Distanze di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # Tauriel ***
Capitolo 2: *** # Thranduil ***
Capitolo 1 *** # Tauriel ***
Distanze
01
# Tauriel
Tauriel
era accovacciata sulle sponde del fiume Lhûn. Davanti
a lei, si stagliava il profilo dentellato delle Montagne Azzurre. Il
suo sguardo, tuttavia, era puntato sui pesci che aveva appena catturato
e che stava sistemando in un morbido cesto di erbe intrecciate.
Quando
ebbe finito, si sciacquò le mani nel fiume, quindi si
toccò istintivamente i capelli ramati come per valutarne la
lunghezza.
In
seguito alla Battaglia delle Cinque Armate, ormai otto anni prima,
li aveva tagliati all’altezza delle spalle, e da allora li
aveva accorciati regolarmente, seppur con una punta di rimpianto. Non
si era mai interessata molto al proprio aspetto, ma aveva sempre amato
prendersi cura della propria capigliatura.
Quando
si era ritrovata a vivere a Dale e ad aiutare gli Uomini a
ricostruire la loro città, però, aveva dovuto
ammettere a malincuore che portare i capelli lunghi sarebbe stato
estremamente poco pratico. Ora che aveva preso a viaggiare, poi, aveva
a disposizione ancor meno tempo per lavarli e pettinarli.
Udendo
un rumore di zoccoli alle proprie spalle, si irrigidì
appena, e mise le mani sui pugnali che portava alla cintura. Dubitava
che si trattasse di qualcuno di più pericoloso di un innocuo
pescatore, ma in caso contrario sarebbe stata pronta.
I
passi alle sue spalle si arrestarono bruscamente.
«Capi…!
Tauriel?»
chiese una voce
incredula. Incredula e… familiare.
Tauriel
voltò di scatto la testa.
Davanti
a lei si trovava un Elfo Silvano dai capelli lisci, castano
scuro, e gli occhi grigi. Era a piedi, ma teneva per le redini un
cavallo dal manto scuro.
«Merion?»
domandò Tauriel, sorpresa,
alzandosi lentamente e girandosi del tutto verso di lui. Fece per
chiedere come mai si trovava lì, ma l’altro non
gliene diede il tempo.
«Sei
viva» constatò, un po’
rigidamente.
«Sei
lontano da Bosco Atro» replicò
Tauriel, cercando di non dar peso al suo tono aspro.
Merion
era più vecchio di lei di qualche secolo, ed era
entrato a far parte delle guardie solo alcuni anni prima della
Battaglia delle Cinque Armate. Perché mai si trovava
così lontano dal Reame Boscoso?
Merion
alzò il mento. «Io eseguo gli
ordini del
mio re».
Quell’accusa
punse Tauriel sul vivo. Un tempo, avrebbe
reagito con fare piccato, ma ora si trattenne.
Aveva
messo i propri ideali davanti ai propri doveri e se
n’era andata da Bosco Atro. Non poteva biasimare Merion per
la sua animosità.
In
silenzio, lo osservò. Lui indossava abiti comodi, adatti
a viaggiare, ed un ampio mantello con cappuccio che poteva tornare
utile per nascondere le sue orecchie a punta.
«Mi
dispiace» gli disse Tauriel, a bruciapelo.
Merion
la fissò con una punta di sospetto.
«Come?»
«Mi
dispiace» ripeté lei. «Mi
dispiace di non essere stata al vostro fianco».
Non
rimpiangeva di aver seguito gli Orchi sino a Pontelagolungo. Senza
di lei, Kíli sarebbe morto quella notte, e probabilmente
sarebbero stati uccisi anche i figli di Bard. Ma le dispiaceva di aver
fatto un torto alle guardie sotto il suo comando.
Merion
si accigliò maggiormente, poi le rivolse un cenno del
capo.
«Come
sta la gente del Reame Boscoso?» chiese
Tauriel, dopo un momento di silenzio.
«Ci
sono stati dei caduti nell’esercito»
rispose Merion. «E il lutto ha fatto vittime tra coloro che
li amavano».
Tauriel
avvertì una fitta dolorosa al ventre.
Pensò a Feren, ai gemelli, e a molti altri che avevano
combattuto al suo fianco per secoli. Avrebbe voluto chiedere chi era
stato sopraffatto dal dolore, ma vedeva con chiarezza che era un
argomento su cui Merion preferiva non soffermarsi, così non
insistette.
«Il
principe Legolas?» chiese invece.
L’ultima
cosa che aveva saputo di lui era che si era recato
alla ricerca dei Dúnedain.
Merion
la valutò in silenzio. «Non è
ancora tornato» le disse poi, «ma sappiamo che
è vivo ed in buona salute».
Tauriel
emise un respiro di puro sollievo. «E il
re?» osò chiedere, col cuore che batteva un
po’ più forte.
«È…?»
«Anche
lui è vivo e in buona salute, per grazia
dei Valar».
Lei
tacque un istante, come per assorbire quelle informazioni.
«Ti ringrazio».
Merion
annuì, lanciando uno sguardo verso le Montagne
Azzurre. «Boe
annin gwad» affermò poi,
girandosi verso il proprio cavallo.
«Garo lend vaer»
rispose Tauriel, la voce
più soffice nel parlare di nuovo in Sindarin dopo tanto
tempo.
Merion
montò agilmente sul proprio cavallo,
sistemò le redini ed indossò il cappuccio in modo
da nascondere le proprie orecchie a punta. Prima di spronare il proprio
destriero con un colpo di talloni ed allontanarsi rapidamente,
lanciò un’ultima occhiata a Tauriel.
Lei
rimase ferma a fissarlo finché non scomparve
all’orizzonte. A quel punto, sospirò e si
chinò a raccogliere il cesto dei pesci.
Non
sapeva come sentirsi riguardo a quell’incontro, né
come spiegarsi la presenza di un Elfo di Bosco Atro tanto ad ovest, ma
era un
sollievo sapere che Legolas e Thranduil stavano bene.
In
silenzio, si ritrovò a ricordare la propria vita
prima della Battaglia delle Cinque Armate, le notti in cui era
sgusciata fuori dalle sale del Reame Boscoso e si era arrampicata sugli
alberi, così da poter contemplare il cielo nero punteggiato
di stelle.
In
quei momenti, i suoi polmoni si dilatavano per l’aria
fredda che li riempiva, e tutto il suo corpo doleva per il desiderio di
protendersi oltre i confini del suo mondo, viaggiare, visitare terre
sconosciute.
Allora,
provava una strana ed infinita nostalgia per luoghi che non
avrebbe mai visto.
Forse
era questo il suo destino, pensò, e il petto le si
strinse in una morsa. Desiderare ciò che non poteva avere.
Con
un respiro tremulo, infilò la mano in una tasca interna
all’altezza del seno e ne tirò fuori la pietra
runica di Kíli. La soppesò sul proprio palmo, il
cuore che martellava tanto forte da far male, poi serrò il
pugno e la rimise al suo posto.
Indugiò
un istante, tornando a reggere il cesto dei pesci
con entrambe le mani, quindi si incamminò.
Dopo
un po’, giunse in vista di una modesta capanna, e
rallentò il passo. Sapeva bene che di guardia non vi era
alcun cane, ma in compenso c’era un’oca che
starnazzava ed arruffava le piume e tentava di beccare le dita di
qualsiasi sconosciuto.
Tauriel
assottigliò lo sguardo. Dov’era quella
bestiaccia?
Non
la vide, ma in compenso notò la padrona di casa che
usciva dalla porta, ed avanzò di un paio di passi.
«Álof!» chiamò.
La
donna alzò la testa e la individuò, per poi
venirle incontro. Aveva una cinquantina d’anni, ed i suoi
capelli scuri erano spruzzati di grigio, mentre metà del suo
volto era sfregiata da una bruciatura.
«Eccoti
di nuovo» affermò, giungendole
accanto.
Parlava
strascicando un po’ le parole, siccome la pelle
indurita dal fuoco le tirava l’angolo destro delle labbra.
Tauriel
non le aveva mai chiesto cosa le fosse successo. Era una sorta
di tacito accordo che vigeva tra loro da quando si erano incontrate per
la prima volta, un paio di mesi prima.
Quel
giorno, Tauriel era stata assalita dall’oca, ed era
verosimilmente prossima a tirarle il collo e a farla arrosto, quando
Álof era uscita per calmare la bestia.
La
donna non aveva battuto ciglio di fronte alle spropositate orecchie
a punta di Tauriel, ma l’aveva trattata sin da subito con una
rozza ma amichevole familiarità.
In
seguito, si erano incontrate regolarmente – Tauriel le
portava gli animali che catturava e in cambio Álof le
forniva alcune erbe. Talvolta si scambiavano qualche parola, ma non si
erano mai rivolte domande sul loro passato.
«Ho
portato alcuni pesci» annunciò
Tauriel, mostrando il contenuto del proprio cesto.
Álof
li contemplò, poi le fece cenno di seguirla.
«Vieni, entriamo in casa».
Insieme,
si diressero verso la capanna. A metà strada,
l’oca spuntò da dietro l’angolo,
starnazzando infuriata all’indirizzo di Tauriel.
Quest’ultima strinse gli occhi, portando istintivamente la
mano ad uno dei pugnali.
Provava
compassione per quasi ogni essere vivente, ma sembrava che tra
lei e quell’animale non ci sarebbe mai stata una tregua.
Álof
ammansì l’oca con uno schiocco di
dita e la cacciò via. «Bestiaccia
indisponente» commentò, seppur senza rancore.
Tauriel
concordava pienamente con quell’appellativo, ma
mentre entravano si limitò a dire: «È
un’ottima guardiana».
Questo,
almeno, poteva riconoscerglielo.
La
capanna non era molto ampia. C’era una stanza principale,
che fungeva da cucina e salotto insieme, con un tavolo, un
sofà, un caminetto ed un’ampia dispensa, ed una
porta che doveva condurre alla camera da letto di Álof.
Alcune
erbe erano appese al soffitto a seccare, e su una parete era
sistemato il ritratto di una donna fiera, dalla pelle scura. Aveva
labbra carnose, occhi luminosi, e corti capelli corvini.
Da
alcuni accenni, Tauriel aveva dedotto che si trattasse di
un’amante proveniente da terre lontane, partita un giorno e
mai più tornata.
«Perché
non pulisci i pesci?» propose
Álof, indicando il tavolo. «Puoi usare quel
coltello. Io intanto tiro fuori le erbe. Vuoi le solite, non
è vero?»
Tauriel
annuì, dirigendosi verso il tavolo e sedendosi su
una sedia sgangherata, per poi disporre i pesci davanti a sé
e prendere il coltellaccio posato lì accanto.
Iniziò a sventrare e a decapitare i pesci in modo rapido ed
efficiente, seppur con una lieve smorfia al viscidume che le
impiastricciava le mani.
Improvvisamente,
forse a causa dell’incontro con Merion,
pensò a Thranduil. Ricordò il modo in cui il re
si era preso cura di lei dopo la Battaglia delle Cinque Armate, e si
morse con forza le labbra.
«A
voialtri Elfi vengono le rughe?»
Tauriel
sbatté le palpebre ed alzò lo sguardo su
Álof, che si era girata verso di lei con una mano ancora
nella dispensa.
«Cosa?»
«Ho
sentito che agli Elfi non vengono le rughe»
rispose la donna, «e spero per il tuo bene che sia vero.
Cos’è che ti fa corrucciare tanto? A cosa stavi
pensando?»
Tauriel
rimase un momento senza parole. Non era molto propensa a
parlare dei propri pensieri, senza contare che Álof non
sapeva né che lei era stata bandita né il
perché.
Allungò
una mano verso un pesce che non aveva ancora pulito.
«Pensavo… a mio padre» mentì,
automaticamente, ma nemmeno lei sapeva sino a quanto fosse una bugia.
Ricordò
il tocco di Thranduil mentre si occupava della sua
spalla lussata, mentre tastava le sue costole incrinate. Era stato
così delicato, così confortante,
così… familiare.
Quando
Tauriel pensava alla propria infanzia dopo l’uccisione
dei suoi genitori, rammentava soprattutto Legolas. Legolas che le
consentiva di seguirlo pressoché ovunque, che le narrava
storie sui Valar e sulla creazione del mondo, che le permetteva di
salirgli sulla schiena quando era troppo stanca per camminare.
Thranduil
era stato una figura più distante, in qualche
modo, ma infinitamente rassicurante. Come un guardiano silenzioso che
la osservava da lontano e si assicurava che lei stesse bene.
Álof
scosse la testa. «Un padre non dovrebbe farti
corrucciare così tanto… Se non è un
padre cattivo».
Dalla
piega dura delle sue labbra, Tauriel pensò che lei
sapesse perfettamente cosa significava avere un padre cattivo.
«Non
si tratta di questo» si affrettò a
replicare. «È solo che abbiamo avuto dei
contrasti, in passato. Delle opinioni divergenti».
E
non solo al tempo della Battaglia delle Cinque Armate. A Tauriel
venne in mente un episodio risalente a qualche secolo prima, quando a
Pontelagolungo era scoppiata un’epidemia di febbre.
Il
governatore di allora aveva inviato a re Thranduil una richiesta di
aiuto, ma lui aveva rifiutato categoricamente di inviare i propri
guaritori.
All’epoca,
Tauriel non aveva saputo spiegarsi la decisione
del suo signore. Gli Elfi non potevano essere contagiati, dunque che
pericolo c’era?
Sventrò
il pesce sotto la propria mano con un taglio netto e
deciso e ripensò all’epidemia che era scoppiata a
Dale l’anno in cui lei se n’era andata.
Ora
capiva, pensò. Thranduil non aveva agito tanto per
sprezzo dei mortali quanto per amore della sua gente. Non temeva per la
loro salute fisica, ma per il loro spirito.
Se
li avesse mandati in aiuto a Pontelagolungo, e loro si fossero
affezionati a chi stavano curando e non fossero riusciti ad impedirne
la morte? Che effetto avrebbe avuto su di loro?
Tauriel
chiuse per un attimo gli occhi, e le sue mani si fermarono. Non
condivideva tuttora la decisione del re – per lei valeva
sempre la pena di correre il rischio, se c’erano delle vite
in gioco – ma almeno adesso la comprendeva.
Avrebbe
dovuto proporgli un compromesso, ad esempio lasciar andare chi
si fosse offerto volontario per quell’incarico…
Chissà, forse questo Thranduil l’avrebbe accettato.
«Avere
dei contrasti è normale»
dichiarò Álof, componendo un mazzolino di erbe.
«Nessuno ha la testa uguale a quella del suo
vicino».
«Lo
so». Tauriel si morse le labbra. «Ma
ho tradito la sua fiducia. Gli ho rivolto accuse crudeli».
Davanti
alle parole sprezzanti di Thranduil verso i mortali, si era
sentita raggelare.
Era
stato come guardare qualcuno e non riconoscerlo. Tutte le
incomprensioni che avevano avuto nel corso dei secoli, persino quelle
più insignificanti, si erano assommate le une alle
altre… La manifestata indifferenza del re per il destino dei
Nani era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Razionalmente,
Tauriel avrebbe potuto riconoscere che Thranduil dava la
priorità alla salvezza della propria gente, ma lei non era
mai stata una persona razionale. E in quel momento, circondata da una
guerra e con l’incertezza per la sorte di Kíli nel
cuore, aveva agito senza pensare.
Aveva
perso il controllo sulle proprie emozioni, aveva puntato il
proprio arco contro il re che aveva giurato di difendere, gli aveva
sibilato che era privo di amore.
Le
era servito sperimentare un dolore simile al suo, per capire quanto
si era sbagliata.
Álof
si avvicinò e posò le erbe sul
tavolo. «Poi ti sei chiarita con lui?»
domandò.
Tauriel
fissò le scaglie argentee che si erano attaccate
alle sue mani e scosse la testa. «No»
mormorò, «avrei voluto, ma… erano
successe molte cose».
I
corpi riversi nella neve. Il cielo oscurato da orde di enormi
pipistrelli. Kili che veniva sopraffatto così facilmente,
che si sforzava di muovere le labbra, di continuare a respirare.
Il
suo cuore che si spezzava con impeccabile precisione.
Non
era stata abbastanza forte. Non era stata abbastanza pronta. Aveva
creduto di poterlo salvare ma aveva sbagliato tutto.
Quando
Thranduil l’aveva confortata e si era occupato delle
sue ferite, Tauriel aveva ritrovato un lato di lui che non vedeva da
quando era bambina. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, ma non
aveva trovato le parole giuste – le era difficile persino
pensare, sballottata com’era dalle ondate del proprio dolore.
E
poi lui era tornato a Bosco Atro, e lei non aveva potuto seguirlo
perché era stata esiliata per dodici anni. Dodici anni
– Tauriel non riusciva nemmeno a pensarci. Era un lasso di
tempo ridicolo, specie se paragonato alla gravità delle sue
azioni.
«E
poi mi ha… cacciata di casa a causa del mio
comportamento» concluse.
Álof
prese i pesci puliti e li osservò con aria
soddisfatta. «Tuo padre ti ama?» chiese, senza
alzare lo sguardo.
Tauriel
inghiottì. Nei secoli passati, era stata rosa dal
dubbio che la gentilezza di Thranduil fosse stata dettata dal suo senso
del dovere, non da un affetto sincero. Ora pensò allo
sguardo del re quando l’aveva trovata accanto al corpo di
Kíli. «Sì»
sussurrò.
Álof
la guardò. «Allora torna da lui.
Chiaritevi adesso».
Tauriel
non rispose subito. Tornare prima dello scadere dei dodici anni
era fuori discussione, e preferiva non chiedersi cosa avrebbe fatto
quando l’esilio fosse finito. Non era ancora certa della
risposta.
Bosco
Atro le mancava, ma al momento non era ciò di cui
aveva bisogno. Aveva bisogno di muoversi, di vedere cose nuove. Aveva
bisogno di capire.
«Seguirò
il tuo consiglio» disse
comunque, per rendere felice la donna.
Álof
sorrise – un sorriso un po’ storto,
ma autentico – e le diede un colpetto sul dorso della mano.
«Brava ragazza» approvò, e le
passò le erbe. «Qui la tua parte».
Tauriel
le prese, osservandole per un momento. Pezzi di corteccia da
masticare dopo i pasti per la pulizia dei denti, foglie triturate che
le piaceva aggiungere al cibo per insaporirlo… ed erbe
mediche per disinfettare tagli e vesciche.
Non
che le fosse successo di restare coinvolta in uno scontro,
ultimamente, ma spesso si allenava sino allo sfinimento, sino a farsi
sanguinare le mani.
Non
importava quanti anni fossero passati, ogni volta che ripensava al
suo scontro con Bolg le veniva da rabbrividire per la vergogna e
l’angoscia. Non le era mai successo di essere tanto impotente
di fronte ad un nemico. Voleva essere certa che non capitasse mai
più.
Si
alzò in piedi. «Ti ringrazio».
Álof
scosse la testa. «Grazie a te per il
pesce».
Tauriel
non le disse che il suo ringraziamento non era dovuto soltanto
alle erbe. La permanenza degli Uomini nel mondo era davvero breve, ma
alcuni possedevano una brusca saggezza tutta loro.
Forse
le cose sarebbero state più semplici, se lei non
avesse avuto davanti l’eternità.
Note:
Ho una tonnellata di headcanon riguardanti il destino di Tauriel dopo
BotFA, perciò ho deciso di iniziare a buttar giù
qualcosa prima che la mia testa esploda.
Feren è uno degli
Elfi Silvani presenti nel film (il suonatore di corno, per intenderci). Per quanto
riguarda i gemelli… niente, mi piace
l’idea che
nelle guardie ci fossero due Elfi Silvani gemelli :D
Non sono pienamente soddisfatta di come mi è uscito questo
testo, ma spero sia per colpa del mio essere insicura e ipercritica.
Sia come sia, il prossimo capitolo sarà incentrato su
Thranduil, e sarà pubblicato mercoledì
17 giugno (se tutto va bene).
Sindarin:
Boe annin gwad: Devo andare
(letteralmente “è
necessario che io vada”)⇑
Garo lend vaer: Fa’
buon viaggio⇑
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Capitolo 2 *** # Thranduil ***
02
# Thranduil
And
I pray a lot for you
And
I look out for you
Quella
sala somigliava ad una caverna, sebbene ci fossero pilastri che
reggevano il soffitto frastagliato e qualche elegante braciere
sistemato qua e là.
Dalla
parte opposta rispetto all’entrata, si apriva una
balconata sul paesaggio circostante. Non aveva alcun parapetto, ed
abbassando lo sguardo si poteva scorgere l’immensa distesa
degli alberi, e la luce del sole che rimbalzava sulle foglie rossastre.
Thranduil
era in piedi dinanzi a quello spettacolo, e lo osservava
quasi distrattamente. Il suo viso era leggermente inclinato verso
l’Elfo in piedi al centro nella stanza, e rivelava che la sua
attenzione era rivolta al suo rapporto.
Qualche
anno dopo la Battaglia delle Cinque Armate, forse influenzato
dalla partenza di Legolas, Thranduil aveva iniziato a prestare maggiore
attenzione a quanto accadeva nel resto della Terra di Mezzo.
Era
sempre restio a coinvolgere la propria gente negli avvenimenti
estranei al suo regno, ma di tanto in tanto inviava alcuni esploratori
ad osservare la situazione al di fuori dei loro confini.
L’Elfo
che gli stava facendo rapporto in questo momento,
Merion, era piuttosto giovane. Thranduil sapeva che non aveva una
vastissima esperienza come soldato, ma in compenso la sua
agilità ed il suo talento nel passare inosservato lo
rendevano estremamente adatto al ruolo di esploratore. Pareva anche che
gli piacesse.
Era
rientrato quel mattino dopo aver viaggiato verso ovest per mesi,
così da indagare su alcune voci riguardanti dei drappelli di
Orchi. Saputo che non recava notizie urgenti, Thranduil gli aveva
ordinato di andare a riposare, e tornare nel pomeriggio a fargli
rapporto. Merion aveva obbedito.
La
situazione che descrisse adesso sembrava smentire quelle dicerie
allarmanti. Quando tacque, Thranduil lasciò indugiare il
proprio sguardo sulle cime degli alberi, rimuginando sulle sue parole.
«Un’ultima
cosa, mio re» disse Merion,
richiamando la sua attenzione.
Thranduil
gli scoccò un’occhiata. «Parla
pure» lo invitò.
«Ho
incontrato il… ho incontrato
Tauriel».
A
quell’affermazione, il sovrano
s’irrigidì appena, e i suoi occhi – di
nuovo fissi sul paesaggio – si dilatarono impercettibilmente.
Quando parlò, tuttavia, mantenne un tono neutrale e
distaccato. «Dove?»
«Presso
il fiume Lhûn, davanti alle Montagne
Azzurre».
Ered
Luin. Ma certo. Thranduil continuò a fissare la distesa
degli alberi. «Avete parlato?»
Merion
tacque per un istante, incerto. «Brevemente».
Thranduil
annuì, calmando in silenzio il tumulto del proprio
cuore. Era viva.
«Mi
è…» Merion
esitò, come se non sapesse bene se continuare o meno.
«Mi è parsa in buone condizioni, e senza
intenzione di infrangere le vostre disposizioni».
Thranduil
si inumidì le labbra. «Molto
bene» affermò. «Ora puoi
andare».
«Mio
signore».
Senza
voltarsi a guardarlo, Thranduil sentì che Merion si
inchinava e lasciava la stanza. A quel punto, chinò il viso
in avanti, chiudendo gli occhi.
Quando
aveva organizzato gli esploratori, non aveva certo dato loro
l’incarico di andare alla ricerca di Tauriel. Aveva disposto,
tuttavia, che tenessero occhi e orecchie aperte sul suo conto, e
riferissero a lui nel caso l’avessero vista o avessero udito
voci che la riguardavano.
Probabilmente,
loro avevano pensato che lui volesse assicurarsi che lei
rimanesse in esilio. La realtà, però, andava
oltre tutto questo.
Ormai
otto anni prima, dopo la Battaglia delle Cinque Armate, Thranduil
aveva bandito Tauriel dal Reame Boscoso per dodici anni.
Non
era stata una decisione facile. Nel ricordare il viso di lei,
sporco di sangue e lacrime, aveva temuto per la sua vita. Nonostante la
conoscesse, nonostante sapesse che era una combattente ed avrebbe
lottato, quella sottile paura non se n’era andata mai del
tutto.
Neanche
Legolas aveva ancora fatto ritorno, ma Thranduil riceveva
periodicamente dal figlio alcuni dispacci che gli assicuravano che era
vivo e stava bene.
Di
Tauriel non aveva notizie da qualche anno. All’inizio, lei
era rimasta a Dale, ed aveva aiutato il popolo del lago a ricostruirsi
una patria, mentre Thranduil aveva inviato alcune provviste agli
Uomini, spinto anche dal rispetto che provava per Bard
l’Ammazzadrago.
Di
conseguenza, gli era giunta qualche vaga voce riguardante la
giovane… Ma poi, quattro anni dopo la Battaglia delle Cinque
Armate, Tauriel aveva lasciato Dale, e da allora il sovrano non aveva
saputo più nulla di lei.
Riaprì
gli occhi, respirando a fondo. «Sta
bene» mormorò a se stesso, per soddisfare il
bisogno di sentire quelle parole.
Quasi
senza motivo, ricordò il giorno in cui le aveva
conferito la nomina di capitano. Non erano mancate le malelingue,
allora, che avevano insinuato che Thranduil l’avesse promossa
soltanto perché lei era la sua protetta.
Un
sorriso tirato si disegnò sulle labbra del sovrano.
No,
non si era trattato di un favoritismo… Sebbene non
potesse negare di aver appoggiato la sua carriera, né di
averle concesso, nel corso dei secoli, un’attenzione speciale.
Pensò
al giorno in cui lei se n’era andata,
inseguendo quel branco d’Orchi… Si fosse trattato
di qualcun altro, Thranduil avrebbe mandato una guardia a recuperarlo.
Con Tauriel, aveva lasciato che fosse Legolas – suo figlio,
l’erede al trono – a tentare di persuaderla.
Non
che avesse funzionato, ma…
Il
sorriso del sovrano svanì. Quasi senza rendersene conto,
Thranduil diede le spalle al paesaggio boscoso, e si diresse verso
l’uscita della sala. I suoi passi, rapidi e decisi, lo
guidarono sino alle stanze di Tauriel.
Sulla
soglia, incrociò Galion. Il maggiordomo stava uscendo,
chiudendosi la porta alle spalle, e parve sorpreso di vederlo.
«Mio
signore» lo salutò, chinando
brevemente il capo, ed i suoi lunghi capelli castano chiaro scivolarono
in avanti.
Thranduil
rispose con un cenno del mento.
Lui
non aveva dato ordini riguardanti le stanze di Tauriel, ma Galion
– che si occupava della direzione del palazzo in generale
– si era assicurato che venissero pulite regolarmente, e
talvolta le ispezionava per assicurarsi che venisse fatto un buon
lavoro.
Ora
osservò Thranduil con aria speculativa, mosse un passo
verso il corridoio, si fermò, dopodiché
tornò a rivolgersi al suo sovrano. «È
tutto in ordine, mio signore» asserì, posando al
contempo una mano sul pomello della porta. «Volete
accertarvene di persona?»
Thranduil
assottigliò lo sguardo, ma diede un borbottio
d’assenso.
Il
maggiordomo aprì la porta e, dopo essersi fatto da parte
per lasciar entrare il sovrano, lo seguì negli alloggi di
Tauriel.
Erano
almeno otto anni che Thranduil non vi metteva piede.
Rimase
in silenzio mentre Galion gli mostrava con zelo gli abiti puliti
nel guardaroba, il letto impeccabilmente rifatto, i pavimenti lucidati,
l’ampia finestra aperta per cambiare l’aria.
Sembrava quasi che Tauriel dovesse tornare da un momento
all’altro.
«Pare
che i domestici abbiano trovato delle schegge di
legno» disse Galion, ricevendo da Thranduil
un’occhiata obliqua. «Pensavo avesse perso il vizio
di preparare le sue frecce nei suoi alloggi».
«No»
si sentì rispondere il sovrano.
«No, non l’ha mai perso».
Si
avvicinò alla scrivania di legno scuro, e
considerò brevemente il libro posato lì sopra
– siccome non trattava di combattimenti o di foreste o di
costellazioni, dubitava che Tauriel l’avesse mai aperto.
«Per
lo meno ha superato la sua avversione per
l’igiene personale» continuò Galion, in
tono amabile. «Mi hanno riferito che aveva lasciato i suoi
alloggi puliti e in ordine, tutto sommato».
Thranduil
non rispose subito. Ricordava bene come Tauriel, da bambina,
cercasse sempre di sfuggire ai bagni. All’epoca, non era raro
trovare delle foglie o dei rametti impigliati ai suoi capelli ramati.
Anche
il giorno in cui avevano seppellito i suoi genitori, uccisi in
un’imboscata di Orchi, Thranduil le aveva tolto una
fogliolina dai capelli.
Una
parte di lui si meravigliò nel ricordarsene ancora.
Strano come fossero indelebili certi dettagli.
Di
certo, non avrebbe mai dimenticato quanto gli era parsa leggera
quando l’aveva sollevata tra le proprie braccia,
né di aver chiuso gli occhi un istante, mentre lei piangeva,
e di aver pregato Ilúvatar affinché sanasse il
suo dolore.
«Entrare
a far parte della guardia reale deve averle fornito
un po’ di disciplina» si sentì
rispondere, ma al contempo avvertì una fastidiosa sensazione
sul fondo dello stomaco.
In
fondo, otto anni prima, Tauriel si era mostrata tutto
fuorché disciplinata.
Thranduil
cercava di non pensare al loro scontro sul campo di
battaglia, perché quel ricordo gli faceva sentire
un’incredulità quasi nauseata.
Da
una parte, si domandava cosa avrebbe fatto Tauriel se lui non
l’avesse fermata. Sarebbe davvero andata sino in fondo?
Avrebbe lasciato partire quella freccia diretta contro di lui?
Sul
momento, gli era parso così plausibile da indurlo non
solo a tagliare il suo arco, ma anche a puntarle la spada contro il
petto. Non per ferirla – persino allora, in preda alla
propria furia, non le avrebbe mai fatto del male – ma per
riscuoterla e costringerla ad ascoltarlo.
E
poi c’erano le parole che lei gli aveva rivolto in tono
freddo, parole che lo disturbavano quasi quanto il suo gesto.
Non
c’è amore in te.
Com’era
possibile che lei lo avesse creduto, anche solo per
un istante?
Thranduil
sapeva di non essere una persona facile da capire. Sapeva
che, una volta che Tauriel era cresciuta, il loro rapporto era
cambiato, e lui si era fatto più distante ed autorevole.
Eppure,
si era sempre assicurato che a Tauriel non mancasse nulla, e
che non le venissero fatti dei torti. Nel proprio cuore, non aveva mai
dubitato del proprio affetto per lei.
Ogni
tanto avevano avuto le loro incomprensioni e le loro divergenze, ma data
la giovinezza di Tauriel ed il suo spirito idealista, Thranduil lo
aveva considerato inevitabile. Non si sarebbe mai aspettato che il loro
rapporto giungesse ad una vera e propria rottura.
Dove
aveva sbagliato?
Dato
il suo carattere ed il suo passato, era poco incline a mostrare
debolezze. Talvolta aveva lasciato che Legolas vedesse un suo lato
più vulnerabile e si prendesse un po’ cura di lui,
specie quando aveva visto nel figlio la dolcezza di sua madre, ma con
Tauriel non lo aveva fatto.
Aveva
sempre voluto mostrarsi imperturbabile, di fronte a lei.
Dapprima, quando era bambina, si era trattato di un modo per
assicurarle che poteva proteggerla. In seguito, quando era divenuta una
guardia e poi un capitano al suo servizio, era servito a garantirle che
era un re di cui poteva fidarsi, su cui poteva contare.
«Sul
comodino aveva lasciato questa»
asserì la voce del maggiordomo.
Thranduil
si voltò verso Galion, che si era avvicinato ad un
comò intagliato nella parete ed aveva aperto uno dei
cassetti, per poi estrarne una catenina.
«La
riconoscete?»
Anziché
rispondere, Thranduil tese una mano, e Galion si
avvicinò per consegnargli il gioiello.
Il
sovrano fece scorrere la catenina tra le proprie dita, osservando il
ciondolo azzurro. Era stato lui stesso a donarle quel pendente in
occasione del suo centesimo compleanno.
Tauriel
non amava particolarmente i gioielli, ma era parsa felice di
quel regalo, e l’aveva indossato spesso e volentieri.
«È
sufficiente, Galion» disse
improvvisamente Thranduil, senza alzare lo sguardo sul maggiordomo.
«Puoi andare».
«Certo,
mio signore» rispose l’altro, poi
fece una pausa. «Più tardi posso farvi portare una
bottiglia di buon vino nei vostri alloggi, se lo desiderate».
Thranduil
alzò lentamente gli occhi su di lui ed
annuì, e Galion s’inchinò prima di
ritirarsi.
Rimasto
solo, il sovrano chiuse il pugno sulla catenina. Si diresse
verso il letto di Tauriel, pensando alla sua preferenza per gli archi e
– soprattutto – per i pugnali dalla lama lunga.
Tauriel
era stata addestrata all’uso delle armi sin da quando
era bambina. Siccome le piaceva ed era portata, Legolas aveva osservato
che quella poteva essere la sua strada, e Thranduil aveva pensato che
avere un posto ed un futuro all’interno del palazzo reale
l’avrebbe rassicurata.
Adesso,
però, si domandò se fosse stata la scelta
giusta. Possibile che Tauriel, avendo avuto uno scopo ben preciso sin
da subito, fosse cresciuta nella convinzione che la sua importanza
dipendeva da quanto poteva rendersi utile?
Il
respiro gli si fermò in gola per un istante, poi
Thranduil aprì la mano e lasciò che la catenina
scorresse tra le sue dita sino a cadere sul comodino accanto al letto.
Fissò
quell’oggetto così bello,
così abbandonato, e ricordò che esisteva la
possibilità che Tauriel, una volta trascorsi i dodici anni
del suo esilio, scegliesse di non tornare.
Era
una prospettiva amara. Senza di lei e Legolas, le sale del Reame
Boscoso sembravano così vuote.
Thranduil
cercò di pensare al fatto che suo figlio sarebbe
tornato, e Tauriel… le loro interazioni dopo la Battaglia
delle Cinque Armate erano state molto più pacifiche.
Tauriel
l’aveva contemplato con vergogna ed incertezza, e
sembrava essersi ricreduta sulle parole che gli aveva rivolto. Quando
lui l’aveva trovata accanto al cadavere del Nano, lei non
aveva reagito con rabbia – gli aveva parlato, lo aveva
supplicato.
Si era rivolta a lui, e a lui soltanto, alla ricerca di
risposte e consolazione.
Thranduil
chinò il capo, lasciando che i capelli biondo
chiaro scivolassero in avanti a nascondergli il volto. In silenzio,
così come aveva fatto secoli prima, pensò a
Tauriel e pregò Ilúvatar per lei. Lo
pregò di proteggerla, di farle ritrovare la sua
strada… Lo pregò di riportarla a casa.
Note:
Eccomi qui, dopo aver rimpianto almeno mille volte la decisione di
mostrare anche i pensieri di Thranduil. Ogni volta che scrivo di lui mi
viene il sacro terrore di sbagliare tutto :/
I versi in corsivo sono un estratto della canzone “The
Woods” dei Daughter, ed era un secolo che volevo scrivere sul
rapporto Thranduil/Tauriel partendo da lì. Spero che il
risultato non sia proprio pessimo.
La collana di Tauriel si vede in DoS quando lei fa rapporto a Thranduil
e anche mentre è nelle segrete a parlare con
Kíli. Mi piace pensare che fosse un regalo del re.
Grazie di nuovo a Kanako91
e a Thranduil_heat
per aver recensito lo
scorso capitolo, a chi ha inserito la storia tra le preferite e le
seguite, e anche a chi ha soltanto letto.
Alla prossima!
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