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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Normale e fiero di esserlo *** Capitolo 2: *** Una strana sensazione *** Capitolo 3: *** Strani patti di mutuo aiuto *** Capitolo 4: *** Squadra pronta all'assalto! *** Capitolo 5: *** Di nuovo insieme... o quasi *** Capitolo 6: *** Eroe sì... super forse *** Capitolo 7: *** Extra- In una notte di follia... ***
La donna
bussò delicatamente alla porta: «Jack-Jack?»
Nessuna
risposta, ovviamente, da parte del figlio, ma un rumore ritmico fece intuire a
Helen che il ragazzo stava ascoltando musica a tutto volume con le cuffie.
Sospirando, la donna allungò un braccio sotto la porta, lo fece scorrere
silenziosamente all’interno della stanza, che conosceva come le sue tasche, e
staccò il jack delle cuffie dal lettore mp3.
Jack-Jack,
coricato sul letto mentre leggeva, protestò: «Mamma!»
La donna
ritirò il braccio e aprì la porta: «Non mi rispondevi, che altro potevo fare?»
Il
ragazzo sbuffò: «Fare come tutte le mamme di questo mondo, chiamare più forte!
Oppure accorgerti che la porta era aperta...»
Helen
alzò gli occhi al cielo. I figli adolescenti, che problema!Ci era già passata due volte, ma era sempre una nuova avventura. Jack-Jack,
poi...
«La cena
è pronta.»
Il
quattordicenne buttò via cuffie e rivista di evidente malavoglia: «Sì, arrivo,
arrivo...»
Rimasto
da solo, sospirò, come faceva sempre da quanto poteva ricordare. Jack-Jack, o J.J. come lo chiamavano tutti, scontava una condanna, una
maledizione per la quale ogni giorno della sua vita si chiedeva cosa avesse
fatto di male per meritarsela. Una famiglia di supereroi, una famiglia piena di
assurde stranezze. Insopportabile per chi, come lui, di superpoteri non ne
aveva neanche un po’.
Oh, li
aveva avuti. Come gli raccontavano da sempre, da bebè aveva dei poteri
straordinari. Narravano le leggende familiari che lui, indomito, da solo,
avesse sconfitto un super-cattivo, là, dove tutta la sua famiglia aveva
fallito. Le cronache descrivevano un bambino vivace, dotato di capacità incredibili persino per un supereroe,
che nonostante non sapesse dire più di qualche verso incomprensibile sgominava
criminali nelle pause fra un sonnellino e una poppata al biberon. Poi,
evidentemente, sua madre insieme all’ultimo pannolino doveva aver gettato nel cestino
anche quegli strani poteri, perché da allora Jack-Jack non era più stato in
grado di fare nulla di straordinario. Suo padre, che già l’aveva immaginato
come il supereroe più superlativo mai esistito, l’aveva portato da ogni medico
specializzato nel settore, ricevendo da tutti una spiazzante diagnosi di
perfetta normalità. Suo figlio non era malato, semplicemente non era super.E allora come spiegarsi le sue straordinarie imprese, degne di un
eroe della mitologia nordica, almeno a giudicare dai toni con cui venivano
narrate?
Le
ipotesi erano state le più varie: dai poteri a scadenza, a quelli
intermittenti, fino all’ipotesi a cui Bob Parr si era
aggrappato con tutte le sue speranze: i poteri di Jack-Jack forse erano così
potenti da interferire con la normale crescita del bambino, e il suo corpo era
stato costretto a metterli “in stasi” fino a che non avesse raggiunto un
livello di sviluppo tale da permettergli di utilizzarli di nuovo.
Qui era
nata la personale tragedia della cena di J.J.: ogni
singola sera, da quando il ragazzo aveva memoria, suo padre lo interrogava per
chiedergli se per caso quel giorno fosse successo qualcosa di straordinario. Da
piccolo era felice di avere sempre un momento tutto per lui con il suo papà, in
cui raccontargli cosa aveva fatto nella giornata, ma non ci mise molto a notare
l’aria sempre delusa di Bob alla fine del suo resoconto e a giungere a una
logica conclusione: a suo padre, di lui,
non importava poi molto. Gli interessavano solo i suoi poteri fantasma, che
neanche ricordava di aver mai avuto e che gli sembravano sempre più una favola
o una leggenda. E a quel punto Jack-Jack si era chiuso in una riservatezza
sempre più stretta, rispondendo giusto quando era necessario e sviluppando una
profonda e radicata antipatia per tutto quello che era strano, assurdo, super o con qualsivoglia nome lo si chiamasse.
Lui era normale, l’unico normale in una famiglia di
supereroi. Ed era fiero di esserlo, qualunque cosa ne pensassero gli altri.
«Ciao, J.J.»
«Ciao,
papà.»
Il
ragazzo si guardò intorno: «Flash?»
La madre
gli rispose dalla cucina: «È fuori per lavoro.»
Jack-Jack
sbuffò. Lavoro? Flash era un
supereroe con orario d’ufficio, se dopo le sette di sera diceva di essere al
lavoro, in realtà era fuori con una ragazza, ormai lo conosceva bene. Il
ragazzo non stimava molto il fratello maggiore: borioso e megalomane, al punto
da aver usato come nome da supereroe quello reale. Per quella scelta J.J. si era arrabbiato parecchio con lui: già che c’era,
voleva mettere scritto sulla tuta anche l’indirizzo di casa, così i
super-cattivi lo venivano a prendere direttamente a domicilio, mettendo in
pericolo tutti?
Decisamente
Violetta era la sua sorella preferita, e rimpiangeva i tempi in cui abitava
ancora con loro. Lei, a differenza del resto della sua famiglia, aveva vissuto
gran parte della sua vita in una forzata normalità ed era la persona che lo
capiva di più. Apprezzava, inoltre, la sua scelta di non fare la supereroina.
Violetta aveva infatti deciso di diventare giornalista. E chi meglio di lei e
della sua tendenza a rendersi invisibile,
in tutti i sensi, poteva carpire i segreti più scottanti della società?
Ma quella
sera erano solo lui e i suoi genitori.
Bob lo
guardò con una luce raggiante negli occhi: «Steve mi ha detto della tua impresa!»
J.J. alzò gli
occhi al cielo: «Steve esagera sempre, papà...»
«Hai
salvato una macchina!»
«Suo
padre ha avuto un colpo di sonno e io mi sono limitato a tirare il freno a
mano. Non lo definirei esattamente un “salvataggio” da supereroe...»
L’uomo insistette
speranzoso: «Ma per intervenire al momento giusto servono nervi d’acciaio!
Riflessi pronti! Tempismo preciso!»
Jack-Jack
ridacchiò: «Che ti devo dire? Sarà stato un piccolo guizzo del vostro gene del
supereroe silente nel mio DNA...»
«Poca
ironia, J.J.! È un segno! Sta per giungere anche per te il
momento di dedicarti alla nobile attività di salvare vite innocenti!»
Il
ragazzo ringraziò mentalmente di non avere ereditato la super forza del padre,
o la forchetta che stava stringendo con più forza del necessario si sarebbe già
piegata fra le sue dita: «Io non posso fare
il supereroe, papà, quante volte te lo devo dire?»
«Se solo
lo volessi, tu...»
«Io non
ho superpoteri, papà. Non è una questione di volontà. Non ce li ho. Fine della questione! Perché non lo accetti?»
Bob si
alzò in piedi: «Perché non è vero! Io
ho visto con questi occhi cosa sei in grado di fare, Jack-Jack!»
Il
ragazzo tenne per sé la battuta di farsi prescrivere un paio di occhiali
migliore: «Cosa ero in grado di fare.
Senti, mi dispiace che sia andata così, ok? Ma perché a questo punto non posso
farmi la mia vita?»
L’uomo
batté un pugno sul tavolo, rischiando seriamente di sfondarlo: «Perché non
posso accettare che mio figlio voglia fare l’odontoiatra
invece che salvare la vita delle persone!»
Il
ragazzo non poté non notare che il padre aveva pronunciato il mestiere con un
tono che sapeva d’insulto: «Salvare anche i denti delle persone mi sembra
un’onesta occupazione con un’utilità sociale, al pari del supereroe. Anche Violetta
non fa la supereroina, ma di lei non ti lamenti mai!»
«Lei non
era dotata come te!»
J.J. sospirò,
alzandosi dal tavolo: «Inutile, con te non si può ragionare. Mi è passata la
fame, me ne vado in camera mia. Buonanotte.»
Era un
copione frequente in casa sua. Probabilmente i suoi ora avrebbero litigato, ma
lui non sarebbe rimasto ad ascoltarli. Se ne sarebbe tornato in camera sua,
dalla sua musica e dalla sua normalità, in
pace.
«Hai di
nuovo litigato con i tuoi, vero?»
Jack-Jack
fece una smorfia: «Si vede così tanto?»
Melanie
gli sorrise: «Quando lo fai non alzi gli occhi dal pavimento per tutta la
giornata.»
Steve gli
diede una pacca sulla spalla: «Su con la vita, amico! Sempre la solita
questione?»
J.J. sorrise.
Melanie e Steve, i suoi migliori amici. Squisitamente normali, come piaceva a
lui. Amici con cui poteva nascondere le sue stranezze familiari, amici con cui
poteva parlare di musica, di film e di tutte quelle cose normali da
adolescenti. Era felice di poter passare quel pomeriggio d’estate con loro, con
tutta la casa a disposizione.
«Sì. Non
vuole proprio accettare che non voglia continuare... l’attività di famiglia!»
Steve si
aggiustò gli occhiali: «Come non capirti? Nemmeno io vorrei passare la vita
dietro una scrivania a occuparmi di assicurazioni...»
Jack-Jack
sorrise tristemente. Non era arrabbiato con Steve per aver detto a suo padre
del freno a mano. Dopotutto era stato anche un aneddoto divertente, di quelli
che si ricordano per anni e su cui ci si fa una risata. In situazioni normali.
Melanie prese
lo zainetto da dietro il letto di J.J.: «Massì, non pensarci...»
La
ragazza dai capelli neri rovistò per un po’ all’interno, facendo uscire di
tutto: l’immancabile rossetto nero che si metteva sempre sulle labbra,
fazzoletti, libri... fino a trovare quel che stava cercando, un flauto
traverso, strumento che suonava fin da bambina. Quanto stonava quel suo hobby
con il suo stile rockettaro di vestirsi! Ma dopotutto difficilmente avrebbero
mai associato a Steve, biondo, con le lentiggini, gli occhiali, magro come un
chiodo, con quell’aria seria da signorino e l’onnipresente camicia bianca, la
chitarra elettrica e, soprattutto, l’heavy metal...
era quasi come se avessero entrambi una doppia identità musicale, diversa da
quella che mostravano invece nella loro vita normale.
Jack-Jack,
invece, non suonava nulla, ma si riteneva un buon ascoltatore.
Melanie
si pulì il rossetto, per poi intonare qualche nota. Steve, invece, tirò fuori
l’altra sua grande passione oltre la musica, l’unico vero difetto che Jack-Jack
rimproverava all’amico.
«Stai
ancora dietro a quelle sciocchezze?»
Steve si
sistemò gli occhiali: «Proprio non capisco questa tua antipatia per i fumetti
sui supereroi...»
J.J. sospirò.
E come gliela poteva spiegare senza passare per pazzo?
Melanie
finì il pezzo che stava suonando, poi disse: «Non sono sicura di essere pronta
per l’esame di ammissione al conservatorio...»
Jack-Jack
le sorrise: «Io invece penso di sì. Sei bravissima!»
Steve
annuì senza alzare gli occhi dall’albetto: «È vero, fidati.»
Il
giovane Parr fece una piccola smorfia: «Forse però
hai steccato un po’ nell’ultima parte... fischiavi...»
Melanie
lo guardò inorridita: «Davvero?»
«Non ne
sono sicuro, in realtà... aspetta...»
Il
ragazzo si avvicinò alla finestra della sua camera e la spalancò, aguzzando
l’orecchio. Poi sorrise, voltandosi verso gli amici: «Tutto a posto, scusa! Era
un rumore che proveniva da fuori, non eri t...»
I loro sguardi
si erano fatti improvvisamente vacui e confusi.
«Ragazzi?»
J.J. si
avvicinò preoccupato, passando loro una mano davanti agli occhi: «Ragazzi? Mi
sentite?»
I due
amici di tutta risposta si alzarono e si diressero verso la porta.
«Dove
andate? Ragazzi!»
Jack-Jack
era fuori di sé dall’ansia. Non gli piaceva per nulla quella situazione e
quell’insistente ronzio sembrava volergli perforare le orecchie e il cervello
non lo aiutava certo a concentrarsi...
La sua
testa fece una strana quanto azzardata associazione mentale. Prima di quel
misterioso fischio, i suoi amici erano normali, invece in quel momento
sembravano quasi in trance... o sotto
ipnosi...
Pensando
a come poter tappare loro le orecchie in modo efficace, li seguì per le scale,
che avevano entrambi iniziato a scendere in fila indiana, con passo lento e
cadenzato. Jack-Jack li superò e cercò di trattenerli per le maglie o
d’impedire loro il passaggio in ogni modo.
«Ragazzi!
Ragazzi, per favore, smettetela, non è affatto divertente!»
Con la
coda dell’occhio guardò fuori dalla finestra e l’ipotesi di uno scherzo di cattivo
gusto iniziò a crollare come un castello di carte. Molte persone si stavano
riversando in strada, con lo sguardo perso nel vuoto, come se un misterioso
pifferaio di Hamelin li stesse attirando con il
suono.
Approfittando
di quel momento di distrazione, Steve e Melanie, con un’agilità inaspettata, si
lanciarono contemporaneamente giù dalla rampa di scale, lasciando interdetto il
ragazzo. Si affrettò a seguirli, senza mai smettere di chiamarli, notando però
che la loro velocità era aumentata e che si dirigevano senza ombra di dubbio
verso la porta di casa, diretti anche loro in strada. Non riuscendo a fermarli,
J.J. fece per seguirli, ma giunto sull’uscio si fermò
di colpo.
Cosa stava facendo? Si stava
buttando dritto dritto nei guai, come un supereroe di
terza categoria, di quelli dei fumetti di Steve. Proprio lui, poi! Quella storia aveva l’aria di essere
maledettamente pericolosa e lui era completamente disarmato. Cosa pensava di
fare, di salvare i suoi amici? E da cosa,
poi? Quello era lavoro per Flash, non per lui! Che gli era preso?Forse, di nuovo, quel maledetto gene
silente del supereroe che aveva deciso di dargli un segnale di vita, giusto il
tempo di metterlo nei guai. Non lo sapeva con sicurezza, ma non riusciva a
togliersi dalla testa l’idea di dover andare. Flash stava tardando ad
intervenire e questo era tutto fuorché normale. E se anche lui fosse stato
ipnotizzato?
Il
ragazzo scosse la testa. Perché improvvisamente era diventato così ansioso nei
confronti del fratello? Lui era un supereroe, sapeva certamente come cavarsela
meglio di quanto avrebbe potuto mai fare lui!
Però...
Indugiò
ancora un momento sulla porta di casa. Non riusciva a togliersi di dosso
l’opprimente sensazione, quasi un presentimento, che se fosse uscito, non ne
sarebbe più rientrato.
Ma era
inutile ripensarci, Melanie e Steve si erano già avviati e lui non poteva fare
altro che seguirli.
E rieccomi qua, con un’altra
storia sugli Incredibili, tutta incentrata su un piccolo (qui non più, in
realtà) eroe che mi ha sempre affascinato, Jack-Jack. A quanto pare continuo ad
essere l’unica scrittrice della sezione, ma pazienza…
Sperando che a qualcuno interessi questa storia e
abbia la pazienza di seguirla, e magari di lasciare un commentino, vi aspetto
al prossimo capitolo!
J.J. si
guardò intorno terrorizzato. Non gli erano mai piaciute le storie horror, e in
quel momento si ritrovava a camminare nel bel mezzo di una schiera di quelli
che sembravano essere diventati zombie soldati, che marciavano tutti in
perfetta coordinazione guidati da un fischio che gli stava perforando i timpani.
Deglutì, per poi controllare dove si fossero cacciati i suoi amici.
Erano
ancora di fronte a lui, a seguire la fiumana di persone verso una meta che non
gli era per niente chiara. Non riusciva comunque a smettere di guardarsi
intorno. Era vero, odiava i supereroi, ma se nessuno si fosse presentato in una
situazione di emergenza come quella non avrebbero certo guadagnato punti a loro
favore! L’ansia cominciò ad assalirlo. Nemmeno uno? Neanche della vecchia
guardia in pensione? No, non era affatto normale. Che fossero stati tutti
ipnotizzati e per qualche misteriosa ragione lui fosse rimasto l’unico immune?
In quel
momento tutta la folla, come un sol uomo, si fermò di colpo. Jack-Jack non se
ne accorse subito, tanto che, continuando a guardarsi intorno, andò a sbattere
contro Melanie.
«Che
succede? Perché vi siete fermati? Melanie? Steve?»
Non
ottenne alcuna risposta. Tutti avevano alzato la testa, come se ascoltassero
con attenzione una voce udibile solo da loro. J.J.
continuava infatti a sentire solo quel maledetto fischio perforante. Poi, di
colpo, abbassarono la testa e iniziarono a guardarsi intorno. Melanie e Steve
si voltarono verso di lui, con volto serio e determinato.
«Ragazzi?»
Entrambi
puntarono un dito verso di lui scandendo con voce piatta e senza emozioni:
«Supereroe.»
A quella
parola tutte le persone nei dintorni si voltarono verso di loro.
J.J. esclamò,
quasi d’abitudine: «Che? No, c’è un
errore, non sono un supereroe!»
La gente
iniziò ad avanzare verso di lui e il ragazzo rimase paralizzato a guardarli e a
ripetere istericamente come un ossesso: «Non ho superpoteri! Non sono un
supereroe! Sono una persona normale! Normale!»
Ma
evidentemente non veniva ascoltato. Insistette ancora per un po’, poi quando si
rese conto che la folla lo stava circondando il ragazzo spinse a terra un uomo
e iniziò a correre. Aveva perso di vista Melanie e Steve, Flash non si vedeva
da nessuna parte, era solo. Solo e senza
poteri, come sempre.
In un
lampo di lucidità, prese il cellulare e chiamò il padre. Segreteria telefonica,
e figurarsi! Quando s’incontrava con il suo amico Siberius
per ricordare i vecchi tempi poteva anche tenere acceso il telefono, per una
volta! Voltò l’angolo imprecando, per ritrovarsi in un vicolo cieco.
«E che
cavolo!»
Fece dietrofront,
ma ormai la folla gli era quasi addosso. Sull’orlo della disperazione, richiamò
il padre. Una vocina registrata gli ripeté quasi beffardamente: «Segreteria telefonica. Prego, lasciare un
messaggio dopo il segnale acustico.»
«Papà,
sono J.J.! Ti prego, la città è impazzita, sono tutti
ipnotizzati e mi stanno...»
Un forte
dolore alla nuca gli impedì di concludere la frase. Sentì solo il cellulare
scivolargli dalla mano e tutto, lui compreso, cadde nel buio.
Jack-Jack
sbatté gli occhi un paio di volte, sentendo la testa pulsargli violentemente. Perché
diavolo avrebbe dovuto addormentarsi in...
Un flash.
Il fischio. Steve e Melanie. La gente. La
corsa. La segreteria.
E poi...
«No, no,
no, NO!»
Il
ragazzo cercò di alzarsi, ma gli fu impossibile. Solo in quel momento si rese
conto di essere stato legato, mani e piedi, in una stanza completamente buia.
Non riusciva a toccare il terreno, l’unico movimento che gli era concesso era
la torsione del busto e del collo. Cercò di calmarsi e di fare mente locale. Dovevano
averlo tramortito e catturato, per poi rinchiuderlo lì.
Sì, ma lì
dove?
«Melanie?
Steve? Ragazzi, siete qui?»
Nessuna
risposta.
«Steve!
Melanie!»
Niente.
Era solo. La sua stessa voce gli rimbombava nelle orecchie, graffiandogli il
cervello in ferite che bruciavano tremendamente come i suoi sensi di colpa. Non
era riuscito a fermarli. Era stato inutile, come sempre. Gli ipnotizzati
stavano cercando supereroi, come se dovessero essere gli unici rimasti normali.
Forse era così, forse il fischio ipnotizzante non funzionava solo sui
supereroi. E se aveva ragione, poteva essere il motivo per cui Flash non si
fosse accorto di quel che stava succedendo. Poteva anche avere senso anche nel
suo caso, in fondo secondo i suoi genitori una volta aveva avuto dei
superpoteri, magari si era perlomeno immunizzato per trucchetti
mentali come quelli. Però, per il resto...
Tirò i
vincoli che lo trattenevano con tutte le sue forze, più e più volte,
imprecando. Se si fosse riuscito a liberare forse avrebbe trovato tutte le
risposte alle sue domande. Ma non ci riusciva.
Si
arrese, lasciandosi dondolare senza opporre resistenza. Aveva una gran voglia
di piangere. Qualunque altro membro della sua famiglia avrebbe saputo come liberarsi.
Suo padre avrebbe strappato le catene; sua madre avrebbe potuto rendersi
abbastanza sottile da scivolare via; Violetta avrebbe potuto isolarsi con i
suoi campi di forza, lasciando fuori le catene; Flash... non gli veniva in
mente come potesse liberarsi da lì sfruttando la supervelocità, ma era sicuro che
un modo l’avrebbe trovato. Solo lui era destinato a rimanere lì, senza via discampo.
Le
lacrime, calde, iniziarono a bagnargli il viso. Lacrime di rabbia e
d’impotenza, lacrime di ansia e paura. Non tanto per lui, ma per i suoi amici e
la sua famiglia. Era arrabbiato, sì, con se stesso e con il mondo. Così
arrabbiato da sentirsi quasi la febbre...
No, forse
era davvero febbre! Aveva un caldo tremendo e si sentiva i brividi...
«Fantastico,
ci mancava anche questa... bel momento, Jack-Jack, per l’influenza...»
Chiuse
gli occhi, cercando di respirare profondamente per calmarsi. Forse era solo un
effetto della tensione, ma si sentiva strano, quasi come se stesse prendendo
continuamente la scossa. Sentiva il sangue fremergli nelle vene. Anzi no,
neanche il sangue. Era come se tutte le
cellule del suo corpo stessero fremendo d’eccitazione. Più che stare male,
come aveva pensato in un primo momento, si sentiva pieno di energie come mai
prima d’allora. Era la sensazione più strana e più appagante che avesse mai
provato. Per un attimo si scordò di tutto: ansia, rabbia, paura... voleva solo
rimanere lì, a sentire dentro di sé quella scarica di energia pura crescere
esponenzialmente...
Com’era
venuto, cessò, all’improvviso.
Jack-Jack
spalancò di scatto gli occhi. Dovevano essersi abituati al buio, perché ora
vedeva ciò che lo circondava più chiaramente. Istintivamente si asciugò il
sudore sulla fronte con il palmo della mano. Cosa gli era successo? Quanto tempo era passato? Non sapeva
spiegarsi cosa gli era preso, ma anche se era passato si sentiva ancora
incredibilmente bene. Non aveva più paura. Si sentiva forte e sicuro di sé.
Solo
quando alzò il braccio per grattarsi la testa, si rese pienamente conto di
essere riuscito a liberarsi. Rimase stupito a guardare la sua mano libera per
qualche secondo. Quand’era successo? E
come? Forse prima non si era sforzato a vuoto, forse era riuscito davvero a
indebolire a sufficienza le sue catene. Provò nuovamente a tirare l’altro
braccio, che subito cedette. Subito Jack-Jack perse l’equilibrio, cadendo in
avanti. Riuscì a fermarsi appoggiando le mani sul pavimento. Che stupido,
l’avevano legato anche per i piedi, cosa credeva di fare?
Tirò
anche le gambe e finalmente fu libero. Si sedette a terra, per riprendere fiato.
Era preda di una strana eccitazione. Era come se al posto della paura fosse
subentrato in lui uno strano mix di rabbia e sensi di colpa. Per qualche
secondo si sentì di nuovo la febbre, ma quasi non ci badò, aveva solo un
pensiero fisso: doveva agire, doveva
muoversi, aveva bisogno di essere forte, forte come mai prima d’allora, di
non farsi spaventare da nulla, da lì in poi, perché probabilmente era tutto
nelle sue mani.
Si alzò
in piedi, mosso da una determinazione che non gli apparteneva, e si diresse
verso la porta, che si aprì quasi senza alcuno sforzo da parte sua. J.J. la guardò sorpreso. Forse l’avevano lasciata aperta...
Abbassò
la testa per uscire, ritrovandosi in un corridoio in penombra. Si guardò
intorno: dove si trovava? Fece qualche passo, poi richiuse la porta dietro di
sé, senza voltarsi. Chiuse gli occhi per concentrarsi sui rumori.
C’erano
delle voci lontane provenienti dalla sua sinistra. Si diresse in quella
direzione lentamente, con circospezione.
Per
qualche strano motivo sentiva che
Melanie e Steve non erano lontani. Dovevano essere di sopra. Avrebbe quasi
giurato, alzando la testa, di riuscire a sentire il profumo di Melanie...
«Ehi,
tu!»
Jack-Jack
si voltò. A parlare era stato un signore che aveva tutta l’aria di essere un
addetto alla sorveglianza. Il suo volto, però, era terrorizzato.
«Cosa...
cosa...»
Non
poteva permettergli di dare l’allarme. Veloce come un fulmine, J.J. scattò verso di lui e gli rifilò un pugno nello
stomaco, tramortendolo sul colpo. Lo coricò delicatamente a terra, sorpreso.
Non credeva di riuscirci davvero, l’aveva visto fare solo nei film! Che fortuna
insperata...
Dopo aver
lasciato l’uomo in un angolo del corridoio, Jack-Jack si avvicinò a una
scalinata e iniziò a salirla. Aveva uno strano gusto metallico in bocca, che
non sapeva spiegarsi. Forse era paura. Una paura che in realtà non stava
provando. Razionalmente sapeva di
dover provare paura per quella situazione assurda. In pratica era stranamente rilassato. Doveva solo salire, capire
cosa stesse succedendo, riprendersi Melanie e Steve e andarsene di lì. Facile,
no? No, per niente. Doveva uscire di
lì e andare a chiamare qualcuno di più preparato di lui ad affrontare pasticci
del genere. Era quella la cosa giusta da fare!
Ma per
quanto continuasse a ripeterselo, le sue gambe continuavano ad avanzare, come
dotate di una volontà propria, quasi come se appartenessero a qualcun altro e
lui le avesse solo prese in prestito. Scalino dopo scalino, un istinto atavico,
sconosciuto ma potente, stava soppiantando lentamente ma inesorabilmente la sua
razionalità, lasciandogli un solo pensiero: trovare Melanie e Steve.
Quando
arrivò in cima alle scale, Jack-Jack rimase per un attimo abbagliato. Strinse
gli occhi con tutte le sue forze per un secondo, per poi spalancarli di nuovo.
Era tutto a posto. Si avviò con passo deciso e sicuro. Alcune voci provenivano
da tre stanze più in là, riusciva a sentirle chiaramente. Si avvicinò alla
porta e si mise ad ascoltare la discussione. Due voci erano sconosciute, ma
due, invece, erano più che familiari.
«Allora,
quali sono i suoi superpoteri?»
La voce
monocorde di Steve rispose lentamente: «Jack-Jack non ha superpoteri.»
«È
impossibile! Se è rimasto immune deve avere
dei superpoteri!»
Aveva
ragione, allora. Qualunque cosa fosse quel fischio, i supereroi ne erano
immuni.
Melanie
ripeté con lo stesso tono: «Jack-Jack non ha superpoteri.»
«Che sia
riuscito a nasconderli per tutto il tempo in loro presenza?»
«È
possibile... ma allora come mai anche dalle nostre analisi non risulta nulla?»
«Non lo
so, ma forse se lo sottoponiamo a qualche pericolo userà i suoi poteri
d’istinto.»
«Io ho
un’idea migliore.»
«Sentiamo.»
«E se
mettessimo in pericolo i suoi amici? Magari
di fronte ai suoi occhi?»
«Sì...
sì, potrebbe funzionare, gli eroi spesso agiscono più per gli altri che per se
stessi. Allora, cosa possiamo far loro?»
«Potremmo
minacciarli con il fuoco o con l’acido... oppure potremmo ordinare loro di
ferirsi da soli, tanto sono completamente sotto il nostro controllo...»
Cosa volevano fare ai suoi amici?
Jack-Jack
sentì montargli una rabbia furiosa, mai provata prima. Senza più pensare a
nulla, sfondò la porta con un minimo sforzo. Tranne Steve e Melanie, tutte le altre
persone all’interno di quello che sembrava un laboratorio si voltarono verso di
lui, con aria sorpresa e spaventata.
J.J. notò la
paura nei loro sguardi e, per un attimo dimentico del motivo che l’aveva
portato là dentro, stranamente se ne compiacque. Sì, gli faceva piacere che
avessero paura di lui e della sua furia. Era giusto, perché lui si sentiva
esattamente così, furioso e spaventoso. E
si sentì quasi felice, quando alle sue spalle sentì giungere altre persone.
Probabilmente dovevano aver chiamato i rinforzi.
Meglio. Per la prima volta in
vita sua, aveva una gran voglia di menare le mani.
E quando
il primo uomo balzò verso di lui, sentì come se qualcuno avesse premuto un
interruttore nel suo cervello, spegnendo completamente la sua coscienza ma
rendendolo improvvisamente conscio delle sue potenzialità. Abbatté due uomini
con un deciso colpo di coda e con un pugno ne fece volare contro la parete un
terzo. Alcuni, spaventati a morte, iniziarono a sparargli contro, ma lui
spalancò le enormi ali e ci si avvolse, creando uno scudo perfetto. Rise. Era
un giochino abbastanza divertente.A
giudicare dalle loro urla, quegli uomini si stavano spaventando parecchio, ma
non prestò caso alle loro parole. In una piccola pausa dalla sparatoria riaprì
le ali, si buttò in picchiata verso i suoi avversari e, sfoderando gli artigli,
li abbatté quasi tutti in un colpo. Gli ultimi li sistemò con un paio di
poderosi colpi di corna. Quando tutto fu calmo, si guardò intorno
insoddisfatto. Era stato tutto troppo rapido, troppo semplice, quasi noioso.
Aveva ancora voglia di combattere. Non c’erano avversari alla sua altezza nei
dintorni?
Quasi
come se l’avesse invocato con il pensiero, qualcuno sfondò una parete alle sue
spalle con un grande boato. Sorrise, soddisfatto. Forse l’ultimo arrivato sarebbe
stato degno di affrontarlo.
«J.J.! Jack-Jack! Dove sei?»
Si voltò
lentamente. Nella nuvola di polvere era comparso un omone non più giovanissimo
ma ancora piuttosto prestante, che avanzava con sicurezza fra i detriti come se
non avesse fatto altro in vita sua. Era spaventato, però, e continuava a
gridare mordendosi le labbra: «Accidenti... J.J! J.J! RISPONDIMI, PER FAVORE, JACK-JACK!»
Quel
nome, pronunciato con quel tono spaventato, gli rimbombò un paio di volte nelle
orecchie, gli tolse ogni voglia di combattere e di muoversi, lasciandolo
completamente svuotato.
E solo a
quel punto Jack-Jack tornò in sé.
Cosa… cosa stava facendo? Cosa aveva appena fatto?
«JACK-JACK!
DOVE SEI?»
Suo
padre... suo padre era venuto lì a salvarlo. Si stava preoccupando per lui. Per lui, non per i suoi fantomatici
poteri. Quello non era un supereroe venuto per fare il suo dovere. Quello era suo padre, venuto lì per lui e solo per lui.
Aprì la
bocca per rispondere, ma quello che uscì fu solo un ringhio sordo. Mentre cercava
di tossire per schiarirsi la voce, suo padre si voltò ugualmente verso di lui.
Jack-Jack sorrise, ma l’uomo gli balzò addosso gridando: «Mostro! Dove hai
messo mio figlio?»
J.J. fu
talmente sconvolto dalla frase che non trovò parole per rispondere. Poté solo
subire la carica del padre, che lo sbatté a terra con tutta la sua forza. Fu a
quel punto che Jack-Jack si rese distintamente conto che qualcosa non stava
andando come avrebbe dovuto.
Mr. Incredibile,
l’uomo più forte del mondo, lo stava schiacciando... e lui riusciva a sostenerne la pressione? Di più, era certo che se
avesse voluto sarebbe riuscito a sbalzarlo e a invertire la posizione. Mise le
mani sul petto del padre per difendersi, e a quel punto le notò: erano nere,
squamose come quelle di un rettile e dotate di grossi artigli. Sbarrò gli occhi
sorpreso.
«Cosa...»
Mr.
Incredibile caricò un pugno verso il suo volto. J.J. avrebbe
potuto tranquillamente schivarlo, ma non voleva. Tossì, più e più volte. La
voce che gli era uscita era troppo bassa e profonda per essere la sua. Era poco
più di un ringhio. Dov’era finita la sua voce? Aveva un disperato bisogno della sua voce, doveva parlare,
doveva dire...
«Papà?»
L’uomo si
bloccò di colpo ancora con il pugno alzato.
«Papà...
smettila, per favore... sono io... non voglio farti del male...»
Bob
abbassò il pugno incredulo: «J... J.J.?»
Jack-Jack,
con gli occhi lucidi, cercò di sorridere, anche se non era certo di cosa
sarebbe uscito: «Ciao, papà.»
L’uomo lo
fissò, ancora sconvolto: «J.J.! Ti sei... ti sei trasformato?»
Jack-Jack
ridacchiò imbarazzatissimo: «A quanto pare...»
«È... è...»
«Ehm...
potresti... spostarti? Sai, pesi...»
L’uomo
balzò in piedi: «Oh, certo, certo...»
«Grazie.»
Seduto a
terra, finalmente J.J. si rese completamente conto
della metamorfosi avvenuta al suo corpo. Allargò leggermente le ali e si fissò
stupefatto le mani e la nuova coda, completamente nere e squamose.
«Oh,
cavolo... che ho...»
Non ebbe
il tempo di finire la frase che si ritrovò stritolato nella morsa di un
affettuoso quanto potente abbraccio paterno.
«Io lo
sapevo! L’ho sempre detto, figliolo, che ci saresti riuscito di nuovo, un
giorno! Hai ritrovato i tuoi poteri!»
Jack-Jack
si sentì arrossire, anche se non sapeva se si sarebbe potuto effettivamente
notare dopo la sua metamorfosi. Da piccolo aveva sognato mille volte quel
momento, l’istante in cui suo padre sarebbe stato fiero di lui, e ora che era
arrivato... non sapeva più bene che pensare. A quanto pare si ritrovava nel
corpo di un mostro ben più alto di suo padre, che già non era esattamente
piccolo, a farsi abbracciare nel bel mezzo di una situazione assurda e disperata.
Come se non fosse già abbastanza confuso e in crisi così...
«Papà...
io... non so nemmeno cosa ho fatto...
come ho fatto... e prima... prima...
non so nemmeno chi o cosa fossi
diventato...»
Il padre
lo guardò confuso, ma dalla porta entrarono altri uomini. Bob ritornò serio.
«Ne
parleremo più tardi. Ora prendi i tuoi amici e vai via, io vi copro le spalle.»
Jack-Jack
scosse la testa: «No, papà, sono troppi, non posso lasciarti qua da solo!»
Mr.
Incredibile si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi: «Hai
finalmente deciso di fare il supereroe, J.J.? Se sì,
fai il tuo dovere e metti in salvo i civili, altrimenti limitati a fare l’amico
e portali via lo stesso. Quello puoi farlo, no?»
J.J. lo
guardò senza parole, mentre il padre gli sorrideva: «Non temere per il tuo
vecchio, ha ancora parecchi assi nella manica! Ora vai, ci vedremo a casa per
cena per festeggiare.»
Seppur
con un groppo in gola, Jack-Jack annuì e si voltò verso gli amici, che per
tutto il tempo erano rimasti immobili come statue, con lo sguardo perso nel
vuoto. Con un groppo in gola di ansia e pietà, li prese delicatamente sotto
braccio, uno per parte, cercando di tenerli il più saldamente possibile.
«Ce li
ho, vado!»
Bob era
impegnato nel combattimento, sommerso da persone e strane armi: «Bravo,
figliolo!»
A quella
vista J.J. ebbe un altro momento di tentennamento, ma
poi si limitò ad urlare: «Li lascio al sicuro e torno ad aiutarti, papà!»
E senza
voltarsi indietro per non avere ripensamenti, spalancò le ali e volò verso il
soffitto. Aveva bisogno di
un’apertura per uscire, anche con le mani occupate.
Non
appena quel pensiero gli attraversò il cervello, J.J.
fu di nuovo investito da quella strana sensazione di pura energia che aveva
provato poco prima nella sua prigione. In uno spasmo involontario si ritrovò a
stringere gli occhi con tutte le sue forze. Sentì i suoi bulbi oculari divenire
bollenti sotto le palpebre, quasi ustionanti. Quando la strana sensazione svanì
di colpo, non poté fare a meno di spalancare gli occhi e liberare due raggi
laser, che ruppero il muro quanto bastò a farli uscire indenni. Jack-Jack
osservò il mondo farsi completamente rosso e rimase senza fiato dalla sorpresa
e dallo spavento. Per poco non gli venne da gridare. Ristrinse gli occhi e
quando non li sentì più caldi li riaprì timidamente in una minuscola fessura. I
colori erano tornati e lui era in volo sui cieli della città. Non aveva la più
pallida idea di come avesse fatto, ma ci era riuscito. Stava portando via i
suoi amici dal pericolo. Cela poteva fare.
Cercò di
recuperare la calma e di riflettere. Se fosse rimasto in città i suoi amici avrebbero
continuato ad essere sotto il controllo dei loro rapitori. Forse allora era
meglio uscire dal centro abitato...
Salì
ancora più in alto e, finalmente, il fischio che lo stava assordando cessò. J.J. sospirò di sollievo, ma quasi subito sentì agitarsi
fra le sue braccia Steve e Melanie.
«Oh-oh...»
I due
ragazzi riaprirono gli occhi. Si sentivano assonnati, come se qualcuno li
avesse anestetizzati per lungo tempo. Impiegarono un po’ a capire di essere in
volo, tenuti da una creatura mostruosa.
Melanie
iniziò a scalciare come una disperata: «AAAAAAAAAAAAHHH!!! LASCIAMI, LASCIAMI,
BRUTTO MOSTRO!!!»
Jack-Jack,
sentendo scivolare la presa, andò in panico: «Ragazzi, ragazzi, per favore
smettetela! Sono io, non vi farò del male!»
Steve
sussultò, riconoscendo la voce: «J.J.?»
Il
ragazzo cercò di fare un sorriso rassicurante: «Già...»
Di tutta
risposta la ragazza gridò ancora più forte. Jack-Jack si ritrovò a rimpiangere
il fischio.
«Ragazzi, per favore, state fermi! Non voglio
farvi del male! Se continuate a dimenarvi così dovrò stringere di più la presa
e rischio davvero di rompervi qualcosa!»
«E dovrei
starmene buona mentre faccio la principessina in pericolo? Te lo scordi!»
Steve sembrò
aver realizzato la situazione solo in quel momento e improvvisamente si mise a
gridare più forte di Melanie: «ODDIO, UN MOSTRO SI È MANGIATO J.J. E NE IMITA LA VOCE! CI
DIVORERÀ TUTTI!!!»
Ok, decisamente
il sorriso rassicurante non aveva funzionato, ma non era il problema più
grosso. Il difficile era mantenere un assetto di volo stabile con Steve e
Melanie che cercavano di liberarsi dalla sua presa...
Esasperato,
il giovane Parr esclamò ironico: «Oh santa pazienza,
l’ho sempre detto che tu leggi troppi fumetti, Steve... e a quanto pare ora non
ho la faccia giusta per fare il bravo ragazzo... vogliamo metterla così? E va
bene! Sono un mostro che vi ha rapiti e che intende mangiarvi una volta
arrivato nella sua tana. Voi volete scappare, ma avete provato a guardare giù?
Se davvero riusciste a liberarvi, siete sicuri che sarebbe un bene da questa
altezza?»
Gli amici
non risposero e J.J. continuò: «Scendiamo a terra in
una posizione più sicura e poi discuteremo
di tutto il resto, va bene?»
Decise di
prendere il silenzio dei ragazzi per una risposta affermativa. Sospirò. Era una
situazione al limite della pazzia. Tanto per cominciare, stava volando. E non
sapeva neanche lui come lo stesse facendo. Aveva usato un sacco di poteri in
pochi minuti, quando fino a un paio d’ore prima non ne aveva neanche mezzo. La
sua città era in preda al caos e suo padre gli stava coprendo le spalle per
permettergli la fuga. Una buona parte di lui sperava che si trattasse solo
dell’incubo più brutto della sua vita, ma dovette ammettere che un’altra
piccola parte, molto piccola, era felice di solcare i cieli, libero come mai
prima d’allora.
Jack-Jack
deglutì, con la bocca secca. Erano arrivati al confine della città. Ancora
pochi metri e avrebbe potuto lasciare i suoi amici al sicuro e andare ad
aiutare suo padre. Sbatté le ali più forte per andare più veloce e si permise
un gridolino di gioia quando passò il confine. Avrebbe lasciato Melanie e Steve
nei campi fuori città e avrebbe fatto immediatamente dietrofront.
Lentamente,
J.J. rallentò e scese, fino a poggiare di nuovo i
piedi sul terreno. Non appena fu certo che i suoi amici fossero sani e salvi,
si voltò per decollare di nuovo, ma si fermò di colpo.
«D-dov’è la città? Dov’è finita?»
«Eh?»
Steve si
voltò furioso verso J.J.: «Dove ci hai portato,
mostro?»
Ma
Jack-Jack lo ignorò totalmente, alzandosi nuovamente in volo, con il cuore a
diecimila e un’ansia che lo opprimeva totalmente: «No, no, no, no, non ci
credo... ho fatto solo pochi metri, dev’essere qui...
dev’essere qui!»
Volò
nella zona dove sapeva dover esserci la città dov’era nato e cresciuto. Sotto
di lui solo campi e null’altro. Niente cemento, niente palazzi, niente di
niente.
Incredulo,
confuso, spiazzato, Jack-Jack riatterrò di fianco ai suoi amici e si sedette.
«Cosa...
cosa ho sbagliato?»
Steve
stava per ripetergli qualche insulto, ma si bloccò. Il mostro si era preso la
testa fra le mani, delle mani che però stavano diventando a vista d’occhio più
chiare e piccole. Le ali sparirono lentamente rientrando nella schiena, così
come la coda e le corna sulla testa; il busto rimpicciolì ed assunse l’aspetto
di una maglia e di un paio di jeans; le zampe divennero un paio di scarpe da
ginnastica consumate. Quello che però sconvolse di più i ragazzi fu il volto,
che in pochi secondi si deformò, fino ad assumere le fattezze familiari del
loro amico di sempre, Jack-Jack Parr, in lacrime.
«Cosa ho
fatto? Cosa ho fatto?»
Steve
rimase senza parole, indicandolo sconvolto e balbettando qualcosa
d’incomprensibile. Melanie, dopo un momento di sconcerto, con un gesto lo mandò
a quel paese e si avvicinò a Jack-Jack, per poi abbracciarlo senza preavviso.
«Ci hai
salvato. Ora calmati, per favore, ci servi lucido.»
J.J. rimase
impietrito per un momento dalla sorpresa, poi si liberò dall’abbraccio e si
asciugò malamente il volto con le mani: «Hai ragione... scusa, scusatemi
entrambi. È che è... troppo, troppo
tutto insieme. E io sono solo... io.»
Steve si
avvicinò all’amico titubante: «J.J., se sei davvero tu... spiegaci qualcosa. Io non
ci capisco più niente.»
Jack-Jack
li guardò fissi negli occhi: «Voi cosa ricordate delle ultime ore?»
Melanie
scosse la testa: «Non so, è tutto molto confuso... eravamo da te e poi... poi
sembra un tutto un sogno...»
Steve
continuò, con più sicurezza della ragazza: «Sapevo che dovevo cercare i
supereroi, e in quel momento mi ero convinto che tu lo fossi. E poi... poi
ricordo delle persone in camice bianco che mi facevano domande... e poi c’è
stato il mostro... cioè tu... che ha fatto irruzione... e Mr. Incredibile che
ha spaccato un muro...»
La
ragazza s’illuminò: «È vero! Mr. Incredibile! Che cosa ci faceva lì?»
«L’avevo
chiamato io, anche se arrivato con un bel po’ di ritardo...»
Steve lo
guardò perplesso: «Tu? Proprio tu che
odi i supereroi?»
J.J. fece un
mezzo sorriso: «Quale adolescente sopporta il proprio padre?»
Fu
difficile trovare le parole giuste per cominciare a rivelare il segreto che
aveva custodito per tanti anni, ma una volta cominciato Jack-Jack diventò come
un fiume in piena. Sotto lo sguardo sempre più sorpreso e sconvolto di Melanie
e Steve, rivelò il segreto della sua famiglia, i problemi che avevano dovuto
affrontare quando lui era piccolo, i suoi strani poteri improvvisamente
scomparsi e ricomparsi poco prima e i veri motivi per cui litigava sempre con
suo padre.
Steve lo
guardò con gli occhi sbarrati: «Fammi capire bene: tu saresti il figlio di Mr.
Incredibile e di Elastigirl...»
J.J. annuì e
sorrise, quasi divertito: «Se è per questo, mio fratello Flash è davvero Flash,
il supereroe più veloce del mondo.»
L’amico
esclamò: «E tua sorella Violetta? Anche lei non ha poteri!»
«Invisibilità
e campi di forza. Solo che ha scelto di essere più discreta.»
Steve
ridacchiò: «È... assurdo! Ho sempre
sognato d’incontrare un supereroe almeno una volta nella vita... e ne conoscevo
già cinque! Di tutte le persone che
conosco che avrebbero potuto essere figli di supereroi, tu sei l’ultimo su cui avrei scommesso.»
«Ottimo,
era esattamente quello che volevo, significa che ho fatto un buon lavoro fino
ad oggi.»
Melanie
intervenne: «E oggi cos’è successo?»
«Lo
sapessi... non lo so cos’è successo. Un attimo prima ero io... e un attimo dopo
ero quella... cosa. Ero venuto lì
solo per liberarvi, lo giuro, ma poi... poi non so cosa mi sia preso. Ma non vi
avrei mai fatto del male, davvero. Almeno, credo... non lo so più! Non so più
niente! E ora mi ritrovo ad avere dei superpoteri che nemmeno controllo, tutta
la mia famiglia nei guai fino al collo e una città scomparsa... io non sono un
supereroe, non posso salvare tutti!»
Melanie
provò ad essere comprensiva: «Non è vero. Sono sicura che riuscirai...»
Quella
che doveva essere una rassicurazione fu invece la goccia che fece traboccare il
vaso. Jack-Jack si sentì avvampare di rabbia e in un scatto di nervi gridò:
«Riuscirò? Riuscirò?Cosa pensi che sia diventato improvvisamente?
Un eroe? Un genio? No, sono sempre Jack-Jack Parr,
l’imbranato, l’inutile Jack-Jack Parr!»
Steve
sbiancò, mentre Melanie cercò, imbarazzata, di calmarlo: «Ehm... J.J.? Che ne dici, potremmo calmarci un po’...»
«IO SONO CALMO!»
Steve
intervenne: «No, J.J., non sei calmo! Sei decisamente
infervorato. Guardati un attimo!»
Jack-Jack
si osservò le mani e sobbalzò dalla sorpresa. Erano infuocate. Tutto il suo
corpo era infuocato! Si prese la testa fra le mani e cercò di respirare
profondamente per calmarsi. Doveva
calmarsi. Doveva tornare se stesso, nel giro di un’ora scarsa stava
perdendo la sua identità un po’ troppo spesso.Rimanere lì a bruciare non avrebbe cambiato la situazione.
Lentamente
le fiamme sul suo corpo si spensero e il ragazzo sospirò con quanto fiato aveva
in corpo. Aveva di nuovo perso il controllo. Se i suoi amici non fossero
intervenuti, era sicuro che avrebbe bruciato tutto. Si era sentito in grado di
farlo. Aveva avuto la tentazione fortissima di farlo. Ancora non credeva di
essere riuscito a trattenersi.
«Non ce
la faccio, ragazzi, non ce la faccio. Non da solo, non in questo stato. È già
un miracolo che non mi sia bruciato i... vestiti...»
«J.J.?»
Il
ragazzo sembrava avere avuto un’illuminazione: «I vestiti!»
Steve e
Melanie si guardarono perplessi mentre l’amico si toglieva la maglietta e la
rivoltava completamente: «Deve esserci, da qualche parte... non può non essersi
firmata...»
«Cosa
stai cercando?»
«Non
capite? I miei vestiti non si sono strappati né bruciati! E c’è solo una
persona in grado di creare abiti che... ah-ah! Ecco qua!»
Il
ragazzo strappò delicatamente un’etichetta all’interno della maglietta,
rivelandone un’altra nascosta.
«Papà... qui
c’è il tuo zampino...»
Steve lo
guardò perplesso: «Ehm... sottotitoli per noi che non parliamo supereroese?»
Jack-Jack
guardò l’etichetta che aveva in mano con un sorriso malinconico: «A quanto pare
ogni volta che compravo qualche abito nuovo, papà lo faceva “truccare” in modo
che non si rompesse nel caso mi fossero tornati i poteri... e c’è solo una
persona al mondo in grado di farlo. Anzi, forse l’unica in grado di aiutarci, ora,
senza supereroi in giro.»
Il
ragazzo guardò dritto negli occhi i suoi amici: «Vi va di andare a incontrare una
vecchia amica di famiglia?»
Ciao a tutti! Viva le vacanze, mi permettono di avere più tempo per
scrivere! Allora, che ve ne pare di Jack-Jack? Se pensate che abbia esagerato,
in realtà tutti i poteri mostrati sono tratti o dal film (per quanto riguarda
la trasformazione) o dal corto Jack-Jack Attack (dove
mostrano cos’ha combinato il piccolo con baby sitter
mentre il resto della sua famiglia salvava il mondo). Ho solo aggiornato il
mostro, insomma, dopo sedici anni di film, libri, videogame, fumetti e chi più
ne ha più ne metta, J.J. avrà in mente immagini più
spaventose di quelle di un neonato, no?
Intanto ringrazio tutti i lettori, ben più di quanti ne aspettassi,
e le due commentatrici, Bulmasanzo e mergana.
Prossimo capitolo? Tornerà uno dei personaggi che più amo del film,
e che è quasi incredibile che compaia per pochissimi minuti... ma qui avrà
decisamente più spazio! Avete capito di chi sto parlando? No? pazienza, lo
scoprirete presto!
Jack-Jack
respirava profondamente, cercando di mantenere tutto il suo sangue freddo.
Questa volta Steve e Melanie erano decisamente più tranquilli, ma non era
semplice per lui mantenere la concentrazione necessaria per volare. Aveva la
testa piena di pensieri.
Tanto per
cominciare, per poter volare aveva dovuto far uscire le ali, e solo per quello
ci aveva perso una ventina di minuti. Aveva voluto a tutti i costi avere solo
le ali del demone, rimanendo se stesso, e la cosa non era stata affatto
semplice. Poi, quando ci era finalmente riuscito, si era reso conto di un altro
problema non indifferente: J.J.Parr
non aveva la forza di sollevare di peso entrambi i suoi amici e di sostenerli
in volo. Aveva fatto diversi tentativi a vuoto, e proprio quando stava per
rinunciare improvvisamente Steve e Melanie sembrarono essersi fatti
leggerissimi. Ma non erano loro ad essere cambiati, lo sapeva bene. Sembrava
quasi che in quel momento avesse la superforza, come suo padre. Ma che gli stava
succedendo? Quella mattina non aveva neanche un potere, e ora sembrava averne
diecimila! Alcuni corrispondevano a quelli che ricordava gli avevano raccontato
avere da piccolo: la trasformazione, il fuoco, i raggi laser... ma la super
forza? Quella era un’esclusiva di suo padre! Che avesse ereditatoanche quella? E se sì, perché non riusciva a
usarla sempre? Suo padre doveva controllarsi per limitarla, non per usarla!
Troppi
dubbi, troppe preoccupazioni affollavano la mente di Jack-Jack. Quanto avrebbe
voluto avere vicino la sua famiglia: loro lo avrebbero aiutato a capire e a
controllarsi, ne era sicuro. Ma ora non c’erano e l’unica persona che gli era
venuta in mente che fosse in grado di aiutarlo abitava molto lontano da lì. Il
che da una parte era un bene, se fosse stata anche lei in città sarebbe svanita
insieme a tutti gli altri.
«Tutto
bene? Tra non molto dovremmo esserci!»
Steve
rispose: «Tu, piuttosto, ce la fai?»
«Sembra
che non abbia molte altre alternative.»
Nonostante
non si sentisse per nulla stanco, J.J. ringraziò il
cielo quando i suoi piedi toccarono terra. Ce l’aveva fatta, di nuovo.
Gli ci
volle di nuovo qualche minuto per far scomparire le ali, poi, quando ebbe
recuperato più o meno il controllo di sé, cercò di suonare il campanello con
tutta la delicatezza possibile, nel terrore di avere ancora la super forza.
Un uomo
sconosciuto apparve in un schermo.
«Avete un
appuntamento?»
J.J. sospirò.
Ogni volta la stessa storia.
«Sono
Jack-Jack Parr, figlio di Robert Parr.
Avrei urgente bisogno di parlare con la signorina Mode.»
«Mi
dispiace, si ricevono visite solo per ap...»
Eccola,
come sempre. Da quando si poteva ricordare ogni visita in quella villa iniziava
sempre così.
Sotto lo
sguardo perplesso di Steve e Melanie e quello divertito e rassegnato di J.J., l’uomo venne allontanato dallo schermo a bacchettate,
mentre una vocina stridula diceva: «Fatti in là, tu, ci penso io!»
Un occhio
enorme apparve sullo schermo: «Chi c’è? Chi sei tu? Cosa vuoi?»
J.J. fece un
sorrisino imbarazzato: «Ciao Edna.»
«Oh! Il
piccolo Jejè!»
Il
ragazzo arrossì, ma la donna parve non farci caso: «E il resto della
famigliola?»
«Sono qui
da solo. Vedi, c’è...»
Edna lo
interruppe immediatamente: «Bravo, fai bene, apprezzo gli uomini indipendenti,
quelli che non stanno attaccati alle gonne di mammà. Entra,
entra.»
I
cancelli si aprirono, mentre Melanie diede una gomitata a J.J.
picchiettandosi la testa con il dito. Il ragazzo sorrise imbarazzato.
«L’avevo
detto che era un tipo originale.»
«È una
supereroina?»
«Credimi,
lei non ha bisogno di superpoteri. Basta e avanza così.»
Steve
ridacchiò: «Posso chiamarti anch’io Jejè?»
J.J. rise
mostrando un pugno: «Provaci e ti ustiono.»
I ragazzi
entrarono titubanti in quella che sembrava una dimora enorme e ultratecnologica,
bizzarra e originale come la sua proprietaria. L’attesa non durò a lungo,
perché subito una donnina piccolissima ma con un enorme paio di occhiali entrò
camminando velocissima nella sala.
Edna allargò
le braccia, accogliente: «Jèjè! Ma quanto sono
contenta che mi sei venuta a trovare... bacio-bacio.»
Con una
forza insospettabile, la stilista aveva tirato un braccio di Jack-Jack fino a
portare il volto alla sua altezza per poterlo baciare. Il ragazzo aveva
un’espressione imbarazzata ma rassegnata, come se avesse vissuto quella scena
moltissime volte.
«Scusami,
Edna, se salto i convenevoli, ma ci sarebbe...»
Ma la
donna non lo stava già più ascoltando: «Oh, ma vedo che abbiamo altri ospiti. Siete
gli amici di Jèjè, bene! Lo vedo sempre piuttosto asociale,
il ragazzo, il che è un gran peccato...»
Jack-Jack
si sentì di nuovo ribollire di rabbia, ma cercò di mantenere la calma: «Edna, per favore, ascoltami, è importante.»
«Oh,
anche fare gli onori di casa lo è.»
«EDNA!»
Fu un
attimo. Il ragazzo sbatté un piede a terra dalla frustrazione e improvvisamente
una profonda crepa si allargò su tutto il pavimento. Steve e Melanie gridarono,
mentre Edna balzò di lato con una piccola e lenta
piroetta, quasi con nonchalance, con una classe che indubbiamente poteva
appartenere a lei e a lei sola. Spaventatissimo, Jack-Jack s’inginocchiò sul
pavimento e, non sapendo neanche lui perché lo stesse facendo, mise le mani sui
due lati della crepa e fece il gesto di avvicinare i due lembi. Il terreno,
obbedendogli, si richiuse, come se nulla fosse successo. Il ragazzo rimase lì,
immobile, terrorizzato da quanto aveva appena compiuto. Edna,
invece, lo osservava con un sopracciglio alzato, come se lo stesse analizzando
ai raggi X.
«Inizio a
farmi un’idea del motivo per cui sei giunto da me, Jèjè...»
Il
ragazzo gli rispose con una vocina stridula: «Meno male, perché io non riesco a
capirci nulla da un pezzo...»
La
stilista fece un cenno con la mano: «Venite, ne parleremo di fronte a un tè.
Sempre che tu non preferisca altro, Jèjè, nel caso
dimmelo a voce e non spaccarmi il servizio buono, caro. Sai, farmene mandare un
altro da Hong Kong non è impossibile, ma una gran scocciatura, quello sì...»
Jack-Jack
non osò prendere in mano nulla, anzi, non osò neppure sedersi. Raccontò quanto
accaduto lentamente, cercando di comprendere lui stesso alcuni punti che non
gli erano chiari. Steve e Melanie si limitarono a sorseggiare il tè, mentre Edna, stranamente, rimase in silenzio ad ascoltare, in un
atteggiamento rispettoso quanto innaturale per lei che agitò ancora di più J.J. .
«A
proposito, Edna, volevo chiederti una cosa... da
quanto tempo mi trucchi gli abiti?»
La
stilista fece un gesto di nonchalance con la mano: «Ma da sempre, Jèjè. Certo, quando era tua madre a comprarti i vestiti,
era più semplice, potevo anche permettermi di aggiustare un pochino lo stile di
quegli straccetti, ma ora che ti compri gli abiti da solo, tua madre mi ha
imposto con irripetibili minacce di non modificare nulla... il che, ragazzo
mio, per il mio povero cuore di stilista è ogni volta un martirio. Sei un bravo
ragazzo, nulla da dire, ma il tuo stile è... perdonami, non mi viene in mente
il superlativo di orrido.»
Jack-Jack
arrossì: «E perché non mi avete mai detto nulla?»
«Per
evitare che reagissi come stai reagendo ora...»
Il
ragazzo stava per rispondere alla provocazione, quando fu assalito da un
raccapricciante sospetto: «Edna... non hai messo anche nei miei abiti i
rilevatori che metti in tutte le tute delle mia famiglia, vero?»
«Ma certo
che sì, tesoro. Sei un adolescente a ruota libera, dopotutto, per di più probabile
supereroe, era il minimo...»
«Cioè...
vuoi dire che i miei controllano ogni mio movimento?»
«Questo
non lo so, Jèjè. Posso solo dirti che io a loro ho
fornito solo un rilevatore di
posizione.»
J.J. sbiancò.
Conosceva Edna abbastanza bene da sapere cosa voleva
dire quel solo.
«Qualcun
altro è in possesso di qualcosa di più di un rilevatore di posizione?»
La
donnina alzò le spalle: «Mi piace la vita giovanile... anche se devo essere
sincera, la tua è un po’ monotona...»
Il
ragazzo improvvisamente s’infuocò, facendo saltare i suoi amici sulle poltrone:
«EDNA! MAI SENTITO PARLARE DI LEGGE SULLA PRIVACY??? CHI TI HA AUTORIZZATO A
SORVEGLIARMI???»
Edna lo
guardò con calma serafica: «Rilassa i bollenti spiriti, Jèjè,
non cambierai la situazione.»
J.J. si rese
conto di aver perso di nuovo il controllo e si sedette a terra, nel tentativo
di calmarsi. Solo dopo alcuni minuti di respiri profondi riuscì nuovamente a
spegnarsi.
«Non
posso andare avanti così...»
«Sono
d’accordo.»
«Puoi
aiutarmi?»
La
stilista sospirò, per poi tirare fuori la sua adorata bacchetta e puntarla
sulla fronte del ragazzo: «Jèjè, sono una persona
molto impegnata, dovresti saperlo... potrei anche aiutarti, ma solo se tu aiuterai me.»
J.J. fece una
smorfia: «Devo di nuovo falciarti il prato?»
«Ma che
prato e prato! Cosa vuoi che m’interessi del prato, ho i giardinieri per
questo!»
«E allora
quella volta perché...»
Di tutta
risposta J.J. ricevette un paio di dolorose
bacchettate in testa: «Basta pensare al passato! È il momento di guardare cosa
dobbiamo fare ora! E ora abbiamo
parecchio da lavorare. Vuoi che ti aiuti a controllare i tuoi poteri? Sta bene,
ma anche io ho una proposta da fare.»
Steve e
Melanie si sentirono sempre più di troppo nella discussione, che ormai era
diventata da un pezzo un dialogo a due.
«E
sentiamo, quale sarebbe il tuo prezzo?»
La
donnina sorrise: «Semplice... voglio la completa esclusiva per la tua tuta.»
Il
ragazzo la guardò in un misto di sorpresa e perplessità: «CHE? Di che tuta stai parlando? Edna, io
non voglio mettermi a fare il supereroe. Vorrei solo evitare di prendere fuoco
ogni due minuti, o spaccare terreni, o chissà quali stranezze!»
La
stilista fece roteare la sua bacchetta: «E io voglio superare me stessa
creandoti una tuta in grado di adattarsi ad ogni
tuo potere. Usala per questa volta, poi non m’interessa cosa ne farai:
indossala, abbandonala in un cassetto, regalala, non m’importa, ma ti cucirò la
tuta perfetta per te. Allora, Jèjè, siamo d’accordo?»
Jack-Jack
impiegò qualche secondo a rispondere. L’idea di doversi adattare alle stranezze
dei supereroi gli faceva venire un sincero moto di repulsione, ma dovette
ammettere con se stesso che il patto che gli stava proponendo Edna era molto conveniente per lui. La stilista era una
pazza furiosa a piede libero, e più che mai in quel momento ne aveva avuto la
conferma, ma era anche la più grande esperta sui superpoteri che conoscesse.
Aveva creato gli abiti di centinaia di supereroi, e per farlo aveva dovuto
studiare a fondo tutti i loro poteri. Senza contare che dandole uno stimolo
come il dovergli creare un costume su misura sicuramente si sarebbe impegnata
molto di più nell’aiutarlo, e lui aveva un disperato bisogno di aiuto in quel
momento.
Con un
profondo sospiro, J.J. allungò la mano: «E va bene.»
Edna gliela
sfiorò appena, per poi saltare sulla sedia in preda all’entusiasmo: «Perfetto!
Dovremo andare subito in laboratorio, fare dei test, e poi dovrò sistemare
tessuto, misure, colore e...»
Il suo
sguardo passò di colpo agli altri due ragazzi presenti: «... e voi cosa avete intenzione
di fare?»
Melanie
rispose senza esitazione: «Vogliamo aiutare anche noi.»
Steve
annuì: «In città ci sono le nostre famiglie e i nostri amici... senza contare J.J.! Non possiamo lasciarlo solo.»
Il
ragazzo non ebbe tempo di dire nulla, perché Edna
fece un sorriso tutto fuorché rassicurante: «Ottimo, era quello che volevo
sentire... andiamo, allora, abbiamo poco tempo e una marea di lavoro da fare,
avevo proprio bisogno di due aiutanti.»
Steve
deglutì e commentò con un filo di voce: «Aiutanti?
Di quella pazza?»
Jack-Jack
gli diede una manata sulla spalla: «Auguri... e consolati. Almeno tu non sei la
cavia...»
Il
terzetto seguì la donnina attraverso vari corridoi sotterranei. Pur conoscendo
il laboratorio segreto di Edna, J.J.
non era totalmente tranquillo. Fino a quel momento ci era entrato solo un paio
di volte, per accompagnare qualche suo familiare a vedere i miglioramenti dei
vari costumi. Era la prima volta che ci entrava senza di loro, e sapeva bene
quanto Edna potesse essere pericolosa, se eccitata da
qualche esperimento. E la donna in quel momento era particolarmente eccitata, lo poteva vedere da quel luccichio che le
brillava negli occhi. Si chiese per un attimo se era ancora in tempo per
cambiare idea, poi gli venne in mente suo padre e cercò di mettere a tacere la
paura.
Si
fermarono davanti a una porta blindata ed Edna iniziò
la sua classica trafila di sicurezza, che fece impallidire Steve e Melanie:
inserimento di un codice numerico, controllo delle impronte digitali
dell’intera mano e della retina, controllo del dna tramite un capello,
scannerizzazione a raggi X dello scheletro e infine controllo dell’impronta
vocale.
«Edna Mode.»
Steve e
Melanie saltarono praticamente addosso a un indifferente Jack-Jack quando dalle
pareti uscirono armi di ogni sorta pronte a sparare.
J.J. si
limitò a sospirare e a scimmiottare sottovoce Edna
mentre diceva al microfono: «Sono ospiti.»
Immediatamente
le armi si ritirarono e le porte di aprirono, ma la stilista si voltò verso i
ragazzi: «Jèjè, ti consiglio di moderare la lingua,
d’ora in poi. Qui siamo nel mio mondo... e potresti rimpiangere molti dei tuoi
scherzetti passati.»
Il
ragazzo cercò di non pensare a come la donna avrebbe potuto vendicarsi di tutte
le volte che da bambino le aveva nascosto tessuti e strumenti ed entrò
mostrandosi molto più spavaldo di quanto si sentisse.
Steve e
Melanie rimasero a bocca aperta nel vedere il laboratorio di Edna: si erano aspettati una sorta di sartoria, invece
quello che avevano davanti era più simile a un laboratorio scientifico. Steve aveva
la mascella quasi a terra.
«Uao...»
Edna avanzò
nella stanza: «L’hai detto, ragazzo...»
Indicò un
tavolo con tre sedie, con l’implicito ordine di accomodarsi. Steve e Melanie si
avviarono, ma J.J. venne immediatamente afferrato per
la maglia.
«Tu no, Jèjè. Il tuo posto è là dentro.»
«Dietro
al vetro dei test?»
La donna
lo guardò con un ghigno: «L’hai detto tu, caro, oggi sei la nostra cavia...»
Con
pochissima convinzione, il ragazzo entrò nel tunnel laterale che lo condusse
davanti al suo piccolo pubblico.
Edna gli
sorrise, in modo un pochino più rassicurante: «Non ti preoccupare, Jèjè, il vetro serve a noi, non a te.»
«Non
voglio farvi del male.»
«Invece è
proprio quello che voglio che tu faccia.»
«Eh?»
Edna si
accese una sigaretta, tirò una lunga boccata e lo guardò con lo stesso
luccichio che aveva avuto negli occhi molti anni prima, quando aveva preparato
per J.J. il primo costume formato bèbè: «Incendiati
come prima, ragazzo, e dacci dentro. Voglio vedere qual è il tuo limite.»
Jack-Jack
scosse violentemente la testa: «Non so farlo a comando, Edna,
è proprio questo il problema! Non so fare nulla a comando!»
«Ma ci dev’essere un interruttore che ti fa scattare...»
«Non so
quale sia!»
Melanie,
che fino a quel momento era stata innaturalmente silenziosa, improvvisamente
parlò: «Non è vero che non sai come fare. La verità è che hai solo paura.»
Steve la
guardò preoccupato e fece per zittirla, ma la ragazza continuò: «Hai paura di
tutto, sei sempre stato un fifone. Non hai mai avuto il coraggio di dirci nulla
fino ad oggi, avevi paura persino di entrare là dentro! Vuoi salvare il mondo?
Vuoi fare l’eroe, J.J.? Mettiti il cuore in pace, non
potrai fare nulla finché non troverai un po’ di coraggio.»
Jack-Jack
improvvisamente prese fuoco: «IO NON
VOGLIO FARE L’EROE! NON VOGLIO ESSERE CORAGGIOSO! NON VOGLIO SALVARE IL MONDO! VOGLIO
SOLO AVERE UNA VITA NORMALE, CHIEDO FORSE TROPPO?»
Melanie
rivolse un sorriso soddisfatto alla stilista: «Voleva che premesse
l’interruttore?»
Edna le
sorrise di rimando: «Il tuo stile mi garba parecchio, ragazza... e ora vediamo
cosa fa il nostro Jèjè...»
Quella
torcia umana che fino a poco prima era stato Jack-Jack Parr
quasi non ricordava nemmeno più il motivo per cui si era arrabbiato. Aveva solo
in mente la frase di Edna.
Doveva darci dentro per mostrare il suo
limite.
Sorrise,
in un sorriso che assomigliava tremendamente a un ghigno.
Quale, limite?
Allargò
le braccia e il fuoco si diffuse per tutta la teca. Gli avevano chiesto di
bruciare al massimo? Lo avrebbe fatto più che volentieri, perché in quel
momento era il suo solo e unico desiderio: bruciare tutto, qualunque cosa lo
circondasse, e trasformare quella stanza in un inferno di fuoco e lava.
Edna
osservava la scena senza battere ciglio e senza più dire una parola. Di tanto
in tanto buttava giusto un occhio allo schermo di un computer, controllando la
temperatura all’interno della piccola stanza, che aumentava vertiginosamente.
Per J.J. faceva ancora troppo freddo. Non si stava nemmeno
avvicinando alla sua temperatura ideale. Fece scorrere un piede sul terreno e
questo divenne di pura lava. Così si iniziava a ragionare. Ma ancora non
bastava. Non bastava per niente.
Edna mantenne
un’aria molto seria: «Va bene, Jèjè, puoi smettere,
stai raggiungendo i limiti di resistenza della stanza...»
Ma invece
che fermarsi, Jack-Jack aumentò ancora di più l’intensità delle fiamme.
Edna chiuse
gli occhi, sospirando: «Come temevo...»
Steve
stava iniziando a sudare, nonostante il vetro protettivo, che però in qualche punto
sembrava sul punto di sciogliersi. Melanie deglutì a vuoto: voleva stuzzicarlo
un po’, vero, ma non immaginava di averlo provocato a tal punto.
Con una
calma a dir poco serafica e una grazia innata, Edna
si mise in piedi sulla sedia e respirò profondamente. Poi, senza preavviso,
lanciò il suo bocchino contro il vetro.
«JACK-JACK,
TI HO CHIESTO DI PIANTARLA, MI
SENTI?»
La torcia
umana sbarrò gli occhi di scatto.
«Edna?»
La donna
fece un gesto di stizza: «No, guarda, la fata turchina... e chi sennò?»
Il ragazzo
si spense, di colpo: «Ma... mi hai chiamato con il mio nome! Non ti ho mai
sentito chiamarmi con il mio nome completo!»
«C’è
sempre una prima volta, Jèjè.»
J.J. tirò un
sospiro di sollievo. Era tutto a posto.
«Ti sei
reso conto di cosa hai combinato, ragazzo?»
Solo a
quel punto Jack-Jack si guardò intorno con orrore. Stava in piedi in un mare di
lava infuocata, senza nemmeno una goccia di sudore. Si morse un labbro.
«Ho... ho
perso il controllo. Di nuovo.»
«La trovo
una definizione piuttosto riduttiva. Mi stavi per fondere la sala test... che è
tarata per resistere a 3500 gradi kelvin. Eppure te ne stai lì, tranquillo,
come se nulla fosse successo. Meno male, da una parte, una persona comune si sarebbe
già sciolta.»
J.J. strinse
gli occhi e i pugni, cercando di trattenere le lacrime che sentiva pronte a
scendergli copiose.
«Io... io
non voglio... tutto questo...»
Lentamente,
come se qualcuno avesse tirato indietro le lancette dell’orologio, la lava si
ritirò, il vetro tornò normale, il pavimento si ricompose e la temperatura calò
di botto. Rimase solo un ragazzo, in piedi, che cercava disperatamente di non
piangere.
Edna sorrise
soddisfatta: «Eccellente. Ora è tutto chiaro, Jèjè,
puoi smettere di lagnarti e tornare a fare l’uomo.»
Il
ragazzo aprì un occhio, perplesso: «Eh? Cosa...»
Incredulo,
Jack-Jack mise una mano sul vetro, intatto e gelido: «Quando hai aggiustato la
stanza? È incredibile...»
La
stilista gli rispose con un ghigno: «Per quanto amo sentirmi adulare, no, Jèjè, stavolta
non è merito mio... hai fatto tutto tu.»
«Io? E quando?»
La
donnina tornò a sedersi, premendo qualche pulsante su una tastiera: «In
compenso, puoi iniziare a farmi i tuoi più sinceri complimenti su come abbia
risolto il mistero sui tuoi poteri...»
Il vetro scomparve
e apparve invece una poltrona, che con un brusco movimento costrinse J.J. a sedersi: «Hai capito cosa mi succede?»
«È a dir
poco elementare, tesoro, mi stupisce piuttosto che non ci sia arrivato tu.»
Il
ragazzo era più che impaziente: «No, Edna, non ci
sono arrivato. Dopotutto, il genio sei tu, non io.»
«Mi fa
piacere che lo riconosci, Jèjè, ma non giustifica la
tua ignoranza. Quando mai un supereroe è dovuto andare da qualcun altro a farsi
spiegare cosa è in grado di fare? Il tuo potere, poi, è tanto semplice quanto
straordinario... probabilmente potresti essere il più grande supereroe mai esistito.
Se solo lo volessi, naturalmente...»
J.J. sbuffò:
«Me lo sento dire da tutta la vita, ma a me non interessa. Vorrei solo capire
cosa mi succede.»
La
stilista lo guardò con aria annoiata: «D'accordo, d’accordo, cercherò di
spiegarlo in modo che persino tu
possa capire...»
La
donnina si alzò e iniziò a girare per la stanza parlando e gesticolando, in
preda a una frenesia tale che era impossibile capire se fosse data
dall'entusiasmo o dall'estenuazione.
«Ho
incontrato nella mia lunga carriera molti supereroi in grado di trasformarsi,
ma al massimo assumevano due, tre forme. Anzi, no, ho avuto un’eccezione. Siete
troppo giovani, immagino, per ricordarvi di Animalboy,
il supereroe che diventava ogni sorta di animale. Poverino, un giorno non si è
più ricordato come tornare umano e ha finito i suoi giorni in una gabbia dello
zoo dell’Oklahoma. Jèjè, saresti in grado di
trasformarti in un animale?»
«Non lo so,
non ci ho mai pensato...»
Edna sfoderò nuovamente
la sua adorata bocchetta, per poi darla sulla testa del malcapitato Jack-Jack:
«Ovvio, non che me lo fossi aspettato. Te lo dico io, Jèjè,
no, non ne sei capace. Non così almeno. Ma se ti dessi un piccolo aiutino, lo
faresti senza problemi.»
«Io?»
La
stilista gli sorrise in modo falsissimo: «E chi sennò, il cane dei vicini?
Ragazzo mio, alle volte sei così lento...»
Steve
alzò la mano: «Veramente, non ho capito nemmeno io.»
«E non
per nulla sei amico suo. Jèjè, tu non hai tanti
poteri, ne hai uno solo, tanto potente quanto pericoloso.»
«COSA? È
assurdo, non posso aver fatto tutta quella roba con un solo potere!»
Edna gli
diede una serie di bacchettate sulla testa, una per ogni parola che stava
pronunciando: «E allora non mi stai ascoltando, Jèjè,
eppure l'ho detto: Hai. Un. Solo. Potere.»
Jack-Jack
sembrava confuso: «Aspetta, aspetta un attimo: mi stai forse dicendo che posso
usare qualunque superpotere esistente?»
Edna, ormai
presa dall'entusiasmo, diede un'ultima bacchettata a J.J.
e volteggiando per la stanza iniziò a spiegare: «Alleluia, ragazzo, ci sei
arrivato! Semplice quanto incredibile, vero? Quando hai bisogno di qualcosa... puff, hai esattamente il superpotere che ti serve, e lo sai
usare perfettamente, d’istinto, senza che nessuno te lo debba spiegare. Poi,
appena non ti serve più, scompare e non ricordi più nemmeno come lo hai usato.
Meglio così, o impazziresti.»
Jack-Jack
non rispose ma rimase lì pensieroso. Era assurdo, incredibile, inconcepibile,
eppure era l'unica spiegazione che avesse senso. Edna
aveva spiegato con una semplicità disarmante quello che lui non era stato in
grado di spiegare a voce, e che probabilmente non sarebbe mai stato in grado di
spiegare davvero. Ecco perché non riusciva a usare i suoi poteri a comando e
perché invece quando lo faceva sapesse perfettamente come usarli.
Ma la
stilista aveva fatto molto di più: inserito nel discorso, come se nulla fosse,
gli aveva anche spiegato perché ogni tanto perdesse il controllo.
«Sono
come quel tizio finito allo zoo. A volte dimentico come tornare indietro.»
Edna gli
ridiede una bacchettata: «Non traviare quello che dico, Jèjè,
ti ho forse detto che diventerai un sacco di pulci? No! Il tuo problema non è
la memoria, per quella basterebbe solo una buona cura di fosforo. No, ragazzo
mio, il tuo problema è molto più semplice e molto più serio. Ti farò una sola
domanda, e vedi di rispondermi con molta attenzione.»
Edna gli si
avvicinò di scatto, arrivando a pochi millimetri dal suo naso e lo guardò
dritto dritto negli occhi: «Chi sei tu?»
Il
ragazzo la guardò molto perplesso: «Jack-Jack Parr,
che io sappia.»
Edna non
sbatté neppure le palpebre: «E se ti avessi fatto questa domanda poco fa,
quando eri tutto un fuoco? Cosa mi avresti risposto?»
Il
ragazzo abbassò lo sguardo. Si rese conto di non avere una risposta. In quel
momento, come quando si era trasformato nel demone nero, si era reso
perfettamente conto di non essere più Jack-Jack, ma di essere diventato una
persona completamente diversa.
«La tua identità è la cosa più preziosa che
hai, difendila ad ogni costo. Lo dice spesso mia madre a mio fratello, solo
ora mi rendo conto di quanto sia vero.»
Melanie
intervenne: «Vediamo se ho capito bene: quando usi i poteri di qualcun altro,
ti fai prendere troppo dall'entusiasmo e... rischi di non riuscire più a
tornare indietro, giusto?»
J.J. si
limitò ad annuire, mentre Edna sbatté le mani: «Bene,
ora che è tutto chiaro è ora di mettersi all'opera. Abbiamo tanto da fare e poco
tempo per farlo.»
Il
giovane Parr si alzò in piedi ed esclamò con tutta la
voce che aveva in corpo: «E a cosa servirà? Anche se davvero imparassi a
controllare i miei poteri, poi che cosa farò? Non riesco neppure a trovare di
nuovo la città dove sono nato e cresciuto!»
La
donnina sorrise, forse intenerita dall'ingenuità del ragazzo: «Sciocchino, se
davvero impari a controllare i tuoi poteri, credo che sarà un giochetto da
ragazzi ritrovare la tua famiglia. Tuttavia, se proprio hai ancora dei
dubbi...»
Edna afferrò
da un tavolo lì vicino un piccolo tablet e lo accese.
Al centro lampeggiava un puntino luminoso, mentre in alto a sinistra sullo
schermo ce n'erano altri quattro, tutti vicini.
Si lasciò
sfuggire un sorriso molto soddisfatto: «... fidati almeno dei miei rilevatori, Jèjè!»
Il
ragazzo prese l'apparecchio e lo guardò, pensieroso. Come aveva sperato, Edna gli stava dando davvero tutti gli strumenti per poter
salvare la sua famiglia. Ne sarebbe stato all'altezza?
Melanie,
intuendo cosa gli stava passando per la testa, lo cinse con un braccio e disse:
«Ce la possiamo fare, tutti insieme! Nessuno pretende che tu diventi un
supereroe in una notte, ma insieme possiamo fare molto, vedrai!»
La
stilista diede una gomitata al ragazzo: «Invitami al matrimonio, Jèjè, pretendo di fare la damigella... e la testimone,
ovviamente!»
Il
ragazzo arrossì di colpo: «EDNA!»
Con
nonchalance la donna prese sottobraccio Steve: «Ragazza, occupati tu del nostro
eroe in erba... sai come farlo scattare, cerca anche di capire come calmarlo.
Noi ci occuperemo del costume.»
Il
ragazzo si aggiustò gli occhiali: «Noi? Come
noi?»
«E cos’è,
pensavi di essere qui per fare la bella statuina? Nossignore, tu lavorerai
esattamente come tutti gli altri. E ora lasciamo i due piccioncini da soli e
andiamo a lavorare al costume, che abbiamo molto da fare.»
Ignorando
bellamente le proteste del ragazzo, Edna uscì dalla
stanza e Jack-Jack e Melanie rimasero soli, a guardarsi sconvolti.
«Avevi
ragione, J.J., è stramba forte...»
«Già...»
«Allora...
te la senti di cominciare?»
J.J. annuì
con una smorfia: «E tu?»
Prima che
potesse rispondere, dall’alto calò uno schermo che proiettò il faccione di Edna in dimensioni enormi: «E non fate cose strane, che poi
devo vedermela io con i vostri genitori! Dovete lavorare!»
I due
ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere. Sì, forse era il momento di darsi
da fare.
Ed eccola, la tanto attesa Edna! Spero di
non aver deluso le vostre aspettative, ce l’ho messa tutta per renderla... unica, come nel film! È incredibile come
questo personaggio abbia in realtà solo 8 minuti in tutto il film...
E cosa ne pensate dei poteri di J.J.? Vi
soddisfa la mia spiegazione?
Spero proprio di sì, intanto ringrazio chi ha commentato lo scorso
capitolo, ovvero mergana e Myrenel_Bea.
Vi aspetto tutti al prossimo capitolo... all’assalto della città
scomparsa!
Fu la
serata, e la nottata, più lunga e impegnativa della loro vita. Jack-Jack non
smise un attimo di provare e riprovare i poteri più strampalati, seguito e
aiutato da Melanie. Il ragazzo dovette ammettere che l’allenamento era
efficace: forse anche solo sapere su cosa
dovesse fare attenzione lo aiutava tantissimo a non perdere il controllo. Se
riusciva a mantenersi concentrato su cosa
dovesse fare, era quasi un gioco da ragazzi. Non doveva neppure pensare a
quale superpotere utilizzare, sembrava che il suo corpo fosse in grado di
selezionare da solo, d’istinto, il migliore nella specifica situazione. Si
accorse anche di non poter combinare insieme più capacità, ma che gli era
possibile usare solo un potere alla volta; inoltre alcuni poteri erano più
gestibili di altri. Non ci fu modo, per esempio, di prendere fuoco senza poi
cercare d’incendiare tutto, e in generale si accorse che in situazioni di
rabbia o stress, in un modo o nell’altro doveva subito cercare di sfogare la
frustrazione, anche solo con un grido, o era facile capitassero incidenti come
voragini nei pavimenti o trombe d’aria distruttive.
Melanie,
per fortuna, si era accorta quasi subito che bastava richiamarlo con un tono
preoccupato o arrabbiato perché il ragazzo riprendesse il controllo quasi
subito. Il problema per J.J., però, era praticamente
il non poter andare in giro da solo e il dover usare un potere solo per il
tempo minimo necessario.
Non che
nell’altra stanza le cose andassero perfettamente, anzi. Ogni tanto Jack-Jack e
Melanie si fermavano per ascoltare le urla che li facevano trasalire senza
preavviso.
«Ma non
scherziamo! Una roba così non la metterà mai!»
«Senti,
ragazzino, chi è lo stilista qui?»
«La
stilista sarà lei, ma l’amico è il mio, e le assicuro che un abito del genere J.J. non lo indossa neanche sotto tortura!»
Melanie
rise nel vedere la faccia scandalizzata dell’amico.
«Cos’hanno
intenzione di farmi mettere quei due?»
Ma la
discussione era appena all’inizio.
«Perché
piuttosto non gli mettiamo un mantello?»
Nell’ascoltarli
il ragazzo fece una smorfia: «Ahia... Steve ha appena sottoscritto la sua
condanna...»
Melanie
lo guardò perplessa: «Perché?»
J.J. si
limitò a fare un conto alla rovescia con le dita, dopodiché la voce di Edna Mode si diffuse per la casa come se la donna avesse
attivato una marea d’altoparlanti: «MANTELLO? HAI IDEA DI
QUANTI SUPEREROI HANNO INCIDENTI PER COLPA DEL MANTELLO? POTREI STARE ORE A
RACCONTARTI ANEDDOTI! DICI DI PREOCCUPARTI DEL TUO
AMICO E POI GLI METTI LA COSA PIÙ PERICOLOSA PER UN EROE? NIENTE MANTELLO!!!»
«Ma tutti
i supereroi dei fumetti hanno i mantelli!»
«Vuoi
diventare davvero uno stilista di supereroi? Esci dal mondo di carta ed entra
nel mondo reale!»
«Ma io non voglio diventare uno stilista di
supereroi!»
«Male,
perché qualcosa di buono c’è nei tuoi suggerimenti...»
«Davvero?»
«Sì...
c’è tutto quello che uno stilista deve ben tenere presente di NON fare...»
Jack-Jack
e Melanie scoppiarono a ridere di gusto immaginando la faccia che Steve poteva
avere in quel momento e ripresero i loro allenamenti.
Verso
l’alba le due squadre si riunirono, tutti visibilmente stanchi.
Edna si versò
una generosa tazza di caffè: «Allora?»
Melanie
collassò sul tavolino: «Più di così non si poteva, in una notte... non
chiedetegli di prendere fuoco e non fatelo arrabbiare e dovrebbe filare tutto
liscio...»
La
donnina annuì: «Bene, bene...»
J.J.,
paradossalmente il più riposato dei quattro, chiese con timore: «E voi?»
Edna lo
guardò male: «Jejè... avevi dubbi?»
A un suo
schiocco di dita dal pavimento salì un manichino. Jack-Jack lo guardò sorpreso
e ci girò intorno.
«Bè... pensavo peggio, devo ammetterlo...»
Steve
sorrise stancamente: «Dai, va’ la dietro e provatelo.»
Il
ragazzo, sempre un po’ dubbioso, obbedì, ma da dietro il paravento chiese: «La
calzamaglia aderente è proprio obbligatoria?»
Edna alzò gli
occhi al cielo: «Certo! Hai mai visto un supereroe senza?»
«Ma io mi
vergogno a indossare questa cosa...»
«Non fare
il bambino, Jejè, e muoviti! Quando sarai in missione
vedrai che mi ringrazierai!»
«Sarà...»
Molto
dubbioso, il ragazzo uscì con indosso il nuovo costume: la parte superiore
consisteva in una specie di felpa blu scuro con cappuccio abbastanza larga,
come quella indossata tipicamente dai ragazzi della sua età; sul petto,
incassate e non troppo visibili, c’erano le sue iniziali, disegnate in modo che
la seconda J pendesse appesa dalla prima; la calzamaglia di cui si era
lamentato poco prima era dello stesso colore della felpa, a cui bisognava
aggiungere guanti e stivaletti color argento, dello stesso colore del filo
delle cuciture della felpa lasciato ben in evidenza, sicuramente un tocco
artistico di Edna.
J.J. fece un
sorrisetto all’amico: «Per la felpa c’è il tuo zampino, vero Steve?»
«Con un
costume attillatissimo non ti saresti sentito a tuo
agio, o sbaglio?»
«Già...»
Il
ragazzo con gli occhiali gli si avvicinò: «E visto che non ti piacciono costumi
appariscenti e maschere, per salvaguardare la tua identità abbiamo studiato un
accorgimento innovativo...»
Senza
preavviso Steve gli tirò il cappuccio fin oltre gli occhi. Jack-Jack fece per
protestare, quando si rese conto di vederci benissimo, come se il cappuccio non
ci fosse.
«Cosa...»
Edna guardò
soddisfatta: «Tessuto unilaterale opaco... da un lato è tessuto normale,
dall’altro è trasparente come vetro. Inoltre, quel cappuccio è studiato in modo
da rimanere immobile qualunque movimento tu possa fare.»
Steve gli
diede una gomitata: «Idea mia, dettagli tecnici di Edna.»
La
stilista annuì: «Tra l’altro, il costume dovrebbe adattarsi automaticamente ad
ogni tipo di potere nel giro di mezzo secondo. Se non lo fa, riportamelo
indietro che lo aggiorno, dovrei avere inserito le caratteristiche di quasi
tutto il mio database, ma è difficile tenere conto di ogni superpotere esistente...»
Jack-Jack
sorrise imbarazzato: «Immagino...»
La mano
corse verso il tablet con ancora, lampeggianti, i
puntini che indicavano la posizione dei membri della sua famiglia.
L’eccitazione prese il posto della stanchezza.
«Va bene,
allora vado!»
Melanie
intervenne sbadigliando: «Ti prego, fammi dormire un po’, sono esausta...»
«Ma è passato
troppo tempo, tutte le persone potrebbero...»
La
ragazza lo interruppe subito: «Credimi, capisco la tua preoccupazione, ma tu da
solo non puoi andare e io in questo momento non sono in grado di seguirti... mi
addormenterei prima ancora di arrivare...»
Quasi
subito Jack-Jack sentì le mani diventargli bollenti e senza pensarci due volte
le mise sulle spalle di Melanie.
«Cosa...»
«Come ti
senti?»
La
ragazza lo guardò sorpreso: «Bene... anzi, benissimo, come se avessi riposato
per ore...»
Il
ragazzo sospirò di sollievo: «Non ne ero sicuro al cento per cento... ma
qualcosa mi dice che è meglio che non te lo faccia troppo spesso...»
Una
familiare tirata di maglietta fece abbassare J.J.: «Edna, che c’è?»
«E a me
non lo fai il massaggio?»
«Non vuoi
andare a dormire?»
La
donnina agitò la bacchetta, che quasi per miracolo non finì in un occhio di
Jack-Jack: «Ma quale dormire e dormire, c’è troppo da fare! Pensi davvero che
lasci andare un gruppetto di ragazzini inesperti a salvare il mondo?»
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo: «Edna, non andiamo a
salvare il mondo.»
La
donnina gli prese le mani e se le mise da sola sulle spalle: «Su, su, poche
storie e fai il tuo dovere!»
J.J. sospirò
e fece quanto gli era stato chiesto, poi, mentre si occupava di Steve, Edna premette qualche altro pulsante e altri due manichini
si affiancarono al primo.
«Cos’è,
avete forse creduto che non avessi pensato anche a voi due? Edna
Mode non lascia mai i lavori a metà...»
Melanie
girò attorno agli abiti. Erano sostanzialmente identici a quello di Jack-Jack,
cambiavano giusto le taglie e i colori dei guanti e delle scarpe, rosso in un
caso e blu nell’altro.
Steve
alzò un sopracciglio: «Noi non abbiamo superpoteri.»
La donna
alzò le spalle: «Almeno sarete vestiti con stile...»
Jack-Jack
chiese: «Sono sicuri?»
«Il
minimo sindacale che metto ad ogni costume di supereroe: antiproiettile,
resistente alle alte temperature e qualche altro optional difensivo...»
«Bene.»
Il
ragazzo sospirò. Ci mancava solo che si facessero male per accompagnare lui...
«Quanto a me...»
J.J. ebbe a
malapena il tempo di realizzare il senso della frase pronunciata lentamente e
con enfasi da Edna, che un’intera parete scese
rivelando una nicchia d’oro contenente il costume più piccolo e più
appariscente che i ragazzi avessero mai visto: attillatissimo,
con una calzamaglia intera di pelle nera, coperta da una giacca di un rosa
accesissimo dello stesso materiale, con un colletto a punta che scendeva fin
sotto le spalle. Il manichino era completato da una parrucca con meches della stessa tonalità di rosa, un paio di grossi
occhiali tenuti fermi da un elastico che passava dietro la testa, come quelli
degli aviatori, dalle lenti rigorosamente rosa anch’esse, e dalla bacchetta
d’ordinanza, questa nera.
Gli occhi
di Edna brillarono: «Sono anni che lo progetto e lo
miglioro, sapevo che un giorno avrei avuto anch’io la mia occasione!»
Steve
disse con un filo di voce stridula: «Vuoi venire anche tu?»
Di tutta
risposta la donnina gli rifilò una bacchettata in testa: «Non voglio, io vengo con voi! Non posso lasciare dei ragazzini da soli, non farmi
ripetere le cose, ragazzo, è una cosa che odio profondamente...»
J.J. si chinò
su Edna, guardandola come fosse una bambina: «Questo
non faceva parte dei patti.»
La
stilista gli rivolse un falsissimo sorriso tutto denti: «Lo so...»
Il
ragazzo lo guardò con aria furbetta: «Sai che potrei fermarti qui ed ora,
vero?»
La donna
rispose con la stessa espressione: «Sai che potrei disattivare i rilevatori,
vero?»
«Sei
un’odiosa ricattatrice.»
«Lo so.»
Jack-Jack
si arrese con un sospiro ed Edna batté le mani:
«Avanti ragazzi, un quarto d’ora per prepararci e poi tutti in missione!»
J.J. scosse
la testa. C’erano tutte le premesse per un disastro di dimensioni cosmiche.
Sarebbe davvero riuscito a fare fronte a tutto questo?
«Non ce
la posso fare.»
J.J. aveva
sentito svanire tutta la sua sicurezza quando era giunto sul posto e aveva
trovato numerose pattuglie di polizia, troupe televisive e semplici curiosi provenienti
da fuori, venuti tutti ad indagare sulla misteriosa scomparsa della sua città.
Non aveva alcuna intenzione di farsi vedere mentre usava i suoi poteri e quel
pubblico inatteso lo metteva in ansia. Si nascose ancora di più dietro l’auto
di Edna, sperando con tutto il cuore che nessuno lo
vedesse conciato in quel modo.
Melanie
lo chiamò sottovoce: «Jack-Jack! Dove sei?»
«Sono
qui, dove vuoi che sia?»
Steve
sospirò: «Se davvero sei qui, renditi visibile, per favore...»
Il
ragazzo si guardò le mani, senza vederle, e ridacchiò ritornando visibile: «Ops! Ora capisco come si sente Violetta...»
«Come
supereroe sei un disastro, Jejè...»
«Lo so
benissimo, grazie Edna, ma il problema non cambia.
Dov’è finita la città?»
La
stilista vestita di rosa sbuffò: «Principiante... è davanti a te, sciocchino! O
pensi davvero che sia così facile spostare una metropoli?»
J.J. ribatté:
«Certo che no, ma allora perché non riusciamo ad entrarci? Ieri l’ho persino
sorvolata senza accorgermi di nulla!»
«Distorsori
sensoriali, una sciocchezzuola, li utilizzavo già tre anni fa... mettetevi
questi.»
I ragazzi,
dubbiosi, inforcarono gli strani occhialini che Edna
aveva porto loro. Attraverso le lenti la città divenne perfettamente visibile,
anche se risultava avvolta da una specie di cupola trasparente.
La
stilista si aggiustò i suoi occhiali, che evidentemente avevano l’optional già
incluso: «Rimane il problema di come entrare
senza farsi vedere...»
Jack-Jack
scosse la testa: «Non posso rendermi invisibile e contemporaneamente...»
Steve lo
interruppe: «E se passassimo sottoterra?»
J.J. guardò
in giù pensieroso, poi appoggiò una mano sul terreno e creò una grossa buca.
Senza aggiungere una parola, il gruppo si lanciò in quello che aveva tutta
l’aria di essere uno scivolo naturale e sbucò in una piazzola verde alla periferia
della città. Erano dentro.
Steve si
guardò intorno: «Ora da fuori non dovrebbero più vederci.»
Jack-Jack
fece una smorfia. Era vero, erano al sicuro dagli occhi indiscreti esterni, ma
non da quelli interni. Senza contare che non c’era nessuno in giro, e la città
aveva un’aria spettrale. J.J. si immaginò tutti gli
abitanti dietro alle finestre, ancora sotto ipnosi, ad avvertire i cattivi
della loro presenza. Rabbrividì. Decisamente non aveva i nervi adatti per fare
il supereroe. Dovevano solo ringraziare Edna e i suoi
speciali auricolari se potevano aggirarsi per la città senza doversi
preoccupare del rischio di trasformarsi in zombie.
La
stilista riprese il tablet: «Di qua...»
Il
gruppetto si aggirò per le vie deserte della città senza incidenti, fino a
giungere alla sede dell’Università della città.
«Sono
qui?»
«Senza
alcun dubbio, Jejè...»
«Bene. Meglio
evitare l’ingresso principale, venite.»
Jack-Jack
guidò il gruppo su un lato dell’edificio, lontano alla vista, poi prese la mano
di Steve: «Prendetevi per mano e non
lasciatevi per nessun motivo fino a che non saremo dentro. Non so cosa
possa succedere se lasciate la presa.»
Il
ragazzo sospirò e mise la mano libera sul muro. Avvolta da piccole scariche
azzurrine, questa attraversò la parete come se non ci fosse e J.J., un passo dopo l’altro, trascinò all’interno tutti i
compagni.
Steve
ridacchiò: «Se arriviamo alla fine della giornata, questa passa alla storia
come una delle cose più strane che abbia fatto in vita mia!»
Melanie
alzò un sopracciglio: «Più che passare una notte a progettare supercostumi?»
«In
effetti fanno a gara...»
J.J. fece
segno di stare in silenzio. Erano finiti in un’aula vuota e la loro voce
rimbombava.
«Edna, ora dove dobbiamo andare?»
«Giù.»
«Giù?»
«Esatto.
Almeno di un paio di piani, secondo il rilevatore.»
«D’accordo,
cerchiamo le scale, allora...»
Per un
po’ il gruppo si aggirò furtivo e attento per i corridoi, cercando di fare
attenzione al minimo rumore. Poi Steve attirò l’attenzione degli altri.
«Ragazzi,
ho trovato la piantina dell’edificio.»
Melanie
sorrise: «Ottimo! Allora, dove sono queste scale per i sotterranei?»
«È questo
il problema! Non c’è nessun piano interrato! Edna,
sei proprio sicura che il tuo rilevatore... AHI!»
Edna ritirò
la sua bacchetta: «Non insinuare sciocchezze, se i segnalatori dicono che sono
sotto, allora sono sotto!»
La
ragazza guardò nuovamente la piantina: «E allora qualcosa non quadra... tu cosa
ne pensi, J.J.? J.J.?»
Steve si
guardò intorno: «L’hanno preso!»
«Tiè!»
Il
ragazzo guardò in basso e piantò un urlo, subito zittito da Melanie. Jack-Jack
aveva usato lo stesso trucco con cui aveva attraversato la parete per entrare
sotto il pavimento, e in quel momento sembrava che la sua testa decapitata
fosse stata lasciata sul pavimento da un boia incauto.
Steve lo
mandò a quel paese a gesti: «Non-farlo-mai-più.»
Il
ragazzo fece una smorfia: «Scusate, era il metodo più veloce... ed Edna aveva ragione, qua sotto c’è un altro piano, ed è
completamente diverso da quelli che abbiamo visto!»
Steve
ricevette un’altra bacchettata: «Che ti avevo detto, ragazzo di poca fede?»
Con lo
stesso trucco di prima, Jack-Jack portò sotto tutti gli amici.
«O hanno
cambiato architetto per questa parte dell’edificio, o quello di prima si è
ubriacato di brutto prima di disegnare i sotterranei...»
Melanie
non se la sentì di dare tutti i torti a Steve. Se al piano di sopra era una
scuola piuttosto accogliente, lì sotto sembrava una via di mezzo fra un laboratorio
di uno scienziato pazzo e un corridoio di un ospedale.
Jack-Jack
fece una smorfia: «Credo che fosse lo stesso posto dove ci hanno portati ieri.»
«E dov’è il
buco che hai fatto per scappare?»
«Staranno
usando lo stesso trucco che usano per nascondere la città. Oppure hanno
sfruttato i poteri di qualche supereroe, ti ricordo che probabilmente ne hanno
parecchi prigionieri.»
«Va bene,
e ora?»
Edna passò in
testa alla carovana: «Da questa parte...»
Arrivarono
fino al fondo del corridoio, in religioso silenzio, per poi scendere ancora di
un piano. Improvvisamente Edna si fermò.
«Guardie...»
Due
uomini armati di mitra si aggiravano nel corridoio, impedendo il passaggio. J.J. si fece coraggio e, invisibile come avrebbe saputo
fare Violetta, arrivò alle loro spalle, per poi ritornare normale e sparare
loro una piccola scarica elettrica che li fece svenire.
«Scusate...»
Melanie
gli rifilò un colpetto alla nuca: «Sono i cattivi e ti scusi pure?»
Jack-Jack
si mostrò imbarazzato: «Non mi piace usare i miei poteri così...»
La
ragazza sospirò, scavalcando i corpi delle guardie. Cosa gli doveva dire?
Jack-Jack non aveva mai amato la violenza e da una parte era rassicurante
sentirlo parlare così. Finché la pensava in quel modo era ancora lui.
Edna si fermò
davanti a una porta: «Sono qui.»
J.J. annuì:
«Bene, entr...»
La
stilista gli tappò la bocca. Si erano sentite delle voci in lontananza nel
corridoio.
«Vai, Jejè, noi prenderemo tempo.»
«Voi?
Senza poteri?»
Per tutta
risposta, Edna premette un pulsante alla base della
sua bacchetta, che si ricoprì di scariche elettriche visibili a occhio nudo:
«Credevi che mi buttassi in questa avventura completamente disarmata, Jejè? Ho imparato da molto tempo a non fare affidamento su
alcun potere... e anche i tuoi amici sono armati.»
Melanie
intervenne: «Davvero?»
Edna la
ignorò: «Vai, Jejè, recupera i rinforzi. Ma vedi di
non metterci troppo.»
Il
ragazzo annuì: «Grazie.»
E
attraversò il muro.
Ed eccomi qua! Dunque, cosa troverà il nostro J.J.?
E riusciranno Melanie, Steve ed Edna, nel suo “sobrio”
costumino, a cavarsela? A proposito, vi piace la tuta di Jack-Jack?
Intanto approfitto dell’angolino per ringraziare bulmasanzo,
mergana e Fogli per i graditissimi commenti.
Fra mille
scintille azzurrine, Jack-Jack attraversò il muro, entrando nel laboratorio. Si
guardò ancora una volta le mani, mentre gli ultimi luccichii si spegnevano.
Ancora gli sembrava... incredibile quello
che gli stava accadendo. Si era ripromesso di non pensarci troppo, altrimenti
l’ansia e la paura avrebbero potuto avere il sopravvento, ma gli era bastato
trovarsi nuovamente da solo, per la prima volta da quando aveva ritrovato Steve
e Melanie, per sentirsi schiacciato dal peso della responsabilità. Prese un
profondo respiro, per poi diventare invisibile e uscire allo scoperto. Dove
poteva essere la sua famiglia?
Come se
qualcuno gli avesse letto nel pensiero, se la ritrovò davanti. Tutti e quattro
erano appesi nella stessa posizione in cui era stato imprigionato il giorno
precedente; suo padre e suo fratello nei loro supercostumi, sua mamma e sua
sorella, invece, in abiti civili.
Flash
stava cercando di dimenarsi in ogni modo, ma sua madre lo fermò: «Calmati,
tesoro, ci hai già provato, risparmia le energie.»
«No,
mamma, non è possibile che mi abbiano rallentato!»
Violetta
sospirò: «Queste catene sono fatte in modo da annullare i nostri poteri. Mi
piacerebbe poter ripetere il trucchetto che avevo
fatto con Sindrome, ma non riesco nemmeno a rendermi invisibile, ora.»
Suo
padre, invece, era stranamente calmo, così tanto che persino sua moglie si
preoccupò: «Bob, stai bene?»
L’uomo le
fece un piccolo sorriso: «Benissimo, Helen. Sto solo aspettando.»
«Cosa?»
«Chi, vorrai dire.»
Flash
sbottò: «Non per disilluderti, papà, ma questi str...»
Helen
alzò la voce: «Flash, modera le parole, soprattutto quando indossi quel
costume! Sarai maggiorenne, ma non ti permetto di usare certi termini in mia
presenza!»
«...ani professori hanno preso tutti i
supereroi in circolazione, anche quelli in abito civile, compresa la mamma, che
era solo al supermercato a fare la spesa, e Violetta, che si stava facendo gli
affari suoi in ufficio! Odio ammetterlo, ma il loro è un piano perfetto! E, in
barba a tutto il lavoro del governo per proteggere le nostre identità segrete,
gli è bastato analizzare il nostro DNA per capire che siamo tutti imparentati!
Non c’è scampo!»
Bob non
perse il suo sorriso: «Ti sbagli. Io so che
c’è ancora un supereroe in libertà, e che volente o nolente tornerà a
prenderci. Deve solo... fare il punto
della situazione, ma tornerà. Me l’ha promesso.»
Anche se
invisibile, J.J. avvampò.
Helen
abbassò il capo, con gli occhi lucidi: «Lo spero, Bob, lo spero tanto... vorrei
solo avere le mani libere per strappare Jack-Jack dalle loro grinfie... spero
che non gli abbiano fatto del male...»
Violetta
le sorrise rassicurante: «Non credo, mamma, hanno ipnotizzato i civili, ma non
hanno fatto loro del male. Vedrai che starà bene.»
«Non si
può difendere e io... se gli accadesse qualcosa e non fossi lì con lui...
io...»
«Mamma,
ti prego, non piangere. Non serve. Va tutto bene.»
Helen
alzò il volto. Proprio lì, di fronte a lei, c’era il suo bambino, con aria tesa
e preoccupata, e per un attimo pensò di avere le allucinazioni.
«Jack-Jack?»
Il
ragazzo, che si era tornato visibile e si era tirato giù il cappuccio, annuì.
«Ciao.»
Flash
sbarrò gli occhi: «J.J., che ci fai qui?»
Violetta
era sconvolta quanto lui: «Non ti ho visto entrare!»
Il
ragazzo ridacchiò imbarazzato, avvicinandosi al pannello di controllo: «Ne
discutiamo dopo, va bene? Adesso cerco di tirarvi fuori da lì...»
Bob non
disse nulla, si limitò a sorridere orgoglioso al figlio minore, che però non
stava capendo davvero nulla di quel pannello.
Flash
esclamò: «Ok, ma che ci fai conciato così? Sembri...»
Jack-Jack
lo interruppe immediatamente: «Edna. Era il prezzo
per il suo aiuto per entrare qui. Non piace neanche a me, te l’assicuro.»
Le sue
dita continuavano ad armeggiare sul touchscreen senza risultato e J.J.
iniziò a perdere la pazienza: «Oh, basta!»
Senza
rifletterci troppo, caricò il braccio destro all’indietro, per poi attraversare
con tutta la mano lo schermo. In qualche modo, era riuscito ad entrare
letteralmente dentro il programma,
aggirando tutti i codici di sicurezza e trovando finalmente quello che stava
cercando. I ceppi improvvisamente cedettero e tutta la famiglia Parr si ritrovò sbalzata sul pavimento, libera. Jack-Jack
tolse la mano dal pannello, notando che, per qualche secondo, era rimasta
virtuale, formata da reticoli verdi, per poi tornare del solito colore e
consistenza.
«Ok,
questo non mi era ancora capitato... dovrò aggiungerlo alla lista...»
Si voltò
per controllare che tutti stessero bene, ma subito dietro di lui si trovò sua
madre, che fissava alternativamente il suo volto e la sua mano con aria
sconvolta.
«J.J. ... tesoro... cosa...»
Il
ragazzo iniziò a scrollare la mano velocemente, come a voler far schizzare
dell’acqua: «Ehm... no, niente, mamma, è tutto a posto!»
«Tu...
hai... dei superpoteri?»
J.J. arrossì
così violentemente che temette di prendere fuoco, mentre Bob si limitò a dargli
una fortissima pacca sulle spalle: «Sedici anni di attesa, ma ne è valsa la
pena, eh?»
Helen
divenne rossa almeno quanto il figlio, ma di rabbia: «Bob Parr! Tu sapevi che nostro figlio,
ripeto, nostro figlio, ha dei superpoteri?»
«Te
l’avevo detto di stare tranquilla, no?»
Helen non
si tranquillizzò neanche un po’: «E da quanto lo sapevi?»
«Solo da
quando mi hanno catturato, prima non lo sapevo neanche io, te lo giuro!»
«Tu hai
sempre qualche segreto! Speravo che la storia con Sindrome ti fosse bastata, e
invece guarda qua!»
«Guarda
qua cosa? Nostro figlio è salvo e tu
ti lamenti!»
«Io...»
Helen
iniziò ad aprire e chiudere la bocca, ma senza emettere alcun suono. Lo stesso
fece Bob, fino a che entrambi non si resero conto di aver perso la voce. J.J. era in mezzo a loro, con le braccia aperte e
l’espressione esasperata.
«Sentite,
non cominciate, va bene? Sì, mamma, ho dei superpoteri nuovi di zecca da meno
di mezza giornata. No, papà, capisco che non volessi che mi trovassero, ma
potevi dare qualche segnale in più alla mamma per tranquillizzarla. Tutto il
resto della discussione sulla vostra fiducia di coppia la rimandiamo a quando
avremo risolto questo enorme casino, va bene?»
Tutta la
famiglia lo guardò sconvolta dal piglio del ragazzo, che per la prima volta non
si sentì affatto in imbarazzo.
«Adesso,
se smettete entrambi di litigare, io vi ridò la voce e andiamo a salvare tutti
gli altri, d’accordo? Fate sì con la testa se accettate.»
I
genitori annuirono e Jack-Jack abbassò le braccia.
Flash
diede una gomitata alla sorella: «Mi sa che stavolta il gene del supereroe gli
si è risvegliato davvero...»
«Buono
tu, o zittisco anche te.»
Violetta
gli si avvicinò: «Scusami, J.J., ma esattamente...
che poteri hai?»
«Quello è
parte del problema che devo risolvere una volta finita questa storia. Adesso
scusate, ma devo andare a recuperare gli altri, non so quanto possano resistere
ancora.»
«Gli
altri chi?»
«Steve,
Melanie ed Edna.»
Bob lo
guardò indignato: «Perché hai portato qui dei civili? È pericoloso...»
J.J. sbottò:
«LO SO! Ma davvero hai creduto che mi bastasse una notte per imparare a usare i
miei poteri? Per ora ho bisogno di una valvola di sicurezza e finora loro erano
gli unici disponibili. Adesso che siamo tutti insieme, magari li teletrasporto
fuori di qui, non so... ma per ora limitiamoci a raggiungerli, per favore.»
Il
ragazzo si avvicinò alla porta senza più degnare i parenti di uno sguardo.
Aveva creduto che liberandoli si sarebbe tolto quel peso che gli opprimeva il
petto, ma quello era rimasto beffardamente lì, intatto. Ora il suo pensiero era
per gli amici che aveva lasciato da soli. Era questo quello che provava sempre
un supereroe? Ansia continua? Come si
poteva vivere così ogni giorno? Più tempo passava e più si convinceva di non
avere la stoffa dell’eroe.
Aprì la
porta di colpo e si sentì mancare il fiato.
Il
corridoio era deserto.
Niente
guardie.
Niente amici.
Le mani
di J.J. iniziarono a tremare, mentre l’ansia lo
assaliva come una bestia selvaggia, portandogli via a morsi violenti tutto il
suo autocontrollo.
Cosa aveva fatto?
Cosa aveva permesso loro di fare?
Flash si
avvicinò: «Bé, dove sono?»
La voce
che udì dal suo fratellino fu poco più di un sussurro spezzato dai singulti:
«Dovevano... essere... qui...»
Per
salvare i suoi amici aveva messo in pericolo la sua famiglia.
Per
salvare la sua famiglia aveva messo in pericolo i suoi amici.
Non c’era
modo di uscire da quel circolo vizioso?
Che razza di eroe era?
Anzi, no,
che razza di persona era?
Jack-Jack
avvertì distintamente qualcosa incrinarsi nella sua anima, come se fosse sul
punto di rompersi. Se fosse accaduto non ci sarebbe stato più ritorno, lo aveva
capito. Se le sue emozioni avessero preso
il sopravvento, lui...
Improvvisamente
si sentì abbracciare con forza.
«Non
pensarci nemmeno. Ti ho detto che ti avrei fatto da valvola di sicurezza e
manterrò la parola.»
J.J.
sussultò: «Melanie? Ma che...»
Poco più
in là si udì anche una voce maschile: «Aspetta, aspetta, forse l’ho trovato...
eccolo!»
Scariche
elettriche comparvero dal nulla, per poi far apparire Steve, sempre col
cappuccio calato sul volto, ma con una specie di pistola in mano che prima non
aveva.
«Che...
cosa...»
Steve lo
ignorò per qualche secondo: «Melanie, premi la seconda J della felpa, quella in
basso.»
Dopo
pochi secondi, con lo stesso effetto ottico, anche Melanie ricomparì
fra le braccia di Jack-Jack.
La
ragazza gli sorrise: «Finalmente! Quando siamo stati attaccati, Edna ci ha fatto qualcosa ai costumi e improvvisamente
eravamo invisibili...»
Steve, abbassato
il cappuccio, armeggiò un po’ con la sua felpa: «Interessante... sembra che si
comportino come la pelle dei camaleonti, si mimetizzano con l’ambiente
circostante...»
Melanie
si staccò da J.J. e iniziò ad attaccare l’altro
ragazzo: «Ma insomma, hai passato la notte a progettare i nostri costumi e non
lo sapevi?»
«Io ho
passato la notte a progettare il costume di J.J. e
basta! I nostri sono solo opera di Edna, non sapevo
nemmeno di queste pistole paralizzanti...»
Helen,
uscendo dalla stanza dov’era stata tenuta prigioniera, intervenne: «Scusate,
ragazzi, ma dov’è Edna?»
I due
ragazzi abbassarono lo sguardo: «Ecco... quegli uomini erano troppi per noi...
così ci ha fatto quella manovra ai costumi e si è fatta catturare. Sembrava che
le guardie avessero l’esplicito ordine di non farle del male, per cui lei li ha
seguiti quasi volontariamente.»
«Quasi, anche così non ha smesso di dare
bacchettate a destra e a sinistra...»
J.J. non
riuscì a trattenere un mezzo sorriso, immaginandosi la scena. Mezzo, però, perché
ora erano al punto daccapo.
Dov’era
finita Edna?
«Signora
Mode! Benvenuta, la stavamo aspettando con ansia!»
La
donnina si guardò intorno con occhio critico. L’avevano trascinata in una sorta
di laboratorio di chimica, in compagnia di una decina di professori in camice.
Sbuffò con aria evidentemente infastidita: «Signorina, prego. E sappiate che
non sono d’accordo neanche un pochino con i vostri metodi di accogliere una
signora... e con i vostri camici! Insomma, ma guardatevi... c’è modo e modo di portare
un abito da laboratorio, fatevelo dire da un’esperta!»
L’uomo
che aveva parlato la prima volta, alto, con i capelli scuri sistemati con la
brillantina e un sorriso mellifluo, annuì: «Sappiamo bene che lei è un’esperta.
Le avevamo anche mandato una lettera un po’ di tempo fa per chiedere la sua
collaborazione.»
La donna
rispose con un gesto stizzito della mano: «E chi si ricorda? Ricevo migliaia di
lettere al giorno, sono una signora molto richiesta...»
Un altro
uomo, più basso, biondo, ma con i capelli fermati dalla stessa brillantina,
s’intromise: «Davvero? Non ricorda una lettera firmata FenixGenesis?»
La donna
sbarrò gli occhi per un istante, sorpresa. Poi riprese il controllo, offrendo
ai suoi rapitori uno dei suoi migliori sorrisi beffardi: «Oh, così eravate
voi... i pazzi che pensano di sovvertire l’ordine naturale delle cose...»
Un altro
scienziato prese la parola: «Oh, lei lo chiama “ordine naturale delle cose”? Cosa
c’è di “naturale” nei superpoteri? La parola ordine sottintende un equilibrio che ora non esiste. Perché devono
esserci persone privilegiate e altre no? Persone che sono in grado di fare cose
straordinarie e altre no?»
Edna alzò gli
occhi al cielo scuotendo la testa: «Voi vedete solo un lato della medaglia...
il rovescio è molto più pesante di quanto voi sciocchi possiate anche solo
immaginare, evidentemente.»
«Oh, si
riferisce al fatto che loro “ci salvano mettendo in pericolo la loro vita”?
Crede davvero in queste baggianate?»
«Sì, ci
credo! O non farei quello che faccio!»
«Queste
risposte mostrano una stupidità che lei in realtà non possiede, signorina Mode.
Davvero crede che con i poteri che possiedono queste persone siano davvero mai
state in pericolo?»
Edna scoppiò:
«Voi non avete idea di quanti e quanti pomeriggi e sere ho passato in compagnia
di eroi che temevano per la loro incolumità! Avere dei superpoteri non è una
passeggiata, a volte, e molto più spesso di quanto pensiate, sono pericolosi
persino per chi li possiede!»
«È
proprio per questo che abbiamo bisogno di lei. Guardi.»
Uno degli
scienziati digitò qualcosa su una tastiera e su una parete comparve un elenco
di volti, nomi e dati.
La donna
sbuffò: «La catalogazione dei superpoteri che ho sul mio hard disk è molto
meglio.»
«Era
proprio per quello che avevamo chiesto il suo aiuto. Invece, ha visto cosa ci
ha costretto a fare? A dover chiedere aiuto a tutta la popolazione della città
per poter stilare una catalogazione imprecisa e imperfetta.»
«Ah, ora
non vorrete certo farmi credere che sia successo tutto per colpa mia! Perché
non ho accettato di collaborare con dei pazzi che vogliono dare a ognuno un
superpotere senza avere la più pallida idea di cosa questo comporti! E poi
quello che avete fatto non lo definirei “chiedere aiuto”. Diamine, avete
ipnotizzato una città intera per i vostri loschi affari!»
«Convincere
tutti avrebbe richiesto tempi e risorse che non avevamo, anche con i mezzi
della nostra prestigiosa università, ma a nessuno di loro è stato fatto del
male. Non è nel nostro interesse, noi stiamo lavorando proprio per loro, per
dare a ognuno di loro un futuro migliore. Per dare a ognuno di loro proprio
quello di cui ha bisogno.»
Edna
ridacchiò amaramente: «Cioè, volete farmi credere davvero che la vostra idea
sarebbe prendere ogni persona, metterla davanti a questo schermo, dirle “scegli
il potere che vuoi” e darglielo, così, senza nulla in cambio? Signori... potete
smetterla di nascondervi dietro questa maschera di assurdo idealismo, giochiamo
a carte scoperte. Voi volete quello che ogni uomo vuole. Fama, potere, soldi...
la solita roba, insomma.»
Lo
scienziato biondo le rivolse uno sorriso mellifluo: «Quelli potrebbero essere
dei piacevoli effetti collaterali, mettiamola così.»
A quelle
parole la donna si chiuse in un serrato silenzio. Gli scienziati provarono a
insistere ancora per un po’, poi vedendo che non aveva la minima intenzione di
collaborare, la rinchiusero.
«Torneremo
fra qualche ora, per vedere se sarà più ragionevole. Potremmo toglierle fin
d’ora quegli auricolari e renderla ai nostri ordini, ma preferiremmo avere a
che fare con lei in modo meno... meccanico.
A più tardi.»
Edna di tutta
la risposta li scimmiottò finché non si furono allontanati, per poi sospirare e
sedersi in mezzo alla stanza. FenixGenesis? Insistessero pure quanto volessero, da lei non
avrebbero ricavato nulla. Erano degli sciocchi che non avevano neanche le idee
chiare su come costruire il guscio della loro fenice, figuriamoci il contenuto!
Lei, invece, aveva già un piccolo pulcino che muoveva i suoi primi incerti
passi nel mondo... e che sarebbe cresciuto abbastanza in fretta per venirla a
salvare in volo.
Jack-Jack,
nonostante le infinite capacità di cui teoricamente poteva disporre, si sentiva
impotente. La sua famiglia aveva ripreso il pieno controllo della situazione:
Violetta, suo padre e Steve si erano allontanati per cercare altri supereroi e
liberarli, mentre sua madre, Flash, Melanie e lui erano andati alla ricerca di Edna. Il ragazzo, rimasto nelle retrovie del gruppo,
trattenne a malapena un sospiro. Ma quella stupida di una stilista non poteva
mettere un rilevatore anche sul suo costume? Avrebbe semplificato a tutti la
vita!
«J.J.?»
«Dimmi,
Melanie.»
«Perché
hai quel muso lungo?»
Il
ragazzo alzò le spalle: «Per niente di particolare. Sono solo un po’
preoccupato.»
«Per Edna?»
«Per lei
e per tutto il resto. Però tu puoi stare tranquilla, ho finito d’improvvisare
mettendovi nei guai, loro sono dei professionisti e sapranno cosa fare.»
Melanie
sorrise al modo in cui l’amico, senza usare le mani, aveva indicato suo
fratello e sua madre solo con il mento.
«Sei
stato bravissimo, invece.»
«Loro avrebbero risolto la situazione in
metà del tempo, e senza “coinvolgere civili”... e soprattutto senza perdersene
per strada!»
La
ragazza gli rifilò un pugno: «Tu non hai coinvolto civili innocenti, se è
questo che ti preoccupa! Ci siamo messi in pericolo di nostra spontanea
volontà!»
«Rassicurante...
ricordatemi di portarvi tutti a fare un giro da uno psicologo quando usciremo
di qui, dovete avere tutti e tre manie di autolesionismo...»
Melanie
non ebbe modo di rispondere, perché Helen li interruppe: «Jack-Jack, potresti
aiutarci?»
Il
ragazzo alzò un sopracciglio. Cosa poteva ancora fare lui che la sua
superfamiglia non potesse fare?
La donna
gli indicò una parete: «Secondo me è sospetto: non è un muro portante, ma è
troppo spesso per essere una parete divisoria e non c’è neanche una porta.»
J.J. iniziò a
capire dove volesse arrivare sua madre: «Sospetti ci sia un passaggio segreto o
qualcosa del genere...»
Senza
troppi preamboli, il ragazzo infilò la testa attraverso il muro, facendo
sussultare il fratello dallo spavento.
«Avevi
ragione, mamma, qua c’è un laboratorio grosso almeno il triplo di quelli
precedenti. Forse è la loro base operativa.»
«Puoi
portarci dentro?»
Jack-Jack
annuì: «Datevi la mano e formate una catena.»
Nel
sentire il calore del palmo di sua madre nel suo, J.J.
non riuscì a trattenere un piccolo sorriso. A volte non li sopportava, ma in
fondo non poteva fare a meno di loro. Avrebbero affrontato il pericolo insieme, come dei veri eroi, come una
vera famiglia, per una volta, una famiglia di cui finalmente poteva ritenersi
membro a pieno titolo.
Non
doveva più avere paura, continuava a ripetersi.
Ma anche
così quel groppo allo stomaco non voleva saperne di sciogliersi.
Ed eccoci qua. La famiglia Parr
è di nuovi riunita, ma i problemi non sono finiti...
E mentre questa storia si avvia alla conclusione (ma
il prossimo, credetemi, sarà un capitolo col botto!), ringrazio Fogli e mergana per i loro commenti.
Non
appena anche Melanie ebbe attraversato il muro, J.J.
lasciò andare la mano della madre e si guardò intorno. In quella stanza erano
presenti schermi e apparecchiature decisamente più grandi e sofisticati di
quelli che avevano visto fino a quel momento. Jack-Jack non s’intendeva molto
di scienziati pazzi, ma se avesse dovuto immaginarsi lo studio di un
supercattivo non sarebbe stato molto diverso da quello che aveva davanti. Per
un secondo si chiese a cosa servissero tutti quegli strani aggeggi, ma il
sussurro della madre lo riportò alla realtà.
«Probabilmente
Edna è qui intorno.»
Aveva
ragione, erano lì per la piccola donnina isterica ma geniale. Iniziò a cercare
qualcosa che potesse avere l’aria di una prigione, anche solo una gabbia, una
leva per nascondere un passaggio segreto o chissà cos’altro.
Un rumore
lo fece trasalire e, di puro istinto, senza pensarci neanche un secondo, alzò
le mani attirando a sé quattro pistole come se fosse diventato una calamita
vivente.
I
proprietari delle armi uscirono da sotto i tavoli. Erano sette uomini in camice
bianco che lo stavano squadrando interessati, alcuni con dei sorrisi
inquietanti che al ragazzo fecero subito venire in mente proprio Edna.
«Interessante… questo non l’avevamo catalogato, vero?»
«No, ci manca… due poteri, a quanto pare.»
«Intangibilità
e magnetismo… curioso abbinamento! Come li
classifichiamo? Protezione?»
«Il primo
indubbiamente sì, sul secondo avrei qualche riserva…»
J.J. rimase
sorpreso. Tutto si aspettava dai cattivi della situazione fuorché si mettessero
ad analizzarlo sul posto!
Uno degli
scienziati si rivolse direttamente a lui: «Ti dispiacerebbe, per il bene della
ricerca, lasciarti analizzare un pochino? Sarà una cosa rapida e indolore.»
Anche se
coperto dal cappuccio, il ragazzo alzò un sopracciglio: «Ma siete impazziti?
Dopotutto quello che avete combinato vi aspettate ancora che collabori con
voi?»
Lo
scienziato alzò le spalle: «Voi “eroi” siete tutti uguali, egoisti e
megalomani, non pensate mai al bene della scienza… ma
in fondo meglio così… impareremo molto di più su di
te vivisezionandoti direttamente…»
Un
collega premette un pulsante e dei raggi laser provenienti da sopra le loro
teste si diressero dritti verso il gruppo dei salvatori. Senza rifletterci
troppo J.J. allargò le braccia, in un gesto che aveva
sempre visto fare a Violetta, e ricreò la sua stessa barriera lillà per deviare
i raggi. Al vederlo, gli scienziati interruppero immediatamente l’attacco,
esaltati come bambini.
«Avete
visto? Avete visto?»
«Tre poteri! Non ci era mai capitato un
supereroe con ben tre poteri!»
«Tre
poteri di protezione d’alto livello gestiti perfettamente! Questo è un elemento
imprescindibile per la nostra ricerca.»
«Potremmo
cambiare le sorti dell’umanità estrapolando da lui quelle informazioni…»
J.J. deglutì.
Non era sicuro di volere sapere esattamente come
volessero estrapolare informazioni da
lui, e in quel momento dopotutto era un’informazione secondaria.
Approfittando della loro distrazione, si guardò intorno alla ricerca di Edna. Inconsciamente doveva aver attivato la vista a raggi
termici, perché l’ambiente intorno a lui aveva cambiato improvvisamente colore,
diventando tutto blu e verde, con eccezione delle persone e dei computer, che
erano rossi e arancioni. Finalmente, dietro un’anonima parete, vide una sagoma
rossa inconfondibile. Strinse gli occhi fino a farli tornare normali, poi prese
un profondo respiro e si toccò una tempia.
“Mi
sentite? Sto cercando di comunicare senza che questi pazzoidi ci sentano…”
I tre
compagni sussultarono di sorpresa.
“Jack-Jack,
stai… comunicando col pensiero?”
“L’idea
era quella, Melanie, se funziona.”
“Ma
insomma, fratellino, ma quanti ca…”
“Flash,
le parole!”
“Mà, adesso mi controlli pure i pensieri?”
“Potete
continuare dopo? Non so quanto reggo il collegamento e non mi va proprio di
sentirvi litigare anche nel mio cervello…”
“Scusa
tesoro, continua pure.”
“Grazie…Edna è dietro quel muro.
A giudicare dal calore di quelli che sembrano cavi direttamente dentro la
parete, credo ci sia un passaggio segreto. Mamma, credi di riuscire ad andare a
prenderla?”
“Certo, tesoro.
Ma mi servirà un diversivo.”
“Flash,
mi aiuteresti a dare tempo alla mamma?”
“Oh-oh, cosa odono le mie orecchie? Il mio scontroso
fratellino che si abbassa a chiedere aiuto a un insopportabile supereroe!”
“Flash,
ti prego, piantala che non è proprio il momento!”
“Va bene,
va bene, d’accordo, ma quale dei tuoi mille poteri intendi usare?”
“Se lo
sapessi, te lo direi, ma saltano fuori un po’ a casaccio, non ne ho ancora un
buon controllo.”
“Va bene,
improvviserò. Ma Melanie?”
“Mi
odierai per quello che sto per dire, ma potresti di nuovo attivare l’optional
di invisibilità del costume?”
Melanie
non ebbe il tempo di rispondere, perché gli scienziati sembravano aver finito
le loro elucubrazioni sui poteri di Jack-Jack e avevano deciso di passare al contrattacco.
Flash e J.J. schizzarono in direzioni opposte, mentre
Helen si allungò verso la prigione di Edna e Melanie,
semplicemente, scomparve. Flash si buttò a tutta velocità fra gli scienziati
come un kamikaze per distrarli, J.J., non sapendo
cosa fare, alzò le braccia creando un vento fortissimo che avvantaggiasse il
fratello e disorientasse ancora di più gli avversari. Con la coda dell’occhio,
teneva sotto controllo la mamma, aspettando il momento in cui la stilista
sarebbe stata libera, con il cuore che gli batteva a tutta velocità,
rimbombandogli nelle orecchie, così forte che in quel momento, in un istante
quasi irreale, il mondo sembrò fermarsi. I rumori gli giungevano ovattati,
quasi come fosse immerso in una piscina, e le immagini sembrarono sempre più
confuse, come se ne stesse cogliendo solo delle scie colorate di movimenti
fatti o ancora da effettuare. In quel momento di caos assoluto dei sensi, però,
avvertì qualcosa di diverso, e solo in quel momento si rese conto di aver di
nuovo attivato involontariamente qualche altro potere. Impiegò ancora qualche
istante, che a lui parve infinito, prima di capire definitivamente di stare
muovendosi alla stessa velocità di Flash, che ora poteva chiaramente vedere, e
che ricambiò il suo sguardo sorpreso. Si fermò di colpo, ritrovandosi faccia a
faccia con uno degli scienziati. Dalla sorpresa, lo spinse via con più forza di
quanto avesse voluto, facendolo atterrare malamente dall’altra parte della
stanza. Si guardò le mani ancora più stupito e deglutì. Superforza, di nuovo. Era
passato nel giro di poco più di un minuto per tre poteri diversi e aveva la
netta sensazione che la situazione potesse ulteriormente sfuggirgli di mano. Chiuse
gli occhi, cercando di respirare profondamente. Lasciare fare un po’ al suo
istinto andava bene, ma forse gli aveva lasciato troppa corda, d’accordo fare
da diversivo, ma così non ci stava capendo più niente neanche lui. Si voltò
verso sua madre e finalmente vide anche Edna, per
nulla scombussolata da quanto le stava accadendo, imperturbabile come sempre.
Si stavano guardando intorno alla ricerca di una via di fuga, che però non
c’era. J.J. si morse un labbro. Giusto, era stato lui
a farli entrare, e doveva essere lui a farli uscire.
Pregando
di avere ancora in prestito per un po’ la superforza del padre, Jack-Jack
afferrò uno degli ingombranti macchinari e lo lanciò verso la parete, creando
un grosso buco.
Pur non
sapendo bene in che direzione rivolgersi, senza poterla vedere, il ragazzo
gridò: «Melanie, seguile!»
Ma quell’urlo
attirò l’attenzione degli scienziati: «Mode sta scappando!»
Doveva fermarli. Doveva permettere loro di
fuggire.
A quel
pensiero J.J. sentì le mani diventargli gelide, di un
freddo che mai aveva avvertito prima, e stranamente intuì anche razionalmente
quali poteri gli erano toccati in sorte. Alzò le braccia di colpo e fra le
donne e gli scienziati si frappose un enorme muro di ghiaccio.
«È una
questione fra noi e voi.»
Il tempo
di un respiro e Flash gli fu affianco, schiena contro schiena.
«Bel
lavoro, direi che li abbiamo ampiamente distratti.»
«Già.
Devo ricredermi, ci sai fare se ti ci metti d’impegno.»
«Grazie,
detto da te è un complimento che vale doppio!»
«Peccato
che non t’impegni mai…»
«E tu lo
fai anche troppo! Dopo tutto il casino che hai fatto, credo proprio che quelli
abbiano davvero intenzione di vivisezionarti…»
J.J. deglutì
rumorosamente e Flash, stramente, gli sorrise in modo incoraggiante: «Puoi
usare ancora i poteri di Siberius?»
«Se ti
possono essere utili, penso di sì. Cosa devo fare?»
«Aiutarmi
ad andare ancora più veloce. Se continui a distrarli così posso fermarli tutti.
A meno che non ci tenga a farlo tu, in tal caso per questa volta potrei cederti
il posto…»
«Scherzi,
vero? L’eroe sei tu, l’onore è tutto tuo!»
Flash
ridacchiò, mentre il fratello si limitò a sospirare: «E va bene, proviamoci.»
Aspettò
di sentire nuovamente le mani gelide, poi con un ampio movimento creò una pista
di ghiaccio. Flash ci si buttò subito dentro: «Perfetta così, grazie!»
Il
supereroe schizzò a tutta velocità contro gli avversari, con una foga tale da
sciogliere il ghiaccio non appena i suoi piedi lo sfioravano. Gli scienziati
cercarono di recuperare i telecomandi e le armi varie che erano sopravvissute
alla mezza devastazione avvenuta durante il primo diversivo. Uno di loro
recuperò il comando del laser, costringendo J.J. a
innalzare muri di ghiaccio qua e là per proteggere se stesso e il fratello e
riflettere i colpi. In un momento che gli sembrò favorevole, il ragazzo tentò
la sortita e sbatté violentemente il piede per terra, causando un piccolo
terremoto. Non aveva calcolato però che così, oltre a disorientare gli
scienziati, avrebbe fatto perdere a Flash la solidità della base su cui stava
correndo, facendolo inciampare.
«Ops! Scusa!»
Un
momento di distrazione che fu fatale. Lo scienziato che aveva sbattuto via in
precedenza e di cui avevano scordato tutti l’esistenza, ne approfittò per
digitare qualcosa in un computer alle loro spalle e attivare due paia di
braccia meccaniche, che in un secondo immobilizzarono J.J.
afferrandolo per le braccia e le gambe, nello stesso modo in cui era stata
fatta prigioniera la sua famiglia. Preso completamente di sorpresa, il ragazzo
andò in puro panico, pensando contemporaneamente a una marea di modi in cui
potersi liberare e non riuscendo ad attivare neanche un potere che gli
permettesse di farlo.
Gli
scienziati esultarono per aver catturato un nuovo esemplare di ricerca e
insieme il peggiore ostacolo al loro piano, ma vedere il fratello in quelle
condizioni mandò Flash su tutte le furie. Strinse i pugni e digrignò i denti,
sussurrando: «Nessuno tratta così il mio fratellino
di fronte a me…»
Raccolse
tutte le sue energie, concentrandole nelle gambe. Non aveva mai fatto uso di
quella mossa, ma per Jack-Jack, per
il suo insopportabile e apatico fratellino che non faceva che fregarsene di
qualunque responsabilità attaccando tutto e tutti, per lui, che quel giorno, per loro, aveva mostrato un coraggio che
mai e poi mai gli avrebbe attribuito, diventando, per salvarli, la cosa che più
odiava al mondo, per lui sì,
l’avrebbe fatto. Perché dopotutto aveva maledettamente ragione, lui, a
differenza sua, non si impegnava mai al massimo delle sue possibilità, pensando
sempre che la sua velocità fosse sufficiente per aggirare qualunque difficoltà
e pericolo e che dunque l’unico modo per mostrarsi straordinario, per lui,
degno almeno dei suoi genitori, che erano sempre stati costretti ad impegnarsi
molto di più, fosse sconfiggere i suoi avversari senza avere neanche un po’ di
fiatone o una goccia di sudore alla fine. Invece quel giorno J.J., mettendosi in una marea di guai, finalmente
dimostrandogli che qualcosa del mondo importava persino a lui, gli aveva
sbattuto in faccia una verità scomoda e dolorosa: non aveva importanza il tipo
e la potenza dei superpoteri, senza impegnarsi al massimo non poteva
considerarsi un vero eroe. Sì, si vergognava di fronte a quel fratellino
impacciato, che senza avere il minimo controllo delle sue capacità era riuscito
ad arrivare fino a quel punto, mettendo in gioco non solo la sua vita, ma tutte
le sue più profonde convinzioni. Era giunto il momento di restituirgli il
favore.
Per
Jack-Jack, appeso a testa in giù e immobilizzato, fu impossibile capire davvero
cosa accadde in quel secondo, e per poterlo comprendere pienamente dovette
impiegarci successivamente parecchi minuti. Se avesse potuto vedere la scena al
rallenty, avrebbe visto suo fratello puntellarsi
sulla gamba destra e fare uno scatto tremendo, così violento da lasciare incisa
sul pavimento l’impronta della sua scarpa con evidenti segni di bruciature,
correre verso il computer, armeggiarci un po’ per cercare di capire come
liberare il fratello senza riuscirci, perdere la pazienza, tirare un pugno alla
tastiera, chinarsi, sfondare con la sola forza d’urto uno dei pannelli, tirare
fuori una marea di cavi, srotolarli, andare dagli scienziati e legarli insieme,
mandando in tilt il computer e liberando il fratello. Quello di cui
quest’ultimo poté rendersi conto fu la sensazione di caduta libera, fermata
prontamente da Flash che lo afferrò al volo.
J.J. si
ritrovò fra le sue braccia, appoggiato al suo petto che, per la prima volta,
sentì sudato e in continua contrazione per il fiatone.
«Come…»
«Non ho
tenuto il nome Flash senza ragione. Velocità della luce, fratellino! Un po’
stancante, ma in un secondo si possono fare una marea di cose…
se non mi credi, dovresti udire il rumore del pugno che ho dato…ora!»
Jack-Jack,
ancora fra le braccia del fratello, trasalì. Flash aveva ragione, il rumore si
era sentito, eccome! Ma non era stato un tonfo…bensì due…
Entrambi
si voltarono, in direzioni opposte. Flash fu attirato dalla sirena poco
rassicurante che era partita dal computer che aveva appena distrutto, ma J.J., voltandosi nell’altra direzione, vide l’ultima cosa
che avrebbe mai voluto vedere.
Melanie.
Incastrata dentro un macchinario.
Coperta di sangue.
Con la
testa completamente vuota, Jack-Jack si precipitò da lei.
«Cosa… cos’è successo?»
Melanie, con
un bel taglio orizzontale sulla fronte che sanguinava imperterrito, ancora
cosciente ma parecchio ansimante, gli fece un mezzo sorriso, incapace di
muoversi ulteriormente: «Perdonami J.J., non sono stata… abbastanza veloce… per
scappare quando… me l’hai detto…»
Il
ragazzo ripercorse la sequenza degli eventi nella sua mente. Sì, le aveva detto
di fuggire, ma essendo lei invisibile, non si era assicurato che ci fosse davveroriuscita…
«Ho schivato…tutto… e poi qualcosa… mi ha quasi investita…
e il colpo… ha rotto il costume, credo…»
Nella
testa di J.J. tutto prendeva drammaticamente posto:
impossibile, per Flash, vederla… doveva averla sfiorata
alla velocità della luce, sbalzandola con una violenza inimmaginabile fin lì. E tutto perché lui le aveva detto di attivare l’invisibilità del costume. Anzi, era stato
proprio lui a erigere quel muro di
ghiaccio che le aveva impedito di salvarsi. Voleva proteggerla e invece…invece…
Quello
che nell’animo di Jack-Jack era già stato incrinato si ruppe completamente. Il
ragazzo rimase lì, immobile, con gli occhi sbarrati, sordo alle richieste del
fratello di allontanarsi subito da lì e cieco a null’altro che fosse il sangue
di Melanie. Quasi non notò che la ragazza, sforzandosi oltre ogni misura,
chiamava aiuto agitata, accorgendosi che qualcosa in lui non quadrava. Vedeva
solo rosso. Rosso sangue. Sangue sulle sue mani, sui suoi occhi, sulla sua
coscienza.
Ed
esplose.
Bob si
guardò intorno preoccupato: «Helen, senti, io entro. Ci stanno mettendo
troppo.»
Violetta
annuì: «Ha ragione papà!»
Helen
guardò Edna e Steve alla ricerca di un appoggio: «Aspettate
ancora un attimo, forse…»
La donna
trasalì. Quasi come se si fosse teletrasportato, si ritrovò davanti Flash,
ansante, accompagnato dai sette scienziati impacchettati e da una figura
piccola, gracile e ferita che teneva in braccio.
«FLASH!»
«MELANIE!»
«Oddio,
Melanie, ecco dov’eri…»
L’urlo
attirò l’attenzione della maggior parte dei supereroi liberati, che si
avvicinarono incuriositi. Il ragazzo, nonostante il fiatone, parlò velocemente
e con molta ansia: «Mi serve aiuto! Lei è ferita, ho distrutto il computer e
temo di aver fatto un pasticcio e J.J. …»
Helen lo
fermò: «Una cosa per volta o non capisco! Cosa le è successo?»
«L’ho sfiorata
mentre mi muovevo ad altissima velocità e l’ho fatta schiantare contro un
computer.»
Bob
trasalì: «Bisogna portarla subito in ospedale!»
Steve
intervenne: «Non possiamo, medici e infermieri sono ancora tutti sotto
l’effetto del fischio, non ci ascolterebbero!»
Uno degli
scienziati sbuffò: «Tanto sarebbe inutile, tra poco esploderemo tutti…»
«COSA???»
«Questo
genialoide ha distrutto in un secondo anni di lavoro, e ora sta per andare
tutto in fumo… e voi con noi, insieme a tutto il
resto della città.»
Flash
annuì imbarazzato: «Ve l’ho detto che avevo fatto un pasticcio…»
Bob cercò
di fare mente locale. Da una parte, il fatto che tutta la città fosse ancora
sotto ipnosi era un vantaggio, non sarebbero riusciti a gestire una crisi di
panico così grande; dall’altra, però, significava nessun aiuto dalla
popolazione, che anzi sarebbe rimasta inerte a saltare in aria invece che
mettersi in salvo. Prendendo un profondo respiro, chiese a Violetta di radunare
un gruppo di supereroi in grado di cercare di annullare o limitare
l’esplosione, mentre lui si sarebbe occupato di un altro gruppo volto a mettere
in salvo i cittadini. Detto questo, ognuno di loro si allontanò dagli altri.
Intanto Steve,
chino su Melanie, fece segno a tutti di stare zitti: «Sta dicendo qualcosa, non
sento se parlate anche voi!»
Con un
sussurro appena udibile, la ragazza declamò con fatica: «J.J.
… non me, J.J. … aiutatelo, io…
non posso…»
Flash
fece una smorfia: «Ecco, questa è l’ultima parte del problema…»
Helen si
fece improvvisamente seria: «Cos’è successo?»
«Non sono
riuscito a portarlo via in alcun modo. È rimasto imbambolato di fianco al
computer che sta per esplodere.»
In quel
momento un piccolo boato li fece voltare tutti. Per un attimo molti pensarono
che il macchinario fosse già esploso, ma quello che videro li lasciò tutti a
bocca aperta, mentre Steve ed Edna sbiancarono.
«No…»
Qualcosa
aveva sfondato la parete del laboratorio, ma era impossibile definirlo
ulteriormente, perché il suo aspetto e dimensione variavano in modo continuo e
inarrestabile, passando da figure pseudo umane a mostruose o a elementi
naturali, influenzando in modi sempre nuovi l’ambiente circostante. L’unica
cosa visibile e riconoscibile era un paio di occhi. Occhi rosso sangue.
Edna si
precipitò da Melanie: «Ragazzina, non dirmi che quello…»
«Aiutate…J.J. … è più…importante…J.J. …»
Steve
deglutì: «Ha perso il controllo…»
Helen
prese per il bavero Edna, sollevandola di peso:
«Cosa. È. Successo. Al. Mio. Bambino?»
La donna,
per la prima volta da quando la supereroina la conosceva, aveva gli occhi
sbarrati e spaventati: «La cosa peggiore che potesse accadere a Jèjè… non ha solo perso il controllo dei suoi infiniti
poteri, ha perso completamente la sua personalità e la sua coscienza! Quello
ora non è più Jèjè, è… non so nemmeno cosa possa
essere.»
Steve
intervenne: «Si era reso conto subito del rischio, non appena i suoi poteri si
erano risvegliati, così ha chiesto a Melanie di aiutarlo a mantenersi
cosciente, chiamandolo se necessario. Ma ora che ha passato il limite…»
Helen era
a dir poco terrorizzata. Non potevano dirle che aveva appena perso l’ultimo dei
suoi figli, non così.
Steve,
senza preavviso, corse verso la creatura. Helen allungò un braccio per fermarlo.
«Cosa
stai facendo?»
«Cerco di
salvare il mio migliore amico, ecco cosa sto facendo! Se Melanie non può più
chiamarlo, lo farò io.»
Edna lo
richiamò: «Cerca di ragionare, ragazzino! È fuori controllo, potrebbe non
riconoscerti nemmeno!»
Steve si
aggiustò gli occhiali, per non far vedere le lacrime: «Nemmeno io l’ho
riconosciuto la prima volta che ha cercato di salvarmi! Lasciatemi andare.
Voglio salvarlo! Voglio passare altri pomeriggi con lui, a ridere, a scherzare,
ad ascoltare musica insieme… vi prego…»
Helen
annuì: «Flash, vai a chiamare papà, per favore, potremmo avere bisogno di lui.
Io vado con lui. Due voci sono meglio di una.»
Edna tirò
fuori la sua amata bacchetta e gliela puntò al collo: «Tesoro, stai pensando
davvero di lasciarmi a fare da tappezzeria?»
«E
Melanie?»
Flash
intervenne: «Me ne occuperò io, dopo aver chiamato papà. Farò in fretta,
promesso. E poi è colpa mia se si è ridotta così… e
se J.J. …»
La madre
allungò il collo per schioccargli un bacio sulla guancia: «Non pensarlo nemmeno,
tesoro. Ho già i sensi di colpa di un altro figlio da calmare, non darmi altro
lavoro, ok?»
Flash,
con gli occhi leggermente lucidi, annuì, per poi sparire.
«Andiamo.»
«Jack-Jack!»
«J.J.!»
«Jèjè!»
«Tesoro,
mi senti? Sono la tua mamma!»
La
creatura senza nome e senza passato udì le voci, ma quasi non ci fece caso. Non
avevano significato, per lui. L’unica cosa che avvertiva era un profondo senso
di vuoto a cui non sapeva dare né un nome né un senso. Intravvedeva appena le
tre figure che gli giravano intorno, ma ai suoi occhi erano equivalenti a un
sasso posato sul terreno. Continuò ad avanzare, senza rallentare né accelerare.
Quasi non si rese neanche conto della bacchetta che gli venne lanciata contro e
della vocetta stridula che gli gridò: «Un minimo di rispetto
quando tua madre ti parla, Jèjè, insomma!»
Fu
l’unica voce maschile ad attirare la sua attenzione, per la prima volta:
«Capisco che sei dispiaciuto per Melanie, ma non è questo il modo di affrontare
la cosa, e lo sai!»
Melanie.
Un nome
che gli risultava familiare, in qualche modo.
Era forse il nome che poteva dare a quella
stretta nel petto?
No.
Melanie
era qualcosa di diverso, lo sapeva. Doveva solo ripescarlo dai meandri della
sua memoria. Era qualcosa di…rosso…
Un flash
a ritroso, fatto di associazioni mentali a catena.
Rosso.
Sangue.
Una ragazza coperta di sangue.
Una ragazza rimasta lì per colpa sua.
Sua.
Di un ragazzino incapace di controllare i
suoi poteri.
Un ragazzino che aveva bisogno di lei per controllarsi.
Che per colpa sua si era ridotta così.
Sua.
Di Jack-Jack Parr.
Uno stupido incapace combinaguai.
Helen
vide la creatura portarsi le mani alla testa, per poi piantare un grido di
disperazione.
«Io ho ucciso Melanie! L’ho uccisa!»
La donna
trasalì. Associare quella voce disumana al suo bambino era per lei quasi
impossibile. Vide la sua disperazione e si sentì impotente. Avrebbe voluto
proteggerlo, come ogni brava supereroina, come ogni buona madre. E invece cosa
aveva fatto per aiutarlo? Niente.
Steve,
quasi indifferente, continuò: «Non l’hai uccisa, stupido di un J.J.! È viva, tanto per cominciare. E poi non sei stato
tu!»
Quasi
come se fosse stato colta sul vivo, la creatura prese finalmente un aspetto
definito, quello infuocato, e si voltò prepotentemente verso il ragazzo: «Come fai a dire che non è colpa mia? Io le ho suggerito di rendersi invisibile, io
l’ho illusa di poter fuggire e poi le ho
sbarrato la strada! Io. L’ho. Ferita! Lei
doveva aiutarmi e io l’ho ferita! Che scusa posso avere, Steve? Quale? QUALE?»
Edna diede
una gomitata ad Helen: «La buona notizia è che a quanto pare abbiamo
recuperato, in un modo o nell’altro, il nostro Jèjè.»
«E la
cattiva?»
«Che s’incendia
sempre quando è arrabbiato e non è mai riuscito a controllare quella forma. Tra
pochi secondi si scorderà di tutto e di tutti e inizierà a incendiare qualunque
cosa si trovi di fronte.»
«Come lo
fermiamo?»
«Come
abbiamo fatto finora, tesoro, parlandogli. Ma non l’ho mai visto così furioso,
non so se basterà stavolta…»
Bob,
nascosto dietro un angolo, reclinò la testa all’indietro, appoggiandola
stancamente al muro. Era accorso non appena Flash l’aveva chiamato, ma si
sentiva comunque in tremendo ritardo. Aveva desiderato tanto per il suo figlio
più piccolo una vita super, ma non
così, non a quel prezzo. Perché era stato così sconsiderato da non dargli
ascolto, da non accontentarsi di quello che aveva? Aveva un figlio buono,
gentile, bravo a scuola e con un gran senso del dovere. Perché non l’aveva
visto fino a che non l’aveva perso?
Prese un
sospiro. Era lui che lo aveva spinto a quel punto e toccava a lui rimediare. Si
allontanò velocemente, correndo verso l’università. Nei sotterranei una ventina
di supereroi cercava in ogni modo d’impedire l’imminente esplosione. Riconobbe
immediatamente la sua bambina, che manteneva un campo di forza attorno al
macchinario per trattenere l’esplosione, e la persona che stava cercando.
«Ho
bisogno del tuo aiuto.»
Siberius gli
rifilò un’occhiataccia: «Scusa, Bob, forse non l’hai notato ma sarei un filino impegnato a congelare
un’esplosione!»
«E io sarei
molto impegnato a salvare Jack-Jack.
Ho bisogno di un favore che posso chiedere solo a te.»
L’uomo
smise immediatamente quello che stava facendo: «Ti ascolto.»
Jack-Jack
era furioso, come mai lo era stato in vita sua. Non con qualcuno in
particolare, ma con se stesso. Si sentiva stupido, idiota, incapace, inutile e
dannoso. Se avesse capito come fare, si sarebbe autodistrutto, ma non ci
riusciva. Così faceva l’unica cosa che era in suo potere, sfogare la sua rabbia
nella speranza di dimenticare il suo insopportabile dolore.
Steve si
riparò sotto una panchina per schivare una fiammata: «Non so se ho migliorato o
peggiorato la situazione…»
Edna, avendo
perso definitivamente la sua bacchetta, prese un sasso. Sconvolgerlo urlando il
suo nome e colpendolo la volta precedente aveva funzionato, poteva riprovarci.
Lanciò il sasso, ma prima che potesse anche solo aprire bocca, questo si
sciolse al contatto con il corpo di J.J., lasciandola
basita.
«Oh bè, a quanto pare Jèjè stavolta
ci sta dando dentro. È un ragazzo che s’impegna con tutto se stesso in quello
che fa, dovresti essere fiera di lui, Helen.»
«Non è il
momento di fare ironia, Edna! Io sono sempre fiera di lui, anche se forse non
glielo dico abbastanza…»
La donna
provò più volte ad allungare le braccia, ma era sempre costretta a ritirarle
per il troppo calore. Essere una donna elastica era problematico quando si
voleva abbracciare il proprio figlio in fiamme, non riusciva neppure ad
avvicinarsi che si sentiva sciogliere come cera. Era certa che l’unica cosa che
gli servisse era un po’ di consolazione e lei non poteva dargliela.
Jack-Jack,
intanto, si dirigeva proprio verso i palazzi del centro. Dimentico delle
persone che erano chiuse all’interno, desiderava solo scioglierli e bruciare
tutto, tutto, compreso il suo dolore, compresi i suoi sentimenti, compreso lui
stesso e la sua coscienza. Tanto nessuno
poteva fermarlo.
«Jack-Jack,
adesso basta.»
La
creatura di fuoco sussultò dalla sorpresa, non tanto per il tono di voce calmo,
quanto per la mano sulla spalla che lo teneva con presa salda e sicura. Chi
poteva essere in grado di toccarlo a quelle temperature?
Si voltò,
trovandosi faccia a faccia con suo padre, che, seppur con gli occhi lucidi, gli
sorrideva orgoglioso: «Sei stato bravo, bravissimo, hai fatto molto più di
quello che dovevi. Sono orgoglioso di te, da molto tempo, non solo da oggi.»
«Ma…Melanie…»
«Sai
quante persone abbiamo sulla coscienza io e la mamma? Tante, tantissime. È
umano commettere degli errori, e anche noi siamo esseri umani, anche se a volte
le persone sembrano dimenticarlo. Anche noi ci siamo sentiti come te. Ogni
volta fa male, malissimo, ma per fortuna!
Quando smetteremo di sentire questo dolore, smetteremo non solo di essere eroi,
ma persone degne di questo nome. Però non devi affrontarlo da solo, mai, o ti sembrerà di soffocare. Ci
siamo noi per te. Tutti.»
Lacrime
di lava scesero sul volto di J.J., che per asciugarle
abbassò il volto. Solo allora notò il braccio sinistro che stringeva con forza
la sua spalla. Non era bruciato, né avrebbe mai potuto esserlo. Era
completamente congelato, incastonato in un ghiaccio così spesso che ancora non
aveva iniziato a sciogliersi.
«Papà…cosa…»
Di tutta
risposta l’uomo lo strattonò al petto: «Un braccio vale molto ma molto meno di
un figlio…di
te, così come sei. Ti voglio bene, Jack-Jack.»
Il calore
di quell’abbraccio e di quelle parole rotte dall’emozione fu così forte che al
confronto J.J. si sentì un mucchietto di cenere
fredda, e si spense, piangendo disperatamente al petto del padre, che lo cinse
con entrambe le braccia.
Da
lontano, Melanie sorrise nel vedere nuovamente Jack-Jack in forma umana, e il
sollievo fu così grande che finalmente si sentì libera di perdere i sensi fra
le braccia di Flash.
Il
silenzio completo fu rotto delicatamente da qualche piccolo rumore di
sottofondo, che la fece passare in dormiveglia. Molte volte Morfeo cercò di
riprenderla fra le sue calde braccia e le ci volle un tempo che le parve quasi
infinito prima che trovasse la forza di aprire gli occhi. Sbatté le palpebre
più e più volte, fino a mettere fuoco i volti che aveva davanti.
«Melanie!»
«Melanie!»
«Ti sei
svegliata!»
«Finalmente…»
La
ragazza dovette inumidirsi un po’ le labbra prima di poter rispondere: «Steve…J.J. …»
Sbarrò
gli occhi, cercando di mettersi seduta: «J.J.! Come…»
Una fitta
alla schiena la costrinse a desistere dal suo tentativo di alzarsi. I ragazzi
subito le furono affianco, cercando di sostenerla e di riappoggiarla con
delicatezza sul letto d’ospedale. Jack-Jack, con gli occhi un po’ lucidi, le
sorrise: «Calma, calma. Mi dispiace, ma temo che dovrai prenderti un po’ di
riposo forzato dopo quest’avventura.»
«Quanto?»
Steve le
rivolse un mezzo sorriso: «Almeno due mesi. Hai tre costole rotte, un paio di
distorsioni al ginocchio e alla spalla e si è appena riassorbito l’ematoma al
cervello.»
La
ragazza esclamò con voce allarmata: «L’ammissione al conservatorio!»
Steve
sospirò: «Temo che dovrai rimandarla…»
La
ragazza alzò un braccio, legato da flebo e cerotti, per toccarsi la fronte,
trovando un grosso cerotto che l’attraversava.
J.J. fece una
smorfia: «Di quello potrebbe rimanerti la cicatrice. Mi dispiace…»
Melanie
scosse appena la testa: «Non fa nulla. Cos’è successo? Ricordo che tuo padre ti
abbracciava e poi…»
Steve
continuò per lei: «… poi finalmente gli altri supereroi sono riusciti a impedire
l’esplosione del computer e a disattivare il fischio ipnotico e la
mimetizzazione della città. Così abbiamo potuto portare te in ospedale, gli
scienziati pazzi in carcere e subire l’assalto di tutte le persone che erano
appostate fuori dalla città.»
Jack-Jack
rabbrividì: «Non voglio mai più avere a che fare con così tanti giornalisti… sono riuscito a dileguarmi prima che
iniziassero a subissarmi di domande, ma sono comunque riusciti a scattarmi
delle fotografie e la stampa si sta facendo mille domande sul “nuovo supereroe
della città”. Edna se lo sogna che rimetta quel
costume, ma neanche…»
Melanie
rise nel vedere le smorfie sul volto dell’amico, ma dovette smettere quasi
subito per il dolore.
«Quanto
sono rimasta qui?»
«Una
settimana. A me è toccato l’ingrato compito di sorvegliare questo qua…»
E rifilò
a J.J. una gomitata nelle costole.
«… prima
che non vedendoti sveglia gli prendesse un altro attacco di sensi di colpa. Uno
ci è bastato e avanzato.»
Melanie
sbarrò gli occhi: «E tuo padre? Il suo braccio?»
Jack-Jack
sospirò: «Stavo per avere un’altra crisi di sensi di colpa quando ho visto che
si era fatto ibernare il braccio per me, ma ho sottovalutato la sua
invulnerabilità. Qualche mese di riabilitazione e dovrebbe tornare come prima,
per questa volta ha scampato l’amputazione, ma i medici, e soprattutto Siberius, gli hanno fatto presente che non è più un
giovanotto e che è meglio che eviti altri colpi di testa.»
La
ragazza sorrise sollevata: «Meno male… e tu?»
J.J. sospirò:
«Io cosa?»
«I tuoi
poteri? Li hai ancora o sono spariti di nuovo?»
Di tutta
risposta il ragazzo prese un bicchiere di vetro dal comodino, allungò il dito
indice e dalla punta partì un piccolo getto d’acqua che lo riempì in pochi
secondi. Glielo porse.
«Lievemente
frizzante, come piace a te.»
Melanie
prese il bicchiere ma non bevve: «Cosa ti succederà, ora?»
«Ho già
fatto tutte le visite prescritte dal Governo, e sono arrivati alle stesse
conclusioni di Edna. Morale della favola: avrò a mia
disposizione vita natural durante uno psicologo e uno
psicanalista completamente spesati e pronti ad aiutarmi a controllare le mie
emozioni e miei poteri. Mi hanno addirittura offerto uno stipendio da favola se
accettavo di diventare un supereroe a tempo pieno.»
«Ma tu
hai rifiutato.»
«Esattamente.
Questa città ha già abbastanza supereroi, meno problematici e pericolosi di me,
e troppi pochi odontoiatri.»
La
ragazza ridacchiò: «Questo è il Jack-Jack che conosco!»
«Ma ho
accettato di sottopormi a un duro addestramento. Non sarò un supereroe, ma devo
assolutamente imparare ad usare e controllare i miei poteri. Ho assicurato
tutti che seguirò la natura dei miei poteri, e se ce ne sarà bisogno, solo e soltanto se ce ne sarà bisogno,
ritirerò fuori il costume di Edna e mi renderò utile.
I fondo i miei poteri funzionano solo in caso di necessità, no? E stavolta
sembrano tutti d’accordo, persino papà! Vuoi mettere? Potrò essere l’unico
odontoiatra per supereroi!»
J.J. l’aveva
messa sul ridere, ma la settimana che aveva passato era stata davvero pesante,
e solo in quel momento, in cui vedeva nuovamente il sorriso di Melanie, si
sentiva finalmente libero da quel peso e pronto ad affrontare quello che lo
aspettava. Steve aggiunse con un sorriso: «E lo sai che Edna
mi vuole assumere come apprendista?»
«No!
Davvero?»
«Dice che
con il dovuto addestramento potrei cavarmela nel campo della moda supereroistica. Ma mi preoccupa molto la parola addestramento, conoscendola…»
Rimasero
a chiacchierare, ancora per un po’, poi J.J. si alzò.
«Scusate,
ma devo andare dallo psicologo. Buona guarigione, Melanie.»
Fece per
allontanarsi, ma Melanie lo afferrò delicatamente per il polso. Conosceva
quello sguardo, ormai, e aveva capito cosa stava passando per la testa del
ragazzo.
«Tornerai,
vero?»
Il
ragazzo sentì il cuore riempirsi di gioia. Era pronto ad allontanarsi per
sempre da lei, per non metterla più in pericolo, ma in fondo aveva sperato con
tutto se stesso in quelle parole. Con la coda dell’occhio, vide Steve sorridere
e fargli un segno d’incoraggiamento con la testa.
«Ogni
volta che avrai bisogno di me.»
Ciao! Dunque, si direbbe che la storia sia finita... ma nessuno ha notato
che non è ancora comparsa la dicitura “completa”? Già, perché ho deciso di fare
un piccolo extra, qualcosa per farvi capire come andrà la vita di J.J. d’ora in poi.
Per intanto ringrazio mergana per l’ultimo
commento e tutti quelli che mi hanno seguita, vi aspetto per l’ultimo saluto a
Jack-Jack e compagnia!
Capitolo 7 *** Extra- In una notte di follia... ***
-Extra-
Tre anni dopo, in una notte di follia…
Il
telefono squillò un paio di volte, prima che una mano svogliata e addormentata
si decidesse a trascinarsi faticosamente sul comodino e ad afferrare
l’apparecchio. La proprietaria del cellulare aprì a fatica un occhio, per
leggere l’ora e il nome di chi aveva osato svegliarla, poi con un sbuffo
rispose con voce impastata e infastidita.
«Steve,
dimmi che hai un ottimo motivo per svegliarmi alle due la notte prima della
partenza della tournee dell’orchestra sinfonica, o verrò lì solo per malmenarti
reiteratamente con il primo oggetto che trovo in cucina, sappilo. E sarai
fortunato se si tratterà di un mattarello!»
La
ragazza rimase in silenzio per qualche secondo ad ascoltare la risposta, per
poi sbarrare gli occhi, completamente sveglia: «Tu hai fatto che cosa???»
Dieci
minuti dopo era in strada, vestita con i primi abiti che aveva trovato e che
non fossero già stati messi in valigia, correndo verso il centro della città e
maledicendosi per non aver fatto il pieno al motorino.
«Massì, Melanie, non fare il pieno, tanto a cosa ti serve?
Starai via due settimane con l’orchestra, lo fai quando torni! Stupida,
stupida, stupida!»
Girato
l’angolo, per poco non andò a sbattere contro la persona che l’aveva chiamata:
«Steve!»
«Eccoti,
per fortuna! Ho pensato di venirti incontro…»
«E me
l’hai lasciato da solo?»
«Sembrava
abbastanza innocuo, ora…»
Melanie
trattenne a fatica l’istinto di tirare una capocciata in fronte al suo migliore
amico: «Guarda, stai solo zitto, che stanotte ne hai già combinate abbastanza!
Portami da lui e spiegami che avete combinato!»
Steve
protestò: «Guarda che non volevo fare nulla di male! Volevo solo festeggiare la
mia ammissione al corso di fisica applicata e la sua ad odontoiatria…»
Melanie
non ce la fece più e lo afferrò per la maglietta: «Non volevi fare nulla di
male??? Steve, mi hai fatto ubriacare uno dotato di superpoteri!!! Jack-Jack,
poi, che sai benissimo che se perde il controllo diventa pericolosissimo per sé
e per gli altri!!! Non ti è bastato quello che è successo tre anni fa???
L’apprendistato con Edna non ti ha insegnato
nulla???»
Il
ragazzo iniziò a piagnucolare: «Io non volevo farlo ubriacare, giuro, l’ho solo
portato in un pub per due patatine e una birra, niente di più! Neanche troppo
alcolica! Come facevo a sapere che J.J. non regge
completamente l’alcool? Me ne sono accorto solo quando ha bevuto il primo sorso
e il suo volto ha iniziato a cambiare colore…letteralmente, non in senso figurato,
sembrava diventato un espositore di evidenziatori talmente erano tonalità
accese! Rosso, giallo, blu, rosa, viola, verde, bianco, nero…
mi sono messo le mani nei capelli e ho cercato di fargliela sputare, ma ormai
l’aveva inghiottita. E poi ha iniziato a comportarsi come se di birre ne avesse
bevute una cinquantina, completamente fuso, lo sguardo vitreo, il singhiozzo,
la voce impastata… hai presente il classico
vecchietto ubriaco dei film western? Ecco, uguale! Si è messo a sparlare di suo
fratello, che era un pallone gonfiato, che se avessero fatto una gara di corsa
probabilmente lo batteva, che lui era entrato all’università e Flash no…»
«E poi?»
«E poi ha
iniziato a muovere un dito, come se dirigesse un’orchestra, si è messo a
parlare di te, della tua tournee, che era contento che fossi così brava da
poter andare in giro a suonare, ma che gli saresti mancata…
e le luci hanno iniziato ad accendersi e a spegnersi al suo comando. Sembrava
divertito, così si è messo a far muovere le scope, dicendo che gli mancava solo
il cappello da mago… prima che gli venisse in mente
di allagare il locale ho cercato di portarlo via, ma lui non voleva. Così l’ho
sfidato.»
«Steve,
ogni secondo che passa la mia stima per te perde punti, sappilo…»
«Avevi
idee migliori? Gli ho solo chiesto se era in grado di rimpicciolirsi così tanto
da entrare nella mia scatola di gomme da masticare. Era semplice, no? Così
rimpicciolito lo riportavo a casa senza problemi, magari i suoi genitori sanno
come fare fronte a delle super sbronze, ho pensato così…»
«E
invece?»
Steve non
rispose, si limitò a trascinare Melanie dietro l’ennesimo angolo. La ragazza
rimase a bocca spalancata. Erano arrivati al parco al centro della città, ma
tutti gli enormi palazzi che lo circondavano erano completamente ricoperti di
una sostanza rosa e appiccicaticcia.
«Cos’avete
combinato???»
Il
ragazzo fece una smorfia: «A un certo punto J.J. ha
fatto letteralmente esplodere la scatoletta in cui l’avevo rinchiuso, insieme
alla borsa e a tutto il resto… guarda, sopra
quell’albero vedi quello che rimane della mio “Fisica per supereroi”…»
«Ma chi
se ne frega del tuo libro!»
«Parla
per te, là dentro avevo tutti i libri del corso, non costano poco!»
Melanie
iniziò a sfregarsi la fronte con indice e medio, passando ripetutamente le dita
avanti e indietro sulla cicatrice che gliela attraversava da parte a parte, in
un vizio che aveva preso da qualche anno quando si metteva a riflettere sulla
situazione: «E J.J.?»
«Me lo
sono ritrovato davanti, che rideva di fronte a questo macello, e si è ancora
scusato dicendo che là dentro si sentiva soffocare… e
poi ho pensato che fosse meglio chiamarti. In fondo sei la sua ragazza, sei
comunque ancora la persona che riesce a tenerlo più sotto controllo quando gli
prendono i cinque minuti di onnipotenza!»
«E allora
perché non mi hai chiamato prima?»
«Pensavo
che fosse una cosa passeggera e di poterlo controllare anch’io…
fino a quando non ho visto quello…»
Il dito
di Steve fece spostare lo sguardo della ragazza verso il lago. Una figura ci
stava pattinando sopra come se fosse ghiacciato, anche se erano a inizio
settembre e la colonnina di mercurio era ben al di sopra dei venticinque gradi.
Le ci volle un po’ per identificarla, perché l’ombra sul lago era un po’
strana: con una mano di fronte a sé ghiacciava l’acqua, con l’altra, rivolta
verso l’alto, sparava caramelle e cioccolatini colorati gridando di gioia.
Melanie
sbarrò gli occhi: «Un attimo… sta usando due poteri contemporaneamente? Non
dovrebbe poterlo fare!»
Steve
agitò le braccia: «È per questo che
ti ho chiamata!»
Melanie
sospirò: «Ok, ok… adesso ci parlo io…»
Schivando
ad ogni passo roba zuccherosa e appiccicaticcia che ricopriva il pavimento e
penzolava dai rami degli alberi e che sembrava volersi attaccare per forza alle
sue scarpe e ai suoi capelli, in qualche modo la ragazza raggiunse la sponda
del lago e lì trasalì dalla sorpresa. Il suo fidanzato, ben lungi dall’aver
smaltito la sbornia, aveva smesso di lanciare caramelle, ma aveva ghiacciato
completamente il lago, in qualche modo si era sbiancato i capelli fino a renderli
di un biondo platino lucidissimo e si era messo a cantare a squarciagola la
canzone della regina delle nevi. Melanie rabbrividì, e non per il freddo.
«Per te
niente più alcool e cartoni animati, a quanto pare hanno brutti effetti sulla
tua psiche, eh tesoro?»
Prima che
con un gesto creasse anche lui un castello di ghiaccio nel bel mezzo della
città, che avrebbe sicuramente fatto la gioia di tutti i bambini e di Siberius, ma un po’ meno quella del resto della
popolazione, si fece avanti gridando con tutta la sua voce: «J.J.! Jack-Jack, mi senti?»
Il
ragazzo smise di cantare, si voltò verso di lei e le donò un sorriso
meraviglioso, con pura gioia negli occhi, come un bambino: «Melanie! Sei qui!»
In un
attimo fu di fronte a lei ad afferrarle le mani: «Che bello, che bello, volevo
tanto averti qui e tu sei venuta!»
Melanie,
abituata a un ragazzo decisamente più introverso, si ritrovò un po’ spiazzata:
«Ehm… sì, J.J., sono qui,
adesso. Però…»
«Vieni!»
Con un
gesto la trascinò sul ghiaccio. Melanie sentì l’equilibrio venirle meno, ma
subito Jack-Jack l’abbracciò, stringendola stretta al petto.
«J.J.?»
«Dici
sempre che non sono abbastanza romantico… balliamo!»
La
ragazza alzò gli occhi, notando che, almeno, i capelli del suo fidanzato erano
tornati del solito colore: «Ehm… guarda, non mi
sembra il caso… e poi non c’è neanche la musica e io
non mi reggo in piedi…»
Jack-Jack
sorrise e schioccò le dita. Un valzer si diffuse nell’aria, anche se non fu
chiaro da dove provenisse, e Melanie improvvisamente si sentì più sicura su
quella superficie scivolosa. Un altro schiocco e dei fiocchi di ghiaccio
enormi, visibili a occhio nudo, iniziarono a cadere dal cielo su di loro, dando
al tutto un’atmosfera magica. Senza dire altro, J.J.
la prese e iniziò a ballare. La ragazza si ritrovò completamente spiazzata. Sì,
è vero, gli aveva rimproverato un paio di volte di non essere molto romantico,
ma mai si sarebbe aspettata tutto questo per lei. Il cuore iniziò a batterle
forte, le guance le divennero tutte rosse e le ci volle un grosso sforzo per
trovare il coraggio di dire: «Tesoro, è meraviglioso…
ma forse adesso è meglio che ci fermiamo, eh?»
J.J. la
guardò sorpreso, poi con aria delusa disse: «Tu non ti stai divertendo perché
non sei ubriaca.»
La
ragazza sorrise intenerita: «No, non sono ubriaca, anche se apprezzo cosa stai
facendo per me. Dai, vieni, domattina, quando ti sarà passata la sbronza, ti
racconteremo questa serata e ti farai anche tu quattro risate, se non ti
nasconderai a vita per l’imbarazzo dentro l’armadio…»
Jack-Jack
non dava impressione di aver ascoltato le sue parole: «Ma possiamo rimediare…»
Melanie
impiegò qualche secondo di troppo ad afferrare il significato di quelle parole.
Il ragazzo le prese con forza le braccia e lei si ritrovò a cercare di
divincolarsi: «No, no, Jack-Jack, cosa stai facendo? Lasciami, mi fai male!»
Le mani
del ragazzo divennero improvvisamente calde e Melanie smise immediatamente di
lottare, mentre il suo sguardo si appannò di colpo. Un attimo dopo le sfuggì un
singhiozzo e una risatina. J.J. le sorrise: «Visto?
Adesso che siamo ubriachi tutti e due ci divertiremo di più!»
Melanie
gli rispose con voce impastata: «Non dovevi, domani mattina ce ne pentiremo
tutti e due… ero io che dovevo far rinsavire te, non
tu ubriacare me…»
Il
ragazzo alzò le spalle: «Adesso è stanotte, non domani mattina. Adesso
balliamo. Tu sei la mia principessa e questa è una sala da ballo dal pavimento luuucidissimo… hai visto che bel lavoro fanno le cameriere
con la cera? Ti puoi persino specchiare!»
Sulle
sponde del lago, Steve era a dir poco disperato. Tutto si sarebbe aspettato
fuorché la messa fuori gioco del suo asso nella manica. Cercando di contenere
la crisi di panico, con pochi risultati, prese il cellulare, fortemente
indeciso se chiamare la famiglia di Jack-Jack, il suo psicologo, il governo o
tutti e tre. Con terrore, si accorse che il telefono era scarico.
«Maledizione,
ma com’è possibile? L’ho caricato appena prima di uscire! Come…»
Lo
sguardo si alzò verso l’amico. Possibile che nella sua follia fosse ancora
stato abbastanza lucido da avergli impedito di chiamare chi non voleva?
Melanie,
più fusa di quanto avesse creduto, si lasciò cadere fra le braccia del suo
amato, che prontamente la prese.
«Vuoi
fare una pausa?»
La
ragazza annuì e J.J. fermò la musica.
«Sai, ho
sempre desiderato chiederti una cosa… ma da sobria
non lo farei mai…»
«Ma
adesso sei ubriaca e puoi chiedermi tuuutto quello
che vuoi. Tranne la milza. Quella non saprei come dartela.»
La
ragazza si avvicinò all’orecchio e sussurrò qualcosa. Il volto di Jack-Jack
s’illuminò.
«Ma certo
che si può fare! Tieniti forte!»
Melanie
si strinse al petto del suo amato, mentre lui l’abbracciava con un braccio,
alzava un pugno e i suoi piedi si staccavano lentamente dal terreno.
Steve si
mise le mani nei capelli: «No, no, no, no…»
«Si
vola!!!»
Steve
cercò di buttarsi verso il lago, nel tentativo di aggrapparsi alle gambe
dell’amico e trattenerlo a terra, ma scivolò sul ghiaccio prima ancora che
potesse sfiorarlo.
«No,
fermatevi, vi prego!»
Ma le sue
parole vennero completamente sovrastate dal grido di gioia di Melanie quando i
due in pochi secondi si ritrovarono più in alto dei grattacieli che li
circondavano, ancora ricoperti da gomma da masticare: «È bellissimo! Sembra di
poter toccare le stelle!»
J.J. fece una
smorfia: «Quello non te lo faccio fare, che poi mi soffochi…
e poi la stella è fatta di ghiaccio, ti si scioglie in mano…»
Di tutta
risposta, lei gli tirò un pugnetto al petto: «Ecco,
vedi? Tu non sai essere romantico, è un modo di dire! Volevo dire che è una
grande emozione…»
Gli occhi
di Jack-Jack s’illuminarono di uno strano luccichio: «Vuoi un’emozione ancora
più grande?»
«Sì!»
«Va bene…»
E senza
preavviso la lasciò andare.
«Eh?»
Melanie
impiegò qualche secondo a capire di essere in caduta libera. L’aria che le
fendeva il volto e il corpo fu così violenta che quasi le tolse il respiro.
Quella sensazione, l’improvvisa consapevolezza di star precipitando o, forse,
il mancato contatto con J.J. che la manteneva
ubriaca, la fecero improvvisamente rinsavire. Si ritrovò perfettamente lucida
in pericolo di vita e non poté fare altro che gridare terrorizzata.
«JACK-JACK!!!»
Il
ragazzo, dal canto suo, stava guardando l’orologio che aveva al polso: «Voglio
proprio vedere se riesco a salvarla più velocemente di Flash…
quanto dovrò aspettare ancora?»
«JACK-JACK!!!»
«Oh,
uffa, e va bene… se grida ancora un po’ quella mi
sveglia mezza città e mi rovina il divertimento…»
Veloce
come un razzo, il ragazzo si precipitò sotto di lei e l’afferrò al volo fra le
braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Eccomi, eccomi! Mi
stavi spaccando i timpani, sai? Piaciuta la discesa?»
Melanie,
ancora col fiatone, lo guardò con serietà e un pizzico di paura per il rischio
appena corso: «Ascoltami bene, tesoro.»
«Dimmi,
amore.»
«Mi dici
sempre che i tuoi poteri funzionano sempre solo quando ne hai bisogno, vero?»
«Sì,
esatto!»
«Bene…J.J., io ho un estremo bisogno che tu torni perfettamente
sobrio. ORA!»
Il
ragazzo continuò a guardarla con quello strano sorriso sulle labbra. Poi, gli
occhi gli si chiusero lentamente, li strizzò forte e li riaprì di colpo.
«Melanie?»
La
ragazza tirò un sospirone di sollievo: «Sì, J.J.,
sono io.»
Jack-Jack
la guardò perplesso: «Perché sei fra le mie braccia?»
Lei fece
una smorfia divertita: «Non ricordi nulla, vero?»
«No… ero con Steve al pub, stavo mangiando due patatine e…»
«E hai un
gran cerchio alla testa, vero? Magari pure un po’ di nausea.»
«E tu come…»
Melanie
gli mise un dito sulle labbra: «Te lo spiego dopo. Ora mi devi fare un favore
enorme, anche se odi farlo. Sei in grado di usare i tuoi poteri per sistemare
il casino che ci circonda?»
J.J. si
guardò intorno, sorpreso: «E qua cosa…»
«Dopo, ti
ho detto! Puoi farlo sì o no?»
Il
ragazzo annuì. Come se qualcuno avesse tirato indietro le lancette
dell’orologio, i palazzi tornarono puliti, le caramelle scomparvero e il lago
si sghiacciò.
Melanie
tirò l’ennesimo sospiro di sollievo. Quanto era difficile essere la fidanzata
di un possibile supereroe! Gli diede un bacio sulla guancia: «Bravo… ora mi puoi far scendere?»
E mentre
la ragazza riguadagnava il terreno, Steve saltò fuori da un cespuglio: «La
prossima volta che scongelate un lago, assicuratevi prima che non ci sia sopra!
C’è mancato un pelo che non mi facessi anche un bagno, stanotte!»
La
ragazza gli fece una linguaccia, raccogliendo qualcosa da terra: «Ti sarebbe
stato solo bene! Così impari a fare più attenzione, la prossima volta. Tò, J.J. è stato così gentile da
ricostruirti anche libri e borsa!»
«La mia
Fisica per supereroi!»
«E
adesso, signori, se non vi dispiace, me ne tornerei a dormire, che dom…stamattina mi aspetta una levataccia.
Buonanotte! J.J., chiamami domani non appena ti sarai
un po’ ripreso!»
E mentre
la ragazza, esausta, si riavviava verso casa, Jack-Jack rimase basito.
«Ma si
può sapere cos’è successo?»
«Te lo
racconto domani! Ora andiamo a dormire, per favore!»
Ancora
più confuso di prima, J.J. si avviò dietro l’amico.
«Vabbè… chi li capisce è bravo!»
E con questo piccolo capitoletto si chiude la storia di Jack-Jack Parr. Questo è un pensiero speciale per Liberty89, che
quando le raccontai l’idea per questa storia mi fece vedere un capitolo di un
fumetto chiamato Maschera Gialla dove effettivamente il protagonista può avere
tutti i poteri esistenti... ma a caso! Tranne quando è ubriaco, come nel capitolo
che mi mostrò, a cui questo è un piccolo omaggio. Anche in questo caso mi sono
divertita a mettere qua e là un po’ di citazioni disneyane, ma sono facili da
trovare! Ah, il libro “Fisica per supereroi” esiste davvero, l’autore è James Kakaklios ed è molto carino.
Per ultimo, come sempre, ringrazio tutti:
·Chi l’ha messa fra le preferite, ovvero Fogli;
·Chi l’ha messa fra le seguite, ovvero bulmasanzo;
·Chi l’ha messa fra le ricordate, ovvero Fireslot;
·Chi ha commentato, ovvero bulmasanzo, mergana, HelloAutumn_ e Fogli.
Non so se tornerò a scrivere su questo fandom,
ma se mi verrà un’idea la vedrete.
p.s. ora spero solo che, visto che hanno
appena annunciato il sequel, la trama non sia simile a questa... XD