Insegnami a vivere

di Letizia25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Questi... ***
Capitolo 2: *** 2. ... Siamo noi ***
Capitolo 3: *** 3. Festa ***
Capitolo 4: *** 4. Cadere ***
Capitolo 5: *** 5. Resta ***
Capitolo 6: *** 6. Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** 7. Prove ***
Capitolo 8: *** 8. Silenzio ***
Capitolo 9: *** 9. Schegge ***
Capitolo 10: *** 10. Insegnami a vivere ***
Capitolo 11: *** 11. Colore ***
Capitolo 12: *** 12. Segnali ***
Capitolo 13: *** 13. Batterista cercasi ***
Capitolo 14: *** 14. Band ***
Capitolo 15: *** 15. Amici ***
Capitolo 16: *** 16. Scossa ***
Capitolo 17: *** 17. Cinema ***
Capitolo 18: *** 18. Teorie ***
Capitolo 19: *** 19. Concerto ***
Capitolo 20: *** 20. Luce ***
Capitolo 21: *** 21. Regalo ***
Capitolo 22: *** 22. Famiglia ***
Capitolo 23: *** 23. Sfumature ***
Capitolo 24: *** 24. Emozioni ***
Capitolo 25: *** 25. Sole e luna ***
Capitolo 26: *** 26. Nuova vita ***



Capitolo 1
*** 1. Questi... ***


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Link trailer: http://youtu.be/1rNyxp_yUAI

1.
Questi...



Stava osservando il cielo fuori, oltre la finestra, da quelli che ormai erano una ventina di minuti buoni. Era grigio, come sempre in quelle ultime settimane di metà inverno, passate dentro quelle mura che tutti gli adolescenti – chi più chi meno – si ritrovano ad odiare, con tutte le loro forze; pieno di nuvole di quel colore che non si sapeva mai come interpretare, se vederlo come una cosa brutta oppure come un qualcosa in mutamento, nel bene. Molto ci vedevano qualcosa di sporco, sbagliato, in un certo senso.
Lei lo vedeva semplicemente come il colore che meglio riusciva a rappresentarla. Un colore enigmatico, che nessuno appunto riesce a capire, uno colore sfuggente, che non resta mai quello, a seconda della luce o delle tenebre che si contengono il predominio.
Si spostò una ciocca color ebano dagli occhi. Erano lunghi i suoi capelli, fino a metà schiena. E le avrebbero fatto risaltare il viso dalla carnagione chiara, se solo lei non li avesse tenuti sempre legati in una coda o in una treccia.
Sospirò e si sistemò meglio sulla sedia, mentre notava che piccole gocce d’acqua avevano iniziato a rigare i vetri delle finestre, tappando così anche l’ultimo spiraglio di sole della giornata.
«Kay, ma mi ascolti?» le sussurrò all’orecchio Tara, facendole prendere un colpo per lo spavento.
La mora si voltò verso la sua migliore amica e scosse lievemente la testa. «Scusami, ho altre cose per la testa. Di cosa stavi parlando?»
La ragazza sorrise – per niente delusa dal comportamento dell'amica – e si sistemò meglio i capelli biondi dalle punte di un fucsia brillante. «Abbiamo fatto pace.»
E la mora non aveva bisogno di sapere a chi l'altra si stesse riferendo. La osservò attentamente, lasciando che il buon umore della bionda contagiasse un po' anche il suo, sempre freddo, chiuso, distante, come un blocco di vetro infrangibile che nessuno riusciva a penetrare.
Sospirò per l'ennesima volta, mentre cercava di prestare attenzione a Mr Wilson, l'insegnante di matematica e scienze, ma quella mattina proprio non riusciva a capire niente. Aveva uno strano presentimento addosso fin da quando si era svegliata. E quella brutta sensazione l'aveva seguita fin lì a scuola, distraendola da tutto il resto. Una sensazione che non riusciva a spiegarsi, ma che la faceva sentire strana, diversa.
Abbassò lo sguardo verso le sue mani, e non si sorprese a vederle piene di tempera. La notte precedente aveva dipinto quasi fosse stata preda della febbre. Le sue dita affusolate avevano creato sulle tele mari in tempesta, cieli chiari con qualche nuvola in lontananza, fiori. Erano vivaci, colorati, cosa molto strana per lei, che invece aveva sempre usato colori spenti, freddi, tenui. Ed era questo a preoccuparla maggiormente: sembrava che la pittura volesse dirle qualcosa di molto importante ma che lei non era ancora riuscita ad afferrare.
La mano di Tara che la scuoteva per la spalla la fece tornare con i pensieri per terra. E solo allora notò che la classe era ormai vuota.
«Si può sapere cos' hai oggi?» le chiese la bionda, osservandola con i suoi grandi occhi castani. «Stai bene?»
E fu un attimo, solo un attimo, sufficiente a far cambiare totalmente espressione alla mora, mentre il solito gelo tornava a farle compagnia nel cuore.
Senza rispondere alla domanda della bionda, Kay prese se andò, in silenzio, con gli occhi fissi a terra.
Erano passati anni, eppure quella domanda le faceva sempre lo stesso effetto. La mandava nel pallone e tirava fuori così tanti ricordi, che lei avrebbe preferito solo dimenticare, per poter stare bene. Perché lei non stava bene. Stava male, male sul serio. Ma testarda lo era sempre stata, e non avrebbe mai ammesso con qualcuno una cosa simile. Non voleva né far preoccupare le persone che le volevano bene, né soprattutto voleva la compassione degli altri. Perché nessuno avrebbe potuto capire quel che provava dentro. Perché alla fine il problema era tutto lì: lei non provava alcuna emozione, e non sapeva come fare per uscirne. Ci aveva provato, a tirarsi fuori da quello schifo, a rompere quel blocco di vetro che nascondeva il suo cuore al mondo. Ci aveva provato per anni, ma il risultato era sempre stato lo stesso: si era sempre fatta male, in ogni situazione, e ogni volta quel blocco di vetro si era ispessito sempre più, fino a diventare infrangibile. E questo l’aveva portata a rinunciare a combattere per se stessa. Ormai non aveva più niente, che senso aveva avere un cuore? Nessuno, sarebbe stato un peso in più, in ogni caso. Tanto valeva chiuderlo da qualche parte, per essere sicura di non dover più sentire nient’altro.
«Kay, aspetta per favore!» la richiamò Tara, riuscendo a fermarla. «Scusami, davvero. Non ci ho pensato.»
La mora non rispose e non staccò neppure gli occhi da terra. Si limitò a stringere un po' più forte la mano dell'amica, prima di entrare nella mensa scolastica, la stanza più amata o più odiata nelle scuole. Tutto dipende dal punto di vista. Si sedettero negli ultimi posti disponibili, purtroppo quelli più vicini ai tavoli riservati alla squadra di football e alle cheerleaders. Più in là si poteva notare la miriade di ragazzi che frequentava l’istituto.
C’erano i punk, negli angoli più esterni, a formare piccoli gruppi che spiccavano per i loro vestiti particolari.
C’erano i dark, solitari, sparsi qua e là nel salone, che non passavano certo inosservati per i loro abiti scuri.
E i nerd, le false depresse e quelle reali, gli acidi e i sognatori. Insomma, chi ne ha più ne metta.
Questa era la loro scuola, a Sydney, quella grande città sull’oceano, lontana da tutto e tutti, bellissima e unica.
Ma a tutto questo Kay non pensava. Era solo concentrata a regolare i battiti del proprio cuore, di quell’organo che avrebbe tanto preferito togliersi piuttosto che sentirlo lì, dentro al petto, a farle male a causa di tutti quei ricordi che probabilmente non se ne sarebbero mai andati del tutto.
Tara la guardava con aria afflitta, dandosi la colpa per averla fatta stare di nuovo male con quella cavolo di domanda. E lo sapevano bene entrambe che stare così solo per due semplicissime parole non era normale. Ma non sapevano come fare, la mora perché era ci era dentro, a quello schifo, e aveva ormai abbandonato l’idea di potercela fare, la bionda perchè avrebbe tanto voluto aiutare la sua amica di una vita, ma proprio non sapeva da che parte cominciare. Tutto quello che era riuscita a fare – e che aveva aiutato Kay a non mollare del tutto – era l’esserle stata accanto, sempre, in ogni situazione, provando a dividere il peso immane che l’altra si era ritrovata tutt’ad un tratto ad avere sulle spalle.
«Scusami davvero.» ripeté Tara, passandosi stancamente una mano tra i capelli.
A quelle parole, la mora sembrò riprendersi, tanto da curvare lievemente le labbra in un sorriso timido, uno di quei pochi sinceri che riusciva a fare. Prese le mani della bionda tra le sue e le accarezzò piano, per cercare di consolarla, quando era lei la prima sempre in bilico su quel baratro che sembrava richiamarla a sé ogni giorno, sempre più forte.
«Non fa niente, sul serio.»
L’altra le sorrise, un po’ rincuorata, e cominciò a mangiare. La mora la seguì, cercando di mettere a tacere tutti quei pensieri che come al solito le occupavano la testa, quando all’improvviso due mani andarono a coprirle gli occhi.
«Calum, smettila. Non ci vedo!» si lamentò lei, mentre una risata cristallina si liberava dietro di lei.
«Dai, cugina, sorridimi una buona volta!» esclamò il ragazzo moro dietro di lei, sedendole vicino e facendo sì che i suoi grandi occhi scuri si trasformassero in quelli di un cucciolo, per cercare di cambiare quell’espressione assente e triste che non gli era mai piaciuta sul viso della mora.
Ma tutto quel che ottenne fu un sospiro da parte della ragazza, che si alzò e, prese tutte le sue cose, se ne andò dal salone, lasciando le altre persone che si erano sedute al suo tavolo che la osservarono senza dire niente.
 
Quando la videro chiudersi la porta alle spalle, Calum sospirò, grattandosi la testa con fare imbarazzato e dispiaciuto. «E adesso cosa ho fatto?»
«Niente Cal, tranquillo. È colpa mia, le ho chiesto come stava.» spiegò Tara, abbassando gli occhi sulle sue mani dalle dita sottili, strette tra quelle di Michael – il ragazzo dai capelli tinti seduto accanto a lei – che la osservava come se non ci fosse cosa più bella al mondo. Proprio quest’ultimo le diede un bacio sulla tempia e la strinse a sé. «Amore, non è colpa tua.»
«Sapessimo cosa le succeda, forse sarebbe tutto più semplice e potremmo aiutarla.» si intromise il ragazzo biondo – Luke – seduto accanto a Calum.
«Ma non dice niente, non l’ha mai fatto!» esclamò Nathalie, seduta accanto a Michael, guardando l’amico negli occhi blu come il cielo e sentendo quel solito formicolio all’altezza del cuore. Perché per  la rossa era così, ogni volta che Luke era nei paraggi: perdeva completamente la testa. Il problema che la cosa stava durando ormai da tanto, troppo tempo, e ancora non sapeva dire con certezza se fosse un bene o meno.
«Nathi, Kay è testarda.» le disse Elen, seduta come al solito sulle gambe di Calum – facendo esplodere inconsciamente i cuori di entrambi dalla felicità –, mentre si passava una mano tra i lunghi capelli castani.
«Sì, ma questo non le giustifica niente.» continuò Luke, abbassando gli occhi sul tavolo, facendo sì che un silenzio pesante si insinuasse tra di loro, come a marcare il fatto che si sentissero impotenti perché non riuscivano a trovare un modo per aiutare la loro amica.
«Io vorrei sapere solo perché quelle parole la fanno stare male.» disse ad un tratto Tara, dando inconsapevolmente voce ai suoi pensieri. Gli altri la guardarono sconfortati. Nessuno di loro sapeva più come fare.
 
E neppure Kay sapeva il perché di quel dolore sordo e forte nel petto, quasi costante, da farle mancare il respiro ogni volta che si presentava. Lo sentiva, lì, sempre in agguato, pronto a farle male, pronto a farla cadere, in quel baratro, in quel buco nero da cui cercava di scappare ogni anno, invano. Non sapeva nemmeno perché se ne fosse andata così su due piedi dalla mensa. Non aveva pensato a niente, aveva solo seguito quello che una strana voce nel cuore le chiedeva.
Sospirò, salendo le scale lentamente, quelle scale che l’avrebbero portata sul tetto dell’edificio, l’unico posto dove sapeva che non sarebbe mai stata disturbata. Uno dei pochi posti dove riusciva a mettere ordine in quell’immenso casino che aveva dentro e di cui non sapeva venire a capo. Un casino che non avrebbe mai accollato a nessuno.
Una volta sull’ultimo pianerottolo, aprì la porta che dava sul tetto. E solo in quel momento si ricordò che aveva iniziato a piovere solo qualche minuto prima. Non che le importasse poi più di tanto se si bagnava o meno. Aveva sempre trovato nella pioggia qualcosa di assolutamente affascinante, come se un qualcosa che veniva da lontano portava tante storie di posti che forse lei non avrebbe mai visto.
Fece un profondo respiro, dimenticandosi per un attimo di tutto il resto e uscì sotto la pioggia. E fu un attimo, prima di sentire l’acqua fredda scorrerle sul viso, entrarle nei vestiti, inzupparle le scarpe e i capelli. Era come se volesse alleviarle almeno per qualche minuto quel peso che sentiva dentro, come se avesse voluto darle un po’ di sollievo da tutto quel che stava vivendo. Anche se poi non aveva mai vissuto sul serio, perché lei le emozioni proprio non sapeva cosa fossero. Si sentiva vuota, era come se quel blocco di vetro all’interno non avesse niente, come se fosse cavo.
Semplicemente, sopravviveva. Era così fin da quando poteva ricordare. Sopravvivere e vivere sono due cose ben diverse, perchè per il sopravvivere non hai bisogno delle emozioni. È quando inizi a emozionarti, nel bene o nel male, che cominci a vivere sul serio. Come le avevano insegnato i libri che aveva letto e che le avrebbero confermato i libri che avrebbe incontrato più in là nella sua vita.
Lasciò che l’acqua le scorresse addosso,  per minuti che parvero senza fine. Non si preoccupò se sarebbe tornata a casa completamente fradicia. Non si preoccupò della ramanzina che sua zia Joy le avrebbe fatto a vederla in quelle condizioni. Non si preoccupò assolutamente di niente, tanto da non sentire neppure i passi di qualcuno che si stava avvicinando a lei, silenziosamente, fino a che qualcosa non la coprì dalla pioggia, interrompendo quell’attimo solo per lei.
Si voltò, e la prima cosa che vide furono due grandi occhi verdi screziati da qualche venatura castana, molto simili all’oro da quanto risplendevano per un qualcosa che la ragazza non riusciva a comprendere.
«Ne hai ancora per molto? Se continui a stare qui sotto ti bagnerai.» le disse una voce, dal tono preoccupato.
E a quel punto Kay non sapeva più cosa pensare, mentre sentiva che quel suo blocco di vetro aveva appena iniziato ad incrinarsi giusto un po’, una crepa lieve, piccola, quasi invisibile. Una crepa che la ragazza aveva percepito chiaramente dentro al petto, come un segnale d’allarme per qualcosa che mai e poi mai si sarebbe aspettata in vita sua.






Letizia
Ciao a tutti signori miei! Bene, oggi è il 1° giugno e, come promesso, INIZIA LA STORIA SU ASHTON *^*. Ok, sappiate che sono eccitatissima all'idea, soprattutto per alcuni temi che tratterò (uno o due in particolar modo). Appunto per questo ho messo "tematiche delicate" come voce, perchè secondo me sono cose che non vanno prese alla leggere, per niente. Poi dipende dai punti di vista.
Parlando del capitolo, invece, che dirvi? Beh, per prima cosa, era da parecchio tempo che non scrivevo una storia al passato, e ho consatato che con questa fanfiction è il tempo più azzeccato, fidatevi ;). In più, conosciamo un po' tutti i personaggi di questa storia (a parte Ashton u.u). Sappiate che Luke, Cal e Mike saranno molto importanti anche se saranno poco presenti nella storia, come avranno lo stesso peso pure Tara, Elen e Nathalie, quindi non disperate ;).
Bene, io direi di passare a Kay (il nome si legge "Chei"), la nostra protagonista. Devo avvertirvi: è un personaggio molto complesso, con cui a volte mi trovo in difficoltà quando scrivo di lei. Però spero che la apprezzerete, come spero pure che la mia storia possa darvi ed insegnarvi qualcosa in ogni senso.
Una cosa: secondo voi, come mai alla nostra protagonista dà fastidio / disagio la domanda che le ha posto Tara? Sappiate che non è perchè Kay voglia fare la preziosa, c'è altro sotto.Come è bene che vi avverta che sentiremo parlare moltissimo di quel "cubo di vetro" che Kay sente dentro, e poi capirete perchè ;). E siccome non voglio aggiungere altro, cambio direttamente argomento.
Quindi, siccome io a settembre inizio la quinta superiore e non voglio avere troppe storie aperte, quest'estate ne posterò parecchie (?). Più precisamente:
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- da mercoledì 3 giugno inizierà pure (e finalmente) la storia a 4 mani con Nanek *^*, che sarà aggiornata ogni mercoledì ;). Eccovi il banner:

 
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- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggioernerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u
Quindi, giugno sarà un mese davvero intenso per me con tutte queste fanfiction :P. Ma non disperate, mi sono organizzata al meglio e non dovrebbero esserci problemi, o almeno lo spero *^*.
Detto questo, un'ultima cosa, poi giuro che vi lascio. Vi prego, recensite, fatemi sapere tutto quello che pensate di questa storia, mi bastano anche 20 parole di numero, ma vi prego, fatevi sentire perchè ci tengo, ci tengo nello stesso modo in cui tengo a The only reason. Queste due storie sono parte di me, quindi, vi prego, non esitate, anche se dovessero essere critiche negative (o meglio, COSTRUTTIVE), basta che mi facciate sapere quel che ne pensate.
Bene, adesso chiudo davvero qui, sperando di trovarvi presto e in tanti. Ci sentiamo presto e scusate per le note chilometriche :').
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 2
*** 2. ... Siamo noi ***


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2.
... Siamo noi



Ashton non sapeva come era arrivato fin lì. Era uscito dalla classe con lo zaino sulle spalle, con l’intento di andare in mensa. Eppure si era ritrovato a percorrere quei corridoi ormai deserti, silenziosi, con la mente svuotata di qualsiasi cosa. Si era avviato in silenzio su quelle scale, senza ben capire perché stesse andando proprio verso il tetto della scuola. Dopotutto, non era permesso agli alunni accederci. Eppure lui era lì, come se una forza più grande di lui lo avesse attirato fino a quel posto.
Aveva notato la porta stranamente socchiusa e l’aveva aperta, sorprendendosi a vedere cosa c’era fuori.
Una ragazza mora era lì, ferma, in piedi sotto la pioggia. I capelli scuri ormai completamente zuppi come i vestiti e le scarpe. Gli occhiali lievemente appannati risaltavano su quel viso pallido, mettendo soprattutto in mostra le occhiaie che la ragazza aveva sotto gli occhi.
L’aveva osservata per un po’, curioso, senza ben rendersi conto del tempo che passava. Era come se l’aria stanca della mora lo avesse attirato in un modo tutto particolare, un modo che Ashton proprio non era riuscito a spiegarsi. Era semplicemente rimasto lì, poggiato allo stipite della porta, ad osservarla, mentre la pioggia continuava a cadere, lenta, provocando quel tintinnio che il ragazzo proprio non riusciva a sopportare.
Ad un tratto una goccia d’acqua lo aveva colpito sulla guancia, facendolo tornare con i pensieri per terra. Si era dato mentalmente dello stupido, perché chi si fermerebbe a osservare qualcuno in questo modo?
Senza pensarci due volte, aveva tirato fuori l’ombrellino dallo zaino e lo aveva aperto, per poi avvicinarsi alla mora per ripararla dalla pioggia. Subito lei si era voltata, e Ashton era rimasto completamente spiazzato da quei grandi occhi marroni, occhi tristi, spenti, non vivi, privi di quella luce che, bene o male, tutte le persone hanno dentro.
«Ne hai ancora per molto? Se continui a stare qui sotto ti bagnerai.» disse, stranamente preoccupato per lei.
Stranamente, sì, perché di solito Ashton se ne stava sempre sulle sue, in un angolo. Anche se amava stare in compagnia, alla fine era quello che si ritrovava sempre messo da parte, per qualsiasi cosa. E non aveva neppure amici veri con cui potersi confidare, almeno un po’. Era solo, e questo per adesso gli bastava, gli era sempre stato sufficiente. Ma quegli occhi… Non sapeva come spiegarselo, ma avevano un qualcosa che gli faceva sentire qualcosa di strano proprio dentro al petto, all’altezza del cuore.
Solo che non ci pensò poi molto, perché tanto non sarebbe servito. In fondo loro due non avrebbero mai condiviso niente. Era stato solo un caso essersi trovati lì, su quel tetto, sotto la pioggia che continuava a cadere incessantemente, senza dar alcun segno di volersi fermare.
«Nessuno ti aveva chiesto un ombrello.» gli rispose la ragazza con tono duro, freddo. Tutte le volte che le si avvicinava qualcuno che non fossero i suoi amici o suoi familiari, lei reagiva sempre allo stesso modo: respingeva, ogni volta sempre più duramente. E questo solo per difendersi, per paura che quel blocco di vetro attorno al suo cuore potesse rompersi e peggiorare solo tutto quello schifo in qui si trovava.
Il ragazzo dai capelli castani rimase interdetto. Insomma, si era pure preso il disturbo di ripararla dalla pioggia e di essere gentile con lei, si era persino preoccupato di come stesse.
«Sai, molti la chiamano educazione.» le disse lui, a tono.
Lo sguardo della mora si indurì ancora di più. Senza rispondere, si voltò dall'altra parte, tornando ad osservare il grigio del cielo che proprio non voleva andarsene, come se avesse deciso di stanziarsi lì. 
Ashton sospirò. Era proprio strana quella ragazza. Non che si aspettasse chissà cosa, ma un minimo di gratitudine sarebbe stato ben accetto. 
«Entra dentro, dai.» proseguì, non riuscendo neppure a capire perché si stesse comportando in quel modo con una persona che nemmeno conosceva.
Kay si voltò di nuovo verso di lui, attenta questa volta a non far incontrare i loro occhi. Aveva paura che quel blocco di vetro dentro di lei potesse incrinarsi nuovamente. Senza aggiungere altro, si incamminò dentro. In fondo quel ragazzo aveva ragione: si sarebbe sicuramente ammalata a stare lì fuori sotto l’acqua. Ashton la seguì, senza ben capire quel che stava succedendo.
Scesero le scale in silenzio, entrambi immersi nei propri pensieri. I loro passi rimbombavano nell’androne, marcando la stranezza di quella situazione tutta particolare.
Il riccio non sapeva davvero che cosa pensare. Quella ragazza, nonostante tutto, lo incuriosiva e non poco, con quel modo di fare contraddittorio e con quegli occhi che lo avevano atterrito con niente. Ancora non sapeva a cosa tutto quello lo avrebbe portato. Eppure non voleva sottrarsi a quella novità. Voleva capire cosa ci fosse sotto, perché aveva la netta sensazione che quella ragazza avesse più cose dentro al cuore di quanto immaginasse. Lo sentiva dentro, anche se no riusciva a spiegarselo bene.
Kay invece stava ancora pensando al perché stesse agendo in quel modo. Era strano da parte sua aver dato retta ad una persona che non conosceva, ancor più strano era il fatto che quella persona fosse un ragazzo. Lasciò perdere e sospirò piano. Ormai aveva smesso da tempo di chiedersi perché la vita facesse accadere determinate cose.
Ashton intanto non aveva smesso di osservarla neppure per un secondo. I capelli scuri avevano già iniziato ad asciugarsi un po’, al contrario dei vestiti che erano ancora bagnati, per non parlare poi delle scarpe. Provò più volte a vederle nuovamente gli occhi, ma la ragazza continuava a tenere la testa bassa, senza parlare.
Il ragazzo non sapeva come mai, ma voleva accertarsi che quello sguardo non fosse vuoto e distante come aveva visto sul tetto. Voleva essere sicuro che quella ragazza stesse bene. Ed era questo ciò che maggiormente lo preoccupava: non si era mai preoccupato così per qualcuno fin dalla prima volta che l’aveva conosciuto. Eppure con quella ragazza mora era successo esattamente il contrario. E non riusciva a spiegarsi come mai.
Arrivarono alla fine delle scale, senza sapere né cosa dire né cosa fare. Rimasero semplicemente lì, in silenzio, con gli sguardi bassi, fissi sul pavimento di linoleum grigio, a torturarsi le punte delle scarpe.
«Perché eri lì?» le chiese ad un tratto Ashton, spezzando quel silenzio assordante, senza rendersi conto di aver appena dato voce ai suoi pensieri.
Kay alzò lo sguardo, trovandosi ad osservare il profilo del riccio. Non si sarebbe mai aspettata una domanda simile, specialmente da quel ragazzo di cui non conosceva neppure il nome.
«Avevo bisogno di rimettere in ordine le idee.» rispose lei, quasi senza pensarci. «Tu invece?»
E questa volta, fu Ashton a rimanere sorpreso per quella domanda. Non sapeva cosa stesse succedendo, eppure quella stana situazione stava cominciando a piacergli, in qualche modo.
«Non lo so.» rispose lui, dopo alcuni minuti. Ed era vero: non sapeva come mai fosse arrivato lì. Aveva solo seguito quella strana sensazione dentro al cuore. E ancora non sapeva se era stata una buona idea oppure no.
Kay annuì, per non sembrare scortese, dato che il ragazzo le aveva dato poco prima della maleducata. Stava iniziando a non sopportare quello strano silenzio tra loro due, solo che non sapeva come continuare la conversazione. Era da così tanto tempo che non parlava con qualcuno al di fuori dei suoi amici e non voleva commettere passi falsi, anche se non capiva ancora bene perché. Sentiva che c'era qualcosa di diverso nell'aria, un qualcosa che la faceva rabbrividire, e non solo per il fatto che avesse i vestiti completamente fradici. 
Fece per parlare, ma proprio in quel momento la campanella suonò, dando la fine alla pausa pranzo. 
I due si lanciarono un'occhiata veloce, senza sapere cosa fare di preciso. 
«Beh, forse è meglio che vada.» disse la mora avviandosi. Infondo non aveva nient'altro da fare lì, specialmente con quel ragazzo che neppure conosceva. Ma non fece neppure tre metri, che una mano la prese piano per il polso e la fece fermare in mezzo al corridoio. 
«Aspetta. Non vorrai mica andare a casa in queste condizioni?» le chiese il riccio, sorprendendo entrambi ancora una volta con il tono preoccupato che avevo usato. 
Lei si voltò appena, sempre evitando che i loro occhi si incontrassero. «Sai, non ho tutto il mio guardaroba nel mio armadietto.» rispose, tornando ad usare quel tono duro e freddo di pochi minuti prima. 
Il ragazzo sospirò. Ma chi glielo faceva fare di comportarsi così con quello ragazza? Scosse la testa, tanto non avrebbe trovato una risposta, e cominciò a camminare verso la parte opposta, trascinando con sé la mora.
«E ora cosa vuoi da me?» chiese la ragazza, esasperata.
A quelle parole, il riccio strinse un po’ di più la presa sul polso della ragazza, continuando a camminare.
«Cerco di evitare che tu ti ammali, stupida.» rispose, esasperato allo stesso modo.
A quelle parole, entrambi rimasero in silenzio, senza riuscire ad aggiungere altro. Nessuno dei due riusciva a capire qualcosa di quella situazione, ma non si facevano domande. Tanto la vita non avrebbe mai risposto.
Kay si lasciò guidare da quel ragazzo che non conosceva. Si lasciò tenere da quella mano grande dalle dita lunghe e affusolate. Lasciò che lui la portasse dove voleva, per i corridoi ancora vuoti, facendo rimbombare i loro passi. Non sapeva proprio cosa pensare. Non riusciva neppure a capire come mai entrambi si fossero ritrovati in quella situazione. Sapeva solo che doveva stare attenta. Quelle piccole crepe sul quel suo blocco di vetro erano ancora lì e, nonostante lei cercasse di non pensarci, facevano male, ogni secondo sempre più di prima, come a ricordarle che il suo cuore era intrappolato, si era rinchiuso lì per non dover sanguinare mai più. E lei sapeva bene che non doveva permettere a niente e a nessuno di maltrattare quel poco che ne restava.
Svoltarono a destra e poco dopo il riccio si fermò davanti ad un armadietto. Una volta aperto, ne tirò fuori una felpa grigia e la porse alla mora, che lo guardò con aria interrogativa.
«Mettila. Non puoi stare tutto il giorno con i vestiti bagnati.» le disse serio, riuscendo finalmente a vedere ancora una volta quei grandi occhi scuri. Sentì un brivido corrergli lentamente lungo la schiena. Perché quegli occhi non avevano quella luce che lui aveva sperato di vederci non c’era.
Kay invece si immobilizzò. Perché non solo quegli occhi verdi screziati da qualche venatura castana erano nuovamente davanti ai suoi, non solo perché lui le aveva appena prestato la sua felpa. Aveva sentito che un’altra piccola crepa si era aggiunta a quel cubo di vetro. E questa volta aveva fatto male, peggio delle precedenti. Le mancava il respiro e la stanza aveva preso lentamente a girare attorno a lei, mentre un senso di vuoto, di freddo, si impossessava di lei, arrivando a toccare ogni più piccola cellula.
«Grazie. Ci vediamo.» riuscì a dire questo a malapena, con la voce che sembrava un soffio, rotta, prima di allontanarsi da lì il più velocemente possibile, per quanto le vertigini potessero permetterglielo.
Ashton non fece in tempo a fermarla, che lei quella volta era riuscita ad andarsene, senza che lui potesse almeno sapere come si chiamasse.
«Ci vediamo, ragazza della pioggia.» disse all’aria, sentendo le labbra che si curvavano in un debole sorriso, a cui il riccio non era particolarmente abituato.
Sospirò e chiuse l’armadietto, prima di avviarsi in classe, con la mente completamente da un’altra parte. Riusciva solo a pensare a quei occhi grandi, di un nocciola molto intenso, scuro. Ricordava ogni singola venatura più chiara che era riuscito a notare di sfuggita in quello sinistro. Ricordava ancora quell’ombra su quegli occhi, quell’ombra che li rendeva vuoti, spenti. Un’ombra che rendeva spenta anche lei.
A quel pensiero, si fermò un istante, non curandosi affatto di trovarsi in mezzo al corridoio, senza che gli insulti ed i commenti degli altri ragazzi gli arrivassero alle orecchie. Ogni sua singola cellula era ancorata a quel pensiero, come se fosse quella la soluzione, come se il fatto che quella ragazza fosse così potesse mettere a posto tante altre cose che fino ad allora erano rimaste in sospeso.
Una spallata di un ragazzo che correva veloce lo fece tornare con la testa per terra. Sospirò di nuovo e scosse il capo. Ma cosa diamine andava a pensare? Lui e quella ragazza non avevano punti in comune, lei non poteva essere… No, impossibile, non si conoscevano neppure! Eppure… Si era ritrovato a fare quelle cose per lei senza una spiegazione logica. Le aveva fatte e basta, solo perché lo aveva sentito dentro, come se ci fosse stato qualcosa nel suo cuore che lo aveva guidato passo dopo passo.
Scosse la testa. Era stato solo un caso, uno stupido caso.
Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle ed entrò in classe, prendendo posto al solito banco in fondo all’aula, lontano come al solito da tutto e tutti.






Letizia
Ciao a tutti signori miei! Oggi è giovedì e, come promesso, eccovi anche il secondo capitolo della storia su Ashton *^*.
Beh, un capitolo alquanto interessante per quello che succede. Insomma, ASHTON CHE PRESTA LA SUA FELPA A KAY!!!!!!!! Cioè, ma ci rendiamo conto di quanto sia dolce questo ragazzo?! Io boh, credo che se lo trovassi nella realtà me lo sposerei (tranquillo Calum, che tanto tu rimani sempre il mio amore immenso, grandissimo e bellissimo *^* <3).
Poi, che altro dirvi? Beh, cosa pensate riguardo al carattere di Ashton e Kay? E di quello che sentono nei confronti e/o a causa dell'altro? Dai dai, fatevi sentire che sono curiosissima! *^*
detto questo, credo che non ci sia altro da aggiungere, per oggi. Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto *^* <3.
E, come la scorsa volta, vi lascio con il solito promemoria per tutti gli aggiornamenti ;).
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- ogni mercoledì aggiornerò Links (finalmente online!!!).

- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggiornerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u
Ripeto, se avete consigli, critiche da fare, pareri da condividere, non esitate a scriverli! A me fa davvero piacere sapere cosa pensate della storia! E state tranquilli, che non ho mai morso nessuno in vita mia, quindi non preoccupatevi ;).
Bene, adesso chiudo davvero qui, sperando in tanti la prossima volta. Grazie di tutto, sul serio, siete meravigliosi! <3
Ci sentiamo presto e scusate per le note chilometriche :'). Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 3
*** 3. Festa ***


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3.
Festa



I capelli mossi dal colore marrone ebano le ricadevano in avanti, incorniciandole perfettamente il viso dai lineamenti dolci. Le labbra un po’ violacee erano curvate con gli angoli all’ingiù. Gli occhi grandi, dal color marrone cioccolato, erano circondati da occhiaie, anch’esse violacee ma più tendenti al nero, come se la ragazza avesse ricevuto due pugni in pieno volto. La carnagione era pallida e al tatto generalmente risultava fredda. Lo sguardo freddo, distante, vuoto.
Era questo che Kay vedeva riflesso sullo specchio di quella grande casa di cui non conosceva il proprietario, che quella sera aveva dato una festa a cui le sue amiche l’avevano portata quel sabato sera.
«Fidati, ti divertirai!» le aveva detto la rossa – Nathalie – tutta eccitata all’idea di andare. Le altre due avevano dato man forte e alla fine Kay aveva accettato. Solo che, se la sua amica riteneva che chiudersi in un bagno per non sentirsi fuori posto rispetto a tutti gli altri adolescenti che partecipavano a quella festa fosse divertente, allora non sapeva proprio più cosa pensare.
Perché la mora era sul serio in un bagno, a cui la musica dal piano sottostante arrivava ovattata. Si era chiusa in quella piccola stanza perché non riusciva ad amalgamarsi agli altri ragazzi. Si sentiva tremendamente fuori posto, inadeguata, come se fosse la pecora nera della situazione, come se il suo essere quello che era, senza emozioni, comportasse anche il non riuscire ad interagire con gli altri. Solo che non riusciva a cambiare tutto quello. Ci aveva provato una volta, quasi un anno prima, a cambiare, a lasciarsi andare solo per un po’. Ma tutto quello che aveva ottenuto era stato un dolore sordo, acuto e forte nel petto, durato settimane, durante le quali quel cubo di vetro si era ispessito sempre più, stringendole il cuore in una morsa che presto l’avrebbe annientata del tutto.
Sospirò, a vedere la sua immagine in quello specchio, il volto di una sedicenne troppo stanco per una della sua età. Era la stessa che vedeva da anni, ormai. Rinunciando a combattere, aveva rinunciato a tutto, compresa se stessa. E questo era il risultato. Non che gliene importasse più di tanto, a conti fatti. Se doveva andare così, sicuramente ci sarebbe stato un motivo ben preciso. Solo che ancora non aveva ben capito quale fosse.
Aprì l’acqua del rubinetto e si sciacquò il viso. Tornò ad osservarsi, ma vedeva sempre la stessa cosa: il viso di una ragazza distrutta, una ragazza fatta a pezzi dalla vita, da tutte quelle prove che le si erano presentante davanti ma che non aveva mai superato, una ragazza distrutta da quegli stessi sentimenti che non aveva mai provato e forse non avrebbe mai conosciuto.
Abbassò lo sguardo e si asciugò, per poi uscire da quella stanza, troppo piccola. Una volta fuori, la musica era così assordante che immediatamente le venne un forte mal di testa. Per non parlare dell’odore del fumo, che subito iniziò a farla tossire. Cercando di restare lucida, si fece spazio tra la calca di gente. Doveva uscire, aveva bisogno di respirare aria pulita. Le ci vollero alcuni minuti, ma alla fine riuscì a trovare la porta a vetri che dava sul giardino posteriore. Ma neppure lì c’era abbastanza tranquillità. Ragazzi seduti a bere, in piedi a ballare, alcuni che gridavano da quanto erano ubriachi, altri sdraiati a terra, svenuti o preda delle droghe.
Kay distolse lo sguardo. Ecco perché odiava le feste: chiunque ci andava voleva dimostrarsi diverso da ciò che era. E la ragazza proprio non capiva che gusto ci fosse, a sembrare più grande, a fumare solo per sentirsi il figo del momento, ad andare a letto solo per “far numero”. Che gusto ci trovasse la gente a volersi così male, lei ancora non lo aveva capito. E sinceramente non le interessava nemmeno. Stava nel suo e faceva il suo, restando quella che era senza paura di mostrarlo agli altri, per quel poco peso che le opinioni altrui avevano su di lei e sul suo modo di essere e di fare.
Camminò un po’ per il giardino, alla ricerca di un posto dove stare da sola, senza che qualcun venisse a disturbarla. Avrebbe tanto voluto tornare a casa, ma non se la sentiva di togliere quel divertimento alle sue amiche, benché l’avessero mollata dopo appena cinque minuti che erano entrate. Però, come dar loro torto, c’erano Michael, Calum e Luke che erano venuti apposta per loro, e la mora non aveva avuto l’intenzione di voler rovinare quel loro momento insieme.
Ecco perché era lì, sola, stanca, e un po’ infreddolita, nonostante le calze e il vestito pesante. Quando l’ennesimo brivido le percorse la schiena, si decise a pescare dalla borsa un qualcosa per coprirsi. Fu così che si ritrovò tra le mani la felpa di quel ragazzo misterioso.
Erano passati tre giorni da quello strano incontro sul tetto. E lei ancora non riusciva a capire niente di quel che era accaduto. Non aveva fatto altro che cercare quel ragazzo sconosciuto per tutta la scuola, per il semplice fatto che voleva rendergli la felpa. Aveva provato a ricordarsi la strada che aveva fatto con lui per arrivare al suo armadietto, ma niente da fare, non era riuscito a trovarlo. Aveva così tante domande da fargli, domande che le giravano in testa senza darle tregua. Perché si era comportato così? Insomma, lei non gli aveva chiesto assolutamente niente. E poi, perché la felpa? Era stato quel gesto a mandarla totalmente in confusione. Non aveva mai incontrato una persona come lui, che si preoccupava subito per qualcuno, senza conoscerlo. Ecco perché voleva trovarlo: aveva bisogno di capire se ci fosse qualcosa sotto. Non si fidava, non l’aveva mai fatto, con nessuno, eccetto con i suoi amici, anche se le ci erano voluti anni per riporre la sua fiducia in quel gruppo di ragazzi un po’ pazzi, ma senza i quali lei proprio non sarebbe riuscita a stare.
Sospirò ed indossò la felpa grigia, sentendosi subito avvolgere da un lieve tepore e da un profumo maschile, mentre un brivido lento le accarezzava la schiena, arrivando a toccare ogni sua cellula, anche quelle più piccole e lontane.
Si sentiva come quando aveva messo quell’indumento per la prima volta.
Quando era corsa via da quel ragazzo, aveva cercato subito un bagno per potersi cambiare. Appena lo aveva trovato, si era chiusa la porta alle spalle, per poi appoggiarci la schiena, mentre cercava di riprendere fiato e provava ad abbassare i battiti del suo cuore, che sembrava volerle uscire dal petto, e le faceva male, perché quel cubo di vetro lo intrappolava così fortemente che avrebbe potuto distruggerlo, il suo cuore, se avesse voluto. Perché quel maledetto cubo era infrangibile e non permetteva a niente di entrare o di uscire.
Era così confusa. Insomma, non è da tutti i giorni trovare un ragazzo che presta la sua felpa per aiutare una ragazza che nemmeno conosce. E Kay proprio non riusciva a capire tutto quello strano interesse verso di lei da parte del riccio. Era tutto senza un senso logico. E non sapeva se fosse un bene o un male.
Si era tolta la maglia ed aveva indossato la felpa. E improvvisamente un calore strano le era nato dentro al cuore, un calore che l’aveva invasa tutta, arrivando ad ogni più piccola parte di lei. E quel profumo le era entrato dentro lentamente, a piccole dosi, quasi volesse crearne una dipendenza.
E anche adesso, a quella festa, si sentiva come se non potesse fare a meno di quell’odore. Non era un profumo di marca, non era neppure dopobarba o shampoo. Era il suo profumo, di quel ragazzo che non conosceva per niente ma che, in un certo senso, la incuriosiva, e neanche poco. E questo la spaventava parecchio perché, nonostante tutto, quello sconosciuto non le era indifferente, per niente.
Aveva guardato bene dal parlarne con le sue amiche. Kay voleva teneva moltissimo a quelle tre ragazze, con cui aveva condiviso praticamente tutto fin da quando erano piccole. Ma le conosceva bene, e sapeva che se avesse raccontato una storia simile, loro non avrebbero fatto altro che riempirla di domande, pur di sapere anche la cosa più piccola. Ma lei le domande che riguardavano la sua vita, di qualunque cosa si trattassero, le odiava. Questa era una cosa di cui era assolutamente certa. Non voleva che le persone conoscessero quel che aveva vissuto e quel le girava nella testa. Aveva paura che, se si fosse aperta un po’ di più del dovuto, quel cubo di vetro avrebbe fatto la sua mossa, ancora una volta, peggio delle precedenti.
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, spostandoseli dal viso. E solo in quel momento si accorse di una figura non lontana da lei, che la osservava con i suoi occhi grandi, molto simili all’oro.
 
Ashton si era ritrovato a quella festa poco dopo le undici. Era uscito per farsi un giro, per le strade deserte di quella grande città a quell'ora della notte. Aveva sentito il bisogno di stare un po' da solo con i suoi pensieri e lontano da casa. Non che non avesse una brutta situazione familiare, anzi, stavano benone, in cinque. Si volevano bene e, nonostante qualche difficoltà, c’erano sempre, tutti per tutti. Solo che lui si sentiva sempre fuori posto, completamente inadeguato, come se tra quelle persone – che gli volevano un bene infinito – non ci fosse spazio per lui, non ci fosse spazio per il suo essere taciturno, per il suo starsene sempre sulle sue, per il fatto che teneva sempre tutto dentro e non si sfogava mai, per il suo contraddirsi continuamente, con i gesti e con le parole.
Era fatto così, Ashton. Era solo, lo era sempre stato fin da quando poteva ricordare. Non aveva mai avuto un vero amico, né all’asilo, né alle elementari, e neppure alle medie. E ora che era alle superiori, aveva la netta sensazione che non ci sarebbe stato alcun tipo di cambiamento.
Però non se ne preoccupava più di tanto. Gli andava bene così, anche se ogni tanto notava quanto fosse importante avere una persona al proprio fianco per sfogarsi, giusto un po’. Non era mai stato bravo a rapportarsi con le persone, anche se amava la compagnia, quando c’era e quando lui non veniva messo in un angolo o ci si nascondeva da solo. Perché Ashton si sentiva inadeguato anche per i suoi coetanei, tutti concentrati su cose che a lui non interessavano più di tanto, lontane anni luce dal suo modo di essere e di pensare.
Aveva camminato senza una meta precisa, lasciando che i suoi piedi – o meglio, il caso – lo portassero dove volessero, per quelle strade poco illuminate e silenziose. E proprio il caso volle che arrivasse davanti a quella casa enorme, da cui aveva sentito subito il volume altissimo della musica. Era entrato. Forse perché era stanco di sentirsi così solo e voleva lenire quel dolore sordo nel cuore almeno per quella sera. Forse perché voleva divertirsi almeno un po' prima di ritornare alla sua vita senza colore, monotona. Tanti forse. Il perché della sua decisione non lo sapeva.
Come ancora non riusciva a capire il perché si fosse comportato in quel modo con quella ragazza mora, di cui non sapeva assolutamente niente, neppure il nome. Insomma, non gli era mai successo di sentirsi così, pronto ad occuparsi di qualcuno nonostante il diretto interessato non volesse, pronto ad aiutare quella ragazza che ne aveva bisogno. Erano stati i suoi occhi a farlo smuovere. Quegli occhi che non riusciva a togliersi dalla testa neppure volendo. Erano passati tre giorni dal loro strano incontro, durante i quali non aveva fatto altro che pensare a lei, chiedendosi che cosa avesse quella ragazza alle spalle per essere ridotta in quelle condizioni. Quegli occhi vuoti, spenti, specchi di un’anima distrutta, lo avevano quasi ossessionato, da quanto ne era rimasto colpito, sorpreso. Aveva letto solo nei libri di occhi così, occhi che non emanavano luce, occhi che non sorridevano, occhi che non esprimevano alcun tipo di emozione. Ma era stato un duro colpo trovarseli davanti nella vita reale, che all’inizio non aveva proprio saputo come comportarsi. Solo che poi l’aveva vista, quella muta richiesta d’aiuto. L’aveva vista in quello sguardo perso, stanco, triste, di quella ragazza che forse non si rendeva conto di star lentamente cadendo a pezzi.
O almeno, questo era quello che Ashton si era ritrovato a pensare in quegli ultimi giorni, sperando di aver sparato solo cavolate. Perché non sapeva come avrebbe potuto reagire se si fossero dimostrate vere.
Aveva bevuto qualche bicchiere di birra, niente super alcolici. Non voleva far preoccupare i suoi, nonostante tutto. Aveva ballato un po’, ma presto si era stancato di tutte quelle persone attorno a lui. Delle ragazze che gli ballavano intorno solo per portarselo a letto. Dei ragazzi che cercavano di abbordare tutte pur di avere la solita sveltina. Delle scommesse e degli shottini. Della droga e delle sigarette. Della musica a palla e delle persone dovunque.
Aveva sentito il bisogno di uscire da lì, di allontanarsi da quella normalità che non riusciva a sentire sua, a cui non riusciva a legarsi, pur provandoci, pur sforzandosi. Non ci riusciva, a stare lì dentro e a mostrare una versione di sé che non sarebbe mai stata la sua.
A stento era riuscito ad uscire, ritrovandosi forse sul retro della casa, non che comunque la cosa potesse interessargli. Si era messo il cappello – ‘ché faceva un freddo cane – e aveva camminato un po’, prima di trovare un posto relativamente lontano dall’abitazione, a cui la musica arrivava attutita grazie agli alberi del giardino. E finalmente era riuscito a tirare un sospiro di sollievo, lontano da quel mondo a cui non sarebbe mai appartenuto, per sua scelta.
Aveva osservato quel cielo invernale coperto di stelle, piccoli punti di luce su quel manto nero e infinito, che lo faceva sentire così dannatamente minuscolo ed impotente ogni volta che si ritrovava con gli occhi puntati verso l’alto, a qualsiasi ora del giorno. Però era bello stare così, a guardare in su, come se in quel modo potesse trovare le risposte che cercava da sempre, quelle risposte a tutte quelle domande che gli ronzavano in testa e lo mandavano sempre in confusione. Si sentiva così piccolo, Ashton, di fronte alla maestria della vita, allo spettacolo della natura, alla bellezza di tutto quel che vedeva.
Ad un tratto, un rumore di passi aveva catturato la sua attenzione e lo aveva fatto voltare. E il cuore gli era balzato in gola in un attimo. Perché non si sarebbe mai aspettato di rivedere così presto quella ragazza mora, soprattutto con indosso la sua felpa. La stessa ragazza a cui non aveva smesso di pensare neppure per un secondo da quando l’aveva incontrata.
Era rimasto a guardarla, in silenzio, come tre giorni prima. L’aveva osservata a lungo, mentre il fiato diventava una nuvoletta davanti al suo viso, mentre la temperatura scendeva pian piano, facendolo rabbrividire, mentre le stelle continuavano a splendere luminose nel cielo, mentre il cuore continuava a battere forte. Si era accontentato di scorgerne i lineamenti dolci del viso solo grazie al chiarore della luna, che quella sera splendeva in modo tutto particolare. Si era permesso di perdersi in quello sguardo stanco. Lo stesso che non riusciva ad andare via dalla sua testa nonostante ci avesse provato più e più volte.
Poi lei si era sistemata i capelli, giusto un istante prima che i loro occhi si incontrassero, di nuovo.






Letizia
Beautiful people, hallo! Oggi mi sento molto inglese/americana, non chiedete perchè ahahah ;).
Anyway, oggi è lunedì e, come da scaletta, sono qui per il primo aggiornamento settimanale di Insegnami a vivere.
Allora, del capitolo credo che semplicemente ci aiuti a capire un po' meglio i nostri due personaggi principali. Soprattutto, a capirne meglio il carattere. 
Perché, anche se non sembra ai loro occhi, gli ASHLIN (Ashton + Kaylin) sono molto più simili di quanto pensano, soprattuto per le loro emozioni (anche se Kay crede di non provarne nessuna).
Spero vi sia piaciuto e spero che mi facciate sapere che ne pensate, non avete idea di quanto mi faccia piacere leggere quel che avete da dire su questa storia, quindi, vi prego, non sentitevi in imbarazzo nello scrivere quel che ne pensate! <3
A proposito di questo, ringrazio chiunque abbia recensito fino ad ora e chi ha messo la storia tra preferite | ricordate | seguite.
E vi ricordo, come al solito, gli aggiornamenti per tutto GIUGNO (scusate sul serio, non è per rompervi le scatole <3):
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- ogni mercoledì aggiornerò Links. (la storia a 4 mani con Nanek finalmente online!)
- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggiornerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u

Grazie mille per ogni cosa sul serio,vi amo troppo! ci sentiamo giovedì!
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 4
*** 4. Cadere ***


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4.
Cadere



Fu un istante. Come se due meteoriti ad un tratto si fossero scontrati. Come il rumore fragoroso di un fiume in piena. Come un lampo subito prima di un tuono. Come la pioggia estiva. Era stato un attimo, sufficiente ad entrambi per rendersi conto di chi avevano davanti.
Ashton sorrise, ringraziando il fatto che la mora non potesse vederlo a causa del buio in quell’angolo di giardino. Sorrideva, perché quella ragazza aveva la sua felpa addosso. Sorrideva, perché quella felpa non stava affatto male su quel corpo longilineo. Sorrideva, perché aveva visto una scintilla, in quei grandi occhi scuri, una scintilla che lo aveva incuriosito ancora di più.
Kay invece non sapeva che cosa pensare. Ritrovarsi così all’improvviso quel ragazzo misterioso le aveva fatto prendere un colpo. Quegli occhi su di lei le avevano fatto prendere un colpo, aprendo una nuova e minuscola crepa su quel cubo di vetro. Solo che quella volta non aveva fatto male, si trattava più semplicemente di un dolore sordo e duraturo, ma sopportabile.
«Ciao, ragazza della pioggia.» disse il ragazzo, salutandola e riportandola sulla terra.
Lei lo osservò per qualche istante. I vestiti larghi e morbidi, i capelli ricci sbarazzini, le mani nelle tasche del cappotto, il cappello calato sulla testa, gli occhi dorati puntati su di lei. Tremò, sotto quello sguardo intenso, uno sguardo che non riusciva a decifrare. Ma fu questione di un istante, prima di tornare ad avere in mano la sua indifferenza, la sua apatia che la accompagnava ormai a tutta una vita.
«Ciao, ragazzo dell’ombrello.» rispose lei allo stesso modo. «Non chiamarmi più in quel modo.» continuò. Non aveva mai sopportato i soprannomi.
Il sorriso di Ashton si allargò ancora di più. Aveva immaginato che la ragazza avrebbe reagito in quel modo, ed era rimasto stranamente e piacevolmente sorpreso di aver avuto ragione.
«Ti sta molto bene la felpa.» commentò, avvicinandosi lentamente senza staccare i suoi occhi da quelli di lei, lei che stava iniziando a sentire qualcosa di strano nel petto, all’altezza del cuore, qualcosa di simile ad una nuova crepa, eppure allo stesso tempo diverso e non molto doloroso.
Neppure Kay non riusciva a staccare gli occhi da quelli del ragazzo. Era come se fossero dei magneti così potenti a cui nessuno poteva sottrarsi, neppure volendo. Però quella volta, non sentiva dolore nel petto ad osservarli, no. C’era qualcos’altro, qualcosa di nuovo dentro di lei, che non faceva male, che le faceva provare un calore tiepido, appena percettibile, all’altezza del cuore. Un calore che, nonostante la sua poca intensità, riusciva a toccare ogni sua cellula, facendola tremare come mai prima di allora era successo.
Si riprese quando notò che il ragazzo misterioso si era ormai fermato davanti a lei.
«Grazie.» riuscì a dire, con un filo di voce.
Ed entrambi sapevano nei loro cuori che quel grazie non era solo per il complimento del riccio.
La mora si sistemò meglio gli occhiali sul naso e sospirò, nascondendo subito le mani nella tasca della felpa, ‘ché stava iniziando a fare freddo e lei non aveva molti vestiti addosso.
«Sei con qualcuno?» le chiese lui, spezzando nuovamente il silenzio tra di loro.
Lei annuì. «Sono, o meglio… Ero con le mie migliori amiche. Però si sono defilate con gli altri. Quindi attualmente sono sola.» rispose, anche se non riusciva a capire come mai quel ragazzo potesse interessare una cosa simile.
A quella risposta, il riccio si ritrovò a sorridere ancora una volta, perché la ragazza non gli si era rivolta con il suo solito tono sgarbato, ma aveva risposto garbatamente. Non sapeva di preciso il perché aveva voluto sapere se era sola o meno. Solo che il fatto che la ragazza lo fosse, lo fece sentire un po’ più leggero, come se ad un tratto una scossa elettrica gli fosse entrata nelle vene, percorrendolo completamente.
Una folata di vento passò per il giardino, e Kay si ritrovò a rabbrividire visibilmente, perché l’aria fredda le era entrata da sotto il vestito. Quella reazione non passò inosservata ad Ashton che «Vuoi entrare dentro o cosa?» le chiese, con quel tono preoccupato che ancora non riusciva a spiegarsi, sorprendendo nuovamente se stesso e la mora, che tuttavia scosse la testa.
«Vorrei tornare a casa, ma l’unica macchina che abbiamo la divideranno gli altri. E le auto non hanno sette posti.» commentò lei, senza riuscire a staccare gli occhi da quei due grandi pozzi dorati, vivaci e così profondi mentre la guardavano, da farla rimanere quasi senza fiato.
Lui annuì e le offrì la mano, che la ragazza osservò con aria interrogativa, non capendo dove il riccio volesse andare a parare con il suo strano atteggiamento.
«E questo cosa significa?» chiese infatti, tornando al suo tono duro e distaccato, puntando nuovamente gli occhi sulla figura del riccio, che deglutì un paio di volte, a causa di quel qualcosa che non riusciva a scacciare dal suo petto e che tornava ogni volta che gli occhi della mora erano su di lui.
«Se vuoi ti accompagno a casa. Tanto stavo comunque per andarmene.» le rispose serio, con quello stesso tono che aveva usato prima di darle la felpa. Un tono che sembrava non voler ammettere repliche ma che non voleva imporre niente a nessuno.
Kay sospirò. Voleva tornare a casa. Era sfinita, i piedi le facevano male, per non parlare della testa che aveva iniziato a girare un po’ a causa di tutta quella confusione. Ma non voleva andare da sola. In fondo, aveva paura a girare per le strade di notte senza qualcuno vicino. Prese il telefono e inviò un messaggio veloce.
Poi, senza rendersene conto davvero, fece incastrare la sua mano a quella del riccio, che le riservò un’occhiata più che sorpresa. Perché si sarebbe aspettato che lei rifiutasse la sua offerta, che gli rispondesse nuovamente con il suo solito tono duro. Ma non aveva preso in considerazione il fatto che avrebbe potuto accettare la sua offerta. E forse fu quello che, finalmente, riuscì a macchiare con una minuscola goccia di colore il bianco della sua vita.
Senza aggiungere niente, si incamminarono, mano nella mano, e presto riuscirono ad uscire dalla proprietà, ritrovandosi a percorrere quelle strade silenziose e male illuminate. Nessuno dei due parlava. Si accontentavano del silenzio attorno a loro, quasi fosse quello il sottofondo giusto per tutto quel che stava succedendo, ma di cui non riuscivano a capire i meccanismi. Le loro mani intrecciate non davano segno di volersi lasciare. Erano strette l’una all’altra, così forte da far sbiancare le loro nocche, eppure senza farsi male. Si accarezzavano con i pollici. Sentivano la pelle dell’altro, liscia, calda, piacevole. E non sapevano minimamente spiegarsi quella strana sensazione che provavano all’altezza del cuore, che pompava veloce nei loro petti.
Ashton non riusciva a staccare gli occhi dalla mora. Ancora non capiva il perché si sentisse così incuriosito da una persona che aveva quel carattere così contraddittorio. Eppure, ne era sicuro: per quell’unico istante era riuscito a scorgere qualcosa, dentro quegli occhi scuri e profondi, era riuscito a vederci un barlume di luce che avrebbe tanto voluto rivedere ancora una volta, perché era stato bellissimo.
Kay invece si stava chiedendo come mai avesse deciso di punto in bianco di seguire il riccio. Non lo conosceva, eppure lo sentiva quasi vicino, in una maniera che proprio non riusciva a spiegarsi, come se quelle dita tra le sue potessero alleviare un po’ quel dolore che si era inflitta da sola quando aveva deciso di chiudere il suo cuore in quel blocco di vetro, che anno dopo anno era sfuggito al suo controllo.
Sospirò. Non voleva pensare cose simili, eppure era così: per proteggersi, si era fatta male da sola. E non sapeva come potersi curare. Non sapeva come vivere, non sapeva come poter provare quelle emozioni mozzafiato sia nel bene che nel male, di cui tanto aveva letto nei libri e che aveva notato in ogni singolo quadro che aveva visto alle mostre a cui era andata.
Il pollice del ragazzo che le accarezzava il dorso della mano la fece tornare con i pensieri per terra.
«Perché fai così?» le chiese lui, non riuscendo a trattenersi. Ashton voleva saperlo, il motivo per cui quella ragazza era quel che era. Lo sentiva dentro che c’era molto di più di quello che la mora volesse far vedere e voleva scoprirlo, anche se il perché gli fosse ancora ignoto.
A quel punto, la ragazza puntò di nuovo gli occhi in quelli dorati del riccio e lo osservò a lungo, senza sentire nessuna nuova crepa formarsi su quel cubo di vetro. Forse tutto era stato solo frutto della sua immaginazione e quelle sensazioni che aveva provato quando il ragazzo le era stato vicino non erano mai esistite. Lo sperò, Kay. Sperò sul serio che tutto quello che aveva provato fosse stato irreale. Forse per paura, forse per insicurezza, forse perché in realtà non le importava. O almeno, era quello che continuava a ripetersi da quando l’aveva conosciuto, per convincersi che tutto fosse solo un caso e che non avesse alcuna importanza. Perché in realtà, nonostante tutto, alle attenzioni di quel ragazzo non era rimasta indifferente, neppure una volta.
«Sono fatta così.» rispose, con voce atona, lasciando poi la mano del ragazzo e continuando a camminare, con le mani infilate nelle grandi tasche di quella felpa che continuava a scaldarla e di cui continuava a sentire il profumo, facendola rabbrividire.
Ashton si passò una mano sulla nuca. Proprio non riusciva a capirla. Un momento era dura, fredda, distante, quello dopo lo mandava completamente in confusione con i suoi gesti. Cosa doveva fare? Ma soprattutto, perché non riusciva a lasciarla andare? Perché voleva capirla?
Sospirò e la raggiunse velocemente, nascondendo le mani in quelle del cappotto e cercando di stare al passo della ragazza, che non aveva alcuna intenzione di alzare nuovamente lo sguardo da terra.
«E tu invece perché lo fai?» chiese Kay ad un certo punto, spezzando il silenzio ancora una volta.
«Sinceramente? Non lo so neppure io. Mi chiedo la stessa cosa da quando ti ho prestato la felpa.» ammise subito il riccio, senza pensarci. Perché alla fine era vero: non lo sapeva il perché del suo comportamento.
A quella risposta, Kay annuì silenziosamente e alzò nuovamente lo sguardo, appena poco prima che i suoi occhi venissero catturati da tutti i particolari della via che stavano attraversando: la panetteria all’angolo dell’incrocio, l’edicola sull’altro lato della strada, il lampione davanti alla libreria che funzionava a intermittenza, lasciando quasi sempre quel pezzo di strada completamente al buio.
Il cuore iniziò a batterle forte nel petto. Non era possibile. Perché ? Perché proprio adesso?
Preferì non pensarci e continuò a camminare, con accanto quel ragazzo di cui non sapeva niente.
Ashton, in tutta risposta, aveva notato il cambiamento, seppur lieve, nello sguardo della mora. Aveva notato quell’ombra più scura e spaventosa che le era passata sugli occhi e l’aveva impaurita. Aveva notato il volto contratto, pensieroso, le mani chiuse a pugno nelle tasche della felpa. Ma non chiese niente. Si limitò ad osservare, a tenersi pronto se per caso lei avesse avuto bisogno di aiuto.
Solo, lasciò che le sue dita andassero a sfiorare la mano della mora, che a quel contatto delicato si rilassò un poco, permettendo al ragazzo di stringerla nuovamente con la sua. E stavolta, a quella stretta più dolce e un po’ timida, Kay rispose allo stesso modo, facendo spuntare un piccolo sorriso sul volto del riccio.
Ma la mente della mora era all’erta. Non voleva passare di lì. C’erano così tante strade che attraversavano quella città. Perché erano capitati proprio in quella? Molti dei suoi ricordi erano legati a quel posto, e la ragazza non aveva alcuna intenzione di fare un tuffo nel passato. Perché avrebbe significato aprire quel cubo di vetro in due, spaccarlo, cosicché le schegge di vetro avrebbero potuto ferire fin nel profondo quel cuore completamente martoriato, distrutto.
Ma tutte le sue preghiere furono vane. Appena svoltarono a destra, la facciata di quella villetta a due piani, con la porta nera, circondata da un grande giardino le si presentò alla vista, facendola fermare completamente, facendola cadere, precipitare in quel vuoto da cui a fatica era riuscita ad uscire durante quegli anni. Il respiro le si mozzò in gola e quel blocco di vetro si spaccò, trafiggendole il cuore con quelle schegge che non avrebbe mai potuto evitare. Si sentì bruciare, tagliare, trafiggere, dalle lame del dolore, che non smettevano di attanagliarle il cuore, che non smettevano di farle male.
A stento riuscì a tenere i ricordi lontani da lei. Se fossero arrivati anche quelli, sarebbe crollata sul serio. E chi avrebbe potuto sorreggerla a quel punto? Chi sarebbe stato in grado di toglierle quel peso dal cuore? Nessuno l’avrebbe salvata, nessuno l’avrebbe aiutata a tornare a vivere. E questo solo perché lei – lo sapeva – non si sarebbe mai lasciata aiutare. Non avrebbe permesso a nessuno di entrare. Aveva sofferto abbastanza e non avrebbe retto ancora una volta a sentire quel cubo di vetro che si ingrossava sempre più, ingozzandosi del suo dolore. Perché quel cubo di vetro non se n’era andato del tutto. Era ancora lì, con numerose crepe, ma era lì, pronto a rimarginarsi e a mettere nuovamente in trappola quel cuore che non ce la faceva più.
Kay rimase lì, ferma, immobile, con gli occhi che le divennero presto lucidi, con il cuore che batteva forte, con i brividi che avevano iniziato a scorrerle su tutto il corpo, con il respiro che sembrava molto più simile ad un lieve soffio di vento, con la testa che non smetteva di pulsare. Non riusciva a muoversi. Era come se il dolore si fosse impossessato completamente di lei, svuotandola di ogni forza che aveva dentro, rendendola completamente vulnerabile. A tutto.
«Portami via.» riuscì a dire a malapena, perché la voce proprio non voleva uscire.
Ashton si rese conto solo in quell’istante che la ragazza non stava bene, per niente. Il tono della voce, rotta e stanca, gli occhi tremendamente lucidi e prossimi al pianto, le labbra tremule e i brividi sul collo. Niente gli passò inosservato, neppure la richiesta che la mora gli aveva fatto.
Annuì e la portò lontano da lì, senza mai lasciarle la mano. E Kay si lasciò guidare ancora una volta, troppo sconvolta per poter pensare lucidamente, troppo stanca per ribattere alle attenzioni del ragazzo.
«Dove andiamo?» le chiese lui ad un tratto, quando arrivarono ad un altro incrocio. Il suo tono preoccupato era ancora lì, dimostrando che il riccio a quella strana ragazza mora stava iniziando a tenere, e neppure poco.
«A destra, poi tutto a diritto fino alla casa bianca. La riconosci subito, è l'unica del quartiere.» rispose meccanicamente la mora, con un tono così lieve e così assente, che fece preoccupare il ragazzo ancora di più.
Le strinse la mano ancora di più, ma lei non se ne accorse minimamente. Continuava ad avere davanti agli occhi l’immagine di quella casa che aveva cercato di evitare per tutti quegli anni, piena di ricordi che erano stati la causa della nascita di quel blocco di vetro attorno al suo cuore. Ricordi che avrebbe preferito dimenticare, una volta per tutte.
Continuarono a camminare, e Ashton non le lasciò mai la mano, neppure per un secondo. Era come se quel semplice gesto riuscisse a tranquillizzarlo almeno un po’, come se tenere quelle dita magre tra le sue potesse dargli la conferma che la ragazza era ancora lì con lui.
Perché aveva paura, Ashton. Aveva paura di quello che sarebbe potuto accaderle se l’avesse lasciata sola, a combattere quel qualcosa che lui non conosceva, ma di cui sapeva di star già vedendo gli effetti. L’aveva vista cadere, pochi minuti prima, quando si era fermata. Aveva visto quegli occhi grandi diventare sempre più spenti. Aveva visto l’ultimo barlume di quella piccola scintilla dentro a quello sguardo profondo andarsene lontano, sconfitta da un qualcosa che lui non conosceva, ma che avrebbe tanto voluto mandar via.
Scosse la testa, ‘ché proprio non voleva pensare in quel modo, e la guardò, sorprendendosi nel vedere che quello sguardo così spento, privo di ogni forza, anche di quella più piccola, era ancora lì, su quegli occhi che secondo lui erano veramente troppo belli per essere così tristi.
«Siamo arrivati.» disse Kay ad un tratto, riportandolo con la mente sulla terra.
Ashton si fermò, senza lasciarla, e vide davanti a sé l’unica casa bianca del quartiere. Ce n’erano alcune con tinte vivaci, altre fatte in pietra, altre ancora in mattoni. Quella piccola villetta spiccava per la sua semplicità, con quel grande giardino ben curato tutt’intorno, con le imposte azzurre come il cielo estivo e l’ampio terrazzo che copriva metà del piano superiore.
Il lampione sotto cui si erano fermati continuava a funzionare ad intermittenza, illuminando male quel pezzo di strada. L’aria era diventata più fredda, e piccole nuvolette uscivano dai loro nasi, ormai completamente congelati a causa della bassa temperatura.
Kay non disse niente. Stava ancora cercando di rimettere in sesto quel che restava di quel suo blocco e del suo cuore, cercando invano di non farsi male. Non sapeva come sentirsi. Era semplicemente svuotata di tutto, fino alla goccia più piccola.
Sospirò e si avviò verso il retro della casa, senza mai lasciare la mano del riccio. Era come se solo quella stretta riuscisse a tenerla ancora ancora a terra, in piedi, a fatica, come un qualcosa di sicuro a cui potersi aggrappare in casi come quello. Quei casi in cui lei cadeva, e non aveva nessuno che la aiutasse. Era vero, però, che la mora non aveva mai accettato l’aiuto di nessuno, perché non voleva né ferire né essere ferita. Tuttavia non riusciva a spiegarsi perché non riusciva a mandar via quel ragazzo di cui non sapeva proprio niente.
Ashton la seguì, senza fare domande, stringendo timidamente quelle dita ormai completamente congelate, mentre il cuore iniziava a battergli forte nel petto, quasi avesse deciso di uscirne completamente.
Arrivarono ad una scaletta che portava direttamente al terrazzo, e il riccio non ci pensò due volte a salire per primo, così da poter aiutare la ragazza a salire a sua volta.
Una volta che entrambi furono sullo stesso piano, la mora andò ad aprire la porta finestra dagli infissi azzurro cielo e, prima di entrare, si voltò verso il riccio, facendo incontrare i loro occhi. «Non lasciarmi cadere.»






Letizia
Bella gente buona sera! Scusatemi l'ora, ma ho avuto qualche problemino prima di aggiornare "Inatteso".
Anyway, adesso sono qui e vediamo di chiacchierare un po' di questo nuovo capitolo, parecchio lunghino ;).
Allora, i nostri due piccini se ne vanno dalla festa e chiacchierano un po'. E poi, passano da un determinato posto, vicino ad una casa. 
Secondo voi come mai la nostra Kay non si sente bene? 
Via via, sbizzarritevi che non vedo l'ora di sapere che vi passa per la vostra testolina ;).
E poi... La frase di Kay e come si comporta Ash con lei? Insomma, io fadbfadkbfkadfkafnlasbflasfn, sclero di brutto a causa di questo due piccini *^*. Povero cuoricino mio *^*.
E beh, a parte che questo capitolo per me è stato un parto assurdo, spero sul serio che vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farmi sapere che cosa ne pensate, anche con 20 parole soltanto.
Giuro che non mordo nessuno! <3
In più, volevo ringraziare chiunque avesse recensito la storia fino ad ora e chi l'ha messa tra preferite | ricordate | seguite.
Grazie davvero per ogni cosa, siete meravigliosi ed io vi voglio troppo bene! <3
Vi ricordo, come al solito, gli aggiornamenti per tutto GIUGNO (scusate sul serio, non è per rompervi le scatole <3):
- ogni lunedì e giovedì (aka, DUE VOLTE A SETTIMANA) aggiornerò Insegnami a vivere.
- ogni mercoledì aggiornerò Links
- ogni giovedì aggiorno pure Inatteso.
- ogni sabato aggiornerò The only reason e Give me love and fill me in, tanto manca poco alla fine di entrambe queste storie u.u

Grazie mille per ogni cosa sul serio, vi amo troppo! ci sentiamo lunedì ;) <3.
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 5
*** 5. Resta ***


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5.
Resta
 
 
 
«Non lasciarmi cadere.»
Quelle tre semplici parole, dette in mezzo a quel silenzio assordante, con un tono di voce così flebile quasi da non essere udito, si marchiarono a fuoco sui cuori dei due ragazzi.
Perché Kay non credeva di aver appena chiesto una cosa simile, specialmente a quel ragazzo riccio. Lo stava facendo entrare e non riusciva a rendersene completamente conto, non riusciva a fermarsi.
Perché Ashton non si sarebbe mai aspettato una richiesta simile, specialmente da lei. Era strana quanto disperata e piena di quel qualcosa da cui non riusciva ad allontanarsi, neppure volendo.
Si guardarono negli occhi a lungo, come se potessero trovare lì la risposta a quelle domande che avevano nella testa, come se fosse lì la soluzione a tutto quel casino che entrambi avevano dentro, come se potessero trovare lì la spiegazione a tutto quel che stava succedendo.
Lei gli tese la mano, che prontamente lui afferrò per farsi condurre dentro, finalmente al caldo.
E quello che vide lo lasciò completamente di stucco.
La parete bianca dietro al letto era ricoperta di foto, di ogni genere. Alla parete opposta era addossata una scrivania in legno chiaro, proprio sotto la grande finestra, chiusa da tende azzurre e fini. Nell’angolo a sinistra, vicino al letto, c’era l’armadio, dalle ante scure, in netto contrasto con l’azzurro della trapunta e del tappeto morbido che ricopriva il pavimento tra il letto e la scrivania. Nell’angolo opposto all’armadio, stava però tutto il meglio: scaffali pieni di libri fino a scoppiare e, cosa più curiosa di tutte, un cavalletto, su cui stava una tela non ancora finita del tutto.
Subito gli occhi dorati del ragazzo vennero proprio attirati dal dipinto e, preda della curiosità, si avvicinò, senza dividere le sue mani da quelle della mora, che gli andò dietro.
«È fantastico.» riuscì a dire solo quello, con voce sincera, preso com’era tutt’ad un tratto ad osservare quel mare in tempesta, un mare che gli sembrava reale, vero, vivo.
Kay gli si avvicinò e depose la tela a terra. La pittura era una cosa che non amava condividere. Il modo in cui le sue mani le facevano vedere la realtà era troppo prezioso perché altri potessero vederlo. Era l’unico modo che aveva per sentirsi ancora con qualcosa dentro, e non come un semplice involucro del dolore.
Il riccio la guardò, non capendo. Ma non fece domande, semplicemente rimase lì, in piedi, ad accarezzare con il pollice quella mano magra, la cui proprietaria sembrava non volersi scostare da quel tocco timido e dolce, tenero e pieno di un calore che non aveva mai provato prima. Le sembrava che quel dolore sordo se ne fosse andato, almeno per un po’, lasciando posto a un qualcosa di nuovo, un qualcosa che non le procurava dolore. Qualcosa che le si era timidamente annidato in un angolo del cuore, per poi non uscirne più.
Solo che era questo a farle paura, prima di tutto. Aveva vissuto per anni con solo il dolore, la tristezza e la solitudine come compagne, benché avesse il suo gruppo di amici. Solitudine perché, nonostante gli anni, non era mai riuscita ad aprirsi con loro. E il fatto di provare cose nuove la destabilizzava completamente, perché non sapeva se aspettarsi qualcosa di buono o addirittura peggiore di ciò che aveva vissuto fino ad allora.
«Non ti lascio, anche se non so come si fa.» le disse Ashton ad un tratto, facendola tornare sulla terra.
A quelle parole lo guardò. E solo in quel momento si rese pienamente conto di quello che stava facendo.
«Scusami.» disse lasciandogli la mano e andandosi a sedere sul suo letto. «Ti ho costretto a venire fin qui con questo freddo. E non ti conosco neppure!»
«Come se io conoscessi te.» commentò il riccio, senza ben capire cosa si stesse smuovendo in lui.
A quella constatazione, la mora alzò nuovamente gli occhi su di lui, quegli stessi occhi che ancora non avevano ripreso la piccola scintilla che avevano perso poco prima.
«Kaylin White.» si presentò, con voce atona, molto più simile ad un lieve soffio di vento.
«Ashton Irwin.» rispose lui sorridendole, finalmente contento di aver saputo almeno il nome di quella ragazza che adesso tanto sconosciuta non lo era più.
«Sappi che non c’è niente da sapere su di me. Niente che tu non abbia già visto.» continuò lei, tornando ad usare quel tono atono che al ragazzo proprio non piaceva.
E lui avrebbe voluto dirle che in realtà aveva notato che c’era molto di più di quello che lei mostrava agli altri, che quegli occhi così tristi dicevano altro, urlavano «Salvatemi!» in silenzio, quel silenzio muto di chi ha sofferto troppo ma che non riesce a lasciarsi andare. Un silenzio che Ashton stesso viveva, nonostante cercasse di non pensarci. Avrebbe voluto dirgliele, tutte queste cose.
Ma si limitò al silenzio e si sedette accanto a lei, che ora era distesa sulla trapunta morbida del letto, con gli occhi chiusi e le labbra distese in un qualcosa di indecifrabile, tra una smorfia stanca o un sorriso abbozzato.
«Scusami, è tardi e ti sto facendo rimanere qui senza un motivo preciso.» disse la mora, passandosi stancamente una mano sul viso. «Non fare neppure caso a quel che ti ho chiesto prima. Non so cosa mi sia peso.»
Ashton la guardò a lungo, prima di stendersi accanto a lei e sospirare piano. 
«Tranquilla, non è poi così tardi. E poi lo avrei fatto volentieri quello che mi hai chiesto.»
«Perché?» la domanda le uscì dalle labbra prima ancora che lei potesse fermarla.
Lui la guardò, a lungo, perdendosi in quegli occhi che lo attiravano come calamite.
Oro nel cioccolato.
Caldo nel freddo.
Vita nell’apatia.
Prima di rispondere, le scostò una mano dal viso e fece nuovamente intrecciare le loro dita, accarezzandole il dorso con il pollice, quasi a volerla cullare con quel semplice gesto.
«Non lo so.» rispose lui, con il sorriso sulle labbra.
«Forse “Non lo so” è il tuo secondo nome. Ci hai mai pensato?» commentò la mora, stendendosi sul fianco, così da essere esattamente di fronte a lui, che non riusciva a smettere di sorridere, con quelle dolcissime fossette vicine agli angoli della bocca.
«Forse.» asserì, passandole la mano libera sul viso per scostarle una ciocca di capelli scuri dagli occhi.
Rimasero così, in silenzio, con i cuori che battevano allo stesso ritmo, senza far male, dando loro un calore che mai prima di allora avevano provato. C’era qualcosa nell’aria, un qualcosa che proprio non riuscivano a spiegarsi, un qualcosa che arrivava a toccare ogni loro parte, anche quella più piccola, lontana e sola. Non sapevano come stavano. Sapevano solo che non avrebbero voluto cambiare niente di quella situazione, per niente al mondo.
Perché Kay non sentiva quasi più quel dolore sordo nel petto. Era come se pian piano se ne stesse andando, lasciando tuttavia che quel blocco di vetro si rigenerasse, lentamente ma incessantemente, per imprigionare di nuovo quel cuore che a sento resisteva.
E perché Ashton non si sarebbe mai aspettato una cosa simile dalla mora. Non avrebbe mai creduto possibile poter stare con lei in quel modo, mentre il suo cuore non riusciva a stargli fermo nel petto. Non capiva il perché si sentisse così bene con Kaylin vicino, benché ancora di lei non sapesse poi molto. Ma voleva conoscerla, questa era l’unica cosa di cui fosse completamente certo.
Lo sguardo della mora cadde ad un tratto sull’orologio sopra la porta che dava sul resto della casa. 01:23.
«Ashton, è davvero tardi. Sarà meglio che tu vada a casa.»
«Solo se tu mi prometti che non chiuderai le tue porte.» disse lui, serio.
Ed entrambi sapevano che non si stava riferendo alle porte di casa.
«Tu come – ?» provò a ribattere la mora, ma il riccio la fermò.
«I tuoi occhi dicono più di quel che vuoi lasciar vedere.» continuò lui, sedendosi sul materasso, senza dar segno di voler dividere i loro occhi.
Kay tremò. Come diamine aveva fatto lui a leggerla, a capire un po’ cosa avesse dentro ancora prima di conoscerla? Come aveva fatto ad entrare così dentro, quando lei aveva aperto le porte del suo cuore solo per un misero spiraglio, da cui filtrava a malapena un lieve e debole fascio di luce?
«Allora resta.» rispose, con voce rotta, mentre il cuore le protestava nel petto e lei iniziava finalmente a capire che solo da quando lui era entrato nella sua vita, lei aveva iniziato a stare meglio, che era grazie a lui se quel cubo di vetro aveva cominciato ad indebolirsi. «Resta, non ora, ma nei giorni che verranno. Resta quando starò male come poco fa. Resta quando ti rispondo male. Resta quando vorrei che tu te ne andassi. Resta quando non ce la farò più. Resta quando avrò bisogno di qualcuno con cui potermi lasciar andare. Resta, perchè sto iniziando a stare meglio, con te.»
La mora lo sapeva bene, che quella domanda era assolutamente senza senso ed egoista, lo sentiva fin dentro le ossa. Eppure, in qualche modo, era riuscita finalmente a dire ciò di cui aveva bisogno. Non che avesse bisogno di Ashton in particolare – forse. Piuttosto le serviva qualcuno che la aiutasse quando quel buoi la inghiottiva e lei non sapeva come tirarsene fuori. E quel qualcuno, tuttavia, lo aveva trovato in quel ragazzo riccio che adesso le sorrideva, mentre i suoi occhi dorati splendevano nella semioscurità della stanza. Lo aveva trovato nel fatto che lui non si era fermato di fronte al suo essere fredda e dura, che l’aveva considerata una persona e non qualcosa di strano, che l’aveva accolta senza neppure sapere chi fosse.
«Resto.» promise lui, prima di lasciarle un lieve bacio sulla fronte, su cui indugiò più del dovuto.
Perché quel contatto era stato più simile ad una scarica elettrica, che si era propagata dentro di loro a velocità supersonica, senza dar tempo di potersene rendere conto. Aveva toccato ogni cosa, riscaldandola, cambiandola, sconvolgendola completamente.
Il riccio si alzò dal letto e fece per uscire dalla stanza, quando Kay lo richiamò.
«Prendi la felpa, non voglio che tu muoia di freddo mentre torni.» gli disse porgendogliela.
Lui guardò quel pezzo di stoffa grigia per un istante, prima di parlare, con voce sincera.
«Tienila, tanto a me non piaceva più.» le rispose sorridendole, prima di sgattaiolare fuori cercando di non far alcun rumore mentre scendeva dalla scaletta e tornava sul marciapiede per proseguire la strada di casa.
 
Kay lo osservò mentre se ne andava, con il cuore che le batteva fortissimo nel petto, facendola fremere. Lo osservò, rapita da ogni suo pass, da quell’andatura tranquilla, con quelle falcate lunghe e pacate, silenziose, che non facevano mai notare la sua presenza nonostante fosse veramente molto alto.
Solo quando lo vide svoltare l’angolo, si rese veramente conto di quel che era accaduto.
Aveva parlato con lui, con uno sconosciuto! Aveva persino camminato con lui a notte fonda! L’aveva fatto entrare, e non solo in casa. Aveva lasciato che entrasse dentro di lei, a piccoli passi. L’aveva fatta stare un po’ meglio, per quanto era possibile curarla da quella stessa malattia che si era creata da sola. Non le aveva fatto pensare a quello che aveva visto in quella via. Le aveva allontanato per un po’ quella casa dalla testa, senza che lei glielo avesse chiesto. L’aveva baciata sulla fronte, senza conoscere assolutamente niente di lei!
Al ricordo, le dita infreddolite arrivarono al punto in cui le labbra del riccio si erano posate su di lei. E sentì una fitta al petto, al sentire quel punto ancora tiepido.
Sospirò e si cambiò velocemente, per poi andare sotto le coperte. Ma il pensiero del ragazzo non l’abbandonava. Ricordava ancora quella strana sensazione che l’aveva attraversata quando lui le aveva stretto la mano, solo pochi minuti prima su quello stesso letto. Percepiva ancora quello strano calore attorno a lei, quasi si fosse stanziato dentro il suo cuore per non uscirne più.
Erano bastati tre giorni e due incontri, eppure tante, tantissime cose erano già cambiate.
«Ashton Irwin, cosa mi stai facendo?»
 
Ashton intanto camminava per quelle vie silenziose e spesso male illuminate dalla luce fioca dei lampioni, mentre l’aria fredda della notte gli entrava attraverso i vestiti facendolo rabbrividire. Avrebbe dovuto accettare la felpa, ma voleva che Kaylin avesse qualcosa di suo, in un modo o nell’altro. Era egoista come pensiero, ma che poteva farci, se quella ragazza lo aveva stregato così tanto, cambiando la sua vita da un giorno all’altro? Che poi, quella domanda, quel «Resta.» che sembrava più una preghiera tenuta nascosta per troppo tempo che non un ordine. Un «Resta.» a cui non aveva voluto sottrarsi, ma che anzi aveva preso come una specie di segno, o di qualsiasi altra cosa che il destino aveva in serbo per loro due.
Ancora non era riuscito a capire quel che stava accadendo.
Sapeva solo che era attratto da Kaylin come dall’ossigeno quando si è sott’acqua.
Sì, quella ragazza lo attirava in un modo che alla fine proprio non si poteva descrivere. Come se gli fosse entrata sotto pelle, marchiandolo in ogni modo possibile. Come se fosse riuscita a toccare quegli angoli nascosti che solo lui conosceva e che aveva paura a far vedere agli altri. Era sempre stato restio ad aprirsi, a lasciarsi andare anche solo per un po'. Eppure lei era riuscita a sconvolgere quasi tutto con solo la sua presenza, perché era riuscita a tirar fuori parti di lui sepolte da tempo. 
Sentiva ancora sotto i polpastrelli la morbidezza di quella nano fredda e affusolata. Poteva ancora ricordare la profondità di quello sguardo spento e freddo, lontano, coperto da un qualcosa che aveva preso posto per tropo tempo, e che lui a breve tanto voluto mandare via, in un modo o nell'altro. 
Svoltò a destra e si stupì nel vedere che non abitavano poi così lontani. L'aveva avuta così vicino per tutto quel tempo. Eppure l'aveva notata solo tre giorni prima. Strano il destino, eh? 
Sgattaiolò dentro, evitando di svegliare i suoi familiari. Una volta in camera, si cambiò ed entro sorto le coperte, finalmente al caldo. 
E poco prima di addormentarsi del tutto, il viso dolce di Kaylin fu l'ultima cosa a cui pensò.






Letizia
E con questo capitolo, la me muore seduta stante. Cioè, voglio dire... MA QUANTO E' DOLCE ASHTON?! No, giuro che potrei seriamente pensare di portarlo via da Kay se continua di questo passo *^*. Povera me, in che condizioni sono messa, ahahah ;D.
Anyway, che altro dirvi? Cominciamo a capire meglio i nostri due protagonisti. E boh, io continuo a piangere per questi due piccolini *^*, non posso proprio farcela!
Spero davvero che questo capitolo nuovo vi sia piaciuto e spero che mi farete sapere quel che pensate, ci conto! ;) <3
Quindi... A presto tesori miei, e grazie per ogni singola cosa! Sul serio, vi adoro! <3
Ci sentiamo giovedì, un bacione, Letizia <3

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Capitolo 6
*** 6. Cambiamenti ***


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6.
Cambiamenti
 
 
 
Il lunedì successivo, al cambio dell'ora, Kay non aveva previsto che Tara, Elen e Nathalie la prendessero in disparte e le facessero il terzo grado. 
«Sbaglio o tu ci devi delle spiegazioni?» iniziò Nathalie, spostandosi i lunghi capelli rosso carota da un lato. 
«Non ho niente da dire.» rispose la mora, chiudendo l'armadietto e avviandosi alla classe di letteratura inglese, con le tre alle calcagna. 
«Come no?! Te ne sei andata così su due piedi, mandandoci solo uno stupido messaggio. Eravamo preoccupati, saresti potuta rimanere con noi.» obbiettò Elen, legandosi i ricci castani in una cosa morbida. 
A quelle parole, Kay si fermò e si voltò verso le sue amiche. 
«El, non sparare cavolate. Sarei dovuta rimanere a fare il settimo incomodo?»
«Non intendevo–» tentò di dirle la castana, ma la mora non la fece finire.
«Sono stata quasi tutto il tempo in bagno. E voi non vi siete neppure degnate di venirmi a cercare.»
Le ragazze abbassarono lo sguardo. In fondo la loro amica aveva ragione. 
«Ciò non toglie che te ne sei andata da sola!» continuò Tara, avvicinandosi a lei. 
«Ma non sono tornata da sola!»
E a quella novità, le tre rimasero letteralmente senza parole. 
Kay si maledì in ogni lingua che conosceva. Aveva parlato troppo, e ora non sapeva come affrontare l'interrogatorio che di lì a poco le sue amiche le avrebbero fatto. Infatti Elen fece per inviare con le domande, ma proprio in quel momento la campanella suonò per dare inizio alla lezione successiva. 
«Noi non abbiamo finito.» commentò Nathalie, prendendo Elen a braccetto e salutando le altre due.
Tara invece si diresse con Kay a lezione, dato che le ore di quella materia le avevano insieme.
«Perché sei rimasta in bagno alla festa?» chiese la bionda, avvicinandosi all'amica. Si conoscevano da sempre, eppure la mora non si era mai aperta con Tara, e questo alla ragazza era sempre andato bene. Almeno fino a che non aveva iniziato a notare che la sua amica non stava mai bene. Ed era questa la cosa che maggiormente la preoccupava, perché non sapeva come aiutarla. 
«Vi ho sempre detto che a me le feste non piacciono.» rispose la mora, ponendo fine al discorso e infilando le mani nelle grandi tasche della felpa scura.
E di nuovo quel suo tono duro e distaccato era tornato, quasi a volerle ricordare che ciò che era successo il fine settimana appena concluso era stato una semplice eccezione. Anche perché Ashton non si era fatto vivo e lei non aveva idea di come rintracciarlo, non avendo il suo numero o un profilo su Facebook. 
Chissà, magari aveva rinunciato a mantenere ciò che le aveva promesso. Dopotutto era una responsabilità che nessuno si sarebbe mai preso. E lei lo capiva, che non se la sentiva, lo avrebbe capito e se ne sarebbe fatta una ragione, come faceva per ogni singola cosa che non andava nella sua vita. 
Entrarono in classe poco prima dell'insegnante, che subito fece l'appello. 
Era quasi arrivato alla fine, quando la porta si aprì rumorosamente, facendo entrare un ragazzo riccio. 
«Irwin, la prossima volta la prego di essere più puntale.» commentò Mrs Cole, mentre il ragazzo si sedeva nell'unico banco rimasto libero. 
«Scusi prof, sono stato trattenuto.» rispose prima di prendere le sue cose dallo zaino e sussurrare un «Buon giorno Kaylin.» alla sua vicina di banco, che era rimasta senza parole appena lo aveva visto entrare.
Lo aveva sempre avuto come compagno di classe, eppure lo notava solo in quel momento. Che strano il gioco del destino, eh? Fa incontrare due persone all'improvviso e sconvolge tutti nella frazione di un secondo. 
«Buon giorno a te.» rispose lei, con la voce simile a un soffio di vento, mentre sentiva il cuore martellarle fortissimo nel petto. 
Non si dissero altro per il resto della lezione. Anche perché presto la mano del riccio trovò quella della mora e la strinse delicatamente, facendo nascere dentro di loro quel calore a cui pensavano da quel sabato sera. 
Rimasero così, chiusi per qualche minuto nel loro piccolo grande mondo. 
E intanto due occhi castani e molto attenti osservavano la scena con interesse. Tara infatti era seduta dietro di loro. E aveva notato tutto, ogni singolo dettaglio, anche quelli non visibili, che le avevano fatto capire ciò che i due ragazzi davanti a lei ignoravano completamente. 
«Ci vorrà tempo, ma sarà bellissimo.» commentò a voce così bassa che nessuno riuscì a sentirla.
 
Le due ore passarono abbastanza velocemente. Kay e Ashton rimasero sempre con le mani intrecciate, ad accarezzarsi piano il dorso con il pollice. C’era tra loro quel calore che ormai stavano imparando a conoscere, in quella stretta, quel calore che riusciva a smuoverli tutti.
Era bello stare così, vicini senza doversi dire niente, accontentandosi di quel poco.
Kay stava… bene? Forse. Forse quello strano ragazzo stava iniziando a cambiare qualcosa. Forse stava iniziando ad indebolire quel blocco di vetro attorno al suo cuore. Forse l’averlo lasciato entrare non era stata una cattiva idea.
Lo aveva osservato a lungo, spesso, durante la lezione, ringraziando il fatto di essere nelle ultime file. E ogni volta si era persa tra quei ricci morbidi, in quello sguardo sereno, tranquillo, che ogni tanto si era posato su di lei facendole battere fortissimo il cuore. Erano intensi quegli occhi verdi screziati di castano, molto più simili all’oro. Intensi e profondi, e lei ci si perdeva, senza paura, senza timore, senza sentire quel cubo di vetro attaccarle il cuore.
Però la mora lo sapeva, che per mandare via del tutto quella prigione in cui si era rinchiusa da sola sarebbe servito tempo, tanto tempo. Ma se tutto iniziava in quel modo, non poteva che sperare in meglio, almeno per una cosa nella vita che finalmente sembrava andare per il verso giusto.
Ashton intanto era ancora scosso. Insomma, neppure lui aveva notato Kaylin durante le lezioni, prima di allora. E ritrovarsela così, all’improvviso, lo aveva sorpreso parecchio. E non sapeva neppure perché le avesse preso la mano. Forse per sentirla più vicina. Forse per dimostrarle che sarebbe rimasto, sempre e comunque, in qualsiasi caso. Forse perché in quei giorni lontano da lei, gli era mancato quel calore che solo le loro mani unite riuscivano a dargli, lenendo quel silenzio sordo e duro nel suo cuore. Forse perché gli era mancata lei, semplicemente.
Qualche volta si era permesso lanciarle qualche occhiata. Ma aveva dovuto trattenersi, perché se non avesse posto qualche freno, era sicuro che non le avrebbe più tolto gli occhi di dosso.
Perché gli occhi scuri di Kaylin – ancora un po’ oscurati da quell’ombra che era diminuita ma che non era ancora sparita del tutto – lo attiravano peggio di due calamite, lo facevano sentire nudo, spogliato di tutto, sotto quello sguardo intenso, indagatore, insicuro.
Il riccio aveva capito che la mora fosse così: insicura e totalmente spaventata, a causa di un qualcosa che lui non conosceva, ma che la lacerava lentamente. Ashton lo aveva capito, da quegli occhi tristi e sempre assenti, dal fatto che nonostante lei cercasse di sembrare fredda e distante, in realtà aveva dentro così tante cose che l’avrebbero fatta risplendere.
E lui voleva che lei tornasse a splendere, a bruciare come una stella. Perché era sicuro che sarebbe stata bella. Non che non lo fosse già. Ma era sicuro che dentro di lei ci fosse una bellezza che non era ancora uscita, bloccata sempre da quel qualcosa che la faceva stare male.
Voleva curarla, Ashton, sì. Voleva curare quel suo cuore distrutto.
 
Quando la campanella suonò, i due si guardarono negli occhi, e Ashton le sorrise, facendola arrossire un po’, mentre si alzavano e uscivano dalla classe, senza dividere le loro mani. Era strano, quel che stavano facendo, eppure non se ne preoccupavano minimante, dopotutto stavano iniziando a stare un po’ meglio, anche se non del tutto.
Era la pausa pranzo e tutti gli altri studenti stavano raggiungendo la mensa il più velocemente possibile. Il riccio fece appena in tempo a far spostare Kay da un lato, prima che un ragazzo che correva le arrivasse addosso. La mora sentì nuovamente quel tenue calore nel cuore, e nascose la faccia ormai completamente bordeaux dentro l’armadietto. Si sentiva in imbarazzo, e proprio non riusciva a capirne il motivo!
«Kaylin, tutto bene?» le chiese Ashton, preoccupato.
A quella domanda, la mora si raddrizzò velocemente, mentre quell’ombra tornava sui suoi occhi e lei non accennava minimamente a rispondere. Lui aspettò paziente, sperando che la ragazza parlasse, ma Kaylin non diceva assolutamente niente, mentre prendeva i libri per la lezione successiva.
«Irwin, lascia perdere. Tanto non ti risponderà mai.» fu quello che gli disse Tara, avvicinandosi all’amica, che la fulminò con un’occhiata, sorprendendola parecchio.
Ashton si voltò verso la bionda, e sbiancò in una frazione di secondo. «Johnson?»
Tara gli sorrise cordiale. «Sono proprio io.»
Il riccio rispose al sorriso stringendo poi la bionda in un abbraccio un po’ goffo. «Quanti anni sono passati?»
La ragazza rise di gusto, rispondendo alla stretta del suo vecchio amico d’infanzia e notando – sorpresa – lo sguardo disorientato di Kay, che li osservava senza sapere minimamente né cosa fare né cosa dire.
«Otto, forse di più.» rispose Tara, sciogliendo l’abbraccio. «Come stanno i tuoi?»
«Non c’è male, grazie.»
E da lì i due cominciarono a parlare un po’ dei tempi passati. Fu così che Kay scoprì che e Tara si erano conosciuti al mare tanti anni prima e che lui non aveva mai conosciuto il resto del gruppo.
«Kay?» la chiamò ad un tratta la sua migliore amica, sventolandole una mano davanti la faccia.
La mora si riscosse. «Scusami, stavi dicendo?»
Tara sorrise. «Vado dagli altri.» le disse prima di avvicinarsi un po’ per poi abbassare il tono della voce.«Io e te prima o poi faremo una lunga chiacchierata su un ragazzo di mia conoscenza.»
E prima che la mora potesse ribattere, lei se ne stava già andando, sgattaiolando via come suo solito.
«Da quanto sei amica di Tara?» le chiese Ashton, poggiandosi all’armadietto ancora aperto, catturando l’attenzione della ragazza, così facendo.
«Da tutta una vita.»
«E scommetto che lei non sa le cose che so io.» constatò l’altro, toccando un tasto che forse non avrebbe dovuto sfiorare, neppure con il solo pensiero. Perché lo sguardo della mora si indurì tutt’ad un tratto. Come si permetteva lui, che la “conosceva” da cinque giorni, di prendere di conoscerla meglio di chiunque altro?
«Tu non sai niente di me. Niente.» disse lei, fredda e dura, come quello stesso blocco di vetro che stava nuovamente prendendo il sopravvento, distaccata, mentre si avviava verso la mensa.
Lui sospirò e le corse dietro, facendola fermare in mezzo al corridoio. «So più quanto tu voglia mostrare a tutti gli altri, perché anche io sono come te!»
Lei lo guardò, senza sapere cosa dire. Perché come al solito era riuscito a sorprenderla, con le sue parole. Perché non aveva ancora incontrato qualcuno che riuscisse a leggerla nello stesso modo in cui ci riusciva lui. Nessuno era mai arrivato così in profondità con lei, andando a toccare parti che solo lei conosceva e che preferiva rimanessero sconosciute agli altri. Ma no, era impossibile che una persona come Ashton non provasse sentimenti, quelli che alla fine si provano tutti i giorni, da quello più lieve a quello più forte. Lui non era come lei, che a malapena percepiva quelle più effimere. A parte il dolore. Quello era tutto ciò che le faceva compagnia, da sempre.
«Anche tu non provi emozioni?» gli chiese, con la voce che ormai sembrava un sussurro.
E Ashton, a quella domanda, rimase in silenzio, sorpreso, basito. Perché si sarebbe aspettato davvero di tutto da lei, che era proprio unica. Ma non questo. Rimase lì, inerme, senza sapere cosa dirle.
«Ci vediamo, Ashton.» lo salutò lei, sospirando, prima di andarsene, e lasciarlo lì.
Cosa aveva creduto, lei? Che lui fosse diverso dagli altri? Che fosse davvero in grado di capire tutto quel casino che lei aveva dentro da anni? No, non avrebbe dovuto sperarci così tanto, non avrebbe dovuto lasciarlo entrare fin da subito. Lo sapeva che si sarebbe fatta male, in un modo o nell’altro, perché tanto le persone attorno a lei avevano sempre quest’effetto. E lo sentiva, che a quei pensieri, quel blocco di vetro si stava rigenerando, più forte di prima, cibandosi di quella tristezza che le nasceva nel cuore.
Fece per svoltare l’angolo del corridoio, quando una mano la prese per il polso e la fece voltare. E per un istante vide due occhi dorati, dispiaciuti e stanchi, prima che due braccia forti la stringessero in un abbraccio.
Ashton le era corso dietro perché si era reso conto di aver parlato a sproposito. Insomma, lui non conosceva Kaylin quanto Tara, quindi non poteva neppure sapere cosa conoscessero l’una dell’altra. E poi, non era mai stato un tipo che non manteneva la parola data. Si ricordava quel «Resta.», quella richiesta che lui aveva accettato volentieri, perché proprio non riusciva ad allontanarsi da quella ragazza che lo aveva incuriosito davvero tanto. E quella promessa, lui voleva mantenerla, a qualsiasi costo. Voleva che Kaylin tornasse a sorridere, voleva che tornasse a splendere.
E ora eccolo lì, a tenerla forte, a sentirla vicina, a cullarla con le mani sulla sua schiena.
Kay si lasciò stringere, si lasciò sfiorare da quelle mani, che con un semplicissimo tocco riuscivano ad alleggerirle il peso sulle spalle e dentro a cuore, come a voler rallentare, forse addirittura bloccare, la cresciuta di quel blocco di vetro che le toglieva tutto, giorno dopo giorno.
Ma non rispose alla stretta. Sapeva bene che gli abbracci hanno un significato. Questo glielo avevano insegnato bene i libri, i film, e tutti i pomeriggi passati in un angolo, in silenzio, a notare tutto, ad osservare Calum e sua zia Joy che si capivano con poco.
Non rispose perché non sapeva di preciso cosa voler trasmetter con quel gesto a quel ragazzo che, nonostante tutto, stava cercando di mantenere la promessa che le aveva fatto, nel migliore dei modi. Perché presto quel calore che ormai le stava diventando familiare le si insinuò dentro, arrivando molto vicino al cuore, quasi a lambire quel cubo di vetro attorno a quell’organo troppo stanco di combattere. E nuove crepe si formarono, ma non le procurarono dolore, no. Solo, sentì come se pian piano quella prigione si stesse allentando.
Ashton intanto continuava a tenerla stretta, vicina, così tanto da riuscire a sentire il suo cuore che batteva ad un ritmo regolare nel petto. Era piacevole, poter stare così con lei, con il suo profumo a inebriargli i sensi, a fargli battere più forte il cuore, con lei che, senza saperlo, riusciva a farlo stare meglio con poco.
Sentiva come i loro corpi si incastrassero perfettamente l’un l’altro, come se fossero stati fatti per poter stare vicini, ad incastrarsi come due pezzi di un puzzle, a colmare i loro spazi vuoti, ad accogliere le loro imperfezioni in qualcosa di più intenso, vero e profondo.
E non gli importava se non rispondeva, né alle sue attenzioni, né alle coccole, né alle domande. C’era tempo per tutto. Ora ciò che più importava era dimostrarle che lui non se ne sarebbe andato, per nessuna ragione al mondo. E la cosa buffa era che ancora non riusciva a spiegarsi come mai, ma a quella ragazza mora cominciava a tenere sempre di più, ogni giorno che passava la pensava più spesso, e ogni volta il cuore batteva ad un ritmo sempre più frenetico. Lo faceva sentire meno solo, senza neppure rendersene conto.
Ed entrambi lo sentivano, che c’erano cambiamenti nell’aria, che le cose stavano finalmente prendendo una piega diversa, che forse quel che provavano dentro al cuore stava cominciando a perdere la sua forza, stava iniziando a lasciarli respirare. Li stava lasciando più liberi? Forse. Solo il tempo lo avrebbe dimostrato.






Letizia
Ciao a tutti!!! Come state? Spero bene :). Scusatemi, ma per oggi il nuovo capitolo di Inatteso non era pronto :(, spero di riuscire a finirlo entro domenica *^*
Maaa, passiamo a questo capitolo 6, e... I nostri ASHLIN!!! Sono o non sono la cosa migliore del mondo?! Awww, che dolci questi due piccini *^*.
E già qui si inizia a capire un po' meglio Kay e il suo problema: lei non prova emozioni, o almeno, crede di non provarle. Secondo voi è davvero così?
E poi c'è la nostra Tara che forse capisce molte cose prima dei diretti interessati, deheheh. Avrà ragione? Forse... O forse no :P ;).
Adesso scappo e vedo se riesco a finire il capitolo di Inattesoi e scusate ancora.
Grazie di tutto, sul serio, siete meravigliosi, ed io vi voglio troppo bene! <3
A presto, un bacione! Letizia <3

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Capitolo 7
*** 7. Prove ***


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7.
Prove
 
 

«Tu scherzi!» esclamò Calum, incredulo.
Tara negò vivacemente con la testa. «Ti dico che è così, ne sono sicura.»
«Ma non è possibile!» constatò Nathalie, sfiorandosi nervosamente la treccia rossa e sedendosi meglio sul divano, vicino a Luke, che da dopo la festa di sabato sera non aveva fatto altro che starle molto più vicino del solito, rendendola davvero felice. Perché non è da tutti arrabbiarsi un po’ troppo se un ragazzo gira intorno ad un’amica e gli si tira un pungo in pieno viso.
«Beh, secondo me invece era l’ora.» commentò Elen, passandosi la mano tra i ricci per l’ennesima volta, prima di sistemarsi meglio tra le braccia di Calum, che finalmente poteva considerare il suo ragazzo, a tutti gli effetti, dopo mesi e mesi di incertezza, da parte di entrambi, grazie agli eventi della festa del fine settimana da poco concluso. Perché un bacio sul tetto a notte fonda sul tetto, nessuno se lo potrebbe mai dimenticare.
«Concordo con El.» si intromise Luke, stringendo la rossa a sé con il braccio, facendola arrossire.
«Io pure.» lo seguì Michael, senza smettere di giocare con la mano della sua ragazza, che quel pomeriggio era più allegra e di buon umore del solito.
Il moro sospirò, abbattuto e confuso. «Cioè, secondo te tra mia cugina e questo tuo amico c’è del tenero?»
Tara sorrise felice, perché non aveva mai visto Kay così. «Non solo del tenero, c’è qualcosa di più.»
«Ma come fai ad esserne così sicura?» le chiese Nathalie, beandosi intanto di quella mano grande sulla sua spalla, che continuava ad accarezzarla piano.
«Ma non l’hai vista oggi ha pranzo?!» saltò su Elen, facendo spaventare il moro con quei suoi continui sbalzi di voce e di umore. «Scusami Cal. – gli disse, prima di lasciargli un veloce bacio sulle labbra, facendo partire i loro cuori a velocità supersoniche – Dicevo, non avete visto com’era rilassata? Ha pure risposto a qualche nostra domanda.»
«Ora che ci penso è vero.» commentò Calum assorto, ricordandosi la scena a pranzo di poche ore prima. Kay che si era seduta con loro, che aveva chiacchierato un po’ con tutti, senza usare parole dure, senza rispondere male, senza stare in silenzio, con lo sguardo quasi sereno.
«Io però ancora non capisco cosa c’entri questo… Ashton?» domandò nuovamente la rossa, che proprio non capiva come un ragazzo spuntato dal nulla potesse annullare quasi del tutto la durezza di una delle sue migliori amiche. Non ci erano riusciti loro dopo anni che ci provavano, tentativi dopo tentativi, tutti falliti miseramente. E non le tornava che uno sconosciuto fosse riuscito a cambiare qualcosa in… pochi giorni?
Tara annuì, prima di rispondere all’amica. «Avresti dovuto vederli oggi, all’ora della Cole. Avresti dovuto vedere il modo in cui si guardavano, e come si tenevano le mani!»
«Potrà anche essere come dici.» disse Michael, interrompendo tutto il suo entusiasmo. «Ma magari è stato solo un caso, che Kay sia stata meglio oggi.»
Il ragazzo dai capelli colorati aveva infatti notato che Kaylin era stata meno fredda con loro, quel giorno a mensa, eppure stentava a credere che fosse a causa di un ragazzo conosciuto da pochi giorni.
La bionda lo guardò contrariata. «Dici che non conosco la mia migliore amica?»
«Non è che sei tu a non conoscerla.» intervenne di nuovo Luke. «Nessuno di noi la conosce davvero.»
E il peso di quelle parole si scaraventò come un macigno su di loro, rendendo tangibile ciò che avevano sempre cercato di evitare. Perché alla fine, quella frase, li aveva messi davanti la realtà: nessuno di loro aveva mai cercato di conoscere Kaylin, in tutti quegli anni. L’avevano semplicemente accolta tra loro perché, nonostante tutto, a quel gruppo di ragazzi un po’ pazzi, la mora era sempre rimasta simpatica. E ognuno di loro, alla fine, a modo suo, ci si era affezionato, senza conoscerla sul serio. Solo che, non conoscendola, non sapevano proprio come fare per poterla capire e per aiutarla, benché ci avessero provato in ogni modo possibile, anno dopo anno, fallendo ogni volta.
«Io però, voglio le prove!» disse risoluta Nathalie, che aveva sempre avuto poca fiducia nelle parole altrui e necessitava sempre di di vedere con i suoi occhi.
«Allora le avrai, molto presto.» le rispose Tara, risoluta e seria. Perché aveva la netta sensazione che non avrebbero dovuto aspettare poi molto. In più, doveva ancora parlare con Ashton della sua migliore amica. Insomma, ritrovarselo così all’improvviso nella stessa classe, dopo tutti quegli anni, era stata una vera sorpresa, perché a lezione neppure lei lo aveva mai notato, e sapeva che la cosa era reciproca, dato che il riccio in classe si faceva molto spesso gli affari suoi, senza dar peso a chi ci fosse con lui.
Nathalie sorrise e «Lei dov'è?» chiese. 
Calum la guardò per un secondo, prima di sospirare e di rispondere, con voce flebile. «È andata da lei...»
E a quella risposta, il silenzio calò nuovamente su di loro, stavolta per marcare, per ricordare cose che avevano preferito mettere nel cassetto da quelli che ormai erano diventati anni. 
«Quando è stata l'ultima volta?» domandò Elen, accarezzandogli dolcemente la guancia. «Quasi un anno fa.»
E a quella risposta, tutti in quella stanza rimasero in silenzio, ognuno preso a capire e a cercare di non pensarci troppo. Perché quello li aveva segnati tutti, in un modo o nell'altro. 
 
Intanto, in una casa non lontana da quella di Calum, dove si erano riuniti tutti gli altri, Ashton stava cercando di suonare un po’ la batteria, quello strumento con cui riusciva a sfogarsi senza problemi, l’unico modo che aveva per non sentire paura, per non sentirsi solo.
Ci stava provando da quelle che ormai erano diventate ore, ma ancora non era riuscito ad ottenere qualcosa di buono. Aveva la mente concentrata su altre cose. Provò ancora qualche minuti, tastando bene con i polpastrelli le bacchette di legno chiaro e la pelle dei tamburi. Suonò, qualcosa di non troppo rumoroso – per quanto lo strumento potesse permetterglielo – ma non ci fu niente da fare. Sbagliò parecchie parti e alla fine si diede per vinto. Non era la serata giusta per suonare. Allora mise a posto le bacchette e si alzò, ritrovandosi davanti lo specchio dell’armadio.
I capelli castano chiari perennemente in disordine. Le pesanti occhiaie che circondavano i suoi occhi se ne stavano lì da chissà quanti anni e lui non si curava più di tentare di mandarle via. La sua carnagione era sempre più pallida, giorno dopo giorno. Il suo sguardo si spostò sui suoi stessi occhi, caratterizzati da un colore tra il verde brillante ed il castano chiaro. Occhi bellissimi, a volte misteriosi, a volte vivaci, a volte spenti, ma molto spesso duri, freddi, scostanti, schivi. Proprio come lui.
Distolse lo sguardo, stanco di vedere sempre l’immagine di un ragazzo che non stava bene, ma che cercava di non cadere, reggendosi solo sulle sue gambe, senza chiedere aiuto a nessuno. Perché non voleva saperne della pietà degli altri, delle loro occhiate di comprensione, quando in realtà nessuno avrebbe mai potuto capirlo. Perché quel casino che aveva dentro a malapena riusciva a capirlo lui.
Eppure, solo una persona era riuscita a farlo, inconsapevolmente. Una ragazza dai lunghi capelli mori e dai grandi occhi scuri. Una ragazza che aveva incontrato per caso ma che gli era entrata dentro in un modo indescrivibile, come se il cuore di Ashton fosse sempre stato il posto perfetto per Kaylin.
Il riccio sospirò. Quella ragazza era un pensiero fisso e non sapeva ancora se fosse un bene o un male. Dopotutto, non si conoscevano da molto tempo. Quanto saranno stati? Cinque giorni? Non molto in realtà. Eppure, era successo, e in fondo sapeva che, quando era in compagnia di lei, stava meglio, molto meglio.
Fece per andare in cucina a bere un bicchier d’acqua. Ma mentre saliva le scale che dal seminterrato – dove c’era anche camera sua – sentì delle voci provenienti dal salotto, basse, sussurrate. Le riconobbe subito: erano quelle dei suoi genitori. Allora si appiattì alla parete, sperando di non essere visto. Voleva ascoltare, anche sapeva benissimo che origliare le conversazioni altrui non fosse una bella cosa da fare. Ma erano i suoi genitori, ed uno dei pochi modi che aveva per sapere che cosa pensavano era fare esattamente come stava facendo in quel momento, perché loro non gli avrebbero mai detto niente, in nessun caso.
«Io non so più che cosa fare con lui.» sospirò Anne Marie, con voce stanca e affranta.
«Amore, non possiamo farcene una colpa. Ashton non parla mai con noi.» sentenziò serio John.
E a quelle parole, il cuore del ragazzo perse un battito.
Perché lo sapeva di essere strano, sapeva che non era normale comportarsi come si comportava lui, specie alla sua età. Era sempre stato un tipo silenzioso, schivo, diffidente di tutto e di tutti. Non perché avesse subito traumi di qualsiasi tipo quando era più piccolo. Solo che meno dai di te stesso, meno ti fai male. Era questo ciò che pensava, fin da quando era piccolo. Era questo che continuava a ripetersi ogni giorno, tendendo sempre tutti a distanza, i suoi familiari compresi. Era così con tutti.
Eppure Kaylin costituiva la sua eccezione, l’ unica e sola eccezione in quella sua sfiducia verso gli altri. Perchè lo sentiva, Ashton, che di quella ragazza – che sapeva di voler conoscere fino in fondo – poteva fidarsi, senza paura di poter essere ferito. Perché era l’unica con cui i suoi spigoli troppo acuti riuscissero a trovare un giusto posto, senza andare a scontrarsi contro qualcosa che avrebbe potuto far male.
Lui aveva detto che erano simili, perché la tristezza ed il senso di vuoto che aveva notato negli occhi della mora erano gli stessi che vedeva nei suoi occhi, ogni giorno, come a ricordargli quel che era e che non sarebbe mai andato bene a nessuno. Eppure con lei era diverso, parlava lui per primo e si preoccupava per lei, ogni giorno, anche quando erano lontani. Quella ragazza lo stava cambiando, senza accorgersene, e lui la stava facendo entrare, lentamente, anche se ancora non riusciva a capire bene il meccanismo di tutto quel che loro due stavano vivendo.
Ormai aveva perso il filo del discorso tra i suoi genitori, perso com’era a pensare a Kaylin. Sorrise, perché i fondo quella ragazza riusciva a metterlo un po’ di buon umore, con quegli occhi grandi a cui non riusciva a smettere di pensare, neppure per un secondo. Solo, avrebbe voluto sapere se per Kaylin lui contasse qualche cosa. Aveva bisogno di una prova, anche piccolo per capire come comportarsi con lei, perché l’ultima cosa che voleva era infastidirla. Cioè, le stava sempre in torno – e non era proprio da lui – e le dava sempre attenzioni, senza stancarsi mai di starle vicino. Amici veri non ne aveva mai avuti, ma se il rapporto che si stava instaurando con Kaylin poteva considerarsi l’inizio di un’amicizia, Ashton era davvero curioso di sapere dove quel viaggio strano e unico lo avrebbe portato.
Salì le scale e notò i suoi genitori seduti vicini sul divano, intenti a vedere un film alla TV.
«Ciao.» si ritrovò a dire il riccio, quasi senza rendersene davvero conto, come se qualcosa dentro di lui stesse iniziando a voler dimostrare che non era una causa persa e che forse qualcosa da salvare e migliorare c’era ancora. Bisognava solo avere la pazienza di scavare in profondità, dentro quel buio di un cuore diffidente.
A quel saluto, i signori Irwin si voltarono immediatamente verso il figlio,senza nascondere le loro espressioni, totalmente sorprese, incredule. Perché non si sarebbero mai aspettati una cosa simile dal ragazzo, dopo tutti quegli anni che lui aveva passato in silenzio, in un angolo, senza dar fastidio a nessuno.
La donna fu la prima rimettersi in sesto e «Ciao a te, tesoro.» gi rispose con un sorriso sulle labbra, mentre ancora l’uomo osservava il figlio in silenzio, senza riuscire a nascondere la sua immensa sorpresa.
Ashton rimase lì solo per qualche secondo, giusto il tempo necessario per rendersi conto che lui stava iniziando a cambiare, e che quel cambiamento non gli dispiaceva neppure un po’. O forse era che in realtà stava venendo a galla una parte di sé che c’era sempre stata ma che non si era mai fatta viva in tutti quegli anni. Sì, forse quella era l’opzione migliore.
Nessuno dei presenti disse altro. Come inizio andava benone così.
Il riccio sorrise, debolmente, prima di andare in cucina. Perché con Kaylin gli veniva tutto così semplice, mentre in famiglia doveva faticare a fare anche solo un gesto semplice come quello?
Non ci volle pensare, per lo meno non in quel momento, mentre prendeva la bottiglia d’acqua e la portava alla bocca per bere. Solo che ad un tratto, un dolore sordo, proprio dentro al cuore, inaspettato, forte, straziante, gli mozzò il respiro in gola e lo fece quasi piegare in due. Cosa diamine gli stava succedendo? Non fece neppure in tempo a chiedere aiuto per quel qualcosa che gli aveva straziato il cuore, che tutto tornò come prima, in una misera frazione di secondo. Si rimise in piedi a fatica, perché la testa gli girava un po’. Cosa diamine era stato? Non aveva mai provato una cosa simile prima. Un dolore così forte, intenso, insopportabile, agonizzante, da far andare tutto in pezzi. Chi poteva sopportare una cosa simile?
Ma non fece in tempo neppure a darsi le rispose, che un messaggio gli arrivò sul telefono.
E appena vide chi era il mittente, prese la giacca e le chiavi salutando i suoi con un frettoloso «Esco, ci vediamo dopo.» per poi correre fuori il prima possibile. Doveva sbrigarsi.






Letizia
Ciao a tutti bellissimi! Come state?
Allora, che capitolo abbiamo!!!!! Gli amici di Kay che si preoccupano per lei!!! Sono o non sono la cosa migliore del mondo? *^* Teneri che sono!
E poi, cosa più importante di tutte, iniziamo un po' a capire meglio la storia di Ash che, molto semplicemente, non ha alcun tipo di rapporto con i suoi genitori. E già qui iniziamo ad intravedere una delle tematiche delicate che tratterò, perchè per me ilo rapporto genitori - figli è molto delicato.
Spero che vi sia piaciuto e spero che mi facciate sapere che cosa ne pensate *^*.
A presto e grazie per ogni cosa! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 8
*** 8. Silenzio ***


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8.
Silenzio
 
 
 
Quel pomeriggio faceva veramente freddo, molto più freddo rispetto agli ultimi giorni. Le temperature erano scese drasticamente e Kay non aveva fatato altro che rabbrividire da quando era uscita di casa, nonostante il cappello, la sciarpa e il giaccone pesante.  
Il cielo era d'un grigio chiaro e, chissà, magari avrebbe anche potuto nevicare di lì a poco. Kay intanto continuava a camminare, per le vie poco trafficate in quella zona della città, il suo quartiere. Era bello quel posto. Poche case, tutte villette di due, tre piani, ognuna diversa dall'altra. I giardini erano ben curati e anche il piccolo parco della zona veniva tenuto bene dalle persone del posto.
Kay osservò tutto con occhio attento. Le era sempre piaciuta quella zona di Sydney, lontana dal centro e dalla vita frenetica della grande metropoli. Lì i negozianti e i clienti potevano ritrovarsi a parlare per ore di tutto, senza ricevere insulti o brutte parole perché non si muovevano. Era un posto tranquillo, dopotutto.
La mora si sfregò le mani per l’ennesima volta per scaldarsele, prima di rimetterle in tasca, mentre piccoli brividi le attraversavano la schiena a causa del freddo. E intanto continuava a camminare e a notare che non mancava poi così tanto alla sua meta. La panetteria all’angolo dell’incrocio, l’edicola sull’altro lato della strada, il lampione davanti alla libreria che funzionava a intermittenza, a qualsiasi ora del giorno.
La ragazza prese un respiro e continuò a camminare, per poi svoltare a destra, e ritrovarsi davanti quella villetta che aveva rivisto solo qualche giorno prima dopo tanto, troppo tempo.
Era uscita di casa con uno scopo ben preciso, ed era arrivata fin lì per provare a raggiungerlo. Ma non aveva tenuto conto di essere da sola, adesso, ad affrontare tutto quello. Perché non aveva minimamente pensato che rivedere quella casa avrebbe potuto farle quell’effetto devastante, a distanza di tutti quei mesi. Non ci andava dalla primavera del’anno precedente. E ritornarci così, con il cuore ancora chiuso in quel blocco di vetro, con quel dolore che ancora non se n’era andato, con tutte quelle ferite che non erano mai guarite, la mandava in confusione. Non voleva ricordare, non voleva che tutte le immagini del suo passato tornassero per peggiorare la situazione, era già abbastanza la prigione in cui si era rinchiusa e da cui non riusciva – e forse non voleva davvero – uscire. Però aveva bisogno di mettere un punto, di arrivo o di partenza era indifferente. Aveva solo bisogno di sperare che le cose fossero cambiate, anche se ne dubitava fortemente. Non era mai accaduto niente in tutti quegli anni, perché le cose avrebbero dovuto migliorare adesso?
Sospirò e si avviò, con le gambe che tremavano, troppo per poterla sorreggere bene per quei pochi metri che le mancavano, con il cuore che cercava di ribellarsi, di andare via, mentre quel blocco di vetro si rompeva di nuovo, si spaccava ancora, colpendo nuovamente quell’organo troppo stanco con le sue schegge troppo appuntite. Cercò di resistere. Quella volta non c’era Ashton accanto a lei, non c’era nessuno che potesse aiutarla a non cadere. Era sola, davanti a quel dolore che la stava consumando lentamente, secondo dopo secondo, mentre i piedi la portavano davanti a quella porta nera che le avevano fatto varcare tanto tempo prima, forse per non farcela più entrare.
Ingoiò a vuoto e sospirò ancora, scossa da brividi, tremante. Non suonò il campanello: sapeva che chiunque fosse in casa non avrebbe risposto. Quindi tastò il porta ombrelli vicino la porta e ne estrasse un mazzo di chiavi, che usò per aprire, mentre il cuore continuava a protestare, mentre i brividi aumentavano, mentre quel dolore sordo e pungente restava lì, aggrappato al suo cuore e non lo lasciava.
Subito, l’odore dell’aria viziata di quella casa la investì appena vi entrò. Sospirò di nuovo, mentre i suoi occhi si abituavano alla semioscurità del piano terra. I passi scricchiolavano sul parquet. Il silenzio faceva da padrone dappertutto, eccetto per una luce ed un lieve brusio proveniente da una stanza vicina l’ingresso. 
La ragazza si mosse lentamente, cercando di restare tranquilla, con i nervi saldi, mentre il cuore continuava a battere forte. Tutto era rimasto lo stesso.
I muri bianchi, pieni di foto scattate nei momenti più disparati. I mobili in legno ben lucidato e sempre ben tenuto. I libri sparsi in ogni angolo. Lo stereo proprio vicino l'entrata, con accanto pile e pile di CD di musica rock e classica. I soffitti dipinti in un grigio chiaro. Le tende sempre chiuse, per tenere tutto in penombra, per non far entrare la luce. Non era cambiato proprio niente. E l'aria di casa e di benvenuto che quel posto emanava non se n'era mai andata del tutto, ferendola sempre di più ad ogni secondo. 
Kay sospirò piano, cercando invano di placare i battiti del suo cuore, che continuava ad essere sempre più oppresso da quella prigione di vetro.
Passò vicino la cucina e vi si affacciò. E il primo tuffo al cuore arrivò, al vedere le tendine verde chiaro tirate per impedire alla poca luce di entrare, i contenitori colorati sulle mensole, il tavolo grande ornato come al solito con la fruttiera in vetro trasparente. Il ricordo del profumo dei biscotti che si spandeva tra quelle mura, la investì, procurandole un'ondata di nostalgia, per tutto quello che c'era stato nel passato, ma che non avrebbe avuto un futuro, mai più.
Passò oltre, con la testa che stava iniziando a girare e le gambe che non riuscivano più a reggerla. 
Stava iniziando a pensare che andare lì fosse stata una pessima idea. Tutto di quel posto urlava ricordi e faceva tenere a mente che niente sarebbe stato lo stesso, mai più. Però almeno quella prova doveva farla. Doveva assicurarsene. Così forse avrebbe potuto chiudere quel discorso una volta per tutte. O forse niente sarebbe cambiato, e quella ferita sarebbe rimasta sempre aperta, in ogni caso. 
Sospirò e mosse ancora qualche passo, ritrovandosi lo studio sulla sinistra, con i mobili scuri e le mensole piene di vecchi libri e album fotografici, La grande scrivania in ebano era proprio davanti la finestra, coperta dalla tenda bianca, con la poltrona in pelle nera un po’ logora agli angoli. L’odore della carta vecchia, ingiallita dal tempo, si sentiva distintamente in quella piccola stanza, come se fossero passati secolo dall’ultima volta in cui Kay c’era entrata.
La mora si portò una mano sul cuore, che a malapena batteva lieve, oppresso dai ricordi che, nonostante tutto, stavano iniziando a prendere campo. E le immagini del passato la investirono completamente, con il loro peso immane, impossibile da reggere per quelle spalle troppo stanche.
Le feste, le risate, le cene con gli amici ed i parenti, le notti passate ad osservare le stelle o a leggere una storia a letto, i pomeriggi trascorsi a dipingere e a macchiarsi i grembiuli con i pennelli sporchi di colore.
Era bello, prima. Era davvero bella la vita, prima. Fatta di luce, di gioia, di colori vivaci, proprio come quelli dei disegni che la ragazza faceva quando era bambina, ma che si erano sempre più spenti con il tempo, esattamente come lei. Perché pian piano tutto si era fatto più spento, vuoto, non vivo, proprio come lei, come quel suo cuore intrappolato in quel blocco di vetro che era più forte di lei e lo sarebbe sempre stato.
Cacciò indietro le lacrime che stava iniziando a percepire agli angoli degli occhi. Non poteva permettersi di cadere, non adesso che era così vicina alla sua meta. Sapeva che era da stupidi fare una cosa del genere: andare proprio alla fonte del dolore che lacera, che prende tutto e lascia senza forze, agonizzanti, soli, perché nessuno può capire cosa si prova. Eppure lo sentiva, fin dentro le ossa, che aveva bisogno di risposte, per quelle domande, per quei dubbi che lei aveva ma che non conosceva, per quei dubbi e quelle domande che giorno dopo giorno le graffiavano l’anima, avidi di una risposta.
Fece ancora qualche passo, riconoscendo ogni singola foto posta in un quadretto dalla cornice luminosa, in netto contrasto con l’ambiente ormai opposto che quella casa aveva assunto col tempo. Era tutto così triste, silenzioso, desolato. E Kay in quella desolazione ci si ritrovava tutta. Ogni pezzo di lei era legato irrimediabilmente a quella casa, e lo sarebbe sempre stato.
Mosse ancora qualche passo. E solo quando l’oscurità della stanza successiva la prese del tutto, capì di essere arrivata in salotto, l’unica stanza dove la luce era completamente assente, privando quel che restava di quella poca vita che necessitava.
Il cuore le si fermò un attimo, giusto il tempo necessario a scorgere una persona seduta sul divano, illuminata soltanto dalla luce flebile della TV accesa che non emetteva suoni. Notò i capelli scuri e più lunghi dell'ultima volta, gli occhi chiari e stanchi, assenti e cerchiati da pesanti occhiaie scure, le labbra viola per il freddo chiuse in una linea sottile, il viso sempre più magro. Il cuore aveva ripreso a batterle forte e continuava a farle male nel petto, stretto in quel cubo di vetro che secondo dopo secondo diventava sempre più spesso.
Kay esitò ad avvicinarsi. Era passato troppo tempo. Avrebbero parlato? Si sarebbero raccontate quel che era successo nell'ultimo periodo e poi avrebbero chiuso tutti i ponti? Lei avrebbe parlato?
Sospirò piano, cercando di non pensare a quel dolore sordo nel petto che rendeva difficile respirare.
E senza volerlo, i suoi occhi caddero sulla TV accesa. E ciò che vide fu la goccia che fece traboccare il vaso. 
Perché quei video registrati li aveva visti per anni, giorno dopo giorno tanto tempo prima. Ormai li conosceva a memoria, anche se non l’avrebbe mai voluto. E quelle immagini, quei sorrisi, quelle labbra che si muove mute, facevano male, troppo male. Perché non c'era più niente, e quel niente non sarebbe mai cambiato, quel senso di vuoto sarebbe rimasto lì, a graffiare, a incidere quel cuore che non ce la faceva proprio più, mentre quel blocco di vetro sarebbe cresciuto, e con lui sarebbero spariti per sempre i sentimenti da dentro di lei.
Kay si mosse e si sedette sul divano, accanto alla donna, che non emise alcun suono. 
Guardò solo per un istante ancora lo schermo luminoso della TV, quanto bastava per ricordarsi quegli occhi scuri, color cioccolato, così simili ai suoi, che non aveva avuto modo di osservare abbastanza qualche tempo prima. Tempo che non sarebbe tornato, mai più.
Voltò lo sguardo verso la donna, e non si sorprese nel vedere quegli occhi chiari così simili ai suoi scuri nell'espressione vuota, triste, assente, fredda.
«Ciao.» disse la mora piano, con la voce simile a un sussurro quasi inudibile. E aspettò per quelli che ben presto divennero minuti. Ma la donna non rispose. 
«Gli altri stanno tutti bene.» proseguì la ragazza, mentre sentiva che gli le stavano pian piano diventando lucidi e il corpo cominciava a tremare. La donna continuò a rimanere in silenzio. E quel senso di vuoto, di abbandono, prese campo nel cuore della ragazza, facendo ispessire ancora di più quel blocco di vetro.
«Sai, ho incontrato un ragazzo qualche giorno fa.» disse ancora, con la voce sempre più bassa e tremante, mentre le lacrime iniziavano a rigarle lentamente le guance, bruciandole la pelle.
E finalmente, a quelle parole, la donna si voltò, facendo incontrare i loro occhi così diversi eppure simili allo stesso tempo. Occhi, sguardi, di due persone distrutte dallo stesso dolore, che però agiva su di loro in modo differente. 
Kay osservò attentamente quegli occhi chiari, e solo per un istante le sembrò di scorgerci una piccola scintilla, quasi inesistente, che presto venne completamente inghiottita da quell'ombra che aleggiava su quegli occhi stanchi vuoti. Sperò di poter sentire quella voce, almeno una sola volta, prima di uscire da lì. Ma la donna non parlò. Rimase semplicemente ad osservare la ragazza, con i suoi occhi chiari testimoni di tanti anni passati in solitudine, al buio, senza quella luce che necessitava più dell’aria ma che le era stata strappata via improvvisamente, senza darle modo di potersi abituare a quell’assenza che la logorava, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Eppure Kay, anche se la donna non reagiva, sentiva di volerle raccontare di Ashton, di quel ragazzo un po’ strano e gentile, che era entrato nella sua vita senza permesso, sconvolgendola in poco tempo. Voleva parlarne forse perché sentiva che c’era ancora qualcosa a cui aggrapparsi, a cui credere per non affondare. E nonostante il dolore al petto, sentiva che forse, per il momento, era una delle poche cose giuste da fare. In fondo lei aveva diritto a sapere almeno il minimo di quel che le succedeva e di quel che viveva.
«Si chiama Ashton… È strano, sai? Sta con me e si preoccupa di me anche se non mi conosce… E non mi fa mancare…»
Ma non riuscì a continuare la frase, a dire quella parola che avrebbe potuto ferirle entrambe, irrimediabilmente, quella parola che avrebbe potuto benissimo rompere quel filo finissimo e delicato su cui loro due cercavano a fatica di rimanere in piedi.
Altre lacrime le scesero lente sulle guance, rigandole, bruciando, mentre il cuore batteva irregolare a causa di quel blocco che si ispessiva sempre più. Perché era dovuto succedere? Perché era cambiato tutto? E perché era rimasto identico a tanti anni prima?
La donna rimase immobile, senza emettere neppure una parola. Solo, prese la mano della ragazza tra le sue, fredde, magre, deboli, mentre i suoi occhi chiari diventavano lucidi e grosse lacrime iniziavano a scenderle sulle guance. E Kay, a causa di quella stretta tiepida e fragile, dolce, così familiare, a causa di quegli occhi e di quelle lacrime, specchi del loro dolore, sentì che quel blocco di vetro si era fermato, aveva smesso di crescere, mentre piccole crepe iniziavano a formarsi, forse per indebolirlo, anche solo un po’.
Ed entrambe rimasero così, in silenzio, vicine, ma allo stesso tempo lontane. Perché, nonostante le loro mani unite, Kay lo sentiva che tutto era rimasto uguale, che niente era mai cambiato. E, come la primavera precedente, la ragazza lasciò le mani della donna e si alzò dal divano, dirigendosi alla porta, mentre quel blocco di vetro e quel senso di vuoto e di abbandono tornavano ad attaccarle il cuore.
Fece per uscire da quella casa, forse con l’intento di non tornarci più, quando una voce flebile, bassa, dolcissima e stanca si fece sentire, spezzando il silenzio che aveva dominato tra quelle mura per anni.
«Kaylin, torna presto. Per favore.»
E a quelle poche parole, a quella voce dolce e delicata che non sentiva da troppo tempo, la ragazza riuscì solo ad annuire, in silenzio. Perché sembrava che tutt'ad un tratto la sua di voce fosse andata chissà dove. Non si dissero altro, non era il momento. Non si salutarono neppure. Semplicemente, Kay uscì di casa in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle per poi incamminarsi, per allontanarsi il più presto possibile da lì. E mentre i suoi piedi andavano avanti sul cemento dei marciapiedi, il suo cuore cercava di non sprofondare, di restare a galla in quel buio che lo opprimeva, cercava di resistere. Ma non ci riusciva.
Perché quel dolore e dentro, quel senso di vuoto, quel cubo che si spezzava e si rigenerava continuamente, ogni volta più forte e più dolorosamente di prima, lei non riusciva a combatterlo, stanca com'era di avere addosso tutte quelle cose che non riuscivano a farla vivere, che non riuscivano a farle provare emozioni. Conosceva solo il dolore. Le altre le aveva perse da troppo tempo anche solo per potersele ricordare.
Che cosa le era passato per la testa? Andare lì dopo quasi un anno e dopo due giorni che era stata male solo a passarci davanti. Cosa aveva creduto? Che le cose fossero cambiate? Che i ricordi sarebbero rimasti nel loro angolo buio senza uscire? Che il dolore non sarebbe aumentato? Che lei forse avrebbe potuto comportarsi diversamente dal solito? Che le avrebbe parlato?
Sì, forse si era aspettata tutte queste cose. Ma lo sapeva che non avrebbe mai potuto ottenere niente di più. Perché in fondo lo sapeva che per la donna dirle quel «Kaylin, torna presto. Per favore.» le ci era voluta tutta la sua forza. E Kay lo sapeva che non era molto, solo un piccolo cambiamento, che tuttavia aveva fatto ingrandire quel blocco di vetro attorno al suo cuore.
Continuò a camminare, e raggiunse ben presto casa sua. Non entrò dalla porta principale. Sapeva che c’erano i suoi amici in casa, e sinceramente non se la sentiva né di farsi vedere in quello stato né di rispondere alle domande che forse le avrebbero fatto. Aveva solo bisogno di stare sola e basta, per cercare di mettere in ordine le idee e per provare ad abituarsi a quella stretta sempre più forte che quel blocco esercitava.
Salì dalla scaletta ed entrò in camera sua. Si guardò attorno per un istante, prima che i suoi occhi si posassero sul cavalletto in angolo, sulle tele bianche per terra, sul pennelli nel barattolo di vetro, sui tubetti di tempera chiusi nella piccola scatola di legno ludico. E agì, quasi senza pensare.
Si spogliò in fretta e indossò la tuta piena di macchie di colore che usava solo quando dipingeva. Si mise il grembiule e si legò i capelli. Spremette la tempera sulla tavolozza di legno scuro ed intinse il pennello nell’acqua e nei colori per poi iniziare a tracciare delle linee irregolari sulla tela. Non aveva bisogno di una foto da copiare. Ormai quell’immagine che stava dipingendo la conosceva a memoria. Era la stessa che aveva in quella cornice nera sul comodino e che vedeva ogni giorno quando si svegliava.
E mentre i colori pian piano imprimevano l’immagine sulla tela, le lacrime sulle sue guance continuavano a scendere, a bruciare, ed il cuore continuava a battere, sempre più debolmente, a causa di quel blocco di vetro che non voleva andarsene. Ma non ci pensò e dipinse.
Dipinse quel senso di vuoto che la opprimeva, quel dolore che restava, quella mancanza che uccideva. Dipinse quegli occhi chiari che aveva visto poco prima e quegli occhi scuri che non c’erano più. Dipinse bianco e nero, verde speranza e azzurro cielo. Dipinse quel che non c’era più ma che avrebbe voluto fosse rimasto.
E solo quando ebbe finito, si rese conto che quel disegno era troppo, per tutto. Perché le due persone raffigurate sembravano più vere di quanto non fossero in foto, non le sembravano così lontane di quanto non fossero in realtà. E fu quella piccola goccia che fece traboccare quel vaso ormai troppo pieno, di troppe cose non dette, mancanti, che si facevano sentire tremendamente nonostante l’assenza.
Le scappò un singhiozzo. E quel cubo di vetro si spaccò, così forte da farle male, da lasciarla completamente senza respiro. Un dolore fitto, mai provato prima, le prese il cuore in una morsa che sembrava volerlo annientare quel piccolo organo sfinito da tutto. Un dolore che la annientò, per un solo istante, poi andò via, lasciandola agonizzante, stanca, sfinita.
Aveva dipinto perché era l’unico modo che aveva per dare un po’ d’ordine in quella confusione che aveva dentro, per lenire l’assenza anche solo per pochi minuti. Ma non aveva minimamente pensato che dopo avrebbe potuto sentirsi così, annientata.
Aveva bisogno che qualcuno la curasse, che le togliesse almeno per un po’ quel peso immane da dentro. E senza volerlo, le sue mani andarono ai tasti del telefono ed inviarono un messaggio ad un ragazzo dagli occhi dorati e a volte così luminosi da far invidia al sole, perché lui era l’unico che riusciva a sostenerla, in quel qualcosa più grande di lei.
 
Da: Kaylin
Ashton, non lasciarmi cadere, ti prego.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Sono in orario almeno a questa storia, che confusione che faccio :/! Dai che dalla prossima settimana le cose dovrebbero migliorare (?) o almeno credo :").
Ma passiamo a questo capitolo, che per scriverlo mi ci è voluta davvero tutta. Giuro, non ho mai scritto qualcosa di così denso di emozioni e - soprattutto - angst. Spero solo che vi sia piaciuto :3
Allora, che cosa dire? Qui già iniziamo a capire un po' di più la storia di Kay, a grandi linee. Secondo voi, chi è questa donna? Fatemi sapere, che sono curiosa di conoscere le vostre teorie!!!
E poi, non credo ci sia bisongo di commentare oltre, non con il messaggio che Kay invia ad Ash *^*. Piccola che è *^*.
Spero davvero con tutto il cuore che vi sia piaciuto! Ci sentiamoi lunedì!
Grazie per ogni cosa, sul serio, per visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo been! <3
A presto e grazie ancora! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 9
*** 9. Schegge ***


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9.
Schegge
 
 

Ashton se lo ricordava bene quando aveva chiesto il numero a Kaylin, quel lunedì dopo pranzo, appena usciti da scuola. L'aveva aspettata al cancello, poggiato al muretto grigio e basso che delimitava la zona, con le mani che fremevano nelle tasche del cappotto e con il cuore che batteva un poco di più del normale. E le aveva fatto un cenno con la mano quando l'aveva vista varcare l'uscita con il cappuccio calato sula testa come a proteggerla da quel che c'era fuori. Lei non aveva risposto, ma gli si era avvicinata in silenzio, incuriosita dal perché di quel saluto. 
Lui le aveva posto la domanda, senza esitare, con il cuore che batteva lievemente più forte del normale. 
«Così almeno ci troviamo subito, se abbiamo bisogno l'uno dell'altra.» aveva spiegato, mentre le guance gli erano diventate lievemente più rosee e non solo per il freddo. E si era sorpreso a vedere gli occhi della mora spalancarsi per lo stupore. Solo che non avrebbe mai pensato che sarebbe servito così presto. Non avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo di lì a poche ore dopo.
Neppure Kay aveva pensato a quell'eventualità quel lunedì pomeriggio, dopo essere tornata a casa e aver dipinto quel quadro, che ancora continuava a tenerle a mente quello che cercava di nascondere nell'angolo più buio del suo cuore.
Entrambi si ricordavano bene quel lunedì sera, quando Ashton era arrivato a casa della ragazza e aveva salito le scale di corsa per poi fermarsi davanti a lei col fiatone, solo per un istante, giusto il tempo necessario a notare che quegli occhi scuri erano più tristi e più vuoti del solito. E non aveva pensato a niente, il riccio, prima di abbracciarla forte, forse per cercare di alleviare quel peso che Kay aveva dentro. E lei quella volta aveva risposto al l'abbraccio, stringendo delicatamente il riccio a sé. Perché aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno pur di non cadere ancora. 
E si era sorpresa nel percepire un calore più intenso e accogliente di un abbraccio, rispetto a quello tiepido di quando le loro mani erano unite. Il calore di quell'abbraccio sapeva di benvenuto, e per un istante le era sembrato che quel peso sul suo cuore si fosse lievemente affievolito, come se quelle braccia attorno a lei, quella stretta calda e dolce, avesse attenuato il dolore che le provocavano quelle schegge ancora infilate nel cuore. Stava... meglio? Forse. Forse era finalmente arrivato il momento che scoprisse che un abbraccio, dato al momento giusto, può fare tanto, sempre.
E Ashton si era sorpreso a sentire quelle braccia magre, fragili, che lo stringevano debolmente, quasi avessero paura di farlo. Eppure, quel calore che sentiva dentro il petto, era qualcosa di impressionante, e lo sapeva che era solo grazie a Kay se i suoi spigoli troppo acuti stavano iniziando ad ammorbidirsi un po’.
Non si erano detti niente. Semplicemente erano rimasti così, in silenzio, sdraiati sul letto di lei, coperti solo da una copertina blu e morbida, così vicini da essere separati solo da pochissimi centimetri, mentre quel calore più intenso, avvolgente, bello, si propagava tutt’attorno a loro. E loro stavano meglio, davvero meglio.
 
E da quel pomeriggio, erano trascorse tre lunghe settimane. Solo che non erano passate nel migliore dei modi.
Perché Ashton stava iniziando a riavere un “periodo no” a casa, con i suoi, nonostante quel piccolo saluto che, alla fine, non aveva cambiato assolutamente niente. E pian piano il suo buio si sfaldava, si spaccava, e le schegge andavano a conficcarglisi nel cuore. Facevano male, parecchio. E ancora non era riuscito a trovare qualcuno che potesse lenire quel dolore. Non voleva chiedere niente a Kay, non voleva farla preoccupare più di quanto già non fosse. Ma proprio non sapeva con chi parlare, con chi potersi sfogare, anche solo una volta.
E anche Kaylin non stava attraversando un bel periodo. Spesso, durante l’arco della giornata, quel foglio di carta su cui aveva dipinto quella foto le tornava in mente, e lei era era tornata a portarsi sempre il suo album da disegno dietro. Aveva ripreso ad essere schiva, fredda, distaccata, come se tutti quei piccoli cambiamenti dovuti alla presenza di Ashton nella sua vita, non avessero mai fatto alcun effetto.
Entrambi cercavano di restare nel loro piccolo angolo, senza voler far preoccupare troppo l’altro. Non era semplice, anzi, ogni giorno un’ombra sul loro cuore li minacciava sempre di portarli a fondo, senza via d’uscita. E nessuno dei due sapeva come poter uscirne, senza farsi male.
 
Ad Ashton quello stesso giorno non era poi andato diversamente dagli altri. Sveglia alla stessa ora, colazione veloce e scuola. Non aveva incontrato Kaylin mentre andava. Ma non era una novità, facevano percorsi diversi. Lui, quello più veloce, ma a passo tranquillo, camminando davanti quei negozi piccoli e colorati della via. Lei e Calum invece passavano a prendere gli altri del gruppo, quindi per forza di cose facevano un giro quasi opposto a quello del riccio.
La mattinata si era svolta come al solito. Lui, seduto nelle ultime file della classe, poco attento alle parole degli insegnanti e ai suoi compagni nelle varie lezioni. Andava a scuola e studiava solo perché doveva, non perché lo volesse davvero. E, per fortuna, non andava poi neanche così male, anzi.
Solo, il fatto di non avere amici, seri, veri, che lo aspettavano fuori dalla classe, che gli tenevano il posto a mensa, o che facevano notare la loro presenza con piccoli e semplici gesti, lo demoralizzava, perché gli teneva a mente che gli mancava qualcosa, qualcosa di molto importante. Ancora non sapeva ben definire il rapporto che aveva con Kaylin, ma non era abbastanza profondo da farli arrivare a quei punti. Chissà, magari un giorno sarebbero arrivati a finirsi le frasi a vicenda? Oppure a capire l’altro prima di sentire anche solo una parola? Sinceramente, un rapporto così, non gli sarebbe dispiaciuto, specialmente con lei.
Ma Ashton si sentiva ogni giorno più solo, più vuoto. E avrebbe fatto di tutto pur di avere qualcuno che stesse con lui anche solo per cinque minuti ogni tanto. Il problema era che non aveva nessuno con cui parlare, con cui confidarsi almeno un po’. E questo gli faceva male, incideva ferite sempre più profonde sul quel cuore ormai troppo segnato da tutta quella solitudine a cui si era abituato negli ultimi anni.
Sospirò per l’ennesima volta quel giorno, con il cuore completamente a pezzi, mentre vagava a passo lento per i corridoi ormai vuoti della scuola con gli occhi rivolti a terra.
Solo il silenzio gli faceva compagnia e, forse, ad Ashton quel silenzio bastava, almeno quel giorno, per mettere a tacere tutte quelle parole mai dette, quella tristezza sempre repressa. Il silenzio era il suo antidoto per non impazzire, per non essere schiacciato da tutte quelle cose che aveva dentro ma che non poteva, non riusciva a tirare fuori.
Passò distrattamente una mano sugli armadietti e quando la sua pelle tiepida entrò a contatto con il metallo freddo, piccoli brividi invasero il corpo del ragazzo, riportandolo un po’ con i pensieri sulla terra. Allora alzò gli occhi ed incontrò  tutte le locandine colorate e tutti i cartelloni appesi ai muri ad illuminare l’ambiente.
Colore.
Ecco cosa gli serviva nel vita. Gli serviva un qualcosa, o meglio, un qualcuno che fosse disposto a dare un po’ di vitalità al bianco della sua solitudine. Perché essere soli significa essere senza sfumature, senza qualcuno o qualcosa che faccia prendere alle giornate una sfumatura diversa ogni volta.
Ashton sospirò ancora e si passò una mano tra i capelli, con il cuore in frantumi. Si sentiva così solo, senza nessun che potesse capirlo, sorreggerlo, stargli vicino. Perché, nonostante ci fosse Kaylin, lui ancora non era riuscito a lasciarsi andare del tutto con lei.
Continuò a camminare, mentre dentro sentiva pian piano ogni singolo pezzo del suo cuore trasformarsi in polvere, che poi volava via, lasciandolo con sempre meno forze e con sempre meno voglia di vivere. Perché non ce la faceva più a combattere, a trovare una nuova, anche se minima, ragione per sorridere. Stava cedendo a tutto, e la tristezza se ne stava largamente approfittando, prendendo il suo cuore e straziandolo lentamente, come se si divertisse a torturarlo così tanto.
Uscì dall’edificio strascicando i piedi e chiudendosi meglio nel cappotto, a causa del freddo pungente. Si sorprese parecchio nel trovare il cortile completamente deserto e fece per varcare il cancello d’entrata. Ma si fermò quando, da un angolo del giardino, gli arrivarono all’orecchio dei singhiozzi.
Singhiozzi smorzati, che qualcuno stava cercando di coprire, in qualche modo. Singhiozzi che gli trafissero il cuore, perché non aveva mai sentito piangere qualcuno così disperatamente. Ed in quella tristezza, Ashton ritrovò ogni singolo pezzo del suo cuore distrutto. Si rivide completamente in quel pianto che lui non riusciva ad esternare. Forse fu per questo che si voltò e si avvicinò a quella persona accovacciata a terra, con la testa tra le mani ed un album da disegno aperto davanti a sé.
La ragazza gli dava le spalle e non si accorse della sua presenza fino a che Ashton non si chinò per prendere quel disegno che era uscito dall’album. Lo guardò attentamente e rimase ipnotizzato da come quei colori sul quel pezzo di carta risultassero così veri, così vivi, come se gli occhi delle persone raffigurate potessero vederlo davvero, con quelle sfumature azzurre sul viso della donna, e più scure, quasi cioccolato sul viso dell’uomo. E gli sembrò quasi di averli già visti, quegli occhi scuri, da qualche parte, eppure non riusciva a ricordare dove.
Si riscosse dal suo stato di trance, solo quando la ragazza accanto a lui singhiozzò più forte di prima, spezzando quel silenzio assordante attorno a loro. Allora mise il disegno al suo posto e si rivolse a lei.
«Stai bene?»
Non lo chiese per educazione o a causa della circostanza in cui si trovavano entrambi. No. Lo chiese perché sentiva di volerlo sapere veramente, perché sentiva fin dentro le ossa che il suo dolore e quello della ragazza erano lo stesso dolore, quello che lacerava l’anima, il cuore, giorno dopo giorno, lento, inarrestabile, sempre pronto a dare colpi così forti da farli quasi cadere in quel buio in cui nessuno dei due voleva entrare.
A quella domanda, lei alzò lentamente la testa. E alla vista di quella ragazza mora, di quegli occhi color cioccolato, Ashton rimase completamente paralizzato, perché non si sarebbe mai aspettato una cosa simile.
 
Quello stesso giorno neppure Kay stava bene, ma non era una novità. In quei giorni quel dolore forte e sordo nel petto non l'aveva mai abbandonata del tutto. Era sempre lì, in un angolo, pronto ad attaccarla all'improvviso, lasciandola senza respiro, svuotata di tutto. 
Era stanca e non si sentiva forte abbastanza per affrontare tutto. Certo, c'erano Ashton, i messaggi inaspettati e che un po' la facevano sentire meno sola, c'erano i pomeriggi passati insieme, in silenzio, accontentandosi di quel calore tiepido nel petto, c'erano le volte in cui avevano bisogno l'uno dell'altra per non cadere. 
Perché anche Kay l'aveva notato, che neppure Ashton stava bene. Dopotutto, aveva un occhio molto attento, ad ogni minimo particolare, e quegli occhi dorati dall'aria stanca, triste e afflitta non le erano passati inosservati. Uno sguardo perso, freddo, schivo, che ogni tanto si impossessava di quegli occhi così simili al sole e li oscurava, toglieva quella luce che Kay non si stancava mai di osservare, una luce bella, intensa, viva. Tutto il contrario di ciò che mostravano i suoi di occhi, così freddi, distanti, vuoti. 
E intanto quei ricordi ancora restavano lì. Aveva provato a nasconderli, a non pensarci, a far finta che non fossero mai usciti dal loro angolo. Ma non era servito a niente ignorarli. Anzi, così facendo aveva solo peggiorato le cose. Perché ogni volta che tornavano fuori facevano sempre più male.
Neppure il fatto che avesse iniziato a portare nuovamente il suo album da disegno con sé dovunque andasse era un buon segno. Era vero che disegnare l’aiutava a non pensare, a staccare la spina almeno per quei pochi minuti necessari a tracciare il contorno delle figure con la matita. Ma non le faceva bene in quel periodo, perché ogni tratto di matita, ogni colore, automaticamente andava a spaccare e rafforzare allo stesso tempo quel cubo di vetro che le imprigionava il cuore e che lei non riusciva più a mandar via da dentro di sé.
Non stava bene, Kaylin, e ogni giorno che passava era una tortura per la sua anima stremata, per quelle spalle troppo stanche di portare un peso simile. Troppo stanca di non riuscire ad aprirsi con qualcuno, a malapena riusciva ad aprire qualche spiraglio nel suo cuore solo con Ashton, ma neppure con lui era semplice. Niente lo era, e forse mai lo sarebbe stato. Perché lo sentiva l’affetto che i suoi amici, suo cugino, i suoi parenti le davano, ogni giorno, lo sentiva perforarle delicatamente quel cubo di vetro per poi impiantarsi nel cuore per rimanerci e scaldarlo, almeno un po’. Ma questo non aveva mai portato conseguenze per lei, né negative né positive. Era come se Kay fosse un contenitore, che immagazzinava tutto quel che riceveva dall’esterno, ma che non riusciva a fare lo stesso, non riusciva ad esternare se stessa. Non sapeva vivere, sopravviveva e basta, a malapena, a fatica.
Era stanca di tutto, di quel che non sapeva e non riusciva a fare, di quel che mancava alla sua vita, di quel che non c’era più, di tutte le cose che si sarebbe persa perché non sapeva come gustarle, come viverle. Però ci aveva provato, a tirarsene fuori, nonostante tutto. Ci aveva provato davvero a stare meglio, aveva cercato di combattere tutto quel casino che aveva dentro. Ma non ci era riuscita, e anzi, tutti i suoi sforzi, oltre che essersi rivelati vani, le avevano fatto ancora più male.
E intanto tutto restava lì, nel cuore, e lo faceva diventare sempre più pesante, pieno di tutto ciò che più la distruggeva, di tutte quelle cose che segnavano quella parete di vetro in ogni modo possibile, la spaccavano, la graffiavano, la facevano crescere con il dolore che tutto questo le causava.
Era sola, Kaylin, nonostante amici, parenti, nonostante Ashton. Era sola a combattere se stessa, a combattere quella battaglia già persa ma a cui non voleva darsi per vinta. Era sola, perché nessuno avrebbe potuto comprendere tutto quel che sentiva dentro, nessuno avrebbe potuto capirla. Perché non c’era niente da spiegare, perché non c’era nessuna emozione da condividere, nel bene e nel male.
Kay sapeva, lo sentiva, che presto sarebbe rimasta schiacciata da tutto, ma cercò di non pensarci, almeno per quel giorno, per cercare un attimo di tregua. Provò a rilegare quel pensiero nell’angolo più buio e più profondo della sua mente, quel pensiero che pian piano stava prendendo sempre più posto dentro di lei nonostante i suoi sforzi, e varcò l’uscita. Ma fece qualche soltanto passo perché qualcuno, correndo, la fece cadere ed il blocco da disegno che aveva in mano si aprì, mostrandole quel disegno, quello che aveva iniziato a portare sempre con sé, proprio come il suo album. Lo stesso disegno che mai avrebbe dovuto fare, la copia di quella foto che aveva sul comodino in camera sua.
E vedere quelle persone, così felici e sorridenti, con quegli occhi luminosi, pieni, vivi, ma così distanti da lei, le procurò un dolore enorme, un dolore che non aveva mai provato, un dolore che la fece completamente cadere a pezzi, le frantumò l’anima, le bombardò il cuore e le procurò la spaccatura più profonda di tutte in quel suo cubo di vetro, che la ferì senza ritegno, che la lacerò dentro completamente, con le schegge appuntite del dolore, trasformando in polvere quel poco che c’era rimasto.
E mentre tutti gli altri ragazzi facevano a gara per raggiungere il prima possibile le loro abitazioni, Kay rimase lì, inerme, con gli occhi fissi su quel disegno, e con quel senso di vuoto che aveva finito con invaderle del tutto il cuore e l’anima. Non riusciva a staccare gli occhi da quei colori, da quei volti, da ciò che aveva dipinto pur di tenersi a qualsiasi cosa per non cadere. Perché era tutto così difficile, quasi impossibile?
E mentre le lacrime continuavano a rigarle le guance e i singhiozzi a farla tremare forte, a distruggere tutto, Kay non si accorse di una persona che si era avvicinata a lei, fino a che non aveva sentito una voce perforare, scalfire quel muro in cui si era rinchiusa, una voce che aveva fatto ammutolire quel grido muto che sentiva dentro e che la faceva andare alla deriva.
«Stai bene?»
Una voce che avrebbe riconosciuto sempre e comunque, tra la folla, nel mondo. Una voce che già da sola aveva il potere di calmare, anche se di pochissimo, tutto quel che sentiva. La voce dell’unica persona che, anche se non avrebbe capito quel che lei stava passando, non se ne sarebbe andata.
Fu per questo che si voltò. E vedere quegli occhi dorati e preoccupati su di lei, fu come un raggio di sole, che entrava timido dentro di lui e illuminava le poche macerie che restavano.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Allora, come state? E questa vostra estate come sta andando? Spero bene ;).
Allora, passiamo al capitolo nuovo. Che dire questa volta?
Qui si capisce un po' di più il carattere di Kay e, soprattutto, quello di Ashton, piccolo il nostro bambino! *^*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E spero che mi farete sapere quel che ne pensate, lo sapete che ci conto e che mi fa piacere :3.
Detto questo, io chiudo qui, ci sentiamo giovedì con il prossimo capitolo! <3
Grazie per ogni cosa, sul serio, per visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo bene! <3
A presto e grazie ancora! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 10
*** 10. Insegnami a vivere ***


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10.
Insegnami a vivere
 
 

In quel preciso istante, gli occhi color cioccolato di lei entrarono in contatto con quelli dorati di lui.
Due mondi apparentemente distanti, ma accumunati da tante, forse troppe cose, entrarono in collisione, come quella prima volta sul tetto, in quel giorno di pioggia, creando un’esplosione di una portata immensa, quasi infinita, più potente di quando si erano ritrovati a camminare insieme di notte per le vie addormentate.
Ashton si sentì spaesato osservando gli occhi di lei. Erano così belli, con quelle sottili venature dorate, eppure avevano un qualcosa, ancora quell’ombra, che li rendeva opachi, tristi, vuoti, non vivi. Ma c’era qualcosa di più quel giorno, che lo fece preoccupare più delle altre volte. C’erano quegli occhi scuri lucidi e rossi di pianto, c’erano le lacrime che le rigavano le guance, c’era la sua aria distrutta da un qualcosa estremamente più grande di lei, c’era lei che era sola.
Kay, a vedere quegli occhi così simili alla luce, si sentì ancora più spersa, mentre una nuova crepa si disegnava sul suo blocco di vetro. Perché anche se aveva bisogno di qualcuno al suo fianco, non voleva che nessuno la vedesse in quello stato, specialmente Ashton. Perché nessuno l’aveva mai vista piangere. E lei non avrebbe mai voluto che proprio quel ragazzo fosse il primo.
Fu questione di un attimo, quell’esplosione che li colpì in pieno, facendoli vacillare, un attimo, fuggito via troppo velocemente. Perché Kay abbassò presto testa, cercando di nascondere il viso, anche se ormai non ce n’era più alcun bisogno.
«Non lo so.» rispose con voce fioca, dopo secondi che parvero interminabili.
Ashton non si sorprese della risposta, perché forse se lo aspettava da quella ragazza con quegli occhi tristi, persi, soli. E rimase completamente rapito dalla figura davanti a sè. L’aveva riconosciuta subito, Kaylin, grazie a quel colore caldo e intenso, a quella felpa che non aveva voluto indietro, agli occhiali neri che poggiavano sul suo naso. L’aveva riconosciuta subito, appena aveva visto lo stile di quel disegno per terra. Uno stile pieno di vita, che metteva a nudo cose mai dette, cose che nessuno avrebbe potuto capire ma che arrivavano dritte al cuore e ci rimanevano impigliate, come per cercare il posto giusto dove potersi fermare.
Senza che la ragazza gli chiedesse niente, lui iniziò a mettere in ordine tutti gli altri fogli che erano usciti dall’album e, una volta finito, si alzò in piedi e le porse la mano.
«Vieni con me, così ti aiuto a darti una sistemata.»
Lo disse in modo gentile e comprensivo. E fu proprio il modo in cui lo disse, che fece alzare la testa alla mora, che lo guardava confusa. Perché Kay non aveva ancora capito il loro rapporto, fatto di aiuto reciproco benché nessuno dei due avesse mai chiesto qualcosa. Era rispondere a quelle domande mute e assordanti che leggevano negli occhi dell’altro, era dare un appoggio, nonostante fossero entrambi rotti dentro. Però non fece domande. Semplicemente, si aggrappò a quella mano tesa verso di lei, come se fosse la sua ancora di salvezza da quello che stava vivendo, come se fosse la sua unica via di uscita da quel dolore che l’aveva invasa completamente.
Senza dire una parola, si avviarono mano nella mano, con le loro dita che si stringevano timidamente tra loro, ma che comunque si tenevano salde, forti. Perché avevano bisogno di quel calore di cui avevano sentito la mancanza in quei giorni. E perché Kay ed Ashton credevano che, se avessero lasciato la mano dell’altro, sarebbero caduti nuovamente in quel posto senza colori, a cui nessuno dei due voleva fare ritorno.
 
Il mare era leggermente increspato quel pomeriggio, a causa della brezza leggera che tirava . I ragazzi si erano seduti sulla sabbia, non lontano dalla riva, con le scarpe affondate nella sabbia e i brividi che si erano impossessati di loro, agendo spesso sulla loro pelle. E nessuno dei due aveva mai lasciato la mano dell’altro.
Ashton, con quelle dita sottili e fredde a contatto con le sue, si sentiva meglio. E Kay avvertiva meno, seppur in minima parte, quel dolore che le gravava sul cuore. Era questo che quella loro stretta faceva ogni volta: li curava entrambi, curava gli angoli troppo appuntiti di lui e quel cubo troppo spesso di lei.
Da quando erano usciti da scuola, nessuno dei due aveva parlato. Solo che quel silenzio tra di loro stava diventando veramente troppo pesante. E, stranamente, Ashton quel silenzio, in quel momento, proprio non riusciva a sopportarlo. Così alla fine attinse da tutta la sua riserva di coraggio e si rivolse alla ragazza.
«Vuoi parlare un po’?» chiese, cercando di non sembrare invadente.
Kay, sentendo quella voce così vicina a lei, alzò nuovamente lo sguardo da terra.
«Parlare di cosa, se non so cosa spiegarti?» rispose, come sempre dando voce a quello che pensava, e ricevendo un’occhiata perplessa da parte del ragazzo. Perché per Ashton c’era sempre una spiegazione a qualsiasi cosa si provasse, e proprio non riusciva a capire la risposta che la ragazza gli aveva dato.
Kay, intuendo quello che passava per la mente del ragazzo, sospirò e fece in modo che i suoi occhi si puntassero in quelli di lui. E solo in quel momento si rese conto che, quel peso che l’aveva schiacciata fino a poco prima, si era notevolmente diminuito. Non sapeva il perché, ma aveva bisogno che lui capisse, aveva bisogno di renderlo partecipe a tutto quel casino che aveva dentro e che non riusciva a capire lei per prima.
Così prese fiato e parlò, con lo sguardo fisso in quello del ragazzo.
«Io… Non so come dirlo…» si fermò. Era vero. Come avrebbe potuto far capire agli altri tutto quello che le succedeva dentro? Come avrebbero fatto gli altri a capire, a capirla, quando non ci riusciva nemmeno lei stessa? Come avrebbe potuto spiegare quel niente che c’era dentro di lei?
Ashton si intenerì un po’, vedendo l’espressione persa su quel viso stanco. Allora strinse un po’ di più la mano alla ragazza, per aiutarla a tirare fuori quel che aveva da dire. Perché voleva conoscerla, voleva conoscere ogni singola parte di Kaylin, ogni singola sfaccettatura del suo carattere. Perché quelle tre settimane non era state sufficienti per nessuno dei due per aprirsi abbastanza. Eppure, l’altro era entrato ugualmente dentro il loro cuore, senza prepotenza. Ci si era intrufolato timidamente, e si era messo lì, in un piccolo angolo, in attesa di poter fare anche solo un passo in più.
«Dimmi quello che senti, e vediamo se riusciamo a capirci qualcosa in due.» le disse, cercando di smorzare un po’ la tensione. Sperò di vedere un piccolo sorriso sul volto della ragazza, ma questo non accadde, e lui iniziò seriamente a preoccuparsi per lei.
Kay si sorprese alle parole del ragazzo e alla stretta sulle sue dita. Non le era mai successo niente di tutto questo, e non sapeva come comportarsi, cosa dire, cosa fare. Perché non si era mai ritrovata a dover aprirsi così tanto con qualcuno. E questo la spaventava, la spaventava davvero tanto.
La cosa più logica da fare fu però seguire il consiglio. Forse probabilmente, parlandone, le cose sarebbero migliorate, o altrimenti non sarebbe cambiato niente. Perché non sarebbe potuto andare peggio di così, ne era sicura. Aveva toccato il fondo quel giorno, e sapeva che adesso avrebbe potuto, avrebbe dovuto solo risalire quella salita quasi invalicabile.
Allora sospirò, per cercare di mettere in ordine tutta la valanga di pensieri che si attanagliavano nella sua testa, e parlò. Però… «Cosa c’è da spiegare, se non ho mai provato alcuna emozione?»
Ecco qual era il problema più grande da affrontare, l’ostacolo che da sempre la frenava. Era vuota, lei.
Ashton non riuscì a credere alle parole della ragazza, quelle parole dette e udite per la seconda volta dalla stessa persona. Parole incomprensibili, impossibili, impensabili. Perché, nonostante tutto, Ashton sapeva che chiunque poteva provare delle emozioni. «Non è possibile…» sussurrò, ancora incredulo.
Ma Kay lo sentì forte e chiaro e sospirò. Sapeva che non era possibile una cosa del genere, eppure questo faceva parte di lei, e lei non sapeva come poterne uscire. Non si sorprese del commento del ragazzo. Anzi, da una parte se lo aspettava. E questo le confermò che nessuno l’avrebbe mai capita, neppure lui, la persona che sentiva più vicina di tutti in quel dolore che, in un certo senso, accomunava entrambi, anche se per cose differenti. Allora divise le sue mani da quelle del riccio e si alzò in piedi, rabbrividendo, perché quel calore che la mano di Ashton le donava non la scaldava più.
Lui la osservò pensieroso ed incredulo. Non riusciva a capacitarsi che una persona non provasse niente, era impossibile. Non riusciva a credere che proprio lei, proprio Kaylin, potesse stare così male. Aveva notato che aveva qualcosa dentro, quella ragazza, qualcosa che la faceva cadere con poco. Ma non avrebbe mai pensato qualcosa di simile, mai.
«Ashton, non perdere tempo con me. Non sono niente. Lasciami stare, non pensare più neppure alla promessa che mi hai fatto. Lascia che questo pomeriggio, che tutto quello che abbiamo passato insieme sia solo una piccola parentesi da dimenticare. Sul serio, non perder tempo con me, non ne vale la pena.»
Disse questo Kay, prima di allontanarsi dal riccio, senza voltarsi indietro, come a mettere l’ennesimo muro tra lei e il mondo, muro da cui quel suo blocco di vetro poteva trarre forza per farle ancora più male.
Non sapeva come mai, ma parlare di lei, dire quella frase, che raccoglieva tutto quello che era, l’aveva mandata ancora di più in pezzi e le aveva fatto ancora più male, procurandole l’ennesima spaccatura in quel suo cubo di vetro. E sapeva che non aveva senso continuare quel qualcosa che c’era tra di loro. Niente aveva senso, e non volve caricare il ragazzo di un peso che solo lei doveva portare.
Ashton restò per qualche secondo immobile, rimuginando sulle parole della mora. Poi però reagì a quel torpore in cui era caduto e le corse dietro, riuscendo a prenderle il polso.
Lei, sentendo di nuovo quella presa gentile su di sé, si fermò, ma non riuscì a voltarsi.
A questo piccolo particolare però, lui non ci badò, preso com’era a cercare di capire perché stesse facendo tutto questo, per quella ragazza che stava pian piano iniziando a conoscere, ma di cui sapeva poco o nulla, per quella ragazza che aveva sconvolto tutto, che aveva iniziato a levigare gentilmente i suoi angoli troppo spigolosi senza saperlo. Non lo sapeva, Ashton, e sinceramente non gli importava il perché.
Sapeva solo che non voleva lasciarla da sola. Sapeva che voleva starle vicino. Perché non avrebbe sopportato che il pezzo di cuore che lui le aveva dato senza neppure rendersene conto si sbriciolasse perché non ci sarebbe più stata lei a prendersene cura, senza saperlo. Perché Ashton voleva aiutarla.
«Kaylin, non è vero che non provi niente. Come non è vero che dimenticherò quel che pian piano stiamo costruendo. Come non potrei mai far finta di tutto questo. Perché per me tu non sei tempo perso. Anzi, sei forse l’unica persona che mi dimostra che posso servire a qualcosa.» disse serio, convinto più che mai di quelle parole forti e semplici, dirette. Parole che arrivarono a scalfire, a indebolire un po’ quel blocco di vetro dentro di lei che, a sentire il suo nome detto in quel modo, si voltò e tremò sotto quegli occhi seri e profondi.
«E allora dimmi tu cosa provo, perché io non lo so!» esclamò.
E quando percepì delle gocce salate rigarle le guance, si ammutolì. Non aveva mai pianto così tanto in vita sua, ma quelle ultime settimane si erano rivelate un’eccezione, come se quel che sentiva dentro, come se qualcosa che non riusciva a spiegarsi volesse uscire fuori in qualche modo. Solo che quel giorno, piangere due volte nel giro di un’ora, era troppo per lei. E presto ricominciarono i singhiozzi ed il suo corpo, così scosso e stanco, non riusciva a reggere tutto quello che le stava accadendo.
Ashton la guardò per un istante, domandandosi come mai una persona dovesse soffrire così tanto. Perché lui aveva capito che Kaylin soffriva, soffriva da morire. Lo aveva letto in quel corpo sfinito, in quell’aria distrutta, in quegli occhi assenti e vuoti. Però non glielo disse, non glielo spiegò. Semplicemente si avvicinò a lei e la strinse a sé, in un abbraccio caldo e confortante.
E Kay a quell’abbraccio, a quelle braccia che la avvolgevano in modo gentile, a quel ragazzo che stava con lei benché non si conoscessero, si aggrappò di nuovo con tutta se stessa, si aggrappò a quel calore che solo il riccio riusciva a darle, quel calore, quella dolcezza che spianava almeno un po’ tutto quel che aveva dentro, anche se per poco. Perché si sentiva affondare in qualcosa più grande di lei e quel ragazzo era l’unica ancora che in quell’istante aveva a disposizione per salvarsi.
Lui la cullò piano, passandole dolcemente la mano sulla schiena per calmare quei singhiozzi forti che gli laceravano l’anima al solo sentirli. Sperava solo che con quell’abbraccio le cose potessero migliorare, anche se di pochissimo. Aveva agito d’impulso, quando aveva visto in quegli occhi scuri una richiesta di aiuto che non riusciva a venire fuori. E allora aveva risposto. Non voleva che quella ragazza provasse le stesse cose che stava vivendo lui, non voleva che anche lei arrivasse ad annaspare in quel bianco opprimente e vuoto, senza quei colori di cui aveva bisogno. Perché Ashton si rivedeva completamente in Kaylin, nei suoi occhi tristi e spenti, nella sua confusione, nel suo dolore.
 
Rimasero così, l’una tra le braccia dell’altro per minuti che parvero infiniti, a gustarsi un po’ quel calore di cui avevano bisogno, quel calore che pian piano stava lenendo le ferite più piccole. Era piacevole, stare vicini così. E la cosa che un po’ li sorprendeva, era che una cosa simile tra loro accadeva solo quando avevano bisogno di ripararsi a vicenda, e non per prevenire il dolore, anche se in minima parte. Era strano tutto quel che stavano vivendo. Non c’era niente di normale, eppure sapevano che non vi avrebbero rinunciato per niente al mondo, mai. Perché forse una speranza c’era, una speranza da fare propria per combattere e forse sconfiggere quel vuoto che sentivano dentro.
Si divisero lentamente, e Kay puntò i suoi occhi in quelli brillanti di Ashton, che le sorrise e le accarezzò piano una guancia, per mandar via l’ultima lacrima rimasta sulla pelle della ragazza. Lei sentì un calore strano a quel contatto. Un calore simile a quello di un piccolo fuoco ma diverso al tempo stesso. E percepì una nuova crepa nascere nel suo cubo di vetro, perché il calore che Ashton le stava dando era riuscito a spazzar via l’ultimo grammo di quel qualcosa che era annidato nel suo cuore da troppo tempo. Si sentì stranamente leggera, come non lo era da tempo. E non capiva come un semplice tocco del ragazzo davanti a lei potesse portare tutti quei cambiamenti.
Lui, invece, si sorprese di quanto la pelle della ragazza fosse così morbida e fresca. Era riuscito ad accarezzarla qualche volta, con le labbra, con le dita, eppure non ci aveva mai fatto troppo caso. Era una sensazione veramente molto piacevole averla sotto le dita.
«Forse sarà meglio tornare a casa adesso.» disse Kay, interrompendo il silenzio tra di loro, facendo tornare il ragazzo con i pensieri per terra e facendolo annuire. Così si incamminarono e, come se fossero calamite potentissime, le loro mani si cercarono di nuovo e si strinsero, più saldamente di prima. Come se fossero state programmate per stare unite, solo con la mano dell’altro.
Camminarono lentamente, senza fretta e senza dire una parola.
Solo che dentro di loro, mille e più domande nascevano. Perché nessuno dei due sapeva spiegarsi il proprio comportamento e quello dell’altro. Era tutto così nuovo, strano, per entrambi. Non sapevano cosa fare, cosa dire di preciso. Non era semplice quella situazione, per niente. Si sentivano risucchiati in un qualcosa molto più grande di loro e non sapevano come e se sarebbero riusciti ad uscirne.
Ashton si stava scervellando, per trovare una soluzione al problema di Kaylin, ma non ci riusciva. Era un qualcosa fuori dalla sua portata. Però voleva aiutarla a farla stare meglio, sapeva che era la cosa giusta da fare, forse l’unica cosa giusta in vita sua che avrebbe potuto fare al momento giusto… In fondo, provare non costa niente. Allora si fece coraggio e, preso un lungo respiro, diede voce al suo turbine di pensieri.
«Ma non provare emozioni, alla fine, significa “non vivere”?» chiese. Era quello il suo chiodo fisso, da quando la ragazza aveva detto quella frase. Perché proprio non riusciva a spiegarsi una cosa simile, neppure volendo.
Lei lo guardò a lungo, indecisa se rispondere o meno, se aprirsi così tanto oppure restare nel suo blocco di vetro che si ingrossava ogni secondo. Fu la sincerità che vide in quegli occhi dorati e vivi che le fece cambiare idea. Perché alla fine, Ashton se le meritava, le spiegazioni, per quanto lei potesse spiegare quel che non c’era dentro di lei. Cercò le parole migliori per farsi capire e alla fine rispose.
«In un certo senso sì. Infatti io non vivo. Sopravvivo. E la cosa è ben diversa.»
Quelle parole confusero ancora di più Ashton che, più cercava un modo per volgere al meglio la situazione, più trovava ostacoli da superare. Solo che non si sarebbe dato per vinto, come faceva di solito al primo problema e lasciava andare tutto. No, quella volta avrebbe dato tutto quel che aveva, pur di farla stare bene, ne era sicuro. Non si sarebbe dato per vinto, non quella volta.
In compenso, Kay sentì quel peso che le gravava sulle spalle affievolirsi ancora un po’, mentre il blocco di vetro iniziava finalmente a fare un po’ marcia indietro. Forse, alla fine, spiegare a quel ragazzo il casino che c’era in lei la stava aiutando ad affrontare quel che da sola non sarebbe mai neppure riuscita a mandar via, neppure per qualche minuto.
Spostò lo sguardo su Ashton. E si rese conto davvero che le cose avevano iniziato a prendere una piega diversa da quando le loro vite si erano incontrate, cambiando irrimediabilmente tutto. E allora decise di buttarsi in quel qualcosa che era nato quando i loro occhi si erano incontrati su quel tetto, sotto la pioggia, un qualcosa di sconosciuto, strano, diverso, nuovo. Un qualcosa che Kay voleva provare ad affrontare, a sentire suo, anche se non sapeva né come né dove l’avrebbe condotta
«Però non è semplice, sai… Mi sento vuota e non riesco a capire niente di quello che provo… Dentro di me c’è solo un grande casino che non riesco mai a capire… E tu non hai idea di quanto sia stancante e dura vivere senza conoscere se stessi neppure un po’…»
Altre parole che avevano nuovamente rotto il silenzio, altre parole che avevano chiarito almeno un po’ di idee ad Ashton che, per tutta risposta, strinse più forte la mano alla ragazza quando voltarono l’angolo.
«Vorrei tanto saper vivere, solo… Non so come si fa…» continuò la mora, abbassando il capo e mettendosi completamente a nudo, mostrandogli la sua insicurezza, quel che aveva dentro. Cosa stava facendo? Nessuno l’avrebbe mai capita, nessuno si sarebbe mai preso la briga di aiutare un caso perso in partenza come lei. E allora perché Ashton Irwin era ancora accanto a lei? Perché non l’aveva lasciata stare?
Tutte le sue domande vennero fermate dalla voce del riccio, intenerito da quella ragazza che gli appariva così fragile e sola, persa. Esattamente come lui.
«Sai, neppure io so come si vive. Però riesco a capire cosa provo, quasi sempre, almeno credo… Solo che… È complicato, ed io non sono proprio la persona meglio indicata per spiegarti una cosa così importante.»
Dicendo quelle parole, Ashton si rese conto di essere completamente inutile in tutta quella faccenda, che non aveva né capo né coda. Si era cacciato in qualcosa di impossibile da gestire, da affrontare, per un semplice diciottenne come lui. E si rese conto solo in quel momento della portata che aveva tutto.
«Allora non c’è niente da fare con un caso perso in partenza come me…» sussurrò la ragazza, arrendendosi nuovamente davanti a quella realtà che aveva ripreso a schiacciarla lentamente, quella realtà che dava sempre nutrimento e forza a quella prigione che attanagliava il suo cuore.
Ad Ashton, quelle parole non sfuggirono. E si sentì in dovere di riscattare sia lei che se stesso da quella realtà, da quella vita che non aveva fatto altro che prendersi gioco di entrambi. Rese più salda la presa tra le loro mani intrecciando le loro dita e parlò, con il cuore che gli pompava a mille per l’adrenalina.
«Non è vero. Nessuno è un caso perso. È solo che forse il tuo momento non è ancora arrivato.» disse sincero, sperando di non ferire in alcun modo Kaylin. Lei però non rispose. Si limitò ad annuire con il capo ed il silenzio calò definitivamente su di loro per tutto il resto del tragitto.
 
Quando ormai mancava solo un centinaio di metri alla casa della ragazza, Kay si decise a dar voce a quella domanda che la assillava da sempre. E sperava che almeno a questo suo dubbio, Ashton le potesse rispondere.
«Com’è la vita?»
Il riccio rimase spiazzato da quella domanda, così diretta, così semplice, ma allo stesso tempo così difficile. La guardò negli occhi, sperando di trovare proprio lì le parole. Ma non gli veniva in mente niente. Allora scrutò la strada, il cielo, le persone che passavano di lì, le case, i colori. Percepì distintamente il cuore battergli nel petto ed il pulsare del sangue nelle dita di Kay. Non trovò le parole giuste, ma le disse quel che pensava, sinceramente, senza freni, libero per un attimo da quel bianco, da quelle catene che lo legavano al suolo.
«La vita è bellissima già per il semplice fatto di esistere, per il fatto di poter dire: “Sono parte di qualcosa di meraviglioso”. Perché la vita è meravigliosa, nonostante tutti i problemi che possano presentarsi durante il cammino. È un continuo cadere e rialzarsi, a volte da soli, a volte grazie agli altri. È colore, è quell’unico arcobaleno che, qualche volta, comprende anche il nero. È scoprire, emozionarsi, piangere, ridere, soffrire. È originalità, è unica. La vita è pazzia pura e tante altre cose che si conoscono solo vivendo.»
Ashton avrebbe potuto andare avanti all’infinito di quel passo, perché si rese conto che la vita è così immensa che non sarebbe bastato tutto il tempo del mondo per descriverla. Però non continuò, si limitò a quelle parole, a quelle piccole verità che erano tante piccole facce di un qualcosa di impossibile da definire in pieno. E non si accorse di aver fatto nascere nella ragazza un qualcosa, una specie du fuoco.
Perché Kay, ad ogni singola parola che aveva ascoltato, si era sentita vibrare, pulsare, bruciare. E forse intuì quello che il suo cuore e la sua menta stavano cercando di dirle da tanto, forse troppo tempo. Ma non disse niente. Rimase in silenzio, facendo sì che quelle parole si marchiassero indelebilmente dentro di lei.
Il riccio si voltò verso la mora, facendo incontrare i loro occhi ancora una volta. E a quello sguardo perso, intenso, indecifrabile, a quella ragazza che lo incuriosiva come mai nessuno era riuscito a fare prima, sorrise dolce, cerando di darle un po’ di coraggio per affrontare tutto.
Kay, a vedere quel sorriso vero, sincero, percepì qualcosa nella pancia, un qualcosa che le arrivò fino al viso, scaldandole le guance e facendole sentire qualcosa di veramente strano all’altezza del cuore, che iniziò a battere più forte, senza ritegno, facendole girare un po’ la testa.
Si guardarono, per una frazione di secondo, giusto il tempo necessario perché Ashton tornasse a far incastrare le sue dita con quelle della mora. Un qualcosa, una scarica, li attraversò completamente, fermandosi nei loro cuori e facendoli fremere. Tuttavia, i due cercarono di non badarci, non sapendo come interpretare quella reazione, quella specie di segnale. Semplicemente misero l’accaduto in un angolo, nel dimenticatoio.
Continuarono a camminare, fino a che la ragazza non si fermò davanti casa sua, con la mano ancora stretta in quella di Ashton, quella mano che avrebbe preferito continuare a tenere nella sua.
«Allora ci vediamo, Kaylin.» disse lui, dividendo a malincuore le sue dita da quelle della ragazza. E fece per incamminarsi, ma una voce insicura e flebile lo fece fermare. «Ashton, aspetta.»
Il ragazzo si volò e lei gli andò incontro, fermandosi a pochi centimetri di distanza.
«Prima cosa: chiamami solo Kay. Seconda cosa…» e qui dovette fermarsi, perché non credeva che un ragazzo come lui potesse davvero prestar attenzione alle sue parole.
Ma Ashton era incuriosito, interessato, voleva sapere tutto ciò che quella piccola ragazza mora pensava.
«Seconda cosa, Kay
La ragazza rabbrividì lievemente a sentire il suo nome sussurrato in quel modo così dolce. E fu proprio quello a sbloccarla del tutto.
«Mi hai descritto la vita come qualcosa di unico, pazzesco. E… Credo di volerne far parte anche io…» ammise, facendo spuntare un sorriso sincero e bellissimo sul volto del riccio, perché mai lui si sarebbe immaginato di aver provocato un effetto simile su di lei che, con gli occhi puntati nei suoi, diede finalmente voce a quella richiesta del suo cuore che non era mai stata in grado di comprendere fino a quel pomeriggio.
«Insegnami a vivere
Lo disse con voce insicura, bassa, timida. Ma Ashton capì benissimo e si ritrovò perplesso. Non credeva di poter esaudire una richiesta di questo genere. Non si sentiva capace.
«Ti prego Ashton, insegnami a vivere!»
Kay ripeté quella preghiera una seconda volta, con la voce sempre più flebile ed insicura.
«Ma non so come si fa.» si scusò, a voce bassa, dando voce a quella fastidiosa vocina che gli era entrata dentro come una pulce e non aveva fatto altro che infastidirlo, fino a quel momento.
«Allora lo capiremo insieme.»
Ed entrambi si sorpresero, alla forza e alla verità semplice e pura delle parole della mora. Perché sì, nessuno può insegnare agli altri a vivere. Si impara da soli, magari più in fretta se qualcuno è al proprio fianco.
Alla fine, però, Ashton annuì, convinto. Era veramente curioso di sapere dove tutto questo li avrebbe portati, e avrebbe fatto di tutto pur di mantenere la promessa quel «Resta.» che aveva fatto. E Kay sperava davvero di non dover affrontare quella scelta da sola. Avrebbe dovuto combattere tante, troppe cose. E sinceramente, non era sicura di potercela fare da sola. Ma lo sentiva, che Ashton sarebbe stato con lei. Perché entrambi riuscivano a leggere la risposta dell’altro negli occhi, senza aver bisogno delle parole.
«Però da adesso chiamami solo Ash.» disse lui, sorridendole e copiando la frase della mora.
E grazie a quel sì implicito, racchiuso nei loro sguardi complici e forse amici, sia Kay che Ashton iniziarono a sentirsi meno soli, meno vuoti, come due pezzi di un puzzle che, pian piano, stavano cercando di colmare i loro spazi incompleti.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Come state? Quest'estate sta andando bene? Lo spero per voi ;).
Bien, passando al capitolo... Che cosa dirvi? 
Questo è un po' il centro della storia. Questo è quello su cui si baserà ogni cosa da ora in poi, è da qui che la storia prende il titolo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perchè giuro che ci ho messo il cuore, in ogni parola.
Per questo vorrei che almeno a questo capitolo vi facciate sentire. Giuro è importantissimo per me! E poi sapete che a me bastano 20 parole di numero, non chiedo tantissimo
Quindi, per favore, fatevi sentire, ci conto! Per sapere se vi piace, se non vi piace, se vorreste che cambiassi qualcosa, se avete critiche (COSTRUTTIVE) da fare, sono disponibile ad accettare qualsiasi cosa!
Detto questo, ci sentiamo presto. Grazie per ogni cosa, sul serio, per visite | preferiti | ricordati | seguiti. Siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo bene! <3
A presto e grazie ancora! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 11
*** 11. Colore ***


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11.
Colore
 
 

Spesso le cose accadono senza un motivo ben preciso. Accadono e sconvolgono tutto, senza lasciare il tempo di potersene rendere conto. Travolgono e stravolgono la vita in un istante, e ci si ritrova in un vortice di cui si capisce poco o niente. Eppure, di quel vortice in cui erano capitati, Ashton e Kay non avevano paura, anzi, erano curiosi di sapere come sarebbe andato a finire il tutto. Solo che non sapevano da che parte iniziare.
 
Erano passate due settimane da quel loro strano patto, da quella strana promessa che si erano fatti, con i cuori ancora un po’ in frantumi e con la fiducia che pian piano stava iniziando a prendere campo tra di loro. Stavano cominciando a fidarsi, l’uno dell’altra, stavano cominciando a lasciare che l’altro entrasse dentro sempre di più, che passo dopo passo scoprisse ogni singola porta chiusa e la aprisse, senza forzare niente, con calma, con dolcezza. Era strano, ma bello, davvero bello per entrambi sapere di avere qualcuno che ci sarebbe stato nei momenti bui, che avrebbe teso la propria mano per aiutare.
Solo che, fino a quel momento, era sempre stato solo Ashton a fare la sua parte, mentre Kay a malapena riusciva a tenersi in piedi, tra le macerie del suo cuore che si stava curando a fatica, combattendo giorno dopo giorno contro quel blocco di vetro che cercava di avere il sopravvento, sempre. Kay dipendeva da Ashton, e lui non poteva permettersi di cadere, di mostrarsi debole, perché lei era troppo fragile per poter sorreggere anche il suo fardello, perché non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe potuto capirlo ed aiutarlo. Tuttavia, anche la mora voleva fare qualcosa per lui, per dimostrargli che lei a quel ragazzo ci teneva, e neppure poco.
 
Era questo quel che pensava quel venerdì pomeriggio, mentre si chiudeva alle spalle la porta del laboratorio di fotografia, dopo due lunghe ore passate con Mrs Robinson. Era sempre stata affascinata da quel corso, da quel modo così simile al suo e così diverso allo stesso tempo di rappresentare la realtà, che la imprimeva con un click nella frazione di un secondo, mentre lei si perdeva nei colori e dava spazio a tutti quei sentimenti senza voce che proprio non riusciva a capire. Kay parlava attraverso il colore che metteva sulla tela, lasciava che tramite i pennelli tutta la confusione che aveva dentro trovasse un minimo d’ordine. Con la fotografia era una cosa ben diversa. Kay con una macchina fotografica in mano si ritrovava quasi sempre ad imprimere un ricordo nel tempo, per non lasciarlo scappare mai più. Proprio lei, che con i ricordi non aveva mai avuto un buon rapporto. Ma questa riguardava i pezzi che componevano solo quel che restava del suo passato.
Fotografava solo quando era con i suoi amici, durante quelle poche volte che si univa al gruppo e li vedeva ridere e scherzare, mentre lei si trovava sempre in disparte, ad inquadrare quei sorrisi, quegli occhi vivi in una frazione di secondo. Perché quei sorrisi e quegli sguardi erano stati l’antidoto – anche se poco potente – a quel vuoto che lei sentiva dentro. O almeno, lo erano stati fino a che Ashton Irwin non era entrato nella sua vita. Perché Kay lo sapeva, che adesso i sorrisi e gli occhi di cui sentiva di avere il bisogno erano quelli di quel ragazzo riccio un po’ strano ma così dannatamente speciale.
E mentre quegli occhi dorati prendevano campo nella sua mente, la mora sospirò.
Si sentiva un’ingrata, verso Ashton. Perché lui c’era sempre stato, fin dall’inizio, l’aveva sempre aiutata, in ogni situazione. E lei cosa aveva fatto? Niente. Era stata brava solo a piangersi addosso per tutto il tempo, senza riuscire a notare quanto il riccio stesse male. O almeno, questo fino a che il giorno prima non lo aveva visto a mensa, da solo, seduto al tavolo in angolo, quello più lontano da tutto e tutti. E lo avrebbe chiamato a mangiare con lei e gli altri, se solo non lo avesse visto con gli occhi così lucidi. E ad avere davanti quello sguardo dorato oscurato da quel pesante velo di tristezza e di solitudine, a notarlo solo in quel momento, Kay era rimasta senza parole, con il cuore stretto in una morsa di dolore, di preoccupazione per quel ragazzo che non si era mai dimostrato debole con lei, ma che aveva sempre cercato di aiutarla, come meglio aveva potuto.
Vedere quegli occhi così, specchi di un’anima a pezzi, forse come o addirittura più della sua, l’aveva annientata, e allo stesso tempo le aveva fatto capire che anche lei avrebbe dovuto fare qualcosa, per Ashton, anche se ancora di preciso non sapesse da che parte cominciare. Sapeva solo che voleva aiutarlo, esattamente come lui stava facendo con lei. Non avrebbe mai permesso che anche lui arrivasse a toccare quel fondo buio in cui lei era arrivata da anni e da cui stava iniziando ad uscire solo ora. Perché sperava con tutto il cuore che il dolore di Ashton non fosse allo stesso livello del suo.
Fu mentre pensava questo, che un suono proveniente della classe del corso di musica per poco non le fece prendere un colpo. Chi diamine poteva essere che suonava così, deciso ed insicuro allo stesso tempo, come il suono proveniente dalla stanza? Un suono di tamburi, pacato e dolce, timido, quasi simile ad una ninna nanna che si diffondeva pian pano nell’ambiente.
Kay, si avvicinò alla porta per sbirciare dal vetro almeno un po’. E quello che vide la lasciò senza parole.
Perché era Ashton che stava suonando i tamburi, quelli africani, come se avesse potuto sconfiggere il mondo, come se avesse potuto annientare tutte le sue paure solo con quel semplice gesto. Lo vedeva, Kay, che il ragazzo, solo suonando, riusciva ad essere vivo, completamente, senza quel velo di tristezza e di solitudine addosso, intorno. Era bello, era davvero bello poterlo vedere così, immerso nel suo mondo, concentrato nella cosa che riusciva a farlo stare bene.
Proprio come Kay, che quando si immergeva nella pittura si estraniava da tutto e tutti e stava bene, sul serio.
La ragazza restò lì, ad osservarlo, lasciandosi trasportare da quella musica pacata, dolce, forse un po’ antica che il riccio riusciva a suonare, proprio come se fosse nato per fare quello, come se fosse nato per far emozionare le persone con la musica. Perché la mora lo sentiva, in un angolo del cuore, che quella melodia aveva smosso qualcosa dentro di lei, anche se solo in minima parte. E quella strana sensazione, nel petto, avrebbe voluto continuarla a sentire sempre, se avesse potuto. Rimase lì per minuti che le parvero senza fine, beandosi di quella melodia, lasciando che le entrasse dentro, lentamente, scaldando quel suo cubo di vetro, come se avesse voluto curarlo, per poi farlo scomparire…
Fu solo quando Ashton finì di suonare, che la ragazza si accorse delle lacrime che gli rigavano le guance, silenziose, mentre gli occhi diventavano via via più lucidi e sempre più pieni di quella solitudine che a Kay faceva davvero troppa paura. Perché lei non aveva la benché minima idea di come poterlo salvare.
 
Ashton lasciò che quelle lacrime gli rigassero le guance, gli bruciassero la pelle, gli appesantissero il cuore.
Non ce la faceva più. Non riusciva più a resistere a tutto quel che stava succedendo.
Quelle ultime settimane si erano rivelate più difficili delle altre. Cercare di rispettare la promessa che aveva fatto a Kay; cercare di restare in piedi, solo per non far cadere anche lei; il rapporto con i suoi genitori che diventava assente ogni giorno più del precedente, mentre con i suoi fratelli più piccoli non era mai neppure nato, per i troppi anni di differenza e per il suo carattere.
Nonostante Kaylin, lui si sentiva sempre più solo, mentre affogava in quel bianco da cui non sapeva, non riusciva ad uscire. Aveva il cuore a pezzi, distrutto, come lui, come la sua anima. E faceva male, tanto male, sentire che ad ogni secondo quell’organo gli si sfaldava in silenzio, lasciandolo con sempre troppi pezzi caduti in frantumi dietro di sé. Aveva solo bisogno di qualcuno che lo aiutasse a sorreggere di quel peso che aveva dentro e che lo faceva affondare, lo tirava sempre più giù, senza lasciargli via di scampo. Aveva bisogno di amici con cui potersi sfogare e potersi sentire a casa, in qualche modo. Perché a diciott’anni la vita da soli fa davvero schifo, in ogni modo.
Era andato nella classe di musica subito dopo la fine delle lezioni per seguire il corso. E a lezione finita, si era trattenuto ancora un po’. E Ashton aveva suonato veramente tanto durante quelle ultime due ore. Si era sfogato come non aveva mai fatto prima. Aveva lasciato che la musica prendesse il sopravvento su di lui, che semplicemente l’aveva seguita, l’aveva accompagnata, minuto dopo minuto, infilandosi in un qualcosa da cui non era più riuscito ad uscire. Perché alla fine la tristezza e la solitudine avevano preso campo, dentro di lui, di nuovo. E lui aveva cercato di mandarle via, di farle tornare in quell’angolo da cui erano uscite, ma non era successo niente. Anzi, quei sentimenti avevano preso sempre più spazio. E alla fine aveva dovuto smettere di suonare, perché se non riusciva più a curarsi neppure con la musica, non sapeva più cos’altro fare.
Ed ora eccolo lì, in quella stanza vuota e silenziosa, con le lacrime che ancora continuavano a scendere e con il cuore che continuava a star male. Solo. Era solo, Ashton. Lo era sempre stato. E credeva di averci fatto l’abitudine. Il problema era che quel vuoto, quella solitudine, lui proprio non riusciva più ad accattarle. Si sentiva imprigionato, come se tutto gli stesse tenendo i piedi ben saldi a terra, senza dargli modo di poter spiccare il volo. Solo che non sapeva come uscirne.
Rimase così, immobile, in silenzio. E non si accorse neppure che la porta era stata aperta e che qualcuno era entrato, fino a che due braccia magre e fragili non lo strinsero forte, quasi non volessero farlo cadere. E Ashton, a quell’abbraccio, a quella ragazza che aveva riconosciuto dal profumo dolce, senza che lei dicesse niente, si aggrappò con tutto se stesso, come se lei fosse l’unica in grado di poterlo aiutare.
 
E rimasero così, Ashton e Kay, stretti l’uno all’altra come a voler combattere insieme contro tutto quel che li faceva stare male, dandosi forza, lasciando che pian piano il dolore andasse via, così come le lacrime, i tremiti, i singhiozzi. Rimasero così, in silenzio, senza aver bisogno di parlare, perché quell’abbraccio diceva molto più di quanto avrebbero voluto ammettere.
Si abbracciarono, si strinsero forte per minuti che parvero senza fine. Perché Ashton non riusciva a rimettere insieme i pezzi del suo cuore da solo, e perché Kay sapeva che avevano bisogno l’una dell’altro per potersi capire, per poter mandar via quel dolore che li lacerava senza ritegno, quasi come a volersi divertire facendoli stare in quel modo, con l’anima a pezzi e troppo stanca per curarsi da sola.
Si divisero con calma, senza fretta, come a non voler abbandonare quel calore che si donavano ogni volta.
E subito Ashton si passò le mani sul viso, perché proprio non voleva farsi vedere così debole. Ma Kay le aveva già viste, quelle lacrime, e fu per questo che lentamente abbassò le mani del ragazzo, per poi far intrecciare le loro dita, mentre i loro occhi si cercavano, sicuri di potersi ritrovare in quello sguardo un po’ spento e un po’ vivo insieme, quello sguardo che poteva accomunare solo loro due.
«Ash, io non so cosa stai passando, e non importa se non vuoi parlarne.» cominciò la mora, con la voce che tremava e con il cuore che le batteva forte nel petto. «Sappi però che io sono qui, accanto a te. Sono qui e non ti lascio, qualunque cosa accada. Perché tu sei troppo importante, ed io non posso perderti.»
E chissà, forse fu a causa di quelle parole; oppure forse a causa di quel tono di voce timido ed insicuro, ma serio e deciso; o forse ancora per le loro mani unite e per i loro cuori che battevano davvero troppo forte; o probabilmente per l’importanza delle parole di Kay.
Nessuno dei due seppe come, ad un tratto, piccole macchie di colore andarono ad illuminare il bianco di lui ed aprirono piccole crepe nel cubo di vetro di lei, da cui finalmente riuscì ad entrare un po’ di luce. Non seppero da dove provenisse quel senso di completezza, di leggerezza inattesa, forse di gioia, che li stava invadendo, che stava toccando ogni singola cellula per farla finalmente iniziare a vivere. Non lo sapevano, ma poco importava. Perché avevano paura che quel calore tutto nuovo, diverso, bellissimo, potesse andarsene da un momento all’altro, e non volevano perdersene neppure un secondo. Quella sensazione era indescrivibile, bella, con i loro cuori che pian piano cominciavano finalmente a curare le loro ferite, a riempirsi di quella luce che era mancata davvero per tanto, troppo tempo.
«Grazie di esistere, Kay.»
Fu questo che Ashton disse, preda di quella gioia inattesa mentre il cuore gli esplodeva nel petto, prima che le sue labbra si curvassero nel sorriso più bello, vero e luminoso che Kaylin avesse mai visto. Un sorriso mozzafiato, dolce, intenso, vivo, che la scosse tutta, dalla punta dei capelli alla punta dei piedi, facendo fremere ogni cellula, arrivando ad illuminare un po’ anche gli angoli più bui, mentre quel cubo di vetro iniziava a sfaldarsi sul serio, lentamente, facendo entrare sempre più luce.
E la cosa più bella fu che, dopo tanti, troppi anni, anche Kay tornò finalmente a sorridere. Un sorriso che la illuminava, che la rendeva più bella di quanto già non fosse, che le rendeva gli occhi lievemente meno cupi e meno oppressi da quell’ombra che Ashton non riusciva a sopportare. Un sorriso che andava a minare ancora di più la prigione attorno al cuore della mora, che pian piano stava diventando sempre più libero.
Ed entrambi capirono di voler sentire quelle emozioni ancora, di voler vedere l’espressione viva e luminosa dell’altro ancora, come se bastasse quella come antidoto a tutto.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Sono reduce da un produttivo fine settimana al mare e ho pure il segno del costume, yuppy!!!!
Anyway, invece di parlare di me, credo che sia opportuna spendere qualche parolina per il capitolo u.u
Ho sempre considerato questo capitolo una svolta, nel rapporto tra gli Ashlin, forse perchè qui iniziano a rendersi davvero conto che possono fidarsi l'una dell'altro senza problemi.
Il titolo, "Colore", indica appunto questo cambiamento, questo nuovo inizio: colore che macchia la solitudine bianca di Ash e che illumina il nero di Kay.
Detto questo, chiudo qui per oggi. Dai che sono brava e le mie note autrice non sono poi così lunghe, così non vi annoio ;).
E mi raccomando, per favore, fatevi sentire, ci conto!
Per sapere se vi piace, se non vi piace, se vorreste che cambiassi qualcosa, se avete critiche (COSTRUTTIVE) da fare, sono disponibile ad accettare qualsiasi cosa! Bastano quelle famose 20 paroline ;) <3
Detto questo, ci sentiamo presto. Grazie per ogni cosa, sul serio, per visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo bene! <3
A presto e grazie ancora! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 12
*** 12. Segnali ***


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12.
Segnali
 
 

Passarono le settimane. E tutte le persone vicine ad Ashton e Kay notarono che le cose stavano cambiando, pian piano. Nel migliore dei modi.
I signori Irwin avevano quasi perso del tutto le speranze con il figlio. Ma quando lui era tornato a casa quel venerdì pomeriggio con un bel sorriso sul viso e li aveva salutati per poi restare un po’ con loro e raccontargli come fosse andata la giornata, la loro speranza era tornata prepotentemente a farsi sentire, forte, decisa, viva dentro di loro. E da quel pomeriggio, le cose avevano cominciato a prendere una piega diversa per quella famiglia, perché Ashton stava pian piano aprendo il suo carattere, stava lentamente facendo entrare gli altri dentro di lui, si stava lasciando conoscere.
E neppure a Joy e Calum Hood i cambiamenti di Kay erano passati inosservati. Avevano notato la sua espressione sempre più rilassata, il suo sguardo meno ostile, le sue parole meno dure. Neppure il sorriso che ogni tanto le tornava ad illuminare il viso era loro sfuggito. E Joy, la mamma di Calum, proprio non riusciva a spiegarsi il cambiamento della nipote. L’aveva vista crescere sotto il suo tetto per così tanto tempo ed era sempre stata preoccupata per il suo carattere chiuso e duro. E poi, all’improvviso, se la ritrovava cambiata, bellissima, esattamente come sua madre.
Anche gli amici di Kaylin avevano notato quei piccoli e grandi cambiamenti. E alla fine avevano dato ragione a Tara. Perché li avevano osservati, Ashton e Kay, quando erano insieme. E le prove che cercavano le avevano trovate in fretta. Ed erano felici sul serio, per la loro amica. Perché da troppo tempo non la vedevano così, libera e di buon umore, con lo sguardo sereno. Stava tornando ad essere la Kaylin di un tempo, la Kaylin bambina che avevano conosciuto quando erano piccoli. Ed era bello sapere che fosse a causa di quel ragazzo che non conoscevano ma a cui erano veramente molto grati.
Anche i diretti interessati avevano cominciato a vedere che le cose stavano iniziando a prendere una strada diversa. Nonostante il dolore sordo che spesso tornava dentro al cuore e li faceva stare male, davvero male, c’era qualcosa dentro di loro, in un piccolo angolo, che stava prendendo campo, che pian piano stava lenendo le ferite e stava lentamente aprendo dei piccoli spiragli, che stava iniziando a macchiare di colori vivaci il bianco dentro ad Ashton e che poco a poco stava facendo scomparire quel blocco di vetro dal cuore di Kay.
E loro due stavano imparando a conoscersi sempre di più, a capirsi con un semplice sguardo, a notare cosa provasse l’altro senza aver bisogno di parole. Era un gioco di occhi, il loro. Occhi dorati che si tuffavano in quel color cioccolato, caldo e profondo; occhi che si perdevano negli occhi; occhi che osservavano tutto con attenzione, senza lasciarsi sfuggire neppure un singolo dettaglio.
Era bello il loro rapporto, un rapporto che stava iniziando a delinearsi sempre meglio, giorno dopo giorno, che pian piano metteva mattoni e si costruiva, con la fiducia, con i sorrisi timidi, con le risate che si attaccavano ai loro cuori per non lasciarli andare più, con gli sguardi intensi che li lasciavano a nudo sotto gli occhi dell’altro. Un rapporto a cui non serviva molto, in cui i messaggi che si scambiavano a qualsiasi ora del giorno, persino a notte fonda, avevano lo strano potere di farli sorridere, ogni volta.
Erano così, Ashton e Kay, si facevano bastare poco, quel poco che tuttavia era riuscito a sconvolgere completamente la loro vita, a renderla bella davvero. Perché Ashton stava iniziando a sentirsi meno solo. E perchè Kay sentiva che finalmente stava cominciando a vivere davvero, sentiva che finalmente le emozioni prendevano il loro spazio dentro di lei e la segnavano, la marchiavano con la scia del loro passaggio. Stava iniziando a capire che vivere volesse dire sentirsi pieni, di una forza e di un’energia senza fine, permettendo a tutti i colori e a tutte le emozioni di entrare dentro al cuore e di segnarlo, cambiarlo. Era provare brividi continui, che correvano sulla pelle e facevano restare sempre attivi.
E anche Ashton stava finalmente aprendo le sue porte. Stava lasciando che gli altri entrassero e lo segnassero, nel bene e nel male. Si lasciava conoscere, facendo macchiare quel suo bianco di colori che non aveva mai visto, neppure da lontano. Ed era bello non doversi sentire più rinchiuso in quello stesso posto in cui si era rifugiato ma da cui era poi stato sopraffatto. Era bello sentire che i suoi angoli pian piano venivano smussati, arrotondati, addolciti. E, soprattutto, era bello avere Kaylin nella sua vita, quella ragazza che era entrata dentro di lui in silenzio, timidamente, quasi di soppiatto, ma che subito si era fatta sentire, con la sua presenza dolce e confortante, con il suo silenzio ed il suo essere unica, per ogni cosa. Era bello poterla vedere come un’amica preziosa, l’unica che avesse.
Perché era bello per entrambi potersi considerare finalmente qualcosa, amici. Non erano più due isole distanti da tutto e tutti. Avevano qualcuno che faceva loro compagnia, che li capiva anche senza parlare; qualcuno con cui mostrarsi per come erano veramente, con cui potersi sentire liberi da quelle catene, da quel dolore che c’era e che a volte tornava a far male, ma da cui entrambi si curavano a vicenda, ogni volta.
Era bello, saper di star finalmente iniziando a riempire il vuoto che avevano nel cuore.
 
Kay si mise le scarpe ed indossò velocemente il cappotto. E fece per uscire di casa, quando la voce di Joy la fece fermare in mezzo al corridoio.
«Esci con gli altri?» le chiese sua zia, spuntando dalla cucina, con un sorriso dolce sul viso.
La ragazza scosse la testa. «Vado da lei, e poi faccio un salto da una persona.»
A quelle parole, il sorriso della donna si allargò ancora di più. «Una persona, un amico, o qualcosa di più?»
«Zia!» esclamò Kay, mentre sentiva che le guance le si scaldavano nella frazione di un secondo.
L’altra rise di gusto, sorprendendosi alla reazione della nipote. Non avevano mai affrontato l’argomento “ragazzi” e, sinceramente, Joy non aveva proprio idea di come iniziare. Dopotutto erano passati ormai alcuni anni da quando aveva vissuto una situazione simile con sua figlia maggiore Mali-Koa, che adesso viveva a Londra con il suo ragazzo. Joy non sapeva proprio come prendere la nipote, perché aveva troppa paura di fare un passo falso.
«Fallo conoscere agli altri.» si limitò allora a dire, come consiglio, a cui la ragazza rispose con un sorriso, prima di uscire e, una volta chiusa la porta alle spalle, sospirare.
Kay lasciò poi che i suoi passi la guidassero fino a quella casa che ormai non le procurava più tutto quel dolore, ma che comunque continuava a ferirla un po’, con tutti i ricordi racchiusi in quelle mura. Era stato davvero imbarazzante il discorso tra lei e sua zia. Insomma, aveva subito insinuato che ci fosse qualcosa tra Ashton e lei, quando in realtà stavano appena iniziando a costruire delle basi solide per la loro amicizia. Che poi, lei a lui non aveva mai pensato in quel modo. L’idea non l’aveva neppure sfiorata.
E allora perché ti batte forte il cuore tutte le volte che siete insieme?
Eccola lì, quella fastidiosa vocina che ogni tanto faceva capolino all’improvviso tra i suoi pensieri e che la mandava in confusione, più di quanto non fosse già. E quell’insinuazione non fece altro che peggiorare le cose, perché era vero: quando era con Ashton, il cuore le batteva così forte da farle mancare il respiro, soprattutto quando le loro mani erano intrecciate. Erano sensazioni a cui non era abituata, e proprio non sapeva come interpretarle. Semplicemente, le accoglieva e lasciava che prendessero campo dentro di lei e che aprissero crepe sempre più profonde in quel cubo che molto lentamente se ne stava andando.
Sospirò di nuovo, Kay, e si sistemò gli occhiali sul naso prima di attraversare la strada per ritrovarsi davanti quella casa. Lasciò i pensieri sul riccio in un angolo e si concentrò, per cercare di non crollare come tutte le altre volte. Perché, dopo quel pomeriggio in cui aveva chiamato Ashton dopo essere stata , Kay ci era tornata altre volte, nonostante si fosse ripromessa di non farlo più, di non tornarci più per non star male. Però in fondo cosa aveva da perdere? Niente. Assolutamente niente. Ecco perché aveva ripreso ad andarci più spesso, per passare un po’ di tempo con lei, per cercare di combattere il dolore e quel cubo di vetro così spesso dentro di lei, per cercare di perdonare qualcosa che alla fine era stato solo frutto della casualità e del dolore che ne era derivato.
Solo che ogni volta le cose non erano andate bene, anzi. I ricordi continuavano a tornare e a far male, per riprendersi il loro posto in quel cuore distrutto. E Kay alla fine aveva capito che non serviva più a niente andar loro contro, aveva capito che invece sarebbe stato meglio lasciare che tutto facesse il suo corso. E finalmente le cose, anche con lei, avevano iniziato a prendere una piega diversa, nuova, migliore. Avevano iniziato a parlare un po’ e, anche se le loro conversazioni ancora procedevano a stento, almeno avevano iniziato a ricostruire un rapporto, che era stato inesistente per quasi dieci lunghi anni. E Kay non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero potute migliorare in così poco tempo, passo dopo passo. Era bello, e la ragazza non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere tutto, anzi, avrebbe combattuto pur di tenere viva quella piccola fiamma che sentiva dentro e che voleva continuare a sentire.
Aprì la porta ed entrò.
E subito rimase completamente senza parole. Perché anche se le tende erano ancora chiuse e le stanze ancora oscurate, la musica si faceva sentire in ogni angolo, partendo dallo stereo che era in salotto. E non era una musica qualsiasi. Era la colonna sonora di Ghost. E Kay sapeva bene che quella musica, quel film di nuovo in quella casa, rappresentavano davvero tanto, più di quanto avrebbe mai potuto sperare.
Entrò in salotto con il sorriso sulle labbra, mentre stringeva convulsamente il suo album da disegno – che teneva in mano da quando era uscita di casa – facendo sbiancare le nocche, mentre il cuore batteva forte.
La donna rispose al saluto della ragazza con un cenno timido della mano, che poi andò ad accarezzare nervosamente la treccia che legava i suoi capelli scuri. A quel gesto, il cuore di Kay perse qualche battito. Perché le cose stavano iniziando a tornare come prima, o almeno, ci si stavano avvicinando. E lei avrebbe mai potuto chiedere un regalo più grande di quello.
Si sedette sul divano e, quando i suoi occhi scuri incontrarono quelli chiari della donna, le due semplicemente si sorrisero, un po’ preda dell’imbarazzo, un po’ rincuorate da come stava riniziando il loro rapporto.
La donna poi spostò lo sguardo sull’album da disegno della ragazza e «Disegni ancora?» chiese timida.
A quella domanda, Kay sentì le guance scaldarsi un po’, mentre con la mano iniziava a  tracciare strani segni sulla copertina ruvida dell’album. «Sai meglio di me che non potrei stare senza. È l’unica cosa che mi… che ci rimane, dopo tutto.»
La donna sospirò stanca, e Kay riuscì a notare quegli occhi chiari diventare un po’ più lucidi, per un ricordo indelebile, impossibile da mettere in disparte pur di non rimanerne ferite.
«Posso vedere?» domandò incerta, riportando la ragazza con la testa sulla terra. Annuì semplicemente e le porse l’album, che la donna aprì con grande cura, con le mani che un po’ le tremavano, quasi fossero fragili tanto quando la sua anima. Prese il primo foglio, e un sorriso le catturò le labbra a vedere cosa vi era ritratto.
«Tua zia Joy è sempre bellissima. E guarda com’è cresciuto Calum!» commentò divertita, con la voce un po’ rotta, emozionata e quasi felice. Kay si ritrovò a sorridere, preda di un calore tiepido che da troppo tempo non sentiva dentro. Era una gioia vedere che lei stava lentamente iniziando a tornare quella di prima, e proprio non sapeva come contenere tutta la sua felicità.
«Dovresti venire qualche volta da noi, Grace. Li faresti contenti.»
«Forse…»
Non dissero nient’altro per un po’ e la donna continuò ad osservare ogni disegno, sorprendendosi ogni volta di quanto la ragazza riuscisse a mettere così bene la realtà su carta, osservando attenta ogni linea, ogni colore steso su quei fogli bianchi, come a non voler far scappare ogni singola emozione, ogni singola immagine significassero il mare non lontano da casa, camera sua, il cielo al tramonto, i suoi amici.
Sorrise, Grace. Un sorriso caldo, vero, bello, che da troppo tempo non occupava le sue labbra. E Kay, a vederla in quella condizione, bella come non era da tanto, sentì che l’ennesima crepa prendeva posto su quel cubo di vetro e lo indeboliva ancora di più. Purtroppo quella prigione non era ancora sparita dal suo cuore, tuttavia stava iniziando a lasciarle un po’ più di respiro, stava lasciando sempre più spazio alla luce e alle emozioni. E per la ragazza non poteva esserci cosa migliore di quella.
La donna continuò ad osservare ogni disegno con attenzione. E alla fine i suoi occhi si posarono su quello a cui la ragazza aveva lavorato negli ultimi giorni. Un qualcosa che sarebbe dovuto essere un regalo per una persona davvero troppo importante.
«È lui quell’Ashton di cui mi parli sempre?» chiese Grace, e le guance della ragazza si imporporarono per l’ennesima volta in meno di un’ora quel giorno. Riuscì solo ad annuire, mentre il cuore le batteva un po’ più forte nel petto.
«È davvero molto carino.» commentò l’altra, mentre un sorriso nuovo, più dolce, un sorriso di chi la sa lunga e che era felice per qualcosa in cui aveva sperato da sempre. «Potrò conoscerlo un giorno?»
Kay non ci pensò un attimo a rispondere, perché non aveva motivo di preoccuparsi di alcuna cosa. «Forse… E per inciso, siamo solo buoni amici, nulla più.»
A quelle parole, gli occhi chiari della donna si illuminarono, solo per un istante, prima che lei chiudesse l’album da disegno per poi porgerlo alla ragazza ed incitarla con lo sguardo. «Allora va’ da lui. Noi due ci vedremo un’altra volta.»
«Ma–»
«Niente “Ma”. Ho detto che ci vedremo presto, quindi non preoccuparti. Va bene così , Kaylin, tranquilla.»
La ragazza annuì, non capendo di preciso il comportamento della donna, perché le avrebbe fatto piacere restare in quella casa ancora per qualche minuto, a gustarsi quell’aria di benvenuto, di cambiamento, di luce che stava prendendo sempre più campo. Però la donna aveva ragione: avrebbero avuto tanto altro tempo da passare insieme, anche se nessuna delle due era ancora pronta per fare quel passo. In fondo erano solo all’inizio di quel rapporto che pian piano stava riprendendo il suo corso.
Allora si alzarono e si avviarono alla porta. E prima che Kaylin potesse rendersene conto, le braccia di Grace la avvolsero per un istante, sufficiente a procurare l’ennesima crepa, più profonda di tutte le altre ricevute fino a quel momento. Una crepa che spaccò ancora un po’ quel blocco di vetro e che fece entrare un fascio di luce molto più intenso degli altri, che la scaldò in un secondo, riuscendo a farla restare senza parole per l’immensa sorpresa.
Non si dissero niente. Si limitarono a farsi bastare quei pochi minuti passati insieme e quella stretta che aveva segnato un grandissimo passa in avanti tra loro due. Perché finalmente le cose stavano tornando ad avere un senso, un significato, il tempo speso insieme non era più fatto di rancore o rabbia. Il buio se ne stava andando, lentamente, ma se ne stava andando, lasciandole libere dal dolore, libere di respirare e di di vivere dopo anni di troppo silenzio e di troppe lacrime.
Si sorrisero per salutarsi, e Kay si incamminò verso casa di Ashton, con il sorriso che non riusciva a lasciarle le labbra, a dimostrazione di quella speranza e di quella felicità nuove, belle, emozioni che da troppo tempo non provava. E sentì che anche i pezzi del suo cuore pian piano stavano tornando al loro posto e che le ferite si stavano lentamente curando.
E Kay sapeva che, se non ci fosse stato Ashton con lei, tutto quello non sarebbe mai successo. Perché era a causa sua se lei aveva finalmente iniziato ad abbattere quel cubo, ad abbattere tutto quello che la faceva stare male. Era a causa di Ashton se finalmente aveva preso la sua vita in mano e aveva cominciato a reagire. Era per lui se non si era lasciata travolgere. Perché anche il riccio aveva bisogno di lei. E Kay non lo aveva mai lasciato e mai lo avrebbe fatto. Gli era sempre stata vicino. Aveva iniziato a combattere per aiutarlo, proprio come lui aveva fatto con lei. Glielo doveva. Era il minimo che potesse fare.
E quel pomeriggio, Kaylin voleva fare una sorpresa, a quel ragazzo veramente troppo importante per lei. Ecco perché stava andando a casa sua. Aveva cercato l’indirizzo sull’elenco telefonico, e c’era solo una famiglia Irwin in quel quartiere. Era la prima volta che Kay faceva una cosa simile, ed era così nervosa! Dopotutto non conosceva nessuno della famiglia di Ashton – come invece bene o male conosceva i familiari dei suoi amici. Sperava solo di non fare una brutta impressione.
Attraversò nuovamente la strada e il numero 342 di Andrew Street le si parò davanti, sul muretto di mattoni che circondava l’abitazione dipinta di bianco, come le altre villette di quella via. Due piani, tetto scuro, porta d’ingresso bordeaux. Era questo ciò che Kaylin stava osservando, mentre cercava di non farsi prendere dal panico e suonava il campanello. Prese un lungo respiro e piccoli brividi dovuti non soltanto alla bassa temperatura le attraversarono la schiena.
E se Ashton non avesse voluto vederla? Avrebbe potuto benissimo mandarla via, dato che non gli aveva fatto sapere che sarebbe andata da lui. E se si fosse arrabbiato per il regalo? Dopotutto non sapeva cosa piacesse al ragazzo e cosa no. E lei cosa avrebbe detto ai signori Irwin, se mai fossero stati in casa? Non voleva fare brutta impressione, però non aveva davvero idea di cosa dire o di cosa fare.
E fu a causa di tutti quei dubbi e di tutte quelle insicurezze che fece per andarsene, con il cuore che le batteva troppo forte nel petto, quando la porta di casa si aprì, rivelando la figura di una bambina che era la copia di Ashton, in tutto e per tutto, dal colore di capelli, agli occhi grandi e vivaci, e soprattutto al sorriso bellissimo e contagioso che le faceva nascere sulle guance un paio di fossette dolcissime. Una sorella più piccola era la cosa che Kay meno si sarebbe aspettata.
«Ciao!» la salutò la bambina, con voce allegra, facendo sorridere la mora che si abbassò un po’ per poterla guardare negli occhi. «Ciao a te.»
«Chi sei?» chiese la piccola, osservando la ragazza con i suoi occhioni, studiandola con uno sguardo molto maturo per l’età che sembrava dimostrare. Perché ad occhi e croce Kay le dava circa dieci anni, ma non credeva che fosse la sua vera età.
«Sono Kaylin. E tu?»
«Lauren. Cerchi mio fratello?»
La mora rimase spiazzata dalla facilità con cui la piccola era andata dritta al punto, senza mezze misure. Riuscì solo ad annuire, prima che Lauren la prendesse per mano e la facesse entrare in casa, per poi chiudere la porta alle loro spalle e condurla fino ad una scala che scendeva al piano sottostante.
«Di solito è sempre nel seminterrato a suonare la batteria.» spiegò la bambina, e per tutta risposta si sentì appunto provenire un suono un po’ attutito dalla porta chiusa in fondo alle scale.
Kay osservò la bambina per un istante appena, prima di mormorare un timido «Grazie.» mentre sentiva le guance andare a fuoco. E fece per scendere un gradino, quando una voce le fece rizzare i capelli sulla nuca per lo spavento improvviso.
«Lauren, chi era alla por–?» chiese Anne Marie alla figlia, ma non riuscì a finire la frase, perché vedere Kaylin sulla soglia delle scale che portavano alla camera di suo figlio fu davvero una sorpresa bellissima, inaspettata, senza precedenti.
La ragazza si sentì tremendamente in imbarazzo. E adesso cosa avrebbe dovuto fare?
«Salve signora Irwin.» riuscì a dire solo questo, mentre la voce le moriva in gola e le guance le diventavano ancora più rosse.
Anne Marie sorrise dolce. Era la prima volta che arrivava a casa loro un’amica di Ashton, e non aveva alcuna intenzione di metterla in difficoltà, anche perché neppure lei aveva la benché minima idea di cosa dire o fare.
«Ti prego cara, dammi del tu. Sono Anne Marie.» la salutò quindi, porgendole la mano e riuscendo a studiarla con una semplice occhiata, mentre la mora rispondeva alla stretta con la mano che tremava un po’.
«Kaylin White, tanto piacere.»
Bella e molto educata. Chissà, magari potrebbe essere la volta buona, pensò la donna con il sorriso sulle labbra. «Credo che Lauren ti abbia già detto dove sia mio figlio.»
«Sì, beh… Grazie.» rispose Kaylin sentendo le guance diventare più rosse. Detestava essere così impacciata!
Anne Marie sorrise ancora una volta e la incitò ad andare giù. La ragazza non se lo fece ripetere due volte, dopo aver salutato madre e figlia. Scese le scale con il cuore che le martellava senza freno nel petto e con le mani sudate e ancora tremanti, cercando di mantenere i nervi saldi. Aveva fatto una buona impressione alla mamma e alla sorella di Ashton? E lui come avrebbe reagito nel vederla lì, a casa sua? Non volle pensare a possibili risposte, preferì cercare di concentrarsi su altre cose quando bussò alla porta e la musica cessò, per poi far apparire davanti a lei nella frazione di un secondo un Ashton più che sorpreso, felice.
 
Perché Ashton, quel pomeriggio, dopo aver studiato, non aveva fatto altro che suonare e suonare, con la mente libera che aveva vagato per ogni dove e che alla fine si era posata su un unico pensiero costante: Kaylin, e su come il loro rapporto pian piano stesse cambiando e stesse diventando sempre più profondo, giorno dopo giorno. Aveva pensato – mentre le note si susseguivano e la musica lo avvolgeva – a come non potevano stare l’uno senza l’altra, a come riuscivano a completarsi con niente, a quanto bene riuscissero a capirsi anche senza bisogno di parole, a quanto lui volesse passare con lei più tempo possibile…
Ed era stato proprio mentre pensava questo che, per caso, aveva sentito qualcuno bussare alla porta. E non avrebbe mai immaginato che proprio lei, proprio Kaylin, fosse venuta a casa sua. Insomma, era davvero una bella sorpresa, e lui non aveva proprio idea di come riuscire a contenere tutta la felicità che provava e quel batticuore che non riusciva a fermare con niente. Senza pensarci due volte, la attirò a sé prima di chiudere immediatamente la porta ed abbracciarla forte, quasi potesse andarsene da un momento all’altro.
Era davvero bello averla lì, davanti a lui, tra le sue braccia, che la stringevano con delicatezza. Era bello sentire quei lunghi capelli scuri sotto le dita. Era bello semplicemente sentire le mani si lei che gli accarezzavano la schiena, che lo stringevano dolci e forti, esattamente come quella ragazza che gli stava troppo a cuore per permettersi di starne senza.
Kaylin si lasciò stringere, lasciò che il tocco di Ashton la riscaldasse e alleviasse un po’ quel senso di vuoto e di abbandono che nonostante tutto non riusciva a mandar via e quelle crepe ricevute quasi un’ora prima; crepe che, sì erano un buon segno, ma che comunque facevano sempre un po’ male.
Rimasero così per un po’, incapaci di volersi allontanare e di voler stare senza quel calore che riusciva a farli stare davvero bene, con poco, con niente.
Poi però Ashton pose fine all’abbraccio e osservò Kay a lungo, facendola arrossire ancora di più, come se fosse possibile. Osservò quegli occhi scuri che ogni volta riuscivano a scavargli l’anima, che riuscivano a leggerlo in un secondo. Osservò le guance e la punta del naso velate di rosa ed i guanti che coprivano le mani che ancora tremavano un po’. Allora le liberò dal tessuto e le prese tra le sue, calde e grandi, riuscendo presto a scaldargliele. Non aveva più bisogno di studiare quelle mani, Ashton, perché da quante volte le aveva guardate a lungo, ormai le conosceva a memoria, ogni loro piccola piega, ogni loro neo; conosceva tutto di quelle mani che qualche volta era pure riuscito a vedere all’opera sulla tela, macchiate di colore, alle prese con quelle emozioni e con quei sentimenti che ancora faticavano ad uscire dalle labbra della mora, nonostante gli sforzi che stavano facendo entrambi.
Kay lasciò che quella stretta, quel calore e quella dolcezza arrivassero a toccarle il cuore per scaldarlo solo come Ashton era in grado di fare, anche con un gesto semplice e bellissimo come quello. Lasciò che il dolore lieve delle crepe se ne andasse un po’, per dare spazio ad un batticuore inatteso, ad un rossore nuovo sulle guance non previsto, a piccoli brividi che la scossero tutta.
Possibile che quel ragazzo riuscisse a farle un effetto simile, ogni volta che lo vedeva? Ogni volta che erano insieme, quelle sensazioni, quelle strane emozioni non l’abbandonavano neppure per un secondo, facendola andare più in confusione di quanto già non fosse. Perché lei non era mai stata brava né a capire se stessa, né a capire cosa provasse quando era con altre persone. Tutto per lei era un completo mistero. Mistero che, tuttavia, voleva capire, voleva risolvere, perché era stufa di restare ferma nel suo angolo, senza far niente per agevolare il fatto che finalmente stesse iniziando a vivere sul serio.
Ashton puntò i suoi grandi occhi verdi in quel cioccolato che spesso, in quelle ultime settimane, si era ritrovato a pensare, a sognare, a volte su di sé il più a lungo possibile. Puntò lo sguardo su quel viso dolce e timido, che finalmente stava diventando lo specchio di una vita che stava iniziando a farsi sentire in tutta la sua forza, una vita che stava finalmente cominciando a prendere il posto che le spettava, dopo tutti quegli anni di silenzio. Incontrò quello sguardo intenso e ancora un po’ distante, ma sicuramente più luminoso e sereno rispetto a quel giorno di pioggia ormai lontano sul tetto della scuola.
E si ritrovò a pensare che era bella, Kay, bella davvero. E non soltanto fisicamente. Era bella nel suo modo di vivere, con tutte le sue forze, nel modo in cui riusciva a a renderlo partecipe di ciò che provava tramite quei disegni che gli mostrava ogni tanto; bella in quegli sguardi sinceri e profondi, che riuscivano sempre a farlo vacillare. Ma soprattutto, Kaylin era bella in quei pochi, pochissimi sorrisi che solo lui era riuscito a far nascere su quelle labbra dolci, sorrisi che il riccio avrebbe voluto vedere sempre, ogni giorno. Labbra che, in quelle ultime settimane, si era ritrovato ad osservare più a lungo del dovuto. Proprio come in quel momento, mentre un brivido gli percorreva ogni millimetro di pelle.
«Che ci fai qui?» riuscì finalmente a chiedere, tornando con i piedi per terra e con quel batticuore che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo in pace, quel pomeriggio, soprattutto con lei davanti agli occhi.
«Sono venuta a portarti questo.» rispose Kay, con le guance rossissime, per poi sciogliere le loro mai e prendere il suo album da disegno, attirando subito l’attenzione del ragazzo, che proprio non riusciva a fare a meno dei disegni della mora. In fondo era uno dei pochi modi che aveva per conoscerla davvero, ed ogni volta che poteva, cercava sempre di capirla, tramite quei colori, quelle linee, quelle pennellate sulla tela.
La ragazza non lo guardò in faccia mentre gli porgeva quel disegno, lo stesso che aveva visto lei solo quasi un’ora prima, quel disegno a cui aveva lavorato per giorni, in cui ci aveva messo veramente ogni singola parte di sé, quel disegno che esprimeva tutto l’affetto che lei provava per lui. Perché Kay, in tutto quel tempo, alla fine si era affezionata ad Ashton, alla sua risata unica e bellissima, a quel carattere forte e timido. Si era affezionata, Kaylin, a quel ragazzo che riusciva a farla stare bene davvero. Era la sua ancora, Ashton, la persona più importante che avesse nella sua vita, nonostante si conoscessero da poco tempo. Ashton era quella persona che Kay non avrebbe mai potuto cambiare neppure volendo, perché lui era perfetto così.
Il riccio osservò attentamente il blocco da disegno, prima di posarlo sulla scrivania ed aprirlo con cautela, mentre il cuore gli faceva salti mortali nel petto, quasi avesse voluto uscire per non tornarci più. E quello che vide lo lasciò senza parole.
Perché una cosa simile per lui nessuno l’aveva mia fatta prima di allora. Perché era qualcosa di così inaspettato e ben accetto, che lo mandava in confusione. Perché quei colori erano un’esplosione di vita che negli occhi della mora non aveva ancora visto, ma che sperava di poter vedere presto.
Kaylin aveva dipinto lui. E questo lo riempì in un modo tale, indescrivibile,da farlo stare così bene come non accadeva da troppo tempo. Era felice, Ashton, veramente felice, come non capitava da anni. Una felicità che lo attraversò tutto e lo fece sorridere proprio come piaceva a Kay che, alla vista di quegli occhi così luminosi e vivi, sentì formarsi l’ennesima crepa nel suo cubo di vetro, una crepa che, finalmente, non fece male ma che, semplicemente, rese possibile che nel suo cuore potesse entrare un po’ più di luce.
«Grazie Kay, davvero! È bellissimo!» esclamò Ashton, prima di stringere nuovamente a sé quella ragazza di cui proprio non riusciva e non voleva fare a meno, perché Kay per lui stava diventando sempre più importante, giorno dopo giorno. E la cosa era reciproca, in ogni senso.
La mora riuscì solo a sorridere, perché era riuscita nel suo intento, e non c’era cosa migliore di quella: sapere di aver reso felice Ashton era ciò che più contava per lei, ed esserci riuscita nell’unico modo che aveva, la rese felicissima a sua volta.
«Ti va di restare un po’?» chiese poi il riccio, sciogliendo l’abbraccio e facendo annuire la mora. Allora lui sedette nuovamente dietro la batteria, mentre Kay si tolse cappello e cappotto, per poi sedersi davanti al ragazzo, che subito iniziò a suonare.
E fu proprio mentre Ashton suonava; mentre lasciava che Kay entrasse nel suo mondo, che vedesse quella parte di lui che nessuno conosceva; mentre si mostrava per come era veramente; mentre la musica catturava entrambi; che Kaylin sentì tantissime altre piccole crepe formarsi su quel cubo di vetro, fino a spezzarlo ancora e lasciando che ancora più luce entrasse dentro di lei.
Per Ashton era davvero bello che Kay fosse lì con lui, a fargli compagnia con quel sorriso che aveva sperato di rivedere presto. E per Kay era davvero bello il fatto che Ashton la stesse lasciando entrare, che si stesse fidando di lei, completamente.
Ed entrambi divennero presto preda di brividi e batticuore, mentre quel calore e quella felicità che provavano solo quando erano insieme stavano iniziando a farsi sentire attorno a loro, portandoli in quel mondo fatto solo per loro due, lontano da tutto il resto.
Erano felici, Ashton e Kaylin. E andava davvero bene così.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Spero stiate tutti bene e che questa estate stia andando bene ;).
Allora, che cosa dire di questo capitolo? Beh, sicuramente che per adesso è il più lungo di tutta la storia (+5 mila parole o.O). Ed è anche abbastanza denso, di sentimenti in particolar modo u.u
Per prima cosa, si conosce il nome della donna da cui Kay sta continuando ad andare, Grace. Secondo voi, come mai va così spesso da lei?
E, altra cosa, KAY CONONOSCE LA MAMMA DI ASH *^*!!!!!! Awww, ma è dolcissima la nostra piccola protagonista *^*. E Lauren? Che carina pure lei!
Poi, va beh, l'ultima parte è un concentrato di dolcezza in cui la sottoscritta ha perso il cuore un miliardo di volte.
Detto questo, scappo che ho da fare un monte o.O!!!!! 
Grazie di tutto, sul serio, siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo bene!
Mi raccomando, fatemi sapere quel che ne pensate, ci conto eh! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 13
*** 13. Batterista cercasi ***


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13.
Batterista cercasi
 
 

«Ragazzi, abbiamo un problema, e pure grosso.» disse Michael quel venerdì mattina, non appena si fu seduto al loro solito tavolo, seguito da Tara, Luke e Nathalie, tutti e quattro con i volti completamente stravolti.
«Che succede adesso?» chiese Kay, incuriosita dal tono dell’amico, e sorprendendo gli altri per l’ennesima volta in quegli ultimi mesi.
«Non riusciamo a trovare un batterista per la band. Ecco qual è il problema.» rispose Calum, l’unico che  ormai non rimaneva più impressionato dal cambiamento della cugina e di cui era veramente felice, perché stava tornando lentamente la Kaylin di un tempo, e questo era veramente fantastico.
«Ma almeno lo avete cercato?» domandò Elen, sistemandosi i lunghi capelli castani sulla spalla per poi iniziare a giocare distrattamente con le dita di Calum, facendogli spuntare un sorriso dolcissimo sul viso.
Kaylin li osservò attentamente, incuriosita dal loro modo di fare quando stavano insieme. Erano più belli, più felici, luminosi. Secondo Nathalie si amano davvero tanto. Tara invece non ne era molto convita, anche se poi si ricredeva ogni singola volta prendendo se stessa e Michael come esempio. Kay invece non sapeva cosa pensare, perché l’amore, quel sentimento di cui tutti parlano sempre e comunque, declamato da chiunque fin da quando è nato il mondo, lei semplicemente non lo aveva mai pensato, o meglio, mai provato.
Aveva così tante cose a cui pensare, così tante cose di sé che doveva in ogni modo tenere a galla. L’amore probabilmente sarebbe stato solo un peso, un ostacolo in più in quella vita che lentamente stava ritornando a prendere il posto che le spettava di diritto.
Che poi, i libri, i film le mostravano solo una delle tante facce con cui sarebbe potuto entrare nella sua vita, e lei per adesso preferiva evitare. Forse perché non avrebbe saputo come comportarsi. Forse perché non si sarebbe sentita all’altezza. O più semplicemente, forse non voleva innamorarsi perché aveva troppa paura che quel cubo di vetro attorno al cuore potesse nuovamente cibarsi del suo dolore, se per caso il primo amore non fosse andato bene. E Kay non voleva soffrire, non più.
Eppure… Chissà come doveva essere provare quelle emozioni così forti per qualcuno, sentire quelle famose farfalle nello stomaco a causa di una persona davvero speciale. Una persona importante nella propria vita, così tanto da cambiarla fino a che ormai il danno non è fatto.
Kay sospirò stanca e si sistemò i capelli dietro le orecchie, pulendo poi gli occhiali neri con la manica della felpa, quando ad un tratto una mano che le sventolava davanti al viso non le fece prendere un colpo per lo spavento inatteso.
«Ehi, bell’addormentata, che succede oggi?» le chiese Tara prima di sedersi accanto a lei e sfiorarle delicatamente una spalla. La mora le riservò un’occhiata dolce e semplicemente negò con la testa.
«Non è niente, sul serio.» rispose, ripensando a quanto il rapporto con la bionda e con tutti gli altri suoi amici fosse cambiato, fosse migliorato, da quando Ashton era entrato nella sua vita. Ormai non rispondeva più con quel tono duro che usava sempre, a monosillabi. Anzi, stava iniziando a farle piacere il fatto che i suoi amici si preoccupassero per lei; che ci fosse sempre, per andare al cinema, a prendere una pizza tutti insieme, o anche solo per ritrovarsi a casa di uno di loro e passare un pomeriggio così, a non fare niente, a ridere e scherzare come solo loro potevano fare.
Kaylin si stava finalmente aprendo di nuovo, e ringraziava ogni giorno il cielo per gli amici che aveva, quegli amici che non l’avevano mandata via, ma che anzi avevano fatto di tutto pur di continuare a farla stare con loro. Non le avevano mai negato un posto in mezzo a loro, anzi, avevano fatto di tutto purché lei non se ne andasse. Le volevano un bene infinito e glielo dimostravano sempre, senza alcun bisogno di dover domandare. E lei non avrebbe potuto chiedere persone migliori di loro nella sua vita, insieme ad Ashton.
Perché finalmente, grazie a quel ragazzo riccio che le aveva sconvolto tutto le cose stavano finalmente tornando alla normalità, lentamente ma con così tanti progressi da farla rimanere sempre a bocca aperta per ogni sorpresa che ogni giorno la vita le donava.
Con i suoi amici stava finalmente tornando ad avere un vero rapporto di amicizia, fatto di offese a volte anche pesanti, di discussioni tra le tre coppie che si erano formate – dato che alla fine anche Luke si era deciso con Nathalie e le aveva chiesto di uscire tre settimane prima, per poi chiederle di diventare la sua ragazza – e tra migliori amici, di risate e di lunghissime chiacchierate che potevano andare avanti per ore ed ore, senza che nessuno di loro si stancasse, di segreti e di bugie e, perché no, anche di rivelazioni così importanti da far rimanere gli altri a bocca aperta.
Era bello il loro rapporto. E Kaylin era davvero felice di essere tornata quasi del tutto quella di prima per poter vivere quell’amicizia di cui necessitava da troppo tempo.
E tutto questo accadeva semplicemente perché dietro le quinte di quello strano spettacolo che è la vita per lei c’era Ashton, sempre e comunque, in ogni situazione. C’era lui, che ogni girono faceva di tutto pur di rispettare quella sola promessa che le aveva fatto: le insegnava a vivere, girono dopo giorno, senza neppure rendersene conto, semplicemente restandole accanto come la persona più importante di tutta la sua vita. E Kay non avrebbe mai rinunciato a lui, neppure volendo. Non avrebbe mai potuto correre il rischio di perderlo, perché senza di lui tutto sarebbe tornato come prima: grigio, spento, morto, pieno di quel dolore che da sola non riusciva a combattere.
Tutt’ora quelle cose c’erano ancora dentro di lei, ma se ne stavano andando, lentamente, la stavano finalmente lasciando libera. Tuttavia… C’erano ancora due punti della sua vita che avrebbero avuto di tempo, tanto tempo, per farli ritornare alla normalità. Kay però era fiduciosa. Sentiva che avrebbe superato anche quegli ostacoli, con parecchie cicatrici sul cuore a dimostrare cosa aveva vissuto, ma sapeva che con calma e pazienza ce l’avrebbe sicuramente fatta. Sperava solo che curare quei due punti, che alla fine potevano ridursi ad uno soltanto, non si rivelasse troppo doloroso, perché era davvero stanca di soffrire.
«Certo che lo abbiamo cercato. Ma sembra che in tutta Sydney non esista un batterista che faccia al caso nostro.» spiegò Luke, facendo tornare Kay con i pensieri a terra.
«Secondo me dovete continuare.» disse, divertendosi nel vedere le facce sconvolte dei suoi amici al notare come lei stava interagendo con loro come ai vecchi tempi.
«In effetti non è una cattiva idea.» commentò Nathalie con il sorriso sulle labbra, prima che Luke le facesse sue in un bacio veloce e timido, che subito la fece arrossire e fece partire un «Wow!» esclamato a gran voce da tutti gli altri, che ebbe il potere di far arrossire visibilmente i due interessati.
«Quando ti deciderai a muoverti con Ashton?» le chiese Tara d’un tratto, e Kay per non poco si strozzò con l’acqua che stava bevendo, a causa di quella domanda inattesa
«Tara, quante volte devo ripetertelo? Noi due siamo solo amici, chiusa la questione.»
«E allora perché sei arrossita appena ho detto il suo nome?»
«Non è vero.»
«Oppure perché sei sempre sorridente quando sei con lui?»
«Taci.»
Tara rise di gusto, attirando l’attenzione di Elen e Nathalie, che lasciarono i loro rispettivi ragazzi per aggiungersi a quella conversazione già imbarazzante di suo per Kay, che ogni volta proprio non sapeva come togliersene fuori.
«Va bene, non dirò altro. Ma prima tu spiegami perché ti guarda da quando si è seduto al suo solito posto.» commentò la bionda, per poi battere il cinque alle altre due – che come lei sapevano un po’ dello strano rapporto tra Ashton e Kaylin e che ogni volta spingevano la loro amica a cercare qualcosa di più con il riccio – sapendo di aver appena sganciato una bomba di vasta portata.
Perché a quelle parole, Kay si mise subito dritta a sedere, mentre il cuore continuava a batterle forte nel petto, mentre piccoli brividi iniziavano a percorrerle la schiena, le labbra a tremare, la guance a farsi sempre più rosse. E il problema era che non riusciva mai a controllare quella reazione, ogni volta che le sue amiche le parlavano di Ashton. Cavolo, era davvero imbarazzante a volte. Anche perché per lei erano semplicemente amici, anzi, per lei il riccio era l’amico migliore del mondo, nonostante si conoscessero da poco, rispetto agli altri. Era il ragazzo su cui poteva sempre contare, l’unica persona che sapeva con certezza che non l’avrebbe mai fatta cadere, per nessun motivo al mondo.
Tuttavia, si voltò, e notare che veramente Ashton la stava guardando con il sorriso sulle labbra le fece solo battere il cuore ancora più forte. Lo salutò con un veloce cenno della mano, a cui lui rispose ampliando il suo sorriso e facendo un cenno a sua volta.
Kay tornò poi alle sue amiche, e non si stupì nel vederle tutte sorridenti.
«Solo amici, eh?» commentò divertita Elen prima di schioccarle un veloce bacio sulla guancia per poi tornare da Calum che la accolse con un abbraccio caloroso.
«Vi prego, smettetela!» le implorò Kay con il sorriso sulle labbra, divertita e sorpresa da come il suo rapporto con gli altri fosse cambiato in così pochissimo tempo, nel migliore dei modi.
«Ce lo farai mai conoscere?» le chiese Tara a bassa voce, cercando comunque di farsi sentire oltre il vocio dei ragazzi che non facevano altro che infastidire Nathalie ed Elen, facendole ridere di gusto.
E quelle parole ebbero il potere di mettere una piccola pulce nell’orecchio della mora, distratta dall’arrivo di un messaggio.
 
Da: Ashton
Ehi scema, guarda che dopo scuola vorrei passare
un po’ di tempo con te. E sappi che non ammetto scuse.
 
Sorrise, a leggere quelle poche parole, prima di rispondere con un veloce Va bene, a dopo! per poi tornare a prestare tutta la sua attenzione alla sua migliore amica, che ancora aspettava una risposta.
«Presto, Tara. Presto.» disse la mora, benché non ne fosse così tanto sicura.
 
Appena la campanella di fine lezioni suonò, Kay prese velocemente tutte le sue cose e – dopo aver salutato le sue amiche con un frettoloso «Ci vediamo domani.» che riuscì a far spuntare un sorriso d’intesa sulle loro labbra – uscì dalla classe per mettere i libri e tutto il resto nell’armadietto e corse fuori dall’edificio, sapendo di trovare Ashton già in piedi davanti al cancello ad aspettarla per passare il pomeriggio insieme, come non succedeva da un po’ di tempo.
Appena lui la vide, le sorrise raggiante e le fece cenno con la mano, a cui la mora rispose nello stesso modo, prima di avvicinarsi e sorridergli a sua volta, divertita, mentre il cuore le batteva nel petto davvero troppo forte, come del resto succedeva da qualche settimana, esattamente da quando era stata a casa del riccio per dargli quel disegno una decina di giorni prima.
«Finalmente riesco ad averti tutta per me!» esclamò Ashton prima di stringerla in un abbraccio dolcissimo, a cui le non riuscì a non resistere. Si strinsero forte, si aggrapparono l’un l’altra come ogni volta, sentendo che quel calore di cui avevano sempre bisogno si faceva nuovamente vivo dentro di loro, tranquillizzando il cuore e lenendo un po’ quelle ferite che continuavano ad esserci dentro di loro e a far male – nonostante le risate, nonostante i momenti passati insieme, nonostante le chiacchierate senza senso che duravano sempre di più, nonostante i sorrisi che nascevano sempre più spesso sulle loro labbra a causa dell’altro.
Perché Kay, benché non lo desse a vedere, era stanca, tutta la situazione che stava vivendo con Grace le toglieva ogni forza. Perché era difficile far ripartire da capo un rapporto e nonostante il buon inizio, spesso capitava che non riuscissero ancora ad avere una conversazione decente tra di loro, che si trovassero tutt’ora in imbarazzo l’una con l’altra, perché non si conoscevano e non sapevano come prendersi. Era stanca, Kay, e non sapeva più come fare. Perché a quella situazione era sempre collegato il resto, quel vuoto dentro che neppure Ashton riusciva a colmare del tutto. Quel vuoto che forse nessuno sarebbe mai stato in grado di curare, perchè creato in un modo troppo brusco ed improvviso da sconvolgere tutto, e tutti. Un vuoto che, nonostante le cose che stavano finalmente prendendo la piega giusta, era sempre lì e faceva male, tanto male.
Perché quel blocco di vetro attorno al suo cuore era ancora lì, indebolito certo, ma era ancora lì dentro al petto e spesso tornava a ferirla, a farla rimanere senza fiato, con le lacrime che non riuscivano a fermarsi. Lacrime che Ashton non aveva mai visto, perché Kay non lo aveva mai permesso. Non si era mai permessa di farsi vedere troppo vulnerabile, soprattutto dopo quel lontano lunedì pomeriggio quando aveva chiesto l’aiuto del riccio per non cadere ancora. Ed era stato in quello stesso pomeriggio che aveva capito che non doveva mettere tutto quel peso sulle spalle di Ashton. Aveva capito che doveva iniziare ad imparare a reggersi sulle sue gambe, da sola. All’inizio non ci era riuscita, perché il dolore non le lasciava forze sufficienti per fare qualsiasi cosa. Ma pian piano aveva provato, e riprovato, e riprovato ancora, e finalmente qualche debole passo sulle sue di gambe era riuscita a compierlo.
Anche per Ashton le cose non stavano andando poi così tanto alla grande, soprattutto con i suoi genitori. Perché lui ci provava ogni giorno, si sforzava di aprirsi un po’ con loro, e qualche volta ci riusciva pure, ma alla fine erano più i momenti in cui rinunciava ancora prima di cominciare a fare qualche passo avanti con loro. E alla fine si era ritrovato nella stessa situazione di qualche mese prima, con un rapporto quasi inesistente tra lui ed i suoi. L’unica consolazione che aveva – oltre alla sua amicizia con Kaylin – era il fatto che finalmente tra lui ed i suoi fratelli più piccoli – Lauren e Harry – stesse nascendo un qualcosa, fatto di fiducia, di grandi risate, di tanti giochi, di aiuti. Stava finalmente diventando il fratello maggiore che quei due piccoli necessitavano. Quei due piccoli che Ashton si era ritrovato ad amare troppo, all’improvviso, sorprendendosi di quanto potesse essere bello avere delle persone da dover proteggere.
E si ritrovò a sorridere, Ashton, mentre mano nella mano con Kay si avviava al parco non lontano il loro quartiere. Perché, in realtà, lui una persona aveva già iniziato a proteggerla, quasi senza rendersene conto, da quelli che ormai erano diventati tre lunghi mesi.
A quei pensieri, infatti, i suoi occhi verdi si abbassarono sul volto rilassato della mora, ed il suo cuore prese a battere davvero troppo forte, quasi lasciandolo senza fiato. Perché era Kaylin la prima persona che lui aveva deciso di proteggere, che aveva deciso di aiutare, senza chiedere niente, ricevendo tuttavia molto più di quanto avrebbe potuto sperare.
E quei tre lunghi mesi – passati insieme a quella ragazza molto più simile a lui di quanto entrambi volessero ammettere – erano stati i migliori della sua vita, pieni di luce, di risate, di colore. Pieni di tutto quello che gli mancava e che solo Kay era stata in grado di dargli, senza rendersene minimamente conto. Mesi fatti di un rapporto che passo dopo passo si stava costruendo, con calma, senza affrettare niente, prendendo tutto il tempo di cui aveva bisogno. Mesi fatti di tanti messaggi durante il giorno – e alcuni anche durante la notte – di sorrisi timidi ed un po’ imbarazzati ogni tanto, di qualche occhiata fugace e intensa che lasciava entrambi senza fiato, senza parole, con i cuori che sempre più spesso facevano loro brutti scherzi, perdendo di tanto in tanto troppi battiti oppure aumentandone il ritmo all’improvviso, mandandoli completamente in confusione.
Mesi fatti di un’amicizia che diventava più profonda e sempre più intensa, giorno dopo giorno.
Ashton le strinse ancora di più la mano, cogliendola di sorpresa e facendole arrossire un po’ le guance.
«Certo che Tara e le altre sono davvero buffe.» commentò poi, stufo di quel silenzio attorno a loro.
La mora rise di gusto, grata per il fatto che il riccio avesse rotto il ghiaccio, e felice di sentire la sua mano unita a quella di lui; felice di quel gesto che ormai per loro era diventato un’abitudine indispensabile, una dolce abitudine di cui non riuscivano mai a fare a meno. Perché le loro mani avevano un significato molto più grande di quanto si possa immaginare. Erano le ancore a cui i due ragazzi si aggrappavano a vicenda per darsi forza e per non cadere. Erano la loro fonte di coraggio.
«Già, ed io non so come potrei fare senza di loro…» rispose la mora, facendo incontrare i loro occhi, facendo fermare i battiti dentro ai loro petti, facendo mozzare i loro respiri in gola, facendoli rabbrividire nella frazione di un secondo.
«E senza di te.» aggiunse sincera, con la voce molto più simile ad un sussurro. Lo disse senza pensare, perché era la pura verità, non una frase messa lì solo per cortesia o per circostanza. Perché sul serio Kay non avrebbe mai saputo come fare senza i suoi amici, soprattutto senza Ashton. Non avrebbe mai sopportato il fatto di perderlo. Una paura che usciva fuori come un sussurro.
Un sussurro che, tuttavia, Ashton riuscì a sentire molto bene e che ebbe il potere di fargli spuntare l’ennesimo sorriso su quelle labbra che ormai ci si stavano abituando, a quei momenti di gioia improvvisa, dovuti proprio a causa di quella ragazza mora che ora sedeva accanto a lui sull’erba.
Le sorrise e le sistemò una lunga ciocca scura dietro l’orecchio, prima di distendersi sul prato del parco.
«Neppure io riuscirei a stare senza di te.» ammise, facendo spuntare sui loro visi due sorrisi davvero belli, luminosi, guidati da un qualcosa che nessuno dei due conosceva e che non aveva mai provato. Un qualcosa che li stava lentamente legando sempre di più l’uno all’altra e che stava prendendo sempre più campo dentro di loro. Un qualcosa di intenso e di unico, di cui sapevano l’esistenza ma di cui non riuscivano proprio a riconoscere i sintomi, dato che quel qualcosa si presenta ad ogni persona in maniera differente. Un qualcosa che forse li spaventava senza che loro si rendessero conto del timore che provavano al solo pensarci.
Kay si passò distrattamente una mano tra i capelli, mentre il vento di inizio primavera iniziava a farsi sentire sulla pelle, facendola rabbrividire un poco, e mentre le parole di Ashton le rimbombavano nella testa, come un ritornello che non voleva smettere per nessuna ragione al mondo. Un ritornello piacevole, che con pazienza le scaldava l’anima e un po’ la liberava da quel peso che aveva sul cuore. Era bellissimo per lei sapere di contare così tanto per Ashton. Perché anche se non se lo dicessero spesso, sapevano troppo bene di quanto fossero importanti l’uno per l’altra. E questo era una delle poche certezze che avevano.
Ashton si poggiò sui gomiti, così da poter osservare meglio il profilo della mora, che aveva lo sguardo perso, rivolto altrove, pensoso, triste. Uno sguardo che il riccio proprio non sopportava e mai riusciva a mandare via, nonostante lo volesse a tutti i costi.
«Da quanto suoni la batteria?» chiese la ragazza ad un tratto, spezzando quel silenzio che si era creato tra di loro e facendolo sorridere a quella domanda che lei non gli aveva mia posto, forse perché non ci aveva mai pensato, forse perché non se lo era mai chiesta prima, forse semplicemente perché non voleva sembrare troppo invadente col fare domande di quel genere, che andavano a toccare l’unica passione del riccio.
«Praticamente da tutta una vita. Non potrei mai farne a meno.» rispose Ashton, davvero contento nel sapere che Kay si stesse interessando un po’ alla sua vita e gli facesse domande simili. «Un po’ come te con il disegnare, forse…» aggiunse, pensando a come la vedeva concentrata ogni volta che aveva un pennello o una matita in mano. La stessa identica espressione che aveva lui quando suonava. E questo fu l’ennesima prova per entrambi di quanto fossero simili e di quanto bene si conoscessero senza bisogno di troppe cose.
La mora sorrise debolmente, sorprendendosi del commento del ragazzo, prima di stendersi al suo fianco, perdendosi nell’osservare il cielo blu sopra di loro, terso, limpido, senza neppure una nuvola, con il sole che illuminava ogni cosa attorno a loro. Era aria di primavera, quella, e Kay era davvero curiosa di sapere che cosa avrebbe portato la nuova stagione.
«Ma non è più divertente suonare con qualcuno?» chiese lei ancora, senza pensare, incuriosita da quel lato
 di Ashton che si era decisa a voler conoscere un po’ di più.
Il ragazzo sospirò, prima di rispondere con sincerità. «Credo di sì, ma non l’ho mai provato. Nel senso… Non ho mai provato con qualche band.» disse, mentre la sua mente pian piano si riempiva di immagini che forse non avrebbe mai vissuto: le prove con un gruppo di amici; le serate in giro per locali pur di trovare un posto per suonare; la sensazione di aver forse trovato il suo posto, quello per cui era nato; il far provare alle persone che lo avrebbero ascoltato ciò che sentiva lui. Però… tutto questo era solo un sogno, per quel ragazzo riccio che veramente avrebbe tanto voluto far parte di una band. Solo che… I sogni sono sogni. Questo gli aveva insegnato la vita, fino a quel momento.
«Però mi piacerebbe tanto suonare almeno una volta con una band. Giusto per sapere che cosa si prova e che cosa voglia dire sul serio sentire la musica che unisce.»
Kay sorrise, a quel piccolo desiderio appena espresso. E, come attirate dalla frase del riccio, le parole dette da Calum a pranzo le balzarono in testa, facendole mettere a punto un’idea. Così prese il telefono e velocemente inviò un messaggio al cugino, sicura che quando sarebbe tornata avrebbero avuto tanto di cui parlare, lei ed i ragazzi.
 
Da: Kay
Forse vi ho trovato un batterista.






Letizia
Bellissimi, buon giorno a tutti! Allora, come state? Spero che quest'estate vi stia portando tantissime cose belle ;).
Ma passiamo al capitolo! E finalmente in questa storia si inizia a respirare aria buona, aria di ottimismo e non solo più di tristezza! Era anche l'ora, dopotutto, ahahah, voi che dite? ;)
La nostra Kay sta lentamente tornando quella che era un tempo e sta tornando ad avere un bel rapporto con tutti i suoi amici che- strano - hanno bisogno di un batterista.
E alla nostra mora chi altro poteva venire in mente se non Ashton? Sappiate che questa cosa, molto presto, porterà a qualcosa di grosso e bellissimo e kjsdbfkjabfka. OK, basta, non dico altro u.u
Come sempre vi ringrazio per ogni cosa: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Sul serio, siete dolcissimi! <3
Però, per favore, fatevi sentire di più! Lo sapete che 20 paroline mi bastano, sul serio, non chiedo molto. Solo per sapere se la storia vi piace, se non vi piace, se volete che cambi qualcosa, se avete consigli da dare. Per favore, non chiedo tantissimo.
Comunque, adesso devo andare, sto revisionando il primo capitolo di Inatteso, quasi sicuramente in giornata lo posto cambiato ;).
Grazie ancora e a presto, Letizia <3

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Capitolo 14
*** 14. Band ***


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14.
Band
 
 

Due giorni dopo il pomeriggio passato con Kay al parco, Ashton si ritrovò a suonare il campanello del numero 435 di Green Street, mentre il cuore gli batteva davvero troppo forte nel petto per l’emozione, per l’impazienza, per la curiosità che tutta quella situazione gli stava provocando. Perché quello che gli stava succedendo era una cosa molto fuori dall’ordinario, almeno per lui, e sinceramente non aveva alcuna idea di come poter affrontare tutto. In fondo, non gli era mai capitata una cosa simile.
Il giorno prima aveva ricevuto una chiamata da un numero sconosciuto.
«So che suoni la batteria. Ti andrebbe di provare con noi? Abbiamo seriamente bisogno di un batterista.» gli aveva chiesto Calum Hood al telefono, dopo pochi e veloci convenevoli.
E Ashton – un po’ incredulo, un po’ sorpreso per la chiamata da parte di quel ragazzo che conosceva di vista solo grazie a Kay – non si era fatto scappare l’occasione. Aveva accettato. Dopotutto, era sempre stato il suo sogno poter provare almeno una volta con una band. E ora che aveva il tutto a portata di mano, proprio non riusciva a crederci, non riusciva a capacitarsene. Suonare con qualcuno, condividere la sua passione per la musica… Era sempre stato qualcosa sepolto nel suo cassetto e che probabilmente non avrebbe mai visto la luce. Almeno fino a quel giorno.
E adesso era lì, Ashton, davanti casa Hood – la stessa di Kay – con gli occhi increduli e il cuore impazzito per l’emozione. Non riusciva a stare calmo, mentre veniva scosso da piccoli brividi impercettibili. Non ce la faceva a restare tranquillo ad aspettare. Non vedeva l’ora di cominciare, di conoscere la band di Calum, di suonare e di sfogarsi un po’. Nel petto aveva una stranissima sensazione, come se ad un tratto una strana forza dentro di lui volesse in ogni modo uscire per risplendere, per farlo brillare, per renderlo libero, per renderlo vivo, come mai prima di allora era stato. Era come se mille e mille cavi elettrici si fossero messi a funzionare tutti nello stesso istante, dando molta più energia del necessario, un’energia che Ashton proprio non sapeva come riuscire a contenere e che doveva liberare, in un modo o nell’altro.
Si sentiva veramente nervoso. Dopotutto, non conosceva nessuno di quei ragazzi, se non di nomea e grazie a Kay che gliene aveva parlato qualche volta. In più, a tutto il suo nervosismo, si aggiungeva anche l’ansia e la preoccupazione di dover fare tutto nel migliore dei modi pur di entrare nella band. Perché adesso il suo obbiettivo era diventato quello: cercare di entrare. Perché se uno dei suoi sogni si stava avverando, forse poteva pensare a qualcosa di più. O almeno, così sperava.
Sospirò per allontanare la tensione ed alzò un attimo gli occhi, notando le tende azzurre della camera di Kay tirate, forse per mantenere il caldo nella stanza.
E si ritrovò a pensare pure alla mora, Ashton. Pensò a lei, che gli aveva raccontato che viveva con suo cugino da tutta la vita, omettendo quel perché che lui non aveva voluto sapere. Perché lui, Kay, ormai stava imparando a conoscerla davvero bene, e sapeva che lei aveva bisogno dei suoi tempi per aprirsi e, soprattutto, per raccontare qualsiasi cosa riguardasse la sua vita. Pensò a lei e a come fosse strano che gran parte delle cose più belle che stava vivendo fossero in qualche modo legate a quella ragazza – ancorata al suo cuore come a non volerne uscire per nessuna ragione.
E sorrise, mentre il viso della ragazza si faceva largo tra i suoi pensieri, con quel sorriso timido e con le guance imporporate dal freddo. La sua Kay, bella e dolce come la Luna. Perché per lui quella ragazza emanava una luce potentissima, ma molto più timida e tenue rispetto a quella incandescente del Sole. Kay era la sua Luna, e non l’avrebbe mai cambiata con nient’altro al mondo.
E, benché fossero passati pochissimi giorni, non vedeva l’ora di rivederla e di stare un po’ con lei. Non vedeva l’ora di farle sentire nuovamente la sua musica per farla entrare ancora di più dentro di lui, dentro al suo cuore, dentro la sua vita. Non vedeva l’ora di potersi sentire libero, Ashton, con lei, davanti a lei, pur di farle conoscere tutto di lui, pur di renderla sempre più parte della sua vita. E fremeva perché non era più in grado di poter aspettare oltre.
Per questo non riuscì a trattenere un sorriso, quando un ragazzo moro gli aprì la porta per salutarlo con un «Tu dovresti essere Ashton, io sono Calum! Dai, entra!», prima di farlo accomodare.
E il fatto che l’altro avesse accolto il riccio in quel modo aperto, semplice, non fece altro che aumentare in Ashton la voglia di suonare con lui e i suoi amici.
«Grazie.» disse senza smettere di sorridere, mentre lentamente una sensazione nuova, bellissima, si stava facendo spazio, dentro di lui. Una sensazione che non riusciva a spiegarsi del tutto, ma che comunque lo faceva sentire troppo bene, come non succedeva da tempo. E sperò, Ashton. Sperò che quella sensazione potesse durare il più a lungo possibile. Perché quella sensazione, quello strano qualcosa, gli stava scaldando il cuore nel modo più dolce possibile. Un modo che lo faceva sentire benvenuto, lo faceva sentire a casa in ogni senso, anche se lui non riusciva a spiegarsi bene il perché.
«Da quanto suoni?» chiese Calum, incuriosito da quel ragazzo di cui aveva parlato parecchio con sua cugina due giorni prima. Insomma, non avrebbe mai creduto che quel riccio – oltre che aiutare Kay a stare meglio – sapesse pure suonare la batteria. E scoprirlo, sinceramente, per lui era stato un colpo, una sorpresa, un’opportunità che non si era lasciato sfuggire. Perché Calum – come Luke e Michael – sapeva quanto la loro band avesse bisogno di un batterista. E Ashton era capitato a pennello. In più, era davvero curioso di conoscere quel ragazzo che stava lentamente facendo tornare a galla la Kaylin di un tempo. E per questo, Calum sarebbe sempre stato riconoscente ad Ashton, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ripagare quell’immenso favore, quel dono inatteso da parte di quel ragazzo.
«Da sempre. Non potrei mai farne a meno, neppure volendo.» ammise il riccio con sorriso sulle labbra mentre scendevano nel seminterrato, con il cuore che sembrava volergli esplodere da un momento all’altro.
«Già con questa risposta guadagni punti con me. Adesso però devi convincere gli altri due.» gli consigliò Calum, soddisfatto di aver trovato un’altra persona appassionata di musica come lo erano lui ed i suoi migliori amici. Aveva un buon presentimento, il moro, su come sarebbe andata la serata e non vedeva l’ora di vedere se aveva ragione oppure no.
Non appena entrarono nella stanza dalle pareti insonorizzate, al riccio per poco non prese un colpo per l’immensa sorpresa, mentre il cuore gli si fermava nel petto per un istante. Perché Kay era lì, con le altre ragazze, intenta a chiacchierare. Era davanti a lui, bella come una stella, come la Luna, con un sorriso dolce – e diverso dai soliti in modo positivo – sul viso che la illuminava tutta. Un sorriso che riuscì ad aumentare quella strana sensazione di benessere che il ragazzo provava da quando era arrivato.
Però lui non si mosse, non disse niente. Semplicemente, lasciò che la mora si voltasse verso di lui, per avere tutto il tempo di gustarsi ogni singolo istante. Per lui non c’erano più le prove, Calum e la band. C’era solo Kay, e la sua voglia di abbracciarla. Per questo tossì lievemente, attirando l’attenzione della mora.
E non appena i loro occhi si incontrarono, lo sguardo di lei si addolcì, prima che – senza dire niente – corresse ad abbracciarlo forte, così forte da togliere il respiro ad entrambi, come a dimostrare che non credeva che Ashton potesse essere lì. Forte, come ogni volta che volevano dimostrarsi tutto quell’affetto che ormai sapevano di provare l’una per l’altro. Un affetto forte, vero, unico, bellissimo, sincero, che li univa in un modo così profondo da renderli quasi una cosa sola. Un qualcosa di meraviglioso .
«Che ci fai qui?» gli chiese divertita prima di baciarlo velocemente sulla guancia per salutarlo, rabbrividendo un po’ nel sentire quel minimo accenno di barba sulle guance morbide del ragazzo, mentre cercava di tenere a bada i battiti del suo cuore, troppi veloci rispetto alle altre volte.
Lui le baciò a lungo la fronte e le sorrise, felice sul serio di vederla lì e di poterla tenere stretta, vicina al suo cuore come tutte le volte che ne aveva l’occasione.
 «Tuo cugino mi ha chiesto di fare le prove con la loro band. Tu ne sai qualcosa?» chiese. Perché quel dubbio lo stava assillando da quando Calum l’aveva chiamato. In fondo, lei era l’unico mezzo tramite cui il moro avrebbe potuto avere il suo numero di telefono e sapere che suonava la batteria.
Kay tuttavia scosse la testa, ma non aggiunse altro. Perché in realtà l’idea di far entrare Ashton nella band era partita proprio da lei, non appena il riccio aveva ammesso che gli sarebbe piaciuto poter far almeno una prova. Forse era un’idea azzardata – come le aveva ben fatto notare Luke quando mentre ne discutevano due sere prima – o addirittura folle – come invece aveva osservato Michael, per  niente convinto dell’idea dell’amica. Solo Calum si era dimostrato pienamente favorevole e, alla fine, in un modo o nell’altro, avevano chiamato Ashton, che adesso era lì con loro, e stringeva Kay come se fosse la cosa più preziosa di tutte.
Kay, che subito aveva fatto di tutto pur di convincere i suoi amici, pur di rendere reale il sogno di quel ragazzo troppo importante per lei, pur di farlo felice in qualche modo. Perché Ashton si meritava tutta la felicità del mondo, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderlo tale.


«Vedi, Nathalie?» sussurrò la bionda all’amica senza distogliere gli occhi dalla mora.
La rossa riuscì solo ad annuire, presa completamente alla sprovvista. Perché lei, Elen e Tara in quegli ultimi mesi non avevano fatto altro che parlare di Ashton e Kay, di come si osservassero senza rendersene conto e di come era evidente quanto bene quei due si volessero. Solo che, vederlo dal vivo, vedere con i propri occhi quanto realmente quei due avessero bisogno l’uno dell’altra, aveva lasciato Nathalie completamente basita, senza parole, incapace di poter ribattere ad una cosa bella come quella.
«Sinceramente non so cosa pensare. Dopotutto, chi ci dice che quei due non siano semplicemente amici?» ipotizzò la rossa, troppo preoccupata per l’amica. Perché, se Kay fosse caduta nuovamente, Nathalie non era sicura di essere in grado di poterla aiutare a tornare quella di prima. Non c’erano riusciti loro in anni ed anni di sforzi finiti male. Quindi per lei era inconcepibile il fatto che Ashton – un ragazzo spuntato fuori dal nulla – avesse migliorato tutto in poco più di tre mesi.
«Dai amore, non essere così preoccupata.» le consigliò Luke abbracciandola da dietro e baciandole il collo facendola rabbrividire. «Sai meglio di me quanto Kay sappia badare a se stessa.»
A quelle parole, Nathalie riuscì semplicemente ad annuire, mentre cercava in ogni modo di rilassarsi, e di pensare, di convincersi che tra la sua amica e quel ragazzo riccio sarebbe andato tutto bene.
«Io spero in bene per entrambi.» commentò Elen con il sorriso sulle labbra, facendo annuire Tara in modo complice. Perché se c’era una persona per cui avrebbero fatto di tutto pur di vedere felice, quella era Kay, che si meritava tutto il meglio del mondo, dopo quello che aveva passato fino a quel momento. O almeno, secondo loro ed i loro rispettivi ragazzi, che intanto si erano avvicinati e le avevano circondate con le braccia, facendo battere i loro cuori molto più velocemente.
«Sono contento che Ashton sia qui.» commentò Calum serio. Perché sul serio non aveva idea di come poter ripagare quel ragazzo per tutto quello che stava facendo per sua cugina. L’aveva cambiata, facendola tornare quella di un tempo, e anche se non del tutto, almeno l’aveva aiutata ad aprirsi, lentamente, con calma, facendo nuovamente emergere la vera Kay. E questo, per Calum, era il dono migliore che il cielo potesse fargli
Elen sorrise dolce e non ci pensò due volte a schioccargli un bacio sulle labbra.
«Ed io sono felice che Kay abbia lui e te.»
Luke invece non vedeva l’ora di sentir suonare quel nuovo arrivato. Sperava con tutto il cuore di poter trovare il giusto batterista. Perché una band fatta di due chitarre ed un basso non era male come idea, ma sarebbe sempre mancato qualcosa.
Per questo «Io direi di iniziare a provare.» consigliò allontanandosi da Nathalie e ponendo fine a quel momento troppo dolce per i suoi gusti, guadagnandosi un piccolo pugno sul braccio da parte della sua ragazza, che «Sei un guastafeste!» esclamò divertita, prima di lasciargli un bacio veloce, facendolo sorridere di cuore.
E Tara si ritrovò a ridere di cuore, non appena Ashton e Kay si allontanarono l’uno dall’altra, rossi in viso per l’imbarazzo. Era contenta, la bionda, contenta per la sua migliore amica. Perché forse, finalmente, aveva trovato quello che le mancava per essere davvero felice.
«Tu pensi ancora che tra loro due ci sia del tenero?» le chiese Michael, baciandole la guancia.
«Sì, ne sono più che convinta.» rispose lei, facendo incontrare i suoi occhi chiari con quelli di Michael. «Osservali attentamente oggi, poi nei riparliamo.»
E il ragazzo dai capelli colorati si ritrovò a sorridere, mentre si metteva a tracolla la chitarra – seguito da Luke – per poi presentarsi al nuovo arrivato con un sorriso cordiale sul viso.
«Ciao, sono Michael e lui è Luke.»
«Benvenuto.» gli fece eco il biondo divertito e cordiale
«Tanto piacere.» rispose divertito Ashton, mentre quella strana e bella sensazione tornava a farsi sentire prepotente dentro di lui, smuovendo così tante di quelle cose e facendo sparire così tante di quelle cicatrici che aveva dentro, come a volerlo aiutare a diventare più libero. Si sentiva bene, davvero bene. Non sapeva di preciso che cosa stesse succedendo dentro di lui, ma il fatto di non sentirsi fuori posto, di sentirsi accettato così com’era ancor prima di essere conosciuto del tutto gli dava una speranza che – dopo Kay – non aveva mai sentito dentro. Una speranza che voleva continuare a far durare, fin quando avrebbe potuto.
Si sentiva accettato, Ashton. E non avrebbe potuto chiedere niente di meglio.
«Beh, cosa stiamo aspettando?» chiese Calum, che proprio non vedeva l’ora di suonare con il riccio.
I tre ragazzi sorrisero divertiti e presero posto, con l’adrenalina che pian piano si faceva sentire forte e prepotente dentro di loro.
 
«Nathalie, smetti di rubarmi la crema!» esclamò Elen minacciando l’amica con un cucchiaio in mano. La rossa sorrise e fece la linguaccia alla castana, prima di prendere ancora un po’ di gelato facendo infuriare l’altra e facendo ridere gli altri di gusto, Ashton e Kay compresi.
«Dai, che ce n’è per tutti.» ribatté Nathalie divertita prendendo ancora un po’ di gelato prima di passarlo a Luke affinché ne preparasse un po’ anche per gli altri. Elen scosse la testa, sorridendo, e tornò ad accoccolarsi sulla spalla di Calum, mentre lui le accarezzava un fianco e chiacchierava animatamente con Ashton.
«Giuro, non avevo mai sentito suonare la batteria come la suoni tu. Complimenti!»
A quelle parole, il riccio si ritrovò un po’ a disagio mentre le guance gli si coloravano un po’ di rosso. Non era particolarmente abituato a ricevere complimenti, specialmente riguardanti il suo modo di suonare. Però era felice, davvero felice, che le prove fossero andate molto meglio di quanto si fosse aspettato.
Era come se una strana energia si fosse insinuata dentro i ragazzi, unendoli, facendo in modo e maniera che ogni nota, ogni accordo, ogni parola, andasse al suo giusto posto, come un gioco che ha bisogno di più persone che ne fanno parte per essere portato a termine.
E quel pomeriggio Calum, Luke e Michael si erano resi conto che Ashton – e il modo in cui il riccio suonava la batteri – erano le cose che mancavano alla band per essere completa. Mancava Ashton. E tutti e tre erano felicissimi di aver finalmente trovato quella parte mancante, fondamentale, per completare forse un giorno il loro sogno più bello e più grande di tutti. Un sogno che accomunava tutti e quattro i ragazzi e che li univa ancor più nel profondo, ponendo forse le basi per un’amicizia forte, solida e bellissima.
«Grazie.» si ritrovò a rispondere il riccio, mentre le dita di Kay intrecciate alle sue calmavano secondo dopo secondo l’ansia di cui il ragazzo era stato preda fino a quasi mezz’ora prima.
E a Michael, il gesto della mora non passò inosservato, per niente. Per questo si voltò verso Tara e «Credo che forse tu abbia ragione riguardo loro due, sai?» ammise, facendo ridere di gusto la bionda che non ci pensò due volte ad abbracciarlo forte, facendo combaciare perfettamente i loro corpi e facendo battere forte i loro cuori. «Fidati di me una buona volta.»
 
E mentre i suoi amici ed Ashton interagivano, si divertivano, ridevano, scherzavano, chiacchieravano, si conoscevano meglio, ponevano senza rendersene completamente conto le basi per quella che – la mora ne era totalmente sicura, senza alcun’ombra di dubbio – sarebbe sicuramente diventata una splendida amicizia, Kay si ritrovò a pensare. E, come suo solito, pensò a così tante cosa da perderne il conto.
Pensò a Nathalie e Luke, che stavano insieme da poco e che le stavano facendo ricredere sull’idea dell’amore che aveva da tutta una vita. Le mostravano che a volte non c’è una spiegazione plausibile a sufficienza per capire le dinamiche di quello stranissimo e complicatissimo sentimento che unisce due persone quando meno se lo aspettano. Pensò a quanto quei due si fossero sempre piaciuti, ma che non erano mai riusciti ad ammettere i loro sentimenti.
Proprio come Elen e Calum, benché la loro fosse più paura di rovinare quell’amicizia che li univa da sempre e che aveva fatto nascere tutto. Pensò che a volte all’amore serve tempo, per nascere, per crescere – facendo crescere a sua volta chi ne è coinvolto – e per venir fuori, per legare quelle determinate persone in un modo tutto particolare, bellissimo, unico e meraviglioso e diverso e pazzesco ogni volta. Calum ed Elen, così diversi dagli altri due che restavano.
Tara e Michael erano stati invece una bomba, che era esplosa subito, non appena i due si erano trovati. Una bomba che non aveva fatto altro che continuare a bruciare, brillante, bellissima, invidiabile, forte, indisturbata, come a voler dimostrare a quanto l’amore possa resistere, quante cose possa affrontare, quanto a lungo possa combattere senza diminuire. Tara e Michael, per la mora, erano la dimostrazione di un sentimento che non muore mai, che anzi si fortifica e matura giorno dopo giorno, portando così tanto da riempire tutto.
E Kay, si ritrovò a pensare pure ad Ashton. Si soffermò sulla dolce sensazione che stava provando grazie alle loro mani unite. Si concentrò sul battito del suo cuore, lievemente più veloce del solito. E sorrise, Kay. Sorrise perché finalmente Ashton era felice, felice sul serio. Perché lo vedeva, lei, quel sorriso su quelle labbra che in quegli ultimi giorni si era ritrovata ad osservare sempre più spesso. Vedeva quanto Ashton si stesse sentendo libero, adesso, lì con i suoi – anzi loro – amici, lì con lei.
Anche lei aveva sentito quella strana energia propagarsi nel garage. Un’energia che aveva avvolto ogni cosa e che era riuscita a rendere il tutto più magico, più bello, più vero. Un’energia che aveva aiutato Ashton a sbloccarsi ancora di più, con lei e con gli altri, come a voler aiutare la nascita e la crescita di un qualcosa che, di preciso, nessuno di loro sapeva comprendere. O per lo meno, non ancora.
Era come se se Ashton fosse un arcobaleno, spuntato non appena conclusa quella tempesta che, dentro di lui, stava durando da troppo tempo e che, lentamente, lo stava logorando, stava spegnendo la luce di quel ragazzo che invece aveva bisogno di splendere, per se stesso ma, soprattutto, aveva bisogno, doveva splendere per Kay, per aiutarla a sconfiggere il suo buio, per mandar via quel che restava di quel cubo di vetro che – benché in minima parte – teneva ancora prigioniero il suo cuore.
Kay aveva bisogno di Ashton nello stesso modo in cui Ashton aveva bisogno di lei.
Erano complementari, in ogni senso. Era lui che riusciva a riempire i suoi spazi vuoti, ed era sempre lui che giorno dopo giorno mandava lentamente in frantumi quel cubo di vetro che ancora – anche se in modo molto minore – continuava ad intrappolarle il cuore. Solo che ancora non lo sapevano con certezza, di essere l’uno l’ancora dell’altra. Dovevano capire ancora così tante quelle cose. Sapevano che avrebbero avuto bisogno di un di tempo. Ma non se ne preoccupavano. L’importante era restare uniti, come avevano sempre fatto.
E andava davvero bene così, mentre l’amicizia lentamente nasceva quella sera e mentre un qualcosa di davvero troppo forte e troppo intenso si propagava dentro di loro, unendoli più di quanto già non fossero.
Kay sorrise e, alzato lo sguardo, incontrò quello del cugino che le fece l’occhiolino. Lei rise sommessamente e gli mimò con le labbra una parola che il moro non avrebbe mai dimenticato, mentre osservava la cugina diventare sempre più felice grazie al ragazzo che le era accanto. Una parola semplice, eppure così importante e densa di significato, da lasciare basiti. Una parola che racchiudeva un mondo.
«Grazie.»






Letizia
Hola bella gente! Spero stiate bene ;).
Allora, che capitolo che è questo!!!!!!!! Finalmente Ash entra nella band!!! Lo so, c'è voluto un po' di tempo, ma nel prossimo capitolo scoprirete perchè.
Intanto tenete a mente che sarà fondamentale il fatto che Ashton NON sappia che Kay ha dato l'idea a Cal.
E poi, dai, il nostro bel riccio viene subito accolto bene e piace a (quasi) tutti. Cari che sono *^*.
E io mi sciolgo, perchè questo è uno dei miei capitoli preferiti, perchè si continua ad intravedere una luce di ottimismo nel grigiore dei capitoli precedenti. Perchè le cose stanno cambiando, in meglio u.u
Poi, che dire, spero davvero con tutto il cuore che vi sia piaciuto!
E poi sclero, ma sclero male, PERCHEì DOMANI ESCE LA CANZONE NUOVA ED IO NON SONO PSICOLOGICAMENTE PRONTA AD UNA COSA SIMILE.
Ok, ok, adesso mi calmo, torno in me. E vi ringrazio dal più profondo del cuore, per ogni cosa! <3
Solo, dai, fatemi sapere quel che ne pensate, please! Sapete quanto tenga al vostro parere! Bastano quelle famose 20 paroline! *^* <3
Detto questo, vado, che ho un mucchio di cose da fare :P :). Ci sentiamo presto!
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 15
*** 15. Amici ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


15.
Amici
 
 

Da quel pomeriggio le settimane passarono lentamente, dando modo e tempo a tutti e otto i ragazzi di formare un gruppo unito e bellissimo, in ogni più piccola parte. Stavano mettendo con calma le basi per un qualcosa di speciale e di unico, che mai si sarebbero aspettati. Soprattutto, nessuno di loro avrebbe mai pensato che Ashton sarebbe potuto diventare una parte importantissima delle loro vite in così poco tempo.
Né i ragazzi né le ragazze avrebbero mai pensato che quel ragazzo spuntato così, fuori dal nulla, sarebbe potuto diventare una delle persone a cui tenevano di più al mondo. Era stata una piacevolissima sorpresa poter trovare un amico così, senza aspettarselo minimamente, in modo del tutto imprevedibile. Imprevedibile proprio come ogni passo che compie la vita, che porta sorprese di ogni tipo in ogni momento.
E pure lo stesso Ashton ne era consapevole. Perché proprio non avrebbe mai creduto di potersi sentire così a suo agio con quelle persone che lo avevano fatto entrare nelle loro vite senza chiedergli niente in cambio, riempiendolo solo di un affetto così grande che spesso non credeva di meritarselo del tutto.
Aveva degli amici, aveva finalmente degli amici che lo accettavano e gli volevano bene semplicemente per quello che era, che non pretendevano che cambiasse per nessuna ragione al mondo. Rispettavano i suoi silenzi prolungati e non domandavano mai troppo se vedevano che aveva qualcosa che non andava. Semplicemente, gli volevano bene. E questo per Ashton era un dono molto più grande di qualsiasi altro, a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo.
Gli piacevano tutte quelle persone che pian piano stavano entrando nella sua vita, illuminandola passo dopo passo, facendo uscire parti di lui intrappolate dietro ad un muro per troppo tempo. Parti di sé che finalmente potevano sfogarsi, potevano renderlo libero. Anche se lui libero del tutto non lo sarebbe mai stato, almeno fino a che non si fosse aperto del tutto con i suoi genitori, fino a che non si fosse fidato totalmente di loro da lasciarsi amare come un figlio merita di essere amato. Sapeva che avrebbe dovuto imparare a fidarsi di loro, a discapito delle brutte sensazioni che provava. Eppure… Niente era più difficile di quel passo. E Ashton non aveva forze sufficienti per affrontarlo, non ancora.
Per questo ringraziava il fatto di aver trovato degli amici. Ringraziava il fatto che qualcuno lo aiutasse a non farlo pensare a quello che stava vivendo. Perché nonostante tutte le persone che aveva intorno, persone bellissime, magnifiche, uniche, lui… Lui aveva paura, troppa paura di donare tutto se stesso. E non sapeva spiegarsi il perché, anche se lo avrebbe tanto voluto.
Ringraziava Calum e Luke, perché lo stimavano per ogni cosa che li accomunava, soprattutto nella passione che avevano per la musica e per il semplice fatto che riuscivano a capirsi senza troppe parole o senza troppi gesti. A loro tre bastava sempre una parola per capirsi, e ad Ashton andava davvero bene così, come inizio.
Ringraziava Elen per appoggiarlo e per sostenerlo in ogni cosa, con le altre ragazze, con la band, e pure con Kay. Era come se fosse la sorella più piccola – ma non troppo – che non aveva mai avuto e di cui aveva bisogno forse per aprire gli occhi su parecchie cose.
Ringraziava Tara ed il suo essere la stessa ragazza che aveva sempre conosciuto, nonostante gli anni passati lontani: espansiva, dolce, complice e sempre attenta ad ogni dettaglio – anche e soprattutto a quelli che lui mai riusciva a vedere, neppure volendo.
Ringraziava Michael e Nathalie per quel poco di diffidenza che avevano nei suoi confronti. Perché lo aiutava, lo spingeva ad aprirsi di più con loro, lo aiutava a mostrarsi senza maschere, senza problemi, pur di non far loro pensare che potesse essere qualcosa di diverso da quello che era e che stava imparando ad accettare.
Stava imparando ad accettarsi, a volersi forse un po’ più bene di prima. Stava iniziando a lasciarsi amare dalle persone, e questo per lui era davvero un enorme passo avanti. Il fatto di riuscire finalmente a fare entrare qualcuno nel suo cuore, nella sua vita, era una mezza novità che un po’ lo sorprendeva.
Perché alla fine solo Kay era stata in grado di entrargli dentro, di cambiarlo come nessuno prima di lei era mai riuscito a fare. Kay era stata la prima, in ogni più piccola cosa. Era stata la prima a farlo sorridere di nuovo dopo tanto tempo. Era stata la prima persona per cui aveva deciso di combattere ogni muro, ogni brutta cosa che la mora aveva dentro e che ancora non la lasciava splendere come meritava. Era stata la prima per cui non aveva mai nascosto di essere quello che era. A Kay, lui si era sempre mostrato senza alcuna maschera, perché sentiva che non ne avrebbe mai avuto bisogno, non con lei, non con quella ragazza troppo speciale e troppo importante per lui.
Una ragazza che continuava a sorprenderlo, giorno dopo giorno, a dargli così tanto, a dargli tutto. Un tutto che Ashton non sapeva se poteva meritarsi oppure no. Perché era grazie a quel tutto se lui finalmente poteva dire di star tornando a vivere sul serio, con calma, un passo alla volta. E non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio, non se Kay avesse continuato a far parte della sua vita.
Ed era questo che pensava durante quel pomeriggio, passato in compagnia di tutte quelle persone a cui lentamente, con calma e con fatica si stava affezionando. Pensava e non riusciva a smettere di sorridere, rincuorandosi di come stava andando ogni cosa e del fatto che non si fosse mai aspettato niente di quello che stava vivendo da ormai quattro mesi a quella parte – quattro mesi dal suo incontro con Kay.
Sorrise sommessamente e tirò il cuscino addosso a Calum – che lo aveva appena messo in ridicolo con tutti gli altri – prendendolo in pieno e facendo scattare l’ilarità generale.
«Ma vuoi smetterla una buona volta?» esclamò il moro prima di rilanciare il cuscino e prendere Kay per sbaglio in pieno viso, facendola ridere di cuore.
«Ehi, ma è colpa sua!» si ritrovò a ribattere lei, indicando Ashton, ricevendo così da parte di quest’ultimo una gomitata lieve sul braccio.
Giocavano sempre, Ashton e Kay, ed era bello, come era bello condividere il tempo con tutte quelle persone.
Era bello, davvero bello poter provare qualcosa di simile con persone di cui Ashton sapeva di potersi fidare del tutto, senza aver paura di rimaner deluso o ferito. Era davvero pazzesco, e andava benissimo così.
Soprattutto, andava benissimo se Kay era con lui.
Perché seriamente lui non riusciva a capire il suo stato d’animo quando lei era nelle vicinanze. Ogni volta il cuore gli batteva sempre più veloce e sempre più forte nel petto, quasi volesse uscirgli da un momento all’altro. Quando sentiva il suo nome, diventava inconsciamente più attento alla cosa o alla conversazione che la riguardava. Tutte le volte in cui pensava a lei voleva esserle accanto, pur di sentire dentro quella sensazione di benvenuto, di casa che nessuno riusciva a dargli.
Kay era la sua ancora, la persona più importante di tutta la sua vita.
E lui non l’avrebbe lasciata andare, mai, per nessun motivo al mondo.
Perché Kay era riuscita – e riusciva tutt’ora – a rimettere in sesto ogni sua parte lesa, distrutta da tutto quello che aveva provato prima di incontrarla. Era riuscita a portare nuovamente colore nella sua vita, rendendola meravigliosa con poco, senza alcuna pretesa. Era riuscita a ridargli speranza. E per questo, lui le sarebbe sempre stato riconoscente.
 
E mentre lui pensava, anche gli altri ragazzi, seduti sui divani e sul tappeto del soggiorno di Michael, stavano facendo il punto della situazione, a modo loro, cercando oppure no di trovare risposte a tante domande, a troppi «Perché?» che forse sarebbero sempre rimasti irrisolti.
Calum aveva preso Ashton in simpatia fin da subito, con quel suo essere semplice e tranquillo e sincero come mai nessuno – a parte Luke e Michael – era mai stato con lui. Calum, semplicemente, aveva capito che quel ragazzo “nuovo” stava facendo bene a tutti loro. Soprattutto, stava facendo bene a Kay, a sua cugina con cui letteralmente aveva condiviso tutta una vita, da quanto entrambi erano piccoli.
Luke era dello stesso parere, soprattutto con l’idea di far entrare il riccio nella band. Ashton era il pezzo mancante dei 5 Seconds of Summer, quel pezzo fondamentale che serviva per far funzionare tutto alla perfezione. E poi, Ashton a Luke piaceva da matti, con quel suo modo di suonare davvero fuori dal comune, fatto di un’energia che non aveva mai sentito prima, nemmeno quando ascoltava le sue band preferite. E per Luke quell’energia era qualcosa di pazzesco.
Quell’energia e quel modo di fare sempre disponibili aveva iniziato a notarli pure Elen, che trovava quel ragazzo dolcissimo e davvero troppo simpatico. Non si conoscevano ancora bene, ma la ragazza adorava il modo in cui poteva parlare con il riccio di ogni cosa, senza sentirsi giudicata o presa in giro. Aveva sempre sperato di incontrare qualcuno come Ashton: sincero e che metteva il cuore in ogni cosa che faceva e in tutto l’affetto che dava alle persone a cui voleva bene. Era diventato uno dei suoi più cari amici. Ed Elen avrebbe fatto di tutto pur di farlo sentire a suo agio con gli altri e pur di non perderlo, per dimostrargli semplicemente quanto bene già gli volesse.
Nathalie era l’unica che ancora continuava ad avere qualche dubbio su Ashton. Semplicemente perché era schiva e diffidente di natura e raramente cambiava la prima impressione che aveva sulle persone. Tuttavia, doveva ammettere che era lampante che quel riccio facesse bene a tutti loro: ai ragazzi per la band e a Kay per tutto il resto, per tutto quel casino che stava ancora vivendo e di cui lei e gli altri sapevano solo una misera parte. Una parte che ancora non avevano capito.
Michael aveva invece cominciato a cambiare opinione su Ashton, a partire dal fatto che aveva capito quanto fosse indispensabile nella band. Non aveva mai conosciuto nessuno che mettesse il cuore nella musica come faceva il riccio, e già per questo lo stimava moltissimo. In più, aveva pure iniziato a conoscerlo un po’ meglio, e mai se lo sarebbe aspettato così timido, impacciato e vero. Perché Ashton era un amico vero, con tutti loro. Ed era per questo che subito tutti lo avevano preso in simpatia ed avevano imparato a volergli bene in poco tempo.
Tara, l’unica a conoscere Ashton prima di Kay, era davvero felice per come stava andando tutto. Perché aveva sperato fin dall’inizio che Kay presentasse Ashton agli altri di sua iniziativa. E la bionda sapeva che quel gesto valeva molto di più di quanto sembrasse. Dopotutto, conosceva Kay come le sue tasche – o almeno, capiva alcune di tutte quelle cose che la mora si portava dentro – e sapeva quanto le restasse difficile condividere qualcosa. Perché Kay doveva essere sempre sicura al mille per cento prima di fare entrare qualcosa nella sua vita, in ogni modo possibile ed immaginabile. E Tara – come tutti gli altri – aveva capito quanto Ashton e la sua migliore amica si stessero facendo bene a vicenda.
 
«Ehi.» la voce di Ashton arrivò alle orecchie di Kay dolcemente, come un sussurro in piena notte, così vicino al cuore da farlo iniziare a battere così forte da togliergli il respiro nella frazione di un secondo, sorprendendola dell’intensità di ogni sua emozione ogni volta in cui si ritrovava accanto al riccio.
«Ehi.» rispose lei, sorridendo e stringendo un po’ di più la mano del ragazzo, come a voler confermare a se stessa il fatto che lui era lì, era davvero lì con lei e con i suoi più cari amici. Voleva accertarsi del fatto che Ashton stava davvero entrando in pieno nella sua vita, che stava condividendo con lui molto di più di quanto lei stessa mai si sarebbe aspettata.
«Sei pensierosa. Che succede?» le chiese, facendole scuotere lievemente la testa con il sorriso sulle labbra.
«Non è niente, tranquillo.» rispose la ragazza, mentre Ashton sorrideva divertito, prima di stringerla a sé in un abbraccio timido e bellissimo. Un abbraccio in grado di darle un sollievo ed un affetto tali da lasciarla senza fiato per la sorpresa e per il batticuore che la lasciava senza respiro ogni volta.
Si accoccolò vicino al riccio e lo strinse a sua volta, cercando di fargli capire quanto lui contasse per lei, quanto importante lui fosse sempre stato. Voleva dimostrargli che senza di lui, lei non sarebbe mai tornata ad essere quella di un tempo, la Kay che tutti – lei stessa compresa – aspettavano.
Per questo gli schioccò un veloce bacio sulla guancia, prima di aggiungere un piccolo particolare, poche parole che aumentarono quel grande affetto che già li univa fin nel profondo da ormai tantissimo tempo.
«Sono solo felice, Ash. Davvero felice.»
E lo era, lo era davvero, per come stava andando ogni cosa. Era felice per Ashton e per i suoi amici, per il rapporto che si stava lentamente instaurando tra le persone più importanti di tutta la sua vita. Era felice perché i ragazzi avevano ufficialmente accettato Ashton nella band e lui stava finalmente muovendo i passi da solo verso quella libertà che meritava da tutta una vita. Era felice, Kay, perché mai si sarebbe aspettata una simile accoglienza verso il riccio da parte degli altri. Era felice, pure per il fatto che le cose con Grace stessero migliorando, ma migliorando sul serio.
Per questo, sapeva che non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio, perché aveva già tutto.
E pensava, Kay, mentre gli altri ridevano e scherzavano come se lo stessero facendo da tutta una vita.
Pensava al perché ci avesse messo tanto a far conoscere Ashton e i ragazzi.
Erano passati quattro mesi da quando loro due si erano conosciuti, ed uno soltanto da quando il riccio aveva iniziato a far parte del loro gruppo. E Kay sapeva il perché di quell’aspettare. Lo sapeva troppo bene.
Aveva aspettato perché aveva avuto bisogno di essere totalmente sicura. Doveva assicurarsi che Ashton non sarebbe diventato l’ennesima illusione o l’ennesimo portatore di dolore nella sua vita. Doveva essere sicura che lui non se ne sarebbe mai andato, non dopo quella loro strana promessa che entrambi stavano continuando a tenere viva giorno dopo giorno e passo dopo passo, insieme.
E per questo, aveva avuto bisogno di parecchio tempo. Un tempo servito a capire che lei e Ashton erano legati da un qualcosa di troppo profondo, così profondo e vero che li lasciava dipendenti dalla presenza dell’altro nella propria vita in un modo che mai avrebbero creduto possibile.
E molte risposte, anche se non in modo del tutto certo, Kay le aveva trovate. Aveva trovato le conferme che le servivano per poter continuare a condividere la propria vita con quella di Ashton, rendendole libere, vere, luminose e degne di essere vissute in pieno, ogni attimo, pur di conoscere cosa volesse significare sentirsi infiniti, sentirsi senza alcun limite.
E quei limiti, Kay li stava abbattendo, con così tanta fatica che aveva paura di cadere di nuovo nel buio. Stava iniziando a sentire meno il vuoto che aveva nel cuore, quel vuoto che adesso si stava riempiendo grazie a tutte quelle emozioni che stava tornando a percepire, giorno dopo giorno come se fosse la prima volta. Solo che aveva paura di non essere abbastanza forte, di cadere ancora in quel buio da cui a fatica era uscita.
Ashton però non glielo permetteva, mai, non l’aveva mai fatto. L’aveva sempre tenuta a galla, in ogni momento, senza chiedere niente. Semplicemente, le voleva bene in un modo che tutti – tranne loro due – avevano capito. Ashton voleva bene a Kay nello stesso modo in cui lei ne voleva a lui.
E per questo, entrambi avrebbero sempre combattuto, insieme, fino alla fine.






Letizia
MY GIRLFRIEND'S BITCHIN' 'CAUSE I ALWAYS SLEEP IN.
Ok, a parte che ho questa canzone in testa da quando è uscita, devo riprendermi mentalmente. 
Quindi... Come state miei cari? Spero bene! La sottoscritta è appena tornata da una bellissima giornata di mare, akjsdfka, mi ci voleva *^*.
Una cosa: un po' di tempo fa ho pubblicato una OS rossa slash, A little bit of cream; se avete voglia di farmi sapere quel che ne pensate, mi farebbe davvero tanto piacere! In più, ieri ho pubblicato una OS su Cal: Non tutti gli angeli hanno le ali (sequel di Il cuore non dimentica). Se volete passare pure qui, siete sempre ben accetti! <3
Ed ora, eccoci al nostro capitolo, che mi piace davvero tanto! Awww, i nostri bambini stanno diventando un bel gruppo, non credete? Insomma, si stanno conoscendo meglio e gli altri - chi più chi meno - stanno iniziando ad accettare Ash e a volergli bene. Bello il nostro cucciolino *^*!!!!!! Bene bene, era l'ora che nella sua vita arrivasse una gran bella botta di colore *^*.
E Kay... Beh, lei aveva le sue ragioni per fare come ha fatto, piccola pure lei :3.
Spero davvero tanto che il capitolo vi sia piaciuto e spero mi farete sapere quel che ne pensate, sapete che mi fa sempre tanto piacere (soprattutto quando sclerate, siete ADORABILI! <3)
Ci sentiamo presto! Grazie per ogni cosa, sul serio, siete meravigliosi! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 16
*** 16. Scossa ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


16.
Scossa
 
 

Aveva il pennello tra le mani, la punta colorata di blu e la testa piena di così tanti pensieri che proprio non sapeva come fare per dar loro una forma o un minimo di senso. Non con Grace e sua zia Joy al piano di sotto a parlare da più di un’ora dopo l’ultima volta che si erano viste, ormai tanti, troppi anni prima, così tanti che tuttavia non avevano scalfito in alcun modo il rapporto unico e prezioso tra le due donne.
Kay sospirò e chiuse gli occhi, cercando in ogni modo di calmarsi. Aveva bisogno di dipingere, di distrarsi dalla miriade di pensieri che aveva in testa e che non la lasciavano in pace neppure per un secondo. Aveva bisogno di mettere ordine tutti quei sentimenti che le stavano affollando il cuore e che glielo appesantivano come un macigno. Sentimenti che, in un modo o nell’altro, aiutavano il suo cubo di vetro a rigenerarsi, anche se solo di poco.
Perché, nonostante Ashton, lei ed il suo problema più grande non avevano ancora finito di scontrarsi. Perché lei, quel suo cubo di vetro non lo aveva ancora abbattuto, non ci era riuscita, non da sola. Solo lui riusciva a fare a pezzi almeno un po’ quella prigione attorno al suo cuore. 
Ashton… Lui riusciva a renderla felice senza neppure rendersene minimamente conto. E lei gli voleva bene, molto più di quanto riuscisse ad ammettere o di quanto riuscisse a capire.
Però non c’era solo Ashton nella sua vita. C’erano Grace, Calum, sua zia Joy, i suoi amici. Ed era tutto un po’ un enorme casino, per come lo vedeva lei. Un casino dai cui non aveva la benché minima idea di come togliere le gambe senza far male a se stessa o agli altri. Un casino che non riusciva a spiegarsi neppure lei.
Per questo era lì, in camera sua, a cercare di trovare un modo per liberarsene, almeno per un po’. Ed era mentre chiudeva gli occhi, liberando la mente; mentre il suo cuore tornava a battere ad un ritmo più regolare, tranquillo; mentre le sue mani iniziavano ad agire da sole sulla tela; mentre già cominciava a sentirsi più libera; che qualcuno entrò nella sua stanza, facendola deconcentrare.
«Ehi, cugina.» la voce alle sue spalle la fece voltare del tutto, presa dalla sorpresa. Perché che Calum entrasse nella sua stanza era una cosa che non succedeva quasi mai. Lui aveva il proprio mondo, lei il suo. Nonostante tenessero l’uno all’altra più della loro vita e si capissero molto di più di quanto volessero ammettere, erano sempre stati un po’ distanti, soprattutto dopo che Kay aveva vissuto quella cosa. Quella cosa che aveva cambiato tutto, irrimediabilmente.
O almeno, così sembrava, prima che Ashton arrivasse e non sconvolgesse ogni cosa.
Ashton, Ashton Irwin. Sempre lui, in ogni cosa. E Kay non sapeva più che cosa pensare. Perché ogni cosa bella della sua vita era associata a lui, sempre e comunque, in ogni caso, come se loro due fossero destinati a illuminarsi, a sollevarsi quando cadevano, a volersi bene, a rendersi felici a vicenda. Erano uniti da un legame troppo forte, potente ed intenso per essere spezzato.
Erano passati cinque mesi da quando si erano conosciuti. E Kay ogni giorno ringraziava il cielo per averle dato quel dono così grande. Perché per lei – proprio come per Ashton – quel tempo passato insieme valeva più del più grande dei tesori. Era inestimabile, ed era solo e soltanto per loro.
«Ciao Cal. Che ci fai qui?» chiese la mora, diretta come suo solito, mentre si sistemava gli occhiali sul naso e sorrideva al ragazzo facendogli segno di accomodarsi sul tappeto accanto a lei. Tanto ormai a dipingere ci aveva rinunciato, probabilmente non era la giornata giusta.
«Non posso stare un po’ con mia cugina?» rispose il moro con tono ovvio, sorridendo. Perché era da tempo che non passava un po’ di tempo con la ragazza e le mancava. Le mancava sua cugina, più di ogni altra cosa.
«Dai che ci vediamo tutti i giorni, pure a scuola!»
«Sai cosa intendo.» asserì Calum, e Kay rimase in silenzio, per metabolizzare meglio quelle parole, perché le aveva capite fin da subito anche troppo bene. Perché lei e Calum, anche se erano cugini, erano sempre distanti in ogni cosa che facevano; si sentivano come due isole, due estranei che non riuscivano mai a raggiungere l’altra. Per lo mento, questo lo provava solo Calum, che cercava ogni giorno di capire la cugina almeno un po’, senza riuscirci, mentre per Kay lui era un libro aperto, sotto ogni punto di vista. E Calum non sapeva mai spiegarsi come facesse la mora a leggere chiunque così in profondità
«Già…» rispose lei piano abbassando la testa. Perché si sentiva in colpa, come ogni volta, e non sapeva proprio come fare e cosa fare per cambiare la situazione.
Calum sospirò e la attirò a sé, stringendola dolcemente in uno di quegli abbracci che ad entrambi era mancato da far paura, quasi come se servisse quello a volte per far sì che tutto tornasse ad andare per il verso giusto, anche se per poco. «Lei è giù.»
Ed eccolo lì, uno dei tanti argomenti che – Kay lo sapeva anche troppo bene – Calum voleva approfondire con lei quella sera, ma contro cui la mora non si sentiva ancora abbastanza pronta a combattere.
«Lo so.» rispose atona, stringendosi di più al corpo del cugino, quasi a voler cercare un po’ di protezione dalle sue paure più grandi, che tuttavia solo lei sarebbe state in grado di abbattere, se solo avesse voluto.
«Le parlerai?»
«Non oggi.»
«Ma–»
«Tranquillo, anche se è difficile, le cose stanno andando molto meglio, credimi.» 
Ed era vero. Lei e Grace passavano sempre più tempo insieme, quando entrambe se la sentivano. Non era ancora granché, ma le cose stavano andando avanti. E a Kay non importava minimamente di quanto tempo avrebbero impiegato per mettere tutte le cose al loro posto. L’importante era tornare le due persone che erano prima, o almeno, provare a farlo con tutte le loro forze, anche solo per tornare unite come un tempo. Non era molto quello che stava succedendo tra lei e la donna. Ma la ragazza non se ne preoccupava minimamente. Era paziente e per lei ogni più piccolo passo in avanti era la conquista più grande che potesse fare.
«Posso fidarmi?»
Kay, semplicemente, sorrise con il cuore colmo di gioia e di affetto. Perché era proprio il fatto che Calum si preoccupasse sempre troppo per lei, che le dimostrasse sempre un affetto infinito a cui lei non sapeva mai come rispondere, che la faceva stare bene. «Ringrazia Ashton.»
A quella risposta, fu invece il ragazzo quello che sorrise. Perché il fatto che pure per quell’argomento ci fosse di mezzo il riccio – che ormai poteva tranquillamente considerare uno dei suoi migliori amici – gli dimostrava quanto pensasse da parecchio tempo. «Devo ad Ashton già tante cose, non preoccuparti.»
Kay fece per ribattere, perché certe volte proprio non riusciva a capire suo cugino con tutte le cose che faceva uscire fuori dalle labbra. Ma in quel momento, qualcuno bussò alla porta della stanza, facendo sobbalzare lievemente entrambi per la sorpresa. Kay si riscosse ed andò ad aprire.
«Zia, che c’è?» si ritrovò a chiedere preoccupata, non appena gli occhi scuri e intensi di Joy le si presentarono davanti, illuminati da una luce che la ragazza non aveva mai visto prima.
«Giù c’è qualcuno per te.» rispose semplicemente la donna, sorridendo dolce ed avviandosi nuovamente al piano di sotto. «Ed è anche molto carino.»
«Sarà sicuramente Ashton.» commentò Calum divertito, una volta che sua madre era ormai scesa, prima di sgattaiolare fuori dalla stanza, mentre Kay gli rifilava un’occhiataccia.
Perché per la mora, l'argomento "Ashton e Kay sarebbero perfetti per stare insieme" era offlimits, con chiunque, soprattutto in casa, dove non si era mai aperta del tutto con nessuno sui suoi sentimenti, in nessuna occasione. E per adesso avrebbe continuata a tenere tutto dentro, soprattutto se riguardava Ashton. 
«E non guardarmi così. Sappiamo tutti quanto voi siate importanti l’uno per l’altra.»
A quell’affermazione, Kay si ritrovò improvvisamente senza parole, mentre il cuore le batteva così forte e così veloce nel petto da lasciarla senza respiro. Perché erano tutti così fissati con quella storia? Perché Ashton e lei non potevano semplicemente essere amici?  
«Tu–?»
«Kay, non dire niente. Adesso devi solo capire.»
E neppure quella volta la mora riuscì ad aggiungere altro, perché suo cugino uscì dalla stanza senza dargliene modo, lasciandola con così tanti dubbi e pensieri da farle scoppiare la testa.
«Ma che cavolo succede oggi?» si chiese nuovamente la mora, stavolta a voce alta, pur di capire quel giorno molto diverso da tutti gli altri, mentre scendeva le scale con il cuore che le batteva davvero troppo forte nel petto. Perché sperava davvero che il ragazzo fosse Ashton. E sapeva che suo cugino aveva ragione da vendere sul fatto che il riccio per lei fosse la persona più importante di tutte. Ma Kay sapeva che, per ammetterlo a voce alta, avrebbe avuto bisogno di altro tempo. Ed era questo che maggiormente la spaventava. Il tempo, l'unica cosa che aveva sempre temuto e che forse non sarebbe mai riuscita a combattere, né da sola, né con qualcun altro accanto a lei. 
Scese le scale velocemente, e rimase completamente senza parole non appena notò una figura di spalle davanti a lei. Una figura di cui non avrebbe mai potuto confondere la capigliatura folta e riccia, di un color caramello chiaro, tenuta su con un pochino di gel.
Ashton erta davvero lì. E le aveva fatto una bellissima sorpresa.
 
Ed era stato proprio quello l'intento del riccio. Voleva farle una bella sorpresa, chiedendole di uscire per passare un po’ di tempo da soli. Non la vedeva da giorni e gli mancava. Kay gli mancava terribilmente e ancora non riusciva a spiegarsi il perché di quelle strane sensazioni che provava solo quando c’era la mora di mezzo.
E Ashton, quelle sensazioni, quelle emozioni, voleva capirle tutte, fino in fondo, voleva spiegarsi almeno uno di tutti quei Perché? che continuavano a ronzargli in testa, ininterrottamente. Molti dei quali collegati a lui, alla sua vita, ai suoi amici, alla sua famiglia, a Kay.
Kay, che continuava a riempirgli le giornate, ad illuminargliele, a renderle migliori, una dopo l’altra. Che poi, doveva proprio ringraziarla. Perché se non ci fosse stata lei, Ashton non avrebbe mai trovato il coraggio di ripartire con i suoi genitori. Senza di lei, Ashton non avrebbe mai avuto il coraggio di riprovare di nuovo a costruire un rapporto con loro. Un rapporto di cui sia lui che i suoi genitori avevano bisogno.
E aveva provato, lui, aveva provato con tutte le sue forze in quell’ultimo mese – un mese da quando era entrato nella band – ad aprirsi di più con sua madre e suo padre. All’inizio c’era voluta tutta, per uno come lui non abituato a mostrare i propri sentimenti. Era stato davvero difficile lasciarsi trattare come un figlio deve essere trattato sia nel bene che nel male. Eppure… Eppure qualcosa stava finalmente iniziando a cambiare, tra lui ed i suoi genitori. Già il semplice fatto che tra di loro le conversazioni stessero cominciando a durare più di cinque minuti – cinque minuti zeppi di parole e di risate al posto di silenzi e frasi stentate – per tutta la famiglia Irwin era una grande conquista, un enorme passo avanti.
E Ashton ringraziava Kay ogni giorno. Perché era per la forza di quella ragazza, per il coraggio che metteva in ogni cosa nuova che provava o che faceva senza mai tirarsi indietro, se pure lui aveva deciso di buttarsi, di provare, di cambiare le carte della sua vita.
E vedere che, con calma e fatica, ci stava riuscendo, per lui era il regalo migliore di tutti.
E alla fine, quel pomeriggio si era deciso
 
Da: Ashton
Ehi Cal, mi stavo chiedendo… Kay è a casa?
 
Da: Calum
Sì, è qui. Perché me lo chiedi?
 
Da: Ashton
Vorrei farle una sorpresa.
 
E mentre Ashton era intento a leggere i messaggi che si era scambiato con il moro solo qualche minuto prima, non si accorse minimamente di chi stava alle sue spalle fino a che due mani sottili e affusolate non si posarono sui suoi occhi, prendendolo di sorpresa e facendogli prendere un colpo. Mani che ormai sapeva riconoscere anche ad occhi chiusi, per tutte quelle volte che le aveva osservate con attenzione e che le aveva strette con gentilezza tra le sue, quasi a volerle proteggere. Le mani di Kay.
«Scemo, che cosa ci fai qui?» gli bisbigliò lei all’orecchio, facendolo sorridere senza farlo voltare.
«Sono venuto a prenderti. Oggi esci con me.»
«Ma io non ho deciso niente!» esclamò la ragazza divertita, liberando il riccio e facendo finalmente incontrare i loro occhi dopo tutti quei giorni di lontananza. E non appena lo sguardo dorato di Ashton incontrò quello scuro di Kay, fu come se nella frazione di un secondo ogni pezzo fosse tornato al suo giusto posto, per restarci in modo definitivo, come se i loro occhi che si studiavano, si cercavano, si scoprivano fino nel loro angolo più profondo, avessero il potere di fra tornare tutto com’era giusto che fosse. Peccato che quello valesse solo per alcune e piccole cose.
«E chi ha detto che dovevi decidere?» le chiese lui, prendendo parte a quello strano gioco che la mora aveva iniziato, come suo solito. Perché si stavano divertendo nel loro modo, un po’ infantile certo. Ma a nessuno dei due importava, non quando potevano vedere gli occhi dell’altro splendere.
«Ma falla finita.» commentò Kay a bassa voce, cercando di non dare a vedere quanto si sentisse felice in quel momento. Perché erano giorni che non vedeva Ashton, e dire che le era mancato come l’ossigeno non potrebbe mai rendere abbastanza l’idea.
«Zia, io esco, ci vediamo stasera!» aggiunse poi la mora a voce alta per farsi sentire dalle due donne in cucina mentre indossava scarpe, cappotto e metteva quel poco che le sarebbe servito in tasca.
Ashton le sorrise dolce e le prese la mano, riempiendo come ogni volta gli spazio tra le loro dita senza lasciare vuoti, facendo inconsapevolmente nascere nel petto della mora un calore a cui ormai Kay si stava abituando, giorno dopo giorno. Un calore dolce, timido, così accogliente da lasciarla senza parole. Un calore che combatteva sempre contro quel cubo di vetro, e ogni volta riusciva ad indebolirlo.
E Kay non riusciva mai a spiegarsi il perché.
«Arrivederci signora Hood, è stato un piacere conoscerla!» salutò intanto il ragazzo, strappando la mora dai suoi pensieri.
«Ciao Ashton, torna presto! Mi ha fatto piacere conoscerti.» rispose Joy al saluto, avvicinandosi ai ragazzi e sorridendo, soprattutto alla nipote. A quell’occhiata, la ragazza arrossì lievemente e uscì velocemente, trascinandosi dietro un Ashton un po’ disorientato.
 
«Ti hanno fatto qualche domanda strana?» chiese ad un tratto la ragazza, facendo ridere l’altro di tutto cuore.
«No, perché avrebbero dovuto?»
Kay sospirò e si passò una mano tra i lunghi capelli scuri, come a voler alleggerire quella tensione che sentiva dentro e che non riusciva a farla state tranquilla. 
«Non è roba da tutti i giorni vedersi piombare in casa uno sconosciuto, dato che tu e mia zia prima di stasera non vi conoscevate per niente.»
A quella constatazione, Ashton sorrise. Perché era vero. Lui non conosceva la signora Hood. Non l'aveva mai vista quando andava a casa di Calum per le prove con la band. E conoscerla così, in quella circostanza, lo aveva sorpreso parecchio. 


«Salve signora Hood. Sono Ashton Irwin, un amico di Calum, tanto piacere.» l'aveva salutata educatamente, con la voce un po’ tremante per l’emozione e – soprattutto – per l’ansia di non fare una buona impressione.
«Joy, ed il piacere è tutto mio. Cosa posso fare per te?» aveva risposto la donna facendolo accomodare e curiosa di conoscere qualcosa di più su quel riccio che suo figlio e sua nipote nominavano spesso da qualche settimana a quella parte. 
«Stavo cercando Kaylin, per caso è in casa?»
Joy, a quella domanda, aveva sorriso. Perché non aveva bisogno di altre cose per capire tutto il resto. «Aspetta un attimo che te la vado a chiamare.»
E poco dopo la mora era arrivata. 


E adesso che erano lì, insieme, Ashton avrebbe voluto godersi quel pomeriggio di tranquillità. 
Eppure... Quella strana idea che aveva in testa da mesi non decideva a lasciarlo stare, neppure quel giorno. Perché da quando era diventato amico anche degli altri ragazzi, aveva scoperto che Kay e Calum erano cugini e che la ragazza viveva a casa Hood da tantissimo tempo ormai. Solo… I genitori di Kay che fine avevano fatto? Come avevano potuto lasciare sola una stella così preziosa come lei? Lei, che di cose ne aveva vissute davvero tante…
Era questo dubbio che non riusciva a capire, quella strana voglia di conoscere tutto di Kay, ogni minima cosa la riguardasse, partendo dalle cose più semplici, banali, fino ad arrivare a quelle più importanti e – forse – anche parecchio delicate.
Non avrebbe chiesto niente, però. Si sarebbe limitato ad aspettare i tempi della mora. Avrebbe aspettato fino a che non sarebbe stata lei a parlargliene. Perché Ashton voleva troppo bene a Kay e sapeva quando potesse fare male un qualcosa che riguardasse la propria famiglia. Lui, che con i suoi genitori inizia ad avere un buon rapporto solo adesso, solo dopo diciott’anni di vita.
«Allora, il gelato va bene?» chiese la mora, riportandolo alla realtà e facendolo annuire. Dopotutto, a cose simili, poteva pensare in un altro momento. Non si sarebbe rovinato quell’uscita per niente al mondo, non quando sentiva di dover riempire i giorni trascorsi senza Kay.
Entrarono nella gelateria che dava sull’angolo all’incrocio non molto lontano da casa Hood. E subito l’aria fresca dei condizionatori li investì in pieno, facendoli rabbrividire un po’ mentre si avvicinavano al bancone per ordinare. Intanto le loro mani erano ancora unite, mentre i loro cuori battevano forte nel petto. E a nessuna dei due dava fastidio, tutt’altro.
«Che cosa prendete, ragazzi?» chiese il commesso. Kay a quella voce alzò lo sguardo, incuriosita. E non appena si ritrovò davanti due occhi verdi come lo smeraldo, un sorriso come quelli dei modelli nelle riviste, un viso simile a quelli delle statue greche incorniciato da ricci neri come la pece, le si mozzò il respiro in gola per la sorpresa. Perché, a causa delle sue amiche, stava iniziando a notare in quegli ultimi tempi sul serio i bei ragazzi in circolazione. Solo che ogni volta che qualcuno di questi era nelle vicinanze, Kay non sapeva che cosa fare.
«Se mi permetti, ti consiglio vaniglia e cocco, sono i nostri gusti migliori.» le propose il commesso, con un tono di voce che ad Ashton non piacque per niente.
«Mh.» rispose Kay, che invece non si era accorta assolutamente di niente e che non stava dando filo a quel ragazzo che – lei l'aveva notati bene – ci stava provando con lei. 
«Facciamo così, te lo offro io, e vediamo se almeno così riesci a deciderti.» continuò il ragazzo.
«Non credo sia necessario, grazie.» riprese lei, scocciata, mentre cercava un po’ di sicurezza nella mano stretta attorno alla sua. Perché automaticamente con ogni ragazzo che vedeva si ritrovava a pensare: lui non è Ashton e nessuno di loro potrà mai essere come lui.
E lo pensava pure in quel momento, con la mano ancora stretta tra le dita lunghe del riccio e con il cuore che continuava a pompare veloce, facendola tremare mentre accarezzava distrattamente il dorso della mano del ragazzo con il pollice, facendolo rabbrividire.
Perché nessuno dei gesti di Kay passava più inosservato ad Ashton. Lui che, per la mora, aveva l’attenzione alle stelle, pur di non perdersi neppure un attimo di lei. Ed il fatto che quel bell’imbusto al bancone la stesse osservando con occhi troppo languidi, non aiutava di certo il suo autocontrollo. Perché Ashton sentiva uno strano fastidio all’altezza del cuore se pensava che per caso quel ragazzo avrebbe potuto provarci – o anche solo pensare di farlo – con Kay. E nessuno dei due seppe mai spiegarsi –  almeno per qualche tempo – quello che successe nella frazione di un secondo.
Perché Ashton si avvicinò a Kay e la strinse a sé dolcemente, passando un braccio sulle sue spalle e facendola sentire a casa, protetta, così vicina al suo cuore come a non volerla lasciare andare. Lei invece si irrigidì per un istante. Perché Ashton non aveva mai fatto una cosa simile prima d’ora, soprattutto non quando erano fuori insieme.
Ashton, invece, si sentiva ancora più disorientato di prima. Perché il pensiero di poter perdere Kay, di poterla vedere tra le braccia di qualcuno che non fosse lui, l’aveva fatto impazzire, gli aveva dato davvero fastidio al cuore. Un fastidio che gli era sembrato più come una scossa, prepotente e violenta. Una scossa che lo aveva aiutato a buttarsi per compiere quel gesto. Perché lui a Kay non avrebbe rinunciato, per nessun’altra cosa al mondo. Perché con lei aveva tutto, e non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio.
 
«Joy, chi era quel ragazzo?» chiese Grace, non appena la signora Hood tornò in cucina.
«Ashton Irwin.» rispose una volta seduta, facendo inconsapevolmente battere più forte il cuore dell'altra. 
«Allora è... Davvero lui...»
«Kay ti ha parlato di lui?» domandò Joy, che già aveva capito molte più cose di quante ne desse a vedere. E Calum in questo aveva preso da lei. 
«Ogni volta che viene a trovarmi.»
Joy sorrise di nuovo. Era bello poter vedere che finalmente la sua più cara amica stava tornando a riprendere in mano la sua vita, esattamente come sua nipote. E la signora Hood non poteva esserne più felice, contagiato anche dall'entusiasmo di suo marito David che – nonostante fosse sempre lontano per lavoro – era sempre presente, in ogni cosa.
Le due rimanere in silenzio per un po'. Joy perché era silenziosa di natura. Grace invece perché ancora non sapeva bene come gestire tutto quello che le stava succedendo. Era passata dal non avere più niente in cui credere a sperare in un qualcosa che lei stessa non capiva, ma che riusciva a farla stare davvero meglio. 
«È diventata ancora più bella.» si ritrovò poi a commentare, intaccando il silenzio. 
Joy sorrise e prese una mano della mora tra le proprie. «Proprio come te.»
«E come lui...» sospirò l’altra con voce rotta, triste, per poi portarsi la mano libera sulle labbra, come a voler trattenere un qualcosa che forse avrebbe avuto un assoluto bisogno di uscire da quel corpo gracile, stanco dopo tutte le prove a cui era stato sottoposto.
E alla fine pianse, Grace. Pianse per tutti quegli anni fatti di sbagli, di dolore, di perdita, di abbandono, di solitudine. Anni in cui aveva pensato più volte di farla finita, di mandare all’aria tutto. Perché non ce la faceva più, perché era stanca, troppo stanca e sapeva di non essere abbastanza forte. Poi però pensava a Kaylin, e tutto tornava a posto, quasi come per magia.
«Joy… Vorrei poter dire di essere in grado di poter ricominciare, di poter far funzionare le cose di nuovo da zero… Ma non è così… Non sono pronta… Non ancora...»
L’altra, semplicemente annuì. E come un macigno, quel ricordo che in poche persone custodivano gelosamente, si riversò sul suo cuore, come se Joy stesse rivivendo per l’ennesima volta quell’episodio.
 
Era una sera d’inverno quando suonarono alla porta di casa Hood. Fu proprio Joy ad aprire, e non appena vide quello che le si presentava davanti agli occhi, non ebbe bisogno di tante spiegazioni.
«Joy, io non ce la faccio più. Non sono in grado di fare la madre.» aveva detto la donna davanti a lei, la voce rotta, gli occhi pieni di lacrime e di dolore.
A quelle parole, la signora Hood sospirò profondamente per raccogliere tutto il suo coraggio e fece accomodare in salotto la piccola di quasi quattro anni che la donna teneva ancora per mano, tremante, perché nonostante tutto non riusciva a separarsi dalla sua bambina. Eppure sapeva di star facendo la scelta giusta, per proteggere sua figlia, per darle una vita ed un futuro migliore, che con lei non avrebbe mai avuto.
«Ci penserò io a lei, non preoccuparti.» disse Joy, abbracciando l’altra, capendo ogni gesto, ogni lacrima, ogni parola non detta e ogni tremito che scuoteva quel corpo e quel cuore troppo stanchi per farcela da soli.
«Grazie, Joy. Grazie di cuore.»
 
Un singhiozzo da parte di Grace fece ritornare la signora Hood alla realtà.
«Joy, io… Io ti devo moltissimo. Non so come fare per ringraziarti per tutto quello che hai fatto. Io–»
«Grace, non continuare con questa storia. Sai che lo avrei fatto in ogni caso.»
«Grazie, Joy. Grazie di cuore.»






Letizia
Ciao a tutti tesori miei! Che capitolo abbiamo pure qui!!!! Da mettersi le mani tra i capelli, insomma.
Kay che pensa al nostro riccio, mentre Cal e Joy hanno intuito molto più di quanto la nostra mora e Ash possano immaginare (deheheh ;))
Ash che vuole fare una sorpresa a Kay. Ma quanto è dolce?!?!?!?! Awww, piccolo lui!
La scena tra Ash e Joy anche se non sembra è importante, come quella tra Annie e Kay, quindi tranquilli.
Soprattutto di questo capitolo è molto importante quello che succede alla fine tra Grace e Joy. Tenetelo bene a mente, mi raccomando.
E poi, altra cosa importante: ASHTON E' GELOSO DI KAY ANCHE SE NON SE NE RENDE CONTO. 
E' da qui che viene il titolo del capitolo, perchè la gelosia se non si è mai provata è come una scossa che ci mette in allarme.
Quindi, Ash è allarmato che il commesso possa in qualche modo che il commesso possa portargli via Kay.
ksjbfakjfbfjnlknlkandfkjnk, balliamo la conga!!!!! *^* OK, mi tranquillizzo, o almeno ci provo ;).
Via, ultima cosa, poi scappo :D.
Stanotte ho pubblicato un'altra OS su Cal, ahahah :D; On my way (sequel di Only human). Se volete passare siete ben accetti! Spero davvero che vi piaccia :3.
Adesso vado davvero, ci sentiamo presto e grazie di tutto! Un bacione, Letizia <3

 

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Capitolo 17
*** 17. Cinema ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


17.
Cinema
 
 

«Tu stai scherzando, vero?!» esclamò Tara ancora una volta, non appena Kay finì di raccontarle per l’ennesima volta quel che era successo quando lei ed Ashton erano andati insieme a prendere il gelato una settimana prima. Era come se la bionda non si stancasse mai di risentire quella specie di storia.
«Purtroppo no.» ammise la mora, che proprio non riusciva a capire il comportamento dell’amica. Insomma, era davvero così strano che il riccio si fosse comportato in quel modo quel pomeriggio, proprio in quella circostanza, con quel ragazzo che palesemente ci stava provando con lei?
Perché, andiamo, anche se Kay non sapeva assolutamente niente dell’amore, almeno sapeva riconoscere quando un ragazzo cercava di provarci con lei. Dopotutto, aveva imparato osservando il comportamento dei ragazzi quando vedevano Tara – prima che quest’ultima incontrasse Michael. E Kay, con il suo occhi attento ad ogni minimo particolare, aveva imparato ad accorgersi di ogni cosa.
«È proprio come pensavo. Non c’è dubbio.» asserì la bionda con tono sicuro, mentre continuavano a camminare tranquille sul marciapiede, dirette al cinema. Avevano appuntamento con gli altri – Ashton compreso – per vedere Breaking dawn, la seconda parte tratta dall’ultimo libro della saga di Twilight per cui Tara e le altre andavano davvero matte. Kay aveva letto il tutto per semplice curiosità. Ma sinceramente non l’avevano fatta impazzire poi così tanto. Però aveva accettato di andare a vedere il film per stare un po’ con i suoi amici e – soprattutto – per vedere Ashton.
«Ma la volete piantare con questa storia?!» esclamò la mora esasperata. Perché non ce la faceva proprio più ad ascoltare quei discorsi, a sentire che secondo gli altri lei e Ashton c’era più che una semplice amicizia. Non capiva perché tutti i suoi amici – e Calum compreso – ne fossero così sicuri. Era vero che tra lei ed ilo riccio c’era un rapporto davvero unico, profondo e bellissimo in ogni sua sfumatura. Un rapporto basato sull’amicizia. O almeno, questo era quello che pensava lei. Perché secondo lei l’amore era un’altra cosa e non quello che provava per Ashton. Ne era davvero convinta e sapeva che nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
Ashton… Lui… Lui semplicemente era troppo importante. Era riuscito a tirarla fuori dal suo buoi quando nessun’altro era riuscito a farcela. L’aveva fatta sorridere di nuovo. La stava rendendo viva, viva come mai prima di allora era stata e si era sentita. Lui… Lui era il suo migliore amico, per prima cosa. Era la persona con cui poteva essere se stessa in ogni momento, senza vergognarsi della sua debolezza, senza aver paura di poter essere giudicata o guardata con pena.
Ashton, semplicemente, era tutto quello di cui aveva bisogno. Era l’unico ad avere il potere di fare entrare la luce nel suo cuore, di spaccare almeno un po’ quel cubo di vetro che in quei mesi si era indebolito, ma che tuttavia non se n’era ancora andato. Perché nella vita di Kay c’erano cose che avevano bisogno di davvero tanto tempo per poter tornare a posto. E quel cubo, quella prigione attorno al suo cuore, quelle sbarre che le impedivano di aprirsi del tutto, di fidarsi, di lasciarsi andare, era una di quelle.
«Dai Kay, non essere così testarda! Non puoi negare il fatto che lui ti faccia bene.» proseguì l’altra con tono ovvio e con un sorriso sulle labbra che la mora proprio non capiva.
«Io… Sì, è vero, lui… Lui mi fa stare bene… Davvero…» ammise Kay, senza problemi, senza pensarci due volte, mentre il cuore iniziava a batterle forte nel petto. Perché ogni volta che si ritrovava a parlare di lei e di Ashton con qualcuno, si sentiva… strana, forse contenta… Felice. «Solo… Questo che cosa c’entra con tutto il resto?»
Tara sorrise di nuovo e prese a braccetto l’amica. «C’entra, mia cara Kay, c’entra sempre.»
La ragazza sospirò affranta e non contestò oltre. Perché se Tara si impuntava su una cosa, non c’era modo di farle cambiare idea.
«Kay, lo so che rompiamo tutti con questa storia, ma c’è un motivo se te lo diciamo.»
«E allora perché ne parlate solo con me e non anche con Ash presente?»
Tara ridacchiò divertita ed abbracciò forte l’amica e disse una cosa che Kay non si sarebbe mai dimenticata.
«Perché sei tu quella da convincere non lui.»
 
Ashton e gli altri ragazzi – Elen e Nathalie comprese – stavano aspettando le altre due fuori dal cinema da quello che ormai era un quarto d’ora buono. E, come tutte le volte, la pazienza della rossa stava arrivando al limite, messa a dura prova dal fatto che la bionda fosse costantemente in ritardo.
«Giuro che se Tara non arriva entro cinque minuti, io–»
«Non farai niente perché mi vuoi troppo bene!» esclamò la diretta interessata prima di abbracciare Nathalie da dietro e far ridere tutti gli altri. Perché in fondo, Tara si poteva solo amarla per tutti i difetti che aveva. Se non li avesse avuti, non sarebbe mai stata lei. E tutti loro sapevano che questo valeva per ognuno di loro. Ecco perché si volevano bene. Ecco perché, nonostante tutto, erano la più bella famiglia di sempre.
Una famiglia unica, pazzesca, in cui Ashton aveva finalmente trovato il suo posto, in cui aveva trovato quel che gli era sempre mancato, quel qualcosa che aveva sempre cercato con tutto se stesso e che grazie a Kay era finalmente riuscito a trovare.
E lui, tra tutti quegli occhi amici, cercava i suoi, cercava sempre e soltanto Kaylin, come a non voler mai perdere l’unico punto fisso e sicuro della sua vita, come a non voler perdere la sola persona in grado di dargli quella forza che gli era sempre mancata, per ogni cosa. Una forza, un coraggio che stava imparando a conoscere dopo anni e anni di silenzio e di muri costruiti attorno a sé solo per difendersi. E tutto questo grazie a lei, solo e soltanto a Kay.
Spostò lo sguardo. E sorrise, non appena la vide, lì, in disparte come sempre, silenziosa e bellissima nella sua timidezza e nel suo continuare a difendersi nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. Sorrise, mente il cuore iniziava a battergli più forte nel petto. Perché lei era lì, era con lui e con gli altri. E Ashton ancora non riusciva a spiegarsi tutte quelle strane sensazioni che provava quando lui e la mora erano insieme oppure quando lui pensava a lei. Cosa che succedeva costantemente. Però… Quelle emozioni e quelle sensazioni era piacevoli, erano belle. Lo facevano stare bene, gli riempivano il cuore e l’anima, coloravano il bianco della sua solitudine. Un bianco che ormai non si vedeva quasi più, non con tutti quei colori che finalmente ci erano andati a finire sopra e avevano cambiato tutto il quadro.
Lei si avvicinò con le labbra ancora curvate all’insù e con il corpo scosso da lievi brividi, che non avevano niente a che fare con il freddo, dato che erano a novembre, e a novembre in Australia fa sempre caldo.
«Ciao.» la salutò con un sorriso, mentre il solito batticuore iniziava a farsi sentire nel suo petto.           
«Ehi.» rispose lei alla stesso modo. Felice.
Perchè Kay lo era davvero. E non riusciva proprio a spiegarselo. Sapeva solo che tutte che cose migliori della sua vita che stavano accadendo da quasi cinque mesi a quella parte riguardavano sempre Ashton. Era come se, senza di lui, lei non esistesse, come se lei non fosse niente. Perché lei sapeva che, senza Ashton, non sarebbe mai potuta arrivare dov’era adesso. Senza di lui non sarebbe mai tornata la Kay che tutti quanti avevano sempre conosciuto e che pure a Kay stessa era mancata.
Semplicemente, senza Ashton, lei non sarebbe mai tornata a vivere sul serio.
E non le importava se quel cubo di vetro attorno al suo cuore c’era ancora. L’importante era sapere che Ashton non se ne sarebbe mai andato, che ci sarebbe sempre stato nonostante tutto. L’importante, per Kay, era che lui non se andasse. Perché aveva perso troppe cose e non era disposta a perderne ancora.
«Sai che odio questi film, vero?» commentò il ragazzo mentre si avviavano a prendere i biglietti.
«Siamo in due.» asserì la mora ridendo divertita. «Se non ti piacciono, perché sei venuto?» aggiunse poi, curiosa come suo solito. Insomma, se Ashton odiava quei film, allora perché era lì con loro?
Lui sorrise, ma non rispose. Semplicemente, fece scivolare le sue dita tra quelle della ragazza e le strinse delicatamente, riempiendo ogni spazio vuoto che li divideva. E come ogni volta, un calore timido, dolce, bellissimo, si fece strada dentro di loro, toccò ogni singola parte di loro e colorò ancora un po’ di più il bianco di Ash e il buio di Kay. Un buio dovuto a quella prigione attorno al suo cuore che non voleva andarsene.
Le parole del riccio la riportarono sulla terra.
«Sono venuto solo perché voglio stare con te.»
E le procurarono l’ennesima crepa su quel cubo di vetro, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Una crepa che si propagò un po’ di più rispetto alle altre e che scavò un solco più profondo del solito, come a voler essere permanente. Come ogni singola crepa che era nata a causa di Ashton. Perché nessuna di esse se n’era mai andata da quel cubo. Anzi, ci era rimasta, e così facendo l’aveva indebolito, come a voler proteggere il cuore troppo stanco di Kay. Era stato come se le parole di Ashton avessero cercato di erigere una difesa sul cuore di Kay da quel cubo che lei non voleva più dentro.
La mora sorrise timida. E strinse a sua volta quella mano che sembrava volerla trarre in salvo dalle tenebre.
 
«Scusami, sapresti dirmi a che ora inizia il film?» la voce di una ragazza dai capelli tinti di blu attirò l’attenzione di entrambi, mentre erano in fila per fare i biglietti.
«Dici a me?» chiese Ashton, per capire a chi la sconosciuta stesse parlando.
Lei annuì e sorrise. «Sì. Dovevo vedermi con i miei amici, ma credo di essere arrivata troppo presto.» rispose melliflua avvicinandosi un poco al riccio e facendo nascere nel cuore di Kay qualcosa che la mora non aveva mai provato prima di allora.
Perché, diamine, c’erano così tante persone ad aspettare in fila per il biglietto. Perché quella ragazza sarebbe dovuta andare a chiedere quelle cose proprio ad Ashton?  Kay non capiva. E avrebbe tanto voluto che quella ragazza se ne andasse, perché non le piaceva per niente il comportamento che stava adottando con il riccio.
«Tra una ventina di minuti dovrebbe iniziare.» rispose Ashton, tornando con i pensieri su Kay, senza dar alcun peso alla sconosciuta. Perché, insomma, era palese che quella ragazza ci stesse provando con lui. Ma al riccio non era mai interessata nessuna ragazza in quel senso. Eppure… Con Kay aveva un rapporto speciale, diverso rispetto a tutti gli altri che aveva con le ragazze che conosceva. Un rapporto che non avrebbe mai cambiato per niente al mondo.
La ragazza dai capelli colorati non se ne andò. «Grazie davvero. Ti piace questo genere di film?» chiese avvicinandosi ancora un po’, fino a ritrovarsi solo ad un passo di distanza da Ashton, che non aveva più alcuna idea di come fare per troncare quella conversazione che non gli interessava per niente.
«In realtà no.» rispose secco, infatti. E, senza saperlo, riuscì a far sorridere Kay. Perché neppure alla mora quella sconosciuta piaceva, ma per qualcosa di diverso da quello che provava Ashton.
Perché Kay aveva una tremenda paura che quella ragazza potesse in qualche modo conquistare l’attenzione di Ashton, aveva paura che potesse portarglielo via. E lo sapeva Kay che cose simili non avrebbe dovuto pensarle, perché non ce n’era alcun motivo. Eppure… Aveva paura lo stesso. Perché Ashton era troppo importante per lei. Ed egoisticamente, Kay non era disposta a condividerlo con nessuno. Perché non voleva stare senza di lui. E lo sapeva che non era neppure giusto pensare qualcosa di simile. Però… Non riusciva a fare altro, non quando in ballo c’era l’eventualità di perdere Ashton.
Per questo, senza pensarci due volte, abbracciò il riccio così forte da far mancare il respiro ad entrambi. E lui, a quel gesto, non si stupì per niente, perché per loro due gesti simili erano ormai diventati normali, una dolce abitudine da cui mai avrebbero voluto guarire. Semplicemente perché, tra le braccia dell’altro stavano bene, davvero bene. Era come se ogni preoccupazione, ogni paura, ogni dubbio se ne andasse, permettendo a quell’affetto infinito che li univa di riempire ogni loro spazio vuoto.
Eppure, l’abbraccio di quella sera aveva un significato differente, per entrambi
Perché per Kay era forse l’unico mezzo possibile per non perdere lui.
E perché per Ashton forse era una certezza in più, un chiarimento su quello che lo legava alla mora.
Perché stava finalmente iniziando a capire che lui non provava solo amicizia nei confronti di Kay. C’era qualcosa di molto più profondo che lo teneva a lei. Un qualcosa che Ashton aveva tutta l’intenzione di scoprire, in un modo o nell’altro.
E rimasero così, loro due, stretti l’uno all’altra, a cullarsi, a trasmettersi tutto il bene che si volevano. E andava bene così per adesso. Anche se, in qualche modo, avrebbero preferito avere qualcosa di più.






Letizia
Bellissimi, buon giorno a tutti! Allora, come state? Spero benone nonostante questo tempo che lascia un po' a desiderare :/
Anyway, parliamo del capitolo che forse è meglio u.u
La nostra Kay, mentre parla con Lara, crede fermamente che tra lei ed Ash ci sia solo una semplice amicizia, che poi alla fine tanto semplice non è, per il semplice fatto che entrambi hanno condiviso troppe cose, veramente molto importanti. per essere considerate parte solo di una
semplice amicizia. 
Ashton, invece, si trova sempre meglio con il gruppo e, forse, ha un'idea un po' più chiara di quel che prova per Kay. Ma è tutto in forse, bisogna vedere se sarà davvero così o se ci saranno dei cambiamenti che scombineranno ogni cosa u.u
E poi, il clou del capitolo: Kay seriamente gelosa di Ashton. Giuro, è stata la parte più difficile di tutte! Non sono mai riuscita a descrivere bene una qualsiasi gelosia, però sono abbastanza soddisfatta di come sia venuta fuori quella della nostra bella mora u.u
E, domanda per voi: secondo voi, Kay ha esagerato oppure avrebbe potuto fare un po' di più?
Dai dai, fatevi sentire, che lo sapete che sono curiosissima e che mi fa piacere leggere i vostri pareri! <3
Piccola cosa per voi, poi vi saluto. Ieri sera ho pubblicato una nuova OS, Malum: Lonely star. Se volete passare e farmi sapere quel che ne pensate, siete i benvenuti!
Detto questo, vi saluto, che devo scappare! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 18
*** 18. Teorie ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


18.
Teorie
 
 

«Quando tornerà Kay?»
Quella domanda fece tornare sulla terra Ashton nella frazione di un secondo, prendendolo completamente alla sprovvista e sorprendendolo. Perché se c’era una cosa che mai aveva capito da quando i suoi genitori avevano conosciuto la sua migliore amica, era proprio il fatto che si interessassero di lei quasi costantemente ed erano felicissimi ogni volta che veniva da loro.
«Appena avrà un po’ di tempo. Perché?» rispose mettendosi più comodamente a sedere sul divano, sistemando meglio Harry sulle sue gambe per evitare di farlo cadere, mente Lauren che giocava accanto a lui con il peluche che proprio il riccio le aveva regalato qualche settimana prima.
«Era solo per sapere, tranquillo.» disse Anne Marie con tono tranquillo, ma felice. Perché se c’era una cosa che la donna adorava, era proprio il rapporto che suo figlio e quella ragazza avessero. Un rapporto che – secondo i suoi occhi esperti – era molto più di una semplice amicizia tra ragazzo e ragazza. Un rapporto che, secondo lei, con la giusta spinta sarebbe potuto sbocciare e diventare ancora più bello, unico. Un rapporto che avrebbe aiutato ancora di più suo figlio a stare bene.
Perché Anne Marie aveva notato molte cose positive, da quando Kay era apparsa nella vita di suo figlio e, con calma, anche nella vita del resto della famiglia. Perché da quando c’era lei, Ashton sorrideva più spesso, era più allegro, più sereno, e finalmente le loro conversazioni non si riducevano più a due parole dette con difficoltà. In più, i piccoli della famiglia adesso andavano matti per il fratello maggiore – come lui lo era per loro – e lei non avrebbe potuto chiedere niente di meglio. E lo sapeva bene che tutte quelle cose le doveva a quella ragazza mora a cui si era affezionata subito, non appena l’aveva vista in casa quel pomeriggio di parecchi mesi prima. In più, grazie a lei, Ashton aveva finalmente trovato degli amici e stava vivendo la sua passione più grande.
Ed entrambi i signori Irwin sapevano che non sarebbero mai stati grati abbastanza a quella ragazza semplice che aveva conquistato subito anche loro. Loro, che già vedevano molto più di quanto i due ragazzi potessero anche solo immaginare.
Anne Marie si sedette accanto al figlio – prendendo Lauren tra le braccia – e sorrise, pensando al discorso che avrebbe fatto su consiglio del marito – ora a lavoro. Sperava che quelle poche parole avrebbero potuto aiutare i due ragazzi in qualche modo. Semplicemente perché voleva vederli felici, entrambi, ma felici davvero. Perché se lo meritavano, più di qualsiasi altra cosa al mondo, come qualsiasi altra persona.
E fece per parlare, ma sua figlia Lauren la precedette, sorprendendola. «Ash?»
«Sì, piccolina?» rispose lui con il sorriso sulle labbra, curioso di sapere cosa volesse la sorella.
«Kay è la tua fidanzata?» chiese con un tono di voce così serio da lasciare suo fratello maggiore e sua madre senza parole per la sorpresa e l’incredulità.
«No…» rispose con la voce che sembrava un sussurro, mentre il cuore iniziava a fargli male, in un modo che prima di allora non aveva mai sentito. «No… Non lo è…» continuò, e intanto quello strano dolore al petto continuava a fare sempre più male, un poco alla volta. Come se quelle parole non fossero quelle giuste; come se non fossero quelle che Ashton avrebbe voluto dare come risposta.
«Ma tu le vuoi bene, vero?» domandò Harry, lasciando completamente sorpresi Anne ed Ashton.
Tuttavia, quest’ultimo si ritrovò a sorridere, mentre le guance gli si tingevano un poco di rosso anche se lui non riusciva a capire perché. E pensò che, sì, lui a Kay voleva bene, gliene voleva davvero, tantissimo; le voleva bene in un modo che non riusciva a spiegarsi, non riusciva a capire. Perché solo quando era con lei riusciva a provare determinate emozioni che con altre persone non sentiva dentro. Era come se Kay fosse speciale. Ed Ashton sapeva che, per lui, lei speciale lo era sempre stata, sotto ogni punto di vista.
«Certo che le voglio bene.» rispose allora, senza pensarci due volte, mentre il cuore – nonostante facesse ancora un po’ male – tornava a battere ad una velocità più regolare.
A quella risposa, Anne Marie si ritrovò a sorridere, mentre una gioia improvvisa si faceva largo dentro di lei e le scaldava il cuore. Perché conosceva bene il tono felice e un po’ sognante che Ashton aveva usato senza volere per rispondere. Un tono che le aveva dato la conferma che le serviva per stare più tranquilla.
«Bambini, perché non andate a giocare in camera vostra?» chiese allora.
«Ma mamma, noi vogliamo giocare qui!» esclamò contrariato Harry. Lauren però lo prese per mano e lo condusse al piano di sopra, perché sapeva che quando sua madre chiedeva qualcosa di simile, era perché doveva parlare di qualcosa di davvero importante, anche se la bambina non sapesse di che cosa si trattasse.
Una volta che i bambini furono in camera, la signora Irwin sospirò. Credeva che quel momento non sarebbe mai arrivato. Eppure, eccola lì, a parlare con suo figlio, con cui aveva ripreso ad avere un rapporto normale, fatto di quei soliti alti e bassi che caratterizzano una famiglia.
«Ashton?»
«Sì, mamma?» rispose lui, mentre il cuore iniziava a battergli davvero forte. Perché non era mai successo che sua madre volesse restare da sola per parlare con lui. Ed il ragazzo non aveva la benché minima idea su che cosa sarebbe andata a finire la loro conversazione. Certo, in quegli ultimi mesi il loro rapporto era cambiato in meglio, era cresciuto, ma ancora non era arrivato a quei livelli in cui si può parlare davvero di tutto senza timore, paura o timidezza. Sperò solo che non fosse niente di grave.
La donna sospirò e prese a torturarsi un poco le dita delle mani, come faceva sempre quando diventava nervosa. «Per te Kay è davvero molto importante?»
A quella domanda, Ashton sorrise e si tranquillizzò un po’. Dopotutto, non doveva aver timore di parlare della mora. «È la mia migliore amica, mamma. È più che importante.»
Anne Marie sorrise. E decise di continuare. Perché sperava davvero di poter aiutare suo figlio a capire. «È solo la tua migliore amica o è qualcosa di più?»
Ashton, a quelle parole, si paralizzò, mentre il cuore tutt’ad un tratto iniziò a battergli così forte nel petto da non dargli modo di poter pensare in modo più lucido. Perché non aveva mai pensato al fatto che Kay per lui fosse qualcosa di più, che lui provasse più dell’amicizia nei confronti della sua migliore amica. Eppure… Era vero, forse solo in parte. Perché lui lo sentiva fin dentro le ossa, fin dentro al cuore, che quel sentimento che lo legava alla ragazza era molto più forte dell’amicizia, molto più forte di qualsiasi altra cosa. Un sentimento che, tuttavia, non riusciva a capire del tutto. Non riusciva a definirlo. O forse non voleva farlo, per lo meno non ancora. Perché, forse, Ashton aveva paura di scoprire cosa si celasse dietro a quello che lo univa a Kay, anche se non riusciva a capire il perché di quella paura che – secondo lui – era completamente infondata.
«Non lo so, mamma… Non lo so…»
A quella risposta, la donna scosse lievemente la testa, sorridendo; non perché si sentisse sconfitta. Ma conosceva suo figlio, e sapeva di avergli messo la pulce nell’orecchio, sapeva e sperava che le cose sarebbero cambiate presto. Perché meritavano davvero di essere felici, entrambi.
Ashton sospirò stancamente e si passò stancamente una mano sul viso, come a voler far chiarezza tra tutti quei pensieri che gli affollavano la mente da quelle che ormai erano settimane. Pensieri a cui si erano aggiunte anche le parole di sua madre. Parole che proprio non riusciva a capire. Non quando per lui Kay era la sua migliore amica, la persona più importante di tutte, quella ragazza per cui provava un affetto senza limiti. Un affetto che… Forse era davvero qualcosa di più dell’amicizia. Ma allora cos’era?
Cosa avrebbe dovuto capire, lui? Cosa c’era che non riusciva a cogliere, che gli passava inosservato anche se ce lo aveva sempre avuto davanti agli occhi? Cos’era quel sentimento troppo forte che provava per Kay? Un sentimento profondo, vero, vivo in ogni sua più piccola parte; un sentimento a cui sapeva che mai avrebbe rinunciato; un sentimento che – lui ne era completamente certo – era la cosa più importante e più bella di tutta la sua vita. Un sentimento che, tuttavia, ancora non si era deciso a lasciarsi scoprire, a lasciarsi capire. Cosa avrebbe dovuto fare, lui?
 
Quella stessa domanda, quegli stessi dubbi stavano assalendo pure Kay – seduta sul divano del soggiorno di Grace – intenta a scorrere le foto che aveva sul cellulare. Foto che la ritraevano con le sue migliori amiche, con i ragazzi, con Ashton. Soprattutto con Ashton. Ad ogni foto che mostrava un loro attimo insieme, lei si ritrovava a sorridere, con il cuore colmo di una felicità infinita, una felicità che non provava da veramente tanto tempo e che, proprio grazie ad Ashton, aveva riacquistato.
Quelle foto erano la prova che lui stava continuando a mantenere la sua promessa, anche se forse ormai semplicemente di una promessa tra loro due non si trattava più. Perché Ashton le stava continuando ad insegnare a vivere, dopo tutti quei mesi. E non perché seguisse il fatto di aver dato la sua parola. No. Lo faceva perché le voleva bene, le voleva bene davvero. E Kay lo sapeva, sapeva di quell’affetto che legava entrambi l’uno all’altra in maniera indissolubile, come se ad un tratto quella stessa promessa avesse preso vita propria e si fosse decisa a giocare le parti delle loro vite al posto loro, concentrandosi soprattutto sui loro sentimenti.
Ashton continuava a mostrarle un’emozione diversa ogni giorno, come se la vita non smettesse mai di sorprendere o di insegnare qualcosa di nuovo, anche se a volte così piccolo da essere quasi trascurabile. Ma niente nella vita va trascurato; Kay lo aveva capito nei suoi sedici anni di vita che ogni cosa che capita, che si impara, servirà sempre e comunque. L’aveva imparato nel modo peggiore; perché la vita non fa regali a nessuno, la vita procede con il suo corso e non si preoccupa dei sentimenti delle persone, fa il suo gioco. E non resta che accettare quel che viene, perché tanto le cose non cambiano.
O almeno, così credeva Kaylin prima di incontrare Ashton, prima che la luce tornasse ad illuminarle la vita.
E si ritrovò a sorridere, mentre osservava la foto che aveva messo come sfondo del telefono. La migliore foto di loro due insieme. L’avevano scattata qualche settimana prima, proprio all’inizio dell’estate, in quel parco che ormai era diventato il loro posto. Lei era dietro ad Ashton, con gli occhi rivolti verso l’obbiettivo. Lui invece le stava baciando una guancia.
E Kay lo sapeva che non avrebbe mai provato una sensazione migliore di quella. Sapeva che quel senso di completezza derivato da quella piccolissima azione era stato solo un’enorme eccezione e che non sarebbe mai più tornato. Eppure… Eppure quel semplice gesto era riuscito a metterle addosso una gioia senza pari, una gioia a cui si era ancorata per giorni, spaventata di poterne perdere il ricordo.
Sorrise, Kay, perché Ashton riusciva sempre a metterla di buon umore anche quando erano lontani.
«Ehi, cosa, abbiamo qui?» chiese ad un tratto Grace, sorprendendo la ragazza che non riuscì a capire come mai il suo cellulare fosse ad un tratto finito tra le mani della donna, che adesso lo stava osservando attentamente, con gli occhi lucidi ed il cuore che batteva forte nel petto.
Perché Grace aveva visto giusto, o almeno, sperava di averlo fatto almeno una volta, almeno con quel ragazzo che stava rendendo felice Kay. Una cosa per cui aveva sempre pregato, nonostante la sua mente annebbiata, nonostante il dolore, nonostante la perdita, nonostante il senso di vuoto che non riusciva a mandar va, a causa di quella forza di cui aveva bisogno ma che non era mai riuscita ad avere. Voleva solo che Kaylin fosse felice, felice davvero, perché se lo meritava. Perché una ragazza di soli sedici anni come lei non poteva continuare a vivere con la tristezza addosso. Non poteva, perché altrimenti si sarebbe persa, si sarebbe annullata con le sue stesse mani, giorno dopo giorno. E Grace non voleva in alcun modo che a Kay capitasse quello che per poco non stava per succedere a lei.
«Grace, posso riavere il mio telefono, per favore?» chiese divertita Kay, riportando la donna alla realtà e facendola sorridere mentre le restituiva l’oggetto.
«Per poter parlare con il tuo ragazzo?» domandò Grace, un po’ per curiosità, un po’ per capire come stessero realmente le cose tra i due ragazzi. Perché lei l’aveva notato che tra Kay ed Ashton c’era un rapporto bellissimo che si basava sull’amicizia, ma che inevitabilmente tendeva a qualcos’altro, qualcosa di veramente molto più forte, potente e bellissimo per essere rinchiuso tra pareti fatte di paura.
«Io non ho mai avuto un ragazzo.» risponde Kay con la voce simile ad un sussurro, con le mani che cominciavano a tremare un po’ e con il cuore che non la smetteva di battere forte quanto un tamburo, come se avesse voluto uscirle dal petto in ogni modo. In fondo, anche se il loro rapporto era migliorato parecchio in quegli ultimi mesi, lei e Grace non avevano mai parlato di cose simili. E tra loro due, il disagio, l’imbarazzo, si facevano sentire in maniera davvero molto più forte. Perché, nonostante tutto, nessuna delle due conosceva l’altra così bene da potersi permettere di iniziare un discorso simile. Ma già il semplice fatto di provare, almeno da parte di Grace, era già una piccola conquista. Ed entrambe lo sapevano molto bene.
«Allora cosa siete tu e Ashton?» le domandò la donna, curiosa e fiduciosa nel fatto che – forse – quella conversazione avrebbe portato a qualche cambiamento. O almeno così sperava, con tutto il cuore.
A quelle parole, Kay sospirò. Perché ogni volta era sempre la stessa storia, quando si arrivava a parlare del rapporto che lei ed il riccio avevano. Ed era davvero stufa che le persone non capissero che loro due erano semplicemente amici, niente di più, niente di meno. Era così strano che una ragazza ed un ragazzo avessero quel tipo di rapporto invece che una relazione amorosa? Che poi, alla fine era proprio quello la cosa che la sconcertava – e che a volte la impauriva – più di tutto il resto: il fatto che molti li vedessero bene insieme. E subito quel turbine di Perché? iniziò a ronzarle in testa, come un ritornello che non aveva intenzione di smettere fino a che non avrebbe avuto una risposta. Una risposta di cui – anche se la mora non voleva ammetterlo – aveva davvero bisogno.
«Siamo migliori amici, è così sbagliato?» rispose la ragazza, con una nota di nervosismo nella voce. Nervosismo che fece sorridere dolcemente la donna. Perché, in fondo, lei e Kay erano molto più simili e molto più vicine l’una all’altra di quanto pensassero. E Grace non l’avrebbe mai più fatta cadere, per nessun motivo mondo. Perché aveva un compito, e avrebbe fatto di tutto pur di portarlo a termine.
«No, Kay, anzi, è una cosa bellissima.»
«Ma…»
«Ma sul serio sembra che voi due siate una coppia. Sei sicura che non ci sia davvero niente tra voi due?»
Kay spostò lo sguardo stanco dagli occhi della donna verso la finestra, come a voler cercare l’attimo giusto per poter mettere in ordine i propri pensieri e per cercare quelle parole, quella risposta, che forse mai avrebbe avuto modo di trovare, restando con quel dubbio per chissà quanto tempo.
E si rese conto davvero solo in quel momento che la casa di Grace era luminosa, sembrava viva – proprio come Grace – grazie alle tende e alle persiane che finalmente la donna si era decisa ad aprire per far entrare entrare un po’ di luce in quella casa che fino a qualche tempo prima era sempre rimasta scura, chiusa nel buio e nel dolore. Sembrava che le ferite lentamente se ne stessero andando via anche da quel posto.
E Kay, per come stava andando la sua vita, non avrebbe potuto di chiedere di meglio.
Tuttavia… Solo una cosa probabilmente sarebbe rimasta sempre la stessa e avrebbe continuato a far male.
Quel cubo di vetro che ancora imprigionava il suo cuore, continuando a giocarsi come se nulla fosse, indisturbato e per niente interessato al dolore che Kay provava ogni volta. Perché, nonostante tutto, nonostante Ashton, nonostante il fatto che lentamente avesse ripreso in mano la sua vita, non sarebbe mai stata forte abbastanza per spazzare via quel peso nato tutto in una volta e che avrebbe sempre gravato dentro di lei. Neppure la poca luce che il riccio cercava di far entrare bastava a migliorare la situazione. Eppure, anche se sembrava ormai una battaglia completamente persa, Kay non si dava per vinta, non l’avrebbe mai fatto. Perché era convinta che le cose sarebbero potute cambiare da un momento all’altro. E lei aspettava quel cambiamento più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non c’è niente tra di noi…» rispose atona, persa nei suoi pensieri, con il cuore che batteva davvero forte.
Grace sorrise. Perché sapeva come si sentisse la ragazza. Sperava solo che capisse e che vivesse felice.






Letizia
Ciao a tutti! Spero stiate bene ;).
E spero pure che il capitolo vi sia piaciuto :D.
Insomma, abbiamo una Anne Marie ed una Grace curiose e speranzose che possa nascere qualcosa tra Ash e Kay - come del resto lo siamo noi, deheheh.
Speriamo sul serio che possa accadere qualcosa di simile. Dopotutto, la storia non è ancora finita e di cose da dire ce ne sono parecchie u.u
E... Dai, dai, fatemi sapere cosa ne pensate, ci conto!
Non ho altro da aggiungere sulla storia, almeno per oggi ahahah, scusate se sono di poche parole, ma devo finire il capitolo di Inatteso così poi aggiorno pure quella storia u.u
Detto questo, vi ringrazio moltissimo per ogni cosa, sul serio, per visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti; siete meravigliosi! <3
Ci sentiamo presto, un bacione, Letizia <3

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Capitolo 19
*** 19. Concerto ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


19.
Concerto
 
 

All’Annandale Hotel quella sera, quel 3 dicembre 2012, c’erano molte più persone di quante i 5 Seconds of Summer si sarebbero mai aspettati. Avevano fatto davvero tantissima pubblicità su ogni tipo di social network, e si erano pure dati da fare – grazie anche alle ragazze – con un numero infinito di volantini, che avevano sparso in ogni dove in città. Dopotutto, era il loro primo vero concerto, anche se le canzoni del loro repertorio non erano poi così tante. Ma ci tenevano, tenevano tantissimo a quella loro prima esibizione che avevano fatto di tutto pur di far sapere alla gente che ci sarebbe stata. Solo che mai avrebbero creduto che avrebbe potuto avere un successo simile. Stessa cosa per i video che avevano caricato su YouTube di cui, in pochissimo tempo, le visualizzazioni erano aumentate a perdita d’occhio, rendendoli fieri e felici, sopratutto felici. Perché quella loro passione infinita per la musica veniva apprezzata. E loro non avrebbero mai potuto chiedere niente di meglio.
Avevano cercato il posto per esibirsi per mesi, subito poco dopo l’entrata di Ashton nella band. E non appena l’avevano trovata ed avevano concordato il tutto, si erano messi sotto con le prove, ogni giorno a casa di chi aveva il garage libero – quasi sempre Michael – per perfezionare, per rivedere le piccole cose che già avevano buttato giù e per magari crearne anche di nuove.
E nel mentre, la compagnia ed il supporto delle ragazze non erano mancati per niente. Anzi, se non fosse stato per loro, la band avrebbe fatto la metà – forse anche meno – di tutto quello che erano riusciti ad organizzare insieme. Ed i ragazzi non le avrebbero mai ringraziate abbastanza per tutto quello che avevano fatto per loro, con il sorriso sulle labbra.
Tutti loro si erano fatti in quattro affinché la serata fosse la migliore della loro vita. E lo sembrava, lo sembrava davvero ancora prima di iniziare quel piccolo concerto in cui i ragazzi avrebbero messo tutto quel che avevano, ogni loro sentimento, avrebbero messo se stessi, completamente.
Ashton era quello più eccitato di tutti. Lui, che non aveva mai fatto parte di una band prima di allora. Lui, che fino a cinque mesi prima non aveva mai avuto amici veri, che gli volevano bene, e poi si era ritrovato parte di quel gruppo di persone meravigliose ed uniche a cui si era legato con una facilità e con una semplicità che all’inizio lo avevano spaventato parecchio. Lui, che stava realizzando il suo sogno e che ancora non riusciva a crederci davvero. Lui, che finalmente si sentiva felice, felice davvero.
 
«Tra poco tocca a voi, tenetevi pronti, mi raccomando.» li avvisò il proprietario dell’hotel quando ormai mancavano poco più di cinque minuti all’inizio della serata.
Tutti ed otto i ragazzi si guardarono negli occhi. Non stavano più nella pelle. Insomma, stavano per coronare almeno per una volta il loro sogno di calcare un palco e far cantare alle persone le loro canzoni. E ancora non riuscivano a crederci davvero, non riuscivano a credere di esserci riusciti.
«Siamo sicure che sarete pazzeschi.» iniziò Tara, prendendo la mano di Michael tra le sue e stringendola forte, per poi lasciarsi baciare teneramente dal suo ragazzo, che la amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Come al solito del resto.» continuò Elen, tutta sorridente mentre Calum l’abbracciava forte, quasi non volesse farla scappare, quasi come se da quell’abbraccio riuscisse a trovare il coraggio necessario per affrontare quel concerto che lo spaventava più di ogni altra cosa.
«Spaccherete, e sicuramente qualcuno vorrà lavorare con voi.» concluse Nathalie, seria come suo solito, almeno fino a che Luke non iniziò a baciarle le guance così velocemente da farla ridere allegramente.
Ashton stava osservando quel che succedeva alle coppie con una strana sensazione dentro al cuore, come se gli mancasse qualcosa, un piccolo tassello per essere completo, per sentirsi bene, bene davvero. E di preciso, lui ancora non sapeva dove cercare per trovarlo. Sapeva solo che ne aveva assoluto bisogno, quasi più dell’aria, per sconfiggere del tutto il bianco della sua solitudine e per non avere più paura.
E, quasi senza volerlo, i suoi occhi andarono a finire sulla figura di Kay, un po’ in disparte rispetto al gruppo, lo sguardo perso, distante, quasi non fosse davvero lì, come se una forza misteriosa l’avesse presa con sé per portarla chissà dove, forse addirittura per portarla lontana da lui.
Lui, che non voleva perderla. Lui, che si stava immaginando come sarebbe stato baciare quelle guance con un sentimento diverso dall’amicizia; che si stava chiedendo come sarebbe stato abbracciarla forte in quel momento, per farle capire che sarebbe sempre stata la persona più importante della sua vita; che si stava chiedendo che sensazione avrebbe provato a baciare quelle labbra rosee adesso piegate in un sorriso.
Si ritrovò pure lui a sorridere, mentre i suoi occhi verdi incontravano quelli scuri di Kay. E fu proprio in quello stesso istante, che si rese conto davvero di che cosa aveva appena pensato su di lui e sulla sua migliore amica, si rese davvero conto della portate di quel che aveva pensato di fare e dell’intensità di quel sentimento che aveva accompagnato ogni pensiero. E allora si immobilizzò, solo per un attimo.
Perché, no, lui non poteva aver davvero pensato qualcosa di simile, in un modo così serio da sperare che fosse reale. Non avrebbe dovuto. Perché lei era la sua migliore amica. Perché… Il perché non lo sapeva neppure lui. Solo che… Era strano, gli sembrava davvero strano aver avuto quella sensazione. Probabilmente era tutto solo dovuto a causa dell’ansia, della paura per quel che stava per accadere. Eppure… Gli occhi di Kay che vagavano su di lui gli facevano battere il cuore molto più forte e molto più velocemente rispetto a tutte la altre volte. E non sapeva spiegarsi il perché. Per questo non volle più pensarci.
Semplicemente, le andò vicino e le sorrise per salutarla, ricevendo solo uno sguardo intenso come risposta.
Perché ogni pensiero della mora era concentrato su di lui quella sera. Era tesa, forse più del riccio, perché sapeva quanto per lui tutto quello fosse importante. Era tesa e felice allo stesso tempo, contagiata proprio da quell’aria che aleggiava tutt’attorno a lei e ai suoi amici. Non avrebbe potuto chiedere niente di meglio degli sguardi eccitati ed increduli dei ragazzi. E pure per lei sembrava impossibile che tutto quello stesse accadendo sul serio. Insomma, ci avevano sperato così tanto solo che non ci avrebbero mai creduto davvero, almeno fino a che la serata non sarebbe finita.
E vedere quella luce, quella felicità negli occhi di Ashton, per lei era il regalo più grande, più bello, era il regalo migliore di tutti. Perché lo vedeva vivo, vivo come mai lo aveva visto prima di allora. Era come se tutt’ad un tratto si fosse acceso, come un fuoco, una piccola scintilla che non aveva alcuna intenzione di spegnersi, ma che invece avrebbe voluto tanto crescere, diventare più intenso per dare più calore.
«Fai del tuo meglio.» gli disse allora, sorridendo e prendendogli una mano tra le sue, piccole e fresche, in netto contrasto con il caldo di quella sera. Mani che lo fecero rabbrividire e che lo tranquillizzarono un poco.
«Ci proverò.» rispose lui, allegro, baciandole la fronte e sentendo sotto le labbra quella pelle liscia, morbida e profumata. E intanto il suo cuore riprese a battere forte nel suo petto, ricominciò a fare capriole, come se volesse uscire, come se volesse andare a finire nelle mani di Kay, quelle stesse mani che gli stavano dando sicurezza ed un coraggio che mai aveva sperimentato prima.
«So che ci riuscirai.» aggiunse lei, divertita ed orgogliosa, mentre gli baciava la guancia poco prima che il proprietario dell’hotel tornasse da loro. Lui le schioccò un occhiolino e seguì gli altri sul palco.
E quello che lui ed i ragazzi videro davanti a loro, fu il regalo più bello di tutta la loro vita. La sala principale era piena, completamente, le persone si ammassavano pur di vedere meglio il palco, le luci soffuse illuminavano ogni angolo e creavano un’atmosfera perfetta, il vociare della gente che aumentava un poco il loro nervosismo, la tensione che cresceva ad ogni istante. Era tutto perfetto, veramente perfetto.
«Signore e signori, i 5 Seconds of Summer
Alla presentazione, la folla esultò. E quello fu il punto di rottura, per tutti e quattro. Si guardarono negli occhi a lungo, come a volersi accertare che stesse andando tutto bene. E si sorrise, certi che quella sarebbe stata la loro serata, la migliore della loro vita.
Presero posto con i loro strumenti. Ashton diede il tempo. E tutto cominciò.
Too late.
Gotta get out.
Unpredictable.
Out of my limit.
Quelle poche canzoni che avevano in scaletta – nelle quali avevano messo tutto il cuore – si susseguivano in maniera perfetta, quasi volessero creare un’armonia più grande, più bella. Nella loro piccolezza, erano bellissime,e tutti in quella grande sala potevano percepirlo sulla propria pelle, a causa di quei brividi che non li lasciavano e come dimostrava il fatto che molte persone avevano iniziato a muoversi a ritmo, chi le mani, chi i piedi, e c’era pure chi – soprattutto le fan che li conoscevano grazie ai social network – osavano di più, senza curarsi minimamente di chi poteva pensare qualcosa di brutto su di loro.
I ragazzi suonavano ogni nota, ogni accordo con passione, cantando con la voce un poco tremante per l’emozione e l’incredulità che ancora non li lasciava andare. Suonavano, ed ogni secondo che passava, li aiutava a rendersi davvero conto di quello che stava succedendo. Si stavano davvero accorgendo di quanto bene suonassero insieme. E non solo perché erano mesi che provavano e riprovavano fino allo sfinimento. C’era qualcosa nell’aria, qualcosa molto più forte dell’amicizia che li legava, molto più forte di quella passione che li accomunava e che ognuno di loro sentiva in maniera differente dagli altri. Era un qualcosa che univa tutto, come una magia, e che rendeva il tutto veramente magnifico, indimenticabile.
 
Ashton si sentiva bene, dannatamente bene, come da tanto, troppo tempo non succedeva. Stava suonando la batteria, in una band, davanti a così tanta gente che non riusciva a crederci. Stava vivendo il suo sogno più grande. E non riusciva a capacitarsene sul serio, almeno non ancora. Era come se la musica entrasse dentro di lui per cambiarlo, per colorare ancora di più quel bianco che stava sparendo quasi completamente. Si sentiva vivo, Ashton, vivo davvero e non più solo. Perché aveva finalmente un rapporto vero con i suoi, e perché aveva trovato delle persone che lo apprezzavano per quello che era, aveva degli amici che gli volevano bene.
Ed aveva Kay, l’unica persona con cui tutti i suoi problemi, le sue ansie, le sue paure, i suoi dubbi, scomparivano, lasciando posto a quel qualcosa che Ashton amava sentire dentro al cuore, anche se ancora non la aveva ben compreso. Perché sia lui che Kay erano molto più vicini alla soluzione di quanto pensassero.
Kay che, in prima fila non aveva occhi che per Ashton, incantata dal suo modo di suonare, incuriosita dalle mille e buffe espressioni che passavano sul volto del ragazzo quando si concentrava al massimo. Era felice, perché Ashton era felice. E sapere che – in parte – la felicità del ragazzo era dovuta al fatto che lei avesse fatto dato una mano per farlo incontrare con Pi ragazzi, le riempiva il cuore di una gioia immensa. Perché vederlo felice, con quel sorriso meraviglioso sul viso, era quanto di più bello e prezioso Kay avesse e potesse desiderare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa – anche quella più piccola ed insignificante – pur di vedere Ashton sorridere in quel modo, vivo, vero, a dimostrazione di quella piccola fiaccola di vita che si stava riaccendendo dentro di lui e che lo faceva brillare quasi quanto una stella, quasi quanto il sole stesso. Perché, per Kay, Ashton era il sole, il suo; era quella luce che l’aveva aiutata a stare in piedi e che la stava aiutando tutt’ora a starci, senza chiedere niente in cambio. Solo che Kay non era riuscita a non dargli niente. E, senza volerlo, gli aveva donato la cosa più importante di tutte: il suo affetto, la sua amicizia; aveva messo il proprio cuore nelle mani di quel ragazzo riccio, perché sapeva con certezza che di lui avrebbe potuto fidarsi, sempre.
 
«Questa è l’ultima canzone, Beside you. Speriamo davvero che vi piaccia.» disse Calum sorridendo, proprio per presentare quell’ultima canzone che avrebbe concluso la serata. Canzone che aveva visto come suo ideatore – soprattutto per il testo – Ashton. E tutti i ragazzi – il riccio escluso – sapevano ormai con assoluta certezza chi l’avesse ispirato per scriverla.
Cominciarono a suonare.
Ashton si sentì pervadere da un senso di completezza, non appena i suoi occhi dorati riuscirono a trovare quelli scuri di Kay in mezzo alla folla. Lei si sentì invadere da una sensazione sconvolgente, causata da ogni singola parola di quella canzone. E si osservarono a lungo, Ashton e Kaylin, donandosi molto più di quanto entrambi riuscissero a capire, cambiando radicalmente ogni cosa senza rendersene minimamente conto.
E intanto, i loro cuori continuavano a battere più forte del normale.






Letizia
Bella gente, buon giorno a tutti! <3
(Prima cosa, poi passiamo ai nostri piccini ;). Ieri sera ho pubblicato una nuova OS su Luke: Beside you. Se avete voglia di passare, siete i benvenuti! <3)
Allora, che dire di questo nuovo capitolo?
Prima di tutto che sono felicissima di come sia venuto. E' uno dei capitoli a cui tengo di più e sono felice di essere riuscita a farlo come l'avevo pensato fin dall'inizio ;).
Una cosa che probabilmente avete notato, sono i "dati" del concerto, la data e la quantità di persone. Per quanto riguarda la data, ho dovuto cambiarla, proprio perchè la storia si svolge con Ash che è tra i 18 ed i 19 anni e Kay che è tra i 16 ed i 17. Solo per questo. La quantità di persone presenti al concerto era per fare un regalino (?) ai nostri piccini, che gliene faccio passare così tante tutte le volte che, boh, dovrebberp davvero farmi tutti causa. :D
E... Niente. Tenetevi pronti, perchè il prossimo capitolo sarà una BOMBA, ve lo anticipo, così vi preparate un pochino u.u
Grazie di tutto come sempre, siete dolcissimi! Grazie per visiti | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Grazie davvero con tutto il cuore! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 20
*** 20. Luce ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


20.
Luce
 
 

«Siete stati bravissimi!»
«Pazzeschi!»
«Non riuscivamo a crederci!»
Queste erano solo alcune delle cose che i ragazzo si sentirono dire dai loro genitori – i signori Irwin compresi – non appena scesero dal palco, ancora increduli e pieni di un’adrenalina che non sarebbe sparita tanto facilmente, non dopo quello che avevano appena vissuto. Perché la serata era andata bene, benissimo, molto meglio di quanto si fossero aspettati. Non avrebbero mai pensato che, proprio a Beside you, la folla avrebbe iniziato a cantare con loro, dando vita a qualcosa che i ragazzi non avevano mai sperimentato prima di allora, una sensazione fantastica, che li aveva presi tutti, li aveva scossi e riempiti di orgoglio, di soddisfazione, di una felicità senza confini. Perché avevano semplicemente mostrato la loro passione, e alle persone era piaciuta, e neppure poco.
Ashton – non appena la vide – sorrise a sua madre, che non resistette e l’abbracciò forte, come da tempo non accadeva, come quando era piccolo. E lui li lasciò stringere, si lasciò cullare, si lasciò amare da sua madre, com’era giusto che fosse, soprattutto ora che il loro poteva davvero dirsi un rapporto, dopo troppi anni di silenzio; anni che non avevano fatto bene, per niente, né a lui né ai suoi genitori.
«Sono così orgogliosa di te, tesoro mio.» gli disse Anne Marie, gli occhi lucidi e ormai prossimi al pianto, la voce insicura, le braccia tremanti attorno al corpo del ragazzo, che sorrise intenerito e la strinse forte a sua volta, cercando di farle capire quanto bene le volesse.
«Ottimo lavoro, figliolo.» si complimentò invece suo padre, la voce tranquilla, i gesti pacati – dato che il signor Irwin era un uomo molto riservato e di rado si lasciava andare ad ogni qualsiasi minima effusione d’affetto – l’orgoglio per suo figlio negli occhi chiari; gli stessi occhi che Ashton aveva ereditato.
In quell’istante, il riccio si sentì bene, mentre il cuore prendeva a battergli un po’ più veloce nel petto. Perché finalmente lui, i suoi genitori, Lauren e Harry erano una famiglia, una vera famiglia, anche grazie al fatto che lui stesso era diventato molto più presente, sia con gli adulti che con i piccoli di casa. E nessuno di loro avrebbe potuto chiedere niente di meglio.
Eppure… Eppure Ashton sentiva che in quel momento mancasse qualcosa, qualcosa di davvero molto importante, come un quesito irrisolto a cui doveva dare una risposta in ogni modo, quasi fosse vitale trovare la soluzione di quel problema. Però… Che cosa mancava davvero?
Vagò con lo sguardo stanco per la sala, ancora piena di persone – anche se molte che erano lì per il concerto fino a poco prima se ne erano già andate a causa dell’ora tarda. Tuttavia quel senso di incompletezza non si attenuò, anzi, aumentò quasi a dismisura, come un segnale d’allarme che doveva fermare ad ogni costo.
Proprio in quel momento, il proprietario dell’hotel si avvicinò ai ragazzi e alle loro famiglie.
«Sono onorato di aver ospitato il vostro concerto, ragazzi.» iniziò, con un ampio sorriso sul viso. «Siete veramente degli ottimi musicisti.»
I ragazzi sorrisero imbarazzati e felici a causa di tutti quei complimenti inaspettati.
«Dobbiamo ringraziare mia cugina se siamo arrivati qui.» rispose Calum felice di avere qualcuno come Kaylin accanto a lui. Perché era stato solo grazie a lei se tutto quello era potuto accadere, per più motivi, uno dei quali era presente e non sapeva neppure di esserlo
«Cosa intendi?» chiese Ashton, incuriosito dal fatto che il moro avesse tirato in ballo la sua migliore amica in quel discorso. Cosa c’entrava lei con tutto quello che era accaduto da due mesi fino a quella sera tra lui e gli altri ragazzi? Non gli aveva mai detto niente.
E intanto il suo cuore continuava a battere forte, preso dalla sorpresa della notizia e dall’ansia di sapere.
Calum sorrise – come tutti gli altri ragazzi del gruppo, che ormai avevano capito da un pezzo come stessero le cose – e rispose, sganciando quella bomba che aveva tenuto al sicuro, almeno fino a quel momento.
«È grazie a lei se sei nella band.» disse Calum, soddisfatto della reazione che aveva provocato nell’amico
«È stata lei a darci il tuo numero.» continuò il moro, sempre sorridente, con Elen che gli stringeva la mano.
«Ci ha detto che eri davvero in gamba..» proseguì Michael, mentre Tara gli sorrideva complice.
«Ed aveva ragione.» concluse Luke abbracciandolo, mentre Nathalie non riusciva a smettere di sorridere.
«Kay? Kay… Ha davvero–?»
«Sì.» rispose Calum. Gli altri sorrisero, divertiti ed inteneriti da quel ragazzo a cui volevano – e avrebbero sempre voluto – un bene immenso.
E ad Ashton servì soltanto un secondo per rimettere insieme i pezzi. Un secondo per capire gran parte di quel qualcosa che fino a quel momento gli era rimasto sconosciuto. Quel qualcosa di troppo importante che non si sarebbe fatto scappare per nessun motivo al mondo.
«È uscita dalla porta sul retro.» gli fece sapere Calum sorridendo ancora – che tanto già aveva capito che cosa avrebbe fatto il suo migliore amico – dandogli una lieve spinta nella direzione appena indicata.
Il riccio, semplicemente, gli sorrise, grato per ogni cosa che in quei mesi l’altro aveva fatto per lui, spesso senza rendersene conto davvero, soprattutto nei momenti in cui il riccio avrebbe solo voluto mollare tutto perché non si sentiva abbastanza, in niente. Calum però era sempre rimasto con lui, come tutti gli altri, a sostenerlo e ad aiutarlo, proprio per quella profonda amicizia che li legava e che lo avrebbe sempre fatto.
Si allontanò dal gruppo e quasi corse verso quella porta con il cuore che gli batteva così forte nel petto quasi volesse esplodere da un momento all’altro per quelle emozioni che stava provando tutte in una volta, così tante, così confuse, che quasi non lo facevano ragionare.
Eppure… Eppure una cosa che lo teneva ancora lucido c’era. Una sola, ma sufficiente a non farlo perdere.
Perché forse aveva trovato la soluzione a tutto, forse aveva trovato la risposta a tutti quei Perché? che gli ronzavano dentro da mesi, proprio grazie all’aiuto dei suoi amici, che non avrebbe mai ringraziato abbastanza per tutto quello che gli avevano dato.
Quasi corse, e per poco non rimase senza respiro quando, aperta la porta che dava sul retro, si ritrovò davanti la figura di Kay, con gli occhi lucidi ed il sorriso sulle labbra.
 
Kay era uscita un attimo dal grande salone e si era diretta fuori perché aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, aveva sentito il bisogno di restare da sola per un po’, per rimettere in sesto tutti quei pensieri, tutte quelle emozioni contrastanti che non facevano che vorticare dentro di lei da quando i ragazzi avevano iniziato a suonare Beside you. Diamine, quella canzone le era entrata così dentro, così in profondità, da farla sentire nuda di ogni cosa, senza alcuna difesa contro quello strano qualcosa che ancora non riusciva a capire e che le provocava solo tanta confusione dentro al cuore, lasciandola senza respiro a causa di quell’intensità che non riusciva più a gestire.
In più, quella sera, il suo cubo di vetro non aveva fatto altro che peggiorare la situazione, rendendo il tutto ancora più difficile. Perché quella prigione aveva ripreso a giocare lentamente col suo cuore, a fargli male, nonostante l’aria di gioia, di felicità di quella che – almeno per gli altri – sarebbe stata una serata da ricordare per tutta la vita. A lei, invece, era negato pure quel piccolo, semplice sollievo.
Era come se la vita le ricordasse continuamente che lei non sarebbe mai stata completamente libera, che i ricordi, il dolore, la mancanza si sarebbero sempre fatti sentire, sarebbero sempre stati presenti dentro di lei, per scavarle nell’anima solchi profondi ed inguaribili, mentre quello stesso cubo di vetro – nonostante le numerose e profonde scheggiature – si preoccupava di non far entrare neppure un misero fascio di luce in quel buio che lentamente si stava impossessando di lei.
Era stanca, Kay, stanca di tutta quella situazione che non riusciva più a gestire, almeno non da sola; quella situazione che stava durando da tutta una vita e che giorno dopo giorno le toglieva una parte di sé, rinchiudendola chissà dove, in modo che lei si perdesse e arrancasse.
Sospirò lentamente e puntò gli occhi scuri verso il cielo completamente pieno di stelle.
E si sentì in pace, anche se solo per un attimo.
Perché presto la sua mente venne invasa da tutt’altre cose, perché i sentimenti provati durante il concerto e tenuti soppressi fino a quel momento si stavano ribellando, stavano cercando di uscire fuori. E lei, quella sera, non aveva la forza sufficiente per controllare ogni cosa. Per questo lasciò che, solo per quella volta, tutto prendesse il sopravvento su di lei, nel bene e nel male; si lasciò travolgere da tutto quel che provava e che aveva tenuto nascosto per troppo tempo. Si lasciò travolgere, e quasi cadde nuovamente in quel buco nero da cui, lentamente, era riuscita ad uscire con l’aiuto di Ashton.
Ashton.
Appena quel nome le rimbombò dentro, tutto ad un tratto si immobilizzò, facendola concentrare solo su di lui.
Su quel ragazzo a cui sapeva di tenere più della sua stessa vita; su quel ragazzo che spesso le mancava più dell’aria; su quel ragazzo che, con pazienza, affetto e amicizia, era riuscito a fare entrare un poco di luce in quella prigione da cui non sembrava essere destinata a liberarsi. Lui, che era la persona più importante della sua vita, la causa e la ragione per cui riusciva a sorridere più spesso e grazie alla quale riusciva a trovare la forza di affrontare tutte quelle difficoltà che la vita aveva deciso di metterle davanti da sempre. Lui, che in quegli ultimi tempi era diventato il centro dei suoi sogni. Lui, per il quale sapeva di provare qualcosa di molto profondo, che andava al di là della semplice amicizia. Lui, che troppo spesso le causava batticuori inattesi e che le faceva perdere il respiro con niente. Ashton, che le aveva insegnato a vivere.
Ashton, per cui sapeva che avrebbe dato tutto quello che aveva per renderlo felice.
E non appena pensò quell’ultima cosa, il respiro le si fermò in gola, il cuore le si fermò nel petto e gli occhi si fermarono sulle stelle, come a voler trovare quella conferma che cercava da tanto, tantissimo tempo. Perché una cosa simile a quello che le era appena passato dentro l’aveva sentita dire pure da Grace, e sapeva benissimo a chi la donna si stesse riferendo in quel momento.
E rabbrividì, quando si rese conto davvero di quello che aveva sempre provato per Ashton, sentimenti che le erano sempre stati davanti in tutti quei mesi e di cui tuttavia era riuscita a rendersi conto solo in quel momento, con il cuore in subbuglio, la mente quasi per niente lucida, gli occhi appannati a causa delle lacrime.
Rabbrividì, ed in un istante si sentì attraversare da una scossa tiepida, piacevole, che arrivò a toccare ogni sua più piccola cellula, rendendola più luminosa, facendola sentire meglio.
Sorrise, mentre il cuore iniziava a batterle un poco più forte.
Era davvero così?
Era davvero quello l’amore?
Era davvero così strano, bello e spaventoso allo stesso tempo amare qualcuno?
Era proprio così che ci si sentiva?
La sensazione di leggerezza, il senso di completezza nel cuore, la felicità infinita che – nonostante tutto – pure lei si era ritrovata a provare, proprio grazie ad Ashton.
Ashton, il ragazzo di cui si era innamorata.
E non sapeva neppure lei come avesse fatto, come tutto fosse successo. Non si sarebbe mai aspettata che in quei mesi avrebbe potuto nascere un sentimento simile dentro di lei verso il suo migliore amico. Sapeva solo che quel sentimento c’era, sapeva che era forte ed intenso dentro di lei. Così forte da lasciarla completamente inerme per la sorpresa, il sollievo, la felicità senza confini.
Sospirò ancora e percepì che i suoi occhi lentamente stavano diventando lucidi. E si passò una mano sulla guancia per mandar via quelle piccole lacrime che avevano iniziato a scenderle dagli occhi proprio a causa di quella verità, a causa di quel qualcosa, di quell’emozione forte che finalmente era riuscita a capire e che tuttavia le sembrava quasi impossibile da credere.
E fu proprio in quel momento che la porta dell’hotel che dava su quel vicolo si aprì, sorprendendola con la figura di Ashton davanti a lei.
 
Ashton, che non aveva fatto altro che pensare a quella ragazza mora per tutti quei minuti che aveva impiegato per raggiungere quel posto, stando attendo a non andare addosso le persone, a non far del male a nessuno.
Aveva pensato a Kay, tanto. Era dentro di lui, nella sua testa, nel suo cuore, da un tempo che non era più in grado di definire. E se ne era reso conto quando, cantando Beside you, aveva capito di aver scritto proprio per Kay quella canzone.
Si era reso conto che Kay era più di una semplice amica, più di una persona con cui poter essere libero di sentirsi se stesso ogni volta. Lei era più di tutto, era infinita e bellissima in ogni suo difetto, in ogni sua paura che la rendeva ancora più preziosa agli occhi di Ashton, che non avevano mai visto niente di più bello e di più forte di lei. Perché Kay era forte, lo era davvero, molto più di quanto credesse. Lo era così tanto da riuscire ad aiutare pure un caso totalmente perso come lui.
Lo aveva tirato fuori dalle macerie della sua stessa solitudine, aveva curato le sue ferite, gli era entrata dentro con delicatezza e con affetto, gli aveva fatto vivere il suo sogno più grande, gli aveva dato degli amici. E, in un modo che nessuno si sarebbe mai potuto spiegare, era pure riuscita a sanare il rapporto inesistente che lui aveva con i suoi genitori e che sarebbe rimasto tale se lei non fosse entrata nella sua vita.
Solo che, prima di quella sera, Ashton non aveva capito davvero.
Non aveva capito che la voleva nella sua vita, completamente.
Non aveva capito che sarebbe stata la ragione per cui avrebbe sempre combattuto e per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggerla, di sorreggerla, di non lasciarla cadere in quel buio da cui – con tanta fatica – era riuscito a tirarla fuori.
Non aveva capito quanto lei fosse importante per lui fino a che non aveva realizzato che avrebbe potuto perderla se la situazione tra di loro fosse sempre rimasta la stessa.
Non si era reso conto di volerle così bene fino a che non aveva cominciato a pensare che la felicità di lei venisse prima della sua, in ogni caso e in ogni circostanza.
Non aveva compreso quanto bene lei riuscisse a fargli fino a che quella sera, in mezzo a tutte quelle persone, lui non aveva fatto altro che cercare i suoi occhi color cioccolato per sentirsi a casa.
Semplicemente, Ashton quella sera aveva capito di amarla.
Di amare Kaylin incondizionatamente, totalmente, più di chiunque altro al mondo.
Ashton amava Kaylin.
Il perché forse non c’era, come non c’era un come. Era soltanto capitato, probabilmente perché entrambi si erano scambiati davvero tante cose, avevano condiviso così tante esperienze che ormai non riuscivano a distinguere dove iniziasse l’uno e finisse l’altra. Era un qualcosa cresciuto con calma, senza fretta, come se avesse voluto tastare bene il terreno prima di poter procedere sicuro, prima di farli cadere in quella rete che era l’amore e da cui, difficilmente, si riesce a liberarsi.
Ashton l’amava davvero, Kay.
E adesso che lo aveva capito, non avrebbe perso un secondo di più.
 
Le andò vicino e le sorrise debolmente, cercando bisognoso quelle mani affusolate e tiepide che riuscivano sempre a tranquillizzarlo. La osservò a lungo, attentamente, intensamente, riuscendo a scorgere in quegli occhi scuri un’anima bellissima e preziosa. Quell’anima che da quel momento in poi avrebbe sempre custodito e protetto, pur di tenerla con sé, pur di renderla felice, sempre.
Lei si sentì nuda ancora una volta, si sentì priva di ogni catena che la ancorava al buio, priva di dubbi, di paure di ripensamenti, svuotata da tutti quei Perché? che finalmente avevano trovato la risposta che cercavano negli occhi di Ashton. Quegli stessi occhi in cui lentamente si stava perdendo e da cui si stava facendo accarezzare l’anima fin nell’angolo più remoto e nascosto.
Non dissero niente. Semplicemente, rimasero ad osservarsi, con attenzione, con calma, cercando di memorizzare ogni particolare del viso dell’altro mentre il cuore batteva davvero troppo forte dentro di loro, scuotendoli, facendoli tremare impercettibilmente, facendoli rabbrividire a causa di quella felicità che sembrava non volerli lasciar andare.
Negli occhi dell’altro avevano finalmente trovato la risposta a tutte le loro domande; nell’anima dell’altro riuscivano a scorgere quel sentimento potente e vero, vivo, che li accomunava e che li rendeva una cosa sola ad ogni secondo che passava, senza che loro potessero farci niente. Semplicemente, si lasciarono guidare.
Avevano trovato quella persona che li completava, quel pezzo di puzzle che serviva per completare tutto.
Si sorrisero, timidi, incapaci di riuscire a far uscire anche solo una parola. E intanto le loro mani avevano preso ad accarezzarsi lentamente, timidamente, quasi avessero paura di commettere anche solo il minimo passo falso che avrebbe potuto rovinare tutto. Perché adesso che si erano trovati, non avevano la benché minima intenzione di perdersi di nuovo per un errore.
Ashton, con il sorriso sulle labbra che non aveva alcuna intenzione di sparire, portò le braccia di Kay attorno al suo collo, e la strinse a sé, felice, mentre lei si sentiva sulla cima del mondo, priva di tutto quello che fino a quel momento non aveva fatto altro che ferirla.
E poi, quelle parole che fino a quel momento avevano provato a bloccare, a tener nascoste, uscirono in un soffio. Un soffio, un sospirò che spezzò quel silenzio in cui entrambi avevano finalmente trovato la parte che mancava per completare quel loro puzzle che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.
«Ti amo.»
Lo dissero insieme, a voce bassa quasi fosse un segreto, senza aver bisogno di aggiungere altro, senza fare quelle dichiarazioni da film. Non ne avevano bisogno. Semplicemente, si guardarono a lungo negli occhi, predi di una felicità infinita mentre i loro cuori battevano forte e li lasciavo inermi davanti a quel sentimento che, da quel momento in poi avrebbero conosciuto insieme.
Il resto venne da sé, come se l’amore avesse già deciso quali passi giocare con loro due.
Chiusero gli occhi e fecero incontrare le loro labbra, morbide, tiepide, bellissime da poter finalmente assaporare, da poter accarezzare senza fretta, inebriandosi del loro profumo, mentre le loro mani passavano delicatamente tra i capelli dell’altro, facendolo rabbrividire ancora di più.
E si baciarono, Ashton e Kaylin.
Si baciarono a lungo, con pazienza, con calma, con tutto l’amore che stava lentamente prendendo il sopravvento su di loro. Si baciarono, ed ogni secondo che passava era migliore di quello precedente. Si baciarono e trovarono quella parte che avevano cercato a lungo, per tutta la vita. Quella parte che in quei mesi avevano sempre avuto accanto ma che avevano scoperto solo quella sera.
Si baciarono.
E il bianco che Ashton aveva dentro si macchiò completamente di ogni colore, di ogni emozione, di ogni sfumatura della vita, cancellando la sua solitudine, mandando via le sue preoccupazione, le sue ansie, le sue paure, liberandolo e facendolo sentire finalmente vivo, ma vivo sul serio.
E la prigione attorno al cuore di Kaylin scomparve del tutto, nella frazione di un secondo, permettendo alla luce di invaderle il cuore, sanando gran parte di quelle profonde ferite che presto sarebbero state un lontano ricordo, facendo sì che il buio se ne andasse completamente da dentro di lei.
E si sentì viva sul serio, Kay, mentre Ashton la stringeva a sé, intensificando il bacio, facendo incontrare delicatamente le loro lingue e facendole danzare insieme in una danza che solo loro conoscevano e avrebbero potuto ballare.
Finalmente Ashton e Kay si erano trovati. Avevano capito di amarsi, di amarsi davvero tanto.
Finalmente la luce era entrata completamente dentro di loro.
E non avrebbero potuto chiedere niente di meglio.






Letizia
Beautiful people, good morning! <3
FINALMENTE SIAMO ARRIVATI A QUESTO CAPITOLO *^*.
Finalmente i nostri Ashlin si sono baciati, hanno capito di amarsi e stanno insieme *^*. Alleluia *^*
Awww, i nostri piccini *^*. Sono felicissima di essere arrivata a questo punto.
Piccolo avvertimento: siccome la parte più complicata era far arrivare la storia a questo punto, avevo bisogno di parecchi capitoli per far evolvere la loro storia, fino a farli arrivare a questo punto.
Ma dal prossimo capitolo in poi, il tempo della narrazione passerà più in fretta, semplicemente perchè le cose importanti che avvengono sono davvero poche e avvengono lontane l'una dall'altra.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :3; ci tengo tantissimo :3.
Fatevi sentire, mi raccomando ;). A presto e grazie mille per tutto: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti; siete meravigliosi ed io vi voglio troppo bene! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 21
*** 21. Regalo ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


21.
Regalo
 
 

 
Erano passati due mesi e undici giorni da quando Ashton e Kaylin avevano capito di amarsi. Due mesi ed undici giorni da quando si erano messi insieme e la loro storia era iniziata. Il periodo più bello della loro vita.
Perché in quei due mesi avevano cominciato a capire che per innamorarsi di una persona non c’è bisogno di una causa precisa, succede e basta, senza che i diretti interessati possano farci niente. I due ragazzi avevano cominciato a capire, a non farsi più domande, a sorridere per quel regalo immenso che mai avrebbero pensato di poter ricevere.
Ancora non riuscivano ad abituarsi all’idea di stare con qualcuno, di stare con la persona più importante della loro vita. Eppure… Le cose che facevano quando ancora non avevano capito tutto continuavano a farle: uscire insieme, camminare mano nella mano, coccolarsi. Non era cambiato niente di quello che avevano prima; erano solo diventati consapevoli.
E la cosa buffa era che proprio da quando stavano insieme, avevano iniziato a discutere, come ogni coppia, partendo dalle piccole cose, fino a quelle più gravi – che poi gravi non lo erano mai davvero. Discutevano, non sempre, ma quando capitava erano capaci di arrivare ad urlarsi contro. Perché adesso loro due erano due fiamme vive, ardenti, difficili da spegnere e da tenere a bada. Poi però tutto finiva con un sorriso, un abbraccio, un bacio. Perché si volevano troppo bene per permettersi di mandare tutto all’aria.
Erano passati due mesi, e Ashton e Kaylin speravano che il tempo che avevano a disposizione per stare insieme non finisse mai. Perché si sentivano bene, si sentivano a casa quando stavano insieme, ed era la sensazione migliore del mondo. Si amavano e vivevano ogni loro momento insieme al massimo, come se avessero paura che fosse sempre l’ultimo.
 
Era il 14 febbraio, San Valentino, la festa degli innamorati.
Ashton e Kay stavano tranquillamente camminando per le vie del loro quartiere, mano nella mano, mentre il caldo di quell’estate li costringeva a passare solo nei punti dove vi fosse anche solo un poco di ombra.
«Ancora devo capire dove vuoi portarmi.» commentò Ashton divertito, prima di baciare la tempia della mora che sorrise e gli fece la linguaccia.
«Tranquillo, lo scoprirai presto.» rispose poi, lo sguardo che osservava il tutto come se fosse lontano, con fare quasi perso; semplicemente perché nella testa di Kay c’erano troppe cose e lei non sapeva come fare per metterne in ordine almeno qualcuna.
Aveva chiamato Ashton qualche ora prima. Aveva in mente una cosa da tempo, ormai, addirittura prima del concerto. E quel giorno le era sembrato quello più adatto. Perché quella cosa sarebbe sempre e comunque stata il regalo migliore che Kay avrebbe potuto fare al suo ragazzo.
Ashton. Il suo ragazzo… Ancora faticava a vederlo in quel modo. Però non le dispiaceva, proprio per niente.
«Voglio portarti in un posto.» gli aveva detto a telefono.
Lui aveva preso al volo l’occasione e si era fatto trovare davanti casa Hood dieci minuti dopo, salutandola con un bacio, mentre in una mano aveva un piccolo vaso di orchidee fucsia – che Kay aveva subito messo in camera sua – ed una collina con un ciondolo a forma di luna che ora la ragazza portava indosso.
Quello stesso ciondolo che Kay continuava a tormentare con le dita a causa di quel nervosismo che sentiva dentro da quando erano usciti di casa. Sperava con tutto il cuore che quel pomeriggio andasse bene. Perché troppe cose sarebbero state rivelate quel giorno, tutte in una volta, e lei non era sicura di essere in grado di riviverle tutte, ancora una volta. Aveva paura di quello che i ricordi avrebbero potuto farle.
Non era sicura di aver superato tutto. Però sperava che il dolore non entrasse dentro di lei come tutte le volte, lasciandola completamente senza difesa, senza respiro, con il cuore agonizzante per le ferite.
E fu mentre si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta oppure no, che la facciata di quella villetta si parò davanti a loro, facendo sospirare lei e facendo allarmare lui.
Perché Ashton si ricordava quella casa. Si ricordava quella notte di sette mesi prima. Quella notte in cui aveva visto Kay cadere per la prima volta, proprio dopo aver visto quella stessa casa. Non era tranquillo. Perché non voleva che la sua ragazza stesse male di nuovo, per un qualcosa che ancora lui non conosceva. Avrebbe voluto portarla via di peso da lì, pur di salvarla, perché non voleva vederla mai più in quelle condizioni: distrutta, stanca, triste, a pezzi.
Eppure lei continuava ad andare, e lui non capiva più quel che stesse succedendo. Sembrava quasi che Kay fosse felice di essere lì, come se quel posto le fosse mancato per davvero troppo tempo. Cosa era successo in quei mesi? Cosa le era capitato per farle cambiare così tanto il suo comportamento verso quel posto che lui stava continuando ad odiare con tutto se stesso?
Le sue domande trovarono una risposta quando – non appena Kay suonò la porta – una donna si parò davanti a loro, lasciandolo completamente di sorpresa. Perché quella donna e Kay erano identiche.
 
Ashton osservò a lungo quel viso magro dai lineamenti dolci, delicati, incorniciato da lunghi capelli scuri; si perse un secondo di troppo in quegli occhi così blu da far invidia alla notte. Rabbrividì, quando vide che le persone davanti a lui erano due gocce d’acqua. E adesso lui non sapeva più che cosa pensare davvero.
Kay gli sorrise e gli prese la mano. Lo conosceva troppo bene per non notare lo sgomento e la sorpresa che avevano attraversato i suoi occhi dorati. Stava per fare una cosa che mai e poi avrebbe creduto di vivere, soprattutto non dopo tutto quel che era successo. Eppure… La vita è imprevedibile, e Kay ne aveva prova giorno dopo giorno di quante sorprese riservasse.
«Ashton… Lei è Grace, mia… Mia madre.»
E per un attimo, il silenzio calò tra i presenti. Un silenzio carico di tensione e di troppe parole non dette che stava rendendo la situazione molto più difficile di quanto in realtà non fosse. Una situazione in cui nessuno dei tre avrebbe mai pensato di ritrovarsi. Almeno prima di quel pomeriggio.
Ashton non riuscì a spiegarsi come fece, ma riuscì ad emergere dallo stato di sorpresa in cui si trovava. Perchè quella rivelazione era molto più di quanto avrebbe mai immaginato. Kay, che non gli aveva mai detto niente dei suoi genitori, gli aveva appena presentato sua madre, e lui non sapeva proprio come reagire. Semplicemente, seguì quello che si suggeriva quel poco che gli restava dentro della sua parte più lucida, sperando con tutto il cuore che fosse sufficiente per affrontare tutto.
«Piacere signora. Sono Ashton.» disse allora, il sorriso divenuto ad un tratto timido sulle labbra mentre porgeva la mano alla donna, che la strinse teneramente e gli sorrise con dolcezza.
«Piacere mio. Kay mi ha parlato davvero tanto di te.»
«Mamma!» esclamò la ragazza, imbarazzata da quella situazione che era andata creandosi. Una situazione apparentemente normale. Perché quello era solo l’inizio di tutto. Solo che – per adesso – la cosa prometteva bene. Sperava soltanto che sarebbe durata così fino alla fine.
Ashton sorrise, al vedere la mora imbarazzarsi in quel modo, e le strinse ancora di più la mano. Perché aveva bisogno di tutto il sostegno possibile per affrontare quell’incontro e non aveva la benché minima idea se sarebbe stato in grado di farcela oppure no.
Grace rise allegra e fece spazio ai due per farli accomodare in casa.
Non appena furono dentro, il riccio rimase completamente a bocca aperta. Perché quella casa – che quella sera di mesi prima gli era sembrata disabitata – era bellissima, in ogni sua più piccola parte. Le tende delle finestre aperte, le foto appese alle pareti, i libri sugli scaffali, i mobili in legno chiaro. Tutto dava luce, tutto dava il benvenuto in quella casa davvero troppo grande per una persona sola.
Kay lo osservava, incuriosita dalle espressioni che passavano sul quel viso che adesso poteva guardare senza l’incertezza dei suoi sentimenti. Era felice di averlo portato lì e – nonostante la paura – era pronta a rivelargli tutta la sua storia, quella che non aveva mai detto a nessuno e che solo Joy e Calum sapevano, per forza.
«State insieme adesso, vero?» le chiese Grace, cogliendola di sorpresa, sia con il gesto che con le parole.
«Tu–?»
«Sono tua madre, in fondo. Certe cose le capisco anche a distanza di anni.» rispose la donna con un sorriso.
E quella frase riuscì a porre una fine a così tanti punti irrisolti tra di loro, che entrambe si sentirono libere davvero di tutti quei pesi inutili non appena si abbracciarono, forte, come a volersi sorreggere a vicenda, come a voler proteggere l’altra a costo della propria vita.
«Portalo più spesso qui. Già mi piace.» sussurrò la donna alla figlia, facendola sorridere mentre gli occhi le diventavano lucidi a causa di quella felicità che non riusciva più a contenere.
Posero fine all’abbraccio e Kay sorrise all’altra per salutarla, prima di voltarsi verso il ragazzo.
«Ash, puoi venire un attimo con me? Voglio farti vedere una cosa.»
A quelle parole, il riccio si voltò verso di lei e le sorrise. E sorrise educatamente pure a Grace quando uscirono per andare in giardino, sperando vivamente di poter sapere qualcosa di più. Perché aveva così tante domande in testa, domande che necessitavano al più presto di una risposta, per la quale non sapeva se era in grado di aspettare oppure no. Perché, dentro al cuore, sentiva che c’era qualcosa di più sotto a tutta quella storia. Ed erano quelle parole non dette che lui adesso voleva conoscere.
Si sedettero sotto l’unico albero presente in giardino, il vecchio salice piangente sotto i cui rami poterono stare al fresco, all’ombra, lontani dal caldo opprimente di quel pomeriggio.
Kay si distese sull’erba e chiuse gli occhi, pronta ad affrontare tutto quello che di lì a poco sarebbe successo.
«Avanti.» disse allora al riccio, catturando la sua attenzione – perché ormai lei, Ashton , lo conosceva bene e sapeva quanto cose simili suscitassero la sua curiosità, ogni volta. «Chiedimi tutto quello che vuoi.»
Lui rimase senza parole, colto alla sprovvista da quella domanda così diretta a cui – nonostante sapesse quanto Kay fosse brava a capire ogni cosa di lui – non aveva minimamente pensato. Allora restò in silenzio, cercando di capire davvero quale fosse la domanda giusta da porle in quel momento. Ne aveva davvero così tante in testa che non sapeva da quale cominciare.
Come mai non aveva mai visto sua madre prima di quel giorno?
Perché il rapporto tra lei e sua madre era così? Perché lui l’aveva notato che tra le due le cose fossero non proprio idilliache, ma che comunque andavano avanti a stenti, per come potevano e per come ci riuscivano.
Alla fine optò per quella che gli sembrava più logica e che, probabilmente, conteneva tutto quello che gli serviva sapere per capire quella stranissima situazione in cui si era ritrovato.
«Perché vivi a casa di Cal?» le chiese allora, volgendo lo sguardo nella direzione della ragazza per poterla osservare meglio, a lungo, mentre lei gli rispondeva.
Kay sorrise e sospirò, perché sapeva che glielo avrebbe chiesto. Prese un respiro profondo e si decise a rivelare tutto, si decise ad affrontare da sola tutte quelle cose che aveva sempre tenute racchiuse nell’angolo più buio della sua anima e che non aveva mai raccontato a nessuno, neppure una volta. Perché raccontare significava riaprire tutte quelle ferite che ancora non erano guarite, significava cadere di nuovo in quel baratro nero senza ritorno, voleva dire annullarsi di nuovo. Eppure… Con Ashton accanto a lei, Kay sapeva che non le sarebbe successo niente, sapeva che lui l’avrebbe aiutata ad alzarsi, se mai fosse caduta.
Per questo, gli raccontò ogni cosa.
Perché era a causa di tutto quello che aveva passato se, fino a poco tempo prima, aveva un cubo di vetro che le imprigionava il cuore.
E non si preoccupò minimamente di quelle lacrime che presto iniziarono a rigarle le guance, mentre Ashton la stringeva forte, la cullava, la consolava, la sorreggeva per non perderla. Perché una vita così non l’avrebbe mai augurata a nessuno e perché non poteva credere che la ragazza che amava avesse vissuto cose simili. La tenne stretta e lei si ancorò a lui per stare a galla. Perché il dolore si sconfigge solo se si combatte in due.
 
«Mio padre era un militare… Quando io avevo poco più di tre anni, morì in una missione in Iraq… Per mia madre fu troppo… Avresti dovuto vedere come si amavano, erano… Dio, erano meravigliosi… Lei… Lei andò in depressione… Io invece smisi di parlare… Per come poteva, mia zia Joy ci aiutava… Mio padre era suo fratello… Però le cose peggiorarono comunque, soprattutto per mia madre… Lei… Lei non stava mai con me, non badava mai a me… Stava tutto il giorno a rivedersi il filmini che aveva girato con la telecamera a me e a mio padre mentre giocavamo… Lui… Ti sarebbe piaciuto, ne sono sicura… E poi i suoi quadri erano… La cosa più bella di tutte… Mia mamma era diventata un fantasma… E… E quando si rese conto che non sarebbe stata… Una buona madre in… In quelle condizioni, lei… Mi ha affidata a mia zia Joy, quando avevo poco più di quattro anni… Vivo da lei da quel giorno… E ogni anno sono sempre venuta a trovare mia madre, giuro… Ogni volta che potevo… Però… L’anno scorso avevo… Avevo perso la speranza… Perché lei non mi parlava più! Non parlava più con nessuno! Ed io non sapevo che cosa fare, non sapevo come aiutarla… Io… Ho avuto tanta paura, Ash… Avevo paura di restare senza di lei e non sono più tornata qui… Poi però io e te… Quella notte siamo passati di qui e… Non sono riuscita a voltarle le spalle… Dopo quella sera io… Ho ripreso a tornare qui… E adesso le cose vanno un po’ meglio… Ma lei non c’è stata… E la sua mancanza la sento ancora… Come mio padre… Dawson White… Lui… Era il papà migliore del mondo… È stato lui che mi ha insegnato a dipingere, sai? È… È per questo che lo faccio ancora… È l’unico modo che ho per sentirlo accanto a me…»
 
Entrambi rimasero a lungo in silenzio, dopo quel racconto, dopo che Kay aveva mostrato tutta la sua vita al suo ragazzo, dopo che gli aveva fatto vedere quel poco di buono che le era rimasto dentro. Rimasero così, stretti l’una nelle braccia dell’altro, come a volersi dare la forza necessaria.
Perché, nonostante gli anni passati, Kay sentiva ancora quel dolore lacerante nel cuore, quello che riusciva a mandarle l’anima in pezzi, quello stesso dolore che le aveva fatto venire in odio la domanda «Come stai?» perché lei non sarebbe mai stata bene del tutto, e detestava tutt’ora non poter dare una risposta completamente positiva.
Ashton la strinse forte. Era incredulo. Non riusciva a comprendere il perché la vita a volte fosse così dura con le persone che non se lo meritavano per niente. Non riusciva a capire perché proprio a Kaylin era toccato tutto quel dolore. Un dolore che nessun dovrebbe mai provare, a prescindere.
La osservò a lungo, cercando di immaginarsi la felicità della bambina che Kay era stata e che, a causa del gioco della vita, era dovuta crescere da sola troppo in fretta, perdendo se stessa, perdendo ogni tipo di sentimento, ritrovandosi solo a sopravvivere, a non vivere.
E solo in quel momento Ashton capì davvero il perché di quella richiesta che la mora gli aveva fatto tempo addietro, quella richiesta che lui aveva accettato benché gli sembrasse strana e che li aveva portati a conoscersi meglio, li aveva fatti trovare.
E capì anche che quel pomeriggio era il regalo migliore che Kay potesse fargli.
«Mi dispiace, Kay. Mi dispiace davvero tanto.»
Lei sospirò stanca e gli accarezzò la guancia per confortarlo, perché non voleva che si intristisse a causa sua.
«Non preoccuparti, Ash, davvero.»
Lui annuì e cercò gli occhi della mora, rossi e lucidi proprio come i suoi.
«Ti amo, lo sai?»
Kay sorrise. «Lo so. Ti amo anch’io.»






Letizia
Bella gente, tanti saluti dall'Elba! Che bello essere in vacanza *^*
Però... Io oggi mi soffermeri particolarmente su questo capitolo, che è PIENO DI OGNI SPIEGAZIONE RIMASTA IN SOSPESO u.u
Finalmente capiamo chi è Grace, alleulia, dopo la bellezza di 21 capitoli :D (scusate) e poi... La storia di Kay: è il centro da cui deriva tutto il resto.
E... Beh, sinceramente non so cos'altro potrei aggiungere, è già detto tutto qui.
Sicuramente dirò finchè campo che mi dispiace da morire far stare così male i miei personaggi, ma non è colpa mia se vedo sempre cose tristi (che di solito però vanno migliorando u.u).
Devo anche ammettere che sono molto soddisfatta di come sia venuto questo capitolo. Non fraintendetemi, non è per vantarmi (non mi piace farlo), semplicemente credevo che sarebbe stato molto più difficile di così. E invece, ci sono riuscita :3
Dettto questo, ci sentiamo presto <3.
Come sempre vi ringrazio per ogni singola cosa; siete meravigliosi, unici, grandiosi e mi fate sempre spuntare un sorriso :3
Vi voglio davvero bene ragazzi! Un bacione, Letizia <3

 

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Capitolo 22
*** 22. Famiglia ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


22.
Famiglia
 
 

«Dai ragazzi, chi ha finito le patatine?» esclamò Luke cercando almeno un sacchetto rimasto integro e pieno, mentre gli altri ridevano divertiti dalla sua espressione contrariata.
«Che vuoi che sia, Luke?» chiese Calum, attirando l’attenzione del biondo e lanciandogli addosso uno dei tanti pacchetti ancora interi che lui e gli altri nascondevano dietro alle spalle, giusto per fare uno scherzo al loro amico. Amico che sospirò e scosse la testa divertito – perché avrebbe dovuto immaginarsi un comportamento simile da parte dei suoi migliori amici – per poi sedersi accanto a Nathalie e lasciarle un dolcissimo bacio sulle labbra, a cui lei rispose subito, senza pensarci neppure una volta.
«Mamma mia, quanto zucchero c’è nell’aria!» commentò Michael, fintamente disgustato. Tara però lo riprese subito, tirandogli un pugno sulla coscia che lo fece sussultare e fece ridere il resto del gruppo. Perché, tra loro due, era sempre la bionda quella che riusciva ad avere sempre ragione, in un modo o nell’altro.
«Ma che cavolo, perché ogni volta devi sempre–?» fece per chiedere il ragazzo dai capelli colorati; ma la ragazza lo interruppe subito, facendo incontrare le loro labbra per un istante.
Elen sorrise a vedere i suoi amici comportarsi così. E rabbrividì pure, quando le labbra di Calum andarono a posarsi sulla sua spalla, facendole battere il cuore talmente forte nel petto che pareva volerne uscire.
«Smettila!» gli disse, divertita, beccandosi una linguaccia da parte del moro, che «Dai, tanto lo sappiamo entrambi che ti piace.» le sussurrò piano, facendola arrossire.
 
Tutto questo succedeva con Ashton che era accanto a loro fisicamente, ma mentalmente era da tutt’altra parte, con i suoi occhi dorati – preoccupati come non mai – che cercavano di non perdere di vista Kay neppure per un secondo; lei, che continuava a passeggiare in riva al mare, sola, silenziosa, con gli occhi stanchi e così distanti che lui aveva troppa paura di vederla cadere di nuovo.
Erano passati due mesi da quel pomeriggio, da quando lei si era aperta del tutto con lui, raccontandogli la sua vita, portandolo nel suo mondo, nel suo cuore quasi totalmente distrutto. Quel cuore che lui, da quel giorno, si era preoccupato di guarire; si era impegnato per cancellare pure il ricordo di quelle cicatrici che non poteva sopportare su quell’anima troppo debole per farcela da sola.
Perché Ashton lo sapeva bene, sapeva quanto fosse difficile per Kay riuscire a superare tutto quello che aveva passato. Dopotutto, lei aveva ripreso in mano la sua vita da troppo poco tempo per essere in grado di gestirla e per resistere ai colpi che le venivano inferti senza mezze misure.
Per questo lui non l’aveva mai lasciata da sola in tutti quei mesi, ogni momento libero che aveva cercava di passarlo con lei, pur di non farla pensare, pur di farla divertire. Ma era difficile, era davvero difficile. Perché, nonostante i suoi sforzi, Kay spesso ripiombava in quel buio da cui qualche volta entrambi facevano fatica a farla uscire. Perché lei ci provava con tutte le sue forze a rimanere a galla, a non affondare di nuovo, eppure a volte cadeva, quando il dolore ed i ricordi diventavano più forti e facevano più male di prima.
«Ash?» lo richiamò Tara ad un tratto, interrompendo il filo dei suoi pensieri ed attirando la sua attenzione.
«Ehi.» la salutò lui, la voce stanca, il tono distratto, gli occhi che ancora vigilavano su Kay.
«Irwin, guardami.» continuò la bionda, mostrando tutta la sua preoccupazione con quelle due semplici parole che riuscirono nel loro intentò. E non appena gli occhi dei due ragazzi si incontrarono, lei sorrise, perché adesso sapeva chi dei suoi migliori amici avesse davvero bisogno aiuto. E non era Ashton.
«Vai da lei, ha bisogno di te.» gli disse ancora, dandogli un lieve pugno sulla spalla per incitarlo, ricevendo un bacio sulla fronte in risposta da quel ragazzo che, in pochissimo tempo, era tornato ad essere una delle persone più importanti della sua vita, per cui Tara avrebbe fatto qualsiasi cosa. Perché lui – come Kay - meritava tutta la felicità del mondo.
«Grazie.» rispose il riccio, e si incamminò con calma verso la sua ragazza.
Voleva aiutarla, voleva farla stare bene. Ad ogni costo.
 
Kay di preciso non sapeva da quanto tempo stesse camminando sul bagnasciuga, i piedi nudi a contatto con la sabbia sottile e l'acqua fresca del mare, la testa piena di così tante cose, il cuore ancora scosso per tutto quello che le stava accadendo, per ogni cosa che stava vivendo.
Spostò i suoi occhi scuri sulla distesa scura di acqua salata davanti a lei e sospirò stanca.
Erano passati quattro mesi da quando Ashton e lei stavano insieme. E Kay era certa che cosa più bella di quella al mondo non potesse esistere. Con Ashton, finalmente tutto andava bene. C'era luce nella sua vita, quella luce potente di quella fiamma che ogni persona ha dentro da sempre e che finalmente in lei si era svegliata. Una luce bellissima e dolce, che le faceva vedere ogni cosa in modo diverso; la faceva vivere.
Ma erano anche passati due mesi da quando aveva volontariamente riaperto le porte sul suo passato ed aveva mostrato ad Ashton tutta la sua vita. E da quel momento, tutti i ricordi erano tornati in superficie, ed ogni volta che le si ripresentavano nella testa e nel cuore facevano sempre più male.
Ricordi legati a suo padre, a sua madre, a quella vita di prima che tanto amava ma che era presto crollata su se stessa a causa del gioco del destino, rivelando quanto tutto fosse fragile, quanto tutto fosse piccolo rispetto a quel grande disegno che nessuno avrebbe mai conosciuto.
Ricordi che per lei – dopo Ashton, i suoi amici e quello che restava della sua famiglia – erano ciò che più importava al mondo. Non avrebbe mai permesso a nessuno di portarglieli via. Perché, nonostante il dolore, Kay stava imparando passo dopo passo a vivere insieme alla nostalgia, abituandosi ogni giorno un poco di più a quella mancanza che solo Ashton era riuscito a colmare senza rendersene conto davvero.
L'unico ricordo che mai avrebbe potuto togliersi dal cuore sarebbe sempre stato quello di sua madre. Di quella donna a cui tanto somigliava – tranne che per gli occhi color cioccolato, dono del padre – e con cui era riuscita a costruire un rapporto vero e duraturo solo in quegli ultimi nove mesi.
Quegli stessi nove mesi durante i quali aveva avuto modo di conoscere Ashton a fondo, fino ad arrivare al punto di innamorarsene senza alcun limite.
E si ritrovò a sorride, Kay; perché le sembrava davvero strano il fatto che ogni cosa buona della sua vita derivasse da quello che poteva considerare il suo ragazzo, dopo già quattro mesi. Quattro mesi. E ancora non riusciva a crederci, a capacitarsene; non riusciva a capire come mai uno come lui avesse scelto proprio lei, il più grande casino sulla faccia della terra. Non lo sapeva, la mora, e non aveva la benché minima intenzione di scoprirlo. Le bastava sapere che lui era con lei e ci sarebbe stato, per un tempo che – lei sperava con tutto il cuore – potesse durare il più a lungo possibile.
Sospirò di nuovo, rincuorandosi un poco nell’accorgersi che la nostalgia e quel dolore sordo che non le davano mai tregua da due mesi si erano placati, almeno per il momento. Un momento che Kay non avrebbe esitato a godersi in pieno. Se non fosse stato per due mani grandi dalle dita affusolate e lunghe che le si posarono sugli occhi impedendole di vedere e facendole prendere un colpo per la sorpresa, preceduti da una risata che la mora non avrebbe potuto non riconoscere.
Quella risata che – fin dal primo istante che l’aveva sentita – le era sembrata da subito la melodia stessa del mondo, la musica della terra, quella sinfonia che dà allegria e dona vita a chiunque. Era strano. Eppure era così, era quello che – chi più, chi meno – pensavano tutti, Kay in primo luogo. La risata di Ashton era la cosa più bella da ascoltare, così allegra, vivace, così viva che riusciva a trasmettere gioia a chiunque stesse attorno a lui. Quella risata era pura magia, e Kay avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere l’allegria e la felicità di Ashton; era il minimo che potesse fare dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei in tutti quei mesi.
 
«Amore?» chiese lei, arrossendo immediatamente a causa del nomignolo che aveva appena usato e che fece subito ridere Ashton ancora di più. Perché il riccio sapeva troppo bene che, per cose simili, Kaylin si sentiva tremendamente a disagio ogni volta. Allora le diede un bacio leggero sulla tempia e sorrise di nuovo, non appena gli occhi scuri della mora furono nuovamente davanti ai suoi.
«Che cosa succede?» chiese, diretto come suo solito. Perché a nessuno dei due piaceva girare intorno ad un problema, preferivano affrontarlo subito, a pieno petto, con la speranza di potercela fare, invece che pensare di ritrovarsi a terra, agonizzanti e senza difesa. Preferivano pensare in modo ottimista da quando si erano trovati. Perché avevano capito che un problema – ed il dolore che esso molte volte comportava – era più semplice se si risolveva in due. E loro erano la squadra migliore di tutte.
«Non è niente, Ash. Sta’ tranquillo.» rispose la mora, spostando subito lo sguardo dagli occhi del riccio alla distesa d’acqua che quest’ultimo aveva alle sue spalle.
Non aveva voglia di parlare di tutto quello che le passava per la testa. Non perché non si fidasse di Ashton, tutt’altro. Solo… Non voleva caricarlo di ulteriori pesi da portare. Perché, anche se rimaneva sempre in silenzio, Kay aveva capito cosa Ashton cercasse di fare ogni volta che la vedeva giù, in difficoltà: cercava di alleggerirle il peso da dentro il cuore prendendolo dentro il suo. Questo, però, lei non glielo aveva mai permesso. Non si sarebbe mai perdonata una cosa simile, non avrebbe mai permesso ad Ashton di farsi male in quel modo. Però gli era grata, per il modo in cui si preoccupava per lei e per quell’amore che le dimostrava ogni volta che poteva.
«Kaylin.»
E lei già sapeva che l’altro avrebbe detto il suo nome con quel tono di voce che non ammetteva repliche.
Ashton proprio non riusciva a capirla. Perché, nonostante tutto, continuava a tenersi tutto dentro, a crollare su se stessa, senza chiedere l’aiuto di nessuno, senza chiedere il suo di aiuto? Lui… Lui non capiva, ed ogni volta che la vedeva stare male senza saperne la causa, si sentiva così inutile che spesso si chiedeva perché una persona forte come lei avesse scelto uno come lui, un ragazzo che aveva sempre faticato a reggersi da solo sulle proprie gambe. Lui… Voleva solo esserle d’aiuto.
Kay si voltò nuovamente verso il riccio. E le prese un tuffo al cuore al vedere i suoi occhi dorati offuscati da un’ombra di cui – purtroppo – sapeva di essere la causa.
Sospirò. Alla fine avrebbe sempre vinto lui, in ogni caso. Perché non voleva farlo sempre stare in pena per cose che – almeno secondo il suo punto di vista – erano di poco conto… Però Kay sapeva anche che Ashton voleva solo esserle d’aiuto, non un altro ostacolo da superare. Sapeva che lui credeva in loro due tanto quanto lei. Perché entrambi sapevano che, senza l’altro, non sarebbero mai riusciti ad arrivare da nessuna parte; sapevano che senza l’altro sarebbero rimasti nelle loro prigioni fatte di ricordi, di parti di loro strappate via dalla vita stessa senza permesso, di solitudine e di silenzi così assordanti da farli tremare.
Per questo decise che forse, almeno per quella sera, non sarebbe successo niente a nessuno dei due se lei si fosse aperta anche solo un po’. Tanto valeva essere sinceri sempre, fino in fondo. E la prospettiva di essere se stessa davanti ad Ashton, con tutti i suoi difetti, le sue debolezze, le sue incertezze, fu confortante; perché finalmente le era chiaro che ormai sola non lo era più, non lo era da quando si erano incontrati e lentamente si erano curati a vicenda quelle ferite che sembravano essere più forti di loro.
«È sempre quello, Ash… È sempre quella stessa nostalgia che ogni tanto torna e che non credo riuscirò a mandar via tanto presto.» ammise allora, la voce bassa, incerta, tremante; gli occhi che vagavano in ogni dove pur di non incontrare lo sguardo preoccupato e allo stesso tempo tranquillo di Ashton. Perché, come solo poche volte succedeva, Kay si era finalmente aperta un po’ con lui. Ed il riccio non avrebbe potuto chiedere niente di meglio.
Per questo Ashton non disse niente. Semplicemente, si limitò a stringerla in un abbraccio tiepido, dolce e confortante. Quell’abbraccio di cui entrambi avevano sentito di avere il bisogno. Quell’abbraccio che, per il momento, sembrava essere in grado di mettere un po’ in ordine tutta quella confusione che Kay aveva dentro.
«Sono sicuro che col tempo andrà meglio.»
Lei sospirò stanca e si strinse ancora di più al riccio, riuscendo a percepire il suo profumo; delicato e pungente, intenso; quel profumo che ogni volta riusciva a calmarla e a mettere a tacere tutto, anche se solo per un secondo. «Sì… Ma quanto tempo ci vorrà?»
Lui sorrise, intenerito da quella ragazza più piccola di lui di due anni e le diede un bacio sulla testa, mentre i cuore gli batteva forte nel petto. «Non lo so… Sappi però che io sarò sempre con te.»
A quelle parole, nella frazione di un istante Kay si sentì invadere da un calore che non aveva mai provato prima. Il calore di una promessa fatta col cuore e che, in un modo o nell’altro, aveva dentro la certezza che sarebbe stata mantenuta da chi l’aveva fatta.
Alzò gli occhi, incontrando subito quelli dorati e curiosi di Ashton su di lei.
«Grazie. Davvero.» gli disse sincera, con gli occhi lucidi, facendolo sorridere. E non aggiunsero altro.
Perché presto le loro labbra si trovarono timide, dolci, mentre i loro cuori battevano così forte che quasi sembrava potessero scoppiare da un momento all’altro, preda di quel sentimento che ormai avevano rinunciato contenere da tempo e che ogni giorno diventava sempre più forte e prendeva sempre più il sopravvento su di loro che non avevano la benché minima intenzione di ostacolare il suo percorso.
Si baciarono a lungo, e permisero alle loro lingue di trovarsi e di giocare tra loro, mentre le loro mani passavano tra i capelli dell’altro, divertendosi a tastarne la morbidezza, mentre tutto il resto attorno a loro sembrava scomparire, offuscato da quel calore e da quella luce che entrambi sentivano dentro e che non volevano spegnere, per nessuna ragione al mondo.
Poi si divisero e si sorrisero ancora una volta, prima di prendersi per mano e per andare dagli altri.
 
I loro amici, la loro famiglia.
Perché in fondo, quegli otto ragazzi si consideravano ormai come una piccola famiglia che insieme stava muovendo i primi passi nel mondo e che insieme stava affrontando così tante cose che nessuno di loro sarebbe riuscito a reggere se gli altri non fossero stati al suo fianco. Era così sempre, ogni volta che c’era una difficoltà, tutti si facevano in quattro per risolverla e per sistemare le cose. Si volevano troppo bene per permettersi di perdere le persone più importanti della loro vita. Sapevano che ci sarebbero sempre stati, gli uni per gli altri, che non si sarebbero mai abbandonati. Perché erano una famiglia. E le famiglie – qualsiasi tipo di famiglia – si sorreggono sempre.
E mentre insieme, in quella sera di fine estate, scherzavano e ridevano allegri, Kay si rese conto di una cosa.
Si rese conto che pure lei ed Ashton, a modo loro, erano una famiglia già da prima che i loro sentimenti venissero a galla. Erano una famiglia quando uno dei due stava male e l’altro cercava in ogni modo di aiutarlo e di fargli tornare il sorriso, proprio come il riccio aveva cercato di fare con lei, riuscendoci in pieno. Erano una famiglia quando condividevano tutte le belle esperienze, di cui poi parlavano con un sorriso così felice sul viso che non riusciva ad andarsene  tanto presto. Erano una famiglia ogni volta che scoprivano qualche caratteristica dell’altro che fino a quel momento non avevano mai notato.
Sorrise, Kay. Perché si rese conto – osservando il suo ragazzo ed i suoi migliori amici – che aveva la famiglia più bella del mondo, per cui avrebbe sempre combattuto e che mai e poi mai avrebbe scambiato. Perché le persone che erano davanti a lei erano la parte migliore della sua vita. E lei non si sarebbe mai permessa di perderli. Per nessuna ragione. Semplicemente perché loro erano troppo importanti per lei; proprio come lei lo era per loro.
E tutti quanti lo sapevano di volersi bene, di potersi fidare gli uni degli altri, di potersi sentire liberi di essere quelli che erano davvero. Erano una famiglia. E non ci sarebbe mai stata cosa migliore di quella.






Letizia
Splendori, buon giorno a tutti! Allora, che mi dite? Spero solo cose belle ;)
Come quelle che succedono in questo capitolo *^*. Allora, principalemente ammetto che la scena iniziale era per far presente che non mi ero dimenticata degli altri ragazzi; semplicemente in questa storia sono relativamente importanti. Però, dai, le coppie sono tanto carine insieme *^*, patatini tutti loro! <3
E poi arriva il centro del capitolo, Ash e Kay che ancora pensano a quelloc che è successo a casa di Grace. Dopotutto una rivelazione simile manda al tappeto chiunque. O almeno, io la penso così.
Centrale, in questo capitolo, è il tema della famiglia, della fiducia che si ha e che si pone nelle persone che ci vogliono bene davvero e che si sa che non ci volterebbero mai le spalle. 
Ash la mette in Kay. Kay la mette in Ash. Il gruppo di tutti e otto i ragazzi la pone in tutti i componenti di quel gruppo, di quella piccola famiglia che dà tanta gioia.
E... Beh, sono felice dopo aver scritto questo pezzo. Spero con tutto il cuore che vi piaccia :3
E mi raccomando, fatemi sapere quel che ne pensate, ci conto! <3
Grazie di tutto come sempre, davvero, dal più profondo del cuore. Siete meravigliosi e non avete idea di quanto bene vi voglia per tutto quello che fate per questa storia :3
Grazie ancora, sul serio! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 23
*** 23. Sfumature ***


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Sto scrivendo una storia a 4 mani con Nameless_Sam, una mia amica :).
Si chiama Can you keep me safe tonight? e la trovate sul suo profilo.
Se avete voglia di andare a leggere e farci sapere cosa ne pensate, ci fareste felicissime, sul serio!
Vi lascio il link del trailer (https://www.youtube.com/watch?v=6SIgzZVoKfs) e della storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3192273&i=1). 
Buona lettura!


23.
Sfumature
 
 

Ormai anche giugno era arrivato a Sydney, portando con sé il freddo dell’inverno e l’inizio delle vacanze.
Erano sei mesi ormai che Ashton e Kay stavano insieme. E ad entrambi sembrava ancora di star vivendo un sogno, bellissimo, unico; un sogno a cui non avevano mai pensato concretamente ma che avevano accettato a cuore aperto non appena era arrivato nelle loro vite, sconvolgendole, cambiandole totalmente, in un modo che mai avrebbero immaginato.
Sei mesi che si erano rivelati i migliori di tutta la loro vita. Perché ad entrambi sembrava quasi che, prima di conoscere l’altro, non avessero mai vissuto davvero, non si fossero mai sentiti vivi come lo erano adesso, condividendo ogni cosa con la persona più importante di tutte. Giorno dopo giorno diventavano più intimi; si conoscevano sempre meglio e si accorgevano di particolari nuovi che li lasciavano sempre sorpresi, come se non bastasse una vita intera per conoscere ogni singola parte della persona con cui si decide di stare.
I primi mesi erano stati quelli più difficili di tutti, soprattutto perché entrambi non si erano mai innamorati davvero e non avevano la benché minima idea di come diversi comportare, di cosa dover parlare, di cosa dover far attenzione. E di silenzi lunghi ed imbarazzanti tra di loro ce n'erano stati davvero tanti, così tanti che gli erano serviti da lezione. Perché avevano capito che non serviva a niente farsi mille e mille problemi e che non avrebbero risolto mai niente preoccupandosi di come il loro rapporto sarebbe cambiato, dato che – a conti fatti – tra Ashton e Kay non era cambiato assolutamente niente. Semplicemente, quel sentimento che lentamente era nato e cresciuto dentro di loro alla fine era venuto fuori, con quella forza dirompente che aveva catturato entrambi, senza dar loro la possibilità di opporsi.
Ogni giorno era sempre più bello di quello precedente, ricco di quelle piccole cose che facevano sempre spuntare un sorriso e qualche volta pure piccole discussioni, che tuttavia non riuscivano a durare a lungo, soprattutto non quando uno «Scusa.», un abbraccio o un bacio riuscivano sempre a sistemare le cose.
Andava bene. Andava tutto bene. Persino il rapporto con i loro genitori era migliorato, era cresciuto.
Ashton con i suoi aveva finalmente conversazioni normali che duravano tantissimo e toccavano gli argomenti più disparati, lasciando sempre un sorriso sulle labbra. Anche perché i signori Irwin erano davvero felici che loro figlio e Kay stessero insieme. Adoravano la mora ed ogni volta che andava a trovare Ashton a casa era sempre una festa, perché pure Lauren e Harry si trovavano bene con la ragazza. Ed il riccio non avrebbe potuto chiedere nulla di più. Perché, finalmente, le cose avevano iniziato a girare nel verso giusto.
Kay con sua madre, invece, continuava ancora a faticare. Perché ci vuole tempo per costruire un rapporto tra due persone, soprattutto quando una delle due manca per quasi tredici anni. Quegli stessi tredici anni che non sarebbero mai tornati indietro, tempo ormai perso per entrambe. Eppure, nonostante gli anni che le avevano tenute divise e nonostante il dolore di quella mancanza che probabilmente Grace non avrebbe mai superato, lentamente madre e figlia si stavano riavvicinando. Alcuni atteggiamenti erano così spontanei che facevano pensare in un recupero molto veloce; però i lunghi momenti di silenzio non mancavano, quel silenzio sordo, pesante, che nessuna delle due era in grado di mandar via, per lo meno non ancora, non da sole.
La ragazza non era arrabbiata con sua madre, come molti si sarebbero aspettati. Non era arrabbiata prima di tutto perché non la conosceva davvero e non era la persona adatta per giudicare le sue scelte. E poi perché, se fosse stata al suo posto, sapeva che avrebbe fatto esattamente la stessa cosa, pur di aiutare sua figlia a vivere una vita migliore, lontano dal dolore.
Né Kay né Grace avevano intenzione di affrettare le cose. Avevano imparato sulla propria pelle cosa volesse dire dare tempo al tempo. Stavano prendendo le cose con calma e con pazienza, com’era giusto che fosse. Si stavano riscoprendo lentamente, un passo alla volta. Era un cammino lento, stancante, così pieno di alti e bassi che spesso sembrava impossibile andare avanti. Però ce la stavano facendo, Grace e Kay, insieme, come quella famiglia che lentamente tornavano ad essere.
Una famiglia a cui ogni tanto si aggiungeva pure Ashton, con cui Grace aveva istaurato un bellissimo rapporto. Non si parlavano spesso, ma le poche volte che accadeva – quando lui aveva tempo ed accompagnava Kay dalla madre – si ritrovavano tutti e tre a chiacchierare per ore. Si ringraziavano tacitamente a vicenda; lui la ringraziava per aver messo al mondo una persona bellissima come Kay, lei lo ringraziava per aver donato a sua figlia quella felicità che le era sempre mancata.
E pure Kay aveva un ottimo rapporto con i genitori del riccio – e pure con i piccoli di casa Irwin. Certo, il suo imbarazzo ancora non era del tutto andato via, però si trovava davvero molto bene con loro. Ed ogni volta che stava con loro capiva da chi Ashton avesse preso la sua gentilezza smisurata ed il suo cuore immenso.
 
Quel pomeriggio, Ashton e Kay erano comodamente seduti sui morbidi divani del soggiorno di Grace da qualche minuto, quando quest’ultima si ripresentò dalla cucina – dove era andata subito poco dopo l’arrivo dei ragazzi – con un piccolo vassoio in mano, su cui facevano la loro figura un bricco pieno di cioccolata calda ed un dolce dall’aspetto delizioso.
«Hai fatto la torta alle mele.» constatò Kay con un sorriso, non appena percepì quell’odore che riusciva a riconoscere subito. Dopotutto, quello era il suo dolce preferito.
Grace annuì sorridente e servì a tutti e tre quel piccolo spuntino improvvisato.
«Giusto per scaldarci un po’.» asserì divertita, facendo ridere i due ragazzi. In fondo, aveva ragione; quel giorno le temperature erano davvero basse, sembrava di essere già in pieno invero e non al suo inizio. Per questo Ashton non perse tempo e beve quella bevanda deliziosa, che lo fece rabbrividire un po’. Aveva davvero freddo, ed era grato a Grace per aver pensato a quella piccolezza che sia lui – che Kay – avevano gradito ed apprezzato con tutto il cuore. Perché con quella donna era sempre così: faceva sentire benvenuto chiunque mettesse piede in casa sua, anche solo per un minuto. E tutti e tre sapevano che quel cambiamento in positivo, quel ritorno alle vecchie abitudini prima che tutto cambiasse, era dovuto al fatto che madre e figlia stessero lentamente recuperando il tempo perduto.
«Avrei una proposta da farvi.» chiese ad un tratto Grace, interrompendo quel poco di gradevole silenzio che era calato tra loro. Perché erano mesi che aveva in mente un’idea, ma prima di allora non si era mai soffermata a pensare a quanto divertente sarebbe potuta essere se messa in atto sul serio. Divertente e bellissima, piena di risate e di gioia. O almeno, la donna sperava che lo fosse. Perché ci teneva tanto e sapeva che - molto probabilmente – un’occasione simile a sua figlia avrebbe fatto piacere
«Di che si tratta?» chiese subito Ashton, senza tener a freno la sua curiosità che fece sorridere le altre due.
Kay invece non rispose. Era concentrata a capire che cosa avesse pensato sua madre tanto da arrivare a parlarne addirittura con loro. Era curiosa, anzi, curiosissima. Ma non lo avrebbe mai ammesso. O almeno non in quel momento. Perché in fondo era ancora presto per prendersi determinate liberta, per come la vedeva lei.
«Da un po’ di tempo stavo pensando che alcune stanze al piano di sopra avrebbero bisogno di una mano di vernice. Quindi… Vi andrebbe di darmi una mano?»
«A dipingere casa tua?» chiese stavolta Kay, non riuscendo a capire il comportamento della madre. «Ci sono gli imbianchini che lo fanno di mestiere.»
Grace sorrise. Sapeva che la figlia avrebbe risposto in quel modo. Dopotutto, era anche figlia di suo padre.
«Lo so, ma farli venire in casa costa molto ed io non posso permettermelo.» spiegò allora, sincera. «Se volete, potete invitare anche gli altri e lavorare tutti insieme.»
Ashton avrebbe voluto accettare subito quella proposta. Gli sembrava un’ottima idea per passare tutti un po’ di tempo insieme come non capitava da un po’; non sarebbe stato male. Allora si voltò verso la mora, ma l’espressione che la ragazza aveva sul volto lo fece preoccupare, e neppure poco. Kay infatti era scettica, non si fidava. Cercava di dare un nome a quella strana sensazione che le si era piazzata nel cuore alla proposta della madre. Come avrebbe dovuto comportarsi? Che cosa avrebbe dovuto fare e dire agli altri?
«Sarà un’occasione come un’altra per divertirvi e per portare un po’ di gioventù qua dentro.» proseguì Grace sorridendo allegra. «In fondo, a nessuno piace stare da solo sul serio.»
Quella risposta, bastò per aiutare la ragazza a prendere una decisione, mentre con la mano accarezzava delicatamente quella di Ashton, che già con quel gesto aveva capito che cosa sarebbe successo di lì a poco.
 
«Caspita, non mi ricordavo quanto fosse grande questo posto!» esclamò Calum, non appena tutto il gruppo mise piede in casa di Grace dopo che Kay aveva fatto loro la proposta di lavorare lì la settimana prima.
Il moro era stato lì così tante volte da piccolo. Poi però le circostanze glielo avevano impedito. E adesso eccolo lì, Calum Hood, a cercare qualsiasi cosa, anche la più piccola, che lo aiutasse a ricordare anche solo un piccolo particolare della sua infanzia passata con sua cugina. E qualcosa alla mente tornava, ma era così frammentato che il ragazzo non sapeva da che parte cominciare.
«Mi era mancato, venire qui.» ammise, semplicemente, mentre passava lentamente la punta delle dita sul muro, con gli occhi scuri che non riuscivano a staccarsi da quelli di Kay. Perché fa sempre uno strano effetto tornare dopo tanto tempo in posti dove si aveva riposto gran parte del proprio cuore. E per Calum, quella casa aveva un posto tutto speciale dentro di lui.
«Anche a me era mancato tutto questo.» asserì Kay sorridendogli ed abbracciandolo forte. Gli voleva bene, gli voleva bene davvero. Ed in quegli ultimi mesi si era davvero resa conto di quanto importante fosse stato nella sua vita prima che Ashton comparisse. Era stato la sua ancora per tante di quelle volte che lei ormai aveva perso il conto da tempo. E non poteva fare altro se non ringraziarlo, con tutto il cuore, per esserci sempre stato, per non averla mai abbandonata, per esser stato quella famiglia che aveva perso nella frazione di un secondo.
«Benvenuti, ragazzi!» la voce di Grace fece sobbalzare un poco tutti i presenti, non appena la donne entrò in salotto per salutare gli ospiti. Ed i ragazzi per poco non rimasero senza parole. Perché pure loro si ricordavano della madre di Kay; in fondo avevano spesso trascorso lì la loro infanzia. Solo che… Ritrovarsi tutti insieme così, dopo così tanto tempo, era… Sorprendente.
«Ciao Grace.» le disse Tara sorridendo e si avvicinò alla donna per salutarla con un lieve abbraccio. 
«Ti troviamo bene.» proseguì Elen, che non perse tempo e si aggiunse a quel piccolo gesto di affetto. 
«Ci sei mancata davvero tanto.» concluse Nathalie, che si limitò ad accarezzarle affettuosamente una spalla.
Grace le osservò a lungo, una per una, con gli occhi lucidi, ormai prossimo al pianto, a causa quella sorpresa, di quel semplice gesto a cui non avrebbe mai pensato di poter ricevere dopo tutti quegli anni. 
Si limitò a stringerle debolmente, le braccia tremanti ed il corpo che cercava a tutti i costi di trattenere le lacrime. Era felice, davvero. E non riusciva proprio a spiegarsi il perché. 
Non appena le ragazze le lasciarono un po' di spazio, pure i ragazzi si fecero avanti; Ashton, che come al solito la salutò con un veloce bacio sulla guancia, prima di lasciare che gli altri si facessero avanti. 
Luke e Michael si avvicinarono timidi; avevano troppa paura di fare anche solo il minimo passo falso. Erano anni che non parlavano con la madre della loro migliore amica - per quell'avvenimento che tutti loro conoscevano e che avevano capito fosse anche la causa del comportamento freddo e scostante di Kay, un comportamento che finalmente era cambiato, tornando quello di un tempo. Semplicemente le sorrisero, con lo sguardo un poco basso. 
«Ciao Grace.» la salutarono a voce bassa, facendola sorridere intenerita. 
«Ragazzi, come siete cresciuti!» commentò, felice di vederli tutti in buona salute e cambiati, pronti per entrare nella difficile vita degli adulti. Tutti risero divertiti.
Poi fu il turno di Calum. E non appena i loro occhi si incontrarono, zia e nipote non riuscirono a trattenere le lacrime. Lacrime di gioia, di sorpresa, di nostalgia. Lacrime che dimostrarono ad entrambi che l'affetto che li legava in passato non era svanito. Non si dissero niente. Semplicemente, si abbracciarono forte, a lungo, increduli di vedere l'altro stare così bene. Soprattutto Calum, che aveva avuto paura di non ritrovare la zia a cui era tanto affezionato. 
E mente pezzi di passato tornavano ad unirsi, vite tornavano ad intrecciarsi le une alle altre, Kay rimase in un angolo, senza parole, basita, sorpresa dal gesto dei suoi amici verso sua madre. Rimase in silenzio, con il cuore gonfio di gioia, di nostalgia, di incredulità davanti a quello spettacolo che la vita le aveva appena mostrato. Perché quando l'amore si incontra in un solo posto, la vita si mostra in tutta la sua bellezza. 
«Ehi, amore.» la richiamò Ashton, il sorriso sulle labbra e le braccia che andarono a stringere delicatamente il corpo della ragazza. Perché il riccio aveva la netta sensazione che la mora non avrebbe resistito da sola ulteriormente. Era troppo per lei. Lo sarebbe stato in ogni caso, perché era ancora troppo presto. 
«Voi siete pazzi.» asserì la ragazza guardando il riccio con gli occhi lucidi e arrossati, mentre grosse lacrime le scendevano lentamente sulle guance, bruciando. Piangeva, Kay, perché sapeva che i ragazzi non avevano la benché minima idea di quanto quel loro gesto avrebbe fatto piacere a Grace. E Kay non poteva non ringraziare il cielo per averle dato degli amici meravigliosi come loro. 
Ashton le sorrise e le diede un lieve bacio sulle labbra, mentre con le mani si intrufolò sotto la felpa della mora, accarezzandone la pelle tiepida or presa dai brividi a causa delle sue mani lievemente più fredde per via della stagione in cui si trovavano. Kay si lasciò accarezzare per un po', beandosi di quel calore tiepido che dal cuore riusciva a scaldarle ogni cellula. 
Poi si divisero. E non appena gli occhi scuri della mora incontrarono quelli chiari della madre, entrambe si sorrisero. Perché sapevano troppo bene quanto gradito fosse stato quell'incontro. 
«Le stanze da sistemare sono al piano di sopra. I mobili sono già stati sposati e...»
«Mamma, non hai il turno di pomeriggio oggi?» domandò Kay ad un tratto, ricordandosi dei turni che la madre aveva ripreso a fare alla casa di riposo in fondo alla via, dove aveva sempre lavorato. 
A quella domanda, Grace sgranò gli occhi e corse in corridoio per mettersi il cappotto indosso. 
«Me n'ero completamente dimenticata.» ammise sorridendo e con gli occhi ancora un poco lucidi. «Quando finite, basta che chiudiate la porta.»
Kay le sorrise e la donna si avviò, lasciando che in casa piombasse un silenzio quasi tombale, carico di così tante parole che non sarebbe bastata una giornata intera per dirle tutte. 
La mora si voltò verso i suoi amici e sorrise felice, prima di ripetere quel «Siete tutti matti!» che li fece ridere di cuore.
«Non puoi dire che non ti vogliamo bene.» le disse Tara, facendole l'occhiolino e facendola annuire.
«Venite su. Abbiamo delle stanze da imbiancare.» li incitò allora Ashton, che non stava più nella pelle all'idea di cominciare quel lavoro tutti insieme. 
Gli altri lo seguirono su per le scale, mente Kay e Calum rimasero ultimi. 
Si guardarono negli occhi per la frazione di un secondo. Poi si abbracciarono, e si strinsero forte, quasi a volersi dimostrare a vicenda che tutto quello che stava accadendo era reale e non solo più un sogno che sembrava impossibile, irrealizzabile. 
«Ti voglio bene, Cal.»
«Ti voglio bene anch'io, Kay.»
 
E da quel pomeriggio i giorni di vacanza passarono e finirono. I ragazzi lavorarono insieme più tempo possibile per dare un po' di colore a quelle pareti tinte di un bianco spento e ormai vecchio, che mostrava senza ombra di dubbio i segni del tempo, della malinconia di Grace, della tristezza che aveva vissuto in quella casa per troppo a lungo.
Ogni giorno era diverso da quello precedente. Si divertivano, ridevano, scherzavano; a volte invece restavano in un religioso silenzio, che tuttavia non riusciva mai a durare a lungo, sempre spezzato dalle battute più strambe che riuscivano a tirar fuori. Sicuramente non erano mancate le discussioni - alcune addirittura spesso pesanti - che fortunatamente si risolvevano entro fine giornata. 
Ogni giorno era fatto di una sfumatura diversa di colore. Sfumature portate proprio da loro e dai loro sentimenti, dalle loro emozioni. Era un continuo arcobaleno in mutamento, che sembrava non aver mai una fine, quasi volesse dimostrare quante facce la vita possa avere e presentare. 
Ed era bello. Era bello vedere tutte quelle sfumature mischiarsi, unirsi, creando sempre qualcosa di nuovo; sfumature che Kay amava più di ogni altra cosa al mondo e che – neppure lei sapeva come – riproduceva nei disegni che faceva sulle pareti dipinte di colori accesi. 
Dipingeva la vita, o almeno umilmente ci provava. Proprio come le aveva insegnato suo padre. Proprio come lui amava fare. Proprio come amava fare anche lei.






Letizia
Ciao a tutti! Dai dai, che qui le cose tra tutti stanno andando davvero bene! E sinceramente non potrei chiedere niente di meglio per questi personaggi, che finalmente possono vedere la loro vita con il sorriso ;).
Grazie per ogni cosa e scusate se non mi trattengo, ma la batteria del mio PC è al limite :/.
Grazie ancora per tutto, vi voglio davvero troppo bene! <3
Un bacione, Letizia <3

 

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Capitolo 24
*** 24. Emozioni ***


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24.
Emozioni
 
 

Erano passate tre settimane da quando i ragazzi avevano iniziato ad imbiancare in casa di Grace. Le stanze prefissate le avevano finite velocemente, anche con l'aiuto della stessa signora White, che dava una mano quelle  volte che aveva un po' di tempo libero. Ma nessuno di loro aveva la benché minima intenzione di smettere, perché a tutti piaceva ritrovarsi lì e passare del tempo insieme in modo diverso dal solito. Certo, le prove per la band a casa Hood e Clifford non mancavano mancavano, ma i ragazzi si trovavano molto più spesso a casa White anche solo per far compagnia a Grace. 
Grace, che lentamente stava riprendendo in mano la sua vita e la stava facendo tornare quella di un tempo, anche se con parecchie difficoltà. Stava tornando ad essere la madre di cui Kay aveva bisogno. E nessuno di loro avrebbe potuto chiedere niente di meglio. 
E intanto avevano decido di comune accordo di continuare a lavorare su altre stanze, durante i fine settimana che i ragazzi avevano liberi. Tutto era sempre piena di allegria, e spesso anche di un po' di musica, dato che i ragazzi qualche volta portavano pure le chitarre e improvvisavano per le prove in qualche modo. 
Erano passate tre settimane. E le stanze man mano venivano portate a termine, bellissime e colorate, ognuna diversa dall'altra; i rapporti tra genitori e figli lentamente crescevano e si facevano sempre più forti. Tutto andava bene, grazie al cielo. E sia a Kay che ad Ashton sembrava quasi impossibile quel che stava accadendo, quel che stavano vivendo. Era il loro sogno che si stava avverando, in un modo così perfetto e così semplice da lasciarli completamente senza parole. Perché la vita sorprende sempre, all'improvviso, senza dar la possibilità di prevedere niente.
 
Quella sera, il 3 di luglio, Ashton e Kay erano stesi sul letto di lei, abbracciati sotto le coperte per farsi un po' più caldo l'un l'altra e per stare un po' più comodi in quella notte di pieno inverno; la luce della camera spenta del tutto. Erano tornati da poco dalla loro uscita; Ashton aveva portato fuori a cena la mora per festeggiare con lei i sette mesi, i più belli di tutta la loro vita. Perché non riuscivano a stancarsi l'uno dell'altra, mai, ed ogni giorno si sentivano sempre più veri, sempre più vivi, con il cuore che batteva forte, alimentato da quella piccola fiaccola che stava diventando un fuoco tiepido e meraviglioso, ormai impossibile da spegnere. 
E quella serata insieme era stata davvero piacevole. Avevano mangiato una pizza e poi si erano rintanati in un pub a causa del freddo pungente dell’inverno. E lì, con una cioccolata calda per lei ed una birra per lui, si erano goduti pure la band che stava suonando, con cui poi Ashton aveva scambiato quattro chiacchiere. Kay si era sentita davvero bene, tranquilla, senza nessun pensiero di troppo in testa e con il cuore riscaldato da una gioia infinita, nel vedere il riccio perso e felice nel suo mondo fatto di musica. Un mondo in cui lei era entrata in pieno, anche se ancora non riusciva a rendersene conto sul serio.
«A cosa stai pensando, Ash?» chiese Kay, un po' preoccupata, notando lo sguardo dell'altro perso ad osservare un punto indefinito di quella stanza che in quei mesi aveva visitato molto spesso. 
«A niente, tranquilla.» rispose sincero, posando gli occhi dorati sul viso della mora e sorridendole, prima di darle un lieve bacio sulla fronte per tranquillizzarla.
Lei mugugnò un po’ per protestare, ma poi si rilassò e lasciò che le braccia di Ashton la stringessero un po’ più forte, con quel modo così delicato che la faceva sentire amata più di ogni altra cosa al mondo. Un modo che lui utilizzava involontariamente solo con lei; lei che era il suo tesoro più grande e prezioso, che mai avrebbe voluto ferire o vedere andare in pezzi; quel tesoro unico che mai avrebbe voluto perdere. Perché ci teneva, davvero tanto, forse troppo. E la stessa cosa valeva per la mora, senza una virgola in più o in meno.
«Non devi tenerti tutto dentro…» iniziò allora lei, perché ancora non credeva che Ashton fosse stato del tutto sincero con lei con quella risposta, e perché si preoccupava sempre troppo per lui, a prescindere. «Sai che puoi sfogarti con me.»
A quelle parole – che gli provocarono un piacere immenso e che gli scaldarono il cuore nella frazione di un istante – Ashton rise di cuore.
«Proprio tu vieni a dirmi una cosa simile? Proprio tu, che mi ci vogliono anni per cavarti qualcosa fuori dalla bocca perché non parli neppure sotto tortura?!» esclamò divertito, mentre iniziava a farle il solletico da tutte le parti, scatenando le risate della mora che cercò a tutti i costi di liberarsi da quella piccola dolce tortura che il riccio le stava lentamente infliggendo.
«Amore, amore ti prego, basta!» rise lei, gli occhi lucidi dalle lacrime e le mani del riccio ancora su di lei che non avevano la benché minima intenzione di smettere. Perché vedere Kay ridere in quel modo – senza più alcuna tristezza negli occhi, senza più ombre che dal passato a volte tornavano ad infrangere quel poco di felicità che lei era riuscita a raggiungere con fatica – per Ashton era la cosa più bella di tutte.
Perché, sì, Kay era bella in ogni caso, ma quando rideva era come se tutto il mondo ridesse e tornasse alla vita con lei, era come se un raggio di luce tiepida si insinuasse timido anche nei punti delle anime delle persone dove il buio era quasi completo. Kay era luce pura, una luce che finalmente stava tornando a brillare, dopo anni passati dietro all’ombra di quella prigione che finalmente era stata spazzata via.
E Ashton, di quella luce, si innamorava ogni giorno, sempre più intensamente, sempre più profondamente, permettendole sempre di entrargli nel cuore e di riempirglielo di una felicità mai provata prima di allora, con quel calore che riusciva a farlo sentire a casa, ogni volta che loro due erano insieme. Perché, alla fine, era di quello che il riccio aveva sempre avuto bisogno: sentirsi a casa, sentirsi accettato e amato da qualcuno, senza che quel qualcuno gli chiedesse di cambiare proprio perché la amava semplicemente per quello che era. E quel qualcuno, lui l’aveva trovato in Kay, in quella ragazza che adesso era sotto di lui e che lo stava osservando con gli occhi così pieni d’amore che riuscivano a farlo rabbrividire, ogni volta.
«Ehi, con il solletico però non vale!» si lamentò lei, divertita, mentre con le dita iniziava a giocare un po’ con le punte dei capelli del riccio, quelli sulla nuca, passandoci attraverso e sentendone la morbidezza, mentre l’altro adesso si limitava semplicemente ad accarezzarle i fianchi magri.
Le piaceva da morire coccolarlo in quel modo e, se avesse potuto, sarebbe voluta rimanere in quella posizione – con Ashton sopra di lei che si sorreggeva con le ginocchia e con i gomiti per non pesarle; con le loro labbra così vicine da potersi toccare se solo i due ragazzi avessero voluto; con il cuore che non accennava a smetterle di battere così forte nel petto – per sempre. Perché si sentiva protetta, con il suo ragazzo così vicino, protetta da tutto e da tutti; soprattutto, protetta da quei ricordi che ormai non le procuravano più alcun dolore ma che comunque portavano sempre un po’ di quella nostalgia che la ragazza aveva imparato ad apprezzare.
«Oh sì che vale, piccoletta.» scherzò lui, baciandole la guancia ed insinuandosi allo stesso tempo con la mano sotto la felpa grigia che la mora aveva indosso.
Perché in quegli ultimi tempi il loro rapporto era cambiato, si stava facendo sempre più profondo e sempre più intimo. Al passo più importante non ci erano ancora arrivati, anche se l’idea li aveva sfiorati tante, ma tante di quelle volte da convincerli che il momento giusto sarebbe arrivato da solo, presto, molto più presto di quanto si sarebbero aspettati. Intanto, le loro carezze avevano iniziato ad indugiare più a lungo sui loro visi; gli abbracci duravano di più; i baci si erano fatti più intensi, sempre più pieni di quell’amore che nessuno dei due riusciva a fermare. E, ad entrambi, andava davvero bene così, per adesso.
Kay sbuffò piano, facendo ridere il riccio. «Ma uffa, non è gius–!» iniziò, ma le labbra del riccio che corsero immediatamente sulle sue non le permisero di continuare a lamentarsi, anche se entrambi sapevano che era solo un gioco.
 
Si baciarono, a lungo, in un modo totalmente diverso dai precedenti, un modo che li fece fremere, tremare, li rese preda di un calore nuovo, che mai prima di allora avevano provato.
Si mordicchiarono le labbra, lentamente, dolcemente, mentre il loro respiro iniziava a farsi più pesante e si infrangeva delicatamente sul viso dell’altro, tiepido, facendolo rabbrividire ancora più di prima e facendo battere i loro cuori così velocemente che quasi sembrava volessero uscire dai loro petti.
Intanto, le mani di Ashton scorrevano delicatamente sotto la felpa di Kay, accarezzandole i fianchi, la pancia, la schiena, arrivando addirittura a sfiorare il gancetto del reggiseno senza però aprirlo. Perché il riccio, se avesse potuto, avrebbe fatto subito sua la ragazza che giaceva sotto di lui; ma si stava trattenendo; non voleva metterle ansia o – peggio ancora – spaventarla. Voleva amarla nel modo migliore possibile. Perché sarebbe stata la prima volta, per entrambi, e voleva essere sicuro che fosse perfetta. Perché Kay, si meritava tutto il meglio che lui aveva da offrirle, quel meglio che lui le avrebbe sempre donato, ogni giorno. Per questo motivo si stava trattenendo – anche se di poco – e cercava di imprimersi nella mente almeno quei pochi attimi un poco più intimi degli altri. Gli bastavano, per adesso.
Kay – sotto quelle mani che l’accarezzavano delicate; con il respiro del riccio che le sfiorava timidamente il viso; con le labbra intrappolate in quel bacio di cui mai avrebbe voluto vedere la fine; con il cuore che sembrava un tamburo da quanto batteva forte – non riusciva più a pensare in modo lucido. La mente era tutta annebbiata, gli occhi chiusi. Si limitava a percepire con le mani il corpo di Ashton, adesso a pieno contatto con il suo. Ne accarezzava la pelle dei fianchi da sotto la maglietta a maniche corte – perché la felpa era finita sul pavimento già prima che si mettessero sotto le coperte. Riusciva addirittura a percepire il cuore del riccio battere all’impazzata sopra il suo.
E – entrambi potevano esserne certi – non c’era sensazione migliore di quella. Perché si sentivano completi, sul serio, pieni di un qualcosa che non riuscivano a spiegare con precisione; un qualcosa che li lasciava senza parole da quanto era intenso, forte, vivo dentro di loro.
Le loro lingue, poi, iniziarono a cercarsi, a danzare, ad accarezzarsi con sempre più insistenza, quasi non riuscissero e non potessero farne a meno. E i brividi su di loro aumentavano, si facevano più lunghi, più profondi, più intensi, così frequenti da lasciarli spesso senza respiro.
E intanto emozioni nuove, più forti, più potenti, si facevano strada dentro di loro, arrivando dritte al cuore facendolo battere forte, riuscendo a far scuotere ogni loro cellula, rendendoli più felici di quanto già non fossero, unendoli ancora più di prima, rendendoli ancora di più una cosa sola, indivisibile.
Presto le labbra di Ashton, da quelle di Kay, si spostarono sul collo della ragazza, accarezzandoglielo piano e facendola sospirare, facendole chiudere gli occhi, rendendola preda di tutta quella situazione che, con calma, stava prendendo il sopravvento su entrambi. E mentre lui continuava ad infliggerle quella dolcissima tortura, lei si permetteva semplicemente di accarezzargli il viso, le braccia scoperte, il collo, ritrovandosi a giocare spesso con quei ricci che tanto amava sentire tra le dita.
E a quel punto, fu lui quello che sospirò forte sulla pelle tiepida di lei, facendola rabbrividire, mentre con le mani continuava ad accarezzarle i fianchi, la schiena, facendo sì che i loro corpi si trovassero sempre più a contatto, come a voler annullare ogni spazio che li stava dividendo.
E continuarono in quel modo a lungo; fin quando ne ebbero voglia; fin quando i brividi non smisero di correre su di loro; fin quando le labbra non divennero rosse a forza di baci; fin quando le loro mani non caddero tranquille ai lati dei loro corpi; fin quando riuscirono a resistere prima di cadere preda del sonno. Un sonno caratterizzato dal sorriso sulle loro labbra, dai loro cuori che battevano davvero forte, dalle loro mani unite, da lei stretta nelle braccia di lui.
Perché si amavano, Ashton e Kay. Si amavano davvero tanto. E non si sarebbero mai lasciati andare. Non si sarebbero mai divisi per nessuna al mondo.






Letizia
Tesori miei bellissimi! Vi scrivo ancora dall'Elba, con la pancia che borbotta perchè ha fame e con il sole che splende ed è una meraviglia! <3
Vi lascio questo capitolo che, mentre lo scrivevo, mi ha fatta esplodere il cuore per i feels. E preparatevi, perchè il prossimo capitolo sarà akjfbakjfbakl.
Detto questo, scappo che vado ad aggiornare Inatteso ;).
Grazie per ogni cosa, sul serio, non avete idea di quanto mi facciate felice! <3
A presto! Un bacione, Letizia <3

 

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Capitolo 25
*** 25. Sole e luna ***


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Questo è il penultimo capitolo, buona lettura! <3

25.
Sole e luna
 
 

Quel pomeriggio, Kay uscì da casa Hood di buon ora, subito dopo aver pranzato ed aver salutato gli altri con un semplice «Io esco.» a cui le voci di sua zia e di suo cugino avevano risposto con un «A dopo!» più che allegro. Si mise subito le cuffiette e fece partire la musica – quella che Ashton le aveva messo nel cellulare dopo poco che erano diventati una coppia, dicendole «Se stai con me, devi ascoltare questo tipo di musica.»
Ed era stato così che la mora, col tempo, aveva iniziato ad apprezzare gruppi quali Sleeping with Sirens, All Time Low, Sum 41, Nickelback e tanti altri. Ancora non sapeva dire di preciso se fossero lo stile che le piacesse di più, però doveva ammettere che le melodie ed i testi di quelle canzoni erano qualcosa che spessissimo la lasciava senza parole per la sorpresa, ovviamente positiva.
Cominciò a camminare per le vie del quartiere poco trafficate a quell’ora del giorno, apparentemente senza meta, mentre le note di Lost in stereo si diffondevano dentro di lei, facendole battere a ritmo le mani dentro le tasche del pesante cappotto che aveva indosso. Quella era una delle poche canzoni che le piaceva davvero: le dava una carica, una scossa non indifferenti e la faceva sentire frizzante, pronta per fare qualsiasi cosa a testa alta, senza preoccuparsi di niente e di nessuno.
E si ritrovò a sorridere, tutt’ad un tratto. Perché prima di conoscere Ashton, lei non avrebbe mai pensato una cosa simile, anzi, avrebbe guardato con occhio assente e poco propenso a capire il resto che c’era attorno a lei. Soprattutto, prima che quel ragazzo le stravolgesse la vita, non avrebbe mai creduto quanto potente fosse la musica e quanto incisiva potesse essere nella vita di qualcuno.
Sorrise allegra e continuò a camminare, cercando il telefono nella tasca del cappotto per vedere che ore fossero, per capire se fosse in anticipo oppure – come suo solito – in un ritardo madornale. Ed il cuore le si riempì di una felicità senza confini non appena notò che giorno fosse.
Era il 18 luglio. Un anno esatto che lei ed Ashton e lei si conoscevano. L’anno migliore di tutta la sua vita. L’anno delle sorprese, dei cambiamenti. L’anno in cui ogni cosa era finalmente riuscita a ritrovare il suo giusto nella vita di chiunque, soprattutto in quella di Kay e di Ashton, che invece all’inizio di quel viaggio intrapreso insieme erano quasi del tutto distrutte da tutte quelle ferite che entrambi portavano dentro come macigni, senza sapere come fare per potersene liberare completamente.
Kay si ritrovò a sospirare, mentre con la punta delle dita andava ad accarezzare un poco quel ciondolo a forma di luna che Ashton le aveva regalato per San Valentino e che lei, da quel giorno, non aveva mai tolto; perché per lei, quel piccolo oggetto significava molto di più, un qualcosa che le parole non sarebbero mai state in grado di esprimere del tutto, qualcosa che andava al di là di ogni cosa e che solo Ashton e lei avrebbero potuto capire negli occhi dell’altro.
E si ritrovò a pensare a quell’anno esatto appena trascorso, sorridendo nel notare che quella data importante non avrebbe mai potuto dimenticarla neppure volendo. Perché da lì era nato tutto.
Pensò a quella mattina di pioggia e al modo strano in cui lei ed il riccio si erano conosciuti. Pensò a quella felpa e all’odore di Ashton che adesso riconosceva senza alcun problema. Pensò alla sera della festa e a quello che era successo dopo, alle parole e alle mezze promesse che si erano fatti. Pensò a come, in poco tempo, il cubo di vetro attorno al suo cuore aveva iniziato ad indebolirsi proprio grazie a quel ragazzo che aveva iniziato a malapena a conoscere un poco. Pensò a quanto in fretta erano cambiate le cose tra di loro, a come il loro rapporto si era man mano fatto – e continuava ad essere – più profondo, giorno dopo giorno, legandoli in un modo che lei mai si sarebbe aspettata. Pensò a quando pure gli altri avevano conosciuto il riccio e a come l’amicizia tra di loro era nata nella frazione di un secondo, arricchendo la vita di tutti loro con quel tassello del puzzle che mancava da sempre. Pensò al concerto, a quando si era resa conto di amare Ashton completamente, più di qualsiasi altra persona al mondo, più di tutto il resto, e a come i loro sentimenti erano venuti fuori e come tutto tra di loro era finalmente iniziato.
Pensò a quanto bene Ashton avesse fatto a lei in tutti quei mesi, riuscendo a strapparla dal buio del suo dolore, adempiendo a quella promessa a cui ormai ogni tanto solo lei si ritrovava a pensare con il sorriso sulle labbra che non riusciva ad andarsene per nessuno motivo.
Pensò a quel ragazzo che, lentamente, con affetto – e poi amore senza limiti – e con pazienza, era entrato nella sua vita, insinuandosi in un piccolo angolo del suo cuore per poi conquistarlo tutto e tenerlo stretto al suo come se fosse stato il più prezioso dei tesori. E Kay sapeva che per il riccio era davvero così.
Ashton. Il suo ragazzo.
La persona che amava con tutta se stessa e a cui donava tutto quello che era, senza tener niente per sé.
Il suo sole. Il sole che aveva illuminato il buio in cui lei si trovava e da cui poi l’aveva tratta in salvo; che aveva riacceso quella piccola scintilla di vita che passo dopo passo si era poi trasformata in un fuoco impossibile da domare completamente; che aveva stravolto ogni singola cosa, rendendola più bella, rendendola migliore giorno dopo giorno, senza pretendere niente in cambio, aiutandola persino – senza saperlo – a recuperare e migliorare il rapporto tra lei e sua madre.
Kay sorrise, mentre nella sua testa gli occhi dorati del riccio prendevano il sopravvento su qualsiasi altro pensiero e le facevano battere forte il cuore, così velocemente che quasi sarebbe potuto uscirle fuori dal petto se solo avesse voluto davvero, per liberarsi e mostrare completamente quanto immenso fosse il sentimento che provava per Ashton. Un sentimento che diventava sempre più grande, più forte, più profondo man mano che il tempo passava. E a lei andava benissimo così, perché non doveva nascondere niente, non doveva più domandarsi altro. Perché, semplicemente, con Ashton riusciva a trovate tutte le risposte di cui aveva bisogno. E non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio.
Svoltò l’angolo, e la villetta di Grace si parò davanti agli occhi scuri della ragazza, che si sistemò velocemente gli occhiali sul naso e sorrise soddisfatta nel notare che sua madre era fuori casa, grazie al fatto che le tende delle finestre del piano terra fossero state tirate.
Si affrettò ad entrare. Ed il cuore le si riempì di una gioia infinita, non appena notò come quella casa era diventata grazie al lavoro che lei e gli altri ragazzi avevano fatto. Era tutto più luminoso, più bello, più vivo, più accogliente. Dava l’idea che finalmente in quella casa ci vivesse una persona vera e non il fantasma di una divorata dal dolore e dalla mancanza.
Il sorriso sul suo viso si allargò ancora di più, passo dopo passo, mentre con la punta fredda delle dita accarezzava quei muri colorati e pieni di foto nuove, di sorrisi, di momenti da ricordare per sempre. Era casa sua quella in cui stava camminando, e ad ogni passo riusciva a rendersene conto sempre meglio, e sempre più prepotentemente quella sensazione di benvenuto entrava dentro di lei, facendola sentire accolta davvero, come mai prima di allora.
Senza indugio si diresse al piano superiore, a quella che sarebbe sempre stata camera sua, quella stanza che dava sul retro della casa, su quel giardino che aveva visto tante feste, tanti sorrisi e tanta felicità quando suo padre era ancora vivo. Suo padre, Dawson White.
Dire che le mancasse era altamente riduttivo. Non ci sarebbero mai state parole sufficienti per descrivere quel senso di vuoto, quel dolore sordo e costante che l’aveva accompagnata da quando quell’uomo aveva lasciato del tutto la sua vita. Si era sentita persa, senza una meta, per anni e anni, senza capire che cosa le servisse per sopperire quella mancanza. Poi però era arrivato Ashton, e tutto aveva iniziato a prendere un senso.
A Kay, suo padre mancava da morire. Eppure, adesso con quell’assenza e con quel vuoto riusciva a conviverci un poco di più, come se le ferite che aveva sul cuore e quel cubo di vetro che erano scomparsi del tutto fossero la causa stessa di quel senso di vuoto.
Sospirò stanca, mentre la malinconia un poco tornava a farle compagnia e mentre si affrettava a prendere il telefono, per vedere la foto che aveva messo come sfondo. La stessa che aveva disegnato. La stessa che Ashton aveva visto quel giorno in cui si erano fatti quella promessa, la più importante di tutte, quella che il riccio aveva portato a termine nel modo migliore. Quella dei suoi genitori, il giorno del loro matrimonio. L’unica foto che era riuscita a portar con sé quando sua madre l’aveva affidata a sua zia Joy tanti anni prima.
Sorrise, nel vedere quegli sguardi felici e belli, vicini, come volersi completare a vicenda, con quell’amore ben visibile tra loro due. Quell’amore che finalmente pure Kay, con Ashton, era riuscita a trovare, era riuscita a capire e a sentire dentro, con la sua forza dirompente ed indomabile.
Dal cellulare fece partire un po’ di sana musica, per poi posarlo sul cappotto che aveva lasciato cadere sul pavimento, vicino al letto ad una piazza e mezzo nuovo che sua madre aveva comprato qualche giorno prima, dicendole «Se mai un giorno volessi restare a dormire.». Una proposta che Kay aveva preso tante volte in considerazione, ma che ancora – nonostante tutto – non si sentiva ancora pronta a compiere.
Scosse la testa per scacciare tutti i pensieri che avrebbero potuto confonderla quel pomeriggio. Perché aveva in mente un’idea da settimane, e quel giorno le era sembrato il migliore per cominciare a metterla in atto. Solo che… Aveva paura. Perché non aveva la benché minima idea se quello che ne sarebbe venuto fuori sarebbe potuto piacere a sua madre.
Ci sperò, ci sperò con tutto il cuore, mentre con il pennello intinto nel colore cominciava a tracciare linee, perdendosi nei sentimenti che solo dipingendo riusciva a far uscire del tutto, senza paura, senza timore, senza alcun dubbio. Poteva sembrare strano, ma con un pennello in mano, Kay si sentiva invincibile, pronta a combattere qualsiasi cosa, proprio come suo padre le aveva insegnato.
E fu proprio con il ricordo di suo padre che le insegnava a dipingere, guidando le sue mani nel formare le figure, che Kay si sentì davvero a casa, con il cuore libero da ogni prigione e da ogni paura, pieno di un amore incontenibile.
 
Ashton stava camminando tranquillamente per le vie del quartiere, deserto a quell’ora del giorno, mentre cercava di trattenere l’allegria che sentiva dentro, dovuta al pensiero costante nella sua testa di una sola persona dagli occhi scuri e dal cuore più grande che il ragazzo avesse mai conosciuto.
Stava pensando a Kay e, soprattutto, al fatto che si conoscessero da un anno esatto.
L’anno più bello di tutta la sua vita, pieno di così tante sorprese, di così tanti cambiamenti che lui non riusciva ancora a credere come facesse ad aver ricevuto un regalo simile, quella seconda possibilità che lui aveva utilizzato completamente, per stravolgere la sua vita e per curare tutto quello che c’era da salvare.
Pensava a Kay, a quella ragazza fatta a modo suo che l’aveva incuriosito, l’aveva rapito e poi l’aveva fatto cadere nella rete intricata dell’amore, da cui non si sarebbe mai voluto liberare per niente al mondo. Pensava alla sua di ragazza, che riusciva a renderlo felice con niente, in un modo che lui ancora non era riuscito a comprendere; la stessa per cui avrebbe sempre combattuto, senza mollare mai, senza darsi mai per vinto, senza lasciare nuovamente campo libero al dolore e alla tristezza. Perché era stato proprio grazie a Kay, se la parte più brutta della sua vita era lentamente scomparsa, rendendolo libero, aiutandolo a riprendere tra le sue mani la sua vita per salvare quel poco che era rimasto, a partire dal suo rapporto con i suoi genitori che adesso tutti loro potevano definire normale, con gli stessi alti e bassi di qualsiasi famiglia.
E sorrise, mentre si rendeva lentamente conto che Kay era come la luna, almeno per lui. Quella luna che, con la sua luce tiepida, lentamente era riuscito a scaldarlo e ad accendere nuovamente quella scintilla di vita che apparentemente sembrava essere stata spazzata via da forze maggiori, forze che Ashton da solo non era riuscito a mandar via e che solo con l’aiuto di Kay erano scomparse del tutto.
Scosse la testa, divertito, mentre attraversava la strada per arrivare a casa di Grace, dove – grazie a Calum – sapeva che Kay si fosse rifugiata.
E intanto si domandava come avesse fatto quest’ultima a diventare così importante per lui, come avesse fatto ad entrargli così tanto dentro senza chiedere il suo permesso, come fosse riuscita a prendergli il cuore e a tenerlo in vita solo per farlo battere per lei. Non sapeva Ashton, e non non voleva saperlo. Perché non avrebbe mai cambiato niente di quello che lo legava a quella ragazza straordinaria di cui aveva avuto l’onore e la fortuna di innamorarsi follemente.
Entrò nella villetta grazie al paio di chiavi che Kay gli aveva regalato. E sorrise, non appena sentì provenire le note di Lullaby dei Nickelback provenire dal piano di sopra, a cui si recò cercando di non far rumore.
Salì le scale in punta di piedi, con le scarpe in una mano ed il cappotto nell’altra. Voleva fare una sorpresa a Kay e sapeva che la ragazza non si accorgeva mai di niente, soprattutto quando era concentrata a fare qualcosa. Si avvicinò all’unica porta aperta e spiò all’interno, curioso come suo solito.
E sorrise nuovamente, non appena notò la figura della mora intenta a dipingere sul muro bianco qualcosa che Ashton ancora non riusciva a capire bene per la lontananza, mentre la musica continuava ad andare e lei si muoveva un poco a ritmo, catturando gli occhi dorati del ragazzo, che non riusciva ad allontanarsi da quel corpo che tante avrebbe voluto sentire sul suo.
Perché Ashton voleva far l’amore con Kay; voleva dimostrarle quanto l’amasse e quanto lei fosse importane nella sua vita; voleva ringraziarla per ogni cosa che aveva fatto per lui senza rendersene conto e per quanto l’aveva aiutato con pazienza e con amore, dandogli molto di più di quanto lui avesse chiesto e molto più di quanto lui avesse bisogno. Voleva amarla, voleva sentirla sua completamente, in ogni modo possibile, voleva diventare una cosa sola con lei.
Ma non glielo aveva mai chiesto. Perché aveva paura, troppa, che con quella proposta dettata dal cuore, lei si sarebbe spaventata e lo avrebbe allontanato in qualche modo. Aveva paura di rovinare quello che, con fatica, si era creato tra loro, quel qualcosa di troppo forte e di troppo importante a cui Ashton non avrebbe mai saputo rinunciare e senza cui si sarebbe sentito vuoto, completamente. Ed era una sensazione che mai più avrebbe voluto provare.
Sospirò ed entrò in camera, posando le sue cose vicino a quelle della mora, per poi avvicinarsi a lei in punta di piedi per abbracciarla da dietro.
 
E non appena Kay percepì quel contatto dolce su di sé, non riuscì a non sorridere, capendo chi ci fosse alle sue spalle che ridacchiava in silenzio.
«Ciao Ash.» lo salutò, per niente sorpresa dall’arrivo improvviso del ragazzo.
Lui rise di cuore e le stampò un bacio dolcissimo sulla guancia, che ebbe il potere di farla arrossire un poco, come suo solito, mentre le braccia del riccio aumentavano di poco la stretta, facendo aderire la schiena della ragazza con il petto di lui, così da far percepire ad entrambi il battito impazzito dei loro cuori, che correvano dentro di loro allo stesso folle ritmo.
«Ciao amore.» la salutò poi lui, mentre con gli occhi vagava su quelle figure a cui Kay aveva dato vita e rimanendo a bocca aperta per lo stupore. Perché la mora era bravissima in quella sua passione che la rendeva la persona che era, sia secondo Ashton che secondo tutte le altre persone che avevano visto anche soltanto un disegno fatto da Kay. Ce lo aveva nel sangue, riusciva a rendere viva qualsiasi cosa con ogni tipo di colore, dandogli quella scintilla di vita che solo l’occhio dotato di un artista riesce a vedere e donare a ciò che crea.
«Hai mai pensato di diventare una pittrice.» chiese allora, curioso di sapere se lei avesse mai pensato a quel futuro che non era poi così tanto lontano, per nessuno dei due.
«Sì.» ammise Kay, senza pensarci due volte, diretta come suo solito, mentre il sorriso non riusciva a lasciare le sue labbra. «Però è impossibile…»
Perché Kay avrebbe tanto voluto che altre persone avessero la possibilità di vedere quel che lei metteva su una tela, dato che non lo considerava più solo una cosa soltanto sua, ma che invece aveva imparato a condividere con chiunque glielo chiedesse. Il problema era il fatto che diventare un artista famoso era pressoché impossibile. E lei non si riteneva all’altezza di un così grande onore, benché per tutti gli altri fosse esattamente il contrario.
«Kaylin White, non ammetto che tu usi quella parola con me.» ribatté Ashton con quel tono fintamente serio che riuscì a far ridere la mora ancora di più, mentre il riccio faceva in modo di avere quegli occhi scuri davanti ai suoi. «Sei bravissima e fantastica e non butti mai la spugna. Sono certo che ci riuscirai.»
Kay gli sorrise dolcemente, perdendosi in quello sguardo dorato, mentre sentiva il cuore scaldarsi piano, mentre percepiva la felicità irradiarsi in ogni parte di lei per non lasciarla più andare. Sorrise, semplicemente per il fatto che si sentiva la persona più fortunata della terra ad avere Ashton nella propria vita; lui, che riusciva a darle sempre la forza necessaria per affrontare la vita in ogni occasione.
«Grazie, Ash.»
Lui la guardò confuso. «Per cosa?»
Lei lo osservò ancora più profondamente, facendolo rabbrividire fin dentro l’anima. «Grazie di amarmi.»
E non passò neppure un secondo, che subito le labbra del riccio trovarono la loro via per quelle morbide della mora, per assaggiarle, per accarezzarle con calma, gustando in pieno ogni istante, ogni singolo sapere, ogni singolo brivido che entrambi sentivano, ogni singolo battito che li faceva sentire sempre più vivi, sempre più pieni di quel sentimento, di quella forza dirompente che la vita e l’amore esercitavano in loro.
E fu proprio grazie a quel bacio, se Kay riuscì ad allontanare ogni pensiero dalla sua testa, per concentrarsi solo su una cosa che teneva dentro al cuore da molto tempo ma che, fino a quel momento, non era stata pronta abbastanza per affrontare, per far uscire, per renderla concreta. Eppure, adesso che era lì, con le braccia di Ashton attorno al suo corpo, che la stringevano come se fosse la cosa più bella al mondo, che la facevano sentire protetta, amata, Kay riuscì a trovare il coraggio che le serviva per dar corpo a quelle parole, che valevano tutto quello che la ragazza sentiva per il riccio e che voleva dimostrargli nel modo più bello, profondo e vero che ci fosse al mondo. Voleva ringraziarlo, con tutta se stessa, per aver mantenuto quella promessa che si erano fatti e che nessuno dei due avrebbe dimenticato. Voleva ringraziarlo per averle insegnato a vivere-
«Voglio fare l’amore con te.»
Fu un sospiro, quasi inudibile, detto mentre i loro occhi si scrutavano come a voler leggere ogni singola parte dell’anima della persona che amavano. Un sospiro che Ashton riuscì a sentire benissimo lo stesso e che gli si impiantò nel cuore, deciso, come a non voler più uscirne, come a volerlo aiutare a digerire quella frase che mai si sarebbe aspettato di sentire, quella frase che combaciava perfettamente con i suoi pensieri, come a volergli dimostrare che tra lui e Kay non ci sarebbe mai stato niente di sbagliato, niente di affrettato o fatto male, niente di doloroso. Perché ogni cosa che li riguardava era guidata da quei sentimenti troppo veri e troppo forti che li univano, sentimenti di cui entrambi si fidavano ciecamente.
Per questo, lui non rispose. Semplicemente, fece combaciare ancora una volta le loro labbra. E subito un sentimento nuovo, più bello, più profondo, si fece largo tra loro due, guidando ogni gesto.
 
A quel bacio, Kay rispose senza paura, con il cuore che le batteva così forte nel petto che quasi sembrava volesse uscire da un momento all’altro, mentre la felicità si propagava senza limiti dentro di lei.
Ashton la prese in braccio, senza dividere le loro labbra, e si diresse verso il letto, dove posò delicatamente il corpo della mora, come se tra le mani avesse il tesoro più bello e più delicato di tutti, che si sarebbe potuto rompere da un momento all’altro se lui non avesse prestato sufficiente attenzione. E Posò tutto il peso sulle braccia piegate per evitare di farle male in qualche modo. 
Lei gli sorrise – completamente innamorata – e tornò a baciarlo, a giocare con le sue labbra morbide e con la sua lingua. E intanto le loro mani andarono ad esplorare il corpo dell'altro da sotto le maglie, percependone la pelle tiepida ricoperta da milioni di brividi che li facevano fremere, li facevano sentire due stelle incandescenti che nessuno avrebbe mai potuto spegnere. 
Lentamente, Ashton risalì la schiena di Kay con la punta delle dita fredde, facendo sì che lei la inarcasse, facendo sfiorare i loro bacini e faccio fremere entrambi per quel contatto inatteso, a cui tuttavia nessuno dei sue si tirò indietro. Perché era bello, davvero bello, poter sentire l'altro così vicino al proprio cuore; era meravigliosa quella sensazione di completezza che si donavano l'un l'altra con ogni carezza, ogni bacio, ogni sospiro. Kay sospirò piano, mente le mani di Ashton la aiutavano a sfilarsi quella felpa verde scuro che aveva indosso. E intanto pensava a come fare, a come doversi comportare, per evitare che quel momento troppo importante per entrambi si tramutasse nell'esperienza peggiore della loro vita. In fondo, sarebbe stata la sua prima volta, e non era mai stata brava a nascondere l'agitazione ed il panico, che in quella situazione si erano amplificati notevolmente. 
Agitazione e panico che pure Ashton sentiva dentro di sé, per il semplice motivo che lui non aveva mai fatto una cosa simile prima di allora. Non aveva mai toccato una ragazza come stava facendo con Kay; semplicemente perché non si era mai innamorato di nessun'altra prima di quella ragazza mora che stava stringendo come se avesse paura di perderla. 
Si guardarono negli occhi, a lungo, scorgendo quell'anima di cui si erano innamorati quella parte della loro vita che avevano sempre cercato e che avevano trovato quella mattina di un anno prima, senza rendersene conto davvero fino a che non era stato troppo tardi per scampare alla trappola dell'amore, che li aveva legati l'uno all'altra, formando qualcosa di meraviglioso. Si sorrisero, felici, mentre le mani della mora andavano a togliere la maglia ad Ashton, che guidò la ragazza in ogni movimento, ponendo le sue mani grandi su quelle di lei, fino a che l'indumento non andò a far compagnia alla felpa di lei. 
E Kay, a vedere il corpo tonico e scolpito di Ashton, così vicino al suo, si sentì morire, con il cuore che le batteva fortissimo nel petto, mente il suo occhio d'artista le confermava che, sì, il suo ragazzo era l'opera d'arte più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. 
E gli sorrise, quando lui si abbassò nuovamente su di lei, per unire le loro labbra in un bacio veloce, prima di iniziare a passarle su di lei, sul suo collo, la mandibola, le spalle, il petto privo del reggiseno e così tiepido da far rabbrividire Ashton ogni volta che lo sfiorava. 
Kay si sentiva morire ad ogni gesto, si lasciava amare senza alcuna difesa. Ed Ashton si sentiva il ragazza più felice del mondo, mentre il profumo della mora gli invadeva le narici, mentre il cuore gli batteva forte nel petto, mente percepiva sotto le dita la pelle di Kay diventare sempre più calda. Era felice, semplicemente perché non riusciva a credere a quel che stesse succedendo tra loro, non riusciva a capacitarsi del fatto che Kay sarebbe stata completamente sua, e che lui sarebbe stato totalmente suo, senza alcun ripensamento. 
Le sorrise e si perse in quegli occhi profondi, mentre i brividi continuavano a correre sui loro corpi. Ed aumentarono pure, quando percepì le mani tremanti di lei intente ad aprire il bottone e poi la zip dei jeans che subito finirono sul pavimento. 
Lei intanto era preda della felicità più pura e più profonda che mai aveva provato prima di allora. Era bellissimo poter accarezzare Ashton in quel modo, sfiorando la sua pelle calda e profumata, baciandone ogni millimetro e gustando quel sapore di cui mai avrebbe più potuto fare a meno. 
Presto pure i pantaloni di lei scomparvero, raggiungendo i piedi del letto. E quando anche l'intimo raggiunse il suolo, i due ragazzi si ritrovarono improvvisamente nell'imbarazzo più completo, da cui non sapevano come poter uscire. 
Perché Kay non si era mai sentita così esposta, senza alcuna difesa, alcuna barriera di fronte a quegli occhi così simili al sole. E non sapeva più che cosa fare, mentre il corpo intanto veniva invaso dai brividi causati dalla bassa temperatura che c'era in casa. 
Ashton lo notò. Per questo alzò la coperta e fece stendere la ragazza sotto di sé e sotto il tessuto caldo, che li fece avvicinare ancora di più. E intanto pensava che non avrebbe mai potuto incontrare nessuno bello quando Kay, nessuno prezioso ed unico come lei, la ragazza che quel giorno si apprestava ad amare in modo più intenso, più profondo, un modo che li avrebbe uniti ancora più di prima, senza alcuna via d'uscita. 
Tornarono a baciarsi, ad accarezzarsi piano, senza fretta, mentre i loro cuori battevano sempre più velocemente, sempre più preda di quel sentimento che cresceva costantemente, sopraffacendo ogni cosa. 
E poi, quando i loro occhi si incontrano di nuovo, capirono che era arrivato il momento di affrontare quel passo da cui non sarebbero mai potuti tornare indietro. 
Ashton prese il preservativo dal portafoglio e lo indossò, con qualche difficoltà che fece ridere la mora.
«Ash?» lo chiamò una volta che il ragazzo fu nuovamente sopra di lei.
«Sì, Kay?» rispose, accarezzandole il viso e spostando una ciocca di quei capelli scuri da sopra quegli occhi in cui mai si sarebbe stancato di perdersi. Quegli occhi che mai si sarebbe stancato di cercare tra la folla e che sempre lo avrebbero fatto sentire a casa, scaldandogli il cuore e.
«Ti chiedo solo di fare attenzione.» ammise lei, la voce così bassa da sembrare un sussurro e gli occhi lucidi carichi di così tante emozioni che solo il ragazzo avrebbe potuto capire. 
Lui, semplicemente, annuì, per poi baciarla di nuovo.
E fu così delicato quando la fece sua che lei non sentì alcun dolore. Percepì soltanto qualcosa di indefinito, bellissimi, unico, propagarsi dentro di lei, rendendola un tutt’uno con il ragazzo che avrebbe amato, sempre.
E da quel momento in poi, ogni attimo fu più bello e meraviglioso di quello precedente, mentre i due diventarono una cosa sola che nessuno avrebbe mai potuto dividere.
 
«Ti amo, Kay.» ammise Ashton, mentre con la punta delle dita accarezzava la schiena nuda della mora. 
Si erano amati tutto il pomeriggio, con calma, assaporando intensamente ogni istante come se fosse il primo e l'ultimo allo stesso tempo. Era stata l'esperienza migliore della loro vita, nonostante quel poco dolore che tuttavia era presto sparito, a forza di baci, di carezze.
A quelle parole, Kay sorrise e si fece più vicina a lui, sentendosi completa in ogni sua più piccola parte. Perché quel pomeriggio le aveva dimostrato che Ashton era ciò che le mancava per completare il quadro della sua vita. E non avrebbe mai creduto che potesse essere così bello. «Ti amo anch'io, Ashton.»






Letizia
Hola a todos el mundo! <3 Come state? Spero bene ;).
E spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3. Ci ho messo il cuore per scriverlo e spero che qualcosa vi abbia dato, in qualche modo.
Ormai siamo alla fine. E... Oddio, non ci credo :'(.
Spero davvero che tutto quello che ho scritto su questi due personaggi vi sia piaciuto :3 *^*
Vi avverto di una cosa: siccome ho già detto tutto quello che dovevo dire su Ash e Kay, l'epilogo sarà molto breve rispetto a tutti gli altri capitoli.
Ci sentiamo giovedì. Un bacione e grazie ancora per tutto! <3

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Capitolo 26
*** 26. Nuova vita ***


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26.
Nuova vita
 
 

«Amore, ce la fai a scendere?» chiede Ashton preoccupato come suo solito, mentre porge la mano alla mora non appena quest’ultima mette un piede fuori dalla macchina.
«Sta’ tranquillo, Ash, non sono messa così male come credi.» ribatte Kay ridacchiando ed uscendo dalla vettura nera con un po’ di fatica, per poi sistemarsi i jeans e sorridere al riccio, che scuote la testa divertito.
«Dai, muoviti, che non vedo l’ora di entrare!» esclama in preda all’euforia, prendendola per mano e facendola ridere di cuore mentre entrano in quell’edificio che racchiude le opere di lei.
 
Sono passati dieci anni da quando si sono messi insieme. I dieci anni migliori della loro vita, se dovessero descriverli in una sola frase. Dieci anni fatti di loro, della loro storia, del loro amore, delle loro risate, dei loro momenti passanti insieme. Anni pieni di discussioni e di gelosie malamente tenute a freno. Anni in cui Ashton, insieme agli altri ragazzi, ha messo su un negozio di musica ed ogni tanto continuano pure a fare qualche concerto in qualche locale. Anni in cui Kay ha studiato arte all’Università, riuscendo in quel sogno, diventando un’artista conosciuta in tutta l’Australia e in molti altri Paesi del mondo. Anni che li hanno visti crescere, maturare insieme, tanto da ritrovarsi a condividere un appartamento in centro a Sydney, la loro città, l’unica spettatrice di tutta la loro vita. Anni in cui si sono resi conto completamente che non possono, non riescono a stare lontani, non riescono a stare senza l’altro; si amano troppo per permettersi un lusso simile, che porterebbe le cose al punto opposto, quello stesso punto a cui nessuno dei due vuole tornare. Dieci anni, che potranno solo aumentare, senza fermarsi mai. Di questo, Ashton e Kaylin sono sicuri, totalmente.

«Amore, sai che sembri un bambino, vero?» ridacchia la mora, stringendo un poco di più la presa sulla mano dell’altro e stampandogli un bacio dolcissimo, che lo fece sorridere. «E hai quasi trent’anni.»
«Ventotto, per l’esattezza.» ribatte lui, baciandole la tempia e stringendola un poco più a sé, mentre entrano in quel salone dalle pareti bianche ricoperte dai quadri dell’ultima collezione che Kay ha messo su.
«Sembri un bambino lo stesso.» asserisce lei, convinta delle sue parole, prima che Tara e le altre ragazze attirino la sua attenzione con il loro solito brusio.
«Ciao piccioncini!» li saluta allegra la bionda, abbracciandoli forte mentre le altre due li raggiungono.
«Kay, questi quadri sono qualcosa di incredibile!» ammette Nathalie, che abbraccia forte la mora e non riesce a stare ferma per la curiosità di vedere tutte le opere che l’hanno cattura tata completamente.
«Devi svelarci il tuo segreto, donna misteriosa.» continua con lo stesso tono Elen, prima di limitarsi a baciare l’amica sulle guance, a causa di un piccolo grande ingombro a cui le altre due non avevano proprio pensato, prese com’erano dalla felicità di rivedere la loro migliore amica.
«Nessun segreto, El, davvero.» ammette Kay con il sorriso sulle labbra, mentre si inoltra nel salone, dove per poco non prende un colpo per il saluto rumoroso degli altri ragazzi.
«I soliti ritardatari.» commenta Michael prima di farsi avanti e battere una pacca sulla spalla di Ash e baciare la guancia alla mora, che ridacchia e che si avvicina a Luke, intendo a parlare con Calum.
«Biondo!» esclama divertita, facendolo spaventare e catturando la sua attenzione, prima di venir stretta in un abbraccio che fa accorrere subito Ashton, preda dello spavento.
«Ehi Hemmo, vacci piano.» lo ammonisce separando i due e tenendo sotto braccio la mora che non riesce a smettere di ridere per il comportamento troppo ansioso del riccio.
«Dai amore, lasciami salutare Cal.»
Lui borbotta contrariato, prima di venir convinto con un bacio a fior di labbra da parte della mora che – per quanto le sia possibile – corre dritta verso il moro che non aspetta un secondo per abbracciarla forte, cercando comunque di non farle male.
«Cugino.» lo saluta lei, divertita.
«Cugina.» ripete lui, baciandole la guancia, senza porre fine all’abbraccio.
«Com’è andata la luna di miele?» chiede lei, curiosa più che mai di conoscere tutti i particolari.
L’altro ride di cuore e si allontana un poco dalla mora. «Benissimo. Elen non la smetteva di piangere.»
«Cosa?!»
«Dalla gioia.»
A quella risposta, Kay non riesce a resistere e lascia un pugno sul braccio del moro.
E intanto si ritrova a pensare a come le vite di tutti loro siano cambiate in quegli anni.
Tara e Michael sono stati i primi a sposarsi, subito dopo aver finito l’Università, seguiti circa due anni dopo da Luke e Nathalie, la cui festa sulla spiaggia era stata memorabile. Calum e Elen hanno deciso di compiere il passo più importante solo qualche mese prima ed erano appena tornati da quel viaggio negli Stati Uniti che lei sognava da una vita.
«Sono davvero felice per voi.» ammette Kay, baciando la guancia del moro nuovamente, prima di tornare da Ashton, che la sta aspettando a braccia conserte, con l’aria troppo preoccupata.
«Tutto bene?» chiede infatti, esaminando con quegli occhi dorati il corpo della mora, che sospira divertita e gli accarezza lievemente una guancia. «Mai stata meglio.»
 
E la serata alla mostra continua, tra le risa del gruppo di amici, la famiglia Irwin, Grace e Joy che si complimentano con tutti loro per il lavoro fatto, le domande curiose di chi è venuto per i dipinti, lo champagne che troppo facilmente va a finire nello stomaco e la felicità che Ashton e Kay da tempo hanno smesso di cercare di contenere.
Restano abbracciati per tutto il tempo, la schiena di lei posata sul petto di lui, cullandosi a vicenda con i movimenti lenti e pacati, con il ritmo dei loro respiri e con quello dei loro cuori, mentre troppo spesso gli occhi scuri della mora vanno a finire sulle fedi dorate che si possono ben notare sul suo anulare e su quello del riccio. Anelli che sono su quelle dita da quattro anni ormai, dopo quella proposta che Ashton non potrebbe mai dimenticare per l’imbarazzo e Kay per la dolcezza.
Quella proposta fatta in riva al mare, la notte di Capodanno, mentre i fuochi d’artificio illuminavano tutto.
«Kay?»
«Sì?»
«Vorresti diventare mia moglie?»
«Mi stavo chiedendo di quanto altro tempo avresti avuto bisogno per chiederlo.»
«Quindi?»
«Quindi è sì, scemo di un Irwin.»
Questo si erano detti. Questo aveva fatto scattare tutto ed aveva fatto nascere il sogno più bello di tutta la loro vita e a cui mai nessuno dei due aveva pensato fino a che non si era presentata l’occasione per poterlo mettere in atto e per poter così dar vita sul serio a quella famiglia che Ashton e Kay sapevano di essere da molto tempo prima.
E mentre la mora pensa a quella scena, a quel ricordo che custodirà sempre nel cuore, Ashton le accarezza la pancia gonfia, su cui le loro mani sono posate da tutta la sera.
«Sarà bellissima.» commenta, e Kay si ritrova gli occhi lucidi nella frazione di un istante.
«Perché deve essere proprio una bambina per te?»
Lui ride e le bacia una tempia, facendo battere più forte il cuore nei loro petti. «Non lo so, lo sento e basta.»
Lei sospira e si accarezza il ventre, sperando che la nuova vita che porta in grembo possa avere tutto l’amore e tutta la felicità di cui ha bisogno. Quello stesso amore e quella stessa felicità che l’arrivo inaspettato e bellissimo di quel bambino, di quel dono del cielo, ha dato a lei e a suo marito.
«Ash?»
«Sì, Kay?»
«Ti amo, da morire. Ricordatelo.»
Lui sorride felice, stringendola a sé, prima di baciarla a lungo, dimostrandole tutto l’amore che prova per lei.
«Ti amo anch’io, ricordatelo pure tu.»




 
FINE





Letizia
Beautiful people, buon giorno a tutti voi! <3
Eccoci alla fine di questa storia. I nostri personaggi sono cresciuti, si sono sposati. E KAY E ASH STANNO PER AVERE UN BAMBINO *^*.
Sono così felice per tutti loro :3 e sono felice di essere arrivata alla fine di questa storia.
Sui protagonisti non ho da dire poi così tanto, perchè la loro storia l'avete letta pure voi e avete visto quanto siano cresciuti insieme, quanto si siano aiutati e quanto tra tutti si siano voluti bene. 
Hanno compiuto passi importanti, sia dentro loro stessi perchè sono riusciti ad abbattere i loro muri, la loro tristezza, il loro dolore. Sono riusciti a salvarsi insieme. Entrambi hanno insegnato all'altro come vivere, e nessuno dei due avrebbe potuto chiedere altro ;).
E... Parlando della storia, devo ammettere che è stata quella più difficile da scrivere, soprattutto per i temi che ho affrontato: la famiglia e la depressione derivante dalla morte di una persona cara. E' da un anno e più che ci sono dietro, e l'avevo pensata ed impostata in maniera diversa all'inizio. Solo che ho capito che non andava bene e l'ho iniziata di nuovo in maniera diversa. Durante la scrittura di questa storia ho trovato davvero tante difficoltà, però sono felicissima di come sia venuta fuori. Ho cercato di dare il massimo anche se non credo che sia stato uno dei miei lavori migliori. Però ci ho messo il cuore, in ogni cosa, e sono soddisfatta di quel che ho fatto.
Spero vi sia piaciuta e che vi abbia lasciato qualcosa, anche se piccolo.
E ringrazio voi lettori con tutto il cuore: per quelle persone che hanno recensito, per gli 8 che l'hanno messa tra le preferite, per quell'1 persona che l'ha messa tra le ricordate e per le 10 persone che l'hanno messa tra le preferite. Non avete idea di quanto mi abbiate resa felice, sul serio. Spero davvero che vi sia piaciuta. E appunto perchè è l'ultimo capitolo, vorrei sapere da tutti voi che cosa ne pensate, soprattutto se avete critiche (costruttive) da fare :). Grazie mille per ogni cosa, siete meravigliosi! Vi voglio davvero troppo bene! <3
Piccola informazione: siccome ho in mente una long su Calum che tuttavia non so di preciso quando inizierò a postarla, vi dico che risponderò alle recensioni di questo capitolo quando la storia sarà online, così vi informo (e tranquilli, sarà diversissima da qualsiasi altra storia che ho pubblicato fino ad ora). 
Grazie ancora per ogni cosa, sul serio! A presto! <3
Un bacione, Letizia <3

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