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Autore: L o t t i e    23/01/2015    1 recensioni
Con quel sorriso beffardo ed inquietante della pallida luna costantemente alta nel cielo, una carrozza viaggiava placida tra la fitta e nera foresta. I rami degli abeti scuri battevano come grottesche braccia rinsecchite sul vetro della portiera, mentre il conducente iniziava a movimentare il viaggio frustando le magnifiche bestie puro sangue a guida della carrozza. Oltre la vegetazione, due curiosi guardavano la scena sghignazzando. Che magnifico quadro!
Tra pizzi e merletti, ricci, gemelli dalla dubbia sanità mentale e uno zio alquanto problematico, riuscirà Marishka a riconquistare i suoi poteri? Smetterà di usare le lentine colorate e farà capire al Conte che i ricci sono animali innocui?
...o meglio, riuscirò io, autrice, a dare un senso a questa storia?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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00. Le Chariot.








Era una notte magnifica quella.
Come sempre la mezza Luna era alta nel cielo. Illuminava le punte dei pini neri e spigolosi che s'intravedevano dall'alta e piccola finestra gotica mentre un piccolo riccio si arrampicava sul baule in cuoio per raggiungere il davanzale di essa. Impolverato e pieno di ragnatele, lurido!
Finalmente era riuscito nell'impresa di fuggire da quella orribile gabbietta infiocchettata nera e viola, ora col cavolo che si sarebbe fatto trovare, mph.
Perdinci!, voleva solo ammirare il panorama, vivere una vita da riccio, non fare le ragnatele e nemmeno una strage. Eppure il Conte ne era terrorizzato. Era livido dalla paura di quell'esserino che si aggirava nel suo enorme castello, libero. Era almeno la settima volta che quella bestiaccia seminava terrore tra quelle familiari mura; tutto ciò per un capriccio di sua nipote. Che tipa strana che era, che vampira inusuale. Decisamente non era tagliata per una vita da nobile come quella del Conte ed aveva un vestiario... un modo di proporsi così... stravagante.
«Marishka!», la voce del padrone di casa si espanse imponente per tutte le stanze, rimbalzando sulle pareti e facendo tremare i vetri delle finestre. Batté una volta il finemente lavorato bastone d'avorio sul marmo delle scale amplificando così l'eco creatasi dalla voce; il grosso rubino incastonato nell'anello portato al dito indice brillò colpito dalla luce lunare mentre uno scalpitio di tacchi si faceva sempre più nitido e vicino.
In fondo alle scale vi si fermò ― insieme all'eco, tutta agghindata, una di quelle che si potrebbe definire gothic lolita1. A fermare il ciuffo, nei capelli corvini, portava un fiocco lilla abbinato al sottogonna dell'abito nero merlettato; per completare l'opera anche delle lentine colorate viola. Quelle, specialmente, facevano inorridire il vampiro più grande.
«Sì, zio?» domandò teatrale, sfarfallando un paio di volte le lunghe ciglia, chinando appena il capo di lato.
«La bestia, dov'è?»
«Zio, la bestia è un innocuo riccio grande quanto il palmo della mia mano» e con un chiaro tentativo di frenare una risata, si coprì le labbra con una mano guantata di fino raso nero. Almeno fin quando un altro colpo di bastone sul pavimento non la fece sobbalzare riportando l'attenzione sul Conte ― iridi rigorosamente rosse, con un viso come scolpito nel marmo, folti capelli brizzolati ed un po' di barbetta. Lui iniziò a scendere le scale, mentre il mantello rigorosamente nero seguiva i suoi passi strisciando come un infido animale da compagnia.
«La nostra famiglia a sempre allevato lupi, non ti piacciono i lupi?», Marishka scosse la testa, esasperata, era impossibile che a quell'uomo facesse paura una creaturina adorabile come il suo Momo e non dei rozzi lupi! «No, ma tu... vuoi... quel... Riccio!» ed accompagnò l'improvvisamente alto tono di voce con l'avvicinare il viso a quello della ragazza, ad occhi sgranati. «Un riccio. Quella creatura ora si aggira per il mio castello facendo chissà cosa!»
«Momo è molto intelligente per questo riesce sempre ad uscire dalla gabbietta, giur―»
«Giuri?!», la interrompé lui, adirato, «Oh, non ti azzardare. Trova quella cosa e fai le valigie; questa storia deve finire e finirà, è una decisione del Conte non di tuo zio» detto questo, voltò le spalle alla vampira per risalire la scalinata ed avvisare una carrozza. Sarebbe partita in giornata, doveva insegnare l'educazione a quella piccola viziata: era il momento adatto per farlo. Si fermò, l'aria austera, in quanto lo scalpitio di tacchi lo aveva seguito. Nessuna protesta l'avrebbe piegato.
«Valigie?!», gracchiò lei, stringendo i pugni.
«Ti trasferisci al collegio che si trova a Le Chariot, settima regione del Kantorī Tarotto. E vestiti in modo meno ridicolo, mostrati per la Vampira discendente di Vladislaus Draculea, incuti timore! Anzi...», nuovamente, si volto verso lei, senza scomporsi ― sorrise. «Dovrai guadagnati i tuoi poteri. Perché da oggi ne disporrai la metà», sentenziò; e Mariska ebbe la brutta sensazione di essere svenuta, caduta, rotolata giù dalle scale... dolorosamente.





* * *






Il Kantorī Tarotto era suddiviso in ventuno regioni più una: Le Fou, la quale si trovava proprio al confine e doveva attraversarsi obbligatoriamente per riuscire a raggiungere le altre ― o almeno, era questo che si trovava scritto sui libri. Le Fou era una regione alquanto problematica, la malavita del Kantorī Tarotto, dove risiedevano i matti, circhi vari. Da lì provengono anche gli altri due protagonisti della storia. Famoso in più regioni, Il Duo Dom, si esibiva per il paese racimolando qualche soldo, nonostante sembrava fossero benestanti. Chi raccontava che fossero scappati di casa, chi ripudiati dai genitori ― avevano genitori? Una cosa era certa, però: erano gemelli. Entrambi si distinguevano per la lacrima nera tatuata sul viso. Ma non perdiamoci in sciocchezze e torniamo a noi.
Con rabbia, la giovane continuava a battere ritmicamente le dita sulla gabbietta contenente il piccolo riccio spaventato ― non aveva molti torti, in quanto la vampira avrebbe potuto benissimo decidere di giocare a tennis con lui... sarebbe stato la pallina. Non l'aveva mai vista così.
Senza lentine colorate.
Vestito tutto merletti.
O calze piene di pizzo e guanti.
Quella lì aveva tutto l'aspetto di essere un vampiro e ben le stava! Non aveva capito bene dove stavano andando e perché, ma una cosa che era cambiata era l'inclinazione della Luna, la quale sembrava assomigliare ad un sinistro ghigno; sfiorava i rami secchi dei grossi e grotteschi alberi prendendo una sfumatura vermiglia man mano che calava nel cielo.
Marishka non fiatò per la maggior parte del viaggio, anche quando i rami sembravano volessero aprire le portiere facendo balzare in aria il piccolo animale, non si mosse; sembrava completamente assorta nei propri pensieri mentre, in mezzo alla vegetazione, iniziavano a comparire vari tendoni di varie forme e dimensioni. Strappati in qualche punto, logori e pregni della densa nebbia. Era davvero uno schifo, Le Fou. Non vedeva l'ora di arrivare a Le Chariot per sistemarsi ― che poi, cosa ci andava a fare una vampira di cinquecento anni in un college? Lei sapeva già tutto. Non aveva bisogno della scuola, ma evidentemente il Conte aveva deciso di punirla davvero; con la metà dei suoi poteri inoltre sarebbe ststo difficile ed avrebbe dovuto nutrirsi di più.

«Ohi ohi!», il ragazzo spalancò gli occhi color ametista ― la pupilla nera si ridusse ad uno spillo, fermandosi di colpo, mentre la ragazza dovette fare una capriola per superare e non finire sul fratello. «Dominique, guarda là», sorrise indicando con un dito una carrozza che si allontanava a gran velocità.
«Uhh, ma qui abbiamo nuovi arrivi!», cinguettò la ragazza chinando il capo corvino di lato, batticchiando poi la mani, le dita smaltate di nero. «Dov'è diretta secondo te?»
«Shiranai, demo2... voglio proprio scoprirlo! Sai cosa penso, Dom?»
«Ovvio, Dominik!»
Detto questo entrambi, come se si leggessero nella mente l'un l'altra, iniziarono a correre, tra gli alberi dentro ed oltre i vari tendoni ― beccandosi gli insulti più fantasiosi da parte dei vari abitanti di Le Fou, non che dessero loro molto peso, concentrati com'erano a seguire quella carrozza, approfittandone anche per mettere in mostra il loro talento da circensi e contorsionisti. Cavoli che scarica di adrenalina! Ogni tanto qualcuno, poi, li riconosceva e puntava il dito e loro ridevano, oh, risuonavano cristalline le loro risate così genuine d sembrare quelle di qualche bambino ― Marishka le sentiva in lontananza e la prima espressione da quando era salita in carrozza le turbò il viso pallido. Le sopracciglia scure si arcuarono poi ricaddero, la fronte acquistò due piccole rughette. Era perplessa. Si chiedeva chi, in quel luogo così grottesco, si permetteva una risata e come sarebbe stato Le Chariot.





* * *






Il viaggiò durò mezza giornata, o almeno così aveva calcolato; quando aprì gli occhi, il cielo era ancora buio ma la mezza Luna orizzontale bianca ed alta in cielo. Sembrava che lì... il sole non sorgesse. Non le dispiaceva molto in fondo, ma ciò in un modo o nell'altro la stonava, quand'è che avrebbe capito che era ora di riposare? La carrozza si fermò, il fiato pesante dei cavalli si udì meglio ed il conducente dal grande cappello a cilindro le aprì la porta facendo un leggero inchino. Si prese qualche attimo per sbirciare l'edificio di fronte, prima di scendere la scaletta con la gabbietta di Momo.
Oh, ed un'altra cosa, gli alberi avevano le foglie viola! Ne avrebbe sicuramente fatta una collezione in ordine cromatico. La struttura non sembrava qualcosa di enorme, ma il tutto era davvero curato nei minimi dettagli, come una piccola bomboniera. Il tetto a salienti possedeva una torretta con campanile annesso e pensò anche che forse, prima, quella cosa potesse essere una chiesa. Le tegole in terracotta erano disposte in file perfette, il portone sembrava davvero massiccio con due enormi battiporta argentati e delle ampie finestra con vetri colorati erano illuminate dall'interno, evidentemente c'era qualcuno, ovvio.
Il cocchiere le diede la mano e finalmente scese da quella piuttosto scomoda carrozza; il tipo non spiccicava parola, ma le indicò il portone facendole intendere che lui avrebbe pensato ai bagagli. Quindi... era il momento. Sicuramente ogni ragazzo le sarebbe piombato addosso, che seccatura, sarebbe diventata la vampira più popolare; tutto ciò non era che un toccasana per il suo smisurato ego spezzato dal Conte. Oh, che importava se non aveva le lentine colorate o un vestito tutto fronzoli? Sarebbe stata comunque carina! Sorrise e bussò al portone, battendo con un battiporta su di esso. Aspettò qualche attimo, poi il cocchiere le batté un indice sulla spalla, si voltò per guardarlo... aggrottò la fronte, stava facendole gesto di entrare?
«E che diamine, perché non parli?», sbottò, l'altro fece spallucce. «Okay, okay... entro.»
Poi, per quanto potesse sembrare massiccia quella porta, a lei basto spingere con un solo braccio per aprirla: era strano, dall'esterno non sembrava così enorme quel collegio ― ma soprattutto, deserto; diede un'altra occhiata al conducente della carrozza intento a prelevare le valigie ed entrò. Strinse la presa sull'impugnatura della gabbietta, grazie ai suoi sensi ottimali, captò un chiacchiericcio non molto lontano da lì. Per tre volte si imbatté in un vicolo cieco, prima di svoltare ancora a sinistra ed entrare in una sala gigantesca, illuminata da due grandi lampadari in vetro. Una mensa..?, pensò istintivamente notando tutti quei tavoli apparecchiati.
Il brusio cessò e voltandosi flemmaticamente a sinistra, notò un luccichio ametista ― ognuno riprese, questa volta senza staccare lo sguardo dalla sua figura: «è un vampiro!» squittì una ragazza, «non si consideravano superiori per frequentare luoghi di così basso rango?» sputo un tizio dalla dubbia sessualità. Infine una distinta signora dai capelli raccolti in una cosa alta e gli occhi da felino, con la pupilla verticale, le si avvicinò.
«Marishka Von Dracula, presumo. Sonyo desolata per nyon avervi accolto nel modo più consonyo, ma vedete... ecco―»
«Si risparmi le spiegazioni», la interruppe, osservando gli altri uscire dalla sala, tranne i due dagli occhi ametista, che sembravano ascoltare interessati ― fastidiosi. «Mi mostri solo la mia stanza, sono stanca.»
«Certamente, seguitemi!», si affrettò l'altra, facendole strada.

Per arrivare a quella stanza, dovettero attraversare forse chilometri, tra vari corridoi e scale: impossibile che dall'esterno non si scorgesse tale grandezza! Alla fine la donna-felino con quel suo fastidioso errore di pronuncia si fermò armeggiando un attimo con la maniglia della porta. Sicuramente avrebbe diviso la camera con qualcun altro, che seccatura. Lei aveva bisogno dei suoi spazi e della sua privacy, non di un ficcanaso. In quanto a quel collegio, oh, tutto sembrava uguale. Tutti i corridoi avevano delle decorazioni arabesche blu con fondo bianco e le porte tutte nere, il pavimento sembrava una scacchiera. Sentiva già la nostalgia della fredda pietra del castello.
«Ecco qua, spero vi piaccia. Dividerete la stanza con unya ragazza spettro e... oh! Quando siete arrivata l'intervallo era appena finyito quindi penso che dovrete aspettare la fine delle lezionyi per conyoscerla. Le vostre cose sonyo già qua e la divisa insieme all'orario vi verrà consegnyato entro la finye della giornyata.»
Marishka annuì brevemente, avanzando di un passo dentro la camera. Quindi in quei istanti si stavano svolgendo le lezioni, eh? Andò con lo sguardo alla ricerca di un orologio che trovò appeso alla parete alla sua destra. Quell'adorabile cucù segnava quasi le undici...del mattino. Non ne era proprio sicura, visto che fuori c'era la luna. Avrebbe dovuto farci l'abitudine. Di fronte ad ogni letto in ferro battuto nero vi erano delle cassettiere in legno, presunse che lì vi avrebbe dovuto mettere i propri pochi averi. Bene, avrebbe occupato anche la cassettiera della sua fortunata compagna di stanza; in fondo, di cosa avevano bisogni gli spettri?
Il cocchiere, effettivamente, aveva lasciato le sue tre valige in stanza, che servizio efficiente! Poggiò la gabbietta di Momo sul comodino fra i due letti e si avviò alla sistemazione.

«Hi, Misu Arisu, anata garasu no me de donna yume wo mirareru no?3», canticchiava il ragazzo con la lacrima sotto l'occhio sinistro, sogghignando. Mentre la sorella al suo fianco, dai corti capelli neri, metteva in mostra senza pudore la propria biancheria nera in pizzo facendo la verticale ― pur continuando a camminare con le mani. Anche se dopotutto a guardarla vi era solo il fratello, in quanto tutti erano a lezione. Avevano il giorno libero e ciò li scocciava non poco, vogliosi di mettersi a lavoro com'erano. Le caratteristiche iridi color ametista brillavano ad ogni fascio di luce in quello spazioso corridoio: stavano avviandosi nella loro stanza.
Dominique scoppiò a ridere, cristallina, graffiante.
«Che hai sorella?», seppur stizzito, Dominik arrestò il suo canto, arcuando un sopracciglio.
«L'hai vista, no? Non riesco a non ridere continuando ad immaginare la sua faccia! Ce la siamo scelta bene, stavolta.»
«Shh, già ho dovuto faticare per convincere la preside a riammetterci, non ti ci mettere pure tu.»
«Oh? Quella racchia?», il sorriso sparì del tutto, lasciando il grazioso viso porcellana della sorella impassibile. Ella lentamente poggiò i piedi al suolo eseguendo un perfetto ponte, infine si alzò in piedi. «La odio.»
«Lo so, lo so. Almeno abbiamo la stanza in comune, contenta?», lui chinò il viso di lato di scatto, come se avessero reciso i fili che lo controllavano.
Il sorriso tornò a colorare il viso della sorella, quale sfarfallò le lunghe ciglia nere con perline all'estremità annuendo vivacemente.
«Non ci resta che aspettare domani», sbuffò lui.






Deliri Note dell'autrice:
[...] gothic lolita1 [...]: è un tipo di abbigliamento nato in Giappone intorno alla fine degli anni novanta, in uso tra le adolescenti giapponesi e in parte tra giovani donne e uomini, ed è un sottogenere della Moda Lolita.
[...] Shiranai, demo2 [...]: letteralmente “non lo so, ma” (知らない、でも).
[...] «Hi, Misu Arisu. Anata garasu no me de donna yume wo mirareru no?3» [...]: “Cara signorina Alice, che tipo di sogni vedono i tuoi occhi di vetro?” Piccolo pezzetto della canzone Still Doll – Kanon Wakeshima.

Ed è asciugandomi una gocciolina di sudore che finalmente riesco a pubblicare 「カントリーのタロット」―「Il paese dei Tarocchi」
Sinceramente non so ancora che piega prenderanno i fatti, in quanto mi è venuta in mente in modo casuale, in un momento di pura follia e dal mio amore per i tarocchi. In questo primo capitolo si presentano, bene o male, quelli che saranno i protagonisti della storia. Spero di aggiornarla il prima possibile, alla prossima!
―L o t t i e.
  
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