カントリーのタロット - Il paese dei Tarocchi.

di L o t t i e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Le Chariot ***
Capitolo 2: *** 01. Il Collegio. ***



Capitolo 1
*** 00. Le Chariot ***


00. Le Chariot.








Era una notte magnifica quella.
Come sempre la mezza Luna era alta nel cielo. Illuminava le punte dei pini neri e spigolosi che s'intravedevano dall'alta e piccola finestra gotica mentre un piccolo riccio si arrampicava sul baule in cuoio per raggiungere il davanzale di essa. Impolverato e pieno di ragnatele, lurido!
Finalmente era riuscito nell'impresa di fuggire da quella orribile gabbietta infiocchettata nera e viola, ora col cavolo che si sarebbe fatto trovare, mph.
Perdinci!, voleva solo ammirare il panorama, vivere una vita da riccio, non fare le ragnatele e nemmeno una strage. Eppure il Conte ne era terrorizzato. Era livido dalla paura di quell'esserino che si aggirava nel suo enorme castello, libero. Era almeno la settima volta che quella bestiaccia seminava terrore tra quelle familiari mura; tutto ciò per un capriccio di sua nipote. Che tipa strana che era, che vampira inusuale. Decisamente non era tagliata per una vita da nobile come quella del Conte ed aveva un vestiario... un modo di proporsi così... stravagante.
«Marishka!», la voce del padrone di casa si espanse imponente per tutte le stanze, rimbalzando sulle pareti e facendo tremare i vetri delle finestre. Batté una volta il finemente lavorato bastone d'avorio sul marmo delle scale amplificando così l'eco creatasi dalla voce; il grosso rubino incastonato nell'anello portato al dito indice brillò colpito dalla luce lunare mentre uno scalpitio di tacchi si faceva sempre più nitido e vicino.
In fondo alle scale vi si fermò ― insieme all'eco, tutta agghindata, una di quelle che si potrebbe definire gothic lolita1. A fermare il ciuffo, nei capelli corvini, portava un fiocco lilla abbinato al sottogonna dell'abito nero merlettato; per completare l'opera anche delle lentine colorate viola. Quelle, specialmente, facevano inorridire il vampiro più grande.
«Sì, zio?» domandò teatrale, sfarfallando un paio di volte le lunghe ciglia, chinando appena il capo di lato.
«La bestia, dov'è?»
«Zio, la bestia è un innocuo riccio grande quanto il palmo della mia mano» e con un chiaro tentativo di frenare una risata, si coprì le labbra con una mano guantata di fino raso nero. Almeno fin quando un altro colpo di bastone sul pavimento non la fece sobbalzare riportando l'attenzione sul Conte ― iridi rigorosamente rosse, con un viso come scolpito nel marmo, folti capelli brizzolati ed un po' di barbetta. Lui iniziò a scendere le scale, mentre il mantello rigorosamente nero seguiva i suoi passi strisciando come un infido animale da compagnia.
«La nostra famiglia a sempre allevato lupi, non ti piacciono i lupi?», Marishka scosse la testa, esasperata, era impossibile che a quell'uomo facesse paura una creaturina adorabile come il suo Momo e non dei rozzi lupi! «No, ma tu... vuoi... quel... Riccio!» ed accompagnò l'improvvisamente alto tono di voce con l'avvicinare il viso a quello della ragazza, ad occhi sgranati. «Un riccio. Quella creatura ora si aggira per il mio castello facendo chissà cosa!»
«Momo è molto intelligente per questo riesce sempre ad uscire dalla gabbietta, giur―»
«Giuri?!», la interrompé lui, adirato, «Oh, non ti azzardare. Trova quella cosa e fai le valigie; questa storia deve finire e finirà, è una decisione del Conte non di tuo zio» detto questo, voltò le spalle alla vampira per risalire la scalinata ed avvisare una carrozza. Sarebbe partita in giornata, doveva insegnare l'educazione a quella piccola viziata: era il momento adatto per farlo. Si fermò, l'aria austera, in quanto lo scalpitio di tacchi lo aveva seguito. Nessuna protesta l'avrebbe piegato.
«Valigie?!», gracchiò lei, stringendo i pugni.
«Ti trasferisci al collegio che si trova a Le Chariot, settima regione del Kantorī Tarotto. E vestiti in modo meno ridicolo, mostrati per la Vampira discendente di Vladislaus Draculea, incuti timore! Anzi...», nuovamente, si volto verso lei, senza scomporsi ― sorrise. «Dovrai guadagnati i tuoi poteri. Perché da oggi ne disporrai la metà», sentenziò; e Mariska ebbe la brutta sensazione di essere svenuta, caduta, rotolata giù dalle scale... dolorosamente.





* * *






Il Kantorī Tarotto era suddiviso in ventuno regioni più una: Le Fou, la quale si trovava proprio al confine e doveva attraversarsi obbligatoriamente per riuscire a raggiungere le altre ― o almeno, era questo che si trovava scritto sui libri. Le Fou era una regione alquanto problematica, la malavita del Kantorī Tarotto, dove risiedevano i matti, circhi vari. Da lì provengono anche gli altri due protagonisti della storia. Famoso in più regioni, Il Duo Dom, si esibiva per il paese racimolando qualche soldo, nonostante sembrava fossero benestanti. Chi raccontava che fossero scappati di casa, chi ripudiati dai genitori ― avevano genitori? Una cosa era certa, però: erano gemelli. Entrambi si distinguevano per la lacrima nera tatuata sul viso. Ma non perdiamoci in sciocchezze e torniamo a noi.
Con rabbia, la giovane continuava a battere ritmicamente le dita sulla gabbietta contenente il piccolo riccio spaventato ― non aveva molti torti, in quanto la vampira avrebbe potuto benissimo decidere di giocare a tennis con lui... sarebbe stato la pallina. Non l'aveva mai vista così.
Senza lentine colorate.
Vestito tutto merletti.
O calze piene di pizzo e guanti.
Quella lì aveva tutto l'aspetto di essere un vampiro e ben le stava! Non aveva capito bene dove stavano andando e perché, ma una cosa che era cambiata era l'inclinazione della Luna, la quale sembrava assomigliare ad un sinistro ghigno; sfiorava i rami secchi dei grossi e grotteschi alberi prendendo una sfumatura vermiglia man mano che calava nel cielo.
Marishka non fiatò per la maggior parte del viaggio, anche quando i rami sembravano volessero aprire le portiere facendo balzare in aria il piccolo animale, non si mosse; sembrava completamente assorta nei propri pensieri mentre, in mezzo alla vegetazione, iniziavano a comparire vari tendoni di varie forme e dimensioni. Strappati in qualche punto, logori e pregni della densa nebbia. Era davvero uno schifo, Le Fou. Non vedeva l'ora di arrivare a Le Chariot per sistemarsi ― che poi, cosa ci andava a fare una vampira di cinquecento anni in un college? Lei sapeva già tutto. Non aveva bisogno della scuola, ma evidentemente il Conte aveva deciso di punirla davvero; con la metà dei suoi poteri inoltre sarebbe ststo difficile ed avrebbe dovuto nutrirsi di più.

«Ohi ohi!», il ragazzo spalancò gli occhi color ametista ― la pupilla nera si ridusse ad uno spillo, fermandosi di colpo, mentre la ragazza dovette fare una capriola per superare e non finire sul fratello. «Dominique, guarda là», sorrise indicando con un dito una carrozza che si allontanava a gran velocità.
«Uhh, ma qui abbiamo nuovi arrivi!», cinguettò la ragazza chinando il capo corvino di lato, batticchiando poi la mani, le dita smaltate di nero. «Dov'è diretta secondo te?»
«Shiranai, demo2... voglio proprio scoprirlo! Sai cosa penso, Dom?»
«Ovvio, Dominik!»
Detto questo entrambi, come se si leggessero nella mente l'un l'altra, iniziarono a correre, tra gli alberi dentro ed oltre i vari tendoni ― beccandosi gli insulti più fantasiosi da parte dei vari abitanti di Le Fou, non che dessero loro molto peso, concentrati com'erano a seguire quella carrozza, approfittandone anche per mettere in mostra il loro talento da circensi e contorsionisti. Cavoli che scarica di adrenalina! Ogni tanto qualcuno, poi, li riconosceva e puntava il dito e loro ridevano, oh, risuonavano cristalline le loro risate così genuine d sembrare quelle di qualche bambino ― Marishka le sentiva in lontananza e la prima espressione da quando era salita in carrozza le turbò il viso pallido. Le sopracciglia scure si arcuarono poi ricaddero, la fronte acquistò due piccole rughette. Era perplessa. Si chiedeva chi, in quel luogo così grottesco, si permetteva una risata e come sarebbe stato Le Chariot.





* * *






Il viaggiò durò mezza giornata, o almeno così aveva calcolato; quando aprì gli occhi, il cielo era ancora buio ma la mezza Luna orizzontale bianca ed alta in cielo. Sembrava che lì... il sole non sorgesse. Non le dispiaceva molto in fondo, ma ciò in un modo o nell'altro la stonava, quand'è che avrebbe capito che era ora di riposare? La carrozza si fermò, il fiato pesante dei cavalli si udì meglio ed il conducente dal grande cappello a cilindro le aprì la porta facendo un leggero inchino. Si prese qualche attimo per sbirciare l'edificio di fronte, prima di scendere la scaletta con la gabbietta di Momo.
Oh, ed un'altra cosa, gli alberi avevano le foglie viola! Ne avrebbe sicuramente fatta una collezione in ordine cromatico. La struttura non sembrava qualcosa di enorme, ma il tutto era davvero curato nei minimi dettagli, come una piccola bomboniera. Il tetto a salienti possedeva una torretta con campanile annesso e pensò anche che forse, prima, quella cosa potesse essere una chiesa. Le tegole in terracotta erano disposte in file perfette, il portone sembrava davvero massiccio con due enormi battiporta argentati e delle ampie finestra con vetri colorati erano illuminate dall'interno, evidentemente c'era qualcuno, ovvio.
Il cocchiere le diede la mano e finalmente scese da quella piuttosto scomoda carrozza; il tipo non spiccicava parola, ma le indicò il portone facendole intendere che lui avrebbe pensato ai bagagli. Quindi... era il momento. Sicuramente ogni ragazzo le sarebbe piombato addosso, che seccatura, sarebbe diventata la vampira più popolare; tutto ciò non era che un toccasana per il suo smisurato ego spezzato dal Conte. Oh, che importava se non aveva le lentine colorate o un vestito tutto fronzoli? Sarebbe stata comunque carina! Sorrise e bussò al portone, battendo con un battiporta su di esso. Aspettò qualche attimo, poi il cocchiere le batté un indice sulla spalla, si voltò per guardarlo... aggrottò la fronte, stava facendole gesto di entrare?
«E che diamine, perché non parli?», sbottò, l'altro fece spallucce. «Okay, okay... entro.»
Poi, per quanto potesse sembrare massiccia quella porta, a lei basto spingere con un solo braccio per aprirla: era strano, dall'esterno non sembrava così enorme quel collegio ― ma soprattutto, deserto; diede un'altra occhiata al conducente della carrozza intento a prelevare le valigie ed entrò. Strinse la presa sull'impugnatura della gabbietta, grazie ai suoi sensi ottimali, captò un chiacchiericcio non molto lontano da lì. Per tre volte si imbatté in un vicolo cieco, prima di svoltare ancora a sinistra ed entrare in una sala gigantesca, illuminata da due grandi lampadari in vetro. Una mensa..?, pensò istintivamente notando tutti quei tavoli apparecchiati.
Il brusio cessò e voltandosi flemmaticamente a sinistra, notò un luccichio ametista ― ognuno riprese, questa volta senza staccare lo sguardo dalla sua figura: «è un vampiro!» squittì una ragazza, «non si consideravano superiori per frequentare luoghi di così basso rango?» sputo un tizio dalla dubbia sessualità. Infine una distinta signora dai capelli raccolti in una cosa alta e gli occhi da felino, con la pupilla verticale, le si avvicinò.
«Marishka Von Dracula, presumo. Sonyo desolata per nyon avervi accolto nel modo più consonyo, ma vedete... ecco―»
«Si risparmi le spiegazioni», la interruppe, osservando gli altri uscire dalla sala, tranne i due dagli occhi ametista, che sembravano ascoltare interessati ― fastidiosi. «Mi mostri solo la mia stanza, sono stanca.»
«Certamente, seguitemi!», si affrettò l'altra, facendole strada.

Per arrivare a quella stanza, dovettero attraversare forse chilometri, tra vari corridoi e scale: impossibile che dall'esterno non si scorgesse tale grandezza! Alla fine la donna-felino con quel suo fastidioso errore di pronuncia si fermò armeggiando un attimo con la maniglia della porta. Sicuramente avrebbe diviso la camera con qualcun altro, che seccatura. Lei aveva bisogno dei suoi spazi e della sua privacy, non di un ficcanaso. In quanto a quel collegio, oh, tutto sembrava uguale. Tutti i corridoi avevano delle decorazioni arabesche blu con fondo bianco e le porte tutte nere, il pavimento sembrava una scacchiera. Sentiva già la nostalgia della fredda pietra del castello.
«Ecco qua, spero vi piaccia. Dividerete la stanza con unya ragazza spettro e... oh! Quando siete arrivata l'intervallo era appena finyito quindi penso che dovrete aspettare la fine delle lezionyi per conyoscerla. Le vostre cose sonyo già qua e la divisa insieme all'orario vi verrà consegnyato entro la finye della giornyata.»
Marishka annuì brevemente, avanzando di un passo dentro la camera. Quindi in quei istanti si stavano svolgendo le lezioni, eh? Andò con lo sguardo alla ricerca di un orologio che trovò appeso alla parete alla sua destra. Quell'adorabile cucù segnava quasi le undici...del mattino. Non ne era proprio sicura, visto che fuori c'era la luna. Avrebbe dovuto farci l'abitudine. Di fronte ad ogni letto in ferro battuto nero vi erano delle cassettiere in legno, presunse che lì vi avrebbe dovuto mettere i propri pochi averi. Bene, avrebbe occupato anche la cassettiera della sua fortunata compagna di stanza; in fondo, di cosa avevano bisogni gli spettri?
Il cocchiere, effettivamente, aveva lasciato le sue tre valige in stanza, che servizio efficiente! Poggiò la gabbietta di Momo sul comodino fra i due letti e si avviò alla sistemazione.

«Hi, Misu Arisu, anata garasu no me de donna yume wo mirareru no?3», canticchiava il ragazzo con la lacrima sotto l'occhio sinistro, sogghignando. Mentre la sorella al suo fianco, dai corti capelli neri, metteva in mostra senza pudore la propria biancheria nera in pizzo facendo la verticale ― pur continuando a camminare con le mani. Anche se dopotutto a guardarla vi era solo il fratello, in quanto tutti erano a lezione. Avevano il giorno libero e ciò li scocciava non poco, vogliosi di mettersi a lavoro com'erano. Le caratteristiche iridi color ametista brillavano ad ogni fascio di luce in quello spazioso corridoio: stavano avviandosi nella loro stanza.
Dominique scoppiò a ridere, cristallina, graffiante.
«Che hai sorella?», seppur stizzito, Dominik arrestò il suo canto, arcuando un sopracciglio.
«L'hai vista, no? Non riesco a non ridere continuando ad immaginare la sua faccia! Ce la siamo scelta bene, stavolta.»
«Shh, già ho dovuto faticare per convincere la preside a riammetterci, non ti ci mettere pure tu.»
«Oh? Quella racchia?», il sorriso sparì del tutto, lasciando il grazioso viso porcellana della sorella impassibile. Ella lentamente poggiò i piedi al suolo eseguendo un perfetto ponte, infine si alzò in piedi. «La odio.»
«Lo so, lo so. Almeno abbiamo la stanza in comune, contenta?», lui chinò il viso di lato di scatto, come se avessero reciso i fili che lo controllavano.
Il sorriso tornò a colorare il viso della sorella, quale sfarfallò le lunghe ciglia nere con perline all'estremità annuendo vivacemente.
«Non ci resta che aspettare domani», sbuffò lui.






Deliri Note dell'autrice:
[...] gothic lolita1 [...]: è un tipo di abbigliamento nato in Giappone intorno alla fine degli anni novanta, in uso tra le adolescenti giapponesi e in parte tra giovani donne e uomini, ed è un sottogenere della Moda Lolita.
[...] Shiranai, demo2 [...]: letteralmente “non lo so, ma” (知らない、でも).
[...] «Hi, Misu Arisu. Anata garasu no me de donna yume wo mirareru no?3» [...]: “Cara signorina Alice, che tipo di sogni vedono i tuoi occhi di vetro?” Piccolo pezzetto della canzone Still Doll – Kanon Wakeshima.

Ed è asciugandomi una gocciolina di sudore che finalmente riesco a pubblicare 「カントリーのタロット」―「Il paese dei Tarocchi」
Sinceramente non so ancora che piega prenderanno i fatti, in quanto mi è venuta in mente in modo casuale, in un momento di pura follia e dal mio amore per i tarocchi. In questo primo capitolo si presentano, bene o male, quelli che saranno i protagonisti della storia. Spero di aggiornarla il prima possibile, alla prossima!
―L o t t i e.

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Capitolo 2
*** 01. Il Collegio. ***


01. Il Collegio.








Qualche ora dopo ― l'orologio a cucù segnava le due e trenta minuti, una figura lattea attraversò la porta, in modo letterale.
Marishka non si sarebbe accorta di nulla se nella stanza non fosse calato un improvviso gelo ed il piccolo Momo non si fosse rintanato nella sua casetta di plastica. Si voltò verso la ragazza bianca e la osservò con gli occhi imbevuti nella cruenza del sangue, non poteva far più nulla per quello spontaneo sguardo assassino. Anche lei la osservò, le iridi così nere che anche con la sua vista affinata non riusciva a distinguerne le pupille. Lo spettro le si avvicinò, fluttuando a qualche centimetro dal pavimento, mesto; poi la figura fece penetrare la propria mano nel petto nella vampira. Quest'ultima si irrigidì sussultando in seguito. Era strano ed opprimente riuscire a percepire le dita di quella ragazza carezzarle il cuore, studiarla con quelle pozze oscure.
«Cos...», riuscì a biascicare prima che il fantasma si ritraesse nuovamente.
«Marishka Katrina Von Dracula, vampira, nobile, molto nobile; nata il―»
«Ehy! Non sono cosa da dire ad alta voce!», la interruppe la diretta interessata.
«Mi scuso. Io sono Reika: kanji di spirito e fiore. Oh, che sbadata», forse, quella doveva essere un'esclamazione, suppose Marishka. Lo spirito ― Reika, oltrepassò nuovamente la porta in legno. Subito dopo, questa volta, la maniglia girò e quella che aprì la porta era sempre la ragazza fantasma però con una busta tra le mani: non era più opalescente. «I libri e la tua divisa. Qualche volta dimentico di assumere una forma “palpabile” e le cose che porto con me rimangono in corridoio.»
«Ah, bene», fece sarcastica Marishka, alzandosi di mala voglia per agguantare il tutto. Chissà come avrebbe preso, la sua compagna di stanza, il fatto che avesse usato anche la sua cassettiera. Osservò con aria di sufficienza gli indumenti: una gonna di un grigio molto delicato, camicia bianca e giacca rigorosamente blu notte a far pendant con le pareti dei corridoi. Orridi. «Non si possono cambiare? O, che ne so, modificare in qualche modo?»
Reika scosse il capo facendo ondeggiare i lunghi filamenti platinati che aveva per capelli. «Proibito dalle regole.»
«Neanche qualche merletto sul bordo della gonna?»
Stavolta l'altra si limitò ad osservarla mentre con una mano estraeva dalla cassettiera un abito alquanto succinto.
«Oh, quello? Non penso che a te serva la cassettiera, no?», le sorrise.

Aveva raggiunto un'accordo con la sua compagna di stanza e ne era soddisfatta, qualcun altro non sarebbe sopravvissuto al dibattito. Forse la trasparenza e l'apatia della sua coinquilina erano un ottimo vantaggio contro qualcuno come Marishka. La vampira avrebbe potuto utilizzare la metà dei cassetti destinati a Reika, ovviamente questo perché gli averi dello spettro erano davvero pochi in confronto.
A quanto pareva, quella era l'ora di pranzo e la sua nuova conoscenza, nonostante non avesse bisogno di cibo od altro la stava accompagnando alla mensa. Questo la aiutò a memorizzare meglio la strada. Un via vai di ogni sorta di creatura ghermiva gli ampi corridoi e, contrariamente al pensiero della vampira, nessuno la osservava in modo particolare ― anzi, un gruppetto di Licantropi la fulminò con gli occhi.
«Quindi, spiegami, qui non ci sono umani?»
«Non proprio. Ci sono le streghe e... loro due», Reika alzò un braccio indicando ad indice teso un ragazzo ed una ragazza che ridacchiavano. Stavano arrivando dalla parte opposta del corridoio e sembravano intenzionati ad entrare pure loro in mensa. Quei due paia d'occhi color ametista fecero ricordare a Marishka che quelli erano i tipi fastidiosi che aveva incontrato qualche ora prima. La vampira si chiese perché quei tipi potevano girare vestiti come volevano, in quanto lei dovette cambiarsi d'abito ed indossare quell'orribile uniforme. Guardò livida di rabbia il magnifico abito in pizzo e raso nero di Dominique abbinato al completo elegante in gilet e pantaloni di Dominik: sembravano una coppia di ballerini, più che altro.
«Loro? Che hanno quelli lì?»
«Nessuno sa cosa siano in verità e nei loro fascicoli la specie è stata cancellata in modo assai violento. Sembrano dei normali ragazzi circensi e molto abili nel contorsionismo ma non invecchiano. Nemmeno io lo capisco, inoltre...» e si osservò la mano, ovviamente senza mostrare alcuna emozione, «non si fanno analizzare da me.»
«Intendi dire la cosa strana che hai fatto prima? Beh, ci credo che non ne hanno voglia», ironizzò l'altra.
Dominik e Dominique non perdevano di vista la vampira nemmeno tra la confusione e ovunque si girasse questa, loro erano sempre lì ad osservarla divertiti, con quel sogghigno dipinto in rosa confetto sulle labbra della ragazza ed in una elegante linea nera per quanto riguardasse il maschio. Avevano scordato che vi fosse l'ora di pranzo e cena, quindi avevano rischiato anche di far ritardo al loro primo vero incontro con la loro preda. Che peccato che sarebbe stato! A fare la prima mossa, quando si parlava di ragazze, era sempre Dominik, per quanto la sorella poi sfociasse in quelle crisi di gelosia alquanto eccessive. Le uniche volte che lo risparmiava era quando avevano a che fare con ragazzi omosessuali. Mh.
La sala da pranzo era illuminata da quattro enormi lampadari in cristallo appesi all'alto soffitto color avorio: se si osservava bene, e seguendo i quattro punti che convergevano al centro, ci si accorgeva che quella, in realtà, era un'enorme volta a crociera. I tavoli, disposti in cinque lunghe file, erano apparecchiati in modo impeccabile con tovaglie blu e nere mentre sulla superficie spiccavano i piatti bianchi in porcellana e le posate argentate ― Marishka sperava non fosse argento vero.
«Ognyi posto è già stato assegnyato!», la voce acuta della donna che l'aveva accompagnata in stanza le perforò i timpani. Alzò gli occhi al cielo sforzandosi di non mostrarsi pignola per gli errori di pronuncia della donna e sforzò un sorriso. «Signyorinya Marishka, se vuole posso accompagnyarla. Reika.»
«Buona giornata, Miss.» le rispose quella.
«Sarebbe gradito, sì», accettò la vampira scorgendo ancora un luccichio violaceo tra i presenti. «Mi dica, le posate sono in puro argento?», approfittò quindi per domandarle mentre la seguiva affiancata da Reika al proprio posto. Solo allora scorse una coda color miele oscillare dietro la guida. Rimase un poco sbigottita, doveva ammetterlo.
«Certo che nyo, anche se non abbiamo altri della vostra specie, in ogni caso rischieremo delle serie ustionyi ad altri studenti e nyon vogliamo che ciò accada.»
«Mi sembra una cosa più che sensata», convenne la vampira.

«O~ha~yō~ Ojōchan; sembri nuova, ti andrebbe di visitare un po' il Collegio?»
Ciò che veniva servito e chiamato coraggiosamente pranzo altro non era che una bistecca al sangue dannatamente disgustosa e di basso rango, non adatta ad un palato sopraffino della vampira che adorava nutrirsi esclusivamente di sangue umano. Il maiale era orripilante. Come orripilante era il modo di porsi di quel ragazzo nei suoi confronti. Con stizza e la forchetta fra le mani, alzò gli occhi per incontrare quelli luccicanti e bramosi del ragazzo “speciale”.
«Prego?», sollevò un sopracciglio.
«Non ho potuto far altro che notarti, da questa mattina rimugino sul poter avere l'onore di essere il primo a―»
«Continua pure a rimuginarci su finché non troverai il modo di rivolgerti a me», detto questo, con molta nonchalance ripose la posata sul piatto e si alzò per potersi allontanare da quell'individuo. Doveva ammettere che si aspettava un comportamento dal tutto diverso da quel ragazzo: è proprio vero che l'abito non fa il monaco. Però, prima che potesse trovarsi a più di due metri da lui, questo le prese la mano ed elegantemente le baciò le nocche con quelle labbra fredde e lisce. Ah! Si era inchinato!
«Mortificato, milady», Dominik sentì distintamente le pupille fredde della sorella graffiargli la pelle: pazienza. «Non volevo rivolgermi a voi con quei volgari termini.»
«Oh, vedo che ragioni. Ebbene, puoi anche alzarti, a questo punto.»

Dominik le spiegò che dopo l'ora di pranzo ci si rivedeva in mensa per la cena: il pomeriggio era tutto dedicato alle attività extra-scolastiche per non annoiarsi. I compiti erano inutili lì, ed anche le lezioni a dirla tutta, ma in qualche modo il tempo lo si doveva occupare quando si era figli di pezzi grossi o creature ripudiate dall'universo umano. Perché sì, si trovavano in una sorta di universo parallelo e quello spiegava la strana inclinazione della Luna e della notte perenne. Il Collegio era stato aperto da una strega molti secoli prima, quest'ultima tutt'ora ne era la preside ma si lasciava vedere raramente ― giravano delle voci su ella. Che forse era già morta da tempo e che il suo cadavere giacesse ancora nella stanza della preside, supponendo ciò, l'edificio sarebbe dovuto essere amministrato dallo spettro della donna. Neppure una creatura però aveva il coraggio di verificare la veridicità di quella diceria. L'edificio aveva solamente quel piano, ma, grazie ad un sortilegio pareva ne avesse più di cinque ― così tante stanze da non riuscire a contarle. Una struttura imponente, di tutto rispetto all'interno ed una grezza, ma accogliente, struttura in pietra fuori.
«Sorprendente, nemmeno il Castello di mio zio―»
«Vlad Terzo di Valacchia», s'intromise il ragazzo.
«Dracula. Se fossimo in un posto minimamente normale a quest'ora un branco di lupi ti avrebbe stanato e poi sbranato.»
«Oh», sogghignò lui, come se questa notizia lo eccitasse, facendolo guizzare euforico. Marishka gli rifilò un'occhiata storta.
«Ora tocca a te presentarti.»
Con uno scatto, dandosi la spinta con la gamba destra ― Dominik fece un salto di almeno tre metri e, capriola inclusa, atterrò di fronte alla vampira coronando il tutto con un teatrale inchino. Contemporaneamente una risatina riecheggiò nel corridoio inseme al rintocco delle quattro in punto. La vampira si voltò nella direzione che ritenesse giusta, ma la risatina si rivelò reale di fronte a sé: alla destra del suo accompagnatore era comparsa la ragazza con la lacrima speculare a quelle di Dominik, col sorriso più ampio ed inquietante che potesse sostare sul viso di qualcuno.
«Noi siamo... Il Duo Dom!», maledettamente sincronizzate, le due voci sembravano fuse tra loro ed i visi dei gemelli, in quell'attimo avvicinati, uno solo, ghignante. «Le Fou è la nostra casa. Il confine del Kantorī Tarotto, dove il mondo dei mortali e quello dei Tarocchi sono pericolosamente vicini.»
«Io, Miss Dracula, sono Dominique. Non mi separo mai da mio fratello», sibilò la nuova presenza quasi fosse più un avvertimento che una presentazione.
«Dev'essere una vera seccatura», ribatté la vampira gonfiando il petto d'orgoglio.
C'era da dire che, per quanto impettita e per nulla scalfita potesse risultare, si era presa uno spavento coi fiocchi ― e mai l'avrebbe ammesso! Se Dominique era riuscita ad ingannare il suo fine anche se indebolito udito, qualcosa in quei gemelli non andava.
«Ah? Parla per te, Dominik gradisce la mia presenza!»
«Non iniziate a litigare, su», le zittì il ragazzo sorridendo. «Marishka, se vuoi, io e Dominique potremmo accompagnarti in camera.»
La vampira soppesò l'idea per qualche istante, poi annuì: da sola non sarebbe mai riuscita a tornare e poi, proprio mentre iniziarono a camminare―aggrottò la fronte. «Quando ti ho dato il permesso di darmi del “tu”?»
I due gemelli si limitarono a ridacchiare sommessamente.

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