Capitolo
1
Eve
era intenta a distribuire le ultime sacche di grano
quando il rumore degli zoccoli giunse alle sue orecchie. Una decina,
cavaliere
più cavaliere meno, che galoppavano a tutto spiano lungo il
ciottolato dell’ingresso
del villaggio. Sullo stallone nero come il peccato, che apriva la
colonna di
uomini dello sceriffo, sedeva il nuovo signore di Locksley. Sir Guy di
Gisborne, a quanto raccontavano gli abitanti sottoposti
all’autorità di
Nottingham e del principe Giovanni, era il braccio destro dello
sceriffo e
condivideva con lui il disprezzo nei confronti del popolo e delle loro
necessità.
-
Sarà meglio andare, Cat. –
La
voce di Caleb, uno degli uomini che come lei apparteneva
alla Fratellanza del Bosco, risuonò decisa
dall’altro lato del cortile.
Tese
una forma di formaggio di pecora alla donna più vicina,
che teneva tra le braccia un infante frignante, e fischiò
per richiamare il suo
cavallo. Montò in sella al volo, seguendo Caleb e il resto
del gruppo verso i
boschi.
Una
freccia le sibilò a un centimetro dal volto,
costringendola a stendersi quanto più possibile sul collo
dell’animale e a
spronarlo in una folle corsa a zig zag tra gli alberi di Sherwood.
Con
la coda dell’occhio vide lo stallone che annullava
lentamente ma inesorabilmente il distacco.
-
Forza, Danzatrice, forza. Forza. –
La
cavalla nitrì, incespicando in una radice piuttosto
spessa e rovinando a terra. Venne sbalzata via dalla sella,
appallottolandosi
per cercare di ridurre al minimo l’impatto con il terreno; il
fogliame attutì
un po’ la caduta, ma la lasciò comunque
leggermente intontita e con la vista
annebbiata. Il bruciore alle braccia e sui palmi delle mani le
annunciò che
doveva essersi graffiata a sangue. Cercò di rimettersi in
piedi, ma le
ginocchia tremarono e la fecero finire bocconi. La caduta era stata
peggiore di
quanto avesse creduto in un primo momento, ma sicuramente le sarebbe
parsa
nulla rispetto a ciò che gli uomini dello sceriffo avevano
in programma di
farle se l’avessero catturata. Serrò le dita
intorno all’elsa della daga,
pronta a combattere fino alla morte se necessario.
Sir
Guy smontò con calma, ravviandosi i capelli corvini
scompigliati nella foga dell’inseguimento, avvicinandolesi
con l’andatura
circospetta che si sarebbe usata in presenza di un animale feroce.
La
spada sguainata luccicava sinistramente, illuminata dai
raggi del sole che volgeva al tramonto e creavano l’illusione
che il metallo
fosse dello stesso colore del sangue.
-
Lo sceriffo vi vuole a Nottingham, arrendetevi e non vi sarà
bisogno di ricorrere a misure drastiche. –
Arrendersi;
aveva voglia di scherzare quel damerino
rivestito in pelle?
Sputò
a terra, rabbiosa. Un gesto molto poco signorile, ne
era consapevole, ma che rendeva bene l’idea. – Ecco
cosa penso della vostra
proposta e del vostro prezioso sceriffo. –
Gisborne
sospirò, scuotendo la testa. – Voi selvaggi della
foresta siete sempre così testardi. – Con la spada
ben tesa davanti a sé, le
puntò la lama contro.
Mosse
la daga in avanti, cercando di bucare la guardia dell’uomo,
rotolando da un lato e dall’altro per evitare i suoi
fendenti. Era umiliante
strisciare al suolo come un verme, ma la gamba ferita non le permetteva
di
stare in piedi senza appoggiarsi da qualche parte e lei aveva bisogno
di
entrambe le mani per fronteggiare il suo avversario.
Un
colpo di taglio, sul polso, la disarmò e fece volare via
la daga. Strinse le labbra per trattenere un gemito mentre la giuntura
colpita
cominciava a pulsare per il dolore e un paio di lacrime le bruciavano
gli
occhi. Avrebbe sofferto in silenzio, in modo stoico, pur di proteggere
il resto
della Fratellanza.
Un
freccia atterrò vicino a Gisborne, bloccandolo
nell’atto
di chinarsi per tirarla su di peso. Il pennacchio era rosso, come
quello che
utilizzava Caleb. Uno sguardo rapido verso sinistra, la direzione da
cui
proveniva, le disse che l’amico era appoggiato contro il
tronco di un albero
particolarmente solido. Teneva l’arco tra le dita e lo
maneggiava con
esperienza. Stupido idiota, stava rischiando di lasciarci la pelle solo
per
assicurarsi che non la catturassero. L’affetto nei suoi
confronti zampillò con
forza.
-
Sta’ lontano da lei. –
- Ah, un altro dei tuoi
amici selvaggi. Magari questo ti darà un incentivo a
collaborare. – Fece un
cenno verso uno degli arcieri, che scoccò poco lontano da
lui.
O
avevano una pessima mira oppure … era una trappola. Lo
realizzò
nell’istante in cui Gisborne lanciò un grosso
pugnale nella direzione in cui Caleb
si era spostato per evitare la freccia. La lama penetrò a
fondo nella carne,
mozzando il respiro del giovane uomo che cadde bocconi. Un fiotto di
sangue
proruppe da quelle labbra sottili, sporcando il volto pallido su cui
risaltava
qualche piccola efelide.
-
Caleb! –
Si
slanciò contro Gisborne con l’impeto che solo la
furia e
il dolore per la perdita di un caro amico potevano dare, incurante di
essere
completamente disarmata. Le unghie si scontrarono contro una guancia di
quel
viso dalla bellezza arrogante, artigliando la pelle. Un manrovescio
potente la
colpì sullo zigomo, facendole scattare la testa
dall’altro lato e spaccandole
il labbro. Il sapore metallico del sangue le riempì la
bocca.
-
Non provarci mai più, donna, o la prossima volta perderai
la mano. –
Le
guardie che accompagnavano Gisborne le furono alle spalle
in un baleno, torcendole le braccia dietro alla schiena e assicurandole
con
corde e nodi robusti. L’altro capo della corda venne
assicurato al campanello
della sella di Gisborne e lei venne issata sulla sella insieme
all’uomo come se
non pesasse nulla.
Quando
giunsero nei pressi delle mura di Nottingham entrambi
i polsi erano arrossati e dolenti, le gambe addormentate per la scomoda
posizione di monta all’amazzone in cui era stata costretta, e
labbro e zigomo
avevano cominciato a gonfiarsi.
-
Aprite i cancelli, lo sceriffo desidera vedere
immediatamente la prigioniera – ordinò con voce
perentoria, spronando lo
stallone tra la folla di mendicanti fuori dall’ingresso e
fino al patio
principale.
Smontò,
tirandola giù con la delicatezza che sarebbe stata
riservata a un sacco di patate. La presa di Gisborne sulla corda la
accompagnò
finchè non venne trascinata al cospetto dello sceriffo. Era
un uomo basso,
molto stempiato, che sembrava circondato da un’aura malevola
sempre presente.
Non era come se l’era immaginato, ma la cosa non aveva alcuna
importanza.
-
Dunque, dunque. Cosa abbiamo qui? –
Le
girò intorno con aria rapace, un ghigno malevolo che
metteva in mostra il vuoto causato da un dente mancante.
-
Chi sei? –
-
Cat. –
-
È una di quei selvaggi della foresta che si fanno chiamare
la Fratellanza del Bosco. –
-
Una selvaggia della foresta? Guardala, razza d’idiota
– sbottò lo sceriffo, agguantandolo per il bavero
della casacca di pelle, - Ti
sembra che una ragazza come questa possa essere stata cresciuta da dei
comuni
bifolchi? Un aiutino? No! –
Guy
la osservò con attenzione. Sotto i capelli
arruffati e lo strato di sangue e sudore, due occhi color del ghiaccio
mandavano lampi furiosi. I tratti del viso erano ricercati, delicati e
al
contempo affilati. Se coperta di cenci e ridotta in quello stato era
bella, una
volta ripulita e abbigliata in modo consono sarebbe stata da togliere
il fiato.
-
Chi sei, ragazza? – insistè lo sceriffo.
Distolse
lo sguardo ostentatamente, fissando il
muro in mattoni come se non l’avesse affatto sentito.
Guy
l’afferrò per un polso, con rudezza, - Lo
sceriffo ti ha fatto una domanda, rispondi. –
-
Ho già riposto. Che c’è, siete sordi?
–
Un
ceffone le colpì la guancia ferita. Digrignò
i denti per impedire anche al più lieve dei gemiti di
abbandonare le sue
labbra.
–
Una notte nelle segrete forse ti scioglierà la
lingua. Gisborne, conduci la nostra ospite nella sua nuova stanza, la
incontrerò domani mattina. –
Rapido
così come era comparso, lo sceriffo voltò
loro le spalle e li lasciò da soli. Eve venne scortata con
malagrazia lungo il
corridoio che portava ai sotterranei del castello e alle segrete. La
puzza e l’umidità
erano tremendi; se non l’avessero uccisa alla svelta,
probabilmente sarebbe
morta per la polmonite o qualche schifosa malattia causata dalla
sporcizia o dai
morsi dei topi.
-
Complimenti, tu sì che sai come trattare una
donna. –
-
Fai silenzio. –
-
Altrimenti? –
Forse,
se l’avesse fatto arrabbiare abbastanza,
le avrebbe donato una morte rapida e misericordiosa. O, nel
più ottimistico dei
casi, si sarebbe distratto quanto bastava da permetterle di disarmarlo
e fuggire.
-
Stai zitta, donna. –
-
Dici donna come se fosse un’offesa. Non dirmi
che hai paura di noi – lo derise.
Gisborne
la voltò con rabbia, spingendola contro
la parete e fissandola con occhi tanto furiosi che per un attimo
credette
davvero di essere in procinto di morire.
-
Tu non sai nulla e, soprattutto, non sono
tenuto ad ascoltare le tue inutili chiacchiere. – Si
voltò verso l’angolo
illuminato dalle torce: - Carceriere! –
Con
un cigolio sinistro, il lucchetto di una
delle celle venne aperto e lei fu scaraventata sul freddo mattonato.
Stava
diventando un vizio quello di finire a
terra, considerò amaramente mentre il lucchetto veniva
richiuso e i passi
decisi di Gisborne si allontanavano.
Tanti
auguri, Eve, esprimi un desiderio.
Scosse
la testa, allontanando quella vocetta
sarcastica dalla sua mente.
Caleb
era morto, lei era stata catturata e
probabilmente sarebbe morta dopo una lenta e atroce tortura.
Se
mai c’era stato a memoria d’uomo un
compleanno peggiore di quello, di sicuro nessuno lo rammentava.
Spazio
autrice:
Eccoci
con l’approdo in
un nuovo fandom, tanto perché io non sono capace di starmene
buona e tranquilla
nei soliti millemila fandom in cui scrivo abitualmente. Allora, amo Guy
(del
tipo che l’amore per lui é talmente sconfinato da
aver odiato la morte di
Marian solo perché lui ne ha sofferto immensamente)
così come mi piacciono un
casino anche Allan e Carter quindi mi sono detta: scriviamoci una bella
long e
speriamo che alla gente piaccia. Ergo, fatemi sapere se i personaggi
sono
abbastanza IC, se vi piace Eve (la cui vera identità
verrà svelata solo in
seguito) e se vi ho incuriosita … magari con una bella
recensinciona. Al
prossimo aggiornamento (che presumo sarà molto presto visto
che le idee per questa
long mi hanno sommersa). Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt