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di VeganWanderingWolf (/viewuser.php?uid=77762)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un'altra giornata così ***
Capitolo 2: *** inclinare il destino ***
Capitolo 3: *** cosa resta ***
Capitolo 4: *** who hunts who, darling no more? ***
Capitolo 5: *** precipitino le stelle tutte ***
Capitolo 6: *** non d'oro ma penna bianca ***
Capitolo 7: *** fammi buio intorno ***
Capitolo 8: *** attraversando l'attimo ***
Capitolo 9: *** per molto meno della mia vita ***
Capitolo 10: *** chiacchiere da fachiro ***
Capitolo 11: *** e la libertà ci farà ancora da cammino ***
Capitolo 12: *** ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso ***
Capitolo 13: *** e noi che rimaniamo qui ***
Capitolo 14: *** l'eco nel cuore ***
Capitolo 1 *** un'altra giornata così ***
.un’altra
giornata così.
le fanfare di giornali e televisioni
piovono
sciabordano come mare di ingannevole
prospettiva
si ripetono e strillano, non strilloni,
che quelli stavano per strada
arrivano veline, arrivano parole fini a sé
medesime
e loro provvedono a riportare, a
diffondere, ad invasare
scoppi di bolle di termini ridondanti
alla perenne ricerca di esaltazione e
sensazione
di approvazione o condanna, di ripetizione
di rito quotidiano
schierarsi sì, al più presto e senza
pensarci troppo
pur di sentirsi parte del ronzare video-schermo-schizofrenico
ma qui c'è silenzio, nessuna grande
sensazione
ma qui se n'è andata persino la rabbia
cieca o il sarcasmo amaro
qui c'è silenzio, sulla televisione morta
e spenta
tra i giornali usati tuttalpiù
come carta straccia
le fanfare di giornali e televisioni
piovono
e noi abbiam
altro di cui parlare, a cui pensare, da fare
un'altra giornata così. spezzata
comunque te l'eri dipinta, comunque non
c'è mai stata
amici e amiche, compagni e compagne
sia di vita, sia di lotta, sia di giornate
relativamente buone o meno
se li sono presi, ecco quanto, senza
bisogno di prove
li rivedrai, mai più o attraverso linee
ferree o poi
chissà quando, come che sia, si
aspetteranno
si impara così, ad entrare e uscire e passare
attraverso
a scansare più che si può, e ad affrontare
sempre e comunque
che se sei guerriera/o fin nel profondo
degli occhi, giammai possono deviarti
c'è poco da fare, si sa noi, si sa tutti
per questo si passa attraverso, e si
prosegue
per questo, rifiutata la carota, e subendo
solo il bastone
per questo pensieri tra i denti, e tanto
di tutto nel cuore
che una volta risputato l'omogeneizzato di
demenzialità...
più non si riesce a mandar giù niente
si pigliano colpi e sferzate, si
restituisce ove si crede
e del resto, che sia, ormai passate le
ferite non c'è rimasto niente
un'altra giornata così, picchiata, e si
guarda già dietro, di mezzo e oltre
e si vive già così, oggi, ieri, e domani
saprai, di certo capirai
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Capitolo 2 *** inclinare il destino ***
.inclinare
il destino.
Correre e correre attraverso il campo di
grano
all’imbrunire, unica importanza sfuggire
che le guardie non trovassero i miei piedi
nudi
Quando dita al buio scostarono le ultime
spighe
e uscii in un bagno di luce d’argento
bucare la notte come ago di filigrana
non era la crudele lama dei fari che ti
scovano
E in quella luce ero un lupo che guardava
incantato
Aveva gli occhi morbidi come nocciola
e sapeva covare dal niente tale
strafottenza gioconda
gliela invidiavo, gli volevo fregare il
cuore e mangiarlo a colazione
arrivò il corvo nero a distoglierci
proprio di mezzo
impedendoci di affrontarci fronte contro
fronte
garantitomi il licaone delle loro valide
zampe
subito dopo ero già in corsa di nuovo, non
più solo talvolta
e ci cacciavano come fossimo carne da
macello, ma amore… tu dov’eri?
Ma tu dov’eri, amore, che correvo troppo
veloce per poterti ritrovare?
e sapevo che t’eri andata a procurare le
tue piazze e le tue stanze
non volevo più venirti a cercare, pur
senza saper fare a meno di te
ma qualsiasi modo avessi scelto, non
potevo più smettere di mordere
catene e catene a perdita di vista, e
piramidi sgorganti sangue
visioni da incubo, quelle per cui ti
rinchiuderebbero come pazzo
non potevano fregarmi più, conosciute a
menadito le mie ombre e lor lenzuoli
e c’era un cucciolo più cresciuto di noi
che faceva buio tutt’intorno per furia pura
Eravamo un lampo tremendo, dritto al
centro del mirino
egli faceva buio e oscurità come morte in
persona
e i miei occhi la solcavano di gelo omicida,
inchiodando sul posto
il corvo volava sicuro prendendo la mira,
e un licaone sanciva la condanna
arrivava il cervo con quelle corna di
legno a bersaglio sicuro
mentre io ero la lama di zanna che saetta
e si ritira, saetta e si ritira
e sapevamo fin dall’inizio cosa tocca
prima o poi, sì, lo sapevamo
ma sarà che ci scegliamo ciò che facciamo,
abitudine nostra
che si fa per valore in sé e non solo per
secondo fine
Arrivarono le ruote con stridio nemico
e caddero le reti a sfregiarci la strada
non avemmo nemmeno tempo d’ululare a
raccolta
e già era un dei nostri preso a
rappresaglia
giacché essi sanno fare solo da codardi e
infami
Baluginaronmi
strisce di filo spinato sulle tende decoro di case fredde
ed era uno squarcio nel vetro come quello
nel mio cuore
poiché è così spesso chi più ti professa
amore a saperti ferire nel peggiore dei
modi
S’inclinò il desco del destino, come un
mondo piatto alla deriva
mentre cadevano tutti o scappavano o
teorizzavano
mi piantai con le zampe sull’orlo e non
volli più spostarmi
e mi misi in testa come mio solito di
mostrare la peggiore testardaggine
rompersi i polsi pur di non precipitare
e scheggiarsi i denti pur di non mollare
la presa sulle catene da spezzare
Il prigioniero dalle zampe troppo giovani
troncate in corsa cadde
arrivò dritto dritto
contro il fianco, e lì ristetti
a rimettere alla prova il mio peso, che
valesse sufficienza per due
Note :
-
‘inclinare il destino’
la prendo in prestito dal testo di ‘Aratri d’ossa scheggiate’, dei Kalashnikov
(http://www.punk4free.org/testi/2220-kalashnikov-living-in-a-psycho-caos-era.html ).
-
Alcune espressioni non sono errori ortografici
ma volutamente così scritti (es.: ‘valere sufficienza’ invece di ‘valere a
sufficienza’), perché mi suonano meglio, non solo a suono, ma proprio nel
significato. È un gioco: richiamo il ‘a sufficienza’, ma in realtà tasto anche
il letterale molto diretto: valere la sufficienza, ovvero, nelle intenzioni,
‘dimostrare di poter reggere a sufficienza, essere valevole di almeno la
sufficienza di resistere’, qualcosa del genere. Quando non sono voluti invece
sono proprio errori d’ortografia.
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Capitolo 3 *** cosa resta ***
.cosa
resta.
Qualcuno mi ha detto che hai un’altra
persona
vorrei metterlo alla prova per concedergli
terreno solo se dimostra di poter fare per te di più di quanto posso fare io
E questi cieli così grandi di nuvole sopra
una città morta
mi si congelano le parole quando sento
‘lei adesso sta là… ’ e le mie di risposta grattano la
gola nel dire ‘ma come sta?’
Sì, lo so che è sempre stato troppo tardi
per noi
e da quando non riesco più a raschiarti
via dalle mie giornate, non sono più capace di agire pensando solo a me
Rimango di lato, a farti da controspalla
esattamente di fianco a te, semmai ne
avessi bisogno, giammai che tu sia sola di fronte a questi sentieri tanto
lunghi
ma devo ricordarmi ad ogni passo che mi
sto tagliando l’anima in pezzi
dunque, cadendo senza permetterti di
voltarti per vedermi crollare, mi ritrovo a chiedermi, infine, di me…
cosa resta
sempre, rialzandomi mi rimetto a camminare
per i fatti miei
il centro unico del mio mondo io solo, ma
un’incrinatura delle tue labbra, ma la punta del tuo dito può scaravoltarlo
e dopo l’ennesima volta a rimettere in
piedi il tutto
non mi domando più perché certe strade le
inizi senza deciderlo, la scusa del bisogno non regge più, e di me, mi chiedo
cosa resta
e non è più tempo che ti incontri e veda ballare
tra le foglie autunnali
la danza è finita, le foglie si son
posate, e ora le ricopre la neve gelida, in cui si disegnano i tuoi passi
quando arrivi
sono rimasto raggomitolato nella terra
calda, a far passare il dolore
ma anche quel tempo è finito, tu sei
tornata e andata via tante volte, e ora aspetto semplicemente di rivederti
sì, lo so che è mai l’occasione giusta
ma senza te, certe volte mi ritrovo a
tracciare cerchi asfittici sbattendo contro le pareti senza sentire dolore:
soffoco
esco nell’aria congelata o nel sole cotto,
ti vengo incontro
e la traccia di sangue che mi lascio alle
spalle è solo una coda in più, direzioni già percorse per non trovarti infine
mai
devo reimparare
da capo l’effetto che fa la tua presenza, tanto più se solo io e te
dunque, naufrago in una tempesta tagliente
come la correttezza da cui non mi so scagionare, mi rimane da chiedere, a
chiunque voglia raccogliere il richiamo: di me…
cosa resta
imparo a vederti andare via di nuovo, e
ancora non c’è indifferenza a darmi pace, si stralcia la coscienza
e l’istante dopo, una manciata d’ore, sono
di nuovo sui miei sentieri di battaglia, prendono me, poi qualcuno al mio fianco
restando a chiedermi se sei stata un sogno
pulito in un inferno d’asfalto e sirene blu
in questa notte insonne da prigionieri,
senza nemmeno ombra di quella “giustizia” in cui non crediamo, mi rendo conto
nessun dolore può spaventarmi così tanto
come l’aver dovuto abituarmi a starti alla giusta distanza, e allora mi preoccupa
vagamente, mi sorprende la domanda aperta… di me…
cosa resta
e non c’è mai stato il tempo in cui
avremmo potuto
stare insieme senza altro pensiero, senza
nessun’altro di mezzo, senza tremare di fronte all’aver tanto senza aver fatto
nulla per cercarlo
di te, vedi, di te attraverso cui muoio e
rinasco
ormai chissà quale immagine distorta, in
un abbaglio in cui, con te, come fosse il mio primo giorno sulla terra, nuovo di
zecca
e di tutto in corsa e di tutte queste
battaglie che riaprono ferite
se ricominciassi da capo e mi proponessero
di togliermi la spina dal fianco non incontrandoti mai, la mia risposta, sì, già
la sai
come quel modo pressappoco definitivo in
cui imparai
tenersi stretti i sogni, e che siano solo
buoni, perché l’incubo si vive o ti dice comunque fin troppo crudo la verità,
ma la mia risposta, no, non cambia
allora, trovando lo spazio e il tempo
d’essere completamente onesto
non c’è niente che cambierei, perché adoro
alla follia ciò che sei, perché m’ubriaco del mio correre, perché siete come
siete, splendida cosa
perciò se vuoi sapere chiedimi solo cose
su cui posso non mentire
e se posso rialzarmi in piedi al primo
sole e pronto per ripartire, non ti ascolto nemmeno, e tu sorridendo non lo pronunci,
chiedendoci, di me…
cosa resta
ma oggi ho qualcosa da dimostrarti, ma
oggi ho qualcosa da mettermi alla prova
e se sono ancora capace di ridere e di
piangere, col mio nuovo cuore, ripreso e ricucito e ristrappato
a non finire
allora non puoi davvero più stupirti, io
continuo a farlo all’infinito
e se ancora posso tagliare l’aria con lo
sguardo per cogliere i fili trasparenti e troncarli coi denti in un ghigno sfacciato,
di me
ecco quel che resta
tanto è
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Capitolo 4 *** who hunts who, darling no more? ***
WHO HUNTS WHO, DARLING NO MORE?
Certo che ricordo com’è essere felici
Io sono nato felice, sai
Poi non so cosa c’accadde di mezzo
Non so mai tutta la storia
Continuo a raccontarla barando
Lascio la suspense e prometto prossima puntata
Ma mentre dormono scappo via rubando la loro fiducia
Conosci la favola del brutto anatroccolo?
Non ho mai amato le eccessive complicazioni
D’un tratto allevato dai cani mi ritrovai
Pelo, zampe, zanne ed occhi di lupo
Ed essi me li ritrovarono addosso
E mi misero in condizioni di molta sicurezza
Fu così che iniziai a mordere catene una’d’una
La notte che scappai non fui abbastanza scaltro
Mi piangevano dietro trascinandosi sulle ginocchia
Mi correvano dietro con zuccherini e bastoni
Oh, non sai che bastardo sia un lupo mezzo cane
E non sapevo di quel filo spinato prima di trovarlo
davanti
Dovetti scavare buca troppo stretta in cui pigiarmi
Mi s’impigliò il cuore nella rete, e lo strappai per
fuggire
Non so dire quanto sangue scorse
So che molti mi stanno ancora alle calcagna
So che quella luce falsa rimane in attesa di un
impossibile ritorno
Seppellii ciò che mi rimaneva di cuore nella foresta
M’accolse tutto ciò che c’è oltre il recinto
E prima ancora di imparare del tutto
Mi ritrovai in mezzo a di tutto e di più, non c’è altro
modo d’imparare
Precipitai in mezzo alla danza divorante delle ombre
Esse che si librarono quando le liberai con me
Stupido tentai di seminarle in ogni dannato modo
Ma mi ritrovavano sempre, fino a capire di doverle recare
con me
La loro regina è una vecchia dai denti spezzati e
dagl’occhi infami
Sapessi come mi guarda, sapessi come m’accoltella alle
spalle
E fui in loro balia, finché non saettò il lupo a rompere
il cerchio
Non saprò dire mai come imparai il loro gioco sottile
Non so mai come restituisco il mio gioco di forza e
agilità
Le gioco di sinistro, le infortunio volta per volta
E so che torneranno, e sanno che mi ritroveranno
Mi s’addensano intorno chiamandomi addosso i cacciatori
E sono io un predatore, sono io un predatore
La vecchia sa che non ho cuore e punta l’unghia sulla
preda prossima
Non sai quante persone mi circondano col cuore
Non sai come mi pulsa in testa e m’abbaglia il loro cuore
Sono divoratore di cuori altrui per natura di caccia e
per bisogno
Sostituire il cuore inghiottendo quello altrui è la
ricetta della vecchia
Già so che non funziona, già sapevo che non funziona
Diventai il lupo che sbaragliava in pezzi i loro manti
d’ombra
Ma quando la vecchia punta il dito, batte il vuoto del
cuore che mi manca
Una volta come un’altra che stavo per divorarne un altro
Mi si parò una sola persona, l’unica che m’avesse trovato
Ella mi sparò addosso senza pietà, mi rese caccia per
caccia
Spietatezza per spietatezza mi costrinse a salvarmi la
vita in acqua gelida
Si spezzò il ghiaccio sotto alle zampe e precipitai
nell’oblio
Credetti di morire, e non
sapevo ancora chi m’avea ucciso
Quando mi ritrovai a miglia e miglia, capii l’errore, m’avea salvato
Di nuovo in piedi, una nuova stella sopra la mia testa
Mi indica la via, fa da occhiolino alla luna, sia bella o
brutta
E ogni volta che la vecchia punta l’unghia spezzata
La infrango ridendo di lei a perdifiato
E corro a perdicuore , cuore che
non ho
Vado in caccia di lei che mi salvò, fare in modo che non
le accada nulla male
Quando ho un cuore a portata, solo in lei trovo forza
ancora e scanso e vado
Ah, allora avanti dimmi, chi caccia chi?
La nostra affezionata J m’ha detto che si può vivere
senza cuore
Non le ho creduto e l’ho lasciata alle sue multiformi
bugie
Il nostro apprensivo M m’ha detto che si vive di solo
cuore
Non gli ho creduto e l’ho lasciato aggrappato alle sue
illusioni
So solo che non riuscirei più a vivere se non ci fossi
più tu da rincorrere
Ovunque tu sia, stella mia, senza te che non ci vedo più
E allora dimmelo, se lo sai
Chi da la caccia a chi?
E chi scappa a chi?
Chi si nasconde e chi si mostra ingannevolmente
Chi continua a fare finta di niente, e chi a fare finta
di tutto
Se lo sapevo l’ho dimenticato, se lo sapevo non l’ho mai
imparato
Se lo sai, se mai l’hai saputo, va bene così… va ancora tutto bene e tutto male così
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Capitolo 5 *** precipitino le stelle tutte ***
.precipitino le stelle tutte.
Ed ecco il
battito su cemento e mattonella
Della strada
che va
Via sotto i
nostri piedi, passo a passo, metro a metro
Misurandoci
addosso le miglia
Ed eccomi,
dritto in piedi sulle mie sole due gambe
Guardami,
sono qui
S’è a
malapena asciugato il sangue dell’ultima ferita
Ma mi batte
ancora il cuore
E mi s’è
appena richiusa la pelle dell’ultimo sfregio
Ma sono
ancora vivo
E tanto mi
basta per riprendere oggi, ma non lo stesso sarebbe se non fosse che oggi
Non sono da
solo
E da un lato
e dall’altro camminano queste visioni da incubo reale
O un sogno
impalpabile
Passo a
passo, come a piedi scalzi, nudo su pelle il vetro rotto come bottiglia
spezzata
E abbiamo
gli occhi vecchi che sanno ancora ridere
Streghe
guerriere senza legge che non sia la loro, e non osi chiedere loro ragione di
nulla
E nemmeno io
chiedo mai più di quel che dicono
Gli altri di
cui ricordo le migliori battute e le peggiori cadute, li saprei riprendere su
tutto
Ma nessuno a
chiederci di spiegarlo meglio di così
Come una
candela che brucia troppo veloce, eppure di nuovo caduti
Già ci si
rialza come a capriola
Quando ti
pare d’essere cieco, hai almeno una mano che ti prende
Per tirarti
su
E non temo
più il baratro di fronte ai miei alluci, gioco sull’equilibrio in corsa
E mi rimane
in gola l’azzardo del balzo
Ma il sole
che sorge un mattino m’abbaglia profilando colline di terra scura
Un profilo,
una mano sul fianco, in mezzo al campo
Non
distinguo la bellezza della sua pelle da quella della terra, e quando si volta
Sono
indeciso s’è notte o giorno, ha stelle negli occhi
Ho camminato
al buio per molto tempo, non mi spaventa, ho il fuoco di battaglia
Mi si
riflette addosso e lo riconosco come null’altro
Ma
quando lei ci viene incontro, so bene
per chi viene, so esattamente per cosa arriva
E non ho mai
visto una morte più bella
Stavolta
l’ha capito, stavolta, solo per una volta, sa esattamente perché arriva
Sorrido
appena, e tengo il segreto tra i nostri occhi
E quando
m’arriva di fronte sento esattamente la sorpresa degli altri nel vederla
Mentre alza
il braccio col pugno chiuso
Decine di
volte in cui farei in tempo a parare il colpo, e nemmeno una di queste
Decido di
farlo
Per questo
quando arriva il colpo, loro già l’hanno capito, pur se troppo veloce
Il modo in cui
sferza il pugno sapendo dove mirare
Cinque
nocche dritte dritte sul cuore, mano destra sua, e
sinistra del mio petto
Non è forse
perfetto?
E vorrei
cadere senza suono, quasi senza infrangere nemmeno l’istante, ma chiamo
Che le
stelle si precipitino su queste ceneri
Che mi piova
addosso tutto il firmamento, per scavarmi una tomba sufficientemente grande
Dove
seppellire tutto quello che non saprei dove interrare
La terra
stessa non mi vuole più, calpestata troppo a lungo, si rifiuta di riprendermi
Di riaccettarmi
indietro, ancora nuovo ma già sprecato
Che io non
voglia più nulla altro, che riposare riconoscendomi già polvere, sapendomi già
morto
Perché senza
lei vago come fantasma
E che
nessun’altro volevo a buttarmi a terra per sempre se non lei, lo dovranno
capire
Io non lo
racconterò mai
Mentre
poteva sembrarmi infinita, la caduta dura solo un breve momento
E mi pare di
vederla rifulgere un solo frammento
Che mi basti
all’infinito, ah, potrei giurarlo e spergiurarlo e non avrei più paura di
mentirle
Non dopo
tanto tempo passato a prendermi in giro
Che io abbia
fatto tanta strada, per seguirla passo a passo, ‘ché non inciampasse mai troppo
Sapendo che
andava verso la mia tomba
Non si può
negare, lo sa il licaone che forse verrà a dire sul punto dove ora cado
Quanto io
sia stato perfettamente stupido
La prima
regola, di non permettere a nessuno di farmi tanto male, se n’è andata il
giorno
Il giorno
stesso che l’ho incontrata
E se
un’unica stupidità ho veramente commesso, fu quella di non rendermi conto al primo
vederla
Che lei
sarebbe stata scintilla di vita, e morte certa
Cado fermo,
eppur mi muovo, precipitare immobili come incantati, e lo sono, incatenato
Il suo
sguardo, basterebbe in salvezza e veleno
Fatto come
è, che non li distinguo più, in lei unica cosa, come tutto il resto, il cerchio
si chiude
Ed è il mio
tempo che finisce
Giusto giusto mentre tocco terra, le mie spalle e la mia schiena,
misura giusta
Il terreno
conosce tutte le misure del mondo
Giacché ora
che vedo il cielo, ora che vedo il soffitto, ora che vedo la notte di tutte le
notti
Sprezzante
ghigno, che non è abbastanza
Non sarà mai
abbastanza grande il cielo, non sarà mai buia la notte, non sarà mai abbastanza
infinita
Una morte che
non sia lei, che non sia lei a battere falce sulle mie ossa
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Capitolo 6 *** non d'oro ma penna bianca ***
.non
d’oro ma penna bianca.
Fiducia un minimo nel tatto delle
proprie dita
facendovi scorrere l’acqua gelida
del torrente attraverso
e se i piedi affondano nella
fanghiglia della paranoia
che a lungo andare ti paralizza,
ti getta nel panico, ti fa perder l’equilibrio
e se cadi t’avvelena la bocca e
t’accieca…
allora muoviti; cammina, corri,
trascinati, mettiti in gioco
Non puoi davvero dimenticare, che
tu sai bene nuotare
E se granella d’oro ti
picchietterà l’unghia cogliendoti di sorpresa
tu guardala e sorridi con
compassione verso di te
comprendi bene, lo vedi, quanto
sia splendente
come un pezzetto di stella
solidificata dalle atmosfere
ma non cadde dal cielo
la scacciò la terra dal suo
grembo, scartandola
come aquila che con dolore getta
dal nido il figlio senza ali
e tu ricordi come, piccolo Ali
Strappate
Questa piccola gemma come una
lacrima indurita
a ingoiarla non servirà a niente
e a farne decoro ti recherà
sventura
proprio come disse quella vecchia
seduta lungo il fiume
non alzò nemmeno gli occhi mentre
passavi
mentre risalivi la corrente
camminando a piedi nudi
allora, che erano i tuoi piedi
giovani che li bucavano i sassi
ma già volevi andare in una sola
direzione, alle montagne
la vecchia che scuciva i panni
lavati e borbottava si azzittì
e disse solo, non a te, ma che tu
sentissi
che le lacrime di stelle sputate
dai pesci
son veleno che piangerà sangue
dove tutti affogheranno
e giacché pensasti fosse matta
almeno quanto te
ora sai: che lei aveva ragione,
che tu camminerai ancora
E restituendo l’oro al torrente,
che vada a perdersi dove gli capiterà
raccogli le ali strappate, per
riportarle al nido
Che le illusioni scivolino via
con la corrente, senza tanger sangue
Che i tuoi sogni muoiano con te,
senza pianger infranti
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Capitolo 7 *** fammi buio intorno ***
.fammi buio
intorno .
Fammi buio intorno
in modo che i miei occhi possano brillare netti
come lama assassina
E lei ha, lei è di quel tipo
che non ti lascia nemmeno la carne sulle ossa
Fammi il nero attorno
in modo che io possa sentire a cosa appartengo
come nuvola primitiva
E tu sei, tu sei di quel tipo
che non lascia il tempo di imparare a
trasfigurarsi il cuore
Fammi spazio attorno
in modo che possa ricordare di nuovo il modo
rialzarsi dopo ogni colpo
E lei ha, lei è di quel tipo
impazzisce un giorno sì e l'altro pure, fiamma ma
arida
Fammi il fuoco intorno
e ci camminerò in mezzo con scintilla che fiorisce
su zanna
stelle senza lieto fine
E lei sa, lei sa benissimo
come fare in modo di ingannarsi con un velo sugli
occhi
che sia colorato il mattino
Fammi illusioni infrante intorno
di modo che quando arrivo troverò lacrime per cui
non avrò sale
come coccodrilli abortiti
E lei trova, trova sempre il modo
andare alla deriva su una foglia d'amaranto che
pare oro
nuda si odia
Fammi la notte intorno
che il giorno non ci ritrovi separati dall'amore
più forte
quello che trascina agli angoli
E lei con un chiodo, un chiodo netto
piantato in mezzo ad un cuore che sanguina corone
sacre
mi guarda girare in tondo, ride con me
Fammi stanze attorno
e incontrandoti non ti riconoscerò, perché
ritroverei me stesso
che non sia mai, mi temo troppo spesso
E lei sa, sa la bugia di cui si pinge
labbra, ciglia, voce, petto, nella finzione di una
strada bucata
che sia sgombro il cammino
Fammi benzina intorno
che io possa bere piuttosto che lasciarti andare
dove dannarti
dannare l'anima al diavolo
E lei conosce, ogni cosa ma poi il trucco
trafiggersi per prima per non sentire dolore dei
rovi in fiore
primavera mancata
Fammi tredicesima luna intorno
tempo di caccia correndo in punta di pelle su
ghiaccio
screziandosi di speranze
E lei comprende, lei comprende benissimo
spettinata di capelli su una macchia di cioccolato
ch'ha nel sangue
non so mai se sta vedendo me davvero
Fammi neve intorno
mancherai tante volte il lancio contro il tuo
viso, ah, veleno
tieni strette le zampe sottili
E lei è regina, ma sopra ad ogni cosa
bambina gioca con l'orrore di questi luoghi
impiccati al nulla
ha perduto le scarpe rosse
Fammi il gelo attorno
che non possa ritrovarti ogni volta che dovrò ritornare
a casa
il tetto crollò tempo fa
E lei guarda, rimane a guardare
rosicchiando legno marcio o vermi sparsi in latte
falso
l'ho vista, ed era fantasma implorante
Fammi il silenzio attorno
che possa sentirmi gridare parole senza senso, che
dicono tutto
ogni volta che pare di morire
E lei mastica, mastica la lingua
mi perdona se so ridere solo coi denti e chiederle
di ogni tristezza
un passo sì ed uno no
Fammi manto attorno
in modo che possa confrontare le sfumature
dell'inverno sul pelo
disse il vecchio, riguardo ai lupi...
E lei con le dita, le dita nell'aria
arzigogolando predizioni nella polvere di caffè
bianca su neve nera
cercando tracce sparse
Fammi buio intorno
poiché tu, tra tutte le mie ombre, tu sei la mia
preferita e l'unica
da amare senza voler tornare indietro mai
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Capitolo 8 *** attraversando l'attimo ***
cielo liquido asfaltato
arcobaleno di pozzanghera da bruciare
affoga il cotone
d'argento era il risentimento
rubandolo gazza
con un lamento stretto nel becco
ed io non posso
non riesco a guardarti senza sentire
le vibrazioni
precedono vagoni spezzati
infranti dagli scalini
e mani che afferravano vestiti
il miele rosso
bestializzato fino alla paura
digrignavano le nocche
arcigno come un pozzo di gengive menzognere
scavandomi la fossa
disturbato vagamente dall'odore troppo vivo
stavamo tranquilli
io nella terra e tu a guardarmi dall'alto
senza proferir verbo
trovavo badili che mi aspettavano
e già lo sapevo
come dovrebbe saperlo ognun dotato di buon fiuto
che tu sei mia morte
perché come mai, te, amato
e lo sapevano loro
li guardavano arrivare, i loro signori di morte
mentre io
mormoravo in silenzio
sarà poi troppo tardi per farli sparire
se fosse d'ossa triturate
il sapone di cui dovrei lavarmi ferite
manco il sentore
d'un calcolo che non sia allucinazione
e sorrideva l'albero scuro
che d'un'ombra di luna si beava
prestami una piuma
di cui ritrovarmi l'angolo di iride
scolorendo la prospettiva
le persiane sbarrate
seppellita viva e implorava di morire
e dovevo tenere chiuso
chiuso in gola a proposito di quello
come stavano le cose
già morti in un trascinarsi di giorni pantofolati
siero o siero
dimmi dunque se non è vero
ci hanno comprati
molto prima che fossimo nati
e schiavi a funzione
prestare il sudore a chi ci impasta mattoni
alzando gli occhi
per vedere solo specchi dalle mille vertigini
si fingono aquile
e belano come pecore sopra il ciglio di un abisso
una corsa in discesa
rapida come il rotolar di frana
crollo imminente
poiché in fondo, di noi già non è più niente
attraversiamo l'attimo
che sia luce un momento prima dello scoppio
radice di dinamite
non costruiamo gabbie ma il fragore di sbarre abbattute
e se solo di distruzione abbiam
fatto voto
è perchè i loro fogli e muri ci
fan vomito d'odio puro
e se solo di battaglia siam fuoco
è che non si cammina su pavimenti piastrellati di guerre
e se solo di cicatrici abbiam su
pelle
è perché i baci, gli abbracci, i morsi e le risate...
(non sono da leggere ad occhi altrui)
e se solo di attimi rubati abbiam
valore
è che con carta si fan solo castelli immaginari
(trovare l'inizio della miccia, e dita nere)
e se solo di bilico di coincidenza e strategia abbiam fortuna
è che nostra soddisfazione è quando va a buon segno la mira
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Capitolo 9 *** per molto meno della mia vita ***
. per molto meno della mia vita .
e scorrevano le linee, di vita e di
morte sul palmo della mano
e scorrevano, strade di cemento in
fiamme sotto le suole delle scarpe rapite
di tanto in tanto, uno specchio di cielo
in pozze di benzina
ma non alzare lo sguardo se cieco, bambino
ma non spezzare la decisione, sorellina
lasciami la mano per ballare fino alla
vertigine che ti rechi dentro
finché il vortice dei palazzi sembrerà
qualcosa che assomigli a macerie
ed era una fila di gabbie solo
apparentemente dissimili
scorrendo tra muri silenziosi sgretolati
da grida trancianti i nervi
di tanto in tanto, accarezzando una
miccia con sincero proposito di vendetta
ma non alzare il braccio se disarmato
ma non alzare la voce se non vuoi andar
oltre
della sfilza di udienze concesse per
ammansirci il cuore entro reti di tolleranza
non annegheremo nei canali per guidarci
su sterili porti asciutti
salteranno le dighe
ed era un nero profondo e diretto,
conciso, al centro di una pupilla mobile
ed era elettricità nell'aria, come prima
di un temporale da finimondo
di tanto in tanto, abbandonandosi
all'adrenalina che era capace di darci insieme
diceva pure di non alzare il fucile
finché il bersaglio era più rapido della nostra mira
lasciavo scorrere ettari di terra nuda,
un battere di sangue nell'orecchio
finché avevo tutta l'intenzione di
combattere, uccidere e morire, ogni giorno...
...ogni giorno per molto meno della mia
vita
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Capitolo 10 *** chiacchiere da fachiro ***
chiacchiere%20da%20fachiro.html
.chiacchiere da fachiro.
Sono arrivato oggi nella metropoli, come un formicaio impazzito
tutti comunicano ma nessuno si sente, parlano diecimila lingue e non sanno cosa dicono
Mi hanno chiesto un lasciapassare al cancello, e m’ero disegnato sulla faccia carte false
le ho gettate subito dopo che sono entrato, e al prossimo incontro non avrò niente da
mostrare
per scusarmi l’esistenza o la presenza in tal luogo a cui, dopotutto lo sappiamo, non
appartengo
Qualcuno si chiedeva già di chi era l’impronta di sangue che rimaneva sulla strada
ma non avevo intenzione di rimanere molto là dove le stelle oscurate dalle luci e il cielo
dai palazzi
Per resistere alla sempiterna ombra grigia di limbo permanente, mi oscurai lo sguardo
tagliente
al di sotto di un telo nero spiavo tutto quel trafficare di cui giammai compresi il senso
E semmai avessero cercato di rinchiudermi di nuovo, avrei loro riconosciuto il beneficio
di quella follia che si crede divina e in suo nome giustifica ogni vuota nefandezza con parole
di dottrina
Mentre procedevo un po’ zoppo della mia ultima ferita ancora aperta, e ne sorridevo con
leggerezza
nient’altro che un ammanco di prontezza nell’evitare la malasorte, mi suggeriva la
direzione schietta
Andavo cercando la traccia di penne, diramate di suggerimenti che amavo ancora e
sempre
con cui non sapevo più cos’avevo da condividere, e sai, cercavo quell’unica penna forse
inesistente
che mi dicesse se era ancora in volo o se era caduto, se avevamo ancora strade in
comune, se erano sempre aperte
Non avevo orologi per sapere se ero in anticipo, in orario o in ritardo, e m’affidavo alla
consapevolezza
l’avrei saputo nel momento esatto in cui avrei rivisto quelle penne solcare il cielo in un
giorno nuovo di zecca
Intanto tenendomi stretto il cuore nel pugno pronto a colpire su ogni catena o su altro
cuore, restituire eco per eco
e in gola un grumo di parole dette e non dette, un filo spezzato che cerca il suo altro
capo senza saperne di nodi
tranne quelli che si formano a rachitire le dita intorno alle speranze alle quali non si sa
ancora rinunciare
Ed essendo tutto di denti e d’artiglio, ricordavo come avendolo su pelle l’odore delle
zanne aperte in fiore
a promettere realtà e mistificazione, fuoco di battaglia e amore, ogni azzardo di sfida,
ogni linfa di vita e ogni vendetta
Avevo un nero di pece di pozzo al centro della pupilla, e un mondo verde e blu che vi
gravitava attorno
e prima di perdermi in una notte molto lunga, scambiavo promesse fiduciose con un
tramonto rosso come le fiamme che ardono sempre dentro ad un cuore ancora non
disposto a spegnersi se non in un niente che sia morte completa
Non esistevano più mezzi termini da compromesso o trattativa, ma solo il sapore, gusto
netto, che dispartisse
chiaramente le acque vive da quelle morte, e il fango lenitivo da quello dove affondare
come in veleno denso
Avevo una zampa per le vie giuste e un’altra per gli errori, ed entrambe avevano ognuna
la sua lezione
avevo due zampe per correre o frenare, per impennarmi in canto, fosse di dolore fosse di
gioia, con una purezza strana
mischiata allo stesso sangue che perdevo e rifacevo di volta in volta, sempre in nuova e
vecchia tela
una valigia d’esperienza intagliata su legno d’alberi sparsi e silenziosi,a mantenere il
segreto delle radici
che non si sarebbero potute rinnegare se non a prezzo di morire laddove si era,
o rialzarsi dopo aver dormito proprio e solo su quelle
Così incontrai tramezzo alla strada un fachiro che dormiva sui chiodi sempre sveglio
rideva dell’agopuntura coi suoi denti fantasiosi, di forme bizzarre, mezzo nere, mezzo
marce, sempre veritiere
Mi soffermai tra la folla che si faceva incantare, illudere e sbeffeggiare dai suoi giochi
e quando rimasi solo io a guardarlo ancora, aveva smesso di rendere spettacolo e il
pubblico se n’era stancato
mi alzò lo sguardo al di sopra della sua cena e me ne offrì parte di cui accettai solo
misera cosa
era tutto il resto che mi interessava, e lui lo capiva, perché finalmente mi sorrise con
massima serietà
Dovetti indovinargli ago per ago, e sfilarmeli di dosso mentre cercava di fare di sé un
puntaspilli per le mie credulità
gli mostrai solo un istante parte delle cicatrici, e la ferita ancora aperta, e non tentò più
d’ingannarmi
io vedevo le punture dei suoi spilli anche se non lasciavano traccia a vista, non erano su
pelle
Mi domandò cosa andavo cercando in un luogo a cui ero così estraneo, e che non mi
riconosceva per primo
e gli narrai di un paio d’ali di cui non conoscevo il nome, perché non era un nome che
andavo cercando
quella era l’ultima cosa da sapere, l’avevo già capito lungo la strada
Altro non sapevo, che di quel risveglio in un deserto nero in una notte molto fredda
di come avessi camminato cieco con le mani protese nel vuoto, e di come mi fossi
sbendato passo a passo
come avessi imparato a farmi scivolare la sabbia tra le dita per farmi suggerire dal vento
la direzione
Mentre una moltitudine di bendati intorno m’aveva spaventato profondamente, e
nessuno che mi spiegasse
solo una sconosciuta mi aveva sorriso senza vedermi, era fiduciosa che
ognuno di loro avrebbe trovato ciò che doveva cercare
mentre io, piuttosto convinto del contrario, avevo compreso qualcosa che non avrei mai
potuto raccontare
E il fachiro, tirato fuori un serpente finto che era un filo spinoso e sibillino, con quello
mi prestò arte di cui ricucirmi le ferite ancora aperte, giusto a me che riconoscevo il
gioco truccato
Raccontava alle turiste maliziose che con quei chiodi era stato crocifisso, che era un riccio
mancato
a me disse che erano i chiodi che gli erano rimasti quando avevano bruciato la sua casa
per costruire la città
il legno era completamente arso, ma il ferro rovente era rimasto a trafiggergli la pelle
Da odio a odio, coltivato in rabbia ed esploso in diverse battaglie, ad ognuno la sua, ci
riconoscemmo
non volevo bugie o favole, e allora mi mostrò solo i chicchi amari o dolci della sua vita
raggranellata e dispersa
Mi garantì che non aveva visto penne laggiù, spazzate via certo da troppo alacri ripulitori
ma che se cercavo qualcosa che volava nel cielo dovevo tornare con solo quello sul capo.
E così me ne andai.
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Capitolo 11 *** e la libertà ci farà ancora da cammino ***
. e la libertà ci farà
ancora da cammino .
Un incubo di
misericordiosa bellezza
c'era un contorno
di bosco attorno ai tuoi occhi
ma io potevo
figurare come un fantasma
mal assortiti
naufraganti di un mondo a schifo
*****
avevo in mano una
noce di cocco tagliata e vuota
e colori che non
potevo vedere nella notte
era così
spesso, d'altra parte, tutto nero
avrei voluto
dipingerti segni di medicina
con le stesse dita
con cui mi dipingevo segni di lotta
******
vagavo a metà
tra il sonno e la veglia forse
ma tra una boccata
e l'altra di un fumo nebbioso
vedevo risplendere
chiaro il fuoco, e ancora di nero
avrei voluto un
mantello, farmi incubo altrui
poiché
tutti gli altri così tante volte sono il mio
*******
ho ancora il
veleno che mi serpeggia nel sangue
e l'elettricità
che corre su pelle, disperdendosi
come cavalli
selvaggi che corrono infangati
l'elettricità
che prevede il fulmine, sibilla dorata
*******
cosicché
tutte queste lacrime, dopotutto, non siano che pioggia
cosicché
tutto questo dolore, dopotutto, possa sciogliersi in spazio ampio
e la libertà
ci farà ancora da cammino, attraverso ogni cosa
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Capitolo 12 *** ho perso la mia linea quando ti è passata attraverso ***
.ho perso la mia linea quando ti è passata
attraverso.
ero giusto
sulla mia linea
andavo
avanti tracciandomela davanti
consultandomela
dietro i passi
e sceglievo
la direzione a strappo di vento
e sceglievo
di seguire l'intenzione fino in fondo
ora mi
fermo a contare i corvi che girano in cerchio sopra di me
mi hanno
portato consigli e disfatto il cuore a brani
e in quello
che ne rimane c'è un nido di corvo
ne covo le
uova e a volte le rompo prima che nascano
forse ho
paura di vedere i tuoi occhi dietro il guscio
e
ritrovarci i miei riflessi ancora e ancora
ho perso la
mia linea quando ti è passata attraverso
ho smarrito
le mie illusioni attraverso le tue parole
ho buttato
il mio caparbio orgoglio per starti vicino
quando,
penne ridotte all'osso, giravi in tondo
scavandoti
un vortice al centro di te
ho perso le
mie ore per condividerle con te
ho smarrito
le mie buone intenzioni quando tutto si è spezzato
ho buttato
il mio dolore per ricominciare da me
ho il fuoco
dentro, e il corvo grida bruciando lacrime nere
ero giusto
sulla mia linea
andavo in
giro cercando e scegliendo il meglio per me
prendendomi
tutto ciò che volevo
e
rincorrevo il nord con l'istinto a bussola
e
sanguinavo le orme sulle lotte intraprese, vinte o perse
ora mi
fermo a contare le clessidre spaccate per rabbia e dolore
mi hanno
parlato tanto, ma ho scelto sempre la libertà
e in ciò
che rimane non trovo vanto o colpa, tante cose
non sono onnicosciente mai, ma cerco tutta la lucidità
forse ho
paura di vedere cos'è davvero rimasto di noi
e
ritrovarci rinchiusi in una stanza agli angoli opposti, ancora e ancora
ho perso la
mia linea quando ti è passata attraverso
ho smarrito
le mie ingenuità attraverso le tue valutazioni
ho buttato
le mie preziosi solitudini per starti a fianco
quando, gli
occhi annebbiati dalla tempesta, ti scagliavi contro i muri
inesistenti
o che ti eri costruito da solo
ho perso le
mie giornate per passare del tempo con te
ho smarrito
parte della mia autonomia per cercare appoggio in te
ho buttato
il mio bisogno di sapere che stavi bene per chiederlo prima a me
ho il
ghiaccio dentro, e il lupo piange ululati bruciando il suo pelo di cucciolo
ero giusto
sulla mia linea
vagavo in
largo per la curiosità, imparare e scoprire di nuovo o ex-novo
raccogliendo
le mie lezioni e le mie nuove tonalità
e
rincorrevo le nuvole per giocare con loro all'imprevedibilità
e perdevo
la strada che puzzaza di marcio per trovarne una da
raccordarmi
ora mi
fermo a contare le foglie e i sassi, ciò che è morto e ciò che rimane
tutto ciò
che l'acqua non annega lo rinnova, e scorre via
come se non
potesse fermarsi nemmeno volendolo, nemmeno volendolo
non sono
onnipotente, ma ci provo ancora con tutte le mie forze
forse ho
paura di ammettere che non sono disposto a lasciarmi ammazzare
tantomeno
se per farlo devo usare quello tu mi hai fatto o non, ancora e ancora
ho perso la
mia linea quando ti è passata attraverso
ho smarrito
le mie predizioni attraverso i tuoi lampi e fulmini
ho buttato
tutte le false carte per non mentirci mai volutamente
quando, per
quanto ne avessimo bisogno, non riuscivamo proprio
a stare in
nessun posto che ci trovasse vicini o distanti
ho perso i
miei progetti a lungo termine per deviarli in modo che ti includessero
ho smarrito
parte di me per dedicartela quando poteva funzionare
ho buttato
quello che restava e ancora non so se e cosa si possa ricominciare
ho tante
svolte dentro, e la fenice esplode bruciando le sue ceneri per nuova fiamma
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Capitolo 13 *** e noi che rimaniamo qui ***
.e noi che rimaniamo qui.
il fumo si arriccia sulle strisce di asfalto
come un serpente di mille forme che sussurra
qualcosa a proposito di niente, non lo ascoltiamo
ci passiamo attraverso, un sipario a cortina
fintanto che ci reggono i passi uno dietro l'altro
quante volte la batosta arriva senza essere vista
e quante volte la sorte può essere prevista
ma la sibilla delle notti azzardate tiene la lingua stretta
quante volte potrai rivendicare che ne è poi valsa la pena?
il vento che spira giù in picchiata porta un richiamo
una domanda riguardo alle nostre vite corse in certa fretta
se ci fosse bisogno di supporto o di a gara fare insieme
la strada è troppo lunga, i rinforzi arriveranno tardi
insieme ai primi raggi di sole, a svegliare ciò che è rimasto
perciò di nuovo si conta solo su di noi, ed è nostra abitudine
per scelta precisa di doverci avere a che fare solo noi
con qualsiasi demone stia strisciando sulle strade in cerca di preda
a sceglierci uno per uno è stata alla fine solo
la volontà di non fuggire, di non voltarci altrove
i bucanieri abituati a navigare sulla terra sanno come succede
che essa in realtà, eppur si muove, ti trascina e ti scivola da sotto
le suole
come un tappeto troppo veloce, e il cuore cerca di stare al passo
mantenere l'occhio sulla mira e la mente pronta e lucida
qualsiasi scivolata sperando sia una schivata e non un ammanco
siamo sotto tiro di cecchini invisibili, in balia di ombre che
danzano veloci
una sorda danza maledetta, sai che sei ancora vivo ad ogni ulteriore
respiro
niente di più a garantire il mattino, nient'alro
a prometterti inchino
se non il merito di ciò che sei riuscito a combinare, contando solo
su te stesso
persino quando hai al fianco le spalle più fidate di tutta la mera
massa
ch'è capace di vorticarti intorno ad ingorgo, gente a cui non
offriresti
probabilmente nemmeno una parola o una sigaretta
e il mago dei fili delle ballerine fa tintinnare i soldi in saccoccia
mentre lorsignori guardano i loro assassini
prezzolati passare dalla soglia
il becchino non sprecherebbe un solo sputo sulle loro tombe
e la strega che ha negato loro consulto ride di loro un amaro singulto
votati a morte, la portano ovunque con la mano fredda che gira e gira
gioca alla roulette russa sulle carte spianate su un tavolo tirato a lucido
se le parche avevano consiglio saggio, essi giocano alle divinità
senza testa
non hanno espressione, non hanno sentimento né cognizione
mentre segnano una carezza di condanna a morte sul tuo nome o il tuo
viso
tu non sei nessuno per loro, e loro non sono nessuno per te
e la pulizia delle loro decisioni razionali si consuma su questa
distanza
mentre le tue bestemmie pregano il momento di entrare col favore
delle ore buone
arrivare con filo di lama a pochi millimetri dai loro impassibili
volti
vedere se saltano loro i bottoni, o se riparte il cuore trattandosi
delle suppurazioni delle loro responsabilità venute a reclamar
vendetta schietta
tremano le vene al luccichio perverso di un bisturi disinfettato di
fresco
il sangue pulsa più veloce vita quando essa si preannuncia quasi
finita
ma noi si è alla ricerca di quelle guantate
dita impugnanti il manico severo
e di tutta la poesia che ci ritrascina su
dall'annegamento nel veleno denso
s'impasta una miccia di un odio altrettanto senza cuore
forse il senso sta nel come l'hai perso, se per bilancia di vantaggi
o se perché ti smise di battere il giorno che lo seppellisti
sulla tua lunga strada a vittoria o morte, e ricordi bene come
guardando le sanguisughe in abiti stirati che seguivano la loro
preziosa agenda
alcuni fuggirono su navi le cui vele erano nuvole
per solcare mari che non esistono, guidati da canti di sirene
difficile distinguere se fosse un requiem per mettersi in pace
l'anima
o se fosse qualcosa di più triste, una vittoria mancata e per sempre cercata
...
ma noi che rimaniamo qui, con la speranza che ticchetta a vuoto
corpi animati sempre più dalla rabbia cieca e da desideri
inestirpabili
quelli che sopravvivono in misterioso modo quando ti tolgono tutto
...
ma noi che rimaniamo qui, ci ostiniamo ad averci a che fare
ed ogni giorno sembra un momento perfettamente valido
per alzarsi, immischiarsi, combattere e morire
...
e noi che rimaniamo qui, e non ci lasciamo persuadere dal riflesso
delle bellezze sinuose sgorganti da schermi travestiti da specchi
poiché ricordiamo il gioco originale e non quello inverso
di essere la penosa imitazione delle finestre comandate a bacchetta
e ogni sbarra è una scheggia di dente che saetta, ti striscia sangue
a pelle
...
noi che rimaniamo qui... e non sappiamo neanche più raccontarvi...
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Capitolo 14 *** l'eco nel cuore ***
.l’eco nel
cuore.
Stamattina mi sono svegliato
pretendendo che fosse un giorno di sole
nella mia casa sapendo che
è una gabbia ipocritamente arredata
notte passata a masticarmi le zampe
lancinate da incubi che ricalcano la veglia
ed ero io solo negli sprazzi di sogno
al quale al risveglio la mia immaginazione non crede
più
per questo ho paura di morire
e continuare a camminare intorno al meccanismo
ipnotizzato
e la porta ad aprire trovarsi
la canna alla tempia per il ricatto quotidiano
ma esco dall'uscita posteriore e sono già
un errore di sistema in un vicolo cieco
scavalcare il muro e scavare sotto le recinzioni
con la miccia confezionata a regalo
ho un omaggio di polveriera per lo stato
che merita solo le sue ceneri fumanti
gli occhi già vedono nebbia
e i corvi volano a tempesta dicendo: lo puoi fare
e il lupo lontano canta, l'eco nel cuore
che tornerò a casa davvero
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