L'amor che move il sole e l'altre stelle

di Fiamma Erin Gaunt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

 

 

 

 

Eve era intenta a distribuire le ultime sacche di grano quando il rumore degli zoccoli giunse alle sue orecchie. Una decina, cavaliere più cavaliere meno, che galoppavano a tutto spiano lungo il ciottolato dell’ingresso del villaggio. Sullo stallone nero come il peccato, che apriva la colonna di uomini dello sceriffo, sedeva il nuovo signore di Locksley. Sir Guy di Gisborne, a quanto raccontavano gli abitanti sottoposti all’autorità di Nottingham e del principe Giovanni, era il braccio destro dello sceriffo e condivideva con lui il disprezzo nei confronti del popolo e delle loro necessità.

- Sarà meglio andare, Cat. –

La voce di Caleb, uno degli uomini che come lei apparteneva alla Fratellanza del Bosco, risuonò decisa dall’altro lato del cortile.

Tese una forma di formaggio di pecora alla donna più vicina, che teneva tra le braccia un infante frignante, e fischiò per richiamare il suo cavallo. Montò in sella al volo, seguendo Caleb e il resto del gruppo verso i boschi.

Una freccia le sibilò a un centimetro dal volto, costringendola a stendersi quanto più possibile sul collo dell’animale e a spronarlo in una folle corsa a zig zag tra gli alberi di Sherwood.

Con la coda dell’occhio vide lo stallone che annullava lentamente ma inesorabilmente il distacco.

- Forza, Danzatrice, forza. Forza. –

La cavalla nitrì, incespicando in una radice piuttosto spessa e rovinando a terra. Venne sbalzata via dalla sella, appallottolandosi per cercare di ridurre al minimo l’impatto con il terreno; il fogliame attutì un po’ la caduta, ma la lasciò comunque leggermente intontita e con la vista annebbiata. Il bruciore alle braccia e sui palmi delle mani le annunciò che doveva essersi graffiata a sangue. Cercò di rimettersi in piedi, ma le ginocchia tremarono e la fecero finire bocconi. La caduta era stata peggiore di quanto avesse creduto in un primo momento, ma sicuramente le sarebbe parsa nulla rispetto a ciò che gli uomini dello sceriffo avevano in programma di farle se l’avessero catturata. Serrò le dita intorno all’elsa della daga, pronta a combattere fino alla morte se necessario.

Sir Guy smontò con calma, ravviandosi i capelli corvini scompigliati nella foga dell’inseguimento, avvicinandolesi con l’andatura circospetta che si sarebbe usata in presenza di un animale feroce.

La spada sguainata luccicava sinistramente, illuminata dai raggi del sole che volgeva al tramonto e creavano l’illusione che il metallo fosse dello stesso colore del sangue.

- Lo sceriffo vi vuole a Nottingham, arrendetevi e non vi sarà bisogno di ricorrere a misure drastiche. –

Arrendersi; aveva voglia di scherzare quel damerino rivestito in pelle?

Sputò a terra, rabbiosa. Un gesto molto poco signorile, ne era consapevole, ma che rendeva bene l’idea. – Ecco cosa penso della vostra proposta e del vostro prezioso sceriffo. –

Gisborne sospirò, scuotendo la testa. – Voi selvaggi della foresta siete sempre così testardi. – Con la spada ben tesa davanti a sé, le puntò la lama contro.

Mosse la daga in avanti, cercando di bucare la guardia dell’uomo, rotolando da un lato e dall’altro per evitare i suoi fendenti. Era umiliante strisciare al suolo come un verme, ma la gamba ferita non le permetteva di stare in piedi senza appoggiarsi da qualche parte e lei aveva bisogno di entrambe le mani per fronteggiare il suo avversario.

Un colpo di taglio, sul polso, la disarmò e fece volare via la daga. Strinse le labbra per trattenere un gemito mentre la giuntura colpita cominciava a pulsare per il dolore e un paio di lacrime le bruciavano gli occhi. Avrebbe sofferto in silenzio, in modo stoico, pur di proteggere il resto della Fratellanza.

Un freccia atterrò vicino a Gisborne, bloccandolo nell’atto di chinarsi per tirarla su di peso. Il pennacchio era rosso, come quello che utilizzava Caleb. Uno sguardo rapido verso sinistra, la direzione da cui proveniva, le disse che l’amico era appoggiato contro il tronco di un albero particolarmente solido. Teneva l’arco tra le dita e lo maneggiava con esperienza. Stupido idiota, stava rischiando di lasciarci la pelle solo per assicurarsi che non la catturassero. L’affetto nei suoi confronti zampillò con forza.

- Sta’ lontano da lei. –

 - Ah, un altro dei tuoi amici selvaggi. Magari questo ti darà un incentivo a collaborare. – Fece un cenno verso uno degli arcieri, che scoccò poco lontano da lui.

O avevano una pessima mira oppure … era una trappola. Lo realizzò nell’istante in cui Gisborne lanciò un grosso pugnale nella direzione in cui Caleb si era spostato per evitare la freccia. La lama penetrò a fondo nella carne, mozzando il respiro del giovane uomo che cadde bocconi. Un fiotto di sangue proruppe da quelle labbra sottili, sporcando il volto pallido su cui risaltava qualche piccola efelide.

- Caleb! –

Si slanciò contro Gisborne con l’impeto che solo la furia e il dolore per la perdita di un caro amico potevano dare, incurante di essere completamente disarmata. Le unghie si scontrarono contro una guancia di quel viso dalla bellezza arrogante, artigliando la pelle. Un manrovescio potente la colpì sullo zigomo, facendole scattare la testa dall’altro lato e spaccandole il labbro. Il sapore metallico del sangue le riempì la bocca.

- Non provarci mai più, donna, o la prossima volta perderai la mano. –

Le guardie che accompagnavano Gisborne le furono alle spalle in un baleno, torcendole le braccia dietro alla schiena e assicurandole con corde e nodi robusti. L’altro capo della corda venne assicurato al campanello della sella di Gisborne e lei venne issata sulla sella insieme all’uomo come se non pesasse nulla.

Quando giunsero nei pressi delle mura di Nottingham entrambi i polsi erano arrossati e dolenti, le gambe addormentate per la scomoda posizione di monta all’amazzone in cui era stata costretta, e labbro e zigomo avevano cominciato a gonfiarsi.

- Aprite i cancelli, lo sceriffo desidera vedere immediatamente la prigioniera – ordinò con voce perentoria, spronando lo stallone tra la folla di mendicanti fuori dall’ingresso e fino al patio principale.

Smontò, tirandola giù con la delicatezza che sarebbe stata riservata a un sacco di patate. La presa di Gisborne sulla corda la accompagnò finchè non venne trascinata al cospetto dello sceriffo. Era un uomo basso, molto stempiato, che sembrava circondato da un’aura malevola sempre presente. Non era come se l’era immaginato, ma la cosa non aveva alcuna importanza.

- Dunque, dunque. Cosa abbiamo qui? –

Le girò intorno con aria rapace, un ghigno malevolo che metteva in mostra il vuoto causato da un dente mancante.

- Chi sei? –

- Cat. –

- È una di quei selvaggi della foresta che si fanno chiamare la Fratellanza del Bosco. –

- Una selvaggia della foresta? Guardala, razza d’idiota – sbottò lo sceriffo, agguantandolo per il bavero della casacca di pelle, - Ti sembra che una ragazza come questa possa essere stata cresciuta da dei comuni bifolchi? Un aiutino? No! –

Guy la osservò con attenzione. Sotto i capelli arruffati e lo strato di sangue e sudore, due occhi color del ghiaccio mandavano lampi furiosi. I tratti del viso erano ricercati, delicati e al contempo affilati. Se coperta di cenci e ridotta in quello stato era bella, una volta ripulita e abbigliata in modo consono sarebbe stata da togliere il fiato.

- Chi sei, ragazza? – insistè lo sceriffo.

Distolse lo sguardo ostentatamente, fissando il muro in mattoni come se non l’avesse affatto sentito.

Guy l’afferrò per un polso, con rudezza, - Lo sceriffo ti ha fatto una domanda, rispondi. –

- Ho già riposto. Che c’è, siete sordi? –

Un ceffone le colpì la guancia ferita. Digrignò i denti per impedire anche al più lieve dei gemiti di abbandonare le sue labbra.

– Una notte nelle segrete forse ti scioglierà la lingua. Gisborne, conduci la nostra ospite nella sua nuova stanza, la incontrerò domani mattina. –

Rapido così come era comparso, lo sceriffo voltò loro le spalle e li lasciò da soli. Eve venne scortata con malagrazia lungo il corridoio che portava ai sotterranei del castello e alle segrete. La puzza e l’umidità erano tremendi; se non l’avessero uccisa alla svelta, probabilmente sarebbe morta per la polmonite o qualche schifosa malattia causata dalla sporcizia o dai morsi dei topi.

- Complimenti, tu sì che sai come trattare una donna. –

- Fai silenzio. –

- Altrimenti? –

Forse, se l’avesse fatto arrabbiare abbastanza, le avrebbe donato una morte rapida e misericordiosa. O, nel più ottimistico dei casi, si sarebbe distratto quanto bastava da permetterle di disarmarlo e fuggire.

- Stai zitta, donna. –

- Dici donna come se fosse un’offesa. Non dirmi che hai paura di noi – lo derise.

Gisborne la voltò con rabbia, spingendola contro la parete e fissandola con occhi tanto furiosi che per un attimo credette davvero di essere in procinto di morire.

- Tu non sai nulla e, soprattutto, non sono tenuto ad ascoltare le tue inutili chiacchiere. – Si voltò verso l’angolo illuminato dalle torce: - Carceriere! –

Con un cigolio sinistro, il lucchetto di una delle celle venne aperto e lei fu scaraventata sul freddo mattonato.

Stava diventando un vizio quello di finire a terra, considerò amaramente mentre il lucchetto veniva richiuso e i passi decisi di Gisborne si allontanavano.

Tanti auguri, Eve, esprimi un desiderio.

Scosse la testa, allontanando quella vocetta sarcastica dalla sua mente.

Caleb era morto, lei era stata catturata e probabilmente sarebbe morta dopo una lenta e atroce tortura.

Se mai c’era stato a memoria d’uomo un compleanno peggiore di quello, di sicuro nessuno lo rammentava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con l’approdo in un nuovo fandom, tanto perché io non sono capace di starmene buona e tranquilla nei soliti millemila fandom in cui scrivo abitualmente. Allora, amo Guy (del tipo che l’amore per lui é talmente sconfinato da aver odiato la morte di Marian solo perché lui ne ha sofferto immensamente) così come mi piacciono un casino anche Allan e Carter quindi mi sono detta: scriviamoci una bella long e speriamo che alla gente piaccia. Ergo, fatemi sapere se i personaggi sono abbastanza IC, se vi piace Eve (la cui vera identità verrà svelata solo in seguito) e se vi ho incuriosita … magari con una bella recensinciona. Al prossimo aggiornamento (che presumo sarà molto presto visto che le idee per questa long mi hanno sommersa). Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

 

 

 

- Era questo l’albero che avevi segnato? –

Allan annuì, chinandosi a rovistare tra le foglie cadute, alla ricerca dell’apertura della piccola botola. Tirò con forza, spazzando via un po’ di terriccio. I cardini cigolarono leggermente, mostrando un’apertura scavata nel terreno, profonda circa due o tre piedi, contenente una piccola riserva di cibo.

- Dovrebbe bastare per la gente di Locksley – considerò.

- Finche non troveremo qualcosa in più é tutto ciò che possiamo dar loro – confermò Robin, amareggiato.

Allan sapeva riconoscere il disgusto per se stesso, era una sensazione che nel periodo alle dipendenze di Gisborne e dello sceriffo aveva provato molto spesso, e Robin non era mai stato capace a mascherare le proprie emozioni.

- Sai, ho sentito parlare di un gruppo che vive nella foresta – buttò lì, spolverandosi rapidamente i calzoni, - Si fanno chiamare la Fratellanza del Bosco e hanno provveduto alle necessità del popolo durante la nostra assenza. Forse loro hanno scorte maggiori delle nostre. –

Gli occhi azzurro sporco dell’ex nobile fissarono l’orizzonte, persi, come sempre quando rifletteva sui pro e i contro di un’azione.

- È una buona idea, dobbiamo solo trovarli. –

- Beh, si da il caso che io sappia da dove cominciare. –

- Allora fammi strada, Allan. –

Allungò il passo, spostandosi sul limitare orientale della foresta. Aveva sentito dire che spostavano il campo ogni due giorni, ma la zona era circoscritta in un miglio scarso. Scavalcò un tronco caduto, mentre un cattivo presentimento si faceva strada in lui. Un cappio si strinse attorno al piede destro, sollevandolo a testa in giù e lasciandolo a ondeggiare appeso a un ramo come un perfetto idiota.

Robin portò una mano alla faretra, il pennacchio della freccia già tra le mani, quando dalla boscaglia fecero la loro comparsa tre ragazzi, due maschi e una femmina.

Allan sgranò gli occhi davanti alla figura della giovane, incredulo. Erano passati anni da quando l’aveva vista per l’ultima volta e la tredicenne dalle trecce bionde e gli occhi verdi e innocenti si era trasformata in una diciassettenne dall’aspetto selvatico che ricordava vagamente gli spiritelli dei boschi di cui la madre non faceva altro che parlare nelle sue favole della buonanotte.

- Lexi! –

- Allan? – chiese, stupita. Poi rivolse un cenno al ragazzo che gli stava più vicino e che, a giudicare dall’aria altezzosa che aveva, doveva essere il capo. – Tiralo giù, Julian, possiamo fidarci di lui. –

- Come fai a dirlo? Per quanto ne sappiamo potrebbe essere una spia dello sceriffo. –

Involontariamente c’erano andati più vicino di quanto fosse lecito. Storse il naso, contrariato davanti al sorrisetto divertito che Robin gli aveva lanciato. D’accordo, aveva commesso degli errori, ma aveva pagato in abbondanza quel tradimento.

Robin alzò le mani in segno di resa. – Sono Robin Hood, dubito che una mia visita sia ben accetta allo sceriffo. –

- È mio fratello, Julian, non ci consegnerebbe mai – insistè Lexi.

Julian lanciò un’occhiata interrogativa all’ultimo membro del terzetto, un ragazzo con una zazzera di capelli biondi e occhi castani che gli conferivano un’aria molto dolce. Ad Allan ricordò immediatamente Will anche se i due esteticamente non si somigliavano affatto.

- Mi fido del suo giudizio. –

Con una scrollata di spalle, tagliò la corda della trappola. – Non farmene pentire, Lexi – disse aspramente.

No, quel Julian non era proprio un simpaticone.

Mentre si rimetteva in piedi con l’aiuto di Robin, sua sorella gli si affiancò per poi abbracciarlo con slancio.

- Pensavo che fossi morto. –

- E io che fossi rimasta al villaggio con mamma. –

Lexi sbuffò, ravviandosi una ciocca ribelle che le era ricaduta davanti agli occhi. – Non sono più una bambina, Allan, so quando é il caso di combattere per una giusta causa. –

Il ragazzo che l’aveva appoggiata si fece avanti, porgendo la mano a entrambi. – Jordan. Perdonate Julian, ieri due dei nostri amici si sono scontrati con gli uomini dello sceriffo. Uno é morto, l’altra é stata catturata. –

Ecco perché quel tipo aveva l’aria di un animale feroce in gabbia. Smaniava per andare a Nottingham a liberare la ragazza, ma sapeva che senza un buon piano sarebbe stata una missione suicida. Improvvisamente provò un briciolo di compassione per lui; dopotutto non era una cattiva persona.  

- Come si chiama la ragazza? –

- Cat. –

– Diminutivo di Catlyn, suppongo.  

- No. Cat come il gatto. – Lexi scosse la testa davanti all’ilarità dei due. – Se non la vedete non potete capire il perché di questo nome. –

- L’ha catturata Gisborne e non era affatto messa bene quando é entrata al castello. Conoscendo lo sceriffo, ora starà anche peggio – spiegò Jordan, amaramente.

Nessuno dei due disse nulla. Non c’era molto da obiettare. Lo sceriffo sapeva essere spietatamente creativo quando voleva, Allan aveva avuto modo di sperimentarlo sulla sua pelle e ancora ne portava addosso i segni. Probabilmente non lo avrebbero abbandonato per il resto della sua vita.

- Vi aiuteremo a portarla fuori di lì. –

Julian si voltò a fulminare Robin con un’occhiataccia. – E come conti di farlo? Sono ore che cerco di escogitare un modo per salvarla, ma non me ne viene in mente nemmeno uno. –

- Conosco bene il castello, ci sono passaggi segreti attraverso cui intrufolarsi dentro e fuori; sarà rischioso, ma … -

- Non capisci. Cat deve essere salvata a ogni costo. Lei … Lei é importante – concluse, stringendo i pugni.

Ah, l’amore.

Allan avrebbe tirato fuori una delle sue solite battutine sarcastiche se non avesse letto la stessa disperazione negli occhi di Robin quando aveva visto Marian riversa sulla sabbia di Gerusalemme. Non c’era proprio nulla di divertente o di ridicolo in un sentimento in grado di sconvolgere così profondamente un uomo.

- Se Robin dice che la porteremo in salvo allora puoi stare sicuro che sarà così. –

- Io vengo con voi. –

- Tu porta da mangiare a Locksley e nei villaggi vicini, quando avrò un piano pronto te lo farò sapere. –

Già, in tutto quel trambusto si era quasi dimenticato del motivo per cui erano andati a cercare la Fratellanza.

Julian annuì.

 - Robin … -

- Sì? –

- Apprezzo il tuo aiuto. Tutti noi lo apprezziamo. –

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

Eve urlò. Aveva perso il conto delle volte in cui l’aveva fatto da quando il sole era sorto nel cielo e il carceriere l’aveva assicurata a un piolo con mani e piedi legati. La gola le doleva e ogni centimetro del suo corpo sembrava sul punto di andare a fuoco. Era arrivata persino a credere che presto o tardi la pelle le si sarebbe staccata definitivamente dal corpo, lasciando esposta solo la carne sanguinolenta e le ossa.

Lo sceriffo aveva continuato a girarle intorno, tartassandola di domande e inique battutine durante tutto il tempo, mentre Gisborne si era addossato a una parete nell’angolo più buio e non aveva aperto bocca nemmeno per una volta. Per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo essersene andato.

- Per oggi basta così. Non abbiamo fretta, mia cara ragazza, e prima o poi mi dirai ciò che voglio sapere. –

- Fareste prima a tagliarmi la lingua. Tanto non dirò mai nulla a un essere disgustoso come voi. –

- La gattina ha ancora gli artigli ben affilati. Carceriere, conducila nuovamente in cella. –

Il sollievo dei legacci sciolti durò solo per un attimo, perché nel momento stesso in cui mosse le braccia una fitta di dolore bruciante si irradiò in tutto il corpo.

Sdraiata sul pagliericcio della cella, si accostò quanto più poteva al muro. Il gelido sollievo della muratura sulla pelle lesa la fece sospirare di piacere. Niente e nessuno l’aveva mai preparata a sopportare un dolore di quel tipo. Altri due giorni così e, sempre se fosse riuscita a sopravvivere, avrebbe rischiato di perdere la sanità mentale.

Non le restava che confidare in Julian e nel resto del gruppo. Non l’avrebbero abbandonata al suo destino, ne era certa.

Si raggomitolò su se stessa come avrebbe fatto una gatta, chiudendo gli occhi e cercando di addormentarsi nella speranza che un po’ di riposo lenisse le contratture nel suo corpo.

Proprio mentre cercava di rilassarsi e precipitare in un sonno senza sogni, udì distintamente la voce dello sceriffo e di Gisborne. Provenivano da una delle grate superiori, segno che la sua cella era situata sotto qualcosa d’importante. Sembravano parlare di lei, ma non ne fu sicura finchè Gisborne non proseguì nella sua arringa.

- Non parlerà. L’avete vista anche voi, é un osso duro, e la tortura sembra non servire a nulla. È leale ai suoi amici, non li tradirà. –

- La sopravvaluti troppo, Gisborne.

- Molto spesso, mio signore, raggiungere il cuore delle donne rende più facile piegarle rispetto alla tortura. –

Lo sceriffo rise.

- Oh, il piccolo Gisby é intenerito dal bel faccino della ragazza? Per quanto mi riguarda, se la vuoi, puoi prendertela. Usala come serva, prendila nel tuo letto, ma non fare di lei un’altra Marian. –

Persino da dov’era poteva riuscire a sentire il fremito nel corpo di Gisborne. E se quella era la stessa Marian di cui aveva sentito parlare lei, allora forse un modo per vincere la scorza dura che avvolgeva quell’uomo esisteva. Forse sarebbe riuscita a scappare da quel castello anche senza una squadra di soccorso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con l’aggiornamento, come promesso il nuovo capitolo é stato concluso in tempi celeri e quasi sicuramente sarà così anche per i prossimi (ma non vi faccio promesse u.u). Abbiamo conosciuto qualche nuovo personaggio e visto Allan e Robin. Spero che vogliate lasciarmi una recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

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