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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Paturnie e cameratismo. *** Capitolo 2: *** Bonus - Preludio al Capitolo 2: Chi di rutto ferisce... *** Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Al peggio non c'è mai fine. *** Capitolo 4: *** Capitolo 3 - L'ingrediente segreto. *** Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Verso la fine dei giochi? *** Capitolo 6: *** Capitolo 5 - The day after. *** Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Mine vaganti e suicidi verbali. *** Capitolo 8: *** Capitolo 7 - The peacemaker (?) *** Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Granate inesplose e crucci imperiali. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - Paturnie e cameratismo. ***
-Ridimensionati
Salve a tutti,
questo é il mio esordio qui su EFP, wow
che emozione^^;
Per quanto concerne la stesura di
questa fanficmediocre e senza pretese mi sono
ispirata ad un episodio di CT (il ventunesimo della serie “Road to 2002” e la sua controparte cartacea, i volumetti 26-27 dell’edizione italiana) e ci ho ricamato un
po’ sopra; non é niente di che, sono io la prima a riconoscerlo, per cui non massacratemi con le critiche e siate
clementixD
Perdonate il gergo un po’ scurrile
di certi dialoghi, ma non mi andava di girare troppo intorno alle parole e
sinceramente lo ritengo adatto al contesto e ai
personaggi, in quanto é bene non dimenticarsi che si tratta pur sempre di
ragazzi adolescenti che non si esprimono certo come il Manzoni.
Spero che possa essere un minimo di vostro gradimento anche cosí.
Ah, altra cosa. Io tendo ad abusare
degli avverbi. In questa ficho
cercato di limitarmi, spero non ce ne siano ancora troppi. Non posso
farci niente, è piú forte di me, per
cui è inutile farmelo notare nel caso ce ne fossero, sto cercando di
smettere xD
*Piccolo appunto sugli accenti*
Lo so che gli accenti sono tutti al
contrario, ma ho la tastiera spagnola impostata e ormai mi sono disabituata ad
usare quella italiana, e ritenendo la cosa un
dettaglio piuttosto insignificante ai fini della narrazione non li ho corretti.
*Piccolo appunto sul titolo*
Dal momento che quando scrivo
raramente penso ad una trama ben precisa e tutto si snoda nella mia testa
strada facendo, non escludo che il titolo di questa fic
possa cambiare nel corso dei capitoli (che comunque
non credo saranno piú di tre o quattro).
• CAPITOLO 1 –
Paturnie e cameratismo.
-Ridimensionati.-
Fu tutto ció
che disse Kojirō sibilando sprezzante, mentre
oltrepassava il portiere urtandogli volontariamente e non troppo delicatamente
una spalla.
Genzō non proferí
parola, ne aveva giá dette
fin troppe, e si limitó a rimanere immobile, impassibile, con lo sguardo
adombrato dalla visiera del suo sempiterno cappello.
Se non fossero
intervenuti Jitō e Takasugi
probabilmente il loro diverbio sarebbe sfociato in una sonora scazzottata, con
l'ovvia conclusione che si sarebbero fatti subito riconoscere anche all'estero. D'altra parte, non sarebbe stata
la prima volta che arrivavano alle mani, il loro rapporto era sempre stato
piuttosto sul filo del rasoio; con Kojirō i casi
erano due, o si imparava ad ignorarlo oppure sul serio
ogni pretesto era buono per suonarsele di santa ragione. In tutta la sua vita,
mai aveva incontrato una persona che lo irritasse di piú: la semplice sua presenza gli faceva prudere le mani,
non poteva farci niente. Tuttavia, Genzō doveva
riconoscere che stavolta se l'era proprio cercata.
Non che la cosa lo infastidisse, al contrario, provava sempre un sottile
piacere nello stuzzicare l'eterno rivale; si sentiva solo un tantino colpevole
nei confronti del resto della squadra,in effetti ci aveva davvero calcato un po'
troppo la mano. Aveva preso alla lettera la richiesta di Mikami,
e non aveva fatto nessuna fatica a calarsi nei panni dell'arcigno rompipalle
per spronare la squadra, anzi, quel ruolo gli calzava a pennello, dopotutto era
un lato del suo carattere spigoloso che, per quanto si fosse molto smussato nel
corso degli anni, non sarebbe mai scomparso del tutto. Era stato semplicemente,
puramente odioso con i ragazzi, né piú né meno.
E poi Tsubasa
era ancora semi-infortunato ed era stato tutto il tempo in panchina a fremere
dalla voglia di entrare in campo; senza di lui non avevano nessuna speranza di
vincere, non soltanto contro di loro, ma contro i campioni europei in generale.
In fondo gli aveva detto semplicemente la veritá, era
quello che pensava anche lui, non soltanto il suo coach.
E si sa che la veritá poteva
fare molto male.
Ovvio poi che l'idrofobicoKojirō sempre
pronto alla rissa non avesse preso di buon grado il fatto che Genzō si fosse praticamente
rifiutato di parare il suo tiro. Un affronto simile, e per giunta proprio da
lui, il suo piú acerrimo nemico! Era una vita che
provava a segnargli da fuori area, e stavolta ne avrebbe
avuto forse una buona occasione, tanto il Giappone era sotto di 5 goal e ormai
non avevano piú nulla da perdere. Peró
lui aveva cercato di non farsi sconfiggere con disonore, segnando almeno una rete, e preso da questo obiettivo in quel momento aveva
preferito non rischiare, accantonando la loro sfida sempre aperta.
Ed era stato questo che aveva
infastidito l'SGGK piú di
ogni altra cosa. Le parole che aveva detto a Kojirōerano 100% farina del suo sacco, non gli erano certo
state imboccate da Mikami, viste le circostanze le
avrebbe dette in ogni caso. In quel momento gli era sembrato semplicemente
troppo un codardo e un vigliacco, era rimasto profondamente deluso da lui e si
stava chiedendo se valesse davvero la pena considerarlo un avversario degno di
questo nome.
Non lo sopportava, punto e basta.
Tempo sprecato quello passato a crederlo il suo rivale di sempre.
Forte di questa rinnovata
certezza, a fine partita siavvió
verso gli spogliatoi seguito a ruota da un Kaltz la
cui curiositá stava toccando quasi i massimi storici.
-Bé, si puó
sapere che é successo? Ancora un po’ e vi scannavate...dai, racconta tutto allo
zio Hermann!- Esordí ormai
del tutto incapace di trattenersi oltre, mentre faceva roteare lo stecchino con
la lingua fremendo di impazienza. Genzō
non aveva per niente voglia di parlarne, e togliendosi
la maglietta rispose fra i denti con un evasivo -Mah, storia vecchia.- Sperava
che l'amico afferrasse l'antifona e si facesse i fatti propri, almeno per
quella volta. Speranza vana, avrebbe dovuto immaginarlo.
-Eh no, non ti sognare di potermi
liquidare cosí! Non tenermi sulle spine, lo sai che
sto morendo dalla curiositá...non ci ho capito una cippa di quello che vi siete detti!-
Ovvio, pensó
il portiere, avevano parlato in giapponese -Ci manca
solo che adesso debba farti anche da interprete, scimmiaccia!- Scherzó, gettandogli in faccia il calzino sudato che si era
appena sfilato e scappando lesto sotto la doccia. Kaltz,
schifato, gli urló dietro senza smettere di
sputacchiare e passarsi le mani sul viso colpito dall'immondo oggetto -Ohi
sfinge! Non c'é bisogno che condividi con noi poveri mortali i tuoi soavi
olezzi post-partita, ho rischiato l'asfissia, io...e
voialtri che avete da ridere? Ne volete un po’ anche voi?- E cosí dicendo si tolse rapidamente
calze, scarpe e pantaloncini lanciando il tutto addosso ai suoi compagni di
squadra che si stavano ribaltando alla vista della scenetta di poco prima, ma
che non esitarono un istante a riprendersi schizzando rapidamente in tutte le
direzioni per evitare le armi batteriologiche dirette
a tutta velocitá verso di loro.
Genzōsogghignó leggermente tra sé e sé, mentre lasciava che
l'acqua calda della doccia gli scorresse sulla schiena allentandogli a poco a
poco la tensione muscolare. Com'é che l'aveva chiamato il buffone? Sfinge?
Era da parecchio che non se lo
sentiva dire, l'ultima volta doveva risalire a qualche anno
prima. L'aveva coniato Kaltz (e chi sennó?) in “onore” alla sua riservatezza e
imperturbabilitàe non l’avrebbe mai
ammesso con lui, ma trovava che quel nomignolo gli
calzasse a pennello. Sapeva di essere piuttosto criptico e sapeva anche che
nascondere le proprie emozioni era un'ottima strategia di difesa; si era
abituato a rinchiudere l'emotivitá in un angolino del suo cuore da cosí
tanto tempo ormai che non si ricordava neanche piú
quando avesse iniziato a farlo.
Tre anni prima, Kaltz era stato il primo a capire ció
che si nascondeva sotto quella scorza dura e l'aveva aiutato non poco ad
integrarsi, prendendolo sotto la sua ala. Dopo una prima impressione tutt’altro che positiva (che non
si discostava poi troppo dalla realtà, in effetti) in cui Genzō
non si era certo sprecato a socializzare e anzi era passato per lo sborone di turno, era stato grazie al contributo del fido
prode Hermann che i compagni avevano imparato a
conoscerlo e, capendo come era fatto, lo avevano accettato per quello che era,
anche se un buon terzo di loro tutt'ora faceva fatica
a filarselo e lo riteneva solo uno sbruffone presuntuoso. Bravo, senza dubbio,
ma sempre sbruffone rimaneva. Logicamente non tutti avevano la pazienza ed il
sesto senso di San Kaltz che si preoccupava per lui e
che percepiva sempre quando qualcosa lo turbava; e c’era anche naturalmente
qualcuno a cui non importava un tubo di quello che gli passava per la testa,
bastava che stesse in porta e parasse quanti piútiri possibile. A pensarci bene,
era strano che due persone con due caratteri cosí diametralmente opposti andassero tanto
d’accordo, ma forse cióera dovuto
al fatto che proprio questa diversitá gli permetteva
di compensarsi a vicenda.
All' inizio dei suoi giorni in
terra tedesca aveva fatto non poca fatica ad abituarsi alla nuova condizione di
studente straniero, vuoi per la lingua cosí
differente e per le difficoltá a comprendere e a
farsi comprendere, vuoi per il carattere
tendenzialmente piuttosto schivo. Lo infastidiva enormemente che gli altri potessero giudicarlo, ma d'altra parte in quel frangente non
fremeva certo dalla voglia di farsi conoscere; non aveva mai amato straparlare
di sé, né amava dare aria ai denti sprecando il fiato in uno sterile blablabla. Voleva solo essere lasciato in pace a metabolizzare
quella situazione nuova secondo i suoi ritmi, non gli sembrava di chiedere
troppo, era un suo diritto, dopotutto...e invece NO, Kaltz
era atterrato a pié pari e senza troppi complimenti
nella sua vita, riuscendo a scalfire la sua corazza dalla solidità comprovata quel tanto che bastava per arrivare a leggergli un po' dentro e capire che tipo di persona fosse in realtá.
In breve tempo i due erano
diventati inseparabili e finalmente Genzō poteva
dire di aver trovato un amico vero, ruolo che nessuno aveva mai ricoperto prima
di allora nella sua vita, e perfino il rapporto che aveva con Tsubasa non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello
che si era instaurato fra lui e il difensore tedesco.
Il “duo” era presto
diventato un “trio” con l'ingresso di Schneider,
l'impassibile e autoritario capitano della squadra amico di Kaltz
da una vita che, al di lá del tipicopiglio imperiale che lo faceva apparire snob
e strafottente, era una persona leale dotata di un brillante senso dell'umorismo
ma soprattutto di uno spiccato sarcasmo, dato le frecciate che soleva lanciare a destra e a manca.
“Sfinge” eranato agli albori della loro amicizia, quando Hermann si divertiva a punzecchiarlo spesso con quel nome;
anche altri, sentendoli, avevano preso a chiamarlo cosí,
finché non era diventato di pubblico dominio. Ma
inevitabilmente anche quella “moda” era tramontata, e a distanza di tre anni
ormai quasi nessuno lo chiamava piúcosí.
-Ma che gli é
preso a Wakabayashi oggi? Ha mangiato un
leone? Non ha fatto altro che urlare dietro ai suoi connazionali e a momenti
lui e quell'altro mulatto si sbranavano
in campo...- commentóKlaus
ficcando l'uniforme sudicia usata in partita dentro la sacca, mentre aspettava
che venisse il suo turno per la doccia.
-Che vuoi farci,
avrá le sue cose...- replicó
un Brigel per nulla interessato alla questione,
scatenando l'ilaritá generale. Perfino l’algido Schneider si lasció scappare una
risatina.
In quel momento, dalla doccia dove
Genzō stava finendo di asciugarsi si involó una bottiglietta di
shampoo diretta verso la testa di Brigel, che muguló dal dolore. -Avete finito di fare cameratismo alle
mie spalle?-
Un secondo dopo l'SGGK,
con un ghigno sinistro stampato in faccia, emerse dalla sua postazione
brandendo l'asciugamano che si abbatté a mó di
frustino sul didietro del Kaiser, che gli dava la schiena mentre si allacciava
placidamente una scarpa. E ovviamente questi, colpito a
tradimento, non tardó a rispondere al fuoco.
-Si usa cosí
al tuo paese? Colpire la gente alle spalle?! Adesso facciamo i conti, muso
giallo!- Tuonó massaggiandosi la Reale Chiappa
colpita, mentre afferrava il suo asciugamano e mandava a segno una frustata sui
polpacci del portiere la cui faccia, sghignazzante fino ad un attimo prima,
sicontorse in
una smorfia di dolore.
-Bé, ma che riflessi da
pensionato...non lo sai che non si deve mai abbassare
la guardia, bifolco?- Neanche il tempo di finire la frase che gli erano giá arrivate altre tre frustate dai compagni, frementi di
dare il loro contributo, ed al grido di “AMMUTINAMENTO!!” si innescó definitivamente la battaglia. Il povero capitano
ebbe appena il tempo di pronunciare un indignato-Bastardi, cos'è questa coalizione contro
di me!- che venne letteralmente investito da una pioggia di scudisciate
proveniente da tutte le parti. Cercó di difendersi
alla bell’è meglio, ma alla
fine fu costretto a soccombere; stremato e dolorante, riuscí
sfuggire alle grinfie dei suoi aguzzini strisciando sotto ad una panca, da dove
chiese una tregua al gruppo.
-E adesso che
siamo rimasti senza capitano, a chi potremmo rivolgere le nostre amorevoli
attenzioni?- esclamó sarcastico Genzō,
ormai eletto leader della rivolta, mentre si guardava intorno in cerca della
prossima preda.
In quel momento nove paia di occhi si posarono su Kaltz che stava allegramente arrotolando l'asciugamano,
preparandosi al nuovo scontro che certo non immaginava avrebbe avuto lui come
vittima designata.
-Proprio no, non sognatevelo
neanche!- E cosí dicendo la scimmia si diede alla fuga in una frazione di secondo, portandosi
dietro tutta la squadra tranne Karl, che
approfittando del nuovo capro espiatorio poté uscire dalla sua tana e andare a
sdraiarsi a pancia in giú sulla panca, perché per il
momento di appoggiare il martoriato sedere su di una superficie solida non se
ne parlava neanche.
-Dai Kaltz,
tesoro, esci da lí dentro, mica
ti facciamo niente!- CinguettóGenzō
con voce suadente, mentre Meier cercava di forzare la
serratura della porta del bagno dove l'amico si era barricato.
-Taci, Giuda! Proprio tu, dopo tutto quello che ho fatto per te!- Esclamó
l'altro di rimando in tono fintamente offeso, mentre saliva in piedi sul water
per cercare di uscire dalla finestrella. Il passaggio era piuttosto stretto, ma
ad occhio e croce calcoló che sarebbe
dovuto passarci. Calcolo errato, ovviamente.
-Zitti tutti!- IntimóGenzō appoggiandosi
con l'orecchio alla porta, subito imitato da chi aveva vicino. Si udiva un rumore di
sfregamenti e sbuffi, e quando Kaltzimprecó a mezza voce il portiere decretó:
-Sta cercando di uscire dalla
finestra! Bracchiamolo dall'altra parte, presto!- Fece cenno agli altri di
allontanarsi, e facendo un gran baccano giunsero fino
alla porta dello spogliatoio, che aprirono e chiusero ma non si mossero da lí. Genzō si mise un dito
sulle labbra per intimare il silenzio assoluto e, cercando di trattenere le
risate, si riavviarono tutti in punta di piedi verso il bagno.
Kaltz, rimasto con i
piedi sospesi mezzo fuori mezzo dentro, sospiró di
sollievo e si caló di nuovo a terra. Si accostó
alla porta: nessun rumore. Fece scattare la serratura con prudenza e aprí uno spiraglio per dare una sbirciata, che non si sa mai...ed in quel momento la porta venne quasi scardinata
e nove leggiadre figure si abbatterono su di lui, trascinandolo fuori di
peso.
-Certo che anche tu, farti fregare
in quel modo...é il trucco piú vecchio del mondo!- SghignazzóSchneider dalla panca
dove si era regalmente svaccato e da cui si stava
godendo lo spettacolo.
-Vá a farti fottere, Imperatore del Kaiser!- Strepitó
l'altro furente, mentre la punizione del branco iniziava inesorabile; si difese
strenuamente calciando, sputando e mordendo al grido di -Venderó
cara la pelle!-, ma a salvarlo dal linciaggio sicuro a suon di asciugamanate intervenne l'allenatore, allertato
dagli schiamazzi che si udivano fin quasi dal centrocampo.
-Maccheccazzo state facendo,
razza di somari?!- Tuonó irrompendo nella stanza,
rimanendo basito di fronte alla scena. Lanció un'occhiata a Schneider, sempre spalmato sulla panca, che alzó le spalle dicendo: -Io non c'entro niente, se la sono
presa anche con me...- e gli indicó i segni rossi che aveva sulle gambe, aggiungendo -...eviteró di farle vedere in che condizioni si trova il mio
didietro.-
Il bollettino di guerra a fine
sommossa fu tragico; nonostante il “pestaggio” di Hermann
fosse durato relativamente poco grazie al salvataggio dell'allenatore, era
molto piú malconcio rispetto al Kaiser che le aveva
prese ben piú a lungo.
-Cristosanto ragazzi, cosa avete? Sei anni? Ma vi sembra il caso di comportarvi cosí?-
Genzō e compagni si scambiarono un'occhiata sghignazzando,
aspettandosi di vedere la vena pulsante sulla sua fronte esplodere da un
momento all'altro. L'allenatore si accorse di star parlando ad un muro e sospiró scuotendo il capo, rassegnato. Bah, pensó, in qualche modo dovevano pur scaricare la tensione.
-Visto che avete fatto bella
figura nell’amichevole di oggi, per stavolta passi. Ma che non si ripeta piú. Non
siete all'asilo! E datevi una mossa a cambiarvi!- Detto questo
uscí sbattendo la porta. Definirla bella
figura era un eufemismo, pensóGenzō.
Avevano stravinto per 5 a 1, un risultato esaltante per l’Amburgo ma a dir poco
infamante per la Nazionale giapponese, considerando anche che il loro unico
goal era stato praticamente un suo regalo. Kojirō, dopo aver subito le sue parole pesanti come macigni
e dopo aver soffocato l’istinto di ucciderlo, si era sfilato la fascetta di
capitano e l’aveva passata a Matsuyama, dimettendosi
da quell’incarico. Doveva avergli
proprio mandato l’orgoglio in frantumi per fargli prendere una simile
decisione, si disse compiaciuto.
-Evvai, niente strigliata...dev'essere in buona oggi!- EsclamóHimmel allegramente,
finendo di infilarsi un maglione e distraendo Genzō
dai suoi pensieri.
-Giá, peró
la prossima volta castigheremo anche la volpe, non solo il gatto!- disse Klaus ridacchiando, usando uno dei soprannomi con cui erano noti Genzō ed Hermann all'interno della squadra.
-Ma che razza di
dementi...- borbottó il gatto in questione, mentre
richiudeva il borsone con un gesto stizzito. Dal collo in giúera tutto un dolore, domani sarebbe stato un livido
vivente.
-Non ti sarai mica offeso per cosí poco!- EsclamóGenzō alias la volpe, apparendogli di fianco. I due si
guardarono per un attimo e poi attaccarono a sghignazzare in sincrono.
-La prossima volta te la faccio
pagare, sfinge del cazzo!-
-Vedremo, nano malefico!- Lo
scambio di affettuose battute venne interrotto da uno scazzatissimoSchneider che,
sacca in spalla, li aspettava con la mano giá sulla
maniglia della porta.
-Avete finito di flirtare? Possiamo andare?- Per tutta risposta gli
arrivarono addosso una scarpa del portiere e la sacca
di Kaltz, in quest'ordine.
-Ahia, ma perché? Io ho giá subito abbastanza per oggi!- Si lamentó
lui, rinviando gli oggetti ai mittenti e massaggiandosi un braccio. Poi
aggiunse, alzando la voce per farsi sentire anche dagli altri -domani vi massacreró tutti agli allenamenti, capito, voialtri
bastardi?- Al che i “loraltri” bastardi si misero in
assetto da guerra pronti a scagliargli contro borsoni e quant'altro
capitasse a tiro, ma Schneider
fu lesto a imboccare la porta, gridando: -Ci vediamo domattina alle sei! Sono proprio
curioso di vedere se farete ancora gli smargiassi, non avrópietá!-
La squadra sbuffó
e si levó una protesta.
-CheppalleKarl,
per festeggiare la vittoria non potremmo riposarci un pó?
Ti ricordo che io e te siamo anche stati presi a
frustate e saremo due stracci domani...- si lagnóHermann, ma il capitano lo zittí
dicendo - Sí, e guardacaso
tu eri uno di quelli che mi menavano, mentre ti ricordo che io non ho partecipato
al tuo pestaggio...tu e Wakabayashi domani sarete i
miei, di bersagli!- E se ne andó con una risata
sadica, lasciando i due estremamente contrariati.
-Bella mossa, genio!- Lo apostrofóYara
seccato, tirando un grattone sulla nuca del portiere.
-Checazzo
vuoi, tu?- Si rigiró lui, ringhiando.
-Ti dobbiamo ricordare che l'idea
delle frustate é stata tua? Quello domani ci fará il
mazzo!-
-La volete piantare? Voi non vi
siete mica tirati indietro, mi sembra...e poi ha detto che se la prenderá principalmente con noi due, perciò ritenetevi
fortunati!- Esclamó lui di rimando, sbuffando.
-Sí, ma ci tocca lo stesso
presentarci in campo alle sei...e io che speravo di poter dormire!- Bofonchió Linz, trovando il consenso degli altri sette, che
annuirono convinti.
-E non credere che quel negriero
ci andrá leggero con noi, conosco i miei polli...tanto
lo so che ci dovranno raccogliere tutti col cucchiaino alla fine!- Continuó Meier con disappunto, immaginando la sfacchinata
che gli sarebbe senz'altro toccata. Kaltzalzó gli occhi al cielo ed esclamó, buttandosi la borsa in spalla -Mio Dio come siamo
delicati, eh, signorine? Ben vi sta, é la giusta punizione per avermi picchiato
a sangue! Almeno non saró l'unico a rimetterci!- Poi,
cacciando una pedata al deretano di Genzō che si
stava infilando la scarpa precedentemente lanciata
addosso al Kaiser, aggiunse: -Ti dai una mossa? Quanto ci metti, sei peggio di
una donna!-
L'amico gli rispose tirandogli una
manata sul coppino che glilasció il segno di tutte e cinque le dita, poi accelleró un po’ i tempi rendendosi conto che
effettivamente ci stava mettendo un secolo e, salutando gli altri, imboccarono
la porta.
-Waah! Mi sento meglio adesso.- EsclamóGenzō
stiracchiandosi. La guerra di asciugamani era servita
da pretesto a scaricare l'adrenalina che si sentiva in circolo per l'incontro
con l’ “amato” Kojirō, ed ora si sentiva
notevolmente piú rilassato.
-Grazie al cazzo,
a te nessuno ti ha preso a frustate! Io invece mi
sento a pezzi...- borbottóHermann
di rimando, massaggiandosi la nuca arrossata.- E comunque
non mi hai ancora detto il motivo di tanto astio fra te e quel tipo!-
“E ti
pareva, se n'è ricordato” pensóGenzō
schioccando la lingua. -Non é che mi vada tanto di rivangare
vecchi rancori. E poi é una storia che puoi fare
benissimo a meno di conoscere, per quello che vale. Guarda, c'è Schneiderlá in fondo!- E indicó col dito il ragazzo che si era
fermato ad allacciarsi una scarpa.
-Bah, lascia giudicare a me se é o
non é importante...tu intanto inizia a dire!- Replicó
Stecchino imperterrito, lanciando subito dopo un fischio per attirare
l'attenzione di Karl e fargli capire di aspettarli.
-Che palla che seiHermann. Lascia perdere, non ora, é inutile che
insisti.- Schneider li atteselí dov'era piuttosto di malavoglia e quando lo
raggiunsero li apostrofó con il consueto garbo:
-Di che parlate, finocchi?-
-Delle paturnie di Genzō.- Rispose Hermann
sputando lo stecchino ormai logoro sui piedi del portiere che si ritrasse
istintivamente.
-Eh certo che sei proprio un poeta
tu, fai venire voglia di confidarsi- commentó lui
sarcastico mentre osservava l'amico che ne pescava uno nuovo dalla tasca e se
lo infilava in bocca -quegli stecchini per te sono peggio di una droga, ma giri
sempre con la scorta dietro?-
-Bel tentativo di cambiare
argomento, ma con me non attacca, amore. Guarda che te lo sputo in faccia, se
non mi dici qual'è il
problema.-
-Problema? E
con chi, con quel tizio di colore?- Intervenne Karl
incuriosito, mentre fissava schifato Kaltz che
ciucciava tutto contento il suo nuovo stecchino.
-Bé, certo che rispetto a te sono tutti “di colore”, o mio diafano Imperatore ariano- sogghignóGenzō -e comunque
io e lui non ci siamo mai sopportati. E' da quando abbiamo 11 anni che ci
stiamo vicendevolmente sulle palle, quindi non c'è molto da spiegare.-
-Come no? Ci sará
un motivo se vi odiate tanto!- Insistette Karl, al che Genzōscrolló le spalle.
-Boh. A pelle, credo. E poi fondamentalmente lui é un vigliacco. Oggi non ha
neppure tentato di segnarmi da fuori area, nonostante ne avesse
avuto l'occasione. E' una cosa che si é ripromesso di fare da quando eravamo
piccoli, e che non ha mai messo in pratica. Voglio dire, non ci é mai riuscito
anche se ci ha provato in passato, dopotutto sono l'SGGK…-
e qui Karl ed Hermann si
scambiarono un'occhiata roteando le pupille al cielo -…peró
cristo, non ti puoi arrendere cosí. Che persona inutile.-
-Mi pare di capire che peró ti stimola il confronto con questa “persona inutile”- osservóKaltz, e poi aggiunse, un
po’ risentito: -Certo che sei proprio un fenomeno tu, io ti faccio una testa cosí per sapere cosa c'è che non va e tu non mi caghi di
striscio, poi arriva questo pirla qui- e indicóSchneider –che ti fa una
domanda a caso e finalmente ti decidi a vuotare il sacco, come se niente
fosse!-
-Che ci vuoi fare scimmia, colpa
del mio ascendente...non vedi come sono carismatico?-
Si pavoneggió il Kaiser mentre si spostava una ciocca
di capelli dalla fronte con fare civettuolo.
-Occhio Schneider,
guarda che ti sputo...- minaccióHermann
preparandosi all'espulsione del suo stecchino direttamente sulla bella faccia
del capitano.
-Ero giá
sul punto di cedere- si giustificóGenzō sghignazzando -Schneider
ha fatto la domanda giusta al momento giusto.-
-Sí certo, ma quello che si é interessato prima di chiunque altro sono io...e guarda come
viene ripagata la mia solerte amicizia...-
-Ehm, posso avere un po' d'attenzione dai coniugi Kaltz?
E non riprendete il corteggiamento, che non se ne puópiú-sbuffó
spazientito Karl-E' tutto
qui, Wakabayashi? Lo odi solo perché ha rinunciato a
segnarti da fuori area visto che sa che non ci
riuscirebbe comunque?-
-Cos'è, mi stai facendo un complimento,
Schneider?- Disse l'altro, facendo la ruota come un
pavone -Lo so che sono insuperabile da fuori area, mi fa piacere che tu l'abbia finalmente riconosciuto!-
-Ma piantala,
razza di montato...hai pure il soprannome da megalomane- ironizzó
lui, riferendosi all'acronimo di SGGK e rimediando da Genzō
un “ah bé, ha parlato l’Imperatore” -...e comunque
no, non era quello il punto, scimunito.-
-L'avevo capito, stordito che non sei
altro. No, non è solo per quello. E' un odio atavico, va
bene? E non ti ci mettere anche tu a rompere come quest'altro!-
Esclamó indicando col mento Kaltz
che glimostró affabilmente il
dito medio.
-Che risposta del cazzo,
ci deve essere una ragione, Wakabayashi.- ContinuóSchneider, che quel
giorno sembrava voler battere il suo record personale di loquacitá.
-Mah, forse mi dá
fastidio la sua boria- Genzōsi
interruppe udendo Kaltz sibilare -...disse il
Signore dei Boriosi...- e poi continuó, dopo averlo
fulminato con lo sguardo -...e comunque é talmente irritante che se lo conosci
lo eviti.- Il suo tono era definitivo e a quel punto Schneiderscrolló le spalle, intuendo che non ci sarebbe piú stato modo di cavargli altro.
-Bah, allora chi se ne frega...- disse sbadigliando, ormai annoiato dalla
discussione. -Donzelle, io vi saluto qui, ci vediamo
domani puntuali alle sei. E vedete di non sgarrare neanche di un minuto, vi
conviene.-
Kaltz fece per salutarlo con
un’amorevole pedata ma il Kaiser fu piú veloce e scappó girando l'angolo. Borbottó
qualcosa sommessamente e poi udendo il trillo di un cellulare si voltó a guardare il portiere, che dopo l'ultima risposta si
era chiuso in un ostinato mutismo e sembrava perso nei propri pensieri; era
davvero stanco di pensare alle vecchie conoscenze riviste in quell’amichevole,
tutto ció che voleva era infilarsi in un letto e
dormire fino a domani.
-Ehi ci sei, bellezza? Ti sta
squillando il cellulare.- Genzō si riscosse e affondó le mani in
tasca per recuperare l'oggetto, chiedendogli nel frattempo che fine avesse
fatto Schneider.
-Ma sei proprio svanito allora, ci
ha salutato due minuti fa, e ci tengo a sottolineare
che eri presente quando l'ha fatto...-
-Mi ero solamente distratto,
idiota...- Replicó lui alzando una mano per mollargli
l’ennesima cinquina sulla nuca, ma quando lesse il nome della persona che lo
stava chiamando rinunció e cambió
totalmente espressione, sbuffando stizzito. Lo rispettava come giocatore,
riconosceva e apprezzava il suo valore e gli voleva pure bene in fondo, ma
certo che ne aveva di tempismo a rompere i coglioni, quel ragazzo. Esitó un
istante per raccogliere le ultime briciole di forza di volontá
che gli restavano e sforzarsi di rispondere con la
solita nonchalance.
-Ehilá capitano, a cosa devo il piacere?-
Esclamó infine, rassegnato.
-Smettila di chiamarmi capitano,
per te non lo sono piú da un pezzo ormai- ridacchióTsubasa dall’altra
parte, e l’allegria che traspariva dalla sua voce gli urtó
lievemente i nervi.
-Volevo invitarti ad una piccola
rimpatriata con la vecchia squadra. Che ne dici, sei dei
nostri?-
Ecco lo sapeva,
doveva aspettarselo. Tipico, per cos’altro avrebbe dovuto chiamarlo, sennó? Che avessero da festeggiare
dopo l’umiliazione subita, poi, proprio non se lo spiegava.
-Mhm ah, ma che idea carina- disse
pensando l’esatto contrario e preparandosi giá una
scusa per evitare l’incombenza –per quando sarebbe?-
-Stasera…piú
precisamente fra tre ore e mezzo.-
-Non so Tsubasa,
domani ho gli allenamenti alle sei e sono piuttosto fiacco, sinceramente preferirei andare a dormire presto…- non dovette neanche
sforzarsi piú di tanto per trovare un pretesto, in
fondo quello che aveva detto era vero.
In quel momento Matsuyamastrappó di mano il
cellulare a Tsubasa e gridó:
-Non fare il rompipalle come
sempre e vedi di esserci, chiaro? Dobbiamo tutti spaccarti la faccia per come
ti sei comportato oggi!-
Genzōridacchió
esclamando: -Ah, adesso sí che ho voglia di venire!
Non sará che siate un po' masochisti? Avete sul serio voglia
di vedermi dopo che, lo ammetto, sono stato un vero stronzo
con voi?- Non sapeva perché ma lo scazzo di poco
prima gli stava passando, forse un salto avrebbe anche potuto farlo.
-Sinceramente non ho visto molta
differenza rispetto al solito- rispose pungente Hikaru,
a metá tra il serio ed il faceto –e comunquesí, me lo sono chiesto
anch’io se fosse il caso di chiamarti, ma lo sai che abbiamo un Santo per
capitano…ringrazia lui se sei stato avvertito, per me avresti potuto benissimo
restare dov’eri!- Dio, quanto amava la schiettezza di quell’uomo.
-Wakabayashi? Lascia perdere questo zotico, è
fatto cosí…allora, vieni?- Gli
chieseTsubasa dopo essersi reimpossessato del proprio cellulare. Genzōesitó un istante e infine accettó
con un sospiro.
-E sia…vi faróquesto onore. Dove?-
-Ecco, a proposito. Non è che hai qualche bel localino da consigliarci? Non
conosciamo bene la cittá, e cosí
ci chiedevamo se…-
-Ho capito, ho capito. Mi consulto un attimo con
il mio consulente personale e ti richiamo, ok?- Riattaccó sbuffando, lasciando unoTsubasa dubbioso a chiedersi chi mai fosse questo
consulente, e lanció uno sguardo a Kaltz che lo stava fissando interrogativo.
-Bé, chi era?- Incalzó
subito lui, gingillandosi lo stecchino fra le dita.
-Tsubasa.- L’amico fece una faccia
perplessa e chiese:- E sarebbe?-
-Il mio ex-capitano. Quello che
non ha potuto giocare oggi per un infortunio alla spalla.- Spiegó
l’altro pazientemente.
-Ah sí,
rimembro. Sai che sono negato a ricordare i vostri nomi impronunciabili-
difatti lui aveva rinunciato fin da subito ad imparare lo spelling del suo
cognome, pensóGenzō -
…e che voleva?-
-Ma chi sei,
la mia ragazza?- Ridacchió l’altro, scuotendo la
testa. Non conosceva nessuno pettegolo ed impiccione
quanto lui, nemmeno Ishizaki arrivava a tanto.
-Ti ricordo che convoleremo a
nozze il mese prossimo, cava- scherzóHermann scimmiottando l’erre moscia- e suppongo che tu mi
debba tenere informato sui tuoi spostamenti.-
-Io sposato a
una scimmia nana? Giammai! Un adone come me si merita di meglio- Esclamó il portiere con una risata, guardandolo
strafottente dall’alto delle sue due spanne di vantaggio.
-Bé, non lo sai che nelle botti
piccole c’è il vino buono?-
Genzō rise e gli spiegó la situazione,
chiedendogli un consiglio su dove sarebbero potuti andare. Non se ne intendeva
molto neanche lui di locali e non aveva nessuna voglia di scervellarsi.
-Hmm.- Kaltz
riprese a succhiare lo stecchino e disse ridendo -Forse è
una trovata del tuo acerrimo nemico per coinvolgerti in una rissa e farti nero
di botte...magari quando vai lá li trovi tutti col
coltello fra i denti in missione punitiva!-
-Ma piantala,
dimmi piuttosto un posto decente dove posso portarli! Capirai se non mi toccava
anche questa rogna, l’unica cosa che desidererei adesso è di potermi infilare
in un letto e dormire fino a domani…-
-Non fare l’asociale come sempre,
non ti fa piacere vedere la tua vecchia squadra?-
-E’ una domanda retorica, dopo come
li ho trattati oggi? Non mi aspettavo neanche che mi chiamassero, a dirla
tutta. Devono proprio essersi bevuti il cervello.-
-Perché, come li hai trattati?- Genzō si ricordó che l’amico
non poteva aver capito quello che gli aveva detto in campo e si morse la lingua,
in effetti avrebbe potuto anche stare zitto. Adesso
avrebbe dovuto spiegargli tutto,e lui eragiá arcistufo di quella
storia.
-Mikami mi ha chiesto di spronare la
squadra, e io sono stato…diciamo "incisivo" con loro, ecco.- Spiegó sospirando, riassumendo il piú
possibile.
-Insomma hai fatto lo stronzo.- Concluse Kaltz, senza
smettere di giocherellare con l’amato stecchino.
-Come sei
sagace. Forse un tantino, sí. Per questo mi ha un po’
sorpreso che mi abbiano chiamato.-
-E dove sta il problema? Se ti hanno invitato, evidentemente non gli sarai stato poi cosí tanto sul cazzo. Tranne forse a quello “di colore”, come dice Karl.
Ma magari non verrá stasera, se fossi in lui non avrei nessuna voglia di vedere ancora la tua
faccia da schiaffi…-
Genzō rifletté un attimo sulle sue
parole, e si auguró che davvero Kojirō
non ci fosse. Non era proprio giornata e la sua
presenza sarebbe bastata a rovinargli la serata, ma
dal momento che probabilmente anche lui provava le stesse cose, dopo quanto
successo in partita magari non si sarebbe fatto vivo, come aveva ipotizzato Kaltz. Scrolló le spalle dicendo:
-In fondo chi se
ne frega.
Dimmi piuttosto ‘sto locale, cosí telefono a quel rompicoglioni di Tsubasa e la
facciamo finita.-
Capitolo 2 *** Bonus - Preludio al Capitolo 2: Chi di rutto ferisce... ***
Rieccomi qui,
a distanza di meno di ventiquattro ore, a pubblicare il mediocre seguito
della mia ficsenza pretese. Questa volta si
tratta di un capitolo bonus, che ho voluto inserire
come prologo a ció che succederá
(prima o poi, dipende dal mio tempo e dalla mia ispirazione, che sono incerti
come il domani) piú avanti nella “storia”.
Ringrazio
infinitamente la mitica Silen per il
bellissimo commento che mi ha lasciato e per aver fatto una visitina sul mio
sito, per me è un vero onore dal momento che sono una
sua grandissima fan…aaah queste sí
che sono soddisfazioni^^
• CAPITOLO BONUS - CRONACHE DA UNA
SERATA INFAUSTA
PRELUDIO:
Chi di rutto
ferisce...
Era
scontato. Figurarsi se quei due imbecilli non avrebbero
provato ad imbucarsi. Anzi, a dirla tutta dal Kaiser non se lo aspettava
proprio, era Kaltz il piú prevedibile,
per cui il suo stupore fu genuino e sincero quando
l’amico, che era passato a prenderlo, gli annunció
che anche il loro capitano avrebbe preso parte alla serata.
-Ma
chi, Schneider?-
-Quanti
altri capitani abbiamo? Uno basta
e avanza, e richiuditi quella mascella. Mi ha detto che tanto non aveva
nient’altro di meglio da fare stasera, e che veniva volentieri a scrutare i
musi gialli di quelle schiappe dei tuoi compatrioti che hanno perso 5 a 1.-
Genzō scosse il capo, abbozzando un mezzo sorriso. In fondo non gli
dispiaceva affatto, in loro compagnia non si annoiava mai e poi avrebbe avuto qualcuno con cui divertirsi a sfottere Kojirō senza che lui capisse un’acca di quello che
dicevano. Sempre che ci fosse stato anche lui, chiaro.
Ma a quel punto non aveva piú
molta importanza.
Dopo aver
chiamato Tsubasa, si erano dati appuntamento per le
nove al “Bar Rossi”*, un pub-birreria in zona Sternschanze
che il suo ex-capitano aveva dichiarato di saper raggiungere da solo, senza
bisogno che li passassero a prendere.
-Ho capito
la zona, e poi ho con me la cartina…mal che vada
chiameremo un taxi- Aveva detto baldanzoso al telefono e Genzō,
sapendo quanto potesse essere orgoglioso e testardo quando si impuntava, non
aveva osato contraddirlo. Tuttavia, si era preparato a vederseli arrivare con
un bel po' di ritardo, Amburgo non era poi cosí semplice da girare se non ci si era mai stati, senza
contare che quegli sprovveduti non sapevano una vocale di tedesco nel caso in
cui avessero dovuto chiedere informazioni. “Che palle” si era detto “mi toccherá andarli a raccattare da qualche parte, lo sento.”
Appena
preso posto al tavolo che avevano fatto riservare per diciassette, Kaltzdichiaró di voler prendere
qualcosa di diverso dalle solite bibite da poppanti, beccandosi un’occhiataccia
da Schneider che gliricordó, guardando il proprio orologio da polso, che fra
circa 9 ore avrebbero avuto gli allenamenti e che per allora lo voleva sobrio e
nel pieno delle sue facoltá motorie e mentali.
-Anche se
per quanto riguarda quelle mentali non c’è niente da fare, cambia poco che beva o no- sghignazzóGenzō, mentre buttava un occhio al menu che Hermann stava sfogliando, alla ricerca di qualcosa che lo
ispirasse.
-Massí,
massí, capirai…per un goccetto
di birra, e che sará mai- borbottó
lui che era troppo impegnato a leggere e non aveva
ascoltato la battuta del portiere.
-Che vi porto, ragazzi?- Squittì una cameriera i cui capelli erano
talmente biondi da sembrare bianchi, arrivando dal nulla e facendo sobbalzare i
tre che erano immersi in una fitta discussione per decidere che cosa prendere.
-Ordiniamo solo per noi?- FeceKaltz, indeciso.
-Si capisce
genio, come sappiamo i gusti dei musi gialli? Magari con un sorso di birra
quelli vanno k.o., o si
mettono a svomitazzare per tutto il locale…- replicó il Kaiser, facendo una faccia insofferente davanti all’ottusitá dell’amico.
-Fai poco
lo splendido, che anche noi abbiamo la birra, e lo sai- puntualizzóGenzō piccato, pensando che tuttavia era vero che i suoi compagni non reggevano molto qualsiasi tipo
di alcolico, almeno stando ai ricordi che aveva dell’ultimo tragico festino a
cui aveva partecipato in Giappone. La triste serata era finita con Matsuyama riverso sul tavolo a blaterare assurdità con la
bava alla bocca, Ishizaki che per poco non si metteva
a ballare nudo, Kojirō che attaccava briga con
innocenti lampioni sferrando fendenti, Misaki che mandava
baci di qua e di lá appollaiandosi alla schiena di
chiunque gli capitasse a tiro mentre rideva come un malato di mente, i gemelli
che facevano le prove per la catapulta infernale lanciandosi addosso agli
astanti, insomma, gli unici che ricordava completamente sobri e che alla fine
si erano ritrovati a fare le infermierine erano Misugi, che tanto non poteva bere,
e Tsubasa, che per dare il buon esempio non aveva
voluto toccare nulla. E lui…bé, lui si era ubriacato
un po’, ma solo un po’, e poi aveva bevuto molto piú
degli altri senza andare fuori di testa. E di questo c’era di che andarne fieri, si disse risoluto.
–Comunque no, non credo che apprezzerebbero la birra di qui.-
Concesse infine, pensando che fosse meglio per loro se quei pazzoidi dei suoi
connazionali non gli facevano fare delle figure barbine. Aveva una reputazione
da difendere, lui!
Tuttavia,
in barba ai buoni propositi del Kaiser che avrebbe voluto mettere un paletto al
consumo di alcolici per quella sera, alla fine il loro
tavolo venne invaso da tre boccali di birra da un litro e mezzo l’uno (per Genzō e Kaltz) e da un paio
di lattine di Coca-Cola (per lo stoico Schneider che
quando diceva NO era veramente NO.)
Ore nove e
un quarto, primo messaggino di Tsubasa:
“tra un po' siamo lí, scusa per il ritardo.”
Ore nove e
venticinque, secondo messaggino: “siamo
quasi arrivati”.
Genzō rispose scrivendogli “non c’è bisogno che mi informi
ogni dieci minuti, non ti stavo dando per disperso”. Seguí
il silenzio stampa.
Verso le
dieci meno un quarto si era ormai costretti ad urlarsi nelle orecchie per capirsi,
visto che il volume della musica di sottofondo del
locale era stato alzato notevolmente, come pure l’atmosfera al tavolo del trio,
riscaldata dalla birra che iniziava ad entrare in circolo.
-Senti
portiere mezzasega, ma a che ora hai detto che
dovevano arrivare i tuoi amici?- Fece uno Schneider
completamente sobrio a differenza degli altri due, che iniziavano a dare segni di instabilitá mentale, mentre
buttava un occhio all’orologio tra un sorso di Coca e l’altro.
-Mhm,
alle nove, se non ricordo male…- bofonchió il
portiere mezzasega staccando il boccale di birra
dalle labbra per rispondergli.
-Ebbene,
sono quasi le dieci, non ti sembra il caso di sentire che fine hanno fatto?- Continuó lui
saggiamente, muovendo una mano su e giú davanti agli
occhi di Kaltz mentre si chiedeva se non fosse il
caso di confiscargli il resto della birra, visto il sorriso ebete che aveva
stampato in faccia e lo stato catatonico in cui sembrava caduto, dopo che aveva
continuato imperterrito a sparare cazzate a raffica
fino ad un attimo prima.
-Naaah,
Tsubasa è in gamba, ce la fará.- Taglió
corto lui, impigrito dalla birra al punto che tirare fuori il cellulare e
mettersi a cercare nella rubrica il suo numero gli sembrava
un’impresa titanica.
-Fá
come vuoi…dopotutto sono i tuoi amici, non i miei- concluse,
facendo spallucce.
Genzōsbuffó rumorosamente e fu costretto ad
ammettere a sé stesso che il Kaiser quella volta aveva ragione, per cuiinfiló una mano in tasca
per ripescare il cellulare e chiamare quel deficiente che, evidentemente, si
era perso nei meandri di Amburgo.
-Chi chiami?- Chiese un redivivo Kaltz,
destandosi improvvisamente dalla catalessi.
-Quella
piattola di Tsubasa. Non ce la possono proprio fare,
sono in ritardo di un’ora…sono degli autentici casi clinici- mugugnó lui stropicciandosi la faccia per cercare di darsi
un tono e conferire almeno alla sua voce una parvenza di normalitá,
mentre aspettava che dall’altra parte della linea qualcuno rispondesse.
-Wakabayashi? Stiamo arrivando, non preoccuparti- disse la voce tranquilla del suo
ex-capitano, dopo pochi istanti di attesa. – Scusa se
non ti abbiamo piú avvertito, ma ci sono stati dei
contrattempi. Abbiamo avuto un piccolo…problema tecnico, per cosí dire.-
-Vabbé,
ammettilo che vi siete persi- fece Genzō,
sorridendo sornione mentre immaginava che doveva essere proprio lo stesso Tsubasa il contrattempo di cui parlava, dato che
probabilmente nella sua ottusa testardaggine si era rifiutato di chiedere aiuto
a qualcuno -…e sí che io nella mia infinita magnanimitá ve l’avevo pure offerta, una mano.-
-Non osare
provare a rinfacciarmelo- rise l’altro –e comunque
almeno intanto abbiamo avuto l’occasione di visitare un po’ la cittá, non è stato tutto tempo sprecato! Tra dieci minuti
saremo lí, porta pazienza. Non sarai mica tutto solo soletto al locale, vero?-
-No, ho due
grulli che mi tengono compagnia. Oltre chiaramente a un bel boccale di birra.-
-Perfetto,
allora sei in buone mani. A dopo!- E detto questo Tsubasa
interruppe la conversazione.
Genzō ripose il cellulare nella tasca dei jeans sospirando,
e aggiornó i due “grulli” sulla situazione. Schneider scosse la testa borbottando qualcosa circa la stupiditá di certa gente e Kaltzscoppió in una fragorosa risata ad immaginare i quattordici
allocchi nipponici che vagavano senza una meta per Amburgo.
Ad un certo
punto Stecchino, togliendosi il sorriso beota dalle labbra, disse con tono
solenne e una serietà davvero inusuale per lui:
-Sai…c’è una cosa che mi tengo dentro da un po'. E’
giusto che tu ora lo sappia, poi stará a te prendere
una decisione in merito. Ma ti prego di ascoltarmi
senza interrompermi.-
Genzōfissó
accigliato il volto dell’amico che, con un’espressione serissima,
si stava avvicinando pericolosamente al suo, infrangendo il limite dei
10 centimetri minimi di distanza. Poi, dopo attimi di silenzio carichi di tensione in cui
il portiere meditó seriamente di tirargli un pugno sui
denti, Hermann ruppe il pathos che si era
creato cacciandogli un rutto da guinness in faccia.
-Oddio, mi
hai fatto prendere un colpo, ma quanto sei fesso- esclamóGenzō mettendosi una
mano sul cuore a sottolineare la frase –per un attimo ho temuto che volessi
baciarmi, ho davvero sudato freddo.-
-Baciarti?
Ma quando mai, il nostro è un amore platonico, stellina!- Locanzonó lui soddisfatto per la bella prestazione, che
gli era valsa un plauso da Schneider.
-Ok,
l’hai voluto tu. Non posso farti diventare biondo con un rutto dato che per tua
fortuna lo sei giá, ma
almeno proveró a farti qualche meches.
Che colore preferisci, scimmia?-
Genzō ridacchiando si riattaccó al boccale per bere alla goccia la poca birra
rimasta e, non contento, afferró una delle lattine di
Coca del
Kaiser bevendone un paio di sorsate, ben deciso a rendergli la pariglia. Non
era certo avvezzo alle competizioni a suon di rutti, nessuno dei suoi amici in
Giappone si sarebbe mai sognato di fare una cosa simile, ma di sicuro non
voleva subire quell’onta in silenzio. Era giunto il
momento di darsi da fare.
Il destino
volle che, proprio mentre si concentrava per esprimersi al meglio in ruttese, affascinante e mistico idioma compreso in
tutto il mondo, la Nazionale giapponese facesse il suo
ingresso nel locale, e che la musica che era sempre stata a palla fino a quel
momento fosse sostituita da un breve ma fatale silenzio mentre il gestore cambiava
il cd. E, neanche a dirlo, lui non se ne accorse
minimamente se non dopo aver giá cantato il suo poema
direttamente nell’orecchio di un recalcitrante Kaltz
che aveva cercato invano di scrollarselo di dosso, quando cioè ormai l’aveva giá visto (o per meglio dire, sentito) sia la squadra al
gran completo, sia i due terzi del locale.
-Buonasera
anche a te, Wakabayashi! Ma
che bella voce baritonale, non me la ricordavo mica cosí
quando eri in Giappone!- Fece Ishizaki sghignazzando
senza ritegno, mentre metá dei suoi compagni si
rotolava e l’altra metá scuoteva la testa, costernata.
Genzō per poco non cadde dal divanetto e si voltó
a guardarli con gli occhi sgranati, notando solo in quel momento che la musica
era appena ripartita. Ergo, l’avevano sentito tutti
i presenti.
“Giappone-Germania 1 a 0, che figura di merda”
pensó nella sua testa, mentre si ricomponeva e si
alzava per salutarli e presentarli a Kaltz e Schneider, che se la ridevano
della grossa.
-Notevole,
un benvenuto che entrerá negli annali della storia,
senza dubbio…- stava cercando di dire Stecchino fra le risate, quasi con le
lacrime agli occhi, mentre il Kaiser si passava una mano sulla faccia e con un sorrisetto sarcastico commentava –Un vero esperto nella
raffinata arte dell’accoglienza…Wakabayashi, ma sei sicuro di essere giapponese? Non eravate noti per i modi
gentili e la compostezza?-
Genzō li fulminó
con uno sguardo e li fanculizzó in tedesco, poi passó di
malavoglia a fare le presentazioni. No, decisamente la serata non
cominciava al meglio, ma almeno –cosí gli parve- Kojirō non sembrava essere tra i presenti.
NOTE:
*Non fatevi ingannare dal nome
apparentemente nostrano: il “Bar Rossi” è un pub realmente
esistente allocato a Sternschanze, ovvero il quartiere
giovane e “trendy” (Dio solo sa quanto odio questa
parola, ma tant’è) di Amburgo.
Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Al peggio non c'è mai fine. ***
Siamo
cosí giunti al terzo capitolo di questa mia ficmediocre e senza pretese (ci tengo a ribadirlo nel caso qualcuno se lo dimentichi).
La
serata della vergogna procede in quel di Amburgo.
Quali altre atroci umiliazioni attendono i nostri eroi? Ma
allora è vero che non c’è mai fine al peggio? E
soprattutto, la giá vacillante dignità del buon S.G.G.K. (ribattezzato in un’azzeccatissima
battuta della sempre brillante Silen “Super
GreatGoal Burper”)
riuscirá a mantenersi integra? EKojirō, davvero non sará presente per dare man forte allo scempio?
Ma
soprattutto, il dubbio che attanaglia le menti di intere
generazioni di fan di Capitan Tsubasa:TarōMisaki è veramente gay?
Lo
scoprirete solo leggendo, e grazie a tutti coloro che
mi hanno lasciato (o che lasceranno, speriamo^^;) un commentino.
• CAPITOLO 2 – Al
peggio non c’è mai fine.
Ecco,
magnifico. Adesso sí che gli giravano a mille e lo scazzo stava per raggiungere proporzioni bibliche.
La
Nazionale giapponese si accomodó nei posti vuoti
accanto al trio dei pagliacci,fra cui
ne spiccava uno in particolare che credeva di aver giá
toccato il fondo, ed avendone abbastanza di quella situazione aveva elaborato
celermente un piano. E fortuna che non avrebbe dovuto sopportare le prese per
il culo di quegli sfigati
troppo a lungo, perché sarebbero ripartiti per il Giappone a Campionato
terminato, anche se era sicuro che la sua performance non sarebbe mai
caduta definitivamente nell’oblio. Non esisteva proprio, se lui aveva fatto quella
figura squallida almeno non doveva essere l’unico,
avrebbe fatto in modo di trascinare quei perdenti giú
con sé. Infatti, la diabolica strategia che aveva in mente per riscattarsiconsisteva, manco a dirlo, nel far ubriacare TUTTI (tranne Misugi che non voleva avere sulla coscienza in caso di
decesso), e l’obiettivo principale era far capitolare il virtuoso capitano
della Nazionale astemio e salutista convinto, tanto per gli altri tredici babbei
dalla testa vuota non c’era problema, era quasi certo che ci avrebbero pensato
da soli ad imbottirsi d’alcool.
E comunque no, grazie a Dio Kojirō
la Nullitá non si era presentato, si disse sollevato.
Lungi da lui chiedere a qualcuno il perché, non gliene poteva fregare di meno.
Il primo a
notare i boccali di birra vuoti sul tavolo e le varie sfumature di rosso ciliegia che tingevano le guance dei componenti del
trio guardacaso fu Misugi,
che si sentí la schiena percorsa da un brivido
sinistro.
-Vi sembra
il modo migliore per festeggiare la vostra vittoria? Con un festino alcolico?-
Disse alzando un sopracciglio, preoccupato per la piega che gli eventi rischiavano
di prendere.
-Eccome-BofonchióGenzō,
scuotendo la mano come se dovesse scacciare una mosca fastidiosa –voi invece di
solito per cosa bevete? Per dimenticare le
sconfitte?-
Junserró la mascella e si impose di
contare minimo fino a trenta prima di riaprirla, altrimenti l’avrebbe mandato a
quel paese.
-Lascialo
perdere Misugi, ormai questo se la fa col nemico…-
Intervenne Matsuyama, aggiungendo subito dopo –piantala di tirartela tanto e sappi che dopo il tuo autogoal epico abbiamo deciso di graziarti, Wakabayashi…nessuno di noi ti gonfierá
di botte stasera, ci hai giá pensato tu stesso ad
infamarti come si deve, di piú non potevamo sperare!-
La squadra annuí convinta ridacchiando e a Genzō non restó di meglio da
fare che mostrare a tutti il dito medio.
-Si è giá fatto sfottere da questi minchioni appena arrivati, che
ridere…- sghignazzóKaltz
che, sebbene non avesse inteso una parola, aveva
afferrato benissimo il senso dell’eloquente gesto del portiere.
-Ma
taci, scimmia ignorante e sbevazzona! Che cosa vuoi saperne di quello che mi hanno detto, rompicoglioni- e accompagnó l’epiteto
al solito manrovescio sulla nuca del difensore che non si scompose minimamente,
abituato com’era alle sue manifestazioni d’affetto.
La tavolata
si divise quasi automaticamente in due fazioni, quella dei bevitori e quella
dei non bevitori. Quest’ultima aveva come unici membri
Tsubasa e Misugi, ma in
teoria vi sarebbe dovuto far parte anche Schneider, che peró aveva
ovviamente preferito restare con i due terzi del trio Medusa*. Misaki
sembrava riluttante ad unirsi sia all’una sia all’altra fazione, ma infine
decise senza troppa convinzione di aggregarsi a quella di Tsubasa.
-Diamo il
via alle danze, ragazze- cinguettóIshizaki dopo che gli immensi boccali che avevano ordinato
erano giunti al loro tavolo e tutti, anche quelli che non l’avevano chiesto, si
erano ritrovati davanti due litri di fresca birra
schiumante 100% made in Germany.
Gli sguardi allarmati di Tsubasa e Misugisi incrociarono, intuendo
che se non avessero fatto qualcosa per far contenere i ragazzi sarebbe stato lo
sfacelo totale della Generazione d’Oro del calcio giapponese.
Misaki
fissava il boccale che aveva davanti con aria corrucciata. Bere o non bere? Essere
o non essere ubriaco? Questo era il dilemma esistenziale che lo tormentava e a
cui non riusciva a dare una risposta. Memore dell’ultimo festino alcolico della
Nazionale, in cui si era guadagnato il soprannome di “zecca” per la sua straordinaria
capacitá di incollarsi letteralmente alla schiena di
poveri malcapitati mentre cercava di avventarsi sul loro collo per fare
succhiotti (…particolare che aveva praticamente
confermato anche un’altra ben piú nota diceria
su di lui), in teoria non avrebbe dovuto assolutamente neanche bagnarsi le
labbra, per cui l’argomento “alcool” avrebbe dovuto essere fuori discussione.
Ma com’è che si diceva, chi non beve in compagnia…la veritá era che a Tarō
l’alcool non dispiaceva affatto, anzi. Era un bevitore eccezionale,
un’autentica spugna, in quanto a velocitá
nel trangugiare liquidi non era secondo a nessuno. Peccato solo che il suo
fisico entrasse in sciopero e si rifiutasse di metabolizzare anche il piú piccolo sorso di bevanda alcolica, fosse anche a
bassissima gradazione.
Tsubasa
gli diede di gomito riportandolo alla realtá e glisibiló, vedendolo incantato ad
osservare il boccale quasi in uno stato di trance:- Tu non reggi neanche
un boero, Tarō. Non pensarci nemmeno.-
-Lo so, ma
mi fa cosí gola.-
-Falla
finita, non dovresti neanche vederli in fotografia, gli alcolici- lo ammoní in tono perentorio, mentre si portava istintivamente
una mano sul collo, memore del grave rischio che aveva corso
durante quell’ultimo famigerato festino. Per una
frazione di secondo si rivide assediato da Misaki che
gli si era abbarbicato sulla schiena e, cogliendolo di sorpresa, era quasi
riuscito a conquistare un lembo del suo preziosissimo collo per fargli un
succhiotto in piena regola. Rabbrividì al solo pensiero.
-Mi si
drizzano i peli sulla nuca a pensare a come ti trasformi quando sei ubriaco. Se sei veramente mio amico, NON-BERE.- Il suo tono non dava
spazio a repliche, e a Tarōscappó
un sospiro.
-Ma io
sono tuo amico- disse lui lagnoso- peró scusa, quando
mai mi ricapiterá di assaggiare la birra tedesca? E’
un’occasione piú unica che rara…ne assaggio
solo un po’, va bene? Meno di metá.-
A quella promessa supplicante il capitano alzó gli
occhi al cielo e sbuffó sonoramente. Tarō sapeva essere veramente molesto quando si incaponiva su qualcosa, e quella sera non si sentiva
dell’umore adatto per sopportare i suoi pallosissimi piagnistei.
-E
sia, rompipalle. Ti concedo di berne meno di metá,
intesi? E centellinala, perché piú di cosí non ne avrai.-
-Puoi
contarci.- Il volto del numero undici si illuminó,galvanizzato da quella notizia.
Misugi,
che era seduto all’altro lato di Tsubasa e stava
sorseggiando la sua tristissima Diet Coke, gli diede
di gomito bisbigliando: -Sei sicuro di aver fatto bene
a permetterglielo? Sappi che se stavolta cercherá di
violentarti nessunoverrá in
tuo aiuto.- Tsubasa non rispose e si limitó a trarre
un profondo sospiro scuotendo la testa, mentre si massaggiava le tempie. Poi si
voltó di nuovo verso Tarō.
Per quanti
minuti aveva parlato con Jun? Mezzo, uno al massimo?
Ebbene, in quel ridicolo lasso di tempo in cui si era
distratto, l’altra metá della Golden Combi era quasi arrivata a fine boccale.
-Testa di cazzo…- sibiló il capitano
strappandoglielo dalle mani –ma parlo
arabo?-
Misakiloguardó con la vista giá un po’ annebbiata, poi si tiró
una manata sulla fronte e con aria innocente disse: -Ops…mi
sono fatto prendere la mano come al solito, scusami tanto.-
-Ti sei fatto prendere la mano ‘stocazzo!
Che è, diventi incapace di intendere e di volere
davanti all’alcool?- Strepitó inviperito, poi vedendo
che Tarō l’aveva platealmente ignorato e si
stava giá allungando verso il boccale di Matsuyama seduto accanto a lui, alzó
le mani in segno di resa esclamando: -E va bene, non sono la tua balia.
Arrangiati, sei una boccia persa!- Misaki non proferí verbo, era troppo occupato a bere la birra di un
ignaro Hikaru intento a parlare con Wakashimazu (che si era sistemato ben lontano da Genzō) e Tsubasa, stizzito
dal sommo menefreghismo del suo presunto migliore amico, giocó
l’ultima carta, dicendo serissimo la frase ad effetto –e adesso so quanto
valgono le tue promesse.- Se non rinsaviva con questo, pensó,
avrebbe lasciato perdere.
La mezza Golden
Combi
loguardó e fece spallucce, emettendo un
piccolo rutto.
Tsubasa,
facendo appello alla sua grandevolontá,
represse l’impulso di strozzarlo.
Nel frattempo, dalla fazione bevitori, Genzō
non si era perso neanche un nanosecondo dello pseudo-litigio
della Coppia d’Oro, scrutandoli da sotto la sua visiera
provvidenzialmente calata sugli occhi. Bene, pensó,
meno uno, e lui non aveva neanche dovuto muovere un
dito. Piú grassa di cosí
non poteva andargli. Adesso restava solo da far capitolare
l’osso duro, poi poteva anche ritenere compiuta la sua missione.
In nemmeno
un quarto d’ora Tarō si era tracannato quasi due
litri di birra e si era giá preso una sberla da un indignatoMatsuyama, accortosi che gliene aveva fregata
mezzo boccale abbondante, e poi (forse sperando che lo picchiasse ancora, si
disse Genzō che aveva sempre sospettato che la
sua aria da santarellino nascondesse in realtà una specie di erotomane
sadomasochista) gli si era nuovamente attaccato al braccio miagolando per
convincerlo a lasciargliene un altro pochino. -Senti, ma quel tipo che fa le
fusa laggiú…- fece Kaltz
indicandolo -…non sará un po’ gay?-
-Solo un
po’?- Rispose il portiere, sardonico. Quel quesito serpeggiava da tempo immemore all’interno della Nazionale, ma dal
momento che Misaki non aveva mai fatto outing,
non lo si poteva dire con certezza…fatto sta che il dubbio si insinuava
puntualmente in tutti quelli che lo conoscevano. Hermann,
facendo il buffone come d’abitudine, fece l’occhiolino e mandó
un bacio a Tarō che aveva incrociato il suo
sguardo. Non l’avesse mai fatto.
Sfoderando
riflessi felini davvero inaspettati date le sue condizioni precarie, in un
attimo Misakiscavalcó i
compagni seduti vicino a lui e siprecipitó
fra le sue braccia, implorando un pó di birra dato
che “quello stronzo di Matsuyama
non me ne dápiú”. Kaltz, nauseato, lobuttó letteralmente addosso a Genzō
che si scansó appena in tempo. Non aveva neanche
finito di fanculizzare l’amico per la bella trovata
che la zecca era riemersa e si era sistemata fra loro due, impossessandosi del
primo boccale che si era trovato davanti.
-Non mi
dirai che avete fatto bere un astemio…- feceSchneider, che si era coperto gli occhi con una mano di
fronte alla patetica scenetta di poco prima, dissociandosi completamente.
-Macché
astemio, questo imbecille adora bere anche se
non regge l’alcool e non sa fermarsi quando inizia- rispose esasperato il
portiere tirando uno scappellotto sulla testa del povero numero undici, che finí col viso immerso dentro il boccale da cui stava
bevendo.
-E mi
raccomando, voi non fatelo smettere, eh…- continuó il
Kaiser, stranamente pervaso dalla pietá.
-Cos’è, ti fa compassione? Piglia, se lo vuoi te
lo regalo!- EsclamóGenzō,
afferrando Misaki per la maglia e minacciando di
gettarglielo addosso. Fortunatamente, con un sospiro di sollievo del
Triumvirato dei Fessi ma con una smorfia di scazzo di Tsubasa a cui non
mancava affatto, la mezza Golden Combi li oltrepassó goffamente incespicando un paio di volte sui piedi
prima di Kaltz poi di Schneider,
per tornare a raggiungere l’altra sua metá, ormai
stufo di sentire chiacchiere in una lingua assurda che non capiva. Messo
com’era comprendeva a stento il giapponese, figuriamoci il tedesco.
-Ne faccio
a meno di un souvenir simile dal Giappone…piuttosto, chiedi a Kaltz se lo vuole, che prima mi sembrava
avessero un certo feeling...- il Kaiser si interruppe per schivare lo
sganassone di Stecchino, poi riprese -…mi sa che hai un rivale Wakabayashi, io starei attento se fossi in te.-
Genzō lo spernacchió
senza prestargli troppa attenzione mentre si toglieva il cappello per far
circolare un pó d’aria, passandosi una mano tra la
chioma corvina perennemente arruffata. La temperatura all’interno del locale doveva
essersi alzata, oppure, piú probabile, era
l’effetto della birra. Inizió a lambiccarsi il cervello alla ricerca di un sistema per far
cedere Tsubasa, che coraggiosamente non aveva ancora
toccato nulla; non gli era certo sfuggito, peró, che
il suo sguardo indugiasse sempre piú a lungo sul
boccale, evidentemente stava iniziando a farci un pensierino. Doveva
solo dargli una spintarellae sarebbe precipitatogiú nel
baratro. Senz’altro l’impresa non sarebbe stata piú
ardua che far ubriacare Schneider, con lui aveva
rinunciato fin da subito; il suo ex-capitano, invece, alla fine era un
sempliciotto e con un pódi astuzia
lo si poteva rigirare a piacimento.
Decise di
entrare in azione con la tattica piú ovvia, che
solitamente era anche la piú efficace.
-Dai Tsubasa, prova questa birra, è spettacolare…ah, come la
fanno qui non la fanno da nessun’altra parte!- Esclamó il portiere, viscido come una serpe, mentre
allungava a Tsubasa il boccale dal quale aveva appena
finito di tracannare avidamente.
-No Tsubasa, almeno tu, non puoi farmi questo…- piagnucolóJun con le mani nei
capelli mentre osservava atterrito l’amico che senza fare troppi complimenti assaggiava
con cautela un sorsino di birra. Non voleva neanche
pensare all’eventualitá di restare l’unico sobrio in
mezzo a sedici alcolisti per nulla anonimi. Per l’appunto, aveva
notato che qualcuno all’interno del locale li aveva riconosciuti, sia loro che
i due tedeschi, e si stava levando un brusio che non prometteva nulla di buono.
Ci mancava solo che qualche fan venisse a chiedere autografi proprio mentre
erano talmente fuori da non riuscire a connettere
neanche quel tanto che bastava per reggere la penna in mano. Non sarebbero
passati inosservati per molto, questo era certo, e prima o
poi l’allenatore lo sarebbe venuto a sapere, e allora sí che sarebbero stati cazzi
amari…ah giá, anche Schneider
sembrava completamente lucido perché si stava drogando solo di Coca-Cola, ma
tanto, si disse sconsolato, il suo livello di interazione con il bel biondino
rasentava lo zero, dal momento che le uniche parole che sapeva dire in tedesco
erano “Danke” e “GutenTag”, vocaboli indubbiamente insufficienti ad
intavolare un qualunque tipo di discussione. E non
credeva proprio che Genzō si fosse preso la
briga di insegnargli qualche rudimento di giapponese durante il suo soggiorno.
Mentre Misugi si perdeva nelle sue congetture
appoggiato con la fronte sul tavolo maledicendosi perché aveva accettato
di esserci, “l’astemio salutista convinto” Tsubasa,
dopo aver declamato -mmmh hai proprio ragione Wakabayashi, è davvero squisita- si era letteralmente
attaccato al boccale, interrompendosi solo per domandargli -ma non è troppo
alcolica, vero?-
Al che il
portiere, con un ghigno che definire allegorico era poco, rispose in tono
mielato –ma certo Tsubasa, è una pils,
non si è mai ubriacato nessuno per una pils,
vai tranquillo!- Se solo avesse saputo che quella che
stava bevendo, non solo lui ma tutti gli altri, era in realtà una potentissima Doppelbock, un tipo di birra tedesco altrimenti noto
come “birra da sbronza”…il sapore non era cosí buono
come quello delle pils, ma era solo questione
di farci l’abitudine e dopo un paio di sorsi diventava un piacere farsela
scivolare giú per il gargarozzo. Genzō
si ricordó che la prima volta che i due scimuniti
gliel’avevano fatta assaggiare non aveva voluto
saperne, dicendo che non riusciva a mandarla giú, e
poi aveva finito col prendersi una vergognosa sbornia da paura; in effetti il
fatto che Tsubasa l’avesse gradita fin da subito lo portó a chiedersi se non celasse un lato sopito da
alcolista latente. E comunque, era consapevole di
essere in una botte di ferro, i compagni non avrebbero mai potuto scoprire la
sua colossale menzogna perché nessuno di loro ne sapeva una sega di birre,
probabilmente l’unica che avevano bevuto in tutta la loro esistenza era
soltanto la Asahi, che era acqua fresca
rispetto a quella che stavano buttando giú in quel
momento.
Come avesse
potuto lasciarsi convincere rimaneva un mistero anche
per lui, fatto sta che, dopo aver fatto tanto il moralista con Tarō, rischiava di fare una figura ben peggiore.
Non si
riconosceva piú, dove erano finiti
la sua integrità ed il suo equilibrio?
“Chissene” pensó “finisco sempre
per fare la bambinaia di tutti. Eppoi ne bevo solo un
goccetto, giusto per sentire che sapore ha. Per una
volta non sará mica la fine del mondo. ”
“Ostia,
beve come una spugna” pensóGenzō
fissandolo con gli occhi a palla “…e chi se lo sarebbe mai aspettato?” Mentre
si sfregava le mani dalla soddisfazione, una smorfia di auto-compiacimento
gli si dipinse sul viso e la cosa non passó
inosservata agli occhi di Misugi, che era tutto
fuorché cretino. Al sesto –va bene, solo questo sorso e poi basta, lo giuro- di
Tsubasa che continuava a dribblare i suoi ammonimenti,
si alzó sbuffando dal suo posto scavalcando i vicini e
raggiunse il portiere, sibilandogli: -Senti un po’, credi che io sia scemo?- Al
che Genzōloguardó con un’espressione angelica dicendo –visto che sei
l’unico che non si sta divertendo, bé, forse un
tantino lo sei. Ah no aspetta, c’è anche quest’altro coglione qua- e terminó la frase in tedesco per farsi capire da Schneider che rispose, mostrandogli il dito medio –Non
raccolgo le provocazioni di un ubriacone, io.-
-Forse sono
io o forse sará la compagnia a non essere delle
migliori, e comunque non prendermi per il culo, lo sai benissimo che NON posso bere- riprese stizzito
Jun, ormai sull’orlo di un travaso di bile. –Ti
chiedo solo per favore di dirmi che cavolo hai dato
agli altri, con mezzo boccale a testa sembrano giá
tutti vicini alla sbronza, e vabbé che sono boccali
da due litri- osservó dando una fugace occhiata al
capitano che aveva quasi tracannato tutto il suo –peró
quella non è birra pils, vero?- Genzō, che per nulla al mondo avrebbe rivelato il suo
segreto, sbatté piú volte le palpebre mentre alzava il boccale e disse con la faccia piú serafica che riusciva a fare, mezzo ubriaco com’era:
-Se
non puoi bere non è un mio problema, e poi certo che è birra pils, per chi mi hai preso? Ci tengo ai miei amici,
io!- Si poggió il bicchiere alle labbra e bevve un
sorso socchiudendo gli occhi, e forse per questo non vide
che qualcuno gli si stava avvicinando minaccioso. Proprio mentre la birra
iniziava a scendergli lenta e rinfrescante giú per la
gola e sembrava prossimo ad uno stato di beatificazione e di pace dei sensi, la
misteriosa figura glisferró
una gomitata dritta dritta nelle costole che per poco
non gli fece andare tutto di traverso.
-Ooooh,
habemusKoji?-
Proruppe un Wakashimazu dal volto trasfigurato ormai
quasi del tutto andato, riconoscendo il suo grande amico che aveva fatto un
ingresso trionfale ed inconfondibile.
-Hyūga!!
Sei venuto allora!!- StrepitóTsubasa con una voce stridula piú
alta di un paio di ottave, subito imitato da Misaki
che gli aveva messo un braccio intorno al collo e stava agitando il suo boccale
per salutarlo, annaffiando di birra chi gli stava seduto di fianco e di fronte.
Peccato che di fronte avesse il belligerante Jitō,
che glibloccó saldamente il
polso minacciando di spezzarglielo come un Kit-Kat se
non la faceva finita. Le sue sbronze erano sempre rissose, e conveniva stargli alla larga in quei frangenti, o quantomeno non farlo
incazzarepiú del dovuto.
Il poverino, sebbene piú brillo che sobrio, intuí che non fosse il caso di mettersi contro quell’energumeno e giuró piagnucolando
che l’avrebbe piantata.
-Sono venuto a vedere se il portinaio si stesse rendendo ridicolo, e mi sa che non
sono passato per niente…- sghignazzóKojirō sfoggiando il suo tipico sorriso sghembo da sfottó, notando che peró c’erano
anche altri che si stavano facendo compatire, in primis Tsubasa
che cercava di intonare le note di una canzone enka*
a dir poco deprimente, allacciato a Tarō che
rideva come un mentecatto cercando di stargli dietro. Che
pena, pensó coprendosi gli occhi con una mano.
Tempo di
riprendersi dal cazzotto che Genzōschizzó in piedi incazzoso come
non mai, trovandosi faccia a faccia con il suo eterno nemico. Peccato solo che
la mossa fosse stata un po' troppo
rapida per i suoi sensi obnubilati, portandolo a barcollare e a
sbilanciarsi per poi cadere rovinosamente addosso a Kaltz
che, ormai giá al suo terzo boccale e piú di lá che di qua,
gli cinse il collo stampandogli un bacio sulla guancia. Quella visione doveva
aver completamente risvegliato la squadra nelle cui vene circolava
ormai piú alcool che sangue, perché in quel momento
spuntarono chissà da dove quattordici cellulari quattordici che
scattarono la foto praticamente in sincrono, mentre quel beota di Hermann si metteva pure in posa facendo il segno della
vittoria con due dita.
-Ahpperó,
ti sei fatto la ragazza eh, Wakabayashi?- Esplose Kojirō con una fragorosa risata, subito imitato da
tutto il gruppo –in Giappone non ti si filava nessuna e adesso capisco perché,
ma vedo che almeno qui ti sei riscattato e fai strage di belle donzelle!-
Genzō, che per poco non si ficcava due dita in gola, raccogliendo le ultime
forze si divincoló dalla presa del numero otto
dell’Amburgo e fece partire una scarica di legnate sulla sua testa che, se non fossero servite a farlo riprendere dalla sbornia, forse
sarebbero bastate almeno a mandarlo in coma, liberando finalmente il festino
dalla sua nefasta presenza.
Perfetto, e
con questo aveva totalizzato una bella doppietta. L’aveva
detto sin dall’inizio, che quella serata era partita male, e questa ne era l’ennesima riconferma. Valutó seriamente l’ipotesi di
alzare i tacchi e di mandarli tutti a cagare.
NOTE:
*Bé, se non conoscete il Trio
Medusa vergognatevi e googlizzate cospargendovi
il capo di cenere.
*L’ Enka(演歌) è un genere di musica
tradizionale giapponese.
E’ molto caratteristico, ed è apprezzato soprattutto da persone di una certa etá, ma non si puó certo dire che
manchino gli estimatori fra i giovani. La melodia è di solito abbastanza lenta e i testi non fanno riferimento
alle gioie dell'amore, bensí alsuo lato
negativo e struggente, al dolore del distacco e alla lontananza. Insomma, in
generale sono piuttosto avvilenti, anzi alcune sono proprio da taglio delle
vene, almeno per me. Le parole che comunemente appaiono nelle canzoni enka sono uomo, donna, lacrime, mare, porto, neve, pioggia,
etc.
Per fare un paragone forse piú
comprensibile, il genere potrebbe essere circa l’equivalente di canzoni
popolari italiane un pó nostalgiche come ad esempio “Romagna
Mia”, la prima che mi viene in mente visto che è
della mia zona, ma che comunque è moooltopiú orecchiabile e allegra di una vera canzone enka^^;
E anche questo capitolo demenziale è andato. Mi sono dopata di M&m’s pertrovare la forza di finirlo senza che la
stanchezza si impadronisse del mio corpo e devo ancora
far interagire il trio con un sacco di personaggi, quindi la mia “opera” è
tutto meno che completa; sono in periodo esami ma GUARDACASO mi sento
particolarmente ispirata, va sempre a finire cosí. Piúho da fare piú
il mio cervello sforna idee o pseudo-tali,
salvo poi dovermi fare il mazzo per riuscire a realizzare tutto destreggiandomi
fra i tanti impegni. Evabbé
che nessuno me lo fa fare di scrivere fanfic del cazzo come questa, ma si sa com’è in questi casi, quando
l’ispirazione chiama io rispondo…meno male cheposso contare sui miei fidi M&m’s e sugli Smarties,
che sono la mia ancora di salvezza.
Il
mio cervello pompato dagli zuccheri ringrazia, le mie arterie pompate dai
grassi dei suddetti snack un po’ meno.
Ridendo
e scherzando, siamo arrivati al quarto (OMG) capitolo di questa mia ficmediocre e senza pretese. Mai avrei
pensato di farla durare cosí a lungo, e il punto è
che ci sto prendendo gusto e per il momento non ho proprio nessuna
intenzione di concluderla, anche perché non so ancora come xD
Anzi,
a dir la veritá non so neanche quello che succederá nel prossimo capitolo…^^;
Il
festino continua, e con l'ingresso di Kojirō la vicenda si
arricchisce di nuovi e mirabolanti colpi di scena, sí
come no. Vi avviso subito
che il finale sará un po’ schifoso, in
senso letterale, non mangiate o bevete nulla
mentre leggete, mi raccomando.
Rinnovo
la mia imperitura gratitudine a tutti quelli che continuano a commentare. Non
potete neanche immaginare quanto la cosa mi faccia
piacere, ogni volta che vedo il numerino delle recensioni aumentare salto dalla
sedia per la contentezza xD
• CAPITOLO 3 – L’ingrediente segreto.
Kojirō era deliziato. Un ridacchiante Matsuyama
mezzo brillo, cercando di non farsi vedere da Genzō
ancora in pieno litigio/scazzottata con Hermann, gli
aveva raccontato dell’altra figura da chiodi di cui il portiere si era reso
protagonista e a cui purtroppo lui non aveva assistito.
-Ma bene,
vedo che non ci facciamo mancare niente!- Esclamó a
voce volutamente troppo alta, apposta per farsi sentire anche da quel citrullo
che, come previsto, drizzó prontamente le antenne,
interruppe la punizione di Stecchino e gli chiese, digrignando i denti con gli
occhi fiammeggianti d’ira: -Che vorresti dire, deficiente?-
-Non ci
arrivi? Allora sei proprio tarato.- Fece l’attaccante
senza aggiungere altro, lanciandogli uno sguardo di commiserazione mentre
scuoteva la testa, sogghignando.
-Ma vai a
dar via il culo, ci mancavi
solo tu stasera a rompere i coglioni!- Esplose
l’altro che invece ci era arrivato eccome, senza risparmiarsi sul fraseggio
particolarmente fine e ricercato. Era davvero troppo per lui che, complici i
fiumi di birra in circolo nelle vene, aveva perso giá
da un pezzo il suo proverbiale self-control. Quel dannato era l’ultima
persona che aveva voglia di sentir blaterare.
Battendo le
mani, Kojirō disse –complimenti per la
parafrasi, eh…ma che vocabolario forbito che hai, da vero signore!- Genzō si sentí salire il
sangue alla testa.
Come sapeva
urtargli lui il sistema nervoso non lo sapeva fare nessuno, e se Schneider non fosse intervenuto a placcarlo afferrandolo
saldamente per le spalle, gli sarebbe saltato alla gola finendo per passare
probabilmente dalla parte del torto, visto cheKojirō si era mantenuto piuttosto controllato fino a
quel momento. Senza contare che lui era piuttosto alticcio (per usare un
eufemismo), mentre la sua nemesi era del tutto sobria.
-Diamoci
una calmata, intesi? Piantala di fare l’isterico.- Lo ammoní il Kaiser, pronto anche a prenderlo a sberle se
fosse stato necessario a farlo tornare in sé.
-Kojirō, stai gettando benzina sul fuoco.- Dal fronte nipponico invece era intervenutoMisugi, che si era
ripromesso di piantarli in asso senza troppi complimenti nel caso in cui fosse
scoppiata pure una rissa. Passassero i nove decimi della squadra ubriachi, ma
non era disposto a fare buon viso anche a quello, meglio cercare di sedare gli
animi rivoltosi prima che fosse troppo tardi. Da
quanto aveva visto, poi, condivideva con il capitano tedesco che stava cercando
di far rinsavire Genzō non solo la medesima
inclinazione a non bere (anche se a dire il vero lui aveva fatto di necessitávirtú, dati i suoi
problemi di salute), ma anche la stessa attitudine a temperare le atmosfere
surriscaldate. Peccato che non parlassero la stessa lingua, gli sarebbe
piaciuto conoscerlo un po’ meglio, avrebbero avuto molte cose da raccontarsi.
Kojirōloguardó nello
stesso modo in cui avrebbe guardato uno scarafaggio nel piatto e replicó:
-Perché,
lui si è comportato in maniera diversa con me, e con tutti voi? Sarete mica sordi, non avete sentito cosa ha avuto il coraggio di
dire quel bastardo oggi in campo?- Junsospiró e allargó le braccia. –Non
sto cercando di redimerlo, ma possibile che tu non veda com’è ridotto, anzi,
come sono ridotti tutti? Ti pare saggio mettersi a discutere con degli
alcolizzati, vuoi forse metterti al loro stesso livello?- L’attaccante sbuffó e incroció le braccia,
rendendosi conto che purtroppo aveva perfettamente ragione. Non c’era nessun
gusto a prendersela con un Wakabayashi non nel pieno
delle sue facoltá mentali, sebbene ne fosse tentato
perché conciato cosí sarebbe stato davvero il punching-ball
ideale.
-E va bene,
buon samaritano- ringhió infine, schioccando la
lingua –lolasceró in pace,
ma alla prossima parola sbagliata che dice lo stendo, non mi frega se è ubriaco
o no.-
Junsospiró
mentre si massaggiava la fronte, sentendo che di lí a
poco gli sarebbe venuto un gran mal di testa. Era soddisfatto dell’esito della
sua mediazione, anche se non poteva permettersi di perderlo di vista un solo
istante perché conosceva, come tutti del resto, il suo carattere altamente
infiammabile. E questa peculiarità messa in
combinazione con il suo antagonista preferito avvinazzato voleva dire solo una
cosa, ovvero una zuffa in piena regola.
Schneider,
la cui forza di persuasione non risiedeva
principalmente nelle parole bensí nei fatti, si alzó da tavola e con fiero cipiglio afferró
per la collottola sia Genzō sia Hermann, trascinandoseli dietro in bagno. Chiuse la porta, poi con gesto rapido si impossessó
dell’amato cappello del portiere e, senza tante cerimonie, gli ficcó la testa sotto il getto gelido del rubinetto per
rinfrescargli un po’ le idee. Quello saltó su quasi
subito, resuscitato dal freddo pungente dell’acqua e, mentre si scrollava
intirizzito i capelli bagnati sibilando improperi a mezza voce, Schneideragguantó per la nuca Kaltz che stava cercando di scappare e gli fece fare la stessa fine.
-Ti sei
brasato il cervello?- Sbottó il difensore ribellandosi
alla sua presa e schizzandolo d’acqua mentre riemergeva dal lavandino.
-Siete
svegli, beoni? Possiamo tornare di lá senza che ci sia
il rischio di macchiarsi la fedina penale?- GuardóGenzō che si stava stropicciando la faccia con una
salvietta per asciugarsi, dicendo –ce l’ho con te,
pezzo di cretino. Sei sobrio?- Sobrio era una parola
grossa, pensó lui, ma si sentiva giá
un po’ piú lucido rispetto a prima.
Il Kaiser,
per testare i suoi riflessi, glilanció
il cappello che riuscì miracolosamente ad intercettare al volo. Il portiere loringrazió con la mente
perché aveva avuto l’accortezza di non farlo bagnare e si diede una riassettata
alla chioma scompigliata e ancora umidiccia, mugugnando –Sto bene, sto bene. Per
stasera non lofaró a pezzi,
stai tranquillo.-
Kaltz,
starnutendo, si infiló in
bocca uno stecchino che aveva riesumato dalle tasche dopo essersi accorto di
aver perduto quello vecchio poco prima, durante la colluttazione (o rituale
d’accoppiamento, come lo definiva Karl) con Genzō, e si disse pronto a rientrare in sala.
-Bene, vi
siete ricomposti, teste di rapa? Andiamo allora, e sappiate che vi tengo
d’occhio.-
-Sí,
mamma…- bofonchiarono i due quasi all’unisono, alzando gli occhi al cielo con
un ghigno beffardo scolpito in faccia.
Quando
rientrarono, notarono che l’allegra combriccola era diventata ancor piú allegra e che i boccali vuoti presenti sul tavolo fino
a poco prima erano stati sostituiti da altri, belli
traboccanti. Si entrava cosí ufficialmente nel
secondo girone, si disse Schneider, mentre incrociava
lo sguardo di Misugi che scrolló
le spalle con aria sconsolata, come a voler dire “ho provato a fermarli, ma
hanno ordinato lo stesso.” Il fatto che non parlassero
tedesco era un dettaglio, non ci era voluto molto per
dare a intendere alla cameriera che volevano farsi riempire di nuovo i
bicchieri.
Con
disappunto scoprirono peró che purtroppo i
cambiamenti non riguardavano solo la sostituzione dei boccali, ma anche la disposizione
dei posti, e non si sa come Genzō
e Kojirō si ritrovarono seduti fianco a fianco,
senza che nessuno dei vicini volesse accettare di scambiarsi con uno di loro.
-Questa
cosa puzza di cospirazione…- borbottóGenzō adirato, scrutando di sottecchi le facce
sornione dei compagni.
-Credo
anch’io, e comunque visto che ci tocca vedi di rigare
dritto.- Lo redarguì l’altro, imbronciato quanto lui.
-Chi se ne
frega di te. Tu non spaccarmi i coglioni che io non
li spacco a te, va bene?-
Suggellarono
quel monito scambiandosi un’occhiata truce e misero mano ai boccali.
Intanto, Tsubasa era sempre piú sulla via
della perdizione ormai quasi totalmente consacrato ad un promettente futuro da
etilista, accompagnato dal sempre fido Tarō e
pure da Ishizaki, che quando si trattava di bere era
sempre in prima linea. Quest’ultimo richiamó l’attenzione di Genzō,
dicendo: -Ehi Wakabayashi! Me lo fai un favore?- Il
portiere si voltó a guardare la sua faccia da pirla inebetita dall’alcool e, sopraffatto dalla
compassione, annuí sospirando.
-Mi dici
alcune frasi da rimorchio in tedesco? Quella cameriera è un vero schianto!- E
si passó la lingua sulle labbra in modo sensuale, o
almeno cosícredeva.
Genzō, soffocando un conato di vomito davanti a quel gesto, stava per
rifiutare la sua assurda richiesta quando gli si accese la lampadina della bastardaggine.
-Ma ceeeerto, mio caro- disse subdolamente –vieni qui che ti illumino.-
Ishizaki
si sistemó lungo disteso a pancia in giú sulle ginocchia dei tre compagni che lo separavano dal
portiere (ovvero Kojirō, Wakashimazu
e Izawa che mugugnarono infastiditi, concedendogli di
stare 2 minuti al massimo in quella posizione scomoda per loro) e, poggiando il
mento sulle mani, gli si fece vicino allungando il collo, tutto orecchi.
L’occasione
era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, pensóGenzō con un lampo
diabolico negli occhi mentre insegnava al difensore giapponese una tipica frase
da abbordaggio, dubisteine grosseSchlampe*.
-Ok,
non dirmi altro, faccio giá faticaa ricordarmi solo quella, quant’è
difficile ‘sta lingua- piagnucolóIshizaki
mentre tornava al proprio posto, e Sōdaesclamó –Tu sei tutto scemo, cosa credi di fare sapendo
dire una sola frase?- In quel momento si intromise Izawa, centrando il punto della discussione: -Meglio
ancora, cosa credi di fare in generale, tedesco o non tedesco…tu sei proprio un
caso patologico- e giú a ridere sguaiatamente, mentre
il povero Ryō faceva una faccia offesa
borbottando –adesso vi faccio vedere io…-
Kaltz,
seduto alla destra di Genzō, aveva sentito la frase
che aveva pronunciato l’amico e gli diede di gomito
con le lacrime agli occhi dal ridere, chiedendogli quali cavolo fossero le sue
intenzioni. Genzō gli fece un sorriso complice
indicandogli col mento la cameriera indaffarata a pulire uno dei tavoli vicino
al loro, e quando l’altro realizzórischió di strozzarsi col sorso di birra che stava bevendo.
Mise subito al corrente il Kaiser, che gli sedeva di fianco,
il quale assunse un’espressione costernata cercando di contenersi, mentre soffocava
il ghigno che gli stava involontariamente apparendo sul viso.
Il gruppo osservó col fiato sospeso l’eroico Ishizaki,
abituato ad immolarsi a suon di pallonate in faccia, mentre beveva
un bel sorso di birra per darsi coraggio e partiva alla conquista della fauna
femminile amburghese.
Ebbe solo un unico, piccolo tentennamento prima di portare a termine
la sua missione. Si voltó verso il portiere
chiedendogli: -Che vuol dire quella frase, Wakabayashi?-
-Significa “mi
piaci molto, usciamo insieme?”- Disse prontamente il numero uno dell’Amburgo e
dei bastardi, che si era preparato la risposta,
prevedendo la possibile domanda. Ryōannuí risoluto e per poco Genzō non gli scoppió a
ridere in faccia.
Era peró accaduto un altro fatto inquietante poco prima, quando
l’ignaro portiere si era distratto per rispondere alla domanda di Kaltz e aveva lasciato incustodito il suo boccale. Kojirō aveva provato a resistere alla tentazione (non
che si fosse sforzato poi piú di tanto), ma alla fine
senza troppi rimpianti aveva permesso alla sua indole fetente di prendere il
sopravvento, lasciando cadere un copioso sputo dentro il proprio boccale e sostituendolo
poi rapidamente con quello del rivale. Matsuyama seduto
di fronte a lui aveva visto tutto e, tentando di reprimere una risata mezzo schifato
e mezzo divertito, per poco non si fece uscire dal
naso la birra che si stava tracannando.
Dal tavolo
si levarono improvvisamente dei fischi, poi degli applausi e delle risa. Due
terzi del Triumvirato dei Fessi era letteralmente
rotolato in terra tenendosi la pancia dal ridere, mentre il restante terzo era
finito con la fronte poggiata sul tavolo, cercando di dare un contegno agli
Imperiali sghignazzi. Il resto della cricca si stava sganasciando agitandosi
scompostamente sui divanetti.
Era
accaduto l’immaginabile, ovvero il flop del
povero Ishizaki, il cui penoso tentativo era
culminato con la prevedibile reazione della bella camerierina
dai capelli cosí biondi da sembrare bianchi che,
sentendosi dare della donna dai facili costumi (per usare una parafrasi)
gli aveva versato in testa il contenuto della pinta che avrebbe dovuto servire
ad un tavolo, concludendo il capolavoro con un bello sberlone a dita larghe.
-Ishizaki,
sei un coglione da competizione- stava ridendo Izawa –l’avevano capito tutti che quello che ti aveva detto
Wakabayashi non era quello che credevi!-
-Giá,
c’era da aspettarselo, da lui- rincaróWakashimazu, asciugandosi una lacrima. Per una volta, si ritrovó a constatare, quell’idiota di Wakabayashi
l’aveva fatto ridere di gusto.
Ryō,
abbattuto, andó a darsi una rinfrescata in bagno,
accompagnato da Misugi che ormai si era rassegnato a
dover fare da crocerossina per quella sera e, una volta tornato al tavolo, si rintanó in un angolino isolato
chiedendo che gli “amici” rispettassero il suo lutto.
-Perché,
chi è morto?- Fece uno Tsubasastorditissimo, che aveva capito meno di metá di quello che era successo ma aveva riso lo stesso.
-La mia dignità.-
Rispose lui con un muso chilometrico, facendo esplodere delle risa ancor piú grasse. Una cosa era certa, non si sarebbe
mai potuto mettere contro Wakabayashi perché
quello era capace di smontarlo con un pugno, si disse. Meglio lasciar perdere,
tanto era abituato ad essere allegramente sfottuto e la cosa ormai non gli
facevá piú né caldo né freddo.
Comunque,
non essendo proprio insito nel suo carattere lo stare troppo a piangersi
addosso, dopo appena cinque minuti che se ne stava imbronciato e solo in
castigo in un angolino buio, pensó “che due palle peró fare lo scazzato, mi sto
perdendo tutto il divertimento.”
Giusto il
tempo di finire di formulare il pensiero che si ributtó
nuovamente nella mischia, piú gasato di prima, come
se nulla fosse successo.
…eGenzō? Aveva bevuto la
birra “corretta” da Kojirō?
Ebbene,
sí.
E
sotto lo sguardo estasiato dell’artefice del misfatto, che peró
non sospettava minimamente che il portiere, pur restando all’oscuro di tutto,
aveva giá provveduto a ricambiarlo con la stessa
moneta.
Era
accaduto che all’SGGK,
poco prima, scappasse uno starnuto, probabilmente a causa della doccia fredda
che gli aveva fatto fare Schneider. Il suddetto
starnuto era partito senza che potesse fermarlo, e indovinatedove? Ma sul proprio boccale, ovviamente.
“Che schifo…” aveva pensato disgustato, mentre osservava la
fresca e genuina produzione di bollicine di saliva e muco galleggianti sulla
birra, che ora poteva vantare una nuova “schiumina”
apparentemente invitante sulla sua superficie. Poteva forse berla? Giammai, e si guardó rapidamente intorno
per vedere con chi scambiare il boccale. Provate a
indovinare con chi effettuó la sostituzione.
EcosíKojirō, che credeva di
star bevendo la sua pulitissima birretta, se ne stava
invece tracannando una variante inedita, a cui lui stesso aveva dato un prezioso
contributo appena un quarto d’ora prima.
I due
antagonisti si guardarono in cagnesco posando i boccali con una smorfia sadica,
ognuno convinto di aver fregato l’altro. Ma solo uno di loro era uscito
trionfante da questa silente battaglia, ed era meglio per il bene collettivo
chelo sconfitto continuasse
a credere di essere il vincitore.
E in
tutto ció, la serata era ancora lunga.
NOTE(stavolta assolutamente superflue):
*Letteralmente “sei una gran bagascia”. Il folkloristico
termine “bagascia” si presta agevolmente alla
sostituzione con tutte le altre ben note espressioni equivalenti.
Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Verso la fine dei giochi? ***
Il
rutilante festino accenna forse a una conclusione? Chi lo sa. Non lo so nemmeno io che sono l’autrice.
Quinta
parte della mia ficmedioc…vabbé, ormai lo sapete xD
A
fine capitolo ho scritto “qualche” appunto (ehm…a momenti sono piú lunghi della fic, mea
culpa. Sono troppo prolissa.)
• CAPITOLO 4 – Verso la fine dei
giochi?
Era scazzato. Scazzato e annoiato.
Stava entrando nella fase deprimente della sua sbornia, anche se ancora
gongolava per essere riuscito a tramutare la birra di Kojirō
in un ricettacolo di batteri. Il godimento che aveva provato mentre osservava
il pollo tutto intento a trincarsela beato era stato un qualcosa di trascendentale.
Ma adesso sentiva il bisogno impellente di inventarsi qualcos’altro per
pungolare un altro po’ quel burino, che come al solito
aveva avuto il coraggio di presentarsi conuna truzzissima maglietta blu e gialla dalle
maniche arrotolate fino alle spalle e dei jeans da straccione sdruciti alle
ginocchia. Puah. Genzō
si chiese se non si vestisse al buio perché anche il suo senso della moda, se
mai ne avesse uno, lo ripugnava.
E intanto, comunque, gli era venuta un’altra idea delle sue.
In quel
momento, Kojirō stava pensando piúo meno le stesse cose. Congratulandosi
con sé stesso per la bella sputazzata che credeva di
avergli aggiunto alla birra, si soffermó un attimo a
squadrare come cazzo si era vestito quel damerino: da
fighetto inamidato, come sempre. Ingessato nella sua giacca
di velluto grigio antracite a costine, nella camicia nera trendydi Armani(o di
Cavalli, boh, che gliene fregava a lui degli stilisti)
e nei suoi jeansRichmondtenuti su da una cinturain
pellevery fashion, piú
naturalmente l’immancabile cappello Adidas, chegirava
voce indossasse anche nelle docce. Un vero fagiano, insomma. Non
poté fare a meno di pensare che probabilmente con i soldi che aveva speso per
quella cintura griffata di non sapeva chi, lui ci si
sarebbe comprato minimo tre maglie. Si impose di
smetterla di rosicare e si concentró sulla
conversazione con Ken e Izawa,
finché non sentí il testadicazzo
pronunciare le fatidiche parole.
-Allora Matsuyama, sei contento di essere il
nuovo capitano della Nazionale?- Ahia, tasto dolente. A quella
domanda inaspettata e inopportuna di Genzōcaló il gelo su un terzo della compagnia, perché il resto
era talmente sbarellato che non si ricordava neanche
di essere al mondo.
Hikaru per la sorpresa
risputó la birra nel boccale da cui stava bevendo e lanció uno sguardo impanicato a Kojirō che, giá schiumante
di rabbia, si era voltato lentamente verso il portiere valutando secavargli gli occhi in loco o se farlo piú tardi in separata sede. L’attaccante, cercando di
riacquistare un tantinodi autocontrollo,
trasse un profondo sospiro gonfiando i pettorali e se la sua maglietta tamarra fosse stata appena un po’ piú
aderente, probabilmente si sarebbe sbrindellata alla Hulk.
-Non credo di aver capito bene…- ringhió scandendo minacciosamente le parole con gli occhi
ridotti a due fessure, mentre appoggiava il mento su una mano e si metteva di
tre quarti verso il portiere per fissargli meglio quella bella giugulare
invitante, che in quel momento avrebbe azzannato tanto, tanto volentieri.
Non ci poteva
credere, allora voleva proprio essere picchiato. Il bastardo aveva
infranto il “patto del silenzio”, ma era troppo chiedergli un po’ di omertà, ogni tanto? La lingua proprio non ce l’aveva incollata, pensó
aggrottando la fronte e mostrando i canini.
A Misugi
(fino ad un attimo prima colto da un attacco di ridarella per aver visto Tsubasa che veniva montato da Tarō, mentre cercava di insucchiottargli
una porzione di collo) si spense il sorriso e tossicchió
imbarazzato, pregando che Hikaru si togliesse
d’impiccio con una risposta diplomatica e intelligente, senza dare corda al
malefico portiere che non si era neanche voltato a guardare Kojirō,
snobbandolo con la consueta disinvoltura.
La tensione
si tagliava con il coltello e nessuno fiatava. Le risate sguaiate, le grida
isteriche e le chiacchiere etiliche dei decerebrati seduti
dall’altra parte del tavolo sembravano giungere alle loro orecchie in sordina
come echi lontani e ovattati. Esí
che di casino ne facevano.
Matsuyama,
il carismatico uomo del Nord forgiato da allenamenti a temperature talmente
proibitive che manco in una cella frigorifera, in quel frangente non appariva
poi cosí carismatico e non sapeva che cavolo rispondere.
Poteva dire
sí (che poi era la veritá,
in fondo). Ma non era scemo e non aveva nessun
interesse a fomentare la collera dell’attaccante, poiché sussisteva l’alta probabilitá che, rispondendo cosí,
il suo istinto omicida per il momento focalizzato solo su Genzō
si spostasse anche su di lui. Sapeva che il suo orgoglio quel pomeriggio era
stato sbraciolato per bene, e giá
lo immaginava mentre gli annodava il collo abbaiando “allora dillo che non
aspettavi altro, pezzente”.
Oppure
poteva dire no, che era come ammettere che non gliene poteva fregare di meno di
essere il capitano, facendolo incazzare anche di piú e sferrandogli una stilettata forse ancora peggiore.
Hikaru
deglutì, soppesando velocemente quale fra le due alternative
sarebbe stata la meno deleteria per la sua salute.
Nessuna.
Perché
quando Kojirō aveva le palle girate, qualunque
risposta era quella sbagliata.
Ma il
buon Matsuyama doveva essere nato sotto una stella
fortunata, perché il miracolo avvenne e la cosa si risolse senza feriti. Stava
per aprire bocca, fregandosi probabilmente con le sue stesse mani, quando si sentí vibrare una tasca e, con gli occhi sbrilluccicanti dalla gioia, vi infiló subito una mano per recuperare il cellulare.
“Che culo” pensarono contemporaneamente
tutti quelli che stavano assistendo alla scenetta.
-Amore sei tu?!? Ma ciao!!! Che ore sono lí da te, marmottina?....ah, le
otto di mattina? Sí, qui è mezzanotte e mezza. Ma lo sai che mi manchi tantissimissimo?
- Fece Hikaru con gli occhi a cuoricino, in tono
melodrammatico e con voce quasi stridente, provocando conati di vomito agli
astanti specialmente dopo il “marmottina”. Si stavano
tutti chiedendo perché diamine quando parlava con Yoshiko
il 70% delle parole che uscivano dalla sua bocca dovesse
terminare con “-ina”. E poi non è che volessero origliare la sua conversazione, anzi, per non
rischiare il diabete mellito ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma dire che
il ragazzo strillava peggio di un mercante in fiera era poco. –Come? C’è casino
perché sono in un pub con i ragazzi. Oggi? Ecco bé…abbiamo
perso l’amichevole, peró…- Hikarualzó ulteriormente il proprio tono di voce, mentre Misugitrattenne il fiato,
sperando che non dicesse quello che credeva stesse per dire. Era consapevole
del fatto che l’amico cambiasse quasi personalitá
azzerando cervello e dignitá quando c’era di mezzo la
sua adorata fidanzata. –…c’è una bellissima notizia birillina,
non ci crederai ma sai che sono diventato capitano? Síííí
sono tanto felice anche io!-
Lesjoeuxsontfait. Tutto quel tempo sprecato a scervellarsi per niente, pensóMisugi sospirando.
A Kojirō quasi caddero le braccia e
represse un moto di puro schifo, sbollendo all’istante. Tutte quelle smancerie gli
facevano cariare i denti e gli smorzavano ogni proposito bellicoso.
Lui, il
guerrafondaio della Nazionale, era decisamente
allergico a quelle cose.
“Mioddio, se divento cosísmieloso giuro che mi taglio le palle da solo” si disse Genzō, scuotendo il capo disgustato. A quanto pareva
la sua perfida domanda sobillatrice di violenza
sarebbe caduta nel vuoto, che peccato.
In quel
momento arrivarono altre birre, richieste da non-si-sa-chi-non-si-sa-quando
e la cameriera, che ormai li odiava tutti senza distinzioni, sbatté
sgarbatamente le loro ordinazioni sul tavolo trattenendosi per non tirargliele
in testa. Ishizaki si fece piccolo piccolo sperando che lei non lo notasse, cosa che, per sua
fortuna, avvenne.
Adesso sí che si sentiva una saracinesca al
posto delle palpebre, pensóGenzō
e, sbuffando, si stropicció gli occhi per riprendersi. Tutto secondo copione, dopo lo scazzo ecco ora anche l’abbiocco.
Ma, si disse impavido, mai e poi mai sarebbe crollato prima di Tsubasa, che era ancora bello arzillo
e seguitava a cantare angoscianti canzoni enka
assieme alla zecca; quest’ultima non era ancora riuscita
ad attaccarsi al suo collo soltanto grazie al provvidenziale salvataggio di un
misericordioso Takasugi che, interrotto il suo virile
duello a braccio di ferro con Jitō, gliel’aveva levato
dal groppone sollevandolo di peso. Non si capacitava, in effetti, di come mai i
molesti numeri dieci e undici non fossero stati ancora soppressi da quei due
energumeni di difensori che, di sicuro, non erano famosi per la pazienza
certosina.
Guardandosi
meglio intorno notó che un
gemello era collassato, ma non avrebbe saputo dire quale. A distanza di anni ancora nessuno di loro era in grado di distinguerli,
grazie anche al vizio che avevano di vestirsi e pettinarsi allo stesso modo.
-Ehi, Zanna
Bianca…come sta la tua metá?- Domandó
mezzo spalmato sul tavolo ormai con le palpebre a mezz’asta, rivolto verso
quello sveglio.
-E
non mi chiamare cosí, cagacazzo-inveí il gemello ancora vivo, che era poi Kazuo il Fine –lo sai che non lo sopporto.-
-Appunto.- Replicó caustico l’altro, sbadigliando –Ti ho fatto una
domanda, quindi vedi di rispondere.- E che non rompesse,
non era mica colpa sua se non avevano mai voluto portare l’apparecchio ortodontico. Probabilmente si trascinavano dietro quel
nomignolo dall’asilo, li chiamavano cosígiá ai tempi della Hanawa; nessuno sapeva chi fosse il cabarettista che
l’aveva inventato, altrimenti sarebbe andato di persona a congratularsi con
lui.
-Boh,
è semisvenuto- disse Kazuo mentre sollevava dal
tavolo la testa del fratello tirandola per i capelli, aggiungendo in un sibilo
–che impedito…-
Genzōannuí e si strinse nelle spalle, pensando
sollevato che per quella sera non ci sarebbero state catapulte infernali ad
incombere sulle loro schiene. All’ultimo festino, ricordó,
stava quasi per mangiarselo quel gemello bastardo che si era fiondato sulla sua scapola.
Guardó
alla sua sinistra e vide il Triangolo TohoKojirō-Ken-Takeshi immerso in
una fitta conversazione. Anzi, avevano quasi fatto
capannello, pareva volessero tagliare fuori il Resto del Mondo. “Ma che emigrassero” pensó
infastidito il portiere che, non trovando nulla di meglio da fare, si riattaccó al boccale e bevve qualche altro sorso, stilando
un rapido resoconto mentale di quel grottesco festino.
Bilancio
della serata alle ore 00.43
-Finti
sobri: 3 (Jitō, Takasugi,
lui)
-Veri
sobri: 2 (i soliti noti, Misugi e Schneider)
-Moderatamente
allegri: 6 (Izawa, Sōda,
Kazuo, Wakashimazu, Takeshi e Kojirō)
-Fuori come
dei balconi: 4 (la Golden Combi, Ishizaki, Kaltz)
-Coma
etilico profondo: 1 (Matsuyama, che dopo aver parlato
con la sua bella si era depresso perché erano lontani e si era attaccato al
boccale per dimenticare)
-Deceduti:
1 (Masao)
-Figure di merda totali: 3 (di cui ben due sue, pensó
mentre la pelle gli si accapponava, e una soltanto di Ishizaki)
A distrarlo
dai suoi calcoli intervenne per l’appunto quel bischero giulivo di Ryō, che in quel momento lo scavalcó
e si mise fra lui e Kaltz, attaccando a gesticolare col numero otto dell’Amburgo per farsi capire. Drizzó le orecchie per sentire, in tutta quella gazzarra,
che cavolo volesse da lui, osservandolo mentre agitava le mani per spiegarsi e
usava le dita per contare; quando, in mezzo a tutta quella mimica esagerata, captó le parole in giapponese –tu…dire…me…contare, uno due, tre, quattro- intese che voleva farsi dire come si
contava in tedesco. Si era proprio appassionato all’ostico idioma,
evidentemente.
-A te non chiederó mai piú niente- sibiló poi lanciandogli un’occhiataccia di sbieco, con il
tipico occhio a mezz’asta del beone (che, per inciso, aveva anche lui). Genzō fece spallucce, esclamando con aria sinceramente
indifferente -sai che dispiacere…- Uno scassaballe in
meno, si disse, e poi chiedere ad un madrelingua era
meglio.
Inaspettatamente, Kaltzcapí
quasi subito cosa voleva e si mise a dargli corda, letteralmente berciando i
numeri e ridendogli in faccia senza tanti complimenti per la sua infima
pronuncia, anche se il poverino ce la stava mettendo tutta. Solo che Stecchino era talmente strafatto
che, arrivato all’otto, saltó direttamente al dieci (di
cui si era ricordato probabilmente perché era il numero di Schneider)
e da lí in poi fu tutto un susseguirsi di cifre a
casaccio, le prime che gli venivano in mente.
Forse fu da
quello che l’austero Kaiser capí che fosse giunto il momento di levare le tende. Lanció un’occhiata a Genzō,
che si era accoccolato con la testa sul tavolo e le mani sulle orecchie per non
sentire le urla dei due imbecilli che si stavano sgolando, e intuí che anche lui, come l’altro pirla,
doveva essere ormai arrivato alla frutta. Sbirció
l’orario e, vedendo che era quasi l’una, lo fece presente al portiere.
-Credo che
domani io e Kaltzdiserteremo-
fece quello per tutta risposta. Schneiderloguardó con aria di sufficienza
e replicó, irreprensibile –non ci provare. Io vi
avevo avvertito di non ubriacarvi, perciò adesso sono cazzi
vostri. Se domani entro le sei e cinque non vi fate
vedere, verró personalmente a buttarvi giú dal letto.-
Genzōsbuffó e, scansando Ishizaki
che non la finiva piú di sbraitare numeri a vanvera, tiró un coppino a Kaltz per attirare la sua attenzione.
-Teliamo?
Tu sei cotto come una pera e quel rompiballe del tuo capitano mi sta stressando per mandarci a nanna presto.-
-Ma come?- Trasalí lui, con una faccia allucinante –E’ appena l’una!-
Poi proseguí, rivolto a Schneider
-Perché non te ne vai tu, se ti stai rompendo?-
-Non mi
tentare…- fece quello in tono intimidatorio con gli occhi
stretti in due fessure glaciali –ti sei dimenticato degli allenamenti, faina?
Vi voglio entrambi in campo, e freschi come due rose.-
-Oddio,
adesso non esageriamo…- Genzō sorrise sardonico
a quelle parole -…mi sa che non sarai tanto fresco neanche tu, pallone
gonfiato. Vedrai le occhiaie, domattina.-
Ecco gli appuntini
che vi dicevo. Armatevi di pazienza, sará una
cosa lunga e contorta…
1- Non ho spuntato subito la voce “parodia” (come mi ha giustamente
fatto notare Eos75) principalmente perché nella mia immensa bakaggine tale termine mi era sfuggito quando ho
selezionato il genere (e sí che era appena sotto“commedia”, che stordita) ma è stato il primo
a cui ho pensato mentre scrivevo, giuringiurello. Cosí come
garantisco che il sospetto di stare andando OOC
un pochettino mi era venuto. Se non l’ho ancora
aggiunto è solo perché non so se continueró la storia
su questa falsariga o se i prossimi capitoli (se mai
ci saranno) seguiranno una linea differente, piú
“seria”.
Lo
ammetto, non è sempre una caratterizzazione fedele la
mia (LOL, immagino che si fosse capito, che puntualizzazione inutile), anzi,
con i personaggi di contorno che non conosco bene improvviso proprio.
2- Sempre in merito all’OOC, c’è una cosa che mi preme
chiedere alle veterane di fanfic e che una neofita
come me fatica a comprendere. Magari è una domanda
stupida ma non cazziatemi vi prego: il genere
parodia/demenziale implica SEMPRE l’OOC? Mi spiego, per fare una
parodia o presunta tale, è abbastanza ovvio che vadano enfatizzati e
ridicolizzati certi aspetti del carattere dei personaggi. In
effetti se mi soffermo a pensarci mi sembra impossibile fare delle
caricature decenti senza doverli prendere bonariamente per il culo snaturando comunque la loro indole, e cosí facendo si va fuori dalla normale caratterizzazione. Ergo, TUTTE le parodie sonoOOC? E
quali sarebbero i limiti che non bisognerebbe oltrepassare? Illuminatemi, pleeeeasexD
3- Il punto è che (come ho giá detto)
scrivo quello che mi viene in mente al momento, difficilmente pianifico
qualcosa. Quello che butto giú è pesantemente
influenzato dal mio umore del giorno, e ció non vuole
essere una mera giustificazione. Potrebbe darsi che un bel dí
mi venga voglia di fare la persona seria e che
caratterizzi in tal modo i personaggi, sfornando un capitolo un po’ meno
bislacco del solito, anche se di indole sono piuttosto cazzara;
oppure, e sarebbe la scelta piú saggia me ne rendo
conto, potrei pensare direttamente anche ad un’altra ficpiú “impegnata”, e dividermi tra le due scrivendole
alternativamente a seconda del mio stato d’animo. Mmmhsí, compromesso
interessante, chissá.
Mah.
Questa cosa è partita come un gioco, e tale rimarrá
almeno per ora, anche se non precludo nessuna possibilitá
per il futuro^^
Comunque, per me è stato (ed è) un vero piacere
scrivere di questi giocondi buffoni. Non potete neanche immaginare quanto mi diverta la stesura di queste storie cazzute!
(^o^)
E ora, come di consueto rinnovo i ringraziamenti per i commenti
e i consigli.
Eos, grazie per avermi rinfrescato la memoria, mi
sfuggiva proprio che “po’” si scrivesse con
l’apostrofo e non con l’accento, ma a ben pensarci è ovvio essendo la contrazione di “poco”…che sveltona che sono xD
Per
ció che riguarda Gamo…ops^^;
Mi incasino a volte con gli allenatori, comunque controlleró meglio e correggeró
l’imprecisione, thank you^^
Ultima cosa a proposito del fatto che Genzō
nella mia ficcazzuta non
ami particolarmente Tsuby a differenza del manga. Per ora lascerei la chiarificazione di questo punto in sospeso (dipende se aggiungeró o no l’OOC, in base alle risposte che riceveró) ma mi sento di dire che non apprezzo tutta quell’adorazione che viene
ostentata nella storia originale, quindi l’avrei comunque caratterizzato cosí. Non lo odia incondizionatamente, ma neanche è il suo
migliore amico, almeno nella mia testa bacata…ma pensandola in questo modo vado
comunque OOC, vero? Oddio è un cane che si morde la
coda, aiutatemi^^;
Silen, è vero, ho rischiato il
coma diabetico a forza di M&m’s, quei dannati sono la mia
croce e la mia delizia. Spero di disintossicarmi un giorno. Quanto capisco L di Death Note…SUGAR
POWA!
Quanto
blablabla. Saró
stata chiara? Si sará capito ció
che voglio dire? Ai posteri l’ardua sentenza^^;
Ebbenesí, la festa è
finita. Quali conseguenze porterá mai questo fatto? Ma poi, ne porterá? Chi lo sa, io
no di certo.
Sesta
parte della mia ficmediocre etcetcche doveva finire dopo appena tre capitoli,
ma mi sa che qua le cose forse tireranno ancora un po’ per le lunghe. Purtroppo
per voi continueró ad ammorbarvi con questo abominio per un tempo ancora imprecisato xD
Stavolta
parlo un po’ anche della Nazionale. Pensieri estemporanei, niente di profondo
ovviamente. La solita accozzaglia di cazzate, insomma.
Peró mi è piaciuto scrivere qualcosa anche di Tarō e Tsubasa, mi sentivo
in colpa dopo averli bistrattati nei capitoli precedenti, porelli ;_;
Inutile dire che mi sono divertita ancora di piú a raccontare del Triangolo Toho. C’ho
la fissa con triangoli e triumvirati io xD
• CAPITOLO 5 – The day after.
Kaltz
sembrava titubante ad accogliere la richiesta/ordine del Kaiser, nonostante
fosse ormai abbastanza schiantato dagli ettolitri di birra bevuti sino a quel
momento e dalla giornata in sé, che tra partita ed allenamenti non era stata proprio all’insegna del fancazzismo.
Difatti, malgrado tutto ció, ebbe il coraggio di
avanzare una proposta dinnanzi alla quale Genzō
e Schneider rimasero spiazzati e lo guardarono con la
stessa compassione con cui si potrebbe guardare un
infermo mentale.
-Che ne
dite di un bel festino all-night long?-
-Dico che sei
proprio grave, te lo puoi anche scordare- fece il portiere seccato, scuotendo
la testa –io ne ho abbastanza.-
-Idem. E
poi tra un po' ci sbatteranno fuori, credo che chiudano alle due. Allora, si va?- Disse
il capitano iniziando ad alzarsi, seguito da Genzō
che si tiró su barcollando.
-Ve ne andate di giá?- EsclamóIshizaki contrariato
perché voleva finire di “imparare” a dire i numeri in tedesco –Ma è ancora
presto!-
-Parla per te nullafacente, noi domani abbiamo gli allenamenti alle sei- biascicóGenzō, con voce
impastata dal sonno. –E’ stato un piacere ragazzi, ma per noi la festa finisce
qui.-
-Eh no, non
potete andarvene senza un brindisi di commiato!- StrepitóTsubasa, che pareva aver finalmente
esaurito il suo vasto repertorio di canzoni enka
assieme ad una parte della sbornia. Genzō, nel corso della serata, si era chiesto piú
volte come diavolo facesse a conoscerne cosí tante,
dopotutto non era un genere che interessasse molto la gente della loro etá. L’unica spiegazione che si era riuscito a dare era che
magari, non si sa come, gli tornassero in mente solo sotto gli influssi nefasti
dell’alcool.
-E
facciamo ‘sto brindisi, allora- rispose lui rassegnato afferrando il boccale
mezzo vuoto, subito imitato da tutti coloro ancora in possesso delle facoltá di coordinazione motoria. Rimase muto con il
bicchiere a mezz’aria per un attimo, in attesa che
qualcuno dichiarasse un motivo per brindare, ma vedendo che nessuno apriva
bocca esclamó –Allora? Qualche suggerimento?-
Non ottenne
risposta, qualcuno fece spallucce, tutti erano troppo sbroccati
per mettersi a pensare a qualcosa. Ci volle la tracotanza di Kojirō per riuscirea spezzare il silenzio.
-Io brindo
alla tua testa di cazzo-dichiaró
con un ghigno beffardo, toccando con il proprio boccale quello del rivale. Genzō fece una smorfia a metá
tra lo stizzito ed il sarcastico e ricambió il suo
gesto, dicendo –ed io alla tua faccia da culo.-
Il gruppo ridacchió e Ishizaki
se ne uscí con un commentino dei suoi che gli valse
un’occhiataccia dal portiere e uno sberlone
dall’attaccante:
–Si vede
che siete proprio fatti l’un per l’altro, voi due…-
Dopo aver
salutato gli altri ed essersi trascinati dietro un inerte Kaltz
ormai ridotto ad un relitto umano, i tre si avviarono verso la cassa per pagare
la loro parte. Fu allora che accadde un evento assolutamente imprevedibile, che
nessuno fu mai in grado di spiegare.
C’era chi,
sotto gli effetti dell’alcool, snocciolava vecchie canzoni malinconiche che il
mattino dopo avrebbe negato di conoscere, come Tsubasa.
C’era chi si
tramutava in una specie di vampiro gay, come Tarō.
C’era chi diventava
ignominiosamente patetico regalando uno spettacolo da taglio delle vene, come Matsuyama che si disperava per il suo amore lontano.
C’era chi
riusciva a divenire ancor piú scoppiato di quanto non
fosse giá di suo, come Ishizaki
o Kaltz.
Genzō, invece, pagó il conto a tutti.
Anche
quello di Kojirō.
La mattina
successiva fu un tripudio di occhi pesti e nasi
gocciolanti, tranne il Kaiser, ovviamente, che sembrava davvero fresco come una
rosa; delle occhiaie predette dal portiere non vi era alcuna traccia sul suo
volto riposato.
-Sei
odioso- disse Kaltz con la voce roca e baritonale che
si era ritrovato al risveglio, mentre si soffiava il naso –sembra che tu abbia
dormito per venti ore consecutive, bastardo.-
-Ma
quanto sei conturbante con quella voce sexy…mi attizzi, lo sai?- Cercó di esclamare Genzō,
che per farsi sentire era costretto a parlare con un tono insolitamente stridulo
e agonizzante. Da quando si era svegliato aveva scoperto con disappunto che riusciva
ad emettere solo rantoli, vittima di un pesante abbassamento di voce.
-A te
invece sembra che ti abbiano castrato…- rise l’altro di rimando, poi si rivolse
al capitano -dannato Kaiser, è tutta colpa delle tue docce fredde!-
-Macché, è
colpa vostra che vi siete sbronzati-Replicó quello, con la consueta spocchia –non dite che non
vi avevo avvertiti.-
Nonostante
avessero dormito non piú di quattro ore erano miracolosamente riusciti ad essere in campo per le
sei, ma erano presenti soltanto fisicamente, con i dovuti acciacchi, e non
certo mentalmente. Kaltz in particolare era tutto un livido, come previsto le frustate prese il pomeriggio
antecedente avevano lasciato il segno.
-Senti, ma
dobbiamo proprio? A quest’ora ci sono ancora i gufi…-
Sbuffó lui, rabbrividendo per il freddo pungente del
primo mattino amburghese.
-Ovvio.
Vedi di ripigliarti.- Fu la concisa risposta del sempre logorroico
Kaiser, mentre salutava con un cenno della mano il resto dei compagni che
iniziavano ad arrivare in ordine sparso.
A dir la veritá neanche Genzō aveva
molta voglia di allenarsi, malgrado di solito fosse
piuttosto stoico e difficilmente si lamentasse. L’ameno festino e la birra trangugiata
dovevano averlo decisamente rammollito.
Il gatto e
la volpe si scambiarono un’occhiata sospirando, rassegnati al destino che li
attendeva inesorabile, e con passo incerto seguirono il loro capitano che si
era messo a trotterellare vispo come un grillo, iniziando il riscaldamento con
i giri di campo.
-Sai, non
sono male i tuoi amici- Disse a un certo punto Stecchino
mentre “correvano” praticamente a passo d’uomo, cacciando subito dopo uno
sbadiglio a bocca talmente spalancata che a momenti gli si slogava la mascella.
–Tranne un paio, che mi sono sembrati un po’ dei rompimaroni, gli altri erano ok.-
-E chi sarebbero i rompiballe, secondo te?- Chiese l’altro incuriosito,
lanciando nel contempo un’occhiata al Kaiser che capitanava la fila un po’ piú avanti. Sicuro di non essere visto, rallentó
ulteriormente la sua andatura, e Kaltzlo imitó seduta stante; se
avessero decelerato ancora, si sarebbero fermati.
-Oddio,
nomi e cognomi mica me li ricordo, e lo sai che non
sono molto fisionomista neanche da sobrio…distinguere i vostri musi tutti
uguali, poi- qui Genzō lo fulminó
con lo sguardo -...peró diciamo che forse ho capito
perché odi tanto quel tizio, a pelle ha dato fastidio anche a me, ma non posso
giudicare la cosa obiettivamente perché non ne so abbastanza. Se ti decidessi a
parlarmene!- E cosí dicendo glitiró un cartone sul braccio, a cui il portiere contrattaccó con il solito schiaffo sul coppino,
apprestandosi a rispondergli a tono. Peró non fece in
tempo ad aggiungere altro perché Schneider li cappelló di brutto (parlando parlando erano finiti in fondo alla fila e mentre gli
altri iniziavano il terzo giro loro dovevano ancora terminare il primo) e li spedí dritti dritti ad allenarsi
ai rigori per un tempo indefinito, anzi piú
precisamente “finché non vi si secca la lingua”.
“Ah, allora
stiamo freschi” pensóGenzō,
fermamente convinto che dovessero ancora inventare un sistema per far diminuire
la parlantina dell’amico, che guardacaso stava
continuando a borbottare fra sé e sé una sequela di maledizioni per il Kaiser,
non sia mai che tacesse un attimo e corresse il rischio di disimparare ad usare
il muscolo piú allenato del suo corpo.
Con una
flemma che gli era del tutto inusuale, Genzō si infiló i guantoni e
si sistemó tra i pali, levando una silenziosa
preghiera al cielo affinché non perdesse la faccia e riuscisse a parare quanti piú tiri possibile; anzi, trattandosi di Kaltz, doveva riuscire come minimo a pararli TUTTI,
non c’erano alternative se voleva salvare l’onore. Non si sentiva per niente in
forma e il rischio sfondone era pericolosamente in agguato dietro l’angolo ma fortunatamente,
si disse per consolarsi, avendo lui come rigorista forse poteva stare
abbastanza tranquillo.
Anche la
Nazionale giapponese, reduce dal famigerato festino, quella mattina non era
messa molto meglio; sfoggiavano tutti un corredo di occhiaie
che definire scandalose non rendeva sufficientemente l’idea, oltre naturalmente
all’immancabile cerchio alla testa post-sbornia, ma almeno nessuno si era
buscato un raffreddore. L’unico ad essersi salvato dalla strage fu naturalmente
il solito Misugi, che tentó
di svegliare gli altri alle otto, ma non ci fu verso di buttarli giúdal letto prima delle dieci. Jun decise di graziarli solo perché effettivamente non
avevano un granché da fare, quella mattina.
Dopo la
dipartita del “Trio dei Crucchi”, come ormai li chiamavano segretamente anche
se uno di loro non lo era affatto, l’allegra brigata
aveva seguitato a far baldoria fino all’orario di chiusura del locale. La cosa,
il giorno dopo, li aveva lasciati alquanto basiti, perché non si capacitavano
di come fossero riusciti ad essere cosí spensierati
nonostante la tragica amichevole e la pessima figura che ci avevano fatto. Ma almeno, si disse Misugi, nessun
fan era venuto a chiedere autografi, malgrado fosse pressoché certo che li
avessero riconosciuti. Chissà, forse avevano avuto pietá
di loro per lo stato in cui versavano e non avevano osato disturbarli.
“Magra
consolazione” si disse sospirando “saremo crollati agli occhi di chi ci aveva
idealizzato e ci vedeva come miti da raggiungere.”
Il primo a
resuscitare dal coma senza l’intervento di Jun fu Tsubasa che, dopo aver fatto uno sforzo immane per riuscire
a districarsi dalle coperte che gli si erano aggrovigliate addosso, entró in bagno per darsi una rinfrescata e, guardandosi
allo specchio, quasi non riconobbe la sua orrenda faccia stravolta. Si diede
una lavata sbuffando disgustato e tornó nella stanza
da letto per vestirsi.
-Mio Dio,
ma che muso hai?- fece Tarō,
svegliatosi anche lui in quel momento, mentre lo guardava da sotto le coperte
con il viso appoggiato sui palmi delle mani. Tsubasa
lo squadró con aria di sufficienza, replicando –Anche
tu non scherzi, ti sei visto allo specchio? Sei un qualcosa di veramente
abominevole, stamattina. Ishizaki ancora non dá segni di vita?-
-No, sembra
di no- rispose l’altro voltandosi verso il letto dove il difensore se la
dormiva ancora della grossa, con il volto sprofondato nei cuscini –povero, ho solo
dei vaghi ricordi di ieri sera, ma la figura che ci ha fatto con la tipa ce l’ho impressa a fuoco nel cervello…lasciamolo
sonnecchiare ancora un po’, vá!-
Il capitano
attaccó a ridere sommessamente ripensando a quell’episodio, ma si interruppe
di colpo quando un brivido gli elettrizzó la spina
dorsale. In una sorta di flash mentale gli tornó alla
memoria il comportamento dell’amico la sera prima, e subito corse
in bagno davanti allo specchio per scrutarsi attentamente il collo alla ricerca
di eventuali succhiotti. Notato che non ve ne era
nemmeno uno, sospiró di sollievo e disse:
-Tu fattene
poco caso, hai idea di quello che diventi quando bevi?
Comunque vedo che mi sono salvato anche stavolta dal
tuo assedio, che culo.-
-Che intendi dire?- BoccheggióTarō, tirandosi su a fatica. Evidentemente a lui le sbronze
cancellavano parzialmente la memoria a breve termine,
si disse Tsubasa. Come poi anche a lui, che per il
momento era ancora all’oscuro delle esibizioni canore con cui aveva
“intrattenuto” il pubblico.
-Niente, se
non te ne ricordi è meglio, ma sappi che per te è davvero compromettente alzare
il gomito- gli rispose –ti comporti in modo
inequivocabile, dissipando ogni dubbio a chi li nutre su di te.- La risposta
del numero dieci era abbastanza criptica, e difatti Misaki
si fece ancora piú curioso, incalzando: -Non capisco
una parola di quel cazzo che dici, ma ti vuoi
spiegare? Che tipo di dubbi dovrebbero avere su…- la
sua frase restó incompleta perché in quel momento
ebbe anche lui un flash e si rivide abbarbicato sulla sua schiena a mó di koala. Ammutolì all’istante e si mise una mano sulla
faccia, mormorando: -Oh, Signore…-
-Hai
realizzato finalmente, sottospecie di zecca? Ecco perché è meglio che tu non
beva, quante volte te lodovró
ripetere ancora prima che tu recepisca il messaggio?-
-Non ci
posso credere, ma sul serio faccio cose simili?- Continuó
lui scuotendo la testa, sinceramente esterrefatto.
-Ebbenesí. Fatti vedere da uno bravo, potrebbe essere
sintomo di un lato dormiente della tua personalitá
che ancora non conosci- “ma che sospettano tutti”
aggiunse mentalmente, ghignando.
In un’altra
stanza poco lontana da quella di Tsubasa, Misaki e Ishizakidormiva saporitamente il Triangolo Toho,
almeno fino a quando l’insistente bussare di Misugi
non aveva ridestato Kojirō dal sonno. Questi sollevó a fatica la faccia dal cuscino e imprecó mentalmente, notando la pozzangherina
di bava che aveva inumidito quella parte di federa e di imbottitura,
e portandosi una mano alla guancia per asciugarsi si tiró
a sedere.
-Che
hai da rompere?- Ringhió aprendo bruscamente la porta
e rischiando di farsi bussare sul naso da Jun, che
era rimasto con la mano sospesa a mezz’aria.
-Sono quasi
le dieci, non vi sembra il caso di riprendervi?- Fece
lui, buttando un occhio all’interno della camera e scorgendo gli altri due che
ancora ronfavano beati.
-Perché,
che abbiamo da fare? Vedi di cavarti dalle palle- RisposeKojirō amabilmente sfoggiando la ben nota
proprietà di linguaggio, mentre gli sbatteva la porta in faccia pensando
stizzito che ormai non sarebbe piú riuscito a
riprendere sonno. La testa gli pulsava e si sentiva in bocca un sapore
disgustoso, per cui si avvió
con passi pesanti in bagno per lavarsi viso e denti, maledicendo quello scrotoclasta di Jun.
Ma, essendosi alzato molto storto, decise che se non dormiva lui non
avrebbero dovuto farlo neanche gli altri. Appena uscito dal bagno camminó
a tentoni nella semioscuritá dirigendosi verso la
finestra e, bestemmiando fra i denti una sfilza di anatemi
per aver inciampato nella valigia di Wakashimazu
rimasta bellamente aperta in mezzo alla stanza, tiró
con malagrazia le tende e alzó rumorosamente le
tapparelle, inondando improvvisamente di luce l’ambiente.
Spazió
un attimo lo sguardo e, notando le condizioni in cui si trovava la loro camera,
fu colto da un moto di repulsione. Nonostante le inservienti dell’albergo
l’avessero risistemata meno di ventiquattro ore prima e loro
ci fossero stati dentro non piú di mezza giornata da
quando erano arrivati, sembrava un campo di battaglia. Non si sarebbe detto,
forse, ma lui era un tipo piuttosto ordinato e pratico,
a differenza di Wakashimazu che da solo era capace di
fare piú casino di un contingente intero.
Da una
stima approssimativa sembrava che gli altri due fossero morti, perché non
mossero un muscolo. Kojirō allora passó alle maniere forti e si impossessó delle loro coperte, costringendoli ad un brusco
risveglio.
-Siamo cafoni fin dal mattino, vedo…- biascicóKen stropicciandosi gli occhi, mentre sbadigliava
sonoramente.
-Sai la novitá…- gli fece eco Takeshi
coprendosi la testa col cuscino, senza muoversi dalla sua posizione.
-Io vado a
fare colazione, venite o no?- Esclamó l’attaccante
ignorando i loro commenti, mentre si infilava i
pantaloni della tuta. Sawadaagitó una mano mugugnando un “dopo” ad
occhi chiusi, ripiombando nel sonno nonostante fosse mezzo scoperto e
infreddolito, ma Wakashimazuannuí
alzandosi in piedi e stiracchiandosi. –Dammi un minuto e sono da te- disse, e notando l’amico che lo fissava sghignazzando, inarcó un sopracciglio, stupito: -Tu che ridi di prima mattina? E per cosa poi, sei sicuro di stare
bene?- Kojirō, che era stato il primo a sorprendersi per il suo riso spontaneo, gli indicó i
capelli esclamando –Sono mezzo tentato di chiamare un esorcista, se ti vedessi
allo specchio capiresti. Sembri un’ananas.-
Ken fece
una faccia agghiacciante e si catapultó in bagno,
dove inizió a pettinarsi freneticamente le chiome
ribelli imprecando a mezza voce, perché sembrava sul serio che avesse infilato
due dita nella presa di corrente. Aveva anche lui, come tutti del resto,
reminiscenze piuttosto confuse della serata appena trascorsa, ma si ricordava
distintamente di quel disgraziato di Ishizaki che si era trastullato a giocare al parrucchino
con la sua inestimabile capigliatura, tirandoseli sulla testa e pavoneggiandosi
come un perfetto imbecille. Doveva essere tutta colpa sua. Poche altre volte,
infatti, gli era capitato di ritrovarsi al mattino con
una simile indecenza al posto dei capelli, dal momento che era dedito
riservargli sempre cure e attenzioni che gli altri definivano quasi maniacali.
-Ma
dai Ken, sei bello lo stesso…- lo canzonóKojirō dalla camera, ghignando. –Io mi
avvio, se ti conosco bene ci metterai un secolo. Ci vediamo giú.-
Doveva
conoscerlo davvero bene, perché dopo un quarto d’ora di attesa
l’amico ancora non si vedeva. Nel frattempo, si era seduto al tavolo dove c’erano
giá anche Tsubasa, Tarō e Misugi (Ishizaki non c’era stato modo di svegliarlo) che erano
piuttosto silenziosi e si scambiavano di tanto in tanto
sguardi a dir poco allucinati, sbocconcellando chi un biscotto chi un
panino.
-Io mi
sento uno straccio…- farfuglió un Tarō
apatico senza alzare lo sguardo dal suo tè. Si stava ancora vergognando come un
ladro per quello che aveva appreso sulle sue imbarazzanti avventure etiliche ai
confini dell’eterosessualitá, e si augurava
ardentemente che nessuno girasse il coltello nella piaga, ma vedendo arrivare Kojirō perse presto ogni speranza di cadere
nell’oblio. Quello di sicuro si sarebbe divertito a sfotterlo fino alla morte, si disse sconsolato.
-Tira aria di cimitero qui, cos’è? Un circolo anziani?- Esordí l’attaccante esibendo per l’ennesima volta la sua
caratteristica convivialitá, mentre addentava una
fetta di pane tostato. I numeri dieci e undici lo guardarono con delle occhiaie
profonde che piú profonde non si poteva
e nei loro occhi serpeggiarono lampi di invidia.
-Come
cacchio fai ad essere cosí
arzillo, e poi non hai neanche una ruga- osservóTsubasa, che quella mattina si era sentito di colpo dieci
anni in piú addosso.
-Ma
che siete, educande? Per un goccetto
di birra e mezza notte in bianco?- Li sbeffeggió lui,
imburrando un’altra fetta di pane.
-Chiamalo goccetto…ho perso il conto dei litri che avró bevuto- rispose allora il capitano perfettamente
conscio della sua condotta riprovevole, di cui peró non
si era ancora pentito al cento per cento. Era la sua prima vera sbornia, e
nonostante non avesse nessuna intenzione di allungare
la lista delle sue imprese, ecchecavolo, si era
detto, almeno una in tutta la vita.
A
interrompere quell’insensato botta e risposta
intervenne Takeshi, che sopraggiunse visibilmente
stravolto e si posizionó di fianco a Kojirō,nascondendo il volto fra le mani con fare teatrale.
-Che hai?- Gli chiese l’attaccante guardandolo con aria
insofferente e un sopracciglio alzato, abituato com’era alle sue pantomime. Ci
avrebbe scommesso che c’entrava Wakashimazu, e
difatti l’amico mugugnóin
risposta: -E’ per Ken. Tu
non puoi neanche immaginare, sono stato svegliato da un’orribile trancetamarra* della
peggior specie…non dico che era a tutto volume, se no l’avrebbero sbattuto
fuori dall’albergo a calci in culo, ma poco ci
mancava.- Gli altri scoppiarono a ridere di fronte a quella spiegazione
tragicomica perché cozzava terribilmente con la sua faccia spiritata, che
induceva a pensare a tutt’altro
genere di motivi ben piú seri.
-Non ce la puó proprio fare a smettere di ascoltare quella robaccia…ma
che sta facendo ancora? Sempre quei cazzo
di capelli?- Alla domanda di KojirōTakeshiannuí e rispose –ha detto
che Ishizaki gli aveva combinato un disastro ieri
sera e che ci avrebbe messo almeno mezz’ora a rifarsi la piega.- A quell’affermazione tutti si scambiarono occhiatine
eloquenti, sghignazzando. Era proprio fissato, peggio di Tsubasa
col pallone.
-L’ho
lasciato che ballava come un tarantolato mentre
preparava il suo balsamo speciale. Sai, quello che ottiene mescolando almeno
tre prodotti diversi. Se non sfonda come portiere,
quel ragazzo ha un futuro assicurato come hair-stylist.-
Concluse Takeshi, sorridendo sardonico e suscitando
nei presenti una sincera risata sguaiata. Decisamente,
le “prodezze” del Triangolo Toho a volte erano un
toccasana per l’umore.
-Sentite-
fece in quel momento Misugi cambiando argomento -io
stamattina andrei volentieri a fare un giro in centro a comprare qualche
souvenir, c’è nessuno che ha voglia di venire con me?-
Gli altri
lo guardarono con delle facce che la dicevano lunga su quanto fossero
entusiasti della sua proposta, finché Tsubasa ci ripensó e disse, malizioso:
-Massí,
vengo io con te, cosí ti aiuto a scegliere qualcosa
di carino per Yayoi, sei contento?-
Junarrossí leggermente e glifrecció di rimando, piccato –tanto lo so che è una scusa
per comprare un regalo a Sanae, mica sono deficiente
che non l’ho capito!-
Il capitano
sbuffó visibilmente imbarazzato e glissó
abilmente la questione, chiedendo: -A proposito di denaro, a chi devo dare i
soldi della mia parte per ieri sera? Perché non mi risulta
di aver pagato qualcosa a qualcuno.-
-Ci credo
se non te lo ricordi, ancora un po’ e ti perdevamo- sghignazzóKojirō –e
comunque non ne ho la minima idea, neanche io ho pagato niente a nessuno.-
-Io
nemmeno.- Si accodóTarō,
scrollando le spalle.
-E io
pure- Concluse Takeshi, scuotendo la testa.
Rifletterono
un istante e si resero conto di essere usciti dal locale con la massima
noncuranza verso quel “dettaglio”, sfasati com’erano; e anche chi magari se
n’era ricordato aveva lasciato correre, supponendo che ci avesse giá pensato qualcun altro e che si sarebbero aggiustati in
un secondo momento.
Misugi,
il solo a conoscere la veritá, si schiarí
la voce per un po’ prima di decidersi a dire –ehm, ragazzi…Wakabayashi
ha saldato il conto a tutti, ieri sera.- L’aveva scoperto quando si era alzato
per andare a chiedere a quanto ammontasse la cifra da pagare, essendo l’unico
completamente sobrio che fosse in grado di adempiere a
quel compito. Parlando in un inglese strascicato e concludendo
la frase a gesti, il gestore gli aveva fatto intendere che aveva sopperito alla
cosa “il moretto con gli occhi a mandorla” in mezzo ai due tedeschi che erano
andati via prima.
Quando
aveva appreso la notizia a Jun per poco non cadeva la mascella dalla sorpresa, e gli amici ebbero la
stessa identica reazione, meravigliati soprattutto del fatto che avesse
disimpegnato anche Kojirō. Doveva proprio essere
stato ubriaco perso.
-Ha fatto
cosa?!- Berció subito lui, con un’espressione trucida
in volto –Chi si crede di essere quel fighetto? I miei debiti me li pago
da solo, io!- Doveva dargliene atto, quel bellimbusto riusciva sempre a
stupirlo. Vabbé che a pecunia stava messo bene e si
sapeva, ma se gli altri vedevano la cosa come una cortesia gradita, per lui
equivaleva praticamente ad un insulto: era una
questione di orgoglio personale, la Tigre della Toho
non accettava l’elemosina da nessuno. Men che meno da
uno come lui.
-Eddai,
Hyūga- fece Tsubasa,
risistemandosi la mandibola mezza slogata –che problema c’è? E’ un gesto
gentile, non prendertene a male.-
Purtroppo, peró, si era fuori tempo massimo per tentare di ammansirlo
perché ormai l’embolo gli era partito, e aveva giá
preso la ferma decisione di andare a pescare il portiere per sbattergli in
faccia senza tanti convenevoli la propria parte di soldi. -Me la prendo eccome!
Chi gli ha chiesto niente? Io non ho bisogno della caritá di
nessuno, specialmente della sua!-
Gli altri
si guardarono alzando gli occhi al cielo, pensando che quando ci si metteva Kojirō sapeva essere una Vera Palla™.
-Ascolta, Hyūga-proseguí l’ardito Tsubasa,
evidentemente poco interessato alla propria incolumitá
–ho pensato di ringraziare Wakabayashi da parte
di tutti noi. Lo faró anche da parte tua e tutto morirálí, d’accordo? Non c’è
bisogno di risolvere questa faccenda con uno spargimento di sangue.- Tarō,
Takeshi e Jun lo fissarono allibiti, pensando che fosse proprio l’ultima cosa
che dovesse dire. Kojirō che ringraziava Genzō
per qualcosa? Pura fantascienza.
-Cos’è, ti ha
svaporato il cervello?- L’attaccante si alzó
di scatto facendo quasi cappottare la sedia e si avvicinó
minacciosamente al volto del capitano, puntandogli l’indice sul petto a
sottolineare le sue parole.
-Stammi a sentire, splendore…tu non farai
proprio niente da parte mia, chiaro? Azzardati a dirgli qualunque cosa e ti
sparecchio la faccia.-
NOTE (futili come al
solito):
*Che poi è quella che ascolta anche
la sottoscritta xD
Apprezzo
moltissimi generi musicali diversi, e ahimé la
trance-trash rientra(va) fra questi. Ne ho abusato negli anni della
gioventù, sigh, che bei ricordi; peró, sempre parlando di questo filone musicale, ormai è da
parecchio che mi sono votata alla sola hime-trance
nipponica, che piú o meno è la stessa cosa, ma alle
mie orecchie è maggiormente sopportabile solo perché i testi dei motivetti scemi e tutti uguali sono cantati in giappo^^;
Ma non
sono truzza. Ballo questa roba solo quando DEVO
sfogarmi e non posso pogare con nessuno. Lo giuro xD
Mi sembra doveroso poi aggiungere un piccolo appunto anche su un’altra cosa, come qualcuno mi ha fatto giustamente notare. Trottola mi ha scritto dicendosi perplessa circa il fatto che i J-Boys si sbronzassero cosí alla svelta, perché non le sembrava molto realistico. Ebbene, esiste una spiegazione logica piuttosto semplice che ho omesso finora perché per me era scontata, anche se effettivamente a pensarci bene non lo è affatto. Provvedo subito a delucidare in merito.
I J-Boys si ubriacano cosí in fretta perché gli asiatici hanno una differente tolleranza verso l’alcool rispetto agli europei, causata dall’assenza di un enzima chiamato “Aldeide Deidrogenasi 2”, uno di quelli che serve appunto alla metabolizzazione di tali bevande. Oppure, anche laddove l'enzima é presente, é comunque difettoso e non fa il proprio dovere. Tradotto in parole povere, hanno una scarsa capacitá di assimilazione degli alcolici e tendono a sbronzarsi nella metá (se non meno) del tempo che ci metterebbe una qualsiasi altra persona di etnia non asiatica. Per cui, se vi sembra che nella fic vadano fuori di testa troppo velocemente sappiate che succede davvero cosí, se poteste bere in compagnia di giapponesi ve ne rendereste conto^^
Esistono ovviamente delle eccezioni, ma in linea di massima è una cosa che hanno di “default” nel loro corredo genetico.
Va considerato poi che i boccali di cui parlo sono da un litro e mezzo-due di birra, e di un tipo particolarmente peso. Anche Kaltz alla fine é fuori come un balcone pur non essendo giapponese, ma se si calcolano i litri che ha ingerito la cosa si spiega, credo xD
Visto
che avevo del tempo da perdere a esami terminati, ho
provato a fare un banale disegnuzzo senza senso del Triumvirato
dei Fessi, perché io AMO questi tre, li amo sul serio. Se
volete vederlo cliccateQUI, ma
siete avvertiti, è fatto in fretta e furia e colorato anche peggio (TempusFugit, e poi
io odio colorare xD) Potevo
fare di meglio, ma poco male, non ho certo intenzione di smettere di
disegnarli^^
Grazie mille
a Silen (carissima, mi fa sempre un piacere
immenso leggere i tuoi commenti, lo sai^^) e a Berlinene (ragazze, voi due mi avete fatto
sghignazzare come una stordita con i vostri BOT, CCT e PROTxD) che si prendono la briga di commentare questa
specie di fic. Non deve essere facile, e apprezzo
davvero molto il vostro sforzo.
Un sentito
grazie anche a tutti i lettori silenti^^
Un
ringraziamento speciale va poi a Pucchyko_Girl, che sostiene di
essere stata ispirata da me (!) per la stesura della sua toccante e malinconica
“Avevo un sogno…che ora ti affido”, incentrata su quella sagoma di Mr.Stecchino.
Sono
a dir poco commossa e lusingata, nonché ancora
sconvolta, da questa cosa *__*
I tiri di kaltz di certo non smerigliavano le mani ai portieri, ma erano
ugualmente insidiosi
Ariecchime qua con l’ormai settima parte di
questa storia senza capo né coda, perché io proprio nonso cosa sia la
vergogna xD
Stavolta é presente una piccola
parte introspettiva sulle paturnie del Kaiser di Germania, che si riallaccia
agli eventi della storia originale, piú un paio di
altri paragrafetti forse un po’ pallosi, ma non
temete, le cavolate riprenderanno in men che non si dica. E come
potrebbe essere diversamente.
• CAPITOLO 6 – Mine vaganti e
suicidi verbali.
I tiri di Kaltz
di certo non smerigliavano i guanti dei portieri, ma erano ugualmente
insidiosi.
Neanche finito di constatarlo che per poco Genzō
non se ne fece passare uno in mezzo alle mani; lo paró
all’ultimo soltanto grazie alla sua prontezza di riflessi e perché no, grazie
anche ad un pizzico di autentico Fattore C. Perócosí non andava proprio. Stava peccando di superbia,
non doveva sottovalutare l’amico solo perché non era in grado di tramutare i
palloni in supernove infuocate come riusciva a fare Schneider. Stecchino in campo era imprevedibile e con certe
giocate di fino persino potenzialmente pericoloso, ormai avrebbe
dovuto saperlo.
-Uuuh, che pelo- ululó
lui, squadrandolo con la sua tipica espressione sorniona e le mani sui fianchi
–hai avuto culo stavolta,
eh? C’ero vicino tanto cosí.-
-E va bene, ammetto che non mi aspettavo il pallonetto, contento? Fai poco lo sborone, intanto mica ci sei riuscito a segnarmi- sogghignóGenzō rinviandogli
la palla, che Kaltzstoppó
di petto esclamando -Fai poco lo sborone tu, vedremo se non ti bucheró almeno
una volta!-
Era giá
da un’oretta e mezza che i due consorti si stavano cimentando nei rigori
imposti dal capitano, che nel frattempo si allenava con il resto della squadra
nell’altra metá campo. Il sottile dubbio che
il Kaiser si fosse voluto bellamente liberare di loro gli
si era insinuato piú di una volta nel corso di quella
mattina; benché lo nascondesse egregiamente, era probabile che anche l’infaticabile Schneider
fosse in realtà piuttosto ammosciato dalla serata appena trascorsa. Non aveva
bevuto, ok, ma neanche lui a lungo
andare avrebbe retto all’allenamento senza cali di prestazione,
considerati gli strascichi dell’impegnativo pomeriggio dell’amichevole e le quattro
ore scarse di sonno alle spalle. E poi, a pensarci bene, anche nella partita
contro i suoi connazionali gli era sembrato in piú di un’occasione che avesse la testa da un’altra parte,
nonostante la solita figura eccelsa che aveva fatto. Genzō
conosceva bene i suoi scazzi silenti, e quello aveva
tutta l’aria di esserlo.
La sua perspicacia come sempre non
sbagliava, perché in effetti il capitano era
impensierito da qualcosa, e lo stress fisico non era che uno soltanto dei motivi
che lo avevano spinto a spedirli ai rigori per non essere costretto a doverseli
sorbire.
Quella mattina si era sentito
fiacco ancor prima di cominciare, benché l’avesse dissimulato benissimo e praticamente nessuno se ne fosse accorto. Al
pensiero che avrebbe dovuto sopportare la logorrea di Kaltz
e la boria di Genzō si era sentito mancare le
forze; per quanto fossero amici, c’erano momenti in cui non li tollerava e quel
giorno, per tutto un insieme di ragioni, era uno di quelli.
Quando qualcosa lo turbava non era
certo avvezzo a confidarsi con qualcuno, anzi, in quei frangenti riduceva al
minimo indispensabile i rapporti umani preferendo isolarsi a rimuginare in
santa pace, soprattutto se aveva un tarlo fastidioso come quello che lo
preoccupava da un po’: i suoi erano in rotta e lui, essendo un tantino in
apprensione per la sua situazione familiare, non si sentiva di avere intorno nessunrompicoglioni.
La sera prima aveva accettato di
uscire con loro giusto perché non voleva restare in casa con sua madre che,
esattamente come il figlio, si crucciava in segreto per ció
che stavano passando, cercando al contempo di non fargli pesare troppo quella
situazione. Solo che lui non era un cretino e capiva bene
quanto lei ne soffrisse, ma sapendo che non ci sarebbe stato modo di instaurare
un qualsivoglia tipo di dialogo, aveva preferito cambiare aria e cercare di
distrarsi un po’. E grazie a quel gruppo di
squinternati c’era riuscito, per qualche ora si era svagato e non aveva pensato
affatto alle proprie vicissitudini.
Era tassativo seguitare a comportarsi
come il capitano di sempre perché solo cosí non gli
avrebbero fatto domande indiscrete, e finora neanche quei due beoti si erano
impicciati troppo, evidentemente se l’era costruita proprio bene la maschera
che indossava. Peró, anche se aveva sempre potuto
contare sulla sua recitazione impeccabile, quella mattina si sentiva forse un
po’ piú vulnerabile del solito a causa della
stanchezza fisica ed emotiva che cercava in tutti i modi di celare da giorni, e
temeva che potesse trapelare qualcosa agli occhi di chi lo conosceva meglio
degli altri.
Cosí, era stato ben felice di cogliere
la palla al balzo quando li aveva sgamati a cazzeggiare senza ritegno, allontanandoli da sé quel tanto
che bastava per non essere scrutato dagli occhi indagatori del portiere e non udire
il chiacchiericcio inesauribile di Kaltz, capace di
blaterare a vanvera anche mentre tirava, correva, dribblava, rimetteva,
passava…insomma, sempre e comunque.
E difatti eraquesto l’unico sottofondo che si udiva nella metá campo del gatto e la volpe. Genzō,
non potendone piú, aveva deciso di spremerlo come un
limone, cosí almeno se avesse esaurito il fiato se ne sarebbe stato zitto.
-Senti, ma non riesci proprio a
concentrarti anche senza parlare in continuazione?- Gli disse
per provocarlo, pochi istanti prima di tuffarsi per parare l’ennesimo tiro. Ad
onor del vero piú che un’esclamazione si era udito
solo un flebile rantolo, perché gli costava fatica parlare e doveva sforzare la
voce per farsi sentire, ma mai e poi mai avrebbe rinunciato a mettere in atto
la sua raffinata strategia di intimidazione verbale.
-Stai forse insinuando che ti dó fastidio?- RisposeHermann che ci aveva sentito benissimo, preparandosi a
scagliare un nuovo rigore.
-Macché, affatto. E’ un piacere
ascoltare le tue facezie perché sono soavi componimenti che arrivano dritti al
cervello, peggio del trapano del dentista.- Ghignó
l’altro, sistemandosi la visiera del cappello col suo solito fare strafottente.
-Questa non me la dovevi dire, sfinge del cazzo. Occhio
che ti segno per carica sul portiere, e chissefrega se è fallo- ribatté il centrocampista sputando
lo stecchino con aria minacciosa.
-Sai che paura. Sarebbe proprio ora
che mi mostrassi tutta la tua teutonica grinta, perché fino adesso non ne ho
visto neanche l’ombra.- Era sicuro che avrebbe colpito
nel segno con questa tagliente e mefistofelica uscita, perfettamente nel suo
stile. Man mano che proseguiva negli allenamenti si stava caricando sempre piú, e solitamente piú era carico
lui piú si spompavano gli
avversari; ergo, un Hermann sfiancato se ne sarebbe
stato buono e zitto ad usare il poco fiato rimasto solo per tirare e basta,
senza sproloquiare inutilmente.
Peccato peró
che alla sua stoccata l’amico rispose sganasciandosi con una bella risata.
-Dai, ma ti ascolti quando parli? Proprio
non riesco a stare serio, con quel rantolo di voce che ti ritrovi sembri sul
punto di tirare le cuoia, vuoi fare lo smargiasso ma non sei credibile neanche
un po’!- E come dargli torto, pensó il portiere
infastidito. Forse la sua comprovata tattica sovversiva questa volta non avrebbe sortito l’effetto sperato. Ma
possibile che a lui non venisse mai un fottutissimo
abbassamento di voce?
Leggermente infumanato
per l’ineluttabile fallimento del suo piano, effettuó
per vendicarsi una potente rimessa che sfrecció a
pochi centimetri dal viso di Kaltz, il quale sobbalzó inorridito e gridó, portandosi
le mani sulle guance: -Ohi! Hai rischiato di sfigurare il mio faccino perfetto,
razza di idiota!-
-Ah, per quello non c’era
pericolo, scimmia- ribatté il portiere, sorridendo sarcastico –semmai hai corso il rischio di diventare bello.-
-Ma senti questo con che coraggio…- borbottó Stecchino, metá serio e metá divertito, mentre si massaggiava il “bel faccino”, la
cui scimmiesca perfezione era stata messa seriamente a repentaglio. Genzō doveva riconoscerlo, l’amico era capace di non
prendersi mai troppo sul serio e se c’era un lato del suo carattere che
apprezzava era proprio quella spiccata auto-ironia, cosa che
non era certo da tutti.
-Oh, mi viene in
mente- fece lui, senza smettere di carezzarsi la mascella squadrata –non
ti ho ancora ringraziato per ieri sera, finocchio. Vuoi che ti esprima la mia
gratitudine con un bacino?-
Genzō rabbrividì all’idea ed esclamó, cadendo dalle nuvole:- E
per cosa dovresti ringraziarmi?-
Kaltzloguardó lievemente perplesso e replicó,
gingillandosi fra i denti il nuovo stecchino che aveva appena pescato dalle
tasche: -Bé, hai pagato per tutti, no? Vabbé che ero piuttosto cotto, ma questo me lo ricordo.-
Il portiere si prese il mento fra
le dita, pensieroso. Si spremette un po’ le meningi e finalmente gli venne in
mente che sí, effettivamente le cose stavano come diceva
lui.
-Non hai bisogno di ringraziare,
fa niente- disse infine, alzando le spalle –non è stato un problema.- E non lo era veramente, in fondo per lui i soldi non avevano mai
costituito una fonte di preoccupazione. Per meglio dire, in altre condizioni
mentali si sarebbe limitato a pagare solo la sua parte o al massimo quella dei
due imbecilli, ma l’essersi ricordato di aver pareggiato i conti anche agli
altri non lo scosse piú di tanto. Ripensó
un attimo al delirante festino e ad una delle parti che aveva preferito in
assoluto, ovvero quando aveva sfogato le sue frustrazioni elaborando quello
scherzo malefico ai danni del povero Ishizaki; al
pensiero sghignazzó fra sé e sé, ma il riso glimorí in gola quando si ricordó anche di un altro piccolo, tragico
particolare.
-Senti, Hermann…ho pagato proprio per tutti tutti?-
Gli chiese con voce tremula, quasi temendo la risposta.
-Che domanda
deficiente, ovvio che sí…anche per il tuo amico
preferito, se è questo che ti stai chiedendo.-
Il suo cuore mancó
un battito.
Nel frattempo, il neo-capitano in
carica Matsuyama aveva proprio toccato il fondo. Del
barattolo di Nutella che si stava compulsivamente
sbafando, nel tentativo di arginare la crisi di nostalgia amorosa che non dava
segni di miglioramento, nonostante ci avesse dormito su e ora fosse
completamente sobrio.
Era seduto al tavolo della
colazione con i compagni, che oramai erano scesi quasi tutti, e ascoltava
vagamente tediato i loro discorsi. La depressione che gli era
calata sul groppone la sera prima, circa da quando aveva salutato Yoshiko, pareva non volerne sapere di andarsene. Gli
mancava indicibilmente, e in quel momento si sentiva quasi un alieno in mezzo
agli amici, che sembravano distanti anni luce dal
poter comprendere anche solo la metá di quello che
provava.
D’accordo, non era l’unico ad
avere la ragazza, ma non si poteva neanche fare un paragone con gli altri due
elementi in questione.
Tsubasa e Sanae,
l’eterna pseudo-coppia, si barcamenavano in una
situazione quanto mai contorta e sconclusionata, benché risultasse
lampante agli occhi di tutti che la ragazza nutrisse una bella scuffia per il
capitano, mentre quest’ultimo…bé,
di sicuro la manager non gli era indifferente, ma nessuno finora aveva capito esattamente
entro quali termini. La vedeva solo come un’amica preziosa? O
c’era dell’altro? Quando glielo si provava a chiedere,
il diretto interessato era quanto mai elusivo, e dire che di solito non era un
tipo particolarmente riservato. Eppure, su questo argomento,
era davvero un osso duro e non si scuciva con nessuno, per cui fino a quel
momento non c’era stato modo di venirne a capo.
Proprio questo suo comportamento,
in netto contrasto col suo modo di essere, insospettiva
chi lo conosceva bene: possibile che alla fine si trattasse solo di un problema
di timidezza all’ennesima potenza?
Quando si toccava l’argomento, all’interno
della squadra si poteva assistere ad un curioso fenomeno, definito “la
divisione del Mar Rosso”: da una parte si schieravano tutti quelli convinti che
Tsubasa “ci fosse”, dall’altra tutti quelli che
pensavano che “ci facesse”, benché nessuno di loro in fondo lo ritenesse ottuso
fino a quel punto. Che il capitano fosse un fanatico
del calcio e che quando ci fosse di mezzo il pallone non vedesse nient’altro
non era un mistero, ma di certo non era l’ultimo dei polli. Magari ingenuo, per
certi versi, o beota, come avrebbe detto Genzō, maSanae trasudava talmente tanto amore
da tutti i pori quando c’era lui in giro che se ne sarebbe accorto chiunque, e
risultava difficile credere che fosse l’unico a non esserci ancora arrivato.
Su una cosa peró
si trovavano tutti d’accordo: se quei due avessero continuato ad andare avanti
su quel binario, Sanae sarebbe stata beatificata a breve.
Invece, Jun
e Yayoi erano di tutt’altra
pasta, e come tipologia differivano parecchio dalle altre coppie. A dirla tutta
sembravano sposati da anni, i loro sguardi di intesa
erano leggendari cosí come i loro silenzi mai
imbarazzanti ma pregni di significato, quelli tipici di due persone che sono
talmente sulla stessa lunghezza d’onda da non aver bisogno di usare le parole
per capirsi.
Si percepivano lontano mille miglia
la totale fiducia e l’amore incondizionato che facevano da perno alla loro
relazione, stabile ormai da parecchio tempo; per gli altri risultava
impossibile pensare a Jun senza che gli venisse
associato automaticamente anche il nome di Yayoi,
agli occhi di tutti erano praticamente due corpi ed un’anima sola. Se mai un dí si fossero lasciati,
la squadra era certa che in quello stesso giorno l’Apocalisse sarebbe giunta.
E poi c’era lui. Lui che
s’illuminava d’immenso ogni volta che si nominava la SUAYoshiko. Loro due formavano sicuramente la coppia piú melensa del gruppo, quella da due dita in gola per
intenderci, anche se lo Sdolcinato per Vocazione era
senza dubbio lui, il freddo uomo del Nord che si scioglieva come neve al sole
quando si trattava della sua bella. Freddo poi mica
tanto, Matsuyama aveva un temperamento piuttosto
emotivo e sanguigno, e spesso la sua faccia era come un libro aperto.
In quel frangente, insomma, si
sentiva un po’ isolato perché non c’era nessuno all’interno di quella comitiva
di spostati che potesse capirlo fino in fondo. Vuoi perché uno alla fine non
era ancora fidanzato a tutti gli effetti, vuoi perché
l’altro sembrava avesse giá una relazione da trentenne
maturo neanche confrontabile con quelle dei suoi coetanei.
Nemmeno il fatto di essere
diventato il nuovo capitano riusciva a consolarlo piú
di tanto, ma si ridestó dall’atarassia quando captó il proclama di Kojirō.
Era da quando si era unito agli
altri, circa una ventina di minuti prima, che lui e Tsubasacontinuavano a discutere abbastanza animatamente sulla
questione del conto che un Genzōinciuccato aveva saldato per tutti. Era arrivato quando
erano a metá della loro conversazione e perciò si era
perso qualche dettaglio antecedente, che gli eraperó stato raccontato da Takeshi,
seduto vicino a lui.
Udendo l’attaccante che, sbuffando
stizzito, asseriva di voler andare a fare due passi perché ne
aveva le palle piene di quei discorsi, al buon Matsuyama
si drizzarono le antenne e sentí suonare un
campanellino d’allarme nella sua testa.
Non ci voleva un genio per capire
che le sue intenzioni consistessero nell’andare a trovare il portiere
prediletto per sistemare le cose a modo suo, prima che Tsubasa
facesse danni parlando in sua vece e finendo col dire eresie che lui mai si
sarebbe sognato di pronunciare.
-In qualitá
di capitano, ho il dovere di seguire quella mina vagante per accertarmi che non
combini dei casini.- Dichiaró allora al gruppo con
fare risoluto, mentre si alzava e si apprestava a tallonarlo a distanza, perché
non voleva certo farsi nasare mentre lo pedinava, avrebbe ottenuto solo di farlo innervosire di piú. Sarebbe intervenuto solo se lo
avesse ritenuto opportuno.
-Vengo con te, Matsuyama-
fece Tsubasa alzandosi a sua volta, ma l’amico lofreddó esclamando: -No,
basto io. Non facciamo il trenino eh, che poi ci sgama
tutti.-
Dopo aver metabolizzato la
drammatica notizia ed essersi dilettato a picchiare un po’ Stecchino,
accusandolo di non avergli impedito di compiere quel gesto sconsiderato, Genzō si disse pronto a riprendere gli allenamenti, ma
la cosa gli rodeva ancora. Se c’era una persona a cui
non voleva fare favori era proprio quello spiantato che peró,
pensó, magari non voleva neanche riceverne. Da lui,
poi. Era quasi certo che la cosa non sarebbe finita lí,
Kojirō non avrebbe lasciato
cadere la questione, poco ma sicuro. Ma perché cacchio
aveva bevuto cosí tanto…
Si stropicció
la faccia con una mano imponendosi di smetterla di pensarci e sipreparó a parare il
fetentissimo tiro di Hermann, che non si insaccó solo per un soffio.
-Ma che calo di
forma, tesorino-constató
lui –mi sa che se continua cosíriusciró
ad andare in rete molto presto.-
-Tzé, ti piacerebbe- ribatté l’altro,
sistemandosi i guanti –non ricordi piú chi sono io?-
L’amico alzó
gli occhi al cielo sbuffando –sísenti,
non farmi dire che significa secondo me l’acronimo del tuo ridicolo soprannome
perché sarei capace di smontartelo in due secondi, e lo sai.-
Tsubasa, dopo la dichiarazione d’intenti
di Hikaru che si era messo alle calcagna del numero
nove, stava aggiornando gli ultimi arrivati, i gemelli
Tachibana, sui recenti sviluppi dell’eterna diatriba Kojirō-Genzō; ad aiutarlo nella narrazione c’erano
Misaki e Jun, che
contribuivano ad arricchire il discorso con utili precisazioni circa
quello che l’amico avrebbe voluto fare per appianare la questione.
-Cioè, secondo te
bastava ringraziare Wakabayashi da parte di Hyūga
per evitare contrasti?- Fece sconcertato Masao, poi
come d’abitudine fu il fratello a terminare la frase, scuotendo la testa –Ma
quando la finirai con questo buonismo? Quei due se si
pigliano si scotennano, non c’è Santo che tenga.
Fattene una ragione.-
-Non è buonismo, è buonsenso, ragazzi- replicóTsubasa, punto sul vivo. –Dovrei lasciare che si
sgozzino a vicenda, secondo voi?- Nella tavolata si susseguirono
delle occhiatine abbastanza eloquenti.
-Forse se si scannassero un po’,
ma soltanto un po’- precisóTakeshi, perforato dallo sguardo minaccioso del numero
dieci –...credo che potrebbe fargli persino bene.-
La pallonata atomica del Kaiser schizzó inavvertitamente nella metácampo del gatto e la volpe, sibilando a pochi
centimetri dalla nuca di Hermann.
-Eh bé,
allora ditelo che ce l’avete con me oggi- Proruppe
quello, indignato –è giá la seconda volta che tentate
di farmi fuori, carogne.-
-Sei una pippa,
dovevi mirare con piú precisione- BofonchióGenzō rivolto al capitano, che era corso verso di loro per recuperare il pallone.
-Senti, ma non è il tuo “amico”
quello che sta arrivando?- Esclamó lui indicando un
punto all’orizzonte e sottolineando con particolare
enfasi la parola “amico”.
-Lupus in fabula…- commentóHermann, schermandosi
gli occhi per riuscire a intravedere meglio la figura
che si stava avvicinando.
-Eccapirai…- sibilóGenzō fra i denti, schioccando la lingua.
In un attimo si infiló il suo collaudato scafandro dell’imperturbabilitá
e con espressione indecifrabile fissóKojirō, che per raggiungerlo stava attraversando il
campo a grandi falcate. Figurarsi se avrebbe perso tempo a
rifarsi vivo. Non che la cosa lo sconvolgesse,
non era certo la paura del confronto che lo stava innervosendo, dopotutto era
abituato ai loro alterchi; peró aveva il vago
sentore che il rivale stavolta non l’avrebbe preso troppo sul serio con quella vocetta da eunuco che si ritrovava, e lui non ci teneva
proprio a diventare l’oggetto di scherno di quel morto di fame. Giá lo sfotteva quando si trovava in condizioni normali, ma
cosí poi era come servirgli comodamente la sua testa
su un piatto d’argento.
Poco male, pensó
infine, se si fosse fatto beffe delle sue parole
avrebbe preso sul serio almeno i suoi montanti.
A parte il mordicchiarsi di tanto
in tanto il labbro inferiore, null’altro nel suo viso lasciava trasparire le
sue reali emozioni, ma Kaltz, all’erta come un
segugio, osservandolo attentamente di sottecchi si era accorto di quel piccolo
gesto che tradiva la sua inquietudine, e gli disse per sdrammatizzare:
-Se vuoi ti doppio io.- Genzō si voltó a guardarlo
con gli occhi a palla sinceramente sorpreso, esclamando:
-Ma che sei, telepatico? E comunque, peccato che tu non sappia il giapponese,
altrimenti potrei anche prendere l’idea in seria considerazione.-
-Senti, noi ci eclissiamo.
Cercate di non dare troppo spettacolo e, nel caso avessi bisogno, sai dove cercarci-
disse Schneider, lanciandogli un’occhiata esausta
mentre si allontanava verso l’altra metá campo. No, decisamente non doveva essere tanto in forma neanche lui, pensó il portiere per una frazione di secondo prima di
essere distratto da Hermann, che gli ricordó di cacciare un urlo per chiamare aiuto, aggiungendo
poi -…anche se prima che ti senta qualcuno avrá tutto
il tempo di gonfiarti come una zampogna.- Coppino
canonico da parte di Genzō e finalmente pure la
scimmia evaporó.
Kojirō l’aveva ormai raggiunto, e gli si
era parato davanti a gambe larghe con una faccia che non prometteva nulla di
buono.
-Chi si vede, non
ti sei ancora dato fuoco?- Lo accolse affabilmente il numero uno
dell’Amburgo, maledicendosi l’attimo dopo aver parlato. Non riusciva proprio a
dare un tono dignitoso a quella voce abominevole.
-Cosa stai
farneticando?- TrillóKojirō,
giá con un sopracciglio alzato e un mezzo ghigno che iniziava
ad increspargli le labbra.
Caló il silenzio per un istante. Il
portiere non si azzardava ad aprire bocca, nonostante avesse le parole sulla
punta della lingua, dal momento che farlo con quella voce equivaleva ad una
specie di suicidio verbale.
L’attaccante, dal canto suo, aspettava
incuriosito la sua prossima mossa, perché quello che aveva sentito l’aveva
divertito non poco. I due si guardarono di traverso e Genzō,
sospirando, decise di sacrificarsi e parlare, dopotutto quel silenzio era ancora
piú snervante.
-Che sei venuto a fare? Se cerchi rogne sei nel posto giusto.-
Kojirō trattenne a stento una risata. Ringrazió
mentalmente l’entitá celeste che quel giorno aveva
dotato il suo acerrimo nemico di una parlantina tanto comica, perché
probabilmente ci avrebbe messo piúdel previsto a farlo sclerare,
consentendogli magari di mantenersi compassato addirittura fino alla fine.
Chissà, quell’imprevisto poteva rivelarsi un aiuto
provvidenzialeper controllare i nervi e
reprimere le sue attitudini violente, permettendo alla sua parte “diplomatica”,
se mai esistesse, di prendere il sopravvento.
-Para un po’ questi, surrogato di
portiere, e dammi una ragione per cui non dovrei pestarti.- E cosí dicendo si infiló una mano in tasca afferrando alcune banconote, che
gli gettó letteralmente addosso. Genzō
non si mosse di un millimetro lasciando che il denaro frusciante gli atterrasse
ai piedi, e replicó:
-Senti, voglio darti un consiglio. Fatti una
vita, non stare sempre appresso a me e piantala di
atteggiarti. Non me ne frega un cazzo dei tuoi soldi,
se sei venuto fin qui solo per questo vedi di prendere il largo.-
Sotto il suo
sguardo sprezzante e quell’aria da mitomane la vena
sulla fronte di Kojirōinizió
a pulsare pericolosamente. Voce cazzuta o no, iniziava giá ad irritarlo. Come non detto, alla fine non ci aveva
messo molto. Altro che lato diplomatico. Mera illusione quella di trovarne uno
in lui.
-Atteggiarmi, io? Senti da che
pulpito…se non vuoi che ti smonti, raccoglili.- Gli disse
in tono perentorio, scrutandolo con gli occhi a fessura. Ormai la sua collera
stava scalando inesorabilmente i livelli di guardia.
-Sei ininfluente, Hyūga.
Come i tuoi soldi. Riprenditeli e vattene.-
Benché avesse pronunciato quelle parole in
un tono piuttosto ameno, in stile “esalazione dell’ultimo respiro”, a Kojirō non fecero ridere affatto e si sentí improvvisamente salire il sangue alla testa; prima
che potesse rendersene conto, aveva giá caricato un
gancio in direzione della sua intollerabile faccia da schiaffi.
Genzōperó fu
piú veloce, e in quello stesso momento il pugno che aveva
in cantiere da quando lo aveva visto arrivare si infranse
sul suo zigomo, prima che l’altro facesse in tempo anche solo a vederlo.
Stavolta, stranamente, non ho note particolari da aggiungere, ma come di consueto ci tengo
a ringraziare Zia Silen (adesso che mi hai
autorizzato a chiamarti cosí non la finirópiú, lo sai, vero?), Berlinene e Pucchyko_Girl
per le loro scoppiate recensioni a me graditissime^^
Capitolo 8 *** Capitolo 7 - The peacemaker (?) ***
Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare la mia mediocre fic di cui
nessuno sentiva la mancanza xD
Finalmente ce l’ho
fatta ad aggiornare la mia mediocrefic di cui
nessuno sentiva la mancanza xD
Questa ottava parte lascia il tempo
che trova e, nel tentativo di risollevarne un po’ le sorti, l’ho corredata da
qualche disegnuzzo che ho fatto nel tempo libero
invece di pensare a delle idee migliori da scrivere, peró
mi sa che alla fine il risultato sia ancora peggio, mah…^^;
I link
per vederli sono nelle note finali.
Sapete, credo che tra poco vi libereró da questa rogna, perché ho idea che questo sará il penultimo capitolo. Ebbene sí,
non avete capito male, vi toccherá sorbirvene ancora
uno prima di poter vedere (forse) l’agognata parola FINE xD
Comunque, nella puntata precedente, abbiamo
lasciato Genzō
e la sua nemesi all’inizio del loro tafferuglio, ma il prode Matsuyama
se ne sta imboscato da qualche parte pronto ad intervenire. Oltre
naturalmente ai soliti due crucchi, anch’essi preparati a scendere in campo in
caso di necessitá.
Insomma…ce la faranno i nostri eroi
a farsi una salubre scazzottata in santa pace?
• CAPITOLO 7 – The peacemaker (?)
Eppure non era andato lí conpropositi
bellicosi, nossignore. Le sue intenzioni erano pacifiche, e per quanto quella
parola potesse stonare associata a lui, stavolta non si trattava altro che
della pura e semplice veritá.
KojirōHyūga non voleva fare a
botte, almeno non inizialmente. Se quella testa di cazzo di un portiere avesse accettato la sua parte di soldi
senza piantare dei casini, probabilmente la cosa sarebbe anche potuta finire in
modo incruento.
Peró poi le condizioni si erano
imposte, e lui alle provocazioni proprio non riusciva a non rispondere. Specie se arrivavano da lui.
-Vuoi sapere cosa penso?- AbbaióKojirō un po’ stordito dal colpo ricevuto a
tradimento, mentre indietreggiava di qualche passo per schivare un altro destro
-Penso che tu ti sia montato la testa. Vedi di
scendere dal trono su cui per altro ti sei auto-insediato, che non hai proprio il diritto di sentirti superiore a nessuno.-
-Ma chi ti credi
di essere per giudicarmi? Non metterti a sputare sentenze gratuite se non sai
proprio un cazzo di me!- Replicó
l’altro preparandosi a sferrargli un montante rabbioso, che venne peróintercettato e
bloccato dall’avversario.
-Ne so abbastanza per intuire quello che suppongono le persone arroganti come
te.- E cosí dicendo gli restituì il pugno di poco
prima con gli interessi, poi si allontanó un po’ e
rimase sulla difensiva aspettandosi il contrattacco.
Che non arrivó
mai, o meglio, non fu lui a subirne le dirette conseguenze.
Fino a quel momento, infatti,
l’impavido Matsuyama se ne era
stato infrascato poco distante, a vigilare su ció che aveva sperato potesse risolversi con un bucolico
chiarimento. Peró, non appena vide volare cazzotti, li
raggiunse di corsa e si paró temerariamente in mezzo
ai due contendenti, giusto in tempo per ricevere in pieno viso il gancio di un imbesuitoGenzō a cui si erano un
attimo ottenebrati i sensi dopo il pugno incassato.
Evidentemente, non era sempre vero
che tra i due litiganti il terzo gode.
-Matsuyama?! Che cacchio ci fai qui?- TrasalíKojirō
strabuzzando gli occhi, dopo che per la sorpresa aveva cacciato un bestemmione irripetibile suggellato da un “Amen” di Genzō.
-Ops…- Fece quest’ultimo,
asciugandosi col bordo della manica un rivolo di sangue dal labbro -…eri sulla
mia traiettoria e non ti avevo visto, certo che peró
potevi anche evitare di pararti in mezzo.-
-Chiedere scusa magari no, eh?- Sbottó quello, tamponandosi il naso con una mano –Cos’è,
adesso passo anche per deficiente perché le ho prese?-
-Deficiente non è il termine
giusto…com’è che si dice in questi casi? Rompiballe? Dai, scostati e fatti gli
affari tuoi, abbiamo una questione da sistemare.- Di fronte alla superbia del
portiere anche Hikaru si accorse di essere molto
vicino alla perdita delle staffe, e si appelló a
tutti i santi del Paradiso per mantenere la calma. Si sentiva prossimo ad una
pantagruelica incazzatura, incattivito anche dalle
lancinanti fitte di dolore al setto nasale, e se le circostanze fossero state
diverse non ci avrebbe pensato due volte a rendergli
il simpatico omaggio di benvenuto. Peccato solo che non si trovasse
certo nella posizione adatta a fomentare risse, e poi dopotutto se l’era
cercata; sapeva a cosa andava incontro frapponendosi tra i due, anche se aveva
sperato proprio di riuscire ad evitarselo, quel pugno.
Per non lasciarsi sopraffare dalla
sua tempra tutt’altro che mite, si ripeté mentalmente
che era il capitano ed in quanto tale doveva
dimostrare di avere polso, senza mai venir meno alle responsabilità a cui era
tenuto a far fronte. Cosí, raccolti i cocci della
propria pazienza, esclamó:
-E piantatela una buona volta con
questa storia! Cosí non risolverete proprio niente. Kojirō,
almeno tu dammi retta!- Questi, a riprova della sua celebre signorilitá,
sputó a terra con fare sprezzante un grumo di sangue
che gli si era formato in bocca, poi fece spallucce e replicó, glaciale:
-Levati di torno, Matsuyama. Giá solo il fatto di
essere stato pedinato mi urta parecchio, fossi in te non aggraverei la tua
posizione.-
Hikaru lo incenerì con lo sguardo
mentre si frugava velocemente in tasca alla ricerca di un fazzoletto con cui
aiutarsi a tamponare il sangue, e smadonnó sottovoce
notando che chiaramente non ne aveva con sé.
L’unica cosa che assomigliasse vagamente a ció che bramava era la sua hachimaki,
che come sempre conservava nella tasca sinistra dei pantaloni, e colto dalla
disperazione per un attimo valutó se non fosse il
caso di usare quella, salvo poi darsi del cretino per avere anche solo osato
pensarci.
Quei due erano degli
ossi duri, rifletté, autentiche teste calde. Di solito i placatori
d’animi tumultuosi erano o Tsubasa o Jun, ma ora quell’ingrato compito
toccava a lui e decise audacemente di giocarsi il tutto e per tutto, malgrado
fosse consapevole che rivangando l’episodio del giorno prima
rischiasse quasi la vita.
Ormai mezzo rassegnato all’idea di
dover fare da cuscinetto attutisci-busse
in quell’assurda piazzata, disse: -Senti, lo so
benissimo che la cosa ti brucia, e se vorrai pestarmi piú
tardi per quello che ti sto per dire accomodati, ma fino a prova contraria ora
sono il tuo capitano anche se non l’ho chiesto io di diventarlo…– qui Kojirō
gli lanció un’occhiata assassina -…e tu sei tenuto ad
obbedirmi. Specialmente se si tratta di una stupida
rissa senza senso che puó solo ledere alla tua
salute.-
-Eh, non c’è gusto se ci pensi tu
ad istigarmelo, Matsuyama-sghignazzó
a quel punto Genzō
con il consueto muso strafottente, su cui faceva bella mostra di sè un labbro spaccato nuovo di zecca –cosí
mi togli tutto il divertimento. Piuttosto, fá qualcosa per quel naso, non vorrei che mi morissi
dissanguato.-
In effetti, anche se il dolore era
diminuito, la copiosa emorragia nasale del neo-capitano non accennava ad
arrestarsi, ed ormai aveva imbrattato un terzo della manica con cui stava
cercando di arginarla. Lui, peró, era
fermamente intenzionato a non muoversi da lí senza Kojirō,
avesse anche dovuto trascinarlo via a forza.
Cosa di cui comunque
dubitava sarebbe stato in grado, vista la sua caratteristica indole poco
propensa al patteggiamento: domare il numero nove della Nazionale era un
privilegio per pochi e capaci eletti, e lui non era sicuro di rientrare fra
questi.
-Ascoltami bene- ringhió sommessamente l’attaccante, che non aveva
controbattuto subito alle sue parole ma anzi se ne era
stato un attimo in silenzio, come a voler soppesare ció
che intendeva dire –la questione che ho in sospeso con questo imbecille non
c’entra un cazzo con la squadra, sono affari fra me e
lui. Non provare a venire a dirmi come mi devo comportare nella mia vita
privata, intesi? Altrimenti potrei accantonare i riguardi che ho verso di te.-
-Toh, mi trovo d’accordo con lui,
per una volta- rantolóGenzō con la solita voce
precaria, accennando un piccolo plauso –in quale altro idioma vuoi sentirtelo
dire di toglierti dalle palle?-
Hikaru ignoró
totalmente il commento del portiere e si rivolse a Kojirō, replicando
caustico: -Wow, ma che vita privata esaltante,
andarsene in giro a fare a cazzotti con la gente…esistono anche altri metodi
per appianare le divergenze, sappilo. Non ci posso credere, vi siete trattenuti
da ubriachi e non riuscite a farlo adesso?-
Non appena finí
di divulgare il suo predicozzo notó qualcosa di anomalo. Doveva essersi sbagliato, non c’era altra
spiegazione, cos’era ció che aveva scorto per un
secondo? Uno sguardo di intesa? No, non era possibile
che i due acerrimi nemici si fossero scambiati una simile occhiata complice.
Sicuramente aveva visto male.
Peccato che ció
che credeva di avere equivocato venne invece
confermato dalle parole di Kojirō, prontamente supportate da un cenno di
assenso di Genzō.
-E’ questo il punto. Adesso sí che c’è gusto a prendersela con lui! Vá
a farti medicare e piantala di fare il Messia, che ne
abbiamo giá abbastanza di Tsubasa
quando ci si mette.-
Nel frattempo, dall’altra parte
del campo, l’illustre Kaiser e la sua spalla li stavano
seguendo attentamente, fingendosi concentrati sugli allenamenti. Poiché il
litigio stava iniziando ad attirare l’attenzione, il capitano aveva intimato
agli altri di non cercare di intromettervisi,
che al massimo ci avrebbe pensato lui se lo avesse ritenuto il caso.
-Strano che Wakabayashi
faccia a botte, eh?- Esclamó ironicamente Brigel rivolto a Kaltz, indicando
col mento l’animato trio nipponico.
-Hai ragione, ‘sta
cosa mi sa di déjà vu…- Asserì lui, mentre con la memoria
ritornava agli avvenimenti di tre anni prima.
Al tempo, Genzō era l’ultimo
arrivato e manco a dirlo stava sugli zebedeipraticamente ai nove undicesimi della squadra, se si
escludevano ovviamente Hermann e Schneider;
quest’ultimo, anzi, si sentiva addirittura stimolato
dal confronto con lui, ed avevano preso l’abitudine di allenarsi insieme, in
quelli che il resto della formazione aveva definito con una punta di acredine
“allenamenti privati”. Forse era stata proprio questa sorta di gelosia,
sviluppatasi nei suoi confronti, a spingere quei geni a prendere la brillante
decisione di fargli fare un po’ di gavetta, pestandolo nel corso di una
rissa non molto regolamentare, in stile tutti
contro uno.
Purtroppo per loro, peró, non avevano ancora ben capito di che pasta fosse fatto il portiere giapponese, il quale aveva provveduto
a farsi giustizia da solo giá il giorno seguente
utilizzando metodi ben piú ortodossi, ovvero
affrontandoli in scontri singoli.
E gonfiando sistematicamente ognuno
di loro.
Schneider, anche se naturalmente non lo
diede a vedere, era rimasto piacevolmente colpito dal carattere che l’allora
futuro numero uno dell’Amburgo aveva dimostrato di
possedere e, benché non condividesse in pieno il sistema che aveva scelto per
farsi rispettare, vi passó sopra classificandolo come
una forma lecita di autodifesa, a patto che non si ripetesse piú. Lo stesso aveva pensato Stecchino, che si era
prodigato in sermoni sperticati con quegli imbecilli dei suoi compagni di
squadra ma ci aveva pure un po’ goduto, perché avevano avuto la lezione che si
erano meritati: occhio per occhio, dente per dente.
-Che facciamo, Karl?
Pare che non vada molto bene, anzi, mi sembrano sul punto di mettersi a menare
pure il nuovo arrivato…- BorbottóKaltz,
risvegliandosi dai suoi ricordi e stringendo gli occhi leggermente miopi per
mettere a fuoco meglio la scena.
-Mmmh.- Fu il laconico commento del
Kaiser mentre lanciava anche lui uno sguardo ai tre, senza smettere di
palleggiare.
-Che nella tua lingua vuol dire…?-
Incalzó l’altro lievemente spazientito, perché
proprio non si sentiva in vena per calarsi nel ruolo di interprete
dei suoi pensieri.
-Vuol dire che penso sia meglio se ci facciamo gli affari nostri ancora per un
po’. Stiamo a vedere come si evolve la cosa.-
Al che Hermann ribatté sarcastico, mentre si grattava pensoso una
tempia: -Come vuoi che si evolva, a me sembra palese…intenderai mica aspettare
che ci scappi il morto?-
-Io mi chiamo
fuori.- FeceJun irremovibile, scuotendo il
capo. Era arcistufo di quei due e poi lui il suo contributo l’aveva giá dato nelle ore precedenti, quando il suo talento per la
negoziazione era stato largamente adoperato.
In quel momento si sentiva un po’
come Paganini.
Uno che non ripete.
-Io pure. Che se ne occupi Matsuyama, visto che ha
tanto insistito per andare solo- convenne un accigliato Tsubasa,
malcelando un lieve risentimento e aggiungendo
mentalmente “se ha cosí tanta voglia di suicidarsi chi
sono io per impedirglielo?”
-Mi associo. Tra le mie passioni
non annovero di certo fare il paciere.- EsclamóTarō,
annuendo convinto.
-Sí, anche perché verresti
pestato a tua volta…- lo scherníIshizaki,
carezzandosi la panciotta gonfia e rotondeggiante che
gli era spuntata nella notte, in seguito ai bagordi della sera prima.
-Ha parlato il piúgrandeparaculo di tutti i
tempi- Biascicó in risposta l’altro a bocca piena,
masticando l’ultimo pezzo del suo panino alla Nutella.
-Embé, che male c’è a voler
salvaguardare la pelle sempre e comunque? Che qualcuno mi contraddica, se ne ha il coraggio- ridacchióRyō, lanciando un’occhiata di sfida ai
presenti.
Nessuno fiató.
In effetti il suo ragionamento non faceva una piega.
All’improvviso Kazuo,
terminato di sorseggiare il suo tè, ebbe il coraggio di fare una proposta che lasció molti esterrefatti, ma che incredibilmente incontró anche parecchi consensi.
-Che ne direste di andare al Mac? Io un bel panino al bacon e formaggio me lo farei anche…-
Jun, reprimendo un conato di vomito, replicó: -Ma come sei messo, hai mangiato per due fino
adesso…ti devo ricordare che fra un paio d’ore si pranza?-
Kazuo fece spallucce, ed il fratello rincaró prontamente la dose, esclamando:
-Massí dai, chi si unisce a noi? Io ho
ancora un buchino nello stomaco e ho proprio voglia di una qualche schifezza da
fast-food.-
Tsubasa e Tarō si scambiarono
un’occhiata perplessa, chiedendosi dove diavolo mettessero i chili di roba che
si sbafavano ogni giorno, visto che a tavola erano
praticamente due pozzi senza fondo. La cosa aveva dell’inverosimile, considerato che i gemelli avevano sempre dato l’impressione
di essere stati strappati ad un circo per le loro non certo comuni doti
funamboliche e l’incredibile agilità, che mantenevano invariata nonostante la
dieta non esattamente da fame.
-Io sono dei vostri- proruppe allegramente Ishizaki –devo
aver cura della mia panza da birra, è il caso di
nutrirla un altro po’. Non vedete quanto è tenera?- E cosí
dicendo si sollevó la maglietta e prese a
schiaffeggiarsi il pingue ventre come se stesse suonando un tamburo, suscitando
in alcuni risa divertite ed in altri smorfie di
compatimento.
Takeshi, dopo aver udito l’irragionevole
idea dei Tachibana ed aver assistito al siparietto
comico del difensore che non perdeva mai l’occasione per fare il buffone,
decise che ne aveva avuto abbastanza e si defiló quatto quatto.
Intanto l’ignaro Ken, ancora barricato in camera, ballicchiava
sulle note tunzettare dell’ultimo “successo” di Skazi*, con la chioma raccolta in una cuffia da
doccia, mentre aspettava che scadesse il tempo di posa della sua maschera
capillare personalizzata.
-Per l’amor di Dio Ken, spegni quel cesso di musica- fece disgustato Takeshi entrando nella stanza in quel momento, non sapendo
se gli facesse piú ribrezzo lo stato patetico in cui
versava il portiere oppure l’orrida trance che
stava ascoltando.
-E non darmi il tormento, ora la
abbasso…- sbuffó l’altro, diminuendo il volume quel
tanto che bastava perché non ci fosse bisogno di urlare per farsi sentire -…che
c’è? Giá finita la colazione?-
-Come giá?
Sono sceso tre quarti d’ora fa abbondanti…la tua
flemma mi lascia basito- disse l’amico in tono volutamente melodrammatico,
sedendosi sul letto dopo aver agilmente scavalcato sia cumuli di vestiti
ammucchiati alla rinfusa sul pavimento, sia la solita valigia spalancata di Ken, talmente in disordine che pareva essere esplosa su una
mina.
-E comunque
ho tagliato la corda quando Ishizaki si è messo a
disquisire della panza da birra con cui si è
risvegliato stamattina, dovevi vederlo mentre se la prendeva a sberle come
fosse un tamburo…figurati poi che i gemelli stavano parlando di andare a fare
un salto al Mac-bofonchió,
mentre si mangiucchiava senza pietá le unghie, come
non mancava mai di fare quando era in pensiero per qualcosa. Naturalmente, tale
pensiero era rivolto a Kojirō che non accennava a rientrare e, anche se
riteneva che una bella zuffetta avrebbe potuto far
bene a quei due balenghi, ora cominciava un po’ a
preoccuparsi.
-Al Mac?!- Per poco a Ken non scappó di mano il CD che voleva sostituire a quello in
riproduzione nello stereo portatile –Con tutto quello che avranno mangiato qui
e dopo il festino di ieri sera?-
-Cosa vuoi che ti dica, forse dopo
l’alcool ora vogliono provare a sfogarsi anche sul
cibo…pure per me non sono normali.- Si scambiarono un’occhiata di intesa ed
entrambi alzarono lo sguardo al cielo quasi nello stesso momento, poi Takeshiricominció impietosamente
la malsana manicure fai-da-te.
–In realtà- riprese dopo qualche
secondo di silenzio, sputacchiando un pezzettino di unghia
-sono venuto a dirti che ci sarebbe da andare a “salvare” il tuo migliore
amico.-
-Che è poi anche il tuo…e comunque credo che si sappia salvare benissimo da solo- precisó lui, poi aggiunse sospirando –che ha combinato
stavolta?-
-Lo so che in teoria non ha
bisogno di aiuto, ma si tratterebbe solo di andare a
dare un’occhiata, cosí, giusto per stare
tranquilli…sai, é andato a ringraziare alla sua maniera Wakabayashi
per aver pagato anche il suo conto, ieri sera.-
Ricevette in
risposta uno sguardo bovino e la gentile richiesta di sapere se lo stesse prendendo
per il culo.
-Eh, magari…addirittura ha saldato
quello di tutti. Ti puoi immaginare come l’ha presa Kojirō…-
-Non dirmelo…- grugní
il portiere, passandosi una mano sul viso -…è uscito da molto?-
-Non da tantissimo, sará una mezz’oretta. Ma lo sai com’è fatto, dubito che sia
riuscito a mantenersi freddo per piú di due secondi…Matsuyama l’ha seguito, ma onestamente non credo che potrá fare molto se le cose si mettono male.-
Takeshi, come tutti del resto, sapeva
perfettamente che per ovvie ragioni Genzō era da sempre una
presenza fissa nella black listdi Ken, ma per qualche oscuro motivo che nessuno si
spiegava, non si era mai tolto la soddisfazione di massacrarlo a colpi di karate.
Il futuro hair-stylistborbottó qualcosae gli chiese di aspettare alcuni minuti, poi entró in bagno per sciacquarsi i capelli, resi lisci e setosi dal balsamo. Quando lo vide
uscire poco dopo con la testa avvolta in un asciugamano, esclamó:
-Sai, stavo pensando…mi pare che ieri sera Wakabayashi
abbia detto che avevano gli allenamenti stamattina, quindi probabilmente
saranno in uno dei campi qui dietro. Mi chiedo se Kojirō l’abbia preso da
parte o se come sempre abbia reagito impulsivamente e si sia messo a
scazzottare davanti a tutta la squadra…perché in quel caso magari li avranno giá divisi.-
Kenannuí
pensieroso e rispose –sí, forse è inutile che io
vada…-
-O forse no, non possiamo saperlo- continuóTakeshi dopo aver
riflettuto un istante -quello ancora non torna, e credo che si siano pestati giá abbastanza. Tu sei uno dei pochi che riesce
a tenergli testa in qualunque situazione…e poi dai, cerca di vederla sotto
un’altra luce, se ti capita potresti finalmente vendicarti dandole a Wakabayashi, non ti alletta l’idea?-
Il portiere sghignazzó
con un’espressione inquietante sul volto, pettinandosi i capelli bagnati per
prepararli alla “messa in piega” dell’asciugatura che, per cause di forza
maggiore, sarebbe stata ben diversa dal solito, ovvero ultra-rapida.
-Credi che non sia stata la prima
cosa a cui abbia pensato? Comunque non andrólá con queste intenzioni, useró il karate solo come arma di
difesa, se sará necessario.-
-Seeh, come siamo zen…ma a chi
vuoi darla a bere- lopunzecchióTakeshi ghignando, anche se da lui se l’aspettava
proprio una risposta del genere, era sempre stato un uomo di sani principi che
mai sarebbe ricorso alla violenza ingiustificata.
Appunto, ingiustificata.
NOTE (doverosamente farlocche):
*Non conoscete Skazi? NON CONOSCETE SKAZI?! Orsú, è
tempo che vi facciate una cultura di musica trance-trash, allora xD
Bé, avete notato che in questo
capitolo alla fine non é successo assolutamente nulla? Chissà se si capisce che
ho temporeggiato perché non mi andava di proseguire seriamente nella
storia…come dite, sono stata poco furba a rivelarlo? xD
Comunque, come promesso, ecco qui i linkuzzi.
Siccome me la canto e me la suono, ho disegnato una scenetta del cavolo molto
approssimativa, tratta da un dialogo a caso. QUI vediamo Jun che si esibisce nel tipico gesto nipponico dal
significato traducibile all’incirca con l’idiomatica espressione nostrana “non
c’è trippa per gatti”. In Giappone tale movenza suole essere accompagnata
dall’esclamazione “dame”, una specie di “assolutamente no”.
Invece questo
è un breve fumettino banalissimo che per il momento
non ho voglia di colorare, il cui senso di lettura è
come quello dei manga, da destra verso sinistra. Sarebbe piú
corretto definirlo una bakatafatta e
finita che non si ricollega a nessun episodio avvenuto nella mia fanfic,
ed in realtà non è stato altro che un mero pretesto per disegnare qualcosa sul
mio amato Triumvirato, di cui ero un po’ in astinenza.
Come al solito non avevo l’ispirazione per fare
cose piú impegnative, e mi chiedo se mai l’avróU_U
Infine c’è LUI, il vero
eroe della storia, il beniamino di tutti noi. Almeno nella mia testolina piomba xD
Mi fermo qui perché se no diventa una gallery di fanartpiú che di fanfic^^;
Passiamo ora ai ringraziamenti di
rito (mi sembro un TG).
Zia Silen e Berlinene,
devo ringraziarvi per l’ennesima volta? Facciamo che sia sottinteso? Scherzi a
parte, lo sapete che i vostri commenti sono delle vere e proprie mani sante, mi
fanno un piacere che voi non avete neanche idea. Riuscite addirittura a
recensire con cognizione di causa le cavolate che scrivo, la cosa ha
dell’incredibile xD Grazie,
grazie e ancora grazie.
Lady Snape, Trottola, Edvige86,
un sentito grazie anche a voi per i vostri graditissimi commenti^^
Per ultimo, ma non meno importante,
un sincero grazie di cuore va a quelle nove (NOVE!) anime pie che si
sono messe la fic nei preferiti, ussignur...le
vostre epiche gesta verranno da me ricordate per tempo immemore O__o
Questo capitolo lascia il tempo che trova, ma almeno è corredato da
qualche disegnuzzo che ne risolleva un po’ le sorti
Mi sono persa dietro alla
descrizione di cazzate e mi sono fatta trascinare dagli eventi, quindi purtroppo per voi questa non sará
l’ultima parte della mia mediocre fanfic. Mi dispiace di avervi illuso,
e a questo punto non mi pronuncio piú sulle mie intenzioni, quando i personaggi
mi intimeranno di smetterla la smetteró xD
Anzi, vi trovate di fronte ad un
capitolo che è piuttosto bakascemeggiante in alcuni punti^^
Matsuyama è morto dissanguato?
Kojirō e Genzō ce
l’avranno fatta a darsele di santa ragione?
Lo scoprirete solo leggendo.
Invece, per quanto riguarda il
titolo…dopo le mine vaganti, eccoci ora alle prese con le granate inesplose xD
• CAPITOLO 8 – Granate inesplose e
crucci imperiali.
Che la dieta dei gemelli non fosse propriamente fra le piú leggere ed equilibrate era cosa
risaputa, ma prima di allora nessuno aveva avuto modo di comprendere fino in
fondo la sua reale abbondanza.
Ragion per cui inorridirono
alla vista dei due che si facevano fuori uno dopo l’altro ben due hamburger a
testa, con le relative porzioni extra-large di
patatine e Coca-Cola.
-Aaah…sono sazio adesso- bofonchióMasao, che si abbandonó sulla sedia appoggiandosi allo schienale con un
tonfo, mentre si allentava i jeans prima che il
bottone partisse e schizzasse negli occhi a qualcuno dei presenti. Il fratello
fu lesto ad imitarlo e due floride pancette fecero capolino da sotto le maglie,
palesandosi in tutta la loro maestosa opulenza.
-Alla buon’ora!
Siete disgustosi- commentóJun
storcendo il naso, mentre osservava lo sfacelo in cui versava la loro parte di
tavolo, che pareva reduce da una scorreria vichinga. Nel guardarli ciancicare
il pasto a bocca aperta, come era loro abitudine fare,
il poverino aveva rischiato che gli affiorasse sulle labbra pure la cena della
Vigilia dell’anno prima, oltre alla colazione.
-Vi servisse
almeno per crescere in altezza…- li stuzzicóIshizaki ridacchiando con le fauci piene di patatine, ma i
gemelli non raccolsero, ammutoliti ed intontiti dalla pesantezza di stomaco.
-Fossi in te smetterei di mangiare
quel ciboide, se non vuoi avvelenarti la salute in un
lento stillicidio.- Intervenne allora Tsubasa il
Predicatore rivolto al difensore, lanciandogli
un’occhiataccia.
-Ma va lá,
ci mancherebbe solo che me ne privassi, è uno dei piaceri della vita…e poi
senti chi parla, quello cos’è?- fece lui per tutta
risposta, indicando con un cenno del mento il paninazzo
unto e bisunto dalla tripla farcitura di bacon e formaggio che l’amico aveva
nel vassoio davanti a sé.
-Ma questo mica lo mangio io…Izawa mi ha chiesto di prendergli l’ordine mentre andava in
bagno- replicó l’altro con una smorfia, bevendo
subito dopo un sorso della sua fresca e salubre acqua naturale. “Il mio corpo è
un tempio” pensó, forte della sua rinnovata volontà
granitica “e mai e poi mai locontamineró
con simili schifezze”.
-Eh, ma come siamo
schizzinosi…stai guardando quel panino come se fosse la personificazione di
Satana! La cosa mi fa sorridere assai, visto che pensavi
circa lo stesso anche del consumo di alcolici, e poi lo sappiamo tutti com’è
finita- continuóIshizaki
imperterrito, mentre dalla tavolata iniziavano a levarsi degli implacabili
sghignazzi.
Nonostante le proteste iniziali di
alcuni, avevano finito con l’andare in massa al Mac,
inclusi coloro ai quali le pietanze di tale locale non stuzzicavano
particolarmente l’appetito, se non altro per sincerarsi che nessuno venisse stroncato da una combinazione mortale di cibi
malsani. Fra questi vi era appunto Tsubasa che, messo
alle strette dalle constatazioni di un Ishizaki che
pareva stranamente piú sveglio del solito, rispose
piccato:
-Evabbé,
è stata la prima e unica volta, non menatemela all’infinito! Capita anche ai migliori, qualche sbaglio di tanto in tanto.- A salvarlo,
e a salvarsi, da quella spinosa situazione ci pensóperó il fedele Tarō
che provvide a cambiare rapidamente argomento, poiché tutto voleva fuorché
il ripescaggio di quel vergognoso festino decadente in cui aveva dato bella
mostra del suo lato “sopito”.
-Piuttosto, qualcuno sa dove si
sono cacciati Wakashimazu e Takeshi?
Non li vedo piú da un po’. Anzi, a pensarci bene Wakashimazu non lo vedo da ieri sera, non si è degnato
neanche di scendere per la colazione…-
-Ci scommetto le palle che sono andati a raccattare Hyūga-farfuglióKazuo, coprendosi la bocca con una mano per
nascondere lo sbadiglio dell’abbiocco post-abbuffata.
Tsubasa estrasse dalla tasca dei
pantaloni il cellulare per assicurarsi che non ci fossero messaggi o chiamate
senza risposta.
“In fondo” rifletté “se non ho ancora
sentito niente forse non ci sono stati imprevisti, prima o
poi qualcuno si fará vivo.”
Il gruppo si scambió un’occhiata eloquente e, facendo spallucce, lasció svogliatamente cadere la questione.
Ken e Takeshi
erano fermamente convinti del fatto che, sotto sotto,
Kojirō il Riottoso fosse in realtà un pezzo di
pane e che, oltre tutti quegli strati di corazza, nascondesse un animo generoso;
difatti, come sosteneva il portiere, il segreto stava essenzialmente nel
saperlo prendere, senza lasciarsi prevaricare o intimorire da quel caratteraccio
che ostentava piú che altro come arma di difesa. Il
numero nove non era un attaccante solo sul campo, lo era
nella vita, prendeva ogni questione di petto e non si sottraeva mai alle
difficoltà.
Una volta compreso questo suo lato,
si poteva quasi dire di avere in mano la chiave di lettura della sua complessa personalitá. Per riuscirci era necessaria una buona dose di impegno ma soprattutto di pazienza, nonché di una certa
predisposizione personale, e non c’era dubbio che i permalosi o le cosiddette
“primedonne” non avessero alcuna possibilitá di
legare con lui. Anzi, ció che lo imbestialiva al di sopra di ogni altra cosa era proprio l’aria saccente
di certepersone, quelle che sembravano non mettersi mai in
discussione.
Esattamente come colui che aveva di fronte in quel momento, e che non fece in
tempo a gonfiare come un Sofficino a causa dell’intervento
di troppi guastafeste. Il testosterone presente nell’aria aveva ormai raggiunto
livelli ragguardevoli quando si vide arrivare anche i
restanti due terzi del Triangolo Toho, e per poco non
gli caddero le braccia, perdendo all’istante ogni speranza di poter portare a
termine la sua missione: a malincuore dovette disattivare la modalità
Kenshiro, perché arrivati a quel punto non aveva piú ragion d’essere.
-Cos’è, vi siete tutti messi d’accordo per controllarmi?
Uno non ha neanche piú diritto ad
avere un po’ di privacy, mi stanno proprio esplodendo le palle!- Tuonó lui esasperato, fissando gli amici con occhio
omicida. Lo sguardo dei due sicalamitó
invece sul prode Matsuyama, ormai prossimo alla
perdita dei sensi, ma che nonostante tutto non aveva smesso un minuto di
placcarli ed aveva proseguito intrepido nel suo tentativo di farli ravvedere.
Si erano sentiti sollevati nel
notare che almeno si erano scapicollati per qualcosa, riuscendo ad arrivare in tempo prima di trovarli tutti esanimi, ed immediatamente Takeshi diede fondo alla sua scorta di fazzoletti correndo
ad aiutare Hikaru a tamponare l’emorragia nasale.
-Bah, questa cosa sta diventando
una pagliacciata- inveíGenzō
impermalito –non ci si puó nemmeno fare i cazzi propri in pace. Perché
dovete sempre essere cosí rompiballe? Avete forse visto qualcuno dei miei compagni di squadra
intervenire?- I tre rompiballe in questione, per evitare di dargli ragione, non
osarono aprire bocca, cosí il portiere fu
costretto a rispondersi da solo -No, perché è gente che sa stare al proprio
posto, al contrario di voi! Vi saluto- concluse rabbiosamente, voltandogli le
spalle e cominciando ad allontanarsi.
-Non credere che te la faccia
passare liscia, ti aspetto al varco, intesi?- Gli urló
dietro Kojirō, quasi dispiaciuto nel vederlo
andare via.
-Massí, quando vuoi- replicó
seccato Genzō fra i denti, mentre scuoteva una
mano con fare stizzoso senza nemmeno girarsi a guardarlo in faccia.
Fine primo round. Per quella volta, il regolamento
di conti si era concluso con un nulla di fatto.
-Chi si rivede, il figliol prodigo- frecció l’arguto
Schneider scorgendolo ricomparire –Allora? Avete
dovuto accantonare i vostri intenti distruttivi?-
-Oh, non ti ci
mettere anche tu adesso- sibiló l’altro accigliato facendo
una smorfia di dolore, dopo aver seguito l’impulso di mordersi per il nervoso il labbro inferiore
tumefatto. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento
era di una ramanzina del Kaiser.
-A volte non riesco proprio a
sopportarli, non sia mai che si facciano gli affari loro. Bé,
voi che avete da guardare? Non vi stavate allenando?- Li incitó
lui incazzoso, notando i dieci paia
di occhi incuriositi che gli si erano puntati addosso.
-Cerca di capirci, Genzō…eravamo tutti qui in trepidante attesa di vedere
come si sarebbe risolto il match, e ci siamo rimasti male nel vedere che è
stato un mezzo flop-ridacchió
il solito Stecchino per blandire un po’ la situazione,
suffragato dai cenni di consenso dei compagni.
-Ma stai zitto, sottospecie di nano
da giardino- borbottó l’altro, accompagnando
l’esclamazione col tipico papagno sulla nuca.
-Oh sí che
gaudio, come mi mancavano le tue sberle…picchiami
ancora dai, con quella vocetta sfumata poi mi fai
impazzire- disse quello in tono lascivo, riuscendo
a strappare un mezzo sorriso di compatimento al portiere e una scrollata di
spalle al resto della squadra, che si rimise sotto con gli allenamenti,
intuendo che il peggio era passato.
Per quanto si stesse
sforzando di occultarlo, Ken era un po’ deluso. Non
aveva potuto attingere un bel niente dal suo archivio privato di mosse di karate, e dovette ammettere a sé stesso che, mentre
raggiungevano il luogo dell’incontro, qualche viaggio su quale colpo letale
usare per stendere l'esimio collega se l’era fatto.
Matsuyama invece, oltre che irritato, si
sentiva anche un filino soddisfatto, perché tutto sommato
si poteva dire che avesse raggiunto il suo scopo, almeno era riuscito a
temporeggiare un po’ ed evitare cosí spiacevoli
conseguenze.
Da una decina di minuti avevano
fatto ritorno in albergo, non trovandoci nessuno dei loro compagni perché erano
ancora in ritiro al Mac, e si erano rifugiati tutti e
quattro nella stanza del Triangolo Toho, dove Takeshi era occupato nell’assistenza dell’ingiuriato
neo-capitano; Kojirō, invece, era impegnato a
farsi delle vasche passeggiando avanti e indietro per la camera, sbandierando un
certo malcontento.
-E voi due sipuó sapere perché siete venuti a ficcare il naso? Era
giá sufficiente lui- proruppe infine sferrando un bilioso
calcio alla catasta di vestiti sul pavimento, mentre indicava Matsuyama che, per fermare definitivamente il sangue, si
era infilato due pezzetti di fazzoletto nelle narici ed aveva assunto un
aspetto abbastanza ridicolo.
-In effetti potevamo lasciarti crepare- commentó questi velenoso, facendo attenzione a non
respirare troppo forte per non far volar via i due tamponi improvvisati –mica
mi sono divertito a ritrovarmi fra due fuochi, la prossima volta me ne guarderó bene dal venire a prenderle al posto tuo.-
-Ma volesse il cielo! E’ che non dovevi
proprio metterti in mezzo- ribadì l’attaccante,
schioccando la lingua ed alzando gli occhi al soffitto.
-Sí, e come
facevo?- Borbottó l’altro, risistemandosi uno di
quegli pseudo-assorbenti che rischiava di dislocarsi
dalla sua posizione ogni due per tre. –Era un mio dovere, mi pare. Ma
comunque hai ragione tu, non avrei dovuto impicciarmi.
Quando vi darete appuntamento per scazzottarvi di nuovo stá
pur tranquillo che non verró a metterti i bastoni fra
le ruote, ma ti consiglio di farlo in modo meno plateale, altrimenti avrai sempre
qualcuno che si immischierá
in mia vece.-
Ken e Takeshi
fino a quel momento non avevano proferito verbo e si erano limitati ad
ascoltare in silenzio il suo sfogo, perché sapevano che non c’era molto altro
da fare quando l’amico aveva i coglioni girati. Ogni
parola di troppo poteva essere potenzialmente pericolosa per alimentare
ulteriormente la sua ira, e trattennero il fiato aspettandosi una sfuriata epocale.
Kojirō rimase zitto qualche secondo
e poi, inaspettatamente, esclamó:
-Devo
riconoscerlo, hai
fegato, Matsuyama. Questa è una delle ragioni per cui
ti ho passato quella dannatissima fascia.-
Hikaru, che non avrebbe mai
sperato di udire una simile dichiarazione proprio da lui, loguardó con la faccia stranita dicendo: -Wow, stai
attento a non lusingarmi troppo, che poi mi emoziono…bel contentino, mi pare il
minimo da dire dopo che mi sono preso un pugno sul naso per te.-
Kojirōfece un mezzo ghigno di compiacimento e si rintanó in bagno per farsi una doccia, essendo ormai
inaccostabile, ed effettuare frattanto la conta dei danni subiti che, dato lo
scarso tempo avuto a disposizione per suonarsele, ammontava ad un unico livido
sullo zigomo.
E comunqueMatsuyama non aveva tutti torti, si disse, avrebbe
dovuto dare meno nell’occhio. La prossima volta doveva sforzarsi di tenere bene
a mente questo punto, anche se gli risultavatutt’altro che facile contenere la propria
impulsività.
-Cerca di scusarlo per i casini
che é in grado di combinare…in questo momento, per aver represso la sua
collera, credo che si senta né piú
né meno come una granata inesplosa. Piuttosto, va meglio?- Chiese nel frattempo
Ken a Hikaru, dopo aver tirato un sospiro di sollievo
per la reazione civile dell’attaccante, mentre affastellava
alla meno peggio gli abiti sparpagliati sul pavimento dal suo calcio di poco
prima.
-Sí, niente di rotto, direi…peccato solo che
non ci sia la mia Yoshiko a
medicarmi- rispose lui sospirando e facendo schizzare via un tampone,
prontamente recuperato e ricollocato da Takeshi, il
quale replicó, ridendo:
-Eh, mi spiace ma dovrai
accontentarti di me…dai, in fondo non sono piú bello
io?- Hikaru lofanculizzó
simpaticamente, poi mise mano al cellulare intenzionato a chiamare la fidanzata
e creò nel giro di un nanosecondo il nulla intorno a sé, perché nessuno
aveva voglia di ascoltare le sue pucciose
conversazioni con la dolce metá.
Se a detta di KenKojirō si poteva definire una granata inesplosa,
lo stesso discorso valeva per Genzō, anche se
lui aveva decisamente meno problemi a darsi un tono.
Difatti, ad allenamenti conclusi, l’ermetico portiere aveva giá
recuperato la sua freddezza, ed ora si trovava con i due scimuniti sulla via
del ritorno verso casa. Kaltz, a cui Genzō stava augurando che prima o
poi gli si staccasse la lingua, erano dieci minuti buoni che
gozzovigliava senza sosta, mentre il Kaiser era meno comunicativo che mai e
pareva aver indotto uno sciopero della parola.
-Che hai, Karl?
Oggi ti sento addirittura meno del solito, se non ti vedessi qui accanto a me giurerei che tu non ci fossi.- Esclamó
ad un certo punto il numero otto interrompendo la ciarla, forse accorgendosi
finalmente del suo indefesso silenzio. Anche il numero uno
si voltó a guardarlo, ricordando che era da tutta la
mattina che gli sembrava strano. Che qualcosa lo tormentasse era abbastanza
evidente ai suoi occhi, ma bisognava vedere se gli avrebbe concesso il
privilegio di metterli al corrente.
-Mmh.- Fu la sua succinta risposta, ed Hermannsbuffó insofferente. Quando l’amico si chiudeva a riccio era davvero difficile
cavargli fuori ció che si teneva dentro, lo sapeva
bene, ma non si sarebbe arreso cosí presto.
-Guarda che se hai qualche
problema ce ne puoi parlare.- TentóGenzō, al che il Kaiser minimizzó
scrollando le spalle e replicando –Niente di che, state tranquilli.-
-Sai perché mi piaci, Karl?- Fece Stecchino ad un certo punto, armandosi di
pazienza.- Perché sai ascoltare, ed é una cosa rara di questi tempi. Riconosco
che io sono uno che non parla poco- qui Genzō
sorrise sardonico fra sé e sé -peró stavolta faró un’eccezione e ti ascolteró,
se vuoi. Anche il qui presente portiere tutto-d’un-pezzo si è detto pronto a starti a
sentire, cosa vuoi di piú dalla vita? Ambiti come
siamo, stiamo dando la nostra preziosa disponibilità proprio a te, renditene
conto! Dai, sputa il rospo…che ti passa per la testa?-
Schneider si voltó
a guardare Gianni e Pinotto con un’espressione indecifrabile, poi le sue labbra
si incresparono in un ghigno appena accennato.
-Che razza di bragheri*
che siete…non avete proprio nient’altro di meglio da
fare, vero?-
-In questo momento no, per cui vedi di dirci cos’hai.- Rispose Genzō,
lanciandogli un’occhiata perentoria.
Il Kaiser sospiró.
La sua accurata opera di dissimulazione sembrava essere proprio giunta al
termine, dopo che era riuscito a portarla avanti indisturbato
per parecchi giorni. Non ne era ancora del tutto
convinto, ma magari chissà, forse parlarne con qualcuno avrebbe potuto
addirittura aiutarlo a sentirsi meglio, e quei due erano gli unici a cui si
sarebbe fidato di rivelare qualcosa. Forse, concluse, era quasi un bene
che l’avesserocappellato,
perché era un po’ stufo di continuare con quella pantomima.
NOTE
*Non sono sicura che sia il caso di spiegarlo, maèmeglio farlo per ogni evenienza.
Dare del “braghero” a qualcuno è molto diffuso
dalle mie parti, e come si sará capito significa impiccione, ficcanaso. Credo
che derivi direttamente dal mio dialetto, e siccome è un termine che mi piace
molto, ho pensato di usarlo senza sostituirlo con altre espressioni magari piú
corrette dal punto di vista linguistico^^
Stavolta niente scarabocchi, ma colgo
l’occasione per auto-pubblicizzare il nuovo sitarello
che ho creato, interamente dedicato a CT, contenente le mie fanarts e le mie
fanfictions. Mi farebbe piacere se ci faceste una capatina^^ (e grazie a chi,
dietro mia velata richiesta, l’ha visitato in anteprima xD)
Segue ora una serie di sentitissimi
ringraziamenti personalizzati *TG mode ON*
@Silen, lo sai che ti adoro,
e mi fa piacere vedere che non sono l’unicaad avere una vaga idea di chi sia Wanda Osiris…anche se non sono vecchia
come te, MWAHAHAH xD
@Lady Snape, visto che alla
fine non è morto nessuno? Per ora…xD In effetti ho bistrattato un po’ il povero
Matsu, e dire che è uno dei personaggi che preferisco! Ma si sa, adoro prenderli
amorevolmente per il culo xD
@Trottola, le tue
“preghiere” sono state esaudite xD La storia continuerá ancora per un po’,
anche se non saprei dire con esattezza per quanto^^
@Berlinene, ahpperó, e chi
pensava che fossi una maniaca depravata che gode nel farsi pestare da Koji xD
Grassie mille cara, mi piace molto scrivere del Triangolo Toho, quei tre
meritano uno spin-off, prima o poi!
@Pucchyko_Girl, se mi scrivi
certe cose poi mi monto la testa eheheh xD Spero che ti piacerá altrettanto
anche questo capitolo^^