Rivali

di TheMask
(/viewuser.php?uid=138953)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si occupa! ***
Capitolo 2: *** Mello ha un dubbio orientamento sessuale, e il preside è un grandissimo... immaginate cosa! ***
Capitolo 3: *** Scream and roofs... ***
Capitolo 4: *** unexpected appointments ***
Capitolo 5: *** Gli occhi della pazzia... e non solo di quella... ***
Capitolo 6: *** Non si possono mettere parolacce nel titolo del capitolo, eh? ***
Capitolo 7: *** Oh, santi dei! Ma che diamine ci fanno li? ***
Capitolo 8: *** Picchiarsi fa bene all'amicizia! ***
Capitolo 9: *** Si torna a casa ***
Capitolo 10: *** Svolta inaspettata! ***
Capitolo 11: *** Un vecchio amico ***
Capitolo 12: *** Un altra mattina non proprio tranquilla ***
Capitolo 13: *** Rabbia ***
Capitolo 14: *** Intervalli movimentati, ma per fortuna meno del solito ***
Capitolo 15: *** Finalmente un po' di risposte! ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** Riassemblamento dei pezzi ***
Capitolo 18: *** La festa di Ani- 1 ***
Capitolo 19: *** Festa di Ani - 2 ***
Capitolo 20: *** I Matt fanno casino ***
Capitolo 21: *** Explain it! ***
Capitolo 22: *** Capitolo intermedio- ***
Capitolo 23: *** Stallo ***
Capitolo 24: *** Sembra che la legge di Murphy fallisca; ***
Capitolo 25: *** Legami vecchi e nuovi ***
Capitolo 26: *** Da cosa nasce cosa; ***
Capitolo 27: *** Mal di testa ***
Capitolo 28: *** Rospi magici e pizze al trancio; ***
Capitolo 29: *** Qualcosa si muove nell'ombra ***
Capitolo 30: *** Interferenze; ***
Capitolo 31: *** Il cancello è testimone di molti litigi; ***
Capitolo 32: *** Assenza ***
Capitolo 33: *** Le parole sono idee, le idee sono libertà; ***
Capitolo 34: *** Ritrovo; ***
Capitolo 35: *** Scoperte ***
Capitolo 36: *** Scosse ***
Capitolo 37: *** Ascolta; ***
Capitolo 38: *** Scontri; ***
Capitolo 39: *** Sarebbe meglio non capire; ***
Capitolo 40: *** Trame nascoste ***
Capitolo 41: *** Tranello ***
Capitolo 42: *** Pre-live ***
Capitolo 43: *** Il loro live ***
Capitolo 44: *** Il nostro live ***
Capitolo 45: *** BOTTE! BOTTE! ***
Capitolo 46: *** Notte; ***
Capitolo 47: *** Mattina ***
Capitolo 48: *** Parliamone; ***
Capitolo 49: *** Pare mentali ***
Capitolo 50: *** Make love not war ***
Capitolo 51: *** Keep calm ***
Capitolo 52: *** Love is in the air ***
Capitolo 53: *** Sorpresa! ***
Capitolo 54: *** Convergenze ***
Capitolo 55: *** Il piano di Mello ***
Capitolo 56: *** SBAAAAM ***



Capitolo 1
*** Si occupa! ***


ecco un'altra ff di una povera idiota!!!! buona lettura se sarete abbastanza stoici!!!
Adoro la mattina della domenica.
Mi sveglio sempre presto.
Prendo il cane ed esco.
Se c’è una cosa che mi piace è la città di mattina.
Una luce…
Io e Nacho camminiamo per le strade per il vero gusto di farlo.
Le poche persone che ci sono camminano talmente in fretta ce sembrano le ombre fuggevoli del giorno morente.
Tutto è come… ovattato…
Andiamo un po’ dappertutto, fino a che, alle otto e mezza circa, non decidiamo che abbiamo fame.
Così ci prendiamo una bella brioche al cioccolato e ce la dividiamo su una qualsiasi panchina.
Dopodiché ci dirigiamo a scuola, dove abbiamo appuntamento coi nostri amici.
Stamani nulla i questo programma è cambiato, e ora sono seduta sui gradini della scuola con Nacho al fianco, ad aspettare i miei strambi amici.
Cleo Edud, col suo cane Holden.
Federica Angelini con un sacco di idee.
Anita Pellegrini e le sue assurde borse.
Michael Kheel(altresì detto Mello) e il suo cioccolato.
Jennifer Dolb e la sua moto figa.
L Lawliet e il suo QI250.
Non devo attendere che due minuti per vedere arrivare Anita col suo frettoloso passo irrequieto. Oggi ha scelto una borsa rosa schokking tigrata con ballerine abbinate.
Poco più indietro Cleo viene letteralmente trascinata da Holden verso… beh verso il mondo in generale credo.
Anita si accorge di Holden solo quando questo la travolge, e non ne è particolarmente soddisfatta.
Fanno in tempo a sedersi sui gradini che compare Mello.
È talmente impegnato a scartare una tavoletta di cioccolata che non si accorge del palo e ci va a sbattere molto comicamente.
I due cani non perdono l’occasione e si lanciano a pesce sulla cioccolata e guadagnandosi l’odio (per non meno di un minuto) di Mello che considera il cioccolato una specie di fonte della giovinezza.
Tre secondi dopo entra in scena Federica (detta “L’Ange”)
Col suo tipico passo di marcia pesante si avvicina.
Musica nelle orecchie e svegli cinque minuti prima contribuiscono nel farla inciampare Mello un’altra volta e a fargli cadere la seconda tavoletta di cioccolata nell’arco della mattinata. Vediamo poi avvicinarsi una scintillante Kawasaki verde.
Ecco Jennifer che frena giusto a un centimetro dai miei piedi.
“Jen! I miei anfibi ti stanno odiando!”
“Io per poco non la investo e questa si preoccupa degli anfibi..! Bah!”
“Ei così li offendi! Guarda che non sono semplici anfibi! Loro sono…”
“S brava comincia coi sentimentalismi! ”
Insomma una mattina come le altre.
“Ci siamo tutti?”
“Manca solo Lawli!”
“Se lo chiami così in sua presenza ti potrebbe trucidare!”
“Tanto la mattina è mezzo rimbambito dal sonno!”
“Eccolo che arriva!”
Come al solito L non ha preso nemmeno in considerazione l’idea di pettinarsi.
Cammina con gli occhi semichiusi, ed è forse per questo che va a sbattere contro il famoso palo.
Cade si rialza, e guarda il suddetto completamente stranito.
Dopo aver deciso che il palo non sembra voler scusarsi passa oltre con l’intento fi arrivare hai gradini.
Non fa due passi, però, che cade di nuovo.
Si rialza sempre più stranito, e per un attimo sembra essersi dimenticato cosa ci fa li.
Poi si ricorda di dover arrivare hai gradini e comincia a camminare.
Non ci guarda nemmeno e ci supera, sicuro.
Tentiamo invano di chiamarlo e di farlo tornare indietro, ma il vero elemento risolutivo della situazione è Anita, che gli lancia addosso una ballerina.
È così di solito che cominciano le domeniche di L Lawliet.
Dopo un po’ di chiacchiere ci mettiamo a camminare alla cavolo nella città, continuando a parlare.
“Domani si occupa!”
“Già, si sta anche a dormire! Stavolta però vedrò di non occuparmi delle uova… una puzza!”
“hahaha!!! Mi ricordo! Ti stavano tutti lontani alla fine!”
“E quando L è andato a sbattere contro la prof con la coca-cola aperta in mano e a fatto l’inondazione? Haha!”
“è stato epico!”
“E quando abbiamo tirato su lo striscione… al cotrario?”
“Già che roba!!! M la rifacciamo la roba della radio Mello?”
“Si, si, nella terza H.”
“hahaha!!!”
Che gente strana che siamo…
 
L’INDOMANI ALLE 08:05 DAVANTI A SCUOLA
Siamo tutti a scuola!
C’è stata una partecipazione assurda!!!
Tutta la scuola!!!
Fluiamo dentro tipo sciame, urlando a squarciagola e ridendo come matti.
Il gruppo sale in terza H, dove con l’aiuto di un  amico di Mello, un informatico, interferiremmo coi segnali radio.
Quest’ultimo però arriva in ritardo, inseguito da una ragazza incazzata che gli lancia dietro di tutto (leggasi: rossetti, ombretti, smalti, rimmel, ciprie, fondotinta, correttori, scarpe, tacchi di scarpe, tacchi di oggetti anomali…etc.)
Dopo una generale alzata di occhi al cielo tutti vengono cacciati fuori dalla ragazza che deve parlare a Matt… prevedo occhi neri degni di Attila…
Scendiamo quindi in cortile, dove un mio amico Mattia urla a squarciagola in un megafono, tutto gasato.
Notiamo solo allora che abbiamo perso Anita.
La ragazza torna poco dopo con bracciate di merendine.
“Come?”
“Ho scassinato le macchiette!”
“Alla faccia! Grande! ”
“Passa un tuc!”
Mattia evidentemente si è sgolato abbastanza e decide di scomparire misteriosamente lasciando incustodito il microfono.
Quasi quasi vado.
Nada! Mi hanno preceduto!
È una voce ben nota che parla nel megafono.
“E allora, gente, abbiamo occupato sta baracca infine! Qui è Beyond che vi parla, e se vi state chiedendo dove sono stato nell’ultimo mese, non sono capperi vostri ciccini miei! Passando ad argomenti più importanti: qualcuno sa dove sono le uova? Perché abbiamo assoluto bisogno dell’appoggio morale e fisico delle uova! Gente, non possiamo impuzzire i “nemici” senza uova! Poffarsamaracanda, sono es-sen-za-li!!! Corbezzoli!”
Si tratta di Beyond Birthday, uno dei ragazzi più attivi e popolari della scuola.
È direttore di un giornale, fa il collettivo ed è sempre ha discutere con tutti.
Tutti conoscono lui, e lui conosce tutti.
Io personalmente non ci ho ma parlato, ci conosciamo solo di fama e di… beh concorrenza.
Il punto è che i nostri due giornali concorrono da sempre, ed è naturale che ci sia… come dire… un po’ di tensione.
Dopo un paio di minuti smette di parlare e scende dal minuscolo palchetto con un applauso.
“Mello, ma Matt per quanto ne avrà?”
“Beh… sai com’è lui…”
“Dongiovanni?”
“Più o meno…”
Mello si immobilizza di colpo.
“Che hai?”
“Ecco dietro… c’è…emm..”
Fissa un punto oltre la mia spalla.
Mi giro e mi ritrovo a tre (e dico TRE!!!) centimetri da Beyond Birthday.
Cavolo…
È la prima volta che lo vedo da vicino(troppo vicino i effetti)
Devo ammettere che è un bel ragazzo.
Alto.
Fisico asciutto.
Bei lineamenti.
Capelli ribelli e neri come le ali di corvo.
Però è… inquietante.
Ha degli occhi rosso cremisi e non so se sono lenti a contatto…
E un cavolo di sorrisino sul volto.
Ma… perché mi fissa?
E perché è a tre (e ridico TRE!) centimetri da me?
Emm…
Situazione imbarazzante.
Al diavolo quel sorrisino!
“Che c’è?” gli chiedo un po’ sgarbatamente.
“Nulla di particolare… mi chiedevo solo se non fosse il caso di conoscerci visto che ora siamo.. colleghi…”
Ma perché non si sposta?
E poi…
“In che senso colleghi, scusa?”
E sorride!
Ma io non lo so!
Solo questo sa fare nella vita?
“Vedi… il direttore mi ha appena detto che noi due dovremmo collaborare per organizzare questo e tutti i prossimi eventi, visto che siamo i più conosciuti e pratici di queste cose…”
Non tutti capirono il perché dell’improvvisa deviazione del fiume Po, ma coloro che sentirono l’ulro lanciato da una diciassettenne in crisi improvvisa ne ebbero l’occcasione.
COOOOOOOOOOOOOOOOOOOOSAAAAAAAAA?????????????????????
Sobbalzarono tutti tranne quel maledettissimo ragazzo, che inarcò semplicemente il sopracciglio destro.
Ma ciumboloschi veronesi!
Ma sarcastici raccoglitori a rane!
“Tutto ok?”
“NO! Per tutte le starnazzanti cornamuse volanti!NO! mi hai appena detto che dovremmo… noi due… COLLABORARE???!!!”
“Ti sto così antipatico?”
“Per gli inesistenti cestini arrapati, non è questo il punto! Insomma pensaci! È da quando abbiamo aperto i due giornali che siamo in concorrenza! In tutti i campi! Siamo arrivati primi tutti e due nei concorsi di scrittura, lettura, matematica, musica, cucina, informatica, meccanica, corsa, pesi , arrampicata, disegno, pulizia e bicicletta! Solo L ci ha superato, ma lui ha il QI di 250 e siamo comunque arrivati entrambi secondi!”
“Beh, se la vedi così…”
“E come la dovrei vedere?”
“Come un opportunità! Io faccio così!”
Gli lanciai un’occhiata con odio.
Lui si chinò su di me.
Ma porc…!
Ma vaff…!
Tre millimetri!!! TRE!!! T-R-E!!!
“Non sono così terribile, sai?”
Arida gliela col sorrisino!
In tre secondi si allontana facendomi… mi ha fatto l’occhiolino!!!!
Io quel ragazzo lo lincio, giuro!!
lo appendo all’’incontrario sul Canion e lo lascio in pasto agli avvoltoi!
Allora, che ne pensate??
Delirerei ancora, ma mia madre....
spero mi capiate!!!
alla prossima (spero!)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Mello ha un dubbio orientamento sessuale, e il preside è un grandissimo... immaginate cosa! ***


eccovi il secondo chappy.
So hche ci ho messo molto, ma ero presa da scuola, altre ff ecc. ecc.
prego, a  voi!




“Alma?”
“Grrrrr”
“Alma, ci sei?”
“…”
“ALMA!”
“Ei, che bisogno hai di urlare? Mica sono sorda!”
“…! Vabbè, volevo dirti che la radio c’è!”
“La radio? A si la radio, giusto, giusto!”
Io, Mello e gli altri, saliamo le tre rampe di scale che ci separano dalla classe.
“Non per essere indelicato, ma… cosa voleva Beyond?”
“Grrr…”
“Aridagliela col ringhio! ”
“Ok, ok. Mi a detto che il preside impone che collaboriamo, e che organizziamo gli eventi scolastici compresa l’occupazione insieme! Ti rendi conto??? ”
“Effettivamente…”
“Bah!”
Entrai nella classe per ultima, sbattendo la porta.
“Matt dov’è?”
“A risolvere i suoi problemi sentimentali in bagno…”
Mello zittì le risatine con un’occhiataccia.
“Badate che è mio amico!”
“Ppppppfft!!! ”
“Ei!”
“Vabbè, dai, dov’è la radio e come si fa a interferire?”
“Eccola, si fa così, guarda.”
Dopo quindici minuti, ero perfettamente in grado di interferire con qualsiasi radio.
“Grande il tuo amico!”
“Già…”
“Ei, non è che sei innamorato?”
“CHE COSAAA??? SE RIESCO A PRENDERTI GIURO CHE…..!!!!”
“Hahahahaah!!!!”
“Scommetto che sei anche geloso… ooooooohh!!!”
“VIENI SUBITO QUI!!!!!! MUORI!!!!!”
“Sapevo che Mello era impulsivo, ma date le reazioni… si può supporre che Federica abbia ragione… vero Mellinoooo????”
“NON TI CI METTERE ANCHE TUUUU!!!!”
In tre secondi erano tutti nella mischia.
Nel momento in cui tutti erano sopra tutti, la porta si aprì.
Ci immobilizzammo così com’eravamo.
Era Beyond, che ci guardava come se fossimo pazzi degni di un manicomio ad alta sicurezza.
Riuscii a spigliarmi dai miei amici con un po’ (ma giusto un po’!) di fatica e mi rimisi in piedi.
“Emm… ciao! Cosa c’è?”
“Volevo dare una mano, ma se siete… occupati passo più tardi…”
Dovevamo essere stati un vero spettacolo a giudicare dall’espressione di sincero e genuino divertimento sul viso di quello là.
“Scusa, ma non abbiamo affatto bisogno del tuo aiuto, claro? Non ce l’hai mai dato, perché dovresti darcelo ora? E poi ripeto che ce la caviamo benissimo da soli.”
“Calma fanciulla, ti sei scordata il preside?”
“Col preside ci parlo io!” esclamai uscendo, infuriata, dalla stanza e quasi travolgendo il ragazzo.
Stavo per scendere le scale quando mi venne in mente un dettaglio.
Tornai indietro di corsa.
Lui se ne stava andando con la sua camminata rilassata.
Arrivai da dietro lo presi per le spalle e gli urlai a squarciagola nelle orecchie:
“E NON CHIAMARMI FANCIULLA!!!”
Non aspettai di vedere come saltava per aria.
Scesi le scale quattro a quattro e mi diressi in presidenza.
Davanti alla porta mi fermai, feci un respiro profondo e mi diedi una calmata.
Dopodiché, entrai con decisione.
“Buongiorno preside!”
Il suddetto, stava seduto tranquillamente alla scrivania, ignaro di ciò che aveva scatenato.
“Buongiorno Misora, cosa c’è?”
“Ecco, vede… non so bene come spiegarglielo. Il fatto è che poco fa Birthday mi ha detto che lei gli ha detto che noi dobbiamo… collaborare. ”
“Se vuole accertarsi dell’autenticità della cosa, glielo confermo. Sarei molto felice se i due ragazzi per così dire.. rappresentanti della scuola intera avessero buoni rapporti. Riuscireste meglio in tutto ciò che ha a che vedere con l’organizzazione degli eventi ai quali di solito pensate da soli. Ho studiato le vostre capacità, e ho capito che insieme, sareste, se mi passa il termine, la coppia perfetta, poiché vi completereste a vicenda.”
“COOOSA?? Cioè, mi scusi. Cosa intende dire con “coppia perfetta”? lei sa bene che non ci sopportiamo! Non potremmo mai collaborare!”
“Su, su, Misora, faccia uno sforzo! Dopotutto, non vi sto chiedendo tanto. E comunque, se non lo farete di spontanea volontà, poterei deludermi molto sul vostro conto, e per quanto riguarda i giornali… non posso assicurare che li farei uscire ancora.”
“Ma signore! Questo.. questo è ricatto!”
“In un certo senso. Ma, che volete che le dica, serve a voi come serve a me. Perciò lo farete. Può andare signorina.”
“Ma..ma”
“Arrivederci!”
“Si, certo come no, vecchi aguzzino!”
“Cos’ha detto?”
“Niente, le ho solo augurato una buona giornata!”
“mmmh.”
Che rabbia, che rabbia!!!!
Spero che il chappy vi sia piaciuto, credo che aggiornerò ogni settimana da oggi!
pleeease, lasciate un segno del vostro passagio(se siete passati e se non volete una mannaia di nome Manny nella schiena...muahahahah!!!)
al prozzimo chappy!!!
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scream and roofs... ***


Cosa farà la nostra intrepida eroina incazzata????


 


Mi catapultai dai miei amici.
Entrai come una valanga nella classe e mi sfogai:
“NON è GIUSTO!!! È UNO SPORCO RICATTO!!! E SE QUELLA SOTTOSPECIE DI FUNGO VELENOSO FUFO CREDE CHE IO POSSA PER UN SOLO MOMENTO PENSARE DI ACCETTARE… SI SBAGLIA DI GROSSO!!! GLIELA FARò VEDERE IO!!! NON MI Può RICATTARE COSì IMPUNEMENTE!!! VEDRAI SE NON TROVERò IL MODO DI LAVARMENE LE MANI DI QUESTA EMERITA BUFFONATA!!!AGGGGHHH!!!”
“Ehilà, fanciulla, come mai così agitata? Cosa le è successo di grave?”
“COS’è SUCCESSO DI GRAVE?!? SEMPLICEMENTE IL PRESIDE MI STA RICATTANDO!!! ”
Solo  dopo mi resi conto della persona che mi stava parlando.
“TUU!”
“Di qualsiasi cosa tu mi stia per accusare, non sono sicuramente stato io!”
“TU! COSA CAVOLO CI FAI QUI?”
“Aiutavo… mi sembrava che dovessimo collaborare, fanciulla!”
“COLLABORARE? TE LO PUOI ANCHE SOGNARE! E SAI perché? perché ORA TROVEREMO IL MODO DI USCIRE DA QUESTA SITUAZIONE! Perché si, tu mi darai una mano!”
“Non credo proprio”
“COSAAAA???”
“Ho detto che non ho intenzione di aiutarti a uscire da questa situazione. Sai, a me non da fastidio l’idea di collaborare con te, fanciulla…”
“COSA INTENDI DIRE?”
“Quello che ho appena detto.”
“NON CI SPEREREI SE FOSSI IN TE! E ORA ESCI DI QUI!”
“E perché dovrei?”
“PERCHè SE NO VENGO LI E TI STRAPPO I BULBI OCULARI!”
“Mi sembra un’ottima risposta” rispose infine il ragazzo, lievemente preoccupato per i suoi bulbi oculari.
Dopodiché si alzò e si avviò verso la porta.
“Un momento”
Si fermò.
“Si, fanciulla?”
Mi accostai al suo orecchio.
“Mi sembrava di avertelo già detto… NON CHIAMARMI FANCUILLA!”
Dopodiché lo presi per la maglietta e lo sbattei fuori, chiudendo la porta.
“RAGAZZI! COME AVETE POTUTO FARLO ENTRARE?!?”
“Ecco… diciamo che non ha smesso di parlare e non siamo riusciti a dirgli che ce la caviamo da soli…”
“E cos’aveva di così importante da dirvi, sentiamo!”
“Ha parlato solo di te…”
“Meglio che io esca e vada a farmi un giro, prima che uno di voi venga erroneamente soppresso!!!!”
Fu così che uscì, mi sbattei la porta alle spalle e cominciai a salire le scale.
Aprì una porta antipanico e mi ritrovai sul tetto.
Il tetto della scuola.
Uno dei posti più belli da visitare quando si è tristi/arrabbiati/con-qualsiasi-problema.
E io in quel momento ero arrabbiata e direi che di problemi ne avevo.
Il tetto di questa scuola sembra stato creato da uno che sui tetti ci vive, ci gioca.
È ampio, spazioso, pieno di comignoli.
Sporgendosi un poco si possono  notare alcune scalette a regolare distanza affisse al muro, che portano alle finestre del secondo piano.
C’è un posto su questo tetto, esplorato da me più e più volte in diverse situazioni che questa maniacale scuola offre, che mi piace più degli altri.
Cominciai a camminare, ben attenta a dove mettevo i piedi.
Ecco.
La panchina.
Come vi dicevo, chi ha creato questo tetto, sa cosa vuol dire aver bisogno di dis-stressarsi, di stare da soli, di pensare.
Una panchina dalla quale vedi il sole tramontare.
Dalla quale vedi tutto il cortile della scuola.
in quel momento era  prevalentemente occupato da ragazzi che svolgono le occupazioni più svariate.
Scorsi Mattia che sclerava contro un povero primino.
Sorrisi.
Chiusi gli occhi.
Che situazione.
Non avevo mai pensato di dovermi trovare, un giorno, a collaborare con il mio avversario.
Ma per quanto ci pensassi non c’era via d’uscita.
E per il mio giornale farei molto di più.
Beyond Birthday.
Un tipo strano.
ma cosa ne potevo sapere?
dopotutto non lo conoscevo di persona.
Ma giravano parecchie voci sul suo conto.
Arrivò in seconda, non disse dov’era stato prima.
Nel giro di poco diventò si popolare, ma anche un po’ temuto.
Si diceva che avesse ucciso una ragazzina alle elementari.
Si diceva che in seguito a ciò, lo avessero rinchiuso in una specie di manicomio.
Si diceva che lo avessero poi ritenuto in grado di interagire nuovamente con le persone e che per questo lo avessero rilasciato.
Si diceva che però, abitasse ancora a quel… manicomio.
Si diceva che era per questo che mai nessuno era andato a casa sua, o viceversa.
Si dicevano tante cose sul suo conto.
Chissà se erano vere.
Forse lo avrei presto scoperto.

ed ecco cosa ha fatto la nortra intrepida eroina incazzata!
spero in un commento, segno che il vostro mouse ha cliccato sulla mia storia... non importa se negativo, il commento mi farà diventare felice!
:)

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** unexpected appointments ***



Mi misi le mani in tasca, e sentii qualcosa di cartaceo sotto le dita.
Tirai fuori un pezzo di carta tutto spiegazzato.
 
Ciao fanciulla!
Quando troverai questo biglietto spero di essere lontano, le mie orecchie ne hanno abbastanza delle tue urla.
Dovresti imparare a cantare in death voice, avresti un futuro da star!
Passando a cose serie.
Spero che troverai questo biglietto prima delle 2.13, perché a quell’ora , e fido del fatto che accetterai l’invito, spero di trovarti alla pizzeria dietro l’angolo.
Dovremmo discutere di alcune cose, per l’occupazione.
Sai, non vorrei che il mio giornale smettesse di uscire, e temo che lo stesso valga per te (il che è un peccato, perché senza il tuo giornale non avremo più motivo di concorrere sempre, cosa che ogni tanto può risultare noiosa)
Confido nel fatto che sarai sola.
Non ho nulla contro i tuoi amici, ma non riusciremo a sostenere una conversazione intelligente, con loro.
Ho il sospetto di non essere per così dire… simpatico al tuo gruppo.
Anche io sarò da solo, non temere.
Concedimi l’onore di pagarti la pizza, se accetterai (e sono sicuro che lo farai).
A presto fanciulla!
Anzi, visto che ti da fastidio essere chiamata così…
A presto donzella!
J
Beyond Birthday
 
P.S. con quella maglietta hai un che di provocante… ti sta bene!
 
Fissai il bigliettino a occhi spalancati.
Pizza con quello?
Se non fosse per il mio giornale giuro che lo avrei linciato, nonché trucidato!
Mi rimisi il bigliettino in tasca.
Dopotutto aveva ragione.  
Rassegnata scesi ad avvertire i miei compagni della cosa.
 “Ciao gente. Ho una brutta notizia da darvi. Non posso mangiare con voi. ”
“E perchèèèè???? Appuntamentino???? ”
Tipico di Jen, il pensare male…
Alzai gli occhi al celo.
“No Jen, vado a mangiare una pizza con Beyond…”
“UHUUUUU!!!! L’avevo detto che avevi  un appuntamento con un ragazzo!”
“EHI! Punto primo non è un appuntamento, punto secondo quello non è un ragazzo è… un essere!”
“Mmmmm… non sono convinta….”
“Se fai ancora quel sorrisino malizioso te lo faccio ingoiare!”
“Siamo suscettibili, veh?”
“EHI!!!”
Rialzai gli occhi al celo.
“Allora, questa radio?”
“Aspettavamo solo te!”
“Aspe… mi dici che ore sono?”
“L’una e mezzo! A che ora devi andare dal tuo Beyond?”
“Non è affatto il “mio” Beyond!  Comunque devo essere li alle 2.13”
“Precisino!”
“Hai perfettamente ragione! Jen, prendi esempio da Ani!”
“Hahaha!”
Ripensandoci però, è strano che uno metta 2.13. Io avrei messo le e 15… mah…
“Ciao Matt!”
“Ehilà! Vedo che alla fine i rasta te li sei fatti!”
“Ne dubitavi?”
“Non sia mai!”
“Perdona l’indelicatezza ma… quella di prima chi era?”
“La mia ragazza…”
“Quale delle tante?”
“Ehi, per chi mi hai preso!?”
 “…”
“Non sto più con tante ragazze insieme…”
“E perché? era così divertente vederti affannare con i nomi!”
“Ha.. ha.. ha.. non faceva ridere! E comunque da quando tutte e dieci mi hanno beccato una dopo l’altra… ho deciso che il mio bellissimo viso non può essere deturpato da quelle belve, e mi sono imposto di stare a quota uno! ”
“Sei sempre il solito narcisista!”
“è un complimento?”
“Sei un caso perso…”
“Bah! Questi intellettualoidi del classico…”
 
 
“E sono le due e dieci alla radio-Carducci! 
“Oh, cazzo”
“Abbiamo detto che non imprechiamo senza valido motivo!”
“La pizza... Beyond! O cazzo!”
“In questo caso la qui presente è giustificata, e vi dirò anche perché: è in ritardo al suo primo appuntamento!”
Ora la sistemo io.
Mi accostai a jen e urlai in death voice:
NON è UN APPUNTAMEEEENTOOOOOOO!!!!
“AHHHHHH!!!!!”
“Un po’ di rispetto: le mie orecchie vorrebbero vivere un po’ più che 5 minuti scarsi!!!”
 
 
 
Andai così veloce che mi sentii urlare dietro che avrei fatto prima a buttarmi direttamente giù dalla finestra.
Effettivamente..
Arrivai davanti alla pizzeria con il fiatone.
Mi sistemai guardandomi  nella vetrina e guardai l’orologio.
2.13
Entrai.
Lui era già li.
Seduto a un tavolino davanti alla vetrina.
Mi guardava sorridendo.
Mi avvicinai.
“Ciao…”
“Hai trovato il biglietto!avevo notato, in effetti, quante volte ti metti le mani in tasca, e c’erano circa il 95% di probabilità che tu lo trovassi… ”
“Già….”
Mi sedetti, un po’ imbarazzata.
“Beh, di cosa… di cosa volevi parlarmi?”
“Bene, vedo che hai messo da parte la rivalità!”
“Già…”
“Ti piacciono i monosillabi, veh?”
“mmmh”
“Ehi! Questo era anche meno di un monosillabo. Tutto ok?”
“Certo. Vado a prendermi un trancio, arrivo subito.”
“Ok, io ho già preso il mio. ”
Mi avviai verso il bancone.
Perché ero così bloccata con quel macrocefalo?
“Un trancio di pizza margherita, perfavore.”
Ritornai, decisa a essere decisa (che cos’ho detto?!)
“Eccomi. Dimmi pure.”
“Allora… si tratta della band della scuola… hai presente?”
“I Palabon? Fosse per me non suonerebbero: fanno schifo…”
“Bisognerebbe sostituirli, ma nessuno che io conosca, qua dentro, ha una band decente.”
“A quello ci penso io. Piuttosto: il preside che dirà, quando li sostituiremo?”
“Se la band a cui alludi è molto brava, basterà fargli sentire qualche pezzo, no?”
“Beh… non so se è il suo genere…”
“Non ti preoccupare, una volta sono entrato in presidenza e il preside cantava a squarciagola una canzone dei Bullet for my Valentine.”
“Grottesco… ma se è così non ci dovrebbero essere problemi.”
“Ma ora mi hai incuriosito: chi è che fa parte della scuola, ha una band, e non è da me conosciuto?”
“Io.”
“…”
“Cosa stai insinuando con quello sguardo?”
“Assolutamente niente.. solo… c’è un problema… ”
“E cioè?”
“Beh… a dire la verità, anche io ho una band, e volevamo suonare noi.”
“Oh cazzo, ancora?”
“Già”
Sconsolati.
Ecco cos’eravamo.
Possibile che ci trovassimo sempre in competizione?
Lampadina!
“Ho un’idea!”
“Mmmh?”
“Se ci unissimo. Non mi fraintendere: solo per suonare a scuola.”
Alzò gli occhi con uno sguardo nuovo.
“Sai che non sei poi così tanto ostinata mentalmente da non aprirti a niente? Ci avevo pensato, ma ripeto che le mie orecchie sono già abbastanza provate, e non sapevo bene come avresti reagito…”
“Se non è un complimento saggerai presto la mia bravura come cantante in death voice. Si, ci avevi azzeccato nel bigliettino!”
“No, no, non ti preoccupare!!!”
“Quando ci vediamo per provare?”
“Fra mezz’ora nell’auditorium?”
“Ok, ma in tal caso devo muovermi a radunare tutti. È una fortuna che oggi anche noi avessimo le prove e abbiano tutto gli strumenti. A proposito: noi abbiamo l’auditorium l’ora dopo, percui possiamo stare di più!”
Finii in un morso la mia pizza.
“D’accordo.”
Uscimmo insieme, ma lui mi disse che doveva passare a prendere una roba a casa.
“Fortuna che sei vicino”
“Già.”
“Ciao allora. A dopo.”
Mi incamminai.
Ma non feci due passi che la sua mano mi fermò per la spalla.
Non feci in tempo a voltarmi che lui mi sussurò:
“Il post scrittum prendilo sul serio… stai davvero molto bene con quella scollatura…”
Mi girai così in fretta che i rasta fecero la ruota.
Ma lui era sparito.
Che pervertito!
Bah!
Tornai a scuola.
Entrai nell’auditorium.
Estrassi le chiavi del mio armadietto per gli strumenti.
Hellion era li, in tutto il suo splendore.
Nera, rilucente, una rosa spinosa aerografata.
Il manico è autografato dai Bullet for my Valentine.
Sono andata a un loro concerto, e ho colto l’occasione.
La fascia è nera e rossa.
Una chitarra fantastica.
Richiudo l’armadietto e comincio a correre a chiamare tutti i membri.
Mattia come basso.
Jennifer canta.
Alla batteria c’è Federica.
Alla seconda chitarra Vì.
Vì in realtà è un anno più grande di noi, ma visto che è mia sorella ha accettato di unirsi alla band.
Ah, Vì sta per Vibèke.
Una volta avvertiti tutti ritorno all’auditorium.
Riapro l’armadietto e prendo Hellion.
Una freccia nera.
Nera come l’inchiostro fresco si direbbe.
Ma è ancora più nera.
La attacco subito all’amplificatore.
Comincio a suonacchiare un po’.
Chiudo gli occhi.
È così bello lasciarsi trasportare dalla musica.
Si, è vero che le chitarre possono cantare.
Allora, cosa mi dite di questo chappy??????
non ho la più pallida idea di che nomi dare hai due gruppi!
help me!
accetto consigli (altrohè se li accetto!)
kiss
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Gli occhi della pazzia... e non solo di quella... ***



Ma ciao!
Spero che il nuovo chappy sia di vostro gradimento, a breve aggiornerò anche Bakup!
:)
buona lettura (a meno che non fuggiate prima)!

“Alma, torna fra noi!”
Esclamò distrattamente Federica entrando seguita dal gruppo.
“Ciao ragazzi!”
“Ehilà! Che è sta storia delle prove col macrocefalo?”
“Per mandare via i Para-coso dobbiamo unirci e spedirli a quel paese insieme, o il giornale non potrà più uscire.,,”
“Che pizza!”
“Qualcuno ha parlato di pizza? Ho una fame!”
“Che, non hai mangiato?”
“Io ho sempre fame dovresti saperlo!”
“Effettivamente…”
 “Dai ragazzi, abbiamo mezz’ora per conto nostro. Un po’ di sprint!”
Tutti tirarono fuori i propri strumenti.
Il basso di Vì, nero e blu.
La chitarra di Mattia, una Gibson nera.
Il microfono verde di Jen.
La batteria nera a 16 pezzi di Federica.
Dopo cinque minuti scarsi tutti eravamo pronti.
Cominciammo a suonare, per sgranchirci un po’.
Improvvisammo tutti, ed eravamo così in sintonia che non ci accorgemmo di Beyond che entrava seguito dalla sua band.
Non ci accorgemmo di loro fino a quando non ci si unirono con i loro strumenti.
Stavo per fermarmi, ma poi vidi il suo sguardo.
È così?
Vuoi mettermi alla prova?
ok!
Accetto!
Dai ragazzi!
mi lanciai con forza sulle corde, impegnandomi al massimo.
In due minuti eravamo tutti a saltare su e giù con espressione convinta suonando come invasati.
E cavoli se non eravamo in sincronia.
Eravamo perfetti.
Tutto si incastrava perfettamente.
Jennifer, con la sua voce limpida dava alla “canzone” un che di innaturale, seguita dalla cantante dell’altro gruppo, anche lei con una voce da soprano primo.
Solo dopo un bel po’, arrivò la nota finale.
Ci guardammo leggermente straniti.
Mi scossi un po’.
“Bene ragazzi, grandi! Di questo passo stracceremmo quella banda di bambù ballerini della tundra del Nord in un nanosecondo! ”
In quel momento entrò Cleo, con una borsa deforme.
“Ehilà gente! Vi ho portato una merenda! ”
Tutti gli occhi si posarono sulla borsa.
“Emmm… ragazzi? Così siete inquietanti! Smettetela di fissarmi e datevi una mossa! Il primo che prende la borsa si becca la fetta di torta alle mele della madre di Mello più grossa!”
“La mia torta! Come l’hai trovata?”
“Genio del male! Hai lasciato l’armadietto aperto!”
“Quindi hai preso anche… LE MIE TAVOLETTE DI CIOCOLATOOOOOOOO!!!”
Si scatenò l’inferno.
Tutti si buttarono sulla borsa, poggiata su una sedia, mentre Cleo ci osservava a braccia conserte, bofonchiando insieme a L (entrato pochi secondi dopo di lei) a proposito di una qualche scommessa.
Infine, Mello, spinto dalla forza di disperazione verso le sue “cucciole”, riuscì a impossessarsi della borsa e la tenne alta sopra la testa.
“Non è giusto! Tu sei il più alto!”
“Ti avevo o no avvertito che le tue statistiche non contano la forza di disperazione? Sgancia!”
“Ma… ma… non è giusto! C’era ben il 75% di possibilità che ci riuscisse B!”
“B? perché l’hai chiamato così?”
Nello stesso momento in cui L pronunciò la lettera, Beyond si fermò a metà di una risata, s’incupì, e fissò L con un’aria poco amichevole.
“Ecco…. Boh! Mi è… mi è uscita così!”
“Abbè! Ora però sgancia!”
Intanto, tutti saltellavano cercando di prendere la borsa.
Nessuno si era accorto della strana reazione di Beyond.
Tranne io.
Non feci in tempo a distogliere lo sguardo e a fare finta di niente (per poi estorcere informazioni a L) quando lui si girò e mi vide.
Seppi che aveva capito che avevo notato l’episodio.
Mi guardò quasi sorpreso, spalancando gli occhi.
Ma poi tutto tornò normale.
Ricominciammo a provare.
Mischiando alcune delle nostre canzoni ottenemmo un risultato mozzafiato.
Per darvi un’idea: il prof. Di chitarra che passava di li (il prof. Ballabio) rimase a guardarci fino alla fine delle prove in piedi con la chitarra in mano.
Alle quattro e mezzo finimmo.
Staccammo tutti i fili in silenzio.
Tutti avevano dato il meglio di se, tirando fuori tutto.
La band di Beyond era composta da:
una cantante vestita alla gotic lolita, chiamata Misa;
una bassista da tutti detta Arianna;
un batterista appellato col nome Nate (piccolo ma molto energetico!)
Beyond, che suonava la chitarra elettrica (anche lui!!!)
Dopo che tutti ebbero messo a posto i loro strumenti, ci guardammo un attimo e ci complimentammo con noi stessi.
Avevamo prodotto molto, in relativamente poco tempo.
Uscirono tutti, ma io mi attardai a sistemare bene la chitarra nell’armadietto.
Appena ebbi chiuso, credendo di essere sola, mi fermai un momento a pensare.
Lo ammetto, ero molto incuriosita da quanto successo fra Beyond e L…
A un tratto mi sentii afferrare per le spalle con forza.
“EHI!”
Una mano mi tappò la bocca.
Chi cavolo era a fare lo stupido?
Mi divincolai, ma quello tenne più salda la presa.
Mi trascinò su un angolo del palco, e tirò la tenda.
Ok, stavo cominciando a preoccuparmi.
Se avesse provato  mettermi le mani addosso e lo avrei spedito all’ospedale.
Sto bastardo!
poi una voce mi sussurrò all’orecchio:
“Se mi prometti che stai zitta ti libero, ok?”
Annuisco rabbiosamente.
Sento la mano ritirarsi, e le due mani posarmisi sopra la spalla.
Poi, mister “?” mi girò cautamente.
“Beyond! Cosa vuoi?” gli sussurrai scocciata e oramai per niente spaventata.
Lui si guardò in giro, assicurandosi che non ci fosse nessuno.
Poi mi guardò negli occhi, cupamente.
“Non devi dire niente di ciò che è successo. So che sei intelligente, e se ti mettessi a indagare potresti pure scoprire qualcosa che non devi assolutamente sapere. Questo è sia un ordine che una preghiera. Fallo per te stessa. Restane fuori. Non fare finta di non capire. Ti ho visto. Quando L mi ha chiamato B. Dimenticalo. Rimuovilo. È meglio sia per te che per tutti. ”
Mi guardava con un misto di serietà, rabbia e ansia.
“Tu dammi un indizio e io starò zitta.”
“NO CAVOLO! NON CAPISCI? Tu non devi sapere NIENTE!”
Era scattato.
Aveva anche alzato la voce.
E avevo notato una cosa. Nei suoi occhi, profondamente neri, c’era stato un guizzo. Un lampo rosso.
Lo guardavo un po’ stupita.
Non credevo fosse una cosa così importante.
Pensavo che magari, erano amici e lui non voleva che si sapesse.
Ma da come aveva reagito deducevo che era qualcosa di più importante.
“Cosa c’è di così importante? ”
“Ascolta: ti dico questo perché non voglio che tu… finisca male. Se scoprirai qualcosa loro lo sapranno. E tu sarai nei guai. Non essere curiosa, per favore. Non chiederti niente. Niente. Cancella quell’episodio come questa conversazione. ”
“Loro chi?”
“BASTA! TI HO APPENA DETTO CHE NON DEVI SAPERE NIENTE! TE LA METTO IN QUESTO MODO: FATTI I CAZZI TUOI! HO SARANNO GUAI PER TE E IO NON POTRò FARE NIENTE!”
I suoi occhi ora avevano qualche spicchio di rosso.
“Beyond… i tuoi occhi… ”
“Cazzo!” esclamò coprendosi gli occhi con la manica.
“Beyond che ti succede? ”
“Nulla nulla! Ma tu mi devi promettere che non indagherai!”
“Non prometterò niente che non posso mantenere”
“PORCA PU.. NON CAPISCI? PROMETTI ORA!!!”
“No. ”
Lui ebbe un fremito.
Abbassò il braccio lentamente.
I suoi occhi erano rossi.
Di un rosso cupo.
In un attimo capì che non era più lui.
“B-Beyond?”
Mi fissava come se non mi avesse mai visto.
Poi sorrise.
No, ghignò.
Beh, non so che fece, ma era molto molto inquietante.
Pauroso.
Sembrava impazzito.
Fece scrocchiare i collo.
“Beyond, che fai, svegliati!”
Dissi scuotendolo un po’.
Sembrò essere bloccato dalla mia voce.
Scosse violentemente la testa.
Strizzò gli occhi.
Quando li riaprì erano di nuovi  neri come il catrame.
Mi guardò.
“Non dire niente di niente. ”
Riuscì a sussurare, prima di scomparire velocemente dietro la tenda.
Cos’era successo?



Ohilà!
in questo chappy succedono un po' di cosine!
ho una bella ideuccia per il prossimo!
adieu!
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Non si possono mettere parolacce nel titolo del capitolo, eh? ***


AVVERTENZA: interessanti sviluppi!!!
non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!!!





“Ehilà ragazzi!”
“Dov’eri finita, ciccina?”
“Non chiamarmi ciccina! Scemo!”
“Vabbè, non ce lo vuoi dire, non importa!  Andiamo a fare qualcosa di entusiasmante?”
“Tipo?”
“Boh… potremmo inventare una nuova tortura per Giorgia!”
“Mi sembra un’ottima idea!!! Qua i fogli, Alma!”
“Eccoli!” esclamai scuotendo la testa.
Per capirci qualcosa dovete sapere che io e i miei compagni facciamo parte di una classe composta da due gruppi: noi e le cosiddette B&B.
Per capire chi intendo: anoressiche viziate, ricche, monotone, vestite solo di roba firmata, perennemente scandalizzate per qualsiasi motivo,  bullette, presunte reginette, ipotetiche vittime delle nostre torture.
La peggiore, come potrete intuire, è Giorgia.
“Allora… i posizioniamo qui, qui e qui dei mastini affamati e poi le attiriamo li in mezzo  con dei cellulari ultimo grido rosa, e poi li sguinzagliamo!!!”
“Ma magari poi si avvelenano!”
“Chi, le B&B?”
“Ma che dici? I cani intendevo!”
“Effettivamente… e se fossero maiali?”
“Buona idea! Ma dove li troviamo, scusa?”
“Il commercio nero di maiali è famoso in tutto il mondo, non lo sapevi?”
“…Se lo dici tu…”
“Comunque, dicevamo: dopo aver sguinzagliato gli ipotetici maiali… possiamo far loro cadere sopra delle bistecche, per attirarli! E poi, quando i maiali sono arrivati, buttiamo una rete, così non possono scappare! E poi… e poi… poi… mmmh… ”
“Ci sono! Appena prima che muoiano le salviamo, e le leghiamo su un tavolo! Poi facciamo loro gocciolare lentameeeente delle piiiiiicoole goccioline di acido citrico, fino a che non si sciolgono le gambe! E poi possiamo… boh… possiamo aspettare che muoiano di fame oppure… oppure linciarle con una frusta incendiata!”
“Esattamente, aspetta che me lo scrivo!”
Alzo gli occhi al celo.
“Vado a far due passi, ragazzi! Ho bisogno di aria fresca!”
“Ma siamo in cortile!”
“Allora… ho voglia di camminare, ok?”
“Vabbò, sei strana oggi…”
“Tranquillo, tutto a posto, sono solo un po’… stanca direi! Ci vediamo dopo, ok?”
“Key, ciao!”
Mi incamminai in quella che, grazie ai milioni di gruppi di gente sparsi in giro era più una corsa a ostacoli che altro.
Pensavo a quello che mi era appena successo, quando andai a sbattere contro qualcuno.
Ora, seguendo le leggi delle storie romantiche quel “qualcuno” dovrebbe essere Beyond, ma visto che oggi mi sento alternativamente io (ovvero: visto che sono strana) quel qualcuno sarà tuttaltro!
Mi alzai imprecando a bassa voce e alzai lo sguardo, con fare non proprio amichevole.
Questo perché, cadendo, mi si era sporcata la maglietta, per inciso, la mia maglietta preferita.
E quale sguardo incrociai?
Quello di Giorgia, che mi guardava dall’alto al basso con sufficienza.
“Beh? Chiedimi almeno scusa!” esclamò con la sua voce stridula da oca mortifera, scandalizzata.
Alzai eloquentemente il sopracciglio sinistro.
“Scusa?”
“Hai capito benissimo: pretendo scuse!”
La guardai malissimo.
“D’accordo!”
Lei mi guardò quasi sorpresa.
Mi scrollai un po’ la polvere di dosso e mi allontanai.
Lei mi raggiunse.
“Non mi hai chiesto scusa!”
Io mi girai e rialzai il sopracciglio con lentezza.
“Davvero ci speravi?”
Lei aprì la bocca come se fosse davanti alla peggiore delle creature.
Mi girai di nuovo e ricominciai a camminare.
Ritornai ai miei pensieri.
“Alma!!!”
“Possibile che non si possa pensare in pace in questa cazzo di scuola?!?!”
“Non quando sei richiesta alla radio!”
“Che palle, ragazzi!”
“Non hai ancora detto nulla!”
“Va bene arrivo!”
Salii le scale seguita dal mio gruppo, ancora vociferante a proposito di ghigliottine e simili.
Entrai con esultanza, decisa a essere propositiva.
“Ehilà gentaglia! Come va qui!”
“Zitta! Stiamo parlando alla radio!”
“Scusa!”
Mi sedetti di fianco a Matt, che mi mise un braccio intorno alle spalle.
“Matt non si fuma a scuola! Vai in cortile!” gli sussurrai.
“E chissenefrega!” esclamò lui felice.
“Come mai cosi su di giri?”
“Finalmente l’ho mollata!”
“La ragazza di prima?”
“Già, proprio lei! Ora non mi resta che cercarne un’altra. Il problema è che ormai alla mia scuola le conosco tutte!”
“Sei uno sciupa donne!”
“Oh, si! Comunque ti volevo chiedere il permesso di guardarmi intorno, in questo liceo… se capisci ciò che intendo…”
Sguardi maliziosi mi raggiunsero.
“Matt! Sei veramente un pervertito! Comunque va bene, visto che tanto lo faresti lo stesso!”
“Graziegraziegraziegraziegraziegrazie!”
“Ahia! Così mi stritoli!!”
“Alma stai zitta! Non si capisce un cavolo! Andate a scambiarvi effusioni d’affetto da un’altra parte!”
“Siamo scorbutici, oggi?”
“Solo stanchi! ”
“Ok, ok, sto zitta.”
Non dovetti aspettare che un paio di minuti prima che mi dicessero di parlare un po’.
Cominciai a descrivere un po’ la situazione della scuola, poco convinta.
Non ero molto in vena, diciamo.
Ma poi, come al solito mi infervorai, e cominciai a parlare di monarchie assolute, ribellioni e compagnia bella.
Proprio al punto culminante del mio discorso, però, la porta si aprì.
Alzai lo sguardo giusto in tempo per vederla richiudere silenziosamente da una figura munita di spalle imponenti, maglia col teschio e jeans mezzi stracciati.
Il qualcuno si girò.
Smisi per un momento di parlare.
Occhi azzurri, cresta, aria beffarda e all star distrutte.
Poteva essere una sola persona: Al.
Il mio ex-ragazzo.
Mi alzai, lo presi per la maglietta e uscii trascinandomelo dietro, sbattendo la porta.
“Che vuoi?”
“Solo parlare Alma. Non ci siamo chiariti.”
“Ci siamo chiariti eccome! E poi io non ho niente da dirti!”
Feci per allontanarmi, ma mi trattenne per il braccio.
“Ma io si!”
Mi girai più incazzata di un pinguino al Sahara.
“Non è come sembrava: posso spiegarti tutto. Ma ti rivoglio. Ho bisogno di te!”
“Beh, potevi pensarci prima di farti trovare a letto con TUTTE le B&B, stronzo patentato!”
“Io non… non è stata colpa mia! Ero solo…”
“Ubriaco? Fatto? O solo te stesso?!”
“Ti prego Alma, dammi una possibilità!”
“Ne hai avute fin troppe!”
“Non ti rendi conto! Io non posso vivere senza di te!” esclamò stringendomi in un abbraccio possessivo.
“LASCIAMI COGLIONE! Non voglio vederti mai più in vita mia! Non aveva cambiato scuola, porco animale da latte?!”
Me lo scrollai malamente di dosso.
“Sono venuto solo per parlare con te! Ti prego ascoltami!”
“MA VAFFANCULO, VA!!”
“ALMA! Mi devi ascoltare!”
“Non ho nessun dovere nei tuoi confronti, fattone cronico! Non riesco neanche a imprecare decentemente: mi fai troppo schifo!”
“Devo riaverti!”
Mi sbatte contro il muro.
“NON CI PROVARE STRONZO!”
Mi liberai un polso e gli tirai un pugno in piena faccia con i guantini muniti di borchie sulle nocche.
“AHIA PORCAPUTTANA ALMA! ”
Sapevo che quando si arrabbiava era violento.
Ma contro un corso di 7 anni di Capoeira non avevo assolutamente paura di lui.
Gli sferrai un calcio misurato, facendolo cadere.
Purtroppo per me, però, proprio in quel momento passò il preside, e fraintese tutto.
“MISORA, CHE STA FACENDO!!! PROFESSORI ACCORRETE!!! C’è UNA RISSA!”
Arrivarono in poco tempo.
Io ci vedevo talmente rosso che non riuscivo neanche a discolparmi.
Mi fecero andare nell’ufficio del preside, dove avrei dovuto aspettarlo.
Seduta su una panca, adiacente il muro, pensavo in silenzio.
Dopo lunghissimi minuti di impotenza, la porta si aprì.
Il preside entrò, seguito da… Beyond!
Era come al solito calmo e distaccato.
“Bene, questo ragazzo mi ha spiegato come stanno le cose. Puoi andare. Ma se ti becco un’altra volta a mettere in atto le tue stupide arti marziali… puoi dire addio al tuo giornale!”
“Grazie preside, mi perdoni.”
Uscii quasi in trance.
Beyond, davanti a me, mi scortò fino a un corridoio deserto.
“come?”
“Sono bravo a mentire. Ma ora mi spieghi che è successo!”
“Spiegalo tu a me!”
“Ma che dici?”
“I tuoi occhi! Li ho visti benissimo, come posso dimenticarli?”
Trasse un respiro.
“Non so di che parli. Ne voglio saperlo.”
Mi fece insomma intendere che non aveva intenzione di ripetere la scena.
“Come mai hai steso quel ragazzo?”
“Come mai tu mi hai salvato dalle grinfie del preside?”
“Dovevamo lavorare di squadra no?”
Io ero un po’ a disagio, dopotutto mi ricordavo bene il momento in qui aveva perso il controllo.
Avevo sentito che mi voleva uccidere in quel momento.
ma che ci pensavo a fare?
Avrei indagato, si, ma ora lui non mi avrebbe detto niente, tanto valeva lasciarsi andare.
Scivolai lungo il muro, sedendomi a terra.
Anche lui si accovacciò.
“è il mio ex”
“Cosa???”
“Cosa c’è, mi immaginavi innocente e pura?”
“No, non mi sembrava il tuo tipo, tutto qua!”
“Hai ragione. Ancora mi chiedo perché mi piacesse.”
“Dai racconta, che è successo?”
Per un momento scorsi un luccichio che non avevo mai visto nei suoi occhi.
mi comprendeva, forse.
In qualsiasi caso, avevamo cominciato a fare amicizia.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Oh, santi dei! Ma che diamine ci fanno li? ***


Ed ecco il nuovo chappy!!!
che ne dite???


“Ed è tutto.”
“Però, che storia!”
“Non se la meritava di certo! E ha pure il coraggio di venire qui a chiedere un’altra chance!”
“In effetti…”
“Già… giuro che se me lo trovo fra le mani fuori di qui, non ne esce vivo!”
“Dai, non scherzare”
“E dai, è un modo di dire!”
“Già… ”
“Tutto ok?”
“Certo! Andiamo?”
“Dove?”
“In giro!”
“Ok!”
Ci mettemmo a camminare alla cavolo per la scuola, per i corridoi, chiacchierando.
Quando passammo davanti al suo gruppo mi guardarono in modo strano.
Un po’ con odio, e un po’ con preoccupazione.
“Sarà una mia impressione o il tuo gruppo mi sta guardando malissimo?”
“Nyaaaahh”
“Se lo dici tu…”
Salimmo le scale principali, fino al terzo piano.
Ed ecco i miei amici, accalcati davanti alla porta, probabilmente perché Anita e Federica li hanno sbattuti fuori perché chiacchieroni.
“Ehi, gente, come va la vita?”
“Eccola!”
“Ma do picciolo ti eri cacciata?”
“Oh, è vero, non sapete che è successo!”
“Allora, Al come sta?”
Fulminai Matt con lo sguardo.
“Non mi interessa saperlo. Comunque, se volete camminare, noi stiamo facendo questo, in caso contrario, forà de bal! ”
“Tranquilla! Veniamo!”
Beyond non ne sembrò troppo felice, data l’alzata di occhi al celo.
“Che c’è, non ci vuoi?”
Chiese come al solito aggressivo Mello.
“Mello stai calmo, magari i due piccioncini si scambiavano effusioni!”
Esclamò malefica Jen.
“JEN! ATTENTA A TE!”
Mi sorrise maliziosa e mi prese a braccetto.
“Raccontami tutto!” mi sussurrò.
“LASCIAMI, SURROGATO DI TAPIRO OCCIDENTALE A STRISCE!!! MALEFICA MALIZIOSA MALIGNA MALARIOSA!!!”
“Hahaha!”
“E tu zitto!” esclamai alla volta di Beyond che si era unito alle risate generali.
“Ndiamo?”
“Key!”
“Maaaaaaa… dove???”
“Sul tetto!”
“Oh yeah!”
“L’ultimo che arriva è un topo fritto con aggiunta di aringhe ammuffite smangiucchiate dai vermi!”
Cominciammo a correre come invasati, urtandoci e ridendo.
Arrivammo praticamente rotolandoci.
“Hahaha!”
“Direi parità!”
“Va bene! Ha! Sono morta!”
Ci ammassammo sulla panchina, per riprendere fiato,  ridendo ancora, senza riuscire a fermarci.
“Ragazzi che corsa!”
“Ma chi è quello?”
“Mattia?!”
Una figura sul tetto sta armeggiando con un ventilatore e un sacco.
“Bah!”
“Ohi gente, stanotte dormiamo quasi tutti insieme! Che forza!”
“Io non posso stare…”
Beyond che non rimaneva a una manifestazione?
La facciaccia sua, che diamine aveva?
“Perché??? unendo i due gruppi avremmo potuto occupare un intera aula tuuuutta per noi!”
 “Beh sai… non mi lasciano stare…”
“Mi spiace! A che ora devi andare?”
“Alle 9.00.”
“Ehi, ma che…???”
La figura aveva appena azionato il mega-ventilatore, e vi aveva svuotato davanti il sacco, pieno a quanto pareva di foglietti che filavano nel cortile tipo pioggia.
“Io non me la perdo!” esclamai, e corsi di sotto.
Mi seguirono tutti, precipitandosi per le scale.
“YEAOOOOOHHHUUURURUAUAUAUADOUHSDFOUFHDOUDF!!!!”
Fu più o meno questo ciò che si sentì, quando una massa informe di ragazzi entrava nel cortile a tutta birra, catapultandosi  sotto una pioggia anomala di volantini sull’occupazione.
 
 
Un paio di ore più tardi, Beyond ci salutò: doveva andare.
Strano, pensai, che un ragazzo come lui, sempre attivo e partecipe, fosse costretto a stare a casa la notte dell’occupazione.
“Io vado un momento.. a fare due passi!” annunciai, rientrando a scuola dal cortile.
“Ti aspettiamo qui!”
Feci appena in tempo a vedere il ragazzo scomparire dalla porta principale.
Atteso un minuto scarso, mi feci aprire, e uscii.
Stava giusto girando l’angolo.
Mantenendomi a distanza di sicurezza lo seguii, nascondendomi dappertutto.
Mi condusse, senza saperlo, in un vicolo buio e mal frequentato.
Lo attraversò senza guardarsi indietro una volta.
Girò per quel quartiere per un po’, per poi fermarsi, seduto su una panchina, in attesa di qualcosa.
E quel qualcosa arrivò.
Una ragazza… mi sembrava di averla già vista… e infatti!
Era Arianna, la bassista!
Era in piedi davanti a lui, visibilmente impaziente.
Il ragazzo si alzò, con calma.
I due parlottarono un po’, non so riguardo cosa.
Colsi poche inutili parole.
Stavano litigando.
Sembrava che lei volesse fare qualcosa e che lui non fosse d’accordo.
Poi, a un tratto, lui perse la calma esplodendo in un “NO!” particolarmente violento.
Lei lo guardò dal basso, chiedendo scusa con lo sguardo.
E in tre secondi si abbracciavano.
Ok, fin qui tutto a posto.
Ma la cosa che mi fece alzare di un miglio e più il sopracciglio e spalancare la bocca, fu il fatto che appena si sciolse l’abbraccio, i due si guardarono un momento negli occhi e… e… si… beh… si baciarono…
Ma non finì li.
Dopo il lungo bacio, i due si risedettero, e continuarono a sbaciucchiarsi fino a che non arrivò un gruppo di persone.
Mi avvicinai, per capire chi fossero.
O santi…!
Near, Mello, Matt, il resto del gruppo di Beyond e… L!!!

Cosa ci faceva li L?


Anche lui non poteva restare alla scuola così come Mello e Matt, o almeno così mi avevano detto…
Ma che ci faceva li?
“Se ci faceste la cortesia di sbaciucchiarvi in privato!” esclamò irritato Mello.
“Noioso! ” rispose Arianna.
“Dai andiamo, Beyond, non vorrai di nuovo..”
“Zitto coglione! Le mie punizioni non sono affari tuoi!”
“Come vuoi! Io però vado, non vorrei doverle passare!”
Finì che tutti si alzarono dalla panchina e si avviarono verso una meta ignota.
Sempre più incuriosita, continuai a seguirli nascosta.
Camminarono fino ad arrivare a un enorme palazzo, con un cancello imponente, il cui interno era invisibile, a causa di una siepe rigogliosa.
I ragazzi non dovettero fare nulla: il cancello si aprì da solo, e li fece entrare.
Ero letteralmente sconcertata da ciò che avevo appena visto.
E non riuscivo a capirci un fuffolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Picchiarsi fa bene all'amicizia! ***


Si, lo so che non aggiorno da un sacco di tempo, ma con tutte le altre ff e con la mia vita che ogni giorno è più incasinata... 

chiedo grazia divina!

grazie mille a chi finora mi ha recensito, a chi lo fa, e a chi lo farà... amen!

:)

Mina

Raggi di sole penetravano dalla finestra dell’aula dove un gruppo di ragazzi dormiva.
Chi sdraiato sui banchi, chi per terra, Anita si era addirittura addormentata sulla sedia della cattedra.
Ad un tratto qualcuno spalancò la porta con una grazia tale da colpire in pieno Jen, che si svegliò di scatto, urlando.
“MA CHI MUFLONE è??? SE LO PRENDO GLI STACCO LE SCAPOLE A MORSI PORCO DUE!!!”
Ma poi, vinta dal sonno, la ragazza si lasciò ricadere nel sacco a pelo, avvoltolandosi e bofonchiando qualcosa a proposito di una maledizione maya.
La figura non se ne curò molto, e, giunto in mezzo all’aula si guardò un po’ intorno.
Poi si decise a fare la cosa per la quale era venuto fin li.
“SVEEEEEEEEEEEEEEEGLIAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!! DAI SU, IL SOLE è SORTO, LA LUCE INONDA IL MONDO, MA SOPRATTUTTO… è ORA DI ALZARSIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!”
L’urlata scatenò una reazione inaspettata.
Tutti i ragazzi dormienti presenti nella stanza balzarono su, urlando.
“AAAAAAAAGHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
Mattia si guardò di nuovo intorno.
I ragazzi lo fissavano con odio.
“Su ragazzi, sveglia! Alma si è già alzata, e anche Cleo!”
Di mala voglia, la gente cominciò a stiracchiarsi.
“Mattia, ma lo sai che cos’è il tatto?”
“Certo perché?”
“Chiedevo… ”
Le ragazze andarono a cambiarsi nei bagni, mentre i ragazzi si diressero verso gli spogliatoi maschili della palestra 1.
Mattia uscì soddisfatto, dirigendosi verso altre classi, a svegliare altre povere ignare vittime.
Dopo una quindicina di minuti i ragazzi si trovarono li, e dopo aver messo via i sacchi a pelo, cominciarono a cercare me e Cleo.
Ci trovarono che ridevamo a crepapelle sul tetto, in preda ala risolite acuta.
“Ragazze, vi sentite bene?”
“Si hahahah si hahahahahahaahaha!!!”
“ooooookkkkkkkkeyyyyy…”
Dopo che ci fummo  ricomposte, il gruppo ritornò nella classe, per mangiare un po’ (traduzione: per strafogarsi ) di merendine della macchinetta scassinata.
“Ragazzi, ma qualcuno sa quando arriva L e tutti quelli che non ci sono, che dovremmo provare ancora col gruppo?”
“Bho… mi pare verso le 10.00”
“Grazie Jen… che facciamo in mezz’ora?”
“Mmmh…  andiamo alla radio: quelli che ci sono stati di notte avranno sonno ormai…”
“Già, ora che ci penso… meglio muoverci.”
Ci avviammo, tutti propositivi.
Appena entrati vedemmo un gruppo di ragazzi mezzi addormentati che biascicava frasi senza un gran senso logico.
“Ok ragazzi, andate pure.”
“Gihfur! ”
“…”
“Ok gente, non so cosa abbiate potuto sentire, ma ora mettiamo un po’ di musica, per darvi il buon giorno e togliervi dalla testa le strane e apparentemente insensate parole che probabilmente avete appena sentito!”
I ragazzi addormentati se ne andarono, e noi prendemmo il comando.
Non passarono però che 5 minuti che Anita buttò fuori anche noi, urlando qualcosa che suonava molto tipo: “CASINISTI!!! QUESTA è UNA RADIO, NON UN MANICOMIO!! FUORI!!! Scusate signori, per questa piccola interruzione…”
Dopo esserci allontanati a distanza di sicurezza, guardammo l’ora: 9.50
“Se Jen si è ricordata bene riguardo quando arriva L, possiamo andare ad aspettarlo in atrio”
“Ok…”
Detto ciò, scendemmo le scale fino a sbucare in mezzo all’atrio, e ci sedemmo dentro la segreteria.
Dopo aver scovato la cassa degli oggetti smarriti, e averci frugato dentro, vedemmo l’inconfondibile chioma di L sbucare dalla porta.
Uscimmo dal casotto e lo andammo a salutare.
“Ehilà L, come va la vita?”
“Eh? Ah, ciao! Come va?”
“Come al solito mezzo addormentato, veh?”
“Cosa? Chi è addormentato? Bha… siete proprio strani… non è che avreste un po’ di torta?”
“Tieni, un poket-coffie, magari ti svegli un po’”
“DOLCETTO!” esclamò L afferrandolo e mangiandoselo con foga.
In quel momento, Mello e Matt entrarono insieme, salutandoci.
“Ciao gente, come va la vita?”
“Bene, voi?”
“Tutto a posto. Cosa facciamo?”
“Aspettiamo il gruppo di Beyond per le prove, ricordi?”
“A, già, si, forse allora è meglio cominciare ad andare.”
“Ok…”
­Una volta arrivati, e una volta che tutti ebbero tirato fuori gli strumenti, cominciammo a suonare chiacchierando, fino a quando l’altro gruppo non entrò, 10 minuti più tardi.
Le prove furono praticamente una replica delle prime, ma Cleo non sbucò fuori dal nulla con del cibo, scommettendo con L.
Difatti erano tutti e due li a assistere, fortunatamente per Mello.
Una volta terminate le prove, mi fermai un momento di più, per pulire la chitarra.
Quando fu più lucida di uno specchio lavato da mia madre (e questo è tutto dire), la riposi con cura nella sua custodia.
Soltanto quando mi girai, notai che Beyond era ancora li, appoggiato al muro, che mi guardava fumando una sigaretta.
“Non si può fumare a scuola” lo informai.
La spense
“Beh, che c’è?”
“Mi chiedevo…  per caso sei arrabbiata con me?”
Io lo guardai male.
Ok, ero stata un po’ distaccata quel giorno, ma dovevo ancora assimilare ciò che avevo osservato la sera prima.
Lui mi si avvicinò.
“Non mi hai neanche salutato…”
Più che una frase era una constatazione.
“Beh… stavo suonando…”
“E non mi avresti rivolto parola, se non mi fossi fermato ora…”
Continuava ad avvicinarsi.
“Perché?” mi chiese infine, e la domanda suonò molto come quelle che i bambini fanno in continuazione ai genitori.
Perché?
Già, perché?
Non lo sapevo neanch’io.
“Non so… cosa avrei dovuto dirti?”
Lui mi guardava, dall’alto del suo metro e ottanta, per niente rassicurante.
Ok, erano solo 5 centimetri quelli che ci separavano, ma lui li faceva proprio pesare, diciamocelo!
Mi fissava, con quei suoi occhi strani, mutevoli, penetranti.
“Non è che sai qualcosa… che non dovresti sapere?”
Io alzai un sopracciglio, mascherando la sorpresa.
“Perché, cosa dovrei sapere?”
“Nulla” rispose lui visibilmente sollevato.
“Allora vado!”
“No, scusa, aspetta un minuto!” esclamai trattenendolo per un braccio.
“Si?”
“Punto numero 1 non hai  messo via la chitarra, e se pensi che lo farò io sappi che i tuoi denti potrebbero avere qualche problemino… punto numero 2, ora mi spieghi cos’è che non dovrei sapere!”
Lui si limitò a sorridere, e si avvicinò alla sua chitarra.
“D’accordo.”
Osservai i suoi movimenti mentre riponeva lo strumento, a braccia conserte, in attesa di una spiegazione.
Lui faceva con calma, e quando ebbe finito, si voltò di nuovo verso di me.
Infine si avvicinò alla finestra, per guardare fuori, apparentemente dimentico di me.
Io mi avvicinai.
“Beh?”
Lui non si voltò.
“Temevo avessi scoperto… a cosa servono i miei occhi.”
Poi mi guardò.
“Ma fortunatamente non è così. ”
“Perché non me lo puoi dire?”
“Per il tuo bene”
“Ma piantala, lo sanno tutti che noi due non ci vogliamo bene!”
Lui sembrò quasi ferito dalla mia frase.
Poi però sorrise di nuovo.
“Quindi se faccio così ti do fastidio?”
Detto questo mi abbracciò.
Io sobbalzai.
Ma che?
“Cosa fai?”
Lui mi lasciò, e tornò a guardare fuori dalla finestra, come se niente fosse.
“Non mi sembra che tu abbia tentato di stendermi come per quel tuo ex-ragazzo, no?”
“Perché avrei dovuto?”
“Perché secondo tutti non ci sopportiamo, no?”
“Beh, non significa che sia ve… oh accidenti a te! Va bene, lo ammetto, non è vero che non ci sopportiamo, ma ora puoi rispondere alla mia prima domanda?”
“No”
“Perché? E non rifilarmi un altro per il tuo bene perché vedi se non ti stendo!”
“Se ti volessi male te lo direi, ma visto che abbiamo appena dimostrato che non è così, non lo farò”
“Quando fai così non ti sopporto!”
“mi fa piacere…”
“Che rabbia! Perché sei così apatico!?”
Lui si voltò a guardarmi con un sopracciglio alzato.
“Dico sul serio! Cioè, guardati! Io ti sclero contro e l’unica cosa ce fai è alzare un sopracciglio!”
“Si chiama autocontrollo e ti sta salvando dall’essere stesa.”
“Ma fammi il favore.”
“Stai zitta.”
“Stai zitto tu, cretino! Sei più apatico di L la mattina, ed è tutto dire.”
“Non mi provocare”
“Paura!”
Mi voltai per andarmene, e sentii appena in tempo lo spostamento d’aria di un braccio che mi avrebbe sicuramente steso, se non fosse che mi abbassai.
“Attaccare da dietro è sleale.”
Mi alzai e mi girai verso di lui, guardandolo con un sorriso.
“Ti ho fatto reagire finalmente, veh?”
Detto ciò cominciammo a picchiarci di santa ragione.
Mi accorsi che anche lui conosceva bene la Capoeira, almeno quanto me.
Eravamo pari, e ce ne rendemmo presto conto.
Ci fermammo quindi.
Io sorridevo ancora.
“Pari?”
“No.”
“Non sai perdere, eh?”
Lui mi prese per le spalle e mi sollevò.
“Non ci provare”lo avvertii.
Ma quando vidi che faceva sul serio, feci forza coi piedi sul suo stomaco, facendogli mollare la presa, e saltando sopra di lui, per poi sferrargli un calcio sul petto, poco più sotto del collo.
Avrei potuto beccarlo proprio li, e rompergli il collo, ma non volevo mica fargli così male.
Però la mia mossa sortì il suo effetto.
Infatti, Beyond, fu costretto a chinarsi in due.
Io tornai in piedi e lo guardai.
Si era raddrizzato, e ora si stava guardando la maglietta bianca di cotone, sulla quale, all’altezza del petto, c’era l’impronta dei miei anfibi.
Sollevò lo sguardo su di me.
Eravamo andati troppo oltre?
In qualsiasi caso, se l’era meritato.
“Sei la prima ragazza che non riesco a battere.”
Detto questo si avvicinò.
La distanza fra i nostri volti era minima.
Mi tornò in mete il ricordo di lui che sbaciucchiava Arianna.
Proprio nel momento in cui mi stava per baciare, mi scostai.
“Beyond, ma tu non sei fidanzato?”
Lui mi guardò indispettito.
“No.”mi rispose semplicemente.
“Ah… beh,  comunque devo andare ora, mi staranno aspettando, mi ha fatto piacere picchiarti, potremmo anche farlo ancora, ma io ora devo proprio andare, mi dispiace, ci vediamo più tardi magari, a pranzo, forse, comunque il succo è che io devo proprio andare, eh, quindi è meglio che mi avvii che poi devo pure fare una cosa con Cleo, è davvero meglio che vada, ciao!”  snocciolai senza neanche prendere fiato, avviandomi verso la porta e scomparendo con l’ultima parola.
Mentre mi lanciavo per i corridoi col timore che mi seguisse esigendo spiegazioni, mi chiesi come mai mi aveva mentito.
Arianna mi stava anche simpatica, non volevo rovinare la loro relazione.
E poi, senza contare che mi avrebbe odiato a vita, i miei compagni mi avrebbero simbolicamente diseredata.
Già, sarebbe stata proprio una cazzata quella di baciarlo.
E poi a me neanche piace!
credo…

No, ma che credo e credo! A me non piace, punto!
rimane il fatto che mi ha mentito.

Che casino… mi sa che dovrò chiedere consiglio a Matt…

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Si torna a casa ***


Ok, linciatemi pure...
Lo so che in questo periodo non mi son più fatta sentire e spero mi perdonerete!
Comunque ecco qui un altro chappy di questa story!
Mina

Uscii in cortile, ancora rossa per ciò che era appena successo e per la corsa.
Mi guardai in torno e individuai Matt che fischiava dietro una ragazza particolarmente… formosa.
“Matt!!!”
“AAAAAAAA!!!!!!”
La ragazza lo guardò male e se ne andò.
“Ma che fai? Non vedi che sto cacciando?”
“Pffffttt…”
“Ehi, guarda che richiede conoscenza del campo e concentrazione!”
“Ma piantala! Piuttosto: ho bisogno di te!”
“?”
“Ho… ho appena sentito una mia amica del mare la quale ha un problema a livello sentimentale.”
“Ddddddddddddiiimmmi tutto!” mi disse lui in modo molto inquietante.
“oooooooookkkkeyyyyyy… allora… questa mia amica… conosce un ragazzo… ecco… e… questo… ragazzo… sembra che… isomma… cioè… lei l’ha visto che… sbaciucchiazzava una ragazza… però… lui… ci ha… provato con lei… e stavano per baciarsi… quando… quando… quando lei se ne è andata… non volendo causare… diciamo… discordia ecco…”
“Eeeeeeeeeeeeeeh???? Scusa e che gliene frega a lei di causare discordia… donne!”
“Beh… cosa dovrebbe fare lei, secondo te?”
“Dunque dunquino dunquerrimo… ci sono 3 cose da fare: 1. Assicurarsi che sia veramente poligamo. 2. Assicurarsi che sia ben fornito lassotto (n.d.a : mia faccia disgustata). 3. Farci quello che si vuole. E per quello che si vuole lascio che la tua e la sua immaginazione volino dove loro pare e piace!”
“Matt!”
“Che c’è amore della mia vita in senso platonico che se qualche bella ragazza mi sente poi mi guarda male?”
“Ma… ma la cosa è seria!”
“Aha…” rispose lui vago, seguendo con lo sguardo un’altra vittima.
“Ma-ma-ma! MA!” gli urlai nelle orecchie facendolo sobbalzare per poi andarmene lasciandolo li a imprecare.
Beyond poligamo?
Non ce lo vedo molto…
Mmmh…
Bah! Indagherò!
Mi avvicino a Cleo, seduta a chiacchierare con Mattia di rivoluzioni dell’ottocentesimo secolo.
“Ciao ragazzi!”
“Hola Alma!”
“Come va?” chiedo lasciandomi pesantemente cadere di fianco a loro, appoggiati al muro.
“Noi bene, ma tu? In questi giorni sembri un po’ scampata a un terremoto, sempre si fretta!”
“Già… beh, è l’occupazione che ci vuoi fare!”
Mento sapendo di mentire, come suol dire mio padre.
“Che fate?”
“Chiacchieriamo: io per l’esame di terza media ho portato la rivoluzione francese, e stavamo discutendo su cosa avremmo fatto noi al posto dei francesi e cosa succederebbe se la cosa si ripetesse qui in Italia!”
“Uhu… discorsi da letterati allora!”
“Come no!”
“Posso unirmi alle vostre conversazioni?”
“E lo chiedi?”
E, ridendo, ci mettemmo a parlare dei francesi.
“Una ex di mio fratello era francese… non mi è sembrata così diversa da noi italiani sai…
“Grazie tante, quella la era nata in Italia! Di francese aveva solo un padre fuggitivo e il nome!”
“Ah… già…”
“Ma alma, secondo te, se i francesi ribelli fossero tutti fuggiti e scomparsi, quanta popolazione sarebbe rimasta, no perché prima ne parlavamo e avevamo pareri discordanti!”
“Ma… non saprei… ”
Non riesco a distrarmi.
Devo fare qualcosa.
Ok, ora vado li e ci parlo.
Ma poi sembrerà che io abbia dato peso alla cosa, si potrebbe fare dei dubbi!
Vocina nella mia testa: “Ma tu dai peso alla cosa?”
Io: “Ma-ma-ma ma ti pare? Insomma lui è fidanzato, e chi sono io per arrivare e distruggergli tutto!”
Vocina nella mia testa: “Quindi ti piace?”
“Ma che dici? Non mi piace affatto!”
Vocina nella mia testa: “E allora che problema c’è? Digli semplicemente che l’hai considerato un gesto avventato e bla bla bla!”
“Ma-ma-ma… ”
Vocina nella mia testa: “Muoviti! Facendo passare del tempo gli farai capire che ci stai pensando tanto e quindi che ti interessa la cosa! Alza il sederino e piantala di stracciare i cosiddetti alla tua povera coscienza! Sempre io ti devo dire cosa fare?! E datti una sveglia! Su su!”
“Aaaahhh… ma tu sei la mia coscienza allora!”
Coscienza: “Ma noooooooo????!!!!”
“Va bene va bene, potevo anche arrivarci… ma vado? Oppure aspetto di vedere che fa? ”
“MUOVIIIIIII ILLL CUUUUUUUUUUUU”
“HO CAPITO ho capito, non c’è bisogno di imprecare!”
Mi alzai, un po’ sconcertata dall’inquietante conversazione con una me stessa sconosciuta.
“Beh… io vado!”
“Ma non hai risposto!”
“Che?”
“A tuo parere, è meglio ammazzare tutti i potenti oppure rinchiuderli?”
“Sono contro la violenza Cleo… ma si potrebbero spedire al polo con abiti hawaiani e vedere quanto resistono!”
“Grazie! Geniale!”
Mi allontano, in cerca di Beyond.
Dopo un giro del cortile, entro, e salgo le scale.
Primo piano.
Niente.
Secondo piano.
Niente.
Terzo piano.
Niente.
Che sia sul tetto?
Bah, andiamo a vedere, male non fa.
Salgo le scalette e sbuco sul tetto.
Dopo essermi goduta per un momento la bellissima vista che il posto offre, faccio un paio di passi e mi guardo intorno.
La panchina è nascosta da un comignolo, onde mi avvicino e lo aggiro.
Si.
È qui.
È seduto sulla panchina, scrutando i palazzi di là della scuola.
Poi, come sapendo da un pezzo che io sono li esordisce:
“Ti devo parlare.”
“Anche io.”
Mi siedo (accoccolo in maniera strana) sulla panchina di fianco a lui.
“Comincia tu”
“Si, comincio io.”
Abbozza un sorriso.
“Beyond, parliamoci chiaro: sono una femmina, certe cose le capisco meglio di te, e non sperare di farmi bere che non stai con nessuna. Non molti non hanno notato che occhiate lanci ad Arianna e viceversa, e ammettiamolo: non è che lo nascondiate molto bene che state insieme. Per ciò, anche se non so perché vi nascondiate e non cercherò di scoprirlo, volevo dirti che no voglio rovinare la vostra relazione per una storia che non funzionerebbe. Se deciderai di finirla, sono affari tuoi, ma a me Arianna sta pure simpatica. Facciamo così: quel momento di prima lo cancelliamo dalla memoria e torniamo amici e basta. Ok?”
Lui mi guardò con una specie di sorriso.
“Si hai ragione. Volevo appunto dirti che.. boh… scusa.”
“No! No! Mi hai appena sfatato un mito!!! Non ci credo!! Non è umanamente possibile!!! Tu! Tu che… che dici scusa??? Sto sognando, ho capito. ”
“Ehi! Che sono lo scorbutico della situazione!”
“Hahaha!”
Cominciamo a prenderci scherzosamente in giro.
“Ma se non sei neanche capace di tirare decentemente un pugno!”
“Mi stai sfidando?”
“Aha!”
“Ma guarda che ragazzo masochista e sfacciato!”
“Bah!”
“Tieni questo!”
“Che maale! Dovrò chiamare un’ambulanza!”
“Tu non sparesti fare di meglio! Ha! Sembri un pulcino bagnato con quei capelli alla cavolo!”
“Ohi! Non insultare i miei capelli, sai?”
“Pfffftt.. quelli non sono capelli!”
“Scusa fammi capire, avrei una parrucca?”
“Hahaha! Ma piantala va!”
Dopo un quarto d’ora ci alziamo.
“Vabbè… io vado. Ci vediamo!”
“Key, ciao!”
Scendo velocemente (a perché io vado sempre velocemente? Bah…) le scale, e vado in cortile.
“Ehilà Ani! Mi passi una merendina?”
“Tò!”
“Grazie! La radio?”
“Gruppo Beyond.”
“Aha! ”
“E il nostro gruppo?”
“Matt è in giro a fischiare alle ragazze, Mello chiacchiera con un nuova arrivata di quest’anno, hai presente quella manganoide? Poi… Cleo e Mattia parlano di francesi, Federica sta a litigare con L perché gli ha rubato un dolcetto e temo che fra poco si prenderanno a bacchette da batterista incazzato in testa. Jennifer è in bagno. Io osservo… bwuahahahahha!!!”
“oooookkeeeeyyyy…”
mi siedo di fianco a lei, e cominciamo a chiacchierare a proposito di coniglietti rosa… Anita è pazza, ma soooorvoliamo.
 
Ormai è sera, ci accingiamo a andarcene a casa.
“Ciao ragazzi!”
“A domani!”
“Adieu!”
Dopo un saluto collettivo, il gruppo esce e si disperde.
Torno a casa, camminando silenziosamente.
Caspita se non ne sono successe di cose in due giorni!
Speriamo che nei prossimi ciò che deve succedere, se proprio proprio deve succedere e non mi può lasciare in pace, mi lasci il tempo di pensare per 2 minuti!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Svolta inaspettata! ***


Erieeccomi quiiii!!!!!!
Vi avverto che in questo chappy ci sono un paio di parolaccie, ma niente di particolare, non pensate!
Hahahah!!!
Finalmente abbiamo una vera e propria svolta decisiva!

Scommetto che non riuscirete a indovinare cos'è successo a B!!!
:) :)

Me sadica!
Spero siate tutti in vena di recensioni, anche negative, tanto srò felice lo stesso!
Adieu 
Mina

La mia vita ha finalmente preso un ritmo!
Arrivo a scuola, seguo le lezioni, al primo intervallo sto coi miei amici, al secondo Beyond ha preso l’abitudine di passare a salutarmi, e i due gruppi si uniscono. Ci troviamo molto bene insieme, anche il sabato ogni tanto ci vediamo e facciamo un giro insieme. Dopo la scuola arrivo a casa, faccio i miei adorati cavoli, studio, mangio e vado a nanna (dopo una luuuuuuuuunga passeggiata col cane).
E questo dal lunedì al sabato.
Difatti, domenica, dopo aver passato la mattina con gli amici, io e mia sorella stiamo un sacco insieme, poi naturalmente studio, e la sera accompagno Vì in periferia, dove abita il suo ragazzo. Un tipo simpatico. In effetti mi deve 1 kg di caramelle, ma ha detto che me le darà a rate perciò è ok.
Ma non divaghiamo!
Quello che volevo dire è che a forza di giornate uguali (ma non per questo noiose, non fraintendetemi), è passato niente popo’ di meno che due mesi!
È già gennaio!
Per precisione il 9 gennaio!
Il primo giorno di scuola dopo le vacanza estive!
D’una parte sono arrabiata perché le vacanze passano sempre TROPPO in fretta, da un’altra sono felice di rivedere alcuni dei miei amici che erano andati in vacanza:
Heloin se n’è andata in Brasile, a Ryo! L’Ange comoda comoda a Vienna, Ani a Trieste e Jen a Broni dai nonni!
E io sola solina soletta a casa…
Ma oggi finalmente ci vediamo!
tra l’altro durante le vacanze Mello, L, Nate e Beyond sono un po’ scomparsi per una misteriosa vacanza, che ho idea significasse reclusione in quel posto…
Giusto!
anche su questo fronte ho un paio di novità: sono tornata davanti a quell’edificio, a indagare un po’, ed ecco cos’ho scoperto:
*      -Si può supporre che venga chiamato Wammy’s House, dalla grande targa in bronzo sul cancello
*    -  È sempre chiusa
*    -  Non c’è un’anima viva da ciò che si può sbirciare
*   -   Ci sono i cani da guardia per i curiosi…. ma mi adorano!
*     - Ci sono le sbarre alle finestre
Mmmh…
Beh, a furia di camminare sono arrivata, per ultima e in ritardo come mio solito.
“RAGAAAAAAAAAAAZZIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! MI SIETE MANCATI IENOIDI COL NASO A BRADIPO, SANTE SAILA SE MI SIETE MANCAITIIII!!!!”
Urlai saltando addosso ai miei amici.
“AAAAAAAAAGGGGGGGGGHHHHHHH!!!!! ALMA! NON FARLO MAI Più!!!”
“Sennò che mi fai??”
“Ti-ti-ti faccio… qualcosa di brutto, questo è certo!
“Hhahaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!! Mi sei mancata un casiinoooooooo!!!!!” urlai a Heloin saltandole in braccio.
“Ma che fai?”
“Ti saluto, no?”
Heloin alzò gli occhi al celo.
“Ragazzi è aperta” dice Mello con voce atona.
“Ohi Mello, come sono state le vacanze?” gli domando frugando nella cartella di tecnica.
“Una merda. Che fai?”
“Ti ho fatto comprare un regalo da mia sorella, che è andata in una fabbrica di cioccolato settimana scorsa, visto che io non potevo…” e con fare plateale tirai fuori un gigantesco quadrato di cioccolato fondente e puro come i diamanti.
Mello, prima completamente inespressivi, sgrana gli occhi in maniera strana.
La sua bocca si apre in una comicissima O di sorpresa, e le sue mani lasciano cadere la cartella.
Io gliela porgo.
“T-t-tu… ”
“Ahaaaa???”
“T-t-tu… hai… ha… hai…”
“?”
“Mello svegliati, dobbiamo entrare! prendila e movite!”
Il povero ragazzo, in stato di shock totale allunga le mani.
Qualche anima pia gli prende la cartella e si avvia, con lui dietro che fissa il cioccolato come se fosse oro.
Veniamo un po’ dispersi dal fiume umano di gente che straripa rompendo i diligenti argini delle bidelle.
Il rumore è tipo: “AGUUUUUUUUUUUUUUUUUHHHHHHHHDSIHRGHROIGHRIOGJRG-UN-Po’-DI-CONTEGNOSHDFIHFAIUGEAURIGFEIVUHEVIUWEFVWFVQ-MA-INSOSUDGFIRUFHIFUHUWEIFBCWIEUBVWIEREFQQ-AIUTOOOOOOOOOOOOSNFVJBWEIFVBWEFIVBWFEVBWEFIVBFEVIQBI!!!!”
Che gente strana che siamo,veh?
Lo so, lo so.
Comunque sia!
Ora che siamo davanti alla classe, riusciamo finalmente a riacquistare un minimo di dignità.
Coscienza: “Perché tu hai mai avuto della dignità??? Ppppffffttt!”
“Zitta tu!”
Dicevamo.
La dignità che io ho sempre avuto è riacquisita.
“Che orda di matti!” esclama L’Ange tastandosi le costole.
“Concordo pienamente!” esclama Jen, saltellando su un piede solo.
“Bah!”
Entriamo similmente a scampati alla guerra.
“Ragazzi al posto. Siete quasi in ritardo. ”
 
Due ore dopo, 16 ragazzi stremati da due ore di latino con interrogazione a sorpresa uscirono dall’aula.
“Che carogna!”
“Bah!”
“Ragazzi, io vado a salutare Mattia, ci vediamo fra 15 minuti!”
“Addio!”
“Mica vado in Antartide ti pare?”
Lo devo dire che stavo camminando velocemente?
No, direi che ormai è sottointeso!
arrivata a pian terreno infilo un corridoio e arrivo alla 4C.
I ragazzi sono tutti appoggiati ai termosifoni, chiacchierando delle vacanza trascorse.
Mattia sta discutendo animatamente con un certo Cosimo e un certo Andrea su dove sia la Lettonia.
“Heilà Maa!”
“Heilà Alma!”
“Come va la vita?”
“Ok, tu?”
“Bene bene”
“Novità?”
“Arianna si è trasferita! Non so perché, ma so che Beyond non l’ha presa bene… oggi l’ho visto di sfuggita, per poco non lo riconoscevo… ”
“Che intendi dire?”
“Vedrai tu stessa… piuttosto tu?”
“Niente da riferire! Fortuna che c’eri tu queste vacanze, sennò fra Jen alle prese con Vi a sua volta alle prese con Matt, ci finivo matta!”
“Ti ricordi l’anno scorso?”
“Cosa?”
“Ma si, che siamo andati a Berlino !”
“Oddio è vero… hahaha!”
“Che grande!”
“Ti ricordi quando cantavamo a squarciagola l’inno alla gioia per la strada?!”
“E quando il tipo ci ha fermato e ci ha corretto la pronuncia??!!”
“Oddio che forza!!”
“Che poi al museo ci hanno sbattuto fuori!!”
“Meglio, faceva schifo quella roba!”
“Già, però è stato mitico! Con te che urlavi in russo antico e i come si chiamano… i guardiani che tentavano di buttarti fuori!! Che poi li hai stesi e te ne sei andata a testa altaaa!!!”
“E tu che non la smettevi di ridere! Ti potevi salvare, ma con quella ridarola hanno buttato fuori pure te!”
“Hahahahah!!!”
“Ehh senti ti va di mangiare una pizza oggi pomeriggio?”
“Aha”
“Vabbè allora ci vediamo dopo, ok?”
“Ok, a dopo!”
mi da una pacca sulla spalla e me ne vò.
Dietro di me sento i suoi due amici che ridacchiano e Mattia che sospira rassegnato.
Io mi stringo nelle spalle.
Ci hanno sempre preso in giro, e sempre lo faranno, il massimo che possiamo fare è ignorarli.
Mi dirigo verso l’aula, fra poco ricominciano le lezioni e non mi va il primo giorno di fari guardare male da tutta la classe mentre entro come un’invasata in classe.
Salgo le scale..
Coscienza: “se dici velocemente ti faccio fuori!”
“Non stavo per dirlo!”
Coscienza: “No, perché io ci credo anche, eh?!”
“Ma-ma-ma…”
Coscienza: “Niente ma! Dei tuoi velocemente ne abbiamo abbastanza! Dì semplicemente che sali le scale! E che cavoli!”
“Uffi ok, ok. Bah…”
Dunque… salgo le scale e arrivo al pianerottolo del primo piano (contenta?)
Sto giusto giusto litigando con la mia Coscienza, quando scorgo una figura.
Beyond?
Come si è ridotto così?
È magrissimo, e la maglietta di cotone nera lo accentua anche di più.
Ha il labbro spaccato e zoppica.
Ma non è questo il peggio.
Il suo sguardo… il suo portamento…
Dov’è finito il ragazzo allegro e disinvolto?
Sta seduto su un gradino della rampa che porta al secondo piano, le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Fissa il vuoto, non mi ha neanche notata.
Non sembra rendersi conto di ciò che lo circonda.
Capisco ciò che voleva dire Mattia.
Inclino leggermente la testa e mi avvicino.
Davanti a lui.
“Beyond?” sussurro.
Ormai non c’è quasi nessuno in giro, e i pochi che passano ci guardano male e se ne vanno.
Non alza nemmeno la testa, sembra che non mi abbia sentito.
“Beyond!”
Repentinamente muove la testa, come a scacciare una mosca, e ritorna allo stato di prima.
Beyond!” esclamo più forte
Noto i suoi occhi neri sbattere, la sua mano muoversi leggermente.
Mi ha finalmente sentito.
Lentamente alza la testa, posando lo sguardo su di me, squadrandomi dalle scarpe al viso, per fissarsi nei miei occhi.
Non ha ne uno sguardo interrogativo, ne infastidito…
Niente…
Semplicemente mi guarda.
Neutro proprio.
“Ma che ti è successo?”
Sospira.
No, non è vero.
Sbuffa.
Poi, con le movenze di un bradipo ringoglionito abbassa lo sguardo.
“Almeno da.. te mi aspettavo… una domanda meno… banale.”
Sembra che non parli da anni, ma che urli da secoli.
La sua voce non è divertita, scherzosa, arrabbiata triste.
È solo… un’onda sonora, tutto qua.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
“Coscienzina bella?”
Coscienza: “Che cappero vuoi ancora?”
“Posso dire una parolaccia??”
Coscienza: “Se è l’unico modo per lasciarmi in pace… ”
“Grazie!!!”
Merda!
No, ma dico proprio merda!
Uno si fa tutto il suo buon propositino, arriva a scuola dicendo “quest’anno niente ritardi e simili” e al primo, manco al secondo, al primo intervallo porco due… !!!
Merda!
Coscienza: “Non esagerare!”
“Okay, okay”
Beyond non sembra affatto colpito dal suono stridente della campanella, e non da segno di alzarsi.
Sospiro, e mi siedo affianco a lui.
“Non ho bisogno… di essere… consolato o cose simili”
“Ti sei proprio rinscemito durante le vacanze… come posso consolarti se non so da cosa?”
 
“…”
“Allora, chiariamo la situazione: tu sei mezzo morto in tutti i sensi ed è più che evidente che  c’è qualcosa che non va. Io invece sono una tua amica che sta saltando l’ora perché è preoccupata per te ed è pronta ad ascoltarti e a consigliarti senza pretendere di fare chissà quale psicanalisi.”
“…”
“Centra Arianna?”
“LASCIAMI IN PACE!” scattò lui alzandosi fulmineo e correndo via.
Eh no.
Qui c’è qualcosa che non va.
Lo seguo, correndo.
Non si sarebbe detto che corresse così veloce in quello stato.
I nostri passi rimbombano per i corridoi deserti, qualche urlo incavolato di bidella ci rimbalza contro.
Ok, se continua così capisce che lo sto seguendo e non smette di correre manco… mai.
Cerco di regolare i miei passi coi suoi.
È un’impresa praticamente impossibile, anche se relativamente ce la faccio.
Mi sembra stia andando… al tetto!
Scorciatoia!!!
Haha! L’ho fregato.
Ma nascondo dietro un comignolo, e aspetto che arrivi.
E come arriva.
Di corsa come l’ho lasciato.
Si ferma, si ingobbisce, si guarda intorno e sospira.
Davvero non l’ho mai visto in questo stato.
Va alla panchina, ovvio.
Lo seguo, ovvio.
Si accuccia sulle dure assi di legno verde scuro.
I suoi occhi scorrono senza vederle case, quartieri, la città intera.
Si morde il labbro inferiore, calando lo sguardo.
Abbassa la testa, nascondendola.
Cos’ha?
Non ci credo che sia solo perché Arianna si è trasferita e deve cambiare scuola.
Ci dev’essere sotto qualcosa.
A un tratto, vedo la sua schiena sussultare, scuotendo il corpo apparentemente fragile.
Mi avvicino a lui, guardandolo un po’ spaesata.
Singhiozza, senza sforzarsi di rimanere serio.
Mi siedo di fianco a lui, e gli circondo le spalle col braccio.
“Ehi… anche se non vuoi dirmi niente… io ci sono, ok?”
Ci avrei scommesso che si era accorto che era li.
Annuisce piano.
Dopo poco comprime in se tutto, e alza il viso, in una maschera di indifferenza.
“Va meglio?”
Sgrana gli occhi.
Meglio? E perché dovrebbe andare meglio?!”
“Piangere ogni tanto libera” azzardo, fiutando una reazione imprevista.
“E che cosa me ne fotte se io sto meglio, eh? Credi che me ne freghi qualcosa della.. della mia persona, quando ormai è definitivo?”
“Cosa stai dicendo?”
“Che io non posso fare niente! NIENTE PORCA FLAMENCA!”
“Ma… parli di Arianna?”
Quando nominai il suo nome sembrò aver preso un pugno.
“Ari..anna… la mia  Arianna… lei… io l’amo”
“Lo so”
“MA QUESTO NON CAMBIA LE COSE! IL FATTO CHE ABBIANO DETTO CHE SI è TRASFERITA è.. è drastico… non è vero… non è vero… LA SPERANZA NON è L’ULTIMA A MORIRE CAZZO!”
Sobbalzo all’aumento improvviso del volume.
“BEYOND! Ma che cazzo stai dicendo? Chi ha detto che si è trasferita? E qual è la verità?”
“Ma che te ne frega… tu non potresti neanche capire… tu non puoi sapere cosa voglia dire… essere me.”
“Ma che c’entra! Io posso aiutarti lo stesso!”
“NO! NESSUNO Può AIUTARMI… nessuno può aiutarla…”
“Ma che le è successo?”
“…”
“Ma che ti è successo?”
Scattò in piedi.
“Che mi è successo? Che mi è successo? È SUCCESSO CHE OGNI GIORNO IO VEDO LA SUA CONDANNA! IO, SOLO IO POSSO VEDERE QUANTO SIA VICINO AL PATIBLOLO, OGNI GIORNO, OGNI GIORNO! E ORA… ORA è SICURO! E IO NON POSSO FARE NIENTE! IO POSSO SOLO GUARDARE OGNI VOLTA SULLA SUA TESTA! E LE DICO CHE è TUTTO A POSTO, MA NON è COSì PORCA PUTTANA!”
E se ne andò.
Io rimasi a fissare il vuoto.
Che minchia era successo???

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un vecchio amico ***


Heilà!
Lo so, questo chappy è un po' corto, ma prometto che il prossimo compenserà!
è più che altro un capitolo di "passaggio" che mi serve a collegare un po' le cose!
Spero vi sconquiffererà tanto da farvi recensire!
:)
Buona (seeeee...) lettura!
Mina

“Alma Cristoforo Colombo, ma perché ogni volta che dici che stai via per 10 minuti scompari per due ore!?!?!?”
“Scusate ragazzi, davvero!”
“Ma dov’eri finita?”
“He! Non lo saprai maiiiiii!!!!”
“Ok, sei impazzita definitivamente!”
“Che avete fatto  di bello?”
“Un cavolo! Prima c’è stata ora buca, poi tecnica!” mi rispose L’Ange, facendo seguire la parola “tecnica” a un’alzata eloquente di sopracciglio, dopo la quale scoppiammo a ridere.
“Non mi sono persa niente quindi!”
“Già! Mi dai un po’ di schiacciatina!”
“Era una domanda o un’imposizione?”
“Usa la fantasia!”
“Tieni!”
In quel momento sbucò Anita dal nulla.
“Ho composto un sonetto su un usignolo e una gazza, vuoi sentirlo?”
“Aemh… non ne sono sicura… piuttosto, ora che ci penso ti devo chiedere una cosa!”
“Si?”
“Domani arriva mia cugina da Firenze, si trasferisce definitivamente qui, te la ricordi? È quella che a novembre è passata un paio di giorni! Ma si, che stavamo occupando!”
“Ah… quella che piace a Mello!”
Il diretto interessato diventò istantaneamente di un colore indefinibilmente rosso.
“Eh? Cosa? Io? Ma che dici, non è vero!”
E naturalmente Jen lo adocchiò con un sorrisino sadico molto poco rassicurante, lo prese sottobraccio e se lo portò via ghignando.
“Non dovremo salvarlo?”
“Ma no! Se la caverà in un modo o nell’altro!”
“Comunque stavo dicendo, che da domani verrà in questa scuola, si trasferisce a casa mia infatti, e volevo chiederti, visto che sei indubbiamente la più qualificata, di prenderla diciamo, sotto la tua ala protettrice…”
“Nanana! Non è esatto! Io non ho nessuna ala protettrice! Al massimo uno scudo invisibilmente figo che protegge dai coniglietti rosa arrapati dagli avvoltoi! Sono molto pericolosi!”
“Si vabbè, sotto il tuo scudo invisibile, e farle un po’ visitare la scuola, conoscere le persone, integrarla insomma!”
“Ok! Ma ora scusami, devo andare!”
“Va bene… io vado un attimo in bagno, veh?”
“Si, si”
Mi avvio per il corridoio, evitando i ragazzi che vi impazzano e vado quatta quatta in auditorium, che si trova proprio dietro il bagno femminile del piano.
Finalmente un luogo n po’ tranquillo!
Mi siedo sul palco con le gambe a penzoloni, a riflettere.
Cinque minuti dopo, uscii dall’auditorium di quella scuola con un sorriso stampato sul volto, e canticchiando raggiunsi i miei amici.
“Adesso mi spieghi che hai da ridere che oggi abbiamo pure rientro!”
“Boh! ”
“Tu non sei normale! La gente muore nel mondo, e tu con sto sorriso ebete stampato in faccia! Che poi se ci pensi bene, a che cosa serve la nostra vita? Cosa..”
“Anita piantala, va bene che sei disfattista, ma che ci vuoi fare, se è felice lasciala nella sua felicità!”
“Oh scusate… mi stavo lasciando trasportare… ”
La campanella suonò, e rientrammo in classe.
Dopo due splendide (come no!) ore di algebra, uscimmo dall’aula, e ci dirigemmo alla mensa.
“No! Odio gli gnocchi!”
“E io li adoro, me li passi!”
“Solo se mi dai poi la pelle del pollo!
“Oh uffi! Ummh.. e va bene, passa qua!”
Heloin, seduta di fianco a me, si guardava intorno, tentando di individuare un suo amico che di solito mangiava due tavoli aventi.
“Orca!” esclamò a un tratto.
“Ehi Alma… ma quello non è mica… ”
“Che?”
“Quello la, vedi, due tavoli avanti, a sinistra, maglietta nera!”
“Oh! Beyond, già…”
“Ma che gli è successo! Guarda che magro! Sembra anoressico! E che sguardi di odio, mamma santa, ma che ha!?”
“Boh..”
“Beh.. spero che  i suoi amici facciano qualcosa.”
Notai che Mello lo guardava con.. tristezza?
Strano!
Molto strano!
Fortuna che aveva la soluzione, muahaha!
Subito dopo mangiato, ci lasciano venti minuti di intervallo/autogestione-mentre-i-prof-prendono-un-caffè/delirio-totale, durante i quali mi diressi subito al primo piano, davanti alla quarta F.
Mi guardai un po’ intorno e individuai chi cercavo: un ragazzo appoggiato alla porta di un’auletta con una sigaretta in bocca nonostante i professori, che parlava con due primini evidentemente terrorizzati.
Molto… molto darkoso, diciamo.
Aspettai che finisse di parlare con i due poveri ragazzi e mi avvicinai.
“Hei Skin! Come va? Ti ricordi di me?”
Lui si girò e mi squadrò un po’.
“Alma! Che ci fai da queste parti?” disse con suo tipico tono strascicato.
“Beh.. passavo e mi sono ricordata che… mi devi un favore.”
Lui sospirò.
“Cosa vuoi che faccia?” chiese incrociando le braccia.
“Beh si dice in giro che sei gli occhi e le orecchie della scuola, è così?”
“In un certo senso.. ”
“Beh… mi chiedevo se potresti darmi alcune informazioni.”
“Riguardo chi?”
“Beyond Birthday”
Lui alzò un sopracciglio un po’ perplesso.
“Ma non lo odiavi?”
“Senti, mi interessa sapere tutto quello che puoi scoprire su di lui. Anche al di fuori della scuola… incluso il motivo per cui è depresso.”
“Ma davvero?”
“Non fingere di non saperlo.”
“Non era mia intenzione.”
“Ebbene?”
Sorrise leggermente, spegnendo la sigaretta.
“Sarà fatto mia signora. Fra cinque giorni sul tetto alle 15.00”
“Grazie Skin!”
“Ora perdonami, ma devo andare… sta per suonare, e c’è una faccenda che devo sistemare con quel ragazzino.. addio”
E detto questo se ne andò.
In mi avviai verso la classe, l’intervallo stava per finire.
Sapevo che di Skin ci si poteva fidare, era un vecchio amico. E mi doveva un favore.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Un altra mattina non proprio tranquilla ***


Quella mattina ero più in ritardo del solito, ed è tutto dire, eh!
Dopo essermi buttata addosso i primi vestiti pescati nell’armadio (che chiamarlo armadio è un complimento), afferrai un panino con la nutella e uscii, mangiandomelo voracemente. Sull’autobus mi sistemi un momento, e arrivai a scuola che erano già tutti entrati…  tranne Cleo, che mi aspettava sui gradini con uno sguardo che voleva dire una cosa come : “se-non-ti-muovi-finisci-male-ma-dove-cavolo-eri-scema?”
Senza un minimo di fiato nei polmoni emisi un piccolo suono strozzato in mia discolpa e mi catapultai con lei sulle scale. Arrivammo tre secondi prima che chiudessero la porta dell’aula. Fiuuu…
 Appena io e Cleo entrammo ci rendemmo conto che la prima ora era buca: quando di solito, il gelo regnava (c’era latino, non so se mi spiego), ora  invece era decisamente interessante seguire il tipico torneo alle sedie, dove il vincitore, aveva in dono tre aeroplanini preparati dalle esperte (io e Cleo appunto) da lanciare dove si voleva!
Fu per questo che Pietro e Gabriele, i due lottanti, ci urlarono sovrastando il clangore metallico e molto cavalleresco delle sedie di muoverci, accennando a tre fogli A4 di tre colori diversi (rosso, azzurro e verde) su un banco, probabilmente preoccupati dal fatto che il suddetto banco, potesse essere abbattuto da Olga, che incavolatissima, inseguiva saltellando Lorenzo che le aveva rubato una stampella (si era slogata una caviglia, o qualcosa del genere giocando a pallavolo).
Alzammo gli occhi al celo: lo spettacolo non era certo dei migliori: L’Ange ascoltava musica dall’I-pod, cantando a squarciagola insieme alla migliore amica, Oriana; Anita incitava Olga facendo al contempo la telecronaca del torneo; tre ragazze ballavano in piedi su un banco rovesciato che veniva fatto ruotare da altre due; un gruppo di maschi lanciava gessetti; il bidello cercava di ristabilire l’ordine, bersagliato da pezzetti gomma da  Nicolò e Filippo, accucciati strategicamente dietro un banco; infine, Mello e Matt fumavano una sigaretta seduti sul davanzale esterno della finestra.
Io e Cleo ci guardammo, e scattò il piano “normalizzazione” della classe: lei prese di peso i due ragazzi sopracitati e li riportò all’interno dell’aula, facendo seguire una sonora lavata di capo, per poi confinarli seduti su un banco in fondo (non dopo aver loro confiscato sotto lo sguardo terrorizzato di Matt le sigarette).
Io mi diressi verso Lorenzo, gli tirai un calcio alla gamba destra e gli presi la stampella, per poi ridarla a Olga, non senza aver urlato ad Anita di andare a comporre un poema sul coniglio Tippete (cosa che lei fece con piacere).
Dopodiché, andai dal bidello e gli dissi che avevo visto del vomito in bagno, dandogli così la possibilità di fuggire senza perdere la sua per altro dubbia dignità, e poi andai da Nicolò e Filippo indicando loro le prossime vittime: le ballerine del banco, che furono costrette a un certo ordine dai bersaglieri in meno di un minuto.
Intanto Cleo riuscì a riunire tutti i gessetti e li chiuse nel cassetto, intascando la chiave e costrinse i maschi a pulire ciò che avevano, è il caso di dirlo, ingessato.
Dopodiché, insieme, mettemmo i banchi in cerchio intorno ai duellanti, , facemmo sedere la gente su di essi, e lasciammo come sottofondo la voce dell’Ange e di Ori, che in tutto ciò, non si erano accorte di nulla (hanno una bellissima voce ma non lo ammetteranno mai).
Tirammo quindi un sospiro di sollievo e ci demmo alla costruzione degli aeroplanini, in modo quasi maniacale. Tutto ciò, non pensate male, non perché volessimo ordine o simili. Semplicemente, un troppo alto casino, porta i prof a curiosare, e se lo fanno… la pacchia finisce! Perciò, all’inizio dell’anno, ci hanno elette, protettrici delle ore buche, e così affibbiato il compito di contenere i nostri esuberanti compagni…
Comunque sia… alla seconda ora sarebbe arrivata la mia cugina di Firenze, e già stavo pensando a come accoglierla in modo degno, quando mi accorsi della comparsa di una figura appoggiata allo stipite della porta, semi aperta.
Mi alzai, e uscii, facendogli segno di seguirmi.
“Che c’è, Skin?”
Il ragazzo si portò la sigaretta alle labbra con fare pensoso, prendendo tempo.
“Allora?”
“Ti devo chiedere un paio di giorni in più, Alma… il tuo amico sai… Beyond… un tipo curioso, davvero… ”
“Come mai?”
“Beh, ci sono alcuni aspetti della mia, chiamiamola così… indagine… che vorrei chiarire, ti sta bene?”
“Certo Skin, non ti preoccupare… ma… che ci fai qui? È la prima ora!”
“Si lo so… ma ho sentito in giro che qua c’era ora buca, e ero curioso di sapere che faceste…”
“Skin senti… ma hai già scoperto qualcosa?”
“Umh… si.. si può dire così… beh… allora vado… ci vediamo fra cinque giorni”
“Ma non mi dici cosa?”
“Mmmh.. ti dirò poi… ciao!”
“Ciao Skin!”
Pensosa, tornai dentro. Gabriele sembrava in vantaggio…
Il tempo passò, Pietro venne atterrato da un colpo di sedia ben piazzato, Gabriele lanciò gli aeroplanini, e Cleo ridiede le sigarette a Matt. Insomma, la campanella suonò, e ci ricomponemmo in tre secondi.
La professoressa entrò, e captammo che era fortunatamente di buon umore da una delle sue.. come dire… discutibili battute. Beh, comunque sia, la prof entrò, fece l’appello, e nel preciso istante in cui strillava il nome della mia cugina (che non era ancora arrivata causando in me tic nervosi non descrivibili, lo stritolamento di un paio di braccia e la tortura del mio labbro inferiore) ella entrò, ovvero quasi cadde dentro l’aula, con ancora la giacca e lo zaino sulle spalle, urlando “PRESENTE!” e causando lo stupore generale.
La prof non notò nulla, chinata sul registro, e io riuscii ad afferrare quella svampita e a metterla a sedere di fianco a me. Lei, ancora non ben consapevole del modo in cui era arrivata a quel banco, fece spallucce e si tolse lo zaino e la giacca, per poi sedersi e guardarsi intorno. Finalmente mi vide.
“ALMUZ!” (e qui mi chiesi ancora una volta perché proprio la mania dei nomignoli dovesse avere)
Le tappai prontamente la bocca. “Sch! La prof sta facendo l’appello, ti ammazza se la interrompi!”
“Oh.. scusa… beh… ciao!!” risolse, al che la abbraccia velocemente.
“Come stai?”
“Tutto ok, ho avuto un paio di problemi a trovare la classe, ma eccomi qui!”
“Mi sei mancata Lucy!”
“Lucia Ferrario!” chiamò la prof.
“Vieni a presentarti alla classe, visto che sei nuova!”
Si alzò, e raggiunse la cattedra. È una bella ragazza mia cugina. Ha dei lunghi capelli bruni, mossi e scalati, che le arrivano alla schiena. Occhi grandi in stile cerbiatto, alta, magra e con un bel sorriso. Usa jeans mediamente stretti, e il tipo di scarpe che predilige sono le all star col pelo dentro. È un po’ svampita, ma molto intelligente.
“Mmmh… ciao, io sono Lucia, vengo da Firenze… ”
Un’ora dopo
Uscimmo dalla classe per l’intervallo, e io presentai Lucy alle mia amiche.
“Bene Lucy, ora Anita ti porterà un po’ a vedere la scuola! D’accordo?”
“Si, va bene, ci vediamo dopo allora!”
Le due scomparsero dietro l’angolo, e le mie amiche esplosero:
Ange: “Mi ispira violenza, non so perché…”
Jen: “Melloooooo… sei arrossitooo!!!! ”
Mello: “…” *arrossisce e scappa da Jen*
Matt: “Mmmh… mi sembra simpatica! Ha detto che se ne intende di pc, vero? Mmmh…”
Cleo: “Un po’ pazza, ma mi piace… ”
L: “Deduco che sia molto intelligente, ma molto distratta. Ha una voce molto alta… e mi sembra schietta. Ha una spiccata qualità nel cogliere il carattere delle predone, ma non la sa sfruttare… le insegnerò…”
Sospirai: l’avevano accolta bene.
“Bene, io vado in bagno!”
“Non puoi, li hanno chiusi in questo piano, guasto nelle tubature”
“Vbbè, allora vado al secondo piano! Arrivo fra poco!”
“Si, non scomparire anche oggi, veh!?”
“Tenterò!”
“Allora ti accompagno!” mi si affiancò L’Ange.
Alzando gli occhi al cielo, venni seguita al piano di sotto, dove dopo aver salutato il gruppo di Beyond, e lui stesso (isolato davanti a una finestra con uno sguardo di odio) entrai nel bagno.
Cinque minuti dopo, ripercorrevamo il corridoio, per risalire.
Fu allora, che un ragazzino di seconda attaccò briga con la persona sbagliata.
Si chiamava Simone mi sembra, ed era inquietantemente simile all’incrocio fra una rana e una zanzara: era basso, con una testa piccola e due occhi a palla sporgenti, con un’aria da cretino impressa. Il tipico bulletto rompiballe, l’avevo incontrato un paio di volte e a stento mi ero trattenuta dal picchiarlo a sangue. Prendeva in giro tutti, rideva e scherniva. Di solito i più grandi di lui li lasciava stare, ma evidentemente vedendo Beyond così solo e depresso, decise che era una preda perfetta.
Insomma, fatto sta che si avvicinò e cominciò a infastidirlo sotto gli occhi dei suoi amici, cretini nell’osso.
Beyond non lo guardava, ma era seriamente intesito. Ma fu nel momento in cui quella sottospecie di ermellino a strisce pronunciò la parola Arianna, che capì che sarebbe finita male.
Beyond subì una trasformazione inquietante sotto gli occhi di tutti. Ci fermammo.
Da curvo che era, si era drizzato in tutta la sua altezza, e si era girato di scatto.
le mani gli tremavano di rabbia.
I suoi occhi.
Erano…
Rossi.
Neanche l’ombra di un sorriso attraversò i suoi lineamenti, mentre prendeva Simone per il collo con una mano e lo sollevava alla sua altezza, circa 7 centimetri più in alto.
“Tu non sei degno di dire il suo nome.” Scandì con disprezzo.
Dopodiché, con l’altra mano gli tirò un pugno sul naso, mentre lo lasciava andare.
Il ragazzo cadde a terra, urlando.
Beyond incurante degli sguardi degli altri studenti posati su di lui, cominciò a prenderlo a calci con violenza, e nei suoi occhi si leggeva la morte.
Immediatamente i suoi amici, io e L’Ange, ci precipitammo a fermarlo, prendendolo per le braccia e tirandolo via dal corpo insanguinato.
Non mancò poco che si sentirono i primi affrettati passi dei professori, che si profusero alla vista della scena in urla di orrore e accusa.
A nulla servirono le nostre proteste, venne portato in presidenza in uno stato di catalessi, verso un destino non definito.
Ci fu un breve scambio di sguardi.
“Che facciamo ora?”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Rabbia ***


Heilà, gente... si, linciatemi.
Lo so, non scrivo un capitolo da tipo un sacco di tempo, ma spero che questo risarcisca i danni perchè SI, FINALMENTE succede qualcosa.
Beh, che dire in mia discolpa per il resto... in questo periodo a scuola ci stanno tartassando di compiti e verifiche, e visto che mia madre a mio parere ha una doppia vita come psicopatica killer, vi assicuro che è MOLTO MEGLIO che io prenda bei voti!
Non vi tedio oltre, e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento! Intanto grazie per aver cliccato sulla storia! :)
Mina



Dopo un minuto che tutti erano fermi, mi decisi, e cominciai a correre per il corridoio diretta alla presidenza. I miei passi rimbombavano per la scuola, mentre tutti gli alunni rientravano in classe. In pochi istanti, i corridoi si svuotarono. L’Ange mi urlò che andava ad avvertire gli altri, e tornò indietro. Andai dritta in presidenza, e senza bussare irruppi, esplodendo in uno sbrigativo e secco

“Buongiorno professore.”
Costui, era seduto alla sua scrivania, e stava firmando dei fogli. In un angolo, seduto sulla panca di legno, c’era Beyond, apparentemente estraneo alla situazione.
Il preside alzò lo sguardo, come entrai.
“Misora, buongiorno anche a lei. Dovrei svolgere un po’ di burocrazia poi sarò da voi.” Era evidente che non era sorpreso dal fatto che fossi venuta. Gli altri, gli amici di Beyond, erano rimasti fuori ad aspettare.
Mi sedetti di fianco al ragazzo, sussurrandogli fra i denti
“Ma che ti ha preso? Vuoi fati espellere?”
Lui non mi rispose, sembrò quasi che non mi sentisse, ne ebbe reazioni. Era dimagrito, se possibile, ancora di più e il suo sguardo era ancora più assente.
“Beyond! Ma mi senti?”
Lui si scosse, e sembrò uscire da un mondo tutto suo. Sbatté un paio di volte gli occhi, e mi guardò.
“Eh?”
“Beyond e che cavolo! Sveglia! ”
Mi guardò un po’ male, e distolse di nuovo lo sguardo ritornando in catalessi. Scossi la testa, rinunciando a capire.
Dovemmo aspettare giusto un paio di minuti, durante i quali il preside lesse alcuni fogli. Dopo che li ebbe infine posati, ci guardò e disse il mio nome.
“Misora… che hai da dire? C’eri per caso?” chiese attendendosi una risposta negativa
“Si che c’ero!” esclamai a testa alta.
“E posso dirle che Beyond non ha colpe! Simone l’ha deliberatamente insultato e provocato! Si, lo so anche io che in questo periodo Beyond è un po’ strano, ma come ho detto è un periodo! E i periodi passano. Perciò non vedo perché punirlo di qualcosa che era inevitabile accadesse e che farà abbassare la cresta a quel cret… ragazzo. e poi le garantisco che non succederà più”
“Si… beh, il tuo ragionamento non fa una piega. Ma come posso essere sicuro che non succederà più. Non è per fare il guastafeste Misora ma… insomma, lo guardi… non sa neanche quello che stiamo dicendo. E poi, di Birthday non mi posso fidare molto in questo campo. Le rivelerò che è stato espulso da più scuole per lo stesso motivo. Insomma… credo lei sappia.”
“Cosa? Non sarà mica vero che ha ucciso… ”
Il preside fece un lieve cenno col capo.
“Oddio… beh, ma io lo conosco, e posso assicurarle…”
“Ecco, questa potrebbe essere una soluzione. Lei, Misora, si assume tutte le responsabilità su Birthday. Se capiterà un’altra volta, sarà lei a pagarne le conseguenze! È d’accordo?”
Esitai un momento.
“Si,”
“Bene, in questo caso potete andare… ah, Misora, giacché è qui, sappia che domani dovrebbe venire alla terza ora, devo dirle una cosa. beh, arrivederci, tornate pure in aula.”
“Arrivederci professore, verrò domani.”
Detto ciò, trascinai BB fuori. La bidella aveva evidentemente spedito i suoi amici in classe, non c’era nessuno fuori.
“Vieni, ti accompagno in classe.”
Lui mi seguì senza obbiezioni.
“Senti Beyond… io non so cosa tu abbia in questo periodo, ma ti rendi conto, no, che d’ora in poi, se tu fai qualcosa, puniscono me, vero?”
Annuì distrattamente.
“Beyond cazzo, ma che hai? Sei stato quasi espulso!”
Lui si limitò a sbuffare.
“Capisco che lei ti manchi, ma si può sapere… ”
Mi interruppe subito.
“Non nominarla.”
“Io la nomino quanto mi pare e piace! Non ho idea di che cazzo sia successo, e magari se me lo dicessi invece di andare in giro a pestare la gente con la scusa che, poverino, dev’essere un periodo, riuscirei a darti una mano non trovi? Qunado fai così sei davvero un idiota. E se te ne esci con uno dei tuoi “non puoi capire” con aria da vittima giuro che ti spacco la faccia!”
Lui si fermò, e mi guardò. Sembrava molto arrabbiato.
“Che cosa vuoi da me?” mi chiese scandendo le parole. Lo guardai negli occhi con altrettanta rabbia.
“Voglio che tu ti renda conto di due cose. La prima, che non esisti soltanto tu. La seconda, che ti ho evitato l’espulsione e che mi sono presa la tua responsabilità.” Glielo dissi con calma, soppesando le parole e senza distogliere lo sguardo dal suo.
Poi parlai con disprezzo.
“Sei veramente uno stronzo.” E mi girai, per andarmene in classe.
Feci appena in tempo a schivare il suo pugno, e a girarmi di scatto, per rifilargli un calcio nelle costole che, viste le sue condizioni, lo spedì a terra.
“Non ci provare anoressico strafatto.” gli dissi guardandolo dall’alto, per andarmene definitivamente e lasciarlo la.
Le mani mi formicolavano e avevo molta voglia di picchiare qualcuno, ma mi trattenni, e continuai a camminare velocemente come mio solito.
Entrai nell’aula, riferii l’accaduto alla professoressa, e mi sedetti al mio posto, affianco a  Lucia.
Quest’ultima mi guardò un momento, leggermente preoccupata dal fatto che stavo sistematicamente sezionando la mia matita, e decise di non indagare oltre, passando invece l’ora, a raccontarmi del viaggio, e di come fosse disperata per aver dimenticato a Firenze la spazzola. Si, ogni tanto è logorroica. Ma che vi devo dire… è mia cugina.
Alla fine delle lezioni, i ragazzi della scuola si riversarono fuori, creando una specie di valanga. Io e i miei amici aspettammo che il grosso degli studenti fosse passato, per scendere a nostra volta le scale senza essere travolti o/e calpestati.
Nessuno faceva la mia strada per tornare a casa, tranne mia sorella che però quel giorno stava a scuola non ricordo perché, così, girato l’angolo, mi ritrovai a camminare da sola. Ero ancora piuttosto arrabbiata, e camminavo veloce, a passo pesante. Saltai sull’autobus, e dopo cinque fermate scesi. Mi rimaneva un pezzo a piedi, che percorsi velocemente.
Svoltai un ultimo angolo e arrivai alla strada dove abitavo, molto tranquilla e poco trafficata. C’era una persona davanti a casa mia. Sbuffai. Fino all’ultimo sperai che non fosse lui. E invece era così. Stava appoggiato al mio cancello, e non mi aveva visto.
“Levati” gli dissi sbrigativa.
Lui mi notò, e incrociò le braccia.
“Levati” ripetei, più incavolata.
Non si mosse.
“Cosa vuoi? Vattene.”
Mi fissava, e in quel momento lo rividi lucido come quando l’avevo conosciuto.
“Tu.” Disse.
“Tu mi hai fatto cadere.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Beyond, vattene ho detto.”
“Prova a passare se vuoi.”
“Hey, sei mezzo anoressico, credi di potermi battere?” gli chiesi ironica.
“Si.”
“Modesto. Ora levati idiota.”
“Non credo.”
“Vuoi che ti sposti io?” mi cresceva la rabbia in corpo.
“Puoi provarci se vuoi. Ma temo che non ci riuscirai.”
Mi avvicinai a lui.
“Non mi sfidare. Non sei nelle condizioni. Te lo ripeto un ultima volta Beyond, e bada che sono veramente incazzata. Le-va-ti.”
Mi guardò a metà fra il divertito e il curioso, rimanendo dov’era. Aspettava una mia mossa. Non c’era quasi nessuno per la strada, come ho già detto la via era molto tranquilla.
Lo guardai negli occhi per un po’, tentando di calmarmi.
“Beh, che c’è, hai paura di uno strafatto anoressico?” chiese sarcasticamente.
Ecco, speranza di mantenere la calma andata ufficialmente a puttane.
In tre secondi il mio braccio partì da solo verso la sua faccia. Bloccò il mio pugno, e mi fece cadere con uno sgambetto. Mi guardò dall’alto.
“Non sei poi così forte.”
Mi alzai, riacquisendo la calma. Avevo fatto una cosa avventata, ma c’era ancora tempo.
Lo guardai, mentre si compiaceva di quella che già considerava una mezza vittoria.
“Beyond, scusami, hai ragione tu. Fatti abbracciare” gli dissi col tono più dolce che avevo.
Lo presi per le spalle, attirandolo a me, per poi, all’ultimo momento, sbatterlo con tutte le mie forze sulle sbarre in metallo del cancello. Gli si sgranarono gli occhi, mentre cadeva.
“Non sei poi così forte” lo presi in giro.
Si tirò su, osservandomi attentamente.
“Donne” sussurrò, contrariato.
Tentò, di scatto, di tirarmi un pugno sul collo, ma schivai, e copiai la sua mossa, che però andò a vuoto.
“Che fai, mi copi? Non molto saggio.”
Gli tirai un calcio, che però non sembrò fargli molto male, in quanto contrattaccò subito prendendomi il polso e tentando di torcermelo. Con la mano libera, gli tirai un pugno nello stomaco, facendogli mollare la presa.
Si appoggiò di nuovo al cancello, apparentemente tranquillo e in attesa di una mia mossa. Ma a tradimento, mi tirò un pugno sulla spalla, facendomi indietreggiare, quasi cadere, e subito dopo mi torse i polsi, stavolta entrambi. Stava tipo per rompermi il polso della mano sinistra, quando riuscii a liberare l’altra, tirandogli un pugno sulla scapola. Prima che potessi tirargliene un altro mi aveva lasciato e stava per attaccare di nuovo, con un calcio che non riuscii a schivare in tempo. Per non cadere a terra, mi aggrappai alla sua spalla, e la strinsi con tutte le mie forze, facendogli male. Mi rimisi dritta, e lo mollai. Ci guardammo per un poco, tutti e due fermi. Poi, rapido, mi prese le spalle e fece ciò che poco prima  avevo fatto io, con qualche differenza. Mi sollevò leggermente da terra, e con rapidità disumana, mi sbattè con forza sulle sbarre del cancello, senza mollare la presa, per tenermi ferma.
Lo guardai negli occhi con odio, mentre la mia povera schiena urlava di dolore.
Nei suoi non potevo leggere emozioni, ma non erano catatonici per una volta. Sembravano quasi più neri del solito. Con un movimento veloce del collo, si scostò i capelli spettinati da viso. I nostri volti erano a pochi centimetri.
“Sai cosa mi fa arrabbiare di te?” mi chiese con una serietà che adottava poco spesso, e che mi portò a prestargli molta attenzione.
“Cosa?” gli risposi, aspettandomi una risposta banale, usata per distrarmi.
“Che ogni volta che ti vedo” continuò, diventando sempre più serio e più vicino a me.
“Mi viene una voglia matta di baciarti”
Rimasi di stucco. Lo aveva detto quasi con rabbia.
Si avvicinò ancora di più, ormai mi sfiorava.
E il nostro primo bacio fu semplice, un gesto spontaneo, di cui ci stupimmo tutti e due.
Mi osservò per un minuto buono, percorrendo con gli occhi i miei lineamenti, fino a tornare nei miei. Sembrava essersi quasi dimenticato di Arianna, e in effetti, in quel momento, non ci pensavo neanche io.
Rimanemmo a fissarci, finché, all’unisono non dicemmo:
“Ti odio.”
Riavvicinò il suo volto al mio, e mi baciò di nuovo, rabbiosamente.
Poi mi lasciò, e velocemente, se ne andò, mentre io rimanevo ferma a chiedermi cosa fosse successo.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Intervalli movimentati, ma per fortuna meno del solito ***


 
Seduta alla mia scrivania con penna e carta, cominciai a scrivere tutto ciò che sapevo di quella strana persona. Ecco ciò che ricavai:
1.    È un assassino
2.    È depresso e non si interessa a nulla
3.    Ha seguito un corso di Capoeira
4.    Abita in quello che credo sia un istituto (Wammy’s House)
5.    Con lui vi abitano anche L, Matt, Mello e il resto del suo gruppo
6.    È fidanzato con Arianna
7.    Arianna è la causa della sua depressione
8.    Quando si arrabbia molto i suoi occhi diventano rossi e sembra un'altra persona (doppia personalità?)
9.    Vuole che io sappia il meno possibile su di lui
10. Mi ha baciata (completa perplessità e confusione)
 
Dopodiché, me lo lessi e rilessi più volte, senza sapere bene cosa pensare.
“Help!”
“Eccomi qua, cara!”
“Hey coscienza, come va?”
“Bien! Mi hai chiamato?”
“Veramente n…”
“Bene, eccomi qua per te!!! Direi che la domanda che ti devi porre è una  sola!”
“Si, ma io non ti…”
“Vuoi sapere qual è?”
“Ma… ok…”
“Ebbene… ti piace?”
“Che cosa chi come perché quando dove come????”
“Ma come! Beyond no?”
“M-m-ma no!”
“Guarda che a me puoi dirlo! Sono te stessa!”
“Ah beh… ma io… non lo so!”
“Beh, quando l’avrai saputo, potrai decidere che fare! Perciò pensaci bene! Adios!”
Ero sempre più sconcertata da quei dialoghi interiori.
Feci un respiro profondo e scossi la testa. E poi decisi di aspettare una sua mossa. Dopotutto era stato lui a presentarsi davanti al mio cancello. Si, avrei atteso.  

Finalmente l’intervallo! Dopo due ore stremanti di noia, uscimmo dall’aula con gli occhi a palla, mezzi addormentati.
“Alma, posso parlarti?”
“Si, dimmi Cleo..”
“Emm… in privato…”
“Ok… vieni, andiamo sul tetto, così ci rinfreschiamo anche il cervello dopo questa tortura!”
Lei mi sorrise e insieme, ci avviammo, canticchiando ciascuna persa nei propri pensieri. Quando arrivammo, ci accorgemmo che fortuitamente eravamo sole, e ci sedemmo sulla solita panchina. Aspettai che fosse lei a parlare.
Cleo era una bella ragazza, con dei lineamenti delicati e degli occhi molto espressivi. In quel momento la vedevo tormentata, e ero curiosa di sapere come mai.
“Beh… ti ricordi l’occupazione?”
“Certo che me la ricordo!” dissi sospirando appunto per essa.
“Ecco, hai presente l’amico di Mello… quello della radio, no…”
“Si, certo! È praticamente mio fratello!” esclamai.
“Si beh… sai, io mi vergogno un po’ a dirtelo ma… si beh…”
“Eddai con sti si beh!”
“Insomma… abbiamo continuato a vederci dopo… perché… beh… volevamo conoscerci meglio… niente di più eh!”
“Ehhh!!!! Ho capito!!! HO CAPITO! TI PIACE MATT!!! HAHAHAHAHA!!!! TI PIACE MATT!”
“MA CHE DICI!  NON è VERO! ”
“Guarda che a me puoi dirlo..” le dissi maliziosamente.
“M-m-ma… ma insomma! Io volevo solo dirti che….”
“Che?”
“Beh… forse… un pochino mi piace… ma poco però!”
“Uhuuu!!!! Ci ho preso allora!!!! Hahaha!!! Cleo ma… tu lo sai che è un Don Giovanni, vero?”
“Si… e se tu la smettessi di prendermi in giro, sapresti che ti volevo solo dire che non ho idea di come comportarmi con lui… e boh… volevo chiederti una mano…”
“Okokok, scusa! Tenterò di non ridere… allora.. visto che per me lui è un fratello e viceversa… mi informerò di come vanno le cose sul suo fronte in campo sentimentale! E poi… beh… ammirerai presto la mia influenza su di lui! Hahaha!”
“Dai basta! Piuttosto… non è da un po’ tanto tempo che non… ti sbaciucch…  ” cominciò con aria maliziosa.
“Cleo! Ma sono cose da dirsi!”
“SEI ARROSSITA! TI PIACE QUALCUNO!!!!”
“Non è vero! E adesso andiamo che sta per suonare!”
“Si certo… sappi che indagherò!”
Dopo un breve e satirico scambio di battute, ci avviammo insieme, dandoci di gomito l’un l’altra, e ridacchiando di quando in quando. Quasi subito, suonò la campanella, e sebbene non ne avessimo evidentemente voglia, entrammo in classe.
E ne uscimmo alienate, dopo un’interrogazione durata un’ora e la fatidica verifica di storia.
“Ma in questa scuola non c’è la carta igienica nei bagni!”
“Si che c’è, Lucy!”
“Si ma è.. appoggiata alla maniglia!!! Dev’essere sporchissima!!!”
“ Si beh, in effetti quasi tutti si portano i fazzoletti, Lucy, ma perché, nella tua scuola a Firenze com’era?”
“Beh, in ogni bagno, vi erano  delle apparecchiature… candide… e la carta igienica vi stava dentro! Ah…”
“Lucia… hai nostalgia dei bagni della tua ex-scuola e dei tuoi amici che erano la non mi ai ancora mai parlato??? Non sei normale…”
“Eh, ma perché prima mi devo abituare a qua! DOPO verrà la nostalgia per le persone! Mi conosco!”
“A proposito di conoscenze, hai presente Mattia, il mio migliore amico?”
“Ah… un’implicazione romantica!” esclamò con aria saputa
“Una che?”
“Beh, si sa che fra migliori amici c’è SEMRPE e dico SEMPRE- questo me lo urlò dritto nell’orecchio destro- un certo… come dire… un certo feeling!!! Hahaha!!! ”
“Ma tu sei fuori forte! Ci conosciamo da 14 anni!!!”
“Ancora meglio!!! Probabile che lui speri da 14 che…”
“è fidanzato.”
“Una copertura!!! Ne sono certa!”
“Tu leggi troppi manga.”
Mentre parlavamo, l’avevo scortata per i corridoi, sino a quello di Mattia che scorsi quasi subito mentre parlava, strano ma vero, con Skin. Quest’ultimo, con la solita nonchalance, gli passò una cartelletta e se ne andò.
Vedendo Mattia agitato, mi avvicinai più in fretta e dopo avergli dato una tipica pacca sulla spalla a mo’ di saluto, venni al dunque.
“Hey Matt, ma che ti succede? Ti vedo agitato! Tra parentesi, lei è la mia cugina, te ne avevo parlato, ricordi? Comunque, si chiama Lucia o Lucy, come ti pare, e sta sostenendo che abbiamo un’implicazione amorosa… suo tipico per altro… ma non giudicarla male per questo. Pensa che anche Dario all’inizio ci prendeva in giro! E ora è il tuo migliore amico! Tornando a noi: che hai?”
“Alma… dovresti fare qualcosa per… vabè…”
“Eh? Cosa?”
“Parli velocissimo quando ti ci metti… sei inquietante… comunque, piacere, io sono Mattia!” esclamò, stringendo amichevolmente la mano a Lucy. La quale si era fatta tutta rossa, come sempre le accade davanti ai ragazzi.
Scossi la testa, rubando a Matt un po’ di merenda e scherzando con lui.
“Ma Matt, non mi hai risposto… che hai?”
“Eh? Io? Nono, niente!” disse subito.
Se come no… e io sono un arcobaleno rosa! Bah…
“Poi ne parliamo”
“Che?”
“Ho detto che poi ne parliamo”
“Beh” intervenne Lucy “Io vado che devo parlare un momento con Anita!”
“Ok, a dopo!”
Appena svoltò l’angolo, Mattia mi fece cenno di seguirlo, e io lo feci. Una volta giunti in quello che al momento era il posto più tranquillo, l’auditorium, ci sedemmo sul palco.
Rimase un attimo in silenzio, e poi mi passò, con un gesto con cui sembrò liberarsi da qualcosa, la cartelletta che gli avevo visto in mano prima.
La osservai un momento.
Era la tipica ricerca di Skin.
In alto il nome della “vittima”, e sotto, in ordine, l’età, l’altezza, i segni particolari e roba del genere. Poi, l’indirizzo, i posti maggiormente frequentati e, in fondo, una specie di commento personale di Skin.
Ecco cosa lessi:
NOME:  Mail Jeevas, detto Matt
NATO IL: 1 febbraio 1990
SEGNO: acquario
ETA’: 17 anni
ALTEZZA: 1,68 cm
PESO: 52 kg
OCCHI: verdi
CPELLI: rosso ramato
GRUPPO SANGUINIO: 0
SEGNI PARTICOLARI: è in possesso di una pistola calibro 50 (stupisce anche me, se te lo stai chiedendo, ma allego una fotografia: http://www.universotombraider.com/desert_r.jpg  ) e una macchina (Camaro rossa del 1998), è mancino ed è un fumatore incallito quasi come me.
INDIRIZZO: Via degli Orti 5, istituto Wammy’s House
LUOGHI MAGGIORMENTE VISITATI: scuola, via Conti e via Halle 17(di solito in quest’ultimo indirizzo si vede con una ragazza)
FOTO DEL SOGGETTO: http://1.bp.blogspot.com/_q9hmXw3O2iY/TO_qZ3tIKiI/AAAAAAAADRg/8c7_Wk3VlAE/s1600/matt_2448.png
 
Per quanto riguarda il suo carattere, è un tipo strano. Appena lo si conosce sembra il tipico idiota, ma il suo QI è superiore alla media. Basterebbe leggere il suo libretto scolastico per rendersene conto. In tutte le materie ha la media del 10, e rileggendo le sue pagelle, ho notato che è sempre stato così. Il giudizio degli insegnanti è positivo nonostante la sua condotta rimanga sul 7, massimo 8. Di aspetto prestante, si diverte a adescare ragazze che giudica carine, illudendole emeritamente di un grande amore, per poi piantarle dopo massimo una settimana. Ci cascano tutte come pere, ma si sa, le ragazze… Probabilmente, all’inizio della sua esistenza non era così, ma il fatto di frequentare assiduamente quello squinternato che altri non è che Micheel Keehl (alias Mello), il suo migliore amico lo ha fatto diventare ciò che è. Stanno quasi sempre insieme, e ho notato, che Matt prende sempre mezzo punto in meno di Mello, nei compiti scritti. Quest’ultimo, ha una mentalità strana, e vede la cosa come evidente segno della sua superiorità, in confronto dell’amico, un po’ come i cani (si, mi sta antipatico), e ne approfitta per comandare a bacchetta Matt ogni momento. A onor del vero, però, Mello si fida dell’amico, e non lo ritiene affatto, solo uno strumento. Ma è un deficiente, si sa. Comunque, tornando a Matt, il ragazzo è orfano, come tutti coloro ch frequentano il Wammy’s House (si, ce ne sono altri), e i suoi genitori sono morti quando aveva circa 8 anni. Non bisogna mai toccare l’argomento genitori in sua presenza, o potrebbe diventare triste ecc ecc. Difatti, pare che abbia lui stesso assistito all’assassinio brutale dei genitori. Recentemente, ha cominciato a uscire con una, si chiama Caterina de Gin, una ragazza mora, con gli occhi nocciola e alta poco meno di te, che abita appunto in via Halle 17. I due paiono molto affiatati, ma Matt non sembra poi così interessato. Do loro al massimo 15 giorni ancora. I suoi amici principali sono per l’appunto Mello, e poi Alma, che tu conosci (è la tua migliore amica!). quest’ultima, è da lui considerata come una sorella ed è per questo che da quando ella ha cominciato a frequentare Beyond Birthday (anche lui di certo lo conosci), la viene a prendere a scuola più spesso, probabilmente per accertarsi che sia tutto a posto. Difatti, se c’è una persona della quale Matt non si fida, questa è Beyond. E non chiedermi perché. credo che ti basti, e in caso contrario torna da me a chiedere. Ci si vede.
Skin
 
Lessi i dati, e senza soffermarmi sul commento alzai lo sguardo su Mattia.
“Perché hai chiesto di Matt a Skin?”. Che ingenua.
“Guarda qua.” Disse lui con voce funerea, indicandomi una parte del commento:
. Recentemente, ha cominciato a uscire con una, si chiama Caterina de Gin, una ragazza mora, con gli occhi nocciola e alta poco meno di te, che abita appunto in via Halle 17. I due paiono molto affiatati, ma Matt non sembra poi così interessato. Do loro al massimo 15 giorni ancora
Oh cavolo.
“Oddio Mattia… ma Caterina… ”
“Già. Mi ha piantato ieri. Per quel fottuto stronzo.”  Mattia non dice quasi mai le parolacce…
“Mattia, ma che hai intenzione di fare con questa cartelletta?”
“Intanto so dove abita.”
“Non starai pensando di…”
“Me la pagherà.”
“Mattia non fare sciocchezze! Vedrai che tornerà da te in massimo 2 settimane!”
“Non m’interessa. Questa è la prova che non mi ama affatto. E che Matt è uno stronzo di dimensioni indescrivibili. Quindi me la pagherà.”
“Mattia ascoltami bene. Dubito che Matt sapesse che lei è fidanzata”
“Era.”
“Si insomma, non era sua intenzione, ok? Non te la devi prendere con lui”
“IO me la prendo con chi cazzo mi pare! Lo dice anche Skin che voi siete come due fratelli, no? Quindi è naturale che stai dalla sua parte. Bene…”
“Ma… Mattia ma sei geloso! Guarda che tu sei il mio migliore amico! Sei molto più che un fratello! Però sbagli a prendertela con lui, che non ha colpe.”
“Doveva informarsi.”
“Magari le ha mentito”
“Si, certo, figurati se è colpa di Matt! È ovvio che non l’ha fatto apposta, il povero piccolino!”
“Mattia calmati!”
“Lasciami stare!”
“Ma che cavolo! Stai calmo!”
“Speravo che almeno tu mi avresti capito!”
“MA ti capisco!!”
“Non sembra!” e con questo se ne andò.
Rimasi un momento li come una cretina: era la prima volta che litigavamo, non sapevo cosa fare, cosa pensare.
Alla fine, pensierosa, mi avviai alla classe, dopotutto l’intervallo stava finendo.
Stavo camminando per il corridoio del primo piano, ed ero all’altezza della porta dello sgabuzzino, in quel momento aperta. Senza quasi vedere dove posavo i piedi, vi arrivai davanti, e in meno di un secondo, la porta dello stanzino se era chiusa, e io vi ero dentro.
“Eh?” esclamai, risquotendomi dai miei pensieri e capendo che cos’era successo.
Beyond era davanti a me, e mi guardava, in apparenza lucido.
“Beyond? Ma che cavolo..”
Prima che finissi di parlare si avvicinò, e mi baciò.
“Beyond ma che fai!”
“Sh!” disse poggiandomi un dito sulle labbra.
“Beyond… che  ti prende! Insomma!” sussurrai allora.
“Ciao. Volevo vederti.”
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNNNNNNNNNNN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
“Beyond, io devo andare in classe!”
“Ma io ti devo parlare. Stai qui.” Disse, quasi impose, prendendomi i polsi.
“Senti, non è che possiamo parlare dopo la scuola, che ne so, davanti a casa mia magari.”
“Ascoltami. C’è qualcuno che mi sta spiando da un paio di giorni. Si chiama Skin, e so che lo conosci.”
“Ti ho detto che possiamo parlare dopo la scuola! Ho già saltato abbastanza lezioni!”
“Non è che l’hai mandato tu, eh?”
“Beyond! Ma mi ascolti?”
“Si.”
“E allora ci vediamo. Ciao!” dissi spiccia uscendo. I corridoi erano già deserti. Stavo per mettermi a correre, quando mi prese la mano. Lo guardai.
“Alma.”
“Si?”
“Sono confuso nei tuoi riguardi.”
“Siamo in due allora.”
“Non hai detto niente?”
“Ti pare! Non so neanche perché lo hai fatto!”
“Ma… posso farlo di nuovo?” chiese accennando un sorriso beffardo.
“Non so ancora, scemo!”
“Allora non sei arrabbiata?”
“No. Mi fa piacere vederti sorridere finalmente! I tuoi guai sono passati?”
Si rabbuiò di nuovo.
“Ciao” disse, allontanandosi calmo.
“Ciao!” accennai, correndo già.
Entrai in classe trafelata, e corsi a sedermi, mentre la prof. di latino mi fissava sotto gli occhiali.
“Vedi di non arrivare più in ritardo Misora”
“Certo professoressa. Mi scusi.”

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Finalmente un po' di risposte! ***


*si inginocchia e congiunge le mani in preghiera*
Si, lo so, non aggiorno da una cosa come 2 mesi, e per questo chiedo grazia divina... :(
BB: "Secondo me sono solo felici che non aggiorni..."
Zitto tu! Che ci fai qui?
BB: "Emm.... volevo chiederti dove ai ficcato la marmellata. Ho fame!"
... è in frigo, no?
BB: "Ah già... scusa, il calo di zuccheri mi sta dando alla testa!"
Ma hai mangiato due barattoli di marmellata quindici minuti fa...
BB: "Beh, che c'entra! E poi... uffi, insomma, ecco però! *offesomodeon*"
*sospira* certo BB, hai ragione tu... ORA VATTENE PERò, MI STAI FACENDO PERDERE TEMPO!!!
*scappa verso il frigo*
Dicevamo! Coiè, dicevo! Anzi, per essere precisi, scrivevo! ... emm... non guardatemi così.... lo so che sono pazza... *imbarazzooooooo*
Chiudiamo sto delirio va! Si insomma, spero non mi odiate ne perchè non ho pubblicato, ne perchè ho pubblicato, e che lo vogliate o no, il capitolo è lungherrimo rispetto agli altri! :D:D:D
Addioooo!!! <3
Mina






Uscii da scuola, e trovai Matt sulla soglia che mi aspettava fumando un sigaretta. Mi avvicinai, e ci incamminando per casa mia chiacchierando. Sembrava molto rilassato, e mi disse che doveva parlarmi. Chissà perché tutti volevano parlare con me… ma chi sono il genio della lampada? Bah…

Mangiammo insieme una pizza per strada, e mi raccontò che aveva conosciuto una ragazza. Già… gli dissi che lo sapevo, e lui mi chiese perché.
“Beh… me lo ha detto Mattia…” dissi con cautela.
“Non sapevo fossero tanto amici” si stupì.
O guardai male.
“Che c’è, che ne so io! Comunque mi devi aiutare perché invece è amica tua!”
“Ma quasi non la conosco cosa dici!”
“Che? Ma se ci stai tutto il giorno a braccietto!”
“Eh? Ma quando mai?”
Si fermò. “Aspetta un momento. ma di chi stai parlando?”
“Beh di Caterina, e tu?”
“Di Cleo! Scema, se tu mi facessi finire di parlare!”
“Cosa? Cleo? Fermati un attimo mi sto perdendo… allora, a te piace Cleo, presumibilmente a Cleo piaci te, e tu… TU TI SLINGUI UN’ALTRA?”
Arrossì fino alla punta delle orecchie, ricominciando a camminare.
“Ma io veramente non..”
“Mattia era completamente fuori per questa storia oggi, Caterina era la sua ragazza Matt!”
“Oh cavolo. Ma io non lo sapevo! E poi è lei che ha baciato me!”
“Non so se crederti o meno, ma tanto lo devi dire a lui, non a me. Tornando a Eloin, ma da quand’è che-”
“da novembre”
“COOOOOSAAAA???? E NON ME LO HAI MAI DETTOOOOO?????? ”
“M-ma io pensavo che-”
“Zitto e mosca e fammi pensare!” esclamai afferrando il cellulare e chiamando la mia amica.
“Pronto?”
“Ciao, sono io, vieni urgentemente a casa mia!”
“Ora?”
“Si. È importantissimo!”
“Arrivo!”
Appena misi giu, aprii il cancello di casa ignorando Matt che mi imprecava contro chiedendomi come mi fosse venuto in mente.
“Stai buono Matt!”
“Guarda che non sono un cane, e ora tu mi spieghi!!! Cioè perché le hai detto di-”
“Buono o ti requisisco le sigarette!”
“Nuo!” si lamentò debolmente.
“Seduto sul divano forza!”
“Ehi!”
“Muoviti!” esclamai scompigliandogli i capelli.
Nonostante i numerosi tentativi di fuga, riuscii a farlo rimanere li fino all’arrivo di Cleo, e quando entrò e lo vide arrossì e chiese perché mai l’avessi chiamata visto che non le sembrava di vedere niente di urgente. Poi tentò di filarsela, ma io la afferrai e la misi sul divano a forza di fianco al rosso, che intanto fumava in stile ossessivo compulsivo sigarette spente (se no mi impuzziva la casa, che c’è?).
Mi sedetti davanti a loro e in sentendomi una terapista di coppia feci un profondo sospiro.
“Allora… ragazzi voi siete veramente stupidi, sisi miei cari! Insomma, dai! Vi piacete, si vede da un miglio o anche due (dovremmo fare la prova..) e non avete il coraggio di dichiararvi, non ci credo! E tu Matt sei veramente incredibile! Trovi finalmente la ragazza giusta – Cleo arrossì ancora di più- e te ne fai altre al posto suo!! Ora me lo spieghi!”
“Ahem… è che io… cioè… ecco…”
“APPUNTO!- mi guadagnai un occhiataccia ma andai avanti stoicamente- PROPRIO QUI TI ASPETTAVO! NON LO SAI! E SAI perché (evidentemente no, ma ci sta bene)? Perché SEI UN IDIOTA! Cioè, volevo dire, non fraintendermi eh, ma insomma ragazzo se devo dirlo lo dico! E tu Cleo! Che aspettavi, la pioggia di arachidi arancioni abbrustolite da un charmander allergico alle ghiande blu??? Datevi una mossa! E piantatela di guardarvi le scarpe- aggiunsi con aria pratica- che è da vanitosi!non che neghi la bellezza delle… no aspetta così mi perdo! Ritorniamo a noi: tu- dissi indicando Matt- piaci a lei, e tu- stavolta indicai Cleo- piaci a lui! Chiaro a tutti e due?”
Annuirono.
“Bene, ora fuori di qui e trovatevi un buon posto per sbachiucciarvi! Forza moves!” esclamai congedandoli con un gesto stanco. I due si alzarono e uscirono come in lutto. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa.
Dopodiché mi ritirai in camera a studiare. Ma non passò che un’ora scarsa e il campanello suonò di nuovo…
Mi alzai sospirando e andai al citofono.
“Chi è?”
“Beyond” rispose una voce calma.
Aprii, e lo feci entrare. si guardò intorno un po’, ammirando molto la mia camera, come se averla fosse un dono dal cielo. Ed in effetti lo era, ma sorvoliamo, questa è un’altra lunga storia.
Mi guardò accennando un sorriso.
“Che hai?”
“Niente niente.” Disse continuando a guardarmi.
“Beh… cosa c’è?”
“Ah si! Vedi mi chiedevo se tu avessi mandato Skin dietro di me, perché è molto fastidioso.”
“No assolutamente. Tutto qua?” gli chiesi mettendo in atto anni di recitazione.
“Veramente credo che dovremmo parlare anche di.. emm… non so come dirlo…”
“Per esempio del fatto che mi hai baciata a tradimento?” gli chiesi a bruciapelo.
“Emm… io veramente…”
“E si ora tiri fuori la faccia da innocente, ma guarda che io non c’entro!”
“Ma tu..”
“Ma io cosa?”
“Beh- disse recuperando tutta la sua baldanza- di sicuro non ti sei opposta!”
Scossi la testa. “Sei incredibile.”
“Grazie! Ora parliamo seriamente però.”
“Eh?”
“Eh, cosa, non hai niente da dire?”
“Sei tu che mi sei piombato in casa, sputa!”
“Mh… vieni con me in un posto prima?”
“Ok, ho capito non riuscirò mai a fare i compiti di tecnica…”
“Tecnica?”
“Per una volta!” mi scusai: nessuno faceva i compiti di tecnica nella scuola.
Alzò il sopracciglio.
“Noioso! Va bene, dove andiamo?”
“Vedrai.” Rispose, enigmatico.
Sospirando mandai un messaggio a mia sorella e uscii seguendo quello squinternato.
Prendemmo un autobus che ci portò fuori città in poco tempo (eravamo già un po’ in periferia.) e scendemmo a una fermata davanti a una fabbrica.
“è abbandonata.” Mi spiegò lui.
Mi fece entrare, e capii che era una sorta di suo rifugio. Salimmo alcune scale di metallo, e sbucammo sul tetto. Ma non eravamo arrivati. Infatti, per mezzo di alcune sgangherate scale a pioli, salimmo sul punto più alto della più alta ciminiera e ci sedemmo sui bordi. La visuale era spettacolare. La città era sotto di noi in tutto il suo splendore.
“Uau…” sussurrai.
Ridacchiò. “Sapevo che ti sarebbe piaciuto!”
“è stupendo! Mi chiedo come tu sia riuscito a trovarla! Ma non pensare che mi distragga, dimmi pure!” dissi con un po’ di malignità che lo fece ridere di nuovo.
“Beh, quando guardi uno spettacolo del genere cosa pensi?”
“Che è mozzafiato, ma nasconde molti pericoli, perché?”
“Ecco, non avrei saputo dirlo meglio! Quando ti guardo provo la stessa sensazione! Ma fino a quando… fino a un po’ di tempo fa mi limitavo a prendere atto della cosa e a, come dire, non avvicinarmi troppo. Ma ora non ci riesco più, un po’ perché continuiamo a fare amicizia e mi stupisci sempre di più, un po’ per una cosa che mi è successa… immagino che tu ti sia accorta che non sono proprio al.. massimo della forma diciamo… ”
“Ti chiedo perché da settimane, direi proprio di si!”
“Si insomma, quello che sto cercando di dire, è che visto che sono meno, non lo so, meno qualcosa, ogni tanto non riesco a trattenermi, ok? Quindi scusa, spero che tu non ti arrabbi, e niente, decidi tu che cosa fare! Io ti ho detto perché l’ho fatto, a te la mossa! Direi che mi dovresti spiegare perché non ti sei opposta come quella volta, in sala prove!” esordì.
“Ahem… ecco… beh... diciamo che quello che mi hai appena detto l’avevo anche intuito, ma quello che non mi era chiaro era ed è, cos’è cambiato da poco tempo fa… ”
“Non mi hai risposto però.” Fece notare lui con un sorrisino malefico.
 “Ma neanche tu!”
“Almeno l’ho fatto in buona fede! Se tu mi rispondi io ti spiego!”
“Se la metti così…”
“La metto così!”
“Ok… allora… emm… ”
“Vuoi bofonchiare cose senza senso ancora per molto?” mi chiese ridacchiando, voltandosi verso di me.
“Ecco vedi, il fatto è che, non so bene neanche io perché! è come se… insomma potrebbe essere che tu…”
“Ti piaccio!!!” dichiarò lui alzando un dito e facendomi arrossire fino all’osso.
“Ma che dici, non è così!”
“Non c’è altra spiegazione!”
Abbassai la testa pensando.
“Ma deve esserci, non è possibile che tu mi piaccia! Insomma!”
“Se ti consola mi piaci anche tu… ” bofonchiò lui voltandosi da un’altra parte evidentemente imbarazzato.
“Si ma tu non puoi! Tu stai con un’altra persona!”
“No, non è esatto.” Disse con un tono lugubre e triste.
“Cosa? no aspetta mi sono persa un pezzo! Cioè… l’hai lasciata???”
“No, lei ha lasciato me.”
“cosaaaa???? Perché????”
“Hei calma! Non mi ha lasciato di propria volontà! Ma non posso dirti tutto.”
“Come non puoi dirmi tutto?”
“Ecco… lei… è cominciato tutto un po’ di tempo fa, quando si è ammalata durante le vacanze di Natale. Vedi, io già allora non ero molto sicuro della nostra relazione, ma essendo che lei stava male e che io sapevo che… che era una cosa seria diciamo, non me la sono sentita di dirle che mi ero reso conto che non l’amavo. Tentavo di convincermi che fosse così, ma niente. Non mi fraintendere, le volevo un gran bene, ciononostante non era certo quello che tutti chiamano amore. Comunque, la sua malattia andò avanti per mesi, fino a che capirono che per lei non c’era più molto da fare e simularono un trasferimento. Ora Arianna… ecco… è morta.” Disse tutto d’un fiato senza guardarmi. Mi lanciò un’occhiata furtiva.
Ero completamente basita.
“Cosa? ma… ma non è possibile…”
“Lo so. Però è così.” Rispose, mettendomi una mano sulla spalla.
“Ora capisco perché eri così giu- dissi sapendo che giu non era proprio la parola giusta- ma posso chiederti perchè sembra che tu sia reduce da un pestaggio?”
 “A qualcuno non piaceva l’idea che io volessi stare con lei sempre e trovava più giusto mandarmi a scuola.” Si giustificò, quasi dispiaciuto.
“Beyond, qualcuno chi?”
“Ti ho già detto troppo.”
Lo guardai fissare il vuoto tristemente, dimentico del mondo, e mi resi conto della difficoltà della sua vita. Gli passai un braccio sulle spalle per fargli capire che c’ero. Era una situazione molto delicata quella in cui mi trovavo, e non sapevo cosa fare per uscirne.
“Senti, lo so che sarà difficile con i tuoi amici i miei, e devo dire che non ho pochi sensi di colpa a chiedertelo, ma… ti andrebbe… se vuoi naturalmente… ecco… si stare con me?” mi chiese timidamente.
“Io non lo so… ci devo pensare. Voglio dire… tu mi piaci, però dobbiamo pensare a tutte le conseguenze.” Dissi con sincerità.
“Però… ho sentito quello che dicevi a Matt e a Cleo, cioè che si piacevano a vicenda e per cui non c’era da fare molto, di mettersi insieme e via. E pensavo che visto che tu mi piaci e io ti piaccio potremmo. Magari di nascosto.”
“Lo so, però mi sembrerebbe di star ingannando i miei amici capisci?”
“Ma quando verrà il momento lo sapranno. Devono solo abituarsi all’idea che ci stiamo simpatici, conoscersi. E quando si conosceranno e saranno un gruppo solo… allora… ”
“Tu dici? Ma pensi che si starebbero simpatici?”
“Beh io non conosco che i miei amici, ma secondo me potrebbe essere. Dovremmo stare a vedere.”
“Spero di non pentirmene allora.”
“Quindi accetti?”
lo guardai un po’, con la mia coscienza che urlava APRI QUELLA FOTTUTA BOCCA E DI QUELLE CAZZO DI LETTERE!!! ESSE IIIIIIIII SIIIIIIII!!!!.
“Si.”
“Uau, pensavo che sarebbe stato più difficile convincerti… bene allora adesso posso fare questo senza che tu mi picchi giusto?” mi chiese avvicinandosi.
Alzai gli occhi al cielo ironicamente.
“Vedi che alla fine comunque la giri, fai sempre quello che vuoi, eh?”
“Mi stai rovinando tutto il momento romantico, sei incredibile!” esclamò indispettito.
“Ecco, con quella faccia sei da fotografare!”
“Ma la vuoi piantare? Insomma per una volta che tento di essere gentile, romantico e chi più ne ha più ne metta, tu ti metti a fare la scema! Ma non lo so!”
“Sto forse ferendo il tuo orgoglio?”
“Esattamente!” esclamò offeso.
“Ma piantala! Cos’è che stavi dicendo, sentiamo?”
“Che ora che finalmente ci siamo chiariti, volevo, punto primo, tentare di mettere da parte l’imbarazzo, e punto secondo togliermi uno sfizio!” esordì con un sorriso appena visibile.
“E che sfizio sarebbe?”
“Beh… quello di baciarti, no?” chiese con un po’ di incertezza.
“Ah! Stai arrossendo, eh? E meno male che dovevamo mettere da parte l’imbarazzo!” lo accusai ridendo.
“Ma insomma! L’hai fatto di nuovo!”
“Perché, quello era un momento romantico, scusa?”
“Lo sarebbe stato!”
“Eddai non ti offendere!”
“Va bene, se non consideri questo posto romantico dimmi tu quale!”
“No, ma questo posto è molto romantico! Sei tu che non sei proprio un esperto in materia!” dissi ridendo.
“Tu non faresti di meglio ci scommetto!”
“Di questo ne dubito! Comunque dai, piantala di fare l’offeso o ti faccio cadere!”
alzò gli occhi al cielo.
“Va bene, va bene.”
Silenzio.
“Dai vieni” mi disse. Lo seguii.
usciti dalla fabbrica, camminammo in un prato che la circondava per un paio di minuti, fino ad arrivare a un boschetto. Vi entrammo e arrivammo ad un piccolo corso d’acqua.
“Qui è abbastanza romantico?”
“Tsk!”
“Bah! Dimmi tu allora dove ti devo portare!”
“Vieni con me e te lo mostro.”
riprendemmo l’autobus e tornammo in città. Lo condussi davanti a un fiorente giardino e scavalcai il cancello, da lui seguita.
“Non è un po’ illegale?”
“Non l’ha ancora affittata nessuno!” mi giustificai.
“Mh…”
“Guarda qua!”
incastonata nel terreno c’era un enorme vasca circolare, al cui interno sguazzavano pesci di ogni genere e tipo. La vasca era in ombra in quel momento, grazie a una grande magnolia li davanti, e i rami di un salice piangente accarezzavano delicatamente la superficie dell’acqua. Andammo a sederci contro il tronco di quest’ultimo albero, e attraverso i suoi filamenti, guardammo il giardino.
“Lo ammetto, sono battuto.”
“Si, è esatto!” esclamai. Senti BB… ho pensato che mi devo un po’ abituare a quest’idea…”
“Che sei la mia fidanzata?”
“Ecco appunto.”
“Ah…” disse dispiaciuto.
“Cioè… tenta di capire… insomma… fino a ieri eravamo rivali!”
“Ehi, non fraintendere, in fatto che siamo fidanzati non vuol dire che sei più brava di me col tuo giornalino!”
“Ah! Questa poi! Non c’era certo bisogno di baciarti per capire che il tuo è molto peggio!”
“Non lo pensare neanche!”
“Ok, questo mi rincuora.”
“Speravi che io mollassi le battaglie eh? Continua pure a sperare cara! Non lo farò!”
“Bene, in questo caso puoi pure baciarmi” concessi altera.
“Così però intimidisci, sai?”
“Uh, e piantala di fare la lagna! Hahaha!”
“Antipatica!”
“Facciamo un gioco!”
“Ok… posso farti prima una domanda?”
“Certo, dimmi.”
“Io non ho mai capito perché le persone giocano. E neanche bene cosa sia un gioco in effetti… ”disse guardandomi per vedere se ridevo.
“Beh.. è difficile risponderti… posso dirti che se lo fai lo capisci.”
“Che gioco facciamo?”
“Chi si arrampica più in alto su quell’albero vince!” gridai, lanciandomi verso il tronco di un grande fico.
Circa mezz’ora dopo scendemmo dall’arbusto e ci sdraiammo, col fiatone, ai piedi del salice.
“Ok, pari anche stavolta!” dichiarai.
Notai che mi stava guardando con un sorriso strano.
“Che cosa c’è?”
“No niente… - rispose vago, passandosi una mano fra i capelli per toglierne alcune ciocche dal volto- …è che sei bella così… dai non arrossire, è vero! Comunque hai ragione, ora ho capito. Facciamo un gioco?”
“Che gioco?” gli chiesi sorridendo.
“Tu mi fai una domanda, poi te ne faccio una io e via così… ”
“Strano gioco… va bene.”
“Vai, comincia tu!” mi invitò.
“Mh… che vuoi fare da grande?”
“Sinceramente… non sono molto sicuro. Vorrei diventare un attore, ma non so se me… se posso insomma… ”
“Sai, io faccio un corso molto buono di teatro.”
“Non è che anche tu vuoi-”
“Eh già.”
Sospiro.
“E tu… qual è il tuo colore preferito?”
“Il blu credo… anche se sono sempre molto indecisa… il tuo?”
“Mh… il rosso forse… ”
andammo avanti così, a chiederci cose che non ci eravamo mai chiesti per un bel po’, fino a che nessuno dei due ebbe più niente da dire, e per un po’ semplicemente, ripensammo a tutto ciò che ora sapevamo sull’altro. Non gli avevo chiesto nulla sul suo passato, temendo si rovinare l’atmosfera e pensando che quando fosse giunto il momento, se fosse giunto il momento, me l’avrebbe detto lui. Chiusi gli occhi ascoltando intorno a me il fruscio dell’erba e lo sciaguattare dell’acqua smossa dai pesci.
“Ti ricordi l’occupazione? Quando ti ho parlato direttamente per la prima volta?”
“Eccome!” risposi senza aprire gli occhi.
“Scommetto che ti chiedevi perché ero così vicino, ti si leggeva in faccia la voglia di tirarmi un pugno, sai?”
“No, dai…”
mi guardò male.
“Va bè, si un po’…”
“Sai, ti stavo studiando da un po’, immaginavo che il preside avrebbe avuto un’idea così da un occupazione all’altra. Però c’è una cosa che devo ammettere- continuò quasi fra se e se- da lontano sembri meno carina. Poi uno si avvicina e… ” e l’innocentino mi baciò a sorpresa.

“Falli pure gli occhi angelici, eh! No ma ingannami pure!” esclamai ridendo.
Andava tutto bene per una volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Rivelazioni ***


Passarono alcuni giorni. Si era durante una lezione di solfeggio, quando a un tratto esclamai, guadagnandomi non poche occhiatacce e facendo sobbalzare la povera Lucy: “OH SANTE PIPERITE ARANCIONI DI ATLANTIDE!”
“Che c’è?” mi domandò candida mia cugina.
“Skin! Skin mi aspetta oggi pomeriggio e me ne ero completamente dimenticata!”
“E… allora? Basta che ci vai, no?”
Si, certo, basta ce ci vai, mi dissi. MA BASTA CHE CI VAI UN CORNO!
Quel pomeriggio ero occupata! Occupatissima! Stra-occupata! Dopo pranzo fino alle tre dovevo stare con la redazione del giornale per pinzare le copie che sarebbero uscite il giorno dopo. Poi, alle tre e mezza dovevo vedere Cleo che mi aveva promesso di raccontarmi alcuni eventi molto… importanti, diciamo. E alle quattro e mezza dovevo vedere Beyond fino alle cinque e tre quarti. E skin quando lo dovevo vedere? Mi morsi un labbro tentando di ricordare. Ah, si, alle tre! Ma che cavolo! Tirai fuori velocemente un bigliettino e ci scrissi sopra frettolosamente, piegandolo e pinzandolo. Lo lanciai a Cleo che lesse:
Hey Cleo, scusa, scusa, scusa!!!! Ho organizzato male il tempo! Possiamo vederci a scuola e non a casa mia? In classe alle 3 e 35? Davvero, scusami tantissimo!

Alma                                                                                     

Mi sorrise e mi fece un pollice verso. Tirai un sospiro di sollievo: sapevo che tutti e tre gli impegni erano molto importanti!
“Lucy, che ore sono?”
“Me lo hai chiesto cinque minuti fa, lo sai, vero? Comunque mancano cinque minuti alla fine della lezione, resisti!”
“Si, scusa!”
“Misora! Basta parlare! E comincia a fare i compiti che ho appena dato! Sempre che tu li abbia sentiti!”
“Scusi vecchia racchia.”
“Cosa?”
“Ho detto scusi prof.!”
“Si, certo.” Commentò sarcastica Lucy.
“Dai passami i compiti.”
“Pagina sessantatre. Tutta, mia cara!”
“Nuo!”
“Si!”
Aprii alla pagina e cominciai a svolgere con metodo gli esercizi. Lucy, di fianco a me, leggeva manga sotto il banco.
“Lucy, ma come fai ad avere la media del dieci se non ascolti una lezione, eh?”
“Studio a casa, no?”
Alzai gli occhi al cielo.
“Questi esercizi sono infiniti!”
“Sai che in Nana, sono uguale a una delle due protagoniste!?”
“In che?”
“Nana!è un manga che-”
“No scusa! Meglio che io non lo sappia!” esclamai, impaurita dalla ormai famosa parlantina di mia cugina. Il mio orecchio destro era già abbastanza provato.
Finalmente, la campanella suonò.
“Evvai! Si mangia!” gridò qualcuno di coloro che avevano rientro, tirando fuori dallo zaino il pranzo al sacco, precisamente come stavo facendo io.

Erano le tre e io mi stavo scapicollando sulle scale, per arrivare in tempo da Skin. Una volta sul tetto, mi guardai in giro e vidi subito la sua figura snella, appoggiata a un comignolo a fumare una sigaretta.
“Ciao Skin, come va?”
“Tutto a posto, tu come stai Alma?”
“Va tutto molto bene in questi giorni. Cos’hai per me?” gli risposi con sincerità.
“Tieni questo. Il tuo amico è un osso duro Alma, pensa che ha capito dopo due giorni che lo stavo seguendo. Mi ha quasi colto con, diciamo, le mani nel sacco. Belle amicizie, eh!”
“Si, è un tipo strano.” Risposi prendendo la busta che mi porgeva.
“Allora siete amici, mh?”
“Diciamo… di si, dai. Tanto lo scopriresti lo stesso.”
“Beh, stacci attenta, te lo dico come amico Alma. Quello non è del tutto a posto.”
“Lo dicono in tanti.”
“Ma lo sia che di me ti puoi fidare. Chiamami ancora se ne hai bisogno, lo sai che per te sono sempre disponibile.”
“Grazie mille Skin, davvero!” lo salutai, abbracciandolo.
“Hei, hei, calma!”
“Hahaha! Ciao darkettone!”
 Alzò ironicamente gli occhi al cielo ridacchiando e scese le scale.
Diedi un’occhiata alla busta, ma decisi di riservarmela per quando sarei stata a casa, per darle il giusto tempo. E poi dovevo assolutamente studiare greco o la mia prof mi avrebbe ucciso. Così dedicai mezz’ora alla materia, aspettando Cleo.
Finalmente, ella arrivò, con i residui di una pizza in mano e un sorriso sul volto.
“Hey Alma! Come va?”
“Tutto ok! Allora, dimmi!” le risposi andando subito al sodo e invitandola con un veloce gesto a sedersi davanti a me.
Lei prese una sedia e lentamente si mise davanti a me.
“Allora?”
Mi guardò negli occhi per alcuni secondi e poi esplose: “MI HA BACIATOOOOO SIIIIIIIIIII!!!!! HAHAHAHAH!!! MUAHAHAHA!” urlò a squarciagola saltellando tutto intorno a me, sopra la sedia, sul banco e dovunque potesse.
“Cosa? COSA?” le chiesi, contagiata dalla sua risata e scoppiando anche io a ridere.
“GRANDE CLEO!” urlai poi, lasciandomi andare a una veloce e improvvisata danza della vittoria.
Poi ripresi un certo contegno (coscienza se non stai zitta ti impicco!) e le dissi in un sussurro da film horror: “Raccontami tutto!”
Alla fine anche lei si sedette, e cominciò a raccontarmi com’era andata.

“Dunque, dopo che ci hai fatto quell’incoraggiante discorsetto alla “slinguatevi se no vi ammazzo”, siamo usciti con la netta sensazione che, se fossimo morti di tutte le torture che ci siamo in vita nostra inventati sulle B&B, sarebbe stato decisamente meno soddisfacente della situazione in cui ci trovavamo. E non guardarmi con quella faccia! Prova a metterti nei nostri panni! Anzi, appena capisco se ti piace qualcuno e chi è questo qualcuno, ti faccio lo stesso scherzo, poi vediamo se mi guardi con quel sopracciglio alzato! Comunque, dicevo! Completamente imbarazzati, abbiamo cominciato a camminare verso una gelateria e abbiamo mangiato sue coppette di crema, pistacchio e caffè (HA I MIEI STESSSI GUSTI!!) senza dire una parola. Poi, in stile melanconico, ci siamo allontanati e io sono tornata a casa. Nono, non è finita qui, aspetta! Dunque, io sono arrivata a casa, tutta triste e pensando che oggi ti avrei infilato un coltello nelle costole e si, l’avrei fatto! Mi ero appena lanciata sul letto, quando qualcuno citofonò. Risposi e scoprii che era Matt. Cosa feci? Gli aprii subito, naturalmente, e quando lui fu sulla porta lo invitai a entrare, chiedendogli cosa fosse venuto a fare a casa mia. Lui mi guarda, io lo guardo, in stile scena romantica di un telefilm americano, e lui fa: “Senti Cleo, hai sentito Alma, insomma, ci piacciamo, quindi buttiamoci, no? Io non voglio rovinare tutto per causa del nostro imbarazzo, quindi…” mi guardò ancora più intensamente e fu allora che coronò la perfetta scenetta da Beautifoul, cosa della quale poi lo sgridai: s’inginocchiò davanti a me e mi chiese: “Mi vuoi baciare? Anche senza stare con me?”. Poi io scoppiai a ridere pensando alla faccia che avresti fatto dopo aver saputo della versione romantica di Matt e lui mi guardò malissimo. Allora mi inginocchiai davanti a lui e gli dissi che potevo anche accettare, ma non avevo bisogno che fossimo a livelli diversi per capire che non mi avrebbe trattata come un oggetto. Poi aggiunsi che se lo avesse fatto l’avrei ucciso. E così… così!”
Momento di silenzio.
“UAU!!! CHE ROMANTICONE IL NOSTRO MATTO! Ma… ma poi?” le chiesi con un’occhiata maliziosa.
“Eh… e poi.. dai ci arrivi anche tu!”
“Vi siete slinguati!?”
“Non lo direi precisamente in questo modo… comunque si.” Disse, alzando gli occhi al cielo.
“Ah! Ma come siamo romantici amica mia! Non è che poi… insomma… si sono create le circostanze?”
“Cosa?”
“Si insomma, le circostanze… a casa da soli… appena messi insieme… eh?”
“COSA? ALMA IO TI AMMAZZO! VIENI SUBITO QUI CHE TI UCCIDO!” urlò scandalizzata lei dando inizio a un lungo e comico inseguimento per la scuola.
Ero nel bel mezzo di un corridoio, quando dalla porta sbucò qualcuno e io ci andai bellamente addosso, facendolo cadere.
“ALMUZ!”
“LUCY? Ma che ci fai qui?” le chiesi aiutandola ad alzarsi.
“Io? io cosa ci faccio qui, eh? Ma niente! Cosa credi che facessi? Insomma! Cosa stai insinuando! Bah! Io vado!!!” esclamò, scappando.
A quanto pare non ero l’unica a nascondere qualcosa…
Poi, nono so come, vidi il pavimento: qualcuno mi ci aveva buttato evidentemente, constatai.

“BECCATA! BRUPPA PERVERTITA CHE NON SEI-”
Tappai la bocca a Cleo e la trascinai dietro l’angolo dove le scale cominciavano, spiegandole ciò che avevo appena visto.
“Pensi anche tu quello che penso io?”
“SI!” esclamò lei.
Così ci appostammo: eravamo sicure che in quella classe ci fosse qualcuno e infatti…

Un ragazzo alto, con una capigliatura bionda e uno sguardo indefinibile aprì furtivamente la porta, si guardò intorno e uscì tenendo lo sguardo basso. Quando voltò l’angolo, io e Cleo facemmo finta di star chiacchierando e lui sobbalzò di tre metri urlando cosa facessimo li.
“Mello? Ciao! Come va?”
“B-bene! Io devo andare!”
“Ma dov’eri biondino?
“Non sono affari tuoi!” tirò corto lui scendendo le scale in fretta e furia.
Io e Cleo ci scambiammo un’occhiata di intesa e scoppiammo a ridere.


Nome e cognome reali: Beyond Birthday

Foto allegata (http://www.google.it/imgres?start=292&um=1&hl=it&client=opera&sa=N&rls=it&channel=suggest&addh=36&tbm=isch&tbnid=YuVoN9QJSS2W9M:&imgrefurl=http://kuromaru-urufu.deviantart.com/art/Beyond-Birthday-140407590&docid=yawOcoV3q4XoLM&imgurl=http://fc00.deviantart.net/fs50/i/2009/288/9/c/Beyond_Birthday_by_Kuromaru_Urufu.jpg&w=900&h=576&ei=cj5SUIyuFojysgbktoH4Ag&zoom=1&iact=hc&vpx=438&vpy=119&dur=871&hovh=180&hovw=281&tx=171&ty=132&sig=104042438298319005235&page=11&tbnh=127&tbnw=169&ndsp=28&ved=1t:429,r:23,s:292,i:78&biw=1280&bih=597)
Conosciuto anche come: B, BB, Rue Ryuzaki
Luogo di nascita: Sconosciuto
Data di nascita: 2 novembre 1990
Segno zodiacale: Scorpione
Età: 17 anni
Altezza: 1, 80 cm
Occhi: Neri e non solo
Capelli: Neri
Gruppo Sanguigno: 0 negativo
Segni particolari: li leggi ora…
Indirizzo: Via degli Orti 5, istituto Wammy’s House
Luoghi maggiormente frequentati: scuola

 

Beyond Birthday è un ragazzo quasi maggiorenne, parecchio, ma parecchio strano. Cominciamo con una veloce descrizione dell’aspetto fisico: alto, magro (in questo periodo anche troppo), con una capigliatura nera e lunga e un modo di vestire molto semplice. Gli occhi sono già un punto su cui è giusto soffermarsi. Normalmente sono neri come la pece, ma quando si arrabbia diventano rossi (non chiedermi quale tipo di rosso perché l’hai visto anche tu, non è così?)  cosa inspiegabile anche per me. Incredibile eh, non te l’aspettavi? Eppure è così, anche io posso non sapere qualcosa! Andando avanti, BB è un ragazzo molto intelligente, basta guardare i voti che prende a scuola senza studiare cinque minuti al giorno. Sembra che vada per logica, ma non è così. Dopotutto come fai a imparare l’alfabeto greco per logica? A fare le versioni per logica? Comunque sembra che non abbia bisogno che di ascoltare le lezioni per sapere tanto da avere la media del dieci. Cosa che sinceramente gli invidio parecchio, ecco la verità. Andando avanti, BB è un ragazzo  triste, questa è la verità. Al sua vita lo scrive a chiare lettere: dopo la prematura morte dei suoi genitori (che spirarono davanti al figlio), venne messo in un orfanotrofio più che normale. Ma il bambino dal nome ignoto era troppo traumatizzato dalla morte dei genitori e dopo che alcuni bambini dell’orfanotrofio  lo provocarono per un mese, il due novembre, il giorno del suo compleanno, lui li uccise tutti e cinque nei loro letti, mostrando un autocontrollo e una tecnica degna di Jack lo Squartatore. Venne allora mandato, da una direttrice shockata, in un altro orfanotrofio, famoso per le rigide regole. Allora furono i tutori a dare fastidio al bambino nato il giorno dei morti, con le loro regole rigide, la loro severità. Sapevano che il bambino era un assassino e si proteggevano bene, a forza di manate. Ma il due novembre successivo, BB agì di nuovo. uccise in totale quindici persone, fra bambini e adulti. Non sembrava rendersi conto di quello che faceva, ma quando lo mandarono in terapia da uno strizzacervelli, egli rimase stupito dalla consapevolezza del bambino di cosa fosse la morte e del fatto che lui ne avesse causata. Aveva nove anni, quando venne trasferito al Wammi’s House, un orfanotrofio molto particolare. Strano quanto BB. E probabilmente la causa della sua recente anoressia. Venne accolto con un anno di isolamento completo, come se fosse in prigione. Si vocifera che le cicatrici sulle sue mani se le sia procurate prendendo a pugni i muri, la gente, tutto, in quel fatidico anno. Quando ne uscì, ci sono testimonianze del fatto che fosse completamente distrutto. Anche allora anoressico, pieno di ferite e segni, con i capelli troppo lunghi e scatti di violenza che allontanavano da lui le persone. Quando arrivò il due novembre, come regalo di compleanno, il dirigente lo incatenò nella sala grande dell’orfanotrofio del ventiquattro ore, sfidandolo, in quelle condizioni a uccidere qualcuno. Naturalmente lui non ci riuscì e il giorno dopo cominciò a non parlare.
Ma dopo un paio di mesi, una ragazza decise di parlargli, credeva che nessuno meritasse quello a cui BB era stato sottoposto. Tutti i componenti dell’istituto avevano sentito urla di rabbia strazianti per tutta la notte del due novembre, ma solo lei si era impietosita al posto che spaventata. Nonostante lui la ignorasse, e stesse per tutto il giorno seduto sul letto a ripetere le stesse parole (ucciderò tutti, in perfetto stile pazzo psicotico, no?) lei continuava a parlare, anche senza dire cose da Einstein. Fu così che un giorno, un mese dopo, BB si girò, la guardò negli occhi e la salutò. Cominciarono a parlare con disinvoltura, come vecchi amici, e prima che lei uscisse lo erano davvero. L’amicizia sbocciò nonostante tutto e un giorno la ragazza lo baciò. Lui non si oppose, quasi al cento per cento per senso di debito e affetto, non per amore. La loro relazione, secondo il desiderio di lei, durò molto a lungo. Poi lei morì di una malattia incurabile. BB voleva rimanere a casa di fianco a lei, il direttore no. Quindi ancora pestaggi su BB. Ed eccolo qua. Ma non è tutto. Infatti non ti ho detto molte cose di quell’orfanotrofio: ne fanno parte L, Matt, Mello, Near, Misa, BB naturalmente e ancora pochi studenti di questa scuola. Tutti loro hanno dei “soprannomi” affibbiati loro dal direttore. Beyond viene chiamato BB o B dai compagni, e dal direttore Bakup. Perché? Perché è stato destinato a essere la copia di L, il primo elemento della House, per il quale il direttore ha destinato il posto di più grande detective del mondo. Non mi si chieda come ci arriverà, ma essendo lui la persona con maggiore QI intellettivo in tutto il liceo, posso capire. A BB però non va bene essere una copia del detective a suo parere più apatico e antipatico del mondo. Infine, so che l’unica amicizia solida che gli è rimasta ora, sei tu. Non sapevo bene se darti o no questi fogli, più che per me, per lui. Provo un po’ di compassione in una persona senza affetto. Perciò spero che non ti separerai da lui per ciò che hai letto, bensì sarai coraggiosa come la ragazza e andrai avanti. Dopotutto, secondo me ha solo bisogno di ricordarsi che non esiste solo merda a questo mondo, no? A te l’ardua sentenza!
Se hai ancora da chiedermi qualcosa fa pure, anche se è un po’ un casino seguirlo perché se ne accorge subito. Quel ragazzo ha decisamente qualcosa di anormale, quindi ti affido il compito di scoprire tutto sui suoi occhi, visto che gli sei così vicina, io non ci sono riuscito, nessuno lo sa. Ti auguro una bella giornata, addio!

Skin

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Riassemblamento dei pezzi ***


Rimisi i fogli sulla scrivania, abbastanza shockata. Genitori che gli muoiono davanti? Ha ucciso più di 15 persone? Cosa?
Ammetto che avevo un po’ di strizza al pensiero che fra poco avrei dovuto vederlo. Poi però rilessi tutto con calma dalla parte in cui Arianna (perché chi altro poteva essere?) cominciava a parlare a BB e me li immaginai, ancora bambini e già così perspicaci, così seri, così soli e tristi.
E il povero Beyond incatenato il giorno del suo compleanno come in una macabra e antica esecuzione pubblica di una pena a un piccolo ladro?
E le ultime parole di Skin mi facevano chiaramente capire che non dovevo aver paura di lui perché era un assassino. Certo era una cosa terribile, che mi faceva avere seri dubbi sulla nostra amicizia (Coscienza: E CHIAMALA AMCIZIA! SLINGUARSI NON è AMICIZIA MIA CARA!io: “-.- ), ma non volevo mollare come una debole. Dopotutto se aveva accettata Arianna nel suo piccolo mondo, perché non io?
Andai a sciacquarmi la faccia, pensando a cosa mi avrebbe detto mia madre se l’avesse saputo. Ma non poteva saperlo, mi dissi, quindi non ci dovevo pensare.
Il campanello suonò e nonostante il brivido di paura, andai ad aprire. Naturalmente era Beyond, con il quale mi rintanai in camera a chiacchierare e studiare latino. Però non riuscivo totalmente a stare calma. E figurati se non se ne accorgeva!
“Alma, tutto ok? Ti vedo tesa.”
“No, ma che dici! Sto bene, non ti preoccupare! Dai, finiamo sta versione così poi siamo liberi!”
“Ok,ok… sicura di non avere nulla?”
“Si, sicura!” confermai.
Finita la versione, uscimmo a fare due passi. Altra cosa che avevamo in comune, era infatti che ci piaceva molto camminare per la città, anche senza dire niente. Semplicemente camminare insieme a qualcuno.
Avevo scoperto una nuova versione di Beyond in quei pochi giorni: la versione tenera/romantica, che non sospettavo esistesse! E come a dimostrare questo pensiero, mi prese per mano, come se nulla fosse.
In quel momento pensai che quella che stavo stringendo era la mano che aveva ucciso bambini e adulti indiscriminatamente. Che si era irrimediabilmente macchiata di sangue. Pensai che di fianco a me c’era un assassino.

“Beyond… raccontami della tua infanzia.” Azzardai.
Silenzio.
“Bah… se tu sapessi la verità mi lasceresti. Quindi non posso dirtelo.”
“Sono così importante per te?” chiesi scettica.
“Se ti dicessi di si?”
Silenzio.
Camminando, arrivammo a un parco e vi entrammo. Dopo una decina di minuti ci sedemmo all’ombra di un albero, in mezzo a un immenso prato, precisamente sopra una collina. Non c’era tanta gente lassù.
“Alma non posso raccontarti la mia infanzia perché mi staresti lontana se lo facessi. Perdonami. Il punto è che sei l’unica persona su cui posso contare, ora come ora. Insomma… non è che mi piaci e basta. Devo ammettere che mi sto un po’ innamorando di te.” Confessò sorridendo imbarazzato.
“Ei, così mi metti in imbarazzo! Comunque Beyond… io credo che se tu mi raccontassi ti sarei ancora più vicina.”
“No, non dirlo neanche.”
Restammo un momento in silenzio.
“Se ti dicessi di immaginare un’orchestra disposta tutta ai piedi di questa collina che suona solo per noi? Immagina gli archi, almeno cento, con i violini, le viole, i violoncelli e tutto, immagina il legno lucido di dieci pianoforti a coda neri che suonano! E immagina i tamburi, e le trombe! E i flauti traversi, anche loro almeno cento, che creano un incanto musicale solo per noi due? Immagina la canzone! Immagina un bellissimo pezzo, scoperto oggi del tuo compositore preferito! Immagina che questa sia la prima volta che viene suonato dopo secoli! E che sia solo perché noi balliamo!”
“Ti senti romantico Beyond?” gli chiesi, vedendolo tutto illuminato.
“Immaginati e poi vienimelo a dire di nuovo!”
Allora ci provai, e vidi davvero tutta l’orchestra che aveva descritto, all’opera per noi due. Sorrisi.
“Allora, posso chiederle questo ballo?”
Risi, prendendo la mano che mi veniva porta e alzandomi.
“Ma Beyond, ci stanno guardando tutti!”
“Loro non ci sono in realtà. Ora siamo nel posto dove sta suonando l’orchestra, ricordi? Li loro non ci sono! È solo per noi.”
Così cominciammo a ballare sotto l’albero, ridendo e qualche volta cadendo.
Una coppia ci guardò malissimo. Un’altra con una punta di invidia. Una bambina chiese ai genitori cosa stessimo facendo.
Ma non li notammo.
A un certo punto mettemmo male i piedi e inciampammo in noi stessi, cadendo nell’erba, l’uno sopra l’altro.
“Alma…”
“Si?”
“è stato un bellissimo ballo.” Dichiarò, baciandomi.

Fu allora che accadde.
Udii un urlo, dato da una voce che conoscevo fin troppo bene.
“COSAAAAAAAAAAAA??????? CHEEEEEEEEEEEEE????? ALMA??????? BEYOND??????? COSA CAVOLO CHE?????”

Cleo.

Mi alzai di scatto insieme a Beyond, tutti e due rossi come peperoni maturi e con una delle nostre migliori facce colpevoli.
Cleo si avvicinò a passi decisi e con una faccia che non prometteva nulla di buono.
“ALMA! ORA TU MI SPIEGHI!” pretese aggressivamente.
“Emmm… non è come sembra. Noi… stavamo… stavamo ripetendo latino, ecco.”
“Certo come no, guarda che l’ho visto che vi stavate baciando! Come mai non me l’hai detto?” chiese ancora più arrabbiata.
Fu allora che Beyond, vedendomi vacillare, si fece avanti.
“Ei, non parlarle così. Insomma, non puoi capire che una persona ha bisogno di tempo per abituarsi alle cose? O che non te l’ha detto perché aveva paura che tu disapprovassi? Perché si Cleo. Stiamo insieme. E non fare quella faccia. Alma è libera di baciare chiunque le paia e piaccia senza bisogno che tu le dia il permesso e viceversa! Ora se vuoi scusami, ti chiedo di non trattarla mai più così. Non davanti a me. E non per un motivo così stupido.”
Lo guardai a bocca spalancata, così come Cleo.
“Scusa Cleo, avevo intenzione di dirtelo presto. È che… io volevo tenerlo segreto per un po’ per abituarmi, lo capisci?”
“I-io… pensavo che potessimo fidarci l’una dell’altra…” disse Cleo sentendosi tradita.
“Ma non è questo! Il problema… il problema sono io! Ti immagini che imbarazzo dirtelo? Quando anche solo pensarlo, per me è imbarazzante? Per cui volevo far passare qualche tempo, abituarmi e poi dirtelo! Scusa, ma non prendertela ti prego! Neanche tu mi avevi detto che ti piaceva Matt per esempio!”
“Cosa? ma è completamente diverso! Io e Matt era risaputo che fossimo amici! Ma tu e Beyond! TU E BEYOND!”
“Non lo devi urlare a tutta la città eh!”
“Ma capiscimi! Insomma fino a ieri vi pestavate nei corridoi! E ora, ma to’ ma chi sono quelli? Oh, Alma e Beyond che si saltano addosso!”
“Hei non ci siamo saltati addosso!”
“Fa lo stesso!”
“…”
“Non mi guardare così- disse poi con una voce rassegnata- ho capito. Avrò la bocca cucita. Però non sperare di cavartela con così poco!”
“…”
“Va bene, va bene niente vendette! Io me ne vado comunque! E non fatevi vedere così in giro, scemi! ”


“Beyond come hai fatto?”
“Nessuno resiste ai miei occhi dolci!” si gongolò.
“Ma piantala!”

 

Nei giorni seguenti, fra me e Cleo non cambiò nulla, l’unica differenza fu nel numero di occhiatine maliziose che mi lanciava ogni volta che per caso incrociavamo Beyond. Cosa che nonostante mi desse fastidio (moolto fastidio) sopportai stoicamente. Poi, una fresca mattina di febbraio, Mattia si fece finalmente vivo. Avevo voluto lasciargli la prossima mossa, e non avevo fatto nulla. Avevo saputo che Matt gli aveva spiegato che non aveva colpe, e lui aveva accettato le scuse. Però… non si era fatto più sentire. Quando mi vedeva arrossiva e se ne andava sbattendo le porte. Durante le prove non diceva un parola, suonava la sua parte come al solito in modo impeccabile e se ne andava senza fare più le sue stupende improvvisazioni con quel serafico sorriso. Devo ammettere che ci ero rimasta davvero molto male e che non lo capivo. E poi, per l’appunto, si fece vivo.
Ero appena uscita da scuola quando mi si avvicinò.
“Ciao.” Esalò.
“Ciao.” Esalai.
“Emmm… allora come va?” accennò.
“Eh, come va…” accennai.
“Eh…”
“Emmm…”
“Già…”
“Eh…”
“E… ecco, hai un attimo?”
“Si, dimmi.”
Dovevano essere molto interessanti le sue scarpe. Per me si trattava del suolo, con quelle nette gradua ture di grigio e quelle macchie e quell’affascinante sporco. Si, eravamo messi male.
“Ecco… volevo dirti scusa per quella… volta.”
“Ecco… già…. Emmm… grazie… allora… ok…”
“Ok…. Emmm…. Allora…”
“Allora ci vediamo domani eh.”
“Eh. Ciao. Scusa.”
E scomparve.
Valli a capire i maschi.
Vabè che non è che io sia meglio…

Finalmente ero riuscita a ristabilire un certo equilibrio nella mia vita. Stavo superando il “trauma” della scoperta sul passato di Beyond, e lui stava superando la morte di Arianna con il mio aiuto credo. Sorrideva più spesso e avevo notato che si stava rimettendo in carne. Certo, ogni tanto, anche abbastanza spesso, i suoi occhi si spegnevano,  un’ombra passava sul suo viso, e questo voleva dire che stava pensando a lei.
E anche io ogni tanto, quando mi porgeva la mano o mi sorrideva, avevo qualche esitazione. Ma ripensando alle conclusioni e ai consigli di Skin, non potevo far a meno di stargli vicino. Ogni giorno di più, imparavamo a conoscerci a vicenda.
Per quanto riguarda Cleo e Matt, avevano reso la loro relazione di pubblico dominio e erano una delle coppie preferite di Lucia, che parlava di tutti come se fossero personaggi di manga. Non si era ben capito come mai fosse sola in quell’aula con Mello, ma notai che sempre più spesso si incrociavano come per caso in corridoi apparentemente vuoti, arrossivano e si salutavano in fretta, come se nascondessero qualcosa. Indagherò… muahahaha! Ahem, diamoci un tono! Stavo dicendo!
Si avvicinava il compleanno di Anita e cominciavo a chiedermi cosa avrebbe fatto di bello, quando durante un intervallo, Jenny mi si avvicina con un sorriso complice e mi sussurra:
“Ho sentito che Ani non fa niente. Festa a sorpresa?”
Annui subito con un sorriso. Era un’ottima idea quella di Jen, per prima cosa perché adoravo fare sorprese, e in secondo luogo perché adoravo le feste.
Ci mettemmo in moto, decidendo di usare casa di Jen, per un week-end libera, per organizzare le suddetta festa. Cleo avrebbe procurato le decorazioni, L la torta, io avrei invitato tutti, mi sarei assicurata che Anita non scoprisse niente e avrei preso le bibite, Mello e Lucia avrebbero fatto per Anita tutti i compiti per il lunedì e il martedì successivi alla festa e Jen, insieme a me e Cleo, avrebbe allestito il tutto e pulito a fondo la casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** La festa di Ani- 1 ***


Il girono dopo, mi vidi con Jen a casa sua, per “studiare il campo di battaglia” e studiare insieme matematica per l’interrogazione dei giorni successivi. Aveva una casa ampia e spaziosa, la cui sala faceva proprio a caso nostro. Era una stanza circolare, con il pavimento in parquet e delle alte pareti color crema. Al livello del pavimento e del soffitto però, vi erano due linee nere che percorrevano tutto il perimetro del muro. Un grande lampadario pendeva al centro  dove stava un tavolo tondo.
“Uau! Fa molto cavalieri della tavola rotonda, sai?”
“è quello che ho sempre detto! Finalmente qualcuno che mi capisce! Bah! Per ballare però, sarà perfetta, basta spostare il tavolo, ma ci penso io il giorno prima, mio fratello mi ha già detto che mi darà una mano, quindi è tutto ok. Poi, li- disse indicando fermamente l’altro lato della sala- ci mettiamo lo stereo grande, mi dai una mano?”
“Volentieri, andiamo!”
Quindici minuti e molti estenuanti sforzi dopo, l’enorme stereo che Jen aveva sminuito a grande, era sistemato.
“Però che roba!” esclamai alla fine, sorridendo radiosamente a Jenny.
“Si, è proprio un bell’effetto!”
“Certo che hai una casa fantastica Jen!”
“Sono fortunata, lo so.” Ammise sorridendo.
“Per il mangiare direi che va benissimo la cucina, no? Tanto è grande e il tavolo basta per tutti e avanza!”
“Si è vero. Siamo a posto!”
“Beh, non abbiamo più scuse temo. Il momento di tirare fuori matematica è purtroppo arrivato!”
“Concordo, cara compagna di sventure!”

Appena finito di ripassare matematica notai che si era fatta sera e mi congedai da Jen.
Ero ormai sulla porta, quando con fare pensieroso mi disse:
“Stavo pensando….”
“Cosa?”
“E… se invitassimo quelli del gruppo di Beyond?”
“Cosa? ma non mi dite sempre che non li sopportate?”
“Si, però… però è un po’ come dire… una vecchia solfa ormai. Ci siamo conosciuti no? Ci stiamo anche simpatici! Perciò questa potrebbe essere una buona occasione per stringere finalmente un’amicizia un po’ più seria! Che ne dici?”
“Beh… perché no? Se vuoi domani lo chiedo loro!”
“Oh, si mi faresti un gran piacere! Allora a domani!”
“A domani Jen!”

Sorridendo, chiamai Beyond e li invitai con tutto il suo gruppo.
Sentii che ne era felice e lo fui anche io.
Era semplicemente splendido che fosse tutto così semplice!

Passò un giorno. Mi trovavo stravaccata nella più comoda delle posizioni sulla mia strafiga poltrona rossa a studiare greco, quando suonarono al campanello. Infatti a quell’ora dovevo vedermi con Beyond, così andai ad aprire con un sorriso e lo feci entrare. egli aveva un sacchetto in mano e un sorriso enigmatico sul viso. Curiosa, gli chiesi subito cosa fosse e lui mi guardò facendo il misterioso e non mi rispose. Entrò invece in camera con nonchalance e mi chiese cosa stessi studiando. Decisi di stare al gioco e gli dissi che stavo facendo greco. Così mi diede una mano e quand’ebbi finito buttò li:
“Ma.. quando hai detto che è quella festa?”
“Dopodomani, lo sai…
“mmmh…..”
“Ma perché?”
“No è che… ti avrei preso una cosa… ” disse lui con noncuranza, porgendomi il sacchetto.
Lanciandogli qualche occhiata guardinga, lo aprii…

http://cdn.acfrg.com/i/0_0_fit_ffffff__png/ACfrG/productpics_fullsize/2/240605a.jpg

Eruppi in un grido di stupore e di gioia.
“Ma! Uau! Come… cosa… grazie!!! Ma non dovevi! Insomma perché.. io…”
“Beh, l’altro giorno dicevi che non avevi nulla da metterti no?” chiese lui evidentemente soddisfatto del suo successo.
“Gaaa! Sei il miglior fidanzato del mondo!” esclamai saldandogli in braccio.
“Eh, non esageriamo!”
“No no, esageriamo!”

E così, il grande giorno arrivò. Eravamo tutti a casa di Jen, e stavamo aspettando che la suddetta arrivasse insieme con Anita e ci stavamo giusto nascondendo. Io, Jen e Cleo avevamo messo alcuni divani ai lati della sala e essendo quella la sala dove avevamo deciso di nasconderci, molti erano proprio dietro a essi, compresa me.
Erano tutti vestiti molto bene, Cleo con un vestito turchese che le donava moltissimo e di sandaletti con un filo di tacco, Lucia indossava invece una bellissima gonna nera, delle ballerine e una maglietta anche lei nera, Misa aveva invece un vestito alla gothic lolita che le donava molti e i codini. I ragazzi erano tutti vestiti in jeans e camicia bianca, tranne Mello con i suoi soliti vestiti che Anita definiva alla “sadomaso” e L che naturalmente era stato trascinato li a forza, per cui era vestito normalmente. Regnava un’atmosfera tesa, ma anche allegra, piena di aspettativa. La sala era addobbata nel migliore dei modi e L aveva portato una torta sensazionale al cioccolato che troneggiava sul tavolo della cucina. Finalmente, le chiavi girarono nella serratura, una stanza più in la e si udirono dei passi avanzare per l’anticamera.
Poi, la porta si aprì e Ani accese la luce.
“Ma che..”

“BUON COMPLEANNO ANITA!!!” urlammo allegramente, saltando fuori dai divani e correndole incontro ad abbracciarla. Era tutta contenta, rideva come una pazza e ci ringraziava continuamente, dicendo che non avremo dovuto e tutto il resto. Ma era davvero compiaciuta.
Jen mise subito su un sottofondo musicale molto tranquillo e cominciammo a chiacchierare tutti insieme, mentre Cleo e Mello scomparivano in cucina. Dopo pochi minuti infatti, durante i quali arrivarono dalla cucina rumori di posate e piatti che cadevano rovinosamente, entrarono trionfanti i due ragazzi, trasportando una carrello su cui la magnifica torta stava adagiata alla perfezione. Poi portarono un altro carrello con tutte le schifezze che avevamo comperato, quali pop corn, papatine, bibite ecc ecc.
La serata continuò meravigliosamente, tutti mangiammo un sacco di schifezze e giunto il momento dei regali, Anita mise da parte un bel bottino. Infine le avevo davvero comperato il modellino di motorino rosa porta-chiave e lei ne fu molto felice.
le luci si abbassarono fuori, e accendemmo il lampadario.
Poi arrivò il momento preferito di Jen: il momento di ballare. Così, si posizionò in fondo alla sala e mise su un po’ di musica. Dapprima, eravamo un po’ restii a ballare, ma alla fine ci lanciammo tutti insieme e ci ritrovammo a ballare in coppie o in terzetti, naturalmente senza che nessuno sapesse come ballare, muovendoci un po’ a caso.
Anita ballava insieme a Cleo e Mello, io mi ritrovai insieme a Misa e Lucia, Matt ballava disinvolto con Beyond e L’Ange, Jen era insieme a Near (che stranamente non era stato in silenzio per tutta la sera) e L. Jen propose poi il karaoke, e cominciò a cantare una canzone con la base sotto, per rompere un po’ il ghiaccio. Poi fu il momento delL’Ange, che cantò convinta una canzone del suo telefilm preferito: Glee. Poi Matt, molto romantico, si buttò e canto “She” dei Green Day, con una voce molto più intonata del previsto, facendo arrossire Cleo come un peperone.
Intanto tutti gli altri continuavano a ballare spontanei.
Trascinammo a forza L al microfono e scoprimmo che per il bene delle nostre orecchie, forse non avremmo dovuto farlo…
Era passata giusto una mezzoretta, quando il karaoke finì, e Jen diede inizio ai lenti (nonostante nessuno volesse ballarli). Finimmo a fare tappezzeria, tutti tranne Cleo e Matt, che ballavano, come dire, a modo loro. Ovvero sbagliando tutti i passi, ma visto che nessuno sapeva ballare, nessuno se ne accorse e a tutti sembrarono molto bravi, cosa che li indusse ancora di più a concentrarsi e tentare con la forza del pensiero, di diventare dello stesso colore della parete dietro di se. Purtroppo, nessuno sembrava riuscirci. A un certo punto, Jen e Anita si lanciarono in pista ridendo e sciolsero l’atmosfera: le coppie erano formate dal caso e non bisognava per forza essere vere coppie a quanto pareva. Così, io e Cleo cominciammo a ballare insieme, mentre tutti si lanciavano in pista disinibiti. Le coppie si scambiavano continuamente, nelle improbabili coppie quali Jennifer e Matt, oppure Cleo e Beyond, o ancora, L e Federica.
A un tratto, inevitabilmente, io e Beyond finimmo insieme a ballare. Abbassammo entrambi lo sguardo a terra e facemmo finta di niente, ma a un tratto, Jennifer puntò un dito minaccioso contro di noi, immobilizzando tutti.
“VOI DUE!!!” urlò con gli occhi assatanati, facendoci sbiancare.
Sapeva? Non sapeva? Agh!
“SIETE UNA COPPIA STRATENERA! HO DECISO! VOI DUE STARETE INSIEME, CHE LO VOGLIATE O NO!!!” dichiarò tutta felice.
“Jen… veramente noi…” dicemmo imbarazzati, staccandoci subito e guardando dappertutto tranne che negli occhi dell’altro.
Notammo che tutti ci stavano osservando sospetti.
“Beh, che c’è?” chiesi.
“Ei, Jen ha ragione…” cominciò Anita. E fu la fine.
“è vero, siete teneri!”
“Siete la mia nuova coppia preferita!”
“Sebbene Lucy legga troppi manga, ha ragione stavolta! Siete carini come coppia!”
“C’è una buona percentuale di probabilità che possiate stare insieme!”
“Oh, che pucciosi!”
“Pucciosi? Strauau!”
“Gaaa!!!!” esclamò alla fine Cleo, senza logica di sorta, ma attirando l’attenzione.
“Cleo?”
“Ascoltatemi tutti! Di la… ci sono un sacco di patatine!” disse con aria complice.
“UAAAAAAAAAAARGHAISDFJAPSOEIHASDGIASJ!!!!” urlarono tutti, scomparendo.
“Grazie Cleo” le sussurrai con un occhiolino.
“Figurati!”, disse, trattenendomi però per un braccio mentre Beyond si eclissava con non calanche.
“Senti Alma…”
“Si? Dimmi.”
“Credo che dovreste dirlo anche agli altri. Sai… lo dovete loro.”
Sospirai.
“Lo so che non te la senti, ma… non so, secondo me la prenderebbero meglio di quanto pensi.”
“Dici?”
“Si” mi disse con serietà.
“Allora mi fido di te.”
Cominciarono a tornare gli altri, chiedendo dove fossero le patatine.
Mi avvicinai strategicamente a Beyond che pareva già aver capito la situazione e gli sussurrai all’orecchio ciò che volevo fare. Annuì impercettibilmente e sussurrò “Se te la senti, va bene.” Gli sorrisi e andai a prendere il microfono abbandonato.
“SCUSATE GENTE! EI!!! HO UN ANNUNCIO IMPORTANTE DA FARE, TUTTI QUANTI!!!” urlai a squarciagola, e ebbi l’attenzione dei presenti.
Per prima cosa arrossii.
“Che c’è Alma?”
“emmm…. Ecco… vi devo dire una cosa, ragazzi…” esordii.
“E l’abbiamo capito! Che c’è?”
Grazie a Dio in quel momento Beyond mi venne in aiuto, venendomi di fianco e prendendomi il microfono dalle mani. Poi, senza troppi giri di parole:
“Lei è la mia ragazza. perciò giu le mani e gli occhi gente.” Dichiarò serio.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Festa di Ani - 2 ***


“Lei è la mia ragazza. Perciò giu le mani e gli occhi gente.” Dichiarò serio.
Le bocche si aprirono in tante comiche O.
“COOOSA???????” urlò Anita.
“Avete sentito benissimo” dichiarò Beyond.
“NO, NON PUO’ ESSERE! ALMA! BEYOND! EH??? MENTITE VERO?”
Silenzio innegabile.
“NON CI POSSO CREDERE! MA TU!-indicandomi- PERCHE’ NON ME LO HAI DETTO SUBITO!!!???”
“Emm… è che io-”
“Io vi perdono solo perché siete una coppia romantica. Secondo me con Alma, il nostro caro fighetto si trasforma in un imbranato!” esclamò Jen, facendo annuire alcuni.
Arrossimmo.
Silenzio.
“Beh, chi ha spento la musica?”
“Ah, la musica!”
“Vai Jen!”

La festa continuò senza punto scomporsi alla nostra dichiarazione. Ne fui costernata, ma felice. Molto costernata, lo ammetto. Ma molto felice.
Finalmente liberi, no? Così, tutti si lanciarono nuovamente in pista, con della musica più ballabile (almeno dal nostro punto di vista). Erano circa le tre, quando anche gli instancabili Matt e Cleo, si fermarono e Jen, vedendo tutti arenarsi ai tavoli delle patatine e dei pop corn, propose di vedere un bel film tutti insieme.
Ci spostammo dunque in camera sua e ci sedemmo un po’ stretti sulla mochette bianca, davanti al televisore gigante che tutti le invidiavamo.
Il film fu scelto da Jen e ci ritrovammo a guardare “In the Market” un horror italiano dei più brutti, e non nel senso che faceva paura.
Nel senso che era fatto tanto male che ci rotolavamo (per quanto ci fosse poco spazio) sulla moquette ridendo come idioti dalla prima scena. Figurati all’ultima.
Notai, a un certo punto, che Beyond ebbe uno strano bagliore negli occhi e da allora rise meno forte. Era di fianco a me, non potei fare a meno di notarlo. Ma aspettai a chiedergli come mai quel momento di tristezza.
Perché?
Beh, perché alla fine del film Jen si mise a dare ordini come una Hitler adolescente e ci spedì subito nelle camere predisposte coi sacco a peli.
Naturalmente, mise me e Beyond nella stessa stanza. E figurati.
Nella sua camera avrebbe dormito lei insieme con Lucia e Anita. Nella stanza degli ospiti, Near e L. Poi, nella saletta (si, un’altra sala, esatto. Maledetti ricchi.) Matt, Cleo e L’Ange. Beyond, io e Mello, avremmo dormito nella sala grande.
“Ma perché sono l’unica ragazza!?”
“Beh, guarda Matt!”
“Ma lui ha Cleo che lo protegge!”
“Beh, tu hai Beyond, no?”
Guardai Beyond. Guardai Mello. Guardai Jen. Alzai il sopracciglio e sbuffai eloquente, causando le risatine di Mello e un’occhiataccia di Beyond, che ribatté:
“Cosa stai insinuando?”
“Nieeente Beyond, nieeeeeeeeente… ”
Mise su il broncio e scoppiammo tutti a ridere.
“Bene, allora caro Mello, ti sfido a un duello a cuscini!” esclamò lui
Troppo divertite per protestare, Lucy e Ani, fornirono i cuscini e tutti si accostarono ai muri ridendo, mentre i due si atteggiavano a cowboy dei vecchi film western.
Fu una lotta ardua che si concluse con la stupitissima e comicissima faccia di Mello che si ritrovava un cuscino sfondato in mano, una cascata di piume intorno e un Beyond che gli saltava addosso e soffocava il suo urlo di sorpresa col suo cuscino.
“VINTO!” esclamò allora il ragazzo, ridendo e liberando Mello, imbronciato.
“Solo perché il cuscino si è rotto!”
“Se, certo…”
Fu così che finì nel sacco a pelo di fianco a quei due.
Chiacchierammo fino alle quattro e mezza, scoprendo un Mello molto più simpatico di quanto pensassimo.
Fu verso le cinque che mi svegliai e vidi Beyond che usciva furtivo. Lo seguii, pensando che stesse andando in bagno e volendolo salutare.
In effetti andò in bagno, una stanza grande come le altre (ripeto: maledetti ricchi). Non entrai subito, non so perché, ma mi incuriosiva il fatto che non avesse acceso la luce ne chiuso la porta.
Si appoggiò al piano del lavandino, davanti allo specchio e ammirò la fattura del tappo di scarico.
Mi resi conto che stava piangendo. Avevo imparato che lui era una di quelle poche persone che sapeva farlo senza che si vedesse. Il suo modo di piangere era il più silenzioso e il meno triste, forse. Non cambiava niente in lui, non un singhiozzo. Solo lacrime, senza che neanche dovesse strizzare gli occhi.
Entrai nel bagno e gli appoggiai una mano sulla spalla. Si voltò verso di me stupito, con gli occhi lucidi che subito sfregò.
“Ei” mi salutò.
“Ei. Cos’è successo?”
“Nulla. Arrivo subito.”
Si voltò, perché non vedessi le sue lacrime.
Lo conoscevo, non si sarebbe girato fino a che non me ne fossi andata. Ma non ne avevo affatto intenzione.
Così, gli canticchiai una canzone.

 


Talk to me softly 
There's something in your eyes 
Don't hang your head in sorrow 
And please don't cry 
I know how you feel inside I've 
I've been there before 
Somethin's changin' inside you 
And don't you know 



Non si mosse, così continuai a canticchiare, abbracciandolo.



Don't you cry tonight 
I still love you baby 
Don't you cry tonight 
Don't you cry tonight 
There's a heaven above you baby 
And don't you cry tonight …

Give me a whisper 
And give me a sigh 
Give me a kiss before you tell me goodbye 
Don't you take it so hard now 
And please don't take it so bad 
I'll still be thinkin' of you 
And the times we had baby …

(http://www.youtube.com/watch?v=h8rLpUxaAyE)



Beyond si girò di nuovo verso di me, con un piccolo sorriso.
“Sei tenera… ”
“Lo so. Pensavi ad Arianna, vero?”
“Si” concordò, perdendo il sorriso.
“Ei, non potevi farci niente, ok? Non è stata colpa tua.”
“Potevo evitare di mentire.”
“Lei è stata più felice così, innanzi tutto. E poi tu non te ne sei accorto che alla fine.”
“Lo so, ma… non posso fare a meno di pensare che se non mi avesse conosciuto lei non…”
“Guardami- gli dissi, riportando i suoi occhi nei miei-  tu non c’entri con la sua malattia, Beyond.”
“Lo so.”
“Allora qual è il problema? Capisco che tu stia male per lei. ma non puoi darti la colpa dell’inevitabile. Ne delle sue decisioni, lo sai. ”
“Si, lo so. Però… se fossi io?”
“Non è neanche ragionevole, come avresti fatto a causarle la malattia?”
“Ecco io… il punto è che… non mi stupirei, ecco… ”
“Cosa?”
“Senti… - prese un respiro- ti ricordi quella volta, in sala prove?”
“Aspetta, quale? Quando ci siamo picchiati? O quanto mi hai praticamente sequestrato?”
“La seconda” chiarì lui.
“Ok, ho presente.”
“Quella volta… ti ricordi che quando mi sono arrabbiato… emmm… ”
“I tuoi occhi sono diventati rossi e volevi uccidermi? Si, me lo ricordo.”
“Ecco.”
Mi prese le mani, e il suo sguardo sembrò perdersi in un ricordo particolare. Uno di quelli che ti rigiri nella mente tutta la notte, senza capire quanto piacevole sia. Ne quanto ti faccia male.
“Tanto tempo fa… quando ero bambino… imparai una cosa…”
“Cosa?”
“Lo 0 equivale alla morte. Al raggiungimento della fine.”
“Cosa intendi?”
“I miei occhi erano sempre rossi allora… e con essi io potevo vedere cose che altri non vedevano. Sai cosa sono gli Shinigami, no? Io avevo i loro occhi senza averlo chiesto. E certo se tornassi indietro non lo farei. Non ne vale la pena. Ricordare costantemente che la morte ci cammina di fianco anche quando non ce l’aspettiamo, è terribile. Penso di averti detto la cosa più importante che si possa sapere su di me.”
“Quindi tu sapevi in anticipo che Arianna… sarebbe morta?”
“Si.”
“No aspetta facciamo un passo indietro. Tu vedi la data di morte delle persone???”
Annuì.
“Caspita. Ma, come, cioè, eh??”
“Non so perché. da quando ero bambino, te l’ho detto. Non te lo dissi perché ti saresti allontanata da me. Però credo di dovertelo, no? Ora, se vuoi lasciarmi ti capirò.”
“Che? E perché dovrei lasciarti, scusa?”
“Non lo so… perché potrei essere una specie di demone? Di… cosa strana? ”
Alzai il sopracciglio.
“Ok, parliamo seriamente.” concessi.
“Allora? Mi lascerai?”
“Per un cavolo! Non credo che tu sia posseduto ne tanto meno che tu sia un qualche cosa di satanico e di non ben definito, chiaro? Ora però, parlami di Arianna.”
“Sapevo quando sarebbe morta da quando l’ho conosciuta. Ogni volta che la guardavo me lo ricordavo e sapevo che avrei dovuto stare meno con lei, insomma, sapevo che se mi fossi affezionato a lei sarei stato male. Però lei non desisteva dal tentare di fare amicizia. Non so perché ce l’avesse proprio con me. Ero il più strano dell’istituto, completamente fuori di testa, anoressico e psicopatico al 100%. Guarda, non so quale anima santa la ispirasse per tentare di trarre da me qualcosa di… buono… Insomma, cedetti. E da allora lo feci sempre. La assecondai in tutto perché mi resi conto che mi aveva tirato fuori da qualcosa che avrebbe potuto essere davvero distruttivo per me. E da allora, tentai di non pensare che il tempo che avevamo era… pochissimo.”
Mi guardò un’altra volta negli occhi e i suoi erano di nuovo lucidi. Si vergognava della sua tristezza, che però era perfettamente giustificata.
Mi abbracciò come se fossi un salvagente e lui si trovasse in una tempesta delle peggiori.
“Almeno non sono solo.”
“Finché ci sono, non lo sarai mai. Promesso.”
“Neanche tu. Giuro.”
“Ti credo.”
“Ei…”
“Si?”
“Grazie.”
“E di cosa?”
“Non so… di essere tu e non qualcun altro.”
“Di nulla.”

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** I Matt fanno casino ***



Buon 2013 a tutti quanti! :D

Ed ecco che fummo di nuovo a scuola e non dovemmo più nasconderci. Skin mi fece l’occhiolino, vedendomi avanzare per il corridoio per mano a Beyond.
Stavo andando da Mattia, per chiarire una volta per tutte la nostra recente litigata e lontananza. Lo conoscevo bene.
“Ciao Matt!” lo salutai con allegria.
Vidi il suo sguardo perplesso soffermarsi sul ragazzo affianco a me, che a suo volta lo guardava serio, per poi aggrottare le sopracciglia, voltarsi verso di me e dare inizio ad uno dei nostri giochi preferiti, come a ringraziarmi di averlo salutato con tanta gioia.
“Da quanto frequenti questa gente?” mi chiese seriamente.
“Beh, in realtà- risposi, fingendo di parlare a bassa voce, ma assicurandomi che Beyond sentisse- io non avrei voluto. Ma sai, quando vedi un ragazzo così… così sfigato, così senza speranze… che ti devo dire, mi sono impietosita.”
“Capisco… ma è vero che è ritardato?”
“Eh, che ci vuoi fare, è nato così!”
“Alma!” esclamò Beyond, stupito.
Gli rivolsi un sorriso a 32 denti.
“Siiiiiiii?”
“Parlavi di me?”
“Io??? noooooooooooo….- poi mi rivolsi a Matt- lo vedi, è proprio scemo!”
Non riuscimmo a non ridere fragorosamente dell’espressione costernata del ragazzo ed egli ci lanciò delle occhiate da inceneritore, che però non ci pesarono affatto.
“Allora Matt, come andiamo?” gli chiesi poi, ritornando seria.
“Tutto a posto, tu? Vedo che hai trovato- risatina- compagnia, eh!”
“Eh, vedi bene! Allora, voi vi conoscete già, giusto? Però non siete amici, dunque è come se non vi conosceste!”
“Beh, in realtà io aiutato molte volte Beyond nelle occupazioni, così come aiutavo molto te! Però, è vero, non abbiamo mai legato un gran che, sapevo che ti stava sui cosiddetti.”
“Beh, ora stiamo insieme, vedi te!”
“Cosa ti avevo detto a riguardo, ben 8 anni fa?” chiese con aria saputa.
“No aspetta, non mi ricordo, cosa mi avevi detto?”
“Ma sì, non ricordi quella volta che incontrasti un ragazzo che si comportava da leader come te e lo odiasti profondamente perché lo vedevi come un rivale?”
“Ah, si, ora ricordo! Maledetto biondino del cavolo…”
“Già, e cosa ti dissi?”
“Mi dicesti che non avrei potuto evitare di finire con uno così, in futuro…. Lo so, lo so… ora mi rendo conto che quello schiaffo che ti diedi era immeritato, ma anche tu, con tutta questa inquietante precocità, cosa ti saltò in mente? Era prevedibile che mi sarei arrabbiata!”
“Ma lo feci istintivamente, lo sai! Ero ancora un pivello allora!”
“Perché ora non lo sei?”
“Ei, cosa stai insinuando!?”
“Nuuuuulla!”
“Si certo! Perché, invece di insinuare non ti occupi tu di quei ragazzotti la in fondo al corridoio? Io non li sopporto più, mi lascerei prendere la mano, lo sai!”
Guardai nella direzione indicatami e vidi un paio di poveri primini aggrediti da un gruppetto di bulletti del cavolo che ben conoscevo, purtroppo per loro…
Così lasciai Beyond nelle capaci e amichevoli mani di Mattia e mi avviai, ancora sorridente.
“Ei ragazzi! Che fate, intimidite i primini?” chiesi loro allegramente.
“Emm…. Aspetta ma tu sei quella…”
“Si, quella che vi ha dato una bella lezione sull’onestà, quella volta! Bravo, hai una buona memoria!”
“Ma… ma… noi… non…. Bah… andiamo…”
E se ne andarono, da veri uomini di parola.
Guardai il gruppetto di tre primini davanti a me, sorrisi loro e feci loro un simpatico occhiolino e girai i tacchi.
“Ei!” esclamò uno di loro.
“Si?”
“Ma tu sei Misora?”
“Si… è un po’ inquietante che tu lo sappia… ”
“Ma sei la rappresentante d’istituto, certo che lo so! E poi io ti ho votato!”
“E non hai votato quel ragazzo laggiù?” chiesi indicando Beyond.
“Beh… mi sembrava un invasato! E poi ho sentito che ha un passato da psyco e che ammazza la gente! Si dice addirittura che sia un comunista!”
Scoppiai a ridere.
“E cos’altro si dice di lui, dimmi!”
“Intanto che è un po’ pazzo, e poi che è sempre in competizione con te, che adora lanciare uova contro i passanti durante le occupazioni, ma che non lo fa per non rovinare la fama della scuola! E poi mi hanno riferito che sembra che stesse con una sua amica, ma che poi lei lo abbia lasciato e lui ora ti stia andando dietro perché vuole il tuo giornale! Stacci attenta!”
“Uh, temo di doverti deludere… come ti chiami?”
“Gio.”
“Ok Gio, ora promettimi che non ti deluderai, ma ci sono alcune cose che devi sapere.”
“Uau, cosa?”
“BEYOND, MATT, VENITE QUA!”
I due, chiacchierando di musica (Matt ne sa un sacco di musica… è inquietante, sul serio!) si avvicinarono, e appena furono di fianco a me esordii.
“Dunque Beyond, c’è qui Gio che mi dice di stare attenta perché da me, in realtà, vuoi solo il giornale!”
Lui lo guardò ad occhi spalancati, e Gio arrossì.
“Sarò costretto a ucciderti e mangiarti, hai rovinato il mio piano!”
“Visto Misora?”
Ridemmo insieme al primino.
“Va bene, ritiro ciò che ho detto sul tuo conto se nella prossima occupazione mi fai fare qualcosa di interessante!”
“Ei, ma dove siamo!? Mi sento ricattato così!”
“Beh, che c’è? Ci si deve pur difendere in un mondo così, no?”
“Bah, vedrò cosa posso fare! E comunque lo farò solo se smetti di dire alla mia ragazza che mi deve lasciare, ce ne ho messo per conquistarla!”
“Ma se non sei neanche stato capace di fare il romantico!”
Arrossì.
“Che discorsi sono! Insomma! Comunque, tu- indicò Gio- non ficcarti nei guai, tu- indicò Matt- sei un genio e sai cose che neanche immaginavo e tu- indicò me- non mi prendere in giro!”
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNN!
“Ciao Matt, ci si vede alle prove domani! Adieu!” salutai un un cinque alla buona, correndo via.
“Ciao Alma!”

“Ma quindi tu la puoi chaimare per nomeee???”
“Perché non dovrei?”
“Ma è la rappresentante di istituto, le devi rispetto!”
“Gio, punto primo, la conosco da quando sono nato, punto secondo, puoi rispettare le persone anche chiamandole per nome, sai? Hai molto da imparare… ma visto che ti ho adottato come discepolo personale, beh, vedrai che alla prossima occupazione ti divertirai eccome!”


Forse non avrei dovuto lasciare quel povero primino nella mani di Matt, ma non potevo pensare a tutto e poi l’avevo appena salvato dai bulli, che se la cavasse da solo!
“Ciao Beyond, a dopo! Porta greco che domani ho la versione così mi aiuti!”
“Perfavore, no?”
“No! Sei il mio schiavetto cosa pretendi?”
Alzò gli occhi al cielo e fuggì in classe per i corridoi deserti.

Quel giorno, quando uscii da scuola una figura familiare mi aspettava con un sigaretta quasi finita fra le labbra e un sorrisino ironico. Prima che potessi raggiungerlo, Cleo si era lanciata ad abbracciarlo, chiedendogli cosa ci facesse li.
“Ei, calma! Passavo di qua e ho pensato di venire a salutare, tutto qua!”
“Che bello!”
“C’è anche Alma?”
“Certo, eccola che arriva!”
“Ciao Matt, come va?” gli chiesi.
“Tutto ok… tu?”
“A posto! Sei passato a prendere Cleo?”
“No, lei deve andare dal dentista!”
“Allora che ci fai qua?”
“Volevo salutare! E poi devo parlarti…”
“Mi devo preoccupare?” chiesi scherzosamente.
“Vedi tu…” rispose lui, serio.
“Ok, mi devo preoccupare. Cosa c’è?”
“Adesso saluto Cleo e ti accompagno a casa così te ne parlo con calma.”
“Ok, ti aspetto”
Salutammo Cleo mentre gli studenti si diradavano e ci avviammo.
“Allora, dimmi Matt.” lo esortai.
“Mi è arrivata una voce sul tuo conto che vorrei chiarire.”
“Cioè?”
“E’ vero che… stai con Beyond?”
“Ah, allora è per questo che sei così freddo!”
Silenzio.
“Si, sto con Beyond. È un problema per te?”
“Io… so che non posso condizionare le tue scelte. Tanto fai sempre quello che ti pare, no? Però… voglio semplicemente avvertirti che non è la persona che sembra.”
“So che non ti sta simpatico Matt, ma credi che mi metterei mai con uno che non conosco?”
“Non è questo che voglio dire. Solo che… io non gli darei nessuna fiducia.”
“Perché non ti fidi di lui?”
Silenzio.
“Insomma, come faccio a prenderti sul serio se tu neanche mi rispondi?”
“Va bene, va bene. Il punto è che da quando lo conosco lui mi ha solo mostrato di essere, in fondo, un ragazzo immaturo e molto molto stron-”
“Matt!”
“Che c’è?”
“Lascia perdere, vai avanti!”
“Il motivo del mio giudizio è che già dalla prima volta che ci ho parlato mi ha preso in giro su cose che non lo riguardavano… ecco, hai presente la ragazza con cui stava?”
“Arianna?” chiesi.
“Esatto. La conoscevo da tempo, prima che arrivasse lui. Avevamo 13 anni, allora e io stavo con lei. Prima che tu commenti, allora non ero come prima di stare con Cleo…  
“Un donnaiolo?”
“Ecco, non direi precisamente così, ma… si. Insomma, con Arianna era una cosa seria, almeno per me. Ma poi arrivò il tuo amico e lei, presa da qualche spirito  di martire lo tirò fuori dal casino in cui era finito, dimenticandosi completamente di me. Quando li vidi andare in giro a braccietto le parlai, chiedendole cosa fosse successo, perché mi ignorava. Lei mi disse che non voleva più stare con me e fu a quel punto che Beyond si immischiò per la prima volta. Una volta che ebbi finito di parlare con lei mi si avvicinò e mi disse che Arianna era speciale e io no. Secondo ciò che mi disse, era per questo che lei mi aveva lasciato. Litigammo fino a venire alle mani, ma Arianna stava sempre dalla sua parte e da quel giorno non ci parlammo più. Ma con lui non smisi di parlare e ogni volta che lo facevamo, finivamo per scatenare una rissa. Lui non tentava di evitarmi, anzi lo divertivo a quanto sembra. Allora ho cominciato a stare con le ragazze che capitavano, convinto che quelle che davvero mi piacevano non mi avrebbero mai apprezzato. Ancora adesso, se ci parlassi per più di dieci secondi probabilmente cominceremo a picchiarci, anche se lui non parla più di Arianna. Abbiamo anche altri motivi per farlo.”
“Ovvero?”
“Vedi, oltre che litigare per Arianna, coglieva tutte le occasioni per umiliarmi pubblicamente davanti a tutti. Grazie a lui sono diventato un emarginato. Anche i più sfigati mi mettevano i piedi in testa e il fatto che Arianna chiudesse sempre un occhio quando Beyond se la prendeva con me, mi ha sempre impedito di reagire in qualche modo. Ora ha smesso di farlo, ma solo perché Arianna non c’è più e lui è un po’ depresso. Adesso preferisce stare solo che col suo gruppo di amici. So che sembra un bravo ragazzo a parlarci così. Ma mi preoccupo per te e spero non succeda di nuovo ciò che successe tempo fa. Ecco, te l’ho detto. Ora mi credi?”
“Certo che ti credo… e ti capisco… mi dispiace tantissimo per quello che hai dovuto passare… dico sul serio, non immaginavo che fosse il tipo da bulleggiare gli altri.”
“Che ti avevo detto…”
“Entra pura Matt” gli dissi poi, aprendo la porta di casa.
“Oh, non ti preoccupare, tanto devo andare!”
“Sicuro?”
“Si, davvero. Grazie per avermi ascoltato. Però non dire niente a nessuno!”
“Ne parlerò solo con lui.”
“Ah…”
“Ei, dai non fare quella faccia! Se ricomincia a fare lo stronzo lo metto a posto io.”
“Fidiamoci…”
Un po’ imbarazzato, fece per andarsene.
“Ei Matt!”
“Si?”
“Grazie per esserti preoccupato! Allora non sei insensibile!”
“Chiedilo a Cleo!” ridacchiò, mentre lo abbracciavo.
“Ciao, ci vediamo presto!”
“Ciao!”
Entrai in casa pensosa, chiedendomi quanto realmente conoscevo Beyond.

 

Erano le tre, quando il mio telefono s’illuminò e la suoneria mi annunciò che un numero sconosciuto mi stava chiamando.
Aprii la chiamata.
“Pronto?”
“Ei, ciao! Sono Gio, ricordi?”
“Ah, ciao Gio! Come va?”
“Tutto a posto, tu?”
“Bene, bene. Dimmi, perché mi chiami?”
“Visto che ti dovevo parlare ho chiesto il tuo numero a Mattia. Volevo dirti che c’è qui un problemino.”
“Cioè?”
“Ecco, il tuo ragazzo sta dando di matto.”
“Uau. Ok. Arrivo Gio.”
“Grazie.”
In pochi secondi ero fuori casa e in dieci minuti ero a scuola con il fiatone. Entrai sotto lo sguardo stupito della commessa e vidi Gio che mi aspettava davanti alle scale. Lo raggiunsi.
“Allora, che è successo?” domandai, mentre salivamo le scale.
“Come saprai, oggi pomeriggio c’era la riunione del suo giornale e io ci sono andato. Dopo aver smentito le voci, stamani, ho deciso di provare a vedere che tipo è realmente. Comunque sia, io, lui e un altro paio di redattori abbiamo deciso di mangiare direttamente nell’auletta, attendendo gli altri. Ci siamo seduti sul davanzale e lui ha guardato giu. C’era un tipo, non di questa scuola, che l’ha guardato e l’ha salutato con la mano. Visto che lo ebbero, i suoi amici cominciarono a preoccuparsi e lui voleva andare giu. Ma sono arrivati gli altri e non ha potuto, visto che doveva tenere la riunione. Appena finita la riunione però, tutti se ne sono andati tranne i suoi amici e io (volevo chiedergli un paio di cose). Non ho potuto dirgli niente perché ha cominciato a discutere coi suoi amici non proprio amichevolmente. A quanto ho capito voleva andare a casa tua con la ferma intenzione di ridurre male il tipo. Era terribilmente arrabbiato. Ho pensato di chiamarti.”
“Hai fatto benissimo Gio, grazie.”
“Figurati.”
Intanto eravamo giunti davanti all’auletta, da cui in effetti arrivavano voci dai toni non proprio definibili serafici e gioiosi, ecco.
Entrai subito e vidi Beyond che discuteva animatamente con Misa. Appena mi vide le lanciò un’occhiataccia e mi salutò con la mano.
“Ei, che fai qui?”
“Sono passata.”
“Bene, perché ti devo parlare!”
“Si, anche io.”
“Beyond, dai non-” s’intromise Misa.
“-non sono affari tuoi.” la interruppe lui.
“Allora, vieni?”
“Arrivo.”
Uscimmo dalla stanza e lui sbatté la porta dietro di se. Gio mi guardò storto e rientrò.
Scendemmo le scale in silenzio.
“Cosa ti ha detto?”
“Immagino che tu lo sappia.”
“Quell’idiota ce l’ha con me da anni.”
“A me sembra il contrario, sai?”
“Scommetto che ti ha detto che sono cattivo e mi comporto male con lui”
“Mi ha detto abbastanza perché io pensi di non conoscerti affatto.”
Si fermò in mezzo al marciapiede.
“Spero che tu non gli abbia creduto!”
“E’ un fratello per me!”
“Quindi la mia parola contro la sua-”
“Io non ti ho chiesto nessuna parola, solo qualcosa di veritiero, B!”
“Non chiamarmi B!”
“Ti chiamo come mi pare e piace!”
“Cosa sarebbe questo? Un litigio?”
“Precisamente. Ora mi vuoi spiegare perché a scuola sei in un modo e la in un altro?”
“Ma che dici!? La verità è che il tuo amichetto si è fatto sfuggire la ragazza e ce l’ha avuta a morte con me da quel momento. E ora cerca di sabotarmi! Scommetto che se tornassi a non mangiare sarebbe molto più felice!”
“Piantala di insultarlo!”
“Perché, lui non l’ha forse fatto?”
“Si è solo preoccupato per me e a quanto pare faceva bene!”
“Bene, se vuoi credere a lui non credo di poter aggiungere qualcosa, o sbaglio?”
“O mi dici la verità o te ne vai subito, non vale la pena perdere tempo con te quando sei di quest’umore.”
“Se sono una perdita di tempo tolgo il disturbo.”
“Bene, continua a mentirmi.”
Continuò a camminare al mio fianco.
“Cos’altro vuoi?”gli chiesi dunque.
“Senti, scusa, ti ho trattato male. Non volevo. È che lui sta tentando di portarmi via ciò che gli ho portato via io, seppur inconsapevolmente.”
“Da ciò che mi ha detto lo sapevi benissimo, cosa stavi facendo. E non so se accetto le tue scuse.”
“Se gli dessi ragione mi scuseresti?”
“No. Mi devi dire perché l’hai trattato così.”
“Perché ti interessa tanto?”
“Lui è uno dei miei più grandi amici e poi non voglio stare con qualcuno che non conosco veramente.”
“E sia.” Sospirò.
“Non darmi ragione come facevi con Arianna!” lo ammonii
“Non lo farei mai, lo sai perfettamente.”
“Come faccio a saperlo?”
“Ti fidi ancora di me?”
“Non lo so Beyond.”
“Grandioso.”

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Explain it! ***


Entrai in casa, feci entrare Beyond e chiusi la porta senza una parola. Lui evitava di guardarmi negli occhi.
“Allora, vuoi gentilmente spiegarmi perché fai il bullo con Matt?” gli chiesi con calma, facendolo entrare in camera mia.
“E’ cominciato tutto per via di Arianna lo sai.”
“Bella scusa”
“No, aspetta, fammi finire di parlare per favore. Come dicevo, se Arianna non ci fosse stata, tutto ciò non sarebbe accaduto. Come sai, quando la conobbi non ero totalmente a posto di mente. ”
“Beh, non è che col tempo sei migliorato eh.” mi sfuggì. Mi lanciò un’occhiata un po’ perplessa e continuò:
“Fatto sta che lei mi parlò molto e io stetti a lungo ad ascoltarla. Sapevo molto di lei. E fra le cose che sapevo c’era anche il suo ragazzo, Matt. Mi raccontò ogni cosa di lui. Mi disse che era un tipo strano, egocentrico, molto intelligente e molto… carino. Mi raccontò che stava con lui da un po’ e che nonostante fosse cosciente della loro tenera età, Matt considerasse la relazione con serietà. L’unico problema fra i due, era proprio Arianna: lei non voleva Matt come fidanzato serio, così mi disse, bensì si era messa con lui per una semplice cotta adolescenziale. Sai, della Wammy, Arianna era una delle ragazze meno mature. Non si rendeva conto, a volte, del fatto che le persone che le stavano attorno avevano sentimenti umani, nonostante fossero così strani e anormali. Comunque, il punto è che lei voleva rompere con lui e non sapeva come dirglielo. Mi parlò delle innumerevoli volte in cui aveva tentato di dirglielo e le era mancato il cuore. Non riusciva a staccare. Quando cominciai a parlare anche io, ovvero quando diventammo grandi amici, lei mi rivelò che con il passare del tempo la situazione non era migliorata. La cosa andò avanti fino al giorno in cui mi chiese di aiutarla. Io non sapevo come, ma lei mi spiegò che fingendo di stare insieme lui si sarebbe allontanato da lei da solo. Io ero dapprima contrario, ma sai, allora Arianna era la mia vita. L’unica persona che vedessi, con cui parlassi.  Così la assecondai.  Mi disse che dovevo mostrarmi geloso di lei perché temeva che Matt non la lasciasse in pace.  Mi disse di attaccare briga perché capisse che lei non era più disposta a stare con lui e che c’era qualcuno che l’avrebbe difesa da eventuali tentativi di riavvicinarla. Successe ciò che sai. Matt ci rimase malissimo e io  mi sentivo in colpa a trattarlo così, ma come ti ho già detto, assecondavo Arianna in ogni cosa. Passò il tempo e io e lei ci mettemmo insieme davvero. Da allora fui estremamente geloso di Matt, notavo come lui la guardava e capivo che per lui era stata una cosa seria e che non era passata, nonostante ci provasse con tutte in quel periodo. Allora feci un sacco di sciocchezze e il gruppo di amici in cui Arianna mi aveva integrato non mi diceva alcunché. L’unico che si oppose qualche volta fu Mello, che conosce Matt dalla culla. Gli altri pensavano che era Arianna a dovermi fermare eppure lei non diceva nulla. E per me, se ad Arianna andava bene una cosa, significava che era giusto farla. Ora che lei non c’è più e che invece ci sei tu con me, mi rendo conto di quanto sono stato stupido. Per questo quando sono alla Wammy tendo ad allontanarmi dagli altri, mi vergogno di ciò che sono stato la dentro. ”

“Mi devo fidare Beyond?” chiesi dopo un momento di silenzio.
Mi guardò intensamente. Poi avvicinò a me.
“Credi ciò che ti sembra sensato credere. Ma mi conosci. Non ti mentirei mai.” mi disse in un sussurro.
“Però ometti cose importanti.”
Calò di nuovo il silenzio. Era li, a poca distanza da me. Mi ricordò la prima volta che si era avvicinato così tanto, durante quell’occupazione.
“Ti credo Beyond. Però se devi dirmi qualcos’altro, fallo adesso. Non sai come mi sono sentita quando Matt mi ha detto che forse non ti conosco veramente.  Se è così dillo subito, perfavore.”
“Sai tutto. E se vorrai sapere qualcosa su di me, in ogni caso, basterà chiedermelo.”
“Prometti?”
“Prometto.”
“Grazie.”
Ci abbracciamo, sollevati di aver risolto.
“Però c’è una cosa che devi fare per me.”
“Cosa?”
“Devi chiedere scusa a Matt.”
“Oh… ma l’ho bistrattato per anni!”
“Per l’appunto. E vedi di farlo. Se non lo farai, lo saprò.”
“Ma-”
“Domani verrà a prendere Cleo. ”
“Oh capito, non ho speranze, vero?”
“Esattamente!”

Il giorno dopo, a scuola, ebbi delle lezioni leggere e rientrata dall’intervallo scoprii che avevamo addirittura un’ora buca. Organizzata la classe in modo che mantenesse limiti di decenza (limiti di decenza opinabili, è vero, ma pur sempre limiti di decenza esistenti) , mi accorsi che Mello non c’era più. Chiesi ai miei compagni dove fosse e Cleo mi informò del fatto che non era rientrato dall’intervallo. Nessuno sapeva dove fosse però, così andai a cercarlo fischiettando per i corridoi.
Lo trovai al terzo piano, accostato ad una finestra aperta. Era intento a fumare una sigaretta con aria assorta e si accorse di me solo quando, a pochi passi da lui, lo salutai e gli chiesi cosa stesse facendo.
“Ah, ciao Alma. Ora arrivo scusa. Avevo perso l’ora.”
“Tutto ok Mel?”
“Mhm”
“Sicuro?”
“Si sono solo un po’ stanco. ”
“D’accordo, se lo dici tu.”

A parte lo strano umore di Mello, la giornata andò bene e alla fine delle lezioni, uscita da scuola insieme a Cleo, vidi ancora una volta Matt davanti a noi, ad attenderci.
“Ciao Matt! Ecco la tua Cleo. ” lo salutai.
Non passarono pochi secondi che vidi Beyond uscire da scuola, esitare un momento e dirigersi verso  di noi a passo deciso con Misa dietro che lo guardava ad occhi spalancati.
Ci raggiunse e si beccò un’occhiata di puro disprezzo dal mio amico. L’atmosfera non era ottima. Cleo guardava Matt un po’ stupita, senza capire bene che stesse succedendo.
I due ragazzi si guardarono un po’ in cagnesco, fino a che Beyond lo salutò cautamente. Non ottenne risposta. Allora, con uno dei sorrisi più falsi, ma meglio costruiti che trovò nel suo repertorio, gli chiese se poteva parlargli per un minuto.
Matt mi lanciò un’occhiata certo che ci fossi io dietro lo strano comportamento di Beyond. E non è che avesse torto, ma sorvoliamo.
“Certo che puoi parlarmi. In un altro momento magari. Ora devo andare.”rispose seccamente.
“Capisco. A dopo allora.”
“A dopo. Ciao Alma.”
“Ciao Matt.”
Appena voltò l’angolo con Cleo che gli chiedeva che fosse successo mi complimentai con Beyond e lo ringraziai.
Il giorno dopo telefonai a Matt nel pomeriggio e mi assicurai che i due si fossero se non riappacificati, chiariti. Lui mi raccontò per filo e per segno, ancora totalmente stupito, di come Beyond si fosse scusato con lui e gli avesse spiegato tutto. Si era dichiarato addirittura “un cretino”, cosa quasi inimmaginabile, visto il suo orgoglio. 
Come ringraziamento per tale sforzo, quello stesso pomeriggio, andai a comprare un barattolo di marmellata appositamente per lui e il giorno dopo glielo regalai, procurandomi un Beyond esuberante e che saltellava di qua e di la per la camera stringendo la marmellata come un tesoro.
Insomma, ancora una volta tutto si era sistemato.
C’era solo una cosa che mi preoccupava: l’improvvisa apatia/depressione di Mello. Sembrava si annoiasse di qualsiasi cosa, tanto da far venire i nervi persino alla paziente Lucy.
Alla fine, un giorno in cui aveva etichettato una delle più coinvolgenti lezioni di letteratura come “scontata”,  io, Cleo e Jen  lo bloccammo mentre usciva a fumare una sigaretta.
“Allora, che hai?” esordì Jen bruscamente.
“Niente. Posso uscire di grazia?”
“No. È da una settimana che ti comporti come L la mattina presto? Si può sapere che ti è successo?”
“E basta con sta storia! ma che avete voi?”
“Mello, non fare il finto tonto. Vogliamo parlare di quando L ti ha offerto un cioccolatino e tu l’hai rifiutato perché, come hai detto, non ne avevi bisogno?!”
“Parlatene. Io intanto vado a fare l’intervallo.”
“Non credo proprio. Dicci che hai.”
“Che amiche gentili e dolci che ho…” sbuffò.
“Dunque?”
“Non ho niente, sono solo un po’ stanco. Non ho voglia di stare qua. ”
“Ho capito che vuoi andare fuori a fumare, ma prima lasciami dire quando sei stanco non sei mai stato così antipatico!”
“Intendevo dire che non ho voglia di stare qui, in questa scuola, in questa città. ”
Momento di silenzio.
“COSA?! E per qual motivo?”
“Beh, sono stufo di questo posto. Non vedo che c’è di strano.”
“Ma… perché?”
“Mah,  mi piacerebbe molto andare in un posto dove poter vivere.. liberamente.”
“Perché, qua come vivi?” chiese Cleo.
Ma avevo intuito che Mello si riferiva alla Wammy e lo capivo. Da ciò che sapevo, non era certo un bel posto dove vivere.
“Qua vivo senza poter decidere. E ora, per favore, lasciatemi passare. L’intervallo sta per finire e ho una sigaretta da fumare.”
“Io non ti capisco. Se c’entra con noi, questa tua noia, dillo!”
“No, non siete voi. Stai tranquilla. Mi passerà.” disse il biondo andandosene.
Jen e Cleo, un po’ perplesse si guardarono.
“Quel ragazzo non è normale.” decise Cleo.
“Magari ha dei genitori pedanti.” Ipotizzò Jen.
“Può essere” conclusi, dirigendomi in cortile insieme a loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo intermedio- ***


Buondì persona! Spero che tu sia un apersona.... sarebbe inquietante in altro caso... potresti essere un gatto malefico.... un cane fufo..... un vampiro arcobaleno procastinatore trafficatore e strizzatore di cervella di tricheco affetto da scabbia con zanne putrefatte e occhi strabici!!!
Emm...
Ook... vado a fare altri dieci anni di terapia intensiva.
*10 anni dopo*
Rieccomi qua, amici! 
Perchè voi siete miei amici vero? Vero? VERO? O.O
*dopo altri 10 anni di terapia*
Ce la posso fare. Forza. Forza e coraggio.
Allora.
Tutti questi anni di terapia e soldi spesi in strizzacervello (come i vampiri di prima per intenderci) sono serviti a darmi la forza di dirvi che, come potete leggere dal titolo, questo capitolo è un capitolo intermedio e perciò un po' corto. Spero possiate perdonarmi, vi prometto un prossimo capitolo lungo e figo e esaustivo e uau! E se non volete affatto un capitolo lungo e ringraziate iddio che questo sia breve, ditemi lo stesso che sono brava che il mio psicologo dice che è importante! (no dai scherzo, critiche ben accette come sempre eh!)
Adios 
Mina



Mello pensava precisamente alla Wammy’s quando parlava di noia di vivere. E quando ci pensava.
In quel momento, per l’appunto, stava seduto alla scrivania, davanti alla finestra, e per quella che era una delle prime volte in vita sua, non riusciva a concentrarsi sullo studio come avrebbe dovuto. Il cielo, oltre il doppio vetro, lo distraeva dal libro di greco. Sapeva che, alla fine, avrebbe dovuto ritenersi fortunato della sua situazione. Aveva una camera abbastanza ampia e il direttore non si curava più di tanto di lui in senso negativo. Non lo aveva quasi mai rimproverato aspramente né dato punizioni come faceva invece con B.
Sapeva che, comportandosi lui molto bene all’interno dell’istituto, non gli avrebbero certo negato di frequentare corsi che stimolassero le sue passioni. Insomma, lo trattavano relativamente bene.
Non era certo di quello, che si lamentava.
Il punto era un altro. Lui si sentiva… si, annoiato. Disinteressato, stufo. Sbagliato in quel contesto.
Lui avrebbe preferito vivere da solo, poter fare ciò che andava fatto senza che nessuno gli rompesse le scatole. Studiare, mangiare, dormire, eccetera. Avrebbe voluto una normalissima vita.
Era indifferente alle ribellioni dei suoi compagni e non ambiva a ribaltare la Wammy’s come  tutti, la dentro.
Semplicemente, avrebbe voluto essere da solo. E, per scelta, prigioniero di una routine da  lui stesso selezionata.
Insomma, voleva costruirsi da solo la sua prigione.
Perché, che senso aveva voler essere liberi? Cosa voleva dire essere liberi?
Per Mello, nulla. Per Mello, l’illusione di una libertà qualsiasi, era, appunto, solo un’illusione.
Lottare per un’illusione non gli si addiceva affatto per di più.
Forse esisteva qualcuno di libero?
Non credeva.
La libertà è un concetto troppo alto per gli umani e lui non si riteneva sovraumano. Perciò, che utilità aveva uscire dalla Wammy’s, se non quella di poter, quantomeno, avere la possibilità, seppur minima, di scegliere da solo la sua prigione? La sua vita?
Per questo, in quei giorni più che mai, desiderava ardentemente fuggire via. Anzi, andare via.
Senza l’impegno inutile di una fuga. Semplicemente, disparire. Trovarsi improvvisamente in una famiglia, felice o non, in una casa, grande o piccola, in una città, bella o brutta, che non fosse quella. Un qualcosa di banale, non gli sembrava di chiedere molto.
In lui, il seme dell’anaffettività, era nato molto tempo addietro.
Solo verso Matt e qualcuno dei suoi amici non gli sembrava di non provare assolutamente niente. Certo, per tutto il resto, il nulla. E la cosa non lo turbava. Era normale, a suo parere, che fosse così. Sarebbe stato ipocrita dire che quel cielo, per esempio, lo emozionava. O che lo avrebbe emozionato una qualsiasi altra imponente e grandiosa vista. Qualche mare, oceano, con il sole che vi si tuffava, qualche immensa montagna, lo avrebbe lasciato totalmente indifferente.
Perché avrebbe dovuto essere diverso? Perché avrebbe dovuto combattere per qualche ideale, interessarsi a qualche attività?
Non vedeva alcun motivo.
Si voltò verso Matt, seduto sul letto dietro di lui.
“Che hai Mello?” gli chiese l’altro senza neanche guardarlo. Sentiva l’irrequietezza dell’amico da giorni ormai.
Mello sbuffò e l’amico alzò il viso interrogativamente.
“Niente. A che punto sei?”
Il rosso alzò il libro al suo indirizzo, facendogli vedere la pagina cui era arrivato a studiare.
Era più avanti, rispetto al biondo.
Quest’ultimo represse un moto di stupore e guardò l’orologio. Aveva perso mezz’ora di tempo in stupide elucubrazioni.
“Tutto bene?” gli chiese ancora il compagno, dal letto.
“Si, tranquillo” gli rispose, chinando la testa sul libro per costringersi a studiare.
“Mah.”
“Studia Matt, non ho niente.”
Nello stesso momento, in un’altra parte della Wammy’s, più precisamente in un ufficio, una ragazza e un ragazzo vennero fatti sedere in due comode poltrone rosso cupo davanti a una scrivania in mogano lucidata da poco. Al di la della scrivania, lui. Il direttore.
Attraverso i sottili occhiali osservò i ragazzi che aveva davanti, compiaciuto.
La prima era una ragazza di bellezza esemplare. Aveva un viso etereo, le labbra rosse e due occhi azzurri e innocenti. Lunghi capelli corvini, morbidi e leggeri come le carezze del vento le ricadevano lungo tutta la schiena. Era vestita di nero, in modo molto femminile. Aveva dei pantaloni neri attillati, una cannottiera del medesimo colore e un chiodo di pelle, il ciò abbinato a un paio di scarpe col tacco, uno smalto perfetto e un trucco senza imperfezioni.
Il secondo, un ragazzo con la faccia seria, un giapponese con i capelli blu scuro, gli occhi neri e profondi, vestito da punk. Aveva inoltre un piering al labbro inferiore che precedeva una voce angelica e quasi aliena di cui era pienamente padrone. Niente della sua tristezza poteva trasparire da lui. Solo insolita serietà e stravaganza, certo.
Erano tutti e due mentitori nati. O abituati, dipende dai punti di vista. Potevano essere quello che volevano in ogni momento, potevano sembrare indifesi, come potenti e forti. Potevano, con un unico cambiamento, nel tono di voce o nello sguardo, comunicare gioia sfrenata o disperazione. E tutto, pur provando sensazioni completamente differenti.
Il direttore li aveva selezionati appositamente per un compito.
Non c’era nessuno, in quel posto, che gli desse fastidio al pari di quel ragazzo, Beyond. Dopo l’umiliazione inflittagli alla morte di Arianna, la sua ragazza, egli si era decisamente calmato. Eppure, notava il direttore con disappunto, aveva ora ripreso a essere pieno di gioia di vivere e per cui a causargli molti guai con i suoi continui tentativi di rivoltargli contro la Wammy’s a causa probabilmente di quella ragazza che vedeva. Meno male, pensava l’uomo alla scrivania, che nella Wammy’s c’erano anche i ragazzi che aveva davanti. Senza scrupoli, con un unico obbiettivo, senza nulla.
Il direttore parlò con loro per una decina di minuti, offrendogli qualcosa di molto succoso in cambio di un piccolo favore che avrebbe avvilito un po’ lo spirito ribelle di quello sventato ragazzo con gli occhi rossi. I due ragazzi uscirono con speranza dentro e impassibilità a iosa.
 
Lucia, mia cugina, aveva passato l’ultimo quarto d’ora a guardare Mello torturandosi il labbro con un’espressione preoccupata stampata in faccia.
Il ragazzo si “apatizzava” ogni giorno di più, dalla volta in cui gli avevamo quasi impedito di fumarsi in pace la sua sigaretta e la mia compagna di banco non la smetteva di tormentarsi, chiedendosi cosa fare.
Fu solo dopo altri penosi dieci minuti che Mello lanciò uno sguardo verso di noi, la vide, capì e strabuzzò un attimo gli occhi. Con la scusa di chiedere un foglio si avvicinò, guardò Lucy negli occhi e le chiese sottovoce cos’avesse, in parte anche al mio indirizzo.
“Cos’hai tu, deficiente!” rispose Lucy.
Lui la guardò malissimo. “Piantala di guardarmi così, almeno,che mi sento un malato terminale!”
Lei gli lanciò un’occhiataccia e lui se ne andò.
La osservai.
“Lucy…. Da quando ti interessi così tanto al nostro biondone misterioso?”
“C-cosa? I-io interessarmi a lui? Ma no! Cosa dici!? È solo un po’ di preoccupazione! Tzè!”
“Sarà meglio, perché c’è chi ha il sospetto che… come dire… sia abbastanza gay!” le sussurrai tentando di provocarla.
“NON DIRE CAVOLATE!” sibilò lei facendo quasi alzare lo sgaurdo alla prof.
“Contieniti!”
“Non dire cavolate! Lui non è affatto gay!”
“E lo sai bene eh, Lucy-”
“Cosa stai insinuando? Semplicemente, come BEN dovresti sapere, io capisco SUBITO la sessualità delle persone!”
“Al di la della frase molto ambigua, quanto tempo prima che mi mettessi con Beyond mi avevi predestinato un futuro in America, sposata ad Anita?”
Dettagli!”
“Si, certo… tu mi nascondi qualcosa, Lu, e credo di sapere cosa!”
“Ti ho detto di no!”
“Indagherò, sappilo. Indagherò a fondo…. Mauhahahhahaha!”

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNNNNNNN!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Stallo ***


Passarono alcuni giorni, durante i quali non accadde nulla di insolito se non che Matt venne ogni giorno all’uscita da scuola contro le due o tre alla settimana solite. Ed eravamo quasi totalmente certi che fosse per controllare come stava Mello. Si vedeva che era preoccupato anche se faceva l’allegro. Una volta, per esempio, aveva dato un mazzo di fiori all’amico al posto che a Cleo per distrazione, e ciò aveva fatto fioccare commenti maliziosi per tutto il gruppo che Matt aveva faticato a far tacere. Mello, dal canto suo, si era limitato ad alzare gli occhi al cielo e a sbuffare, per poi andarsene il più in fretta possibile.
Quel pomeriggio, di nuovo, non gli riusciva di concentrarsi. Perché, perché, si chiedeva, è sempre peggio?
Di solito questi suoi momento di pseudo depressione gli passavano in poco tempo, ma quella volta non riusciva proprio a tirarsi su.
Alla fine, scocciato, si alzò di scatto e attraversò la stanza diretto al cortile, a fumare una sigaretta a scrocco da qualcuno. Lui non fumava, certo, ma quella volta gliene era venuta decisamente voglia, preso anche in considerazione il piccolo sorriso che aveva in faccia il migliore amico ogni volta che accendeva una paglia.
“Dove vai?” gli domandò pigramente il suddetto, stravaccato sul letto con in mano il nintendo. Mello sapeva che era a uno degli ultimi livelli dalla quantità di parolaccie sempre maggiori che avevano costellato le sue elucubrazioni, quindi lo stupì che il rosso si fosse disturbato tanto.
“Al cesso” rispose poi, con tono altrettanto pigro.
Non fece in tempo ad appoggiare la mano sulla maniglia che Matt chiuse il nintendo, lasciandolo cadere sul letto e, cosa inaudita, rimbalzare per terra.
Mello sgranò gli occhi al suo indirizzo in una delle sue migliori espressioni shockate.
“M-Matt, sei sicuro di sentirti bene?!” gli chiese poi cautamente.
L’amico alzò gli occhi al cielo. “Sono così ossessivo? Mah, secondo me esageri”
Il biondo gli lanciò un’occhiata eloquente, ancora pietrificato.
“Va bene, va bene, a volte sono un po’ fissato!” esclamò l’altro alzando le mani in segno di resa. “Però non sono scemo!” concluse in modo apparentemente insensato.
“Emm… bene… io vado eh… ”
“Non credo proprio!” esclamò il rosso con aria di sfida.
“Si può sapere cosa stai dicendo?”
“Non fare la ragazzina con me, Mello”
“Ragazzina?!”
“E piantala di mentirmi.” Continuò l’altro, come se nulla fosse.
Mello rimase di sale a fissarlo con un’espressione a metà fra lo stupore, l’irritazione e il divertimento, ancora la mano appoggiata alla maniglia.
Matt si alzò con una faccia indecifrabile e si avvicinò all’amico.
“Ripeto: non sono scemo.” aggiunse.
“Cosa?!” si riprese il biondo, alzando il braccio e assumendo un’espressione scocciata.
“Saranno due settimane ormai, che ti comporti come la bella addormentata nel bosco! Guarda che ti conosco da troppo per non accorgermi di quando dici una cazzata. E ora ne hai detta una. Di nuovo. Posso almeno sapere perché continui a dirmene?”
“Ma che ti prende?”
“Ei, sei il mio più grande amico, farei qualsiasi cosa per te, ma che tu continui a dirmi cazzate proprio non lo sopporto!” esclamò l’altro.
“Matt non fare la femminuccia e non rompermi i coglioni!” sbottò Mello scocciato, abbassando nuovamente la maniglia per uscire e chiudersi dietro quella discussione. Non aveva proprio voglia, in quel momento, di sorbirsi la tiritera del “perché mi stai mentendo?” in stile fidanzatina paranoica.
“Tu dimmi che cos’hai e io  la smetto.”
Il biondo scosse la testa in un gesto di esasperazione, aprì la porta e uscì. Non fece in tempo a richiuderla che l’amico lo prese per la maglietta e lo riportò dentro per poi richiudere la porta e fissarlo nuovamente a braccia conserte, con uno sguardo di irritante determinazione.
Ora, Mello poteva anche essere apatico agli insulti e ai discorsi, ma quando qualcuno, chiunque fosse, si azzardava a spostarlo o a bloccarlo fisicamente mentre faceva qualcosa, allora, andava su tutte le furie e l’irritazione era tale che non riusciva a contenere l’ira.
Gli occhi gli brillarono per un secondo e Matt si rese conto della rabbia suscitata.
Poi, senza tanti preamboli, gli tirò un pungo in faccia e gli diede una spinta che lo fece cadere a terra davanti a lui. Indi, senza aspettare che si tirasse in piedi, uscì dalla stanza e si allontanò furente a grandi falcate.
Il rosso stette a fissare la porta per qualche secondo, poi sospirò e  seguì l’amico per il corridoio. Lo raggiunse dopo poco e lo bloccò, parandoglisi davanti.
“Che cazzo vuoi ancora?”
“Hai intenzione di parlarmi prima o poi?”
“Fottiti” rispose concisamente Mello.
“Allora ti restituisco questo” sbottò Matt, arrabbiato. Tirò un pugno all’amico e da li cominciarono a picchiarsi di santa ragione in mezzo al corridoio.
Quando i sorveglianti li separarono si guardavano ancora in cagnesco e Matt aveva un labbro spaccato che sanguinava copiosamente, mentre Mello perdeva sangue dal naso.

Era un’altra fresca mattina, un giovedì, e la settimana si avvicinava al termine.
Entrai a scuola saltando i gradini d’ingresso in un estro di allegria e salii le scale canticchiando, come al solito in ritardo e come al solito molto velocemente. Appena entrata in classe, un secondo dopo la professoressa di lettere, mi sedetti al mio banco e salutai Lucy, di fianco a me. Sembrava proprio l’inizio di un’altra interessantissima lezione di lettere, piena di pettegolezzi sugli autori che solo una come la nostra prof poteva conoscere e parafrasi esaltanti. Ma la donna seduta alla cattedra non cominciò la lezione, non subito.
“Prima di cominciare- disse infatti- devo darvi un avviso, ragazzi. Questa settimana, probabilmente già da domani, si unirà a questa classe un nuovo studente. In quanto coordinatrice di classe ho il dovere di informarvi che si tratta di un ragazzo che viene da un ambiente difficile, così mi è stato detto, perciò mi aspetto da voi la massima accoglienza e per l’amor del cielo, non fate gaffe con domande indiscrete. Confido che gli darete un ottimo benvenuto in questa classe e in questa scuola, dunque.”
Il discorso generò un lieve brusio e abbastanza stupore. Eravamo quasi alla fine dell’anno ed era strano che qualcuno si trasferisse in quel periodo. Comunque sia, la lezione si svolse regolarmente e fu solo al primo intervallo che ci alzammo da quelle sedie e potemmo scambiare due parole sull’argomento.
“Non credete che sia strano che uno cambi scuola ora?” si chiese subito Cleo.
“Beh, magari ha cambiato città per, che ne so, un problema familiare… in ogni caso meglio usare tatto, come ha detto la prof., chissà mai che stai attraversando qualche casino di cui non vuole parlare. Vedremo come si comporterà.” rispose L.
“Mi chiedo perché ci abbiamo avvertiti ora, di solito ci danno almeno una settimana di anticipo, no?”
“Beh, capace che la prof. se lo sia scordato, distratta com’è… ” osservò Lucy.
“Comunque sia, ragazzi, io vado un attimo giu da-”
“-Beyond, si lo sappiamo” concluse Mello atono. Lo guardarono tutti male. “Beh, che c’è?”
“E lo chiedi a noi?” gli risposi. Si limitò a non rispondere e io me ne andai un po’ scocciata. Vallo a capire quel biondino…
“Ei Beyond, come va?”
“Tutto a posto, a parte che ho un urgente bisogno di caffè, sto dormendo in piedi” rispose lui, mentre ci dirigevamo verso le macchinette.
“Io bene, come mai tanto sonno?”
“Non ho dormito stanotte, non so perché… Ma non importa, novità?”
“Si! Ci hanno appena detto che verrà uno studente nuovo in questi giorni! È strano, visto il periodo, ma si ipotizza sia traslocato da un’altra città o simili… tu?”
“Sarà una coincidenza, ma anche da noi deve arrivare uno nuovo! strano, no? Ce lo hanno detto giusto ieri, me ne ero scordato…” rispose sovrappensiero, infilando una monetina nella macchinetta e ordinando un caffè con il massimo di zucchero.
“Ti vedo distratto in questi giorni, succede qualcosa alla… a casa tua?” parafrasai.
“No, te l’ho detto, non sono riuscito a dormire… ”
“Scusa, è che anche Mello sta sulle nuvole e sembra una ragazzina ciclata da un po’ e mi è sembrato di capire che sia a causa di quello… ”
Accartocciò il bicchierino di plastica e lo buttò per poi lanciarmi un’occhiata indispettita. “Mi stai dando della ragazzina ciclata?”
“Eh? Cosa? Ma no, scemo!” risi.
“Sarà meglio per te, potrei anche offendermi!”
“Uh, che paura!”
“Non mi sfidare!”
“Altrimenti?”
“Dico solo che ne potresti subire le conseguenze!” ridacchiò.
Sobbalzammo al suono della campanella e ci salutammo di malavoglia per tornare in classe.
Passarono le lezioni e prestò, la campanella che pose fine alle nostre sofferenze, diede segni di vita, rimbombando per i corridoi deserti.
Matt era ancora una volta all’uscita per gioia di Cleo. Ma sembrava piuttosto cupo, anche lui.
Ci avvicinammo a salutarlo, ma Mello si tenne a distanza e gli lanciò un’occhiata da inceneritore che congelò l’atmosfera.
Cleo, a sua volta, lo guardò storto.
Perfetto, no? Che bel gruppo di amici…
“Allora, Matt, andiamo?” chiese lei con una punta di gelo, intuendo di chi fosse la colpa della ferita sul labbro del rosso.
“Subito amore, dammi un secondo.” rispose lui con un sorriso finto, spegnendo la sigaretta e fissando l’amico.
Si creò un attimo di silenzio, mentre Jen Anita e gli altri cominciavano ad andare.
Matt, appena la sigaretta fu ridotta in miseri resti sotto la suola delle sue scarpe di rivolse a Mello.
“Senti biondina, se vuoi continuare a comportarti da adolescente problematica fa pure. Quando torni a casa però, ricordati andare alla 386. A meno che tu non abbia cambiato idea” gli disse poi.
Intuii che probabilmente aveva “sfrattato” Mello dalla sua stanza, ma a parte me, che sapevo dove abitavano e potevo formulare ipotesi, nessuno aveva capito il senso logico della frase di Matt. Mello non rispose, ma la sua faccia diceva tutto e non è che sembrasse dispiaciuto.
“Ciao ragazzi” salutò poi il rosso, congedandosi insieme con Cleo.
Presto, tutti fummo sulla strada di casa, pensierosi. Stava arrivando un altro periodo problematico? Uau. Che gioia eh?
Mello e Matt a litigare nessuno li aveva mai visti. E invece ecco che uno sembrava aver voglia di fare una strage e l’altro faceva lo stronzo…
E poi c’era la questione di quei due nuovi arrivi da accogliere calorosamente. In quanto rappresentante poi, mi avevano affidato il compito di seguire il nuovo studente nello studio in caso di necessità e di fargli un po’ da tutor per la scuola. Avrei tentato di integrarlo nel gruppo, ma temevo che con la mia incredibile fortuna sarebbe capitato qualcuno di scontroso e asociale… che poi chissà se era una ragazza o un ragazzo? Se fosse stato un ragazzo e avesse avuto problemi con lo studio io l’avrei dovuto aiutare e Beyond era così geloso che mi potevo cominciare a preoccupare subito della faccia che avrebbe fatto sapendolo e della reazione che avrebbe avuto.
Ero ancora immersa nei miei pensieri, quando una mano mi fermò, facendomi, d’istinto, voltare di scatto e indietreggiare.
Era Skin che, con un piccolo sorriso, mi salutava. Mi avrebbe portato buone o cattive nuove? Era troppo sperare in un semplice saluto e via? Quasi utopistico direi.
“Skin, cavolo, mi hai fatto prendere un colpo!” esclamai a mo’ di saluto.
“Vedo!” ridacchiò lui.
“Allora, come va?”
“Tutto a posto come al solito, tranquilla. Tu?”
“Bene, bene. Ma dimmi, come mai su questa strada? Tu non prendi la metro?”
“Si, ma ti ho vista e volevo dirti una cosa, così ti ho fermata!”
“Dimmi, è successo qualcosa?”
“Nulla di grave direi… solo che volevo avvertirti che qualcuno in questa scuola… mi ha chiesto di… fare una ricerca su di te. Sai, una delle mie ricerche… ”
“Uh, cavolo. mi devo preoccupare?”
“No, è qualcuno di abbastanza innocuo, volevo solo avvisarti, così per correttezza. E comunque lo sai che i tuoi segreti profondi sono al sicuro.”
“Lo spero per te Skin” gli dissi ironicamente.
“Ei, così mi spaventi!”
“Si certo, credici… ma non puoi dirmi chi è vero? Darmi un piccolo indizio?”
ß occhi da cucciolo mode: on.
“Emm… dai non fare così… lo sai che hai tuoi occhi da cucciolo… Oh, e va bene! È un primino ok? E non farmi dire altro!” esclamò indispettito, per poi salutarmi velocemente, come temendo che potessi estorcergli qualcos’altro.
Ripresi a camminare verso casa chiedendomi chi potesse essersi rivolto a Skin. Un primino aveva detto… mah…

Ero ancora di umore incerto quando, verso le 15.00, Beyond citofonò.
Aprii la porta d’ingresso e lo vidi avanzare oltre il cancelletto con un sacchetto da panetteria in mano tutto sorridente. Neanche mi salutò che già me lo faceva aprire con la stessa espressione di un bambino di tre anni. repressi l’istinto di prenderlo in giro fu con una dolce alzata di occhi al cielo che sulle mie mani arrivarono due ciambelle al cioccolato.
“Oh, grazie Beyond!”
“Di nulla!”
“Dai entra, andiamo a mangiarcele in cucina”
“Agli ordini capo!”
“Non fare Matt!”
“Non fare Mello!” replicò.
Realizzammo quanto detto e scoppiammo a ridere.

Mello in quel momento si trovava solo nella sua nuova camera ed era ben lungi dal ridere. Era sdraiato sul letto, l’unico letto nella camera. Non riusciva a smettere di darsi mentalmente del coglione e al contempo il suo orgoglio pretendeva di dargli ragione. Dopotutto Matt gli aveva proprio rotto le scatole, pur sapendo quanto gli dava fastidio. Però lui gli aveva tirato un pugno. Ed effettivamente, forse, si era comportato in modo un po’… infantile?
Diciamocelo pure, da vero coglione. E tornava ad insultarsi.
Che cazzo, avrebbe dovuto scusarsi, lo sapeva benissimo. Sbuffò.
Si tirò a sedere.
Aveva un amico. Qualcuno che gli voleva bene. E l’aveva buttato nel cesso solo perché era un cazzo di egoista.
Non aveva certo il coraggio di andare a chiedergli ancora qualcosa, quando sapeva che Matt gli aveva sempre dato tutta la sua disponibilità. Ora doveva solo lasciarlo in pace, stargli alla larga, così avrebbe potuto evitargli uno come lui intorno. Un coglione intorno.

Cleo e Matt avevano appena finito di studiare insieme (Cleo aveva studiato e Matt le aveva aggiustato il pc ascoltando musica con lei) e ora stavano facendo due passi nel parco vicino a casa di lei, tenuti per mano. Una brezza leggera attraversava la stradina e i due si strinsero rabbrividendo. Chiacchierarono un po’, ridendo e scherzando come erano soliti fare, fino a che Cleo non si potè più trattenere da una domanda che la tormentava da un po’:
“Matt… ma tu e Mello… avete litigato, vero?”
Il rosso abbassò lo sguardo e annuì. “Non era mai capitato… Voglio dire, noi due ci sbeffeggiamo sempre, non siamo mai puccipucci, lui è Mello! Però litigato sul serio… è la prima volta che posso affermare di essere davvero molto arrabbiato con lui. Anche se so che ha qualcosa che non va in questo periodo e vorrei aiutarlo.”
“Mi dispiace… è lui che ti ha tirato un pugno vero?”
“Emm… si.. può essere…”
“E… mi spieghi quella frase che gli hai detto fuori scuola?”
“Quale frase?”
“Non fare il finto tonto!” ridacchiò lei.
“Ma io sono tonto!” esclamò lui innocente.
“La frase incomprensibile alla quale tutti vi hanno guardato come alieni. Ricordi?”
“Aaaaaaaaaaah…. Queeella frasee… mah, niente di particolare, così una frase nonsense!”
“Si. Certo. E io sono un fagiano.”
“Oddio sei un fagiano?”
Lei lo guardò alzando un sopracciglio.
“Va bene ok, il punto è che noi viviamo in un posto… tipo… un albergo no?”
“Tu e Mello vivete in  un albergo??”
“E’… è difficile da spiegare… sediamoci un momento e provo a spiegartelo. Ma mi devi promettere sulla tua vita che non lo dirai a nessuno, intesi? Nessuno. E lo dico per te.”
“Prometto, prometto. Ma mi devo preoccupare?”
“E’ una lunga storia- cominciò lui sedendosi su una panchina, lei al suo fianco- che comincia alla nascita mia e di Mello. Insomma, non mi voglio soffermare troppo sui dettagli, ma… beh, noi siamo orfani. E viviamo in un orfanotrofio ecco.”
“Cosa? e non me l’hai mai detto? E tutte quelle scuse su tua madre apprensiva? Erano tutte balle?!” esclamò Cleo a metà fra l’arrabbiato e il dispiaciuto.
“Io.. non l’ho fatto che a fin di bene Cleo, te lo giuro! Il punto è che.. non dovrei dirtelo, ma quest’orfanotrofio è… particolare diciamo… è sempre meglio non sapere che esiste, te l’assicuro!”
Lei si fermò un momento a guardarlo, riflettendo.
“Posso perdonarti. Ma se mi racconti un’altra palla ti uccido. Poi ti resuscito, ti mollo e ti uccido di nuovo. Quindi, fammi capire, tu abiti in un orfanotrofio di quelli “cattivi”, diciamo?”
“Beh… se vuoi chiamarlo così…”
“Ma non si può denunciare?”
Matt rabbrividì. “Lascia perdere Cleo.”
“E’ così terribile?”
“Lascia perdere.”
Silenzio fra i due.
“Quindi hai sfrattato Mello dalla tua camera dove prima stavate insieme, giusto?”
“Si. Abbiamo litigato l’altro giorno eh… in un momento di rabbia l’ho mandato via. Tanto cosa gliene frega a quello stronzo.”
“Dai non dire così! dovresti saperlo meglio di me che è una delle persone più sensibili del gruppo anche se fa tanto il duro!”
“Bah… comunque è lui che, se vuole, può venire a scusarsi.”
“Che ragionamento da maschi” sospirò Cleo.
“Ma è vero! Lui ha cominciato, lui si deve scusare!”
“Mi correggo: che ragionamento da bambini. Gli adulti pensano invece, se vuoi saperlo, che quando c’è un problema se ne parla insieme e lo si risolve o, in caso estremo, si conferma lo scontro mentale e si smette per un po’ o per sempre di frequentarsi” lo rimbottò lei dolcemente.
Lui sbuffò.
Ma chissà, magari qualcosa si stava muovendo.

Quella notte però, mentre i due dormivano per la prima volta in stanza separate, in diverse zone dell’istituto, sembrava che tutto fosse stranamente immobile.
Fissavano entrambi il soffitto, sbuffando.
Matt pensava alle parole di Cleo e aveva qualcosa in cui confortarsi: gli avrebbe potuto parlare appena la rabbia fosse sbollita. Avrebbe potuto parlargli razionalmente e magari la cosa si sarebbe risolta. Però era strano che quella sera non ci fosse nessuno a impossessarsi del bagno ignorando i turni messi praticamente a scopo d’ornamento sulla porta, nessuno a lanciargli un cuscino per fargli spegnere il DS, nessuno da trovare la mattina con un umore pessimo, ma una tazza di caffè in mano pronta per lui, nessuno da provocare per divertirsi, nessuno, nessuno, nessuno. Quella parola rimbombava oscuramente nel silenzio, e il rosso, pur con la luce fioca di una speranza di pace, in tutto quel buio opprimente e pesante, si sentiva troppo solo. Non riusciva a prendere sonno, così aprì la finestra e vi si affacciò, per fumare una sigaretta da li, cosa assolutamente vietata in realtà. Ma tanto…
Certo, se Mello avesse sentito, il mattino dopo, la puzza di fumo, gli avrebbe potuto tirar su una scenata esemplare e costringerlo a sbattere cuscini e lenzuola fuori per mezz’ora ma… ma un momento Matt, stupido ragazzo, domani mattina ci sarai solo tu. Il rosso sbuffò, lasciò cadere la sigaretta, fumata per trequarti e si rifugiò di nuovo a letto.

Il biondo trovava il soffitto stranamente invisibile. Non gli piaceva per niente quella notte. Quella sensazione. Che cazzo di sensazione era poi? essere immerso in tutta quell’oscurità lo metteva insolitamente a disagio. Non aveva mai avuto paura del buio, era Matt da piccolo, quello che si alzava con gli incubi e pretendeva poi la luce accesa e la mano del biondo nella sua. Che scemo. Come se una mano scarna e bianca di bambino potesse trascinare via qualcuno da tutto quel buio assurdamente presente. Lo sentiva nelle ossa, nella pelle, negli occhi aperti a salutare la stessa visione che avrebbero avuto da chiusi. Beh, forse la mano di qualcuno non l’avrebbe trascinato via, ma di certo l’avrebbe rassicurato. Che cazzate di pensieri che aveva. Si alzò velocemente e entrò nel bagno semivuoto ormai. Prese il bicchiere di fianco al lavandino e lo riempì d’acqua gelida. Stava per portarlo alle labbra, ma gli scivolò e il vetro misto ad acqua  gelata schizzo ogni dove.
“Merda. Merda, merda, merda.” Sussurrò nell’oscurità.
La sua mano dalla carnagione come sempre molto pallida spiccava troppo ai suoi occhi, per non risultare anomala. Ferma nel gesto della rottura, era fissata dagli occhi gelidi, con sguardo indecifrabile. Perché ogni cosa che toccava andava in frantumi? Perché ogni volta che tendeva la mano qualcosa cadeva, ormai? Aveva perso anche Matt, l’unico che in quelle stupidissime mani vuote trovasse un minimo di conforto e ora esse servivano solo a sgretolare in milioni di pezzi ogni cosa sfiorassero, causando preoccupazioni, ansie, rotture.
Mello sbuffò, reprimendo a stento l’improvvisa quanto forte voglia di mandare tutto affanculo e scoppiare per una volta nella sua vita a piangere.
Gli ritornò in mente qualcosa, un ultimo appiglio, che lo fermò.
Era una notte altrettanto buia e sconfortante quella in cui i due ragazzini dormivano. Si trattava di bambini di non più di nove anni, in un letto a una piazza e mezzo soltanto, ma fin troppo grande per loro. Il biondo dormiva di lato, dando la schiena al rosso, che invece dormiva con il viso rivolto al soffitto. Erano i primissimi tempi in quel posto. Matt si era addormentato per puro miracolo e, per puro miracolo, non si era svegliato quando Mello aveva lasciato la sua mano e si era voltato nel sonno.
Ma in quel momento tornò un incubo tormentoso che lo scovò in quell’oscurità e gli entrò negli occhi con prepotenza, facendogli rivivere le peggiori esperienze, peggiorati dal grottesco stile dei sogni. Il ragazzino si svegliò piangendo poco dopo, gli occhi spalancati arrossati dalle ennesime lacrime, la mano che si strinse subito scoprendosi vuota.
Il pianto di panico era silenzioso, ma Mello si svegliò in un secondo e si voltò immediatamente verso l’amico. Il rosso abbracciò con forza il ragazzino che aveva di fronte, scoppiando in singhiozzi.
“Mello, non ne posso più, quando arriva la mattina? Quando possiamo svegliarci Mello?”
“Ei Matt, ei, stai tranquillo. Noi siamo già svegli, ok?”
“E se questo fosse un incubo?”
“Ti giuro che non è un incubo” affermò sicuro il biondo, ancora nella stretta dell’amico.
“Allora se dormo di nuovo ne faccio un altro?”
“No. No, non ne farai nessun altro, ci sono io qua adesso.”
“Mel… li ho sognati di nuovo… ”
Si riferiva ai genitori. Li sognava sempre, e sempre in male. Nel momento peggiore della loro vita comunque: la morte.
“Non voglio sognarli più, non ne posso più di questi sogni Mel… ”
“Lo so Matt, lo so.”
“Mello… -disse il rosso tirando su col naso e guardando il biondo negli occhi- tu ci sarai sempre vero?”
“Certo che ci sarò sempre Matt. Te lo prometto sulla mia testa. Io ci sarò per sempre.”
“Anche fra cento anni?”
“Anche fra duecento anni. Per sempre.”

Mello si abbassò lentamente a raccogliere i cocci, li buttò nel cestino e si bloccò.
Quei due bambini, quella notte. Era tutto così lontano e così vicino, nella sua mente. E così… confuso.
Basta pensieri stupidi, era stupido farsi troppi trip mentali se poi non conducevano a niente. O si faceva qualcosa o Matt era capace di non vederlo più.
Il biondo uscì dalla stanza e si diressi verso quella di Matt. Entrò scassinando la serratura. Non doveva, certo, ma in quel momento sinceramente non gliene fregava assolutamente nulla.
Matt era da pochissimo caduto nel sonno aggrovigliato dalle lenzuola.
Si era una promessa quella che si era ricordato. Ma Matt meritava di meglio. L’iniziativa di tornare morì presto e Mello tornò a chiudersi in camera sua, insonne.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Sembra che la legge di Murphy fallisca; ***


Buonsalve gente, come va? Spero tutto bene!
Scusatemi, ma questo capitolo sarà un po' più breve del precedente, ma in questo periodo non ho moltissimo tempo fra scuola e casini vari :(
Comunque spero sia di vostro gradimento!
A presto!
Mina 


La giornata si preannunciava nuvolosa, constatai affacciandomi alla finestra la mattina dopo, e nulla avrebbe rovinato la piacevole sensazione che le brezza mi regalava pochi minuti dopo frusciandomi addosso mentre mi incamminavo verso scuola. Quando arrivai finalmente all’ingresso del liceo e mi ricongiunsi ai miei amici, però, la sensazione si era già guastata.
O meglio, diciamo che non me l’ero goduta, distraendomi a pensare. Constatavo, infatti, che avevo almeno tre problemi: prima di tutto l’arrivo del/la nuovo/a compagno/a, poi l’avviso di Skin che mi faceva sentire osservata tutto il tempo e infine le occhiaie di Mello e la sua faccia cadaverica. Non passò molto che il portone venne aperto e tutti noi sciamammo all’interno dell’edificio, verso le classi. Entrati in classe notammo subito la prof di italiano appoggiata allo stipite, aspettando evidentemente di vedere il nuovo.
Essendoci nella nostra classe l’abitudine di ripassare a gruppi tutti insieme le varie materie del giorno in cui saremmo potuti essere interrogati, c’erano ormai quasi tutti quando il fantomatico compagno arrivò e non lo vedemmo che dopo qualche minuto dal suo arrivo, calcolando che venne trattenuto dalla prof.
Così quando entrarono si ritrovarono tutti gli sguardi puntati addosso e una classe che si sistemava da uno stato di ripasso ansiogeno (quel giorno era in programma un’interrogazione in latino e noi tutti sapevamo quanto potesse essere poco simpatica la nostra prof di latino durante le interrogazioni).
Il nuovo, perché di un lui si trattava, era un ragazzo etichettabile come strano già a partire dai capelli tinti di blu cupo. Era un giapponese, vestito da punk, con un piercing sottile su un sorriso quasi impercettibile. Ci fissava come noi fissavamo lui: con curiosità. Mi sembrò un tipo strano, ma a posto, e sperai che seguirlo e integrarlo non sarebbe stato poi così arduo come pensavo seguendo la mia logica realistica tendente (molto tendente) al disfattismo.
Chissà, magari per una volta Murphy si era sbagliato!
Comunque meglio non farsi illusioni, no?
“Allora ragazzi, questo ragazzo è il vostro nuovo compagno di classe. Ha già imparato molto bene l’italiano, ma se fa qualche sbaglio perdonatelo, è qua da poco. Mi aspetto che lo accogliate al meglio, mi raccomando. Misora, Edud, in quanto rappresentanti se avrà dei problemi a stare dietro al programma, sarete voi ad aiutarlo. Se ora vuoi presentarti caro… “
Il ragazzo fece un piccolo sorriso e disse:
“Ciao, io mi chiamo Kyomizu Aki. Spero di trovarmi bene. Dove.. dove posso sedermi?”
Gli venne subito indicato un banco vuoto, lasciato da una bocciata dell’anno precedente, in penultima fila ed egli vi prese subito posto. Il suo compagno di banco, Gabriele, gli fece un piccolo sorriso.
Beh, fino a qui sembrava innocuo.
Le lezioni seguirono normalmente e all’intervallo, io e Cleo ci avvicinammo al banco di Aki, il quale stava tirando fuori dallo zaino un libro.
“Ei carino- lo apostrofò scherzosamente Cleo- noi due siamo le rappresentanti di classe che ti aiuteranno in tuuuuuuutto ciò di cui avrai bisogno! Io sono Cleo Edud, lei è una deficiente e ora se vuoi possiamo vedere tutti insieme appassionatamente se sei o meno indietro con il programma e in quali materie, ti va?”
“Cleo qui è un po’ pazza, ma non ci badare… ” precisai io, beccandomi un’occhiataccia dall’amica.
“Volentieri, anzi grazie per l’accoglienza!” rispose Akiu ridacchiando.
“Figurati, dovere!” risposi, sedendomi davanti a lui e estraendo dal diario il programma dell’anno (leggasi: un foglio stropicciato, bruciato e chissà cos’altro magicamente resistito per tutti quei mesi alla bestia detta Il Mio Zaino).
Passammo cinque minuti dell’intervallo a confrontare il programma con ciò che aveva fatto lui e risultò che era indietro in italiano, filosofia, greco e chimica. Così ci organizzammo per aiutarlo a recuperare in diversi pomeriggi delle settimane a venire. Il martedì avrebbe studiato con Cleo, il giovedì con me, sino a quando non sarebbe tornato alla pari.
“Se ti va possiamo presentarti un po’ di amici Aki” propose Cleo alzandosi.
“Perché no? Volentieri!” esclamò lui seguendoci.
Già, Murphy quella volta avrebbe dovuto ricredersi e tacere!
Presentatigli tutti i componenti del gruppo, Lucy lo tirò a se per cominciare a parlargli fittamente del Giappone, dei giapponesi, del giapponese, eccetera, eccetera, eccetera, da brava fissata. Dopo un’unanime alzata di occhi al cielo, arrivò il momento della prima impressione, che speravo fosse buona. A me era sembrato uno abbastanza a posto, un po’ strano, ma simpatico.
“Sembra simpatico! Un po’ strano, ma simpatico!” esclamò Jen, facendomi preoccupare seriamente. Esisteva la legimanzia? Non mi risultava… mah…
“Anche io ho avuto la stessa impressione…” aggiunse Cleo.
“Si, dai è a posto… ”
“Ragazzi, dov’è Mello?”
“Ha cazzeggiato per tutto il tempo e poi si è defilato, non lo so… ”
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!!
Le lezioni ricominciarono. Somma gioia! Oppure no.
Durante l’ora di latino la prof fece strage nella classe lanciando quattro e due ogni dove, e alla fine delle lezioni dall’aula uscirono degli studenti dal volto funereo che si trascinavano verso casa con una mezza idea di suicidio e un’altra metà di omicidio.
Comunque, in un modo o nell’altro, uscimmo tutti dalla scuola e indovinate un pochino chi c’era davanti all’ingresso? Il nostro caro amico Matt!
Ci dirigemmo verso di lui e prevedibilmente Mello si rabbuiò. Gli avevamo strappato addirittura una risata quel giorno…
“Ciao Matt, come va?” attaccò Cleo.
“Bene, tutto a posto. A parte il fatto che stanotte mi sono entrati in casa, pensa te. ”
“Davvero? Cazzo, mi spiace Matt!” esclamò Jen.
Io, Cleo e Mello rimanemmo di sale.
“Già, chissà che bastardo è stato. Deve ringraziare che non ero sveglio…”
“Beh, ei, stai attento con ste cose Matt! Guarda che è pericoloso!” ribatté Jen.
“Tranquilla, era solo un codardo del cavolo… ”
Mello se ne andò a grandi passi mangiando una tavoletta di cioccolato con una foga assassina.
“Beh, io devo andare ragazzi, ero passato solo a salutare” disse allora Matt.
“Sicuro che sia tutto a posto?” gli chiesi.
“Si, assolutamente. Ma oggi non posso uscire.”
“Va bene, allora ci vediamo un altro giorno eh!” lo salutai, staccandomi dal gruppo e correndo dietro l’autobus che mi era appena passato di fianco.
“Ciao!” mi gridarono dietro e io sventolai la mano.
Lo presi appena in tempo e mi fiondai su un posto vuoto col fiatone. Non avevo visto Beyond…
Matt scomparve in un vicolo quasi dimenticato, ignaro che una ragazza lo stava seguendo di soppiatto. Anche Mello era li, in fondo al vicolo per la precisione, seduto su una panchina una volta verde, martoriata dalle incisioni. Aveva quasi finito la sua tavoletta di cioccolata. Quando vide Matt avvicinarsi con una sigaretta fra le dita, si alzò e fece per andarsene.
“Dove credi di andare?” gli sputò con astio il rosso da pochi metri di distanza.
Mello si fermò e si volto a squadrarlo. “Cosa vuoi?” chiese infine, sgarbato.
“Sei entrato in camera mia stanotte, vero? La serratura era saltata e non credo che qualcuno a parte avrebbe interesse a entrare in camera mia.”
“Anche se fosse?” ribatté arrogante il biondo, accartocciando la stagnola lucida.
“Anche se fosse un cazzo! Sai che potrei benissimo dirlo a Roger? Ti farebbe un culo così!” esclamò il rosso lasciando cadere la sigaretta e pestandola con violenza, scrutando Mello dagli occhiali arancioni.
“Perché me lo stai dicendo, se posso saperlo?” disse semplicemente l’altro.
“Per farti entrare in quella testa da ragazzina che la devi piantare!” rispose Matt.
“Non permetterti di chiamarmi così, idiota.”
“E’ tutto quello che hai da dirmi?” chiese (o constatò) il rosso, fissando Mello.
“Perchè, cosa ti aspetti che ti dica?” rispose il biondo con lo stesso tono che avrebbe usato con un bambino un po’ stupido.
“Già, hai ragione, dopotutto perché dovresti dirmi qualcosa? Come se non sapessi che per te non sono mai stato altro che un rompipalle, come tutti gli altri.“
Mello rimase impietrito a guardare il rosso allontanarsi, superandolo senza guardarlo.
Si lasciò cadere di nuovo sulla panchina, anche lui ignaro che qualcun altro aveva visto tutta quella scena e rimase a fissare il vuoto sentendosi stranamente vuoto.
Sentendosi di merda, se dobbiamo dirla tutta. Sentiva che aveva sbagliato tutto, lo sapeva. Ma lui non riusciva a comportarsi come avrebbe dovuto. Cinque secondi prima, ad esempio, avrebbe dovuto fermare l’amico e chiedergli scusa per il trattamento che gli aveva riservato, comportandosi come uno stronzo patentato. E invece eccolo li, in silenzio.
Stupido, pensò.
 Una ragazza, circa mezz’ora dopo, entrò a scuola e entrò in mensa. La classe di Skin stava giusto finendo di mangiare, a uno degli ultimi tavoli.
“Skin?” lo chiamò la ragazza, da dietro.
Il ragazzo si girò e la salutò a sua volta. Dopo i convenevoli, lei gli sussurrò qualcosa e lui annuì con un sorriso.
“Non c’è problema, ci penso io. Ti faccio sapere eh.”
“Ci conto.”
I compagni di Skin neanche ci fecero caso.
Quella mattina pioveva. Era una pioggia leggera, ma fitta e fastidiosa, constatai tirandomi su il cappuccio della giacca e camminando più velocemente lungo il marciapiede.
Arrivai a scuola a tempo record e incontrai Beyond davanti scuola, ben dieci minuti prima dell’apertura del portone d’ingresso.
“Ciao Beyond, come va? Ieri non ci siamo visti, mi spiace!”
“Figurati, no problem! Io tutto a posto comunque, tu?”
“Bene, bene. Sai, ieri è arrivato quello nuovo, è un tipo giapponese, strano, però simpatico!”
“Si? Chissà che storia ha dietro per trasferirsi così tardi! Da noi è arrivata una ragazza invece!”
“Mm.. devo essere gelosa?” gli chiese ridendo.
“No, vabè! Voglio dire, dicono tutti che è una gnocca, ma per me tu sei meglio!” rispose facendomi l’occhiolino.
“Però oggi me la presenti!” esclamai fingendomi gelosa.
“Se ci tieni! E tu mi presenti questo giapponesino, così saprà che sei off limits” sorrise lui.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNN!!!
Ci separammo poco dopo sulle scale per andare a chiuderci nelle classi per due lunghe ore. Non finivano più…
Finii a riempire un foglio che avrebbe dovuto contenere gli appunti di scienze con disegnini e scarabocchi infiniti riguardanti enormi draghi a pois che entravano dalle finestre della classe per portare tutti noi in un posto chiamato Cioccoland. Lascio immaginare il mio livello di attenzione…  Ma a giustificarmi devo aggiungere che quella mattina non avevo bevuto caffè.
Invece Lucy, sempre di fianco a me, sembrava particolarmente seria e stranamente non stava facendo nulla di strano, come di solito accadeva.
“Tutto bene?” le sussurrai per sicurezza, stupita.
“Perché?”
“Niente… ti vedo… tranquilla…”
“Mhm…” si perse lei.
“Ma… stai seguendo?”
“Cosa? Ah, no, in realtà mi stavo immaginando un modo di uccidere Pietro. Sai, stamattina ho ascoltato per tutto il tragitto casa-scuola “Ha ha you’re dead” dei Green Day  e quindi… ”
“Ok, allora è tutto normale… ” sospirai, rassicurata.
Pietro era un nostro compagno di classe e non è che Lucy lo trovasse così adorabile ecco…
L’ora successiva ecco entrare la prof di religione ed ecco me catapultarmi fuori alla velocità della luce, trascinandomi dietro appena il quaderno e il libro di inglese insieme con una matita e una gomma mezza consumata.
Mi seguirono Jen e Aki. Eh già, anche lui faceva alternativa, ora eravamo ben in tre…
Ci dirigemmo verso un’aula che sapevamo essere vuota e ci sedemmo a “ripassare” inglese.
Si insomma, passammo un’ora a ridere e scherzare come non mai.
Nessuno aveva però notato che Mello se l’era  bellamente filata al cambio d’ora, aveva sceso le scale in fretta, infilandosi il giubbotto di pelle ed era uscito come se nulla fosse. Aveva percorso una serie di strade ed era arrivato a un cantiere vuoto. Vi era entrato di nascosto e si era seduto in un angolo di bianco appena asciugato, tirandosi le ginocchia al petto.
La solitudine si faceva sentire troppo quei giorni. E più stava in mezzo ai suoi compagni, che non la smettevano di guardarlo come un malato terminale, più si sentiva solo, lontano troppe parole dagli altri.
Suonò la campana dell’intervallo che ci stavamo per rotolare dalle risate. Aki si era integrato subito e fra lui e Jen non sapevo chi era più scemo! Avevano passato l’ora a fare una classifica generale delle coppie potenziali della nostra classe (escludendosi ovviamente) e commentando quelle esistenti in modo esilarante. Per non parlare delle facce che facevano! Erano dei veri attori quei due…
Tornammo in classe con i libri di inglese intonsi e andammo a fare l’intervallo riunendoci al gruppo.
In quel momento Mello salì le scale principali e entrò in classe togliendosi la giacca. Lo guardammo a occhi sgranati.
“Ma è uscito?” chiesi a Cleo.
Annuì.
Il biondo uscì con nonchalance e si appoggiò al termosifone vicino a noi salutandoci con un cenno appena accennato.
“Mello?”
“No, Cenerentola” rispose lui alzando gli occhi al cielo.
“Ma dov’eri?” chiese Anita incrociando le braccia.
“Ero andato a fare rifornimento di cioccolato” rispose lui con un occhiolino.
“Ma sei scemo?” chiese senza mezzi termini Ani.
“… No, non direi.”
“Non puoi mica uscire così a cazzo da scuola! Se ti beccavano eri nella cacca di capodoglio fino al collo, scemo!”
“Non mi hanno beccato però.”
“Mello, cazzo, dirlo almeno prima?”
“Scusa, mammina.. ”
“Dai, non c’entra con il fatto di controllarti se è quello che pensi, solo che… beh, a parte che non sono cose che si fanno normalmente, sei nostro amico, vederti scomparire di punto in bianco non è che tranquillizzi!” esclamò Ani.
“Cioccolato?” offrì lui porgendole una tavoletta al latte.
“Ma tu mangi solo fondente!”
“Vabè, mica sono così stronzo, questo è per voi.” commentò lui atono.
“Mello, vero?” chiese Aki.
“Solo per gli amici. Tu chi sei?”
“Sono il compagno nuovo, sono arrivato ieri. Non sei molto attento ai prof, vero?” ridacchiò il giapponese.
Lui gli lanciò un’occhiataccia.
“Beh, comunque io sono Aki, piacere Mello” si presentò il ragazzo tendendo la mano.
Il biondo la strinse con diffidenza, squadrandolo.
“Per ora puoi chiamarmi Micheel.”
“Sarà fatto!” ridacchiò l’altro facendo un saluto militare.
A Mello passò solo un’ombra sugli occhi.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINN!!!
Dopo altre due lunghe ore uscimmo da scuola tutti insieme e per una volta non trovammo Matt ad aspettarci. I miei amici si dispersero in fretta, ma io avvistai Beyond in mezzo alla folla e lo raggiunsi per salutarlo.
Stava salutando il suo solito gruppo con una componente in più.
Era una ragazza molto bella, con i lineamenti dolci, la carnagione diafana e gli occhi cristallini. Portava i lunghi capelli corvini sciolti sulla schiena e si vestiva in modo molto femminile.
“Ciao Kendra!” la salutò Beyond con la mano e lei rispose con un sorriso.
“Ei, Beyond, che mi combini, seduci le nuove ragazze con il tuo fascino?” gli domandai a bruciapelo ridendo, sbucandogli da dietro.
“UAAAA! Mi hai fatto venire un colpo!”
“Hahaha, quando fai quella faccia sei impagabile!”
“Ma io sono sempre impagabile, io sono mitico!”
“Si, credici…”
“E comunque quella era la fantomatica nuova di cui ti parlavo ieri! Io però il giapponesino ancora non l’ho visto! Domani ti verrò a trovare! Allora oggi pomeriggio ci vediamo?”
“Si, come da programma! Allora io vado, a dopo!”
“Ciao!”
Dovetti di nuovo correre dietro l’autobus, sembrava che lo facesse apposta!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Legami vecchi e nuovi ***


BUONGIORNO!
Si, sono sparita di nuovo.
No, non sono morta.
No, non interessa a nessuno.
Chiariti questi simpatici punticini, chiedo tanto tanto scusa per la mia scoparizionella (Manny: Perdonatela, è fatta di caffè e disturbata mentalmente -.-""" TheMask: Ha parlato la mannaia parlante e volante! Miss Normalità dell'anno! Manny: Ei, guarda che mi hai creato tu! E questo rende tutto ancora più strano!), ma scuola e altri casinelli mi hanno strappato dal pc per un po'! Comunque l'importante è... che sono tornataaaaaa yeeeeeeeeeeeeee
*le lanciano pomodori*
Uffi, anche il mio pubblico immaginario di antilopi verdi della Groenlandia mi odia! *va a piangere chiusa in una cassapanca*
Manny: Mi dispiace, chiunque stia leggendo ciò tenti di capire, è nata così... Comunque sia, buona lettura e spero che recensirete se avrete voglia! :D

Ecco cominciata un’altra giornata scolastica. Era appena suonato l’intervallo e Mello era scomparso da qualche parte. Noi l’avevamo a malapena notato, ormai ci avevamo fatto l’abitudine.
Volevo davvero tanto aiutarlo, ma non sapevo come fare e sapevo che mi avrebbe respinto.
In più il ragazzo nuovo aveva bisogno di un po’ di introduzione nell’ambiente scolastico e io Cleo ci stavamo impegnando per integrarlo bene non solo nella classe, ma in tutta la scuola.
Ce lo scarrozzavamo in giro a ogni intervallo e devo ammettere che mi stava davvero molto simpatico. Era spiritoso e apparentemente molto spontaneo e gentile.
Comunque sia, a Lucy non sfuggì affatto la fuga di Mello e lo seguì di soppiatto fino ad arrivare al tetto della scuola.
Il biondo si sedette sulla panchina sgangherata e tirò fuori una barretta cioccolato sotto lo sguardo della mora, seminascosta.
Passò qualche minuto di silenzio, poi Lucy si fece avanti.
“Ei Mello, come va?” gli chiese semplicemente.
I due si conoscevano effettivamente molto più di quanto non dessero a vedere e lei era diventata per lui una quasi corrispondente di Matt, femminile.
Poi, certo, ora Matt non era più nulla.
“Mpf” rispose lui alla bruna, senza pensare seriamente alla domanda.
“Bella risposta.” Commentò lei.
Mello alzò lo sguardo e lo riabbassò dopo pochi istanti, per scartare la barretta.
“Mello, so che stai per rispondermi che non hai niente, ma volevo farti una domanda.”
“Prego.”
“Tu e Matt avete litigato, no? No, non me lo ha detto nessuno, l’ho capito. Comunque, è vero che la ragione del tuo umore di merda è questo litigio?”
“Cosa? Lucy, ma che cazzo?”
“L mi ha insegnato a capire la gente!” ammiccò lei orgogliosamente.
“Beh, di che risposte hai bisogno allora?”
“Ha! Sapevo di avere ragione!”
“… Brava?”
“Come ti senti? Se vuoi puoi dirmelo, ti prometto che poi non ti starò addosso ne dirò qualcosa agli altri.”
“Io posso dirti quello che penso, ci conosciamo abbastanza. Ma tu non tentare di capirmi, chiaro? E poi lasciami in pace.”
“Spara”
“E’ che io non trovo più un senso in tutto quello che vivo. Non provo più soddisfazione nelle mie azioni. Nel mio cioccolato, per dire. Non so più cosa voglio. E per la prima volta sta cadendo tutto a pezzi. Sento di aver sbagliato tutto e ora che il pavimento su cui stavo è rotto, sto cadendo. Capisci? Sono nato dal nulla, ma poi Matt mi ha portato a qualcosa, alla vita diciamo, e ora invece questo nulla è ritornato e io non so cosa devo fare. Ti basta? Mi sono sempre sentito come di passaggio, in questo mondo, ma la cosa non mi aveva mai seccato troppo, se non fosse che almeno questo passaggio sapevo di starlo facendo con qualcuno… con voi… ora sono da solo. Non c’è più nulla. E la cosa peggiore è che ho fatto tutto da solo. È tutta colpa mia. Non voglio più far altro che lasciarmi tutto questo alle spalle, andare via, scappare cazzo. Mi sembra che tutto gridi che non sono al mio posto, tutti mi vivono intorno, ma io? io non sto più vivendo. Quanta voglia di lasciarsi andare Lucy, non hai idea. E adesso agisco come sempre, ma in realtà quello che penso è che sarebbe meglio se io morissi. Che stupido, vero?”
“Non so se prenderai sul serio in considerazione ciò che ti dirò, ma ti conosco abbastanza da dirti che non puoi mollare, non devi mollare ora. Non è tutto perduto, anzi non è perduto proprio niente! So che ti senti una merda perché vedi in te la colpa del tuo star male, ma fidati di me quando ti dico che in te puoi vedere anche quello che ti salverà. E se hai pensieri profondi non vuol dire che sei una femminuccia!”
“Grazie, ma non posso cancellare niente del passato.”
“Però puoi mettere da parte il tuo orgoglio e rimboccarti le maniche. Guarda che sono tutti pronti a perdonarti, ti vogliamo tutti bene.”
“Che frasi del cazzo che stiamo dicendo Lucy” commentò lui quasi atono, sbuffando.
“Però sono vere! Insomma, questo è quello che penso. Poi vedi tu eh!”
Mello sbuffò. “Avrei solo bisogno di andarmene per un po’. Di scappare.”
“Dalla Wammy’s?”
Mello fece un salto di tre metri “E tu come cazzo lo sai?” esclamò scioccato.
La ragazza rise e gli porse dei fogli che lui scorse velocemente.
“Quel bastardo di Skin! Lo ammazzo. Tu non dovresti sapere queste cose, lo capisci?”
“Si. So che sembro svanita la maggior parte delle volte, ma in realtà, modestamente, sono piuttosto sveglia.”
“Ha. Ha. Ha. Lo sai che se quelli lo scoprono ti ammazzano? Cazzo Lucy, non è roba su cui scherzare!”
“Non sto scherzando Mel”
“Punto primo, non mi chiamare Mel; punto secondo, perché cavolo hai chiesto a Skin una “ricerca” su di me? Che t’importa di me?”
“Ei, è da novembre che facciamo amicizia e diciamolo, ci stiamo simpatici. Mi importa eccome di te, sei un mio amico.”
“Beh anche a me importa di te, percui…”
“Stai un po’ in silenzio Mello, dai. Guarda che bel panorama.”
Mello era ben lungi dall’essere calmo e rilassato come sembrava esserlo Lucy, ma alla sua voce tranquilla non poté fare a meno di tirare un profondo respiro e  rivolgere effettivamente lo sguardo alla vista che aveva davanti agli occhi.
“Ora che sei più sereno, dobbiamo pensare a come sistemare le cose, non trovi?” chiese lei, sedendosi finalmente di fianco al biondo e riprendendosi i fogli di Skin.
“Cosa intendi dire?”
“Oh, finalmente hai accettato di essere aiutato eh!?”
Silenzio.
“Si ok, non te lo faccio pesare. Comunque, penso che dovresti chiedere scusa a Matt. L’hai trattato veramente di merda, sai?”
“Non so perché ti sto ascoltando, davvero.”
“Ti lamenti che va tutto male giusto? E una volta nella vita ci sta di scoraggiarsi e lasciarsi andare, ma poi bisogna tirarsi su le maniche e reagire! Devi sistemare le cose con Matt, solo così ti renderai conto di quanto tu sia scemo!”
“Grazie eh.”
“Dico, hai un’orda di amici davanti  che tratti malissimo dall’alto del tuo piedistallo e poi ti lamenti! Bah.”
Mello sbuffò. Lucy non diede segni di volersene andare, pur essendo appena suonata la campana.
“Senti, dobbiamo tornare in classe, ti va se ne parliamo dopo?”
“D’accordo. Ma non finisce qui. Che tu lo voglia o no ti tirerò fuori dalla merda in cui ti sei cacciato e non accetto risposte negative.”
“Magnifico.”
“Ma è solo perché ti voglio tanto bbbeneeee!” esclamò lei facendolo ridacchiare e spupazzandoselo fino all’aula.

 

“Ei, ho sentito che avete una band, giusto?” mi chiese allegramente Aki.
“Si infatti! Come mai?”
“E’ solo che mi farebbe piacere assistere a un paio di prove! Se volete ovviamente, mica mi offendo-”
“Sei molto carino a dirlo, grazie! Certo che puoi, le prossime che facciamo sono… questo mercoledì alle due! Andiamo avanti per due ore per cui se vorrai andare via prima nessuno te ne vorrà!”
“Grazie a te! Ci sarò!”
Mi aveva sorpreso piacevolmente quel dialogo e fu così che uscii di scuola di buon umore e neanche il muso lungo di Mello mi scalfì.
Tornai a casa con Beyond, quel pomeriggio potevamo stare insieme. Anche lui era sereno e passammo un sacco di tempo a chiacchierare a pranzo.
Poi ci mettemmo a studiare e non potei fare a meno di pensare che Aki era un ottimo nuovo compagno se riusciva a migliorare il mio umore anche quando stavo con Beyond.
E’ che sembrava sempre così sincero! Faceva quasi tenerezza!

Quello che però non sapevo era che in un vicolo, seduti su una panchina stavano i due ragazzi appena arrivati nella nuova scuola, Kendra e Aki, discorrevano a bassa voce di che mosse fare nei giorni successivi.
Stavano tutti e due per darci una bella scossa. Saremo caduti?

 

“FINALMENTE! È mercoledì!”
“Jen calmati, mica finisce il mondo!” esclamai, entrando in classe.
“Si, ma oggi ci sono le prove! Ho una voglia matta di cantare, non so perché!”
“Meglio così, dobbiamo darci una mossa con le nuove canzoni per il concerto di fine anno e quello di maggio al Calypso. La proprietaria se ne aspetta uno come l’ultimo perciò dobbiamo impegnarci molto, i tempi stringono!”
“Stai tranquilla, ce la faremo alla grande!”
Il Calypso era un locale munito di piccolo palco nel quale facevamo parecchi concerti. Conoscevamo bene la proprietaria, Denise, e le eravamo grati per la sua costante disponibilità. Avevamo da fare un concerto nel suo locale tre settimane dopo insieme con la band di Beyond e tutti noi non vedevamo l’ora. Forse era per quello che erano tutti arzilli, pensai, e ne fui soddisfatta: era sempre più facile fare le prove quando erano di buon umore, ovviamente.
La campanella fu una vera liberazione, contando anche il fatto che avevamo dovuto sorbirci un’ora di spiegazione di scienze e una di latino e le nostre prof., in queste due materie non erano per così dire… entusiasmanti. Diciamo che stimolavano il sonno, ma se all’interrogazione non sapevi una delle cose dette in più rispetto al libro, potevi dire addio a un bel voto, quindi tutti erano costretti a prendere appunti su appunti, da mezzi addormentati che eravamo.
Appena finimmo di mangiarci la pizza che ci eravamo regalati come incentivo dopo una giornata piuttosto pesante, ci avviammo in sala prove scherzando e ridendo.
Tirammo fuori gli strumenti con lentezza e ci posizionammo di fianco agli amplificatori.
Furono delle belle prove, Jen si sforzò davvero tanto e notai che dall’inizio dell’anno avevamo fatto passi da gigante. Ero molto orgogliosa, lo ammetto.
Sistemammo le ultime canzoni senza neanche metterci molto e le suonammo con molta sincronia.
Alla fine ci fermammo a chiacchierare un po’ e Aki si dimostrò entusiasta. Aveva subito legato con Mattia e ora i due stavano parlando di bassi come ossessivi.
“Aki, ma tu suoni il basso?”
“Mah, lo suonavo un tempo… ”
“Vuoi provare il mio?” gli chiese a un tratto Mattia.
Tutti lo incoraggiammo anche se sembrava un po’ restio, forse imbarazzato.
Comunque alla fine riuscimmo a convincerlo e si infilò la tracolla, regolò l’amplificatore  e chiuse per un secondo gli occhi, come a volersi ricordare qualcosa da tempo perso nei meandri della mente.
Poi cominciò a suonare e il suono si spanse con imponenza nella stanza avvolgendo tutto. Suonava davvero molto bene. Io avevo sempre ritenuto Mattia il miglior bassista che avessi mai incontrato, ma devo dire che Aki era un degno avversario per lui.
Suonava note che sembravano uscire spontaneamente una dopo l’altra dalle sue dita, sbocciando poi nelle nostre orecchie.
Era partito con dolcezza, ma ora si sarebbe detto che il suono contenesse una rabbia e un sentimento di malessere e sadismo quasi, che non avevo mai sentito nella voce allegra di Aki.
Non alzò mai gli occhi dalle corde, ma non andò avanti per molto.
Infatti a un certo punto si bloccò tutto d’un colpo e rialzò lo sguardo. c’era stampato un sorriso che sembrava sincero e ben presto scoppiò in risata, mentre si sfilava il basso e lo porgeva a Mattia.
Eravamo tutti un po’ allibiti, ma seguimmo il suo esempio e facemmo come se nulla fosse. Magari per lui era normale suonare… così.
Non era solo la bravura era… ciò che aveva suonato. Quasi spaventava.
Non vidi niente nel suo sgaurdo, però, che potesse contraddire una serenità del tutto reale.

 

Kendra, il giorno dopo, si fermò a studiare con Beyond nel pomeriggio.
Appena squillò la campanella, lui la portò a mangiare un trancio di pizza e quando ritornarono a scuola stavano ancora scherzando e chiacchierando.
Lui si sentiva molto a suo agio con Kendra e gli pareva che anche lei si sentisse così.
Così le discussioni andavano avanti scorrevoli e senza contrasti stupidi. Erano, insomma, diventati subito amici e di questo Kendra si compiaceva.
Ora erano seduti l’uno davanti all’altro separati da un banco ligneo e i fogli inerenti a greco.
“Non sei molto indietro comunque, non ci metteremo tanto! Allora… facciamo n po’ di esercizi?”
“Si, è il miglior modo di… acquisire le cose , non trovi?”
“Si infatti!”
Lei gli sorrise e lui si affrettò a cercare una pagina del libro che avesse gli esercizi giusti. Gli sembrava quasi che lei ci stesse… provando.
Ma era sicuramente una sua impressione, dopotutto aveva notato che lei era una molto criptica e si comportava sempre con molta dolcezza. Però non dolcezza e basta. Era quella dolcezza che sembrava nascondere qualcos’altro. Incuriosiva Beyond.
“Quindi è giusto così?”
“Si esatto! Impari in fretta eh?”
“Non ho mai avuto molti problemi con la scuola, capisci? Comunque non mi sembra che neanche tu ne abbia.”
“Infatti. E mi dicevi prima che ti piace suonare la chitarra?”
“Si, anche se non la so suonare bene, nasco come autodidatta. Tu suoni in una band, giusto?”
“Già, spero che ci sarai ai nostri prossimi concerti.”
“Non mancherò sicuramente! Non vedo l’ora di sentirvi suonare!” rise lei.
Quando finirono riposero le loro cose nello zaino e scesero insieme le scale fino all’atrio. Una volta usciti fecero un piccolo tratto di strada a piedi in cui continuarono a parlare e lei riuscì a farlo ridere più volte.
Poi arrivò il punto in cui si separavano. Ovviamente Beyond non sapeva che in realtà Kendra aveva la sua stessa metà, se non avrebbe avuto quel sorriso.
“Allora a domani Kendra! Buona giornata!”  
”Buona giornata a te Beyond!” esclamò lei.
Poi lo abbracciò e si girò per andarsene. Lui ne fu un po’ perplesso, ma non si fece grossi problemi e se ne andò anche lui.
Quella ragazza nuova sembrava simpatica, si ripeté. Menomale che non era problematica, anzi!
Si scoprì quasi a sorridere mentre pensava a lei, ma scacciò subito quella contrazione involontaria del viso e si diede dello sciocco. La conosceva da troppo poco per poter dire di conoscerla, dopotutto, anche se gli sembrava che lei fosse esattamente come poteva essere nei suoi migliori pensieri.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Da cosa nasce cosa; ***


Ciao ragazzi! Mi scuso per la brevità del capitolo e per la frequenza con cui sto aggiornando questa storia, ma le vacanze chiamano!
Spero di riscrivervi presto! 
Mina

Passarono appena due giorni che, solo nella sua stanza ad annoiarsi a morte e fare pressoché tutto fuorché studiare, Mello si ritrovò a fissare passivamente le stesse righe del libro di scienze che fissava passivamente dieci minuti prima pensando che, ebbene si, forse Lucy non aveva tutti i torti.
Forse si era un po’ lasciato cadere nella depressione. Già.
Forse non era tutto perduto, non così tragico come sembrava.
Si era lasciato andare e ora se ne rendeva conto. Doveva rimediare: aveva fatto una serie di cose senza senso che, se le avessero fatte a lui, si sarebbe incazzato un sacco.
Aveva praticamente fatto capire a Matt che non gliene fregava nulla di lui, per cominciare.
Secondo Lucy non era nulla di grave. Cazzate. Certo che era grave, insomma…, si conoscevano da anni e si sopportavano a vicenda da altrettanti anni.
E lui se ne saltava su a snobbarlo e a trattarlo come uno qualunque.
Secondo Lucy, doveva scusarsi con Matt.
Come se fosse facile.
Mello si rese conto che stava ricadendo nel nichilismo.
“Fanculo” sussurrò poco cortesemente al libro di scienze, chiudendolo con violenza e alzandosi di scatto.
Uscì e corse fino alla porta della camera di Matt, un tempo anche sua, sperando di non cambiare idea. Dopotutto anche lui sapeva della propria incontestabile lunaticità.
Non sapeva proprio cosa dire a Matt, questo era vero, ma qualcosa doveva pur dirgli prima o poi, no?
Così Mello si fece forza e aprì la porta, pregando con tutte le sue forze che fosse aperta. E lo era! Trattenne una risata di scherno alla porta (già, una risata di scherno. D’altra parte si sa che Mello è fuori) e entrò nella camera con un passo quasi trionfale.
Improvvisamente si ricordò perché era li e perse tutta la sua baldanza di colpo.
Matt era sul letto a studiare, casualmente, scienze. Alzò lo sguardo e per poco non gli venne un colpo. Si mise a sedere sotto lo sguardo di Mello, che non diceva una parola.
Si fissarono e scese un’atmosfera di profondo disagio.
Mello avvertì un improvviso quanto impellente bisogno di cioccolata. Subito.
Cercò nelle sue tasche e, per grazia divina, ne trovò una, che si affrettò a scartare e ad addentare.
Per tutto quel tempo Matt lo fissò chiedendosi che fare.
Non appena finito il primo morso di cioccolato, Mello si sentì meglio e subito prese un respiro e parlò:
“Matt, ti devo parlare”
“Allora non eri venuto solo a farmi vedere come mangi. Come se non lo sapessi già” commentò Matt guardandolo in cagnesco.
“Si beh, già…”
“Cosa mi devi dire di importante? Mi sembrava che non fossi interessato a parlarmi, fino a… ieri.”
“Invece lo ero anche prima.”
“Buono a sapersi”
“Senti… ho sbagliato” ammise finalmente.
Matt sgranò gli occhi, incredulo. “Come prego?”
“Ho sbagliato, Matt” ripetè il biondo alzando gli occhi al cielo.
 “Senti Mello- ”
“Scusa, ok? Ho fatto una cazzata.”
“Ti chiederò solo una cosa: sei sicuro che vuoi riappacificarti con me? Perché, guarda, se mi dai un paio di spiegazioni per me si può anche fare, ma se per te non sono importante non ha senso. Forse ha senso per la tua coscienza, ma non per te, né tantomeno per me.”
“Ma che cazzo dici?”
“Dico che non voglio che mi chiedi scusa per… senso del dovere o altre cazzate simili.”
“Porca di quella puttana Matt! Mi deludi così! Non molto tempo fa se fossi venuto qua a chiedere scusa per qualcosa, ammettendo, sottolineo ammettendo, i miei errori, beh, mi sarei aspettato come minimo che tu facessi una battuta sarcastica sulla neve prevista per luglio!”
Matt non riuscì a trattenere un sorriso.
“Senti, dimmi solo se davvero conto qualcosa per te. So che è ciò che definiresti “smielata dichiarazione fra ragazzine con l’età mentale di due anni e qualche problema con la comprensione della vita e del mondo che le circonda” e so che ti da fastidio che io ti chieda queste cose, ma voglio saperlo.”
Mello azzannò il cioccolato con brutalità. Se solo Lucy fosse stata li a ricordargli le mille cose che gli erano venute in mente da dirgli e che in quel momento, guarda caso, gli sfuggivano!
“Dai Matt… lo sai che… sei… ”
Perchè era così difficile dire quelle Quattro fottuttissime parole? Sei importante per me. Punto, fine, stop. Non ci voleva… un genio, no? ma si sentiva così idiota! Così assolutamente non lui!
“Tu… io… ” farfugliò, guardando il cioccolato.
Ecco cos’aveva detto Lucy! Aveva paragonato il suo affetto per Matt a quello per il cioccolato! Si, scherzava, ma…
“Sei molto, molto, molto importante!” esclamò Mello al cioccolato.
Matt lo guardò stupito.
“Sei indispensabile, direi!”
“Mello! Stai parlando con me o con il cioccolato?”
Cavolo! Aveva sottovalutato Matt.
“Con te!”
“…sicuro?”
“Certo, che domande!”
“Guardami negli occhi e piantala di scherzare”
“Dai Matt, sei importante.” borbottò Mello.
“Sarà meglio per te! Ora mi spieghi perché cazzo mi hai scardinato la porta, l’altro giorno?” chiese ridacchiando Matt.
Mello tirò un calcio alla suddetto porta, chiudendola, e si sedette alla scrivania, voltando la sedia verso il letto.
“L’insonnia è una brutta cosa, Matt.”
Il rosso rise.

 

Mi alzai dal letto come una molla: ero ovviamente in ritardo stratosferico.
Mi infilai i primi vestiti che trovai nell’armadio, ingurgitai un paio di biscotti, feci tappa in bagno per una decina di minuti, mi infilai lo zaino e corsi fuori. Mentre continuavo a correre per acciuffare l’autobus che mi aveva ancora una volta lasciato a piedi, mi infilai le cuffie e tentai di svegliarmi completamente.
Saltai sull’autobus appena in tempo e mi sedetti al primo posto libero in vista.
Ebbene, anche quella mattina, ce l’avevo fatta.
Vittoria!
Una quindicina di minuti dopo, salutavo i miei amici, i quali, abituati al mio ritardo, mi aspettavano davanti al portone della scuola incitandomi a darmi una mossa. La campanella era suonata cinque minuti prima, ed era questione di attimi prima che suonasse per la seconda volta, dichiarandoci ufficialmente in ritardo.
Salimmo le scale precipitosamente e ci lanciammo in classe ridendo, sotto gli sguardi ormai rassegnati dei compagni di classe più puntuali di me.
Alla prima ora avevamo la prof di scienze, una che non sopportava ritardi, e che non ci vide correre per i corridoi per puro miracolo. Entrò cinque secondi dopo di noi, insieme al suono della campanella, e per fortuna non si accorse di nulla.

Due ore dopo, suonata la campanella, Mello si avvicinò a Lucy e le chiese di parlare. Così si diressero sul tetto, come sempre. Seduti sulla panchina al vento fresco di quella mattina, osservarono per un po’ i tetti delle case che avevano davanti. C’erano alcune nuvole sopra di loro, sbuffi di panna che decoravano un cielo di un azzurro vivido.
Mello abbassò lo sguardo e sbuffò. Poi guardò Lucy, con gli occhi persi nel cielo e gli venne da ridere.
Quella ragazza era speciale. Sembrava completamente svanita a volte, come se vivesse su un altro mondo. Ma poi a volte ti rendevi conto che capiva sempre ogni cosa e sapeva perfettamente tutto quello che sarebbe probabilmente successo.
Era una che capiva le persone. Il problema era piuttosto capire lei.
Sguardo distratto, cinismo e dolcezza, tutto in uno solo dei suoi gesti.
“Avevi ragione su Matt. Abbiamo fatto pace molto in fretta in realtà” bofonchiò Mello, che odiava ammettere di aver avuto torto.
“Lo so!” esclamò lei trionfante.
“Grazie, allora”
“Prego” rispose lei incrociando il suo sguardo.
“Hai finito di rileggere Nana?” ridacchiò il biondo, ricordando lo sproloquio subito pochi giorni prima a proposito del suddetto manga.
“CERTO!” saltò su lei.
Mello si preparò a sorbirsi un altro scoppio di parlantina, ma inaspettatamente, la mora non andò oltre quel “CERTO!”.
Mello la osservò, un po’ stupito e si rese conto che anche lei lo stava guardando intensamente.
“Davvero ti sono stata utile?” gli chiese con un’espressione indecifrabile.
“Si, certo. Sono troppo scemo per capire certe cose!” rise lui.
“Bene, ne sono felice.”
“Lucy?”
“Che c’è?”
“Ma.. come le capisci tutte queste cose?” chiese Mello.
“Ti conosco, no? Dai, torniamo in classe, sta per suonare!”
“Si.. andiamo.”
Camminavano per i corridoi che già si svuotavano, quando a un tratto un gruppo di ragazzi scoppiò a ridere al loro passaggio.
Mello captò subito alcuni commenti che sottolineavano la stranezza della sua amica e si fermò di botto. Lucy lo guardò male e gli disse di muoversi, ma lui non si mosse.
Si girò tranquillamente, guardò fisso negli occhi il ragazzo che aveva parlato e incrociò le braccia.
“Scusa, puoi ripetere?” chiese seraficamente.
“… niente Mello… ” borbottò quello.
“Non mi devi chiamare Mello. Il mio nome è Michael Keehl, chiaro?”
“Si, certo, scusa”
“Bene” si compiacque lui, voltandosi di nuovo, affiancato da Lucy  che si tratteneva per non rotolare a terra fra le risate.
Arrivarono in classe appena in tempo, insieme alla prof di greco.
Venne interrogata Anita, e durante la sua interrogazione, mentre io suggerivo sfacciatamente dai primi banchi, Cleo scrisse un bigliettino strappato dal diario, che poi venne accuratamente piegato e lanciato ad arte attraverso la classe.
Il bigliettino atterrò elegantemente fra le pagine del manga che Lucy stava leggendo in quel momento, distraendola.
Ecco cosa c’era scritto:
 

Ce la spassiamo con Mello, eh? ;)
Ma bene!!!

Lucy alzò gli occhi al cielo sorridendo. Dopo pochi secondi rilanciava il biglietto al mittente, facendolo naturalmente finire sotto una sedia a due metri da Cleo.
Quando fu recuperato, Cleo lo aprì nuovamente.

 

Ma cosa dici!? È solo un amico! :p
E comunque non mi guarderebbe mai in quel senso!

 

Le due continuarono a lanciarsi il malaugurato pezzo di carta fino a che Anita non tornò a posto con un otto sul libretto, e la campanella suonò.
Non appena, un’ora dopo, si uscì da scuola, Cleo la prese a braccietto e la trascinò via con se, diretta alla pizzeria al trancio li dietro l’angolo.
Le ordinò una margherita e si prese una focaccia. Quando due bibite furono atterrate davanti ai loro piatti di carta, le si rivolse con cipiglio deciso.
“Allora? Cos’è questa storia Lu? Ti piace MELLO?”
“E non urlarlo al mondo intero, scema!”
“Ma è vero??”
Lucy preferì concentrasi sul suo trancio e arrossire, piuttosto che rispondere.
“Da quanto va avanti questa storia?”
“Da nommm… ” borbottò lei.
“Da quando?”
“Novembre…” sussurrò impercettibilmente lei.
“NOVEMBRE!?!?!?”
“Silenzio!” esclamò stizzita una signora dietro di loro.
“Novembre? Ma! Ma! Non me l’hai mai detto?”
“Ma.. no… io… ”
“E lui?”
“Lui cosa?”
“Cosa dice di te? Ci prova? Come ti considera? Cosa pensa? Fatti, Lucy, dammi fatti!”
“Lui… una volta ha detto che sono la sua Matt al femminile, ma non-”
“COSA?!?! MA ALLORA E’ FATTA!!!” esclamò Cleo senza riuscire a trattenersi.
“INSOMMA!” ribatté la signora alle sue spalle. “Un po’ di contegno! Io sto tentando di leggere!”
“E legga da un’altra parte! Qui abbiamo importanti questioni, se ne rende conto? Acciderbolina!”
“Ma come si permette?!”
“Si, si, certo, sono una screanzata!” la ignorò Cleo, tornando a rivolgersi a Lucy – rossa come un peperone – e lasciando la signora con un palmo di naso, a riflettere su quanto la gioventù fosse maleducata.
“Ha detto che ti considera Matt al femminile? Devo sapere subito tre cose:  
dov’era quando l’ha detto, che tono ha usato e se era ubriaco. Anzi no, la terza non importa. Quando sei ubriaco sei più sincero.(nda ESATTO Cleo, è una citazione da Scrubs.)”
“Ma cosa stai dicendo? Non conta nulla, tanto lui mi vede solo come un’amica, figurati!”
“Non sai di cosa stai parlando Lucy! L’unica persona a cui abbia mai detto una cosa così carina è stata…. Oddio, non esiste!”
“Ha, ha, spiritosa.”
“Dico sul serio, se lo pensa vuol dire che vali tanto per lui e…. POTREBBE ESSERCI DEL TENERO!”
La signora aprì la bocca, ma Cleo fu più svelta: “Si, ora abbasso la voce, certo! Legga, legga!  - tornò a guardare Lucy – e tu muoviti a mangiare che qui non si può parlare liberamente! Poi tu vieni a casa mia, e ci resti, chiaro?”

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Mal di testa ***


Kendra era sdraiata sul suo letto, nella sua piccola camera. Non si era mai curata di personalizzare molto il posto in cui viveva, non pensava che, anche se l’avesse fatto, si sarebbe mai affezionata.
E infatti odiava quel luogo con tutta se stessa. Il direttore la usava sempre perché era a conoscenza del fatto che lei era bravissima a fingere.
Aveva dovuto imparare a farlo da piccola e la sua tecnica era molto raffinata.
Era un’attrice, in un certo senso. Quando doveva, la sua vita si trasformava in un palco e lei all’improvviso poteva essere chi voleva, senza alcuno sforzo.
Non aveva paura di non sapere più chi era, perché semplicemente non l’aveva mai saputo.
Quale di quelle ragazze che impersonava giornalmente era la “vera” lei?
Quale dei nomi che usava era il suo vero nome?
Neanche Beyond Birthday l’aveva smascherata, si ritrovò a pensare, quasi compiacendosi: Kendra non era il suo vero nome, ma lui non se n’era accorto perché mentre lei gli parlava, era veramente una ragazza di nome Kendra, lo era e ci credeva.
Quindi era inutile guardarla negli occhi, il nome che Beyond avrebbe letto sarebbe stato sempre quello: Kendra.
Non le piaceva molto quel nome, ma non le importava.
Ricordava tutto della sua vita. Durante l’infanzia, appena i suoi genitori erano venuti a mancare, era stata mandata dall’unico parente che avesse: un lontano zio che abitava in un’altra città.
Non era felice li. Abitava in una gigantesca casa, praticamente da sola. I suoi compagni di scuola la consideravano strana, così lei decise di fingersi una normale e dopo pochi mesi, la adoravano tutti.
Il pomeriggio lo passava studiando e temendo il momento in cui suo zio sarebbe tornato a casa.
Era un uomo orribile. Kendra ricordava perfettamente il rumore dei suoi passi nel corridoio che portava alla sua stanza, la sua voce burbera e poi tutto il resto.
Tutto quello che invece avrebbe dimenticato volentieri.
Lo zio abusava di lei spesso ed essendo così piccola Kendra non poteva ribellarsi.
Finì le elementari e tutti erano molto felici di lei, tutti la adoravano. A casa fingeva indifferenza verso tutto, a scuola fingeva entusiasmo.
Era intelligente e sveglia, ma non era mai lei.
L’innocenza di una bambina che era stata non c’era più e dentro di lei, Kendra non sentiva niente.
Non provava più nulla.
Ne affetto, ne orrore, ne paura. Nulla.
Era come un involucro vuoto, ma non le importava neanche di questo.
Non ricordava più i volti e le voci dei suoi genitori, non sapeva più le date del loro compleanno e ormai non ci pensava neanche più.
Andò alle medie e non cambiò niente per lei. tutti la adoravano di nuovo, era brava a scuola, nessuno si faceva domande, era perfetta per loro.
Poi a casa cambiava tutto.
Kendra era costretta a crescere, a crescere troppo in fretta per una ragazzina. Non sapeva più cos’era la dolcezza, faceva le cose solo per non avere problemi inutili.
Nessuno si accorgeva di niente e la sua indifferenza verso il mondo cresceva sempre di più.
Lo zio la chiamava “Dolly” da così tanti anni che se non fosse stato per la scuola si sarebbe dimenticata il suo vero nome.
Non le interessava niente e nessuno, l’unica cosa che le procurava fastidio, com’era prevedibile, era il comportamento dello zio. Non pensò neanche di denunciarlo, non vedeva perché avrebbe dovuto.
Decise così di agire da sola. Sapeva che quello che stava per fare avrebbe sconvolto la sua vita, ma ne aveva abbastanza di sottomettersi a quel vecchio e di sopportare tutto ciò che le faceva.
Sapeva che la sua decisione l’avrebbe portata lontano e che probabilmente nulla sarebbe più stato come prima, ma a lei non importava di niente, al punto in cui era.
Anche se l’avessero rinchiusa non avrebbe provato nulla.
Non aveva sentimenti, sapeva solo simularli. L’unica cosa che sentiva era il fastidio. Lei voleva solo essere lasciata in pace.
Così una notte si alzò dal letto e, senza neanche infilarsi le ciabatte, scese al piano terra, ed entrò in cucina silenziosamente. Prese un grosso coltello da cucina appeso a un magnete e salì le scale di marmo.
Arrivò in camera di suo zio, che stava dormendo profondamente.
Perfetto, pensò lei, avvicinandosi e impugnando il coltello con tutte e due le mani.
Nei suoi occhi non c’era assolutamente niente, nessuna emozione.
Fu solo quando ebbe piantato con tutta la sua forza quel coltello fra le costole di suo zio che, e se ne stupì anche lei, provò qualcosa.
Mentre il sangue sgorgava dalla ferita e lei si rendeva conto di essere sporca di esso e di aver rovinato la camicia da notte bianca, nei suoi occhi si accese qualcosa.
Provò un appagamento malato, era felice di aver compiuto la sua vendetta.
E non le importava del sangue che stava colando a rovinare le costose lenzuola, perché a un tratto era come se tutto ciò che aveva subito avesse ricevuto un avvertimento: poteva benissimo fare una cosa del genere di nuovo.
La sua vendetta poteva avere un seguito, lei poteva agire come voleva con quel coltello.
Avrebbe persino potuto uccidere se stessa, ma non volle farlo per il semplice fatto che quella sensazione di sadismo la faceva impazzire. Le piaceva.
Con la sua morte, non l’avrebbe più provata.
Così prese il coltello e lo sfilò dal corpo dello zio. Si fermò ad osservare compiaciuta i suoi ultimi spasimi e poi lo accoltellò ancora, e ancora, e ancora.
Alla fine lasciò quel coltello conficcato nel cranio di un corpo martoriato e usci da quella stanza.
Si fermò solo un attimo sulla soglia, respirò a fondo e scoprì un’altra cosa che le piaceva: l’odore del sangue.
Quella sensazione…
Quell’odore…
La facevano impazzire.
Andò a dormire così com’era, stanca e rinfrancata.
E così la trovarono il giorno dopo, accucciata nel suo letto con la camicia da notte macchiata di sangue e il coltello appoggiato sul suo comodino, il sangue che si seccava lentamente.
Quando parlò con uno psicologo per la prima volta, non ebbe problemi a prenderlo in giro, facendogli credere cose non vere sul suo conto.
Finse, finse e finse ancora.
Alla fine, non la mandarono in un carcere minorile, ma in un orfanotrofio famoso perché allevava ragazzi particolarmente intelligenti e non aveva problemi se qualcuno aveva uno strano passato. Non facevano troppe domande li.
Anche li finse e il direttore se ne accorse. Come aveva fatto, Kendra non lo sapeva, ma se n’era accorto.
E così la ricattava: lei doveva seguire i suoi ordini e un giorno, quando si fosse dimostrata abbastanza utile, sarebbe stata ripagata con la libertà.
Non c’era mai stato troppo bisogno di lei, un paio di volte dovette semplicemente stare seduta di fianco al preside con un sorriso malizioso verso le persone che lo stavano ricevendo.
Altre volte doveva solo convincere qualcuno a firmare un affare, ma non le chiesero mai più di troppo.
Veniva istruita da un paio di professori direttamente nella sua stanza. Il direttore non voleva che si sapesse che era dell’orfanotrofio, non voleva che la conoscessero: era la sua carta segreta.
La sua vita era monotona e lei non provò più nulla, ne senso d’appagamento, ne altro.
Ma si ricordò sempre di quella notte, di quella sensazione. La conservò dentro di se sempre e sempre la cercò.
Ora, le era stato promesso che, finito di imbrogliare quei ragazzi per bene, avrebbe avuto ciò che desiderava: libertà. Libertà. Che bella parola.
Una casa, una vita.
Kendra li voleva. Nulla l’avrebbe fermata.
Come mi svegliai, quel giorno, capì che sarebbe stata una giornata pessima.
Innanzi tutto perché ero di nuovo in ritardo.  Poi c’era il fatto che mi ero addormentata verso le due a causa dell’insonnia. Conseguentemente mi scoppiava la testa e la sveglia mi aveva come ucciso.
Infine, alla prima ora avevamo latino, cosa che mi metteva addosso una grande ed entusiasmante voglia di suicidarmi all’istante.
Ciononostante mi costrinsi ad alzarmi faticosamente e poco tempo dopo ero davanti a scuola.
“Che faccia! Tutto bene?” mi chiese Cleo
“Lasciamo perdere. Come va?”
Non era difficile per chi mi conosceva bene, e i miei amici mi conoscevano bene, capire che non ero di un umore da “sprizzo gioia da tutti i pori e saltello cantando somewhere over the rainbow in un prato fiorito pieno di viole e margherite profumate, accompagnata da scoiattoli cerbiatti e passerotti in stile Biancaneve sotto un gioioso sole”
La prima ora, come previsto, fu una tortura cinese. La prof era così soporifera che gli appunti che presi risultarono poi incomprensibili, tanto che dovetti chiederli a un compagno.
Non c’è che dire, quella non amava proprio il suo mestiere.
L’Ange mi si sedette di fianco, cominciando a ridere e scherzare con un tono troppo, troppo, decisamente troppo alto.
“Ti. Scongiuro. Abbassa. La. Fottuta. Voce.”
Ma nulla.
Così mi alzai e me ne andai dalla classe. Perché la mia testa mi odiava così tanto? Perché? Mah, valle a capire, le teste. Sempre a spaccare i coglioni a povere persone innocenti.
Salii sul tetto e finalmente fui sola, sulla mia amica panchina a godermi il panorama e la brezza.
Mi strinsi nella mia felpa – che in realtà, mi accorsi in quel momento, era di Beyond – e tirai su il cappuccio.
Chiusi gli occhi. Respirai a fondo.
Ok, si riparte!

Kendra aveva convinto facilmente Beyond a fare un giro  verso la classe della sua ragazza.
Aveva detto che le sarebbe piaciuto conoscerla, lui gliene parlava molto.
Così i due erano li a camminare verso la mia classe e Aki se ne accorse non appena girarono l’angolo.
Camminavano allegramente verso il gruppo, che ancora non si era accorto di loro.
Cleo alzò lo sguardo e li vide: “CIAO BEYOCOSO! Come va?” esclamò così e tutti si girarono a salutarli.
Fra presentazioni e simili, Kendra venne quasi rapita dal gruppo di ragazzi e Beyond si ritrovò a ridere, mentre la guardava presentarsi a tutti.
Aki, di fianco a lui, osservava il gruppo stringersi attorno alla ragazza in silenzio.
“Tu sei il ragazzo di Alma, vero?” chiese a Beyond, dopo un po’.
“Si, e tu sei il ragazzo nuovo vero?”
“Si infatti! La tua ragazza è troppo forte, sai? E anche questa classe, sono felice di essere qui!”
“Difficile trovarsi male in questo liceo, ce ne devi mettere del tuo temo!” ridacchiò Beyond.
“Senti, ma… questa Kendra che tipo è?”
“Perché me lo chiedi?”
“No, sai, è che mi sembra… come dire… ”
“Dai, dimmi”
“Mi sembra un po’ di quelle ragazze… dai facili costumi. Insomma, dai, guardala!”
“Senti Aki – ti chiami così, no? – Kendra è una ragazza molto bella, forse, ma questo non significa che tu debba giudicarla. Chi credi di essere per etichettarla così senza neanche conoscerla?”
Aki non era molto contento di come stavano andando le cose. Infatti, si rendeva conto che Beyond non era così permaloso come gli avevano assicurato e questo andava contro i suoi progetti: non si stava arrabbiando, era solo un po’ infastidito. Ma non si stava arrabbiando. Doveva fare qualcosa.
“Certo, se uno le va dietro…” bofonchiò.
“Come hai  detto, scusa?” domandò Beyond, guardandolo malissimo.
“Niente scusa… Pensavo solo  che, insomma, a te la tua ragazza piacesse veramente” mormorò con un tono indecifrabile.
Ora Aki era più soddisfatto: Beyond si stava arrabbiando alla grande. Fra poco…
Non riuscì a finire il suo pensiero che venne preso per il colletto e sollevato da terra.
Figo, si ritrovò a pensare, ma allora non succede solo nei telefilm americani!
All’improvviso il gruppo aveva smesso di ridere.
“Dai Beyond, non c’è bisogno…” disse qualcuno, ma quel ragazzo non era molto normale e sembrò non sentirli neanche.
“Ripeti quello che hai detto”
“Ho solo detto che sembri avere una cotta per la tua amica Kendra, scusami, magari è solo una mia impressione!” disse Aki, sfoderando un sorriso.
Per tutta risposta, Beyond gli tirò un pugno.
Fu un peccato che proprio in quel momento io sbucassi dall’angolo e vedessi quella bellissima scena davanti ai miei occhi.
“BEYOND, PORCA DI QUELLA PUTTANA!” esclamai, odiando con tutto il mio cuore quella situazione, la mia testa, e il mondo in generale.
Cazzo, ero appena riuscita a rimettermi più o meno in pace con il mondo e quel cretino che faceva? Si metteva a picchiare la gente! E che cavolo!
Il mio adorato e stupidissimo ragazzo non si sognò neanche di mollare Aki. Si voltò verso di me, mi sorrise dopo aver notato la sua stessa felpa, e mi salutò con la mano libera.
I miei amici alzarono gli occhi al cielo e alzarono le mani in segno di resa.  Io però ero troppo incazzata e ammetto che quando sono così non sono molto gentile.
“Voi che cazzo guardate? Andate in classe, no?” sbottai avvicinandomi.
I miei amici capirono– grazie a dio – e si allontanarono. Rimase com’era prevedibile, solo Kendra, con una faccia un po’ preoccupata.
“E tu molla Aki, idiota!” dissi a Beyond fermandomi davanti a lui.
Lui lo riportò con i piedi per terra, ma non lo lasciò.
“Senti amore, puoi ascoltarmi un momento? il tuo amico Aki, qui, ha appena detto che io ho una cotta per Kendra e che quindi, in un certo senso, è come se ti tradissi. Scusa, ma sono proprio incazzato con lui, penso che fra poco farò cose come… non so… tirargli un altro pugno o sbatterlo per terra brutalmente. Ok?”
Mi misi la testa fra le mani.
“Cristo santissimo e benedetto, Beyond! Ma che cazzo stai dicendo? Ti rendi conto che stai sparando una serie di cazzate assurde? Molla quel ragazzo e piantala. Non è giornata. E poi, scusa tanto, ma se tu ti metti a fare cazzate il preside se la prende con me, non ricordi? Quindi se puoi evitare, per favore! ”
“Hai mal di testa vero?”
“SI, CAZZO, HO MAL DI TESTA, D’ACCORDO?”
Beyond si rese conto solo in quel momento che stava rischiando di essere squartato e imbalsamato, per poi essere esposto come pezzo forte in una macabra collezione di cadaveri.
Saggiamente, decise di lasciare la presa su Aki, il quale non trovò di meglio da fare che andare subito a pararsi fra me e Beyond con uno sguardo di scuse.
“Senti, non era mia intenzione insinuare una cosa del genere, credo che il tuo ragazzo abbia frainteso, non volevo davvero causarti-”
“Già, il mio stupido ragazzo deve aver frainteso, non è così Beyond?” ringhiai, zittendo Aki. Stava parlando anche troppo.
Beyond spostò Aki di lato. Mi accorsi allora che Kendra era li di fianco a lui.
“Credo proprio che tu gli debba delle scuse, non credi?”
Lui spalancò gli occhi.
“Non ci penso neanche! Al massimo è il contrario!”
Notai subito che Aki stava per intervenire di nuovo e lo fermai con una mano.
“Beyond, ti prego. Non fare lo sciocco.”
“Ma ti rendi conto di quello che dici?! Non sai neanche cos’ha detto di preciso!”
“Ma chi se ne fotte, di quello che ha detto di preciso! Il fatto è che tu non puoi metterti a picchiare persone a caso, ragion di più se sono amiche mie! Sia per una questione di rispetto e intelligenza verso di loro, che per una questione di rispetto e intelligenza verso di me, che cazzo! Lo sai perfettamente che il preside incolperà me di qualsiasi tua idiozia!”
“Posso darti ragione solo fino a un certo punto, ma se quello tu lo chiami amico, non siamo d’accordo”
“Lo chiamo come cazzo mi pare, chiaro?”
“Fai quello che vuoi come sempre, non mi ascoltare, è di sicuro così che si comportano le persone normali!”
Ha parlato mister Normalità! Sarò anche strana, ma ti assicuro che il più strano personaggio che tu riesca a trovare su questo fottutissimo pianeta, paragonato a te diventa banale!”
Sotto gli increduli e preoccupati sguardi di Kendra e Aki, stavamo per darcele di santa ragione, ma proprio in quel momento, fortunatamente, la campanella suonò.
Non ci salutammo neanche.
“Aki, prima che cominci la lezione, ti chiedo scusa per lui”
“Tranquilla, non serve, davvero. Non è successo nulla di grave!”
“Bene, ecco che arriva quel rospo di scienze. Io vado a sedermi”
“A dopo!”
Si, quella era decisamente una giornata del cavolo.
E non era neanche finita!

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Rospi magici e pizze al trancio; ***


Ciao ragazzi, scusatemi per la revità del capitolo, ma le vacanze e la scuola che si avvicina non sono d'aiuto! :)
Spero che il capitolo non vi farà schifo e che avrete voglia di commentarlo!
Au revoir, amici!
Mina



Passai la lezione di scienze disegnando mannaie e antichi spadoni su un foglio strappato, mentre Lucy, di fianco a me, leggeva Nana, lanciandomi qualche occhiata preoccupata di tanto in tanto.
Non appena suonò la campanella, tutti si alzarono in piedi per sgranchirsi le gambe nel cambio d’ora e si creò un discreto casino, come sempre.
Chi andava da un lato all’altro della classe, rincorso prontamente da qualcun altro, chi ripeteva greco, chi rideva e chiacchierava, chi lanciava cose…
Nulla di speciale, comunque.
Lucy naturalmente non si era neanche accorta del cambio d’ora e aveva continuato, imperturbabile, a leggere il suo manga.
Mello si avvicinò ai nostri due banchi scartando un’ennesima tavoletta di cioccolato.
“Ciao ragazze, come va? Ho elaborato una teoria in questa lunga ora: la nostra professoressa di scienze è anticamente stata un rospo, ma un giovane e aitante principrofessore, ai tempi ormai più che remoti e quasi leggendari delle dame e dei re, decise di prendere quel rospo come animale da compagnia. Aveva infatti udito, a corte, voci che assicuravano nei rospi, intelligenza e fedeltà, nonché predisposizione a trasformarsi in esseri umani grazie ai numerosi incantesimi lanciati loro dalle malefiche streghe. Non poteva sospettare, il nostro amato principrofessore, che il rospo da lui scelto non poteva essere per lui più sbagliato: esso era un malvagissimo e temibilissimo rospo magico. Aveva l’innato, quanto malefico potere di risucchiare tutte quante le abilità delle persone che gli stavano attorno e, quante più ne assorbiva, tanto più si ingrandiva!
Ora, il nostro caro principrofessore era da sempre stato un uomo colto, arguto e eccezionalmente privo di difetti. Potrete quindi immaginare quanto il malvagissimo e temibilissimo rospo magico riuscì a ingrandirsi, risucchiandone tutte le abilità. Divenne un rospo di dimensioni quasi umane!
E inoltre, tutte quelle abilità e tutto quel sapere, non tutto era andato perduto nell’assorbimento: ora il rospo poteva vantare una grande conoscenza nelle materie scientifiche odierne!
Il malvagissimo e temibilissimo rospo magico fuggì  e al principrofessore, ormai, non rimase altro da fare che bandirsi dal suo stesso regno.
Ed è così che, a distanza di chissà quanti secoli, il rospo magico ha deciso di venire a insegnare qui da noi, per torturare poveri, innocenti studentelli.
Fine!”
Ci limitammo a guardarlo alzando un sopracciglio, ma dentro di me ero felice che si fosse rimesso a posto. Da un paio di giorni infatti, tutti si erano accorti di un cambiamento nel suo umore nero: era ritornato il solito e anche meglio.
Era più gentile con tutti e sembrava felice. Meglio così, no? Avevamo preferito non chiedergli nulla, ma eravamo sicuri che Matt c’entrasse qualcosa.
Jen sosteneva che i due avessero fatto pace e probabilmente era così.
“Non vi piace come storia? Giustificherebbe molte cose!”
“A me non sembra male, ma ti conviene cambiare alcuni particolari a mio parere!” esclamò Lucy, lanciandosi poi nell’accurata descrizione di particolari morbosi e alquanto inquietanti, che avrebbero a suo parere potuto ornare la storia di Mello.
“Ok Lucy, abbiamo capito, tutti un po’ drogati e nichilisti, qualche gravidanza non voluta, un paio di suicidi ed è tutto sistemato!” la bloccai, prima che decidesse di non smettere mai più.
“Hai capito perfettamente!” si compiacque lei.
Mello ora era un po’ stranito e un po’ preoccupato.
“Ma voi siete mai state sane di mente?”
“Chi, noi? Se la memoria non mi inganna…. No”
“Mi pareva bene! Comunque, mi chiedevo: fra quanto avete il concerto al Calypso?”
“Poco Mello, molto poco.”
“Di preciso?” domandò ancora.
“Oggi che giorno è?”
“Il 28 aprile dell’anno-”
“Non fare lo storico! Quanti giorni ha aprile?”
“Trenta, altezza!”
“Allora fra dodici gironi abbiamo il concerto, contento?” esclamai trionfante.
“Così pochi?” intervenne Jen, sbucata da chissà dove, con una faccia terrificata.
“Ce la faremo benissimo, abbiamo già pronto praticamente tutto!” la rassicurai.
“Ma sono dodici fottuti giorni!”
“Così mi diventi volgare Jen!”
Non potè sentire il mio rimprovero, in quanto si era già messa a scarabocchiare teschi sul muro di fianco al suo banco.
“L’ho sempre detto che ha un qualcosa di vandalico, quella ragazza” constatò rassegnata Anita.
“Ha parlato quella che ha scritto una dedica di due metri a un armadio, con un pennarello indelebile!” la rimbrottò Mello.
Anita si mise a recitare una poesia intitolata: “My dear Wardrobe!”
Nel culmine del casino creatosi, entrò la nostra amata professoressa di greco.
In un nanosecondo scarso, tutti erano ai propri posti in silenzio assoluto.
“Buongiorno ragazzi!”
Era davvero una brava prof, quella di greco e per questo la rispettavamo più delle altre.
Al suono della campanella, mi affrettai a buttare le mie cose alla rinfusa nello zaino. Afferrata la giacca mi accorsi che Aki era davanti al mo banco e sembrava volermi parlare.
“Ciao Aki, dove dirmi qualcosa?”
“No è che mi sentivo… un po’ in colpa. Senti, ti va una pizza qua all’angolo?”
“In colpa? Ma no, lascia stare, non è colpa tua se Beyond è così violento, è un suo grande difetto, tutto qua. ”
“Beh, la pizza te la offro lo stesso, ti va?”
“Come dire di no a una pizza?” mi domandai, sorridendo approssimativamente.
Fu così che una decina di minuti dopo, salutati gli amici, ci ritrovammo seduti a quel lungo tavolo davanti alla vetrina della pizzeria, con un trancio davanti e una lattina di chinotto in due.
“Allora Aki, pensi di trovarti bene qui?” gli domandai per fare un po’ di conversazione.
“Si, questa scuola è molto ben organizzata e sono fortunato a essere capitato nella tua classe” affermò, bevendo un sorso di chinotto con convinzione.
“Beh, mica è mia quella classe. Sono fortunata io stessa a essere con delle persone così, non pensi?”
“Oh, certo, mi hai frainteso. Intendevo dire che sono fortunato a essere capitato nella classe in cui ci sei tu! Voglio dire, a quello che ho visto tutte le sezioni sono abbastanza buona, ma non so se sarei stato accolto così. Forse è perché sei la rappresentante d’istituto, ma ho sempre l’impressione che tu sia costantemente impegnata e il fatto che tu abbia trovato anche il tempo di introdurmi alla scuola mi fa sentire… emm, lusingato..” si spiegò, fissando il marciapiede davanti a noi.
“E’ vero che sono sempre impegnata, ma è un piacere accogliere persone nuove! Comunque sono convinta che anche nelle altre classi qualcuno ti avrebbe aiutato, siamo abbastanza disponibili qui. Ma grazie” risposi sorridendo vagamente.
“Posso dirti una cosa in tutta onestà?” chiese lui, ancora osservando i passanti.
“Dimmi.”
“Mi vergogno a dirlo, ma, beh, Beyond è proprio fortunato ad avere una come te. Di, hai per caso una sorella da presentarmi?” chiese ridendo.
“Ma dai, che vai a dire!?” esclamai, ridendo anche io. “E comunque mia sorella è grande e già fidanzata!”
“Oh, ma sono proprio uno sfigato allora!”
“Ma piantala! Vedrai che una ragazza qui te la troviamo!”
Passammo a chiacchierare una buona mezz’ora.
Poi calò per un paio di minuti, un silenzio di quelli in cui ti senti a tuo agio.
Mangiavamo voracemente e pensavamo.
Io stavo pensando alla prima volta che ero stata li con Beyond, a novembre dell’anno prima. Sorridendo fra me, mi venne in mente della radio, e di Matt con la sua ragazza che gli tirava le cose, e tutto quello che era successo in quei giorni.
Mattia che lanciava i volantini su tutta la scuola, Anita che scassinava le macchinette…
Che cretini che eravamo…
“A cosa pensi?” mi chiese Aki, guardandomi intensamente.
“Nulla in particolare… ”
Pochi minuti dopo, avevamo finito di mangiare e ci stavamo alzando. Pagammo il conto e uscimmo.
“Allora, tu da che parte vai, a sinistra vero?” gli chiesi, guardandomi intorno per controllare che l’autobus non mi stesse sfuggendo da sotto il naso.
“Mi chiedevo se posso accompagnarti, ti va?” chiese con naturalezza.
“Ma guarda che io abito lontano!”
“E va bè, tanto ho già finito tutto per domani, ho un pomeriggio vuoto… ”
“I tuoi non ti dicono nulla?”
“No, tranquilla, lavorano tutto il pomeriggio e mi danno sempre libera uscita! Sono grandi!” esclamò ridendo.
“Beh, allora, se ti fa piacere!”
A me di certo fece piacere, perché Aki era una di quelle persone sempre allegre e riuscì a tirarmi su il morale di molto nel tragitto dell’autobus, conversando con me e con una simpatica e un po’ rimbambita vecchietta che incontrammo.
Appena scesi scoppiammo a ridere tanto forte da farci venire le lacrime agli occhi.
Girato l’angolo verso casa mia, mi accorsi che Beyond mi stava aspettando appoggiato al cancello, leggendo un libro. Aveva la cartella appoggiata ai piedi e non pareva essersi ancora accorto di me e Aki.
“Senti, è meglio che tu vada, non è per te, ma-”
“Tranquilla, non ti voglio creare problemi!” rispose subito, girando di nuovo nella strada da cui venivamo, insieme a me.
“Grazie e scusa. È che lui.. è così… ”
“Non scusarti, anche io sarei geloso con una ragazza come te!” mi rassicurò lui.
“Ma la pianti di dire ‘ste cose!? Dai, vattene va, ci si vede domani, ok?”
“D’accordo! A domani!” salutò, allontanandosi.
Girai di nuovo l’angolo e mi avvicinai a casa mia.
“Ciao!” mi salutò Beyond
“Ciao” risposi atona. Ammetto che ero ancora arrabbiata con lui.
“Senti, scusami per oggi. Puoi?”
“Ci penserò” dissi freddamente, fissandolo.
“So che ho fatto una cazzata. Se lui è… tuo amico, io lo rispetterò. E poi non voglio che per colpa mia il preside se la prenda con te. Davvero, scusa. È che, lo sai come sono-”
“Scemo?”
“Si, esatto, scemo… mi perdoni?”
Lo guardai per un po’, soppesando le sue parole.
“Promettimi che non lo farai mai più”
“Prometto solennemente” dichiarò, con una mano sul cuore.
“E se ti metti a picchiare qualcuno, per qualunque motivo-”
“Non lo farò. Almeno, non dentro la scuola. Ma, ipotizza che una sera, molto sul tardi, io stia tornando a casa e qualcuno mi si avvicini con cattive intenzioni: allora potrei?”
“Certo che potresti” risposi alzando gli occhi al cielo.
“Grazie”
“Adesso mi ringrazi perché ti ho detto che puoi picchiare un malintenzionato, oltretutto ipotetico?”
“No, non dicevo per quello. Grazie per il resto.”
“Sarebbe?”
“La tua esistenza immagino”
Ci abbracciamo, ridendo.
 
Kendra guardò Aki negli occhi, profondamente.
Avevano appena discusso a proposito di ciò che dovevano fare.
Lei gli prese una mano, mentre l’altro ricambiava lo sguardo.
“Li distruggeremo” sussurrò lei, con un sorriso sottile.
“Li distruggeremo” ripeté lui, ghignando a sua volta.
“E poi, vogliamo la stessa cosa, o sbaglio?” continuò lei, con voce morbida.
“La libertà”
“Infatti. Non è fastidioso dover fare queste cose per quello stupido direttore?”
“Pensa a quello che potremmo fare, invece, da soli”
“Sai, siamo simili io e te” osservò lei prendendogli anche l’altra mano.
“Siamo vuoti, entrambi” confermò lui.
Dietro l’angolo del piccolo corridoio della Wammy’s, un giovane orfano aveva sentito tutto il loro discorso, quasi senza volerlo. 


Eilà, sono di nuovo io :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di poter aggiornare ancora presto! 
Mi auguro che abbiate passato e stiate passando, buone vacanze! 
Alla prossima, my dear friends! ;)
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Qualcosa si muove nell'ombra ***


Ciao genteeee!
Come va, come vanno le vacanze che orami sono finite? D:
Chi di voi deve dare gli esami a settembre? In quel caso, dico solo buona fortuna! 
Per gli altri, godetevi queste ultime settimane prima dell'inferno! 
Comunque, tornando a noi, ecco un nuovo capitolo che spero vi piacerà! :)
Mina



Il mattino seguente, il mal di testa era solo n ricordo e il mio umore era decisamente migliorato.
E mi ero perfino svegliata in orario! Una cosa del genere non capitava da… beh…
Mi preparai in fretta, chiacchierando con mia sorella.
Alla fine, quando fui pronta a uscire, proprio quando stavo per andare alla porta, suonò il citofono.
Aprii la porta di casa e, oltre il cancello, un paio di gradini più in basso, vidi Beyond.
“Beyond! Ciao, come va? Cosa ci fai qui?” esclamai, afferrando lo zaino e scendendo. La porta sbatté alle mie spalle mentre aprivo il cancello e mi precipitavoa d abbracciarlo.
“Ma cos’hai?” gli chiesi, vedendogli un’espressione strana.
“Sai, mi è successa una cosa…” accennò,  abbassando lo sguardo.
“Forza, dimmi!” lo invitai.
“Stanotte… ho sognato. Sai, non sogno mai io. E invece…”
“Ei, sono felice!”
“Io no” ribatté, studiandosi le scarpe.
“Un incubo?” indagai.
“Si.. io ho… sognato Arianna…”
Lo vedevo un po’ scosso. Lo capivo: dopotutto era il suo promo sogno da anni e anni e… era un incubo.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, si chinò un poco e mi abbraccio forte.
“Beyond… stai tranquillo era solo.. solo un brutto sogno” tentai di rassicurarlo.
Mi lasciò subito.
“Scusami… non volevo. Comunque ti ho portato delle ciambelle!” esclamò tentando di ricacciare dentro quel tono triste e prendendo dal muretto sul quale l’aveva appoggiato, un pacchetto.
“Ei, ma vuoi proprio che io diventi una balena, eh?” scherzai, tentando di fargli tornare un buon umore.
Sapevo che non gli piaceva parlare delle sue debolezze e mi guardò con un po’ di gratitudine.
“Ma se non stai un attimo ferma! Non ingrasseresti neanche volendo fra sport, stress, inseguimenti…”
“Inseguimenti?”
“Corri sempre per i corridoi come se non ci fosse un domani e la maggior parte delle volte è per acciuffare qualcuno, ammettilo!” mi accusò.
“Tsk!”
Ci incamminammo, chiacchierando. Quando fummo dietro la scuola mi fermai.
Ero rimasta colpita dal fatto che fosse venuto a prendermi così, spontaneamente. E ancor di più dal suo abbraccio. Cioè, si, ci abbracciavamo spesso, ma lui non era quasi mai quello che prendeva l’iniziativa. Era affettuoso con me, ma non sapeva relazionarsi benissimo con gli altri, quindi il fatto che avesse voluto condividere con me quell’incubo che lo aveva così scosso mi faceva sentire lusingata, quasi.
“Allora, vuoi arrivare in ritardo anche oggi, a costo di aspettare qui?” rise lui fermandosi.
“Senti Beyond, volevo dirti una cosa…”
“Prego!” esclamò guardandomi e sorridendo.
Non sapevo bene cosa dirgli, ma provavo un gran moto di affetto per lui, così, lo abbracciai e basta.
“Lo so che non ti piace mostrarti per come sei davvero” sussurrai.
Lui ricambiò l’abbraccio solo allora.
“Grazie” rispose, impercettibilmente.
“NON SEI IN RITARDO?? OMMIODDIO, ASPETTA CHE LO SEGNO SUL CALENDARIO! OGGI DIVENTERA’ FESTA NAZIONALE!” urlò sbalordita Jen, venendoci incontro.
“La tua stupidità non ha limiti, vero?” le chiesi con sarcasmo.
“Scherzi!? È un avvenimento importantissimo! Muoviti che lo diciamo agli altri! Ah, ciao Beyond!”
“Ciao Jen!”
Girammo così l’angolo e arrivammo presto davanti al portone, dove il gruppo di amici ci stava già aspettando. Sia gli amici di Beyond sia i miei.
“EI GENTE!” gridò Jen richiamando l’attenzione di tutti, anche di poveri innocenti passanti.
“DEVO FARE UN ANNUNCIO IMPORTANTISSIMO! OGGI, LA QUI PRESENTE – mi prese per un braccio mentre la maledivo e mi indicò – PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO E’ USCITA DALL’UTERO MATERNO, E’ ARRIVATA A SCUOLA NON SOLO PUNTUALE, MA ADDIRITTURA IN ANTICIPO!”
“Jen se non la pianti io-”
“UN APPLAUSO PREGO!”
Così, mentre tentavo di prenderla, rincorrendola su e giu per il marciapiede, tutti i liceali che avevano assistito alla scena applaudirono calorosamente, ridendo al nostro indirizzo.
“TU SEI MORTA!”
Ma la sua morte non arrivò quel giorno, poiché proprio in quel momento, tanto per rovinarci la festa, la campanella suonò e il portone si spalancò.
Gli studenti si riversarono dentro con un fiume e io e Beyond ci separammo presto, salutandoci da lontano.
L’ora di filosofia e quella di latino passarono in fretta per me e Lucy: lei si immerse nella lettura di un manga, mentre io le passai a chiacchierare via bigliettini con Cleo.
Forse non saremmo studentesse modello, ma finché la nostra media rimane sul 8/9, non credo che avremmo abbastanza motivazioni per seguire le lezioni che ci annoiano…
Si, forse mi sento un po’ in colpa, ma… che cavolo, quella di latino è una palla!
Beh, comunque sia, presto la campanella suonò e noi potemmo alzarci e sgranchirci le gambe. Mentre, come al solito, metà della classe scendeva in cortile, io mi diressi verso la classe di Mattia, che non vedevo da un po’, se non alle prove.
Raggiunta la sua classe lo scorsi che chiacchierava con un primino e con alcuni amici.
“EI MATTIA!” lo chiamai dall’inizio del corridoio.
Lui mi salutò con la mano e mi fece cenno di avvicinarmi.
“Ciao, come va?” mi chiese poi, quando gli fui vicina.
“Tutto bene,  tu?”
“Anche io! Guarda, lui è Gio, ti ricordi? Tempo fa ci hai fatto due chiacchiere con anche me e Beyond” disse mostrandomi il primino.
Era un ragazzino bruno, non molto alto, ma in compenso magro come un chiodo.
“Si, mi ricordo… è stato quando tu hai inquietato Beyond con tutte le varie storie sui Sistem of a Down, vero?”
“Si, infatti! Hahaha, aveva una faccia assurda!”
Alzai gli occhi al cielo.
“Allora, piacere di nuovo Gio!” lo salutai.
“Piacere mio!”
“L’ho scelto come apprendista, e sai cosa? è bravo! Sarà molto utile alla prossima occupazione! Gli sto insegnando tutto!” esclamò Mattia con un risatina.
“Ok… basta che non distruggete la scuola…”
Per tutto l’intervallo chiacchierammo e scoprii che Gio sapeva un sacco di cose sul mio conto, ma non capivo come.
Alla fine lo guardai, pensando di aver capito.
“Mattia, tu gli hai presentato Skin, vero?”
“Emmm…. Può darsi, perché?” rispose senza capire.
Gio invece era arrossito e si guardava i piedi.
Gli lanciai uno sguardo eloquente.
“Ok, va bene, forse gli ho chiesto qualcosa di te, ma ti giuro che non volevo essere indiscreto o scortese!”
Io e Mattia non rispondemmo.
“Ti prego, puoi perdonarmi?”
Mattia sospirò, insieme con me. Era un giochetto che avevamo imparato tempo prima, quello di fare le cose insieme, perfettamente sincronizzati.
Incrociammo le braccia e lo fissammo, nella stessa identica posizione.
Poi mettemmo le mani sui fianchi, come se fossimo arrabbiati e un secondo dopo ci girammo, trattenendo a stento le risate.
“Eddai, ragazzi, mi spiace!” esclamò Gio.
Allora ci girammo di nuovo, sempre sincronizzati, lo guardammo e chiedemmo:
“Ne sei certo?”
“Ok, voi dovete smetterla perché siete peggio delle gemelle si Shining, chiaro?”
Io e Matt scoppiammo a ridere.
“Ma allora non siete arrabbiati?”
“Senti Gio – gli dissi – mi secca un po’ che tu ti faccia gli affari miei, ma se mi prometti che non lo farai più e che se vorrai sapere qualcosa me lo chiederai, beh, chissenefrega! Ok?”
“Oh, menomale! Comunque ti prometto che non farò mai più una cazzata del genere!”
“A Skin ci devi ricorrere solo in casi importanti, non te lo ha detto Mattia?”
“Si vabè, ma…”
“Eh, lasciamo perdere, va!” lo interruppe Mattia ridendo. “Sono più le volte in cui fa quello che vuole che non le volte in cui mi ascolta! Ma è anche per questo che può essere mio apprendista, no?”
“Mi sembra giusto!”
La campanella suonò in quel momento e io me ne andai in classe, salutando i due con la mano.
“Ci si vede!” mi gridò dietro Mattia.
Salii le scale velocemente (mi mancava dirlo, lo ammetto) ed entrai in classe appena in tempo.
Seguimmo un’interessante ora di storia e una meno interessante ora di matematica e alla fine la campanella ci liberò con magnanimità.
Anita saltellava di qua e di la.
“Si può sapere che hai?” le chiese Jen, guardandola male.
“Ragazzi, oggi sono riuscita a seguire tutta la spiegazione di matematica! Chi mi fa un applauso?”
“Certo che il prof è terribile! Parla alla lavagna praticamente! Io non capisco niente!” esclamò per tutta risposta Jen.
“Beh, non è che tu faccia questi grandi sforzi, eh…” si introdusse Cleo.
“Ei! Ha parlato quella che disegna fumetti anche mentre dorme!”
“Intanto io ascolto, mentre disegno!”
Tutti la guardammo alzando un sopracciglio.
“Si insomma… più o meno… ”
“Se, vabè, ci crediamo tutti!” esclamò Anita.
“Cos’abbiamo alla prossima ora?” chiesi annoiata, facendo dondolare qua e la sul banco la penna.
“Tecnica!” proruppe Aki alzando un pungo.
“E questo vuol dire…”
“CAZZEGGIO!” gioì Jen.
“Jen, ma tu cazzeggi sempre! Che ti cambia?” le chiesi.
“Beh, intanto la prof di tecnica mi adora, a differenza di altri… e poi si cazzeggia allo scoperto e non sotto il banco, e quindi molto più divertente!”
“La normalità, questa sconosciuta” commentò Lucy, sempre immersa nel manga.
“Lucy, dai un po’ di brio! Noi ci divertiamo sempre un mondo durante tecnica, dovresti farlo anche tu!” esclamò subito Anita.
“Ma io mi diverto!” ribatté Lucy, sventolandole il manga sotto il naso. “Questo episodio è fantastico!”
“Sei un caso perso, lo sai vero?” chiese Mello.
“Ne sono perfettamente cosciente!” rispose lei facendogli una linguaccia.
Lui rise, scuotendo la testa.
“Comunque, dai, venite in questi banchi qua!” ordinò Anita.
E fu così che tutta l’ala sinistra della classe fu occupata da pazzi senza ritegno.
Passammo l’ora a fare impazzire la prof in tutti i modi e come al solito ci divertimmo da matti, cosicché, quando la campanella suonò e non dovemmo più trattenerci, esplodemmo in un boato di risate.
Quando uscii dalla classe , una decina di minuti dopo il suono lieratore della campanella, Beyond e i suoi amici ci aspettavano.
“Ce ne avete messo di tempo!” esclamò lui salutando con la mano.
“Colpa della prof!”
“Avevate tecnica vero?”
“Che cavolo sei, un indovino?”
“Ho solo visto Jen e Anita rotolarsi fuori dalla classe in preda ad attacchi apoplettici”
“Oh… beh…”
“Allora, oggi pomeriggio avete programmi voi?”
Ci fu un coro di no generali, a parte per quanto riguardava Cleo, che aveva un appuntamento con Matt.
“Allora, direi che potremmo andare a farci una pizza tutti insieme!” propose Beyond.
“E’ un’ottima idea! Avevo giusto una voglia di pizza che-” cominciò Jen.
“Jen, tu hai sempre voglia di pizza” la interruppe Anita.
“Oh, ma oggi siete proprio acidi eh?”
Fu così che scendemmo le scale mescolandoci fa di noi e decidendo già che pizza prendere, sfogliando un menu mentale che dopo anni di assidua frequentazione pizzifera ci si era stampato nel cervello.
Usciti che fummo, andammo tutti a salutare Matt, appostato li con la sua solita sigaretta in bocca, in attesa di Cleo.
“Ciao coso!” lo salutò Cleo, buttandogli le braccia al collo.
“Ei, ei, cos’è tutta questa affettuosità?”
“Mah, nessun motivo in particolare…”
“Cosa vuoi?” chiese rassegnato il rosso, mentre noi ridevamo.
“Emmm… sai, loro stanno andando a mangiare una pizza… e tu sai che io amo le pizze… e sai che se non ti va non ci vado… ma…”
“E andiamo a mangiare la pizza con loro!” concesse Matt, alzando gli occhi al cielo.
“SIIIIII!” esclamò Cleo, abbracciandolo.
Io e Beyond stavamo rimanendo un po’ indietro nel gruppo diretto alla pizzeria e, proprio quando stavamo per allungare il passo, qualcuno lo afferrò per un braccio trattenendolo.
Lui si girò di scatto, liberandosi istintivamente il polso e io lo imitai.
Ci trovammo davanti un ragazzo della nostra età, alto poco meno di Beyond.
Aveva i capelli scuri, pettinati e lunghi un po’ meno di quelli di Beyond, con dei particolari riflessi quasi bluastri. Spiccavano in gran contrasto gli occhi, di un azzurro intenso e completo.
Inoltre, proprio in mezzo al labbro inferiore, il nostro strano tipo aveva uno scintillante piercing argenteo.
“Possiamo aiutarti…?” chiese Beyond, osservandolo attentamente. Non riusciva proprio a ricordarsi chi fosse, ma sapeva di averlo già incontrato.
Lui lo guardò negli occhi per qualche secondo, poi guardò me. Non riuscivamo proprio a capire cosa volesse dirci, da quegli sguardi imperscrutabili.
Poi, rivolgendosi a Beyond disse: “Devi andare alla panchina dopodomani. Vacci alle tre.”
Aveva una voce strana, sembrava quasi non avere intonazione ed era molto bassa.
Capii solo dopo qualche secondo a che panchina si riferiva. Ma questo avrebbe voluto dire che… quel ragazzo era della Wammy’s.
Beyond spalancò gli occhi stupito.
Prima che avessimo il tempo di fare domande, il ragazzo si era voltato e allontanato.
“ASPETTA!”esclamammo, lanciandoci nel suo inseguimento.
Ma fu inutile: riusc’ a saltare su un autobus un secondo prima che le porte si chiudessero e rimase davanti alla porta a fissarci, senza espressione.
Ci fermammo.
“Ma che cazzo…?” mi chiesi, più che altro fra me e me.
“E’ meglio che ti dimentichi di averlo visto. Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte… ”
“Allora è davvero della Wammy’s?”
“… si. Ma non parlarne con nessuno e tenta davvero di dimenticartelo.”
“Ma lui ci ha detto-”
“Lo ha detto a me” mi  interruppe, mentre camminavamo fianco a fianco verso la pizzeria.
“Sai che ci verrò lo stesso?”
“Tu neanche sai dov’è questa panchina!”
“…”
“Non lo sai, vero?” domandò fermandosi.
“Beh ecco, diciamo che potrei, per così dire, avere una mezza idea di dove-”
“Non ci andare! Promettimi che non lo farai!”
“Ahem… non credo proprio”
“Ei, dico davvero! Ti racconterei tutto dopo, ma non devi venirci!”
“Se, vabbè, ci penserò… se non avesse voluto anche me, si sarebbe preoccupato di non farsi sentire, no?”
“O magari pensa che tu non sia così stupida da immischiarti..” commentò Beyond sarcasticamente.
“Senti, tu! Piantala di darmi della stupida o giuro che non ti parlo più!”
“Tenterò… ma allora non fare cose da stupida!”
“Tenterò!”
“Se ci vieni ti faccio qualcosa di brutto!”
“Uh, che paura!”
“Dai non sopporto quando fai così! io tento di parlarti seriamente e tu mi fai ridere! Smettila!”
“Non ci penso neanche, caro il mio generale Kurtz! E ora muoviti che ho fame!”
“Ma… che cavolo!”
Andammo avanti a discutere fino a che non arrivammo alla pizzeria. I nostri amici si erano già presi pizze o focacce, e si erano conquistati un enorme tavolata.
“Sono arrivati i piccioncini!” ci annunciò Anita, ridendo.
“E dov’eravate, eeeeeh?” chiese Misa, dando di gomito a Jen. Quelle due erano perfette come amiche!
“E lasciarci un po’ in pace, mai eh?” risposi, andando a ordinare una focaccia con olive per me e un trancio per Beyond.
Quando tornai trovai posto fra lui e Misa, la sua amica bionda.
Fu solo dopo  una mezz’ora che ci alzammo e lasciammo la pizzeria, sotto gli sguardi sollevati di un paio di commesse.
“Ricordatevi che domani ci sono le prove, eh!” mi raccomandai, salutando tutti.
“Tranquillo sergente!” mi rispose Jen, allontanandosi e agitando la mano.
“Allora anche voi avete le prove domani?” mi chiese Beyond.
“Si, appena una mezz’ora dopo scuola, verso le dodici e mezzo! Andiamo avanti fino alle tre penso, voi invece?”
“Noi facciamo dalle tre alle cinque e mezzo, appena dopo di voi. Che faccio, vengo un po’ prima?”
“Ma no dai, aspetto io dieci minuti in più!”
“D’accordo! Quanto manca al Calypso?”
“Undici giorni soltanto! Siamo tutti un po’ in ansia ormai… voi come siete messi?”
“Dobbiamo sistemare le ultime canzoni, ma ce la facciamo tranquillamente! Allora… a domani…”
Sospirammo.
“A domani” risposi lugubre.

Ri ciao ragazzi! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che avrete voglia di dirmi perchè!
O anche di dirmi perchè vi ha fatto cagare così tanto da occupare il bagno per due giorni consecutivi, alla faccia di chi vive con voi, eh!
Comunque, ancora una volta grazie per la lettura e per il tempo perso dietro a una cretina as me ee....
Beh, buona giornata a tutti!
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Interferenze; ***




Così, dopo l’ennesimo ultimo bacio, mi ritrovai sull’autobus, sbuffando.
C: “Andrai a quella panchina, dopodomani, vero?”
“Ancora tu, Coscienza? E io che speravo di essermi liberata di te!”
C: “Si, aspetta e spera! Io ci sarò seeempreeeeee”
“Così sei solo inquietante… ”
“Allora, ci andrai o no?”
“Perché ti interessa tanto, se posso saperlo?”
“Non puoi! Dai, avanti, dimmelo!”
“Ovviamente si. Quel tipo è della Wammy’s e già solo questo è un buon motivo…”
C: “E poi?”
“E poi cosa?”
C: “Qual è l’altro buon motivo?”
“Scusa, ma sei la mai Coscienza, no? Dovresti saperlo da sola, o sbaglio?”
C: “Si, infatti io lo so, ma se tu non le sai le cose, io mica te le posso sbattere in faccia-”
“Ma lo fai sempre…”
C: “Non mi interrompere, che è scortese! Stavo dicendo che a certe cose ci devi arrivare da sola e io non posso far altro che aiutarti!”
“Odio quando fai così…”
C: “Allora, che motivi hai di andarci? È rischioso e lo sai! A parte il fatto che sei una ficcanaso curiosa delle peggiori, ammettilo, un altro motivo ce l’hai, vero?”
“Uff… se lo sai già che senso ha dire-”
C: “Tu rispondi!”
“Beh, non lo so… insomma, Beyond è il mio ragazzo e quindi… ”
C: “Vorresti stargli vicino, sapendo che per lui gestire questo tipo di situazioni è difficile e temi che poi non ti dica niente facendoti stare male o, peggio, che lui scompaia o faccia cazzate?”
“Eh… forse se mi lasci parlar-”
C: “MA E’ CHIARO ALLORA, NO?”
“Io rinuncio a capire e a parlare con te!”
C: “No dico, è così palese!!”
“Ma cosa, si può sapere o no?”
C: “Sicura che non ci arrivi da sola?”
“Ma a cosa!?”
C: “Ti devo dare un’importantissima notizia allora… sei pronta per sentirla? Spero di si perché… mai cara… lui si è innamorato di te, ma soprattutto…. tu ti sei innamorata seriamente di lui!”
“La relazione fra me e Beyond è seria ma io non credo sia già il caso di dire che lo… lo…”
C: “Che lo ami? È il caso, mia cara, è il caso eccome! E in fondo lo sai, non è così?”
“Senti, andare dove tu sai, mai eh?”
C: “Grazie eh… cioè, io ti apro una visione nuova e tu..! Che ingrata!”
“La devi piantare di dire cazzate, ok?”
C: “Non sei pronta ad accettare la cosa?”
“Ti sembro pronta a… anche solo ipotizzarla? Ma mi conosci o no? Lo sai o no cosa vuol dire per me?”
C: “Si, si lo so… pensavo solo che-”
“Pensavi male. Ora vuoi stare zitta?”
Mi infilai le cuffie nelle orecchie e sparai la musica a tutto volume per non pensare.
Passai il pomeriggio a studiare e suonare per le prove.
Mia sorella non era in casa: era andata a passare il pomeriggio a casa del suo fidanzato, Manu, e non si sarebbe vista fino al giorno dopo a scuola, probabilmente accompagnata da lui stesso in macchina.
Non avevo voglia di pensare a niente, così mi buttavo in quel che facevo con impegno.
Riuscii a distrarmi e ad arrivare alla sera.
Dopo cena uscii a portare fuori il cane (Nacho, ricordate?) e intanto feci due chiacchiere con Cleo al telefono.
Camminai molto, quasi una mezz’ora, respirando a pieni polmoni quell’aria notturna e fresca.
Amavo la notte e ancor di più, amavo la città di notte. I palazzi si stagliavano alti come le mura di un enorme labirinto, stagliandosi in un cielo uniforme, scuro e cupo.
Sebbene l’inquinamento luminoso impedisse di vedere molte stelle, esso era comunque imponente e a guardarlo faceva venire voglia di volarci dentro e perdercisi.
L’asfalto illuminato dai lampioni sembrava così diverso dall’asfalto colpito dal sole.
Era di un colore differente, lo sporco era mescolato con le ombre e non si notava, se non appena sotto i lampioni, in quella intensa macchia di luce giallastra.
Poche macchine sfrecciavano per le strade a quell’ora.
La chiacchierata con Cleo finì e sospirando, mi diressi verso casa.
Dopo una ventina di minuti, eccomi di nuovo nella mia via.
Mi sedetti sul marciapiede, a qualche metro dal cancello, appoggiando i piedi sulla strada. Nacho mi imitò, accucciandosi di fianco a me.
“Pensa Nacho…” sussurrai, rivolta al cane, che improvvisamente alzò la testa e mi guardò interessato.
“Pensa se ora noi andassimo via… io e te soli… scappassimo da qualche parte, in una città lontanissima… ti immagini? Una vita nuova, solo per te e me!”
Nacho diede un’occhiata a una macchina che ci passava davanti.
“Pensa se ora ci alzassimo e andassimo semplicemente via.. così. Se ci lasciassimo tutto alle spalle e se lo dimenticassimo con il passare degli anni… Se scappassimo via…”
Il cane mi guardava di nuovo, in apparente ascolto.
“Ma che cazzate che dico…” sbuffai, alzandomi e avvicinandomi a un cancello, seguita da Nacho scodinzolante.
Il mattino seguente, tornai a essere in ritardo.
Corsi per tutta la strada che mi separava dalla fermata dell’autobus e lo presi appena in tempo.
Dopo un po’, eccomi a correre verso l’entrata della scuola.
“E’ arrivata!” esclamò Anita.
“Ciao, come va? Quanto sono in ritardo?”
“Non troppo, tranquilla: abbiamo filosofia ora e il prof è sempre più in ritardo di te! Comunque, solo cinque minuti!” rispose Jen.
“Dai andiamo! Scusatemi eh!”
“Ma si, tanto abbiamo l’abbonamento orami!”
“A cosa?”
“Al posticino vicino al portone riparato da vento, pioggia e intemperie!”
“Normaaale…”
Passarono le ore, e presto suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni.
Mentre fiumi di studenti si riversavano giu dalle scale pestando i piedi, io  e i miei amici rimanemmo in classe a mangiarci un panino prima delle prove.
Fu all’incirca quando Anita mise a tutto volume un pezzo di musica classica dal cellulare e tutti si misero a improvvisare un valzer, che raggiungemmo il delirio totale credo.
Almeno, durante le prove eravamo di buon umore!
Dopo le due ore e mezza, ovvero alle tre, tutti misero gli strumenti nella custodia e salutarono allegramente.
Io mi trattenni, aspettando Beyond e il suo gruppo per salutarli.
Così mi misi a pulire dalla polvere la mia chitarra, fischiettando.
“Ce l’ha un nome, quella chitarra?” chiese qualcuno.
Mi voltai e vidi Aki in piedi davanti a me. Cioè, io ero un po’ più in alto, poiché seduta sul palco, ma dettagli. Era venuto a vedere le prove anche quel giorno.
“Aki? Cosa ci fai ancora qui?”
“Ti chiedo se la tua chitarra ha un nome!” rispose con un sorriso.
“In effetti si. Si chiama Hellion, per gli amici Helly” ammisi, scendendo dal palco e riponendo la chitarra nella sua custodia.
“E’ proprio bella, e la suoni molto bene” disse lui sempre sorridendo.
“Si fa quel che si può, ma grazie! Ma sul serio, se stai aspettando me va pure, io i fermerò un po’ qui ad aspettare…”
“Il gruppo di Beyond?”
“Esattamente.”
“Mi racconti come vi siete conosciuti?”
“Sicuro di non voler andare, Aki?”
“No, mi fermo un po’ anche io, dai”
“Oh beh, sei ben strano eh…”
“E orgoglioso di esserlo!” esclamò lui.
Appoggiai la chitarra al palco.
“Allora, mi racconti come vi siete conosciuti?”
“Perché me lo chiedi?”
“Così, per curiosità! Cavolo siete stati fortunati! Ma è stato tipo innamoramento al primo sguardo o tipo-”
“Non è stato un vero e proprio innamoramento. In principio, in realtà, ci odiavamo. Eravamo, e in parte lo siamo ancora, rivali in tutto. Scuola, musica, giornali… tutto! Poi un giorno il preside ci ha fatto lavorare insieme e le cose sono finite così. Cioè, visto che ci piacciamo, stiamo insieme… e ormai è una cosa seria, capisci?”
“Si vede subito” affermò lui.
“Cosa?”
“Che siete molto legati. Voglio dire che se vi si guarda non si può evitare di pensare: cavolo, dev’essere bello amare una persona… no?”
“Frena Aki, guarda che… ”
“Cosa?”
“Io.. la nostra relazione è seria, ma… senti, ma mi stai facendo da psicologo o cosa?” risi.
“Oh, scusa! Non volevo essere invadente, colpa mia! Sono sempre un rompi!”
“Ma no, dai, figurati! Senti Aki, adesso tocca a me domandare: come mai ti sei trasferito?”
Aki rimase in silenzio per un po’, abbassando lo sguardo.
“Beh, vedi… i miei genitori… ”
“Se non ti va, lasciamo stare”
“Scusa, ma.. non… sono ancora… cioè…”
“Ei tranquillo! Dai adesso va, che fra poco arriva Beyond e a quel che ho capito, fra di voi non scorre buon sangue, no?”
“Posso dirti una cosa?” chiese di rimando, guardandomi dritto negli occhi.
“Dimmi”
“Sei speciale e… grazie. Cioè, so che sembro solo uno stupido, ma… mi stai aiutando davvero tanto anche se non te ne rendi conto, forse… davvero”
“Sentimi tu, la devi finire di dirmi ste cose, perché fra un po’ giuro che ti lancio giu dalla finestra! mica mi devi ringraziare per niente!” esclamai.
“Beh, che sei speciale allora posso dirlo, no?”
Sbuffai. Stavo per rispondergli a tono, però improvvisamente mi accorsi che aveva gli occhi lucidi, un secondo prima che li abbassasse.
“Aki, dai, su con la vita!”
“Sai, sono convinto che Beyond sia molto fortunato. Se tu lo ami dev’essere una persona speciale almeno quanto te, eppure… ”
“Senti Aki. Capisco che un trasferimento così brusco e una storia familiare che forse non è serena non sono cose che aiutano, ma non devi ringraziare nessuno per niente e soprattutto devi tenere a mente due cose: la prima è che io sono una persona normalissima. La seconda è che io e Beyond non ci amiamo e la devi smettere di dirlo”
L’ultima parte mi uscì un po’ dura forse, perché dopo pochi secondi Aki rialzò gli occhi su di me stranito, dicendo: “Scusa, non pensavo ti desse fastidio… ”
“Scusa io, dai”
“Scusa anche per il mio stupido carattere” aggiunse, accennando un sorriso.
Finto sembrava.
“Non hai un carattere stupido, ma dovresti fidarti di meno delle persone”
“Io non mi fido di molte persone. Non l’ho mai trovato facile. Se ti riferisci a te stessa, non so perché mi comporto in modo così infantile. Ti faccio domande assurde e invadenti, sono pesante… davvero, non capisco io stesso perché. Però, non so come, sento che sei una persona…”
“Rifletti prima di parlare perché alla prossima cazzata di tiro un pugno!” dissi scherzando.
“Volevo solo dire che sei una persona a posto, ok?” si difese, ridendo anche lui ora.
Mi guardò negli occhi per un po’ e io distolsi lo sguardo, voltando la testa dritto davanti a me, verso il corridoio.
Aveva uno sgaurdo strano. non capivo mai cosa esprimesse fino in fondo, era come se non ce l’avesse un fondo.
Poi successe una cosa strana: Aki mi abbracciò, così, come spontaneamente. Non me l’aspettavo, e trasalii. Io abbracciavo sempre le persone, ridendo e scherzando, ma gli abbracci seri…
Mi ricordava tanto certi abbracci di Beyond, di quando era triste, o arrabbiato per qualche motivo.
“Non avevo mai avuto un’amica” sussurrò lui.
Stavo giusto pensando a come consolarlo e a come spiegare a Beyond cosa ci facesse ancora li, quando questi arrivò.
Aveva lasciato la classe, dove il gruppo stava consumando un pranzo a base di fette di prosciutto tirate di qua e di la addosso alle persone, per arrivare in sala prove qualche minuto prima e salutarmi con calma, ma quando, entrando, aveva visto Aki, si era subito incupito.
Gli dava fastidio che qualcuno oltre a lui mi abbracciasse, e ogni tanto lanciava qualche occhiataccia persino alle mie amiche, anche se poi si pentiva perché sapeva che era stupido e irrazionale.
Ma vedere Aki, che gli stava anche antipatico, lo fece davvero arrabbiare.
Così attraversò a grandi passi la stanza, mentre Aki si allontanava da me e lo salutava con la mano.
“Beyond…” lo chiamai, notando che se l’era presa.
Ma non mi ascoltò neanche. Si fermò davanti ad Aki e, dall’alto dei suoi cinque centimetri di altezza in più, lo fissò con un espressione di odio.
Generalmente era a questo punto che sollevava le persone  e le sbatteva contro il più vicino muro, questo ormai l’avevo imparato di lui. Era suo tipico.
Non quella volta però. Infatti si limitò a inclinare la testa e a incrociare le braccia.
“Beyond, lascialo stare” dissi, prendendolo per mano.
“Solo una cosa, Aki. è così che ti chiami no?”
Lui annuì.
“Tu non devi neanche toccarla la mia ragazza, è chiaro?”
“Piantala, ho il diritto di abbracciare chi mi pare e piace!” protestai.
“Ma non lui! Tu non lo conosci neanche!”
“Ma cosa cazzo ne sai?”
“Come fai a fidarti di lui? Non sai chi è veramente! Lo conosci da due settimane e questo già si appiccica!”
“Ei, aspetta… queste parole mi sono familiari…. Oh, giusto, me le ha dette Matt poco tempo fa, a proposito di te!”
“Era diverso…”
“Si, infatti era diverso, perché Matt lo diceva perché era preoccupato per me, tu solo perché sei arrabbiato! So che sei geloso, ma che cazzo, perché devi andare contro i miei amici? Io l’ho mai fatto? Perché non puoi semplicemente parlarmi, invece che trattare male gli altri?”
“Scusa, è solo che…”
“Lo so. Sei fatto così. Non dirlo a me…”
Mi guardava con un’espressione strana. Sembrava quasi ferito da quello che avevo detto. E in effetti ero stata un po’ stronza.
“Beyond – intervenne Aki – ti capisco perfettamente. Scusa, va bene?”
“In che senso mi capisci perfettamente?” gli chiese con odio lui.
“Beh… nel senso che.. se io avessi una ragazza come lei mi comporterei più o meno come te, penso… cioè, sei fortunato, no?”
Non l’avesse mai detto.
Beyond lo fissò, poi guardò me e poi di nuovo lui.
“A te lei piace” constatò infine, senza espressione.
Lui non disse nulla, restò impassibile.
“Dai, amore piantala di dire ste cose!” esclamai io.
Lui però non era affatto convinto.
“Non sono scemo, Aki”
“Beyond, non picchiarlo, ricordati che ne abbiamo parlato! Eddai, non può sempre andare a finire così, cazzo, controllati!”
Sebbene fremesse dalla voglia di dargli contro, strinse i pugni, chiuse gli occhi e finì per dargli solo una spinta, neanche forte.
Gli sarei saltata al collo e l’avrei ringraziato cento volte, se non che, quella stupida spinta, sbilanciò Aki proprio verso la mia chitarra e, senza che lui riuscisse a fermarsi prima, ecco che Hellion cadeva a terra con un sonoro tonfo e un rumore attutito di corde che vibravano.
“Cazzo…” sussurrò subito, rendendosene conto.
“Tu. Sei. Morto”
“Scusa, non l’ho fatto apposta, vedrai che-”
“Hellion…”
Andando contro ogni coerenza, finii per tirargli un calcio. In pieno stomaco, tra l’altro.
Che idiota.
Lui cadde all’indietro, non aspettandoselo, ma non reagì. Si rialzò, mi guardò stranito e non disse niente.
“Allora?”
“Allora cosa?”
“Perché non reagisci?”
“Perché mi hai appena detto che devo piantarla di picchiare la gente. E poi sei la mia ragazza e non ho alcuna intenzione di picchiarti”
“Ti ammazzerei quando fai così”
“Era un tono arrabbiato o non lo era?”
“Lo era” ringhiai.
“Sono io che non ti ascolto, o sei tu che non ascolti me?” mi chiese, serio.
“Vaffanculo, Beyond Birthday” risposi io senza alzare la voce.
Eravamo li a fissarci. Potevo vedere quanto lo avessero ferito le mie parole, e lo stesso poteva fare lui.
Ecco. Due persone che si fanno male a vicenda.
Appunto.
Era sempre tutto uguale. Allora avevo ragione io.  

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Il cancello è testimone di molti litigi; ***


Ei gentaglia! Come va?
Spero tutto bene! Beh, che dire, la scuola è ricominciata, i compiti già cominciano a rompere le scatole, le interrogazioni fioccano e così i famosi compiti da "ma è solo un test ragazzi! non abbiate timore, sarà facile!", e poi ti ritrovi un 2 sul libretto e alla fine del quadrimestre, ancehs e hai presto otto 10 avrai un voto di merda sulla pagella.
Già.
Che poi quest'anno, non so voi, ma nella mia scuola c'è sta novità del registro elettronico! Ma insomma, già i nostri amati genitori ci pressano abbastanza, senza contare che anche senza registro elettronico i prof avevano parecchio potere contrattuale, e ora cosa vogliamo fare? Incoraggiare i primi allo stalker e i secondi al sadismo dittatoriale?
Da voi c'è? Se si, avete la mia solidarietà più completa! *si batte la mano sul cuore*
Ok, ora la pianto! Buona lettura, spero gradirete il nuovo capitolo! :-*




Andai via, lasciandomi alle spalle lui, Aki e anche Hellion.
Non pensavo cose razionali mentre camminavo verso casa.
Quando arrivai a casa lanciai la giacca attraverso la stanza con forza, mandandola a schiantarsi contro la finestra.
Mia sorella venne fuori da camera sua per salutarmi.
“Ciao! Come va?” mi chiese allegramente, con un libro di chimica in mano.
“Come al solito. Tu come stai?” sbuffai, calciando gli anfibi contro la cassapanca.
“Tutto bene. Manu ci invita a una festa da lui dopodomani sera, che ne dici? Puoi portare chi vuoi, ma si fa nottata. E ci sono solo tre posti letto li, perciò se inviti più di due persone dovranno tornare da sole. Ti va?”
“Emmm… si… non so… ti faccio sapere poi, ok?”
“Va tutto bene? Ti vedo un po’-”
“Sono solo stanca, non ho niente”
Lei mi squadrò.
“Dai, dimmi!”
“No, senti davvero, sono molto stanca, voglio solo riposarmi un po’ oggi pomeriggio”
“Forza, siediti e racconta!”
“No!”
“SI!”
“NO!”
Ciò che mi salvò fu il citofono, che perforò i timpani di entrambe.
Lanciandole un’occhiataccia andai a rispondere.
“Chi cazzo è?”
“Che finezza…” commentò sussurrando mia sorella, per poi scomparire in camera sua.
“Aki e Hellion” rispose intanto una voce un po’ distorta.
Sbuffai sonoramente e uscii. Scesi i tre gradini e aprii il cancello.
Aki era li, con la mia chitarra in mano.
Me la passò silenziosamente e io la appoggiai dietro di me.
“Grazie eh. Potevi anche lasciarla li, Beyond me l’avrebbe riportata domani”
“Figurati. Credo che lui abbia ragione”
“Cosa?”
“A essere geloso. È normale, non te la prendere con lui”
Sbuffai di nuovo.
“Non è questo il punto, Aki. dai, ci vediamo domani, grazie ancora, ok?”
Feci per chiudere il cancello, ma lui mi fermò bloccandolo con una scarpa.
“Allora per cos’è? Guarda che l’ho notato come ti guarda” disse con una voce che non gli avevo mai sentito usare.
Gli era caduta la maschera da allegro sprovveduto, e aveva un tono sicuro, un po’ triste forse.
“Con gli occhi?” risposi sarcasticamente, senza riaprire il cancello.
Lui alzò il capo e mi fissò.
“Lui ti ama, vero?”
Aprii il cancello di scatto e lo guardai con un misto di rabbia, stanchezza, e altre cose che anche io non sapevo definire.
“Che cazzo ne sai tu? Mi vuoi lasciare in pace?!”
“Tu hai solo paura di affrontare la realtà, non è così?” fece per tutta risposta lui, senza un tono percepibile.
“Aki se non te ne vai non risponderò più delle mie azioni, ti avverto”
“Scommetto che ha anche tentato di parlartene qualche volta, vero? Ma tu lo rifiuti continuamente! Perché!?”
“Perché ti interessa?”
“Perché… perché tu mi interessi!” esclamò lui.
Incrociai le braccia.
Lui non distolse mai lo sguardo.
“Non sopporto che tu stia male a causa mia, o peggio, a causa sua. Non capisco, voglio capire. Tutto qua”
“Aki, non è un problema tuo. Tutto qua”
“Lo so, ma… perchè stai con lui? Ti prego, dimmi solo questo”
“Perché stiamo bene insieme. Ci piacciamo. Ti basta?”
Non rispose.
Sbuffai la terza volta.
“Senti Aki, se lui si è innamorato di me, beh, cosa dovrei farci io? Non sono una che… uff…. e poi come sai che invece non ti stai sbagliando?”
Non mi rispose.
Alla fine fece un respiro profondo.
“Forse dovrei andare. Ti sto infastidendo…”
“Dai piantala. Non mi infastidisci, solo che di certe cose non mi piace parlare, capisci?”
“Scusa allora”
“Tu ti scusi troppo. Non è colpa tua se io… ”
“Tu? Niente, sono io, davvero! Sono sempre invadente, lo so” sospirò rassegnato.
“Sei molto dolce invece, a preoccuparti per gli altri. E mi dispiace, ma non posso risponderti. Non perché non voglio, ma perché mi è difficile già rispondere a me stessa. Io non so se amo Beyond.
Quello che è certo che non lo desidero”
“Non vuoi avere una storia d’amore vero? Beh, sei la prima umana a formulare un pensiero simile!”scherzò lui.
“Non voglio amare nessuno. E basta. L’amore non è una cosa vera. È effimero, vola via subito. Non esiste per sempre. Ed è falso. Quindi non lo desidero per niente, ti è chiaro ora?”
“Perché pensi una cosa simile? Non credo che sia totalmente vero, quello che dici, non può esserlo”
“Forse è solo una stupidata della mia mente e non mi stupirei. Ma nella mia vita tutto mi ha detto questo e io ho ascoltato. Perciò… ”
“Le storie familiari tristi tolgono sempre qualcosa ai figli”
“Tolgono qualcosa a tutti. E poi non è tutto bianco o tutto nero. Non c’è o triste o felice. È sempre tutto un miscuglio, non trovi?”
“Si, è vero”
In quel momento Beyond, dopo aver lasciato le prove, inseguito dagli insulti del gruppo che si chiedeva come provare senza chitarra, era vicino a casa mia.
Non voleva origliare, ma non poteva mica andare li così, sbucare dal nulla. Con di nuovo quel ragazzo fra i piedi. Si era fermato a qualche passo e sentiva tutto.
Si sentiva una merda, ma non sapeva cosa fare.
“Ti dirò solo una cosa e poi non te ne parlerò mai più. Mi ricordo di una volta, anni fa… la più grande delle mie sorelle era ancora in casa. Ha cinque anni in più di me, ma se n’è andata presto via di casa, verso l’America. Quella volta mi ricordo che era sera tardi e noi tre avevamo già il pigiama. A un tratto i nostri genitori cominciarono a litigare sempre più forte, sempre di più. Quando mia madre uscì aveva le lacrime agli occhi e si chiuse subito in bagno. Mio padre era uno stronzo. Ogni tanto la picchiava, pensa. Comunque, ricordo che io le chiesi se fosse successo qualcosa, perché stesse piangendo, ma lei continuava a dire che non era accaduto proprio niente.
Quella sera, dopo che mia madre ci ebbe rimboccato le coperte, la mia sorella maggiore ci parlò a lungo. Disse che l’amore non esiste. E da allora la promessa fatta a me stessa è quella di non innamorarmi. Mai.
È sciocco, lo so. Non voglio annoiarti con una storia che sicuramente hai già sentito mille volte, ne voglio farti compatire la povera bambinetta idiota che ero e forse che sono ancora in parte. Perciò, la cosa migliore è che non pensi a quello che ho detto.”
“Mi dispiace…”
“No, non è importante”
“Però, ascolta la mia domanda. Non devi rispondermi per forza. Ci sono tante persone che non credono che esista veramente l’amore, ma per tutte arriva e tutte si ricredono.
Tu hai una relazione eppure…”
“Forse non sono quella giusta, no?” risposi sorridendo. Sorriso falso, ovviamente. Presi la chitarra. Ormai il discorso era concluso.
“Se non lo fosse lui?”
Non gli risposi. Mi limitai a chiudere il cancello e a risalire le scale, per entrare in casa.
 
Beyond, resosi conto che Aki si stava per voltare, aveva fatto un balzo dietro la macchina. Po se n’era anche pentito in realtà.
Perché doveva nascondersi da lui, poi?
Comunque, ormai il danno era fatto. Non poté che aspettare  una decina di minuti, per poi citofonare a sua volta.
Aveva sentito benissimo ciò che Aki aveva detto. E non aveva sentito nessuno protestare o opporsi.
Ci stava male, anche se non voleva ammetterlo a se stesso.
Citofonò.
“Chi cazzo è?!” rispose la sua amorevole fidanzata.
“Beyond”
Non ci fu altra risposta che un calcio alla porta di casa, da parte di lei.
E, dopo il calcio, la sua comparsa.
Scese le scale senza neanche guardarlo e aprì di nuovo il cancello.
“Ciao” lo salutò poi, guardandogli la spalla.
“Ciao…”
“Perché non sei alle prove?”
“Perché volevo parlarti, e-”
“Ti ammazzeranno, i tuoi amici” commentò per tutta risposta lei.
“Chissenefrega. Volevo parlarti, dicevo. Posso?”
“Ti ascolto” sussurrò lei, alzando lo sgaurdo.
“Beh, mi sembra inutile dire che mi spiace che in questo periodo litighiamo spesso. È che… non so, abbiamo passato un periodo bellissimo da quando ci siamo messi insieme ad ora e… mi chiedevo perché. Cos’è cambiato?”
“Abbiamo litigato solo un paio di volte, dopotutto…” commentò lei, posando una mano sul cancello, appoggiandovisi.
“Hai capito cosa intendo, dai”
“No, non ho capito. Che intendi?” domandò sincera lei.
“Ecco che… è come se… non so come spiegartelo… ma ho l’impressione che più tento di avvicinarmi a te, più tu ti allontani… e in questo periodo… ”
“Arriva al punto, Beyond”
“Il punto è che non ti capisco più come prima. Mi apro con te e mi fido di te, ma tu? So che sei discreta, e non ti chiederò mai di dirmi ogni cosa che ti capita o ti passa per la testa. Tutti hanno la propria vita, giustamente. Però ogni tanto mi sembra che ti diano fastidio certe cose che faccio”
“Se intendi picchiare la gente, beh, si, un po’ mi da fastidio” disse lei, accennando un sorriso.
“No intendo… quando cerco di parlarti seriamente e tu metti tutto sul ridere. Lo fai sempre e con tutti, con solo poche eccezioni. Perché?”
“Oggi tutti mi indagano, che cazzo succede?” mormorò, quasi fra se e se.
“Scusa, non rispondermi, se non vuoi”
“D’accordo. Non voglio”
Lui la fissò, senza parlare, stringendo le mani a pugno nelle tasche della giacca.
“Beyond, sai una cosa? da quando ti conosco la mia vita è un casino” sorrise lei, sempre con quella voce smorzata.
“Cosa vuoi dire?”
“Pensaci… sono successe un sacco di cose assurde… ho rischiato l’espulsione almeno un paio di volte… ”
“E allora? Non mi sembrava ti dispiacesse non avere una routine precisa. Mi avevi detto che adoravi che tutto fosse così imprevedibile, una volta, no?”
“Si, vabè” sbuffò “Lascia stare…”
“No, dai, continua” la pregò lui.
“Sai, non pensavo che una sola persona potesse portare a tante cose. Da quando ti conosco tutto è cambiato. Sembra che il mondo abbia deciso di muoversi da quel momento. Comunque, il punto è che… tu non sei mai una certezza. Sei imprevedibile e questo mi piace. Tutto di te è misterioso e anche questo mi affascina. Ma una parte di me…”
“Cosa stai dicendo?” interruppe Beyond con una voce che non usava spesso. Si avvicinò a lei di un paio di passi, gaurdandola.
“Niente… non lo so cosa sto dicendo Beyond. Cazzate probabilmente… ”
“Stai dicendo che non sono abbastanza affidabile per te, vero? Che ti spaventa quello che potrei avere davanti, in base a quello che ho alle spalle.”
Lei non rispose.
“Allora?”
“Allora no. Scusa, sto dicendo cavolate”
“Ma si può sapere cos’hai?”
Non rispose ancora una volta, ma lo guardò negli occhi.
“Hai paura?”
“Di cosa dovrei avere paura?”
Beyond si avvicinò ancora e le prese una mano.
“Tu hai paura che io ti dica delle cose che non vuoi sentire perché non sapresti come rispondermi, vero?”
“Senti, non ho voglia di parlare ora… possiamo rimandare?”
“Lo vedi? Se tento di parlartene-”
“Di cosa eh? Sempre tutti a parlare per dar aria alla bocca? Ma cosa cazzo ne sai del perché voglio stare da sola?” esclamò lei, senza però muoversi.
“Se tu fossi davvero arrabbiata con me te ne andresti, vero?”
“Sei strano oggi. E anche io”
“Si forse…”
“Allora non sei qui per parlare di quello che è successo prima?”
“Cos’è successo prima?”
“Io ti ho tirato un calcio e mi sono arrabbiata perché non hai reagito”
“Non ho reagito perché c’era Aki, ti basta? Se no, non credere, ti avrei steso a dovere” assicurò lui.
“Che c’entra lui?”
“Che mi da fastidio litigare con te mentre c’è qualcun altro. Sono fatti nostri dopotutto, no? Scusa, tra l’altro, se l’ho aggredito così… ”
“Però non l’hai picchiato”
“No”
“E non lo farai”
“Forse”
“Beyond!”
“Va bene, non lo farò!”
“Grazie”
“Comunque ero venuto qua per un motivo”
“E sarebbe?”
“Ho pensato molto-”
“Tu? Hai pensato?”
“Oh, ma si può fare un discorso serio?”
“Scuuuusa…”
“Allora, punto primo ora dimmi com’è che tre secondi prima litighiamo e, sempre, tre secondi dopo tu mi prendi in giro?”
“Sei buffo” fu la sua risposta.
Beyond alzò gli occhi al cielo
“E mi fai pure ridere…”
“Se no che gusto ci sarebbe?”
“Va bene, ho capito, penso un altro giorno, ok?”
“Magari si, sarebbe una buona idea. Sono parecchio stanca ora e non mi sembra il momento di discorsoni”
“Va bene… allora, me ne vado?”
“E che vuoi fare, scusa?”
“Tante cose!”
Rimasero in silenzio per un po’.
“Aki è uno stronzo, comunque”
“Oh, ma che ti ha fatto?”
“Ti va dietro. Non ha neanche negato! Era evidente!”
“Se, vabè… mettiti gli occhiali Beyond”
Lui bofonchiò qualcosa.
“Tu pensi mai a noi come coppia?” se ne venne fuori, poi, a un tratto.
“Ma.. boh… ”
“Io si”
“Stai ricominciando a fare discorsi seri, vero? Uff, ok, non riesci proprio a trattenerti, eh?”
“Ma è serio, no? Quello che c’è fra noi? Lo sai che io odio parlare troppo di queste cose, però… con te… è tutto diverso. Anche per me sono cambiate tante cose da quando ti ho incontrato e…”
“E?”
“E niente. Solo, spesso mi chiedo se resteremo insieme anche dopo il liceo…”
“Cosa ne possiamo sapere, scusa? Finchè stiamo bene e ci piacciamo… ”
“Per te è solo questo, vero? Stiamo bene insieme e ci piacciamo….”
“Perché, cos’altro è una relazione Beyond?”
“E’ molto di più!” esclamò lui appassionato, quasi. “E’ che io starei solo a guardarti per ore e ore e ore. È che quando parli ti ascolterei per anni. E’ che ogni momento che condividi con me è speciale, e unico. Odio dire cose che sembrano stupide, ma io penso che tu sia una delle persone più importanti che ho. Non dico che sei la più importante perché se no mi manderesti a quel paese”
“Beyond, ti prego, non dire queste cose!” protestò lei, ritraendosi.
“Perché? io le penso!”
“Non è vero!”
“Ei, sono pazzo, ma quello che penso lo so!”
“No, tu credi di pensare queste cose, ma in realtà sei solo un illuso! Tu…”
“Per te non è la forse la stessa cosa?”
Quanto, quanto lei avrebbe voluto rispondere affermativamente. Lo sapeva che era la risposta più sincera, ma invece, dopo una pausa esclamò un forte e chiaro “NO!”
“No?”
“No, Beyond, no, no e no! Cazzo, ma cosa vuoi da me?”
La ragazza salì le scale, ma sull’ultimo gradino lui la fermò.
Lei si girò di scatto.
“Stai piangendo?” le chiese lui con gentilezza.
“Che cazzo c’entra?” esclamò lei, senza molto senso.
“Senti, io non posso farci niente se sei importante per me-”
“PIANTALA! MA NON CI SENTI? Ti sto dicendo che per me NON E’ COSI’!”
“Lo so, cosa mi stai dicendo. Ma lo pensi davvero?”
Lei lo guardò negli occhi, ma non disse niente.
Poi si voltò e sbattè la porta di casa alle sue spalle.
Beyond rimase a fissare il vuoto. Si sedette sui gradini del giardino anteriore, con la testa fra le mani.


Si ok, lo ammetto, questo è un po' un capitolo di passaggio, ma prometto *mano sul cuore in segno di lealtà* che nel prossimo capitolo ci saranno TAAAAAAAANTE novità e che sarà TAAAAAAAAANTO lungo e che NON ci troviamo a Nonaccadràmailandia! :D
Si... emmmm....
Tornando a noi, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che me lo farete sapere! Ma anche se vi avesse fatto rimettere tutto ciò che avete mangiato negli ultimi due anni, mi auguro che me lo vorrete far sapere! <3 *perchè io vi àààmòòòò*
Addio, miei compagni di avventure già finite! *what?*
Alla prossima!

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Assenza ***


Ciao ragazzuoli,
come va la vita? * mi sento vecchia a usare queste espressioni -.-" *
Beh, finalmente ecco un nuovo capitolo che spero non vi farà lo stesso effetto di una barilata di prugne molto mature! :D
A dopo genteeee
Mina



Il giorno dopo decisi di non andare a scuola.
Non facevo assenze da un sacco di tempo e quel giorno proprio non ce la facevo a mettere insieme tutta la forza di volontà necessaria per alzarsi dal letto, complice il fatto che mi ero addormentata verso le quattro, causa insonnia.
Così mi rimisi a dormire e me ne fregai di tutto il resto.
Quando mi risvegliai avevo una chiamata persa di Beyond.
Doveva essere passato il primo intervallo, e infatti erano le dieci e mezzo, appresi sbirciando la sveglia.
Sbuffai, mi stiracchiai pigramente e lanciai le coperte ai piedi del letto con un gesto deciso.
Mezz’ora dopo, consumata un’abbondante colazione, mi dedicai totalmente al non fare niente.
Per prima cosa, portai il mio cane a fare una lunghissima passeggiata. O meglio, fu lunga la sua durata, poiché in realtà ci fermammo al parchetto li vicino. Lui giocava allegro con gli altri cani, che ormai conosceva da tempo immemore, chiuso nell’apposito recinto, mentre io leggevo un libro comodamente accoccolata su una panchina li davanti.
Al nostro ritorno, suonai per qualche ora, fino ad alzarmi, sgranchirmi le mani e le gambe e vestirmi.
Avevo deciso di andare a scuola per vedere i miei amici e rassicurarli sul fatto che non ero morta, quindi dovevo muovermi.
Portai con me Nacho che, quel giorno, si sentì come un re tanto stette fuori casa.
Andammo fino a scuola a piedi e arrivammo con un tempismo perfetto: non appena ci fermammo, la campanella ci perforò amorevolmente i timpani, annunciando la fine delle lezioni.
Mi appoggiai all’unico posto bici libero, a sinistra del portone, e sospirai rassegnata. Da li sembravamo davvero una scuola di matti: centinaia di studenti correvano fuori urlando e lanciando cose indefinite, qualcuno rideva istericamente, qualcuno rincorreva un amico, qualcuno era diventato una specie di brutta copia di un zombie a causa dello stress…
E i miei amici non erano affatto da meglio, anzi.
Vidi Jen scendere le scale seduta sul corrimano urlando con passione “SONO MARY POPPINS!” e vidi Anita lanciarle lo zaino centrandola in pieno e facendola cadere, strepitando : “HAI DIMENTICATO LA BORSA, DEFICIENTE!”
Poco prima che uscissero, loro mi accorsi di Beyond. Era fermo al centro del portone. Mi guardava in modo strano, a metà fra il triste e l’incerto. Poi abbassò lo sgaurdo e lo stesso feci io. quando lo rialzai, gli altri studenti l’avevano spintonato via. Non si era fermato, era andato via.
Prima che potessi tentare di raggiungerlo per dirgli Dio solo sa cosa, i miei amici mi videro e mi accerchiarono amichevolmente.
“Ei, dove sei scomparsa, finta malata?”
“E così ti balzi le interrogazioni di inglese eh? No, ma bene! Così si fa!”
Così, mentre Cleo salutava Nacho – Cleo adora i cani e Nacho adora Cleo – spiegai agli altri che ero davvero stanchissima quella mattina e così avevo deciso di rimanermene a casa.
Presto tutti se ne andarono, tranne Cleo.
“Allora, ti sei riposata un po’?” mi domandò facendo per accompagnarmi alla fermata dell’autobus.
“Si, ora sono di nuovo fresca come una rosa! Ma ei, non voglio farti perdere tempo, se devi andare-”
“No tranquilla, tanto ho detto a mia madre che arrivavo un po’ dopo a pranzo!”
“Perché? devi fare qualcosa?”
“Naaah, è che… Lucy e io dovevamo mangiare insieme, ma lei non ha potuto! Quindi ora ho tempo!”
“Avete legato, tu e lei?”
“Si, mi ispira tenerezza, è sempre così svampita! Però è intelligente.”
“Si, infatti..”
Non mi stavo impegnando veramente a sostenere la conversazione, in realtà.
Arrivammo alla fermata senza parlare molto.
“Senti, non ho potuto fare a meno di notare Beyond, prima…. Va tutto bene, fra di voi?” mi chiese lei.
“Uff… non so… abbiamo litigato…”
“Vabè, dai, voi litigate continuamente, sono certa che vi riappacificherete presto!”
“Non lo so, questa volta è una cosa seria… è che lui… mah, vabè, non voglio annoiarti… a te come va con Matt?”
“Tutto bene, ci divertiamo un sacco! Sai, sta diventando una cosa davvero seria… capisci cosa intendo? Mi sa che … beh, sai le due paroline famose?”
“ODDIO, TI HA DETTO CHE TI AMA???!!!”
“EIIII CAAALMA! Dico solo che fra poco magari anche si! È che stiamo così bene insieme, siamo sincronizzati, capisci? Ci leggiamo praticamente nel pensiero, siamo perfetti in coppia nei miei giochi della Wii, completiamo le frasi a vicenda-”
“E questo ti basta per… ipotizzare che… insomma voi vi amate?” domandai curiosa.
“No, ovviamente. Dai, lo sai anche tu, immagino che tu senta lo stesso, o sbaglio? Quella sensazione di… purezza. Non lo so, è inspiegabile a parole, quando sto con lui mi sento così… ”
“Innamorata?”
“Si… che te lo spiego a fare, quando lo provi lo sai e basta, no?”
“Suppongo di si… oh, sta arrivando l’autobus, devo andare! Grazie Cleo, ci vediamo domani!”
Tre secondi dopo l’autobus si allontanava. Erano solo le dodici e mezzo, e avevo ancora un paio d’ore prima di andare all’appuntamento alla panchina, ma non avevo voglia di andare avanti e indietro da casa a li. Così io e Nacho scendemmo dopo poche fermate, a un parco. Era un parco molto grande, maestoso e spesso gli studenti ci andavano dopo la lezione a chiacchierare e rilassarsi con gli amici o con il/la fidanzata/o a svagasi.
Io e Nacho camminammo per le stradine di terra battuta per un po’, fino a che non mi sedetti contro un albero e il mio cane non si accucciò li davanti a me, al sole, stiracchiandosi e godendosi la vita.
Mi ero rotta di essere triste. Così tirai fuori dei fogli dalla borsa e li stesi davanti a me, concentrandomi: dovevo assolutamente organizzare il nuovo numero del giornale, in uscita. Rileggere gli articoli, correggere le bozze, posizionare idealmente le cose (di solito poi non si riusciva mai a impaginare come si era pensato di fare)
Non sentivo più molto, quando mi mettevo a lavorare su quella roba.
Nacho mi guardava, sorridendo.


 
 
Beyond era seduto su una panchina vicina a scuola, in un viale alberato. Chiacchierava con Kendra.
Erano diventati molto amici.
Lei si era rimessa in pari praticamente subito, ma non avevano smesso di vedersi.
Parlavano di tutto, non avevano tabù. Beyond sentiva di aver trovato una persona simile a lui per certi versi, e si era molto affezionato. Sapeva che la sua amica aveva un passato doloroso e che non amava stare a casa da sola, così spesso si fermava con lei su quella panchina dietro scuola, a chiacchierare un po’ prima di tornare a casa.
Così si ripetevano le lezioni, discutevano e il loro legame era sempre più forte.
Lui ovviamente non poteva immaginare cosa c’era dentro Kendra: nulla.
Lei aveva notato benissimo lo sguardo che Beyond aveva lanciato alla sua ragazza e Aki era stato abbastanza acuto da capire che lui aveva origliato tutto il suo dialogo con la suddetta e l’aveva riferito.  Non ci voleva molto a intuire che probabilmente avevano litigato.
Così, dopo una decina di minuti di conversazione, a rompere un silenzio, Kendra chiese:
“Come va con la tua lei?”
“Sei una diretta, eh?” bofonchiò Beyond.
“Si fa quel che si può!” esclamò lei sorridendo.
“Beh, in realtà non va molto bene… abbiamo litigato… sul serio intendo. Ma ora ripetiamo un po’ filosofia!”
“Ei, dai, mi spiace! Ma è una cosa seria del tipo che vi lasciate o seria del tipo che domani di sbaciucchiate in uno sgabuzzino?”
“… seria seria. Però una volta l’ho quasi baciata, in una specie di sgabuzzino. Non stavamo ancora insieme, in realtà…”
“E lei?”
“Mi ha detto di non fare il cretino…” ricordò lui sorridendo.
“Oh, dolce la ragazza!”
“Lei ha qualche problema a mostrare i suoi sentimenti senza metterli sul ridere sai… ha paura di sembrare debole, penso. E non lo è, non fraintendermi, è una tosta. Però ogni tanto mi piacerebbe che… ”
“Non dire altro, ho capito tutto. Tu vuoi portare la relazione a un livello più alto e lei no, vero?”
“Voi ragazze siete delle specie di legimens, vero? Infiltrate per spiarci!”
“Si, con l’esatto compito di farvi impazzire a ogni costo!” assicurò Kendra alzando un pugno al cielo.
“Non so perché, me l’aspettavo…”
“Allora, ho ragione o no?”
“Si, hai ragione… perché ti interessa tanto?”
“Beh… voglio vederti felice…” disse lei.
Calò un po’ di silenzio.
“Perché non le parli?”
“Tento, ma non vuole! l’altro giorno, quando abbiamo litigato, ho provato ad affrontare l’argomento, ma lei mi ha sbattuto la porta in faccia dicendomi che per lei non è lo stesso. Non so se lo pensa davvero o si sta difendendo”
“Mh… brutta storia… ”
Calò di nuovo il silenzio. Kendra lo fissava negli occhi, ma Beyond aveva lo sguardo sul selciato ai suoi piedi.
“Sai Beyond, secondo me lei è fortunata ad avere un ragazzo che si prende così cura di lei. molti a quest’ora l’avrebbero mandata a quel paese!”
“Ma dai!”
“Dico sul serio, i ragazzi sono tendenzialmente… stronzi. E io lo so bene… Sai, i primi anni del liceo io… ero molto confusa… avevo una storia familiare instabile, mio padre mi… picchiava… e i ragazzi spesso abusavano di me, perché sapevano che ero troppo debole per oppormi. Tu non lo faresti mai, vero?”
“Kendra, mi dispiace tantissimo. Davvero, io…”
Beyond era sinceramente colpito e dispiaciuto e ora anche lui la fissava. Non si aspettava una confidenza così repentina, e invece…
“Sai, io mi fido di te” dichiarò lei, prendendogli le mani.
“Grazie” rispose lui, un po’ stupito.
Lei lo guardava, con quello sgaurdo così strano.
Lui non lo capiva fino in fondo. Era come se un fondo non ce l’avesse.
Esprimeva troppe cose in una volta sola. Era un lago trasparente, eppure saturo di qualcosa di ineffabile.
Erano così, fermi immobili a guardarsi, quando il telefono di Beyond squillò.
Li si distolse da Kendra e rispose.
“Chi è?”
“Sono Matt, Beyond, come stai?”
“Come lo hai, il mio numero?”
“Beh, chissenefrega. – rispose sbrigativo lui – Senti, mi hanno detto che la mia amica oggi non è andata a scuola e – ma guarda che coincidenza – ieri avete litigato. O tu sistemi le cose, o ti ammazzo”
“Ma cosa…? Matt, non pensi che forse questi non sono affari tuoi?”
“Parlale. Mi stai antipatico, ma la conosco. Se è stata a casa vuol dire che-”
“Era stanca magari?”
“No, scemo, vuol dire che-”
“Senti, fatti gli affari tuoi e lasciami in pace, chiaro?”
“Fallo. Guarda che lei è la mia migliore amica, e non esiterò ad affrontarti se non-”
Beyond alzò gli occhi al cielo e chiuse la comunicazione.
Kendra rideva.
“Dai, ti lascio solo, immagino che chiamerai la tua lei, ora!”
“Non vedo proprio cosa c’è da ridere nelle telefonate minatorie di un pazzo!”
“pffffffttt”
“Ciao Kendra”
“Allora la vedrai?”
“Spero di si”
“E quando?”
“La mia idea era fra mezz’ora davanti a scuola, impicciona”
“Ei, acidini oggi?”
Beyond rise.
“Dai, ci vediamo domani, salutami la tua bella!”
“A domani!”
Il ragazzo scosse la testa. Lo prendevano troppo in giro, ultimamente.
Kendra si allontanò, sorridendo per motivi che erano lungi dalle prese in giro. Il loro piano stava riuscendo abbastanza bene. Tirò fuori il cellulare e mandò un messaggio.
Erano già le due, quando partì a tutto volume la suoneria del mio telefono, facendo prendere un mezzo infarto a tutti coloro nei paraggi.
Alzai gli occhi al cielo e risposi.
“Ci cavolo è?” domandai sbrigativa, tentando di caprici qualcosa nei miei stessi schemi, mentre Nacho dormiva.
“Ei, sono io. Sempre dolce, tu eh”
Era la voce di Beyond.
“Mhmm” fu la mia risposta.
“E chiara, soprattutto…”
“Cosa vuoi?” chiesi mettendo giu i fogli.
“Oggi che avevi?”
“Ero stanca. Senti, mi sono rotta di questa storia”
“Che storia?”
“Litighiamo su una cosa seria e poi fai finta di niente. E mi sono rotta di litigare, ok?”
“Quindi che vuoi fare..?”
“Vediamoci davanti scuola, ti va?” proposi.
“Si, d’accordo, fra mezz’ora li” rispose con voce funerea.
Chiusa la comunicazione. Era chiaro cosa si aspettava: che io lo scaricassi.
E io cosa mi aspettavo? Cos’è che volevo dirgli?
La risposta più sincera è che non ne avevo idea. Cleo mi aveva fatto riflettere: lei viveva la sua storia con serenità, come una storia va vissuta. Perché io non potevo fare lo stesso? Si, io e le mie sorelle eravamo state parecchio traumatizzate dalla situazione familiare che avevamo avuto, e la maggiore di noi ci aveva forse inculcato un po’ troppo il concetto, amore = male supremo, illusione, no e no e no.
Però…
Io volevo sapere. Se era davvero come diceva Cleo, se era come diceva Beyond.
Volevo sapere se esisteva, quella cosa che chiamano amore, che si sa quando c’è, ma non si capisce cos’è.
Volevo sapere se ero in grado di provare una cosa così.
E poi volevo affrontare i miei problemi, non essere quella che si fa sopraffare e rimane indietro a essere triste.
Io non volevo essere così, e non lo ero.
Così, sebbene non avessi idea di cosa avrei fatto, infilai i fogli nella borsa, fischiai a Nacho e, con il suo guinzaglio che mi penzolava al collo come uno stetoscopio, mi avviai canticchiando fra me e me una canzone a proposito del coniglietto Tippete che Anita aveva impresso irrimediabilmente nella memoria di tutto il gruppo. Era uno di quei motivetti che non escono più dalla testa, avete presente?
Resami conto di ciò, mi sparai la musica nelle orecchie via cuffia e mi immersi nel mio mondo musicale.
Ed eccomi li, davanti a scuola. Ed ecco li…
Cosa? Che cavolo ci faceva Aki li?
“Aki???”
“Eiiii! Ti sei balzata il ripasso, oggi eh?”
“Oh cazzo, ma è giovedì?” esclamai, dandomi una manata sulla fronte.
“Può essere che si!” ridacchiò lui.
“OMMIODDIO SCUUUUUSAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!”
“Ma no tranquilla, sono andato un po’ avanti da solo!”
“No, davvero, mi spiace tantissimo! Non succederà più, è che oggi ero tutta fuori e anche ieri e anche-”
“Ei! Stai calma, non è un problema! Immaginavo che non saresti venuta: oggi sei rimasta anche a casa da scuola, no? Eri stanca, immaginavo che saresti tornata a casa!”
“Okey… grazie…” risposi, dandomi una calmata.
“A proposito, che ci fai qui?”
“Emmm… devo vedere Beyond, tutto qua” borbottai.
“Ho capito, vado!” sorrise lui.
“Senti, dai, domani rimedio! Sai cosa faccio? I biscotti! Così mi perdonerai!” dichiarai propositiva.
“E di cosa?”
“Beh, mi balzo il ripasso, ti mando via… ”
“Ma dai! Però i biscotti falli, che sono buoni!”
“D’accordo, ne cucinerò per tutti!” sospirai rassegnata.
“Ciao, a domani!”
“Ciao!” risposi.
Non si mosse.
“Aki?”
Lui strinse le labbra e il suo piercing scintillò per un attimo.
Mi fissava di nuovo con quello sguardo senza una fine distinguibile.
Alzò una mano verso di me e me la posò sulla spalla.
“Aki che fai?”
Abbassò lo sguardo.
“Scusa… vado” bofonchiò poi, ritraendo la mano e allontanandosi di fretta.
“Allora ciao!” gli urlai dietro un po’ interdetta.
Scossi la testa e mi sedetti sui gradini d’entrata, ben sapendo che erano probabilmente molto sporchi.


Rieccomi qui a rompervi i cosiddetti :D :D  *perchè io vi lovvo*
Allora, se avete voglia di dirmi che ne pensate di questo capitolo, ne sarei strafelice - perchè metto stra davanti a TUTTI gli aggettivi ultimamente?! - anche perchè non mi convince molto. 
Il prossimo capitolo sarà di grandi scoperte, penso. Oppure no, dipende. Ma dovrebbe! 
Beh, di sicuro delle novità ci saranno, prometto!
Se siete curiosi di sapere se farà cagare come sempre o se MAGARI FORSE MOLTO FORSE sarà qualcosa di meglio... beh, che vi devo dire, abbiate pazienza! *ah, la suspense*
Addio allora, spero di leggere i vostri commenti e le vostre opinioni! *SMAKKIISSIMI molto molto truzzi, si lo so*

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Le parole sono idee, le idee sono libertà; ***


Ciao gente! Scrivo in fretta che una mia amica mi sta per linciare!
Spero questo capitolo vi piaccia e vi avverto che è abbastanza denso!
Le cose stanno per cambiare parecchio, vedremo un'altra ultima svolta nella vita dei ragazzi e poi... 


Scossi la testa e mi sedetti sui gradini d’entrata, ben sapendo che erano probabilmente molto sporchi.
Non dovetti aspettare che una trentina di secondi per vedere Beyond comparire dietro l’angolo.
Si avvicinò e si sedette di fianco a me, sullo stesso gradino.
“Ciao, come va?” chiese poi, guardandomi.
“Tutto a posto… tu?” risposi fissando con convinzione il marciapiede.
“Io sto di merda. Però non importa, passerà”
“Perché stai di merda?” domandai.
“Perché ho paura. Non sono abituato ad avere questo tipo di paura. Voglio dire, c’è la paura psicologica e la paura fisica e di solito provo la seconda. Qualche volta. Anche se generalmente sono più io che tiro pugni alle persone, e non è che me ne vanti. Tornando a noi, non sono abituato a questa sensazione. È quando sei immobilizzato e sai che a un certo punto arriverà del dolore. Non sai quando, non sai come… terrificante. Una specie di tortura…”
“Colpa mia?”
“Non direi colpa…”
“Io si..” sbuffai.
“Beh, comunque ho pensato che se proprio mi devi scaricare vale la pena dirti prima quello che penso. E quello che penso è che tu hai paura, e mi stai lasciando per questo. Hai paura di impegnarti in una relazione seria con me. Anche se sai che lo è sempre stata, abbiamo sempre fatto sul serio. Io capisco che ci siano persone che non vogliono essere vulnerabili, però bisogna affrontare i propri problemi, se no questi ci freneranno sempre, togliendoci cose che dovremmo avere. E questo me l’hai insegnato anche tu. Se non la smetti di tenere a distanza tutti, fingendo che la tua normalità sia fatta solo di allegria e scherzi, anche i tuoi amici prima o poi si dimenticheranno che sei di più, che hai di più. Io lo so che non ti piacciono le cose serie, i discorsi impegnativi, però sono necessari così come il resto. E rendono la tua realtà più sicura, più vera. Hai meno dubbi quando dici le cose come stanno. Hai meno paura di essere abbandonato quando sai che l’altro tiene a te quanto tu tieni a lui.”
Calò il silenzio.
“Senti, so che non vuoi che io te lo dica, ma quello che provo per te è più di una cotta”
“Beyond, io so già tutto quello che mi stai dicendo. So che è il mio difetto, quello di non voler ammettere che ci sono cose serie. Ma questo non c’entra. È diverso. Non è che non voglio parlarne perché voglio fare la forte o cazzate del genere. È che se lo dici, poi tutto cambierà e io non voglio. Stiamo bene così e sappiamo già quello che si è creato fra di noi. Perché cambiare le cose? Perché vuoi farmi affrontare una cosa che non sono pronta ad affrontare e che comunque c’è lo stesso?” ribattei, alzandomi.
“Perché non sempre i cambiamenti sono in peggio! Perché sarebbe diverso, sarebbe meglio! Perché è inutile giraci attorno ed è stupido fare finta di niente. Perché non io non voglio che diventiamo una di quelle coppie che non hanno il coraggio di assumersi le responsabilità di se, che non fanno nessun passo avanti. Non dico che così non stiamo bene, ma rimanere così sapendo che oltre c’è molto meglio… non è razionale. Non è… non riesco a stare a un livello a cui non siamo, e infatti ora abbiamo un sacco di problemi. Se tu accettassi semplicemente la cosa, staremmo ancora meglio. Quello che c’è fra una coppia si evolve e cambia, non è statico. Credo che tu lo sappia benissimo. Voglio dire, se lo so io…” rispose, alzandosi anche lui.
“Lo so, infatti… ” ammisi, appoggiandomi al muro della scuola.
“Allora?”
“Allora cosa?”
“Cosa vuoi fare?”
Sbuffai.
“Vuoi mollarmi?” domandò ancora, abbassando lo sguardo.
“No. Ma se tu non fossi quello giusto? Se non lo fossi io? Se qualcuno di noi tradisse l’altro?”
“Anche se mi sembrano cose improbabili, ti assicuro che in quel caso faremmo ciò che tutte le coppie fanno: ci lasceremmo. Ma non ha molto senso farlo ora, in quanto non sappiamo ancora cosa può succedere…”
“Io ho fatto una promessa una volta. Ero molto piccola. Era una promessa stupida, nessuno l’ha mai mantenuta. E non dire le cose non cambierà il fatto che probabilmente l’ho già infranta.”
“Che promessa era?” mi chiese guardandomi negli occhi.
“Di non amare nessuno per tutta la mia vita” dissi, fissando un punto imprecisato oltre il suo volto.
“Ed è per quella promessa che hai paura?”
“Per tutto quello che significa per me. Lo so che è stupido, solo che… ci sono cose che non riesco a… superare completamente. Non mi è mai piaciuto essere debole. Ognuno dei lutti che ho vissuto non mi ha visto versare una lacrima. Non vuol dire che non fossi triste, ma in qualche modo io dovevo sempre essere… forte. Ferma. Coerente”
“E lo sei, infatti”
“No, non lo sono per niente. Non affronto le cose, faccio e dico un sacco di cazzate… ”
“Sei troppo dura con te stessa, sai?”
“Si, certo…”
“Non mi hai ancora detto cosa vuoi fare…”
“Perché non ne ho idea, ok?”
“Capisco…” sospirò lui. “Senti, io alle tre devo incontrare quel tipo della Wammy – chissà che cazzo vuole – e fra poco saranno le tre. Quindi, beh, pensaci. E fammi sapere…”
“Beyond…”
“Si?”
Non sapevo cosa dirgli, ma non volevo che andasse via così. Lo abbracciai, immergendomi nel suo odore, fresco e dolce.
Lui appoggiò la fronte alla mia e mi guardò sorridendo.
“Ti devi tagliare i capelli” lo informai.
“Lo so, mamma” rispose lui.
“Perché pensi di non essere un illuso?”
“Oh, no, li devo tagliare davvero, te lo assicuro”
“Dai, per una volta che sono seria!” risi
“So di non sbagliarmi quando ti guardo, anche se è una cosa veramente melensa”
“Ma dai, mica siamo nella nona stagione di Beautiful!”
“La tua serietà è già andata a puttane?” rise lui.
“Anche se fosse, una cosa del genere non  me la berrò maai!”
“Guardami” ordinò.
Lo guardai. Ci sono sguardi e sguardi. Puoi guardare una persona negli occhi  senza vederli veramente, oppure puoi… come dire… entrarci.
E, complice il fatto che erano tanto neri da non distinguerne la pupilla, guardandolo mi sembrava di vedere i suoi occhi aprirsi, mostrandomi tutti i suoi pensieri.
Mi sembrava di vedere tutto, le sue insicurezze, le sue certezze. Come un fondersi della sua anima al mio sguardo.
E mi fissava con tanta intensità che anche i miei occhi furono per lui come porte aperte.
“Capisci?”
“Si…”
“Allora, anche tu mi-”
“Non lo dire. Guarda che ti tiro un calcio con gli anfibi, fa parecchio male! Chiedilo a chiunque”
Lui rimase in silenzio per un po’.
“Vieni?” mi chiese poi.
“Dove?”
Ma non avevo fatto in tempo a chiederglielo che mi aveva preso per mano e mi aveva trascinato dentro la scuola di corsa. Lo seguii, facendo un veloce cenno alle bidelle nel gabbiotto dell’atrio, tanto per tranquillizzarle. Ci conoscevano, non ci dissero niente.
“Ma dove vai?”
Forse un po’ lo immaginavo.
Ma lui era così imprevedibile che mi era difficile non domandargli nulla.
Non mi rispose, comunque, limitandosi a portarmi su per le scale.
Gli correvo al fianco, senza sapere perché non camminavamo. Forse per non parlare.
Per non costringerci, per non trovarci costretti, a dire cose che non sapevamo.
I nostri passi rimbombarono nel corridoio deserto del terzo piano, così come il nostro silenzio.
Lui accelerò e spinse con forza la maniglia anti panico che portava al tetto.
Non mi lasciò la mano, e cominciò a camminare verso il baratro che ci avrebbe mostrato il cortile soleggiato della scuola.
I palazzi si stendevano in modo eterogeneo davanti ai nostri occhi, il sole a illuminarli alto nel cielo, infiniti quasi.
Ricordai quella volta, in cima alla fabbrica abbandonata. Il sole scintillava allo stesso modo, ma quegli stessi palazzi, allora, erano così lontani.
L’aria ci sferzava il volto, ma lui sembrava non badarvi, mentre osservava quanto aveva davanti, impassibile.
E cos’era quello che avevamo davanti? Case, vite, persone, sensazioni.
Cose non dette, emozioni, porte sbattute.
E il cielo terso che si chiudeva in foschia appena sopra i tetti più lontani.
C’erano stormi di uccelli che danzavano follemente in quel cielo, e sembrava che non stessero alle leggi stesse della fisica e della natura.
Sembravano pura immaginazione, così come il sole sopra di noi e il terreno sotto i nostri piedi.
Era u’altra dimensione.
La dimensione dell’altezza. E ci rendevamo conto che eravamo piccoli, ci rendevamo conto che esistevamo e che eravamo li.
Eravamo li insieme, mano nella mano, senza incertezze.
E sentivamo i cani abbaiare da una casa all’altra, e le urla delle persone, e gli stridii delle rondini, e i fruscii intimi della brezza.
E sentivamo l’uno il respiro dell’altro, perché quei rumori erano annullati dai pensieri, dalle mani strette, da noi.
E delle nostre parole non dette, che in quel momento ci si sollevarono dalla mente e vennero trascinate violentemente via.
E c’era quell’aria così fresca e così insistente che ci rinfrescava il viso  e si infilava sotto i vestiti, giocando con i nostri corpi come se fossimo burattini.
Giocavano e ci scoprivano.
La pelle si rinnovava sotto le carezze veloci di quella brezza, e rinasceva migliore.
Le labbra sorridevano e gli occhi rimanevano aperti per far entrare tutto ciò che ne aveva voglia.
La vita ci stava li davanti, e volendo anche la morte, giusto a un passo da noi, la nel vuoto.
Dondolare impercettibilmente sul bilico del tetto ci ricordò la nostra fragilità e le nostre mani si strinsero contemporaneamente l’una nell’altra.
Ci girammo a guardarci negli occhi.
Lui mi prese anche l’altra mano.
Incontravo le sue iridi così come si erano incontrate le nostre labbra tempo prima, ed era come un bacio.
Lo sentivo dentro di me.
Ed era così vicino che potevo avere la certezza che sentiva le cose così come le sentivo anch’io.
Lo sapevo, che aveva ancora paura, come me. Ma non sorrise come le altre volte, come se si sforzasse di ricordare perché stava con me e, ricordatolo, la cosa lo intenerisse.
Non aveva che la sua espressione.
Non era che lui, nessun altro.
Nessuna maschera, nessuna finzione.
Il vento frustò una volta di più le nostre sagome, stagliate in un cielo che era enorme.
“Io ti amo”
Lo disse così.
Con una semplicità disarmante. E non sarebbe potuto essere diversamente.
E non avevo più paura.
“Anche io ti amo”
E lo scoprivo dicendolo.
Fu così bello, così semplice, che non me ne stupii neanche.
Così accadde che ci stringemmo e ci baciammo senza più sentire i capelli che volavano con noi e intorno a noi.
Ci abbracciavamo, come conoscendoci solo allora.
Era fantastico.
Quando volemmo, ci prendemmo un momento di più per guardarci negli occhi.
Passammo li un quarto d’ora che fu uno dei migliori di sempre, semplicemente ad abituarci all’idea.
Ci amavamo.
Io l’amavo, lui mi amava.
E poi, come rinati, scendemmo.
Mano nella mano, come segretamente felici.
Guardò l’orologio.
“Dovremmo muoverci ad andare, o arriveremmo in ritardo!”
“Che ore sono?”
“Abbiamo appena cinque minuti”
Corremmo per tutto il tragitto che avevamo da compiere per arrivare a quella benedetta panchina, e lui non mi chiese neanche una volta di non venire.
Improvvisamente tutto quello che poteva succedere non ci faceva più paura.
Arrivammo, senza fiato, con la milza dolorante.
Ci fiondammo sulla panchina, facendo fatica a respirare, sbuffando e guardando l’orologio.
Sorriso di soddisfazione: eravamo in anticipo di ben un minuto e trenta secondi.
In quel momento, dal vicolo, vedemmo sbucare quel ragazzo.
Magro da fare impressione, ora che lo osservavamo meglio.
Camminava verso di noi con lo sguardo blu elettrico fermo e deciso.
I capelli scintillavano, con quelle strane sfumature bluastre, irreali.
Si fermò davanti a noi, ancora seduti.
Strinse le labbra sul piercing scintillante, al centro del labbro inferiore.
“Allora, state ancora insieme?”
Ci parve una domanda strana da parte di uno sconosciuto, specie se fatta con quella specie di assenza di tono.
“Certo” rispose brusco Beyond.
“Beh, è ancora presto…”
“Cosa vuoi dire?”
Lui ci guardò come se dovessimo capire qualcosa senza che lui lo dicesse.
“Senti – disse Beyond con una certa freddezza – se ci devi dire qualcosa, fallo. Se devi farci perdere tempo vedi di andartene e anche in tempo breve”
Il ragazzo davanti a noi sospirò.
“Non volevo essere scortese, scusate. Solo che… ”
“Che?” incalzai.
Lui sbuffò al mio indirizzo, poi si rivolse a Beyond.
“Lei non dovrebbe… sapere…”
“Stai tranquillo, garantisco io”
“Non è questione di garantire, se la scoprono la uccidono. Comunque, se vuoi correre questo rischio, basta dirlo”
“E’ una cosa così grossa? C’entra Roger?”
“Roger c’entra sempre”
Cominciavo a non capire.
“Tu dillo e basta, mi assumo io tutte le responsabilità”
Lui distolse lo sguardo, fissando il cielo.
“Ci sono delle persone in quell’istituto, che desiderano uscirne”
“Penso che tutti lo desiderino. Tutto qua?”
“Lasciami finire e non fare il saccente, per favore”
Era strano quel ragazzo. Non aveva un tono di voce, non aveva qualcosa che lo definisse, non si capiva nulla di lui.
E il suo modo di fare, pur irritando Beyond non poco, era così neutralmente freddo che ci si chiedeva perché aveva voluto parlarci.
“Ci sono delle persone disposte a tutto, e Roger lo sa bene. Ci sono persone che… come dire… lui usa come strumenti, facendo leva sui loro desideri. Tu sai che Roger ti odia, vero? Certo, lo sai. Ti odia perché metti in discussione la sua autorità continuamente. Ti odia. Non mi dilungherò sul perché, sui perché. Il suo desiderio è di renderti innocuo, di farti male. Il desiderio di quelle persone che usa come strumenti è la libertà.”
Il ragazzo fece una pausa.
“Te le ha mandate contro”
Altra pausa.
Io e Beyond trasalimmo. Ci si strinsero le mani.
“Kendra?”esclamai.
“Akira?” accusò.
Lui annuì.
“CAZZO!” mi scappò.
“Io lo ammazzo” fu il commento di Beyond, e a giudicare dall’espressione aveva tutte le intenzioni di farlo.
“Loro… cosa dovrebbero fare precisamente?” chiesi.
“Separarvi. Roger ha capito dopo la morte di Arianna – Beyond sussultò come colpito a tradimento – tu ti sei indebolito tantissimo, non ci voleva un genio a capirlo. Tu non gli rompevi più e ha voluto replicare. L’anoressia ti stava uccidendo. Saresti morto d’inedia senza di lei. Roger la odia ancora più di te. ”
Beyond strinse i pungni.
“Lo sapevo che non dovevo neanche avvicinarmi a te…”
“CAZZO BEYOND! Tira fuori le palle, questa è la tua vita, non è una colpa viverla! Piuttosto, tu- mi alzai e affrontai apertamente il tipo – chi sei e perché ci dici queste cose?”
“Io sono un orfano della Wammy’s. tutto qua. Vi dico queste cose perché Beyond è l’unico in quel posto che sia capace di tenere tutti uniti e protetti da Roger. È l’unico che sappia riconoscere quendo qualcuno ha bisogno di aiuto. È come un leader. Serve all’orfanotrofio. E poi quei due sono degli stronzi. E Roger lo è peggio ancora”
“Mh, allora ce le hai delle emozioni umane!” esclamai sollevata, sorridendogli.
“Teoricamente” rispose.
“Come sei venuto a sapere di tutto questo?” chiese Beyond.
“Li ho sentiti parlare. Disgustoso. Sono vuoti dentro, fanno schifo. Sanno recitare meglio di chiunque, per questo sono utili a Roger”
Guardai Beyond. Lui guardò me.
“Andiamo a distruggerli” disse lui, per tutti e due.
Il tipo sorrise e gli occhi mandarono bagliori blu elettrico da tutte le parti.

Sarebbe successo qualcosa di grosso di li a poco. Qualcosa che avrebbe dato una svolta vera e decisa alle nostre vite, svoltandole come dei cucchiaini troppo fragili che si deformano dotto le mani di un bambino.

Matt e Cleo erano seduti sul letto di lei.
“Amore, mi spieghi meglio dov’è che vivi? Sai, non me ne hai mai parlato…” chiese lei dolcemente, accarezzando i capelli rossi di lui.
“Non so se è il caso…”
“Dai, voglio sapere dove passi il giorno. Mi hai detto che è un orfanotrofio molto brutto, nulla di più…”
“Beh, è un posto dove non ti augurerei mai di capitare. Vedi, i ragazzi sono trattati molto male, traumatizzati fin da piccoli. Come se la perdita dei genitori non traumatizzasse già abbastanza”sussurrò lui.
“Mi dispiace che ti siano successe quelle cose…”
“Non ti preoccupare, sono successe molto tempo fa. Sono solo ricordi. È che li dentro… quel posto ti cambia”
“Hai mai pensato di scappare?”
“Non sai quante volte. Ma è difficile, direi quasi impossibile. Io e Mello avremmo fatto non so quanti piani, tutti senza futuro ovviamente”
“Davvero è così terribile?”
“Si. Sembra una barzelletta a dirlo. Tutti abbiamo paura di quel posto. Le persone che ci sono dentro, il direttore per esempio… sono peggio del peggior cattivo dei film”
Lui le parlò a lungo di quel posto, dicendole anche quanto fosse pericoloso che lei sapesse.
Ma lei si prese le sue responsabilità e non se ne pentì mai.
Gli continuava ad accarezzare i capelli, come per rassicurarlo, mentre lui parlava, una mano intrecciata con quella della fidanzata.
“Quindi se tu avessi la possibilità di fuggire… ?”
“Non mi guarderei indietro”
“E se capitasse davvero? Sai, io lo spero. Comprendo che non posso fare molto per aiutarti, ma spero davvero che un giorno tu fugga. Ma in quel caso… una parte di me, vedendoti andare via per sempre, morirebbe. Diciamo anche una grande parte”
“Non ti abbandonerei mai”
“Ti odierei se non lo facessi davanti alla possibilità di fuggire da quell’inferno, Matt”
E se capitasse davvero?

Allora, che ne dite?
Aspetto con ansia i vostri responsi, ammoori miei!

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Ritrovo; ***


Eilà, cari amici miei, giovani e vecchi e anche - ma solo perchè è carnevale (?) - le signore di mezz'età finte bionde con un po' di ricrescita che mettono solo calze di carne!
Si, tentavo di distrarvi con nonsense. Oppure no. Oppure i pinguini hanno il sangue arancione. 
Da cosa volevo distrarvi? Mah. Chissà.
Potrebbero essere molte cose.... 
Ok, lo ammetto, mi vergogno del fatto che il mio ultimo aggiornamento risale a.... PUFF, un sacco di tempo. 
Vi chiedo davvero scusa, anche se mi rendo conto che succede molto spesso ultimamente, e mi dispiaccio della mia intollerabile incostanza. Io per prima smetterei, a un certo punto, di seguire una storia che va avanti così lentamente, davvero.
Ma se continuare a seguirmi nonostante i ritardi e lunghi momenti di silenzio  - momenti nei quali ogni volta che accendo il computer c'è la cartella dei miei documenti world che mi lancia sguardi di rimprovero e disperazione che mi bruciano dentro, sigh sob - sappiate che siete la LuCE dEi miEi oCChi, THE BEST FOREVAH ecc ecc.
No, scherzi a parte, vi ringrazio seriamente di tutto cuore per le tante possibilità.
Ma la verità è che il tempo incalza sempre, e sempre di più. La verità è che a volte devi sceglierti delle priorità e spesso non puoi, anche se magari lo vuoi, dedicare tempo a EFP, per mille motivi. La scuola, le attività extrascolastiche, la chitarra, gli amici, e qui, e là, e la stanchezza. Immagino che ognuno di noi sappia bene che ci sono miriadi di ragioni per cui, a volte, mettersi alle dieci e mezzo a scrivere, con la testa altrove,  il corpo che ti urla di andare a letto e il Rocci che ti guarda con sadismo e cattiveria, non è consigliabile. Anche perchè in certe condizioni, se scrivi, il documento world si incendia da solo perchè ciò che scrivi ricorda troppo, davvero troppo, gli escrementi del tuo adorato cagnolino, che mangia come un bue, è piccolo e tenero, e poi al parco espelle montagne da record mondiale, anzi, universale.
Non mi soffermerò oltre nelle mie noiose scuse, e vi lascerò subito alla lettura di questo nuovo capitolo, ma prima fatemi dire che, se anche non ve lo prometto, vi assicuro che tenterò sempre di rispettare scadenze un minimo decenti per questa storia, e per EFP in generale.
Spero mi perdonerete, alla fine. Di nuovo.... :(

Mina





Io e Beyond ci guardammo con determinazione.
“Cosa proponi di fare?” gli domandai.
“Li picchiamo a sangue fino a che non sputano l’intestino crasso?”
“Cosa proponi di fare realisticamente?”
Momento di silenzio.
Sbuffo.
“Non lo so” esalò, lasciandosi cadere sulla panchina e guardando il cielo.
Scossi la testa.
“Dovremmo andarci a parlare secondo te?” chiese Beyond, sbuffando di nuovo.
“No, non credo che sia la cosa più giusta. Finiremmo per incazzarci, litigare e ucciderci a vicenda. O sbaglio?”
“Infatti hai ragione…”
“Beh, potete usare la cosa a vostro vantaggio”  mormorò il tipo, infilandosi le mani in tasca.
“Cosa intendi, scusa?” chiesi, guardandolo fisso.
Non mi rispose subito, troppo impegnato a tirare fuori dalle tasche un accendino rosso e un pacchetto di sigarette.
Se ne accese una e rimise in tasca il resto, con gesti lenti.
“Allora?”
Il ragazzo espirò fumo alla propria sinistra, per poi stringersi nelle spalle.
“Dico solo che, se non fate sapere a quei due che li avete smascherati e li tenete sulle spine… – fece un tiro dalla sigaretta, fermandosi – presto o tardi il nostro amato direttore si stuferà di sprecarli per Beyond e… - altro tiro – ve li toglierà lui stesso dalle palle, per usarli da qualche altra parte. La cosa migliore sarebbe che non ottengano ciò che vogliono, né loro né il direttore, tantomeno.”
Beyond sbuffò per la terza volta.
“Averli fra i piedi sapendo cosa stanno tentando di fare sarà difficile. Ma forse è l’idea migliore.”
“Pensi che ci vorrà molto perché il vostro direttore ce li tolga dalle palle?”
“No, non ci vorrà molto” rispose il tipo, benché la mia domanda fosse rivolta a Beyond.
“E tu che ne sai?”
“Lo so e basta. Quello che mi preoccupa è che… potrebbe comunque non arrendersi all’idea di separarvi. Penso che abbia numerosi e più facili modi per farlo, ma utilizzare Aki e Kendra lo diverte, per questo non li ha subito messi in atto. Tolti loro due sarete scoperti però. Potrebbe spostare Beyond in un’atra sede, per esempio, o fare qualsiasi altra cosa.”
Io e lui ci guardammo intensamente.
“Ma cazzo, non c’è un fottuto modo per farlo smettere!?” sbottò Beyond, alzandosi.
“Stai calmo” lo riprese freddamente il tipo.
Vidi il mio ragazzo in uno di quei rari momenti in cui avrebbe fatto a meno anche delle mani pur di legalizzare l’omicidio e fare fuori qualcuno coi denti. Si trattenne alla vista di due uomini che attraversavano lentamente la via.
“Mi chiedo solo – disse poi con un tono così distaccato da concorrere a quello del tipo – che senso abbia cercare una soluzione se tanto, qualsiasi cosa io faccia, le conseguenze sono sempre le stesse. Se mi vuole morto prima o poi riuscirà ad avermi morto, l’hai detto anche tu.”
“Non è il caso di disperare. Se lui decidesse di usare altri mezzi, conseguentemente, non ricompenserebbe Aki e Kendra. Loro non la prenderebbero affatto bene e ci sono buone probabilità che in quel caso il direttore non sia più un problema. Ma bisogna tenersi pronti. ”
“Cosa… intendi?”
“E’ solo un’ipotesi. Ma di solito indovino quando ne faccio una. Devi stare attento Beyond. Non farti beccare, qualsiasi cosa tu decida di fare. Il mio consiglio è l’attesa, le cose spesso si risolvono dopo poco, se si ha la pazienza di attendere in modo intelligente. Ora devo andare”
“Grazie per le informazioni, comunque” disse Beyond, alzatosi.
“Figurati B, è stato un piacere”
“Ma come fai a sapere tante cose?”
L’altro sorrise, facendo scintillare il piercing e abbassò lo sguardo elettrico. Dopo pochi secondi si era già allontanato.
“Ei… stai bene?”
Il mio ragazzo si lasciò cadere sulla panchina, sbuffando sonoramente.
Quando mi guardò non sembrava stare affatto bene. Che domanda idiota.
“Mi dispiace averti tirata dentro questa… cosa”
“Non hai alcuna colpa, perciò non dartene di immaginarie, ok?”
“Infatti è colpa tua” asserì.
“Cosa?”
“Se tu non fossi come sei… ma grazie al cielo lo sei.” Sorrise.
“Dove siamo, alla sagra delle carie ai denti?”
Rimanemmo su quella panchina per ore, abbracciati sotto il cielo freddo. Parlammo molto a lungo di quella situazione, di cosa dovessimo fare, di cosa avessimo pensato, di quali progetti avevamo per il futuro.
Decidemmo di seguire il consiglio di quel tipo, resistendo ai due e tenendoci pronti a eventuali sviluppi.
Mi raccontò molto, gli raccontai molto.
Perché nonostante tutto, anche se eravamo spaventati, disgustati e non sapevamo per qual motivo dovesse capitare tutto a noi, quella felicità che prima ci aveva avvolti non era scomparsa e nel momento di sconforto, l’avevamo ritrovata senza sforzo, oasi in cui rifugiarci almeno per un po’, per quanto possibile.
Si fece buio intorno a noi, ma continuammo a ignorare l’orologio e le chiamate perse. Stavamo bene insieme, così. Anche se ci fosse stato silenzio fra noi, non ci saremmo alzati da quella panchina per nulla al mondo.
Per una volta non pensammo che a quei momenti. Sentivamo una terribile paura. Paura di cosa, non lo saprei dire. Forse, temevamo una separazione forzata, forse temevamo solo che quel tempo passasse troppo in fretta.
Eppure sembrava che si fosse fermato.


Lucia e Mello erano rimasti a scuola insieme, decisi a studiare per la verifica di chimica del giorno successivo. Erano andati a mangiare una pizza all’angolo, chiacchierando fittamente come al solito, e poi erano risaliti in classe.
Era incredibile quanto si trovassero bene insieme, quei due.
Due che, tra l’altro, erano tutto fuorché simili, a prima vista.
Lui scontroso, freddo, difficile, lei dolce, aperta, logorroica a volte.
Eppure insieme era come se si equilibrassero. Mello parlava, lei lo lasciava parlare.
Lucy lo ascoltava attentamente, così come lui si trovava ad ascoltare attentamente lei. E nonostante il tempo che passavano insieme, avevano sempre cose da dirsi, argomenti da discutere.
Non che fossero d’accordo su tutto, certo, ma rispettavano le opinioni dell’altro. Discutevano animatamente, ridevano, si svagavano…
Uscivano insieme più di quanto non sembrasse a prima vista, si scrivevano.
Certo, Mello era sempre Mello. Non che la respingesse, a dire il vero.
Solo che a volte prendeva le distanze. Gettava la pietra e nascondeva la mano.
Era come se tentasse di convincersi che non era così attaccato a lei quanto i fatti provavano.
Lucy gli lasciava i suoi spazi, ma avvertiva la sua freddezza, in quei brevi silenzi, in alcune risposte concise.
Si ripeterono chimica a vicenda per tutto il pomeriggio, mettendo insieme gli appunti di entrambi per una maggiore completezza.
Il sole si scaldò e poi si affievolì al ritmo delle loro parole e delle loro annotazioni, sbiadendo il colore degli evidenziatori. Il banco al quale erano seduti l’uno davanti all’altro conobbe gli sbuffi e le risate dei due, nei momenti di leggerezza.
Nell’aula risuonò alcune volte lo schiocco del cioccolato che Mello assumeva quasi fosse cocaina sotto gli occhi di Lucy, che ancora si chiedeva come diavolo facesse a mantenersi magro nonostante tutto.
E infine, verso le sei, pochi minuti prima che passasse la bidella a controllare che non ci fosse nessuno prima di chiudere la scuola e andarsene a casa, si alzarono, si infilarono giacca e zaino e, lentamente, uscirono.
Percorsero fianco a fianco un tratto di strada, stupendosi di quanto già si fosse fatto buio, e ad un incrocio si fermarono a chiacchierare ancora un po’.
Se ne rimasero li, parlando del più e del meno, senza saper racimolare la volontà necessaria a separarsi.
Mello era pensieroso, ma ascoltava con attenzione le parole dell’amica, appoggiato al muro.
Con metà del cervello l’ascoltava, in effetti, ma con l’altra metà era al ricordo di una discussione con Matt. Gli aveva parlato, alcune volte, di Lucy, e il parere del rosso era stato chiaro sin dall’inizio.
“Amico mio, hai una cotta” aveva dichiarato, incrociando le braccia, dopo aver ascoltato le sue parole.
Il biondo l’aveva guardato malissimo, tirandogli subito dopo un cuscino e dandogli del coglione.
“Ma si può sapere che cazzo hai nella testa al posto del cervello? Altri capelli?”
“Eddai, guarda che non mi prendi in giro! Cioè, per un po’ ho anche avuto il dubbio che tu fossi gay, ma poi sono giunto alla conclusione che mi ero sbagliato! Ed infatti hai una cotta”
“Cosa?! Matt, che cazzo stai dicendo?”
“Beh, dai, i requisiti per essere gay li avevi tutti eh!”
A Matt era arrivato un altro cuscino in faccia.
In quel momento Mello, appoggiato a quel muro nell’aria fredda della sera, ripensando a quelle parole e sovrapponendole a quelle di Lucy, non sapeva che pensare.
Non gli era mai piaciuto avvicinarsi troppo alle persone, era sempre stato abbastanza ostico se non per Matt, col quale era cresciuto. Eppure quella ragazza gli faceva venire voglia di… essere un po’ diverso nella sua relazione col mondo.
I suoi lineamenti, i suoi occhi… gli si erano impressi nella mente e non aveva bisogno di guardarla per sapere che espressioni aveva.
Come lei capiva sempre i suoi umori solo guardandolo in viso distrattamente, così lui conosceva i suoi pensieri prima che venissero espressi.
Si smascheravano a vicenda continuamente, due persone che amavano mostrare facce costruite al mondo e che avevano solo bisogno di qualcuno che le distruggesse ogni tanto.
“Tutto a posto Mel?”
Era l’unica oltre Matt a poterlo chiamare così senza farlo incazzare.
“Certo…” rispose lui, tirando fuori un’altra tavoletta di cioccolato dalla tasca della giacca e scartandola lentamente.
“Ti dicevo, fra poco ci sarà un loro live e ci terrei ad andarci. Voglio dire, dovresti venire anche tu stavolta perché un conto è sentirli alle prove, quando fanno i cretini, un altro è ascoltarli dal vero. Penso che dovresti esserci.”
Il cioccolato schioccò sotto i denti di Mello.
“Ne vuoi un po’?”
Lucy lo guardò stupita: non l’aveva mai visto offrire il suo cioccolato a nessuno, al massimo regalare qualche tavoletta di cioccolato bianco, che lui non amava. E già quello…
Lui staccò tre quadratini della tavoletta, porgendoglieli.
Seguì con uno strano sguardo i movimenti dell’amica e proprio quando aveva il cioccolato fra i denti la fermò con un gesto della mano, come insoddisfatto.
Lucy arrossì, senza capire.
Mello si chinò su di lei senza pensarci, seguendo un istinto che non sapeva da dove venisse, e morse quel cioccolato spezzandolo in due.
Ne sentì il sapore dolce e amaro in bocca, quel sapore che tanto adorava, e vide il suo stesso colore negli occhi spalancati della mora davanti a lui.
Quando si riappoggiò al muro non sapeva che dire, notando l’imbarazzo causato.
“Scusa…” disse allora, tentando di accennare un sorriso scherzoso.
Lucy si rabbuiò, abbassando lo sguardo per un secondo.
“E’ uno scherzo?”
“Dai, Lu… non te la prendere, non volevo-”
“Non è affatto divertente” lo interruppe lei gelidamente.
“Senti, dai… non facevo mica sul serio… io… Lucy?”
“Tieniti i tuoi scherzi e fai pace col cervello, Mello”
Dopo un attimo di silenzio, la ragazza guardò l’orologio.
“Io.. devo andare. Ho da fare” senza una parola di più, si allontanò velocemente dal biondo, il quale rimase stupito a fissare il punto dov’era sparita.
“Coglione” sussurrò infine, tirandosi uno schiaffo.
 
“Amore, sono in iper-ritardo! Ma come abbiamo fatto a non vedere l’ora?” esclamò Matt, balzando giu dal letto con un’espressione alquanto comica.
“Dai, stai tranquillo, ce la facciamo!” replicò Cleo, con un sorriso, tirandosi a sedere.
“Ce la faccio, vorrai dire!”
“Ti accompagno per un pezzo”
“Non era una richiesta vero?”
“No, infatti!” puntualizzò lei.
“Allora muoviti, dobbiamo correre!” rispose rassegnato il ragazzo, sapendo che se anche avesse cominciato a discutere, sarebbe stata una battaglia persa in partenza.
Pochi minuti dopo, dunque,  i due correvano in strada, scansando per un pelo ora una vecchietta, ora un signore in pausa sigaretta, e tirandosi dietro tutte le loro maledizioni insieme alle giacche che ancora si stavano infilando.
Si fermarono solo all’angolo di quella sperduta stradicciola che nell’angolo più estremo ospitava la panchina divenuta nel tempo punto di ritrovo dei ragazzi della Wammy’s.
Senza fiato, Matt rise alla vista delle gote arrossate della sua ragazza.
“Tempo!” richiese lei appoggiandosi al muro con due mani.
“Sette minuti!” informò il rosso guardando il telefono.
La mora alzò un pugno in segno di vittoria, senza ancora il fiato sufficiente a dire alcunché.
“E abbiamo altri sette minuti per noi, volendo, ma nei rimanenti sei dovrò correre via solo soletto.” continuò.
Cleo si rialzò con la faccia di una sopravvissuta di guerra e lo abbracciò ridendo.
Si strinsero sostenendosi a vicenda, ancora stanchi della folle corsa appena fatta insieme.
“Che farei senza di te?”
“Ti compreresti un pupazzo che dice – ti voglio bene- ogni volta che lo strizzi!”
“Ma che idea sarebbe? Lo romperei dopo due minuti e non smetterebbe più di parlare. A quel punto l’unica soluzione sarebbe di lanciarlo giù da una finestra e sperare che l’altezza sia sufficiente! E se non lo fosse dovrei scendere e-”
“Hai finito?”
“Si”
Cleo gli fece una linguaccia.
“Sono già passati due minuti!”
“Mamma mia, sempre a mettere ansia alla gente tu! Rilaaaassati!”
“Ma voglio stare con te…”
“Perché con chi sei?”
“Beh, metti che sei un clone mandato da un terribile-”
“Matt, no.”
“Si, ma se-”
“No”
“Ma-”
Cleo, stanca, lo zittì con un bacio.
“Tu tronchi la mia immaginazione!” sussurrò lui, anche se non ne sembrava affatto dispiaciuto.
“Chiamala col suo vero nome: follia pura!”
“Tsk!”
Rimasero a guardarsi e prendersi in giro per i rimanenti minuti di tempo che avevano, per poi, molto lentamente, salutarsi.
Cleo era già di molti passi lontana, quando Matt, che ancora le parlava, supplicandola di restare, si lasciò sfuggire qualcosa.
“DAI AMORE! Rimani qui!”
“TI HO GIA’ DETTO CHE NON VOGLIO METTERTI NEI CASINI!” fece lei indietreggiando sempre più.
“CIAO ALLORA! CI VEDIAMO DOMANI!”
“CIAO AMORE!”
“TI AM… ops… ”
Cleo si bloccò di colpo, arrossì, diventò viola, impallidì, e infine fuggì silenziosamente.
Il volto del rosso rifletté pedissequamente quello della ragazza, mentre la sua mente cominciava a vorticare, insultando il mondo e sé stesso.
Infine in ragazzo, mormorandosi contro parole che non riporterò, voltò l’angolo.
Si avvicinò alla fine della strada con le mani in tasca e lo sguardo saldamente ancorato al terreno, finché lanciò un’occhiata alla panchina alla quale era abituato e la vide occupata da due volti familiari.
“Beyond?”
 
Mello camminò nel buio serale con passi svelti e un’espressione capace di fulminare senza neanche che dovesse alzare lo sguardo tutti gli sfortunati passanti che incrociavano la sua strada.
Passò velocemente accanto alla pizzeria, illuminato dalle insegne e dalle stelle offuscate sopra di lui.
“Ma che cazzo, fino a due ore fa c’era un sole.. ”
Una voce saccente parlò nella sua mente: “Si chiama notte, genio del male! Sai, avviene quando la terra, girando su sé stessa..”
“Ora anche le voci! Sto messo bene…”
“Beh, pensa ai passanti che vedono un tipo strano parlare da solo, con la stessa espressione di un pazzo omicida pentito!”
Mello pensò che stava decisamente impazzendo.
“Ma che idiozia! Non sei impazzito! Guarda che è  normalissimo avere una coscienza!”
Il biondo tirò un violento calcio a una lattina.
“E’ inutile che mi ignori, tanto so tutto quello che pensi e anche di più! Volevo solo metterti una attimo di chiarezza in più sulla questione che stai vivendo. Lo so che non ti interessa. Lo so. Ma te la dirò lo stesso: è molto chiaro che a te questa ragazza piace e quella di prima non era una casualità era un indizio preciso! Non vedo perché tutta questa indecisione comunque!”
“Cristo santo... ”
“Puoi semplicemente rispondermi nella tua mente al posto di terrorizzare le persone, sai?”
Dimmi che almeno questo me lo sto immaginando, ti prego!
“Così, bravo! Pensale le cose! Almeno tutto sembra più normale!”
Mello svoltò in una viuzza laterale.
“Allora, che hai intenzione di fare con lei?”
Ma che…?
“Intendo, sembrava abbastanza arrabbiata! Dovresti parlarle e spiegarle che non era solo uno scherzo. Per me capirebbe…”
Dico, non mi drogo, non ho bevuto, non ho fumato! Che fosse il scaduto il cioccolato?
“Te l’ho già detto che sono la tua coscienza, scemo!”
Mello si limitò a massaggiarsi le tempie, sospirando rassegnato.
Sarò bipolare… cazzo…
Certo, e io sono Mago Merlino! Cioè, non che non sarebbe divertente esserlo, ammettiamolo, trasformarsi ogni due per tre in qualcosa di diverso, volare, partire per Tibuctù quando si vuole…
Ma perché non la finisce?
Guarda che io sono frutto della tua malata mente!
Molto malata per concepire una cosa così… Lo sapevo che studiare rimbambisce quando si è stanchi…
La vuoi finire di sviare l’argomento per il quale sono qui?
Se ne parliamo poi la pianti di rompere il cazzo, qualunque cancro del cervello o strana altra cosa tu sia?
Ei, mi potrei anche offendere eh!
Stiamo messi bene…
Comunque si, se ne parliamo potrei anche lasciarti stare…
Allora che cazzo vuoi?
Te l’ho già detto! Devi accettare il fatto che di piace Lucy e tentare di risolvere la cosa! è da un po’ che hai capito che stravede per te. E te ne esci prendendola per il culo così? Certo che tu con le donne proprio…
Senti, non credo siano affari tuoi, ma comunque a me non piace Lucy. Punto. Poi che interesse ha la cosa per te, non so…
Caro, è inutile che dici di no, io ti conosco se permetti, so cosa pensi da quando sei nato e vuoi che non mi accorga che hai una cotta?
Ma figurati!
E perché prima l’hai quasi baciata?”
Ma che?! Ma non è vero! È solo la mia fottuta dipendenza dal cioccolato. Era li e ne avevo voglia. È tutto qui.
Certo… e dovevi avvicinarti così? Dovevi proprio guardarla così? Cazzo, non me la berrei neanche sotto l’effetto di stupefacenti pesanti, figuriamoci ora!”
Sarà stato un momento di follia passeggera. Cazzo ne so.

“Accettalooo” cantilenò la voce.
Anche se fosse? Tanto ormai si è incazzata, percui…
“Le cose si possono risolvere facilmente. Lo sai perfettamente, se tu andassi da lei e le dicessi che facevi sul serio eccome, ti perdonerebbe subito. Altroché, ti salterebbe addosso e via!”
Ma non ho alcuna intenzione di farlo.
“Beh, ne abbiamo parlato, devo ammetterlo. Spero solo che tu ci pensi ancora, perché non troverai tante ragazze che ti capiscano come lei. Adieu!”
Mello scosse la testa, chiudendo per qualche secondo gli occhi e cercando di convincersi che probabilmente era tutta colpa della stanchezza.
Così riflettendo, le mani in tasca e lo sguardo perso, si trovò presto a svoltare nella viuzza secondaria che ben conosceva. Non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per schivare il palo davanti a lui e poté così svoltare in un vicolo, con la ferma intenzione di accamparsi sulla panchina per il tempo di un po’ di cioccolato, riflettere, e poi tornare alla Wammy’s.
Alzò lo sguardo, sapendo bene che quel programma, in quanto l’avrebbe portato ad arrivare con un certo ritardo, gli sarebbe costato quantomeno una lavata di capo.
“Cosa ci fate voi qui?”
 



Ebbene sì, sono ancora io, qui a rompervi fino alla morte!
Non preoccupatevi, nulla di lungo in realtà!
Volevo chiedervi se vi è piaciuto il capitolo e una vostra opinione in merito, se vi va :)
E soprattutto, AUGURI A TUTTI!
Buone feste, buon Natale, buon Capodanno e buona Befana! 
Divertitevi, riposatevi e mettetevi la crema solare!
Love you all

Mina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Scoperte ***


Ciao gentee!
Ci si rivede! Come sono andate le vacanze? Spero bene, e con questo capitolo vi auguro un buon rientro a scuola, se vi andate!
Non so con quanta frequenza riuscirò ad aggiornare a gennaio/febbrai, perchè ho davvero molti impegni impegnativerrimi e non posso lasciarli indietro ora, ma tenterò di scrivere il più possibile! Giuro!
Ora scappo che come al solito sto facendo tutto oggi e sono in alto mare! Ma ce la farò. WE CAN.
O anche no. 
Comunque, davvero, buon tutto! 

Mina 


Beyond alzò lo sguardo di scatto, individuando nell’imprecisa ombra che si stagliava nella fioca luce serale.
“Matt! Che ci fai qui?” saltai su io, riconoscendo subito il mio amico.
Il rosso mi guardava a occhi sgranati, come cercando di capire qualcosa. Si frugò nelle tasche, ma prima di tirare fuori alcunché si fermò e fissò Beyond con degli occhi che neanche uno psicopatico avrebbe potuto tirare fuori così spontaneamente.
“Tu l’hai portata qui?! Ma c’è l’hai un cazzo di cervello? Dei fottuti neuroni?”
Beyond abbassò lo sguardo senza neanche tentare di difendersi, come se condividesse perfettamente ciò che pensava Matt.
“Come cazzo puoi anche solo pensare di volerle bene portandola qui? Che cazzo credi, che sia un posto per coppiette felici? Porca puttana, Beyond!”
“Matt, finiscila subito!” reagii io improvvisamente, riscuotendomi dallo stupore di vedere il mio ragazzo, che alla minima provocazione era sempre pronto a tirare fuori i frutti del suo allenamento nelle arti marziali, lasciarsi rimproverare così da uno come Matt, che peraltro aveva avuto l’abitudine di bulleggiare non troppo tempo prima.
Lui non mi rispose neanche, limitandosi a tirare infine le mani fuori dalle tasche, strette intorno all’accendino e al pacchetto di sigarette.
“Mi hai sentito o no? Non parlare mai più così al mio ragazzo, Matt!” gli ringhiai contro.
Il suddetto ragazzo, intanto, notando crescere il livello della mia voce, mi prese una mano per tranquillizzarmi.
Gli occhi di Matt si accese la sigaretta, silenziosamente.
“Cosa sa?” chiese poi, con una voce dura che non usava mai.
“So quello che voglio sapere. Non provare a opporti alle mie decisioni senza neanche sapere quali sono, chiaro?”
Quando tornò a guardarci notai ancora come non soffermasse mai, accuratamente, su di me. I suoi occhi erano solo su Beyond, che però si rifiutava di raccogliere  quel messaggio duro e profondamente freddo.
Mi alzai.
“Mi hai sentito?”
Lui lanciò nell’aria una nuvola di fumo che avvolse i suoi lineamenti.
“Se le hai detto qualcosa, se le succede qualcosa, giuro che ti-”
“MI VUOI RISPONDERE?”
Vedendomi reagire così male, Beyond si alzò di scatto, ma non fece in tempo a richiamarmi che stavo scrollando Matt per il colletto della giacca, costringendolo a guardarmi e facendogli cadere la sigaretta a terra.
Le sue iridi verdi erano state prese di sorpresa, e non avevano scelta. Ci vidi quello che cercavo, infatti.
Durezza, paura, rabbia. Disprezzo.
“Credi che io non sia in grado di prendermi le mie responsabilità?”
Il rosso si divincolò dalla mia presa, sistemandosi la giacca e rimanendo sulla difensiva.
Tu non sai neanche di cosa stai parlando.”
“Cosa ne sai?”
Tu non ci vivi. Tu non sai com’è.
Beyond mi mise una mano sulla spalla.
“Lascialo stare, non sa quello che dice” mi disse senza convinzione.
“E tu? Tu lo sai quello che dici? Quello che fai? Cos’è pensi di poter vivere felice solo perché c’è lei? Pensi che ti eviterà di essere scoperto, la tua illusione del cazzo? Pensi che lo eviterà a lei? Svegliati!”
“Matt, stai calmo adesso. Era necessario che sapesse alcune cose, ok?”
“Tu non dovevi neanche toccarla, dovevi lasciarla in pace! Ma no, il ragazzino viziato vuole tutto quello che gli piace, deve averlo. Deve per forza rovinarlo, vero?”
Beyond prese un respiro profondo.
Un silenzio teso ci legò per un attimo. Sapevo che a spezzarlo sarebbe stato Beyond, sapevo che le ultime cose che Matt aveva detto l’avevano quasi riscosso dalla forzata apatia alla quale si era costretto fino ad allora, convinto di meritarsi quei rimproveri.
Ma nel momento in cui l’apice del nervosismo stava per essere raggiunto, una voce diversa giunse a riportarci alla realtà.
“Cosa ci fate voi qui?”
Ci voltammo tutti, all’improvviso, sussultando.
Mello, tirando fuori una tavoletta di cioccolato fondente, ci fissava stranito.
“Tu qui?” mi chiese, sempre più stupito.
Lanciò un’occhiata a Matt e una a Beyond. Morse la cioccolata.
“Siamo già in ritardo, ragazzi, dovremmo muoverci. Ciao Alma, ci vediamo domani. Allora, andiamo?” aggiunse poi, senza fare altre domande, con quel suo tono annoiato.
“Ma ti rendi conto o no che lei sa tutto?” sbottò Matt, spiazzato dall’indifferenza dell’amico.
“Perché, tu a Cleo l’hai forse taciuto?” chiese a bruciapelo con una punta di fastidio.
“Di certo non l’ho portata qui, come questo idiota.”
“Non sei diverso da lui. Ora finiscila di fare il coglione e vieni con me. Te l’ho già detto che siamo in ritardo”
Matt abbassò lo sguardo rabbiosamente.
“Stammi lontano” si decise a dire all’indirizzo di Beyond, per poi allontanarsi a passi veloci.
Mello alzò gli occhi al cielo.
“Scusatelo, è sempre un po’… ” disse poi, lasciando la frase in sospeso.
“Ma perché deve fare così?” sbuffai, malinconica.
“E’ fatto così, lui ha… uno strano modo di preoccuparsi degli altri, ogni tanto. Quando si è preoccupato per me ha finito per tirarmi un pugno, figurati…” rispose il biondo, mordendo un altro quadrato di cioccolata.
Sembrava perso nei suoi pensieri in quel momento, come appena giunto da un altro pianeta. Sbuffò e lanciò un’occhiata a Beyond.
“Andiamo?”
“Vai avanti tu, ti raggiungo subito”
Lui non fece altre domande, avviandosi subito per una strada a sinistra da li, scostandosi i capelli dal viso con un gesto veloce.
“Allora.. ciao…”
“Senti Beyond, non devi sentirti in colpa per niente di ciò che hai fatto. Non è stata solo una tua decisione, sarei venuta anche se tu me lo avessi vietato, perciò davvero, non ti preoccupare. Va bene?”
“Si, certo… è che se ci rifletti, Matt ha ragione. Io non avrei dovuto avvicinarmi a te, così ora tu avresti la tua vita, tranquilla e-”
“Noiosa” lo interruppi.
“Cosa?”
“Dopo averti conosciuto, qualsiasi vita sarebbe noiosa, dai! Voglio dire, guarda quanto abbiamo fatto in così poco tempo! Senza di te non sarei che al punto di prima. E mi annoierei a morte, sapendo che esisti.”
Sorrise, abbracciandomi.
Non passò molto che anche lui lasciò quel luogo, avviandosi all’istituto con passo svogliato, pesante dei numerosi fatti accaduti quel giorno.
Nel momento in cui, sospirando, mossi anche io un passo nella direzione opposta, un clic e l’improvvisa illuminazione giallastra del marciapiede mi rivelò l’accensione dei lampioni, che accompagnarono la mia strada fino a casa.

 
 Il giorno dopo, in classe, Mello si rese conto di non riuscire a smettere di sbuffare e cambiare posizione ogni cinque minuti, ascoltando sì e no due parole della spiegazione della prof prima di distrarsi di nuovo.
Lucy non l’aveva neanche salutato. Senza spendere neanche un’occhiatina al suo indirizzo si era seduta al suo banco e aveva chiacchierato con Alma fino all’inizio delle lezioni. Sapeva che lui la stava guardando, se lo sentiva. Era per quello che aveva quella.. freddezza. Era rivolta a lui.
- Ma cazzo.. – sussurrò, guardando i suoi appunti.
Un misero foglio bianco a quadretti pieno di scarabocchi insensati e disegni. L’unica cosa ordinata e coerente era il titolo dell’argomento. Coperto anche lui di segni che non c’entravano.
Gli capitava di farlo senza neanche accorgersene quando era particolarmente altrove con la testa.
Una macchina rossa in una strada piena di cactus, una tavoletta di cioccolato, la caricatura della professoressa…
E segni a caso. Ghirigori senza senso che si ingarbugliavano formando labirinti complessi e intricati che poi solo raramente riusciva a risolvere. Troppe uscite.
Rifletté. Cosa poteva fare, dopotutto?
Parlare con lei e spiegarle che era stato un malinteso e che non sarebbe più accaduto? Prevedeva la reazione. Cioè, non è che la prevedesse, ma l’aveva già vista coi suoi occhi: non appena aveva provato a sdrammatizzare lei l’aveva aggredito con una freddezza…
Non parlarle? Prima o poi ci sarebbe stato costretto, ragionevolmente parlando.
Dirle… la verità?
Il biondo sbuffò un’altra volta, stirando le gambe sotto il tavolo con un gesto di fastidio. E poi quale sarebbe dovuta essere la verità?
Ops, ti ho quasi baciato per sbaglio?
Avevo fame?
Non so che cazzo mi è passato per la testa?
I tuoi occhi sono dello stesso colore del cioccolato e…
Ma per favore!
Lasciò rotolare una matita a terra senza rendersene conto, lanciando a Lucy un’occhiata quasi risentita.
Insomma, dai, lo capiva sempre! E ora a un tratto lo ignorava. Non che lui non capisse lei.
Si sentiva presa in giro, probabilmente. Non l’avrebbe perdonato. Vero? Verissimo, si rispondeva.
Lucy stringeva un manga aperto sotto il banco, senza vederlo. La stessa pagina le si stampava negli occhi da almeno venti minuti.
Ignorare Mello era più difficile di quanto avesse pensato. E sentire il suo sguardo su di lei. Probabilmente non le avrebbe mai più rivolto la parola dopo quella reazione così infantile.
Avrebbe dovuto capirlo prima, quando ancora era in tempo. Per lui era un gioco. Solo un gioco.
Davvero non lo aveva capito? Davvero non lo sapeva, in fondo?
No. Non lo sapeva per un cazzo.
Ci aveva davvero sperato, in alcune occasioni, che lui stesse pensando a lei in un altro modo. Ci aveva davvero sperato, che lui stesse per dirle qualcosa di più. Quando erano insieme sul tetto a volte erano così vicini…
Ma non avrebbe dovuto dar ascolto a Cleo, che le dava illusioni fondate ogni volta che ne parlavano. In buona fede, per intenderci. Ma illusioni erano e restavano.
Lui era troppo per lei, lo avrebbe dovuto prevedere.
Uno scherzo. Un cazzo di scherzo.
A tratti le sembrava di aver esagerato ad andarsene così, a tratti si sentiva in pieno diritto di arrabbiarsi a uno scherzo del genere.
Non aveva più idea di che sarebbe successo, non aveva lucidità.
Lui non le avrebbe parlato, orgoglioso com’era, e lo stesso avrebbe fatto lei.
Era finita?


La campanella ci liberò dall’oneroso dovere di stare attenti in classe e ci permise di lanciare sospiri di gioia e soprattutto di prepararci a uscirne.
Ci attardammo ad applaudire l’esibizione di Anita, che aveva deciso di interpretare un breve dramma in tre atti, da lei composto, danzando sulla cattedra con Jen.
Scendendo le scale incrociammo Matt che ci urlò di ricordarci che l’indomani avevamo le prove e che il concerto si avvicinava.
Sembrava che tutto andasse avanti nella più perfetta e monotona quotidianità, ma non ero più a mio agio. Ora che sapevo che aveva un secondo fine, Aki diventava un peso ogni volta che mi rivolgeva la parola, se non altro perché ero costretta a reggere il gioco e a sperare che non si accorgesse che lo stavo imbrogliando, come lui aveva imbrogliato me.
Uscita da scuola vidi Beyond che parlava con Kendra, e mi investì un’ondata di rabbia. Il mio istinto principale in quel momento era di andare da quella ragazza e strapparle i denti uno a uno.
Ostentando flemma e nonchalance, passai oltre e mi appoggiai alla bici di Anita.
Terribile errore.
“PORCA DI QUELLA RACCHIA VECCHIA MUCCA STRANGOLATA!” urlò la proprietaria vedendomi.
Sbuffai.
“Non mi sbuffare tu! La mia piccola è appena uscita da una delicata operazione, nessuno deve osare toccarla!”
“Va bene, Ani, va bene…”
“Mariiiiia, ma si può sapere cos’hai? Ameba!” mi rimbrottò, perdonandomi.
“Nulla, sono solo stanca”
Continuò a guardarmi con sospetto, ma non le diedi altre occasioni di smascherarmi, nonostante le occhiate che Kendra lanciava al mio ragazzo. Si, forse ero un po’ gelosa.
In quel momento, arrivò Matt, fumandosi una sigaretta. Sapeva di essere in ritardo rispetto al solito, quindi perché affrettarsi? Ormai lo era, tanto valeva farsi una sigaretta con calma, no?
Quando Cleo non gli saltò addosso spupazzandoselo, tutti si stranirono, ma vedendoli andare via così di fretta non fecero domande.
Improvvisamente, mentre tutti si salutavano, mi accorsi che mancava qualcuno. Possibile che Lucy se ne fosse già andata, senza salutare ne altro? Possibile che non l’avessi vista? Mi guardai intorno in cerca della sua giacca blu che avrei riconosciuto ovunque. Nulla.
Mello pareva starla cercando come me, a giudicare da come muoveva lo sguardo, indifferente a Jen che continuava a picchiettare sulla sua spalla per provocarlo. Era il suo modo di divertirsi.
“La vuoi finire?” sbottò alla fine il biondo.
“Di fare cosa?”
Sospirai insieme con lui, solidale. Ma prima che potessi tornare a cercare mia cugina con lo  sguardo, Aki richiamò la mia attenzione.
“Ti va una pizza?” mi domandò, salutando con la mano Ani, che si allontanava pedalando.
“A dire la verità… oggi pomeriggio sono un po’ impegnata, ho la riunione della redazione e come sai domani interrogherà in greco. Perciò…”
“Ma ti ha appena interrogata, no? A che ora hai la riunione?”
“Si, in effetti si, ma non si sa mai! La riunione è alle tre, perciò pensavo di mangiare andare a studiare e poi andarci…”
“Se vuoi compagnia, dillo pure! Tanto ormai siamo abituati a studiare insieme.”
“Oh, certo, si.. infatti…”
“Quindi?” chiese, all’apparenza vagamente confuso.
Che fare? Un altro pomeriggio con lui? Non ce la potevo fare.
Ma dirgli di no sarebbe stato sospetto e non era bene mollare in quel momento.
“Beh, il punto in realtà è che avevo pensato di invitare Beyond, e non vorrei che… insomma… non vi state molto simpatici, no?”
Vidi chiaramente la faccia di Anita che dichiarava: “arrampicata sugli specchi, atto primo.”
“Mi piacerebbe parlargli. Dopotutto io non ho nulla contro di lui. Potrei provare, se vuoi”
“Eh… non so, ci dovrei prima parlare, conoscendolo. Voglio dire, sa essere parecchio testardo, come avrai notato.”
Anita ridacchiò nella mia testa: “arrampicata sugli specchi, atto secondo.”
“Dai, fammi provare! Vuoi che non lo convinca con i miei occhi da cucciolo?” esclamò ridendo Aki, dandomi una dimostrazione della sua potenza sfoggiando un espressione che scatenò “AWW!” a destra e a manca fra gli amici che ancora non se n’erano andati a casa.
“Temo che non sia così facilmente convincibile!”
“Ne sei certa?”
“Beh, ovviamente io posso solo prev-”
“Allora accertiamocene!” esortò determinato, alzando un pugno.
Un secondo dopo era sparito nella folla.
“Ma porca di quella…” sussurrai seguendolo di corsa e tentando di fermarlo. Ma era troppo tardi.
Beyond era come al solito appoggiato al muro della scuola che si innalzava a sinistra del portone, mentre chiacchierava coi suoi amici trattenendosi per qualche minuto. Quando vide arrivare Aki, seguito da me, si rabbuiò e sbuffò.
Salutati velocemente i suoi amici si avvicinò al ragazzo prima che questo potesse raggiungerlo e mi lanciò un breve quanto impercettibile sguardo interrogativo.
Incrociò le braccia e gli piantò gli occhi in faccia con una vaga luce di disgusto e fastidio, non abbastanza celata.
“Cosa vuole?” chiese a me, quando li raggiunsi, pochi secondi dopo.
“Nulla, nulla, solo che.. emmm… sai…. Sai che noi oggi dovevamo pranzare insieme, no?”
Tentai di comunicargli di reggermi il gioco in tutti i modi.
“Oh… sì. Certo. E allora?”
Ancora un po’ e mi sarei inginocchiata, lì e subito, a ringraziare Dio, Allah e Buddha tutti insieme.
“In realtà, Beyond, il punto è che pensavo di studiare con lei oggi, prima della sua riunione con la redazione, ma visto che tu non mi sopporti la cosa non era possibile. Quindi mi chiedevo se possiamo risolvere e lasciarci alle spalle i litigi. Dopotutto, non credo fossero cose gravi. No?”
C’era  un che di strano nel tono di voce di Aki, e nel suo sguardo. Era sì cordiale e senza pretese, ma si poteva percepire un ché di lontanamente minaccioso nelle sue parole. Come se volesse scongiurare una risposta negativa, lasciando intuire che non l’avrebbe accettata.
“Cosa? Spero che tu stia scherzando. Lo sai cosa penso di te.”
“Ma non mi consoci ancora! Dai, dimmi che cosa non ti va di me.” ribatté ostinato come al solito Aki, sorridendo.
Il mio ragazzo gli lanciò uno sguardo così eloquente ed esplicito che non c’era da aspettarsi di vedere Aki mantenere quel sorriso. Ma lo fece.
“Cosa… non mi va di te?”
Un breve spazio di silenzio confermò la sua frase.
“Beh, per cominciare, se tu. Sei un tipo di persona che non sopporto. Il finto debole, giusto? Simpatico, sempre allegro, quasi stupido. E infantile. Ma questo non fa che enfatizzare il fatto che tu sia… un insopportabile presuntuoso ostinato del cazzo, se posso. Inoltre ci provi con la mia ragazza. E mi hai provocato più volte. Credo che questo possa bastare.”
Aki sorrise di nuovo mentre io tentavo di trovare un modo in cui seppellirmi da sola.
“Sono giudizi pesanti da dare a qualcuno che non conosci, non credi?”
Beyond alzò gli occhi al cielo.
“Vattene, per favore. Non sei gradito.”
“Tu hai l’abitudine di parlare anche per lei, vero?”
Ora era fin troppo evidente che lo stesse provocando, ma Beyond non raccolse la sua domanda, limitandosi a fare un mezzo sorriso ironico e a guardare me.
“Se vuoi andare a mangiare con lui, non c’è alcun problema. Poi chiamami e dimmi se si è finalmente dichiarato o se ha intenzione di continuare a comportarsi da zerbino, ok?” mi disse, per poi girarsi e avviarsi tranquillamente.
“Te l’avevo detto!” esclamai velocemente all’indirizzo di Aki, correndo a fermarlo. Lui scosse la testa e alzò le spalle in segno di resa, per poi allontanarsi a sua volta.
Raggiunsi il mio ragazzo appena svoltammo l’angolo ci lasciammo andare.
“SEI STATO GRANDE! E NON L’HAI NEANCHE-”
“Stai urlando!”
“E non l’hai neanche picchiato!”
Rise.
“Che ci vuoi fare? Non valeva la pena? Ci andiamo veramente a mangiare insieme?”
“Ovvio!”


Ancora io! Allora, vi è garbolato il capitolo? Spero di sì! ;)
A presto con nuovi aggiornamenti, fatemi sapere che ne pensate!
Buona giornata!

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Scosse ***


Ciao ragazzi! La scuola è infine ricominciata e il primo quadrimestre è drammaticamente finito. Aiuto.
Ma non siamo qui per parlar di ciò! Allora, questo capitolo è un poì più lungo del solito ma, spero, non pesante. Mi direte voi ;)
Succederanno prestissimo cose che uoooooooooooo
E sebbene io non veda l'ora di scriverle, devo dirvelo, è sempre più triste per me, pensare che stiamo avvicinandoci lentamente al gran finale. 
Mi manca già questa storia, anche se per relativamente un bel po' sarà ancora in ballo. Sapete che ci metto un po' a scrivere per EFP, nè?
Scusate! ;)
Vi lascio al capitolo e corro a studiare! Grazie a tutti i lettori!

Mina




Kendra rispose al cellulare con un gesto calcolato della mano.
“Aki?”
“C’è un problema. Dobbiamo accorciare i tempi.”
“Lui?”
“Sì. Gradirei avere l’occasione di spaccargli i denti. Immagino che non accadrà. Comunque si sono richiusi.”
“Provo a lasciarti libero il campo. Dammi una mezz’ora. Sospettano qualcosa?”
“Non sembra, ma tieni gli occhi aperti.”
La ragazza sorrise, chiudendo la comunicazione e cambiandosi i vestiti velocemente.
Uscì dall’istituto e si inoltrò nel reticolo di vie della città, parlando al telefono con qualcuno. Poco lontano di lì, un appartamento vuoto aspettava solo che lei lo raggiungesse.
Era tutto pronto.
 
Io e Beyond finimmo di mangiare senza fretta, gustandoci a fondo ogni morso di pizza e ogni sorsata di chinotto, per poi dirigerci a scuola con l’idea di studiare. Le idee sono molto volatili, si sa, e presto ci trovammo nell’aula studenti – a quell’ora vuota – a chiacchierare e leggere le scritte che coloravano il muro da terra al soffitto.
Il sole entrava opaco dalle due finestre, illuminando a lunghi rettangoli il pavimento e le pareti. Potevo osservare il pulviscolo danzare dell’aria, mentre ascoltavo il suono della sua voce e mi bastava.
A un tratto però, la suoneria del suo telefono risuonò nell’ambiente, interrompendomi a metà di una frase. Lui alzò gli occhi al cielo e rispose sbuffando.
“Pronto?”
“Beyond… sei tu?” soffiò una voce dall’altra parte. Sembrava che il mittente stesse piangendo e al tempo stesso cercando di non farsi udire da qualcuno.
L’espressione del ragazzo cambiò radicalmente.
“Sì… cosa…”
“Sono Kendra… ti prego, devi aiutarmi… ti prego…”
“Che cosa sta succedendo?”
“Sono… sono a casa mia… mio padre… sta dando.. di matto… ” rispose a stento la voce, dall’altro lato del telefono.
Beyond perse un colpo. Per un momento, in quell’atmosfera rilassata, aveva scordato che ruolo aveva Kendra nella sua vita, veramente. Era rimasto a due giorni prima, quando lei lo capiva come un’amica può fare, quando erano vicini e veri.
“Dove sei?”
“Via… via Cristoforis 18… al quinto piano, ma non… non devi venire per forza, lui… ti farà del male! Non venire Beyond, non venire!”
“Sto arrivando”
Il ragazzo chiuse la comunicazione e infilò il telefono in tasca. Mi fissò.
“Beyond, che sta succedendo adesso?” gli domandai subito, alzandomi.
“Kendra. Suo padre è violento e la sta-”
“Beyond? Kendra vive alla Wammy’s… è orfana…”
I suoi occhi si riscossero.
“MA PORCA PUTTANA!” esclamò, battendosi una mano sulla fronte.
“Ma che cazzo..?”
“Mi sta prendendo per il culo! Ma che cazzo! E adesso che dovrei fare?”
“Mi spieghi cosa-”
“E’ una cazzo di messa in scena, idiota che non sono altro!”
“Beyond!”
“Mi ha chiamato per dirmi che suo padre la sta picchiando. Mi ha chiesto aiuto. Mi ha detto dove abita. Le ho detto che sto… cazzo, le ho detto veramente che sto arrivando!”
“Ei, ascoltami. Stai calmo adesso. Non avresti potuto risponderle in un altro modo, ok? Non avevi comunque scelta.” tentai di rassicurarlo, prendendogli le mani.
Lui fece un respiro profondo.
“E adesso?”
“Dovrai andarci per forza. Ma vengo anche io, potrebbe essere perico-”
“No. Potrebbe essere precisamente questo il suo scopo, non devi correre rischi. Ricordati che sei tu il loro obbiettivo, alla fine. No, non se ne parla. Tu stai qui e mi aspetti, chiaro?”
“Non ci penso neanche!”
“Amore, fidati di me per una volta, ti prego!”
“Ma… ”
“Dai, non ti preoccupare. Loro calcolano tutto, no? E non vogliono uccidermi per ora, solo allontanarmi da te. E non sanno che li abbiamo scoperti. Quindi, davvero, stai tranquilla, ti chiamerò appena potrò”
Abbassai lo sguardo.
“Lo prometto. Ok?”
“D’accordo” sussurrai.
Mi abbracciò e un secondo dopo era sparito. Rimasi da sola a rodermi dalla preoccupazione, seduta sullo stesso banco di prima, con tutt’altra espressione. Non riuscivo a fare nulla.
Neanche provai a tirare fuori i libri di scuola. Non sapevo davvero cosa fare, quando Aki sbucò dal nulla sulla soglia.
In un nanosecondo realizzai che sapeva perfettamente che ero sola, da prima, e che avrebbe sicuramente avuto una scusa pronta a giustificare la sua presenza. Non potevo mandarlo via.
Così non lo feci e rimasi con lui.
Si sedette di fianco a me sospirando e mi guardò, in attesa di una mia reazione.
“Che ci fai qui, Aki?”
“Mi volevo mettere a studiare in biblioteca, e passando Beyond mi ha tipo travolto. Così mi sono chiesto che cos-”
“Ho capito”
“E’ successo qualcosa?”
Mi sentii come sospesa in un’altra realtà. Avete presente quando vi sembra di sprofondare, di avere bisogno di qualcos’altro, scomparso improvvisamente dall’aria che respirate, che vi lascia lì a soffocare?
Quando tutto sembra inutile, quando vi sentite opprimere da qualcosa che va totalmente al di là di ciò che sapete, qualcosa di enorme, che non avete idea di cosa possa essere realmente?
Non era Aki, né Kendra. Non era quell’orfanotrofio. Non solo, comunque.
Fatto sta che rispondere in quel momento sarebbe stata una cosa così faticosa che preferii non farlo, chiudendo gli occhi e chiedendomi come imparare a diventare invisibile all’occhio umano.
“Ei, va tutto bene?”
Presi un respiro profondo, appigliandomi a quello per avere ancora qualche secondo.
“Si, è tutto a posto. Beyond ha avuto un contrattempo. Non devi preoccuparti per me”
Continuai a sentire il suo sguardo su di me. Era pesante, più di ogni altro sguardo che si fosse mai posato su di me. Mi sentii improvvisamente braccata, in trappola nelle grinfie di un mostro che non conoscevo, in tutto e per tutto simile a un amico.
“Ti va di venire in un posto con me?”
Camminare? Per andare dove?
“Va bene” sospirai, alzandomi.
Lui fece lo stesso e mi lanciò un’altra delle sue lunghe occhiate inquisitorie.
“Cosa c’è?” gli domandai.
“Sembri stanca, sicura che sia tutto a posto?”
“L’hai detto, sono stanca”
 
Beyond era davanti al portone. Era quello, non aveva alcun dubbio.
Il numero diciotto, in ottone, scintillava peraltro sopra di lui.
Sbuffò, chiedendosi come entrare. Alla fine optò per la tattica citofono. Premendo un tasto a caso, attese che qualcuno rispondesse inventandosi una scusa.
“Chi è?”
“Buon giorno, sono un suo vicino di casa, ho dimenticato le chiavi e volevo chiederle se mi apre! Scusi per il disturbo!”
Incredibilmente gli aprirono. Si sentì un Dio per qualche secondo, poi si riscosse, riprese contegno ed entrò.
Salì le scale senza fretta e si fermò al quinto piano, scegliendo la porta senza targa col cognome, poiché l’altra non corrispondeva alle informazioni che Kendra gli aveva dato sulla sua famiglia.
Fece un respiro profondo. Bussò.
Dovette attendere qualche secondo per capire che evidentemente non era quello il modo in cui sarebbe riuscito a entrare.  Provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave come aveva immaginato.
Poggiò una mano sulla porta e sospirò. Per un momento le emozioni entrarono nella sua mente attraverso le palpebre, abbassate per un secondo, ricordandogli tutte le altre volte in cui aveva dovuto raggiungere qualcosa che non voleva fingendo di essere votato alla causa.
Quella porta. Un muro invisibile che lo sperava da qualcosa di totalmente imprevedibile. Come per tutta la sua vita. Non aveva mai avuto modo di sapere in anticipo cosa lo avrebbe atteso dietro una porta, eppure si era sempre sforzato di aprirle, di cercare le chiavi, sfondandole, ansioso di scoprire quale altro male perverso gli sarebbe stato lanciato in faccia.
Cosa dovrei fare? Cosa si aspetta che io faccia? Cosa farei se non sapessi chi è?
Indietreggiò di qualche passo e si concentrò, prima di tirare un calcio con la maggior forza che poteva raccogliere contro la serratura, che saltò subito.
Si concesse un sorriso trionfale. Improvvisamente, la parte più sepolta di lui cominciò a fiutare l’aria speranzosamente. Era da tanto che non concedeva a se stesso qualcosa che sfogasse la sua rabbia. Sapeva che era un bene, ma… qualcosa in quella situazione lasciava in lui una punta di attrazione.
La porta si socchiuse lentamente  davanti ai suoi occhi accesi, rivelandogli un’anticamera poco illuminata.
Sentì dei rumori provenire dalla parte più interna della casa, qualcosa di simile al rompersi di una sedia, e ciò lo spinse a entrare cautamente, chiudendo la porta alle sue spalle, silenziosamente.
Più l’atmosfera si faceva tesa, più si rendeva conto di esserne stranamente affascinato.
Avanzò, evitando i cocci di una bottiglia sparsi sul parquet scuro, ignorando due porta laterali, che gli parvero quelle della cucina e della sala, nella semioscurità che regnava stranamente su gran parte della casa. Le tapparelle erano quasi totalmente abbassate, la luce penetrava solo a piccole macchie offuscate.
Non appena fu arrivato alla fine del corridoio, sentì qualcuno urlare. Era un uomo, probabilmente di mezz’età, alla sua sinistra.
Era un urlo strano, che non fece che stimolare ancora di più la sua improvvisa quanto inopportuna curiosità.
Aprì quella porta di scatto, pronto a tutto.
Era una camera da letto, non troppo grande. Un letto matrimoniale sfatto vi stava al centro, troneggiante. L’arredamento era quasi nullo, escludendo un armadio e una scrivania decisamente minuta. Doveva essere la stanza del padre.
La luce improvvisa, dopo la semioscurità, era dovuta alle tapparelle alzate, ma era filtrata da un paio di tendine bianco sporco.
E una porta. Davanti alla porta un uomo.
Ci aveva visto giusto sull’età, che rasentava la cinquantina, e lo si notava facilmente. Ma sotto le apparenze, Beyond intuì subito che c’era una forza maggiore di quella che ci si sarebbe aspettati. Ma era brutto, su questo non c’era null’altro da dire. Brutto. Un orso, vestito male, mal curato, forte e arrabbiato.
Perfetto.
“CHI CAZZO SEI?” gli urlò contro, con un’espressione di stupore assoluto, che fece per un nanosecondo dimenticare al ragazzo di quanto tutto fosse stato macchinato in anticipo.
“Sono un amico di Kendra. Dov’è?” domandò con calma posticcia.
“Ma come cazzo sei entrato… chi cazzo sei?!”
Il ragazzo sbuffò, guardandolo fisso negli occhi, e rendendosi conto di una cosa. La sua data di morte era pericolosamente vicina allo zero, e questo significava che per Beyond quello era l’ultimo posto dove stare. Sapeva che i piani di Kendra probabilmente includevano di farglielo uccidere. Ma non ne aveva alcuna intenzione. Aveva imparato molto bene cosa gli succedeva quando uccideva o tentava di uccidere qualcuno e non aveva alcuna voglia di ripetere la cosa.
Si sentì un grido provenire da dietro la porta, una voce femminile atteggiata a disperata richiesta di aiuto e al tempo stesso che gli intimava di andarsene quanto prima, di mettersi in salvo.
“Allora è lì?”
L’uomo cominciò a guardarlo con rabbia e odio.
“Vattene subito da questa casa. Non so come cazzo hai fatto a entrare, stronzo, ma se non esci subito giuro che ti faccio uscire io, chiaro?”
“Lasciala andare subito. Ti avverto, è l’ultima volta che te lo chiedo.”
L’uomo perse la poca pazienza che fingeva di avere e attaccò il ragazzo con velocità repentina, dandogli a stento il tempo di scostarsi e contrattaccare.
Non gli ci volle molto, un paio di colpi secchi e l’uomo era a terra, privo di sensi. Vivo.
Volse il suo sguardo alla porta e si chiese cosa poteva essere. Uno sgabuzzino? Un’altra stanza?
“Kendra? Ci sei?” domandò alzando la voce e avvicinandosi.
Sentì qualcuno muoversi e singhiozzare dall’altro lato, facendosi più vicino.
“Beyond? Sono qui!” rispose lei debolmente.
“Puoi aprire in qualche modo la porta?”
“Lui… lui è…”
“Non te ne devi preoccupare Kendra. Forza, esci adesso” continuò lui con la voce più confortante che riuscì a trovare.
Dopo qualche secondo percepì una chiave girare lentamente nella toppa e la porta si aprì grazie a una leggera spinta dall’interno.
Kendra era bellissima. I suoi occhi erano luminosi di lacrime, i capelli leggermente scompigliati, lo sguardo basso. C’era un problema però, che colse Beyond in modo totalmente inaspettato.
Non aveva alcuna maglietta.
Ma non sembrò farci caso quando, piangendo infine apertamente, si fiondò ad abbracciare il suo farsesco salvatore, tremando, terrorizzata.
“Ey, Kendra, stai tranquilla. È tutto finito, ok? Stai calma” cercò di consolarla lui, passandole un braccio dietro la schiena.
“E’ che lui… non ti avrei chiamato ma lui… di solito non…. mi picchia e basta, ma oggi… non so cosa sia successo… ha bevuto e poi ha cominciato a…” pianse lei sul suo petto.
“Non ti devi preoccupare Kendra, non mi devi spiegare niente. Adesso andiamo via di qui, d’accordo?”
La ragazza alzò il viso e arrossì, come se si fosse accorta in quel momento della reale situazione.
“Scusami…”
“Ti ho detto che non c’è nulla di cui scusarsi, ok? Adesso prendi le tue cose e andiamo via.”
“Ma dove dovrei andare Beyond?”
“Ovunque, lontano da qui”
“Non ho niente altrove e…”
“Non posso lasciarti con lui, Kendra” la interruppe categoricamente lui.
“Allora faremo così… chiamiamo il pronto soccorso… starà in ospedale qualche giorno e intanto io potrò…”
“Kendra, non possiamo chiamare così, chiederanno spiegazioni. Non hai nessuno?”
“Mia madre, ma… non so se può ospitarmi…”
“Proveremo a chiederglielo, va bene?”
Lei arrossì di nuovo, incrociando le braccia sul ventre piatto, imbarazzata improvvisamente della sua seminudità. Lui abbassò lo sguardo, altrettanto imbarazzato.
“Forza, andiamo a prendere le tue cose Candy”
Era il soprannome che le aveva dato poco tempo prima. Candy. Dolce e amara.
Lei sorrise timidamente e uscì dalla stanza seguita da Beyond, che si assicurò di chiudere la porta. Lasciare l’uomo lì così era una pessima idea, ma non sapeva che altro fare in quel momento.
Attese Kendra fuori dalla sua stanza e la vide uscirne in pochi minuti, vestita e con una borsa in mano.
“Andiamo?”
Lei tirò su col naso e annuì, ancora spaventata.
Uscirono in fretta, dall’appartamento e dal palazzo e percorsero una strada di almeno quindici minuti in silenzio. Lei gli prese la mano a un tratto, come bisognosa di conforto.
Lui non riusciva quasi a distaccarsi dall’illusione che lei dava. Era così vera.
Non c’era pecca nella sua recita, credeva veramente a ciò che faceva, e in quel momento era davvero Kendra, spaventata e scampata a una brutta sorte e un padre squilibrato.
Arrivarono in una stradina, semideserta guarda caso, di palazzi vecchi.
“E’ qui” disse lei fermandosi.
“Ti accompagno su?” domandò lui.
“No, non ce n’è bisogno. Ho le chiavi con me, in caso lei non ci fosse”
Gli lasciò la mano, senza guardarlo negli occhi. improvvisamente tutta la baldanza che aveva era sparita, com’era per altro comprensibile.
Si girò, come per aprire la porta, ma non lo fece.
“Grazie” soffiò infine, girandosi nuovamente.
“Di cosa?”
“Non hai chiesto nulla”
Finalmente alzò lo sguardo in quello di lui e gli trasmise tutto ciò che un occhio può trasmettere.
Si avvicinò.
Beyond sapeva cosa stava per succedere. La vedeva. Era troppo vicina al suo volto, troppo. Cos’era, un momento di debolezza? Non poteva permetterlo. E al tempo stesso la voglia di lasciarsi andare al gioco di Roger, di cadere completamente nelle sue mani, di appropriarsi di quella vuota ragazza che forse lo comprendeva o lo avrebbe compreso, fingere che lei fosse veramente Candy e non una sconosciuta… era così allettante.
Ma un istante prima che le loro labbra si sfiorassero, Beyond reagì. Si scostò e la abbracciò teneramente.
C’era andato a tanto così, cazzo. Tanto così.


“Aki, dove stiamo andando?” domandai dopo aver camminato con lui per una quindicina di minuti, senza parlare.
Lui sorrise, facendo scintillare il piercing sulle labbra al sole.
“Stiamo arrivando, non ti preoccupare”
Ci stavamo addentrando in strade piccole e strette, strade piene di case costruite in tempi lontani ormai, dove la luce assumeva un’altra forma, carezzevole e lasciva.
Mise le mani in tasca e canterellò una canzone.
“Tu mi ricordi molto una persona che conoscevo tempo fa” se ne uscì poi, guardandomi con la coda dell’occhio.
“Chi?”
“Una ragazza della nostra età che conoscevo prima di venire qui. Un po’ di tempo fa mi hai chiesto come mai mi sono trasferito. Lei sarebbe stato l’ultimo motivo”
“Che vuoi dire Aki?”
“Beh- cominciò, accendendosi una sigaretta- la conobbi al primo anno di liceo. Mai vista prima per intenderci. All’inizio non ci guardavamo molto, non ne avevamo neanche occasione. Lei stava con le sue amiche e io.. ero il tipico solitario. Me ne restavo in disparte, generalmente. Un giorno però cambiò qualcosa in noi… ”
Il ragazzo parve perdersi dietro i suoi pensieri mentre aspirava dalla sigaretta, guardando altrove.
“Che successe?”
“Successe che i miei compagni notarono che disegnavo su un quaderno e lo trovarono un ottimo pretesto per prendermi in giro, chissà perchè. Non ero precisamente benvoluto fra loro. Lei li vide, come tutti, mentre passavano di mano in mano fra le risate. Io non potei notarlo perché, come immaginerai, perché ero troppo impegnato ad ascoltare i ragazzi della classe. Oddio, non che volessi. Ma quando ti trovi in mezzo, uscire da un cerchio di persone che vogliono tenerti lì può non essere facile. Non erano un gran saggio di bravura quei disegni, ma quella ragazza li apprezzò. Li guardò e notò qualcosa evidentemente. Fatto sta che quando i miei compagni si stufarono di usarmi come simpatico zerbino e si furono puliti a fondo le scarpe, lei rimase. Mentre quelli scendevano in cortile ridendo – ricordo benissimo come ridevano – lei si avvicinò a me e mi poggiò i quaderno sul banco. Mi aiutò a, sai, tirarmi un po’ su. Da terra intendo.”
Fece ancora una pausa, il tempo di espirare una nuvola densa.
“Da allora imparammo che esistevamo, ce lo insegnammo lentamente. Diventammo legati. Sia, credo che le persone facciano così, per creare rapporti. Prendere qualcosa e farlo diventare un filo che tiene insieme te e un altro. Poi prendere qualcos’altro e intrecciarlo. Fino a che non crei una corda. A quel punto sarà difficile romperla, a meno che qualcuno non arrivi e la strappi, o uno dei due non decida di sfilacciarla fino a liberarsi il polso.”
Era molto vero. Mi resi conto che quella che mi stava offrendo non era una vile recita teatrale. Era uno specchio della vita, semplicemente ritratto. Con gesti casuali, occhiate impercettibili, creava l’atmosfera e la sensazione di cui necessitava, senza alcuno sforzo.
Quasi ammiravo la sua capacità di trasformazione, di adattamento, di finzione. Credeva profondamente a ciò che diceva.
“Passò qualche tempo. Non era un bellissimo periodo per me, che ancora non ero visto come persona, dai miei compagni di classe, ma come semplice oggetto. Come una sedia, un pavimento… qualcosa di simile. Lei fu di fatto la ragione per la quale mi alzavo dal letto ogni mattina. La ragione per cui camminavo verso scuola senza problemi. Finché lei c’era, io non avevo paura. Capisci? Forse era il suo sguardo, forse il suo atteggiamento allegro e affettuoso, forse la sua capacità di comprendermi. Lei subiva un tipo diverso di emarginazione sociale. La ignoravano completamente, come si fa con una macchiolina sul muro che non vale neanche la pena di pulire. E dire che era così estroversa, così felice della vita.”
Aki sospirò, abbassando lo sguardo. sembrava non riuscisse a continuare.
“Ma non lo vedevano. Non lo capivano. E continuavano a metterle i piedi in testa con il solo silenzio sprezzante che assumevano ogniqualvolta si azzardasse ad aprir bocca. In assemblea, ma anche in classe. Le ragazze tendevano a creare un gruppetto di pettegole tipico nei licei, ma se lei provava a inserirsi, giusto per comunicare con qualcuno, ogni tanto, si ritrovava cacciata via. Erano quasi incredule che osasse tanto.”
Svoltammo in una strada secondaria, in silenzio.
“Fui io a farla cadere dalla sua precaria stabilità vitale. L’illusione che tiene in vita tutti noi. Dopo aver stretto quel legame con me, in parte la perse. Prima, quando quasi non sapeva chi fossi, vedere i ragazzi sfogare la loro frustrazione su qualcuno, sebbene lo trovasse atroce, non poteva sconvolgerla tanto quanto in seguito, quando a cadere per terra era un amico. Sbagliò forse, a cominciare a difendermi? Non avrebbe dovuto di certo, io ci avevo rinunciato da tempo ormai: rendeva solamente il tutto più difficile da sopportare.  Ma lei riteneva che sopportare non fosse una parola da cancellare nel vocabolario definitivamente. Provava e riprovava a fermarli. La scalciavano via come un chicco di riso.”
Sospirò, lasciando cadere la sigaretta.
“Un giorno si arrabbiò. Non si stufò, bada bene. Si arrabbiò. Si arrabbiò perché io non reagivo e non volevo o potevo farlo. si arrabbiò perché continuavo a dirle che era inutile e controproducente difendermi dai ragazzi. Voleva solo che io fossi più… illuso forse. Illuso che la vita sia qualcosa di più. Che ci sia qualcosa per cui vale la pena andare avanti. Perché oltre a lei non avevo nulla, e lei sapeva benissimo quanto forte questo pensiero fosse in me. Non voleva essere l’unica cosa che avevo.”
“Ci allontanammo un poco, ma il danno era fatto. I miei compagni l’avevano finalmente notata, anche se ciò non lo definirei un vantaggio. La presero di mira. Mi ci volle poco, allora, a tentare di fermarli. Quasi tanto quanto ci volle a loro per tenermi fermo a guardare, dicendomi che me l’ero cercata. Lei non fu più la stessa dopo una settimana di quel trattamento. Compreso il nostro legame, ci volle poco ai nostri compagni a sfruttare la cosa ad ogni occasione.”
Si perse per un attimo in un ricordo.
“Sento ancora le loro voci. Mi deridevano perché tentavo di non guardare. Non lo sai che da sposati si sta insieme nel bene e nel male? Beh, questo è il male Aki, guarda. E non potevo fare nulla. Lei smise di parlare, tentando di nascondere la sua presenza, come prima aveva tentato di esplicitarla. Ma fu peggio. Lentamente raschiarono via da lei ogni traccia di resistenza, così come avevano fatto con me. Tentavo di starle vicina, ma era sempre più difficile, reagiva sempre peggio. Sembrava che m’incolpasse e aveva ragione a farlo.”
Mi chiesi quando avesse inventato quella storia, osservando ogni movimento del suo volto.
“Un giorno… un giorno mi rifiutò completamente. Non si torna su dopo essere scesi così tanto. Non si è più gli stessi, se si tenta. Lei non tentò. Lei si lasciò andare. Per colpa mia, quella splendida creatura, allegra, stimolante, intelligente era… un’ombra scura e rabbiosa. Un giorno sparì. La vidi solo una volta dopo allora.”
Lasciò passare ancora qualche secondo, come se non riuscisse sul serio ad andare ancora avanti.
“Al suo funerale, qualche giorno dopo. Si era suicidata tagliandosi le vene. Mi ricordo come se fosse ieri quel viso, quella ragazza. Tu non sei come lei. Probabilmente dei miei vecchi compagni rideresti all’inizio, e anche dopo, non smetteresti di credere in te. Ma  vedo spesso qualcosa di quella ragazza in te. Me la ricordi più di quanto dovresti”
Parlando, si fermò davanti a una porticina di legno e l’aperse, facendomi strada prima in un ampio cortile e poi per una scala.
Eravamo in una cantina e prima che io potessi rispondere in un qualche modo a ciò che mi aveva detto, accese le luci.
“Oddio Aki… ” mi sfuggì mentre i miei occhi si spalancavano.


Cleo e Matt si erano diretti al parco come d’abitudine. Si erano seduti su una panchina, sotto un salice. Era il loro posto.
L’erba che abbracciava i piedi metallici della panchina li faceva sentire su una zattera in mezzo a un enorme mare.
Su di loro il cielo si vedeva in tutta la sua grandezza, pieno di nuvole e sole che da dietro le sbiancava, come una luce dietro una stoffa.
E si andava a creare quella luce soffusa, trasparente e galleggiante in cui è facile abbandonarsi ai pensieri.
Cleo era stesa a pancia in su, la testa sulle gambe di Matt, a guardarsi quel cielo in silenzio, godendosi il presente, la brezza frizzante e il rumore delle foglie.
Matt se ne stava lì, a guardarla con un viso strano, diverso dal solito. Aveva una sigaretta fra le labbra, e il filo di fumo che ne scaturiva si dipingeva sulla tela di quel pomeriggio con arzigogolate traiettorie, sfumate e presto disperse nell’atmosfera.
La vedeva. Più di ogni volta che l’aveva guardata, si rendeva conto dei suoi lineamenti e dei suoi sguardi. Il suo silenzio lo cullava con dolcezza in quella dimensione di sogno a metà fra l’amaro e il dolce. Era vicina a lui in ogni senso, eppure irraggiungibile in un qualche ignoto modo.
Il riflesso delle nuvole e dei loro veloci spostamenti si rifletteva nei suoi occhi come un film sullo schermo del cinema. Un film muto, in bianco e nero di una delicatezza perfetta.
Cleo lo rese il protagonista di quel film in un secondo, semplicemente guardandolo.
Lui sorrise e le scostò una ciocca di capelli dal viso.
“L’altro giorno ti stavo dicendo una cosa…” accennò infine, lasciando andare il filtro della sigaretta al vento, dopo averlo spento.
Lei non smise di guardarlo, con quella dolcezza sinuosa e silente.
“Ma non ho concluso molto. In  parte perché mi è solo sfuggito. E poi tu sei scappata. Forse è stato meglio così”
Ora quella dolcezza si era trasformata in qualcosa di amaro. Come quando si scarta un cioccolatino, lo si mette in bocca e si scopre un sapore sgradevole. Ma l’aspettativa rimane ancora per un secondo o due, prima di spegnersi.
“Perché se ti avessi detto allora ciò che mi è venuto spontaneo accennare, non sarei stato in grado di trasmetterti l’intensità che vorrei. Ci voglio provare adesso”
Fece una pausa, e Cleo ritornò ad avere gli occhi pieni di interesse e delicatezza.
“E’ difficile trovare il coraggio di parlare, perché so che queste cose si dicono una volta per davvero e cento per leggerezza. Il fatto è che… ho avuto molte relazioni nella mia vita, tanti rapporti differenti con tante persone diverse e… ho capito alcune cose. La più importante ora, è che una relazione diventa vera, diventa intensa, quando riesce a cambiare qualcosa. Se per te vedere una persona può essere lo stesso che stare da solo, se l’interesse che provi non è che quello consueto che si prova verso il nulla, non c’è motivo di continuare a vederla. Quando vedere qualcuno è un piacere, hai trovato un’amicizia da coltivare. E poi, ci sono i casi in cui quando vedi una persona, mentre state insieme, mentre la guardi, la ascolti, ci parli… la tua vita cambia. Non solo si arricchisce o si evolve, la tua vita si rivolta come un calzino. Succede perché la metti in rapporto con qualcun altro, perché cambi prospettiva, perché alzarsi la mattina non è più difficile, perché in ogni suo momento tu hai quella persona negli occhi e nella mente e questo ti permette di andare avanti qualsiasi cosa succeda.”
“Io l’ho vissuta pochissime volte, questa sensazione- continuò – ed è una sensazione molto forte a dire la verità”
La fissò per qualche secondo.
“Ma non è nulla in confronto a quello che provo per te, Cleo.”
Lei sentì un brivido percorrerle la schiena al sentire quel tono così diverso dal solito.
“Non so come sia partito, né come finirà. E ho paura. Ho paura perché un giorno non sarai più con me, non sarai più mia. Non potrò stare semplicemente a guardarti in silenzio quel giorno, ma ti prometto che nel tempo in cui vorrai rimanere, io non mi muoverò di un millimetro”
Cleo gli prese una mano, ma non intervenne, percependo che Matt non aveva ancora finito.
“La verità è che ormai non solo voglio stare con te. Ne ho bisogno per respirare ogni giorno, per muovermi, per far circolare il sangue nelle mie vene. Ho bisogno di te, nonostante io ti abbia. Non penso che potrò mai averne abbastanza”
La ragazza si sedette, mettendogli un braccio attorno alle spalle e guardandolo ancora con quella delicatezza che lui trovava perfetta.
Lui la fissò profondamente.
“Ti amo Cleo.”
Una folata di vento scompiglio i capelli di entrambi, mentre la ragazza si avvicinava a lui e lo baciava con un sorriso leggero e quasi impercettibile.
“Anche io ti amo, Matt” gli sussurrò.
“Ti amo più di quanto avrei immaginato possibile. Le tue parole forse sono più giuste delle mie, ma non saprei come esprimere con un linguaggio umano quello che provo. Qualche volta ci si chiede perché si ama. Amare è un verbo al plurale. Non è che io amo. È che noi amiamo. E chiedersi perché è come chiedersi perché respiriamo. E non c’è da chiedersi se un giorno ci dovremo separare. Matt, io ti amo e non solo in questo momento, non solo qui. Io ti amo nel tempo, ti amo quando ti vedo e quando non ti vedo, quando ti sento e quando non mi rispondi, quando sei dolce e quando sei insopportabile, quando sei geloso e quando sei affettuoso. Non posso andare via e non solo perché non ne ho alcuna intenzione. Lo hai detto tu. Io ti voglio e ho bisogno di te” aggiunse poi, stringendosi a lui.
“Ti amo” ripeté Matt.
“Ti amo” ripeté Cleo.
Entrambi si goderono il suono di quelle parole sulla bocca e sul viso.
Il cielo si scuoteva e percuoteva, spostando le nuvole e i raggi di luce sopra i due amanti, come a presagire qualcosa che non si poteva né dire né sussurrare nel vento, un avvertimento che scandiva i secondi con i passi di Aki di fianco ai miei, con la telefonata di Kendra e le parole di Matt perse nel vento e vive nel ricordo. Un ritmo sempre più incalzante, più veloce, che ci avrebbe presto costretto a correre troppo veloce per rimanere a tempo e non cadere. 
     

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Ascolta; ***


Buona sera a tutti ragazzi!
Come state? Spero bene.
Ecco un altro capitolo di questa storia, che spero non vi annoierà.
Non posso dilungarmi molto perchè sono davvero tanto di fretta, ma vi auguro una buona lettura e una buona giornata (l'ultimo augurio però vale per domani se no grazie al cavolo ;) )
A presto!


Mina


Mello si era accorto benissimo della scomparsa di Lucy fuori da scuola. All’improvviso non c’era più. O forse non era direttamente scesa con loro? Dopo essersi guardato intorno per qualche minuto, salutando distrattamente gli amici che andavano scremandosi e allontanandosi nella folla, sbuffò e si incamminò anche lui.
Fu però fermato da qualcuno e quando si girò gli venne subito da alzare gli occhi al cielo, vedendo Jen sorridergli con quell’espressione da bambina dispettosa che aveva spesso.
“Che fai ancora qui?” le chiese.
“Ti dovrei parlare un attimo, hai tempo?” gli chiese.
Era incredibile che anche coi tacchi la ragazza gli arrivasse solo alle spalle, ma questo accentuava solo la tenerezza che sapeva evocare quando ne aveva bisogno, seppur non toglieva niente al livello di terrore che poteva scatenare quando si arrabbiava.
“Non ho nulla da fare oggi pomeriggio, percui…”
Seguì la bionda fino alla sua moto verde all’angolo della strada, scambiando con lei qualche parola.
“Dove andiamo?”
“Al parco qua dietro, volevo solo fare due chiacchiere, non ci vorrà molto”
“Perché non qui?”
“Non mi piace parlare a scuola, mi sento sempre osservata!” esclamò lei ridendo e dandogli un casco.
E sia- pensò Mello, infilandoselo e salendo sulla moto.
Dopo la prima curva giurò a se stesso di non prendere mai più con tale leggerezza una questione così vitale e tre secondi dopo, al passaggio impavido di un ciclista, si vide improvvisamente passare davanti agli occhi vent’anni di vita.
Alcuni minuti dopo, quando ormai Mello aveva calcolato una settantina di anni che non avrebbe vissuto e si era maledetto qualche centinaia di volte, dopo molte strombazzate e frenate, Jen inchiodò e lo fece scendere. Grazie a Dio, o Mello non potrebbe più raccontarlo forse.
“Jen, Cristo santo e benedetto, ma come cazzo guidi?!”
“Perché?”chiese lei candida, slacciandosi il casco e liberando i lunghi capelli biondi.
“Lascia perdere… ”
Entrarono nel parco e camminarono un po’, fino a trovare una panchina libera, davanti allo stagno.
“Allora, che c’è?” chiese lui scartandosi una tavoletta di cioccolato fondente e squadrandola sospettosamente.
Lei incrociò le gambe e si infilò una caramella in bocca, tratta dalle tasche della giacca.
“Te lo dirò chiaramente perché è evidente che hai la profondità d’animo che sfida solo quella di un sasso, amico mio.”
Mello sbuffò mordendo la cioccolata con uno schiocco secco.
“Guardami.”
Lui la guardò e si stupì della serietà che per una volta poté osservare negli occhi della bionda.
“Se provi a ignorare ancora per un cazzo di minuto Lucy, giuro che ti prendo a calci nel culo”
La cosa che più inquietò Mello fu la serietà assoluta con cui la ragazza pronunciò quelle parole. Seppe subito che non scherzava.
“E’ lei che mi ignora, Jen”
“Ne sei certo?” lo schernì lei, senza smettere di fissarlo ipnoticamente.
Altro sbuffo di Mello.
“Non mi interessa sentire le tue scuse, ma so benissimo quello che è probabilmente successo. Ti chiedo solo un grande favore in nome della nostra amicizia. Guarda in faccia la realtà e affrontala. Lo sai cosa succede se trascuri queste cose, se provi a ignorarle, no? Finisci solo per fare male a te e agli altri. Perciò finiscila di fare il bambino, chiaro?”
Lui distolse lo sguardo e annuì controvoglia.
“Bravo ragazzo. Ora pensa a quello che ti ho detto e prendi una decisione, d’accordo? Io vado, ho un impegno con Anita. Ci si vede a scuola Mello!” salutò lei improvvisamente, alzandosi e scomparendo.
 
Fissavo uno scantinato illuminato quasi a giorno dalle finestre in alto, che davano probabilmente sulla strada sopra di noi, pieno zeppo di… quadri.
Appesi e appoggiati alle pareti, impilati l’uno sull’altro. Un cavalletto illuminato, sotto una delle finestrelle, ospitava una tela ancora incompleta.
Ma non era solo questo a farmi sentire come se qualcuno mi avesse calciato fuori dal mondo per proiettarmi in un sogno strano e surreale.
Tutti i dipinti raffiguravano, ora chiaramente, ora in modo quasi astratto, due volti femminili, che si alternavano nella stanza dando e restituendo molteplici sguardi.
Ora si trattava solo di occhi, ora di un viso intero, ora di una figura voltata di cui si distinguevano poche cose.
I soggetti delle tele erano però sempre gli stessi.
Mi avvicinai a una delle tele che mi fissava con due occhi scuri.
-Aki, ma questa… -
Lui si avvicinò e mi prese la mano – ero talmente stralunata che non mi mossi neanche – sorridendo con una triste amarezza che non vidi.
- Sei tu. – confermò.

Beyond se ne tornò a scuola più velocemente possibile, incredulo per ciò che era successo.
Salì le scale di corsa, percorse un paio di corridoi ed entrò nell’auletta.
Vuota.
Sbuffò, tirando fuori il cellulare e chiedendosi dove cavolo fossi finita.
- La lasci sola tre minuti e ti finisce in Africa… - sussurrò componendo il mio numero di telefono.
Si appoggiò a un banco attendendo che rispondessi
 
Akira avvicinò una mano al mio viso e mi portò a guardarlo negli occhi.
- Li ho dipinti io. -
- Aki, io non… -
Non avevo idea di cosa dire e fra le tele che mi fissavano e Aki che più che fissarmi mi inchiodava con gli occhi, le parole non affluivano dal mio cervello che in sprazzi insensati.
Lui prese una sedia da un angolo e mi si avvicinò di nuovo, mentre io osservavo la precisione di quei miei occhi su tela.
Me la mise vicino.
Si allontanò dopo qualche secondo, lasciandomi ì così, spiazzata, e si portò dietro quel cavalletto che avevo visto. Era già tutto pronto perché lui potesse disegnare e avevo idea che l’intera cosa fosse stata architettata in precedenza.
-Girati e siediti per favore. – chiese, o ordinò. Vallo a capire in quella situazione.
Senza sapere cosa fare, mi girai verso di lui, ancora troppo stupita per dire o fare null’altro che quello che mi diceva. Il mio sguardo mi si rifletteva su ogni parete insieme con un paio di occhi verdi sconosciuti. La ragazza di cui mi aveva parlato? Esisteva? Probabilmente no.
Lui mi osservò per qualche secondo, poi cominciò a disegnare qualcosa.
No, un ritratto no.
I suoi occhi divennero improvvisamente pesanti come macigni e mi guardavano continuamente in ogni angolo, crogiolandosi in ogni secondo.
Che cavolo stava succedendo? Come si era passati da un tranquillo pomeriggio con Beyond a… questo?
Ero sul punto di dire qualcosa, quando il mio telefono emise a livelli massimi la suoneria. Il rullo della batteria di Anti Pop mi fece sobbalzare di brutto, e colsi al volo l’occasione per riscuotere l’atmosfera, che stava andando a parare in un punto poco felice.
Estrassi il cellulare da una delle tasche dei miei pantaloni e risposi con un sorriso smagliante, alzandomi, per non so quale motivo.
-PRRONTO! -
- Alma? – chiese una voce incerta.
- BEYOND! CHE PIACERE SENTIRTI, COME STAAI? -
-Ma cosa stai dicendo? – disse lui perplesso.
- Dimmi tutto! -
- Si può sapere dove sei finita stavolta? -
- Dove sono? Sono qui, cioè… emmm… sì… arrivo…. -
- Non dovevi aspettarmi qui, scusa?-
- Sì, è che… poi ti spiego… tu, tutto bene? -
- Beh, penso di sì. Dovrei parlarti. Ti aspetto in auletta? -
- Va bene, arrivo. -
Aki mi fissava.
- Ah… Aki, senti, io…. cioè… Beyond ha davvero bisogno di me, mi ha appena… sì insomma io non sono molto… emmm… -
Dopo questo disastroso tentativo di mettere in piedi una frase di senso compiuto abbassai lo sguardo senza sapere se ridere o disperarmi.
Lui non parlò.
Rialzai lo sguardo.
Mi fissava di nuovo con quello sguardo. Era come se volesse entrarmi dentro.
- Ti piacciono i quadri? – domandò.
- S-sì… disegni molto bene. -
Sorrise, ma di nuovo senza alcuna gioia nel farlo.
- Vai se devi andare. -
Mi dispiaceva quasi lasciarlo lì, sebbene sapessi quale fosse il suo reale scopo.
Stavo per voltarmi e imbucare la porta, ma mi si avvicinò in un attimo e mi fermò per un braccio.  Mi trattenne, abbracciandomi con forza, come se a dispetto delle sue parole volesse tenermi lì per sempre.


 
 Mello era seduto alla mensa della Wammy’s house. Matt era fuori con Cleo e si trovava solo. Nessuno gli si avvicinava volentieri vista l’aura di scontrosità che emanava e quel giorno in fattispecie si vedeva particolarmente quanto i suoi nervi fossero pronti a saltare.
Gli altri erano seduti a gruppetti insieme ora in un punto ora in un altro delle grandi tavolate, che si riempivano veramente solo a cena.
Rimuginava su cosa aveva detto Jen e aspettava che venisse una buona volta servito il pranzo. Era incredibile che se si arrivava in ritardo non facessero entrare se poi i primi a non servire nulla per almeno un quarto d’ora erano loro.
Sbuffò alla volta di un paio di ragazzini che passavano, i quali lo guardarono male e passarono oltre un po’ spaventati.
Sui bambini faceva quell’effetto, vuoi per lo sguardo, vuoi per i vestiti. Era pur sempre Mello, tutti lo sapevano.
Non che fosse uno di quelli che provocava risse né ne era sempre in mezzo. Ma era evidente il suo atteggiamento aggressivo e arrogante. Solo verbalmente era più volte riuscito a far fuggire persone che gli avevano giusto lanciato un’occhiataccia in lacrime.
Ma lì ti punivano solo se picchiavi qualcuno, finché lo insultavi andava alla grande. Ci passavano sopra tranquillamente.
Ma un occhio nero, un braccio ingessato, quelli si vedono anche fuori. La gente fa domande.
Specie coi bambini, Mello era molto rude. Odiava le persone già di suo, figuriamoci quelle che vivevano lì. Deformate dal dolore, sottomesse a forza. Non si sforzavano neanche più di fingere di incazzarsi.
Pochi dimostravano apertamente e senza paura la loro rabbia verso il grande cazzo di capo.
Beyond, lui, molto raramente Matt… e qualche altro sparuto ragazzo.
Mai presi sul serio.
Gli venne sbattuta davanti una brodaglia verdastra.
- Anche oggi? – domandò irritato alla commessa.
La quale lo squadrò dall’alto e sbuffò.
- Che ingrato… -
I suoi occhi erano dello stesso colore di quelli di Lucy e il fatto che una persona con quegli occhi osasse deturparli con quelle idiozie lo fece arrabbiare più di quanto già non fosse.
- Ingrato hai detto? – ripeté alzandosi e prendendola per il collo.
Era più alto di lei e ora era lui a guardarla dall’alto.
- ASCOLTATE TUTTI LE PAROLE DI QUESTA DONNA, RAGAZZI! – gridò al pubblico di ragazzi che lo fissavano ora, con le forchette ferme e lo sguardo stupito e pieno di aspettative.
- NOI SIAMO… ingrati. -
Non aveva neanche più bisogno di alzare la voce, lo sentivano tutti. Il rumore dei piatti si era fermato. Tutto si era fermato.
Sapeva che il direttore lo stava guardando. Sapeva perfettamente che era sotto gli occhi di tutti.
- Ingrati perché ci fanno mangiare merda ogni giorno e abbiamo anche il coraggio di esprimere un minimo disappunto. Giusto? – soffiò in faccia alla donna, ora terrorizzata.
Qualcuno mormorò qualcosa.
- Ingrati perché viviamo in un posto di merda e non diciamo niente. Perché se osiamo dire qualcosa di fanno fuori. – scandì – Ingrati. -
Calò di nuovo il silenzio più completo. Tutti sapevano cosa volevano dire quelle parole.
Mello sbatté la donna per terra senza ascoltare il suo gridolino di dolore. Si girò a guardare i compagni e alzò la scodella del pranzo.
La soppesò con lo sguardo, ghignò e la lanciò dall’altro lato della stanza.
- E ora aspettiamo di vede come reagiranno i piani alti a questo affronto alle pietanze da re che ci vengono con tanti sacrifici offerte. -
In pochi secondi due uomini entrarono nella sala e si avvicinarono a Mello pronti a combattere.
Ma lui non ne aveva alcuna intenzione. Li guardò con le braccia incrociate, sorrise.
- Allora, andiamo dal grande capo, vi va? – chiese sarcastico.
Tutti seguirono la camminata arrogante del ragazzo fuori dalla mensa, senza riuscire ad abbassare lo sguardo neanche sotto le minacciose presenze degli uomini.


Matt tornò tardi nel pomeriggio, verso le sei. Entrò fischiettando allegramente in camera, salutò Mello e lanciò le scarpe in un angolo.
Poi si fermò perplesso, si girò e si accorse che Mello non c’era.
Il suo zaino era lì, chiuso. Le sue cose anche. Ma dove era finito?
Dopo qualche secondo sentì l’altoparlante sopra la porta attivarsi. Sapeva che era collegato direttamente alla direzione.
Una voce femminile e squillante annunciò che stava per ricevere un messaggio vocale dal direttore in persona.
- Buonasera Matt – risuonò infatti subito dopo – il tuo compagno di stanza, Mello, sarà per qualche giorno assente. Non ti devi preoccupare per lui. abbi una buona serata e lascia pure le sue cose dove sono. Se ne avrò bisogno le farò prendere io. -
Matt sbiancò e cadde di peso sul letto. Sembrava un cencio tanto era bianco, intonato perfettamente alla parete dietro di lui.
Non si lasciò sfuggire neanche un sussurrò rivelatore, ma uscì subito dalla stanza diretto in balcone.
Aveva bisogno di una sigaretta, più che mai.
C’era sempre qualcuno che fumava “di nascosto” al balcone del piano. In realtà lo sapevano tutti, ma nessuno diceva niente.
Si appoggiò al parapetto lanciando un’occhiata diffidente a una ragazza già lì, con una sigaretta in bocca, e se ne accese una. Tentò di calmarsi.
Forse non era poi così grave.
Certo. Come no.
Le parole del direttore gli risuonavano in testa, rimbalzando qua e là.
La ragazza si passò una mano fra i lunghi capelli neri e ricci e sorrise guardandolo.
-Matt… -
Lui la guardò meglio. Era stato con lei, molto tempo addietro. Prima di Cleo…
Come si chiamava? Melanie? Elenoire? Odiava la sua poca memoria.
-Ciao… ci si rivede… -
- Non ti ricordo come mi chiamo, vero? Sono Melinda, Matt… -  sussurrò lei ironica, distogliendo lo sguardo azzurro.
- Sì certo… Melinda… come stai? -
- Meglio di te, si direbbe. Sei bianco come un lenzuolo, lo sai? -
- Già… -
- Poverino il tuo amico… -
Matt era tutt’orecchie.
- Però se l’è andata a cercare… ma che cazzo aveva? Rispondere così a una commessa… E sbatterla per terra poi! lo sapeva benissimo quello che faceva… sotto gli occhi di tutti… -
- Cos’ha detto Melinda? -
- Non c’eri, scusa? -
Pausa di dissenso, contornata da una nuvola di fumo.
- Le ha dette tutte contro questo posto di merda. Era già scazzato da prima, se vedeva lontano un miglio. Gli è arrivato davanti il pranzo, la solita merda, e ha dato di matto alla grande. Però un figo il tuo amico, sempre tutto controllato, tutto altezzoso. Lo sa quello che fa, cazzo. -
Lì stava il problema con Mello, pensò Matt. Sembra sempre che sappia quello che fa. Fosse vero una volta…
- Che idiota… - sussurrò preoccupato, attaccandosi alla sigaretta come se fosse un’ancora.
- Eh, dopo quello che ha detto, cazzo…  Non ci andranno piano con lui. Mi dispiace, Matt. Cazzo, spero che non lo facciano fuori… -
Matt sbiancò di nuovo, perdendo il poco colore duramente conquistato con la nicotina.
- Non dire così Melinda, dai… -
- Beh, lo sai come vanno queste cose. È successo anche a mia sorella, lo sai. Credeva di fare una rivoluzione, lei. E l’hanno uccisa. –
- Me lo ricordo. -
- Ci siamo messi insieme poco dopo, ma sapevamo entrambi che era una storia del cazzo. -
- Sì, infatti. Mi dispiace per tua sorella. -
- Lei ti ricordi come si chiamava, vero? -
- Margot, certo che me lo ricordo. -
- Eri stato anche con lei, prima. O no? -
- Sì, cazzo. Era proprio bella. E intelligente. -
- Lo so. -
- Devo andare Melinda, mi… dispiace… -
- Vai Matt, vai. Dispiace a me. Buona fortuna. -
Matt passò la serata a fissare il vuoto, fingendo di studiare. Avrebbe rivisto Mello?
Come l’avrebbe detto a Lucy?
Sebbene la sua naturale onda di speranza permanesse, c’era un senso di fatalità su di lui. non finiva di rivedere le parole di Melinda, di analizzarle. Non poteva credere che Mello avesse fatto una cosa simile. Va bene, da solo era parecchio isterico, ma anche abbastanza sveglio da non scavarsi una fossa e poi lanciarsi dentro con un tuffo carpiato e un sorriso smagliante.
Avrebbe dovuto essere con lui, avrebbe dovuto fermarlo.
Si sentì improvvisamente in colpa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Scontri; ***


Buongiorno a tutti ragazzuoli miei! Come state?  EH? EH? EH?
Sì, mi do una calmata adesso, state pure tranquilli con quelle corde, non c'è bisogno di legarmi ;-*
Coooooomunque eccoci qua con un altro capitolo, un po' breve forse, ma l'ho anche scritto in meno tempo del solito perciò... no eh? 
BEH INTANTO l'ho scritto finally! E spero che presto ne arriverà un altro per inciso, ma la scuola mi sta massacrando insieme con tutto il resto perciò as usual non prometto nulla!
Dopo questo casino di introduzione, vi lascio alla lettura che spero vi garbuolerà! ;)

Mina







Mi diressi a scuola, percorrendo più veloce che potevo la strada che ci separava. Ci misi una decina di minuti e, quando fui lì, salii le scale molto più velocemente del solito. (sì, è possibile)
Mi catapultai dunque in aula studenti e vi trovai Beyond seduto su un banco, con gli occhi vuoti e lo il viso inespressivo.
Per un attimo ebbi un dejavu. Mi ricordai  di quando l’avevo visto seduto sulle scale, magro da fare spavento, pieno di lividi e con lo sguardo ancora più vuoto. Quando aveva perso Arianna.
- Beyond, che ti è successo? – dissi avvicinandomi e prendendogli le mani fra le mie.
Lui parve risvegliarsi.
- Alma! -
Mi guardò e mi baciò.
- Beyond, cos’è successo con Kendra? – gli chiesi sedendomi al suo fianco, con una mano sulla sua spalla.
Lui tirò un respiro profondo e cominciò a raccontare.
- Ha fottutamente tentato di baciarti? – esclamai, alzandomi e balzando giù dal banco.
- Amo’, stai calma non c’è mica riusc-
- Silenzio. Io la uccido. Giuro che la uccido. Troietta di merda.-
- Ehi, ma sei gelosa? – mi prese in giro alzandosi e tentando di abbracciarmi.
- Lo dovrei essere? -
- Cosa? -
- Ti piace? -
- Ma è della Wammy’s, apposta per sepa-
- Altrimenti ti piacerebbe! – accusai.
- Amore, no! -
- L’hai detto un attimo fa.-
- Ma non è vero! – eslcamò lui stupito.
- Tu hai detto che-
- Amore –mi fermò guardandomi negli occhi con un sorriso – la vuoi finire di dire stronzate? -
- Quindi dico stronzate! – mi ribellai vagamente.
- Sì – confermò dandomi un bacio.
Mi riappoggiai al banco mettendo su il broncio.
- Devi finirla – gli dissi.
- Di fare che? – ridacchiò lui.
- Di essere così fottutamente stronzo -
- Ah, grazie! -
Risi, tirandogli un mezzo pugno che parò.
- E Aki invece? – chiese con tutto un altro tono – Come mai ti ha portato via? -
- Mah… sapessi. -
- Cosa? – si preoccupò guardandomi.
- Eh, mi ha portata in un posto… -
- Dove? -
- In una cantina molto areosa. -
Silenzio.
- C-che? Tsk… una… cantina… - bofonchiò.
- Non ti interessa sapere cosa abbiamo fatto dentro la cantina? -
- D-dentro? Cos’avrete mai fatto dentro una cantina poi…  -
- Già, forse non dovresti saperlo. -
- COSA? cioè, ahem… cosa non dovrei sapere scusa? -
- Qualcuno è geloso? -
- Figuriamoci! Perché dovrei essere geloso poi! tsk! -
- Allora non te lo dico. -
- B-ene  -
Passarono trenta secondi prima che cedesse completamente.
- Ok, dimmelo. – dichiarò, voltandosi a guardarmi.
- Quindi sei geloso? – risi.
 Sentii uno stentato bofonchiare incomprensibile.
- Bene, Messer Geloso, Aki oggi era molto romantico. -
Gli raccontai ciò che era successo.
- Non ci voglio credere. – affermò, scuotendo la testa. – Come ha avuto il coraggio di… -
- Beyond, dai. Non è successo nulla alla fine, no? -
- Sai cos’è successo? -
Lasciai che il tempo gli rispondesse per me.
- Tu lo hai assecondato! Perché non gli hai detto, che cazzo ne so, “Ehi, sono fidanzata, levati dalle palle”?-
Lo guardai basita.
- Disse quello che ha appena salvato una mezza nuda e l’ha praticamente slinguata. -
- Non l’ho mai sfiorata neanche col pensiero. -
- Sei arrossito. Non l’hai rifiutata subito, vero? Scommetto che almeno per un secondo hai pensato di fartela e non pensarci più, vero? – lo accusai brutalmente.
- Non dire queste cose. -  rispose lui distogliendo lo sguardo.
- Ho ragione o no? – gli chiesi guardandolo negli occhi.
Lui non rispose. Il silenzio era peggio che se avesse parlato, in ogni caso.
- Non te ne farò un’accusa. Sei un uomo e se una te la sbatte in faccia è normale che tu tentenni. Tranquillo. – dissi con una punta di gelo nella voce.
Lui sbuffò. – Senti, lo so che sei incazzata. -
- No. -
- Sì, e non posso neanche darti torto. Posso solo dirti che… non hai motivo per essere gelosa di lei. chiaro? -
- Nessuna coppia è indistruttibile, no? – sbuffai ironica.
- Non è vero. -
Mi sembrò ferito quando lo guardai di nuovo.
- Scusa, non intendevo… -
Scosse la testa. – Lascia stare, non ti preoccupare. -
- Allora cosa facciamo? -
- Stiamo sempre insieme. Non diamo loro occasione di separarci mai. -
- E così sia. – confermai baciandolo e chiudendo così la questione.
 
Il giorno dopo, Mello era assente. Lucy sembrò non badarvi per tutte le prime due ore, ma quando glielo feci notare sobbalzò e  sussurrò qualcosa che suonava allo stesso modo di “come se non me ne fossi accorta da sola”, con un tono a metà fra l’acido e il preoccupato.
- Tu sai che ha? -
- Perché dovrei sapere cos’ha? – sbottò.
- Niente, pensavo solo che-
- Cosa?- ringhiò.
- Eh, se mi fai finire di parlar-
- Tanto lo so già, risparmia il fiato. -
Presi un profondo respiro e guardai in su.
- Santo Hide, aiutami tu. -
Lei sbuffò con sarcasmo.
- Lucy, porca puttana, si può sapere che cazzo ti prende? – le chiesi con il tono più calmo che trovai.
- Scusa se ti ho interrotto .-
- No, figurati! Tanto non è una delle cose che mi danno più fastidio al mondo! – risi io, scompigliandole i capelli.
- Allora, cos’hai? Guarda che non insinuavo nulla, sono che passate tanto tempo insieme ed è natural-
- Lo so, lo so, sono stata scortese.
Mi vennero le contrazioni nervose e per poco non la sventrai, ma vedendola giù mi trattenni e le sorrisi.
- Ehi, qualsiasi problema ti abbia creato quel pezzo di merluzzo incartapecorito, io ci sono. Lo sai vero? Qualsiasi cosa ti accada mai. – le feci l’occhiolino.
- Ti va di fare due passi insieme dopo? -
- Ja Von -
Lei inarcò un sopracciglio.
- Piantala, non lo sai il tedesco! – ridacchiò.
- Ah no? Mihi pensen jaaa -
- Perché l’ablativo di ego? -
- Vedi che sei tu che non lo sai! –
Fuori da scuola però, prima che potessi rapire Lucy e portarmela a spasso per tirarla un po’ su di morale (avevo anche già pensato dove, ma dettagli), fu Matt a prenderla da parte. Quel giorno anche Cleo era assente, essendosi presa un principio di febbre che voleva assolutamente scongiurare sul nascere e fummo stupiti di vederlo lì.
Sembrava preoccupato e dalle occhiaie avrei detto che non aveva dormito un secondo solo quella notte.
Ma schivò tutte le nostre domande e prese Lucy con se, andando via per la strada opposta a quella che facevo io.
- Cosa c’è Matt, si può sapere?  - chiese lei non appena ebbero girato l’angolo, passandosi una mano fra i lunghi capelli bruni.
Lui non rispose subito, accendendosi una sigaretta e offrendone una alla ragazza, che l’accettò.
- C’è una cosa che devo dirti Lucy. -
Lei si preoccupò subito, ma attese che il rosso cominciasse a parlare senza fare domande.
Lui si sedette su una panchina e lei affianco.
Guardò verso il cielo, poi per terra, mettendosi la testa fra le mani.
- M-mello…  - sussurrò.
Lucy spalancò gli occhi e gli mise un braccio intorno alle spalle.
- Matt, cos’è successo a Mello? – gli chiese con un’ansia che sentiva sempre più forte premerle contro il cranio. Poteva essere successa qualsiasi cosa.
- Lucy… Mello è stato messo in punizione sul serio. – mormorò Matt come se non ci credesse.
Poi prese un altro profondo respiro e si risollevò, prendendo un tiro dalla sigaretta.
Lei lo guardava con quegli occhi già enormi spalancati.
- Cosa vuol dire? – chiese lentamente.
- Vuol dire… che l’hanno messo in un posto da dove non uscirà che fra qualche giorno, forse. Il punto è … il punto è che quello che succede quando si è in punizione può essere… -
Matt sbuffò fumo, senza riuscire a guardare Lucy negli occhi.
- Che cazzo è successo? -
- Lui.. ha detto apertamente cosa ne pensava del nostro orfanotrofio e così… ha offeso le alte sfere, diciamo. -
- Matt, che cazzo dici? Non può essere vero, lo sai! Lui non è così stupido! -
- Era arrabbiato da prima, dicono. Io non c’ero. L’avrei potuto fermare.-
Lucy si asciugò una lacrima che si era permessa di scenderle sulle guance, gettando la sigaretta a terra.
- Non darti delle colpe che non hai, non ci aiuterà di certo. Non c’è un modo di farlo uscire? -  domandò, senza capire se parlava con il rosso o con se stessa.
Lui la guardò ironicamente.
- Forse non hai capito bene di cosa stiamo parlando. – disse riprendendo improvvisamente il tono che usava di solito. Era tornato Matt.
- Non… io… -
Lui si sistemò i googgles e sorrise.
- Non c’è un cazzo che possiamo fare! – esclamò con un tono forzatamente allegro.
- Matt… devi pensarci bene.-
Lui la congelò con un’occhiata sola. – Pensi che non ci abbia pensato? Tutta la notte? –
 
 
Lucy tornò a casa più tardi del solito, mangiò in completo silenzio e si chiuse in camera. Prese in mano il telefono e guardo le foto, scorrendole febbrilmente una dopo l’altra.
Mello la guardava in molte delle immagini, ora sorridendo con la sua espressione arrogante e divertita, ora era serio.
Aprì un video .
-Dai Lucy, finiscila con sti cazzo di video! – la rimbeccava lui, alzando gli occhi al cielo.
Lei rideva.
- Ecco possiamo osservare il tipico esemplare di cioccolato mane schizofrenico nel suo habitat naturale! Guardate con che naturalezza ingoia kili di quella malefica sostanza del demonio! Si dice gli abiti sadomaso richiamino precisamente quello! -
- Ma cosa…? Lucy ma cos’hai in testa? – ridacchiò lui mordendosi la cioccolata.
Si avvicinò alla camera e la guardò sorridendo.
- Hai finito?-

La ragazza stoppò il video e cominciò a piangere silenziosamente, le parole di Matt che  non le lasciavano scampo neanche sotto le palpebre chiuse. 

Passarono così due giorni, fra le prove che ormai erano quasi ogni pomeriggio e sempre più estenuanti in vista del concerto, i pochi momenti con Beyond, il silenzio improvviso di Lucy, che leggeva per tutto il giorno la stessa pagina di manga sotto il banco e nessuno capiva perché, Matt e Cleo che se ne parlottavano preoccupati fra loro e Mello sparito.
Io non ero riuscita a cavare niente da Beyond, che diceva di non avere idea di dove fosse, con uno sguardo preoccupato.
E alla fine ricomparve.
Era venerdì pomeriggio. Matt se ne stava stravaccato sul letto a giocare compulsivamente al Nintendo, tentando di non pensare al suo amico, l’aria che entrava dalla finestra aperta, pungente e gelida.
Mello aveva spalancato la porta e se l’era richiusa dietro con uno scatto che aveva fatto saltare Matt di circa tre metri e quasi scardinare la porta.
Non aveva detto nulla, si era semplicemente avvicinato alla finestra, sbattendo anche quella con un brivido.
Matt, dimentico della console, lo fissava inebetito.
- Mello? –
Il biondo parve non udirlo. Gli lanciò un’occhiata che congelò il rosso sul posto, percorso dai brividi, e si sedette alla scrivania.
I suoi occhi e il suo volto erano diversi da prima, come impuri. L’azzurro sottile era diventato più profondo, le pupille meno stabili.
Il rosso si alzò e gli mise una mano sulla spalla, ma Mello lo scacciò brutalmente, senza neanche guardarlo.
Per quanto i tentativi di Matt fossero insistenti, il biondo non gli parlò neanche una volta quel pomeriggio. Studiò.
La mattina seguente, a scuola, Mello riapparve fra i vivi, accolto da tutti. Non disse una parola a nessuno però, tranne qualche saluto stentato e sputato. Stavo cominciando seriamente a preoccuparmi.
Lucy, vedendolo, aveva fatto per corrergli incontro, ma a lui era bastato guardarla negli occhi per inchiodarla al suo posto e poter salire le scale per entrare in classe prima di tutti da solo.
La ragazza si trovò gli occhi per un attimo pieni di lacrime, prima di ricacciarle in fondo agli occhi e costringersi a salire anche lei.
Si avvicinò al suo banco risoluta.
- Mello, come stai? -
Lui non la guardò neanche, scartandosi una barretta di cioccolato.
- Lasciami in pace. – disse secco e acido.
Lei fissò il suo sguardo sulle mani sottili e pallide. Erano ferite e graffiate in più punti.
- Cosa ti sei fatto? – insisté tentando di farsi guardare almeno in faccia.
- Ti ho detto di lasciarmi in pace, lo capisci o no? -
- No. – si impuntò Lucy incrociando le braccia.
Mentre entravano i primi studenti, il biondo si alzò e le piantò le lame ghiacciate che aveva ormai al posto degli occhi nel volto, pugnalandola a sangue.
- Cosa cazzo vuoi, Lucy? – le domandò gelidamente.
A lei tornarono le lacrime agli occhi, ma non desistette.
- Mello, cosa ti hanno fatto? – sussurrò toccandogli il volto con la mano.
Lui scacciò quell’attenzione con le sue in modo violento e categorico.
- Non pensavo che quello che faccio ti interessare in realtà. E non dovrebbe, se è così. -
- Ti prego, smettila di trattarmi così. -
- Tu smettila di parlarmi. -
- No, Mello. L’ultima volta che ho smesso di parlarti-
- Stai zitta. -
- Io non-
- Ti ho detto di stare fottutamente zitta. -
Lei esitò.
- Come vuoi, starò zitta. -
- Bene, l’hai capita finalmente.  – disse lui.
Lei gli tirò inaspettatamente un sonoro schiaffo, al quale lui reagì prendendole la mano e stortandola fino a rischiare di romperla in modo altrettanto veloce.
La lasciò andare con uno sguardo che si avvicinava al disgusto, allontanandola con un ulteriore spinta, sebbene fosse colpito.
Lei lo guardò con odio.
- Stammi lontana – le sillabò sedendosi nuovamente e distogliendo definitivamente lo sguardo da quello scuro di lei.
Aki e Kendra erano di nuovo nella stessa stanza, quella di lui.
 - Quei due hanno mangiato la foglia secondo me- disse lui – hai visto come ci evitano? Sono sempre incollati, spiegami come cazzo facciamo a lavorare?! -
Non che gli importasse un granché.
Lei sorrise misteriosamente. – Vedrai che riusciremo a separarli. Nessuna coppia è indistruttibile, no? -
Lui si unì al suo sorriso.
- Infatti.
Si avvicinarono l’uno all’altro e unirono i loro volti in un lungo bacio falso, stringendosi e lottando a chi vinceva l’altro. Era quasi un gioco per loro. Qualcosa per passare il tempo.
Lei lo spinse sul letto e ridendo si tolte la maglietta.
- L’altro giorno, quando sono comparsa così a quel cretino di Beyond, sapessi che faccia a fatto – ridacchiò divertita.
- Dovevi vedere quella di lei quando ha visto i quadri! E poi di che ti lamenti, ovvio che se gliele sbatti in faccia, poverino… -
Si baciarono di nuovo e anche Aki si trovò senza maglietta.
- La cosa più divertente però è stata tornare a uccidere quel povero idiota reclutato da Roger. Urlava come una femminuccia.-
- Kendra … -
- Cosa? – domandò lei curiosamente.
- Se ci richiamasse il direttore, io sono stanco di aspettare che ci conceda di andarcene. Che ne dici di… conquistarci e meritarci da soli la nostra libertà, se dovesse succedere? – le sussurrò
Lei sorrise maliziosamente.
- Assolutamente d’accordo. -


Le prove andavano avanti da un’ora e mezzo e vedevo Jen stanca di voce.
- RAGAZZI PAUSA! – urlai nel microfono senza pensarci in un momento si silenzio fra una canzone e l’altra.
- PORCA PIMPA ALMA! – esclamò Matt- Vuoi assordarci completamente? -
- Ma i volumi erano a posto prima! -
- Ma PRIMA c’era la base e ce lo aspettavamo! – rispose alzando gli occhi al cielo.
- Comunque pausa! – continuai abbassando il volume alle risate di tutti.
Appoggiai la chitarra alla custodia aperta e mi sgranchii saltellando qua e là, mentre gli altri si sedevano sul palco o – per chi fumava – si avvicinavano alla finestra aperta.
- Ma stai mai ferma? – mi apostrofò qualcuno a cui risposi con una linguaccia.
- RAGAZZIIII! NON VI VEDO CARICHI CAVOLO! FORZAAA! -
- Quanti giorni al live? -
- Pochi… - commentò Jen cadaverica.
- INSOMMA CAZZO! E’ UN FOTTUTO LIVE! –
- ALMA PORCO DUE DATTI UNA CALMATA! -
- Tsk! -
- Tsk un par de ciufoli! -
Passammo le prove a discorrere del live e rincuorare gli animi spersi della vocalist e della batterista, poco  sicure di se stesse, al contrario mio e di Matt che non ci preoccupavamo affatto. Ormai le ultime canzoni erano sistemate. Eravamo praticamente pronti.
- FORZA, SI RICOMINCIA! –
- Ma sto ancora fumando! -
- INGOIALA ALLORA! –
Aki, seduto ad assistere come faceva altre volte, ridacchiò e continuò a fissarmi. Mi infastidiva.
Mentre suonavo, mentre parlavo, qualsiasi cosa facessi o dicessi, lui era lì che mi guardava, il più delle volte impassibile. 
Non lo sopportavo più. Intuivo che fosse una provocazione per separarmi dal gruppo e parlargli faccia a faccia rimanendo di nuovo soli, ma non ce la facevo davvero più. 
Anche a lezione stava diventando pesante. Dal giorno in cui mi aveva fatto vedere i suoi disegno, ogni volta che mi voltavo era lì a guardarmi e scarabocchiare. Non avevo neanche provato a vedere con cosa riempisse i suoi stupidi foglietti, ma non ero tanto stupida da non poterlo immaginare.
Era troppo perfetto come attore perchè non cadessi prima o poi nelle sue trappole, sia per curiosità che per intolleranza.
Tutti lo sapevano, che mi dava particolare fastidio essere fissata, così come io sapevo che ad Anita dava fastidio essere contraddetta, che a Cleo dava fastidio non essere ascoltata con attenzione, che se rubavi del cioccolato a Mello finivi veramente male, e tutto il resto. E evitavamo sempre tutti di infastidirci. 
Perchè lui non poteva fare lo stesso, cazzo?
Evitando di lanciargli l'occhiatacci a che avrei voluto riafferrai la mia chitarra e tolsi il muto dai microfoni, dando uno sguardo alla scaletta compilata con gli altri, annunciandola poi ai miei compagni.
Ricominciammo a suonare, ma per quanto mi lasciassi come sempre prendere dalla musica e dalla sensazione che mi dava suonare quella bellissima chitarra, ogni volta che davo uno sguardo in quella direzione, Aki era lì. Con quei suoi cazzo di occhi blu.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Sarebbe meglio non capire; ***


Buongiorno a tutti! Ecco un nuovo capitolo! E' da un po' che non aggiorno, ma ho passato un periodo ancora più pesante del solito e solo ultimamente sono riuscita a finirlo. Vi chiedo scusa, ma sono davvero occupatissima ormai! :(
Comunque eccomi qua! Spero che gradirete!
Scusate la poca pregnanza di queste prime quattro righe, ma il mio cervello si sta fondendo! A presto! :-*

Mina



Me ne stavo ferma a guardare fuori dalla finestra della sala prove, stanca morta, pensando a come organizzare la scaletta in vista del live, quando una voce mi riscosse dai miei pensieri.
- Tutto bene? – domandò qualcuno poggiandomi una mano sulla spalla.
Mi voltai di scatto pronta a trovarmi davanti Aki, ma rimasi stupita nel vedere Mattia al suo posto, con la sua tipica espressione allegra e rilassata e la custodia del basso ancora in mano.
- Ehi, non ti avevo sentito! Che ci fai ancora qui? – gli chiesi scherzosa.
- Mi sono fermato fuori a parlare con Aki e sono rientrato giusto ora a prendere il basso e… -
- Con Aki?! -
Lui sorrise e appoggiò il basso al muro.
- L’ho notato che ti fissa continuamente. -
- E.. allora? -
- Ho notato anche che sei parecchio stanca e… penso che lui ti dia fastidio. L’ultima volta che mi sono incantato a fissarti per sbaglio, mi hai tirato una bottiglietta d’acqua in testa. Ti ricordi? Eravamo in gita a-
- Mattia, svii il discorso.
- Che discorso? Ho visto che ti rompeva durante le prove e voglio che tu dia il massimo alle prove. In più come ti ho già detto ti vedevo stanca. Così gli ho chiesto se può non assistere alle prove almeno fino al live. Voleva venire qua a parlarti, ma gli ho chiesto di andare. -
- Mattia, ma… non dovevi! -
Sbuffò.
- Grazie… - gli dissi.
- I’m here for you… – canticchiò facendomi l’occhiolino. – Allora avevo ragione? -
- Beh, essere fissata mi manda in palla, lo sai. E sì, sono stanca. Ma non ti preoccupare per me, va tutto bene. Ok? -
Lo vidi ridacchiare di gusto e passarsi una mano fra il casino di capelli che aveva in testa.
- Alma, ci conosciamo da quando avevamo quattro anni, no? Quindi ormai sono… quattordici anni. Lo so che ti sta succedendo qualcosa e che Aki c’entra. Non ti sto chiedendo di dirmelo, ma se avessi bisogno di una mano, io sto sempre qui. Ricordatelo, sometimes. Va bene? -
Una nuvola si spostò e il sole invase timidamente la stanza con una luce soffusa, illuminando lo sguardo che mi lanciò, mentre cercavo di rispondere in qualche modo.
Alla fine non ci riuscii, ma fu lui a risolvere la situazione, scompigliandomi i capelli, sorridendo di nuovo come suo solito e prendendosi il basso in spalla.
- Adieu, fanciulla -  canticchiò allontanandosi.
Sorrisi, scuotendo la testa e chiedendomi dove avevo trovato un amico così. Niente gli avrebbe mai tolto il sorriso di bocca, questo era certo. E come faceva a capire tutto così bene era un mistero.


Jen aveva aspettato Mello fuori da scuola, quel giorno, appoggiata alla moto con uno sguardo inceneritore che aveva tenuto alla larga tutti coloro che passando avevano pensato di salutarla.
Quando il ragazzo uscì, lei in due passi gli fu davanti, sbarrandogli la strada minacciosamente.
Pur essendo più bassa di lui riusciva a emanare tanta rabbia che pareva ingrandirsi e molti lanciarono occhiate perplesse o preoccupate alla scena che si profilava nella luce grigiastra di quel giorno.
- Che cazzo vuoi? – domandò subito Mello stringendo gli occhi.
Anche Jen notò quel cambiamento radicale nella stessa voce dell’amico, più aggressivo e insensibile di prima.
- Tu che cazzo vuoi? Pensi di poter fare quello che ti pare con gli altri? Cos’è, ti sei fermato al delirio di onnipotenza dei dodicenni? -
Il biondo la fulminò con uno sguardo.
- Se non la finisci di comportarti così ti prendo a calci nel culo tanto da farti sputare l’intestino. -
Tanto bella e carina, Jen, tanto dolce, ma quando si incavolava sapeva diventare un filino aggressiva.
Mello si limitò a sbuffare, superandola e proseguendo per la sua strada.
- Benissimo… - sussurrò la ragazza riavvicinandosi alla moto e montandovi.
Una decina di minuti dopo, pedinando il ragazzo, si ritrovò in un vicoletto dimenticato da Dio, mal illuminato e sporco dove Mello si fermò, sedendosi su una panchina e scartando una barretta di cioccolato, silenziosamente.
La bionda girò l’angolo senza sapere che si era fermato e capendo che orami Mello l’aveva vista gli sgommò davanti, fermandosi appena in tempo e smontando.
Si tolse il casco e lo guardò ostilmente.
- Mello, dove vivi? -
Il biondo si alzò ancora più arrabbiato, teso e pronto a esplodere, turbato da quella improvvisa domanda e dagli occhi azzurri di Jen che non si scollavano dai suoi.
- Dove sono i tuoi genitori Mello? – provocò ancora la ragazza.
- Che cazzo di domande sono? -
- Rispondi. -
Lui fece un passo avanti, facendosi più cupo e sinistro nella luce grigio scura delle nuvole.
- Rispondi Mello. -
- Perché non ti fai i cazzi tuoi, Jen? -
- Chi ti ha picchiato? -
- Stai zitta. -
- Sei orfano… vero? -
Mello ghignò, staccando un morso di cioccolato con uno schiocco.
- Mello, è vero? -
- Pensi che non possa farti nulla, vero Jen? Non hai paura di me? Stupida… - disse il biondo, quasi fra sé e sé. – Pensi che il tuo amichetto non oserebbe neanche toccarti, giusto? Pensi che io non sia in grado di farti del male perché… ti voglio bene, giusto? Illusa. Non esiste nulla del genere fra me e il tuo fottuto mondo da ricca snob del cazzo. -
Se c’era una cosa che colpiva sempre la bionda, sia pronunciata per scherzo che sul serio, era l’allusione al fatto di essere ricca. Non sopportava di essere pregiudicata per questo, anche perché per essere ricca i suoi genitori erano sempre fuori e il più delle volte la sua casa, per quanto grande, era vuota.  Non si lamentava mai, ma se veniva presa in giro per i suoi soldi si rabbuiava subito.
- Credi davvero che continuando a provocarmi così non ti succederà niente? Non l’hai capito che non sono il tuo amico Mello? Non l’hai ancora visto? Ragiona e vattene subito se ci tieni a te stessa. Vattene. -
Lei lo fissò sforzandosi di vedere qualcosa nel vuoto maligno delle sue pupille.
- Mello, ti fai? -
Lui rimase in silenzio, senza smettere di ghignare, ma quel silenzio intimorì Jen più delle sue parole.
- Tu capisci troppo, sai? – disse poi, dando un altro morso alla cioccolata. – Tu dai fastidio. E non sperare che questo ti metta in una posizione di vantaggio. -
- Di cosa ti fai? -
- Potrei farti qualsiasi cosa ora. Non c’è nessuno qui, conosco bene questo posto. Fidati di me, non ti sentirebbe nessuno, Jen. Vattene. -
- Non ho paura di te, Mello. -
Lui ridacchiò e la prese per il collo con tale velocità che lei ci mise un attimo a rendersi conto della situazione.
Ora Mello la osservava da vicino, con quello sgaurdo cattivo e vuoto.
- Ti ho avvisata o sbaglio? – sussurrò.
La ragazza strinse gli occhi, divincolandosi.
- Non mi toccare, figlio di puttana – gli soffiò in faccia, senza però riuscire a cambiare la sua posizione.
- Altrimenti? -
Jen riuscì a liberarsi e gli tirò repentinamente un’istintiva spinta, mandandolo contro la panchina. Lui si rialzò con un bagliore negli occhi e senza porsi altre domande o dubbi, senza altre parole, la sbattè a terra sbuffando.
Prima che lei potesse provare a rialzarsi le tirò un calcio con l’intenzione precisa di farle del male e avrebbe continuato se una voce perentoria non fosse risuonata da un angolo della strada.
- Mello! – disse qualcuno, con voce cupa e pulita.
Svoltò l’angolo un ragazzo alto e curvo, la massa di capelli neri disordinata in testa. Era Elle.
Il biondo lo fisso con ostilità, mentre lui si avvicinava. Jen provò a rimettersi in piedi, le lacrime agli occhi dal dolore, ma un gesto di Mello la spinse a rimanere seduta a terra, spaventata.
- Elle. Cosa vuoi? – domandò poi il ragazzo, staccando un altro pezzo di cioccolata.
- Lasciala stare. – disse lui atono.
- Cosa ti importa? Vattene e lascia stare me. -
Elle  si avvicinò ancora e lo guardò negli occhi senza dire nulla, le mani in tasca, l’aria pensosa di sempre. Diventava più pallido ogni giorno che passava, così come le sue occhiaie si accentuavano a ogni notte di studio che affrontava.
- Vai a casa, Mello. –
Il biondo lo guardò con odio, le mani strette e gli occhi taglienti.
- Pensi di farmi paura? Lo so che te la fai col direttore, Elle. Solo per questo ti prendi libertà che non dovresti. Come posso picchiare lei posso picchiare te. Perciò lasciami in pace, tu e la tua fottuta giustizia del cazzo. -
- Non credo ti converrebbe affrontarmi. – suppose Elle.
Mello sembrava l’immagine di un cane che sta per saltare addosso a un rivale dall’espressione, e presto questa si sostituì in fatti concreti. Il biondo andò velocemente incontro all’altro ragazzo, con tutta l’intenzione di sfogare la sua rabbia su di lui, ma prima che Jen riuscisse ad alzarsi per aiutare Elle, prima ancora che potesse formulare un pensiero coerente, Mello era a terra.
Il detective, poiché di un detective si poteva parlare, non aveva avuto difficoltà né esitazioni a fermarlo, ed era stato tanto veloce quanto efficace.
- Che cazzo… -
- Vai a casa, Mello.
Il ragazzo si rialzò ancora più arrabbiato e di nuovo tentò di attaccare Elle. Ma venne senza apparente sforzo sospinto ancora più in là, per cadere rovinosamente a terra una seconda volta.
Quando si mise in piedi i suoi occhi sembravano quelli di un folle.
- Vai via. – ripeté semplicemente Elle, pronto a respingerlo di nuovo.
- Vuoi che vada via? – domandò retoricamente Mello. – Vuoi che torni là dentro? Che cazzo vuoi, che resti in quella prigione per tutta la vita? Solo a Elle i meriti, solo a lui che se la  fa con il nostro amato direttore mentre gli altri marciscono e muoiono. Cos’è, vuoi levarti di torno la concorrenza? Se è così puoi stare tranquillo perché dentro a quella merda di posto non ci tornerò stasera. Né domani. -
- Mello, se tu fossi più lucido capire-
- Vaffanculo Elle. – lo interruppe l’altro allontanandosi infine.
Il ragazzo sospirò senza neanche provare a fermarlo, dirigendosi verso la bionda ancora seduta a terra, decisamente spaventata.
Le diede una mano e la aiutò a rialzarsi.
- Ti ha fatto male? -
Lei scosse la testa ricacciando indietro le lacrime.
- Però mi devi spiegare un paio di cose, Elle. -
- Non ora. Dovresti andare a casa adesso, Jen. 
Lei lo abbracciò, sentendosi sola e fragile.
- Perché è diventato così? Cosa gli hanno fatto Elle? -  gli domandò subito dopo, fissandolo.
Lui non le rispose.
- Dov’è che vivete? In un orfanotrofio? -
- Jen, non posso dirti nulla come vedi, ma state attenti. Più persone vengono a conoscenza della nostra dimora, meno sono le possibilità di mantenere questo equilibrio di cose. Hai visto cos’è successo a Mello. Anche Beyond rischia molto in questo momento, più di tutti, come immagino avrai intuito. O sbaglio? -
Lei annuì.
- E’ da un po’ che sospetto qualcosa. Ma… cosa vuol dire tutto questo? Perché non si può fare niente? Denunciarli? Tirarvi fuori? -
- Non pensarci tu, non ti spetta. Da quello che posso ipotizzare tuttavia, presto la situazione cambierà. Non so se in meglio ho in peggio. Ci sono troppe pedine in campo. Non te ne preoccupare, non intervenire. Mello non deve essere disturbato ora, o si chiuderà di più. C’è già chi può e dovrebbe occuparsi di lui. Se vuoi, stai accanto a Lucy piuttosto e assicurati che non faccia i tuoi stessi sbagli con lui. Adesso va a casa. -
- Posso farti una domanda?-
Lui confermò con lo sguardo.
- Sembri sempre privo di… sentimenti. Perché? -
- E’ necessario essere obbiettivi, Jen, nella mia posizione. Sono altre cose di cui non ti devi preoccupare. -
- Ci vuoi bene? – gli domandò.
Lui abbozzò un sorriso.
- Certamente. –
 
Matt bussò con forza al portone di Cleo.
Era pomeriggio tardi e non l’aveva chiamata prima di andare a casa sua, agendo solo d’istinto. Quando lei venne ad aprire i suoi occhi si riempirono di stupore.
- Cosa cavolo ci fai qui? -
- Scusami, non ti ho avvertita… -
La ragazza notò l’espressione del fidanzato e non domandò altro, facendolo entrare e preparandogli un the. Per tutto il tempo che ci impiegò, il rosso se ne stette seduto a guardare il vuoto nella cucina dai colori caldi, senza dire nulla.
Quando però Cleo gli posò una tazza fumante davanti e si sedette al suo fianco non ebbe bisogno di nessuna parola per capire cosa succedeva.
- E’ per Mello. Vero? -
Lui annuì, sbuffando e soffiando sul the. Le aveva raccontato cos’era successo, ma non aveva potuto parlargliene più del necessario, sia per la sua discrezione su tutto ciò che accadeva nell’orfanotrofio, sia perché non se la sentiva. Se ci provava perdeva improvvisamente la sua naturale allegria e non trovava le parole.
- E’ peggio, ora che è tornato. -
- Come mai? -
Lui abbassò lo sguardo smeraldino e prese un respiro profondo.
- Sta fuori tutto il pomeriggio, sempre. Non torna che di notte, strafatto, e non dice una parola. Non studia neanche più, penso. Se provo a parlargli è aggressivo tanto da arrivare alle mani in pochi secondi. Non so cosa cazzo fare, Cleo, non lo so davvero. È così… arrabbiato. -
Lei sospirò, prendendogli una mano.
- Amore, mi dispiace… Credo che Jen oggi abbia provato a parlargli ma non l’ho sentita da quando siamo uscite da scuola. So che in questo momento ti sembra veramente irrecuperabile ma… ce la faremo. Ok? Ora non è più solo, anche se forse non vorrebbe averci fra i piedi. Si renderà conto che non vale la pena autodistruggerci. -
- Ma non ci ascolta neanche! -
- Di cosa si fa? -
- Vallo a capire… non roba leggera, questo si vede. -
- Senti, c’è ancora speranza, lo sai. Lo dici sempre tu di non cedere, o sbaglio? Di continuare a lottare, cazzo! Lui ora non lo sta facendo, ma noi sì. Lo tireremo fuori da quello schifo, va bene? -
Lui sembrò non sentirla neanche. Senza pensarci si accese una sigaretta e Cleo andò ad aprire la finestra.
- Sai… sai qual è la cosa che mi fa stare così di merda? – disse lui a un tratto interrompendo il silenzio con una voce sottile e vicina allo strappo.
Lei si riavvicinò e si sedette nuovamente al suo fianco, il the dimenticato a freddarsi lì davanti.
- Il fatto che non lo fermino. Generalmente, se qualcuno di noi si comportasse come lui sta facendo in questo momento ci prenderebbero a botte come mai. Tornare oltre gli orari stabiliti, farsi, non studiare, rispondere a tutto, essere così aggressivi… non sono cose che passano impunite. A lui lasciando fare tutto. E lo sai perché? – disse Matt con gli occhi che si facevano lucidi, ma la voce nuovamente ferma. – Perché sanno che la speranza non c’è più per lui. Ormai è spacciato. Fra un po’ lo faranno fuori, oppure si farà fuori da solo. Succede continuamente, gente che prima vedi quotidianamente scompare e non ci puoi fare nulla. Ma lui… cazzo… -
Cleo tentò di consolarlo per lungo tempo, confortandolo in ogni modo, ma l’idea fissa che Matt aveva in testa non perse piede e quando uscì da quella casa, sebbene regalando a Cleo un piccolo sorriso e un bacio, i suoi occhi, riflettendo il sole pallido e smunto di quella che ormai era sera, avrebbero voluto mostrare più lacrime di quelle che si era permesso.

- MA PORCA CELESTINA INFAME! -
Beyond sobbalzò, lanciandomi un’occhiataccia per poi scoppiare a ridere.
Eravamo in camera mia. Lui stava finendo di fare una versione (e sì, il fatto che non stesse neanche lanciando un’occhiata di sfuggita al maledettissimo vocabolario mi rendeva certa di essere alla presenza di un eletto) mentre io stavo organizzando da una parte la struttura del nuovo numero del giornale e dall’altra il concerto delle settimana successiva.
Il casino che albergava impunemente nel mio bel cervellino mi spingeva a ringhiare contro quei cavolo di fogli che non riuscivo in alcun modo a mettere d’accordo con la realtà dei fatti.
- Si può sapere che hai? – domandò Beyond, dopo aver finito di ridere ed essersi quasi beccato una penna in testa.
- Cos’ho? Ho che quei cretini che dovevano farmi l’articolo sull’assemblea sulle droghe di lunedì mi hanno sforato le pagine e non mi stanno mandando la cazzo di foto! E che se Mattia non può usare la macchina perché serve hai suoi non ho la benché minima idea di come fare a trasportare la batteria e gli ampli che ci servono al concerto! E che il basso di Vì ha le batterie quasi scariche ormai e non le ha ancora cambiate! In più dobbiamo trovare un’asta per microfono perché figurati se ce ne possono dare una in più! E non mi hanno ancora detto quanto cazzo costa la consumazione perciò ho tutti che mi pressano per saperlo e io che presso loro e-
- Alma, stai sclerando.  -
Fermai la mia parlantina e strinsi gli occhi con odio.
- Non ti ci mettere anche tu, stronzetto! Lì a fare la tua versioncina senza il vocabolario seduto sul tuo bel divanetto! Ti mancano una prostituta, un paio di baffi e una telecamera e puoi girare un porno! – lo sbeffeggiai.
Lui ridacchiò per tutta risposta e mise giù la versione per avvicinarsi a me.
- Non volevo offenderti, ma se fai diciotto cose insieme è naturale che non ti-
- NON HO TEMPO, OK? – gli sbottai in faccia, mentre lui tratteneva a stento altre risate.
- Scuuuusa! Ma chiedere una mano? -
Sbuffai.
- A chi, di grazia? -
- I tuoi compagni di band per esempio? -
- Nessuno di loro ha il tempo di farlo in questi giorni e in realtà ho già dato a tutti qualche incarico. -
- E la tua redazione? -
- Beh, sono sempre io, insieme con Cleo, a impaginare! E lei è nei miei stessi casini. -
- Io? -
- Tu stai traducendo Tucidide senza vocabolario, scemo. -
- Ho quasi finito. Fra dieci minu -
- Beyond. -
- Mi devi interrompere ancora? -
- Era una versione di diciassette righe e mezzo. Di Tucidide. SPIEGAMI. COME. CAZZO. FAI. -
Lui scoppiò a ridere di gusto per l’ennesima volta, mentre io alzavo gli occhi al cielo e riprendevo in mano il foglio su cui stavo ideando l’impaginazione del giornale, lanciandovi un’occhiata.
- Quando hai finito di ridere fammi un fischio. Stronzo. -
Dopo qualche secondo lanciai un’occhiata allo stronzo e lo trovai che mi stava fissando, finalmente serio.
- Allora? -
- Cosa? -
- Che vuoi? -
- Aiutarti! -
Alzai un sopracciglio.
- Perché? -
- Beh, sei la mia ragazza e vederti stressata e sclerata è una “sofferenza”. E poi sei insopportabile quando sei stressata e sclerata. -
- Ma vaffanculo, signor depresso cronico! –
Dopo qualche minuto, seduti fianco a fianco sul mio letto, ci mettemmo d’impegno nell’organizzazione del concerto. Considerando il fatto che la sua band suonava prima di noi nella stessa serata, ci fu facile capire come fare a trasportare tutta la strumentazione in una volta e da lì l’organizzazione di tutto il resto divenne più facile.
- Visto? Basta chiedere. -
Sbuffai.
- Che c’è?-
- Sempre ragione tu, eh? – lo sbeffeggiai nuovamente.
- Ovviamente! -
Quando stavamo insieme, sebbene spesso passassimo il tempo a prenderci vicendevolmente insieme, era fantastico come per un po’ fossimo capaci di escludere i problemi fuori dalla mente. Sembrava tutto molto più risolvibile, tutto meno assurdo.
 
Lucy non si aspettava visite, quel pomeriggio. Si era messa a studiare subito dopo pranzo, nell’intento di non pensare a nulla. Nonostante questo, ogni volta che alzava lo sguardo verso la finestra che aveva davanti la scrivania, non riusciva a trattenere il pensiero di Mello.
Vedeva ancora davanti a lei quello sguardo così pieno di rabbia e sentiva ancora il tono graffiante della sua voce.
Non passò molto tempo che qualcuno citofonò. Si trattava di Jen, passata a trovarla per chissà quale motivo, senza preannunciarsi.
Si salutarono senza molto entusiasmo, entrambe col morale a terra apparentemente. Lucy non notò gli occhi leggermente arrossati dell’amica, troppo persa nei suoi pensieri.
- Come mai sei passata? – le domandò, sedendosi sul divano della sala di fianco alla bionda, senza guardarla.
- Ti devo parlare… -
Jen incrociò le gambe e strinse un cuscino.
- C’è una cosa che devi sapere riguardo a Mello -
Lucy sbuffò incrociò le braccia, facendo rivivere per un secondo all’amica il secondo in cui a sbuffare e incrociare le braccia era stato proprio Mello.
- Cosa mi devi dire? Pensi che non mi sia accorta di niente? -
La voce della mora si era fatta secca e ostile.
- Lu, non intendo dire che tu ne sappia più di me. Devo solo metterti in guardia. Va bene? -
L’altra sbuffò di nuovo, lo sguardo che evitava accuratamente di incontrare quello della bionda.
- So come sei fatta, ti conosco. Tu lo vuoi salvare e pensi di poterlo fare semplicemente coi sentimenti che hai per lui. Ma non funziona così. Non ora, ok? Lui non cambierà solo perché tu provi qualcosa per lui e magari ricambia. Se vuoi stargli vicino fallo, ma con prudenza. Non farti trascinare in fondo con lui. Il tuo benessere è la cosa più importante: se stai male anche tu come pensi di aiutarlo? Lui non se ne rende conto. È cambiato.-
- Lo so benissimo che è cambiato! – ribatté la mora, mantenendosi sulla difensiva.
- No, non lo sai! Credi che sotto sotto ci sia ancora il vecchio Micheel? Beh, fidati di me, non c’è! Non è come prima e basta. Non lo riporterai indietro. Se sei disposta ad accettare questo allora puoi aiutarlo. Se invece non puoi capirlo lascia perdere, farai del male a lui e a te stessa. -
- Come cazzo pensi di sapere quello che io credo? -
- Ti conosco, idiota.. – sussurrò Jen alzandosi e lasciando senza altre parole la stanza.
La porta di casa sbatté con violenza mentre i tacchi della bionda scendevano le scale e si allontanavano.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Trame nascoste ***


BUONGIORNO! Avete passato una buona pasqua? Spero di sì! Ma ormai le vacanze sono finite - sigh - e sta per ricominciare la scuola - sob - e con essa l'ultimo terrificante mese di verifiche e interrogazioni e quant'altro - ahimé! - MA non demordiamo! Detto ciò, spero che questo capitolo vi piaccia! Fatemi sapere, se volete, cosa ne pensate!
A presto! :-*

Mina


Il giorno successivo, a scuola, c’era un’atmosfera fra le più tese che si fossero mai registrate di lì a un bel po’ di tempo.
Mello sedeva catatonico al banco, fissando il vuoto senza curarsi neanche di dare l’impressione di seguire. 
Lucy sedeva catatonica al banco,  fissando una pagina sempre uguale di manga, senza curarsi neanche di dare l’impressione di seguire.
Jen aveva un forte dolore al fianco destro e camminava appoggiandosi ad Ani, senza dire come si era procurata quel livido e apparendo seria, evento più unico che raro.
Aki mi fissava con un’espressione tristissima e al tempo stesso persa. 
Io scleravo.
Non riuscivo ad aspettare la fine di quelle due ore terrificanti e non ne potevo più di riempire i secondi interminabili che mi trovavo a sopportare con le parole della prof, che, per la distrazione e l’intolleranza, non riuscivo ad associare al loro significato. Non capivo niente.
La lancetta dei secondi si muoveva con una lentezza dolorosa, nulla rendeva meno insopportabile quell’attesa. Continuavo a muovermi, a sbuffare, a scarabocchiare. Avevo una sensazione orrenda che mi attanagliava lo stomaco, complice la fame derivante dalla colazione saltata. Infatti ero arrivata in ritardo anche quel giorno e non ero riuscita neanche ad addentare un biscotto prima di fare tutta la strada di corsa imprecando contro lo sciopero dei mezzi. Dopo venti minuti di corsa mi ero catapultata in classe, scusandomi con la professoressa, e mi ero seduta al mio posto chiedendomi perché l’aria fosse così carica di tensione.
Poi mi ero guardata intorno.
Poi il macigno degli occhi blu di Aki mi si era posato addosso.
Poi Lucy mi aveva preoccupato
Poi Mello mi aveva allarmato.
Poi Jen mi aveva inquietato.
Dio, che situazione assurda.
Vedevo i miei amici soffrire, Cleo avere le occhiaie sempre più accentuate per il tempo che passava la notte al telefono con Matt- il quale non riusciva a dormire fino a che Mello non rientrava, e Mello rientrava sempre più tardi, e non potevo fare niente perché non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Potevo intuire, ma nessuno mi diceva nulla di certo.
Avrei di gran lunga preferito accollarmi tutti i loro problemi e morirne seppellita piuttosto che vederli così abbattuti. 
Mello poi mi faceva quais arrabbiare. Dopo tutta la storia della sua mezza depressione di poco tempo prima, dalla quale era uscito solamente grazie a quella santa della mia cuginetta, eccolo che per qualche motivo ricominciava. 
No, va bene, non ricominciava. Era proprio un'altra cosa. 
E il motivo non era così misterioso come speravo di poter credere ogni tanto. Beyond mi aveva detto che era stato messo in punizione per qualche tempo, ma neanche lui era riuscito a dirmi di più.
Vedevo in ogni momento che era sul punto di dirmi qualcosa, ma alla fine si fermava da solo. Percepivo la sua preoccupazione, e lui con Mello non aveva poi così tanto a che fare, e questo non faceva altro che terrorizzare me ancora di più. Ma non si poteva certo fare finta di nulla. No?
Avevamo avuto anche una discussione molto strana a proposito di Aki e Kendra. Ne stavamo parlando, sfogando a vicenda il loro costante peso. Lui se ne era uscito con un frase curiosa, in un misto di speranza e di paura:
“Dopotutto il preside della Wammy’s non ci è totalmente nemico. Immaginati che loro due falliscano esplicitamente. Che chiudiamo loro tutte le porte. Immagina che loro si convincano che io e te non sappiamo che sono dell’orfanotrofio, ma siamo semplicemente davvero troppo innamorati. Non avrebbero altra scelta che dirlo al direttore. Lui mi odia abbastanza perché questo provochi la sua rabbia e ciò sarà un problema per Kendra e Aki. Infatti se lui si arrabbiasse potrebbe anche decidere di toglierceli di mezzo definitivamente senza che ci sforziamo di farlo noi. Non sai com’è quando si arrabbia. Non sai com’è…”

Mattia, il mio migliore amico, non era andato a scuola.
Era seduto su una panchina del parco, una serie di cartellette in mano, la musica a palla nelle orecchie. Stava mettendo insieme i pezzi, con l’aiuto di Skin. Si avvicinava a capire. 
Forse troppo e con i mezzi sbagliati.
Non sapeva che strada stava prendendo. 
Era un vicolo cieco.

Beyond aveva un’ora buca quella mattina, invece. Era arrivato in ritardo come me, ma meno.
Già preoccupato aveva svoltato l’angolo che lo portava alla sua classe e tirato un gran sospiro di sollievo vedendo i suoi compagni fuori a chiacchierare, appoggiati ai termosifoni.
Dopo aver appoggiato lo zaino sul banco ed essersi tolto la giacca, si era trovato davanti Kendra. Lei lo guardava con un mezzo sorriso incerto.
- Ti va di fare due passi con me? - 
Lui aveva annuito con un sorriso finto ben mascherato e l’aveva seguita per i corridoi senza altre parole.
Non parlavano più moltissimo, non dopo il giorno in cui lei aveva tentato di baciarlo.
Ma Beyond sentiva che, se avesse creduto alla recita della ragazza, non si sarebbe sentito a disagio con lei, sebbene nessuno si fosse scusato. Era così brava, Kendra, a creare atmosfere e sensazioni, che alle volte lo ingannava davvero per qualche secondo.
La guardava intensamente negli occhi e leggeva il nome Kendra sopra la sua testa. Perché lei credeva veramente di essere Kendra. Lo era. In quei momenti.
Era incredibile quella sua capacità, che aveva in comune ad Aki. i loro nomi falsi diventavano così veri che neanche Beyond poteva conoscere quelli reali.
Ma c’era qualcosa di molto strano.
Nessuna data vitale. Niente. 
Perché dei personaggi non possono morire. Sono troppo astratti.
Questo gli ricordava inesorabilmente Pirandello e la sua opera “Sei personaggi in cerca di autore”.
Kendra lo portò fino al tetto a furia di girare per i corridoi, sotto un cielo bianco di nuvole luminose, simili a panna fresca.
Lei si sedette sulla panchina, lui al suo fianco con le mani dietro la testa e lo sguardo al cielo.
- Posso farti una domanda, Beyond? - 
Lui annuì chiudendo gli occhi, abbagliato dalla luce di quelle nuvole troppo bianche.
- Come hai conosciuto la tua ragazza? - 
- Per caso, in realtà. Il preside ci ha imposto di collaborare, nonostante fossimo evidentemente discordi perchè rivali sotto molti punti di vista e piano piano ci siamo conosciuti... nulla di così entusiasmante.- rispose lui con fare ironico - Perchè me lo chiedi? - 
- Sembrate una coppia perfetta. Mi chiedevo come si fa a crearne una, tutto qua.  -
Lui sospirò.
- E' molto importante essere... sinceri. - disse poi.
- Pensi che io non lo sia? - 
Sì.
- No, assolutamente Kendra. Cercavo solo di rispondere alla tua domanda. - 
- Solo perchè non sopporto la maggior parte della nostra generazione non vuol dire che- 
- Kendra, stai tranquilla, non mi riferivo certo a te. Anche io nutro un certo fastidio per molti dei nostri coetanei. E non solo per i nostri coetanei, diciamo che il mio giudizio sulle persone in generale non è tanto positivo. E' difficile trovare la persona giusta, quasi impossibile. Ma ce la si può fare. -
Lei non rispose, distogliendo lo sguardo dal volto di Beyond. 
- Forse hai ragione. Vorrei saperlo. - 

Uscita da scuola, dopo aver salutato tutti velocemente ed essermi messa le cuffie con la musica a palla per correre dietro l'autobus che come al solito mi stava lasciando a piedi con un po' più di entusiasmo, mi resi conto che ero stata seguita. 
Non appena le porte dell'autobus mi si chiusero alle spalle infatti, notai che Aki era salito con me, al volo.
- Ma che ci fai qui? - gli domandai con ancora il fiatone.
- Dovevo parlarti! - rispose lui con altrettanto fiatone.
- E mi hai... rincorso sull'autobus per... parlarmi? - gli chiesi stupita.
- Eh... è importante -
Ripresi il fiato, mentre poggiavo lo zaino ai miei piedi.
- Senti Aki, dovremmo finirla. - dissi poi con fermezza.
- Cosa...intendi dire? - 
- Ogni due giorni vieni da me e mi dici che dobbiamo parlare. Non odio parlare con te, ma mi sembra che la cosa stia un poì degenerando. Si può sapere perchè mi hai rincorso fino a salire sull'autobus e non mi hai chiamato nel pomeriggio? O non hai aspettato domani? - 
Lui abbassò lo sguardo. 
- Scusami. Non volevo disturbarti, è solo che- 
- Se non volevi disturbarmi allora vai a casa. Oggi sono troppo tesa per parlare. - 
Lui non provò di nuovo a parlare e scese alla fermata dopo.
Tirai un sospiro, me sedetti e alzai il volume della musica.
Ero stata brusca, sì. Forse non avrei dovuto, ma, al diavolo, stava diventando troppo!

Beyond era a scuola, quel pomeriggio. 
Stava mangiando con i suoi amici in classe, scherzando con loro e scambiando morsi di panino al prosciutto con pezzi di piadina. Di lì a poco sarebbero tutti andati nell'auletta per la riunione della redazione. Il numero nuovo stava per uscire, ma ancora c'era da discutere di alcune cose.
Nonostante stesse prendendo gentilmente in giro Misa, non gli sfuggì la chiamata che Kendra ricevette sul cellulare. Lei si alzò e si allontanò per rispondere, con un'espressione distaccata e fredda. Beyond poteva immaginare con chi stesse per parlare.
- Senti, lei si sta chiudendo un casino. Non ci si riesce neanche più a parlare. -
- Da me non va molto meglio. Parliamo, ma è evidente che non ci sta più neanche pensando a provarci con me. - sussurrò lei. Nessuno avrebbe potuto sentirla, sotto il casino che c'era, ma Beyond continuò a guardarla, tentando di capire cosa stesse dicendo.
- Abbiamo due sole possibilità, ormai. -
- Ne parleremo oggi pomeriggio. Ci troviamo nella mia stanza alle cinque, d'accordo?- 
- Certo. A dopo, allora - ghignò Aki.
Beyond distolse in fretta lo sguardo per ridere a una battuta, in modo da non farsi beccare a fissarla. 

Lucy si era fermata sulla soglia della classe, mentre tutti uscivano in fretta dopo una versione di greco, ancora rintronati. I suoi occhi avevano spazio solo per una persona, Mello. Se ne stava ancora seduto al suo posto, silenzioso. Pareva avesse finito il cioccolato, perchè, dopo averlo cercato sotto il banco, si concesse uno sbuffo irritato e solo allora cominciò a preparasi per andare via. 
Quando ebbe riposto tutte le sue cose, si alzò e senza degnare Lucy di uno sguardo si diresse deciso verso la porta.  Ma la ragazza lo fermò, mettendosi sulla sua strada.
Lui la guardò irritato.
- Spostati. - 
Lucy sostenne il suo sguardo, aprì la borsa e ne estrasse tre tavolette di cioccolato ancora incartate. Le aveva comprate giusto quella mattina, sulla strada per andare a scuola.
Lui alzò un sopracciglio.
- Non le hai finite? - gli domandò lei duramente.
- Perchè dovrebbero essere affari tuoi? - 
Lei prese un profondo respiro.
- Se non le vuoi posso anche tenermele, per quel che mi importa. Ma se le vuoi prendile e vattene. - 
Lui parve stupito, ma dopo qualche secondo ne prese due e superò la porta, spostando la ragazza con una mano sola e proseguendo per la sua strada in silenzio.
Lei però gli corse dietro.
- Prenditi anche questa, Mello. Io ti ho già detto che non me ne faccio nulla. - gli disse fermandolo per un braccio.
Lui la spinse istintivamente lontano da se, guardandola in cagnesco.
- Non mi toccare. - 
Gli occhi della ragazza, che era finita contro il muro con un sussulto, si riempirono di lacrime, ma Mello non parve curarsene. Lei scagliò la cioccolata che aveva in mano ai suoi piedi, mentre una lacrima solitaria eludeva il suo controllo, scivolandole sulla guancia.
Lui osservò il cioccolato con sufficienza. 
- Non mi interessano la tua compassione  e il tuo affetto. Devi lasciarmi in pace. - disse poi, tenendo lo sguardo basso e schiacciando fino a romperla la tavoletta, con le scarpe.
- Davvero? - domandò Lucy con un tono di sfida.
Lui sbuffò. 
- Perchè, non l'avevi già capito? - 
- Non ne ero certa, dal momento che pochi giorni fa mi hai quasi bac- 
- Ti ho già detto che era uno scherzo. Stammi lontana. - 
E proferendo queste ultime, fredde parole, Mello se ne andò definitivamente.

Quel pomeriggio, alle cinque precise, qualcuno bussò alla porta di Kendra. Lei non domandò neanche chi fosse, prima di aprire. 
I due ragazzi si guardarono senza cambiare l'espressione indifferente che avevano assunto, prima di richiudere la porta. 
Lei si sdraiò sul letto, accavallando le gambe. 
Quel giorno indossava un vestito nero, con la gonna larga e sofficie, e il corpetto aderente. 
I capelli corvini scintillavano alla fioca luce che si faceva strada dalla finestra con le tapparelle abbassate per metà.
Aki la guardò compiaciuto per qualche secondo, prima di parlare.
- Possiamo fare due cose, adesso. - 
Lei annuì, senza muoversi.
- O tu gli "salti addosso"  mentre lei vi guarda... - 
- O lo fai tu... -
- E' molto probabile che lei mi respinga subito, conoscendola. - 
Kendra non dissa nulla, ascoltando per un momento il cinguettio di due inseparabili azzurri, imprigionati in un gabbietta sopra la finestra.
Aki seguì il suo sguardo e sorrise alla vista dei due uccellini, alzandosi e avvicinandosi alla gabbia.
- E' curioso, non trovi? - disse osservandoli da vicino. - Se io li separassi morirebbero entrambi in poco tempo. Probabilmente si lascerebbero morire di fame - 
- Ma non hai le chiavi della gabbia - gli ricordò Kendra, sorridendo. 
Lui ridacchiò, accarezzando uno degli inseparabili attraverso le sbarre. 
- C'è un secondo modo di uscire da questa storia. - disse poi la ragazza, sedendosi e invitando aki a venirle affianco con un gesto impercettibile. Lui le si sedette affianco, guardandola intensamente.
- Sai qual'è? - 
- Uccidere il direttore, giusto? - 
Lei annuì, seria, prendendogli una mano.
- Prima che lo faccia lui. - sussurrò. 
I due ragazzi unirono gli improvvisi sorrisi maligni in un bacio.

Mello rientrò verso le due di notte, senza curarsi di fare piano. D'altro canto, Matt ancora non dormiva. Non riuscendo a prendere sonno, infatti, si era messo a giocare distrattamente con il nintendo.
Quando il biondo entrò, Matt lo fissò per qualche secondo prima di chiudere la console e sedersi.
L'altro non se ne curò, togliendosi la giacca di pelle e scaraventandola sulla sua sedia.
- Mello. -
Non ci fu nessuna risposta. Le persiane aperte lasciavano che la luna rendesse maggiormente candida la pelle già cadaverica del biondo.
Matt ne fu colpito. Si alzò per attirare la sua attenzione, dal momento che le parole non bastavano, e fece per toccargli una spalla. La'altro si era immobilizzato, ma un momento prima di essere sfiorato si voltò di scatto e lo fermò con una presa salda. 
La sua mano, stretta attorno al polso di Matt, si strinse fino a farlgi male. 
Ma il rosso percepì stranito che la sua forza era diminuita.
- Non toccarmi. - ringhiò Mello.
- E tu ascoltami. - 
Gli occhi di ghiaccio dell'amico lo fissavano con tale intensità da farlo sentire sotto i riflettori di un palco, davanti a migliaia di persone silenziose, ferme a guardarlo.
- Mi ha chiamato Cleo, oggi. -
- E allora? -
- Mi ha detto che Lucy è andata da lei, oggi pomeriggio, piuttosto depressa. Indovina perchè? - 
- Non vedo perchè mi dovrebbe interessare. - 
- E' inutile che fai finta di niente. Non puoi continuare a vivere così. - disse Matt, con una spontaneità che stupì lui per primo. Non aveva certo intenzione di farlo arrabbiare ancora di più. 
- Chi cazzo sei tu, mia madre? Non ho bisogno di una madre che mi dica cosa devo fare, Matt. E tanto perchè tu te lo ricordi, non ce l'ho mai avuta e non mi è mai mancata. Chiaro? -
- Ah, non ti è mai mancata? - domandò sarcastico Matt. Non per nulla aevano passato l'infanzia insieme, e con essa i momenti di più terrificante nostalgia e incomprensione. Per quanto Mello cercasse di ignorarlo, l'amico lo conosceva molto bene.
- Non provarci, Matt. - ringhiò il biondo.
- A fare cosa? A ricordarti di quando anche tu sembravi provare qualcosa di umano? - 
- Vorrei sapere perchè sto qui a parlare con un idiota. Se mi devi dire qualcosa fallo in fretta, perchè non ho assolutamente voglia di stare a sentire le tue cazzate. - rispose Mello freddamente. 
- Finiscila di scappare. Non ti sto chiedendo di raccontarmi cosa ti è successo, ma di guardarti intorno e renderti conto di come ti stai comportando. - 
- Io non mi sto comportando proprio-
- Sembri un bambino di tre anni da quando fai così. Contento? -
Mello, sempre più arrabbiato, passò alle mani in modo piuttosto prevedibile. Ma non riuscì a sopraffare l'amico, più forte e in forma. Presto si ritrovo bloccato. Matt gli teneva ferme le mani senza dargli alcuna possibilità di reagire.
- Lasciami. - scandì con una voce che avrebbe gelato un iceberg.
- No. Devi parlare con Lucy. Che ti piaccia o no, quella ragazza si preoccupa per te continuamente e non è giusto che si consumi dietro a uno stronzo che si prende gioco di lei. -
- Non ho alcuna intenzione di parlare con lei. - 
Matt sospirò, lasciandolo e indietreggiando di un passo. 
- Non ho idea di cosa ti abbia fatto Roger, ma nulla può essere tanto terribile da indurti ad autodistruggersti così. - 
Mello, a quella frase, sembrò colpito a tradimento da un macigno di piombo. Avvicinandosi a Matt incupito, sussurrò una sola cosa prima di uscire nuovamente da quella camera per svanire chissàdove nella notte.
- Tu non sai niente. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Tranello ***


Ehilà! Come va?
Spero bene!
Sono qui a smaronarvi per spiegarvi una cosa che comunque a nessuno frega molto di sapere ma vabè, facciamo finta di niente, occhiolino.
Questo capitolo qui è un pochiiiino incentrato su Matt, Mello e Lucy, ma fermi tutti! No, non dovete preparare un cappio a cui impiccarvi dopo le loro deprimenti paturnie, giuro! Infatti, attenzione attenzione, si risovlera un po' la faccenda che include questi personaggi. 
Beh , oddio, ripensadoci non è che si risolva proprio nel senso leterale della parola, eh. Però, dai, diventa vivibile e meno da suicidio!
Dette le mie solite tue cazzate, vi lascio alla lettura!
Adios!

Mina



Quella notte, Matt rimase alzato quasi fino al mattino seguente. Mello non tornò che per prelevare il suo zaino e uscire di nuovo diretto a scuola. Ogni volta che non tornava, Matt temeva che non l'avrebbe più rivisto.
Non andò a scuola quel giorno, ma gironzolò per la città senza meta. Sapeva che probabilmente il direttore sarebbe venuto a saperlo, ma non gli importava.
Non gliene era mai fregato nulla di balzare un paio di giorni la scuola.
Camminò a caso per qualche ora, fumando come se non ci fosse stato un domani e fregandosene altamente di tutti coloro che lo guardavano male. Non sapeva neanche più se era per la sua faccia, per i suoi vestiti o per chissà cos'altro, ma non gli interessava.
Se gli piaceva mettere magliette a righe, poi, cosa doveva importare agli altri? Che, forse lui si metteva a giudicare le vecchiette ultracentenarie con ancora il rossetto rosso fuoco, un trucco da indovina orientale e dei tacchi su cui faticavano a reggersi? E allora!
In ogni caso, non era quello l'argomento principale trattato nella sua mente quella mattina. Si andò a sedere su una panchina davanti all'istituto tecnico dove sarebbe dovuto andare per qualche minuto. Ma lo annoiava stare lì ad aspettare di essere visto e ucciso di note dai professori, attività davvero poco gratificante.
Così si rialzò e ricominciò a camminare. Erano ormai le undici e Matt poteva con fierezza affermare di essersi finalmente perso del tutto. Era precisamente quello che voleva, d'altro canto. Non c'era nulla, quando voleva staccare dalla sua vita, meglio del perdersi in qualche angolo sperduto della città. Forse proprio per questo ormai era sempre più difficile per Matt ritrovarsi a non sapere dove si trovava.
Quando fu sicuro di non aver più alcun segno di riferimento, si fermò in un bar a bere un caffè e si godette l'idea di essere qualcun'altro.
Conosceva benissimo Mello e lo capiva parecchio bene, nonostante gli sbalzi caratteriali dell'ultimo periodo. Si ricordava di quando era un bambino, una specie di canarino sovraesaltato con gli occhi trasparenti. Un viso da angioletto, davvero.
Poi quello che gli passava per la testa non era quasi mai di natura angelica e appena apriva bocca e tirava fuori quel tono cinico e duro l'illusione si spezzava in due, ma un solo sguardo di Mello li aveva tirati fuori da numerosi casini.
Corruzione per tenerezza. Falsa, ma pazienza.
Matt aveva sempre intuito quando l'amico si sentisse in gabbia, privato ingiustamente di qualcosa che gli spettava di diritto. E nessuno è immune alla mancanza di qualcosa che è negato senza motivo. Mello non esprimeva la sua disperazione in pianti e incubi, ma sembrava sempre aggrappato con un dito all'ultima cosa che lo salvava dal baratro della depressione. Ogni tanto, quando tutto gli diveniva troppo pesante, si lasciava cadere di qualche metro.
E ogni volta risaliva con più fatica, più scontroso, più freddo.
Con nessuno aveva mai stretto un rapporto affettuoso ad eccezione di Matt e - solo in seguito però - di Lucy, e anzi, si teneva accuratamente alla larga da ogni persona che gli paresse di quelle che avrebbero potuto tentare di importunarlo imponendogli il loro attaccamento a lui.
Una, però, aveva dovuto subirla. Nel lungo periodo in cui Matt passava da una fidanzata all'altra come fossero cioccolatini e durante il quale spesso ne frequentava parecchie per volta, barcamenandosi fra loro come un equilibrista, una ragazza che il rosso aveva appena lasciata si era puntata su Mello.
Aveva un anno in meno di lui, era piccola, ma scattante, e il suo corteggiamento era esattamente ciò che il biondo detestava subire.
Essendo dell'orfanotrofio, prendeva ogni occasione possibile per sederci accanto alla mensa e fissarlo incantata. Gli parlava anche se lui si dimostrava chiaramente disinteressato, gli scriveva numerosi e patetici bigliettini, non lo mollava per un secondo. Ogni volta che lo vedeva gli si fiondava di fianco e lo abbracciava, senza che lui potesse fare alcun che. Matt generalmente si limitava a lanciarle un'occhiataccia e a ridacchiare alla vista di Mello.
Il tutto si era concluso quando il biondo, al limite della sopportazione, le aveva pacatamente esposto il suo punto di vista, distruggendole in pochi minuti l'autostima, la speranza, la positività e la costanza nel rompere a lui le scatole.
Dopo essersi chiusa in bagno a piangere per una notte, la ragazza non si era mai più avvicinata ai due amici.
Matt ricordava chiaramente di aver assistito al discorso di Mello e di essersi sentito uno schifo solo a guardare lei che si mortificava di più ad ogni parola. Aveva chiesto all'amico se non si era sentito in colpa.
Mello, per tutta risposta, aveva scrollato le spalle, alzato gli occhi al cielo, sbuffato e dichiarato che di persone così insulse non gli interessava assolutamente nulla. Un angelo, proprio.
Nessun'altra dell'orfanotrofio, benchè ci fosse qualcuna che segretamente lo spiava a mensa o nei corridoi, aveva mai più tentato neanche di parlargli.
Aveva una fama pessima, specie negli ultimi tempi. Nessuno gli si avvicinava od osava dirgli alcunchè, tutti impauriti dalla faccia scura. Solo guardandolo, gli orfani più esperti e più realistici, potevano affermare con certezza che di lì a poco Mello sarebbe sparito. Fatto fuori dal direttore, fatto fuori da se stesso, non aveva importanza. Quelli che sarebbero spariti li vedevi subito.
Ma con Matt, Mello aveva sempre conservato, nel fondo degli occhi, qualcosa di profondamente umano. Ancora si ricordava di quando gli aveva chiesto scusa! Incredibile, da parte sua, totalmente fuori dalla norma.
Il rosso sbuffò, uscì dal bar e guardò l'ora. Decise di andare sotto la scuola dell'amico a salutare, per passare il tempo.
Ora il problema era trovare la strada. Accendendosi un'altra sigaretta e fischiettando, il rosso camminò con calma fino alla fermata di un autobus ignoto, guardò le fermate e sussurrò un - Può andare... - fra i denti, riflettendo.


Io, quel giorno, mi fermai a scuola con la band a fare le ultime prove prima del concerto. Eravamo tranquilli. Beyond era venuto a sentirci, e anche Aki.
Beyond gli lanciava delle occhiate che avrebbero fulminato anche una roccia, ma l'altro pareva quasi non accorgersene. Mello era sparito appena era suonata la campanella, e così Lucy. Matt invece era riuscito ad arrivare quindici minuti dopo la fine delle lezioni e li aveva persi. Dunque mi aveva chiamato ed era salito anche lui a sentire le ultime prove. Ora il vero casino era che se chiamavo Matt di girava anche Mattia e viceversa, ma la cosa finiva sempre in risa.
Il rosso si era seduto di fianco a Beyond e squadrava stranito Aki. Non l'aveva praticamente mai visto e si chiedeva perchè ci fosse tanta tensione fra lui e Beyond. Io evitavo con cura di guardare sia l'uno che l'altro, concentrandomi unicamente a suonare e controllare gli altri strumenti per vedere se c'erano da fare modifiche dell'ultimo momento.
Jen cantò benissimo, sempre meglio. C'erano alcuni punti in cui nel mezzo di una canzone, lei attaccava da sola. Faceva venire la pelle d'oca, quella ragazza. Stava migliorando sempre di più la sua passione.
Mattia era sempre più disinvolto con il suo basso e correva da una nota all'altra con scioltezza, apparentemente in modo del tutto casuale.
La batteria era presente e pestata. Recentemente, a proposito, la nostra batterista se n'era andata per motivi ignoti in seguito a qualche discordia sul genere musicale e si era introdotto un batterista con i conrofiocchi, chiamato Jack. Il suo nome era in realtà Giacomo, ma non lo si sentiva mai. Aveva studiato solfeggio ed era tecnicamente e praticamente imbattibile.
Stava legando un sacco con Mattia - d'altro canto, chi non legava un sacco con Mattia? - e in generale con tutta la band. Un tipo allegro, insomma.
Finite le prove ci fermammo tutti a chiacchierare e scherzare mentre sistemavamo gli strumenti. Non avevamo fatto nessuna pausa fra un'ora e l'altra come eravamo soliti fare, ma la cosa non ci aveva disturbato. Beyond era di fianco a me come un'entità costante, tutto felice delle prove andate bene, ma al contempo molto attento alle mosse di Aki, che ora chiacchierava tranquillamente con Jack a proposito di un videogames bellissimo uscito da poco. Uscimmo tutti insieme solo dopo un quarto d'ora di chiacchiere, allegri e pronti al concerto. Ci salutammo e ci separammo.
Io e Beyond ce ne andammo a casa mia insieme. Volevamo stare il più possibile l'uno con l'altra in quel periodo, terrorizzati all'idea di essere separati repentinamente e costantemente all'erta. Ciononostante era impossibile non stare bene, insieme.
 
Quel pomeriggio, Mello tornò all'orfanotrofio più presto del solito. Matt ne fu stupito. Improvvisamente, verso le quattro, la porta si spalancò facendolo sobbalzare e il biondo entrò sbattendosela alle spalle. Si sedette sul letto, si tolse la giacca di pelle e i guanti e rimase a guardare fisso il pavimento.
Matt lo fissava ancora a bocca aperta, il suo personaggio morto e la musichina del game over che si diffondeva beffardamente. Quando se ne rese conto gli sfuggì una sonora bestemmia: stava giusto per battere un importante boss all'arrivo del biondo. Ma neanche questo riscosse Mello dal suo immobilismo. Matt mandò al diavolo la console e la chiuse di botto.
- Mello? - domandò cautamente la voce roca di Matt.
Il biondo rimase lì senza dare segni di vita.
Il rosso gli si avvicinò stranito, domandandosi cosa mai fosse capitato per metterlo in quelle condizioni.
L'altro non lo guardò, rimanendo a fissare il pavimento con un misto di incredulità e incertezza.
- Ma che cavolo ti è successo? -
Mello alzò la testa fissando Matt, ora davanti a lui. Sembrò sul punto di parlare, ma poi non disse nulla.
Tornò cupo, poi lo guardò con stupore, poi abbassò lo sguardo. Matt era sempre più sconcertato.
- Sei incappato in uno zio ricco o hai trovato il tuo io interiore in un venditore di carabattole musulmano che ti ha iniziato a riti massonici ripudiando la sua stessa religione? - uscì di bocca a Matt.
Ma ciò che successe in quel momento lo lasciò veramente di stucco.
Mello. Mello che aveva tenuto l'espressione in leone arrabbiato per settimane, Mello che aveva cominciato a far uno di droghe , Mello che combinava casini su casini perchè tanto morto per morto non gli interessava più. Questo Mello, sorrise.
- Che cazzate dici, Matt? -
- Ok, hai incontrato Satana. -
Matt lo guardava con gli occhi comicamente spalancati.
- Non ho incontrato Satana, idiota. -
- Sei Satana! - lo accusò l'altro.
- Ma la finisci di dire cazzate? -
- No, scusa, tu ti presenti qui come se nulla fosse dopo settimante che parli solo a ringhi e tenti di picchiarmi ogni due per tre e te ne esci con un sorriso ebete. Mi permetterai un po' di shock! -
Incredibile come, dopo tutto, non facessero neanche fatica a parlarsi con quella strana schiettezza.
Mello sbuffò.
- Ma si può sapere cosa ti è successo o... ? -
Il biondo si incupì improvvisamente, diventando in pochi secondi un'ombra opaca di se stesso.
- Tanto... -
Era come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa.
- No, ora non ti deprimere però!- esclamò Matt osservandolo da vicino.
- Sono solo realista. Ormai sono morto. -
- Tutto si può riparare. -
- No, Matt, non tutto. Tu non sai niente. -
Aveva appena ripetuto la frase con la quale aveva concluso la discussione avuta la notte prima.
- Allora dimmi cosa non so, no? -
Mello si alzò, improvvisamente arrabbiato e nervoso.
- Lo facevo apposta. -
Matt lo guardò malissimo.
- A comportarmi così, intendo. Lo facevo apposta per tenere tutti a distanza. Sono come una bomba che sta per esplodere Matt. Non sai cos'ho fatto fuori da queste mura. Voi pensate semplicemente che io abbia cominciato a farmi. -  disse Mello con il solito tono arrogante e chiaro.
- Lo sai che ci possono sentire? -
- Lo sai che non mi interessa? - gli fece Mello di rimando.
- Allora, cos'hai fatto di così distruttivo. -
Mello ghignò, guardando fuori dalla finestra.
- Se te lo dicessi verrei ucciso subito. Mentre io ho bisogno ancora di un po' di tempo. E sai perchè il direttore, che ci sta ascoltando probabilmente anche ora, me lo lascerà? Per due motivi: il primo è che spera che io mi tradisca. Il secondo è che è... curioso. -
- Mello, ma che cazzo stai dicendo? -
- Scusami per come sono diventato. - sussurrò il biondo senza riuscire ad adottare un vero tono di scuse.
- Tu sei Mello e resterai Mello, per quanto ti sforzi di ammazzarti. Ora però mi devi spiegare un paio di cose, visto che hai ricominciato a parlarmi. Ad esempio: perchè pensi che io non voglia aiutarti? -
- Pensi che potresti essermi utile? -
- Sì. -
L'atmosfera era ora tesa. Giocavano a carte scoperte, uno contro uno.
- Bene. Se avessi bisogno di te ti chiamerò subito. Ci sono pericoli mortali in quello che sto facendo. -
- Adoro i rischi, lo sai. -
Mello si sedette alla scrivania e apparve a Matt quello che veramente era diventato. Si era messo un amaschera scontrosa e depressa oltre ogni limite tenendo tutti appositamente a distanza e sebbene il rosso non avesse la minima idea del perchè ora se l'era tolta davanti a lui, era ben curioso di osservarlo.
La sicurezza di se era accresciuta come la stanchezza, evidente. Si vedeva che non tutto l'atteggiamento che aveva avuto per le precedenti settimane era finto.
La sua rabbia verso il mondo era autentica e così il suo odio. Ma non era così depresso come sembrava e non così inerme. Forse non aveva affatto perso le forze.
- Hai mai giocato a poker, Mello? -
- Perchè?-
- Niente, lascia stare... Visto che ora non hai più intenzione di trattarmi come un'idiota per tenermi alla larga puoi dirmi che ti è successo oggi? -
- Beh, se ho deciso di rivelarti il mio inganno c'è un motivo. Qualcun'altro l'ha scoperto. Ma se lo dici agli altri giuro che ti ammazzo, Matt. -
- Chi lo sa? - domandò incuriosito il rosso, ignorando la minaccia. Non aveva comunque intenzione di dire nulla.
- Lucy. -
Il rosso, dopo qualche minuto di silenzio, rise.
- Per questo eri tutto allegro? Vi siete finalm-
- Stai attento a quello che dici, Jeevas. -
Matt rise di nuovo.
- Sono solo felice per voi! -
Mello sbuffò.


Quel pomeriggio, infatti, subito dopo scuola, Mello era andato via spedito verso l'orfanotrofio senza guardare che avanti a se. Non si era inizialmente reso conto che Lucy, chissà perchè, l'aveva seguito. Neanche lei lo sapeva con certezza, seguiva più che altro un istinto quando si trattava di Mello, tanto ragionare non l'avrebbe portata da nessuna parte.
Presto si trovarono nel vicono con le panchine in fondo dove tipicamente Mello si fermava per una manciata di minuti tentando di raccogliere la voglia necessaria per proseguire verso la sua meta. Come al solito era tutto deserto, le finestre erano sprangate e i bordi del marciapiede erano una coltura di bottiglie di birra rotte e altri scarti. Nessun cestino in vista, naturalmente.
Mello si sedette senza neanche guardare la ragazza, pur avendola notata. Probabilmente l'aveva scoperta molto prima, ma non se ne voleva curare. Forse sperava che se ne sarebbe andata? Scartò lentamente una barretta di cioccolato, mentre la ragazza si sedeva affianco a lui senza dire nulla. Lo fissava, ma rimaneva in silenzio. Silenzio che Mello non interruppe. Calcolò ogni gesto per non rompere la carta che avvolgeva il cioccolato  e arrivò alla stagnola. Era una delle tavolette che gli aveva dato proprio la ragazza.
Lo scricchiolio della stagnola che scopriva il cioccolato non venne coperto da parole. Ben presto fra i due si profuse l'aroma amaro che caratterizzava in genere anche Mello stesso. I suoi vestiti l'avevano addosso come quelli di Matt si portavano dietro la puzza di fumo.
Mello addentò un quadratino del suo dolce, ma prima che potesse staccarne un altro, le mani di Lucy gli presero la tavoletta dalle mani con delicatezza. Per lo stupore di trovarsi improvvisamente quelle dolci mani davanti gli impedì di reagire, per quanto si sforzasse di essere brutale con lei.
Gli occhi spalancati del biondo cercarono quelli di Lucy - che era per altro la prima ad avere osato togliergli di mano il cioccolato - ma non li trovarono, poichè essi erano rivolti a ciò che aveva appena preso fra le mani.
Ne stacco tre quadratini e li porse a Mello guardandolo gelidamente.
Lui li prese, ancora troppo stupito per dire alcunche. Lo sguardo di lei l'aveva quasi paralizzato e non gliel'aveva mai visto sul viso.
Quando morse il cioccolato però, la ragazza lo fermò con la mano fissandolo con quello che si poteva dire uno sguardo perentorio.
Si avvicinò a lui lentamente, senza dargli alcuna possibilità di reagire, esitò per qualche secondo a pochi millimetri dal suo volto, staccò un pezzo di cioccolata lentamente e si allontanò. I suoi occhi erano fissi su quelli di Mello carichi di sfida.
Prima però che lui potesse dire qualcosa - cosa che non avrebbe fatto perchè di stucco - Lucy si alzò, lo guardò ancora e disse:
- Ops, scusa. Stavo scherzando. Stammi lontano. -
Non lo degnò di nient'altro prima di girare i tacchi e andarsene.
Mello si riprese in pochi secondi e si trovò a un bivio: continuare con la sua mascherata in modo da allontanarla da se il più possibile prima di ammazzarsi o seguire l'istinto? Scelse la prima.
Ma poi fece la seconda.
Si alzò e in alcuni passi veloci la raggiunse, fermandola con una mano sulla spalla. Lei si girò e lo fissò, gelida.
Ma Mello conosceva abbastanza le bugie per vedere della tristezza e della rassegnazione nel fondo degli occhi scuri dell'amica. Ebbe di nuovo la sensazione che fossero dello stesso colore del cioccolato che amava mangiare.
Lucy stava per dire qualcosa, per allontanarlo, ma prima che potesse anche solo provarci, Mello agì.
Non pensò, non ne sarebbe stato in grado in quel momento. Odiava gestire i suoi sentimenti e anche per questo non si andava mai a cercare dei rapporti. Nella sua visuale avrebbero provocato solo problemi.
Ma in quel momento, non pensò. Non aveva idea di cosa stava facendo, ma sapeva che l'avrebbe fatto.
E in un istante, prima che lei parlasse, prima che il silenzio diventasse imbarazzante, nel momento giusto, la baciò.
Nella sua testa ronzavano pochi pensieri senza senso e non si sforzò di decifrarli. Non solo non sapeva cosa stava facendo. Non voleva decisamente saperlo.
Credeva di sapere cosa aspettarsi dopo quel bacio - oltretutto ricambiato. Lei gli avrebbe probabilmente tirato uno schiaffo urlandogli contro qualcosa e se ne sarebbe andata via, arrabbiata.
Invece, con sua grande sorpresa, quando tornarono a guardarsi negli occhi, lei sorrise. Non disse nulla. Non c'era nulla da dire. Ma improvvisamente lo strinse in uno dei primi abbracci che il biondo avesse mai avuto, mozzadogli quasi il respiro.
- Ok.. così mi strozzi... -
Lucy lo lasciò, arrossendo, ma quando i due si guardarono di nuovo non c'era tensione nei loro pensieri.
- Scusami. - disse Mello, riprendendo il suo normale tono di sufficienza. Non lo faceva apposta, era semplicemente il suo timbro.
- Per cosa, precisamente? - domandò ironicamente la mora.
- Lo sai...  -
- Fammi indovinare... avermi dato una spinta? Oppure avermi trattata di merda? Ah, potrebbe anche essere perchè dopo avermi quasi baciata mi hai detto che scherzavi.... Direi che abbiamo una vasta scelta. - rise lei.
Lui alzò gli occhi al cielo.
- Non finisci mai di parlare, tu? - domandò.
- Mai! Infatti volevo dirti che-
Mello la interruppe subito con un altro bacio, e non solo perchè non aveva voglia di sorbirsi le sue piccate frecciatine. Sapeva di aver sbagliato con lei, ma in quel momento non gli importava più di nulla. Lei era lì. Questo bastava, per il momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Pre-live ***


Buongiorno in ginocchio!
In ginocchio, sì, perchè lo so che è da due mesi che non aggiorno questa storia e i pochi lettori rimasti mi odieranno tutti. 
Scusatemi, davvero. 
Le ennesime scuse, lo riconosco, ma alla fine della scuola mi sono bandita da internet per parecchio tempo e una volta cominciata l'estate mi ci è voluto tempo per riprendermi dal folle periodo finale.
Credo siano problemi che chiunque di voi potrà capire, ma mi scuso lo stesso per aver trascurato la storia. 
Non vi trattengo oltre a leggere queste lagne  e vi lascio al capitolo! Spero vi piaccia!

Mina.

Ah.

BUONE VACANZE!!!


Nonostante l’improvviso riavvicinamento fra Mello e Lucy, i due decisero – Mello decise – di tenere la cosa nascosta a tutti gli altri, a parte Matt.
Così, a scuola, nessuno si accorse del fatto e la situazione rimase più o meno la stessa. Mello si isolava completamente e respingeva con una tale violenza gli altri che spesso anche Lucy stentava a credere che stesse fingendo.
Forse non stava solo fingendo in effetti.
Forse stava solo esagerando più che poteva.
Comunque fosse, l’ansia saliva di giorno in giorno, e non solo per le urlate del biondo, ma anche per la schiera di verifiche e interrogazioni che attendevano la classe come spade con cui suicidarsi.
Aki cominciava a stufarsi di essere allontanato da me e Kendra cominciava ad annoiarsi delle conversazioni con Beyond, nelle quali non riusciva più a sedurlo come all’inizio.  
Si rendevano entrambi conto che presto Roger avrebbe preteso risultati e che, se non li avesse avuti, loro due sarebbero stati nei guai. A Kendra la cosa faceva impazzire e il fatto che Aki continuasse a ricordarle la loro possibilità di ucciderlo la tentava ogni giorno di più.
  Quel giorno era però il giorno del nostro concerto e ogni altra cosa era passata in secondo piano.
A scuola i banchi ci stavano stretti. Le ore sembravano passare con una lentezza che neanche una lumaca malata poteva raggiungere. Ogni secondo pesava sulla lista di cose che ancora dovevamo fare prima di quel pomeriggio.
Durante quelle ore tutti si tennero lontani da noi in ogni senso, notando la tensione in procinto di esplodere. Al primo intervallo vennero a trovarci Mattia e Jack con i quali io e Jen confabulammo un po’ per riconfermare il programma di quel pomeriggio un’ultima volta.
Quando finalmente suonò la campanella che ci liberava dalle lezioni io e Jen ci fiondammo a casa sua senza quasi salutare. Come al solito i suoi genitori erano via per lavoro e l’enorme casa era vuota.
La bionda si chiuse in bagno quasi subito con una marea di vestiti da provare.
Io invece mi sistemai lo smalto fischiettando in sala, controllai che la mia chitarra fosse perfetta, controllai di avere tutto nella borsa, controllai che Jen non fosse morta in bagno, controllai la scaletta, controllai il cellulare per vedere se c’erano messaggi da parte di Mattia o di Jack e ignorai tutto il resto.
Finalmente, Jen uscì dal bagno e venne in sala.
Era veramente bellissima, da far venire la pelle d’oca.
Indossava un vestito nero, corto, che le calzava a pennello. Sembrava essere stato creato per mettere in risalto il suo corpo praticamente perfetto – moltissime ragazze la invidiavano per la sua linea – sotto il quale le gambe , coperte unicamente da una sottile calza semitrasparente, avrebbero fatto sbavare uomini, donne e bambini.  ( http://cdn.acfrg.com/i/400_600_fit_ffffff__png/ACfrG/productpics_fullsize/2/258581a-emp.jpg )
Le sue braccia erano circondate da un paio di eleganti guanti di pizzo che le arrivavano al gomito, senza dita. Ai piedi, invece,  calzava degli stivaletti col tacco che le arrivavano un po’ più su delle caviglie.
Il suo viso era perfetto, la carnagione bianca e compatta, la frangetta biondissima che le ricadeva perfettamente sulla fronte.
Un trucco sul blu scuro, che sfumava in verde acqua con omogeneità e precisione invidiabile, le rendeva gli occhi ancora più profondi, grandi e taglienti.
- Allora? – domandò preoccupata Jen controllandosi.
Non potei fare a meno di sorridere e di correrle incontro per abbracciarla. Adoravo gli abbracci con Jen per un motivo: lei, bassa, magrissima, ma tonica, era come un uccellino. Infondeva un senso di protezione incredibile, sembrava quasi di stringere un essere impalpabile, un essere delle favole più strane.
- Sei una grandissima-
- Se il sostantivo che stai per pronunciare è gnocca vedi di andare a mangiare pitoni! Non voglio sembrare volgare! -
Mi bloccai di colpo.
- Non stavo ASSOLUTAMENTE per dirlo! – mentii.
- Sarà… allora, va bene? Sono abbastanza elegante? -
- Hai voglia! Sei bellissima Jen, dico sul serio non ho mai visto una ragazza così… - esitai un secondo – così incantevole! -
- Dici davvero? – domandò con uno sguardo innocente da sciogliere i massi.
- Giuro! Sei fantastica con quel vestito!  E il trucco è… perfetto! -
- Ah, tanto che siamo in argomento, ti trucco io! -
- COSA? -
- Perché, che c’è di male? Io sono più brava con i trucchi! -
- In effetti… -
- Dai, vai a vestirti, siamo in ritardo sulla mai tabella di marcia! -
- La tua cosa? -
- MUOVITI! –
Tenera e gentile quanto vuoi, ma quella ragazza aveva degli scatti di despotismo paurosi a volte e lanciava occhiate intimidatorie che avrebbero ridotto a un gattino spaurito anche il peggiore dei serial killer.
Fu così che mi chiusi a mia volta in bagno con il mio zaino e mi rivestii completamente.
Indossai una gonna nera (http://cdn.acfrg.com/i/400_600_fit_ffffff__png/ACfrG/productpics_fullsize/2/205621wa-emp.jpg
) e un corpetto rosso(http://cdn.acfrg.com/i/400_600_fit_ffffff__png/ACfrG/productpics_fullsize/1/176004a.jpg
), delle calze simili a quelle di Jen e delle scarpe chiuse con il tacco – che gioia. Poi mi infilai un paio di guanti a mezze dita neri che coprivano quasi tutto l’avambraccio e allacciai al collo una collana regalatami da Beyond un po’ di tempo prima
(http://cdn.acfrg.com/i/0_0_fit_ffffff__png/ACfrG/productpics_fullsize/8/802808.jpg
).
Mi fissai allo specchio qualche secondo, sbuffando e andai a sottopormi a Jen. La bionda, durante la mia assenza, aveva deciso di rifare brevemente lo smalto nero, quindi non mi vide subito.
Ma quando alzò lo sguardo, fece un enorme sorriso.
- FINALMENTE HAI UNA GONNA ADDOSSO! -
- Non mi sembra ci sia bisogno di feste-
- E DEI TACCHI! DEVO SEGNARE QUESTO GIORNO SUL CALENDARIO! -
- Non esagera-
- SIIIIIIIIIIIIII! -
Scossi la testa rassegnatamente, attendendo che smettesse di saltellarmi attorno come una matta, lanciando estatici urletti di gioia.
Poi mi prese per un polso e mi trascinò senza preavviso in bagno – di nuovo! – per poi mettermi a sedere di forza davanti allo specchio e aprire – tutto questo in una decina di secondi al massimo – la più grande scatola di trucchi che avessi mai visto.
- Oddio, ma che… -
- Silenzio ora! E ferma! –
Mi concessi un lungo sospiro. Sarebbe stato un lungo e duro pre- concerto, me lo sentivo.
Verso le cinque e mezzo, per fortuna, il citofono squillò più volte di fila. Jen si precipitò a prendere “cose di natura ignota” e io mi caricai chitarra e zaino sulle spalle, fischiettando e controllando di avere tutto.
Sembravamo veramente due depravate a uscire conciate a quel modo in pieno giorno, cariche di roba, ma per fortuna dopo appena un paio di passi salimmo sull’auto dei genitori di Jack mettendo nel bagagliaio quanto avevamo addosso con un sospiro di sollievo.
Fortunatamente, grazie all’organizzazione mia e di Beyond, la batteria era già là, altrimenti non ce l’avremmo mai fatta.
Matt mise un CD nell’impianto stereo e alzò il volume al massimo.
- MA PERCHE’ I GAZEBO PENGUINS, MICA CI DOBBIAMO DEPRIMERE, CRETINO! -  protestò Jen.
- NON TUTTE LE LORO CANZONI SONO DEPRIMENTI, IGNORANTE! ASCOLTA E TACI! -
-MA QUESTA SI’!-
-E’ BELLA! PUNTO! –
Dopo cinque minuti tutti cantavano a squarciagola le canzoni che conoscevano ormai a memoria, attirando le occhiatacce di pedoni e macchine circostanti.


 
 
- MELLO MUOVITI! -
- Che cazzo urli? -
- Dobbiamo andare al concerto, idiota! Ti dai una mossa? -
Mello lo guardò male.
- Tu vieni. Punto. -
Il biondo sbuffò e scosse la testa.
- Devo chiamare Lucy? -
Silenzio.
- Lo sai che ci tengono, perciò alza il culo e vieni, Mello. -
- Se non ne avessi voglia? -
- Ehy, non è un mio problema!-
Mello alzò lo sguardo al vetro della finestra con uno sguardo triste.
- Che hai? -
- Andiamo. – stabilì alzandosi e infilandosi la giacca di pelle.
Matt sorrise, chiudendo la finestra dopo aver guardato il cielo serale.
I due camminarono fianco a fianco in perfetto silenzio, il passo quasi uguale. Matt si accese una sigaretta, senza offrirne all’amico, e espirò una nuvola di fumo che sorpassò rapidamente. Mello guardava con ostinazione il marciapiede, perso in pensieri che parevano schiacciarlo verso il suolo con forza.
- Che c’è? – gli chiese Matt dopo qualche minuto, svoltando a destra in un vicolo con i lampioni mezzi rotti.
Mello sbuffò e gli lanciò un’occhiata fugace.
- Niente. Sono solo stanco. -
- Senti, ma stai bene? Hai la faccia di uno che-
- Sto bene. -
- Non ti voglio stare addosso, ma…
- Sto bene. -
- Ok. – sospirò Matt portandosi la sigaretta alla bocca con rassegnazione.
I loro passi risuonavano come se a camminare fosse una persona sola e presto anche Matt parve più cupo. Non poteva non pensare che qualcosa stava per cambiare radicalmente nella sua vita. Lo sentiva. In ogni parola di Mello e in ogni suo pensiero.
Capiva da come si comportava che qualcosa… qualcosa si preparava all’insaputa di tutti.
Sospirò e anche Mello lo fece, insieme a lui.
 
Arrivati, dopo aver montato tutto e fatto il soundcheck, ci eravamo aggregati all’altra band.
Il Calypso era un locale spazioso e molto che visitavamo molto spesso la sera, tanto da conoscere come un’amica la proprietaria, una donna di rara bellezza dai tratti vagamente indiani,  la carnagione olivastra e i capelli tinti di uno schizzante verde, di nome Danielle.
Misa aveva decisamente messo gli occhi addosso  a Mattia, il quale ovviamente non se ne era accorto neanche quando lei gli si era appiccicata, accoccolandosi praticamente sopra di lui su un divano di finta pelle rossa.
L’ingenuo, troppo abituato alle maratone di film che ci facevamo ogni tanto con gli amici  durante le quali addormentarsi sugli altri era un must, la riteneva una cosa normalissima, e continuava a discorrere tranquillamente con gli altri ( che ridevano sotto i baffi) canticchiando fra una frase e l’altra come era solito fare. Inserire interiezioni in inglese era quasi un tic per lui.
Jen era un po’ agitata, ma insieme a Jack, seduto di fianco a lei, e alla bassista di Beyond (tale Lola) si era presto distratta fra le chiacchiere e le risate.
Io e Beyond eravamo stati a chiacchierare con gli altri fino a che non ci aveva chiamato Danielle dall’altro lato del locale.
- Ma com’è che non vi vedo litigare? Non siete cane e gatto, voi due? – chiese con un’occhiata inquisitoria.
Io e lui ridemmo, aggiornandola sugli ultimi avvenimenti.
- E così dopo tutte le guerriglie che vi siete fatti… interessante. Volevo dirvi anche che come al solito avete una consumazione gratis a testa. Fra un’oretta comincerà ad arrivare gente, ok? Ditelo anche agli altri. -
Dopo aver informato i nostri compagni decidemmo di andare a fare due passi li in giro.
Camminavamo nella frescura serale, fianco a fianco, i passi sincronizzati che scandivano secchi i secondi che passavamo in silenzio.
- Sei agitato? – gli domandai.
Scosse la testa, accennando un sorriso.
Svoltammo a destra senza bisogno di dircelo. Conoscevamo entrambi, lì vicino, un piccolo parchetto. Era là che ci stavamo dirigendo, senza pensarci troppo.
- Tu sei agitata? – fece lui senza guardarmi.
Anche il mio sguardo era fisso a terra, quando gli risposi di no.
- Se molto carina, vestita così. Immagino che sia opera di Jen, vero? Solo lei poteva toglierti di dosso le tue enormi magliette… - commentò.
- Sono comode, che ci vuoi fare! Comunque grazie! – risposi mentre lui rideva.
Entrammo nel parco, prendendoci per mano senza motivo e guardandoci intorno. Non c’erano molte persone, a parte qualche padrone di cane con cane scorrazzante annesso.
Ci sedemmo su una panchina rivolta all’interno del parco, sotto un maestoso albero. Davanti a noi, oltre la strada dalla quale eravamo venuti, si stendeva un praticello mosso dalla brezza.
- Cosa pensi che succederà? – gli domandai all’improvviso.
- In che senso? – disse lui senza capire a cosa mi riferissi.
- Intendo dire… se Aki e Kendra non riescono a fare quello che devono. Tu hai detto che il direttore li metterebbe da parte, ma ... dopo? -
– Non lo so… io… -
Beyond sospirò senza trovare le parole e appoggiò il capo alla mia spalla.
- Scusa, non volevo preoccuparti.  – dissi, passandogli una mano tra i capelli.
- Comincio a credere che loro due lo vogliano uccidere. E poi… non lo so, non so cosa potrebbe accadere dopo. Forse le cose andrebbero peggio…. -
- E forse andrebbero meglio. Non puoi saperlo. – dichiarai fermamente.
Sospirò di nuovo.
- Ehy, non ti preoccupare. Qualsiasi cosa accadrà, non importa fino a che possiamo stare insieme. E per ora lo siamo. -
- Sarebbe bello scappare, prima che succeda qualcosa. Aspettare è una tortura, specialmente senza sapere le intenzioni di nessuno, senza sapere cosa faranno alla fine. -
- Ora non pensarci. –
- Come fai a non pensarci? -
Lo guardai dritto negli occhi.
- Non pensarci e basta. Camminiamo? -
Il buio stava calando velocemente sulla città, confondendo i contorni delle case più lontane e rendendo l’aria morbida  e fredda. Qualche nuvola violacea si stagliava nel cielo scuro sopra di noi, mentre camminavamo per quella strada vuota.
Eravamo usciti dal parco dal lato opposto a quello per il quale ne eravamo entrati, poco prima.
Ci immergemmo in quella innocua oscurità fianco a  fianco.
- Forse dovremmo tornare… -
- Forse sì- ammisi.
Così ci fermammo all’angolo di una strada, senza risolverci a girarci e a tornare sui nostri passi.
Lui si mise a giocherellare con i miei capelli distrattamente.
- Probabilmente Aki e Kendra uccideranno in direttore. E poi andranno a vivere la loro vita. Può darsi che mi uccidano per sfizio, li abbiamo infastiditi un po’ troppo. E poi può darsi che gli orfani scappino dalle porte che loro due apriranno. Ci sarà chi rimarrà e ci sarà chi non esiterà ad andarsene per sempre. Altrimenti potrebbe succedere che il direttore tolga di mezzo Aki e Kendra, forse che li uccida. E poi ucciderebbe me, o qualcosa del genere. – sparò improvvisamente con distacco.
Mi guardò negli occhi senza muoversi di un millimetro, aspettando una mia reazione.
Guardandolo tentare di mantenere la calma e la freddezza fingendo di non essere toccato dalle sue stesse parole mi spinse però a non dire nulla. Non sapeva come confortarlo. Era stato un mio sbaglio chiedergli di pensare a una situazione così delicata ed effettivamente non vedevo vie d’uscita.
Ma se il secondo prima appariva una roccia inscalfibile dalle peggiori minacce, il secondo dopo Beyond abbassò lo sguardo e parve assorbire una bastonata sulle spalle.
Preoccupata gli alzai il viso con una mano con la delicatezza maggiore che potei e lo fissai stupita.
Una lacrima si faceva strada dai suoi occhi verso la sua bocca, sebbene la sua espressione fosse immobile.
- Tu non morirai. – dissi io con una specie di ostinata rabbia che non mi sapevo giustificare. – Non lo permetterò. Credimi, tu no morirai neanche in mezzo a un campo minato ia fino a che io sarò in vita. Te lo prometto. -
- Cosa vorresti fare? Non puoi neanche entrare alla Wammy’s, non puoi contattarmi senza che non lo sappia il nostro direttore! Non puoi fare niente. -
La mia razionalità gli dava pienamente ragione, ma venne presto zittita da un sonoro ceffone che tirai quasi involontariamente a Beyond. Mi stupii io stessa, figuriamoci lui.
- Non me ne frega un cazzo del tuo direttore! Pensi che io non possa proteggerti? So perfettamente dove ti trovi e non puoi essere da nessun’altra parte. Se hai paura non devi fare altro che scrivermi e ti prometto che a costo di sfondare a calci il cancello io arriverei. Non pensare neanche per un secondo di essere da solo. -
Beyond mi guardò come se avessi parecchie rotelle fuori posto ( e non è che avesse tutti i torti ) prima di sospirare e lasciarsi scivolare a terra.
- Non voglio che tu mi salvi. – dichiarò cupo.
- Perché? -
- Ti faresti ammazzare. -
Mi faceva imbestialire! Senza alcuna logica, ma mi faceva davvero imbestialire!
- CAZZO, MA SI PUO’ SAPERE CHE TI E’ SUCCESSO? -
Nessuna risposta.
- Io ho conosciuto una persona che non si faceva abbattere da niente. Ho conosciuto qualcuno che resisteva anche se sembrava tutto perso. Qualcuno che si è ripreso da mille cazzo di tragedie. E non l’ho conosciuto per vederlo morire perché non ha le palle per controbattere. Tu non vedi speranza? Bene, allora infilati un coltello nel petto e muori subito! Non dici anche tu che è una tortura l’attesa? Se invece sei ancora la persona che ho conosciuto alzati e combatti per la tua fottuta vita! -
- La vita di un assassino non merita di essere salvata. – disse.
- La vita del tuo direttore non merita di essere salvata. La vita di Aki e Kendra non merita di essere salvata. -
- Salvata da cosa?  -
- Da te che alzi il culo e li resisti. -
Sbuffò, tirandosi su.
- Non voglio vederti triste. -
- Sono stanco di parlare di queste cose, dobbiamo riscaldarci per il concerto, dobbiamo tornare. -
Fissò ostinatamente la punta delle mie scarpe e improvvisamente mi sembrò un bambino. Aspettava che fossi io a muovermi.
-Io non posso stare fermo con le mani nelle mani… * - intonai a  bassa voce guardando le stelle che punteggiavano il cielo.
Lui alzò lentamente lo sguardo.
- Tante cose devo fare prima che venga domani
e se lei già sta dormendo io non posso riposare,
farò in modo che al risveglio non mi possa più scordare.
Perché questa lunga notte, non sia nera più del nero
fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero
e perché quel suo sorriso possa ritornare ancora
splendi sole domattina come non hai fatto ancora.-

Lui sorrise. Non era una canzone che ci piaceva nella sua versione originale, ma avevamo scoperto girovagando in cerca di sue notizie su youtube che uno dei nostri cantanti preferiti l’aveva cantata, rendendola bella a nostro parere.
-E per poi farle cantare, le canzoni che ha imparato
io le costruirò un silenzio che nessuno ha mai sentito
sveglierò tutti gli amanti, parlerò per ore ed ore
abbracciamoci più forte, perché lei vuole l'amore.
– continuò lui.
- Poi corriamo per le strade e mettiamoci a ballare
perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore,
e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri,
case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori
raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera
costruiamole una culla, per amarci quando è sera
poi saliamo su nel cielo, e prendiamole una stella,
perché Margherita è buona, perché Margherita è bella.
-  canticchiammo insieme, prendendoci per mano e camminando verso il locale.
Le stelle splendevano sempre più numerose a combattere il buio intorno a loro.
Perché Margherita è dolce, perché Margherita è vera
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera
perché Margherita è un sogno, perché Margherita è il sale
perché Margherita è il vento e non sa che può far male
perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia
Margherita, Margherita...
Margherita...adesso è mia

* Vi consiglio caldamente, se avete voglia di ascoltare questa canzone finale, di farlo da questo link: 
https://www.youtube.com/watch?v=-M9MkL15Ne0
Quello che ho scritto è vero. L'originale non mi piace per niente, la sua versione abbestia.
Che vi devo dire? Canta da dio quel ragazzo (che per la cronaca a trent'anni, ma DETTAGLI)
Mina

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Il loro live ***


BUONGIORNO GENTE!
Come va? Estate? Vacanze?
Io non tante ma sono lo stesso mega incasinata. A giugno ero tutta " dai che quest'estate avrò un sacco di tempo e scriverò tantissimo e uooooo coseeeeee". 
Se.
Illusa.
Come potete immaginare nulla è andato come previsto.
Perchè poi io mi faccio tutti piani, mi faccio tutti i buoni propositi, ci credo pure, sul serio, con tutta me stessa! Vado convinta!
E poi finisco con il culo per terra, che cazzo.
Mi permettete una bestemmia? No? Troppo volgare? Va bene, esploderò in un castissimo PORCO DIAZ!
IN OGNI CASO tornando a noi, questo capitolo non è lunghissimo e mi scuso già, ma la mia partenza di avvicina (finally) e preferisco pubblicare ora che non farlo fino a chissà quando. Spero di poter aggiornare ancora presto, ma non garantisco niente.
Scusate per la mia solita tempistica allucinata! Non me ne vogliate, io vivo nel Paese delle Meraviglie e non sono il Bianconiglio <3
Vi vogliobbbene come na scema tanta! ;D

Mina







 

Quando entrammo nel locale, io e Beyond ci rendemmo subito conto che si stava radunando un bel po’ di gente. Fra i clienti abituali del posto e i numerosi amici di scuola sembrava davvero che avremmo avuto un certo pubblico.
Cercai il mio gruppo con lo sguardo e li trovai dove li avevo lasciati. Mi diressi verso il divano rosso sulla destra e mi sedetti di fianco a Mattia. Misa era scomparsa, ma non pareva che l’atmosfera fosse cambiata.
-Tutto bene qui? – domandai, lanciando uno sguardo anche a Jen e a Jack, davanti a me.
- Nulla da riferire, capo. – assicurò il batterista giocherellando con una bacchetta sotto lo sguardo curioso di Jen.
- No, ma come cavolo fai? Aspetta…. Ci devo provare! – esclamò la bionda strappandogli l’altra di mano e tentando con risultati disastrosi di imitarlo.
- No, aspetta, fai così. Vedi? Il polso dev’essere in questa posizione. -
- Ah! Ok… no, non mi viene… uffa! -
- Allenati, non è difficile! – esclamò lui ridendo.
Mi guardai intorno: Beyond e i suoi compagni parlavano con Danielle.
Tutto intorno a me vedevo ragazzi chiacchierare fra loro con una birra in mano, alcuni seduti, altri in piedi. Certi li conoscevo solo di vista, ma molti li avevo già visti ai nostri concerti.
- Dove eravate finiti tu e Beyond? – mi chiese Mattia.
Scrollai le spalle. – Da nessuna parte. -
- Mh.. ti ha cercato Aki intanto. -
- E’ venuto… -
- Non ci pensare, dai! È sparito da qualche parte anche lui quindi non sarà un nostro problema. -
- E Misa? -
- E’ andata a-
- Lo so, ma che ne dici di lei? Ti stava per saltare addosso prima! – ridacchiai, osservando la sua espressione stupita.
- Ah, ma dici che lei…
- Ben svegliato! -
- Eddai, perché gliel’hai detto? Era la cosa più comica mai vista! – protestò Jen, lanciandomi la bacchetta di un rassegnatissimo Jack.
- Ma poverino! – esclamai.
- No, aspettate un momento, cosa dovrei fare adesso? – saltò fuori Matt un po’ confuso.
- Beh ti piace Misa? -
-Non credo… non la conosco molto… -
- Allora non si pone il problema, no? – risolse Jack, riprendendosi le sue bacchette e cominciando a suonare i bicchieri davanti a lui.
Continuammo a chiacchierare quando improvvisamente una voce risuonò forte e chiara fondo del locale.
- Buonasera a tutti! – esclamava Misa dal microfono, sola sul palco, i capelli biondissimi che scintillavano sotto le luci.
Cominciò subito a cantare la prima canzone, mentre le persone si radunavano davanti a lei.

La voce della ragazza era impossibile da ignorare. Aveva iniziato con una voce lenta e bassa.
Ad accompagnarla era entrato quasi subito il basso, suonato da una ragazza in ombra alla sua destra. Ero andata a sentire le loro prove parecchie volte e la conoscevo ormai. Aveva sostituito Arianna dopo un mese dalla sua scomparsa.
Si chiamava Chiara ed era una ragazza molto strana. Non parlava quasi mai, nascosta dietro la chioma di capelli rossi e riccissimi, ma suonava davvero bene.
La melodia creò il silenzio fra tutti gli ascoltatori.
Non volava una mosca quando, dopo la prima strofa, alla voce calda e piena della ragazza e al basso si aggiunse la batteria, dando un ritmo improvvisamente diverso alla canzone.
Misa cambiò voce ed entrò anche la chitarra, insieme a Beyond.
Per quanto le parole che cantasse fossero strazianti la bionda non sembrò mai chiedere compassione.
Tutti rimasero molto impressionati dal loro ingresso, tranne la mia band che osservava impassibile la scena.
Certo era incredibile quanti progressi avevano fatto dall’inizio dell’anno.
Alla fine della prima canzone, dopo gli applausi, Misa sorrise e riprese parola.
“La prossima la conoscete!” annunciò ai fan “Su le mani!” esclamò ancora prima che Beyond cominciasse a suonare.
Era una delle canzoni di più successo della loro band, chiunque li seguisse la conosceva e subito le mani si alzarono e le voci si levarono ad accompagnare la bionda.
Al ritornello tutti cantavano, sempre più vicini al palco.
La band sorrideva soddisfatta, suonando in perfetta sincronia.
Jen osservava l’altra cantante con interesse, gli occhi fissi sulla sua bocca per non perderne un movimento.
Una mano mi toccò la spalla e mi trovai improvvisamente in piedi fra Matt e Mello, il primo sorridente, il secondo impassibile come al solito, una birra in mano.
“Vanno alla grande, eh? Misa è un talento!”
“Hai ragione!” risi “Siete riusciti a venire quindi?”
“Non volevo rischiare di essere sventrato da Cleo.”
Gli lanciai un’occhiataccia.
“E’ ovviamente volevo sentirvi!” aggiunse subito facendomi l’occhiolino.
Lanciai uno sguardo d’intorno e mi pietrificai.
Un paio di occhi blu mi fissavano dall’altro lato del locale. Appartenevano ad Aki, appoggiato al muro con una birra in mano. Accennò un sorriso, ma la sua espressione era più quella di un leone che scruti una gazzella morente.
Mello si mise fra me e Aki, togliendomi alla sua vista e ghignò.
“Sembra che tu piaccia a qualcuno.”
“Sembra che tu debba farti gli affari tuoi.”
“ Diventa noioso dopo un po’.” soffiò irritato il biondo.
Il ritornello coprì le nostre voci, ma Mello continuò a fissarmi. Era anche più fastidioso di Aki, ma almeno il suo sguardo potevo sostenerlo tranquillamente, cosa che feci fino a che non si voltò.
Matt gli tirò uno scappellotto affettuoso, dicendogli di smetterla di fare l’uomo nero. Lui non provò neanche a sorridere.
Per fortuna Jen mi salvò, prendendomi improvvisamente per mano e trascinandomi sotto il palco.
“Qui ci siamo solo noi due!” esclamò.
La chitarra smise improvvisamente di suonare, insieme con basso.
La batteria di fece discreta.
La voce di Misa spiccava su tutto, di nuovo bassa e soffiata, le usciva dalla bocca per andare a spargere brividi fra il pubblico.
La batteria si fermò.
Tutto intorno a me i ragazzi sussurravano con Misa, fino a che in quella che di potrebbe tranquillamente definire esplosione tutti gli strumenti attaccarono.
Rimasi lì per tutta la durata dello spettacolo, Jen che mi stringeva la mano ad ogni vocale che usciva dalla bocca di Misa, bevendo tutte le tecniche che usava con gli occhi per provarle più avanti.
Beyond mi sorrise un paio di volte. Erano soddisfatto del concerto, stava andando molto bene.

Mello vide improvvisamente Lucy, a pochi passi davanti a lui, battere le mani a tempo insieme ad Ani.
Era davvero carina quella sera. Si era messa un vestito nero, con una svolazzante gonna a righe, capelli sciolti, qualche accessorio elegante, una minuscola borsetta.
Istintivamente avanzò, ma sentì la mano di Matt fermarlo.
- Cosa vuoi fare? – lo rimproverò seccamente, lanciandogli una strana occhiata.
Il biondo sbuffò. - Perché? -
- La vedi la ragazza di fianco a lei? Si chiama-
- So perfettamente chi è, la conosco da anni idiota! -
- Non volevi far restare la vostra relazione segreta? -
- Ti ho forse chiesto di farmi da padre, Matt? Fatti i cazzi tuoi. -
Il rosso alzò le mani in segno di resa, con uno sguardo che indicava tutto fuorché approvazione.
Ma quando Mello si voltò, Lucy era scomparsa. La cercò con lo sguardo per tutto il locale, ma non riuscì ad individuarla.
Sbuffò rassegnato.
Improvvisamente, il tocco gelido di una mano minuta gli si posò sulla spalla. Non ebbe bisogno di girarsi per sapere chi era.
Matt fece finta di non vederlo mentre prendeva quella mano e si faceva trascinare fuori dalla ragazza con più problemi alla circolazione del sangue nelle mani che avesse mai conosciuto.
La guardò con un sorriso quasi nascosto di complicità, mentre lei rideva appoggiata a un muro.
La musica si sentiva attutita ora.
- Potrebbero scoprirci. -
- Potrebbero non cagare il cazzo, per una volta. – rispose lui.
- Sempre così raffinato. – lo rimbeccò la ragazza,  aprendo la borsetta.
- Cosa fai? -
- Ho scoperto una cosa che forse non ti farà piacere, proprio ieri. – sorrise misteriosamente lei. – Vedi, frequentando gente come te è molto difficile andare oltre a certi orizzonti. Ma credo sia bene avere una mente aperta, non credi? -
- Si può sapere di cosa cavolo stai parlando? – domandò Mello, leggermente confuso.
- Beh, potresti ripudiarmi, ma ho assaggiato il cioccolato bianco. – dichiarò lei, preparato al peggio.
Mello la osservò per un secondo impassibile, poi scoppiò a ridere.
- Sicuro di non avere la febbre, piccolo Mello? – lo prese in giro lei.
- Non mi chiamare piccolo Mello! -
- D’accordo, zuccherino mio! -
- Potrei vomitare. -
- Ah, citiamo il professor Piton? -
- Assolutamente! -
Lucy lo gratificò di un breve bacio prima di estrarre dalla famosa borsetta una tavoletta di cioccolato bianco, imitata subito da Mello, che cominciò a scartare la sua fondente.
- Mi farai diventare una grassona. – lo rimproverò.
- Guarda che stai facendo tutto da sola. -
Lucy addentò la sua tavoletta, fulminandolo.
-Seriamente, cos’è tutta questa improvvisa simpatia? -
Mello si strinse nelle spalle lasciando che il cioccolato si sciogliesse nella sua bocca.
- Colpa tua. – risolse poi.
- Cioè?-
- Senza di te non sono certo così da carie ai denti. Solo colpa tua. -
- Se, sempre agli altri le colpe eh? -
- It’s everyone else’s foult. -
- E finiscila di citare dota 2! -
Risero insieme nella leggera aria notturna.
Mello la baciò improvvisamente.
- Dai, accettabile. – decise poi.
- Cosa? -
- Il cioccolato bianco. –
Una voce completamente estranea raggelò Mello e Lucy.
- Non ti facevo così romantico. -
Il biondo si voltò a fronteggiare il nuovo arrivato, che si fumava tranquillamente una sigaretta, sogghignando.
- Cosa ci fai qui? – gli chiese distaccato.
Aki si strinse nelle spalle mostrandogli la sigaretta come una scusa.
Mello gli si avvicinò e lo fissò negli occhi con una certa aggressività. Tuttavia era evidente che non aveva alcuna intenzione di fargli niente, stranamente.
- Non lo dirai a nessuno. – disse tranquillamente, addentando il cioccolato che aveva ancora in mano.
- Stai tranquillo, il tuo piccolo segreto è… al sicuro. – mormorò Aki, lanciandogli uno sguardo intenso che pareva significare tutto il contrario.
- Non sarebbe affatto saggio farmi arrabbiare, nella tua posizione.-
- Non ho alcuna intenzione di farti arrabbiare. Non ora, quantomeno. – rispose il giapponese con un lieve sorriso.
Spense la sigaretta lentamente, fece un cenno di saluto a Lucy  e sorrise sfacciatamente a Mello, tornandosene all’interno del locale.
Lucy guardò il ragazzo stranita. – Cosa intendeva dire, Mello? -
- Nulla. -
- Lui sa qualcosa che-
- Stava solo scherzando, stai tranquilla. -
La ragazza lo guardò negli occhi.
- Fingerò di crederti.  –
- Lo farò anche io. –
- Vuoi ascoltare una canzone? - domandò lei, facendo finta di nulla dopo un lungo momento di silenzio.
- Siamo a un concerto. - fece notare Mello.

Lei alzò ironica gli occhi al cielo e dalla borsetta fece comparire un mp3 e delle cuffie che gli mise in un secondo. *
- Ti piace?  -
- La conosco, cos'è? - 
- Indovina. - lo sfidò.
Ma Mello preferiva darle un altro bacio, così, giusto per assicurarsi che fosse ancora lì.

 

Quando Mello e Lucy rientrarono, si sperarono subito.
Lei andò a cercare Ani, lui trovò subito Matt, seduto con Cleo.
Ok, forse non era il caso di disturbarli, decise, vedendoli impegnati in quella che non avrebbe definito proprio una situazione da interrompere.
Rassegnato, si prese una birra e si accinse ad attendere.
Stranamente, la musica lo incuriosì. La band stava suonando molto bene e si vedeva che avevano stile da vendere. Si assorbì a osservarli.

Finì troppo in fretta, secondo me. Ok, era durato un bel po’, ma vederli suonare era ipnotico, con Jen attaccata al braccio e gli occhi di Beyond che mi osservavano fra un accordo e l’altro per spiare le mie reazioni.
Alla fine dell’ultima canzone, tutti chiesero un bis, che naturalmente fu concesso.
Cominciò a venirmi un po’ d’ansia, sapendo che subito dopo avrei suonato io.
- Jen, mi fai male! – risi.
- Devo parlarle. – dichiarò lei.
- Non fare la stalker! Ma poi, scusa, l’hai già conosciuta! -
- Non ci ho mai parlato veramente, lo sai benissimo! Ha cantato benissimo. -
- Sta cantando benissimo, quindi chiudi la bocca, va. -
Però non si staccò dal mio braccio, come se fossi un albero in mezzo a un uragano.
Tutti intorno a noi cantavano con Misa, saltando sul posto nell’enfasi dell’ultima canzone.
Risi, guardando gli occhi di Jen brillare e sorridere all’altra bionda che l’aveva fissata per qualche secondo dal palco.
Per quanto tutti desiderassero altre canzoni la band smise di suonare infine, fra applausi e urla generali.
Una smagliante Misa si inchinò al pubblico e ringraziò, prima di ritirarsi.
Matt e Jack vennero subito a prelevare me e Jen, trascinandoci in mezzo alla massa di gente fino a dietro il palco.
- Ci siamo tutti? -
- Sì capo. – mi rispose Matt.
- Tutti pronti? -
Jen scosse la testa.
- Che c’è?-
- Con che faccia vado a cantare dopo quel mostro? -
- A me non sembrava più brava di te. – puntualizzò Jack, ben lontano dalle lusinghe.
- Che cazzo ne sai tu! – lo aggredì la bionda.
- Jen, stai calma adesso, andrà tutto bene. Ok? -
Riuscimmo a calmarla solo con grande fatica.
- Adesso siamo tutti pronti? – domandò Matt.
Annuimmo sorridendo.
Stavo infilandomi la custodia della chitarra, quando Beyond arrivò tutto pimpante.
- Ciao! – esclamò saltellandomi di fianco.
- Sì, siete stati davvero bravi, sono fiera di te e tutto. -
Ma a quanto pare non era molto soddisfacente per lui essere liquidato così.
- Amore? -
- Che c’è? -
- Ansia? – domandò.
Sbuffai.
- Andrai alla grande. Vedrai.- tentò di convincermi mettendomi le mani sulle spalle.
- Sai cosa mi conforterebbe davvero? -
- Cosa? -
Mi avvicinai a pochi centimetri da lui serissima, senza dire una parola.
Improvvisamente gli scompigliai i capelli ridendo.
- DAAAH ma cosa fai!? – esclamò saltando per aria.
Odiava che io gli scompigliassi i capelli, e io adoravo farlo.
Gli feci un sorriso smagliante e gli diedi un bacio.
- Tzè, sempre a cavartela così, tu… - bofonchiò lui, mettendo su il broncio.
- Ma finiscila! Allora, posso andare o devi dirmi qualcosa? -
- Tanta merda! – augurò.
Sorrisi, vedendolo tutto esaltato per come avevano suonato. Non capitava spesso che fosse così pimpante, cosa alla quale forse erano servite le birre bevute prima di suonare.
- Dai, levati dalle palle che devo andare! -
- E mi saluti così? -
- Assolutamente! -
- Posso averlo un bacio? -
- TI DAI UNA MOSSA? – mi urlò Matt.
Guardai Beyond con eloquenza, lo abbracciai e mi avviai.
- E il mio bacio? -
- Dopo! -
Matt imbracciò il basso fischiettando, mentre Jack giocava con le bacchette e Jen tentava di non cadere in depressione.
- Allora? -
Jack mi guardò con un sorriso.
- Let’s kick some bitches up! – risolse lanciando una bacchetta e riprendendola al volo.


https://www.youtube.com/watch?v=3DQmwA7chtY

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Il nostro live ***


Buongiorno! Vacanze finite, mare salutato (sono ancora in lutto, sappiatelo) e tutto ricomincia sfortunatamente! :D
Come state? Io sono megaintrippata in un sacco di cose come mio tipico, ma eccomi qua!
Questo capitolo forse è un po' breve, ma sapete cosa succede ad agosto, dai. ;)
In ogni caso sarei felice di sapere cosa ne pensate! Vi auguro un  buon rientro! Forza e coraggio, ce la possiamo fare anche quest'anno (forse :p)!
FEAR NOTHING!


Mina




Salimmo sul palco al buio, nel chiacchiericcio del pubblico distratto. Matt si era premurato di dare una copia della scaletta, scritta velocemente con un grosso pennarello su alcuni fogli bianchi e una birra a ciascuno.
Cominciai un giro di chitarra tetro e distorto, seduta a bordo del palco che si riempiva di fumo e le persone andarono ad avvicinarsi, accalcandosi sotto di noi.
Quasi non ci si vedeva, immersi nel fumo com'eravamo. Sembravamo sagome nere, ombre.
Matt cominciò a suonare il basso unendosi alla mia chitarra. Mantenemmo il ritmo lento e cupo fino a che non la batteria non aumentò il ritmo.
Cominciammo un crescendo sempre più incalzante. Io mi alzai e mi dimenticai del resto del mondo.

Beyond osservava la sua ragazza senza mostrare emozione alcuna, ma dentro di sé era un subbuglio. Era entrata nel fumo silenziosamente, si era seduta sul palco e aveva cominciato a suonare, la chitarra nera che scintillava sotto le sue dita. Quel ritmo cupo, noir, morboso, lo aveva incantato da subito. La ragazza era concentrata sul suo strumento, non aveva dedicato un singolo sguardo al pubblico. Dondolava piano le gambe, tenendo il tempo insieme a una batteria discreta. Il ragazzo che la suonava la guardava concentrato.
Era entrato insieme con il basso, le cui note cadenzate esaltavano l'atmosfera creata dalla chitarra.
Tutt'a un tratto però la batteria aveva cominciato a suonare sul serio, aumentando il ritmo e la complessità. La chitarrista si era alzata e aveva cominciato a suonare i terzine, interagendo coi compagni, muovendosi per il palco, suonando con tutta se stessa.
Dopo tre accordi in distorsione e un breve assolo però, i tre si fermarono in perfetta sincronia per un momento. E all'improvviso, tutti insieme, ricominciarono, riprendendo il tema iniziale, meno pestato.
E con loro cominciò anche Jen.
Nel momento in cui aveva aperto bocca, chi ancora non stava ascoltando venne completamente rapito. La voce che aveva tirato fuori era perfetta per quelle note, soffiata, dolce, molto in linea con la cupezza del tappeto musicale.
Beyond però non smise per un secondo di fissare la sua ragazza che si agitava sul palco, suonando al meglio delle sue capacità. Sembrava che fosse entrata completamente nella musica, che si fosse fusa alla sua chitarra e alle note che le strappava.
Il ritornello travolgeva tutti, la voce che saliva e si sporcava, sempre calzante.
Misa fissava la cantante allo stesso modo in cui ne era stata fissata, colpita dalla sua bravura. Si sarebbe addirittura potuta lanciare nel professionismo. Trovava incredibile l'idea di poter vivere semplicemente cantando, ma guardando Jen le pareva più che plausibile di vederla diventare famosa un giorno.

Anche Jack, mentre suonava, non smetteva un attimo di fissare la bionda davanti a lui muoversi e cantare con la voce più splendida che le avesse mai sentito usare. Si sentiva che stava dando il meglio, rispetto alle prove.
Jack era stato bocciato in quarta ed era entrato a scuola un anno dopo per motivi familiari, quindi ormai aveva vent'anni, mentre la bionda ne aveva sedici. La prendeva continuamente in giro per questo, ma in realtà lo faceva più che altro per ricordarselo.
Se non avesse tenuto bene a mente la loro differenza di età avrebbe cominciato a farsi qualche pensierino di troppo sulla ragazza.
Come se già non se li stesse facendo, poi. No, non ci doveva pensare. Non se li stava facendo e basta.
Cavolo , era solo una ragazzina, cosa gli passava per la testa?!
Chiuse gli occhi per un secondo e si concentrò sulla musica per evitarsi di sbagliare.
Ma gli venero solo in mente di tutte le volte che si erano fermati alle prove e lei, seduta sulle sue gambe come una gattina, ci aveva parlato del più e del meno. Dei tanti messaggi che si erano mandati. Era una tipa forte, scherzava senza trattenersi, gli stava dietro, avevano gli stessi interessi. Non gli rompeva le palle se non le rispondeva mentre faceva qualcosa. Era intelligente e pronta, coglieva tutte le sue citazioni, non si lasciava mai scoraggiare.
Era inutile, non se la poteva togliere dalla testa.
E poi lei non aiutava, lì sul palco precisamente davanti ai suoi occhi, stretta in quei vestiti, con i capelli che le ondeggiavano sulle spalle.
Sospirò rassegnato.

I ragazzi stavano suonando davvero bene. Cleo era aggrappata a Matt, in ansia e felice per loro allo stesso tempo, silenziosa. La stringeva a se volentieri, preoccupato che potesse essere una delle ultime volte. Gli piaceva davvero molto la musica che stavano suonando. Lo stile era molto buono, loro molto bravi.
Jen era calamitante. Chitarrista e bassista continuavano a girare per il palco. Lei era, dopo Jen, la musicista con più occhi puntati addosso e pareva non accorgersene neanche.
Era completamente assorbita da ciò che stava facendo, canticchiava le canzoni, saltellava, era davvero un'animale da palcoscenico e si vedeva molto bene.
C'era una bella atmosfera intorno a lui, ragazzi che cantavano, alzavano le mani, le battevano, sostenevano la band fra una canzone e l'altra e ridevano alle loro battute.
Fu un'ora di concerto veramente strepitosa, piena di momenti che nessuno si sarebbe mai dimenticato, assoli, risate, soprattutto molta energia. Tutti erano colpiti dai progressi fatti dalla band in così poco tempo, colpiti dal nuovo bravissimo batterista e quant'altro.
Si presero una breve pausa, scomparendo un attimo dal palco con una birra in mano, assaliti dal pubblico.
Poi scomparvero per pochi minuti.

Jen beveva a canna dalla bottiglia d'acqua da due litri che si era portata dietro “ perché non si sa mai”.
- STO SBAGLIANDO TUTTO! -
Jack rise.
- COSA CAVOLO RIDI TU?!” lo aggredì lei, puntandogli contro drammaticamente la bottiglia.
- E finiscila di urlare che ci stai assordando tutti. Sembri una ragazzina isterica. - ammiccò Jack.
- Sono un ragazzina isterica, idiota. -
- Guarda che non stai andando male. -
Jack si sforzò di non guardarla. Alle prove la vedeva eternamente in jeans e maglietta, sempre molto brusca e allegra.
E poi se ne usciva con quell'eleganza da saltarle addosso.
La bionda sbuffò e si scostò i capelli dal viso, chiamandomi.
- Dimmi, luce dei miei occhi! -
- Non fare la cretina e vieni con me, veloce. -
Mi trascinò in bagno in meno di dieci secondi, mi sbatté contro il muro e mi guardò con gli occhi ridotti in due fessure.
-ALLORA. Tu davvero credi che dovremmo suonarla, adesso? -
- Sì-
- Non lo capirà mai, vero? -
- Se è così, a cantarla non ci perdi nulla, no? Forza, andiamo isterica! -

Matt rimase stupito del fatto che a saltare nuovamente sul palco non fosse la band al completo, ma solo la chitarrista e la cantante. Non sembrava fosse un errore.
Le luci si abbassarono e delle due ragazze non si videro che le silhouette scure e ferme.
Jen staccò il microfono dall'asta e lo avvicinò al volto.
- Tutte le nostre canzoni sono state scritte da Matt e arrangiate da Alma. Questa invece è la prima canzone che posso dire di aver scritto. L'ho scritta pensando a... una persona a cui voglio molto bene. Beh, spero che la ascolti. -
Dopo un secondo di silenzio, in una luce ovattata, le due cominciarono a suonare.
 

https://www.youtube.com/watch?v=_nW5AF0m9Zw

Light reflects from your shadow
It is more than I thought could exist
You move through the room
Like breathing was easy

Jen, gli occhi socchiusi, era totalmente presa dalla canzone che stava cantando. Si muoveva sul palco con naturalezza, perfettamente a suo agio. La voce pulita e delicata toccava tutto il pubblico come in punta di piedi lasciandoli con la pelle d'oca.
Jack la osservava impassibile, di fianco a Matt.
Non poteva smettere di fissarla, avrebbe voluto suonare con lei quella canzone.
Le parole lo attraversavano come delle frecce. C'era qualcuno a cui lei avrebbe voluto dedicarle, dunque? Avrebbe dovuto immaginarlo. Era perfettamente normale. Cosa pensava, che solo perché stava tanto simpatica a lui gli altri non avrebbero dovuto notarla?
E come non notarla?
Era bella e intelligente, chiunque si sarebbe fermato a guardarla passare e chiunque ne sarebbe stato attratto dopo una breve conversazione. E perché lei non avrebbe dovuto prendersi una cotta per qualcuno? D'altro canto alla sua età era più che naturale.
Doveva succedere. Prima o poi, doveva succedere. Non poteva metterla sotto una campana di vetro per tutta la vita, troppo spaventato per prendersela e troppo geloso per lasciarla libera. Non aveva senso.
Eppure più la canzone andava avanti più stava male.


If someone believed me
They would be
As in love with you as I am
They would be
As in love with you as I am
They would be
As in love with you as I am
They would be
In love, love, loveAnd everyday
I’m learning about you
The things that no one else sees
And the end comes too soon
Like dreaming of angels

Più la canzone andava avanti più la vedeva come un sogno, sempre più lontana, sempre più irraggiungibile.

And leaving without them
And leaving without them

Era impalpabile.

Being
As in love with you as I am
Being
As in love with you as I am
Being
As in love with you as I am
Being
As in love, love, love
Love, love, love
Love, love, love

A chi, a quale fortunato ragazzo, Jen stava dedicando quella canzone? Perchè non gliene aveva parlato?
Perchè avrebbe dovuto farlo? Sebbene si volessero molto bene i due non erano il tipo di persona che si mette a fare discorsi melodrammatici ogni secondo. Passavano la maggior parte del tempo a lanciarsi frecciatine. Lui lo adorava. Ogni volta rimaneva stupido della sua furbizia dell'incastrarlo, ed era più che soddisfacente tenderle delle trappole. Quando riusciva ad avere la meglio, Jen ammetteva sempre i suoi sbagli, e rideva. Non gli aveva mai messo il muso.
Non c'era la parte noiosa di avere una ragazza con lei.
Jack odiava parlare troppo con le ragazze, la maggior parte di loro lo annoiava. Jen l'aveva rimproverato per questo, ma non ci poteva fare niente.
Lei non lo annoiava però.

And with words unspoken
A silent devotion
I know you know what I mean
And the end is unknown
But I think I’m ready
As long as you’re with me

Jack scrutava il pubblico in cagnesco. Chi di loro? Chi di loro aveva il cuore di una ragazza così e non le era ancora saltata addosso? Quale idiota fra loro?
Matt ridacchiò.
- Va tutto bene Jack? -
- Perchè? -
- Niente... ti piace la canzone? -
- Non è male. -
- Chissà perché non ce l'hanno fatta sentire prima di stasera, eh Jack? -
- Magari si vergognava. -
- Di me? -
-Di... di noi. No? -
- Jack, lo sai l'inglese, vero? - domandò Matt in modo apparentemente incoerente.
- Lo sai che ho fatto sei mesi in Inghilterra. Certo che lo so. -
- Il testo è carino. -
- Infatti. -
- Chissà per chi è. Te lo sei chiesto? -
- Non sono affari miei immagino. - disse lui.
- Ah, beh.... ok.... -

Being
As in love with you as I am
Being
As in love with you as I am
Being
As in love with you as I am
Being
As in love, love, love


 

Jen, sul palco, sembrava totalemente assorta nella canzone. In realtà ogni tanto lanciava un'occhiata verso Jack e Matt, terrorizzata. Il batterista la fissava con quello sguardo sempre così critico, sempre così oggettivo e razionale. Oh, vaffanculo!
Era sempre così duro!
Ma chi prendeva in giro, non era duro. Era solo sincero. E non aveva filtri quando parlava, il che a volte lo rendeva poco sensibile, ma non era una colpa. Era fatto così, eternamente fedele a se stesso. E lei gli voleva bene per questo.

Le luci si abbassarono e i due ragazzi saltarono sul palco per continuare il concerto.
Jen sorrideva al pubblico, che la applaudiva con trasporto, fischiando e urlando il suo nome.

Beyond sorrise. La sua ragazza gli aveva accennato che Jen si era presa una cotta per un ragazzo più grande. Si sentiva una stupida e avrebbe voluto poter cancellare quei sentimenti e rimanergli amica, pur di non perderlo per qualche errore dovuto alla sua giovane età.
Dopotutto però, la bionda era molto più matura della maggior parte dei suoi coetanei.
La sua canzone gli era davvero piaciuta, aveva molto talento da vendere. Chissà se da adulta sarebbe stata in grado di fare di quella passione il suo lavoro e la sua vita. Con le conoscenze giuste aveva davvero molte possibilità.
La band aveva ricominciato con una canzone che la maggior parte dei fan conosceva a memoria. Tutti la cantavano a squarciagola, battendo le mani.
Era una delle sue preferite.

In fondo al locale, alle spalle del pubblico, Aki si era avvicinato lentamente a Kendra, prendendole una mano.
L'aveva portata fuori, all'aria fresca della notte.
- Quando finiscono sai cosa fare. - le aveva sussurrato.
La ragazza aveva sorriso. - E tu? -
- Certo che sì. - rispose lui ricambiando il sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** BOTTE! BOTTE! ***


BUONGIORNO GENTE! Come va? Spero che non siate troppo traumatizzati dal rientro a scuola!
Forza e  coraggio, ce la possiamo fare! IO CREDO IN NOI!!
Ok. 
No, sono terrorizzata, voglio morire e oggi ho disegnato un impiccato sul banco con una faccina felice e la scritta ' LUI CE L'HA FATTA, NON VEDETE COM'E' ALLEGRO ORA?!' 
Lo so, lo so, sono matta. LO SO.
Anyway, stranamente non sono passati lustri dall'ultima volta che ho pubblicato *sono fiera di me*, quindi tanti dolcetti a me!
DOLCETTI!
Sono molto provata dalla scuola. MOLTO. 


Mina



Il concerto era continuato in un crescendo continuo ed esponenziale di energia. A pochi minuti dalla pausa, quelli che già si erano presentati come animali di scena, cominciarono a dare davvero l'impressione di essere una band professionista.
La batteria, il basso e la chitarra rimbombavano nelle orecchie di tutto il pubblico, felice di esserne assordato. La voce di Jen si sollevava e si abbassava, cambiava continuamente.
La chitarrista e il bassista tenevano egregiamente il palco, con la sincronia di due fratelli e senza doversi neanche guardare.
Le canzoni erano articolate, d'effetto, potenti. Tutti ne rimasero colpiti.
Furono richiesti innumerevoli bis. L'ultima canzone la suonarono con la forza della disperazione e dell'adrenalina, inserendo un improvvisato solo di batteria e basso che ridusse Jack e Matt sul punto di esalare l'ultimo respiro.
Quando posarono gli strumenti le ovazioni del pubblico si alzarono quasi quanto il volume della loro musica.
I ragazzi sorrisero e salutarono, balzando poi giù dal palco.

- FANCULO AL GIORNO IN CUI MI HAI FATTO METTERE I TACCHI JEN! - urlai mentre mi cambiavo, all'indirizzo della bionda.
Lei rise per tutta risposta, infilandosi un paio di jeans attillati pieni di catene e una canottiera rosso fuoco.
-Non c'è niente da ridere nel rischiare di uccidersi! -
- E piantala, stavi benissimo – ridacchiò.
Io mi cambiai con un paio di pantaloni enormi neri e una maglietta verde all'ombelico. Saltata in un paio di anfibi mi catapultai fuori in cerca di aria fresca.
Dio, volevo uscire subito. Possibilmente con Beyond. Possibilmente con una birra.
Il concerto era andato davvero alla grande, ma appena scese la botta di adrenalina aveva cominciato a cedere il posto alla stanchezza e al caldo.
Intravidi Matt e Jack sommersi dal pubblico, ma riuscii ad evitare tutti.
Mi fiondai al bancone e presi due birre, concedendomi poi un respiro prima di andare alla ricerca di Beyond.
Ma quando mi girai un paio di occhi blu mi inchiodarono al mio posto e una mano mi si posò sulla spalla.


 

Beyond aveva subito provato a raggiungere la sua ragazza alla fine del concerto. Prevedendola, si era per prima cosa procurato due birre fresche, per poi affrontare la folla che lo separava da lei, o almeno da dove sperava di trovarla.
Stava per lanciarsi nella ricerca quando una mano si era stretta intorno al suo polso. Diede per scontato che fosse lei e si girò con un mezzo sorriso.
Un mezzo sorriso che gli si gelò addosso alla vista di Kendra dritta davanti a lui.
La ragazza era splendida quella sera, era letteralmente impossibile staccarle gli occhi di dosso.
Il candore della sua carnagione era messo in risalto da un vestito mozzafiato, nero, composto da un busto senza spalline che esaltava il suo fisico già di per se perfetto, chiuso sulla schiena da una serie di lacci e da una minigonna di tulle vaporosa. Indossava poi un paio di guanti di velluto che le arrivavano fin sopra il gomito, una collana argentata che calamitava lo sguardo proprio dove non si sarebbe dovuto posare e un trucco che rendeva quegli occhi due pozzi seducenti.
I capelli erano acconciati in una morbida treccia laterale, ma alcune ciocche corvine le scendevano sull'orecchio destro, esaltando gli orecchini discreti ma molto eleganti.
Per finire il rossetto acceso faceva spiccare la bocca fra i lineamenti delicati.
Beyond si era immobilizzato. Lei gli aveva evidentemente chiesto qualcosa e lui non aveva assolutamente idea di cosa.
Annuì, ad ogni buon conto.
Lei lo trascinò fuori mentre lui si dannava per essersi lasciato ingannare ad ogni passo che lo allontanava dalla sua ragazza.
Lei gli sorrise, osservandolo appoggiarsi rassegnato al muro.
- Posso? - chiese indicando una delle due birre che lui aveva in mano.
Beyond gliela porse.
Le stelle non si vedevano molto bene, schermate dalla luce del vicino lampione, ma tutt'intorno la città era immersa in una notte serena. Dall'interno del locale giungeva un forte vociare. Si chiese dove fosse Alma, se lo stesse cercando.
Kendra sorseggiò la birra e lo guardò intensamente.
Un campanello di allarme suonò nel cervello del ragazzo. Era decisamente troppo vicina. Stava per reagire, ma lei non si mosse più di così, quindi si limitò a guardare altrove e ad incrociare le braccia.
Lei alzò una mano e gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sfiorandolo con la soffice stoffa dei guanti.
- Kendra... hai bisogno di qualcosa? Dovrei cercare Alma...-
Lei sorrise.

- Aki?! - sobbalzai.
- Avete suonato davvero bene, complimenti! Come ti senti? -
- Grazie mille, io sto bene! Stavo cercando Beyond, l'hai visto in giro? -
- Potrei averlo intravisto uscire poco fa, se mi segui ti accompagno. Attraversare una massa di gente può essere faticoso! - disse ridendo.
- D'accordo, grazie!- feci appena in tempo ad esclamare prima che lui mi prendesse per mano e si avviasse.

Kendra bevve un altro sorso di birra, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Beyond era decisamente a disagio.
La ragazza gli prese una mano.
- Questa birra è davvero buona. Vuoi assaggiarla? -
Lui annuì, ma lei non gliela porse. Ne bevve invece un altro sorso e poi, in modo del tutto improvviso, tirò il ragazzo a se e lo baciò.
La bottiglia che lui aveva ancora in mano cadde e rotolò giù per il marciapiede.
Non si era neanche reso conto di quello che stava succedendo, di come cavolo fosse successo.
Per un secondo non si era neanche reso conto di chi era, che stava baciando.

Aki ed io riuscimmo ad uscire.
Gli lanciai un'occhiata per ringraziarlo, ma lo vidi sbiancare. Così seguii il suo sguardo e vidi Beyond e Kendra sotto un lampione intenti a baciarsi.
No.
Un attimo.
Riproviamo.
Seguii il suo sguardo... e vidi Beyond e Kendra sotto un fottutissimo lampione intenti a baciarsi.
Beyond e Kendra intenti a BACIARSI.

Un istante prima che Beyond spingesse via la ragazza augurandosi di schiantarla contro un lampione, risuonò un urlo per la strada deserta, sopra il parlare delle persone all'interno del locale.
- GRANDISSIMA PUTTANA! -
La grandissima puttana, ovvero Kendra ovviamente, si staccò subito da Beyond. I due si voltarono in direzione della voce simultaneamente e lei gli prese subito la mano, spaventata.
Beyond rimase paralizzato dal terrore.
La sua ragazza lo fissava con degli occhi così incendiati che non aveva dubbi sul fatto che l'avrebbero incenerito in un secondo, la mano ancora stretta in quella di Aki.
Sembravano essere davanti ad uno specchi difettoso.

Più della rabbia, improvvisamente, quella situazione mi fece male. Come un doloroso e inaspettato pugno nello stomaco. Una secchiata d'acqua gelida addosso.
Che solo dopo un attimo spiazzante venne sommerso dalla rabbia.
Kendra non ebbe il tempo di fare niente. Le fui addosso con una velocità che stupì anche me.
E in un attimo la bella bambolina bianca e nera non era più stretta a Beyond, ma per terra, le braccia alzate sul volto per proteggersi da me.
Beyond sembrava troppo shockato per poter fare alcunché, Aki non si era mosso.
Non la sfiorai fino a che non abbassò cautamente le braccia.
A quel punto le strinsi fulmineamente il collo Le sue mani tentarono subito di allontanarmi senza successo, graffiandomi i polsi.
- Non provare mai più ad avvicinarti a lui. - le scandii, fissandola a due centimetri di distanza.
Improvvisamente però Aki mi tirò via da lei, mettendosi fra me e gli altri due.
- Tenta di calmarti, ok? -
- Levati dal cazzo Aki! -
Mi sbarrava determinato la strada, tenendomi le spalle con fermezza.
- Guardami! -
Lo guardai.
- Adesso calmati. -
Era decisamente troppo da sopportare, così decisi di tirargli un pugno che lo scalzò via come una mosca e senza curarmi della fine che poteva aver fatto avanzai.
Kendra era stata tirata su da Beyond, subito scostatosi come se avesse paura di toccarla.
E faceva anche bene.
Lei mi fissò terrorizzata. La cosa non mi impedì di tirarle un calcio in pieno viso, augurandomi di romperle quel bel nasino una volta per tutte e mandandola a terra. Mi risolsi poi a tentare almeno di sfondarle un paio di costole prima di fermarmi dal tirarle calci. La ragazza rimase a terra singhiozzante.
Fu a quel punto che mi voltai verso Beyond, certa che in pochi secondi, con tutta la rabbia che avevo addosso, mi sarei trasformata in una specie di mostro.

Beyond non aveva ancora ripreso il controllo delle sue azioni.
Aveva intravisto Aki scivolare via, la sua ragazza che pestava Kendra...
Improvvisamente gli occhi di questa, ferma davanti a lui, lo riportarono alla realtà.
Cos'aveva fatto?
Come aveva potuto?

Lo sguardo fisso nel suo era pieno di quelle domande, pieno di sgomento.
Riuscì a leggere qualcosa che bruciava sotto quella rabbia, che faceva male ad entrambi.
Non aveva idea di cosa dire, di cosa fare. Ogni movimento avrebbe scatenato una reazione negativa. Ogni parola sarebbe stata sbagliata.
Gli occhi della ragazza di fronte a lui si stavano riempiendo di lacrime.

Volevo picchiarlo. Volevo sfondarlo di pugni e di calci e strappargli la pelle di dosso.
Volevo davvero.
Ma quegli occhi completamente perduti mi bloccavano. Mi spiazzavano.
Sentii i miei inumidirsi, contro la mia volontà. Avrei dovuto odiarlo a quel punto.
Tentai di tirargli un pugno, ma non c'era forza. Lui mi fermò la mano con delicatezza.
No.
Non mi doveva consolare.
In un ultimo scatto di rabbia gli tirai un ceffone che gli voltò il viso.
E un attimo dopo qualcuno mi stava allontanando da lui. Mi resi conto che sia la mia band che la sua erano accorse. Jen, con Aki di fianco, mi stava dicendo qualcosa, tentando di tranquillizzarmi probabilmente.
Jack aveva tirato su Kendra con l'aiuto di Mattia, mentre la band di Beyond lo circondava.
Fissai Aki con odio per qualche secondo, ma lui parve non accorgersene. Non sentivo neanche le parole della cantante.
Improvvisamente Mattia mi si proiettò davanti, spostando senza fatica gli altri due. Non disse assolutamente niente. Dopo una lunga occhiata però mi mise un braccio sulle spalle e cominciò a camminare, portandomi con se, lontano da tutto.
Sapevo che Beyond mi stava guardando, ma non mi voltai fino a che non girammo l'angolo.
I nostri passi riecheggiavano nelle strade deserte, sempre più udibili man mano che il casino del locale si disperdeva.
Quando non si sentirono altro che quelli, sincronizzati e costanti, Mattia si fermò.
Si era cambiato anche lui con una maglietta dei System che gli andava un po' larga. Glie l'avevo regalata per il suo compleanno, mi ricordai.
- Hey... - azzardò, guardandomi.
Io abbassai lo sguardo e sospirai, abbattuta.
-Vorrei poterti dire che non avrei voluto colpirla. - sussurrai.
- Senti, non mi devi spiegare cosa è successo... se l'hai picchiata probabilmente avevi le tue ragioni.-
Annuii. Improvvisamente sentivo il mio corpo svuotarsi di energia e la stanchezza riversarmisi addosso.
- Dimmi solo... se tu stai bene. Ok?-
Non risposi. Volevo solo sedermi.
Mi alzò il viso con una mano, osservandomi preoccupato.
- Posso anche riempirlo di calci se la cosa ti fa stare meglio. - scherzò.
Sorrisi di rimando, con poca convinzione.
- Scusami... non so neanche cosa... non dovresti essere qui... tu dovresti goderti la festa e tutto e invece-
- Ma non dire cazzate, sai cosa me ne frega della festa! Non ti lascerei mai qui da sola, idiota. -
- Io... grazie Mattia... -
- Figurati... quasi vent'anni di amicizia valgono pure qualcosa, no? Conta sempre su di me.-
Lui lasciò passare un attimo di silenzio, dandomi il tempo di respirare a fondo. Sentivo improvvisamente un nodo alla gola, faceva quasi male parlare.
- Menomale mi hai portata via... - sussurrai combattendo con quel nodo.
Ed eccole. Le lacrime.
Dio, ho sempre odiato piangere. Una cosa decisamente da evitare. Per fortuna, almeno, sapevo che Jen mi aveva fatto un trucco a prova di pianto da genio qual'era.
Quando Mattia si accorse che stavo piangendo sorrise dolcemente e mi abbracciò forte.
Mi nascosi in quell'abbraccio. Mattia era sempre stato come un fratello per me, mi conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva sempre cosa stavo pensando, poteva prevedere le mie reazioni e sapeva sempre quand'era il momento in cui avevo bisogno di lui.
Io ero sempre stata troppo orgogliosa per chiedergli di aiutarmi, ma lui l'aveva fatto ugualmente, molto più di quanto avrei mai potuto sperare.
Grande e grosso com'era, non era mai stato capace di difendersi. Alle elementari e alle medie ero sempre io a difenderlo con le unghie e coi denti dalla cattiveria dei coetanei che vedevano in lui solo un gigante solitario e triste.
Pian piano era diventato molto estroverso al liceo, fino a diventare il simbolo di un movimento attivo. Non un collettivo, più un modo di vivere la scuola. Era popolare per le sue follie. Quella di far piovere volantini in cortile, all'occupazione, era una delle più sobrie.
Auto-ironico, riflessivo e con una dialettica spiazzante si era fatto strada ovunque senza offendere mai nessuno.
Con me era sempre lo stesso. Era sempre stato così.
Perché anche se forse non sapeva rispondere agli insulti ed era un pacifista perso, nessuno avrebbe saputo starmi vicino come lui quando la mia famiglia si era distrutta.
Avevo smesso totalmente di studiare e di curarmi della mia vita in quel periodo. Ma lui mi aveva tirata fuori dalla merda. Così, senza farsi problemi, senza chiedermi nulla in cambio.
Mi aveva aiutata sempre.
Ci eravamo abituati l'uno all'altro al punto di non renderci conto di quanto ci fossimo vicendevolmente necessari. Se un giorno non ci sentivamo neanche per messaggio, la mattina dopo in genere ci chiamavamo, automaticamente.
Nascosi il volto contro la sua maglietta, tentando di trattenere il pianto.
Sentivo le sue braccia intorno a me, confortanti come sempre.
Passammo così qualche minuto, fino a quando non riuscii a riprendere il controllo di me.
A quel punto fui io a staccarmi.
- Grazie Mattia, davvero... -
- Sempre al di Lei servizio, ma'am -
- Sei credibile come un cavallo con le ali, lo sai? -
- Guarda che Pegaso ESISTE! -
- Certo.... tu lo sai che quella sera avevi bevuto e che-
- SO QUELLO CHE HO VISTO! - (ndr: citazione da Scrubs tutta per Cleo ;p)
Ritornammo indietro parlando tranquillamente.
Presi un respiro profondo prima di voltare di nuovo l'angolo. Fuori dal locale ci aspettavano Jack e Jen, ma non c'era l'ombra di nessun altro.
Ci salutarono con la mano.
- Gli altri? - domandai cupa.
- Sono tutti andati via. - disse Jen.
Jack giocava con le bacchette.
- E noi che facciamo? -
Ci guardammo per un attimo in silenzio.
- Beh- esordì quindi Jen – hanno tentato di rovinarti un'ottima serata, quindi propongo di dormire tutti insieme a casa mia! Chi ci sta? -
Jack lanciò una bacchetta e la riprese al volo, il che equivaleva a un sì, a nome di tutti.

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Notte; ***



Sono di nuovo qui. BEH, HO ISPIRAZIONE, COME LA METTIAMO?
Lo so, lo so, fino a due giorni fa se aggiornavo una volta al mese piovevano confetti ed è probabile che presto sarà di nuovo così (ringraziamo la scuola e l'ansia).
Tuttavia attualmente sono in una particolare situazione: finita l'estate sono ancora abbastanza rilassata MA LA SCUOLA E' COMINCIATA e la paura di non avere più tempo libero mi spinge a sfruttarlo al massimo. QUINDI sono prolifica. O almeno, più del solito.
Spero mi perdonerete la mia poca costanza/coerenza/robe. Prevedo che probabilmente durante questa settimana si comincerà davvero a fare cose a scuola, quindi verrò di nuovo sommersa di compiti. Se così sarà ( e così sarà) aggiornerò con una frequenza decisamente diversa, vi avviso già xD
Percui tranquilli, fra poco si ritorna al solito ritardo di decenni fra un capitolo e l'altro! NEVERMIND :D
Come state? Che fate? Chi siete? OMMIODDIO UN ALIENO.
Sì. Certo. Ok. 
Sto cominciando a degenerare, quindi vi lascio! 

Mina



Fu così che ci ritrovammo tutti nell'enorme casa vuota di Jen all'una e mezzo di notte.
La ragazza ci fece lasciare zaini e strumenti in camera sua, per poi tirare fuori dalla cucina un numero spiazzante di pacchetti di patatine e pop corn e imboscarsi in cantina per cercare dei sacchi a pelo.
Aveva deciso di far dormire tutti nella stessa stanza, ovvero la sala piccola.
Presto ci ritrovammo seduti i circolo a chiacchierare scherzosamente.
- Impressioni e critiche costruttive sul live di stasera? - domandò Matt a un certo punto, nel pieno del suo ruolo di co-leader.
Jen si mordicchiò un labbro.
- Secondo me è andato molto bene, ma dobbiamo migliorare gli attacchi di alcune canzoni. - disse infine.
Jack tamburellò con le bacchette sulle sue stesse gambe, ascoltando.
- Si può sapere perché hai le bacchette ancora in mano? - domandò legittimamente Jen.
Lui si strinse nelle spalle.
- TU. - disse poi indicando Matt prorpio con una bacchetta – Sei andato fuori tempo nella seconda, la quinta e... boh, in alcune canzoni. -
- Sorry, non ti sentivo benissimo perché avevo la chitarra sparata in spia, la prossima volta sto più attento al soundcheck, promesso. -
- Io vi sentivo tutti bene – dissi – e mi sono fottutamente divertita. Ma non pensare che non abbia notato che ti è scivolata una bacchetta, Jack! - dissi ridendo.
Lui arrossì.
- NON E' VERO. -
- Non sei credibile, lo sai? -
- E ti sei anche accorta di quando mi stavano per cadere e le ho riprese al volo? NO! Perché mi caghi solo quando ti fa comodo, pfui! -
- Vai a farti consolare da Mattia, povero piccolo batterista incompreso! - lo esortò Jen ridacchiando e lanciando una birra a tutti.
Jack ammiccò maliziosamente al bassista, che stette al gioco e gli mandò un bacio.
- Jack, sei un macaco dalla sessualità repressa. - dichiarai.
- La mia sessualità è molto meno repressa della tua, FIDATI. -
- Ah sì, e allora perché non ti vedo mai e dico MAI con una ragazza? EH?-
- Perché dovresti vedermici tu? Come se avessi qualcosa da dimostrare... -
- AMMETTILO CHE SEI A SECCO DA MESI! - lo accusai e lanciadogli una patatina che lui prese al volo e mangiò.
- Non ha bisogno della ragazza – ridacchiò Jen – ha già Mattia da ripassarsi quando gli viene voglia! -
Jack le fece una linguaccia.
- Sei solo invidiosa del nostro amore! - dichiarò poi, andando a sedersi a cavalcioni sul bassista.
- Almeno andate nell'altra stanza porci! - riuscì a dire lei prima di essere completamente sopraffatta dalle risate.
- Jack, ti devo dire una cosa... - cominciò Mattia, drammatico, dopo avergli scompigliato i ricci.
- Cosa, amore mio?! -
- Sai quella ragazza che continuava a dirmi che suonavo molto bene? Ecco, potremmo aver approfondito un po' la conoscenza mentre tu eri girato. -
Jack aprì la bocca in una comica O e gli tirò un finto schiaffo prima di tornare al suo posto con il broncio.
- Eddai, non dare così, è capitato per caso, mi è saltata addosso! Lo sai che sei tu la mia zoccoletta preferita. - tentò di consolarlo il bassista fra le alte risate mie e di Jen.
Il batterista gli mostrò il dito medio.
- Sembra che qualcuno sia stato scaricato eh? - ironizzai.
- Massì, fra due giorni tornerà da me, fidati, è già successo. - assicurò Mattia – Ha troppo bisogno di sfogare la sua sessualità repressa per poter fare a meno di me.
Pochi secondi dopo il bassista, ridendo alle lacrime, si ritrovò bersagliato dalle bacchette di un piccatissimo Jack.
- IO NON HO UNA SESSUALITA' REPRESSA, BRUTTI FIGLI DI PIMPA! -
- Figli di pimpa?!-
- ZITTO E SOFFRI TU!-
- Dai Jack, non prendertela! - risi io, schivando una bacchetta assassina e rilanciandola indietro.
Il ragazzo tornò a sedersi borbottando, Jen che quasi si rotolava per terra dal ridere.
- Cosa ridi tu? Non mi sembra che tu abbia la fila dietro la porta! - la punzecchiò lui.
- Io credo che Jen potrebbe rimorchiare molte più ragazzE di te. - dissi io.
- Eviterò di rispondere perché sono una persona matura. -
- PFFFFFFFFFFF, TU UNA PERSONA MATURA? MA QUANDO?! -
- Io sono maturo. -
- Certo. -
- ALLORA LA FINIAMO DI ROMPERE I COGLIONI?! -
- IT'S KARMA, BITCH! - esclamò in screamo Jen, saltandogli addosso e scompigliandogli tutti i ricci.
- Guarda che ti metto in sciopero del boboing! - la minacciò.
- Oh, che paura -
Mattia alzò gli occhi al cielo.
- Io vado in bagno – annunciai alzandomi.
Ormai conoscevo bene la casa di Jen, nonostante fosse enorme. Beccai il bagno al primo tentativo infatti e la considerai una vittoria personale.
Sospirai, appoggiandomi al piano del lavandino. Tirai fuori il cellulare e lo sbloccai: 5 chiamate perse da Beyond, un messaggio di Aki e un paio da parte di Cleo e Lucy a proposito del concerto. Ci eravamo salutate un po' di fretta e non me l'ero sentita di raccontare cos'era successo. Volevo solo andarmene.
Non so cos'avrei fatto senza la band. Erano stati molto comprensivi, non avevano insistito sull'argomento e si erano sforzati di distrarmi e tirarmi su.
Ciononostante ciò che era successo si era stampato nella mia mente. Rivedevo la scena nella mia mente ogni volta che chiudevo gli occhi e non sapevo cosa pensare.
Sapevo benissimo che prima di sapere che Kendra era stata mandata dal direttore della Wammy's solo per distruggerci come coppia, Beyond ne era in minima parte attratto.
E sapevo benissimo anche che erano stati ul punto di baciarsi già una volta. Quella volta lui si era scostato.
Perché invece quella sera non l'aveva allontanata?
Ok, era colpa della ragazza molto probabilmente. Ma non credevo che Beyond non fosse in grado di evitare una cosa del genere. Se non vuoi che qualcuno ti baci, non ti fai baciare e basta.
Mi ricordavo di quando lui aveva provato a baciarmi mentre stava ancora con Arianna. Io non c'ero stata, infatti.
Sbuffai, guardando il mio riflesso nello specchio.
Cos'averi dovuto fare, cos'avrei dovuto pensare?
La cosa mi aveva ferito, era inutile negarlo. E molto. L'avevo visto bene, l'avevo guardato negli occhi. Era completamente shockato, perso. Non ero neanche riuscita ad arrabbiarmi con lui, sul momento.
Chiusi gli occhi e abbassai il capo, respirando a fondo come mi aveva insegnato Jen.
E proprio in quel momento la bionda bussò discretamente alla porta socchiusa.
Le feci cenno di entrare.
Lei si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla.
Provai improvvisamente un profondo moto di affetto per quella ragazzina così esile eppure così agguerrita e determinata. Era entrata a scuola un anno prima di tutti noi, ma aveva sempre avuto un'ottima media.
Ed era sempre stata una grande amica.
Mi abbracciò stretta. Era tenero come, pur essendo fisicamente più piccola di me, un suo abbraccio fosse così consolatorio.
- Grazie Jen... -
- Ma ti pare? A Beyond ci pensiamo domani, d'accordo? Vedrai che riuscirai a risolvere anche questa, in un modo o nell'altro. -
- Non lo so... io non so neanche cosa dirgli... -
- Non devi dirgli per forza qualcosa. Ti conosce abbastanza per sapere cosa pensi, probabilmente. Sarà lui a cercarti. -
Le mostrai le chiamate perse sul telefono, mordicchiandomi un labbro.
- Hai intenzione di rispondergli? -
- Magari domani... ora non me la sento di parlarci. -
- Va benissimo così. Davvero, adesso non pensarci se riesci. -
Annuii, abbassando lo sguardo. Era facile a dirsi.
- Lo so che è difficile... - disse lei, leggendomi nel pensiero - ma è inutile che tu ti logori adesso, non credi? -
- Ho paura di quello che potrebbe volermi dire... - ammisi.
Jen sorrise e si sedette agilmente sul piano del lavandino, davanti a me.
- Vi ho visti insieme, lui è molto legato a te. È quel modo particolare di volersi bene, lo sai anche tu... io non credo che lui volesse farsi Kendra. Ci potrebbero essere mille motivazioni per le quali si è ritrovato in quella situazione. Magari lei gli è saltata addosso, magari erano ubriachi, non lo so... -
Sbuffai.
- JEEEEEN, ALTRE PATATINE PORCO DITO!!! - ingiunse Mattia.
- E CHI SONO, LA VOLTRA CAZZO DI CAMERIERA?! - rispose la ragazza in screamo.
- LA PROPRIETARIA DI CASA, MAGARI – suggerì Jack.
- ALZA IL CULO E COMINCIA A CORRERE TU! -
- SE MI DICI DOVE SONO LE PATATINE LO FACCIO! -
La bionda alzò gli occhi al cielo, guardandomi rassegnata.
- Torna in fretta! -
- Ma sono qui da due minuti! - obbiettai, sorridendo.
- MI MANCHI! Come la mettiamo? -
Scossi ironicamente la testa, guardandola balzare giù dal piano del lavandino e uscire a passo di carica.
Pochi secondi dopo dalla sala giunsero risate e esclamazioni poco coerenti.
Quei ragazzi erano completamente fuori di testa. Ma completamente, eh.
Eppure li adoravo con tutta me stessa.

 

Beyond era chiuso nella sua stanza. Tentava di far smontare l'improvvisa botta di rabbia che l'aveva assalito.
Perchè non aveva reagito?
Perchè non l'aveva sbattuta per terra?
Cosa c'era di dannatamente sbagliato in quel suo bel cervellino?! Non riusciva ad accettare la cosa, non poteva farcela. Dopo tutto il casino che avevano fatto per riuscire ad essere una coppia stabile basata sulla fiducia, sulla sincerità e su tutto quanto il resto, lui cosa faceva? Mandava tutto a puttane!
Questa non l'avrebbe passata affatto liscia. E tutto per colpa di quella grandissima puttana di Kendra!
No, un momento. La colpa non era solo di quella strana ragazza.
Diciamola tutta la verità, visto che ci siamo. È stata anche colpa mia. Io non l'ho respinta. Perché cazzo non l'ho respinta?
Non provò neanche a dare la colpa all'alchool. Sarebbe stato inutile.Si lasciò cadere pesantemente sul letto e chiuse gli occhi. Rivide la scena nitida e chiara davanti a se.
La pelle bianca di Kendra, le sue labbra così rosse.
Quel rosso. Quel rosso così scuro e acceso.
Un rosso sangue.
Rivide quegli occhi profondissimi e al tempo stesso totalmente vuoti.
Perchè non si era fermato?
Perchè non l'aveva fermata?
Forse una parte di lui voleva quel bacio? Decisamente no. Sapeva cos'era Kedra, sapeva di amare Alma, sapeva perfettamente quali sarebbero state le conseguenze di quel gesto.
Eppure... c'era qualcosa in lui, nascosto nei recessi del suo cervello. Qualcosa di malato, di marcio.
Il segnale che gli mandava era intelleggibile, come un'interferenza alla radio.
Non capiva cos'era, ma sapeva che c'era qualcosa di distruttivo in lui.
Era stata Arianna a tranquillizzare e sopire quella parte di lui con i suoi discorsi e il suo affetto.
Prima di lei, era incontrollato. Si ricordava con precisione di tutte le volte che aveva preso a pugni qualcuno, si ricordava la sensazione di avere le mani sporche di sangue e le nocche sbucciate, si ricordava tutte le punizioni e tutti i volti che non aveva più visto in giro dopo che lui li aveva presi di mira.
E si ricordava cos'era il suo cervello a quei tempi. Un enorme forno incandescente sul punto di esplodere, che gettava fuoco e fiamme su tutti coloro che lo circondavano.
Bastava toccarlo per scottarsi, bruciarsi, ridursi in cenere.
Ricordava anche le emicranie lancinanti e la febbre che lo assalivano così spesso.
Poi, quando era arrivata Arianna, qualcosa era cambiato. Non l'aveva neanche sfiorato, gli aveva semplicemente parlato.
Quanto sono potenti le parole? Spesso sottovalutate, ma di così grande importanza se usate nel modo giusto.
Erano bastate per raffreddare il forno che aveva in testa, evidentemente.
Aveva cominciato a stare meglio. Aveva scoperto una parte lucida di se, fino ad allora completamente soffocata. Giorno dopo giorno, quella parte di lui, razionale e umana, era guarita. E la parte malata era affondata nel nulla.
Così come Arianna l'aveva annientata, Kendra la stuzzicava.
Questo era il problema.
Era come se ci fosse anche qualcun altro nella sua testa, determinato a prendere il controllo.
Un'altra persona, pericolosa.
O era anche quella una giustificazione? Si poteva davvero dire che quella parte di lui non fosse effettivamente una parte di lui, ma un'altra persona?
Probabilmente no.
Sapeva cosa quella parte di lui sperava, cosa immaginava, cosa vedeva in Kendra e cosa avrebbe voluto fare. Ma sapeva che era tutto frutto di una visione distorta e malata della realtà.
Era cosciente di se stesso.
Per ora.
Non si era ribellato a quel bacio perché Kendra gli toglieva la coscienza di se. Con il fatto che era posticcia, con il fatto che lui vedeva che in lei c'era un lato oscuro e malato quanto il suo, non era riuscito a controllarsi.
Non era riuscito ad essere lucido.
Non poteva continuare a vivere separato in due, con il continuo rischio di perdersi nella sua stessa testa e non riemergerne più. Doveva fare qualcosa.
E cos'avrebbe detto ad Alma? L'aveva chiamata più volte, senza ovviamente ottenere nessuna risposta.
Sapeva che era delusa, che era arrabbiata e sfiduciata. E aveva anche ragione di esserlo, a dire il vero.
La sola idea di separarsi da lei, però, era insopportabile.
E poi a ben vedere, era precisamente quello che Kendra e Aki volevano ottenere. Erano stati furbi. Quella mossa metteva veramente in discussione la loro relazione, nonostante il fatto che i due fossero solo personaggi falsi. Perché invece Beyond e la sua ragazza erano veri e sinceri. E quello che era successo anche.
Ma c'era una cosa di cui Beyond era certo. Forse l'unica, ma era una convinzione che non sarebbe mai vacillata nel suo pensiero.
Lui amava la sua ragazza. La amava davvero, voleva passarci la sua esistenza.
Avrebbe combattuto con le unghie e coi denti per quella relazione, non se la sarebbe mai lasciata strappare da una distorsione mentale e da una ragazza falsa e illusoria.
Se avessero resistito, quel gioco sarebbe finito. Roger li avrebbe tolti di mezzo dopo un fallimento del genere.
Oppure loro avrebbero tolto di mezzo lui.
In ogni caso, sarebbe finita.


La notte era scivolata silenziosa e sempre più fonda in casa di Jen. Si erano fatte le quattro, e finalmente i ragazzi erano tutti crollati nei sacco a peli, l'uno di fianco all'altro, Mattia mezzo ubriaco che aveva preteso la ninna nanna e Jack stringendo due delle sue numerose bacchette.
Jen aveva ancora gli occhi aperti però, fissi nel vuoto.
Alla sua sinistra c'era il batterista, profondamente addormentato, alla sua destra Alma, accoccolata su se stessa.
Sospirò.
Le parole della canzone che aveva inutilmente cantato dopo la pausa le scorrevano in mente.
D'altro canto, lo sapeva benissimo che sarebbe stato inutile.
Jack non era decisamente il tipo di persona che poteva recepire un messaggio del genere. Ma la chitarrista l'aveva spinta con calore a buttarsi, magari anche solo per mettergli una pulce all'orecchio.
Che idiozia.
Jack aveva vent'anni, non doveva essere per niente stimolante anche solo averla come amica, figuriamoci se avrebbe mai pensato a lei come alla sua fidanzata.
Non sarebbe mai successo. Doveva toglierselo dalla testa, ma non ci riusciva.
Era più forte di lei. Si ritrovava a pensare a lui per ogni minima stupidata. Tutto ciò che lui le diceva si stampava nella sua mente.
Era letteralmente impossibile sradicarselo di dosso.
Ma perché cavolo doveva andare a prendersi una cotta devastante per un ragazzo più grande, più intelligente e più maturo di lei, decisamente non alla sua portata? Sapeva di essere abbastanza carina e di avere alcuni ammiratori in giro per la scuola. Perché non poteva notare uno di loro? Uno qualsiasi, davvero, uno qualsiasi.
Non chiedeva nient'altro.
E invece no. Doveva beccare Jack.
Dio, lo odiava per questo.
Odiava il suo modo di fare
Odiava la sua intelligenza.
Odiava la sua sicurezza.
Odiava la sua simpatia.
Odiava il fatto non riuscire a smettere di adorare ogni cosa che lui faceva o diceva
Odiava non poterlo odiare.
Ma lo vedi che sei solo un'adolescente complessata? Come speri di poter essere alla sua altezza, con questi stupidi ragionamenti?
La bionda si girò verso di lui.
Non c'era molta luce in quella stanza, ma i pochi raggi lunari che penetravano dalle tapparelle le mostrarono la sagoma del batterista addormentato.
Aveva dei bei lineamenti, dolci. I ricci gli ricadevano sulla fronte disordinatamente. Non aveva molta cura del suo aspetto, Jack, eppure conservava un'innata eleganza che Jen non si spiegava.
In ogni cosa che faceva c'era moderazione, calcolo, razionalità. I suoi gesti erano misurati, precisi.
Pur non vedendolo chiaramente, sapeva perfettamente com'erano le sue labbra sottili, il naso piccolo e gli occhi a nocciola, gli zigomi simmetrici e quelle fossette che si creavano ogni volta che sorrideva sulle sue guance. E sorrideva quasi sempre. Era la sua espressione più che tipica. Anche quando non sorrideva, gli rimaneva sempre addosso quell'ironico sguardo un po' infantile.
Tranne quando si concentrava su qualcosa. Era incredibile la sua capacità di catalizzare tutta la sua attenzione su una singola cosa. Le sopracciglia aggrottate, mordicchiandosi ogni tanto il labbro inferiore, era il ritratto della serietà in quei momenti.
Aveva un po' di barba, ma era abbastanza corta. I capelli li aveva sempre portati così. Una testa di ricci scombinati.
Quando li tagliava, per un po' avevano una parvenza di ordine, c'era una logica nel modo i cui gli stavano in testa. Ma dopo un po', qualche riccio cominciava a farsi più audace e in breve si riscombinavano tutti.
Non aveva mai voglia di andare a tagliarli, tra l'altro quindi erano quasi sempre decisamente troppo lunghi.
Tuttavia, anche se poteva sembrare totalmente incurante dei suoi capelli, Jen sapeva che in realtà il batterista ci teneva. Si era col tempo affezionato ai ricci, anche se non l'avrebbe mai ammesso.
Jen sorrise involontariamente.
Con una mano prese delicatamente un riccio e se lo arrotolò sull'indice, per poi lasciarlo libero.
Passò qualche secondo. Stava per decidere di girarsi e cercare di dormire seriamente, quando il batterista aprì gli occhi, assonnato.
Incontrò subito lo sguardo di Jen, improvvisamente arrossita. Fortunatamente la notte nascondeva certe debolezze. Nel caso di Jack era anche la barba a mascherare un sospetto rossore sul viso.
Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte, ancora assonnato, le bacchette ancora in mano.
- Non riesci a dormire? - sussurrò poi, tentando di apparire normale.
Jen soffriva di numerosi attacchi di insonnia. Era quasi sempre da sola in quella casa smisuratamente grande e quella solitudine l'angosciava fino a ore improponibili. A volte anche fino all'alba.
Quando aveva conosciuto Jack, aveva anche trovato un'altra persona con degli orari strani. Il batterista andava quasi sempre a dormire verso le 2, pur svegliandosi alle 6. E diceva di non essere neanche tanto stanco.
Così spesso rimaneva l'unico amico di Jen sveglio a cui lei potesse rivolgersi per far passare le ore.
Non che lo chiamasse. Si limitava a scrivergli qualcosa e presto nasceva una conversazione che la accompagnava per buona parte delle sue notti di veglia.
Era quindi scontato per Jack porre quella domanda. La bionda infatti annuì, sbuffando.
Le risorse del batterista, a quel punto, parvero estinguersi.
Poi però, Jen lo vide stiracchiarsi e mettersi a sedere. Jack appoggiò le bacchette per terra e frugò fra i vestiti intorno a se tirandone fuori un paio di cuffie e un i-pod verde.
- Musica? - domandò.
Lei annuì di nuovo, accennando un sorriso.
Lui si stropicciò gli occhi, sbadigliando e si sdraiò di nuovo armeggiando con le cuffie.
Dopo un minuto gliene porse una.
- Cosa ascoltiamo? -
- Verdena. - decise la bionda.
Lui pigiò in veloce successione una serie di tasti e alzò il volume.
https://www.youtube.com/watch?v=KgVbW8fwzHM
La ascoltarono fino a metà, prima che Jen prendesse l'i-pod e mandasse avanti la riproduzione casuale.
- Non mi andava. - disse poi.
https://www.youtube.com/watch?v=BlPSPM4RRig
E in un secondo si pentì di quello che aveva fatto. L'ultima canzone che doveva partire, era partita.

Non c'è più un'immagine
ma sento che la vorrei con me
lo sai che c'è
io penso che ci riuscirei

 

Il batterista non la stava guardando negli occhi, osservava piuttosto i raggi di luce che entravano nella stanza a partire dalle tapparelle.
Jen era in un certo senso grata del fatto che lui fosse così privo di sensibilità. Una ragazza ci aveva provato con lui, tempo prima. Gli si era letteralmente sdraiata addosso e lui non aveva affatto colto la cosa.
Ne avevano riso per settimane.
A quei tempo Jen ancora non si era resa conto di avere una cotta per lui.

 

Qualcuno dentro i sensi miei
qualcosa che si posa in fondo dentro me
dentro non c'è
io sento lei
poi affondo nel vuoto
che io giuro che c'è


 

Jack tamburellò con le mani in ritmo della canzone. Jen iniziò istintivamente a cantarla in silenzio, muovendo semplicemente le labbra. Si era distratta un po', ora il suo sguardo vagava per la stanza.
 

 

penso come sei e a come tutto urla in te
il sommergibile
io giuro lo vorrei
il vuoto dentro i sensi miei
e sento che
sei tutto quello che vorrei

Che vorrei...

Jack sorrise, incontrando lo sguardo della bionda. Lo divertiva vederla cantare in playback con quella spontaneità sua tipica.
Avrebbe voluto poterlo fare anche lui. Avrebbe potuto dirle che lei era davvero tutto ciò che voleva.
Ma non poteva. Non poteva neanche volerla. Era troppo piccola, troppo spensierata. Non poteva.
Lei si sarebbe annoiata con lui. E poi, dai, figuriamoci se a una sedicenne carina e intelligente poteva piacere un ventenne stronzo e brusco come lui.

 

Mi sento invincibile
e sento che ti vorrei con me
lo sai che puoi
io penso che ci riuscirei

Qualcuno dentro i sensi miei
qualcosa che si posa infondo dentro me
dentro me (x5)


 

Jack fece per girarsi sulla schiena, ma si accorse che le cuffie impedivano il movimento. Jen avvicinò il suo sacco a pelo con un sorriso, così che lui potesse mettersi più comodo.
Ma improvvisamente si ritrovarono troppo vicini, attaccati l'uno all'altro. Tentarono entrambi di non farci caso.
Si susseguirono un paio di canzoni prima che Jen chiudesse gli occhi e si addormentasse.
Quando il batterista se ne accorse le sfilò delicatamente le cuffie e appoggiò l'i-pod per terra.
La osservò. I lineamenti delicati della bionda erano rilassati e calmi. Chissà quando si sarebbe svegliata.Era stata una notte molto lunga. Jack si sentì improvvisamente stanchissimo.
In quell'atmosfera sospesa si stupì ancora una volta di quanto i capelli della ragazza fossero biondi. Splendevano anche a quel poco di luce, che ormai cominciava ad aumentare.
Li sfiorò quasi involontariamente. Ne prese una ciocca fra le mani e se la rigirò fra le dita, prima di lasciarla andare.
Respirò a fondo e chiuse gli occhi.
Prima di addormentarsi percepì Jen che si stringeva a lui, abbracciandolo. Quello scricciolo di ragazza trasmetteva una tenerezza incredibile.
Sentiva la quanto era magra, le ossa premevano sulla pelle.
Tentava anche di spingerla a mangiare di più, ma era impossibile. E non se la sentiva di essere troppo diretto, probabilmente l'avrebbe spaventata.
Ma era vero che ultimamente era dimagrita troppo.
Senza pensarci, Jack le posò un braccio sulle spalle, ricambiando parzialmente l'abbraccio.
E si addormentò così, il volto rivolto al soffitto e Jen appoggiata al suo petto come una gattina.


ZAMPZAMPZAMP sono ancora io! :D
Questo lungo lungo capitolo è un po' per compensare i due piuttosto brevi che lo hanno preceduto e per scusarmi in anticipo se non riuscirò (SE. AHAHAHA, HO ANCHE LA SPERANZA DI FARCELA!)  a mantenere questa frequenza di pubblicazione.
Fatemi sapere che ne pensate e mangiate tantissimo cioccolato che fa bene alle unghie. (BAZINGA non è vero. Però è tanto buono!)
Fate i bravi e uccidete le zanzare senza alcuna pietà! :-**

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Mattina ***


HEHEY BELLAGGENTE!
Ma chi si rivede?
Ok, la finisco. Ora mi odierete, ma devo avvertirvi che questo capitolo è uno di quelli dove succedono un po' meno cose e che dovrebbe approfondire più che al
tro il carattere di alcuni personaggi e introdurre alcune neeew situations! Ma dal prossimo capitolo.... CAPITERANNO ROBE!
Ah, i tecnicismi.
BENE, direi che posso lasciarvi in pace! Lasciate un'opinione se vi pare il caso di farlo, altrimenti no. Ecco. Ho detto tutto? MAH. Speriamo, illudiamoci, tanto il mondo prima o poi ti fotte, stai certo che ti fotte, non sai quando e come, ma arriva quel giorno che ti fotte e tutto diventa inutile e frivolo. (SEEH XD)
Quindi amen, se ho dimenticato qualcosa ci si attacca! :D
A presto (speeeero)!

Mina




Fui la prima a svegliarsi, quella mattina. Il sole era sorto da parecchie ore, evidentemente. I suoi raggi attraversavano le tapparelle e andavano a piantarsi un po' ovunque nella stanza, obliqui e sospesi.
Il pulviscolo vi danzava lentamente. C'era un totale silenzio.
Il silenzio che segue una grande tempesta.
Mi guardai intorno: le condizioni della sala non erano decisamente delle migliori. Pacchetti di patatine e pop corn vuoti ovunque, bibite, bicchieri e quant'altro che affollavano i tre bassi tavolini intorno a me. Come se non bastasse, i vestiti non avevano avuto la fortuna di essere riposti, la sera prima. Giacevano ammonticchiati ai lati dei rispettivi possessori, profondamente addormentati.
Ricordai che ad un certo punto Jen aveva tirato fuori la chitarra acustica e io e lei ci eravamo messe ad improvvisare qualche canzone, Jack che tentava di suonare sedie e pavimenti come se fossero la sua batteria e Mattia che diceva di sentirsi escluso.
Ebbi una fugace visione di Mattia e Jack abbracciati che mandavano avanti una performance canora alla quale Jen era letteralmente rotolata per mezza sala in preda alle risate.
Improvvisamente ricordai anche di aver fatto un video a quella precisa performance. Mi venne da ridere al solo pensiero di rivederla.
E poi mi tornò in mente della fame improvvisa di Jen e Mattia, che erano spariti a cucinare una pasta, così. E l'avevano anche mangiata di gusto. Per dirla tutta l'avevamo mangiata di gusto un po' tutti.
Mattia era sdraiato su un fianco e mi dava la schiena al momento, ma il suo respiro era profondo e regolare. Poi spostai lo sguardo su Jack e sorrisi.
Non sapevo cosa fosse successo, ma qualcosa aveva portato Jen ad accoccolarglisi sul petto durante la notte e lui doveva averla abbracciata. Erano il ritratto della tenerezza, tutti e due immersi nel sonno più profondo. Scossi ironicamente la testa e mi alzai.
Jen sapeva che il mio orologio biologico mi svegliava presto anche quando mi addormentavo ad ore decisamente insolite, per cui mi aveva già dato il permesso di frugare in cucina e fare colazione come più mi piaceva.
Mi alzai silenziosamente e tentai di superare la sala senza danni.
E ovviamente – c'erano forse dubbi? - presi in pieno una sedia rovesciata e mi feci un male cane.
- MA PORCO DITO! - esplosi.
Mi immobilizzai subito.
Udii un fruscio.
Mi voltai terrorizzata. Mattia era capace di ogni cosa, se svegliato nel modo sbagliato.
Espirai sollevata, notando che a parte il fatto che Jack si era voltato ed ora lui e Jen erano stretti in un vero e proprio abbraccio, nulla si era mosso.
Dio, che infarto. Dieci anni di vita, fottuti così! In un soffio! Ma vedi te...
Arrivai sana e salva in cucina e partì la mia ricerca. Trovai subito il latte in frigo – beh grazie, dove dovevo trovarlo, in forno? - e cominciai a guardarmi intorno alla ricerca di cereali o biscotti.
Intanto che aprivo ante a casaccio, mi ritornò in mente con prepotenza l'immagine di Beyond e Kendra. Sbuffai contrariata. Jen aveva ragione, non aveva alcun senso pensarci e ripensarci su senza logica. Ero anche stanca, non avevo certo la lucidità necessaria per considerare la situazione. Non dovevo pensarci e basta.
Facile a dirsi.
Mentre inzuppavo degli sfiziosi biscotti al cioccolato nel latte – che ero addirittura riuscita a riscaldare in un pentolino – osservavo la città dalla grande vetrata dall'altro lato della stanza. Mi avvicinai ad essa e mi godetti la piacevole sensazione di essere sospesa nel vuoto, i tetti che si stendevano fino alla linea dell'orizzonte davanti ai miei occhi. Ci avrei potuto passeggiare.
Appannai il vetro con un respiro. Quella tristezza imprecisata mi avvolgeva a mio malgrado, non potevo liberarmene. Vedevo avvicinarsi un altro periodo di disastri. Ed ero preoccupata per Aki e Kendra. Dalle informazioni che avevo, tentare una cosa del genere doveva essere la loro ultima mossa. Se non fossero riusciti a far crollare la nostra relazione in quel modo...
Cosa sarebbe successo?
- Probabilmente Aki e Kendra uccideranno in direttore. E poi andranno a vivere la loro vita. Può darsi che mi uccidano per sfizio, li abbiamo infastiditi un po’ troppo. E poi può darsi che gli orfani scappino dalle porte che loro due apriranno. Ci sarà chi rimarrà e ci sarà chi non esiterà ad andarsene per sempre. Altrimenti potrebbe succedere che il direttore tolga di mezzo Aki e Kendra, forse che li uccida. E poi ucciderebbe me, o qualcosa del genere. –

Così aveva detto Beyond, giusto la sera prima. Sembrava che fossero passati secoli.
Già mi mancava. Sì, mi mancava. Avrei così tanto voluto passare la notte insieme a lui... e invece.
Non che non mi fossi divertita con i ragazzi, anzi, probabilmente avevo perso metà del mio peso a furia di ridere. Però...
Improvvisamente, una voce mi riscosse dai miei pensieri.
- Caffè? -
Mi voltai a incontrare lo sguardo di Mattia, in piedi sulla soglia della porta, nel pigiama di felpa.
Annuii, guardandolo armeggiare con la moka nera di Jen.
- Dormito bene? - domandai.
- Direi di sì, tu? -
- Per quello che ho dormito, non c'è male. -
- Ma li hai visti quei due? - sorrise poi, alludendo a Jack e Jen, addormentatisi insieme.
- Come no.. - risposi.
- Ma dici che... insomma, che Jen straveda per lui è evidente... ma secondo te lui che ne pensa? -
- So solo che non ha idea di ciò che lei prova per lui. Quel ragazzo è un caso perso a livello emotivo... - risposi scuotendo rassegnata la testa. -Voglio dire, l'hai sentita ieri, la canzone di Jen. Era evidente che la stesse rivolgendo a lui. E scommetto che Jack non ne ha idea, o non sarebbe così tranquillo, non credi? -
- A chi lo dici... ho anche provato a mettergli la pulce all'orecchio, ma è troppo stupido.- ridacchiò Mattia. - Li vedo bene insieme però... -
- Mh... -
- Tu no? - domandò, trovando finalmente due tazzine delle dimensioni giuste.
- Non lo so... Jack è troppo... lo sai, è un bravo ragazzo, ma forse Jen avrebbe bisogno di qualcuno che sappia dimostrare affetto in modo minimamente comprensibile. Ecco, è molto introverso... mentre lei è così spensierata. Non vorrei che per adeguarsi a lui, Jen perdesse il suo spirito. Non lo sopporterei. -
Mattia riflettè in silenzio per un po', servendo il caffè.
Io posai nel lavello la tazza di latte ormai vuota e presi subito quella che mi porgeva.
- Dipende tutto da Jack. Se è abbastanza aperto da farsi influenzare positivamente dall'allegria di Jen la cosa si può anche fare, se è invece troppo serio per lei... beh... -
- Hai colto il punto. Jen non è infantile, ma è molto... -
- Sì, ha quello spirito che la fa sembrare sempre un po' bambina. Ma in senso positivo. -
Soffiai sul caffè, sedendomi al tavolo di cristallo insieme a lui.
- Speriamo in bene... quella ragazza ha già abbastanza problemi di suo... -
- Certo che i suoi genitori sono davvero degli stronzi... -
- Che ci vuoi fare. La lasciano in questa casa da sola quasi tutto l'anno. L'hai sentita l'ultima? -
- Cosa? -
- Vogliono divorziare e l'hanno avvertita con un messaggio. Un cazzo di messaggio, ti rendi conto?! Da piantarci sana sana la testa nel muro proprio... -
Mattia scosse la testa, contrariato.
- Tu come stai? - chiese poi.
- Tutto ok... -
- Sai, per ieri sera intendo... -
- Sì, sto metabolizzando la cosa. Non so che cosa pensare ancora... ma ho intenzione di ascoltarlo, Beyond, se ha da dirmi qualcosa. - dichiarai.
Lui annuì, sorseggiando il caffè.
Fu solo dopo un'oretta in cui io e Matt ci vestimmo e lavammo con tutta calma per poi ritrovarci a chiacchierare nuovamente in cucina, che i due piccioncini si svegliarono.
-ODDIO MA TU NON SEI NORMALE! QUELLE ERANO FUSA VERE!- sentimmo provenire dall'altra stanza.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere.

Jack aprì lentamente gli occhi, risvegliandosi lentamente. Si rese improvvisamente conto che c'era qualcosa di strano.
Si rese improvvisamente conto che durante la notte, qualcosa era avvenuto.
E si rese improvvisamente conto che stava abbracciando Jen. Non c'erano vie di fuga, le sue braccia stringevano innegabilmente a se quel suo minuscolo corpicino dai lunghi capelli biondi.
E la ragazza era stretta a lui dolcemente.
Oddio.
Ma oddio.
Cosa fare?
Beh, lui voleva alzarsi e subito.
Per prima cosa spostò le braccia con cautela. Stava per ideare una seconda mossa che probabilmente avrebbe finito per svegliare la bionda, quando lei chiuse la questione con un assonnato mugolio.
Ancora mezza addormentata si strinse ancora di più a Jack, percependo che lui invece l'aveva lasciata.
Ora lui si trovava ancora più intrappolato.
Non doveva pensarci. Non doveva semplicemente pensarci. Non c'era nessuna bella ragazza letteralmente aggrappata a lui, persa in chissà che sogni.
No, non c'era.
Jack le lanciò uno sguardo, studiando i suoi lineamenti delicati e piacevoli. Sentiva il suo peso alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro.
Si trattenne così dal sospirare. Doveva assolutamente alzarsi. Non poteva rimanere a lungo così.
Che fosse il caso di svegliarla? Mattia e Alma si erano già alzati da un pezzo probabilmente.
Improvvisamente, la bionda parve sul punto di svegliarsi. Mandò un altro mugolio svogliato e aprì lentamente gli occhi.
Dopo qualche secondo si tirò a sedere e si stiracchiò, liberando il batterista.
Purtroppo, prima che lui potesse scegliere se fingere di dormire per evitare una situazione imbarazzante o dire qualcosa che ridimensionasse il tutto con il suo tipico distacco, la bionda lo guardò, gli occhi ancora pieni di sonno.
Lui arrossì impercettibilmente, sedendosi a sua volta.
- Buongiorno! - esclamò poi lei, tranquillamente. - Dormito bene? -
Lui annuì, alzandosi definitivamente. - A parte il tuo dolce peso ho dormito benissimo. - scherzò poi.
- Ma se sono uno stecchino! - rise lei.
- Tsk, certo. -
- Dai, sono alta quanto un nano da giardino con un cavolfiore in testa e mezza anoressica, non credo proprio di averti dato fastidio, scemo! -
- Almeno non tiri calci. -
- Quali calci! Io sono una gattina! Senti, faccio anche le fusa! - esclamò lei, già sveglia, alzandosi.
Gli prese una mano e se la portò sulla gola.
Dopo qualche secondo Jack fece un salto di due metri.
- ODDIO, MA NON SEI NORMALE! QUELLE ERANO FUSA VERE! -
- Miao! -
Jack la guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
- Tu invece sei più un lupetto – continuò Jen con tutta calma, tentando qualche passo per la sala disseminata di quelle che parevano macerie. - Hai la barba, sei aggressivo e stronzo, hai una concezione tutta tua di finezza... -
- E che vuol dire? -
- Non so se ti ascolti quando parli- rise lei- ma le bestemmie che tiri fuori farebbero impallidire anche uno scaricatore di porto Jack, non negarlo! -
I due continuarono a bisticciare fino a che arrivarono in cucina.
- Non sono un fottuto lupacchiotto, Jen!-
- Se preferisci ti assegno come animale totem un simpatico cerbiattino! Potrei chiamarti Bambi! -
- Provaci. -
- Non ho paura di te, uomo dai ricci serpentini! -
- Io avrei paura del mio corso di kung fu. - ridacchiò lui.
- Pft, prima dovresti prendermi, vecchio! -
- In ogni caso, prova a chiamarmi Bambi e scoprirai che sono veloce anche io -
- Allora sarai un lupacchiotto! E non rompere, sei uguale identico a un lupacchiotto, è il tuo animale!-
Jack sospirò rassegnato.
- Ciao ragazzi, dormito bene? - domandò ridendo Mattia.
Jen alzò i pollici e andò dritta verso la moka, pulendola e cominciando a fare un altro caffè.
- Jack, ne vuoi? -
- Nah, non mi ha mai fatto effetto... -
- Che vuoi allora? -
Il ragazzo si stiracchiò, alzando le braccia e serrando gli occhi per qualche secondo.
- Il mio cazzo di letto, ecco cosa... - sospirò poi.
Ridemmo, cominciando a fare conversazione come al solito.
Presto anche Jen si sedette al tavolo, il caffè con un paio di gocce di latte e una tonnellata di zucchero stretto fra le mani.
- Ho fatto un incubo assurdo! - esordì lei. - Praticamente... c'eravate tutti voi e anche la prof di greco. E dovevamo portare una scatola in un posto ma-
- Aha, interessante. - la interruppe sarcasticamente Jack ridendo.
- Oh, ma fottiti e fammi parlare tu! Allora, dovevamo portare questa scatola in un posto, tipo un acquario, ma era troppo pesante. Allora alla fine Mattia decideva di aprirla e – sorso di caffè – ci trovava UNA STATUA! Una statua di un rospo! Giuro, non so che mente malata mi trovo! -
- Jen, tu hai qualche problema – risi io, scuotendo la testa.
- Non è finita! Perché il rospo si animava e voleva baciarmi! GIURO, NON RIDETE, ERA UN INCUBO! Voglio dire, ve lo immaginate un enorme rospo che vi insegue per baciarvi, con voi che ridete e la prof che entra nella scatola per qualche misterioso motivo?! No, ma assurdo! -
- Devi farti il ragazzo, lo sai? - ridacchiò Mattia, la testa sprofondata fra le mani.
- TSK! Voi non capite un cazzo! -
- Povera Jen, è solo un po' deviata! - la difesi io.
- No, fidati, è proprio fuori. - assicurò Jack.
- Poi questa storia che con un bacio risolvi tutto, ma che cagata! - esclamò Jen.
- Beh, dai, una relazione stabile è meglio dell'essere single. - ribatté il batterista, stupendo tutti.
- Allora... mi spieghi perché sei single? - domandai ridendo.
- Perché non ricerco attivamente una ragazza, oh. Cioè, se capita ben venga, altrimenti amen. Non sono un morto di sesso come voi. - dichiarò, con la faccia più innocente che aveva. E che comunque era tutt'altro che innocente, fidatevi.
- PFFFFFFFT-
- Ammettilo che sei single perché le ragazze non ti cagano di striscio! Guarda che non ti vedono sotto i ricci secondo me. - dissi io, riprendendo a stuzzicarlo.
Era un classico. Stuzzicarlo sul fatto di essere single, intendo. Un classico della band, ormai.
Jack intanto si era alzato, con l'intenzione di andare in bagno.
- Beh, io almeno non ho le corna! - esclamò ironico al mio indirizzo, con la delicatezza di un camion.
Jen e Mattia gli lanciarono un'occhiata di avvertimento, che lui ovviamente non colse. Quel ragazzo era davvero un caso perso. Però notò il silenzio imbarazzato.
- Ma vai a farti fottere, stronzo. - gli dissi cupa.
Rise, sfoggiando un sorriso a 36 denti e sparendo.
- DICO SUL SERIO! E FATTI ANCHE MALE, COGLIONE! - gli urlai, prima di sbuffare e guardare il piano del tavolo con occhi spenti. - E cazzo, avevo appena smesso di pensarci... -
- Lo sai che è uno stronzo... -
- Lo so, fidati, lo so. -
Jen scosse il capo.
- Beyond ti ha chiamato ancora? -
- Non lo so, ho il telefono scarico... vedrò quando arrivo a casa. -
Mattia si alzò e andò a radunare le sue cose, dopo avermi affettuosamente tirato una pacca sulla spalla – che per poco, tra l'altro, non mi spedì dall'altro lato della stanza.
- Ma la delicatezza, questa sconosciuta! -
- AUFF! -
- No, quei due hanno veramente dei problemi, veh. -
Jen annuì convinta.
- Molto seri anche... poi li picchio per te, non temere. - scherzò, facendomi l'occhiolino e finendo il caffè in un sorso.

Cleo si svegliò felice quel giorno. Tardi, ma felice.
Aprì gli occhi e incontrò subito il volto di Matt, ancora addormentato proprio davanti a lei.
Sorrise e si alzò, ben attenta a non svegliarlo, ma non resistette alla tentazione di accarezzargli delicatamente il viso. Solo una mezz'ora dopo si ripresentò davanti al rosso, perfettamente vestita. Sapeva a che ora se ne sarebbe dovuto andare e aveva intenzione di passare ancora un po' di tempo insieme, prima di vederlo scappare via.
- Amore... - sussurrò chinandosi su di lui.
Gli posò una mano sulla spalla, tentando di svegliarlo con dolcezza.
Lui mugolò una protesta, stiracchiandosi e serrando gli occhi.
- No, non voglio essere sveeegliooo... -
Cleo rise, alzando gli occhi al cielo.
-Datti una mossa! -
- Nuooooooooooooooo... -
Dopo essersi lamentato ancora un po', Matt riuscì ad alzarsi e a prepararsi in fretta, con l'intenzione di passare un'oretta al parco con la sua ragazza prima di tornare all'istituto.
Uscirono di casa tenendosi per mano, senza bisogno di parlare. Stare insieme era diventato così naturale per i due che riuscivano tranquillamente a passare molto tempo insieme senza doversi parlare.
Camminavano con lo stesso ritmo e si voltarono insieme quando passarono di fianco a una pasticceria.
- La vuoi una brioche? - domandò Matt, rallentando.
- E lo chiedi anche? - rise lei, seguendolo mentre tornava indietro ed entrava nel negozio con l'espressione di un bambino felice.
Ne uscirono stringendo ognuno la propria brioche calda, soddisfatti.
Le persone che li incrociavano spesso non riuscivano a trattenere un sorriso notando quanto e come si volessero bene. Risollevavano il morale.
Quando arrivarono al parco, Matt si sedette contro un albero e Cleo si appoggiò a lui, sorridendo.
- Sai Cleo... - disse lui.
- Dimmi. -
- Non sono mai stato così bene con nessun'altra persona. -
- Pfui, lo so che in realtà ami Mello! -
Lui ridacchiò.
- A parte tutto, volevo chiederti una cosa, Matt. -
- Prego. -
- Senti, ultimamente mi hai parlato molto di Mello. Mi hai detto che l'hanno messo in punizione alla Wammy's e che quando è tornato in camera con te era... diverso. E poi improvvisamente, non mi hai detto più nulla. Cioè... cosa succede? -
Matt sbuffò. Non poteva tradire i segreti del suo migliore amico e non poteva mentire alla sua ragazza. Non aveva assolutamente idea di cosa risponderle.
- Ecco... si è un pochino ripreso, credo. -
- No, è che a me in classe sembra ancora totalmente catatonico. Davvero, è messo male. Dovresti vederlo, sembra che stia per cadere sul banco, è bianco come un cadavere. -
- Eh... non lo so... a me sembra che comunque... insomma se non te ne ho più parlato è perché... ecco..-
- Mi stai nascondendo qualcosa? - domandò lei, inquisitoria.
- Cosa? No, assolutamente. -
- Ah... sicuro? -
- Certo, sì. -
Cleo lasciò che passasse qualche secondo senza dire nulla.
- Ok, si, c'è una cosa che non ti sto dicendo...- ammise Matt, abbassando rassegnato lo sguardo.
Lei gli sorrise dolcemente e gli diede un bacio.
- Non devi dirmelo per forza, se non puoi. Dimmi solo se è una cosa molto grave, se mi devo preoccupare per te o.. per noi. Va bene? -
- Grazie. - rispose lui accarezzandole i capelli. - Il fatto è che... potrebbe succedere qualcosa alla Wammy's e io non so quali a conseguenze questo qualcosa potrebbe portare. -
- Potresti dover... andare via? - chiese lei con una nota di tristezza nella voce.
- Io... non lo so... - ammise lui, avvicinando le ginocchia al petto, senza guardarla.
Cleo non disse nulla. Le faceva troppo male pensare che Matt se ne sarebbe potuto andare via. Pregava ogni giorno che lui riuscisse a trovare il modo di uscire da quell'istituto, ma allo stesso tempo, l'idea di perderlo la faceva sprofondare in una tristezza che pareva non avere fondo.
Il rosso la strinse in un delicato abbraccio.
- Ti amo. - gli disse.
- Ti amo anche io. -


 

Mello si svegliò e la prima cosa che pensò fu che aveva mal di testa. Troppo mal di testa.
La seconda cosa che pensò fu che non aveva idea di dove fosse.
Cazzo... troppo mal di testa per ricordarsi qualcosa.
Lo attraversarono velocemente alcune immagini della sera precedente. Ok, si ricordava di aver bevuto troppo, questo sì. Mh, davvero, aveva esagerato.
Poi si ricordava di tutto il casino che era successo con Beyond, e che le band se n'erano andate subito dopo con grande dispiacere di tutti. Si ricordava di... oh. Giusto. Era scappato via dal locale con Lucy e già troppo alchool in corpo evidentemente.
Se n'erano andati in giro insieme scherzando fino ad ore improbabili, lontano da tutto e da tutti.
E poi...
Cos'era successo poi?
Alla fine il biondo si decise ad aprire gli occhi e per poco non gli venne un embolo.
Davanti a lui vide un altro paio di occhi, già aperti. Quegli occhi scuri, color cioccolato.
Gli occhi di Lucy, evidentemente.
Mh.
Ah. Bello.
Il ragazzo la osservò per qualche secondo. Erano evidentemente nel letto di lei. La sua camera, che la notte prima non aveva proprio notato, era ampia e luminosa, dominavano il bianco e il verde.
Lei aspettava una sua reazione senza fare niente, lasciandogli il tempo per svegliarsi completamente senza riempirlo di domande che lo avrebbero solo confuso.
Poi quel cazzo di mal di testa, oh, era davvero assurdo.
Il biondo si portò le mani alle tempie, stringendo gli occhi per qualche secondo.
Mugolò qualcosa di incoerente, prima di riaprirli e vedere, sul volto di lei, un impercettibile sorriso.
- Buongiorno. - disse poi stiracchiandosi.
- Dormito bene? - domandò Lucy, sorridendo ironicamente.
Mello aspettò qualche secondo, sicuro che lei stesse scherzando.
- Dormito bene?! Lucy, cazzo, quando avrei dormito? - ridacchiò poi.
- Un paio d'ore hai dormito, fidati. -rispose lei.
- Troppo poco, fidati. -
- Sempre a lamentarti! Allora la prossima volta non saltarmi addosso, no? -
- Se certo, come se fosse una cosa facile... -
- Ma vaffanculo! - lo rimbrottò lei, ridendo, mentre arrossiva.
- Dai, offendimi ancora. - la invitò
- Ma fatti controllare! Non è possibile che ti piaccia sentirti dire vaffanculo! -
- Dillo ancora. -
- Vaffanculo Mello. -
Lui rise.
- Ancora. -
- Vaffanculo. Vaffanculo e vaffanculo. - sussurrò lei avvicinandosi al suo volto e baciandolo dolcemente. - Vaffanculo, stronzo.



Eh, sono ancora qui a rompere i cosiddetti, proprio sì. Tiratemi cose, non fa niente, lo accetto u.u
MA sono di nuovo qui perchè? Perchè... ehm... dai, per quella roba lì, lo sapete, susu, non fate i finti tonti che non mi imbrogliate, MARRANI! TSK!
No? Sì? La devi finire? OK.
Beh, sono ancora qui per SALUTARVI, ABBRACCIARVI E BACIARVI come se fossi una vecchia nonnina che non vi vede da tempo e OUH, ma vi vuole bene!
E anche per dirvi che spero davvero di riuscire a pubblicare con una certa qual costanza quest'anno, anche perchè ci avvicinamo sempre più, passo dopo passo, al gran finale ( e io già mi chiedo che cazzo farò senza questa storia, che mi sono mega affezionata) e voglio impegnarmici dai. 
Per quanto credo/spero/penso/boh che tutti sappiate che su EFP non è che io mi straimpegni. Voglio dire, assolutamente mi piace scriverci, ma se dovessi preoccuparmi della forma di ciò che posto così come mi preoccupo per le cose più "serie" pubblicherei una volta all'anno FORSE. Dite che non cambierebbe molto? EDDAI, NON MI SMONTATE COSI'! xD
Vabe, ora giuro che la finisco, ve lo dico. Ecco, l'ho finita. Ho finito.
TIE. E mangiate le fragole e i corbezzoli eh.

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Parliamone; ***


Buongiorno! Come state? Spero tutto bene.
Sono molto di corsa, quindi facciamo una cosa veloce :D
E' molto probabile che nel prossimo capitolo ci sarà un simpatico COLPO DI SCENA!!!
Quindi drizzate le orecchie e tenetevi pronti... mauhahahahahhahahahahahhahahahaahhahhahahahahahahahaha!
Scappo! Baciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Mina







E fummo di nuovo a scuola, come al solito. Scuola che per altro andava concludendosi in un crescendo di verifiche e interrogazioni a ritmo serrato. Proprio quel giorno affrontammo una verifica di chimica che durò due intere ore, un'interrogazione di greco e una di fisica. Roba leggera proprio.
Non so come riuscii a mantenere la concentrazione per tutto quel tempo, la mente che continuava ad andare a Beyond. Non mi aveva più richiamata.
Mi aveva però mandato un messaggio, durante il precedente pomeriggio:

E' inutile provare a discuterne per telefono. Possiamo parlare dopo scuola, domani?
Perfavore, rispondimi.
Ti amo, Beyond.

Non gli avevo risposto, invece. Ero totalmente persa. Non sapevo se mi sentivo arrabbiata, delusa, se volevo davvero ascoltare quello che aveva da dire, se chiudere di netto....
Una parte di me voleva davvero mandarlo a fare in culo una volta per tutte.
Ma poi... poi ripensavo a tutto quello che quel ragazzo era significato per me, a quanto eravamo cresciuti insieme, a quanto ci eravamo aiutati, a quanto stavamo semplicemente bene insieme. A quanto adorassi ogni gesto che faceva. Dal mescolare il caffè, al sedersi, al sistemarsi una ciocca di capelli... qualunque cosa, fatta da lui, assumeva tutta un'altra prospettiva.
Avevo parlato con Cleo, e lei mi aveva consigliato di ascoltarlo almeno. E poi di prendermi il mio tempo per decidere cosa fare.
Insomma, di moderare l'impulsività, ma anche la freddezza.
Avevo paura. Paura che tutto potesse finire nel modo sbagliato. Non volevo ritrovarmi a pensare a lui con rabbia o con rimorso.
-Ehy, sei ancora fra noi? - mi domandò ironicamente Lucy, scuotendomi il braccio.
- Eh? -
- Buongiorno! Fissi quella matita da dieci minuti, stai bene? -
-Sì, scusami.. - sbuffai, rimettendo la matita nell'astuccio.
- Ti conviene seguire, lo sai che dopodomani interroga. -
- Sì, lo so... -
Lei mi guardò con un'ombra di preoccupazione.
- Ma non vi siete ancora parlati? -
Scossi la testa.
- E quando avete intenzione di farlo? -
Sospirai.
- Non l'avrai mollato? - chiese.
- Ma no, ti pare? -
Continuava a fissarmi, come aspettandosi che io dicessi qualcos'altro.
- Io... oh Lucy, non lo so... oggi ci parlerò probabilmente... -
Non smise di fissarmi. Alla fine, sbuffando, le porsi il cellulare, sbloccandolo.
Lei ci mise meno di un secondo ad arrivare al messaggio che lui mi aveva mandato, ignorando i precedenti. Dopo qualche secondo me lo rese.
- Sai, io non credo che avesse... davvero intenzione di... -
-E come puoi saperlo? -
- Anche se non lo conosco bene quanto te, vi ho visti insieme più di una volta. Forse non te ne rendi conto, ma dall'esterno è evidente quello che provate l'uno per l'altra. E siete completamente in sincronia. Anche quando non siete d'accordo, intendo. -
- Magari però... te l'ho detto che una volta mi ha quasi baciato, quando ancora stava con Arianna? -
- Mi hai anche detto che stava con lei per forza d'inerzia. Non l'ha mai amata, lo sai meglio di me. -
Sbuffai e chiusi così quella conversazione.
Niente di quello che era stato detto, o che avevo sentito dire anche da Jen, mi aveva fatto cambiare idea: se non vuoi essere baciato da qualcuno, lo allontani.

Alle 2.05, finalmente la campanella si decise a liberarci tutti. Scendendo le scale mi guardai velocemente intorno, ma non vidi Beyond. Poi realizzai che lui quel giorno usciva un'ora prima di me, quindi non poteva esserci.
E io non avevo risposto al suo messaggio.
Scoprii che l'idea che probabilmente non l'avrei visto mi rendeva decisamente insoddisfatta. Beh, quindi volevo vederlo...
Uscii da scuola ancora intenta a incasinarmi mentalmente, tanto che solo quando Cleo mi tirò una gomitata mi accorsi che appoggiato al muro dall'altra parte della strada, qualcuno mi stava fissando: Beyond.
Salutai tutti velocemente, per poi attraversare la strada a sguardo basso. Improvvisamente non sapevo cosa dire. Avevo la sensazione che la mia mente fosse completamente vuota, così come il mio stomaco. Avete presente? Quel misto di disagio, stanchezza e altre cose non proprio piacevoli.
Non riuscii neanche a salutarlo. Mi fermai davanti a lui, senza guardarlo in faccia. Non ci riuscivo e basta. Mi rendevo conto che forse stavo anche esagerando, ma era più forte di me.
Lui mi poggiò una mano sulla spalla. Ma quel contatto mi metteva solo più a disagio, così lo respinsi.
Quel gesto parve farlo sprofondare di qualche centimetro. Mi forzai a guardarlo negli occhi, e trovai uno sguardo difficile da interpretare. Mi faceva sentire in colpa, che bastardo.
- Ciao.. - disse poi.
Non gli risposi.
- Dove vuoi... andare? -
Incrociai le braccia e continuai a guardarlo senza parlare. Non ci riuscivo.
- Beh... se vuoi posso offrirti una pizza... - propose esitante.
- Non ho fame. - risposi faticosamente.
- Ah... allora... possiamo andare al parco. Ti va? -
- Andiamo in sala prove. - dichiarai duramente.
Era il posto dove mi sentivo più a mio agio, in generale. Le pareti insonorizzate verdi, la batteria che luccicava in fondo e gli amplificatori tutto intorno a me. Era il mio posto.
E poi al parco avevamo passato troppi bei momenti. Non mi andava di rovinarli.
La sala prove della scuola era sempre aperta agli studenti. Certo, andava prenotata, ma a parte un paio di altre band oltre le nostre nessuno la usava.
- In sala? - chiese lui un po' incerto.
Lo so che è strano, ok? Solo che era l'unico posto in cui volessi andare.
- Sì, in sala. -
- Bene... ok, andiamo. - rispose lui.
Rientrammo a scuola uno di fianco all'altra, senza dire nient'altro. I miei amici mi lanciarono delle occhiate un po' stupite, ma nessuno disse niente.
Chiusa la porta della sala prove dietro di noi, il mondo smise di fare rumore.
Lanciai lo zaino di lato e mi sedetti a gambe incrociate su un cahon bianco, contro il muro.
Beyond non era per niente a suo agio, a quanto pareva. Rimase in piedi, guardandosi intorno e tormentandosi le mani.
Lo fissai, in silenzio.
- Se devi dirmi qualcosa Beyond, fallo adesso per favore. -
Lui annuì, abbassando lo sguardo.
- Io... non volevo farlo. - sussurrò, chiedendosi perché si fosse improvvisamente dimenticato tutto quello che voleva dire. - Lei mi è saltata addosso precisamente nel momento in cui tu sei uscita con Aki. Io credo che l'avessero progettato insieme. Insomma... -
Non aveva assolutamente idea di come affrontare l'argomento, evidentemente.
- Non sono stupida. - lo informai gelidamente. - L'ho capito questo. -
Cosa diceva Jen?
Non fare troppo la stronza, altrimenti, anche se avesse davvero qualcosa di intelligente da dire e che varrebbe la pena che tu ascoltassi, lo manderai in palla e non ci riuscirà. Quindi ti prego, tenta di non gettarvi la zappa sui piedi, ok? Lo so che sei incazzata, ma così non concluderesti nulla.
Sì, in effetti...
- Scusa, non volevo essere così... ehm... - tentai dunque di dire.
- No, hai tutte le ragioni per essere più che incazzata, figurati. - rispose lui.
Appunto.
- Il punto non è solo questo però. - dissi io. - Insomma, io ti conosco abbastanza bene direi. E se qualcuno tentasse di baciarti così, probabilmente lo sbatteresti dall'altro lato della strada. Cosa che non stavi evidentemente facendo. -
Lui sospirò, decidendo infine di sedersi su uno sgabello da batteria davanti a me.
- Lo so... - mormorò.
Mh. Beh, allora mi vuoi proprio fare incazzare eh?
Può darsi che sembri un completo idiota a volte, ma passaci sopra. Fallo per me, ok?”, disse Jen nella mia testa.
Evabbè.
- Quindi? - lo incoraggiai.
- Io... ti sarà difficile credermi, ma ho pensato molto a quello che è successo e... in quel momento, quando lei mi ha baciato io non sono riuscito a formulare alcun pensiero coerente. Insomma, sapevo perfettamente che lo stava facendo per separarci e che quello che provo verso di lei è molto simile all'odio. Tuttavia la cosa mi ha preso in contropiede. Io, non lo so, non me l'aspettavo. Non sono riuscito a fare niente. -
- Quindi? -
- Quindi... sono un idiota. È che... non so come spiegartelo. -
- Provaci. -
- Kendra è un personaggio completamente falso. E c'è una parte di me che mi spinge ad essere curioso di sapere com'è lei veramente. E un'altra che pensa che vuole che io la pesti a sangue. E un'altra che vuole ucciderla. E un'altra che vuole cancellarla semplicemente dalla mia vita. Un'altra vuole che lei se ne vada da sola. Io non so veramente cosa pensare. Credo di non averla respinta subito perché all'improvviso, mille reazioni istintive diverse mi sono entrate in testa e non ho più capito quello che stava succedendo. -
- Tu sei attratto da lei? -
- No. Non in quel senso. - rispose arrossendo.
- E in che senso? -
- Io non riesco ad odiarla. -
- E cosa provi per lei? -
- Lei mi ricorda di com'ero io, molto tempo fa. Ho paura di lei e al tempo stesso mi sento in dovere di... aiutarla. Forse per... ripagare un debito.-
- Un... debito? - domandai.
- Qualcuno ha salvato me. Forse ora devo fare lo stesso per Kendra.-
Cominciai a capire. Lui vedeva in Kendra quello che era stato, il ragazzo disturbato e silenzioso che Arianna aveva salvato da se stesso. Se anche Arianna l'avesse odiato, lui probabilmente sarebbe morto.
- Tu credi... di poterla salvare? -
- Non lo so... -
- Beyond... io ti capisco... davvero. Insomma, noi non sappiamo chi lei sia realmente. Sta solo recitando una parte. Non sappiamo neanche qual è il suo vero nome. Lo stesso vale anche per Aki, non credi?- dissi. Lui mi lanciò un occhiata vagamente speranzosa. - Il problema però è che... io non posso stare con te, se tu non riesci a capire che farsi baciare da una persona che ti sta usando non è certo un modo per salvarla. - conclusi poi piccata.
Beyond riabbassò lo sguardo.
- Io non credo sia stata una cosa intelligente. Se dovesse riaccadere le tirerei un pugno probabilmente. Non.... -
- Oggi l'hai vista, a scuola? -
- No... non è venuta. -
- E sei preoccupato per lei? -
- No. - rispose velocemente.
Lo fissai, senza dire più niente.
- Beh, un po' sì. - ammise.
- Senti, forse dovresti pensare a quello che sta succedendo. E fare pace con il cervello. Non ho intenzione di essere presa per il culo perché non hai le palle di dirmi che lei ti piace.-
- Ma non mi piace! -
- No? -
- NO! Non mi piace. Scusa tanto se mi preoccupo per una persona che è stata persa a calci da te. -
- Se ben ricordi l'ho presa a calci perché vi siete baciati. E se ben ricordi eri di fianco a me, ma non mi sembra che tu mi abbia fermato in qualche modo. -
- Potresti averle rotto qualcosa, lo sai? -
- Ci spero. -
Mi lanciò un'occhiataccia.
- Porca puttana Beyond! Va bene che non riesci a odiarla, ma lei sta tentando di dividerci! E tu neanche sai com'è realmente, l'hai detto tu stesso! Potrebbe essere anche peggio del personaggio che sta interpretando, lo capisci o no? Se vuoi lanciarti in un'eroica missione di salvataggio per una sconosciuta piuttosto che risolvere le cose con me, beh, forse dovremmo smettere di vederci, almeno avresti più tempo per stare al suo capezzale! -
Strinse le labbra, senza rispondere.
-.... hai ragione. - sputò poi.
- Lo so benissimo che ho ragione. -
- Senti, non ci posso fare niente. Le cose stanno così: io non la odio. E se non odio una persona non spero che le si rompano le ossa. -
- Mettiamola così, Beyond. O stai con me, o stai con lei. È abbastanza chiaro adesso? - soffiai, alzandomi e avvicinandomi alla porta.
Lui si alzò a sua volta, bloccandomi l'uscita. - Non andare via. -
- Vado via quando cazzo mi pare. -
- E' da due giorni che ti cerco, adesso almeno non andare via così! -
Gli stavo per tirare qualcosa, me lo sentivo.
“Non picchiarlo. Qualunque cosa accada. E no, neanche i ceffoni vanno bene. Siete lì per parlare, non per pestarvi, chiaro? Quindi contieniti.” diceva Jen.
Bene. D'accordo.
Mi sedetti nuovamente.
- Io ti amo. - disse lui, ancora in piedi.
- Bene. -
- E non voglio stare con lei. -
- Ottimo. -
- Solo... quello che sto dicendo è che... io non l'ho baciata. Lei mi è saltata addosso e io non sono riuscito a respingerla violentemente, come avrei voluto fare, perché mi è balenata in mente l'idea che lei fosse distruttiva tanto quanto lo ero io. Certo, potrebbe essere una stronza e probabilmente lo è. Ma non è che io non lo fossi. E non è una giustificazione la mia. È solo... io voglio che tu sappia come stanno le cose. Tu sei la persona più importante della mia vita. Io non voglio che finisca così. Che finisca per questo. Non sarebbe giusto. Dopo tutto quello che abbiamo fatto insieme, dopo tutte le cose che abbiamo condiviso. Io non voglio perderti per questo. -
Passò qualche attimo di silenzio.
- So di aver sbagliato. E ti sto chiedendo scusa. Ti sto dicendo che non l'ho fatto perché non ti amo, o perché sono attratto da lei. -
Annuii.
- Adesso ti ho ascoltato.- dissi – Posso andare o devi dirmi qualcos'altro? -
Sembrò che qualcosa gli fosse caduto in testa, per come mi guardò.
- Io... posso chiederti... -
- Dimmi. -
- Insomma, tu c0s'hai da dire? -
- Sai già perfettamente quello che avrei da dire. Capisco il tuo discorso, comunque. Ma devi darmi il tempo di pensarci. Non puoi aspettarti che io possa lanciarmi fra le tue braccia così, improvvisamente.-
- Ok... -
Raccolsi lo zaino da terra e lo guardai, triste di doverlo lasciare così.
- Sei ancora molto arrabbiata con me? -
Lo ero?
- Non credo. -
- Grazie. - sussurrò lui.
Avrei voluto abbracciarlo. Era proprio davanti a me.
Ci pensò lui. Mi passò delicatamente le braccia attorno alla schiena e io mi appoggiai a lui, circondandogli le spalle.
Ma poi me ne andai, da sola.
Mentre guardavo le strade scorrere fuori dal finestrino dell'autobus, mi asciugai una lacrima dagli occhi.


Quel pomeriggio stesso, Mattia, Jack e alcuni compagni di classe di entrambi si ritrovarono in biblioteca a studiare insieme. Era un'abitudine che avevano preso da molti mesi, più o meno da quando Jack era entrato a far parte della band. Il batterista era un piccolo genietto in chimica e fisica, Mattia capiva greco e latino come pochi altri, uno dei loro amici conosceva la filosofia e la storia meglio di chiunque , e insieme riuscivano ad equilibrarsi in uno studio completo e approfondito di tutte le materie.
Erano circa in dieci quel giorno. Mattia aveva chiesto una mano a Jack in vista dell'imminente compito di biochimica, e si era ritrovato per un paio d'ore in completa balia di quel matto. Non che non ci provasse con tutto se stesso a spiegargli bene le cose, ma Jack aveva sempre avuto dei problemi di comunicazione.
Ciononostante, alla fine delle due ore di sforzo, Mattia poteva dire che la biochimica non aveva più il benché minimo segreto per lui.
- Pausa?- propose.
- Assolutamente. - dichiarò il batterista, chiudendo il libro e infilandosi la giacca.
Presto i due si trovarono appoggiati al muro della biblioteca a stiracchiarsi e svuotare la mente.
- Che devi fare tu, ora? - domandò Mattia, piantando i pugni nelle tasche.
- Mh, una versione di greco che non ho nessuna voglia di fare.- rispose l'altro tirando fuori dalle tasche delle caramelle e offrendone una all'amico.
- Non so che ci fai al classico, tu. -
- Vabè, adesso... -
- No, parliamone. Sei un mezzo genio delle scienze e... fattelo dire, nelle materie umanistiche sei imbarazzante Jack. Come ci sei finito al classico? -
Il batterista si strinse nelle spalle, sedendosi per terra, contro il muro.
- Genitori oppressivi? -
- Direi di sì. Insomma, hanno scelto loro per me. Ma amen, non mi trovo male. -
Mattia si sedette a sua volta, in silenzio.
- Stavo pensando... - accennò Jack.
- Dimmi. -
- Dovremmo cominciare a pensare di registrare qualcosa, con la band. Io sto scrivendo le parti di batteria su guitar pro, tu a che punto sei? -
- Le ho scritte man mano che mettevamo a posto le canzoni. L'unico che manca sei tu, signor “tanto sono facili, le improvviso ogni volta e nessuno mai se ne accorgerà perché sono troppo bravo”- ridacchiò Mattia.
- Intanto nessuno mi ha mai detto niente. Il che significa se sono effettivamente troppo bravo, bitch! -
Il bassista si limitò a ridere.
- Volevo parlarti di una cosa, Jack. -
- Prego. -
- Tu... da quanto tempo sei single? -
- OH MA CHE CAGACAZZO! - esclamò il batterista ridendo. - Sempre lì eh? Ma saranno affari miei! -
- Acido. -
- Cos'è, mi stai facendo delle avance sessuali? -
- Come se ne avessi bisogno! -
Jack e Mattia si guardarono drammaticamente, dando il via a un gioco ormai classico, preso da Scrubs. Si avvicinarono lentamente l'uno all'altro. I volti sempre più vicini. Il primo che si fosse scostato, avrebbe perso.
Improvvisamente una vecchietta che passava di lì, scandalizzata nel vedere due ragazzi sul punto di baciarsi, proruppe in una indignata esclamazione di sprezzo.
Jack diventò rosso come un fiammifero, mentre Mattia si rotolava sul marciapiede ridendo.
- SCREANZATI SENZA RIGUARDO! SIETE DEI DEGENERATI! - continuava l'anziana, allontanandosi.
Jack affondò la testa fra le mani, ridendo insieme all'amico.
- Che figura di merda! - commentò poco dopo, tirando uno scappellotto al bassista.
- Pffffttt.... lontano da me, degenerato! -
Jack scosse il capo, rassegnato.
- Comunque ero serio prima. Da quanto sei single? -
Il riccio alzò gli occhi al cielo, guardandolo male.
- Allora? -
- Diciamo... un po'. -
- Mh? -
- Cosa mh? -
- Quanto? -
-Eh.... - Jack cominciò a giocherellare con i lacci della felpa, evitando lo sguardo fisso dell'amico. - Diciamo un anno... forse un anno e mezzo... -
- Davvero? - domandò stupito Mattia. Era convinto che Jack avesse avuto una relazione nell'ultimo anno.
- Beh, vivo benissimo comunque. Non devi mica avere una ragazza per forza. Anche tu sei single. - puntualizzò il riccio.
- Certo, questo è vero... posso chiederti della tua ultima ragazza? Come mai è finita? -
Jack si incupì. - Beh... lei era molto difficile. Aveva dei problemi. -
- Tipo? -
- Bulimia, autolesionismo... -
- Ah, cazzo... poverina... -
- Ma non l'ho lasciata per questo eh, figurati. Anzi, ho anche tentato più volte di aiutarla, ma... era impossibile. Lei voleva disperatamente che la aiutassi, ma allo stesso tempo non si lasciava aiutare nel modo più assoluto. E, beh, ad un certo punto ho anche smesso di provarci. Voglio dire, o la cosa veniva da lei, o io non potevo fare più niente. Ci siamo lasciati per tanti motivi. Lei non riusciva ad avere un equilibrio, e probabilmente avere una relazione seria in quel momento non era proprio ciò di cui aveva bisogno. Per averla devi essere già almeno un minimo equilibrato di tuo. È triste, ma è così. -
Jack si mordicchiò un labbro, guardando il vuoto.
- Mi dispiace che... insomma, che sia stato così difficile. Tu la amavi? -
- Sì, certo. -
- E lei? -
- Non l'ho mai saputo. Lo diceva, ma... non so. Comunque è una storia chiusa. Acqua passata. -
- E da allora più nessuna ragazza? - domandò ancora Mattia.
- Mah, ti dirò... un paio di ragazze si sono anche interessate a me. Ci esci, ci parli un pomeriggio, te le fai e via. Nessun'altra mi ha più cercato se non per questo. Non che non mi vada bene eh, ci sta divertirsi un po' senza impegni ogni tanto, ma non ho più avuto relazioni serie. Figurati che con l'ultima, un paio di mesi fa, ci sono uscito tre volte. La prima abbiamo limonato. La seconda fatto sesso. La terza mi ha detto che cercava una storia seria e io invece no, quindi non ci potevamo più vedere. Ed era stata lei ha “rimorchiarmi”! Bah... -
- Mh, quella aveva decisamente dei problemi. -
- Già... -
- Beh, sei proprio uno sfigato eh! Poverino, ti cercano solo per boboingarti un po' i ricci, soddisfare i propri appetiti sessuali e fuggire! - ridacchiò Matt. - Che vita difficile! -
- Ma sì, te l'ho detto, a me sta anche bene. - rise Jack.
- E tu non hai mai trovato nessuna di interessante? -
Jack non rispose subito e Mattia notò subito un sospetto rossore sotto la barba. Il batterista stava pensando a Jen. Poteva dirsi davvero interessato a lei? Beh... diciamo che non gli dispiaceva. Ma allo stesso tempo la distanza di età lo frenava. E il fatto che comunque... probabilmente lei lo vedesse come un fratello. Inoltre conoscendola meglio, Jen si era rivelata oltre che brillante e simpatica anche piena di problemi. La sua situazione con i genitori era un casino, il suo rapporto con il cibo anche.
Però era Jen.
- Non lo so. Ma senti, perché mi chiedi queste cose? -
- Ecco... mi chiedevo solo come fossi tu, nel ruolo di fidanzato. -
- Ok, così mi preoccupi. Mattia, io non sono gay. -
- Ma neanche io!- rise il bassista.
- Allora cosa te ne frega, scusa? -
- Beh... ho notato che ti sei molto.. avvicinato a una persona... e visto che è mia amica... -
Jack lo squadrò con ostilità. - Di chi parli? - domandò improvvisamente serio e quasi aggressivo.
- Senti, non è un segreto che tu e Jen abbiate legato parecchio. Lei si apre con te molto più che con gli altri, davvero. Forse non te ne rendi conto, ma tiene molto a te. E tu? - domandò a bruciapelo Mattia.
Il batterista era spiazzato.
- Ma... cioè... parliamo e basta! -
- Ho sentito che parlate davvero molto. Notte e giorno si direbbe. -
-Non...-
- Mentre studiavamo, almeno una volta ogni dieci minuti controllavi i messaggi e rispondevi a qualcuno. E sorridevi intanto. Te ne sei accorto? -
- Io.. -
- Era Jen? -
Jack lo fissò stralunato.
- Era lei o no? -
Il batterista sospirò, abbassando le spalle. - Non vuol dire nulla.-
- Jen è una ragazza tosta. E... ma davvero non hai capito che quella canzone che ha cantato al live era per te? -
- COSA? -
Jack aveva fatto un salto improvviso.
- Buongiorno eh... - commentò l'amico, scuotendo il capo.
- Ma ha 16 anni, Matt! Ma lo capisci? Io ne ho quasi 21! -
- Proprio l'altro giorno mi parlava di cosa vuole regalarti per il compleanno, quindi lo so. -
- Senti, non prendermi per il culo, ok? - sbottò il riccio, arrabbiato.
- Non ti sto prendendo per il culo, idiota. Jen è una mia amica e ci tengo che non rimanda ferita da un coglione. Se ti sto dicendo quello che penso è solo perché tu agisca di conseguenza. -
- E cioè? -
- Cioè, idiota, se ti piace diglielo. E se non ti piace allontanati da lei. Non essere corrisposti è logorante. -
Il batterista non riusciva neanche a formulare una frase, tanto era lo shock.
- Jack... ?-
- Non posso piacerle io. - mormorò lui.
- Ma sei cieco? Non lo vedi come si comporta con te? Adesso capisco perché sei single, senza offesa. -
- Ma... -
- Dimmi solo questo: lei ti piace? - domandò Mattia serio.
- Io.. non lo so. -
- Beh, vedi di capirlo per favore. E ti prego, non farti spaventare da fatto che sia una persona un po' incasinata. Lo sono tutti, chi più chi meno. Lei è più forte di quello che credi. -
Jack non rispose.
Mattia gli diede un'amichevole pacca sulla spalla e tornò dentro la biblioteca.
Il batterista si mise le mani fra i ricci, senza sapere cosa pensare.
Decisamente, la versione di greco sarebbe stata l'ultimo dei suoi pensieri quel giorno.

 

Proprio mentre stavo per arrivare alla soluzione ottimale dell'ultimo esercizio di matematica, il cellulare cominciò a vibrare.
E poi uno non deve bestemmiare, oh.
- Pronto? -
- Incazzata? - ridacchiò Cleo dall'altro lato.
- Eh... come va? -
- Bene, tutto a posto dai. Tu? -
- Sto lottando contro matematica. E sto perdendo, per la cronaca. -
- Se vuoi una mano io li ho finiti gli esercizi . - si propose.
- Nah, ce la devo fare! È questione di principio ormai! -
- Beh, senti... volevo chiederti di Beyond... oggi ho visto che siete entrati a scuola... -
- Sì, abbiamo parlato un po'. -
Le spiegai brevemente ciò che ci eravamo detti, camminando per la stanza come una sonnambula.
- Capisco... e tu cosa credi di fare con lui? - domandò lei alla fine.
- Eh... sinceramente non lo so... tu cosa faresti al mio posto? -
- Io... forse mi ci vorrebbe del tempo ma credo che... probabilmente lo capirei. Non dico che lo giustificherei. Anzi. Però... non credo che lo lascerei, ecco. Certo, dovremmo parlare molto e... lavorare sulla nostra relazione... ma alla fine...-
- Mh. -
- Io credo che possiate risolverla. -
- Credo anche io. È solo che... ora è diverso. -
- E' normale. Devi dare tempo al tempo. -
- Probabilmente hai ragione... non so... magari domani mangio fuori con lui e parliamo ancora. -
- Mi sembra una buona idea. -
-
Dai, ti faccio sapere allora. -
- Certo, ti lascio a matematica! Buon pomeriggio! -
- Anche a te! -
E speriamo che abbia ragione...

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Pare mentali ***


Buongiorno! Come va, che fate? Io tutto a posto anche se sono tipo mega intrippata da un sacco di cose che mi stanno succedendo, quindi UOOOO, LA MIA VITA E' UN CASINO. Ma ok.
Spero che il capitolo vi possa piacere! Succedono un po' di cose e nel prossimo ne succederanno ancora di più! YEEEEEEE
Sì, sono poco lucida, lo so. Oh, ho studiato tipo 80 pagine di fisica in tre ore, il cervello mi si sta fondendo! D:
Anyway, grazie a tutti per aver letto questo breve sclero e buona lettura! :D

Mina


Jen era in piedi davanti all'ampia vetrata della cucina, che dava sui tetti. La notte era calata da un pezzo ormai, quel blu intenso del cielo avrebbe cominciato a schiarirsi di lì a un ora, probabilmente, ma la luna splendeva ancora nitida e forte nei suoi occhi.
I lunghi capelli biondi le ricadevano liberi sul maglione blu che aveva indossato, scendendo fino alla fine della schiena.
Jen non capiva. Quel pomeriggio era rimasta a casa a studiare, ma aveva chiacchierato un po' con Jack attraverso i messaggi. Sapeva che lui era in biblioteca con Mattia e altri suoi amici, e che si stava dannando per far capire all'amico un po' di chimica.
Ma ad un certo punto, senza motivo, nel bel mezzo di una conversazione, lui aveva smesso di rispondere.
Boh...
C'erano altre cose che Jen non capiva. Tanto per cominciare, non capiva le intenzioni dei suoi genitori. Sapeva che avrebbero divorziato prima o dopo, anche se non li vedeva quasi mai. Ma si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei. Avrebbe traslocato da qualche altra parte? Chi poteva dirlo? Non c'era nessuno che si disturbasse ad informarla, a quanto pareva. Quindi era inutile anche chiedere.
Era abituata ad essere mossa come una bambola di pezza, dai suoi genitori. Certo che però erano assurdi. Pretendevano che lei capisse sempre tutto, senza dirle assolutamente nulla.
E non capiva perché non riusciva mai a dormire.
Poggiò una mano sul vetro, quasi a voler toccare le stelle, ,a la ritrasse quasi subito con un brivido. Perché aveva tanto freddo? Non era una notte particolarmente gelida, eppure non riusciva proprio a riscaldarsi. Si sentiva percorsa da un tremito continuo, che la attraversava da parte a parte.
Si strinse ancora di più nel golf cobalto. Quel golf le andava decisamente largo, da un po' di tempo a quella parte.
Sbuffò, strofinando le mani fra di loro e allontanandosi dal vetro, diretta al bagno.
Seguendo un istinto improvviso riempì la vasca di acqua calda, in breve tempo si liberò dei vestiti e, tremando, si immerse.
Era una vasca molto grande, circolare, incastonata nel pavimento. La ragazza si rese conto solo dopo che l'essersi bagnata i capelli nel mezzo della notte non era proprio la cosa più geniale che potesse fare. Ci avrebbe messo chissà quanto ad asciugarli.
Nell'acqua quasi bollente, la bionda stava finalmente bene. Poteva finalmente pensare a qualcosa di diverso dal freddo, insomma.
Si sentiva terribilmente sola, quella notte. Jen si rese conto di essersi eccessivamente abituata alla compagnia di Jack, che per buona parte della notte chiacchierava con lei del più e del meno, sempre attraverso messaggi. Lui era un altro che dormiva troppo poco, ma più che per insonnia lo faceva per incoscienza. Si metteva a fare mille cose, dichiarando che la sua produttività era decisamente più alta di notte che non di giorno, leggeva, giocava a Dota, studiava. Procrastinava fino all'ultimo minuto sulle materie che meno gli interessavano, in effetti.
Qualche volta Jen l'aveva aiutato a ripetere qualche lezione, chiamandolo ad ore improbabili per interrogarlo. Spesso si ritrovava a ricordargli di andare a dormire dopo una certa ora, rimproverandolo per aver di nuovo perso il senso del tempo.
In quel momento, le mancava molto. Con il suo cinico sarcasmo e la sua allegria, pareva non accettare l'idea che qualcuno potesse essere triste. E parlando con lui era davvero raro. Ridere era molto più naturale, con lui. Perché era sparito, tutto a un tratto?
Ma prima di Jack?
Prima di lui, Jen impazziva quasi ogni notte. Girava per l'enorme casa vuote, puliva, spolverava, sprimacciava i cuscini e i materassi di tutte le stanze da letto, riguardava gli album di fotografie, cantava... sempre con addosso quella terribile sensazione.
Quella che anche adesso tornava ad assalirla.
Le sembrava di essere davvero una bambola di pezza. Finta, nelle mani di una bambina o di un bambino decisamente crudeli, che non avevano più voglia di giocare.
Si sentiva vuota. Le pareva di svuotarsi lentamente di ogni colore, di ogni emozione. Sentiva le maschere che indossava ogni giorno, come tutti, scivolarle via di dosso, strappandole la pelle.
Non era giusto. Tutti avevano una maschera, tutti. E nessuno la doveva togliere ogni notte.
Lei non avrebbe voluto. Ma quella casa, quella sensazione...
Oltre a sentirsi vuota, improvvisamente anche gli oggetti che la circondavano perdevano di valore. Le poltrone, i divani, i letti, le sedie, tutto sembrava fatto di plastica, duro e freddo.
Jen prese fiato e immerse il capo sott'acqua, chiudendo gli occhi.
Era sempre stata una ragazza molto indipendente. Aveva preso tutte le sue scelte da sola, senza problemi. Si era fatta dei buoni amici. Fuori casa, non si sentiva mai sola.
Ma perché, nel momento in cui girava le chiavi nella toppa, tutto questo le crollava addosso?
Si sentiva sepolta in tutto quel vuoto, soffocata, annegata.
Aprì gli occhi, e un'ondeggiante immagine del soffitto a piastrelle le si creò nella mente.
L'acqua si stava già cominciando a raffreddare, sfortunatamente. La bionda sbuffò fuori l'aria che ancora le era rimasta intrappolata nel polmoni, per poi riemergere.
Uno sguardo le cadde sul suo corpo. La carnagione così chiara non faceva che evidenziare la sua magrezza.
Sapeva di star andando in una direzione non augurabile. Lo vedeva.
Le ossa cominciavano a tirarle la pelle e questo per una cantante non era bene. Si potevano contare le costole ormai.
Era forte Jen. Una volta lo era di più. Si ricordava di se stessa, tonica e scattante dopo un allenamento di atletica. Aveva mollato quella disciplina un anno prima.
Ora, nonostante i suoi muscoli conservassero una certa energia, sentiva di star lentamente perdendo quella sicurezza che aveva guadagnato. Fluiva fuori dal suo corpo senza fretta, giorno per giorno.
Non avrebbe voluto arrivare a tanto. Lo sapeva perfettamente che era stupido. Lo vedeva.
Chi non l'avrebbe visto? Come non vedere?
Eppure nessuno le aveva detto nulla, ancora. Era sempre più stanca, la mattina. Odiava sempre di più il suono di quella maledetta sveglia. E la voce dei professori le perforava il cervello.
Ma non doveva cedere. Doveva rimanere conscia di se. Era l'unica cosa a cui si poteva aggrappare ormai e non voleva perderla.
Il controllo. Sempre. Era una priorità assoluta, il controllo. Non doveva perderlo di vista. Si stava spingendo troppo in là, doveva assolutamente riprendere una dieta sana, equilibrata, completa.
Fu tremando, e non solo di freddo, che Jen si rese conto che ormai non era lei a decidere se fermarsi o meno. Senza vederlo, aveva superato quel limite tanto temuto fra il controllo e l'ossessione.
Jen scoppiò a piangere.
L'aveva perso.
Aveva perso tutto, forse.
Non solo il controllo sul suo corpo. Aveva perso il controllo sulla sua vita, sulle persone che la circondavano.
Ma dopo poco si negò a quella crisi e uscì dalla vasca con decisione. Si asciugò con cura, si riavvolse in vestiti caldi e si preparò una camomilla bollente. Poteva ancora farcela. Poteva ancora vincere. Doveva essere forte.
Anche se era così stanca. Anche se avrebbe solo voluto fermarsi e cadere, e fregarsene del resto.
Doveva resistere. Fino alla fine.
Qualunque fosse stata, la fine cui andava incontro.
Pregò che quella fine arrivasse in fretta. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quel vuoto logorante che la mangiava da dentro.

Jack accese il computer, sbuffando. Dopo che Mattia gli aveva fatto quella rivelazione, non era riuscito a studiare.
Continuava a pensare alla bionda. Non le aveva più risposto ad alcun messaggio, non sapeva come comportarsi. Insomma, far finta di niente sarebbe stato in qualche modo mentirle. Tuttavia non aveva idea di cos'altro fare. E dirle “Hey, so che ti piaccio!” forse non era proprio la cosa più geniale.
Si rendeva conto che avrebbe dovuto capire in fretta se corrispondeva i sentimenti della ragazza. O meglio, se potesse farlo nella vita reale.
Finché si trattava di sognarla ad occhi aperti e di passarci ottimi momenti di confidenza, ok. Ma poteva seriamente stare con lei? Avevano cinque anni di differenza, la cosa sarebbe pesata.
O forse no? Si stava facendo troppi problemi?
Jack non era mai stato il tipo da farsi troppi problemi, questo era innegabile. Se gli andava di fare una cosa la faceva e basta, a prescindere dalle conseguenze sugli altri. Non aveva filtri, quando apriva la bocca, cosa che lo aveva portato a volte in situazioni piuttosto scomode. Ma che gli andava benissimo.
Quindi perché non si era già fatto avanti con Jen?
Che lei gli piacesse era ormai innegabile. Però..
Forse lei gli faceva paura. Non era come le altre ragazze con cui era stato recentemente. Cominciare qualcosa con lei significava farlo seriamente, a lungo termine.
Forse aveva davvero paura.
Notò una richiesta di amicizia su facebook. Una ragazza a caso l'aveva aggiunto. Forse l'aveva conosciuta al live, ma se la ricordava a stento. Accettò, senza pensarci troppo.
Quello che non si aspettava era che dopo un paio di minuti appena, la semisconosciuta gli inviasse un messaggio.
- Ciao! ^-^ Come stai? Ti va di uscire a bere qualcosa uno di questi giorni? Un caffè, una granita, qualunque cosa...
Il ragazzo sbuffò.
Sarebbe stata la solita ragazza in cerca di attenzioni, in cerca di svago.
Cosa che generalmente lo rendeva più che soddisfatto, per intendersi. Ma in quel momento non sapeva quanto aveva voglia di vedere un'altra ragazza. Avrebbe dovuto fare qualcosa per Jen prima.
Prese il cellulare e chiamò Mattia.
- Pronto! -
- Sono Jack, come va? -
- Ti manco già? -
- Ti devo chiedere una cosa. -
- Dì, fa in fretta che sto uscendo. -
- Mi ha aggiunto una, su facebook. Mi ha chiesto di uscire. -
Silenzio dall'altro lato del telefono.
- Eh... non so che fare. Ci esco? -
- Perchè lo chiedi a me? -
- Boh. - sbuffò Jack, irritato.
- Esci con lei. Magari ti aiuta a capire cosa provi per Jen. Ma datti una mossa, eh. -
- Ok... allora ci sentiamo, dai. -
- Vabè... ciao Jack! -
Il batterista di scompigliò i ricci e rispose alla ragazza.

Mello si mise le mani in tasca ed estrasse una tavoletta di cioccolato fondente. Presto la stagnola gli scivolò fra le mani. Se ne stava appoggiato al muro di una strada in periferia, davanti ad un parco, apparentemente senza motivo.
Guardò nervosamente l'orologio e sbuffò.
Fu solo quando già una buona metà del cioccolato che aveva in mano ebbe trovato la sua fine nella bocca del biondo, che i suoi occhi si accesero nel riconoscere una faccia nota.
- Sei arrivato finalmente. - lo accolse freddamente.
- Problemi tecnici. Buono? - domandò Aki, davanti a lui, indicando il cioccolato.
Mello non si disturbò a rispondere, lanciandogli un'eloquente occhiata di impazienza.
- Allora? - domandò poi.
- Allora manca poco. - rispose pragmatico il ragazzo coi capelli blu, con un sorriso ironico.
- Manca poco quanto? -
- Cosa vuoi sapere, l'ora esatta? Beh, puoi sognartela. Posso dirti che dopo quanto successo al live possiamo sperare che quei due non si lascino. E non lo faranno, se li conosco abbastanza bene. Intanto io continuo a parlare con Kendra e lei continua ad arrabbiarsi con il nostro direttore. Manca poco. -
- Bene. -
- Infatti. -
- Ricordati che abbiamo un accordo, Aki. -
- E come dimenticarselo? -
Aki si stiracchiò, allungando le braccia sopra la testa, per poi appoggiarsi al muro. Mello strinse in mano la carta ormai vuota del cioccolato.
- Non c'è nient'altro che devi dirmi? - domandò scocciato il biondo.
Aki scosse la testa. - Avevo solo voglia di vederti. - sussurrò, ghignando.
L'altro si limitò ad alzare gli occhi al cielo, guardandolo con disprezzo. - Allora, io me ne vado. -
- Sei buffo, Mello. -
- Perché sono buffo? - soffiò il biondo.
Aki ridacchiò, prima di andarsene per la sua strada, lasciandolo solo.
Mello sbuffò frustrato, lanciando la carta del cioccolato in un cestino e allontanandosi a grandi passi.
Che idiota.”

 

Il giorno dopo, le lezioni passarono velocemente. Jen non si era fatta vedere a scuola...
Arrivai a casa, e dopo un veloce pranzo andai a fare una passeggiata insieme al cane, riflettendo.
Mi mancava un sacco, Beyond. Nonostante solo il ricordo di lui insieme a Kendra mi facesse digrignare i denti e sperare di averla uccisa a calci, lentamente stavo accettando il fatto che... non ero arrabbiata con lui. Ce l'avevo a morte con lei, ma...
Non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, in effetti. Capivo le sue argomentazioni.
Pensierosa, presi il cellulare e composi il numero di Jen, continuando a camminare.

Jen era accucciata su una comoda poltrona blu, una coperta addosso e un libro in mano. Quanto il cellulare iniziò a squillare, sul tavolino di fianco a lei, tentò di ignorarlo.
Alla fine cedette alla tentazione di controllare chi la stesse cercando, ma si rifiutò di rispondere.

Niente, suonava libero. Chissà che cos'aveva...
Mi ritrovai a riflettere sul fatto che casa di Jen fosse appena a cinque minuti da dove mi trovavo. Era il caso di andare a farle visita? Magari le avrebbe dato fastidio dato fastidio. D'altro canto era sola in casa, se fosse stata male chi avrebbe potuto darle una mano?
Mi risolsi a mandarle un messaggio avvertendola del mio imminente arrivo. Se non mi avesse aperto, o se avessi notato che era a disagio, me ne sarei andata subito.

Il cellulare vibrò un'altra volta. Un messaggio.
La bionda sbuffò, insofferente. Probabilmente l'amica voleva sapere solo come stava. E cosa avrebbe dovuto risponderle?
Sì, aveva qualche linea di febbre in effetti, ma nulla di che. Generalmente questo non l'avrebbe certo portata a rimanere a casa da scuola.
Ma quando quella mattina si era svegliata... non ce l'aveva fatta ad alzarsi e prepararsi come ogni mattina. A parte la stanchezza derivata dal fatto di aver dormito appena tre ore, si sentiva debole. Era stupita, da ciò che provava. Generalmente, quegli attacchi di depressione notturni che sperimentava tanto spesso, erano spezzati dal sole. Invece, quel giorno, la tristezza non l'aveva abbandonata neanche quando aveva aperto gli occhi con la luce.
Non era riuscita ad andare a scuola.
La mattina l'aveva passata leggendo avvolta nei piumini, ma circa un'ora prima della chiamata di Alma si era decisa a vestirsi e a tentare di fare qualcosa. Fallita l'idea di studiare qualcosa, aveva ricominciato a leggere, rifugiandosi in quella comoda poltrona.
Sbuffando sbloccò il telefono e guardò il messaggio.
- Ciao Jen, come stai? Fra tipo cinque minuti passo da te, in caso avessi bisogno di qualcosa, tanto sono a due passi. Riprenditi e fammi sapere se ti disturbo, che in caso giro i tacchi! -
Forse vedere qualcuno non le avrebbe fatto male, pensò stringendosi nella coperta.

Quando arrivai sotto casa di Jen avevo un vassoio di pasticcini in mano, frutto della tentazione di un ottimo pasticciere li all'angolo, a cui non avevo saputo resistere. Magari le avrebbero fatto piacere.
Citofonai, ma dovetti aspettare un po' prima che la voce della bionda mi rispondesse, aprendomi poi il portone.
Salii le dieci rampe di scale a piedi, così, per masochismo, e arrivai al suo pianerottolo senza fiato.
La porta era socchiusa. Dopo essere entrata e averla richiusa alle mie spalle, mi guardai intorno spaesata.
La grande casa di Jen era sempre capace di confondermi. Decisi che probabilmente l'avrei trovata in sala, o in cucina, che tecnicamente erano a destra, così mi avviai esitante.
- Permesso? -
La testa bionda della mia amica si affacciò proprio dalla sala. - Vieni pure... -
Mi avvicinai preoccupata: a differenza del solito, Jen pareva essere stata investita da uno schiacciasassi, a giudicare dall'espressione.
Aveva raccolto i capelli in una treccia, che le si poggiava delicatamente sulla spalla sinistra, e si era infilata un enorme golf nero e un paio di jeans stracciati, per stare in casa. In quegli abiti pareva ancora più magra del solito.
- Ti ho portato dei pasticcini! - esclamai, entrando in sala.
- Ti ringrazio, non dovevi disturbarti. - rispose flebilmente lei, accennando una specie di sorriso.
- Ma tu come stai? -
Jen spostò il peso da una gamba all'altra, per poi andarsi ad accovacciare su una poltrona blu.
- Così così... accomodati pure, se vuoi. -
Mi andai a sedere sulla poltrona davanti alla sua, poggiando i pasticcini sul tavolino che ci separava.
- Hai la febbre o...? -
- Sì, febbre, mal di testa... non ho dormito abbastanza, credo. Probabilmente è solo stanchezza. -
- Sicura che sia tutto a posto? - indagai, aprendo l'involucro dei pasticcini. Notai che la bionda non pareva molto attratta dai bigné che le si erano scoperti davanti.
- Non ti preoccupare... tu come stai? - rispose, stringendosi le ginocchia al petto.
- Al solito, oggi non ti sei persa un granchè, a parte le solite duecento interrogazioni e gli scleri a filosofia. Ah, una cosa te la sei persa! A religione si è parlato di sesso prematrimoniale a quel che mi hanno detto gli altri. A saperlo avremmo dovuto assistere alla lezione e creare scompiglio, ma non importa. Sarà per la prossima volta. -
Jen si mordicchiò un labbro.
- Vuoi un pasticcino? - le domandai.
Lei esitò, prima di prendere con molta delicatezza un cannolino alla crema.
- Comunque, te li lascio qui eh... -
Lei annuì, senza neanche cominciare a mangiarlo.
- Senti, ma... sei sicura di star bene? Ti vedo un po'... -
- Stai tranquilla, mi riprenderò in fretta. - dichiarò lei, con decisione.
- D'accordo... c'è qualcosa che posso fare per te? -
Scosse la testa. - Scusa se sono di poca compagnia... - sospirò poi.
- Macché, stai male, pensa a riposarti piuttosto. Non riesci proprio a dormire? -
- No... -
- Sei vuoi resto con te stasera. -
- No, non ti preoccupare, rischierei solo di contagiarti. -
Rimasi in silenzio per un po', osservandola mangiare con estrema lentezza quel singolo pasticcino.
- Sei dimagrita parecchio nell'ultimo periodo... - mi sfuggì.
Lei mi lanciò un'occhiata gelida. - Senti, se avessi bisogno di una madre avrei a chi chiedere, ok? -
- Scusa, non volevo offenderti. -
Sospirò di nuovo. - Scusami tu, sono un'isterica... -
- Hey Jen, dai, non dire così! Sono io che sto sempre addosso alle persone! -
- No non sei tu... infatti... -
- Infatti cosa? -
- Beh, per esempio c'è chi non mi risponde neanche più ai messaggi. Odio quando le persone fanno così. Quando ti ignorano. Cioè, che cazzo, dimmi almeno che cosa ti ho fatto. - sbottò lei, con un'incoerenza invidiabile. Da dove lo tirava fuori quest'argomento?
- Ma a chi ti riferisci, scusa? -
- Jack... - rispose lei dopo un'esitazione, arrossendo.
Era a tutti ben chiaro che lei vedesse in quel ragazzo qualcosa di più che un amico. Ma io personalmente non avevo ancora capito cosa lui pensasse di Jen. Insomma, diciamocelo, per tutti i comuni mortali tranne poche eccezioni individuabili nella bionda e forse in Mattia, il nostro batterista era un enigma vivente, brusco, stronzo e decisamente molto introverso.
- Non ti risponde più? -
- Così, tutto ad un tratto... di solito ci scriviamo quasi sempre, chiacchieriamo molto. E, non so, ieri pomeriggio ha improvvisamente chiuso le comunicazioni. Senza dirmi perché. -
- Che strano... sicura che..? -
- Probabilmente gli sarò stata troppo addosso. O forse mi sono comportata in modo infantile, e lui si è reso conto che sono solo una sedicenne idiota e lui invece no. Non lo so... -
- Però non è normale, questa cosa. Insomma, Jack non si è mai fatto problemi a dire a nessuno cosa gli stesse sul cazzo. Anche a te qualche volta ha detto di finirla di fare alcune cose che lo infastidivano, se non sbaglio... -
- Certo. E io a volte ho detto a lui di smetterla di farne altre. Andiamo d'accordo anche per questo: nessuno dei due si offende per queste cazzate, e anzi, apprezziamo proprio il fatto di non avere troppi filtri in bocca. E poi all'improvviso, questo. Che cazzo dovrei pensare? -
- Non ne ho proprio idea.. - risposi, sentendomi uno schifo perché non avevo alcuna risposta da darle.
- Forse mi faccio troppi problemi... - sussurrò lei.
- Non so, anche a me questo comportamento sembra strano... l'ultima cosa che gli hai scritto? -
- Stavamo parlando di film, gli ho chiesto se gli era piaciuto Donnie Darko. E da lì silenzio assoluto. Stanotte gli ho chiesto che faceva, tentando di capire se mi stesse ignorando, se non avesse visto il mio messaggio o cos'altro. Nessuna risposta da allora. -
- E ieri era a studiare con Mattia, giusto? - domandai.
Lei annuì. - Beh, guarda, se mi vuole ignorare senza motivo, problemi suoi. Non ho la forza di stargli dietro se vuole fare così. - disse poi, a metà fra il triste e l'arrabbiato.
- Perchè non lo chiami? -
- Non mi risponderebbe, con ogni probabilità. -
Jen si strinse nella coperta che aveva addosso, sbuffando.
- Chiederò a Mattia se ha notato qualcosa di strano, ieri. Va bene? -
- Se vuoi... -
- Dai, ti vedo parecchio stanca, prova a metterti a letto. Ti va? -
- Per niente... so che non riuscirei a chiudere gli occhi... -
- Vuoi che ti suoni qualcosa? - chiesi.
Jen adorava sentire le persone suonare, in ogni occasione. In casa aveva parecchi strumenti che strimpellava a volte, ma le piaceva molto di più sentirli suonare. Ogni volta che andavo da lei mi domandava di suonare qualcosa sull'acustica.
Infatti rispose di sì.
Mi mandò a prendere la chitarra, che riuscii a trovare perdendomi solo una volta, e poi rimase in ascolto.
Dopo averla accordata, mi rivolsi di nuovo alla ragazza che avevo davanti. - Te la senti di canticchiare qualcosa? -
- Certo . Fai il bel canto dei Ministri.-
- D'accordo.-
Cominciai a suonare una delle sue canzoni preferite, accompagnando la sua voce in una cover.
https://www.youtube.com/watch?v=J3LZl6FBIV0

 

Quel pomeriggio stesso, Jack doveva uscire con la ragazza che l'aveva aggiunto su facebook. Non si era vestito o sistemato in modo diverso dal solito. Non avrebbe finto che gliene importasse più di troppo, sapeva perfettamente che quell'appuntamento era più che altro un tentativo di accettare o negare il fatto che gli piacesse una sedicenne.
Si trovarono davanti ad un caffè.
Lei era carina, nulla da dire. Capelli castano chiari, mossi, che aveva raccolto in uno chignon. Occhi fra il verde e l'azzurro, un bel fisico.
Le sorrise, salutandola. Dopo che si furono presentati i due si accomodarono nel caffè e ordinarono qualcosa.
Lei era evidentemente interessata. Non gli dava problemi ascoltarlo parlare di chimica, né di Dota ( il suo videogame preferito) né di qualunque altra cosa. E questo, Jack ormai l'aveva imparato, non voleva per forza dire che gliene importasse veramente qualcosa, di quello che le stava dicendo.
Dopo che ebbero bevuto il caffè andarono a fare due passi insieme.
Il batterista scoprì che non gli importava molto di lei, infatti non le aveva chiesto quasi nulla.
Quando finirono inevitabilmente seduti su una panchina, a poco dal baciarsi, lui si domandò se ne avesse poi davvero voglia.
La osservò. Sì era carina, ma...
Lei gli sorrise e si appoggiò a lui prendendogli una mano.
- A cosa stai pensando? - gli domandò.
Se fosse stato sincero, Jack avrebbe risposto che stava pensando al fatto che sì, evidentemente gli piaceva davvero Jen, se il fatto di avere una bella ragazza appoggiata addosso non gli provocava altro che un leggero fastidio. E che la cosa non gli faceva del tutto piacere: come avrebbe gestito una situazione così delicata?
- A niente.. - rispose invece.
E ora cosa doveva fare? Liberarsi di quella ragazza quasi sconosciuta? E come? D'altro canto non lo attraeva, niente da fare.
Quando lei gli si avvicinò e si arrotolò un riccio fra le dita, sorridendo scherzosamente, lui vide Jen che gli saltava addosso scompigliandogli i capelli. E quando lei si fece ancora più vicina e gli baciò delicatamente il collo, lui vide Jen che lo abbracciava dopo le prove.
- Va tutto bene? - gli chiese lei, resa incerta dal fatto che Jack non avesse avuto la benché minima reazione ai suoi gesti.
Il batterista si riscosse. Non aveva assolutamente idea di cosa fare.
Prima che potesse pensarci, però, la ragazza decise che non aveva più voglia di aspettare una risposta, e lo baciò, circondandolo in un abbraccio.
Era anche brava a baciare, a dirla tutta. Generalmente Jack sarebbe stato più che allegro all'idea che qualcuna gli si buttasse addosso così. Ma in verità non sentiva molto per lei.
Alla fine se ne separò, rassegnato.
- Senti, forse.. non.... -
Non era mai stato in una situazione simile, ecco cosa. Come si dice a una che ti ha appena baciato che non te ne frega niente di lei?
Probabilmente non c'era bisogno di dirlo.
La ragazza lo guardò delusa, senza capire bene.
- C'è qualcosa che non va? - domandò poi.
- Ecco... -
A Jack, quella specie di abbraccio cominciava a dare fastidio.
- Non.. ti piaccio? -
- Oh, tu sei carina non fraintendermi. È solo che... -
Finalmente lei si separò dal riccio, incrociando le braccia e guardandolo con una certa insicurezza.
- C'è un'altra? - gli domandò a bruciapelo.
- Come? -
- Sei fidanzato, vero? -
- No, non sono fidanzato. -
- Allora qual'è il problema? Non ti piaccio, dev'essere questo. Beh, potevi anche dirlo subito. - sbottò lei, piccata.
- Ma no, guarda che è un'altra cosa. - disse lui, senza sapere come prenderla.
- Cosa? -
- E' che.. c'è questa ragazza che io non credevo che mi piacesse così tanto, e invece... -
- Ah, ecco. E scusa, perché hai preso un appuntamento con me? - domandò lei.
- Non lo so... credo che... -
- Sei un altro idiota, lo sapevo. E mi sono anche ascoltata tutte le tue chiacchiere su quello stupido videogioco! - esclamò lei. Sembrava più divertita che arrabbiata però.
- Nessuno ti ha costretta a sentirle, mi pare. -
Lei rise. Poi lo guardò e scosse la testa rassegnata. - Beh, visto che siamo qua... hai bisogno di qualche consiglio, con questa ragazza? Perché fattelo dire, se tu non fossi carino, saresti un disastro completo. -
- Non è vero-
- Ah no? La tua idea di rimorchiare è per caso mantenere un completo distacco fisico e continuare a dire cose poco interessanti senza fare neanche una domanda all'altra persona? -
Jack sbuffò all'ironia di lei.
- Allora, com'è questa ragazza? -
- Troppo piccola. Ha sedici anni. -
- Non è poi così piccola, dai. - rifletté la ragazza, sorridendo. - Una sedicenne matura è già come una diciottenne, o anche di più. -
- Non lo so... io l'anno prossimo comincerò ad andare all'università, mentre lei sarà al liceo. È strano.-
- Secondo me dovresti almeno provarci. Ma tu le piaci? -
- Dicono di sì. Abbiamo un buon rapporto in effetti. -
- Fammi vedere. -
- Cosa? -
- Fammi vedere i vostri messaggi! - esclamò lei, ironica.
Lui la guardò malissimo.
- Che hai da perdere? Probabilmente non mi vedrai mai più e io sono una sconosciuta molto obbiettiva. Dovresti pregarmi in ginocchio di darmi una mano, altro che fare il difficile! Non so neanche io perché lo sto facendo. - ridacchiò lei.
Jack alzò rassegnato gli occhi al cielo, porgendole il cellulare. Dopotutto aveva ragione. Lui da solo non ce l'avrebbe mai fatta e quella ragazza sembrava sveglia.
- Perchè non le rispondi da ieri? Guarda che ti ha mandato due messaggi eh. -
- Perché ieri pomeriggio ho scoperto che io le piaccio. E... non lo so... -
- Hai paura? -
- Forse... -
- Di cosa? -
- Di... ferirla in qualche modo. Insomma, io non sono sicuro che stare insieme sarebbe la cosa migliore per lei, o per me. Quindi... -
- Ma se vi piacete a vicenda qual è il problema? La distanza di età non è poi così grande e da quello che leggo siete in ottima confidenza. C'è molta intimità fra di voi. Ti lasci prendere in giro in tutti i modi da lei, ma sembri il tipo a cui generalmente la cosa dà fastidio. E le scrivi un sacco. -
- Io non so come prenderla. -
- Cosa vuol dire che non sai come prenderla? -
- Che ha dei problemi. A parte l'insonnia, credo che abbia proprio dei problemi a rapportarsi con il cibo, e un po' di casini familiari. E io non saperei aiutarla. -
La ragazza scorse i messaggi in silenzio. Un sorriso le solcava il volto, man mano che leggeva.
- Io credo che tu la stia già aiutando. -
- Cosa? -
- Guarda qui. - gli indicò .
Era uno scambio di messaggi di qualche sera prima. Jen gli aveva scritto di annoiarsi, gli aveva chiesto cosa stava facendo e lui le aveva risposto che stava guardando un film. Dopo avergli chiesto quale, anche Jen l'aveva guardato e alla fine ne avevano discusso fino a tarda notte, quando lui aveva deciso di andare a dormire.
- Se tu non le avessi risposto e non le avessi consigliato quel film, se tu non ci fossi stato, lei avrebbe passato la notte in solitudine. -
- Beh, non credo di averla proprio aiutata. -
- Sei troppo insensibile. Se davvero è come l'hai descritta, anche le piccole cose le faranno molto piacere, ne sono certa. Non dovresti preoccuparti di non poterla aiutare. -
Jack riprese il telefono e sbuffò. - Mi dispiace per non essere stato di molta compagnia. -
- Figurati, mi ha fatto comunque piacere conoscerti. - sorrise lei.
- Grazie. -
- Ci risentiremo? - gli domandò.
- Ehm... ti interessa risentirmi? -
- Ho chiesto se interessa a te. - puntualizzò la ragazza.
- Beh, non lo so, quasi non ci conosciamo. -
- Sei veramente senza speranze, a livello umano. Sono stupita che tu abbia trovato una possibile relazione seria con una ragazza. - rise lei.
- Non sono così terribile!-
- Fidati, sei assolutamente terrificante! -
- E' vero che quasi non ci conosciamo. -
- Ma non è educato dirlo. -
- Tu mi hai esplicitamente chiesto la mia opinione. - si intestardì Jack.
- Lasciamo perdere... facciamo così: non ti chiederò di risentirci. Ma scrivimi solo com'è andata a finire con questa ragazza. Ci stai? -
- Perchè ti interessa? -
- Ormai la cosa mi ha incuriosito. E non posso credere che uno come te riuscirà a cavarsela in questa situazione. Il mio consiglio te l'ho dato, secondo me devi buttarti. Ma non essere così brusco con lei, mi raccomando. Sii gentile. Non dico di snaturare te stesso, ma sii gentile. -
- Quindi ti devo scrivere se...? -
- Certo! Lo pretendo! - scherzò la ragazza, tirando fuori dal nulla una penna e scrivendogli sulla mano un numero di telefono.
- Com'è che non ti sei scazzata per il fatto che sono uscito con te pur pensando a un'altra? -
Lei ci pensò un po' su. - In effetti è una cosa surreale. Ma mi fai tenerezza e mi sei simpatico. Quindi... -
-Beh... grazie. -
Jack usci da quell'appuntamento decisamente stranito.
Aveva ragione la ragazza. Era stato surreale. 


AMMETTETELO! Pensavate di nìpter semplicemente leggere sta cosa e andarvene in pace, eh? E INVECE NO. HHA!
No, dovevo dirvi un'altra cosa, ecco. C'è questa mia carissima amica che disegna molto bene e ha messo su carta anche alcuni dei miei personaggi ( e OMMIODDIO CHE COSA FIGA, I MIEI PERSONAGGI SONO STATI DISEGNATI, BASTA POSSO MORIRE FELICE, OK?). Le avevo chiesto se potevo pubblicare uno di questi disegni, che è troppo tenero e  bello e GUUUU, ma ovviamente non sono capace e non ci riesco. Sono una nabba. Eh già. 
Quindi, io ci riproverò! E spero che presto questo disegno possa comparire su questo sito, perchè merita! :D
Beh, buona serataaaaaaahhhh (anche se è mattina, sì. Sono una piccola ribelle u.u)

Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Make love not war ***


Ciao gente! Un po' in ritardo ecco un nuovo capitolo! Si parla di cose, se ne fanno altre. DAIDAIDAI che fra poco succedono casini! 
Fatemi sapere che ne pensate
!

Mina



Il giorno dopo, finite le lezioni, decisi che non avevo voglia di tornare a casa. Dopo aver salutato tutti, me ne andai così a fare due passi da sola, diretta al parco.
Avrei davvero voluto parlare con Beyond, ma non ero riuscita ad incontrarlo, a scuola. Nell'intervallo la sua classe era rimasta in aula a fare una versione, quindi non avevo potuto vederlo neanche per quei cinque minuti. Tra l'altro, lui usciva un'ora prima di me quel giorno.
Arrivata al parco girellai un po' per le varie stradine, per poi andare a sedermi sulla panchina dove io e Beyond eravamo soliti chiacchierare molto spesso insieme.
Era un bel posto, in cima a una piccola collina, dal quale si vedeva il parco stendersi davanti ai propri occhi, le spalle alla strada. Era abbastanza in profondità da non sentire il rumore del traffico, ma lontano da bambini chiassosi e altri fastidi.
Seduta su quella panchina tirai un profondo sospiro e incrociai le gambe, permettendomi il lusso di un paio di minuti di relax. Non volevo pensare a niente.
Mi misi le cuffie e alzai il massimo il volume della musica. Chiusi gli occhi.
Quando li riaprii, mi resi conto che Beyond era seduto di fianco a me. Ora, potete immaginarvi il salto di dieci metri che feci, correlato alle varie imprecazioni.
Lui rise sommessamente, scusandosi per avermi spaventata.
- Si può sapere che cazzo ci fai qui? - esclamai, ridendo.
- Sono venuto qua dopo scuola. Ti ho vista passare e mi sono permesso di raggiungerti. - rispose lui, ancora con un sorriso divertito sul volto.
- Oggi ti ho cercato all'intervallo, ma stavate facendo una versione. -
- Sì, latino. Era abbastanza complicata. -
- Ma zitto che tanto prendi sempre dieci, maledetto secchione! - protestai.
Lui ridacchiò, guardando un cane correre davanti a noi nell'erba.
-Kendra.. è ancora assente? -
Lui annuì. - L'hai ridotta proprio male, credo che per questa settimana non la vedremo, a scuola. -
-Capisco... -
Dentro di me, un piccolo diavolo faceva i salti di gioia.
- Cosa dovevi dirmi? - chiese poi.
- Io... non lo so in realtà. - lo guardai negli occhi esitando. - Mi manchi. -
- Anche tu mi manchi. - ammise lui, abbassando lo sguardo.
- Sai, ormai per me è naturale sentirti ogni giorno, chiamarti ogni volta che abbiamo tempo, parlarti... è come se mi rendessi conto solo ora di quanto queste cose mi siano diventate indispensabili. -
- Ti capisco.. -
- Hai sbagliato quella sera. - dichiarai.
- Sì, ho sbagliato. - ripeté.
- Però... non lo so, forse... -
- Cosa? -
- Forse ti perdono. - sussurrai, evitando il suo sguardo.
Per qualche secondo rimanemmo in silenzio, poi lui mi si avvicinò e diede un bacio a fior di labbra. Aveva paura che io lo respingessi.
- Grazie. - disse poi, distogliendo a sua volta lo sguardo da me.
Lo abbracciai forte. - Andiamo a fare due passi? -
- E andiamo! - esclamò, sorridendo.


 

Matt era seduto sul letto. Fissava lo schermo del nintendo su cui lampeggiava un eclatante game over senza vederlo realmente. Mello non era tornato da scuola. Ormai era nella norma che scomparisse per giornate e nottate intere. Tornava ad ore improbabili senza dire una parola, si gettava sul letto e il giorno dopo era sveglio già alle prime luci dell'alba, le occhiaie sempre più evidenti e l'umore sempre più nero.
Vedeva che si stava sforzando per ottenere qualcosa. Ma cosa?
Il rosso sospirò e si sdraiò sul letto, mettendo da parte la console. Chiuse gli occhi per un momento.
Come sarebbe potuta essere la sua vita, se lui non fosse stato orfano? Si poneva spesso quella domanda.
Si immaginò come un ragazzo felice, tanto per cominciare. Cresciuto in una buona atmosfera. Non si ricordava più il volto dei suoi genitori, ma sapeva che sua madre aveva i capelli rossi come suoi, lunghi e lisci. E si ricordava le grandi mani di suo padre. Sapeva che stavano pensando di avere un altro figlio, quindi immaginava di poter avere una sorellina, rossa e allegra come lui.
Nella sua mente azzardava gli scenari più caldi. Cleo era sempre presente, naturalmente. Non poteva immaginarsi una vita senza di lei.
Immaginava di crescere insieme a lei, di rafforzare il profondo legame che già avevano durante gli anni, di andare a vivere insieme. Si immaginava di vedere sua sorella crescere felice, di aiutarla e di volerle bene. Si immaginava di avere dei figli. Di non avere preoccupazioni.
Ma poi apriva gli occhi, sbuffava e andava a fumarsi una sigaretta, sempre intrappolato fra quelle squallide mura.
Solo.
Sapeva che tutti i suoi sogni erano al di là del possibile. Non si aspettava che diventassero realtà, neanche in minima parte. Osservando Mello, ascoltando le sue poche parole aveva già capito che presto sarebbe arrivato il momento di dire addio a tutto quello che conosceva.
Se davvero Mello fosse riuscito a farli evadere dalla sorveglianza del direttore di quel posto, non sarebbero stati al sicuro in quella città, né tantomeno nelle sue immediate vicinanze.
Tornare a trovare Cleo sarebbe stato imprudente e sciocco: l'avrebbero beccato subito e lei sarebbe passata attraverso grossi guai.
Aveva chiesto a Mello se il suo piano implicasse dei pericoli per le persone che stavano loro intorno, ma il biondo gli aveva detto di non rompere il cazzo e di mettersi l'anima in pace.
Non riusciva a smettere di pensare. Avrebbe tanto voluto assorbirsi in un qualsiasi videogioco per un pomeriggio, ma era tutto inutile.
Sapeva che stava per succedere qualcosa. Ma cosa? E quando?


 

- Pronto? -
- Puoi parlare liberamente? - domandò subito Mello.
- Sì. -
- Kendra come sta? -
- Non troppo bene. In dieci giorni si dovrebbe rimettere però. Credo. -
- Tienimi informato. -
- Tu invece? -
- Io sto facendo quello che devo fare, lo sai benissimo. -
- Meglio per te. Kendra è molto impulsiva, sai. -
- Aki.. lei sa del nostro accordo, vero? -
- Può darsi di sì, può darsi di no. -
- Bastardo. -
- Vuoi annullare tutto?-
- No. Figlio di puttana. -
- Fai il tuo dovere, piccolo Mello. Io farò il mio. -
- Vai a cagare, stronzo. -
- Anche tu sei molto impulsivo. Io sto solo difendendo i miei interessi. -
- Bel modo di farlo. -
- Arrivederci, Mello. -


 

Jen era rimasta a casa anche quel giorno. Si sentiva debole.
Non riusciva e non aveva voglia di mangiare molto, tuttavia. Aveva passato l'intera nottata a strimpellare la chitarra, ascoltare musica, guardare film e leggere. All'alba, seduta in cucina a fissare il vuoto, con un libro aperto davanti, aveva deciso che sarebbe rimasta a casa. La forza per vestirsi, sistemarsi e andare a scuola proprio non l'aveva. Né fisicamente, né mentalmente.
Aveva telefonato a suo padre. Non le aveva risposto. Le aveva mandato un messaggio che la informava che era molto occupato e che l'avrebbe richiamata verso la fine della settimana. Fantastico.
Stava tentando di resistere. Stava davvero tentando di resistere.
Quando Alma era venuta a trovarla il giorno prima, nei suoi occhi aveva letto la paura di vederla cedere.
Sembrava davvero sul punto di farlo, effettivamente. Sentiva un peso enorme e indefinito aggravarsi dentro di se. Ma stava resistendo, in qualche modo.
Non sapeva per quanto.
Jack continuava a essere svanito nel nulla. Il giorno dopo ci sarebbero state le prove della band, però, quindi l'avrebbe visto per forza. Non sapeva come comportarsi con lui, a questo punto.
Le cose erano due. O andava da lui a chiedergli chiaramente che cazzo gli era preso, o faceva finta di niente. E Jen sentiva che avrebbe fatto finta di niente. Aveva troppa paura di sentirsi dire che era lei a farsi troppi problemi e stargli addosso senza motivo. Dopotutto se lui non le rispondeva non si poteva certo farne un affare di Stato.
Però era strano, questo bisognava ammetterlo.
La ragazza giocherellò con una ciocca di capelli, camminando avanti e indietro per la cucina. Proprio nel momento in cui stava per decidere di chiedere ad Alma di passare da lei, se non altro per avere un po' di compagnia, il cellulare le vibrò.
Lo sbloccò velocemente e spalancò gli occhi nel vedere un messaggio del batterista. Beh, non era morto allora.

-Ho sentito che sei a casa. Tutto a posto?

Jen rispose quasi subito, rassegnandosi all'incomprensione dello strano comportamento del ragazzo. Si era davvero fatta problemi inutili? Ok, ma perché non le aveva risposto? Era strano per Jack.

-Febbre e stanchezza credo, grazie. Tu che hai fatto in questi giorni?

La bionda decise di preparasi una tisana alla lavanda. Riteneva che il suo messaggio fosse abbastanza pacifico, ma che comunque informasse il batterista che la sua sparizione era stata notata. E che non era stata molto gradita. Tuttavia, Jen non era riuscita a trattenere un piccolo sorriso al pensiero di Jack che si preoccupava per lei. Non era decisamente da lui. E poi da chi aveva saputo che lei stava male? Aveva chiesto a qualcuno? Strano.

-Mi dispiace. Hai bisogno di qualcosa?

Lesse poco dopo. Hey, non le aveva risposto! Tsk, maledetto batterista.

- Di cosa potrei aver bisogno?

- Compagnia? ;)

Jen quasi sussultò. Mentre toglieva l'acqua bollente dal fuoco, si chiese se a usare il telefono di Jack fosse qualcun altro. Quando mai lui era stato così affettuoso? Si sarebbe aspettata piuttosto un'ironica battuta sul fatto che lei fosse una mezza chiavica- cosa non del tutto falsa.
Compagnia? Cioè, le stava chiedendo se le avrebbe fatto piacere che lui venisse a trovarla? O cosa?

- Che hai da fare oggi pomeriggio?- Gli chiese dunque.

- Dovrei studiare, tecnicamente.

- Se vieni qui guarda che ti faccio studiare, eh

- Non ti temo!

- Dovresti, scemo :p

- Tsk, voglio proprio vedere come riusciresti a farmi studiare storia.

- Non sottovalutarmi.

- Sei tu che sottovaluti la mia voglia di studiare

- Vedremo, vedremo.

E così Jack le confermò che sarebbe passato a trovarla nel pomeriggio, dopo pranzo. Jen sorrise, scuotendo la testa. Continuava a non capire il perché della sua sparizione, ma che fosse ritornato così insolitamente dolce non le faceva altro che piacere.
Dopo aver concluso che la tisana proprio non le andava, la ragazza decise di farsi un bagno e mettersi qualcosa di diverso dal pigiama addosso.
Era proprio curiosa di sapere come mai Jack si era offerto di venire da lei, quando generalmente era già tanto stavano materialmente insieme e da soli una volta alla settimana, ritornando dalle prove.
Quel ragazzo non era proprio normale, eh...

Alcune ore dopo, verso le due del pomeriggio, qualcuno citofonò tre volte di seguito a casa di Jen. La ragazza andò ad aprire.
Si era cambiata, indossando un paio di jeans scuri e un po' strappati su un ginocchio a causa di una caduta e un caldo golf a righe bianche e nere e aveva raccolto i capelli in una treccia che le ricadeva morbidamente sulla spalla sinistra Dopo aver risentito Jack si era permessa il lusso di un lungo bagno rilassante. Non voleva sembrargli troppo messa male.
Quando se lo ritrovò davanti, con la solita aria svagata e sarcastica, Jen non poté fare a meno di sorridere.
Lo abbracciò, felice di vederlo. Jack ricambiò come al solito in modo molto impacciato, salutando.
Poi la ragazza gli fece togliere la giacca e gli offrì una cioccolata – ben consapevole che al batterista il caffè non piaceva – conducendolo in cucina.
Jack si trovò ad osservarla armeggiare ai fornelli, seduto al tavolo di cristallo. Si vedeva che non era in ottima forma, pensò preoccupato.
- Ma adesso come stai? - le chiese.
- Mah... la febbre è un po' scesa... probabilmente domani tornerò a scuola. - rispose la ragazza, mescolando la cioccolata in un pentolino. - Tu come stai? -
- Tutto a posto. - dichiarò il batterista. - Non ti annoi a casa da sola? -
- No, c'è sempre qualcosa da fare qui. Come avrai notato questa casa è enorme, a pulirla tutta non sai quanto ci si mette. Quando hai finito già devi ricominciare. -
In quel momento, il cellulare del riccio cominciò a suonare una canzone dei System, annunciando una chiamata in arrivo.
- Ti dispiace se rispondo? -
- Fai pure, tranquillo. Se vuoi puoi andare di là eh -
- Grazie. -
Jack si alzò e uscì dalla cucina, rispondendo.
- Pronto? -
- Hey, ho visto che mi hai chiamato prima, scusa se non ho risposto ma stavo mangiando con degli amici. Che dovevi dirmi? -
- Ehm... sono da Jen adesso. - disse il riccio, abbassando la voce.
- Ah. Ma quindi con la ragazza che ti aveva aggiunto? -
- Non andava. -
- Ma perché non ti piaceva o...? -
- No, era carina. Solo che... credo che mi piaccia davvero, Jen. -
- Beh, bene! Ma cosa ci fai a casa sua? -
- Non lo so neanche io, guarda. -
- Da quando agisci così d'impulso? -
- Senti, non mi rompere il cazzo. Prima volevo solo chiederti... non lo so, io non sono sicuro che sia la cosa giusta. -
- Cosa, Jack? -
- Insomma... da una parte lei mi piace molto, ma dall'altra... -
- Non mi dire che hai paura, ma dai! -
- Ma che cazzo ne so io! Scusa, se lo chiedo a te c'è un fottutissimo motivo, idiota. -
- Se vuoi la mia opinione voi due stareste molto bene insieme, non vedo perché di cosa dovresti avere paura. - rispose Mattia, ignorando l'acidità dell'amico alla quale ormai tutti erano abituati.
- Ma non ho paura. -
- Ah no? E allora che cazzo aspetti, scusa? -
- E' piccola! -
- E finiscila con sta cazzata che è piccola, se tu la considerassi immatura non ci parleresti direttamente, invece siete molto amici. -
- E poi... non lo so... lei ha bisogno di qualcuno che la aiuti e io non sono quella persona. -
- Ma mi vuoi fare bestemmiare o cosa? Jen non ha bisogno di un cazzo di nessuno, non è una principessa che aspetta il principe azzurro, cretino! Ma l'hai vista o no? È perfettamente in grado di combattere le sue battaglie da sola. Sei solo tu che ti fai sti cazzo di problemi. -
Jack si trattenne dal mandare il suo amico a fare qualcosa di poco conveniente.
- Quindi? -
- Quindi se davvero ti piace, beh, hai la tua occasione. Secondo me a lasciarla perdere faresti una cazzata, ma la scelta è tua. -
Il batterista sbuffò, riattaccando poco dopo. Sapeva che Mattia aveva ragione, non avrebbe dovuto farsi quei problemi.
- Jack, la cioccolata è pronta! - esclamò la bionda dall'altra stanza.
Il ragazzo si catapultò in cucina con gli occhi luminosi e un'espressione che disegnò un sorriso sul volto di lei. Quando si offriva qualcosa di gustoso a Jack era sempre esilarante osservare con quanta golosità e velocità mangiasse ciò che gli piaceva. Una volta Alma aveva portato dei dolcetti alle prove e lui li aveva praticamente finiti. Quando l'avevano notato l'espressione di colpevolezza sul suo volto, il batterista era scoppiato a ridere.
Questo fece ricordare alla bionda dei dolci che la chitarrista le aveva portato il giorno prima. Non ne aveva mangiato neanche uno.
- Senti, io ho dei pasticcini qui, li vuoi? - domandò quindi al ragazzo.
Jack smise per un attimo di soffiare sulla cioccolata per guardarla come se fosse una qualche luminosa divinità e sorridere.
- Sembri un bambino quando mangi, lo sai? - rise lei, andandoli a prendere.
- Mi piace mangiare cose buone, tutto qua. - puntualizzò lui.
- Tsk, e poi hai il coraggio di dire che il cibo è una perdita di tempo! -
- Ma è vero! Voglio dire, è bello mangiare ciò che è buono. Ma pensa a quanto tempo in più avremmo se non dovessimo nutrirci per forza! Potremmo mangiare semplicemente ciò che ci piace, quando ci va, eliminando colazione, pranzo e cena. Sarebbe bellissimo... -
- Bah, tu sei senza speranze – disse Jen, ponendogli davanti il vassoio di pasticcini.
Jack si illuminò.
- Adesso si commuove. - commentò lei rassegnata, sedendosi davanti a lui.
- PASTICCINIIII! - esclamò il riccio tutto contento.
Jen accavallò le gambe e lo osservò mangiare con un sorriso.
- Tu non ne mangi? -
- Non ho fame, grazie. -
- Sicura? -
Lei si limitò ad annuire. - Senti, ma dov'eri finito negli ultimi due giorni? - domandò poi.
Jack non rispose con la scusa di dover finire di masticare uno pasticcino al cioccolato evidentemente molto buono. Quando poi avrebbe dovuto darle una risposta, cambiò argomento.
- Sono davvero curioso di sapere come intendi farmi studiare storia. - ridacchiò.
- Scommetto che studierai... - dichiarò Jen misteriosamente, sorridendo.
Il mistero si chiarì non appena Jack ebbe finito di mangiare (arrivando per altro a dimezzare il contenuto del vassoio) e la bionda lo portò a vedere una particolare stanza di casa sua.
- Entra e guardati intorno. È stata appena sistemata definitivamente, è ancora da inaugurare.- gli disse spingendocelo dentro e rimanendo in attesa sulla soglia.
Jack si trovò davanti a una sala senza finestre la cui luce soffusa illuminava innanzitutto un enorme schermo bianco sul muro davanti a lui. Fra quello schermo e la porta stavano quattro file di sedili. Non erano le tipiche poltrone da cinema, si trattava di quelli che Jack avrebbe definito come lunghi divani all'apparenza decisamente comodi. Poi il batterista notò che, adiacenti alle pareti laterali, erano state sistemate delle alte librerie piene di dvd. Si avvicinò lentamente leggendo qualche titolo, senza dire una parola. Si guardò ancora intorno, Jen che lo osservava.
- Tu. - disse poi indicandola. - Ti odio tantissimo. -
- Studierai se poi ti darò il permesso di scegliere il film? -
Il riccio allargò le braccia. - Damn you! - esclamò poi sorridendo.
- Ti conosco troppo bene, tsk tsk. -
- Se, certo. -
- Beh, a meno che tu non abbia una doppia identità, naturalmente. - ridacchiò la bionda, precedendolo verso l'anticamera, dove il ragazzo aveva lasciato lo zaino.
- Potrei essere un supereroe! -
- Si certo, come no... -
- Chi ti dice che non lo sia? - rise Jack.
- Cosa fai, citi Donnie Darko adesso? Guarda che anche se tu fossi un supereroe dovresti studiare, quindi muoviti. -
Il batterista sbuffò rassegnato e la seguì nei meandri della casa con lo zaino su una spalla.
- Ma quante stanze ci sono in questa casa? -
- Tante. Dai vieni! -
Jack sbucò in una stanza con ampie porte finestre che davano su una terrazza. All'interno l'arredamento era caldo e accogliente. Un lungo tavolo di legno, alcune librerie lungo le pareti e qualche poltrona.
- Qui di solito ci studio, è molto tranquillo. Tu accomodati pure, arrivo subito! - disse Jen, sorridendo nel vedere il batterista spaesato.
-Maledetti ricchi... - sussurrò il riccio sedendosi al tavolo e avvertendo per messaggio che sarebbe arrivato a a casa tardi.


 

Mello aveva sentito il bisogno di rivedere Lucy. Se n'era fregato del resto ed era andato a trovarla senza preavviso. L'aveva portata fuori, senza spiegazioni.
Lei l'aveva portato fuori città, in un grande parco. Gli aveva detto che doveva staccare un po', e con ogni probabilità aveva ragione.
Lucy se ne stava appoggiata al tronco di un albero, Mello sdraiato con il capo sulle sue gambe e gli occhi chiusi, rivolti al cielo.
La ragazza lo guardò preoccupata. Lo vedeva sempre più stanco, sempre più squilibrato, sempre più pallido. Gli accarezzò i capelli delicatamente e lui aprì gli occhi, guardandola.
- Mello, sei sicuro di quello che stai facendo? -
Lui richiuse gli occhi e sospirò. - Dovrei risponderti di sì. -
- Dovresti potermi dire la verità. -
- Allora non lo so . - ammise il biondo.
- Adesso non pensarci più, d'accordo? -
Mello non rispose e lei continuò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi.
- Mi sembri molto stanco... -
- Passo la maggior parte della notte fuori... non dormo molto ultimamente. -
- Vorrei aiutarti... -
Il biondo si alzò a sedere di fianco a lei stiracchiando le braccia. - Scusami se ti sono piombato in casa così. -
- Figurati, non ti preoccupare. -
Lui la guardò. Sembrava che volesse dirle qualcosa, ma alla fine si limitò a baciarla silenziosamente.
- Qualcosa non va? -
- Mi manchi. -
- Siamo insieme, Mello. -
Lui abbassò lo sguardo e rimase in silenzio.
- Hey? Sicuro che vada tutto bene? Sei parecchio strano oggi... -
- Scusami. -
- Non ti devi scusare, ma... -
Mello sbuffò, tirando fuori una tavoletta di cioccolato fondente che addentò poco dopo.
- Ti ricordi di come eravamo prima? - domandò poi. - In realtà di tratta solo di qualche mese fa. Ma sembrano anni. -
- Sì, mi ricordo. -
- Era tutto più facile. Ridevamo di più. -
- Tu ridevi di più. - disse lei. - Ma non te ne faccio una colpa. -
Il biondo staccò un altro morto di cioccolata.
- Senti Mello... tu non mi hai mai detto... cosa ti è successo quando ti hanno messo in punizione? È da allora che tutto è cambiato e mi chiedevo... -
- Nulla che tu voglia sapere. -
- Te lo sto chiedendo. -
- Perché me lo chiedi? - replicò lui.
Lei sbuffò, scuotendo la testa rassegnata.
- Io non voglio rimanere in quell'orfanotrofio, Lucy. -
- Lo so. -
- E non ci rimarrò a lungo. Comunque vada... a un certo punto noi ci dovremo separare. -
Lucy aveva già sentito quelle cose e non rispose.
- A meno che... -
Fu quella frase lasciata a mezz'aria che le fece alzare lo sguardo. - A meno che cosa? -
- Potresti... venire con me. -


 

Le ore erano passate stranamente in fretta. Jack si era messo d'impegno per una volta, consapevole del fatto che prima avesse finito di studiare, prima avrebbe potuto guardarsi il suo film. La bionda aveva passato quelle ore a rimettersi in pari con greco e latino e, alla fine, a interrogare il riccio senza pietà. Quando la ragazza lo aveva ritenuto pronto, ormai si era nel tardo pomeriggio ed entrambi cominciavano ad avere fame.
- Senti Jack... - disse la bionda, chiudendo il libro di storia sotto il sollevato sguardo di lui.
- Cosa? -
- Si è fatto tardi, non trovi? -
- Hey, un film mi hai promesso e un film avrò! Non ho mai studiato così tanto storia in tutta la mia vita, Jen, me lo devi! -
- No, non intendevo privarti di questo premio, ovviamente. - rise lei. - Stavo solo pensando che se vuoi possiamo ordinare due pizze e puoi fermarti qui a mangiare. Tanto io ho sempre la casa vuota, quindi per me puoi stare quanto vuoi. -
- Aehm... ok, certo. -
Il riccio rimise i libri nello zaino con una spiacevole sensazione. Non sapeva neanche con precisione se era stato invitato a rimanere solo a cenare o se la ragazza alludesse a farlo restare anche a dormire. Cosa che lui avrebbe trovato difficile. Già passare un intero pomeriggio con lei, da soli, era stato complicato. Ogni volta che si scopriva distratto a guardarla – ed era accaduto fin troppo spesso – sentiva di dover sbattere la testa da qualche parte o di doversi tirare un ceffone.
Sapeva da Mattia che probabilmente la sua attrazione verso Jen era ricambiata, ma c'era qualcosa che gli faceva sembrare tutto questo sbagliato.
La conosceva bene.
Jen era una ragazza che gli aveva sempre trasmesso allegria. Era curiosa, stimolante, intelligente, molto acuta e con un ottimo senso dell'umorismo. Aveva molti interessi in comune con lui e tuttavia non si trovavano mai a corto di argomenti, avevano sempre qualcosa da condividere. Era anche matura, doveva ammetterlo. Non si era mai sentito limitato dal fatto che lei avesse solo sedici anni, nelle loro conversazioni. Anche se qualche volta doveva spiegarle qualcosa, lei gli stava dietro e a volte accadeva anche che fosse lui a doverle chiedere spiegazioni su qualcosa.
Eppure, nonostante insieme si fossero sempre trovati in sincronia, aveva paura di... rovinarla in qualche modo.
Di distruggere quanto ammirava in lei con la sua aggressività. Si conosceva abbastanza da sapere di essere difficile da frequentare, da un po' di tempo a quella parte.
Forse avrebbe dovuto lasciar perdere quelle pare mentali, fregarsene.
Ordinarono una pizza e aspettarono che venisse consegnata scegliendo il film da vedere.
Jack si aggirò fra i dvd esaminandoli con aria critica uno per uno, sotto lo sguardo di lei, appoggiata alla porta. Alla fine, ne estrasse uno, trionfale. Le si avvicinò e glielo porse.
- Non l'ho mai visto! - esclamò lei.
- E che ci fa in casa tua? -
- L'ho preso perché volevo vederlo, ma alla fine... -
Jen alzò lo sguardo e incontrò quello del riccio. Per un secondo fra i due ci fu uno strano silenzio.
Il batterista le scostò una ciocca di capelli dal viso, delicatamente, senza avvicinarsi troppo. Per un momento tutte le pare mentali che si faceva quando pensava a lei svanirono.
Ma in quel momento, il citofonò decise di togliere loro quarant'anni di vita, risuonando improvvisamente dall'anticamera.
Jen si riscosse e corse ad aprire con un sorriso di scuse, lasciando il riccio a domandarsi cosa sarebbe successo se quel citofono non avesse suonato.


Ah, ciao! Un'ultima cosa: sto ammalatissima e chiusa in casa con qualche malattia per ora non identificata, ergo è possibile che io riesca a scrivere di più e a pubblicare un nuovo capitolo presto! :D Arrivederci!
Mina

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Keep calm ***


Hey gente! Come ve la passate? Bene? Male? Carciofo? Ne sono felice!
Spero che questo capitolo vi possa piacere, fatemi sapere che ne pensate! E come al solito ricordatevi di respirare ogni tanto, sennò poi sono problemi! 
Baciiiiiiiiiiiiiiiiii

Mina


Matt fissava Mello con gli occhi spalancati, senza sapere cosa dire.
Il biondo era rientrato verso le cinque del pomeriggio, quel giorno. Come al solito aveva sbattuto giacca e zaino in un angolo della camera, si era fatto una doccia e si era rimesso la giacca, pronto a uscire di nuovo per tornare probabilmente alle prime luci dell'alba o poco prima.
Il rosso l'aveva osservato nervosamente, tentando di giocare a MarioKart senza riuscirci. Alla fine aveva ceduto al desiderio di chiedergli dove stesse andando. “Non ti deve interessare” era stata la risposta di lui. Ma Matt si era stufato di rimanersene con le mani in mano in attesa che accadesse qualcosa. Così si era alzato, aveva infilato la giacca e aveva seguito il biondo fuori dalla porta.
Mello non aveva obbiettato. L'aveva condotto fino al vicolo sperduto a dieci minuti da lì, si era fermato, si era seduto sulla solita panchina e gli aveva detto senza mezzi termini che cosa sarebbe successi di lì a dieci giorni.
Così, senza tanti complimenti.
Probabilmente aveva capito che Matt era sull'orlo di una crisi di nervi.
- Questo sarebbe il tuo piano? È in questo che io ti dovrei aiutare? -
Mello annuì.
- Ma.. sei fuori di testa? Hai coinvolto loro due? -
- E' nell'interesse di entrambi. Con il direttore morto la metà dei nostri problemi sarà risolta. -
- Parli sul serio? -
- Sei spaventato? Lo so che non è roba per te, questa. Infatti non volevo che tu sapessi. - disse Mello.
Matt prese un profondo respiro, accendendosi subito una sigaretta e sedendosi anche lui sulla panchina, di fianco all'amico.
- Da quando in qua tu parli di.. uccidere.. - provò a dire.
- Matt, io faccio sul serio. Non sono più un ragazzino spaventato. È quello che si merita. -
Il rosso aveva dei seri dubbi su quello che aveva appena sentito.
- Come puoi affidarti a quei due? Loro sono pedine del direttore, da sempre. -
- Lo odiano quanto noi. -
Che Kendra e Aki fossero dell'orfanotrofio, Mello e Matt lo sapevano perfettamente. Loro due, l'uno per le doti informatiche, l'altro per il sangue freddo, erano serviti al direttore un paio di volte. Avevano fatto parte anche loro di quegli orfani che venivano usati per fini che non c'entravano niente con l'orfanotrofio, ma che c'entravano con gli interessi del loro direttore, una figura rinomata in ambienti non proprio legali per una serie di motivi e che aveva spesso bisogno di essere tirata fuori dai guai.
Non avevano potuto dire a nessuno della vera natura di Aki e Kendra sotto le minacce dello stesso direttore.
- Una volta ucciso il direttore, quei due avranno il potere di fare qualunque cosa all'interno dell'orfanotrofio. Come puoi sapere che non ti tradiranno? Potrebbero anche farci fuori, già che ci sono. Lo hai considerato, questo, nel tuo piano geniale? -
- Se ho stretto un accordo con loro è evidente che i vantaggi non li riceveremo solo io e te, idiota. Secondo te che cazzo faccio tutta la notte? -
Matt non ne aveva idea.
- Lascia stare, ti ho già detto troppo. Tu mi hai detto che vuoi aiutarmi. È ancora valida la tua offerta? -
- Certo. - affermò cupamente il rosso.
- Bene. Verrà un momento in cui ti dovrò chiedere di aiutarmi. Sarà fondamentale che tu faccia esattamente quello che ti dirò di fare. Chiaro? -
- Chiaro. -
Mello lo osservò espirare una nuvola di fumo con gli occhi gelidi. Gli diede una veloce pacca sulla spalla, in silenzio. E se ne andò per la sua strada, lasciando Matt da solo.

Dopo che Jack ebbe finito il suo trancio di pizza nell'arco di tre minuti e che Jen ebbe sbocconcellato il suo per poi metterlo da parte, l'attenzione dei due fu solo per il film che scorreva davanti ai loro occhi.
Lei si scoprì a lanciargli qualche occhiata veloce. Le piaceva sempre osservarlo mentre si concentrava su qualcosa.
Il film che stavano guardando, Watchmen, era il preferito del batterista. L'avrebbe visto venti volte consecutive senza stancarsene, anche se ormai lo sapeva a memoria. Stava piacendo anche a Jen.
La ragazza si strinse nel suo golf. Aveva freddo, ma non le andava di fermare il film solo per questo. Jack notò che la bionda stava rabbrividendo, accoccolata sul divano, e fece per togliersi la felpa.
- Ma no, poi hai freddo tu! - protestò lei sorridendo.
- Dai, sei tu che stai male. -replicò lui, un occhio a lei e uno al film.
- Ti preoccupi per me? - domandò Jen sarcastica.
Lui sbuffò con un mezzo sorriso, lanciandole uno sguardo ironico.
- Va bene.. - disse Jen alzando gli occhi al cielo. Ma prima che lui potesse effettivamente togliersi la felpa, la ragazza si appoggiò a lui in un mezzo abbraccio. - Così stiamo al caldo entrambi, no? - sussurrò, riportando la sua attenzione al film.
Jack sorrise, circondandola con un braccio per scaldarla. Ormai era preparato all'abitudine di Jen di sederglisi in braccio dopo le prove, quando si fermavano tutti insieme a chiacchierare per una quindicina di minuti. Che lei si appoggiasse a lui alla fine era anche meno intimo. E poi come sempre, il fatto che lei fosse così minuta gli trasmetteva un'insolita tenerezza che gli faceva piacere.
Rimasero uniti per tutta la durata del film. Quando partirono i titoli di coda, Jen era decisamente esaltata. Fece un sacco di domande al batterista, chiedendosi come mai non aveva visto prima quel film.
Quando poi la ragazza si accorse dell'ora, domandò al riccio se volesse fermarsi a dormire, sapendo che abitava abbastanza lontano da lei.
Jack ci pensò per un momento. Non era del tutto certo di quello che stava facendo, ma alla fine decise di fregarsene di tutto e restare. I suoi genitori erano molto permissivi e ormai rassegnati all'idea di avere un figlio indipendente, quindi non gli dissero nulla.
- Però non ho niente, Jen. -
- Tranquillo, questa casa è attrezzata a qualunque evenienza! Nella stanza degli ospiti c'è tutto quello che potrebbe servirti, vieni! - esclamò lei, scortandolo attraverso la casa.
Subito dopo, Jack chiese dove fosse il bagno e vi si ritirò. Chiamò subito Mattia, improvvisamente assalito dai dubbi.
- Ancora tu? Com'è andata con Jen? - chiese subito il bassista.
- Matt.. mi ha invitato a dormire da lei. -
- E tu? -
- Che dovevo fare, le ho detto di sì. -
- Cosa? Davvero? Cioè, dormite insieme? Da soli? Non stai correndo troppo? -
- Ma porca puttana, Matt, non intendevo mica... ma tu pensi solo a quello? -
- Beh, scusa, ma la prima cosa che mi viene in mente pensando a te e una ragazza a dormire insieme in una casa vuota non è una cintura di castità, ecco.-
Jack sbuffò. - Pensi che lei... cioè, credi che... si aspetti che io... -
- Cosa? -
- Non lo so, si aspetta che io faccia qualcosa? -
- Ma perché dovrei saperlo io? - domandò Matt, non si capì bene se al riccio o a sé stesso, al limite della disperazione.
Jack rimase in silenzio, appoggiandosi al piano del lavandino e tentando di riflettere.
- Ma vi siete baciati? - domandò Matt a bruciapelo.
- No. -
- Ti ha detto dove ti fa dormire? -
- Neanche. -
- Beh, mettiamola così. Se ti fa dormire vicino a lei, forse in qualcosa ci spera, non trovi? Ma davvero, non correre troppo. Ma tu che vuoi fare? -
- Non vorrei fare cazzate. Boh, adesso vedo come va.. -
- Dai, non farla aspettare Jack. Fammi sapere eh! -
- Sì. -
Il batterista si infilò velocemente un pigiama scuro che le aveva procurato la ragazza.
Poco dopo aprì il getto dell'acqua e si sciacquò il viso. Quando alzò lo sguardo, il suo riflesso nello specchio lo guardò con aria di rimprovero. Il ragazzo chiuse gli occhi e si immaginò il volto di Jen. La carnagione così chiara, gli occhi di quell'azzurro cristallino, enormi. E i capelli scintillanti che le correvano dietro. Quando riaprì gli occhi scoprì che stava sorridendo.
Per la prima volta realizzò veramente che Jen lo ricambiava. Che a quella ragazza con cui adorava passare ogni minuto del suo tempo voleva proprio lui. Fra tutti i ragazzi che aveva mai incontrato, lui.
Perché avrebbe dovuto preoccuparsi?
Tranquillizzato, percorse il corridoio. Jen gli aveva detto di raggiungerla in camera sua, quindi si operò a trovarla. Dopo aver aperto un paio di stanze che non avrebbe dovuto aprire, si ritrovò davanti a una una porta celeste. Senza pensarci oltre la spalancò, ma desiderò subito non averlo fatto.
Jen si stava cambiando evidentemente, e si era appena tolta la maglietta. Fortunatamente per il resto era vestita, ma il batterista sentiva di aver violato i suoi spazi senza volerlo.
Per un istante lo colpì la magrezza di lei. Le poteva contare le ossa sotto la pelle bianca, era davvero troppo. Ma subito dopo distolse lo sguardo e si scusò il più in fretta possibile, arrossendo come un fiammifero e richiudendo la porta.
Appoggiato al muro, maledicendosi per la sua abissale idiozia, il ragazzo si scoprì molto preoccupato. Non poteva accettare l'idea che una persona solare come Jen odiasse tanto la sua vita da farsi del male. Doveva parlarle. E anche in fretta.


 

Aki si sedette di fianco al letto dove riposava Kendra. La ragazza riusciva a conservare la sua bellezza anche in quel momento. La carnagione eterea in contrasto con i capelli corvini, sparsi sul cuscino, i lineamenti rilassati e perfetti come sempre. Il ragazzo la osservava attentamente, impassibile.
Rimase lì fino a quando lei non aprì gli occhi, un'ora dopo. La ragazza si stiracchiò lentamente, nell'atmosfera sospesa della stanza.
- Come ti senti oggi? - le domandò il giapponese freddamente.
- Arrabbiata. - rispose lei senza prendersi il disturbo di dare colore alla voce.
Si passò una mano fra i capelli corvini, tirandosi a sedere.
- Il direttore mi ha detto che ci vuole parlare, quando ti sarai rimessa. - la informò tranquillamente lui.
A quelle parole, sul volto della ragazza di delineò un sorriso malato. - Ottimo. -
- Sai meglio di me ciò che ci dirà. -
- Non ci meritiamo la libertà che ci aveva promesso. Non abbiamo fatto un buon lavoro. -
- Esattamente. - confermò Aki. La mano di lui andò ad accarezzare il volto di Kendra con delicatezza. - Ci dirà che dobbiamo rimanere chiusi qua dentro ancora per un po'. Che dobbiamo continuare ad obbedirgli. A farci usare. - disse gelido.
- Che rimarremo seppelliti fra queste mura per sempre. - continuò Kendra.
- Oppure possiamo precederlo. - disse Aki. - Possiamo ucciderlo e scappare. Io ho un piano per farlo, se tu ci stai. -
- Ne abbiamo già parlato altre volte. Ma sinceramente non credevo che tu avessi il coraggio di farlo davvero. - si stupì la ragazza, incrociando le gambe.
- Tu ci stai? -
- Sì. -
Aki si permise un impercettibile sorriso, avvicinandosi al volto di lei. Kendra ricambiò il suo bacio, ma si staccò dopo poco.
- C'è una una condizione, però. Prima di andarcene voglio che la ragazza di Beyond abbia quello che merita. -
- No. -
- No? - chiese minacciosamente.
- Lei la lasciamo fuori, sarebbe troppo complicato. Se vuoi... puoi prenderti Beyond. - disse Aki.
La ragazza soppesò l'offerta. - Prenderlo? -
- Puoi farci quello che vuoi, prima di andare. -
Kendra tirò a sé il ragazzo, rispondendogli con un bacio più che eloquente.

 

Jen arrossì, sbuffando. Sempre a lei dovevano accadere quelle cose? Osservò il proprio corpo nello specchio a parete davanti a sé. Non era poi così magra, dai, magari non si notava. Sbuffò di nuovo, infilandosi velocemente una maglietta nera a maniche corte che le stava un po' larga e un paio di pantaloni a righe bianche e nere.
Aveva avuto una strana sensazione quel pomeriggio, mentre stava con Jack. Come se lui...
Non voleva illudersi, sapeva che le avrebbe solo fatto del male credere di poter essere per lui qualcosa più di un'amica. Tuttavia il suo atteggiamento l'aveva insospettita. Non che fosse radicalmente cambiato, si erano presi a scherzosi insulti per tutto il pomeriggio mentre lo interrogava in storia, ma era come se avesse più cura di lei. Forse era solo una sensazione, ma qualcosa le impediva di smettere di sperare.
Poi uscì subito dalla stanza e trovò Jack appoggiato al muro che la aspettava.
- Scusami, avrei dovuto bussare. - disse lui.
- Non ti preoccupare! Volevo farti vedere una cosa prima di dormire, vieni. - rispose lei con un sorriso, prendendolo per una mano e trascinandoselo dietro per la casa enorme.
- Io non so come fai a non perderti. -
- Ci fai l'abitudine! - rise Jen.
- Ma è davvero enorme questa casa, chissà quanta gente ci starebbe. -
- Sì, è uno spreco che ci viva solo io, lo so. - rispose lei, con una nota di freddezza, stemperata poi da un'altra risata. - Io casa tua non l'ho ancora vista però! -
- Meno male, è un casino. -
- Ma dai, non ci credo! -
- So che è difficile credere che io abbia un difetto, ma in realtà l'ordine non è proprio parte di me. -
- Ma se ho visto i tuoi appunti di chimica e sono maniacalmente precisi! -
- Precisione non significa ordine. - puntualizzò lui sorridendo.
- Vogliamo parlare allora della tua libreria ordinata per altezza, casa editrice, colore e autore? - ridacchiò lei.
- L'ho ordinata così, ma dopo due giorni la cosa è degenerata. -
- E va bene, ti credo. Siamo arrivati! - annunciò lei fermandosi.
Jack si guardò intorno. Si trovavano nella stanza dove Jen teneva gli strumenti. Su una parete ammiccavano alcune chitarre elettriche e un paio di bassi a cinque corde. Le quattro chitarre acustiche erano sui poggiachitarra alla sua destra, un pianoforte verticale era invece appoggiato al muro alla sua sinistra, insieme ad una pianola. C'era anche una batteria a dieci pezzi, e naturalmente alcune aste da microfono, gli astucci dei microfoni che Jen possedeva e un impianto voce. Jack notò anche le custodie di un violino e di un violoncello.
La cosa più suggestiva che osservò, però, fu il soffitto. Scoprì che Jen non aveva acceso la luce perché il soffitto era una vetrata unica e tanto pulita da risultare quasi impercettibile.
- Basta, voglio diventare ricco. - sussurrò, osservando la luna quasi piena sopra di loro.
Jen sorrise, felice di averlo stupito, e si avvicinò alla batteria.
- Mio padre sa che mi piace la musica, quindi ogni volta che gli urlo contro compra qualche strumento. Secondo me, come il resto della casa, sono per la maggior parte sprecati con me. Voglio dire, io so strimpellare la chitarra e il basso, ma tutto il resto... sta qui a prendere polvere in silenzio. Uno strumento dev'essere suonato.-
- Non suonerò la batteria di notte, i vicini mi squarterebbero. - la informò Jack, continuando a guardarsi attorno.
- Dai, vieni qui. - lo invitò la bionda.
Il riccio sospirò e si andò a sedere davanti alla batteria, studiandola. - Non è male... - commentò.
-Insegnami i nomi dei pezzi. - disse lei in quello che era quasi un mormorio.
Jack non seppe mai da dove trovò il coraggio di prenderle una mano e farsela sedere sulle gambe con quella naturalezza. Poi le mise in mano le bacchette e rise.
- Ma te li dimenticherai fra due minuti! -
- Me li ripeterai! - si impuntò lei.
Il batterista sospirò rassegnato e le prese i polsi.
- Questi due si chiamano tom. - cominciò, guidandole le mani e colpendoli per farle sentire il loro suono. - Poi c'è il charleston, questo qui a sinistra, i timpani e il rullante. La cassa la suoni con il doppio pedale. Questi due piatti si chiamano crash, mentre questo è il ride. - continuò, associando ad ogni nome un colpo non troppo forte. - Prova a ripeterli. -
Jen riuscì a dirli tutti giusti al secondo tentativo, cosa che la rese tutta contenta.
- Grazie! - esclamò. - Suoni qualcosa? -
- Così i tuoi vicini mi lapidano-
- Non si sono mai lamentati. - rispose lei ironicamente.
Jack sospirò rassegnato. - Hai intenzione di alzarti? -
- No! Suona con le mie mani, è divertente. -
Jack le prese di nuovo le mani e corresse delicatamente la sua presa, prima di accontentarla. La bionda sentiva qualche brivido attraversarle il corpo. Le braccia del riccio la circondavano e le sue mani la sostenevano e guidavano in un ritmo molto semplice. Cominciò davvero a pensare di avere qualche possibilità, con lui.
- Jen... - disse lui, smettendo di suonare.
- Cosa? - gli domandò, voltandosi a guardarlo.
- Senti, prima non ho potuto non notare che... tu sei troppo magra Jen, dovresti... mangiare di più. - rispose Jack evitando di guardarla negli occhi e sperando che lei non lo sbattesse fuori di casa.
- Lo so... - sussurrò invece lei.
- Perché lo fai? - domandò il riccio, continuando a evitare di guardarla.
Jen invece lo osservava attentamente, imprimendo nella sua memoria tutti i piccoli dettagli del suo viso illuminati dalla luna e dalle stelle.
- Io... è difficile da spiegare. Sono sempre da sola in questa casa e.. a volte tutto questo è davvero troppo per me. Scusami... - mormorò alla fine, distogliendo lo sguardo da Jack.
Il ragazzo tentò di sorridere. - Non ti devi scusare di niente. Solo... se hai bisogno di una mano a volte, chiedi. Non devi fare tutto da sola. -
Lei annuì, a disagio, voltandosi di nuovo verso la batteria. Quando Jack la abbracciò impacciato da dietro, sussultò. Non era mai successo che fosse lui di sua iniziativa a cercare un contatto con la ragazza – o in generale con qualunque altro essere umano.
- Grazie. - gli disse.
Poi si alzò e si girò verso di lui. Jack la guardava senza sapere cosa aspettarsi, ma si alzò anche lui, ritrovandosi a pochi centimetri dalla bionda.
Lei lo guardò per qualche secondo, come se volesse dirgli qualcosa. Si avvicinò ancora al suo viso, intrecciando le sue mani con quelle del batterista. Ma all'improvviso ebbe paura, parve ricordarsi qualcosa e in un attimo si era allontanata. Jack notò che la ragazza stava arrossendo.
In quel momento Jen si stava maledicendo in cento lingue. Sapeva che lui non l'avrebbe mai voluta, che doveva stare lontana. Eppure per un momento non era riuscita a trattenersi.
Gli lanciò un'occhiata veloce. Lui la stava guardando, gli occhi scuri pieni di dubbi. La luce della luna disegnava qualche gioco di ombre sui suoi lineamenti.
- Dai andiamo. - disse Jen in quello che era poco più di un sussurro.
Ma non fece che due passi verso la porta prima che lui la fermasse per un polso. La presa di Jack era salda, e in un attimo, la bionda si ritrovò di nuovo fra le sue braccia, troppo vicina al suo volto.
E in un altro attimo, con un movimento deciso, Jack eliminò anche quella distanza.

 

Ero rimasta con Beyond per tutto il pomeriggio. Avevamo passato le ore semplicemente chiacchierando, ma non ricordavo di aver mai riso tanto come quel pomeriggio. Nonostante ci fosse ancora un po' di distanza, era evidente che la cosa si sarebbe risolta. E per un pomeriggio riuscii a non farlo pensare né ad Aki né a Kendra.
Ero quindi di ottimo umore mentre mi incamminavo verso casa, attorno alle sei e mezzo, le mani in tasta e la testa altrove. Il cielo si stava oscurando in fretta, quella sera. C'era quell'aria fresca che adoravo, notai con un mezzo sorriso stringendomi nella giacca.
Continuai a pensare a Beyond e a tutte le idiozie che avevamo detto quel pomeriggio, tanto che rischiai di andare contro un palo. La cosa, che generalmente mi avrebbe irritato, quella volta mi fece quasi scoppiare a ridere.
In quelle condizioni mentali, le cuffie nelle orecchie a massimo volume e la lucidità di un cucciolo di anatra, mi accorsi che un cane mi era saltato addosso solo quando finii quasi per terra.
- Cosa...? Holden!- esclamai riconoscendo il cane di Cleo.
La padrona, scuotendo il capo rassegnata alla vista di Holden che mi faceva le feste, si avvicinò giocherellando con il guinzaglio.
- Possibile che ti devo vedere pure fuori da scuola? Cioè, non basta doverti sopportare cinque ore al giorno? - mi domandò.
- Tsk! - mi limitai a rispondere sorridendo.
- Che ci fai qui? -
- Torno a casa !-
- Ma oggi non avevi teatro fino alle sette? -
- Eh, balzato. -
- E perché? - si incuriosì lei, cominciando a intuire come mai ero così allegra.
- Eh... -
- Hai parlato con Beyond per caso? - domandò con aria saputa la ragazza.
- Può darsi... -
- Dai, andiamo a bere una cioccolata e mi racconti! - impose quindi, recuperando Holden.
Pochi minuti dopo, sedute all'esterno di una caffetteria con gli occhi di Holden che ci pregavano di condividere con lui i tre biscotti che ci eravamo permesse, cominciai a raccontare a Cleo che cos'era successo quel pomeriggio.
Ero così felice di essermi riappacificata con lui che notai solo dopo un po' quanto la mia amica sembrasse stanca. C'era qualcosa che la preoccupava evidentemente, ma non capivo cosa.
Così, quando finimmo di parlare di Beyond, le domandai a bruciapelo se ci fosse qualche problema.
- Eh? No, non.. in che senso? -
- Ti vedo stanca, tutto a posto? -
Lei sbuffò, girando il cucchiaino nella cioccolata. - E' solo che sono un po' preoccupata per Matt. In questo periodo è molto... preso. -
- Ah, mi spiace. C'entra con... Mello? -
- E cosa sei, un'indovina? -
- In realtà ho sparato a caso. -
Cleo scoppiò a ridere. - Certo, credibilissima! -
- Io so. Tzé. -
- Tiratela un po' di più già che ci sei! -
- Nah, basta così, non ne ho bisogno, so di essere fantastica. - risi io.
Lei fece per lanciarmi il cucchiaino. - Comunque sì, lo vedo un po' preoccupato e mi contagia. -
Presi tempo sorseggiando la mia cioccolata. Probabilmente lei sapeva che Matt viveva in un orfanotrofio, ma fino a dove potevamo parlarne?
- Senti... Beyond a te a detto niente? - domandò alla fine lei.
Quindi sapeva che anche Beyond stava in quell'orfanotrofio. Questo era già un dato in più.
- Anche lui è un po' preoccupato in effetti, ma non so se le due cose si possano collegare. - risposi.
Beyond si preoccupava di Aki e Kendra infatti, ma non vedevo come quei due avrebbero potuto essere un problema per Matt o per Mello.
- Io so che... insomma, mi ha detto che sta per succedere qualcosa, che potrebbe dover addirittura andare via... non lo so, ho paura di perderlo. -
- Ti capisco... anche io sono ' preoccupata. Non so cosa pensare... -
- Continuo a chiedermi cosa farei se lui se ne andasse. -
- Anche io... -
- Tu andresti via con lui? - domandò Cleo.
- Forse sì. Non lo so... tu? -
Cleo prese un respiro profondo. - Non credo che potrei. Insomma, con il liceo, la mia famiglia e tutto, come potrei andarmene via così? -
- Già... -
- E poi non è detto che non ci si possa tenere comunque in contatto in qualche modo. - sostenne lei.
Mi sfuggì un sospiro.
- Comunque tanto vale non pensarci. Dai, non volevo deprimerti! - esclamò.
- E' difficile non pensare. -
- Pensa semplicemente ad altro. Per esempio, domani ti interroga in letteratura di inglese e oggi pomeriggio non hai aperto libro. - disse lei serafica.
- MA PORCA PUTTANA! -
- Ecco appunto. -
- Oddio, come ho potuto dimenticarmelo? Sono morta, sono semplicemente morta, e adesso che faccio?! -
- Dai, stai calma! Corri a casa e studia, hai ancora tempo!- rise lei.
- E tu non ridere! Che il karma ti punisca! - esclamai.
Quando giunsi a casa stavo per esplodere. Una parte di me era ancora allegra per il piacevole pomeriggio, una parte era preoccupata e l'altra era isterica.
- Non ce la farò mai... - sussurrai, aprendo il libro di inglese e cominciando un ripasso disperato.
Fu qualche ora dopo che, nel mezzo di un momento di concentrazione assoluta, la suoneria del mio telefono partì a tutto volume, strappandomi un'imprecazione molto colorita.
- Ma chi cavolo è ? -
Dall'altra parte sentii una risata.
- Mattia, cosa vuoi? - domandai bruscamente, sebbene stessi sorridendo.
- Ti disturbo eh? -
- Stavo solo tentando di studiare, ma no, prego, dimmi pure. - risposi io sarcasticamente.
- Dai, se vuoi ti richiamo dopo! -
- Massì, tanto ormai mi hai interrotta.- mi rassegnai io, alzandomi e sgranchendomi le gambe.
- Ecco, mi ha appena chiamato Jack. -
- Ehm... si? - feci io senza capire perché la cosa dovesse interessarmi così tanto, camminando avanti e indietro lentamente per la stanza.
- E' andato da Jen oggi pomeriggio. - disse lui con naturalezza.
- COSA? E me lo dici così? Davvero? Ma come? Perché? Quando? Cosa? Cioè... non è da lui! -
- Sì, allora, conta fino a dieci e prendi dei profooondi respiri. Sei seduta? -
- No. -
- Siediti. -
- Ok. - dissi io, rimanendo in piedi.
- No, no, dico davvero. - insistette lui.
- Sì ok, mi sono seduta, si può sapere che cazzo è successo? - chiesi io al limite dell'isteria, lasciandomi cadere su una poltrona.
- Fammi finire di parlare prima di dire qualunque cosa. -
- Eh, se parli... -
- Un paio di giorni fa gli ho detto che Jen gli va dietro come se non ci fosse domani, lui è andato in crisi, ha provato ad uscire con una perché non era sicuro dei suoi feelings per Jen, si è reso conto che anche lui le va dietro come se non ci fosse domani e oggi è andato a trovarla con la scusa che lei è assente da scuola da due giorni. E mi ha appena chiamato in preda al panico dal bagno di casa di Jen perché lei l'ha invitato a dormire e lui le ha detto di sì. -
-Ah. -
Lui rise.
- Ma... scusa... mi hai appena detto che sono da soli a casa sua e vogliono saltarsi addosso a vicenda? -
- Esatto -
- AH. -
- Appunto. -
- Ma sei sicuro che a lui Jen piaccia davvero? Insomma, metti che gli interessa solo per farsi una botta e via, lei poi mi si suicida eh. -
- No, questo no. A parte che al telefono mi è sembrato molto insicuro. Voglio dire, già il fatto che mi abbia chiamato chiedendomi cosa Jen si aspettasse da lui e quant'altro indica che lei gli interessa seriamente. Se fosse come dici tu, non si farebbe nessuno di questi problemi. -
- Beh, tu cosa gli hai detto? -
- Di non correre... -
- Mh, per me quei due stanotte non dormono. -
- Chissà... domani all'intervallo vado a farlgi il terzo grado. -
- E io farò una chiacchierata con Jen. -
- Dai, ci aggiorniamo domani allora! Ti lascio studiare!-
- Ciao Mattia, a domani! - 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Love is in the air ***


Buonsalve gente! Come va? Tutto bene? Tutto male? Tutto fuffolo? 
Comunque vada, in questo periodo io sarò molto ma molto ma molto presa con la scuola, quindi ho paura che gli aggiornamenti potrebbero diventare più radi. Ma non preoccupatevi, tenterò di aggiornare circa una volta ogni 10 giorni, se possibile ogni settimana. 
Stasera mi sto ascoltando un sacco di musica depressa e devo tipo CONDIVIDERLA CON QUALCUNO, CAPITEMI. Quindi ora vi ascoltate questa canzone, così, perchè mi volete bene, ma anche perchè mi odiate.
 https://www.youtube.com/watch?v=LXEKuttVRIo
Con un grande cuore di maccheroni

Mina


Jen non ci poteva credere. Stava davvero succedendo. Cioè, sul serio, nella vita reale! Era rimasta totalmente spiazzata dal gesto di Jack.
Non aveva avuto il tempo di reagire, di dire niente. In un attimo lui l'aveva avvicinata a se e dopo un breve sguardo l'aveva baciata. Ed era stato precisamente allora che il cervello della bionda era andato il tilt. Com'era possibile che quel Jack stesse baciando proprio lei?
Si staccò quasi subito da lui, guardandolo negli occhi. Il riccio si ritrovò di nuovo incerto: aveva sbagliato? Beh, comunque non era stato spiacevole come sbaglio.
- Non lo stai facendo per compassione? -
Jack scosse la testa. - Se non volessi farlo, non lo farei. Pensavo che ormai mi conoscessi, sono senza pietà. - rise poi.
Lei sorrise ironica, alzando gli occhi al cielo. - Sei terribile. -
- Lo so. -
Fu il riccio ad avvicinarsi di nuovo e a circondarle la vita in un abbraccio. - Non sono troppo piccola per te? - sussurrò lei ad un certo punto, senza allontanare più dei pochi millimetri necessari le sue labbra da quelle del batterista.
- No. -
- Non sono troppo immatura? -
- Neanche. -
- Problematica? -
- Sei forte. - sussurrò Jack per tutta risposta.
Lui la baciò di nuovo. Ben presto, senza neanche capire bene come ci era arrivato, Jack si ritrovò in camera di Jen, intrappolato fra la porta e la ragazza stessa. C'era qualcosa dentro di lui che faceva i salti di gioia e suonava le trombe del trionfo. Ma nel momento in cui si accorse che erano finiti sul letto e che lui stava per toglierle qualunque cosa di dosso, sempre dentro di lui suonò un campanello d'allarme. La voce di Mattia gli rimbombò nelle orecchie: “Non stai correndo troppo?”
Si fermò e tolse le mani da Jen, stesa sul letto sotto di lui. Lei rise, guardandolo riprendere un briciolo di lucidità.
- E come ci siamo finiti a letto? - domandò il riccio.
- Guarda che hai fatto tutto da solo. - rise lei, divertita dal suo smarrimento.
- Oh. - Lui la guardò. - Forse stiamo correndo un po' troppo...? -
- Forse sì. - convenne lei, accarezzandogli delicatamente il volto con una mano. - Ma ti ripeto che hai fatto tutto tu. - ridacchiò.
- Beh, non mi pare che tu mi abbia fermato. - sorrise Jack.
- L'avrei fatto, scemo. -
- Tsk, dubito che saresti riuscita a resistere al mio indiscusso fascino. -
- Ma piantala! - rise Jen tirandogli un riccio. - Comunque mi sembra che qui sia qualcun altro che mi è saltato addosso, o sbaglio? -
-Però io mi sono fermato. -
- Vogliamo stare a discutere per tutta la notte? - domandò lei.
- Perché, tu cosa vuoi fare per tutta la notte? - fece il riccio per tutta risposta, con il tono più ironico e allusivo del suo repertorio.
Lei alzò gli occhi al cielo. - Sei pessimo, lo sai vero? -
- Certo che lo so. -
- Eh, almeno quello. E comunque non sei proprio un dolce peso. - disse lei ribaltando velocemente le posizioni. Jack rise, abbandonando la testa sul cuscino.
La ragazza abbassò su di lui, appoggiandogli le braccia sul petto. - E tu cosa vuoi fare per tutta la notte, sentiamo? -
- Senti, tu mi piaci sul serio. Quindi eviterei di fare le cose troppo in fretta, ok? E poi sei un po' piccola, no? - rispose lui giocherellando con una ciocca di capelli biondi.
- Jack... tu hai quasi ventun anni e io ne faccio diciassette il mese prossimo. Non so quando sarò pronta. Non ti stancherai di aspettare? - domandò lei abbassando lo sguardo imbarazzata. - Tu dici spesso che stare con una ragazza è noioso e che quando esci con una speri solo che si arrivi velocemente al letto, sai. Quindi... -
- Ti ho anche detto più volte che con te non mi annoio. Se voglio stare con te non è solo per fare sesso, Jen, altrimenti non sarei qui. Cioè, non è che io non voglia eh! - rise – Però so aspettare e non voglio metterti fretta su queste cose. -
Lei sorrise e gli diede un altro bacio. - Grazie. -
- Comunque se fossi in te eviterei di salirmi sopra e baciarmi così, perché potrei benissimo dimenticarmi chi sei tu, chi sono io e che cosa sto facendo. - rise forte lui.
- Sei terribile Jack. - sorrise lei .
- Beh, mi scendi di dosso o no? - chiese poi ridendo.
- Non ci penso neanche. Sei mio prigioniero adesso. - lo informo lei.
Il batterista alzò gli occhi al cielo rassegnato. Jen studiò il suo viso con la concentrazione di un gatto, mentre giocherellava con i suoi ricci. Quando il ragazzo tentò di ribellarsi scherzosamente, lei, indispettita, gli mordicchiò le guance.
- Ma cosa fai? - scoppiò a ridere lui.
- Miao! - fece lei per tutta risposta.
- Jen, non sei un gatto! -
- Sì invece. Te l'ho già detto che tu sei più un lupacchiotto? -
- Sì purtroppo. Ma cosa sei, zoofila? -
- Ma guardati allo specchio ogni tanto, sei uguale! E hai anche lo stesso carattere. -
- Cosa stai insinuando? -
- Che sei scorbutico e aggressivo. - disse lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Se così fosse non dovrei essere prigioniero di un gatto, direi. -
- Ma è perché io conosco la mossa segreta per farmi amici i lupacchiotti. - affermò lei.
- Sarebbe? - chiese sarcasticamente il riccio, alzando un sopracciglio.
- Ovviamente i grattini sotto il mento e dietro le orecchie! Mai avuto un cane? - esclamò lei, accarezzandolo proprio sotto il mento, come avrebbe fatto con un cucciolo di cane per l'appunto.
Se ne rimasero lì a giocare per un po'. Il batterista non era più abituato ad condividere un letto senza fare nient'altro che parlare e scherzare. Non gli succedeva da almeno un anno e mezzo. Quando e se finiva a letto con una ragazza generalmente tentava di evitare smancerie. E anche con Jen non era mai stato troppo sensibile o smielato, non era nella sua natura.
Ma scoprì che non gli dispiacevano le attenzioni che lei gli riservava, né si sentiva a disagio a ricambiarle. - E quindi sarei scorbutico ed aggressivo io? -
- Assolutamente. -
- Ah, bene. - rise lui, ribaltando di nuovo le posizioni senza preavviso, bloccando Jen sotto di se. - Ripetilo un po'. - la sfidò.
- Sei scorbutico ed aggressivo. - sussurrò lei.
Jack non resistette alla tentazione di baciarla ancora. Presto si dimenticò di tenere ferme le mani della ragazza, che cominciò ad accarezzargli il collo e la schiena, stringendolo a se. Quando l'ultimo briciolo di lucidità di Jack stava per essere mandato all'aria, però, la ragazza lo portò di nuovo bruscamente con la schiena sul materasso e fu lei a bloccarcelo, sorridendo trionfalmente nel vedere lo stupore negli occhi del ragazzo.
- Ho vinto. - disse poi.
Jack si ribellò alla presa della bionda e ben presto, complice il suo corso di Kung Fu , fu lui a stringerle i polsi sopra la testa. Si era tirato a sedere, lei seduta sulle sue gambe che lo osservava a pochi centimetri dal suo volto con un adorabile broncetto.
- Stai ferma. - le impose, trattenendosi dal ridere. - E io ti lascio andare. -
Poi la sollevò per i fianchi senza alcuno sforzo e la tolse da sopra di se. Lei rimase ferma per qualche secondo. Ma proprio nel momento in cui Jack cominciava a sperare, saltò di nuovo su di lui ridendo.
- I gatti fanno sempre quello che vogliono fare, faresti bene ad impararlo. -
- Vuoi che ti tolga di nuovo di lì? - ridacchiò Jack.
- Vuoi che ti leghi al letto? Mi sembrava che avessimo detto di non correre, pervertito! - lo prese in giro lei.
- Guarda che io lo dico per il tuo bene. Se continui a fare così potrei decidere di cominciare a correre molto in fretta. -
- E come mai? -
- Beh, sto cominciando ad esaurire i pensieri su mia nonna, sui cani morti e sulle stragi, quindi fra un po' il fatto di avere una bella ragazza seduta sopra che continua a provocarmi potrebbe cominciare a farmi pensare a qualcosa che mia nonna troverebbe estremamente disdicevole- disse lui sarcastico.
- Ah sì? - fece lei avvicinandosi di nuovo al volto del ragazzo – Sei veramente un pervertito, Jack. -
- Sei tu che ti sottovaluti. - puntualizzò il ragazzo. - Decisamente. - confermò quando lei gli lasciò un baciò all'angolo della bocca.
- Ti dirò, la barba non dà per niente fastidio. -
- Tu non mi ascolti proprio eh? - domandò lui, intercettando le braccia di Jen e allontanandole da se.
- Ma io voglio farti le coccole! -
- Puoi gentilmente farlo senza sederti su di me e senza... - il ragazzo non finì la frase, interrotto da un bacio.
Quando Jen si staccò e finalmente gli scese di dosso, sdraiandosi su un fianco ad osservarlo, Jack chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
- A cosa pensi? - domandò lei passandogli un dito sul naso e scendendo poi in verticale fino al suo petto.
Il batterista intrecciò la sua mano a quella di Jen, girandosi verso di lei. - A mia nonna. - rispose poi, scatenando le risate della bionda.


 

Il mattino dopo, come al solito in ritardo, mi catapultai a scuola correndo come se non ci fosse un domani. Corsi su per le scale vuote imprecando a mezza voce, seguita dalle occhiatacce di un paio di bidelle. Riuscii a superare la mia professoressa di circa mezzo secondo e mi lanciai in classe, lanciando lo zaino sul mio banco e rischiando così di uccidere qualche mio compagno di classe.
Seguii il mio zaino, crollando senza fiato sul banco. Lucy rise, salutandomi.
- Ma è troppo difficile svegliarsi dieci minuti prima? - domandò.
- Lascia... stare... Lu.... non.... ho.... fiato... cazzo... -
La prof entrò precisamente in quel momento.
Mi ci volle qualche minuto per riprendere fiato e rendermi conto che Jen era ancora assente. Mattia mi aveva detto che Jack era andato a dormire da lei... mhhh....
- Lucy, hai notizie di Jen? -
- No. Ieri mi aveva detto che oggi sarebbe tornata, ma... non so... -
- Mh... -
- Cosa mheggi? -
- Eh... sapessi... - ridacchiai.
- No, dai, dimmi! -
Ma prima che potessi anche solo pensare di farlo la nostra professoressa di greco mi lanciò un'occhiata gelida che mi convinse che restare in silenzio sarebbe stato più saggio.
Durante l'intervallo, lunghe ore dopo, andai senza esitazioni davanti alla classe di Jack, aspettando che uscissero. Fu lì che trovai Mattia.
- E che ci fai tu qui? -
- Lo stesso che fai tu - rise lui.
- Jen era assente... secondo te Jack c'è? -
- Ma figurati! Quei due sono ancora a letto, fidati di me –
- Eppure non mi sembrava che Jen fosse il tipo che la dà al primo che passa -
- Magari non l'ha fatto – ipotizzò lui.
- Beh, se lui è assente dopo scuola vado a trovarla -
- Ma dai, metti che poi li trovi insieme? Jack potrebbe picchiarti dall'imbarazzo – rise Mattia.
- Appunto! Sarebbe esilarante!-
- Allora vengo anche io – decise.
Finalmente i compagni del nostro batterista uscirono a fare l'intervallo, chiacchierando fra loro. Qualcuno ci salutò, passando, ma da nessuna parte vedemmo l'ombra di un riccio. Niente Jack.
Io e Mattia ci fissammo alzando un sopracciglio.
- Mh... -
- Dopo andiamo da Jen -
- Decisamente –


 

Quella mattina, Jack si svegliò lentamente. Aprendo gli occhi si rese conto di star abbracciando Jen, ancora addormentata. Ricordandosi della sera precedente si morse un labbro. Anche se non riuscì a trattenere un sorriso, ritornò a chiedersi se fosse stata la cosa giusta da fare. Si prese un minuto per osservarla dormire e si rese conto che ne valeva la pena. Poi si rese conto anche che la luce del sole era decisamente troppo intensa.
- Oh cazzo! - gli sfuggì.
Jen mugolò qualcosa e aprì gli occhi. - Buongiorno... -
- Porca puttana... - imprecò il riccio, abbandonandosi sul cuscino con rassegnazione.
- Che succede? -
- Mi sa che non ci siamo svegliati. Chissà che ore sono... -
La bionda si stiracchiò, sciogliendo il loro abbraccio. - Mi dispiace, colpa mia. Dai, magari facciamo in tempo ad entrare a scuola alla seconda ora. - disse poi allungandosi a prendere il cellulare appoggiato sul comodino. Dopo averlo sbloccato guardò Jack mordicchiandosi le labbra.
- Allora che ore sono? - incalzò lui.
- Le dieci... -
I due si guardarono rassegnati.
- Beh, ormai è fatta direi... - disse il riccio, tirandosi anche lui a sedere.
- Dovrei sentirmi in colpa, forse... -
- Eh, magari – ironizzò il riccio.
- Eh, ma come faccio a sentirmi in colpa dopo aver scoperto che possiamo stare insieme tutta la mattina? - scherzò lei.
- Lo so, lo so, sono fantastico. Gli autografi dopo, grazie. -
- Ma finiscila! - esclamò Jen scompigliandogli tutti i ricci.
- Beh, ma è la pura veri-
La ragazza lo interruppe con un bacio. Non le sembrava ancora vero. Stava davvero succedendo a lei? Non è che se lo stava sognando?
- Sei tutto mio -
- Hey, non sono mica una prostituta eh! -
- Se certo, come no – scherzò Jen, alzandosi.
- Cosa? Aspetta un attimo tu, cos'hai appena detto? -
- Io? Nieeente – rise lei tirandogli un riccio sotto il suo sguardo rassegnato.
Poco dopo, scherzando come loro solito, i due ragazzi si trovarono in cucina con l'intento di fare colazione. Jen propose al riccio una semplice tazza di latte e cereali che lui accettò. La bionda osservò la sua tazza pensierosamente, seduta davanti a lui, poco dopo. Quando Jack si accorse che non stava mangiando, si fermò a guardarla cupamente.
- E' solo che non ho tanta fam-
- Non ci pensare neanche. - la interruppe lui.
- Non mi parlare così. -
- Jen, ne abbiamo parlato ieri sera... sei dimagrita troppo... -
- Perchè dovrebbe importarti se mangio o non mangio? - sbottò lei, lanciandogli un'occhiata fiammeggiante.
Jack sostenne lo sguardo.
- Non ho fame. - sillabò lei alzandosi e uscendo dalla stanza.
Il batterista si trattenne dal bestemmiare per puro miracolo – miracolo che di solito non si faceva vedere, per inciso - e si alzò anche lui. La fermò prendendole un braccio.
- Ti ho detto che non ho fame! -
- Benissimo. - dichiarò lui trascinandosela dietro.
La bionda cominciò a preoccuparsi quando intercettò l'occhiata che lui le lanciò prima di farla entrare nella sua stessa camera quasi di forza e piazzarla davanti allo specchio a parete.
Il ragazzo la lasciò e incrociò le braccia, lo sguardo fisso su di lei. - Togliti la maglietta. - ordinò.
Jen lo guardò incerta.
- Togliti quella cazzo di maglietta. - insistette lui.
Nonostante fosse decisamente in crisi, Jen non osò non obbedirgli. Lui continuò a guardarla dritto negli occhi, senza muoversi di un millimetro. Sembrava veramente infuriato.
- Adesso guardati. - disse freddamente Jack.
La quale si girò lentamente, tenendo lo sguardo basso.
Il batterista si avvicinò e le alzò il viso con una mano. - Lo vedi o no che stai scomparendo? - chiese, ancora astioso.
Jen aveva gli occhi lucidi. - Non è niente di grave. - disse lei tentando di suonare convinta.
Evidentemente non era ciò che il riccio voleva sentire. Le alzò il viso in modo da poterla guardare dritto negli occhi. - Non dirmi queste cazzate. -
- Perché, pensi che sia una cazzata? -
- Perché ti conosco. - ringhiò lui.
- Senti, io non ce la faccio. Non ce la faccio a... - cominciò la ragazza, senza riuscire a finire la frase. Sentiva che se avesse detto una sola parola di più sarebbe scoppiata a piangere. Abbassò lo sguardo, arrossendo. Non voleva che Jack la vedesse così. Sentiva che avrebbe dovuto dire qualcosa, giustificarsi,ma non riusciva ad articolare nulla, e il silenzio si protraeva.
Il batterista la guardava, attendendo che dicesse qualcosa. Quando vide che la ragazza stava per scoppiare a piangere, il suo sguardo si addolcì improvvisamente.
- Lo sai cosa ci vedo io in quello specchio? - chiese alla fine.
Lei scosse la testa.
- Vedo una bellissima ragazza che si fa troppe seghe mentali. Devi smetterla di trattarti così, non te lo meriti. Tu non sei sola, ok? Ci sono io, ci sono i ragazzi della band, i tuoi compagni di classe. Se hai bisogno di una mano devi chiedercela. Non ti meriti di vivere così. Però ti prego, smetti di farti del male da sola. -
Jen lo guardò incerta. - Da quando in qua un ragazzo come te è in grado di fare un discorso così pieno di sensibilità e tatto? Dove sono finite le bestemmie e che ne è del mio Jack? - domandò a bassa voce.
Il ragazzo sorrise rassegnato.
- A volte il tuo Jack si preoccupa per le belle ragazze. - rispose.
- Grazie. - disse lei abbracciandolo.
- Per averti quasi urlato contro? -
- Perché sei così. - rispose la bionda.
- Ecco brava, ora rimettiti quella maglietta che se no devo ricominciare a pensare a mia nonna. E poi andiamo a fare colazione. -


 

Mello si accorse che stava fissando il libro di greco senza neanche vederlo. Trattenne a stento uno sbuffo e si stropicciò gli occhi. Ormai le sue occhiaie facevano la concorrenza a quelle di Elle.
Si sentiva così frustrato, in quel momento. Era costretto a rimanere in quella classe per tutta la mattina a seguire lezioni che non gli interessavano e ad essere ripreso perché non stava attento. Aveva allontanato sistematicamente tutti i suoi amici da se con un atteggiamento che definire scontroso era un eufemismo. E aveva troppe cose da fare, prima che il suo piano si realizzasse, troppe cose in troppo poco tempo. Ritrovarsi seduto a quel banco gli trasmetteva un senso di impotenza che riusciva a stento a contenere.
Ripercorreva un elenco di passaggi che avrebbe dovuto seguire per uscire vivo da quel macello ogni cinque minuti. Non poteva farne a meno, lo tranquillizzava. Chiudeva gli occhi e immaginava che fosse già tutto finito. Immaginava di non avere più tutta quella pressione addosso.
Sapeva di essere diventato a tutti gli effetti uno stronzo di quelli peggiori, ma era stato necessario. E poi quella pressione lo deformava lentamente, per quanto lui tentasse di resistere, rendendolo ancora più intrattabile di quanto già non fosse.
Prese in mano una penna, giusto per sembrare intento a prendere appunti. Ma ben presto il foglio sul quale stava scarabocchiando a caso si riempì.
Non ce la faceva più a rimanere in quell'ambiente,un ambiente che non lo includeva più. Sentiva di essere fuori posto, di star perdendo tempo prezioso. Lanciò un'occhiata nervosa ad Aki, seduto due file davanti a lui. Come faceva lui a seguire? Come riusciva a mentire così bene?
Quel ragazzo aveva qualcosa di troppo strano anche per Mello. Non riusciva a capire come potesse vivere in quel modo, oscillando da un personaggio a un altro. Chi era veramente? Era qualcuno, oppure sotto le sue maschere non c'era assolutamente niente? Come poteva essere umana una cosa del genere?
Il biondo si concentrò su una riga della versione che stavano correggendo in quel momento, tentando ancora una volta di seguire, inutilmente.
Ogni giorno diventava più difficile starsene seduto lì per tutte quelle ore, invisibile agli occhi di tutti. E ogni giorno si sentiva più arrabbiato e più frustrato.
Solo quando stava con Lucy sentiva quel peso sollevarsi e poteva risalire in superficie a prendere un po' d'aria. La ragazza, anche senza dire nulla, riusciva a farlo sentire come se tutto il resto del mondo non esistesse più. E in quel momento Mello non avrebbe saputo esprimere a parole quanto volesse che quella sensazione diventasse realtà. Quando era con lei poteva togliersi tutte le maschere, dire e fare ciò che voleva. Si sentiva a casa. Se solo lei avesse fatto parte del suo piano, se solo avesse potuto portarla con sé. Si immaginava benissimo a fuggire con lei da qualche parte per non tornare mai più-
Lui e lei da soli. Nient'altro a cui badare.
Ma era un sogno che non si poteva permettere, si ripeté, ricominciando a ripassare i vari passaggi del suo piano ossessivamente.
Ce la doveva fare.


 

Finite le lezioni ci riversammo confusamente fuori da scuola, ridendo e scherzando. A parte la terribile interrogazione di inglese dalla quale eravamo riusciti a uscire vivi in qualche modo, la giornata non era stata terribile. Vidi Beyond salutarmi dall'altro lato della folla e, salutati i miei amici, mi feci forza e tentai di raggiungerlo.
- Hey! - mi salutò abbracciandomi.
- Come stai? -
- Stanchissimo! - esclamò.
- E com'è che la cosa ti rende così allegro? - risi.
- Perché sono scemo! -
- Beh, l'importante è che tu lo sappia – dichiarai, dandogli un bacio e scompigliandogli i capelli.
- Non dovresti dirmi che non sono scemo, tu? -
- Mentirei – affermai io ridendo.
- Ma sentila! - fece lui, fingendosi offeso.
- Dai, vieni qui – dissi abbracciandolo.
- Mi insospettisce quest'improvviso slancio di affetto, cosa c'è sotto? -
- Beh, in realtà ho freddo e tu hai una giacca più pesante della mia. Quindi abbracciami tipo adesso. - ordinai.
Lui obbedì ridendo. Grande e grosso com'era, quando mi abbracciava mi sentivo subito più protetta e, in quel caso, decisamente meno infreddolita. C'era qualcosa nel modo in cui ci guardavamo che ogni volta mi faceva sorridere. Era incredibile quanto mi mancasse, anche se ci vedevamo praticamente ogni giorno.
- Oggi pomeriggio hai da fare? - mi chiese in un sussurro all'orecchio. - Perché io no. -
- Mi piacerebbe amore, davvero... ma ho già degli impegni... -
- Cioè? -
- Ora vado a rompere le scatole a una mia amica insieme a Mattia, poi passo in teatro a dare una mano con dei costumi e poi se è abbastanza presto mi rifugio in biblioteca a studiare. -
- Se vai in biblioteca dimmelo che ti raggiungo però, eh -
- Promesso! - feci io dandogli un bacio.
- Hey Alma! - mi chiamò Mattia poco lontano. - Andiamo? -
- Arrivo! - feci io .
Guardai Beyond con un sorriso di scuse, lo salutai e raggiunsi Mattia. Ci ritrovammo a camminare fianco a fianco verso casa di Jen, chiacchierando del più e del meno.
- Allora con Beyond va tutto bene adesso? -
- Sì, siamo riusciti a risolvere. Tu invece? -
- Io sto benissimo in compagnia di me stesso, grazie! - scherzò.
- Attento allora: era precisamente quello che diceva Jack e guarda dov'è finito – esclamai ridendo.
Mattia alzò ironico gli occhi al cielo, passandosi una mano fra i capelli già di per se scompigliati. Mi ricordai di quanto, ormai anni prima, andavamo in giro insieme dopo scuola, rifiutandoci di tornare a casa. Avevamo passato pomeriggi interi a camminare per la città senza meta, fino a non poter più muovere un passo. Le prime volte parlavamo sempre tantissimo, senza fermarci neanche per respirare, il che rendeva ancora più pesanti le lunghissime camminate. Ma poi avevamo cominciato ad apprezzare anche il silenzio che calava ogni tanto.
Anche solo camminare l'uno di fianco all'altro sapendo di vedere le cose allo stesso modo ci bastava. Sviluppammo una sincronia incredibile. Ogni volta che vedevamo qualcosa di strano ci lanciavamo uno sguardo eloquente, senza bisogno di commentare.
Non avrei mai saputo ringraziarlo abbastanza per l'affetto che aveva per me, per tutto ciò che aveva fatto per tirarmi fuori dalla merda. Non si era mai arreso, tanto da riuscire a contagiarmi con il suo amore per la vita, con il suo interminabile meravigliarsi per ogni piccola cosa. Mi aveva strappato dal cinismo precoce in cui mi ero affondata ai tempi.
Lui non aveva motivo di starsene fuori casa tutto il pomeriggio e probabilmente la cosa gli aveva causato parecchi diverbi con sua madre. Eppure non me l'aveva mai fatto pesare. Diceva che l'idea di sapermi a camminare a caso tutta sola lo deprimeva e che per lui l'importante era essere felice. Fanculo in resto.
Sorrisi, guardandolo calciare una lattina.
- Che hai da fissare? -
- Ti ricordi quando eravamo piccoli? -
- Eri una messa maaale! - esclamò lui.
- Ah perché tu eri l'esempio della morigeratezza eh! - mi idignai io, ridendo.
- Io ero un bravissimo ragazzino -
- Ma cosa! Guarda che la tua faccia da buon partito con me non attacca, ti conosco troppo bene – lo informai.
- Allora riconoscerai che ero davvero un ragazzo d'oro – si intestardì.
Scoppiai a ridere, dandogli un'amichevole spinta. - Eccomeno! -
Non ci vollero che pochi minuti per arrivare davanti al grande portone di Jen. Ci fermammo e ci lanciammo un'occhiata, scoppiando a improvvisamente a ridere.
- Sai che stiamo per farle perdere vent'anni di vita? -
- Assolutamente sì! - esclamai.
- Siamo degli stronzi! -
- Dai, sarà troppo divertente! Te li immagini tutti in imbarazzo che tentano di salvare la loro dignità? Cioè, te lo immagini Jack?! -
- Citofona, subito, dobbiamo farlo. È per il bene superiore! - rise Mattia.
E così feci, pregustandomi la scena di pura comicità a cui avremo assistito di lì a poco.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Sorpresa! ***


Hello guys! Come vi va? Spero bene, e se va male, well, it will get better, prometto!
Spero che questo brand new chapter possa piacervi, anche se è arrivato un filo in ritardo e non è lungherrimo! Lo so, lo dico sempre, ma sul serio, stanno per succedere un sacco di ROBBEEEEEEE, quindi preparatevi!
Baciiiiiii

Mina



Jen ci aprì la porta di casa con uno stupore decisamente sospetto. Evidentemente non si aspettava che saremo andati a trovarla senza avvisare, subito dopo scuola. Io e Mattia faticammo a non scoppiare a ridere, osservandola arrossire, vestita con un paio di jeans e la felpa dei NightWish di Jack, qualche taglia più grande di lei.
- Hey Jeeeeeen! - la salutai, abbracciandola con enfasi. - Come stai? Scusa se siamo venuti senza preavviso, eravamo preoccupati! Col fatto che sei assente da un paio di giorni e oggi ci avevi fatto sapere che saresti tornata a scuola ci siamo chiesti se stessi bene! Tutto a posto? Hai bisogno di qualcosa? -
Lei mi lanciò un'occhiata assassina, sfoderando un sorriso tirato. - Sto bene, grazie. Non mi sono semplicemente svegliata stamattina -
- Ma quella non è la felpa di Jack? - domandò Mattia ironicamente, chiudendo la porta.
- Cosa? QUESTA? NOOOOO! - esclamò precipitosamente lei. Si rese conto di non essere credibile e abbassò lo sguardo arrossendo. - Cioè sì, è la sua felpa.. è che me l'ha prestata e... non gliel'ho ancora ridata... e avevo freddo... e-
- E quand'è che vi siete visti? - domandai.
- Ma.... ma accomodatevi in sala, vedo se ho qualcosa da mangiare e arrivo eh!-
In un attimo Jen ci trascinò in sala e ci lasciò lì, scappando in cucina. Appena si fu allontanata, io e Mattia scoppiamo fragorosamente a ridere.
- Per te Jack è qui? - chiesi, sedendomi sul divano rosso.
- Decisamente! Quella è una delle sue felpe preferite, se c'è quella c'è anche lui! -esclamò Mattia, tentando di smettere di ridere.

Jen entrò in cucina, imprecando a mezza voce. - Quei bastardi di merda, che cazzo faccio adesso! Ma perché a me! -
Jack la guardò, seduto al tavolo, ridendo.
- E tu che hai da ridere? Quelli non sanno neanche che sei qui!-
- E perché non glielo dici? -
- Ma perché... ci prenderebbero in giro a vita! -
- Massì, di che ti preoccupi? - chiese il batterista, alzandosi, decisamente meno preoccupato di lei.
La bionda sbuffò, aprendo il frigo e tirando fuori una teglia di lasagne che aveva cucinato e poi non mangiato il giorno prima.
- Ti vergogni? - incalzò lui, con il solito sguardo ironico e un mezzo sorriso.
- Non è che mi vergogno... è solo che... non lo so... -
- Dai, io vado a salutarli, vieni anche tu? -
Lei mise a riscaldare la teglia e si avvicinò a Jack. - Io ancora non capisco perché cavolo siano piombati qui senza avvertire...-
- Beh, ora che ci penso, Mattia sa che mi hai invitato qui a dormire, quindi probabilmente sono venuti apposta perché immaginavano la situazione e volevano prenderci in giro-
- COSA? E come lo sa?!-
- Ieri sera l'ho chiamato – ammise lui, ridendo dell'espressione di Jen.
- E perché cavolo l'hai chiamato, scemo? -
- Eh, mi avevi mandato un po' in crisi... -
Lei si lasciò scappare un sorriso. Si avvicinò al viso del riccio, accarezzandogli il viso con una mano. - Ancora non mi sembra vero. - sussurrò, guardandolo negli occhi. - Dimmi che non sto sognando. -
Per tutta risposta, lui eliminò ogni distanza fra i loro volti, coinvolgendola in un lungo bacio.
- HEEEEY, INTERROMPO QUALCOOOSA? -
I due ragazzi fecero un salto di cinque metri, voltandosi verso la porta. Mattia, appoggiato allo stipite della porta con un sorriso sarcastico, li guardava.
Jack gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe intimidito un mostro inferocito.
- Oh, scusate! - esclamò con il tono più falso del suo repertorio il bassista. - E ciao Jack! Tutto bene? -
- Certo, tutto benissimo. - ringhiò lui. - Che cosa cazzo ci fate tu e quell'altra qui? - domandò poi.
- Eravamo preoccupati per Jen, ma vedo che è in buone mani – disse Mattia allusivo. - Se disturbiamo vi lasciamo soli, non c'è problema – ridacchiò. - Anche se sento un ottimo odore di lasagne! -
- Mangiate qua se volete... tanto ormai – sospirò la bionda rassegnata, andando a prendere la teglia. - Vai a chiamare l'altra cretina tua compare, mangiamo qui – ordinò poi a Mattia.
Quando il bassista si fu allontanato, lanciò uno sguardo eloquente a Jack. - Li ammazzo un giorno di questi – dichiarò.
- Se non lo faccio io prima! - rispose il riccio, dandole una mano ad apparecchiare.

Entrai in cucina preceduta da Matt, con un sorriso mal celato in viso.
- JAAAAACK! Come mai anche tu qui? - domandai subito.
Lui mi ringhiò contro, finendo di apparecchiare.
Seduti tutti intorno al tavolo a mangiare le buonissime lasagne di Jen, io e Mattia cominciammo a punzecchiarli un po', sempre più divertiti dalle loro reazioni.
- E quindi stamattina non vi siete svegliati immagino? - chiesi.
- Mh, dovete esservi stancati molto stanotte! - ipotizzò Mattia.
- Già, perché tu hai dormito qui Jack, vero? -
- Dormito? Non è che hai fatto qualcos'altro? Ti vedo stanco! -
Jen sembrava un fiammifero, lo sguardo basso sul piatto che lanciava fiamme assassine.
- Stamattina non avevo voglia di andare a scuola, ti basta? - rispose invece Jack, con una punta di ironia.
- Mi vuoi far credere che di solito ne hai voglia? -
- Oppure che avevo una motivazione in più per non averne voglia – suggerì Jack con un mezzo sorriso divertito.
- Ah, e che motivazione potrebbe mai convincerti ad assentarti? -
Il riccio lanciò un'occhiata a Jen. - Una motivazione che tu non hai – rispose sarcastico a Mattia, che scoppiò a ridere.
- Ok, ok, basta – dissi io ridendo – Tanto se lo aspettavano tutti ormai! -
- Cosa? -
- Che tu e la biondina di fianco a te vi saltaste addosso, ovviamente – puntualizzai.
- Sei la finezza, come sempre -
Risi, guardando Jen che desiderava evidentemente di morire in quel momento e Jack che invece non sembrava molto toccato dalle nostre prese in giro.
Non ci mettemmo molto a mangiare e subito dopo, con la scusa che non mi ricordavo assolutamente dove fosse, mi feci accompagnare in bagno da Jen. Per tutto il tempo che ci mettemmo ad arrivarci, lei rimase in silenzio.
Poi si fermò a braccia incrociate a guardarmi.
Io ridacchiai. - E quindi, mi vuoi raccontare che è successo? - domandai, portandomela in bagno e chiudendo la porta. Mi sedetti sul piano del lavandino, aspettando una risposta.
- L'ho invitato a dormire perché si era fatto tardi e...
- E? -
La bionda alzò improvvisamente lo sguardo con un enorme sorriso e cominciò a saltellare di qua e di là. - E poi è successo! Gli ho fatto vedere la stanza degli strumenti e poi... non lo so! Non lo so davvero, non lo so! Insomma, mi ha baciato lui e... ti giuro che non riesco ancora a credere che sia realmente accaduto! -
- Davvero? Non pensavo avesse abbastanza palle da fare una cosa così -
Lei continuò a sorridere, spostando il peso da una gamba all'altra.
- Ma Jen.. quindi avete... dormito insieme? -
- Beh, sì, ha dormito qui -
- No, intendo... avete... lo sai... giocato a risiko risiko? - domandai.
- AH! - esclamò lei arrossendo. - No... cioè, ci siamo andati vicini, ma alla fine abbiamo deciso di non correre troppo. -
- Maddai? Quel morto di sesso di Jack? Sul serio? -
- Dai, poverino! Guarda che è stato molto comprensivo – assicurò lei.
- Ne sono felice. Davvero Jen, sono felice che finalmente vi siate messi insieme – dissi, alzandomi.
Lei mi si lanciò fra le braccia, facendomi barcollare. - Non sai quanto sono felice io – rise.
La abbracciai, sorridendo intenerita.

Nell'altra stanza, Mattia si lasciò cadere sul divano, osservando Jack, seduto sul piano della cucina, con uno sguardo inquisitorio.
- Jack... non è che siete andati un po' in fretta? -
- Ma guarda che non abbiamo fatto niente stanotte – disse il batterista con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
- Ah, pensavo... quindi avete davvero solo dormito insieme? -
- Beh, sì. Abbiamo parlato molto stanotte, a letto. Non pensavo fosse possibile, ma sono stato a letto con una ragazza senza farci sesso e non mi sono annoiato – rilevò Jack, scompigliandosi i ricci.
- Davvero? -
- Sì. Lei è divertente, intelligente... di sicuro non ti annoi -
- Senti Jack... posso farti una domanda? -
- Prego -
- Ma... è una cosa seria per te? -
Il batterista giocherellò con le mani per qualche secondo, riflettendo. Poi alzò lo sguardo su Mattia. - Sì, è una cosa seria – disse poi, senza per una volta usare ironia o sarcasmo.
Il bassista sorrise, facendogli il pollice verso. - Vedi di trattarla bene, eh -
- Ieri sera... -
- Cosa? -
- Mi ha portato in questa stanza piena di strumenti, prima di andare a dormire. Ancora non era successo niente. La devi vedere quella stanza, il soffitto è una specie di vetrata e la luna illuminava tutto. A un certo punto l'ho guardata e... non lo so Mattia, non lo so. È davvero... -
Jack sbuffò, senza trovare le parole.
- Adesso magari vi lasciamo un po' soli. Sono contento che vi siate finalmente avvicinati. Siete una bella coppia... stacci attento Jack, non la trovi spesso una come Jen. -
- Lo so –
- Non essere troppo stronzo con lei -
- Perchè dovrei essere stronzo? -
- Perchè sei fatto così, zoccoletta! -
Lui sbuffò, trattenendosi dal mandarlo a quel paese. - Voglio stare con lei, davvero. Non la tratterò male, ovviamente -
- Bene -
Quando Mattia e Alma se ne andarono, il batterista guardò Jen per un secondo, con una strana espressione. Poi rise e la abbracciò. - Che coglioni che sono quei due... -
Stringendo a sé l'esile corpo della ragazza, Jack chiuse gli occhi. Non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente.


 

Erano circa le quattro, quando entrai in biblioteca con una borsa a tracolla e un sospiro di stanchezza. Salii subito al secondo piano, dove sapevo che avrei trovato il mio gruppo studio e Beyond, seduti ad uno dei lunghi tavoli adibiti allo studio. Era un ottimo posto, quella biblioteca. Silenziosa, spaziosa e priva di qualsivoglia distrazione, era stata scelta da molti studenti come luogo ideale per passare un pomeriggio sui libri. Vidi che Beyond stava dando una mano a un suo amico, così lo salutai con la mano e mi misi a studiare greco, seduta di fianco a Misa e Lucy.
In breve tempo mi immersi completamente in una traduzione particolarmente difficile, dalla quale uscii solo faticosamente. Mi resi conto che la luce si era abbassata e che Beyond stava ormai studiando per conto suo.
Presi un respiro profondo, godendomi quell'attimo di soddisfazione proprio di quando si finisce una versione. Il silenzio era disturbato solo da pagine sfogliate, penne che scorrevano e picchiettavano sui quaderni e poche parole sussurrate. La luce tendeva ormai all'arancione, il tempo sembrava dilatarsi un secondo per volta. Mi rilassai per un attimo, in pace.
Beyond sollevò lo sguardo dal libro di fisica e mi fece segno di andare fuori a fare una pausa. Così lo seguii giù per le scale fino ad arrivare al cortile semivuoto della biblioteca.
Lui si sedette su una panchina di pietra bianca, guardando il cielo striato di nuvole che andavano a tingersi di colori caldi. In piedi davanti a lui, mi stiracchiai sospirando. - Come va amore? -
- Sono stancooooooooo – si lamentò.
- Dai, fra poco andiamo a casa! -
Lui mugolò qualcosa. - Amore? - fece.
- Dimmi -
- Non so come fai ad essere sempre tutta energica -
- Energica? - risi. - Sclerata forse! -
- Beh, intendo dire che sei sempre tutta attiva, io sono sempre mezzo morto di stanchezza -
Mi strinsi nelle spalle. - Non lo so! Siamo persone diverse. Comunque anche io sono stanca! -
Mi sedetti in braccio a lui e cominciai a giocherellare con i suoi capelli corvini. Lui sorrise, stringendomi a se. Amavo il modo in cui sorrideva, in quei momenti, sarei rimasta a guardarlo per anni. Gli passai una mano sul viso. - La barba ce la facciamo o no? - ridacchiai.
Lui sbuffò. - Naaah, mi secca -
- Eddai, non essere pigro! -
- Va bene, va bene... - cedette.
Prese la mia mano e la confrontò con la sua, sorridendo, prima di abbracciarmi stretta a lui.
Gli diedi un bacio, arrotolandomi i suoi capelli fra le dita. - Sei la mia carotina -
- Carotina? -
- Carotina! -
- Io non ho parole... - si rassegnò, ridendo.
- Le carotine non parlano infatti! - asserii.
Lui mi guardo alzando le sopracciglia. - Hai dei problemi seri, lo sai? -
- Certo! - assicurai, dandogli un bacio a stampo.
- L'importante è che tu ne sia cosciente – rise, scompigliandomi i capelli.
- Senti Beyond... -
- Dimmi -
- Dovremmo affrontare il fatto che Kendra non starà in convalescenza in eterno – dissi, abbassando lo sguardo – Prima o dopo tornerà e... tu hai detto che quando il direttore richiamerà lei ed Aki, dirà loro che hanno fallito e quant'altro, potrebbero succedere alcune cose. Ci potrebbe addirittura essere la possibilità che tu riesca a scappare da quel posto, vero? -
Lui annuì.
- Quando succederà... dove pensi di andare? -
- Se succederà... non ne ho idea... in qualche modo me la caverò -
- Beyond... se tu te ne dovessi andare.... io verrei con te – affermai, guardandolo negli occhi.
- Non se ne parla neanche -
- Infatti non c'è niente di cui parlare, è così e basta. Non posso lasciarti andare così, senza neanche sapere che fine farai -
- No, tu hai la tua vita qui, non devi farlo! -
- Io ho una sorella maggiore, lo sai? -
- Sì, lo so, ma questo cosa c'entra? -
- Lei vive a Los Angeles, da qualche anno. Quando se ne andò, mi disse che se mai mi fossi trovata in difficoltà, la sua porta sarebbe stata sempre aperta. Lei ci aiuterebbe -
- Seriamente credi che aiuterebbe una ragazza scappata di casa e uno scappato da un orfanotrofio? - domandò lui scettico e sarcastico.
- Tu non la conosci, amore. Io non sono un'ingenua, se te lo sto dicendo è perché so che ci aiuterebbe - - Questa cosa... che tu venga con me... non succederà mai, è chiaro? -
Io scossi la testa, intrecciando la mia mano con la sua. - Non ti lascerò andare via -
- Non puoi lasciare tutto quello che hai qua, invece, solo per me! Io me la caverei in qualche modo, ma non potrei sopportare di vederti rinunciare a tutto così, è stupido -
- Lascia che sia io a decidere cos'è meglio per me, d'accordo? -
Lui prese un profondo respiro, nervoso. - Non voglio che tu pensi a queste cose -
- Lo faccio lo stesso però -
- Comunque è inutile pensarci troppo. Non credo di avere molte probabilità di uscire vivo da quello che Kendra e Aki potrebbero scatenare all'interno dell'orfanotrofio. Mi ritrovo a sperare che il direttore aumenti la sua guardia, magari li potrebbero fermare. Dopotutto ci sono molti uomini a sorvegliare l'orfanotrofio. Ma chi lo sa... forse che il direttore sopravviva è un'ipotesi anche peggiore...-
- Non devi parlare così, Beyond. Se perdi la speranza adesso, la perderò anche io. Invece dobbiamo continuare ad andare avanti, non possiamo abbatterci adesso -
Sospirò.
- Forza amore! Ne usciremo, in qualche modo -
- Come fai a dirlo? -
- Ti conosco, scemo – risposi abbracciandolo.
- Scema sarai tu – fece lui sorridendo.
- E tu sei la mia carotina -
- E dai con questa carotina! Ma che cavolo! -
- La mia carotina – ripetei, dandogli un bacio.


 

Mello si risvegliò nel letto della sua ragazza, quella mattina. Si domandò subito cosa ci facesse lì, non era decisamente nei suoi piani.
Si ricordò improvvisamente della notte prima. Si ricordò di non aver avuto la forza di trascinarsi fino all'orfanotrofio e di aver impulsivamente chiamato Lucy. Certo, erano le quattro di notte, ma ne sentiva il bisogno impellente. Incredibilmente lei gli aveva risposto, e sentendo quanto fosse stanco, l'aveva invitato a raggiungerla. Lo stupiva la disponibilità di quella ragazza nei suoi confronti. Nonostante i suoi sempre più frequenti e drastici sbalzi umorali, nonostante il suo pessimo carattere, Lucy era sempre al suo fianco.
Non aveva idea di come avrebbe fatto a separarsene, non poteva proprio immaginarselo. Ma chiederle di seguirlo sarebbe stato un atto di crudeltà, l'avrebbe messa in una situazione orribile dalla quale desiderava tenerla molto lontana invece.
La notte prima, lei lo aveva fatto entrare di nascosto in casa, scortandolo poi in camera sua. Avevano parlato molto prima di decidersi ad andare a letto.
Mello osservò i lineamenti delicati di lei, soffermandosi su ogni dettaglio con attenzione. Si chiese come potesse una ragazza come lei stare con uno come lui.
Si alzò senza svegliarla e si rivestì in fretta. Odiava l'idea di doversene andare così, ma si stava facendo tardi e quel giorno avrebbe avuto da fare. Non sarebbe andato a scuola.
Camminando per le strade ancora semi deserte e calcolando di aver dormito circa un'ora e mezza, compose un numero sul cellulare.
- Sì, sto arrivando. - disse quasi subito.
Sbuffò, stringendosi nella giacca.
- Beh, digli di non rompere il cazzo, sto arrivando. - ringhiò al telefono. - Quel pezzo di merda comincia ad irritarmi. Gli dimostreremo che non siamo dei ragazzini alla prima occasione, te lo prometto. - concluse, chiudendo poco dopo la comunicazione.
Si morse un labbro riflettendo e aumentando l'andatura. Doveva sempre stare allerta, non si poteva concedere pause.
Si ritrovò a sperare che Kendra guarisse in fretta, che quello che doveva succedere accadesse alla svelta.


 

Aki entrò nella camera di Kendra e sorrise nel vederla in piedi. Era anche vestita. Una semplice gonna nera e un top aderente, che le stavano come al solito benissimo. Il ragazzo si stupiva ogni volta della sua bellezza così inquietantemente perfetta. Il suo corpo era proporzionato, la sua carnagione chiarissima e i suoi occhi di un azzurro scuro molto particolare. Non c'era nulla che sfigurasse su di lei, non un neo, non un capello fuori posto. Sembrava quasi costruita artificialmente.
- Mi sembra di vedere che stai meglio – disse, appoggiandosi alla porta.
- Sono di nuovo in forma. Questo significa che il direttore ci chiamerà, in questi giorni. Sei sicuro di avere le palle di mettere in atto il tuo piano? Lo sai che anche se togliamo di mezzo lui ci sono i suoi uomini per tutto l'orfanotrofio, vero? -
- Non ti preoccupare di questo, ci penserò io – rispose Aki.
La ragazza si passò una mano fra i lunghi capelli corvini e si avvicinò a lui. - Sei sicuro? -
- Perché, hai paura? -
- Tu che ne dici? - fece lei, fermandosi a pochi centimetri dal volto del ragazzo.
- Toglimi una curiosità. Hai accettato solo quando ti ho detto che avresti potuto pare qualunque cosa con Beyond, prima di andare via. Perché? Ha un valore per te? -
- Voglio fargli del male, anche ucciderlo se mi va. Oppure portarlo con me. Diciamo che mi ha infastidito il suo rifiuto -
- Provi qualcosa per lui? -
Lei rise. - Secondo te sono ancora in grado di provare qualcosa che non sia rabbia o disgusto o indifferenza? -
- E per me cosa provi? -
- Indovina – sussurrò lei, per poi coinvolgerlo in un bacio.
In breve tempo lo trascinò a letto, senza dire altro.
- Davvero te la senti? Ti sei ripresa bene eh -
Kendra non si degnò neanche di rispondere.

Quando Aki uscì dalla stanza della ragazza, il suo cellulare cominciò a squillare.
- Mello, ancora tu? - domandò, aprendo la comunicazione.
I due ragazzi rimasero al telefono per un po', definendo i dettagli del loro piano, mentre Aki usciva dall'istituto e cominciava a camminare per le strade senza una meta precisa.
Alla fine della conversazione, Aki notò una certa preoccupazione nel tono di voce dell'interlocutore.
- Che c'è Mello, cosa ti preoccupa? - chiese sarcasticamente.
- Tu mi hai garantito che nessun altro verrà coinvolto in questa cosa. Che dopo aver ucciso il direttore voi ve ne andrete senza fare male a nessuno -
- Non ti fidi di me? -
- Perchè dovrei fidarmi di te? -
- In ogni caso, vedrai... non faremo del male a nessuno dei tuoi preziosi amici – disse Aki con un ghigno decisamente poco rassicurante stampato sul volto.


 


 

Si erano ormai fatte le quattro e Jack riteneva di dover andare. Oltre al fatto che aveva da studiare lo aspettavano a casa, e non poteva rimanere da Jen per sempre.
Così, raccolte le sue cose, si apprestava ad uscire. Non era riuscito a riprendersi la sua felpa preferita, nella quale Jen si sentiva abbracciata. Guardò la ragazza, resa ancora più minuscola dalla sua felpa e sorrise.
- Beh, allora ci vediamo domani alle prove, ok? -
Lei annuì. - Io dopo vado a studiare in biblioteca, tu che fai? -
- Mi sa che ti accompagno -
- Mi dai anche una mano con chimica? -
Lui annuì. Ormai dava ripetizioni a tutti i suoi amici in chimica, fisica e matematica. Erano materie con le quali si era sempre trovato benissimo e anche se non era proprio bravissimo a spiegare le cose, tutti riconoscevano che dopo aver passato qualche ora a studiare con lui, i voti si alzavano sensibilmente. Questo probabilmente perché, anche con le spiegazioni più contorte, riusciva a trasmettere a chiunque la sua passione per le scienze.
- Certo che se mi pagaste anche solo un euro per tutte le volte che vi do una mano sarei ricco! -
- Fatti pagare -replicò Jen sorridendo.
- Nah, sono troppo buono e voi siete dei casi troppo disperati per infierire ancora di più -
- Come sei magnanimo – scherzò la bionda.
- Beh, io andrei – fece lui infilandosi la giacca e tirandosi lo zaino su una spalla.
- Non mi saluti neanche? -
Jack alzò gli occhi al cielo, fingendosi scocciato. - Se proprio devo! - disse avvicinandosi a lei.
- Ah, no, se ti secca vai pure, non c'è problema! - fece Jen ridendo e scostandosi.
Lui le lanciò un'occhiataccia. - Guarda che lo faccio! -
Per tutta risposta, la bionda rise. Ma quando lui si girò indispettito, lo fermò abbracciandolo da dietro. Si appoggiò delicatamente a lui, respirando a fondo.
Lui sorrise, e prese le mani di Jen, strette su di lui. Si girò verso di lei e le accarezzò il viso con tenerezza.
- Non immaginavo che il tuo lato dolce fosse così dolce – fece lei, arrossendo leggermente.
Jack le alzò il viso con la mano, spingendola a guardarlo negli occhi. - Non mi trovo così bene con qualcuno da quasi due anni – disse poi a bassa voce.
Le tirò su il cappuccio della felpa e rise del risultato. Lei arrossì di nuovo e lo abbassò. - Io non avrei mai creduto che ad uno come te potesse piacere una come me – ammise poi.
- Per me era lo stesso -
Il batterista la abbracciò tanto forte da sollevarla da terra.
- Hey, guarda che così mi strozzi, scemo! -
Lui la lasciò.
- Forza vai, prima che i tuoi chiamino la polizia per capire dove sei finito -
Jack sorrise e la baciò prima di scomparire dietro la porta. La lasciò a guardare la porta chiusa con uno sguardo già nostalgico, stretta in quell'enorme felpa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Convergenze ***


SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE GENTE, CI SI RIVEDE INFINE!
Lo so, è da un sacco di tempo che non pubblico niente e se c'è qualche anima pia che ancora segue questa storia probabilmente mi odierà, mi dispiace un casino!
Purtroppo ho avuto un periodo veramente allucinante, mi sono successe un sacco di robbe e sono incappata nel terribile blocco, non riuscivo a scrivere niente! Spero di riuscire a riprendere costanza, vita permettendo, e di pubblicare con più regolarità.
Detto ciò, sperando che mi perdoniate (allego cuoricini per corrompervi: <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3), vi lascio a questo capitolo. Fatemi sapere se vi sconquinfera o no e perchè, se vi va. Può sembrare che alcune cose non abbiano molto senso, ma vi assicuro che poi si ricollega tutto, prometto u.u
A presto spero!
Un sacco di bbbbbbbbaci ;-*

Mina



Appena la campanella di fine suonò, mi lasciai cadere sul banco. Mi ero ridotta a dormire appena cinque ore quella notte, il che non giovava per niente al mio mal di testa o al mio già di per se incerto umore. E le due ore di spiegazione di latino mi avevano dato il colpo di grazia. Salutai con qualche gesto stanco i miei amici che uscivano: sarei dovuta rimanere a scuola ancora un paio d'ore quel giorno.
Appoggiai la testa alle braccia e tirai un profondo respiro, tentando di riprendermi.
Il tocco di una mano sulla mia spalla mi spinse però ad alzare lo sguardo. Mi ritrovai davanti gli occhi caldi di Aki, seduto davanti a me.
- Come va? - domandò tranquillamente.
- Sono un po' stanca, tu come stai? -
Lui fece uno strano sorriso a quel punto, appoggiandosi al mio banco. Per un momento un ambiguo scintillio nei suoi occhi mi allarmò. Quel sorriso, quello sguardo... non li avevo mai visti sul suo volto, erano qualcosa di nuovo. Mi spaventò.
Ma in un secondo quell'impressione era svanita, lasciando spazio al solito Aki.
- Io sto bene – mi rispose alla fine – anche se è molto probabile che io mi debba trasferire di nuovo, a breve -
Rimasi stupita da quell'affermazione. Sapevo che, non essendo riusciti a dividere me e Beyond, sia lui che Kendra sarebbero stati probabilmente puniti dal direttore dell'orfanotrofio. Beyond sosteneva che a quel punto i due avrebbero anche potuto decidere di ucciderlo, anche se in quel momento lo sguardo vagamente triste di Aki nel mio non mi avrebbe mai fatto sospettare di avere davanti un potenziale assassino.
- Come...? E perché? -
- Sarebbe troppo lungo da spiegare e non sono sicuro di aver voglia di parlarne... volevo solo che tu lo sapessi, prima di scomparire nel nulla senza alcun avvertimento. Mi sarebbe sembrato... maleducato -
-Ma... non capisco -
Aki evitò il mio sguardo interrogativo. - Mi dispiace molto... - disse alzandosi.
Non riuscii a dire niente. Mi aveva decisamente colto in contropiede. Lo vidi avvicinarsi alla porta.
- Aki.. -
Si voltò a guardarmi.
- Perché non mi spieghi cosa sta succedendo?-
Lui non mi rispose neanche, uscendo dalla classe.
Scossi la testa, poco convinta da quella conversazione. Presi subito il cellulare e uscii a farmi un giro per i corridoi mentre telefonavo a Beyond.
- Amore? -
- Ciao, senti, è successa una cosa -
- Tutto a posto? -
- Non lo so... - risposi pensierosa, cominciando a raccontargli quanto era appena accaduto.


 

Mello aveva portato Lucy a pranzare fuori. Avevano mangiato le loro pizze in silenzio, l'uno davanti all'altra. Lo sguardo di lei si perdeva nei piccoli gesti di lui con una strana tristezza: dal comportamento del biondo non si presagiva nulla di buono.
Quando ebbero finito e furono usciti all'aria aperta, lei gli chiese cosa volesse fare.
- Casa tua – disse semplicemente lui.
Camminarono mano nella mano per alcuni minuti, Lucy che tentava di trasmettergli qualcosa con sguardi che non venivano colti.
Furono presto in camera di lei, a disagio, sospesi in un'atmosfera che incastrava entrambi nel silenzio.
- Mello... - sussurrò lei, sedendosi di fianco a lui, sul letto.
Gli scostò i capelli biondo grano dal volto, lasciandogli una carezza.
- Ti devo dire una cosa – disse lui, estorcendosi ogni parola a forza. Non voleva dirle niente, invece. Non voleva che lei soffrisse per causa sua. Si era messo da solo in quella situazione pericolosa e non sopportava che qualcun altro dovesse subire il peso delle sue decisioni.
Sapeva che le avrebbe fatto male. Ma sapeva altrettanto bene di doversene andare. Sapeva quando sarebbe successo e più ci pensava, più il tempo gli pareva essere arrivato ad un limite estremo. Gli stava gocciolando dalle dita troppo in fretta.
Quanto gli rimaneva?
Quanto? Poche ore, pochi minuti, pochi secondi. Nulla. Era già troppo tardi.
- Non mi devi dire niente – mormorò alle sue orecchie Lucy, una mano intrecciata alla sua.
- No.. ascolta... -
Ma lei gli posò un dito sulle labbra, invitandolo al silenzio. Come lui non voleva parlare, lei non voleva ascoltare: immaginava da sola quello che avrebbe sentito e quanto ne avrebbe sofferto.
Non voleva sprecare il poco tempo che rimaneva loro a scambiarsi inutili parole che non avrebbero lasciato niente.
- Tu ti ricorderai di me? - domandò al biondo.
- Tu? -
- Sempre – assicurò lei con gli occhi più seri che Mello le avesse visto addosso.
Si perse in quegli occhi di cioccolato. - Mi ricorderò – disse infine.
Lucy si colorò di un impercettibile sorriso, cercando un contatto con lui che le ricordasse che ciò che stava vivendo era vero.


 

E finalmente, le prove. Ero arrivata in sala qualche minuto prima degli altri e ne avevo approfittato per attaccare la mia chitarra a quella fantastica testa Fender di cui adoravo il suono e mettermi a strimpellare qualcosa.
Ma Matt si fece vedere quasi subito, basso in spalla e le enormi cuffie che sparavano musica a volumi così indecenti che li sentivo io dall'altro lato della stanza. Quel ragazzo era un caso perso...
Fischiettando una canzone mi salutò, sorridendo, e cominciò a sistemare basso e pedali con calma e metodo, ripetendo gesti ormai familiari anche a me. Io appoggiai la chitarra e mi sedetti alla batteria, giocherellando con i piatti.
L'occhiata d'intesa e ironia che ci lanciammo io e Matt vedendo arrivare batterista e cantante insieme fu abbastanza evidente da far alzare gli occhi al cielo ai suddetti. Jack salutò con rassegnazione, lanciandomi addosso le bacchette per farmi sloggiare dal suo posto, mentre Jen, ridendo, cominciava a sistemare l'impianto voce.
- Vediamo di muoverci, ritardatari! - li rimbeccai. - Ho capito che l'ammòre chiama, ma le prove sono più importanti, ok? - ridacchiai.
- Sei solo invidiosa - provocò Jack, montando il doppio pedale.
- Ti piacerebbe! -
- Allora, oggi dobbiamo vedere due canzoni nuove quindi basta litigare! - ci rimproverò scherzosamente Matt.
- Certo mamma... - commentò Jen.
Tempo di una prova volumi e attaccammo a suonare. C'era un ottimo clima in sala prove quel giorno, suonammo bene e un'ora passò in fretta.
- PAUSA! - implorò quindi Matt.
- Accordata!- esclamai, sfilandomi la tracolla della chitarra stiracchiandomi.
Uscimmo dalla sala per prenderci un po' d'aria fresca . Jack si fece come al solito un thé alla pesca alle macchinette, Matt un caffè. Mentre i ragazzi sparivano con gli spiccioli, io mi lasciai cadere sui divanetti neri del corridoio, osservando Jen che saltellava inquieta.
- Che c'hai oggi? - le chiesi.
Lei sbuffò, scostandosi i capelli dal volto e stringendosi nelle spalle. - Boh, sono un po' nervosa -
- Successo qualcosa? -
- No, solo che... - mi guardò un po' incerta.
- Solo che? -
Sorrise timidamente. - Sono felice per... per Jack sai. Sono solo un po' preoccupata per i miei genitori. Oggi mio padre dovrebbe chiamarmi e visto che... beh, mi ha detto che stanno divorziando, quindi vorrei capire che ne sarà di me, in sostanza -
Annuii, cercando delle parole da dirle. - Spero che si risolva tutto per il meglio Jen. Se hai bisogno di qualcosa, noi siamo qua, eh -
- Lo so, grazie... -
I ragazzi comparvero con in mano le loro bevande e si sedettero anche loro, mentre Jen riprendeva a camminare inquieta.
Jack la osservò per qualche secondo e con una sorta di compiaciuta rassegnazione sospirò, scavallando le gambe e facendole cenno di sedercisi.
- Almeno sta ferma – commentò, ridendo, beccandosi un'occhiataccia della bionda.
Ma un attimo dopo si appoggiò a lui come una gattina e gli prese le bacchette per giocherellarci. Io e Matt ridemmo silenziosamente nel vedere il più cinico e brusco dei batteristi guardarla con un fondo di tenerezza e correggerle per l'ennesima volta la presa sulle sue stesse bacchett, coprendola di scherzosi insulti.

Quando un'ora dopo finimmo di provare e uscimmo dalla sala ci trovammo Beyond che mi aspettava appoggiato al termosifone. Chiacchierammo per una ventina di minuti prima di separaci: Matt se ne andò in biblioteca, Jack e Jen sparirono insieme e io mi avviai verso casa insieme a Beyond.
Camminammo silenziosamente, mano nella mano, preferendo fare due passi che prendere l'autobus. Il cielo era bianco quel giorno e faceva particolarmente freddo, sebbene ormai il peggio dell'inverno fosse passato. Il nostro respiro si condensava in sottili nuvolette facili a dissolversi.
- Senti, cosa ne pensi di Aki? - gli domandai ad un certo punto, camminando al suo fianco nella luce pallida.
Avevo continuato a pensare a quello che il ragazzo mi aveva detto alla fine delle lezioni. Il fatto che mi avesse anticipato della sua imminente partenza mi aveva preoccupato. Poteva significare solo una cosa: sapeva che lui e probabilmente anche Kendra sarebbero stati tolti dalle nostre vite. E ok, la cosa di certo non mi dispiaceva. Ma da quello che Beyond mi aveva fatto capire, non sarebbe finita così facilmente.
- Beh, evidentemente sa che il direttore li toglierà dal gioco. Voglio dire, non stanno riuscendo a separarci, quindi non servono più. Non so cosa potrebbe succedere sinceramente... - rispose lui, abbassando lo sguardo.
- Se dovesse succederti qualunque cosa voglio saperlo, ok? -
- Spero di potertelo far sapere – rispose semplicemente lui, evitando il mio sguardo.
Sospirai pensierosa, aprendo il cancello e facendolo entrare in casa.
Ci sistemammo in sala con due tazze di caffè e tutta la volontà di studiare, ma finimmo quasi subito per chiacchierare fra noi. Il libro di fisica sembrava lanciarmi occhiate di aspro rimprovero, ma decisi che poteva aspettare.
Beyond era nervoso, ma tentava di nasconderlo in ogni modo, probabilmente per paura di contagiare anche me. Tentai in tutti i modi di tranquillizzarlo, ma mi resi conto che ero io la prima ad essere in ansia.
Alla fine mi andai a sedere in braccio a lui e lo abbracciai, sperando che laddove le mie parole avevano fallito un silenzio sarebbe bastato.
- Mi mancheresti davvero troppo, se dovessi scappare via – disse alla fine, ricambiando il mio abbraccio.
- Non ce ne sarebbe bisogno, lo sai. Qualunque cosa dovesse capitare voglio che tu mi chiami o che tu venga direttamente qui -
- Io non posso... -
- Promettimelo –
Lui mi guardò, decisamente insicuro. - Ma se -
- Non voglio sentire altre ipotesi catastrofiche -
- Va bene, te lo prometto... - cedette.
- Grazie Beyond. Lo sai che non ti lascio da solo, scemo -
Lui sorrise.
Fu in quel momento che il suo telefono suonò.
- Pronto? -
Io mi alzai e portai in cucina le tazze di caffè, approfittando del momento. Ma quando ritornai, notai che qualcosa non andava. Beyond era in piedi, pallido.
- Cos'è successo amore? -
- Il direttore mi ha detto di tornare – disse. - All'orfanotrofio, intendo -
- Cosa... perché? -
- Non l'ha detto... -
Beyond sembrava decisamente spaventato.
- Non ci andare – mi sfuggì.
- Non posso -
- Non è vero , puoi scappare! - protestai.
- Ti metterei in pericolo, tu non lo conosci -
- Potrei scappare anche io – lo interruppi.
Lui scosse la testa, ritrovando all'improvviso tutta la sua fermezza. - Lo sai che devo andare -
E per quanto potessi protestare, non avrebbe cambiato idea. Capii che il direttore lo spaventava davvero troppo per rischiare. Tutte le parole che tentai di dirgli furono inutili e non potevo certo costringerlo con la forza.
Alla fine, non potei fare altro che guardarlo andare via a sguardo basso. Non riuscii a fermarlo.


 

Jack osservava la sua ragazza decidere cosa indossare in vista di una festa a cui doveva partecipare di lì ad una settimana, sdraiato sul letto di lei con le mani dietro la testa e un sorriso divertito che faceva capolino sul volto.
- No, questo mi fa sembrare una vecchia... questa gonna potrebbe andare, ma non ho niente da metterci sopra! E poi c'è questo vestito rosso che però è troppo osè, e quest'altro nero che però non mi convince per niente... - discorreva lei, senza neanche aspettarsi delle risposte.
- Jen... -
- Che vuoi tu? -
- A me quello nero piace – affermò Jack.
- Davvero? Mi stavi ascoltando? - si stupì la bionda, sorridendo.
- Sì, beh, sono qui. Provatelo, dai -
- Chiudi gli occhi! - ordinò Jen, ripescando il vestito nero dalla pila ammonticchiata sulla poltrona.
Il riccio obbedì, stiracchiandosi. Quando gli venne dato il permesso di guardarla di nuovo, si fermò qualche istante ad analizzare il risultato.
Il vestito nero aveva una gonna vaporosa che finiva poco sopra il ginocchio e una scollatura che scopriva completamente la schiena. Davanti non era troppo scollato e aveva qualche ornamento in pizzo che conferiva eleganza a tutto l'insieme.
- Io approvo – decise infine il batterista.
Ma la bionda non era convinta.
- Non è troppo... non lo so, se poi sono inopportuna? -
- Nah, sarai solo la più carina, fidati -
Lei bofonchiò qualcosa e si sedette sul bordo del letto, tirandosi i capelli di lato e cominciando a farsi una treccia. Sorrise quando Jack si tirò a sedere dietro di lei, tentando di scombinarle la capigliatura senza successo.
- Eddai, sei terribile! - protestò ridendo insieme a lui.
- Ma sono più belli sciolti – si giustificò il ragazzo.
- Perché pensi di avere potere decisionale sui miei capelli, tu? -
- Mh, in effetti... -
Si girò sorridendo e gli accarezzò il volto, ma lui distolse lo sguardo accennando un sorriso e scostandosi di poco. Poi però, preoccupato di averla contrariata, prese la mano di lei fra le sue tentando un gesto di affetto.
La bionda aveva scoperto che il batterista era molto timido a volte, e non sapeva come comportarsi. L'aveva divertita scoprire che in certi casi anche lui fosse impacciato, sebbene ciò non gli impedisse di essere dannatamente insensibile per il resto del tempo. Non che la cosa la disturbasse: adorava il suo modo di ragionare e la sua totale assenza di filtri. Quando Jack voleva dire qualcosa, la diceva senza porsi troppi problemi. Certo, quando poi capitavano quelle rare occasioni in cui invece si tratteneva dal dire alcunché era difficile capire cosa gli passasse per la testa o perché lo facesse.
- Posso farti una domanda? – disse, affondando una mano nei suoi ricci, compiaciuta di essere l'unica con il diritto di farlo.
- Dimmi -
- Come mai ti dà fastidio quando qualcuno ti tocca il viso e gli occhi? L'ho notato, ultimamente - gli domandò la bionda con curiosità.
- In realtà è una cosa che risale a quando ero piccolo – disse lui, ridendo. – Sai che sono daltonico, no? Ecco, non so perché quando ero piccolo avevo paura di diventare cieco. Perdo ancora dieci anni di vita ogni volta che a kung fu tentano di tirarmi un pugno vicino agli occhi. Poi da quando due anni fa mi hanno rotto il naso perché avevo la guardia bassa sono diventato ancora più attento -
- Attento? Direi vagamente paranoico – lo prese in giro Jen tirandogli un riccio.
- Mi hanno distrutto il naso! - protestò lui.
- A me piace così – fece lei.
Jack alzò gli occhi al cielo, rassegnato. - Tra l'altro mi hanno dovuto tenere il ospedale un paio di giorni. Tecnicamente ci dovevo stare una notte, ma dormendo involontariamente mi sono tolto la medicazione, quindi mi hanno messo “sotto sorveglianza” -
- Sei terribile – rise lei. - Ma non provare a svicolare. Dobbiamo lavorare su questa cosa -
- Perché? - chiese lui sarcasticamente.
- Perché non voglio che tu perda dieci anni di vita ogni volta che qualcuno ti sfiora, cavolo, moriresti troppo giovane! - scherzò Jen.
- Che cagacazzo – commentò lui con un sorriso sarcastico.
- Che simpatico -
- Non era certo mia intenzione essere simpatico – puntualizzò.
- Pf, e quando mai? - fece la bionda, con una risata.
- Dovresti apprezzare la sincerità -
- Anche tu, paranoico -
- Non sono paranoico! -
- Ah no? Hai paura di diventare cieco se ti tocco gli occhi, l'insalata mista ti turba profondamente, conti sempre gli scalini e se non sono pari la cosa ti mette a disagio... -
- La pianti? -
- Se la pianti tu! - rispose Jen con una risata.
Jack colse la citazione da Scrubs al volo. - Ah, sono troppo fiero di te per risponderti – disse dunque.
Lei sorrise e gli accarezzò lentamente il viso. - Ti dà fastidio allora? -
Visto che non ottenne risposta se non quella di uno sguardo imperscrutabile, la bionda gli coprì delicatamente gli occhi con le mani. Sentì le sue ciglia sbattere qualche volta prima di abbassarsi definitivamente. Si avvicinò ai lineamenti che tanto le piaceva osservare e pose un bacio sul naso del riccio, che sorrise.
- Quanti anni di vita stai perdendo? - lo prese in giro.
- Sei proprio una cagacazzo, sappilo – rispose lui ironicamente.
- Quindi nessuno? - incalzò Jen.
- Non ho alcuna intenzione di rispondere -
La bionda spostò le mani e lo guardò negli occhi scuri. - Allora, sei diventato ceco? -
- Ovviamente no –
- Chiudi gli occhi, piccolo stronzo -
Lui obbedì suo malgrado, sospirando. Jen baciò gli occhi del riccio, per poi ridere sommessamente e scostarsi in attesa di una reazione. Quando il batterista riaprì gli occhi non disse nulla, ma le sue mani si intrecciarono a quelle della bionda e il suo sguardo rimase fisso nel suo, imperscrutabile.
Si avvicinò a lei fino a che le loro fronti non si sfiorarono, accarezzandole il viso e sorridendo ogni tanto delle carezze che da lei riceveva.
Non c'era alcun bisogno di parlare per nessuno dei due, non volevano rompere quel momento, non volevano superarlo. Sarebbero rimasti lì per sempre, ma evidentemente non era quello che erano destinati a fare.
Il telefono di Jen cominciò a squillare, sotto il mucchio di vestiti che aveva tirato fuori.
La ragazza si rabbuiò di colpo, ma corse a prenderlo e rispose. Si capì subito che la telefonata era quella che stava aspettando da giorni, quella da parte di suo padre.
La bionda fece un cenno di scuse a Jack ed uscì dalla camera, rispondendo ad un tono di voce sempre più cupo ed incalzante a ciò che sentiva dall'altra parte.

 


 

Matt aveva passato un paio d'ore a studiare filosofia insieme con Cleo, a casa di lei. I due erano entrati in perfetta sincronia da un po' di tempo a quella parte, tanto che a volte sembravano leggersi nel pensiero. Ormai avevano imparato a conoscersi a vicenda abbastanza bene da capire l'altro con un solo sguardo.
Quando avevano finalmente chiuso il libro di filosofia, uscire a fare due passi era parso loro un obbligo.
In quel momento – camminavano già da un paio di minuti – stavano entrando nel parco vicino a casa di Cleo, mano nella mano. Il freddo spingeva a stringersi l'uno con l'altra.
- Certo che sei una stufetta! - rilevò ad un certo punto lei.
- Modestamente, sono quasi perfetto –
- Se, credici –
- Eccerto che ci credo, e anche tu! -
- Ah sì?-
- Infatti mi ami! - continuò Matt.
- Ah sì? - incalzò ancora lei.
A quella domanda il rosso esitò, lanciandole una mezza occhiataccia ironica. - Questo è un colpo basso! -
Cleo rise, scompigliandogli i capelli.
Presto i due si trovarono una panchina libera e la occuparono. Matt si accese silenziosamente una sigaretta e fece un tiro, soddisfatto.
- Che sonno... - sospirò la ragazza, appoggiandosi a lui.
- Come mai? -
- Beh, è un periodo un po' stressante – disse lei, rubandogli i guanti dalle tasche della giacca e infilandoseli, sebbene fossero decisamente grandi per lei – fra una cosa e l'altra non riesco mai ad andare a letto ad ore decenti... -
- Continua – la invitò Matt.
- Non c'è molto altro da dire... sono un po' preoccupata per la scuola: ormai stiamo per finire l'anno ed è parecchio pesante. Ma ultimamente sto avendo un piccolo calo, nulla di che, però mi secca. Anche per questo sto cercando di studiare di più e, di conseguenza, vado a letto tardi. E poi vedo tutti molto stressati -
- Tutti? -
- Sì, i miei amici, te.. alla fine mi stresso anche io -
Matt aspirò una nuvola di fumo, pensieroso. - Mi dispiace che ti senta così. Vorrei poterti dire che non sono stressato, ma purtroppo, lo sai... -
- Non ti devi mica sentire in colpa, scemo! -
- Mh... -
Cleo si strinse al rosso, infreddolita. - Non ti devi preoccupare Matt, è solo un periodo. Ok?-
Lui annuì, continuando a fumare. Quando finì la sigaretta ricambiò l'abbraccio di Cleo, dandole un buffetto sulla guancia.
Fu pochi minuti dopo che il suo telefono squillò. Non appena rispose, il rosso cambiò espressione, sotto lo sguardo attento e preoccupato della ragazza. Le sue parole furono brevi e concise, come la telefonata stessa. Per quanto breve, quando mise giù, il rosso pareva un'altra persona.
- Cleo, devo andare – disse senza guardarla.
- Hey, si può sapere cosa sta succedendo? -
- Io... non lo so, probabilmente non potrei comunque dirtelo... -
- Ti ha chiamato Mello? -
- Sì -
- E dove dovresti andare? -
Matt prese un profondo respiro. - All'orfanotrofio. Sta per succedere -


 

Ero decisamente troppo nervosa per restarmene in casa, dunque misi il guinzaglio al cane e uscii a fare due passi. L'aria fresca mi aiutò a riordinare i pensieri, ma l'ansia rimase. Non sapere cosa stesse succedendo era una sensazione orrenda.
Camminai per un buon quarto d'ora prima di decidere di fermarmi e sedermi su una panchina scrostata dal tempo, Nacho accucciato al mio fianco.
Sospirai, ripensando a come era cambiata la mia vita da quando Beyond ne faceva parte. E a come ero cambiata io: stare con lui mi aveva dato molto e speravo che la cosa fosse reciproca.
Pensare di perderlo da un giorno all'altro senza sapere dov'era finito o cosa stava facendo mi faceva impazzire. Non potevo permetterlo.
Ma non potevo fare niente, al tempo stesso.
Quando il telefono cominciò a squillare per poco non mi prese un infarto. Nella speranza che fosse lui risposi al primo squillo, alzandomi in piedi senza motivo.
- Hey Alma, sono Cleo -
Mi sedetti nuovamente, reprimendo un sospiro. - Ciao, come va? -
- Senti, ti devo dire una cosa - fece lei.
Notai che aveva un tono di voce strano. - Tutto a posto? -
- Non proprio... -
- Dimmi tutto -
- Ero fuori con Matt e ad un certo punto Mello l'ha chiamato e gli ha chiesto di tornare all'orfanotrofio. Ora, io non so cosa stia succedendo, ma sono abbastanza certa che sis qualcosa di grave e... non ce la faccio ad aspettare senza fare niente. Non so che cavolo stanno combinando, non so perché... e ho pensato che visto che anche Beyond è di quell'istituto, forse tu sapevi qualcosa di più. - spiegò.
- Io.. in effetti anche Beyond è dovuto tornare, poco fa. È stato richiamato dal direttore. E anche io sono molto preoccupata. Senti, dove sei? -
- Al parco, tu? -
- Anche io! -
- Punti di riferimento? -
- La fontanella strana, quella rotta. Becchiamoci lì – stabilii prima di chiudere la chiamata e alzarmi.
Dopo pochi minuti mi trovai ad abbracciare Cleo e parlare faccia a faccia, Nacho che ci trotterellava attorno. Parlammo per un po' prima di giungere alla conclusione che ci avrebbe forse permesso di sentirci meno inutili.
- Allora andiamo all'orfanotrofio -
Annuii.
- Succedesse qualcosa, almeno saremmo lì-
- Giusto -
Ci avviammo senza dire altro.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Il piano di Mello ***


Salve gente! Come state? Spero bene ;)
Se avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate degli sviluppi di questo capitolo! 
Sto veramente in un periodo sempre più incasinato, un qualcosa di allucinante! Spero di non sparire come in passato *le lanciano bucce di banane e pomodori*
Vado che sono di corsa (che novità)! :D  
Baciiii

Mina





Matt ci mise meno di un quarto d'ora per catapultarsi all'orfanotrofio. Camminando si accese nervosamente una sigaretta e la fumò in fretta, ma non lo calmò affatto.
Quando finalmente aprì la porta di camera sua, la scoprì vuota. Si aspettava quantomeno di trovarci Mello. Sbuffò e si lascio cadere sul letto, gettando la giacca da qualche parte sul pavimento. Non sapendo come far passare il tempo si infilò le cuffie anni '80 e sparò la musica a tutto volume.
Per questo, quando Mello arrivò una decina di minuti dopo, dovette tirargli addosso un cuscino per riscuoterlo, lanciando qualche imprecazione.
Il rosso si tolse subito le cuffie e ci mancò poco che morisse d'infarto.
- Cristo Matt, ti dai una svegliata? - esclamò Mello, lanciandogli un'occhiata gelida. - Allora, hai detto che mi vuoi dare una mano, no? -
- Certo -
- Sei sicuro? Guarda che non si torna indietro – disse freddamente il ragazzo, sedendosi sul letto di fronte a Matt.
- Lo so bene -
- Beh, contento tu... - fece allora il biondo – Ho bisogno che tu raduni tutti i ragazzi nella mensa, è l'unico posto dove ci stiano tutti. Dopodiché devi raggiungermi davanti all'ufficio di Roger, chiaro? -
- Come cazzo faccio a radunare tutti da solo? E poi chi ti dice che non ci sia della gente fuori? -
- Non sarai da solo, idiota e sono stati tutti richiamati – lo rimbrottò Mello - Adesso vieni con me -
Matt lo seguì fuori dalla porta, dove quattro guardie li attendevano. Il rosso perse dieci anni di vita, convinto che li avessero scoperti – qualunque cosa stessero facendo – e che adesso sarebbero stati quantomeno fatti fuori.
Notando il pallore del rosso, Mello sbuffò. - Stai calmo, delle guardie non ti devi preoccupare. Non sono più dalla parte di Roger da un po' -
- Come.. non sono più dalla parte di Roger? -
- Si chiama corruzione Matt – chiarì annoiato il biondo – E se non mi chiedessi come le ho corrotte te ne sarei più che grato – concluse.
- Mello, ma che cazzo... -
- Non fare domande adesso. Mi vuoi aiutare o no? -
- Sì, certo -
Mello gli spiegò che quelle quattro guardie, più un'altra decina già all'opera, l'avrebbero aiutato a radunare i ragazzi nella mensa, dove il rosso avrebbe dovuto tentare di calmarli e poi possibilmente raggiungerlo. Gli suggerì di usare Beyond se necessario, una figura abbastanza rispettata fra gli orfani. Gli annunciò anche che gli aveva dato il pieno comando su quelle guardie.
- Se devi parlare con me usa la ricetrasmittente di una delle guardie, io comunque sarò sempre vicino all'ufficio di Roger – disse poi – Vedi di non fare casino, per favore. Quando avremmo finito... puoi venire con me se vuoi, ma non so se te lo consiglio -
- Dovremmo... scappare? -
- Decisamente – asserì il biondo. - Ti sembra che stiamo facendo qualcosa di legale? -
Il rosso scosse il capo. - Ho capito. Vai pure Mello, tenta di non ammazzarti. -
- Ah Matt... prendi anche questa, non si sa mai. Sai come usarla, no? - fece l'esile ragazzo, porgendogli una pistola con tanto di silenziatore.
Il rosso la prese senza troppe esitazioni, annuendo.
- Allora ci si vede - disse poi.
- Datti una mossa e non fare casino -
I due presero direzioni opposte, l'uno circondato da guardie che solo dieci minuti prima l'avrebbero terrorizzato e l'altro camminando velocemente verso l'ufficio del loro direttore, ancora ignaro di ciò che stava succedendo all'interno dell'istituto.


 

Poco prima, il suddetto direttore aveva dato finalmente l'ordine che Mello aspettava da giorni con ansia crescente.
- Portatemi Aki e Kendra subito – aveva sibilato a due delle sue guardie.
Le quali erano andate per prima cosa dal biondo per avvisarlo che il piano poteva essere attuato a partire da quel momento e poi a eseguire l'ordine di Roger.
In poco tempo, Aki e Kendra vennero prelevati dalle loro camere adiacenti, forniti di quanto necessario e trascinati dal direttore.
Dei due nessuno oppose resistenza, anzi. Si lanciarono alcune occhiate d'intesa e si affrettarono a stare al passo con le guardie.
Quando furono sbattuti dentro l'ufficio, erano il ritratto della tranquillità.
- Sedetevi – ordinò Roger, e così loro fecero.
Kendra gli piantò gli enormi occhi grigi addosso, scostandosi i capelli dal volto impassibile. Era come sempre elegante, un vestito nero vaporoso e molto ardito, gli anfibi e un giubbotto di pelle.
Anche Aki fissava il direttore senza espressione, compostamente seduto sulla poltroncina rosso scuro.
- Sapete già perché siete qui, suppongo. - cominciò, lisciandosi la giacca. - Non avete svolto bene il compito che vi avevo affidato, mi si dice. Eppure... era così semplice. Siete riusciti ad avvicinare ancora di più Beyond a quella ragazza, a quel che ne so. O forse mi sbaglio? -
I due ragazzi non diedero segno di voler rispondere.
- Bene, come immaginavo... dunque, ero convinto che non mi avreste deluso su una faccenda di così poco conto visti i compiti che in precedenza avete svolto in modo così diligente, per quanto decisamente più complessi di quest'ultimo. Ero convinto a concedervi la libertà, sapete? Ero già così felice per voi, dico sul serio. Ma mi rendo conto ora, come spero anche voi, che non ve la siete meritata. Se darvi la prospettiva della libertà vi rende incapaci, non temete, non l'avrete più – continuò Roger. - Sapete quando può essere fastidioso Beyond, non è vero? Vedo che è sempre più fiducioso, sempre più... sano. E quando riprende fiducia, nella sua mente nascono idee strane. Idee pericolose. È noto a tutti i presenti, credo, che quel ragazzo non è affatto stupido. E io non voglio che un ragazzo così intelligente e che mi odia così tanto cominci a pensare. Cominci ad avere speranze. Lo capite, questo? - I due ragazzi tesero le labbra in un impercettibile sorriso di circostanza, due maschere identiche.
- Immagino di sì. - riprese il direttore. - E quindi capirete quanto mi avete... deluso. Avete qualcosa da dire, a riguardo? - domandò infine.
Aki sfoggiò un sorriso evidentemente finto, in un lampeggiare blu di sguardi. - Abbiamo qualcosa da dire, Kendra? -
La nera pareva non essersi mossa, eppure in un secondo, Roger si trovò sotto il tiro di una pistola fornita di silenziatore. Lo sguardo della ragazzo lo perforò, ma il direttore non parve essere troppo preoccupato.
- Credo non abbiate capito bene la situazione. Non penserete davvero di potermi fare fuori così facilmente? Sapete, questa stanza è video-sorvegliata. Qualunque cosa stiate pensando di fare, sappiate che non vi servirà. Certo, potreste anche uccidermi. Ma poi le mie guardie vi farebbero letteralmente a pezzi e qualcuno di peggiore di me prenderebbe il mio posto. Vi chiudereste le porte in faccia, quelle che ancora non ho chiuso io. Sognate di essere liberi? La via non è questa -
Ma Aki non si lasciò ingannare dalla falsa calma di Roger, e, non appena una sarcastica risata di Kendra si spense, aprì il suo viso il un sorriso ambiguo. -No, sei tu che non hai capito bene la situazione, caro direttore. Le tue guardie non scalpitano più all'idea di eseguire i tuoi ordini, sai? Non siamo degli sprovveduti. Ci hai addestrato tu a non esserlo, ricordi? -
- Sei solo, Roger. Solo, chiuso nel tuo stesso ufficio, sotto il tiro della mia pistola -
Il direttore cominciò ad apparire spaventato. - Ragazzi, ragionate. Io posso darvi la libertà, ma anche molto di più, lo sapete benissimo anche voi. Non vi converrebbe in nessun caso uccidermi, io ho molte conoscenze, io posso-
-Tu hai già fatto abbastanza – lo interruppe Aki – e anche noi abbiamo i nostri contatti. Ti ricordi di Mello, vero? L'hai lasciato andare in giro parecchio nell'ultimo periodo, convinto che si sarebbe autodistrutto. Beh, quel ragazzo non è stupido come può sembrare, né così disperato come credi. Sai perché le tue guardie non ti obbediranno più? Le ha corrotte tutte, dalla prima all'ultima. -
Roger si esibì in una risata nervosa. - Non può averlo fatto! Con.. con che mezzi avrebbe mai potuto farlo, è solo un ragazzino -
- Ecco il tuo errore. Ci hai sottovalutati – disse gelidamente Kendra.
- I mezzi li ha trovati facilmente. Si è sporcato le mani, diciamo – spiegò il ragazzo tranquillamente. - Ora uccidilo pure Kendra -
- No, Kendra, parliamone. Io posso darti molto più di quanto non ti abbiano promesso, lo sai! - esclamò il direttore, mentre la ragazza gli faceva segno di non provare a muoversi e si avvicinava a lui lentamente.
- Oh, certo, puoi darmi molte cose. Lo so bene. Ma non puoi darmi il piacere di farti fuori – fu la sua risposta sibillina.
Kendra si portò alle spalle di Roger, la pistola sempre puntata alle sue tempie. Aki tenne il suo sguardo fisso su quello dell'uomo davanti a sé, ritornando impassibile.
La nera tirò fuori un coltello e appoggiò la lama alla gola del direttore, sorridendo alle sue parole di supplica senza degnarsi di dargli una risposta.
L'uomo cominciò ad urlare quando Kendra lo pugnalò inaspettatamente al petto, una, due, tre, quattro volte. Non si fermò fino a che il torace di Roger non su un irriconoscibile pezzo di carne sanguinolento. Dopodiché, senza riuscire a cancellarsi di dosso il suo sorriso, la ragazza osservò il suo operato. Non avrebbe saputo descrivere le sensazioni che provava in quel momento. Nulla,all'infuori dell'uccisione di suo zio, le aveva mai dato tanto piacere. Sentiva il sangue di Roger colarle sulle mani, ancora caldo. Si sentì attraversata dai brividi.
Aki si limitò ad alzarsi e a raggiungerla dietro la scrivania dell'ormai defunto direttore.
- Sei stata brava, Kendra – disse. Sapeva che in quel momento la mente della nera era vulnerabile.
Lei lo guardò sorridendo e lo tirò a sé, coinvolgendolo in un lungo bacio.
- Adesso cosa succede? Hai detto di avere un piano, giusto? - domandò poi. - C'entra Mello immagino.-
- Ora lo chiamerò e ti spiegheremo tutto, non ti preoccupare -
- Tu mi hai promesso che potevo avere Beyond prima -
- Certo, lo avrai – assicurò lui.
Ma la nera sapeva leggere le bugie molto bene. I suo sguardo si indurì improvvisamente e, un attimo dopo, la lama su cui era morto Roger minacciava la gola del ragazzo, impedendogli di muoversi.
- Adesso tu chiamerai Mello – gli sussurrò – e faremo una bella chiacchierata -
Aki riuscì a stento a trattenere un sorriso ironico: tutto stava andando secondo i suoi piani.
- Va bene, va bene, stai calma... -
Aki aziono la ricetrasmittente che aveva in tasca. - Mello, puoi entrare adesso – disse semplicemente.
La porta si aprì dopo pochi secondi, mostrando lo sguardo torvo del biondo.
Mello si trovò davanti - oltre ad un bagno di sangue che andava allargandosi sulla scrivania e sul pavimento, vicino al cadavere di Roger - Kendra e Aki in una situazione che non si aspettava.
La nera lo teneva in ostaggio, coltello alla gola.
Si concesse di sbuffare.
- Voglio Beyond, subito. -

Matt era riuscito a portare tutti nella mensa, con qualche difficoltà. Capiva che Mello gli aveva affidato quel compito perché vedere che era un orfano a dare ordini avrebbe rassicurato i più e appianato le proteste di molti degli elementi più vivaci. Tuttavia la sua presenza non era bastata per tutti.
Nonostante si fosse premurato di essere con le guardie che avrebbero prelevato i ragazzi meno inclini ad obbedire agli ordini, c'erano stati alcuni problemi. Alla fine, furono almeno una decina quelli che le guardie trascinarono a forza.
Ora erano tutti seduti ai lunghi tavoli, per la maggior parte con lo sguardo spento e rassegnato, qualcuno curioso, altri arrabbiati.
Matt salì su un tavolo e attirò l'attenzione di tutta la sala.
- Immagino vi stiate chiedendo cosa sta succedendo – disse. - Non posso dirvi molto per ora, se non che non siete in pericolo. Queste guardie non stanno dalla parte del nostro direttore. Ora è importante che restiate qui per un po', ma presto vi verrà detto di più. -
Si rese conto che le sue parole suonavano vuote, prive di significato. Ma dopotutto neanche lui sapeva che cazzo stesse tramando Mello, o cosa avesse intenzione di fare con quegli orfani.
Intravide Elle, impassibile come sempre, seduto in un angolo, ma il suo sguardo si soffermò su Beyond che lo fissava interrogativo, seduto di fianco a Misa e Near.
Sbuffando, il rosso scese dal tavolo e si avvicinò a lui, mentre i ragazzi cominciavano a mormorare fra loro, creando un brusio di sottofondo. Erano però troppo abituati a subire ordini per poter fare altre domande. Le guardie stavano alle porte e tenevano d'occhio coloro che avevano mostrato più spirito di ribellione, per niente rassicuranti, ma vedere che a parlare era stato uno di loro li aveva in qualche modo tranquillizzati.
- Matt, che cazzo sta succedendo? - chiese Beyond a bassa voce.
- E' opera di Mello, non chiedermi altro. Senti, tutti qui ti rispettano, o in qualche modo hanno paura di te. Quindi, mi faresti un favore a mostrarti tranquillo, chiaro? -
Il ragazzo annuì, un po' stranito. - Il direttore... ?-
- Ti ho detto di non farmi domande – ribadì Matt.
Beyond sbuffò, nervosamente. - Senti, io non capisco che cazzo-
Le sue parole vennero interrotte da una guardia, che richiamava l'attenzione di Matt.
Il rosso gli lanciò un conclusivo sguardo di scuse e si allontanò.
Beyond lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, prima di sbuffare di nuovo e incrociare le braccia, riflettendo. Non si aspettava niente del genere. Misa lo guardava senza il coraggio di chiedere nulla, ma evidentemente preoccupata.
- Stai tranquilla, Matt e Mello sanno cosa stanno facendo... - disse.
O almeno, lo spero – pensò poi.
Prese il cellulare dalle tasche e pensò di scrivere alla sua ragazza, come le aveva promesso. Ma si accorse che non c'era campo. Evidentemente Mello aveva i suoi mezzi per non far uscire o entrare nessuna informazione nell'istituto, se voleva.


 

Io e Cleo eravamo ormai arrivate davanti ai cancelli della Wammy's. Avevamo studiato qualche modo di entrare, ma non ci eravamo riuscite. Era impossibile scalarlo, così come improbabile forzarlo. Inoltre non avremmo sput cosa aspettarci una volta dentro. Probabilmente ci saremmo solo messe in altri guai.
Non ci rimase altro da fare se non attendere, sedute sul marciapiede.
Pareva che nessuno entrasse o uscisse.
- Cosa pensi che stia succedendo? - chiesi.
- Non ne ho idea -
Sbuffai, nervosa.
- Io non... cosa faresti se Matt dovesse scappare? -
Cleo abbassò lo sguardo. - Non ne ho idea – ripeté poi.
Avevo anche provato a chiamare Beyond, ma era come se il suo telefono fosse spento, cosa ancora più preoccupante. E lo stesso era successo a Cleo, quando aveva provato a contattare Matt.
Cosa stava succedendo oltre a quelle sbarre?

Matt uscì dal breve colloquio con la guardia decisamente incupito. Attirò lo sguardo di Beyond e gli fece cenno di avvicinarsi. Lo guardò avvicinarsi, tentando di nascondere la sua preoccupazione.
Mello gli aveva garantito che il suo piano prevedeva il salvarsi di tutti. Eppure proprio pochi secondi prima gli aveva ordinato di portare Beyond nell'ufficio del direttore, senza fare domande.
Quando il ragazzo gli fu vicino gli disse di seguirlo e uscì dalla mensa, raccomandandosi con le guardie di non far uscire nessuno e di mantenere l'ordine fra gli orfani.
- Matt, dove stiamo andando? -
Il rosso neanche gli rispose.
Ma quando Beyond si fermò e lo guardò a metà fra l'incerto e l'arrabbiato, fu costretto a fronteggiarlo.
- Stiamo andando nell'ufficio di Roger, vero? Senti, io non so che cazzo stiate facendo, ma non ho intenzione di-
Matt era già abbastanza nervoso per sopportare anche il nervosismo di qualcun altro. Lo interruppe quindi, tirando semplicemente fuori la pistola e togliendo la sicura, impassibile.
- Stai zitto per favore – disse poi.
Vide lo sguardo di Beyond farsi sempre più preoccupato.
- Non avresti le palle di spararmi -
- Vuoi davvero scoprirlo? -
Evidentemente il suo tono di voce fu abbastanza fermo e convincente, perché Beyond riprese a camminare.
Quando arrivarono all'ufficio del direttore, Matt gli lanciò un'occhiata di avvertimento e sospirò.
- Tieni – disse poi, porgendogli un coltello a serramanico. - Potrebbe servirti -
Il ragazzo lo prese senza chiedere nient'altro.
- Adesso apri la porta, muoviti – ordinò il rosso.

 

Mello non aveva avuto altra scelta: Aki gli serviva. E comunque non aveva certo intenzione di lasciare che Kendra facesse qualcosa di troppo estremo. Avrebbe trovato il modo di fermarla.
Sperava che Matt avesse abbastanza buonsenso da non far entrare Beyond là dentro completamente disarmato, sarebbe stata una vera e propria pazzia.
Sapeva che Aki lo stava fissando, ma non lo degnò di un'occhiata. Invece si appoggiò al muro di fianco alla porta e osservò lo scempio che la nera aveva fatto di Roger. Non lo nauseava più di troppo, ormai.
Dovettero attendere alcuni minuti prima che Matt si facesse finalmente vivo, durante i quali Kendra non si mosse di un centimetro.
Quando la porta si decise ad aprirsi, la ragazza sorrise, stringendo la presa su Aki.
Matt fece entrare Beyond, la pistola ancora puntata- cosa che fece alzare gli occhi al cielo a Mello.
- Sei contenta? - domandò poi a Kendra, senza mostrare alcuna emozione oltre alla noia.
- Ciao Beyond – disse lei.
Si aspettava una minima reazione si sorpresa da parte di lui, ma non trovò alcuno stupore nei suoi occhi. Questo la fece arrabbiare.
- Tu sapevi già che io e Aki... -
- Sì – confermò lui. - Lo sapevamo sia io che Alma -
- Ora capisco molte cose... - sussurrò.
- No, non capisci. Anche se non l'avessimo saputo, voi non ci avreste separato – disse freddamente Beyond.
Mello gli avrebbe volentieri tirato qualcosa addosso, mentre la ragazza scoppiava a ridere.
La nera gli fece poi cenno di avvicinarsi e lui, la pistola di Matt puntata alla schiena e quella di Kendra al petto, avanzò incerto.
Lei lo fece avvicinare fino a che la sua pistola non lo toccò. Solo allora lasciò andare Aki, il quale si allontanò subito.
Mello si fece più attento e, dopo aver lanciato un'occhiataccia al giapponese, avanzò di qualche passo.
Ma non poteva agire: Kendra teneva il ragazzo sotto tiro e non avrebbe esitato a sparare se si fosse sentita minacciata.
- Senti Kendra – disse dunque – io e Aki abbiamo un accordo che potrebbe includere anche te. Sai, dovrai scappare molto lontano da qui, quando avremo finito. E io posso aiutare entrambi, se voglio. Ho dei contatti che vi garantirebbero la libertà e sarebbero molto interessati alle vostre capacità. Ma se tu uccidi quel ragazzo... il nostro accordo salta e tu non esci viva da questa stanza. Sono stato chiaro? - - Come mai ci tieni tanto? - domandò Kendra, ironicamente.
- E tu? -
- Mi ha dato fastidio -
- Cosa vuoi da lui? -
Lei sorrise. - Qualcosa che vale più dei tuoi contatti, evidentemente -
La nera fissò Beyond così a fondo che il ragazzo si sentì completamente disarmato. La sua mano, coperta di sangue, accarezzò il volto di lui lentamente. - Sono indecisa, adesso che sei qui – sussurrò. - Potrei ottenere di portarti con me. Ma potrei semplicemente ucciderti qui, non sai quanto ne avrei voglia -
- Kendra, se lo uccidi ti ripeto che non uscirai viva di qui. Mi hai capito? - ripeté Mello.
Con la cosa dell'occhio, il biondo vide che Matt si stava muovendo lentamente.
- Pensi di potermi uccidere così facilmente, Mello? - domandò lei.
- Sì – disse Matt. Ora la sua pistola era puntata contro di lei.
- Possiamo giungere ad un accordo, visto che la metti così. Voi uscite subito da questa stanza e io non lo uccido. Mi basta averlo da solo per pochi minuti. -
- Perché dovrei fidarmi? -
- Se accetti... resterò disarmata – stabilì Kendra.
- Perché vorresti stare con lui senza ucciderlo? -
- Perché ti interessa? -
Mello rimase in silenzio.
- Pensaci, sarebbe una buona soluzione per tutti -
Il biondo lanciò un'occhiata a Matt, che annuì impercettibilmente.
- Beyond? - domandò poi.
- Non mi sembra di avere molta scelta -
- Ottimo, Kendra, lanciami pistola e coltello -
Un attimo dopo, lasciandosi dietro la ragazza disarmata, un Beyond non molto tranquillo e un cadavere ancora fresco di sangue, il biondo chiuse la porta e vi si appoggiò, apparentemente immerso nella calma più completa.
Matt camminava nervosamente avanti e indietro.
- Gli ho dato un coltello, Mel. Ma se lei lo uccidesse proprio con quello? -
- O magari invece sarà lui a toglierci dalle palle quella psicopatica -
Aki fronteggiò il biondo. - Questo non faceva parte del nostro accordo – commentò.
- Sei tu che le hai promesso Beyond, non certo io – sibilò Mello. - Come se a me facesse piacere... -
- Oh, invece a me fa piacere eccome -
Il biondo lo guardò con attenzione. - Avevi programmato anche questo, vero? -
- Può darsi sì, può darsi di no... -
Matt si stupì della velocità dell'amico nello scattare contro il giapponese, che si trovo improvvisamente strattonato contro la parete per il colletto.
- Avevi previsto anche che mi sarei incazzato? -
- -
Mello lo attraversò con uno sguardo così freddo che avrebbe paralizzato dal terrore anche il più aggressivo, ma non Aki, che si limitò a sorridere.
- Non pensare che io abbia così tanto bisogno di te, Aki.. -
- Hai promesso me e Kendra a qualcuno a cui non piace che gli venga mentito, o sbaglio? Kendra rischia di morire, non puoi permetterti di farmi male-
Fu Mello a sorridere, a quel punto. - Sai, sbagli. Ho preso anche io le mie precauzioni, piccolo idiota. Perché la vuoi morta? -
- Perché è completamente pazza -
Mello lo lasciò andare, sbuffando. Si scartò una tavoletta di cioccolato fondente e ne staccò un morso.
- Non resta che aspettare, ormai -


 

Beyond non voleva ammetterlo, ma una buona parte di lui era decisamente terrorizzata. Non sapeva di cos'era capace Kendra, ma a giudicare dal cadavere di Roger, non era una che si potesse calmare facilmente.
Le sue mani erano imbrattate di sangue, che colava lentamente verso il pavimento. Beyond poteva sentirne l'odore impregnare la stanza.
Kendra lo fissò intensamente per qualche istante. - Da quanto sapevi che io e Aki eravamo agli ordini di Roger? - chiese, apparentemente molto distaccata.
- Da un po' – rispose lui, arretrando di un passo.
Lei invece avanzò, senza staccargli gli occhi di dosso. Beyond si sentiva chiuso nella stanza con una specie di pantera, più che con una persona.
- Perché non mi hai respinto subito quando ti ho baciato? - domandò ancora.
Lui non rispose, ma sostenne lo sguardo grigio.
- Allora? - incalzò Kendra, avanzando ancora e costringendolo a scontrare le spalle con il muro.
- Mi facevi pena – ammise lui, temendo la reazione che sarebbe seguita.
- E come mai? -
- Perché sei molto finta. Sei vuota -
- E perché dovrebbe essere un male? - ringhiò Kendra.
- Ti perdi molte cose – rispose il ragazzo.
Kendra lo guardò negli occhi e gli prese una mano, portandola all'altezza dei propri occhi. - Le tue mani sono le mani di un assassino, precisamente come le mie. Anche tu eri come me, e lo sei ancora. È inutile che fingi di essere qualcuno che non sei, Beyond -
- Non sono io che fingo di essere qualcuno che non sono, in questa stanza-
Negli occhi della nera ci fu uno scintillio poco rassicurante. La ragazza si girò e si avvicinò alla scrivania del defunto Roger.
Aprì un cassetto e quando si voltò, in mano stringeva una pistola. - Quel cretino non ha avuto la prontezza di tirarla fuori al momento giusto, ma ho notato come il suo sguardo non si staccava da quel cassetto. Sapevo che c'era qualcosa di utile – commentò.
Beyond sentiva di essere sbiancato mentre la ragazza gli puntava contro l'arma e si riavvicinava. Se prima aveva qualche possibilità di farla ragionare, ora sapeva che erano sfumate.
Ora sapeva che uno dei due non avrebbe lasciato vivo quella stanza.
Sentì la pistola contro il suo petto e il respiro di Kendra a pochi centimetri.
- Perché dovresti uccidermi? - domandò, cercando di prendere tempo mentre ragionava in fretta.
- Tu mi offendi. E mi hai messo i bastoni fra le ruote. – rispose Kendra. - Inoltre uccidere mi piace da morire – sussurrò poi. - Ma se tu ammettessi di essere come me, potrei decidere di risparmiarti -
Beyond la guardò negli occhi. - Io non uccido le persone solo perché mi offendono -
- Lo hai fatto in passato. E so benissimo che anche a te piace farlo, non mi mentire -
Kendra rise sommessamente.
- Conterò fino a cinque. Prova a dire qualcosa di convincente prima che io ti spari, che ne dici? Io dico che è un gioco molto divertente. Uno... -
- Se tu mi uccidessi poi ucciderebbero te. Valgo davvero la pena di morire? -
- Non mi interessa vivere o morire. Io voglio solo fare ciò che mi rende felice, come tutti d'altro canto -
- Pensa al lungo termine -
- Due...
Beyond esitò. L'odore del sangue diventava sempre più forte. Sentiva il cuore pulsargli nelle tempie.
- Tre... -
Sentiva sotto le dita il manico del coltello datogli da Matt.
- Quattro... ultime parole? -
Fu il momento in cui agì: deviò il braccio di Kendra, che sparò al nulla e la sbatté contro il muro. La ragazza provò a ribellarsi con una furia tale che non ci volle molto a far perdere il controllo a Beyond.
Improvvisamente non sapeva più neanche dove si trovava, tutto ciò che esisteva erano il sangue che scorreva sulle sue mani, il coltello che continuava ad affondare e gli ultimi tentativi di resistenza della ragazza. Quando il ragazzo riuscì a fermarsi e a riprendere il controllo di sé era già troppo tardi da un po'. Il coltello che stringeva in mano aveva pugnalato ormai numerose volte il corpo tiepido di Kendra, coprendosi di sangue.
Gli cadde di mano, perdendosi in una pozza di sangue.
Beyond alzò lo sguardo e incontrò gli occhi grigi di lei. Per una volta non gli sembrarono più tanto profondi. Vi lesse ironia, sotto il velo offuscato della morte che avanzava.
- Non provare... a dire che... non ti è piaciuto... uccidermi... - riuscì a mormorare lei, un rivolo di sangue che le scorreva dalla bocca.


 

Nel momento in cui aveva sentito uno sparo, Mello era sobbalzato, bestemmiando sonoramente.
Aveva fermato Matt, che sarebbe voluto entrare, e divorato il suo cioccolato tanto in fretta da inquietare Aki.
E quando alcuni minuti dopo la porta si era aperta, il biondo non aveva potuto fare a meno di aspettarsi una Kendra coperta di sangue.
Quando invece vide gli occhi persi di Beyond fare capolino, si permise di tirare un sospiro di sollievo. La sua mossa successiva fu quella di tirare un pugno dritto in faccia ad Aki, il quale si ritrovò a terra in pochi secondi.
- Sei un fottuto idiota. Fai un'altra cosa del genere e l'accordo salta – lo avvisò poi. - Ricordati che ora tu non sei più nessuno. Sono stato chiaro? -
Il giapponese annuì, impassibile, e si rimise in piedi.
Matt non riusciva a staccare gli occhi da Beyond. Sembrava che fosse uscito da un mattatoio, coperto di sangue in quel modo. E dalla sua espressione sembrava che qualcuno lo avesse appena colpito pesantemente in testa.
Fu come prevedibile Mello a prendere in mano la situazione.
- Matt, prendi Beyond e accompagnalo in camera sua. Si cambierà, in fretta e poi lo riporterai nella mensa, chiaro? Vedi di darti una mossa, non abbiamo tutto il tempo del mondo qui e questo casino non era previsto. Dagli una cazzo di sistemata, insomma. Io fra venti minuti massimo lascio questo merdaio. Se non ci sei non mi interessa. Non ti aspetterò -
Il rosso annuì e prese il ragazzo per un braccio, conducendolo quasi a forza lungo il corridoio.
Il biondo sbuffò sonoramente. - Tu- disse ad Aki – segui me – e si avviò verso la mensa a masso di marcia, strattonandosi dietro quello che doveva essere il suo complice.

 

Beyond si sentì trascinare via da Matt. Lentamente il battito del suo cuore rallentò fino a tornare alla normale velocità, ma il ragazzo si sentiva ancora frastornato. Quello che aveva provato uccidendo Kendra l'aveva sconvolto.
Improvvisamente si trovò gli occhi accigliati di Matt davanti.
- Svegliati! - percepì che gli stesse dicendo il rosso.
Beyond prese coscienza del luogo in cui si trovava: erano arrivati in camera sua evidentemente.
- Cambiati e togliti quel cazzo di sangue di dosso – ordinò Matt seccamente. - Non puoi andare in giro così, lo capisci? -
Non ottenendo risposta, il rosso prese Beyond e lo trascinò davanti allo specchio del bagno, sbuffando. Quindi gli lanciò dei vestiti che non fossero ricoperti di sangue e sbatté la porta. Solo allora si concesse un respiro profondo e una sigaretta.
Beyond fissava un se stesso decisamente inquietante, nello specchio. Il rosso del sangue risaltava in modo particolare sulla sua carnagione quasi cadaverica, soprattutto in quel momento. Sollevò le mani e scoprì che erano uno spettacolo ancora peggiore.
Si sentiva ancora attraversato dai brividi per ciò che aveva fatto. L'immagine degli occhi di Kendra che si spegnevano nei suoi era come tatuata nella sua mente Aveva come la percezione che il tempo si fosse fermato e che lui fosse rimasto in quella stanza, con il cadavere di lei. Ciò che aveva intorno gli appariva confuso, surreale. Riuscì in qualche modo ad aprire il rubinetto e a esporre le mani al getto dell'acqua. Il rosso scivolò via lentamente, stemperandosi. Beyond, come poco prima mentre accoltellava Kendra lo trovava affascinante, osservandolo adesso ne rimase nauseato.
Distolse lo sguardo nervosamente.
Sentiva il suo corpo pulsare al ritmo del cuore, un ritmo dilatato e sospeso. Era come se percepisse attraverso un vetro appannato.
Cionondimeno quando uscì dal bagno Matt gli concesse un approssimato sorriso.
- Va bene, sei presentabile e non sembri più Jack lo Squartatore. Vieni qui – gli ordinò.
Il rosso esaminò Beyond e annuì seccamente: non vedeva tracce di sangue che avrebbero potuto inquietare qualcuno.
Lo sguardo vacuo e bruciante del nero però lo colpì. Non sapeva se era il caso di dirgli qualcosa.
- Senti... ehm... tutto a posto? - provò a chiedere, sentendosi subito dopo un deficiente: il ragazzo aveva appena ucciso una psicolabile, se avesse risposto di sì sarebbe stato solo inquietante.
Ma Beyond non rispose direttamente.
- Bene... andiamo, va.. - si risolse infine il rosso, trascinandosi il cadaverico Beyond fuori dalla camera.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** SBAAAAM ***


Lo so, lo so , LO SO. Sono una poco di buono che non aggiorna mai. Mi cospargo il capo di cenere e vi riempio di cuoricini se ancora state leggendo sta roba <3
Periodo difficile, spero passi e spero di ritrovarmi ad aggiornare presto, dico sul serio. Please, forgive me!
Vi si vuole sempre molto bene! 

Mina




Quando Beyond e Matt raggiunsero le porte della mensa, vi trovarono Mello ed Aki che discutevano animatamente. Il biondo stava evidentemente perdendo la pazienza, ma si sforzava di non alzare troppo il tono della voce.
- Hey Mel, tutto a posto?-
La risposta fu una sorta di ringhio. - Questo idiota mi ha fatto perdere di nuovo tempo. Questo vuol dire che noi non ne abbiamo più per tentare di spiegare agli altri orfani in che cazzo di situazione è questo posto. Dobbiamo scappare adesso – aggiunse poi il biondo.
Aki gli lanciò un'occhiata fredda, ma non disse nulla.
- Allora, che cosa facciamo? - domandò ancora Matt, vagamente scocciato.
Mello si voltò verso Beyond e gli piantò gli occhi addosso improvvisamente. Per il nero, quegli occhi affilati furono come una doccia gelida. Lo sguardo di impaziente richiesta che gli pesava addosso non permetteva altre esitazioni.
- Ti senti in grado di parlare con gli orfani, di là? - domandò seccamente il biondo.
- Io... cosa dovrei... -
- Spiega loro la situazione. Se non vogliono essere messi in un altro orfanotrofio possono anche scappare, certo. Ma non tutti gli orfanotrofi sono come questo -
Beyond non rispose, lo sguardo sperso.
-Mel, non credo che sia in condizioni di.. -
- Beh, io non ho più tempo, dovete cavarvela da soli almeno su questo – sbottò irritato il biondo.
Poi fece segno a Matt e ad Aki di seguirlo e ben presto sparì in fondo al corridoio, sotto lo sguardo allucinato di Beyond, che ancora non comprendeva fino in fondo che quei tre avevano appena salvato la vita a lui e a molti altri e che con ogni probabilità non li avrebbe visti mai più

- Mello, non puoi lasciarlo lì da solo! Ma hai visto in che cazzo di condizioni è? - esclamò concitato Matt attraversando velocemente il cortile, un passo dietro Mello.
- Cristo, ha solo ucciso una ragazzina idiota e rompicoglioni, facendo un favore praticamente a tutti, cosa devo fare, dargli un dolcetto e cantargli la ninna nanna? Come se non l'avesse mai fatto prima – ringhiò il biondo senza rallentare, trascinandosi dietro Aki.
- Ma.. -
- Se mi avessero consolato come una ragazzina ogni volta che ho sparato a qualcuno... - sibilò Mello a mezza voce.
- Come scusa? Cosa hai detto? - fece preoccupato Matt.
- Mi hai sentito benissimo -
- Tu non avrai... ucciso... - stentò a dire il rosso, spalancando gli occhi.
- Credi che sia facile compromettere un intero orfanotrofio? Sai quante cazzo di persone ho corrotto? Cosa pensi, che non abbia dovuto far altro che regalare tavolette di cioccolato a mezzo mondo? Cresci Matt. Siamo nel mondo reale adesso, o ti svegli o rimani indietro. Quanto cazzo mi dai fastidio quando sei così ingenuo! -
Il rosso si fermò e Mello si voltò a guardarlo, Aki ancora silenzioso come una tomba.
- Pensi che sia stato facile per me? - sputò il biondo, abbassando per la prima volta lo sguardo. - E non posso neanche prometterti che non lo rifarò. Anzi, se verrai con me anche tu sarai invischiato nei miei casini. Per questo... preferirei che trovassi la tua strada da solo, Matt -
- Io non posso lasciarti andare sapendo in cosa ti stai andando a cacciare – disse il rosso, non si capì se a se stesso o all'amico.
- Devi invece. Io ho fatto la mia scelta, ma questo non deve costringere te a fare niente -
- Mello... -
Il biondo rialzò lo sguardo, ma Matt trovò nelle sue iridi ghiacciate molta meno autorità e sicurezza di prima.
- Mello, tu sei l'unica cosa che ho avuto per molto tempo. Siamo cresciuti insieme. Sei come un fratello per me. Non ho alcuna intenzione di vederti sparire in un merdaio che neanche conosco. Chiaro? -
Il biondo prese un profondo respiro, senza accennare a rispondere. La luce ormai stava calando sui suoi capelli biondi.
Poi riprese a camminare, seguito dagli altri. Estrasse un mazzo di chiavi ed aprì il cancello.


 

Io e Cleo, sedute sul marciapiede di fronte all'orfanotrofio, avevamo passato il tempo in silenzio. Nessuno era uscito e nessuno era entrato. Nacho, il mio cane, si era da tempo accucciato al mio fianco, poggiando il muso sulle mie gambe con un mezzo sbuffo rassegnato all'attesa.
Cleo giocherellava nervosamente con i suoi anelli, lanciando numerosi sospiri.
Vidi chiaramente qualcosa cambiare nel suo sguardo quando lo alzò per l'ennesima volta. E quando mi voltai capii facilmente il perché: Matt, Mello ed Aki erano in piedi davanti a noi, proprio dall'altro lato della strada, lo sguardo sgranato tanto quanto il nostro.
- Cleo? - si stupì il rosso, avvicinandosi.
- Si può sapere che cazzo ci fanno qui, loro? - sbottò invece Mello, rivolto all'amico.
Cleo non esitò a correre incontro a Matt, abbracciandolo e sospirando di sollievo a vederselo davanti.
Io invece mi avvicinai al biondo, evidentemente molto scocciato, con Nacho che mi trottava affianco. Non mi erano sfuggite le pistole che i due ragazzi portavano in vita.
E non mi era sfuggito Aki, sguardo assente fisso sul terreno e mani in tasca. Gli lanciai un'occhiata di fuoco, senza capire. Lui mi sorrise. Fu un attimo e scattai, con tutte le più serie intenzioni di strappargli gli occhi.
Probabilmente, se Mello non mi avesse trattenuto, ci sarei riuscita Mi liberai irritata dalla sua presa, un casino che mi rintronava la testa, ma mi resi subito conto che evidentemente saltare addosso ad Aki non era una buona mossa.
- Mello, che cazzo succede? - sbottai quindi.
Il biondo prese un respiro profondo e cancellò dal proprio volto ogni traccia di emozione. - I cancelli sono aperti. Puoi andare a vedere tu stessa, nessuno ti fermerà. Noi... dobbiamo andare adesso – rispose poi duramente, voltandosi verso Matt e lanciandogli uno sguardo eloquente.
Ma l'attenzione del rosso non era per lui, in quel momento.
- Cos'hai fatto? E cosa cazzo ci fa qui Aki?- insistei.
- Ti ho fatto un favore, d'accordo? E il tuo Aki mi ha aiutato-
- Allora perché scappi? -
- Proprio per questo, cazzo – disse fra i denti – Matt, porca puttana! Dobbiamo andare! - esclamò poi.
Il rosso alzò lo sguardo smeraldino sull'amico. - Senti... posso raggiungervi... ? -
Vidi lo sguardo di Mello intristirsi e chiudersi improvvisamente, nel tempo di un sospiro. - Vedi di essere in stazione fra un'ora – si decise.
Matt annuì, serio. - Grazie -
Ma il biondo non si mosse per qualche secondo. Sembrava si stesse aggrappando a quei secondi come se fossero gli ultimi della sua vita.
- Allora... ci vediamo -
Mello si voltò e, insieme con Aki, cominciò ad allontanarsi.
Io mi voltai verso la mia amica. - Cleo, ci vediamo da Jen, d'accordo? - dissi velocemente.
- Da Jen? -
- Lei ha sempre casa libera e ci può dare una mano, fidati di me. A dopo -
Lei annuì, prese per mano Matt e corse via.
Mi ritrovai quindi da sola, in mezzo ad una strada, piena di incertezze. Potevo ancora vedere il biondo poco lontano da me. Nella mia testa si agitava un casino non indifferente. Aki? Mello? Matt? Ma che cazzo avevano combinato quei tre? Perché Aki? Cosa c'entrava? E Beyond dov'era? Stava bene? Dovevo entrare? Non dovevo?
Dopo qualche estenuante secondo di indecisione corsi verso di lui, raggiungendolo velocemente.
- Mello? -
- Cosa vuoi ancora? - mi ringhiò contro, voltandosi.
I nostri sguardi si incrociarono e in una frazione di secondo capii.
- Tu... non hai alcuna intenzione di aspettare Matt vero? -
- Io... non credo che debba seguirmi... ha un futuro decisamente migliore del mio, se vuole – si limitò a rispondere il biondo freddamente.
- Allora... l'orfanotrofio è...
- Non è più un posto da temere -
- Beyond...?-
- Trova la mensa – si limitò a dire.
- Suppongo di doverti ringraziare -
Lui si strinse nelle spalle. - Invece fammi un favore -
Annuii.
- Il tuo ragazzo è un po' in tilt al momento, ma è estremamente importante che qualcuno parli agli orfani. Sono tutti nella mensa, o almeno dovrebbero. Quando, fra poco, le guardie se ne andranno, saranno liberi. Ah, e le guardie sono dalla mia parte. -
- Cosa stai tentando di dirmi? -
- Se Beyond non c'è riuscito devi entrare in quella mensa e dire a tutti della situazione in cui si trovano: sono liberi, completamente. Le loro opzioni sono principalmente due. Possono scappare e andare a fare un po' quel cazzo che vogliono, ma saranno ricercati dagli assistenti sociali e dalla polizia. Oppure possono rimanere lì e prepararsi a quando, fra poco ormai, gli assistenti sociali e la polizia verranno a sapere di quello che è successo attraverso un simpatico messaggio anonimo e andranno a recuperarli. Ci sono buonissime probabilità che vengano tirati fuori da quel merdaio e trasferiti in orfanotrofi degni del loro nome, dove saranno assistiti e potranno forse trovarsi una famiglia. Devono scegliere, in fretta. -
- Mello, cos'è successo a Beyond? -
- Non ho tempo -
- Ok, capisco... farò quello che mi hai chiesto -
- Brava -
- Grazie Mello -
Guardai ancora una volta negli occhi il mio lunatico amico e provai un moto di tristezza profondo al pensiero di non vederlo più, di lasciarlo andare su una strada incerta, della quale non sapevo e mai avrei saputo nulla.
- Addio – disse lui, abbracciandomi velocemente.
Si sforzò di sorridermi, estrasse una tavoletta di cioccolato e ne staccò un pezzo. - Sentirai ancora parlare di me, te lo prometto! - esclamò prima di voltarsi e riprendere la sua fuga, Aki al seguito.
Ora stava a me. Dovevo entrare. Il mio cane mi guardò e mi precedette oltre il cancello dell'istituto.
Dopo un attimo di esitazione lo seguii.


 

Jack sollevò lo sguardo dal quaderno che aveva visto sul comodino e sfogliato per curiosità, trovandolo pieno di schizzi. Non si era soffermato a leggere le parole per non invadere gli spazi di Jen, ma non aveva potuto fare a meno di seguire con gli occhi le linee morbide che andavano a disegnare draghi, centauri, sirene e un'eterogenea schiera di creature mitologiche.
A Jen proprio non piace la realtà...- si era trovato a pensare.
Ma erano passati almeno venti minuti da quando Jen era uscita dalla stanza con uno sguardo che non prometteva nulla di buono e una chiamata di suo padre in arrivo e questo lo cominciò a preoccupare.
Dunque si alzò e uscì cautamente dalla stanza, guardandosi intorno. Ci mise qualche minuto a trovarla.
Jen aveva concluso la sua telefonata da almeno cinque minuti, quando lui la scorse. Da quando aveva messo giù, tuttavia, se n'era rimasta appoggiata al parapetto del balcone della cucina, le mani strette sulla sbarra di ferro. Se non per i capelli scossi dai singhiozzi del vento, la ragazza era immobile, una statua con le nocche bianche.
Il batterista le si avvicinò lentamente.
E vide gli occhi della bionda, terribili, fissi nel ventre della città che si apriva sotto di loro con un'intensità che avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro. Per quanto poco sensibile potesse essere, Jack cap che qualcosa non andava.
- Jen? -
Il suono della sua voce parve riscuoterla da quell'improvvisa stasi. Si voltò verso di lui, apparentemente troppo scossa per parlare
- E' successo qualcosa? -
Il batterista si rese conto subito dopo aver parlato che avrebbe fatto prima a chiedere cosa fosse successo.
- Sì -
- Tuo padre? - azzardò.
- Sì -
- Cosa? -
- Oddio, non posso dirtelo così... - sussurrò la bionda distogliendo lo sguardo.
Jack tentò di prenderle una mano, ma Jen non glielo permise.
Una lacrima scese dagli occhi di lei e venne asciugata dal tocco calmo della mano di lui. Le scostò una ciocca di capelli dal viso.
- Mio padre lavora a Los Angeles – disse lei cercando di sembrare neutra.
A quelle parole, al riccio parve di intuire qualcosa, ma non poteva, non voleva credere che Jen gli stesse per dire che...
- Vuole che io vada a.. vivere lì. Con lui -

 

L'orfanotrofio. Finalmente ero dentro l'orfanotrofio. Camminavo lentamente, un passo alla volta, Nacho al guinzaglio che per una volta non tirava. Mi guardavo intorno e non riuscivo a capire. Era tutto bianco, asettico, intonso. Davvero ci vivevano delle persone? Provai ad aprire qualche porta, senza successo. Erano tutte chiuse a chiave.
Trovai delle scale e finalmente anche qualcosa che mi potesse orientare, ovvero un piccolo cartello secondo cui la mensa era al primo piano. Salii.
Il silenzio era totale. Quando trovai finalmente la mensa non avevo idea di cosa aspettarmi. Vi avrei trovato Beyond? Questo non era certo. Era invece certo che quella stanza sarebbe stata piena di ragazzi orfani e – a giudicare dai pochi di loro che conoscevo, il mio ragazzo incluso – pieni di problemi o malattie mentali. Mi spaventavano a morte. Ma Mello aveva chiaramente detto e ripetuto che il tempo era poco, non ne avevo per spaventarmi a morte, quindi racimolai il coraggio rimanente e spalancai la porta con decisione, Nacho sempre al mio fianco.
Una donna decisamente più alta di me, in uniforme nera completa di manganello e pistola, mi squadrò sospettosa.
- Mi manda Mello – mi affrettai a dichiarare.
La reazione fu immediata: lo sguardo della donna si addolcì ed ella si spostò, rivelandomi la mensa in tutta la sua grandezza.
Si trattava di una stanza decisamente enorme, piena di lunghe tavolate. In fondo ci dovevano essere le cucine, supposi. Tutte le sedie parevano essere occupate da ragazzi o bambini i cui occhi erano fissi su di me. Chi mostrava rabbia, chi impazienza, chi sfoggiava sguardi vuoti e depressi, disinteressati, chi addirittura mi indirizzava una scintilla di speranza, anche se non intravidi neanche uno sprazzo di fiducia, anzi. E Beyond non era lì.
L'ansia mi stringeva lo stomaco in una morsa sempre più incalzante. Il mio istinto mi gridava di voltarmi e correre via, terrorizzata da quella schiera di persone potenzialmente molto pericolose. Se non mi avessero creduto? Dopotutto non mi conoscevano.
A salvarmi da quello che sarebbe certamente stato un fallimento però, fu un ragazzo alto, magro, capelli neri e spettinati e occhiaie profonde, che si alzò e venne verso di me senza dire una parola. Elle. - Mello è fuggito – disse. O domandò? Mah.
- Sì. Mi ha detto di... -
- Lo immaginavo. Se ti sentissi insicura o spaesata, permettimi di affiancarti. La mia presenza ti darà autorità su tutti i presenti. - propose tranquillamente, le mani in tasca.
Annuii.
- Ti senti pronta, Misora? -
- Certo che mi sento pronta – dichiarai. - Nacho, fermo – ordinai poi al mio cane, lasciando il guinzaglio e dirigendomi decisa verso il primo tavolo, il più vicino, quello da cui Elle si era alzato.
- Bene, vorrei che tutti voi mi ascoltaste attentamente– esclamai, salendovi in piedi e rivolgendomi con voce sicura a tutti gli occhi che mi fissavano senza battere ciglio. Elle era di fianco a me. - E' Mello che mi manda da voi. Ho poco tempo, ma ci tengo a dirvi che vi ha appena salvato da questo posto -
Ora che avevo cominciato a parlare, mi sembrava tutto più semplice. Insomma, non troppo più spaventoso che parlare alle assemblee di gestione davanti a tutta la scuola. Si poteva fare. Così andai avanti a spiegare ciò che mi aveva detto poco prima Mello, osservando la mia insolita platea interessarsi sempre di più al mio discorso e scrutare me e Elle senza sapere se crederci.
Superato quell'ostacolo, dovevo solo capire dove si era ficcato Beyond. Già, una passeggiata.

Matt aveva passato un'ultima ora con Cleo che l'aveva davvero distrutto. Sapere che non l'avrebbe potuta rivedere era lacerante. Ma non poteva lasciare Mello solo in quel casino. Voleva credere che sarebbe riuscito a tornare da lei o che in qualche modo sarebbero riusciti a incontrarsi ancora, anche se sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile. Quando arrivò a passi lenti alla stazione e cominciò a guardarsi intorno, si rese subito conto che qualcosa non andava.
Mello ed Aki non si vedevano da nessuna parte. Provò a chiamarli, ma il numero del biondo risultava misteriosamente inesistente.
- Sta sicuramente arrivando – si ripeteva, sempre più nervoso. - Deve arrivare, me l'ha detto -
Ma i minuti passavano velocemente e il rosso sapeva quanto puntuale e frettoloso fosse il suo amico, soprattutto in un momento come quello. Perché avrebbe dovuto tardare? No. Non era in ritardo, lo sapeva benissimo, ma non poteva concepirlo. - Dove cazzo sei, Mello-
Matt si sedette su una panchina e lì rimase per ore ed ore. Il sole fece in tempo a calare prima che si convincesse che Mello non sarebbe venuto.
Non poteva crederci. Non voleva crederci. Ma questo non lo smuoveva dalla decisione presa: avrebbe seguito l'amico fino all'inferno se necessario, ma non l'avrebbe guardato sparire e morire da qualche parte da solo. L'avrebbe trovato. Ovunque. Questo era più che certo.
La sua ricerca, che sarebbe cominciata quel giorno stesso, l'avrebbe portato molto lontano. Ancora non lo sapeva, ma alla fine, avrebbe trovato davvero il biondo. E non sarebbe mai riuscito a capire se, quel giorno in stazione, la sua decisione portata poi avanti con estrema caparbietà, fosse stata estremamente sciocca o estremamente coraggiosa.


 

Lucy stava studiando, quando il suo telefono suonò, nel tardo pomeriggio.
- Pronto, Mello? -
La ragazza sentì solo il silenzio del biondo dall'altra parte.
- Mello, tutto a posto? -
Ancora, nessuna risposta. Eppure sapeva che lui era lì, sentiva il suo respiro. Dopo qualche secondo di quello strano silenzio, lui chiuse la conversazione.
- Mello?!-
Lucy tentò di richiamarlo, ma una voce metallica la informò che il numero richiesto era inesistente. E intuì il significato di quella strana telefonata, e scoppiò a piangere. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=843435