Menta e Cioccolato

di Luna_R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Menta e Cioccolato



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Pioggia.

Mi piace l'odore della pioggia.

E Parigi è maledettamente bella quando piove. Ma piove sul serio, non quella fitta nebbiolina bagnata che urta il sistema nervoso e basta.

Mi piace essere bagnata in questo momento, ho come la sensazione che tutti i problemi vengano lavati via e al loro posto una tela immacolata da sporcare daccapo; oh.. il cielo è in tumulto, il mio cuore è in tumulto.


La città è in tumulto. E non si parla d'altro. Deesire Bonnet e il suo amante, Fabien Moreau.




* * *



Prologo.

Parigi, 1966.


Sei davvero bello fratello!”

Benjamin è l'uomo che tutte le donne vorrebbero incontrare sul proprio cammino; studi eccellenti alla Sorbona, un capitale ragguardevole per dirigere un impero industriale, una bella faccia scolpita e occhi verde-azzurro come pozze, un fascino degno di un epoca che a scuola si studia come Medioevo. Poche sanno che è anche un fratello eccezionale e non perché sono la sua sorellina più piccola -è un'altruista in maniera scellerata- ma perché in lui c'è del buono autentico, che in questo caotico e sovraffollato mondo in cui apparteniamo è davvero cosa rara.

Mia madre lo paragona spesso a nostro padre.

Non ricordo mio padre, ed è strano perché quando è morto non ero esattamente una bambina; il mio analista dice che è per rifiuto della realtà. Cosa c'è da rifiutare? Mio padre è morto giovane e non tornerà, punto. E' la realtà stessa, che si rifiuta d'essere tale.

Scuoto il capo. Non voglio pensare a lui, non adesso che Benjamin si guarda allo specchio perplesso e dubbioso in uno smoking fumé che gli fa il sedere eccessivamente grosso e cozza abbastanza con i suoi morbidi capelli cenere.

Forse dovresti provare il nero. Le vie di mezzo non fanno per te.” Abbozzo, ingollando lo champagne frizzante nel flute.

Non sono convinto difatti. Trovo che questo colore non mi doni.” Visto, lo dicevo fosse superlativo e lo penso ancora di più, mentre la sarta gli gira attorno convincendolo del contrario e lui ribatte con fermezza che non vuole apparire spento, in un giorno così importante. “E' il mio matrimonio, Santo Cielo, possiamo fare di meglio!” E ride creando delle fossette deliziose sulle guance; la donna lo guarda spaesata -fa questo effetto quando ride- e sparisce dalla nostra vista.

Sei nervoso?!” Gli chiedo giocherellando con dei vecchi anelli che ho al dito.

Questo vestito mi sta uno schifo, ma è solo il primo dopotutto.” Sottolinea e approvo anche io, prima di girarmi in direzione della voce familiare per le scale; è la mamma ed è arrivata finalmente.

Uhm.. preparati, le verrà un colpo.” Gli dico sarcasticamente. “Mamma, Benjamin è vestito da sposo!” Grido, prima che la sua testa di mossi capelli color moka, arrivi al piano; mi guarda in cagnesco ma poi si lascia andare in un sorriso espansivo.

E' davvero bella nostra madre, una signora elegante ma vivace, della Parigi per bene.. ma con l'anima da condottiera.

Najla Louise. E' così che ti ho educato?!” Quando pronuncia il mio nome per intero è arrabbiata sul serio, ma il suo sorriso cancella ogni dispiacere. “Ben, per l'amor del cielo togliti quel vestito, sembri un cielo grigio!”

Madame Rombeau, una despota capo commessa dell'atelier Delle Rose torna con altri abiti, stavolta più scuri e decisamente migliori; fischietto e so già che mia madre mi fulminerà nuovamente, per questo.

La donna passa due completi a Benjamin, uno che indossa in un batter d'ali e ci mostra con immensa soddisfazione.

Si tratta di un abito tre pezzi di un elegante color nero, con il gilet dello stesso tessuto della giacca, abbinato ad una camicia bianco virginale e una cravatta in pura seta jacquard; la mamma miagola e cerca un fazzoletto nella borsa, io resto senza parole per la prima volta in vita mia.

Beh, direi che la scelta è fatta.” Ben fa una leggera torsione che mostra la coda del suo tight e si sistema con convinzione il fiore -finto per il momento- da mettere nel taschino. Madame lo guarda annuendo, rivolgendoci poi le sue occhiatine.

La cerimonia è fra sei mesi. In Giugno, il venti. Ho già lasciato le misure alla sarta da basso, può spedirlo al mio solito indirizzo, madame.” Deesire Bonnet si alza e va a congratularsi con il ragazzo, la signora fa un leggero inchino e se ne va. “Ancora non credo che ti sposi nel mio stesso giorno di nozze!” Dice poi al ragazzo in piena estasi.

Ancora non ci credo che ti sei sposata in Notre Dame, mamma!” Ribatte lui. In realtà se non avessimo le foto a testimoniarlo, non ci avrebbe creduto nessuno, penso mentre mi alzo anche io e corro ad abbracciare il mio fratellone. “Quando l'ho raccontato a Charlotte, per poco non mi convinceva ad annullare la prenotazione alla Santissima Trinità.”

E tu non raccontarle sempre tutto.” Borbotto, poi penso a quella benedetta ragazza e mi rallegro; una donna di buon carattere, bellissima, figlia di leggendari artisti che nei primissimi anni sessanta sbancarono con l'apertura della loro galleria d'arte in America. “Sincere congratulazioni Benjamin, non posso che essere molto felice per te.”

Lo bacio sulla guancia e scendiamo tutti e tre al piano inferiore.


Beenjii!” Un bambino ci viene incontro.

Quel bel bambino biondo di quasi cinque anni è Lukas Alì Moreau, il nostro fratellino minore, nato dalla successiva relazione di nostra madre.

Benjamin lo accoglie nel suo abbraccio, poi da le ultime direttive per il vestito e insieme usciamo dall'atelier.

Zio Fabien è fuori che ci aspetta. Per essere Dicembre non fa troppo freddo, drappeggio poco convinta la sciarpa sulle spalle e lo saluto.

Se il matrimonio a Notre Dame risulta essere straordinario, come un po' tutta la vita della mamma insieme a papà Aurelien, l'incontro fra lo zio e la stessa, risulta essere ancora più incredibile; in realtà Fabien non è nostro zio, ma il cugino di nostro padre, tornato illeso dalla seconda guerra mondiale, quando tutti lo credevano morto. La mamma racconta che in cuor suo aveva sempre sperato fosse così, ma si era arresa come avevano fatto tutti ed era andata avanti e costruito il suo futuro, lasciandosi alle spalle i fantasmi del passato.

Forse si sono sempre amati.

E non lo dico per loro ammissione, ma una donna certe cose le capisce, vedo gli occhi lucidi e pieni d'amore di mia madre quando ne parla.

Benjamin ritiene che comunque siano andate le cose, Fabien sia stata una benedizione per lei e che fosse inevitabile i due si innamorassero; dal giorno in cui si ritrovarono al mercato delle pulci -una me giovanissima fu una fortunata testimone dell'evento- furono inseparabili, tanto da sposarsi senza troppi pensieri e coronare da lì a poco l'unione, con l'arrivo del piccolo Lukas.

Allora?” Chiede l'uomo rivolto a Ben, dopo aver baciato la mamma.

L'ho trovato, zio.” L'uomo curva il sorriso all'ingiù e si scusa per non aver fatto in tempo, brontolando sulla nuova amministrazione della città e quanto sia diventata invivibile a livello di traffico, ma Ben gli da una vivace pacca sulla spalla e gli strappa la promessa di accompagnarlo alla prima prova ufficiale.

In macchina c'è silenzio, mia madre ogni tanto mi lancia delle occhiatine dubbiose fino a quando non le chiedo cosa la turba tanto.

Mi chiedevo..” temporeggia e non è un bene; so già dove vuole andare a parare. Stringe la mano dello zio e si fa coraggio. “Non c'è nessuno di speciale che vuoi ti accompagni, il grande giorno?”

Alzo gli occhi al cielo e lo zio Fabien ride. Lui è dalla mia parte lo so, nonostante ami Deesire più della sua stessa vita, in qualche modo ha uno spirito libero che poco si conforma alle regole della nostra società. “Mi accompagnerà Lukas. Vero che mi farai da cavaliere?”

Il ragazzino biascica un sì, senza staccare gli occhi dal fumetto di “Asterix” che ha poggiato sulle gambe; è un ragazzino precoce, dedito già alle belle arti, proprio come suo padre, professore d'arte a l' École nationale supérieure des beaux-arts.

Najla Louise, mi riferivo a qualcuno dal metro e ottanta in su.” Benjamin si lascia andare ad un risolino, incrocio le braccia al petto indispettita.

Stai diventando petulante come la nonna, è ora che tu lo sappia. E per tua informazione, l'altezza media della popolazione maschile francese si è ridotta drasticamente al metro e settanta, negli ultimi anni.”

La sento schioccare la lingua al palato, girandosi adirata verso lo zio che la tranquillizza con uno sguardo addolcito. “Sono sicuro che quando quello giusto arriverà, saremo i primi a saperlo.” La mamma sbuffa poco convinta, lui getta ancora un'occhiata verso di me dallo specchietto retrovisore.

Annuisco senza aggiungere altro, la collina di Montmartre appare austera davanti a noi e stempera ogni malumore.

Adoro ogni volta perdermi sui profili dei tetti della città, risalire la Rue Caulaincourt al limitare del quartiere per poi addentrarmi sulla Lepic e la sua sfilata di bistrot e boutique alternative, proprio come il quartiere degli artisti richiede. E' un sogno, vivere qui.

Montmartre ha un ridisegnato e riscritto le sorti e la storia della mia famiglia, ricca-borghese proveniente dalle sponde della Senna e poi approdata con la mamma, qui dove il fascino e il mistero della malinconia, si fondono egregiamente, ammaliando lo spettatore; come dicevo, Deesire Bonnet nel dopoguerra insieme al suo sposo Aurelien, per far rifiorire le casse della famiglia, vessata da una terribile incursione dell'esercito del Terzo Reich nell'azienda che gestivano e che portò alla loro distruzione in una sola notte, decisero di avviare un commercio del tutto nuovo, dedito all'arte culinaria della pasticceria, una delle vocazioni preferite della donna. La nostra vita, cambiò radicalmente.

Quella che sembrava una piccola idea per sbarcare il lunario, divenne invece la salvezza e molto di più.

La passione che mia madre mise in quella nuova avventura, la portò ad aprire diverse “botteghe” (come ama chiamarle lei) e importare i suoi famosi biscotti – prelibatezze allo zenzero&cannella condite da un ingrediente di cui mantiene stretto riserbo ma che io conosco come liquore di lavanda- in mezza Europa, dove dopo ancora molti anni è conosciuta e apprezzata.

Mio padre morì prima di vedere con i propri occhi quel successo, ma prima di allora cercò di risollevare anch'egli l'onore della famiglia Chedjou, ricostruendo daccapo l'azienda che negli anni trenta, era stata il faro per molti nel settore della metallurgia; quell'azienda oggi è gestita da mio fratello Benjamin e mio zio Cedric fratello di mia madre, con un discreto successo a vele spiegate verso l'oceano dell'economia.

Finimmo in pianta stabile sulla collina dopo il lutto, mia mamma attraversò un momento molto buio e sentiva che la città custodiva troppi angoli che parlavano di quel marito che aveva perduto troppo presto, quindi ci trasferimmo là dove invece i sussurri erano solo segreti che il vento lasciava fra gli alberi e il vigneto. Lei sbocciò, noi tutti sbocciammo, lontani dal caos, protetti da Fabien Moreau, arrivato un bel giorno di cielo terso, dalla terra dei morti.


La mamma vuole solo vederti felice.” Benjamin interrompe il flusso dei ricordi, sussurrandomi nell'orecchio.

Faccio spallucce, guardando il profilo della donna riflesso sul vetro dell'auto; è stata una ribelle sebbene abbia accettato un matrimonio combinato, una donna non convenzionale, con idee moderne e..al secondo matrimonio! Eppure certe volte mi sembra così bigotta.

La adoro con tutto il mio cuore sia chiaro, vorrei solo si concentrasse sui miei reali desideri che per il momento eludono tutti le sue aspettative, ma sono miei ed io non vorrei mai scambiarli per la mera attitudine di pensare che una donna non possa essere felice senza un uomo.

Certo che vorrei innamorarmi, tutti sognano l'amore alla fine, ma per una donna che fa il medico nel millenovecentosessantasei risulta un po' arduo come compito, così concentrata nel mio obiettivo e a non farmi schiacciare proprio dagli uomini.

Vorrei combattere prima il male che si è portato via il mio amato padre, trovare una cura che permetta a nessun altro di soffrire una perdita ingiusta e senza scrupoli e se questo mi distaccherà dal flusso della vita e da quella persona in serbo per me, sarà per una giusta causa.

Tutto accadrà quando sarà il momento, mi faccio coraggio, pensando questo.

Guardo ancora Fabien sfiorare con la punta delle dita la mano della mamma e sono sempre più convinta.

Ho una colazione con un collega di Londra, zio puoi lasciarmi alla Maison Rose, per favore?”

L'uomo svolta in prossimità della Rue de l'Abreuvoir e accosta in prossimità del punto da me indicato.

Saluto tutti e con energia vado incontro al mio appuntamento.


* * *

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Patrick è un ragazzone della City che ho conosciuto nel mio lungo percorso di specializzazione alla University College, tremendamente puntuale e dal carattere sincero. Mi saluta vigorosamente, mentre slego la sciarpa dal collo e entro nel locale.

L'aria calda delle portate mi investe e mi coccola mentre prendo posto al tavolo dove il ragazzo mi aspetta trepidante.

My friend!” Ulula gioviale, interrompendo il brusio di due piccioncini accanto a noi.

Caro!” Gli faccio eco, abbracciandolo e stampandogli tre baci sulla guancia. “Come stai? Che si dice nella City?”

Non ci crederai, ma ho buone nuove da farmi credere pazzo.” Poi mi sistema la sedia con galanteria, mi siedo e si siede anche lui. “Vorrai farmi avere presto un elenco di posticini come questo perché sai.. diventerò parigino anche io!”

Lo guardo scioccata, dopo aver ordinato due calici di vino e una selezione di formaggi con tartine.

Se non fosse per il freddo giurerei d'aver perso l'uso della lingua!” Rispondo.

Lo so sembra incredibile. Io stesso stento a crederci, ma non è finita qui.”

Non mi dire che ti trasferirai nel mio stesso ospedale.”

Trasferimento approvato.” Risponde con un sorriso gioviale che fa sembrare i suoi occhi azzurri ancora più grandi. “Saremo nuovamente colleghi.”

Ma è una bellissima notizia. Dov'è il vino, dobbiamo festeggiare!”

Il cameriere arriva dopo poco e nostri calici collidono all'unisono prima ancora di toccare tavola.

Quando potrò chiamarti concittadino?”

Sarò qui fra tre settimane, dottoressa Chedjou.”

A quel punto mi blocco; Patrick è sempre stato un ragazzo molto metodico, puntiglioso a tratti e molto inquadrato.

Mi acciglio, pensando al peggio. “Sembra una fuga, quasi.”

Non devo aver capito male, perché il suo sguardo finisce sul tavolo come una serranda che si chiude piano. “Io e Jonathan ci siamo lasciati.” Sussurra pianissimo, voltando il capo ai nostri vicini; i due sono intenti a ridere alle battute sceme di lui, tipiche di un primo appuntamento.

Mi dispiace.” Dico, alzando di nuovo il calice. “Ad una nuova vita, più bella di quella di prima!”

Guardo infondo ai suoi occhi da rivoluzionario e pioniere della rivolta omosessuale e sono certa che qualsiasi sia stata la motivazione della loro rottura, tale da volerlo allontanare dalla sua città natale, Patrick si riprenderà a dispetto di tutto.

Ci sono ricordi di lui e delle meravigliose pies con la quale mi coccolava le notti insonni passate sugli appunti della ricerca, racconti di storie di quella che era una realtà difronte la quale nessun uomo o donna che sia, aveva il diritto di replicare con la violenza e sopratutto c'era la forza con la quale un uomo difendeva quel diritto.. il diritto di amare liberamente chi si vuole.

Dicono che gli uomini francesi siano affascinanti.” Mi risponde, dopo aver ingollato un bel sorso di rosso.

Sospiro. “Non è che ho visto molti uomini ultimamente.”

Io ti salverò, my friend. E' inammissibile che mi diventi un topo da biblioteca!” Rido e faccio spallucce. “Per l'amor del cielo, hai bisogno di un uomo!” Dice più forte, il viso paonazzo e un'inconfondibile e chiassosa risata inglese. I due piccioncini a quel punto si voltano.

Sei fortunata.” Dico a lei, una biondina tutta lentiggini e occhi da cerbiatta.

Quella si muove agitata e mi risponde che lo è davvero. Poi costringe il ragazzo seduto con lei a chiedere il conto e andare via.

Io e Patrick ci guardiamo e scoppiamo a ridere.

Non prendere impegni il venti giugno, mi serve un cavaliere e tu sei decisamente quello giusto.” Dico sul finire del pasto.

Alza gli occhi al cielo e sospira. “Chi si sposa, sentiamo un po'?”

Mio fratello, my friend.”

Oh God, quella specie di divinità greca, con tutti quei capelli mossi e un irresistibile fondo schiena?” Annuisco divertita mentre mi stringe la mano con orgoglio. “Comprerò lo smoking migliore per te.” Gli sorrido affettuosamente e chiedo il conto.

Che sbadato non ti ho nemmeno chiesto come procede la ricerca.”

Fuori il cielo è plumbeo. Sicuramente nel pomeriggio pioverà, mi stringo nelle spalle mentre Patrick si accende una sigaretta.

Spero vada a buon fine prima o poi, visto che continui con il tuo terribile vizio.”

My friend...”

No!” Lo fermo. “Sei un medico Patrick, qualsiasi cosa dirai in merito sai bene che è una scusa.”

Sa la mia storia. Sa di mio padre, sebbene i suoi polmoni non sono stati avvelenati dal fumo di sigaretta. Mi guarda con tenerezza e remissione, da un ultimo tiro colpevole e la getta via. Rimasto solo ne fumerà un'altra lo so, ma è più forte di me, non riesco a trattenermi.

Andiamo.” Mi dice, prendendomi sotto braccio e accompagnandomi verso casa, pochi passi più giù della rue.

Restiamo in silenzio ad ascoltare i rumori ovattati dell'inverno e i nostri respiri calmi, prima di fermarci nella piazza antistante la villetta dove abita la mia famiglia; avevamo intonato qualche pezzo di Dalidà e si era fatto promettere che l'avremmo scovata prima o poi in quel di Parigi, per poi infilarsi in un taxi alla scoperta della città che lo avrebbe accolto da lì a poco.

Lo vidi sparire nella discesa della strada e prima di entrare in casa sorrisi sentendomi fortunata nel poter contare sulla sua amicizia.

Insieme avremmo conquistato la città, me lo sentivo.

Fine Prologo.


* * *

NOTA AUTRICE:

Per chi avesse avuto il piacere di seguire la mia fan fiction “Zenzero&Cannella” questa non è altro che una storia da cui vi ho preso ispirazione.

I miei vecchi personaggi sono andati avanti, in questo prologo ho inserito le informazioni base necessarie per capire la psicologia dei nuovi personaggi, perciò non ritengo sia necessario averla letta, anche se ammetto che mi farebbe molto piacere se qualcuno avesse voglia di farlo, in quanto resta una delle storie che ho amato di più scrivere.

Ringrazio in anticipo chiunque passasse in questa storia o in quell'altra, chi commenterà, chi mi seguirà in quest'altra folle avventura.

Resto in attesa di vostre notizie.

Lunaedreamy.


Le immagini non sono di mia proprietà. FONTE: WEB.


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Menta e Cioccolato

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Capitolo 1.

Capodanno.

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E' la notte più triste dell'anno, se ti guardi intorno e il mondo non fa che sbatterti in faccia la tua solitudine.

Ma per fortuna io ho Patrick. Lui è il mio salvagente, mia madre ha adirittura messo fine alle domande sul mio futuro da quando si è trasferito in città.

Credo sospetti una liason fra di noi e per quanto il pensiero risulti bizzarro, vedrò di godermi questa pace e tranquillità il più a lungo possibile.

Fisso un punto lontano dinnanzi a me cercando di trattenere il sorriso, mentre il discorso di ringraziamento che Patrick sta volgendo alla sala gremita di persone, scorre lento e ricercato in quel suo delizioso accento british che cattura e conquista tutti.

Eccoli tutti quà, la creme dell'alta società parigina venuta in missione caritatevole, agli occhi di tutti, in realtà festival dell'autocelebrazione per la conquista di un posto in paradiso, persone facoltose alle quali una volta l'anno, per amore della ricerca, dedichiamo salamecchi farciti di gratitudine per le gentili donazioni fatte a nome dell'ospedale in cui operiamo, dimenticando tutto il resto.

Il Salpêtrière per mezzo del direttore sanitario e consorte famosa organizzatrice di eventi, hanno preferito mandare le due punte di diamante alla fête più esclusiva dell'anno, caricando di responsabilità e aspettative noi due poveri parigini single in un covo lussuoso fatto di champagne, caviale, pellicce e ostentazione.. e quale dispiacere è stato per noi due accettare.

Ancora una volta cerco di rimanere impassibile ; la ricerca è un tema che mi sta a cuore, avvicinarla a questo mondo patinato, sebbene le mie origini mi insegnino che una buona pubblicità agli occhi di certi ambienti resta del tutto necessaria, resta sempre un'idea un pò ostica per me.

Non so fingere, ma ho imparato ad accettare qualche compromesso. In questo somiglio molto a mio zio Fabien.

Di colpo un applauso mi riportà alla realtà, Patrick mi guarda e mi sorride.

"Passerei ora nuovamente la parola alla mia collega Chedjou, se ha qualcos'altro da aggiungere."

Afferro il microfono e prendo qualche secondo per schiarirmi la voce. Ho l'attenzione della sala, so che è il momento di parlare e lo faccio.

"Spenderei qualche parola ancora per lei dottor Thompson, per la fiducia e il sostegno che impiega nella mia ricerca." Patrick sorride grato ed assume un atteggiamento del tutto dedito all'ascolto delle mie parole. "Senza il suo valido supporto, che ricordo con affetto nato ai tempi del nostro dottorato in quel di Londra, temo che annegherei in un mare di Cisplatino e Carboplatino." I più che conoscono nozioni di medicina sorridono. "Ecco, credo che ognuno di noi abbia bisogno di qualcuno che ci sostenga sempre nei fallimenti come nelle vittorie e in lei non è mai mancata nessuna delle due cose. Per questo motivo desidero augurarle affettuosamente un anno nuovo ricco di altrettanti successi, personali e lavorativi, a lei e a voi tutti signori !"

Patrick mi stringe la mano con rispetto, abbozzando un'occhiolino divertito.

Ci voltiamo verso gli invitati ed un coro mi fa eco. "Buon anno ! "

L'atmosfera cambia deciamente tono, mentre io e Patrick scendiamo dal palco che prontamente, viene fatto sparire dagli inservienti.

Le porte della sala da ballo vengono aperte e dopo pochi minuti il primo flusso di ospiti paganti fa capolino con un leggero brusio di eccitazione.

La musica intorno è soft, una composizione di musicisti in frack e le donne in eleganti abiti di pizzo nero, e la luce dai lampadari in cristallo del Meurice Hotel in Rue Rivoli, fa apparire la sontuosa sala come avvolta da una polvere incantata.

Resto sempre estasiata dalla bellezza delle opere d'arti e questo posto lo è; stile Luigi XVI che ricorda molto Versailles, con le sue modanature dorate, le sue colonne in marmo e i candelieri in bronzo e cristallo sui tavoli stondati posati su pavimenti lucidi, questo luogo invita a vivere una vera e propria un'esperienza fuori dal tempo, che sento scivolarmi appena sulle spalle e lasciarmi squisitamente affascinata.

Patrick è sparito nel nugolo di folla come un grillo, mi volto per afferare un flute dal vassoio di un cameriere di passaggio, quando la mia mano sfiora delicatamente un'altra mano.


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"Mi scusi." Una voce calda, mette a fuoco il volto di un uomo che mi sorride.

Bene, penso guardando infastidita il vassoio vuoto con un unico bicchiere al centro.

L'uomo sembra leggermi in viso, fa una leggera piroetta e me lo trovo di fianco che mi porge il flute. "La prego, tutto suo."

"Grazie." Abbozzo, soffermandomi sul suo sorriso sicuro, oserei dire plastico, senza rinunciare allo champagne che accetto volentieri, sfiorandogli di nuovo e inavvertitamente la mano. Questa cosa mi infastidisce e non so perchè. "Buon anno." Dico serafica, dirigendomi verso un punto impreciso della sala. Cerco dalla mia generosa altezza di scovare Patrick e quell'avvocato dell'altra sponda della Senna, come ha ironizzato il mio amico in una tempesta alcolica di qualche ora prima del party, sorridendo fra me e me, quando sento la stessa voce calda di prima raggiungermi alle spalle.

"Non mi ha lasciato nemmeno il tempo di presentarmi." Parla flessuoso, se le sue vocali prendessero corpo le vedrei con riccioli e ghirigori rosa fluttuare nello spazio intorno a noi.

Tuttavia quell'alito caldo mi mette i brividi. Mi volto e lo guardo corrucciata. "Sto cercando il mio uomo."

Lui tentenna ma si lascia andare ad un sorriso. "Le rubo qualche minuto per farle i complimenti sulla sua ricerca del genoma K-ras e rendermi conto con piacere che le donazioni a mio nome destinate a la clinica Salpêtrière hanno un volto, un nome e un cognome."

Resto pietrificata. Il magnate dell'industria anglosassone di cui tanto si chiacchierava fra colleghi in laboratorio, era lì difronte a me.

E non solo, lo avevo trattato come il solito tombeur de femme da ultima notte dell'anno.

In quel preciso momento sarei voluta sparire, prendermi a calci o ingoiare la lingua più lunga di tutta la città di cui dispongo, ma tento come posso di restare in me stessa e non sfasciarmi in mille pezzi di vergogna.

Il suo sguardo indugia sulla pelle della mia mandibola dove sento un gran fuoco nascere, perciò mi do una bella strigliata interna e concentrandomi sul respiro cerco di non risultare un'ameba, sorridendo il più possibile.

"Signor Hamilton, sono costernata dalla mia barbarie, io sono la dottoressa Najla Louise Chedjou." Avrei voluto aggiungere anche gratitudine per le offerte a più zeri che ogni anno gira a nome dell'ospedale, ma limito la mia più che prepotente personalità a porgergli la mano sperando che l'accetti.

Per mia fortuna ricambia il gesto e solo allora mi rendo conto che non può essere il buon vecchio Raymond Arthur Shelley Hamilton, classe inizi del novecento di cui ricordavo le belle parole spese sulla ricerca medica e il suo interesse fin da bambino, in alcune interviste rilasciate.

Lo fisso perciò curiosa, attendendo che dimostri d'essere ancora molto loquace.

"Si prepari perchè il mio nome è molto più lungo." Ride smorzando la mia ansia crecente e noto che ha un sorriso piacevole. "Richard Raymond Wright Hamilton, nipote di Raymond senior mandante delle donazioni, di cui io sono curatore nonché entusiasta responsabile."

Sembra simpatico e a questo punto cattura la mia attenzione completamente, appurato che non sia il vecchio Hamilton, mi soffermo sull'intera figura trovandola oltremodo familiare. Dovrebbe avere la mia età circa, ma per gli uomini mi è sempre difficile trovare una collocazione anagrafica specie se tirati a lucido. Ha una bella ruga di espressione al centro della fronte e questo me lo fa apparire come un pensatore, una caratteristica che trovo subito molto affine. Il suo volto è marcato, piuttosto strano per un europeo del nord e i suoi colori, la pelle ambrata e i capelli scuri, confermano la mia tesi. Deve avere una chissà quale discendenza mista.

Gli sorrido cordiale, sentendomi stranamente ma piacevolmente amichevole.

"E' interessante che lei si faccia carico di aspetti così preziosi e delicati, ad oggi mi stupisce trovare così tanta umanità e impegno nei miei coetanei."

"La ringrazio per i complimenti ma devo smentirla. Non siamo coetanei." Lo guardo corrucciata, si affretta a parlare. "Ho letto la sua scheda di presentazione prima del discorso. Sono nato cinque anni prima di lei, che è così giovane ed è già una luminare. I suoi cari saranno fieri di lei."

Penso a Deesire Bonnet in pena perchè a venticinque anni non ho uno straccio di uomo e Fabien Moreau che mi appoggia nella mia solitaria rincorsa alla carriera. Sorrido spontaneamente, Hamilton mi guarda incuriosito.

"Non credo si lamentino." Rispondo senza inflessioni.

"Mio nonno, se posso dirglielo, legge i suoi aggiornamenti con la stessa intensità con cui un capo di stato leggerebbe bollettini di guerra. E' incredibile!" Gracida come un bambino ed io improvvisamente sento di nuovo le guance farsi calde, Hamilton torna serio rivolgendomi uno sguardo languido. "Spero di non metterla in imbarazzo."

Non sono abituata a questo genere di avances, se posso chiamarle tali per giunta!

Quest'uomo giovane e bellissimo che ho dinnanzi mi confonde, non riesco a seguire il suo sottile gioco fatto di complimenti e l'agghiacciante sicurezza con cui poi si ritira. Sono interessata. Non riesco a crederlo possibile.

Ci guardiamo per attimi che sembrano eterno, così intensamente che l'uomo distoglie lo sguardo per primo.

Sarà meglio che parli, prima che questo imbarazzante momento mi trasformi in una Najla che non riconoscerei.

"Non credo di essere speciale nel desiderare che le persone non soffrino più. Credo che ogni medico tutti i santi giorni debba svegliarsi con la voglia di salvare quante più vite gli sia possibile e sono certa che sia così." Piano piano sento il sangue circolare normalmente nel mio corpo, scuoto il capo divertita per il momento appena vissuto e lo guardo con sincera gentilezza. "Mi lasci far felice suo nonno, lasciandogli avere l'ultimo aggiornamento sulla ricerca vergato di mio pugno proprio questo pomeriggio."

Hamilton, che non ha staccato nemmeno per un istante i suoi occhi dai miei, sembra entusiasta della mia proposta. "Perchè non davanti un buon caffè?" Schiudo le labbra stupita -anche se ammetto di avergli servito un assist perfetto quasi inconsciamente- e questa reazione sembra colpire più lui che adesso mi sembra vagamente imbarazzato. "Sempre che non ci sia un uomo che la reclami, ovviamente."

Sto per rispondere con una certa premura e un pò di imbarazzo quando Patrick appare come un angelo dal fondo del salone, i capelli scomposti che sistema con un veloce gesto lasciando estasiate alcune dame al suo fianco. Hamilton fissa il mio sguardo lontano e la sua ruga frontale si increspa, Patrick ci guarda da lontano incuriosito, annuisco leggermente e lo vedo avvicinarsi a noi.

"Il mio amico e collega, il dottor Patrick Thompson." I due si stringono la mano studiandosi a vicenda. "Patrick lui è Richard Hamilton, curatore responsabile delle donazioni del Salpêtrière."

Patrick annuisce con un bagliore malizioso nello sguardo. "Ho sentito parlare molto delle aziende della sua famiglia, da qualche parte ho letto che Hamilton senior vorrebbe espandere il dominio anche al di là della Manica?"

Richard sembra colpito dall'affermazione del mio amico, ma sorride come gli ho visto fare quando gli ho dato del seduttore.

"Parigi è una piazza molto ambita, dottor Thompson, dopotutto chi meglio di lei può confermarmi questo?"

Patrick lo guarda perplesso, a quel punto intervengo io. "Il signor Richard Hamilton ha studiato le nostre schede personali durante il colliquio di presentazione della ricerca, per rivolgerci i suoi complementi in modo competente e sincero."

Richard sorride in un modo che mi spaventa. Mi sento sovraesposta e spaesata.

Patrick mi guarda esterrefatto e toglie l'impasse rinforzando l'armatura con un tono puntiglioso. "La ringrazio signore, personalmente mi limito ad apprezzare le risorse medico-scientifiche che Parigi offre, ma se fossi un industriale, dopo la sua affermazione, tremerei." Lo guarda sornione e poi mi fissa come se dovessi cogliere al volo l'amo, ma riesco solo a mordermi il labbro e a sentirmi confusa più che mai.

"Fortuna che lei sia un medico, allora." Hamilton non molla l'osso e dopotutto mi avrebbe stupita il contrario.

Ricco e alla portata di qualsiasi cosa desideri, non lo immagino perdere con facilità.

Questa sottile competizione fra i due mi mette decisamente in imbarazzo.

"Adesso credo di aver bisogno di un pò d'aria fresca, mi fai strada caro?" Guardo il mio amico con disperato bisogno di accondiscendenza, lui mi porge il suo braccio, frapponendosi fra me ed Hamilton il quale limito a salutare con un cenno del capo. "Arrivederci signore."

"Spero di rivederla presto."

Anche io, penso trasognante, mentre Patrick mi trascina verso il terrazzo.


* * *

La vista sul parco di Tulliers e la città è qualcosa che toglie il fiato.

L'aria è fredda ma secca, nel mio abito a spalle scorperte il gelo sembra più una carezza persistente.

"Richard!" Mi fa eco Patrick con la voce stridula, cercando di smorzare la mia aria corrucciata.

Sorrido appena, chiedendomi quante volte Dalì ospite fisso dell'hotel, abbia ammirato la Tour Eiffel da lassù. "Fai sul serio?" Prosegue l'uomo.

"Mh?" Mugolo.

"Quel damerino pettinato. Ti offendi se ti prendo in giro?"

"Figurati." Alzo le spalle. "Guardavo la Tour. Che tu con le tue chiacchiere sciocche ti stai perdendo."

Patrick con le spalle alla balconata, fa una leggera torsione e sospira. "L'avocat mi ha strappato un appuntamento che aveva tutta l'aria di non essere per questioni legali, my friend." Mi metto a ridere, la poesia del momento scivola via in un istante.

"Non era quello che volevi?"

"My friend sono teso come una corda di violino!" Alzo un sopracciglio e lui fa una mossa con la mano invitandomi a farlo proseguire. "Ho saputo da Guillerme il mio vicino giornalista anche lui stasera fra gli invitati, che Francoise il tipo del ministero, intrattiene rapporti assidui con l'avocat!"

Poi si azzittisce, piantandomi uno sguardo insistente addosso che mi convinca a farmi raccontare altro.

"Sei incredibile! Sono a Parigi da venticinque anni e sono sola, tu ci sei da una settimana e hai già un avocat, un Guillerme e un Francoise!"

Patrick scoppia a ridere nella notte di luci e clacson al di sotto la Rivolì, ma torna serio subito,

"Non mi sembra tanto attraente quanto vuoi farmi credere comunque." Biascico persa nelle sue locubrazioni.

"Fascino maledetto." Mi corregge con supposizione, poi si avvicina di più e la sua voce diventa un soffio nel mio orecchio. "Proprio maledetto, quando si dice il caso.. pare che frequenti Francoise perchè quest'ultimo recicla il denaro sporco per le milieu."

"Francoise, ecco un nome da scartare dalla tua lista." Dico categorica. "Anzi due, oltre che brutto questo avocat non mi sembra un uomo pulito."

Patrick annuisce. "Ho rifiutato il suo invito difatti."

Annuisco. "Quindi é Guillerme che ti ha scompigliato i capelli?" Gi chiedo maliziosa.

"Mi ha fatto qualche foto, tutto qua, che vai a pensare my friend! Anzi, dopo ne vuole anche qualcuna insieme, dice che dovremmo creare una specie di giornale di lavoro o una cosa del genere per incrementare le offerte. Sostiene che siamo una coppia scenografica."

Scuoto il capo infastidita. "Non siamo all'opera, per l'amor del cielo! Ci manca solo la cattiva pubblicità, ci pensi se cominciassero ad additarci come due frivoli che pensano solo alla visibilità? Non posso permettere che il duro lavoro di questi anni venga infangato dalla sciocca e vana rincorsa alla ribalta!"

Patrick mi guarda dispiaciuto. "Non ci avevo pensato, perdonami mi sono fatto prendere dall'entusiasmo."

"Lo so, my friend." Gli faccio dolcemente eco. "Sono solo suscettibile quando si tratta del mio lavoro, lo sai."

"Motivo in più perchè dobbiamo trovarti un uomo." Blatera, allungando un occhio verso un cameriere alto e carino.

"Ah-ah.. scordatelo!" Bofonchio.

"Ti farò cambiare idea!" Dice, prima di sparire dietro al ragazzo.


Poco dopo, vengo raggiunta da Maude Sastre, una giovane dottoranda della Sorbona dalle idee liberali molto attuali con il periodo, fatto da scricchiolii e brusii in tutti gli ambienti sociali importanti del paese e sopratutto nella politica, la prima grande imputata di suddetti brusii, considerata vecchia, troppo conservatrice, remissiva dinnanzi alle nuove idee e proposte che i giovani sentono il desiderio di realizzare, per cambiare le sorti di una Francia che appare sempre più come una bella foto in bianco e nero sbiadita.

Qualcuno mormora che certi voci non sono altro che il mosto in fermentazione, prima o poi tutto esploderà in una grande sommossa ed allora i grandi uomini resteranno impotenti a guardare un cambiamento preso con la forza e la violenza.

Maude ha l'aria e l'atteggiamento di una leder; la provenienza da una famiglia medio-borghese gli regala un portamento dritto nelle spalle e fiero nello sguardo, parla gesticolando ma con una grande proprietà di linguaggio e conoscenza dei fatti attuali nazionali e Esteri.

"Se davvero il Salpêtrière ha intenzione di creare un suo ordine universitario misto, dottoressa Chedjou, mi faccio bocciare a tutti gli esami pur di prendere parte al progetto!” Mi dice, con la sua ironia forte e lo sguardo curioso di chi ha voglia di sapere ancora e ancora.

La guardo sorridendo affettuosamente, mi rivedo molto nel suo atteggiamento, sebbene alcune regole che oggi sembrano essere assurde, alla sua stessa età vennero accettate semplicemente perché nessuno ci aveva mai fatto guardare oltre, sperare e ambire in una società dove non vi fosse distinzione fra uomo e donna, molto meno patriarcale ma sempre più meritocratica; io stessa, per quanto stimi professionalmente Patrick, alle volte, rari momenti di picco glicemico o di crisi esistenziale tipicamente femminile, mi trovo a dubitare nelle mie capacità, assumendo la responsabilità del mio successo con la ricerca alla sola presenza maschile che ho voluto fortemente con me, ma per buona pace dei miei ormoni quando riprendo coscienza di me, penso che è questo che rende forte un'idea, le donne stesse; l'essere date per scontate, buone sole a far figli.

Pensi a laurearsi presto invece, che il Salpêtrière ha bisogno di una mente così viva e forte.”

Grazie dottoressa, farò del mio meglio per non deludere il presidente Basile e la sua onorevolissima consorte..” Fa una specie di sorrisetto canzonatorio e prosegue. “Che se continua a spendere cifre del genere in caviale, credo non la si vedrà tanto presto la nuova università di Parigi.”

Mi copro la bocca con lo scialle per non sorridere, davanti a una matricola, del presidente che tutti i giorni mi da credibilità e il pane, quando noto due occhi penetranti dalle vetrate della sala; deve avvertirli anche Maude, perché si volta anch'ella con un'aria fra il perplesso e il raggelante.

Le tende spesse e bianche si muovono velocemente, come se l'ombra accortasi dei nostri sguardi, avesse desistito nello scoprirsi.

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La ragazza torna a me alzando le spalle. “Qualche infiltrato. Si dice che certi eventi pullulino di giornalisti disposti a vendersi un rene pur di accalappiarsi una foto peccaminosa o una notizia.” Annuisco ma vedo i suoi occhi farsi piccoli e maliziosi. “Oppure è un pretendente che la sta spiando?!”

Ricambio lo sguardo avvicinandola e la vedo in estasi per chissà quale segreto le stia per svelare. “Credo che ne io ne lei stanotte faremmo notizia a Parigi.” Mi guarda delusa, rafforzo il concetto annuendo forte, poi mi viene un colpo di genio. “Ma alla brasserie Balzar ho sentito dire da un gruppo di femministe, che il filosofo Althusser sia alla festa in vesti anonime.” Quella mi guarda con il sopracciglio alzato, io alzo le spalle. “Non mi guardi così, io personalmente avrei preferito il maestro Salvador, si figuri. Ma forse vale la pena indagare..” Faccio per congedarmi ma quella mi trattiene.

Hanno dato qualche indicazione?” Chiede sottovoce, faccio finta di guardarla stralunata. “Le femministe, dico.”

Sorrido divertita e invento di sana pianta. “Occhiali da vista del secolo scorso.” Risposi notando un particolare di uno degli invitati di passaggio sul terrazzo. “Vestito di un colore neutro, per non dare nell'occhio.” Guardo l'invitato a cui ho rubato l'idea e mi domando se certe donne lo facciano di proposito, consigliare ai propri mariti di vestirsi tanto male in eventi così importanti. “E dicono molta voglia di dar scandalo.”

Gli occhi vivaci di Maude si accesero ancor di più. La vidi schizzare via in meno di cinque minuti millantando una non so quale sete improvvisa.

Mi voltai e risi in faccia alla luna. Mi divertivo troppo a torturare le matricole, ma non era cattiveria, quanto più un passaggio naturale della vita.

Ricordo ancora di quella volta di uno strutturato che intuito quanto fossimo giovani e inesperti io e Patrick, passò un pomeriggio intero a farci correre da una parte all'altra dell'ospedale alla ricerca di un medicinale, che per vergogna di non ammettere che non sapevamo di cosa parlasse, io e il mio amico finimmo con il cercare silenziosamente interpellandoci fra di noi, salvo poi scoprire che non era mai esistito sulla faccia della terra.

Dopo l'iniziale shock, ci ridemmo su non so per quanto tempo.

Sono fuori da un pò e la terrazza è ormai desolata. La sensazione di freddo sembra sparita, premurosa di non dare origine a qualche malanno, decido di rientrare.

Madame qualcosa da bere?” Il cameriere carino di Patrick, mi ferma con un tono di voce un po' troppo melenso.

Grazie.” Accetto volentieri lo champagne e quello si pianta a fissarmi.

Volevo dirle che siete la più bella stasera madame, sono rimasto incantato dalle vostre movenze.”

Ti ringrazio ancora..”

Lo vedo posare il vassoio sulla consolle a noi vicina e sfilarsi con garbo il guanto bianco. “Geremia. Geremia Dumas, come lo scrittore.”

Sorrido per la fierezza con la quale si vanta dell'omonimia e ricambio stando al gioco. “Io sono Najla Chedjou, un medico e basta.” Sorrido un po' frivola, ma gli occhi neri incantatori con la quale mi fissa Geremia, mi fanno sentire sciocca e felice.

Oh ma io so bene chi è lei, madame!” Da una leggera occhiata intorno e torna su di me. “Suo padre, Aurelien Chedjou, salvò il mio durante l'incursione nazista alle fabbriche Chedjou. Da allora, ed anche dopo quando andò in pensione, non fa che ricordarlo.”

Ed io che avevo creduto lo avesse mandato Patrick a tampinarmi. Un fanatico. Un fanatico di mio padre.

Scuoto il capo creando in lui curiosità, in realtà parlare di Aurelien mi riempie d'orgoglio.

Ho detto qualcosa di spiacevole?”

Oh no, affatto.” Mi affretto a rispondere. “Sono lieta di sapere che la sua memoria venga ancora tenuta viva. Mio padre nutriva un profondo rispetto verso la vita umana.”

Una qualità che pare abbiate ereditato, madame.” Mi guarda ancora con i suoi scintillanti occhi scuri, gli sorrido sincera sentendomi un po' stordita.

E ditemi, siete anche voi dedito alle belle arti?”

Assolutamente.” Risponde scandendo bene le parole afferrandomi la mano, che sfiora con le labbra impercettibilmente.

Smettetela Geremia..” gli dico con un risolino. Il freddo e lo champagne devono aver sortito uno strano effetto su di me e l'uomo sembra esserne contento perché sorride senza freni e non mi lascia la mano. “Il dono della seduzione dei Dumas, vi appartiene non c'è che dire.”

Quello tira fuori il petto e mi ringrazia. “Le sembrerei troppo sfacciato se la invitassi ad un pomeriggio di letture delle più belle opere dell'artista? “ Poi sorride aperto e generoso “Siamo un gruppo nutrito non c'è di che preoccuparsi.”

Mi crogiolo per qualche secondo tanto per nascere ancora di più l'attesa e gli rispondo. “Solo se mi prometterà che porterà suo padre alle fabbriche. A nome di mio fratello Benjamin, posso dirle con certezza che saremmo lieti di riaverlo per un giorno fra noi così. Cosa ne dice?”

Che questa notizia lo renderà pieno di gioia.” Poi socchiuse gli occhi. “E che indirettamente ha accettato il mio invito.”

Indirettamente, certo.” Gli faccio eco.

Quello getta ancora una volta un'occhiata alla sala. “Adesso devo salutarla Najla. La mezzanotte sta per scoccare e c'è ancora gente sobria.”

Mi bacia di nuovo il dorso della mano e se ne va sorridendo.

Che canaglia! Ma almeno Patrick avrà di che parlare. Il pensiero mi mette allegria.

Mi volto per cercarlo ed averlo vicino per il brindisi, quando scorgo Richard Hamilton da lontano che alza il flute nella mia direzione.

Ricambio il gesto e poco dopo un altro cameriere mi fa avere un biglietto.


Spero di vederla sorridere ancora come stanotte.

Sarò in città per degli affari ancora qualche giorno, se ne avrà ancora voglia la aspetto per quel caffè.

Buon anno dottoressa Chedjou,

Richard Hamilton.”


Alzo gli occhi e di lui più nessuna traccia.

Il conto alla rovescia è partito.

Dieci.. nove.. otto.. sette..

Che uomo strano, penso. Enigmatico. Così tanto da salutarmi con un biglietto.

Voglio andare a quell'incontro? Sì. Ma forse è meglio di no. Forse sto confondendo gli affari con il personale e questo non sembra molto conveniente.

Se solo Patrick fosse qui.. ma dove è andato a cacciarsi?

Sei.. cinque.. quattro.. tre..

Geremia invece sembra così.. umano, direi. Umano? Uhm, un po' troppo distaccata come definizione per aver accettato il suo invito, non trovi Najla?

Indirettamente accettato. Un mio classico, ecco.

Due..uno..


Tanti auguri my friend!” La voce di Patrick mi piomba alle spalle.

Tanti auguri mon ami!”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 2.


All'alba dell'appuntamento con Geremia e il club di lettori, mi ritrovo nel terzo arrondissement, che percorro a testa bassa e gambe veloci per non arrivare tardi. Sono esageratamente nervosa; saranno gli occhi scuri di Geremia, sarà il caffè nero e bollente preso al risveglio, una miscela pregiata che la mamma ha ordinato da un corriere d'Africa e che prepara con una moka italiana che le hanno regalato dei clienti in negozio, sarà il tempo passato dal mio ultimo appuntamento – se tale posso chiamarlo una pigra mattina domenicale di letture- insomma saranno tutte queste cose insieme, ma ho impiegato circa un'ora per scegliere un abito adatto, la pettinatura e i gioielli.

Nulla di trascendentale, ma ho indossato anche il cappellino, che ho prontamente gettato nella borsa dopo essermi distrattamente specchiata in una vetrina di bistrot ed essermi trovata ridicola.


Geremia mi accoglie ad un portone rosso e arruginito di una ex fabbrica del dopoguerra dai soffitti alti e il pavimento di legno, i muri con i mattoncini a vista e grandi arcate alle vetrate segnate da aste piombate; un gruppo di occhi curiosi mi accoglie dai divani, volutamente diversi fra loro per forma ed epoca, disposti a quadrato al centro dell'unica grande stanza. Mi sento subito meglio, aveva ragione sul nutrito gruppo; quattro donne e tre uomini, li conto mentre mi sbottono il cappotto di lana blu marino e prendo posto accanto ad una bellissima ragazza dai capelli rossi da un lato e un ragazzotto dalle folte sopracciglia e una strana pettinatura dall'altro.

Bene, penso, per l'eta dei loro volti credo di essere seduta accanto ai secchioni.

Tutti mi fissano adesso. Poi ricordo di prendere il mio libro dalla borsa -una copia consunta del "Conte di Montecristo"- e il ragazzotto mi batte l'indice sulla copertina del libro che tiene stretto fra le mani; "I tre moschettieri."

"Un buon inizio, no?" Dico ironica fra me e me, alzando le spalle.

La ragazza dai capelli rossi, si presenta come Louisanne, mi parla con una vocina da elfo. "Puoi seguire dal mio, se vuoi."

Accetto volentieri, Geremia assicurato il portone di ingresso viene ad accomodarsi, ma prima di sedersi mi indica. "Mia giovane nuova amica, in questo club vige la libertà intellettuale, di parola e di espressione. Ogni nuova corrente concettuale e culturale è ben accetta e non verrà messa a giudizio, semmai aperta a dibattito qualora se ne sentisse il bisogno, ma sempre rispettoso. Non vi sono distinzioni di sesso, razza o classe sociale. Ed è aperto agli amici. Non vi è impegno che ci lega, solo il nostro reciproco allietamento, non vi sono obblighi ma.." prende una lunga pausa ed ho paura di ciò che sta per aggiungere, dopo tutti i paroloni usati per quello che nel mio subconscio era solo un semplice club di lettura, ignorando avesse bisogno di regole, oltretutto discusse con così tanta scioltezza. "..se tu per esempio sei una buona cuoca o un amante dei vini.." in quel preciso momento una delle quattro donne, la più anziana con un cipiglio duro sul volto, tira fuori dalla borsa di coccodrillo un Sauvignon, sventolandolo come un cimelio di guerra.".. ecco proprio come ti sta mostrando Florence, se la generosità o l'arte della cucina è un tuo pregio, sentiti libera di accompagnare queste letture con ciò che più preferisci. Possibilmente commestibile."

Un club con delle regole, dove non si disdegna qualche stuzzichino. Tutto quà? Tiro un sospiro di sollievo e mi sento anche divertita.

Visto la serietà dell'interlocutore, credo devo tenerlo bene a mente, poi mi soffermo sulla figura di Geremia e penso che non ci sia nulla di troppo ordinario in lui, qualche formalità sarà senz'altro dettata da qualche spiacevole episodio del passato.

Questo club sembra essere sempre più il prolungamento del suo essere.

Enigmatico.

Decido di stare al gioco. "A questo punto sono sicura che tu sappia della patisserie Fabien&Madeleine a Montmartre, che appartiene alla mia famiglia."

Alza le spalle. "Voci di quà.. voci di là.." Risponde con un sorriso giocoso.

"Oh benedetta ragazza..Geremia sa i fatti di tutti la rive Droite." Borbotta l'anziana signora.

"E quelli della rive Gauche?" Domando.

"Che domande.." Mi fa il ragazzo. "Li lascio a Florence!"

La donna scoppia a ridere e gli passa la bottiglia di vino incoraggiandolo ad aprirla.

"Tutto chiaro come vanno quì le cose, dottoressa?!"

Geremia stappa il vino e lo versa in certi bicchieri così antiquati, che il mio finisce sotto la sedia ignara delle occhiatacce di Florence.

"Najla." Rispondo tergiversando. "Chiamatemi tutti per nome, vi prego."

"Io sono Gastald." Mi fa eco l'uomo seduto accanto a Florence.

"Théa Giraud." E' il turno di questa donna minuta ma dagli occhi grandi, l'unica che si è presentata con il proprio cognome. Il tempo ha svelato perchè; un'avvocatessa squattrinata a caccia di clienti. Osservo le sue mani piccole e bianche pensando a quelle laboriose di mia madre e sorrido.

"Cristophe." Il ragazzotto accanto a me si tocca il petto. Deve essere molto intelligente e sensibile, noto, mentre il suo sguardo si posa su Louisanne forse per la terza volta. Il triangolo nel quale sono finita, chiude in bellezza uno stralcio pittoresco di Parigi, che non conosco.

Geremia sorride accondiscendente, prima di sbattere le mani e richiamare la nostra attenzione.

"Direi di iniziare a turno spontaneo, che ne dite voialtri?!"

"L'ultima volta Théa e Gastald si sono scannati. Rispettiamo il giro!" Bofonchia Florence puntigliosa. "Iniziamo pure dalla dottoressa."

Capito di avere già una nemica, mi schiarisco subito la voce, apro il tomo di Louise scorrendo l'indice sulla prima riga.


"Il primo Lunedì del mese di Aprile del 1625, il borgo di Meug.."


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Quando viene il turno di Geremia, capisco finalmente la differenza fra leggere e lettura; il ragazzo è un interprete nato, fa scorrere le parole dal diaframma alle labbra carnose, come se fossero messe lì apposta per lui, che ci costruisce su persone, paesaggi e cose che inaspettatamente prendono vita. Mi domando se non faccia l'attore, ma nell'osservare a bocca aperta le sue mani che scandiscono sinuose il ritmo, Louise mi da una gomitata perdendosi in un risolino.

Siamo abbastanza vicine da non recare fastidio a nessuno con le nostre voci ma ci stringiamo fino quasi sembrare due siamesi.

"Non sei la prima." Approva e le mie labbra si sigillano per la vergogna. "Venivo qui solo per vedere quelle mani dipingire una storia e perdermi nella sua voce. Il talento non gli manca.. ma certo, ha il suo prezzo." Come punte di spillo le sue parole mi pungono, costringendomi istintivamente a farmi ancora più vicina; i pettegolezzi su di lui tutto a un tratto sembrano interessarmi parecchio. E faccio bene, perchè la voce di Louise si fa quasi un sussurro, mentre le gote le si colorano di rosso vermiglio per chissà quale ardito pensiero il bel Geremia deve ancora procurargli.

Biasimo il povero Cristophe ormai alle mie spalle e tendo gli orecchi.

"Nel terzo arrondissement è quello che si dice per bocca delle damine facoltose. Un vero prodigio."

Geremia un gigolò?

Sbatto le palpebre non tanto per la sorpresa, quanto per l'indecisione nel mettermi a piangere oppure sentirmi fortunata per le sue avance.

La mamma in tempi non sospetti, aveva stilato per me l'identikit dello scalatore sociale - barra arrivista – barra ruffiano, con rammarico e forse per la prima volta in vita mia, mi pento di non averle prestato ascolto e di trovarmi in una situazione tanto buffa quanto fastidiosa.

Respiro e cerco di darmi una ridimensionata. "Pensavo fosse un attore." Rispondo con finta ingenuità di chi vuol sapere ma non vuol sentire.

La ragazza annuisce. "Il problema è sorto quando per una madame della noblesse non è più bastata la pausa fra un atto e l'altro."

Persino lo scandalo! Il mio viso è una maschera di emozioni e più guardo il bel Geremia e mi sforzo di mantenermi distaccata, più voglio saperne.

Dumas é completamente sparito dai nostri pensieri, ma a un tratto il ragazzo termina il suo paragrafo e passa la voce a Florence, facendoci sussultare come due ragazzine riprese dal professore, sui banchi di scuola.

Devio lo sguardo sul pavimento, ma quando lo rialzo lui è su di me con un'espressione incuriosita.

Giro il capo lentamente verso Cristophe, ignorando del tutto la mia compagna di lettura, ma Louisanne si dimostra essere la rossa terribile di tutti i pregiudizi sulla categoria. "Non vuoi sapere il resto?" Sussurra quasi incredula.

Alzo le spalle e la mia voce diventa cantilena. "Il marito di lei li ha scoperti e la carriera di Geremia è affondata. Come pure la tresca."

La ragazza scosse il capo sogghignando. "All'apparenza può sembrare così, ma la verità ha ben altre tinte."

"Che tu vuoi farmi estorcere con la supplica." Bofonchio rassegnata.

Louisanne emette un risolino che fa alzare il sopracciglio a Thea, ma per tutta risposta, la rossa la ignora dandogli le spalle platealmente.

Penso che le Louise siano state temprate tutte con la stessa forgia e mi sorprendo a ridere di me stessa.

"Dicevamo, sembra che Geremia sia stato sorpreso a trafugare i gioielli della nobildonna ma che questa lo abbia difeso a spada tratta negando l'evidenza di fronte ad altri testimoni, additando la colpa alla domestica. Il marito credendola impazzita, le mise dietro due scagnozzi che lo portarono dritto-dritto a scoprire la tresca. Successe un finimondo, quasi non ci rimetteva le penne.. il nobile non era così tanto nobile nelle intenzioni.. ma la fortuna di Geremia è sempre stata quella di essere un buon comunicatore e questa dote ha fatto si che si trovasse nelle grazie di qualche blasonata famiglia che misero la faccenda a tacere per lui. Purtroppo da quel giorno è visto con ostilità dai salotti buoni del terzo e dai teatri di spicco, dove sono ancora in corso attriti fra una frazione e l'altra. Questo posto è diventato il suo urlo di protesta. Il suo palcoscenico."

Luoisanne chiude il racconto enfatizzando con ammirazione la rivincita del ragazzo.

Arriccio il naso. Qualcosa stona. "Non so. Perchè rubarle i gioielli, quando disponeva già dei favori della donna? "

Frequentando certi ambienti so quanto la noia della ricchezza, renda produttiva la fantasia.

E come certe individui sorridano alla buona nomea di una persona per poi disprezzarla il giorno dopo.

"E' ciò che si sono chiesti tutti. Perchè no, rispondo io. Geremia è un anarchico di nascita, non per scelta. Non ruba per fame. Non diffonde il sapere per ostentare ciò che non possiede. Lui è semplicemente ciò che non ti aspetti. Eclettico, sorprendente. Unico. In poche parole.. un artista."

Mi fermo ad osservare gli occhi sognanti di Louisanne e mi chiedo se sappia distinguere la diferrenza che passa fra stimare e osannare.

Mi sento in colpa per quel giovane, che tutto mi sembra tranne un ladrunculo sprovveduto in cerca di vanagloria, e di un pubblico che contribuisca alla sua disfatta. Scuoto il capo e la guardo severa.

"Quanti anni hai Louise?"

La mia domanda spegne il suo sguardo sognante. I fiammeggianti occhi giada, tornano a brillare. "Diciotto, perchè?"

"Perchè a diciotto anni ci si deve permettere di avere delle opinioni basate sulle altrui esperienze, ma senza che queste ci confondano o peggio, risultino essere terreno fertile per le maldicenze."

"Tu perchè sei quì?" Mi risponde con aria di sfida.

Mi guardo intorno e ancora a Geremia; ascolta rapito Florence, la sua voce roca e sapiente addentrarsi nell'opera.

Sono sicura della mia risposta.

"Perchè un bell'adulatore mi ha convinto che fosse un'esperienza da non perdere. Ma c'è di più, accettando di venire quì ho reso felice suo padre. Sai i nostri genitori lavorarono per la stessa buona causa venti anni fa o forse più, quando gli ho proposto un'accordo, far tornare suo padre per un giorno, alle aziende per la quale aveva dedicato una vita, ho visto quell'uomo lì.." lo indicai con il mento con uno sguardo addolcito, "..felice come un bambino. Queste sono le opinioni che mi piace condividere con gli altri e i valori alla quale aspiro tutti i giorni. Ma io non ho più diciotto anni. E lui aveva ragione; questa è proprio un'esperienza da non perdere."

Louisanne non risponde, si tira su con la schiena posando uno sguardo meditativo sul ragazzo.

Poi arriva il mio turno, lascio andare ogni frivolezza e mi lascio condurre in quel mondo misterioso e affascinante.


*


Parigi dalla finestra d'albergo, sembrava ancor di più la complessa, disordinata e chiacchierata città di cui tutti i grandi del mondo discutevano.

Il tempo di finire una guerra, rialzarsi, portare l'economia ad un livello superiore, rispetto alle altre città della Comunità economica europea nata il decennio antecedente, che il suo popolo già si preparava a nuovi tumulti.

Quello era il momento giusto per formare un impero. Il suo impero. Il caos era da sempre amico delle insurrezioni e lo aveva imparato bene, studiando la rivolta della vicina Irlanda, dove gli uomini avevano creato uno stato indipendente sulle macerie di una guerra appena terminata.

Il potere era il suo cruccio, figlio di una nobiltà antica molto influente, non aveva che la smania di accumulare successi che portassero esclusivamente il suo nome. Non si dichiarava uno snob, sebbene tutte le testate del mondo lo etichettavano ormai con questo appellativo, quanto più un audace , qualcuno che non ha paura di scrollarsi di dosso uno scudo caldo e sicuro per affrontare il campo di battaglia con la sola forza delle gambe.

Si erano conquistati a vicenda, Parigi e Richard.

Gli Champs Elysées, dal basso, rilucevano alla luce del mattino brulicanti di persone e sembravano attendere, che anche lui si mischiasse alla folla.

Ad ogni viaggio la città lasciava dentro di se qualcosa che si era concluso come un grande quadro alla quale mancava una cornice.

Non restava che crearne una propria, capire dove trascinava la corrente insurrezionista, quali vantaggi ottenerne per cambiare finalmente le carte da gioco e dare inizio ad una nuova vita.

Era il suo turno. Chi aveva banchettato al tavolo dei vincitori sarebbe rimasto a guardarlo compiere il suo destino.

Era un Hamilton dopotutto, e nessuno avrebbe più messo in discussione la questione.


Un tocco leggero alla porta lo riporta alla realtà.

Una cameriera dei piani entra nella stanza e lo saluta con riverenza, accarezzandosi con cura il grembiule bianco stretto sui fianchi.

E' una bella ragazza, con quegli occhi penetranti alla francese, liquidi e maliconici.

"Dottor Hamilton, mi manda il maitre, vuole sapere se ha delle preferenze per il pranzo di quest'oggi."

Guarda l'orologio, per poi soffermarsi sulla fisicità della ragazza, che arrossisce trovandosi sotto osservazione.

Una smorfia gli dipinge le labbra scolpite; quel rossore rimanda prepotentemente ad un immagine sola.

Najla Louise Chedjou. Che non aveva mai risposto al suo messaggio.

"Qualcuno si è presentato per me?"

"No dottore." Risponde laconicamente, dopo quasi sette giorni della stessa domanda. Poi si morde il labbro, un pensiero scivolato via.

"C'è altro?" Chiede lui con voce profonda, capace di scombussolare la più pudica delle donne.

Tutte, tranne Najla Louise Chedjou.

Si era chiesto spesso se sotto quello strato di grezza barbarie, si nascondesse un cuore morbido, probabilmente inacessibile; la domanda in questione fa pregustare già il sapore amaro della sfida, testosterone allo stato puro, il quale è costretto a ingoiare come un boccone al fiele, ricordando a se stesso che quella donna era sparita via come una bolla di sapone.

"Mi domandavo chi fosse la sprovveduta che da una settimana manca il suo appuntamento." Rispose la donna in un sol fiato.

Un sorriso sardonico sostituì lo stupore con ammirazione per quell'essere gracile e innocuo all'apparenza, chiedendosi se il mistero del fascino francese non fosse poi tutto lì; un viso d'angelo e la grinta di una leonessa.

Richard le si avvicina a passo cadenzato, fermandosi quel minimo da rendere la sua stazza prepotentemente sovrastante.

La ragazza tiene il viso alto, per nulla spaventata, solo un leggero fremito delle labbra.

"Vuoi essere tu il mio appuntamento.." Scorre veloce il nome della ragazza dalla targhetta identificativa e lo pronuncia con estrema indolenza. "Lydie."

"E' una domanda signore? O un invito maldestro?" La ragazza piega il capo fingendosi un'ingenua. Hamilton sorride glaciale.

"No Lydie, ne l'una ne l'altra." La penetra con i suoi occhi freddi, scardinando a poco a poco il suo sguardo fiero. "Solo una constatazione."

Le guance della ragazza si fanno di nuovo rosse, il labbro superiore inizia a tremare visibilmente. "Se non c'è altro.." Sussurra con voce rotta.

"Può dire al maitre che pranzerò in città. La ringrazio."

La vede sparire dalla stanza con aria funesta e una volta rimasto solo resta a contemplare quel silenzio che ogni volta, ogni singola volta le capitava di allontanare volutamente chiunque osasse attraversarlo, si faceva più denso e pesante che mai.

Il telefono suona nell'esatto istante in cui afferra il suo soprabito di lana.

"Stanza del dottor Richard Hamilton."

"Reception, Dottore. Una chiamata da Londra per lei."

"La passi pure, grazie."

Ci vollero due tentativi per collocare la voce al di là dell'altro capo, in quella di sua madre. "Catherine.." Bisbiglia senza inflessioni.

"Salve, Richard." Risponde l'atra, poi il rumore metallico di un accendino rompe il leggero silenzio.

"Continui a fumare nel tuo stato." Constata con la stessa compostezza con la quale aveva iniziato la conversazione.

"Oh si..che vuoi che ti dica. Cio che non uccide, fortifica."

Richard si passa la mano sul viso, improvvisamente stanco. "Non parliamo di un raffreddore, mamma, ma di cancro."

"Cosa può succedermi di peggio a questo punto? No ho più i miei capelli, figlio!" La donna fa un mezzo sorriso per poi boccheggiare con spavalderia. Torna alla cornetta e il suo tono di voce si colora di sarcasmo. "Hai avuto modo di incontrare i tuoi luminari?"

"Se non fossi così ironica pregheresti che quei bravi medici trovassero una qualche cura definitiva." La rimbrotta come un padre alla propria figlia intima di rincasare presto, trattenendo l'isteria a stento. "I fondi sono ben spesi, ho modo di pensare che fra qualche tempo si parlerà di successi."

"Cosa ti tormenta allora?" Domanda dal nulla, padrona del suo ruolo. "Richard, anche a migliaia di chilometri sento che qualcosa non va."

Catherine Wright era sempre stata, nel corso della sua dolorosa vita, una donna dedita alle arti mistiche e alla medicina alternativa.

Sposa giovane dell'imprenditore Raymond junior aveva dedicato la propria esistenza al sostegno dei più bisognosi e alle numorose attività imprenditoriali del marito, studiando da autodidatta e tralasciando in parte le sue vocazioni.

Il destino poi gli mandò due splendide figlie gemelle, dopo la nascita del primogenito Richard, ma il bombardamento da parte della Luftwaffe sulla City, il ventinove dicembre del millenovecentoquarantuno, non le risparmiò da un finale crudele, pochi giorni prima del piano di evacuazione di tutta la famiglia. Questa tragedia cambiò la sorte degli Hamilton.

Richard successivamente, venne fatto evacuare in una delle vicine cittadine di campagna, si ricongiunse ai genitori solo molto tempo dopo l'accaduto; Catherine e Raymond non tornarono mai insieme e persempre portarono con loro, il fardello della colpa e dell'oblio.

"Ho molta premura di far visita a Raymond senior, tutto qua."

"E le chiacchiere della tua sciocca madre ti sono d'intralcio?" Risponde ironica.

"Non lo devi neanche pensare, Catherine." Sospira, conscio di aver nutrito fin da ragazzino il desiderio di cambiamento, sopratutto per fuggire via da quegli scheletri che erano diventati negli anni, i suoi genitori. "Vuoi che gli dica qualcosa?"

"Tuo nonno sa cosa è meglio per lui. Ma tutti noi vorremmo sapere cosa -o forse dovrei dire chi- alla veneranda età di settantasette anni, lo trattiene ancora nella Ville Lumière !" La donna sorride sincera per la prima volta da quando ha alzato la cornetta. "E ti prego Richard, prenditi cura di te e chiama più spesso. Qualsiasi sia la tua strada, ricorda che a Londra troverai sempre la tua casa."

Il ragazzo annuisce, guardando il suo stesso riflesso nello specchio; aveva gelidi occhi azzurri e profonde occhiaie che lo rendevano molto pù cupo di ciò che non fosse, eppure il suo cuore palpitava, poteva udirlo anche adesso, mentre quella voce distante nella cornetta gli ricordava chi fosse.

"Tornerò presto, mamma." E presto me ne andrò.

"Ti voglio bene Richard."

"Me too."

"E aggancia prima che nuvole pesanti e dense caricassero i suoi occhi freddi.


*


"Najla!" Sono sul boulevard per raggiungere la stazione Rambuteau, quando sento Geremia chiamarmi affannato. "Aspettami!"

Mi fermo e penso che mi vedrà con il ridicolo cappellino che ho indossato nuovamente, ma il vento che si è alzato é gelido e pungente e toglierlo davanti a lui.. questo sì che sarebbe ridicolo. "Ho dimenticato qualcosa?" Chiedo, toccandomi le tasche e lanciando un'occhiata veloce alla borsa; il libro è ancora sul fondo, consunto più di prima, se possibile.

"No." Mi fa lui dolcemente." Volevo fare due passi con te, se vuole posso scortarla fino a casa, madamigella."

Gli sorrido gentilemente. "Prendo un caffè con un amico.." A questo punto Geremia tentenna un pò deluso. " ..se ti fa piacere, puoi unirti a noi!"

Geremia annuisce e i suoi occhi focosi si fanno deliziosamente fanciulleschi.

Finiamo a braccetto e insieme ci addentriamo nei cunicoli della stazione.

"Sono contento che il club ti sia piaciuto. Anche perchè in caso contrario avrei dovuto ucciderti!"

Rido e penso a Louisanne e al suo saluto fugace prima di correre via, letteralmente, a fine lettura.

Lei sì che vorrebbe uccidermi, sopratutto se mi vi vedesse in compagnia solitaria del suo idolo.

"Sono curiosa, sai?!" Gli chiedo.

"La curiosità è una virtù." Risponde asciutto. "Chiedimi quello che vuoi."

"Come è nata questa idea? Dove hai reclutato i tuoi lettori?"

La banchina è desolata, ci accomodiamo su una panchina e il ragazzo si fa ancora più sorridente.

Temo che sospetti la natura dei bisbigli fra me e Louisanne e la cosa mi rende triste, tuttavia in sua compagnia sono molto a mio agio, penso sia chiaro quanto poco me ne importi di cosa dice la gente.

"Un tempo abitavo in un vechio palazzo sulla Rue de Bretagne. Florence due piani più sotto, era solerte passare i pomeriggi pigri d'inverno, a leggere sul ballatoio per le petit filles del quartiere, i romanzi dei più grandi autori del novecento. Quando rincasavo la sera e la trovavo ancora lì, piena di energia e passione, mi mettevo seduto e l'ascoltavo anche io. Mi passava pure la fame, tanto mi piaceva sentirla romanzare, una grande artista, figlia di scenografi teatrali e lei stessa attrice." Per un attimo i suoi occhi si perdono sul fondo della galleria dalla quale si alza il vento seguito dal fischio del treno in arrivo. "Così quando il ballatoio si era fatto troppo stretto e scomodo, e la vita più dura di ciò che era fino al giorno prima, ho affitato la ex fabbrica tessile del quartiere e abbiamo cominciato a leggere lì. A porte aperte, senza sapere dove stessimo andando, solo il piacere della lettura a farci da guida. Thea Giraud è stata la prima a unirsi; pesava si e no quaranta vchili, sull'orlo del fallimento personale a causa del poco lavoro, dopo due settimane ci ha portato Gastald, un falegname conosciuto al parco una domenica e che poi ha sposato tre mesi dopo."

Non riesco a staccargli gli occhi di dosso e so che è avventato, sconsiderato.. non so nemmeno se mi stia raccontando una favola o la verità, ma lo sento parlare e mi sento vittima di un incantesimo. A un tratto sento il desiderio di baciarlo. Sentire quelle labbra sulle mie e...

"Najla?" Dice, schioccando le dita dinnazi ai miei occhi.

Mi schiarisco la voce e i pensieri, tentando di non prendere fuoco. "Dicevamo, scusa?!"

Geremia alza un sopracciglio e mi fissa con uno sguardo dei suoi; incendiario, caldo. "Forse sei attratta da qualcosaltro.." E si avvicina piano.

La sua voce sensuale e quell'oscillazione mi fanno irrigidire. "Geremia.. piantala!" Mi porto le braccia conserte al petto, sorridendo. "Certo che tu sei peggio dei tuoi antenati, mi correggo!"

Mi guarda divertito e risponde. "Lo sai che Alexandre si annovera di ventisette amanti e quattro figli illegittimi?"

"Non soffriva certo di solitudine." Biascico.

"Lo sai che mi piace di te, Chedjou?"

"Najla, ti prego." Lo correggo. "Cosa?"

"Il tuo sdrammatizzare le cose. Rendergli giusizia per quello che sono."

"E sai cosa mi piace di te, Geremia?!"

"Dumas, ci tengo." Mi fa l'occhiolino e continua. "Cosa?!"

"Niente!" Mi alzo divertita alla mia fermata e lui mi segue sconsolato.


Patrick è sull'uscio che attende.

E' ben vestito come al solito, i capelli biondi in contrasto con il cielo plumbeo che ha coperto la città.

"Tu devi essere Geremia Dumas.."

Mi guarda curioso, mentre mi accingo a stampargli tre baci di saluto. Gli mimo il silenzio, con le dita che scorrono come una cerniera sulle labbra.

"In persona." Geremia allunga la mano verso Patrick, catturato immediatamente dagli occhi scuri del bel ragazzo. "E tu mi sei già simpatico."

Si volta verso di me che alzo le spalle e scuoto il capo. "Mi sono perso qualcosa?" Mi chiede Patrick.

"Geremia è entusiasta quando gli si ricorda discendere dal tombeur de femme, scrittore illustre, Alexandre."

Patrick comprende bene chi ha difronte e si lascia andare ad un sorriso malizioso. "Sarà un caffè interessante. Prego my friend, dopo di te Dumas."


*


"Siediti. Ti faccio portare un brandy arrivato da Londra proprio ieri."

Il vecchio Raymond Arthur Shelley Hamilton appare più giovane e lucido di sempre, dal divano chesterfield del salotto in piena Rue Saint-Honoré.

"Ti ringrazio Raymond, ma declino l'offerta."

L'anziano signore ordina ugualmente due bicchieri, si accarezza i baffi e pianta sul nipote uno sguardo interrogatorio.

"Allora, com'è?!" Chiede melenso.

Richard stringe gli occhi, si sbottona la giacca. "Dimmelo tu. So che hai grosse novità in merito."

"Una cosa alla volta." Lo rimprovera. "La fretta è il male odierno. Il gusto della conquista e dell'attesa rende tutto più saporito, non trovi?!"

E' proprio ciò che avrebbe fatto con Lydie; cuocerla fuoco lento. Ci aveva pensato in taxi e non gli era sembrata una cattiva idea.

Come se i suoi pensieri si materializzassero, un'avvenente ragazza in talleur di servizio, ancheggiando entra nella stanza, lascia i due brandy sul tavolo e molto vicina a Richard non perde occasione di staccargli gli occhi di dosso, in attesa che Hamilton senior la congedi; l'uomo fa un cenno veloce, quella si volta e torna in disparte.

"Ti sei sistemato bene a quanto vedo."

"A tutti piace la bellezza, mio caro nipote. Temo quel momento in cui i miei istinti si assopiranno.." E smuove il bicchiere giocando con il ghiaccio in superfice. "Ho chiesto al mio medico, Luigi, di sopprimermi con una dose di cianuro nell'eventualità."

Adesso riconosce il Raymond di sempre, lontano dai vecchi e noiosi affari, conqueror di indomita bellezza che fece capitolare le più belle donne del mondo, nei ruggenti anni venti. Baffi e capelli erano ormai di un bianco virginale, ma la passione infondo ai suoi occhi azzurro cielo, la dicevano lunga sul suo carattere indomito.

"C'è un qualcosa di sofisticato e affascinante in queste donne."

"Ma il tuo obbiettivo è uno solo, per ora." Afferma rigido, quasi dispotico. Richard lo guarda enigmatico, a quel punto Raymond sorride con gli occhi, nello sforzo, miseramente fallito, di far apparire la sua richiesta disinteressata. "Sono certo che non ti mancheranno occasioni per accompagnarti alle più belle donne di Parigi, e te lo auguro, ma perchè non soddisfare subito le lagne pretestuose di questo uomo."

"Se è per questo, ha già espresso il desiderio di farti avere gli aggiornamenti vergati di suo primo pugno. E' molto intelligente come affermavi e se la tua premura nei suoi confronti include questo tipo di interesse, posso dirti di fare sogni sereni, perchè la donna ha una carattere forte che sono certo le permetterà di ottenere quello che vuole."

Raymond si tocca ancora i baffi. "Quindi le hai parlato?"

"Forse dovresti mettere giù il brandy e ascoltare quello che ti sto dicendo. Mi sembri distratto."

L'uomo sventola una mano in aria, come a voler sorvolare la richiesta del nipote. "Mi occupo di questo ospedale da dieci anni, non corro dietro a una dottoressa solo perchè è carina, voglio vedere i miei soldi -i tuoi soldi-" sottolinea come se il ragazzo dimenticasse chi fosse, "fruttare in ciò per cui sono stati investiti. Questo è un leggittimo interesse che mi spetta e dovrebbe essere anche il tuo."

Richard si porta una mano al mento, la conversazione sfugge al suo controllo. "Stai gettando dubbi sul mio operato, con queste parole?!"

Raymond si agita nella sua seduta e nega con il capo. "Dico solo, nipote, che la comunicazione è fondamentale per affari come questo."

"Ho una laurea conseguita ad Oxford con il massimo dei voti, Raymond, questa mi permette di essere abbastanza formato sull'argomento." Alza le spalle, si mette in una posizione di comando. "C'è qualcosa che dovrei sapere?!"

"Tua madre si preoccupa per la tua eccessiva solitudine." Bofonchia l'anziano, tergiversando.

Richard contrae la mascella, uno sguardo glaciale. "Mia madre è il motivo per cui ho accettato questo incarico."

"Certo, cosa vai a pensare, che sia una specie di gelido dittatore?"

Il ragazzo sorride. "E non lo sei?! Finiamola con i giochetti, dimmi quello che mi devi dire."

Raymond prende il respiro, annuisce e inizia a parlare.

"Se sono a Parigi da diverso tempo è perchè ho scoperto delle cose che ci riguardano che potrebbero cambiare il corso dei nostri affari, dargli una nuova sferzata. Questo non vuol dire che non mi stia a cuore la famiglia o che diffidi delle tue capacità. Voglio solo capire quanto sarai disposto diciamo a.. metterti in gioco in una grande manovra, quando se ne presenterà l'occasione."

"Di quale grande manovra parli?"

Raymond trepidante per i suoi stessi pensieri, invita tutta la servitù stipata agli angoli del salotto, ad uscire definitivamente dalla stanza.

"Una soffiata sulle aziende Chedjou parla di un illecito sulla loro fondazione." Richard sospira a mano a mano che le intenzioni del vecchio Hamilton si rivelano sottoforma di piano studiato. "Per ora non ho abbastanza materiale per poterti dire di più, ma tu forse puoi ottenerlo." Si alza e va vicino al nipote; gli mette una mano sulla spalla e il suo tono di voce si fa confidenziale, amichevole. Richard è preoccupato. Si alza anch'egli. "Esci con quella ragazza, corteggiala, fa il gentleman quale sei. Non hai nulla da perdere, anzi la fondazione Hamilton della quale ti sei occupato sino ad oggi con grandi capacità non potrà che giovare di questa.. diciamo simpatia. Io sono vecchio per occuparmi di queste cose, ma non abbastanza per dirti che se le notizie che arriveranno confermeranno una certa tesi, ti ritroverai con le mani in pasta, ragazzo mio!"

"Dimmi di più su questa tesi."

"Non posso."

"Puoi invece, se vuoi che ti aiuti."

"Richard, non essere testardo."

Segue un silenzio lunghissimo, nessuno dei due uomini vuole cedere all'altro.

Il vecchio Hamilton tira un sospiro lunghissimo. "Jacque Chedjou e io intrecciammo assidui rapporti in epoca antecedente il conflitto mondiale. La crisi del ventinove non risparmiò il suo capitale, e alcuni investimenti sbagliati, lo portarono a considerare di cedere una parte delle quote d'azienda. Lo convinsi a cederle a me, in via tacita ci accordammo al fine di riunirci e mettere nero su bianco l'accordo. Quel momento non arrivò mai; Ahmed Bonnet e l'ereditiera Clorine Fontaine, con una mossa astuta, finirono per suggellare un accordo in calce prima che io stesso potessi capire cosa fosse successo."

"Ti hanno soffiato l'affare, non mi sembra ci sia qualcosa di più chiaro." Sottolinea Richard con una punta di ironia e soddisfazione. "Adesso vuoi rifarti sulla loro discendente. Dopo trentanni, perchè?"

"Per l'onore." La smorfia velenosa sulle labbra sottili dell'anziano gli provocano un fremito.

"L'onore.. ma tu lo sai che quella ragazza ha solo venticinque anni?"

"Certo che lo so." Richard non osa nemmeno chidere da quanto le sta dietro, ma è sempre più chiaro che ogni sua mossa non sia data al caso. "Ma non sapevo che mio nipote fosse diventato un sentimentale." Prosegue adirato. "Adesso non capisci e te ne do motivo, ma cerca di essere ragionevole, non ti sto proponendo di andare al patibolo, solo di fare la corte a una bella e ricca ragazza francese e scoprire qualcosa di più della sua vita."

Richard schiocca la lingua. "Lo sapevo.. un accordo!" Poi mette su uno sguardo fermo. "Io che cosa ci guadagno?"

"L'azienda Chedjou. Tutta, figliolo."

Si passa la lingua sulle labbra, assaporando le immagini che queste parole gli provocano.

Estasi, sconcerto e terrore.

"Tu che ruolo avrai in questa storia, nonnino?"

Raymond sorride sotto ai baffi. "Questo è lo sguardo di potere che voglio leggere nei tuoi occhi, ragazzo!" Gli paccheggia la spalla e si prende qualche secondo prima di rispondere. "Sarò solo il mediatore. Sistemata questa faccenda, andrò in America. Quel Kennedy sta rivoluzionando il suo paese."

Non era una risposta convincente ma neanche un ipotesi da scartare, conoscendo il soggetto; Richard allunga la mano per stringere il patto.

Najla Chedjou, era una sfida prima ancora che la sua storia si colorasse di nuove tinte.

E lui, aveva una gran voglia di dipingere.



NDA:

Infiniti grazie a chi visita la mia storia.

Sarei più che felice di sapere cosa ne pensate.

Al prossimo capitolo!

Luna

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Menta e Cioccolato





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Capitolo 3.


"I profitti sono stabili Benjamin, non ci sono picchi sostanziali ne in caduta ne in salita."

Paul, ex operaio nel periodo di dirigenza di Aurelien Chedjou ed oggi caposettore analista, è in piedi alla scrivania del ragazzo, mostrando i grafici del periodo passato. Parla minuziosamente, tuttavia senza perdersi in giri di parole, una qualità molto apprezzata da Benjamin che si porta le mani giunte al mento; guarda quei grafici come se non vi leggesse nulla e quando alza gli occhi sorride assente.

"Bene Paul, egregio lavoro come sempre. Andando puoi lasciare i documenti alle segretarie." Raccoglie i fogli in una cartellina e glieli passa.

Paul che conosce Benjamin da quando era un bambino e curiosava nell'azienda come fosse un enorme pacco regalo, prima ancora salisse in cima al comando, tentenna sulla sua voce così inflessibile e i modi rapidi con la quale lo stava congedando; non sbaglia, perchè nell'esatto istante in cui resta a fissarlo senza decidere cosa fare, Benjamin alza un sopraciglio irritato dalla staticità del momento.

"Cosa vuoi dirmi che non riesci a dire?"

Paul si schiarisce la voce, gettando un'occhiata allle spalle; dall'altra parte della vetrata le due segretarie, Anne e Lea, se ne stanno a capochino a svolgere le loro mansioni.

"Quì vige l'assoluta discrezione, puoi parlare senza farti scrupoli." Continua Benjamin, alzandosi dalla poltrona per serrare le veneziane dell'ufficio. "E dalla serietà del tuo volto, ho bisogno che tu non te ne faccia troppi." Si avvicina alla console dei liquori e ne versa per lui e l'amico.

"Infatti è proprio questo il problema, Benjamin." Guarda fugacemente ancora alle veneziane, ma torna sull'amico e al bicchiere che aveva a mezzaria sotto al suo naso. "Da quanto tempo non scendi fra i tuoi operai?"

Il ragazzo alza il sopracciglio. "Da un pò a dire il vero. Giugno si avvicina.. e i preparativi mi tolgono molto tempo. Ed energia."

"Che zoticone, non ti ho nemmeno chiesto come vanno le cose con la tua futura signora." Tergiversa l'altro.

"Charlotte e io andiamo bene, amico mio. Ma torniamo agli operai."

Lo sguardo di Paul ammette una certa difficoltà su quello che deve essere il suo animo.

"Energia. hai usato la parola chiave. E questa non manca di certo ai tuoi operai." Benjamin ha un attimo di panico, sebbene fosse al corrente di ogni malumore che ormai da qualche mese viveva all'interno delle aziende, il fatto che i suoi operai fossero diventati così insubordinati da esprimersi perfino davanti ad un superiore, la diceva lunga sulla situazione preoccupante ai piani bassi. "Sai Benjamin siamo ormai nella nuova modernità, le persone si fanno una cultura, si interessano ai fatti politici internazionali.. pensa si arrogano persino il diritto di volersi autogestire! Senza contare la lotta contro la diversità fra classi sociali, il femminismo e la libertà sessuale! Cose che ai miei tempi avevano un prezzo amaro e venivano punite spesso con la vita; per carità questo mai e non voglio starmene certo quì a dirti come fare meglio il tuo lavoro, solo tieni gli occhi ma sopratutto gli orecchi ben aperti, Benjamin. Dio solo sa se ho promesso a tuo padre di riservarti la stessa stima e.."

Il ragazzo alza una mano e Paul s'azzittisce. "Ho capito dove vuoi arrivare. Parlerò con loro, sono sempre stato un direttore aperto alle richieste, non voglio che pensino non mi prenda carico delle loro insoddisfazioni, se legate all'azienda."

"Fa attenzione però. Più gli concedi e più vorranno." Lamenta Paul.

Benjamin non risponde. Spalanca la porta facendo sobbalzare le due segretarie, si scioglie il nodo alla cravatta, lancia la giacca ad Anne che l'afferra come fosse una consuetudine e sparisce in un turbine di domande e imprechi alle sue spalle.



Il cuore si agita sotto la camicia bianca, arrotolata fin su i gomiti.

Per un attimo chiude gli occhi e sente nei ricordi tutte le parole di suo padre, la sua saggezza per un lavoro che amava, portato avanti fino alle ultime delle sue forze; quel lavoro così competitivo, estenuante e affascinante allo stesso tempo.

Ad Aurelien Chedjou piaceva creare, sorprendersi che il ferro divenisse oggetto, oggetto che sarebbe servito ad assemblare altri oggetti che sarebbero divenuti a loro volta dei beni per l'uomo; quell'entusiasmo non lo aveva abbandonato nemmeno in punto di morte, lo ricorda ancora nei rari momenti di lucidità colloquiare con lui di tutte le grandi invenzioni che il futuro prospettava.

Benjamin lo ascoltava con la tristezza e la risolutezza di un ragazzino alla quale presto sarebbe venuto a mancare il padre, ma ai suoi insegnamenti doveva il grande successo che fino alla maledetta primavera dell'anno appena passato, le aziende Chedjou avevano vantato di possedere.

Benjamin Chedjou era degno figlio di suo padre.

Un ragazzo dalla mente brillante e uno stile innovativo di chi aveva mangiato pane e metallurgia fin da bambino, così titolarono i giornali quando prese l'incarico di suo padre a cinque anni dalla sua morte. Adesso, cercava di tenere ben a mente la sensazione di benessere che il successo gli aveva provocato, senza dimenticare il coraggio che vi aveva messo dentro, quando a venti anni si era visto insignito del ruolo di direttore.

Tiene stretta a sè ancora quella voce familiare, finchè le porte dell'ascensore si aprono e lo spettacolo del reparto produzione in movimento, si manifesta alla sua vista. Un colpo d'occhio che giustificava il batticuore provato da suo padre.

Tutti gli operai al di sotto la balconata, accortosi della sua presenza, alzano il capo nella sua direzione.

Un brusio come uno sciame di api va via via gonfiandosi verso le file.

Benjamin con un eloquente gesto, intima ai suoi preposti di cessare qualsiasi attività stessero in procinto di compiere e terminare quella che stavano compiendo. Tutto cessò dopo pochi minuti. Il silenzio piombato nella fabbrica come una sentenza dolorosa.

Poi un borbottio lontano e sommesso. "Era ora si facesse vivo."

Benjamin si schiarìsce la voce. "E' bene che vi ricordi che il mio ufficio non è circondato da dinamite e a vostra disposizione. Nel frattempo sono quì, chi vuole parlarmi adesso, ha la mia completa attenzione." Nessuno si muove. Nessuno fiata. Le sue labbra si piegano in un sorriso sardonico. "Dov'è il capo sindacalista?"

La testa di un uomo si fa avanti dalle fila più lontane, attraversando il mucchio di operai stipati nel mezzo e protesi verso la balconata, spaccandoli virtualmente a metà. "Eccomi dottor Chedjou." Risponde Tommàse, togliendosi il berretto da lavoro. "Se avessi saputo del suo arrivo mi sarei fatto trovare meglio." Si pulisce i vestiti ironico, qualcuno accanto a lui ride sotto ai baffi.

Benjamin ridiscende la scalinata compunto e si porta fra gli operai. "E perchè mai? Non ricordo di aver messo troppe formalità fra noi. Sarà bene che io sappia se i miei operai sono in maretta con me invece."

"Nessuna maretta Chedjou. Qualche malumore per via degli stipendi arretrati."

"Proprio oggi ho avuta la prima stima positiva dopo mesi e parlo di dati senza alcun picco positivo e negativo. Non appena la situazione tornerà stabile avrete tutto ciò che vi spetta, dal primo all'ultimo franco."

"Non appena.." Mormora bruscamente l'operaio.

"Dieci mesi fa preannunciai questo momento e vi trovai disposti a collaborare Tommàse. Cosa è successo nel frattempo che sfugge alla mia logica?"

"C'è gente che con quelle mensilità ci campa una famiglia, Chedjou. Ecco cosa è successo. La Francia e Parigi collassano, i prezzi sono in aumento, le scuole costano e chi vuole dare un futuro certo ai propri figli si ritrova a mangiare pane e cipolle. Se le trova."

Benjamin stringe gli occhi e scuote il capo. "Non sono andate perse, non dimentico ne mi approfitto della buona volontà dei miei uomini, quando la sera alle dieci o alle undici -dipende dalla giornata e dai numeri- e sono l'ultimo a chiudere il cancello, ogni mia ultima energia e pensiero va a questi uomini e al loro sudore. Sono un uomo di parola. Ho promesso che vi avrei restituito quanto vi è stato decurtato.. e lo farò. Ponete in me la vostra fiducia come io l'ho sempre deposta in voi, offrendovi il meglio per ore di lavoro e paga base. Senza contare assenze, malattie e turni straordinari. Tutto pagato e con una certa precisione a tutt'oggi, tranne per gli spiacevoli episodi della primavera scorsa. Ora sono io che vi chiedo uno sforzo Tommàse e lo chiedo ancora, cosa è successo che sfugge alla mia logica?"

Tommàse lo guarda dritto negli occhi. "Vogliamo di più, Chedjou. Un aumento, paghe consoni a quelle americane."

Benjamin contrae la mascella. "No nel modo più assoluto. Le vostre paghe sono consoni al contratto nazionale che vi lega. E per inciso, siamo in Europa. La mia azienda è in Europa e intendo rimanerci." Tommàse fa per parlare ma Benjamin prosegue, alzando il tono di voce. "Chi la pensa all'Americana è libero di andare se non è contento. Ci sono tanti uomini di buona volontà che sono costretto a rimandare a casa e che vorrebbero invece lavorare per le aziende Chedjou, da sempre un nome che vuol dire fiducia, rispetto del lavoro e professionalità. Mi dispiaccio che disapproviate questo metodo, ma è l'unico che intendo perseguire, perciò Tommàse chi volesse andar via non verrà trattenuto. Aduna le lettere di licenziamento, provvederò io stesso ad occuparmene." Benjamin gira le spalle e si dirige verso le scale della balconata fra i fischi e applausi.


Ad attenderlo, un'angosciata Najla con al braccio un vecchietto.


"Signor Dumas, che bel modo di accorglierla, eh?" Benjamin allunga la mano e guarda addolorato la sorella.

L'anziano ricambia distratto, si guarda intorno come cercasse per i suoi ricordi una giusta collocazione.

Sorridendo poi da un leggero buffetto sulla guancia del ragazzo e parla con voce roca. "Mi sento come a casa, sa? L'ultima settimana di lavoro, in quell'angolo laggiù, vede?" Benjamin annuisce. "Beh proprio lì presi a cazzotti un collega che parlava di rivoluzioni e anarchia da più di due ore, lasciando tutto lo sporco lavoro al medesimo, sollazandosi che il suo cervello avesse bisogno di stimoli e un posto adeguato che questa fabbrica lercia e maleodorante non gli dava. Fuori avanzavano i tedeschi, c'era un conflitto in atto e le persone morivano.. beh non ci vidi più, lo colpii con tutta la forza che avevo e ne avevo tanta all'epoca mi creda, che non mi parlò nemmeno quando fummo ritrovati insieme dopo il crollo. Credevo di morire e che quello stolto fosse l'ultima compagnia.. e invece suo padre mi ha tirato fuori da quell'inferno. Ci ha salvato e oggi lo stolto è il mio migliore amico. Ma questa è un'altra storia, volevo solo dirle che passeranno i decenni, i capi, la fabbrica vivrà sempre delle piccole grandi tragedie.. perchè la fabbrica non è sua Chedjou, non la può comandare. La fabbrica è del tempo che passa, dei governi, persino della povertà e della ricchezza. Mi lasci fare un giro fra questa gente, la prego, lasci che io ricordi loro quanto il lavoro ci nobiliti e quale prezzo fummo costretti noi a pagare per manternerlo."

Benjamin sorride a quel viso vessato dal tempo e dalle mille battaglie e annuisce porgendo il braccio. "Prego.."

"Se non le dispiace mi delizerei ancora della presenza della bella Najla, per questo."

La ragazza alza gli occhi al cielo e annuisce a sua volta. "C'è del sangue del maestro Dumas in questa famiglia Benjamin, lascia che compiaccia questo gentiluomo."

Benjamin abbraccia la sorella e da ordine che i lavori riprendano e di ilustrare passo passo al signor Dumas e la signorina Chedjou, i vari processi meccanici. Pensieroso si tuffa nell'ascensore, la camicia zuppa e l'animo mesto.

Benjamin Chedjou era degno figlio di suo padre.. ma Benjamin Chedjou aveva sempre amato di più cucinare.


*


Lea bussa alla porta d'ufficio intorno alle quattro nel suo tailleur blu e unghie laccate di rosso.

Charlotte era gelosa della ragazza perchè secondo il suo intuito femminile quella era innamorata di lui e sotto-sotto sperava che il matrimonio saltasse da un momento all'altro. Ogni volta che Benjamin guardava Lea, sorrideva di questa storia e finiva con l'innamorarsi di Charlotte ancora di più. "Entra pure."

"Dottor Chedjou, il dottor Richard Hamilton desidera avere un colloquio personale con lei."

Benjamin la guarda perplesso, apre l'agenda e non trova scritto nessun appunto con quel nome. "Chi è questo Hamilton?!"

Lea da brava ragazza qual'è estrae un foglio dalla cartelletta gialla che stringe al petto e inforca gli occhiali con quelle lenti spesse e nere che indosso a lei stemperano la dolcezza del viso. "Richard Raymond Wright Hamilton rampollo della casata Shelley-Wright-Hamilton, londinese, direttore di fondi beneficiari che la casata emette a nomi di enti di ricerca e sostegno sociale. Dice di essere quì per delle proposte."

Benjamin fa un bel respiro, le mani aperte sul tavolo di fronte.

E' un giorno strano, pensa. I subbugli degli operai, la visita di Dumas, l'arrivo del milionario come un oasi nel deserto.

Guarda Lea sbattere le palpebre in cerca di una risposta e sospira. "Dov'è?"

"In sala d'attesa, dottor Chedjou."

"Vengo di là con te, ma prima procurami un'analgesico per il mal di testa e una camicia fresca gentilmente."

Lea annuisce e insieme escono dall'ufficio; la ragazza sgattaiola in uno stanzino e torna dopo un pò con quanto le aveva richiesto.

"Le fisso un appuntamento al Salpêtrière, dottore? Ultimamente, se posso permettermi, forse anche lo stress per il matrimonio che di certo non giova a quello accumulato per il lavoro.." Benjamin chissà come si sente meglio. E ride di Lea, della sua dolce cattiveria. "..sta ridendo di me?"

"Un pò, Lea. Ma ti ringrazio per la tua premura e sono d'accordo con la visita. Quando Najla torna da basso, organizza pure."

La ragazza lo guarda risentita, poi scuote il capo e si mette seduta alla scrivania. Dall'altra parte il telefono di Anne suona in continuazione, guarda imbarazzata e divertita Benjamin che le chiede se ha bisogno che la tiri fuori da quell'ingorgo impazzito, ma nega con il capo.

L'uomo a quel punto getta il bicchiere nella pattumiera, va a cambiarsi e quando torna si dirige verso la sala d'attesa con passo svelto ma utoritario.


"Dottor Benjamin Hani Chedjou."

Lo accoglie un giovane uomo in un completo sartoriale grigio, le spalle forti e un viso da copertina di quelle riviste che Anne ogni tanto sbircia, credendo di non essere notata, fra una fattura e l'altra. Gli stringe la mano, lui ricambia con una stretta forte, sguardo sveglio e buon temperamento.

"Dottor Hamilton da Londra. Ho sentito grandi cose sul suo conto, come sta'? Desidera un caffè?"

L'uomo annuisce e sorride. "In realtà vengo da un indirizzo di Parigi in cui risiedo da più di due settimane. Una città che cattura, senza alcun ombra di dubbio. Insieme al caffè vorrei anche discutere con lei di alcuni progetti integrativi. Se è occupato posso tornare in un altro momento."

"Quanta fretta.." Benjamin dal telefono della sala ordina ad Anne due caffè e torna al suo ospite. "Le faccio strada per il mio ufficio dove potremmo discutere di tutto ciò che ha da dirmi. Mi parli di Parigi nel frattempo.. da come ne parla è difficile credere siano solo gli affari a trattenerla in città."

Richard trattiene a stento le risate, quel mezzo sorriso che compare sul suo viso lo fa sembrare giovane e a proprio agio, mentre segue l'altro uomo fra i compartimenti fino al suo ufficio, dove una bionda ragazza li aspetta con il vassoio dei caffè in mano.

La ragazza schiude le labbra all'arrivo di Hamilton, Benjamin l'osserva porgere la tazzina al suo ospite con molta premura ma composta, la ringrazia non appena gli porge la sua e la congeda in un mezzo sorriso sornione.

"Ha uno staff molto dedito e attento al suo lavoro, complimenti." Richard colora i suoi pensieri, tergiversando umilmente sul suo aspetto piacevole; Benjamin ne è colpito e lo lascia parlare. "Questa sinergia indubbiamente porta buoni frutti, ma come lei sa è commisurata al benessere che gli garantisce."

"Ovviamente." Lo incalza come punto da uno spillo. "Per quanto posso, nonostante la crisi che sta vessando il Paese da quasi un anno, credo di essere uno dei pochi imprenditori che non ha tagliato il salario dei suoi dipendenti, garantendo loro stessi diritti e benefits."

Richard si passa un dito sul labro inferiore, pensieroso. "E per quanto riguarda le mensilità trattenute?"

Benjamin è attraverato da una scarica, ma non si scompone. "E' una domanda signor Hamilton, oppure un'accusa?"

"Entrambe, se vuole." Risponde sornione l'altro,

"Cosa le fa credere che le dia accesso alle informazioni personali della mia azienda?" Ribatte Benjamin. "Credevo dovesse propormi qualcosa."

"E lo farò. Le parlerò del mio progetto, ma prima ho bisogno della sua fiducia basata su un fatto importante; non sono quì per giudicarla Chedjou."

"Mi parli del suo progetto, Hamilton. Da quanto vedo ha la facilità di sviare i discorsi, tanto quanto di camuffare la realtà con dei paroloni tipici del vostro modo di concludere la.. come la chiamate voi, sale?"

Richard si sbottona la giacca, apre la borsa e vi estrae un plico vergato a macchina. "Le informazioni per cui giungo quì sono di dominio pubblico Chedjou, tanto per intenderci, non volevo infastidirla." Troppo tardi, pensa Benjamin, ma tanto vale sentire cosa ha la smania di proporre lo spaccone. "Proprio questo il motivo della mia visita; come lei sa, mi occupo di investire i capitali della famiglia Shelley-Wright-Hamilton, a titolo gratuito il più delle volte, in risorse che mirano alla realizzazioni di progetti. Mio nonno prima di me ha contribuito ad alcune delle più importanti ricerche mediche nel nostro paese e sta attualmente contribuendo a quelle del vostro. Beh in realtà adesso sono io che seleziono i potenziali beneficiari, e scorrendo una nutrita lista di immobili a Parigi fra le quali banche, teatri, ospedali.. mi è saltato subito l'occhio al potenziale della sua azienda, che parlando francamente da uomo a uomo, non se la passa poi tanto bene."

Benjamin è sempre più curioso di capire dove l'uomo vuole condurlo; sofferma l'attenzione alle sue mani curate, alla leggera inflessione del suo accento aristocratico e realizza solo in quel momento di avere davanti agli occhi uno fra gli uomini più ricchi d'Europa.

"La ringrazio, ovviamente, ma voglio confessarle che sono un uomo molto scettico." Sogghigna. "Cosa ci guadagna un uomo che può comprare una banca, da un'azienda metallurgica che non se la passa tanto bene?"

"Ottima ossservazione." Risponde l'altro senza alcun tentennamento. "Raymond Hamilton ha passato la vita a comprare i problemi degli altri, io stesso sono sempre stato in dubbio per questa scelta così bizzarra, eppure in qualche modo mio nonno ha fatto sì che il suo nome balzasse agli onori della cronoca di volta in volta, sfruttando questo successo che oggi tutti chiamiamo filantropia. Così ho fatto mia la sua filosofia. Sa cosa è solerte dire lui? Non esiste cosa che non si può comprare, perchè non c'è cosa che non abbia un prezzo, dottor Chedjou."

"Quindi lei vuole comprare i problemi di quest'azienda."

"Se me lo permetterà, si."

"In che modo signor Hamilton?"

Il volto di Richard s'illumina come quando suo padre s'illuminava dinnazi alle braccia meccaniche della fabbrica; Benjamin sorride, ma giusto il tempo di corrucciarsi per ciò che legge. "Fiducia. Se mi permette, iniziamo a darci del tu."

"Va bene, Richard." Risponde a denti stretti.

"Benjamin proprio come leggi, intendo disporre le tue aziende di un corrispettivo di cinquantamila franchi per iniziare, franchi che mi lascerai amministrare insieme ai tuoi analisti e che investiremo alla riqualificazione dei mezzi aziendali se necessario, alla sua pubblicità dove necessario, allo sviluppo dei brevetti se esistono.. e quì, mi collego alla riqualificazione più importante, quella dei tuoi operai, il cuore pulsante di un'azienda che si dichiara sana. Come? Offrendo la possibilità di alleggerirli da tutto ciò che non li impegna al massimo delle loro energie, quando sono quì; istruzione per se stessi e/o per i loro figli, alloggi nella stessa area perimetrale dell'azienda e di questo discuteremo dettagliatamente solo quando e se dovessi accettare, il tutto in ultimo ma non in ultimo.. pareggeremo i conti in difetto e limeremo quelli in eccesso.."

Benjamin gli ordina di fermarsi, la mano protesa in avanti. "Non intendo tagliare il loro salario. Questa è un clausola imprenscindibile."

"Ho parlato solo di pareggiare. Questo ti aiuterà, quando i miei fondi saranno esauriti."

"Quindi ti avvali della facoltà di saperne più dei miei analisti?"

Richard si agita sulla seduta, Benjamin lo trafigge con lo sguardo. "Assolutamente non dico questo, puoi fare a meno di me comunque e cercare di salvare la tua azienda con le tue forze. Io ti offro solo la possibilità di farlo in minor tempo possibile."

"In cambio di una buona visibilità, il nome del tuo casato accostato ad opere di bene.. e cos'altro Richard? Come ben sai non esiste cosa che non si può comprare, perchè non c'è cosa che non abbia un prezzo." Richard resta senza parole, per la seconda volta spiazzato dalle sue stesse parole. Benjamin approfitta del suo tentennamento e sovrasta ogni suo pensiero. "Sono un buon ascoltatore signor Hamilton e finora a parte la bella manfrina su quanto sia importante comprare il rispetto dei propri dipendenti e qualche vecchio racconto di come è nata l'avventura del suo casato, non ho ascoltato nulla che mi convincesse ad accettare la sua proposta." Si alza tendendo il braccio e la mano destra, sorridendo nel tentativo di non risultare scortese. "Torni quì mettendo davvero il suo cuore in questa proposta, e allora sì che mi darà la possibilità di pensarci seriamente."

Richard lo guarda incredulo.

Chedjou non solo lo sta rifiutando, sta persino mettendo in dubbio la sua professionalità; si alza, confuso cerca di mettere a fuoco la situazione e mantere un briciollo di dignità. Non sorride, non è abituato a perdere e questo non è divertente. Allunga il braccio, ricambia la stretta, respira.

"Le lascio comunque le mie brochure."

Benjamin avverte tutto il distacco della formalità che egli stesso ha voluto ritrovare; quell'uomo è tornato di ghiaccio pensa, la mandibola tesa, apparentemente intoccabile. Non sa se le sue parole lo abbiano minimamente sfiorato, ciò che è certo consiste nell'assoluta certezza che non avrebbe mai lasciato gestire la sua azienda a mani avide e bramose di successo senza alcuna lode.

E' ancora convinto che qualcosa nel mondo potesse essere salvato senza essere comprato, che il rispetto, la stima, l'intera vita, non girasse intorno al denaro. Probabilmente era un illuso. Ma suo padre gli aveva insegnato a non dermodere, combattere per le giuste cause.


*


"Arrivederci."

Anne, Lea e Benjamin gli sono intorno mentre lascia sospeso nell'aria il suo saluto asettico.

"Lea accompagna il dott. Hamilton all'uscita, resterò io al tuo posto." Ordina Benjamin, sentendosi un pò in colpa.

Anne lo fulmina con uno sguardo di disapprovazione, ma un gran trambusto li distrae; l'ascensore arrivato al piano, palesa una frettolosa Najla in testa che viene letteralmente travolta dalla stazza di un uomo che non fa caso ne a lei ne al suo ospite.

"Ma che maniere!" Borbotto irritata, seguita da un sibilo di spavento dell'anziano.

Entrambi usciamo dalla cabina e ci voltiamo verso l'uomo che ci fissa truce, infastidito quasi dalla nostra presenza.

Schiudo le labbra per prima. "Hamilton.."

Lui fa lo sforzo di imitare un saluto con il capo, preme prepotentemente il tasto RC (rez-de-chausée) e lascia che i nostri sguardi vengano divisi dalle porte che si chiudono in tonfo, facendomi sussultare. "Che razza di cafone!" Borbotto ancora, accorgendomi solo in quel momento che Anne, Lea totalmente ignorata dall'ospite del capo e dimenticata al piano, Benjamin e il signor Dumas, mi stanno fissando.

Benjamin rompe il silenzio. "Allora signor Dumas, come le ha trovate le fabbriche?"

Il vecchietto si rallegra e sciorina i suoi racconti, fino allo studio del ragazzo, che lo prega di mettersi comodo e dargli qualche consiglio per il futuro.

Resto appollaiata alla scrivania di Anne a contorcermi le mani.

La ragazza mi fissa. "Ha bisogno di qualche cosa, signorina Najla?"

"Mh.." Grugnisco. "Da quanto mio fratello e il signor Hamilton trattano affari?"

Anne risponde fra il vago e il sognate. "Veramente è la prima volta che lo vediamo."

"E speriamo sia pure l'ultima." Fa eco Lea, alle spalle di Najla. "Ci ha sbattuto le porte in faccia senza alcuna educazione. Gli uomini nobili come lui credono di avere il mondo nelle proprie mani, non sanno che l'unica nobiltà che alla lunga fa la differenza è quella d'animo."

Che strano, pensa Najla; l'uomo delle grandi donazioni al Salpêtrière si era palesato alle aziende della sua famiglia e per di più l'aveva categoricamente ignorata. Dall'altra parte.. lei non aveva mai risposto al suo invito.

Io l'ho trovato oltraggiosamente bello.” Risponde piccata Anne. “Ma si sa io e te abbiamo gusti differenti.”

Solo una persona superficiale poteva darmi una risposta del genere.”

Sarò anche superficiale, ma almeno non passo il mio tempo a fantasticare su un uomo fidanzato.”

Tutte e tre ci giriamo verso Benjamin che in quel momento apre la porta e accompagna Dumas verso di noi; il silenzio si fa denso e pesante, Lea si alza strusciando la sedia sul pavimento e corre in bagno. La cotta per mio fratello non le è passata, penso con dispiacere.

Il ragazzo guarda la scena perplesso, ma con autorità si rivolge alla segretaria disponibile.

Anne, il mio autista è nell'atrio pronto ad accompagnare Dumas dove desidera.”

Lo accompagno subito, signore.”

Grazie, Anne.” Benjamin fa un grande sorriso all'anziano che ha allungato il braccio nella sua direzione. “Signor Dumas, si senta in diritto di venire qui quando vuole. Farò prezioso tesoro dei suoi consigli e la ringrazio per le sue parole di oggi.”

Si figuri, dottor Chedjou. Sono solo parole le parole di un onesto lavoratore.” Poi mi guarda. “Grazie signorina Najla, mi ha fatto davvero un regalo speciale.”

Mi commuovo ma gli do la mia mano trattenendo le lacrime infondo alla gola. “Mi accodo al pensiero di mio fratello. Ormai sa che io e Geremia siamo divenuti buoni amici.”

Quello scanzonato di mio figlio credo la reputi più di un'amica, ma ad ogni modo grazie ancora.”

Arrossisco e lo bacio sulla guancia, lasciando che Anne lo scorti fino a basso.

Benjamin mi cinge le spalle e si avvicina all'orecchio. “E chi sarebbe lo scanzonato?”

Alzo le spalle e sorrido. “Il fondatore del gruppo di lettura della domenica, ti ricordi?”

Najla..” mi attraversa con quegli occhi verde-azzurro e sembra leggermi dentro. “L'aggettivo scanzonato pretende una spiegazione decente..”

Ecco il Benjamin che adoro; fratello protettivo e il migliore amico dopo Patrick, che avessi mai potuto desiderare.

Credo non ci sia una spiegazione sufficiente. Geremia è un ragazzo così interessante! Ma siamo solo amici, tutto qua! Potrai conoscerlo tu stesso comunque, questa domenica ho invitato lui e gli altri membri del club a pranzo a Montmartre. La mamma è in visibilio.”

Finalmente vede l'ombra di un accompagnatore per il grande evento..” bofonchia lui, come sempre mio complice.

Mi fa ridere il pensiero e alzo le spalle.

Vorrei fosse semplice come per te è successo con Charlotte e per lei.. Fabien. Ma non lo è, non sono pronta, capisci?”

Non sei pronta oppure hai solo paura d'esserlo?”

Non ci penso su molto, rispondo di pancia. “Entrambe, credo.”

Ho letto qualcosa a riguardo. Le donne cercano nel compagno della vita il riflesso del loro padre o la loro mancanza. Non è difficile per me individuare il tipo di uomo che stai aspettando, Najla, ma voglio dirti con franchezza che non esisterà un altro uomo sulla faccia della terra come Aurelien. Lui era speciale, e ogni volta mi stupisco di come a distanza di anni, generazioni visto l'incontro di oggi, lui sia sempre ricordato come una brava persona. Voglio che tu abbia il meglio, non fraintendermi, ma devi lasciarlo andare, tesoro mio.. e vedrai allora sarà come per tutti noi, il tuo posto, il centro del tuo mondo.”

Adesso ho gli occhi lucidi, Benjamin mi stringe ancora più forte.

Sentir parlare di nostro padre mi stringe un nodo alla gola che mi fa smettere di respirare e lui lo sa, ma non ha mai smesso di spronarmi, a volte un angelo custode, a volte fratello, il più delle volte forza e severità. Poi penso al suo fardello, alle responsabilità cadute sulle spalle di un ragazzino poco più che ventenne e vedo l'uomo di oggi; in qualche modo è sopravvissuto. Siamo tutti sopravvissuti.

Tiro su un bel po' di aria e sento i miei polmoni rigenerarsi, asciugo gli occhi e mi nascondo alla vista di Lea tornata dal retro.

Credo dovresti parlare a cuore aperto con Lea. Ha avuto un battibecco con Anne circa la cotta che ha per te.” Gli dico quando siamo giù nell'atrio, quasi in strada. “E' una brava ragazza, e le brave ragazze hanno bisogno che qualcuno dica loro la verità nuda e cruda così com'è.”

Lo vedo adombrarsi, ma non perdersi d'animo. “Non volevo ferirla ma convengo che tu abbia ragione.”

Cos'è questa storia che vuoi farti visitare? Stai male e non lo dici alla tua sorellina preferita?”

Najla ultimamente non ho neanche il tempo di guardarmi allo specchio.”

Infatti sembri uno straccio.” Aggiungo preoccupata. “Ti ho fissato un appuntamento per giovedì, dopo le analisi io e te ce ne andiamo a le Jardin du Luxembourg a respirare un po' di aria, va bene?”

Come lei ordina, dottoressa.” Ridacchia, mi abbraccia e finalmente mi lascia andare incontro a Parigi con il cuore in tumulto.


*


Anne è rientrata?” Chiede quando vede la sua scrivania vuota.

Lea si sistema gli occhiali e risponde asettica. “Sta stampando i documenti che ha chiesto.”

Grazie per avermi prenotato la visita, Lea.” Insiste, cercando di spronarla alla conversazione.

Non c'è di che dottore.”

Mi chiedevo se avesse impegni per questa sera?” La donna arrossisce e ci mette un po' per parlare, esclamando un no emozionato. “Bene Lea, è ora che le presenti per bene la mia fidanzata, Charlotte; ha organizzato una cena con alcuni vecchi compagni di università e ci farebbe piacere se si unisse a noi. Sono sicuro che le piacerà e che la cosa sarà ricambiata.” Fa il giro della scrivania, prende una sedia e le si mette seduto accanto. Le sue mani bianche e affusolate sono ghiacciate mentre le tiene strette fra le sue. “Sono innamorato di Charlotte Lea, dicono capiti una sola volta nella vita e che quando arriva questo momento, succede che il mondo smette di girare. Io ti guardo, ti osservo ogni giorno; sei una donna intelligente, hai il tuo lavoro, le tue letture, il cinematografo.. insomma sei una donna viva e piena d'interessi! Non sono sicuro che quello che provi per me sia amore, sono il tuo capo, non è difficile infatuarsi dell'uomo che ogni giorno devi cercare di soddisfare come un marito!” Ride e Lea in coda cercando di trattenersi. “Mi faccia un bel sorriso, su.. e accetti il nostro invito.” La supplica con occhi buoni. “Te lo chiedo con tutto l'affetto che provo.”

Lea guarda in basso, la voce ammorbidita. “Dovrei solo passare a casa a cambiarmi, dottore.”

Proprio quello che volevo sentirmi dire. La passeremo a prendere per le nove” Le sorride. “Ah! Non sia troppo severa con Anne. E' acerba, inesperta. Sia un mentore per lei, piuttosto che un severo giudice.”

Farò del mio meglio.”

Come sempre.”

Benjamin si congeda con un sorriso che termina in una ruga sul volto stanco.

Rimasto solo nello studio, torna con lo sguardo alle carte di Hamilton, sapientemente distribuite nella sua direzione.

Che uomo emblematico! E che sbruffone! Sente montargli un senso di irritazione e rispetto per quella figura così criptica e un po' ne è felice; non si erano affacciati molti creditori nell'ultimo anno, certo personaggi ambigui come quello proprio mai, ma dopotutto si era sentito dire che l'azienda Chedjou aveva del potenziale invidiabile e questo allontanava per un po' la preoccupazione per i tumulti.

Nessuno dei suoi operai si era affacciato per consegnare le dimissioni.

L'imbrunire ha letteralmente divorato l'ultima fetta di cielo striato del tramonto e nella fabbrica risuona uno strano silenzio.

Ama il silenzio.


Ma il telefono squilla e lo riporta alla realtà.

Hamilton in linea signore.” Risponde Anne.

Me lo passi, grazie.”

Dall'altro capo del telefono si ode un sospiro denso.

Chedjou, volevo scusarmi per la mia pessima uscita di scena. Ho pensato molto alle sue parole, la verità è che mi guidano dei sentimenti non proprio nobili, dinnanzi alla storia del mio casato. Ora che il mio predecessore si è fatto da parte, ci tengo a concludere un buon affare e scrollarmi di dosso finalmente il suo buon nome. Un nuovo inizio che una persona ambiziosa come lei, potrebbe abbracciare facilmente. Ho avuto modo di reperire informazioni circa la sua storia personale e non si può certo dire che pecchi in coraggio, quindi, cosa le costa fidarsi di me?”

Tutto. La mia vita e quella dei miei operai, se le sembra poco. Tuttavia non sono un uomo stupido, so i rischi che correrei a fidarmi di un inglese algido e mosso da rivalsa, ma so che i benefici sarebbero cento volte più forti. Sento che stavolta è stato sincero e questo cambia il mio giudizio su di lei, come vede le sue lusinghe stavolta hanno sortito un effetto su di me, ma non scherzavo quando le ho detto che sono un uomo scettico. Devo vedere il cambiamento, altrimenti non se ne fa nulla.”

Ho come l'impressione che sia lei a volermi proporre qualcosa.”

Benjamin ride, Hamilton non fiata e resta in ascolto. “Si mischi a quegli uomini, parli con loro dei suoi progetti, colga le sfumature anche più impercettibili e torni da me. Insieme sapremo cosa fare, se investire i suoi soldi e avere ognuno il proprio tornaconto, oppure evitare a me di peggiorare una situazione delicata ma stabile e a lei di non ottenere la stima e la fiducia dalla sua famiglia. Cosa ne pensa?”

Che lei si è scelto il ruolo sbagliato in questa storia..” Hamilton ride, Benjamin batte il pugno all'aria. “Lavorerò giorno e notte a questo progetto. A presto.. Benjamin.”

A presto, Richard.”



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NDA:

Grazie a chi inserisce la storia in seguite/preferite/ricordare.

Spero che qualcuno mi lasci anche una piccola traccia.

Lu.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Menta e Cioccolato





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Capitolo 4.



E' giovedì.

La sveglia suona prepotente nel mio sonno agitato e discontinuo; ho sognato mio padre, i suoi occhi premurosi verdi e intensi che io ho ereditato.

Aveva uno sguardo strano, dolce ma al contempo spaventato e questo mi ha turbata. L'infuso alla camomilla non ha messo a posto niente, penso mentre afferro la tazza dal comodino e la porto in cucina insieme a me. La mamma è in piedi che traffica con la domestica e la lista della spesa per il pranzo domenicale. Sembra sempre perfetta nella sua confusione.

"Buongiorno." Sussurra con quel suo tono di voce dolce e autoritario allo stesso tempo.

"Magari lo fosse.." Borbotto, preparandomi un bel bicchiere di acqua calda e limone.

Deesire fissa la tazza e sospira. "Sono tornati gli incubi?" Chiede.

Annuisco. "Credo tornerò a far visita al dottor Leroux, ma non questo pomeriggio, ho promesso a Benjamin che lo avremmo trascorso al parco dopo la visita."

Lei si ferma, sgrana gli occhi. "Cos'ha Benjamin?"

"Non ti agitare, nulla per cui allarmarsi. Sono esami di routine, ultimamente è provato dallo stress del matrimonio."

Deesire mi guarda di sbieco. "Non è per un ipotetico ripensamento, vero? Perchè a me sembra che sia in salute!"

Il pensiero mi fa ridere. "No, mamma." La bacio sulla guancia. "Un forte sovraccarico di emozioni. Tu non eri nervosa prima di sposare papà?!"

Ho chiesto tante di quelle volte dettagli su quel giorno, che potrei parlarne come se fossi stata lì con loro, ma sentire parlare Deesire di quel giorno, mi rende per un attimo la sciocca e sognante ragazza in età da marito quale sono. "Avevo lo stomaco letteralmente attorcigliato, tesoro mio!" Si mette a ridere e fa ridere anche me. "Ma ero anche pronta, capisci? Nonostante significasse sacrificare una parte della mia libertà, non vedevo l'ora di cominciare la mia vita insieme a lui. Spero che tuo fratello e Charlotte siano davveri felici, sono due ragazzi straordinari."

"Sarà così, vedrai." Mi alzo prima che possa girare il discorso su di me ma questo non la trattiene dal piombarmi addosso.

"E il tuo amico Patrick ha un piatto preferito?" Soffia la parola amico in maniera melensa, alzo gli occhi al cielo e mi ordino di stare calma.

"Ama il tuo agnello arrosto. Qualche domenica a Londra l'abbiamo passata preparando la tua ricetta."

Scarabocchia qualcosa e ne approfitto per sgattaiolare via.


Non c'è odore più familiare di quello di dinfettante nei corridoi dell'ospedale, asettici e privi di particolari, con questa loro caratteristica mi fanno sentire come a casa. Saluto i colleghi del laboratorio e dopo poco il mio arrivo, sento parlare Patrick trafelato, al di là della porta.

"Good morning friends and bonjour!"

Mi fa sorridere il suo saluto multilingue, in barba al cattivo sangue che scorre fra inglesi e francesi.

"Che succede?" Chiedo curiosa.

"Non lo sai?" Non capisco se è un'accusa o un'ammonizione, perciò nego con il capo. Lui alza gli occhi al cielo e strappa il calendario dalla parete.

Indica il circoletto rosso sulla data odierna. "Oggi Hamilton sarà in visita ufficiale!" Borbotta. "Quì, in laboratorio!" Stridula come se parlasse di un Hamilton mai visto. Alzo un sopracciglio esterefatta, ma più dalla sua reazione. Lui si spazientisce. "Quell'altro Hamilton, friend!" Poi si piega e bisbiglia. "Oh fucking! Ho passato una notte lunghissima con un modello Chanel e una bottiglia di rum e non so come faccio a stare in piedi."

Non riesco a trattenere le risate e questo mette definitivamente la parola fine ai suoi sproloqui.

"Insomma, questa cosa non ti mette ansia?!" Chiede dopo un pò, indossato il camice e tornato serio.

"Per niente." Gli rispondo biascicando attenta ai vetrini che sto analizzando minuziosamente al microscopio.

Quando rialzo la testa lui è lì che mi fissa. "Forse Richard avrebbe suscitato in te qualche emozione, cuore di ghiaccio?"

"L'unica emozione che mi provocherebbe è l'insofferenza."

"Qualcosa mi dice che sono a corto di notizie."

"L'ho incrociato casualmente ed è scappato via quasi fossi un'appestata. Ho pensato di dovergli una qualche spiegazione per il caffè mancato, così sono andata al suo albergo ma sono stata messa alla porta peggio di un'appestata." Patrick strabuzza gli occhi, non gli do il tempo di ribattere. "E' solo un damerino snob e viziato."

"No friend, ciò che mi sorprende è che tu sia corsa fino a lui."

"In realtà ho preso un taxi." Tergiverso dandomi all'ironia ma Patrick è li che mi guarda con la solita espressione greve. "E comunque è una tattica per non scendere dalle loro grazie, ci manca solo che l'altro Hamilton dia retta alle lagne del nipote ferito nell'orgoglio."

"Oh my.. è peggio di ciò che sembra." Blatera incrociando le braccia al petto.

Alzo gli occhi al cielo. "Dottor Thompson, quale suo superiore la invito caldamente a tacere e mettersi al lavoro, subito!"

Non devo esser stata molto convincente, ma Patrick sospira e si mette in moto; amo vederlo ridere e scherzare, ma per la ricerca amo di più quando è concentrato e quel suo meraviglioso cervello da vita a idee e supposizioni che nutrono la mia sempre più assidua curiosità.

In realtà tutto il laboratorio è caduto in quella strana trance fatta di agitazione per la visita imminente e la motivazione che il lavoro svolto richiede; do un'occhiata veloce in giro mentre raccolgo gli appunti del giorno prima e faccio il punto della situazione, noto che sono tutti altamente concentrati tranne Maude che è in finestra in stato d'allerta.

Richiamo la sua attenzione, lei mi lancia ancora delle occhiatacce per la storiella del famoso filosofo invitato al party di Capodanno, ma viene verso di me con aria compita e voglia di fare. La tengo d'occhio questa è la verità, ma è perchè la trovo assolutamente una ragazza scaltra, sicura delle sue ambizioni e assolutamente in grado di compiere questo mestiere; se mi venisse chiesto di fare un nome promettente, ecco io farei il suo.

"Maude cerchiamo di ordinare il fascicolo, riportiamo i nuovi dati senza dare l'impressione che siano a casaccio.." La sento sorridere alle mie spalle, ma non sono infastidita; il disordine e il caos sono le uniche cose che danno un senso a quello che faccio, senza mi sentirei persa. "Ho altri campioni da analizzare, chissà che questo non sia il giorno fortunato che aspetto più meno dalla laurea."

Sospira trasognante. "Non è passato molto tempo dottoressa! Con una carriera come la sua, il prossimo anno chissà dove la vedremo approdare!"

Mi volto a guardarla e le chiedo di sedersi. "E' esattamente la stessa cosa che penso io di te, chiaro? Termina il tuo esame e fa un buon dottorando, ci sono infinite possibilità che ci rincontreremo da qualche parte nel mondo."

"Quindi se ne andrà, ci ho preso?" Bisbiglia.

"Ecco è esattamente di questo che parlo. Non perderla mai questa irriverenza." Le do due colpetti affettuosi sul braccio e mi sposto lasciandola interdetta. Prima la mia ricerca, vero papà? Penso sorridendo e mi metto all'opera sui vetrini da analizzare.


*


Sente caldo, si agita, il petto matido di sudore è schiacciato da una pressione che non riconosce.

Apre gli occhi spaventato, un sussulto a fior di labbra.

"Hamilton.." bisbigliano le due labbra carnose accanto al suo cuscino; sono di Lydie, scorre lo sguardo sul suo corpo inerme e voluttuoso e contrae la mascella. "Che succede, stai male?" La ragazza apre del tutto gli occhi ed inorridisce alla rigidità dei suoi occhi.

Richard scuote il capo e si allontana verso la porta, attirato da qualcosa sul pavimento.

E' una busta, vergata a suo nome da una calligrafia femminile.


"Ogni promessa è un debito per la sottoscritta, così le lascio gli appunti della ricerca.

La copia per suo nonno è ormai al suo albergo, ma la prego mi scusi infite volte con lui per l'attesa, sono tempi molto frenetici.

Mi sarebbe piaciuto conoscere il suo parere, ma a quanto pare non sono gradita quì.

Non so se mi devo scusare per questo, nel frattempo le lascio i miei saluti e un a mai più rivederci.

Najla Chedjou."


Quelle poche righe sortiscono su di lui un effetto strano; rabbia, frustrazione, divertimento e ancora rabbia.

Gli sembra di sentirla parlare, vederla in carne ossa sbattere le ciglia con quegli enormi occhi verdi, aggraziata eppure così forte e prepotente.

Analizza il biglietto e la sua scrittura diversi minuti, minuti in cui un grande dubbio gli manda in fiamme lo stomaco.

"Da quanto era quì?" Chiede alla ragazza che si aggira nuda per la stanza alla ricerca dei suoi indumenti.

"Da ieri sera." Sorride e snuda un sorriso da perfetta attrice.

"Hai dato tu l'ordine di non farla salire?" Prosegue serafico, i pugni stretti lungo i fianchi.

"Mi hai fatto rispondere al telefono. Cos'altro avrei dovuto fare, nuda nel tuo letto e con te sotto la doccia?" Lydie si infiamma a sua volta.

Richard scuote il capo. "La gestione dei miei affari personali non rientra nella tue mansioni, prima di prendere una qualsiasi decisone per mio conto, tienilo bene a mente ."

La ragazza sorride ironica. "Questo mi sembra ovvio e non succederà più." I suoi occhi ancor più liquidi di sempre tradiscono le parole che non dice.

Richard afferra il telefono irritato, compone il numero della reception, poi riaggancia senza aspettare che rispondano; è stato lui a dirle di rispondere era vero, non voleva essere disturbato al ritorno dell'appuntamento fallito con Benjamin Chedjou, aveva bisogno solo della compagnia di un buon brandy e invece si era ritrovato anche Lydie. E Lydie era così bella e maledettamente vicina.

"Adesso te ne devi andare." Le dice bruscamente, cacciando via i sensi di colpa in fondo alla gola.

La ragazza schiocca la lingua. "E me ne andrò." Richard la blocca per il gomito, restano a guardarsi, Lydie un fascio di nervi, furente e selvaggia. "Non lo fare. Non aggiungere altro." Dice fra i denti.

"Sei molto bella, Lydie, ma detesto non essere soddisfatto." Soffia sulle sue labbra, confondendola.

Lo sguardo della donna si assottiglia, sa che le ha lasciato un amo. "Farò in modo di renderla soddisfatto, signore."

E si divincola dalla presa, ancheggiando esce dalla stanza, una promessa che sembra più uno schiaffo senza dolore.


"Cos'e questa storia che ti arrivano gli appunti e non mi dici nulla?"

Fresco di doccia e decisamente meno furente, Richard chiama il vecchio Raymond per le ultime novità.

"Cos'è questa storia che mi sono arrivati così tardi, oserai dire. Tutto questo tempo spero tu l'abbia passato bene.." Risponde l'altro.

L'uomo inspira rumorosamente. "Non ho mai più avuto il dispiacere di incontrarla, visto che ci stai girando tanto intorno. Ma ho incontrato suo fratello; la docilità non è un gene comune in quella famiglia."

"Vedo che stai seguendo i consigli del tuo vecchio.." Biascica ironico.

"Credimi, Benjamin Chedjou al confronto sembra un agnellino."

"Sono ancora più curioso di conscerla, allora. L'erede Chedjou.."

"Hai un incontro con lei?" Chiede bruscamente.

"Stamattina sarò al Salpêtrière per la solita visita annuale. Ogni tanto questo vecchio deve scendere in campo. Ti unisci a me? Chiamo un vecchio amico fotografo del Marais, vi faccio scattare qualche foto per alimentare il chiacchiericcio e vediamo come reagirà la ragazza.”

Richard sogghigna. "Nonno tu hai la sorprendente abilità di stupirmi ogni volta. Come ci riesci?"

"Esperienza e duro lavoro, nipote."

"Ogni cosa a tempo debito, comunque. Ti saluto, ho una riunione fra meno di venti minuti."

"Farò qualche scatto anche per te allora."

"Io costruirò un impero nel frattempo." Ribatte Richard sornione.

Raymond inspira, la voce ferma e sincera. "E' tutto quello che ti auguro nipote. A presto." E mette giù.

Richard resta a contemplare il silenzio, poi un'intuizione, prima di indossare una bella cravatta e i gemelli, per raggiungere la sala conferenze dell'hotel. Pensa a suo nonno e Najla Chedjou insieme e questo pensiero non lo lascia fino a che la riunione inizia.


*


La caposala bussa energicamente nella sala visite del pronto soccorso.

Rispondo sbadigliando. "Avanti."

"Dottoressa Chedjou, questi sono per lei."

Noto la scatola che ha in mano e annuisco. "Puoi metterli lì, sono le siringhe che ho chiesto due giorni fa."

La caposala nega con il capo e un sorriso. "C'è un biglietto, dottoressa.."

Sobbalzo dalla sedia. Sebbeni odio ammetterlo, il mio pensiero va da un'unica parte da ieri. "Puoi darmelo allora."

La donna me lo porge e resta a fissarmi; la guardo insistentemente, lei capisce e se ne va via sbattendo la porta.

Il biglietto è di Richard come speravo; sono stranamente felice e irratata.

"Accidenti.." borbotto alla vista dei cioccolatini finemente scelti che mi mettono subito l'acquolina in bocca.

Ne afferro uno, lascio che si sciolga in bocca e mi dedico alle sue parole.



ciocc



"Sono immensamente dispiaciuto per l'equivoco di ieri,

ovviamente mi sarei deliziato con la sua compagnia, nel frattempo, mi lasci mostrarle di che pasta sono fatto in realtà.

Grazie per gli appunti , li leggerò con vivo interesse e a questo punto dovrà concedermi, se non altro per carineria, un'altra chance per rivederla.

Resto in attesa di sue notizie.

Richard Hamilton."


Di qualsiasi pasta sia fatto, questa è molto buona, penso al terzo cioccolatino.

Sorrido alla geniale idea del parallelo e mi soffermo ad analizzarlo; una scorza apparentemente dura ma in realtà facilmente penetrabile e un cuore morbido, ripieno di bontà. Penso ai suoi occchi freddi come il ghiaccio e niente mi sembra più lontano, un ghiacciolo alla menta forse sarebbe stato più indicato come parallelo. I cioccolatini mi dicono il contrario ma continuo a rimpizarmi credo più per il nervoso.

Questo Hamilton ha il potere di confondermi, con la sua dolcezza a sprazzi alternata da una glacialità urticante.

Metto via la scatola e mi affaccio sul corridoio, un campanello sta suonando da un pò, ricordandomi di abbandonare il pianeta Hamilton-menta-e-cioccolato per tornare nel mio traumi-disinfettante-e-pazienti.

E' il letto ventitrè, il solito operaio recalcitrante in ospedale da qualche ora, già smanioso di tornare a lavorare.

Lo fisso con entrambe le mani sui fianchi e quello ride, lamentando un dolore alla gamba.

"Non posso darti altro antidolorifico Maurice, devi darti tempo e pazienza di guarire." Lo rimbocco come una madre con il ragazzino petulante.

"Quella maledetta imbracatura.." Borbotta con le braccia conserte, "se avessimo i giusti presidi di antifortunistica non sarei quì a perdere ore di salario!" Gli controllo la temperatura e do un'occhiata alla ferita sull'arto inferiore, scarabbocchiando qualche annotazione.

"Tempo e pazienza." Rimarco con dolcezza, stavolta. "La situazione va migliorando, nel giro di qualche giorno potrai tornare a casa e poi finalmente al lavoro." Purtroppo Maurice non è il solo paziente coinvolto in incidenti di fabbrica; non credo si tratti di paranoia o deformazione professionale ma ho come l'impressione che negli ultimi mesi questi siano aumentati, aumentando come se servisse, le agitazioni e i mormorii sulle pessime condizioni lavorative degli operai alla mercè di uomini senza scrupoli che non li tutelano, interessati solo ai loro profitti.

Il mio pensiero va a Benjamin, controllo l'orologio da polso e mi accorgo che la sua visita è fra mezzora.

"Maurice ci vediamo domani pomeriggio al giro visite, ok? Nel frattempo.."

"..cerco di essere paziente." Cantilena lui.

"Non solo." Rido. "Non tartassare le matricole della sera con iniezioni di antidolorifico che non ti servono!"

Quello ride e annuisce, poi ci voltiamo entrambi verso la figura che si avvicina tentennando.

"E' un parente?" Chiedo.

"No, ma passando di quà non ho potuto fare a meno di ascoltare le parole del signore." Lo guardo perplessa, lui continua. "Sono un giornalista e spesso mi occupo di casi come quello del signore." Solo allora noto la macchina fotografica portata in spalla.

Mi agito. "Chi l'ha fatta entrare?"

"Non posso dirglielo signora, ma sono autorizzato."

Mi mostra un tesserino con uno strano logo, uno stemma raffigurato un leone d'oro in alto e tre pali dorati nella parte inferiore, su fondo azzurro. A questo punto cerco l'approvazione di Maurice che annuisce e li lascio soli.

"Allora.. vuole parlarmi dell'incidente?" Il giornlista parte all'attacco del malconcio Maurice.



"Benjamin!"

Riconosco mio fratello in sala d'attesa dalla folta chioma cenere; indossa un soprabito crema da cui spicca un completo blu notte, incantevole abbinamento che rende i suoi occchi verde-azzurro ancora più intensi. Ci abbracciamo.

"Buongiorno sorella. Sei riuscita a liberarti, vedo."

Do un'occhiata veloce al numero della sua prenotazione; c'è una modesta fila prima di lui, perciò mi accomodo al suo fianco. "Ci tengo fratello." Sorrido. "E poi.. devo liberami dal senso di colpa di aver spifferato a Deesire di questa visita." Stringo gli occhi e mi chiudo nelle spalle, Benjamin scuote il capo.

"Stamattina mi guardava in modo strano. Mi ha chiesto come va con Charlotte e se i preparativi procedono bene."

Mi mordo il labbro. "Forse perchè crede in un tuo ripensamento."

Benjamin schiude le labbra, allarmato. "Le hai detto che non è così, vero?"

Annuisco platealmente. "La mamma è abituata ai colpi di scena. La sua vita ne è la dimostrazione, sicuramente nel giro di una settimana se ne sarà già dimenticata." Benjamin annuisce e poi guarda un punto lontano.

"Credo inviterò Charlotte a farle una telefonata rassicurante."

"Ottima idea." Lo fisso, il suo sguardo sembra perso. "C'è qualcos'altro che ti turba, dunque?

Leva gli occhi nei miei e mi sorride. "Nulla di importante, Najla." Mi prende la mano e la bacia. "Grazie per averlo chiesto."

Insisto, qualcosa che ombreggia nei suoi occhi mi dice che non è sincero. "Sono tempi duri lo capisco, un operaio di una fabbrica dei sobborghi è arrivato al pronto soccorso stamattina per una frattura. Lamentava di incuria in materia di protezione, un giornalista lo sta tampinando di domande."

"Quelli poi.. sono peggio degli sciacalli." Mi fa eco. "Se la caverà alla buona?"

"Si. Ho pensato la stessa cosa, ma ciò che mi stupisce è che possono infilarsi dappertutto.. persino in un ospedale!"

"Gli hai chiesto se avesse un tesserino riconoscitivo?"

"Certo. Sembrava un blasone di una qualche ricca famiglia.. e quì mi chiedo, cosa se ne fanno i nobili di giornalisti alle calcagna?"

Benjamin si ferma, come se si sforzasse di ricordare qualcosa. "Pubblicità, tesoro. Alcuni la sfruttano per la filantropia."

Resto di sasso e penso ad Hamilton senior in visita nella mattinata.

Scuoto il capo vergognandomi quasi per la mia ingenuità e rabbrividisco. "So che suona patetico dirlo, ma trovo squallido questo modo di far girare tutto intorno ai soldi. Credi che io sia ingenua Benjamin?"

Mi guarda con un espressione dolce prima di rispondere. "Credo tu sia pura, Najla. E credimi nonostante ho a che fare con questo sistema quasi tutti i giorni, non sono certo propenso a vederla in questo modo."

Sospiro. "Adesso devo andare. Il filantropo mi aspetta." Gli batto due colpetti sulla gamba e mi alzo.

La fronte di Benjamin si increspa. "Parli di Raymond-qualcos'altro-Hamilton?"

Mio fratello.. e i nomi non vanno molto d'accordo. "Proprio lui." Bofonchio. "Vedo che suo nipote non ha perso tempo in presentazioni."

"Direi di no." Getta sarcastico.

Poi ci guardiamo, ed entrambi abbiamo la stessa espressione perplessa, credo.

"Certo che sono ovunque.."

"Il mondo è degli inglesi a quanto pare." E si alza anch'egli dopo che la dottoressa di turno lo ha chiamato. "A più tardi."

Lo guardo sparire al di là della porta bianca e mi affretto anche io al mio appuntamento.


*

Raymond Arthur Shelley Hamilton è ritto in piedi, che ci guarda come fossimo dei soldati a una parata.

Cammina avanti e indietro, si congratula, legge qualche appunto e fa tipiche battute da umorismo inglese supportato da un più che logorroico Patrick. Avverto la tensione sui volti dei miei sottoposti e getto loro occhiatacce quando l'uomo è distratto; quelli che colgono il rimprovero si stampano un bel sorriso plastico da copertina, tornando a respirare.

Patrick mi strizza un occhio, terminato il repertorio umoristico, invitando il ben vestito e profumato, molto profumato, signore a raggiungermi.

"Dottoressa Chedjou!" Pronuncia il mio nome a gran voce, agguantandomi la mano lezioso e ruffiano. "E' un onore conoscerla."

"Siamo molto lieti di averla quì, dottor Hamilton. C'è altro che questo laboratorio e la mia equipe, può fare per lei?"

Mi rendo conto di essere fredda e troppo perentoria, ma la storia della filantropia e della pubblicità mi ronzano in testa come una mosca fastidiosa.

Credo che Patrick abbia dato fondo alle sue ultime energie, perchè lo vedo vacillare sulle mie parole.

"Si a dire il vero. Vorrei ascoltare dalla sua viva voce in cosa consiste la sua ricerca, sa sono della vecchia scuola amante dell'orazione, un pò datata ma pregna di emozioni che non si trovano certo in strutturati paroloni vergati su della carta."

Sorrido nel trovare molto romantico il suo discorso. Forse non è poi così cinico come credevo.

"La mia introduzione, dottor Hamilton inizia con una varietà di emozioni contrastanti, che hanno mosso i fili di questa ricerca, e che senza proprio non sarei dove sono adesso, se pur con umiltà ammetto solo all'inizio di una lunga strada. Rabbia, paura, tristezza ma anche felicità, orgoglio, rinascita. Ogni persona che vede in questa stanza è portatore di emozioni, nonchè valido supporto, mente brillante della medicina. Perciò posso dirle che veniamo da scuole differenti, ma su questo argomento siamo della stessa epoca." Prendo fiato e gli appunti che mi passa una raggiante Maude e sciorino la parte scientifica. "Gli oncogeni RAS mutati si trovano in circa il 25% dei tumori umani e sono altamente prevalenti in tumori di cancro del colon-retto, cancro del polmone e del tratto biliare. Le mutazioni in K-RAS rappresentano il cambiamento molecolare più comune nel cancro del polmone e viene trattata con una terapia mirata per singolo paziente. Il principio della terapia mirata è stata proposta più di cento anni fa da Paul Ehrlich e ci suggerisce che è un approccio promettente, per massimizzare l’efficacia e ridurre al minimo la tossicità del trattamento."

"Quindi se ho capito bene, ad ognuno la propria cura?"

Annuisco. "Mia premura è quella di scovare quante più terapie possibili dottor Hamilton, rivedere la teoria di Ehrlich e se non sconfiggere, almeno rendere meno distruttiva la permanenza del male in ogni paziente."

Gli occhi di Raymond si coprono di un velo di tristezza. "E' buffo quanto in questo caso l'aggettivo sconfitto assuma un significato positivo."

Lo guardo intensamente, vedo attraverso il suo sguardo dei pensieri impronunciabili; che buffa la vita, ho di fronte uno fra i tanti magnati d'Europa, certo un impenitente, vanitoso e narcisista -se penso alla storia del fotografo- eppure dinnanzi a questa disgrazia appare esattamente uguale a tutti noi. Siamo tutti uomini, quando veniamo toccati dal dolore.

"Benvenuto nel mio mondo, dottor Hamilton. Quì non ci sono casi limite, ottime soluzioni. La medicina è imprevedibile, in continua evoluzione e spesso deludente. Ma non si deve mai e poi mai perdere la speranza."

Lui mi sorride e in quel sorriso per un attimo vedo il sorriso di Richard.

Ho un leggero batticuore.

Poi ad un certo punto quel sorriso diventa una smorfia, Hamilton si piega su se stesso e quasi mi caracolla in braccio.



"Dici che è morto?" Mi sussurra Patrick in un orecchio; lo fulmino con lo sguardo, mentre il polso dell'anziano mi conferma il battito.

"Signor Hamilton?" Gli pizzico leggermente la spalla per innescare una reazione, inizia a muoversi piano piano finche non spalanca gli occhi. "Non appena la vista le sarà tornata vorrei sapere da lei quante dita sono queste.." Tengo aperto il palmo della mano sotto al suo naso, mentre aspetto una risposta che non tarda ad arrivare.

"Cinque.." bofonchia con voce rauca.

"Le prendo un bicchiere d'acqua." Patrick imbarazzato all'ipotesi che lo abbia sentito, si allontana e restiamo soli.

"Che è successo?" Chiede con preoccupazione.

"Ha avuto un mancamento, nulla di grave e per fortuna non ha sbattuto la testa. Il dotto Thompson lo ha acciuffato per un pelo."

"Oh Santo cielo!" Blatera.

"Non si agiti. L'elettrocardiogramma è risultato buono, aspettiamo l'indice dei suoi valori, prima di dimetterla."

Mi guarda come se avessi detto una blasfemia. "Assolutamente no." Si alza per mettersi seduto, ma un capogiro lo tiene inchiodato al letto.

"Lei non va da nessuna parte."

"Dotteressa Chedjou.. non ho fatto colazione questa mattina e ad essere sincero la mia famiglia sta attraversando un periodo di forte stress, ogni tanto mi concedo un bicchierino di brandy che non dovrei. Sto bene, ho un medico personale che fa la spola da Londra e mi mantiene in forze."

"Non ho dubbi, signor Hamilton, ma aspetteremo i risultati."

Una strana luce attraversa il corridoio del pronto soccorso e cattura la nostra attenzione.

Chiedo a gran voce se c'è qualcuno e dopo un pò si affaccia il giornalista della stanza di Maurice.

Guardo Hamilton truce. "Il signore è con lei?"

"Oh sì è la mia guardia del corpo." Risponde con una faccia da bronzo perfetta.

"Che strano, perchè mi è sembrato avesse una macchina fotografica con se."

"Lei è un osso duro, eh?" Borbotta per nulla agitato.

Sorrido sorniona, anche se mi prudono le mani. "Non amo gli scandali, se mi capisce. Ci sono tanti uomini onesti che svolgono il proprio lavoro nel silenzio, e questi, sopratutto negli ultimi tempi, pagano il dazio per colpe che non gli appartengono."

Raymond tace, all'improvviso sull'uscio appaiono trafelati Richard Hamilton e Patrick con la mano zuppa d'acqua.

"Ecco a lei signore. Ne ho persa un pò strada facendo, ma credo basterà." Il mio collega porge il bicchiere all'anziano e finisco per incendiarlo con uno sguardo che non ammette repliche.

Per tutta risposta mi lancia un'occhiatina maliziosa.; è da quando Richard ha messo piede nella stanza, che trattengo il fiato.

"Nonno come ti senti?" Il vecchio Hamilton sembra perplesso, stupito quasi nel vederlo, mentre spiega al nipote i fatti.

"Ah proposito i valori del sangue sono buoni, la glicemia è un pò bassa ma per quella basterà un pò di vitamina b e una dieta bilanciata." Patrick mi passa le analisi che conferma la tesi appena esposta.

"Nulla di grave." Ammetto sorridente e sollevata. "Se desidera qualche minuto per riprendersi prima di uscire, l'aspettiamo fuori."

"Vorrei scambiare ancora due parole con lei, se non ha altre urgenze. Solo noi."

Patrick mi sfiora il braccio, Richard scambia un'occhiata con il parente e mi passa accanto attraversando l'aria come se non esistessi.

"Ci tengo a ringraziarla per il suo tempo, dottoressa Chedjou. Ed anche per questo contrattempo." Esordisce. "I complimenti sono inutili, credo in lei e nelle sue possibilità, può immaginare facilmente i miei pensieri. Tuttavia percepisco una certa ostilità alla comprensione di alcune dinamiche sulla sopravvivenza sociale al giorno d'oggi, questo è un bene in un certo senso perchè la mantiene pura, ma non vorrei si sia fatta una cattiva idea del sottoscritto." Pura. Per la seconda volta in un giorno sento additarmi questo aggettivo.

"La ringrazio, la stima è reciproca, anche se resto ferma sulle mie dichiarazioni."

"Prenderò informazioni sulle ultime ore del giornalista, se la fa stare tranquilla, va bene?"

"Le sarei grata, signore."

"Ho un ultimo quesito per lei, Najla. Mi ha parlato di emozioni, ha parlato di scienza, io vorrei sapere di più, se non sono sfacciato. Le leggo in faccia gli stessi mostri che combatte Richard da quando sua madre si è ammalata. Mi sbaglio?"

Questa informazione mi destabilizza e Raymond sembra saperlo perchè mi guarda come se avesse vinto un premio; quest'uomo sembra leggermi dentro, una sensazione provata già con lo stesso Richard, potente e spaventosa allo stesso tempo.

Non provo retrosia, non sono tentata di darmela alla fuga, perciò lo guardo con intensità e rispondo semplicemente che mio padre era un uomo straordinario ma se nè andato troppo presto, che la medicina è diventata per me una missione per i Richard appesi nel limbo della sofferenza, sparsi nel mondo.

"Sono lieto di aver riscontrato ciò che il mio amato nipote, dice lei."

"Perchè, cosa dice di me?"

Mi sento connessa a quest'uomo, mi sento senza freni e sento che la conversazione scorre come un fiume su un letto ben tracciato, ma che amo guadare.

"Ciò che diventa evidente dopo cinque minuti." Sorride, prende fiato. "Che è una donna intelligente, determinata e molto bella." Il suo sguardo fiero e sprezzante si fa ora dolce, come il suo tono di voce. "Sia buona con lui, indossa una dura corazza per le tante battaglie vissute ma è semplicemente un uomo che deve capire dove è diretta la sua vita." Questa immagine di Richard mi lascia senza parole. "Può far sapere al mio autista che fra cinque minuti può salire a prendermi?"

"Certo, dottor Hamilton."

"Chiamami pure Raymond, cara."

Esco dalla stanza totalmente frastornata, Patrick è lì accanto a Richard, vicini eppure lontanissimi; legge nel mio sguardo che qualcosa non va e si avvicina prendendomi sotto braccio. "Najla, aspetta!" Alle nostre spalle la voce potente di Richard mi chiama; Patrick prende il consegna la richiesta di Hamilton senior non senza prima cercare un cenno di serenità nei miei occhi.

"Dimmi, Richard." Rispondo indolente, ormai soli.

Mi guarda come se fosse un ragazzino, lo sguardo giovane e divertito. "Volevo sapere se mi sono fatto perdonare."

Strabuzzo gli occhi. "Chi devo perdonare, il Richard freddo e calcolatore o quello che mi manda cioccolatini?"

Ride in un modo che mi fa perdere la testa, ma non posso fare a meno di andargli dietro.

"Entrambi, ti prego. Allora, mi concederai una seconda possibilità?"

Tentenno. "Non ne hai bisogno, il tuo debito è saldato, non vedo perchè dovresti uscire con me."

"Per il puro piacere della tua compagnia." Spara a bruciapelo. "E perchè per natura vengo attratto dalle sfide e sento che tu mi darai filo da torcere."

"Quindi dovrei uscire con te per nutrire il tuo ego?" Chiedo divertita.

"O semplicemente per trovare risposta alle molte domande che mi poni." Il suo viso acquista la sfumatura arrogante che ricordavo; mi inquieta questo suo cambio di personalità, ma sono più spaventata all'idea di perderlo, credo.

"Chi sei tu veramente, Richard Hamilton?" Domando.

"Vieni a scoprirlo tu stessa." Mi porge il braccio. "E' una giornata stupenda fuori."

"Veramente ho un altro impegno.." indurisce la mascella ma non smette di sorridere, seppur fra i denti. "Benjamin ed io andiamo a passeggio ai giardini Luxemburg, visto che vi conoscete magari puoi unirti, se ti va?" Lo vedo cambiare subito espressione, sembra contento seppur la sua idea di appuntamento è stata totamente stravolta.

"Non ho ancora avuto il piacere di visitarli, ma non voglio rubarti del tempo prezioso con il tuo caro fratello."

Adesso sono io quella delusa, alzo le spalle e lo invito ad andarcene dal corridoio; in ascensore siamo silenziosi, apparentemente distanti non fosse per le nocche delle nostre mani che si sfiorano impercettibilmente. Mi sento inspiegabilmente triste.

"Adesso devo salutarti, Richard. Grazie per i cioccolatini e la chiacchierata entusiasmante."

Lo bacio frettolosamente sulla guancia e quando mi scosto la sua mano grande e coriacea mi tiene premuta a se per la spalla; mi scosto leggermente per guardare i suoi occhi di ghiaccio infragersi di dubbi e domande. Sembra sconcertato, deluso e triste.. come me.

Non dice nulla, resta così a ricambiare il mio sguardo.

Poi delle voci da un gruppo di colletti bianchi, ci fanno trasilire a scostare bruscamente.

"Arrivederci Najla."

E corre, quasi, verso l'uscita.

Resto in apnea, le lacrime a velarmi gli occhi.


*


"Najla!"

Sono seduta sulla mia panchina preferita, quella antistante il piazzale dell'ospedale, immersa in un grande giardino nel vivo della china town della città. Ogni volta che sono seduta quì, mi sembra d'essere in una cartolina.

Benajamin arriva con i risultati delle analisi strette fra le mani ma rassicura subito la mia impazienza, confortandomi con buone notizie.

"Hai mai pensato di staccare un pò la spina? Prendere e andare ad Auvers con Charlotte? Lo zio Cedric potrebbe sostituirti."

"Tu e la mamma avete delle menti diaboliche; mi ha proposto la stessa cosa."

"Vogliamo solo il tuo bene."

Ci immergiamo nella metropolitana e ne usciamo fuori solo nei pressi dei giardini Luxemburg.





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Richard aveva ragione, la giornata è calda, c'è un bel sole per essere Gennaio e Benjamin inizia a prendere colore.

Ci addentriamo e passeggiamo finchè non siamo stanchi, assopiti e assorti in una quiete familiare, che non ha bisogno d'altro se non del nostro comune amore fraterno; Benjamin si alza spesso per recuperare la palla di due bambini che puntualmente finisce sotto la sua sedia e in breve dopo poco si alza per intavolare una partita con loro. Osservo la scena da lontano e mi si riempie il cuore.

Benjamin sarebbe un padre fantastico, lo ascolto spesso parlare di bambini con Charlotte e quello che mi piace di questa coppia è l'assoluto affiatamento che c'è parlando del futuro. Sono felice per questo, credo che trovare un compagno con cui dividere il resto della vita, amarsi e farsi amare, con serenità e complicità sia uno fra i compiti più ardui che la vita ci pone davanti.

Se guardo Banjamin e la sua sposa invece sono serena, positiva e la sfida mi sembra solo un'attesa bellissima.

"Sai, credo che mi trasferirò nella casa dei nonni, molto presto."

Benjamin è tornato al mio fianco, mi guarda con un bellissimo sorriso ed occhi orgogliosi.

"Sono felice tu abbia preso questa decisione, Najla." Mi cinge le spalle e parla sincero. "Non conosco nessuna ragazza più pronta e coraggiosa di te."

"Io conosco un ragazzo coraggioso, invece. Un ragazzo che si è trovato a dover tenere le redini di un'azienda e sta facendo del suo meglio per non farla affondare. Se hai dei dubbi in merito, sappi che per quanto vale, ho imparato molto da te Benjamin."

"Questo mi rincuora Najla, ma purtroppo il mio meglio non sembra abbastanza, per ora."

"L'ho capito, sai? La tua apprensione per il giornalista, gli operai sempre scontenti.. devi capire però che non sempre dipende da te. Alle volte il nostro meglio è solo una parte infinitesimale di un capolavoro, lo dobbiamo accettare, prendere le distanze se serve e quando ci sentiamo nuovamente pronti, tornare a dove eravamo rimasti."

"Richard Hamilton mi ha proposto un accordo." Spara a bruciapelo, lasciandomi di stucco. "Un finanziamento volto alla riqualifica dell'azienda, da barattare con il suo buon nome. Ha parlato di alloggi per gli operai, borse di studio per i loro figli.. insomma un accordo irrununciabile, se sei una persona sana di mente."

"E tu non lo sei?" Biascico cercando di risultare spiritosa con il risultato che a Benjamin torna il pallore in viso.

"Ho rifiutato. Tante belle parole che mi sono sembrate così vuote."

Annuisco. "Sanno essere molto persuasivi devo ammetterlo; suo nonno mi ha promesso che avrebbe fatto una chiacchierata con il giornalista, se io avessi rivisto il concetto delle dinamiche sulla sopravvivenza sociale al giorno d'oggi."

Benjamin ride sarcastico. "Ha detto proprio così?"

"Giuro."

Vedo mio fratello scoppiare a ridere. "Una famiglia esilarante, non c'è che dire!"

"Richard Hamilton mi ha regalato dei cioccolatini e poi è scappato via quando gli ho proposto di venire a passeggio con noi."

Benjamin ammutolisce. "Cosa c'è fra voi due?"

"Assolutamente nulla!" Dichiaro infastidita da una domanda così assurda. "Volevo essere gentile, tutto quà. Quell'uomo mi sembra così solo."

"Lo è. Ho preso informazioni su di lui, non è sposato, non ha fratelli o sorelle.." Poi mi guarda cauto. "Sua mamma si è ammalata di cancro lo scorso inverno, suo padre vive fuori Londra, insomma non deve essere il più espansivo degli uomini."

"Accidenti Benjamin, adesso mi sento in colpa."

"Avrai tempo per rimediare." Borbotta con un sorriso sardonico. "Lunedì lo incontrerò nel suo quartier generale e credo lo avremo intorno per un bel pò di tempo."

"Avevo capito che la sua proposta era stata rifiutata.."

"Non sono matto, Najla. Non completamente, almeno." Ride sotto ai baffi, vorrei ucciderlo. "Sono solo cauto. Perciò ho rifiutato, per vedere sino a che limite si spinge il suo interesse; non venderò l'azienda al primo inglese dei miei stivali di passaggio a Parigi, ma sento che Richard Hamilton mi darà grandi soddisfazioni."

"Vi siete trovati, allora." Mi alzo imbronciata, lui mi segue. "Ama le sfide e il suo ego è perennemente affamato."

"Avrà la sua fetta torta.. spero per lui non avvelenata."

Alzo gli occhi al cielo sfinita. "Ecco, adesso mi hai messo fame."

"Ti preparerò il sufflè al cioccolato che ti piace tanto. Questo addolcirà persino la mamma per la notizia che gli stai per dare.."

Un suono lamentoso esce dalle mie labbra ma non ho la forza per ribattere, limitandomi a spingermi verso l'uscita del parco eccitata e in ansia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Menta e Cioccolato


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Capitolo 5



L'intera casa è avvolta dal profumo delle pietanze della domenica.

Arrosto, spezie esotiche, burro, cannella e un odore che non riesco a decifrare ma che revoca in me un passato gioioso.

Benjamin e la mamma sono ai fornelli che litigano, fanno la pace, e in teoria cucinano insieme i piatti che andranno serviti agli ospiti.

Io e Fabien siamo al bancone e ci stiamo sfidando alle parole crociate, ogni tanto nei momenti di crisi alziamo lo sguardo ai cuochi, ma desistiamo dal farci mettere in mezzo alle loro baruffe. "Ne ho azzeccata un'altra tesoro, sei distratta!" Fabien batte le mani e quasi sobbalzo dallo sgabello.

"Ah! E' solo fortuna!" Mugugno.

"Papà voglio fare anche io le mots croisées Lukas batte le manine sulle gambe dell'uomo che lo prende in braccio e se lo stringe al petto.

"Allora, definizione di angoscia, paura, timore." Fabien e Lukas si guardano, il bambino cerca negli occhi del padre il significato di quelle parole così grandi e per fortuna mai più lontane da lui. "Sai quando di notte scivoli dal tuo letto e ti vieni infilare in quello mio e della mamma?"

"Si." Risponde lui con occhi vivaci e furbi.

"Beh quel formicolio che tu senti quì.." Fabien gli solletica il pancino, Lukas si divincola con una risata cristallina. "..quella è la paura, tesoro mio. E la proviamo ogni volta che sentiamo che qualcosa di brutto può accaderci. E' come un campanello d'allarme che ci dice

ehi, via di quà

, perciò ci allontaniamo da essa, per proteggerci. Il timore e l'angoscia sono più o meno la stessa cosa, le sorelle diciamo."

Prendo la parola sorridendo. "E tutte queste cose insieme formano anxsiété , l'ansia." Fabien annuisce e mi fa l'occhiolino, aiutando Lukas a contare le lettere e metterle per iscritto nelle apposite caselle.

"Ah proposito di ansia.." La mamma ci interrompe caminando svelta verso la veranda posteriore dove un enorme tavolo in noce è stato bandito a festa per l'occasione; la sentiamo gridare e lo zio, Lukas ed io la raggiungiamo. "Fabien! Togli quel mostro dalla tavola!"

Dai fiori freschi del centrotavola scivola un innocuo ragnetto che sgambetta sulla tovaglia bianca in macramè, cimelio di intere generazioni Bonnet, Fabien se lo lascia salire sulla mano, apre la porta che da sul giardino esterno e lo lascia libero fra le piante.

"Pericolo scampato, eh mamma?" Mi fulmina con gli occhi, prima di sbuffare e tornare in cucina.

"Ci converrà tenere a freno la lingua.." sbotta Lukas con la voce da bambino e l'ingenuità della sua età; io e Fabien ci guardiamo prima di sbottare a ridere a crepapelle.


I primi ad errivare, neanche a dirlo, sono Geremia e la signora Florence, che resta perplessa sulle presentazioni della nostra famiglia, non capendo esattamente il ruolo di Fabien e sorvolando con un segno della croce il fatto che la mamma sia al secondo matrimonio; Geremia le da un leggero colpetto di gomito per distrarla e farle tirare fuori dalla borsa di coccodrillo il solito Sauvignon.

Dopo un pò arrivano i coniugi Thea e Gastald, leggermente sovraeccitati, forse un pò brilli, ma che vengono accolti dalla mamma con elegante allegria; Thea non perde tempo a far sapere che se è in cerca di un buon avvocato, lei è la persona giusta.

"Lo terrò a mente." Dice la mamma lanciandomi un'occhiata divertita e prendendo il mazzo di fiori che la coppia le ha portato in dono, sistemandoli in un vaso dell'atrio, sempre con Thea alle calcagne che insiste su un giro perlustrativo della villa.

"Sa, ho passato un sacco di pomeriggi passeggiando fra queste rue, fantasticando la vita al di là delle finestre di queste graziose dimore. Quella santa di mia nonna era di Montmartre, abitava sulla Rue Custine, in un palazzone vecchio come le sue ossa!"

"Si può dire fossimo vicine di casa, dunque."

La mamma le fa strada sullo scalone in marmo e ghisa nero che da ai piani alti e ogni tanto si sente Thea esclamare di stupore; come darle torto, Deesire per prima si innamorò di questa villa in stile liberty arroccata sulla butte, di proprietà di un'antica famiglia nobile, diretta verso l'Europa e nuovi destini. Chiacchiere di quartiere sussurrano del fantasma della più piccola delle figlie del nobile caduta in malattia e scomparsa in giovane età, ma la mamma ha sempre sorvolato, affermando che bisogna aver paura dei vivi non dei morti. E nessuno ha mai osato darle torto.

Il campanello suona ancora, quando apro la porta trovo Louisanne e Cristophe l'uno avanti all'altro in un silenzio imbarazzante e innaturale.

La ragazza lo precede con un sospiro scocciato, abbracciandomi e passandomi un vecchio libro di Dumas con un fiocchetto.

"Grazie!" Esclamo sinceramente colpita.

"Prego. E' di seconda mano, l'ho scovato a Saint-Ouen." Mi sorpassa. "Accidenti quale umile dimora!"

Cristophe mi guarda imbarazzato porgendomi una pianta di ciclamini magenta. "Grazie Cristophe."

"L'ho incontrata sul viale." Dice in imbarazzo. "La pianta è di prima scelta, il fioraio all'angolo." Lo abbraccio divertita e lo faccio accomodare dentro.

C'è uno strano cielo carico, sole e qualche nuvola densa, guardo il viale aspettando di veder spuntare qualcunaltro ma poi ricordo che gli ospiti sono tutti in casa. Tranne uno.

"Najla!!!"

Mi volto, la porta quasi chiusa alle mie spalle quando un trafelato Patrick, mi fa segno con la mano di aver perso i polmoni sul ciglio del vialetto.

Lo abbraccio camuffando l'imbarazzo per essermi del tutto dimenticata di lui, afferro il pacchettino che fuoriesce dalle sue tasche e resto sorpresa provenga dalla libreria accanto all'ospedale. "E' un libro di ricette per tua madre." Borbotta a respiro normalizzato.

"L'adorerà." Rispondo sicura, noncurante che Desire è lì vicino a spiarci.

"Dottor Thompson!" La sua voce squillante, troppo, rimbomba nell'atrio.

"Signora Moreau, che piacere rivederla. Come sta? La trovo in gran forma!"

Patrick sciorina il suo abc della galanteria e sparisce dietro a mia madre con una piroetta.

Alzo gli occhi al cielo e li raggiungo in veranda.



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L'arrosto di Deesire è un vero successo, come pure i racconti della sua vita passata in Africa insieme a nostro padre, nel lontano millenovecentotrentanove; ascoltare i ricordi di una persona che ha dormito nel deserto, sotto le stelle grandi e luccicanti come lampioni, fa sempre un certo effetto, come pure il suo incontro "ravvicinato" con un leone. Fu così che si rese conto di aspettare Benjamin e per noi, lui da sempre, ha quindi preso il soprannome di le sauvage. Il selvaggio.

La cosa che mi fa più sorridere è il triangolo che si è creato a metà fra il dolce e la frutta; Deesire pende sfacciatamente dalle labbra di Patrick, sovrastato da Geremia, vero showman per l'occasione, che guarda me, alimentando le occhiatine maliziose del secondo e di mia madre alla mia persona.

"Propongo il turno del caffè!" Mi alzo dalla sedia come punta da uno spillo. "Un'ottima miscela italiana, per chi lo gradisce."

Quasi tutti alzano la mano, mi dirigo in cucina seguita da Benjamin e un'euforica Deesire.

"Il tuo dolce è stato suberbo come sempre." Dico a Ben, sistemando i piatti nel lavello.

Lui mi da un bacio veloce sulla guancia, sento la mamma fremere alle nostre spalle.

"Quel Patrick mi è molto simpatico, Najla." Afferma sicura, poi mi si piazza di fronte. "Ha un'ironia del tutto particolare, mi sembra proprio un ragazzo dalle ampie vedute. Una personalità moderna, direi."

"Tu non immagini quanto, mamma." Ben mi da una gomitata, la donna ci guarda di sbieco.

"Sono sicura che reggerei il colpo." Borbotta, poi le si illumina il viso. "Non mi dire che è segretamente sposato?!"

"Questa per te è modernità?" Chiedo stralunata.

"Se guardo te si, figlia mia."

Benjamin si lascia andare ad una risata. "Non ha tutti i torti, Najla."

Alzo gli occhi al cielo. "E' meglio tornare agli ospiti." Non attendo risposte e li lascio soli a sghignazzare.

"Tutto bene?!" Mi sussurra Fabien, vedendomi tornare da sola.

"Si. Il caffè è quasi pronto."

"Bene." Mi stringe la mano affettuosamente e torna a conversare con Gastald.

Il pranzo si è concluso degnamente; Patrick è andato via lasciando la mamma a bocca asciutta e a corto di notizie, Fabien la prende per mano promettendogli racconti mozzafiato e insieme a Benjamin si ritirano nei loro alloggi per lasciare a me e il gruppo di lettura la giusta intimità; la veranda è stata riordinata, ci accomodiamo sui divanetti accanto le grandi vetrate e aggiungiamo delle sedie fin quando riusciamo a stare tutti comodi e pronti. Geremia prende parola.

"Prima di iniziare, volevo ringraziare la nostra buona amica Najla per averci aperto le porte di casa sua, rendendo originale il modo di concepire il nostro spazio lettura. La dove sarà gradito, potremmo rendere il gruppo itinerante."

Florance borbotta. "Non ci sarà sempre un buon arrosto ad accoglierci Dumas!"

Geremia ride. "Il tuo Sauvignon invece ci seguirà ovunque. Era solo un'idea, vecchia brontolona."

"Casa nostra è molto piccola." Thea e Gastald si giustificano con troppa fretta.

"Credo che Geremia intendesse dire che il gruppo non ha spazi circoscritti." Lo guardo cercando la sua approvazione, poi guardo gli altri. "L'arte è ovunque è il nostro cuore. Il nostro cuore è ovunque ci sia arte."

"Di chi è questa?" Chiede Cristophe.

"Najla Chedjou." Risponde Geremia al mio posto, ammutolendo la sala.

Le mie guancie prendono fuoco, per fortuna Florance si schiarisce la voce e inizia a leggere in barba alla fila.


*


Raymond stava bene.

Seduto in poltrona e con lo sguardo perso nel caos del boulevard appariva più stanco di ciò che sembrava, ma aveva un aspetto sano e i suoi occhi maliziosi confermavano il suo pensiero. Ogni tanto di domenica passava a trovarlo, pranzavano insieme, parlavano di economia o politica e subito dopo la sbronza tornava al suo hotel per prepararsi all'indomani.

Ricordava ancora i lussuosi pranzi di famiglia nell'elegante palazzo in cui risiedeva a Londra, sulla Grosvenor street; sua madre era solerte rispolverare l'argenteria e i piatti ereditati dalla bisnonna Grace Melody arredando il banchetto quasi fosse un'opera d'arte. Raymond era fra quei ricordi, in poltrona di fronte al suo adorato figlio Ray junior a discutere amabilmente del futuro della City e dei loro capitali, discorsi così interessanti per un giovane studente di università che li ascoltava rapito finchè sua madre e le sue nonne non richiamavano tutti all'ordine.

Poi un giorno tutto cessò e arrivò un inverno perpetuo, un gelo che avvolse tutto ciò che era stato e non poteva più essere; la malattia di sua madre, l'ancor più notevole distacco di suo padre nell'affrontare anche questa tragedia, la fuga di suo nonno a Parigi.

Scosse il capo per scacciare via i brutti ricordi, togliendosi il cappotto per poterlo salutare.

"Ho fatto preparare l'agnello." L'anziano si alza e conduce Richard nella sala da pranzo, apparecchiata per tre.

"Hai ospiti?" Domanda.

"Notizie." Lo corregge, attendendo che si accomodi prima di lui. "Qualcosa che può interessarti."

Un semplice pranzo domenicale era stato in breve tempo trasformato in affari, lavoro dunque; si sbottona la giacca e prende posto, versandosi dell'acqua. Mr Morgan, lo sgaloppino di suo nonno, entra nella stanza dopo pochi minuti d'attesa, insieme alle portate.

"Richard." Esordisce con un entusiasmo da regno delle tenebre che lo contraddistingue.

"Morgan." Non ha mai conosciuto il suo nome o la sua identità. Sospetta sia un avvocato o qualcosa di simile, forse un ex poliziotto, comunque una persona da tenersi stretta più come amico che nemico.

"Tuo nonno mi ha raccontato che ti sei trovato molto bene nell'affare Chedjou." Ride in maniera grottesca, abbozzando un occhiolino.

"Sta buono, Morgan." Borbotta Raymond con un risolino. "Vorrei almeno arrivare al dessert, prima di rispondere a qualsiasi domanda. Goditi l'agnello, avremmo tempo per parlare."

Morgan posa la forchetta sulla salvietta e guarda il commensale alla sua destra. "Raymond, senza girarci intorno, l'atto di comproprietà non esiste. Jacque Chedjou non ne stipulò nemmeno uno in brutta copia, tu forse sì, ma il vostro resta a tutti gli effetti un accordo tacito." Raymond alza le spalle e inarca il sopracciglio per le ovvietà ascoltate. "Ma se non fossi la vecchia volpe che sono, non sarei quì a dirti che a quanto pare l'illecito, non appartiene alla fondazione della azienda stessa, ma ai suoi eredi."

Raymond si lascia sfuggire un sorriso mesto, Richard smette di mangiare ed incrocia le mani.

"Spiegati meglio." Chiede perentorio.

Morgan si bagna le labbra con il vino e gli punta addosso uno sguardo raggelante. "Sembrerebbe che Benjamin Chedjou non sia figlio di chi dovrebbe essere."

Raymond picchia il palmo sulla tavola. La cameriera entra nella sala in allerta. "Sì signore?"

"Il dolce, subito!"

La donna guarda i piatti mezzi pieni e resta interdetta sulla richiesta. Richard annuisce con il capo. "Abbiamo fretta." Quella raccoglie le stoviglie e spinge il carrello fino alle cucine da dove ritorna in gran carriera, con una riproduzione della più famosa apple pie.

Finiscono di mangiare in silenzio e sempre in silenzio si dirigono in una stanza appartata con abbondante vino e altro genere di alcool a finire ciò che era stato interrotto. "Cos'è questa storia?" Raymond brucia la curiosità dirompente del nipote che si agita in poltrona.

"Avete sentito bene. E se quel ragazzo non ha sangue Chedjou nelle vene, la situazione può essere dastricamente ribaltata."

"Se?" Chiede Richard. "Non sei certo della notizia e vieni a parlarci di ammutinamento?" Raymond annuisce, attedendo la risposta.

"Il medico che aiutò la madre a partorire non opera più a Parigi, le informazioni mi arrivano da alcuni parenti. Ecco perchè uso il condizionale."

"Ad ogni modo, se questa notizia trovasse fondamento, sai a chi importerebbe di chi è figlio? L'azienda è al comando di Benjamin."

Raymond esplode. "Importa a me, Richard! E dovrebbe importare a te! Se in gioventù non fossi stato tanto sprovveduto da non stilare un accordo, a quest'ora ci saresti tu al comando di quell'azienda, non un bastardo qualsiasi!" Si versa del brandy collerico e lo incendia con lo sguardo. "Questa notizia è una manna da cielo, i suoi operai gli sono contro, la situazione è già compromessa, immagina lo scandalo e i titoli di giornale! Quale credibilità può avere un uomo che detiene il potere ottenuto con l'inganno?"

Richard inspira. "Raymond, non abbiamo uno straccio di prova che confermi questa notizia, se non il brusio di fantomatici parenti! E magari in cerca di rivalsa, di cui tu ti riempi così tanto la bocca. Un uomo non si distrugge con le chiacchiere da copertina, e certo non dovrei neanche sottolineare che Benjamin Chedjou non è uno stolto. Ammesso che sappia per primo di non essere figlio di suo padre." Da fondo al calice di vino, prendendo qualche secondo prima di parlare. "Dietro di lui ci sono persone che lo difenderebbero con la vita, io ho avuto modo di respirare un certo cameratismo nei suoi confronti, tanto quanto l'opposizione. Fargli una guerra a colpi di scandalo non solo potrebbe paradossalmente rafforzarlo, ma getterebbe in ombra tutti gli sforzi che ho compiuto fin ora per entrare nelle sue grazie. L'ho conquistato, capisci? Domani sarà al mio quartier generale per discutere dei miei progetti!"

"E ne sono entusiasta quanto te, Benjamin, ma se Morgan avesse ragione.."

Richard si alza, irritato. "Non ti permetterò di gettare alle ortiche il mio successo!"

Morgan li guarda ammutolito, uno spettatore ad una prima ad alto tasso adrenalinico.

"Ammettiamo che io ti dia retta, qual'è il tempo stimato per il tuo piano? Un anno? Due? E cosa guadagneresti in tutto questo tempo? Tu non capisci la netta differenza se questa notizia.."

"I>Se!" Tuona, azzittendolo. "Vuoi sapere cosa ci guadagno? La sua stima e il suo rispetto e non perchè siano fondamentali nella mia vita, ma lo sono affinchè i miei progetti prendino forma. Benjamin Chedjou non è altro che un mezzo per affermarmi, perchè se tu sei stato uno sprovveduto, nonno, io ho mire molto più vaste e maestose che accontentare il tuo ego da bambino al quale è stato strappato via il giocattolo! Hai voluto che facessi parte di questa combutta, mi sono esposto per te, adesso le regole le detto io e si gioca a modo mio, chiaro?"

La mascella contratta di Raymond e i pugni stretti presaggiscono una tempesta.

Morgan si alza, fa per andarsene. "Tu non osare uscire da questa stanza. Sarai nostro testimone." Annuisce senza parlare, un'occhiata veloce a Raymond sempre più paonazzo. "Ci puoi giurare nonnino, eccome se puoi, quelle aziende saranno mie."

"Vattene." Sputa l'altro rabbioso fra i denti, senza guardarlo in faccia.

"Solo se mi dai la certezza che questo pettegolezzo rimarrà fra queste mura. Vale anche per te Morgan." L'uomo schiocca la lingua come se avesse udito una bestemmia. "Poi non ci vedremo più, te lo giuro. Potrai volartene in America e dormire sogni tranquilli."

Raymond non risponde, il suo volto ormai una smorfia di disappunto e arrendevolezza. "C'è altro, Richard?" Il suo pessimo umore non riesce a far uscire la nota di sarcasmo dalle sue parole; non ha mai visto suo nonno così adirato nei suoi confronti, ma non avrebbe permesso a lui ne a chiunque altro, di sabotare il suo successo.

Era il suo turno, lo aveva giurato.

"No."

Raymond chiama gli inservienti per far accompagnare suo nipote all'ascensore; si salutano freddamente, come due estranei.

Rimasto solo in compagnia di Morgan, alle sue spalle e con un sigaro fra le labbra, Raymond segue dalla finestra e con una certa malinconia rabbiosa, la figura di suo nipote entrare nella macchina e sparire sul boulevard.

Nella stanza aleggiano il fumo denso, il peccato e l'ostilità.


*


"Più vedevo quella donna, più ne ero incantato. Era stupenda. La magrezza stessa la abbelliva. Ero in contemplazione. Mi sarebbe molto difficile spiegare cosa succedesse dentro di me. Ero pieno di indulgenza per la sua vita, pieno di ammirazione per la sua bellezza.

La prova di disinteresse che ella dava, rifiutando un uomo giovane, elegante e ricco, pronto a rovinarsi per lei, scusava ai miei occhi tutti i suoi passati errori. C'era in quella donna qualcosa che somigliava alla purezza. Si vedeva che era ancora nel primo stadio del vizio. Il suo portamento eretto, la sua figura agile, le sue narici rosee e aperte, i suoi grandi occhi lievemente cerchiati di azzurro, mostravano una natura ardente che diffondeva intorno un profumo di voluttà, come quei flaconi orientali che per quanto ben chiusi, lasciano uscire il profumo del liquore che racchiudono."



Geremia termina la lettura de La signora delle Camelie al capitolo nove; siamo esausti, le spezie e il buon vino hanno sparso nell'aria il dolce eco del sonno, nemmeno la vivace Thea, riesce a tenere gli occhi aperti.

Piano piano infatti, gli ospiti si alzano e vanno via, in ultimo Geremia che mi aiuta a riordinare -e certa del suo sguardo malizioso- approfittare di qualche minuto ancora della mia compagnia in solitaria. Ci guardiamo a lungo senza fiatare, tuttavia non mi sento imbarazzata, ma lusingata; il suo sguardo è come una carezza velata, dolce e rassicurante.

"Dumas deve aver sofferto molto, non trovi?"

"Sì, gli amori di cui parla sono così strazianti e impossibili. Sono sicuro che la sua fama di donnaiolo non renda giustizia al suo animo sofferente."

Mi perdo per un attimo nelle sue parole, riflettendo sul'ingiustizia dei giovani amanti e quasi mi commuovo.

"Credo che non gli si perdoni aver amato l'amore, infondo."

"A questo mondo bisogna essere cinici per venir compresi, mon ami." Mi prende la mano e vi deposita un bacio. "Sono felice che il tuo cuore sia libero dai pregiudizi. Sono felice di essere tuo amico."

Sorrido genuinamente. "Una felicità corrisposta." Restiamo mano nella mano sul divano, a deliziarci della reciproca presenza. "Ti mostrerei il giardino, ma fa un freddo infernale. Se Florance si convincerà, in primavera potremmo goderci il tepore del sole da lì."

"Florance è austera ma non è una donna cattiva. Sono sicuro che infondo tu gli piaccia eccome."

Lo guardo con un'espressione alla "se lo dici tu" e mi stringo nelle spalle. Geremia porta il suo braccio intorno alle mie spalle e sorride spavaldo. "Le farò cambiare idea, se così non fosse! Perchè al sottoscritto tu piaci molto Najla, e ciò che io adoro, adoreranno anche loro."

Schiudo le labbra e mi sento una Dea, invincibile, una sensazione stranissima e mai provata prima, tanto brava a districarmi da complimenti e avance; giro il volto verso il suo e mi accorgo che siamo più vicini di ciò che credessi. Geremia non emette un fiato.

"Sei così bello." Soffio sulle sue labbra, melensa e civettuola. "Hai mai pensato di tornare a recitare?"

La smorfia sulle sue labbra perfette e carnose mi fa sorridere. "Tu sei peggio di una Dumas.." Sospira alludendo al nostro bacio mancato e prosegue. "Vedo che Louisanne non è riuscita a tenere a freno la lingua. Da molto tempo volevo parlarti di me mon ami ma non saprei da dove inziare.."

Lo interrompo posandogli l'indice sulle labbra. "Non voglio sapere nulla del tuo passato, Mi basta vedere chi sei, eppure non posso fare a meno di domandarmi perchè un ragazzo così talentuoso si sia arreso ai suoi sogni."

"Non è facile Najla, non con una reputazione ingombrante come la mia."

"Perchè non ne fai la tua forza, invece?" Mi guarda incuriosito. "Se tu per primo non accetti che questo fardello fa parte di te, ci penseranno gli altri a fartelo notare e la gente sa essere cattiva come sai. Eppure tu possiedi una forza che non sai. Il tuo sorriso contagioso, la tua voce melodiosa, il tuo corpo da attore."

"Credi in quello che dici?"

"Non parlo mai a sproposito."

Le sue mani mi incorniciano il viso, i suoi occhi baluginano di una luce che riconoscerei quale gratitudine; sento i nostri cuori battere all'unisono, il mio schizza quasi fuori dal petto e lo vedo, vedo il suo viso avvicinarsi piano al mio, le nostre labbra sfiorarsi.. fino a quando non suona il campanello della villa e ci dividiamo come se una forza ci avesse trascinato ognuno nella propria direzione.


*


Era da quando aveva lasciato l'appartamento di Raymond che sapeva esattamente dove andare.

Era una forza profonda a condurlo lì, un istinto di protezione che aveva solo nei confronti di Catherine, sua madre.

Non ne era stupito, lo stupiva di più la tensione accumulata che gli faceva dolere la mascella a forza di contrarla; era emozionato e per la prima volta in vita sua, stava studiando attentamente le parole da dire.

Ad un punto sufficente di vergogna, nel ritrovarsi a fissare un campanello senza muovere un dito, suona svelto prima che ci ripensi.

Sulla porta appare una signora bruna benvestita, dai lineamenti forti e orientali. Si trattava senza dubbio di Deesire Bonnet, vedeva nella bellezza del suo volto l'incredibile beltà che sua figlia le aveva ereditato e il sorriso cordiale, caloroso.

"Buonasera, signora, sono Richard Hamilton." Le porge la mano che ella stringe con vigoria nella sua. "Mi scusi se piombo quì senza preavviso. Najla Louise è in casa?"

La donna passa da un'espressione curiosa ad una divertita, poi maliziosa.

Lo invita ad entrare, prendendo in consegna il suo soprabito per riporlo nel ripostiglio all'ingresso, da dove riemerge chiamando a voce tremante il nome di un uomo. "Mia figlia è in casa signor Hamilton, le preparo una tazza di thè oppure caffè se lo gradisce?"

"Un bicchiere d'acqua è sufficente, grazie."

"Torno subito."


"Deesire, chi era alla porta?" Un assonnato Fabien, piomba in cucina ciondolando.

"Un giovane, venuto per Najla." Risponde la donna come un'automa, lasciando strabordare l'acqua dal bicchiere. "Nostra figlia è diventata grande."

Fabien l'avvicina da dietro, stringendogli le spalle. "Non era quello che volevi?"

La donna sorride, perdendosi nell'abbraccio di suo marito. "Ed è educato, gentile, di bell'aspetto." Fabien scuote il capo, sua moglie è persa in un brodo di giuggiole. "Dovremmo affrettarci, non vorrei farlo aspettare troppo."

L'uomo annuisce, slegando l'abbraccio. "Tu va a prenderlo, io vi faccio strada."

Si separano entrambi per poi ritrovarsi tutti alla veranda.


*


"Meglio che vada, il sole è calato dalla collina."

Geremia mi saluta poeticamente, lasciando un bacio leggero a fior di labbra.

"A bientôt mon ami."

"A bientôt." Rispondo leggermente stordita.

Ci alziamo per raggiungere l'atrio e noto mia madre e Fabien con l'ombra di una terza persona dietro le loro figure, sull'uscio della stanza.

"Signori Moreau è stato un onore conoscervi."

Geremia li saluta con trasporto e viene accompagnato da Fabien all'uscita, l'ombra avanza e si mette in luce.

Resto pietrificata dalla statua di bronzo che troneggia al centro della sala, che mi fissa con occhi glaciali e cerchiati da bluastre sfumature, corrispondente al nome di Richard Hamilton. "Il signore si è perso per Montmartre?" Chiedo sarcastica e puntigliosa.

"Najla Louise, non essere sciocca. Richard si è scusato per l'improvvisa visita ma è quì solo per te."

Alzo gli occhi al cielo; Deesire mi redarguisce come se avessi cinque anni. "Va bene mamma, hai già chiesto a Richard se desidera qualcosa?"

Richard prende la parola, divertito e irratato al contempo. "La signora Moreau è stata oltremodo ospitale, grazie Najla Louise."

"Najla è sufficente." Soffio.

Mi faccio beffa di lui e dei suoi repentini cambi d'umore, eppure sono persa nel profumo di pino e cuoio che aleggia intorno alla sua presenza.

Deesire si congeda beandosi del baciamano del prode cavaliere in doppio petto di flanella grigio, che gli dona come le pennellate di ritocco del pittore ad un capolavoro; se ne va piroettando e da lontano sento i risolini echeggiare nel corridoio.

Patrick è già stato dimenticato. Sorrido.

"Trovi divertente ridere di me, Najla?" Richard mette fino al momento ilare.

Lo guardo prendendomi tempo per rispondere. "Sì, visto che succede di rado, Richard."

I suoi occhi finiscono sul pavimento, sono stata scortese ma poco importa, quest'uomo mi confonde e offende alla stessa maniera.

"Sono venuto a sotterrare l'ascia di guerra." Alza le mani prontamente, il suo sguardo dispiaciuto mi fa vacillare adesso. "E visto che a forza di parlare del mio interesse nei tuoi confronti rischiavo d'essere solo un cantastorie, eccomi quà, a sua disposizione madame."

Sorrido guardando il giardino, al luccichio delle prime luci dei lampioni. "Hai una strana concezione del tempo, Richard."

"Lo so, Najla. Sono stato imperdonabile a rifiutare il tuo invito." Si muove finalmente e mi raggiunge.

La sua aurea mi avvolge, sebbene sia glaciale, sento improvvisamente caldo.

"Usciamo fuori, non sarà come una mattinata di sole a Luxemburg .."

".. ma forse sarà molto meglio." Aggiunge porgendomi il braccio.

Afferro la coperta dal divano e la drappeggio sulle nostre spalle; sembriamo due strane creature dell'aldilà e in più dobbiamo camminare l'uno stretto all'altra per non farla cadere, con il risultato che ci troviamo spesso a ridere di me che gli pesto i piedi e viceversa.

Quando Richard ride sembra un ragazzino e questo contrasto con il suo viso tendenzialmente duro, lo trovo amabile.

"Dovresti ridere più spesso." Gli faccio notare.

"Non è che io abbia molti momenti felici, ecco."

Questa sua sincerità mi spiazza, tuttavia non vacillo. "Benjamin dice che sei un uomo di successo. Questo non ti rende felice?"

"Molto. Ma il successo da solo non può contentare l'animo di un uomo. Geni, grandi artisti, scienziati.. restano solo uomini fuori dai loro capolavori."

Annuisco. "Mi stai dicendo che sei da solo Richard Hamilton, oppure stai confermando che sei un genio?"

Ride di gusto, questo mi fa volare il cuore. "Parliamo di lei piuttosto, giovane ragazza e promessa della medicina nel mondo." Fischio platealmente, lasciando intendere che ci è andato giù pesante con le smancerie, ma fa finta di nulla e prosegue. "Quell'uomo è il suo fidanzato?"

Stavolta tocca a me ridere di gusto. Riprendo a camminare, Richard mi guarda in attesa di risposta.

"Siamo buoni amici." Mi sorprendo di non aver tirato la corda, quasi mi importasse fargli sapere che il mio cuore è libero e il solo elaborare questa teoria, mi fa cadere nello sconforto. "Mi correggo, c'è una certa simpatia, ma per ora si tratta di una bella amicizia."

Non so se sono stata convincente, lui non sembra scalfito dalle mie parole anzi, sorride sornione.

"Richard Hamilton, mi lasci dire che la sua freddezza ricorda il gusto della menta."

"Se ci tiene tanto a farmi ingelosire, devo dedurre che non gli sono proprio indifferente." Mi punzecchia, sento la collera montarmi dentro. "E la menta mi è sempre piaciuta. Anzi mi correggo, a tutti piace." Mi mette ko con il mio stesso scherno.

Sono senza parole, mi divincolo dalla coperta e subito vengo raggiunta dal freddo pungente; sgattaiolo fra gli arbusti di rose freddi e spogli, sento i suoi passi alle mie spalle e il suono del suo respiro sul mio collo, quando mi fermo. "Ti ammalerai.." Sussurra, avvolgendomi le spalle.

Mi volto, nel buio cerco i suoi occhi. "Sei stato sciocco, Richard. Sciocco e presuntuoso!"

Chiedo perdono." Dice serio, non un ombra di arroganza nelle sue parole. "Avrai capito da sola che non sono il più avvezzo degli uomini per quanto riguarda il corteggiamento, ma ci sto provando sul serio."

Sento le gambe cedere, per un attimo capisco la netta differenza fra una cotta e lo stordimento dell'innamoramento.

"E' assurdo.." bisbiglio fra me e me, impaurita, terrorizzata.

Benedico il cielo che non sia giorno, intorno a me ci sono forse quattro o cinque gradi sopra lo zero e io sto lentamente bruciando nelle mie paranoie; Richard è un esplosione di muscoli rigidi, li sento sotto le mie mani, avvolte intorno ai suoi fianchi. E' alto, caldo e mi sta letteralmente consumando.

Non viene detta una parola, pochi respiri, quando lo sento abbracciarmi e posare il mento sui miei capelli.



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Il mio starnuto echeggia nel giardino.

Le luci della casa al piano superiore si accendono; vedo mia madre affacciata alla finestra, slego l'abbraccio di Richard che borbotta qualcosa di incomprensibile. Poi un sospiro.

"Rientriamo, ti prego. Stai gelando." Mi friziona le braccia e non so perchè scoppio a ridere.

"Lo stai facendo di nuovo Najla, ridi di me." E' tornato rigido, glaciale.

"Scusami.. è che pensavo alle rose." Anche nel buio riconosco le folte sopracciglie nere che si inarcano, mi affretto a parlare. "Un parallelo con questa situazione. Sono tanto delicate, quanto forti. Guarda.." Gli indico gli arbusti dove ci sono solo spine e nessun segno del fiore. "Prima le spine e poi la dolcezza."

"Sono rose di damasco?" Chiede dal nulla.

"Come fai a saperlo?!"

"Un capitano in Marocco, ai tempi dell'arruolamento nell'esercito, mi raccontò di un accampamento nei pressi di un roseto, fatto sgombrare di fretta e furia perchè il suo profumo era considerato offuscatore di mente. Ci ho riso su, convenendo che per i militari lontano dalle proprie donne per mesi, fosse normale perdere la testa.. finchè quì, proprio adesso, ne sento il profumo quasi fosse primavera eppure non vedo uno straccio di fiore."

Sorrido, completamente in estasi. E non solo per colpa delle rose.

"Mio zio Fabien analizzandole, ha scoperto che il loro odore delicato è inconfondibile in quanto composto da più di quattrocento sostanze aromatiche differenti. Si dice sia la Regina delle Rose, per questo le ha piantate, per mia madre." Sento in lontananza la porta della veranda aprirsi, incosciamente prendo Richard per mano e lo invito a proseguire.

Contrariamente a quanto mi aspettassi, sull'uscio ci sono Benjamin e Fabien.

"Hamilton!" Esclama mio fratello, venendoci incontro.

Fabien non mi toglie lo sguardo di dosso, finche il mio imbarazzo fa nascere un sorriso sulle sue labbra.

I due ragazzi si perdono in chiacchiere e mi domando se l'interesse di Benjamin sia per sua naturale propensione positiva o finzione.

"Vieni quì.." Raggiungo l'abbraccio dello zio, che mi tira verso l'interno, al caldo. "Devo dirlo io a una dottoressa che non si girova per il giardino con solo una copertina sulle spalle, in Gennaio?!"

Rido, posando il capo sulla sua spalla. "Domani avrò un bel raffreddore. Ma ne è valsa la pena. Le rose cresceranno bene."

"Najla.." mi dice dolcemente, "dimmi qualcosa che posso riferire a tua madre, senza che le venga un colpo. Sai quanto la amo, vero?"

Sospiro. "Non c'è molto da dire, zio Fabien. Richard Hamilton entrerà in affari con Benjamin."

"Sembra un uomo serio e controllato. Sbaglio?"

Annuisco. "Rigido e glaciale sono gli aggettivi che più gli si addicono." Sorrido. "Ma sa usare bene le parole."

"Tua madre mi chiama ancora charmeur. E' un dono che gli uomini devono avere per arrivare al cuore di una donna."

Penso al loro amore scritto nelle stelle e mi perdo nella strana sensazione di ansia e batticuore che sento, poi Richard fa una cosa strana, nel bel mezzo della conversazione con mio fratello, mi guarda e sorride come se esistessimo solo noi nella stanza; mi volto a guardare altrove, sfuggendo alla morsa di quella palpitazione che non vuole proprio abbandonarmi. Fabien tossicchia e il mio sguardo torna lucido. "Hai venticinque anni e sono sicuro non debba farti certi discorsetti.." il tono della sua voce mi riporta completamente alla realtà; poche volte ho visto Fabien così serio, spesso e per anni con il sorriso è riuscito a metteci in riga tutti quanti. "..ma sta attenta tesoro mio, perchè spesso un'attrazione può rivelarsi fatale e quì vedo le scintille di un fuoco." Credo d'arrossire perchè sento le guance andare in fiamme. "Sono sicuro sia un bravo ragazzo, ma ti voglio bene come fossi una figlia Najla e non voglio tirarmi indietro da certe raccomandazioni."

"Non lo fare." Rispondo di getto, agguantando il senso paterno mancato di cui tanto soffro, per imprimerlo dentro me; tutto il mondo parla del legame che le madri hanno con i loro figli, e questo non è oggetto di discussione, troppo spesso però si sottovaluta l'importanza del senso di protezione che il padre esercita sui figli e che li fa crescere forti e sicuri di se. Fabien è stato davvero il padre che mi è mancato, anche se continuo a chiamarlo zio, egli è stato un punto di riferimento mandatoci senza dubbio dal buon Dio.

Richard e Benjamin entrano nella veranda, terminando un discorso assai appassionato, da come gesticolano e si passano la parola; Fabien si alza e si rivolge al giovane. "Signor Hamilton si è fatta quasi ora di cena, si aggiunge a noi?"

"La ringrazio signor Moreau, ma devo rientrare in albergo per impegni di lavoro." Si scambia una certa occhiatina divertita con mio fratello e torna su Fabien. "Magari la prossima volta."

L'uomo alza le spalle. "Non mancheranno occasioni, qualcosa mi dice che la vedremo spesso nei dintorni" Ride e alza gli occhi al cielo quando dei rumori sinistri arrivano dalla cucina. "Adesso è meglio che raggiunga mia moglie. Arrivederci signor Hamilton."

"Arrivederci signor Moreau."

I due si stringono la mano non senza una certa tensione, Benjamin trova una scusa per dileguarsi insieme allo zio e io Richard siamo di nuovo soli.

"Stacanovista." Borbotto divertita.

"Spero di non averlo offeso." Mi dice sinceramente turbato.

"Una cosa che devi tenere a mente sui francesi è che non ci si offende mai. Siamo un popolo sincero, se ti dobbiamo scegliere sul fare finta di nulla o dirti un'amara verità, stai pur sicuro di ricevere la seconda scelta."

"Lo terrò a mente."

Accompagno Richard a malincuore verso la porta, è stato piacevole chiacchierare con lui, bellissimo perderci nel giardino di sera; credo sia malinconico anche lui, perchè mi guarda e non dice una parola, fino a quando non apro il portone di casa.

"Spero ci saranno altre occasioni per rivederti, Najla Louise."

"Solo se la smetti di chiamarmi così, Richard Hamilton." Sorrido e lui di rimando. "Possiedi la mia ricerca, a quanto pare farai affari con mio fratello, insomma hai qualche buon pretesto per strapparmi un vero appuntamento.." aggiungo laconica "..finalmente."

"Che ne dici di domani sera, ho una cena di beneficenza a le Claridge sarei onorato d'avere la tua compagnia al mio fianco."

Il Claridge, l'hotel più romantico di tutta l'avenue dei campi elisi. "Si!" Accetto con trasporto salutandolo alla francese, con tre baci sulla guancia.

Lui mi guarda estasiato, mi da la buonanotte e sparisce nella nebbiolina della sera della collina.

Un'immagine così bella e drammatica da fare male.

Resto a guardarlo, finchè il pensiero di avere un appuntamento con lui non mi fa cadere nel panico.



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ATTENZIONE. NOTA DELL'AUTRICE:

Io amo Parigi.

Non so se sono una brava scrittrice, ma una cosa la so; io amo Parigi.

Scrivo di lei perchè ogni volta che ci torno, mi riempie di emozioni nuove, angoli e storie che devo assolutamente raccontare.

I fatti accaduti in questi giorni, mi hanno letteralmente devastata ma conoscendo la forza di questa città e dei suoi splendidi abitanti, so che nemmeno tanto odio e tanto dolore, soffocheranno la loro luce. Parigi e i parigini brilleranno ancora. E io sarò lì a guardarli nella loro affascinante bellezza.

Je suis Paris


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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 6



L'inizio di una giornata, ha tutto un altro aspetto, quando non si vede l'ora che arrivi la sera.

Sarà per questo che mi sono gettata addosso i primi vestiti che ho trovato a tiro, ammirando invece il bell'abito rigorosamente grigio -colore che mi è parso di capire fra i gusti di Richard- appeso all'armadio in attesa della sua occasione.

A dire la sincera verità non mi sento tesa, emozionata sicuramente, ma per nulla ansiosa.

Deesire invece ha i crampi allo stomaco, Richard è quanto di più perfetto potesse veder varcare dalla soglia della villa e questa sua loquacità mattutina, mi spinge di fretta fuori casa. "Accidenti!" Sbuffo a metà tragitto, accorta di aver dimenticato il pranzo in cucina; sospiro animatamente, costringendomi all'idea di dover accontatentarmi di un triste panino per questa volta.

Ecco, se c'è una cosa che si scatena quando sono emozionata.. beh quella è la fame.

Ricordo da adolescente, le amiche che si costringevano a tristi digiuni la vigilia di qualche ballo importante e poi c'ero io, la mangiona del gruppo che puntualmente finiva sempre per riempirsi la faccia di bolle; ma non credo che il mio destino potesse andare tanto diversamente, quando come madre mi è toccata la regina della pasticceria parigina. Sorrido al pensiero, accellerando il passo, da lontano scorgo un ciuffo di capelli biondi.

"Hai idea da quant'è che ti aspetto?!"

Patrick è alla solita panchina dove ci incontriamo spesso prima del turno di lavoro; una scusa per fare colazione, aggiornarci sulla nostra penosa vita sentimentale, la mia più che la sua, discutere del da farsi e altre cose più o meno utili alla nostra esistenza.

Lo guardo alzando un sopracciglio. "Fremi dalla voglia di sapere, ammettilo!" Ridacchio come una bambina, prima che uno starnuto raggiunga le mie narici; prendo il fazzoletto che avevo in tasca e mugolando mi asciugo il naso.

"My friend! Ti sei presa un bel raffreddore.." il ragazzo si sposta disgustato, sul bordo più esterno della panchina bofonchiando. "Stasera ho una serata da capogiro, tieni lontano i tuoi germi da me. Please!"

"Che antipatico.." borbotto con veemenza. "Vorrà dire che non ti dirò nulla della mia serata, invece."

Sottolineo il mia e mi allontano sorridendo verso l'atrio. Un gruppo di colleghi ci salutano, guardandoci come sempre come un'attrazione strana; i brusii di una nostra presunta liason in corso sono andati scemando, dalle ultime che so adesso ci danno per parenti o qualcosa di simile.

"La fine del mondo è già quì." Lo sento borbottare profetico, prenotando l'ascensore. "Un'artista affascinante e anche un uomo dall'aurea misteriosa. Sono sinceramente colpita Najla cara, hai superato tutte le mie aspettative."

La sua ironia mi fa girare la testa, oppure è lo spazio angusto non lo so, improvvisamente sento molto caldo.

"Dai per scontato che stia parlando di Geremia?" Chiedo con una punta di malizia.

Adesso ho la sua completa attenzione, perchè stringe gli occhi cercando un nome fra i presenti al pranzo.

"E chi altri, Cristophe il moccioso?" Nega con il capo, prima che gli risponda. "Quello sposato lo nomino solo per pietà, mi rimane da pensare che tu abbia avuto un incontro e non me ne voglia parlare?!" Adesso mi fissa accusatorio, sghignazzo prima di prendere il camice bianco e indossarlo.

Lo guardo seria, non un filo di ironia giocosa nei miei occhi. "Dottor Thompson, adesso è ora di fare silenzio e mettersi a lavoro."

Sbuffa e corre a fare colazione da solo.


La mattinata passa via velocemente, i lunedì sono sempre frenetici, il tempo per la ricerca viene destinato a poche ore pomeridiane, quando mi rendo conto che l'attenzione non è molto vigile e mai come adesso mi sento veramente stanca.

Indugio sugli appunti, Patrick entra in laboratorio stremato e con una faccia pallida peggio della sottoscritta.

"Devi avermi attaccato qualcosa. Mi sento senza forze." Piagnucola come un bambino.

"Vieni quì." Gli dico, tastandolo. "Hai la fronte calda." Mi alzo colpevole a prendere il termometro e vacillo sulle mie stesse gambe.

"No.." mugolo sconsolata, guardandolo. "Ti prego, l'influenza no!"

Acchiappo due termometri e ne passo uno a lui, accucciato con la testa sul tavolo. "Ti odio.." me lo strappa dalle mani lamentandosi. "Mi devi un turno straordinario e una giornata libera, ricordalo. Stavo addosso a Julienne da tre settimane e l'unica cosa che avrò addosso stasera, sarà la copertina di lana!" Non riesco a rimanere seria quando si arrabbia, me ne rendo conto e questo lo fa uscire fuori di testa. "Non puoi ridere delle mie disgrazie, tenendo conto che io mi farò beffa delle tue. A quanto pare non sarò l'unico a stringere il cuscino, stanotte."

Avvampo, non avevo ancora pensato al dopo cena. Che Richard fosse il tipo di uomo che si aspettava un dopo cena?

Oh cielo, d'improvviso mi scoppia la testa e non sono sicura sia solo influenza; le domande si insinuano nella mia mente martellandola e non mi rimane che ammettere, di essere ancora troppo ingenua e poco navigata in questo senso.

"Patrick aiutami." Dico quasi senza voce; mi porge la mano credendo che gli volessi passare il termometro, ma la scanso irritata. "Non so nulla di queste faccende del dopo cena.. che devo fare?" La mia voce stridula echeggia nella stanza vuota imbarazzandomi ancora di più.

Il ragazzo alza la testa dal tavolo e mi guarda come fossi un fenomeno da baraccone; poi non riesce a trattenersi e scoppia a ridere fragorosamente. "Inizia a darmi il tuo termometro e a calmarti." Glielo passo riluttante, lo controlla assieme al suo e fa una smorfia. "Hai solo trentotto, magari con una pastiglia poco prima di uscire, arriverai fino al dolce." Ridacchia ancora, salvo poi abbattersi, constatando che mi batte di mezzo grado. "Voglio assolutamente sapere chi è questo giovane misterioso a cui pensi addirittura, tu possa concederti!" Un mugolio esce dalle mie labbra al sol pensiero, Patrick insiste, guardandomi preoccupato. "Tesoro mio non promette nulla di buono questo tuo silenzio. Ti vergogni di me, seriously?"

"Non di te. Di chi."

"Ecco appunto. Chi?"

"Richard." Imito la sua voce di quando mi prese in giro la notte della sua conoscenza, ma non sortisco l'effetto sperato, Patrick mi guarda ad occhi sbarrati e questo mi fa sentire un pò a disagio. Ho percepito una certa ostilità nei suoi riguardi, ma credevo fosse solo testosterone da amico preoccupato che un uomo a prima vista così arrogante e presentuoso, possa in qualche modo ferirmi.

"Ok." Dice con un certo sforzo, vedendomi rabbuiata. "Raccontami, dall'inizio!"

"Non c'è molto da dire. Quando siete andati via tutti, si è presentato a casa mia con delle scuse e una dolcezza che non credevo figlia del suo carattere; abbiamo passeggiato in giardino, all'imbrunire, fra le rose ancora spoglie.. insomma ho sentito qualcosa che non avevo mai sentito prima."

"Freddo. Forse era il freddo." Stavolta è lui che cerca di farmi sorridere, ma non ci riesco, sono un maschera d'ansia. "Ehi, ma per cosa ti preoccupi?" Domanda con dolcezza e una vena d'imbarazzo. "Credi di non essere all'altezza della situazione?"

"Forse." Dico di getto. "No, non lo so Patrick."

Per la prima volta durante questa eterna giornata, lo vedo ridere con il cuore; mi guarda con occhi teneri, mi stringe le mani e continua a sorridermi per darmi forza. "Facciamo un passo indietro. Hai sentito qualcosa. Amore? Passione? Curiosità?"

"Credo tutte e tre le cose." Rispondo risoluta.

"Wow!" Ammette entusiasta. "Sappi che ti sto invidiando. Senza cattiveria però, my friend."

"Lo so Patrick, sta tranquillo." Gli accarezzo la guancia. "Allora, che faccio?"

"La cosa più semplice che tu possa fare. Vivi. Entra dentro quest'emozione e lasciati condurre, ovunque essa deciderà di portarti."

"Non credo di esserne capace."

"Perchè, qualcuno ti ha insegnato ad amare la medicina?" Mi chiede a bruciapelo; lo guardo, nego con il capo. "Lo sai fare, allora. E' solo che non vuoi, perchè quando ci si innamora si ha paura di perdere il controllo, ma ti dirò una cosa baby, perdere il controllo è un gran bella cosa!" Sorride sornione e fa sorridere anche me. "Oh, finalmente. Non posso dirti che lui mi piaccia, almeno non come l'artista lì, Geremia mani di velluto, ma.. sono molto felice per te."

Lo abbraccio e poi mi acciglio. "Tu che ne sai delle mani di Geremia?"

Ride sciocchino e torna nella parte dello sbruffone. "Io so tutto, my friend!" Ma non attacca, lo fisso fino a quando non si sbottona. "Ho delle mie teorie, pensieri.. insomma, ogni cosa a tempo debito, adesso non tediare questo povero ammalato, che quando tu sarai pronta a calarti in un bel vestito da cocktail, se ne starà solo a crogiolarsi in una passione che non avrà modo di esistere."

"Sei ridicolo." Sussurro. "Puoi chiamare Julienne, invitarlo a casa tua e passare direttamente al dolce." Sorrido sorniona, ma la mia voce torna seria in un attimo. "Per una volta, permettimi di dirti che dovresti farti corteggiare Patrick, desiderare, e non il contrario."

Mi guarda con occhi intelligenti, poi un lampo di malizia. "Mi stai dando della sgualdrina?"

"Penso solo che meriti qualcuno che ti faccia sentire speciale." Rafforzo il concetto, stringendo più forte le sue mani.

"Tu mi fai sentire speciale, my friend." Lo abbraccio e in quel momento so che la sincerità della nostra amicizia è un faro che solca il mare buio della vita e i suoi dolori, passa attraverso le burrasche ma rimane lì, vigile e utoritario. "L'amore per ora è solo un gioco per me. Poi.. chissà."

"Solo, promettimi, ti prenderai cura di te."

Patrick si scosta, mi guarda enigmatico. Sembra un addio, il momento patos che non abbiamo mai avuto. "Te lo prometto." Asserisce.

"E che terrai le mani giù dall'artista!" Alludo a Geremia e scoppia a ridere.

"Questo non so se posso prometterlo." Dice piuttosto seriamente. "E tu sai quanto ci tengo alla parola data."

Alzo gli occhi al cielo e torno ai miei appunti, dove caracollo dopo cinque minuti. "Comincio a vederci doppio.."

"Chiudi gli occhi, si sta molto meglio."

Annuisco sbadigliando. "Credo che seguirò il tuo consiglio."

E come nulla il silenzio cala sulle nostre teste.


*


Richard Hamilton si era sempre considerato un uomo caparbio, quello che finanziariamente parlando, si può definire un osso duro, eppure dinnanzi a Benjamin Chedjou e il suo gruppo, sentiva tremare i polsi e il sangue pompare nelle vene del collo.

I progetti che Benjamin gli aveva detto di stilare erano buoni, lo sapeva, ci aveva passato notti insonni e mattine che si confondevano con l'imbrunire, riflettendo sulle sue parole, "doveva metterci il cuore" così aveva chiesto. Ci aveva messo qualcosa di più; la sua anima, il suo intelletto e il fiuto degli Hamilton. Benjamin dalla sua seduta per tanto lo guardava senza battere ciglio, non sembrava sereno neanche egli, mentre Paul Roussel tediava l'aria con le sue obiezioni; si era presentato come suo fidato analista, nonchè ex operaio dell'azienda e Richard ce l'aveva messa tutta per parlagli come si parla ad un uomo, che ha fatto del suo sudore, tutto ciò che l'azienda Chedjou rapprensenta oggi.

"La sua idea di appartamenti aziendali dottor Hamilton mi lascia perplesso, è bene che lei capisca che quì non siamo in America, dove una colata di cemento ha la portata di un'acquazzone primaverile." Paul incrocia le mani mentre parla, lo sguardo affilato, di chi dice sempre ciò che pensa.

"Ho fatto una stima degli appartamenti liberi e sotto contratto di usufrutto, dislocati nell'area perimetrale della fabbrica e la buona notizia è che non serviranno colate di cemento per rendere più ammortizzabile il costo di un operaio medio, solo qualche colloquio con i proprietari di suddette proprietà."

Benjamin sorride sghembo, per nulla sorpreso che Richard Hamilton non si fosse fatto trovare impreparato, volgendo poi lo sgaurdo a Paul per tranquillizzarlo. "Conoscendoti quel poco che mi è stato concesso, sono certo che ti sei occupato anche di questo Hamilton, ma so anche che giocare a tirare la corda per far spazientire il mio buon amico, ti diverte ancor di più. Non è così?"

Paul sorride imbarazzato, Richard annuisce. "Circa la metà di essi sono disponibili a incontrarti. Per il resto neanche la mia buona stella ha potuto fare qualcosa, ma per questo aspetto convengo che un iniziale retrosia sia più che comprensibile, facilmente arginabile in seguito."

"In che modo?" Chiede Paul di stizza. "La metà non è una soluzione se ti ha interessato la totalità."

"Il tuo è un buon punto di vista, Paul. Lungimirante e concentrato. Intendevo dire che Benjamin stesso potrebbe colloquiare con loro, il diretto interessato. L'empatia ha più presa dei numeri e dei conti buona parte delle volte."

"Su questo sono d'accordo." Asserisce Benjamin. "Ma non perdiamo di vista gli altri aspetti importanti. Il salario degli operai Hamilton, ho espressamente chiesto che non fosse limato per nessuna ragione."

"E non l'ho fatto. Ma non vorrai dargli un tetto completamente gratuito!"

"Questo no. Negoziarli ad una buona percentuale, sì."

"Ho calcolato il costo medio della vita nelle banlieue Chedjou, avere la possibilità di un affitto agevolato tramite l'azienda è un'opportunità che va accettata senza esitazioni. Senza contare che questo favorirà chi invece arriva da una periferia ben più lontana."

"Molti di loro vivono già nella banlieue." Replica Benjamin.

"Tanto meglio per loro. Ho sentito grandi cose del sobborgo di Neuilly.” Richard alza le spalle. “Chedjou capisco le vostre perplessità, adesso parliamo solo di cose astratte, ci vorrà una stima di ogni caso per capire chi realmente può beneficiare di questo e vedrete che il quadro sarà più nitido.”

Oppure vedremo un grande spreco di denaro?” Interviene Paul, per nulla convinto dell'affare.

Perché dici questo?” Chiede Benjamin, al collaboratore.

Perché è difficile radicare un'idea così innovativa nella mente di certe persone.”

Suvvia Roussel, so quanto conservatrici possano essere alcune menti e ho un profondo rispetto per le tradizioni, ma quello che vi sto proponendo non è un accordo visionario; i nostri avi mettevano radici là dove era collocato il lavoro, alcuni dei magnati più potenti d'Europa, oggi, hanno già provveduto ad inserire alloggi nelle bozze di costruzione delle loro fabbriche! Volete farmi credere che è il progresso a spaventarvi? Nel millenovecentosessantasette? Non posso credervi.” Richard sospira, si agita sulla poltrona e poi guarda i due improvvisamente silenti. “Benjamin hai preso le redini di questa azienda che eri poco più di un ragazzo e l'hai condotta all'apice del successo, che senza preavviso, ti si è rivoltato contro; non penso tu abbia calcolato i rischi quando ti sei seduto sulla poltrona di tuo padre, ti sei fatto spingere dalla passione che sentivi in quel momento e hai guidato la vittoria. Ad un certo punto ti sarai chiesto dove è che hai sbagliato, la risposta è semplice; stai cercando di adattare il vecchio metodo usato da tuo padre e dai suoi predecessori, all'attualità di questo tempo che, perdonatemi l'impudenza, ride in faccia all'ottusità! Io sono qui a dirti che ancora nulla è perduto, tu dammi la stessa passione che avevi all'inizio, io metterò tutto il resto e credimi, nella posizione in cui ti trovi è qualcosa che può farti tornare sulla cresta dell'onda.”

Benjamin sorride appena, gli occhi vorticosi ai numeri scritti sui fogli sparsi sul tavolo e al viso di quell'uomo così appassionato.

Paul non parla più da tanto, Richard Hamilton è stato capace di zittirlo dopo trentanni passati a dire la sua sull'azienda.

La situazione parrebbe surreale, non fosse per i loro sospiri.

Passione.

Nessuno aveva più parlato di questa sconosciuta assieme a lui; amava il suo lavoro, per molto tempo era stata la missione della sua vita, poi il suo orgoglio, infine quello che sembrava a tutti gli effetti un tragico fallimento. La passione si era andata a nascondere da qualche parte che sapeva costargli un certo sforzo, andarla a ripescare. Allora Benjamin si era tuffato nell'altra sua grande passione; la cucina.

I margini di rischio erano alti, non catastrofici sebbene il suo pubblico personale, i suoi familiari, fossero piuttosto severi, ma c'era sempre da imparare qualcosa, scoprire un gusto, dare sapore a qualcosa di inanimato.

Facciamo la magia, una frase che usava spesso, quando le fiamme vibravano al di sotto dei fornelli.

E che magie spuntavano fuori. Ogni volta un trucco ben riuscito.

Era piuttosto bravo, come in tutte le cose che richiedevano amore, intensità, passione.

Doveva solo tenerlo a mente e non lasciare che questa valutazione sfuggisse ancora dalle sue mani.

Parlerò con i residenti delle loro proprietà e con calma ai miei operai.” Sentenziò, riscosso. “Prima di succedere a mio padre, nel lontano millenovecentotrentasei, Edmond Bloud , allora sindaco di Neuilly, si recò “solo col suo passo tranquillo” citò una fonte giornalistica, a predicare la calma fra gli operai che occupavano le fabbriche accanto alla nostra. Quando la crisi fu passata, ricevette delle lettere di ringraziamento commoventi firmate da molti scioperanti.” Benjamin ispirò forte, guardando il ragazzo di fronte a lui con la commozione appesa agli occhi. “PerciòRichard, hai la mia passione, la cura per i miei operai, il sudore della fronte di Paul e di mio padre e l'eredità di un successo che non è più figlio di quest'epoca, aiutami a risollevare la sorte di ognuno di noi, collaboriamo affinché le Société Chedjou si riprendano quel meritato lustro di un'epoca che ci reclama.”

Il ragazzo si alza in piedi, chiude la giacca e allunga il braccio verso Hamilton; l'uomo sorride, un sorriso sincero che coinvolge gli occhi, l'ombra lontana della maschera arrogante che aveva visto arrivare la prima volta. Si stringono le mani e lasciano che queste molleggino nell'aria per lunghi istanti. Gli avvocati ai loro rispettivi fianchi, imitano quel gesto ben felici della trattativa a buon fine, ma Benjamin prega loro di uscire accompagnati da Paul e lasciarlo solo con il finanziatore.

Rimasti soli si sbottona nuovamente la giacca, la posa sulla sedia e gira i polsini della candida camicia bianca fin sui gomiti.

Quando firmerò quel contratto, mi aspetto da te totale e assoluta devozione, Richard.”

Devozione?” Riecheggia l'altro confuso.

Dovrai trattare questa azienda come fosse tua.”

Un lampo balena negli occhi argentei di Richard. “Consideralo già fatto.”

Ogni tuo sforzo, energia, la stessa passione che mi chiedi, impiegherai per me. Sarai a tutti gli effetti un mio sottoposto, e in quanto tale, l'obbligo che ti muovo è solo quello della verità. Non dovrai mentirmi Richard, ti considero abbastanza intelligente da sapere cosa rischieresti qualora non mi dicessi esattamente ciò che ti ho chiesto.” Sorride, stemperando la serietà delle sue stesse parole. “Ci incontreremo almeno due volte la settimana, e ho detto almeno, per fare il punto della situazione e coordinarci al fine ultimo di realizzare i bei progetti che mi hai esposto. Trovo assolutamente affascinante l'idea di fondi a disposizione per sperimentare nuovi brevetti; sono sicuro che gli operai ne saranno entusiasti. Mi rimane un'ultima curiosità.” Richard fa cenno di chiedere, Benjamin torna composto. “Abbiamo parlato solo di successo e va bene essere uomini ambiziosi, ma qualora disgraziatamente le cose non dovessero andare per il verso sperato, cosa accadrà ai tuoi fondi?”

Richard lo guarda intensamente. “Tu che faresti a quel punto?”

Benjamin, spiazzato, risponde di getto. “Venderei, credo.”

Chi sarebbe disposto a comprare il tuo debito?” Chiede insistente l'altro.

Una persona molto potente, suppongo.” Gli occhi azzurri di Benjamin brillano d'arguzia e un sorriso sghembo inchioda Richard alla sedia. “Un uomo con mezzi al di sopra delle possibilità di chiunque altro in questa stanza, dal forte accento nordico, testardo e indomito. Un uomo che corrisponde nient'altro che al tuo nome, Hamilton. Dunque è questo che ti spinge? Il brivido che passa fra l'essere l'angelo salvatore e il boia con l'ascia in mano?”

Gli occhi di Richard si fanno mesti. “No, non userei certe parole. Sai cosa mi spinge, te ne ho parlato quando mi chiedesti di metterci il cuore. E so che sei un uomo scettico, ma fino a questo momento ti sei rilevato tutt'altro. Vuoi sapere se comprerei le aziende, se tu fallissi? Certo che lo farei, per motivi che più o meno conosci, ma che non mi impediscono di far sì, che questo non accada. Mi piace vincere Benjamin. Sempre.” Il ragazzo dall'altra parte annuisce, senza interromperlo. “I miei fondi perché tu lo sappia, sono sigillati da una polizza di cui discuteranno i nostri avvocati dopo di noi, sei libero di cacciarmi quando vuoi, persino nella malaugurata sorte che tu stesso, hai concluso avverrà con una vendita. Perciò Benjamin, non sono ne l'angelo ne il boia, ma solo ciò che tu vorrai io sia per te e la tua azienda.”

Bene. Ti ho chiesto sincerità e me l'hai data. Faccio tornare gli altri se sei pronto.”

Un'ultima cosa.” Dice. “Probabilmente ti suonerà strano, ma voglio che funzioni veramente, sopratutto adesso che sono vicino a Najla.” Il guizzo che balena nelle pupille di Benjamin lo induce a pentirsi di quelle parole, ma ormai è su un'onda emotiva che sconvolge egli stesso, ma impellente di mostrarsi. "Quella straordinaria ragazza ha accettato il mio invito per stasera, ad una cena di beneficenza."

"No, non mi sembra strano, Najla è davvero una ragazza speciale." Il suo tono di voce si può dire malinconico, irritato eppure arrendevole. "La tratterai come merita, Hamilton." E i suoi occhi lo inchiodano, senza diritto di replica. "La tua intelligenza anche stavolta saprà consigliarti sulle conseguenze, in caso contrario." Stavolta non ride, lo guarda e basta, con quegli occhi azzurri che sembrano di pietra lucida.

Non serve appellarsi alla coscienza per una risposta, i segreti e il patto stretto con Raymond, gli fanno mancare il fiato nei polmoni.

Il successo ha sempre una doppia faccia.

Quella bellissima e dolce di Najla Chedjou, adesso gli trapassava il cervello.


*

Aprire la porta di casa ed essere investita dal caldo del focolare, mi fa gioire e poi mi getta nello sconforto; mancano poche ore all'appuntamento con Richard e la situazione non è andata molto migliorando, se anche Patrick ha insistito per accompagnarmi a casa.

Guardarmi nello specchio dell'ingresso non fa che confermare la mia tesi; sono pallida e febbricitante.

"Bentornata tesoro." La mamma è venuta ad accogliermi, è ancora entusiasta ma la preoccupazione fa capolino. "Ho pensato di prepararti un bel bagno caldo, ma dal tuo viso credo ti serva più un impacco di ghiaccio. Che ti succede?"

"Ho la febbre, vado in camera mia a sdraiarmi un pò." Sorrido tetra, Lukas mi corre incontro incrociando la mia figura per le scale.

La mamma si mette fra noi, intercettando il bambino prima che mi caracolli in braccio. "Per carità pulce, Najla ha la febbre e non voglio che te la prendi." Lukas borbotta ma torna nella sua stanza. "Ho una consegna urgente questo fine settimana, non posso permettermi distrazioni." Poi torna a me. "Riposa, ti preparo una tisana. E una cena calda."

"No mamma." Le dico speranzosa. "E' solo un'alterazione, andrò lo stesso al Claridge con Richard. Puoi solo portarmi anche una pastiglia, insieme alla tisana?" Lei annusice e mi lascia andare.

Il vestito grigio è lì che mi aspetta, sembra speranzoso anch'egli; mi getto di peso sul letto e chiudo inesorabilmente gli occhi.


"Tesoro.." Un leggero soffio caldo mi desta dal pisolino.

"Zio.." Rispondo con la voce impastata di sonno. "Che ore sono?" Mi alzo agitata, cercando la risposta nella luce alle finestre.

"Tranquilla sono solo le sei." Si guarda le mani dove tiene stretta una scatola con dei fiori. "Il tuo cavaliere ti ha mandato questo. E' un bracciale che va indossato per l'evento, mi ha detto la mamma." Lo prendo e l'osservo; è un delizioso bracciale di rose piccole e chiare. In questo momento sto sorridendo come un'oca. "Vuoi scendere a fare merenda?" Annuisco entusiasta e mi alzo borbottando, lui mi guarda di sottecchi, sicuramente vorrebbe infierire sul mio stato penoso ma non lo fa credo per pietà. E menomale, mi sento già uno schifo da sola.

"Cos'è questo profumino?"

"Benjamin ha preparato la tarte tatin. Si festeggia!"

"Ah sì, che cosa?"

"Ha concluso un buon'affare con Hamilton. Ma ci racconterà meglio, seguimi."

Sono tutti in cucina; Benjamin, la mamma e persino Lukas con già la forchetta da dolci in mano.

In questa famiglia vige il culto del momento dessert e di certo nessuno si fa cogliere impreparato. Sorrido, sentendomi già molto meglio.

"Mamma.." mio fratello ci guarda tutti, un pò alla volta, ma prima si rivolge a lei. "Come tu già sai, sette anni fa ho preso un impegno nei confronti delle aziende di mio padre; perpetrarne il successo e far diventare mia la filosofia imprenditoriale. Ci sono riuscito, ma oggi devo confessarti che ho totalmente rivoluzionato quest'idea, attuando dei cambiamenti consoni al progresso che incombe sempre più." La mamma s'acciglia, ma sceglie la via del silenzio. "Richard Hamilton finanzierà questi cambiamenti e sto parlando di alloggi per gli operai, fondi per brevettare nuove idee, borse di studio e una qualifica dell'ambiente. Avremo nuovi macchinari, un impianto più funzionante e moderno e lo spero arditamente, una nuova era fruttuosa."

"Non avevo compreso che la situazione fosse tanto grave." Deesire gli stringe la mano, colpevole. "Come è possibile?"

Fabien le accarezza la schiena. "Sono tempi duri per l'economia del paese, credo che Benjamin dirigendo un nutrito numero di persone, si sia accorto prima di tutti di questa situazione, e sono lieto anche aver trovato una soluzione. Solo Ben, perdonami la domanda, in che modo ripagherai Hamilton per questo?"

"E' un filantropo." Mi intrometto, sussurrando quasi. "Pubblicità e qualche opera con il suo nome, gli faranno tornare indietro il triplo di quanto sborsato." Mi trovo a fare una smorfia disgustata, ma non ho ancora del tutto accettato e compreso questo aspetto del suo mondo fatto di echi melensi e giornalismo spiccio. Tutti mi fissano inquisitori, avvampo guardando altrove.

"Najla ha fatto un'ottima analisi." Ben mi fa l'occhiolino, io sorrido di rimando.

"Continuo a non capire." La mamma con ancora il viso stropicciato dai sensi di colpa, affonda il dubbio. "Che ne sarà delle aziende se.."

"..fallissi?" Il ragazzo la precede, inspirando. "Non lo so mamma, ma so che sono determinato come lo ero sette anni fa, nello svolgere un buon lavoro." Le stringe più forte la mano, lasciandola poi con una carezza. "Non devi preoccuparti per me, capito? Mi alzerò come ho visto farlo a te molti anni fa. Sono un uomo adulto ormai, quasi un marito e un capofamiglia, il peso delle responsabilità non mi spaventa."

"Questo lo so." Ammette sicura, con un sorriso increspato dagli anni fuggevoli e intensi. "Vorrei comunque che non ti dimenticassi di chiederci aiuto. Sono tua madre e lo sarò persempre Benjamin." Il ragazzo la bacia sulla guancia, annuendo appena. "Auguri figlio mio."

"Auguri Ben." Fa eco lo zio, che lo abbraccia annusando l'odore del suo collo come un mistero che solo lui conosce. "Sei cresciuto bene, signore ti ringrazio." I suoi occhi sono lucidi quando si slegano, l'affetto che Fabien nutre per Ben è di una commovenza al limite del possibile.

"Auguri fratello mio." Gli sorrido da lontano, lasciando ai nostri parenti lo spazio necessario per congratularsi ancora per quella piccola meraviglia che hanno cresciuto su con tanto amore e sacrificio, riscoprendoci ancora una volta uniti, anche se non convenzionali.

"Torta!" Strepita Lukas e il momento della commozione lascia spazio a una sonora risata.


*


La pastiglia ha sortito un buon effetto; le guancie sono ancora rosse, ma sospetto che non sia tutta colpa della febbre.

Ecco la tensione esplodere tutta insieme. "Ahh!" Mi lamento allo specchio, indecisa su quale collana indossare da circa dieci minuti.

"Vuoi una mano?" Deesire fa capolino dal corridoio, sorridente. "Richard è in salotto con Fabien."

Non mi ero nemmeno accorta che il campanello avesse suonato. "Come è stata la tua prima uscita con lui?"

"Con Fabien?" Ride, sorpresa, poi innamorata con gli occhi scintillanti che parlano da soli. "A diciotto anni l'ho incontrato ai giardini Luxemburg, la prima volta soli io e lui, e abbiamo litigato. Quando venti anni dopo ci siamo rivisti, abbiamo litigato ancora."

"Siete così innamorati mamma, qual'è il segreto?"

"Con alcune persone lo sai già com'è che andrà fra voi, ma al posto di fuggire via, bisogna imparare l'arte di trasformare le differenze in forza; ad amare il bello siamo capaci tutti, bisogna amare i mostri, i difetti, i litigi, per restare."

"Già."

E credo di sapere a cosa si riferisca; la burrasca ha sbattuto le finestre della loro storia, non poco tempo fa, eppure li ho visti tornare dalla tempesta più forti di prima, capaci di amarsi e perdonarsi, Deesire e Fabien certo nuovi, ma insieme.

"Metti questa." E mi passa il filo di perle appartenuto a nonna Clorine, sussurando un segreto. "Porta fortuna."

La stringo come una reliqua e la lascio ricadere poi sul mio collo ambrato. "Grazie, mamma."



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La bacio e scendiamo in soggiorno dove un elegante Richard, accanto al camino e Fabien con cui sta conversando amabilmente, attende in un portamento regale, sicuro di se; intercetta i miei occhi e quegli stessi occhi li vedo gentilmente scivolare sul mio vestito, per fortuna intonato al suo smocking nero, per poi tornare al mio viso che accoglie con un sorriso estasiato.

"Sei bellissima." Mi prende la mano e la bacia, scusandosi con l'altro uomo; lo zio scivola accanto a Deesire, senza dire una parola.

"Grazie." Rispondo, porgendogli il braccio.



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Lungo viale siamo avvolti in un'innaturale silenzio, mi avvicino piano alla sua guancia e vi deposito un casto bacio.

"E questo per cosa?" Chiede divertito.

"Per le rose." Sono sicura le abbia fatte confezionare di proposito del color rosa, ma la sua incertezza mi fa vacillare.

"Damascena è stato impossibile averle." Spezza i miei dubbi in un sussurro che mi fa vibrare il cuore. "A meno che non volassi in Marocco."

"Mio fratello e sua moglie Charlotte trascorreranno lì il loro viaggio di nozze. Chiederò loro delle nostre rose preferite, nel frattempo, grazie."

Sembra perso nella mia risposta, quasi una domanda a fior di labbra, ma sorvola continuando a camminare dritto davanti a noi.

Un'autista è alla fine della strada, ci aspetta come una sentinella accanto a una berlina nera; mi giro verso Richard perplessa.

"Tu non guidi?"

"No Najla, non guido."

Non so dire se sia nervoso, le sue perfette sopracciglia nere, sono rigide e ferme, come lo sguardo fisso sulla strada. Le sue labbra sono impenetrabili pietre dalla quale vorrei udire ancora il suono della sua flessuosa voce, ma resto scontenta e nervosa fino all'arrivo del Claridge, dove mi rivolge parola solo per aiutarmi a scendere dalla vettura.

Il cordolo rosso che delinea la fila è lungo quasi tutto il perimetro del marciapiede, Richard mi fa strada facendo attenzione a non camminare troppo svelto, ma sfilando quasi, come se tutta la creme di Parigi dovesse accorgersi della nostra presenza.

Da lontano, qualcosa di simile a dei flash vengono sparati nella notte. Sbuffo.

"Hai freddo?" Domanda, travisando del tutto i miei lamenti; la sua accorata attenzione mi fa desistere dal discutere sui fotografi.

"Un pò." Mento, lui si sfila il cappotto e me lo porge sulle spalle. "Ho avuto un pò di febbre questa mattina."

Si gira per incenerirmi. "Non saresti dovuta uscire di casa." Dice perentorio e con modi affabili e vivaci, saluta invece una coppia di signori distinti mentre ci accingiamo ad entrare nel palazzo.

L'atrio dell'hotel è gremito di persone in attesa di essere chiamate ai loro tavoli; c'è una musica leggera e luci soffuse in sottofondo, si sorseggiano analcolici e qualche stuzzichino è sui tavoli più appartati. Gli Champs Elisèes illuminati, fanno da cornice attraverso le vetrate.

Un cameriere volge nella nostra direzione, prendendo in consegna i nostri cappotti; a malincuore lascio quello di Richard, intriso del profumo della sua pelle, un'odore pungente, come il suo umore del momento. Mi sento inspiegabilmente triste, fuoriposto.

"Ma lei è la dottoressa Najla Chedjou?"

Una signora bruna, intercettandomi mi saluta con un gran sorriso; si accompagna a un distinto signore brizzolato, poche spanne più avanti e in attesa d'essere chiamati come noi. Ricambio il sorriso e annuisco, Richard mi stringe più forte al suo fianco.

"Najla, sono lieto di presentarti i Conti di Clermont, Jacque e Marie."

"Lieta di fare la vostra conoscenza."

La donna guarda Richard, con un sorriso malizioso. "Te ne starai tutta la sera a tenerla stretta al tuo fianco, caro Richard?" Poi mi sorride complice. "Possiamo finalmente constatare che è una delle più belle e intelligenti ragazze di buona famiglia come non se ne vedono a Parigi."

Quel finalmente mi lascia un pò spiazzata. Mi volto verso Richard, che tutto a un tratto sembra incupirsi ancora di più.

"Non la lascerò sola nemmeno un istante." Soffia perentorio, ma sembra sciogliersi quando mi vede annaspare dietro le loro frecciatine. "Marie e Jacque risiedono al Claridge come me e Marie sta cercando di maritarmi da quando sono in città, Najla, ha smesso solo quando le ho parlato di te, della tua ricerca e della tua famiglia, convenendo e sono assolutamente d'accordo con lei, che tu sia un fiore in questa città così frivola e vezzosa."

"Contessa, lei è assolutamente una donna con cui andare d'accordo." Rispondo, provocando un sorrisetto ilare in Jacque che mi mette in guardia su quanto sia vera la mia constatazione. "Richard e io abbiamo a cuore i problemi del prossimo, credo questo ci renda agli occhi delle persone, più speciali di quanto non siamo in realtà. La beneficenza è molto poco presa in considerazione dai nostri coetanei."

"Bene! Aggiungerei anche spiritosa e modesta." Fa eco la donna. "Odio chi si prende troppo sul serio e sopratutto odio quest'arroganza moderna che vedo operare, è così volgare! Sembra che tutti debbano arrivare a qualcosa a tutti i costi, dimenticandosi cos'è che cercano in realtà."

"Si chiama consumismo Marie e presto ne sentirai molto parlare." Ribatte il mio cavaliere.

"Oh cielo, spero di non arrivare a quei giorni Richard caro."

E sulla sua risata gaia, il paggio annuncia i nostri nomi.

"Richard Raymond Wright Hamilton e Najla Louise Bonnet Chedjou."

Sento gli occhi della folla su di noi, ma a lasciarmi stupefatta è la presentazione a mio nome, dove è stato usato anche il cognome di mia madre.

Richard sentendomi rallentare, mi accarezza il dorso della mano un pò troppo stretta attorno al suo braccio e mi conduce al tavolo dove sono stati scortati anche i conti di Clermont. Sospiro, sarà una serata divertente in compagnia di Marie.


La cena si rivela al di sopra di tutte le più rosee aspettative, il cibo da gourmet accompagna i nostri discorsi e la dolcezza dei vini annaffia le nostre risate; Richard si è fatto più loquace rispetto al nostro arrivo, conversa amabilmente con noi signore e sopratutto con Jacque, lasciando che la sua consorte mi strapazzi ben-bene sulle chiacchiere da alto salotto, di cui è una inesauribile fonte. Mentalmente annoto tutto i dettagli, pregustando il sapore della vittoria che conquisterò sui pettegolezzi diramati da madame Florence, al prossimo incontro di lettura.

Al momento della seconda portata, un'avvenente cameriera bruna, sembra sussultare vedendomi seduta accanto a Richard; cerco conforto negli occhi dell'uomo che sembra non essersi accorto di nulla, salvo poi alzare lui stesso gli occhi per ritornare subito a Jacque e al finire della loro conversazione.

La ragazza ne resta delusa, arriva al mio posto e mi porge il piatto sbagliato, sto per fargli notare l'errore, quando Richard si intromette fra noi.

"L'entrecote va alla contessa Clermont. Il dentice alla mia compagna." Parla flautato, tenendo ora gli occhi fissi sulla ragazza; quella si muove impacciata, sembra incassare il colpo, ma non si schioda dai suoi occhi. La scena risulta imbarazzante, la contessa sdrammatizza su una sua improvvisa voglia di dentice qual'ora fossi d'accordo, ma Richard prosegue testardo. "Lydie torna fra noi. Il tuo direttore ti sta guardando."

La ragazza solo allora fa volare gli occhi alla sala e come riscossa, consegna alle legittime proprietarie il piatto ordinato.

Quell'improvvisa confidenza mi turba, ma sembro farci caso solo io, ovviamente, estranea al personale dell'hotel; sorrido fra me e me dandomi della sciocca, quando l'occhiataccia che la ragazza mi rivolge prima di congedarsi, mi lascia nuovamente addosso un senso di fastidio.

Il dentice è squisito e sono felice di non averlo ceduto alla contessa, questo pensiero mi fa dimenticare l'accaduto, concentrandomi sulla serata nel pieno del suo essere; mano a mano che la cena volge al termine, alcuni invitati vengono chiamati per ritirare dei premi speciali.

Richard è fra questi, nominato quale miglior benefattore dell'anno lasciato alle spalle. Anche Jacque ottiene un premio ed entrambi si alzano, andando a tener discorso; un fotografo li intercetta e li blocca per qualche scatto, appena finito sembra attratto dal nostro tavolo e si avvicina. Riconosco quell'uomo nel fotografo personale di Raymond.

"Una foto, belle dames?" Domanda accalorato.

Bofonchio con il bicchiere di vino in mano a coprirmi le labbra in un smorfia contrariata, guardando nella direzione opposta alla sua.

Marie mi sfiora il braccio, richiamando la mia attenzione.

"Il flash ti da noia, cara?"

"Oh no è che sono abituata a condurre la mia vita in maniera defilata."

"Dovrai abituarti a un pò di clamore, quando sposerai Hamilton, cara ragazza."

Il vino sembra andarmi quasi di traverso; arrossisco, cacciando indietro il pensiero. "Io.. sono certa che Richard pensi ad altro, in questo momento."

Quella mi inchioda con uno sguardo alla "davvero?", provocando in me ulteriore imbarazzo, qual'ora fossi a corto.

"Tu cosa vuoi?" Domanda retorica, non attendendo risposta. "Perchè io ho imparato che gli uomini credono di sapere cosa vogliono, finchè non sanno di volere esattamente ciò che vuole la loro compagna." Mi strizza l'occhio, senza neanche accorgermene, mi scappa da ridere.

Il fotografo approfitta del momento e ci scatta due foto a tradimento; lo incenerisco con lo sguardo, ma sgattaiola prima che possa dire una parola.

"Eccoli che ritornano.." borbotta Marie, ristabilendo l'ordine.

Richard avanza verso di noi sorridente e felice come aspettavo di vederlo da quando ne avevamo parlato; la visione mi sciocca, lasciandomi totalmente senza fiato.

Prende posto di nuovo accanto a me, mostrandomi il suo premio e a me sembra di non aver visto nulla di tanto bello in vita mia.


"Balliamo." Sussurra, riportandomi sulla terra; non mi ero accorta del gruppo di musicisti e delle luci scese quasi a un baluginio.

Acconsento, posando con delicatezza la mia mano sul suo palmo aperto, lui mi tira verso se, portandomi al centro della sala.

"Allora Richard, cosa c'è?!" Domando a fil di voce; la sua guancia scivola dalla mia, finchè non siamo l'uno di fronte all'altra. "Sei scostante, distratto, quasi infastidito dalla mia presenza. E non capisco perchè sono stata presentata con il doppio cognome, usanza straniera e di pochi alti ranghi, alla quale io non appartengo, ovviamente e per fortuna, aggiungerei."

Non so dire le diverse emozioni che ho visto passare nelle sue pupille, ma non mi importa, ignoro che possa sentirsi offeso o amareggiato, voglio solo udire la sua voce, le risposte che possono mettere a posto tutto, a posto me, che mai come adesso mi sento così indifesa.

"E' tutta una questione di assonanza, Najla Louise. Una pratica noiosa che non sto quì a spiegarti."

La mia bocca si schiude. "Questo è tutto quello che hai da dire?"

"Dovrei rispondere a delle domande che sembrano assurdità?" Chiede di rimando, a bruciapelo. "Infastidito dalla tua presenza? Sono onorato che al mio fianco questa sera ci sia tu. Mi sembra di averlo dimostrato."

"E' quello che riesci a far sembrare, ti basta sorridere per conquistare una donna, ma io non sono.."

"..tutte le donne? E' questo che stai per dire?" Scuote il capo, divertito. "Avanti Najla Louise, so che non sono l'uomo più convenzionale del pianeta, ma anche tu non sei ovvia come vuoi far credere!" Mi fa fare una giravolta, poi mi riprende al petto, come se non ci fossimo mai parlati.

"Smettila.." sussurro, estasiata dal suo sorriso.

"Smettila tu." Risponde perentorio, facendomi volteggiare ancora.

"So cosa stai facendo!" Borbotto, il pezzo in sottofondo diventa deliziosamente divertente, Richard accenna un passo di valzer, spostandomi come fossi una piuma nel suo abbraccio. Sorrido, sciogliendo del tutto i nodi.

"Sto cercando di farti sorridere, Najla. Perchè sei bella, intelligente, spiritosa, brillante.."

"Ma non sono nobile, che peccato!" Lo punzecchio ma l'atmosfera giocosa cessa di esistere.

"Credi di essere tu il problema?" Chiede con occhi tristi, fermandosi di getto.

Annuisco frastornata. Fragile. Indifesa. "Chi altri sennò?"

La musica sfuma via, le luci piano piano si rialzano; Richard mi accarezza una guancia, il suo volto del tutto trasformato.

"Il problema sono io, non tu. Perchè avevi ragione; sono solo menta fredda."

Sento il suo calore abbandonarmi, le sue mani che incorniciavano il mio viso lontane e sento freddo, molto freddo vedendolo andare via.

Poi non so dire altro, so solo che muovendomi d'improvviso il pavimento è divenuto il soffitto e il soffitto buio.


*


"Najla Louise!" Sento qualcosa di freddo sulla guancia. "Najla Louise!" E sento il mio corpo comodo, su una superfice morbida.

Apro gli occhi. Non è un sogno, perchè lo sguardo tetro dei due uomini che mi vegliano dall'alto, mi conducono alla realtà.

"Che è successo?" Chiedo guardandomi attorno; sono su un letto, in una stanza. Una suite per la precisione, intravedo altre stanze oltre la parete.

"E' svenuta signorina." Mi risponde un uomo che identifico come un medico, dato la borsa con gli strumenti che ha appoggiato sul comodino. "Il signor Hamilton mi diceva che non siete stata troppo bene, avete avuto un calo di pressione e siete svenuta nella sala."

Un bel colpo di scena, penso e mi duole la testa. "Sì una leggera alterazione. La ringrazio dottore, sicuramente sarà stato il caldo dell'atmosfera.." bercio, guardando un immobile Richard fissarmi senza dire una parola.

"Sicuramente." Fa eco l'altro, sorridendo a sua volta. "So che anche voi siete medico."

"Potrebbe non essere un colpo di calore." Richard, ci onora della sua presenza, sovrastando il medico; sembra agitato, madido di sudore.

"La vedo piuttosto turbato, dottor Hamilton. Le prescrivo qualche calmante?"

Rido sotto ai baffi per il commento del dottore, Richard capisce l'ironia della situazione e si lascia andare in un sorriso patetico.

"Queste francesi, ti fanno perdere il lume della ragione, perdonatemi signore."

"Su questo non posso che darle ragione." L'uomo mi guarda ancora una volta. "Basterà qualche pastiglia e un pò di riposo, come saprà. E basta vizi per quache giorno, questo glielo dico da padre." Annuisco e lo congedo, Richard lo accompagna alla porta per poi tornare da me.

"Lo so, sono patetico." Mi precede, la sua voce sembra seriamente preoccupata. "Se vedo una persona stare male, entro nel panico."

"L'ho capito." Soffio dolcemente, tirandomi su con la schiena; lo invito ad avvicinarsi, lui lo fa senza staccarmi gli occhi di dosso. "Grazie per avermi assistito. Mi dispiace molto se a volte ti sembro insesibile, ma l'ironia mi aiuta a sorvolare i problemi. L'ironia e delle sedute costose da un terapista." Mi guarda attento cercando di capire se sono seria. "Sì Richard, siamo esseri fragili, ogni tanto è dura ammettere i propri limiti, ma questo ci rende umani." Gli stringo le mani, sono fredde e il suo viso è pallido.

"Mia madre si è ammalata all'improvviso; un giorno hai una famiglia perfetta, il giorno dopo sei all'inferno senza biglietto di ritorno." La potenza delle sue parole è come uno schiaffo in viso; improvvisamente china il capo sulle mie mani, la sua fronte è fredda come il resto del suo corpo. "Ho perso le mie sorelle nell'ultima guerra; sono morte durante il bombardamento della città, il giorno prima che ci smistassero, per metterci al sicuro presso i lord nelle campagne. Ricordo ancora il sapore della terra sotto le mie labbra, quando venni a saperlo da altri bambini durante un momento di gioco nel campo; scappai nella radure e svenni, mi trovarono solo a tarda sera. Anche allora ero felice, anche se i miei genitori erano chissà dove, credevo che avessero fatto tutto il possibile per proteggere me e le mie sorelle. Mi capisci, ora? Quando sono felice, accade sempre qualcosa che mi ricorda d'essere umano, fragile.. ed io non voglio sentirmi più così."

Cerco di trattenere le lacrime, mentre parla e anche adesso, ma è difficile. Gli accarezzo la testa che se ne sta accocolata sulle mie gambe e sospiro.

"Non si può smettere di soffrire, Richard. Dovresti chiedere alla vita di fermarsi. E questo è impossibile."

Alza piano il capo e sorride. "Come ci riesci?"

"Respiro." Rispondo di getto. "Vivo e amo la vita, le innumerevoli sorprese che ci sono dietro al dolore."

"Effettivamente dopo questa tragedia, promisi a me stesso che una volta divenuto grande, avrei reso la vita delle persone meno difficile. Non sapevo che la mia famiglia si occupava già di questo, prima ancora che divenisse un lavoro a tutti gli effetti. E' incredibile come il destino sia intrecciato alla vita di ognuno di noi."

Annuisco. "Quando ho perso mio padre ho desiderato la stessa cosa, sai?"

"Per questo ti batti per la cura del genoma k-ras?"

"Si." Dico, con gli occhi umidi. "Non so se fallirò Richard, ma ogni giorno merita una prova. Anche io ho paura, ma lo devo a tutti gli Aurelien Chedjou del mondo, alle loro famiglie che nessuno pensa al loro di dolore, perchè posso farlo, amo la medicina e dispongo dei mezzi per tentare, provare, cadere e poi rialzarmi. Ecco quello che si fa, quando si ha paura di cadere."

Richard Hamilton mi guarda con occhi nuovi, profondi e quel mare gelato e in tempesta, adesso sembra un lago calmo e rasserenante.

Restiamo a guardarci e chi lo sa come è che passa il tempo, senza dire una parola, ma dirsi molto con il silenzio.



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"I miei genitori saranno preoccupati." Bisbiglio, nella calma quiete della stanza. "Dovrei tornare a casa."

"Ho detto loro che resterai quì stanotte." Risponde senza alcuna inflessione.

"Sanno che sono stata male?" Chiedo cianotica.

"Ho dovuto dirglielo, Najla. Ero molto preoccupato." Alzo gli occhi al cielo e chiedo il permesso di chiamarli, rassicurarli. "Si, ma ti prego, resta quì stanotte. Sei cagionevole e mi sembri nuovamente accaldata."

Ecco riaffiorare la sua angoscia più grande; non so se dovrei biecamente approfittarmi di questa preoccupazione nei miei riguardi, ma sorrido sorniona, perchè so esattamente il motivo per cui la temperatura è schizzata alle stelle, di nuovo; quel sussurro, quella speranza nella sua richiesta, mi fanno tremare di gioia fino a stare male. Ma non conosco, infondo, altra risposta.

Sospiro, gemendo un sì straziante, prima di essere ricevuta dalla voce accalorata di mia madre, in quel di Montmartre.

Sarà una lunga conversazione, penso, e una notte ancor più lunga.


*


Il tepore del sole, scalda la mia schiena e mi restuisce al mondo.

Mi sveglio pensando di trovare Richard addormentato, sul divano infondo alla stanza, ma quando mi sposto, urto la mano contro un vassoio.

Un croissant, una spremuta e un biglietto sono lì ad attendermi.


"Ho una colazione di lavoro.

Mangia qualcosa e prendi la pastiglia.

Ho chiamato la tua famiglia e detto loro che ti avrei accompagnata a casa prima di pranzo.

Ben svegliata, Najla Louise."


La sua autorevolezza mi fa girare la testa, ma è vero che ho fame e divoro il croissant in un attimo.

Prima ancora che me ne rendessi conto, sento bussare, incredula di vederlo arrivare tanto presto; indosso la sua vestaglia e mi reco alla porta.

La cameriera Lydie è sull'uscio, in tenuta informale; fa un passo indietro, come se avesse visto un fantasma, ma infondo ai suoi occhi brilla una strana luce. Le lascio spazio per entrare, adesso sembra agguerrita.

"Per la seconda volta è sorpresa di vedermi." Puntiualizzo e chiudo la porta, attendendo una sua risposta.

Quella sventola la coda di capelli lunghi e si dirige con maestria per la stanza, sapendo esattamente come muoversi.

Dopo una veloce occhiata, torna su di me, schioccando parole come proiettili.

"Forse perchè l'unica presenza femminile che ho visto accanto a Richard, sono io." Soffia melensa e poi ride sciocca, passandomi accanto, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. "Tornerò quando se ne sarà andata." E non mi da il tempo per mettere in fila due parole, apre e chiude la porta con estrema lentezza, lasciandomi sola e piena di domande.

Il silenzio fa affiorare la rabbia che esplode dai miei occhi, in lacrime copiose e gemiti.

Devo essere stata proprio una stupida a credere alla fragilità di Richard Hamilton, alle sue parole dolci, alle confidenze della notte, che chissà, recita come un copione per fare delle donne, solo una conquista da raccontare alle sue colazioni di lavoro, magari.

Sono scioccata della mia autodistruttiva ingenuità, la bontà che metto nel camminare nella vita delle persone.. e sono disperata, perchè ho creduto di amare quest'uomo, distruggere le mura della mia fortezza dalla quale resto trincerata, ancora una volta, sola.

Senza pensarci due volte, indosso il mio bellissimo abito e il cappotto, senza dimenticare la collana di perle di nonna Clorine; la mamma aveva ragione, porta fortuna, ma solo a chi è benedetto dall'amore e in questa stanza ne vedo davvero poco.

Mi getto contro la porta e mi getto contro di lui, che arriva a sorpresa, acchiappandomi appena in tempo, per non farmi cadere.

"Dove vai così di corsa?" Domanda, il suo profumo è peggio di uno schiaffo. "Il mio autista ci sta aspettando nell'atrio."

"Voglio tornare a casa. Non mi sento bene." Rispondo fra i denti.

Richard spaventato chiude la porta malamente e a passo svelto, mi accompagna alla macchina, dove lo blocco prima che possa entrare.

"Non c'è bisogno che venga anche tu." Tengo la mano premuta sul suo petto, contrastando il suo avanzamento.

Mi guarda accigliandosi, quello sguardo triste mi da la nausea. "Insisto, non stai bene, lasciami passare."

Stringo forte il pugno libero e sbotto. "Io non posso innamorarmi di un uomo come te."

Richard scuote il capo, i suoi occhi si allargano terrorizzati. "Io.." Poi sembra sorridere, quasi felice, prima di realizzare l'amaro retrogusto delle parole che gli ho detto. "Non puoi innamorarti di un uomo.. come me?" Mi prende il viso fra le mani e so che se lo lascio proseguire, non avrò mai più il coraggio di andare via. Guardo in alto, alla finestra della sua stanza, mi lascio pervadere dalla sensazione di umiliazione che ho provato e mi divincolo, con il fuoco negli occhi.

"Lasciami in pace Hamilton, non cercarmi più." E mi infilo in auto, più veloce della luce.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 7.


Non so quante lacrime ho versato, maledicendomi ancora altre mille volte, prima di rimettermi in piedi e proseguire la mia vita senza il pensiero di Richard Hamilton a tormentarmi; un bel giorno sono semplicemente scesa dal letto e non ho sentito più nulla, un vuoto, al centro esatto del petto.Devo ammettere che questa delusione ha portato giovamento se non altro alla ricerca, in cui mi sono tuffata a capofitto, passando giorni interi in ospedale, o chiusa in camera mia, con l'assoluto divieto al mondo esterno di disturbarmi. Mi guardo allo specchio e vedo i segni di una sofferenza che non ha ragione di esistere, penso a quanto sarebbe stata dura se mi fossi abbandonata a lui, se avessi costruito ricordi, emozioni che sì, avrebbero lasciato un segno indelebile sulla pelle; sospiro, portando la matita alle labbra e ripetendo a voce alta i passaggi dell'esperimento concluso in mattinata. Qualcuno bussa alla porta mentre sto annotando due righe da riferire a Patrick l'indomani.

"Avanti." Soffio laconica.

Fabien e Deesire, defilata alle sue spalle, piombano in stanza neanche finito di parlare; mia madre stringe un pacchetto fra le mani, alzo gli occhi al cielo e lo prendo in consegna, gettandolo in un angolo della stanza. Riconosco la stupida carta da regali con cui Hamilton ha incartato gli altri sette pacchetti che nell'arco del mese dal nostro addio mi ha fatto recapitare, pacchetti che hanno fatto la fine del medesimo.

"Dovresti aprirli, quantomeno." Dice Deesire dolcemente. "Oppure per buona educazione, scrivergli di non mandarne altri."

"Se ti fa piacere fallo tu, mamma." Rispondo perentoria, dando loro le spalle. "Tanto lo so già che vai curiosare.."

Deesire schiocca la lingua. "L'ultimo sotto al tuo letto emanava un odore a dir poco nauseabondo, mi stupisco che non te ne sia accorta da sola!" Rilancia stizzita, chinandosi a raccoglierlo.

Fabien si avvicina, posandomi le mani sulle spalle; i suoi occhi scrutano i miei dallo specchio che abbiamo di fronte, sorride appena, so che è nervoso perchè gli batte la palpebra e me ne dispiaccio essendo la causa. "Ho davvero molto lavoro da sbrigare e inutili distrazioni non fanno che rallentarmi."

La mamma strappa la carta del regalo, quando vede che sono cioccolatini borbotta un "lo dicevo io di controllare!".

Fabien nel frattempo insiste con il suo sguardo inquisitorio. "Sicura che sia questo il motivo? Perchè sembravi tanto felice di questa distrazione."

Sorrido amara. "Sembravo, hai detto bene." Alzo le spalle, abbozzo un altro sorriso stavolta più convincente. "Sai che c'è zio, mi sono resa conto che non voglio sprecare le mie energie in altro, che non sia la mia ricerca. Richard Hamilton è un bravo ragazzo.." stringo forte i denti mentre lo dico ma non posso permettere di gettare delle ombre sull'uomo che ha fatto affari con mio fratello, perchè so che andrebbe a finire molto male, e d'altro canto il problema è solo mio, dato che mi sono fatta delle illusioni romantiche e fanciullesche, di qualcosa che è vissuto solo ed esclusivamente nella mia testa. Perciò ingoio tutto, addossandomi le colpe, sperando di non dover mai più parlare di lui. ".. ma non sono pronta a quel genere di relazione." Mi sento morire al solo pensiero di mentire, sopratutto a me stessa, quando in questo specchio avrei adorato vedere l'immagine di una Najla innamorata e mi sarebbe piaciuto molto, indossare quella veste. Ma chissà perchè, il destino a volte gioca strani scherzi.

La mamma abbassa gli occhi dispiaciuta, odio vedere le aspirazioni che ripone in me distrutte, ma questa è la mia vita e decido io come viverla.

"Spero rispetterete il mio pensiero come avete sempre fatto."

Mi volto, guardando entrambi che a loro volta ricambiano.

"Ma certo tesoro mio."

E come sempre mi da conferma di essere la straordinaria donna che è, perchè mi viene incontro e mi coccola in un abbraccio silenzioso che mi fa capire che qualsiasi cosa sarebbe successa da lì al futuro, loro sarebbero stati la mia ancora, per tutta la vita.

"La nonna è in salotto che ti aspetta." La mamma spezza l'abbraccio, alzando gli occhi al cielo. "Ci conviene scendere, sai come è fatta."

Sorrido animatamente; certo che conosco il carattere indomito della mia imprevedibile Clorine Fontaine.

Mio nonno Ahmed mi ha sempre detto che se per fisico e volto sono una Chedjou purosangue, nel carattere sono tale e quale a mia nonna e questo ha sempre riempito d'orgoglio il mio petto. Si racconta che fu grazie alla nonna, se mia madre e Aurelien hanno incrociato il loro cammino quando, ritrovatasi erede della fortuna dei Fontaine, decise di combinare con l'allora amministratore delle aziende Chedjou, bisnonno Jacque, un sodalizio aziendale nonchè quel matrimonio di interesse che si rilevò una scelta più che azzeccata. Una donna dalle idee chiare insomma, amante di sete, pizzi e organza, maestra di stile nella sua epoca, la belle epoque, nonchè fonte inesauribile di storielle canzonatorie e repertori degni di cabaret.

Sono molto felice al pensiero di rivederla, metto via gli appunti e sospiro.

Scendiamo le scale e la sentiamo borbottare con Benjamin circa le sue ultime imprese, mia nonna ha un'avversione strana verso il popolo anglosassone, nessuno ha mai avuto ben chiaro il perchè e la sua lingua lunga non risparmia il povero nipote che dalla poltrona cerca di destreggiarsi come può. "Nonna!" Strepito, andandole incontro con un abbraccio.

"Najla cara, non sono sorda come vi faccio credere.." replica, ricambiando l'abbraccio; poi mi fa fare un passo indietro, un giro su me stessa e cambia tono di voce. "Devi mangiare di più, bendetta ragazza! E via questi abiti informi!" Guarda la mamma, che alza ancora gli occhi al cielo, spazientita.

"Ha venticinque anni, sa badare a se stessa!"

"Certo che lo sa fare." Si rabbonisce ancora. "Ha il nostro sangue nelle vene." E le fa l'occhietto, domandando a che punto fosse il the e la mia ricerca.

"Procede senza intoppi, per fortuna."

"Ho letto che quell'arrogante di Raymond Hamilton ha deciso di alzare le offerte. Ma cosa pensano di fare questi inglesi? Comprarci tutti?"

"Perchè tu lo conosci, nonna?" Chiede Benjamin bruciandomi sul tempo.

"E chi non lo conosce a Parigi! Negli anni della gioventù, fu un vero conquistatore. A me non è mai stato troppo a genio, così arrogante e cinico.. spero tu sappia chi ti sei messo dentro casa, Benjamin caro!"

Ben le accarezza la mano. "Grazie per la tua premura nonna, ma ci tratti come fossimo ancora dei lattanti."

"Per me lo sarete sempre. Mi sembra ieri di aver visto mia figlia mettervi al mondo. Se nonno Ahmed fosse ancora con noi, direbbe che sono una sciocca romanticona, per poi asciugarsi le lacrime di nascosto!" Ride con gli occhi lucidi, ancora troppo fresca la ferita per la perdita del nonno, come in tutti noi del resto. "Tu invece.." prosegue voltandosi verso di me e piantandomi addosso uno sguardo tagliente. "Ah quanto leggo dai giornali, non sei rimasta molto impassibile al fascino degli Hamilton."

Il thè mi brucia la gola, tossisco e prego che mi lasci stare. Ben le tocca la mano fugacemente, invitandola ad assaggiare un altro dei suoi fantastici biscotti di pasta frolla. Sembra distrarsi, ma ovvio sottolineare che non ha fatto altro che mandarmi occhiatine velate fino alla fine del the.

Il motivo della sua visita si conclude con noi due su un taxi in direzione Boulevard Saint Germin, per visionare la casa dove ha vissuto con il nonno e la mamma quando era ragazza, prima che il mio trasloco abbia inzio; la tensione va a poco a poco scemando, sento dentro di me la grande avventura che sto per intraprendere mettere radici nel mio animo e questo mi fa sentire felice, piena di vita.


"E' bello proprio come la ricordavo.."

L'appartamento è in vecchio palazzo in stile con gli anni venti, con una grande scalinata in noce nell'atrio che da ai piani alti e le stanze di raccoglimento stipate ai lati; le mura, incassate in pannelli bianchi sono ancora perfette e candide, così come le modanature in gesso del sofitto decorate d'oro zecchino. La casa ha un'arredamento molto vintage per i miei gusti, divani stile impero e mobilio squadrato, ma quei mobili raccontano tutta la storia della famiglia che mi ha generata che per amore credo proprio li farò sistemare e terrò con me. Il pensiero mi entusiasma, ricordandomi di chiedere a Patrick il nome di quel suo amico restauratore e incominciare a comprare qualche rivista che tratti l'argomento, salgo le scale e mi intrufolo in una stanza precisa.

La nonna è già lì, nella camera da ragazza di mamma Deesire, si ferma a guardarmi contemplare un disegno di lei ritratta da giovane e sorride.

Non chiedo chi sia l'artista, quel tratto preciso e il mio sorriso la dice lunga.

"Quando li ho visti insieme, mi sono resa conto di averlo sempre saputo." Sussurra Clorine, quasi distratta da un pensiero nei suoi occhi velati. "Per certe persone, la vita ha in riserbo un'infinita fantasia non c'è che dire!" Si lascia andare in un risolino, accomodandosi sul letto della mamma.

"Anche lei mi ha detto la stessa cosa." Le siedo accanto, si lascia andare in un sospiro. "Le ho chiesto il segreto e mi ha risposto che bisogna amare una persona per ciò che è, sopratutto quando è difficile. Nonna, credo che bisogna essere anche molto fortunati ad incontrare un amore così struggente e vero. Ma questo non glielo ho detto, anche se so che crede nel destino."

La nonna mi prende una mano, la stringe forte. "E quello si sa, ha più fantasia di tutti noi, ragazza mia!" Abbozzo un sorriso, mi guarda. "Che ne è stato del tuo bel cavaliere?" Chiede con amore, abbandonando qualsiasi ostilità possa provare nei confronti degli Hamilton, che le rispondo con assoluta sincerità.

"Non era il cavaliere che immaginavo."

"Un dongiovanni in calzamaglia, scommetto."

Rido e annuisco insieme. "Nonna, ne so poco e niente di questi uomini.."

"Il segreto tesoro mio sta nel non fantasticare, ma vivere il presente e tenere gli occhi aperti."

"I miei guarderebbero altrove, adesso."

"Allora Richard Hamilton non è quello giusto per te." Ci guardiamo e lei mi fa un bel sorriso. "I tuoi occhi devono sorridere alla vita, non essere tristi e sfuggenti. La tua giovane età sorride alla tua bellezza Najla, cerca il grande amore che di storie ne è pieno il mondo."

Guardo quella donna e le sue rughe e mi sento piena d'orgoglio a chiamarla nonna.

Richard Hamilton è già lontano, chissà come le parole di Clorine sono un balsamo per il mio cuore.

"Come mai credo tu non ci abbia raccontato tutto su Raymond Hamilton?"

Sembra arrossire, mentre tormenta un bracciale con le dita. "Ti ho detto tutto quello che c'è da sapere, tranne che è riuscito ad imbambolare anche me con i suoi modi ruffiani e quello charm da faccia da bronzo che si ritrova!" Schiudo la bocca, puntandole addosso lo sguardo di chi è impaziente di ascoltare il resto. "Bambina mia la curiosità uccide il gatto, lo sai.."

"Non puoi confessarmi che un Hamilton ti ha fatto girare la testa e omettere i particolari!" Protesto imbronciando le labbra.

Si guarda attorno come per verificare d'essere realmente sole e torna su di me. "Molti anni fa, prima del fidanzamento di Deesire con Aurelien Chedjou, Raymond Hamilton trattava lo stesso affare delle aziende con Jacque Chedjou, poi beh, sono arrivata io e gli ho letteralmente rotto le uova nel paniere.. ma questo mi è costato un certo sforzo, Raymond mi intercettò e fece davvero tutto il possibile per.. avermi dalla sua parte, diciamo."

"Frena!" Le dico, la testa improvvisamente vorticante e una poca sorpresa nel sentire quella storia che aveva come protagonista un Hamilton. "Tu hai incastrato Jacque Chedjou soffiando l'affare a Raymond che nel frattempo ha cercato di circuirti.. per cosa, denaro?"

"Proprio così." Ammette senza riserve. "Era un uomo determinato e scaltro, ma tua nonna è stata più furba di lui." Mi batte due colpetti leggeri sul dorso della mano e il terrore per quello che sarebbe potuto accadere se in qualche modo mia madre e mio padre non si fossero piaciuti, la dice lunga su quanto sia estranea ai giochi di potere, anche se proprio da uno di questi sono venuta al mondo.

Delle voci da basso ci fanno sobbalzare. "Mamma! Najla! Siete su?"

La mamma ci sta chiamando a gran voce; ci guardiamo perplesse prima di darci una sistemata e uscire dalla stanza.

"Che ci fai tu quì?" Le dico, tremolando sulle gambe.

Lei si scambia un'occhiata fugace con la nonna, che tutta a un tratto s'è fatta taciturna. "Fabien ha insistito che vi raggiungessimo per controllare il locale caldaie e le tubature, qualora richiedessero un intervento." Ci squadra accusatoria. "State bene voi due?"

"Tutto bene." Rispondo frettolosa. "La nonna mi ha mostrato le stanze e ci siamo fatte prendere dai ricordi. Dov'è lo zio? Non vorrei che ce lo perdessimo in qualche meandro oscuro!" Le do il braccio per allontanarci da quella situazione che mi ha lasciato sulla pelle una strana sensazione di angoscia mista a terrore, quando la nonna rinsavisce.

"Le raccontavo di quando tu e il pittore siete apparsi al mio cospetto ventanni dopo il vostro primo incontro. Quello si è che è stato un colpo!" Borbotta punzecchiando la figlia che alza gli occhi al cielo; quel soprannome che ha affibbiato a Fabien restiste negli anni.

"Mamma, Fabien non dipinge quasi più.."

"E' un vero peccato." Le dico, intromettendomi. "Ho visto il tuo ritratto nella stanza, davvero realistico."

"Ah, quello." Arrossisce. "Devo ricordarmi di prenderlo, adesso devi metterci i tuoi ricordi in questa casa, bambina mia."

Attraversiamo il grande salone e ci dirigiamo in cucina, davanti alla porticina che da nel sottoscala, le lascio punzecchiarsi per raggiungere lo zio; non fatico a trovarlo, la luce della torcia illumina la sua figura davanti a un grande quadro elettrico. Lo sento borbottare e mi avvicino.

"Zio.." sussurro, quello si volta quasi di soprasssalto, ha il viso sporco e un espressione contorta.

"Solo un mese fa era tutto a posto, guarda.." mi indica dei tubi gocciolanti e il riflesso nella sala inanimata un pò mi da i brividi.

"Avevo intenzione di chiamare un professionista, ma sono contenta di non essere scesa quì giù da sola."

Si mette a ridere e mi fa strada verso le scale. "Stanno discutendo?" Dice rivolto alle voci sopra le nostre teste, prima di salire.

"Si punzecchiano sul loro argomento preferito." Rido. "Tu."

"La tua adorabile nonna è un osso duro."

"Sai zio, penso dovresti ricominciare a dipingere."

"Ti ci metti anche tu, adesso?"

"No, sono seria. Un pittore che insegna storia dell'arte ma che non dipinge è quasi grottesco."

"Effettivamente.." Si tocca il mento con fare dubbioso poi mi sorride. "Che ne dici di un piccolo regalo come buonaugurio per la casa?"

"Dici sul serio?" Chiedo euforica.

"Serissimo." Poi mi cinge le spalle con un braccio e sorride. "Dobbiamo chiamare un professionista, questa cantina è un teatro degli orrori."


*

Stringe forte il biglietto asettico e privo di sentimenti spedito da Najla Chedjou.

Una morsa allo stomaco lo fa balzare dalla poltrona come se avesse preso la scossa, getta il cartocino per aria e si rimette seduto pieno di collera.



"Richard, ricordandoti che non hai nessun obbligo per queste prelibatezze,

ti ringrazio e

ti faccio i miei migliori auguri per il futuro."




"La tua compagna non le manda a dire.." Lydie lo raccoglie, tornando dal bagno, ride e riempie la stanza con la sua voce flessuosa.

Richard percorre con occhi avidi i centimetri di coscia lasciati scoperti dalla corta vestaglia di seta nera e la invita ad avvicinarsi; quando le è difronte, la tira verso la sua bocca e stampa baci roventi al suo grembo. "Non mi importa nulla di lei.." Esplode con voce graffiante e sensuale.

Si alza, la prende in braccio e la fa caracollare sul letto disfatto, dove le si poggia delicatamente su.

"Mi chiedevo cosa c'entrasse quella poverina con te.." sussurra lei al suo orecchio, mordendolo. "Poi ho letto il suo cognome.. Richard.. sei davvero un uomo crudele!" Ride come un'oca giuliva e ribalta le posizioni trovandosi distesa sul suo corpo marmoreo; l'uomo le passa le mani alla base della schiena, sfiorandola con ardore, ridendo anche egli, ma con un fondo amaro. "Quelle come lei si aspettano pietre dure, al posto dei cioccolatini.. è il prezzo che danno alla loro castità e tu sei un cavallo di razza Richard, ma a briglie sciolte, selvaggio."

"E tu?" Soffia laconico contro la sua bocca carnosa. "Tu cosa vuoi essere?"

"Quella che corre assieme a te."

Richard la fa scivolare dal suo corpo, si alza e la incenerisce. "Io corro da solo."

Lo vede scendere dal letto, prendere ancora una volta il biglietto, rileggerlo e strapparlo in mille pezzi che finiscono nel cestino della spazzatura.

"Sarà.." ammette lei, alzandosi per rivestirsi. "Ma devi essere un pò più convincente quando lo dici." Lo fissa sorniona prendersela con quel pezzo di carta e tutto a un tratto si sente stupido. "A più tardi." E lo lascia solo con i suoi demoni.


Benjamin Chedjou ha lasciato le scartoffie sul tavolo e lo sta guardando da un pò, con una faccia enigmatica; è instancabile, un vero professionista, proprio l'affare che sperava di acchiappare da tempo, non fosse per quel cognome scomodo, suo nonno.. e Najla. Pensava ininterrotamente alla sera della cerimonia, cosa aveva fatto nascere in quella donna il tormento e la voglia di non rivederlo più e questo sentimento di impotenza, bruciava il suo orgoglio in una fiamma divampante che doleva nello stomaco. Si raccontava a se stesso di non cercarla più, basta cioccolatini, basta pensare alle rose.. basta pensarla, punto. Poteva e doveva riavvolgere il nastro e portarlo all'inizio di questa storia, che altro non era che una farsa per arrivare alle aziende Chedjou, sigillarle con il suo nome e fare a pezzi quella famiglia senza pietà; una volta completato l'assestamento avrebbe escogitato un piano per far crollare Benjamin Chedjou e inesorabilmente, chiunque era ancorato alla sua sicurezza. Doveva solo crederci e aspettare, pazientemente.

"Anne, portaci due caffè e qualche biscotto, grazie." Benjamin attacca il telefono e torna a guardarlo. "Facciamo una pausa." Dice sorridendo. "Sei distratto Richard, quando ho bisogno della più totale attenzione." Non risponde dapprima, contempla il silenzio e quell'uomo rivelatosi per nulla un damerino francese, ma un uomo risolutivo e pragmatico, un capo pur non trovandosi nella posizione di suo sottoposto.

La segretaria entra ancheggiando nella stanza, gli porge la tazzina induggiando sulle sue labbra, poi passa al superiore sorridendo.

Benjamin li guarda, aspetta che la donna sia uscita e si sbottona la giacca. "Da quanto tempo non ti prendi una serata per te?"

Richard strabuzza gli occhi, poi il ricordo lo fa piombare nel rancore. "Da un pò." Da quando Najla mi ha piantato in asso, dicono i suoi occhi mesti.

Il ragazzo annuisce. "Io e la mia futura sposa andremo al Cafè Rouge questa sera. E' venerdì, prenditi la serata libera, esci a festeggiare con noi."

"Non vorrei essere di troppo, magari è un festeggiamento privato."

"In realtà ti riguarda." Abbozza Benjamin, sorseggiando il caffè. "I lavori di ristrutturazione sono stati approvati, cominceremo questo lunedì."

"Di già?!" Esclama contento.

"Mi è bastato ungere qualche cardine arrugginito, il resto lo hanno fatto i tuoi progetti."

Resta in stato in choc per quello che ha udito almeno una manciata di secondi, prima di biascicare un sì a fior di labbra.

"Sono contento! Vedrai che t'allieterà stringere conoscenza con il mio staff; Anne è laureata in letteratura e lingue straniere, una brava ragazza che aspetta l'amore, come tutte le giovani della sua età. Lea invece ha un carattere indomito, sanguigno, laureata in scienze giuridiche con il massimo dei voti. Passare una serata lontano dai doveri e dispiaceri che leggo nei tuoi occhi, sicuramente gioverà al tuo animo."

Richard lo guarda intensamente, quasi cercando di carpire il senso di quelle parole; Najla non doveva aver emesso un fiato, su quanto accaduto la sera della cerimonia, lasciando all'oscuro non solo lui ma anche la sua famiglia. Questo lo rendeva nervoso, anzichè tranquillizzarlo, a tratti furente se soffermava il pensiero di quanto lo considerasse poco importante, Najla Chedjou. Stringe forte i pugni sotto al tavolo sforzandosi di sorridere.

"Ti sono grato per questa premura, Benjamin. Da quando sono quì mi sento parte integrante del tuo progetto."

"E lo sei." Afferma l'altro. "Ma non esagerare." Ride in quel modo fanciullesco che lo conrraddistingue e prosegue. "Parigi ha in serbo molte sorprese per chi sa coglierle, Hamilton." Gli stringe l'occhio e chiama la segretaria per far portare via le stoviglie.

Richard si alza abbottonandosi la giacca. "Non mancherò."

"Anne, nell'accompagnare Richard all'ascensore, per cortesia, gli procuri anche l'indirizzo del Cafè Rouge."

Alla ragazza le si illumina il volto, piega il capo annuendo. "Prego dottore, da questa parte."

Benjamin li vede andare via insieme e sospira pensando a Najla, ai suoi occhi tristi e al disagio che ha letto nella sua voce, parlando di Richard; poteva sembrare indelicato da parte sua voler allontare Hamilton e gettarlo nelle braccia di qualcun'altra, ma la serenità di sua sorella veniva prima di tutto il resto ed anche se ella non aveva detto nulla di eclatante in merito, era convinto ci fosse dell'altro che forse ometteva per la delicata situazione in cui volgevano adesso i loro ruoli.


"Casa Moreau buonasera."

In preda ai sensi di colpa, aveva afferrato la cornetta.

"Mamma sono Ben, puoi passarmi Najla?"

"Najla non è in casa tesoro, è passato Geremia Dumas a prenderla, credo per un caffè." Il suo silenzio lo preoccupa. "E' successo qualcosa, tesoro?"

"Ho invitato Richard Hamilton ad unirsi a noi questa sera, credi sia indelicato?"

Pensa di aver udito una risatina in sottofondo, la voce argentina di sua madre ne da conferma. "No, non credo Benjamin. Mi sembra un bel gesto da parte tua."

"E se aggiungessi che l'ho anche spinto a corteggiare una delle mie segretarie?"

Deesire schiocca la lingua. "Con quel tenore di vita.. hai fatto loro un grosso favore!" Poi la sente prendere un bel respiro. "Cosa vuoi che ti dica, tua sorella non sa mentire, ma se ritiene giusto tenerlo lontano da se, è altrettanto giusto che rispettiamo il suo volere."

"E' così forte.." Replica.

"Già. Troppo forte. A volte ho paura che non.."

"..mamma, non puoi prevedere il futuro, lo ricordi? Najla troverà l'amore quando smetterà di cercarlo altrove, tranne che in uomo."

La sente sorridere questa volta e se la immagina bella, con le fossette sulle guance a renderla un'eterna ragazza.

"Sì, sicuramente è come dici tu. Tesoro devo lasciarti, Fabien sta mettendo a soqquadro la casa!"

Il pensiero lo diverte e lo preoccupa, mentre Lea dal vetro gli fa dei gestacci, sua madre ha buttato giù la cornetta.


*

Diversi rifiuti si sono susseguiti in questo mese, Patrick è stata la sola presenza maschile che sono riuscita tollerare in questo periodo di tempo, ma guardando Geremia ridere alle battute di un comico di strada, mi rendo conto di quanto avessi voglia di vederlo.

Si è fatto crescere degli insoliti baffi alla Dalì, molto sottili e pettinati all'insù, casualmente sciatti ma per nulla dati al caso; è ben vestito, profuma di acqua di colonia costosa e il suo viso sembra come rifiorito. Mi sorge un dubbio.

"Questa gioia nei tuoi occhi è dovuta a qualche buona nuova che non so?" Gli chiedo quando mi torna vicino.

"E' solo molto piacere di rivederti, mia dolce Najla." Soffia laconico contro le mie labbra penetrandomi, come sempre, con uno sguardo di occhi neri di brace. Taccio, beandomi della vista. "E ho da poco firmato un contratto con la compagnia di un tale Kateb Yacine, un giornalista romanziere molto promettente. Sarò uno degli amanti di una donna molto contesa in uno dei suoi romanzi più riusciti, Nedjma."

"Stella." Gli faccio eco, lui apre i suoi begli occhi entusiasti. "L'Arabo maghrebino era la lingua favorita di mio nonno, così poco avvezzo al francese." Sorvolo il dettaglio e l'abbraccio. "Sono davvero orgogliosa di te, Dumas!"

"Spero sarai fra il pubblico, quando debutteremo." Mi dice, scostandosi per guardarmi negli occhi. "Non so dove ho trovato il coraggio di presentarmi a quell'audizione, figuriamoci se immaginassi di essere preso!"

"Hai talento te lo dicevo, la tua reputazione, ammesso che tu ne abbia davvero una, non può nulla su questo." Affermo e lo invito a darmi il suo braccio per proseguire la nostra passeggiata nel tranquillo Marais, che inizia a colorarsi delle luci serali variopinte dei locali; mio padre amava questo quartiere, ogni volta che percorro le sue stradine acciottolate, lo vedo nel suo cappotto lungo di lana comprarci le fallafel che la mamma adorava a l'As du fallafel, sulla romantica Rue de Rosiers. Tutto è rimasto immutato da allora, ma non me ne rattristo; ogni angolo di questa città è come un capitolo di un libro che mi parla di lui. "Che ne dici di uno spuntino?!"

"Sérieusement trèsor?" Scuote il capo con un indecifrabile smorfia del viso. "Il mio portafortuna merita una cena speciale, se ha il piacere di condividerla con un povero attore.."

"..barman..cameriere.." gli faccio eco, stando al gioco, sorridendo.

"Oh sì, ho molte doti nascoste.." borbotta allegro, prendendomi la mano e sfiorandone appena il dorso con le labbra. "Insomma Najla, un appuntamento in stile parigino, io e te, la città e del buon cibo. Mi faresti l'onore di accettare?"

Perdo tempo a dargli la mia risposta, ma sono sicura che i miei occhi tradiscano il mio entusiasmo, tanto che mi abbraccia sollevandomi da terra e il mio "Si" diventa un suono che si porta via il vento.


Il bistrot in cui ci addentriamo sorge nel Marais alto, per definizione più economico di quelli che affacciano sulla Senna, covo di cucine multietniche a cui neanche i più abbienti, sanno resistere; questo piccolo angolo scopre una città molto più autentica di quello che vuole sembrare, con le strade intreccio di profumi d'oriente e occidente, canzoni popolane in sottofondo dai vicoli scuri e i fili di vestiti stesi alle finestre.

Geremia mi trascina con se, nel suo vortice d'allegria e spensieratezza, sbottonandosi a tratti sul suo passato così misterioso e scopro così che non siamo affatto coetanei come immaginavo e che è cresciuto nel sobborgo di Neuilly dal quale è andato via quindicenne per fare lo scaricatore di ostriche al molo Montebello sulla Senna, dormendo sotto ai ponti maestosi del fiume immaginando di cambiare la sua vita, fino a quando non è cambiata davvero. Accenna qualche parola sulla nobildonna di cui mi aveva parlato Louisanne, sui suoi gusti eccentrici, fino a quando non inceppa qualche vocale disquisendo del di lei marito e vedendolo in difficoltà, ci verso da bere e cambio discorso.

Parlami di Florance, sarà impazzita alla notizia del tuo ingaggio?!”

Sorride appena, gli occhi scuri spavaldi ora quasi semichiusi fra le ciglia lunghe. “Najla..” borbotta.

Oh quanto la fai lunga, Geremia!” Gli dico stizzita, ma con il sorriso sulle labbra. “So già della tua tresca amorosa altolocata e mi aspetto che tu non te la prenda con la poveretta se me lo ha detto; Louisanne è giovane e acerba, ma nutre una profonda ammirazione per te, quasi ti venera! Detto questo..” mi dilungo, prendendo un generoso sorso di vino, “..non mi interessa il tuo passato, mai ho creduto ad una sola parola se non a quelle delle tue labbra.”

Mi sento un po' accaldata mentre finisco di parlare, lui mi fissa la bocca, attendo in silenzio che dica altro.

In realtà è stata più di una tresca.” Abbozza, imitandomi nel gesto di portarsi la coppa alle labbra, “Ma sono stato molto scortese con lei, per non dire un vero mascalzone! Ero giovane e squattrinato e lei così inaccessibile, aveva messo gli occhi proprio su di me; praticamente un'agenda vivente di contatti prestigiosi e ingaggi facili, sembrava il paradiso. O qualcosa di molto vicino.”

"E dovresti vergognartene?" Dico per nulla colpita da questa confessione. "Essere scaltri, dice mia nonna, vale come saper camminare."

Sorride, stringendomi la mano. "Ma i gioielli.." prosegue sulla scia della confessione, "quella sì che fu una grande farsa. Sarò anche un mascalzone, ma nella vita non mi fregerò mai dell'appellativo di ladro.“ I suoi occhi vengono attraversati da una strana luce, quando il momento si fa carico. Resto ammutolita, lasciando che si confessi perché sento che ne ha bisogno. “Sai chérie, sono sempre stato un uomo molto curioso.” Ammette con franchezza, fissandomi enigmatico. “Ho amato indistintamente donne e uomini, ma lui proprio non lo sopportavo. Forse non è neanche questo il motivo, c'era Laurine che otre al paradiso era una donna nel vero senso della parola e faceva sentire me un uomo. Capisci?” Annuisco, sospetto che Laurine sia l'unica donna mai amata da Geremia, ma ometto ogni mia considerazione, stringendogli forte la mano. Poi quando le parole prendono forma nel mio cervello, schiudo le labbra sorpresa. “Sì, suo marito mosse delle avance, da me non corrisposte, in un paio di occasioni neanche troppo informali. Lo pregai di smetterla, ma era come ossessionato; mi mise alle calcagna uno galoppino che in pochi giorni svelò il motivo del mio rifiuto e quando scoprì che c'era Laurine dietro tutto questo, andò di matto. Ribaltò, armato di fucile, tutto il terzo arrondissement per farmi pagare il rifiuto e l'offesa, ma grazie alla furbizia di Laurine, che per deviare l'attenzione orchestrò di sana pianta la sparizione di alcuni gioielli additando la colpa alla domestica che indirizzò il galoppino nell'appartamento che teneva affittato per noi, la mia vita fu salva. Nei giorni di totale subbuglio ne approfittò per mettermi sotto protezione presso alcuni influenti signori di Parigi, finché non l'ho più vista. Di lei so solo che ha continuato a fingere un'infermità mentale affinché quel diavolo che si trova per marito si levasse dalla testa l'ossessione di vedermi morto, finché tutto si è sgonfiato come una nuvola di sapone e le nostre vite sono tornate quelle di sempre. Più o meno.”

Adesso mi sono chiare molte più cose.” Mi lascio andare, quando il silenzio ci avvolge. “La tua vita ha le tinte di un romanzo, Dumas.”

Il degno erede del mio defunto avo.” Abbozza laconico un sorriso, decido di ordinare un dessert per due, visto la mole di vino che abbiamo ingollato fino a quel momento. “Spero di non averti deluso.” Lancia di getto.

Deluso?” Scuoto il capo. “Non sei il primo uomo a Parigi che conosco che non disdegna la compagnia maschile.”

Mi stringe la mano, richiama la mia attenzione e lo guardo con circospezione. “Io.. voglio dire, non vorrei tu pensassi che ti ho avvicinato con altro fine se non quello della riconoscenza che devo a tuo padre per la vita del mio."

Mi sembra passato un secolo da quella conversazione, da quella notte di sfarzi, da quella notte in cui questo essere poliedrico si è imbattuto nella mia vita con i suoi guanti bianchi e la lingua lunga e.. diamine, in quella notte c'erano anche gli occhi gelidi di Richard, la sua voce roca, la mia rabbia di ora, per averlo fatto entrare nella mia vita. "Che c'è?" Mi desta dai miei pensieri, guardandomi con un velo di preoccupazione. "Il tuo Mont Blanc non è buono?"

"E' delizioso." Dico frettolosamente, troppo. Mi guarda di sbieco. "Ho solo qualche pensiero per la testa."

"Di che natura?" Mi chiede perplesso, riempiendo il mio calice vuoto.

"Credi io sia ingenua?" Gli chiedo soavemente.

"Credo tu sia un'anima buona. Chi è lo stolto che ha osato ferirti a codesta maniera?"

Il suo broncio mi fa sorridere, i pensieri torbidi finiscono in un angolo. "Nessuno per cui vale la pena guastare questa cena. Allora, ancora non mi hai dato risposta su Florance. Che intenzioni hai con il club, le cederai le redini?"

"Giammai! Sarà il mio allenamento per la piece, volevo parlartene, gli altri hanno quasi tutti accettato. Poi torneremo a Dumas, ovviamente."

"Se può aiutarti amico mio, molto volentieri."

"E' un sollievo!" Si porta una mano al petto, ridendo. "Credevo che Florance avrebbe fatto tremare tutti i vetri del boulevard.. e invece mi ha sorpreso; è divertente trovare il coraggio in un animo conservatore." Sorride e fa uno sguardo malizioso. "D'altronde, proprio come te da stanotte, conosce segreti sul mio conto capaci di far arrossire le damine del Pigalle, eppure.. si preoccupa ancora se metto la sciarpa prima di uscire!"

"Beh è così che ci si comporta quando si vuole bene a qualcuno. Con protezione, fiducia e amore."

Sa che sto parlando anche di noi. Sa che credo nella sua amicizia e che non ho mai messo in ombra la sua persona; quello che mi rivolge è un sorriso di riconoscenza, che non ha bisogno di parole affettate, giudizi, perchè quando i sentimenti sono sinceri, parlano da soli.

Per questo so nel mio piccolo, che seppur la mia vita sentimentale è un totale schifo, io non sono sola ma circondata dall'affetto sincero della mia famiglia e dei miei amici. Dopo tanto tempo, mi sento serena e lascio che questa sensazione mi investi prima della curiosità avida di Geremia.

"Ah proprosito di amici che non disdegnano la compagnia maschile. Il tuo amico Patrick Thompson è libero?"


*

Richard guarda gli alberi sfilare su Voie Georges Pompidou, le luci della città riflesse sulla Senna, il buio oltre il profilo dei tetti.

Sente una strana euforia e anche un senso piacevole di accettazione, mentre l'auto scorre veloce fino alla sua destinazione; stringe fra le mani dei fiori, cadeaux per le dame, e indossa uno dei suoi completi preferiti, i gemelli ed un sorriso su denti bianchi di porcellana.

Solo i suoi occhi tradiscono il suo vero umore; vede riflesso nello specchietto retrovisore la fiamma del risentimento e la tristezza dell'abbandono ma spazza via quell'imagine che poco conosce di se, qualcosa di cui avere paura e tenere lontano il più possibile. Veste il suo volto della fierezza che sa indossare come un guanto, il corpo del portamento di chi è regale e il fascino che lo hanno sempre contraddistinto.

"Si goda la sua serata parigina dottore, l'aria stasera è frizzante di sorprese."

L'autista si toglie il cappello e si porta il sigaro alle labbra, Richard gli sorride e comincia a sbottonarsi il cappotto in direzione del locale.

Una folata di aria calda e dolci prelibati lo investono; da lontano scorge qualche tavolo semivuoto, guarda l'orologio è in perfetto orario.

"Richard Hamilton per Benjamin Chedjou."

Il cameriere lo accompagna in una sala rialzata rispetto all'entrata e più intima. "Il dottor Chedjou non ama troppo conversare con la musica del piano bar in sottofondo." Gli sorride, finchè il ciuffo di capelli biondi familiare non gli viene incontro.

"Richard!" Benjamin lo abbraccia, quella confidenza lo fa vacillare sulle gambe muscolose; ricambia con un pò di imbarazzo non proprio abituato a un trasporto di quel tipo, così poco controllato, farfuglia un grazie al cameriere e lascia al ragazzo il compito di presentarlo agli altri.

Anne e Lea, contrariamente ad ogni dubbio, si dimostrano da subito interessate alla sua presenza e ai cadeaux, gli stringono gentilmente la mano, macchinando uno strano gioco di sedute per cui lui si trova alla fine nel loro mezzo, per nulla contrariato.

Difronte a loro, siedono Benjamin e una ragazza bruna dai lineamenti delicati.

"Tesoro dimentichi che Richard è anglosassone." Aveva detto, nel vederlo arrossire dall'eccessivo trasporto. "Perdoni il mio fidanzato, signor Hamilton, ha l'euforia dei francesi, quando è felice. E per questo, sembra dobbiamo ringraziare lei." Agita i capelli e allunga la mano. "Sono Charlotte Garnier."

"Charlotte.." ricambia la stretta, passandole poi il fiore, "il mio contributo è forte quanto la volontà di suo marito. Ah proposito, i migliori auguri per il lieto evento." Innalzò il flute di champagne che andò a collidere con tutti gli altri.

Il Cafè Rouge proponeva una ricca serie di antipasti e qualche cocktail ricercato, prendendo le ordinazioni la serata entrò nel vivo.

Trovò subito un'ottima conversazione con Anne, senza disdegnare accalorate discussioni sulla politica del momento con Lea; ogni tanto osservava Benjamin, la più totale e completa venerazione per la sua compagna, senza dimenticare di lanciargi occhiatine di approvazione. Era incapace di crederlo, ma allontanarsi un pò dal quartier generale che era divenuto il Claridge, dalla situazione claustrofobica e velenosa con Lidye, sembrava con il trascorrere delle ore, sempre più una buona idea.

"E mi dica signor Hamilton. Trova del tempo per condividere i suoi interessi?"

Lea lo artiglia con uno sguardo malizioso, i sorrisi delle altre signore al tavolo fanno tornare Richard alla realtà; la guarda intensamente, così tanto che la donna è costretta a distogliere l'attenzione.

"Il lavoro è il mio unico scopo al momento, ma non disdegno la buona compagnia, come vede."

Anne fino a quel momento retrocessa, si fa notare. "Sentito Lea, c'è tempo prima di mettersi il cuore in pace."

Charlotte ride e Lea riacquista colore. Benjamin sorride e prende parola. "Su questo non posso che dare adito. E' un vero stakanovista. E ora che ci penso, sono riuscito nel convircelo ad unirsi a noi, solo dopo aver fatto il vostro nome." Indica le due ragazze che arrossiscono e il tavolo in un secondo è in balia di sghignazzi, Richard offre un altro giro di champagne e qualche dolce per le signore.

Quando il tavolo è di nuovo al completo, ne approfitta per innalzare il brindisi più atteso della serata. "Benjamin, vuoi fare gli onori?"

"Con immenso piacere." Risponde, apprestandosi a stappare la bottiglia che fa un tonfo andando a far ricadere il tappo e colpire, proprio la spalla di Richard, che un pò brillo si lascia andare in una risata più accalorata del solito. "Signori sono lieto di festeggiare l'inizio dei lavori per i nuovi progetti, questo lunedì mattina."

"Lunedì?" Boccheggia Anne.

"Capo abbiamo sentito bene?" Gli fa eco Lea.

Benjamin annuisce. "I progetti di Richard sono brillanti, gli operai entusiasti e le rogne burocratiche sempre troppe. Ma con un pò di fortuna, anche questa nava è salpata. O meglio, sta per lasciare il porto. E voglio dirvi che anche il vostro ufficio apporterà delle modifiche."

"Oh Santissima Trinità del cielo, cosa sta cercando di fare capo, ucciderci?" Lea ha le guance in fiamme mentre cerca di raccapezzarci qualcosa.

"Sto solo dicendo che vi promuovo." Risponde lui flessuoso, divertito.

Anna spalanca la bocca. Si gira verso Richard e lo indica. "Lei ha un debito con me, signore." L'uomo annuisce, trattendo il sorriso.

"Aspetta signorina." Ben imbroncia le labbra. "Vuoi forse dire che non vi ho messo al pari di tutti per oneri e salario?"

"Assolutamente no, capo. Ma queste novità, tutte insieme.. il signor Hamilton si è guadagnato il mio rispetto."

Charlotte sorride. "Tesoro credo che Anne stia gentilmente dicendo che non sei l'uomo più affabile del pianeta." Ben la guarda perplesso, prima che possa parlare la donna da un bacio a quel broncio, che diventa subito un sorriso. "Una qualità che amo sopra ogni cosa. Perchè sai anche rinnovarti e dare ascolto prima di chiudere le porte."

"Credo di sentirmi raggirato.." ammette Ben sorriddendo, "dicevamo, siete promosse quali responsabili della segreteria operaia. Sono sicuro mi renderete orgoglioso di questa scelta." Le due donne adesso tacciono, rimuginano, ma alla fine si lasciano andare in un sorriso. "Lunedì ne discuteremo come si deve, voi preparate tutte le domande del caso, nel frattempo.. si festeggia!"

I calici si toccano inesorabilmente e la serata scorre via veloce.


"Vogliate scusarmi se mi alzo a prendere una boccata d'aria."

Charlotte si fa portare il cappotto, Benjamin lo poggia sulle sue spalle e fa cenno d'accompagnarla; Lea tergiversa su un bisogno impellente e un tipo carino che dal bar le sta facendo ripetutamente l'occhiolino, così accade che Richard e Anne restano soli e persi nei loro discorsi sull'Inghilterra.

L'aria della sera si è fatta umida, Benjamin stringe al petto Charlotte che rinvigorita si scalda nel suo abbraccio.

"Certo che sarebbero una coppia carina.." ammette, indicando alla compagna i due amici rimasti al tavolo.

"Sai cosa sarebbe carino, Benjamin?" Sussurra. "Che tu non ti immischiassi troppo in questa faccenda." Ride, nascondendosi fra il suo pull e la camicia. "Non c'è nulla di più catastrofico che combinare una coppia!" Sospira. "Non è bella l'emozione del caso? L'incrocio casuale di due sguardi sconosciuti?"

Ben sorride fra i suoi capelli. "Sei così dolce, Charlotte, che quasi ti mangerei.." le solletica l'orecchio con il fiato caldo e dei baci languidi che la ragazza si lascia andare a dei sospiri accalorati. "Presto, certe notti, non avranno più il portone della casa dei tuoi genitori come fine. E saranno le notti più lunghe di tutta la tua vita.."

"Benjamin!" Risponde frivola, tirando su il volto. "Che modo è ti rivolgerti ad una damigella perbene?"

Dalla gola del ragazzo esce un suono glutturale, primitivo. "E' che desidero fare l'amore con te dal primo momento che ti ho vista. E adesso posso dirlo a gran voce, visto che sarete presto mia moglie, damigella."

Charlotte lo guarda con occhi languidi, colmi dello stesso desiderio d'amore, della fame di appartenersi e della dolcezza dei suoi intenti; si erano conosciuti qualche anno prima, al college, dove lui studiava per diventare un pezzo grosso dell'economia e lei indossava degli enormi occhiali che mettevano a fuoco il mondo ma non bastavano a non farle perdere di vista la vita, i sussurri e i batticuori della loro giovane età, timida e chiusa com'era. Un giorno, inciampò nei suoi progetti laciati abbandonati accanto a un tavolo e per poco non finì con la faccia su uno spigolo, se Benjamin non l'avesse presa per un pelo; si era scusato come se fosse sua la colpa della sua maldestrezza, offrendole una cioccolata calda che aveva il sapore dell'amore, mano a mano che i minuti diventavano ore. Lo aveva amato al primo sguardo, dalla sua prima parola, da quel primo contatto e lui sembrava essere stato colpito dalla medesima freccia, salvo poi conoscerlo a fondo e capire che per quanto lui potesse amarla, quel sentimento appariva così piccolo, difronte la mole d'amore che ella nutriva per lui. Benjamin si era rivelato per molti aspetti, l'uomo dei tempi andati, quelli prima della brillantina e della sfrontatezza maschile, conservando i principi solidi di un'epoca ben più lontana.


"Benjamin? Charlotte?"

Una voce familiare li porta nuovamente al presente e all'imbarazzo dei loro visi così segnati dalla passione.

"Najla!" Benjamin è il primo che si accorge di lei, stretta al braccio de suo amico Geremia, una visione per chi si intende di cinema; lei così agile e alta, dal viso squisito, lui affascinante e impettito, bello come un divo. Sorride accogliendoli. "Ti ho chiamata per sapere se volevate unirvi a noi ma non sono arrivato in tempo. Come state Geremia?"

"Continuiamo a darci del tu, prego Benjamin." I due si abbracciano velocemente e il ragazzo moro prosegue. "La colpa è mia, non vedevo l'ora di stare in sua compagnia." La coppia ride, Najla guarda fugacemente al locale, scuotendo il capo appena scorge il profilo di un uomo familiare.

"I lavori in fabbrica partiranno lunedì. Siamo quì io e il mio staff per festeggiare la notizia." Affretta Benjamin, sperando che le sue parole così accalorate, colpiscano là dove serve.

Il sorriso mesto della ragazza che ha difronte, si alza debolmente. "Certo." Risponde laconica, tornando a quell'uomo che adesso ride con una giovane ragazza, come se intorno a loro non esistesse nulla di più importante di ciò che si stanno dicendo. "Congratulazioni fratello mio!" Cerca di trattenere il flusso di emozioni contrastanti che avverte sottopelle, abbracciando così violentemente il ragazzo, che per la sorpresa sussulta.

"Mi dispiace, ti ho chiamata per dirtelo ma non c'eri." Le sussurra nell'orecchio, quando sono stretti da sembrare un corpo solo.

Najla alza le spalle, annuisce, il sorriso sembra più sincero. "Non preoccuparti, sto bene."

"Allora, volete unirvi a noi?" Esclama Charlotte, raggiunta da alcune occhiatine per nulla gradevoli.

Richard intanto accortosi di un certo movimento all'entrata, impallidisce e si alza di getto, facendo caracollare la sedia alle sue spalle.

"Ti senti bene, Hamilton?" Sussulta Anne a sua volta, spaventata.

Najla da fuori si agita. "Grazie per l'invito tesoro ma stavamo giusto tornandocene a casa. Sempre che tu sia d'accordo, Geremia?"

Il ragazzo guarda nel locale e riconosce un certo ammasso di muscoli ritto in piedi come un toro, prima di caricare l'incornata. "Ah! A casa, subito!" La spinge affettuosamente verso la discesa per la metro poco distante da loro e la scena diventa comica e surreale, con Najla che saluta i due ragazzi come fosse un ebete e Geremia pallido in volto come se avesse visto un fantasma.

"Ma che gli è preso?" Borbotta Charlotte allibita.

"Erano stanchi, suppongo." Commenta Benjamin asciutto, prima che Richard spunti fuori come un invasato.

"Siete davvero audace signor Hamilton a sfidare il freddo in sola camicia." La ragazza gli batte un colpo affettuoso sul braccio. "Ma io no! Rientriamo?!" Dice allegramente, precedendo i due uomini.

"Audace.. o troppo stupido." Sussurra Richard a se stesso, contemplando lo spiazzo vuoto intorno a lui con una certa malinconia.


*


"Si può sapere cosa ti turba?"

In casa Moreau le cose non stavano andando come dovevano, per essere mezzanotte passata, Deesire aveva troppi nervi in circolo e poco sonno.

"I nostri figli, Fabien." Ammette, accendendo l'abat jour sul suo comodino. "Ho come l'impressione che non vogliano dirmi tutto quello che c'è da sapere."

Fabien sfinito, sospira e accende l'altra lampada dal suo lato. "Riguardo a cosa?"

"E' proprio questo che non so!" Borbotta la donna, guardandolo malamente. "Najla è sfuggente da quando ha avuto quell'appuntamento con quel lord inglese e Benjamin.. ci ha tenuto nascosto i suoi problemi con le aziende!"

L'uomo sorride, cerando di confortarla carezzandole le braccia. "Sono adulti responsabili, compiono delle scelte che esulano il mio o la tua approvazione o consiglio, quando lo accetterai?"

"Mai." Sorride a sua volta, accocolandosi di nuovo fra le coperte, nell'abbraccio di suo marito. "Sono dei giovani indipendenti e me ne compiaccio, ma non voglio che mi escludino dai loro problemi, sorvolando il fatto che io voglia aiutarli per giunta!"

"Alla loro età, tu hai compiuto delle scelte molto più complesse, senza ascoltare il parere di tua madre." Le sussurra dolcemente. "Per fortuna, aggiungerei, a quest'ora io e te saremmo neanche lontanamente insieme, fosse dipeso da lei."

"Che c'entra mia madre, adesso Fabien!" Cerca di non ridere dell'espressione buffa di suo marito quando parla di Clorine, ma le risulta un compito piuttosto arduo. "Nn avrei mai permesso a nessuno di dividerci, comunque."

"E' per questo che ti amo. Più della mia stessa vita." Le bacia le labbra, sugellando quella promessa viva da più di ventanni, spostandola su di se. "E anche se ti senti inutile per i tuoi figli, sappi che il solo fatto che tu esisti, fa di loro i giovani forti e audaci che sono; senza contare che io sarei un uomo perso senza di te e Lukas ha bisogno del tuo affetto e delle tue attenzioni per almeno altri dieci anni.. perciò Deesire, dormi sogni tranquilli, avrai il tuo bel da fare per molto, moltissimo altro tempo ancora!" Ribalta le loro posizioni coprendole il corpo con il suo, le labbra con un bacio appassionato e i sensi, amandola con la stessa passione e sentimento di quando erano giovani.


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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 8.



La primavera bussa alle porte con largo anticipo, ricordandomi di avere impegni inderogabili, quali il matrimonio di Benjamin ed è per questo, che ho trascinato alla ricerca di un vestito, il povero Patrick e i suoi sempre stimabili consigli. Mi guarda, impaziente, mentre sfilo goffamente con degli abiti troppo seriosi persino per me, gettando di tanto in tanto un'occhiata alle scale del piano inferiore dell'atelier delle Rose.

Dopo circa mezzora appare Geremia più trafelato e in ritardo che mai, a quanto pare, e capisco l'ansia di Patrick e il bellissimo sorriso che mette sul volto non appena lo vede arrivare. Ah, l'amore..

"Ecco!" Strepita, alzandosi come colpito da una scossa. "Questo ti sta d'incanto!" Mi gira intorno, vaporizzando l'accenno di strascico di questo meraviglioso abito scivolato, sotto le occhiatine perplesse di madame Rombeau che ancora non ha chiara l'intera situazione a quanto pare, dato che la sua attenzione è spesso rivolta al nostro strambo triangolo, più che alla sola sottoscritta e alla scelta di un vestito.

"Già." Sussurro, guardandolo di riflesso nello specchio. "E' proprio una meraviglia."

Geremia da un colpetto di tosse e si alza anch'egli. "Sembri una dea greca, mon ami. Ma permettimi di consigliarti un altro colore, uno che esalti la tua invidiabile carnagione ambrata, qualcosa di fresco, non eccentrico ma alla moda."

Trix Rombeau sbatte un piede sotto la divisa nera. "Ha in mente un colore preferito, madame Chedjou?"

Geremia capisce di averla innervosita e sfodera il suo sorriso da ruffiano. "Con la sua esperienza e l'occhio lungo che la contraddistinguono sono sicuro che saprà consigliarle il meglio."

La donna sorvola il complimento e fa per pensarci su. "Un avorio?"

"Sarebbe perfetto." Rispondo sognante. "Ma non voglio sembrare la sposa, capisce?"

"Effettivamente questa nuova moda è ancora poco capita." Dopo un pò, schiocca le dita entusiasta. "Torno subito."

Riemerge dopo attimi lunghi eterno con lo stesso abito ma impreziosito da un gioco di velature di pizzo e organza sul decolltè, di un color verde smeraldo che mi acceca per quanto puro. Non riesco a trattenere l'entusiasmo, lo provo saltellando verso il camerino.

Quando mi svelo, Patrick e Geremia sono delle statue di bronzo, bellissime certo, ma poco reattive; lo prendo come un complimento.

Trix ne approfitta per elencarmi gli innumerevoli pregi che quel vestito riscontra su di me e senza neanche farla terminare, le dico che lo prendo, non fosse altro perchè assolutamente identico al colore dei miei occhi.

"Ora tocca a te." Geremia volge lo sguardo a Patrick, che non si tira indietro, accennando una piccola piroetta, per poi descrivere nei minimi particolari il tipo di smocking che intende indossare. Lo guardo estasiata, in fatto di moda è uno che sa quello che vuole e sono certa che in men che non si dica otterrà quello che vuole. Il primo cambio infatti mette d'accordo tutti, un tre pezzi nero con giacca damascata e papillon verde smeraldo come il mio vestito. Geremia sospira vedendolo così elegante e fiero e mi prende per mano.

"E' il più bel regalo che tu potessi farmi, mon amì." Sorrido, quando mi sfiora delicatamente la guancia con un bacio e si alza verso il suo cavaliere impettito; li guardo ridere complici nello specchio e sospiro a mio volta, di quelle carezze invisibili che si regalano, lo sfiorarsi appena con gli occhi, amarsi in un mondo che non permette quel tipo di amore.

Poi guardo l'orologio e da perfetta guastafeste, ricordo a Patrick che il lavoro ci aspetta e che siamo nettamente in ritardo.


*

Quando l'aereo tocca terra, Catherine Wright molla la presa dalla mano del povero sventurato che le sedeva accanto, che per quanto fosse lusingato che quella bella donna lo avesse preso a simpatia, non era più certo dell'uso del suo stesso arto.

"Grazie per il sostegno." Sussurra la donna sventolando le ciglia scure, quello borbotta intimidito un "si figuri" per poi incamminarsi spedito verso l'uscita. Qualcosa la induce a sorridere della situazione, poi si ricorda di essere a Parigi e il suo sorriso si colma di gioia muta.

Non c'erano autisti o limousine per lei nel piazzale antistante l'aereoporto, la sua visita somiglia più a una missione, perciò si infila in un taxi alla volta della città e dei molteplici ricordi che essa custodiva per lei; il suo viaggio di nozze, il primo compleanno di Richard, il primo delle bambine, le fughe solitarie e quelle d'amore con il padre dei suoi figli. Da tempo non lo chiamava più marito, da quando quella tacita separazione che intercorreva fra loro, aveva tirato su un muro che nemmeno le cannonate avrebbero tirato giù.

Sospira, lasciando i ricordi infondo al cassetto della memoria per ammirare quel grande quadro al di fuori del finestrino, senza instristirsi troppo.

"Prima volta a Parigi?" Domanda l'autista, un uomo grassoccio e con i baffi.

"No signore, ma ogni volta è come se fosse la prima." Risponde trasognante. "Esiste ancora quel bistrot degli Orléans?"

"Bistrot Value, madame? Credo non ci sia guerra o rivoluzione che possa abbatterlo!" L'uomo sorride e la guarda dallo specchietto retrovisore. "Devio per quella direzione?"

Catherine annuisce vigorosamente, ricordando la storia di quel locale, di come piaceva a Raymond raccontarla, "la vecchia stalla degli Orléans!" diceva, "cosa può il genio umano distruggere e ricreare!" un uomo visionario, un Hamilton fatto e finito, con lungimiranti idee riguardo il flusso del commercio del ventesimo secolo, già padrone del successo poco più che diciottenne.

"Molte grazie e tenga pure il resto!"

Saluta l'uomo a palmo aperto balzando fuori dal taxi, che di rimando le strizza l'occhio e la incoraggia ad entrare.

"Bon voyage!" Strepita ancora, sgasando in direzione del traffico.


La baguette più buona che aveva mai mangiato, questo le ricordò il Value e con piacere ne ritrovò il gusto e la croccantezza che ricordava.

La città e i suoi abitanti sfilavano a rilento, per nulla scossi dai ritmi della settimana appena cominciata, amava osservare il traffico di energia che emanava quel caos organizzato, le rinvigoriva l'animo e pregustava già il suo inserimento in esso.

"Il conto, grazie."

L'appartamento di Raymond senior non era molto distante dal bistrot, questo le avrebbe permesso di guadagnare del tempo per perdersi nella città e cercare di capire cosa stava accadendo a migliaia di chilometri da casa sua, sia a suo suocero che a suo figlio; Richard ormai era chiaro si faceva negare al telefono o era quasi sempre sfuggente, le rare volte riusciva a parlarci, per non parlare poi di Raymond partito per chi sà dove senza nemmeno un telegramma! Sospira all'arduo compito che le aspetta e prenota l'ascensore con veemenza.

"Madame Wright!" Una giovane, bionda e magra come una mannequin l'accoglie sull'uscio con un inserviente che prende subito in consegna la sua valigia. "Che piacere averla quì. Sono Eugene Lesage, una stretta collaboratrice di suo suocero, quì per allietarla nella sua permanenza." Si stringono la mano e la donna le fa strada. "L'appartamento è stato ristrutturato di recente, le mostro la sua camera invitandola a chiamarmi per qualsiasi desiderio, dubbio o informazione. Il signor Hamilton si è molto raccomandato di rendere il suo soggiorno perfetto."

"E lei sa dirmi da dove lo manda a dire, signorina Lesage?" Chiede con una vena di ironia.

"Il dottore è a New York per lavoro, dallo scorso inverno." Risponde l'altra con leggero imbarazzo.

"Il fiuto e l'amore per gli affari non hanno confini per quell'uomo. La prego di volermi recupare un indirizzo al quale posso scrivergli tutta la mia gratitudine."

"Certo, madame." Apre una porta dopo un lungo corridoio e fa cenno di entrare. "Se lo desidera può farmi avere una lista dei suoi cibi preferiti così da metterle a disposizione uno chef personale. I suoi orari e i suoi movimenti, per prenotarle l'austista."

Catherine scuote il capo. "Non occorre, Eugene, la ringrazio. Sarò in città per pochi giorni e ho intenzione di spostarmi molto senza sottostare ad orari precisi. Ah proposito, sa se mio figlio è in città?"

"Sì, madame. Passa a ritirare la posta del signore tutti i martedì pomeriggio, ha fatto sapere che domani non mancherà, se vuole incontrarlo."

"Perfetto." Sorride, sfilandosi il soprabito. "Può farmi la cortesia di prenotarmi un taxi fra mezzora? Pranzerò fuori e non mancherò d'avvisarla quando mi ritirerò."

"Sarà fatto, madame."

"Chiamami pure Catherine, prego."

"Va bene, Catherine. C'è altro che posso fare per lei?"

"Sì, può fornirmi l'indirizzo del Salpetriére?"

La ragazza annuisce, prende il suo soprabito e sparisce per il corridoio.

Nonostante la casa abbia un aspetto diverso, rinnovato e di un lusso moderno che tanto rallegrava Raymond, tutto sembra immutato come ai tempi andati, nostalgici e bellissimi; la Rue Saint Honorè riluce al sole primaverile, le sue vetrine perfette e immacolate, gli abiti, le ventiquattrore degli avvocati sbarbati in toga, le donne eleganti con i cani a passeggio. Un colpo d'occhio perfetto, il cuore colmo d'amore.

Eugene torna in camera con l'indirizzo preciso e una bevanda fresca, ricordandole di chiamarla non appena ne ha bisogno.

La guarda andare via nelle sue lunghe e snelle gambe convenendo che era troppo educata e servizievole per essere l'amante di Raymond, di cui tanto si paventava l'esistenza in quel di Londra, amante lui com'era delle donne robuste e selvagge di carattere, vero tombeur de femmes qual'era sempre stato; a volte guardandolo in compagnia di Grace Melody, marito devoto e servizievole, si era chiesta il perchè di quel vizietto, ma non c'era stato bisogno di risposte, perchè lo struggimento della sua persona quando questa venne a mancare in questo mondo, colmò tutti gli anni di quelle domande. Lei restava la sua unica e sola, nonostante tutto, nostante tutte.


L'ospedale non era per nulla l'edificio grigio e fastiscente che aveva creduto, ma una bella struttura immersa in un grande giardino fiorito antistante; stringeva fra le mani le poche ed essenziali indicazioni che suo suocero le aveva lasciato, lasciandole il compito di amministrare in sua assenza le donazioni per esso dopo che Richard, parole sue, aveva declinato per il troppo lavoro che un certo affare riguardante delle aziende in un sobborgo cittadino, gli avevano procurato. Motivo in più per parlare quanto prima con suo figlio, non riconoscendolo in questo improvviso disattaccamento al suo lavoro, pur non conoscendo tutta la realtà dei fatti.

S'incammina svelta verso l'atrio, domandando di una certa dottoressa Najla Louise Chedjou, di cui era sicura aver sentito già parlare.

Guarda fugacemente nello specchio dell'ascensore, l'immagine del suo viso pallido e i capeli radi e corti post trattamenti medici che non le donano certo un l'aspetto della persona sana, ma era così, era malata e quella visita non era un caso, o un noioso lavoro da svolgere per terzi, quanto più l'attaccamento a una vita che non voleva perdere anche se si comportava esattamente al contrario, per tutte le cose che avrebbe dovuto ancora fare, per tutte le volte che avrebbe voluto essere ancora a Parigi, per le emozioni di cui doveva ancora gioire.

L'ascensore si apre al piano e una lacrima resta appesa fra le ciglia; la toglie via, inspirando e alzando le spalle incontro al progresso.


*


La primavera aveva portato con se anche il via libera nella sperimentazione della sua cura, ormai non più un abbozzo medico. Questo la riempiva di felicità ma anche di una certa pressione che incanalava in energia produttiva, come le aveva insegnato il suo dottore. Si sentiva forte e piena di vita, l'invincibilità che attraversa il medico quando è ora di passare ai fatti, prima che la realtà schianti di nuovo tutti a terra.

"La paziente numero tre è in ritardo. Cosa facciamo dottoressa?" Maude è in fermento da troppa adrenalina, la guardo sorridendo, alla sua età assistere a questa specie di miracolo sortisce un certo effetto.

"Ci rilassiamo, prendiamo un sorso d'acqua e aspettiamo."

"Aspettiamo?" Domanda più a se stessa, non riesco a trattenermi dal sorridere ancora. "Sono su di giri, ho capito." Borbotta, versandosi l'acqua dal despenser. "Quanti buoni risultati finora?" Domanda infine con un pò di incertezza.

Guardo fissa davanti a me, prima di rispondere. "Paziente uno e paziente due rispondono positivamente. Buoni risultati non esistono quì dentro."

"E' scaramantica, dottoressa?"

"Sì." Rispondo di getto. "Che vuoi farci, abbiamo tutti le nostre stranezze. Tu per esempio, dimmi una cosa di cui ti vergogni?!"

Maude arrossisce. "Io.. non saprei."

"Sicura? Te ne dico un'altra." Non è mia abitudine entrare in confidenza con le matricole, ma voglio che faccia scivolare lo stress via da se, per tornare lucida e vigile; un vecchio trucco che un anziano mi aveva insegnato quando era uno praticante, ancora poco temeraria come oggi. "Inizio le mie giornate, con il piede sinistro."

"Questa ce l'aveva anche mio nonno!" Strepita lei, improvvisamente divertita; poi mi guarda e spara. "Non mi siedo mai a una tavola di tredici persone." Le sue guance si colorano di rosso quando smette di parlare, è tenera ma la guardo di sbieco.

"Puoi fare di meglio, Maude!"

Inspira e si lascia andare. "Conservo i piatti rotti durante l'anno, poi l'ultima notte dell'anno, come da tradizione, li rompo contro le pareti delle case di amici e parenti per buonaugurio."

"Ora si ragiona!" Affermo con entusiasmo. "Spero che qualcuno ti ricambi la cortesia."

"Succede molto di rado, a dire il vero."

"Terrò a mente il tuo indirizzo se dovesse capitarmi." Incrocio le dita e le bacio, lei mi guarda e scoppia a ridere.

"Non la facevo così.. così.."

"Buffa?"

Annuisce piano, prima di rispondere. "Per me lei è una specie di oracolo in carne e ossa."

"No Maude, sono umana per fortuna, posso e devo sbagliare, se voglio migliorarmi." Mi alzo, per prendere da bere. "Augurati la stessa cosa, anzi no te la auguro io, visto che sono il tuo superiore." Sfioro il suo bicchiere con il mio e la guardo intensamente. "Maude Sastre, ti auguro di avere una vita piena di sbagli per giungere al successo che meriti."

"Merda!" Risponde lei a gran voce.

"Merda!" Le faccio eco, poi la porta si apre di getto e ammetto di essere sobbalzata come la mia matricola. "Patrick?"

Ci guarda in cagnesco. "E' l'ora dei brindisi?"

"E' solo acqua." Risponde annoiatamente la giovane.

Patrick ricambia con lo stessa intensità il suo intervento e mi guarda. "C'è una donna di là che dice di essere la paziente numero tre. Londinese, sulla cinquantina, al secondo trattamento. Ecco la sua cartella, dottoressa Chedjou." La prendo, abbandonando ogni ilarità.

"Accidenti!" I chiari caratteri delle risposte non positive al trattamento, mi fanno imprecare; alzo gli occhi cercando di respirare normalmente. "Eccola quà la verità Maude. La fallibilità ci rende uomini e credimi, vorrai provare tutto questo un giorno per sentire poi quanto è meravigliosa la speranza che ti pervade, per solo un caso positivo. E che sarà, questo lo capirai con il tempo, sempre più forte di tutti i fallimenti." La ragazza non dice nulla, annuisce appena, gli occhi fissi nei miei, vuoti, impauriti. "Adesso, ditemi in bocca la lupo, ne ho bisogno."

"In bocca al lupo." Esalano entrambi, quasi in coro.

Faccio un ultimo respiro e vado via.


Catherine Wright è seduta sul lettino con lo sguardo rivolto alla finestra, busso alla porta per non spaventarla, quando si volta sorride appena.

E' una donna con il volto segnato dalla malattia, dai capeli arruffati sul capo, troppo radi per essere un taglio all'ultima moda, ma di una sorprendente luce infondo allo sguardo, fatto di occhi celestiali di un azzurro freddo, da cielo londinese.

"Buongiorno dottoressa Najla Louise Chedjou."

Resto spiazzata dalla perfezione del mio nome sulle sue labbra; istintivamente mi guardo il cartellino, troppo lontano purchè lo noti, l'avvicino senza nascondere la perplessità sul mio viso; lei mi guarda, snuda un bel sorriso bianco, un sorriso familiare, caro e gentile.

"E' la mia seconda iniezione, cercavo di ricordare dov'è che avessi già sentito il suo nome, poi mi sono ricordata che la cura sperimentale porta il suo nome. Il mio medico di Londra mi ha avvisata circa la memoria latente durante le cure, ma non vorrei tediarla troppo con le mie sciocche chiacchiere. Dunque dottoressa, come procederemo quest'oggi?"

"Catherine, se mi permette preferirei chiamarla con il suo nome." Annuisce e proseguo. "Mi preme dirle come prima cosa, sebbene sia solo l'inizio, che gli effetti non sono quelli che speravo, tuttavia lei è rientrata nel mio progetto sperimentale, che prevede un ciclo continuo di iniezioni per un totale di dieci a cadenza mensile. Consultandomi con il dottor Lewis, suo personale medico come ha detto, ho trovato un riscontro positivo nelle sue intenzioni di proseguire, qualsiasi sia il risultato finale."

"Esatto, dottoressa Najla pieno consenso. Quando Lewis mi ha comunicato l'inserimento nel suo progetto è stato molto chiaro circa la mia situazione attuale, sono felice di riscontrare la stessa sincerità in lei. So che posso fidarmi dunque e la ringrazio."

"Ho letto la sua cartella signora, per i trattamenti ricevuti fino ad ora, non posso che ringraziarla io, per questo." Prendo lo stetoscopio, le chiedo gentilmente di sbottonarsi la camicia per oscultarle i polmoni. "Il suo respiro è affannoso Catherine."

Le tasto la fronte e il collo, la temperatura è normale, la guardo accigliata quella abbassa lo sguardo. "Sono le sigarette." Amette, con tono asciutto.

Mi tolgo riluttante lo strumento medico dagli orecchi e la guardo severa. "Nelle sue condizioni? Le danno un premio dalla fabbrica, per caso?" Sento un moto di collera pervadermi, mentre scelgo le parole da dire con scarso successo. "Quale ipocrita cerca di tener salda la vita e nello stesso tempo la uccide?"

Emette un sussulto simile ad un pianto senza lacrime, si tortura le dita, finchè non mi guarda con grandi occhi.

"La mia vita è stata sovversata da tragedie che questa a confronto è un carnevale." L'angoscia nella sua voce mi fa trasalire, intuisco il suo discorso e mi sento morire. "Poi ad un certo punto la morte si è fatta vicina e vi ho trovato conforto. Non sono ipocrita nel non ammetterlo, dottoressa Chedjou e comunque non sta a lei giudicare le mie scelte!"

Questa è bella, penso infervorata. "Mi riguarda molto da vicino, invece. Lei ha idea di quante persone, madri, mogli, figlie, vorrebbero essere al suo posto oggi e non possono perchè già morte?" I suoi occhi sono spalancati su di me, anima furente, agitata, incapace di controllare l'incrinazione della mia voce; mi sfiora il pensiero di chiamare Patrick e fuggire il più lontano possibile, ma non voglio essere una vigliacca, una che si nasconde dalle conseguenze di questo mestiere bellissimo e duro. "Ha idea della sofferenza che porterà alle persone che la amano? Di quale tragedia verranno investiti, quando lei avrà trovato conforto?" Faccio un passo indietro mentre lo dico, l'istinto di schiaffeggiarla è troppo forte.

"Sto morendo, dottoressa Chedjou! Io sto già morendo!" Sbotta, in preda ai singulti.

"No, Chaterine! Lei muore quando decide che le tragedie che le sono capitate sono più forti della sua voglia di vivere!" Strepito più forte. "Quando sceglie che non c'è più nulla da fare, senza tentare! Senza mettersi alla prova, attraversare il limite della conoscenza, sentire il dolore!"

"Il dolore.. non mi fa respirare!" Scivola dal lettino, si aggrappa alle mie spalle e piange; la stringo a me, accogliendo i suoi sussulti, totalmente spiazzata. "Lei non sa, quanto può far male.. ha imparato a conoscerlo, ma non l'ha indossato."

"Davvero, crede?" Restiamo abbracciate, la cullo, parlo e la cullo. "Ho visto mio padre consumarsi come una candela, quando le cure non erano abbastanza sufficenti per preservarlo dai dolori. Ho udito lo scricchiolio delle sue ossa fragili, la nenia del coma artificiale. Sento le sue urla quando una giornata è andata storta, vedo i suoi occhi colmi di speranza, quando di fronte a me siede qualcuno con la sua stessa patologia, proprio come adesso; io vedo lui guardando i suoi occhi Catherine, perciò non sia vigliacca, abbandoni la paura di vivere e si lasci curare davvero."

Lentamente, quella donna si allontana dalle mie braccia e lo fa per guardarmi, in un silenzio che ci avvolge.

"Nessuno mi aveva dato della vigliacca, prima d'ora."

Con un fazzoletto di seta che porta delle strane inziali, si asciuga il viso stravolto; è colma di rabbia, eppure non c'è odio nei suoi occhi.

"Ha parlato a cuore aperto con i suoi familiari?" Le chiedo, dubitando a questo punto, che li abbia.

"Il mio unico figlio vive in questa città, mi rimprovera spesso, ma sono ancora io a preoccuparmi per lui, non viceversa."

"Sbaglia." Affermo. "Sono sicura che se fosse a conoscenza di questi fatti, i suoi rimproveri si trasformerebbero in rabbia. Chaterine, l'affetto delle persone amate è già di per se la panacea di molti mali."

"Lei è una donna testarda." Dice ruvida. "Senza sapere nulla di me mi ha analizzata nel profondo. Cosa la spinge a varcare tutti i limiti della confidenza e del rispetto altrui?"

"L'amore che metto in questa ricerca." Sussurro, dispiaciuta. "Mi perdoni se l'ho offesa, se non l'avessi fatto lei non avrebbe nemmeno preso in considerazione, l'ipotesi di smettere con il tabacco."

Sorride sarcastica. "Mio suocero m'aveva avvisata circa il suo carattere." Si fa strada per lo studio andando a frugare nella sua borsa, lasciandomi piena di domande; la vedo scarabocchiare una cambiale, mi chiede di indirizzarla nell'ufficio preposto quando abbiamo fatto, ma ho pietà del dolore che sfocia da ogni parte del suo corpo e le faccio segno di no, non se ne parla, manderò qualcuno a occuparsi di ciò. Annuisce amorevolmente e sussurra un grazie. "Raymond ha avuto delle raccomandazioni speciali per te e per questo ospedale, comincio a capire il perchè."

"Suo suocero è Raymond.. Hamilton?" Chiedo con voce rotta.

"Esatto e la prego di non dirgli nulla, circa l'andamento della cura. Ne a lui ne a mio figlio, che si occupa dei suoi affari legati all'ospedale. Quando sarà il momento, sarò io a comunicare con loro."

Sono stordita e frastornata, scioccata ed emozionata. "Lei è la madre di Richard.."

"Ah! Vedo che ha già conosciuto tutta la famiglia. Bene, vogliamo procede con l'iniezione a questo punto?"

L'iniezione. Per un attimo, quasi fosse possibile, ho dimenticato il principale motivo per cui questa donna è davanti a me, quel nome solo pronunciarlo, mi annebbia il cervello; provo una fitta lancinante di angoscia alla bocca dello stomaco e sento il bisogno di piangere.

Il mio caso negativo è lei; la madre dell'unico uomo per cui mai, ho provato tanto struggimento.

La prego, fra i denti, di aspettarmi sul lettino, incapace di trattenere oltre il dolore e fuggo quasi, nel laboratorio accanto.

Patrick mi vede entrare come una scheggia, ha il viso preoccupato, deve aver sentito le nostre urla, ma non ha il coraggio di avvicinarsi; di fronte alla vetrina dei medicinali, quei medicinali, scoppio in un pianto che mi squassa il petto e toglie il respiro.


*

"Solita tappa, signore?"

Maximiliane è in auto che lo aspetta, di consueto come tutti i martedì per condurlo a casa di suo nonno; non si erano più parlati da quando lo aveva chiaramente escluso dal patto, ma era fedele ai suoi impegni per una qualche forma di riverenza nei confronti di quel despota che era il suo avo, di cui non aveva ancora chiaro il senso ma che lo ha fatto annuire alla richiesta dell'autista.

"Eugene è in casa?"

"Sì signore. Non ha specificato cosa, ma ha detto di riferirle di buone nuove in città."

Sorride sarcastico. Cosa c'era buono legato a Raymond? "Non ci si annoia mai, eh Maxim?"

"Ah quanto pare no, signore. Gli affari procedono bene?"

"Molto bene, difatti. Grazie per averlo chiesto."

"Per quanto mi riguarda, credo che dare lustro ad un sobborgo sia un'idea nobile, signore. Troppo spesso questa città si è vista abbandonata dai capisaldi al governo, questo interessamento da parte sua avrà alzato decisamente un polverone?!"

"Mio nonno dice che quando se ne parla è sempre un bene. E ti ringrazio per la benevolenza Maxim, mi auguro questa apertura mentale anche da parte dei tuoi concittadini."

"Siamo uomini pronti ai cambiamenti, la storia ce lo insegna. Vedrà che con il tempo.."

"Il tempo ha un costo, Maxime!" Ribatte divertito. "Che la storia insegni a far presto!"

L'uomo gli sorride dallo specchietto. "Sono certo che sarà così."

Il silenzio piomba su quell'ultima certezza e la città si muove assieme a lui; quando Maxime ferma l'auto è ancora perso in alcune congetture e speranze. L'uomo gli augura una buona giornata, lui si riveste del soprabito e scende.


Guarda in alto, prima di suonare, ai balconi ordinati, le piante esposte e curate e avverte una strana sensazione; si stringe nel soprabito e si lascia accogliere dalla voce di Eugene, dai suoi salamecchi quando gli fa strada in casa e intuisce che qualcosa non va.

"Sua madre è a Parigi, signore."

"Mia.. madre?" Lascia la posta sulla consolle e le pianta addosso due occhi gelidi.

"E' nel soggiorno che l'aspetta." Ribatte asciutta, congedandosi.

Richard ha ancora la sciarpa al collo, quando piomba nella grande stanza a tutta vetrate e la vede lì, sospesa sul sofà come una musa di un pittore, vestita di colori tenui come quel sorriso che lo accoglie quando lo vede. "Potevi terminare ciò che stavi facendo, caro."

L'avvicina, le prende la mano e la bacia. "Come stai? Perchè non mi hai avvisato del tuo arrivo?"

"E perdermi questa scena?" Ride, un suono familiare. "Queste domande me le sarei risparmiate volentieri, però. C'è un motivo più importante della voglia di una madre di rivedere il proprio figlio?"

Richard scuote il capo. "Quando si tratta di te, tutto è possibile Catherine!" Si toglie la sciarpa, le porge la mano che lei afferra, malferma sulle gambe. "Hai il viso stanco e mi sembri debole, ti accompagno a letto." La donna lo segue, cercando di minimizzare la fatica per ogni singolo passo; era andata così anche l'altra volta, c'erano voluti più di tre giorni per rimettersi in piedi e tornare a Londra. "Non che non sia felice di vederti, ma nella tua condizione non è sconsigliato fare lunghe traversate?"

Catherine borbotta. "Richard sei a Parigi da quattro mesi, quando partendo avevi detto che ti saresti trattenuto solo due settimane." Lo guarda maliziosamente, gli occhi azzurri spiritosi e brillanti. "O c'è un grosso affare lavorativo o c'è di mezzo l'amore. Fai tu, in entrambi i casi, il secondo sarà un grosso problema.." Ride ma il viso si increspa in una smorfia.

"Qualsiasi sia il motivo, sei debilitata, non mi va che giri il mondo con un alito di fiato nei polmoni. Lewis non è contrario?"

"Lewis sarà anche un luminario, ma io sono pur sempre Chaterine Wright, figliolo! E comunque sono in città per tuo nonno. Che succede fra voi due? Perchè delega a me i tuoi compiti?"

La mascella di Richard si contrae e sa che deve sbottonarsi un pò, se non vuole una serie di domande tediose in merito. "Un grosso affare. Contenta? Ma sai com'è fatto, ha sempre da ridire qualcosa; così è successo che abbiamo pranzato, poi discusso, si è alzato e mi ha detto che sarebbe volato in America per affari. Da allora non l'ho più visto e come vedi non c'è nulla di cui tu debba preoccuparti, ammetto di essere sorpreso che abbia interpellato te, dal momento che non avevamo progetti prossimi in comune. Cosa lo ha spinto a volerti quì?"

"Le donazioni al Salpiétriere."

Richard s'acciglia. "La nostra presenza è richiesta solo per le onoreficenze e non ve ne erano in programma." Catherine si morde il labbro, Richard non sfugge di cogliere il suo tentennamento e si fa cupo. "Madre.. tu non sai mentire."

"Puoi contattare la dottoressa Najla Chedjou e chiederle dell'assegno che ho vergato, se ti fa stare più tranquillo."

Negli occhi dell'uomo passa un lampo di tacita gioia, nel sentire quel nome. "L'hai conosciuta.." si lascia andare, quasi contento.

"Sì." Risponde lei, aguzzando la vista. "Ha fatto la tua stessa faccia quando le ho detto chi ero." Poi s'illumina. "Che succede fra voi due?"

"Assolutamente nulla che non può essere raccontato." Risponde glaciale, non un velo di quella di felicità che prima si leggeva nei suoi occhi. Catherine è confusa, da colpa alle medicine, lascia correre. "Raymond confida che ella sia una promessa del futuro. Non posso negare che ha tutte le carte in regola, avendo avuto modo di parlarle, si percepisce quanto sia motivata."

"Già." Bisbiglia, gli occhi semichiusi, l'ardore di quella ragazza, le sue parole accalorate la spingono a confessarsi. "Richard, devo dirti qualcosa che mi sta molto a cuore. Vorrei non ti allarmassi e capissi che ho taciuto fino ad ora per non darti inutili preoccupazioni."

"Sono già preoccupando." Sofia fra i denti.

"Sono una dei pazienti ammessi alla ricerca sperimentale di quella ragazza."

Richard diventa bianco come le pareti della stanza. "Un'altra cura.." la sua voce è incrinata; vi passano sfumature di rabbia, gioia, entusiasmo, ancora rabbia. "Che aspettavi a dirmelo? Di non avere più forze neanche per parlare?" Si aza in piedi, legge la bufera in arrivo nelle sue pupille.

"Ho fatto una premessa, Richard." Lo riprende, ma viene azzittita.

"Stronzate!" Strepita, fuori di se.

Catherine sussulta. "Richard contieniti, per l'amor del cielo! Non ti ho insegnato certe volgarità e non tollero il sentirle pronunciare!"

L'uomo si passa le mani fra i capelli, si sbottona il cardigan, la camicia, un attacco di panico in corso; non ha mai superato la paura della perdita, pensa angustiata la donna dal letto. "Ti prego prendi la mia mano.." allunga il braccio e lui l'afferra, ci si aggrappa, avvicinandosi lentamente. "Respira. Guardami! Respira insieme a me.." Richard segue le sue istruzioni con occhi sbarrati, nel frattempo lei incanala l'aria, guidandolo.

Dopo una manciata di minuti Richard è calmo, respira regolarmente ma è semore sull'allerta. "Non voglio farti soffrire, figlio mio. Lo capisci, questo? Sono stata una pessima madre in passato, il pensiero di tormentare la tua serenità mi dilania."

"Tu non potrai mai tormentarmi." Dice bruscamente. "Cosa stai cercando di fare? Sparire in silenzio? Smettere di esistere venendo a dirmi cosa? Di dimenticarti, mamma?" Le sua labbra si toccano dolcemente mentre pronuncia quel dono di chiamarla tale, dopo tanto tempo. "Impossibile solo pensarlo." Deglutisce e caccia nel profondo il dolore. "Parlami di questa cura, discutiamo sul da farsi. Hai mai pensato di trasferirti a Parigi?"

Catherine trasale. "No, casa mia non è questa Richard."

"Sei testarda."

"Ci sono cose che non possiamo cambiare, tesoro mio, neanche a volerlo." Abbassa lo sguardo, arrossisce. "Tuo padre morirebbe di solitudine."

"Potrebbe trasferirsi anch'egli. Questa casa è molto grande, perchè riusciate ad evitare di uccidervi a vicenda."

Gli accarezza una guancia, dolcemente. "Sai dell'amore più di quanto vuoi far credere, eh?" Poi sospira. "Non so Richard, adesso sono molto stanca per pensare a questo." Chiude gli occhi e sospira.

"Parlerò io a quel testardo di tuo marito. Eugene ha le tue cartelle cliniche?" La donna annuisce. "Ti lascio riposare, allora." Deposita un bacio sulla sua fronte, la guarda addormentarsi lentamente ed esce dalla stanza con l'anima nera.

Nessun altro desiderio che parlare con Najla, attraversa il suo spirito, mentre legge i dettagli della cura, il suo inizio e il suo termine, cercando di tenere saldo il controllo. Non un parere di un medico qualsiasi, non quello della luminare che lo ha creato; la voce di una donna che ha passato le pene dell'inferno e che ne è uscita ferita, ma in piedi. La sua forza, il suo coraggio.. gli mancano terribilmente.

E le gambe iniziano a cedere e tremare, nel ricacciare ancora a fondo le lacrime.

Tutto è ovattato. Tutto è lontano.


*

In casa Moreau si respira aria di festa. Di festa e tensione.

L'ultima cena da fidanzati di Benjamin e Charlotte è stata organizzata da mia madre proprio come fosse il giorno del matrimonio, ed è per questo che sono più di venticinquue minuti che sto fissando il forno in cui riposano le pietanze spciali per l'occasione.

Al matrimonio mancano pochissime settimane, penso guardando schizzare Deesire dalla cucina al giardino come una vespa, non credo sopravviverà e lo stesso discorso mio malgrado vale anche per Fabien, un vero e proprio fantasma quest'oggi.

"Hai intenzione di startene in quell'angolo tutto il giorno?" Gli chiedo, guardandolo di sbieco.

"Credevo di essere pronto e non lo sono." Ammette tutto trafelato. "Tua madre non ha bisogno di un altro paio di occhi lucidi, è molto meglio se me ne sto quì, ad aiutarti.."

"Aiutarmi?" Dico sarcastica. "Se vuoi aiutarmi, davvero, devi prendere quell'insalata e iniziare a condirla. Grazie."

Come se gli avessi fatto un favore, avanza dalla penombra con l'aria da grande chef, sinceramente intenzionato a collaborare.

Da lontano si sente distinto il rumore del coccio sul pavimento. Mi affaccio sul corridoio per poi tornare dov'ero.

Fabien è una sentinella che ha smesso di muovere le mani. "Zio!" Lo rimbrotto, lui si scusa e prosegue.

"Cosa prende a tutti quest'oggi!" Borbotto fra me e me, cercando un bel piatto scenografico per l'insalata, nella vasta collezione di mia madre; nelle mie mani capita la tazza per la colazione di quando Benjamin frequentava il college; sorrido, mostrandola a Fabien, i disegni a tempera incisi su sono opera del suo estro.

"Credo dovremmo incartarla e metterla via fra le sue cose."

Mi fermo a guardarlo e gli accarezzo una spalla energicamente. "Perchè non lo fai tu?" Indico il tavolo alle nostre spalle e dolcemente tolgo dalle sue mani la ciotola con la verdura, sospirando. "Non credevo di doverlo dire, ma puoi promettermi che sopravviverete tu e la mamma, dopo che io e Benjamin non saremmo più quì?"

Fabien abbozza un sorriso. "Lei si sente già inutile."

"La mamma?" Chiedo angosciata.

Annuisce. "Tenerla lontana dai vostri problemi l'ha turbata molto."

"Non capisco." Ammetto. "E' la colonna portante della nostra vita!"

Fabien mi guarda con occhi verde azzurro colmi di amore. "Un giorno lo capirai, quando avrai figli tuoi." Arrossisco e lui sorride. "Li vorrai Najla, e da quel momento non ci sarà più niente di uguale valore e importanza, nulla che non valga la pena di soffrire, pur di saperli felici e al sicuro." La ruga centrale della sua fronte si increspa, leggo fra le sue parole una sfumatura dolceamara, quasi parlasse di qualcosa di cui non colgo il riferimento. Mi siedo al tavolo, accanto a lui e lo guardo. I suoi occhi, se possibile, brillano ancor di più ma scuote il capo e prosegue. "Per quanto quei figli ti rendano orgogliosi e fieri di averli messi al mondo, non sarai mai pronta a consegliarli, ma lo farai, perchè è giusto così ed è la vita che chiede di essere compiuta. Tu, Benjamin e Lukas siete il centro del mondo, so quanto vi ha desiderato, ed io con lei. Siate gentili con lei, siate magnanimi con me, non siamo altro che i vostri genitori, imperfetti ma che vi amano sconsideratamente."

Sono senza parole, il suo discorso mi tocca nel profondo ma non voglio piangere, in cucina e in una giornata in cui il precario equilibrio emotivo della famiglia è già altamente scombussolato, perciò gli prendo le mani e le stringo forte nelle mie, annuendo dolcemente.

Vi deposito un bacio, quando i battiti del nostro cuore tornano alla normalità e torno al mio posto.



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Il giardino è incantato, il profumo delle rose ammanta l'aria di una strana magia.

Deesire Bonnet sa esattamente cosa significa organizzare una festa, sospiro beata girando su me stessa, ogni volta colpita dalla sua maestria; mi basterebbe un decimo della sua magia, per rendere anche il mio mondo fatato, ma sorrido perchè infondo nel mio pragmatismo ci sono le mani di Aurelien, ed oggi più che mai voglio appartenergli.

Stipati negli angoli più disparati, siedono i nostri vicini della collina e gli amici di Benjamin che hanno subito portato allegria, Charlotte vestita di un abito dorato che ricorda le prime stelle della sera e la sua famiglia, accorsa in pompamagna in quel di Parigi.

Patrick è accanto alla aiule che mi guarda, il volto leggermente abbronzato, ritratto della felicità, accanto a lui la nonna che non fa altro che complimentarsi per il suo eccellente gusto british e Fabien a chilometri di distanza a gustarsi la scena divertito.

La mamma dirige il buffet, sofisticato ma di carattere informale, per far godere a tutti l'aria frizzante e il giardino in assoluto comfort; sua l'idea di distribuire delle calzature basse per le signore e dei mocassini per i signori, tanto che a metà serata persone scalze si aggirano per il prato come nulla fosse. E sto muovendo alla stessa maniera da un parente all'altro, quando Benjamin torna in giardino con altri graditi ospiti.

Lea, Anne e Richard Hamilton.



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NDA:

Buon anno nuovo lettori!

Grazie a chi mi segue, grazie a chi lo farà.

Salut,

Luna.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Menta e Cioccolato

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Capitolo 9.


Sapevo sarebbe successo prima o poi, speravo il più tardi possibile ma al destino non importa molto delle nostre paturnie.

Guardo Richard muoversi come un felino in un giardino di antilopi, abbraccia mia madre e le porge un mazzo di rose, saluta con riverenza Fabien, per poi volgersi al giardino in festa come fosse il suo habitat naturale.

I nostri guardi si catturano quasi subito. Abbassa il capo, un saluto contenuto e intercettato da Benjamin, che se lo trascina nel suo gruppo di ragazzoni dove la sua stazza si confonde e si perde in risate e battute grottesche.

Mio fratello e Richard sono amici, penso con un brivido freddo lungo la schiena.

"Tesoro.." Sussulto al tocco leggero di Patrick che mi guarda accigliato. "Ho promesso a Geremia che mi sarei fatto trovare fuori il teatro."

"Sì, certo." Scuoto il capo e sorrido. "Ti accompagno a prendere la giacca."

Mi accingo insieme a lui al guardaroba ma il mio sguardo è basso. "Ti brucia ancora, vero?"

Annuisco. "Non parliamo di lui. Questa cosa si è fatta seria, dunque?"

Strabuzza gli occhi, mentre s'annoda il foulard al collo. "My friend.. ma così su due piedi, certe domande?"

Rido malvagia, amo metterlo con le spalle al muro. "Che peccato tu faccia il sostenuto. Perchè Geremia ha avuto subito la risposta pronta. Anzi, non mi sono nemmeno prodigata a chiedere.. è venuto lui da me a confessarsi." Sfuggo di proposito ai suoi occhi colmi di curiosità ed eccitazione, per chiudermi in un mutismo che lo fa sbottare dopo pochi istanti.

"Che ti ha risposto?" Chiede in stato d'ansia, agitato; è terribile l'amore, non credo ci sia un sentimento che ti consumi e distrugga allo stesso tempo come questo. Guardo ancora il muro, sono terribile anche io, ma lo ometto e cerco di non ridere. "Mhh.." grugnisce, infastidito. "Sì è una cosa seria!" Strepita, angosciato e derubato del suo più grande segreto. "Ho provato a richiamare tutta la popolazione maschile in rubrica quando me ne sono accorto. Niente, attaccavo dopo qualche squillo perchè quegli odiosi occhi liquidi mi trapassavano il cervello." Lo stato di agitazione aumenta, gli occhi si fanno lucidi, io un pò colpevole. "Credo di amarlo Najla Louise e questo è talmente bello che mi fa ridere e piangere insieme. Volevo essere presente a questa serata perchè io e te saremo una coppia e perchè ti voglio molto bene, ma la mia testa è stata tutto il tempo con lui! Ho detto a tua nonna che prenderò un thé con lei e disquisiremo dei tessuti della stagione.. ti rendi conto? Sono talmente innamorato e fuori di me che stasera avrei firmato anche la resa dei diritti gay, se me lo avessero chiesto!" Una lacrima scivola sulla sua guancia, lo tiro a me, stringendolo forte.

"Scusami Patrick, non avevo capito proprio niente." Sussurro al suo orecchio. "Ti ama anche lui. Dice che sei il più bel regalo che io avessi potuto fargli." Si libera dall'abbraccio e mi guarda allarmato. "Te lo giuro, testuali parole." Sorrido, rinfrancandomi del suo sorriso. "E' una gioia per me vederti felice, perchè ti voglio molto bene anche io. Adesso va, non perdere neanche un minuto!" Lo spingo fuori dalla stanza, conducendolo verso l'ingresso. "Stai attento e non farmi stare in pena, capito?" Poi lo guardo con tenerezza. "Prova a dirgli quello che senti, in genere funziona a stare meglio."

Annuisce, incanalando aria a pieni polmoni. "Anche tu dovresti dirgli quello che provi." Socchiudo le palpebre ed espiro rumorosamente. "Si vede lontano chilometri che non l'hai dimenticato." Mi mordo il labbro, fissandolo in piena agonia.

"Siamo troppo diversi." La getto lì, senza dire nulla di concreto.

"Najla, con il tempo capirai che l'amore non è esattamente l'unione perfetta che ti raccontano nei libri, quanto più un unione di anime che rendono perfetto il momento in cui si incontrano. Non hai nulla di cui avere paura, solo grandi lezioni da imparare, qualche cicatrice, ma quel sentimento lì aggiusta e mette a posto chiunque.. persino me, tu guardami!" Annuisco; non potrei esserne più consapevole. "Adesso scappo my friend.." mi bacia fugacemente la guancia e mi lascia lì, in preda ad emozioni che fatico a controllare. "Love you!"


Non credo di avere voglia di tornare in giardino, perciò mi infilo in cucina, prendo una sedia e mi ci accuccio sopra.

So di essere vigliacca, forse anche maleducata, ma non riesco a respirare pensando a lui, figuriamoci a parlargli!

Un rumore molesto alla mia destra, palesa un ombra accanto al frigorifero.

Sto per mettermi ad urlare, quando la fiamma di un accendino illumina il volto di un ragazzo.

"Richard! Oh cielo, mi hai fatta spaventare!"

"Non volevo." Ghigna in modo fanciullesco, avanzando dal buio.

Mi ricompongo, sedendomi come una vera signora; lui fa qualche passo e si mette seduto di fronte.

"Ti nascondi?" Chiede beffardo.

"Come te a quanto a pare.." sorrido e dal buio vedo i suoi occhi gelidi occhi farsi piccoli di rabbia.

"Smettila di provocarmi." Dice in tono asciutto. "Ti ho vista andare via con quel ragazzo e ti ho seguita."

Apro la bocca. "Cioè, mi stavi spiando?" Mi alzo e la sedia per poco non cade alle mie spalle. "Come ti permetti!"

Si alza insieme a me, mi trascina di nuovo all'interno, dove è più buio e nessuno può vederci se attirato dai miei strepiti. "Mi interessa sapere cosa c'è fra te e quel ragazzo, non credo sia un problema se non cedo alla voglia di spaccargli la faccia."

"Ma tu parli sul serio?" Chiedo spaventata dalla sua rabbia così densa di parole.

"Io parlo sempre sul serio."

Senza pensarci troppo gli mollo un ceffone che echeggia nella cucina. "Questo lo avrai sentito bene, allora!" Ammetto, furente.

"Forte e chiaro." Sputa fra i denti. "Ma fa meno male della tua riluttanza nel vedermi, credimi."

Adesso sono senza parole, lui lo capisce e si avventa sulla mia bocca. "Richard! Che fai?!" Lo scanso, un sapore dolciastro mi è rimasto sulle labbra. "Sei ubriaco?!" Non so perchè l'idea di saperlo sbronzo mi fa ridere; una lunga, sonora risata sguaiata.

"Najla Louise tu ridi di me.. come sempre." Credo stia cercando di rimanere serio, ma una sfumatura stonata nelle sue parole ammette che ho ragione, è brillo e stranamente fuori controllo.

"Ti ci vuole un bel caffè, tanto per cominciare." Borbotto, dirigendomi verso la dispensa; lui mi è dietro, sento il ghiaccio della sua presenza, eppure sembra di essere in un forno tanta la tensione.

"Mi hai dato uno schiaffo." Geme, immobile alle mie spalle; il suo fiato mi accarezza il collo.

"E tu mi hai baciata." Rispondo con arroganza, coperta dal buio.

"E lo rifarei, se tu me lo permettessi."

Rido. "Richard stai giocando con il fuoco.." accendo la fiamma del fornello e lo sento ridere. "Smettila ti prego!" Lo rimprovero come si fa ai bambini e lui tace.

"Sei così autoritaria, Najla Louise. C'è la probabilità che un uomo vinca con te?"

"Molto bassa a dire il vero. Specie se ubriaco e con intenzioni tutt'altro che pacifiche."

Fa un passo indietro, sento la sua aurea svanire dalla mia pelle.

"Le mie intenzioni sono buone. Sono gli eventi ad essere lontano dalla mia comprensione, piuttosto."

Mi mordo la lingua nel vano tentativo di non rispondere, ma sento un gran caldo e una rabbia montarmi addosso.

"Forse tu ne hai uno per cui dovresti vergognarti e non poco." Sparo serafica.

"Di cosa parli?" Si avvicina di nuovo, sento il suo nervosismo accarezzarmi, il gelo tornare a me.

"Di un'avvenente ragazza bruna che dice di essere la sola donna a dividere con te, il tuo letto."

La sua risata è tutto ciò che sento. Non sento altro se non il desiderio di spaccargli la testa. "Parli di Lydie? La mia cameriera, Najla Louise."

"Smettila di chiamarmi così!" Intimo perentoria, senza divertirmi neanche un pò. "Sai che c'è? Se non riesci ad essere onesto con te stesso, se non riesci a tenerti in piedi da solo, quella è la porta, puoi anche andare via. Non mi interessa cosa c'è di importante fra te e mio fratello, mi prenderò le mie responsabilità sulle conseguenze, che tu che dici di essere un uomo, non riesci a prenderti."

Credo di averlo colpito anche con le parole, perchè prima di azzittarsi, mi chiede scusa e resta in silenzio per un pò. Poi sbotta.

"Sono un uomo, Najla. Sono un uomo e ho bisogno di una donna. Odio parlare così con te, come odio quello che faccio, ma da quando ti conosco sono talmente frustrato che ho bisogno di quella donna."

"Credo che potrei vomitare." Ammetto senza filtri. "Ma tu chi sei veramente?"

"Sono solo un uomo." Ripete stancamente.

"No, tu non sei un uomo! Tu sei un vile."

"E non lo nego." Sussurra, senza emozioni. "Non sono felice di ciò che sono, ma sono io, devo amarmi nonostante tutto."

La moka borbotta, la tolgo dal fuoco e con riluttanza ne verso il contenuto in una tazza che gli porgo. Non riesco a guardarlo negli occhi, lui lo capisce e mi sfiora il dorso della mano con i polpastrelli, bloccandomi, quasi, fra le sue mani.

Il calore della tazzina mi brucia, ritiro la mano, scocciata e disillusa.

"Con te posso farmi solo male Richard, ti prego lasciami stare." La mia voce si incrina, mentre lo dico, i tormenti del passato tornano ad avvolgermi.

Sento che posa la tazzina sul bancone di marmo per poi abbracciarmi. "Ci ho provato, Najla. E' una condizione che non conoscevo, non riuscire a smettere di pensare a qualcuno. Quando te ne sei andata quella mattina mi sono chiesto tante volte dove avessi sbagliato, la sera che ti ho visto con quell'altro tizio poi.. questo ha minato e non molto la mia salute mentale. Sei circondata da uomini che ti idolatrano e tutti hanno la possibilità di poter godere del tuo affetto, della tua stima e della tua compagnia. Mi sono chiesto troppe volte perchè io no, cosa avessi in meno di tutti loro, uno struggimento che toglie il respiro, se conosci questa sensazione."

"La conosco." Dico a voce rotta, persa nella sua dichiarazione.

"Allora non allontanarmi." Rafforza il concetto posando la fronte sulla mia, con le nostre labbra quasi a sfiorarsi. "Ho bisogno che tu non lo faccia."

"Ho paura di te." Ammetto senza riserve, vulnerabile e desiderosa di averlo con me. "Non mi fido."

Richard mi guarda con occhi tristi, ma saldi. "Farò del mio meglio per smentirti. Dammi una seconda possibilità, non mandarmi via."

Gli stringo forte le braccia intorno alla schiena, non c'è bisogno che io risponda, lo voglio con me adesso e lo voglio con me anche domani.

Il suo respiro è regolare fra i miei capelli, mi fa sentire bene, come se non avessi desiderato null'altro a questo mondo che vivere per quest'attimo; sospiro appesa ai miei stessi sentimenti, impronunciabili e scoppiati nel cuore all'improvviso, come quest'uomo e le sue fragilità.

Gli prendo il viso fra le mani e mai come adesso mi sento forte e sicura di me, lo bacio e spingo quel bacio oltre ogni desiderio taciuto e pensiero assopito; Richard si fa trovare pronto, mi avvolge il volto fra le mani, con tenerezza e trasporto, fino a quando la passione non tracima dalle nostre bocche e ci fa collidere contro il frigo. Delle voci sul corridoio ci fanno sussultare.

Gli premo la bocca con la mano, trattengo il respiro e aspetto che torni il silenzio, pregando.

Mia madre e Fabien sono vicini, probabilmente sul corridoio, discutono seppur a tono contenuto.



"Non ho nulla, Fabien! Ma tutte le volte che mia madre gravita nel nostro universo, tu dai di matto! Ti sembra normale?"

"Tua madre è un'eccentrica classista, snob e impertinente.. e sarei io il matto?"

"Ti ha dato quel soprannome una vita fa!" Strepita Deesire. "Non posso credere che ce l'hai con lei per questo. Non è ciò che sei ancora, un pittore?"

"Sono molte cose Deesire, sono stato molte altre cose, alcune non per mio volere come tu ben sai, altre le ho avute combattendo e stringendo i denti, perciò no! Non sono un pittore, non merito di essere rilegato a un nomignolo così offensivo. Mi rammarico che tu non glielo abbia fatto capire in qusti anni."

"Oh, se è per questo da quanto ti agitavi lo hanno capito tutti sta tranquillo."

"Sono contento!" Fabien batte un pugno sulla porta, poi si arrabbia con se stesso, muove dei passi verso l'ingresso.

"Dove vai?" Gli grida dietro Deesire, furente e angosciata allo stesso tempo.

"Non voglio rovinare questa serata così importante a mio figlio." Risponde con la voce incrinata dal pianto. "Sono stato tutto il giorno chiuso in cucina con Najla per non rovinarla neanche a te e tristemente mi accorgo che è la metafora della mia vita, questa; ti ho lasciata in pace quando me lo hai chiesto, ho fatto finta che lui non esistesse, e le cose sono andate bene, il problema è quando io e te gravitiamo nello stesso mondo, Deesire. Tu sei piena di rabbia perchè dovevo tornare da te e io sono in collera perchè non dovevo lasciarti, quando lo hai chiesto. Dobbiamo trovare un compromesso, prima di perderci definitivamente."

"Fabien.." La voce di Deesire è un sussuro. "Che stai dicendo?"

"Che non sono più sicuro di quello che provi per me e questo mi sta distruggendo, perchè io t'amo come quando ero solo un pittore."

Le voci s'azzittano, nel silenzio solo l'eco di un pianto sommesso, la porta di casa si apre e con violenza di richiude.



Istintivamente la mia mano va alla bocca.

Vorrei correre da mia madre e abbracciarla, Richard annuisce con il capo e torna nel buio.

"Va da lei, avremo tempo per parlare.." mi sussurra, quando mi volto un'ultima volta nella sua direzione.

Tiro un bel respiro e con il viso meno stravolto che riesco ad ottenere, vado incontro alla donna.

Lei è lì dove la immaginavo, al centro del corridoio e con le spalle al muro che piange; muovo passi rumorosi perchè si accorga di me e quando lo fa, istintivamente si asciuga le lacrime.

"Ero in cucina e ho sentito tutto." Le dico, prima che si ostini a sorridere.

"Bene." Sospira.

"No mamma, non è bene." Le accarezzo i capelli e la porto in salotto, lontano dalle mura fredde. "Che vi sta succedendo?"

"Non lo so." Rimugina e piange ancora, le asciugo le lacrime con i polpastrelli e la consolo come posso.

"Partiamo da quello che dice lui. Lo ami ancora?"

"Lo amo più di qualsiasi altra cosa. Mi fa disperare, ha un carattere scostante e puntiglioso, ma non riuscirei a sopportare di vivere senza."

"Questo è bene." Sorride, prendo le sue mani fra le mie. "Perchè discutete, allora?"

"Per la nonna.. il passato.. abbiamo qualche colpa e fardello da portarci dietro, piccola mia." Scuote il capo come se dei terribili segretri passassero nella sua testa, un brivido mi percorre le vertebre, vorrei sapere e al tempo stesso far finta di non aver udito quella risposta ma mia madre è un fiume in piena implacabile. "Sai Najla, forse tu e Benjamin siete stati così intelligenti da averlo già capito.. ed è così, io e Fabien ci siamo amati già prima che voi esistesse. E che io e tuo padre.. esistessimo." Non sono sorpresa dal sentirle pronunciare ciò, quanto dal fatto che sente il bisogno di chiarirlo. Sono spaventata, guardo mia madre e non so decifrare il suo volto stravolto e trasformato in uno che non conosco. "Le nostre vite sono state così bersagliate da eventi avversi che la felicità ci rende terribilmente ansiosi quando arriva, perciò voglio che togli quello sguardo apprensivo dal tuo viso, il buio e le stelle lo aiuteranno a schiarirsi le idee e tornerà da me, come ha sempre fatto."

I suoi occhi incerti mentre parla e il non mollare la mia mano, quasi cercasse conforto in quello che dice, suonano come un campanello d'allarme.

"Cosa è successo veramente fra voi due?" Domando a bruciapelo.

Lei abbassa lo sguardo e risponde senza pudore. "Ci siamo rincorsi per diverso tempo, senza mai averci. L'estate del trentanove, quella che passai ad Auvers da sola lo ricontrai e finimmo, per disperazione e altri disastri, ad amarci senza alcun ritegno." La mia bocca si schiude in sussurro. Stringe forte la mia mano per paura, tanto che non sento più il sangue fluire a dovere. "Tutto finì lì, così come era iniziato. Nel mezzo.. la vita, il mio viaggio in Africa con tuo padre.. finchè non tornammo a Parigi. Una mattina del quaranta, la guerra in corso e l'imminente arrivo dei tedeschi sulle nostre teste, Fabien e io, consci di non esserci dimenticati, ci incontrammo di nascosto promettendoci che saremmo stati insieme, guerra o non guerra, qualsiasi cosa fosse accaduta. Da lì a breve, i tedeschi assediarono Parigi e tuo padre fu sul punto di morire nel focolaio generato alle aziende Chedjou. Il tutto in poche ore! Fu come uno schiaffo in viso, la realtà cruda e violenta mi svegliò dal torpore, promettendo a me stessa che mai più sarei stata quella donna."

"Quella.. donna?" Chiedo ancora sotto choc, per la confessione del tradimento di mia madre.

"Ero la moglie di Aurelien Chedjou.. ma amavo anche suo cugino. Detti la colpa di quelle disgrazie al mio peccato e da quel giorno in poi mi presi cura di tuo padre con infinito amore e condussi accanto a lui, la vita che avevo sempre sognato per noi due, prima che Fabien sconvolgesse il mio universo."

L'istinto mi porta ad alzarmi, sento il bisogno di far fluire quelle confessioni così importanti, mantenendo una lucida e calma distanza.

Deesire si alza assieme a me. "So cosa pensando e non c'è bisogno che ti risponda."

"E' difficile immaginare mio padre felice della situazione." Controbatto velenosa, per nulla neutrale come volevo essere.

"Prima ancora di concederci il perdono, scoprimmo che aspettavo te. Fu l'inizio perfetto, della nostra nuova vita." Dice con voce emozionata. "L'ho amato tanto, Najla, e lui ha amato me in modo straordinario. Questo è il motivo per cui Fabien non sa darsi pace e anche il mio." Schiudo le labbra, la realtà dei fatti si colora di nuove tinte e il viso di mia madre, il suo dolore, adesso mi sembra certamente più familiare. "Quando riemerse dal mondo dei morti, fu come se tuo padre lo avesse mandato di nuovo a me. Non so spiegarti, forse il perdono che mi concesse, forse il nostro amore che non fu privilegiato dalla vita, in quel momento e da quel momento, Fabien rappresentò tutto questo per me. La morte, la rinascita, la speranza." Non c'è bisogno che aggiunga altro, mi avvicino lasciandomi circondare dalle sue braccia come quando ero una bambina; sento che sussurra nel mio orecchio il perdono e io, che di certo mai m'innalzerei a giudice, resto in silenzio scuotendo il capo, a godermi mia madre e il suo abbraccio fragile eppure presente.


*

La forchetta del servizio buono di nonna Clorine, collida contro il bicchiere.

Benjamin ha i capelli arruffati dal clima serale e un bel sorriso, quando richiama l'attenzione di tutti.

"Amici miei, vecchi e nuovi, è giunto il momento di ringraziarvi per esservi uniti ai festeggiamenti dell futuro meraviglioso che m'aspetta. Presto sarò unito in matrimonio a questa splendida giovane, che anni fa, mi concesse il privilegio di amarla e prendermi cura di lei. Non potrei chiedere di più, perciò sarò breve e coinciso." C'è un grande silenzio, mentre parla. Guarda spesso alla mamma, poi a me, cerca sicuramente Fabien fra gli sguardi presenti; il suo discorso è pulito e sincero, le amiche di Charlotte sono le uniche dalle quali partono brusii emozionati. "Charlotte, sei la donna della mia vita, ti amo profondamente e ti ringrazio per gli anni che abbiamo vissuto insieme e quelli che verranno. Mamma e Fabien, siete la famiglia che spero di replicare con lo stesso successo." Sento gli occhi della mamma che cercano i miei, ed entrambe cerchiamo Fabien, che appare adesso nitido e defilato in un angolo lontano dai parenti. E dalla nonna. "Benjamin..se tu solo sapessi." Mi ritrovo a pensare e quasi me ne vergogno, quando sento la sua calda voce chiamare il mio nome. "Najla." Non credevo di meritare un ringraziamento personale. Sorrido un pò tesa, mentre sento nitida la presenza di Richard al mio fianco. "L'amore di una sorella e di un amica, che vorrei i miei figli imparassero a trasmettersi ma sono sicuro, sarai per loro il faro che sei per me." Quasi mi commuovo alle sue parole, spezzate subito da un sorriso impertinente. "Spero solo di vederti presto da questa parte, sorellina.." Ride sotto ai baffi, i suoi amici schiamazzano proposte di matrimonio alla mia volta, finchè si genera un caos dalla quale Benjamin fa fatica a riemergere. "Detto questo, ci vediamo tutti il venti giugno prossimo, alla Santissimà Trinità. Buon proseguimento di serata amici miei! Evviva l'amore!"

Sugella le ultime parole con un bacio appassionato alla sua sposa, mentre la mamma chiede a una cugina di far partire la musica che con leggerezza avvolge tutto il giardino. Qualcuno balla, incoraggiato dai futuri sposi, vedo la mamma schizzare verso Fabien e insieme, sparire in casa. Sospiro, percependo nitidamente brividi di angoscia.

"Balliamo?" La profonda voce di Richard, accarezza le mie paure; annuisco, porgendogli la mano. "Mio malgrado, ho udito tutta la vostra conversazione. Sono profondamente dispiaciuto Najla, so come devi sentirti."

"Davvero?" Chiedo perplessa.

"Catherine e mio padre hanno recitato la commedia della famiglia unita per molto tempo."

Gli occhi profondi di quella donna evocano dei pensieri tristi, dolorosi. "Richard io devo dirti qualcosa a proposito di tua madre."

"So già tutto dolce Najla.." sussurra, stringendomi a se. "E' a Parigi, nella casa di mio nonno e vi resterà per tutto il tempo della cura. Mi ha raccontato tutto nei minimi dettagli, vorrei dirmi perplesso per questo, ma conoscendo la fonte di tale consiglio, non posso fare altro che ringraziarla, per essere così speciale."

Le sue parole sono un balsamo per i miei tormenti; non riesco a staccare gli occhi dalle luci del piano superiore, immaginare mia madre e Fabien, i loro segreti repressi, il loro amore così avverso e contrastato mi fa stare male.

Richard avvertita la tensione mi fa fare una giravolta che mi stordisce. "Sono adulti responsabili, Najla." Quando torno fra le sue braccia, sussurra ancora dolcemente le sue parole; questo lato di lui così buono, così premuroso mi fa perdere le distanze, perciò gli circondo il collo con le mie braccia, finchè le nostre bocche quasi si sfiorano. "Sono i nostri genitori, ma personalmente ho imparato a non farmi investire dai loro problemi. Ti deluderanno proprio come qualunque altro essere sul pianeta e allo stesso tempo li amerai per lo loro fragilità, ma fa sì che siano loro a portare il peso degli sbagli che hanno commesso. Questo ti permetterà di essere obiettiva e sopratutto meno angosciata."

Mi deposita una carezza sotto al mento, che si alza, sugellando la nostra vicinanza con un bacio. Apro gli occhi spaventata. "Richard.." Mugulo.

"Dimmi.." sussurra soavemente.

"Noi.. non credo che dovremmo farlo così."

"Non posso baciarti in pubblico?" Chiede sbattendo ripetutamente le ciglia.

"Sono ancora molto infervorata per la tua confessione."

Sospira pesantemente. "Sei tu la sola e unica donna che vorrei vedere nel mio letto. Adesso lo so." Sorride ma la smorfia di tensione sul mio viso lo fa piombare in agitazione. "Forse sono stato irruento, perdonami." Farfuglia e quasi me ne compiaccio.

Mi guardo attorno, siamo completamente isolati dal resto delle coppie cimentate nel ballo.

"Non sei tu. E' colpa mia, diciamo." Apre i suoi bellissimi occhi nei miei, curiosi e perplessi. "Non sono mai stata in nessun letto che non fosse il mio." Sussurro pianissimo, le gote infuocate sebbene la voce è ferma.

Richard mi guarda come se si trovasse difronte a un esemplare raro di dimante; sconcertato e felice.

"Devo fare le cose per bene." Si chiude tutti i bottoni della giacca e guarda alle imposte della casa alle nostre spalle. "Devo parlare con Benjamin di questa cosa.. di te e di me.. di noi.." è agitato e non l'ho mai visto perdere il controllo, la cosa mi desta preoccupazione e gli prendo le mani.

"E vuoi farlo proprio stasera?" Cerco di sdrammatizzare ma il suo viso resta pallido. "Richard, non sappiamo nemmeno noi cosa sta succendo!"

La mia voce agitata lo riporta al senno. "Forse hai ragione Najla Louise." Scuote il capo e si allontana dal nostro ballo, trascinandomi in veranda.

"Che ti prende?" Chiedo agitata.

"Voglio un vero appuntamento. Partiamo da zero."

"Non voglio partire da zero." Commento seccata. "Voglio che tu sia sincero, solo questo."

"Puoi scoprire chi sono solo se mi concederai un'altra occasione, Najla Louise."

Sbuffo. "Ti ho già detto di non chiamarmi così, Richard Raymond."

"Oh ma a me piacciono i miei nomi, fai pure. E anche i tuoi; rispecchiano la tua personalità. Dolce e forte."

"Non starò quì a farmi incartare dalle tue ruffianerie, sappilo!"

Ride gaio e a me manca un battito di cuore. "Non lo sono mai stato. Non ho intenzione d'esserlo con te."

La sua fermezza scioglie del tutto la tensione. "Avrai il tuo appuntamento. Ma solo un'altra bugia e io.."

Non riesco a terminare la frase perchè le sue labbra inchiodano le mie; alzo le braccia al suo collo, adesso certamente più rilassata, coperta dalla semiombra della veranda. La casa intorno a noi è silenziosa e per diversi minuti dimentico del tutto le finestre accese del piano di sopra e gli incubi che le appartengono.


*

Catherine è meravigliosa, seduta accanto alla finestra, baciata da un raggio di sole primaverile. Sorseggia del the verde, sicuramente il frutto della sua predilizione a tutto ciò che è proveniente dalla medicina curativa; è strano, questa cosa lo fa sorridere più del solito.

"Buongiorno figliolo." Il richiamo della sua voce lo mette in imbarazzo. "Cosa guardi con così tanta soddisfazione?"

"Te, mamma." Posa il giornale sul tavolo accanto a lei e si mette seduto. Poco dopo, la domestica torna con del caffè e pasticcini.

"Sono contenta di vedere finalmente un sorriso." E' ridicolo. Maximiliane gli ha fatto notare esattamente la stessa cosa. Alza le spalle, cercando di non far trasparire alcuna emozione. "Il tuo party è andato bene?"

"Molto bene." Sottolinea, con una venatura sognante che non sfugge agli orecchi della donna.

"Tu e il tuo socio in affari mi sembrate molto più intimi di quanto mi hai detto, Richard, o sbaglio?"

"Beh mamma, Benjamin Chedjou è il fratello della dottoressa Najla. In un certo senso sento di essere molto coinvolto da questa famiglia."

"Lo so che sono parenti." Ammette divertita. "E quella ragazza mi piace davvero molto." Lo sguardo attento di Richard fa si che Catherine sorrida.

"Vedo che hai ritrovato il tuo humor congeniale molto in fretta." Sorride anche egli e le bacia il dorso della mano. "Sono quì per la corrispondenza. Eugene deve averla lasciata a te."

"E' lì sulla consolle. C'è una lettera di tuo nonno per te."

Il viso di Richard si rabbuia. Va alla consolle e in maniera molto meccanica sfila il contenuto dalla busta.

Passano diversi minuti, la donna studia attentamente il viso di suo figlio e la ruga centrale della fronte a indicare una grande preoccupazione.

"Ha tirato le cuoia? O ci annuncia l'enensima tresca, camuffata da affare oltreoceano?" Richard sposta l'attenzione su di lei, ma la guarda senza vederla veramente. "Nessuna delle due a quanto pare." Si tira su lentamente, il lieve cerchio alla testa post trattamento, la rende un pò lenta nei movimenti; solo allora Richard rinsavisce e le va incontro. "Vuoi dirmi cosa c'è?" Chiede dolcemente. "Ho come l'impressione che il solo nominare Raymond, seppur a migliaia di chilometri da quì, ti spinga come su l'orlo di un baratro."

"In effetti è così, ma non voglio angustiarti, Catherine. Perciò siediti e finisci il tuo thè in tranquillità."

Fa per lasciare la stanza ma la donna gli blocca il polso. "No, ti prego, adesso sono quì e mai prima d'ora ti vedo così tranquillo e rilassato. Se c'è qualche problema la tua petulante mamma ha il diritto di aiutarti o quanto meno sostenerti. Ti prego Richard, non issare quel muro proprio adesso. Prendiamo questa novità come un nuovo inizio fra me e te."

"Un nuovo inizio." Ripete sarcasticamente.

"Sai di cosa parlo. In più credo dovremmo essere onesti con noi stessi e ammettere che non sappiamo quanto durerà. E mi piacerebbe che succedesse con tutti i pezzi della mia vita messi al loro posto."

Un velo di terrore copre le pupille dell'uomo ma leggermente, con il capo, annuisce. "Credo d'essermi innamorato, Catherine, ma questa donna ha un passato dal quale dipende l'ascesa al mio successo. Raymond ha fiutato l'affare e me lo ha proposto prima ancora che questa novità accadesse, e ora sono a un bivio. Qualsiasi decisione, qualsiasi strada io decida di imboccare, mi prospetta davanti grandi sofferenze."

"Devi decidere se prendere la via dell'amore o del successo, quindi?"

"Esattamente."

"Lei è innamorata di te?"

"Si." Ammette senza l'ombra di un dubbio, sorridendo. "E' la persona più onesta, appassionata e gentile che io abbia mai conosciuto."

"Il solo pensiero di farle male sembra impossibile."

"Stavo per dirlo."

"Hai già la tua risposta Richard. E posso solo consigliarti di darla in fretta anche a lei, non mi sembra una donna con delle qualità che la lasceranno sola molto a lungo.."

L'uomo si morde il labbro e sospira. "Raymond non capirebbe."

"Rymond è dall'altra parte del mondo. E ha vissuto una vita inseguendo il suo istinto. Una cosa buona che potresti cogliere da lui." Ride e la tensione si scioglie. "Fai ciò che è meglio per te e lascia stare il parere di quel vecchio dispotico."

"Il problema è che entrambe le decisioni portano al meglio."

Catherine fa una smorfia. "Perchè ancora non sai quanto è dura vedere la persona amata che soffre e sapere che sei tu la causa, tesoro mio. Arrivato a questo punto dovresti chiederti quanto sei disposto a metterti in gioco per lei e solo allora, solo quando sarai certo di amarla veramente, prendere una decisione."

"Stiamo parlando ancora di me, vero?" Chiede scrutando i suoi occhi vacui e il volto leggermente proteso verso la finestra.

"Certo." Risponde con fermezza. "E' che ho implorato tuo padre di trasferirsi quì. Sento molte emozioni contrastanti quest'oggi."

E Richard non aggiunge altro, le prende la mano e la stringe forte nella sua.

Catherine torna ai suoi occhi, ancora meravigliosa ed eterea; sorride un pò incerta, ma il calore della mano di suo figlio sembra suggerirle che quel qualcosa che aveva tanto desiderato cambiasse, improvvisamente stava gà accandendo.


*

Mi sveglio in stato di agitazione, la nuca madida di sudore, i capelli arruffati appiccicati sulla fronte; lo specchio non mente, profonde occhiaie di un sonno stanco e il viso pallido. Brontolando mi sfilo la vestaglia, mi dirigo in bagno e mi infilo nella vasca. Tutto intorno è silenzio, la casa sembra addormentata e non arriva da basso il consueto profumo delle pietanze della domenica.

La testa mi duole di pensieri, penso alla mamma, a Fabien, ai segreti; dirlo o non dirlo a Benjamin, questo non mi ha fatto chiudere occhio.

L'acqua calda è rilassante, per un attimo vengo avvolta dalla sensazione di benessere degli occhi di Richard su di me e arrossisco; mi accorgo di essere costantemente con un piede in paradiso e uno nell'inferno.


"Buongiorno sorella."

Benjamin è in cucina, prepara la colazione a Lukas ipnotizzato dal televisore; quello strano congegno a colori ha il potere di stregarlo.

Guardo intorno alla ricerca di Deesire ma Benjamin mi precede, passandomi una tazza con del caffè e una fetta di dolce.

"La mamma è in laboratorio dall'alba e Fabien è in giardino a trafficare con le sue rose." Guarda me e il piccolino, abbassa il volume della tv e sorride. "Richieste per il pranzo di quest'oggi?" Alzo le spalle e nego con il capo. Lukas urla chips. "Bene, chips. Ma deve esserci qualcosa di sostanzioso avanzato dal buffet per noi.. Najla tutto ok?"

Approfittando della disattenzione di Benjamin mi sono messa a fissare dal corridoio il giardino da un pò, l'ombra di Fabien spunta dai cespugli ogni tanto, ma non si volta mai verso casa. "Torno subito." Biascico.

Esco fuori passando dalla veranda, lui mi nota dopo un pò, ma non sembra turbato. "Buongiorno."

"A te. Le rose crescono bene?" Domando a bruciapelo. "Benjamin sta intavolando il pranzo, se hai delle richieste è il tuo giorno fortunato."

"Queste rose sono un inno alla vita, ma hanno bisogno di molte attenzioni e cure." Sorride ed è bellissimo; è strano quando lo guardo ha un'aria familiare, non mi stupisco se non vi sono stati traumi quando è apparso nella nostra vita, quasi una presenza forte e invisibile fino a quel momento ma perfettamente incuneata nel nostro contesto quando si è rivelata. "Credo di averne per un pò, dovrò passare da Jean a prendere del fertilizzante il quale mi ha invitato a trattenermi per il pranzo."

"E' una fortuna avere il migliore amico vivaista." Tento di sorridere e lui non si accorge della punta di ironia della mia voce, oppure fa finta.

"Di domenica sì, ma non diciamoglielo." Afferra le cesoie e inizia a tagliuzzare quà e là, lontano dalle rose e dalla sottoscritta.

Guardo il roseto e sembra la parabola di un amore; sono sicura che c'è un messaggio segreto per la mamma in quei fiori come sono pure certa che lui la ami da diventare folle, anche se non mi capacito di ciò che è stato nel loro

passato.

Lei non le ha raccontato nulla della nostra conversazione della sera precedente, lo percepisco dai suoi occhi e dalla sua voce, eppure sento che non è abbastanza. La testa torna a dolere, l'angoscia a bussare. Mi ordino di tornare in casa e allontanare da me per un pò i drammi.

Il pranzo è una sorta di rivisatazione delle pietanze marocchine preferite da Benjamin; couscous di ceci e verdure e la zaalouk l'insalata di melanzane e pomodori, le chips per Lukas e ogni sorta di dolce della pasticceria Fabien&Madeleine.

Fabien passa trafelato a salutarci, la porta si chiude alle sue spalle e il silenzio di sguardi mio e di Benjamin viene coperto, amabilmente aggiungerei, dalla vocina di Lukas, dai suoi racconti e dalla sua fervida fantasia.

"Dobbiamo preoccuparci?" Ben rompe il nostro tacito silenzio, mentre riordiniamo la cucina. Mi prendo qualche secondo prima di rispondere ma lui è impaziente. "Ieri sera è sparito per tutto il tempo, la mamma era agitata, temo ci sia lo zampino della nonna anche stavolta."

"La nonna.. sì!" In un attimo capisco che non posso raccontargli la verità, non ora, ad un passo così importante per la sua vita; sarebbe una preoccupazione in più da gestire e conoscendolo se ne farebbe carico escludendo me da tutto. Indosso il mio sorriso sarcastico, sperando che non legga infondo ai miei occhi. "Credo che chiunque oltre me, te e la mamma, la troverebbe irritante." Benjamin alza gli occhi al cielo. "E poi è arrivata la primavera e quella dispettosa rende tutti più inquieti."

"Oh si, ho notato qalcosa." Mi inchioda con il suo sguardo da bambino divertito e prosegue. "Di te devo preoccuparmi invece?"

Mi mordo il labbro. "Credo di sì. Tienimi d'occhio, questa stagione riserverà molte sorprese."

"Se ti fa soffrire ancora gli tolgo quel sorriso compiaciuto dalla faccia." Dice asciutto.

Alzo il sopracciglio. "Sorriso compiaciuto?"

"Non ti ha tolto gli occhi di dosso nemmeno un istante. E con un sorriso idiota mi ha ringraziato." Lukas gravita fra le nostre gambe chiedendoci dell'acqua, Benjamin gli riempie un bicchiere e si inginocchia alla sua altezza. "Deve ringraziarmi se io e questo omino quì gli permettiamo di avvicinarti piuttosto, vero Lukas?"

"Non mettergli in testa idee strane, Benjamin!" Gli do uno scapaccione con lo straccio, il bambino ride, ci da dei matti e torna ai suoi giochi. "E adesso sta zitto per favore e aiutami!"

"Ai suoi ordini madamoiselle."

Non riesco a trattenermi, sorrido istericamente, lasciando aleggiare intorno a noi una felicità sospetta.


*

La Senna è placida ai suoi piedi, il pont de Neuf vivo solo dei suoi pensieri mesti e di una coppietta che si sta saziando di baci per il pranzo.

Nelle mani stringe ancora la missiva di Raymond, poche righe che lo hanno gettato nello sconforto, sebbene nessuna verità che non fosse già abbastanza chiara. Quel vecchio pazzo era riuscito, dall'altra parte del continente, a recuperare un referto medico del millenovecentotrentanove di Deesire Bonnet quando questa era in Africa, dove si attestava che fosse in stato interessante da un periodo non meglio specificato come la suddetta dichiarava. Che la futura mamma non volesse sapere abbastanza di quella gravidanza era chiaro, poi d'un tratto le confessioni che aveva udito suo mal grado la sera precedente, avevano regalato tutte le risposte; Deesire Bonnet era incinta quando si mise in viaggio per l'Africa con l'adorato marito, ma il figlio che portava in grembo non era di Aurelien Chedjou, ma di Fabien Moreau con il quale aveva intrecciato una relazione extra coniugale. Richard avverte il senso amaro della verità alla bocca dello stomaco, capisce in quel momento che Najla è molto più importante di quanto non osa proferire e sente di nuovo prepotente, l'istinto di protezione nei suoi confronti.

Non le avrebbe permesso di soffrire, non a causa sua e questo era ben chiaro. L'avrebbe salvata e insieme a lei quella famiglia che sentiva già abbastanza vicina; era una strana sensazione, la stessa che aveva provato in compagnia di Catherine poco prima, forse per la prima volta dopo moltissimi anni, era stato sfiorato dal calore della compassione, dei sentimenti puri che vanno al di là dei tornaconti personali.

Era tutto troppo forte per lui che aveva creduto di avere argini molto saldi e senza rendersene conto, stava piangendo.




Amour, toux, fumée et argent ne se peuvent cacher longuement.
Amore, tosse, fumo e denaro non si possono nascondere a lungo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Menta e Cioccolato

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Capitolo 10



"Allora nonna, manca qualcosa?"

Casa Bonnet, la mia futura casa, è stata messa a soqquadro da un non meglio identificato soggetto o soggetti, dato la confusione che abbiamo intorno, e al nervosismo della violazione si aggiunge anche il nervosismo per lo stomaco vuoto dal pranzo saltato per correre subito ai ripari, che ora duole com un matto. La nonna tocca tutto, il poliziotto spazientito non sa più come dirle di tenere a freno le mani ma lei lo guarda di soppiatto ignorando del tutto i suoi rimproveri. Io mi tengo a debita distanza, calcolando il tempo che mi ci vorrà per sistemare tutto, chiamare un fabbro per cambiare la serratura e inizio già da adesso ad esorcizzare la paura di vivere in una grande casa come quella tutta sola.

"Non mi sembra manchi qualcosa di rilevante. Alcuni vecchi documenti, ecco tutto."

"Che genere di documenti, signora?" Chiede l'uomo in divisa.

"Carte mediche di venti anni fa." Risponde sarcastica. "Uno squilibrato collezionista, non c'è che dire."

L'uomo si gratta il mento. "Niente altro?"

La donna indica la parete. "Un piccolo quadro di mio genero di poco valore."

Non avevo notato la macchia sul muro e cerco di sforzarmi di ricordare di quale quadro si tratta senza arrivare da nessuna parte.

"Possiamo stare tranquille agente?" Chiedo frastornata.

"Per come la vedo io era da solo, probabilmente un vagabondo o un ladro d'occasione. Cercava qualcosa di sostanzioso, di facilmente trasportabile e non trovando nulla si è accontentato di trafugare un quadretto insulso. Portarsi via le carte mediche penso sia solo uno sfregio. A meno che non vi venga in mente il nome di qualcuno che possa avercela con la vostra famiglia e quì possiamo ribaltare del tutto la visione delle ipotesi."

Io e la nonna ci guardiamo e rispondiamo all'unisono. "Nessuno."

L'uomo annuisce. "Negli ultimi tempi il Marais è soggetto a piccoli furti occasionali, constatare che quì non v'è nulla vi terrà lontane da futuri topi."

"Ci sta dicendo che dobbiamo ritenerci fortunate agente?" Chiede la nonna velenosamente.

"In un certo senso sì madame."

"Ricordami di procurarti una carabina da mettere sotto al letto." Mi dice in tono sarcastico. "Mia nipote abiterà quì molto presto, non voglio rischiare incidenti." Conclude sorridendo falsamente all'agente che borbotta.

"Le prometto che nei giri di ronda insisterò non poco su questa via." Si mette il cappello e si dirige verso l'uscita. "Se non volete sporgere denuncia io andrei." Vedo la nonna agitarsi ma intervengo scortandolo fino alla porta prima che questa lo azzanni.

"Non ce n'è bisogno agente, ma può capire la preoccupazione di mia nonna e anche la mia a dirla tutta."

"Dorma sogni tranquilli madamoiselle, veglieremo noi su di lei." Alzo gli occhi al cielo e lo congedo.


"Era il ritratto di una foto scattata a tua madre nella savana africana." Quando torno dalla nonna è la che la sento rimuginare alla parete; mi avvicino accarezzandole la spalla e sospiro. Lei si volta e mi fa una carezza in viso. "Poco male, conservo ancora quelle foto."

"Parigi sta cambiando molto in fretta in questi anni."

"Vedo." Gira attorno alla stanza e poi mi fissa. "Ti manderò Bernadette a rimettere a posto, il tempo di arrivare a casa."

"Non darti disturbo nonna, sono solo vecchi fogli da riordinare." Poi mi mordo il labbro. "Devo recuperare il numero di un fabbro e sono a posto."

"Tommase proprio l'altro giorno mi parlava del figlio di un tizio che conosce che fa il fabbro, lascia che glielo chieda."

"Va bene, ma almeno lasciami chiamare un taxi che ti riporti a casa!" Strepito sorridendo.

"Gradisco."

Afferro la cornetta telefonica e prenoto la vettura; nell'attesa riordino i fogli e li inserisco a loro posto, meditando sull'accaduto. Un vecchio referto medico di mia madre e un quadro, la situazione ha del grottesco ma cerco di non dargli ulteriore peso, riflettendo sulle parole del poliziotto.

Sospiro e mi alzo, il tassista è arrivato e sta suonando il clacson.

"Quanta fretta.." borbotta la nonna avviandosi verso il portone.

La precedo a passo svelto ma quando vediamo il portone aprirsi da solo, saltiamo entrambe sul posto.


"Richard Hamilton!" Stridulo, guardando se la nonna fosse ancora in piedi e non accasciata sul pavimento in preda a un infarto. "Non ti hanno insegnato l'educazione?" Borbotto constatando che non solo Clorine è in piedi, ci fissa con un espressione greve entrambi.

Richard distoglie lo sguardo e mi lancia una delle sue occhiate autoritarie tipiche, prima di rispondere. "E a te non hanno insegnato che un fidanzato va avvisato quando ci si trova in una situazione di pericolo?"

La parola fidanzato sortisce su di me un doppio effetto; guance rosse e risatina nervosa.

La nonna mi supera e va verso di lui con il dito puntato. "Sarà la tua fidanzata quando le farai una dichiarazione di tutto rispetto, signor Hamilton dei miei stivali!" Passa oltre ma prima di uscire lo guarda ancora. "Ti tengo d'occhio, sappilo. Arrivederci nipote cara!" L'ultima frase suona decisamente minacciosa, ma fingo tranquillità ricambiando il saluto con la mano.

Richard richiude la porta e sospira venendomi incontro, sembra imbarazzato, ma i suoi occhi sono così indecifrabili.

"Ho ancora la divisa dell'ospedale, non sai che corsa ho dovuto fare per arrivare quì prima di lei." Dico borbottando e dirigendomi nuovamente nel salotto, quasi in ordine. "Senza contare la preoccupazione per ciò che avrei trovato. L'agente ha detto che erano settimane che il portone era aperto, un vicino si è deciso ad entrare ed è stata la mia fortuna."

Richard mi è dietro come un'ombra. Guarda attorno, ha un espressione circospetta e i suoi movimenti sembrano impacciati.

"Cosa hanno rubato?"

"Carte mediche vecchie di ventanni e un quadro di mio zio Fabien."

Le sue labbra si sfiorano impercettibilmente e la mascella sembra contrarsi. "Ho pensato che non avessi pranzato." Dice poi cambiando totalmente espressione, alzando il braccio a cui è appeso un sacchetto. Non lo avevo proprio notato, ma non appena l'odore di cibo arriva alle narici, lo stomaco brontola. "Sono le falafel della Rue dei Rosiers. E credo di aver fatto bene a comprarle." Ride e cerca un appoggio di fortuna, ma l'unico appoggio è il pavimento, per cui si toglie la giacca, la distende in terra e mi offre la sua mano. "Dovremmo comprare un tavolo molto presto, Najla Louise."

"Dovremmo?" Chiedo stordita, le falafel dimenticate.

"Non sarò ufficialmente il tuo fidanzato, ma ho piacere di accompagnarti a comprare un tavolo."

La parola ufficialmente mi fa ridere; dalla festa della promessa di nozze di Benjamin, sono passate appena tre settimane eppure il nostro "fidanzamento" è praticamente sulla bocca di tutti. Quotidiani locali e principali sopratutto, di cui Richard si bea, nonostante sa che io odi da morire questa assurda sovraesposizione. E' cambiato tutto da quella sera, mi sussurra spesso all'orecchio. E ha ragione. Ci comportiamo come una normalissima coppia, passiamo le nostre giornate a condividere il tempo e le aspirazioni, indubbiamente siamo diventati molto vicini ma non abbastanza perchè io mi fidi ancora completamente e ciecamente di lui. Questo lo fa disperare e lo capisco dai suoi occhi mai sereni, sempre pronti alla tempesta, e se devo dirla tutta non me ne dispiaccio. Richard Hamilton è un uomo dalle mille sfaccettature e sono sicura di conoscere appena una parte di esse. Il problema sostanzialmente è che mi sono messa in testa di scoprirle tutte.

"Non ce ne sarà bisogno, Richard. Presto i vecchi mobili che erano quì torneranno restaurati e avremmo un bel tavolo dove mangeremo da persone normali e parleremo di tutto quello che avremmo voglia di fare insieme." Ho la voce molto dolce quando parlo del nostro futuro, la cosa mi imbarazza ma non riesco a gestirla. Richard sorride, afferra la mia mano e vi deposita un bacio della stessa dolcezza.

"Devo tornare alla fabbriche." Dice, pulendosi gli angoli della bocca con la salvietta di carta. Si alza e aiuta me a rialzarmi; il suo odore mi stordisce come sempre, ma anche la sua voglia di tenermi stretta a quanto pare non è assopita. "Sei sicura che non hai bisogno di un altro cavaliere per il matrimonio?" Chiede e a me sembra di udire la richiesta di un bambino.

Alzo le spalle. "Ho già un cavaliere, mi dispiace. Se vuoi possiamo flirtare in incognito tra un flute e l'altro, Hamilton dei miei stivali." Scoppiamo a ridere ma il suo sorriso scema con una ruga al centro della fronte. "Sei turbato dalle parole di Clorine Fontaine?"

"Un pò sì, non mi ha dato l'impressione d'essere scherzosa mentre le pronunciava."

"E non lo era Richard." Rido sarcastica. "Per cui fai bene a preoccuparti. Mia nonna non parla mai a sproposito." Poi lo guardo mordendomi il labbro. "Ma tu lo sai che in giovinezza ha avuto una liason con tuo nonno?"

"Fortuna mia che non sia terminata con un lieto fine." Risponde, guardandomi attentamente negli occhi. Poi un sospiro, le sue labbra sugellano quelle parole con un bacio e scappano via velocemente, come le sue spalle che prendono di gran fretta la via d'uscita.

Resto stordita nel grande salone in piedi, sola e con il cuore a scoppiarmi nel petto.


*

Ne aveva sentite tante sul suo conto; avvocato, ex poliziotto, addirittura che fosse intrecciato al clan dei marsigliesi per parentela.

Tutto questo non gli importava, ciò che importava adesso era la sua rabbia montante, i passi veloci e la testa bassa, nel quartier du Sentier.

Sapeva bene dove abitava, e non grazie a Raymond certo, quanto più al proprio ragionevole buonsenso che sembrava mancare in suo nonno; più volte lo aveva sentito definire solo come uno scaltro uomo da usare per i giochi sporchi ma Richard non si era mai fidato e a buon ragione. Il pensiero che quei due si fossero spinti fino alla violazione del privato, gli faceva ribollire il sangue nelle vene, presagendo la follia di menti che si sarebbero spinte chissà dove pur di far crollare il clan Chedjou.

Non si era fatto desiderare molto, aveva chiesto a Maximilianne di restare nei paragi e pronto, ma quel guitto si era palesato da subito, seduto al tavolo di un bar sulla Rue Montorgueil , chiassosa e affollata. Si sente fortunato, spera nell'altrettanta fortuna di non sporcarsi troppo le mani.

Più si avvicina più mette a fuoco la sua inquietante figura; viso magro e scavato, labbra rosse vermiglio e nelle mani una sigaretta ormai consumata dallo stancante scorrere del tempo. Affretta i passi, all'improvviso prende una sedia e gli è di fronte.

Morgan sussulta spaventato, pochi secondi e sul suo viso compare un ghigno.

"Devo intendere che la missiva è giunta a destinazione." Proferisce, gettando via il mozzicone di sigaretta. "Perchè quella faccia Hamilton?"

"Non sei nella posizione di chiedere nulla, sta zitto e ascoltami bene." Morgan s'irrigidisce, il ghigno si trasforma in una linea dura. "Prova solo a rimettere piede in quella casa e ti pianto una pallottola nel cervello." Richard indica un punto alle spalle dell'uomo; Morgan ruota leggermente sulla sedia, un uomo al di là della strada fa lucciare nelle sue mani qualcosa di argenteo, alla luce del sole. Lentamente, torna composto con un espressione livida in viso, Richard con un gesto secco lo agguanta per il bavero, tirandolo verso se; il tavolo accenna a crollare sotto il peso dell'irruenza, Morgan non si fa trovare impreparato, fa un pò di resistenza ma la stazza del ragazzo lo piega al suo volere. Il brusio sale dai tavoli intorno. "Devi stare lontano da Najla Chedjou e da tutta la sua famiglia. Questo è l'ultimo ordine che ricevi da un Hamilton. Sono stato chiaro?"

"Ma Raymond.." Cerca di replicare, per tutta risposta Richard rafforza la presa.

"Dimenticalo." Grugnisce. "C'è una busta con del contante sul cassone nel bagno del locale. La prendi e ti dimenticherai di lui e di tutta questa storia.. solo così nessuno si farà male."

"Va.. bene." Sussurra l'uomo, il collo rosso per la tensione. "Adesso lasciami, ci stanno guardando tutti."

Richard rallenta la presa. "Non farmi pentire di questa scelta." E molla del tutto.

Nell'attimo in cui a Morgan torna il respiro regolare, con tutta la forza che raccimola sferra un pugno in faccia al ragazzo che indietreggia senza però cadere. Passano dei secondi in cui si guardano, lo zigomo di Richard pulsa ma i suoi occhi sono fieri, inniettati di sangue; sta per colpirlo anche lui, ma uno degli inservienti del locale lo trattiene e un altro cerca di far allontanare Morgan prima che il bar si trasformi in un ring a cielo aperto.


"Capo il suo zigomo mi preoccupa, non vuole che l'accompagni all'ospedale?"

Il viso di Najla, pallido e preoccupato, lo gettano in uno stato di paura; avrebbe solo voglia di stringerla, farsi medicare dalle sue mani gentili ma non saprebbe dove inziare a spiegargli la situazione, senza parlargli anche di Raymond.

"No, all'hotel, grazie Maximilianne."

L'uomo si chiude in un silenzio tetro, come il suo umore, fino a destinazione dove si dirige di gran corsa verso gli ascensori lasciando che il trench appoggiato alle sue spalle, sventoli impazzitto. Dopo un pò alla reception appare Lidye che guarda Maximilianne perplessa.

"Mi ha chiesto del disinfettante." Sussurra.

"Faresti bene a portarglielo subito. Conosci bene com'è fatto ragazzina."

"Ragazzina." Bofonchia, ancheggiando anch'ella verso gli ascensori; in cabina si guarda nervosamente allo specchio, da un pò Richard Hamilton faceva di tutto per evitarla. Quest'ultimo pensiero la innervosisce, esce a passo svelto e bussa furiosamentealla sua porta.

"Sono Lidye." Richard apre quasi di soppiatto e la fa entrare senza fiatare; lo zigomo gonfio ed escoriato la fanno trasalire. "Buon Dio, con chi ti sei messo a litigare?" E lo accompagna svelta in bagno, dove prepara l'occorente per medicarlo.

"Questo non importa." Soffia l'uomo, mentre il disinfettante entra in contatto con il suo viso. "Ma grazie per essere qui."

"Prego." Risponde sarcastica. "Sono quasi contenta, sai? Per rivederti, ti sei dovuto prendere un bel pugno in faccia." A Richard spunta un sorriso amaro ma non dice nulla. "Per tua fortuna è solo un graffio superficiale. Un buon destro ma di sguincio."

"Sei esperta di box?" Domanda sarcastico.

"Quando cresci in una banlieu, non è che c'è molto altro da imparare." Soffia sulla sua guancia e questo gli da sollievo, per qualche istante si guardano, poi la ragazza sorride e distoglie lo sguardo. "Richard Hamilton, sei salvo."

Richard si guarda allo specchio, il viso è arrossato per metà ma l'aspetto sembra migliore. "Da quale banlieu provieni?"

"Neuilly.” Risponde lei, passandogli del ghiaccio.

Neuilly. Saprai certamente del mio affare alle Société Chedjou.

So tutto, mio malgrado.” Fa un sorriso sarcastico, prima di incrociare le braccia al petto e fissarlo. “Ti aspettavi veramente che credessi alla favola della cameriera che sposa il principe industriale? Ah Richard, quanto poco sai delle donne..” esce dal bagno ridendo, l'uomo la segue.

Quello che è successo qui, con lei, è stato davvero poco carino.”

Lidye sorride sardonica. “E ci è rimasta molto male?” Sventola le ciglia e Richard scuote il capo.

Tengo molto a lei, sappi che ferendola ferisci anche me.”

La donna si morde il labbro, rassegnata. “Ho capito. Posso aiutarla con altro signor Hamilton?”

Lascia che stavolta lo chieda io a te.”

Non capisco.” Afferma la ragazza.

Posso aiutarti in qualche modo?” Scandisce le parole, lo sguardo serio.

Oh mon Dieu!” Risponde trafelata, quasi scandalizzata. “Intendi liquidarmi porgendomi favori, Richard?” I suoi occhi sono sull'orlo del pianto, Richard annega in un diniego muto, cercando di trattenerla mentre si divincola per andare via. “Lasciami! “ Strepita. “Vi credete tutti così intelligenti, educati, nobili.. ma non siete che un branco di rozzi pecoroni con un titolo!”

No Lidye è la tua diffidenza che ha scambiato la mia riconoscenza per squallore.“

La donna si ferma, non scalpita più. “Richard Hamilton ha mai dato prova di sapere cosa fosse la riconoscenza?”

Lui abbassa gli occhi. “Temo di no.” Poi pensa agli straordinari cambiamenti che ha perseguito nell'ultimo mese, ai sentimenti mai provati fino ad allora e fa un sorriso. “Sto cercando di essere migliore di ciò che sono stato. Mi piacerebbe aiutarti, se tu ne avessi bisogno.”

No. Non ho bisogno del tuo aiuto.” E lo dice fra i denti, il disprezzo disegnato sul volto. “Ti prego di lasciarmi andare adesso.”

Richard molla la presa sul suo braccio, totalmente frastornato apre la porta e la vede scappare, quasi, verso gli ascensori; poi il suo occhio cade sul pavimento, dove appoggiato al muro se ne sta un pacco. Lo raccoglie e intuisce subito per la forma, il contenuto e il mittente.

Scarta avidamente, quasi in preda a convulsioni nervose, la rozza carta velina che scopre il ritratto di una giovane in quello che sembra un deserto.

Quella giovane è Deesire Bonnet.


*

Dobbiamo parlare.”

La porta a vetri della pasticceria si apre e si chiude con un gesto secco, tanto che la campanella appesa al muro non ha nemmeno il tempo di tintinnare.

Buongiorno, madre.” Risponde una laconica Deesire alla figura di Clorine Fontaine vestita di tutto punto. “Quale vento nefasto ti porta qui?”

Clorine fa il giro del bancone e raggiunge la figlia. “Non puoi stare qui dietro.” La rimbrotta sua figlia, scortandola sul retro innervosita.

Hai una vaga idea di chi sia in realtà il ragazzo che sta frequentando tua figlia?” Spara la più anziana in un sol colpo.

Deesire incrocia le braccia al petto. “Scommetto che tu si, invece?”

Conosco gli Hamilton piuttosto bene per poter dire la mia, certamente.”

Non speravo il contrario, madre.”

Deesire, smettila di scherzare e ascoltami. Il nonno di quel ragazzo è un abile calcolatore nonché un uomo senza scrupoli, non sarei stupita nello scoprire che abbia manipolato il nipote alla caccia di doti o peggio ancora.. a cercar vendetta!”

La donna di fronte a lei strabuzza gli occhi. “Vendetta? Per quello che è successo fra di voi più di venticinque anni fa?”

Clorine sussulta. “Quindi.. ricordi?”

Deesire si morde il labbro. “Ricordo tutto di quegli anni.” La tensione scende sulle due donne, Clorine la guarda severa.

Ho l'impressione che ultimamente tu sia piuttosto scostante con la sottoscritta. Non vorrei nutrissi nei miei confronti dei rancori di cui non parli, Deesire.” Il volto della donna si fa piuttosto scuro, triste.

No madre, il solo rancore che nutro è per me stessa, quando ho potuto scegliere mi sono sottratta alla volontà di farlo.”

Una lacrima bagna i suoi occhi mentre parla. Clorine cerca il suo fazzoletto nella borsa e glielo porge.

Sappiamo bene entrambe che non è così. C'ero io quando hai aperto quella porta, in piena occupazione, per gettarti nel futuro con Fabien senza calcolare cosa fosse giusto o sbagliato in quel momento. Figlia mia, tu sei la donna più coraggiosa che io conosca, la più testarda e se ti ho recato dolore in qualche modo lascia che vi porga rimedio.”

Se vuoi veramente farlo, smettila di torturare Fabien.” Risponde risoluta. “Non è un buon momento per noi ma lui è stato e sarà l'amore della mia vita, mamma. Dopo tanti anni, e altrettante sofferenze, questo dovrebbe esserti chiaro.”

Lo è.” Ammette l'altra. “Ma non smetterò di essere quella che sono, tanto meno per compiacere Fabien.”

Se è così sarò costretta a limitare i nostri incontri, per un po'.” Risponde bruscamente Deesire.

Se lo ritieni necessario non mi opporrò. Ma ti prego, non trascurare tua figlia.. come ho fatto io con la mia.”

Le due donne si guardano senza dire più niente, la campanella del negozio suona ed entrambe si avviano allo scoperto.

Fabien è in un angolo, fa finta di sistemare il tavolo delle esposizioni, serve la coppia di clienti entrata e schiarendosi la gola attira l'attenzione dell'uomo, quando i due se ne vanno. Lui si gira, le fa un mezzo sorriso e indica il corriere con i sacchi di farina in strada.

Buonasera Antoine!” Strepita all'uomo dentro al furgone. “Avviso subito i ragazzi di aprirti il portone.”

Di nuovo si scambia lo sguardo con Fabien, che sorride ancora. “Va pure, resto io al bancone.”

Ti prego, indossa il camice.” Gli lascia detto, prima di sparire ancora sul retro.


Buonasera signor Moreau.” Una ragazzina entra in pasticceria guardando attorno incuriosita.

Buonasera Gillie.”

Indossa il camice e la guarda in attesa che scelga fra le creazioni di sua moglie; la prima volta che era entrato nella pasticceria, era rimasto forse mezzora buona a guardare cosa quel piccolo folletto era stata in grado di tirare su, dall'originale laboratorio d'arte di sua madre Madeleine.

E poi i biscotti. Quei biscotti che erano venuti su da soli quell'estate afosa di quando erano giovani e incoscienti. Quanta strada fatta fino da allora, quante gioie e quanti dolori avevano dovuto sopportare per poi ritrovarsi. Non era venuto certo il miglior tempo per il loro amore, ma le aveva promesso che non si sarebbero persi mai più e l'uomo che era tornato dal mondo dei morti solo per rivedere il suo sorriso, sapeva quanto fosse importante quella promessa.

Vorrei tre biscotti allo zenzero, signor Moreau. E anche tre di quelli al cioccolato.”

Vediamo un po'..” afferra un piccolo vassoio e a mano a mano coglie i biscotti dal banco. “Altro?”

Due meringhe.” Afferma convinta. “Mio padre ne va matto.”

Ah, quelle sono squisite in effetti.”

Quanto le devo signor Moreau?”

Le meringhe te le offro io.” Dice, pesando il vassoio. “Tre franchi cherie.”

La ragazzina gli passa i soldi, lasciando un saluto a Deesire.

La donna riemerge dal retro dopo una buona mezzora, si mette accanto al marito e attendono che l'ultima ora della serata passi tra un cliente in vena di festeggiamenti ad uno più solitario in vena di consolarsi.

Grazie.” Sussurra ad un certo punto Fabien, mentre sono piegati a tirar giù la serranda del locale.

Se ti aggrada tanto, te la lascio tirar giù ogni sera!” Risponde divertita.

Fabien sorride e poi sospira. “Sai a cosa mi riferisco.”

La donna alza gli occhi al cielo. “Passeranno guerre e bufere, ma ci siamo promessi che non ci saremmo più persi, non è così?”

Si.” Risponde con fermezza. “E' che non ti avevo mai sentita mettere a posto tua madre a quel modo.”

Fabien..” Deesire lo guarda con una certa serietà. “Per me non sei solo un pittore e mi rammarico dovertelo ricordare. In questo momento sono molto inquieta, sicuramente per i cambiamenti che stanno avvenendo nella nostra vita, ho tanto bisogno che tu sia il punto fermo e non quello interrogativo. Pensi di potercela fare?”

Fabien prende tempo ma risponde sinceramente. “Vorrei solo riavere mia moglie indietro.”

Non sono mai andata via.”

Io sento questo.”

Deesire sbuffa. ”Ah! Sei così testardo a volte..” Alza le spalle e lo invita ad uscire dal locale. “Non sono nella mia fase migliore, vorrei non preoccuparmi di cosa faccio o dico, ma questo non significa sempre catastrofe in corso!” L'uomo alza il sopracciglio poco convinto. “Dai andiamo via, sta imbrunendo, Fabien.”

Solo se lasci che ti offra la cena a le Moulin.”

Sai sempre come far capitolare una donna charmeur..” Sussurra per poi lasciarsi andare al riso; Fabien la stringe forte e lascia i dubbi del pomeriggio appesi alla serranda, della pasticceria in Montmartre.


*

E' il venti giugno, un'assolata domenica mattina, in una frenetica casa della collina di Parigi.

Patrick ha fatto letteralmente irruzione nella mia stanza per consegnarmi un piccolo bracciale di fiori per onorare il mio ruolo di testimone dello sposo e anche un bicchiere di prosecco, ignaro che fossi letteralmente raggiante e serena.

Quel damerino pettinato ti fa bene all'umore, my friend.”

Richard.” Borbotto, invitandolo ad aiutarmi con la collana di perle di nonna Clorine. “Si chiama Richard.”

Richard ci sa fare come penso?” Ribatte sarcastico.

Non cederò alle tue provocazioni, *mauvais garçon !" (*nda ragazzaccio.)

Poi si avvicina e mi stampa un bacio dolce sulla guancia. “Sei molto bella.” Mi infila il bracciale e ci guardiamo sorridendo. “E ancora illibata, mon dieu!” Non riesco a trattenermi e il sorriso si trasforma in una grottesca risata.

Deesire bussa alla porta, ci dice che Benjamin è pronto e anche l'auto che ci porterà in chiesa.

Scendo lo scalone che da all'ingresso con il cuore in gola e strepito in un gemito quando il profilo di Benjamin incontra i miei occhi.

Si guarda allo specchio cercando un difetto, ma proprio non ne trova; l'abito è perfetto e gli calza a pennello, non una grinza, il volto di porcellana è un inno alla gioia, i suoi occhi quando incrociano i miei luminosi e orgogliosi.

Oh Ben..” Lo abbraccio attenta a non sporcare nulla, ma lui mi stringe il braccio intorno alla schiena più forte che mai. “Sono molto felice che questo giorno sia arrivato.” Sorrido nell'incavo del suo collo e lo bacio.

Ci stacchiamo e lui mi guarda con un sorrisetto furbo. “E' un piacere saperti felice di togliermi da torno, sorella.”

La mamma ci guarda entrambi sull'orlo del pianto, Fabien e Patrick invece si scambiano un'occhiatina complice scoppiando a ridere; come in una processione lenta ci spostiamo alle auto, Ben, la mamma e Lukas andranno avanti, io, Patrick e Fabien a seguire con un'altra auto.

Nel tragitto da casa a Notre Dame, lo zio è assorto nel suo silenzio, Patrick leggermente alticcio e di buonumore ed io nervosa di incontrare Richard; nella nostra ultima conversazione telefonica mi ha chiesto di non spaventarmi quando lo avrei visto, con il risultato che sono più ansiosa e spaventata che mai di vederlo. Il piazzale della chiesa è già popolato dai rispettivi parenti, i parenti di Charlotte si avvicinano subito a Ben perdendosi in larghi giri di complimenti e felicitazioni salvo poi essere letteralmente oscurati dalla presenza di nonna Clorine e il suo secondo marito, Tommase.

Lo zio mi da il braccio, mentre scruta la situazione. “Najla..”

Ti tengo stretto fino al banco, non preoccuparti.” Lo precedo, sorridendo.

Fabien alza il sopracciglio. “Veramente volevo dire che lui non è ancora arrivato.”

Arrossisco, nascondendo il volto fra i capelli. “Andiamo a salutare le zie?” Chiedo con la voce stridula.

Ma la richiesta non fa impazzire neanche me, per cui ci guardiamo e restiamo mummificati e defilati sperando di non essere raggiunti da nessuno.


Notre Dame è da lasciare senza fiato.

Immagino la storia della mia famiglia e questo luogo che è un po' la culla di ciò che è stato, mi fa increspare la pelle di brividi.

Charlotte è magnifica, arriva con il consueto ritardo in un vestito boho di pizzo bianco con le maniche, che scende morbido lungo il fisico longilineo sottolineando la figura con un lungo strascico. Cammina molto lentamente al braccio di suo papà, i capelli lunghi e mossi ricadono intorno al volto raggiante danzando quasi al ritmo del suo passo. Benjamin ha un sussulto quasi subito appena entra nel suo campo visivo; guardo beata e in silenzio i loro sguardi incatenanti e il leggero sfiorarsi, non appena Charlotte avanza all'altare.

C'è amore, lo sento nell'aria, è come un calore che avvolge tutti perché tutti, in quel momento trattengono il fiato.

Patrick accanto al mio posto sospira; è emozionato, i suoi occhi languidi sognano e sperano.. gli stringo la mano e mi sorride.

Il prete dal leggio inizia la sua predica, i parenti sono tutti sistemati, la quiete è interrotta a un tratto solo dal cigolio delle porte laterali d'entrata che annunciano l'arrivo di qualche ritardatario; la sagoma squisita di Richard.

Stagliato nella penombra della cattedrale, non noto nessun particolare strano, certo è molto lontano dal mio raggio visivo ma sembra essere tutto intero, per mia fortuna; rimugino un po' sulle parole, prima che Patrick si avvicini al mio orecchio.

E' dannatamente sexy anche da lontano.”

Allargo gli occhi, lo rimprovero. “Ti prego..” accenno alla situazione non proprio consona per quel dibattito, ma lui alza le spalle.

Sei noiosa.”

Noti qualcosa di strano.. in lui?” Domando.

Patrick si sporge all'indietro per guardarlo, poi guarda me con un sorriso malizioso. “Quel fondo schiena che non ha nulla di convenzionale.”

Lo azzitto premendogli le dita contro le labbra. “Sei irrecuperabile.” Dico fra i denti.

Il signore mi punirà comunque.” Dice in modo teatrale soffiando attraverso le mie dita. “Tanto vale la pena divertirmi.”

Scuoto il capo e torno agli sposi. “Sempre che non ti cada prima quella linguaccia..”

My friend.” Ammicca. “Pecco in infiniti modi che il mio linguaggio sembra una preghiera.” Alzo il sopracciglio e torna serio. “Dovrò fare un discorso a quel damerino sexy.”

R..” Sto per sbottare, mi precede sorridendo ruffiano.

Richard, ovviamente.” Poi mi da due colpetti sulla mano indicando con il mento il prete e gli sposi che ci stanno guardando. “Tocca a te.”

Annuisco velocemente e mi alzo.

Najla Louise Chedjou, sei qui per mezzo della tua facoltà mentale e spirituale?” Chiede il prete.

Si.” Rispondo porgendogli l'astuccio con le fedi.

Le prende, le benedice e le porge a Ben che con gli occhi colmi di felicità, si appresta a dare il via alle promesse del meraviglioso futuro, custodito nei sogni più preziosi e divenuto finalmente realtà.



fedi-nuziali


Il matrimonio è l’arte di rendere il numero due unico e indivisibile.

Ma soprattutto è l’arte di compiere un viaggio con un amico, un uomo, un marito che abbracciandoti stretta, fa di te la regina del mondo intero.




Non potevi scegliere parole più belle, sorella.”

Al momento delle firme, Charlotte ricambia l'abbraccio delle felicitazioni, congratulandosi per il piccolo elogio speso alla nuova coppia di sposi; alzo le spalle emozionata e penso che se Benjamin la renderà sua regina è tutto merito suo, perché per prima fa di lui il suo re.. e queste, erano le uniche parole che sentivo di pronunciare. L'amore è qualcosa di molto semplice, un algoritmo che non ha bisogno di molte spiegazioni.

La lascio andare incontro ai suoi genitori beandomi ancora un po' della felicità dei suoi occhi e della magia che c'è nell'aria, avviandomi poi verso l'uscita come tutti gli altri ospiti; Richard è sparito, lo cerco prima di essere raggiunta al braccio dalla mamma che ha gli occhi vistosamente gonfi sotto gli occhiali da sole. Le stringo forte la mano e prendiamo posizione per il lancio del riso.

La nonna ci ha vistosamente battute anche questa volta.” Sussurro per sdrammatizzare il silenzio e l'attesa.

Tua nonna è inossidabile.” Commenta trattenendo il riso. “Ancora ricordo i bouquet che ha accalappiato nel corso degli anni. Però le hanno portato fortuna, dopotutto, non credi?”

Guardo Tommase arrivato nella sua vita pochi anni dopo la morte di nonno Ahmed e mi scappa un sorriso.

Non so se il poveretto potrà dire lo stesso..” La mamma ride vistosamente e si aggrappa al mio braccio.

Siamo di nuovo ai ferri corti.” Sussurra poi.

Mi dispiace.” Le dico sinceramente. “E' per Fabien, non è così?”

Lei annuisce, girando poi il volto verso il mio. “Mi era sembrato di scorgere Richard, prima.” Dice dal nulla.

Era qui, ma l'ho perso di vista anche io.”

Sembra un ragazzo così riservato. Che idea ti sei fatta di lui?”

Arrossisco all'osservazione non troppo insolita trattandosi di lui ma insolito è che mia madre voglia parlarne proprio ora, con un pugno di riso in mano, al matrimonio del suo primogenito. “Non è il più loquace degli uomini.” Limito la mia risposta a poche parole.

E questo ti piace?” Insiste.

La guardo seriamente. “Perché lo chiedi?”

Mi sorride dolcemente, si sfila gli occhiali. “Perché voglio saperti felice accanto a un uomo che è degno di averti al suo fianco.”

Le sue parole così finemente scelte mi lasciano un brivido sulla pelle. “Sono felice, a volte spaventata. Ma felice.”

Spaventata per qualcosa che ha fatto?”

Scuoto immediatamente il capo. “Lo amo, mamma.”

Questo mi sembra meraviglioso.” Indossa di nuovo gli occhiali e si gira alla volta delle sagome degli sposi pronta a liberare nell'aria il suo pugno di riso. “Viva gli sposi!” Grida insieme al gruppo nutrito di persone stipate attorno alla coppia.

Lancio anche io il mio pugnetto e due braccia mi cingono la vita tirandomi indietro.


Non gridare..” Le labbra di Richard sfiorano il lobo del mio orecchio e sento come se la terra tremasse.

Mi volto, noto quasi subito la macchia simile a un livido sullo zigomo, che è stato camuffato malamente con uno strato di cerone.

Che ti è successo?” Domando preoccupata.

Sto prendendo qualche lezione di box ma i miei riflessi non sono ancora perfetti.” Risponde con un gran sorriso artificioso. Alzo il sopracciglio, lui torna serio. “Le ho prese da un tizio con cui ho discusso per un lavoro.” La mia bocca si spalanca. “Najla, non farmi sentire più idiota di quanto io non mi senta già.”

Fai bene a sentirtici.” Rispondo serafica, tornando al mio posto accanto alla mamma.

Sento che mi segue, mi prende per mano. “E' stata una cerimonia molto bella, congratulazioni signora Bonnet.” Si sporge per parlare, Deesire lo accoglie con un gran sorriso. “Sei bellissima.” Sussurra poi a un fil di voce nella mia direzione.

Non fare il ruffiano, Richard, non attacca.” Lo sento ridere e questo mi fa vacillare.

Improvvisamente Benjamin e Charlotte ci sono vicino, salutano il ragazzo che ricambia con i migliori auguri ma finiamo per essere investiti da un'orda di parenti che ci guardano incuriositi e alla quale non sfuggono le nostre mani intrecciate.

Oh Deesire, lo dicevo che sarebbe sbocciata.. questa giovane rosa di primavera.” La zia Gabrielle, sorella di nonna Clorine è la prima a parlare.

Zia lui è Richard Hamilton.” I due si scambiano la mano, l'uomo mi punta gli occhi addosso. “Viene da Londra per seguire un progetto di riqualifica delle aziende Chedjou. Raymond Hamilton, suo predecessore, ha fatto della filantropia lo stile di vita del suo casato.”

La zia mi guarda come se fossi un'attivista che sta sbandierando il suo credo; poi posa lo sguardo su Richard con aria maliziosa.

E mi dica signor Hamilton, si respira buona aria in quel di Londra?”

Trattengo il sorriso e scuoto il capo; se è questo l'effetto che sortisce su uomini e donne sarà meglio che mi ci abitui presto.

Ottima, signora Fontaine.” Risponde lui con aplomb nordico.

La zia si lascia andare in una risatina gaia. “Era da un pezzo che qualcuno non mi chiamava così.”

E' stato educato da una donna molto intelligente. E' papabile l'insegnamento per il rispetto del gentil sesso.” Si intromette la mamma, strizzandogli l'occhio. “Ma qualcuno lo addita ruffiano.” Tutti mi guardano, alzo gli occhi al cielo.

Bello, educato e ruffiano.” Commenta la zia. “Di cosa vai a lamentarti, Najla cara?”

Evidentemente nulla, zia cara.” Rispondo laconica.

Sono molto lusingato dalle vostre parole ma se Najla ha qualcosa di cui lamentarsi è compito mio darle motivi per farla ricredere, invece.” Richard risponde pronto e con molta serietà, prende la mia mano a fine discorso e se la porta alle labbra, depositandovi un bacio.

Il nostro pubblico finisce definitivamente al collasso, tranne la nonna che brontola defilata l'attenzione.

Gli argomenti non ti mancano ragazzo, ma si sa alla lunga sono i fatti a contare.”

Gabrielle le da una leggera gomitata ridacchiando, mentre Deesire scuote il capo.

Ho tutta l'intenzione di onorare le mie parole, signora Fontaine.”

Vedremo.” Ribatte la nonna.

All'improvviso le domande di mia madre non sembrano più, dettate solo dalla dolce preoccupazione materna. Osservo le due donne così vicine eppure così distanti. Non si sfiorano, non si guardano, hanno sul volto la stessa melanconica espressione che i loro abiti sontuosi accentuano facendole sembrare quasi melodrammatiche; provo tenerezza per quelle due donne e per la prima volta in tutta la mia vita sento la loro presenza soffocante, qualcosa da cui fuggire via.

Credo siano le nostre auto quelle laggiù.” Sbotto, guardando davanti a noi Ben e Charlotte prendere posto nella loro Rolls.

Invito Richard a precedermi che ricambia con uno sguardo affranto. “Va..” Sussurro cercando di sorridere.

Non devi farlo..”

So esattamente cosa devo fare, Richard. Vai avanti.”

La mia voce dura non implica altre proteste; mi da un bacio veloce sulla guancia e cerca fra la folla il suo autista.

Clorine e Deesire stanno per darsela a gambe ma le richiamo a gran voce. La zia si sposta leggermente ma resta ad assistere come ad una prima teatrale. “Voi due mi dovete delle spiegazioni.” Dico fra i denti.

Non c'è nulla che non va in Richard, tesoro, è solo tua nonna e il suo istinto da mantide religiosa.” La mamma sghignazza, sistemandosi i capelli.

Najla cara, dobbiamo metterci a discutere proprio ora che viene il bello?” Risponde piccata la nonna, girandosi verso la mamma. “E quel genere di selezione naturale dovrebbe essere applicata anche al genere umano, figlia adorata.”

Ma vi osservate?” La mia mano si posa sul fianco. “Sembrate due bambine dell'asilo vestite a gran festa!” Clorine sta per replicare ma la fermo con uno sguardo severo. “Non mi interessa il genere di discussioni in corso fra voi due, sebbene credo sia il momento che affrontiate una volta per tutte l'argomento con serietà e senza inutili frecciatine, la mia vita privata è fuori dalla vostra guerra!”

Deesire annuisce. “Per quanto mi riguarda ti ritengo abbastanza matura da prendere decisioni in autonomia, senza intromissioni spiacevoli.”

Per cui adesso sarei io l'impicciona guastafeste?” Blatera Clorine, le guance improvvisamente rosse.

Credo Najla stia dicendo proprio questo.” Sussurra Gabrielle. La fulmino, costringendola a seguire zio Adrian alla ricerca della propria auto.

Rimaste sole ci guardiamo, tre generazioni a confronto, con tutto il peso che ne consegue.

Vi sto dicendo di non giudicare Richard dalla sola copertina. Il suo passato in qualche modo è legato alla nostra famiglia da fatti non proprio piacevoli, ma Richard non è suo nonno, ne suo padre, ne chiunque altro della sua famiglia. E io mi sono innamorata di quest'uomo, e voglio avere fiducia nei sentimenti che lui dice di provare per me. Guardatevi, ma guardatevi dentro prima. Anni di schermaglie a cosa vi hanno portato? Nonna..” guardo Clorine che alza i suoi meravigliosi occhi verdi nei miei. “La mamma ha bisogno di te adesso, ma non te lo dice perché è presa a dimostrarti che la sua vita è perfetta, nonostante tu abbia avuto sempre qualcosa da ridire. E mamma.. la nonna si sente tagliata fuori perché tu non le parli. Siete così occupate a giudicarvi e farvi la guerra, che avete dimenticato quanto siete importanti l'una per l'altra. Fate un favore a voi stesse, perdonatevi e amatevi. Ma sopratutto, guardate avanti.” Entrambe mi guardano con un aria ferita e colpevole, ma troppo orgogliose per dimostrare quanto io abbia ragione; nel silenzio solo la mamma mi sfiora delicatamente la mano, la nonna si morde il labbro, nascondendo gli occhi lucidi volgendo il capo altrove. Dal mio canto mi sento libera da un peso. “La mia auto è arrivata. Ci vediamo in hotel.”

Certo.” Si affretta a dire la nonna, prendendo passo verso il piazzale dove sopraggiungono tutte le ultime vetture.

Deesire non dice nulla, si mette al braccio dell'anziana e insieme proseguono senza voltarsi.



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La sala da pranzo del Four Season Hotel ospita con un tocco elegante i tavoli per il ricevimento; le tovaglie color platino e le composizioni di cristallo regalano una meravigliosa luce, i fiori di lillà al centrotavola, la nota di colore che riscalda.

Dopo un cocktail ristoratore, delle hostess ci accompagnano diligentemente ai posti assegnati, così scopro di essere al tavolo con Patrick, Richard e i cugini d'oltre oceano di Charlotte.

Una biondina alla destra di Hamilton fa un risolino strano, gli parla in un malridotto francese, lui asserisce educatamente, anche se sono troppo lontana per capire la natura della conversazione. Patrick che è sulla traiettoria del mio sguardo, avendo la biondina accanto a se, non smette di sorridere sotto ai baffi. Il teatrino esilarante, termina quando Benjamin e Charlotte fanno il loro ingresso trionfante.

La sposa ha sostituito il suo abito nuziale con uno più corto, sempre di elegante pizzo bianco ma decisamente più giovanile e fresco.

Benjamin è il ritratto della felicità, vederlo così raggiante mi riempie il cuore di felicità; le note del primo ballo da marito e moglie si spargono attorno e subito cala il brusio in sala. Le luci sono soffuse, i fazzoletti pronti ad asciugar lacrime. Patrick si avvicina e temo i commenti.

Vuoi fare cambio di posto?” Chiede con l'ingenuità di un ragazzino. Scuoto vigorosamente il capo; ho una dignità da difendere. “Sei sicura? Ha mollato il francese e con l'inglese se la cava piuttosto bene..l'ochetta.” Ride, alzo gli occhi al cielo.

Invitami a ballare, piuttosto.” Ribatto maliziosa.

Lui gonfia il petto e serra la mascella, ostentando una mascolinità meravigliosa. “Madame..” e mi porge la mano.

Ci avviciniamo a bordo pista come due eleganti cigni, ben attenti a non rubare la scena centrale alla coppia di sposi, dove gli anziani più arzilli stanno già cimentandosi in lisci da gare da ballo. Scorgo la mamma farmi l'occhiolino, nell'attimo in cui Patrick dal suo metro e ottanta, mi avvolge fra le sue braccia. “Mia madre sta gongolando.” Cerco di trattene il riso ma la sua risata mi precede e crollo.

Non le va a genio il damerino?” Chiede.

Diciamo che lo sta studiando come fosse un esemplare da zoo.” Asserisco. “Ma non è neanche questo. Mi ha vista passare come nulla da non guardo gli uomini a ho due bei ragazzi che mi accompagnano al matrimonio di mio fratello.”

Capisco.” Patrick sorride compiaciuto. “Sapevo mi avresti dato belle soddisfazioni, my friend. Ma capisco anche lo scetticismo di tua madre; quel Richard sembra essere di un altro pianeta. Ho provato a scambiarci due chiacchiere prima e mi ha quasi azzannato.”

E' geloso di te, suppongo.”

Nessuno quì sa che sono gay?” Sussurra a un fil di voce, stralunato.

Tesoro, non sbandiererei mai i tuoi fatti personali. Voglio che ti senti libero di essere chi sei ma sopratutto libero da qualsiasi dovere che non ha nulla a che fare con la tua sessualità.”

Mi stringe amorevolmente, in un avvitamento da dieci con lode. “Grazie Najla.” I suoi occhi sono languidi e offuscati. Poi il sorriso torna prepotente e anche un occhiolino. “Vedrò di tranquillizzarlo.” E mentre lo dice mi deposita un bacio sul collo in un mezzo casqué finale.

Sei stato molto convincente.” E scoppio a ridere, trascinandomelo verso il tavolo.

Il posto della ragazza bionda è libero. Sorrido a Richard con una gran bella faccia da schiaffi.

Permetti..” ruggisce lui a tono, verso il mio compagno di ballo.

Patrick lo guarda con un sorriso di scherno. “Tieni a freno gli ormoni, man.” Prende un bel respiro e si avvicina al suo orecchio. “Sono interessato all'altro sesso.” E si siede, lasciando Richard in piedi con un mezzo sorriso sulle labbra. “Adesso se ne starà tranquillo.” Dice poi a me, accarezzandomi la guancia. “Dov'è il vino?” Aggiunge svelto.

Il cameriere alle nostre spalle si fa trovare pronto con una bottiglia di bianco frizzante. Osservo le sue mani e risalgo lentamente alla sua figura.

E' Geremia. Lo guardo a bocca aperta, poi scuoto il capo guardando il sorriso da sbruffone disegnato sul volto del mio amico; non so come ho fatto a non pensarci prima, stringo la mano di Patrick sotto al tavolo, sorridendo di felicità.

Il mio migliore amico si è innamorato.” Sussurro quasi fra me e me, entusiasta come una ragazzina.

Madame..” Geremia fa il gesto di versarmi il vino, annuisco e quando è pieno lo alzo nella sua direzione.

Sei elegantissima, mon amì.” Dice, prima di rivolgersi al commensale alla mia destra.


Le prime portate vengono servite con gran classe, in un valzer quasi sincronizzato dei camerieri fra i tavoli.

Una fusione di sapori franco marocchini e la creatività dell'America, dove Charlotte è cresciuta; ho sempre amato i mix, la coesione delle culture che si amalgamano fra loro, senza che una prevalga sull'altra. E sono grata a Benjamin per aver risaltato ancora una volta le nostre origini, conscia che nonno Ahmed sarebbe stato felicissimo di saperlo così attaccato a queste ultime.

E' tutto così perfetto, che non ho smesso di sorridere neanche quando la biondina è tornata al tavolo e Richard le ha riempito il bicchiere.

Quindi i famosi luminari del Salpêtrière, sono seduti proprio di fronte a noi?”

Curtis un bel ragazzo biondo e corpulento dopo averci intrattenuto con racconti dettagliati dei fantastici tramonti californiani, molla la presa patriottistica e sposta l'attenzione su di noi.

Di più.” Risponde Patrick con un eloquente gesto delle mani. “Hai l'onore di avere al tavolo anche il benefattore che ha reso possibile gli studi sulla ricerca della dottoressa Najla.” Dice, volgendo lo sguardo su Richard. “La triade del Salpêtrière al completo.” Mi batto un colpo al petto per l'ironia della sua voce; il vino mi è andato quasi di traverso.

Un benefattore? La vostra anima così bella si riflette sul vostro viso, Richard.” Commenta l'oca giuliva.

Scuoto il capo. “Come se i brutti non potessero fare beneficenza..” brontolo a mezza bocca; Patrick mi da di gomito.

Richard! Ci nasconde una così rispettabile sfaccettatura di lei?” Per fortuna il cugino di Charlotte distrae l'attenzione dalla mia infelice incursione.

Richard si pulisce gli angoli della bocca, alza le spalle e guarda fisso l'interlocutore. “Diamoci del tu, Curtis. Vedi, la beneficenza si fa, non se ne parla.” Risponde, molto finemente. “Ho molto a cuore il progetto della dottoressa Chedjou. Lo trovo innovativo, determinante rispetto all'affaccio delle cure sperimentali della nuova decade e irriverente.. proprio come lei.”

Alicia, l'oca, ammutolisce. “La ringrazio del complimento, dottor Hamilton.” Gli dico sorridendo sfacciata, lui ricambia.

Bene, bene..” Irrompe Patrick. “Dato gli animi infuocati, credo che ci divertiremo!”

Curtis, suo fratello John e le rispettive fidanzate, Jennifer e Amanda ridono. “Voi due vi conoscete da tanto, invece?” Chiede Amanda, una graziosa rossa, guardando me e il mio vicino.

Dal college. Ho studiato a Londra e ho avuto la fortuna di incontrarlo, nel mio stesso corso.”

Non devi vergognarti di dire la verità, Najla!” Ribatte lui. “Ha fatto carte false per avermi come coinquilino.” Sussurra alla ragazza come fossero da soli.

Lei sorride e mi guarda. “Sei molto simpatico, la capisco.”

E faccio un'ottima tarte tatine, tesoro. Roba dell'altro mondo.”

Confermo.” Annuisco, portandomi alla bocca un delizioso boccone di salmone.

E siete solo compagni di studi?” Amanda sfodera un sorriso ingenuo e malizioso allo stesso tempo.

Patrick mi guarda e poi guarda Richard. “Sono nel mezzo di un triangolo, tresor. Dal fuoco passiamo direttamente all'incendio.”

Strabuzzo gli occhi e mi affretto a correggere il tiro. “Siamo solo amici. E' che ogni tanto ho la cattiva abitudine di confessargli le mie paturnie.” Non so perché l'ho detto, odio espormi e odio quando Patrick mi espone. Richard ovviamente ha gli occhi puntati su di me, sento il fuoco ardermi le guance e sento una morsa tipo fame al ventre. “Ma un amico infondo è come un parente che ti scegli. Nel bene e nel male, giusto?”

Giusto.” Risponde lei, con un sorriso sincero.

Proporrei un brindisi all'amicizia.” Richard irrompe con la sua voce potente; alza il calice verso di noi e sorride senza sarcasmo.

Tutti lo imitiamo e i nostri bicchieri collidono fra di loro al valore più puro che un uomo possa trovare dopo l'amore.


Balla con me.” La sua voce calda mi raggiunge, non ho il tempo di rispondere che il suo braccio avvolge il mio, tirandomi su.

Lo seguo ammutolita, stordita dal vino e dalle conversazioni con gli altri ragazzi.

La pista si è riempita, sceglie appositamente un angolino appartato credo per non farsi vedere con la sorella dello sposo che balla con tutti i presenti. Il pensiero mi fa innervosire. “Ci stiamo nascondendo, Hamilton?”

Lui alza gli occhi al cielo, stringendomi più forte. “Credevo fossi tu a volermi tenere nascosto.”

Colpita. “A me piace essere un'esclusiva. Questa cosa mi sembra chiara, oppure no?”

Il suo sorriso mi incanta, scuote leggermente il capo spostandoci con un mezzo giro che se possibile ci nasconde ancora di più.

Sei così bella, pura e incantevole. Non ho mai conosciuto un'altra come te.” Sto per dargli del ruffiano, il suo indice frena le parole sulle mie labbra. “E' abbastanza chiaro che non ho occhi che per te. Sono a questo matrimonio senza avere un chiaro invito e il mio posto.”

Quale posto intendi avere, Hamilton?” Il mio cuore è un tamburo impazzito, mentre prende le mie mani e mi guarda intensamente.

D'onore, al bar.” Indica la fila per i drink, poi torna a guardarmi ridendo come un ragazzino.

Sei disgustoso!” Strepito, colpendolo. “Ma è una proposta che non posso rifiutare.”

Lo precedo, avviandomi ma è quando siamo fermi per far passare due bambini che giocano a rincorrersi, che lo sento avvicinarsi al mio orecchio.

Mi sono innamorato di te, Najla Louise Chedjou.” Sussurra pianissimo.

Poi un gran caos, arrivano gli zii e Benjamin piuttosto alticcio, a portarmelo via per l'istituzionale ballo della quadriglia.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 11.



La grande casa nel Marais, sta prendendo forma sotto ai miei occhi, per questo benedico il signore di avere accanto quel genio di Deesire Bonnet e il suo talento per tutto ciò che è arte e arredamento, in questa caldissima giornata in cui mi sono ritrovata i facchini con la consegna dei mobili prima del previsto.

"Tutto ciò che so sull'arredamento lo devo a tua nonna Ines, una vera intenditrice. Parigi, in lungo e in largo, non aveva segreti per lei, sapeva sempre dove trovare i pezzi migliori. Non c'era nulla di cui non avessi bisogno o che non valesse la pena di acquistare!" Girovaga divertita nella sala da pranzo, dirigendo bonariamente i lavori. "Oh se mi manca quella donna.." La guardo, cogliendo la vena malinconica delle sue parole, per poi vederla sorridere di nuovo. "Ma sono sicura che ovunque siano, sono felici."

Già, penso. E penso che li ricordo molto poco nonna Ines e nonno Martin, volati via troppo presto, come il mio giovane padre.

Scuoto il capo, i pensieri tristi non possono prendere possesso in questa giornata di per se già molto caotica, per cui cambio in fretta argomento.

"Notizie di Ben e Charlotte?"

"La traversata del mediterraneo sta andando a gonfie vele. Saranno in Marocco nel giro di qualche giorno."

Sospiro trasognante. "Spagna, Italia, Tunisia.. deve essere meraviglioso. Credo di aver bisogno di certa meraviglia." Mi sgranchisco le spalle e raggiungo Fabien e Richard alle prese con la camera da letto al piano di sopra. "Se hai bisogno di me, chiamami mamma."

I due uomini sono coinvolti nei lavori, Richard in abiti informali è più "imbarazzante" che mai; mi perdo nel lento piegamento per aiutare uno dei facchini con una vite e indugio sulla maglietta bianca che lentamente si tira su, lasciandogli scoperto un lembo di schiena e non mi accorgo che lo zio mi guarda sornione e preoccupato, credo.

"Allora, ti piace?" Chiede, per poi ripeterlo.Quando mi volto a guardarlo annuisco in silenzio. "I mobili, così disposti."

Arrossisco alla sua insistenza. "Certo i mobili, a chi pensavi mi riferissi?" Richard si tira su e ci guarda perplesso. "Hamilton, ti vedo proprio bene in questa nuova veste." Continua a guardarmi interdetto per cui scuoto il capo e proseguo. "La stanza è una meraviglia."

Ciondolo, quasi, da un lato all'altro pregustando la gioia che sarà vivere in questo posto.

La nonna mi ha lasciato carta bianca, sebbene questo posto conservi una parte della sua vita molto preziosa, non ha indugiato troppo quando si è trattato di darmi il benestare per qualsiasi cambiamento avessi desiderato apporre. E ne sono felice; la casa inizia ad assormigliarmi molto.

Via quindi le modanature eccessive delle pareti, o almeno quelle delle stanze da letto, via l'oro e dentro colori tenui, tinte delicate.

Li lascio soli e proseguo la mia ricognizione al piano superiore; entro nella stanza che fu di mia mamma e l'unica che resterà intatta e fedele al suo stile retrò, accomodandomi qualche minuto sul suo letto a sognare un'epoca così lontana da me e pezzi di vita passata, finchè non mi rendo conto di prendere sonno.

Sono le mani grandi di Richard a svegliarmi. "Che ore sono?" Chiedo in fil di voce.

"E' quasi ora di pranzo, dormigliona." Mi accarezza una guancia prima che mi venga un colpo e prosegue. "I facchini torneranno più tardi. Deesire e Fabien sono andati a prendere qualcosa da mangiare." Mi alzo, rendendomi conto che adesso ho una cucina e anche un tavolo. "Cosa stai pensando?" Chiede.

"Che sono molto felice." Annuisce soddisfatto, baciandomi le labbra. "E che sei intonato al mio arredamento." Rido, lui mi guarda in cagnesco.

"Sappi anche che sono un pezzo raro, Najla Louise." Bofonchia.

"Lo so, Richard." Abbasso gli occhi per poi stiracchiarmi e alzarmi. "Non stavo scherzando comunque, ti vedo a tuo agio quì."

Si alza, mi raggiunge alla grande finestra che da sul giardino del palazzo. "Starti accanto mi riesce così naturale, credo d'essere me stesso."

Poche parole che toccano il mio cuore come grandi promesse. "Questo Richard che vedo mi piace molto. Anche quello ombroso e glaciale, ma è questo che mi piace di più; credo tu sia lui, ma in qualche modo ti nasconda." Sorride imbarazzato, i suoi occhi blu si fanno intensi e squisiti.

Annuisce, sospirando. "Da quando ci sei Najla, mi sento una persona nuova."

"Spero hai smesso di prendere a pugni le persone." Sdrammatizzo, lo vedo ridere e il mio cuore fa una capriola; ho capito che c'è qualcosa dentro di lui, probabilmente il suo io del passato, con cui fa i conti tutti i giorni e di cui non parla. Questa parte di lui mi affascina, mi preoccupa ma è attraente come una calamita. Tento di infondergli sicurezza. "Lo stesso vale per me, l'amore Richard fa questo alle persone; le migliora."

I suoi occhi brillano, mi abbraccia prima di precipitare. "Vuoi che faccia parte di questa casa?" Chiede poi con voce ferma, tornando occhi negli occhi.

Avvampo, so a cosa si riferisce, praticamente sono stata io a farglielo capire. "Sì, vorrei che un giorno non molto lontano, tu venissi ad abitare quì."

Sento letteralmente il battito del mio cuore negli orecchi, le gambe molli e il sorriso tirato; il suo volto non è da meno, ha un sorriso bellissimo e gli occhi più splendenti che mai, anche se l'ombra di un pensiero lo incupisce. Ad un tratto mi aspetto un no, e aspettarlo mi riduce a una briciola.

"Credo dovrei chiederti di sposarmi, a quel punto." Esordisce impacciato, con occhi fuori dalle orbite. "Non che non ci stessi già pensando o comunque non accadrà solo per il vivere insieme ma.." gli premo un dito sulle labbra e scoppio a ridere sonoramente delle mie paure e dei suoi clichè. "Najla Louise." Rimbrotta, con quella voce dura che mi fa accapponare la pelle. "Sei una persona molto maleducata."

Non vedo l'ombra dello scherzo sul suo viso, mi innervosisco e arriccio le labbra. "E tu sei così..complicato, Richard Hamilton! Sei l'uomo più complicato che io abbia mai avuto il dispiacere di conoscere!" Mi scanso, scuotendo il capo. "Hai girato il mondo, oggi vivi in una città che per quanto bigotta è già culla di trasgressioni e progresso, di cui tu stesso sei portabandiera, eppure certe volte pensi come un uomo vissuto cinquantanni prima!" Rido e mi dispero, le guance e il collo in fiamme. La situazione si è praticamente capovolta, sto avendo con lui una discussione e mi sento sottosopra. "Non posso credere che tu lo abbia detto veramente.. matrimonio!" La mia lingua lunga va a briglie sciolte e forse dico qualcosa di cui poi mi pento. "Geremia e Patrick vivono il loro amore molto più liberamente di quanto non lo faccia tu stesso." Poi mi azzitto, accaldata e sudata.

Le molteplici espressioni del suo viso si riducono alla solita freddezza che lo accompagna. Mi guarda con sgomento e rassegnazione, poi con tristezza.

"Credi che mi spaventa amarti?" Dice, dal nulla del silenzio. "La tua mancanza di fiducia non mi tirerà indietro, se è questo che vuoi sentirmi dire, Najla Louise. Ma c'è qualcosa che adesso è più chiara che mai; dici che sono bigotto, quando tu per prima nascondi la paura di fidarti di me, di amarmi, sotto una libertà forzata che non ti farà sembrare forte, anzi, molto più fragile. Abbiamo tutti bisogno di essere amati.. e con stupore mi ascolto dire questo. Sì, tu hai cambiato il mio modo di vedere le cose, non fare che questo cambiamento peggiori te adesso." Mi deposita una leggera carezza lungo il braccio e un bacio sulla guancia. "Devo tornare alle fabbriche, da quando Benjamin è partito posso metterla a soqquadro senza sentire le sue lamentele ovunque. Ti telefono più tardi." Sorride ma capisco che è un sorriso di plastica.

Nel momento il cui lo vedo allontanarsi, mi rendo conto di quanto sia stata insensibile, capricciosa e testarda.

"Richard, aspetta." Si ferma e si gira. "Mi dispiace, non volevo ferirti. E probabilmente ne so quanto te dell'amore. Sbagliamo imsieme, ti va?"

Non se lo fa ripetere una seconda volta, allarga le braccia pronte ad accogliermi. "Credo di aver voglia di prendere a pugni qualcuno, adesso." Dice ridendo sul mio orecchio; mi lascio andare e rido assieme a lui, sentendomi più sciocca che mai, più innamorata che mai.



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Più tardi sono con la mamma in pasticceria, l'aiuto a sistemare il caos intorno e anche quello che ha dentro, da come impasta esagitatamente.

Passeggiando per i vicoli del Marais si è addentrata in un ricco torpiloquio su quanto fosse importante stravolgere alcuni aspetti della sua vita, sospratutto quelli legati all'attività che porta avanti con una blanda tranquillità ormai da decenni.

"Sei sicura che questa idea di rinnovare la pasticceria ti faccia bene?" Le chiedo, osservando le sue mani nervose. "Stai torturando quella povera farina e quelle povere uova innocenti."

Mi guarda dapprima perplessa, poi abbozza un sorriso e scioglie le spalle. "Non dico mi faccia bene, ma è necessario. Le vendite sono in calo, Najla. Non vi ho detto nulla per non creare allarmismi, ma la pasticceria non sta andando secondo i consueti standard."

Mi indica dei faldoni che inzio a sfogliare senza sapere bene cosa cercare. Dopo qualche minuto raccolgo le idee e le vado vicino.

"Non che abbia questa efferratezza in fatto di vendite, ma è solo questo il negozio che è al di sotto degli standard. Ti appoggerai per un pò sul fatturato delle altre pasticcerie mentre sarai concentrata a trovare una soluzione; senza strapazzi, possibilmente." Accarezzo la sua schiena ricurva sul tavolo, lei raddrizza le spalle e ricambia lo sguardo con una strana luce negli occhi.

"Mi ricordi così tanto Aurelien; era un profondo ottimista, a volte mi bastava solo parlargli perchè tutti i problemi assumessero un altro aspetto. Dovrei seguire alla lettera il tuo consiglio, ma ultimamente non riesco a starmene buona a pensare soluzioni."

"Fra te e Fabien va ancora così male?"

Scuote il capo. "Ci stiamo provando Najla cara. Il matrimonio è un susseguirsi di prove, passi falsi e strafalcioni. Diffida da una casa silenziosa, da una donna silenziosa e un marito sfuggente."

"Perchè tradisti papà?" Chiedo, quando il silenzio s'è fatto intimo; un tarlo che è rimasto nella testa da quando ella si è confessata. "Eravate sposati da un anno, giusto?"

"Poco più." Deesire sospira, ma risponde subito. "Mi sono innamorata di Fabien." La sua voce è ferma e sicura. "Era bellissimo, folle e selvaggio come lo ero io; probabilmente l'anima gemella che il destino non mi ha concesso d'amare a tempo debito. Tuttavia ho amato tuo padre dal primo momento che mi ha stretta a se. Il suo calore, la sua determinazione e pragmatismo sono stati il faro della mia esistenza. Mi sono chiesta tante volte perchè, ma l'unica risposta che riesco a darmi è questa; c'è chi si strugge per l'unico amore della propria vita, a me è capitato di amare e essere amata da due uomini straordinari. E questo è quanto ho da dire in merito, figlia mia."

Annuisco piano, investita in pieno dalle sue parole; Aurelien Chedjou un forte comunicatore, determinato e affascinante uomo di potere, dall'altra parte Fabien, intelletto sopraffino, genio artistico e carattere selvaggio. Quale donna non sarebbe caduta in confusione? Riesco a sentire persino una certa ironica invidia nei confronti di mia madre, io che a venticinque anni mi trovo perduta dinnanzi a un uomo che mi ama, mi rendo conto di non sapere assolutamente come racapezzarmi, al contrario di mia madre del passato, già conscia di tutto.

"Vorrei avere tutto così chiaro.." sospiro, pensando ad alta voce.

"Ogni cosa sarà più chiara con il tempo, tesoro mio." Un bel sorriso gli taglia la faccia a metà, mentre afferra i suoi arnesi per i biscotti, mi punta addosso uno sguardo dolce. "Devi solo smettere di farti domande e iniziare a vivere ciò che senti, Najla. E sono quasi sicura che anche lui sente per te le stesse cose. Nonostante a volte sia così sfuggente, ti guarda con meraviglia e stupore." Adesso sono io che sorrido, imbarazzata e felice; sono certa che Richard mi ami, gliel'ho sentito dire, ma ascoltarlo dalla voce di mia madre, fa un certo effetto. "Credo proprio che molto presto ci saranno belle novità." Aggiunge risoluta.

"Oh mamma.." bisbiglio. "A volte tutto sembra scorrere così in fretta!" Esplodo. "Tachicardia, mancanza di respiro, confusione.. ecco perchè avevo così tanta paura d'amare, per le sue conseguenze!" La voce è uno stridio infondo alla gola.

"Oh per l'amor del cielo!" Borbotta lei. "Tutto questo è magia e te ne lamenti? Conosco donne che pagano cari certi vizi, per avere certi effetti.." mi fa l'occhiolino e scoppiamo a ridere all'unisono. Scende una lacrima dal mio viso e lei dolcemente mi abbraccia. "Sei talmente splendida figlia mia, non potevo mettere al mondo creatura più sensibile e bella. Ma fidati della tua mamma, è amore quello che senti e non c'è nulla di meglio potesse capitarti."

Credo abbia ragione, mi lascio coccolare, fino a quando non raduno alcuni libri di ricette dimenticati e la guardo. "Forse le tue risposte sono quì?!"

"Lo spero!" Ammette gioiosa, sfogliando un taccuino nero. "Questo dovresti leggerlo tu." Me lo passa, con uno sguardo carico di patos.

"E' ciò che penso, mamma?" Non vedevo il taccuino di mia madre da secoli. In sostanza, una raccolta delle sue ricette più famose e aneddoti dalla fase dell'adolescenza sino ai giorni in cui aspettava Benjamin; mio padre se ne impossessò al ritorno dell'avventura in Africa e proponendolo ad una casa editrice saltò fuori che era un'idea originale e divertente e fu mandato in stampa sottoforma di libro. All'epoca ebbe un discreto successo, legato anche alla nuova avventura di Deesire in veste di pasticcera.

"Si è lui." Lo dice con una vena d'orgoglio e amore. "Aurelien era proprio un visionario ottimista."

Le sorrido, stringendolo al petto. "Mi metto subito all'opera."

Annuisce e passa a sfogliare tutti i libri davanti a lei, accomodandosi accanto alla flebile luce dell'imbrunire dalla finestra.



Era successa una cosa strana.

Da quando avevo avuto il taccuino di mia madre fra le mani, non ero riuscita a staccarmene neanche un attimo e senza rendermene conto, finii con il rincasare al Marais, quasi come un richiamo primordiale. Lì avevo avvisato Fabien che non sarei tornata a dormire a Montmartre, rifuggiandomi in stanza di mia madre.

C'era voluto un pò di tempo ma lo avevo trovato, il libro che era stato creato dal taccuino; "Zenzero&Cannella" dedicato con molto affetto ai soldati della linea Maginot ai tempi del secondo conflitto mondiale. C'erano delle coincidenze che mi ronzavano in testa e una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Era evidente che mia madre stesse ammettendo pubblicamente che amasse un altro uomo; Fabien al tempo era un soldato arruolato al confine.

Ma fu quando scossi il libro che qualcosa cadde, attirando la mia attenzione; una foto in bianco e nero di un bambino in braccio a una donna bellissima che riconobbi quale Madeleine Chedjou, nonchè mia zia e madre di Fabien, ma la cosa che mi turbò e non poco, fu convincermi che quel bambino non avesse un incredibile somiglianza con Benjamin Hani. Mio fratello.


*


Richard guarda la scatola di cioccolatini sulle sue gambe, sorride un pò ansioso; non era stata una giornata leggera, aveva avuto un piccolo confronto con Najla e quel confronto lo aveva lasciato assai turbato. La ragazza lo accusava di essere bigotto e che la coppia di amici omosessuali erano capaci di mettere in luce i propri sentimenti meglio di quanto facesse lui; ne era rimasto colpito, era così maledettamente diretta e sicuramente ci aveva preso, lui che fino a qualche mese fa non amava che la sua ombra, ma ciò che lo lasciava basito era che questa caratteristica fosse ciò che più amasse di lei.

La sua schiettezza così ingenua e la paura d'amare così simile alla sua.. infondo.

La macchina si ferma sul viale antistante la villa di Montmartre e dallo specchietto Maximilianne, lo guarda attendendo disposizioni.

Non era conscio dell'umore che attraversava la ragazza, perciò lo prega d'attenderlo; percorre il breve tratto di strada a testa alta, pronto ad incassare il colpo o forse.. solo carezze.

"Buonasera Richard."

Fabien si palesa alla porta. Dalla casa arriva un profumo di pietanze, guarda l'orologio senza rendersi conto dell'ora tarda.

"Buonasera signor Moreau. Perdoni il momento, Najla è in casa?"

"No Richard, ha deciso di trascorrere la sua prima notte nel Marais." Questa informazione lo destabilizza, vacilla un pò, sbattendo le palpebre. "Evidentemente una decisione istintiva." Prosegue sorridendo del suo repentino cambio d'uomore. "Dovrai avere buone gambe per tenere il ritmo di quell'adorabile ragazza, sei avvisato." Lo fa accomodare, dirigendosi verso la cucina, così familiare.

Al tavolo centrale è seduto il fratello minore della ragazza, lo guarda qualche secondo prima di tornare al suo interlocutore.

L'improvvisa confidenza, lo fa sciogliere e sorridere. "Sono pronto mi creda, e ho buone intenzioni."

"Non avevo dubbi." Risponde l'altro, mescolando la salsa di pomodoro sui fornelli. "Vuoi restare a cena? Siamo solo noi due, mia moglie rincaserà tardi."

"Il mio autista è fuori che aspetta." Risponde fra l'imbarazzato e il contento. "E sono mortificato d'avere solo solo dei cioccolatini con me.. "

"I cioccolatini andranno bene. Fa venire anche l'autista." Ordina benevolmente. "Il bagno sai dov'è, finisco di sistemare ed è pronto."

Gli da le spalle e prosegue dov'era, probabilmente prima del suo arrivo; controlla i fornelli, poi si avvicina al bambino e gli spiega gli appunti sul quaderno, per poi tornare a guardarlo e sorridere. Solo allora, muove un passo e si allontana alla volta di Maximilianne.

Fabien Moreau sortisce un effetto strano sulle persone; Najla aveva ragione.

Dei pensieri fastidiosi gli attraversano la mente; si domanda se quell'uomo sa di essere il padre biologico di Benjamin e come in un turbine di disperazione, i flash degli incontri con suo nonno, la collutazione con Morgan e l'ansia per l'incolumità di Najla lo paralizzano, quasi.

Si deterge velocemente il viso, rassicurando Maximilianne accanto a lui che l'osserva preoccupato.

E' la voce del piccolo Lukas a riportarlo sulla terra. "E' pronto, signori."

Gli fa una leggera carezza sui capelli biondi e folti, seguendolo. "Andiamo!"


Deesire Bonnet rincasa quando il caffè fumante è sul tavolo.

E' stanca, lo si legge nel suo volto segnato, ma non si tira indietro dalla loro compagnia.

Saluta con molto affetto il marito -in questo riconosce la spontaneità ereditata dalla figlia Najla- e coccola il figlioletto mettendoselo sulle gambe; per un attimo i loro occhi si incrociano, gli fa un sorriso di benevolenza dando inizio a una serie di racconti sulla vita della pasticceria, quando posa i cioccolatini sul tavolo.

"Quindi mi sta dicendo che quei famosi biscotti allo zenzero e cannella, che spopolarono negli anni quaranta, sono una sua invezione?" Maximilianne racconta che sua madre ne andava matta. "Si è sempre chiesta come fossero fatti." Deesire si alza e va alla credenza, tira fuori una giara con i presunti biscotti e li sparpaglia sul tavolo.

"Zenzero, cannella.. e un ingrediente segreto." Fabien l'anticipa, addentandone uno.

"Sì!" Risponde l'uomo entusiasta. "Era convinta fosse qualcosa di piccante."

"Piccante?" Esplode Deesire, in una fragorosa risata. "Non credevo che un pò di alcool aromatizzato alla lavanda sortisse certi effetti!"

Richard strabuzza gli occhi. "Lavanda?" Domanda laconico.

La coppia si guarda, risponde Fabien. "E' un'essenza molto cara a mia moglie."

"Oh, mi scusi l'impertinenza." Risponde il ragazzo, turbato dall'intensità della voce dell'uomo.

"Non scusarti, Richard." Deesire gli sorride vivacemente. "Non vi sono segreti in questa famiglia."

Quella parola lo colpisce, ma i segreti gli dipingono un sorriso amaro sul viso. Deesire lo nota, e quando sono soli gli va vicino.

"Ho forse detto io, qualcosa che non va?"

Da un'occhiata al giardino, Fabien e Maximilianne sono fuori che passeggiano, Lukas è a letto e la veranda in cui si trovano entrambi assume più i contorni di un confessionale. Si guardano un pò, prima di rispondere.

"Sono solo molto stupito di considerarmi parte di questa famiglia."

Risponde con sincerità, nonostante la voglia di confessarsi si fa via via più forte di tutto il resto.

"E' una piacevole responsabilità, se sai di cosa sto parlando." Sorride sorniona, ai suoi occhi appare come una donna divertente e carismatica, il perfetto ritratto che anche stavolta, Najla aveva azzeccato. "Mia figlia è una perla in un fondale vischioso, Richard. Ha bisogno di essere trovata. E per questo ci vuole pazienza e molto amore."

"Credo di averne già molto, signora Bonnet." Risponde di getto, torturandosi le dita della mano.

"Ti farà impazzire.." prosegue. "Ti chiederai spesso qual'è la parte che occupi nella sua vita, come sappiamo è una donna determinata e con degli obiettivi. Ma tocca il suo cuore, falla sentire sicura e sarà tua per sempre." Gli occhi scuri di Deesire vagano nel giardino e si perdono. Tornano a lui lucidi ma brillanti. "Ovviamente queste sono solo le parole di una madre innamorata. Tu sai già cosa vuoi."

"Voglio lei." La risposta arriva in sordina. Anche le sue intenzioni. "So che la tradizione vuole che lo chieda a suo marito ma.. presto, non so dire come o quando ancora, vorrei chiedere la mano di Najla. Spero di essere all'altezza signora Bonnet, perchè non c'è altro che io desideri."

Il volto di Deesire è il ritratto della gioia, sorride e lo guarda con ammirazione. "Se le tue intenzioni sono nobili, Richard Hamilton, io e mio marito non avremo nulla di cui obiettare." Poi sorride sotto ai baffi. "Lo sapevo sarebbe successo. Non ci crederai mai, proprio oggi ho detto a mia figlia che ci sarebbero state delle novità."

"Ne è stata felice?" Chiede con apprensione.

Deesire alza un sopracciglio. "Mio Dio, vi siete trovati davvero!" Esclama, ridendo. "Certo che lo è stata. Quale donna rimarrebbe impassibile alla richiesta di matrimonio dell'uomo che ama?" Sottolinea la frase sul finire, scuotendo il capo. "Parlatene. Parlate sempre e tanto di ciò che provate l'uno per l'altra, questo vi aiuterà a capirvi. Poi.." guarda verso Fabien che la saluta e fa per rientrare. "Compra un bell'anello, metti un bel vestito e fa una proposta come si deve!" Getta in un sol fiato, prima che i due uomini rincasino. Richard sorride e si alza.

"Signori è stato un piacere!" Si tira su esaltato. Saluta vigorosamente l'uomo che lo guarda perplesso e insieme a Maximilianne si fanno scortare da Deesire verso l'uscita. "Domani avrò una giornata bella intensa, meglio che rientri. Grazie di tutto, signora Bonnet."

"Chiamami pure Deesire, ti prego." Richard annuisce, senza rendersene conto si trova a saltellare sul vialetto.


*

Apro gli occhi spaventata.

Intorno è buio, tasto il comodino alla ricerca della radiosveglia, scivolando quasi dal letto; la prima notte in quella grande casa, non aveva sancito il migliore dei risvegli. A passo lento mi dirigo verso il bagno padronale, annesso alla stanza, l'ho voluto rivestito di una pietra che ricordasse una natura selvaggia alla quale sento d'appartenere in qualche modo, sorvolando mode e costumi attuali. Una doccia è quello che ci voleva.

Richard non ha chiamato. Il libro di Deesire era finito troppo in fretta, i pensieri liberi di attanagliarle il sonno.

Di gran fretta apro il portone, percorro il boulervard sino alla stazione metro, benedicendo il tepore della giornata estiva.

Il sorriso plastico di Patrick e un caffè di indubbia provenienza, sono le prime cose ad aspettarmi in reparto; il mio amico non parla, mi guarda e basta, inspiro profondamente prima di fargli la tanto temuta domanda.

"Chi?" La stanza gira, ma noto subito le schede dei pazienti in cura, sparse sul tavolo.

"Philomene Lemaire. E' in sala operatoria, ricoverata d'urgenza questa mattina." Prende una pausa. "Stanno mandando gli operatori dell'obitorio." Ho un conato di vomito. Patrick lo ha previsto e scatta, pronto a sorreggermi. "Mi dispiace."

Alzo gli occhi, scuoto il capo e mi allontano per bere un bicchiere d'acqua. "Lo sapevamo. Abituarsi è più difficile." Mi guardo attorno, torno su di lui. "Voglio parlare con la famiglia. Puoi portarmi da loro?"

Patrick scuote il capo. "Ci ha già pensato il primario."

"Patrick.." protesto. "Sono io che inietto nel sangue dei loro cari questa cura, con lo stesso coraggio devo guardare in faccia il fallimento."

"Non sono d'accordo." Ribatte. "E comunque se ne sono andati. Hanno un funerale da organizzare. Funerale del quale tu, non sei affatto responsabile."

Lo so bene. Non sono Dio, anche se tante volte ho desiderato esserlo. Essere al di sopra di tutto questo schifo.

"Era la paziente numero uno." Rifletto, scorrendo la scheda con sguardo avido e disperato. "La più longeva." Un'ombra tetra si disegna nelle mie verdi iridi. "Devo chiamare gli altri pazienti e riguardare i loro programmi, raggiungere la famiglia di Philomene e cercare il loro indirizzo." Patrick mi guarda evitare la pazzia del tormento; annoto tutto, gesticolo e parlo a me stessa.

Non mi ha mai visto farmi trascinare giù dalla disperazione, quanto più prenderla a schiaffi, se necessario.

"Ho il turno in reparto, sono lì se hai bisogno di me." Non gli rispondo, ma sa che da qualche parte l'informazione è filtrata perchè dal nulla mi spunta un sorriso. "Gerbere e tulipani. Evita quei crisantemi tristissimi." E chiude la porta lasciandomi sola nel mio mondo a volte doloroso, ma fatto apposta per me.


La mattinata scorre fra il telefono e la corsia del reparto.

Sento il bisogno di contatto umano, parole, infinite parole che azzittino il pensiero negativo nella mia testa; allora penso a Richard, ai bei momenti che abbiamo avuto il privilegio di vivere e a quelli che sarebbero venuti, ma anche lì sento che c'è qualcosa che somiglia più ad un campo minato.

Catherine, per fortuna e per il momento, risponde positivamente alla cura.

Mi sono trascinata all'indirizzo segnato sulla scheda di Philomene con una certa veemenza, il capo di chirurgia non è entusiasta di questa mia mossa, ma non importa molto il suo parere. Abbiamo discusso, mi sono infilata il tailler nero che tengo nell'armadietto da secoli per sventurati accadimenti e sono andata a prendere un taxi in direzione Saint Germain con un mazzo di gerbere rosse e tulipani chiari sulle gambe.

André Lemaire, o ciò che ne resta dopo quel giorno, mi accoglie con un sorriso che sembra più una rassicurazione che disperazione; ci siamo abbracciati a lungo senza dire una parola, questo è accaduto spesso nell'anno vissuto tentando e sperando di salvare Philomene, questo abbraccio addesso è la nostra tacita parola.. fine.

"Mia cognata ha preparato della limonata. Te la faccio servire, accomodati." Va nella stanza accanto da dove fa ritorno con una giovane ragazza, Hèlène la sorella minore di Philomene. "Lei è la dottoressa Chedjou, seguiva Philo nella cura." Si guarda attorno mortificato. "Non ho nulla da offrirti, stavamo andando a fare la spesa quando si è sentita male." Ha gli occhi tremanti, la voce rotta. Gli prendo la mano.

"Siediti, la limonata va bene." Poi guardo la ragazza che annuisce e prende posto. "Sono quì per parlarvi di come sono andate le cose.."

"Il suo capo ci ha spiegato che il cuore di Philo era debole, non ha retto l'intervento."

"No Hèlène, quello che voglio fare io è spiegarvi la cura, cosa è successo, perchè è andata così."

La ragazza schiude le labbra, André la guarda con affetto. "Lo abbiamo sempre fatto. Ci ha spiegato passo-passo quali sarebbero state le dosi, gli effetti, le controindicazioni.. insomma se so qualche nozione di medicina è perchè lei ce ne ha parlato. Sempre."

Annuisco e tiro fuori dalla borsa la scheda di Philo; André ha un singulto che sfocia con due lacrime che asciuga con il dorso della mano, annuendo compitamente, prima che iniziassi a parlare. Hèlène ci guarda e ascolta pur rendendosi conto che quel mondo non le è mai appartenuto veramente se non perchè è qualcosa di così intimo, che solo le persone più a stretto contatto con il paziente può comprendere. Ben presto si alza ad aprire la porta alla processione di persone del quartiere in cordoglio, fino alla tata che ha portato i due bambini di André al parco.

Non mi sfuggono le occhiate cariche di ansia nei suoi occhi, finito di parlare della cura.

"André c'è qualcosa che posso fare per te?" Sussurro.

I due bambini sono in compagnia di altri due bambini figli di una coppia nel palazzo che si intrattiene con Hèlène, André non li perde d'occhio e si volta solo quando gli sfioro il braccio. "Mh?" Chiede.

"Sei preoccupato, posso aiutarti? I bambini stanno bene?"

Abbassa lo sguardo sul pavimento. "Puoi seguirmi?" Annuisco e lo seguo per trovarci poi in camera da letto.

"I bambini stanno bene." Esordisce, poi si sbottona il colletto della camicia, esponendo il collo il collo alla mia vista. "Ce l'ho da due settimane." Indica con l'indice una prominenza sotto clavicola lato destro, mi avvicino e ci passo le dita accuratamente. "Pensavo fosse una sciocchezza, ma continuo ad avere dei mancamenti."

Annuisco. "Puoi venire con me in ospedale, per un controllo?"

"Certo." Risponde, rivestendosi con mano tremolante.

"Può darsi che hai trascurato un brutto raffreddore o un'influenza, ma per saperlo devo portarti con me." Gli parlo gentilmente, con voce calma; l'uomo inspira forte e rilassa il volto quanto può, lo lascio alle sue cose ed esco dalla stanza, per riprendermi la giacca.


Dopo tanti anni, nella mia mente e nel mio cuore con un colloquio del tutto intimo e personale, torno a parlare con Dio.


"Posso fare una telefonata?" Andrè annuisce, indicando il telefono sulla console all'ingresso. "Credo saranno due." Mi correggo.

"Non c'è problema."

Provo a telefonare prima in ospedale, parlo molto fitto con Patrick, che impreca dall'altro capo del telefono.

La seconda telefonata va al Claridge Hotel. Richard è prepotentemente nei miei pensieri questa mattina; ho una strana sensazione di paura alla bocca dello stomaco, averlo lasciato dopo la discussione del giorno precedente, seppur con un abbraccio, mi lascia la strana certezza di non rivederlo mai più.

Lui non è lì, aggancio con il cuore martoriato.

Sono sull'orlo del precipizio, ma gli occhi liquidi di Andrè che aspetta sul corridoio torturandosi le pellicine dalle dita della mano, mi fa tornare in vita.

Cerco di tirare su un bel respiro e calmarmi. "Andiamo!" Strepito.

Hèlène ci guarda senza capire, ferma la mano di André che le incornicia il volto. "Devo tornare in ospedale per delle carte da firmare." Mi guarda cercando riscontro, i miei occhi sono fermi, tuttavia non riesco a battere ciglio; lei capisce e ci lascia andare senza altre proteste.

"Grazie." Seduti in attesa del treno, l'uomo esce dal silenzio in cui è piombato.

"Non devi ringraziarmi, sarei stata in ospedale a confortarti, se non fossi arrivata tardi."

"Invece devo ringraziarti per aver tardato." Sorride debolmente, lo guardo senza capire a cosa si riferisca. "Non so se in quel momento t'avrei fatto vedere questa cosa.." si tocca velocemente il collo e prosegue. "Forse me ne sarei dimenticato anche dopo."

La sua voce non mi piace. "André, devi prenderti cura di te stesso, adesso più che mai. Mi hai sentita?!" Abbozza un sì con il capo. "Ci sono due bambini piccoli che hanno appena perso la madre, hanno bisogno che il loro papà ci sia. In salute di corpo e di animo, anche se ora è difficile." Lo prendo sotto braccio ed entriamo nel vagone del treno appena arrivato. "Tua cognata è molto dolce." Cambio discorso, sperando si riprenda un pò.

"Philo era l'opposto. Pragmatica e di poche smancerie. Le prendevo in giro, dicevo loro che era impossibile fossero sorelle, ma erano tante legate."

Sorrido. "So di cosa parli. Mio fratello e io siamo il giorno e la notte, eppure è la mia metà."

"Io sono figlio unico; ho capito che significa vivere una famiglia, solo dopo che l'ho incontrata."

"Fatti forza, un giorno i tuoi figli vorranno sapere da te la medesima cosa." Mi guarda attento, proseguo. "Ho perso mio padre da giovane. Pensavo che non sarei mai riuscita ad amare nessuno come ho amato lui. Mi sbagliavo, perchè lui mi ha insegnato come si fa ed è dentro di me tutti i giorni e per il resto della mia vita."

"A lei piacevi molto. Diceva che il tuo ottimismo avrebbe convinto persino i sassi a spostarsi."

Mi scappa una risata, un pò si lascia andare anche lui. "Grazie lo dico io a voi, André. Senza la vostra fiducia, non ci sarebbe ottimismo."

Annuisce e ripiomba nel silenzio, guardo fuori dal finestrino scorrere il paesaggio e i miei fantasmi che sorridono.



"Ed anche questa è fatta." Patrick spunta l'elenco di analisi programmate per Andrè. Lo accompagna all'ascensore, pregandolo di accettare il taxi che gli ho prenotato. "Ci sentiamo presto per i risultati. Si prenda cura di lei."

"Lo farò. E me la saluti, la prego." Il dottore annuisce salutandolo con la mano, attraverso le porte che si richiudono davanti al suo viso.



*

Mentre sto sistemando le etichette delle analisi, qualcuno bussa alla porta.

Il capo di chirurgia apre la porta, senza darmi il tempo di rispondere. "Mi è giunta voce che inserirai Lemaire nel programma, qualora ce ne fosse bisogno."

Alzo appena gli occhi. "Prego si accomodi." Rispondo sarcastica. "Con precisione, cosa vuole sapere?"

Quello si passa le mani fra i capelli e sbotta. "C'è un iter da seguire e poi.. mio Dio, lo sta già condannando?"

"Dottor Simon, questa è la mia ricerca e i miei fondi. Ho le competenze e gli strumenti per eseguirla."

L'uomo si risente della risposta piccata, balbetta. "Non.. non sto dicendo questo."

"A me sembra di sì. E non capisco cos'è che le da tanto fastidio. Aver perso un paziente e quindi mette in dubbio una scienza che sappiamo bene entrambi non sia esatta ne perfetta, o più il fatto che essa sia in mano a una donna che ha il coraggio di fare delle scelte?"

"Lei è un arrogante presuntuosa!" Ribatte, paonazzo. "Come si permette di darmi del sessista?"

Rido, il viso in fiamme. "Perchè è esattamente ciò che è. Non solo si permette di giudicare il mio operato, mi da ordini come se fossi una sua sottoposta. Siamo alla pari e mi dispiace per il suo orgoglio, se non riesce ad accettarlo." L'adrenalina mi schizza in testa, sento le convulsioni impossessarsi di me. "André Lemair ha due figli piccoli, sua moglie è morta troppo presto e ha trascurato di dirci che ha un'escrescenza sotto pelle. Con questa stessa faccia da stronzo vada a dire a lui se l'ho già condannato!" Accenna a una risposta ma gli vado incontro, spalancando la porta della stanza; mezza corsia è sul corridoio che fa finta di non aver ascoltato niente. "Se ne vada." Dico, senza più fiato nei polmoni.

Quello borbotta, mi passa accanto e mi squadra. "L'unica stronza che vedo quì è lei." E se ne va, sventolando il camice alle sue spalle.

Richiudo violentemente la porta alle mie spalle, restando al centro della stanza; sono furiosa, dovevo torcergli il collo.

La porta si apre ancora, mi volto di scatto con occhi imopazziti, Patrick alza le mani.

"Sono io." Dice, vagamente ironico. "Volevo dirti che Lemair è in taxi adesso e che dovevi fare di più per lui." Lo fulmino, si affretta a parlare. "Parlavo del colletto bianco, my friend. E' solo un pallone gonfiato, si meritava un calcio nel didietro." Si avvicina, massaggiandomi le spalle. "Brutta giornata, eh?"

"Sembra un incubo." Lo tiro a me e ci abbracciamo. Nella sua spalla soffoco il pianto di frustrazione e rabbia, tanto atteso. "Philomene, André, Simon.. e Richard."

"Sono tanti nomi!" Il suo tentativo di farmi ridere va a segno. Ci accomodiamo e a mani conserte sul tavolo, mi chiede di Richard.

"Mi sono comportata con lui come una bambina di cinque anni."

Alza gli occhi alcielo. "Sei una donna." Per disperazione, piego il capo sulla scrivania. "Tutto questo è troppo per lui?"

"Patrick.." protesto. "Gli ho detto che non sa dimostrare il suo amore." Poi lo guardo con uno sguardo colpevole. "E che tu e Geremia ci riuscite meglio."

Mi aspettavo una ramanzina, invece scoppia a ridermi in faccia. "Non ci credo."

"Neanche io." Mi tiro su, gli occhi sbarrati.

"Se lo hai detto è perchè ci credi." Arreso al mio sconforto, alza le spalle. "Non è un problema tuo la sua reazione, evidentemente hai colto nel segno."

"C'è di più."

"What?"

"Gli ho chiesto di venire a vivere con me."

Mi guarda come se avessi dichiarato guerra alla nazione. "Non si fa! No my friend.. dopo che farai, gli chiederai di sposarti?" Scuote il capo più volte.

"Peggio, lo ha fatto lui. E io gli ho risposto ciò che sai." Per la prima volta credo di avergli tolto le parole di bocca, mi guarda senza dire nulla e non scuote più nemmeno il capo. "Sono un disastro, lo so.. ero confusa. Ho fatto ammenda, ci siamo abbracciati, ma non lo sento da ieri mattina."

"Lo perderai, Najla." Sputa, senza filtri. "Tutto questo perchè sei cotta ma hai paura d'ammetterlo, a te stessa e a lui." Prende il respiro e prosegue. "Devi fare chiarezza. Penserà che non lo ami, che è tutto un gioco e se ne andrà. Vuoi che se ne vada?"

"No.." ammetto laconica.

"Non è una cosa brutta, anzi."

Sorrido, ha ragione. L'ha sempre avuta, fin dall'inizio e il pensiero che potrei perdere Richard mi annienta come se fossi fatta di polvere.

Lo amo, voglio vivere insieme a lui e non c'è niente di male farlo alle sue condizioni. Il matrimonio.. il sol pensiero mi fa ridere e tremare insieme.

E' venuto il momento di lasciarmi i fantasmi alle spalle, prendere una penna e iniziare a scrivere il mio destino.

Guardo Patrick e gli stringo la mano, sorrido finalmente. "Grazie."

"My friend, ad un certo punto bisogna abituarsi anche al sole."

Ha ragione anche stavolta.


*


Fisso il telefono da quando ho messo piede in casa e apparecchiato una triste tavola per un solo posto; il salone è pieno di cose ma vuoto, decido che è ora di telefonargli di nuovo e solo dopo un suo eventuale rifiuto, gettarmi nell'afflizione delle mie colpe. L'apparecchio suona prima che io lo sfiori.

"Pronto?"

"Ah, sei lì." La voce squillante di mia madre non è chi credevo fosse. "Io e Fabien ci stavamo domandando se ci fossero novità."

Mi siedo, sento che sarà una lunga conversazione. "Ti riferisci al trasloco o a qualcosa che mi sfugge?"

"Tu e Richard non vi siete visti quest'oggi?" Ribalta la mia domanda ponendone una del tutto fuori luogo.

"No, mamma."

"Allora fa finta che questa conversazione non sia mai avvenuta." Non credo di aver capito bene, sto per domandarle altro, quando riaggancia senza esitazioni.

Fisso la cornetta incredula e mi scappa da ridere; probabilmente lei e lo zio si staranno divertendo e non poco, in quel di Montmartre.

Mi tiro su con ancora il sorriso stampato in volto, quando suonano alla porta; controllo l'orologio, quasi le otto.

Comincio a comprendere la sensazione di euforia di chi vive solo, quando qualcuno ti viene a trovare di sorpresa.

Il mio Richard è sulla porta e la prima reazione che ho è quella di saltargli al collo, prima di piangere a dirotto.

Mi porta in casa e si chiude il portone alle spalle.

"Ehi.." sussurra al mio orecchio. "Sono corso da te appena ho potuto. Tua madre ha saputo da Patrick della tua giornata e ha messo a soqquadro le sociète per riuscire a parlarmi. Dall'hotel non sono riusciti a raggiungermi, tesoro mio sono così dispiaciuto di non essere arrivato prima.." la sua voce ha una cadenza angosciata; alzo la testa, i miei occhi si riempiono del suo viso bellissimo e preoccupato.

"Ti amo, Richard Hamilton." Mi asciugo le lacrime, tenendo fisso lo sguardo. "Tu non sai quanto."

Non dico null'altro, gli prendo la mano e lo porto verso lo scalone che conduce ai piani alti; sento i suoi passi e il suo calore dietro la mia schiena mentre arriviamo nella stanza da letto. "La nostra stanza da letto, Richard." Lo guardo e mi guarda senza capire. "Il nostro letto, il nostro nido d'amore, il nostro talamo nuziale.. se lo vorrai."

"Najla.." la sua voce è rotta dall'emozione, si china su di me baciandomi con passione e dolcezza.

Mi scosto piano, dentro ho un mare agitato. "Per la prima volta da quando ti conosco, ho avuto davvero paura di perderti." Sta per ribattere, gli premo due dita sulle labbra carnose. "La vita è così breve amore mio, siamo stati così fortunati ad esserci incontrati, che ho compreso quanto sia inutile ed estenuante, combattere contro ciò che provo per te. Voglio amarti a partire da oggi, senza più maschere. E ti voglio al mio fianco, Richard Hamilton!"

Scoppio a ridere per la tensione naturale che questo sentimento ha covato dentro me e mi sento libera.

Dal'altro canto gli occhi di quell'uomo si fanno dolci come mai prima d'ora erano stati, le sue labbra tentano di sfiorarsi e dire qualcosa ma la stessa emozione che sento io, gli impedisce di parlare. Sorrido ancora e lo bacio, allungando la mia mano verso i bottoni della camicia bianca.

Uno ad uno, in silenzio e nella penombra della stanza, lo spoglio e mi spoglio dei nostri vestiti e delle nostre paure; lo conduco verso il nostro letto dove ci stendiamo e restiamo a guardarci prima di baci roventi e carezze più intime.

"Najla.."

Il mio nome è l'unico suono che proviene dalle sue dolci labbra, che baciano ogni lembo di pelle che incontrano nelle spinte e risalite mentre mi possiede; sento come se non esistesse più una terra dove posare i piedi e le mie braccia sono ali. Mi stringo più forte alle lenzuola, che come un velo, vestono le sue gambe forti e non so più dire dove inizia lui e finisco io. E sul fondo gemiti, sospiri e la brezza leggera della notte che cala su di noi.



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Il risveglio per me è come se fosse il giorno di Natale; apro gli occhi e il suo splendido profilo è intrecciato al mio corpo, come edera.

Sorrido, mi passo una mano sugli occhi e m'imbarazzo; la mia prima volta.. il pensiero mi fa ridere e piangere insieme.

"Najla.." Richard mugugna, mi volto su un fianco e verso di lui che si muove nella lentezza del risveglio.

"Buongiorno.." soffio divertita.

I suoi occhi finalmente sono aperti, blu brillanti e pieni di amore. "Vieni quì." Mi tira a se, il mio capo raggiunge il suo petto con un solo gesto. "Ho chiesto la tua mano Najla Louise. Tecnicamente, ho chiesto il consenso di chiederti di diventare mia moglie."

La voce calda fra i miei capelli mi fa venire i brividi, schizzo e mi alzo con il busto su di lui; penso alla telefonata di mia madre, scuoto il capo e lo fisso con un'espressione da non ammettere repliche. "Cosa hai fatto?"

Un mezzo sorriso sghembo si dipinge sul suo volto. "Ieri ho cenato con i tuoi e c'era anche Maximilianne. Ero passato per te.. ma ovviamente non ero al corrente che non fossi lì." Ha la voce calma, seria, anche se quest'ultima frase nasconde un pizzico di sarcasmo. "Fabien è stato così pemuroso e tua madre è stata per me una vera rivelazione." Lo guardo con la curiosità appesa agli occhi, il mezzo sorriso diventa un bel sorriso. "Ha confermato esattamente i miei pensieri su di te, restando comunque molto sincera. Credo sia felice se tu diventassi mia moglie." Mi viene da ridere ma cerco di trattenermi per non ferirlo; Deesire Bonnet da circa due anni ha messo su una campagna per convincermi a trovare un uomo da cui farmi impalmare e guardando quest'uomo, benedico me stessa di non averle dato retta prima d'ora. "C'è qualcosa di ilare nelle mie parole?" Domanda.

"No Richard." Rispondo ma lui continua a fissarmi per cui cedo e scoppio a ridere. "Dovresti guardarti allo specchio un pò più spesso. Sei perfetto."

Sorride, ma abbassa gli occhi. "Non sono perfetto Najla, sono solo un uomo."

"Non fai che ripeterlo.." borbotto. "Come se temessi un fallimento da un momento all'altro. Mi sbaglio?"

Le sue labbra si stringono, capisco che è così. "Ci sono ancora tante cose che non sai di me." La linea dura della sua voce mi spaventa. "Vorrei poter esser perfetto per te, l'uomo che merita di essere tuo marito e credimi.." la sua mano mi avvolge la guancia e tutto a un tratto, le paure sono libere. "Mi impegnerò affinchè questo avvenga, ma dovrai imparare in fretta che sono un uomo molto pragmatico." Fa una breve pausa e si lascia andare ad una risata. "Ai limiti della follia.. ma di fondo c'è che sono molto innamorato di te."

"Non sarà facile Richard Hamilton, non ho mai detto questo." Lo guardo con sfida sfida, lui mi lancia la sua con degli occhi che mi fanno impazzire. "Ma sto imparando anche che la vera forza sta nel rialzarsi dopo la burrasca." Sospiro, lui mi stringe nuovamente a se.

"Sbaglieremo e insieme proveremo a rialzarci." Mi bacia i capelli, lo abbraccio più forte. "Ci credo, Najla." Sussurra.

Alzo il viso e lo guardo, sorrido teneramente.

Non serve che gli risponda, sono completamente innamorata della sua presenza che a questo punto, accetterei qualsiasi cosa mi chiedesse.

"Se ti chiedessi di venire a Londra il prossimo weekend?" Chiede, con voce sicura.

"Perchè?" Rispondo allarmata.

Lo sento sbuffare e irrigidirsi. "Voglio farti vedere i luoghi in cui sono nato.." risponde laconicamente.

Mi do mentalmente della stupida, il mio tipico modo di fantasticare il peggio è sempre pronto a mangiarmi viva. "Certo.." rispondo timida.

"Najla Louise, a questo punto è chiaro che non andrei da nessuna parte senza di te."

Scuote il capo rifilandomi la più dolce delle ramanzine, alzo ancora una volta il busto e lo bacio ripetutamente sul volto.

"Devi avere pazienza, Richard." Rimbrotto fra un bacio e l'altro. "Roma non è stata creata in un giorno!" Rido, sperando che si sciolga; poi mi alzo e non so come la gioia delle sue parole raggiunge la mia testolina addormentata procurandomi un'infantile voglia di mettermi a saltellare e progettare tutto ciò che faremo per i tre giorni del viaggio. "Conoscerò tuo padre?" Chiedo, tornando in me.

I suoi occhi si ombreggiano. "Certo. Ma non aspettarti chissà quale calore, è un uomo tutto di un pezzo."

"Capisco da chi hai preso." Borbotto, ridendo. "Ma che vuoi che me ne importi, Richard? A me basta solo stare con te." Sussurro dolcemente.

Si alza anche lui. E' nudo ed è squisatamente bello. Mi avvicina, avvolgendomi. "Sei una creatura speciale, sono davvero fortunato."

Ci guardiamo con malizia e passione, il sole è caldo fuori la finestra, ma caracolliamo a letto ad amarci.


Ci alziamo da quel letto il giorno dopo. E' domenica e mentre preparo una ricca colazione mi ricordo del club di lettura e del nostro appuntamento.

"Vuoi venire anche tu?" Richard è alle mie spalle, che mi stuzzica con dei baci sul collo totalmente illegali. "Per favore.." biascico poco seriamente, minacciandolo con la moka bollente stretta fra le mani e pericolosamente vicino al suo bacino scoperto.

"Sei davvero pericolosa." Bofonchia, andando in direzione del tavolo.

"Si." Sistemo il caffè nelle tazzine e gli lancio la camicia stesa sul pavimento. "Stabiliamo delle regole Richard Hamilton; in sala da pranzo, solo vestiti."

Mi siedo e gli servo la colazione, la faccia da schiaffi che mette su è epica. "Come sei noiosa."

"Non sono noiosa, sono ben educata. Cosa che non posso dire di te, a quanto pare."

Si riveste e sorride. "In questo salone ci saranno solo colazioni, pranzi e cene alla maniera dei noiosi."

"Smettila!" Gli intimo, arrossendo. "Non ho detto questo.. è solo che.. io.." mi si ingarbuglia la lingua e mi agito. "Non voglio che un domani i nostri figli ci trovino a.. a fare sesso in cucina perchè non abbiamo regole!" Mi porto la tazza alle labbra e taccio, rossa come un peperone.

Il suo ghigno si trasforma in un sorriso. "Va bene." Ammette, senza alcun genere di sarcasmo. Vedo i suoi occhi volare intorno alla stanza e tornare ai miei. "Di quanti figli stiamo parlando esattamente?" E ride ancora, sicuramente del rossore perpetuo delle mie guance.

"Almeno due." Rispondo, cercando di restare calma.

Lui annuisce. "Perchè non tre?" La sua voce continua ad essere seria, il mio cuore fa le capriole. "Era bello pranzare alla maniera dei noiosi quando la casa si riempiva delle risate delle mie sorelle." Gli stringo la mano, lui mi sorride.

"Allora vuoi venire?" Cambio discorso, per il mio povero cuore gestire l'idea di un matrimonio e l'ipotesi di figli è davvero troppo.

"Vai tu, so che è un club esclusivo e non voglio essere di troppo." Mi bacia il dorso della mano che sta stringendo e prosegue. "Possiamo organizzare la prossima lettura quì, così potremo conoscerci e vedere se andiamo a genio."

Annuisco. "Sarebbe una gran cosa in effetti." Lo guardo di sguincio. "Non sei male come public relations." Getto, sarcastica.

"Se c'è una cosa che mi riesce bene è piacere alle persone, Najla Louise." Sorride sardonico. "Anche se con te è stata dura. E lo sarà ancora."

"Non lo dimenticare.." mi alzo e lo bacio. "Metti tu in ordine?"

Alza gli occhi al cielo ma sorride. "Sì, dobbiamo stabilire delle regole." Rido e lo bacio ancora, soffocando inutili proteste.


*


Con mia grande sorpresa, Patrick è al club, sta aiutando Geremia con le prove di teatro; li guardo sfiorarsi senza toccarsi e sospiro. Florance, nei dintorni, è più allegra del solito, ha allestito un piccolo buffet con dei biscotti a me assai familiari e quando mi vede, mi da conferma provengano dalla Fabien&Madeleine. Sospetto di essere entrata nelle sue grazie, da quando mi sono tolta di torno a disturbare il suo Geremia. Louise invece è in un angolo che parlotta a larghi sorrisi con Cristophe, ciondola sulle gambe ed ha lo sguardo perso in quello del ragazzo. Théa e Gastald discutono fra una carezza e l'altra, di politica animatamente e appasionatamente proprio come il loro essere.

Vedo l'amore nell'aria, lo percepisco e sorrido, immergendomi in quel meraviglioso caos fatto di persone e sentimenti.

Mi avvicino a Geremia, quando mi abbraccia mi inchioda con uno sguardo stupito. "Cosa hai fatto? Hai cambiato pettinatura? Trucco? Sei un incanto, cheriè!" Patrick mi fa una lastra restando immobile praticamente, ed è quando incrocia i miei occhi, che sono sicura capisce tutto.

"Va..vado a prendere tre bicchieri!" Esclama.

Geremia lo guarda allontanarsi e poi guarda me perplesso. "Io e Richard vivremo insieme." La getto lì, arrossendo.

L'uomo mi fissa intensamente. "E' meritevole della tua mano?" Annuisco a più riprese, finendo fra le sue braccia, di nuovo, senza rendermene conto. "Sono molto felice per te, mon amì."

Patrick torna e approfittando delle spalle di Geremia mi da la sua benedizione. "Benvenuta nel mondo degli adulti."

Alzo gli occhi al cielo e mi lascio andare al brindisi di mezzogiorno con un soauvignon di scarsa qualità, ma che sembra il più buono del mondo.

"Ci vediamo a casa.." Il sussurro di Patrick sancisce l'inizio della lettura; più o meno accampa le stesse scuse di Richard, ma sono sicura tema le occhiatacce nere che Florance gli ha rivolto tutto il tempo che è stato lì con noi. La cosa mi fa sorridere, sebbene sono più che certa conosca le inclinazioni sessuali del ragazzo, credo che la sua gelosia sia più una cosa del tipo materno e questa cosa mi rallegra; credo che Germia sia stato punito molto più del dovuto da questa vita e meriti l'amore delle persone che gli sono accanto. Ad un certo punto mi guarda, prima di iniziare la lettura e mi chiede se sto bene.

Ricambio quello sguardo con infinito affetto. "Ti voglio davvero bene, mon amì."

"Moi aussi!" Risponde e da il via alla lettura.


"Altri commenti?" Thea ha illustrato alla perfezione il tulipano nero, appassionandoci quanto più non fossimo da questa storia d'amore e spionaggio, basata sul furto di preziosi bulbi del tulipano raro, che una giovane ragazza ritroverà e farà avere indietro al protagonista, innamorandosene perdutamente. Geremia fa una carrellata su i nostri visi, chiude il libro e si congratula. "Questo volume chiude definitavamente le letture della prima parte dell'anno. Mi congratulo come sempre con voi, amici miei, per la passione e l'intelletto che vi guida." Poi guarda Louise e annuisce. "La nostra più giovane lettrice, mi ha fornito una lista di letture estive, esaltanti come quest'ultima, fra cui vi annovero il Conte di Montecristo. Se supereremo il consueto numero di adesioni, il club proseguirà fino a tutto il prossimo mese, fino alla sua chiusura d'agosto consueta." Un coro di approvazioni si leva quasi subito. Alzo la mano, lui sorride. "Najla prima che tu dica ciò che stai per dire, devo consegnarti qualcosa." D'un tratto gli altri partecipanti si agitano emozionati sulle sedute. Geremia si alza e rovista nella sua giacca, con in mano un pacchettino di carta mi avvicina. "Questo è per te." Strappando via l'involucro, ne esce un braccialetto con una medaglia incisa di alcune brevi parole: amo chi legge e leggo chi amo. Lo guardo incredula e volgendo lo sguardo verso i miei compagni noto che anche loro hanno la personale medaglietta; chi una collana, chi un bracciale. Indosso il mio e sorrido. "Volevi dirci qualcosa?"

Scuoto il capo, tirando su un bel pò d'aria per evitare la commozione. "Pensavo che la prossima lettura si potrebbe tenere nella mia casa nel Marais." Thea mi lancia un'occhiata curiosa. "Sono andata a vivere per conto mio, speravo di avervi lì come ospiti. Senza il meraviglioso arrosto di mia madre.. ma qualcosa mi inventerò!" La donna ride e annuisce. "Che ne dite?"

Geremia getta una veloce occhiata all'imbronciata Florance che però ammette un risolino. "Devi solo farci sapere quando. Voi altri siete d'accordo?"

Tutti rispondono positivamente, tranne Louise che trascina il suo sì tormentandosi le labbra.

"Ho fatto qualcosa che ti ha recato offesa?" Le chiedo, rimaste sole, prima di andare via.

Mi guarda, aprendomi il portone. "Mi hai fatto tutta una ramanzina sugli ideali.. e te ne vieni a vivere nel Marais?"

Ci addentriamo nel quartiere, camminando una accanto all'altra. "Sei tu che etichetti le persone Louisanne, non io."

"Non ho etichettato Geremia, ho soltanto riportato delle voci." Alzo un sopracciglio, vedendola arrossire; benedico che non sappia la verità dei fatti.

"Quando ti ho detto che hai l'età per farti un'idea di come vanno le cose è perchè ti reputo sveglia e intelligente." Le dico, rassicurandola. "Prendimi come una sorella maggiore, Louise, i miei sono consigli..altro che giudizi!" La vedo persa in quel pensiero, prima di guardarmi e annuire.

"Cristophe mi ha chiesto di uscire." Rivela, arrossendo di nuovo; il suo viso pieno di lentiggini si illumina di una strana luce. "Ho detto di sì, ma adesso non so come mi devo comportare con lui." Si aspetta che la rassicuri ancora con un bel consiglio da sorella maggiore e sorrido.

"Cosa provi per lui?"

"L'ho sempre trovato noioso." Risponde di getto. "Da quando si è lanciato invece.. non faccio che pensarlo."

Mi viene da ridere ma cerco di trattenermi. "Asseconda questa sensazione e vivila con lui." Poi la guardo seria. "Non c'è proprio un bel niente che devi fare, solo essere te stessa."

"A volte sono cattiva con lui, ma credo che infondo gli piaccia." Mi da la mano e fa per prendere la direzione opposta alla mia. "Grazie per la chiacchierata."

Sospiro. "Sii buona con Cristophe. E' cotto di te, ti guarda come se non esistesse altro intorno." Ricambio la stretta e la lascio sparire nel dedalo di stradine del mio nuovo quartiere. Una strana allegria mi pervade, mi sento a casa, mi sento felice.


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 12.




Io e Richard ci diamo un'occhiata reciproca generale, prima di bussare alla porta di casa Moreau; mi fa effetto pensare a lei senza considerla più casa mia. Il trasferimento è avvenuto assolutamente in modo naturale e senza grandi crisi, poco alla volta ho semplicemento portato via tutte le mie cose, ma il cuore si sa, è sempre l'ultimo ad abituarsi a certi cambiamenti. Per quanto riguarda Richard, fa la spola dal Claridge a casa mia, sopratutto in occasioni di meeting ma posso tranquillamente ammettere che viviamo già insieme. Il mio periodo di beatitudine prosegue a gonfie vele.

Fabien apre la porta, ha il viso sporco di pittura, questo è senz'altro un buon segno; mi ha promesso un quadro e l'angolino della casa a cui è destinato, è in trepidante attesa come la sottoscritta. Le urla di Lukas e degli altri bambini riempiono la casa, con le belle giornate estive la mamma apre il giardino ai suoi amichetti e si respira quasi sempre un'aria divertente. Nel breve tratto dalla porta alla veranda mi accerto della situazione di Benjamin e Charlotte, in viaggio da quasi ormai un mese; lo zio mi mostra le cartoline che gli sono arrivate e noto con un sorriso da ebete che le premure di mio fratello nei miei confronti, si fanno sentire persino da lontano. Muoio dalla voglia di parlare con lui.

"Ragazzi!" La mamma ci chiama, è sul fondo del giardino con un grande cappello di paglia sul capo e un bel sorriso.

"Accidenti.." Sussurra Richard.

"Sì." Rispondo io, intuendo a cosa si riferisca la sua imprecazione. "Le rose sono fiorite."

Lo spettacolo che ci si presenta davanti agli occhi è imbarazzante per quanto bello; non credo di averci mai fatto l'abitudine, ma per chi lo vede la prima volta è esattamente questo l'effetto che fa. Un tappeto lungo quanto il perimetro delle mura di rose di damasco, dall'inconfonbile colore acceso.

Richard apre e chiude le palpebre, sorridendo. "E' bellissimo."

"Grazie Richard." Risponde Fabien, alle nostre spalle.

La mamma mi prende la mano sinistra e ci getta una veloce occhiata. La paralizzo con uno sguardo assassino, lei cambia subito espressione. "Tutto bene?" Chiede angelica. Annuisco soddisfatta e mi stringo al braccio di Richard.

"Siamo venuti a dirvi che partiremo per Londra questo giovedì." Sospiro, incrociando il suo sguardo e proseguo. "Richard vuole farmi conoscere il suo luogo natio, per me senz'altro una bella occasione per visitare una città che mi ha dato tanto..che coincidenza, buffa vero?"

"Io lo chiamerei destino." La risposta della mamma mi fa venire i brividi lungo tutto il corpo.

Richard guarda il mio braccio increspato e mi sorride con dolcezza. "Credo che sia molto più felice di me." Dice sorridendo.

"Oh, smettila!" Gli rifilo una piccola gomitata, un pò imbronciata. "Sono sicura che anche Mr. menta si sta sciogliendo, al pensiero di rivedere casa sua.."

"Mr. .. menta?" Domanda lo zio, vagamente divertito.

"Oh sì zio.." il pensiero dei nostri nomignoli tutto d'un tratto mi imbarazza. "Il suo aspetto me la ricorda." Sussurro.

"E tu hai pensato a qualcosa per lei?" Ribatte lo zio sempre più incuriosito.

"Dopo un'attenta analisi.." Richard sorride, credo al pensiero della storia dei cioccolatini con la quale ha approcciato la prima volta e mi perdo in quella meraviglia. "Assolutamente cioccolato." Afferma. "Scorza dura, ripieno morbido." Sbatto le ciglia incredula che ricordasse le esatte parole che gli dissi in quell'occasione, lui se ne accorge e mi fa l'occhiolino. Deesire guarda languida verso Fabien, i loro sguardi sono carichi di ricordi e mistero.

"Bene, dobbiamo festeggiare!" Propone poi la donna, guardandoci tutti. "Vado a prendere la limonata, vieni con me Fabien?"

Neanche a dirlo, spariscono nel giro di due secondi, mano nella mano, ridendo.

Rimasti soli ci accomodiamo sotto al gazebo delle dolci rimembranze della festa di fidanzamento di Ben.. e del mio primo timido passo verso Richard.

"Dunque sarei io il cioccolato?" Domando divertita.

"Il tuo aspetto me lo ricorda." Sorride sornione, incrocio le braccia e lo guardo divertita.

"Richard Hamilton sei davvero scorretto!" Mi avvicino con la tremenda voglia di baciarlo, lui mi anticipa e mi tira a se."Il cioccolato piace a tutti." Affermo, in questo strano gioco del ricordarci ciò che siamo stati, ciò che abbiamo detto.

"Era una vita fa, dolce Najla." Sussurra fra i miei capelli, facendomi accomodare sulle sue gambe. "Ora sei mia."

"Lo so." Rispondo, rabbrividendo ancora.

A riportarmi alla realtà ci pensa un ometto dai capelli biondo cenere.

"Njala vieni ti devo far vedere una cosa!" Lukas mi tira la mano e mi trascina verso l'angolo di giardino dove se ne sta a studiare gli animali insieme ai suoi amichetti, lo seguo sentendo lo sguardo di Richard puntarmi la schiena. Mi volto, stagliati nell'ombra, i suoi occhi spiccano di un blu da far invidia al cielo.


Intanto in cucina la mamma prende il blocco delle ricette e lo fissa.

"Secondo te la menta può essere associata a un dolce?" Domanda a Fabien con lo sguardo serio. Non una ricetta è stata approvata senza il consenso dell'uomo.

"Frschezza e dolcezza..si potrebbe provare." Risponde l'uomo. "Ma non stavamo tornando in giardino?"

"Li hai visti come si guardano?" Risponde lei divertita. "Lasciamoli ancora un pò da soli.. oh cielo Fabien, Najla si è innamorata!"

Fabien guarda Deesire ridere e quel sorriso diviene presto contagioso. "Ti somiglia davvero tanto; è intelligente, spigliata. E' di lui che non sappiamo quasi niente." Alla donna non sfugge il corrucciamento del volto di suo marito.

"Sei preoccupato per lei?!" Gli sfiora la mano, attirando la sua attenzione.

"No, credo sappia tirare le sue valutazioni da sola. Ma quest'uomo chi è davvero? Sappiamo solo che ha un buon fiuto per gli affari, che proviene da una famiglia nobile di Londra e poco altro. Non ti viene mai il dubbio di averlo avuto fra i piedi già una volta?"

Deesire ride della valutazione così spropositata di Fabien. "In realtà mia madre ha avuto a che fare con suo nonno in passato. Questioni legate all'azienda, so poco altro, nel caso ti venisse in mente di chiedermelo."

Il sorriso di Fabien si fa ironico. "Chissà perchè avrei dovuto immaginare c'entrasse Clorine Fontaine!"

Deesire alza gli occhi al cielo, ma non può fare a meno di sorridere. "Le tue vibrazioni sono sempre state giuste, amore mio.. ma forse quella che senti è solo una sana ansia da genitore premuroso?" Si avvicina e lo bacia teneramente. "Je t'aime charmeur." (nda: charmeur= incantatore.)

Fabien si scioglie e ride. "Sì, Najla ti somiglia davvero tanto!" E scoppiano a ridere ricondando i tempi della loro giovinezza.


*


Giovedì si avvicina molto in fretta, fisso il corridoio con le nostre valige stipate all'ingresso e mi domando se abbiamo forse esagerato.. oppure dimenticato qualcosa. Maximilianne mi guarda da lontano cercando un cenno di assenso, sprofondo in un sospiro, permettendogli di aiutarmi a caricare le borse in auto. Finalmente.

"Sei nervosa?" Chiede Richard, alle mie spalle, con il borsello dei documenti in mano.

"Un pò." Ammetto, fissando le sue mani. "C'è tutto?"

"Tutto." Abbozza un sorriso affettato e mi precede per aprirmi la porta. "Andà tutto bene." Sussurra credo più a se stesso, mentre gli sfilo accanto.


Nel tempo libero del volo ho sfogliato le riviste e gli appunti che ho annotato sul casato natio di Richard; come già sapevo è un nobile, discendente di un'antica famiglia di Londra risiedente tutt'oggi nel palazzo stile georgiano sulla Grosvenor street appartenuto a svariate generazioni di Hamilton e che vanta il maggior numero di ristrutturazioni della storia, per via della guerra e altre catostrofi. Questo appunto mi fa sorridere, immagino già la tempra dei suoi familiari, tempra che a quanto pare egli stesso ha ereditato con successo. Il pensiero vola a suo padre, la sua descrizione asettica a tratti anaffettiva dell'uomo, mi turba; da quel poco che so è stato un grande imprenditore, poco avvezzo alla filosofia del genitore sulla filantropia, sicuramente un uomo molto deciso e autoritario. Immagino il candore di Catherine associato a una grande forza e sorrido, siamo fatti davvero per poche persone.

Nella storia di Richard figura anche South Hams, nella contea di Devon, dove venne ospitato presso un gruppo di conti, durante l'evaquazione della City sotto bombardamento; i conti in questione erano ricchi estrattori minerari, insigniti come prima famiglia di esploratori e medaglie all'onore di uomini civili e di questo non posso che essere d'accordo. Richard non parla mai di quella parte della sua vita, ma sono certa che se oggi è l'uomo che è qualcosa proviene da quell'esperienza passata. Sospiro, non potrei mai immaginare come sarebbe stata la mia vita se a un certo punto avessi perso anche mio fratello. Il pensiero mi terrorizza, scuoto il capo velocemente, chiudo gli appunti e reclino la testa all'indietro.

Le nuvole scorrono sotto il veivolo, il cielo è terso, riacquisto un pò di lucidità pregustando il nostro arrivo in Inghilterra.


"Najla.." la sua voce mi desta, apro gli occhi, tutto è ovattato e confuso. "Hai la sorprendente capacità di addormentarti dappertutto." Ridacchia, baciandomi la punta del naso; lo guardo in cagnesco, stiracchiandomi. "Il pilota ha annunciato pochi minuti all'atterraggio."

Mi allaccio la cintura e sorrido. "Il mio momento preferito..ah Inghilterra, fai di noi ciò che vuoi!" Richard ricambia il sorriso e si rilassa per l'atterraggio.

Nel piazzale antistante l'aeroporto, ad attenderci, una berlina nera e un uomo che mi viene presentato come un valido supporto della famiglia Hamilton, questo cerimoniale fa ridere entrambi, sopratutto quando vengo presentata io, come fidanzata del signor Hamilton. Durante il viaggio da Heatrow sono in visibilio, Londra si paventa in lontananza come l'amica di vecchia data, che mai ho dimenticato; Richard ogni tanto, nella campagna che attraversiamo, mi indica qualche angolino tutto suo e con meraviglia e stupore, ci troviamo d'accordo su un sacco di posti. L'entrata in città aumenta il nostro entusiasmo a tal punto che l'autista fa una piccola deviazione verso sud per Buckingam Palace e Westminster, affianca il Tamigi e poco alla volta gira in tondo alla città, per una rapida quanto desiderata, occhiata alla città prima di stazionarci in Myfair.

Ho il cuore il gola e la felicità appesa agli occhi, mentre scorro con lo sguardo il palazzo bianco in vecchio stile giorgiano, stagliato su di noi; noto subito lo stemma nobiliare del casato, un leone d'oro in alto e tre pali dorati nella parte inferiore, su fondo azzurro, e incomincio ad avvertire una certa tensione benevola. Immagino Richard bambino sgambettare sugli scalini che conducono al suo interno, dove in grande ordine ci aspetta la servitù tutta sorrisi e mi beo ancora un pò di quell'imagine, prima che il mio uomo depositi il suo braccio accanto al mio fianco, invitandomi ad entrare.

Un'espressione di stupore ammanta il mio essere, sebbene conosca il lusso, il palazzo ha un aspetto quasi regale; tutti si dimostrano carini e premurosi, nel giro di qualche attimo non ho più il mio soprabito in mano e la borsa, vedo sfilare le valigie ai piani alti, finchè in grande spazio pieno di luce, crocevia della varie sale che si aprono come porte per il paradiso, figura Raymond Arthur Shelley Scott Hamilton, meglio consociuto come Raymond junior.

L'uomo ci guarda avanzare con un sorriso vago, lo sguardo fermo sulla nostra figura così unita da sembrare unica; sento il cuore di Richard pulsare attraverso la giacca di lino, nelle mie spalle scoperto improvvisamente mi sento quasi nuda e arrossisco. Lui se ne accorge e stringe forte la mia mano, intrecciata al suo braccio.

"Buongiorno padre." Esordisce, lasciandomi libera dalla sua morsa.

"Buongiorno signore." La mia mano avanza verso la sua figura, l'accoglie con delicatezza aspettando che mi presenti. "Najla Louise Chedjou."

Il suo baciamano nasconde un sorriso ironico che non mi sfugge. "Buongiorno a voi e ben arrivati. Come è andato il viaggio?"

"Tutto bene." Richard risponde asettico, lo sguardo ferino. Il sorriso di Hamilton non deve essere sfuggito nemmeno a lui.

"Tutto meravigliosamente bene, grazie per essere stato così premuroso nel riservarci la prima classe." Aggiusto il tiro, la troppa tensione fa agitare anche me che comincio a sentire davvero caldo. "Eravamo impazienti d'arrivare."

"Davvero?!" Chiede senza traccia d'ironia, stavolta. "Non è mai stata a Londra prima d'ora, signorina?"

"No, tutt'altro. Questa città mi ha dato i natali come medico, la adoro e non vedevo l'ora di essere nuovamente quì."

Sorride cortesemente, prima di guardare il figlio. "E tu cosa mi dici?"

Nell'attendere risposta ci conduce nella stanza da cocktail, ci indica il divano iniziando a trafficare con il carrello degli alcolici. Guardo l'orologio, è quasi ora di pranzo e il mio stomaco brontola. Repentina è la sua richiesta di servirci quache stuzzichino, per buona pace del mio appetito.

Richard si toglie la giacca, la deposita in un angolo e mi serve. "Mangia.." sussurra dolcemente, raggiungendo poi suo padre al carrello.

"Sto seguendo un nuovo progetto presso l'azienda di proprietà della famiglia di Najla Louise. La parte logistica e quella di montaggio, in fase di riqualificazione e assettaggio. Dovresti vederlo, ne saresti entusiasta; abitazioni aziendali, nuovi mezzi all'avanguardia, brevetti certificati.." i suoi occhi brillano e non riesco a capacitarmi della felicità che mi provocano. Poi si azzittisce, sorride, guarda lui e poi me. "Suo fratello mi ha già dato il benestare, ti presento Najla Louise come mia fidanzata, padre. Presto ufficializzeremo, sono certo che parteciperai al lieto evento."

L'uomo sorride, una mano posata sulla spalla del figlio. "Tuo nonno mi ha detto grandi cose di te, credo abbia usato più volte la parola entusiasta. Tuttavia mi domando, senza l'intenzione di offendere nessuno, se non sia un pò prematuro parlare di fidanzamento?"

Richard non fa una piega, il mio stomaco invece è in fiamme. "Ho trentacinque anni padre. E da dieci dirigo un impero. Prematuro? Non credo."

"La tua propensione per gli affari è sempre stata tanto lungimirante.. il matrimonio è qualcosa che ha ben poco a che fare con gli affari."

"Tu dici?" Risponde ironico. "Il matrimonio è un grande business travestito da glassa e canditi."

"La signorina Chedjou cosa pensa in merito?" Mi guarda sornione, attraversando la stanza per porgermi un bicchiere di Pimm's.

"Che mi piacciono glassa e canditi, ma non sono così ingenua da non sapere chi ho accanto, signor Hamilton." Sorrido, alzandomi e ringraziandolo per il cocktail, che pregusto, inumidendomi solo un pò le labbra. "Il signor Pimm era un lungimirante, pensi da un chiosco di ostriche è finito nei più bei palazzi di Londra con la sua invenzione. La lungimiranza come il matrimonio, da i suoi frutti lentamente, ma dorati."

Il sorriso sornione si trasforma in un sorriso tirato, a differenza del mio compiaciuto.

Richard alle sue spalle ride nel silenzio di un pranzo che si pregusta somigliare più all'ultima cena.



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Non si può certo dire che Raymond Hamilton, abbia lasciato le cose al caso; la sala da pranzo è bandita come fosse un giorno di festa, questo quantomeno riconduce ad una certa accortezza sulla nostra presenza. Mi compiace il pensiero ma tengo bene a mente di non abbassare la guardia.

Ad un certo punto, prima di inziare, compare la figura di una corpulenta e vivace signora di mezza età.

"Zia Elizabeth Hamilton Cattel." Sussurra Richard, alla mia sinistra.

"Dov'è la rosa di Parigi?" Esordisce, venendoci incontro. "Oh Lord, Richard è incantevole!" Arrossisco mentre la donna si catapulta letteralmente fra le mie braccia. "Ho sentito parlare di te, ma non tanto come avrei voluto. Io sono Elizabeth, ma chiamami pure Lizzy." Il suo sorriso contagioso fa fiorire di nuovo il mio, la guardo entusiasta e incuriosita.

"Elizabeth, in ritardo come sempre.." borbotta Raymond con un mezzo sorriso. "Najla Louise, mia sorella, contessa di South Hams e suo marito William Cattel conte di Devonshire." Abbozzo una reverenza all'uomo che accompagna la donna, benvestito alla maniera dei vecchi lord inglesi.

Il mio cuore saltella nel petto, non avrei mai immaginato di conoscere i custodi del "piccolo" Richard.

"Sono onorata di fare la vostra conoscenza, miei lord."

La donna mi accarezza una guancia e poi si rivolge al marito. "Rompiamo le fila, voglio sedermi accanto a lei."

Il marito le sorride. "Ogni tuo desiderio è un ordine, mia cara!" E ridendo prende posto accanto al cognato, che ci guarda disapprovando.

"Mio fratello è amante delle rigide regole del cerimoniale; un vecchio nobile antiquato." Sorride al consanguineo e delle adorabili fossette compaiono sulle sue guance rosee. "Ma parlami di te, so della tua famiglia impegnata nell'arte della pasticceria? E che imprendono nel settore metallurgico? Ah quale connubio interessante!" Stepita, puntandomi addosso uno sguardo carico di curiosità.

Prima che possa rispondere, Rymond mi precede. "Senza dubbio, inconsueto." Abbozza per poi rivolgersi alla sorella. "Hai ragione su tutto, tranne che sono vecchio, naturalmente!" Si lascia andare in una mezza risata e sentirlo ridere quasi mi spaventa.

Afferro l'ennesima frecciatina senza scompormi e mi volto in direzione della donna.

"Le sue informazioni sono esatte, contessa. Mio padre è figlio di una dinastia di industriali e mia madre è impegnata con un certo successo in una pasticceria sita in Monmartre."

"Oh non darle retta zia, la signora Bonnet è una buona imprenditrice, possiede altre due pasticcerie in Europa, entrambe di successo."

Richard mi sfiora il dorso della mano, il suo intervento mi rende orgogliosa, gli sorrido grata.

"Bene! Ma ricordati di chiamarmi Lizzy. Hai fratelli, cara? Sorelle? Che studi hai eseguito?"

Le sue domande mi spiazzano e divertono allo stesso tempo, non so se c'è un piano studiato dietro, ma le accetto di buon grado.

"Ho due fratelli maschi, il maggiore è appena convolato a nozze e il più piccolo sarà presto alla primaria. Sono laureata in medicina, al King's college; ho vissuto a Londra per tutto il tempo degli studi."

"Mia cara, sei mezza londinese e non lo dici?" Borbotta divertita, guardando poi verso Richard. "Te la sei fatta passare sotto al naso migliaia di volte, dovresti considerarti fortunato di essere finito a Parigi per ritrovarla e non dall'altra parte del mondo!" Ride genuina; l'adoro già, così poco formale rispetto alle sue origini, così confidenziale e garbata che non posso far altro che sorridere.

"Grazie Lizzy." Ammetto. "In effetti il destino ha giocato un ruolo strano."

Raymond fa un sorriso sarcastico e mi guarda. "Molto strano." Richard si fa teso, la mascella si contrae e mi preoccupo; c'è una sottile guerra in corso che non riesco a captare quanto e come mi riguardi, certo è non credevo di dovermi difendere da colpi bassi.

"Lei non crede nel destino, signor Hamilton?"

"Non troppo."

"Eppure mi risulta che Raymond senior operò accordi con mia nonna in tempi non sospetti e pensi un pò, per quelle aziende che oggi dirige mio fratello. Oppure, che sua moglie abbia avuto diritto alla mia cura sperimentale. Che suo padre sia il principale donatore dell'ospedale in cui dirigo il mio operato. Lei che termine darebbe per definire tutto ciò?"

I commensali tutti trattengono il respiro; a quel tavolo, a sciabole in mano ci siamo solo io e Raymond junior, che mi guarda per nulla colpito.

"Coincidenze?"

"Probabilmente sì e rispetto la sua risposta." Affermo risoluta. "Ma provi ad immaginare un filo unico che le lega, io lo chiamo destino."

Elizabeth si schiarisce la voce attirando l'attenzione, sospetto per deviarla da quel piccolo dibattito.

"Richard caro, porterai Najla nel Devon?"

L'uomo al mio fianco guarda la consanguinea con infinita gratitudine, prima di rispondere si allenta il colletto della camicia, sospetto madido di sudore.

"Ci fermeremo per soli quattro giorni, ma sono sicuro non mancheranno altre occasioni.." e si volta verso il padre che taglia la carne con estrema indolenza.

"Suvvia Richard!" Tento di apparire serena e giocosa. "Non c'è conversazione più noiosa di quella dove tutti sono d'accordo!"

"Ben detto!" Esplode il conte William, per tutto il pranzo muto e con un sorriso sornione stampato in volto.

Raymond per un momento molla il coltello e mi guarda, afferra il calice con il vino rosso rubino e lo alza nella mia direzione.

Da quel punto in poi su di noi solo la voce baritona della contessa e i suoi racconti sugli scandali attuali del Myfair.


Come sospettavo Richard è furioso. Cammina avanti e indietro per la stanza, slacciandosi i polsini a spogliandosi a poco a poco. Resto a fissarlo come si guarda un opera d'arte, in cerca di comprensione, ferma senza neanche respirare. Quegli occhi blu sono piccoli da tanto furenti, le sopracciglia nere quasi in collisione fra loro, da tanto accigliate, sospiro sentendomi in colpa e forse un pò fuori luogo.

"Dove vai?" Sento che mi dice, con voce dura, quando mi alzo verso la porta comunicante.

"Sei mezzo nudo. E furente." Commento. "Se qualcuno piombasse in questa stanza daremmo uno scandalo."

"Non esiste che te ne vai nell'altra stanza, Najla Louise." Borbotta ma quel borbottio sembra quasi un dolce lamento.

"Non voglio servire al signor Hamilton un altro argomento su cui discutere." Rispondo sarcastica; Richard si morde la guancia, guardandomi rammaricato. "Sono solo dall'altra parte della porta." Proseguo dolcemente, prendermela con lui non sarebbe giusto. "Ne approfitterò per riposare, tu nel frattempo studia un piano per evadere da quì, ti prego.." allaccio le mie braccia al suo collo, baciandolo sulla guancia.

Qualcuno bussa alla porta. Lo guardo con la faccia del "te lo avevo detto."

Lizzy compare sull'uscio con una pila di asciugamani sulle braccia. "La servitù di questo palazzo è pigra e antica come tuo padre, figliolo, dovresti dirglielo."

Richard alza un sopracciglio, la libera del peso e sorride. "Sono certo tu abbia corrotto la domestica pur di intrufolarti quì."

Mi scappa un sorriso, la donna da di gomito al nipote e mi si avvicina. "Tu sei una ragazza con un bel caratterino." La sua voce è decisa ma confidenziale, per la prima volta mi accorgo dei suoi bellissimi occhi celesti che nel viso paffuto le donano un'aria giovanile. "Raymond è burbero ma non cattivo, diciamo che punzecchiare è per lui un divertimento. Ma tu sei stata decisa.. e questo è un bene."

"Un bene?" Chiedo sarcasticamente.

"Non abbiamo visto molte donne negli ultimi anni." Trattiene il sorriso mentre lo dice, vedo lo sguardo di Richard fisso sulle sue spalle collerico e angosciato e cerco di trattenermi anche io.

Richard si schiarisce la voce. "Sono quì dietro."

"Lo so." Risponde lei candidamente. "Sono quì anche per te, cosa credi!" Ci guarda e invita il ragazzo al mio fianco. "Non mi invischierò nei vostri affari personali, ma ci tengo a dirvi che la zia Elizabeth vi appoggia, qualora stiate pensando al matrimonio."

I miei occhi escono fuori dalle orbite. Richard alza i suoi al cielo. "Zia sarai la prima alla quale lo diremo, sta tranquilla."

"Vorrei ben vedere, ragazzo." Lo squadra dall'alto in basso e prosegue. "Dovreste fare un salto nel Devon, Najla meritererebbe di vederlo."

"Non è colpa sua. I miei impegni non mi lasciano molto tempo libero."

"Sappiate godervi la vita per quella che è, allora. Ma ricordate, si è giovani solo una volta." Ci fa l'occhiolino e si volta verso la porta d'uscita.

"Grazie zia Lizzy." Pronuncio, imbarazzata.

Lei mi guarda, fa un sorriso buono e senza dir nulla prende la via d'uscita.

La mia camera è molto bella, luminosa, dalle grandi finestre che danno sulla via; i colori delle pareti assomigliano al colore del cappuccino, il mobilio di un candido bianco, mi fa pensare sia stata fortemente voluta da una donna; immagino che questa potesse essere stata un tempo la stanza di una delle due sorelle di Richard e con rammarico, penso che mai come adesso vorrei sapere molto più su di loro. Neanche il tempo di rinfrescarmi e indossare qualcosa di comodo per schiacciare un pisolino, che Richard piomba dalla porta comunicante infilandosi sotto le lenzuola.

Ha il viso stravolto, occhiaie profonde a cerchiargli gli occhi. Non dice nulla, prende la mia testa sul suo petto e sospira.

"Sei nervoso.." dico senza inflessioni.

"Non so se è stata una buona idea." Ammette.

"Se pensarlo ti ha reso felice, lo è stata." Rispondo sicura. "E poi davvero, Richard, non mi interessa di piacergli, voglio solo passare del tempo con te, quì." Alzo la testa e mi sposto di modo che gli sono difronte, occhi negli occhi, facendo leva sui gomiti. "Ci pensi? Il nostro primo viaggio. Sette mesi fa ti odiavo, ed oggi sono quì, nella casa in cui sei nato."

Fa un sorriso così malizioso che la pelle si cosparge di brividi. "Non credo tu mi abbia mai odiato." Risponde sicuro.

"Sei stato insopportabile Hamilton, non esserne tanto sicuro." Mi mordo il labbro, forse dovrei tacere, ma voglio essere sincera con lui. "E mi hai fatta soffrire." Mi guarda curioso, poi mette su un'espressione indecifrabile.

"Najla Chedjou, sofferente per qualcuno?"

"Non qualcuno, tu."

Sono certa di vedere le sue pupille tremare. "Non ne avevo idea." Risponde di getto. "O forse sì. Sei così integra Najla, così meravigliosa nel tuo modo di esternare i tuoi sentimenti, che sono stato davvero un idiota. Non so per quale fortuna, le cose sono andate diversamente." Mi guarda con infinito ardore, mentre mi passa una mano fra i capelli e ferma una ciocca dietro l'orecchio. Sento il suo calore e questo mi fa fremere. "Catherine mi ha partorito in questa stanza." Dice di getto, scacciando i pensieri passati. "Un tempo era la camera dei giochi delle mie sorelle e confinava con l'altra che era a suo uso personale. Come sai sono nato in Dicembre, era tutto pronto per il Natale e invece sono arrivato io."

"Il Dio degli affari." Sorrido sorniona. "Come si chiamavano le tue sorelle?"

"Melody Rose e Isa Lily. Anche loro sono state partorite quì. Mia madre è stata sempre una donna attaccata alle tradizioni." Fa un mezzo sorriso e prosegue. "Me lo ricordo ancora quel giorno, un gran baccano e poi quei due piccoli esserini abbracciati alla mia mamma. Credo di aver compreso in quel momento che fossi nei guai." Credo di sentirlo ridere e questo mi piace, mi accuccio nuovamente al suo petto e lascio che il sonno abbia la meglio. "Chiudo la porta e sono da te." Sussurra, scivolando dal letto.

"Mh-mh." Ma il sorriso di due bambine dai cappelli chiari e gli occhi azzurri è già nei miei sogni.


*


L'indomani siamo a Canterbury, nell'attuare tenuta e dimora del signor Hamilton; dopo lo svago per la città, entrambi ci tenevano a farmi gustare i paesaggi della campagna. Questa gita improvvisa, mi ha resa davvero entusiasta, che per tutto il viaggio non faccio altro che commentare come una bambina ciò che scorre davanti al finestrino. Richard mi guarda estasiato, il signor Hamilton guarda fisso davanti a se.

"Questa sera darò una piccola festa per onorare la stagione, la casa è vuota da un pò, vorrei destare tutti i sospetti di una mia dipartita."

Richard trattiene il sorriso, poi mi guarda. "Saremmo lieti testimoni dell'evento."

Raymond gli lancia un'occhiataccia che fa desistere me dal ridere. "Preferite fare acquisti in città o venire direttamente alla tenuta?"

Alla parola acquisti mi accendo e Richard non ha dubbi. "Tom, può lasciarci in paese due ore e tornare?" L'autista gli fa l'occhiolino, svoltando su una stradina dalla quale si intravede la cima della cattedrale. "Vedrai ti piacerà." Mi sussurra all'orecchio. Annuisco, prendolo per mano.

Passeggiare per Canterbury insieme a Richard, mi fa sentire una nobile dama medievale; la città ne evoca la storia da ogni angolo la si guardi, perfetta e ordinata con le sue case a graticcio, come l'avevo immaginata. Qualcuno lo riconosce e si ferma per un breve saluto, lui è molto educato con tutti, mi tiene al suo braccio camminando fiero e impettito. Oggi è più bello del solito, l'accompagna un'aria rilassata, meno tesa rispetto al giorno precedente ed ha una strana parlantina che mi piace tanto. Lo ascolto raccontarmi di Sant'Agostino, il fondatore della prima diocesi cristiana che iniziò la città a una nomea di cristianità che si portò dietro a lungo nei secoli, per poi spiegarmi le vari fasi evolutive della cattedrale costruita e abbattuta nel trascorrere dei tempi, cattedrale di cui la sua famiglia si vanta d'essere donatrice per le ristrutturazioni. Ci addentriamo in un giardino, il Westgate, presi alla sprovvista da un'ingente appetito; Richard cerca un angolo appartato e distendendo la sua giacca sul prato, all'ombra di un albero secolare, mi fa sedere per poi prendere il suo posto al mio fianco. Il fiume scorre placido difronte a noi, il suo lento fluire non turba la quiete intorno, interrotta solo dal canto degli uccelli che planano in cielo.

"Eravate spesso quì tu e la tua famiglia?" Chiedo, abbandonando le gambe sull'erba verde e ordinata.

"Non troppo, direi." Risponde, guardando più in là un gruppo di bambini correre a perdifiato. "Mio padre è sempre stato molto impegnato. La mamma invece scappava quì appena poteva. Ti ho mai detto che fra i suoi molti interessi, figura la coltivazione di erbe e piante medicinali?"

Lo guardo e scuoto il capo. "Ecco perchè mi è piaciuta subito." Ammetto.

"Me lo sentivo sareste andate d'accordo." Replica con un bellissimo sorriso. "Mi fa disperare.. proprio come te."

"Oh smettila, Hamilton!" Gli pizzico il fianco, la sua risata mi riempie il cuore e mi fa gongolare; in un attimo ce l'ho addosso, distesi come possiamo su quel piccolo fazzoletto di stoffa, abbracciati. "Ti amo, Najla Louise." Soffia, dal nulla.

"Anche io, quando ti rendi simpatico, Hamilton." Ridacchio e mi perdo nei suoi occhi blu. "Credi che sistemeranno le loro cose?" Accenno, cautamente.

"Mia madre lo ama, Najla. Lo ha sempre amato molto. Se solo non fosse così testardo.."

"Oh Richard, tu gli somigli molto. Sicuro che non puoi proprio nulla per loro due?" Lo vedo mordersi il labbro, forse sono troppo invadente. "So cosa pensi in merito, non vuoi immischiarti, ma sai anche che in questo particolare momento, tuo padre dovrebbe essere con lei."

"Ci penso tutti i giorni." Ammette, con voce greve. "Li sento parlare spesso al telefono, forse qualcosa di buono sta per accadere."

"Si ma.." insisto. "Il tempo è prezioso e passa molto in fretta." Lo vedo rabbuiarsi, lo abbraccio più forte. "Perdonami, parlo troppo."

Ricambia il mio abbraccio, soffocando un sospiro fra i miei capelli. "Credi servirà a qualcosa?" Domanda, improvvisamente insicuro e vulnerabile.

"Credo cambi tutto." Rispondo velocemente. "Sono sicura che Raymond stia aspettando solo che qualcuno lo svegli. Tu puoi fare molto, Richard."

Si scosta e mi guarda, non dice nulla, ma bacia le mie labbra con una dolcezza che non ha bisogno di molte parole.




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"Questo ti dona molto."

La piccola sosta non ci ha impedito di fare un ultimo giro in paese, in particolare cercare un abito per il party serale; l'ultimo che sto indossando è molto bello, nero e scivolato, di una seta impalpabile.. ma troppo esigente per i miei gusti. Guardo Richard e arriccio il naso.

"Vorrei provare quel modello là, se non le dispiace."

Indico alla commessa un bel vestito nero con la gonna ampia. La donna lo cerca nella mia taglia e ritorna.

"L'eleganza della semplicità." Annuisce. "Ottima scelta." Lo prendo entusiasta, ha ragione.

Accarezzo le spalline leggermente più ampie del normale e approvo la mia scelta.

Quando esco, Richard sorride. "E' proprio nel tuo stile." Ammette, scuotendo il capo.

"Questo sorriso è di approvazione?" Chiedo vagamente irritata.

"Si." Risponde deciso, per poi rivolgersi all'altra donna. "Può abbinarci calzature laccate nere, dei guanti bianchi e un filo di perle?"

Quella annuisce a più riprese. "Le farò avere tutto prima di sera, dottor Hamilton." Poi mi guarda. "Cortesemente, la seguo per annotarmi le sue misure signorina." Annuisco e spariamo insieme dietro al separè.

Uscendo dalla boutique, lo abbraccio. "Grazie."

Mi fissa, accarezzandomi una guancia. "E' davvero un bel vestito."

Alzo gli occhi al cielo, Tom è sul ciglio della strada che ci aspetta. "Allora signorina, le è piaciuta Canterbury?" Chiede, aprendomi lo sportello.

"Mi è molto piaciuta. Lei è di queste parti?"

"Nato quando era forse ancora un villaggio." E si mette a ridere, mettendomi di buonumore. "Alla tenuta, signore?"

"Si Tom, la ringrazio."

Non facciamo che una manciata di chilometri, prima di arrivare per una stretta strada su di un piccolo promontorio, quando si intravede la facciata della villa.

Non saprei dire quanti ettari di verde prato la circonda, quanta varietà di cespugli e fiori, nonostante essa sia protetta solo da un muro di cinta molto bassa e la visuale sia più che esposta. Resto senza parole, non la definirei la tipica casa di campagna inglese, ma nonostante ciò emana subito un certo calore.

Richard mi prende per mano e mi conduce sino al patio esterno, adornato da un colonnato molto solido dal quale si erge una terrazza; questa dimora ha tutto l'aspetto di una regale casa di un lord e mi stupisco del fatto che ogni tanto dimentichi le origini dell'uomo che ho al fianco. Entrando vengo investita da un profumo fresco, soluzione alla lavanda credo, scorrendo gli occhi lungo il pavimento di marmo lucido che conduce sul fondo a quello che ha tutto l'aspetto di essere un salone. In alto il soffitto mi suggerisce che i suoi padroni abbiano voluto lasciare comunque un tocco rustico, dato le smaltate travi di legno a vista. La servitù è stipata ai lati, in tenuta nera e grembiule bianco le donne, smocking nero per gli uomini, fanno riverenza e con il capo cerco di rispondere al saluto risultando il più cordiale possibile. Al lato del salone si apre una scalinata maestosa che da su una balconata semicircolare, dalla quale si intravedono numerose porte. Il cuore principale, penso, chianando la testa all'indietro, chidendomi se l'ultimo piano non fosse relegato alle stanze da letto.

"Ti piace?" Domanda Richard divertito.

"Sono.. senza parole."

"Lo vedo." Il suo sorriso mi fa arrossire, mi stringe la mano e prosegue. "Il ramo Hamilton si può definire originario di Canterbury, non ne abbiamo una prova certa, ma il nostro trisavolo non deve essersi prodigato per nulla costruendo questa casa."

"Assomiglia a un castello.." indico le modanature sfarzose e dorate delle pareti e i tessuti in broccato rosso, sorridendo.

"Si l'idea doveva essere quella. E' un peccato e un bene che con i secoli ci siamo sparsi in quel di Londra, la vita campagnola è piuttosto divertente ma nulla in confronto con la modernità della City, ovviamente. Se dovessi scegliere un luogo dove crescere i nostri figli, direi la campagna per l'infanzia e gli studi in città." La sua analisi mi fa arrossire di nuovo.

"I francesi considerano i parchi di Parigi un pò come una campagna personale, un bene di lusso prezioso. Credo che l'uomo riscopra se stesso a contatto con la natura e sono d'accordo con te su come crescere i nostri figli."

Ci guardiamo complici per poi voltarci in direzione di Raymond, che schiaritosi la voce annuncia la sua presenza.

"Najla cara, trovato nulla di interessante a Canterbury?"

"Sì signore, Richard ha saputo dove scortarmi. Sono lieta di dirle che non le farò fare brutta figura."

"Mai pensato, neanche per un solo istante." Il suo appunto mi fa increspare la pelle di brividi, probabilmente ho scambiato la naturale diffidenza per un'antipatia personale se non fosse che mi squadra dall'alto in basso, proseguendo con una voce atona. "Certo le vostre origini sono quanto più lontano ci possa essere ma.." Richard frena il genitore, prima che possa continuare.

"Le origini di Najla sono più che rispettose. Basate su un principio tanto caro a questa famiglia; il lavoro onesto."

"L'onestà caro figlio non è una conquista, ma un modo d'essere."

Tutta a un tratto la bella giornata, il mio umore sereno e quello di Richard sembrano essere messi in pericolo e distorti da quest'uomo bigotto e arrogante. Mi agito, prendo la parola ma Richard mi intercetta, parlando sopra la mia voce. "Elinor, accompagna la signorina Chedjou nella sua camera."

Lo guardo disapprovando, il suo sguardo furente non ammette replica. Tolgo il disturbo piena di rabbia e frustrazione.



"Cosa stai cercando di fare? Vuoi fare a pezzi me e ti servi di lei?" Richard è una furia mentre precede il padre nella sala da cocktail.

"Assolutamente no." L'uomo richiude violentemente la porta alle loro spalle, ordinando che nessuno li disturbi. "Ti sto proteggendo da te stesso! Ho saputo cosa ti ha portato a Parigi. Tu e le tue manie di grandezza.. vai a prenderti pugni in giro per la città, manipoli la sfortuna di un imprenditore per i capricci di un uomo egoista e meschino.. io non ti ho cresciuto così, non mi riconosco in questo tuo modo d'essere!"

"Ho stretto un accordo di indubbia moralità è vero, ma è cambiato tutto da quell'accordo."

"E questo pensi ti renda meno colpevole?!" L'uomo si passa nervosamente la mano fra i capelli argentei. "Sai cosa ti potrebbe accadere se la famiglia di quella ragazza scoprisse il tuo piano? E non pensi alle ripercussioni sulla tua vita?"

"Io la amo, padre." Risponde serio. L'uomo lo guarda negli occhi, lo conosce, sa se sta mentendo. "Se ho pensato al momento in cui la verità salterà fuori? Certo che sì. Tutti i giorni e mi struggo nel dolore per come è inziata; ho avuto modo di conoscerla in questi mesi e per la prima volta, sento di aver trovato la donna con la quale voglio condividere il resto dei miei giorni."

Raymond abbassa lo sguardo, colpito. Lo rialza, non c'è veleno nei suoi occhi, solo preoccupazione. "Intendi sposarla, dunque?"

"Sì." Risponde, senza remore.

"Dio non voglia questa storia salti fuori.. che ne è stato di Morgan?"

"Non ha osato avvicinarsi ancora a lei."

Lo sguardo di Raymond vaga per la stanza, impazzito. "Non basta un pugno in faccia. Quella è gente che non ha molto da perdere."

"Lo so." Ammette cupo. "Il solo pensiero che potesse farle del male non mi ha fatto ragionare in maniera pulita, ecco."

"Non so sei più pazzo o scellerato o.."

"Padre sono solo un uomo innamorato. Quindi credo entrambe le cose, ma puoi capirmi senza ombra di dubbio."

Rymond si mette una mano sul fianco, passeggia per la stanza, mai prima d'ora così fragile. "Se posso capirti?" Sbotta, slacciandosi i bottoni della camicia. "Tua madre è scappata a Parigi per curarsi e non mi ha lasciato nemmeno due righe. Mi ha chiamato solo dopo aver iniziato la nuova cura. Tu ti metti a far accordi con pazzo megalomane nonchè mio padre, per poi innamorati della tua stessa vittima.. e mi chiedi se posso capirti? Ho sudato sangue, per tirare su questa famiglia, meglio che ho potuto! Ho fallito su molti aspetti, ma nessuno mi ha mai chiesto se fossi addolorato per la morte delle mie figlie, per la malattia di mia moglie o per la testardaggine dell'unico figlio che mi rimane!" Strepita, sudando dalla fronte. "Richard io vi ho amato più della mia stessa vita, nonostante i miei molti errori, quello che ho fatto fino ad ora, l'ho fatto esclusivamente per voi."

Richard trema. Le paole dell'uomo lo attraversano come pallottole. "Lei.. lei è là che ti aspetta."

"Lo so." Risponde Raymond, dandogli le spalle, indossando di nuovo la maschera dura.

"Torna a Parigi insieme a me. Una soluzione temporanea, per cominciare." Si avvicina ancora, mettendogli la mano sulla spalla. "Una ragazza molto saggia mi ha ricordato che il tempo scorre in fretta, non aspetta. Dice che la mamma sta meglio, ma vuole che non dimentichiamo che è una cura sperimentale e lei.. solo una cavia, infondo." L'uomo si volta, chiede ma in silenzio. "Il primo giorno di iniezione hanno discusso. Catherine non ne voleva sapere, Najla le ha fatto una ramanzina sull'importanza di non arrendersi e sul valore della famiglia, che mi ha detto le ha ricordato la forza di nonna Grace. Si è convinta a rimanere e mi ha fatto credere che tu l'avresti raggiunta molto presto, ma io so che mentiva cercando di trovare dentro di se, la forza necessaria per affrontare anche questa battaglia. Sempre quella ragazza saggia crede che io possa fare la differenza in questa storia, ma adesso sono proprio convinto che sia tu invece, papà, l'uomo che può fare veramente qualcosa. Pensaci, infondo siamo ancora quà io, te e mia madre. Nulla è ancora perduto."

Gli occhi di Raymond si velano, posa la sua mano su quella del figlio e sospira. "Sembra che dovrò scusarmi con quella ragazza saggia."

"Lo apprezzerebbe. Pensa di non piacerti."

Raymond annuisce. "Va a riposare adesso. Ci vediamo alle venti in punto nella sala da ballo."

Richard lo saluta, abbracciandolo. L'uomo al contatto con il calore del figlio esplode di emozione, paccheggiandogli la spalla per non cedere al pianto.


Prima di salire in stanza Richard chiama Maximilianne e ordina di tenere d'occhio il galoppino di suo nonno e il quartiere Sentier.

Arrivato in stanza trova la ragazza saggia addormentata ma con un sorriso sulle labbra sigillate.

Era cambiato tutto. Lui era cambiato. Quella relazione complicata, stava cambiando.

Il momento di chiedere a Najla la sua mano, stava esplodendo nel suo cuore ogni attimo, ogni istante, ogni giorno di più.


*


Capisco che è il momento di fare il nostro ingresso, quando ben vestiti e stipati nella sala d'accoglienza, sento una sinfonia simile a un rullo di tamburi; questo particolare così demodè mi fa sorridere e stempera per un attimo l'ansia atroce che mi assale. Sostanzialmente alla festa, seppur quasi improvvisata e del tutto sconosciuta per me, hanno aderito tutte le famiglie benestanti di Canterbury e dintorni, omaggiando la sottoscritta di doni e parole eleganti.

Entriamo in sala sotto gli sguardi attenti e sorridenti delle dame e quelli annoiati dei loro rispettivi cavalieri, gettandoci al centro della pista per un ballo propiziatorio e di comune usanza per questa festa.

"Nel secolo scorso le giovani donne erano elettrizzate all'idea che questa festa inziasse." Richard sorride divertito, schieratomi difronte, nel ballo del Meryton. "Questo e molti altri saloni di tutta la contea si aprivano a festa. Le argenterie in bella mostra, i titoli in bella mostra.. una buona occasione per trovar marito, mia bella."

Alzo un sopracciglio poco divertita. "Un tempo esistevano i cavalieri, Richard Hamilton. Sai di cosa parliamo?" Le nostre spalle si sfiorano e i mostri sguardi si incatenano, iniziando un gioco malizioso di battute. "A quanto pare no."

"Risposta sbagliata, Najla Louise." Mi da un veloce pizzico sulle natiche, mentre ci sfioriamo ancora nella sequenza, indispettendomi. "Dovevi dire che tu il tuo cavaliere lo hai già trovato."

"E sai dov'è?" Rimarco, sorridendo sfacciata.

"Proprio accanto a te." Nel dirlo mi mostra la sua mano, che afferro per eseguire i due passi lenti in avanti e indietro, prima di girare su noi stessi.

Il ballo termina, Richard mi prende per i fianchi e mi fa fare un mezzo casquè con bacio non previsto, ma esilarante.

"Dove hai imparato il Maryton?" Domanda.

"Dimentichi che Patrick è inglese. Mi annovero di una certa conoscenza di balli popolari molto in voga fra questa gente."

Richard ride della mia voce impostata mentre lo dico e mi sfida. "Anche il Netherfield?"

"A occhi chiusi!" Rispondo, mettendomi una mano a schermarli e accennando qualche passo. Quando li riapro è lì che mi guarda senza parole. "E dovresti assaggiare la mia torta di mele. E non conoscevi nemmeno la pasticceria per eccellenza della City. Chi è più inglese di me?"

I suoi occhi brillano, in quel momento taccio e mi beo della sua .. gratitudine, credo.

Sento che è cambiato qualcosa, c'è di più nei suoi occhi, nelle sue parole, nelle sue stesse movenze.

Mi accorgo che la pista si è svuotata e che noi siamo lì nel mezzo, da soli, a fissarci e per nulla al mondo, desidererei essere altrove.

"Sai forse è un pò prematuro dirlo." Esordisce, sempre fermo. "Ma ho intenzione di comprarti un anello e desiderei conoscere i tuoi gusti."

Il mio cuore inizia a battere molto velocemente, il respiro si accorcia mentre cerco la risposta più adatta. Mi esce fuori solo la verità.

"Quadrato ma non sfacciato."

Annuisce, mi prende per mano e mi indica il palco. "Raymond ci attende." Faccio un bel respiro e lo seguo.

L'uomo appena mi vede, sorride. Ci avvicina in disparte e parla molto flautato.

"Non ufficializzerò la vostra relazione questa sera, accadrà quando entrambe le famiglie saranno riunite." Mi guarda cercando un consenso, annuisco leggermente, stupita da questa piccola accortezza. Poi penso all'alta società presente, alle regole e capisco che era doveroso. "Quando sarò a Parigi, mi vedrai lieto di conoscere i tuoi parenti, Najla Louise."

Credo di essere rimasta letteralmente senza aria. Deglutisco e annuisco. "Solo Najla va bene, sir Hamilton."

L'uomo abbozza un sorriso, Richard alza gli occhi al cielo, intimando poi al padre di inziare il discorso di benvenuto che dura all'incirca il tempo necessario di ritoccare la sala del banchetto e aprirne le porte facendovi confluire gli invitati.

La cena è squisita, ma il cambio repentino d'umore di Raymond e le frecciatine di Richard mi hanno chiuso lo stomaco per l'imbarazzo.

Non si è parlato di noi come coppia nella presentazione, ma il signor Hamilton si è prodigato in parole giuste e meritevoli verso la sottoscritta; qualsiasi confronto Richard abbia avuto con suo padre, quest'ultimo sembra averne giovato sotto molti aspetti. Si rivela un uomo con uno spiccato sens of humor, anchor man per i suoi ospiti, con una gran parlantina che non mettevo comunque in dubbio e addirittura cantante, cimentandosi in vecchi brani melodici.

Ed è su Moon river che mi chiede di concedergli un ballo.

Accetto, sento che è venuto il momento che attendevo da più o meno tutta la serata.

"Ballare con una plebea non la disturba?" Lo provoco da subito, ricordandomi le parole di zia Lizzy.

"Non sono le tue estrazioni sociali a preoccuparmi, Najla. Mi dispiaccio se ho fatto arrivare questo messaggio, me ne scuso senza averne avuta intenzione." Prende il respiro, mi guarda. "Tuttavia non nascondo una certa preoccupazione per l'evolversi affrettata della natura dei vostri sentimenti. Ma questo già lo sai, non sono quì per farti un processo, solo per conoscerti."

La sua giravolta mi fa sorridere, mi ricorda tanto suo figlio, nel modo di ballare; si somigliano anche nelle spalle forti, l'altezza fuori dai canoni standard, gli occhi tremendamente intensi, diversi solo nel colore. Quelli di Raymond brillano di un verde molto scuro, indecifrabile a tratti.

"Qualcosa mi dice che Richard ha già esposto le carte migliori."

"Lo ha fatto." Risponde divertito. "Mi ha detto che sei molto saggia."

Lo guardo cercando di carpire il significato delle sue parole, mi perdo in larghi giri, prima di venire a capo della discussione con Richard su sui genitori.

I miei occhi si accendono, forse in leggero imbarazzo per la conoscenza di fatti tanto personali, ma lui mi guarda sereno e questo mi da forza.

"Non so quanto io sia saggia sir Hamilton, vorrei solo vedere Richard felice."

"Questo è già di per se un bene, mia cara e ci troviamo assolutamente d'accordo." Guarda oltre le mie spalle, un pensiero rimarca le rughe della fronte donandogli un aspetto molto poetico. "Sebbene sia un uomo ormai, all'apice della gloria nella sua vita direi.." mi guarda con un mezzo sorriso beffardo e compiaciuto e sorrido anche io. "Non devo sottovalutare quanto sia stato duro il percorso per arrivare fino a quì."

"A tal proposito.." oso, ma con voce sicura. "E' molto impegnato nel suo lavoro, vedo la passione e la riscontro nei miei parenti, per il lavoro svolto."

Questo commento sortisce su di lui un effetto strano; sembra terrorizzato, poi mi guarda con tenerezza.

"Sicuramente è come dici tu." Ammette, poco convinto delle sue parole ma quando alzo il sopracciglio corregge il tiro. "Sono poco avezzo ai complimenti. La vecchia scuola dice che non formano il carattere, ma se le cose gli vanno bene, non posso che essere contento per lui."

Annuisco, perdendomi sulle note finali del nostro ballo. "Catherine adora questa canzone."

"La signora Hamilton ha un ottimo gusto in fatto di musica." Ribatto, divertita al pensiero di quella donna testarda e forte.

"So che sta facendo un buon lavoro per lei." Mi da il braccio per tornare al nostro tavolo, Richard ci guarda incuriosito.

"L'impegno è l'elemento fondamentale della mia cura, sir."

"Vorrei saperne di più. Puoi farmi avere qualche scritto?"

"Non appena sarà possibile mi metterò in contatto con il Salpetriere per averne qualche copia." Annuisco compita, per poi perdermi in un sorrisetto malizioso. "Tuttavia se venisse a Parigi potrebbe vedere con i suoi occhi i benefici.."

Raymond mi guarda come se lo avessi colpito e affondato; non perde il buonumore anzi, guarda Richard, poi di nuovo me e ci apostrostrofa testardi.

La serata tira per le lunghe, una piacevolissima serata, prima dei saluti guardo stremata il mio uomo che senza troppi giri di parole mi conduce nella nostra camera, particolarmente euforico e imbranato, nel tentare di sfilarmi il bellissimo abito che mi ha regalato.

Vederlo così giovane, leggero e scanzonato mi fa ridere il cuore.

"Sei l'unica che abbia riso così tanto di me." Ha il broncio dei bambini, assolutamente adorabile.

"Mi dispiace per la tua reputazione ma sarò anche la sola." Rido sfacciata, le sue labbra mi catturano, azzittandomi.

Poi il silenzio e solo i gemiti della nostra passione e del nostro amore.


A tarda notte mi ritrovo a fissare il soffitto con un sorriso da ebete, il profilo della schiena di Richard brilla alla luce della luna e mi sento davvero felice, da non credere nemmeno sia vero. Mi alzo e vado al telefono, a Parigi è l'una di notte, ma conoscendo i ritmi di Patrick, non me ne preoccupo.

Risponde dopo qualche squillo, con la voce impastata. "Accidenti.." borbotto dispiaciuta. "E' venerdi sera e già dormi?"

"No, faccio ciò dovresti fare anche tu.." riconosce la mia voce e la sua proverbiale simpatia si sveglia dal torpore.

"Gia fatto." Ammetto. "Due volte!" Ascoltare la mia voce pronunciare certe cose mi fa ridere come una pazza. "Ascolta, ho un favore da chiederti."

"Impellente, dato l'ora."

"Abbastanza. Ho bisogno che tu mi spedisca i documenti della ricerca e la cartella personale di Catherine Hamilton a questo fax."

"Mh." Replica, annotando il numero. "Per il paparino?"

"Sir Raymond Arthur Shelley Scott Hamilton, ti prego di scriverlo correttamente."

"Uno scioglilingua. Che ne hai fatto della timorata di Dio della mia amica?" Ride e cambia discorso. "Lui com'è? E la come vanno le cose?"

"Ti racconterò tutto per filo e per segno.. Richard sta dormendo, ma sospetto ascolti tutta la conversazione."

Lo sento sbuffare nella cornetta. "Grazie per avermi svegliato."

"Ti voglio bene anche io Patrick."

Aggancia senza repliche, mi mordo il labbro tornando a letto.

"Sì, sono sveglio." La voce dell'uomo dall'altra parte del letto è greve e sensuale. Lo accarezzo, prendendo il posto sotto le coperte. "Mi fa piacere ti vanti delle mie prestazioni, Najla Louise."

"Oh, smettila sei disgustoso!" Mi volto dandogli le spalle, alle quali si avvolge stringendomi. "Pensavo al momento in cui Patrick entrerà in collisione con sir Hamilton." La mia risatina ironica riecheggia nel silenzio della stanza. "Qualcuno non ne uscirà vivo."

"Di sicuro non sarà il tuo amico." Il suo commento mi fa ridere, poi sospirare. "Vedremo. Adesso si dorme, mia bella. Domani faremo ritorno a Londra."

"Così presto?" Domando dispiaciuta.

"Vuoi restare?"

"Mi piacerebbe, sì. La città la conosco come le mie tasche, non abbiamo fretta di tornare."

"So che mio padre deve rientrare per degli affari, potremmo raggiungerlo in serata. Che dici?"

"Sarebbe grandioso."

Lo sento baciarmi il collo e sorridere. "Buonanotte Najla Louise."

"Buonanotte Hamilton."


*


Il risveglio nella tenuta è più dolce che mai.

Il leggero tepore del sole filtra attraverso la finestra, motivandoci a scendere dal letto di buon mattino.

Non so quali intenzioni abbia Richard, ma mi chiede di non indossare abiti troppo formali per godere al meglio del giardino, anzi di rimanere in vestaglia se mi sentissi a mio agio; guardo la borsa che ho portato con me da Londra e mi convinco nel tenere la mia vestaglia di lino.

Lo seguo per i corridoi desolati del piano inferiore, perdondomi nei dettagli di cui questi si rivestono e che cambiano di ala in ala; affreschi e statue di marmo alternati a tessuti pesanti delle finestre color porpora, vasellame di diverso stile e mobili di legno. Arriviamo ad un crocevia, Richard mi prende per mano e mi conduce alla sua sinistra, per un breve tratto stretto, dalla quale fine si intravede la luce del giorno.

"Ti sei liberato dei testimoni, signor Hamilton?" Chiedo divertita dell'assoluta quiete della casa.

Richard scrolla il capo con un'espressione vinta e mi indica il giardino retrostante; resto letteralmente senza parole, ettari di erba lussureggiante si inseguono fino a un pendio dal quale si intravede una piscina, immersa in un piccola oasi di alberi.

"Ho congedato tutta la servitù, rassetteranno le nostre stanze e andranno via. L'intero piano terra della casa sarà invece a nostra disposizione, quest'oggi." Con una leggera spinta alla base della schiena mi fa avanzare presso un angolo del giardino apparecchiato da una ricca colazione; croissant, torta di mele, succo di frutta, thè freddo. Dalle mie labbra esce un gridolio eccitato. "Se non ti piace possiamo tornare in città."

Il suo commento canzonatorio riceve la più perfida delle mie occhiatacce. Ride e spostandomi la sedia mi fa accomodare al tavolo.

"Grazie." Sussurro.

"Raymond ti lascia i suoi saluti." Si versa del succo di frutta e guardandosi intorno si accorge che manca il caffè. Nego con il capo e avanzo il mio bicchiere, lasciando che lo riempia di succo. "Resta leggera che intenzione di fare il bagno. Subito."

"Ai suoi ordini." Borbotto.

Mi prende la mano, vi deposita un bacio sul dorso. "E' la nostra giornata, decidiamo insieme." Annuisco, perdendomi nei suoi occhi blu.

Anche quest'oggi il mio consueto appetito si fa un pò latente, poco male perchè Richard non scherza sulla questione bagno; lontani da occhi indiscreti ci spogliamo delle nostre vesti da camera, gettandoci in acqua con solo l'intimo addosso.

E' bella fresca, ma il sole è molto caldo, il connubio si fa subito piacevole.

Guardo il mio uomo nuotare come un campione da bordo a bordo e mi domando se siano molte le cose che gli riescono così bene.

Penso alle parole di Raymond sull'onestà e al mio difendere quel ragazzo straordinario dai molteplici talenti. E' difficile per me credere che non li veda e in un solo attimo mi viene in mente Benjamin, dalla vita altamente parallela a quella di Richard, giovani rampolli con il peso delle responsabilità praticamente da appena nati. Questo inevitabilmente mi porta a mio padre, a quanto sarebbe stato fiero di dimostrare gratitudine verso il proprio figlio, un carattere decisamente diverso da quello dell'algido padre di Richard. Dal nulla mi domando che padre sarebbe Richard e questo pensiero mi mette addosso una strana ansia mista a felicità. Lo immagino spronare i suoi figli con quella durezza che tanto mi ha spaventata prima di conoscerlo bene e cullarli invece nelle gioie con la dolcezza che ho visto in lui in questi giorni. E allora vedo il parallelo con mio padre e nel sentirlo anche nelle vene, sorrido come un ebete, quasi emozionata.

Stanco delle vasche e attirato dal mio sorriso, il mio uomo bellissimo torna verso di me che nel frattempo mi sono tirata su, sedendomi sul bordo per crogiolarmi al sole. Le sue braccia si aggrovigliano intorno alle mie gambe ancora in acqua, piano piano deposita baci casti intorno alle coscie per poi cambiarne l'intenzione e farsi sempre più bollenti.

La mia testa si reclina all'indietro, gli occhi sono chiusi; d'un tratto le sue mani scorrono fino alle natiche, mi tirano giù verso l'acqua, per finirgli in braccio.

"Najla Louise.." sussurra catturando le mie labbra schiuse dalla passione. L'acqua tracima intorno ai nostri corpi agitati, apro finalmente gli occhi e mi emoziono nel vedere il suo viso splendere al sole d'amore, solo per me. "Desidero passare il resto dei miei giorni esattamente così." La sua voce spezzata dal desiderio mi fa tremare; la pelle delle braccia si cosparge di brividi che lui accarezza con le sue mani grandi. Sorride e mi bacia, mi bacia e sorride, spogliandomi a poco a poco e amandomi come nessun altro saprebbe fare o vorrei facesse.

"Non rivestirti.." chiede, mentre mi accingo ad uscire dall'acqua.

"Qualcuno potrebbe vederci." Protesto, mentre cerco di riprendermi i pochi indumenti che mi appartengono e che lui stringe nella mano. "Non essere infantile." Mugolo, allora me li restituisce, esco e mi stendo lungo il bordo. Lo vedo imitarmi, la sua testa sfiora la mia dalla parte opposta.

"Sei dannatamente pudica." Ridacchia e sbuffo.

"Lo ero, signor Hamilton." La mia voce annoiata lo fa ridere ancora di più, mi giro di pancia per guardarlo contorcersi. "Sei disgustoso."

"Lo hai già detto, mia bella." Poi si azzittisce e mi guarda. "Sono solo stato fortunato a non perderti. Non me lo sarei perdonato facilmente."

Questo commento mi scioglie. Alzo gli occhi al cielo e sospiro, sa sempre come prendermi.

"Tu invece.." sto per chiedergli l'indomandabile, mi pento e torno sui miei passi. "Dove hai imparato a nuotare così bene?"

Fa una specie di sorriso e mi fissa. "Amo da quando ti ho incontrata, Najla Louise."

Tutta questa dolcezza mi stende, torno in posizione originale, allontanandomi dal suo viso. Immagino i volti delle donne che ha amato, a parte quello della ragazza del Claridge, perfetto e imbronciato, avvertendo un buco nero fastidioso. Sposto il mio pensiero altrove..non voglio temere dei fantasmi.

"Dunque Richard Hamilton, sei nato a Londra, cresciuto nel Devon. Sporadicamente hai passato del tempo a Canterbury. C'è qualcos'altro che devo sapere di te? Un qualche segreto nell'armadio. O aneddoto?" Segue un lungo silenzio, sembra stia pensando, ma le risa sono sparite. Mi preoccupo, passo avanti. "Rietrando a Londra voglio prendere qualche fotografia in quel negozio d'arte del centro da portare a Fabien." Il silenzio prosegue, mi volto molto preoccupata. "Richard tutto bene?"

Apre gli occhi e sospira. Si alza, va verso la casa, senza dire nulla.

Un senso di disperazione mi assale, ripercorro con la mente tutta la nostra conversazione, i momenti della sera prima, quelli appena vissuti e mi alzo per fermarlo, come punta da uno spillo. "Che ti prende? Dove vai?" Afferro il suo braccio come posso, inciampando nei miei passi goffi.

"Ho sete, Najla Louise."

Il suo candore mi spezza il fiato di rabbia, mollo la presa, continuando a camminargli davanti, alla rinfusa senza capire dove sto andando, se non fino al momento che il marmo duro dell'interno, incontra i miei piedi. Sono seminuda e ho i capelli arruffati ma non importa, mi aggiro per la proprietà, cercando una stanza che somigli a una camera da letto, sperando di trovarci dentro le mie cose. Non c'è un'anima, sono andati tutti via e quel deserto mi fa scoppiare in un pianto a dirotto. Entro dalla prima porta che vedo aperta, c'è un letto, mi ci butto letteralmente di peso.

Non so dire quanto ho pianto, so solo che a un certo punto ho preso sonno e quando ho riaperto gli occhi c'era meno luce di quando li avevo aperti.

Anche nel cuore.


*


"Tuo figlio sta per chiedere la mano della sua giovane fidanzata."

Raymond stringe la cornetta fra le mani come una pistola, dall'altro capo del telefono la squillante voce di Catherine appare più divertita del solito.

"Buongiorno a te, Ray." Torna seria, sistemando la seduta sul divano. Una caotica Parigi pomeridiana, dalla finestra, agita le sue strade. "E non direi così giovane. Quella ragazza ha venticinque anni." Prende il respiro, il solito sibilo della malattia. "A parte questo come la trovi, non è deliziosa?"

"Sfacciata e testarda." Replica l'altro, sospirando. "E Richard l'adora." Catherine ride, un colpo di tosse e poi un altro. "Giornata no?" Chiede tentennando. "Non sei sola, vero?" La voce angustiata di Raymond l'annoia e diverte.

"No che non sono sola. Ho un aiuto fisso e faccio la spola con l'ospedale. Diciamo che non mi sono alzata con il piede giusto."

"Mi dispiace." Sussurra l'uomo. "Dovrei essere lì a farti forza."

"Dovresti, sì." La voce di Catherine si fa amara. "Ma poi vorresti scappare. Voi Hamilton non sopportate il dolore facilmente."

Quel commento lo ferisce, nonostante la sfumatura giocosa dell'ultima frase, Raymond è ferito. "Non è così, Catherine. Siamo stati sposati per molti anni, mi sono preso cura di te finchè ho potuto." Il sibillio del respiro della donna si fa denso.

"Raymond ti sento strano è successo qualcosa che non so?"

L'uomo borbotta alla sua segretaria di non passargli altre chiamate, poi torna alla cornetta. "E' successo che abbiamo poco tempo e una sola vita a disposizione. Ecco cosa è successo."

"Buon Dio.." la donna si mette una mano sul petto, distendendo la schiena sul divano; intima alla donna che ha accanto che sta bene, le chiede solo un bicchiere d'acqua. "Najla ha scoperto di aspettare un bambino, per caso?"

"Ma che idiozie vai dicendo?!" Strepita l'altro, irritandosi. "E' così difficile prendermi sul serio?"

"E quando lo sei stato, negli ultimi quindici anni?"

"Mai, appunto per questo voglio esserlo adesso."

"Tempismo perfetto." Borbotta ironica la donna. "Cosa hai mente Raymond Hamilton?"

Non segue nessuna pausa, l'uomo risponde di getto. "Verrò a Parigi appena concluso il mio ultimo affare nella City. Ho bisogno di mia moglie e sopratutto lei ha bisogno di me. Ne ho già discusso con Richard se vuoi muovermi qualche obiezione, e sai bene che non ti darò disturbo in casa. Prenoterò una stanza in un hotel nelle vicinanze, una soluzione temporanea, finchè i medici non ti diranno cosa sarà più giusto fare per la tua salute."

Catherine trattiene la cornetta con flebile forza, spiazzata dalla serietà della voce di suo marito. Quello che ha sempre creduto tale, ma che a un certo punto della vita ha smarrito in qualche posto, pur avendolo comunque accanto. Percepiva il cambiamento nell'aria, qualcosa di bello e positivo, mai avrebbe pensato alla redenzione e presa di coscienza, dell'amato coniuge. Si schiarisce la voce, ridotta a un sussurro.

"Puoi stare nell'appartamento di tuo padre, assieme a me. Certo, non sono sola e dovrai ricavarti un piccolo studio per i tuoi affari, ma sembra sciocco farti soggiornare in un'asettica camera d'albergo." La voce viene addolcita da una risata. "Persino tuo figlio lo ha capito."

Raymond sorride dall'altro capo. "Noi Hamilton.. troppo spesso dimentichiamo il valore del calore umano."

"Già." Ribatte Catherine con un certo puntiglio. "Credevo di aver perso le speranze con entrambi. E invece.. questa vita non smette di stupirmi."

"Catherine." La voce dell'uomo si fa seria di nuovo. "Non abbiamo mai annullato il nostro matrimonio. Questo non ti ha suggerito niente?"

"Che eri troppo impegnato?"

Segue un sospiro. "Non c'è mai stata nessun'altra donna al tuo pari."

"Vuoi farmi la dichiarazione al telefono?" La voce divertita e la risata di sua moglie sono inconfondibili anche a migliaia di chilometri.

"Voglio solo dire ciò che penso, con onestà."

"Non c'è mai stato nessun'altro uomo neanche per me, Ray. Ma abbiamo vissuto gli ultimi quindici anni ad ignorarci e vivere due vite parallele, non abbiamo neanche più vissuto nella stessa casa, non sarà facile, onestà per onestà."

"No, non lo sarà. Ma voglio esserci nonostante le difficoltà, più di tutto."

Catherine tira un gran respiro, il sibilo quasi calmo. "Ti sto già aspettando." Risponde molto serenamente.

Raymond gira la cornetta verso il giradischi; la loro canzone si diffonde nella stanza e attraverso il telefono, che la donna posa sul cuore, senza bisogno di dire altro, lasciando che i reciproci sospiri parlassero di un amore perso nel tempo e ritrovato.


*


I suoi occhi colpevoli e tristi, mi fissano come volessero attraversarmi e leggermi dentro.

Le mie labbra sono tese, la pelle scotta per il sole e il fuoco che sento nascermi dai polmoni. Potrei quasi odiarlo, se il cuore non mi rimandasse tutt'altro.

"Ti ho trovata che dormivi e non volevo svegliarti." Inizia a parlare, per coprire l'assurdo silenzio che ci circonda. "Ho capito che sei molto stanca, farò in modo di non strapazzarti troppo i prossimi due giorni."

"Bene." Taglio corto, queste sue dimostrazioni di affetto sono ora per nulla gradite e mi alzo. "Dove sono i miei bagagli?"

"Li ho fatti sistemare prima che andassimo in piscina. Sono nell'ingresso, ma se devi farti una doccia nel bagno troverai tutto ciò che ti serve."

"Vorrei avere dei vestiti puliti." Rispondo ironica.

"Li avrai." Risponde, alzandosi e venendomi incontro, sta per abbracciarmi ma lo blocco. "Non prendere le distanze, ti prego."

"Non sono io. Sei tu che lo fai." Questa risposta giace nella mia gola come una cortellata. Sento il pianto affiorarmi.

"Non voglio rovinare tutto. E' solo che io non sono perfetto, Najla Louise. Quello che vedi intorno a te è il mio castello dorato, dal quale contro tutto e contro tutti ho deciso di tirarmi fuori, ma voglio che non dimentichi che sono anche un uomo ingrato e meschino."

"Ho difeso la parte di te che ritengo migliore, pur conoscendo la peggiore." Rispondo afflitta. "A questo punto, dovresti esserci arrivato anche tu. Guardami, potresti dirmi perfetta?" Prova ad avvicinarsi ancora ma lo fermo con la mano.

"Non idea di quanto tu lo sia." Si morde il labbro. "Mi chiedo spesso se sono alla tua altezza."

"Oh, perfavore!" Mi scanso, uscendo dalla stanza. Sento i suoi passi dietro le mie spalle. Cerco l'ingresso, le mie valigie e le mie cose ma la verità è che non sopporto i suoi occhi imploranti. Mi viene accanto, entriamo in una stanza e mi aiuta a trovare quello che mi serve. "Ti ringrazio."

"Ascolta." La sua mano si stringe attorno al mio braccio, sento sempre le lacrime affiorarmi agli occhi. Cerco di cacciarle indietro, a fatica. "Perdonami, hai ragione ad avercela con me. Non hai dovuto fare altro che dimostrare quella che sei quando siamo quì, ti sei schierata contro mio padre e io ti ho ferita." Alza leggermente il mio mento con la mano, lo lascio fare, stordita. "C'è qualcosa del mio passato che ti riguarda che mi turba." Getta angosciato. D'improvviso sono molto sveglia e lo ascolto terrorizzata. "Non è iniziata come avrei voluto, sotto molti aspetti di cui parleremo, quando sarò sicuro di non

farti soffrire ancora. Per quanta bellezza tu mi fai provare, c'è sempre la parte brutta di me che è lì a mordermi e domandare se ti merito abbastanza."

"Fai tacere quella voce." Replico con voce dura. "Falla tacere o mi perderai prima di scoprirlo, Richard." Abbassa gli occhi, non risponde. "Non so cosa hai e non so se mi interessa saperlo più di quanto io conosca già di te. Ma voglio stare bene e sopratutto voglio essere amata senza se e senza ma. Se non sei in grado, tornerò a Parigi oggi stesso e tu sarai solo un infelice ricordo."

Leggo il baratro nei suoi occhi blu, le mie gambe, per contro, tremano in attesa della risposta.

"No!" Strepita come colpito da un fulmine. "Non voglio perderti."

E per la prima volta vedo l'anima di Richard; dai suoi occhi, scendono delle lacrime nervose e silenziose, le labbra contratte e dure parlano della sofferenza nella sua testa, le spalle curve di tutta la fragilità che io stessa nutro al pensiero di perderlo. Lo avvolgo con le mie braccia, cercando con un bacio di sciogliere quella mostruosità. Mi ama e mi amerà, contro se stesso e i suoi fantasmi. Questo mi rende forte e spaventata allo stesso tempo.

"Mai come adesso comprendo che amare è accettare i difetti, trovare dei compromessi e sì, molto spesso comprendere il passato dell'altra persona." Sussuro al suo orecchio. "Io ti amo Richard, e amo tutto ciò che sei, ormai è troppo tardi per spaventarmi o recriminare qualcosa!" Esclamo, sciogliendo l'abbraccio per asciugare con i polpastrelli le lacrime dalle sue guancie. "Lascia che io ti ami."

Annuisce, restituendomi il bacio cancella orrori, provocando in me un gran sorriso. "A questo punto dovresti precedermi, andare e far finta che non sia successo nulla." Bisbiglia, tentando di riappropriarsi della sua mascolinità.

La postura è eretta, gli occhi lucidi ma fermi, la solita roccia che conosco.

"Non voglio proprio fingere nulla!" Affermo divertita. "Parlare dei nostri sentimenti ci rende inossidabili."

"Tua madre mi ha consigliato la stessa cosa." Mormora, per poi guardare altrove.

"Mia.. madre?" Chiedo perplessa.

"Sai come è fatta." Ribatte, spingendomi affettuosamente fuori dal guardaroba. "Hai tutto?"

Alzo gli occhi al cielo ripensando a mia madre che elargisce consigli al mio uomo. "Sì."

"Andiamo a fare la doccia." Ordina, tirandomi via i vestiti.


*


Amare costa.

Costa dire hai ragione. Costa accettare. Costa fare.

E costa perdere noi stessi, per poi incontrarci in NOI.

Ma è a questo prezzo che l'amore si genera.

E forse, non c'è debito migliore di questo.

Luna_r

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Menta e Cioccolato




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Capitolo 13.



Il rientro a Londra è nostalgico e pieno di domande.

Il giorno seguente da Canterbury, lo abbiamo passato a girovagare per la City senza meta. Due vagabondi che si amano e non hanno fretta.

Di ritorno da una cena di saluto con la sua famiglia in centro, invece fisso Richard guardare il Tamigi dal finestrino e non posso evitare di chiedermi a cosa stia pensando. Credo di temere i suoi fantasmi più di quanto lui non faccia, nonostante mi abbia mostrato chiaramente le sue fragilità.

E' un uomo così complicato e affascinante, spesso la più solida delle conferme, a volte quel mistero che paralizza i pensieri.

Ciò di cui sono certa è il suo amore così limpido e nervoso, smanioso di essere consumato al punto di esserci già dichiarati per l'eternità. O quasi. Sorrido per l'eventualità e lui si volta guardandomi curioso. "Pensavo a te." Sussurro. Lo vedo alzare gli occhi a cielo e tornare al suo paesaggio.

La città ha acceso i lampioni da un pezzo, il Mayfair è silenzioso, l'aria intorno molto quiete.

"Sono molto stanco." Esordisce Raymond, scuotendo il ghiaccio sul fondo del drink. "Credo me ne andrò a letto a questo punto. Najla, spero la cena sia stata di tuo gradimento."

"Tutto molto ottimo, signore. Buon riposo."

"Buonanotte papà." Risponde Richard di rimando.

"Buon riposo a voi. Domani vi attende un lungo viaggio."

Io e Richard ci scambiato una veloce occhiata, mentre Raymond esce dalla stanza.

Rimasti soli mi prende per mano conducendomi fuori, sul balconcino; appoggiata al corrimano penso al caos che ci attende nella nostra camera, lui mi è dietro e mi cinge i fianchi con le braccia. Respira lentamente nel mio orecchio, sbattendo più volte le ciglia contro la mia guancia.

"E' stato bello averti quì." Sussurra, melanconicamente.

Mi volto leggermente, sorridendo. "E' stato bello esserci."

Poi il silenzio, rotto solo dalle grida ai piani alti.

Ci spostiamo velocemente verso le scale che dall'atrio portano alle camere, correndo quasi, le percorriamo fino alla stanza di Raymond.

L'uomo è accasciato su una pozza di rigurgito, Richard si immobilizza dietro alla mia schiena, io sono addosso a suo padre, lo faccio stendere su un fianco e cerco di tenerlo sveglio e lucido. "Richard respira." Dico serafica all'uomo che dalla soglia ci fissa terrorizzato.

Lui annuisce. "Devo chiamare un'ambulanza?"

Guardo Raymond, piego il capo contro la sua bocca, il respiro è forte e stabile. "Signor Hamilton, sente dolore?" Annuisce, toccandosi lo stomaco. "Lo sente esteso agli arti? Spalle? Schiena?" Quello nega. E' visibilmente sudato e i suoi occhi stanno perdendo lucidità. "Sì, chiamala. Respiro stabile, dolore addominale, cute umida nausea e vomito, i sintomi." L'uomo disteso protesta, ma la sua voce finisce in un sibilo. Richard mi fissa inerme. "Respira amore mio, respira e fa ciò che ti ho detto. Ce la puoi fare, devi solo respirare." Annuisce pianissimo e si volta verso l'uscita.

Da basso sento delle voci, qualcuno della servitù in tenuta da letto, mi raggiunge.

"Il signorino Hamilton ha avvisato i soccorsi." Mi dice la cameriera, pallida e sudata. "C'è qualcosa che posso fare per aiutarla signorina Chedjou?"

"Pregare." Replico, schiaffeggiando il volto di Raymond per tenerlo sveglio.

Dopo qualche minuto i paramedici ci raggiungono. "Presunto infarto." Dico a un collega, che assicura la barella insieme ad altre tre persone caricando Raymond intubato, per portarlo via. Li seguo senza parlare, mi intrufolo in ambulanza dimenticando del tutto Richard.

"E' sua figlia?"

"Futura.. nuora. Sono un medico, vi prego non fatemi scendere."

Quello mi guarda perplesso. Richard arriva con un tempismo che non avrei creduto possibile. "Siamo i suoi parenti più prossimi."Afferma perentorio infilandosi nell'abitacolo. Il paramedico annuisce ed esorta il collega alla guida di sbrigarsi ad andare via.


Dopo un'ora e mezza di sala d'aspetto un dottore ci raggiunge. "Hamilton?" Ci alziamo come sentinelle, Richard un passo avanti al mio. "Abbiamo scongiurato si tratti di un infarto, l'elettrocardiogramma non riporta anomalie, le analisi del sangue segnalano un'infezione riconducibile ad altro."

"Altro cosa?" Domanda Richard.

"Rotavirus, batterio che provoca la gastroenterite."

A queste parole per poco Richard non scoppia a ridere, mi guarda come per avere riscontro, gli sorrido annuendo.

"Come sta adesso?" Chiedo.

"E' fortemente disidratato, gli abbiamo attaccato la seconda flebo ma comunque può tornare a casa. Ovviamente dovrà eseguire una dieta controllata e depurarsi per un pò di giorni. Magari tenetevi pronti anche voi, ci ha raccontato che avete mangiato le stesse pietanze."

Mi mordo il labbro per nulla entusiasmata all'idea di stare male con un volo da affrontare l'indomani.

Richard non sembra preoccupato invece, lo capisco, suo padre è fuori pericolo e la sua testa rimanda solo pensieri positivi. Maglio così.

Congediamo il medico pregandolo di restituirci Raymond solo dopo le dovute cure.

"Grazie al cielo!" Richard mi abbraccia, sento il suo sospiro fra i miei capelli e sorrido.

"Già, ammetto di aver avuto molta paura." Mi sposta leggermente per guardarmi, il sopracciglio arcuato.

"Ma va. Sai mantere la calma in un modo che non mi sembri neanche tu, dolce Najla."

Sorrido a mezza bocca. "Lo faccio per te." La mia mano gli accarezza la schiena, sento che si irrigidisce, mi blocco.

"Non voglio pensi che non sappia prendermi cura di te, in una situazione di pericolo."

Il suo appunto mi fa sorridere e anche un pò dispiacere. "Non lo credo possibile, Richard Hamilton."

Sospira. "E' solo che.."

"Hai paura di perdere i tuoi genitori." Lo anticipo, annuendo. "Hai perso le tue sorelle in maniera tragica. Io ti capisco Richard." Mi mordo il labbro e avvento una domanda a cui penso da molto tempo. "Accetteresti di parlarne con un terapista?"

Mi squadra sorpreso. Inarca le sopracciglia di nuovo e balbetta. "Non saprei. Sì?"

"Davvero?" Chiedo sorpresa.

"Una volta mi hai detto che sono i nostri limiti a renderci umani. Forse è il caso che io ci stringa amicizia, anzichè combatterli."

I miei occhi brillano d'amore per quest'uomo sempre così attento a ciò che gli dico. "Il dottor Leroix ha studio in Saint Germain, ricordami di lasciarti il suo numero." Lo bacio velocemente sulle labbra. "Se vuoi posso accompagnarti."

"Ci terrei molto." Mi dice speranzoso.

Annuisco e lo bacio ancora, stavolta senza tempo, sollevati dallo spavento che abbiamo preso, con le nostre paure e con i nostri limiti ma innegabilmente forti, insieme. "Probabilmente se eri immune al virus io te l'ho appena trasmesso." Gli dico sulle labbra, mordicchiandole.

"Non ho ancora finito con te." Protesta, quando mi allontano. "Fai uscire mio padre da questo posto.. che andiamo a scambiarci la vita."

Questa sua frase fa nascere sulle mie labbra un sorriso che in colpo solo, cancella tutte le paronoie della giornata.



La mattina seguente, Richard è uno straccio. Non riesce ad alzarsi dal letto, suda moltissimo e fa la spola letto-toilette.

"Najla ti prego.." mi dice con voce supplichevole "devi tornare a Parigi, hai i tuoi impegni. Non sto male quanto mio padre, nel giro di due giorni ti prometto che sarò in città a darti il tormento!" Lo guardo martoriata; chiamando l'ospedale per avvisarli di un mio presunto non ritorno, ho ricevuto la notizia di un nuovo candidato alla cura, un impegno che non voglio e non posso delegare a nessun altro. "Non c'è nulla che tu possa fare di più quì, abbiamo una schiera di collaboratori, mentre lì è essenziale la tua presenza." Prosegue con voce flebile. Gli tasto la fronte, la febbre sembra dileguata.

"Mi sento un vero schifo a lasciarti quì, sappilo." Gli dico imbronciata, alzandomi per serrare le finestre dalla luce. "Non mi sembra giusto."

Allunga una mano verso di me, l'afferro stringendola nella mia. "Nel corso della nosta vita ci scambieremo parecchie ingiustizie, volute o meno, dobbiamo essere forti da capire quando possiamo fare di più oppure no, senza subire inutili sensi di colpa." Il suo commento mi incuriosisce, gli siedo accanto, esortandolo a parlare. "Najla il mio lavoro mi porta ovunque nel mondo, il tuo aprirà le stesse porte e stenderà ai tuoi piedi un tappeto rosso che avrai voglia di percorrere. Non hai pensato al poco tempo che avremo a disposizione per noi?" Sì ci ho pensato, rifletto, trovandomi ad annuire per assenso. "Bene, ammesso che entrambi proviamo un forte sentimento l'uno per l'altra, sappiamo che nessuna circostanza, ci renderà agli occhi dell'altro mai abbastanza."

"Richard Hamilton.. non c'è che dire, tu sai usare le parole. Hai un dono!" Gli accarezzo la guancia e faccio per alzarmi.

Zia Elizabeth compare sull'uscio della porta guardandoci dolcemente. "Hai deciso Najla cara?"

"Partirò oggi."

"Bene, l'autista è pronto." Si avvicina e mi accarezza la schiena. Ho gli occhi tristi, non immaginavo di tornare da Londra senza Richard. "Baderò io a lui, sta tranquilla. Quando tornerà sarà nel pieno delle forze."

"Non ho alcun dubbio." Le rispondo, abbracciandola.

"Farò in modo che si parli spesso del vostro matrimonio.." mi sussurra all'orecchio e il pensiero terrorizza persino me.

Guardo ancora il mio uomo pallido ed emaciato contorcersi nelle coperto e prego che il volo sia abbastaza tranquillo da farmi tornare a casa sana e salva.

"Telefonami subito quando sei nel Marais."

"Sì." Biascico, mandandogli un bacio con la mano.

"Ti amo." Borbotta.

"Ti amo anche io. E ti aspetto a casa." Credo potrei piangere, Lizzy si accorge dei miei occhi lucidi e mi spinge affettuosamente fuori dalla stanza.

"Raymond ci aspetta nell'atrio, credo voglia lasciarti qualcosa." Mi dice, scendendo le scale.

Inspiro, per trattenere le emozioni contrastanti che sento.

Sull'uscio sono tutti ad aspettarmi, Raymond in vestaglia è l'ombra di se stesso. "Perdona il mio abbigliamento poco consono."

"Non c'era bisogno di alzarsi dal letto." Protesto. "Deve rimettersi in forze."

Quello scuote il capo, porgendomi un astuccio. "E' lo stemma del casato." Dice pieno di se, con il volto fiero anche se scavato dalla spossatezza.

Apro la scatola, la riproduzione in miniatura dello stendardo di famiglia Hamilton, brilla alla luce del giorno. Sono senza parole.

"Un piccolo regalo di benvenuto." Prosegue. "Sperando in un futuro roseo."

I miei occhi luccicano ancora. Vorrei abbracciarlo ma il dubbio di sembrare fuori luogo mi spinge ad allungare il braccio nella sua direzione.

Quel gesto lo diverte, tuttavia scambia il segno di pace senza remore. "Sono in pena per il tuo viaggio." Ammette poi. "Spero che io e Richard abbiamo preso una parte abbondante di virus e che tu l'abbia scampata."

"L'incubazione è in genere intorno alle quarantotto ore. Se supero questa giornata, forse c'è speranza." Dico un pò tesa, cercando di non perdere il sorriso.

Quello annuisce, ordinando che i bagagli siano riposti in vettura. "A presto, Najla Louise."

"A presto, sir Hamilton."

Lizzy da di gomito al fratello che alza gli occhi al cielo. "Puoi chiamarmi Raymond, cara."

Quella donna è il bene e il male mescolati in un cocktail di genialità. La ringrazio con un sussuro e faccio per entrare in auto; guardo alle imposte della camera che condiviso con Richard e spero che i giorni che ci vedranno separati passino in fretta.

Tutto questo amore mi annichilisce sul sedile e mi fa venire la tremenda voglia di mettermi a piangere.


*


Uno scricciolo di ragazzina, mi fissa con i suoi occhioni castani, dal lettino bianco dell'ambulatorio.

Le sorrido e lei mi sorride di rimando, guardandosi attorno. "Ho sentito dire che lei è la migliore." Avvia il discorso, la guardo sinceramente colpita, avvicinandomi. "Mi chiamo Lalì Martin, dottoressa Chedjou."

Le tolgo la maglietta, dando una prima occhiata generale alle sue condizioni fisiche. "Puoi chiamarmi Najla." Mentre si riveste emette un colpo di tosse, vado alla cartella clinica e la scrutto con occhi affamati. Il numero di cure e la sua storia personale mi tolgono il sorriso; il primo accenno della malattia ad otto anni, fortunatamente un primo stadio, debellato. Il secondo, un terzo stato iniziale, questa primavera alle soglie dei quattordici anni.

La provenienza da una zona mineraria della Francia desta in me una certa irritazione e frustrazione. "Ti accompagna un genitore?" Domando.

"Mio padre. E' fuori che aspetta." Risponde con gli occhi bassi. "Mia madre è morta due anni fa. Non riesce a sopportare che sia venuto anche a me."

Annuisco. "Sei tu la migliore, Lalì. Una piccola guerriera." Questa si guarda le mani arrossendo, poi torna su di me. "Come saprai già mi occupo di una cura che ha un approccio diverso, da quelle a cui ti sei abituata." Mi fermo. "Se uso delle parole che non comprendi, fermami, va bene?" Dice sì con il capo. "Ci vedremo ad incontri programmati, ti farò delle iniezioni, con un farmaco dosato e fatto apposta per te. I primi tempi ti sentirai un pò stanca, appesantita e avrai poco appetito." La guardo pensierosa. "Tuo padre riesce a prendersi cura di te?" Scuote il capo, la situazione non è per nulla confortante, proprio come temevo. "Puoi aspettarmi quì?" Le dico con la voce dolce.

"La prego non mi faccia portare via dagli assistenti sociali!" Gracida, con voce rotta.

"Lalì voglio solo parlare con tuo padre e il dottor Thompson. Vi siete conosciuti prima, ti ricordi?" Mi guarda con il terrore appeso nelle pupille.

"Li chiamerete, lo so." Abbassa la testa. "Mi spediranno in una casa famiglia dove marcirò fino al resto dei miei giorni." Una lacrima scivola sulla guancia.

Le accarezzo le spalle. "Sei nel mio programma di cura, nessuno a meno che tuo padre non dia il consenso, può toglierti da quì."

"E se non guarissi?" Chiede con labbra tremanti.

"E' una probabilità che non ha nulla a che fare sulla tua sistemazione, chiaro?" Mi chiedo come una ragazzina che dovrebbe giocare con le bambole, annichilita da un mostro di malattia, abbia il terrore di essere separata dalla sua famiglia. "Torno subito, è una promessa." Volto le spalle prima che i suoi occhi imploranti mi trattengano, spalanco la porta del piccolo studio accanto e trovo un Patrick che mi fissa come se sapesse già dove voglio andare a parare. Accanto a lui un uomo dall'aspetto trasandato. Le mie mani girano nervose fra i capelli, passeggio avanti e indietro fino a quando Patrick non parla.

"L'unica soluzione è farla ricoverare." Dice, ignorando del tutto l'altro uomo. "Quì avrebbe pasti caldi, assistenza e la cura."

"Lo sai che dovrebbero intervenire i servizi sociali." Replico. "Ne è terrorizzata. Senza contare che il dottor Simon non mi darà tregua."

Patrick scivola dalla sedia e mi raggiunge; mi cinge una spalla con la mano, scuotendomi. "Simon deve passare sul mio cadavere, prima di tormentarti." Poi distoglie lo sguardo, lo punta sull'uomo alle sue spalle. "La piccola si prende cura della casa. Teme che allontanandosi suo padre si lasci andare."

"Lei ci sta ascoltando signore?" Parlo lentamente all'uomo che alza il viso e annuisce flebilmente. "Può dirci cosa ne pensa?"

"Non voglio perdere mia figlia." Dice d'un fiato, portandosi le mani sul viso.

Supero Patrick e mi avvicino a lui. Si alza in piedi, mostrando una corporatura forte, braccia solide e un volto giovane; non mi guarda implorante, nemmeno con sfida è.. in attesa. Semplicemente in attesa. "Capisce che molto di questo, dipende da lei, vero?"

"Non sono uno stupido." Risponde.

"Non volevo assolutamente dire questo." Replico. "Questa cura sarà spossante, devastante a tratti. Lalì avrà bisogno di supporto, di qualcuno che si prenda cura di lei. Lei lavora? Ha modo di avere un altro aiuto in casa?"

"Sono minatore, lavoro a cottimo. Quando sono via è Lalì a occuparsi di tutto."

"Sarebbe disposto ad un percorso riabilitativo?" Mi guarda perplesso, gli occhi nocciola vacui. "L'ospedale offre un supporto psicologico alle famiglie dei malati. Lalì potrebbe essere ricoverata e seguire insieme a lei suddetto percorso, morigerato dalle autorità competenti." Patrick accenna a una debole protesta, annuisco e proseguo. "E' una ragazzina di quattordici anni. Troppo giovane per fare da madre a suo padre e con un futuro ancora non del tutto compromesso davanti a se." Torno all'uomo che mi guarda adesso compito. "Signor Martin, qual'ora non si ritenesse in grado di provvedere al proprio compito di genitore, mi prometta che lascerà Lalì libera di poter abbracciare una vita migliore."

"Posso provarci."

"E' già qualcosa."

"Ho una sorella nella Lorena. So che se la passa bene economicamente, potrei scriverle due righe."

"Sarebbe perfetto."

"Posso vederla?"

"Certo e se se la sente può accennarle ciò che ci siamo appena detti."

Quello annuisce e raggiunge la figlia. Non passa che qualche minuto, prima di sentire Lalì scoppiare a piangere.

Sospiro, il cuore tormentato, ma il volto rigido, inflessibile.

Patrick mi accarezza la schiena. "Era necessario e doveroso." Mormora, lo guardo asserendo con il capo. "Ho gli esiti della biopsia di André Lemaire, convengo che la massa si possa asportare ma voglio che le dai un'occhiata. E' sulla scrivania."

"Mh-mh."

La porta si apre nuovamente, scorgo il viso stravolto di Lalì e mi accingo ad entrare.

"Avevi detto che sono una piccola guerriera." Protesta.

"Sei una guerriera." Replico. "Ma sei pur sempre piccola." Le cingo con delicatezza le spalle, fa un pò di resistenza ma si lascia andare, quando le massaggio. "Chiudi gli occhi e immagina un posto in cui vorresti essere in questo momento, Lalì." Mi guarda di sbieco, gli occhi ancora bagnati dalle lacrime. "Fidati di me, ti prego, sono la migliore ti ricordi?"

"Sì, ma hai detto una bugia." Insiste, mi piego alla sua altezza per guardarla negli occhi.

"Tecnicamente non proprio. Avrai il tuo papà vicino a te e delle persone che vi aiuteranno a superare questo momento. Sai, questo è il mio dovere in quanto tuo medico, ora. Tutto ciò che riguarda la tua vita fuori da questo ospedale purtroppo non è una responsabilità mia, ma se potessi scegliere per te, allora sceglierei una buona scuola dove imparare a leggere e scrivere, dove fare amicizia con le bambine della tua età e formare il carattere che ti porterà ad essere ciò che vorrai, piccola guerriera. E il tuo papà ti vuole molto bene, perchè vuole per te le stesse cose e se ne è assunto la responsabilità. Sai cosa è il futuro, Lalì?"

"Qualcosa che non si vede." Risponde.

Sorrido. "Se chiudi gli occhi come ti ho chiesto, sono sicura che riuscirai a vederlo."

Stavolta mi ascolta e chiude gli occhi. "Vorrei vedere il mare."

"Il mare, va bene. E poi?"

"E poi voglio leggere storie di avventure."

"Ancora altro?"

"Sì..vorrei delle amiche con cui parlare."

"Questo è il futuro, se accetti di fidarti di me e del tuo papà, Lalì."

Apre gli occhi, sospira. "E se non dovessi guarire?"

"Adesso devi solo pensare a quelle immagini nella tua testa; vedi come sono reali, quando lo fai? Al resto ci penso io."

I suoi occhi tornano sereni per un pò, almeno fino a quando sente suo padre discutere con Patrick dei dettagli pratici del ricovero e la cura; allora l'abbraccio, con delicatezza e attenzione ma lei mi lascia fare, affamata com'è di protezione e cura. La dondolo e sento qualcosa nel profondo delle viscere, un richiamo, un istinto materno che non avevo mai sentito prima.. e sorrido. Essere un buon genitore non è facile, ma è doveroso provarci.


Non so come ci sia riuscito quel gran genio del dottor Thompson, ma tre ore dopo Lamaire è in ospedale per il ricovero.

Non potevo sperare in miglior risposta; un sospiro di sollievo, per come si è messa la giornata.

Cè il solito tram-tram nei corridoi, mi infilo nella sala operatoria in cerca di pace e silenzio; dopo un pò vengo raggiunta dai chirurghi e Patrick.

"Lo stanno portando giù." Mi fissa circospetto. "Sicura che te la senti?"

"Certo, sta tranquillo. Asporteremo quella massa e poi giù a stilare il piano per Lalì." Lo fisso truce. "Tu sicuro che te la senti?"

Mi spinge con il fianco verso il lavatoio, ridendo sornione. "Finalmente una notizia buona."

"Mi sono detta la stessa cosa."

Ci guardiamo e in silenzio solenne iniziamo a lavarci. Entrando in sala il bel sorriso di Andrè è il biglietto per il viaggio della speranza.

"Grazie dottoressa Chedjou."

"Non devi ringraziare me." Sussurro, volgendo lo sguardo verso Patrick. "Adesso rilassati e immagina di essere in un posto felice."

"E' un pò difficile." Si mette a ridere, poi prende un bel respiro, mentre l'anestesista inietta il farmaco. "Ho promesso ai bambini di portarli in montagna il mese prossimo. Mia cognata verrà con noi, sono tutti molto entusiasti."

"Vedi?" Esclamo. "Un posto felice!"

"No, saranno le Alpi molto probabilmente." Risponde con fare scherzoso.

"No.. è il futuro Andrè. E' il futuro."

Sorride e i suoi occhi si fanno via via sempre più vacui; io, Patrick e l'equipe ci guardiamo con cenno d'intesa, iniziando manovre così precise e così perfette che consentiranno a quest'uomo di abbracciare presto se non la felicità, qualcosa che vi assomigli molto.

L'operazione scorre abbastanza lenta, non sono che passate una manciata di ore e la situazione è stabile; bisogna che l'area intorno alla massa venga pulita completamente per non rischiare di lasciarsi dietro qualche residuo. Sono ore che si fanno sentire nelle gambe, nel cuore, nella testa ma nessuno ha voglia e diritto di perdere concentrazione. Patrick scherza sul mio viaggio a Londra, non nomina Richard perchè non siamo soli ma per tutto il tempo non fa che tenere alto l'umore del gruppo. Non so cosa farei senza il mio braccio sinistro, e il bello è che non ci penso solo nei momenti di emergenza. Raramente si può descrivere un rapporto di lavoro, anche come una bella amicizia. Io sono stata molto fortunata, avendole entrambe.

Al termine getto soddisfatta il camice con i guanti nella pattumiera; Andrè è fuori pericolo, dovrà affrontare solo qualche esame di routine e una breve permanenza in ospedale per la riabilitazione. Scongiurando il fato avverso, tutto è andato secondo i piani.

"Caffè?" Prorompe il mio collega preferito. Dico sì con la testa e lo seguo in cucina. "Dovremmo festeggiare, se il damerino non ha di che dire."

Lo fulmino. "Conservo la mia identità meglio di te, che ti sei messo a passare i venerdì sera sotto le coperte."

"Si sta molto bene lì." Mi fa l'occhiolino, squadrandomi. "Allora è deciso, si festeggia?"

"Sì!" E gli mollo uno scappellotto sulla nuca. "Sei sempre il solito. Geremia è innamorato di te."

"Lo sono anche io, my friend." La sua voce è un sussurro, i suoi occhi mi fissano pieni di vita e di gioia. "Si è trasferito da me quando eri via." Il sorriso spontaneo che nasce sulle mie labbra la dice lunga su quanto possa essere contenta, poi si morde il labbro e d'improvviso il suo volto cambia umore. "Ciò che non sopporto è vederlo sgattaiolare fuori di casa come un ladro. Niente smancerie nell'atrio, niente battibecchi sull'uscio della porta.. insomma, questa città e i suoi mille occhi spesso sono claustrofobici."

"Puoi chiamarla tranquillamente città omofoba." Replico. "Questo è il giusto aggettivo e non sai quanto sono indignata."

Si guarda intorno, come se dai muri trapelassero le nostre parole, quando torna con lo sguardo su di me sembra un bamino che sta per confessare una marachella. "Io e Geremia stiamo seguendo un gruppo di omosessuali. Omosessuali che sostengono le cause di altri omosessuali. E' liberatorio parlare con delle persone che conoscono sulla pelle il disagio che stiamo passando. Con questo non voglio dire che non apprezzi il tuo sostegno e quello di molti come te, ma pensare all'azione mi fa sentire vivo e che tutto sia reale."

"Azione?" Domando perplessa.

"Sì. Non potrei dirti di più ma tu sei come una sorella e sento che in qualche modo debbo tenerti al corrente..qualora mi accadesse qualcosa."

Le sue parole mi gelano il sangue; una scarica di brividi mi attaversa il corpo, vorrei prenderlo a schiaffi oppure abbracciarlo.

"Cosa stai dicendo Patrick, sii più preciso ti prego."

"In sostanza si tratta di piccole rivolte contro il sistema; gesti di affetto pubblici, eclatanti, qualcosa che svegli la collettività. La comunità omesessuale negli anni sessanta ha raggiunto un picco che solo fino a qualche decennio fa non si sarebbe mai pensato; questi uomini e queste donne sentono aria di cambiamento, aria di libertà d'espressione e non hanno più paura di dimostrarlo. Sento che anche per me è arrivato questo momento, my friend. Spero con tutto il cuore che tu appoggerai la mia scelta."

"Che responsabilità mi dai, Patrick!" Tremo come un violino sotto la potenza della paura. "Hai calcolato i rischi? Lo sai che nasceranno gruppi d'opposizione, senza contare le dure regole che la polizia già impone?"

"Impone su gesti di natura impropria.. dillo!"

Sospiro adirata. "Lo sai che non mi piace quella definizione! Sai ciò che penso a riguardo e non voglio litigare con te per questo. Ho solo molta per paura per la tua incolumità, amico mio, tanta!"

Ci scambiamo uno sguardo che sa di mille battaglie passate fianco al fianco, i suoi occhi luccicano, i miei si gonfiano. "Hai ragione." Ammette, mordendosi le labbra. "Non ti chiederò d'appoggiarmi, morirei nei tuoi panni, ma voglio solo avere il pensiero della mia migliore amica al mio fianco."

"Quello lo hai avuto dal primo istante." Mi avvicino e lo abbraccio forte. "Preferirei non sapere nulla, ma per dovere in quanto tua amica, quando toccherà a te dovrai farmi sapere dove e come accadrà. Va bene?"

"Certo."

"La rivoluzione ti sei messo a fare.." borbotto, sganciandomi dalle sue braccia. Fisso il suo viso pallido e gli occhi azzurri innocenti e mi domando quanta forza non gli scorra nelle vene. L'ho visto lottare per tutto quanto, da quando lo conosco, so che non demorderà anche a costo di farsi del male. "Proprio tipico tuo!" Poi lo prendo sottobraccio e sorrido. "Sii fiero di te stesso."

Non risponde, prende un bel respiro e ci spostiamo in laboratorio per studiare il caso di Lalì Martin.


*


C'era voluto qualche giorno in più rispetto a quanto previsto, ma appena ripreso Richard era in volo sulla Manica, destinazione Parigi. Le mancava Najla, la loro quotidianità formato per due e anche quella sensazione di appartenenza che sentiva chiara dentro di se, quando si divididevano.

Sta fissando le chiavi della casa nel Marais, la loro casa, e pensa a tutte quelle cose che avrebbero fatto insieme, da marito e moglie. Questo pensiero lo fa sorridere e anche riflettere; immagina già vederla uscire di casa tutte le mattine, per poi rivederla solo a tarda sera, stravolta da turni massacranti e un'ambizione che l'accende come un fuoco. Ma Najla è anche questo, e lui l'ama soprattto per la sua indomita testardaggine e grinta.

Dal nulla pensa a come sarebbe se invece lui, per poter gestire al meglio la famiglia che verrà, rendesse i suoi orari meno improbabili.

"Se aprissi un mio studio di consulenze?" Chiede a Raymond assorto in poltrona. Era riuscito a convincerlo nel partire insieme, qualche giorno per tastare il terreno e lui aveva accettato senza alcuna remora. "Una base fissa a Parigi, senza tralasciare i miei spostamenti, di tanto in tanto."

Raymond ha un guizzo negli occhi. "E' la stessa idea che ebbi io quindici anni fa. Tuo nonno me la stroncò, convinto che il nostro non era che un nome fra i tanti, sulla bocca di tutti. Oggi dico a te fallo, ma solo se sei sicuro di poter sopportare l'inerzia che seguirà dal lavoro in poltrona."

In effetti il dinamismo era il lato affascinante di questo mestiere, ma tuttavia sembrava meno attraente difronte alla possibilità di una tranquillità famigliare.

Più passavano i minuti e le ore, più si convinceva di quanto fosse perfetta quella soluzione, e trovarsi così entusiasta difronte a un cambiamento radicale della propria esistenza, aveva fatto scattare in lui un campanello che non avrebbe più ignorato.


"Sei nervoso?" Chiede a suo padre, leggermente curvo nei suoi pensieri e taciturno.

"Non la vedo da parecchio, Richard. E sappiamo bene che tua madre sa essere spietata a volte."

"Te l'ho già detto, lei ti ama ancora e fossi in te non commetterei imprudenze. Dovrai usare tutta la delicatezza di cui sei capace." Per la prima volta da quando sono entrati nel taxi si volta a guardarlo; lo osserva con uno strano sorriso compiaciuto. "Che c'è?"

"Sei cambiato, dall'ultima volta che ti ho avuto a casa. Mi sembri molto più riflessivo. Merito sicuro della beatitudine dell'amore."

Richard fa una strana smorfia. "Mi sembra ridicolo parlare di queste cose con te."

"E perchè mai? Sono sempre stato un uomo romantico.. chiedi a tua madre, se se lo ricorda."

Richard inarca il sopracciglio. "In salotto è esposta una foto di voi due da giovani, lei era sulle tue spalle, intorno solo neve. Credo si ricordi tutto, padre."

"Era Chamonix, l'ultima neve di Aprile. Il profilo del Monte Bianco riluceva al bagliore della luna. Quella notte ti concepimmo."

"Questo forse è un pò troppo anche per me, padre." Richard sorride e Raymond si lascia andare ad una risata, l'auto sfila veloce per l'arrondissement fino al portone del palazzo in Rue Saint-Honoré.

"Tu non vieni?" Domanda Ray al figlio, rimasto nell'abitacolo.

"E' meglio che abbiate la vostra intimità." Sussurra dal finestrino. Poi lo sguardo vaga lontano, sognatore. "Ho qualcosa da fare anche io."

L'uomo dalla strada annuisce a alza la mano. Richard ricambia il saluto e ordina all'autista di scortarlo al Claridge.


"Dottor Hamilton! Che piacere rivederla, così presto per giunta."

Il direttore non era mai stato un uomo molto brillante, le moine dimostrate non appena ha varcato la soglia dell'hotel rafforzavano ancora una volta il concetto che fra tutti, lui ha da sempre sposato; per vincere negli affari spesso non serve una mente brillante, può essere il tutto a volte, ma l'arte dell'affabulazione è l'arma vincente. Richard tuttavia sorride, sbottonandosi la giacca.

"Desidererei essere annunciato ai Conti di Clermont, prego."

L'uomo fa un cenno al concierge che in men che non si dica afferra la cornetta telefonica per avviare la conversazione pochi istanti dopo.

"Credevo volesse disdire la sua camera." L'altro si accerta delle sue intenzioni, tamburellando nervoso le dita sul bancone della reception.

"In realtà non ancora, direttore. Quando il mio trasferimento sarà al completo può stare tranquillo che non abuserò oltre dei suoi servigi."

"Ma per carità dottor Hamilton! Per me è un piacere riservarle la suite per tutto il tempo che vorrà."

Richard ride beffardo a fronte dei franchi che si vedrà mancare il giorno in cui decidesse di disdire il contratto.

Non sapeva bene perchè ancora non l'aveva fatto, per tanto tempo aveva abitato solo, forse abituarsi al cambiamento richiedeva un pò di tempo; in realtà c'era anche una componente molto affettiva, il suo percorso a Parigi era nato proprio in quella suite, i suoi contratti erano ancora in quella stanza, i primi progetti che aveva pensato per un futuro con Najla aleggiavano lì. Aveva nostalgia, ma una nostalgia buona, dei bei momenti vissuti.

"Magari più tardi ci farei un salto." Le parole escono dalla sua bocca, strozzate dall'emozione, il direttore annuisce senza capire poi gira lo sguardo verso i conti in movimento per la loro direzione. "Buongiorno Jacque e buongiorno splendida Marie." Esordisce quando sono vicini.

Jacque allunga una mano versa la sua direzione, a quel punto il direttore fa i suoi ossequi ricordando loro di avere qualsiasi stanza a disposizione.

"Come va ragazzo? Gli affari? Abbiamo saputo dai giornali che sei tornato nel tuo paese natio. Mi sono detto, ecco che la volpe ha fiutato qualcosa di grosso!"

L'uomo ride di gusto, la donna al suo fianco lo guarda affascinata.

"Gli affari vanno a gonfie vele. Nuovi progetti che richiederanno la mia presenza ma quì a Parigi." Sorride abbassando gli occhi. "Questa città non si libererà di me molto presto."

"Evviva Dio!" Esclama Marie, con una vocina deliziosa. "Sei abbronzato o mi sbaglio?"

"Splendeva un bel sole su Londra." Poi fa il gesto di precederlo, verso i divanetti appartati in fondo alla sala. "Ci faccia portare qualcosa di fresco da bere, grazie." Comanda al concierge, incamminandosi verso la coppia di signori. "Non vi ruberò molto tempo, volevo solo congedarmi da voi nel miglior modo possibile. Io e Najla Louise vivremo insieme nel Marais, mi sembrava carino dirvi che non alloggerò più quì. Siete stati sempre cortesi nei miei riguardi, spero di avervi miei ospiti quando saremo sistemati."

La donna emette un gridolino eccitato. "Lo sapevo! Diglielo Jacque, quali affari di finanza replicavo, affari di cuore!"

L'uomo sorride. "Siamo molto contenti per te Richard Hamilton, sei una brava persona, ti meriti i tuoi successi lavorativi e sentimentali."

"E quella ragazza." Aggiunge Marie annuendo vistosamente con il capo.

Richard si lascia andare ad un sospiro. "Non so se lei può dire altrettanto di me."

"Oh, non fare il modesto!" Replica la donna con voce canzonatoria. "Siete assolutamente ben assortiti, due bellissimi giovani nel pieno della vostra vita. Ah proposito, aspetterò con ansia quell'invito per rivederla." Poi si lascia andare ad un sorriso ambiguo, scuotendo nuovamente il capo. Richard sbatte le ciglia divertito, pur non capendo. "Credeva tu non fossi interessato al matrimonio." Dice serafica mettendo a tacere tutti i dubbi.

Richard si rammarica di quel pensiero, ma all'epoca non era molto chiaro nemmeno con se stesso. "Lo so, ho rischiato di perderla."

"Se c'è una cosa che ho imparato è che non bisogna mai dare per scontato nulla quando si tratta di donne, ragazzo!" Interviene Jacque, sorseggiando il suo thè. "Ottimo suggerimento, ne farò tesoro." Poi torna con lo sguardo sulla donna, cambiando totalmente espressione. "Sai Marie, mi chiedevo se fossi così gentile da procurarmi il tuo contatto di Cartier." A quel punto la donna gongola sfacciata.

"Ho un appuntamento con lui quì all'hotel fra una settimana. Unisciti a noi." Indica il marito che alza gli occhi al cielo. "Basterà che tu mi dica a cosa stai pensando esattamente e il mio contatto farà il resto."

"Ad un solitario, Marie." Sorride sornione. "Precedenza al taglio quadrato."

La donna annusice. "Ottima scelta. Mi attivo subito."

Richard sorride e sospira, vertendo la coversazione sul suo viaggio a Londra e le ultime notize della città, fedelmente riportate da un'entusiasto Jacque.


"Signori è stato un piacere pranzare con voi." Stringe la mano ad entrambi, alzandosi. "E anche essere vostro dirimpettaio." Jacque e Marie sorridono, alzandosi a loro volta. "Ci vediamo la prossima settimana."

"A presto ragazzo. Stai bene."

"Arrivederci Richard caro."

Si congeda dai Conti e prenota un taxi che lo porti a casa da Catherine e Raymond, soli ormai da un paio d'ore; arrivato sotto al portone lo sguardo cade sul Bistrot Value, quello preferito da entrambi i suoi genitori e si accorge che sono proprio lì, seduti ad un tavolino riparato dal sole. Suo padre anche da lontano è una figura elegante e predominante, affascinante e ritto nel portamento. Sua madre un cigno, vestita di un elegante bianco che le fascia il corpo minuto. Sorridono, sorridono molto entrambi, pur mantenendo un certo distacco fra essi sono più vicini di quanto l'occhio umano, possa catturare.

Sospira. Decide che è meglio tornare a casa, perciò ordina al tassista di fare inversione.

Il Marais è desolato alle quattro del pomeriggio, si fa lasciare leggermente fuori mano, per poter godere con una passeggiata di quella tranquilla solitudine.

Si addentra per i giardini delle rose, cercando qualcosa che all'apparenza non sembra chiara; prende posto su una panchina nella penombra, attorno una quiete che concilia i pensieri; molte cose della sua vita erano cambiate, prendendo il proprio posto naturale, nello scorrere del tempo. Aveva un lavoro e un progetto da concretare, aveva la sua famiglia riunita o la riproduzione più fedele, aveva l'amore, un amore che le aveva completamente rivoluzionato la vita.

Non vedeva l'ora di rivedere Najla, poteva saggiare nell'aria il suo profumo, così tipico di quei posti.

Spezie, rose e vento. Poi una folata di cioccolato, il suo odore. Ne era davvero ammaliato, catturato, al punto di sentirla vicina.

Ma non è una sensazione, perchè in lontananza la sua figura era proprio lì. E si era accorta di lui, perchè sta avanzando nella sua direzione.

In mano stringe un sacchetto, sicuro falafel dato l'odore. Non può che sorridere di quel piccolo vizio che la caratterizza.

"Da quanto sei quì?" Gli dice, nel suo abbraccio.

"Sono appena arrivato." Le accarezza il viso, poi la bacia; ha gli occhi stanchi ma felici. "Giornata dura?" Mima sì con il capo, allungando il sacchetto nella sua direzione. Ne afferra uno per farla felice. "Sono contento che tu sappia consolarti quando non ci sono." Najla ride, mordendo la sua polpetta.

"Ho cenato quì in questi giorni. La casa è molto grande quando non ci sei."

Sente una fitta al cuore e la voglia di stringerla forte. "E' quello che provo rimanendo solo con me stesso."

"Tuttavia credo che ognuno debba avere un piccolo spazio per se." Esordisce dal nulla e lo fa sorridere, perchè ama la sua spontaneità.

"Sono molto d'accordo." Replica.

"Per questo non hai disdetto la tua camera al Claridge?" Chiede puntigliosa. Richard strabuzza gli occhi, all'improvviso nel panico per il suo appuntamento scoperto. Najla è pensierosa. "Qualche giorno fa hanno chiamato a casa cercandoti. Era il direttore dell'hotel. Mi ha parlato della posta da ritirare e da quì ho dedotto che non l'avessi disdetta. Non mi da fastidio sia chiaro, come detto credo che ognuno dei due debba conservare uno spazio tutto suo, volevo solo sapere se non ti sentissi a tuo agio in casa da non cercartene uno lì."

Richard esplode in una fragorosa risata. "Hai una mente diabolica, te lo hanno mai detto?"

Najla affila lo sguardo, i suoi occhi verdi bottiglia scintillano. "Secondo te perchè sono una luminare?" Poi scoppia a ridere anche lei, tuffandosi fra le sue braccia. "Mi sei mancato Hamilton."

"Anche tu Najla Louise." Le bacia il capo, annusando il suo profumo. "E' vero che sai di cioccolato."

"E' la pasticceria. Ti lascia addosso il suo odore. Credo mia madre me lo abbia trasmesso."

"Dovremmo inventare un dolce con le nostre caratteristiche da far riprodurre a Deesire, che ne dici?"

"Che ne sarebbe entusiasta." Alza il viso e lo bacia. "E che sei molto astuto."

"Così mi offendi, tutto ciò che faccio è spontaneo e dettato dal mio cuore." I suoi occhi blu risplendono di verità, Najla abbassa lo sguardo e annuisce. "E non è perchè non mi sento a mio agio in casa. In realtà cercavo di capire anche io il perchè, poi mi sono detto che è un posto speciale, voglio tenerlo ancora un pò." La stringe al suo petto e sospira. "Tu hai dormito in quel letto, ricordi?"

"Perfettamente."

"Adesso io dormo nel tuo."

"Nel nostro, Richard."

"Nel nostro." Le accarezza le spalle, la sente rilassarsi e ne è felice. "Il tuo posto invece è questo?"

"Suppongo di sì." Risponde lei. "Ma forse è l'intero quartiere. Ti è mai capitato di sentirti a casa in luogo del tutto fuori dal comune?"

Appena finita la frase si rende conto di conoscere già quella risposta; Richard ride e anche lei ride. Glielo ha già detto.

"Forse è meglio incamminarci. Orde di bambini saranno presto quì per la merenda." La ragazza annuisce, sbadigliando. "E tu devi riposare." Aggiunge ridendo.

"Un pò."

"Andiamo." La prende per mano e senza dire nulla passeggiano per il dedalo di stradine fino a casa.

La loro casa.


*


Eugene Lesage è l'assistente premurosa che sperava di trovare accanto a Catherine, Raymond le osserva parlarsi con complicità e compiere dei gesti meccanici collaudati e ne è felice. La casa è esattamente come la ricordava, luminosa seppur non grandissima dato gli standard di suo padre, ma Parigi si sa rende romantici anche i più duri, per cui per accorciare le distanze con spazi a misura di coppia, non sembra una cattiva idea.

"La signora Wright mi ha consegnato la lista della spesa, lei ha qualche richiesta in particolare, signore?"

"Tutto ciò che ha chiesto va bene anche per me, la ringrazio."

"Si figuri." Risponde cercando la borsa sull'appendiabiti. "Sarò quì molto presto, occupo la stanza sul fondo del corridoio."

Quel commento lo fa sorridere, annuisce guardando il grande vaso di cristallo sulla consolle centrale, accanto alla foto di lui e Catherine da giovani, sulla neve. "Potrebbe comprare per me un mazzo di gigli?" E si fruga nelle tasche per recuperare il portamonete. "La prego, i più raffinati e profumati che trova."

La donna annuisce, lo saluta ed esce di casa.

Catherine è distesa a letto, non dorme, ma guarda fisso sull'uscio. "E' non è un portento?" Chiede con un grande sorriso, quando lo vede entrare.

"E' educata." Risponde divertito, sedendole accanto. "Ti ho fatta stancare?"

"Un pò. Ma sono felice di averti quì, Ray."

"Bene." Risponde, prendedole la mano per baciarle il dorso. "Riposa se vuoi, resto quì accanto a te."

"Mh-mh." Mugola, chiudendo gli occhi. "Non mi hai ancora detto dove si è cacciato Richard."

"Te l'ho detto è enigmatico. E' molto cambiato."

"E' diventato un uomo." Lo corregge la donna, increspando le labbra con un sorriso debolissimo. "Si è innamorato e sta compiendo delle scelte. Sono molto fiera di lui." Ray non risponde subito, pensa a quel ragazzo, ai colpi di testa in gioventù, al loro rapporto di continuo contrasto e pensa che è grazie a lui se lì.

Sente al centro del petto una fitta, come una scossa, la premura di doverglielo far sapere il prima possibile. "Anche io." Catherine apre gli occhi, spaventata da quelle parole. Lo guarda senza dire nulla, il fiato sospeso. "Sono stato un padre poco premuroso. Ho sempre avuto il terrore di perdere anche lui."

"Lo so." Risponde lei con il sorriso di chi lo ha sempre saputo. "Per questo gli ho dato le mie carezze e anche le tue." Quel commento lo fa vacillare. Piega il capo nel ventre di sua moglie e si lascia andare ai singulti; la mano della donna culla tutte le sue lacrime, quelle che vogliono uscire e quelle che vogliono tacere, tenendolo stretto a se. "Recupereremo con i nostri nipoti. Spero avranno molti bambini." Sghignazza, cercando di rendere leggera l'atmosfera.

Ray si alza, il volto arrossato, il ciuffo di capelli scomposto sulla fronte. Catherine glielo sistema con amore.

"Io e te nonni." Replica con uno strano sorriso compiaciuto. "Non sono troppo affascinante per essere un nonno?"

Catherine ride. "Oh non cambierai mai, Raymond Hamilton!"

Quel bel sorriso gli da la forza di avvicinarsi e sugellare quel momento con un tenero bacio a fior di labbra; lei spalanca gli occhi chiari, poi li chiude lasciandosi andare fra braccia che mai aveva dimenticato. Il bacio si fa profondo, ma Catherine lo scosta, per respirare affannosamente.

"Non sono più la donna che ero." Commenta tristemente.

"Non mi interessa, Kate." Respira insieme a lei, dolcemente, seguendo il ritmo. "Guardando quella foto di noi da ragazzini ho pensato che il miglior capitolo della nostra esistenza può iniziare da adesso. Un passo alla volta, ok?"

Kate fa si con il capo e si sdraia nuovamente. Rayomond insieme a lei. "I will love you till the end." Sospira, contro il suo orecchio.

"Me too."


Eugene rincasa e li trova addormentati con il crepuscolo a far da cornice intorno alla stanza.

Serra le finestre e sorride, il volto della signora Wright disteso e sereno, infonde pace anche a lei.

Poi si domanda se era il caso di far sapere al signor Raymond senior della venuta del figlio, ma conviene di attendere tempi migliori e concreti.

La felicità prima di tutto.

La felicità sopratutto.


*


La notte ammanta le finestre, il corpo nudo di Najla è caldo e umido fra le sue braccia.

"Sto pensando di trovare un immobile per un progetto a cui tengo a cuore." Dice, spezzando il silenzio dei loro respiri; Najla gira la testa nella sua direzione, fissando le sue labbra. "Vorrei dare alla nostra attività un punto di appoggio, in previsione di un futuro.. affollato."

"Affollato." Ripete sarcasticamente la ragazza. "Non troppo e non subito." Controbatte. "Ma non ti seguo, Richard."

"Se usassi il tuo sarcasmo in maniera un pò meno irrazionale mi capiresti!" Borbotta. "Vorrei svolgere il mio lavoro da un ufficio, così che la gestione della nostra famiglia risulti un pò meno complicata."

Najla impallidisce. "Non hai il timore di finire legato a una poltrona?"

"No." Risponde sicuro. "Ho il terrore di far allevare i miei figli da un'estanea."

"Quindi dai per scontato che io non li seguirò?"

"Saresti una madre eccezionale, ma non credo tu abbia faticato tanto per startene a casa fra vagiti e rigurgiti."

Najla arriccia il naso e scuote il capo. "Ci sono dei diritti del lavoro che permettono a una donna di assentarsi dal lavoro durante e dopo una gravidanza; ne ho sentito parlare, presto verranno messi a mozione, non vedo perchè dovresti preoccupartene. Sono una donna, Hamilton, non sottovalutarmi!"

"Non capisci che sto dicendo il contrario?" Risponde contrariato. "Vorrei solo contribuire alla nostra famiglia. E una soluzione pratica, mi sembra proprio quella di mettere radici quì a Parigi, insieme a te, testona!"

"Oh, la prospettiva si fa più interessante."

L'uomo alza gli occhi al cielo. "Alle volte mi ritengo molto più moderno e aperto di te."

"Con la sola differenza che io non ho mai detto di esserlo, Hamilton. Sono molto più convenzionale di quanto tu creda, per quanto riguarda la famiglia."

Richard stringe gli occhi. "Già, sei piena di sfaccettature. Quindi appoggeresti la mia idea?"

"Certo!" Strepita l'altra, poi abbassa gli occhi. "Avremmo il tempo di farla questa famiglia?"

L'abbraccia forte. "Troveremo sempre il tempo per noi due."

"Promesso?"

"Non c'è bisogno. Ci prenderemo cura uno dell'altra, lo so."

Najla sospira. "Non credevo esistesse questo tipo di felicità, per me. A lungo ho immaginato la mia vita nei corridoi di un ospedale, mischiata nelle storie dei miei pazienti, ingoiata dalla mia cura. Se ci penso, so che posso dirti che prenderei lo stesso tipo di decisione, per il nostro futuro. Vedi, hai cambiato totalmente il mio punto di vista, Richard Hamilton."

"Sono stupefatto." Risponde sarcastico e gioviale, nascondendo un leggero imbarazzo. "Tieniti forte, non sai la buona nuova; Raymond è a Parigi e con mia madre in questo momento."

Najla si tira su e lo colpisce affettuosamente. "Perchè non me lo hai detto prima!"

"Avevo tutt'altro interesse, per essere sincero. Ma adesso te l'ho detto. E non so altro, perchè ho volutamente lasciarli soli."

"Pienamente d'accordo." Commenta la ragazza guardando fuori dalla finestra. "Tutto sta andando al suo posto, non credi?"

"Ho pensato proprio la stessa cosa." Le bacia una spalla, guardandola divertito sbadigliare. "Ma adesso, dormiamo."

"Resterei quì a parlare per ore.." sbadiglia ancora e si acciglia. "Ma ho sempre sonno accidenti a me!"

Richard la fa scivolare sotto le coperte, le cinge la vita da dietro e sorride. "Hai molte cose a cui pensare, finiscila di darti la colpa."

Najla non risponde, come nulla i suoi sensi si sono abbandonati al calore del suo corpo, impossessandosi della serenità e il benessere per farla crollare.

"Avremo il tempo di fare tutto, te lo prometto. Buonanotte mia bella." Sussurra lui, chiudendo gli occhi e raggiungendola.



Pic-nic-firenze-2


Benjamin e Charlotte sono meravigliosamente abbronzati e felici, mentre ci vengono incontro.

Dopo un mese dalla loro partenza, e al loro primo mesiversario di nozze, ci siamo dilettati in un pic-nic di festa al Parc Monceau.

La mamma lo adora e architettonicamente parlando sembra il posto ideale per una fiaba, anche se si raccontano storie strane su di esso; a me sembra un bel posto rilassante e sicuramente dato l'affluenza in questa bella domenica di sole, anche molti altri concittadini devono pensarla così.

Fabien che ha ripreso a dipingere, ha persino ritratto una loro posa il giorno delle nozze, mostrandogliela come regalo di bentornato; Lukas che ci aiutato con gli stuzzichini mostra loro il menù del giorno, facendo sorridere la mamma di gioia. Tutto è perfetto, persino Richard e il suo completo informale blu, il volto rilassato e sorridente, a proprio agio ormai fra i miei cari.. e i suoi.

Gia, l'idea è stata tua; iniziare a far prendere confidenza le nostre rispettive famiglie, far respirare un pò d'aria fresca a Catherine e instillare una certa confidenza dei luoghi parigini a suo padre Raymond. E mai scelta più azzeccata, perchè i due capofamiglia si sono trovati subito nonostante le enormi differenze caratteriali e sociali, mentre Catherine cincischia allegramente con mia madre come se fossero amiche da sempre.

"Lo adoro Fabien! E adoro tutto!" Strepita Charlotte alla vista del quadro. "Non so come ringraziarvi."

"Mangia!" Gli fa eco Lukas, avvicinandole un cucchiaio di hummus che lei accetta con piacere.

Benjamin si siede fra me e il mio uomo, ci guarda sornione e so già dove vuole andare a parare. "Non abbiamo ancora dato nessun invito ufficiale, aspettavamo che tornaste per farlo." Rispondo serafica. "Viviamo insieme e stiamo bene."

Si scambia una veloce occhiata con Richard e torna su di me. "A me sembra dimagrito."

"Oh non torturarla Ben, mi tratta come un principe."

"Sentito?" Blatero indispettita. "Sono un'ottima cuoca."

"Prendo da bere, scusatemi." Richard si divincola da altri possibili imbarazzi e mi lascia sola con lui.

"Ti trovo meravigliosamente bene." Esordisce con voce dolce. Mi è mancato tanto, lo abbraccio e sospiro. "Sono felice per te e per voi se è la cosa giusta."

Guardo il mio uomo conversare allegramente con lo zio e con Raymond, muoversi sicuro e sinuoso e penso che sono veramente certa della mia scelta.

"Stai bene anche tu. Come è andato il viaggio?"

"Tutto bene, considerando il mio pessimo approccio con tutto ciò che riguarda cose galleggianti."

"Ben!" Sorrido. "Ti ho infilato qualcosa in valigia, non l'hai trovata?"

"Ho perso anche quella, Najla, ad un certo punto credevo di vivere in un incubo!"

Scoppio a ridere e resto lì ad ascoltare le loro avventure in Marocco terra di nostra madre, qualche aneddoto nel ritrovare il ceppo degli Aassid da cui discendeva nostro nonno Ahmed e la descrizione degli incantevoli paesaggi italiani, immergendomi in un sogno, quasi.

"La mamma mi ha detto che sei stata a Londra." Chiede a fine racconti, con la curiosità di un bambino. "Me lo hai fatto lavorare questo ragazzo o avete pensato solo a stravolgere la vostra vita?" Richard è tornato fra noi e ride di gusto alla sua battuta.

"Ho voluto mostrarle qualcosa di ciò che le spetterà in futuro." Mi stringe affettuosamente la mano mentre parla, lo guardo affascinata.

Ben lo fissa serio. "Hamilton credo di capire qualcosa che mi genera una certa ansia."

"Ansia?" Strepito. "Non eri tu quello che mi esortava a cercar marito?"

Gli do una leggera spintarella, Charlotte lo intercetta accogliendolo fra le sue braccia e scoccandogli un bacio sulla guancia. "Smettila di torturare tua sorella." Dice poi in tono affettuoso; la osservo, ha un bel colorito sano, occhi luminosi e un sorriso armonioso. Guardarla mi ha sempre trasmesso una certa serenità, non faticando a cercare il motivo per cui mio fratello, l'adori così tanto. "Non ha fatto altro che parlare di te, giuro. Chiedeva costantemente tue notizie, quando riuscivamo a metterci in contatto con Deesire." Scuote il capo, poi lo fissa. "Il mio orso dal cuore tenero."

Benjamin bofonchia ma si prende tutti i baci che Charlotte gli ruba. Richard si gira a guardarmi, schiccandomene uno veloce sulla labbra.

Il sospiro della mamma ci fa separare per l'imbarazzo, spero non se ne esca con qualche commento strappalacrime.

"Chi vuole una fetta di torta alle fragole?"

Ben alza la mano, impegnato a perlustrare con le labbra il collo della sua bella, la mamma sospira ancora, voltandosi verso me e Richard.

"E' una goduria che dovresti assaggiare." Gli dico con voce sicura.

"Come tutte le altre, del resto." Allunga la mano verso la mamma che si scioglie al suono della sua voce profonda; quando vuole sa come far capitolare una donna ai suoi piedi. Credo questa cosa mi irriti, annuisco e prendo la mia porzione con un pò di riluttanza. "Deesire, proprio l'altro giorno mi chiedevo se fosse possibile creare un connubio fra il cioccolato e la menta, sottoforma di dolce." Benjamin e Charlotte si dividono e lo fissano, io guardo la mamma gongolare e poi riflettere. "Ma forse è un'idea un pò folle."

"Tutt'altro." Risponde la donna di getto. "Qualche tempo fa, dicevo a Fabien la stessa cosa. Mia intenzione è quella di rinnovare qualche ricetta e farmi venire una buona idea innovativa; ora che la sento dalle tue labbra non la trovo più così folle, Richard. Sto sperimentando un nuovo tipo di biscotto, molto più simile a una meringa, se vuoi passare in laboratorio uno di questi giorni potrei provare a riprodurla con l'aggiunta di menta e cioccolato e sentire il tuo parere."

"Ne sarei felice." Poi mi guarda. "Potrei chiamarlo, Najla?" Chiede a me o alla mamma non lo so, perchè continua a guardare me ma credo si riferisca alla nuova invenzione della mamma. Il suo sguardo mi imbarazza, carico di passione e amore e del nostro segreto che porta sulle labbra quei due gusti.

"Considerando che è l'unica della famiglia alla quale non ho ancora dedicato un dolce, direi di sì."

"Non hai il tuo dolce, mia bella?!" Chiede poi melenso, abbracciandomi da dietro.

"Ho tante sfaccettature, lo hai detto anche tu. La mamma è dello stesso avviso, dice che non c'è un solo gusto che mi rappresenti. Considerando quanto sia perfezionista, sono felice non si sia data anche questa pena." Deesire mi guarda con affetto, accarezzandomi la mano.

"Con la Charlotte sono felice anche io di non averti dato pena, Deesire!" L'omonima ride e noi insieme a lei.

"Siete tutti speciali per me, non basterebbero i dolci per dimostrarlo!" Ecco il discorso strappalacrime, penso.

Ben è del mio stesso avviso, ci scambiamo una rapida occhiata e subito l'abbracciamo.

Fabien ci guarda come un angelo custode, con Lukas che mangia la sua torta in braccio e lo sguardo fiero della sua famiglia.

Ad un tratto sento la mano di Richard sulle mie spalle, giro il viso e lo trovo inginocchiato; la mia testa ruota di nuovo verso la mamma, nei suoi occhi entusiasti. Mi sussurra di alzarmi, prestandomi le sue mani come supporto. Mentre mi alzo la testa gira vorticosamente, scorgo appena i volti di Benjamin e sua moglie, sento distanti i respiri, come se fosse tutto bloccato. Lentamente torno su Richard, mi accorgo che nel palmo della sua mano c'è un piccolo astuccio quadrato e bombato di color rosso vivo. Sussulto. Lo spinge delicatamente verso la mia direzione, lo tocco e meccanicamente lo apro.

C'è un bellissimo anello con diamante, riproduzione perfetta di tutti i sogni che ho fatto da bambina.

Sto per piangere, ma respiro molto a fondo, con la mano tremante sulle labbra.

"Najla Louise Chedjou, vuoi condividere il resto dei tuoi giorni insieme a me?"

Un richiesta non convenzionale, riesco lucidamente a pensare. Poco convenzionale, come questo bellissimo uomo che attende una risposta trepidante.

Sorrido sicura. "Lo voglio, Richard Hamilton." E nel silenzio dell'attesa, sfila l'anello dall'astuccio e lo deposita lungo il mio anulare sinistro; un raggio di sole centra il diamante dal taglio quadrato, che sembra una goccia di rugiada posata delicatamente sul mio dito. E' bellissimo e sono senza parole.

Mia madre è la prima ad alzarsi e venirmi a stringere forte. "Je t'aime, je t'aime. Ma cheriè je suis si heureux!"

"J'ai aussi maman! Il mio cuore potrebbe scoppiare da un momento all'altro!"

"Lascialo intatto per quel giorno." Mi sussurra Benjamin, abbracciandomi forte, quasi a sollevarmi da terra. "Congratulazioni, sorella, sono molto felice per te." Sento le sue guancie umide e un calore molto forte avvolgermi, quando ci stacchiamo leggo nei suoi occhi serenità. "Sarei onorato di accompagnarti all'altare, quel giorno." Faccio sì con il capo; la mia roccia al mio fianco, non posso chiedere di più.

Uno ad uno si alzano anche gli altri, Raymond con un inusuale luccichio nelle pupille accompagnato da una radiosa Catherine; ci guardiamo senza sentire il bisogno di dirci altro, la felicità di suo figlio è riflessa nelle sue pupille, so che mi è grata e che in qualche modo anche quel burbero di Raymond lo è, perciò mi prendo il loro abbraccio silenzioso e penso di essere io grata a loro, per aver messo al mondo il mio futuro marito.

Lukas è il più perplesso. "Quindi ti sposi anche tu, Najla?"

"Si piccolo mio, sei felice per la tua sorellona?"

"Io quando mi sposo?" Chiede preoccupato.

La mamma e Fabien ridono. "Oh non preoccuparti non tanto presto." Gli dice l'uomo affettuosamente.

"Menomale.." risponde il bambino accigliato. "I matrimoni sono noiosi."

"Già." Rispondo, scoppiando a ridere e piangere insieme.



Sapevate tutto e non mi avete dato neanche un indizio?"

Chiedo all'imbrunire, quando tutti siamo stipati fuori al cancello del parco, chi intento a recuperare il biglietto della metropolitana, chi a caricare l'auto.

"Richard è stato molto bravo." Risponde la mamma sorniona. "Si è presentato a casa nelle sue vesti più eleganti, ha chiesto di Fabien e ha fatto una proposta con i contro fiocchi. L'idea del pic-nic è di Charlotte invece." La guardo, nasconde il viso imbarazzato dietro il ciuffo di capelli scuri. "Benjamin ti ha fatto credere che sarebbero stati a Parigi solo nel pomeriggio, ma è da questa mattina che prepara cose per far uscire fuori questa splendida giornata."

Li guardo tutti, le parole non riescono ad uscire dalla mia bocca. "Volevo fosse tutto perfetto, Najla Louise." Interviene Richard con il suo piglio deciso.

"Ti è riuscito molto bene." Rispondo dolcemente.

>"E così la tua mamma ti aspetta per buttare giù qualche bozza per i preparativi." Deesire e i suoi sogni interrompono i nostri sguardi carichi di patos. "Ovviamente cari Hamilton dovremmo organizzare molto presto una cena di fidanzamento ufficiale, possiamo farla a Mont.."

"Alt!" Protesto. "La cena avverrà nel Marais. Sono ben accette ricette e consigli ma.. il matrimonio si farà come, dove e quando decideremo noi."

Mia madre annuisce bonaria. So che nonna Clorine volle dettare legge all'epoca del suo e non ci riuscì così tanto, credo quindi sia felice del mio intervento.

Catherine sorride sotto ai baffi. "Sarei lieta di offrire il mio supporto in quel caso."

La guardo sfinita. "Catherine cara, non sai in che guaio stai per metterti. Questa donna è instancabile."

"Smettila di fare la guastafeste!" Mi rimbrotta Richard. "Avremo la più sfarzosa festa di fidanzamento,. A dieci portate, se tua madre o la mia lo desiderano! Hai già carta bianca sul matrimonio, non tediare troppo chi ti sta attorno, Najla Louise."

"Bravo Richard Hamilton!" Mio fratello paccheggia la sua spalla. "Stai già parlando come un marito."

Guardo supplichevole Charlotte che alza le spalle. "Il segreto è farglielo credere." Sussurra, strizzandomi un occhio

Credo dovrò arrendermi alla sfarzosa festa di fidanzamento. "Secondo la tradizione di famiglia Hamilton ,il fidanzamento va celebrato nella tenuta di Canterbury. Saremmo più che lieti avervi quali nostri ospiti, per una seconda festa." Raymond aggiunge il carico, sorridendo sornione della mia sciagura; sono certa non aspettasse altro. "Najla Louise, quale futura sposa di mio figlio, dovrai attenerti a delle piccole noie burocratiche di cui discuteremo in seguito."

Lo guardo perplessa, Richard interviene in mio soccorso. "Adesso non credo serva caricare Najla di troppe preoccupazioni. Preoccupiamoci delle feste e successivamente dei preparativi, da quì.. a un anno, se la mia fidanzata è d'accordo."

Ti sposerei oggi stesso, penso ma non lo dico. "Mi piacerebbe sposarmi nella stessa chiesa dove sono stata battezzata Richard, quindi affidandoci alla sua disponibilità credo che un anno sia un tempo più che logico." Deesire e Catherine annuiscono, Raymond ha la testa su Canterbury e Fabien mi sorride, unico complice in quel mare di pizzo, feste, etichette e cibo.

"Sta bene. Adesso che ognuno ha il suo compito bisognerà soltanto collaborare al finale." Mi prende per mano e guarda gli altri. "Porto via la mia futura sposa, prima che le venga un collasso da stress preventivo."

Non mi lascia neanche il tempo di salutare nessuno, mi trascina verso la metropolitana ridendo divertito.

"Togliti quel sorriso compiaciuto dalla faccia, Hamilton!" Strepito nel vagone mezzo vuoto. "Due feste! Neanche fossimo principi."

"Non principi, ma conti Najla Louise." I miei occhi si allargano, come al solito ho dimenticato il dettaglio più importante e adesso finalmente, le noie burocratiche a cui accennava Raymond, sembrano più chiare. "Ti effiggerai del titolo sposandomi, credo tu abbia capito che vorrà farti firmare degli accordi pre-matrimoniali o qualcosa del genere." Faccio già un enorme fatica a digerire la faccenda del titolo, parlare di accordi alle soglie di un giorno tanto desiderato, mi fa salire la bile in gola. "Non glielo permetterò sta tranquilla." Le sue parole così sicure non sortiscono l'effetto calmante sperato.

"Perchè non mi hai permesso di dirgli quattro parole?"

"E rovinare questo giorno di festa?!" Domanda. "Non credo. Quando saremo sposati tu sarai sotto la mia protezione, non dovrai farti più carico di certe cose."

Lo guardo severa. "Richard, non ho nessuna intenzione di perdere la mia identità. Non mi importa chi sei, io resto ciò che sono."

"Non ti sto imponendo il mio pensiero, piuttosto ti sto dicendo di appoggiarti a me."

"Questo lo faccio già."

"A fatica, Najla Louise."

"Ti ho detto che Roma non è.."

>"..stata costruita in un giorno, lo so. Ma presto cambieranno le cose, che ti piaccia o no hai detto che vuoi sposarmi." Mi fa scalare dal mio posto per prendermi in braccio. "Allora è ciò che ti aspettavi?" Dice, accarezzandomi il dorso della mano sinistra, distrandomi da Raymond e i pensieri funesti.

"E' ancora meglio." Sussurro. "Cos'è?" Domando spaventata.

Si guarda intorno. "Un Cartier. E' assicurato nel caso tu lo perda o peggio.."

"Peggio?!" Ecco sono definitivamente al collasso.

"Cerca di non farlo scivolare dal tuo dito ne volontariamente ne involontariamente, per il resto davvero, non preoccuparti di nulla."

"Mi fido di te, Richard."

"Lo so Najla, per questo ti amo." Prende il respiro e mi fissa. "Sono andato dal terapista e non te l'ho detto. So che eri impegnata con quella bambina appena entrata nel progetto e non volevo gravare con questa piccola cosa innocua. Una brava persona, hai ragione."

Mi acciglio, ma sono felice abbia mosso i suoi passi da se. "Ti amo Richard Hamilton e sono fiera di te."

Lo bacio e resto a godermi il resto del viaggio sulle sue ginocchia.

Prima di andare a letto, perdo qualche minuto restando a guardare incantata il mio anello. Non è il gioiello di per sè a trasmettermi quella strana felicità sospesa; il senso di ciò che esso rappresenta mi lascia innamorata della vita e divertita dei miei pensieri recenti del genere "io non mi sposerò mai." .

Lo sfilo e lo ripongo con amore nel suo astuccio che è accanto alla foto di mio padre, uno scatto rubato di un giorno qualsiasi, impegnato alle aziende; la loro vicinanza mi fa sorridere il cuore, accarezzo quella foto e spero che lui sia felice della mia scelta, dei miei progressi in generale e di aver finalmente, credo, fatto pace con la sua assenza.


*


Per la seconda volta in questa fanfiction mi trovo a pregare per i francesi.

Il mondo è un posto che sa essere cattivo, tuttavia nessuna notte di paura può impedire a una nuova alba di speranza di sorgere.

#prayfornice

Luna_R

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Menta e Cioccolato



macaron-menta-e-cioccolato1



Capitolo 14.



Parigi Gennaio 1968.



"Il est interdit d'interdire!"


Sembrava divenuto questo, il nuovo motto della popolazione parigina, in questo rigido inverno che sotto alla cenere dei venti passati, nascondeva un calderone di lava bollente, pronta ad agguantare tutta la città. Non erano stati mesi per nulla facili; agitazioni, proteste e scioperi da che radi e irrazionali, sembravano essere sempre più calcolati e mirati. I giornali si facevano beffa di questa gente, l'insatiable li soprannominavano, perlopiù disoccupati provenenti dalle banlieu ormai in esodo causa-effetto della crisi del settore minerario che aveva provocato, dopo un decennio di prosperità, licenziamenti di massa all'ordine del giorno e studenti sempre più autonomi, dalle culture diverse, inventori di programmi radio molto seguiti veri e propri divulgatori di un pensiero libero che trovava terreno fertile anche nell'editoria. Neanche l'istruzione se la passava tanto bene; tutto il sistema cominciava a fremere pigiando sul tasto dell'uguaglianza, sull'abbattimento delle scuole divise per sesso e sopratutto sulla divisione delle classi sociali battendosi per un'accessibilità allo studio non solo per gli agiati che ancora oggi costituiscono la percentuale maggiore degli alunni aventi diritto.

Come Patrick aveva predetto, anche la libertà sessuale iniziava ad essere un tema di dibattito, finora non compresa, nascosta e ridicolizzata a sistemi definiti arcaici e bigotti; non erano inconsuete baruffe da esponenti di estrema destra e facinorosi, tanto che anche chi girava il capo dall'altra parte, doveva per forza di cose rendersi conto che quello sessuale era un movimento attivo e per nulla intenzionato a nascondere ancora i propri diritti di persone civili.



"Il est interdit d'interdire!"


Charlotte mi guarda come volesse carpire da me qualche informazione sulla disputa sotto alle finestre, quest'oggi figurata dagli addetti mensa in protesta nei giardini del Salpétriére. Si tocca la pancia appena prominente del quinto mese di gravidanza susurrando a se stessa e al bambino di avere coraggio.

La ginecologa Ines Bureau fa capolino nella stanza ecografica e fa un sorriso che sembra illuminare la stanza.

"Buongiorno dottoressa Chedjou. Buongiorno Charlotte, come stai?"

La donna ci stringe le mani e nell'attendere una risposta da mia cognata si lava le mani per poi preparare gli arnesi medici per l'ecografia in cui, speriamo, si scoprirà il sesso del nascituro. Il mio futuro nipotino o nipotina! Sono al settimo cielo, la mamma di Charlotte e Deesire hanno voluta accompagnarla ma presto temo dovrò raggiungerle perchè le sento starnazzare sul corridoio oltre la porta, probabilmente in estasi quanto me.

"Molto bene dottoressa, una lieve nausea persistente ma Deesire mi ha spiegato di essere stata molto fortunata a non subirle prima."

"Oh già." Le fa eco la donna, pregandola di spogliarsi. "Quelle dei primi mesi sono forti, ricordo che ne sofrissi poco o nulla, difatti."

Charlotte ubbidisce, la guardo. "Vuoi che aspetti quì prima che arrivi Benjamin?"

"Se non ti dispiace, sì Najla. Sono così emozionata che sto tremando di paura!" Ride isterica, la prendo per mano e cerco di tranquillizzarla.

Sapesse che maremoto sento dentro al mio cuore!

Per fortuna Benjamin arriva da lì a poco. La dottoressa ha soltanto applicato il gel liquido sulla pancia di Charlotte che appena lo vede entrare sussulta, mollando la presa dalla mia mano. Indietreggio leggermente, accarezzo la spalla di mio fratello e faccio per andarmene.

"Allora è maschio o femmina?!" La mamma strepita quando mi vede uscire, sorrido sendendomi accanto a loro.

"Non lo so. Siamo solo all'inizio, ce la farai a tenere duro?" Le chiedo e mi risponde ridendo sotto ai baffi.

"Sarà una femmina Deesire.. e con un bel caratterino per giunta! " Priscilla Ruben, scuote i morbidi capelli castani e per un attimo vedo i bellissimi tratti somatici di Charlotte. "Siamo alla seconda ecografia e si fa ancora desiderare!"

"Tuo fratello era così teso. Aveva la faccia bianca come queste pareti.. il mio ometto dagli occhi come pozze, pensa che frugoletto fantastico Priscilla, i capelli mossi di Charlotte e gli occhi verde-azzurro di mio figlio!"

Priscilla annuisce gongolando. Credo che restare nella stanza assieme ai quasi genitori sarebbe stato decisamente meglio e nel pensarlo mi scappa da ridere.

"Che hai da ridere? Un giorno sarai al mio posto o in quello di Charlotte e allora si che saranno guai!"

Il pensiero mi addolcisce. Il nuovo anno è giunto e con se il matrimonio con Richard.

Siamo riusciti ad ottenere una concessione con la chiesa per il mese di settembre. Poco più di anno come sperato e la buona stella su di noi, mi fa ben sperare.

La convivenza procede a gonfie vele, non un attimo di sussulto, seppur condita dai repentini cambi d'umore di Richard che ha fatto comunque della terapia un'abitudine consolidata. "Vedremo." Rispondo trasognante, ma con i piedi ben piantati a terra.

La mamma non ribatte ma mi guarda con la dolce speranza di veder avverare presto i miei desideri più intimi.

Benjamin interrompe il flusso sognante, apparendo sull'uscio con il respiro ansimante e lacrime di felicità appese agli occhi.

"E' un maschio!" Ulula, andando incontro alla mamma per stringerla forte.

Un maschio, realizza il mio cervello, un mini Ben da amare. "Un petit Ben! Auguri fratellone.." sussurro al suo orecchio, abbracciandolo.

"Spero sia meglio di me." Dice con l'emozione negli occhi. "Charlotte chiede di te."

Annuisco ed entro nuovamente nella stanza. La dottoressa Bureau fissa le immagini nel monitor è di spalle mentre Charlotte mi guarda piangendo; per un attimo penso al peggio poi la collega si gira e guarda la ragazza bruna. "E' tutto ok, puoi rivestirti cara." Respiro e mi avvicino, aiutandola a ripulirsi.

"Oh mia dolce ragazza, tuo marito è impazzito di gioia!"

"Un maschio.." sussurra con la voce strozzata. "Ho più paura di quando sono entrata." Ride ed io con lei.

"Ti ci abituerai. Sei una donna così dolce che il tuo sarà il bambino più buono e più bello del mondo."

Mi accarezza il braccio e finito di vestirsi scende dal lettino. "Grazie Najla, per tutto quanto." Scuoto il capo ma lei continua a guardarmi. "Sai.." sussurra come se si vergognasse dei suoi pensieri. "Ho sognato vostro padre Aurelien la scorsa notte. Ed era un sogno così' vivido che stamane mi sono detta.. sarà un maschio me lo sento."

Sento i brividi corrermi lungo le braccia. "Lo hai raccontato a Ben?"

"Non ancora. E' scappato a darvi la notizia." Ride di un bel sorriso. "Un maschio, il suo piccolo trofeo o qualcosa del genere."

"Già." Ammetto ridendo a mia volta. "C'è altro che vuoi dirmi?"

"Spero mi assomigli!" E si rimette definitivamente in piedi, ridendo gaia.


*


L'immobile sulla Rue Sait Honorè che aveva visionato all'inizio dell'inverno e che era appeso in trattativa con dei magnati tedeschi, si è liberato dall'affare sfumato per una non definita clausola. Il cuore martella nel petto più forte del previsto, è abituato a certi schemi e a certi giochi ma quest'oggi è più teso di una corda di violino. Certo c'era appeso pur sempre il suo futuro e quello di Najla ma difatti questo poteva essere solo uno dei tanti immobili per cui avrebbe potuto contrattare e quest'ansia era riconducibile senza dubbio alla sua rinascita; questo sarebbe stato il primo gesto da altruista in tutta la vita vissuta fino ad ora, il suo analista glielo aveva spiegato così e lui conveniva che avesse ragione.

Per un qualche motivo Najla era riuscita la dove egli stesso si era sempre auto-punito e doveva rendere merito a quella donna di averlo inanzitutto supportato e spronato a tirare fuori il meglio che possedeva. L'analisi era un momento intimo in cui era riuscito piano piano a raccontare anche di come era riuscito a conquistare la ragazza, del piano diabolico con suo nonno e dell'improvviso amore che gli era scoppiato nel cuore. Insieme parlavano tanto delle parole e del modo con cui dire alla ragazza la verità perchè era chiaro che Richard era provato dalla sua stessa menzogna. Si erano detti che quel momento sarebbe arrivato. Oppure no. L'importante era non mistificare il suo sentimento con quella menzogna e Richard era più che certo che i suoi sentimenti fossero qualcosa di puro e di così bello da avere paura di perderli.


"Dottor Hamilton è il suo turno."


Una segretaria giovane e con i capelli raccolti lo chiama dalla sala d'attesa, attreversa il piccolo spazio che li divide ed entra nell'ufficio del proprietario, accompagnato dall'agente di vendita. I suoi occhi volano subito alla stanza, un pò troppo cupa per i suoi gusti, immaginandola già trasformata con il suo arrivo. "Buongiorno dottor Leclerc."

Stringe la mano all'uomo ben vestito e profumato che ricambia con vigoria. "Buongiorno, s'accomodi."

Sfodera il suo sorriso migliore e prende posto su una delle poltrone di pelle nera al tavolo centrale.

"La mia segretaria mi ricordava che ci fossimo già incontrati. E' stato questo inverno vero?"

"Sì signore, Novembre per la precisione. Le ho fatto una proposta che ha gentilmente rifiutato."

L'uomo abbozza un sorriso. "Mi piacciono gli uomini precisi, dottor Hamilton. A quanto ammontava la proposta?"

"Un milione di franchi, signore. Ma non credo che fosse questo il motivo del suo rifiuto."

"I tedeschi erano pronti ad offrirmi almeno il doppio." Lo corregge.

"E dove sono adesso?" Cerca di stemperare la tensione, risultando affabile e divertente, l'altro sembra gradire perchè sorride.

"Diciamo che si sono rivelati molto esigenti e poco precisi. Ma tornando a noi, cambiato idea sulla cifra?"

Richard incrocia le mani davanti a se, torna serio e calibra il tono di voce. "Sono disposto ad aggiungerne duecentomila considerando che alla proprietà manchino un garage privato e che l'appartamento stesso ha senza dubbio bisogno di una miglioria per il genere di idea che mi frulla per la testa. "

"Se non sono indiscreto di che genere di idea si tratta?"

Richard sorride sghembo. "Se divulgassi le mie idee a quest'ora sarei povero. Con tutto il rispetto, dottor Leclerc, credo di averla ingolosita e che stia facendo di tutto per tenermi sulla corda. Siamo in uno dei quartieri esclusivi di Parigi e non posso darle torto ma sappiamo benissimo entrambi che queste sono solo mode passeggere, chi lo sa magari un giorno ci troveremo a discutere di affari al Ternes, per quanto mi riguarda."

"La moda del Saint-Honorè è una moda che va avanti da parecchi decenni, con tutto il rispetto dottor Hamilton, non vorrei che svalutasse l'importanza di ciò."

"Assolutamente. Tutte le mattine sorseggio caffè nel Marais, ho adocchiato due-tre soluzioni possibili per il mio progetto, eppure sono quì a trattare con lei." Prende il respiro, si sbottona la giacca e sorride. "Come vede ho grande rispetto delle gerarchie della città. Città che ritengo una seconda casa fra l'altro e che mi rende davvero molto entusiasta. E curioso, molto curioso." Cerca di accattivarselo, quello non risponde subito, si scambia una veloce occhiata con l'agente che prende parola al suo posto.

"La sua offerta non raggiunge nemmeno il doppio della richiesta dottor Hamilton, lei capisce che una svalutazione ci sarebbe in ogni caso?"

"Tratteggio molto spesso signore, non sarei dove sono se non sapessi che le vostre percentuali gonfiano e non poco la richiesta." Sorride a più riprese sopratutto per il leggero sussulto del capo di Leclerc e prosegue. "Sono sicuro che se chiudeste la vendita a un milione e duecentomila franchi il signore quì difronte a me sarebbe già più che soddisfatto e lei con la promozione in tasca." L'agente arrosisce ma tergiversa.

"Non c'è che dire ha una bella parlantina. Ma quì non siamo ne io ne lei a dettar conti, l'utima parola spetta comunque a Leclerc."

Richard si posa con lo sguardo sull'uomo che non tradisce la minima espressione. "Mi lasci il tempo per pensarci." Dice sterile, senza emozioni.

Sorride, leccandosi le labbra. "Le lascio quarantotto ore, dottore, dopodichè volgerò lo sguardo per altri lidi." L'agente risentito della sua risposta gli ricorda che i giorni per valutare l'offerta sono almeno tre, da contratto. "Credo che a tutti prema di concludere un buon affare il prima possibile, no? Comunque, non sarò certo io a tirarmi indietro davanti alle regole."

"Esattamente, dottor Hamilton." Risponde Leclerc con voce sicura. "Le darò una risposta entro tre giorni."

Richard inspira. "Come preferisce." Si alza richiudendosi la giacca, i due uomini lo imitano. "Signori a presto."

"A presto dottor Hamilton." Risponde l'agente trafelato e impacciato.

Leclerc si prende qualche secondo squadrandolo per bene. "Arrivederci."

"Arrivederci." Risponde voltandosi poi verso l'uscita.


Maximilianne è in strada che lo attende, in macchina ci sono suo padre e sua madre pronti per un primo giro di ricognizione per l'abito da cerimonia.

"Allora come è andata?" Raymond si è fatto crescere la barba da quando è a Parigi, la sua immagine va trasformandosi in bohemien con il passare del tempo e questo fa letteralmente impazzire di gioia Catherine che sembra tenersi in piedi nonostante l'aggressitività della cura.

"E' un osso duro. Non so se cederà." Sospira squadrando il palazzo dal basso verso l'alto, dove scorge la magnifica terrazza con vista tetti di Parigi; ne era stato colpito subito, Deesire Bonnet poi aveva fatto il resto incantandolo con i racconti di quando viveva fra i nobili del quartiere con il defunto marito Aurelien; era un bel quartiere, tutto esaltava classe e magneficenza, il perfetto nodo di scambio se si trattava di affari. Da ogni angolo lo guardasse esso trasudava il potere del denaro e del successo.

"Hai in mente qualcos'altro?" Chiede Catherine.

"Potrei spostarmi un pò più a nord o restare nel Marais, ma se devo dirla tutta non voglio rinunciare ancora a questa idea."

"Sei molto testardo figlio mio." Replica Raymond con un mezzo sorriso. "Sono sicuro che arriverete ad un accordo."

Richard annuisce. "A questo punto spero solo che i tedeschi non ci ripensino e mi soffino l'affare."

"Ho sentito grandi cose su questo Leclerc. Dicono sia stanco della sua attività di avvocato e che voglia impegnarsi in altro, ergo, ha fretta di vendere. Valuterà i pro e i contro e sicuro sentirai parlare di lui molto presto." Poi si tocca la barba, gli occhi allegri. "Se è tignoso come ho sentito dire a quei tedeschi non resterà che la birra!" Scoppia a ridere e Richard si sente ricaricato da quest'improvviso ottimismo del padre.


"Oh Richard caro, questo ti sta decisamente bene." Soffia Catherine dalle comode poltrone dell'atelier. "La camicia satine trovo stoni un pò, non avrebbe un altro tessuto da fargli provare?" Lo smocking è già perfetto da se ma sua madre ha ragione, il satin non è decisamente la stoffa migliore.

La donna torna con altre camice bianche, ma quella che lo colpisce è una con un leggero ricamo di rose in superficie; la tocca e la donna gliela consegna per fargliela provare. Quando esce sua madre sussulta e anche egli è colpito dalla brillantezza e la luce che essa dona al suo smocking tre pezzi.

"Vorrei cambiare la giacca da una a due bottoni, lunga possibilmente." La donna annuisce, si avvicina al campionario ma Richard la segue. "Deve avere i reverse in contrasto, lucidi."

"Papillon?" Domanda la donna sul filo dei gusti dell'uomo.

"Sì. Nero e di velluto."

Indossa il gilet e quando la commessa si avvicina lo aiuta ad infilarsi la giacca e sistemare il papillon; si volta verso entrambi i genitori che ammutoliscono.

"Deduco che gli piaccia." Fa un sorrisetto verso la signora che annuisce accondiscendente.

"E' di prima sartoria italiana, signore." Stringe la giacca sul fianco e indica l'orlo ai pantaloni. "Per le modifiche ci vorrà qualche tempo, se è d'accordo nella scelta prendo i suoi dati." Richard fa una mezza piroetta laterale, poi si ferma alla sua immagine intera; sarà uno sposo.

Questo pensiero lo eccita e impaurisce allo stesso tempo, resta immobile come sospeso; Catherine legge i suoi occhi riflessi nello specchio, silenziosamente chiede a Raymond di aiutarla ad alzarsi, per raggiungerlo. Gli accarezza la schiena e il contatto con il tessuto morbido del vestito la fa sorridere.

"Può lasciarci da soli?" Chiede cortesemente alla signora che si ritira senza fiatare.

"Sei impeccabile." Esordisce. "Ma da te non mi aspettavo altro figlio mio. Tu hai sempre dimostrato di sapere cosa è giusto per te. Anche stavolta non potevi renderci più felice; Najla è deliziosa, intelligente, di buon famiglia e.."

"Mamma.." borbotta con voce tenera. "La amo davvero e non ho alcun ripensamento."

"Ah, bene." Sospira, provocando in Richard un risolino. "Allora che c'è? Questo vestito parla da sè."

"Voglio essere il migliore per lei." Afferma impettito.

"Lo sei." Raymond li raggiunge, posando anche la sua mano sulla sua schiena; le sue dita sfiorano impercettibilmente quelle di Catherine che lo guarda piena di orgoglio. "Ma questa camicia non la sopporto." Richard alza gli occhi al cielo e sorride.

"Credo opterò per un bianco semplice, difatti." Afferma convinto. "Grazie.. papà."

Raymond paccheggia il suo fianco e i suoi occhi scintillano. "Vorrei che indossassi i gemelli del primo Conte con il tuo nome.." apre una scatoletta di velluto blu e gliela passa. Richard resta impietrito dinnanzi i vecchi gioielli del suo bisnonno che brillano di luce propria, sotto le luci soffuse dell'atelier. "..e domandarti se hai riflettuto sull'invito rivolto a tuo nonno." Alza il sopracciglio, l'emozione smorta sulle sue labbra, lo sguardo severo sul genitore.

"Non sarò io a impedirgli di presenziare." Conferma. "Tuttavia non voglio scandali il giorno del mio matrimonio."

"Ovviamente." Borbotta Raymond trafelato. "Gli parlerò e sederò gli animi, nessuno vuole la forca pubblica, nemmeno tuo nonno arriverebbe a tanto!"

Catherine sussulta poco convinta e impaurita. "Perchè non parli apertamente con Najla e le dici come sono andate le cose?" Il suo intervento agita il marito e le mani di Richard che si stringono a pugno. "A questo punto è chiaro come il sole che il vostro amore è sincero e forte."

"Quale idiozia, Catherine! Hai idea di cosa succederebbe?" Spara Raymond, agitato.

La commessa appare richiamata dallo schiammazzo, Richard fulmina entrambi i genitori che tornano a sedersi. "Vorrei provare una camicia bianca di cotone con abbottonatura nascosta, per favore." La donna acconsente procurandogliela in pochi secondi; con il completo e i gemelli del bisnonno poteva dirsi soddisfatto della sua scelta. "E' perfetto, così com'è. La prego di spedirlo all'indirizzo dei miei genitori. Ci aggiunga una calzatura italiana di pelle morbida nel quaratatre e un foulard per il taschino a contrasto."

"Sarà fatto."




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Seduto alla scrivania del piccolo ufficio che Benjamin aveva ricavato per lui, Richard non riesce a pensare ad altro che alle parole di Catherine sul confessare a Najla la verità; in realtà il suo terapista in modo molto soft lo stava indirizzando sulla medesima pista e il pensarci più assiduamente del solito, iniettava in sè una certa fiducia inanzitutto del riuscire a pronunciare certe cose e poi sulla buona riuscita. Il pensiero di perdere Najla si era fatto via via sempre più insopportabile, chiaro era divenuto lo scopo che la sua venuta aveva dato alla sua vita. I soldi e il potere sembravano così effimeri dinnanzi al potere dell'amore.. l'amore. Così senza pensarci troppo, decide di chiamarla per invitarla a cena e dirle tutto.

"Richard hai una chiamata in linea." Non si è accorto di Anne sull'uscio che indica il telefono. "Dal Claridge. Vuoi che la prenda io?"

Alza gli occhi al cielo, ancora il dannato direttore e le sue telefonate di circostanza, sicuro con la scusa degli auguri per l'anno nuovo.

"La prendo io." Borbotta, impugnando la cornetta. Anne retrocede e chiude la porta. "Sì, sono Hamilton."

"Ri-richard?" Una voce femminile, piccola e spaventata lo accoglie dall'altro capo. "Sono Lydie."

Si scioglie il nodo della cravatta, istintivamente, sentendone uno prepotente in gola. "Tutto bene?"

"A dire il vero vorrei parlarti, Richard. Appena puoi ti prego. Ho bisogno del tuo aiuto."

Controlla l'orologio; la verità avebbe potutto aspettare, dinnanzi all'eternità che avrebbe vissuto insieme a Najla. Sospira.

"Posso essere lì fra un'ora se per te va bene."

"Va bene." Riamrca lei, la voce sempre più angosciata. "Ti aspetto in sala d'attesa."

"Ma come, non rischi il posto stando lì?"

"Richard..non lavoro più al Claridge, da questo inverno."

Non sa cosa dirle, intuisce il nocciolo della conversazione e si rilassa. "Ok Lidye, mi farò venire in mente qualcosa."

La sente ridere ma una risata isterica per poi chiudergli la cornetta in faccia. Una ragazza strana, pensa. Una ragazza molto strana.

Un'ora dopo è nella hall; viene investito dai ricordi dell'incontro con i conti e questo fa sì che regali generosi sorrisi a chiunque passa e si ferma a salutarlo. La coppia di anziani non è in hotel ma in viaggio gli fanno sapere, volta il capo e scorge Lidye accomodata su una poltrona, in sala d'aspetto.

Ha un grosso borsone sulle ginocchia, sfoglia una rivista e il suo volto sembra molto sereno al contrario della sua voce al telefono; la donna alza impercettibilmente il capo e si accorge di lui che le va incontro prima che si alzi. Non arriva in tempo, spostando la borsa Lidye fa forza sui braccioli per alzarsi e la sua visione in toto lo fa vacillare sulle gambe.

"Lo so, ti prego non svenire, avevo bisogno di te!" Stridula con una vocina che lo fa rientrare in possesso delle sue facoltà respitorie e motorie.

Richard le passa il braccio alla base della schiena, accompagnandola verso l'ascensore. "Saliamo nella mia stanza, potremo parlare con più tranquillità."

"Hai ancora la tua camera?" Chiede, senza ricevere risposta.

L'uomo si avvicina al concierge che gli consegna le chiavi e senza dire una parola si appresta ad entrare nel vano ascensore.

"E' mio?" Domanda a bruciapelo una volta in stanza, le labbra tremanti. Il solo pronunciare quelle parole gli fa salire i conati; si dirige in bagno, non riuscendo a trattenersi.

"Mio Dio.." esala lei, cianotica e disperata; cerca di aiutarlo a ripulirsi, ma lui la blocca.

"Mio Dio.." le fa eco, quando il loro riflesso è centrato nello specchio del lavabo, dove si sciacqua il viso con acqua fredda.

"Non lo so." Esordisce lei, tornando in stanza per scoppiare a piangere.

Richard lancia malamente la salvietta in terra e la raggiunge. "Cosa significa che non lo sai?" Non ha la voce dura e del resto non riuscirebbe ne desidererebbe scagliarsi contro di lei, ha solo una folle paura.

"Sono incinta di otto mesi, Richard." Risponde, leggendo negli occhi dell'uomo il veloce calcolo della loro tresca passata; poi la fissa e lei abbassa gli occhi. "Frequentavo un altro uomo a quei tempi. Quando ho scoperto di aspettare il bambino mi sono convinta che potesse essere il suo, era così felice..finchè non ha saputo della nostra tresca e se l'è data a gambe." Il volto di Richard è contratto da una smorfia terrificante e subito dopo da un sorriso amaro. "Non so dove andare, non posso gravare sulla mia famiglia e l'altro mi ha lasciato un debito con l'affittuario che non riesco a sanare."

"Sei certa di non sapere chi sia il padre?" Domanda ancora una volta, guardandola intensamente con occhi tristi.

"Non lo so." Risponde umiliata dalla sua stessa risposta. "Ma non sarei quì se non avessi davvero bisogno di te. Hai detto che volevi aiutarmi, no?"

"Certo che l'ho detto!" Tuona, passandosi una mano nei folti capelli neri. "Ma un figlio.. io.. io sto per sposarmi!"

Lidye abbassa ancora gli occhi. "L'ho letto nel giornale scandalistico in sala d'attesa." Sospira. "Mi dispiace piombare nella tua vita con una notizia così forte, non voglio ricattarti o quel genere di cose che starai pensando, mi serve solo un aiuto economico, Richard, al resto penserei io." Dai suoi occhi scende una lacrima, poi un'altra. "Mi sono fatta del male per resistere nel venire a cercarti, tuttavia tu solo puoi aiutarmi."

Il suo volto è ferito ma fiero, tiene gli occhi scuri alti, nonostante le lacrime li appannino e nella testa di Richard risuona la sua proposta di aiuto otto mesi prima; inspira molto forte e le posa una mano sulla spalla. "Mi procurerai l'indirizzo dell'affittuario. Se non hai un posto dove andare, puoi restare quì per tutto il tempo che ti occorre. Io non ci vivo più da un pò." Aggiunge distratto e con il cuore ridotto a brandelli per l'improvvisa visione del volto di Najla sfigurato dal dolore di quella notizia. In pochi istanti medita papabili soluzioni per farla finita ma il lume della ragione torna a fargli visita molto presto, sentendo vivo dentro di se quell'amore così travolgente da dargli speranza di comprensione da parte della donna. "Ti farò avere il contatto di una buona ginecologa, mi sembri trascurata e nella tua situazione non è accettabile questo."

"Grazie Richard." Lidye riesce a soffiare quelle parole con tutto il fiato rimasto. "Quando il bambino sarà nato toglierò il disturbo."

"Una cosa alla volta." Risponde, distratto ancora dai suoi pensieri. "Adesso devo proprio andare." Il volto è di nuovo pallido, le gambe tremanti, si getta fuori dalla stanza senza sapere cosa dire o cosa fare, con il solo volto di Najla come punto cardinale.


*

Sente il suo profumo aleggiare all'ingresso, Najla annusa l'aria come fosse un odore benefico e in un certo senso lo era; la mattinata era stata una di quelle da annotare per tutto il resto della sua vita, il profumo del suo uomo era il degno finale per quella felicità. Si affaccia per salutarlo è di spalle, lo abbraccia da dietro. Sente subito una delle sue mani avvinghiarsi alla sua, il suo inconfondibile calore.

"Bentornato a casa." Soffia attraverso la stoffa della sua giacca. "Ho giusto il tempo di un pranzo veloce, tu hai mangiato, mi fai compagnia?" Richard si volta lentamente, subito le occhiaie nere e circospette intorno agli occhi arrossati la preoccupano; tutte le volte che ha visto quel viso, il mondo ha iniziato a girare. "Ti senti bene?" Sussurra, ingollando saliva come se inghiottisse un sasso.

Lui scuote il capo in segno di diniego. "Ti ricordi di Lidye?" Spara senza meditare troppo sulle parole, poi fa un sorriso sardonico. "Che idiota che sono, certo che te la ricordi."

"Esattamente." Risponde laconica, facendo scivolare le braccia inermi lungo i fianchi. Il suo volto cambia subito espressione. "L'hai vista?"

"Sì Najla, e non per quello che pensi tu." Prende il respiro e inizia a raccontarle della telefonata ricevuta mentre era in azienda e della decisione di ospitarla a sue spese al Claridge. "Non è tutto." Aggiunge mentre la vede agitarsi. Si morde il labbro inferiore per il colpo di grazia che sta per darle. "Aspetta un bambino e c'è la possibilità che sia mio."

"Ho bisogno di un bicchiere d'acqua." La sente pronunciare, vedendola sparire lungo i corridoi della loro casa come se fosse invisibile.

La raggiunge, lo stomaco a pezzi mentre la vede piangere contro i pensili della cucina.

"Non è sicura sia mio." Dice, tentando di giustificare il momento, rendere meno dolorosa la realtà.

"Questo dovrebbe farmi sentire meglio?" I suoi dolcissimi occhi verdi sono un lago dalle acque agitate.

"Nulla sarebbe sufficente a farti stare bene, lo so." Risponde di getto. "Voglio solo parlarne e che tu sappia che sono quì, che non è cambiato niente." Cerca di abbracciarla ma lo blocca, quel viso dolce improvvisamente furente.

"Forse per te, non è cambiato nulla!" Strepita. "Tu che sei abituato ad avere tutto ciò che vuoi; una moglie e adesso anche un figlio a completare il tuo bel quadro." La sua voce non è per nulla ironica, ma affranta e non c'è ombra di speranza. "Oh Hamilton, lo sapevo mi avresti spezzato il cuore.." sussurra infine, singhiozzando come una bambina, lasciandosi scivolare sul pavimento, come una foglia che si stacca dal ramo.

"Ti prego ascoltami.." Richard è su di lei, la tiene stretta nonostante i singulti le squassino il petto e le sue braccia tentino di respingerlo. "Io ti amo Najla Louise, mi senti? Ti amo con tutto me stesso e mai vorrei farti del male!" Non può essere più chiaro di così, i suoi occhi sono gonfi di disperazione e lacrime; sapere che lei non si fida di lui è la sensazione più brutta che avesse mai provato in tutta la sua vita. "Se potessi tornare indietro cancellerei tutto, sparirei dal tuo mondo e dalla tua vita solo per saperti felice. Ho sbagliato tutto, mi dispiace." Le bacia i capelli e resta inerme, abbracciato ad un corpo scosso dal pianto.


"Te ne devi andare." Najla rimerge dall'abisso della disperazione con voce roca, alzandosi dal pavimento.

L'orologio segna le quattro del pomeriggio, Richard non ricorda molto, ci mette un pò a realizzare il tutto. Spalanca gli occhi e nega con il capo.

"Non voglio andarmene."

"Bene, me ne andrò io allora." Va verso lo scalone a cui si aggrappa, come se non avesse forze. "Non seguirmi." Gli intima, vedendoselo alle spalle.

"Najla." La prende di forza per il braccio e la fa voltare, schiacciandosela quasi addosso. "Se io esco da quella porta non avremmo più modo di parlare. E non voglio essere perdonato, ma sto progettando il mio futuro con te e so con certezza che siamo pronti ad affrontare il peggio che questa vita ci offrirà, perchè tu sei innamorata di me e io di te."

"Vorrei avere la tua lucidità. Ma non ce l'ho. Se ti guardo vedo l'uomo che ha spezzato il mio sogno." Si divincola dalla presa, sale le scale e sparisce dietro la porta della camera da letto.

Richard si piega sulle gambe sedendosi sul bordo dello scalino; resta a fissare il corridoio dell'ingresso con un macigno sul cuore; l'avrebbe persa perchè era stato troppo meschino otto mesi prima e l'avrebbe persa quando il patto con Raymond senior sarebbe venuto a galla.

Come poteva biasimarla? Quanto altro dolore sarebbe stata disposta a ricevere?

Le sue gambe snelle gli passano accanto, profuma di vestiti puliti. Ha le spalle ricurve e la testa di capelli bruni ciondola; afferra il cappotto e si drappeggia quell'orribile sciarpa di lana che le aveva regalato a Natale ma che lei aveva amato dal primo istante e sente come se un bel sogno sta svanendo.

"Non voglio perderti Najla." Tuona, alzandosi ma rimendo fermo. Lei alle prese con la chiave nella serratura, si blocca. "Prenditi tutto il tempo che vuoi, ma sappi che non ti lascerò andare via perchè ti amo più della mia stessa vita." Poi le volta le spalle e risale le scale senza dire una parola.

Dopo qualche minuto sente la porta di casa chiudersi con un tonfo sordo.


*

"Dottoressa Chedjou!"

La piccola Lalì, agita la mano dal suo letto, sotto la finestra; il programma di recupero è partito senza intoppi, nonostante la costante presenza degli assistenti sociali guardandola sembrerebbe una ragazzina serena. Suo padre aveva fatto un ottimo lavoro per lei, affidandola alla parente più prossima aveva finalmente accettato l'idea che quella creatura meritasse un futuro dignitoso che lui non era in grado di darle. Richard Hamilton, quale primo benefattore dell'ospedale, si era offerto di pagargli un alloggio nei pressi dell'ospedale per un anno, tempo limite perchè Lalì rispondesse in maniera positiva alla cura e sopratutto tempo utile per sbrigare la pratica dell'affido. Ricordarmi della sua infinità generosità e pensare a lui in questo momento, mi dilania.

Scuoto il capo e mi avvicino a lei, le misuro la temperatura dando poi un'occhiata generale alle nozioni giornaliere sulla sua cartella, annuendo soddisfatta; per il momento reagisce bene ai farmaci che abbiamo confezionato per lei, questo mi strappa un pensiero felice.

"Come ti senti Lalì?" Le chiedo di conferma.

"Abbastanza bene. Ho solo un pò di nausea, ma il dottor Thompson mi ha promesso una fetta di quiche nel pomeriggio."

"Che genere di quiche?"

"Lorreine!" Strepita. "La mia preferita."

"Anche la mia. Converrà che gli strappi anche io una promessa; non dirlo a nessuno ma è un ottimo cuoco."

Lei si porta un dito sulle labbra mimando il silenzio, per poi mettersi a ridere.

"E' stanca, vero?" Mi chiede, mentre passo in rassegna il paziente nel letto accanto al suo.

"Un pò." Abbozzo un sorriso e mi concentro. "Ma perchè penso che tu voglia chiedermi qualcosa?"

Alza gli occhi al cielo per poi sorridere con innocenza e bellezza. "Volevo sapere a che punto era l'organizzazione del viaggio verso la costa azzura."

Un misto di sensazioni mi pervadono l'anima e il corpo; sorrido, per poi intristirmi, per poi tornare felice.

La fondazione Hamilton aveva stanziato un fondo per l'ospedale a cura dei bambini malati di cancro, un'iniziativa che aveva trovato subito un responso positivo sopratutto nella notte di fine anno, dove Richard in persona aveva poi incassato un assegno in donazioni esterne, con molti zeri. Anche questa idea era stata sua, mettere a disposizione dei soldi per esaudire i desideri di questi bambini; Lalì e un gruppetto di altri ragazzini sul piano si erano messi in testa di vedere il mare, per chi come lei non c'era mai stato. Ovviamente l'avevo trovata un'iniziativa meravigliosa e se era possibile aveva amato Richard ancora di più. Quante emozioni contrastanti, pensare ad un figlio suo che non sia il mio mi lacera.

Mi rendo conto di guardare il vuoto, perchè la ragazzina mi guarda del tipo "e allora?"

"Chiederò al mio fidanzato di farti avere notizie fresche, va bene?"

"Si!" Esclama raggiante; Lalì è pazza per Richard, lo chiama Mr. Sourire, il signor sorriso. Come darle torto.

Bene piccola, ci vediamo più tardi.”

Mi passi a trovare stasera?” Chiede.

Certo.” Sussurro piegandomi verso la sua direzione. “Abbiamo un appuntamento con il dottor Thompson.” Le faccio l'occhiolino e scappo letteralmente in laboratorio prima di dover sostenere altre conversazioni che evidentemente non sono in grado di fare. Richiusa la porta alle mie spalle mi asciugo le lacrime che escono silenziose, cercando di studiare meticolosamente le nozioni della successiva iniezione di Lalì, senza successo.

Mi accorgo dal calendario che oggi è giorno di iniezione per Catherine; afferro riluttante la sua cartella, sentendomi tremendamente a disagio.

Fantastico.” Borbotto. “Vorrei sapere cosa ti ho fatto per non meritarmi un po' di pace?” Mi ritrovo ad imprecare alla finestra, ma sono così stanca che se potessi mi lascerei andare sul pavimento e terminerei la mia vita così. Distesa. Inerme.

Ma la vita chiama. E qualcuno bussa alla porta.

Dottoressa la signora Wright l'aspetta.” E' Maude, sorride come sorridevo io il giorno che ho iniettato la prima dose; stavolta le ho promesso di farlo al posto mio; credo sia stata dal parrucchiere per l'evento perché i suoi insipidi capelli lisci oggi sono molto più vaporosi e lucidi del solito. Questo pensiero così frivolo e velenoso mi fa quasi sorridere. Lei mi guarda impaziente sull'uscio, con la mano ancora attaccata alla maniglia.

Prepara la paziente. Ti raggiungo subito.” Mi lancia un'occhiata torva, come se avessi detto un'eresia, improvvisamente agitata per la grande responsabilità da gestire in solitaria. Cerco di sorriderle in modo meno falso possibile. “Necessito di qualche minuto di concentrazione. E poi sono sicura che te la caverai anche senza il mio aiuto; me lo hai visto fare tutte le volte che volevi.” Inspira alzando le spalle. Annuisce con il capo, ma la sua testa è altrove, sicuramente a Catherine. Annuisco a mia volta e questo le fa girare i tacchi e chiudere la porta.

So che non posso nascondermi in questa stanza così confortante per l'eternità; a mia volta inalo lentamente aria che arriva ai polmoni come un toccasana. Non dirò una parola su Richard, farò in modo che si parli solo ed esclusivamente della cura. Siamo qui per questo, no? Mi auto convinco che sia così. Perciò faccio leva con le braccia sulla scrivania e mi alzo, vado al solito armadio dove tengo gelosamente stipate le dosi per le iniezioni e frugando nelle tasche cerco la chiave che lo apra. Ho le mani scivolose, quasi non riesco a stringerle, forse un bene quello di aver proposto alla mia matricola di fare l'iniezione al posto mio. Sono veramente troppo coinvolta e questo non è un bene. Prima che i pensieri più cupi si impossessino della poca lucidità presente ancora nella mia mente, esco dalla stanza in sordina, facendo volteggiare il camice aperto come un drappo di battaglia.

"Buongiorno signora Write." Esordisco, per poi guardare Maude. "Come da accordi interni, quest'oggi sarà la dottoressa Sastre a praticarle l'inoculazione della cura. Dottoressa Sastre, vuole ricordarci patologia e trattamento della paziente numero tre per cortesia?"

Maude annuisce, sciorinando alla perfezione annotazioni vergate dalla mia stessa mano, rendendomi fiera, anche se mantengo il mio aplomb. "Pertanto questo è il nostro terzo appuntamento signora Wright, diciamo il crocevia di questo percorso intrapreso. Da quì valuteremo l'estensione del corpo invasivo applicando in base ai risultati nuovi composti farmaceutici o proseguire con quelli già studiati per lei. Se ha domande da pormi posso risponderle sotto l'ausilio della Dottoressa Chedjou."

La donna sorride debolmente, scuotendo il capo. "E' stata molto esaustiva. Se ci sono segni di miglioramento si proseguirà con la cura attuale, altrimenti dovrete passare mattine e notti in bianco a studiare possibili altre soluzioni."

"Proprio così." Ribatte Maude, con franchezza.

"Tuttavia le precedenti analisi rivelano una regressione del cancro." Ribatto, portando la conversazione all'equilibrio iniziale.

Maude mi guarda. "Procedo capo?"

"Proceda dottoressa." Affermo sicura, scostandomi da Catherine e il lettino dell'ambulatorio, per permettere alla giovane praticante di avere lo spazio necessario per la manovra. La ragazza si muove metodicamente ma sicura, non scorgo nel suo viso la preoccupazione che avevo visto prima, quanto più un'eccitazione assai familiare. Sorrido, non staccando loro gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. L'ago cannula entra in contatto con la siringa e Catherine ha un leggero sussulto, sedato dalla voce dolce di Maude che le dice di resistere e farsi forza. Questa volta subisco molto di più la pressione e il dolore di sapere una persona cara su quel lettino, in un attimo dimentico del tutto i pensieri nefasti che ho nei confronti di Richard desiderando solo averlo lì accanto a me per abbracciarlo forte e infonderci coraggio. Come se mi fosse arrivato uno schiaffo in pieno viso, realizzo che lui potrebbe essere lì, persino in corridoio a struggersi per l'adorata madre, mentre io me ne sto ferma quì, immobile. Provo a muovere un passo verso la porta ma mi sento come bloccata. Paralizzata; il volto angelico di un bambino che ha i suoi occhi mi atterrisce e mi impedisce di compiere quel piccolo gesto, riportandomi tragicamente alla realtà. Mi sento pervasa dalla nausea, gli occhi allagati. Giro svelta il capo e sento il rivolo caldo del pianto. Sono impotente.


"Dottoressa Chedjou, abbiamo fatto." Sento la voce di Maude come un eco lontano, dalla stanza attigua dove mi sono rifugiata a redarre la cartella di aggiornamento. Getto tutto sul tavolo e torno da loro.

Catherine è sfinita, su un fianco lungo il lettino. Mi appresto ad avvicinarmi pregando Maude di terminare gli appunti e chiamare il reparto con una barella dove far riposare la donna. "E' stata superba." Sussurro, prima di sentirla piangere di gioia attraverso il muro attiguo. "Kate, mi senti?"

"Mh.." mugola flebile la donna. La mia mano si insinua nella sua, la stringo per farle sentire calore. "Ti accompagno in sala d'aspetto, i medici stanno arrivando. C'è Richard o Raymond quì fuori che devo avvisare?" Mi fa il segno del due con la mano, guardandomi con occhi vitrei. "Richard è fuggito, quasi, dopo averci accompagnati." Saperlo fa aprire una voragine nel mio petto. "Tu sembri molto scossa." Aggiunge, sforzandosi.

"Shh, non pensare a me." Le sussurro, accarezzandole la schiena. "Va tutto bene, chiudi gli occhi e lasciati andare." Perde i sensi dopo poco tempo. Sono abituata a questo tipo di reazione, ma le tasto la vena del collo in preda all'ansia. I medici con la barella entrano in quel preciso istante.

"Tutto bene dottoressa?" Strepita il più giovane, avvicinandosi tutto trafelato.

"Si, si." Rispondo di fretta. "Ha perso i sensi ma il respiro c'è." Mi scosto ancora. "Spostatela pure, probabilmente cadrà in catalessi, non ho voglia di strapazzarla. Questa iniezione è stata molto invasiva." Il ragazzo fa cenno d'assenso, procedendo a spostare la paziente.

Esco sul corridoio con una stretta allo stomaco, Raymond è lì fuori, si alza non appena mi vede.

"Come sta?" In quel momento passa Catherine in barella. "Kate!" Si stringe intorno alla moglie, seguendo il flusso dei colleghi verso la sala d'aspetto.

Quando entriamo nella sala riconosco subito il profumo fresco di Richard. Mi guardo intorno ma lui non c'è. Scuoto il capo.

Raymond torna con i suoi occhi interrogativi su di me. "E' solo in via preventiva, sta bene, ma deve restare quì almeno per le prossime otto ore. Probabilmente la vedrai piuttosto sottotono nei prossimi giorni. Avrà poco appetito e devi promettermi che riuscirai a farle inghiottire qualcosa."

"A costo di imboccarla con la forza." Risponde duramente, poi cambia discorso. "Tu come stai? Hai il viso pallido." E due. Sorrido amaramente; strano scherzo del destino che proprio i genitori del mio tormento si siano subito accorti che qualcosa non va. Alzo le spalle.

"E' solo una lunga giornata storta." Rispondo, congedandomi.

Dalla stanza dove è ricoverata Lalì, proviene uno strano chiasso di voci.

Fra tutte riconosco subito quella di Richard; le mie spalle si incollano alla parete. Chiudo gli occhi, mordendomi il labbro, tendo gli orecchi e origlio.

"Najla mi ha detto che te lo avrebbe chiesto. Ma sembra molto distratta, oggi." Lalì sembra rispondere a una sua domanda.

"Le do qualche pensiero che non dovrei." Risponde lui, con candore. "Comunque adesso sono quì a giurarti che ad Aprile vedrai il mare della Costa Azzura con i tuoi occhi!" Un coro di bambini entusiasti si leva nell'aria. "Ho dovuto attendere per i permessi, ma alla fine ce l'ho fatta, cosa vi dicevo? Se ci credi davvero.."

"..poi si avvera!" Fa eco un bambino, sembra commosso.

"Mr. sourire, sei il migliore!" Strepita Lalì e mi trovo a sorridere.

Sì, lo è.

Fuggo in ambulatorio non sopportando l'idea di doverlo incrociare lì, nel corridoio, a nascondermi come una ladra.


"Najla Chedjou?" Mi sento chiamare da Patrick, dal fondo della stanza.

"Sono quì." Inforco di nuovo gli occhiali da vista quando lo vedo entrare e restare immobile come una mummia. "Mi devi dire qualcosa?"

Alza le spalle, fa il giro della scrivania, scruta i miei appunti. "Mi chiedevo cosa ti tenesse lontana dalla statua di bronzo che è il tuo fidanzato. Vedo che è per una buona ragione, per cui.." fruga nel sacchetto che ha legato al braccio e sorride. "Quiche Lorreine! Lalì è in vena di fare festa con i suoi amichetti e ho pensato di portartela quì prima che la divorassero tutta." Poi alza gli occhi al cielo. "Quei bambini mangiano come un'orda di camionisti!" Ride ma stempera subito il sorriso, quando rispondo solo con una smorfia.

"Non ne vuoi?"

"Oh sì." Guardo l'orologio. Non immaginavo fossero le venti, il mio stomaco per tutta risposta brontola disperato.

E' semplicemente deliziosa, constato addentandola, avvertendo subito la sensazione di fame calmarsi.

"La signora Wright ha aperto gli occhi." Patrick lascia questa informazione sospesa, ci guardiamo e prosegue. "I valori sono a posto. Ti occupi tu delle dimissioni?" Insiste vedendomi alquanto divagante.

Fisso i fogli sotto ai miei occhi, indicandoli. "Sai quel momento in cui tutto va bene e all'improvviso ti arriva un colpo dritto alla schiena?"

"Sì, Najla. Ma non credo che i tuoi fogli mettano le gambe e se ne vadano, se per una mezzora ti assenti a congedare la tua futura suocera."

Prima che aggiunga altro, mi mordo il labbro, liberandomi dal fardello.

"Richard aspetta un figlio da un'altra." Ascoltando quelle parole fuoriuscire dalle mie labbra, scoppio a piangere.

Non ho mai visto Patrick agitato come in questo momento, mi guarda con le briciole della quiche appiccicate agli angoli della bocca e due occhi enormi, celesti, pieni di pena e rabbia. Non so perchè questa immagine mi fa scoppiare a ridere. "Najla?" Chiede preoccupato dalla mia reazione.

La mia risata scema isterica su un ritrovato pianto. "Me lo ha detto lui oggi pomeriggio. E' stato contattato da questa ragazza, che le ha dato la lieta notizia."

"Frena." Dice lui. "Che significa è stato contattato? Da quanto tempo non la vedeva?"

"E' una cameriera del Claridge. Hanno avuto una storia lo scorso anno. Il suo compagno se l'è svignata quando ha saputo che il bambino poteva non essere il suo e lei ha pensato bene di cercare Richard Hamilton, l'imprenditore più veloce di tutto l'ottavo arrondissement, presto padre!"

Patrick mi guarda a bocca aperta. Poi sghignazza. "Ti rendi conto di quello che hai appena detto?"

"Non mi resta che l'ironia, my friend. L'ironia e un destino tragicomico." Mi asciugo gli occhi, lui non ride più.

"Cosa ti ha detto in merito a voi due? In merito alla situazione?"

Sospiro. "Che mi ama più della sua stessa vita e che non vuole perdermi."

"Questo vuol dire tanto, my friend."

"E che dovrei fare?" Chiedo a metà fra l'angosciato e il rabbioso. "Accettare miseramente la situazione, sposarlo e far finta che non sia successo nulla?"

"No." Ha il buongusto di rispondere. Ma da lui non mi sarei aspettata risposta diversa. "Mi sembra chiaro che questa donna non voglia approfittarsi di lui; avrebbe messo sul piatto la paternità già tempo addietro. Mi sembra più disperata che furba. Per quanto riguarda lui, la risposta che ti ha dato denuncia che non sta passando per niente un bel quarto d'ora." Lo ascolto ma non rispondo, so che vuole portarmi ad un'analisi lucida della situazione. "L'ho visto fare un gran chiasso in quella stanzetta piena di bambini. Avevo uno sguardo perso, l'ho capito subito che c'era qualcosa che non andava, perchè tu non eri con lui. Ma io non sono te, non so come reagirei al posto tuo e non mi sento nemmeno di consigliarti cosa fare. L'unica cosa che voglio dirti a riguardo è che qualsiasi sia la scelta che ti appresterai a compiere, positiva o no, non si potrà tornare indietro e quindi, amica mia, dovrai scegliere nient'altro che con il cuore."

Annuisco appena. Ha ragione lui, che io perda Richard oppure decida che la nostra vita insieme prosegua, la scelta sarà netta e drastica.

Non avrei nemmeno bisogno di riflettere, non voglio perdere l'uomo che amo.. ma è troppo presto per decidere il da farsi, non sono trascorse nemmeno ventiquattro ore da quando abbiamo avuto la notizia. Perciò respiro a fondo e mi alzo. Da qualche parte dovrò pur cominciare.

"Credo che andrò a trovare Catherine." Sussurro.

Lui mi guarda amorevolmente. "Va, resto io quì."

Gli passo accanto e mi fermo a schioccargli un bacio sulla guancia. "Grazie."

Non risponde, inforca i miei occhiali e si mette sedutoa lavoro.


*


E' tardi ma la sala d'aspetto è gremita di uomini e donne doloranti e recalcitranti. I miei colleghi si agitano da un letto all'altro, mi rendo conto solo adesso che è stata una giornata densa per l'ospedale. Mi sfrego gli occhi, la stanchezza comincia a piombare sulle mie palpebre.

Raggiungo la lettiga di Catherine, lei si acorge subito di me e accoglie con un sorriso. Raymond è appoggiato al bordo del letto con il capo chino, appisolato.

"Ciao.." la saluto con tenerezza, scostandole una ciocca bionda da viso. "Come ti senti?"

"Un pò meglio, Najla. Richard mi ha appena portato la cena ma non so dove si è cacciato." Fisso il porta vivande ancora pieno.

"Ti aiuto, dai quà." Fa cenno di sì con il capo, scoperchio il contenitore e il profumo della zuppa di farro solletica il mio stomaco. Con poche mosse alzo la spalliera del letto guardando con apprensione al povero Ray, che tuttavia continua a sonnecchiare indisturbato. "Ha un bell'aspetto."

Mi sorride. "Eugene è davvero una donna dalle mille risorse." Poi mi guarda. "Ma tu hai mangiato? Non hai una bella cera."

"Sto bene." Lamento, afferrando il cucchiaio. "Richard si è fermato dai bambini." Mi sento di giustificarlo e questo gesto mi fa male e bene allo stesso tempo.

Più bene che male a dire il vero. A Catherine le si illuminano gli occhi.

"Mi ha dato la splendida notizia. Non stava più nella pelle, sarà per questo che è corso via."

"Sì. I bambini sono così felici, lo hanno riempito di feste. Non so se si rende conto di quanto amore ha messo in questo gesto."

"Se ne rende conto." Risponde la donna, con piglio sicuro. "Stamattina ha ordinato il suo abito da sposo; è stato un momento toccante Najla, mi ha detto delle cose riguardo te e la vostra vita che ho avuto come l'impressione di assistere alla rinascita di mio figlio. Non voglio essere stucchevole, ma sento di ringraziarti per questo."

"Grazie lo dico io a te per esserti messa a servizio di questa tortura." Poi sospiro. "Amarlo è la cosa più semplice che mi sia riuscita."

Catherine ha lo sguardo orgoglioso di una madre, lo sguardo più bello che esista. "Tu ci stai regalando una speranza, Najla Louise. E non parlo certamente solo della cura!" Abozza un sorrisetto sardonico. "Posso permettermi di essere indiscreta?"

"Certo." Rispondo preoccupata, sebbene i suoi occhi mi scrutino dal basso verso l'alto, gioviali.

"E' un pò di tempo che noto la tua figura più florida..e Richard mi dice che hai spesso sonno. Mi chiedevo.."

Se sono incinta. Risponde la mia testa, per poi vorticare in conteggi dall'ultima volta che ho avuto la comparsa del periodo; mi perdo spesso, trovandomi a ridere isterica di fronte a mia suocera, pallida e emaciata. "Sì, ho un ritardo." Ammetto, con la voce incrinata.

Oggi è la giornata delle attese, penso con vaga ironia.

"Oh signore, me lo sentivo!" Strepita lei. "Ma non perdere tempo quì con me, vai a farti tirare il sangue, presto!" La sua gioia è incontenibile e sveglia Raymond che mi guarda come se non sapessi chi fossi.

"Najla è incinta!" Dice al marito ancora intorpidito.

"No, non sono incinta Kate." Ribatto, arrossendo. "Ho solo un.. un..ritardo piccolo e.." farnetico e nel giro di qualche secondo mi trovo davanti gli ascensori.

E' tardi e non troverò nessuno, penso mentre scorgo una matricola che sta uscendo dal laboratorio.

"Ehi tu! Aspetta, non chiudere!" Mi precipito verso di lui che mi guarda prendendo uno bello spavento. Lo conosco, si chiama Erin, studente del primo anno.

"Ho bisogno di un prelievo, entra con me e chiudi la porta."

"Dottoressa ma non è ora di prelievi.." protesta lasciandosi strattonare nella stanza.

"Il prelievo è per me. Devi tirarmi il sangue, forza lavati le mani e aiutami."

Mi guarda senza capire dapprima, poi arrendevole dinnanzi al mio sguardo da pazza va a lavarsi le mani e torna. "Cosa facciamo?"

"Beta hcg. Ma facciamo un quadro completo a queto punto." Arrossisce, scuote il capo e si arma si siringa e provette; il sangue fluisce via che non sento nemmeno il fastidio, Erin ha una mano delicata, quando glielo dico arrossisce ancora. "Fra quanto possiamo avere il risultato?"

"Ci vogliono almeno due ore. Ma il mio turno è terminato." Lo dice come a vole dire che mi aveva avvisata.

Mi mordo il labbro. "Puoi mandarmi chi ti sostituisce?"

"Dottoressa.." mi guarda come se stesse dicendo un'ovvietà che solo la mia testa bacata non riesce a carpire. "Il laboratorio apre domani mattina."

Un colpo duro alla porta ci fa sobbalzare. Lui schizza ad aprire, Richard irrompe nella stanza. "Lei non può entrare quì, signore." Erin fa la voce grossa, l'altro non lo guarda nemmeno, tiene gli occhi fissi su di me, emblematici e pieni d'amore. "Mi sente?"

Scivolo dal lettino pulendomi il braccio. "Lo conosco, Erin. E' il mio fidanzato."

"Mia madre mi ha detto che eri quì." Dice con voce tormentata.

"Non ho i risultati. Il laboratorio sta chiudendo, sono schizzata quì come una furia senza riflettere. Tornerò domani e farò tutto daccapo."

Richard si volta verso il giovane. "La prego può restare ad analizzare i campioni? Ho il cuore che mi scoppia nel petto, non ci arrivo a domani e se sarò padre, questa cosa di non esserci sarà una vera catastrofe." Erin ride ma si acciglia. "Chiederò al mio autista di farla accompagnare a casa o qualsiasi cosa sono in potere di fare, la farò. La prego, sono Richard Hamilton, dovrebbe conoscermi."

"La conosco signore." Afferma l'altro. "E accetterei il passaggio volentieri, la metropolitana chiuderà fra un'ora."

"Lo consideri già fatto." Richard allunga la mano, il ragazzo gli da la sua.

"Grazie Erin." Gli faccio eco, sospirando.

Restiamo seduti su quel lettino come due statue; non c'è lembo di pelle che non entri in contatto. Spalle, gambe, gomiti e persino guance, ma restiamo in silenzio fino a quando, un'ora e mezza dopo, la giovane matricola riemerge con i risultati.

Il beta è negativo. Tiro un sospiro di sollievo, lo sguardo di Richard è fisso nel vuoto.

"Il resto delle analisi sono perfette dottoressa." Mi passa i fogli e ci guarda in attesa.

Mi giro verso Richard che fa cenno di si con il capo. "L'accompagno nell'atrio." Borbotta trafelato.

"Grazie signore."

"Ogni promessa è un debito."

Spariscono nel silenzio del corridoio e io resto lì su un lettino anonimo e il cuore leggero; mi distendo su un fianco, così che possa rilassarmi.

L'immensità delle notizie giornaliere mi hanno sfinita; il sesso del mio nipotino, il figlio di Richard, il nostro che non c'è, Catherine in sala d'attesa.. credo di aver bisogno solo di chiudere gli occhi e riposare. Non passa molto tempo perchè io senta il suo corpo incastrarsi al mio.

"Mi sembri serena." Dice con voce martoriata.

"Tu cosa credi?" Ribatto, dura e aspra. "Di certo non è così che ho immaginato accadesse."

"Riuscirai mai a perdonarmi?" Chiede, scaldandomi la spalla con il fiato caldo.

"Non lo so. E' troppo presto per saperlo."

"Non è un no, dopotutto." Sposta il capo sul cuscino, sento affondare la sua testa ma le sue mani restano salde su di me. "Credo che Leclerc accetterà la mia proposta. Metterò le mie prime basi a Parigi, le prime di tutta la mia esistenza ed è surreale."

"Stai costruendo la vita che hai sempre sognato." Rispondo malinconica, come se non ne avessi mai fatto parte.

"Il miglior progetto sei tu. Anche se adesso sei delusa, ti prego di non dimenticarlo mai." Si alza e mi deposita un bacio sulla spalla. "Ho promesso ai miei genitori che li avrei accompagnati a casa. Quel dottorino non abita molto lontano, Maximilianne sarà già sulla via del ritorno." Non rispondo ne mi volto, sospira. "Ci vediamo a casa, Najla Louise." Non dice nient'altro, esce dalla stanza in silenzio, così come vi era entrato.


*

"Maximilianne?"

L'indomani, sul viale esterno dall'ospedale, noto la berlina nera di Richard parcheggiata e il suo autista fuori ad aspettarmi.

"Buongiorno madomoiselle Chedjou, ordini del capo Hamilton, mettermi a sua disposizione."

Resto interdetta ma divertita. "Lui come è andato alle aziende?"

"Con i mezzi pubblici, miss." Gli scappa un mezzo risolino che fa ridere anche me.

La lunga dormita notturna ha disteso i pensieri nefasti, mi sento abbastanza allegra; c'è solo un posto in cui vorrei essere più di tutti, un posto che è casa e dove so che posso trovare conforto e un abbraccio. "Mi porti alla patisserie."

"Salga a bordo madomoiselle."

Arrivati, lo congedo. "La ringrazio per questo passaggio. Dica ad Hamilton che non so a che ora rincaserò. Probabile resti a Montmartre."

L'uomo si tocca la tesa del capello e sgomma via per la butte.

"Aria litigiosa pre-matrimonio?" Non mi ero accorta che la mamma fosse sul ciglio della strada.

"Manca ancora parecchio al matrimonio per litigare, non trovi?"

"Io e Fabien abbiamo litigato per quattro mesi prima del sì." Scuoto il capo, ridendo sorniona. "Vieni dentro, ti offro qualche dolcetto."

In pasticceria, lo zio è già dietro al bancone che serve i primi clienti; per qualche ora darà una mano alla mamma per poi andare a scuola a svolgere il proprio dovere di insegnante. Ha profonde occhiaie a cerchiargli gli occhi azzurri, ma la bellezza del suo sorriso illumina la stanza.

"Invece tu mi sembri allegra stamattina. Buone nuove?"

La mamma annuisce gioiosa. "Vieni di là, ti mostro una cosa." Mi conduce fino ad un angolo del grande bancone dove impasta le varie farine che danno vita ai suoi capolavori; quell'angolo è in disordine, pieno di barattoli aperti e sporco di farina ovunque. La guardo senza capire. "Questa è la postazione di Richard. Guarda.." alza dei tovaglioli che coprono delle teglie e sussulto. Delle strane meringhe a forma di cupola e colorate, sono allineate in attesa di qualche miracolo. "..il tuo dolce, Najla. Ancora è in fase di perfezionamento, ma la genialità di questa forma ce l'ha avuta tuo marito e ne sono entusiasta!" Si lascia andare ad un risolino poi mi guarda. "Non dirgli che te l'ho fatto vedere, mi sembra un tipo permaloso."

Dalla proposta di matrimonio la mamma e Richard si sono messi in testa di creare un dolce che avesse fattezze tali, da dargli il mio nome; una piccola tradizione di famiglia iniziata dai biscotti allo zenzero&cannella venti anni prima fino ad oggi con me, unica componente della famiglia a non avere un dolce personalizzato. Gli ingredienti, a giudicare dal caos sul banco non sono ben chiari, ma il profumo che aleggia in questo piccolo angolo, sa di amore e legami indissolubili. Mi acciglio, accarezzando il marmo all'apparenza freddo, ma caldo del sacro fuoco dell'estro.

"E quando saranno pronti questi dolcetti?"

"Richard sta studiando le giuste dosi di menta&cioccolato. Chi può dirlo, forse un mese, forse un anno."

Spalanco la bocca. Il pensiero che lui passi il suo tempo libero a miscelare le componenti che ci siamo affibiati, mi fa scoppiare il cuore d'amore.

"La ricetta originale riporta a delle delizie create da Caterina de Medici. Ci ho passato su qualche giorno per stravolgerla del tutto, convenendo che se il lancio sarà buono, potrò azzardare anche altri abbinamenti insoliti. Pensavo ai fiori, mia grande passione. Che ne dici?"

"Che è meravigliosa, questa tua allegria!" Mi avvicino e l'abbraccio, annusando il profumo del suo collo. Mia madre sa di burro e spezie. "Qual'è il nome originale del dolce?" Chiedo, quando ci sleghiamo.

"Macarons. Maccarone, in italiano." Mi pizzica la guancia e sorride. "Sento un'energia positiva figlia mia. Chi me lo doveva dire che quell'algido ragazzo m'avrebbe scombussolato l'estro?" Ride gaia e penso che Richard in qualche modo avrà sempre la meglio sui brutti pensieri; il suo arrivo ha portato un tale scompiglio, un tale rinnovamento positivo, che il volto di quel bambino che tanto temevo, sembra non fare quasi più paura.

"Ho fatto un test di gravidanza stanotte." I suoi occhi scuri come il caffè si fanno languidi. "Non aspetto nessun bambino, ma volevo tenerti al corrente prima che Catherine sputi fuori il rospo." La vedo accigliarsi, mi affretto a sedarle ogni dubbio. "Era in ospedale per l'iniezione."

"Come sta?"

"E' provata." Rispondo con dispiacere. "Ma perlomeno so che sta funzionando. Mamma sono così stanca.."

La sua mano mi accarezza il viso. "Hai bisogno di un momento per te, Najla Louise. Facciamo così, vai a casa nostra, Lukas è all'asilo. Riposa qualche ora, io chiederò a Marie di tenere banco da sola oggi, così ti raggiungo e ci dedichiamo due coccole in veranda. Ho una crema del mar morto che mi ha regalato Benjamin ancora da provare. Ti va?"

Annuisco entusiasta, prima di darle un bacio sulla guancia e perdermi per le salite e discese di Montmartre.


Ho dormito come un sasso e come capita spesso nei momenti salienti, ho sognato mio padre. Non ricordo molto al risveglio, ma il sogno ha lasciato su di me una sensazione positiva, il suo abbraccio dal cielo. La mia stanza non è più quella di prima, fisso le pareti un tempo contornate dalle mie foto, oggi piccolo deposito dei quadri di Fabien e penso che tutto è andato avanti, in un modo o nell'altro, la vita ha scritto nuovi capitoli.

Mi alzo e scendo da basso, sento la domestica chiacchierare con la mamma che mi aspetta con un bicchiere di spremuta.

"Trudie ha allestito una piccolo salone di bellezza per noi, seguimi."

La vado dietro incuriosita e finisco nel paradiso per signore; tante piccole candele se ne stanno accese in vari punti della veranda, nonostante sia giorno il cielo invernale parigino, grigio e plumbeo, regala una cornice perfetta per questa allure. Il tavolino ai nostri piedi è apparecchiato con i più disparati cosmetici, salviette e due specchi. Sospiro, prendendo seduta sul divano.

"Hai proprio brutte intenzioni!" Strepito.

"Puoi dirlo forte." Si accoccola accanto a me, facendo collidere il suo bicchiere con il frullato, contro il mio.

Le ore passano senza che io me ne accorga, fra chiacchiere frivole femminili e cibo che ingeriamo fra un riposino e l'altro. La casa è avvolta dal tepore del camino acceso, il calore delle coperte e l'inconfodibile odore di legna che porta alla mente i bei ricordi degli inverni passati.

"Mamma non riesco a muovere la faccia." Dico ad un certo punto, coperta di argilla fin sopra i capelli. "Sei sicura che questa roba non sciolga il viso?"

Si mette a ridere. "Certo me la sono spalmata anche io, potevo prima vedere che effetto facesse!"

Le do un colpettino, prima di alzarmi per andare in bagno a detergermi il viso; una volta asciugata la faccia tutto sembra in ordine, il mio volto ha complemente cambiato colore, sembro più riposata e distesa.

Ne approfitto e mi faccio una doccia ristoratrice. Loa pressione scivola via del tutto con l'acqua, il mio corpo riprende vigore ed energia nuova.

Quando termino di asciugarmi i capelli la mamma entra in bagno con degli abiti puliti.

"I tuo vecchi jeans e un maglione di cachmire."

La guardo sardonica. "Non ci credo che da giovane rifiutassi qualsiasi cosa riguardasse la moda."

"Ero una scrittrice ribelle. Passavo il mio tempo a fantasticare avventure, ero molto occupata per pensare a queste sciocchezze."

Rido. "Non sei cambiata tanto."

Sorride guardandosi il viso. "Qualcosa è cambiato."

"Sei sempre bellissima, mamma."

Annuisce. "Ogni ruga, mi racconta gli anni vissuti, che non voglio dimenticare. Ogni occasione, fallimento e gioia sono scritti sulla mia pelle; questo è il racconto più bello che potessi creare." La vena malinconia delle sue parole mi commuove.

"Ti sei mai pentita di esserti dedicata esclusivamente alla pasticceria?"

"Assolutamente no!" Strepita. "Non sarei quella che sono oggi. E ti dirò, non sono niente male.." ridiamo all'unisono, per poi andare verso l'ingresso.

"Sicura che non vuoi rimanere per cena?" Chiede.

"Credo di averlo trascurato abbastanza." Dico in imbarazzo.

Lei mi fissa con sguardo complice. "Allora aspetta, ti preparo un pacchetto di biscotti, così sarà più dolce fare pace."

Annuisco e attendo. Torna dopo qualche minuto con una confezione regale. "Vaniglia e pepe." Ride sorniona. "Diventare nonna bis è un'idea che mi piace molto." Alzo gli occhi al cielo, sbuffando.

"Sei irrecuperabile mamma!" Le do un bacio sulla guancia e prenoto un taxi.

"Najla Louise." Mi chiama, prima di imboccare il vialetto d'uscita. Il suo sguardo è molto serio. "Scegli l'amore, sempre."

Quelle poche, semplici parole, mi accompagnano per tutto il viaggio in discesa dal mio vecchio quartiere al nuovo.

Scegli l'amore. Credo di averlo già fatto.


*


C'è un silenzio innaturale in casa, come se mancassimo da una vita. Il suo odore è tutto intorno, ma c'è anche profumo di cena.

Cammino lungo il corridoio che porta fino alla cucina, il tavolo è apparecchiato, le vivande sigillate con i coperchi.

Tutto è intonso, mi chiedo quanto tempo abbia aspettato, prima di salire ai piani alti, verso la nostra stanza.

E' disteso sul letto, un libro aperto appoggiato sul petto, un sonno sommesso.

Mi avvicino e gli accarezzo il braccio; si agita un pò, poi spalanca gli occhi e mi sorride quasi subito. "Mangiamo?" Domando.

"Va bene, ma vai avanti tu." Risponde, stiracchiandosi. Annuisco e torno giù.

Accendo le luci, sistemo la tavola e servo il vino, mentre lo vedo apparire con la camicia sbottonata e i boxer. "In teoria non siamo in salone."

Si affretta a dire, questo suo commento mi fa ridere. E rido provocando in lui un sorriso, il primo che gli vedo dopo un giorno.

"Sei stata bene?" Domanda.

"Sì, Richard. Grazie."

"Sono contento, anche se mi sei mancata."

La sua dolcezza mi fa vacillare; ci sediamo a tavola, uno di fronte all'altra, mangiamo in silenzio ma i nostri sguardi sono incatenati.

Ho pensato tanto alle parole di mia madre, fra tutte, quelle che scelse il giorno del mio primo appuntamento con Richard, un anno fa ormai.



"Con alcune persone lo sai già com'è che andrà fra voi, ma al posto di fuggire via, bisogna imparare l'arte di trasformare le differenze in forza; ad amare il bello siamo capaci tutti, bisogna amare i mostri, i difetti, i litigi, per restare."



Ed io, sono più che certa di voler restare.

Poso la forchetta e incrocio le mani davanti a me. Richard blocca anche se stesso, credo smetta persino di respirare.

"Voglio che esegui il test di paternità." Esordisco. Mi guarda ma attende che mi sfoghi. "La dottoressa Bureau può seguire la gravidanza di Lydie e indicarci il percorso da fare successivamente. Ci vorrà qualche tempo per la risposta, ma se mi sembra assurdo convivere con la certezza, figuriamoci con il dubbio." Annuisce determinato, ma non parla. "Se quel bambino sarà il tuo, io mi impegnerò a sostenere ogni tua scelta, ma non sarà facile voglio essere onesta. Tuttavia ho scelto l'amore e nessuno mi ha garantito che fosse la scelta più facile. Mi devi solo promettere una cosa, Richard Hamilton."

"Tutto quello che vuoi." Esala con un fil di voce.

"Questo non ci cambierà."

"Non ci cambierà." Ribatte. "Non voglio perderti." Dice ancora, il respiro corto.

"Mi sei mancato anche tu." Dico dolcemente.

Richard si alza dalla sedia e mi viene contro; sugella sulle mie labbra un bacio appassionato, mi prende in braccio portandomi in camera da letto.

Restiamo distesi e vestiti al centro del letto, ognuno rivolto verso l'altro, a guardarci senza parlare.

Nei nostri occhi scorrono le parole che non riusciamo a pronunciare, le immagini della speranza di esserci visti genitori e la forza di affrontare quel capitolo della nostra vita, che mai avremmo creduto tanto difficile. Sento che potremmo essere invincibili superata anche questa. Non lo so, il pensiero mi fa tremare qualche volta ma poi le sue mani si stringono intorno alle mie braccia e sento che non può succederci nulla di male.




Lo stupore della notte spalancata sul mar, ci sorprese che eravamo sconosciuti.. io e te.

Poi nel buio le sue mani, d'improvviso sulle mie.

E' cresciuto troppo in fretta questo nostro

Amor.


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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Menta e Cioccolato




macaron-menta-e-cioccolato1



Capitolo 15





"Najla Louise, sento mancarmi il fiato.."

A dire il vero manca anche a me, mentre sfilo nel mio abito da sposa, nell'atelier in Rue du Faubourg.

Non lo credevo possibile, ma ho perso la testa per il pizzo francese e optato per un abito non del più classico bianco virginale, o almeno non del tutto.

Non credevo possibile neppure conquistare il cuore di mia madre, donna dai gusti complicati, vederla accanto a me asciugarsi gli occhi e annuire a più riprese mi rende felice e ancora più certa della scelta. Questo abito è incantevole dopotutto, ma indossarlo è la vera magia; mi fa sentire una donna sofisticata e di classe.. e ci vedo Richard, la sua perfetta e algida bellezza, il suo modo di amarmi così demodè eppure prezioso.

, mi sento una sposa e desidero esserlo vestita in questo modo.

"Sì." Ripeto ad alta voce il mio pensiero. "Sì è lui." La commessa annuisce, delicatamente aggiunge il tocco in più, un velo semplice ma orlato di pizzo bianco e i guanti -che mi fanno arricciare il naso- che ripone quindi divertita su un settimino in un angolo. "Credo che potrei svenire!" Aggiungo a un sussurro.



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La nonna fino ad ora silenziosa, ci raggiunge a passo cadenzato. Mi scruta con un velo negli occhi verdi cangianti e delineati dai segni del tempo, passato così in fretta e mai benevolo con nessuno di noi. Non ha bisogno di parlare, leggo l'approvazione, la gioia e l'orgoglio di essere quì accanto a me, poggia la sua mano sulla mia e sussurra lievemente. "Je t'aime mon bèbè."

"Quando è la data del suo matrimonio, signorina Chedjou?" Chiede la commessa che ritorna con un cartoncino da compilare.

"Il venti settembre." Accarezzo il vestito e torno sulla terra, annotando tutte le modifiche da riportare. In camerino lo sfilo e resto a guardarlo per un pò; la donna mi guarda sorridendo. "So che per lei questa scene sono all'ordine del giorno, ma so anche che capisce cosa si prova.."

Lei annuisce. "Mi sposerò a Dicembre. La scelta d'abito dovrebbe essere un compito facile per me, ma si sta rivelando il più duro."

"Con tutto quello che c'è da provare.. la capisco!" Ridiamo all'unisono e lei prosegue, passandomi un flute di prosecco.

"Dove celebrerà il rito?"

"Alla Saint Etienne du Mont." Rispondo trasognante.

"Oh!" Fa eco lei. "E' così rinascimentale.. così romantica!"

"Il mio fidanzato non ha accettato altre proposte." Rispondo divertita, pensando a quel giorno d'inverno insieme a Richard, nel nostro giro di perlustrazione chiese. La mamma provò a solleticarlo con Notre Dame e le sue conoscenze, ma lui si è innamorato di questa chiesa esattamente come la sottoscritta.

"Un uomo romantico. Devi considerarsi fortunata."

Sospiro. "In effetti mi ci sento." Arrossisco. "Lei dove celebrerà invece?"

"Alla Saint Julienne du Pauvre. Il mio uomo è di culto melkita."

"C'è un aria molto romantica anche lì!" Affermo. "Il giardino antistante.. l'aura di mistero.."

"Il freddo di Parigi.." fa eco divertita. "E' un uomo che viaggia spesso. In questi ultimi tempi così in fermento poi.. ci sposiamo a Dicembre, per non cadere nel prossimo anno sempre al punto di partenza."

Penso a Richard e alla sua voglia di radici e mi sento ancora più fortunata. "Dove c'è amore è possibile tutto." Affermo, sicura.

"Sono dello stesso parere, lo sposerei anche a meno venti gradi."

Ci guardiamo entrambe con l'amore appeso nello sguardo, poi mi rivesto velocemente e lei sgattaiola dalle superiori per consegnare il materiale.

"Tutto bene?" Mi chiede la mamma quando li raggiungo da basso.

"Sì." Mi affretto a dire. "Non volevo toglierlo."

Ride e mi guarda. "Pensavo la stessa cosa. Tutte e due le volte!" Adesso rido io, scuotendo il capo. "Deve esserci qualcosa in quei vestiti.."

"No mamma. C'è qualcosa dentro di noi." Mi tocco il petto, spostando poi lo sguardo in strada. Richard è fuori con un mazzo di rose rosse in mano. Sussulto e la mamma si volta, sorride e annuisce. "Vado da lui, ci pensi tu quì?"

"Vaa.." mi dice con dolcezza, spingendomi verso la sua direzione.


"Richard!" Gli salto al collo e lo bacio. "Non dovresti essere quì!"

"Ma non sei vestita da sposa, o sbaglio?" Dice con la sua voce graffiata e sensuale. "Per te." Mi passa il mazzo di fiori, ci finisco dentro con la testa.

"Sono bellissime, grazie."

"Sono sicuro lo fossi anche tu, lì dentro."

"L'ho trovato." Sussurro.

Lui inspira molto forte, poi mi guarda emozionato. "Spero che settembre arrivi in fretta."

Anche io penso, ma non lo dico lo bacio e basta, saltandogli nuovamente al collo. "Stai andando da Leclerc?" Chiedo ricordando che il nuovo studio di Richard è a pochi passi dall'atelier; Leclerc ha ceduto alla sua proposta non molto tempo fa, gli ultimi incontri stanno definendo soltanto la parte burocratica.

Annuisce guardando l'orologio sul polso. "Sì e devo proprio scappare, non sai come è fissato con la puntualità."

"Anche tu lo sei." Gli ricordo sorridendo. Lui sorride di rimando e mi bacia.

"A più tardi moglie." Ulula afferrando un taxi vuoto di passaggio.

"Ho ancora diversi mesi per ripensarci!" Rido e lui si porta una mano sul cuore, mimando un infarto.

Lo amo, penso mentre vedo il taxi scivolare lungo il boulevard. Lo amo e non vedo l'ora di essere sua moglie.

"E' andato via?" La mamma mi arriva accanto. "Dovevo parlargli."

"Ah proposito di cosa? Posso riferire questa sera."

Mi guarda distratta, tergiversando. "Ma no, sciocchezze sulla pasticceria." La guardo fissa, lei arrossisce. "Un consulto."

Alzo gli occhi al cielo, da quando sono vicini sono tutto un mistero. "Come preferisci. Mangiamo qualcosa tutti insieme?"

Finiamo in un bistrot a Montmartre, quello preferito da Deesire e Fabien per festeggiare i grandi eventi. Ordiniamo del pesce e attendiamo che ci raggiungano anche Ben e Charlotte; la ragazza fa il suo ingresso in un delizioso cappottino che non nasconde le sue forme del settimo mese di gravidanza. Vedere la mia famiglia atttorno a un tavolo, completa e felice mi mette di buonumore al tal punto che esagero con il vino e mi ritrovo a intonare menestrelli francesi d'epoca.

"Allora Najla, fammi sognare. Com'è?" Charlotte scuote la folta chioma bruna e mi guarda con occhi curiosi.

"Scivolato, in satin nudo e pizzo francese dalla testa ai piedi."

"Una caramella!" Benjamin mi prende in giro come al solito, sua moglie gli da di gomito e torna su di me.

"Un caramella deliziosa e alla moda." Mi fa l'occhiolino passando in rassegna il menù per ordinare un dolce.

La guardo per un pò, poi mi fermo. "Vorresti essere la mia damigella?"

Lei alza gli occhi e sorride. "Certo!" Risponde di getto, afferrandomi la mano. Poi mette su una specie di musino. "Sarò la tua grassa damigella!" E scoppia a ridere in una chiassosa risata. "Potremmo far partecipare anche il piccolo Aurelien come pagetto."

Le forchette di tutti i commensali si fermano. La mamma ha gli occhi spalancati dalla gioia, scuote il capo e guarda intensamente Benjamin.

"E' un bel nome." Ben sorride di rimando, con le sue fossette adorabili. "E siccome ci piacciono le tradizioni, ho pensato di iniziarne una nuova, con la mia famiglia; il piccolo si chiamerà Aurelien Fabien Chedjou."

Fabien si tocca gli occhi, asciugando velocemente la sua emozione. E' una scena molto tenera, vederlo così mi tocca il cuore.

"Cameriere, dell'altro vino per favore." Ordina con voce rotta, ci viene servito in fretta e il capofamiglia alza i calici per un altro brindisi. "Non potevate farmi regalo più bello." Dice poi alla volta mi mio fratello, guardandolo con occhi intensi.

Per un attimo mi fisso a guardarli, vicini si somigliano davvero tanto. Stessi occhi verde-azzurro, stesso ovale del viso dolce, stesso sorriso; non mi ero mai resa conto di quanto fisicamente si assomigliassero. Il pensiero va come nulla alla foto che trovai lo scorso anno nel taccuino della mamma. Un brivido strano mi percorre la spina dorsale, la mamma si è accorta del mio stato di quasi tranche, seguendo la traiettoria del mio sguardo.

La vedo fare no con il capo, un cenno impercettibile, ma che noto.

Mi rimane sulle labbra uno strano singulto, che soffoco con un sussulto quando il mio sguardo va sulla strada, dove ci sono il proprietario del locale e una donna con una carrozzina parlare animatamente e concitati; mi alzo quasi di getto chiedendo venia alla mia famiglia, mi porto fuori riconoscendo nei tratti somatici la figura di Lydie. Ci guardiamo per una frazione di secondo, poi lei torna alla conversazione con l'uomo.

"E' assurdo che alle soglie degli anni settanta, si mettano certi divieti alle ragazze madri. Comunque troverò un tavolo altrove!"

"Non è una questione di essere o non essere ragazza madre. Come devo dirglielo? Non ho posto per la carrozzina, il locale è molto piccolo."

Mi intrometto. "E' successo qualcosa?"

"Sì." Fa eco lei. "Discriminazione."

L'uomo gesticola, agitato. "Posso assicurarle che non è nel mio stile."

"Vada a dirlo a qualcunaltro." Lydie sistema la copertina del neonato che dorme beato e fa per andarsene.

L'uomo accigliato borbotta spazientito qualcosa, prima di rientrare nel locale con un gran chiasso.

"Lydie, aspetta!" La trattengo. Lei si volta, guardandomi spazientita.

"Oggi non è stata una grande giornata, ci mancavi solo tu e ho anche una fame pazzesca."

Scuoto e il capo e l'avvicino. Philippe muove le manine nel sonno. Il figlio di Richard oppure no, il test non ha ancora fornito un responso.

"Mi dispiace per la situazione." Ammetto, lei sogghigna e i suoi occhi liquidi si infiammano.

"Quale, perdonami? La mia giornata storta, la patetica scena alla quale hai appena assistito, oppure Philippe e il test del dna?" Finisce di parlare che ha un ghigno dipinto all'angolo delle bellissime labbra carnose. La guardo per nulla intimorita.

"Per tutto."

"Beh, non so che dire." Incrocia le braccia al petto e poi fa una strana smorfia. "Sai cosa, qualcosa da dire c'è! Io non sono apparsa nella tua vita per rovinarti la festa, se hai capito cosa intendo, Richard ha promesso di aiutarmi se avessi avuto bisogno di lui, ed evidentemente adesso ho bisogno di lui. Tutto quà."

"Lo so, lui è un uomo di parola." Sogghigno, il mio tono sarcastico non ammette repliche. "Ma nei miei panni, tu che avresti fatto?"

"Glielo avrei tagliato nel sonno." Risponde brutalmente ma sorridendo, per poi tornare seria. "Non lo so. Probabilmente la stessa cosa. Ma sono questi i panni che vesto in questo momento." Si ferma, mi scruta con occhi appuntiti. "Si prenderà cura del bambino, ha detto, se risultasse figlio suo."

"Lo farà anche se non è suo." Replico seriamente.

"Non voglio approfittarmi di lui. Voglio solo il giusto e la verità a questo punto."

Questa sua risposta mi lascia spiazzata.

Qualunque donna nei suoi panni, avrebbe giocato a sfruttare la situazione; sorrido, costatando che al suo posto avrei dato la medesima risposta.

"Sei una donna orgogliosa. Ma lui avrà la meglio, conosci come è fatto."

Sorride sghemba. "E' cambiato tanto da quando l'ho incontrato la prima volta. Sono felice per lui che stia bene."

Anche questa frase mi spiazza. L'ho già sentita pronunciare qualche volta; Richard e il suo cambiamento.

Tentenno, ma il sarcasmo ha la meglio. "E' per me, che sei poco felice."

Abbassa gli occhi, la corazza dura cede il passo alle gote rosse. "E' stato sempre innamorato di te e questo non è stato affatto piacevole." Gli occhi riprendono vigore e il capo torna alzato e fiero. "Perciò non fare la vittima con me, dottoressa snob."

Il suo nomignolo mi fa sorridere. Le allungo la mano e mi congedo. "A presto, Lydie."

"A presto." Replica lei, spingendo il passeggino in risalita sulla Rue Lepic.

Sparisce nelle spalle larghe e a me resta addosso una sensazione di resa e pace. Sospiro.

"Tutto ok?" Mi volto spaventata, la mamma è alle mie spalle. "Conosci quella ragazza?"

Prendo il respiro e snudo un sorriso. "Sì, tutto bene. La conosco è.. è un'amica, sì."

"Najla Louise." Mi rimbrotta. "Stai farfugliando."

Alzo gli occhi al cielo. "E' solo un'amica."

"Questo l'ho capito." Sorride.

"Mamma, credi che l'amore possa bastare per sopportare grandi sacrifici?"

Deesire mi guarda terrorizzata. "Perchè questa domanda?"

Mi accorgo del suo sguardo così insistentemente angosciato e la rassicuro. "Quella donna non è stata accettata in questo locale per via della carrozzina."

Non è la verità ma tecnicamente neanche una bugia.

"Per amore di un figlio si è disposti a qualsiasi sacrificio." La vedo guardare il fondo della strada.

Il mio sguardo vola all'interno del locale, Benjamin e Charlotte sorridono, Fabien parla con Lukas ed io avverto una strana sensazione.

"Non farti domande amore mio." La mamma richiama la mia attenzione, la sua voce è asciutta e il suo sguardo ora è fermo. "Sposa il tuo grande amore e inizia la vita che hai desiderato con lui, se è l'amore che comanda il tuo cuore. Quando il tempo sarà debito, allora avrai tutte le risposte che cerchi." Le sue parole mi lasciano una grande malinconia, come un monito, una verità intrinseca che non vedo.

"Fabien e Benjamin si somigliano tanto." Dico, quasi in un soffio.

Lei sospira sommessamente. "Fabien è stato molto coraggioso. Il suo amore era molto forte."

"Molto." Ripeto.

"Adesso rientriamo." Risponde, scambiandosi un'occhiata con un interrogatorio Benjamin al di là del vetro. "Potrebbero pensare che non stiamo bene."

Mi precede nel suo passo saldo, resto qualche istante ancora sul ciglio della strada per poi rietrare scuotendo vigorosamente il capo da inutili pensieri.


*


L'alta editoria di Parigi e dintorni è tutta stipata nel locale, nel giorno del lancio del nuovo dolce della Fabien&Madeleine patisserie.

Il gran segreto di mia madre finalmente svelato; dopo mesi e con il contributo di Richard, il party per il lancio del nuovo dolce è in piedi, intorno a noi.

E assieme a lui in bella mostra, il Macaron Najla in migliaia di riproduzioni, sui vassoi a fontana.

Sostanzialmente quello che ho davanti ai miei occhi sono due gusci di meringa leggera al gusto di menta, farciti nel mezzo da una ganache del più pregiato cioccolato fondente; un delizioso bocconcino dal profumo raffinato e incantevole. Sono in estasi.

La mamma passa fra i commensali con il suo vassoio preferito d'argento ante-guerra, la sua eredità di cui va molto fiera e che brilla come i suoi occhi quest'oggi. Mi passa accanto e le lascio una carezza sul braccio, a cui risponde con un occhiolino, dirigendosi poi verso i giornalisti arruffianandoli nel servirsi a loro piacimento.

Richard è al centro della sala, preso da una conversazione moderata e sincera con uno di questi, incuriosito dal fatto che un imprenditore di successo si sia sporcato le mani con tanta umiltà. Li raggiungo ma resto comunque defilata, voglio che si goda il suo momento.

"Ho parecipato a questo progetto con molto rispetto e con il bagaglio della mia esperienza che apporterà sicuramente un nuovo vigore all'immagine del locale, ma vede il merito non è certo mio, ma di madame Bonnet, che ha saputo affidarsi al progresso e creare a sua volta qualcosa di assolutamente innovativo."

Fabien scarta una fila di persone incuriosite vicino al bancone e viene a farmi compagnia.

"Ti è piaciuto?" Chiede, guardando il mio tovagliolo vuoto.

"Non ho ancora avuto modo di assaggiarlo, ma il solo profumo mi inebria!" Rispondo sommessamente.

"Probabilmente ti racconterà lei tutti gli annedoti, ma l'idea le è venuta quando siete venuti a salutarci prima di partire per Londra. Per una strana ragione i vostri soprannomi hanno acceso la sua immaginazione. E quando tua madre immagina.. crea delle meraviglie." Poi guarda verso Richard, annuisce e torna su di me. "Lui mi ha stupito più di tutto." So a cosa si riferisce, ma lo lascio terminare. "Era quì tutti i pomeriggi stabiliti e non si è limitato solo a consigliarla."

Fabien è un turbine. Non l'ho mai visto parlare di qualcosa che non fosse mia madre o la pittura, con tanto ardore. Sorrido e si blocca.

"Scusami, ti sto riempiendo la testa di cose che sai già."

"Non scusarti zio. E' così bello che voi tutti abbiate rispetto per l'uomo che amo. E' strana come sensazione..ma sento come un sollievo." Lui abbozza un sorriso, la nonna ci passa accanto, si salutano appena. "Adesso sono io che devo scusarmi." Aggiungo mortificata.

Lui mi stringe con affetto il braccio. "Tua nonna è figlia dell'epoca che l'ha generata. Vorrei torcerle il collo almeno sette volte su dieci, ma ha messo al mondo tua madre. E ringraziando il cielo non le somiglia quanto in carattere."

Il suo commento mi fa sorridere, mi guardo intorno e penso che mia madre sia avanti almeno anni luce, in confronto alla nonna.

"Zio vorrei chiederti una cosa, senza sembrare impertinente."

"Chiedimi quello che vuoi tesoro."

Inspiro e gli porgo la mia domanda. "E' stato difficile?"

"Non torcerle il collo, intendi?"

Scuoto il capo sorridendo. "Sposare una donna con un passato, crescere i suoi figli.. dopo tutto quello che avevate già passato."

Lo zio resta qualche secondo fisso sull'immagine di mia madre che si muove sinuosa fra un capannello di persone e l'altro. Poi torna con i suoi grandi occhi verde azzurri nei miei ed è serio, tragicamente serio. "Non credevo sapessi, mi trovo in sincero imbarazzo, adesso."

"Scusami." Avvampo maledicendo la mia lingua lunga. "Sono stata indiscreta, non hai l'obbligo di rispondermi."

"Voglio risponderti invece, se chiedi deduco che per te sia importante questa risposta."

Adesso mi sento esposta io e capisco come si è sentito poco prima. Mi mordo il labbro. "Non siamo molto bravi con le confidenze." Abbozzo.

Fabien annuisce e inspira. "Sì Najla Louise non ti nascondo che è stato difficile, ma quando ami qualcuno come io amo voi, sei disposto a portare qualche fardello, perchè l'amore ha un peso molto più sopportabile della rabbia." Mi prende le mani, so già cosa vuole dirmi ma lo guardo con infinito affetto che è palesemente chiaro, non si debba scusare per aver amato mia madre. "Vado da lei." Aggiunge sottovoce, ed io lo lascio andare annuendo.

Ne approfitto per prendere finalmente il mio tanto sospirato dolce, quando i miei occhi ancora su Fabien, lo vedono cingere il braccio della donna e la bocca intimare qualcosa con impaccio; la mamma si scusa con i suoi interlocutori e insieme prendono la via del laboratorio. Li seguo senza indugi.

So che non dovrei origliare, ma la scena ha lasciato su di me una strana angoscia. Sono esattamente al di la della porta che divide il bancone dal laboratorio che per mia fortuna è rimasta succhiusa, perciò riesco a captare nitidamente le loro voci.

"Sei bianco come un cencio Fabien, ti senti bene?" Esordisce la mamma, trafelata.

"Najla.." sentire il mio nome sussurrato dalle labbra dell'uomo mi fa increspare la pelle. "Non ti sembra strana in questo periodo?"

Mi aspettavo una risposta classica abbinata allo stress del matrimonio e invece la mamma sospira. "E' piena di domande."

Stavolta a sospirare è Fabien. "Mi ha chiesto se fosse stato difficile prendermi cura di lei e Benjamin."

Sento i passi nervosi della donna lungo il pavimento. Poi il silenzio e di colpo la sua voce. "Najla è una donna adulta, estremamente intelligente. Credevi si potesse tenere un segreto così grande per molto tempo?" Un altro sospiro, lunghissimo e denso. "Prima o poi dovremmo dirlo."

Quest'ultima frase mi gela; di qualsiasi segreto si tratti, evidentemente sono a un passo da scoprirlo. Nell'attimo in cui le più fastidiose elocubrazioni, si insinuano nella testa, le mani di Richard mi cingono le spalle. Sobbalzo, poggiandomi la mano sul cuore.

"Non volevo spaventarti." Sussurra, sfregandomi con energia le mani lungo le braccia.

"Andiamo fuori." Gli intimo. "Ho bisogno di aria fresca."

"Najla Louise, cosa è successo?" Ha un'espressione preoccupata, le presa delle sue mani è ancora forte su di me.

"Non lo so." Farfuglio di getto. "Ho origliato una conversazione fra mia madre e Fabien."

"E..?"

"Parlavano di un segreto. E di me, che sono piena di domande."

"Che genere di domande?" Chiede perplesso.

"Volevo capire quanto fosse difficile crescere dei figli che non ci appartengono."

Richard mi guarda senza capire, come se fossi una specie di invasata che a un certo punto si mette a fare domande esistenziali, poi mi scruta a fondo e infine sorride, tenero. "Non sarà che sei un pò sottopressione per la chiacchierata con Lydie?"

"Certo che sono sotto pressione, Richard!" Rispondo in malo modo, me ne pento quasi subito perchè so quanto questo argomento lo mortifichi e quanto sia inutile discuterne ancora. "Scusami Richard. E' difficile farti capire cosa mi passa per la testa e come mi sento in questo momento." Ci abbracciamo, lui mi bacia i capelli.

"Parlami dei tuoi dubbi."

Sospiro contro il suo collo profumato. Mi stringo ancora di più, tanto da essere totalmente sommersa dalla sua figura.

Non riesco a credere di dar forma a questo pensiero, ma c'è vivido e costante, e mi rendo conto che non se ne è più andato da quando ho riletto il taccuino della mamma da cui è spuntata fuori la foto di Fabien da bambino.

"Benjamin somiglia tanto a Fabien. Forse anche troppo."

Richard si scosta per guardarmi negli occhi; ha un'espressione indecifrabile, ma va dritto al sodo. "E che risposte hai avuto in merito?"

"Mia madre mi ha consigliato di sposarmi e vivere una vita felice." Blatero.

"E non è forse quello che vogliamo fare, Najla Louise?"

"Certo. In realtà ha anche aggiunto che tutte le risposte arriveranno prima o poi."

"A chi si riferiva esattamente?"

"Non lo so Richard." La mia voce è quasi un lamento. "Non so più nulla.."

"Amore." Tuona, con la voce ferma e gli occhi colmi di preoccupazione. "Se tua madre dice di continuare la tua vita senza preoccuparti è perchè forse per il momento, non vuole dare troppa importanza a ciò che è stato in passato. E' un giorno di festa, per te e per lei, lascia a questi pensieri il tempo che trovano." Già, il dolce di Najla, me ne ero quasi dimenticata. "E appoggiati a me, sempre, se avrai bisogno."

La mia dolce metà, penso mentre gli accarezzo la guancia; è difficile assecondarlo, ma non impossibile. I miei tormenti sono ancora lì, posso seporli, addormentarli ma verrà sempre il giorno in cui faranno capolino nuovamente. Ma quel giorno non deve essere questo giorno. Inspiro forte, prendo le mani dell'uomo fra le mie. "Grazie, Richard." Poi tiro fuori dalle tasche il macaron. "Non l'ho ancora assaggiato."

"Aspetta!" Dice lui, appoggiandomelo alle labbra direttamente dalla sua mano.

Lo addento, scoprendolo sorprendentemente morbido e gustoso. Il mio sguardo brilla; il cioccolato si scioglie in bocca e fa un delizioso contrasto con la menta, così pungente e fresca. "Sono perfettamente amalgamati." Dico. "Un momento sembra di essere catturati dall'aroma intenso del cioccolato, l'attimo dopo la menta è lì a prendersi la sua parte."

"Sono due gusti inspiegabilmente complementari, Najla Louise." Ridacchia e quella risata da ragazzino fa sì che io mi rilassi. "Che ne dici se molliamo tutto e andiamo casa?" La sua proposta e il suo sguardo lascivo mi fanno capitolare in meno di un secondo.




Lo scricchiolio delle mura mi svegliano da un sonno poco sereno; mi guardo intorno con un leggero batticuore, ridendo poi di me stessa una volta realizzato che è notte fonda, sono nel mio letto e ho Richard avviluppato al corpo. Delicatamente lascio scivolare le sue braccia da me e mi alzo.

In cucina c'è un vassoio di macarons verdi, ne prendo qualcuno e lo deposito in una ciotolina di ceramica bianca che resto a fissare per un pò.

Frugo nel cassetto delle cianfrusaglie dove riposa la Comet Bencini di Richard, appassionato fra le altre cose di fotografia; prendo un nastro color moka e lo avvolgo intorno ai macaron, per poi scattare orgogliosa una foto al mio e nostro, dolce personale.

La incornicerò, penso soddisfatta, mentre sbroglio la mia opera d'arte per poi morderla.

Il salone è freddo e il divano poco accogliente, dopo pochi minuti mi assale una strana nostalgia e ripensando alla fotografia dei macarons mi viene voglia di andare a sfogliare i vecchi album di famiglia; la mamma fa finta di non saperlo, ma prima di traslocare definitivamente ne ho trafugato qualcuno dal suo archivio personale. I miei preferiti sono quelli in cui lei e Aurelien sono insieme.

Mio padre mi sorride da un'istantanea nella savana africana, i capelli ramati sono scomposti e gli occhi così intensi, mi catturano a fissarlo; immagino la sua vita in quel luogo così diverso dalla mondanità di città e dal progresso del suo paese che vorrei tanto uscisse da questa foto per sentirlo parlare di quel tempo. La mamma mi ha raccontato che ne era entuasiasto, amava quella vita selvaggia e in qualche modo, quel tempo, lo aveva rintemprato prima del grande ritorno.

Con malinconia mi trovo ad accarezzare il pensiero che se non fossero tornati dall'Africa, forse lui non sarebbe morto. Ma è un pensiero che fa male e rimprovero me stessa per cadere nuovamente nella trappola di pensieri distorti. Il destino è una cosa assai strana, le sue trame sono infinite e spesso incomprensibili, ma tuttavia ci ricorda che siamo vivi e che per ognuno di noi esiste un progetto, che per quanto astratto possa apparire, in realtà nasconde spesso una risposta.

Scorro lentamente le pagine della sua vita, in un'altra è abbracciato alla donna che amava che lo guarda estasiata; la mamma era in attesa di Benjamin, dalla veste fiorita fa capolino la pancia prominente. La fisso e il volto perfetto di Ben si materializza come nulla.

Lascio il mio posto e mi accuccio verso il mobile, alla ricerca di qualche foto di Fabien da giovane. Non trovo nulla. Sospiro.

Un tonfo mi percuote. Mi volto di scatto e noto che l'album che sfogliavo è caduto. Rabbrividisco. Papà.

Il sangue è freddo, mentre lo sfioro per rimetterlo a posto; lo giro con cautela, la foto sul quale è rimasto aperto raffigura ancora lui e la mamma, la sua mano in un gesto dolce, le copre la pancia. Qualcosa dentro me fa capolino, procurandomi il pianto. Ci sono troppi dubbi e troppe domande inespresse, rischio di impazzire nelle mie stesse paranoie. Lui non potrebbe essere più felice e più bello di quanto potessi immaginare, lei è un fiore acerbo con in grembo il frutto dell'amore. Sono così perfetti che mi sento quasi in difetto a pensare determinate cose, eppure..

La stanza viene illuminata. Mi accorgo di Richard e il suo volto assonato. "Sei quì." Lamenta, avvicinandosi a passo incerto.

Chiudo tutto alla svelta nell'armadio e mi asciugo gli occhi con il polso frettolosamente. "Scusami se ho fatto chiasso, non riuscivo a dormire."

"E' lo zucchero." Scherza, indicando il tavolo con i dolci. Mi allunga le braccia per farmi alzare, gli finisco contro il petto mentre caracolliamo sul divano.

"Li adoro." Pronuncio divertita.

"Sono felice." Mi bacia la punta del naso. "Ancora brutti pensieri?"

"Si." Mi sistemo per bene su di lui, chiudo gli occhi e sospiro. "Non sembrerebbe come se ci avessero rubato qualcosa?"

"Cosa esattamente?" Mi accarezza la schiena, non è irritato e il suo interesse mi consola. "E' la vita che hai vissuto e sono esattamente le stesse persone che ami. Guarda cosa sei riuscita a fare con me, il tuo amore è così forte che travolgi tutto ciò che hai difronte, Najla Louise."

"Sappi che non ti ho perdonato Hamilton." Puntualizzo sarcasticamente.

"Lo so.." soffia, accorato.

Alzo il capo e sorrido. "Sai anche che posso vivere senza il tuo amore, solo che non voglio?"

"Certo." Abozza un sorriso. "Cercavo di farti vedere le cose con lucidità."

"E' strano ma tu ci riesci quasi sempre." Confermo. "Rendi razionale qualsiasi mia paura. E ho veramente paura che Philippe sia tuo figlio, tuttavia so che prenderti cura di quel bambino, al di là della genetica, ti rende l'uomo eccezionale che sei e che amo, veramente tanto."

Non dice più nulla, nel silenzio le sue carezze valgono più di mille parole.

Cambio discorso, fra uno sbadiglio e l'altro."Dobbiamo stilare una tabella di marcia per il viaggio in costa Azzurra. I bambini fremono all'idea di partire."

Annuisce e ferma le sue mani. "Qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi prova incroceremo lungo il nostro cammino, abbiamo promesso che resteremo uniti. Tu ci credi, vero Najla Louise?" Non ho la forza per indagare oltre questo suo ribadire il nostro reciproco patto quindi annuisco a mia volta.

"Andiamo a dormire. Penseremo domani all'itinerario."

Si alza con minimo sforzo nonostante il mio peso lungo tutto il suo corpo; aggroviglio le gambe intorno alla sua schiena e si muove verso la camera da letto.

Credo di essere gia nel mondo dei sogni quando lo sento farfugliare qualcosa.

E' lontano e poco nitido riesco solo a vedere che la cornetta del telefono in mano, prima di scivolare in un sonno denso e pesante.


*


Con i primi timidi segni della primavera, la dottoressa Ines Bureau convoca Richard e Lydie nel suo ufficio, in ospedale.

Richard ha provato a farsi un nodo decente alla cravatta tre volte, le mie mani sono nervose armeggiando le tazzine con il caffè, finisco per macchiarmi la divisa da lavoro inesorabilmente. Non ci rivolgiamo parola, i nostri semplici gesti quotidiani diventano meccanici, fino a che non ci troviamo in auto.. dove scoppiamo letteralmente in un riso isterico.

"Sono così nervoso.." biascica, dopo aver comunicato a Maximilianne la nostra destinazione.

Gli stringo forte la mano. "Forse era meglio sorseggiare camomilla."

L'ironia di queste parole lo distende, si avvicina il dorso della mia mano alle labbra e vi deposita un bacio leggero. "Resta nei paragi." Dice con trasporto e un pizzico di paura; annuisco con il capo, rinviando mentalmente tutta la tabella di marcia della mia giornata lavorativa.

Lydie è nel piazzale ad attenderlo; dalla carrozzina fuoriescono i vagiti di Philippe, Richard si piega su di lui giocando con i suoi piedini.

Li saluto molto frettolosamente prendendo la via per gli ascensori, quando vengo trattenuta per il braccio.

"Non sparire." La figura di Richard è su di me; mi guarda severo e tutto ad un tratto mi sento una ragazzina. "Lo so che è toccato a te il compito più difficile. Sei forte ma immagino cosa ti passi per la testa in questo momento e.."

"Richard!" Esclamo, alzandomi sulle punte per baciargli le labbra contratte. "Io non vado da nessuna parte." L'acensore si apre e mi ci catapulto dentro.

L'ultima immagine di lui che mi rimane, sono i suoi occhi grigi che mi fissano.

In corridoio c'è trambusto, non riesco ad identificare le voci ma allungando il passo, mi appresto a capire da dove provengano.

Entro in ambulatorio e la scena che mi si para dinnanzi mi mette i brividi; Patrick è lungo la barella con il volto e le mani tumefatte, si lamenta mentre una collega cerca di prestargli sommarie cure. Il lamento che fuoriesce dalle mie labbra cattura la loro attenzione.

"Dottoressa Chedjou, fortuna è quì!" La ragazza, che mi lascia campo libero subito, getta reticente i guanti in un angolo.

"Che gli è successo?"

"E' stato pestato a sangue da alcuni malviventi. Presenta trauma contusivo oculare all'occhio destro ma nessuna presenza di fratture. La tac al cranio e all'encefalo risulta perfetta, le escorazioni superficiali sono leggere." Annuisco per andarmi a preparare di tutta fretta. Quando torno, la ragazza prosegue. "Rifiuta il ricovero. Se non ha bisogno di me.. andrei."

"Vai pure, ma procurami un modulo per il ricovero per piacere."

"Ho detto no, Najla Louise!" Protesta il mio amico con voce fioca. Faccio segno alla collega di sorvolare e andare, anche se sentirlo parlare mi da sollievo.

"Sei uno stupido testardo!" Intimo, tastandogli le costole rozzamente; emette un gemito di dolore che sentono da quì ai sobborghi. "Malviventi eh? Ma chi ti ha fatto le radiografie? Ha detto che non hai nulla, ma ululi come una ragazzina esaurita!" Monto la barella e apro le porte di gran fretta.

"Dove va?" Mi chiede uno dei medici di guardia.

"Radiologia. Probabilmente ha qualche costola incrinata e non le è stato fatto un esame accurato." Quello si sposta alzando le mani. "Ho chiesto un letto nel suo reparto se possibile, deve rimanere almeno ventiquattrore in osservazione."

"Vada, ci penso io!"

In ascensore Patrick si lascia andare a una risatina. "Quì l'esaurita sembri tu. Non mi hanno fatto alcuna radiografia a parte quella al cranio, non gli ho permesso di toccarmi. Non lo vedi come è scappata quando sei arrivata?"

"Mi confermi di essere uno stupido, Patrick Thompson. Tieni la bocca chiusa se non vuoi che una costola ti perfori il polmone."

"Catastrofica."

"Rivoluzionario!" Dico fra i denti non trovando altro insulto. Lo guardo con tutto l'odio possibile. "Ti sei visto?"

"No."

"Probabile trauma al torace!" Le porte di radiologia si spalancano ed entro a passo svelto. "Posso avere uno specchio?"

"Uno specchio?" Mi chiede la ragazzotta castana che ci accoglie. Annuisco alzando gli occhi al cielo. Trafuga nella sua borsa e me lo porge.

Lo metto davanti alla faccia di Patrick che spalanca la bocca. "Sono un vero schifo." Lamenta.

"Quell'occhio non mi piace per nulla." Constato preoccupata.

"Potrebbe trattarsi di un'emorragia." Ribatte. "Chiama oculistica."

Mentre la ragazza si occupa di lui, prenoto la prossima visita.

Mi torturo le mani e seguo la scena del mio migliore amico sotto i raggi X con un'ansia che mi divora la bocca dello stomaco.

"Lui è quì." Esordisco a voce alta. "Oggi è il gran giorno." Patrick alza leggermente il capo ma la collega gli intima irritata di rimanere immobile. "Sono nervosa, adirata e adesso anche tu mi dai preoccupazioni! Cosa mi è saltato in mente di supportarti in questa tua crociata, potevi restarci secco lo sai? Certo che lo sai, per questo ti sei immolato.. sei sempre stato tanto coraggioso, a me invece sembra di sprofondare in questa attesa allucinante. Sono una pappamolle."

Sto farfugliando, perciò mi azzitto e aspetto buona che l'esame termini; giunto il momento, Patrick mi prende la mano. "Andiamo pappamolle, ho solo una brutta contusione." Annuisco e lo spingo di nuovo verso gli ascensori e il reparto di oculistica.

Quando ci vedono entrare sobbalzano di felicità, quasi. Vedo la noia volare giù dalle finestre.

"Date un calmante alla mia collega, mentre vi spiego i fatti." La celebrità del giorno, viene portata via ed io resto sola in mano a un gruppo di tirocinanti.

"Vuole un bicchiere d'acqua dottoressa?"

"Sì, molte grazie."

Il ragazzo gentile mi porge anche un calmante, che rifiuto. "Non dia retta al mio amico. Non ne sento il bisogno, grazie."

"Mi scusi, ma lei è la dottoressa Chedjou?" Ribatte, fissandomi.

"Proprio io."

"Per me è un onore conoscerla!" Esulta. "E l'altro non mi dirà che è il dottor Thompson?"

"In carne ed ossa rotte."

"Che fortuna! I luminari del genoma K-ras, proprio quì!" Batte la mani estasiato e questo genera in me una risatina.

"Accidenti! Non deve passare molta gente per farci tutte queste feste."

"No dico.. sta scherzando, vero? La vostra ricerca è molto importante per il nostro paese. E come se non bastasse, i fondi contribuiscono anche alla sopravvivenza di questo reparto. Noi tutti facciamo il tifo per voi, dunque. E posso aggiungere qualcosa in franchezza?"

"Posso impedirglielo?" Ridacchio, annuendo.

"Spero sposi quel magnate delle donazioni così come ho letto..se serve a tenermi il posto!" Si lascia andare ad un chiassosa risata a cui mi accodo.

"Mi dispiace molto per la precarietà del momento." Ammetto seriamente, dimenticando del tutto i giochi. "E' avvilente che la sanità si trovi a un punto di non ritorno; nella prospettiva del progresso, una nazione dovrebbe far tutto ciò che è in suo potere perchè questo si manifesti, anzichè tagliare le gambe al proprio personale e pregare che l'Hamilton di turno metta mano alla propria coscienza. Tutto ciò mi rende molto triste, mi creda."

"Le credo." Risponde con la stessa serietà. "Questo reparto sta mano mano scomparendo nella sua stessa inattività. I contribuenti si rivolgono ad altri enti ma ci chiedono più sacrifici, ed ecco quì che siamo esattamente come il cane che si morde la coda. Comunque.." scivola dalla sedia sulla quale è accomodato, apre un cassetto e mi passa un foglio. "Stiamo organizzando una piccola manifestazione al piazzale. Se vuole partecipare dottoressa lì c'è scritto dove e quando. Non sto neanche a dirle che impatto avrà la sua presenza."

Fisso il foglio e sento come un formicolio alle guance. Uno strano calore al centro del petto. Credo si chiami orgoglio e rivalsa.

Ecco cosa deve sentire Patrick quando gli viene chiesto di immolarsi per la parità sociale della comunità gay di Parigi.

"Farò tutto il possibile per esserci."

Ci stringiamo la mano e proprio in quel momento il mio amico fa ritorno. "Sei riuscita a convincerla?" Chiede al ragazzo accanto a me.

Lo guardo stralunata, Patrick sventola il suo volantino.

"Se ti piacciono gli occhi pesti devi solo farti avanti." Lo minaccio, con una mano ben salda sul fianco.

Il ragazzo che spinge la barella si lascia scappare un risolino. "Dovrebbero legarlo al lettino per tenerlo fuori da questo reparto." E anche una confessione, perchè quando lo guardo in cagnesco capitola. "Credo di aver appena fatto una gaffe." Spalanco la bocca e mimo il segno di tagliare la gola a Patrick.

Guardo l'altro ragazzo con cui stavo chiacchierando che alza le mani e getta all'amico uno sguardo truce.

"Non sapevo che il dottor Thompson fosse già stato in reparto e invitarla alla manifestazione è stata una mia idea, spero non cambi idea."

Scuoto il capo guardando il mio amico in stato di sconcerto; porgo una mano sulla spalla del ragazzo visibilmente imbarazzato, invitandolo a guardarmi negli occhi. "Non c'è bisogno di giustificazioni, so quanto è subdolo quell'uomo lì."

"Ah, sto abbastanza bene, grazie per averlo chiesto." Patrick ironizza cambiando discorso disteso con una faccia da schiaffi.

"Dobbiamo andare." Mi congedo dai due uomini con un sorriso affettato.

"A presto dottoressa Chedjou." Fa eco l'altro mordendosi il labbro.


"Avanti, fammi questa ramanzina. Lo vedo da come mi guardi che non vedi l'ora."

"Non ti farò alcuna ramanzina." Ribatto. "Mi ferisce che tu non ti sia confidato con me, ma non c'è problema; il giorno in cui ti troveranno a polpette, verserò le mie lacrime e ti maledirò come se non fosse successo nulla." Incrocio le braccia al petto ma la sua risata mi sciogle il cuore e caccia via il risentimento. "Ho davvero paura che ti possa accadere qualcosa, ma oggi per la prima volta -e parlando con quello sbarbatello pensa un pò- ho sentito chiaramente un senso di appartenenza a questa causa. L'ospedale è tutto il mio mondo, vivo quì da quando ero una ragazzina non posso permettere che vada in sfracelo."

Annuisce. "Dobbiamo preservarlo noi stessi il nostro futuro, le istituzioni sono ben lontane dal farlo. E questo non è un mondo giusto Najla Louise."

"Non lo sarà mai Patrick. Ma se possiamo renderlo migliore.. io non mi tirerò indietro."

Afferra nuovamente la mia mano e mi sorride, gentilmente. "Non è vero che sei una pappamolle."

Guardo l'orologio. E' passata gia un'ora. "Accidenti, devo cercare Richard, adesso."

Le porte dell'ascensore si aprono, spingo Patrick fino all'ufficio del capo reparto che appena ci vede entrare, sobbalza. "Vi stavo aspettando! C'è un letto libero dottor Thompson, la sistemiamo quì per la notte. Le analisi che dicono?" Gli passo i referti, li sfoglia rapidamente. "Riposo e pazienza." Borbotta. "Per fortuna le è andata bene."

Mi piego all'orecchio di Patrick. "Posso lasciarti sicura che non ti calerai giù dalle finestre come un ladro?" Annuisce ma il suo volto è una maschera di irrequietezza. "Passerò fra un'ora." Bisbiglio, prima di girare i tacchi.

Dopo qualche rampa di scale sono di nuovo in pronto soccorso, cerco con lo sguardo Richard, senza trovarlo.

"Benjamin?"

Il volto cianotico di mio fratello mi viene incontro dalle porta d'entrata; con la coda dell'occhio vedo un'infermiera portare via Charlotte in carrozzina.

"Le si sono rotte le acque, Najla Louise!" Mi stringe le spalle, la sua voce è un misto di gioia e paura. "Stanno cercando la dottoressa Bureau, non so dove andare!" Ma che razza di giornata è questa? Penso, indicando con una mano un corridoio alla nostra sinistra.

"Ala ovest, secondo piano." Lo spingo verso la direzione accennando una corsetta. "Hai per caso visto Richard là fuori?"

Nega con il capo. "Sta bene?"

"Sì non preoccuparti. E Charlotte come sta?"

"Ha passato ore migliori. Non è un pò troppo presto perchè il bambino nasca?"

Il suo sguardo è il terrore allo stato puro, gli accarezzo una guancia cercando di consolarlo come posso.

"Cerca di mantenere i nervi saldi, succede molto più spesso di ciò che pensi e la dottoressa Bureau è in gamba." Prego di trovarla e di trovare Richard. "Hai avvisato la nostra famiglia e quella di Charlotte?"

"Sì, entrambe."

"Bene!" Rispondo energica, mascherando le preoccupazioni con un bel sorriso.

Charlotte è sul corridoio, il volto strapazzato a la voce accalorata. "Najla andrà tutto bene, vero?"

Mi piego sulle gambe per guardarla bene negli occhi. "Certo che andrà bene. Tu sei forte e il bambino è un leone; non vede già l'ora di nascere." Mi rimanda un sorriso tirato ma gli occhi sono sognanti.

Dopo qualche istante viene preparata per la sala chirurgica. Benjamin le accarezza i capelli e la bacia. "Andrà tutto bene." Ripete come un mantra.

Solo allora compare la dottoressa Bureau; mi guarda con un'espressione di intesa, per dedicarsi poi completamente alla coppia di giovani.

"Signor Chedjou si goda i suoi ultimi istanti di pace." Dice con voce ironica. "Charlotte, andiamo a mettere al mondo il piccolo Aurelien."

"Andiamo." Ripete la donna.

Nel passarci accanto, Ines mi sussurra all'orecchio. "Ti aspetta in laboratorio." La ringrazio, piegando il capo.

"Vieni, ti accompagno in sala d'attesa." Accarezzo la schiena di Benjamin, scortandolo.

La testa mi frulla di pensieri.. e la giornata è solo all'inizio. "Tutti gli altri stanno bene, vero?"

Benjamin sorride sornione. "Giornata lunga?"

"Abbastanza." Lo guardo, ha il volto adesso sereno; è cresciuto, le rughe di espressione sono più marcate tuttavia il suo sorriso conserva quel non so che di fanciullesco che lo rende adorabile. "Sono tanto felice per voi, Ben." Lo abbraccio e gli indico la sala di attesa.

"Tu non vieni?" Chiede, vedendomi ferma nel vano.

"Devo trovare Richard. Saluta tutti, sarò da voi il prima possibile."

Non sono certa di sopravvivere ad una risposta positiva. Lo ammetto a me stessa, mano mano che l'ascensore sale i piani e mi conduce dal mio uomo.

Improvvisamente ho le gambe molli e il cuore in gola, dritti alla verità.

Apro la maniglia con veemenza, le mani scivolose e la salivazione azzerata.

Richard è poggiato al cornicione interno della finestra, ci guardiamo subito essendo esattamente paralleli.

Mi avvicino a passo incerto, piano piano; quando sono vicino mi tira a se. Non le sento subito, ma dopo un pò le sue lacrime si appiccicano al mio collo ed inizio a tremare. Resto in silenzio, non trovo il coraggio per parlare anche se la sua difficoltà nell'esprimersi mi fa pensare ad un unico risultato.

"Il bambino non è mio, Najla." Ha la voce rotta, ma scandisce per bene tutte le parole.

Tiro un lungo e agoniato sospiro di sollievo; i miei polmoni sono liberi finalmente e anche la mia testa, il mio stomaco. Tutta me, torna integra.

"E' terribile." Aggiungo in seguito, la voce a un sussurro, mentre cerco di frenare sulle labbra un sorriso idiota.

"Che cosa?" Domanda, scostandosi e guardandomi con diffidenza.

"Sono felice?!" Rispondo come se fosse un'ovvietà.

"Anche io lo sono!" Ribatte alla stessa maniera.

"Ma è di un bambino che parliamo, non di un raffreddore o un pacco postale. E' squallida e allo stesso tempo confortante, questa sensazione che provo."

Mi fissa allibito e perplesso. "Mi stai confondendo."

"Lo so." Rido contro le sue labbra per poi baciarle e appendermi ai suoi capelli folti. "Mi sento solo inadeguatamente e schifosamente felice."

Finalmente il suo sguardo si illumina. "Ho capito a cosa ti riferisci. Ma avevo comunque già deciso di prendermi cura di Philippe, in ogni caso."

"Sono orgogliosa di te." Pronuncio dolcemente sulle sue labbra. "Lydie non tenterà neanche di parlarne con il suo compagno?"

Richard alza le spalle. "So che farà di tutto per far stare bene suo figlio, le altre questioni non ci riguardano."

Penso a quella ragazza forte e testarda e credo di poter asserire con le parole di Richard. "Hai ragione."

Salda le mie mani nelle sue e fa per uscire dalla stanza. "Ti offro qualcosa di caldo, lo stress per la notizia mi ha devastato."

"Tieniti forte perchè ne ho una ancora più tosta.." Guarda furtivamente intorno poi torna su di me. Ha lo sguardo curioso perciò mi affretto a parlare. "Aurelien sta nascendo!" Dico emozionata. "Poco fa ho incrociato Benjamin e Charlotte. A quest'ora anche la mia famiglia dev'essere arrivata, andiamo?!"

Annuisce e si lascia guidare per i corridoi finchè non imbattiamo la mia famiglia e quella di mia cognata, in trepida attesa.

La mamma è la prima ad alzare lo sguardo, ha inconfondibili occhi lucidi e un lieve sussulto, appena mi riconosce.

"Ci siamo." Le dico, stringendole la mano.

Mi guarda felice come una bambina. "Non vedo l'ora di stringerlo fra le mie braccia."

Richard saluta tutti, io mi congratulo con i genitori di Charlotte visibilmente commossi; c'è aria di gioia, aspettativa e desiderio, mi sento completa e finalmente dai miei occhi sgorgano lacrime di assoluta contentezza.

"Oh! Finalmente vi ho trovato!"

Patrick appare dal fondo del corridoio con un improbabile benda sull'occhio traumatizzato, spingendo una vecchia sedia con le rotelle.

Fabien, il più vicino e in piedi, lo aiuta ad avvicinarsi spingendolo fino a noi. "Che ti è successo ragazzo? Sei conciato male!"

"E' una lunga storia signore. Il nonno se non ricordo male, vero?" Gli allunga la mano con un sorriso da schiaffi. "Congratulazioni!"

"Grazie!"

Richard mi guarda, alzo le spalle. "Riposo e pazienza." Blatero laconica.

"Sono andato pianissimo. Ho lasciato la mia camera mezzora fa!" Risponde sarcastico, mi fa ridere e anche gli altri ridono. "Ho saputo che tua cognata era in sala parto da un'infermiera. Allora, mi sono perso qualcosa?"

Nego con il capo. "Il dottor Garau ti caccerà dal suo reparto."

"Vorrà dire che mi troverai una lettiga nel tuo laboratorio."

"Spero non ti cacci." Rispondo serafica.

Mi sorride sornione per poi congratularsi con il quasi neo papà e gli altri presenti che lo guardano con sincero interesse.

"Pensare che ero geloso di lui." Richard mi avvicina di lato, cinge il mio fianco con la sua mano spingendomi delicatamente verso la sua bocca.

Giro il capo e lo guardo con un sopracciglio arcuato. "Non avrei modo di trovarlo attraente; mi fa dannare la maggior parte del tempo che siamo insieme."

"Non so se è la risposta che volevo udire." Ridacchia contro il mio orecchio. "Cosa gli è successo?"

"Prometti di non dirlo a nessuno?" Bisbiglio. Lui annuisce molto composto. "E' stato pestato da un gruppo di facinorosi."

Sgrana gli occhi e scuote il capo. "Questa inutile violenza si sta espandendo a macchia d'olio, mi sembra."

"Purtroppo si." Inspiro e lo rendo partecipe della mia intenzione di partecipare alla protesta per l'ospedale; la sua stretta si fa più forte, tuttavia mi lascia parlare. "Devo farlo Richard. E' una causa che mi riguarda troppo da vicino per starmene a braccia conserte. Un giorno i tuoi interessi potrebbero cambiare e non voglio che ti senti in obbligo a sposare una causa che non senti più tua, solo perchè sono tua moglie."

Il suo volto si dipinge di un sorriso soddisfatto e senza aggiungere altro, mi bacia.

La Bureau si affaccia per la prima volta dopo qualche ora; ci tiene informata sui valori della dilatazione di Charlotte e sulle condizioni sue e del bambino. Stando a quanto dice, il piccolo non dovrebbe tardare di molto al suo arrivo. Siamo tutti molto emozionati, anche se la stanchezza inizia a farsi sentire; la donna chiede a Ben se è sua intenzione presenziare al momento fatidico e mio fratello, con le lacrime agli occhi, le risponde che non si sarebbe perso il primo vagito di suo figlio per nulla al mondo. Quella ci congeda paccheggiando la spalla al ragazzo e torna da dove era arrivata.

"Credo che a questo punto abbiamo tutti bisogno di carboidrati." Annuncia Fabien, accogliendo il nostro benestare.

"Mi lasci chiamare il mio autista per farci portare qualcosa, signore." Richard fa la sua proposta ma l'uomo lo trattiene.

"Non vorremmo creare disturbo."

"Nessun disturbo." Poi mi guarda. "Torno presto."

Lo accompagno per un pezzo di strada, guardo l'orologio e il suo viso stravolto. "Non c'è bisogno che tu resti oltre il pranzo. Avrai degli impegni e credo tu debba consegnare quel test al tuo avvocato."

"E' ora che inizi a fare pratica con queste cose." Mi stringe il fianco con la mano e accarezza la pancia con il pollice, facendomi arrossire. Quando l'ascensore è al piano, mi da un bacio leggero ed entra nel vano. "L'avvocato mi aspetta la prossima settimana. Tu mettiti seduta e aspettami buona."

"Sei dannatamente efficente Hamilton."

"Tienilo a mente Najla Louise." Mi fa l'occhiolino e sparisce dietro le porte che si chiudono.


Torna dopo una buona mezzora con ogni sorta di ben di Dio.

Con un gran tempismo arriva un collega che chiama al rapporto Benjamin, perciò ci ritroviamo a pranzare di fretta e in gran silenzio.

La mamma fino a quel momento seduta composta, si alza e inzia a fare su e giù sul corridoio insieme a Priscilla. Parlano di cose sciocche e frivole, credo per scacciare la naturale ansia del momento. Fabien e Julian Harris, il papà di Charlotte, invece discutono dell'economia del paese; guardo la scena trovando ilare la netta differenza che si crea in certe situazioni tra uomi e donne, trovando man forte nelle risate di Richard.

"Thompson dove è finito?" Chiede dopo un pò.

"I dolori sono tornati, l'ho riaccompagnato in reparto, dove ovviamente abbiamo ricevuto una strigliata." Accuccio il capo sulla sua spalla, lasciandomi accarezzare i capelli. "Richard posso farti una domanda?"

"Certo."

Alzo il capo e mi addentro nel suo passato. "Non c'è mai stato un momento nel passato, in cui hai desiderato avere una famiglia tua?"

Il suo sorriso mi disarma ed anche i suoi occhi furbi. "Sono sempre stato troppo ambizioso Najla Louise, non avevo tempo per pensare."

Mi fa il verso; questo suo modo di trasformare le cose che gli dico in un gioco non mi fa arrabbiare, al contrario.. lo adoro.

Ha buona memoria e probabilmente è interessato a tutto ciò che pronuncio o più semplicemente, per amore è sempre in mio ascolto.

"Non so se è la risposta che volevo udire." Rispondo, ridacchiando come una ragazzina.

"Adesso sono molto motivato." Aggiunge con voce impostata, troppo perchè non inneschi in me un'altra risata. "Ci guardano tutti." Dice, soffocando il riso; in effetti mia madre, Fabien, Priscilla e Julian sono girati dalla nostra parte. Dopo qualche minuto.. il caos.


Benjamin, con ancora indosso il camice, fa capolino dal corridoio con un grande sorriso trionfante.




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Alle quattro del pomeriggio, Aurelien Fabien Julian Harris Chedjou si affaccia alla vita.

E' un fagottino di appena due chili e settecento grammi, con le gambette lunghe e i capelli scuri della mamma. I suoi occhi sono indecifrabili, mia madre gongola asserendo che sono verde-azzurri mutevoli, proprio come quelli di Ben, che a dirla tutta sono davvero indecifrabili. La maggior parte del tempo li tiene chiusi, ma quando ci guarda lo fa con un musino adorabile, non capendo chi sia questo manipolo di pazzi che lo salutano dal vetro della nursery o gli fanno facce buffe per attirare la sua attenzione. Lo amo di già, il mio cuore scoppia per lui e non credevo potesse esserci una sensazione così potente; me lo dicevano tutti, amici, colleghi, chiunque avesse avuto la fortuna di diventare zio o zia. "Te ne innamorerai a prima vista." E' così.

Richard rimane leggermente in disparte, ogni tanto mi giro a guardarlo ed è sempre con lo sguardo fisso sulla mia schiena. Ha un'espressione dolce e desiderosa, mi chiedo se non stia bramando quanto me lo stesso momento, ma con nostro figlio. E' impossibile non pensarci, questa esperienza è così forte e viverla insieme non può che significare qualcosa; sono così felice che ci sia lui in questo momento, accanto alla mia vita.

Rifletto sull'inizio di questa giornata, al responso del test, così atteso e allo stesso tempo temuto; letteralmente una nuova nascita, se vogliamo.

Sarà comunque il papà di Philippe, in un altro senso che escluda quello biologico ma legalmente apparterrà a lui, essendosi impegnato nel fornirgli una buona educazione scolastica da quando sarà poco più che un bambino fino all'età adulta.

Mi redo conto che dinnanzi al calore degli affetti, questo non significhi poi molto, ma chi può dire cosa accadrà da quì ai prossimi venti anni.

Di una cosa sono certa; la mia bellissima famiglia vivrà in me, nei valori che mi ha trasmesso e che io tramanderò ai figli che metterò al mondo.

E spero con tutto il mio cuore di essere insieme a quell'anima bella che ora mi sorride e si avvicina.

Mi abbraccia, restando comunque alle mie spalle.

"Non è meraviglioso?" Chiedo con la voce rotte dall'emozione.

"E' molto di più." Risponde flessuoso. Cerco la sua guacia contro cui mi struscio, affettuosa e piena di amore.


*


Dopo qualche settimana, gli ottimi valori e il peso corporeo di Aurelien, fanno sì che possa essere dimesso, così ci troviamo una bella domenica soleggiata di quasi primavera per battezzarlo. Il frugoletto cresce a vista d'occhio, mentre passeggiamo in direzione della parocchia di Saint-Jean-de-Monmartre ci divertiamo a notarne i cambiamenti. Non perchè sia mio nipote, ma non ho mai visto un bambino appena nato tanto bello.

"Come farò a stare lontana da questo angioletto?" Gli sussurro, cullandolo fra le mie braccia.

"Quando partirete?" Chiede Charlotte divertita.

"Richard ha avuto il consenso per il prossimo fine settimana."

La ragazza guarda l'uomo al mio fianco, sorridendogli. "E' un'iniziativa davvero speciale."

"Ti ringrazio, mi fa felice raccogliere i consensi." Dice con il suo aplomb londinese. "E' un'iniziativa sconosciuta, ma spero che per il Salpêtrière diventi una buona abitudine. Quei bambini lo meritano."

"Già, ho il cuore stretto in una morsa. Prego per loro tutti i giorni." Ribatte la ragazza accorata, guardando il suo bambino nato prematuro, sorridere alla vita. "Se ci fosse bisogno di un contributo Richard, io e la mia famiglia saremmo onorati di partecipare."

"Lo terrò presente, grazie ancora."

"Figurati.. siamo così fortunati." Poi getta un'occhiata dolce nella mia direzione. "Saresti una mamma perfetta."

Arrossisco piegando il capo per ringraziarla quando il parrocco si affaccia fuori dalla porta.

"Siete i genitori di Aurelien Chedjou?"

"Sì, padre." Benjamin si fa avanti e gli stringe la mano. "La famiglia al completo."

"Bene, allora iniziamo."

La cerimonia dura circa un'ora, ovviamente la mamma e Priscilla -divenute una specie di mostro Idra dall'arrivo del piccolino- sono ai primi posti ad acclamare entusiaste ogni parola pronunciata dai rispettivi figli; sono così commoventi e divertenti, guardarle e saperle piene di gioia trasmette felicità.

Richard è al mio lato destro, mi stringe la mano e ogni tanto sorride seguendo la traiettoria del mio sguardo; alla mia sinistra c'è Patrick, del quale mia cognata è ormai affezionatissima.

"Resto del mio parere che ci vuole un bel fegato per sopportare un marmocchio urlante."

Cerco di trattenere il riso, effettivamente l'urlo a pieni polmoni di Aurelien, quando ha ricevuto l'acqua battesimale sul capo, ha fatto vibrare le finestre.

"Quel marmocchio è mio nipote, abbi un pò di rispetto." Non sono per niente seria, così mi rimanda uno sguardo che la dice lunga.

"Voi due avete intenzione di sfornarne un paio?"

Stavolta rido, coprendomi la bocca. "Ma cosa ti prende quando metti piede in una chiesa?"

"Sono la blasfemia in persona chèrie, che domande mi fai!" Brontola, attirando lo sguardo fulmineo di Richard.

"Oh giusto, quasi lo dimenticavo! Ogni tanto abbindoli anche me, visto?" Fa un sorriso bello da perderci il fiato, perciò mi stringo al suo braccio e metto su una faccia innamorata. "Credo almeno tre." Sussurro.

"Auguri!" Mi da una leggera gomitata. "Mi ci vedi a fare lo zio di tre marmocchi?" Dice poi serissimo.

Geremia al suo fianco, si protende verso di me. "Non sarà solo, te lo prometto per la salvezza dei tuoi figli."

L'altro mette su un broncio adorabile, lo guardo e poi li guardo insieme sorridendo sicura. "Sarete degli zii perfetti, ma adesso.. silenzio!"


Il palazzo in cui abitano Ben e la sua famiglia è a pochi passi da Place de Clichy, passeggiare ai piedi della butte con questo clima così piacevole è sempre un bene al cuore; i bistrot riempiono i loro tavoli all'aperto di turisti, le boutique si vestono di colori allegri, tutto scorre di un'energia vitale così positiva che camminare è quasi una cura. Il mio Richard osserva curioso tutto ciò che gli sta intorno, lui che solo da un anno e poco più, fa parte di tutto ciò; cammina leggiadro e impettito come un essere non di questo pianeta, nel suo trench color sabbia e il completo a festa, attirando gli guardi di donne e uomini senza differenza. Lui è il balsamo del mio cuore.

"Perchè mi guardi così, Najla Louise?" Chiede curioso, quando ad un angolo mi da la precedenza per farmi passare.

"Riflettevo."

"Su cosa?"

"E' un anno che sei a Parigi e fra qualche mese sarà il nostro anniversario."

"Hai in mente qualcosa di speciale?" Chiede curioso, caratteristica che me lo fa amare sempre di più.

"Forse." Stringo le labbra in un sorriso timido.

"Non farti tirare fuori le parole... ti prego!" Mi solletica il fianco, la mamma e Fabien ci sorpassano ridendo dei nostri giochi.

"Ok! Ok!" Strepito. "Te lo dico!" Prendo fiato, mi fisso e lo fermo. "Potremmo creare un'atmosfera intima nella nostra casa per..diciamo.. l'arrivo di un erede Hamilton?" Mi mordo il labbro, sono giocosa ma infondo al mio cuore in queste settimane, sicuramente investita da questo vortice d'amore che Aurelien ha portato con se, ho scoperto di desiderare davvero un figlio nostro.

Lui mi fissa, uno strano sorriso sul volto. "Allora devo parlarti di una cosa." Mi manca il fiato, perciò si appresta a continuare il suo discorso alla svelta. "Nella mia testa ho immaginato questo giorno in un altro modo."

"Stiamo parlando dell'avere un figlio?"

"Certo." Risponde con tono dolce, accarezzandomi la guancia. "Anche gli uomini fantasticano su queste cose, sai?" Alzo le spalle, non una parola. "Pensavo di prenotare una suite con vista sulla tour, fare un bagno in piscina, cenare a lume di candela e poi.. cioccolatini, fiori.. insomma qualcosa del genere."

"Mi va bene tutto." Rispondo di getto. "Ma che sia nella nostra casa. Mi piace pensare che almeno uno dei nostri tre figli sia concepito nel nostro letto." Mi guarda perplesso, credo di andare a fuoco. "E' il letto in cui ho perso la mia virtù. E quello in cui ho scoperto che so perdonarti, perchè ho scelto di amarti con tutta me stessa." Le mie parole lo emozionano, sorride con gli occhi appena appena lucidi. "Lo so può sembrare un discorso arcaico ma.."

"Mai sentite parole più belle." Dice, bloccandomi con un bacio. Poi mi guarda. "Non abbiamo la piscina." Rido sulle sue labbra e alzo gli occhi al cielo.

"Potremmo andare a fare un tuffo in hotel e cenare lì. Poi dritti a casa, dove ci attenderanno fiori e cioccolatini e.. il nostro letto."

"Mi va bene tutto." Risponde, censendo la promessa con un altro bacio.

La giornata vola via fra le risate dei miei genitori, le battute sconcie di Patrick e i racconti di Geremia che il tempo sembra quasi scivolare sulle nostre vite.

Tornati a casa caracolliamo a letto, fantasticando ancora un pò della nostra vita attuale e di quella che verrà.

Richard parla compito dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, mi piace ascoltarlo, credevo fosse un tipo taciturno ma da quando viviamo insieme mi sono ricreduta su molte delle cose che lo riguardano; ogni tanto torna assente su qualcosa che mi è indecifrabile ma so che si è affidato alle cure di un esperto e sono felice abbia perseguito questa via. Lo amo così tanto che vorrei vederlo felice sempre. E inoltre non ho mai desiderato diventare moglie di qualcuno; nella mia testa adesso esistono solo i giorni che ci dividono dal venti settembre. Arriverà.

Come arriverà quel futuro che ora sembra astratto e fa tremare il cuore mentre ne parliamo, arriverà e si toccherà con la mano, perchè sarà la vita che abbiamo sempre sognato, a insegnarci a viverla.


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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 16.



C'è chiasso in strada. E non è solo traffico. Il pullmann che abbiamo affittato per condurci in Costa Azzurra fa fatica a introdursi verso la statale: ad un incrocio c'è un'auto ribaltata, persone riverse in strada. Si agitano e la situazione è convulsa e poco chiara.

Mi agito e mi alzo dal mio posto, gettando un'occhiata all'autista; quello sta per aprire le porte del mezzo, quando Richard gli intima di non farlo.

"Richard che ti prende? Qualcuno può essere ferito!"

Mi indica con il dito lo schieramento armato della polizia e dall'altro capo, schierati in egual maniera, un gruppo di uomini con il volto coperto che brandiscono legna e altre armi di fortuna. Tremo al pensiero di cosa mi sarebbe successo, se mi fossi gettata a capofitto in quella mischia.

Intanto la strada davanti a noi sembra liberarsi, i clacson delle auto cominciano a suonare impazziti.

"La prego, vada!" Gracido al povero uomo al volante. "Non voglio che i bambini assistino a questa scena un secondo di più!"

Mi lascio cadere sul sedile, non appena riprendiamo la corsa. Il fondo del pullmann è agitato dal chiasso di voci dei bambini e dei loro genitori.

"Dici sia il caso andare lo stesso?" Chiedo angosciata a Richard.

"Ora più che mai dico sì. Tenerli lontano da questa città impazzita è un sollievo."

"Ma cosa prende a questa gente?" Insisto, indugiando con lo sguardo sullo specchietto retrovisore, ai due schieramenti.

"Ieri nei sobborghi c'è stata una manifestazione conclutasi con nove feriti." I suoi occhi sono lo specchio dei miei; terrorizzati e allibiti. "Credo che stiamo attraversando il peggior momento storico dalla fine della seconda guerra mondiale." Giuro di vedere un impercettibile tremore alle sue labbra, mentre lo dice.

Gli stringo la mano che ho più vicino. "Mi prometti di stare attenta e non commettere imprudenze, quando sei da sola?"

So che si riferisce alla scena di prima come so che il terrore di perdere le persone amate, ogni tanto fa ancora capolino in lui.

Mi stringo nelle spalle e lo guardo con amore. "Farò il possibile, te lo prometto."

Finalmente riusciamo a immetterci sull'autostrada, gli adulti danno via ai canti insieme ai pargoli e il clima teso si fa disteso e festoso, proprio come questa giornata merita d'essere. L'abbiamo fortemente voluta, sognata e progettata che non avrei tollerato e sopportato che ai bambini fosse data una qualche delusione. Vederli sorridenti mi riempie il cuore di gioia.

"Sarà un viaggio molto lungo.." dice d'un tratto l'uomo al mio fianco, i pensieri chissà dove e lo sguardo verso il finestrino; il polmone verde di Francia scorre davanti a noi bello e lussureggiante. Poi Richard si volta, sistemando la mia posizione accoccolata fra le sue braccia. "Non avevo idea ci fosse così tanta strada da percorrere e tanta bellezza da ammirare."

Annusico. "C'è il meglio di tutto: cibi deliziosi, vini di gran classe, clima dolcissimo e una vista superba da tutti i punti cardinali" Indico lo scenario. "Molti dicono assomigli al Paradiso. Ma questi molti, sarannno sicuramente francesi." Sorrido e lui con me.

"Mi piacerebbe visitarla, quando avremmo del tempo per noi."

I miei occhi si illuminano. "Quale buona occasione se non la futura luna di miele?" Poi mi scappa un risolino sarcastico. "Siamo così impegnati, che non ne abbiamo mai parlato." Il suo sguardo sornione mi fa temere qualche strana idea. "Gli uomini pensano anche a questo?!" Chiedo sarcastica.

"In realtà qualche giorno fa ho ricevuto missiva da parte di zia Lizzy." Alza gli occhi al cielo, poi sorride. "Vuole che passiamo qualche giorno da lei nel Devon. Pensavo fosse carino andare per la luna di miele, appunto."

Lizzy, la prima schierata a favore del nostro matrimonio, si è confermata l'adorata zia di cui conservo un dolcissimo ricordo, rinnovando l'invito dell'anno precedente, nel visitare le terre che diedero protezione al mio futuro marito.

"Beh se è così, visiteremo la Loira in un altro momento." Alzo le spalle e sorrido. "Mi sembra un'idea molto dolce passare i nostri primi momenti da sposati nella tua terra."

"A dire il vero.." si blocca, mi fissa e sorride. "Ho pensato la stessa cosa quando hai proposto di gironzolare per la Francia." Si tocca velocemente il mento ed è il suo turno di far brillare gli occhi. "Cinque giorni nel Devon. Cinque giorni nella Loira, cosa ne dici?" Non c'è bisogno che gli risponda, il mio sorriso parla da se. "Scriverò alla zia di tenersi pronta ad attraversare la Manica in nostra compagnia, dopo il matrimonio." Sorride ancora. "Al nostro ritorno ci aspetteranno le avventure francesi. E poi la nostra vita insieme, madame Hamilton."

La sua voce flautata nel mio orecchio mi fa scappare un gemito. Lo guardo male, ma non riesco a trattenere troppo a lungo il sorriso.



A Beaune facciamo una sosta e siccome è quasi ora di pranzo, ci degustiamo qualche stuzzichino annaffiato dal buon vino rinomato di questa deliziosa cittadina di Borgogna. I bambini sono esausti, rifocillarsi mette loro addosso una nuova carica.

"Quello che cosa è dottoressa Chedjou?" Lali mi stringe con una mano il braccio, mentre con l'altra indica del formaggio molle.

"Chiudi gli occhi." Le dico, affondandoci dentro un pezzettino di pane per portarlo alle sue labbra. Le arriccia dapprima, poi si lascia tentare.

"E' disgustoso!" Lo ricaccia teatralmente, non riesco a non sorridere alla vista del suo visino imbronciato e arrossato.

"Tieni.." dico in tono affettuoso, passandole il mio bicchiere con l'acqua. "Cabécou, formaggio di capra."

"Non mi piace." Ribatte.

"Oh, l'avevo intuito." Le passo il dito sul profilo del naso e sorride.

La piccola è l'unica del gruppo a non essere accompagnata. Il suo papà ha faticato e non poco nel cercare di risollevarsi dalla sua situazione e purtroppo non si è potuto assentare da lavoro. Per me e Richard è stato più che naturale farci carico della sua responsabilità. E' anche merito del suo dolce sogno di vedere il mare, che questo viaggio si è potuto compiere. La guardo e il mio cuore protesta; purtroppo la cura ha dimezzato il suo peso e sciupato i capelli castani, che le incorniciano il visetto scarno. Sto tentando di farle mangiare qualcosa da quando siamo partite, ma so che l'aggressività delle medicine toglie quasi del tutto ogni forma di appetito. Istintivamente l'abbraccio, lei si fa circondare dalle mie braccia e mi sorride nonostante tutta la fragilità dei suoi anni.

"Manca ancora molto per il mare?" Mi chiede all'orecchio.

Richard la incoraggia con i racconti delle frastagliate coste della sua amata Inghilterra, le baie riparate che accolgono il lungo viaggio delle onde e le insenature profonde della terra, figlie dell'epoca glaciale; Lalì ascolta rapita i suoi racconti e mi accorgo solo adesso della fantasia fervida di questa ragazzina. La bontà dell'uomo che racconta queste storie, invece, la conosco perfettamente. Ed è per questo che lo amo.

Il pranzo volge al termine, dopo una ristoratrice passeggiata nella cittadina medievale, occupiamo nuovamente i nostri posti a bordo.

Richard sprofonda in un sonno lungo che terminerà con il nostro arrivo a Marsiglia.

Il vento ci sferza i capelli, ma il cielo è terso. Una delle tipiche giornate da cittadina di mare che si fanno amare terribilmente.

I bambini sono letteralmente impazziti; appena messo piede in strada, hanno assediato le piccole barche del porto spingendo i loro nasini curiosi alla volta della distesa d'acqua e tempestato di domande i pescatori dalla pelle ambrata, baciata dal sole.

Un tale Vincent, grandi mani coriacee con la quale brandisce una fitta rete da pesca, tiene banco spiegando loro l'importaza di quella maglia; Richard annuisce contento e mi spinge verso le porte girevoli dell'hotel in cui soggiorneremo, deliziosamente incastonato nel porto.

Non passano che poche ore, dal sistemare gli abiti nell'armadio ad organizzare il primo bagno per i ragazzi, perchè caracolliamo a letto sfiniti.

"Hai portato il tuo costume, Najla Louise?"

Richard si prende gioco del mio esser freddolosa, nonostante le temperature siano già congeniali per poterci deliziare delle cristalline acque della costa. A dispetto di tutto tiro fuori il mio bikini turchese che lui guarda con una certa rassegnazione.

"Preferivo la vecchia moda ma se mia moglie è felice.."

Lo guardo male ancora una volta. "Non essere arcaico! L'emancipazione femminile è un tema che mi sta molto a cuore." Poi mi stringo al suo petto. "E' la seconda volta in poco tempo, che mi additi come tua moglie." La mia voce si fa dolce mentre gli faccio notare questa sua bizzarra peculiarità.

"Voglio abituarmi all'idea."

Questa risposta mi lascia perplessa e dubbiosa. "Non ti senti già legato oltremodo a me?"

"E' proprio questo il punto. Sono già stufo di aspettare che un prete sancisca la nostra unione."

Lo dice con una serietà commovente, che fra l'altro rispecchia in tutto ciò che provo io. Alzo un pò il capo e incontro le sue labbra che mi aspettano pronte.

"Non possiamo sposarci in segreto Richard Hamilton!" D'improvviso nella mia testa si accende una lampadina.

Sorride dolce ma scuote il capo. "Non ho nessuna intenzione di farti mia moglie quì, a Marsiglia. Accadrà nella chiesa che abbiamo scelto, nella città che ti ha dato i Natali e che un pò li ha dati anche a me." Dalle mie labbra si sposta al naso, dove deposita un bacio veloce. "Adesso chiudi gli occhi amore mio, ci aspettano giornate intense."

"Potremmo non sentire rientrare la piccola.." borbotto sbadigliando.

"Non ti preoccupare, resto sveglio." Sussurra dolcemente e i miei arti finalmente si distendono, lasciando che il sonno abbia la meglio.


*


Non so dire se siano più felici i bambini, o i loro genitori me e Richard, che li guardiamo dalla distesa di sabbia dorata, giocare in riva al mare.

E' una giornata con un bel sole alto, siamo all'Anse de Catalans, ufficilamente una delle spiagge della bella Marselle.

C'è nell'aria un odore di ferro e sale, molta euforia, giochi e risate fanciullesche; siamo davvero tutti felici.

Fino a quando Lalì non da uno schiaffo a Fabrice perchè vuole gettarla in acqua con tutti i vestiti.

Ci alziamo correndo verso i ragazzini.

"Che sta succedendo quì?" Interviene Richard, con voce da baritono.

Lalì si porta i capelli dietro gli orecchi, stizzita. "Mi vuole gettare in acqua contro la mia volontà."

Il papà di Fabrice lo guarda con fare serioso. "Perchè non rispetti la tua amichetta? Se non vuole fare il bagno non puoi costringerla."

Fabrice ci guarda tutti con la fronte corrucciata. "E' lei che è voluta venire qui!" Stringe le braccia al petto e le lentiggini sulle sue gote si accendono ancora di più. "Ci ha fatti venire quì e non vuole bagnarsi! E' pazza!"

Il papà gli da un leggero scapellotto sulla nuca. "Chiedi scusa, non si dicono certe cose."

Fabrice corruccia le labbra disgustato. "Femminuccia."

L'uomo si spazientisce e fa per portarlo via, si scusa con la ragazzina che continua a guardare il coetaneo con occhi ferini.

Da lontano sentiamo il genitore iniziare la predica contro il bambino.

Mi inginocchio nella sabbia, Richard si mette al mio fianco ma seduto.

"Che succede?" Chiedo a Lalì, con la voce ferma. "Non ti diverti?" Le accarezzo il braccio ma si ritira, infastidita.

"No." Risponde fra i denti, guardando verso il mare con occhi agitati.

Richard mi guarda, ci scambiamo un'occhiata complice. "Lo sai che a Mr sourire puoi dire tutto, vero?"

Mi alzo leggermente, pulendomi le ginocchia continuando comunque a sorriderle. "Il sole si è fatto alto, vado a mettermi all'ombra."

Nel passarle accanto, mi stringe la mano. "Sei arrabbiata?"

"No." Le passo l'indice sul naso come faccio sempre e lei mi sorride. "Sono laggiù, se non vuoi fare il bagno possiamo fare qualcos'altro se ti va, ok?"

Annuisce ma continua a tenermi gli occhi addosso per tutto il tratto che compio dalla riva all'ombrellone.

Li ho perfettamente allineati davanti al mio lettino, le sagome delle loro schiene vicino e presto agitate dal solletico che Richard le procura, mi rincuora. La sua risata arriva a me cristallina e lontana, ma fa un gran bene. So che hanno un rapporto speciale, credo lo veda come una specie di principe azzurro o un salvatore e non potrei essere più che lieta che si senta a suo agio insieme a lui. Richard è così tenero quando è con lei, credo si facciano del bene a vicenda.

Ben presto dal bar dello stabilimento sopraggiunge la limonata che avevo ordinato e che sorseggio con gran sete sfogliando qualche rivista. La lettura, il chiacchiericcio di fondo sulla spiaggia e le emozioni della mattinata ben presto mi fanno cadere in un sonnellino da rilassamento.

Le labbra fresche di Richard mi riportano alla realtà. Spalanco gli occhi, il sole è girato, la luce più forte e c'è un gran caldo.

"Gli altri sono in veranda per il pranzo." Mi dice all'orecchio, baciandomi poi la tempia. "Che ne dici di raggiungerli?"

"Lalì?" Chiedo.

"E' con loro."

Getto un'occhiata alla veranda all'ombra ristoratrice e annuisco vigorosamente. Richard sorride, aiutandomi ad alzarmi.

La nostra tavolata è apparecchiata lungo il bordo della balconata che affaccia sul mare; sorrido entusiasta mentre occupo i due posti lasciati liberi.

Ginevre una delle mamme mi fa spazio. "Ti abbiamo lasciato riposare, dormivi come un angelo!"

"Oh.." mi sistemo i capelli e tolgo gli occhiali da sole. "Avete fatto bene."

"Ti consiglio l'aragosta al burro. Una vera delizia." Prosegue con un bel sorriso.

Guardo entusiasta Richard che annuisce e ne ordina due accompagnate a del buon vino bianco freddo.

La piccola sembra più serena, ha il viso di un bel colorito.

"Ha mangiato?" Chiedo angosciata.

La donna al mio fianco segue la traiettoria del mio sguardo e torna su di me. "Sì, un buon piatto di sogliola e patate." Poi addolcisce lo sguardo. "Avete fatto un mezzo miracolo con lei."

"Vorrei poter fare di più, credimi." Sospiro, mi rendo conto di essere melanconica e non mi piace. Questo viaggio deve essere una parentesi felice. "Ma ogni tanto devo ricordarmi di non essere Dio." Cerco di sdrammatizzare e Ginevre mi stringe la mano.

"Ogni tanto la mia fede vacilla." Dice, con la voce seria e bassa. "Ma poi incontro persone come voi e penso che il buon Dio non si è scordato di noi."

"Oh Ginevre.." rafforzo la presa delle nostre mani, stavolta sorridendo sincera. "Non vi sarò mai grata abbastanza per la fiducia che mi date. Se guardo questi ragazzini, uno per uno e penso alla strada fatta fino a quì, penso che il vero miracolo sono proprio loro: la vostra Marie Louise, arguta e divertente, poi Fabrice il gigante buono, Lalì la mia imbronciata tenera e forte Lalì, Gerome il più piccolo e il più coraggioso, e i due fratelli Clotard e Auguste così diversi eppure legati da questa terribile tragedia."

"Ci fosse anche solo una tenue speranza per la mia piccola.. io me la giocherei." Ammette la donna, con una dignità commovente. "E sono certa anche tutti i genitori quì presenti. Sappiamo di averne poca, ma quel poco che c'è ci basta. Nessuno di noi vuole sotterrare il proprio figlio prima del tempo."

Il suo commento mi spezza il fiato ma ammetto che ha ragione e nel farlo, mi sento più impotente che mai.. anche se non dovrei.

"La vostra voce è molto importante per il futuro del nostro paese, Ginevre." Inerviene Richard sollevandomi dalla difficoltà del momento. "Purtroppo il governo investe pochissimo nelle cure sperimentali e nei mezzi per renderle efficaci; ciò che stiamo tentando di fare io e Najla è solo una piccola goccia, in un mare vasto di opportunità che devono essere colte al volo." Respira a fondo, mi guarda intensamente per tornare su entrambe. "Sono tempi di cambiamento e fiuto nell'aria buone occasioni. Sto tentando di mettermi in contatto con una persona molto vicina ad un membro di stato per mettere in luce i problemi in cui versa la sanità.. e far aderire al mio progetto quanti più membri della Parigi per bene possibile."

La mia bocca si schiude. Ero totalmente ignara di queste iniziative, se ne rende conto e mi rimanda un sorrisetto di scherno.

"Quale progetto?" Chiedo diretta.

"E' solo un'idea." Abbozza. "Instituire negli ospedali per i bambini malati di cancro, una specie di "ultimo desiderio"." Mima con le dita il virgolettato, "..che essi possono tramutare in ciò che più desiderano, appunto."

Io e Ginevre ci guardiamo. E' lei a parlare. "Praticamente ciò che stiamo facendo adesso?"

"Esatto." Le fa eco Richard. "Con delle regole ovviamente. In larga scala e in modo permanente, sopratutto."

"Se ti serve aiuto conta pure su me e mio marito." Risponde la donna al mio fianco.

"Sarebbe importante che instituissimo un'associazione, Ginevre. Potremmo chiamarla semplicemente speranza o il nome che preferite, ma almeno avremmo un impatto differente." Non l'ho mai sentito parlare con così tanto ardore, le sue labbra si toccano velocemente e i suoi occhi intelligenti vibrano. "Potreste venire con me a discutere di questo progetto e di ciò che va o non va bene secondo voi nella sanità..insomma, potreste finalmente dare voce alle vostre angosce. Non so se faremo un buco nell'acqua, ma sicuramente daremmo modo di parlare di questi bambini quasi invisibili."

"Mi sembra meraviglioso Richard! Hai il nostro appoggio, vero?" Guarda verso il marito che annuisce vigorosamente.

"E il nostro." Rispondono le altre coppie di genitori al tavolo.

I bambini ci guardano come se fossimo impazziti.. e forse lo siamo davvero, ma come ogni buona e grande idea che si rispetti, dietro c'è sempre il sacro fuoco della più pura e buona follia.


"Non hai detto una parola oggi a pranzo."

La giornata è volta al termine, il sole è calato nel mare e le stelle hanno preso il suo posto; la vista sul porto di notte è qualcosa di magico.

Lalì si è addormentata profondamente, le rimbocco le coperte, quando Richard si piega verso il mio orecchio.

Ha ragione. Non ho detto una parola. "E' che dirti quanto sono fiera e orgogliosa di te -per la millesima volta- mi sembra stucchevole."

"Cosa c'è, abbiamo per caso firmato un contratto sulle belle parole che ci aspettano? E dobbiamo considerare il contratto a giornata o per tutta la vita?"

Il suo commento mi fa ridere; gli faccio il cenno del silenzio e di seguirmi in balcone.

"Sono così felice di questa iniziativa che non riesco a trovare le parole giuste, Hamilton." Lego le mie braccia al suo collo, piegando il capo sulla sua spalla. "Sei riuscito ad ammutolirmi. E sei una delle poche persone che ci riesce, in generale."

A ridere adesso è lui. Arretra così che il mio viso torni parallelo al suo e mi guarda intensamente. "Quindi pensi sia una buona idea?"

"Certo!" Rispondo di getto, poi mi acciglio. "Come tutte le tue idee del resto. Ma questo lo sai, vero? La tua mente è in continuo movimento; hai un dono Richard. La lungimiranza. Se per esempio io riesco a ragionare in dati e fattori esclusivamente presenti, quando si tratta del mio lavoro, tu riesci a guardare l'ampio spettro di un successo, quando ti si pone davanti. Sei un genio, non ho altro da dire."

Lo vedo gongolare, alzo gli occhi al cielo. "Credo di aver servito una cena succulenta al tuo ego."

Ride ancora e mi sciolgo; la sua carnagione ambrata si è scurita leggermente e gli occhi leggermente allungati, lo fanno assomigliare a un faraone.

"Mi piace come mi vedi." Sussurra molto lentamente.

Mi pento dei pensieri peccaminosi che sto avendo in questo momento, fissando le sue labbra carnose sfiorarsi delicatamente, mentre parla; lo abbraccio e taccio, beandomi del battito del suo cuore contro il mio. La sirena di un imbarcazione irrompe nella quiete ridestandoci dal nostro abbraccio.

Rientriamo in silenzio e in silenzio ci accoccoliamo sotto alle lenzuola profumate.

Ci addormentiamo così, come se fossimo un unico corpo.


*


Il giorno dopo siamo a Cassis, quello che un tempo era un villaggio di pescatori, a circa mezzora d'auto da Marsiglia.

Il paesino è pittoresco, case color pastello affacciate sulle acque cristalline del mediterraneo e del suo porto; decidiamo di dargli un'occhiata rapida per poi spostarci nel parco, arroccato al suo lato, per una sosta merenda. I colori intorno a noi sono stupendi, il verde della macchia si confonde con il blu del mare ai nostri piedi, l'aria è salmastra e fresca, ci ristora e ai bambini mette energia. Energia che spendiamo trotterellando fino a uno spiazzo che da su una meravigliosa calanque, una delle innumerevoli calette per cui è anche famosa Cassis.

"Che ne dite di affittare una barca al porto che ci faccia ossarvare queste meraviglie direttamente dal mare?" Propone Francoise, il papà dei gemelli.

I suoi bimbi stridulano contenti dalla richiesta. Ben presto si accodano anche gli altri ragazzini e i rispettivi genitori.

Lalì non emette un fiato, io e Richard decidiamo comunque di soprassedere e mostrarci accomodanti a qualsiasi sua richiesta; non passa molto tempo che infatti la piccola si aggancia alla mia mano, costringendomi a rallentare il passo.

"Se non vuoi andare io, tu e Mr. Sourire troveremo qualcosa di più divertente da fare." L'anticipo accarezzandole la nuca, sento che si rilassa e guarda oltre gli alberi verso il mare. "Se invece vuoi andare prometto che ti terrò stretta a me come.. come uno zaino!" Le scappa da ridere per poi corrucciare le labbra come al suo solito; le mani si torturano nell'indecisione, mi piego sulle ginocchia e la guardo negli occhi. "Le paure vanno affrontate piccola, non vogliamo forzarti a fare qualcosa che non vuoi, ma se insisto è perchè so che è una cosa a cui tenevi molto. Questo è il tuo desiderio, ricordi? Vedere il mare!"

"Lo so." Sospira con gli occhi lucidi. "Ma presto finirà tutto."

La guardo dolcemente, inizio a capire il nocciolo della questione. "Io e Richard siamo e saremo al tuo fianco. Anche dopo, te lo prometto."

Richard mi imita, accucciandosi al nostro fianco. Le accarezza la schiena e annuisce.

Lalì mi si getta fra le braccia, la stringo, è uno scricciolo tremante. "Non voglio andare dalla zia, io voglio restare con voi due!"

Non riesco a parlare, il pensiero di questa ragazzina che si priva di una gioia per paura che finica troppo in fretta mi annienta.

Richard mi guarda e guarda lei. "E' la tua famiglia, tesoro. Hanno il pieno diritto di prendersi cura di te. Ma come ha detto Najla, noi ti seguiremo passo passo, non avrai che da allungare la tua mano, perchè tu possa trovare la nostra."

Slega il nostro abbraccio e ci guarda. "Ho sprecato il mio desiderio."

La guardiamo esterefatti. "Perchè?"

"Perchè avrei potuto desiderare essere vostra figlia."

Richard la tira a se, stringendola forte; ho paura la spezzi da tanto la tiene stretta. "Non hai sprecato proprio niente, invece." Sussurra al suo orecchio. "Tu ci hai già, anche se non è come vorremmo." Il suo vorremmo sono farfalle che si annidano nello stomaco; ci siamo comportati esattamente come i suoi genitori in questi giorni che non mi sono accorta, accadesse con tanta naturalezza. "Andiamo a fare questa gita in barca, ma sopratutto.." bofonchia, "andiamo a divertirci, capito?" Lei annuisce con dolcezza, tirandosi su dalle sue braccia. "A chi arriva prima al gruppo." Richard lancia la sfida mettendosi a correre, seguito dalla ragazzina e da una me poco avvezza, a qualsiasi tipo di movimento che non contempli il camminare e respirare con regolarità.




81



Le calanques dal mare tolgono il fiato; ci si rende conto di quanto siano imponenti queste scogliere di roccia bianca a picco nel mare.

Lalì per tutto il viaggio mi è in braccio e ha la bocca spalancata, le mani ben ancorate alle mie gambe. Ogni tanto le bacio il capo e annuso il suo profumo, avvertendo di nuovo e più forte che mai, il prepotente istinto materno che è in me. Per fortuna il vento sferza i miei rossori dalle guance.

Il marinaio che conduce il nostro battello, incuneandoci nelle meravigliose insenature ci racconta la storia di questo paesaggio così pittoresco, delle poesie che hanno ispirato fino alle scoperte dei geologi infondo al mare. Scopriamo ben presto che c'è tanta di quella meraviglia sommersa, tanto quanto quella alla luce del sole. Ispirati dal bel tempo e dal mare piatto, veniamo condotti a gruppi sulle barchette ormeggiate a poppa, Lalì accenna una protesta ma la mano forte e salda di Richard nella sua, riesce a sbloccarla quasi subito.

Vedo la sue esile figura sporsi dal parapetto della barca e sfiorare l'acqua e sussulto di gioia.

"Avete indossato il costume?" Ci chiede il giovane che voga i remi a prua.

Annuisco. "Ci sono delle spiagge?"

"La più bella è alla fine di quell'insenatura laggiù." Indica un cunicolo di acqua cristilla che si perde dietro le rocce.

"Si può andare fin là?" Domanda Richard; l'uomo gli sorride e si mette al lavoro. "Se mi agganciassi ai remi dietro di lei, faremmo prima e risparmierebbe metà delle energie. Che ne dice?" Azzarda pieno di entusiasmo. Quello lo squadra da capo a piedi, soffermandosi sul profilo delle sue spalle solide; poi con un gesto veloce gli indica i remi. Lalì non riesce a contenere una risata.

"Ho sempre adorato farlo." Ci dice, prima di mettersi a vogare.

La caletta è deliziosa, praticamente deserta; scendiamo dove l'acqua è più bassa, Richard ha Lalì stretta in braccio che osserva tutto con molta attenzione.

"Ti piace?" Le domando.

"Tanto." Risponde trasognante.

Saluto il ragazzo della barca, che ci aspetterà giusto il tempo per un bagno.

"Ti conviene approfittarne signorina.." le dice in perfetto dialetto provenzale marittimo, mentre prende nuovamente il largo.

Lei salta dalle braccia di Richard sulla rena soffice e bianca, salutandolo con la mano.

Per una frazione di secondo ci guardiamo. "Non ho il costume." Dice.

"Ce l'ho io." Le dico con estrema dolcezza. "Ti aiuto ad indossarlo?"

Annuisce. Richard mi guarda con approvazione e si gira, tirandosi su la polo. "Vi aspetto in acqua, mie dame!" E schizza ad infrangersi contro l'acqua con un tuffo che lo fa sembrare un delfino. Sospiro.

Lalì mi fissa. "E' l'uomo più buono che io conosca." Rispondo al suo silenzio. "Sei pronta?" Le dico, aiutandola a indossare un costume intero color blu marino, con i volant sui fianchi che le ho acquistato ai magazzini Lafayette. Questo colore esalta ancora di più sulla sua pelle diafana.

"Si." Risponde. Solo allora mi tolgo gli abiti e le prendo la mano.

"Un passo alla volta."

Ci avviciniamo sempre di più all'acqua e ad ogni passo che avanza, Lalì si stringe sempre più forte alla mia mano, finchè un onda un pò più euforica rispetto alle altre, le bagna i piedi alla sprovvista. Emette uno strano sibilo, ma punta subito gli occhi enormi e castani su Richard che poco più lontano di noi sta sbracciando in mare aperto. "Pensavo peggio." Dice, atteggiandosi quasi come un adulta.

Mi scappa da ridere ma mi trattengo. "Ti precedo." La lascio, permettendole così di metabolizzare la cosa e sentirsi sicura di sè.

L'acqua è poco al di sopra del mio ginocchio, quando mi volto e le dico di raggiungermi.

Lo fa. In passo incerto e cadenzato ma raggiunge il mio punto in poco meno di un minuto.

"Andiamo avanti." Sussurro.

Arrivate ad un punto limite, acqua poco sotto la mia vita, la fisso. "Sei in mare, Lalì!" Lei si guarda attorno contenta, con l'acqua che le accarezza le clavicole. "Afferra le mie mani e tira indietro le gambe." Dichiaro prontamente.

Nega con la testa ma non le schiodo lo sguardo di dosso. Mi fa attendere qualche secondo, prima di concedersi.

"Respira pienamente e lascia che l'acqua ti tiri su." Le dico, guardando estasiata i suoi piedi agitarsi. "Respira e distendi il corpo!" Combatte un pò con l'acqua che sciaborda intorno al suo corpo in movimento e mi piego vicino al suo orecchio. "Non ti agitare piccola, sono quì e non ti lascio." Le sue mani si ancorano alle mie spalle, mi abbasso per permetterle di stare comoda e lei mi si avvinghia in braccio. La stringo forte e la cullo, ride e si scioglie ancora.

Richard ci raggiunge. "Hai visto Mr. Sourir? Sono in acqua!!"

"Sei stata molto coraggiosa!" La incita. "Sono fiero di te!"

"Guarda che mi fa fare Najla.." si slega dal mio corpo e lancia le gambe all'indietro da bravo pesciolino; Richard la guarda con occhi dolcissimi, non le toglie mai lo sguardo di dosso e sorride amorevolmente. "Sono brava Mr. Sourire?" L'uomo annuisce vigorosamente; ormai i suoi piedi si muovo e scrosciano in acqua così velocemente che è più lei a trascinarmi che io.

"Senza mani.." le dico di getto, mantenendo il sorriso.

Lei annuisce, lasciandole per pima. Velocemente faccio passare una mano sotto alla sua pancia così che il panico iniziale si trasformi in un bel sorriso. "Stesso principio. Respira a fondo e lascia che l'acqua che ti faccia sentire leggera. Muovi prima le gambe e poi le braccia. Come una ranocchia!" Ride e mi asseconda accorgendosi ben presto di star nuotando. "Sì sì, stile rana il suo nome. Non è divertente?"

"Si!" Ride, piena di gioia.

Il bagno è lungo e pieno di sorprese, chiede a Richard di insegnarle quante più cose sa, ma è quando scopre i tuffi che è difficile tirarla fuori dall'acqua.

Le avvolgo un asciugamano pesante sulle spalle e le strizzo i capelli dall'eccesso di acqua, per poi accocolarmi insieme a lei, sedute sulla rena.

E' stanca, si appoggia con la testa nell'incavo delle mia spalla e guarda il mare.

"Non pensavo fosse così bello."

"Le cose belle inizialmente ci fanno paura. Ma non provare a viverle.. questo sì che è stupido." Richard mi guarda dalla sua spalla e sorride.

"Pensi che più tardi possiamo rifarlo?"

"Certo." Le bacio i capelli. "Il bagno al tramonto è qualcosa di magico."

"Intendi con il sole che finisce nell'acqua?"

"Proprio così. Pensa che la temperatura dell'acqua è più calda, sembra cheta e tranquilla e ci sei solo tu.. e l'infinito."

"Tu Sourire sarai con noi?" Chiede, girandosi verso l'uomo.

"Non posso perdermi uno spettacolo tanto bello." Replica, allungando la mano verso la mia.

Poi un silenzio lungo e il giovane che dalla barca ci richiama con un fischio.

Neanche a dirlo Lalì passa tutto il viaggio del ritorno a pavonarsi con Fabrice del bagno nella cala selvaggia e dei tuffi che Richard ha elogiato come olimpionici; sono così felice di vederla attiva e piena di vita che cado esausta in un lungo sonno.

Mi sveglio che siamo al porto di Cassis, dove il nostro autobus ci attende per portarci in albergo; il viaggio prosegue nel silenzio generale, fra riposini e voci basse, arriviamo a Marsiglia in mezzora. Mentre gli altri prendono la via per le stanze io, Richard e Lalì ci dirigiamo verso la spiaggia, dove concludiamo la giornata con un romantico bagno al tramonto; non ho mai visto quella ragazzina più felice di allora. Se il bagno alle Calanques era stato un vero miracolo, quello si prendeva di dirittto il miglior ricordo nel mio cuore e sarà stata la nostalgia, la pena per il ritorno e la cura lì ad attenderci che di nascosto ho versato tutte le lacrime che avevo in gola.

"Ho una piccola sorpresa per te." Dice Richard dopo la doccia, prima di coricarci per ricaricare le batterie.

"Per me? Dove?"

"Non posso dirti molto; Lalì vuole cenare con gli altri ragazzini e Ginevre ce la terrà d'occhio, abbiamo la serata libera ho pensato di approfittarne." Mi deposita un lieve bacio sull'orecchio, prima di sospirare. "Tu pensa solo a farti bella."

Un sorriso timido mi spunta fra le labbra, chiudo gli occhi e scivolo verso Morfeo.



"Sei bellissima." Il suo sorriso smagliante mi accoglie nella hall; mi passo leggera le mani sui fianchi del mio abito giallo paglierino e gli sorrido.

"Adesso puoi dirmi dove si va?"

"Vieni." Mi porge la sua mano che afferro con curiosità, mi porta fuori e verso la limousine che ci attende.

"Richard?" Lo guardo a perplessa. "Inizio a spaventarmi."

"Hai lasciato un costume alla cameriera come ti ho chiesto?" Controbatte, sorvolando le mie ansie.

"Sì, capo." Rispondo nervosa.

Sorride sghembo, irritante e bellissimo. "Non voglio sposarti in gran segreto."

"Lo spero!" Rispondo seccata. "Non vorrei sposarmi in costume!"

Inorridisce al sol pensiero, scuote il capo e da indicazioni all'autista per la spiaggia.

La spiaggia. Ho uno strano buco allo stomaco.

Nel buio della rena e il mare scuro, poco lontano da dove ci troviamo se ne sta un tavolo apparecchiato; percorriamo il tragitto illuminato da piccole candele in silenzio ma mano nella mano, finché non è lui a rompere il ghiaccio.

"Champagne?"

"Oui mercì."

"Hai pensato subito al matrimonio." Ridacchia, portandosi il flute alle labbra. "Hai dimenticato quello che ci siamo detti prima."

Cerco di percorrere con la mente le nostre conversazioni passate ma ho come un buco nero.

"Perdonami." Dico poco seria ma comunque sentendomi in colpa.

Da galantuomo quale è mi scosta la sedia aiutandomi ad accomodarmi, poi prende posto e si rivolge al cameriere che è sopraggiunto.

"Io e la mia signora siamo pronti."

"Facciamo arrivare subito qualcosa dalle cucine."

Ho lo stomaco che brontola, sottosopra. Gli antipasti ai frutti di mare sono un qualcosa di delizioso così, come i crostacei.

La cena scorre vibrante, piena delle nostre parole sulla bellissima esperienza che stiamo vivendo e sugli impegni che ci attendono già dall'indomani, giorno in cui faremo ritorno a Parigi, il tutto in compagnia di un ottimo vino bianco e cibo delizioso.

Siamo entusiasti e il rumore delle onde in sottofondo accarezza i nostri sguardi quando tacciamo.

Dal silenzio la sua voce irrompe. "Andiamo?"

"Di già?" Lo guardo stralunata.

"Voglio che restiamo leggeri."

Mi tolgo la salvietta dalle gambe e lo seguo. "Mi gira la testa." Ridacchio.

"Appoggiati a me." Mi fa eco. "Sei felice?"

"Molto." Rispondo, poggiando il capo sulla sua spalla.

"Bene. Mantienila più che puoi amore mio."

Seguo con lo sguardo dal finestrino, lo stesso percorso che abbiamo fatto all'andata; stiamo tornando in hotel.

"Cena a lume di candele. Bagno in piscina." Mi guarda fare l'elenco delle cose con uno sguardo eloquente. "Sembra il preludio per una lunga notte di fuoco.." sussurro poi a bassa voce. Il suo sorriso mi fa capitolare e mi toglie ogni dubbio. "Io non credevo ti mancasse tanto!" Strepito, l'autista mi guarda dallo specchietto ma distoglie subito lo sguardo, mi copro la bocca con la mano trattenendo il sorriso.

Richard si appiccica al mio orecchio. "Tu mi manchi sempre, Najla Louise." La voce roca mi fa vibrare il ventre.

Mi sposto e mi avvicino io al suo. "Richard quando avremo dei figli è così che andrà. Resister.." le parole smorzano sulle mie labbra; gli prendo il volto fra le mani, sconvolta. "Cena a lume di candela. Bagno in piscina." Ripeto di nuovo. "Vuoi.. tu vuoi.."

Mi azzittisce con un dolce bacio, che ricambio ridacchiando e seguendolo euforica verso il rooftop dell'hotel, dove ci attendono altre candele e un atmosfera rilassata.

"Siamo soli?" Chiedo in imbarazzo.

"Ho prenotato l'intera sala per noi." Mi versa ancora da bere, rifiuto e inizia a spogliarsi. "Ti aspetto in acqua." Lascia in sospeso una promessa, accaldata ed eccitata mi sfilo il vestito e indosso il costume. Da freddolosa quale sono entro poco alla volta, ma con una bracciata il mio orso mi porta in acqua facendomi protestare a gran voce. "Adoro vederti imbronciata."

"Non dovresti. Non è corretto!" Mi bacia ancora, azzittandomi di prepotenza. "Richard potrebbe entrare qualcuno.." mugolo attraverso le sue labbra.

"Najla Louise." Mi punta addosso uno sguardo carico di patos, il cuore inizia a danzarmi in petto. "Non sono una specie di depravato che vuole saltarti addosso qui, o in nessun altro posto! Questa serata è per farti sapere che sono pronto ad avere un figlio e mi auguro con tutto il cuore lo sia anche tu." La sua voce si è fatta bassa e dolce. "Ma credo di sì. Ti ho vista con Lalì, sei praticamente già una mamma."

"Già." Il riflesso dei miei pensieri diventa una parola asciutta che gli fa corrucciare la fronte.

"Tu hai pensato alla stessa cosa che ho pensato io!" Esclama. "Se lei fosse figlia nostra."

"Sì." Ammetto sincera, con il cuore in mano. "Affidamento!" Esclamiamo poi insieme.

Annuisco a più riprese, Richard mi prende le mani e le bacia. "Certo.. adesso sarà complicato."

"Molto." Rispondo rabbuiata. "Nel programma è stata insignita sua zia come affidataria." Mi mordo il labbro. "Perché non ci è venuta in mente subito questa idea? Lei ti adora, io adoro lei, tu adori entrambe e.."

"Ti stai solo agitando amore mio." Sussurra, stringendomi le spalle. D'improvviso la bellezza della serata sfuma via e prende il posto una sorta di malinconia. "Non ti è venuto in mente prima perché ho fatto in modo che la tua fiducia nei miei confronti vacillasse. E forse non era ancora il tempo di fare progetti così importanti. Tutto quanto accade, solo al momento giusto e per una giusta motivazione."

"Quale sarebbe la nostra?"

"Mi hai perdonato Najla Louise. Io sto lavorando su me stesso e non desideriamo altro che formare una nostra famiglia."

"Hai ragione." Rispondo sicura. "Però resta il fatto che non può stare con noi; non siamo nemmeno sposati."

"Non sono ferrato in materia, ma la piccola al compimento della maggiore età avrà piena facoltà di decidere con chi stare. Se il suo desiderio rimarrà immutato fino ad allora, potremmo adottarla."

"Mancherebbero due anni."

"Più o meno." Risponde di getto. "Ma dovrei parlarne con un esperto e soprattutto devo consultare anche suo padre. Non sarà certo una passeggiata, ma vale la pena tentare. In ogni caso noi ci saremo per lei, come le abbiamo promesso."

Gli accarezzo una guancia e lo bacio. "Abbiamo già due figli." Dico con il sorriso.

"Non facciamoci illusioni." Mi rimbrotta, abbracciandomi e portandomi dal centro della piscina ad un angolo.

"Lo so." Rispondo in soffio. "E' che mi sembra già una famiglia e sono felice."

Il suo sorriso esprime la medesima cosa; mi lascio cullare fra le sue braccia a goderci il nostro piccolo angolo felice, le luci della città da basso dalle vetrate dell'hotel, la calma e la quiete del nostro amore.



*


Tornare a Parigi è un incubo sotto tutti i punti di vista.

L'ospedale è asserragliato da un nutrito gruppo di studenti e operatori sanitari di cui non riconosco i volti; nell'aria c'è un odore acre, sicuramente effetto di qualche fumogeno, i bambini tossiscono, qualcuno piange, chiedo ai genitori di restare indietro finché la situazione non è chiara.

"E' una fottuta guerra!" Strepito guardando Richard che mi tiene stretta per un braccio. "Devi lasciarmi andare, non mi torceranno un capello, puoi starne certo!" Fa una leggera pressione sul mio braccio, lo guardo furente. "Lalì e tua madre hanno l'iniezione oggi. Gli altri bambini devono tornare alle loro cure, non posso restare qui, lo capisci vero?"

Molla la presa. "Stai attenta, ti prego."

Annuisco. "Prova a vedere se vi fanno entrare dal retro. Cerca un certo Bartholomé della sicurezza, digli che ti mando io."

Annuisce lui stavolta, a comando. "Mi affaccio da quella finestra se siamo dentro." Dice tetro, indicando il punto che seguo con lo sguardo.

"Va bene amore mio." Lo bacio di fretta, avviandomi verso quello che sembra un plotone.

Tengo le mani a vista, solo percorrendo quei pochi passi mi rendo conto che potrebbero esserci delle armi ma la mia motivazione è più forte di qualsiasi paura. Prego e intanto cammino, prego mio padre nel silenzio del patos, finché una voce fra tutte mi chiede di identificarmi, fra i denti.

Alzo ancora meglio le mani e mi schiarisco la voce. "Sono la dottoressa Najla Louise Chedjou!"

Un poliziotto mi arriva al fianco, brandisce un mitra, parandosi davanti. Prima che possa parlare, agire o chissà che cosa mi metto sulla difensiva. "Devo entrare lì dentro, non mi importa chi è lei o chi sono loro, io devo entrare lì dentro."

"Oh, ci provi." Mi risponde con il ghigno. "Altri come lei è da questa mattina che ci provano. Non lasciano passare nessuno."

"Intanto mi lasci passare, ho dei bambini da mettere al sicuro nel reparto."

Si sposta. "Non si faccia infilare una pallottola da qualche parte, o daremo via a una bella guerriglia."

"E questo la diverte?" Chiedo sarcastica senza attendere risposta. "Sono uomini e donne che lottano per i loro diritti. Un domani potrebbe esserci lei al suo posto." Sbuffa e mi pianto addosso uno sguardo annoiato.

"Ah.. ho capito." Sorride beffardo a un certo punto. "Lei è una di loro!" Fa un cenno a un collega che sopraggiunge, intimandomi di fargli avere i miei documenti personali.

"Con quale diritto?" Sputo fra i denti. "Sono una libera cittadina, dipendente di questo istituto.. lei non può chiedermi nulla."

"Ordini di De Gaulle."

"Si fotta De Gaulle!" Gracido, facendomi spazio per passare.

L'altro sopraggiunto da poco protesta, il collega lo trattiene. "Lasciala andare. Che si faccia ammazzare."

Non so dire con quale coraggio mi porto faccia a faccia con l'uomo in divisa sanitaria il doppio di me per peso e statura; mi squadra abbozzando un cenno che mi da il consenso di parlare. "Sono la dottoressa Najla Chedjou, reparto di oncologia." Inspiro. "Ho con me dei bambini che vanno consegnati nel rispettivo reparto, servono delle cure urgenti per alcuni di loro, ho bisogno di entrare. Per favore." Si gira e sussurra il mio nome alle file posteriori.

In breve tempo il mio nome sibila di bocca in bocca.

"Najla Louise!" Sento chiamarmi e in quella voce riconosco Patrick. Sospiro grata, cercandolo fra la folla che mano a mano si sposta per farlo avanzare.

"Siete già di ritorno?!" Domanda, stringendomi in un abbraccio; puzza di sudore e ha un colore grigiastro in viso.

"Già.. e non credevo di trovarmi alla linea di Maginot." Getto sarcastica, il tizio corpulento ride. "Potete farmi passare? Ho delle iniezioni oggi Patrick."

Il mio amico confabula con l'uomo alla mia destra, batto il piede spazientita e mi intrometto. "C'è Richard all'ingresso posteriore. Dovrebbe essere con Bartholomè a quest'ora.. se non vogliamo dare nell'occhio i bambini potrebbero passare di là. Per l'amor del cielo, darò istruzioni al mio personale e scenderò in campo con voi se necessario, ma non posso rimandare la tabella della mia cura!"

"Il suo fidanzato ha contatti con la stampa." Patrick rafforza il concetto volgendo le spalle al collega, mi stringe la mano, capisco dove vuole arrivare.

"Potrei chiedergli di fare qualche chiamata e..spargere la notizia." Affermo sicura.

"Vogliamo delle foto. E un'intervista." Ribatte lui, con un sorriso sghembo sulle labbra.

"Andata." Rispondiamo in coro io e il mio amico.

Quello solo allora mi fa inghiottire nel nugolo di folla. Patrick mi è dietro, si sfila il ricetrasmittente dalla tasca e da ordine di far passare Richard Hamilton e chi per lui dall'entrata posteriore. Mi accompagna fino all'entrata.

"Dammi qualche cenno Patrick, se dobbiamo fare quella chiamata ho bisogno di dettagli."

"Si parli del problema dei fondi che non ci sono, della paga salariale e delle ore di lavoro al limite della decenza. Parla della cura che stai operando per opera caritatevole di un magnate, ma non perdere di vista l'assoluta volontà, che questa resti una protesta pacifica che mira a rimanere tale. Non abbiamo armi se non la nostra voce. Condiscila mettendoci nomi importanti, accenni di politica ma sopratutto..chiedigli di essere quì il prima possibile; non vedo Geremia da due giorni."

"Lo chiamerò e lo rassicurerò per te." Mi da un bacio sulla guancia, sospirando. "Non posso crederci! Siete piantonati quì, l'ospedale è al collasso da un giorno e non se ne parla! Questo è sabotaggio!"

"Credono di renderci invisibili." Ammette, sarcastico. "Non sanno che ci rendono solo più forti."

Gli paccheggio una spalla. "Quando ho fatto sarò dei vostri, promesso."

Annuisce. "Te ne sarei grato." Poi prende un foglio e ci appunta qualcosa. "Catherine Wright è arrivata?"

"Non ancora."

"Puoi farmi sapere chi l'accompagnerà?"

"Suo marito, Raymond Hamilton." Sospiro e alzo gli occhi al cielo al pensiero di Sir Hamilton alla parata del plotone.

"Figurati se quel gendarme avrà da che ridire." Borbotta Patrick, scatenando in me un risolino isterico. "Va e sta tranquilla."

La radio gracchia, mi fa un cenno di saluto con la mano e sparisce di nuovo fra la folla.

I corridoi sono tetramente vuoti, l'intero ospedale sembra caduto vittima di un sonno; corro senza badare ad altro, fino a Richard e i bamini che aspettano ordinati in fila indiana. Ginevre mi abbraccia appena mi vede.

"Che piacere vederti, Najla Louise!" Slega l'abbraccio e le sorrido. "Cosa sta succedendo?"

Mi volto così che possano sentire anche gli altri genitori. "Vari esponenti dell'ospedale hanno asserragliato l'ospedale in forma di pacifica protesta."

"Pacifica?" Fa eco Richard, madido di sudore e bianco come un cencio.

"Ho appena parlato con Patrick. Chiedono solo di avere voce in capitolo." Abbozzo, spostandomi poi verso gli ascensori. "Presto, portiamo i bambini su, non so quanto personale è rimasto quì e non so nemmeno se faranno accedere il resto."

Richard scuote il capo, organizzando una piccola fila indiana per far entrare i bambini nel vano acensore; prenota anche l'altro, dove si infila con i genitori.

Al piano c'è più personale di quanto immaginassi, Maude con il viso stravolto ci raggiunge non appena sente le voci dei bambini; fa loro le feste, nonostante l'evidente tensione che si avverte intorno.

"Bentornata dottoressa Chedjou." Con uno slancio mi abbraccia, sospirando. "Novità da basso?" Chiede con curiosità stanca.

"Da quanto sei quì?" Incalzo e inziamo a parlare mentre facciamo di nuovo la conta dei bambini accompagnandoli nelle rispettive stanze.

"Da ieri notte." Risponde asciutta. "Non me la sono sentita di lasciare il reparto."

Le poso una mano sulla spalla annuendo. "Grazie, Maude. Finiamo con i bambini e ti autorizzo a lasciare la struttura."

Mi guarda perplessa. "Se esco di quà non so quando potrò rientrare."

"Faremo avere il tuo nominativo alle file, così che tu possa tornare a casa per una doccia e un pasto decente."

Stavolta è confusa. "E' quì da neanche mezzora e ha già stretto un accordo? Lei si che è un vero boss." Poi alza gli occhi al cielo, sorride e anche la tensione dal mio viso sparisce. "Per il pasto decente temo abbia ragione."

Scuoto il capo e la congedo. "Cerca il dottor Thompson. E' nella fila accanto all'ingresso." Annusice e mi saluta, promettendomi di tornare l'indomani.

Guardadomi attorno avverto un quasi senso di normalità; i bambini sono a letto già circondati dal personale medico e le nostre più ragguardevoli cure, finalmente posso tirare un sospiro di sollievo. Mi avvicino a Lalì, muta e visibilmente spaventata.

"Cosa stanno facendo quegli uomini lì sotto?" Chiede guardando la finestra accanto al suo letto.

"La rivoluzione." Le dico, accarezzandole i capelli. "Che è quando uomini e donne decidono di unire le forze per migliorare la propria vita. Ma non è una cosa di cui devi aver paura, sopratutto non oggi, perchè è per una buona causa."

Sfoglio la cartella del programma di Lalì mentre lei gioca con una ciocca dei miei capelli. Ci guardiamo e le faccio l'occhiolino. "Lo sai che quella di oggi è la tua penultima iniezione? Presto potrai rimetterti in piedi e tornare a fare tutte le cose normali delle ragazzine della tua età."

"Potrò andare a scuola?"

"Sì."

"E fare una rivoluzione?"

La guardo, sorrido. "Certo!" Strepito. "Per cosa vuoi batterti?"

"Per i ragazzini come me, proprio come fa Mr Sourire."

Annuisco fiera e prima che una lacrima mi salga agli occhi, mi alzo. "Mi metto all'opera perchè tu possa diventare presto una rivoluzionaria." Questa parola la fa sorridere. "Ti vengo a prendere più tardi."

Annuisce, si sistema per bene nel letto e chiude gli occhi. Non passa che poco tempo perchè il suo volto si rilassi e si lasci andare al riposo.

Esco dalla stanza con il cuore più leggero dirigendomi verso il laboratorio; sfilando accanto alla cucina, noto la tv accesa sul notiziario.

Entro attirata dal chiasso e dalle immagini di una città in assetto di guerra. Più mi avvicino, più il mio cuore martella nel petto.

Quella città è Parigi. E tutt'attorno occupazioni, cortei, scontri e barricate ovunque.


Il est interdit d'interdire. Vietato vietare.



NDA:

La mia storia è al capolinea, quasi.

Volevo già da adesso ringraziare tutti coloro che ci hanno fatto un giro, che l'abbiano apprezzata o meno, a me è piaciuto scriverla.

Come tutte le mie storie.

Negli anni che ho passato quì ho notato una sempre più carente voglia di confronto, io per prima fatico a commentare le storie di cui mi interesso figuriamoci le altre, non mi lamento ma un pò mi dispiaccio.

Questo non cambia la mia voglia di continuare a scrivere perchè alla fine anche se con poco riscontro, questo resta per me un puro divertimento.

Un caro saluto a tutti,

Luna.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Menta e Cioccolato



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Capitolo 17.



Maggio 1968. Parigi.


La situazione era precipitata.

Dal tre maggio la città di Parigi era ufficialmente sotto assedio e testimone di numerosi scontri fra forze armate e protestanti.

Un nome fra tutti spiccò fra questi ultimi; Daniel Cohn-Bendit, che la storia ricorderà quale motivatore delle proteste universitarie e simbolo di tutte le altre. Si partì dall'università di Nanterre, dove gli studenti vennero sfrattati dopo quaranta giorni di assedio, per poi prendere occupazione alla Sorbona. L'intero quartiere latino fu teatro di grandi cortei e barricate, non senza conseguenti scie di sangue e centinaia di feriti.

L'apice si toccò il tredici di maggio, con l'università occupata da sempre più accoliti e un corteo di ottocentomila persone che portò al collasso la città.

Nessuno dimenticò quella data.

Io e la mia famiglia ne uscimmo devastati.



*


L'ospedale continua ad essere sotto assedio, ma si è giunti a un compromesso interno, che non impedisce di negare sussitenza a chi neccessiti di cure urgenti.

Il pensiero che i miei bambini siano tutelati, mi rende il cuore più leggero ma certo non posso negare a me stessa la preoccupazione per ciò che accade fuori queste mura. Patrick fa la spola dal cortile in sala chirurgica, io stessa ho tolto il camice per fare la sentinella pacifica. Richard e Geremia ci guardano consumarci fra la stanchezza e l'orgoglio da dieci giorni ormai, temendo di vederci accasciati su un pavimento o vittime di chissà quale pestaggio.

Le forze dell'ordine sono aumentate, una fitta barricata in divisa, ma non si è mai venuti allo scontro, prego perchè questo non accada mai.

La tv è perennemente accesa, i notiziari si susseguono in un valzer di immagini cruenti che facciamo fatica a restare impassibili; ogni giorno decine di ragazzi e ragazze vengono scortati in pronto soccorso, malconci e sul filo della vita.

Sto medicando un giovane che avrà si e no ventanni, quando Patrick irrompe nella sala e alza il volume della televisione.

Scioperanti a Nanterre hanno iniziato ad occupare le fabbriche, con un bilancio di almeno venti di esse sotto assedio; ero così presa dai punti di sutura sul volto pesto del giovane, che ho del tutto messo una pausa sulla realtà.

"Non ci vorrà molto perchè i parigini li imitino." Strepita in un misto di orgoglio, cautelato dalla mia situazione personale. In effetti non credo di aver messo su una delle mie espressioni più rassicuranti, tanto che ho persino un punto di sutura a mezz'aria da un pò. "Perchè non lo lasci a me e provi a chiamare tuo fratello?" Dice, avvicinandosi. Annuisco come un automa, temendo il peggio.

Esco dalla stanza con il terrore nelle pupille, mi precipito al primo telefono libero e compongo un numero a memoria.

Diversi squilli a vuoto mi fanno protestare lo stomaco per l'ansia.

Decido di chiamare casa, quando la mamma risponde, sa già cosa voglio sentirmi dire.

"Tuo fratello è sotto sequestro alle fabbriche. Non lo lasciano andare via, finito la riunione con i sindacati terrà un dibattito." Esordisce con voce rotta. "Non vogliono azioni violente, si definiscono pacifici, vogliono solo un manipolo di giornalisti per essere ascoltati e a questo sta già pensando Richard." Un discorso sentito altre volte, penso in angoscia. Finito di parlare Deesire scoppia a piangere; dai primi minuti della nostra conversazione, sento tutta l'impotenza della mia frustrazione. "Se gli dovesse accadere qualcosa io.." Aggiunge, squassata dai singhiozzi.

"Mamma non dire così!" Protesto, scacciando via qualsiasi pensiero nefasto. "Benjamin è un uomo giusto, sono sicura non gli torceranno un capello."

"Fabien non fa che ripetermelo, come una litania. E' più agitato di me, è corso alle fabbriche appena lo ha saputo."

"E' solo o anche Richard è lì?"

"Richard è riuscito ad entrare." Sussurra secca. "Pensavo lo sapessi, lo hanno detto anche al notiziario."

Il mio cuore manca un battito. Parick sull'uscio, nero come la pece, conferma le parole di mia madre. "Mamma devo lasciarti.." dico in un fil di voce.

"Najla Louise.." il suo tono si fa fermo e protettivo. "Per l'amor del cielo, ti prego di non prendere iniziative avventate!"

"Cosa dovrei fare?" Strepito ancora. "Dentro quella fabbrica ci sono mio fratello e l'uomo che amo!"

"Najla.. siete la mia vita, se vi accadesse qualcosa io morirei insieme a voi."

"Smettila di dirlo!" Protesto immaginando scene devastanti. "Forse per la prima volta dopo tanti anni, questo paese sta reagendo a una situazione che lo ha annichilito e svalutato.. e tu, pensi solo alla catastrofe? Dovresti essere la prima a scendere in strada, darti da fare, non piagnucolare per i tuoi figli!"

"Ingrata!" Ribatte, furiosa e piangente. "Vi ho tirati su quando non avevamo più nulla, se non un buon nome. Ho ricostruito un'intera famiglia con le mie sole forze, come ti permetti di darmi della piagnucolona?"

Abbozzo una risata cattiva, i brividi mi scuotono come corde di violino. "Credo che Fabien ti abbia dato una grossa mano a riguardo."

"Cosa c'entra Fabien?"

Sento gli argini dei miei segreti taciuti, esplodere; sono sconvolta e disperata, stanca e sicuramente poco lucida, ma parlo.. e sono senza freni.

"Credo tu lo sappia bene, infondo. Quale uomo lascia i conti aperti a una donna.. se non perchè questa è la madre di suo figlio?"

Lei non ribatte dapprima e il suo silenzio è una lama che mi percuote l'anima. Non ci siamo mai parlate con tanta durezza e disprezzo nel corso della nostra vita, mi sento come a un punto di non ritorno e la cosa strana è che non sono per nulla pentita delle mie parole.

"Come lo hai saputo?" Dice dopo un pò, non tentando neanche di giustificarsi.

Sento la sua domanda, ma non l'ascolto veramente. Quella verità, mi squarcia il cuore e lo lascia sanguinare.


Patrick si avvicina, brandisco ancora la cornetta, riaggancia e mi prende per mano fino alla sala con il televisore.

"Mi dispiace." Dice funereo, indicando Benjamin in diretta sul canale cittadino.


*

Il soprabito lungo e nero svolazza nei cortili antistante le aziende; ogni passo che percorre, ogni volantino che consegna, presagiscono la faccia funerea che Hamilton metterà su quando verrà smascherato e il clan Chedjou affossato. Passa un foglio a un gruppo di uomini stipati vicino all'ingresso, chiede loro di farlo entrare, ma questi lo trattengono con la forza senza neanche badare a ciò che gliè stato consegnato.

Ringhia. "Sono quì per aiutarvi ad ammutinare il vostro capo! Ho le prove che lui non è ciò chi dice di essere!" Uno di questi gli ride in faccia additandolo a pazzo, per spintonarlo all'indietro. Vacilla ma torna dritto e alza le spalle più fiero che mai. "E' scritto là, razza di idiota! Hai la verità fra le mani e non te ne sei neanche accorto." Quello getta una rapida occhiata annoiata al foglio, quando ha fatto rialza lo sguardo e lo fissa esterrefatto. "Già. E se vi ha mentito sulla sua identità.." ribatte, affilando il tono di voce ed ergendosi con il petto. "Cosa vi fa credere che non menta anche sulla vostra attuale situazione? Ho ricevuto una soffiata che riguarda la sua decisione di oggi; non cederà ai vostri ricatti nemmeno sotto tortura!"

Un uomo gli si para di fianco, stringe in mano il volantino che ha fatto stampare con il referto medico che attesterebbe la non consaguineità di Benjamin con i Chedjou. "Come hai avuto questa prova?" Dice fra i denti.

"Da qualcuno che li conosce bene."

"Stronzate." Ribatte.

"Come le vostre, che vi state raccontando oggi! Lui è un gran cantastorie, non cederà e voi non vedrete il becco di un quattrino." Ride sarcastico e chiassoso. "Con questa prova potete ridurlo in poltiglia; pensateci bene, sarà così soprafatto dall'essere stato smascherato che sarà il momento giusto per affondare il coltello e prendervi ciò che vi spetta di diritto."

Il manipolo di uomini si guarda fra loro in un cupo silenzio, dopo pochi minuti si avvicinano altri uomini e poi altri ancora.

"E' vera questa storia?" Chiede uno.

"Ah quanto pare sì."

"Ci ha ingannati." Risponde un altro.

"Che si fa?!" Chiede un altro ancora dalle file.

"Fra un pò terrà la conferenza. Facciamoglielo avere mentre è in atto il dibattito." Ghigna l'uomo che aveva accusato Morgan di dire stronzate. "Tu che dici sei dei nostri?" Si volta a cercarlo, ma Morgan è già lontano, oltre i portoni dell'azienda con una macabra risata stampata sul volto.


"La sorella di Chedjou è quì?" Chiede dopo un giro di ispezione nel quale ha intravisto la sagoma di Richard Hamilton; Il bavero del soprabito tirato fin sul volto, lo ha salvato per un soffio dall'essere riconosciuto.

Il tizio sotto al palchetto pronto per la conferenza, lo fissa torvo. "Pare che non sia la sorella." Gli passa un volantino e la soddisfazione accresce nel suo petto ancora di più. "Comunque no. Da quanto so è piantonata al Salpietrere da giorni ormai." Poi gli fa cenno di scansarsi. "Voglio il posto migliore quando lo vedrò cadere nelle sue bugie."

"Goditi lo spettacolo." Risponde, addentrandosi nei cunicoli dell'azienda.


*


Benjamin sente il cuore martellargli negli orecchi, mentre scende le scale che dagli uffici lo portano al centro del cuore dell'azienda; in un attimo file di ricordi belli e brutti lo investono, facendolo vacillare sui suoi stessi passi. Sente nell'aria una strana sensazione di sconfitta, nonostante la riunione con i sindacati abbia portato a una buona soluzione. Il periodo storico in cui vessa Parigi lo ha messo nella condizione di andare di pari passo alle richieste dei suoi operai ma daltronde nei suoi impegni futuri si era già prefigurato di rivedere la loro la paga base, dopo che l'intervento sanatorio di Chedjou volto ai conti dell'azienda, aveva portato buoni frutti. Si sentiva pieno di orgoglio verso quegli uomini, anche se lo avevano messo sotto torchio e la sua posizione in quel momento non era delle migliori, sapeva che avrebbero gradito vedere i loro sforzi ripagati.

"Lavoratori e lavoratrici delle aziende Chedjou, sono quì per comunicarvi l'esito della discussione avuta con le sigle sindacali che vi rappresentano." Prende il respiro ma subito un boato di fischi si leva dalle file, tenta di sorvolare ma questi si fanno più forti e più incessanti. "Cosa avete da fischiare se non ho ancora parlato?" Chiede nell'immediato, sbottonandosi i primi bottoni della camicia.

"Bugiardo! Sei un vile" Gli risponde un uomo.

"Vile!"

"Fanatico!"

"Traditore!"

Gli insulti si moltiplicano, coprendo la sua voce e persino il suo respiro; getta un'occhiata agli uomini che tengono stretti fra le mani dei fogli tutti uguali e lascia il proprio posto per accaparrarsi uno di quei volantini. Non c'è bisogno che arrivi molto lontano, perchè qualcuno glielo consegna senza battere ciglio.

I flash gli puntano addosso.

"Bastardo!" Ululano in coro gli uomini esaltati dal suo sguardo perso e vacuo.

"Bastardo usurpatore, dicci chi è il tuo vero padre!"

"Bastardo!"

Quelle voci gli penetrano il cervello, Paul gli è subito accanto, gli sfila il foglio dalle mani e nel leggerlo viene montato dalla rabbia; lo accartoccia e lo getta ai piedi, guardando spiritato i suoi sottoposti. "Ma che vi prende? Da quando date retta a certe fandonie?" Ulula. "Avete davanti l'uomo che ha rivoluzionato questa azienda per far si che il vostro futuro fosse dei migliori. E ci ha impiegato un solo anno solare! Che vi prende?"

"Sappiamo che non cederà alle richieste dei sindacati." Abbozza un tipo tozzo e calvo lì accanto.

Paul si agita, sta per rispondere ma Benjamin gi posa una mano sulla spalla, pregandolo di mettersi da parte.

E' annientato da un tale gesto ma sa che spetta a lui difendersi, proprio come gli ha insegnato suo padre.. e prega che dal cielo, stia guardando altrove in quel momento. "Non mi avete lasciato parlare. Vi siete soggiogati e montati a vicenda così tanto, che avete dimenticato chi sono e cosa ho fatto per questa azienda." Alza di un tono la voce, così che possa essere chiaro. "Ero giunto quì pieno di speranze, certo che i miei uomini avrebbero apprezzato la discussione di una nuova paga salariale." Il brusio si spegne, l'attenzione è alle stelle, le stesse facce accusatorie si fanno ancora più scure e presto ammantate dai sensi di colpa. "Non credevo fosse una questione di sangue, uomini che non fanno parte di questa famiglia hanno amministrato l'azienda al loro meglio, prima di me. Io sono nato per questo, non mi è stato chiesto cosa volessi fare della mia vita, semplicemente questo è il posto in cui dovevo essere." Come se si fosse levato un vento improvviso, i volantini scivolano di mano dagli uomini. "Ma questo è qualcosa che va al di là, di ciò che devo essere. Questo gesto mi fa capire che il mio tempo quì è terminato e che non posso più dare nulla a questa azienda o a voi. Mi dimetto!"

Paul lo sovrasta, il volto cenereo. "Benjamin che dici? Sistemeremo tutto, per quanto è vera questa rivoluzione metterò a soqquadro l'intera azienda, per trovare l'artefice di questa pagliacciata. Ma aspetta! Ragioniamo insieme!"

"Paul, a quale scopo se non hanno la minima fiducia nel sottoscritto?!" Risponde affilato.

"Lo hai detto tu, gli animi sono incendiati, Parigi è in guerra.."

"Parigi non può essere una scusa per tutto." Lo mette a tacere, negando con il capo. "Ti prego di prendere i documenti di cessione di Hamilton. E fallo chiamare, che si precipiti quì."

Paul è ammutolito e il suo corpo non risponde ai richiami.

"Benjamin!" La voce di Richard sovrasta dalle file ormai scarne di persone. I più avviliti hanno lasciato la sala, i più agguerriti non sanno se esultare o piangere. I giornalisti non battono più le dita sulle macchine, i fotografi hanno smesso di armeggiare le loro macchine fotografiche; c'è grande patos e attesa. "Sono quì per l'amor del cielo!" L'uomo è sollevato nel vederlo. "Mi dispiace." Dice nell'immediato, secco.

Ben scuote il capo. "Avevi ragione tu fin dall'inizio. Senza la fiducia dei miei uomini non c'è ragione per la lotta."

"Chedjou.." Richard è teso, il volto una maschera di emozioni nefaste. "Era una vita fa. E tu non sei mai stato uno che molla, l'ho capito subito, per questo mi sono fatto da parte, perchè sei sempre stato un fottuto osso duro."

Ben sogghigna al suono del suo appellativo. "E' arrivato il tuo momento Richard."

L'uomo scuote il capo, un volantino fa capolino dalla sua tasca; lo prende e guarda alle sue spalle. "Maximilianne ha trovato chi lo ha diffuso."

Il sorriso di Benjamin è un sorriso amaro e diabolico. "Se parliamo di fottuti ossi duri tu mi sei sempre un passo avanti, Richard. Dov'è?"

"Nel tuo ufficio." Ribatte Richard. "Ma lascia che ti accompagni, devo raccontarti qualcosa."



Il pugno di Benjamin era qualcosa che attendeva, dopo avergli raccontato per filo e per segno di suo nonno e dell'accordo preso per impossessarsi delle aziende; non si è scansato di mezzo millimetro, accogliendolo come se fosse una carezza.

"Credo di meritarlo." Dice, massaggiandosi la guancia. "Ma dalla teoria alla pratica, non c'è stato attimo in cui ho pensato di fregarti. Quando mi sono reso conto di ciò che provavo per Najla, sapevo già che mio nonno non avrebbe vinto."

Benjamin lo guarda duro, si massaggia le nocche e parla serafico. "Non sei degno di starle accanto, questo lo sai?"

"Ti sbagli." Risponde fiero. "Il suo amore mi ha cambiato e adesso sono l'uomo che voglio essere e di cui lei ha bisogno."

Un sorriso di scherno trasforma le labbra serrate di Benjamin. "Sì, ma a quale prezzo?"

"Non ci sono io dietro questa storia, Maximilianne lo ha messo sotto torchio, puoi farti dire da lui ciò che ha rivelato."

"Potreste mentire entrambi, per quanto mi riguarda."

"Chedjou, se avessi voluto farti fuori avrei avuto diverse occasioni, non trovi? Ho accesso ai bilanci e ad ogni cavillo di questa azienda."

Il volto di Ben si dipinge di una smorfia. "Vuoi mettere la gogna pubblica? L'esaltazione dell'umiliazione? Per quanto mi riesce difficile pensarti così meschino, che tu abbia ragione oppure menta.. le aziende saranno tue Hamilton. Proprio come hai sempre voluto."

"Si le ho desiderate." E' questo che risponde il cuore di Richard. "Le ho desiderate tanto, ma non al prezzo dei miei sentimenti!"

Un lampo passa negli occhi verde azzurro di Chedjou. "Ti sbagli, tutto può essere comprato. Perchè tutto può essere venduto."

Le stesse parole di allora, quelle che aveva pronunciato quando ancora la sete di rivalsa faceva di lui un ragazzo ricco e arrogante, lo lasciano con il cuore colmo di tristezza, senza parole. Si limita a seguirlo in silenzio fino all'ufficio, nonostante Benjamin lo guardi molto male.

La scena che gli si para favanti è quella di Maximilianne che tiene stretto Morgan per il bavero, minaccia qualcosa ma quando li vede entrare, si volta immediatamente verso Hamilton. "Avevi ragione capo, era quì per te."

Richard tace ancora. Benjamin a grandi passi afferra una sedia e la piazza dinnanzi a Morgan. "Chi ti ha dato questo documento?" Chiede angosciato da una verità che va via via assumendo delle tinte sempre più terrificanti. A quel punto la sua carriera, il lascito delle aziende.. nulla sembrava più importante e doloroso quanto scoprire la verità della sua paternità da perfetti sconosciuti.

"Me lo sono procurato da solo." La risata arcigna dell'uomo provoca in Richard una reazione, tanto che gli si scaglia contro.

"Stai in disparte Hamilton!" Bercia Benjamin, volgendogli uno sguardo carico d'odio.

Richard stringe i pugni, arretrando lentamente.

"Te lo chiedo con le buone affichè questo colloquio resti in forma pacifica." Abbozza Benjamin tornando su Morgan con disprezzo e un sorriso sarcastico sulle labbra. "Dalle condizioni del tuo occhio deduco tu non gradisca essere preso a pugni fino a quando non tirerai fuori qualcosa di bocca. E bada bene, tutti e tre abbiamo più di un motivo per cavarti gli occhi dalle orbite. Richard Hamilton mi sembra il più motivato fra tutti."

"Quell'uomo non è lo stinco di santo che vuole farti credere." Ringhia l'altro fra i denti.

"Non l'ho mai creduto." Ribatte Benjamin. "Come non voglio credere che tu sia un pazzo megalomane."

Morgan contrae nervoso la mascella. Fissa Maximilianne e il pugno fermo a mezzaria e si convince a parlare."L'ho prelevato dal suo vecchio appartamento del Claridge, quello in cui risiedeva fino allo scorso anno; fino ad allora aveva un patto con suo nonno per dimostrare che la cessione delle aziende a tuo carico fosse un illecito."

"Perchè non sono uno Chedjou." Risponde asciutto non tradendo la minima emozione.

"Mi sovviene di quanto tu possa essere così sprovveduto da non sapere chi si è infilato nel letto di tua madre.." Benjamin tira indietro la sedia, scosso da una scarica di rabbia da volerlo colpire a sangue. Maximilianne intercetta la sua intenzione e stringe il bavero ancora più forte.

"Finora abbiamo solo giocato. E forse non hai capito quanto delicata sia la tua posizione. Te lo faccio capire io.." Lo molla, spostandosi la giacca e scoprendo una pistola. I loro occhi si incrociano, Maximilianne sorride."Sta a te decidere se vuoi uscire da quì con le tue gambe o trascinato in un sacco."

"Continua." Benjamin lo incalza, approfittando del suo volto impaurito.

"Raymond Hamilton mi ha dato l'incarico di procurare le prove, vedeva vacillare la volontà di suo nipote, così la scorsa primavera mi sono introdotto in quella grande casa del Marais e ho trafugato alcune carte, fra le quali è spuntato fuori il referto medico che Raymond Hamilton gli ha successivamente fatto avere." Indica Richard con il mento e prosegue. "Ma questo non è servito a granchè, solo a rendere più netto il distacco dei rapporti fra i due. Sono stato minacciato dal quì presente Hamilton di stare lontano da questa famiglia..ma prendere ordini da quel damerino non mi è mai piaciuto gran che." Per un attimo tutta la vena sprezzante del pericolo torna prepotente nell'uomo. "Nel mio quartiere subisco ancora l'onta del suo attacco. Diciamo che non sono nemmeno abituato a farmi mettere i piedi in testa."

"Così hai deciso di vendicarti del suo gesto, copiando i volantini e organizzando una sommossa alla mia persona." Ben riflette ad alta voce.

"Complimenti per l'intuito." L'uomo abbozza un riso di disprezzo.

"Non è stata proprio una grande mossa." Benjamin si alza lentamente rivolgendo lo sguardo alla porta; due agenti della polizia scortati da Paul fanno irruzione nella stanza, intimando a Morgan di restare immobile. "Ha confessato di essere il mandante della sommossa e di essersi introdotto con scasso nell'abitazione di mia sorella." Soffia agli agenti che lo prelevano. Quello protesta ma la sua voce si perde nel corridoio fino a divenire solo un sussurro lontano.

Il silenzio piomba sui tre, un silenzio assordante al quale Richard abbozza con parole confuse. "Mi dispiace.. non volevo finisse così."

"Questo non cambia le cose, almeno non del tutto; vorrei credere che ti dispiace Richard, ma ho bisogno di starmene da solo e riflettere. Ti prego di andartene e di non farti vedere fino a nuovo ordine aziendale." Benjamin ha il volto sfinito, Richard fa cenno a Maximilianne di andare.

"Chedjou..io queste aziende senza di te non le voglio."

L'uomo alza le spalle e si mette seduto, fissa la scrivania, le foto di suo figlio e di Charlotte e infine quelle con suo padre, scoppiando a piangere.


*


"My friend, per l'amor del cielo non credo sia il caso di andare!" Patrick mi trattiene per un braccio, siamo sull'uscio della porta a vetri che conduce fuori al piazzale, dove gli uomini come sentinelle sono ormai da più di dieci giorni. Credo di non aver mai versato così tante lacrime come oggi in tutta la mia vita, vedere mio fratello alla gogna pubblica e costretto a sapere del nostro segreto in questo modo.. mi annienta.

"Quel foglietto potrebbe essere dello stesso fanatico che ha organizzato tutto, cosa te ne fai di un ulteriore dispiacere?"

"Patrick." Rispondo fra i denti, ribellandomi alla sua stretta. "Se Richard è invischiato in questa storia io devo saperlo."

Era successo tutto all'improvviso, mentre guardavamo l'orribile conferenza stampa di Benjamin alla tv, uno degli strutturati è entrato in stanza e mi ha consegnato un biglietto da parte di un vetturino postale. Non vi erano firme, ne mittenti. Il testo molto chiaro.



"Recati al Claridge e avrai tutte le risposte che vorrai."



"Fammi venire con te." Insiste.

Il mio sguardo è lontano e assente. "Tu devi restare quì e proteggere il nostro ospedale." Gli passo una carezza sul volto alla quale si aggrappa.

"Stai attenta e promettimi che quando avrai bisogno di me, farai in modo di farmelo sapere." Soffia sulla mia mano tesa.

"Va bene." Dico, deglutendo un boccone di ansia.

Mi tira a se e ammetto a me stessa di avere avuto bisogno di quell'abbraccio come di aria nei polmoni.

Salgo sul taxi e i pensieri mi conducono in un vortice di afflizione e inquietudine; tutto sembra esserci piombato sulla testa all'improvviso, ovunque guardi solo catastrofi, sciagure e Dio solo sa cos'altro c'è in serbo. Benjamin il figlio di Fabien. Per quanto questa realtà mi provochi una fitta allo stomaco, mi rendo conto di averlo sempre saputo; la mamma ha più e più volte tentato di farmelo capire, la protezione oltre l'amore folle che Fabien ha da sempre messo nei riguardi di Ben e con il passare del tempo anche i loro tratti somatici.. quei tratti somatici così simili sono stati sempre sotto ai miei occhi. E Benjamin non fa che somigliargli, umanamente parlando, come nel fisico.

Cerco di respirare per mantenermi integra, quando mi domando come mio padre abbia scoperto la cosa, come abbia accettato questo destino e perchè ha poi deciso di tenere nascosto questo segreto; poi penso alla loro epoca così bigotta e puritana, la guerra piombatagli addosso e al poco tempo che gli è stato concesso.. e un sorriso triste mi dipinge il volto. Sento il respiro venire meno, prego l'autista di farmi scendere.

Una fitta piogerellina scende dal cielo, improvvisamente commosso.


Pioggia.

Mi piace l'odore della pioggia.

E Parigi è maledettamente bella quando piove. Ma piove sul serio, non quella fitta nebbiolina bagnata che urta il sistema nervoso e basta.

Mi piace essere bagnata in questo momento, ho come la sensazione che tutti i problemi vengano lavati via e al loro posto una tela immacolata da sporcare daccapo; oh.. il cielo è in tumulto, il mio cuore è in tumulto.


La città è in tumulto. E non si parla d'altro. Deesire Bonnet e il suo amante, Fabien Moreau.




Resto inerme, dinnanzi al quadro di mia madre in quella che era la cabina armadio di Richard.

Sento le gambe cedermi, mentre lo porto nel salotto alla luce del giorno, quasi incredula di averlo fra le mani. E invece è proprio quì con me, bello e perfetto.. e dolorosamente vero. Dietro di esso è attaccata una busta, la tiro via di forza e la apro scoprendo l'originale del referto medico incriminante.

Scorro avida gli occhi su quel foglio; si capisce chiaramente che la paziente e chi per lei ha sorvolato sul periodo di gestazione, solo che la mia mente si rifiuta di accettare anche questa, perciò addito la colpa di tali lacune sempre al periodo storico in cui mia madre ha vissuto la gravidanza.

Non vi erano ecografie ergo dati imprecisi. E per di più si trovava dall'altro capo del mondo.

Si come no. Risponde la parte razionale di me che è rimasta lucida, in preda a un riso isterico.

Il riso se ne va presto e al suo posto un pianto amaro con una terribile verità; Richard sapeva tutto e in qualche modo ha fatto sì che lo sapesse il mondo intero.

Sento dei passi alla mia sinistra, me lo trovo proprio in quella stanza nel suo volto perfetto, zuppo e sconvolto. Mi alzo come punta da uno spillo.

"Sei contento adesso?" Chiedo con la voce asciutta. "Hai ottenuto quello che volevi." Trattengo a stento l'aria che brucia nella gola.

"Najla." Si avvicina, vedo le sue mani circondarmi le braccia, lo scanso malamente. "Non è come pensi tu! Non sono stato io!"

"Le tue bugie mi nauseano." Gli lancio contro le prove, il quadro si squarcia a contatto con le sue braccia alzate, nel tentativo di difendersi.

Si piega a raccoglierlo, mi guarda con una faccia tetra. "Ero in accordi con mio nonno per impossessarci delle aziende, ma io non li ho mai rispettati e quello che sta accadendo oggi ne è la conseguenza."

"Mi fai schifo, Hamilton." Sento una costante e pungente sensazione di nausea, ho bisogno di aria.

Apro la finestra di scatto e l'aria fredda che mi sferza sul viso mi rigenera.

"Najla, non potrei mai farti una cosa del genere, lo sai!" Strepita, agitandosi dal suo posto.

Mi volto a guardarlo, in una calma che non mi riconosco. "La cosa che mi fa più paura invece è che da te mi aspetto esattamente il peggio."

"Stai parlando così perchè sei sconvolta e non conosci tutta la verità."

Sa che non deve avvicinarsi ma il suo corpo non vuole e si agita in passi scordinati verso la mia persona; alzo la mano e metto definitavemente un muro fra di noi. Un muro invalicabile e di cemento armato; il dolore per le sue menzogne.

"La verità è che non so chi ho davanti e questo mi rende immensamente triste. L'uomo che per il potere ha lacerato ogni forma di fiducia e amore, annienta in solo colpo quello compassionevole e generoso. Questa eterna salita e discesa mi ha stancato Richard. Se ti guardo provo disgusto..e sai una cosa? Sono contenta di non essere tua moglie, non avrei sopportato l'onta di vergogna nell'essermi unita ad un essere tanto spregevole." Lui non si muove, non parla più. Annuisce e basta. "E' finita Hamilton." Sento di non avere altro da aggiungere, gli passo accanto senza toccarlo e mi dirigo al telefono.

"Fabien sono Najla."

"Oh signore ti ringrazio." La sua voce mi fa scoppiare in un mare di lacrime. "Dimmi dove sei, ti raggiungo."

"No, ho bisogno di..capire. Vediamoci tutti al Marais, sto andando a casa."

Mette giù e mi volto; guardo Richard sentendo con consistenza il dolore della sua ultima immagine nei miei occhi.

E' terribile e straziante.


*


Entriamo in casa sconvolti. Con stizza serro tutte le finestre, fino a che c'è un buio innaturale in casa.

La mamma è una latania continua, li precedo nel salone per accendere la tv: passano a raffica notizie di diversi scontri ma non una parola sulla mia famiglia. Sospiro, solo allora mi accorgo di Raymond Hamilton ritto in un angolo della sala, come un fantasma.

"Che cosa ci fa in casa mia?!" Gracido per la paura. Ben, Fabien e la mamma accorrono preoccupati.

Benjamin gli va subito contro come un razzo, lui si mette sulla difensiva ma porge la guancia.

"Avanti, colpiscimi ragazzo!" La sua voce è ferma e sicura, a Ben tremano le braccia mentre tenta di auto-controllarsi.

"Ha sentito mia sorella? Cosa ci fa quì?"

"Sono venuto a parlare con lei. Civilmente, per favore solo due parole." Mi indica, poi alza le mani.

Tiro Ben per un lembo della camicia, lui arretra e mi guarda confuso. "Ci penso io." Rispondo non distogliendo lo sguardo dal vecchio Hamilton. "Lei non è affatto gradito quì, la prego di andarsene."

"Lo farò, ma prima mi deve dare la possibilità di spiegare."

"Spiegare cosa?" Rantolo nella mia stessa bile. "Ci guardi!" Indico la mia famiglia. "Mia madre e suo marito sono a pezzi. Mio fratello è distrutto. Come si permette di sentirsi in diritto di parlare..ancora?!"

"Sono quì per Richard." Mi zittisce, facendomi piombare in un silenzio inquieto. "Glielo devo è ingiusto che paghi per delle colpe non sue."

Un conato mi squassa. "Non ho intenzione di ascoltare nulla che lo riguardi." Dico, piegata su me stessa.

Mia madre è su di me, mi prende sotto braccio e incrociare i suoi occhi mi annichilisce. Vorrei scusarmi con lei ma lei annuisce, come sempre in linea con i miei pensieri. Poi fissa Hamilton, con lo sguardo da battagliera che le ho sempre visto, quando si è trattato di proteggerci.

"Mia figlia ha riposto in suo nipote fiducia e molto amore. Gli sono state aperte le porte delle nostre case, nonostante Clorine Bonnet, che lei conosce molto bene, ci avesse avvisati. Abbiamo accettato di buon grado la sua promessa di matrimonio..ed ora questo?! Cosa può dire in sua discolpa che ai nostri lembi non risulti artefatto?" Domanda ma non chiede veramente, stanca di vedere i suoi figli nella sofferenza. "L'ha sentita Hamilton, se ne deve andare e con immediatezza, se non vuole che riversi su di lei tutta la mia rabbia di madre addolorata."

"Signora, la prego.."

"FUORI!"

Non credo di aver mai sentito mia madre urlare in questo modo. Hamilton ha un sussulto di paura e si accascia sul divano.

Deesire gli va contro, viene intercettata da Benjamin che si fa avanti; Raymond non riesce a respirare, si tocca il petto annaspando.

Tutto ciò che è dopo è trambusto e il mio riso isterico.



I suoi occhi di ghiaccio mi scrutano. Sento tutta l'invadenza di quello sguardo, mi adiro.

"Cosa ha da guardare?" Slego la fascia dell'apparecchio per la misurazione della pressione, dal suo braccio e mi scanso.

"Come ti senti?" Ignora del tutto la domanda, ponendomene un'altra.

"Ha davvero una faccia da schiaffi." Bercio, inorridita. "Ho appena saputo che mio fratello in realtà non è mio fratello. Come vuole che sto?"

Piega il capo e fa ammenda. "Non è stata colpa sua. E' un ragazzo ambizioso ma l'idea di sabotare Benjamin Chedjou è stata mia."

"Non mi interessa." Rispondo scostante, piegandomi a controllare i valori della pressione.

Lui mi afferra il polso con una certa predominanza, costringendomi a guardarlo. Sento le guance andarmi a fuoco.

"Dovrebbe invece!" Tuona con voce accalorata. "Ti ha amato dalla prima volta che ti ha visto, ed io troppo scettico e illuso da una vita meschina che ho vissuto, non gli ho creduto." Inizia a tremare, getto ancora un occhio alla pressione. E' alle stelle.

"Deve darsi una calmata..rischia un infarto." Lo interrompo, provocandogli uno spasmo.

"No!" Brontola laconico. "Ho amato mia moglie allo stesso modo.."

"Che strano.." rispondo sarcastica. "Mi risulta che abbia passato la maggior parte del suo tempo a sollazzarsi con altre donne."

"E' per questo che ti parlo così, testona!"

Non posso credere che l'abbia detto veramente. Sono adirata. "Ah, io sarei testona? E lei cosa sarebbe?! Vuole farmi la morale, ma si guardi!"

"Sono un farabutto." Risponde con il sorriso mesto, eppur senza segni di pentimento. "Ma Richard è di un altro stampo. Mi ha contrastato in ogni modo possibile, costringendomi a ritirarmi in America."

"Sì, lei è davvero un farabutto.." rimarco con fare ironico. "So tutto dei suoi affari americani, non tenti di abbindolarmi con queste sciocchezze." Gli slego il braccio e mi sposto, ha la faccia tosta di venirmi dietro. "Mi sta stancando, la riluttanza tipica degli Hamilton per il rispetto degli altri esseri umani è un qualcosa con cui non voglio più avere a che fare."

"Sbaglieresti, ragazza." La sua voce si fa tragicamente seria. "Perchè perderesti l'amore della tua vita per qualcosa che non ha mai avuto modo e ragione di esistere." A quel punto torna al lettino per recuperare la sua camicia e vestirsi. "Quando gli ho parlato per la prima volta di questo affare ero così pieno di livore per quello smacco del passato, che ho agito come un vero stupido. Il suo diniego poi, mi ha creato nient'altro che indignazione; voleva fare le cose a modo suo, con onestà." Quella parola mi gela il sangue, sento gli occhi lucidi, mi torturo una guancia a morsi per non piangere. "Era determinato e pieno di aspirazioni, non credevo che dietro tutto questo ci fossi tu."

"Io?" Chiedo in un sussurro straziato.

"Najla Louise, tu sei stata la sua salvezza e io pagherei qualsiasi prezzo per tornare indietro."

"Il denaro." Bercio, riappropriandomi del sarcasmo. "Tipico vostro, dare un prezzo anche ai sentimenti."

"Io non posso cambiare la mia natura. Ma quì è di Richard che stiamo parlando! Volevo che fosse come me, invece lui è meglio di me."

Mi mordo le labbra. "Cosa è successo poi?"

"Ho commissionato il furto del referto medico e del quadro che hai trovato. Nonostante fosse in possesso della verità, Richard mi ha dato un ultimatum e lo ha dato anche al mio scagnozzo; starti lontano, il più lontano possibile. Così ho fatto, ma l'altro senza scrupoli gli ha servito la sua vendetta. E' stato lui a diffondere quei volantini nell'azienda, Maximilianne lo ha tenuto sotto torchio.." dice con un sorriso sinistro che mi gela. "E ha confessato." Mi guarda, sta zitto e mi guarda, come volesse trapassarmi. Sono impassibile, il pianto ricacciato nella gola. "Vivi con lui da un anno, se fosse il mostro che tu credi, non pensi te ne saresti accorta da subito?"

"Sì, come credevo che lei fosse un uomo buono." Getto sarcastica. "Non ci provi a sostenere questa conversazione con me, non sono stupida signor Hamilton, so abbastanza bene che non serve la filantropia o un mucchio di soldi per essere un uomo degno di tale appellativo."

"Adesso sei tu che stai spostando la questione sui soldi." Lo guardo, ha occhi così limpidi che credo impossibile stia mentendo anche adesso. Poi scuoto il capo, non so dire chi ho di fronte. "Najla Louise non mi sei mai sembrata una sprovveduta e non voglio convincerti di nulla. Avevo promesso a Catherine di rimediare ai miei errori.. non ci sono riuscito. Forse." Già, la mia mente è vorticosamente confusa. "La cosa che mi dispiace è che io sono abituato a questo genere di etichetta, loro no." Finito di parlare mi viene vicino, non ho la prontezza di reagire, lo vedo allungare la mano verso i miei capelli e depositarvi una carezza. "Mi dispiace veramente tanto. Spero che nel tuo cuore ci sia la verità." Lascia la frase aleggiare intorno a noi. Si ritira e mi lascia al centro della stanza, con un enorme macigno nel cuore. "E' in aeroporto. Sta tornando a Londra."

Spara l'ultima cartuccia e lo maledico altre cento volte, quando chiude la porta e mi lascia sola.


Oh Richard Hamilton.. chi sei veramente?


Ripercorro con la mente il meraviglioso anno vissuto insieme; il nostro primo incontro, lo sfiorarsi delle nostre mani e il sussulto nelle ossa fino a sentirlo ancora adesso, a distanza di mesi. Rivedo la nostra prima incomprensione, Lydie e i suoi occhi liquidi, i mesi passati a cercare di strapparlo dal mio cuore. Come nulla cambia lo scenario, la festa di fidanzamento di Benjamin e il nostro primo bacio. Un bacio appassionato, di due persone che mentivano già allora.. e che chiedevano solo un'opportunità, il voler stare insieme senza avere il coraggio di dirselo. Poi la normalità finalmente, quella di una coppia giovane e spensierata, il susseguirsi di attimi che hanno portato quei due a voler condividere la quotidianità, senza regole troppo austere.. e non senza scontrarsi nuovamente! Il pensiero di quella lite sul matrimonio, mi fa sorridere. Fra quattro mesi ci sposiamo. Ecco arrivare l'estate ed ecco un timido Richard chiedermi di seguirlo a Londra, un viaggio di piacere per annunciare a suo padre il nostro fidanzamento. L'estate scoppia nel mio cuore e sul mio anulare fa la comparsa un diamante, a sugellare una promessa d'eternità. Questo ricordo potente mi annienta, sento le lacrime scivolarmi dagli occhi senza prepotenza, libere di esternare il mio dolore, semplicemente. Mi sento vigliacca in confronto a quella ragazza di allora.

Sto quì con la verità in tasca, eppure voglio oltremodo osteggiarla, perchè mi sento tradita. La mia famiglia. Aperta e diliniata nel peggiore dei modi. Ma infondo Richard non è che stato un mezzo, penso amaramente. Un mezzo attraverso le quali persone hanno mosso fili e ombre al fine di farci fuori. Non lo vedo come una vittima, questo no, ha consapevolmente deciso di prendere parte a una macchinazione ma devo anche credere che se ne sia tirato fuori praticamente da subito, visto come sono andate le cose. Oh.. la testa mi scoppia.


Richard Hamilton.. chi sei veramente?


"Posso entrare?"

Benjamin fa capolino nella stanza, annuisco e non so dire come ci guardiamo.

Non faccio in tempo ad asciugarmi una lacrima che ne scende subito un'altra e un'altra ancora.

Ci troviamo abbracciati, alle sue spalle vedo entrare la mamma e Fabien, si mettono in un angolo e aspettano.

"Tu sei mia sorella." Dice con la sua voce potente.

"E tu sei mio fratello." Faccio eco, con la voce più ferma che posso.

Entrambi ci giriamo verso la mamma e l'uomo che adesso come non mai, piange delle lacrime silenziose dagli occhi verdi-azzurri.

"Voglio dirti che io lo sapevo già, Ben." Prima che possano parlare ho delle cose da dichiarare, lui mi guarda accigliato. "No, non sapevo che tu fossi il figlio di Fabien, ma che la mamma lo ha sempre amato, questo sì. E' stato un grande amore osteggiato dal tempo e dalla famiglia e dalle loro condizioni sociali. Ecco, non mi stupisco che tu sia figlio suo." Mi sento a disagio nel pronunciare questa cosa, ma so che è solo uno stupido dettaglio, questo benedetto ragazzo non avrà il mio sangue, ma me lo sento scorrere nelle vene. "Tutto il resto è spazzatura per copertine scandalistiche."

La mamma mi manda un bacio silenzioso. "E' così Benjamin. Sei nato da un amore profondo." E' girata completamente nella sua direzione, lo zio le stringe la mano lei si volta e si guardano come li ho visti guardarsi negli ultimi otto anni. Con amore, semplicemente. "Probabilmente ti aspetti delle risposte. Siamo pronti a qualsiasi domanda."

"Deesire, io ho bisogno di dire qualcosa prima." Interviene Fabien, la donna annuisce compita. "Inanzitutto desidero scusarmi con voi." Si asciuga gli angoli degli occhi mentre parla per poi alzare lo sguardo verso entrambi. "Non è stato facile mentirvi, solo necessario. Sono entrato nelle vostre vite che eravate già una famiglia solida, provata da un terribile lutto. Sono stato io a insistere con vostra madre nel non turbarvi con certe notizie."

"Fabien, lo abbiamo deciso insieme. Non voglio che ti colpevolizzi. Sono artefice quanto te di questa menzogna." Ribatte lei.

"Fabien." Benjamin sovrasta le loro voci. "Non credo tu debba scusarti. Scusarti per cosa? Per aver amato mia madre? Per aver silenziosamente nascosto nel tuo cuore una verità..che Dio, mi fa mancare il fiato solo a pensarci. Come ci sei riuscito, senza impazzire?"

"Quando ero in Spagna abitavo in un quartiere di orfani. Ho giocato a fare loro il padre, fino a quando ho sentito forte e chiaro il richiamo del mio stesso sangue. Sono tornato a Parigi, ma era cambiato tutto. Il destino ha voluto che incontrassi tua madre quella mattina, ma questa storia la conosci già." Prende il respiro, continua a parlare ma stavolta la sua voce è rotta. "Mi sono sentito impazzire quando avevi un problema e correvi da me sapendo che lo avrei risolto, mi sono sentito impazzire quando hai incontrato Charlotte e sei corso a dirmelo. Dimmi qualcosa sul vero amore zio, avevi chiesto. E io volevo rispoderti quello che provo io per te. Ho rischiato spesso di impazzire sì, ma sapere che avevi fatto di me tuo padre, mi ha aiutato ad andare avanti. Mi hai dato così tanto, che non ho sentito la mancanza di null'altro. "

Benjamin ha gli occhi lucidi e anche io. Li guardo e mi sento spettatrice di un miracolo.

"Ti ho sempre sentito vicino."

"Ho fatto del mio meglio."

"Abbiamo perso delle occasioni, però." Puntualizza Benjamin con la voce incrinata.

"No, non le abbiamo perse. Eravamo entrambi lì, solo con altri ruoli."

Ben annuisce, lo avvicina, allungando le mani sulle sue spalle. "Mio padre." Sussurra e lo abbraccia; la mamma si scioglie in un pianto, io nascondo il viso girandomi nella direzione opposta. Dopo qualche attimo sento le braccia di mio fratello tirarmi verso loro e fare la stessa cosa con la mamma. "Basta bugie, d'ora in avanti." Pronuncia serio. "Tra qualche anno quando Lukas sarà più grande, gli diremo tutto. Questa farsa avrà fine una volta per tutte. Siamo una famiglia, lo siamo sempre stati nonostante le avversità e i ruoli sbagliati, adesso ci meritiamo la felicità e l'equilibrio alla luce del sole."

Annuiamo in un coro di braccia strette l'una all'altro. "Che ne sarà delle aziende?" Chiede la mamma, tesa e preoccupata.

"Richard le ha rifiutate." Questa notizia mi rende inquieta. Tremo. Benjamin si volta a guardarmi, passa le sue braccia dalle spalle di Fabien alle mie. "Dovresti correre da lui. Ti ama veremente, Najla Louise. Per tutto l'anno che abbiamo passato insieme, non ha mai e dico mai fatto un passo falso. Nella contrattazione è stato sempre netto e pulito; gli confessai che pensavo di vendere se avessi fallito, lui mi ha sempre spinto al massimo e si è proposto di acquistare l'azienda indebitata, solo alla mia rinuncia. C'ero quando quel Morgan questa mattina ha confessato di aver sparso i volantini, certo non mi fa piacere sapere cosa aveva architettato prima della stipula del contratto, ma ciò che è giusto dire, io devo dirlo."

A questo punto non so più perchè odi così tanto Richard.

Ho tutte le prove dinnanzi ai miei occhi..manca solo la ciliegina sulla torta, ma per averla, ho bisogno della sua voce.

"Che devo fare..sta partendo.." blatero, nel panico.

Ben guarda l'orologio, mi stringe forte cercando di calmarmi. "Ti accompagno in aeroporto." Pronuncia, guardando sommessamente i nostri genitori. "Stasera ceneremo insieme e parleremo ancora di noi." Senza dire altro mi spinge fuori dalla stanza. "Dove hai il passaporto?" Mi domanda, indico il settimino all'ingresso con un dito. Credo di essere in stato di trance. Benjamin lo trova e lo infila nella mia borsa; al mio sguardo tetro mi accarezza le braccia e mi conduce alla macchina. "Non fare così, doveva passare a ritirare le sue cose in azienda, sicuramente sei ancora in tempo." Poi mi squadra da capo a piedi. "E comunque hai il tuo passaporto. Vai a Londra e te lo riprendi."

Mi scappa da ridere. "Grazie Ben.. ma sono uno straccio."

"Lo ami o no?"

"Certo che si." Ammetto, disperata. "L'ho distrutto. Gli ho detto delle cose orrende.."

"Najla era un tuo diritto dirle." Dice con voce dolce, stringendomi la mano. "E' solo che non gli hai fatto la domanda più importante."

"Lo so.." mi metto le mani sulla faccia, sprofondando nel sedile.

"Adesso che sia quel vecchio coglione a dirtelo oppure io, non ti cambia la vita, ma è importante che tu veda l'insieme. Chiudi gli occhi e senti dentro di te se è vero o no, che Richard ti ama veramente. Ma sono sicuro che la risposta ce l'hai già..devi solo chiedergli altro."

Annuisco, chiudo gli occhi per qualche minuto e li riapro sorridendo. "Da quando sei così saggio?"

"Da quando sono padre. Aurelien ha cambiato la mia testa."

Sorrido. "Era già bellissima. Diciamo che l'ha riempita fino all'orlo."

Sorride sghembo, schizzando verso l'aeroporto.


C'è caos. C'è tanto caos. Mi perdo senza sapere dov'è che sto andando.

Cerco nei volti qualcosa di familiare. Una cappotto, un vestito, una camicia, camminando come una forsennata lungo il gate delle partenze.

Di Richard non c'è traccia. Scendo le scale che danno all'entrata, percorro a ritroso il passaggio sperando che dalle porte scorrevoli entri quel viso tanto amato, ma nulla. Decido di far dare un annuncio, fingendomi persa, ma trascorso diverso tempo nessuno viene a cercarmi.

Disperata salgo ancora al gate partenze e mi metto seduta; il flusso di persone mi calma, anche se ho il cuore in gola.

In un secondo di innaturale silenzio, sento la voce di una hostess annunciare il prossimo volo per Londra; controllo le file dinnanzi ai miei occhi e salto in piedi come un grillo.

"Richard!" Lo chiamo in un ultimo disperato tentativo. "Richard!"

Alcune persone si voltano a guardarmi. "Posso essere io il tuo Richard.." dice un ragazzo, canzonandomi.

Sbuffo e mi volto, in preda a una crisi isterica. Metto a fuoco, poche spanne da me quel volto tanto amato e una valigia mi fissano immobili.

Ha uno sguardo confuso, perplesso. Mi guarda come se fossi un'apparizione. Gli corro incontro, abbracciandolo forte.

"Non ci credo." Esala, rivitalizzandosi. "Sei tu!" Lascia andare la valigia e ricambia l'abbraccio.

Mi scosto, lo guardo, lo bacio e poi l'accarezzo. "Perchè non mi hai detto nulla?" Domando, senza senso, ma che ha molto senso per me.

"Avevo paura di perderti. Quando arrivava il momento giusto per dirtelo, accadeva sempre qualcosa che mi faceva capire che se non ti avevo perso per il rotto della cuffia fino ad allora, sicuramente ti avrei persa svelandoti questo piano. Ma c'ho provato Najla Louise, tante volte te lo giuro."

"Non serve che giuri. Perchè non ti sei fidato di me, di noi?"

"Non pensare questo perchè è il falso. Quando è accaduto di Lydie e del bambino siamo stati così vicino alla fine.. eppure quel giorno avevo deciso di dirti tutto. Ho sempre creduto in noi, ma la paura mi ha reso un vigliacco."

"Lo sei stato Richard. E mi devi giurare sul tuo amore che non mi mentirai mai più."

Fa di più, si inginocchia. "Sposami e ti giuro sul mio onore che non ci saranno più ombre sulla nostra vita. Najla Louise io ti ho sempre amata tanto."

"Lo so." Mi inginocchio anche io e lo bacio. Intorno a noi si è formato un capannello di persone che applaudono e fischiano. Ridiamo, abbracciandoci. "E ti sposo, perchè non so immaginare la mia vita senza te accanto."

"Mi fa piacere sentirtelo dire." Mi aiuta a rialzarmi, ride e non posso fare altro che andargli dietro.

Dai suoi occhi poi scende una lacrima che asciugo prontamente, abbracciandolo forte. "Andiamo a casa."



*


Marsiglia, 1974.



Il porto di Marsiglia dalla terrazza dell'hotel riluce dei raggi del sole; è una delle estati più calde di Francia, penso mentre coccolo Mathia Louise che questa mattina si è svegliato un pò capriccioso. Lalì con su le gambe la piccola Rose Isabelle ed io nonostante il caldo, amiamo fare colazione qua su con i bambini per goderci questo panorama così rilassante.

Richard ci raggiunge con un sorriso trionfante. "Il marinaio ci aspetta per le dieci." Si piega leggermente sul mio capo, baciandomi i capelli.

"Siete pronti per le calanques?" Dico raggiante ai nostri figli più grandi.

Lalì è la prima che sorride in segno di approvazione; compiuta la maturità ha formalmente deciso di stabilirsi da noi, c'è voluto molto tempo ma siamo in attesa di adottarla. La guardo nel fiore dei suoi ventanni e penso che è un vero miracolo. Philippe si dondola sulla sedia annuendo energicamente con il capo; lui per ovvie ragioni, non può essere adottato, Lidye vessata da un difficile riconoscimento di paternità, non ha trovato giusto che ricevesse il cognome di Richard ma questo non ha influito sul rapporto che ha con noi e specialmente con lui che a tutti gli effetti chiama padre.

Sono passati tanti anni da quello che fu ribattezzato, Maggio francese. La situazione politica si è fatta nel tempo più stabile e nonostante nuovi tumulti nei primissimi anni a seguire, mai nella storia di Parigi si è ripetuto un evento di così importante chiasso mediatico e portata.

La nostra vita invece.. quella si che è cambiata molto.

Mathia e Rose sono i figli bioligici che Dio ci ha mandato dopo le nostre nozze ed hanno rispettivamente due e quattro anni.

Richard ha aperto il suo studio di consulenze e nonostante le prime avversità, ora gli affari vanno discretamente bene.

La profonda ferita che Raymond Hamilton senior ha tracciato con la farsa delle aziende non si è ancora risanata del tutto, con il tempo si è rivelato un bisnonno amorevole ma pensando a ciò che ci ha fatto, i momenti di attrito sono dietro l'angolo. Alle volte consolo Richard dicendogli che il tempo aggiusterà tutto e che infondo qualsiasi creatura di Dio merita il perdono. I coniugi Hamilton purtroppo non la pensano ancora allo stesso modo.

Catherine non è guarita. Combatte la sua battaglia con ostinazione e coraggio, la tempra che l'ha sempre contraddistinta.

La mia ricerca dopo tanti anni è stata brevettata e attualmente se non proprio miracolosa quanto desiderassi, è di aiuto a molte persone. Patrick ne è orgoglioso e insieme a un team di specialisti è in giro per l'Europa a diffonderla; il prossimo inverno lo raggiungerò e insieme daremo vita a una rivoluzione, me lo sento.

Lalì è il nostro piccolo miracolo, le stille di cancro sono regredite, per sparire del tutto quest'anno. Il mio cuore balla il jazz quando la guardo.

Dice che vuole diventare medico e pereorare la causa di Richard, sull'ultimo desiderio dei bambini.

Il mare le piace ancora molto.

Benjamin ha lasciato le aziende, di cui ora si occupa una persona designata da egli stesso. In un futuro molto lontano spetterà a Lukas o Aurelien decidere cosa farne, perchè mio marito ha mantenuto stabile la sua promessa di non farle fallire, ma non le ha mai reclamate.

Il mio adorato fratello dopo accurati studi oggi fa il pasticcere, il primo vero amore di gioventù. La mamma non lo ha ancora ammesso ma è andata in visibilio quando le ha comunicato la buona nuova. Charlotte attende il loro secondogenito, sarà una meravigliosa femminuccia e per la prima volta nella nostra famiglia, acquisterà il cognome di Fabien.. la prima Moreau della nuova generazione, dopo Benjamin che ha voluto fortemente il cognome del padre nel suo stato di famiglia.

Infine ci sono io, un medico ma sopratutto una madre.

Non avevo idea di cosa significasse amare qualcuno al punto di rivedere le priorità di una vita ma sono felice di aver presto cambiato idea e di aver messo al mondo i figli miei e di Richard; ci barcameniamo come possiamo nel ruolo di uomo e donna impegnati con le nostre carriere, senza dimenticare quello che per noi è diventato il ruolo più importante.. essere genitori.

Non ci sono state più bugie dal quel sessantotto di battaglie politiche e dentro al nostro cuore.

Continuiamo a vivere questo profondo amore, legati ma dissimili, proprio come menta e cioccolato.

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