Two Tulips in a Glass of Whiskey di Angel of Opera (/viewuser.php?uid=761765)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - I won't sleep tonight ***
Capitolo 2: *** Chapter I - I saw you crying in the morning light ***
Capitolo 3: *** Chapter II - As home we roll, we can drink a bowl ***
Capitolo 4: *** Chapter III - Body strewn across the dead end street ***
Capitolo 1 *** Prologue - I won't sleep tonight ***
Prologue - No, I wont sleep
tonight
23
marzo 1913
E'
notte fonda quando una piccola figura esce dalla porta di una casa
nella Dublino bene iniziando a correre. Un ladro? La cosa non dovrebbe
stupire, se ne vedono tanti, di questi tempi.
Avvicinandoci un po' di più possiamo renderci conto che si
tratta di una ragazza dai lineamenti dolci, anche se è
abbigliata con abiti maschili. Quando il berretto le cade sul selciato,
libera i lunghi capelli rossicci lunghi fino alle spalle che subito
cominciano a muoversi. La ragazza non accenna a fermarsi, anzi, tende
ad accelerare quella che evidentemente è una
fuga. Ma da cosa e da chi da scappando?
Prima di rispondere a questa domanda, è doveroso sapere che
la casa da cui la figurina è uscita così di
fretta è la residenza della famiglia Holmwood. Il padre,
Hugh Holmwood, è un generale inglese inviato in Irlanda per
controllare gli animi degli indipendentisti. La padrona di casa
è niente meno che Gretha Firth, degna erede di una delle
famiglie più in vista di York, regina di eleganza e ottima
madre di cinque pargoli (se tutti dello stesso padre, non sta a noi
precisarlo). Arrivarono a Dublino due anni or sono per seguire il pater
familias e subito furono guardati con sospetto. Perché
quelle espressioni stupefatte? Sono più che comprensibili le
occhiate cariche di rancore che la popolazione rivolgeva loro, essendo
ricchi rappresentanti della corona. Non fu facile abituarvisi, per i
piccoli Holmwood, ne tanto meno ambientarsi in una città che
non era loro. Proprio per questo, spesso giocavano con i figli della
servitù e talvolta regalavano loro anche qualche balocco
ormai poco guardato. La più generosa in questo senso era la
prima figlia femmina e la terza tra tutta la progenie: Evelyn Adeline.
Fu proprio durante questi innocenti giochi infantili che la piccola Eve
sentì parlare per la prima volta di un'Irlanda indipendente
e trovò ingiusta l'oppressione britannica.
Desiderò aiutare chi chiedeva una repubblica e combattere
lei stessa contro la propria famiglia e contro il proprio re. Cari
lettori, conosco il pensiero che in questo momento attraversa i vostri
pensieri. Cosa c'entra tutto ciò con la piccola ragazza in
fuga? Eccone svelata l'identità. Colei che fugge da tutto
ciò che ha sempre conosciuto è proprio Evelyn,
intenzionata a lasciarsi alle spalle le origini inglesi e a combattere
per quella che sente una giusta causa.
Torniamo dunque a lei e vediamo dov'è finita. Evelyn si sta
guardando attorno, spaesata. In due anni che vive a Dublino, le volte
in cui è uscita dalle mura dorate che costituivano il suo
mondo si possono contare sulla punta delle sue piccole e delicate dita.
Dita che non hanno mai lavorato e che stonano con i muri scrostati di
un edificio in cui probabilmente vivono in condizioni precarie almeno
cinque famiglie, che stonano con le strade maleodoranti e che stonano
con i vetri rotti delle finestre. La ragazza si ferma per riprendere
fiato. Mentre i polmoni si riempiono e si svuotano ritmicamente, Evelyn
si domanda quanto sia lontana dalla sua vecchia vita. Aveva
attraversato il Liffey, di questo è sicura, quindi si trova
nel Northside. Dove andare ora? Cosa fare?
«
Che stupida! Avrei dovuto chiede a quel garzone se conosceva qualcuno
da cui stare, oltre ai vestiti!
»
Non
si accorge, però, di aver formulato ad alta voce questi
pensieri. Per sua fortuna, potremmo aggiungere. La ode infatti un
ragazzo che rientra a casa, alle primi luci dell'alba, dopo aver
aiutato un fornaio. Uno dei tanti lavori che saltuariamente svolgeva
per aiutare la sua famiglia, dopo il fatale incidente che
costò la vita al padre del ragazzo. Era stato tredici anni
prima, ma da allora Dillion disprezzava chiunque avesse una sola goccia
si sangue inglese nelle vene. Era stata colpa del proprietario della
fabbrica se era rimasto orfano e lui e la sua famiglia avevano dovuto
arrangiarsi. C'era stato anche un periodo in cui la madre era arrivata
al punto di prostituirsi per sfamare i suoi sette figli, di cui Dillion
era il primogenito e di conseguenza aveva dovuto darsi una svegliata
prima degli altri. Dopo un attimo di esitazione, il ragazzo proferisce
parola.
«
Come ti chiami, ragazzina?
»
Evelyn
non riesce a pensare a un nome alternativo che subito rivela il
suo.
« Il
mio nome è Evelyn. Vi prego, trovatemi un posto in cui
riposare. E' stata la nottata più lunga della mia vita e vi
prometto che domani me andrò. Posso anche pagarvi, se
ritenete che sia necessario...
»
Il
ragazzo non risponde, limitandosi a poggiarle una mano sulla spalla per
invitarla ad entrare in casa propria, dopo essersi raccomandato di far
silenzio. La guida per le piccole stanza di cui la casa è
composta. Dillion la fa salire per delle scale scricchiolanti per
portarla in quella che era la sua camera da letto. La
povertà con cui è arredata colpisce in pieno
Evelyn, abituata al suo letto a baldacchino e i tappeti persiani sul
pavimento. Questa stanza ha pochi mobili, giusto una cassapanca, uno
scomodo materasso in paglia e una scrivania piena di candele usate.
Dopo aver chiuso l'asse di legno che serve da porta, il ragazzo
comincia a togliersi gli indumenti sporchi di farina, tenendo soltanto
quel pezzo di stoffa che serve a coprirgli le parti intime. Evelyn
arrossisce subito e a Dillion ciò non sfugge, anzi, la
guarda divertito.
«
Non hai mai visto uomo nudo, vero?
» Domanda con il sorriso sulle
labbra.
La
ragazza si limita ad annuire, avvampando ancora di
più.
«
Puoi stare tranquilla, mi terrò questi.
» Dice indicando
l'unico indumento che ancora indossa, quindi si adagia sul pavimento,
lasciando ad Evelyn il letto.
«
No, non dormite per terra Signor...
»
«
Dillion. Mi chiamo Dillion. Dove vuoi che dorma, altrimenti?
»
«
Possiamo... Possiamo dividere il letto? non voglio che ve ne
priviate... »
«
Come vuoi, Evelyn. Dormo con te.
»
Detto questo, Dillion si sdraia accanto a lei, stando ben attento a non
cingerle il corpo con le sue forti braccia. E' una precauzione
totalmente inutile, dal momento che si sveglieranno abbracciati, e
così sarà nei prossimi anni. Entreranno entrambi
negli Irish Volunteers, prendendo parte a quella che passerà
alla storia come Rivolta di Pasqua.
Ora,
i prossimi capitoli che leggerete racconteranno proprio di quei giorni.
Giornate d'indipendenza in una terra che ancora non ne ha assaporato il
gusto e di come un amore possa vivere mentre si combatte. Non
sarò altro che narratore in queste vicende,
perciò, se volete seguirmi proseguite pure nella lettura.
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Salve a tutti! Questa
è la mia prima long e spero di riuscire a terminarla entro
il centenario dall'inizio della Rivolta di Pasqua (se non lo faccio
siete autorizzati a lanciarmi pomodori in faccia).
Bene, al momento non
ho altro da dire se non che i titoli sono presi da alcune canzoni che
ho inserito nella playlist su 8tracks dedicata proprio a questa storia
(su, avanti, andate a cercarla e ascoltatevela); il titolo del prologo
viene da ''Hour of the Wolf''.
E niente, spero che
piaccia ciò che avete letto. In ogni caso lasciatemi una
recensione o inseritela tra le preferite/ricordate/seguite,
così potrete entrare nella lista delle mie persone preferite.
A presto
|
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Capitolo 2 *** Chapter I - I saw you crying in the morning light ***
I saw you crying in the
morning light
22 aprile 1916
E' appena sorto
il sole sulla bella Dublino e già la città si
muove. Dillion, che si è destato da poco, la osserva dalla
piccola finestra che si affaccia sulla piazza ove si svolge il mercato.
Chi urla, chi sistema le merci, chi arriva e saluta gli altri
commercianti. Tra di loro vi è una ragazza dal seno generoso
e dai lunghi capelli rossi raccolti in una treccia trainante un
carretto sul quale sono sistemati pesci e frutti di mare e Dillion non
può far a meno di pensare a Molly Malone, la protagonista
dell'omonima canzone che tante e volte ha cantato con i suoi fratelli.
La canterà una volta in più tra qualche istante,
quando sveglierà Evelyn.
<<In
Dublin's fair city,
Where the girls are so pretty
I first set my eyes on sweet Eve Holmwood >>
Ecco, ecco che canticchia avvicinandosi al letto che condividono da
quella fredda sera di marzo in cui si sono incontrati. Come mai si
è subito fidato di lei? Come mai non le ha chiesto qualche
cosa in più, prima di lasciarle il suo letto?
E' senza dubbio un'ottima domanda. Tenteremo di trovare una buona
risposta per il lettore.
Dillion l'aveva vista spaventata, infreddolita e quasi piangente
aggirarsi per strade ricche di miseria e aiutarla pareva la cosa
più giusta da fare. Già, il ragazzo ha sempre
cercato di scegliere la cosa giusta; sia essa condividere qualche
spicciolo con chi lo necessita o arrivare addirittura alle mani con
qualche ubriaco che importunava le ragazze che si recavano al forno.
Non era sempre così semplice, un esempio su tutti: la morte
di suo padre. Chi ascoltare tra un cuore che gridava giustizia e una
testa che invita al raziocinio? Era più giusto seguire la
legge del Taglione o quella di Gesù Cristo? Se avesse
seguito la prima strada, probabilmente avrebbe lasciato morire di
stenti la sua famiglia e no, non poteva permetterselo. L'avrebbero di
certo condannato a morte, se avesse osato vendicare il nome di suo
padre e degli altri cinque operai morti con lui. Sì,
perché avrebbe ucciso uno dei più influenti
imprenditori, un ricco inglese che sfruttava i più poveri
per costruire navi in materiali scadenti.
Come il lettore avrà intuito, ci troviamo negli anni della
Seconda Rivoluzione Industriale, quando l'elettricità
portava luce a un mondo ancora illuminato da candele e l'acciaio
permetteva la costruzione di opere colossali. Fu proprio un gigantesco
pannello di questa lega ad uccidere Seamus Keefe, durante la
costruzione di un'imbarcazione destinata a solcare l'oceano. Era piena
notte, e Caoimhe, sua moglie, lo attendeva come al solito davanti alla
porta. Inutile dire che non tornò mai a casa.
Dillion aveva solo sette anni, ma da quel momento cominciò a
guardare con sospetto prima e rancore poi gli inglesi che incontrava.
Come se non bastasse, negli ultimi tempi i militari della corona si
sentivano in dovere di ingiuriare e maltrattare qualunque irlandese
capitasse loro a tiro e spesso Dillion era tra quelli che aiutavano il
malcapitato a rialzarsi. Uno spirito nobile, il suo? Può
darsi. Di sicuro il ragazzo era stanco di essere trattato con
inferiorità, vittima di angherie inglesi come tutto il suo
popolo. Ecco perché si era unito agli Irish Volunteers,
introdotto dalla stessa persona che aiutò la madre di
Dillion a trovare un lavoro dignitoso (uscendo così dal
circolo della prostituzione) e la stessa persona aveva trovato a
Evelyn, o meglio, James (la ragazza aveva scelto di travestirsi per
rendere più difficile il suo ritrovamento da parte dei
famigliari) un impiego nella sua bottega di fabbro.
Ed era proprio lì che ora i due ragazzi, appena usciti dalla
povera abitazione di Dillion, si stavano dirigendo. Non per lavorare,
però. Infatti, la bottega è ufficialmente chiusa,
ma ufficiosamente serve da santabarbara per i ribelli. Mancano due soli
giorni a Pasqua, e quindi due soli giorni alla rivolta. Sui volti di
Dillion ed Evelyn figura una fiera preoccupazione silenziosa. Le labbra
rosee e piene della ragazza sono strette e tese, i grandi occhi verdi
celano in malo modo la consapevolezza delle probabili ultimi ore di
vita. I movimenti di entrambi sono meccanici, quasi come quelli di una
marionetta, talmente persi nei pensieri dell'avvenire che nessuno dei
due si accorge subito di aver afferrato la mano dell'altro. Le dita
piccole della ragazza intrecciano delicatamente quelle grandi e forti
di Dillion. Erano cambiate molto, in quegli ultimi tra anni. Se prima
erano morbide e curate, adesso sono più ruvide, ferite e con
le unghie morse fin quasi alla carne ma non hanno perso la loro
caratteristica principale: la grazia del tocco. La stessa grazia con la
quale adesso le sue dita accarezzano il dorso della mano di Dillion
è la medesima di quando le stesse si posavano sulla fronte i
un fratellino appena nato.
Dopo qualche minuto, entrambi si rendono conto di quel contatto e
subito lo interrompono, per evitare pensieri equivoci. Non
dimentichiamo che Evelyn ha celato ogni femminilità e che
l'omosessualità, in Irlanda, smetterà di essere
considerata reato alla fine del Novecento.
Ecco, ecco
l'insegna con l'incudine che tanto cercavano. La bottega di Peadair
McFee, l'uomo a cui Dillion deve gran parte della sua situazione
attuale. Quel giorno, Evelyn si era offerta per distribuire armi agli
altri Volunteers. Dillion sarebbe stato al suo fianco, come sempre.
Le ore di sole trascorsero in fretta, tra giovani soldati che si
fermavano a parlare con Peadair della Repubblica Irlandese, cantanti
improvvisati che intonavano ballate risalenti alla Rivolta del 1798 e
speranza. Tutti i visi che i ragazzi videro erano pieni di quel
luccicante sentimento. Gli occhi dei giovani ne erano ricolmi, le loro
parole ne trasudavano e i loro gesti la trasmettevano. Speranza,
coraggio, ecco ciò che anima le menti! Nessuno ne poteva
più della supremazia inglese, nessuno voleva essere trattato
più con sufficienza, nessuno voleva più essere
ingiuriato.
In
questo momento, però, Evelyn ha
paura della morte. Guardava le stelle; ne vede una cadere* ed ha paura
di cadere anche lei. Si sente già morta con questa paura in
corpo. la morte non fa paura solo a chi non ha niente da perdere,
nessuno da salutare. Chi ha lei? Dillion, certo, ma anche i suoi
fratelli che non vede da tre anni. Un solo istante e si gira verso del
ragazzo seduto sul letto.
«Non
voglio morire. Non voglio sentirmi morta prima di cadere.»
Afferma sbottonando la giacca troppo grande per il suo magro corpo
diciottenne.
Dillion la osserva, prima di alzarsi a appoggiare le mani sulle sue.
« Non
morirai, Evelyn. Come non sei obbligata a combattere, se non te la
senti.»
Uno sguardo, i respiri di entrambi ed è di nuovo Evelyn a
prendere la parola.
« Voglio
essere tua, Dillion. Ti prego,
permettimi di sentirmi viva. Non so come finirà questa
rivolta, non so cosa succederà dopodomani, non so se avremo
un lieto fine.»
Le lacrime stanno cominciando a rigarle le guance e non riesce a
trattenersi, quindi appoggia la fronte sulla spalla del ragazzo.
Coraggio, ecco ciò che in questo momento le è
venuto a mancare.
«Ne
sei sicura, Lynn? Vuoi davvero essere amata da me?»
Evelyn annuisce, asciugandosi le lacrime e si lascia guidare in un
bacio travolgente. In quel momento, si sente
la persona più felice del mondo.
Questa
notte, due giovani anime stanno diventando una sola. Questa notte, il
domani è più vicino. Evelyn si
sveglierà, consapevole del dono fatto alla persona che ama e
ritroverà il coraggio perduto e mai più perso.
Nemmeno quando le cose si faranno più complicate. Cosa
succederà? Se volete seguirmi in questo viaggio,
v'illustrerò l'avvenire.
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*Ogni
riferimento a ''The Fields of Athenry'' è fortemente voluto.
Oh, ma
salve! Sono tornata con un nuovo capitolo!
Lo so, la parte sul passato di Dillion può risultare noiosa,
ma amatemi lo stesso.
Questa volta il titolo viene da ''Song for Ireland'' (su gentile
suggerimento di Panda, a cui per altro voglio dedicare la citazione
precedente <3 )
Niente,
spero che anche questo capitolo vi piaccia. Ah, dimenticavo. Non mi do
un tempo preciso per la stesura di un capitolo; l'ispirazione viene
quando viene e, anche se ho già altre idee in testa, mi sto
concentrando solo su ''Two Tulips''.
A quando
pubblicherò di nuovo,
- Angel
|
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Capitolo 3 *** Chapter II - As home we roll, we can drink a bowl ***
As
home we roll, we can
drink a bowl
23 aprile 1916
Sta
per calare
la sera su una Dublino in fermento. Una sola alba ci separa da quando
gli
Irlandesi prenderanno le armi contro un re straniero. Una sola notte, e
quel
sogno repubblicano potrà forse avverarsi.
Nella bottega di Peadair fervono gli ultimi preparativi per il giorno
dopo.
Egli è infatti uno dei generali di questa Rivolta; il suo
compito è dirigere e
incitare i ribelli. Ma McFee è più di capo per i
suoi uomini. Li
ha adottati tutti. Uno ad uno, li considera suoi figli. Non che non ne
avesse
avuti, anzi, ne aveva ricevuti ben tre, ma quel Primo Conflitto
Mondiale aveva
reciso le loro fragili vite. Un'assurda e ormai ingestibile guerra
dilaniava
l'Europa e tanti giovani ragazzi erano arruolati tra le fila degli
eserciti per
massacrare i loro fratelli solo per la divisa che indossavano e spesso
senza
nemmeno senza sapere il perché. I giovani Irlandesi non
erano da meno, mandati
a combattere in trincea per servire un oppressore, morti per difendere
una
corona che non fa altro che schiacciare una nazione stanca della sua
prepotenza. Peadair non aveva avuto nemmeno il tempo di salutarli che
già il
funerale era stato organizzato e i corpi seppelliti. L'ultimo solo
pochi mesi
fa, morto ad appena vent'anni. Il dolore viene con abilità
nascosto agli occhi
dei suoi uomini, ma nella solitudine fa silenziosamente capolino,
bagnandogli
gli occhi e rigandogli il viso fino a lambire la barba bionda. Adesso,
però,
non è uno di quei momenti. Non durante la cena, non quando
porta le reclute più
timorose in un pub offrendo loro da bere per stemperare la tensione e
scacciare
la paura dell'indomani.
«
Caolàn!
Come sta tuo padre? Porta da bere a
questi uomini e unisciti a noi!
» Ordina sorridendo rivolto
al ragazzetto smilzo dietro il bancone.
Evelyn e Dillion, appena entrati nel locale, si guardano intorno per
ambientarsi in mezzo a vecchi tavoli in legno, pareti in mattoni
scoperti e un
pavimento di assi scricchiolanti. È un ambiente povero, ma
viene arricchito da
alcune stampe e, soprattutto, dalle bottiglie di alcolici di mediocre
qualità.
Whiskey, prevalentemente. Se non fosse per il gruppo appena entrato,
gli
avventori sarebbero davvero pochi. Giusto una coppia di vecchi seduti
in fondo
al locale intenti in una partita di poker e qualche ubriacone
appollaiato sui
primi sgabelli davanti al bancone. I ragazzi immediatamente riempiono
le sedie
attorno ai tavoli, scaldando l'atmosfera con le loro voci.
Appena ogni soldato ha ricevuto un bicchiere pieno, McFee sale su un
tavolo per
attirare l'attenzione di tutti i presenti. Un breve discorso, parole
d'incoraggiamento cariche di libertà e rancore ma velate da
una lieve
tristezza. In alto i calici, nessuno ha paura! Paura e fiducia nel
domani non
possono coesistere, non in gioventù, non quando la morte
sembra così lontana.
Guardateli, cari lettori, ascoltate quelle risate sincere, quelle
parole,
sedetevi con loro, se vi aggrada, e ubriacatevi. Ubriacatevi sia di
vita che di
alcool. Prendete un boccale di stout, la birra tipica irlandese, fatene
seguire
un altro e un altro ancora, proprio come sta facendo Dillion in questo
momento.
Parla, scherza, ride di battute pessime o volgari, solo ogni tanto se
ne sente
qualcuna buona. Giovani nel pieno della vita in un pub: quante scene
assomigliano
a questa? Sicuramente il lettore ne avrà già
incontrata qualcuna, in pittura o
letteratura, e in ognuna di queste non manca mai quell'individuo che,
vuoi per
timidezza o per malvagità, se ne resta in disparte. Questa
volta, ad un occhio
poco accorto sembra non presente, ma un osservatore più
attento avrà già notato
quel ragazzo dal nasino raffinato e l'uniforme troppo larga che, seduto
in un
angolo da solo, osserva la scena bevendo lentamente dal suo bicchiere,
quasi
come se non volesse mandare giù il liquido scuro. Come
avrete intuito, si
tratta di Evelyn. Perché tanto silenzio? Semplice, la sua
voce sottile da
soprano la tradirebbe. Potrebbe fingere di essere più
giovane di quel che in
realtà è, potrebbe dire di essere un ragazzo nel
periodo prima che la voce
diventi più grave, ma se lo facesse poi non potrebbe
imbracciare le armi e
combattere. Peadair non lo permetterebbe e lei lo sa bene. Evelyn e
Dillion
sono infatti gli unici a conoscere così bene il dolore
profondo che lo
affligge, gli unici di cu si fidi ancora, tanto da scegliere la ragazza
come
braccio destro (nonostante egli sia all'oscuro della sua reale
identità). Ma
torniamo a noi. Il nostro Dillion ha forse alzato un po' troppo il
gomito e
canta a squarciagola note stonate che insultano gli Inglesi ed elogiano
l'indipendenza. Non è certo l'unico ad essere un poco
brillo, anzi, almeno la
metà delle persone in quel pub gli fa compagnia e si unisce
ai suoi motivetti
improvvisati. Ormai, la Luna ha fatto la sua comparsa in cielo e
Peadair decide
di riportare a casa i suoi uomini. La maggior parte lo segue, anche se
qualcuno
preferisce spendere gli ultimi averi in altro alcool, sicuro di morire
il
giorno dopo. Evelyn
e Dillion chiudono
il gruppo, la sobria sostenendo l'ubriaco. Non che sia una cosa
particolarmente
facile per la ragazza, gracile come un fiore di ciliegio. Non che
Dillion sia
particolarmente robusto, semplicemente la ragazza è
più leggera; gli inciampi e
le cadute, così, sono molto frequenti. L'ultima, nella via
della bottega dove passeranno
la notte. Dillion cade rovinosamente a terra e la ragazza lo segue,
trovandosi
quasi addosso a lui.
« Sei bella, Evelyn. Sei bella come
l'Irlanda senza inglesi. Quei
bastardi. A parte te. Tu sei l'unica buona inglese che conosca,
» Biascica il ragazzo mentre
Evelyn rotolo di lato e si mette seduta di fianco a lui. Se ne sta in
silenzio,
ammirando il Plenilunio.
« Siamo due stelle anche noi, vero? Le persona assomigliano
alle stelle.
Brillano, sono tante e cadono. Siamo due stelle anche noi! Domani
brilleremo
più delle altre. Mi chiameranno Brillion! »
Riprende, alzando e abbassando il volume della voce. E' visibilmente
ubriaco e in più si sta facendo davvero tardi. Forse sarebbe
meglio rientrare e
mettersi a dormire. La ragazza è quella che si alza per
prima, subito dopo
avergli risposto che sì, anche loro sono stelle e
sì, sicuramente passerà alla
storia come Brillion Keefe. Entrando, vengono accolti dal silenzio dei
dormienti. Un invito a sdraiarsi sulle uniche due brandine rimaste
libere? Viene
interpretato così dai due giovani.
« Dillion... Dillion! Dormiresti con me? Potrebbe essere
l'ultima volta... E
non importa se qui in mezzo io sono James Flynn per tutti questi
uomini. »
« Vieni
qui. Però promettimi che
ci sposeremo, quando l'Irlanda sarà libera! »
« Tutto quello che vuoi, mio amato ubriaco »
Ridacchia andando a coricarsi affianco
a lui, passandogli la mano sul fianco e poi salendo, accarezzandogli la
guancia
con una barba giovanile a pungerle le dita. Dillion sbuffa in risposta,
e dopo
qualche secondo è già addormentato.
Sarà una notte
agitata per entrambi, piena di incubi
tragici, morte e distruzione. Forse un presagio per la Rivolta? Lo
scopriremo
presto. Insieme.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Boom baby! Rieccomi! Il
soggiorno a Londra mi ha dato così tanta ispirazione che ho
dovuto subito scrivere del pub. Ringraziate il Museum of Docklands se
avete tutta questa scena. Comunque sia, penso che prima di pubblicare
il prossimo capitolo ci sarà una lunga pausa
perché necessito più informazioni dettagliate
sulla Rivolta.
A presto,
- Angel
P.S. Questo titolo viene da ''The Rare
Auld Mountain Dew''.
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Capitolo 4 *** Chapter III - Body strewn across the dead end street ***
Chapter
3- Body strewn across the dead end street
24
aprile 1916
L'ultima stella
brilla ancora, luminosa e fiera, quando gli uomini di Peadair
vengono destati dai loro sonni. Per qualcuno sarà l'ultimo
prima del sonno eterno, lo sanno e ne sono fieri. La fierezza del
soldato è qualcosa che racchiude in sé un senso
vitale di energia e la solennità propria alle morti
gloriose, qualcosa di venerabile e leggibile sui loro volti, su cui
figura una dicotomia tra la freschezza del bambino e la stanchezza del
vecchio. E' come un segno distintivo, qualcosa che accomuna tutti i
combattenti.
Gli uomimi vengono
preparati in fretta, i più abbienti con divise e i
più poveri con abiti logori, indossati anche nei giorni
precendenti. I visi vengono sciacquati nello stesso catino di ceramica
pieno di crepe, che tanti e tanti visi aveva visto prima di quelli.
Peadair parla a
loro, ancora una volta. Cerca di dar loro fede e speranza, come
dovrebbe fare un vero leader, sicuro che gli inglesi si arrenderanno
presto. Ahimè, niente di più sbagliato!
«Ci hanno schiacciato per
settecento anni, ci hanno negato la nostra identità, hanno
violentato le nostre donne e ucciso i nostri uomini, ma
com'è vero che Gesù Cristo è risorto
dalla Croce oggi noi risorgeremo con Lui! La dominanzione non
durerà ancora a lungo, abbiamo dalla nostra parte capitani
valorosi come Pearse, Connolly e MacDermott, senza dimenticare Clarke e
De Valera. Non potranno vincere ancora!»
E' l'ultima frase
pronunciata dal fabbro, prima che la porta si spalanchi improvvisamente
ed entri una donna vestita poveramente, i capelli castani raccolti in
una treccia. Il viso porta i segni dell'età che avanza,
eppure non le si darebbe più di una trentina d'anni. La
seguono due personcine, una ragazzina di sedici anni, sottile e
piccolina come un fuscello di faggio, la pelle candida costellata di
efelidi , i lunghi capelli rossicci lasciati selvaggi e un bambino di
non più di sette anni che sta attaccato alla gonna della
madre. S'incammina verso Dillion, seguita dai figli. Si tratta di
Caoimhe, venuta a salutare il primogenito.
«Dillion, figlio mio... Non
so se e quando tornerai, ma sono fiera di te e sono sicura che anche
tuo padre lo sia. Io... Volevo salutarti nel caso non dovessimo... Tu
dovessi... Sì, insomma, se dovessi perdere anche te elmeno
ti avrò stretto un'ultima volta tra le mie braccia.»
Gli dice, il viso
rigato da calde lacrime di amore e paura. Prima di abbracciarlo gli
carezza il viso, con tutto l'amore che una madre possiede per il
proprio figlio.
Questo genere di
manifestazioni tende a sciogliere anche i cuori più duri,
infatti ognuno ha interrotto le prorpie azioni per rivolgere
l'attenzione a quell'attimo toccante. Peadair invita i presenti ad
abbandonare la causa, tornando dalle famiglie. Uno, forse due quelli
che effettivamente si ritirano, più per codardia che reale
preoccupazione. Non Dillion, che ancora tra le braccia della madre si
limita a salutare lei, Neave e il piccolo Miceàl. Bacia
tutti e tre, assicurando alla madre il proprio ritorno da vincitore
contro gli assassini del padre. La vendetta è uno dei motivi
per cui ancora combatte.
La donna esce,
voltandosi spesso verso il figlio, e gli uomini si armano. Il gruppo
viene accuratamente diviso in dieci file da cinque uomini ciascuno. A
capo, Evelyn e Peadair non si scambiano una parola, mentre guidano i
loro Volontari verso il General Post Office.
Credo che per
lettore non sia diffice figurarsi questa milizia silenziosa che avanza
per le strade della fredda Dublino, all'apparenza una banda di
disperati, in realtà un esercito dell'Indipendenza e della
Libertà.
Non un rumore si
ode per le strade della nebbiosa Dublino se non i rintocchi delle
campane pasquali. Le note sono quelle dell'Angelus, incitamento alla
resurrezione dello stato libero d'Irlanda. L'Irlanda
rinascerà come e con Dio, il dominio Britannico ha le ore
contate.
Con quale sicurezza
IRA, Volounteers e IRA si mescolano nella nebbia del mattino, fratelli
che imbracciano le armi contro i rivali inglesi. In quanti sono venuti
per occupare il General Post Office! Uomini, donne, perfino qualche
bambino.
Evelyn e Dillion
sono rimasti al pianoterra dell'edificio, esposti in prima persona al
fuoco nemico.
In poco tempo,
cadono le prime vittime su entrambi i fronti. La morte non fa davvero
paura se non quando si fa vedere, presenza silenziosa tra le macerie,
lascia gli uomini che la scorgono color della neve, le labbra che bacia
diventano violacee, la carne che tocca si apre sotto le pallottole e il
sangue scorre, abbandonando il corpo come la vita che vola via. Ah,
com'è leggera, la vita! Figurina nello zoo di cristallo che
è il mondo, basta un sibilo di una pallottola che scappa
già via come una ninfa spaventata, lasciando vuoti i corpi
esangui.
Alza i tuoi occhi
dalla polverosa strada, lettore, la giornata sta già
volgendo al termine. Quando si combatte, il tempo non si conta. La
resistenza degli uomini è forte, quando collaborano per uno
scopo comune.Alle ultime luci del sole, gli inglesi non sventolano
ancora bandiera bianca. Ancora eretta è invece quella nera
della morte e della distruzione, in un General Post Office che comincia
a traballare, i danni dell'artiglieria ben visibili sulle sue facciata.
Appostati dietro
protezioni improvvisiate, gli inglesi aspettano che un ribelle faccia
un passo falso e si scopra. Tra loro, un viso dai lineamenti severi,
gli occhi piccoli e neri, presta più attenzione degli altri.
Sul suo petto brilla il grado di generale.
Come in un sadico
gioco, quell'uomo è responsabile di almeno una trentina tra
morti e feriti, in quella giornata. Scruta attento le postazioni
nemiche, un movimento, un uomo si scopre. L'inglese riesce chiaramente
ad osservare il viso del ribelle, lo riconosce ed esita, sul viso un
espressione sorpresa. Il padre che riconosce il figlio. In questo caso,
la figlia. Infatti, Hugh ha riconosciuto Evelyn, nonostante la
fuliggine a sporcarle il viso e i vestiti maschili a coprire le sue
forme.
Una leggera
pressione sul grilletto dell'arma.
Uno, due secondi.
Un grido nel
silenzio.
Evelyn cade,
colpita al petto dal proiettile.
Dillion le si
precipita affianco, coprendo la ferita con la mano, cercando di fermare
l'emorragia con le sue stesse mani. Tutto inutile, Evelyn sputa sangue,
colpita vicinissimo al cuore.
«Ti giuro che tu non lasci
la vita qui, vieni via con me. Saremo liberi Evelyn, te lo giuro!»
Singhiozza
il ragazzo, guardando il viso dell'amata. Gli avevano già
rubato il padre, quei figli di puttana. Se solo il re li avesse
ascoltati prima, il roseo viso che tante volte aveva baciato non
starebbe diventando sempre più pallido.
«Mi sono ribellata... Loro mi hanno spezzata... Combatti Dillon, combatti per entrambi. Ti ho amato come ho amato la libertà...>» mormora Evelyn, tra i
colpi di tosse misti a sangue. Ed è l'unica cosa che riesce
a dire prima che la vita decida di scivolare via dal suo piccolo e
fragle corpo.
Muore tra la
polvere, ma tra le braccia della persona che ama. Chi dice che morire
nel sonno è la morte migliore è nel sonno mente,
è meglio morire occhi negli occhi di chi ti ama,
così da poter portare il ricordo delle sue iridi fin oltre
la morte.
E' triste
però, far soffrire una persona a cui si è donato
il proprio cuore. Lasciarla distrutta, piangente, tra calcinacci e
polvere da sparo.
Una mano si posa
sulla schiena di Dillion. Un giovane si offre per confortarlo. Lo aiuta
ad alzarsi, lo abbraccia. Tutto questo senza dire una parola, che
potrebbe aggravare ulteriormente il dolore della perdita. Solo quando i
singulti ormai si sono calmati, lo sconosciuto azzarda una o due parole.
«Ormai
non c'è più niente da fare, James è
andato. Anche Achille dovette confrontarsi con la morte di Patroclo, ma
tornò a combattere. D'altro canto ti sono vicino, anche io
se perdessi Michael sarei perduto... Comunque, io sono Harry. Adesso
pensa a salvarti la pelle, va bene?»
Sarà
difficile seguire il consiglio di Harry, in quelle giornate che
passeranno alla storia come uno dei più grandi fallimenti
sulla strada dell'Indipendenza. Sarà difficile evitare le
pallottole nemiche, troppo preso dalla foga di abbattere più
inglesi possibili per vendicare le morti che segnano la vita di
Dillion, ma se vorrete scoprire come vivrà il nostro
protagonista dopo quei giorni potrete continuare ad ascoltarlo
attraverso le mie semplici parole.
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Salve
a tutti!
Perdonate
per la lunga assenza, sono stata parecchio impegnata in questo mese (o
mese e mezzo? Non importa).
Sappiate
che mentre scrivevo la parte della morte di Evelyn ho pianto
più della metà dei miei liquidi corporei, ma
spero che voi non abbiate sofferto troppo.
Questo titolo lo lascio indovinare a voi, vi dico solo che è
una canzone degli U2 c:
Comunque,
ci sarà un piccolo epilogo; solo che non so quando lo
posterò, sono riprese le lezioni e ho un sacco di roba da
studiare, sob.
Alla
prossima!
-
Angel
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