all’incapacità di accettare di non avere l’ultima parola di Séline. Aveva una non discreta inclinazione verso quell’uomo elegante, dai modi da gentiluomo a nascondere un’anima contorta, dove l’ambiguità era la sua unica forma di chiarezza. E anche tale dettaglio la giovane lo avrebbe custodito con incredibile determinazione, perché cedere alle lusinghe di Loïc Odilon non era nei suoi piani – non ancora. Non era una preda da conquistare, una fanciulla il cui cuore poteva essere espugnato con belle adulazioni infiocchettate abilmente e regali costosi, questo Loïc lo sapeva e per questo perseverava a parlare con lei – semplicemente parlare, senza chiederle nulla di più di cinque minuti del suo tempo al giorno. Un rituale che si ripeteva costantemente da anni, talmente tanti da non saper dire nemmeno quanti fossero – come se in realtà il mondo fosse sempre girato in quel modo e non esistesse un tempo nel quale loro due non avessero avuto quei cinque minuti per loro.
«Se fosse un disturbo, non mi soffermerei a chiedervelo, non pensate?» ribatté divertito Loïc, osservando con interesse il profilo della giovane. Visivamente, Séline appariva più giovane di lui di una decina d’anni, con la sua ventina d’anni apparente impressa nei lineamenti candidi, ancora riempiti da residui di adolescenza, che stavano per essere scrostati via. Con i capelli raccolti in una treccia laterale a scivolarle sul petto, Loïc la adorava in segreto, senza rivelare quanto reputasse incredibilmente meravigliosi quelle ciocche talmente pallide da apparire bianche – luce solida intrappolata nella sua chioma da un incanto arcano. Lo aveva sempre fatto, fin dal loro primo incontro, scoprendo con i secoli la loro morbidezza, quando si era arrogato il diritto di affondarvi le mani, e poi le labbra.
Quasi trent’anni erano un tempo abbastanza ridotto per un dio, ma trent’anni senza Sigyn era un tempo comunque eccessivo – lo sarebbe stato anche un giorno soltanto. Nonostante la sua capacità recitativa impeccabile, inalterabile anche nel caso in cui si fosse ritrovato a dover affrontare il resto della sua millenaria vita senza di lei, trattenendo come un segreto indicibile il dolore, non implicava reale facilità d’animo nel mantenere un distacco, difficile da soffrire quando si trattava di Sigyn.
Era nato come un capriccio – come buona parte delle cose nelle quali si invischiava, e con la stessa regolarità, gli svolgimenti successivi avevano avuto pieghe impreviste. Impreviste e stranamente ben accette.
«Penso che voi siate un uomo troppo poco chiaro per sapere che cosa avete in mente, e sicuramente siete capace di compiere azioni che non vi aggradano unicamente per altri fini» sibillina, rispose Séline senza concedergli la vista sui suoi occhi d’ossidiana.
«Avete una pessima opinione di me, non è vero Séline?», constatazione che stranamente gli strappò una risata bassa, divertita dall’affermazione appena fatta dall’uomo.
«Non è un giudizio negativo, piuttosto neutro» lo confutò 
Séline, accompagnando le parole a un lieve movimento del capo lateralmente, a sottolineare l’incapacità di affidare una collocazione negli assoluti a tale constatazione. 
«Questo è incredibilmente un punto a mio favore. Voglio davvero darvi solo un passaggio se me lo permettete, o potrei unirmi a voi» perseverò, sfoderando uno dei sorrisi quasi sinceri e privi di malizia. Séline silenziosamente aveva da sempre serbato un’adulazione per quella sghemba linea, la quale spuntava sulle labbra di Loïc quando le si rivolgeva in particolari circostanze. In quei momenti, lui la inchiodava a uno sguardo che Séline reputava essere sogno di ogni donna vedersi rivolto, almeno una volta nella vita – e che a lei veniva donato quasi quotidianamente. Ed era in quei frangenti, ritrovandoselo incollato addosso, che allora Séline cedeva di un passo, almeno un po’ e non sempre, per ringraziarlo e per trattenerlo maggiormente a sé. Per questo si fermò, aspettando che parcheggiasse in modo da proseguire a piedi insieme.
Era uno strano modo, il loro di comunicare. Prevalentemente era costruito con le montagne di frasi celate sotto le poche che pronunciavano, ramificando dedali e labirinti di sottointesi nei quali amavano immergersi, perdendosi lì dove nessun altro poteva raggiungerli.
Molto spesso, Loïc aveva la tentazione di dirle che Loïc non era il suo nome, come Séline non era quello di lei. Ripassava vari scenari mentalmente nei quali le rivelava la verità, eppure già in partenza che non era quella la via che sapeva avrebbe percorso – la verità era mutevole e non era stata mai il suo campo d’azione, come d’altronde non apparteneva nemmeno a quello di lei. Straordinariamente, nemmeno privata della sua identità, Séline smetteva di essere Sigyn, e mai, infatti, aveva avuto un sussulto di timore nel lasciare le proprie iridi di pece posarsi su quelle smeraldine di Loïc.
«Gli altri, normalmente, non sostengono il mio sguardo come fate voi, Séline», glielo disse perché era una sorpresa costante – una realtà che si ripeteva, ma che possedeva il dono di rinnovarsi anche nella sua essenza estatica.
«Dipenderà dal fatto che gli affari che svolgete per conto del Signor Gold non vi rendono particolarmente simpatico», una risposta che non intendeva incriminare nessuno – come sempre, Séline si teneva lontana dai giudizi di merito, e nonostante possedesse un distintivo e lo utilizzasse per far rispettare una legge, ai suoi occhi sfuggivano le implicazioni morali in tale atto. Era una delle doti che aveva sempre maggiormente amato in lei, quella di non recriminare le mancanze degli animi e le loro colpe – soprattutto quelle di cui lui possedeva un’ampia collezione.
«Non mi rendono particolarmente innocuo, e nonostante ciò avete accettato di rimanere da sola con un tipo come me, una volta in più. Cosa dicono di voi, Séline? Che siete coraggiosa o avventata?» la interrogò parandosi davanti a lei, allungando il passo per poterla finalmente osservare distintamente in volto. Le arcate delle sopracciglia erano prive di crepature a rendere afferrabili i pensieri che la scuotevano, gli occhi rimanevano distese di inchiostro sotto i quali tutto rimaneva impenetrabile alla luce esterna e le sue labbra carnose appena dischiuse, erano un invito al quale Loïc non sapeva come riusciva a resistere.
Un lieve sorriso mosse gli angoli della bocca di Séline, assumendo una sfumatura delicata – nonostante la delicatezza fosse sempre stata una sua qualità unicamente apparente. Da quei pochi centimetri che li separavano, le sue narici si riempivano ad ogni inspirazione dell’odore della sua pelle – una lieve punta di gelsomino a mischiarsi con quello più forte di foresta –, e ogni volta le appariva sempre più famigliare di quanto sarebbe dovuto essere.
«Grazie per la passeggiata, vi auguro buonanotte, Loïc» lo superò senza concedere risposta alle sue domande, finendo per sfiorargli – forse inavvertitamente – la mano con la propria. Non ricordava quando si era innamorata di Loïc Odilon, come per le loro chiacchierate le appariva semplicemente che fosse sempre stato così – una realtà alla quale non poteva sfuggire, né sottrarsi, anche nell’irrealistica possibilità in cui avesse voluto.
«Notte, Séline», lo udì rispondere poco prima del rumore della portiera dell’auto che si richiudeva, e del rombo dei motori che lo conducevano dall’altra parte della città.
E mentre avvertiva distintamente la lontananza crescere e l’orologio far scoccare l’ora, Séline Tyler si domandò per quale assurda ragione stesse continuando a portare avanti quella stupida recita, quando avrebbe potuto avere per sé molto più che cinque minuti al giorno.


» Continua




M A N I A’ s  W O R D S
E dopo decenni, ebbene sì, torno a pubblicare.
Dato che le spiegazioni sul perché sono sparita, sono poco interessanti, passiamo direttamente alle note autrici vere e proprie.
Prima di tutto, questa è una mini-long composta di soli tre capitoli.
Come da didascalia, è un crossover con Once Upon a Time, durante la prima stagione, quindi se non si conosce il telefilm, credo che non sia molto chiara l'intera vicenda.
Loki e Sigyn, per motivi che verranno in seguito spiegati, sono stati catapultati anche loro a Storybrooke insieme agli altri personaggi di favole - ma anche di qualche libro, alla fin fine -, e quindi vittime entrambi dell'incantesimo che circonda la città. Le controparti nel nostro mondo, hanno le identità che avevo usato per le loro reincarnazioni in un'altra storia - « Riflessi di un'altra vita » -, e se Loki si ricorda chi è davvero come e grazie a Gold, Sigyn invece non ricorda minimamente chi sia.
In teoria, questa storia sarebbe un preambolo a una long più corposa, che dovrebbe poi riprendere e riadattare l'ultima stagione di Once Upon a Time. Progetto che partirà quando la quarta stagione sarà terminata - un po' per paraculaggine nel vedere come va a finire e un po' perché sicuramente da maggio in poi sono più tranquilla a livello di tempo.
(Dato che Charming e Snow hanno nominato il Bifrost, non mi pare nemmeno più tanto campato per aria questo crossover e mi apre la vana speranza che un giorno qualcuno di Asgard arrivi davvero a Storybrooke!).
Come sempre, le recensioni sono sempre accette e ringazio in anticipo chiunque leggerà - grazie, grazie e ancora grazie ♥

Come sempre, lascio il link alla pagina FB: Mania FB.

Mania



  
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