tracce sparse

di VeganWanderingWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un'altra giornata così ***
Capitolo 2: *** inclinare il destino ***
Capitolo 3: *** cosa resta ***
Capitolo 4: *** who hunts who, darling no more? ***
Capitolo 5: *** precipitino le stelle tutte ***
Capitolo 6: *** non d'oro ma penna bianca ***
Capitolo 7: *** fammi buio intorno ***
Capitolo 8: *** attraversando l'attimo ***
Capitolo 9: *** per molto meno della mia vita ***
Capitolo 10: *** chiacchiere da fachiro ***
Capitolo 11: *** e la libertà ci farà ancora da cammino ***
Capitolo 12: *** ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso ***
Capitolo 13: *** e noi che rimaniamo qui ***
Capitolo 14: *** l'eco nel cuore ***



Capitolo 1
*** un'altra giornata così ***


.un’altra giornata così.

 

le fanfare di giornali e televisioni piovono

sciabordano come mare di ingannevole prospettiva

si ripetono e strillano, non strilloni, che quelli stavano per strada

arrivano veline, arrivano parole fini a sé medesime

e loro provvedono a riportare, a diffondere, ad invasare

scoppi di bolle di termini ridondanti

alla perenne ricerca di esaltazione e sensazione

di approvazione o condanna, di ripetizione di rito quotidiano

schierarsi sì, al più presto e senza pensarci troppo

pur di sentirsi parte del ronzare video-schermo-schizofrenico

ma qui c'è silenzio, nessuna grande sensazione

ma qui se n'è andata persino la rabbia cieca o il sarcasmo amaro

qui c'è silenzio, sulla televisione morta e spenta

tra i giornali usati tuttalpiù come carta straccia

le fanfare di giornali e televisioni piovono

e noi abbiam altro di cui parlare, a cui pensare, da fare

 

un'altra giornata così. spezzata

comunque te l'eri dipinta, comunque non c'è mai stata

amici e amiche, compagni e compagne

sia di vita, sia di lotta, sia di giornate relativamente buone o meno

se li sono presi, ecco quanto, senza bisogno di prove

li rivedrai, mai più o attraverso linee ferree o poi

chissà quando, come che sia, si aspetteranno

si impara così, ad entrare e uscire e passare attraverso

a scansare più che si può, e ad affrontare sempre e comunque

che se sei guerriera/o fin nel profondo degli occhi, giammai possono deviarti

c'è poco da fare, si sa noi, si sa tutti

per questo si passa attraverso, e si prosegue

per questo, rifiutata la carota, e subendo solo il bastone

per questo pensieri tra i denti, e tanto di tutto nel cuore

che una volta risputato l'omogeneizzato di demenzialità...

più non si riesce a mandar giù niente

si pigliano colpi e sferzate, si restituisce ove si crede

e del resto, che sia, ormai passate le ferite non c'è rimasto niente

un'altra giornata così, picchiata, e si guarda già dietro, di mezzo e oltre

e si vive già così, oggi, ieri, e domani saprai, di certo capirai

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Capitolo 2
*** inclinare il destino ***


.inclinare il destino.

 

Correre e correre attraverso il campo di grano

all’imbrunire, unica importanza sfuggire

che le guardie non trovassero i miei piedi nudi

Quando dita al buio scostarono le ultime spighe

e uscii in un bagno di luce d’argento

bucare la notte come ago di filigrana

non era la crudele lama dei fari che ti scovano

E in quella luce ero un lupo che guardava incantato

 

Aveva gli occhi morbidi come nocciola

e sapeva covare dal niente tale strafottenza gioconda

gliela invidiavo, gli volevo fregare il cuore e mangiarlo a colazione

arrivò il corvo nero a distoglierci proprio di mezzo

impedendoci di affrontarci fronte contro fronte

garantitomi il licaone delle loro valide zampe

subito dopo ero già in corsa di nuovo, non più solo talvolta

e ci cacciavano come fossimo carne da macello, ma amore… tu dov’eri?

 

Ma tu dov’eri, amore, che correvo troppo veloce per poterti ritrovare?

e sapevo che t’eri andata a procurare le tue piazze e le tue stanze

non volevo più venirti a cercare, pur senza saper fare a meno di te

ma qualsiasi modo avessi scelto, non potevo più smettere di mordere

catene e catene a perdita di vista, e piramidi sgorganti sangue

visioni da incubo, quelle per cui ti rinchiuderebbero come pazzo

non potevano fregarmi più, conosciute a menadito le mie ombre e lor lenzuoli

e c’era un cucciolo più cresciuto di noi che faceva buio tutt’intorno per furia pura

 

Eravamo un lampo tremendo, dritto al centro del mirino

egli faceva buio e oscurità come morte in persona

e i miei occhi la solcavano di gelo omicida, inchiodando sul posto

il corvo volava sicuro prendendo la mira, e un licaone sanciva la condanna

arrivava il cervo con quelle corna di legno a bersaglio sicuro

mentre io ero la lama di zanna che saetta e si ritira, saetta e si ritira

e sapevamo fin dall’inizio cosa tocca prima o poi, sì, lo sapevamo

ma sarà che ci scegliamo ciò che facciamo, abitudine nostra

che si fa per valore in sé e non solo per secondo fine

 

Arrivarono le ruote con stridio nemico

e caddero le reti a sfregiarci la strada

non avemmo nemmeno tempo d’ululare a raccolta

e già era un dei nostri preso a rappresaglia

giacché essi sanno fare solo da codardi e infami

Baluginaronmi strisce di filo spinato sulle tende decoro di case fredde

ed era uno squarcio nel vetro come quello nel mio cuore

poiché è così spesso chi più ti professa amore a saperti ferire nel  peggiore dei modi

 

S’inclinò il desco del destino, come un mondo piatto alla deriva

mentre cadevano tutti o scappavano o teorizzavano

mi piantai con le zampe sull’orlo e non volli più spostarmi

e mi misi in testa come mio solito di mostrare la peggiore testardaggine

rompersi i polsi pur di non precipitare

e scheggiarsi i denti pur di non mollare la presa sulle catene da spezzare

Il prigioniero dalle zampe troppo giovani troncate in corsa cadde

arrivò dritto dritto contro il fianco, e lì ristetti

a rimettere alla prova il mio peso, che valesse sufficienza per due

 

 

 

 

 

Note:

-          ‘inclinare il destino’ la prendo in prestito dal testo di ‘Aratri d’ossa scheggiate’, dei Kalashnikov (http://www.punk4free.org/testi/2220-kalashnikov-living-in-a-psycho-caos-era.html).

-          Alcune espressioni non sono errori ortografici ma volutamente così scritti (es.: ‘valere sufficienza’ invece di ‘valere a sufficienza’), perché mi suonano meglio, non solo a suono, ma proprio nel significato. È un gioco: richiamo il ‘a sufficienza’, ma in realtà tasto anche il letterale molto diretto: valere la sufficienza, ovvero, nelle intenzioni, ‘dimostrare di poter reggere a sufficienza, essere valevole di almeno la sufficienza di resistere’, qualcosa del genere. Quando non sono voluti invece sono proprio errori d’ortografia.

 

 

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Capitolo 3
*** cosa resta ***


.cosa resta.

 

Qualcuno mi ha detto che hai un’altra persona

vorrei metterlo alla prova per concedergli terreno solo se dimostra di poter fare per te di più di quanto posso fare io

E questi cieli così grandi di nuvole sopra una città morta

mi si congelano le parole quando sento ‘lei adesso sta là…’ e le mie di risposta grattano la gola nel dire ‘ma come sta?’

Sì, lo so che è sempre stato troppo tardi per noi

e da quando non riesco più a raschiarti via dalle mie giornate, non sono più capace di agire pensando solo a me

 

Rimango di lato, a farti da controspalla

esattamente di fianco a te, semmai ne avessi bisogno, giammai che tu sia sola di fronte a questi sentieri tanto lunghi

ma devo ricordarmi ad ogni passo che mi sto tagliando l’anima in pezzi

dunque, cadendo senza permetterti di voltarti per vedermi crollare, mi ritrovo a chiedermi, infine, di me…

cosa resta

sempre, rialzandomi mi rimetto a camminare per i fatti miei

il centro unico del mio mondo io solo, ma un’incrinatura delle tue labbra, ma la punta del tuo dito può scaravoltarlo

e dopo l’ennesima volta a rimettere in piedi il tutto

non mi domando più perché certe strade le inizi senza deciderlo, la scusa del bisogno non regge più, e di me, mi chiedo

cosa resta

 

e non è più tempo che ti incontri e veda ballare tra le foglie autunnali

la danza è finita, le foglie si son posate, e ora le ricopre la neve gelida, in cui si disegnano i tuoi passi quando arrivi

sono rimasto raggomitolato nella terra calda, a far passare il dolore

ma anche quel tempo è finito, tu sei tornata e andata via tante volte, e ora aspetto semplicemente di rivederti

sì, lo so che è mai l’occasione giusta

ma senza te, certe volte mi ritrovo a tracciare cerchi asfittici sbattendo contro le pareti senza sentire dolore: soffoco

 

esco nell’aria congelata o nel sole cotto, ti vengo incontro

e la traccia di sangue che mi lascio alle spalle è solo una coda in più, direzioni già percorse per non trovarti infine mai

devo reimparare da capo l’effetto che fa la tua presenza, tanto più se solo io e te

dunque, naufrago in una tempesta tagliente come la correttezza da cui non mi so scagionare, mi rimane da chiedere, a chiunque voglia raccogliere il richiamo: di me…

cosa resta

imparo a vederti andare via di nuovo, e ancora non c’è indifferenza a darmi pace, si stralcia la coscienza

e l’istante dopo, una manciata d’ore, sono di nuovo sui miei sentieri di battaglia, prendono me, poi qualcuno al mio fianco

restando a chiedermi se sei stata un sogno pulito in un inferno d’asfalto e sirene blu

in questa notte insonne da prigionieri, senza nemmeno ombra di quella “giustizia” in cui non crediamo, mi rendo conto

nessun dolore può spaventarmi così tanto come l’aver dovuto abituarmi a starti alla giusta distanza, e allora mi preoccupa vagamente, mi sorprende la domanda aperta… di me…

cosa resta

 

e non c’è mai stato il tempo in cui avremmo potuto

stare insieme senza altro pensiero, senza nessun’altro di mezzo, senza tremare di fronte all’aver tanto senza aver fatto nulla per cercarlo

di te, vedi, di te attraverso cui muoio e rinasco

ormai chissà quale immagine distorta, in un abbaglio in cui, con te, come fosse il mio primo giorno sulla terra, nuovo di zecca

e di tutto in corsa e di tutte queste battaglie che riaprono ferite

se ricominciassi da capo e mi proponessero di togliermi la spina dal fianco non incontrandoti mai, la mia risposta, sì, già la sai

come quel modo pressappoco definitivo in cui imparai

tenersi stretti i sogni, e che siano solo buoni, perché l’incubo si vive o ti dice comunque fin troppo crudo la verità, ma la mia risposta, no, non cambia

 

allora, trovando lo spazio e il tempo d’essere completamente onesto

non c’è niente che cambierei, perché adoro alla follia ciò che sei, perché m’ubriaco del mio correre, perché siete come siete, splendida cosa

perciò se vuoi sapere chiedimi solo cose su cui posso non mentire

e se posso rialzarmi in piedi al primo sole e pronto per ripartire, non ti ascolto nemmeno, e tu sorridendo non lo pronunci, chiedendoci, di me…

cosa resta

ma oggi ho qualcosa da dimostrarti, ma oggi ho qualcosa da mettermi alla prova

e se sono ancora capace di ridere e di piangere, col mio nuovo cuore, ripreso e ricucito e ristrappato a non finire

allora non puoi davvero più stupirti, io continuo a farlo all’infinito

e se ancora posso tagliare l’aria con lo sguardo per cogliere i fili trasparenti e troncarli coi denti in un ghigno sfacciato, di me

ecco quel che resta

tanto è

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** who hunts who, darling no more? ***


WHO HUNTS WHO, DARLING NO MORE?

 

 

Certo che ricordo com’è essere felici

Io sono nato felice, sai

Poi non so cosa c’accadde di mezzo

Non so mai tutta la storia

Continuo a raccontarla barando

Lascio la suspense e prometto prossima puntata

Ma mentre dormono scappo via rubando la loro fiducia

 

Conosci la favola del brutto anatroccolo?

Non ho mai amato le eccessive complicazioni

D’un tratto allevato dai cani mi ritrovai

Pelo, zampe, zanne ed occhi di lupo

Ed essi me li ritrovarono addosso

E mi misero in condizioni di molta sicurezza

Fu così che iniziai a mordere catene una’d’una

 

La notte che scappai non fui abbastanza scaltro

Mi piangevano dietro trascinandosi sulle ginocchia

Mi correvano dietro con zuccherini e bastoni

Oh, non sai che bastardo sia un lupo mezzo cane

E non sapevo di quel filo spinato prima di trovarlo davanti

Dovetti scavare buca troppo stretta in cui pigiarmi

Mi s’impigliò il cuore nella rete, e lo strappai per fuggire

 

Non so dire quanto sangue scorse

So che molti mi stanno ancora alle calcagna

So che quella luce falsa rimane in attesa di un impossibile ritorno

Seppellii ciò che mi rimaneva di cuore nella foresta

M’accolse tutto ciò che c’è oltre il recinto

E prima ancora di imparare del tutto

Mi ritrovai in mezzo a di tutto e di più, non c’è altro modo d’imparare

 

Precipitai in mezzo alla danza divorante delle ombre

Esse che si librarono quando le liberai con me

Stupido tentai di seminarle in ogni dannato modo

Ma mi ritrovavano sempre, fino a capire di doverle recare con me

La loro regina è una vecchia dai denti spezzati e dagl’occhi infami

Sapessi come mi guarda, sapessi come m’accoltella alle spalle

E fui in loro balia, finché non saettò il lupo a rompere il cerchio

 

Non saprò dire mai come imparai il loro gioco sottile

Non so mai come restituisco il mio gioco di forza e agilità

Le gioco di sinistro, le infortunio volta per volta

E so che torneranno, e sanno che mi ritroveranno

Mi s’addensano intorno chiamandomi addosso i cacciatori

E sono io un predatore, sono io un predatore

La vecchia sa che non ho cuore e punta l’unghia sulla preda prossima

 

Non sai quante persone mi circondano col cuore

Non sai come mi pulsa in testa e m’abbaglia il loro cuore

Sono divoratore di cuori altrui per natura di caccia e per bisogno

Sostituire il cuore inghiottendo quello altrui è la ricetta della vecchia

Già so che non funziona, già sapevo che non funziona

Diventai il lupo che sbaragliava in pezzi i loro manti d’ombra

Ma quando la vecchia punta il dito, batte il vuoto del cuore che mi manca

 

Una volta come un’altra che stavo per divorarne un altro

Mi si parò una sola persona, l’unica che m’avesse trovato

Ella mi sparò addosso senza pietà, mi rese caccia per caccia

Spietatezza per spietatezza mi costrinse a salvarmi la vita in acqua gelida

Si spezzò il ghiaccio sotto alle zampe e precipitai nell’oblio

Credetti di morire, e non sapevo ancora chi m’avea ucciso

Quando mi ritrovai a miglia e miglia, capii l’errore, m’avea salvato

 

Di nuovo in piedi, una nuova stella sopra la mia testa

Mi indica la via, fa da occhiolino alla luna, sia bella o brutta

E ogni volta che la vecchia punta l’unghia spezzata

La infrango ridendo di lei a perdifiato

E corro a perdicuore, cuore che non ho

Vado in caccia di lei che mi salvò, fare in modo che non le accada nulla male

Quando ho un cuore a portata, solo in lei trovo forza ancora e scanso e vado

 

Ah, allora avanti dimmi, chi caccia chi?

La nostra affezionata J m’ha detto che si può vivere senza cuore

Non le ho creduto e l’ho lasciata alle sue multiformi bugie

Il nostro apprensivo M m’ha detto che si vive di solo cuore

Non gli ho creduto e l’ho lasciato aggrappato alle sue illusioni

So solo che non riuscirei più a vivere se non ci fossi più tu da rincorrere

Ovunque tu sia, stella mia, senza te che non ci vedo più

 

E allora dimmelo, se lo sai

Chi da la caccia a chi?

E chi scappa a chi?

Chi si nasconde e chi si mostra ingannevolmente

Chi continua a fare finta di niente, e chi a fare finta di tutto

Se lo sapevo l’ho dimenticato, se lo sapevo non l’ho mai imparato

Se lo sai, se mai l’hai saputo, va bene così… va ancora tutto bene e tutto male così

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Capitolo 5
*** precipitino le stelle tutte ***


.precipitino le stelle tutte.

 

 

Ed ecco il battito su cemento e mattonella

Della strada che va

Via sotto i nostri piedi, passo a passo, metro a metro

Misurandoci addosso le miglia

Ed eccomi, dritto in piedi sulle mie sole due gambe

Guardami, sono qui

S’è a malapena asciugato il sangue dell’ultima ferita

Ma mi batte ancora il cuore

E mi s’è appena richiusa la pelle dell’ultimo sfregio

Ma sono ancora vivo

E tanto mi basta per riprendere oggi, ma non lo stesso sarebbe se non fosse che oggi

Non sono da solo

E da un lato e dall’altro camminano queste visioni da incubo reale

O un sogno impalpabile

Passo a passo, come a piedi scalzi, nudo su pelle il vetro rotto come bottiglia spezzata

E abbiamo gli occhi vecchi che sanno ancora ridere

Streghe guerriere senza legge che non sia la loro, e non osi chiedere loro ragione di nulla

E nemmeno io chiedo mai più di quel che dicono

Gli altri di cui ricordo le migliori battute e le peggiori cadute, li saprei riprendere su tutto

Ma nessuno a chiederci di spiegarlo meglio di così

 

Come una candela che brucia troppo veloce, eppure di nuovo caduti

Già ci si rialza come a capriola

Quando ti pare d’essere cieco, hai almeno una mano che ti prende

Per tirarti su

E non temo più il baratro di fronte ai miei alluci, gioco sull’equilibrio in corsa

E mi rimane in gola l’azzardo del balzo

Ma il sole che sorge un mattino m’abbaglia profilando colline di terra scura

Un profilo, una mano sul fianco, in mezzo al campo

Non distinguo la bellezza della sua pelle da quella della terra, e quando si volta

Sono indeciso s’è notte o giorno, ha stelle negli occhi

Ho camminato al buio per molto tempo, non mi spaventa, ho il fuoco di battaglia

Mi si riflette addosso e lo riconosco come null’altro

Ma quando  lei ci viene incontro, so bene per chi viene, so esattamente per cosa arriva

E non ho mai visto una morte più bella

Stavolta l’ha capito, stavolta, solo per una volta, sa esattamente perché arriva

Sorrido appena, e tengo il segreto tra i nostri occhi

E quando m’arriva di fronte sento esattamente la sorpresa degli altri nel vederla

Mentre alza il braccio col pugno chiuso

Decine di volte in cui farei in tempo a parare il colpo, e nemmeno una di queste

Decido di farlo

Per questo quando arriva il colpo, loro già l’hanno capito, pur se troppo veloce

Il modo in cui sferza il pugno sapendo dove mirare

Cinque nocche dritte dritte sul cuore, mano destra sua, e sinistra del mio petto

Non è forse perfetto?

 

E vorrei cadere senza suono, quasi senza infrangere nemmeno l’istante, ma chiamo

Che le stelle si precipitino su queste ceneri

Che mi piova addosso tutto il firmamento, per scavarmi una tomba sufficientemente grande

Dove seppellire tutto quello che non saprei dove interrare

La terra stessa non mi vuole più, calpestata troppo a lungo, si rifiuta di riprendermi

Di riaccettarmi indietro, ancora nuovo ma già sprecato

Che io non voglia più nulla altro, che riposare riconoscendomi già polvere, sapendomi già morto

Perché senza lei vago come fantasma

E che nessun’altro volevo a buttarmi a terra per sempre se non lei, lo dovranno capire

Io non lo racconterò mai

Mentre poteva sembrarmi infinita, la caduta dura solo un breve momento

E mi pare di vederla rifulgere un solo frammento

Che mi basti all’infinito, ah, potrei giurarlo e spergiurarlo e non avrei più paura di mentirle

Non dopo tanto tempo passato a prendermi in giro

Che io abbia fatto tanta strada, per seguirla passo a passo, ‘ché non inciampasse mai troppo

Sapendo che andava verso la mia tomba

Non si può negare, lo sa il licaone che forse verrà a dire sul punto dove ora cado

Quanto io sia stato perfettamente stupido

La prima regola, di non permettere a nessuno di farmi tanto male, se n’è andata il giorno

Il giorno stesso che l’ho incontrata

E se un’unica stupidità ho veramente commesso, fu quella di non rendermi conto al primo vederla

Che lei sarebbe stata scintilla di vita, e morte certa

 

Cado fermo, eppur mi muovo, precipitare immobili come incantati, e lo sono, incatenato

Il suo sguardo, basterebbe in salvezza e veleno

Fatto come è, che non li distinguo più, in lei unica cosa, come tutto il resto, il cerchio si chiude

Ed è il mio tempo che finisce

Giusto giusto mentre tocco terra, le mie spalle e la mia schiena, misura giusta

Il terreno conosce tutte le misure del mondo

Giacché ora che vedo il cielo, ora che vedo il soffitto, ora che vedo la notte di tutte le notti

Sprezzante ghigno, che non è abbastanza

Non sarà mai abbastanza grande il cielo, non sarà mai buia la notte, non sarà mai abbastanza infinita

Una morte che non sia lei, che non sia lei a battere falce sulle mie ossa

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Capitolo 6
*** non d'oro ma penna bianca ***


.non d’oro ma penna bianca.

 

Fiducia un minimo nel tatto delle proprie dita

facendovi scorrere l’acqua gelida del torrente attraverso

e se i piedi affondano nella fanghiglia della paranoia

che a lungo andare ti paralizza, ti getta nel panico, ti fa perder l’equilibrio

e se cadi t’avvelena la bocca e t’accieca…

allora muoviti; cammina, corri, trascinati, mettiti in gioco

Non puoi davvero dimenticare, che tu sai bene nuotare

E se granella d’oro ti picchietterà l’unghia cogliendoti di sorpresa

tu guardala e sorridi con compassione verso di te

comprendi bene, lo vedi, quanto sia splendente

come un pezzetto di stella solidificata dalle atmosfere

ma non cadde dal cielo

la scacciò la terra dal suo grembo, scartandola

come aquila che con dolore getta dal nido il figlio senza ali

e tu ricordi come, piccolo Ali Strappate

Questa piccola gemma come una lacrima indurita

a ingoiarla non servirà a niente

e a farne decoro ti recherà sventura

proprio come disse quella vecchia seduta lungo il fiume

non alzò nemmeno gli occhi mentre passavi

mentre risalivi la corrente camminando a piedi nudi

allora, che erano i tuoi piedi giovani che li bucavano i sassi

ma già volevi andare in una sola direzione, alle montagne

la vecchia che scuciva i panni lavati e borbottava si azzittì

e disse solo, non a te, ma che tu sentissi

che le lacrime di stelle sputate dai pesci

son veleno che piangerà sangue dove tutti affogheranno

e giacché pensasti fosse matta almeno quanto te

ora sai: che lei aveva ragione, che tu camminerai ancora

E restituendo l’oro al torrente, che vada a perdersi dove gli capiterà

raccogli le ali strappate, per riportarle al nido

Che le illusioni scivolino via con la corrente, senza tanger sangue

Che i tuoi sogni muoiano con te, senza pianger infranti

 

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Capitolo 7
*** fammi buio intorno ***


.fammi buio intorno .

 

 

Fammi buio intorno

in modo che i miei occhi possano brillare netti

come lama assassina

E lei ha, lei è di quel tipo

che non ti lascia nemmeno la carne sulle ossa

 

Fammi il nero attorno

in modo che io possa sentire a cosa appartengo

come nuvola primitiva

E tu sei, tu sei di quel tipo

che non lascia il tempo di imparare a trasfigurarsi il cuore

 

Fammi spazio attorno

in modo che possa ricordare di nuovo il modo

rialzarsi dopo ogni colpo

E lei ha, lei è di quel tipo

impazzisce un giorno sì e l'altro pure, fiamma ma arida

 

Fammi il fuoco intorno

e ci camminerò in mezzo con scintilla che fiorisce su zanna

stelle senza lieto fine

E lei sa, lei sa benissimo

come fare in modo di ingannarsi con un velo sugli occhi

che sia colorato il mattino

 

Fammi illusioni infrante intorno

di modo che quando arrivo troverò lacrime per cui non avrò sale

come coccodrilli abortiti

E lei trova, trova sempre il modo

andare alla deriva su una foglia d'amaranto che pare oro

nuda si odia

 

Fammi la notte intorno

che il giorno non ci ritrovi separati dall'amore più forte

quello che trascina agli angoli

E lei con un chiodo, un chiodo netto

piantato in mezzo ad un cuore che sanguina corone sacre

mi guarda girare in tondo, ride con me

 

Fammi stanze attorno

e incontrandoti non ti riconoscerò, perché ritroverei me stesso

che non sia mai, mi temo troppo spesso

E lei sa, sa la bugia di cui si pinge

labbra, ciglia, voce, petto, nella finzione di una strada bucata

che sia sgombro il cammino

 

Fammi benzina intorno

che io possa bere piuttosto che lasciarti andare dove dannarti

dannare l'anima al diavolo

E lei conosce, ogni cosa ma poi il trucco

trafiggersi per prima per non sentire dolore dei rovi in fiore

primavera mancata

 

Fammi tredicesima luna intorno

tempo di caccia correndo in punta di pelle su ghiaccio

screziandosi di speranze

E lei comprende, lei comprende benissimo

spettinata di capelli su una macchia di cioccolato ch'ha nel sangue

non so mai se sta vedendo me davvero

 

Fammi neve intorno

mancherai tante volte il lancio contro il tuo viso, ah, veleno

tieni strette le zampe sottili

E lei è regina, ma sopra ad ogni cosa

bambina gioca con l'orrore di questi luoghi impiccati al nulla

ha perduto le scarpe rosse

 

Fammi il gelo attorno

che non possa ritrovarti ogni volta che dovrò ritornare a casa

il tetto crollò tempo fa

E lei guarda, rimane a guardare

rosicchiando legno marcio o vermi sparsi in latte falso

l'ho vista, ed era fantasma implorante

 

Fammi il silenzio attorno

che possa sentirmi gridare parole senza senso, che dicono tutto

ogni volta che pare di morire

E lei mastica, mastica la lingua

mi perdona se so ridere solo coi denti e chiederle di ogni tristezza

un passo sì ed uno no

 

Fammi manto attorno

in modo che possa confrontare le sfumature dell'inverno sul pelo

disse il vecchio, riguardo ai lupi...

E lei con le dita, le dita nell'aria

arzigogolando predizioni nella polvere di caffè bianca su neve nera

cercando tracce sparse

 

Fammi buio intorno

poiché tu, tra tutte le mie ombre, tu sei la mia preferita e l'unica

da amare senza voler tornare indietro mai

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Capitolo 8
*** attraversando l'attimo ***


cielo liquido asfaltato

arcobaleno di pozzanghera da bruciare

affoga il cotone

d'argento era il risentimento

rubandolo gazza

con un lamento stretto nel becco

ed io non posso

non riesco a guardarti senza sentire

le vibrazioni

precedono vagoni spezzati

infranti dagli scalini

e mani che afferravano vestiti

il miele rosso

bestializzato fino alla paura

 

digrignavano le nocche

arcigno come un pozzo di gengive menzognere

scavandomi la fossa

disturbato vagamente dall'odore troppo vivo

stavamo tranquilli

io nella terra e tu a guardarmi dall'alto

senza proferir verbo

trovavo badili che mi aspettavano

e già lo sapevo

come dovrebbe saperlo ognun dotato di buon fiuto

che tu sei mia morte

perché come mai, te, amato

e lo sapevano loro

li guardavano arrivare, i loro signori di morte

mentre io

mormoravo in silenzio

sarà poi troppo tardi per farli sparire

 

se fosse d'ossa triturate

il sapone di cui dovrei lavarmi ferite

manco il sentore

d'un calcolo che non sia allucinazione

e sorrideva l'albero scuro

che d'un'ombra di luna si beava

prestami una piuma

di cui ritrovarmi l'angolo di iride

scolorendo la prospettiva

le persiane sbarrate

seppellita viva e implorava di morire

e dovevo tenere chiuso

chiuso in gola a proposito di quello

come stavano le cose

già morti in un trascinarsi di giorni pantofolati

 

siero o siero

dimmi dunque se non è vero

ci hanno comprati

molto prima che fossimo nati

e schiavi a funzione

prestare il sudore a chi ci impasta mattoni

alzando gli occhi

per vedere solo specchi dalle mille vertigini

si fingono aquile

e belano come pecore sopra il ciglio di un abisso

una corsa in discesa

rapida come il rotolar di frana

crollo imminente

poiché in fondo, di noi già non è più niente

attraversiamo l'attimo

che sia luce un momento prima dello scoppio

radice di dinamite

non costruiamo gabbie ma il fragore di sbarre abbattute

 

e se solo di distruzione abbiam fatto voto

è perchè i loro fogli e muri ci fan vomito d'odio puro

e se solo di battaglia siam fuoco

è che non si cammina su pavimenti piastrellati di guerre

e se solo di cicatrici abbiam su pelle

è perché i baci, gli abbracci, i morsi e le risate...

(non sono da leggere ad occhi altrui)

e se solo di attimi rubati abbiam valore

è che con carta si fan solo castelli immaginari

(trovare l'inizio della miccia, e dita nere)

e se solo di bilico di coincidenza e strategia abbiam fortuna

è che nostra soddisfazione è quando va a buon segno la mira

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Capitolo 9
*** per molto meno della mia vita ***


. per molto meno della mia vita .

 

e scorrevano le linee, di vita e di morte sul palmo della mano

e scorrevano, strade di cemento in fiamme sotto le suole delle scarpe rapite

di tanto in tanto, uno specchio di cielo in pozze di benzina

ma non alzare lo sguardo se cieco, bambino

ma non spezzare la decisione, sorellina

lasciami la mano per ballare fino alla vertigine che ti rechi dentro

finché il vortice dei palazzi sembrerà qualcosa che assomigli a macerie

 

ed era una fila di gabbie solo apparentemente dissimili

scorrendo tra muri silenziosi sgretolati da grida trancianti i nervi

di tanto in tanto, accarezzando una miccia con sincero proposito di vendetta

ma non alzare il braccio se disarmato

ma non alzare la voce se non vuoi andar oltre

della sfilza di udienze concesse per ammansirci il cuore entro reti di tolleranza

non annegheremo nei canali per guidarci su sterili porti asciutti

salteranno le dighe

 

ed era un nero profondo e diretto, conciso, al centro di una pupilla mobile

ed era elettricità nell'aria, come prima di un temporale da finimondo

di tanto in tanto, abbandonandosi all'adrenalina che era capace di darci insieme

diceva pure di non alzare il fucile finché il bersaglio era più rapido della nostra mira

lasciavo scorrere ettari di terra nuda, un battere di sangue nell'orecchio

finché avevo tutta l'intenzione di combattere, uccidere e morire, ogni giorno...

...ogni giorno per molto meno della mia vita

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Capitolo 10
*** chiacchiere da fachiro ***


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.chiacchiere da fachiro.

Sono arrivato oggi nella metropoli, come un formicaio impazzito

tutti comunicano ma nessuno si sente, parlano diecimila lingue e non sanno cosa dicono

Mi hanno chiesto un lasciapassare al cancello, e m’ero disegnato sulla faccia carte false

le ho gettate subito dopo che sono entrato, e al prossimo incontro non avrò niente da

mostrare

per scusarmi l’esistenza o la presenza in tal luogo a cui, dopotutto lo sappiamo, non

appartengo

Qualcuno si chiedeva già di chi era l’impronta di sangue che rimaneva sulla strada

ma non avevo intenzione di rimanere molto là dove le stelle oscurate dalle luci e il cielo

dai palazzi

Per resistere alla sempiterna ombra grigia di limbo permanente, mi oscurai lo sguardo

tagliente

al di sotto di un telo nero spiavo tutto quel trafficare di cui giammai compresi il senso

E semmai avessero cercato di rinchiudermi di nuovo, avrei loro riconosciuto il beneficio

di quella follia che si crede divina e in suo nome giustifica ogni vuota nefandezza con parole

di dottrina

Mentre procedevo un po’ zoppo della mia ultima ferita ancora aperta, e ne sorridevo con

leggerezza

nient’altro che un ammanco di prontezza nell’evitare la malasorte, mi suggeriva la

direzione schietta

Andavo cercando la traccia di penne, diramate di suggerimenti che amavo ancora e

sempre

con cui non sapevo più cos’avevo da condividere, e sai, cercavo quell’unica penna forse

inesistente

che mi dicesse se era ancora in volo o se era caduto, se avevamo ancora strade in

comune, se erano sempre aperte

Non avevo orologi per sapere se ero in anticipo, in orario o in ritardo, e m’affidavo alla

consapevolezza

l’avrei saputo nel momento esatto in cui avrei rivisto quelle penne solcare il cielo in un

giorno nuovo di zecca

Intanto tenendomi stretto il cuore nel pugno pronto a colpire su ogni catena o su altro

cuore, restituire eco per eco

e in gola un grumo di parole dette e non dette, un filo spezzato che cerca il suo altro

capo senza saperne di nodi

tranne quelli che si formano a rachitire le dita intorno alle speranze alle quali non si sa

ancora rinunciare

Ed essendo tutto di denti e d’artiglio, ricordavo come avendolo su pelle l’odore delle

zanne aperte in fiore

a promettere realtà e mistificazione, fuoco di battaglia e amore, ogni azzardo di sfida,

ogni linfa di vita e ogni vendetta

Avevo un nero di pece di pozzo al centro della pupilla, e un mondo verde e blu che vi

gravitava attorno

e prima di perdermi in una notte molto lunga, scambiavo promesse fiduciose con un

tramonto rosso come le fiamme che ardono sempre dentro ad un cuore ancora non 

disposto a spegnersi se non in un niente che sia morte completa

Non esistevano più mezzi termini da compromesso o trattativa, ma solo il sapore, gusto

netto, che dispartisse

chiaramente le acque vive da quelle morte, e il fango lenitivo da quello dove affondare

come in veleno denso

Avevo una zampa per le vie giuste e un’altra per gli errori, ed entrambe avevano ognuna

la sua lezione

avevo due zampe per correre o frenare, per impennarmi in canto, fosse di dolore fosse di

gioia, con una purezza strana

mischiata allo stesso sangue che perdevo e rifacevo di volta in volta, sempre in nuova e

vecchia tela

una valigia d’esperienza intagliata su legno d’alberi sparsi e silenziosi,a mantenere il

segreto delle radici

che non si sarebbero potute rinnegare se non a prezzo di morire laddove si era,

o rialzarsi dopo aver dormito proprio e solo su quelle

Così incontrai tramezzo alla strada un fachiro che dormiva sui chiodi sempre sveglio

rideva dell’agopuntura coi suoi denti fantasiosi, di forme bizzarre, mezzo nere, mezzo

marce, sempre veritiere

Mi soffermai tra la folla che si faceva incantare, illudere e sbeffeggiare dai suoi giochi

e quando rimasi solo io a guardarlo ancora, aveva smesso di rendere spettacolo e il

pubblico se n’era stancato

mi alzò lo sguardo al di sopra della sua cena e me ne offrì parte di cui accettai solo

misera cosa

era tutto il resto che mi interessava, e lui lo capiva, perché finalmente mi sorrise con

massima serietà

Dovetti indovinargli ago per ago, e sfilarmeli di dosso mentre cercava di fare di sé un

puntaspilli per le mie credulità

gli mostrai solo un istante parte delle cicatrici, e la ferita ancora aperta, e non tentò più

d’ingannarmi

io vedevo le punture dei suoi spilli anche se non lasciavano traccia a vista, non erano su

pelle

Mi domandò cosa andavo cercando in un luogo a cui ero così estraneo, e che non mi

riconosceva per primo

e gli narrai di un paio d’ali di cui non conoscevo il nome, perché non era un nome che

andavo cercando

quella era l’ultima cosa da sapere, l’avevo già capito lungo la strada

Altro non sapevo, che di quel risveglio in un deserto nero in una notte molto fredda

di come avessi camminato cieco con le mani protese nel vuoto, e di come mi fossi

sbendato passo a passo

come avessi imparato a farmi scivolare la sabbia tra le dita per farmi suggerire dal vento

la direzione

Mentre una moltitudine di bendati intorno m’aveva spaventato profondamente, e

nessuno che mi spiegasse

solo una sconosciuta mi aveva sorriso senza vedermi, era fiduciosa che

ognuno di loro avrebbe trovato ciò che doveva cercare

mentre io, piuttosto convinto del contrario, avevo compreso qualcosa che non avrei mai

potuto raccontare

E il fachiro, tirato fuori un serpente finto che era un filo spinoso e sibillino, con quello

mi prestò arte di cui ricucirmi le ferite ancora aperte, giusto a me che riconoscevo il

gioco truccato

Raccontava alle turiste maliziose che con quei chiodi era stato crocifisso, che era un riccio

mancato

a me disse che erano i chiodi che gli erano rimasti quando avevano bruciato la sua casa

per costruire la città

il legno era completamente arso, ma il ferro rovente era rimasto a trafiggergli la pelle

Da odio a odio, coltivato in rabbia ed esploso in diverse battaglie, ad ognuno la sua, ci

riconoscemmo

non volevo bugie o favole, e allora mi mostrò solo i chicchi amari o dolci della sua vita

raggranellata e dispersa

Mi garantì che non aveva visto penne laggiù, spazzate via certo da troppo alacri ripulitori

ma che se cercavo qualcosa che volava nel cielo dovevo tornare con solo quello sul capo.

E così me ne andai.

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Capitolo 11
*** e la libertà ci farà ancora da cammino ***


. e la libertà ci farà ancora da cammino .


Un incubo di misericordiosa bellezza

c'era un contorno di bosco attorno ai tuoi occhi

ma io potevo figurare come un fantasma

mal assortiti naufraganti di un mondo a schifo

*****

avevo in mano una noce di cocco tagliata e vuota

e colori che non potevo vedere nella notte

era così spesso, d'altra parte, tutto nero

avrei voluto dipingerti segni di medicina

con le stesse dita con cui mi dipingevo segni di lotta

******

vagavo a metà tra il sonno e la veglia forse

ma tra una boccata e l'altra di un fumo nebbioso

vedevo risplendere chiaro il fuoco, e ancora di nero

avrei voluto un mantello, farmi incubo altrui

poiché tutti gli altri così tante volte sono il mio

*******

ho ancora il veleno che mi serpeggia nel sangue

e l'elettricità che corre su pelle, disperdendosi

come cavalli selvaggi che corrono infangati

l'elettricità che prevede il fulmine, sibilla dorata

*******

cosicché tutte queste lacrime, dopotutto, non siano che pioggia

cosicché tutto questo dolore, dopotutto, possa sciogliersi in spazio ampio

e la libertà ci farà ancora da cammino, attraverso ogni cosa

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Capitolo 12
*** ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso ***


.ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso.

 

ero giusto sulla mia linea

andavo avanti tracciandomela davanti

consultandomela dietro i passi

e sceglievo la direzione a strappo di vento

e sceglievo di seguire l'intenzione fino in fondo

ora mi fermo a contare i corvi che girano in cerchio sopra di me

mi hanno portato consigli e disfatto il cuore a brani

e in quello che ne rimane c'è un nido di corvo

ne covo le uova e a volte le rompo prima che nascano

forse ho paura di vedere i tuoi occhi dietro il guscio

e ritrovarci i miei riflessi ancora e ancora

 

ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso

ho smarrito le mie illusioni attraverso le tue parole

ho buttato il mio caparbio orgoglio per starti vicino

quando, penne ridotte all'osso, giravi in tondo

scavandoti un vortice al centro di te

ho perso le mie ore per condividerle con te

ho smarrito le mie buone intenzioni quando tutto si è spezzato

ho buttato il mio dolore per ricominciare da me

ho il fuoco dentro, e il corvo grida bruciando lacrime nere

 

ero giusto sulla mia linea

andavo in giro cercando e scegliendo il meglio per me

prendendomi tutto ciò che volevo

e rincorrevo il nord con l'istinto a bussola

e sanguinavo le orme sulle lotte intraprese, vinte o perse

ora mi fermo a contare le clessidre spaccate per rabbia e dolore

mi hanno parlato tanto, ma ho scelto sempre la libertà

e in ciò che rimane non trovo vanto o colpa, tante cose

non sono onnicosciente mai, ma cerco tutta la lucidità

forse ho paura di vedere cos'è davvero rimasto di noi

e ritrovarci rinchiusi in una stanza agli angoli opposti, ancora e ancora

 

ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso

ho smarrito le mie ingenuità attraverso le tue valutazioni

ho buttato le mie preziosi solitudini per starti a fianco

quando, gli occhi annebbiati dalla tempesta, ti scagliavi contro i muri

inesistenti o che ti eri costruito da solo

ho perso le mie giornate per passare del tempo con te

ho smarrito parte della mia autonomia per cercare appoggio in te

ho buttato il mio bisogno di sapere che stavi bene per chiederlo prima a me

ho il ghiaccio dentro, e il lupo piange ululati bruciando il suo pelo di cucciolo

 

ero giusto sulla mia linea

vagavo in largo per la curiosità, imparare e scoprire di nuovo o ex-novo

raccogliendo le mie lezioni e le mie nuove tonalità

e rincorrevo le nuvole per giocare con loro all'imprevedibilità

e perdevo la strada che puzzaza di marcio per trovarne una da raccordarmi

ora mi fermo a contare le foglie e i sassi, ciò che è morto e ciò che rimane

tutto ciò che l'acqua non annega lo rinnova, e scorre via

come se non potesse fermarsi nemmeno volendolo, nemmeno volendolo

non sono onnipotente, ma ci provo ancora con tutte le mie forze

forse ho paura di ammettere che non sono disposto a lasciarmi ammazzare

tantomeno se per farlo devo usare quello tu mi hai fatto o non, ancora e ancora

 

ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso

ho smarrito le mie predizioni attraverso i tuoi lampi e fulmini

ho buttato tutte le false carte per non mentirci mai volutamente

quando, per quanto ne avessimo bisogno, non riuscivamo proprio

a stare in nessun posto che ci trovasse vicini o distanti

ho perso i miei progetti a lungo termine per deviarli in modo che ti includessero

ho smarrito parte di me per dedicartela quando poteva funzionare

ho buttato quello che restava e ancora non so se e cosa si possa ricominciare

ho tante svolte dentro, e la fenice esplode bruciando le sue ceneri per nuova fiamma

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Capitolo 13
*** e noi che rimaniamo qui ***


.e noi che rimaniamo qui.

 

 

il fumo si arriccia sulle strisce di asfalto

come un serpente di mille forme che sussurra

qualcosa a proposito di niente, non lo ascoltiamo

ci passiamo attraverso, un sipario a cortina

fintanto che ci reggono i passi uno dietro l'altro

quante volte la batosta arriva senza essere vista

e quante volte la sorte può essere prevista

ma la sibilla delle notti azzardate tiene la lingua stretta

quante volte potrai rivendicare che ne è poi valsa la pena?

 

il vento che spira giù in picchiata porta un richiamo

una domanda riguardo alle nostre vite corse in certa fretta

se ci fosse bisogno di supporto o di a gara fare insieme

la strada è troppo lunga, i rinforzi arriveranno tardi

insieme ai primi raggi di sole, a svegliare ciò che è rimasto

perciò di nuovo si conta solo su di noi, ed è nostra abitudine

per scelta precisa di doverci avere a che fare solo noi

con qualsiasi demone stia strisciando sulle strade in cerca di preda

a sceglierci uno per uno è stata alla fine solo

la volontà di non fuggire, di non voltarci altrove

 

i bucanieri abituati a navigare sulla terra sanno come succede

che essa in realtà, eppur si muove, ti trascina e ti scivola da sotto le suole

come un tappeto troppo veloce, e il cuore cerca di stare al passo

mantenere l'occhio sulla mira e la mente pronta e lucida

qualsiasi scivolata sperando sia una schivata e non un ammanco

siamo sotto tiro di cecchini invisibili, in balia di ombre che danzano veloci

una sorda danza maledetta, sai che sei ancora vivo ad ogni ulteriore respiro

niente di più a garantire il mattino, nient'alro a prometterti inchino

se non il merito di ciò che sei riuscito a combinare, contando solo su te stesso

persino quando hai al fianco le spalle più fidate di tutta la mera massa

ch'è capace di vorticarti intorno ad ingorgo, gente a cui non offriresti

probabilmente nemmeno una parola o una sigaretta

 

e il mago dei fili delle ballerine fa tintinnare i soldi in saccoccia

mentre lorsignori guardano i loro assassini prezzolati passare dalla soglia

il becchino non sprecherebbe un solo sputo sulle loro tombe

e la strega che ha negato loro consulto   ride di loro un amaro singulto

votati a morte, la portano ovunque con la mano fredda che gira e gira

gioca alla roulette russa sulle carte spianate su un tavolo tirato a lucido

se le parche avevano consiglio saggio, essi giocano alle divinità senza testa

non hanno espressione, non hanno sentimento né cognizione

mentre segnano una carezza di condanna a morte sul tuo nome o il tuo viso

tu non sei nessuno per loro, e loro non sono nessuno per te

e la pulizia delle loro decisioni razionali si consuma su questa distanza

mentre le tue bestemmie pregano il momento di entrare col favore delle ore buone

arrivare con filo di lama a pochi millimetri dai loro impassibili volti

vedere se saltano loro i bottoni, o se riparte il cuore trattandosi

delle suppurazioni delle loro responsabilità venute a reclamar vendetta schietta

 

tremano le vene al luccichio perverso di un bisturi disinfettato di fresco

il sangue pulsa più veloce vita quando essa si preannuncia quasi finita

ma noi si è alla ricerca di quelle guantate dita impugnanti il manico severo

e di tutta la poesia che ci ritrascina su dall'annegamento nel veleno denso

s'impasta una miccia di un odio altrettanto senza cuore

forse il senso sta nel come l'hai perso, se per bilancia di vantaggi

o se perché ti smise di battere il giorno che lo seppellisti

sulla tua lunga strada a vittoria o morte, e ricordi bene come

guardando le sanguisughe in abiti stirati che seguivano la loro preziosa agenda

 

alcuni fuggirono su navi le cui vele erano nuvole

per solcare mari che non esistono, guidati da canti di sirene

difficile distinguere se fosse un requiem per mettersi in pace l'anima

o se fosse qualcosa di più triste, una vittoria mancata e per sempre cercata

...

ma noi che rimaniamo qui, con la speranza che ticchetta a vuoto

corpi animati sempre più dalla rabbia cieca e da desideri inestirpabili

quelli che sopravvivono in misterioso modo quando ti tolgono tutto

...

ma noi che rimaniamo qui, ci ostiniamo ad averci a che fare

ed ogni giorno sembra un momento perfettamente valido

per alzarsi, immischiarsi, combattere e morire

...

e noi che rimaniamo qui, e non ci lasciamo persuadere dal riflesso

delle bellezze sinuose sgorganti da schermi travestiti da specchi

poiché ricordiamo il gioco originale e non quello inverso

di essere la penosa imitazione delle finestre comandate a bacchetta

e ogni sbarra è una scheggia di dente che saetta, ti striscia sangue a pelle

...

noi che rimaniamo qui... e non sappiamo neanche più raccontarvi...

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Capitolo 14
*** l'eco nel cuore ***


.l’eco nel cuore.

 

Stamattina mi sono svegliato

pretendendo che fosse un giorno di sole

nella mia casa sapendo che

è una gabbia ipocritamente arredata

 

notte passata a masticarmi le zampe

lancinate da incubi che ricalcano la veglia

ed ero io solo negli sprazzi di sogno

al quale al risveglio la mia immaginazione non crede più

 

per questo ho paura di morire

e continuare a camminare intorno al meccanismo ipnotizzato

e la porta ad aprire trovarsi

la canna alla tempia per il ricatto quotidiano

 

ma esco dall'uscita posteriore e sono già

un errore di sistema in un vicolo cieco

scavalcare il muro e scavare sotto le recinzioni

con la miccia confezionata a regalo

ho un omaggio di polveriera per lo stato

che merita solo le sue ceneri fumanti

 

gli occhi già vedono nebbia

e i corvi volano a tempesta dicendo: lo puoi fare

e il lupo lontano canta, l'eco nel cuore

che tornerò a casa davvero

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