Look into my eyes

di Ranyadel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** smile ***
Capitolo 3: *** Won't let you go. ***
Capitolo 4: *** why ***
Capitolo 5: *** demons. ***
Capitolo 6: *** Lego house. ***
Capitolo 7: *** seventeen ***
Capitolo 8: *** Anything but ordinary. ***
Capitolo 9: *** darlin. ***
Capitolo 10: *** kiss you ***
Capitolo 11: *** Good girls ***
Capitolo 12: *** Bring me to life. ***
Capitolo 13: *** I love you ***
Capitolo 14: *** remember when ***
Capitolo 15: *** Forgotten. ***
Capitolo 16: *** can't keep my hands off you ***
Capitolo 17: *** Firework ***
Capitolo 18: *** End up here ***
Capitolo 19: *** Never be ***
Capitolo 20: *** I will be ***
Capitolo 21: *** Welcome to my life ***
Capitolo 22: *** kiss me kiss me ***
Capitolo 23: *** I miss you ***
Capitolo 24: *** the only reason - parte 1 ***
Capitolo 25: *** the only reason - parte 2 ***
Capitolo 26: *** Shut up! ***
Capitolo 27: *** Rock 'n' roll ***
Capitolo 28: *** The last night ***
Capitolo 29: *** Yours to hold. ***
Capitolo 30: *** forgiven ***
Capitolo 31: *** what makes you beautiful ***
Capitolo 32: *** How to save a life ***
Capitolo 33: *** thinking out loud ***
Capitolo 34: *** bad dreams ***
Capitolo 35: *** Your love is a lie. ***
Capitolo 36: *** The moment I knew ***
Capitolo 37: *** Everything has changed ***
Capitolo 38: *** Armor. ***
Capitolo 39: *** The memory ***



Capitolo 1
*** prologo ***


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Prologo da pubblicare

Prologo

Chiamatemi pazza, indovina, stana, asociale, anormale. Chiamatemi come volete, preferisco farmi chiamare Coralie.

Non so perché, saranno gli anni passati a leggere e a osservare in disparte il mondo, ma quando vedo una persona, al 90% delle volte capisco com’è fatta, solo a vedere il suo sguardo, i suoi movimenti e le sue espressioni. Datemi trenta secondi e già mi sono fatta un’idea.

Mi diverto, mi piace indovinare.

Quando li ho visti per la prima volta, erano per strada: in quattro, che camminavano sul marciapiede opposto al mio e parlavano fitto fitto, scoppiando a ridere ogni tanto. “Guarda, quelli sono Ashton, Michael, Calum e Luke” mi aveva detto Carol, a bassa voce, indicandomeli uno per uno.

Michael: non mi diceva tanto. Infantile, con un sorriso tenero e tranquillo. Probabilmente, era dell’altra sponda, a giudicare dai capelli rosa.

Calum: gli occhi scuri e il suo sorriso erano sinceri, affidabili, luminosi, ispiravano fiducia.

Ashton: già dal suo sorriso e da come camminava, avevo capito che si trovava perfettamente a suo agio nei suoi panni. Gli occhi allegri dicevano tutto: divertente, fuori di testa, sicuro, disponibile, affidabile. Ero quasi certa che la sua forza stesse nel voler essere una roccia, un’ancora, per gli altri.

E infine Luke. Lo avevo guardato tanto a lungo che alla fine lui si era voltato verso di me. Aveva occhi chiari magnetici, bellissimi… ma spaesati. Occhiaie quasi accennate, leggermente curvo, silenzioso, rideva alle battute degli altri, aggiungendo però poco e niente. Il suo sguardo si spostava velocemente dappertutto, come ansioso di immagazzinare tutte le informazioni possibili. Sembrava che fosse rimasto troppo a lungo in un mondo tutto suo, per poi svegliarsi e ritrovarsi nel mondo reale. Sì, spaesato era il primo aggettivo che mi veniva in mente. Questo suo atteggiamento… lo rendeva così tenero, adorabile, che mi venne da sorridere. Era una di quelle persone che ispiravano dolcezza. Anzi, lui stesso era la dolcezza. Oltre al fatto che, diciamocelo, era davvero mozzafiato. Irresistibile.

Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!

Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.

 

Mi chiamo Coralie e ho diciassette anni. Abito con le mie due migliori amiche: Manuela e Carol, anche loro di diciassette anni.

Carol è alta e magra, con i capelli chiari e gli occhi azzurri. Spesso mi ritrovo ad invidiarla per questo, insomma, essere così naturalmente è una bella fortuna, anziché essere come me. A volte può essere acida, certo, ma sotto sotto è dolce. Protettiva. La prima volta che l’ho vista – se si esclude quando stavamo insieme da bambine, dato che siamo cugine alla lontana – ho pensato questo, e si è rivelato esatto. Uno a zero per Coralie.

Manuela ha i capelli scuri e gli occhi color cioccolato, grandi e teneri. Si fida di tutti, nonostante questo spesso l’abbia fatta soffrire. Adesso ci siamo io e Carol, però. Guai a chi la fa stare male, potrebbe non vedere il suo prossimo compleanno. Manuela è dolcissima, è fantastica. I suoi occhi mi avevano detto subito quanto avesse bisogno di affetto. Due a zero per Coralie.

Io. Ho i capelli biondo scuro, cenere, dicono alcuni. A mio avviso, la cenere è grigia. O sono io daltonica, o sono i parrucchieri che sniffano cose decisamente diverse dalla cenere. Sono anni che li schiarisco decimando la popolazione mondiale di camomilla. I miei occhi, strani. A volte azzurri, a volte grigi, a volte verdi, la maggior parte del tempo un insulso miscuglio di tutti e tre. A volte uniformi, a volte che dall’azzurro esterno stingono nel verde e poi, attorno alla pupilla, in un giallo stranissimo. Li adoro quando sono così, peccato che vengono solo quando sono triste. Dipende tutto dall’umore e dal sole. Per carità, non mi lamento, anzi mi piacciono, solo che è frustrante non sapere mai dire di che dolore sono. Non sono particolarmente alta.

Per anni, sono stata chiusa in me stessa. Timida, direte, o solitaria. Preferisco essere definita “ragazza da parete”. Perché io, nonostante non ami intervenire, osservo, osservo tutto e tutti, e capisco. Sono anni che mi diverto a indovinare le personalità dagli atteggiamenti. Mi hanno tirato via dalla mia parete Manuela e Carol. Adesso, nonostante tutto, riesco ad essere me stessa: prima la paura mi bloccava. Ora so di non doverne avere più.

 

“Perfezione, stasera si esce!” esclamò Manuela, irrompendo nella mia camera e interrompendo la mia sessione di lettura. Le feci segno di aspettare, troppo catturata per lasciare andare quel libro. Finii il capitolo – fortunatamente mi mancavano cinque righe – e chiusi il libro, prima di poter leggere la prima parola del capitolo seguente: sapevo che mi sarei abbandonata alla lettura, lasciando la povera Manuela in mezzo alla camera. “Scusa, amo troppo questo libro” mi giustificai. Lei sorrise e si sedette sul mio letto. “Mhm, Hunger Games. Sei perdonata” mi disse con un occhiolino. Io mi misi a ridere. “Dicevo, stasera si esce, è il tuo compleanno e non puoi startene chiusa in casa a leggere tutto il tempo!” disse, con gli occhi luminosi. “Perché no?!”

“Perché Hunger Games te lo abbiamo regalato stamattina. E tu lo hai quasi finito.”

“Cosa ci posso fare se mi cattura così?!”

“Uscire con me e Carol. Niente storie!” si impose lei. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Ok, ok. Mi preparo e arrivo.”

“Brava” mi disse lei compiaciuta.

Erano passati quattro mesi da quando avevo visto quei quattro per la prima volta. Da quando avevo visto Luke. Carol aveva notato come mi ero mangiata con gli occhi Luke, e da allora non aveva fatto altro che sommergermi di informazioni su di lui, che otteneva tramite la sua tanto diabolica quanto efficace rete di spie. Le aveva mobilitate tutte, le sue fonti. Era incredibile. In due giorni avevo scoperto mille cose, compreso il fatto che amava mangiare e cantava.

Le avevo detto tante volte che non sarebbe servito a niente, ci eravamo visti una sola volta, ma lei non mi aveva dato ascolto. Contenta lei, io intanto immagazzinavo informazioni senza nemmeno esserne cosciente.

“Dove andiamo?” chiesi a Manuela. “Segreto.”

“Manu, è il due gennaio. Non posso mettermi in canottiera se siamo fuori.”

“Uff. Siamo in un locale, farà anche caldo. Puoi metterti il vestito nero” mi disse subito. I miei occhi si illuminarono: adoravo quel vestito. Me lo infilai in fretta, indossando sotto degli stivali dello stesso colore. Non poteva mancare il mio portafortuna: una collana con due draghi intrecciati fra di loro a reggere una pietra rossa. Amavo i draghi, erano così maestosi, fieri e liberi!!

In pochi minuti fui pronta, insieme a Carol e Manuela. “Per caso dovete fare conquiste?” chiesi con occhi sgranati. Manuela era vestita di bianco, con un vestito senza maniche e lungo fino alle ginocchia, con una gonna a fiore. Il polso era occupato da tanti bracciali, di cui uno a forma di fiocco, che richiamava quello sulla borsa. Gli orecchini erano semplici sfere bianche e le scarpe erano dello stesso colore, con i tacchi alti. Fra i capelli era appuntata una spilla di fiori, molto raffinata, che la rendeva ancora più dolce.

Carol aveva un vestito blu con una sola manica, con decori argentati stupendi che sembravano gocce d’acqua. Le scarpe, sempre blu, sembravano fatte di foglie, che si avvolgevano attorno alle caviglie. In testa aveva un cerchietto con piccole pietre scure. La pochette era semplice, blu con la chiusura di argento che richiamava l’anello e il bracciale.

“Su, su, andiamo! Facciamo tardi!” esclamò Carol, prendendoci per mano e trascinandoci verso la porta. Arrivammo in un edificio enorme, che capii essere un bar, o qualcosa del genere. Entrammo e sentii subito che effettivamente faceva davvero caldo, e che avevamo fatto bene a metterci quei vestiti. Vidi che l’edificio era strutturato a larghi gradoni, ognuno occupato da tavoli rotondi e lucenti, in modo da poter dare una chiara visuale del palco al centro. C’erano tre “livelli”, escluso quello del palco, leggermente sopraelevato e occupato da una batteria, quattro microfoni e decine di amplificatori. Ci sedemmo ad un tavolo molto vicino al palco, che Carol e Manuela avevano prenotato prima. Le vedevo ridacchiare sotto i baffi ed ero curiosa di sapere il perché, curiosità che si amplificò quando presi in mano un foglio plastificato dal tavolo. C'era scritta quella che doveva essere la scaletta del concerto:

Try hard

Unpredictable

Disconnected

Wherever you are

Out of my limit

Beside you

Heartache on the big screen

Heartbreak girl

She looks so perfect

"Perché avete la faccia da cospiratrici?" chiesi alla fine. Loro si misero a ridere e indicarono un punto dietro di me, sul palco. Io mi voltai e vidi Michael, Calum e Ashton. Sgranai gli occhi. Se c'erano loro, c'era anche... "Dato che non ti decidevi a organizzare qualcosa con Luke, ci abbiamo pensato noi!" disse Carol sorridendo sorniona. "Carol. L'ho visto una volta sola. Pretendi che ci organizzi qualcosa quando ci siamo solo guardati?!" chiesi esasperata. Lei fece spallucce. Io alzai gli occhi al cielo, ma dentro di me ero felice che Carol avesse preso l'iniziativa. Eppure mancava Luke. Mi guardai intorno, cercando una chioma bionda, fino a quando Manuela non mi indicò un tavolo poco lontano dal nostro. Mi voltai e lo vidi: di spalle a me, era chinato su una pizza e ne stava divorando velocemente uno spicchio. Mi venne da sorridere quando vidi Calum che lo andava a prendere per il colletto della maglietta, ridendo. Luke fece appena in tempo a prendere il suo strumento e a finire la pizza, che salì sul palco, ancora dandomi le spalle. Volevo vederlo in faccia, accidenti! Volevo rivedere il suo sguardo da cucciolo ad ogni costo. Vidi Ashton, dietro la batteria, chiamare Luke e indicarci con una bacchetta. Luke si voltò, finalmente, verso di me. Lo vidi rimanere immobile mentre incrociava il mio sguardo. Ashton si alzò e venne verso di noi, seguito dagli altri della band, ultimo Luke. Si avvicinò a Carol con un gran sorriso, mentre lei si alzava e gli correva incontro. "Ciao, piccola!" esclamò quando lei gli saltò addosso, dandole un bacio a stampo. Io e Manuela li guardammo a bocca aperta, mentre Carol si metteva a ridere. Manuela prese Carol per le spalle e io sentii a malapena il suo: "Dopo ci spieghi tutto, chiaro?" Sorrisi divertita, prima di rivolgere il mio sguardo verso Luke. Si era fatto... Un piercing?! Gli stava bene, davvero. Le sue occhiaie erano sparite, dandogli un'aria più sicura. Dovetti concentrarmi per non sbavare. Lui si voltò verso di me e mi sorrise, come la prima volta. Il suo sorriso era sempre lo stesso, adorabile. Carol fece le presentazioni: "Ragazze, loro sono Asthon, Calum, Michael e - mi fece un impercettibile occhiolino - Luke. Ragazzi, Manuela e Coralie." Ci stringemmo le mani. Notai subito che Michael aveva cambiato tinta, e sembrava averlo notato anche Manuela: se lo stava mangiando con gli occhi. Quando strinsi la mano a Luke, mi partì una scossa lungo tutto il braccio. Mi costrinsi a sorridere per non sciogliermi. Non andava bene, mi aveva semplicemente toccato e il mio corpo aveva reagito così. Mi veniva male a pensare cosa sarebbe successo una volta sentita la sua voce. Lui mi sorrise, di nuovo, stavolta più sicuro. Lo imitai, mentre Carol sussurrava qualcosa ad Ashton. Lui annuì e mi venne da chiedermi cosa si fossero detti. Ashton richiamò tutti, indicando l'orologio e dicendo che erano in ritardo. "Ci vediamo dopo" mi disse Luke. Ecco, avevo fatto bene ad avere paura del mio corpo. Non ero ben sicura di essere tutta intera. I quattro salirono sul palco, mentre noi tornammo verso il nostro tavolo. Ashton prese il suo microfono. "Scusate, c'è stata una modifica all'ultimo minuto. She looks so perfect sarà fatta per prima" disse. Gli altri lo guardarono straniti e capii che era stata Carol a suggerirlo. Mi voltai verso di lei e la vidi alzarmi i pollici. "Perché l'hai fatto?" chiesi, curiosa. "Perché voglio vederti ancora più sciolta, e Luke ha una voce che ti ucciderà. Adesso sentirai!" mi disse lei furba. "Non pensavo fosse possibile odiare e amare una persona allo stesso tempo, sai?" commentai. "Modestamente!" rispose lei con aria altezzosa, mentre Manuela si metteva a ridere distrattamente. Io e Carol ci guardammo complici. "A quanto pare non è stato solo Luke a stregare una di noi" dissi io ad un passo da Manuela, che non riusciva a distogliere lo sguardo da Michael. "Ti piace proprio Michael, eh? Il colpo di fulmine, cosa fa..." disse Carol melodrammatica. Manuela si mise a ridere. "Sei l'ultima che deve parlare, tu. Quando avevi intenzione di dirci, che stai con Ashton!?" chiese poi. Lei ci fece una linguaccia. "Manu, scusa se te lo dico, ma secondo me Michael è leggermente dell'altra sponda" dissi piano. Carol mi guardò vittoriosa. "No, tesoro! Ho indagato, completamente etero!" esclamò. Manuela esultò, mentre io mi scusavo. Non ero infallibile, no?

Ashton richiamò l'attenzione generale e la sala si fece improvvisamente silenziosa. Si sentì il suono di una chitarra elettrica e i quattro iniziarono a cantare. Per ora riuscivo pure a resistere, non avevo sentito la sua voce, mi bastava non guardare quegli occhi così belli. Quando iniziò a cantare, però, capii di essere veramente finita. Aveva una voce profonda troppo perfetta.

 

Simmer down, Simmer down

They say we’re too young now to amount to anything else

But look around

We work too damn hard for this just to give it up now

If you don’t swim

You’ll drown

But don’t move

Honey

She looks so perfect standing there

In my American Apparel underwear

And I know now, that I’m so down

Your lipstick stain is a work of art

I’ve got your name tattooed in an arrow heart

And I know now, that I’m so down

Hey Hey!

 

Datemi della paranoica, ma io ero praticamente sicura che, mentre cantava "she looks so perfect standing there", stesse guardando me.

Dopo quasi un'ora, il concerto finì. Erano stati davvero grandi, e il pubblico aveva pure chiesto il bis di alcune canzoni. Luke aveva davvero una voce stupenda, se l'avessi sentito cantare di nuovo mi avrebbero dovuto raccogliere col cucchiaino. Non mi ero mai sentita così, ma era una sensazione indescrivibile.

Quando i quattro riuscirono finalmente ad abbandonare il palco, si diressero subito verso il nostro tavolo. "Siete stati fantastici!" esclamai, esaltata. Carol e Manuela erano galvanizzate come me, e i ragazzi si misero a ridere nel vederci così. "Vi va di mangiare qualcosa?" propose Calum. Gli occhi di Luke si illuminarono e io ridacchiai. "Pozzo senza fondo, ti sei spazzolato una pizza prima del concerto!! Hai ancora fame?!" chiese Calum. Lui annuì con veemenza, facendoli ridere di nuovo.

Ci sedemmo al nostro tavolo, avvicinandone un altro, e ordinammo. Continuavo a guardare Luke di sottecchi, cercando di non farmi notare troppo. I suoi occhi erano allegri, ma sotto sotto riuscivo a vedere ancora il suo essere spaesato. Non si stava nascondendo, stava superando il suo sconcerto.

A volte mi spaventavo, dopo aver dedotto tante cose dagli occhi. Mi chiedevo spesso perché con me non funzionasse. Mi guardavo allo specchio e cercavo di leggere i miei, di occhi. Semplicemente, non ci riuscivo.

“Allora, Coralie. Cosa ti piace fare?” chiese improvvisamente Luke, avvicinandosi di un paio di millimetri a me. Io rimasi qualche secondo immobile, mentre Carol e Manuela soffocavano un risolino. Le cercai con lo sguardo, implorando, silenziosa, aiuto. “Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol, prima di trasalire: le avevo tirato un calcio sullo stinco. Amava mettermi nei guai, quella ragazza. “In che senso?” fece di nuovo Luke, interessato. Mi mordicchiai nervosa un’unghia. Maledetta timidezza, era la mia rovina. “So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare” disse solo, stavolta avvicinando la sedia a me. Eravamo molto più vicini, adesso. Stavo andando in tilt, non andava bene. Mi guardava con occhi così innocenti, solari e magnetici, che era impossibile, per me, rimanere calma. “Dopo venite a casa nostra, allora!” Propose Calum. Gli altri annuirono, comprese Manuela e Carol. Manuela continuava a parlare con Michael, lui le piaceva proprio. Lo guardai negli occhi e capii in un istante che nemmeno lei gli era indifferente. Sorrisi lievemente.

“Coralie, ti piace questo posto?” mi chiese di nuovo Luke. Ok. Questa era una congiura. “Sì, molto. Siete stati davvero bravi” dissi con un sorriso sincero. Lui lo ricambiò.

Mi chiesi come avrei resistito per tutta la serata.

*Angolo Autrice*

Eccomi quiii! 

Allora, non voglio dilungarmi troppo. Ecco il vestito di Manuela, quello di Carol e quello di Coralie. 

Personaggi: 

Ashley Benson as Coralie

Megan Nicole as Manuela

Teresa Palmer as Carol

Luke Hemmings as Luke

Michael Clifford as Michael

Ashton Irwin as Ashton

Calum Hood as Calum

Se volete passare da altre mie storie, alcune sono queste: 

Help me. Save me. Love me.

Fake, lie or truth?

Ehm, grazie mille a tutti quelli che sono arrivati fino a qui< 3< 3 <3 

Ciauuu< 3 <3 <3

Ranyadel

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Capitolo 2
*** smile ***


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Smile.

Dopo il concerto, andammo a casa dei ragazzi. Faceva freddo, e rimpiansi subito i miei collant di lana, a cui avevo preferito un paio di parigine più leggere. Anche Carol e Manuela sembravano patire il freddo. Ashton se ne accorse e si tolse la giacca per metterla sulle spalle di Carol. Che tenero. Peccato che non ci fossero altri due disposti a fare lo stesso con me e Manuela. In macchina, rimasi sola con Carol e Manuela, e iniziammo a parlare di quella serata. “Da quanto ti vedi con Ashton?!”

“Da quando ho iniziato a mobilitare la Rete, più o meno. Diciamo che mi arrivavano informazioni su ognuno di loro, non solo su Luke. Mi interessava, così ci ho organizzato un’uscita… e poi siamo finiti così.”

“No, aspetta un secondo. Ti arrivavano informazioni su Michael, e non me l’hai mai detto?!” fece Manuela scandalizzata. Carol incassò la testa nelle spalle, continuando a tenere lo sguardo sulla strada. Era l’unica con la patente. “Ehm, può darsi?” tentò. Manuela si lasciò andare ad una sfilza di insulti talmente variegati e strani che ci mettemmo a ridere. “Alcune parole nemmeno esistono!” esclamò Carol. “Sì, ma le sto inventando io per descriverti!”

“Il dizionario degli insulti ringrazia per averlo triplicato di volume.”

“E ne vado fiera!” rispose Manuela con sussiego. Io mi sentivo male dalle fitte all’addome che mi causava il ridere. “Povero Calum, lo stiamo ignorando” dissi, ridacchiando. Manuela mi guardò scettica. “Tu volere che io insulto lui?” mi chiese con accento straniero, imitando un qualche giudice che avevo visto in tv, storpiando apposta le parole. “Siamo qui riuniti per celebrare la morte dell’italiano” commentai. Non avevo mai sopportato tutte quelle persone che consideravano la loro lingua un’opinione. Manuela e Carol lo sapevano ed erano d’accordo con me, fortunatamente. Mi venne in mente un episodio marchiato a fuoco nella mia mente. Eravamo in prima liceo, reduci dai voti della verifica sui verbi. Facile, per chi legge. Impossibile, per gli sgrammaticati. Un mio amico, che aveva preso 6, si stava lamentando. “Se io avrei avuto più tempo, l’avrei finita” aveva detto. Tutti gli sgrammaticati si erano voltati inorriditi ed era partito il coro: “Se io ebbi!”

Stavo per avere un infarto, è dire poco.

E avevano avuto anche il coraggio di sorprendersi delle insufficienze.

Non ero perfetta, ma almeno provavo a non sbagliare, al contrario di altri.

 

Quando arrivammo a casa dei ragazzi, io, Manuela e Carol schizzammo dentro, trovando ad accoglierci il calorifero. I quattro ci guardarono straniti. “Ho le mani gelate!” mi lamentai. “Non ci credo” disse Luke subito. Io inarcai un sopracciglio e gli misi una mano sulla nuca. Lui rabbrividì. “Fatemi spazio” disse poi, appoggiando il collo al calorifero. Ridacchiammo tutti. “Volete una cioccolata calda?” chiese Ashton. Carol e Manuela annuirono vigorosamente, io rimasi in silenzio. Come potevo dirlo, che la cioccolata calda mi faceva schifo??

“Preferisco una camomilla. Coralie?” mi chiese invece Luke. Qualcuno, lassù in cielo, mi voleva tanto bene. “Grazie, anche io” dissi riconoscente. Ci sedemmo attorno al tavolo in cucina, continuando a parlare di mille cose. Ad un certo punto, partì la suoneria di un cellulare. Il mio cuore si fermò, mentre riconoscevo quelle note al primo secondo. Chiusi gli occhi, ascoltando. Purtroppo, Calum rispose al cellulare. Si alzò e andò nella camera accanto, vicino alla finestra. “Qui non c’è molto campo” spiegò Michael. Io presi la mia borsa e ne tirai fuori una penna e il mio taccuino. Quando mi venivano quegli attacchi di “canzonite acuta”, dovevo scrivere i versi che avevo in mente, altrimenti mi rimanevano in testa.

It’s nice to know that you were there

Thanks for acting like you cared

And making me feel like I was the only one.

It’s nice to know we had it all

Thanks for watching as I fall

And letting me know we were done.

Luke si sporse verso di me e, quando misi giù la penna, la prese in mano, sfilando il taccuino dalle mie dita.

He was everything, everything that I wanted.

Scrisse solo. Io lo guardai sorpresa. “Wow, anche tu ascolti Avril?” chiesi. Lui annuì sorridendo. Oh, no, perché doveva sorridere ogni volta?! Quando si voltò di nuovo verso gli altri, aggiunsi l’ultimo verso.

So much for my happy ending.

 

Una ventina di minuti dopo, Calum mi chiese di provare a leggere gli occhi di Luke. Io arrossii. Perché, quando si parlava dei suoi occhi, mi sembrava qualcosa di… privato? Era come leggere un diario segreto. Si scopriva tutto, gli aspetti più profondi, e in qualche modo mi pareva che stessi invadendo il suo spazio. Luke, però, sembrava d’accordo. Acconsentii e tirai di nuovo fuori il taccuino. “Adesso ti farò delle domande. Non rispondermi, pensa solo a cosa vorresti dirmi. Continua a guardarmi negli occhi” dissi. “Sembra un gioco di magia” sussurrò lui, che però obbedì. Mano a mano che chiedevo, i suoi occhi cambiavano.

Leggere gli occhi è come suonare un pianoforte. Ci sono tasti bianchi e tasti neri. Gli occhi mostrano solo i tasti bianchi, normalmente. Sta a me riuscire a premere i tasti neri per ascoltare altre note. Se voglio avere un quadro completo, devo riuscire a premere tutti i tasti, anche quelli più nascosti. Anche per questo scrivevo quello che vedevo, anziché dirlo subito. Se gli avessi detto subito tutto, si sarebbe sorpreso. Avrebbe nascosto tutti i tasti neri e mostrato solo alcuni di quelli bianchi, senza nemmeno saperlo. Le emozioni nascondono o esaltano, sta a me capire come funziona.

Non c’è niente di magico in quello che faccio. Sono solo i miei occhi che vedono cose che pochi altri riescono a cogliere.

Ci misi quasi mezz’ora, in cui tutti rimasero in silenzio. Si sentiva solo la mia voce. Ogni volta era come scoprire uno strato nuovo di Luke, era pazzesco. Quegli occhi erano così trasparenti, e allo stesso tempo così complessi, che mi misero a dura prova. Non ero sicura di essere riuscita a cogliere tutto di lui. Era davvero troppo. Quando gli consegnai il foglio, dovetti strizzare gli occhi: mi ero concentrata tanto che si erano affaticati.

Lui iniziò a leggere ad alta voce.

“Hai degli occhi complicati, se devo dirla tutta. Probabilmente, ho sbagliato sotto molti aspetti. Spero solo di non dire niente che ti possa offendere.

Sei solare, allegro, ti piace vivere nel tuo mondo ideale, poi quando sei costretto a tornare qui sei spaesato. Ti senti indietro rispetto al mondo, e vuoi solo tornare in quello che ti sei costruito. Per quanto pericoloso, pieno di mostri e creature inimmaginabili, pieno di pericoli che solo la fantasia può dipingere, per te è sicuro. Perché lo conosci.

Sei molto attaccato ai ricordi della tua infanzia e alla tua famiglia. A volte sei infantile, perché ti trovavi bene nel tuo mondo da bambino, e vorresti ricreare quelle sensazioni.

Sei dolce, romantico, a vecchio stampo, diciamo. Metti sempre il bene degli altri prima del tuo e ti fidi ciecamente degli amici. Affideresti loro la tua vita senza nessun timore.

A volte sei insicuro, cerchi di compiacere le altre persone per sapere se stai facendo la cosa giusta.

Sai di aver bisogno di attenzioni, ma non le richiedi mai, aspettando di riceverle per paura di sembrare ridicolo.

Sei malinconico e sognatore, impaziente e curioso.”

Mano a mano che leggeva, sul suo volto si dipingeva un’espressione sbalordita. Anche Calum, Ashton e Michael erano a bocca aperta. “Tutto questo, solo guardandolo negli occhi?!” chiese Calum alla fine. Io annuii. “Oddio, hai indovinato. Su tutto!” disse Luke strabiliato. Mi accorsi che, grazie al cielo, aveva saltato l’ultima frase, e gliene fui grata. Sorrisi imbarazzata. “Io ve l’avevo detto, che vi psicanalizza” sostenne Manuela. Calum si coprì gli occhi con le mani. “Prima che possa leggermi nel pensiero” spiegò. Ci mettemmo a ridere. Io li guardai tutti, uno per uno, pensando a quanto fosse stata bella quella serata. Fui interrotta, quando qualcosa saltò sulle mie gambe. Trasalii e lanciai un urlo, spaventata, mentre il mio cuore saltava un battito, e guardai verso il basso: un gatto bianco, a pelo lungo, con il muso spruzzato di color cioccolato, la coda grigio-marrone e le zampe scure, con i guanti bianchi. Lo riconobbi subito: un birmano. “Pericle, non farla spaventare!” fece Luke ridendo e carezzando il gatto sulla testa. Lui iniziò a fare le fusa, tanto forti che le sentivo io. Ridacchiai. Luke mi prese una mano e la portò sul dorso del gatto. “Non mi morde, vero?” chiesi intimorita. “Pericle che morde? Questa devo ancora vederla. È un peluche, non saprebbe nemmeno come morderti” fece Ashton. “Dov’è l’altro gatto?” chiese invece Carol. Manuela sorrise. “E come si chiama, poi? Aristotele? Un altro nome greco?”

“No, Nemo” rispose Michael, sbucando da dietro la porta con in braccio un altro gatto, sempre un birmano, ma stavolta bianco e arancione. La sua coda formava un curioso punto di domanda, probabilmente era rotta e saldata male. Aveva grandi occhi azzurri che lo facevano sembrare un cucciolo. Chissà chi mi ricordava…

Manuela guardò adorante il gatto e chiese di poterlo prendere in braccio. Adorava gli animali. Forse fu per il fatto che ero troppo concentrata su di lei, che non mi accorsi che Pericle mi aveva preso un bracciale dalla borsa aperta. Me ne resi conto solo quando iniziò a inseguirlo per tutta la casa, dandogli zampate per farlo muovere e poi sorprendendosi se non stava fermo. Con tutto il rispetto possibile, mi sembrava abbastanza fumato.

Cercai di placcarlo a mo’ di giocatrice di football, col solo risultato di farlo scappare col mio bracciale verso il piano di sopra. “No, Pericle, torna indietro!” fece Luke ridendo e tentando di inseguirlo. Io mi accodai, mentre gli altri ci guardavano senza fare niente, godendosi la scena. Quando arrivai al piano di sopra, vidi una scena che mi fece rimanere basita e divertita al tempo stesso: Luke era seduto su un letto, probabilmente il suo, con Pericle sulle gambe, a pancia in su. Gli teneva le zampe anteriori con entrambe le mani per farlo stare fermo e cercava di sfilargli, senza successo, il bracciale dalla bocca. Intanto gli parlava, dicendo cose del tipo: “Su, Pericle,dammi il bracciale! Ti tengo a dieta per un anno, eh?!” La scena era troppo comica per rimanere seri. Mi avvicinai ai due. “Meno male che sei qui. Ce la fai a riprendere il bracciale? È completamente ammattito” disse lui. “Può darsi che senta l’odore di Tabitha, la mia gatta.”

“Si spiega tutto, allora. Dongiovanni, ricordati che sei castrato” disse poi rivolto al gatto. Lui lo ignorò, rifiutandosi di darmi il bracciale. Ad un certo punto, stanca, gli misi le mani attorno al collo e iniziai a carezzarlo dietro le orecchie. “Tabitha impazzisce per questo. Forse funziona anche con lui” spiegai. Come previsto, Pericle si arrese subito e io potei riavere il mio bracciale, che alla fine usavo come elastico. “Mi sa che si farà un bel giro in lavatrice, questo” commentai. “Mi dispiace” disse lui, lasciando finalmente libero Pericle. Io feci spallucce. “Sii ottimista, almeno non l’ha ingoiato” feci poi. Lui sorrise e si passò una mano fra i capelli. “Che razza è Tabitha?”

“Bengala. È ancora piccola.”

“Non ne ho mai sentito parlare, non ho idea di come siano fatti.”

“Non sono gatti pezza come i birmani. Sono molto più selvatici. Ho la schiena piena di graffi.”

“La schiena?!”

“A Tabitha piace riposarsi sulle mie spalle.”

“Molto normale, mi dicono.”

“Già.” Ci mettemmo a ridere. Dopo un po’, lui disse: “Grazie per avermi… letto gli occhi, prima.”

“Grazie a te per esserteli fatti leggere. Di solito le persone hanno paura.”

“Di cosa?”

“Di loro stessi.” Luke mi guardò confuso. “In che senso?” chiese poi. “I tuoi occhi sono difficili da leggere, per capire tutto di te potrei metterci una vita. Ci sono alcune persone, però, che hanno gli occhi così limpidi che non mi ci vuole niente a svelare lati di loro che nemmeno conoscevano. Sentirsi dire quello che sei da qualcun altro fa riflettere e fa mettere in discussione tutto quello che pensavi di essere. Alcune persone sono troppo attaccate alla loro maschera per accettare di toglierla. Hanno paura perché non conoscono come sono fatti davvero, sarebbe come dover ripartire da zero” spiegai. Lui era sorpreso, sperai di non essermi guadagnata il titolo di pazza. “Non ci avevo mai pensato” disse solo. Io ridacchiai. “Non ci pensa mai nessuno. Siamo tutti troppo occupati nella nostra routine per accorgersi di queste cose, citando Kami Gracia, nascoste in bella vista” dissi con tono divertito e amaro allo stesso tempo. “Tutto ok?” mi chiese lui, notando come il mio umore era cambiato. Io sospirai. “Non è tutto ok. Sono una ragazza da parete. Sono sbagliata, per la nostra società. Chiunque non sia come gli altri è da eliminare. Faccio paura agli altri perché so vedere dentro le persone. Non è tutto ok” dissi, mentre i miei occhi diventavano lucidi. Lui mi guardò qualche secondo, poi si alzò in piedi e mi porse la mano. “Tu osservi le cose da lontano, e le comprendi. Non ti metti in mostra” disse. Mi resi conto con un mezzo sorriso che stava riportando le parole di un film, così lo imitai. “Non credevo che qualcuno potesse notarmi” sussurrai, afferrando la sua mano. “Uh, fan di Noi siamo infinito?”

“È la mia storia. Lui è come me. Chi sono io per non innamorarmi di quel film?” risposi. Luke sorrise, di nuovo. “Tu sai molte cose di me. Raccontami un po’ di te” disse poi, facendomi fare una giravolta. “Che dire, non sono particolarmente interessante.”

“Certo, perché una ragazza che ti sa rivoltare da cima a fondo non è interessante. Mi pare logico.” Io risi piano. “Cosa ti piace?” mi chiese poi. “I libri, i film d’azione e le commedie strappalacrime, le stelle, la musica” risposi. “Molto vaga. Significa che sta a me scoprirlo” decise lui.

Nonostante tutto, sperai che volesse davvero scoprirlo e scoprire me.

 

Quando tornammo di sotto, Manuela e Carol mi guardarono, come a volere spiegazioni. Io, a gesti, feci capire che avrei spiegato tutto a casa. Loro, a quel punto, erano più che curiose. Guardammo l’orologio e ci accorgemmo che era già l’una di notte. Wow, il tempo era volato. “Dobbiamo andare, davvero, domani dobbiamo lavorare al negozio” disse Carol preoccupata. Lavoravamo in un piccolo negozio di libri, musica e film. Ognuna di noi tre gestiva un reparto diverso, ci eravamo costruite l’attività su misura per noi. Io gestivo i libri, Carol i film, Manuela la musica. “Andate a casa, allora, se no domani non reggete” disse Calum. “Domani passo a prenderti, amore” disse Ashton, dando un bacio a Carol. Lei ricambiò e mi venne da sciogliermi davanti a quella scena così tenera. Ok, ero un’inguaribile romantica con le lacrime facili. Non andava bene nemmeno questo. “Domani passiamo tutti, quando finite. Andiamo a prenderci un caffè” propose invece Luke. Partirono molti “ok” e “va bene”. Manuela, Carol ed io li salutammo, ormai sulla soglia di casa, e uscimmo. Le due erano già entrate in macchina e io stavo per fare lo stesso, quando sentii la voce di Luke fermarmi. “Coralie, aspetta, hai dimenticato il taccuino!” mi disse. Io sgranai gli occhi e mi affrettai a raggiungerlo, mentre lui correva verso di me. Mi porse il taccuino e sorrise di nuovo, mentre lo ringraziavo in tutte le lingue del mondo, esistenti o meno. Quel taccuino era la mia vita. “Ci vediamo domani, allora” mi disse, prima di lasciarmi un piccolo bacio sulla guancia e salutarmi, tornando indietro. Io ricambiai il saluto, ancora imbambolata. Rimasi qualche secondo in mezzo al vialetto, poi corsi in macchina, mentre avvampavo. Carol e Manuela mi guardavano con gli occhi a cuoricino. “Oh, no” dissi solo. Chiusi la portiera e mi portai le mani alle orecchie, rannicchiandomi. Tre, due uno.

Le due urlarono, uno di quegli urletti striduli di quando erano elettrizzate. Mi sommersero di domande, mentre io cercavo di non farmi esplodere la testa. Le conoscevo troppo bene. Quando si calmarono riuscimmo a partire e io presi il mio taccuino. Rilessi la descrizione di Luke e sorrisi, ricordando come aveva evitato l’ultima frase. Forse non l’aveva proprio vista, era nella pagina seguente, o forse l’aveva ignorata. Voltai pagina e la rilessi. “Hai un sorriso stupendo.” Mi sentii infiammare, non so nemmeno con che coraggio avevo scritto. Stavo per chiudere il taccuino, quando mi accorsi della frase alla fine della pagina.

Cit. Avril, smile:

Suddenly you’re all I need

the reason why I smile.

Mi sentii morire di felicità a quelle parole. Si può essere così per una persona che si conosce appena? A quanto pareva, sì.








*Angolo autrice*
piccolissimo appunto: ecco Pericle, Nemo e Tabitha.
grazie per essere arrivati fino a qui!! ciaooo
Ranya

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Capitolo 3
*** Won't let you go. ***


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Won’t let you go.

Il giorno dopo, fui svegliata da Manuela e Carol. “Su, su, sveglia! Oggi viene Luke al negozio!!” urlavano. Io le guardai torva, gli occhi pieni di sonno. “Possibile che siete più agitate di me?” chiesi. Loro si misero a ridere e mi buttarono giù dal letto. “Muoviti, Coco!” mi fece Carol, provocando il mio sorriso. Mi piaceva troppo quando mi chiamavano Coco, era così tenero! Mi chiusi in bagno e mi fiondai sotto la doccia calda. Mi sniffai per non so quanto il bagnoschiuma al cioccolato. Non mi piaceva la cioccolata calda, ma il cioccolato sì. Chiamatemi normale.

Dopo dieci minuti, tornai in camera mia. Trovai sul mio letto una camicia color champagne e i leggins di pelle, con la cravatta di paillettes. Perché ero sicura che ci fosse lo zampino di due pazze che pensavano che io e Luke fossimo promessi sposi?? Mah, intuizione.

Mi vestii in fretta e andai al piano di sotto, dove Manuela e Carol mi aspettavano per la colazione. Manuela si stava facendo la sua tipica coda di cavallo. “Posso truccarti io?” chiese Carol con gli occhi che luccicavano. Manuela, dal canto suo, mi mostrò duemila tipi di spazzole e pettini diversi, mollette e mollettine, elastici e fermagli.

Si misero a ridere quando notarono il terrore atavico nei miei occhi.

Queste due si sniffavano qualcosa di molto forte, insieme ai parrucchieri del biondo cenere.

“Ragazze. Stiamo andando al lavoro. Come ogni santo giorno. Dopo andremo a prendere un caffè coi ragazzi. Non ho sentito di nessun appuntamento romantico” scandii flemmatica. “Perché non leggi fra le righe!” sussurrò, con fare da cospiratrice, Carol. “Io leggo gli occhi. Non le righe” feci. Ci guardammo qualche secondo negli occhi, serie come non mai. Poi scoppiammo a ridere. “Ti trucco io lo stesso” decise Carol, prendendo la sua borsa per cercare i trucchi, mentre Manuela prendeva una spazzola. Io urlai e corsi al piano di sopra, chiudendomi in camera mia a chiave. “Coralie! Vieni subito fuori!” gridarono le due. Io mi sedetti tranquillamente sul mio letto e presi la matita nera e il mascara, truccandomi quel poco che bastava per non sembrare uno zombie. Mi misi solamente una forcina fra i capelli, che teneva indietro una ciocca. L’altra mi cadeva sulla fronte e sulla guancia. Mi piaceva così. Uscii dalla camera e mi trovai davanti alle due, che mi osservarono con occhio critico. “Ti è andata bene” mi dissero solo. Io guardai l’orologio e mi accorsi che era già tardi. “Ragazze, sono le otto meno cinque. Il negozio apre fra cinque minuti” feci notare. I loro occhi si sbarrarono e in poco decidemmo cosa fare. “Protocollo Ritardo!” dissi solo. Carol schizzò in cucina a prendere tre brioche e qualcosa da bere, io presi tre paia di scarpe e le portai davanti alla porta, Manuela afferrò i giubbotti. Ci preparammo davanti alla porta, uscimmo in trenta secondi e ci fiondammo in macchina. Arrivammo alle otto precise. Ero sempre più convinta: in una vita precedente eravamo state delle spie. Insomma, nessuno può avere questi protocolli e una Rete di informatori senza avere qualche esperienza di qualche vita passata.

Ci sedemmo alle nostre postazioni, dietro ai banconi a mezzaluna, aspettando i clienti. Si capiva subito di chi fossero le postazioni: una era ordinata e tranquilla, una piena di trucchi e foto, una disordinata e con la parete dietro di esso costellata di fogli con citazioni, testi e immagini. Mille libri occupavano quest’ultima, mentre su tutti e tre i banconi erano posizionati dei computer. Manuela si sedette tranquillamente dietro il bancone ordinato. Carol si fece spazio fra i trucchi e le foto. Io presi da sotto il mobile del computer il mio libro, Shadowhunters.

Manuela mi guardò un paio di secondi. “CoFA?” chiese. Io annuii. Poi sentimmo una voce che, confusa, chiedeva: “CoFA? Cos’è?” Io alzai lo sguardo, mentre il mio cuore perdeva un colpo e incontravo i suoi occhi chiarissimi. “City of Fallen Angels” spiegai con un sorriso, mentre Luke si avvicinava al bancone. Manuela lo salutò, mi ammiccò e scappò, tornando al suo bancone. Rimanemmo soli: io e le altre eravamo separate da una parete. “Non dovevi venire più tardi, con i ragazzi?” chiesi sorridente. Lui ricambiò e si avvicinò. “Sono qui per trovare un libro, a dire il vero. Cosa mi consigli, dato che sai come sono fatto?” Io lo guardai di nuovo in quegli occhi in cui annegavo ogni volta. “Sai, non c’entra chi sei con quello che leggi o ascolti. Io non indovino i gusti” spiegai, alzandomi e raggiungendo una libreria. Lui mi seguì. “Allora qualcosa che hai letto tu, e che ti è piaciuto” disse. Io sorrisi, mentre quel sentimento che mi invadeva ogni volta che stavo con lui mi catturava di nuovo. “Genere?” chiesi. “Non so, a dire il vero. Non amo i gialli, preferisco azione. Poi un po’ di mistero non mi dispiace.”

“Va bene anche romantico?”

“Certo.”

“Sovrannaturale?”

“Lo adoro.”

“Quanto sei disposto a leggere? Dieci pagine o un mattone?”

“Leggo spesso mattoni.”

“Prima persona, maschile o femminile?”

“Preferirei maschile.”

“Allora direi che questo va bene” dissi infine, porgendogli La sedicesima luna. Lui osservò la copertina e lesse la trama. “Mi intriga” disse solo. “Bene, perché dopo di questo ce ne sono altri tre di questa catena.”

“Aspetta, ma Kami Gracia… l’ho già sentita.”

Nascosto in bella vista, ricordi?”

“La citazione di ieri, è vero” disse lui ridacchiando. Io tornai al mio bancone, per segnare il libro preso. “E invece, che genere piace a te?” mi chiese. “Urban Fantasy. Romantico. Tutti quei libri con emozioni forti” dissi. “E quel libro corrisponde?”

“Certo. Lo adoro” risposi, carezzando inconsapevolmente la copertina. Lui si guardò intorno, poi il suo sguardo cadde dietro al bancone. Emise un’esclamazione sorpresa e io mi voltai, seguendo il suo sguardo. Impallidii. “Quando avevi intenzione di dirmi che avevi scritto un libro?” chiese, avvicinandosi alla mia copia. “No, guarda che è orribile. Non vende nemmeno” dissi io. Lui lo prese in mano lo stesso. “Coralie Lemaire, Look into my eyes” lesse. “Sei francese?” chiese poi. “Da parte di madre. Ha insistito per darmi il suo cognome” spiegai. Lui aprì il libro per leggere la trama. Lo sfogliava delicatamente, e gliene fui grata. Quel libro era il risultato di cinque anni di lavoro, ci avevo messo tutta me stessa e nonostante non fosse famoso per me significava tantissimo. “Un amore fatto di gesti e sguardi, di citazioni e sensazioni” lesse alla fine. “Sembra interessante, davvero” disse con un sorriso enorme. Io lo guardai stranita. “Sei sicuro?” chiesi. Lui annuì e lasciò sul bancone La sedicesima luna. “Vorrei provare a leggerlo” disse. Io arrossii. Insomma, in quel libro c’era tutto di me. Quel libro ero io, non so nemmeno come spiegarlo. Mi fidavo abbastanza di lui per consegnargli tutto di me?

La risposta era ovvia.

Presi il libro e glielo consegnai, dato che avevo solo quella copia. “Quanto ti devo?” chiese lui. Io sgranai gli occhi, confusa. “È una libreria, ricordi?” mi disse divertito. Io rimasi di sasso. Come avevo fatto a dimenticare il mio lavoro?! Ero proprio messa male. “Non preoccuparti, te lo regalo” dissi in fretta per non peggiorare la mia figuraccia. Luke mi guardò sorpreso. “Non posso accettare, davvero” fece. “Sul serio, prendilo, tanto a casa dovrei averne un altro paio” insistetti io, spingendogli il libro fra le mani. “Solo se domani vieni con me alla pizzeria qui di fronte” fece lui. Io rimasi qualche secondo immobile. Davvero me lo stava chiedendo? O mi stavo immaginando tutto?

“Ehm, va bene, certo” dissi solo, frastornata. Luke sorrise raggiante. “Lo leggerò il prima possibile” promise poi. Per un attimo non capii, avevo perso il filo del discorso, poi ci arrivai. Perché con lui il mio cervello andava in blackout?! Ero un caso grave, signore e signori.

Fui risvegliata dal cellulare che squillava. guardai lo schermo: un messaggio da Carol. Lo aprii. “Quanto siete carini insieme!! E, PS: se non vai all’appuntamento ti caccio di casa. PPS: guarda il reparto di Manuuuu *-*” ok, questa era pazzia allo stato puro. Feci come mi era stato detto e trattenni un’esclamazione stupita. C’era Michael di fronte al bancone, stava ascoltando musica con Manuela, ogni tanto ridevano insieme. Erano vicinissimi!! Avevo gli occhi a cuore per loro. Mi sporsi appena e notai che, dall’altra parte, anche Carol stava sbirciando. Mi venne da ridere e ci scambiammo una serie di sguardi che non aveva bisogno di nessuna parola per essere capita. Comunicavamo spesso solo con espressioni e ci capivamo benissimo, tutte e tre.

Seriamente, avevamo dei precedenti come spie.

“Oh, come stanno bene insieme!” sentii dire da Luke. Mi spaventai, non mi aspettavo di trovarmelo a pochi millimetri di distanza. Guardai di nuovo Carol e la vidi esultare e scrivere al cellulare. Come previsto, in poco mi arrivò un messaggio. “Solo io shippo Luke/Coralie e Michael/Manuela?! (Non sono riuscita a fondere i nomi… a meno che non ti piaccia Luralie o Corake XD)” mi trattenni dal ridere, mentre tornavo alla mia postazione. Luke rimase a sbirciare. “Luke! Non si fa!” gli dissi in un sussurro. “Ma fino ad un attimo fa c’eri anche tu!” fece lui stranito. Liquidai quelle parole con un gesto della mano. “Futili dettagli” dissi ridacchiando. Lui mi imitò e mi raggiunse. Si sedette sulla sedia di fianco alla mia e aprì il libro, iniziando a leggere. Passarono pochi minuti, poi qualcosa mi disturbò. Ero stata io a immaginarmi un flash? Mi guardai attorno e vidi Carol con una macchina fotografica. Lei mi alzò il pollice come a dire “Ok!”. Io le alzai un altro dito, poi ci mettemmo a ridere. Luke si voltò verso di noi e ci vide ancora con le dita alzate a ridere. Sgranò gli occhi. “Io non ho visto niente” disse solo, tornando alla lettura del libro. Io e Carol ridemmo ancora di più, poi io mi fermai. Carol era voltata di spalle e non poteva vederlo, ma io mi ero accorta di Ashton, che si stava avvicinando di soppiatto a lei. Mi fece segno di rimanere in silenzio, mentre Carol mi guardava confusa. Lei cacciò un urlo quando Ashton la abbracciò di scatto da dietro e la sollevò. Luke, che non si era accorto di niente, si spaventò. “Voi volete farmi morire” disse solo, facendoci ridere. “Ma che succede, qui?!” fece Manuela, sbucando da dietro la parete. “Scusate, qui vi riunite tutti e non mi avvertite?” chiese. Io e Carol la uccidemmo con lo sguardo. Il messaggio era chiaro: “Torna da Michael!!” Lei incassò la testa fra le spalle e obbedì ridendo.

“Sapete, vero, che dovevate venire dopo l’orario di lavoro, e invece sono solo le otto e mezza?” chiese Carol. Loro fecero spallucce. “Calum è uscito con la sua ragazza e noi non potevamo suonare senza di lui, quindi non avevamo niente da fare e siamo venuti qui” spiegò Ashton. Carol gli si avvinghiò al collo e lo baciò. “Però non farmi più prendere questi infarti, ok?” chiese. Ashton annuì, affondando il viso nei capelli chiari di lei. Erano troppo teneri insieme! mi voltai verso Luke e vidi che anche lui li stava fissando. Poi si voltò e i nostri sguardi si incontrarono. Arrossii immediatamente e feci tornare lo sguardo sul libro. No, no, non può essere possibile. Nel libro, i due si stavano baciando. Quella era crudeltà. Lo chiusi di fretta, prima che mi venisse troppa tristezza. Accesi il computer e aprii un file.

Look into my eyes – bozza 1.

Nonostante tutto, non l’avevo mai cancellato. Il mio libro era passato attraverso sette bozze e due case editrici fasulle, prima di poter vedere finalmente uno scaffale. Avevo conservato tutte le bozze. Rilessi la trama e sorrisi. Con l’ingenuità di dodici anni, non poteva venire fuori qualcosa di avvincente. Con gli occhi pieni di sogni di un bambino, non si può immaginare che qualcosa vada male.

Era una storia d’amore semplice, con tutte le sfaccettature della vita di una diciassettenne. Eh sì, l’avevo scritto pensando a me stessa da diciassettenne. Mi rendevo conto, in quel momento, che quello che avevo scritto si allontanava molto dalla realtà. Sorrisi mesta. Quanto avrei pagato, per vivere di nuovo uno di quei miei sogni così puri e innocenti come potevano esserlo solo quelli dei bambini?

“Mi scusi, dove posso trovare un libro di Verne?” mi chiese un signore anziano davanti a me. Con tutto il rumore che stavamo facendo, non m’ero nemmeno resa conto che era entrato un cliente. “Arrivo subito” dissi, voltandomi verso Carol e intimandole con lo sguardo di andare via. C’era troppa confusione. Lei annuì e portò via Ashton. “Posso aiutarti?” chiese Luke. “Non preoccuparti, faccio io” dissi, uscendo dal bancone e portando l’uomo al reparto che cercava. “Ha fretta?” domandò lui sorridendo. “No, non si preoccupi, se ha bisogno di qualcosa…” cercai di dire, ma fui interrotta. “Sta molto bene, assieme al suo ragazzo” mi disse. Divenni viola dalla vergogna. “Ehm, non è il mio ragazzo” dissi. Fortuna che Luke non poteva sentire. “Beh, non si direbbe da come lo guardi” mi disse gentilmente.

Era in momenti come quelli che sapevo di non essere l’unica a leggere gli occhi.

 

La giornata passò stranamente in fretta, con i ragazzi a farci compagnia. Erano rimasti stranamente silenziosi, Luke dietro il mio bancone a leggere, Michael dietro a quello di Manuela ad ascoltare musica e Ashton dietro a quello di Carol a baciarla.

Luke era davvero veloce a leggere. Il libro non era molto grande, circa centocinquanta pagine – non mi ero concentrata sulla lunghezza, ma sul contenuto – e lui era già a metà. Quando arrivarono le cinque, l’orario di chiusura, Ashton venne da noi. “Luke, dobbiamo andare” gli disse. Io spensi subito il computer, ma lui non voleva saperne di chiudere il libro. Manuela ci raggiunse, seguita da Michael. Mi guardò sorpresa. “Hai trovato un lettore, eh? E sembra anche accanito” mi disse. Io non riuscivo a credere al fatto che gli piacesse tanto. Sentimmo la porta aprirsi e Calum entrò nel negozio, seguito da una ragazza con occhi verdi, lentiggini e capelli rossi raccolti in una treccia a spiga. “Ciao, ragazzi! allora, si va a prendere questo famoso caffè?” chiese. Lo salutammo e io mi concentrai subito sulla ragazza. Aveva occhi sinceri e vivaci, solari e dolci.

Manuela e Carol mi guardarono qualche secondo, come a chiedere se potevano fidarsi. Io annuii impercettibilmente.

Negli anni, ero diventata meglio di un cane da fiuto per le persone subdole. Non le potevamo sopportare e avevamo  deciso di tenerci alla larga da loro.

“Ragazze, lei è Madison, la mia fidanzata. Maddy, loro sono Coralie, Manuela e Carol” ci presentò Calum. Madison ci strinse la mano con un sorriso enorme e raggiante e noi ricambiammo. Ok, era decisamente simpatica. Anche i ragazzi la salutarono e chiudemmo il negozio, dopo essere riusciti a staccare Luke dal mio libro. Insistette comunque per portarselo dietro. Mi emozionava sapere che gli piaceva quello che avevo scritto, davvero, mi faceva sentire realizzata.

 

Dopo essere usciti dal negozio, andammo al bar di fronte e ci sedemmo ai tavoli interni, di fianco ai caloriferi. Luke stava per tirare fuori il libro, ma poi ci ripensò e lo lasciò nella tasca interna della giacca. “Davvero ti piace così tanto?” chiesi. Lui annuì. “Davvero, è stupendo. Non riesco a smettere di leggere” mi disse. “Sei l’unico, mi sa” feci mesta. “Invece questo libro meriterebbe di più. E anche la sua autrice” mi disse. Eravamo leggermente in disparte, all’ultimo tavolo. Potevamo parlare tranquillamente: tutti prestavano attenzione a Manuela, fortunatamente. Mi sentii arrossire. “Dimmi che c’è un seguito” implorò lui. “Beh, lo sto scrivendo, ma non penso che la casa editrice abbia ancora voglia di perdere tempo con me” dissi. “Facciamo così. Tu continui a scrivere, al resto penso io” mi disse deciso. Io sorrisi nel vedere la sua testardaggine. “Vuoi leggere il seguito ad ogni costo, eh?”

“Mi pare logico” rispose con fare ovvio. Ci mettemmo a ridere nello stesso momento in cui arrivavano i nostri caffè, che a dirla tutta per gli altri era caffè, per noi camomilla, come il giorno prima. La trovavo più buona di caffè, cioccolata, latte, milk-shake o qualsiasi altra cosa. Era bollente e avvolsi le mani attorno alla tazza, riscaldandole. “La protagonista. Sei tu” disse solo. Non era una domanda. Annuii piano. “Cosa ne pensi? Ti ho praticamente consegnato tutto quello che sono su pagine e pagine di sogni infranti e storie impossibili. Devo sembrarti abbastanza patetica” commentai. Lui mi guardò qualche secondo. “In realtà mi sembri dolcissima” sussurrò. Chiusi gli occhi e mi morsi le labbra. Non potevo crollare davanti a lui. Mi alzai di scatto e praticamente scappai da quel bar, ignorando i richiami degli altri. Mi misi a correre, senza nemmeno sapere dove stavo andando. Era buio, accidenti. Rischiai di scontrarmi contro qualsiasi cosa, ma arrivai intatta al parco. Era il mio rifugio.

Mi sedetti su una panchina, mentre il gelo del legno mi entrava nelle ossa. Finalmente lasciai andare le lacrime.

Perché ero esplosa? Non lo sapevo nemmeno io.

Forse per paura.

 

Non seppi dire per quanto rimasi lì, so solo che fu poco tempo: sentii subito una voce fin troppo familiare chiamare il mio nome. Un attimo dopo, Luke si sedette accanto a me. “Coralie, cosa succede? Perché sei scappata così?” chiese confuso, prima di notare i miei occhi gonfi di lacrime. Mi sollevò il viso con un dito. “Perché stai piangendo?” io non risposi. Non ci riuscivo, il groppo alla gola che intrappolava le mie lacrime aveva intrappolato anche le mie parole. “Coco, cosa c’è?” mi domandò di nuovo, dolce. Davvero mi aveva chiamato Coco? Forse fu questo a darmi la forza per rispondere. “È che ho paura. Tutti quelli a cui ho permesso di conoscermi davvero sono scappati. Ho aperto loro il mio cuore e loro mi hanno lasciata da sola. Ho paura che possa essere così anche con voi. Ho paura che possa essere così… con te. Non voglio che succeda come con tutti gli altri” dissi con voce rotta. Lui rimase un attimo spiazzato, tanto che credei di aver detto troppo. Poi, di scatto, mi abbracciò. Rimasi immobile, sorpresa da quel gesto. “Io non voglio essere come tutti gli altri. Non ti lascerò andare, promesso” mi disse. Io, come risposta, permisi finalmente a tutte le lacrime di scorrere bollenti sul mio viso e ricambiai la stretta.

Fu in quel momento, col calore del suo abbraccio che mi circondava e l’eco di quella promessa ancora nelle orecchie, che mi sentii davvero protetta.

*Angolo autrice*

Rachelle Bilson as Madison

grazie di tutto, ciaoo

Ranyadel

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Capitolo 4
*** why ***


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Why.

Quando riuscii a calmarmi, Luke mi passò una mano fra i capelli. “Tranquilla” continuava a sussurrarmi, fino a quando non riuscii a calmare il respiro. “Ce la fai a tornare al bar?” mi chiese premuroso. Io annuii e ci alzammo. Quando mi sciolsi dal suo abbraccio, rabbrividii, mentre un’ondata di freddo mi avvolgeva. “Mi dispiace per… questo” dissi. “Ehi, è normale. L’hai scritto tu stessa: non devi avere paura di essere chi sei” rispose, circondandomi la vita con un braccio. Io abbandonai la testa contro la sua spalla. Avevo bisogno di lui, me ne rendevo conto pienamente solo in quel momento.

I need you, I need you, more and more each day.

 

In pochi minuti arrivammo al bar, dove I ragazzi ci aspettavano preoccupati. Quando Carol e Manuela mi videro, mi saltarono al collo. “Coco, tutto bene?!” mi chiesero. Io annuii, mentre Luke si allontanava per lasciarmi respirare. Vidi che anche Madison era ansiosa e questo mi lasciò perplessa, in fondo ci avevo scambiato tre frasi in croce. “Fammi ancora uno scherzo del genere e ti uccido!” mi disse Manuela stringendomi più forte che poteva. Io ricambiai. “Credo che ormai la camomilla sia fredda, ma se ti va ancora, è qui”  fece Carol invece, porgendomi la tazza. Io non la rifiutai solo per non farli preoccupare, anche se avevo un nodo allo stomaco. Manuela lo notò e disse: “Ragazzi, dobbiamo andare a casa. È stato un piacere passare la giornata con voi ma abbiamo un impegno.” Carol resse subito il gioco, capendo che qualcosa non andava. “Sì, stasera arriva mio cugino” improvvisò. Ashton la guardò stranito. “Ma tu non hai nessun…” Fu interrotto da Carol, che gli assestò una gomitata nelle costole. “Oh, capito!” sussurrò lui. Ridacchiai piano, mentre grazie ad Ashton la copertura saltava.

La rovina delle spie erano le persone come lui.

“Se vuoi andare a casa puoi dirlo subito, eh?” mi disse Luke cercando di trattenere una risata. “Ecco, sono queste figure che mi fanno venir voglia di seppellirmi viva” sussurrai. Gli altri si misero a ridere, mentre noi raccoglievamo le nostre cose. “Allora, ci vediamo domani?” chiese Michael, rivolgendosi di più a Manuela che a tutti gli altri. “Certo, tanto più che domani il negozio è chiuso” rispose lei. Salutammo gli altri, pagammo i nostri caffè e la camomilla e ce ne andammo. Intanto, si era messo a piovere. Ci nascondemmo sotto l’ombrello di Carol, che riusciva a ripararci solo un po’. Quando arrivammo in macchina, eravamo fradice. Rabbrividii quando, dai miei capelli, una goccia gelida scese lungo la mia spina dorsale. “Aiuto, fa freddissimo!” esclamai. Carol accese il riscaldamento e partimmo, con me e Manuela attaccate ai bocchettoni dell’aria calda. Quando arrivammo a casa, mi offrii per cucinare. Carol mi guardò allarmata: io e Manuela non ne eravamo capaci, l’ultima volta avevo bruciato la cena e lei pure. “Dai, fidati! Se non ci provo non imparerò mai!” esclamai. “Ah, a me va bene che Carol cucini fino alla mia morte!” disse Manuela. La diretta interessata rise sarcastica. “Stavolta prova Coralie, allora” decise poi. Io esultai fra me e me.

 

Venti minuti dopo, eravamo a tavola, con dei piatti di ravioli davanti. Le due erano indecise. “Siamo sicure che sono commestibili?” chiese Manuela. “Beh, non ci ho messo veleno. Almeno spero” feci perplessa. “Allora assaggiali prima tu” mi disse Carol. Io esitai qualche secondo, prima di obbedire. “Non sono male!” dissi. Manuela e Carol provarono a loro volta e furono d’accordo con me. Mangiammo in poco tempo, mentre lo stereo diffondeva le note del CD Let Go. Una delle mie canzoni preferite era Why, forse perché era una delle poche che riuscivo a cantare. Amavo cantare, così come Carol e Manuela. La differenza fra me e Manuela era che lei sapeva cantare, e anche bene. Io, invece, ero terrificante. Avevo una voce terribilmente roca e, a causa di un trauma avuto durante un allenamento di pallavolo, non riuscivo a raggiungere alcune note, nonostante fossero intermedie. Il trauma in questione era una pallonata, molto forte, arrivata proprio dove, negli uomini, si trovava pomo d’Adamo. Per un po’ mi si era spezzato il respiro, poi avevo perso la voce. Non ero riuscita a parlare per tre settimane. Adesso riuscivo a cantare solo con voce sottile. Why, tuttavia, mi riusciva.

Ci mettemmo a cantare senza nemmeno accorgercene, tutte le canzoni – non importava come venivano – fino a quando il CD non finì. Ci sdraiammo poi sul divano, avvolgendoci nel piumino, con un film, Il mio finto fidanzato, alla TV. Eravamo talmente stanche che ci addormentammo lì, pressate le une contro le altre.

 

Ci svegliammo al mattino quando il cellulare di Carol suonò. Lei rispose con voce impastata: “Pronto?” Io e Manuela sbadigliammo. “Oh, ciao amore, come stai?” La vidi sbarrare gli occhi. “Che succede?!” mimai con le labbra. “Sì, sì, ok, ci vediamo fra poco, ciao amore” disse lei, prima di mettere giù. “Ragazze, era Ashton. Stanno arrivando” fece inorridita. Noi eravamo altrettanto atterrite. Ci alzammo di scatto e mettemmo a posto il divano in pochi secondi, schizzando poi verso le nostre camere. Riuscimmo a prepararci in pochissimo tempo.

Mi stavo mettendo una linea di eye-liner, quando sentii il campanello suonare. “Trucco!” urlai. “Maglietta!” fece Manuela. “Capelli!” ribatté Carol.

Ok, ero quella più avanti.                                                          

Mi precipitai di sotto e iniziai ad aprire la porta. Mi chinai in avanti, cercando di mettermi a posto i capelli alla bell’e meglio, poi mi raddrizzai e aprii. Davanti a me, Luke, Ashton, Michael e Calum mi salutarono sorridenti. Li feci entrare, mentre Carol e Manuela scendevano dalle scale velocemente. “Come stai?” mi chiese Luke. Io sorrisi e annuii. “Grazie” aggiunsi. Lui sembrò ricordarsi all’improvviso di qualcosa. Si frugò nella tasca interna del giaccone e ne tirò fuori il libro, riconsegnandomelo. “È davvero fantastico” mi disse. “L’hai già finito?!” chiesi sorpresa e felice. “Sono rimasto sveglio fino alle tre. Ho rischiato anche di rileggerlo” si lasciò scappare con un sorriso enorme, sempre porgendomi il libro. “Hai capito molto male, Luke. È tuo!” dissi perentoria. “Sicura?” chiese lui. Io annuii decisa e lui lo rimise a posto. “Grazie” disse con quella sua faccia da cucciolo che mi mandava fuori di testa. Era troppo adorabile.

Molti dicono che i ragazzi con piercing e tatuaggi sono dei poco di buono, che bisogna starne lontani. L’abito non fa il monaco, lo sosterrò sempre. Bastava guardare Luke, che nonostante il piercing era fantastico.

Mi immaginai un bacio fra due persone con i piercing sulle labbra. Era possibile rimanere incastrati? Queste erano le domande che mi facevo di prima mattina, quando il cervello ancora dormiva. Mi venne comunque da ridere, ad immaginare due ragazzi costretti a stare con le labbra incollate per colpa di due piercing. Guardai il piercing di Luke. Quasi quasi, un piercing anche io… Poteva essere una buona idea, no?

I quattro si tolsero le giacche e ci seguirono in salone, dove il divano – fortunatamente – era stato messo a posto. “Dov’è Madison?” chiesi. “È sempre impegnata col lavoro. Fa tirocinio in uno studio veterinario, l’ho conosciuta portandoci Nemo” spiegò Calum, mentre sorrideva al ricordo. Oh, tenero.

Ashton si avvicinò a Carol e la baciò dolcemente, ma persero l’equilibrio e lei finì sul divano. Ashton si mise a ridere. Carol lo guardò indispettita e gli tirò una cuscinata in faccia, ghignando. “Questa è una dichiarazione di guerra!” decise Ashton, prendendo un altro cuscino e ricambiando. “Ehi! Non si colpiscono le donne!” fece Manuela, prendendo un altro cuscino e massacrandolo. Partì così una guerra di  cuscini, fra tutti quanti. Ad un certo punto, io urlai: “Fermi tutti!” gli altri mi guardarono sorpresi, mentre io mettevo al sicuro tutti gli oggetti fragili. “Tu sei molto intelligente” mi disse Carol, dandomi una mano. In due minuti avevamo messo in sicurezza la casa. “Si può andare avanti” decretai poi. Non l’avessi mai detto, mi arrivò una cuscinata sulla nuca che mi fece ribaltare in avanti. Caddi su Manuela, che mi sorresse. Ci mettemmo schiena contro schiena e iniziammo a mietere vittime. Altro che terza guerra mondiale.

“Splendore, siamo imbattibili!” esclamai esultante. Poi mi voltai verso di lei, e la vidi brandire il cuscino con aria vittoriosa. Sgranai gli occhi. “Manu, cosa vuoi fare?” chiesi. “Scusa, Coco” mi disse, prima di farmi cadere sul divano con una cuscinata in testa. In teoria sarei dovuta cadere sul divano.

In pratica caddi su Luke, anche lui abbattuto da una cuscinata.

Attorno a noi, volava l’imbottitura di un paio di cuscini, evidentemente si erano aperte le zip, ma non mi importava. Ero paralizzata dalla sorpresa, sdraiata sul petto di Luke. Gli avevo mozzato il fiato, speravo di non avergli fatto troppo male. Mi aspettavo qualche cuscinata, ma non arrivò niente. Eravamo nella nostra bolla, a guardarci negli occhi, sorpresi. Non ci arrivava nessun suono. Era talmente bello, ma anche così imbarazzante…

Il citofono suonò e io mi alzai di scatto, più per togliermi dall’imbarazzo che per interesse. “Vado io!” dissi frettolosa, rispondendo al citofono. “È arrivata una lettera da Emmaline” dissi sconcertata. Carol e Manuela mi guardarono addolorate e preoccupate allo stesso tempo. Io non riuscivo a capire. Aprii la porta in fretta, ansiosa di sapere cosa volesse da me. Mentre uscivo, sentii Luke chiedere a Carol chi fosse Emmaline. “È la sorella di Coralie. È schizofrenica ed è da anni in una casa di cura, se si può definire così. Ogni tanto le mandava una lettera, poi è peggiorata. Parla da sola e l’ultima volta che siamo andate a farle visita non ci ha riconosciuto. Coralie era distrutta” spiegò a bassa voce Carol, sperando di non farsi sentire da me, invano. Intanto ero tornata in casa, con la lettera stretta convulsamente fra le mani. Carol aveva ragione, sapere che mia sorella non mi riconosceva mi aveva annientata. Era successo circa due mesi prima. non mi aveva spedito più niente, da allora.

“Coralie, vuoi che la legga io?” mi chiese premurosa Manuela. Io mi morsi le labbra, poi scossi la testa. “Non la leggerà nessuno” decisi con voce rotta. Carol e Manuela mi guardarono allarmate e sorprese. “Per ora” aggiunsi. Loro non dissero niente e mi accorsi solo in quel momento che erano tutti attorno a me. Luke mi prese una mano e la strinse, come a dire “Sono qui.” Manuela e Carol, invece, mi guardavano come se non volessero vedermi piangere.

Non mi veniva da piangere. Ero solo confusa. Spenta.

Perché si faceva sentire solo in quel momento? Perché non mi aveva chiamato? Perché non aveva chiesto ai dottori di farmi sapere qualcosa? Perché non aveva fatto niente, mi aveva solo mandato uno stupido pezzo di carta in una stupida busta con delle stupide parole sopra?!

Ero confusa, spenta e arrabbiata. Davvero valevo così poco?

“Perché?” chiesi al vuoto. Sentivo gli occhi di Luke su di me. “Ok, adesso basta” disse. Si alzò e prese le nostre giacche. “In piedi, si esce” disse, perentorio ma sorridendomi. “Luke, non mi sembra il momento di…” tentò Calum. Io lo interruppi prendendo il giubbotto che mi porgeva Luke. “Ha ragione. È una bella giornata, non è giusto passarla a deprimersi” disse Manuela. Io ringraziai mentalmente tutti per essere lì con me.

 

Circa mezz’ora dopo, eravamo in una zona della città che non conoscevo bene, ma Luke e gli altri sembravano sicuri, quindi mi fidavo. Notai come poco a poco tutto il gruppo si stesse sfaldando: Carol e Ashton erano andati in un negozio di non so cosa. Manuela e Michael erano rimasti incantati da una vetrina di cuccioli. Calum stava sbavando dietro una chitarra, attaccato al vetro della vetrina, mentre il proprietario del negozio, a mio avviso, lo stava insultando in tutte le lingue del mondo. Eravamo solo io e Luke, due volte nel giro di nemmeno una giornata. Davvero, rischiavo di non reggere. “Dove stiamo andando, Luke?” chiesi curiosa. “In un posto che adoro, e che spero piacerà anche a te” mi disse lui enigmatico. Io mi parai davanti a lui e lo guardai negli occhi. “C’entra del cibo” dissi decisa. Lui sgranò gli occhi, prima di serrarli. “C’è un modo per nasconderti le cose?” chiese. “Non ne ho idea.”

“Coco?”

“Sì?”

“Posso aprire gli occhi senza il rischio che tu mi legga nel pensiero?”

“Non ne sono sicura.”

“Ma così inciampo!” implorò ridendo. Io lo guardai qualche secondo, prima di scoppiare a ridere a mia volta. “Ok, ok” consentii poi. Lui sospirò di sollievo e finalmente aprì gli occhi.

Mi portò fino ad un negozio di antiquario. Lo guardai scettica. “Dobbiamo mangiare qualcosa di mummificato, per caso?” chiesi con una smorfia. “Tranquilla, quella è solo metà negozio. Lo so, non ha senso com’è organizzato, a me interessa solo l’altra metà” mi spiegò. Entrammo e mi trovai davanti ad un piccolo scaffale con vari tipi di patatine, di quelli che ci sono anche nei distributori automatici. “Ehm, wow” dissi, per niente sorpresa. Lui ridacchiò. “Voltati” mi consigliò. Io obbedii e rimasi a bocca aperta, mentre una visione celestiale mi inondava gli occhi. “Sai, leggere il tuo libro mi ha aiutato molto” mi disse, nonostante io non lo stessi ascoltando. “Do-do-do…” balbettavo. “Dolci!” riuscii a dire poi. Davanti a me, tre scaffali lunghi pieni di caramelle di ogni tipo. Ai lati, muffin, torte e cioccolata. Sopra gli scaffali, bastoni di zucchero e cicche. Ogni tipo di dolce sbucava da un angolo diverso di quel posto incantato.

Era il mio paradiso.

“A quanto ammonta il budget?” chiesi. “Mhm, dovevamo prendere una pizza, oggi, e abbiamo saltato. Direi quindi circa dieci, quindici euro” disse lui. Io mi strofinai le mani. “Faccio una strage” feci con tono cospiratorio. “Ehi, piano, dobbiamo dividere” mi ammonì lui ridendo. Troppo tardi, avevo già preso un sacchetto, iniziando a farci cadere dentro le stringhe multicolori che adoravo. Luke mi raggiunse con una vagonata di caramelline a forma di fragola, mentre io decimavo i marshmallow e le caramelle alla coca-cola. “Le collane caramellose!” urlai, completamente trasfigurata in un mostro tritura-caramelle. Lui ne prese quattro. “Perché quattro?”

“Perché l’ultima volta ne ho finita una in cinque minuti, stavolta vorrei durare almeno dieci.”

“Ah, pensavo volessi condividere!”

“Sei fortunata che sei tu, altrimenti non vedresti nemmeno l’ombra di questi dolci” mi disse, brandendo un bastone di zucchero e puntandomelo contro come un’arma. Io mi misi a ridere. “Lo sai che dopo averle finite il nostro livello di diabete supererà quello di tutta la popolazione mondiale messa insieme?” mi chiese. Io inarcai un sopracciglio e lo guardai, indicandomi il viso con un dito. “Ti sembra la faccia di una a cui interessa?” Lui mi guardò critico. “Nah, non credo” disse poi. Ci trattenemmo dal ridere, invano.

Dieci minuti dopo, avevamo riempito tre sacchetti. Il proprietario del negozio ci guardò sorpreso, ma non disse una parola. “Ventisei e quaranta” disse. Noi ci guardammo. “Abbiamo sforato” commentai solo. Lui fece spallucce e mise sul bancone quindici euro, cercando nelle tasche per trovare il resto. Io lo precedetti e il proprietario ci consegnò lo scontrino. “Ok, dove le mettiamo?” chiese Luke, mostrandomi i tre sacchetti. Io riflettei un attimo, poi aprii la borsa. “Sicura che ci stiano?”

“Fidati, l’ho ereditata da Mary Poppins.”

“Perfetto!” disse lui, cercando di farceli stare tutti e tre. Quando ci riuscì, salutammo il proprietario e uscimmo. Sentimmo lui gridarci un “Tornate presto!” e ci mettemmo a ridere. “Siamo la sua miniera d’oro, mi sa” dissi. Lui annuì. “Dove andiamo?” chiesi. “Un posto tranquillo dove consumare la nostra preda? Io direi al parco” fece. Fortunatamente non era molto lontano, anzi era praticamente di fianco. Quello, almeno, lo conoscevo. C’erano quattro zone: quella per i bambini, piena di giochi, quella per i ragazzi, con campi da basket, da calcio e uno spiazzo per farci un po’ di tutto, quella per gli adulti, delimitata da una panchina di pietra che correva per tutto il parco, e quella per chi cercava un po’ di pace, divisa in due parti e immersa nel verde. Queste divisioni nella realtà non esistevano, ma nel tempo ognuno si era ritrovato a frequentare le zone più idonee, quindi era naturale vederle. Nella zona pacifica, c’era un punto particolarmente nascosto, sotto tre alberi e con un muretto alto circa un metro, che delimitava la piazza del bar dalle collinette. Lì, ci andavano i ragazzi a bere, drogarsi e cose del genere.

Noi ci andammo per fare indigestione di caramelle.

A volte mi chiedevo se non fossi più una bambina, che una diciassettenne.

Io frequentavo spesso la zona tranquilla, con Carol e Manuela. Ci mettevamo ad ascoltare Goodbye Lullaby e a canticchiare. Non so perché, ma era l’album perfetto per stare in mezzo al verde. Mi piaceva associare alla musica un colore. Quando lo raccontai a Luke, lui mi guardò sorpreso. “Ti piace cantare?” chiese. “Sì, ma sono orribile” dissi. “Non ci credo” rispose sorridendo. “Invece è così, non tutti nascono con una voce come la tua!” dissi con la bocca piena di caramelle. Lui si voltò un attimo, dandomi le spalle, poi si girò di nuovo verso di me. Per poco non mi affogai dal ridere: si era messo una dentiera da vampiro-caramella e stava imitando una faccia minacciosa. “Non farmi ridere mentre mangio, potrei morire” dissi cercando di riprendermi. La mia mente malata di dolcezza mi propose l’immagine di me stessa che soffocavo e Luke che faceva di tutto per farmi riprendere, compresa la respirazione bocca a bocca.

Ok, era una semplice addizione: il mio cervello malato più zucchero, uguale filmini mentali a non finire.

 

Dopo una ventina di minuti, quando avevamo fatto fuori metà del primo sacchetto, sentimmo un: “Ecco dove eravate!” Ci prendemmo un infarto: Manuela era sopra di noi, dall’altra parte del muretto. Ci raggiunse tutto il gruppo e Carol e Manuela mi guardarono adoranti. “Avete le caramelle?!” chiesero, incantate. Io e Luke non eravamo gli unici ad essere stati stregati. Quando si avvicinarono a noi, io e Luke nascondemmo le caramelle dietro la schiena. Nello stesso momento, io soffiai come un gatto arrabbiato, lui abbaiò come un cane da guardia cui è stato invaso il territorio. Ci guardammo un attimo, stupefatti, poi scoppiammo a ridere, tanto che ci vennero le lacrime agli occhi.

Ero sempre stata abituata a soffiare, quando dovevo difendere qualcosa di mio. Vivere con Tabitha mi aveva trasformato in una metà gatto, a quanto pareva, perché quella non era la mia unica abitudine alla gatto-style. Quando mi accarezzavano i capelli mi veniva naturale imitare le fusa di un gatto e quando mi grattavo il naso lo facevo come Tabitha. Unite questo ad una grave forma di vampirismo, e il risultato ero io. E avevano il coraggio di chiamarmi normale.

Quando riuscimmo a smettere di ridere, concedemmo al gruppo la metà sacchetto rimasta, in un atto di estrema generosità. Ci alzammo dal prato gelido e Luke si avvicinò a me. “Non far vedere le altre!” mi sussurrò. Io annuii, non sarebbe stato comunque nelle mie intenzioni, sapendo che divoratrici erano Manuela e Carol. Le sue dita sfiorarono le mie e io sentii un brivido percorrermi la spina dorsale. Mi ritrovai senza nemmeno accorgermene a canticchiare. “Why do you always do this to me?” Lui mi guardò. “Prima hai detto che non sai cantare. Ora posso dirti che non è vero, e che hai una voce davvero bella” mi disse dolcemente. Ok, rischiavo seriamente di sciogliermi. Non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati davanti a casa nostra. Potrà sembrare infantile, ma non avevo per niente voglia di separarmi da lui. Manuela mi salvò la vita. “Vi fermate a mangiare qui, vero?” chiese speranzosa. Gli altri annuirono, mentre io dentro di me stavo proclamando festa nazionale. Volevo passare più tempo possibile con lui, solamente quando eravamo insieme ero così spensierata e felice.

È una cosa umana cercare di essere felici, no?

*Angolo autrice*

Ciao a tutti, volevo solo dire due cose:

-          In questa storia non ho intenzione di mettere moltissime note dell’autrice

-          Ogni capitolo avrà il titolo di una canzone. Penso che potrebbe essere carino ascoltarle mentre si legge J

Grazie per essere arrivati fino a qui, ciaoo a tuttii

Ranyadel

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Capitolo 5
*** demons. ***


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Demons.

Avevamo passato tutta la giornata insieme, a ridere e scherzare, di nuovo.

Quando mia cugina portava a casa gli amici, io mi chiedevo come facesse a stare sempre con loro. Avevo dodici anni, lei diciotto. Mi disse che stare con persone così importanti era essenziale, a quell’età.

Solo adesso riuscivo a capire veramente cosa intendeva.

Appena entrati in casa, Luke ed io avevamo nascosto le caramelle sotto il mio letto, chiuse ermeticamente per non far prendere loro polvere, poi eravamo rimasti tutto il giorno a fare niente e ad essere diciassettenni.

In quel momento stavamo aspettando la pizza, riuniti attorno al tappeto che avevamo adibito a tovaglia per pic-nic. “Vi va di fare un gioco?” chiese Ashton a un certo punto. Noi annuimmo, mentre Carol lo guardava allarmata dalla sua espressione. “Un classico, obbligo o verità” concluse Ashton.

Non so perché, ma ogni volta che qualcuno nominava quel gioco, si scatenava il terrore. Forse perché nessuno aveva il coraggio di mettersi contro di me. Il mio potere, diciamo, mi avvantaggiava.

Fortunatamente, il citofono interruppe quella scena così strana. Dire che tirarono un sospiro di sollievo fu poco.

“Allora, di chi è quella con la salsiccia piccante?” chiese Manuela. Luke alzò subito la mano. “Aiuto, io morirei dopo una pizza del genere. Non riuscirei a finirla” commentai. “Coco, la tua!” mi disse Manuela. Io la presi e la aprii, Luke mi guardò sorpreso. “È con wurstel e patatine. E tu non riusciresti a finire la mia?!” mi chiese stranito. “Aspetta e osserva” feci ridacchiando. Manuela, dopo aver distribuito le pizze, si sedette accanto a me. La sua pizza era margherita. Prendemmo la rotella e tagliammo a metà le due pizze. Io presi metà di quella di Manuela e lei fece lo stesso. “Siamo organizzate” ci vantammo. Gli altri ridacchiarono.

Mangiammo la pizza con, come sottofondo, il film Beautiful Creatures. Avevo letto tutti i libri e ci tenevo a farlo vedere a Luke: era il film tratto da La sedicesima luna, il libro che gli avevo consigliato prima che lui vedesse il mio. La cosa che mi dispiaceva era che avevano tagliato molto, arrivando subito al finale. Io ero incantata.

Quando il film finì, avevo la pelle d’oca. Dovevo sfogarmi, ma rischiavo di essere mandata dritta dritta in un ospedale psichiatrico. Chissà, magari sarei finita a fare compagnia ad Emmaline.

“La proposta per obbligo o verità è ancora valida!” disse Ashton alla fine. “Io ci sto” decise Luke. Io lo guardai sorpresa. “Wow, coraggioso” dissi a bassa voce. Gli altri, dopo poco, acconsentirono. Ci sedemmo in cerchio, accantonando i cartoni della pizza lontani da noi. “Inizio io” decise Calum. “Allora. Michael?”

“Verità.”

“Quando il tuo primo bacio?”

“Quindici anni.”

A quelle parole, vidi Manuela rabbrividire con una smorfia. Calum aveva scelto la domanda sbagliata. Toccava a Michael. “Carol.”

“Obbligo.”

“Devi dirmi come hai fatto a conoscere Ashton.”

“Fidati, non lo vuoi sapere davvero.”

“Invece sì.”

“Te lo dirò dopo, se proprio ci tieni” disse Carol. Io e Manuela ci trattenemmo dal ridere. “Chi vuole da bere?” chiese Ashton. “Siamo minorenni, genio.”

“Sì, ma un po’ non fa male a nessuno.”

“Non ho mai bevuto e in questa casa non ci sono alcolici.”

“A dire il vero, Ashton mi ha fatto imbucare qualche bottiglia di birra” disse Carol. I due si guardarono vittoriosi. Com’è che erano così ansiosi di ubriacarsi?

“Io non bevo!” decisi. Carol inarcò un sopracciglio. “Coco, tocca a te.”

“Non sono scema, verità” dissi. “Ricordati che posso farti dire tutto. Ma proprio – indicò con un gesto impercettibile Luke – tutto tutto” mi ammonì. Questa era crudeltà!

“Allora obbligo” cedetti. Ashton corse in cucina e prese una bottiglia di birra, versandomene un bicchiere. “Tutto tuo!” mi disse. Io sbuffai e bevvi tutto d’un fiato. Era amara e bruciava la gola. “È orribile!” dissi con una smorfia disgustata.

***

Un’ora e mezza dopo, eravamo tutti un po’ brilli, a causa di Ashton e Carol. Accidenti a loro, mi girava la testa. Non ero ancora al punto di non capire più niente, mi sentivo solo molto più leggera. Toccò a Calum. “Luke.”

“Obbligo.”

“Ok, allora… mangiati tutta quella tavoletta di cioccolato.”

“Sai che obbligo.”

“In un minuto.”

“Ah” disse sconcertato. Ero quasi sicura che avesse bevuto più di me. Fece spallucce e afferrò la barretta che gli porgeva Michael. “Pronti? Via!” fece Calum. Mi venne da ridere nel vedere la foga di Luke, rischiava seriamente di strozzarsi. “Finito! Hai perso, amico!” disse esultante Ashton. “Bene, e allora?”

“Penitenza!”

“Ovvero?” Ashton e Calum si guardarono, quasi stessero aspettando quel momento dall’inizio del gioco. “Bacia Coralie” dissero gongolanti. Io avvampai, mentre il mio livello d’istinto omicida saliva alle stelle. Sussultai quando sentii le labbra di Luke premere sulla mia guancia per poco più di un secondo. “Non in quel senso! Devi baciarla, ma baciarla per davvero!” si lamentò Calum. Luke ed io ci guardammo allarmati. Eravamo entrambi viola dall’imbarazzo. “Non si può passare?” chiesi. I due scossero la testa. Aiuto.

Luke si avvicinò a me e mise una mano sul mio viso. Stava succedendo davvero? Non riuscivo a capire se era un sogno o un incubo.

Certo, avrei voluto baciarlo, ma non così. Non volevo che fosse un obbligo, ma una cosa vera.

Il mio cuore si bloccò quando le sue labbra si posarono sulle mie, in un bacio dolce e leggero. Le sue labbra sapevano ancora di cioccolato, erano così morbide…

Un brivido percorse il mio corpo quando Luke chiese l’accesso ed io glielo consentii. Sentivo le farfalle nello stomaco. Anzi, non le farfalle. Sempre citando Kami Gracia: erano api assassine.

Era una sensazione stupenda. Nonostante fosse solo uno stupido obbligo, stavo baciando Luke!

Dopo circa un minuto, ci separammo. Ci guardammo negli occhi. Non ci voleva un genio per capire che era spaventato. Il mio cuore batteva all’impazzata, condividevo il suo stato d’animo.

Mi alzai di scatto e corsi al piano di sopra, cercando di calmare il respiro. Sentii le voci degli altri chiamarmi, ma le ignorai. Mi chiusi in camera mia, raggomitolandomi sul letto. In pochi secondi, sentii dei passi sulle scale. “Coco?” mi chiamò Luke, a bassa voce, entrando in camera mia. Io non risposi e lui si sedette accanto a me.

L’effetto dell’alcool sembrava essersene andato quasi completamente.

“Non so perché ho reagito così” iniziai a dire. “Coco…”

“Non doveva andare così.”

“Ehi, devo dirti una cosa…”

“Promettimi che ti dimenticherai di tutto.”

“Coco, vuoi stare un attimo zitta?” mi chiese con un sorriso intenerito. “No, è stato tutto un errore, io…” rimasi basita: Luke, per zittirmi, aveva scelto il modo più dolce di tutti. Le sue labbra erano di nuovo premute sulle mie, per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

E stavolta, non c’era nessun obbligo in gioco.

Chiusi gli occhi, estasiata, mentre Luke approfondiva il bacio.

Questo secondo bacio durò molto di più, ma ai miei occhi fu sempre troppo poco.

Quando ci separammo, ero incredula. “Era questo, che volevi dirmi?” chiesi deglutendo. Lui annuì. “Mi dispiace che il primo bacio che ti abbia dato sia stato per uno stupido gioco” sussurrò, ancora a pochi centimetri da me. Io sorrisi piano.  “Dispiace anche a me.”

Il mio cervello era concentrato su una sola parola: primo. Questo implicava anche altri baci??

“Non sei troppo ubriaca, vero?” mi chiese inquieto. “Beh, non sono al massimo, ma riesco ancora a intendere e volere” commentai. Lui sospirò di sollievo e mi cinse con le braccia, sollevandomi dal letto e facendomi girare in aria. Io mi aggrappai a lui a koala, ridendo, e lui mi buttò di nuovo sul letto. Ci ritrovammo sdraiati, con lui che si puntellava sui gomiti per non schiacciarmi. “E tu, invece? Sei lucido?” chiesi. “Sono nella tua stessa situazione” mi disse, prima di darmi un altro bacio.

Ci guardammo negli occhi. Erano così azzurri, così belli…

Fummo interrotti da qualcuno che bussava alla porta. “Coco, posso entrare?” chiese Carol. Io e Luke ci separammo subito, finendo entrambi su un lato diverso del letto, un attimo prima che  entrasse Carol.

“Mi scuso, da parte di quei due cretini qui sotto, non credevamo che potesse farvi questo effetto” ci disse, avvilita. “Non preoccuparti. È – scoccai un’occhiata fugace a Luke – tutto a posto.” Vidi Carol scrutarmi pensierosa e rimanere spiazzata. Che avesse capito? Speravo proprio di no. “Va bene, allora… io torno di sotto, insomma” balbettò. Wow, davvero l’avevamo lasciata senza parole? Sarebbe stata la prima volta. “Sì, forse è meglio se ce ne andiamo. È tardi” disse Luke, teso e impacciato. Lo guardai e vidi che aveva il segno di un morso sul labbro inferiore. Ops, mea culpa.

Forse anche io avevo quei segni e Carol se n’era accorta. A mio parere, aveva un bacio-detector installato nel cervello.

Carol uscì da camera mia e io tirai un sospiro di sollievo. Vidi Luke fare lo stesso. Ci alzammo e ridacchiammo. “Secondo me ha capito tutto” disse. Io annuii, poi feci spallucce e lo abbracciai. Niente baci, solo un abbraccio. Lui ricambiò e io sentii con estrema precisione il suo cuore che batteva forte, tanto quanto il mio.

“Dovrei andare, Coco” mi disse dopo poco. “Bene” risposi, senza nemmeno la minima intenzione di staccarmi. Lui lo intuì e ridacchiò, mentre io sentivo il suo petto vibrare. “Coralie?”

“Sì?”

“C’è modo di farti staccare?”

“No?”

“Nemmeno uno?”

“Mhm, forse uno sì” dissi furba. Ora che avevo assaggiato il paradiso, non ci avrei rinunciato facilmente. Lui sorrise e mi alzò il viso con due dita, prima di baciarmi dolcemente. “Ancora uno” sussurrai piagnucolando come una bambina viziata, sporgendo il labbro all’infuori e facendo gli occhi dolci. Lui si mise a ridere. “Se la metti così non posso rifiutare” sussurrò con voce roca, prima di darmi l’ultimo bacio, mentre io mi scioglievo fra le sue braccia.

quando scendemmo, vidi Manuela e Michael uscire dalla cucina. Anche loro con le labbra inspiegabilmente rosse.

 

Quando i ragazzi se ne andarono, Carol prese me e Manuela per mano e ci trascinò di peso fino al piano di sopra. “Voi due, adesso, mi raccontate tutto” disse perentoria. Io e Manuela cercammo qualcosa su cui spostare lo sguardo. Tutto d’un tratto, il  lampadario si era fatto così interessante…

“Coralie. Non è possibile che le sue labbra si siano morsicate da sole.”

“Tecnicamente, è possibile.”

“Coralie!”

“Ok, ok, scusa.”

“E tu, Manuela. Com’è che tu e Michael siete normali quando entrate in cucina e ne uscite con le labbra ridotte così?!”

“Eh, i misteri della vita.”

“Voi due cercate rogne.”

“No, ma dai!” rispose ironica Manuela. Carol ringhiò spazientita e io feci capire a Manuela che dovevamo smetterla di provocarla. “È vero, Luke ed io ci siamo baciati” dissi solo. “Sì, anche io e Michael.”

“Solo?”

“Sì, solo.”

“Ok” disse lei, cercando di calmarsi. Io la guardai perplessa. “Carol, che hai?” chiesi confusa. “Vuoi una pietosa bugia o una crudele verità?” mi chiese lei con le lacrime agli occhi. “La verità” dissi decisa. Lei prese un respiro, prima di sputare fra i denti un: “Non ne ho idea.” Io la guardai stranita. “In che senso?” tentai, cauta. “Quanti sensi conosci?! Non so cosa mi stia succedendo! dovrei essere felice per voi, dovrei fare i salti di gioia, e invece mi sento come se mi stesse crollando il mondo addosso!!” urlò. Tremava. Mi prese per le spalle. “Leggimi gli occhi, dimmi cos’ho!” fece, piangendo isterica. “Carol, sei terrorizzata, non posso!” dissi, cercando di divincolarmi dalla dolorosa stretta della mia amica. Vidi Manuela prendere il cellulare e comporre un numero. “Ashton, ti prego, torna qui, si tratta di Carol!” disse solo prima di mettere giù e venire ad aiutarmi. Carol mi spinse a terra, facendomi cadere. Forse avevo capito cosa stava succedendo.

“Carol! È tutto a posto! È tutto in ordine!” dissi, mentre lei ansimava pesantemente, terrorizzata, e iniziava a girare per la camera. Si mise a riordinare oggetti a caso, senza un filo logico. “Deve essere tutto sotto controllo” continuava a sussurrare fra sé e sé. “Vai a prendere la siringa” sussurrai a Manuela, che corse al piano di sopra. Rimasi da sola con Carol. “Cosa c’è che non va?” chiesi conciliante. “È tutto… fuori controllo. Non è giusto, deve essere tutto sotto controllo, tutto, tutto” disse lei, continuando a mettere a posto senza senso. Mise un vaso per terra, il tappeto su una sedia, le sedie stesse sul tavolo. Manuela tornò nello stesso istante in cui Ashton e gli altri bussarono alla porta, frenetici. Manuela mi lasciò sul tavolo la scatola con le siringhe e andò ad aprire, correndo. Io mi avvicinai a Carol e cercai di bloccarla da dietro. “Cosa succede?!” sentii urlare Ashton. Mi voltai verso di lui e lo vidi fermo sulla soglia, con Luke, Michael e Calum. Erano paralizzati. Il vederli mi fece abbassare la guardia e Carol mi spinse via. Andai a sbattere con la testa contro lo spigolo di un mobile e per un po’ vidi nero. Sentii una voce accanto a me che mi chiedeva mille cose che non riuscivo a capire. “La siringa” dissi solo, gemendo, prima di perdere i sensi.

 

Quando mi svegliai, ero sdraiata sul divano, con una benda attorno alla testa. Attorno a me, c’erano tutti gli altri, preoccupati. “Coco, stai bene!” urlò Manuela appena mi vide aprire gli occhi. Sentii una dolorosa fitta al cranio. “Mi fa male la testa” dissi. “È normale, hai preso una bella botta” mi rispose Luke, accanto a me. Sembravano tutti stravolti. mi ricordai all’improvviso di cosa era successo e scattai a  sedere. “Carol!” esclamai impaurita. La vidi, con la testa fra le mani, seduta a terra. Mi alzai e corsi da lei, nonostante il dolore allucinante alla testa. “Non doveva saperlo così” disse solo lei con le lacrime agli occhi. “Carol, non…”

“Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, Coco, non volevo farti male. Scusami” mi disse. Mi si spezzò il cuore nel vederla così impotente. Ashton si sedette davanti a noi. “Mi pare che voi ci dobbiate dire qualcosa” disse duramente. Gli scoccai un’occhiata feroce, non poteva parlare così a Carol in quelle condizioni, nonostante avesse ragione. “Siamo tutti così, in famiglia. Avrei voluto dirtelo subito, lo so. Avremmo dovuto dirlo subito a tutti” disse lei con voce spenta. “Cosa intendi?” chiese Calum. “Nella nostra famiglia… hanno quasi tutti problemi del genere. Emmaline è schizofrenica. Io soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo con decorso cronico fluttuante, per riportare le parole del medico. Devo avere sempre tutto sotto controllo o vado nel panico, i risultati si sono visti.”

“Aspetta, ma Emmaline è della tua famiglia?” chiese Michael confuso. Carol annuì. “Lei e Coralie sono mie cugine, di secondo grado.”

“E, tutto questo, quando pensavate di dircelo?” chiese Ashton duro. “Non volevo che lo sapeste così” rispose Carol altrettanto dura. Ashton prese un gran respiro per calmarsi. “Vieni di là” disse, alzandosi. Lei lo seguì e si chiusero nella cucina, a chiave. Nonostante tutto, noi potevamo sentire le loro urla. “Perché non me l’hai mai detto?!”

“Non sapevo come! Pensavi che potessi venire e dirti: ciao amore, sono pazza!”

“Potevi dirmelo come hai fatto adesso!”

“Tu credi che sia facile per me e Coralie?!”

“Magari è pazza pure lei, eh?!”

“E se anche fosse?”

“Avreste dovuto dircelo!”

Continuarono così per un bel po’. Luke mi guardò. “Quindi, anche tu hai problemi come lei?” chiese cauto. “No. Per ora non ho niente. O almeno, niente di cui io mi sia accorta. Nella nostra famiglia ci sono alcuni che non hanno niente” dissi mesta. Lui si passò una mano fra i capelli. Lo guardai negli occhi, ma al contrario di quel che pensavo non ci trovai sollievo. O meglio, sì, un po’ di sollievo c’era, ma era soprattutto preoccupato per Carol. “Luke?” feci, vedendolo così smarrito. Lui non disse niente e mi abbracciò.

“Ho bisogno di te” disse solo.

Sentii una fitta al cuore.

A lui non sarebbero mai importati i miei demoni.

Mi sarebbe stato vicino.

Lo ringraziai mentalmente, per essere lì, con me.

*Angolo autrice*

ehm, scusatemi. Non riesco a non mettere problemi del genere, nelle mie storie. Se qualcosa non va bene, ditemelo pure, io sono qui.

Cambiando argomento. Grazie alla fantastica Miss One Direction, questa storia ha il trailer

Grazie per essere arrivati fino a qui :* 

Ciaoo

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Capitolo 6
*** Lego house. ***


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Lego house

Era passata mezz’ora da quando Carol e Ashton si erano chiusi in cucina. Io e gli altri eravamo in sala, mesti, ad ascoltare. Forse non si accorgevano di urlare, o forse non importava a nessuno dei due.

“Da quanto va avanti?” chiese Ashton. “La prima volta, avevo dieci anni.”

“Wow, quindi tu soffri di questa malattia mentale da sette anni e non me l’hai mai detto!”

“Perspicace.”

“Evita il sarcasmo, Carol.”

“E tu evita di aggredirmi. Sai cosa significa decorso cronico fluttuante?”

“No.”

“Significa che questi attacchi mi vengono una volta ogni tanto. Da quando l’ho scoperto, ho avuto solamente dodici attacchi, tredici con questo. Sono tredici attacchi in sette anni. L’ultima volta ne avevo appena compiuti sedici!”

“Proprio per il fatto che sono così rari, avresti dovuto dirmelo! Pensa se fossimo stati da soli. Cosa sarebbe successo, senza Coralie e Manuela a dirci cosa fare? Sai che per colpa tua Coralie ha un taglio in testa, vero?!”

Io sgranai gli occhi. “Ho un taglio in testa?” chiesi a bassa voce. Calum annuì. “Tranquilla, è superficiale, devi esserti graffiata contro il mobile. Abbiamo chiamato il pronto soccorso ma ci hanno detto che era tutto ok, dato che ti stavi già svegliando” mi disse Luke. Tirai un sospiro di sollievo, tornando ad ascoltare la conversazione.

“Lo so, e le ho già chiesto scusa. Ma lei sa meglio di me che non mi controllo quando ho queste crisi.”

“Cos’è, esattamente, che ti manda in crisi? Che ti ha mandato in crisi anche questa volta?!”

“Il sapere che le cose sono in disordine, che ho perso le redini. Vado fuori di testa quando tutto mi sfugge dalle mani.”

“Bene, quindi se io adesso metto questo qui – si sentì il rumore del tavolo che si spostava – tu vai fuori di testa?! E anche se sposto quest’altro?!”

“No, ma comunque mi da fastidio.”

“Perché?”

“Perché ho sonno e ogni cosa che tu sposti dopo devo rimetterla in ordine, senza contare il casino che ho fatto prima. Ergo, vado a letto più tardi.”

Ashton rimase in silenzio qualche secondo, poi chiese: “E allora cos’è successo, stavolta?” notai che il suo tono di voce era più basso, quasi sofferente. Potevo capirlo: si fidava ciecamente di Carol, e in quel momento doveva essere abbastanza sconvolto. “È successo che ci sono stati dei baci, io non lo sapevo e quando l’ho scoperto è stato come se mi avessero nascosto qualcosa.”

“Sai, vero, che è come mi sento io adesso?”

“Lo so e mi dispiace, te l’ho ripetuto mille volte, avrei dovuto dirtelo prima ma avevo paura, sono stata stupida e tutto quello che vuoi, ma prova a capire. Avevo paura.”

Altro silenzio. Sentimmo dei passi e la porta si aprì, mostrando Ashton. “Ci sono stati dei baci?” chiese. Un: “Ehm…” partì da Manuela, Michael, Luke e me, mentre Calum ci guardava stranito. “Ok, capito” disse lui tornando in cucina e chiudendo la porta, stavolta non a chiave. Come se ci fossimo messi d’accordo, tutti ci precipitammo a sbirciare da quello spiraglio appena accennato. Carol era appoggiata al piano cucina, Ashton al tavolo. Guardavano a terra, in un punto imprecisato. “Carol…” sussurrò lui, prima di interrompersi. La vidi deglutire, in attesa di qualche parola che non arrivò mai. Potevo vedere benissimo che stava trattenendo le lacrime. Con lei era sempre così: durante i litigi si arrabbiava, cercava un modo per abbattere il muro dell’altro e quando ci riusciva lasciava che anche il suo cadesse. Una volta mi aveva detto che la mente umana è fatta di muri, che si alzano e si abbassano, si inspessiscono e si assottigliano, si creano e si abbattono. Lei si era sempre destreggiata bene fra questi muri, evitando quelli più resistenti e concentrandosi con fare conciliante su quelli più deboli. Con fare conciliante o rabbioso, a dire il vero. Era incredibile. Una volta, mi aveva convinto che quello che stavo facendo era sbagliato per abbattere il mio muro e calmarmi, poi mi aveva detto che quella ad aver sbagliato era lei. In poche parole, sapeva farti arrivare dove voleva.

“Penso che sia meglio che vada” sussurrò, dirigendosi con sguardo basso verso la porta. Non ci arrivò: Ashton la prese da dietro e la abbracciò, più forte che poteva, mentre Carol si voltava e faceva lo stesso. Era una lacrima, quella sulla guancia di Ashton??

Rimasero così per qualche minuto, poi Ashton fece una cosa che mi fece venire le lacrime agli occhi: a pochi millimetri da lei, iniziò a cantare.

I'm out of touch, I'm out of love

I'll pick you up when you're getting down

and of all these things I've done

I think I love you better now.

Vidi Carol trattenere un singhiozzo e continuare:

I'm out of sight, I'm out of mind

I'll do it all for you in time

And of all these things I've done

I think I love you better now.

La riconobbi: era Lego house, la loro canzone, quella con cui un mese prima lui le aveva detto di amarla. Sentii una lacrima colarmi sul viso e tirai su col naso. Inconsapevolmente, cercai la mano di Luke. Quando la trovai, la strinsi, in cerca di non so nemmeno cosa. “Scusami.” Sussurrarono.

 

Poco dopo, tornarono in sala. Si erano asciugati le lacrime, ma gli occhi erano comunque rossi. Ci trovarono sui divani. “Tutto ok, ora?” chiese Michael. I due annuirono, poi ci guardarono. “Si è sentito tanto?” chiese Carol. Noi assentimmo. “Che ore sono?” chiese Calum sbadigliando. “Quasi le quattro” rispose Manuela, guardando l’orologio. “In queste condizioni, io non guido. Vi porterei in un fosso” disse Luke, con le occhiaie evidenziate dalla stanchezza. “Idem” fecero Calum, Michael e Ashton. “Molto bene, e allora cosa si fa?” chiese Michael. “Ci sono due camere degli ospiti, il divano è comodo e Ashton può dormire con Carol” dissi io tranquilla. I quattro si guardarono. “Non vedo altre alternative” fece Calum. “Ok, chi dorme sul divano?” chiese invece Michael. Ashton si tirò fuori con un: “Ricordate? Io dormo con Carol.”

“Facile così, eh?”

“Molto.” Luke alzò gli occhi al cielo. “Dai, dormo io qui” disse poco dopo. Mi aspettavo qualche protesta, anche finta, di quelle che si fanno per mettersi la coscienza a posto. Invece Calum e Michael corsero di sopra con un: “Grazie Luke! ‘Notte a tutti!” Io li guardai stranita, poi ci mettemmo a ridere. “Vado a dormire pure io, sono stremata” disse Manuela, stiracchiandosi. Carol e Ashton la seguirono, mentre io rimasi sul divano, di fianco a Luke. “Via dal mio letto” mi disse truce. Io mi misi a ridere e mi alzai, per poi sedermi più vicino a lui, che mi cinse le spalle. “Vai a letto, Coco” mi sussurrò. “Non riesco a dormire. Mi fa male la testa.”

“A mio avviso, dovresti andare al pronto soccorso.”

“Tranquillo, è solo un graffio, magari un bernoccolo.”

“Il bernoccolo ce l’hai nel cervello, se pensi che questo possa tranquillizzarmi.”

“Facciamo così, se domani sto ancora male, mi porti al pronto soccorso.”

“Ok.”

Luke si sdraiò sul divano, trascinando anche me. “Mi dispiace, piccola, ma io ho sonno. Non reggo più, sto facendo troppe notti bianche” mi disse con rammarico. Oddio, davvero mi aveva chiamato piccola?! Aiuto. “Allora ti lascio dormire. Notte” dissi, alzandomi. Per sbaglio mi puntellai sul suo stomaco e lo vidi trasalire. “Scusa, scusa, scusa!” esclamai. “Tutto ok” disse lui riprendendo fiato. Io mi alzai e feci per salire le scale, quando sentii lui, vicinissimo a me, sussurrarmi: “Coco?” io mi voltai, per trovarmi il viso intrappolato fra le sue mani. Le nostre labbra si scontrarono dolcemente. “Buona notte” mi disse, staccandosi dal bacio. Io balbettai una risposta, prima di salire, ancora stordita. Mi sdraiai sul letto come un automa e mi addormentai, con ancora il sapore di quel bacio sulle labbra.

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Capitolo 7
*** seventeen ***


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Attenzione: nella seconda parte, ci sarà la descrizione della città. Per capire fino in fondo, ecco la foto.

Seventeen

Quando mi svegliai, era quasi mezzogiorno. Mi sfiorai la testa, cauta, trovando solo il taglio. Bruciava, ma era superficiale e piccolo. Non mi faceva più male, fortunatamente. Guardai di nuovo la sveglia, assonnata, e… oh, accidenti, era quasi mezzogiorno! Non l’avevo ancora realizzato.

Mi venne un dubbio: i ragazzi erano ancora in casa?! Mi alzai di scatto e, per prevenire, mi chiusi in bagno. Mi lavai la faccia, rabbrividendo per l’acqua gelida, tentai di dare un senso logico al nido di vespe che avevo al posto dei capelli e scesi di sotto. Mentre passavo nel corridoio, passai davanti allo specchio. Tornai indietro, scioccata. “Adesso mi spieghi perché ti sei messa il pigiama rosa con i gattini” dissi allo specchio. “Ma perché, perché, perché sono così… sonnambula?!” mi chiesi disperata. Era l’ennesima volta che sceglievo a caso un pigiama dal cassetto, con gli occhi troppo gonfi di sonno per guardare. La domanda era: perché avevo ancora il pigiama con i gattini??

A parte tutto, era carino. Alla faccia di chi diceva il contrario.

Ero indecisa se farmi vedere così o cambiarmi. Quel pigiama mi piaceva, ma non ero pazza. O almeno, non così tanto. Tornai in camera prima che qualcuno oltre a Manuela e Carol potesse vedermi. Mi misi una maglia e una felpa enorme, di quelle che adoravo. Mi facevano sentire coccolata e protetta. Infilai i leggins di pelle – puntualmente pieni di peli di gatto – e andai al piano di sotto. Vidi Luke, ancora addormentato, abbracciato alla coperta.

Quanto poteva essere tenero?!

Lo vidi tutto rannicchiato e questo mi fece sospettare che avesse freddo. Presi una seconda coperta e gliela stesi addosso, prima di andare in cucina, tentando di preparare una colazione. Come facevo a sapere cosa piaceva ai ragazzi? Aiuto. Per precauzione, misi in tavola un po’ di tutto.

Anche se non sapevo cosa piacesse ai ragazzi, sapevo cosa piaceva a me. Aprii lo sportello del frigo e presi una scaglia enorme di cioccolato.

“Coco, sei a dieta, ricordatelo!” mi disse Manuela sbucando dal nulla, facendomi prendere un infarto. “Primo, non sono e non sarò mai a dieta di cioccolato. Secondo, sei per caso figlia della prof di geografia?!” chiesi. Lei si mise a ridere, ricordando la prof in questione. “Seriamente, faceva paura. Secondo me, o abita sotto ai banchi, o passa attraverso i muri.”

“Ti ricordi quella volta in cui eravamo davanti alla classe?”

“Di cosa parlate, ragazze?” chiese un assonnato Calum, avvicinandosi a noi. “Della nostra prof. Una volta, Manu ed io eravamo davanti alla nostra classe, nel corridoio. Era un vicolo cieco, per entrare in classe dovevi per forza passarci davanti. Era l’intervallo, mancava un minuto alla fine, e io ho guardato dentro. La prof non c’era. Suona l’intervallo, noi aspettiamo dieci secondi, entriamo e c’è la prof, che ci dice che siamo in ritardo. Quindi, come diceva Manu: o abita sotto al banco, o passa attraverso i muri, o è entrata dalla finestra, perché non è possibile!!” dissi esasperata, facendolo ridere.

Poco a poco, arrivarono tutti, per ultimo Luke. Quando arrivò, aveva gli occhi ancora semichiusi e sembrava uno zombie. Raggiunse il tavolo a tentoni, mentre tutti ci guardavamo cercando di non ridere, e si lasciò cadere pesantemente su una sedia. “È sempre così al mattino?” chiesi. Calum annuì e gli passò una mano davanti agli occhi come per dimostrare che ce li aveva ancora chiusi. “Siete molto divertenti” disse Luke ironico, sorprendendoci. “Wow, allora un pizzico di cervello è sveglio!” fece Calum. Luke gli fece una linguaccia, poi aprì gli occhi completamente, per sbarrarli. “Mi prendete in giro fino alla fine del mondo se dico che mi ero dimenticato di essere qui?” chiese. Noi scoppiammo a ridere. “Voglio seppellirmi sotto le piastrelle” fece, più rivolto a me che agli altri.

“Cosa si fa oggi?” chiese Ashton. “Non so, io intendo svegliarmi per bene prima di fare altre figure del genere” disse Luke passandosi una mano fra i capelli per tentare di sistemarli. “No, allora, se intendete uscire oggi pomeriggio, fate a meno di me. Ho troppo sonno” dissi perentoria. “Ok, ok” fece Michael. “Stasera, però, si va da qualche parte!” decise Carol. Tutti annuirono, mentre vedevo Luke e Calum litigare per un biscotto quando davanti a loro ce n’era un pacco intero. “Ne avete tanti davanti a voi” feci notare sconcertata. “Sì, ma questo è speciale” mi disse Calum. “Perché?” chiese Manuela con una smorfia basita. “Perché lo vuole lui!” ci rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Nello stesso momento, Luke spezzò il biscotto. Calum guardò inorridito la metà che gli rimaneva in mano. “Ecco, mi avete distratto!!” esclamò poi, facendoci ridere.

Poco tempo dopo, si sentirono le note di My happy ending. Calum corse a rispondere al cellulare. “Quella canzone mi farà impazzire, era la mia preferita qualche anno fa!” dissi. “E adesso?” chiese Michael. “Smile!” rispondemmo Manuela ed io insieme. Eravamo patite di Avril, la nostra camera era piena dei suoi poster. Smettemmo di parlare quando sentimmo Calum. “Ciao piccola, come stai? Sì, pure io. No, non siamo a casa, è successo un casino ieri e siamo rimasti dalle ragazze. Ok, per me va bene. D’accordo, ci vediamo dopo amore, ciao!” disse, mentre un sorriso gli nasceva sulle labbra. Oh, che tenero!

“Era Madison” iniziò Calum, subito interrotto dal: “Non si capiva, guarda!” di tutti. Alzò gli occhi al cielo. “Stavo dicendo. Era Madison, e stasera mi ha proposto di uscire, tutti quanti. Ha detto di aver scoperto un posto davvero magico e di volercelo far vedere.”

“Perfetto, quindi abbiamo scoperto cosa fare stasera” concluse Ashton. “Dovremmo passare da casa” Fece notare Michael. Gli altri tre annuirono e Luke chiese: “Venite con noi?”

“Certo, così andiamo direttamente da Madison.”

“Perfetto.”

Parlottammo per un po’, fino a quando non feci gesto di rimanere in silenzio. Loro mi guardarono interrogativi, mentre io sentivo un lieve rumore, come di qualcosa che grattava sul vetro. Mi voltai e sorrisi. “Ehi principessa, finalmente ti sei degnata di tornare!” esclamai rivolta alla finestra, dalla quale si intravedeva l’ombra di un gatto. Andai ad aprire e Tabitha mi saltò sulle spalle, come al solito, facendomi gemere di dolore mentre le sue unghie si piantavano nella mia clavicola. “Tabitha, vieni a mangiare!” esclamò Manuela, mostrandole una scatoletta. Tabitha mi usò come rampa di lancio per saltare e si strusciò sulle gambe di Manuela. “Ruffiana” dissi prendendola in braccio. Lei si dimenò, graffiandomi. “Altro che Pericle, questa è una tigre sotto mentite spoglie!” esclamai dolorante. “Ricordati, Coco, che lei è la padrona del mondo. Noi siamo qui solo per aprirle le scatolette” mi disse Manuela. “Comoda la vita, eh?” disse Carol, carezzando la gatta. Luke appallottolò un pezzo di stagnola e la fece vedere a Tabitha, ottenendo la sua completa attenzione. Quando la lanciò, Tabitha si lanciò all’inseguimento, andando a sbattere contro il mobile. “Ops” disse Luke, mentre noi ridevamo e Tabitha faceva finta di niente con la noncuranza propria solo dei gatti.

 

La sera, ci trovammo con Madison a casa dei ragazzi. Fortunatamente non faceva tanto freddo come i giorni precedenti. Quando Madison arrivò, sembrava impaziente. Salutò i ragazzi, per poi abbracciare calorosamente Manuela, Carol e me, lasciandomi piacevolmente sorpresa. Diede un bacio a stampo a Calum e esclamò: “Andiamo?? Vi prego, sono troppo emozionata, quel posto è fantastico!!” noi ci facemmo prendere dall’entusiasmo e salimmo in macchina, che alla fine non era altro che il furgone con cui si spostavano i ragazzi quando portavano gli strumenti. Lei guidò fino ad un grattacielo dismesso, al centro della città, che con gli anni era stato ricoperto di graffiti ben poco simpatici. Il pavimento era ricoperto di cocci di vetro e cartacce. “Ehm, wow, che posto” disse Manuela. “Lo so, visto così è orribile, per questo se ne tengono lontani tutti. Ma venite!” disse lei emozionata, facendoci cenno di entrare. Noi la seguimmo, insicuri, e salimmo su per le scale fino ad arrivare all’ultimo piano. Uscimmo e rimanemmo senza fiato: eravamo sul tetto, piatto e perfettamente tenuto, con una vista spettacolare. Eravamo al centro della città, circondati da altri palazzi. Il cielo, non ancora completamente scuro, faceva da sfondo ad una città illuminata, che fremeva di vita. In lontananza, si intravedeva il luccichio dell’acqua. Tutto, sotto di noi, scorreva veloce, in una cacofonia di suoni così diversi, ma a loro modo così unici, da essere una musica gradita, un’amica sempre presente nelle nostre vite. Tutti erano così indaffarati, così presi dalle loro vite per badare ad altro, mentre noi eravamo lì sopra, sopra a tutto e tutti, così lontani da poter vedere ogni cosa. Forse fu questo, il fatto di essere così in alto e distanti da tutto, che il mio cuore si riempì di un’emozione tanto forte quanto sconosciuta. Mi sporsi dalla balaustra e osservai la città sotto di me. Sentii Luke al mio fianco e mi voltai verso di lui. Anche i suoi occhi brillavano, di quella luce così sincera e stupita, alimentata dal riflesso della città. Brillavano di mille colori diversi, uno per ogni angolo in cui guardava. Brillavano come di luce propria.

Non sapevo decidermi se lo spettacolo migliore fosse quella città o quegli occhi così vivi.

Lo sentivo, sentivo quell’emozione che saliva in tutti noi. Stavamo per esplodere. Ashton alzò i pugni al cielo e urlò: “Siamo i re del mondo!!” noi lo imitammo, gridando di gioia.

Allora era quello, sentirsi invincibili? Sentirsi davvero vivi?

Essere vivi significava sentire il cuore così traboccante di mille sensazioni, avere gli occhi pieni di mille immagini e voler urlare tutto al mondo?

Se davvero significava tutto questo, non avevo intenzione di smettere.

Volevo essere viva, davvero.

 

Eravamo seduti su quel tetto, troppo emozionati per stare tranquilli. Ogni sensazione era amplificata da quel senso così inebriante di potenza. Nella mia mente, si ripetevano le parole di una canzone:

We were on top of the world

Back when I was your girl

We were living so wild and free

Acting stupid for fun

All we needed was some love

That’s the way its suppose to be

Non avevo mai pensato di poter provare davvero quelle cose, eppure adesso le sentivo, che mi scorrevano nelle vene, che mi arrivavano al cervello e al cuore, che mi facevano fremere, che mi rendevano così satura di voglia di vivere.

Era una sensazione stupenda.

Mi venne in mente un film, perfetto per quel momento, con la citazione che sembrava fatta apposta per essere gridata al mondo in quello stato di ebbrezza. Mi alzai e mi sporsi di nuovo. Presi un gran respiro e urlai: “In questo momento, lo giuro, noi siamo infinito!” Gli altri incoraggiarono il mio urlo con altre grida, ovazioni potenti, di quelle che fanno tremare il cuore, che fanno nascere sorrisi sulle labbra così indelebili che te li ricorderai per sempre, così come ricorderai per sempre tutte queste sensazioni, tumultuose e inarrestabili, che ti fanno sentire libero, ti fanno sentire grande, ti fanno sentire unico.

In quel momento, noi eravamo tutto questo.

E non mi sarei mai stancata di esserlo.

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Capitolo 8
*** Anything but ordinary. ***


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Anything but ordinary.

“Luke, te l’ho detto, sono negata!” esclamai per l’ennesima volta. “Mi manda in confusione il fatto che tu sia mancina, nient’altro!” fece lui, cercando di capire come farmi mettere le dita.

Stava cercando da tutto il giorno di iniziarmi all’arte della chitarra, me, che come uniche esperienze musicali avevo avuto il flauto dolce delle elementari e delle medie e quello traverso, che avevo abbandonato dopo un anno perché ogni nota era un giramento di testa. La chitarra e il pianoforte mi avevano sempre attirato e Luke l’aveva capito appena mi aveva visto guardare il suo strumento. Si era messo in testa di insegnarmi e ormai, a mio parere, era per lui una sfida personale.

Come fargli capire, che ero negata?

Mi veniva da ridere ogni volta che lui si concentrava per capire come farmi mettere le dita. Era come tradurre una lingua. “Dammi almeno uno spunto sulla canzone!” mi disse. impallidì quando gli feci sentire Why. “Hai mai preso in mano una chitarra?” chiese. “Non precisamente.”

“Allora non è meglio iniziare con qualcosa di leggermente più facile.”

Darlin, non concedo altro.”

“Non la conosco.”

Gliela feci sentire e lui sembrò convinto. “Dovrebbe essere adatta” decretò.

 

Mezz’ora dopo, ero ancora all’inizio, ci mancavano solo le dita annodate alle corde. Luke stava perdendo ogni speranza. “Luke? Possiamo smetterla?” chiesi implorante. “Ok, facciamo un’altra volta” accettò lui. Ci alzammo, con evidente sollievo da parte di tutti e due, e decidemmo di uscire. Era passata una settimana da quando eravamo andati su quel palazzo, e continuavo comunque a pensarci. Avevo scattato un milione di foto come minimo e le avevo appese in camera mia.

Non ero mai stata una ragazza da foto, al massimo da qualche poster. Stare con quei ragazzi, però, mi aveva fatto venir voglia di avere dei ricordi permanenti, da poter guardare e vivere di nuovo.

Anche quel pomeriggio, io e Luke scattammo un sacco di foto. La mia preferita era quella in cui eravamo noi due, in un angolo della foto, con uno sfondo spettacolare: un’enorme nuvola da cui filtravano i raggi di un sole rossastro per il tramonto. Sembrava magica.

Magica, come ogni istante che passavo con Luke.

Sentivo di provare qualcosa di grande per lui. Non sapevo cosa significassero per lui quei baci che ci eravamo scambiati, ma per me erano stati indimenticabili.

Quegli occhi mi avevano catturato da subito, ma non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.

 

“Dove andiamo?” chiese lui. “Prima mi hai fatto provare a suonare la chitarra. Ora ti faccio provare io una cosa” dissi enigmatica, prendendolo per mano e mettendomi a correre per non perdere l’autobus che passava in quel momento.

Qualche minuto dopo, eravamo dall’altra parte della città. Quando lui vide il nome dell’edificio, sgranò gli occhi. “Il Poligono? Davvero?” chiese stupito. “Ehi, non sono un angelo. Anche a me piacciono queste cose” dissi facendo spallucce con un sorriso. Lui ridacchiò e entrammo, finendo in pochi minuti in una stanza divisa in due: da una parte, tanti bersagli, a forma di uomo o a cerchi concentrici. Luke si mise gli occhiali protettivi e prese un fucile. Ragazzi, pensai scuotendo la testa. Impugnai una semplice pistola e inforcai gli occhiali, guardando Luke sparare. Centrò una spalla del manichino e mi guardò vittorioso. “Posso?” chiesi. Lui si spostò e io mi misi davanti a lui, sparando sei colpi molto vicini. Quando finii, soffiai sulla pistola, come se fossi in un film. Lui mi guardò esterrefatto: avevo fatto un buco nell’altra spalla, esattamente alla stessa altezza di Luke, e cinque nello stomaco. Il risultato era uno smile sorridente. Lui mi guardò esterrefatto. “Esattamente, quanti anni fa hai iniziato a sparare?” chiese. “Un sacco. E tu, con la chitarra?”

“Un sacco.”

“Vedi, siamo pari” dissi, tornando a puntare al manichino. Stavolta mirai al cuore e alla fronte. “Potresti uccidere qualcuno” commentò. “Chi ti dice che non l’abbia già fatto?” chiesi. “Coco, mi fai paura” mi disse. Io mi misi a ridere, terminando con un colpo in mezzo al collo. In quel momento, suonarono i cellulari. Messaggio da parte di Cristine, mia cugina (un’altra, non dalla parte di Carol) che abitava in Francia: “Ciao Coco, ti ricordi Daniel, il mio ragazzo? Ci sposiamo fra un mese!! *-* e siccome non ci vediamo da tanto, vorrei chiederti se vuoi venire… è qui, a Parigi, lo so che è lontano ma ti prego, ci tengo davvero!!! E vorrei chiederti anche se ti va di essere la testimone, come ringraziamento per esserci sempre stata per me <3 ti prego fammi sapere in fretta, l’invito è aperto anche a Carol, Manuela e Emmaline!!” spalancai la bocca, stupefatta. Cristine si sposava?! Ero troppo felice!! Notai con piacere che si era sforzata di scrivere in italiano… E rimasi basita nel leggere il nome di Emmaline. Cristine non sapeva niente di lei?! Non ci potevo credere. Vidi che anche Luke rimaneva sorpreso nel leggere un messaggio. “Mia cugina si sposa!” esclamai. “Un mio amico si sposa!” fece lui nello stesso instante. Ci guardammo sorpresi e, come se ci fossimo messi d’accordo, ci scambiammo i cellulari. “Sei cugina di Cristine?!”

“Sei amico di Daniel?!” chiedemmo di nuovo all’unisono. Ci mettemmo a ridere per quelle coincidenze, poi annuimmo. “Ci andiamo?”

“Certo.”

“Portiamo i ragazzi?”

“Pensavo fosse ovvio!” risposi. “Ok, andiamo a dirlo agli altri!” esclamò lui, esaltato. “Aspetta un attimo!” feci io. Mi voltai verso il bersaglio e feci un secondo smile, stavolta in faccia. “Ok, possiamo andare” dissi tutta allegra. “Metti giù quella pistola!” mi intimò lui bianco in volto. Io scoppiai a ridere e obbedii, pagammo e tornammo a casa. Nel tragitto in autobus, rispondemmo ai messaggi, e io dissi che Emmaline non ci sarebbe stata.

Quando arrivammo a casa, notai che c’era posta. Che noia, la solita pubblicità. La presi, tanto per portarla dentro, e iniziai a buttare l’inutile. Una rivista di un supermercato. Via. Un depliant di una pizzeria. Da parte. Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Via, via, via. Mi bloccai all’ultimo, con le mani che tremavano. Un’altra lettera di Emmaline, nemmeno avessi invocato il diavolo. “Coco?” mi chiamò Luke. “Arrivo” dissi in fretta, posando la lettera sul mobile, accanto a quella precedente. Le avrei aperte quando mi fossi sentita pronta.

 

“Ragazzi, preparate i bagagli, si va in Francia!” esclamai quando arrivarono gli altri. “E perché?” chiese Manuela stupita. “Cristine si sposa!” feci rimanere di stucco Manuela e Carol. “Con Daniel!” aggiunse invece Luke, lasciando sbalorditi Michael, Ashton e Calum. “Su, su, che ci facciamo ancora qui?! A fare i bagagli!” esclamò Carol esaltata.

Nel giro di tre ore eravamo pronti, coi biglietti prenotati per il giorno successivo. I ragazzi erano tornati a casa loro, a prepararsi, e per una volta Manuela, Carol ed io eravamo da sole. “Coco, prendi la siringa” disse Manuela. “Perché?” chiedemmo io e Carol all’unisono. “Perché vi sto per dare una notizia che potrebbe farti uscire di testa, Carol.”

“No, seriamente, mi trattengo” disse lei. Manuela sembrò dubbiosa, ma si fidò. “Io e Michael ci siamo messi insieme!” disse in un soffio, con un sorriso così raggiante e degli occhi così luminosi che poteva illuminare l’intera stanza. Io la guardai stupefatta, così come Carol. Le saltammo addosso, stritolandola in un abbraccio enorme. “Oddio, oddio, oddio, Splendore che bella cosa!” urlai esaltata. Carol mi imitò. Eravamo troppo felici per lei. “Si festeggia!” esclamò mia cugina.

Mezz’ora dopo, eravamo in salotto, con lo stereo al massimo, a ballare un valzer a tre molto improvvisato sulla musica di Hello Heartache, nonostante non fosse nemmeno adatta. Quando la canzone finì, rimanemmo qualche secondo deluse, prima di sentire le prime note di The best damn thing. Da un valzer molto esagerato passammo a saltare dappertutto come matte, cantando. Fu così per tutta la sera.

Era bello avere diciassette anni.

 

Il mattino dopo, ci trovammo davanti all’aeroporto con i ragazzi. Loro avevano quattro valigie e un borsone, più la chitarra di Luke. Noi: quattro valigie degne di un trasloco, tre borsoni, sei borse e una sacca. Mi venne da ridere.

Notai con piacere che c’era anche Madison, anche lei con mille bagagli. Si vedeva, che eravamo ragazze, e ne andai fiera.

Michael e Manuela, Ashton e Carol si salutarono con baci plateali, facendomi sentire molto, molto sola. A far diminuire questa mia sensazione, ci fu Luke, che mi abbracciò. “Ciao Coco” mi disse dolcemente a poco dal mio viso. Dal suo tono sentivo che stava sorridendo e questo mi fece sciogliere. Era troppo tenero, qualsiasi cosa facesse, anche quando non era intenzionale. “Ragazzi, mi dispiace interrompere questo bel quadretto ma dobbiamo ancora prepararci per il volo!” ci interruppe Calum, mentre Madison gli tirava una gomitata che voleva sembrare oltraggiata, ma che ai miei occhi era solo divertita. Ormai la magia era stata interrotta, così ci dirigemmo agli imbarchi e, mezz’ora dopo, finalmente sull’aereo. “Speriamo di non perdere nessun bagaglio!” fece Carol, ancora segnata da quando durante un viaggio le avevano perso il beauty-case. Oltre al danno anche la beffa: era finito alle Hawaii, dove lei non era potuta andare. Nonostante tutto, avevo riso fino a star male.

Noi ragazze ci sedemmo su quattro sedili da un lato, i ragazzi dall’altro. Ci aspettava un volo di un’ora e mezza, ma sentivo che non saremmo stati tranquilli nemmeno un secondo, se non per dormire. Fu proprio quello che feci per mezz’ora: mi misi gli auricolari nelle orecchie, con la playlist che usavo per addormentarmi, e reclinai di poco lo schienale, giusto per non dar fastidio al passeggero dietro di me. Madison mi prese il cellulare – chiedendomi il permesso – e sbirciò la playlist. “Wow, come fai a dormire con queste? Non ti inquietano, o ti intristiscono?” chiese. Io ridacchiai. “Con una cugina – non Carol, Cristine – che per dormire ascolta industrial metal, questo è una ninnananna. Una volta le ho chiesto di mettere una canzone carina e mi ha fatto sentire Schizo doll. Queste possono essere un po’ dark, ma hanno un effetto fantastico su di me.”

“Ovvero?”

“Va in trance” disse Manuela, che aveva ascoltato tutto. “Che forza, quindi ti metti in contatto con i morti o cose del genere?!” mi chiese entusiasta Madison, facendomi ridere. “No, semplicemente dormo ma non dormo, non so spiegarlo. Cioè, sogno, ma sento comunque la musica, e quando finisce la canzone mi sveglio e non ricordo nulla, se non che mi lasciano sconcertati. È strano e bellissimo.”

“Madison, non farci caso, a volte è più inquietante lei di Cristine” disse Carol. Io le feci una linguaccia mentre Madison guardava di nuovo le canzoni. Le scorrevano sotto gli occhi titoli come Together, Forgotten, Nobody’s home e cose del genere.

Il mio tentativo di dormire durò poco, circondata di pazzi com’ero. Ad un certo punto aprii gli occhi e vidi che i ragazzi si stavano facendo una foto. Curiosa, schizzai in piedi per vederla. Luke e Michael erano in primo piano, con dietro Calum e Ashton. Scoppiai a ridere per la faccia di Ashton, sembrava molto il folletto di Harry Potter. Calum e Michael erano venuti bene, non potevano lamentarsi. Luke… oddio, la voglia di prenderlo e ricoprirlo di baci era tantissima, da quanto sembrava un cucciolo. Praticamente lo costrinsi a passarmi la foto, facendolo ridere. “Dormito bene, prima?” mi chiese. “Ho sognato, non mi ricordo cosa. So che era strano” dissi con disappunto. Lui ridacchiò. “Riprova, se ti va.”

“Manca troppo poco” dissi piano, tornando ad appoggiarmi al mio sedile quando la hostess mi guardò male. Mi trattenni dal ridere quando Manuela la imitò, esagerando.

Era bello divertirsi così con gli amici. Essere così strani… era un modo come un altro per sentirsi vivi. Alcuni si drogavano, altri si alcolizzavano, altri ancora si tagliavano. Noi ci divertivamo a uscire dagli schemi. Un modo come un altro, ma a mio parere migliore di tutti gli altri. Era bello sapere di essere unici.

Chiusi gli occhi e canticchiai con un filo di voce: “I’d rather be anything but ordinary, please.”

 

Poco dopo, arrivammo in aeroporto, prendemmo i bagagli – fortunatamente erano tutti al loro posto – e superammo le soglie dell’aeroporto. Io mi guardai attorno e sospirai. “Casa dolce casa” dissi, con una punta di malinconia. “Abitavi qui?” chiese Ashton. Io annuii sorridendo a tutti i bei ricordi che mi invadevano. “Facciamo una sorpresa a Cristine e Daniel, o andiamo in hotel?” domandò Madison. La guardammo e ci mettemmo a ridere. “Maddy, tu davvero vuoi andare in giro con mille bagagli?!” chiese Manuela. Lei si guardò e fece un sorriso innocente. “Fate come se io non avessi detto niente” fece candidamente. Prendemmo un taxi e arrivammo all’hotel che avevamo prenotato. Mentre stavamo mettendo a posto tutto – io e le ragazze in una camera, i ragazzi nell’altra – mi venne in mente una cosa piuttosto importante. Sgranai gli occhi e chiamai gli altri. “Ehm, ragazzi, c’è una cosa che dovrei dirvi, prima che Cristine vi spaventi. Il suo stile è gothic, molto dark. Mi ha sempre detto che il suo matrimonio avrebbe rispecchiato il suo stile, quindi sarà piuttosto tetro, niente vestiti bianchi frufru e cose del genere. Vi prego di non terrorizzarvi” dissi cauta. “Quindi sarà una cosa tutta in nero, cupa?” chiese Michael. Io annuii. “Che cosa fantastica!” urlò Manuela esaltata. Gli altri la imitarono e io sospirai sollevata. “Ok ragazzi, dopo finiamo di mettere a posto, adesso andiamo a trovare Cristine!!” esclamò Carol. Tutti annuimmo e uscimmo dall’hotel, cercando la casa di Cristine, mentre la torre Eiffel ci faceva da sfondo.







*Angolo autrice*

Ecco la foto, grazie a tutti!!

Ciaoo

Ranya


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Capitolo 9
*** darlin. ***


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Darlin.

Arrivammo davanti a casa di mia cugina in poco più di dieci minuti. Io feci cenno di stare in silenzio, volevo fare una sorpresa a mia cugina. Citofonai e rispose Cristine: “Qui est-ce?” Io ridacchiai e risposi nella sua stessa lingua, falsificando la mia voce: “Buongiorno signorina Lemaire, è arrivato un pacco dall’Italia per lei e Daniel Dumont, avrei bisogno della vostra firma.” Sentii gli altri trattenersi dal ridere, mentre io cercavo di non farmi scoprire. “Oh, arrivo subito” disse mia cugina, per nulla sospettosa. La porta si aprì e mostrò Cristine: i capelli erano tinti di un rosso-viola, lunghi fino a metà schiena. Gli occhi azzurro ghiaccio erano resi ancora più chiari dalla quantità esorbitante di mascara, matita e ombretto neri. Aveva tre piercing, uno sul naso, uno al labbro e uno sul sopracciglio e dal braccio si notava un tatuaggio piuttosto piccolo. Stava davvero bene, nonostante a molti non piacesse il suo stile. “Allora, dove devo… Coralie!!” urlò appena mi vide. Praticamente scavalcò il cancello per abbracciarmi, poi vide Carol e le altre. Sembrava un bambino a Natale, ero troppo felice di vederla. “Amore, che succede?” chiese la voce di Daniel dalla porta, sempre in francese. Luke si portò davanti al cancello e vidi Daniel rimanere di sasso. “Come mai siete già qui?? Il matrimonio è fra un mese!” esclamò Cristine. “Sì, ma volevamo farvi una sorpresa e darvi una mano con tutti i preparativi. E poi scusa tesoro, ma se devo essere la testimone, non posso mica non sapere com’è il tuo vestito!” esclamai. “Ma… dov’è Emmaline?” chiese lei. Io mi morsi le labbra. “Emmaline è in un ospedale psichiatrico, a dire il vero” disse Carol per aiutarmi. Daniel e Cristine rimasero immobili, assimilando la notizia. “Oddio. Coco, mi dispiace” disse Cristine abbracciandomi. “Aspetta, ma vi conoscete?” chiese Daniel, indicando prima noi, poi i ragazzi. “Certo che sì!” rispose subito Manuela. Io vidi che Madison era leggermente in difficoltà e mi diedi della stupida: non parlava francese. Lo dissi ai due e loro ridacchiarono. “Così va meglio?” chiese Cristine in italiano, con un forte accento ma comunque capibile. L’altra sospirò di sollievo. “Molto, grazie” rispose. “Piacere, mi chiamo Madison” Disse poi, stingendo la mano ai due. Passò un momento dedicato a tutte le presentazioni, poi ci invitarono ad entrare. “Volete qualcosa da mangiare? Ho appena sfornato una millefoglie!! E ci sono diverse crêpe al cioccolato, la crème caramel e tutto quello che volete!” esclamò Cristine, esaltata. Noi la guardammo adorante. “Ti prego adottami” fece Luke. Daniel si mise a ridere. “La porta è sempre aperta, per voi” disse poi, mentre Cristine ci portava tutti i dolci che ci aveva elencato. Era una cuoca fantastica. “Che casa stupenda, davvero” disse Madison ammirata, mentre sollevava il piatto con la torta.

Era tutto fantastico, Cristine aveva dato il meglio di sé. “Allora, dato che siete qui per il matrimonio, io propongo di andare in centro. Vi faccio vedere il vestito e vi porto a scegliere i vostri! Sono troppo emozionata ragazze!!” esclamò battendo le mani. Noi esultammo e la seguimmo. “Ciao ragazzi, a dopo!” esclamai prendendo il giubbotto.

“C’è stato un cambio di programma. Avevamo progettato di fare tutto a Notre Dame, poi però si è liberata un’altra location, a tre ore da qui, molto più in stile col matrimonio. È abbastanza diroccata, lo so, ma è stupenda e molto più adatta a quello che abbiamo in mente di fare” disse. “Beh, Daniel è d’accordo con il matrimonio dark, vero?”

“No, guarda, è una sorpresa. Certo che è d’accordo, genio!”

“Chiedevo, scusa!”

“Tu sei pazza” disse Cristine mettendosi a ridere. Vista così, facevo fatica a credere che avesse ventidue anni. Passammo per molti negozi, fino ad uno di vestiti da sposa. “Lasciatemi a morire qui, vi prego” dissi incantata. Avevo sempre amato gli abiti da sposa.

“Ragazze, avreste voglia di essere le damigelle? Essendo Coralie mia cugina, chiederei a lei di essere la prima, ma non vi ringrazierei mai abbastanza se partecipaste anche voi” disse implorante. Eravamo entusiaste. “Ok, adesso vi faccio vedere il mio vestito, poi scegliete i vostri.”

“Devono essere uguali?”

“No, solamente neri. Quello di Coralie, invece, viola” spiegò Cristine, mentre una commessa ci si avvicinava. “Vorrei vedere il vestito che ho prenotato” disse. “Nome?”

“Cristine Lemaire.”

“Ok, seguitemi” obbedimmo e ci lasciò in una stanza con uno specchio enorme. “Arrivo subito” disse solo, sparendo. Tornò poco dopo con un vestito nero e viola, pieno di veli e senza maniche. Era bellissimo! Cristine se lo infilò in fretta, sistemandoselo sui fianchi, e ci lasciò senza fiato da quanto stava bene. “Cristine, sei magnifica” dissi solo, commossa. “Coco, che fai, piangi?” mi chiese. “Non puoi biasimarmi! Mia cugina si sposa!! Non riesco a crederci, stai per sposarti!” feci, saltandole al collo. Lei ricambiò. “Coco, ti prego fai attenzione al vestito!” mi disse invece Madison. Io mi staccai subito. “Dai, andiamo a trovare i nostri!!” esclamò Manuela.

Quasi un’ora dopo, eravamo nei nostri camerini, con i vestiti scelti addosso. “Pronte, ragazze?” chiesi. Le altre risposero con un: “Sì” e insieme uscimmo. Ci guardammo radiose. “Siete stupende!” esclamò Cristine. “Ok, con che soldi paghiamo, però? Non è che ce li lanciano esattamente dietro” disse Madison. “Siete pazze?! Pago io!!” esclamò Cristine oltraggiata. “Sei fuori? Hanno prezzi esorbitanti!”

“Sentite, è il mio matrimonio, vi ho avvertite all’ultimo e voi vi siete precipitate qui. Quindi, o pago io, o potrei offendermi.” Disse. Dopo qualche contrattazione, dovemmo cedere. Uscimmo dal negozio gongolanti, con i nostri sacchetti sotto braccio. “Il mio vestito lo prendo fra una settimana” disse Cristine alla commessa, salutando. Ci impiegammo ancora un’ora e mezza a girovagare fra i negozi per scegliere i diversi accessori, scarpe e tutto. Arrivammo a casa, accolti dai ragazzi con un: “Ragazze, finalmente! Stavamo per chiamare la polizia e denunciare la vostra scomparsa!” di Calum. “Spiritoso” disse Madison dandogli un lungo bacio.

“Forse dovremmo tornare in albergo” suggerì Ashton. Cristine e Daniel lo guardarono come se avesse appena detto un’eresia. “Sì, dovete andare subito in albergo, chiaro? Andate a prendere i vostri bagagli e venite qui! Abbiamo mille camere per gli ospiti!” esclamò Daniel. Noi ci guardammo esaltati. “D’accordo, torniamo fra pochissimo!” esclamai.

 

Quando tornammo, trovammo la tavola già pronta. Con mio grandissimo piacere, Cristine si era cimentata nella cucina italiana: spaghetti, cotolette alla milanese, bruschette e contorni vari erano in fase di preparazione. “Cristine, come hai fatto a fare tutto così in fretta?!”

“In realtà ha cucinato Daniel. Io non sono molto brava con la cucina italiana.” Lo guardammo sorpresi. “Sono curiosissima!” disse Carol, sedendosi a tavola. “Ehi, golosa, via dalla cucina, devo ancora finire” la rimbeccò lui, cacciandola dalla cucina e chiudendo la porta. “Non fateci caso, quando si parla di cucinare è peggio di una donna mestruata” disse Cristine, liquidando il tutto con un gesto della mano. Io andai in quella che sarebbe stata la mia camera. Era piccola, ma accogliente. Catturata da una voglia irrefrenabile, presi il mio vestito per il matrimonio: me ne ero innamorata. “Wow, è davvero stupendo” disse una voce alle mie spalle. Io mi voltai, trovandomi davanti Luke. Sorrisi. “Posso vedere come ti sta?” chiese, con quello sguardo tenero che mi faceva sciogliere ogni volta. “In teoria, non potresti. Dicono che porta male.”

“Primo, anche vestirsi di nero e viola ad un matrimonio porta male. Secondo, non sei tu la sposa, o sbaglio?” mi chiese con un ghigno furbo. Io roteai gli occhi. “Va bene, hai vinto” dissi. Lui esultò e uscì dalla stanza per lasciarmi cambiare. Un altro ragazzo, pensai, non avrebbe fatto lo stesso, ma ne avrebbe approfittato. Luke era speciale. Lo era sempre stato, fin da quando ero riuscita a incrociare il suo sguardo. Sentivo di provare qualcosa per lui. Ne ero certa, ogni giorno di più.

“Hai fatto?” mi chiese. “Un secondo e ci sono!” dissi sistemandomi i tacchi alti, per poi aprire la porta. Lui mi guardò a bocca aperta. “Coco, sei… bellissima” mi disse strabiliato. Io arrossii e abbassai lo sguardo, mentre lui si avvicinava a me. Mi mise una mano su un fianco e l’altra dietro al collo, avvicinandomi di poco a lui. Fece incontrare le nostre labbra in un bacio dolce, innocente, che mi fece rabbrividire. Mi sentii sciogliere. Le sue labbra erano così morbide, delicate, e baciarle era così bello, così magico…

“Venite a tavola, ragazzi, la donna mestruata ci ha dato il via!” urlò Cristine dal piano di sotto. “Sei molto simpatica, sai?” sentimmo dire a Daniel, ironico. Ridacchiammo, separandoci. “Mi cambio, dai” dissi in fretta. Lui chiuse la porta e io mi cambiai velocemente, mettendomi comoda, prima di scendere con lui. Mi sedetti accanto a Manuela, che mi guardò e trattenne un sorriso. “Labbra rosse. Beccata!” mi sussurrò avvicinandosi. Io tentai di non ridere. Mentre mangiavamo, parlammo del matrimonio. “Alla fine, dov’è che si fa il ricevimento?” chiese Madison. “A chateau de la mothe-chandeniers” rispose Daniel. “Dopo andiamo a guardare un po’ di foto, non ho idea di come sia questo chateau di qualcosa” disse Manuela perplessa. Ci mettemmo a ridere.

Dopo cena, andai in camera mia. Da quella di fianco, sentivo Luke suonare piano la chitarra. Con un colpo al cuore, mi accorsi che erano le note di Darlin. Mi venne da sorridere quando ricordai il disastro del giorno prima, con la mia capacità di suonare la chitarra pari a zero. Quella canzone era commovente, ai miei occhi. Iniziai a canticchiare: 

Darlin, you’re hiding in the closet once again

Start smiling…

I know you’re trying real hard not to

Turn your head away

Pretty darling,

Face tomorrow, tomorrow’s not

Yesterday.

Mi accorsi che Luke aveva smesso di suonare e ci rimasi leggermente male. Questa sensazione, però, si annullò quando Luke entrò in camera mia, con la chitarra. “Se volevi cantare, potevi dirmelo subito” mi disse, sedendosi sul mio letto. “Luke, io non so cantare. Mi vergogno troppo!” dissi, mentre finivo di mettere a posto tutto. “Eppure sei brava! Devi solo cercare di non imitare le voci dei cantanti!” mi disse lui. Era vero, mi veniva naturale. Per questo, con le voci maschili mi trovavo particolarmente bene, avendo io stessa una voce per niente acuta, anzi.

“Ti prego, provaci” mi disse. Io presi fiato per protestare, ma lui aveva già iniziato a suonare. Sorrisi quando mi accorsi che era Why. Non potendo fare altro, cantai, mentre sentivo le guance andare a fuoco.

“Ora canti tu, però. E se mi dici che non sei capace ti picchio” dissi quando finii. Lui si mise a ridere. “Non posso. Tendo a urlare, quando canto, e a quest’ora no, grazie” si giustificò, facendomi prudere le mani. “Basta, non ti parlo più” dissi come una bambina viziata, dandogli le spalle. Lui si alzò in fretta e mi abbracciò da dietro, affondando il viso nel mio collo. “No, ti prego, piccola, mi spezzeresti il cuore” disse con voce implorante. A quelle parole, un sorriso mi nacque involontario sulle labbra, accompagnate da un brivido lungo tutta la schiena, fino al cervello.

Davvero, non sapevo quanto avrei retto senza svenire. Eppure, non avevo paura di questo. Forse perché, con l’ingenuità piena di sogni e illusioni che mi contraddistingueva, ero sicura che mi avrebbe sorretta. 

Quel ragazzo mi aveva stregato.

Senza pensarci, mi voltai e feci incontrare le nostre labbra. Sentii le sue distendersi in un piccolo sorriso, solleticandomi con il piercing. Mordicchiai piano il suo labbro, quasi stessi giocando, mentre sentivo le sue mani percorrere la mia schiena. Senza nemmeno accorgercene, finimmo sul letto, di fianco alla chitarra di Luke. Lo vidi trasalire terrorizzato quando rischiammo di colpirla e ridacchiai. “Non scherzare, la musica, e quindi quella chitarra, è quasi tutta la mia vita” disse ancora spaventato. “Mhm, e il resto, cos’è?” chiesi curiosa. Lui mi sorrise piano, avvicinandosi di nuovo al mio viso. “Sei tu” sussurrò in un soffio prima di baciarmi di nuovo.

*Angolo Autrice*

Susan Coffey as Cristine 

James Marsden as Daniel

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Capitolo 10
*** kiss you ***


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Kiss you

Mi svegliai a causa di un raggio di sole che puntava dritto sui miei occhi. Molti dicevano che un risveglio naturale era la cosa migliore del mondo, ma io non ero d’accordo. Per me, ogni tipo di risveglio era da abolire, se non quello spontaneo. Sbadigliai assonnata e mi stiracchiai. Quando aprii gli occhi, il mio cuore saltò un battito dallo spavento: Luke era accanto a me, ancora addormentato, e io ero fra le sue braccia. Mi stringeva piano, a pochissimo da me. Mi venne da sorridere, intenerita. Luke dormiva beato, ancora immerso nel mondo dei sogni. Eravamo entrambi sulle coperte, ancora coi vestiti del giorno precedente. Evidentemente ci eravamo addormentati di colpo.

Gli passai una mano fra i capelli biondi, accarezzandolo piano. Era così incredibilmente tenero, sempre e comunque… Lui, dopo qualche minuto, mugugnò qualcosa e aprì lentamente gli occhi. Sorrise quando incontrò i miei, facendomi ricambiare. Mi sollevò su di lui mentre io ridevo sorpresa. “Buongiorno, piccola!” mi disse raggiante. “Buongiorno!” risposi io, ancora puntellata sulle sue braccia. Mi sbilanciai e caddi su di lui, mozzandogli il fiato. Ci mettemmo a ridere, mentre io sentivo il suo petto vibrare. Ci interruppe Calum, trafelato. “Coco, Luke è scompars… Sei un coglione” disse torvo, vedendolo. Sospirò di sollievo, si era preso un bello spavento. Io e Luke ci guardammo e scoppiammo a ridere, di nuovo. “Non ridere, ritardato, mi sono preso un infarto!” lo rimproverò Calum, appoggiato allo stipite. “Mi farò perdonare” disse lui, alzandosi. Calum sembrò essere folgorato da un’illuminazione. “Ma voi…”

“Non abbiamo fatto niente” lo interruppi subito, immaginando già cosa aveva in mente di dire. “Ehm, ok, fate finta che non abbia detto niente, io mi eclisso, anzi non mi avete mai visto qui e… è meglio che vada” disse, viola per l’imbarazzo, prima di scappare dalla stanza. Per l’ennesima volta fummo colti dalle risate. “Dobbiamo averlo scandalizzato un bel po’, povero” commentò. “Pensa se fosse successo qualcosa. Come minimo ci moriva qui!” dissi invece io. “Già” rispose lui. Io mi spostai dal suo petto, permettendogli di alzarsi. “Andiamo di sotto, è tardi, ci staranno aspettando” dissi. Luke annuì e ci alzammo, andando al piano di sotto. Erano tutti scesi prima di noi e ci guardarono curiosi. Manuela e Carol mi fissarono, aprendosi in sorrisi da complotto che andavano da un orecchio all’altro. Calum, appena ci vide, si buttò dietro al divano. Scoppiammo tutti a ridere. “Ho fatto una figura esemplare, permettete che non voglio farmi vedere” disse lui.

“Mi spiegate perché Calum si è appena tuffato stile balenottera dietro il divano?” chiese Cristine, apparendo dalla cucina, confusa. Daniel la seguiva a poca distanza, con la stessa smorfia perplessa. “Oh, problemi di gaffe” disse con noncuranza Calum. “Voi avete bisogno di un dottore, ve lo dico da amica” disse Cristine, tornando in cucina. “Lo so, è un vizio di famiglia” rispose amara Carol. Io mi morsicai un labbro. Cristine non poteva capire, tutti i problemi mentali venivano dalla parte di Carol. Forse, anche per questo io ero stata risparmiata, per il momento. “Ma che cavolo di argomenti sono, di prima mattina?!” fece Manuela esasperata. Vidi che molti, nella stanza, la stavano ringraziando mentalmente. Mi sporsi dalla finestra e vidi un gatto passare. Impallidii. “Oddio” dissi con voce strozzata. “Coco?”

“Ho dimenticato Tabitha!” urlai terrorizzata. Gli altri mi guardarono allarmati. “Coco, tranquilla, ci penserà la vicina” disse Carol. “Povera piccola, l’ho abbandonata!” esclamai di nuovo. “Pericle e Nemo, invece?!” chiese Madison. “Sono in una pensione per gatti” rispose Calum. Madison inarcò un sopracciglio. “Calum. Sei ancora dietro al divano?!” fece. “Ehm, no” rispose lui. Madison si avvicinò al divano e ci salì sopra, poi si sporse di colpo, urlando un: “Buh!” Sentimmo Calum trasalire e schizzare via, evidentemente non se lo aspettava. “Oggi ce l’avete con me” constatò.

 

Era mezzogiorno, e noi eravamo in uno dei tanti ristoranti vicino a casa di Cristine e Daniel. Avevamo preso un tavolo e ordinato subito un primo, nonostante questo ci erano arrivati piatti e piatti di antipasti. “Wow, non si fanno mancare niente” dissi sorpresa. “Ragazzi, guardate lì!” fece Manuela. Noi ci voltammo verso la finestra indicata da lei e vedemmo una persona che camminava tranquilla, seguita a sua insaputa da un mimo, che la imitava benissimo. Ridacchiammo. “Uhm, è un po’ viscido, cos’è?” chiese Madison con la bocca piena e una smorfia, indicandoci un piatto che tutti avevamo attentamente schivato, tranne lei. Impallidimmo. “Maddy, stai mangiando lumache!” disse Ashton schifato. Madison si portò di scatto una mano alla bocca e corse in bagno. Io, Carol e Manuela la seguimmo, ma rimanemmo indecise davanti alle tre porte delle toilette. Decidemmo che Madison era nell’ultima: solo da quella proveniva il rumore di qualcuno che vomitava. “Maddy, tutto ok?” chiesi preoccupata. “Vi faceva tanto schifo avvertirmi prima?!” chiese lei da dentro. “Manuela ci ha distratte!”

“Adesso è colpa mia?!” fece lei oltraggiata. Scuotemmo la testa all’unisono e lei sembrò tranquillizzarsi. “Madison, vuoi una mano?” chiese Carol. “No, ce la faccio… dovrei aver finito” disse, poco prima di vomitare di nuovo. Facemmo una smorfia. “Ora?”

“Sì, ci sono” disse lei, uscendo. Si attaccò al rubinetto, sciacquandosi la bocca molte volte. “Adesso fatemi un favore, ditemi esattamente cosa mi sto per mettere nel piatto” ci disse torva. “Hai ordinato tu le lumache, ti ricordo” fece Carol. “No, io ho ordinato escargots o qualcosa del genere!” si difese lei. “Genio, escargots significa lumache in francese!” rispose Manuela. Madison imitò il pianto di un bambino. “Io odio questo posto!” si lamentò.

 

Il pomeriggio, decisi di andare a trovare mia nonna.

Non chiesi a nessuno di venire con me, semplicemente lo dissi. I ragazzi mi chiesero subito di conoscerla, ma Carol, Cristine, Manuela e Daniel li zittirono con uno sguardo. Io presi la mia borsa e chiamai un taxi per farmi venire a prendere. Mi portò fino al quartiere dove si era trasferita, per forza di cose. La parte vecchia era desolata, piena di ruderi, lasciata al proprio destino. La parte nuova, piena di mille fiori, col ciottolato bianco e tante statue diverse.

Come ogni cimitero, insomma.

Mi diressi a passo spedito verso la sua tomba. All’entrata, comprai un paio di lilium bianchi e rosa, i miei – e i suoi – fiori preferiti. Quando trovai la via giusta, sentii che le gambe si facevano molli.

Mi mancava tantissimo, avevamo un rapporto stupendo quando ero ancora in Francia. Dopo due anni dal mio trasferimento, era morta di infarto, lasciandomi una voragine nel cuore.

“Ciao nonna, come stai?” chiesi alla fredda pietra e alla foto che ritraeva mia nonna da giovane. Sentivo le lacrime invischiate in un groppo alla gola. Forse era quello, che bloccava le mie parole. Mi sedetti sulla tomba, incurante delle persone che mi guardavano cariche di compassione, e iniziai a singhiozzare. Non smisi nemmeno quando sentii un paio di braccia forti circondarmi, sapevo a chi appartenevano. “Coco…” mi disse solo Luke, stringendomi a sé. Io affogai nella sua stretta. Avevo bisogno di lui, in quel momento più che in qualunque altro. “Cosa ci fai qui?” chiesi quando mi fui ripresa. “Ti ho seguita. Ho visto che non stavi bene e, ecco… volevo sapere se era tutto a posto. Poi ti ho vista entrare nel cimitero e ho capito. Mi dispiace, Coralie” disse ad un soffio da me. Nonostante avessi detto di voler andare da sola, lo ringraziai. Non avrei retto, senza di lui.

 

Quando tornammo a casa, ero ancora scossa. Era la prima volta dopo anni che andavo a fare visita a mia nonna, ed ero stata sommersa da un’onta di ricordi.

“Coco, tutto ok?” mi chiesero Manuela, Carol, Cristine e Daniel. Io annuii, ancora con un braccio di Luke attorno alla vita. Non sembrava intenzionato a lasciarmi andare, e gliene fui grata.

“Luke, stavamo giusto dicendo dell’ultimo concerto” ci interruppe Ashton. “Mi piacerebbe sentirvi, qualche volta” fece Cristine sorridente. “Ho portato solamente la chitarra, mi sa che dovrete venire da noi per sentirci” disse lui dispiaciuto. “Bene, perché è proprio quello che abbiamo intenzione di fare. Dopo il matrimonio, s’intende” disse Daniel. Li guardammo sorpresi. “Davvero?!” chiese Carol balzando in piedi. Loro annuirono e noi esultammo. “Ok, si stappa qualcosa per festeggiare!” esclamò Manuela. “Se volete, abbiamo lo champagne…” disse cauto Daniel. Noi ci guardammo e scoppiammo a ridere. “No grazie, l’ultima esperienza con l’alcool ci ha segnato a vita” risposi, ripensando alla mia prima volta. “Ok, in effetti non è una buona idea, voi poveri minorenni non reggereste” disse Cristine ridacchiando. Io risposi alla sua provocazione con una linguaccia. “Mi dispiace, ma mi hanno fregato una volta, non ci casco più” feci. “Brava Coco” mi disse Manuela. “Piuttosto, andiamo, mi manca la Tour Eiffel!” dissi io, ricordando come mi ero sentita la prima volta che mi ci ero avvicinata: una formica di fianco ad un gigante. Era enorme e bellissima. Gli altri accettarono e in poco uscimmo, gironzolando per i viali di Parigi, pieni di pittori e mimi, quasi fossimo in una cartolina. Mi piaceva quella Parigi, la Parigi artista, la Parigi caratteristica, quella dove puoi fermarti e prendere croissant su un tavolino fuori da un bar della piazza e dove puoi ammirare il bello dell'essere francese. Facemmo appunto questo: ci sedemmo ad un bar a prendere un caffè con croissant. Sopra di noi, un tendone rosso ci faceva ombra, decorato dal nome del bar. Era come un tuffo nel passato, per me. Ogni angolo era per me motivo di ricordi, seppur stupidi o infantili. Mi venne da ridere nel vedere la strada dove il gelato di una mia amica aveva fatto una brutta fine.

Eravamo in piazza, io avevo appena preso una granita. Già da allora non amavo il gelato artigianale.  Essendoci tre gelaterie, in quella piazza, la mia amica Lidia aveva optato per un'altra, dove facevano – a detta sua – il gelato migliore. Eravamo andate lì ed io ero rimasta fuori, non stava bene entrare con il prodotto della concorrenza. Quando era uscita, aveva un gelato enorme, al cioccolato. “Lilly, ti si sta sciogliendo!” avevo detto velocemente. Lei si era affrettata a leccare dove le indicavo, ignara del fatto che, dall'altra parte, si stesse sciogliendo ancora più in fretta. Nel giro di due minuti, avevamo capito che era finita, e che entro poco si sarebbe sciolto completamente, per questo eravamo corse al primo cestino. Purtroppo, un attimo prima, le era caduto il gelato. La legge di Murphy aveva fatto il resto: quel gelato non poteva essere contento, se non fosse caduto sulle sue scarpe. Nuove. Bianche. Di tela. Lidia era rimasta traumatizzata, non avevamo mai visto un gelato così bastardo sciogliersi così in fretta.

Al ricordo, ancora mi veniva da ridere, nonostante in quella giornata di ferragosto ci fosse sembrata una tragedia. Quell’episodio aveva tenuto lei lontana da quella gelateria, e me lontana dai gelati artigianali. Non sopportavo quando si scioglievano.

“Chi vuole una cioccolata calda?” chiese Daniel. Come al solito, io e Luke ci astenemmo. “Se volete vendono anche le piadine alla Nutella” mi disse Cristine. I nostri occhi si illuminarono. “Adesso si ragiona!” dissi io, pregustando la piadina.

Venti minuti dopo, eravamo per le vie di Parigi. Avevo notato lo sguardo desideroso di Manuela e avevamo diviso la piadina, ancora calda. Luke, invece, la teneva gelosamente per sé, resistendo con fare stoico agli attacchi di Calum. “Andiamo alla pista di pattinaggio?” chiesi speranzosa. Gli altri accettarono di buon grado e cercammo la pista più vicina. Quando vidi quelli che sarebbero stati i miei pattini, rabbrividii. Quanto avrei voluto avere i miei! Quelli erano solo dei pezzi di plastica modellati a forma di scarpa con un pezzo di metallo sotto di esso. I miei erano imbottiti, affilati e regolabili. Non mi interessava tanto l’estetica, il mio problema era l’interno: senza un minimo di imbottitura, avrei avuto delle vesciche enormi in dieci minuti. Succedeva a tutti, ma le mie caviglie erano ancora più sporgenti a causa di un problema di postura, ergo facevano più male. Nonostante tutto, in poco ripresi la mano, facendo tre o quattro giri velocemente. Quando vidi Luke ancorato alla sponda, mi misi a ridere e lo raggiunsi. “Mi prendi in giro se ti dico che non sono capace?” mi chiese. Io ridacchiai. “Ehi, c’è una prima volta per tutto” dissi. Gli presi una mano, iniziando a guidarlo. Andavamo lentamente, mentre lui si reggeva al bordo. “Non devi camminare, devi scivolare!” dissi, osservando il modo goffo con cui si spostava. “Guarda: metti un piede di traverso e il peso sull’altro, spingi e scivoli. Poi di nuovo. È facile!” tentai di spiegargli. Lui tentò, col solo risultato di barcollare ancora di più. Io gli feci vedere, facendo un giro di pista, il modo in cui doveva mettere i piedi. “Staccati” gli dissi poi. Lui mi guardò smarrito. “No!” tentò insicuro. “Non ce la farai mai, se ti tieni al bordo!”

“Se non mi tengo, cado!”

“Ci sono io, non lo permetterò!”

“Cadresti anche tu!”

“Ne prendo atto!” dissi risoluta. Lui ridacchiò. Io mi avvicinai ancora di più e lo baciai, alzandomi sulle punte dei pattini che fortunatamente erano seghettati alla fine. Così, non avevo difficoltà a stare in equilibrio. Piano, sentii le sue mani sulla mia schiena e sorrisi nel bacio: avevo raggiunto il mio scopo. Impercettibilmente, iniziai a pattinare all’indietro, fino a finire quasi al centro della pista. Quando ci staccammo, lui si guardò intorno, confuso. “Ma che…?!”

“Io te l’ho detto, che sei capace!” dissi ridacchiando. “Mi farai impazzire, lo sai, vero?” mi chiese sorridente. Io feci spallucce e presi le sue mani. Iniziammo a pattinare, lentamente, mentre io assecondavo i suoi movimenti goffi. Pattinavo all’indietro per offrirgli l’appoggio di entrambe le mani, le mie gelide e piccole mani dalle unghie mordicchiate. Le sue erano calde e grandi. Perché lui ce le aveva calde e io no?! Non era giusto. In compenso, solo io potevo godere di quel tepore.

“Ce la faccio!” disse lui incredulo. Io mi misi a ridere. “Adesso sarò molto cattiva” lo avvertii. Lui mi guardò e capì le mie intenzioni. “No, no, Coco, non…”

“Scusa” dissi, lasciandogli le mani. Lui barcollò e mi venne in mente che forse non era stata una buona idea. Tentai di fargli riprendere l’equilibrio, tenendolo per le braccia, col solo risultato che lui urtò un mio pattino. Perdemmo l’equilibrio e finimmo stesi sul ghiaccio. Ci guardammo qualche secondo, poi scoppiammo a ridere. “Non farlo mai più, ok?” mi chiese. “Impediscimelo!” lo provocai. Lui sorrise e si mise su un fianco. Io lo imitai. “Sei impossibile!” mi disse, prima di baciarmi di nuovo.

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Capitolo 11
*** Good girls ***


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Good girls are bad girls.

Un mese dopo…

“Cristine! È tardissimo!” urlai in preda al panico. “Non infierire, non è colpa mia se non riuscivo a mettere il vestito!”  rispose lei. “Perché vai in giro col vestito da sposa, si può sapere?!”

“Perché nella chiesa non c’è modo di metterselo!”

“Ma che cavolo di chiesa è, si può sapere?!”

“La cappella del castello!”

“Non potevi usare una delle mille stanze di quel palazzo?!” chiesi io. Cristine divenne viola, tanto da essere in tinta col suo vestito. “Ormai mi sono cambiata, ecco!” fece. Io ridacchiai. “Anche voi potevate vestirvi lì!” ribatté poi, prendendo al volo le scarpe. “Sì, ma noi ci abbiamo messo dieci minuti, tu mezz’ora. E poi noi non sembriamo venute fuori da Come d’incanto stile dark!” fece Manuela, prendendo i due sacchetti che avevamo preparato. Io e le ragazze ci eravamo infilate le ballerine per essere più comode, avremmo cambiato lì le scarpe. “Cristine, usa queste!” le intimai, porgendogliene un paio uguale. “Devo ancora finire di mettermi a posto i capelli…”

“Te li metti a posto lì, chiaro?!” fece Carol nervosa. Lei sbuffò. “Mamma mia che damigelle dispotiche mi sono scelta!” disse fra i denti, tutto d’un fiato. “Ehi!” si lamentò Madison. Ci mettemmo a ridere. “Accidenti, perché non sono andata coi ragazzi?!” chiesi. Loro erano già arrivati da mezz’ora, insieme a Daniel. “Perché io sono la tua cuginetta preferita e mi vuoi tanto tanto bene!” disse con fare innocente, sventolandomi davanti il bouquet di fiori viola. “Te lo faccio mangiare, quel bouquet” le dissi minacciosa. “E poi scusa, chi ha detto che sei tu la cugina preferita?!” fece Carol con fare offeso. Manuela e Madison si trattenevano a stento dal ridere. “Quanti invitati ci saranno?” chiese Manuela, tanto per cambiare argomento. “Non saremo molti, non tutti amano le cerimonie come queste” disse Cristine. “Io la trovo originale” ribattei. “Sarà tetra, te lo dico” mi avvertì Cristine, sventolandomi davanti un CD anonimo. “Cos’è?” chiesi. “La musica. Io ho questo, Daniel un altro. Sono diciotto canzoni senza voce, solo con gli strumenti, e sono una cosa strepitosa.”

“Qualche esempio?”

“La parte strumentale di Take me away e Forgotten basta?”

“Io ti amo!” esclamai. “C’è tutto Under My Skin, tesoro!” si vantò lei. Era, dopo Goodbye Lullaby, il mio album preferito. Tutte canzoni tetre, tranne He wasn’t, forse. Arrivammo alla macchina di Cristine, che era parcheggiata più avanti. La gente ci guardava stranita: non era normale vedere una principessa dark che correva in mezzo alla strada seguita da quattro ragazze in abito corto, con i tacchi alti in mano.

“Ti prego, adesso lo metti??” chiesi implorante, indicando il CD. Lei annuì e, appena mise in moto, si sentirono le note di Forgotten. Mi voltai verso le altre: Manuela e Carol avevano gli occhi chiusi e mimavano con le labbra quelle che dovevano essere le parole. Madison, invece, era pallida. La guardai negli occhi qualche istante. “Maddy, hai paura?” chiesi sorpresa. “È inquietante, davvero” disse lei con voce flebile. “Pensa che è una di quelle che uso per dormire.” Ribattei. Lei sgranò gli occhi. “Come minimo mi sognerei tutte cose gothic, rose nere e angeli caduti, falci e tanto sangue, e cose del genere” disse. “È quello che faccio a volte. Altre volte mi vengono fuori delle cose senza senso.”

“Ad esempio?”

“Non so. Sono inseguita da un coniglio, che vuole mangiare le mie scarpe.”

“Mi dicono che fumi molto bene!” commentò lei. “No, mi basta la musica” feci compiaciuta. “E tanto per la cronaca, una volta sono stata davvero inseguita da un coniglio. E anche assalita da un carlino” feci con fare altezzoso. Lei si mise a ridere. “Oddio, seria? Un carlino?!” chiese. “Ehi, avevo cinque anni! Mi ha atterrato!” mi difesi ridendo. “Certo, il temibile carlino mannaro, che tuttora gira per le strade assetato di sangue” fece Cristine ironica. “Sì, sì, ridi, come hai fatto quando hai visto la scena. Perché devi sapere, cara Maddy, che la nostra sposa era presente, mentre venivo traumatizzata a vita, e non ha fatto altro che ridere!” feci con tono accusatorio. Scoppiammo a ridere, mentre toglievo il CD. Madison mi ringraziò. “Tanto, ci sarà al ricevimento” disse Carol. “Sono solo futili dettagli!” Madison liquidò le sue parole con un gesto della mano. “Traffico. Io odio il traffico. Non poteva esserci qualche miracolo o epidemia o partita di calcio a tenere tutti a casa?! No, doveva esserci traffico pure oggi!” fece Cristine stizzita. Io la guardai sorpresa. “Cri, calmati!” feci ridacchiando. “Come faccio a calmarmi?! Io mi devo sposare e questi fanno un pic-nic in mezzo all’autostrada!! Sono da prendere tutti quanti e tirarli sotto con un tir! Andate a giocare a mosca cieca nella corsia di sorpasso anziché creare ingorgo!” esclamò. La guardammo con gli occhi spalancati. “Ehm, ok” fece Manuela. “Sono nervosa, si nota?” chiese Cristine. “No, ma ti pare?” facemmo tutte assieme.

 

Finalmente, dopo più di un’ora, arrivammo. Quando ci videro, i ragazzi – Daniel era dentro, a ritoccare il tutto – fecero un applauso. “Abbiamo fatto radici, ragazze!” fece Calum. “È colpa di Cristine!” rispondemmo in coro. Lei ci guardò oltraggiata. “Perché hai il vestito da sposa?” chiese invece Luke, confuso. Lei piagnucolò un: “Ma perché me lo chiedete tutti?! Ho sbagliato!”

“Ok, ok, chiedevo” disse lui. “Oggi volete farmi impazzire” fece lei. Si diresse verso l’ingresso del castello, poi si voltò. “Ma non ce la farete! Perché oggi mi sposo e voi no! Ah!” fece correndo dentro. La guardammo allibiti mentre svoltava a sinistra. “La chiesa è a destra!” urlai. La vedemmo tornare indietro, borbottando insulti a tutto spiano. “È stressata, dobbiamo capirla” fece Carol, abbracciata ad Ashton. Ci dirigemmo dentro, mentre vedevo Madison farsi piccola piccola fra le braccia di Calum. “Quando mai ho accettato di venire. Adesso farò incubi di castelli maledetti per tutta la vita” borbottò. “Dai, Maddy, mancano solo sette ore” la rassicurò Calum. “Non aiuti!” rispose lei ad alta voce. Io e Luke rimanemmo indietro. Avevo freddo – fortunatamente avevo avuto la stupenda idea di mettermi i collant – e stavo cercando il mio cardigan, quando sentii Luke avvolgermi con la sua giacca di pelle. Sorrisi e lo ringraziai, mentre mi crogiolavo nel calore dell’indumento. Lui mi circondò la vita con un braccio e io mi appoggiai alla sua spalla. “Sei troppo alta, così” fece ridacchiando. “Colpa dei tacchi alti” risposi io. “Voglio vedermi a ballare, con questi!” aggiunsi. “Io non riuscirei nemmeno a camminarci” ribatté subito. “Ah guarda, la prima volta che ho messo un tacco così ho fatto un volo che non puoi immaginarti, ma non vale, aveva il plateau alto e scanalato, quindi quando ho fatto un passo mi sono sbilanciata e ho investito la mia amica, che ha fatto la stessa fine e ha preso la terza. Effetto domino, insomma” risposi. “Ok, non devo figurarmelo, altrimenti scoppio a ridere” rispose lui. Io sorrisi e chiusi un attimo gli occhi. Era bello stare con lui, ogni momento era indimenticabile. Ero innamorata persa. Essere un’inguaribile romantica non aiutava, proprio per niente. Entrammo nel grande palazzo in rovina, investiti subito da un odore di cera fusa. “Hanno iniziato a far sciogliere le candele” dissi. Avevano pensato di costellare tutta la sala con alte candele sciolte, per dare un’aria tetra. Avevano dovuto fare tutto da soli: ogni wedding planner si era rifiutato di aiutarli. Entrammo nel salone e rimasi senza fiato. “Abbiamo fatto un buon lavoro?” chiese Luke. “È fantastico!” esclamai io. La sala del ricevimento era circondata dalle famose candele, mentre lungo le pareti c’erano i tavoli, con le tovaglie argentate sopra quelle nere. Sopra di essi, un servizio impeccabile e un vaso alto da cui scendeva una cascata di mughetti. Erano quelli a diffondere un profumo così buono. In mezzo al salone, uno spazio enorme per ballare, con il pavimento lucido. Il marmo scuro brillava alla luce delle candele e delle finestre a sesto acuto, la cui luce veniva smorzata da tende scure trasparenti. Le colonne erano state ricoperte ognuna con un lunghissimo gambo di rosa finto, che si attorcigliava attorno ad esse per poi finire in un solo, piccolo fiore nero. Daniel, dall’alto di una scala, stava appuntando l’ultimo. Il contrasto fra atmosfera tetra e colori chiari creava la sensazione di fluttuare in un limbo di pace, lontani dal mondo esterno. Era un piccolo angolo di paradiso travestito. “È mozzafiato, davvero” dissi. Luke mi indicò il pavimento. Osservando meglio, capii che quelle che avevo preso per venature casuali in realtà formavano un disegno, un’enorme rosa vista dall’alto, perfetta in tutti i dettagli. “Quella c’era già. Ci siamo ispirati un po’ al tema giardino proibito” mi spiegò. Io ero senza parole. “Vieni a vedere la cappella?” mi chiese impaziente. Io lo seguii, trovandomi in un altro posto fantastico. Le panche erano state addobbate con rose nere e mughetto, nastri neri e scarlatti e petali di un fiore viola lungo il bordo. Tutto il tragitto, dall’entrata all’altare, era ricoperto di un’impalpabile polvere argentata, che faceva brillare tutto. L’altare era stato circondato degli stessi fiori di prima, aggiungendo anche qualche orchidea. Grandi tende di pizzo nero rendevano più buia l’atmosfera.

“Siete stati… incredibili!” dissi. Ero incantata da quello spettacolo unico. Quando tornammo indietro, mi proposi per dare una mano, ma con mio disappunto mi accorsi che avevano già finito tutto. “Tardavate ad arrivare e ci siamo portati avanti. Magari potresti andare da Cristine” mi suggerì Daniel. Io acconsentii e mi feci dare le indicazioni giuste. In poco raggiunsi la stanza e bussai, trovandola aperta. Cristine sembrava la dea Kali: si stava truccando e pettinando allo stesso tempo, ottenendo un risultato terrificante. “Cri, che fai?!” chiesi. “Coco aiutami, sono nel panico!” fece terrorizzata. “Ok, ok, tranquilla. Prima cosa, struccati” feci flemmatica. Lei mi guardò male. “Ci ho messo tanto!”

“Fidati!” ribattei io. Lei sbuffò e mi obbedì, mentre io prendevo i suoi capelli spettinati e li districavo. “Fai male!” fece lei ad un certo punto. “Sto cercando di non tirare!” risposi.

Quando finì di struccarsi e io finii di pettinarla, si sedette sullo sgabello. “Allora, iniziamo col trucco. Cosa vorresti come stile?”

“Non so. Ho sempre amato la bambola di cera” rispose lei. Io presi il mio cellulare e le mostrai una foto, che ritraeva Pink nel video di Fucking Perfect. “Fantastico!” fece lei entusiasta. Io annuii, come a raccogliere le idee. “Mentre io scelgo, qui, vai a farti uno scrub alle labbra” le suggerii, porgendole lo scrub. Lei mi guardò stranita. “Lo scrub alle labbra?!” mi chiese. “Hai le labbra secche e quindi sono piene di pellicine. Il lucidalabbra si infilerebbe sotto di esse e si vedrebbero tantissimo” spiegai, tirando fuori una cipria chiarissima dall’enorme borsa dei trucchi. Lei obbedì e tornò qualche minuto dopo con le labbra lisce, pronte per tutto quello che ci dovevo mettere sopra. “Mi spieghi perché hai le labbra così rosse? È impossibile far venire fuori un effetto naturale!” dissi esasperata dopo diversi tentativi. Lei sbuffò. “Se mi metto il rossetto viola?” chiese poi. Io la guardai malissimo. “No, scusami. Avevi il rossetto viola, e sei stata zitta fino ad ora?!” esclamai. Lei ridacchiò. “Mea culpa” disse a bassa voce, porgendomi il rossetto. Io scossi la testa.

Venti minuti dopo, Cristine era pronta: i capelli erano stati lasciati sciolti, trattenuti solo da una piccola tiara che serviva a fissare il velo. Le unghie erano bordeaux, come le labbra. Gli occhi erano poco truccati, avevo usato le ciglia finte ed ero convinta bastassero. Era strepitosa. “Coco, stai piangendo?” mi chiese. Io scossi la testa, mentre una lacrima mi attraversava il viso. “Oh, accidenti a te, se mi cola il mascara ti picchio” dissi tamponandomi la guancia. Lei ridacchiò. “Non piangere che poi piango anche io ed è un disastro” mi disse. Io la guardai minacciosa. “Ti proibisco di piangere” le intimai. Lei si mise a ridere e mi abbracciò. “Grazie per essere qui” mi disse. Io ricambiai l’abbraccio, mentre sentivo altre lacrime invadermi il viso.

 

L’ingresso in chiesa di Cristine fu stupendo. Tutti i pochi invitati erano rimasti senza fiato, e anche Daniel. Mi ero avvicinata a Luke e gli avevo citato: “La parte che mi piace di più dei matrimoni? Quando lo sposo vede la sposa. Il suo sguardo è impagabile, il più felice del mondo.” Lui mi guardò sorridendo. “2           7 volte in bianco. Beccata” mi disse con uno schiocco di lingua. Io ridacchiai e tornai al mio posto, ai lati dell’altare. Ero davvero al settimo cielo. Avevo sempre sognato di poter assistere al matrimonio di mia cugina, fino a qualche tempo prima era il mio punto di riferimento in tutto ed ero desiderosa di assistere ad un matrimonio così strambo e, come dire, ipnotico.

Ho sempre trovato le cose da tutti definite dark o gothic ipnotiche, quasi fossero un mantra. Ciò che per alcuni era inquietante, per me era rilassante. Certo, non ai livelli dell’industrial metal, quello inquietava pure me. Eppure, quel castello, il tema giardino proibito, i colori cupi e il profumo di rose e candele, mi facevano sentire bene, in pace col mondo.

 

Quasi due ore dopo, eravamo tutti nella sala del ricevimento, e con tutti intendevo quella trentina di persone che avevano avuto il coraggio di venire. Ad un certo punto, Cristine mi si avvicinò. “Coco ti prego, ho bisogno di un favore, ti giuro che ti faccio una statua grande quanto questo castello” mi disse implorante. “Cosa c’è?” chiesi ridacchiando. “Ho bisogno della macchina fotografica e l’ho dimenticata in camera!” mi disse. Io la guardai a bocca aperta. “Oh. Molto bello” feci. “Ti prego!” esclamò lei a voce acutissima. “Ok, ok, ci vado!” risposi, alzandomi. Lei mi abbracciò. “Lo sai che ti amo, vero?” chiese. “Certo, lo sappiamo tutti che in realtà Daniel è una copertura e noi due siamo amanti” la presi in giro. Lei mi fece una linguaccia, mentre mi allontanavo. Ero certa di ricordarmi la strada. In tanti anni, però, non avevo ancora imparato una lezione importante: mai fidarsi della mia memoria. Cinque minuti dopo, infatti, vagavo sperduta per i corridoi di quel palazzo enorme. Era inquietante, quasi quanto la mia scuola la sera: ogni porta che aprivo cigolava, i miei passi rimbombavano lungo il corridoio, tutto era buio e da fuori si sentiva il verso di una cornacchia che ci teneva proprio a terrorizzarmi. Il mio cellulare suonò. Wow, avevo davvero campo? In questo scenario da film horror, mi aspettavo di più un pazzo assassino con maschera da hockey che una tacca di campo. “Coco, dove sei finita?” mi chiese Luke. “Non ne ho idea” feci con voce tremante. “Non puoi dirmi che ti sei persa!” rispose esasperato. “Allora non te lo dico, ma è così” feci. “Coco!” esclamò. “Non è colpa mia!” mi difesi. Lo sentii sospirare. “Aspettami, vengo a cercarti” fece, mettendo giù. Io sbuffai. Sembrava quasi che fosse un peso, venire da me. Non volevo che mi vedesse come un intralcio. Gli inviai un messaggio: “Se ti disturbo la trovo anche da sola la strada, grazie.” Lui rispose subito. “No piccola, non era questo che intendevo, solamente ero preoccupato, pensavo ti fosse successo qualcosa. Davvero, scusa se ho fatto intendere il contrario. <3” Appena finii di leggere, avevo gli occhi a cuoricino. Mi scappò un: “Aaw!” intenerito. Era un cucciolo. Un peluchoso cucciolo di pinguino. Feci una smorfia stranita. Com’è che mi era venuto in mente il pinguino?

Fui distratta dai miei pensieri quando sentii dei passi in lontananza. Era Luke, che chiamava a gran voce il mio nome. Il mio cervello criminale elaborò un’idea diabolica. Mi nascosi in una porta a caso, vicina al corridoio dove stava passando. Eccolo lì, che mi cercava. Per un attimo, il mio cuoricino tenero mi disse che no, non potevo farlo. Poi la mente criminale ebbe la meglio. Quando Luke mi passò davanti, aprii la porta di scatto, gridando. Lui fece un salto, terrorizzato, urlando. Non mi sarei sorpresa se fosse finito sul soffitto. Ci mise qualche secondo a riconoscermi, ancora traumatizzato. “Coco! Mi hai fatto prendere dieci infarti di fila!” urlò, una mano sul cuore, il fiato grosso. Io scoppiai a ridere. “E io che credevo che tu fossi una brava ragazza” fece, mettendo su un broncio adorabile. “Sai cos’è una brava ragazza?” chiesi. Lui scosse la testa. “È una cattiva ragazza che non è stata ancora beccata” risposi. Lui mi guardò, la bocca leggermente aperta. “Non vale, è una frase di una nostra canzone!” fece poi. Io mi misi a ridere, di nuovo. “Ridi, ridi. Intanto, se ti prendo ti rovino di solletico!” mi minacciò. Io sgranai gli occhi. Un attimo dopo, mi ero tolta le scarpe ed ero corsa via. Lui mi inseguì, mentre ridevamo come due deficienti. Attraversammo tutto il castello. Ad un certo punto, passai davanti alla stanza di Cristine, ma non potevo fermarmi, Luke mi stava alle costole.

Dopo non so quanto tempo, avevo i polmoni in fiamme, la milza era espatriata, le gambe chiedevano pietà. Mi voltai e vidi che anche Luke era messo male. Ad un certo punto, si fermò. “Propongo… un… accordo” fece col fiatone, appoggiato al muro. Io mi bloccai, grata di quel secondo di pausa. “Ti… ascolto” risposi. Lui aspettò qualche secondo di riprendere fiato. “Ok. Tu smetti di correre, e io non ti rovino di solletico, ma di qualcos’altro” propose, avvicinandosi a me. “Tipo, di cosa?” chiesi, incerta. Lui sorrise e mi circondò la vita con le braccia, attirandomi a sé. “Di questi” sussurrò sulle mie labbra prima di baciarmi dolcemente.








*Angolo autrice*
Chiedo scusa per l'immenso ritardo!!
ecco la location
grazie a tutti per essere arrivati fino a qui!
Ciaoo
Ranya

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Capitolo 12
*** Bring me to life. ***


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Bring me to life.

Un paio di giorni dopo il matrimonio, eravamo tornati in Italia, e come promesso Cristine e Daniel erano venuti con noi. Alloggiavano ad un paio di isolati da casa dei ragazzi, in un hotel. Appena tornata, avevo trovato Tabitha sul balcone. “Amore mio perdonami!” l’avevo implorata. Lei, in tutta risposta, mi era salita sulle spalle. Perfetto, amiche come prima.

Tutto era ricoperto di polvere. Sul mio letto avevo trovato un ragno enorme, appena lo avevo visto avevo cacciato un urlo terribile. “Cosa c’è?!” aveva chiesto Manuela. Io le avevo indicato il ragno. Eravamo in due ad urlare. Era stato grazie all’intervento di Carol, se quel ragno era stato eliminato.

 

“Ragazze, mi sono stancata di pulire!” esclamai io, crollando esausta sul divano. Era tutto il giorno che lavoravamo, e io non ne potevo più. “Dai, pensa questo: dopo ci sarà anche il negozio!” fece Carol fingendosi entusiasta. Io piagnucolai un qualche tipo di lamento non ben definito. “Quando hai finito di farti possedere dagli alieni, vieni qua che ci manca poco” mi rimbeccò Manuela. “Gne” risposi io, alzandomi di peso e trascinandomi come uno zombie fino alla cucina. Circa mezz’ora dopo, avevamo finito. “Cosa mangiamo?” chiesi subito. “Io non cucino. Si chiama una pizza” rispose Carol, perentoria, quasi fosse per noi un gran sacrificio. “Facciamo venire i ragazzi?” chiese Manuela, speranzosa. In quel mese, il rapporto fra lei e Michael era diventato stupendo, passavano un sacco di tempo insieme, abbracciati, a riempirsi di baci, come qualsiasi coppietta romantica degna di questo nome. Erano davvero adorabili.

Carol compose il numero di Ashton. Pure loro erano troppo carini, molto simili a Michael e Manuela.

Io, invece, ero single, ma non mi creavo problemi a baciare Luke.

Non capivo il rapporto fra noi. Non ci eravamo mai detti le fatidiche due parole e questo mi riempiva di dubbi. Io ne ero innamorata, certo, ma forse per lui non ero altro che un passatempo, oppure era già fidanzato con qualcun’altra a mia insaputa. Aiuto, che disastro.

“Arrivano fra cinque minuti” disse Carol. Ci demmo una mano a preparare la tavola a tempo di record e andammo a cambiarci: eravamo rimaste in pigiama tutto il giorno. Mi misi in fretta la mia camicia di seta, color avorio, e dei leggins neri pesanti. Completai con la mia amata cravatta di paillettes nere, che essendo corta era adatta ad una ragazza. Una volta mi ero provata quella di mio padre, e mi arrivava al bacino, quindi no grazie. Mi misi un cardigan nero, faceva comunque freddo. Mi truccai in poco, tentando di mascherare le occhiaie, e scesi. Mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per cinque secondi, prima che i ragazzi suonassero. Sbuffai. “Non c’è un attimo di riposo” mi lamentai, andando ad aprire la porta. “Genio, il cancello!” mi richiamò Ashton ridacchiando, indicando la cancellata di ferro battuto color bronzo, ancora chiuso. “Scavalcate!”  risposi io, svogliata. “Accidenti, che accoglienza” mi fece il verso Ashton. “Ragazzi, ho sonno, capitemi” dissi torva, aprendo il cancello. “Calum è con Maddy” mi informò Michael, mentre andava al piano superiore per salutare Manuela. “Occhio, bussa!” lo avvertii. Lui annuì, sparendo su per le scale con Ashton, che aveva chiuso la porta. Luke, invece, mi fece sparire fra le sue braccia. “Hai tanto sonno?” mi chiese con tono tenero, come se si stesse rivolgendo ad una bambina. Io annuii, mugolando piano. “Andiamo sul divano, allora” mi disse. Io misi i piedi sui suoi e ci dirigemmo verso il centro della sala, dondolando da un piede all’altro come pinguini. Ridacchiai, mentre cadevamo sul morbido. Mi scoccò un bacio a stampo sulla fronte, sul naso, sulla guancia, ovunque, facendomi ridere. Prese il plaid e ci avvolse in esso. Io appoggiai la testa sulle sue gambe, mentre lui mi dava l’ennesimo bacio, stavolta sulle labbra. Questo fu il primo cui mi diede la possibilità di rispondere, gli altri erano durati una frazione di secondo. Iniziò a giocherellare coi miei capelli, mentre io facevo le fusa come un gatto. Si mise a ridere. “Meow” risposi io. Avevo troppo sonno per rimanere sveglia, così chiusi gli occhi, stendendomi su un fianco. Lui mi carezzò piano la schiena, per poi risalire fino al collo e scendere lungo il braccio. Al caldo, sul morbido, coccolata da Luke, ci misi poco a scivolare in uno stato di dormiveglia senza nemmeno accorgermene.

Fui svegliata da Luke, che mi scuoteva leggermente. “Coco, sono arrivate le pizze” sussurrò. Io mugugnai una risposta, sbadigliando e alzandomi. Lui mi guardò e si mise a ridere, guadagnandosi una mia occhiata interrogativa. “Hai tutta la guancia rossa” mi disse. “Solo dettagli. Tutto il mondo è fatto di dettagli che ci vogliono distrarre da ciò che è importante” dissi. “Wow, filosofa appena sveglia!” mi schernì Ashton, passando lì di fianco. “Ma quanto sei simpatico, Ash?” chiesi io, ironica. Lui ridacchiò. “Venite a tavola, innamorati” ci disse. Io e Luke diventammo paonazzi, abbassando lo sguardo. “Wow, non pensavo di mettervi in crisi, scusate” ci disse lui, sgranando gli occhi e andando in cucina. Io e lui rimanemmo qualche istante sul divano, incerti, poi lui si alzò e mi porse una mano, come per aiutarmi a rialzarmi. Io l’afferrai e mi issai, sorridente. Andammo in cucina, dove gli altri ci aspettavano. Notai che Manuela si era già presa metà della mia pizza, lasciandomi una metà della sua. Sorrisi, pensando alle nostre piccole abitudini che ci accumunavano.

Una volta seduti a tavola, Carol accese la tv. Trasmettevano Ghost. “No, ti prego, piango!” esclamò Michael. Lo guardammo sorpresi. “Ehi, anche io sono un essere umano. Le lacrime sono normali!” si difese. Io annuii. “L’ho sempre detto” sostenni. Ashton guardò ancora un secondo il film, poi chiese: “Voi che ne pensate, della vita dopo la morte, o cose del genere?”

“Non so. Credo nella reincarnazione. In una vita precedente sono stata una spia, un serpente e un’aquila, ne sono sicura” disse Carol. “E da dove viene questa certezza?” fece Manuela. “Non so. Credo che il comportamento di questa vita dipenda da quello che sono stata in passato” spiegò. La conversazione strava prendendo una piega molto culturale e la cosa era strana, per noi. “Sono d’accordo con te” fece Michael. “Io invece credo nella vita dopo la morte. Sapete, no? Paradiso, cose del genere. E anche la storia delle anime che hanno qualcosa in sospeso sulla Terra, per me non fa una piega” disse Luke. Ashton e Manuela furono d’accordo. “E tu, Coralie?” mi chiese Luke. Io riflettei un attimo. “Per me non ci sono altre vite. Si sopravvive nel ricordo di chi ci ha amati” dissi. Mi guardarono qualche secondo, come ad assimilare le mie parole. “È un pensiero molto profondo, Coco” mi disse Ashton. “Molto stile Foscolo” aggiunse Luke. “Può darsi. Mi piaceva molto, come convinzioni” spiegai. Passò qualche secondo. “Poeta preferito?” chiese Manuela. “Pascoli” dicemmo subito io e Luke, per poi guardarci e metterci a ridere. Gli altri snocciolarono nomi di poeti, fra cui Manzoni, Leopardi e altri poeti che non ricordo. La pizza finì fra discorsi più o meno seri. Il pomeriggio, io e Luke andammo in camera mia. Avevo una dormita in sospeso e non ci avrei rinunciato facilmente. “Ragazzi, adesso riposatevi, poi andiamo al cinema a vedere qualche film con Calum e Madison!” ci avvertì Manuela. “Ok, ok, chiamateci quando dobbiamo andare” feci. Ci chiudemmo in camera e mi sdraiai sul letto, caldo per via dei raggi del Sole. Lui tirò le tende, immergendo la stanza in una penombra rilassante, e si sdraiò accanto a me. Io mi accoccolai contro il suo petto, con un mugolio di gola. Lui ridacchiò. “A che ora ti sei svegliata?” mi chiese. “Alle sei meno un quarto.”

“E sei andata a letto alle…?”

“Due e mezza.”

“Coco!”

“Non riuscivo a dormire!” mi difesi. Lui mi circondò con le braccia, affondando il viso nei miei capelli e lasciandomi tanti piccoli baci. “Non ti dà fastidio se dormo, vero?” chiesi quasi dispiaciuta. “No, cucciola, tranquilla” mi disse sorridendo e dandomi un lieve bacio sulla fronte. “Sicuro?”

“Sì. E poi, sei così tenera mentre dormi” aggiunse con un lieve sorriso, cui io risposi subito. Appoggiai la testa contro il suo braccio. “Coco?”

“Sì?”

“Mi stai bloccando la circolazione” mi disse, come fosse imbarazzato. Io mi alzai subito, con mille scuse, facendolo ridere. Mi fece stendere di nuovo, accanto a lui, e mi carezzò piano il collo, facendomi rilassare. In poco, come era successo prima di pranzo, scivolai nel sonno. Stavolta, però, sognai.

Sognai il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi baci.

Sognai lui.

Sognai noi.

 

Mi svegliai qualche ora dopo, al caldo fra le braccia di Luke, sotto la coperta. Era tanto dolce, quando dormiva. E quando faceva qualsiasi altra cosa.

Gli diedi un lieve bacio sul naso, attenta a non svegliarlo. Non servì a niente: nello stesso momento, un tonfo assordante provenne dal piano di sotto. Lui si svegliò di scatto, spaventato, e fece scontrare le nostre fronti. Gemetti, portandomi una mano alla testa, mentre lui faceva lo stesso. “Ahi!” feci. “Tutto ok?” mi chiese preoccupato. “Sì, sì. Ma che è successo?” ribattei. Ci guardammo un attimo, prima di fiondarci al piano di sotto. “Che succede?!” domandai. “Niente. Non è successo niente, vero ragazzi?” fece subito Manuela. Gli altri le fecero eco. Stavano facendo da scudo con il corpo a qualcosa ed io ero decisa a scoprire a cosa. Io e Luke cercammo di aggirarli, senza successo. Manuela e Carol erano davanti a me, Michael e Ashton davanti a Luke. Ad un certo punto, mi stancai: mi buttai di peso fra di loro, aprendomi a forza un varco. Quando vidi cos’aveva generato quel tonfo, mi coprii una mano con la bocca. “Oddio” dissi. La chitarra di Luke era a terra, un paio di corde rotte. Anche Luke la vide e divenne bianco. “La mia bambina!” urlò, gettandosi in ginocchio di fianco alla chitarra. “Come è successo?” chiesi. “Ehm, io stavo, come dire, camminando velocemente, e l’ho urtata per sbaglio” fece Ashton, cauto. Luke si voltò verso di lui, stavolta rosso in viso. “Ashton!” gridò, alzandosi in piedi e avventandosi su di lui, che lo schivò. Iniziò a correre, inseguito da Luke. Non avevo dubbi: se l’avesse preso, l’avrebbe ucciso. “Luke, tranquillo, ti ho detto che mi dispiace!” esclamò Ashton, dietro al divano. “Hai fatto cadere la mia chitarra!” rispose lui. “Perché reagisce così?” chiesi a bassa voce a Michael. “Quella chitarra è un regalo di suo nonno, che adesso è passato a miglior vita. Ci tiene davvero tanto” mi spiegò. Io non dissi niente, mentre osservavo l’istinto omicida di Luke all’opera. Carol prese la chitarra, per evitare che uno dei due la calpestasse. Nel giro di qualche minuto, suonarono alla porta. Erano Calum e Madison, che appena videro la scena, sbuffarono. “Scommetto che Ashton ha fatto qualcosa alla chitarra di Luke” disse Calum. “Hai vinto” rispose Manuela. Ad un certo punto, mi stancai. “Luke!” urlai, quando passò vicino a me. Lui mi guardò. “Non ora, Coralie” mi rispose, mentre Ashton riprendeva fiato. “Luke, le corde si possono sostituire! Non è una tragedia!” dissi. Lui sospirò. “Lo sa che deve farci attenzione!” disse, duro. “Non l’ho fatto apposta!” si difese Ashton, ancora dietro il divano. Luke si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. Io, mentre Luke non guardava, mi passai le dita sotto la gola in un gesto secco, come se me la volessi tagliare, facendo gesto ad Ashton di stare zitto. Lui non disse niente, mentre io, con lo sguardo, chiamavo Carol. Manuela e Michael, invece, si misero ai lati del divano, pronti a bloccare un altro eventuale attacco di Luke. “Luke, se vuoi ho io le corde. Non le uso, te le regalo, anzi, vado a prenderle subito, però calmati. Non puoi ucciderlo solo perché ha sbagliato!” disse Carol.

Eravamo una squadra infallibile, nel calmare le persone. Io tastavo il terreno per trovare le vie migliori, Carol le attraversava e abbatteva i muri sulla sua strada, Manuela conteneva eventuali altri attacchi.

Gli occhi di Luke zampillavano di rabbia, ma anche d’indecisione. Carol stava arrivando al suo obiettivo. Gli strinsi la mano una volta: andava bene. Due volte, significava male. Lei annuì impercettibilmente, continuando per la sua strada.

In pochi minuti, Luke capitolò. Si voltò verso Ashton, lo sguardo basso. “Mi… Mi dispiace di averti assalito” disse. “E a me di aver fatto cadere la tua chitarra” rispose lui, mesto.

Sembravano due bambini rimbeccati dalla maestra. 

“Adesso, ragazzi, possiamo andare a vedere il film, o dobbiamo rimanere in casa a deprimerci?” chiese Calum. “Cosa si va a vedere?” chiesi. “È un film uscito da un po’, ma questo cinema proietta dopo anni. L’amore non va in vacanza, si chiama” spiegò Madison. “Mai sentito” dissi. “Ok, andate a prepararvi, avete – e controllò l’orologio – cinque minuti” ci disse poi. “Tu sogni, cara!” rispose Carol ridacchiando.

 

Venti minuti dopo, eravamo in macchina. “Vi avevamo detto cinque minuti, non un quarto d’ora!” esclamò Calum, al volante. Erano in ritardo. Luke fece spallucce, con me sulle sue gambe. Mi cingeva dolcemente da tutto il viaggio, lasciandomi piccoli baci, di tanto in tanto, sul collo. Si era scusato mille volte per come si era comportato, sia con Ashton che con, soprattutto, me. Diceva che era stato uno stupido a perdere così il controllo e se ne vergognava tantissimo. Lo vedevo dai suoi occhi, quanto si sentiva male. Teneva lo sguardo basso e si torturava le mani.

Ad un certo punto, mi stancai di vederlo così contrito. Gli presi una mano e iniziai a disegnarci sopra figure immaginarie, fino al polso. Sentivo che cercava di ritrarsi e che fremeva, probabilmente soffriva il solletico. Mi venne da sorridere quando, di scatto, si grattò la mano per placare la sensazione di prurito che quei miei gesti, lo sapevo, portavano. Mi voltai verso di lui e gli diedi un bacio a fior di labbra, cui lui rispose subito, approfondendolo. Sapeva di buono. “Ragazzi, mi dispiace interrompervi, siamo arrivati” ci disse Madison. Scendemmo dall’auto, alla ricerca degli altri, che erano andati con la macchina di Carol.

Prendemmo in fretta i biglietti e ci sedemmo in sala. Era praticamente deserta, segno di quanto quel cinema era amato.

Il film era bello, davvero, mi ripromisi di prenderlo o di chiedere a Carol se ce l’avesse in negozio. Mi misi a piangere in alcuni punti, addirittura. Luke, quando vide le mie lacrime, sorrise e mi strinse la mano, stretta a cui risposi subito. Alla fine, ero una fontana. “Non si può, non posso avere le lacrime così facili!” esclamai alla fine, esasperata. Luke mi circondò la vita con un braccio. “Non c’è niente di male nell’essere sensibili” mi disse. La sua voce mi fece venire un dubbio, così mi voltai verso di lui. Sorrisi. “Hai pianto anche tu?” chiesi. Lui ridacchiò prima di annuire. “Siete fatti l’uno per l’altra” ci disse Manuela con tono da melodramma che voleva essere uno scherzo. Risi sotto i baffi, sapevo cosa pensasse della questione “sensibilità.” Luke mi imitò, prima di sussurrare un lieve: “Lo so” che mi fece avvampare. Manuela si trattenne dal ridere nel vedermi così rossa e saltellò via. Quella scena me ne ricordò tanto un’altra.

 

Ero ad una festa, di quelle in casa, ma simile ad una in discoteca. Era la festa di carnevale, ma fatta l’otto maggio, quindi tutti i ragazzi avrebbero dovuto vestirsi da donna. Alla fine, su quindici, solo uno ne aveva avuto il coraggio. Stavamo aspettando gli ultimi due, che in teoria avevano rispettato la regola del costume, quando suonarono al cancello. Da lontano – la mia vista non è mai stata messa bene – avevo visto quelle che sembravano due, ehm, prostitute. “No, non possono essere loro. Le avranno chiamate i vicini.” Dissi alla padrona di casa, che concordò con me, dato che il cancello era uno per tutta la via. Magari quei due erano rimasti indietro.

Fu quando uno si mise a saltellare e a gridare: “Heidi! Heidi! Le caprette ti fanno ciao!” che capimmo che sì, erano loro.

 

Mi ricordavo benissimo quante risate, quella sera, ci avevano strappato quei due matti. Ogni volta che vedevo qualcuno saltellare, mi veniva in mente lui che cantava Heidi. Mi misi a ridere da sola. “Perché ridi?” mi chiese Luke. Manuela mi guardò storta. “Tu pensi ancora a Svetly e Uga?!” mi chiese. Io risi di nuovo mentre annuivo. “Svetly e Uga?” Luke era sempre più confuso. Manuela gli spiegò tutto. “Poi quando abbiamo chiesto i loro nomi uno ha fatto un piccolo inchino e ha detto con voce tutta affettata e acuta: Svetlaaana! L’altro ha fatto lo stesso, poi ha detto con la voce di King Kong: Ugaaa! Dovevi esserci, erano una cosa fantastica, hanno fatto le cubiste per tutto il tempo, era troppo divertente!” spiegò. Luke era a metà strada fra il divertito e l’attonito. “Ridete, ridete, io intanto parlavo con Sara. Sapete che fra sei mesi c’è un’altra festa?” chiese Carol. Io e Manuela ci illuminammo, Luke aggrottò la fronte. “Fra sei mesi? E lo sapete adesso?” chiese Ashton. “Sì, ci dava sempre un larghissimo preavviso. Abbiamo saputo di quella della fine della scuola ad Halloween” spiegai. “Tema?” fece invece Manuela. “Cantanti famosi” disse Carol. Io esultai, aspettavo quella festa – avevo dato io l’idea – dalla prima liceo. “Mi dispiace di non poter venire, avrei voluto vedervi” fece Madison. Carol fece una faccia strana, quella di quando escogitava qualcosa. “Peccato che abbia già fatto carte false per cinque posti in più…” disse con fare diabolico. Esultammo. “Perfetto, allora sappiamo cosa faremo fra sei mesi” disse Calum. Ridacchiammo, la sua frase sapeva tanto di presa in giro.

 

Arrivammo a casa nostra, dove Carol e Ashton si chiusero in cucina. “Però preparate da mangiare, non fate altro!” fece Madison, affamata. “Certo!” fece Carol. La sua parola venne soffocata da quello che con ogni probabilità era un bacio. “Mangeremo domani sera” dedussi io. Luke non disse niente, stava sistemando le corde della sua chitarra. Era davvero bella e la trattava con una cura inimmaginabile. Non avendo niente da fare, andai al piano di sopra e accesi il computer. Andai subito su Internet, una playlist che avevo trovato tempo prima. “Come si chiamava?” mi chiesi da sola. Provai a digitare “Gothic Metal”, senza trovare ciò che cercavo. “Ascolti gothic metal?” mi chiese Luke alle mie spalle. Io sussultai, non mi ero accorta della sua presenza. “Mi hai fatto prendere un infarto” dissi, mentre si sentivano le prime note di Bring me to life. “Mi piacciono gli Evanescence” dissi poi, chiudendo gli occhi. “Sì, non sono male” fece Luke, avvicinandosi alla tastiera. “Posso?” chiese. Io annuii e lo vidi digitare: “Evanescence – My Immortal”.

“Com’è che hai scoperto il Gothic Metal?” mi chiese. “Non so. Ho avuto un periodo in cui ascoltavo solamente canzoni tetre, e mi è passata fra le mani la musica di Forgotten. Ero ipnotizzata, quindi ho cercato un genere che potesse assomigliarci. Su internet ho letto del Gothic Ambient e ho provato, ma non faceva lo stesso effetto, era troppo tranquillo. Poi ho visto una copertina degli Evanescence e ho indagato, ho visto che il loro genere è più che altro Gothic Metal e ho fatto ricerche. Ho letto ogni cosa che ho trovato e ho visto che corrispondeva perfettamente a quello che cercavo” spiegai. “Mi sono perso al Gothic Ambient” mi disse Luke dopo qualche secondo, leggermente imbarazzato. Io mi misi a ridere, mentre lui faceva partire My Immortal. Era davvero bella, quindi alzai il volume. Sentimmo dei passi frettolosi sulle scale e Manuela apparve da noi. “Oddio io vi amo, questa canzone la stavo cercando ovunque!” esclamò, lanciandosi di peso sul mio computer per leggere il titolo. Io mi misi a ridere. Luke mi fece cenno di andare e io lo seguii. Uscimmo di casa, attraversammo la strada e ci ritrovammo al parco. Uno dei tanti vantaggi di vivere di fianco ad uno spazio verde. In poco, ci ritrovammo da soli, al buio, in mezzo all’erba. “Sai che al matrimonio volevo proporti di ballare?” mi chiese. Io arrossii. “Ma poi sei sparita, e ci siamo ritrovati a giocare per i corridoi” disse con un sorriso. Divenni ancora più paonazza. Lui tirò fuori il cellulare e da esso uscirono le note di Bring me to life. “Quindi, ti va se proviamo ora?” chiese poi sorridendo speranzoso. Il suo sguardo così luminoso mi fece distendere in un sorriso. Accettai, mentre d’istinto le parole venivano fuori dalle mie labbra.

 

How can you see into my eyes

Like open doors?

Leading you down into my core

When I’ve become so numb

Without a soul

My spirit is sleeping somewhere cold

Until you find in there

And lead it back home.

 

Lui ridacchiò e mi prese una mano.

 

Wake me up.

 

Cantò solo. Sapeva bene che avrei continuato, e infatti fu così.

 

Wake me up inside

(I can’t wake up)

Wake me up inside

(Save me)

Call my name and save me from the dark

(Wake me up)

Bid my blood to run

(I can’t wake up)

Before I come undone

(Save me)

Save me from the nothing I’ve become.

 

Mentre cantavamo, ci eravamo messi a ballare quello che doveva essere un’imitazione di un misto fra valzer, tango e altri balli che non sapevo identificare. Ci venne da ridere. Finimmo la canzone con un casqué, che ci vide entrambi a terra. Cadde sopra di me, mozzandomi il fiato. “Stai bene?” mi chiese allarmato. Io annuii, rialzandomi. Era caduto proprio su un punto del petto non particolarmente simpatico, faceva male. Cercai di dissimulare il dolore per non farlo preoccupare. Lui mi abbracciò. “Scusami” mi disse, lasciandomi un piccolo bacio sulla curva del collo, dove sapeva che mi faceva impazzire. “Tutto ok, davvero” lo rassicurai. Lui rimase qualche secondo in silenzio, poi: “Guarda in alto” mi disse. Io obbedii e rimasi senza fiato: il cielo era nero, senza una nuvola, e le stelle si vedevano benissimo, chiare e luminose. Mi abbracciò più forte. Abbassai lo sguardo verso di lui e vidi che sorrideva, guardandomi. “Cosa c’è?” chiesi. “Le stelle si riflettono nei tuoi occhi, sembrano brillare insieme a loro” mi sussurrò. Io arrossi e abbassai lo sguardo. “È quando guardo il cielo che mi sento così… piccola” dissi poi. Lui rimase in silenzio qualche secondo e mi prese il viso fra le mani. “Tu non sei piccola. Sei la mia piccola, e sei bellissima” mormorò prima di baciarmi.

 

*Angolo autrice*

Mi scuso per il capitolo orribile

Ecco il cielo che vedono

Grazie a tutti quelli che recensiscono e mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate, grazie davvero <3 <3 <3

Ciao a tuttii

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Capitolo 13
*** I love you ***


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I love you.

La mattina dopo, ricevetti una nuova lettera, sempre da Emmaline. Sistematicamente, finì insieme alle altre sul ripiano dietro al cigno di vetro senza nemmeno essere aperta. Non ero pronta, continuavo a ripetermi. Ma lo sarei mai stata?

Mentre mi stavo vestendo, ricevetti un messaggio da Luke: “Ciao piccola, come stai?” sorrisi e digitai in fretta un: “Bene, tu? <3”

“Benissimo <3 preparati, oggi usciamo :)”

“Non lo facciamo ogni giorno??”

“Sì, ma stavolta siamo solo noi due <3”

A quelle parole, il mio cuore accelerò. Mi piaceva l’idea di passare del tempo da sola con lui. “Un indizio? <3”

“C’entra la casa degli specchi <3”

“Il Luna Park?!”

“Esatto piccola ;)

Esultai, preparandomi in fretta. Adoravo quel posto. Presi una borsa a tracolla minuscola e ci misi dentro giusto il portafoglio e il cellulare, più altri beni di prima necessità. A volte mi spaventava il fatto che in quella borsa così piccola potessero entrare più cose che in quella grande, ma questo era uno dei tanti super poteri del genere femminile.

Suonarono al campanello e io corsi di sotto. “Coco, è Luke!” urlò Carol per farsi sentire. Non fece in tempo ad aprire la porta, che io ero già fuori, fra le braccia di Luke. “Pinguino!” esclamai. Luke si mise a ridere. “Da dove viene questo soprannome?” mi chiese. “Non lo so, ma mi piaceva” feci io con noncuranza. Lui rise di nuovo. “Ok, ok” concesse poi. “Andiamo, piccola?” chiese. Io annuii, ma non accennai a staccarmi da lui. Lui ridacchiò. “Vuoi la guerra!” dedusse poi. Mise un braccio sotto le mie gambe e mi sollevò a principessa, facendomi ridere. “Luke, mettimi giù!” feci. “No!” rispose lui. Mi portò verso la macchina di Ashton – che avevamo preso in ostaggio per l’occasione – e mi sistemò sul sedile, dandomi un bacio a stampo sulle labbra. Era così tenero, quando faceva così!

“Coco, mi lasci?” chiese. Io scossi la testa, saldamente aggrappata al suo collo. “Koala, dobbiamo andare!” esclamò. Io ridacchiai, decisa a non lasciarlo. “Piccola?”

“Sì?”

“Se non mi lasci, non si va al Luna Park” mi disse con un sorriso furbo. Io lo lasciai subito, sistemandomi sul sedile. Lui scoppiò a ridere. “Su, su, su!” esclamai, elettrizzata. Lui ci mise apposta un sacco di tempo prima di partire, tanto che io misi su un broncio offeso che lo fece sorridere. “Coco, mi guardi?” mi chiese. Io scossi la testa e lui mi slacciò la cintura di sicurezza, per poi attirarmi sulle sue ginocchia. Iniziò a lasciarmi piccoli baci sul collo, che mi fecero sciogliere. Accidenti, ero troppo vulnerabile. Non poteva farmi capitolare con un semplice bacio, non andava bene! “Coco?” mi chiamò di nuovo, dolcemente. Decisi di ignorare quei piccoli brividi che partivano lungo la mia schiena ad ogni sua parola: ero offesa – o almeno tecnicamente – e per una volta volevo rimanerlo. Era più che altro una sfida con me stessa, che durò poco: lui infatti, voltò il mio viso con un dito e mi diede un lungo bacio a stampo. “Ora mi parli?” chiese. “Solo quando arriveremo al Luna Park” feci io. “Hai parlato.”

“Ma non vale! Era per avvertirti!”

“Hai parlato di nuovo!” fece con un sorriso divertito. Io feci un verso di disapprovazione e mimai il chiudermi la bocca con una cerniera. “Ok, ok, andiamo” disse lui ridendo.

 

Arrivammo al Luna Park dopo circa una ventina di minuti. Io mi fiondai subito giù dall’auto mentre era ancora in movimento per parcheggiare. “Coco, non farlo più!” esclamò Luke contrariato. Io non risposi e iniziai a saltellare sul posto appena vidi le montagne russe. Ero troppo eccitata, il Luna Park mi faceva questo brutto effetto. “Vuoi stare ferma?!” mi chiese Luke ridendo. Io scossi la testa. “Dove andiamo per prima cosa?” chiesi. Lui seguì il mio sguardo. “Non so perché ma il mio istinto mi dice che vorresti andare sulle montagne russe” fece. Io mi misi a ridere. “Istinto o sguardo?”

“Un po’ entrambi.”

“Stai imparando a leggere le persone pure tu, eh?”

“No, riesco solo a leggere te” mi disse, circondandomi la vita con un braccio. Io appoggiai la testa alla sua spalla, crogiolandomi in quel momento di coccola. Ad un certo punto, vidi una cosa che mi fece trasalire. Presi dalla borsa i miei occhiali da vista – eh già, da lontano ero una talpa – e li inforcai in fretta. Luke mi guardò e trasalì. “Quando te li sei messi?! Un attimo fa non ce li avevi!” fece stupito. “Quelli non sono Manu e Michael?!” chiesi io invece. Lui seguì il mio sguardo e rimase a bocca aperta. “Sì!” fece poi. Io non dissi niente e lo trascinai più vicino alla coppia. I due erano su una panchina, abbracciati, che si scattavano una foto tenendo un enorme peluche di un elefante in mezzo a loro. Il peluche in questione reggeva un cuore rosso e paffuto con scritto I Love You. “Quanto sono teneri!” esclamai. Lui annuì, mentre ci appostavamo dietro lo stand dello zucchero filato. Un momento. Stand dello zucchero filato?! In un istante, il problema del nascondersi divenne superficiale: ero già in fila. Luke mi guardò stranito. “Coco.”

“Sì?”

“Non dovevamo nasconderci?”

“Certo.”

“E perché sei allo stand dello zucchero filato?” mi chiese. Io sorrisi, mentre l’uomo al di là del carrello mi consegnava la mia nuvola di zucchero filato. “È la mia copertura!” esclamai, portandomi lo stecco davanti al viso. “Così si può camminare da nascosti!”

“E come fai a vedere loro?” mi chiese subito lui. Io tentennai. “Questi sono solo dettagli!” feci poi con sussiego. “Non ci avevi pensato.”

“Nemmeno un po’!” ammisi ridacchiando. Lui si mise a ridere e mi rubò un pezzo di zucchero filato. “Ladro!” lo accusai subito, possessiva, facendolo ridere ancora di più. “Dai, è tanto buono!” fece con faccia da cucciolo. Aiuto, non potevo resistere. Questo era giocare sporco, ma davvero sporco.

 

Dieci minuti dopo, avevamo deciso di lasciare un attimo Manuela e Michael da soli e ci eravamo diretti verso le montagne russe, dopo aver finito lo zucchero filato. Il mio problema: quando le vedevo, avevo l’adrenalina al massimo, poi sopra mi prendevo un infarto ad ogni scossa, immaginando il vagone che si stacca dal binario e viene lanciato a terra. Quando salimmo, ero nervosa, come al solito. Luke lo notò e mi strinse la mano. “Piccola, tutto bene?” mi chiese. Io annuii, poco convinta. “Hai paura?” mi chiese poi, capendo il mio stato d’animo. “Va tutto bene, poi mi passa” lo rassicurai. Lui mi circondò nuovamente la vita, come se non riuscisse a lasciarmi per nemmeno un secondo, e io gliene fui grata. Quando il vagone partì con uno strattone, involontariamente sussultai. Lui ridacchiò e mi diede un bacio sulle labbra, sussurrando un: “tranquilla” a mezza voce.

Risultato? Quando ci fermammo, io feci un salto per aria, entusiasta ed elettrizzata, con l’adrenalina che mi scorreva a fiotti nelle vene e mi inebriava il cervello. “Rifacciamolo!” urlai. Luke mi prese la mano e mi trascinò via, pallido come un fantasma e rigido. “Non ci penso nemmeno!” mi disse. Io scoppiai a ridere. “Hai paura?” chiesi, imitando il suo tono di prima. Lui annuì in fretta e io lo abbracciai. Mi piaceva stare fra le sue braccia. Era una mia impressione, sicuramente, ma mi sembrava che il mio corpo fosse fatto apposta per perdersi nella sua stretta. Era una sensazione stupenda, sentirsi così protetta, che non credevo di poter mai provare.

“Coco, voltati molto lentamente” mi disse lui, dal suo tono capivo che stava sorridendo. Io obbedii e la scena mi fece esclamare un: “Aw!” intenerito: Michael e Manuela erano seduti su un muretto, a baciarsi dolcemente, il peluche abbandonato di lato. Erano così dolci, si vedeva che erano innamorati. Ad un certo punto, scesero dal muretto e andarono verso la ruota panoramica. Michael teneva un braccio attorno alle spalle di Manuela, lei invece avvolgeva il suo attorno alla vita di lui, appoggiandosi con la testa alla sua spalla. “In quella posa si vede proprio quanto sono innamorati” commentò Luke. Io sentii un tuffo al cuore alle sue parole.

Forse non se ne era reso conto.

Ma noi eravamo esattamente nella stessa posizione.

 

“Dove andiamo?” chiesi io. Per un po’, avevamo deciso di lasciare un pizzico di privacy a Michael e Manuela, per dedicarci al Luna Park. “Prima hai scelto te, adesso tocca a me” decise Luke. Io acconsentii e lui mi portò fino ad una di quelle giostre che girano così veloce che si fa fatica a rimanere attaccati al sedile. “Bellissimo!” esclamai io, ancora esaltata.

Quando ci salimmo, lui mi fece mettere verso l’interno. “Così non ti schiaccio” mi spiegò. “Però ti schiaccerei io” gli feci notare. “Una volta, al tuo posto, c’erano Ashton, Michel e Calum, e non sono morto. Quindi, posso reggere qualsiasi peso” mi disse ridacchiando. Io dovetti acconsentire: arrivò il controllore che chiuse il nostro vagoncino.

Mentre la giostra andava, io mi dovetti sforzare per tenermi aggrappata alla sbarra di fianco a me. Mi veniva da ridere, sentivo i piedi che lottavano per non staccarsi da dove li avevo puntellati e tutto il mio corpo sembrava voler schizzare fuori dal vagoncino. Luke non era messo meglio, ma almeno si poteva appoggiare al bordo. Ad un certo punto, mi voltai verso di lui e lo vidi con un sorriso diabolico dipinto sul viso. “Cosa vuoi fare?” chiesi allarmata. Lui, in tutta risposta, iniziò a farmi il solletico. “Luke!” urlai, divincolandomi in preda alle risate. Dopo pochi secondi, mi arresi e abbandonai la presa sulla sbarra. Finii di peso su di lui, che fu pronto a sorreggermi. Lo vidi sorridere, soddisfatto di aver raggiunto il suo obiettivo, mentre mi stringeva forte.

Poteva sembrare stupido, ma così, non avevo più paura di cadere.

 

Circa tre ore dopo, tornammo a casa. Trovammo i ragazzi già lì, compresi Michael e Manuela. “Dov’eravate?” ci chiesero. “Al Luna Park.” Dicemmo con nonchalance. Loro sgranarono gli occhi. “E voi?” feci con fare innocente. “Ehm… al centro commerciale!” disse Manuela in fretta. Io e Luke ci trattenemmo dal ridere. Luke si avvicinò al mio orecchio. “Non dire niente dell’ananas!” mi sussurrò. Io annuii: al Luka Park, avevamo comprato due spiedini di ananas ricoperti di cioccolato bianco e cioccolato al latte. Ne avevamo assaggiato un pezzo, ma ci si era sciolto in mano il cioccolato, quindi avevamo deciso di portarlo a casa e metterlo in frigo. Era comunque strepitoso.

Mentre Luke andava in cucina, Ashton mi si avvicinò. “Posso parlarti? In privato?” mi chiese. Sembrava serio. Io annuii incerta e ci dirigemmo al piano di sopra, in camera mia. “Ti piace Luke, si vede. Ma devo chiederti una cosa” iniziò lui. Io acconsentii di nuovo, senza sapere cos’altro fare. Lui si sedette di fianco a me. “Sai, vero, che una volta entrata in questa storia, non potrai più uscirne?” mi chiese. “Quale storia, scusa?”

“Una volta che conosci Luke, che diventi sua amica. Non puoi più tornare indietro” mi spiegò. Io ridacchiai. “Nel senso che, una volta che ci faccio amicizia, diventa una specie di vampiro succhia sangue che mi prosciugherà?” chiesi. Lui rise sotto i baffi. “No. Nel senso che, appena lo conosci, non riesci più a liberarti di lui. Diventi dipendente dell’affetto che ti ispira. Diventi dipendente da lui. Fidati, io non riesco più a farne a meno” mi spiegò, con un lieve sorriso. Io sorrisi a mia volta e mi alzai. “Grazie del consiglio, Ash. Ma sono già troppo dentro per uscirne, anche se lo volessi” dissi solo.

 

“Coco, andiamo?” mi chiese Luke. “Dove?” feci io. Non era ancora stanco? Dopo più di quattro ore passate in giro, il mio unico desiderio era di andare in letargo per il resto della giornata, ma lui doveva essere a pile nucleari. Non avevo altre spiegazioni.

“Niente domande!” ribatté lui raggiante, prendendo la mia mano e portandomi verso la macchina. Salutammo gli altri e io mi strinsi ancora a lui. Sembrava bisognoso di contatto fisico, come se il tenersi stretto a me lo facesse sentire sicuro.

Perfetto, dato che era la stessa cosa che sentivo io.

 

Capii subito dove stavamo andando appena mi resi conto che quella strada l’avevo già percorsa. Mi aprii in un sorriso enorme. “Hai capito dove siamo?” mi chiese Luke sorridendo impaziente. Io annuii al settimo cielo.

Anzi, non ero ancora al settimo cielo. Prima avevo le scale del grattacielo da fare.

Come avevo capito, parcheggiò davanti al grattacielo dove ci aveva portato Madison. “Tu oggi vuoi farmi morire!” dissi, emozionata. Non potevo aspettare per provare di nuovo tutte quelle sensazioni. Lui ridacchiò e si strinse ancora a me, mentre aprivamo la porta dimessa del grattacielo, facendo attenzione ad evitare i vetri rotti e tutto il resto. Salimmo in fretta le scale, tanto che quando arrivammo alla fine avevamo il fiatone. “Prima o poi dovremo vedere se l’ascensore è ancora agibile” dissi fra un sospiro e l’altro. Lui concordò, mentre la vista mi catturava di nuovo. Era sempre uno spettacolo unico, ogni volta che guardavo notavo qualcosa che prima mi era sfuggito. Luke si affacciò dal muretto, come avevamo fatto l’altra volta, imitato da me. Notammo un punto del bordo su cui era possibile sedersi senza rischiare di cadere. Luke ci si avvicinò subito, mentre io ero più titubante. “Luke, soffro di vertigini” dissi inquieta. “Eppure prima non avevi problemi” fece notare lui, confuso. “È che sapere di avere una ringhiera davanti mi calma. Invece lì potrei prendermi un infarto” risposi. Lui non obiettò e scese dal muretto, per poi sedersi al centro del tetto. “Vieni?” mi chiese. Io mi avvicinai subito, sparendo fra le sue braccia. Lui mi alzò il mento con un dito e mi baciò teneramente, bacio che io ricambiai subito, approfondendolo. Ci ritrovammo stesi a terra, ma non importava molto a nessuno dei due. Quando ci staccammo, il nostro sguardo finì sul cielo. Era ancora azzurro, ma le nuvole erano tinte di mille colori caldi a causa del Sole, che si stava lentamente tuffando dietro l’orizzonte. Dire che era bello era riduttivo.

“Coco?”

“Sì?”

“Ti capita mai di tenerti qualcosa dentro, qualcosa che vorresti gridare al mondo ma hai paura di sapere come potrebbe reagire?” mi chiese. Io trasalii impercettibilmente, prima di annuire. “E cosa fai, quando non riesci più a tenerlo dentro?” mi chiese di nuovo. Io feci spallucce. “Diventa inchiostro su un foglio bianco” dissi io. “Quante pagine hai scritto, così?”

“Tante. Circa sette quaderni di sfoghi.”

“E dopo ti senti meglio?”

“Non del tutto… rimane sempre qualcosa, di cui non riesci a liberarti” risposi. Luke rimase in silenzio un attimo. “Che ne dici se adesso lo urliamo al mondo?” mi domandò poi. Io annuii e ci alzammo. Sapevo già cosa volevo urlare: quanto mi mancava mia sorella, quanto sentivo un pezzo di cuore sbriciolato da quando non mi aveva riconosciuta. Volevo gridare tutto questo, ma avevo bisogno di trovare le parole giuste. Alla fine, mi sporsi, presi fiato e urlai semplicemente: “Mi manchi, Emma!”

Luke mi guardò e mi strinse una mano. “Questo volevo dirlo da un po’. Ma non ne ho mai trovato il coraggio.” Si sporse, fece per prendere fiato… ma si bloccò. Sembrava paralizzato.

“Oh, al diavolo questa idea!” sbottò poi, avvicinandosi a me e baciandomi.

“Ti amo, Coco” soffiò sulle mie labbra quando si staccò.

Io rimasi immobile, col cuore che sembrava voler balzare fuori dal petto. Lui mi guardò titubante. “Ecco, non dovevo dir…”

Non fece in tempo a finire. Io avevo già catturato di nuovo le sue labbra, in un bacio dolce. “Anche io ti amo” dissi solo. Lo sentii sorridere nel bacio, mentre ricambiava. Interruppe il nostro bacio e sussurrò: “Ti amo – mi baciò sul naso – ti amo – sulla guancia – ti amo – sulla fronte – ti amo – sullo zigomo – ti amo – sulle labbra – e ti amo. Finalmente l’ho detto.” Io sorrisi ancora, mentre una piccola lacrima mi bagnava il viso.

Non poteva essere vero.

Eppure, se quello era un sogno, avrei ucciso chiunque avesse osato svegliarmi.

Mormorai un nuovo: “Ti amo” sulle sue labbra, prima di baciarlo di nuovo.

Finalmente, mi ero liberata di quelle parole.

Finalmente, mi sentivo davvero bene.







*Angolo autrice*
sorry per il capitolo orribile e in ritardo
ecco il peluche
ciao a tutti!!
Ranyadel

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Capitolo 14
*** remember when ***


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Remember when

Mi svegliai avvolta in un tenero abbraccio. Sorrisi quando aprii gli occhi e mi ritrovai davanti a Luke, che dormiva. Le parole della sera precedente echeggiavano ancora nelle mie orecchie e non sembravano intenzionate ad andarsene. Per fortuna, perché non intendevo lasciarle andare facilmente.

Tentai di svegliarlo con un piccolo bacio sulla fronte. A dire il vero, ci misi un po’ di più, tanto che per un attimo considerai l’idea di lasciarlo dormire in pace. Guardai l’orologio, erano le sette e mezza. Mezz’ora dopo sarei dovuta essere al lavoro, dopo tanto tempo, così mi alzai, facendo attenzione a non svegliarlo. Di solito riuscivo subito, quindi, se non si svegliava, significava che era davvero stremato. Mi vestii in fretta e scesi al piano di sotto, dove trovai Manuela e Carol già in piedi, che sorseggiavano caffè. “Giorno!” dissi, mentre mi avvicinavo al ripiano di marmo, dove la sera prima avevo lasciato in infusione il mio tè di karkadè. “Io l’ho sempre detto, che sei una vampira!” mi disse Carol quando mi vide bere il liquido rosso. Ridacchiai, mentre cercavo i miei biscotti, e sottolineo miei. Sentii dei passi sulle scale e Luke fece la sua entrata in cucina, assonnato. “E tu che ci fai qui?!” esclamò Manuela, attonita. Io e lui ci mettemmo a ridere. “Ho dormito qui, siamo tornati tardi ed eravate già a letto” spiegò. “Si spiega tutto” disse Carol con un risolino. Io mi fiondai fra le sue braccia. “Ciao, amore!” mi sussurrò. “Amore?! What?!” fece Carol. “Ok, ne parliamo dopo!” liquidai in fretta la sua domanda. Andammo in sala, dove potevamo stare da soli. Lo baciai dolcemente, ancora avvolta fra le sue braccia. “Perché in piedi così in fretta?”

“Dobbiamo andare al lavoro.”

“Me ne ero dimenticato” mi disse.

 

Circa un’ora dopo, eravamo in negozio. Luke ci aveva lasciato da sole, dicendo di avere un impegno. In effetti, era meglio, per la mia attività: non mi sarei concentrata, con lui.

Accesi il computer, dato che non avevo niente da fare, e inserii la chiavetta che mi portavo sempre dietro. Iniziai a curiosare nelle foto, trovandone molte che non ricordavo nemmeno di avere. Ad un certo punto, trasalii: avevo trovato una foto di me ed Emma da piccole. Avevo dieci anni, lei tredici, ed eravamo al parco, dove ci divertivamo a fare ghirlande di fiori. Subito dopo quella foto, un video di lei che, utilizzando un filo d’erba, fischiava e poi scoppiava a ridere. Mi vennero le lacrime agli occhi. Feci scorrere le foto in fretta, mentre i ricordi mi invadevano. Mi scappò un singhiozzo. “Dio, Emma, mi manchi…” dissi con voce rotta. Sentii il campanello e mi asciugai in fretta le lacrime. Era Luke. “Ciao piccola, come… Coco, perché piangi?” mi chiese subito. “Niente, tranquillo” feci, senza crederci davvero. Lui aggirò il bancone, in tempo per vedere una foto recente di Emmaline. “Aspetta un momento, chi è lei?!” mi chiese. “Emmaline, perché?” domandai confusa. Lui sgranò gli occhi e imprecò. “Luke?” feci di nuovo. “C’è un problema” disse, preoccupato. “Cosa succede?” chiesi di nuovo. “È… in città. L’ho vista prima.” Io mi sentii morire. “Sei sicuro?!” chiesi. Lui annuì. “Era lei, davvero” rispose. Io schizzai in piedi. Senza pensarci, uscii dal negozio. “Coco, aspetta!” urlò Luke dietro di me. Io non lo sentii, ero troppo impegnata a cercare Emmaline. La gente si scansava al mio passaggio, spesso urlandomi dietro. Io continuavo a prendermi storte sui tacchi, nonostante essi fossero bassi.

Improvvisamente, mi fermai, sdrucciolando sul marciapiede.

Ero incoerente. Prima scappavo da Emmaline e da tutto quello che mi legava a lei, rifiutandomi di leggere le sue lettere e di scriverle, o chiamarla. Cercavo di tagliare tutti i contatti con quella sorella che di simile a me aveva solo gli occhi azzurri e i capelli biondi.

E in quel momento, correvo a cercarla, come se da questo dipendesse la mia vita.

“Ma che sto facendo?” mi chiesi presa dallo sconforto. Mi guardai attorno, notando di essere a due passi da casa mia. Il mio cervello era completamente spento, quindi i miei piedi mi avevano riportato a casa. In quel momento, li ringraziai.

Mi diressi verso casa mia, entrai e mi chiusi la porta alle spalle. Poi, attratta da quella forza che mi aveva fatto correre fino a quel momento, mi sdraiai a terra. non avevo saputo resistere, così come non seppi resistere alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, singhiozzi tanto insensato quanto inarrestabili. E non sapevo nemmeno perché piangevo.

Improvvisamente, il mio sguardo finì su di loro. Sulle tre lettere di Emma. Quanto tempo ero scappata da quelle parole? Quanto mi sembravano insormontabili?

Eppure era l’unico modo per sapere cosa stava succedendo. Perché Emmaline era in città? Non capivo.

“Oh, al diavolo!” esclamai, alzandomi di scatto e prendendo le lettere. Mi asciugai le lacrime con il bordo della manica, per non rischiare di bagnare le pagine, e aprii la più vecchia. Presi un gran respiro. Mesi di fuga, per poi ridurmi a quel punto. Ormai non potevo più tirarmi indietro. Riconobbi subito la sua scrittura rotondeggiante e disordinata. Scriveva ancora in stampatello, come quando elaboravamo le nostre storie insieme.

Ciao Coco,

Come stai? Lo so, è una domanda stupida. Eppure la mia psicanalista dice che è normale iniziare così, e dato che sto cercando di tornare una persona normale, non so. Mi sembrava sensato, anche se adesso mi rendo conto che mi sbagliavo.

Come sto io? Uno schifo. Perché circa un’ora fa sono uscita dalla mia ennesima crisi e mi sono ricordata quello che è successo. Tu sei entrata nella mia camera, nella mia prigione d’oro, con Manuela e Carol e… e io non ti ho riconosciuto. Ti ho urlato contro, gridando di andare via, e ho visto le lacrime nei tuoi occhi. Come se ti avessi spezzato il cuore. È andata così, vero? Non è solo un’altra delle mie visioni, vero?

Non so distinguere la realtà dalle visioni. Tutti dicono che sto migliorando, ma non ci credo nemmeno io.

Mi sento un mostro, un fenomeno da baraccone. E la cosa peggiore è che ti ho allontanato. Ho paura che tu mi odi. Che tu non voglia più vedermi.

Ho bisogno di te, Coralie. Anche se forse non posso essere considerata più una sorella, per tutto quello che ho fatto… ti prego, ti scongiuro in ginocchio, non escludermi dalla tua vita. Non lo sopporterei. Mi sento così male… la psicanalista dice che non è colpa mia, ma non riesco a pensare ad altro che al tuo sguardo. Compare nelle mie visioni, nei miei sogni, dappertutto. E non riesco più a sopportare la consapevolezza di averti fatto del male.

Ti ricordi quando eravamo bambine, che andavamo sempre al parco dietro casa? Tu eri piccola, avevi cinque anni, quindi probabilmente non ti ricordi cosa è successo, ma io sì. Il giorno prima aveva piovuto e c’era del fango. Tu sei inciampata e sei finita in una pozza, con la tua tigre di pezza, che si è graffiata e sporcata, e tu eri disperata, pensavi solo a lei, senza capire che eri tu quella più sporca e graffiata, con le mani e le ginocchia sbucciate. Sei andata alla fontana e hai lavato la tua tigre, Daina, fino a quando non è tornata quasi come nuova, tranne quel graffio che dopo mamma ha ricucito. E tu eri felice, mentre abbracciavi quel pupazzo fradicio e con una zampa graffiata, perché sapevi di aver fatto il possibile per farlo tornare come prima, e sapevi anche che nonostante tutti i lavaggi o tutte le volte che l’avresti ricucito quell’episodio sarebbe rimasto, ma non ti importava. Eri felice di quello che avevi raggiunto con le tue forze. Avevi lavorato tanto per guarire quel tigrotto bianco, e dopo averlo lavato hai continuato a giocarci, felice, ed io non capivo, perché tu eri ancora sporca di fango, ma non te ne importava.

Ora invece credo di aver capito, e spero di non sembrare presuntuosa se provo a paragonare quella tigre a te e la Coralie bambina a me. Ci ho gettate nel fango, ma non mi importa di me. Voglio solo ripulire te di quello che ti ho lasciato, anche se so che ti ricorderai per sempre, perché il cuore si può guarire, mentre i ricordi rimangono. Spero solo che tu mi possa perdonare se ti ho tirato nel fango con me. Voglio fare tutto perché almeno tu possa uscirne, perché sei troppo importante, troppo pura, per affondare con me.

Perdonami,

Emmaline.

Quando finii di leggere, le lacrime avevano invaso di nuovo il mio viso. Accarezzai quelle pagine, come se potessero riavvicinarmi alla sorella che avevo deciso di perdere. Ricordavo quell’episodio, marchiato a fuoco nella mia mente come lo possono essere solamente gli episodi insensati, quelli che anni dopo ti fanno chiedere: “Perché ricordo questo e non qualcosa di importante?” per poi renderti conto che sono quei ricordi, quelli importanti, da conservare, e che nonostante tu non voglia essi rimangano. Aprii la seconda lettera.

Ciao Coco,

Dato che non hai risposto alla mia lettera, ho pensato di inviarti questa, sperando che tu non abbia ricevuto la prima, o che l’abbia letta senza rispondermi. Non riesco a pensare che tu possa averla ignorata… non ci riesco. È più forte di me.

Ricomincio. Come stai? Te lo chiedo sempre per via della psicanalista, che sta cercando di insegnarmi a tornare nel mondo normale. Sai, ormai sono una preclusa da anni. Precisamente, 1248 giorni. Lo so, sono pazza solo a contare i giorni che sono qui, ma così come i carcerati contano i giorni che mancano alla scarcerazione, io conto i giorni che mancano alla libertà. Questo posto non è tanto diverso da una prigione. Ho anche l’ora d’aria, sai? Da domani potrò uscire. Mi porteranno al parco. Sai, mi manca il guinzaglio e sono il cagnolino perfetto.

L’altra volta ti ho raccontato di quella volta al parco. So che forse fare un tuffo nel passato con me non ti importa, ma i ricordi fino ai quattordici anni sono le uniche cose che non mi tradiscono. Non sono alterati dalle visioni, e parlarne mi aiuta a concentrarmi sull’argomento senza divagare e perdermi nei miei pensieri. Come facevo nei temi.

Ti ricordi, quante volte la prof mi ha fatto rifare i temi? O quante volte tu mi riprendevi, mentre scrivevamo, perché perdevo di vista l’obiettivo? Ti ricordi quando volevamo diventare grandi scrittrici? Avevamo tante idee e ci divertivamo a svilupparle nei modi più strani.

Mi ricordo che tu odiavi quando proponevo di far separare una coppia. Mi dicevi ogni volta che l’amore vero è per sempre, e ti rifiutavi di far avere solo semplici storielle ai protagonisti. Volevi che comunque avessero qualcuno su cui contare, sempre. E io ridevo, dicendoti che indossavi ancora gli occhiali rosa, e tu non capivi. Te li ricordi, gli occhiali rosa? Quelli che fanno vedere tutto il mondo come un posto stupendo, dove l’amore trionfa sempre e non esistono le cose brutte. Quegli occhiali che hanno tutti i bambini, con gli occhi pieni di sogni e il cuore pieno di speranze. D’altronde, eri tu stessa una bambina, a undici anni.

Volevo dirti che ho finito di leggere “Look into my eyes”. È davvero stupendo, e comunque i tuoi personaggi non si separano. Sei sempre tu, in qualsiasi cosa fai. Non sei mai cambiata e, ti prego, non farlo mai. Sei già perfetta così.

Look into my eyes… come te. Mi ricordo che ti bastava uno sguardo per capire come stavo, così come a me bastava leggere le tue parole per capire il tuo stato d’animo. Eravamo speciali, da piccole credevamo di avere i superpoteri. Se ci penso mi viene da sorridere.

Ti prego, permettimi di dimostrarti che non sono cambiata. Che in fondo, sono ancora io, che la malattia non mi ha trasformata, che la vera me esiste ancora.

Ti prego, io sono ancora qui.

Emmaline.

Leggendo, mi venne da piangere ancora di più. Mi sentivo terribilmente in colpa per non aver dato una possibilità ad Emmaline. Mi resi conto solo in quel momento quanto mi fosse mancata. Aprii la terza lettera, incapace di mantenere le lacrime. Sarei esplosa da un momento all’altro.

Ciao Coco,

Dato che non hai risposto alle prime due lettere, credo che non ti importi più di me. Ti capisco, davvero. Eppure, non riesco a smettere di scriverti, è più forte di me. Ti prego di sopportarmi ancora per questa lettera, poi smetterò.

Non m’importa di iniziare con il “come stai?” che ho usato ultimamente. Ormai non voglio più fingere, sono malata e basta. Ci sono novità, però.

Ti ricordi quando sei stata male, a dodici anni? Avevi la febbre alta ed eri sempre giù di morale. Stavi sempre chiusa in casa, avevi male ovunque e non volevi farti vedere in giro. Poi ti ho obbligato ad uscire e sei guarita. Era solo l’aria fresca, che ti mancava. È stato questo a guarirti, ricordi?

Bene, lo stesso vale per me. La mia psicanalista ha notato che sono migliorata, dopo diverse uscite in mezzo alla natura. Le visioni sono diminuite, o comunque ho iniziato a rendermi conto quando potrebbero essere, appunto, visioni, oppure no. Quindi, hanno deciso di fare una prova. Mi fanno uscire, per un mese, ma dato che non saprebbero dove mandarmi, ho chiesto di poter venire da te.

Anche se non ti importa più niente di me, vorrei solo poterti vedere un’ultima volta, per potermi scusare. Poi troverò qualcosa da fare, probabilmente tornerò all’ospedale psichiatrico, eppure sto facendo carte false per poterti vedere. Sono patetica, ma ne ho bisogno, un bisogno vitale. Anche se tu, forse, non vuoi sentirmelo dire, sei mia sorella, e voglio dimostrare che sei importante per me. Vorrei tenerti lontano dai miei problemi, ma non posso fare a meno di aver bisogno di te. Ti prego, permettimi solo di dimostrare tutto quello che ho scritto, altrimenti sarebbero solo parole su tre fogli di carta.

Ti voglio bene,

Emmaline.

Quello fu ciò che mi fece esplodere. Ti voglio bene, aveva scritto. Era tanto, che non lo sentivo da lei, nonostante le sue parole. Scoppiai a piangere, mentre le mie lacrime bagnavano i fogli. Notai solo in quel momento altri segni di lacrime, che non avevo causato io. “Emma…” sussurrai in mezzo alle lacrime. Iniziai a singhiozzare, senza potermi trattenere.

Mi alzai e il mio sguardo si posò sullo specchio. Il mio riflesso era l’immagine di una ragazza distrutta, scossa dai singhiozzi, con gli occhi gonfi di lacrime e il viso paonazzo. Nei miei occhi si leggeva un sentimento strano, rimpianto e disperazione al tempo stesso, e…

Un momento.

Io non ero mai stata capace di leggere nei miei occhi.

Mi fiondai sullo specchio. “Emma”, dissi solo. Volevo premere i tasti neri del pianoforte nei miei occhi. Le iridi si accesero per un attimo, che mi bastò a capire.

Non ero arrabbiata con Emmaline, o delusa. Ero col cuore spezzato, certo, perché lei non mi aveva riconosciuta.

Ma non era colpa dell’odio, o del rancore, se mi ero tenuta lontana da lei.

Era solo colpa della paura, paura che potesse non riconoscermi di nuovo.

Paura, perché le volevo troppo bene per mettere di nuovo in gioco il mio cuore.

Mi strappai le lacrime dal viso con uno scatto. Ripensai alle lettere di Emmaline, a tutte le sue parole.

Dovevo trovarla.

 

Dieci minuti dopo, ero in città, che cercavo mia sorella. Eppure la città era grande, dove avrei dovuto cercarla? Decisi di provare con il parco, dati i suoi continui riferimenti alla natura. Avevo ragione: in lontananza, vidi i suoi capelli chiari. La sua figura era inconfondibile e mi resi conto quanto fosse vivo in me il suo ricordo. Anche se non me ne ero mai resa conto, Emmaline aveva occupato i miei pensieri e il mio cuore tutto quel tempo.

Forse fu a causa del mio sguardo fisso su di lei, che mia sorella si voltò. I nostri sguardi si incrociarono e in due secondi fu come se avessimo recuperato tutto quello che avevamo lasciato in sospeso. Era come un discorso interrotto, che poi viene ripreso con un: “Dove eravamo rimasti?”

Trattenendo un singhiozzo, corsi verso di lei. Affondai fra le sue braccia, inspirando il suo profumo così famigliare.

Era mia sorella e lo sarebbe sempre stata.

“Mi sei mancata” sussurrai con voce rotta.

La sentii tirare su col naso e sussurrare: “Anche tu, sorellina.”

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Capitolo 15
*** Forgotten. ***


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Forgotten.

Eravamo a casa, sedute sul divano, l'una di fronte all'altra. Dopo un primo momento al parco, eravamo calate nell'imbarazzo più totale. "Vuoi qualcosa da bere?" chiesi improvvisamente. Lei annuì. "Il solito?" feci di nuovo. Lei, stavolta, sorrise. Significava che mi ricordavo ancora di cosa le piacesse, non l'avevo dimenticata. Fra noi erano sempre stato piccoli gesti con grandi significati. Andai in cucina e presi il bollitore, mettendoci in infusione il tè che sapevo piacere ad Emmaline. Dieci minuti dopo, tornai, con due tazze fumanti. "Tè alla menta con due cucchiaini di zucchero. Ricordo bene?" chiesi. Lei annuì. "Tu invece sei ancora per la camomilla con un cucchiaio di zucchero?" chiese titubante. Aveva paura di sbagliare, lo sapevo, era tangibile nelle sue iridi azzurre e lucide, nella sua espressione contrita e indecisa e nelle pupille che schizzavano da una parte all'altra della stanza. La voce incerta era solo la conferma alle mie ipotesi. Mi venne in mente la prima volta che avevo visto Luke, in quel momento era simile al suo essere spaesato. Mi nacque un piccolo sorriso a ripensarci.

“Che cosa è successo durante questi anni?” chiese Emmaline. Io esitai, cercando di scremare le informazioni. “Qualche giorno fa Cristine e Daniel si sono sposati” dissi poi. La vidi immobile, la tazza a mezz’aria, la bocca leggermente aperta. “Sono… sono felice per loro” balbettò. Io sentii una morsa alla bocca dello stomaco, quasi stessi per vomitare. “Emma…”

“Non preoccuparti, non è colpa tua. Non mi avrebbero mai fatto uscire, soprattutto per andare in Francia” fece lei in fretta. “Se vuoi, puoi vederli” risposi. “E come?”

“Sono qui, in luna di miele.” A queste parole, Emmaline sembrò rischiararsi leggermente. “Se le cose sono così, vado a trovarli domani. Spero che non venga loro un infarto. Sai no, il fantasma di Emmaline che sbuca dal passato” fece con tono scherzoso. Io ridacchiai, squadrando mia sorella. Sembrava molto più formale rispetto ad altre volte, e allo stesso tempo elegante: portava una camicia bianca con pantaloni attillati neri e tacchi alti.

Io, con quei tacchi, non sarei nemmeno rimasta in piedi.

“Poi, che altro mi dici? Di Manuela e Carol, ad esempio?” m’incalzò Emmaline. Io feci per parlare, ma fui interrotta dalla porta di casa che veniva aperta, rivelando appunto le due, con Madison e i ragazzi. “Coco, sei in casa?” chiese Manuela prima di voltarsi e vederci. Impallidì. Carol, invece, imprecò dalla sorpresa. Luke era basito, gli altri solo confusi. Emmaline si ritrasse in quella che era la sua posizione difensiva: con le spalle leggermente portate in avanti. Come me. Dopo anni e anni, capivo al primo colpo gli atteggiamenti di chiunque. Come in prima liceo.

Eravamo Giorgia ed io, in classe. Io davo le spalle alla porta, lei di fronte a me. Ad un certo punto, lei piegò la testa, guardò prima alle mie spalle, poi me, poi di nuovo alle mie spalle, e sorrise incantata. “È passato lui!” dissi subito. “Si nota tanto?” mi chiese ridacchiando. Io annuii. “Fai sempre così” risposi sorridendo. “No ragazzi, io sono messa troppo male!” commentò Giorgia, facendomi ridere.

“Ciao ragazzi” dissi io subito, notando la tensione nella stanza. “Emma, ma che… che ci fai qui?!” chiese invece Manuela. “È complicato” fece mia sorella, alzandosi e posando la tazza. Carol e Manuela, dopo un primo momento di stupore, l’abbracciarono, ancora scosse, e Emmaline rispose con un lieve sorriso. Poi guardò gli altri e si voltò verso di me. “Chi sono? Li conosco?” chiese a bassa voce. Io scossi la testa e lei sospirò di sollievo. Luke si fece avanti. “Ti ho già visto” fece solo Emmaline, stringendo la mano che lui le porgeva. “Sì, ci siamo incrociati per strada poco tempo fa. Piacere, sono Luke, il ragazzo di Coco” disse con un gran sorriso. Emmaline sgranò gli occhi e io arrossii. “Dopo mi devi spiegare molte cose” mi sussurrò lei.

Quando si presentarono anche Ashton e Michael, dicendo di essere a loro volta i ragazzi di Carol e Manuela, Emmaline rimase spiazzata. “Sono rimasta troppo indietro” mormorò sconfortata. Calum e Madison si presentarono per ultimi.

Era una situazione strana e non sapevo come comportarmi. Luke se ne accorse e si accostò a me, stringendomi la mano dietro la schiena. “Che cosa faccio?” chiesi a bassissima voce, con tono quasi disperato, mentre Emmaline non mi guardava. “Non ne ho idea” mi disse chiaramente Luke. Lo guardai storto, in quel momento non era d’aiuto. “Scusatemi se sono così insicura, ma non sono più capace a presentarmi alle persone” disse Emmaline contrita. Eccola di nuovo, quella sensazione di morsa allo stomaco. Avevo la nausea. Strinsi la mano a Luke in modo spasmodico, quasi malato. “Se ti va, potremmo andare da Cristine e Daniel. Saranno felici di rivederti dopo tanto tempo!” disse Carol. Questo fu ciò che mi fece scoppiare. Dovetti correre in bagno, trattenendo un conato di vomito. Quando arrivai, mi chinai sul water. Penso di aver vomitato anche l’anima, dopo tutti gli organi. Mi sentivo svuotata, in ogni senso. Nella mia testa echeggiavano mille parole.

Dopo tanto tempo.

Non riesco a pensare che tu possa averla ignorata…

Ti prego.

Credo che non ti importi più di me.

Ti voglio bene.

Anche se non erano state dette con cattiveria, nella mia mente mi opprimevano accusatorie. Suonavano come la condanna a morte di un detenuto. Sembravano gridare a loro volta: colpevole!

L’avevo dimenticata, avevano ragione. Avevo voluto dimenticare mia sorella.

Ero un mostro.

E le voci continuavano ad incolparmi. Riecheggiavano nella mia mente, inesorabili, ripetendosi all’infinito, rimbombando, sussurrate ma allo stesso tempo insopportabili.

Ti ricordi?

Ho paura che tu mi odi.

È andata così, vero? Non è solo un’altra delle mie visioni, vero?

Ho bisogno di te.

“Coralie!”

Un attimo. L’ultima non era nella mia testa, forse. “Coco, svegliati!” fece di nuovo la voce estranea. Le altre si ritirarono in un angolino della mia mente, come avvoltoi che se ne vanno dalla carcassa, disturbati da un predatore, e aspettano solo di rimanere da soli di nuovo per tornare al loro banchetto. “Coco!” era lontana, ma stavolta la riconobbi. Era Luke, ed era terrorizzato. Improvvisamente, qualcosa di gelido si infranse contro il mio viso. Annaspai, tossendo, e aprii gli occhi. Manuela era sopra di me, di fianco a Luke, e aveva un bicchiere vuoto in mano. Mi sfiorai la faccia e la trovai bagnata, quasi certamente mi aveva rovesciato un bicchiere d’acqua addosso. Ero svenuta? Non ricordavo.

“Coco!” esclamò Luke, visibilmente sollevato. “È colpa mia?” chiesi, con le lacrime agli occhi. Mi guardarono confusi. “Coco, cosa succede?” chiese Manuela inginocchiandosi di fianco a me. Io scoppiai a piangere, senza sapere perché. “Coco?! Coco!” mi chiamò Luke, mentre io scivolavo di nuovo nell’oblio.

 

Mi svegliai in un letto d’ospedale. Non capivo come ci ero finita, ma ero troppo stanca per dire qualcosa, così mi limitai ad ascoltare le parole del dottore accanto a me. “È stato solo un esaurimento nervoso. Il rivedere la sorella l’ha traumatizzata, e questo insieme a dello stress accumulato l’ha fatta esplodere. Si riprenderà, ma deve riposare per almeno due settimane. Fortunatamente non ha avuto niente di grave, il che è quasi miracoloso, notando l’inclinazione della famiglia alle malattie psichiche.” A quelle parole, una parte di me si rilassò.

“Cosa crede che sia stato a scatenare il tutto? Perché ha parlato con me per quasi un’ora, e mi sembrava tutto normale.” Era la voce di Emmaline. “Mi avete detto che ha vomitato, no?” chiese il dottore. Non potei vedere cosa fece Emmaline, ma intuii che stesse annuendo. “Può darsi che qualcosa, magari delle parole, abbiano alimentato i suoi sensi di colpa, facendola sentire sempre peggio e facendola crollare.”

“Se avessi saputo queste cose, avrei evitato di chiederle cosa fosse successo in questi anni.”

“Sa, signorina Lemaire, a volte non è l’intera struttura ad essere importante. Sono i bulloni che la tengono insieme. Non penso che sia stato l’argomento a farle male, bensì alcune piccole parole, o frasi” spiegò il dottore. Non poteva immaginare quanto avesse ragione. Il silenzio che ne seguì mi fece immaginare Emmaline che abbassava lo sguardo. “Non è colpa tua” disse una terza voce, sicura. Sentendola, mi irrigidii. Luke.

Rimasi ad ascoltare i discorsi del dottore fino a quando esso non se ne andò. Poi aprii gli occhi. “Secondo me sei sveglia da tempo!” mi disse subito Manuela ridacchiando, che non mi ero accorta essere nella stanza con noi. C’erano tutti, a dire il vero, compresi Cristine e Daniel. “Sì, in effetti sì” risposi allo stesso modo. Luke sembrò accorgersi solo in quel momento del fatto che sì, ero sveglia. “Coco!” esclamò. Io mi trattenni dal ridere, mentre Carol commentava al posto mio: “Sei a scoppio ritardato?” Luke gli fece una linguaccia. “Come ti senti?” mi chiese poi. “Come una a cui hanno frullato il cervello e nel frattempo martellato la testa” risposi spassionatamente. “Il dottore ha detto che potrebbe tornarti la cefalea a grappolo” mi avvertì Carol. “Cosa?!” esclamai, disperata. “Cos’è?” mi chiese Ashton. “Un mal di testa atroce. Prima non vedo niente, poi sento come se mi stessero schiacciando la testa” risposi. “E in che senso, tornare?”

“Nel senso che qualche anno fa ne soffrivo spesso, poi mi sembrava di esserne uscita. Ma a quanto pare un esaurimento nervoso risveglia queste brutte abitudini del mio corpo” risposi amara. Quelle cefalee erano davvero terribili, spesso scoppiavo a piangere dal dolore. Mi spiegarono tutto quello che aveva detto loro il dottore, mentre io giocherellavo con il bordo del lenzuolo. “Quindi, ricapitoliamo, mi rilasciano stasera, ma devo avere due settimane di riposo completo?” chiesi. Luke annuì. “Com’è che non mi è venuta prima, l’idea di farmi venire un esaurimento nervoso?!” feci. Cristine alzò gli occhi al cielo. “Sarai stupida, eh?” chiese. Io annuii, con una faccia da completa fumata. “Sai che bella cosa? Esaurimento nervoso ogni volta che non ho più voglia di avere contatti umani!” feci. “Coralie Alyssa Lemaire, rimangiati tutto!” mi ammonì Luke. “Ok, ok, scherzavo” dissi. Rimanemmo un attimo in silenzio. “Ragazzi, forse è meglio se vi lasciamo da soli. Sapete, dobbiamo fare quella cosa, in quel posto lì, per quella certa persona” fece Calum. Madison lo guardò malissimo, come a dire: “Ma sei serio?”. “Calum voleva dire che adesso vi lasciamo da soli” disse poi. “Certo, perché per capirmi serve il Maddyzionario, Calum-mondo e mondo-Calum!” la schernì il ragazzo. Ci mettemmo a ridere. “Ok, però seriamente, lasciamole un po’ d’aria” fece Daniel. Tutti si alzarono e si incamminarono verso la porta. Vidi Cristine circondare il collo di Emmaline con un braccio e dire: “Tesoro, mi devi spiegare molte cose.” Sorrisi mesta, in fin dei conti era la prima volta che si vedevano dopo anni e anni. Io e Luke rimanemmo soli. “Vieni qui?” chiesi con tono da cucciola, indicandogli lo spazio vuoto accanto a me. Lui sorrise e si sedette al mio fianco, abbandonando la scomoda sedia di plastica grigia. Mi scoccò un bacio sulla punta del naso. “Lo sai che stavano per ricoverare anche me? Mi sono preso come minimo dieci infarti” mi disse. Io sporsi il labbro all’infuori. “Mi dispiace” dissi, affranta. “Ehi, piccola, non è colpa tua. Tranquilla” mi rassicurò, abbracciandomi. Io mi abbandonai nella sua stretta, accorgendomi solo in quel momento di quanto ne avessi bisogno. “Luke?”

“Sì, amore?”

“Posso piangere?” chiesi. Lui si staccò un attimo dall’abbraccio e mi guardò sorpreso. “Perché?” mi chiese poi. “Posso?” insistei. Lui esitò un attimo, prima di annuire. “Va bene, piccola” mi disse solo, stringendomi di nuovo. Io resistetti ancora un paio di secondi, poi iniziai a singhiozzare. Lui mi cullò piano, carezzandomi la schiena. “Shh” sussurrò ad un soffio dal mio orecchio. “Grazie di essere qui” risposi io. Lui mi asciugò una lacrima con un piccolo bacio. “Coco?”

“Sì?”

“Posso dirti una cosa?” mi chiese. Io tirai su col naso e lo guardai interrogativo. “Ti amo” sussurrò lui prima di baciarmi. Io singhiozzai un’ultima volta. “Ti amo anche io” risposi. Non cercai di baciarlo di nuovo, semplicemente affogai fra le sue braccia. Avevo bisogno di lui, in quel momento soprattutto.

Lo amavo con tutta ma stessa.

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Capitolo 16
*** can't keep my hands off you ***


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Can’t keep my hands off you.

Nonostante all’inizio fossi entusiasta di avere de settimane di completo riposo, mi dovetti ricredere quasi subito: con completo riposo, si intendeva anche astinenza da musica, troppa lettura e computer. Giravo in casa come uno zombie di lunedì mattina. Era deprimente non poter fare niente. Manuela e Carol cercavano di stare in casa la maggior parte del tempo, ma anche loro avevano bisogno d’aria, quindi quando venivano i ragazzi ne approfittavano, utilizzando anche la scusa che troppo fracasso mi avrebbe fatto male. Luke, tuttavia, era sempre in casa. Sembrava essersi trasferito a casa nostra e nonostante la mia prigionia non mi lasciava da sola.

 

“Coco!” mi rimproverò Luke. Io incassai la testa nelle spalle, consapevole di essere stata presa con le mani nel sacco. Mi pulii in fretta le dita e mi voltai verso di lui, la bocca piena, nascondendo il pacchetto di patatine dietro la schiena. Lo guardai con espressione angelica, battendo candidamente le ciglia. “Cosa mangi?” mi chiese truce. “Io? Non sto mangiando!” tentai di difendermi. Lui mi lanciò un’occhiata scettica. “Guardati allo specchio!” mi disse. Io andai davanti al forno, con l’anta a specchio, e per poco non mi soffocai dal ridere. Sembravo tanto un criceto con le guance piene.

“Metti giù le patatine, subito!” mi intimò. Io alzai gli occhi al cielo e gliele consegnai. “Sembri mio padre!” mi lamentai. “Tuo padre scapperebbe con le patatine?” chiese lui. Io scossi la testa, mentre lui si avvicinò a me e mi diede un piccolo bacio sul naso. “Questa sarà la prova che non lo sono” mi sussurrò, prima di correre in sala. Io rimasi oltraggiata qualche secondo, prima di deglutire e lanciarmi all’inseguimento. Mi venne da ridere quando vidi il suo nascondiglio. “Non ti si vede proprio, dietro la tenda, eh?” commentai. “No guardi, si sbaglia, sono il fratello del fantasma Formaggino!” rispose lui. “E come si chiama?” chiesi cercando di non ridere. Lo vidi esitare. “Il fantasma Patatino” disse poi, uscendo allo scoperto con il sacchetto a nascondergli la faccia. “In questo momento sono invisibile, perfettamente mimetizzato” fece lui con tono cospiratorio. Io mi misi a ridere, notando che si muoveva lentamente, senza mai darmi le spalle. Improvvisamente, inciampò e finì ruzzoloni sul divano. Io scoppiai a ridere. “Luke? Stai bene?” chiesi poi. Lui annuì. “Ma le patatine no” fece poi, mostrando il sacchetto che aveva schiacciato con la schiena. Per un momento mi venne da chiedergli come avesse fatto a finire lì, quel sacchetto, ma preferii tacere. Invece, mi avvicinai a lui e mi sedetti al suo fianco. Subito lui mi abbracciò, mentre le patatine venivano dimenticate sul tavolino di fronte a noi. Gli stampai un piccolo bacio sulle labbra e lui s’imbronciò. “Cosa c’è?” chiesi ridacchiando. “Io voglio un bacio vero” si lamentò con voce da bambino. Io sorrisi e lo accontentai, approfondendo il secondo bacio. “Felice?” chiesi poi. Lui fece un sorrisetto da demente. “Sì” gongolò, facendomi ridere. “Che bambino” dissi, affondando il viso nella sua maglietta, inspirando il suo profumo così buono, familiare. “Ehi, ho diciassette anni. Non puoi pretendere che sia sempre serio” fece. Io gli diedi ragione e lui mi prese per i fianchi, portandomi sulle sue gambe. Catturò le mie labbra, di nuovo. Perdemmo l’equilibrio e finimmo distesi sul divano, con lui sopra di me. Ridacchiammo qualche secondo, prima di perderci di nuovo.

Non sentimmo la chiave nella toppa, né tantomeno il rumore della porta che si apriva. “Ditemelo, se volete perdere la verginità su quel divano. Ci metto sopra una fodera!” commentò Manuela. Noi ci separammo subito, rossi in viso. “Non dovete vergognarvi!” esclamò Manuela ridendo. “È più forte di noi!” risposi io, torturandomi le dita. Essere così in intimità con lui in presenza di qualcuno mi imbarazzava tantissimo e così doveva essere anche per Luke, a giudicare dal suo rossore.

“Andiamo di sopra?” mi chiese a bassa voce. Io annuii e ci defilammo mentre gli altri non guardavano. Mentre salivamo le scale, sentimmo un: “No, spiegatemelo, un attimo fa eravate qui, mi volto e non ci siete più!” ridacchiammo nel sentire Carol confusa, prima di correre in camera mia. Presi i fogli sparsi sul letto e tentai di dar loro un senso logico. “Luke, mi aiuti a trovare la pagina tre?” chiesi. Lui mise un ginocchio sul letto e iniziò a frugare fra i fogli. “Cosa sono?” chiese poi, scrutandone un paio. “Una bozza di una nuova storia. Mi piaceva come idea e sto provando a metterlo per iscritto” spiegai. “Posso leggere?” chiese con occhi luminosi. “Non so se è il tuo stile. È leggermente dark. Parla di una demone che deve trovare un angelo per tagliargli le ali e diventare la regina degli inferi. La demone, Nadir, è molto, come dire, assetata di sangue” feci, porgendogli la prima pagina. Lui fece spallucce e iniziò a leggere. Lo vedevo rabbrividire di tanto in tanto. Quando arrivò alla pagina due, fece una smorfia e si portò una mano sul collo. “A che punto sei arrivato? Sembri inorridito” ridacchiai. Lui mi indicò le righe in questione:

 

“T-tu sei pazza” disse lui, sempre balbettando. Nadir s’infastidì. “Risposta sbagliata” disse prima di far scattare il collo del ragazzo di lato e affondare i denti nella pelle lattea e sottile. Gli altri due erano paralizzati dall’orrore, mentre il ragazzo sotto i suoi denti urlava dal dolore. Il sangue schizzò nella sua bocca e sul pavimento, caldo, pulsante di vita, delizioso.

 

“Mi fai paura!” disse Luke, rabbrividendo. Io mi misi a ridere. “Te l’ho detto, che è dark. Io non sono solo una tenera bambina.”

“Ma la parte vampira mi spaventa!” fece lui. “Non reggo bene questo tipo di libri” aggiunse poi. “Mi dispiace per te, perché io lo adoro” risposi ridacchiando. Poi mi ricordai di dover cercare la pagina tre e sbuffai, guardandomi intorno nel marasma di fogli che mi circondavano. “Aiuto” sussurrai. Luke capì e si lasciò scappare un risolino.

 

Un quarto d’ora dopo, decidemmo di scendere. Appena arrivammo, vedemmo Ashton al telefono, con aria assorta, mentre prendeva appunti. “Ok, ci saremo” fece poi, prima di chiudere la telefonata. “Allora?” chiese Carol, al suo fianco. Ashton esultò prima di abbracciarla. “Che ci siamo persi?” chiesi. “Luke, scalda la voce, dobbiamo provare il nostro repertorio! Fra una settimana c’è un concorso, una guerra fra band, e ci saranno molti manager che potrebbero lanciarci in alto!” fece. Luke ed io rimanemmo a bocca aperta. “Stai scherzando, vero?!” chiese lui. Ashton scosse la testa. Aveva gli occhi troppo luminosi, il sorriso troppo sincero, per essere una presa in giro. Sentimmo dei passi veloci al piano di sopra, che preannunciarono Manuela, Michael, Calum e Madison. “Cos’è questa storia?!” chiese Manuela. Ashton spiegò loro tutto e i quattro lanciarono ovazioni entusiaste. “Andiamo a casa, allora! Che ci facciamo ancora qui?!” fece Michael. “Posso venire anche io?” chiesi, implorante. Loro mi guardarono indecisi. “Quanto manca allo scontare della pena?” chiese Calum. “Tre giorni” rispose  Luke. “Forse non ti farebbe bene tornare alla vita normale di colpo…”

“Quindi si potrebbe iniziare a farti uscire…”

Io esultai, felice. Corsi di sopra a mettermi le scarpe e fui di sotto in dieci secondi, mentre loro iniziavano ad andare in macchina. Nel giro di un quarto d’ora fummo a casa dei ragazzi. Mi ricordai subito la prima volta in cui ci ero stata, subito dopo il primo concerto cui avevo assistito dei ragazzi. La prima volta che rivedevo Luke dopo quattro mesi.

Adesso, la prospettiva di quattro mesi lontano da lui mi avrebbe ucciso.

Appena superai la porta, vidi Pericle scappare. “Che gatto autistico!” commentò Ashton. Ridacchiammo, mentre i ragazzi andavano a prendere gli strumenti.

 

Esattamente una settimana dopo, avrei ucciso chiunque mi fosse capitato sotto tiro. “Carol!” urlai. “Cosa c’è?!” mi chiese lei, da camera sua. “Il vestito nero!”

“Non so dove sia!”

“L’hai fatto te, il bucato!”

“Sono passati mesi da quando l’hai usato!”

“Voglio sapere che fine ha fatto il mio vestito preferito!”

“Non ne ho idea!”

“Carol!”

“Coralie!”

“Zitte!” intervenne Manuela, esasperata. “State facendo venire un esaurimento nervoso a me!” aggiunse. “L’esclusiva sugli esaurimenti nervosi ce l’ho io!” ribattei. Manuela mi zittì, buttandomi un mio vestito in faccia. “Mettiti questo e chiudi la bocca!” esclamò. Io sbuffai e osservai il vestito che mi aveva lanciato. “Dov’era?! Non lo trovavo più!” esclamai. Vidi Carol scappare e intuii la possibile risposta di Manuela, che non tardò ad arrivare: “Era nell’armadio di tua cugina.”

Se fossi stata un cartone animato, le orecchie avrebbero iniziato a fumare. “Carol!” urlai. “Giuro che me ne ero dimenticata! L’ho preso in prestito solo una sera!” si difese lei. Non feci in tempo ad attuare la mia tremenda vendetta, che il campanello suonò. Ci guardammo allarmate. “Muoviti!” fece Manuela, chiudendomi in camera. Io mi tolsi la maglia in fretta e la buttai sul letto, mentre i pantaloni facevano la stessa fine. Mi stavo infilando il vestito quando la porta si aprì, rivelando Luke. Lanciai un piccolo urlo e lui chiuse subito, balbettando scuse insensate, viola dalla vergogna. Finii di infilarmi le spalline e sbuffai, avevo bisogno di una mano per la cerniera. “Luke?” chiamai. “Posso entrare?” mi chiese lui. Io confermai e lui aprì lentamente la porta, lo sguardo basso, la testa affondata nelle spalle. “Mi dispiace, non pensavo che…” iniziò. Io lo zittii con un piccolo bacio. “Non preoccuparti. È capitato, punto” sussurrai. Lo vidi sorridere piano, ma nei suoi occhi c’era ancora senso di colpa.

A volte, questa mia capacità mi faceva vedere cose di cui non avrei voluto accorgermene.

Non sapevo se considerarlo più un bene o un male.

“Mi aiuti con la cerniera?” chiesi, voltandomi. Lui annuì e chiuse la zip, fredda al contatto con la mia pelle. Poi, senza dire niente, mi abbracciò da dietro. Io rabbrividii, sapeva quanto quel gesto mi mandasse fuori di testa e non esitava a sfruttarlo a suo vantaggio. Se mi avesse baciato sul collo, mi sarei sciolta.

Quasi avesse letto il mio pensiero, mi posò le labbra poco sotto il lobo dell’orecchio. Poi risalì, fino a sussurrare le parole di una canzone:

 

‘Cause on the street, or under the covers

We are stuck like two pieces of Velcro

At the park, in the back of my car

It doesn’t matter what I do,

No, I can’t keep my hands off you.

 

Io sorrisi piano, voltandomi fino ad incontrare le sue labbra morbide. Ogni bacio con lui era un assaggio di paradiso, in cui il tempo si fermava ed eravamo solo noi. Amavo sentire il sapore delle sue labbra, avevo imparato ad amare anche il suo piercing e il modo in cui mi mordicchiava piano quando voleva approfondire. Amavo quando le nostre lingue si intrecciavano in quella che molti definivano una battaglia, ma che io preferivo chiamare danza, perché in essa non c’era voglia di prevalere, solo intrecci dolci, infinitamente dolci e delicati.

Avrei voluto dirgli tutto questo, ma dalle mie labbra sfuggì solo un: “Ti amo.” Lui catturò immediatamente le mie labbra, lasciandomi a malapena il tempo di riprendere fiato, ma lo sentii sorridere nel bacio.

Avremmo continuato così per molto tempo, se non fosse stato per Madison, che ci ricordò – col fiatone per la corsa – che eravamo in ritardo per la competizione.

Guastafeste.

 

Arrivammo al locale adibito a campo di battaglia. Era grande, poteva contenere molte persone, a mio parere. I ragazzi entrarono dal retro, mentre noi fummo costrette a rimanere in fila per entrare.

“Questa coda non l’ho vista nemmeno con i saldi al centro commerciale!” si lamentò Carol, innervosita dagli spintoni che riceveva ogni istante. “Tranquilla, manca poco” disse Madison, accomodante. In effetti, davanti a noi c’erano solo cinque persone, ma il tizio alla cassa sembrava davvero incompetente. “Quante ore ci vogliono per battere uno scontrino?!” chiese Manuela, esasperata. Io preferii rimanere in silenzio. “Per me, Coco è più agitata dei ragazzi!” fece Carol, ridacchiando. “E dai, non potete biasimarmi! È un’occasione unica per loro!” mi difesi. Aveva ragione, ero tesa. Se avessero trovato qualcuno disposto a sponsorizzarli? Cosa sarebbe successo, poi?

Passò ancora un quarto d’ora e finalmente riuscimmo ad entrare. Inutile dire che non c’era un posto libero nemmeno a pagarlo. Optammo così per stare in piedi sotto al palco, mentre degli operatori lavoravano per sistemare i diversi strumenti. Non avendo niente da fare, mi ritrovai ad ascoltare le chiacchiere dei miei vicini. “Come si chiama, la band?”

“Let me love you.”

“Sembra il nome di una canzone…”

“L’hanno preso dalla loro prima canzone, appunto.”

“Si spiega tutto.”

“Sai chi è la cantante?”

“No.”

“La Vale!”

“Seria?!”

“Sì, e alla batteria Francesco.”

“Cantano cover?”

“No, solo originali.”

“Mi sembra che sia una regola, no?”

“Sì, si devono presentare  almeno cinque inediti.”

Io sorrisi. Ero curiosa di sentire questo gruppo, più che altro perché mi aveva ricordato la prima liceo. Non riuscivo a capire da che parte venissero le due voci, ma la prima mi era stranamente familiare. Non ci feci caso, molte volte il mio udito si sbagliava.

In pochi minuti, il presentatore iniziò a elencare i nomi delle band, in ordine. Ce n’erano di improponibili: i “Frappé alla fragola”, ad esempio. Per poco non mi misi a ridere. Agli ultimi, sentii i “5 seconds of summer” e sorrisi. Dopo di loro, venivano i “Let me love you”. Su uno schermo vennero presentati i turni ad eliminazione e sentii un insensato moto di sollievo nel notare che il gruppo dei ragazzi e i “Let me love you” erano in due gironi diversi. Non so perché, ma la curiosità verso quest’ ultimo gruppo mi faceva desiderare che arrivassero in finale. Ovviamente, contro i 5 seconds of summer. Potevo essere incuriosita al massimo, ma avrei tenuto sempre per loro.

Finalmente, arrivò il turno dei ragazzi. feci cenno a Luke di avvicinarsi e lui si chinò, in ginocchio. “Cosa cantate?” chiesi. “Amnesia” mi rispose. Io sorrisi incantata, ero innamorata di quella canzone, nonostante fosse dannatamente triste. “E le altre quattro?”

Wherever you are, Heartbreak girl, Good girls e She looks so perfect.

“Mi vuoi morta?!”

“No, ma dobbiamo fare colpo su i possibili manager, quindi ci andiamo giù pesante con le canzoni migliori.”

“Mi pare logico.”

“Adesso torna lì, che ci guardano tutti male.”

“Mi raccomando!” esclamai, dandogli un bacio sul naso e tornando al mio posto.

Sentii che presentavano il gruppo e la canzone, poi mi persi nelle dolci note della canzone.

Quando iniziò il ritornello, mi sentii sciogliere.

 

I remember the day you told me you we’re leaving

I remember the make-up running down your face

And the dreams you left behind, you didn’t need them

Like every single wish we ever made

I wish that I could wake up with amnesia

And forget about the stupid little things

Like the way it felt to fall asleep next to you

And the memories I never can escape

‘cause I’m not fine at all

 

Casualmente, le mie orecchie captarono di nuovo i commenti delle due che parlavano prima: “Sono davvero bravi.”

“Già, e poi il cantante è anche carino!”

“Scusa?”

“E dai, non dire che non è vero!”

“Mi dispiace per te, ma sono già fidanzata.”

Mi venne da pensare un: “Meglio per te.” Nessuno poteva anche solo osare di pensare quelle cose. Luke era proprietà privata. Improvvisamente, sentii un moto di gelosia. Mi ripromisi di parlarci, se avessero fatto ancora quei commenti.

Quando finì la canzone, si scatenarono gli applausi. Vedevo i volti radiosi dei ragazzi ed ero felice per loro, mentre battevo le mani. “Adesso tocca al mio patato!” esclamò di nuovo la voce che prima aveva detto di essere fidanzata. Vidi salire sul palco quelli che dovevano essere i Let me love you e rimasi a bocca aperta.

“Ma quella non è Valentina?!” esclamò Manuela, arpionandomi il braccio. “E l’altro è Francesco, quello della B!” convenne Carol. Io improvvisamente mi voltai verso le due voci, facendomi largo tra la folla. Forse avevo capito a chi apparteneva una delle due.

Infatti, mi ritrovai faccia a faccia con Giorgia.

“Giorgia!” esclamai, entusiasta. Lei mi guardò un attimo prima di sgranare gli occhi. “Coco!” fece, abbracciandomi. “Giorgia, chi è?” chiese la seconda voce. Mi voltai verso di lei, non la conoscevo. Era alta, i capelli tinti di platino, la pelle abbronzata, gli occhi truccati pesantemente. “Eravamo compagne di classe al liceo prima che cambiassi indirizzo. Piacere, mi chiamo Coralie” dissi, con una nota di freddezza che non doveva essere notata se non dall’altra. I commenti che aveva fatto su Luke mi avevano fatto diventare molto fredda, nei suoi confronti, ancora prima di conoscerla. “Elena, piacere” rispose lei. Nello stesso momento, da qualche parte sbucò Luke. “Eccoti qui!” mi disse, circondandomi la vita con un braccio e stampandomi un bacio sulla fronte. Io guardai con la coda dell’occhio Elena, palesemente disturbata da quella scena. “Gio, vado a prendere da bere” disse, prima di sparire. Brutta bestia, la gelosia. Mi venne in mente che Giorgia odiava quel soprannome.

Giorgia mi guardava sorpresa. “Hai capito a Coco?” commentò, facendomi ridere. “Giorgia, lui è Luke. Luke, Giorgia” dissi. I due si strinsero la mano con sorrisi cordiali, al contrario di me ed Elena. “Prima non ho potuto fare a meno di ascoltarvi. Chi è il tuo patato?” chiesi poi. La vidi riempirsi d’orgoglio e indicò Francesco. “Davvero?!” feci. Lei annuì entusiasta e io l’abbracciai, ricordando tutti i mesi di appostamenti fatti per quel ragazzo.

 

“Coco, non c’è! Non c’è!”

“Tranquilla, vedrai che arriva!”

“Non c’è!” fece Giorgia, urlando a bassa voce. Eravamo contro i due stipiti della porta della nostra classe, aspettando che Francesco passasse. Era l’unico modo per arrivare alla sua classe. “Vuoi che andiamo a vedere l’orario?” chiesi. Lei annuì e attraversammo il corridoio, non ottenendo nessuna risposta in più. Stavamo tornando in classe, mentre lei diceva una marea di “No!” disperati, quando le toccai un braccio. “Giorgia” feci solo, a bassa voce. Lei seguì il mio sguardo e sbarrò gli occhi. “Merda, no, no, no!” fece, mentre io mi trattenevo dal ridere: era di fronte a noi, con i suoi amici, che ci guardavano come a chiedersi se stessimo male. Davvero, stavo per scoppiare.

 

“Coco, levati dalla porta!” esclamò frettolosa. “Sta passando” dedussi ridacchiando. Lei annuì sorridendo incantata, mentre io mi toglievo dalla traiettoria. In quel momento, entrò il prof, che chiuse la porta. “No, prof! La prego!” fece a bassa voce Giorgia.

 

“Claudia, sapresti il nome di questo ragazzo?” chiesi, mostrandole il cellulare di Giorgia. “Sì, è Francesco, della B” rispose lei dopo un attimo. Vidi Giorgia sorridere imbambolata, avevamo orario e nome, le piccole stalker che erano in noi avevano fatto passi da gigante in un’ora.

 

“Come vi siete conosciuti, allora??” chiesi. “Ti ricordi la crociera??” mi chiese. Io annuii, si riferiva alla vacanza di prima liceo. “Ecco, c’era anche lui! E casualmente – sottolineiamo casualmente – continuavo ad incontrarlo…” dal modo in cui lo disse, intuii che non era affatto casuale. Mi venne da ridere. “Ad un certo punto, eravamo al bar, volevo prendere qualcosa di freddo perché faceva troppo caldo. Lui si è avvicinato e mi ha offerto da bere, dicendo di avermi già vista da qualche parte. Io gli ho spiegato di essere della sua stessa scuola e lì abbiamo iniziato a parlare, non abbiamo smesso per tutto il pomeriggio, davvero! La sera mi ha chiesto di cenare con lui. Da lì è partito tutto ed eccoci qui!” spiegò trepidante. Io l’abbracciai, ero davvero felice per lei. Fummo interrotti dalla presentazione della loro canzone, chiamata I’m in love with you.

Vale cantava davvero bene, mi piaceva il loro stile. Erano bravi, forse una delle poche band serie in quel concorso. Il testo era la dichiarazione di una ragazza, costretta a vedere colui di cui era innamorata con una sbagliata, che non faceva altro che usarlo.

 

Why can’t you see the truth?

I’m in love with you.

 

Alla fine, applaudii, nonostante in teoria dovessi tenere per la band dei ragazzi. Mi voltai verso Luke e vidi che stava battendo le mani a sua volta. Questo mi fece sorridere. Sentii Giorgia avvicinarmi a lei e sussurrarmi: “Io ti ho spiegato come io e Francesco ci siamo incontrati. Tu però mi devi raccontare per filo e per segno della storia con Luke.” Io ridacchiai e annuii, prima di voltarmi verso di lei e vedere che Elena stava tornando indietro. Giorgia seguì il mio sguardo. “Fai attenzione. Ha messo gli occhi su Luke” mi disse. “Ho sentito, e deve solo provare ad avvicinarsi. Le raddrizzo quel profilo rifatto che si ritrova” feci a denti stretti. “Come mai frequenti una come lei?” chiesi poi. “È un’amica della sorella di Vale, che adesso è sul palco alla tastiera. Quindi mi si è attaccata addosso, e fidati, non è bello” fece torva. “Se avessi un modo per  separarti dall’arpia, verresti con me?” chiesi. Lei annuì in fretta, facendomi ridere. Le presi una mano e la portai da Carol e Manuela. Eravamo meglio di un trio di mastini, contro le ragazze come Elena.

“Giorgia!” urlò entusiasta Manuela, gettandogli le braccia al collo, imitata da Carol. Vidi Elena avvicinarsi e ci scambiammo un gesto d’intesa. “Gio, vieni fuori? Devo fumare una…”

“Giorgia è occupata, non vedi?”

“Penso abbia di meglio da fare che farsi soffiare fumo nei polmoni da un individuo come te” fecero Carol e Manuela. Elena le guardò a bocca aperta. “Mi state dando della ragazza facile?” chiese. Io ridacchiai, era cascata nella trappola. “Tesoro, non l’abbiamo mai detto. Sei tu che l’hai dedotto. La coda di paglia fa brutti scherzi, eh?” fece Madison. La guardammo stupita qualche secondo, prima di tornare a fissare Elena, che era diventata paonazza. Quando se ne andò, furiosa, mi voltai verso Madison. “Primo, complimenti. Secondo, mi hai rubato il ruolo!” feci. Lei si mise a ridere. “Scusate, ma mi aveva già innervosito quando era venuta qui ancheggiando come se non avesse articolazioni. Se lo meritava!” disse. Giorgia esultò. “Mi avete liberata dall’arpia! Io vi amo!” esclamò. Vidi Luke che si scriveva qualcosa sulla mano. “Che fai?” chiesi curiosa. Lui mi porse il palmo, dove c’era scritto a caratteri cubitali: “Appunti. Attenzione! Mai mettersi contro Coco, Carol, Manu e Maddy.” Mi misi a ridere e lo abbracciai. Sentii la borsa vibrare e tirai fuori il cellulare. Messaggio da Giorgia: “Se adesso non esci con lui, non ti parlo più.” Ridacchiai e mi voltai verso di lei. Vidi che stava indicando l’entrata del locale con aria truce, imitata dalle ragazze. “Ho come l’impressione che vogliano farci uscire” sussurrò Luke. “Almeno uno di voi due l’ha capito!! Fuori di qui!” fece Madison. Noi ci mettemmo a ridere, per poi sgattaiolare fuori, dall’uscita sul retro. Lui sospirò di sollievo quando respirammo l’aria fresca della sera. “Si soffocava, lì dentro!” dissi. Lui annuì e mi abbracciò alle spalle. “Scusa, è più forte di me” mi disse, prima di baciarmi piano sotto il lobo dell’orecchio. Io intrecciai le nostre mani, non  potendo fare altro. “In che senso, è più forte di te?” chiesi poi. “Nel senso che non riesco a starti lontano” sussurrò.

Ciondolando da  un piede all’altro come pinguini, ci sedemmo su un muretto che delimitava un prato. O meglio, lui si sedette sul muretto, io sulle sue gambe. Cercai le sue labbra immediatamente, ma lui mi bloccò. Mi fece segno di rimanere in silenzio e di nascondermi dietro al muretto, con un sorriso da complotto. Io seguii il suo sguardo e vidi Michael e Manuela avvicinarsi, mano nella mano. Il mio passatempo preferito? Oltre che a stare con Luke, ovviamente, era spiarli. Mi buttai dietro il muretto stile balenottera azzurra e vidi Luke che si sforzava di non ridere mentre mi seguiva. “Coco! Attenta al vestito bianco!” mi fece poi a bassa voce. Io guardai a terra e notai di essere ad un centimetro da una pozza di fango. Sospirai di sollievo per averla evitata.

Michael e Manuela si sedettero dove eravamo noi prima e noi ci trattenemmo dal ridere, di nuovo, poiché sarebbe bastato loro voltare di un millimetro la testa per vederci. Quest’aria di pericolo rendeva il tutto ancora più divertente.

Decisamente avevo dei precedenti come spia, e anche Luke.

 

Erano passati una decina di minuti, in cui loro non avevano fatto altro che coccolarsi e noi spiarli e concentrarci per non ridere. Improvvisamente, Luke sbiancò. Mi fece segno di stare in silenzio e indicò un punto di fronte a me sul muretto. Io, perplessa, seguii il suo sguardo e mi sentii morire. Ad un centimetro dal mio naso c’era un ragno enorme.

Lanciando un urlo spaventoso, saltai lontano dal muretto, correndo per un paio di metri e passandomi le mani sulle braccia, quasi sentissi quell’aracnide schifoso zampettarmi allegramente addosso. Manuela e Michael si presero un infarto come minimo e Luke corse verso di me. “Toglimelo di dosso!” feci isterica. “Coco, non è su di te!” rispose, prendendomi i polsi e obbligandomi a calmarmi. “Si può sapere che ci fate qui?!” esclamò Manuela, ancora col fiatone per lo spavento. In quel momento mi ricordai che non dovevamo farci vedere.

Ops.

“Ehm, niente, avevo perso un orecchino.” Tentai. Già dal mio tono si capiva che era una scusa. “Da quanto tempo cercavate questo orecchino?” fece lei, virgolettando l’ultima parola. Io mi esibii in un’espressione che aveva da invidiare solo l’aureola ad un angelo.

“Ragazzi, tocca a voi!” fece la voce di Madison, dalla porta. Io e Luke ne approfittammo per dileguarci in fretta e furia. Passandole di fianco, ringraziai la nostra salvatrice in abito color confetto.

“In bocca al lupo, pinguino!” gli dissi, prima che lui salisse sul palco. “Crepi, piccola!” rispose dandomi un bacio sul naso. Io sorrisi, tornando al mio posto.

La serata era appena iniziata, e già avrei voluto non finisse mai.


*Angolo autrice*

 

Erin Sanders as Valentina

Alexis Bledel as Giorgia

Alex Pettyfer as Francesco

Il vestito di Coralie, Madison, Giorgia e Valentina (quelli di Manuela e Carol sono gli stessi del primo capitolo)

 

Ero indecisa su quale canzone dovesse essere il tema di questo capitolo, quale scegliere fra can’t keep my hands off you e they don’t know about us. Alla fine ho scelto la prima, ma solo perché la seconda la voglio tenere per un capitolo speciale.

Grazie a tutti quelli che hanno recensito, messo la mia storia fra le preferite/seguite/ricordate o semplicemente sono arrivati fino a qui, mi dileguo

Ranya

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Capitolo 17
*** Firework ***


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Firework

La seconda canzone fu quasi più acclamata della prima. Io ero commossa, sia per le parole, che per la luce che brillava negli occhi di Luke. Dire che era felice era poco.

Quando scesero dal palco, esultai. Per il momento stava andando tutto alla grande.

Stavo aspettando che ci raggiungessero, quando Giorgia mi indicò un punto alle mie spalle. Io mi voltai e vidi Elena venire verso di noi, seguita da altre tre galline. “Sono le sue amiche… non dovevamo metterci contro di lei.” Fece Giorgia, intimorita. Io serrai la mascella e chiamai Carol, Manuela e Madison. Senza nemmeno rendercene conto, ci disponemmo in un arco, con me e Manuela davanti e Carol e Madison poco distanti da noi. Giorgia era in mezzo all’arco, protetta da quelle vipere. “Siete ancora qui?” chiese Elena con fare antipatico quando ci vide. “No, sai, siamo degli ologrammi. Tu invece, vedo che non sei ancora evaporata” fece Carol. “Ragazzina, portami rispetto” fece Elena sprezzante. “Io rispetto chi mi rispetta” disse Carol, tenendo perfettamente testa alla vipera. “E tu, mi pare che non la stia rispettando” aggiunse Manuela. “Senti, confettino, tornatene in mezzo alle caramelle. Non sei ben accetta, qui!” fece una delle tre amiche. Manuela rimase un attimo a bocca aperta. “Scusa, a chi hai dato del confetto?” chiese una voce di fianco a loro. Elena e le altre si voltarono, mentre io sorridevo fra me e me, sapendo a chi apparteneva quella voce. Guai in vista.

Michael si avvicinò, furente, a noi. “Michael, va tutto bene” tentò di dire Manuela. “No, non va tutto bene. Chi sono queste?” chiese lui di nuovo. “Una stretta conoscente della band che vi straccerà” fece con fare di sussiego Elena. “Senti. Puoi essere la conoscente stretta di chiunque, ma non ti devi permettere di parlare così a loro, soprattutto a Manuela. Non sei la padrona del mondo e anche se lo fossi avresti solo da provare a rivolgerti a lei così” ribatté Michael, nervoso. “Cos’è, hai bisogno del fratellone per difenderti? Fa così il duro perché non vuole vederti piangere?” chiese di nuovo Elena, ignorando Michael. “Non sono suo fratello, e ti sto dicendo queste cose perché la amo. Quindi ora gira i tacchi, oca rifatta che non sei altro, e stai lontana da noi. E con noi, intendo tutti noi!” fece, indicando, con un gesto della testa, Giorgia. Io e le altre eravamo a bocca aperta, mentre Manuela aveva le lacrime agli occhi. Elena, scioccata, emise un verso stizzito. “Andiamo via, ragazze!” fece poi, voltandosi e andandosene via. Rimanemmo fermi fino a quando non furono fuori dalla nostra visuale. “Michael?” chiamò Manuela. Lui si voltò verso la ragazza, che si tuffò fra le sue braccia. “Grazie” sussurrò. Vidi Michael sorridere. “Devono solo provare a trattarti male. Nessuno può farlo” disse. “Oppure?”

“Oppure arriverà questa specie di eroe alternativo a salvarti.”

“Non sei una specie di eroe alternativo. Sei il mio eroe, punto.”

“E tu sei la mia piccola cupcake.”

Io e le altre avevamo gli occhi a cuoricino. Quanto potevano essere adorabili?

La scena venne interrotta da una persona, che intervenne. Era Francesco. “Scusate, avete per caso appena messo a tacere in modo brusco quelle quattro?” chiese. Michael annuì. “Ti prego, fammi un autografo. Sei il mio idolo!” disse l’altro, con la gratitudine infusa nella voce. Noi scoppiammo a ridere, mentre Giorgia si avvolgeva fra le sue braccia. “Per un attimo ho pensato che volessi difenderle!” disse, rivolta al ragazzo. “Io?! Difendere quelle bambole di silicone?! Quelle odiosissime snob?! Ma cosa ti salta in mente?! Avete tutta la mia stima per averle messe al loro posto!” rispose Francesco. Nello stesso istante, scese dal palco Valentina. “Coco!” esclamò, saltandomi al collo. Io ricambiai l’abbraccio, mentre anche Carol si univa. “Arrivo subito, promesso!” fece invece Manuela, rimanendo ancora un po’ a crogiolarsi nel calore delle braccia di Michael. “Cioè, non so, vedi te, non ci vediamo da anni e questo è il tuo saluto?!” chiese Valentina, ridendo. “Perspicace la ragazza!” rispose l’altra, strappandoci un’altra risata.

Quando finalmente si staccò, saltò addosso a Valentina. “Vale!” urlò. “Finalmente, eh?!”

“Capiscimi, ero in un momento di coccola.”

“Lo vedo eccome!” ribatté Valentina. Manuela si lasciò andare ad una risata intenerita.

 

Dopo il terzo round, quello che doveva essere il presentatore terminò la serata, dando appuntamento al giorno dopo. “Volete venire con noi al ristorante? Offro io!” propose Francesco. “Sicuro? Siamo in tanti e alcuni sono delle idrovore. Vero, Luke?” fece Ashton. Luke gli fece una linguaccia, ridacchiando. “State tranquilli, non è un problema. E vi devo ringraziare per averci liberato, anche se solo per una sera, da quelle quattro. Sapete cosa significa che sono insopportabili? Ecco, lo sono di più” ci disse l’altro con un gran sorriso.

Mezz’ora più tardi, eravamo seduti al ristorante. “Cosa prendi?” mi chiese Luke, passandomi una mano sulla schiena. “Non lo so, mi sono un po’ stufata della pizza” sussurrai. “Fortunatamente qui non c’è solo pizza” mi rispose Luke con un piccolo sorriso. Alla fine, optai per un piatto di spaghetti. Scorrendo il menù, i miei occhi si illuminarono. “C’è la scamorza alla griglia!” esclamai entusiasta. Luke ridacchiò. “Ti prego, ti prego, ti prego, ne prendi una con me?” chiesi. “Non ce la fai a finirla da sola?”

“No, è molto pesante e non riesco mai a finirla tutta” feci sconsolata. “Tanto meglio per me” disse lui. Sembrava aspettare qualcosa ma non riuscivo a capire cosa.

Quando ordinammo, lui mi prese la mano e mi portò fuori dal ristorante. “Finalmente, non ce la facevo più” mi disse. Lo guardai in modo interrogativo. “Cosa intendi?” chiesi. “Tutta la sera, ti ho guardato tutta la sera. Se non fosse che non potevo deludere i ragazzi, sarei saltato giù dal palco, subito. Non posso stare lontano da te, è stata una tortura. E adesso non so che altro dire, vorrei solo fare questo” disse velocemente, prima di baciarmi quasi con disperazione. Non capivo da dove venisse fuori tutta quest’irruenza, ma ricambiai il bacio. Ci separammo un attimo, giusto il tempo di vedere se ci stavamo sedendo su una panchina o meno, e io mi accoccolai sulle sue ginocchia. Avevo scoperto quella posizione strategica molto tempo prima: se avessi ruotato il busto verso di lui, avrei potuto baciarlo. Se mi fossi voltata di schiena, lui avrebbe avuto campo libero per il mio collo. Se invece fossi rimasta su un fianco, mi sarei rannicchiata sul suo petto, la testa appoggiata sulla sua spalla, le sue braccia a sostenermi. Era la posizione perfetta.

Dopo un po’, optai per la terza scelta. Lui iniziò a lasciarmi piccoli baci sulla fronte e sulla testa, facendomi chiudere gli occhi, beata. Rischiavo seriamente di addormentarmi, ma per fortuna arrivò Carol a scongiurare quest’ipotesi. “Sentite un po’, voi due. Primo, sono arrivate le ordinazioni. Secondo, ci avete mollato così, tranquillamente. Vi pare il modo?!” chiese.

Una cosa che non mi piaceva della convivenza? Il fatto che ogni cosa che mi dicevano le altre mi faceva sentire inferiore, infantile. Anche in quel momento, le parole di Carol mi fecero sentire una bambina. Non mi piaceva affatto. Abbassai la testa, mettendo su un impercettibile muso, mentre ci alzavamo e tornavamo indietro, seguendo da lontano Carol. Luke mi diede una leggera gomitata per attirare la mia attenzione e io mi voltai verso di lui. Lui non disse niente, ma si portò le dita agli angoli della bocca, sollevandoli in un sorriso molto forzato e inquietante. Il messaggio era chiaro: “Sorridi!”

Io ridacchiai alla sua faccia buffa e sul suo viso si dipinse un’espressione vittoriosa. “Non essere triste, mi spezzi il cuore” mi sussurrò all’orecchio, prima di lasciarmi un piccolo bacio sotto il lobo. Io rimasi spiazzata: nessuno si era mai accorto di quella mia espressione. Mi credevano solo assonnata, o annoiata. Nessuno aveva mai pensato che potessi essere ferita, o offesa, o alle volte vicina alle lacrime. Lui, invece, lo aveva capito subito.

Stavo diventando prevedibile? O era lui a sapermi leggere così bene?

Arrivammo al ristorante, dove ci scusammo per essere scappati così. Gli altri ci dissero che non c’era problema, mentre Giorgia, Valentina e Manuela gongolavano immaginando cosa fosse successo. Io ridacchiai, sedendomi.

 

Circa due ore dopo, eravamo per strada, a gironzolare in attesa della mezzanotte: “informatori” ci avevano detto che ci sarebbero stati dei fuochi d’artificio, e non avrei perso l’occasione per nulla al mondo. Era da tanto che non li vedevo, anche perché a Capodanno ero crollata subito e me li ero persi, e li adoravo.

Giorgia, Valentina e Francesco erano dovuti andare via, dicendo di avere un impegno troppo importante per essere tralasciato. Mi era dispiaciuto, ma in parte era meglio così: i ragazzi erano a disagio con loro, non sapevano come comportarsi. Cercavano di non darlo a vedere, ma i loro occhi lo urlavano.

Stavamo camminando lungo uno di quei viali dei parchi costeggiati da alberi che si vedono nei film, quando Manuela prese il cellulare. In pochi secondi, partirono le note di Firework. Manuela mi fece leggere lo schermo e da quello capii che era la versione solo strumentale. Quasi ci fossimo messe d’accordo, iniziammo a cantare:

 

Do you ever feel like a plastic bag,

drifting through the wind

wanting to start again?

Do you ever feel, feel so paper thin

like a house of cards,

one blow from caving in?

 

Do you ever feel already buried deep?

6 feet under screams but no one seems to hear a thing

Do you know that there's still a chance for you

'Cause there's a spark in you

 

A noi si unirono anche Carol e Madison:

 

You just gotta ignite, the light, and let it shine

Just own the night like the 4th of July

 

Durante il ritornello, si aggiunsero anche i ragazzi, così da formare un unico grande coro.

 

'Cause baby you're a firework

Come on, show 'em what you're worth

Make 'em go "Oh, oh, oh"

As you shoot across the sky-y-y

 

Baby, you're a firework

Come on, let your colors burst

Make 'em go "Oh, oh, oh"

You're gonna leave 'em falling down-own-own

 

Sembravamo dei pazzi, lo sapevamo, ma non ci importava. Quando finimmo il ritornello, i primi fuochi d’artificio scoppiarono in cielo, dipingendo sui nostri volti dei grandi sorrisi.

 

You don't have to feel like a waste of space

You're original, cannot be replaced

If you only knew what the future holds

After a hurricane

comes a rainbow

 

Maybe your reason why all the doors are closed

So you could open one that leads you to the perfect road

Like a lightning bolt, your heart will blow

And when it's time, you'll know

 

You just gotta ignite, the light, and let it shine

Just own the night like the 4th of July

 

'Cause baby you're a firework

Come on, show 'em what you're worth

Make 'em go "Oh, oh, oh"

As you shoot across the sky-y-y

 

Baby, you're a firework

Come on, let your colors burst

Make 'em go "Oh, Oh, Oh"

You're gonna leave 'em falling down-own-own

 

Boom, boom, boom

Even brighter than the moon, moon, moon

It's always been inside of you, you, you

And now it's time to let it through-ough-ough

 

'Cause baby you're a firework

Come on, show 'em what you're worth

Make 'em go "Oh, Oh, Oh"

As you shoot across the sky-y-y

 

Baby, you're a firework

Come on, let your colors burst

Make 'em go "Oh, Oh, Oh"

You're gonna leave 'em falling down-own-own

 

Boom, boom, boom

Even brighter than the moon, moon, moon

Boom, boom, boom

Even brighter than the moon, moon, moon

 

Quando finimmo di cantare, scoppiammo a ridere. Sopra di noi, i fuochi illuminavano il cielo a giorno, in disegno intricati e ipnotici. Erano coloratissimi e numerosi, uno spettacolo unico. Improvvisamente, apparvero i miei preferiti: dorati, con le punte blu elettrico, che sembravano frizzare nell’aria prima di sparire. Iniziai a saltellare, emozionata, mentre mi ricordavo come mi ero sentita la prima volta che avevo visto i fuochi d’artificio: mi erano sembrate reti che venivano verso di noi, sempre più vicine, e avevo avuto paura. Poi avevo sentito quelli dorati “fare frizzzzz”, come dicevo da piccola, e mi ero messa a ridere, dimenticando la paura.

Sentii un paio di braccia circondarmi la vita e sollevarmi, facendomi roteare. Urlai divertita, mentre Luke non sembrava intenzionato a mettermi giù. Mi aggrappai alle sue mani così familiari. Non avevo paura di cadere: sapevo che lui non l’avrebbe permesso.

Era così con Luke.

I ragazzi ci lasciarono un po’ indietro, continuando a cantare come fossero ubriachi.

“Luke?”

“Sì, piccola?”

“Cosa ti piace dei fuochi d’artificio?” chiesi, improvvisamente curiosa, quando mi lasciò andare. Lui rifletté un paio di secondi, prima di rispondermi. “Illuminano la notte.”

Io rimasi in silenzio. Avrei voluto dirgli che bastavano i suoi occhi così vivi, a illuminare la notte, ma non ci riuscii. Avevo un grosso problema, con le parole.

“E tu, invece?” mi chiese poi. “Eh?” feci io, riemergendo dal lago nero e torbido dei miei pensieri. “Cosa ti piace dei fuochi d’artificio?” mi rigirò la domanda. Una parte di me avrebbe voluto dire: “Quelli dorati e blu fanno frizzzzz!”, ma la mia parte ragionevole me lo vietò. Della serie: fallo e io non ti conosco.

Mi fermai a riflettere. Dovevo avere filtri con Luke? No, diceva la mia parte ragionevole. Mi venne da ridere, si era incastrata da sola.

“Quelli dorati e blu fanno frizzzzz!” esclamai come una bambina. “Frizzzzz?!” chiese lui. Io annuii. “Sì, con cinque zeta” risposi io, convinta. Lui mi guardò come se avessi appena parlato in aramaico antico, poi scoppiò a ridere. “Che c’è?! È vero!” mi difesi, seguendolo nella risata. Era così bello, quando rideva. O in qualsiasi altro momento. “Lo so, lo so, è che… oddio, l’ho pensato anche io, ma mi vergognavo troppo a dirlo. Credevo che mi avresti preso come un bambino” mi spiegò. Io sorrisi. “Ma io sono una bambina. E anche tu lo sei, in parte” dissi, prendendogli la mano e appoggiandomi alla sua spalla. Lui mi diede un piccolo bacio sulla fronte, poi si voltò, mi diede la schiena e mi disse: “Salta su!” io lo guardai basita e divertita allo stesso tempo. “Perché, scusa?”

“Da quando una bambina rifiuta di essere portata a cavalluccio?!” fece. Io scoppiai a ridere. “Mai successo” ammisi poi. “Vuoi essere la prima a rompere questo rito??” chiese ancora lui. “Non sia mai!” risposi, saltandogli in schiena. Lui barcollò un po’, prima di ritrovare l’equilibrio. “Non peso troppo?” chiesi preoccupata. “Guarda, sei una balena. Io ti direi di iniziare una dieta” mi prese in giro lui, come a dire: “Smettila di dire stupidate.” Io decisi di reggere il gioco. “E che dieta mi consiglia, dottore?” feci. “A base di Nutella e baci.”

“Nonostante l’idea mi alletti, a cosa servirebbe una dieta del genere?”

“A smettere di pensare queste cretinate” fece Luke, convinto. Io ridacchiai. “Comunque è vero, peso” dissi. “Hai diciassette anni, è normale non pesare quindici chili!” rispose lui. Alzai gli occhi al cielo. Probabilmente sbuffai, perché lui si voltò – per quanto il suo collo glielo permettesse – e mi guardò con la coda dell’occhio. “Coralie Alyssa Lemaire – già che iniziava così non andava bene – smettila di dire queste cose. Non è vero, che sei grassa. Sei perfetta così come sei. Chiaro?” chiese. Io non risposi, ma sorrisi, commossa.  “Grazie” mi decisi a dire poi. “E di cosa? Per averti detto quello che penso?” fece lui, sorridendo. “Non solo. Di tutto. Di essere qui con me, di dirmi queste cose, di esistere” risposi. lo vidi sorridere di nuovo. “Ti amo” mi disse solo. “Anche io” risposi, baciandolo sulla guancia dato che non riuscivo ad arrivare alle labbra. “Sbaglio o abbiamo ancora una corsa da fare?” chiesi poi. Lui annuì, prima di iniziare a camminare, sempre più velocemente, per poi correre. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, entusiasmata, un: “Verso l’infinito e oltre!” Lui rise, mentre gli altri ci guardavano come se fossimo matti. “Siete normali?” chiese Carol, ridendo. Io e Luke rispondemmo in coro: “No!” Loro si misero a ridere. “Noi invece siamo normali?” fece Michael. Manuela scosse la testa. “Allora salta su, amore!” esclamò Michael. Manuela esultò e obbedì, imitata da Madison che salì sulle spalle di Calum. Carol sembrava più restia. “Andiamo, tesoro, che ti costa?!” fece Ashton. “Non so…” fece lei. “Quanto anni hai, diciassette o trentasette?!”

“Diciassette.”

“E allora divertiti!” esclamò Ashton. “Mi vuoi pazza?” chiese Carol. Ashton annuì. “Allora mi avrai pazza!” fece lei con un gran sorriso, prima di salire in groppa ad Ashton, che ci raggiunse. Iniziammo così una gara assurda nei viali del parco, i ragazzi che correvano come matti, noi che urlavamo allegramente cose senza senso. “Siamo dei fuochi d’artificio!” urlai, facendo sghignazzare tutti. Io e Luke ci guardammo un attimo, prima di urlare: “Frizzzzz!!!” e scoppiare a ridere.

Al diavolo la normalità, eravamo pazzi e ne eravamo fieri.

*Angolo Autrice*

Il cielo con i fuochi

I fuochi “che fanno frizzzzz

Grazie per essere arrivati fino a qui!!! Ciauuu 

Ranyadel

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Capitolo 18
*** End up here ***


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End up here

Il giorno dopo, mi svegliai tardi. La sera prima avevamo continuato a fare i cretini fino a tardi, con corse improvvisate e giochi intramontabili come nascondino. Avevamo riso fino a star male, durante l'ora passata a nasconderci.

 

Toccava a Michael a contare. Luke ed io avevamo deciso di nasconderci in posti vicini ma diversi: io dietro ad un albero, lui nella casetta dello scivolo. Quando lo vidi salire, tentai di avvertirlo, ma arrivai tardi: aveva già battuto la testa sul soffitto a misura di bambino. Mi dovetti trattenere dal ridere, mentre lui urlava senza voce e si mordeva una mano per non farsi scappare nessun grido vero. A parere mio, stava lanciando tante imprecazioni che uno scaricatore di porto sarebbe arrossito, a confronto con lui.

Era buio, la "tana" era l'unico lampione funzionante, dove Michael stava contando fino a cento, piuttosto velocemente. Quando urlò: "Arrivo!", mi feci piccola piccola contro il tronco. Luke sbirciava dalle fessure fra una lastra di legno e l'altra e mi avvertiva quando Michael si avvicinava. Vedevo chiaramente Madison, che aveva scelto il nascondiglio migliore, così ovvio da essere imprevedibile: si era legata i capelli in una crocchia insolita per lei e si era messa un coprispalle. Era seduta su una panchina, dando le spalle a Michael, che non si era accorto di niente, scambiandola per qualcun altro. Mi sporsi dal mio nascondiglio, giusto per vedere Michael che andava nella direzione opposta alla nostra. Era ancora troppo vicino al lampione per uscire allo scoperto, ma Luke non sembrava di questo parere: mentre Michael non guardava, scese lungo lo scivolo, rimanendo incastrato a metà. Lo sentii sussurrare frenetico: "Mi prendi in giro?!" prima di alzarsi in fretta e correre verso il lampione, l'erba umida che attutiva i suoi passi. Pensava di avere campo libero, ma non fu così: Michael iniziò a girarsi, scrutando il parco in ogni anfratto. Luke si buttò, stile tonno spiaggiato, sull'erba, rimanendo immobile. Stavo per scoppiare a ridere e vedevo anche Madison fare lo stesso, mentre Luke avanzava come un militare in trincea mentre Michael non guardava. Improvvisamente, vidi Ashton uscire dal suo nascondiglio e correre verso la tana. Sgranai gli occhi, allarmata: non si era accorto di Luke. Cercai di attirare la sua attenzione, ma non ci riuscii e lui calpestò la mano del mio ragazzo, che urlò. Ashton si prese un infarto come minimo e gridò a sua volta, mentre saltava per aria e cadeva a terra. Michael si voltò verso di loro, che si appiattirono a terra, agevolati dall'essere vestiti di nero. Stava per avvicinarsi a loro, quando con un urlo di guerra Manuela sbucò fuori dal suo nascondiglio e corse verso il lampione. Michael tentò di precederla, mentre Luke mimava insulti ad Ashton, che cercava di non ridere. Vedevo la sua schiena attraversata da singulti e capii che stava ridendo in silenzio. Improvvisamente, Calum sbucò dal suo nascondiglio, approfittando di un Michael distratto. E, come Ashton, si diresse verso Luke. Vidi quest'ultimo sgranare gli occhi, come Ashton, e terrorizzato cercare di attirare la sua attenzione. Invano: Calum inciampò sulle sue gambe, cadendo su Ashton. Urlarono tutti e tre, Calum per lo spavento, Luke e Ashton per il dolore. Non mi trattenni più e scoppiai a ridere, imitata da Madison e Carol, nascosta dietro un albero poco lontano da me. Michael e Manuela - che intanto era riuscita a salvarsi - si voltarono verso di loro, osservando la massa informe a terra. "Ma che...?!" fece Manuela, illuminando col cellulare la scena. Calum era steso di traverso, con le gambe addosso a Luke e il petto su Ashton. I due sotto gemevano doloranti. Si guardarono un attimo e scoppiarono a ridere, imitati da Michael e Manuela.

"Chiedo il time out! Mi arrendo! Bandiera bianca!" esclamò Luke, sofferente. Io mi avvicinai a lui, ancora scossa dalle risate. "Stai bene?" chiesi. Lui mi guardò inarcando un sopracciglio. "Ho preso una testata degna di Willy il Coyote. Mi sono buttato di pancia a terra. Ho perso l'uso della mano. Calum è inciampato sulle mie gambe. Direi che va tutto bene" fece. Io risi di nuovo. "Era una scena epica, però" dissi. Lui sembrò pensarci su. "Sì, direi di sì" rispose ridacchiando.


Ripensai alla scena della sera prima e mi misi a ridere da sola. Non era stata l'unica, ma di sicuro una delle migliori. Avevamo avuto anche la prova che la punizione divina esisteva.


Stavamo camminando in una piazza piccola, circondata da palazzi, dietro al parco. La zona centrale era composta da robuste grate anziché mattonelle color cipria come tutto il resto della piazza, ed era circondata da un basso muretto, interrotto in quattro punti da due pali, uniti da una catena. Noi ragazze scavalcammo il muretto, avendo i tacchi e non volendo rovesciare il gelato che avevamo preso. Io avevo in mano una granita, come Luke: il mio odio per il gelato sciolto lo aveva contagiato. Mescolai ancora la granita due gusti: limone e coca-cola. Il sapore era identico ad una Pepsi. Anche Luke l'aveva presa come me. Carol, invece, arancia e limone.

Calum esibiva un enorme cono gelato, al cioccolato, stracciatella e nutella, con panna montata sopra. Una bomba di calorie, in poche parole. Di quelle che ad ogni morso portano dieci chili.
"Io ti odio!" fece Madison, osservando il gelato. "Perché?" chiese Calum, perplesso. "Perché mangi sempre, ma non ingrassi!! Non è assolutamente giusto!!" rispose lei disperata, facendoci ridere.
Noi ragazze avevamo scelto la via facile e sicura per il centro della piazza. I ragazzi, come tutto il genere maschile, sentirono però il bisogno di fare gli splendidi. Si misero quindi a saltare la catena bassa che separava la zona delle grate dal resto. Ashton e Michael non ebbero problemi. Quando toccò a Luke, però, Calum diede un calcio alla catena, facendola alzare di una decina di centimetri. "Calum!" urlammo tutti, allarmati. Luke avrebbe potuto farsi male, ma fortunatamente non successe niente. Luke si voltò torno verso Calum. "Ringrazia che ho la granita in mano o ti avrei già ucciso." fece truce. Calum ridacchiò prima di leccare il gelato... Trovò il vuoto. Si voltò verso il cono, dove dovevano esserci diecimila calorie concentrate, trovando solo la cialda. Sgranò gli occhi quando realizzò che il gelato era a terra, irrimediabilmente spiaccicato. Urlò di orrore, cadendo in ginocchio di fianco al cadavere, mentre tutti noi scoppiavamo a ridere. "È la punizione divina!" fece Madison.



A quei ricordi, scoppiai a ridere. Sentii un mugolio infastidito e notai che Luke era accanto a me, ancora addormentato. Era tutto accucciato, senza coperta. Mi mordicchiai il labbro quando realizzai di essermi avvolta a bozzolo in essa, rubandogli la sua parte. Mi "debozzolai", come diceva Carol, e lo coprii. Subito lo vidi distendersi di un paio di centimetri. La coperta, grazie a me, era calda, e doveva essere un bel sollievo dopo essere rimasti al freddo tutta la notte. "Scusa" sussurrai, sapendo che non avrei ricevuto risposta. Mi sorpresi, quindi, quando Luke borbottò: "Tranquilla."
"Da quando sei sveglio?" chiesi sorpresa. "Da quando hai riso" fece lui, ancora con la voce impastata dal sonno. "Ops" feci io. Lui liquidò la questione con un gesto della mano. "Che ore sono?" chiese. "Le tre" feci io. "Di notte?!" esclamò sorpreso. "No, di pomeriggio" risposi perplessa. Lui scattò a sedere. "Non so quale delle due sia peggio" fece, basito. Avevamo dormito tanto? Seriamente?

Ci alzammo e ci dirigemmo in cucina, dove c’erano solo Michael e Ashton. Probabilmente, le ragazze erano in giro. In quanto a Calum, c’erano due possibilità: o stava dormendo, o stava celebrando il funerale del suo gelato.

“Oh, buongiorno, ragazzi. Ancora un po’ e ci perdevamo l’ultimo round di stasera” fece Michael, alzando appena lo sguardo dal foglio. Ashton era di fianco a lui. “Che fate?” chiesi. “Cerchiamo l’ultimo verso per questa canzone” rispose quest’ultimo, scocciato. “Ancora con End up here?” fece Luke. Loro annuirono e io li guardai interrogativa. “Ti spiego: è una canzone che scrivono da non so quanto tempo. Sappiamo la musica a memoria e le parole che ci sono, ma manca quella parte piccola che la rende speciale. E loro si stanno fondendo il cervello da troppo, per i miei gusti” fece Luke, mettendo su l’acqua per prepararsi una camomilla. “Vuoi?” chiese. Io annuii, avvicinandomi al testo. Lo lessi in fretta, mentre chiedevo loro di darmi un’idea di come fosse la melodia. Ashton chiamò Calum – che si rivelò essere in sala – e gli spiegò tutto, mentre Luke cercava sul cellulare quella che doveva essere la base musicale. Mi ritrovai a tenere il tempo con un dito, mi piaceva. Un po’ come tutte le loro canzoni, ovviamente, ma questa aveva qualcosa di particolare. Iniziarono a cantare, a bassa voce per non dar fastidio ai vicini. Il ritornello mi piaceva tantissimo.

How did we end up talking in the first place?

You said you like my Cobain shirt

Now we’re walking, back to your place

You’re tellin’ how you tought about that song

About living like a prayer

I’m pretty sure that we’re half way there

But when I wake up next to you

I wonder how

How did we end up here?

Continuarono a cantare, poi si interruppero per qualche secondo, prima di ricominciare. Capii che era la parte che mancava. Mi grattai la testa perplessa, mentre la canzone finiva. “Prima di tutto, siete grandi. È stupenda!” dissi ammirata. Loro sorrisero. “Se non fosse che manca quel cavolo di pezzetto!” fece poi Michael, disperato. Io mi alzai per prendere due tazze. “C’è spazio per quattro versi, vero?” chiesi. Loro annuirono. “Ci penserò, ma non garantisco nulla” feci ridacchiando. “Se ci riesci, non rispondo delle mie azioni. È troppo tempo che stiamo dietro a questa canzone!” rispose Ashton. Io versai la camomilla – era troppo tardi per mangiare bene, avremmo sbocconcellato in giro qualcosa – nelle tazze, canticchiando i versi. “Accidenti a voi, me l’avete messa in testa” feci scocciata. Loro si misero a ridere. “Se ti venisse in mente qualche idea geniale, ricorda che la parte è di Calum” mi disse Michael. Io annuii, pensierosa. “Adesso è una sfida, però!” feci poi, cercando i versi giusti. “Non ridurti come questi due disperati. Uno dei quali, non facciamo nomi, mi ha distrutto la mano ieri. Vero?” fece Luke, guardando torvo Ashton, che scoppiò a ridere. “Ti prego, la scena è stata da film!” esclamò lui, mentre anche io e Michael ci mettevamo a ridere. “Chiedilo alla mia mano!” rispose Luke. “Stai bene? Vero che non ti ho fatto male?” chiese Ashton, rivolto alla mano di Luke. Lui la fece muovere, mentre con una vocina acuta diceva: “No, mi hai solo schiacciato col tuo dolce peso.” Ashton alzò gli occhi al cielo. “Mi stai dicendo che sono grasso? Sono offeso!” fece con voce rotta da lacrime tanto fasulle quanto la sua faccia. “Io non ho detto niente, l’ha pensato la mano” rispose Luke. “Certamente, e tu sei un bravo ventriloquo” Ribatté Michael, inarcando un sopracciglio. “Ah, ah, ah, aspetta che rido!” fece Luke ironico. “Ragazzi, mi sento un’esclusa” dissi. Luke mi abbracciò, facendomi appoggiare a lui. Io mi accoccolai contro il suo petto, crogiolandomi nel calore che emanava e mugolando felice. “Ragazzi, devo andare all’ospedale” fece Ashton, alzandosi. “Perché?!” chiedemmo in coro noi tre. “Perché mi devono fare il controllo per il diabete. Sapete, tanta dolcezza mi fa male” rispose lui. “Ma vattene a quel paese, mi stavo spaventando!” esclamai. Lui mi fece una linguaccia.

 

Il pomeriggio, io e Luke uscimmo da soli. Il giorno prima eravamo passati davanti ad un negozio che non frequentavamo da tempo, ma che era rimasto nei nostri cuori, dalla prima volta. Mi ricordavo con le lacrime agli occhi quei momenti paradisiaci.

Esatto, il negozio di caramelle.

Anche quella volta, facemmo scorta. Io trovai le fragoline e ne presi un sacco: le adoravo. Luke saccheggiò il barattolo delle angurie e delle strisce alla coca-cola, io quello delle stelle alla frutta e delle strisce multicolore. Altro che adulti seri e responsabili. I bambini presenti ci guardavano sconvolti.

Ci nascondemmo di nuovo al parco, stavolta su un albero. Fu problematico salire con i miei stivali, ma Luke ci mise davvero un sacco di tempo. “Quanto ci vuole?!” feci ridendo. “Amore mio, io non sono una scimmia!” fece lui, appeso ciondolante al ramo più basso. Io mi sporsi verso di lui. “Dillo ancora” gli chiesi. “Cosa?”

“Come mi hai chiamato.”

“Amore mio, perché?”

“Perché mi piace” dissi con fare tenero, tornando sui rami più alti dell’albero. Luke tentò ancora un paio di minuti, prima di rinunciare. “Andiamo ad un albero con i rami più bassi?” chiese. Io annuii, scendendo e porgendogli la borsa. Il salto più alto mi preoccupava, mi facevo sempre male alle caviglie. Luke notò la mia indecisione e mise giù la borsa. “Ti prendo io” fece risoluto. Io lo guardai come se fosse pazzo. “Ti ucciderei, è meglio di no!” risposi. “Non voglio che ti faccia male!” mi disse lui. “Ma ne farei a te!”

“Tranquilla!”

“Luke!”

“Coco, ti fidi di me se ti dico che riesco a prenderti?” mi chiese con una faccia da cucciolo. Come potevo resistere?! Accidenti a quel suo potere. Mi avrebbe rovinato.

Mi calai più che potevo, piegando le braccia. Il salto era di un paio di metri, ma con i tacchi, anche se bassi, era un suicidio. Quando non riuscii più a scendere, sentii le sue braccia sotto le ginocchia e sulla schiena, quasi a dire: “Ci sono, non ti lascerò andare, sono qui.” Questo mi diede il coraggio di lasciare la presa sui due rami. Lui mi prese stile principessa, barcollando un paio di secondi, prima di riprendere l’equilibrio. “Visto? Non era tanto difficile” disse. Io sospirai di sollievo. “Grazie” feci. Lui sorrise, prima di avvicinarmi al suo viso e baciarmi dolcemente. “Conosco un albero di ciliegie qui vicino. Ha i rami bassi e ci si sale facilmente. Ti alletta l’idea?” mi chiese poi. I miei occhi si illuminarono. “Le ciliegie sono mature?” chiesi. “Non credo. È presto, ma l’albero è sempre stato prematuro, quindi tanto vale andare a vedere” disse, mettendomi giù lentamente. Io presi la mia borsa e lo seguii. “È lontano?” chiesi. Lui esitò qualche istante, prima di rispondere con un: “Naah” per niente convincente. Come mai pensavo di non potermi fidare di quella risposta?

Mezz’ora dopo, mi diedi ragione da sola. “Luke, non era vicino?” chiesi con i piedi doloranti. “Perché ti sei messa i tacchi se sapevi che ti saresti arrampicata sugli alberi?” fece invece lui. “Te l’ho detto mille volte che posso usare solo scarpe rialzate” risposi. Avendo le caviglie deboli, col tempo avevo iniziato a camminare male, e di questo ne risentivano caviglie, ginocchia, anche e schiena. Per sostenere l’arcata, avrei dovuto scegliere fra plantari o scarpe col tacco, anche piuttosto basso: con questo, se avessi camminato male, sarei caduta. Era una costrizione a camminare bene. Sentivo la mancanza di una paio di scarpe da tennis da quando avevo quattordici anni, ma le potevo usare davvero per poco tempo prima di sentire male di nuovo.

“Siamo arrivati, è qua dietro” mi disse poi, circondandomi la vita con un braccio. Io sospirai, appoggiandomi a lui. Finalmente, vidi l’albero in questione e i miei occhi si illuminarono: i rami erano piegati dal peso dei piccoli frutti così scuri da sembrare neri. Improvvisamente, le mie gambe ripresero vita. Corsi verso i rami più bassi e colsi un paio di frutti. Ne porsi uno a Luke, che lo scrutò in cerca di difetti, come feci io. Sapevo bene che quegli alberi erano la preda preferita di bruchi e merli. Non trovandone, la morsicai. “Aspetta, non…” tentò di bloccarmi lui. Non fece in tempo: dal morso, schizzò fuori il succo, rosso intenso. Somigliava in maniera inquietante al sangue. Io mi scansai subito, per evitare alla mia maglia rosa confetto una fine orribile: una macchia di ciliegia non sarebbe andata via nemmeno a pregare. Il gesto brusco mi fece cadere il berretto grigio nell’erba umida. Probabilmente, di notte aveva piovuto. “Mi sono dimenticato di dirtelo. Devi mangiarle tutte in una volta, o puoi dire addio ai vestiti” fece. Io mi pulii il rivolo di succo che mi scendeva lungo il mento. “Lo terrò a mente!” risposi ridacchiando e cercando eventuali macchie. Fortunatamente, avevo avuto buoni riflessi. Raccolsi il berretto e me lo sistemai in testa.

“Le ciliegie più buone sono sempre in alto” feci poi, cercando un modo per superare tutti i rami che mi impedivano di raggiungere il tronco. Trovai un varco, dove mi infilai, seguita da Luke. Appoggiai la borsa a terra e mi arrampicai senza difficoltà, issandomi per raggiungere il primo ramo. Anni di pallavolo mi avevano lasciato una certa forza nelle braccia, che non esitavo a sfruttare. In poco, raggiunsi i rami più alti, lasciando a Luke lo spazio per salire dopo di me. Alzai lo sguardo e rimasi incantata: centinaia di frutti scurissimi pendevano fuori dalla mia portata. “Coco, ce la fai ad avvicinarmi quel ramo?” chiese lui, indicandomi una fronda poco lontana da lui che partiva dal ramo su cui ero appollaiata. Io la piegai verso di lui, che raccolse le ciliegie in poco e le mise nel sacchetto di plastica che avevamo preso in più dal negozio di caramelle. Io mi allungai, raggiungendo tante altre ciliegie. Il sacchetto si riempiva sempre di più, nonostante ne stessimo scartando un sacco e mangiando altre. Improvvisamente, misi un piede su un ramo più sottile, per raggiungerne un altro, carico di frutti. “Coco, fai attenzione, è troppo debole!” mi avvertì Luke. Io scesi, curvando il ramo a cui ero aggrappata. Quando notai che tanti frutti erano difettati, lo lasciai andare. Questo fece cadere molte ciliegie, soprattutto sulla mia testa. Una, non si sa come, si infilò nella mia scollatura. Sbuffai scocciata e tirai il colletto della maglia per toglierla. Urlai di orrore: non era una ciliegia, bensì un ragno enorme. “Coco?!” fece Luke sotto di me, mentre io cercavo di far uscire quel mostro orribile dalla maglietta. Quando ci riuscii, il ragno cadde sul piede di Luke, che se lo scrollò via in fretta. Avevo il fiatone. “Scendiamo” feci solo, ancora terrorizzata. Lui scese subito, lasciandomi lo spazio per fare lo stesso. Mi allontanai in fretta, mentre Luke cercava di tenere il passo. “Che schifo!” esclamai quando arrivammo ad una panchina. Era stato orribile. Mi tolsi il cappello, alla ricerca di qualche essere tremendo. Non ce n’erano, per fortuna.

“Tutto ok?” mi chiese Luke. Io scossi la testa. Avevo ancora il cuore a mille. Lui mi abbracciò, tirandomi sulle sue gambe. “Tranquilla, è tutto a posto” fece. Io, nel suo abbraccio, mi calmai poco a poco.

Un tuono ci interruppe. “Fino ad un attimo fa c’era il sole!” esclamai sorpresa, osservando il nuvolone nero che ci sovrastava. Per un attimo, si illuminò di bianco, facendo esplodere nel cielo un rumore terribile. Sembrava che ci fosse scoppiato di fianco alle orecchie. Io e Luke saltammo, spaventati, in piedi. “Andiamo a casa, fra un po’ piove” disse lui. Io annuii e iniziammo a correre. Diciamo che quello che correva era lui: io mi lasciavo trascinare, troppo lenta per competere con lui. “Luke, così muoio!” dissi dopo un paio di minuti, già sfinita. Lui si fermò, mordicchiandosi un labbro. “Idea” disse poi. Prese il cellulare e scelse una canzone, che riconobbi alle prime note: Back for you. “Corri piano, a tempo” mi suggerì, iniziando a dare il ritmo della corsa. Effettivamente, funzionava: la fatica si sentiva di meno, con la musica a fare da sottofondo.

Corremmo per un paio di isolati, prima di essere coinvolti in quello che sembrava il titolo di un film: Il diluvio universale 2. In dieci secondi, aveva iniziato a piovere come se non ci fosse un domani. Ci nascondemmo sotto un porticato, col fiatone. “Chiamiamo qualcuno per venirci a prendere?” chiesi. Lui annuì e composi il numero di Ashton. “Pronto?” fece lui. Dall’altra parte sentii una risata, probabilmente era con gli altri a divertirsi, in casa. “Ciao Ash, puoi venire a prenderci? Siamo ai portici” feci. “Perché? I piedi ce li avete, no?” chiese lui confuso. “Sì, ma diluvia” risposi. Lui fece un verso sorpreso e sentii dei passi. Probabilmente si era avvicinato alla finestra. “Oh, porca…”

“Ash!”

“Scusa. Arrivo subito, datemi cinque minuti” disse lui, prima di mettere giù ridacchiando. Io scossi la testa. Ashton era probabilmente il mio migliore amico nel gruppo. Mi trovavo bene con lui, quasi fosse un fratello. Inoltre, Luke non era geloso. Per niente. Ringraziavo tutti i giorni ogni divinità esistente per questa cosa: sarebbe stato scocciante se Luke fosse stato uno di quelli “Sei solo mia, nessuno può parlarti, non puoi avere contatti umani all’infuori di me”. Anche per questo era fantastico. La gente diceva sempre: “Ne trovi uno su mille, così.” Io avevo Luke. Manuela aveva Michael. Madison aveva Calum. Carol aveva Ashton.

Nei miei pensieri di prima mattina, quelli che non hanno un senso logico nemmeno se lo cerchi, mi ero detta che se avevamo trovato quell’uno su mille in quattro, nel mondo c’erano almeno 3996 ragazze con un ragazzo inadeguato. Poi mi ero svegliata e mi ero data della stupida da sola per quei pensieri incoerenti.

Nel giro di cinque minuti, Ashton parcheggiò vicino ai portici. Salimmo in macchina, fradici per le gocce gelide di pioggia, e Ashton ci guardò con fare assassino. “Ho lavato ieri la macchina. Io vi uccido.” Noi ridacchiammo. “Non lamentarti. Pensa se fossimo entrati in macchina come quei due” fece Luke, indicando una coppia di ragazzi, sotto un ombrello striminzito che non serviva a niente. La ragazza sembrava molto più piccola di lui, ma stavano bene insieme. “Dai, sono fortunati ad avere quel coso rotto che un tempo doveva somigliare ad un ombrello” commentò Ashton, mettendo in moto. Io rimasi in silenzio, sdraiata con la testa appoggiata alle gambe di Luke. Nella mia testa rimbombavano tanti pensieri su quella coppia così diversa. Improvvisamente, balzai in piedi. “Mi serve Calum!” urlai. Loro mi guardarono come se fossi pazza. “Non guardatemi così! Ho i versi di End up here!” urlai. Loro sgranarono gli occhi e Ashton accelerò. “Devo scriverli o li dimentico!” esclamai, prendendo il cellulare.

Arrivammo a casa e ci fiondammo dentro. “Calum! Michael!” urlò Ashton. I due si affacciarono subito dalla sala, perplessi. Io spiegai tutto e loro spalancarono la bocca. Michael mi porse il foglio dove era scritto il testo e io copiai i quattro versi, accennando a Calum la melodia. Lui canticchiò qualche secondo per ricordarla. “Ok, ci sono” disse. Luke fece partire la base musicale, ma Carol ci interruppe: “Ragazzi, andate in garage. È insonorizzato, potete urlare quanto volete.” Noi schizzammo in garage, dove Luke alzò il volume al massimo. Cantarono a squarciagola e dovetti ammettere che così era ancora meglio. Poi, arrivò il momento della verità. Calum, reggendo il foglio, iniziò a cantare:

Call me lucky ‘cause in the end,

I’m a six and she’s a ten

She’s so fit I’m insecure

But she keeps coming back for more

Finirono di cantare e mi guardarono. “Se non sapessi che Luke e Carol mi ucciderebbero, ti darei un bacio” fece Ashton, con un sorriso enorme. “E fai bene a pensarlo!” disse Luke, anche lui entusiasta. “Ma chi se ne frega! Un bacio te lo meriti!” fece Calum, schioccandomene uno sulla guancia e facendoci ridere. “Sei un genio!” fece Michael esultante. “Va bene, allora?” chiesi. “No, non va bene. È semplicemente fantastica!” rispose una voce alle mie spalle. Madison, Manuela e Carol erano esaltate, sulla soglia del garage. Manuela mi corse incontro e mi abbracciò, sollevandomi. “Io ti adoro! E adoro questa canzone!” urlò. Io mi misi a ridere. “Anche io ti voglio tanto bene, splendore!” feci, ricambiando l’abbraccio.

 

Tre ore dopo, eravamo seduti ai tavoli del bar, per la terza sera di fila. Ormai erano gli ultimi due turni, i manager si erano già fatti un’idea, ma si sarebbe eletto il vincitore dopo il quinto round. Erano rimasti in gioco quattro band, i Let me love you, i ragazzi, una band che non conoscevo e i Frappé alla fragola. Non sapevo cosa avessero fatto, ma molte band eliminate odiavano questo gruppo. Come se fosse successo qualcosa che aveva fatto eliminare gli avversari. “Cosa cantate, in questo round?” chiesi. “She looks so perfect. Teniamo Good girls per ultima, adesso ci scontriamo con i Let me love you e quindi abbiamo messo il nostro cavallo di battaglia adesso” mi disse Luke. Io annuii, avevano perfettamente ragione. In più, i Frappé alla fragola e l’altra band non erano così pericolosi.

Cantarono prima i Frappé alla fragola, il cui nome mi sembrava più ridicolo ogni secondo, contro la band sconosciuta, poi Let me love you contro i 5 seconds of summer. Dopo un lungo dibattito, per pochi voti, vinsero i 5 seconds of summer. “Mi dispiace per Vale.” Dissi, con una smorfia. “Anche a me, ma abbiamo vinto!” fece Ashton, entusiasta. Lo capivo: parlando senza presunzione, gli avversari – i Frappé, che chissà come erano passati – non erano al loro livello. La vittoria era praticamente in tasca.

Vidi la band sconosciuta sedersi in un angolo, insieme a tutte le altre scartate. Notai che anche loro lanciavano occhiate d’odio ai Frappé alla fragola. Mi chiesi di nuovo cosa fosse successo: fra nessun’altra band c’era questo rancore.

Lo capii dieci minuti dopo, quando il cantante dei Frappé annunciò il titolo della loro canzone. “Non ci credo!” fece Manuela, a bocca aperta. Eppure, stava succedendo davvero: la band stava intonando le note di Good girls.

“È la nostra canzone!” urlò Calum, sconvolto. Noi eravamo basiti, troppo sorpresi per essere arrabbiati. Ora capivo cosa era successo. Probabilmente, i Frappé avevano sempre rubato i testi. Ecco perché tanto odio. Mi avvicinai ad un ragazzo di una band eliminata e gli chiesi conferma. “Sì, quelle facce di bronzo hanno rubato la nostra canzone e ci hanno eliminato perché non avevamo provato abbastanza le altre e quindi non eravamo pronti” disse lui. Feci il giro delle band, ottenendo la stessa risposta. Così, tornai dai ragazzi. “Cosa facciamo adesso?!” chiese Michael. “Non possiamo cantare le altre canzoni. Non mi ricordo più i testi!” fece Luke, sconvolto. “E io le note!” ribatté Calum. Erano tutti nel panico. Improvvisamente, mi venne un’idea. “Invece avete una canzone di cui sapete tutto a memoria!” feci. Loro mi guardarono interrogativi. “End up here. L’avete cantata oggi e mi avete detto di sapere le note. È l’unica cosa da fare.” Le ragazze furono d’accordo con me. “Siamo sicuri?” chiese Luke. I quattro si guardarono, prima di scambiarsi un gesto d’intesa. “Mi fate un favore?” chiese un ragazzo, lo stesso a cui avevo posto per primo la domanda. I quattro annuirono, perplessi. “Buttate giù dal palco quei ladri a calci. Non meritano la vittoria tanto quanto voi, anzi non la meritano proprio” disse risoluto. Noi sorridemmo. Ci voltammo e vedemmo di avere il sostegno di tutte le band eliminate. Sì, potevamo farcela.

Toccava ai ragazzi. Erano tesi, in fin dei conti era la prima volta che provavano End up here. Annunciarono il titolo e le band eliminate li incoraggiarono con fischi e applausi, mentre i Frappé alla fragola ridacchiavano. Probabilmente sapevano di avere la vittoria in pugno. Il trucco aveva funzionato per quattro round, non sarebbe stato certo il quinto ad andare male. Li guardai con odio. Poveri illusi. Avevano già perso quando avevano ingannato al primo round. Luke mi si avvicinò. “Dopo la parte di Calum, abbiamo bisogno che battiate le mani” mi disse. Io annuii, sorridendo. “Avete l’appoggio di tutti!” feci, indicando la sala. Lui ricambiò il sorriso e mi diede un bacio sulla fronte, mentre Ashton dava il tempo. Salì in fretta sul palco, mentre io tornavo a sedere.

Iniziarono a cantare e vidi lo sconcerto negli occhi dei componenti del gruppo avversario. “Fate bene ad avere paura, brutti…” iniziò Madison. Carol la zittì prima che potesse iniziare a sviolinare insulti e tornammo ad ascoltare. Arrivò la parte di Calum e io mi preparai, iniziando a battere le mani a tempo. Subito la sala mi seguì, con grande sconcerto dei Frappé. Stava andando tutto alla grande: le dita dei ragazzi volavano sulle corde, le voci trasmettevano un’energia pazzesca, Ashton si esibiva in strane acrobazie con le bacchette, gli altri saltavano da una parte all’altra del palco.

Quando finirono, la sala esplose in ovazioni entusiaste. Io per prima saltai in piedi, urlando. Luke mi porse una mano, come ad invitarmi a salire. Io esitai prima di afferrarla, mentre gli altri facevano salire le  ragazze. “Per questa canzone, dobbiamo ringraziare loro. Queste fantastiche ragazze che ci sostengono sempre!” fece Michael, tenendo Manuela per mano. Tutti applaudirono, mentre noi ci prendevamo tutti per mano e alzavamo le braccia al cielo.

Ecco di nuovo quella sensazione di potenza che avevamo provato sul grattacielo. Solo che questa volta eravamo grandi davvero.

“Non credo ci sia dubbio su quale sia la band vincitrice. I 5 seconds of summer vincono la competizione con un punteggio di sette voti contro zero!” esclamò il presentatore. Luke prese il microfono. “Posso dire una cosa?” chiese. Il presentatore annuì. “Perfetto. Good girls è una nostra canzone. Così come le altre quattro che hanno cantato i Frappé alla fragola sono delle band che hanno eliminato. Si sono presi il merito di cinque canzoni che altri hanno sudato per scrivere, ma vorrei ringraziarli per aver rubato la nostra, o non avremmo cantato End up here” disse. I componenti dell’altro gruppo lo guardarono con odio. “Avete poco da fare così gli smorfiosi, ve lo meritate alla grande!” urlò Francesco, dalla platea. Gli altri lo seguirono, mentre i Frappé si dileguavano, scappando con la coda fra le gambe. Noi ci guardammo e scoppiammo a ridere, mentre il presentatore consegnava ai ragazzi la coppa in palio.

La notte, brindammo alla vittoria, con bicchieri di coca-cola, un banchetto di ciliegie raccolte il giorno stesso e caramelle, cantando i versi di End up here fino a sentire male alla gola.

La notte, mi addormentai col sapore delle labbra di Luke ancora sulle mie.

La notte, dormii circondata dalle sue braccia.

Quella notte, posso dirlo senza ombra di dubbio, fu magica.

*Angolo autrice*

End up here (la amo)

Come era vestita Coralie il pomeriggio

grazie di tutto, ciaooo :))) 

Ranyadel

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Capitolo 19
*** Never be ***


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Attenzione: consiglio tantissimo di ascoltare Never be durante la lettura, è una canzone magica!!

Never be

Era passato circa un mese da quando i ragazzi avevano vinto il concorso, e ancora niente risultati. All’inizio erano carichi di aspettative, ma più il tempo passava, più la speranza sfumava.

Quel giorno, però, non importava a nessuno.

Stavano partendo per le vacanze estive e tutta la loro attenzione era puntata sui bagagli e su come dividersi nelle macchine. Avendo un sacco di valigie, avevano optato per il furgoncino che usavano i ragazzi per spostarsi con gli strumenti e l’auto di Ashton, che era la più grande.

Luke mi aiutò a caricare la mia valigia, azzurra con decorazioni floreali, nel retro del furgoncino. “Ma cosa ti porti dietro, scusa? Stiamo via tre settimane, non un anno!” fece lui, i muscoli tesi per lo sforzo. Dovevo ammettere che era una gran bella visione. Rimasi immobile senza rispondere, tenendo la mia borsa con dentro qualsiasi cosa, utile, futile, conosciuta, sconosciuta. Manuela mi passò di fianco e la urtò per sbaglio, facendo cadere un oggetto incriminato, che mi affrettai a raccogliere nella speranza che nessuno lo vedesse. Invano. Ashton si avvicinò a me e mi prese dalle mani il mio peluche. “Coco, hai diciassette anni” fece stranito. “Non m’importa! Per me Milky e Dayna sono parte della famiglia, e vengono con me. che vi piaccia o meno!” risposi, prendendo il peluche di tigre bianca e rimettendolo in borsa con quello di lince. “E io povera illusa che speravo che te ne dimenticassi, quest’anno” fece Carol ridacchiando. Io le feci una linguaccia. “Se vuole portare i peluche, che li porti, scusate! Sono suoi, decide lei” mi difese Luke, ancora alle prese con la mia valigia, che non riusciva ad incastrare. Cercai di aiutarlo, mentre facevo un mezzo sorriso. Insieme riuscimmo a farla combaciare con le altre. Chiudemmo il bagagliaio prima che potesse esplodere, era l’ultima.

“Andiamo, allora?!” fece Madison, impaziente. Era emozionata come una bambina a Natale e non capivo perché. Guardai interrogativa Calum che mi fece segno di venire dietro l’auto. “Che ha Maddy?” chiesi confusa. “Non ha mai visto il mare. È sempre stata in montagna e adesso non vede l’ora” mi spiegò lui. Io rimasi a bocca aperta. Quella reazione l’avevo avuta solo quando avevo saputo che Avril Lavigne era in tour in Italia e io me l’ero persa.

“Abbiamo finito, no?” chiese Michael, chiudendo il bagagliaio della macchina di Ashton. Noi annuimmo e ci infilammo nelle due auto. Luke, io, Ashton e Carol eravamo nel furgoncino, gli altri nella macchina di Ashton.

“Dove vi porto, signorine?” chiese Ashton ridacchiando. “Al mare, nobile cavaliere!” rispose Luke, con voce acuta. Io lo guardai di traverso, ridendo, imitata dai due davanti a noi. Ashton si schiarì la voce. “Ero rivolto alle ragazze, Lukey.”

“Eh, e io cosa sono, scusa?”

“Tu sei un essere non identificato che si è infiltrato nell’auto sbagliata.”

“Voi dove andate?”

“In Liguria.”

“Allora sì, ho sbagliato.”

“Perché, tu dove vai?”

“Alla casa della nonnina. La mamma mi ha detto di non parlare con il lupo cattivo.”

“Bambine, siete tanto carine, ma se permettete io ho un appuntamento con la spiaggia che non voglio perdere per i battibecchi fra Cappuccetto rosso e l’autista di un taxi sessista!” intervenne Carol. Ashton si voltò verso di lei. “Intanto dillo, che quest’autista di un taxi sessista ti piace da impazzire” fece sorridente, prendendole il mento fra le dita e scoccandole un bacio sul naso. Io feci un sorriso a trecentosessanta gradi.

Furono interrotti da Calum, alla guida della macchina di Ashton, che suonò il clacson. “Ragazzi, a dopo i baci. Almeno chi guida. Vorrei arrivare al mare entro domani” fece, sporgendosi dal finestrino. Ashton sbuffò, mentre Luke ed io sghignazzavamo. “Siete delle carogne, voi due!” si lamentò Carol.

Io scalciai le mie infradito e mi sdraiai sul sedile, con le testa sulle gambe di Luke, che prese a carezzarmi piano i capelli raccolti in una treccia sfatta. Io chiusi gli occhi, sorridendo da ebete.

Per qualche tempo, ci eravamo preoccupati su dove andare in vacanza. Avevamo paura che le varie famiglie pretendessero i figli, e per un po’ era stato anche così. Poi, però, la zia di Calum ci aveva salvato la vita: ci aveva proposto tre settimane nella sua casa al mare, dicendo di voler fare una vacanza in qualche altro posto. Quindi, oltre alla casa, avevamo anche la scusa di non poter offendere questa zia così generosa. I miei, quando lo avevo detto, mi avevano dato della faccia di bronzo, ridendo, ma mi avevano permesso di passare la vacanza così.

 

“Che facciamo, per queste ore di viaggio?” chiese Carol, insofferente. Odiava i viaggi lunghi. “Si ascolta la musica, si canta, si dorme, cosa vuoi di più dalla vita?” fece Ashton ridacchiando. “Del cibo e un bacio!” rispose lei. “Per una cosa ti posso accontentare subito” rispose Ashton con un mezzo sorriso. Carol lo imitò, ma il sorriso le morì sulle labbra quando lui le porse un panino. “Ma che…?!”

“Non volevi cibo?”

“Ma io…”

“Ti ho detto di poterti accontentare per una cosa, e così ho fatto.”

“Sei un cavernicolo, cretino e insensibile per di più!” fece Carol, incrociando le braccia e dandogli le spalle. Ashton si mise a ridere. “Dai, lo sai che scherzo” fece, carezzandole la schiena. “Non te la cavi così, mio caro!” rispose lei, sempre mantenendo la sua parte da offesa. Ashton ridacchiò di nuovo e le pizzicò il fianco per farle il solletico. Carol sobbalzò, portando i gomiti contro i fianchi e schiacciando le dita di Ashton. “Ecco, te lo meriti! Lo sai che reagisco così quando mi fanno il solletico!” esclamò lei, vedendolo dolorante. “Ora siamo pari, però” fece lui, dandole un lieve bacio sulle labbra. Carol fece una smorfia che probabilmente era un sì e Ashton riuscì a mettere in moto, mentre io porgevo a Carol il porta-cd. Lei estrasse da questo l’ultimo cd di Avril, mentre Ashton alzava gli occhi al cielo.

 

Sei ore dopo, eravamo arrivati sulla costa ligure. Eravamo stati rallentati da un incidente che aveva creato una coda chilometrica, tanto che ad un certo punto io e Luke avevamo deciso di scendere e sgranchirci le gambe. Dato che di fianco a noi correvano campi di girasoli, ci infilammo in essi, arrivando in un punto dove i fiori ci superavano in altezza. Iniziammo a giocare a nascondino, chiamandoci a vicenda per capire dove eravamo. Mi stavo nascondendo dietro un paio di alti steli, ridacchiando, quando lo vidi che si avvicinava. Ridacchiai, allontanandomi, ma lui sentì il fruscio provocato e mi inseguì. Corsi, ricevendo solo tante foglie in faccia, ridendo, fino a che non arrivai al limite con l’autostrada. Luke si scontrò contro di me e scoppiammo a ridere. “Fermi tutti, dove sono i ragazzi?” chiesi poi. Luke guardò l’autostrada e impallidì. “Oh.”

Ci mettemmo a correre nella corsia centrale, dove sapevamo trovarsi le due auto. Eppure, non trovavamo i ragazzi. iniziavo a preoccuparmi, così chiamai Ashton. “Dove siete finiti?! Qui si sta muovendo tutto, fate in fretta!” Mentre lo diceva, le auto iniziarono a muoversi, lentamente. Erano più avanti, quindi. Iniziai a correre, sentendo Luke che mi seguiva. Alcuni clacson suonarono e noi ci tappammo le orecchie, erano davvero troppo forte. Mi stavo guardando intorno, quando qualcosa mi colpì in testa. Gemetti e guardai cosa era arrivato: un’infradito di cuoio, con una stella marina dove si incontravano i lacci. Conoscevo bene quella scarpa. “Coralie! Voltati, sorda!” urlò Manuela. Io la cercai, basandomi anche da dove era arrivata l’infradito, e vidi Manuela sbracciarsi dall’auto di Ashton. Sospirai di sollievo e li raggiungemmo. “Non sparite più, o vi lasciamo a fare l’autostop, chiaro?!” ci riprese Carol. Noi rimanemmo in silenzio, consapevoli di essere in torto. “Coco!” urlò Manuela dall’altra macchina. Io mi sporsi dal finestrino. “Pretendo la mia infradito!” esclamò lei. Io gliela lanciai, ma colpii il cofano dell’auto. Ashton urlò di orrore. “La mia bambina! Non potete trattarmela così!” urlò, guardando la sua adorata auto. Carol lo fissò torvo. “A volte mi chiedo chi tu preferisca, fra me e lei” fece. Ashton non sembrò neppure sentirla, mentre io mi scusavo e Manuela recuperava l’infradito.

 

Una mezz’ora dopo, arrivammo alla casa della zia di Calum. “Finalmente, casa dolce casa!” fece lui, scendendo dall’auto e correndo ad aprire la porta. Noi lo seguimmo, trovandolo bloccato nel corridoio. “C’è qualcuno in casa” disse solo, allarmato. Noi ammutolimmo e lo seguimmo per le stanze, mentre lui, silenzioso, cercava di capire chi produceva quei rumori. Calum ci indicò quello che probabilmente era la sala, facendo segno di rimanere in silenzio. Io sentivo il sangue gelare nelle vene: se fosse stato un ladro? Se fosse stato armato? O fossero stati in tanti? Cosa avremmo fatto noi?

Sentimmo dei passi, piccoli e veloci, venire verso di noi. Calum, improvvisamente, svoltò l’angolo della porta, urlando. Sentimmo un altro urlo, femminile e terrorizzato. Poi Calum: “Zia!”

“Per l’amor del cielo, Calum, che ci fai qui?!”

Noi uscimmo allo scoperto, lentamente, per non far spaventare ulteriormente la zia di Calum. Notammo sbigottiti che era in vestaglia. “Oggi dovevamo arrivare noi, ti ricordi?” fece Calum. La zia sgranò gli occhi. “Ti sbagli, io parto domani mattina!” rispose. Noi spalancammo la bocca. “Ma no, non è…” fece Calum, cercando il cellulare dove aveva salvato il messaggio. Quando lo trovò, si interruppe. “Ragazzi, c’è un problema” disse.

La zia di Calum aveva ragione, e noi eravamo senzatetto per un giorno. “Sei un genio!” fece Madison, torva. Lui incassò la testa nelle spalle. “Se volete, potete pure rimanere…” iniziò la zia di Calum. “No, si figuri, ci scusi il disturbo, non volevamo darle fastidio, grazie comunque” fece Luke. Noi fummo d’accordo e uscimmo dalla casa, scusandoci di nuovo. “E ora che facciamo?” chiesi. Ci guardammo attorno. “Beh, abbiamo la spiaggia, ed è disabitata. Possiamo semplicemente fare un falò stasera, e intanto stare qui. Poi dormiremo o sotto le stelle, o in macchina” propose Michael. Ci aprimmo in sorrisi entusiasti. “Viva il campeggio!” esclamò Manuela, esaltata.

Facemmo un salto al supermercato per prendere la carne da fare alla griglia e poi tornammo in spiaggia. Rimanemmo incantati nel vedere la spiaggia incontaminata, tutta per noi. “Io amo la zia di Calum!” fece Carol, sognante. Stendemmo i teli mare, fissandoli con dei sassi per non farli volare via. “L’ultimo che arriva non mangia!” urlò Manuela, correndo verso il mare. Iniziò una corsa disperata, in cui cercavamo di ostacolarci a vicenda e di arrivare verso l’acqua. Durante il tragitto, ci togliemmo magliette e pantaloncini, abbandonandoli sulla spiaggia e pregando che il vento non li portasse via. Ci tuffammo nonostante il fondale bassissimo nell’acqua gelida e rabbrividimmo, per scoppiare a ridere. Vidi che Luke si avventurava più al largo e nonostante il freddo e il mio timore di calpestare qualche animale strano, lo seguii, fino a che l’acqua non raggiunse le mie spalle. Luke si voltò verso di me e sembrò sorpreso nel vedermi. “Coco, torna a riva, hai le labbra viola” mi disse, avvicinandosi subito a me. io scossi la testa, mentre battevo i denti. “Ce la faccio.”

“Coco, davvero, poi stai male.”

“Ma io voglio stare con te.”

“Allora vengo a riva anche io.”

“No…”

“Perché?”

“Non voglio che tu debba sempre rinunciare a tutto per me.” Luke mi guardò qualche secondo, prima di abbracciarmi. “Ricordati solo questo: io rinuncio al cielo, per avere il Paradiso.” Io sorrisi piano, mordendomi le labbra, mentre sentivo gli occhi pizzicare. Ricambiai l’abbraccio, cullata dal calore che il suo corpo emanava. “Ti amo.”

“Anche io, cucciola.”

 

La sera, ci sedemmo sui teloni che avevamo steso sulla sabbia, mentre Ashton litigava con la legna per farla ardere. Io ridevo, vedendolo sfregare il bastoncino contro un altro. "Sembri tanto Sid il Bradipo" disse Calum. "Lui almeno era il Signore delle Fiamme. Io, invece, sto pregando questi due bastoncini di prendere fuoco!" rispose lui. Luke allungò un braccio – di più non poteva fare, con me accoccolata su di lui – e toccò i bastoncini. "Ma lo sai che sei un genio? Usare legno bagnato per accendere un fuoco!" fece ridendo. Ashton si lasciò cadere a terra. "Non ci credo! Non erano bagnati, dove li tenevo io!!" fece disperato. Manuela si avvicinò al fuoco e prese un bastoncino, avvolgendolo con la carta di un giornale. Lo cosparse d'olio e fece lo stesso col falò, aggiungendoci diversi fogli di carta appallottolati. "Sai, Ash" fece, frugando nelle tasche "Hanno inventato una cosa geniale. Si chiama accendino." Così dicendo, diede fuoco al bastoncino che teneva in mano, gettandolo nel falò che prese fuoco in un paio di minuti. "E fu così che la tecnologia batté Madre Natura" commentai ridacchiando. Ashton preferì rimanere in silenzio, mentre Carol lo abbracciava da dietro. "Dai, non fare così. La prossima volta ce la farai" la sentii sussurrare. Ashton si voltò verso di lei per darle un bacio, che lei ricambiò subito. "A volte mi chiedo cosa ci fa uno di due anni più grande di noi qui. Non ti annoi?" chiese Madison. Ashton la guardò come se fosse pazza. "Annoiarmi?! È impossibile, con voi, fidatevi!" rispose ridacchiando. Io presi dalla borsa tutta la carne che avevamo preso il pomeriggio e la posai sul telo, ancora confezionata, mentre Calum e Michael cercavano di dar vita ad una griglia alquanto instabile. "Metteteci dei sassi, attorno, o cadrà!" fece Luke. "Se sei così esperto, dacci una mano!" esclamò Calum. "Non farlo!" feci io invece. "Perché?"

"Sono troppo comoda, una posizione così non la trovo più!" esclamai disperata. Tutti risero, mentre io mi accoccolavo ancora meglio. "Dopo dovremmo mangiare, lo sai, no?" mi chiese lui. Io non risposi, troppo concentrata a giocherellare con la sua collana. "Ragazzi, anziché un falò sulla spiaggia questo sembra un dormitorio. Facciamo qualcosa di divertente?!" chiese Madison. Manuela tirò fuori dalla sua borsa un pallone da volley e ce lo mostrò. Io fui la prima a schizzare in piedi: se avevo un punto debole, quello era la pallavolo. Luke mi guardò stranito. "Ma scusa, non..."

"Sono incoerente, lo so. Ora giochiamo??" chiesi con gli occhi che brillavano e una faccia da cucciola. Lui alzò gli occhi al cielo ridendo e si unì a noi, come Michael. "Asociali, venite a giocare anche voi?" chiese Manuela, indicando il campo che avevamo montato prima. O meglio, la rete.

Iniziammo a giocare, ragazzi contro ragazze, fino a notare che non era possibile: i ragazzi avevano troppa potenza e le ragazze troppa tattica. Eravamo impari, così Ashton e Luke si spostarono da noi e Manuela e Madison dall'altra parte. Io, avendo dalla mia anni e anni di pallavolo, indicai ai due i punti dove stare.

La partita andò avanti, con cadute, tuffi ed errori inimmaginabili e per questo divertentissimi. Alla fine, avevamo perso la speranza di segnare i punti: giocavamo così, giusto per ridere. Improvvisamente, Michael sbarrò gli occhi. "Ragazzi, ma la carne chi la sta curando?" chiese. Noi ci guardammo terrorizzati prima di correre verso il falò, che ardeva imperterrito. Fortunatamente, non tutta la carne era bruciata. Tirammo via subito la griglia - era bollente, per poco non ci ustionammo nonostante i guanti da giardinaggio - e la appoggiammo sulla tovaglia di plastica, per vedere quanta carne avremmo dovuto eliminare. “Dai, non abbiamo fatto un totale disastro. Abbiamo carbonizzato solo un paio di costolette” fece Calum, spostando i pezzi di carne immangiabili con occhio critico. Facemmo spallucce e ci scartammo la parte rimasta, sedendoci a gambe incrociate con i nostri piatti di plastica e le posate che si rompevano a guardarle. Carol prese il cellulare e nell’aria si diffusero le note di Sippin’ on sunshine. Noi ragazze iniziammo a cantare, mentre i ragazzi sembravano rassegnarsi all’idea di non avere scampo. “Prima o poi, ti stancherai di Avril, vero?” chiese Ashton alla sua ragazza. Lei scosse la testa, con la bocca piena, e lui fece segno di tagliarsi le vene. “Sono spacciato. Vivrò per sempre con una fanatica” disse. Carol lo guardò a bocca aperta, come se non credesse a quello che aveva appena detto lui. “Ash, io ti consiglio di smetterla” dissi. Lui mi guardò. “Coralie, lo sai come sono fatto. Io prendo in giro Carol, ci scherzo, ci gioco, la faccio rimanere male. Ma lei è la mia principessa e non le farei mai del male seriamente, perché la amo troppo e sapere di essere la causa di una sua lacrima mi spezzerebbe il cuore” disse, serio come non mai. Carol sorrise e si appoggiò a lui, che le lasciò un bacio sulla testa. “Spegni la musica?” chiese Luke. “Perché?” feci io. “Perché avete la possibilità di sentire musica dal vivo, ben più romantica di questa” rispose lui, mentre si alzava per andare in macchina a prendere la chitarra. I ragazzi lo imitarono e ci andammo a sedere su uno scoglio. Solo Ashton si sedette su una cassa di legno, che usava al posto della batteria. “Un concerto dal vivo, e solo per noi! Sono commossa!” fece Manuela elettrizzata. Loro ridacchiarono, di fronte a noi. Come sottofondo, lo sciabordare delle onde. Vidi Michael proporre qualcosa al gruppo, che acconsentì. Noi eravamo troppo lontane per capire, nonostante ci separassero due metri scarsi, ovvero la distanza fra i due scogli che avevamo scelto come anfiteatro. Luke impugnò un microfono invisibile e si schiarì la voce. “Questa canzone è dedicata a quattro ragazze speciali, che ci sono sempre affianco, ci aiutano e ci sostengono. Non potremmo amarle più di così, ed è solo uno dei tanti motivi per cui queste parole sono per loro. Grazie, ragazze, di esistere.” Noi applaudimmo, sorridendo emozionate, mentre loro iniziavano a suonare.

I need your love to light up this house

I wanna know what you’re all about

I wanna feel you, feel you tonight

I wanna tell you that it’s alright

I need your love to guide me back home

When I’m with you I’m never alone

I need to feel you, feel you tonight

I need to tell you that it’s alright

We’ll never be as young as we are now

It’s time to leave this old black and white town

Let’s seize the day, let’s run away

Don’t let the colors fade to grey

We’ll never be as young as we are now

As young as we are now

I’ve seen myself here in your eyes

I stay awake ‘til the sunrise

I wanna hold you, hold you all night

I wanna tell that you’re all mine

I felt our hands entertwine

I hear our hearts beating in time

I need to hold you, hold you all night

I need to tell you that you’re all mine

We’ll never be as young as we are now

It’s time to leave this old black and white town

Let’s seize the day, let’s run away

Don’t let the colors fade to grey

We’ll never be as young as we are now

As young as we are now

We won’t wait for tomorrow

It’s too late, we don’t follow

We won’t wait for tomorrow

It’s too late, we don’t follow

We’ll never be as young as we are now

It’s time to leave this old black and white town

Let’s seize the day, let’s run away

Don’t let the colors fade to grey

We’ll never be as young as we are now

As young as we are now

Quando finirono di cantare, noi avevamo le lacrime agli occhi. “È… stupenda!” disse Madison, commossa. Noi convenimmo, facendoli sorridere.

Erano unici, inimitabili. I nostri eroi, una banda sgangherata di eroi molto alternativi, ma erano i nostri eroi. E anche per quello, eravamo innamorate di loro. Di tutto quello che li rendeva così. Di tutto quello che facevano o erano. I ragazzi migliori del mondo, ecco cos’erano.

Suonarono per noi ancora a lungo, canzoni vecchie, nuove o inventate al momento, fino a che la luna non fu alta nel cielo. Quando dissero di aver male alle dita, misero via gli strumenti e preparammo dei sacchi a pelo improvvisati. Ci addormentammo sotto le stelle, a raccontare storie assurde e a ridere.

“Esprimi un desiderio” mi disse Luke, ad un certo punto. Io lo guardai interrogativo. “Hai visto una stella cadente?”

“Sì.”

“Io no.”

“Ma come? Ha attraversato tutto il cielo ed è caduta proprio qui.”

“E tu come lo sai?”

“Semplice. La sto tenendo fra le braccia adesso” rispose stringendomi più forte. Io sorrisi. “Buonanotte, amore mio” mi sussurrò baciandomi. Io ricambiai. “Buonanotte, pinguino.”



















*Angolo autrice*
Come erano vestite Manuela, Carol, Madison e Coralie
Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui!
Ciaoo
Ranya

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Capitolo 20
*** I will be ***


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I will be

Il mattino dopo, ci trasferimmo in casa Hood, finalmente libera. Nonostante di giorno ci fossero trenta gradi, la notte era stata freddissima: avevamo provato a dormire sulla sabbia, ma poi avevamo svuotato il retro del furgoncino per ammassarci lì dentro, in un miscuglio di corpi, coperte, cuscini e pupazzi. Dire che avevamo tutte le ossa rotte era un eufemismo, e in più avevamo dormito malissimo.

“Non rifacciamolo mai più, per favore” fece Manuela, assonnata e dolorante. Partì un coro di svogliati assensi, mentre ci trascinavamo come zombie acciaccati per la casa. Io mi arresi subito davanti alle valigie, lasciandole intatte sul mio letto e scendendo al piano di sotto per preparare la colazione. Qualcuno doveva pur farlo, no?

Cercai di fare mente locale, non ricordavo assolutamente i gusti dei ragazzi e di Madison, e dire che praticamente la nostra era una convivenza continua. Bene o male, eravamo sempre sotto lo stesso tetto.

Chiamai Ashton per aiutarmi, dato che Luke era alle prese con la sua valigia. Lui, svogliato quanto me, mi seguì. “Siamo una gioia al mattino” fece, sbadigliando. Io annuii e cercammo di mettere insieme qualcosa di simile ad una colazione. “No, metti i biscotti al cacao, sono più buoni di quelli alla crema” feci, mentre lo vedevo posare sul tavolo la confezione in questione. “Guarda, parliamone. Non puoi dirmi che sono più buoni” rispose lui. Io lo guardai torva e sostituii i biscotti alla crema con quelli al cacao, fissandolo poi a mo’ di sfida. Lui restituì il mio sguardo, mentre i suoi occhi si riducevano a due fessure. “Facciamo così. Mettiamoli tutti e due” disse, prendendo di nuovo i biscotti alla crema e mettendoli affianco ai miei. Io attesi qualche secondo, prima di acconsentire.

Alla fine, fra un compromesso e l’altro, sul tavolo non c’era più spazio. Io andai a chiamare Luke, Ashton fece lo stesso con Carol. “No, grazie, non ho fame” fece Luke, steso sul letto. “Come sarebbe a dire, non hai fame?! Tu adesso vieni a mangiare, primo perché se no stai male, secondo perché io e Ashton abbiamo litigato fino ad ora per mettere in tavola qualcosa e se non mangiate dovrete vedervela con noi!” feci io scandalizzata. Luke che non voleva mangiare? Mai visto.

Dopo qualche tira e molla, Luke acconsentì. “Però non troppo, non sono proprio in vena” mi disse. Io lo guardai stranita. “Sicuro di stare bene?”

“Non molto” ridacchiò, passandosi una mano sul viso. Aveva delle occhiaie spaventose. Io lo guardai qualche secondo. Iniziavo a non essere sicura che stesse bene per davvero.

Fummo interrotti da Madison, che ci chiamò per la colazione. Noi raggiungemmo gli altri in cucina, dove ci dovemmo stringere ad un tavolo troppo piccolo per tutti e otto. Mangiammo poco e di malavoglia. Eravamo tutti al top della vitalità.

Quando finimmo, decidemmo che dovevamo recuperare le ore di sonno perse. C’erano solo quattro camere, ma i letti erano grandi e per fortuna tutti eravamo abituati a dormire in coppia. Per cui, sparimmo nelle diverse stanze. Luke si infilò sotto il lenzuolo, seguito da me. Di solito ero io la freddolosa, ma quel giorno tutti i ruoli parevano essersi invertiti. Io mangiavo, lui no. Lui aveva freddo, io no. Notai anche che quel giorno io dormivo a sinistra anziché il solito. Wow, per arrivare a notare queste cose si doveva essere proprio messi male.

Mi accoccolai contro di lui, sentendo il suo calore, familiare, tranquillizzante e… soffocante. Mi dovetti scostare di un paio di centimetri, tanto che lui mi guardò strano. “Cosa c’è?” chiese. “Ho troppo caldo così” risposi, con una smorfia. Di solito non avevo mai caldo, con lui. Lui sporse il labbro all’infuori. “Ho capito, dormirò da solo, al freddo e al gelo” si lamentò, avvolgendosi nella coperta e dandomi le spalle. Io ridacchiai e mi portai sopra di lui, per lasciargli un innocuo bacio sulla guancia. “Devi farti la barba, pungi” dissi. Lui mi fece una linguaccia e si girò, facendomi cadere. Mi misi a ridere mentre lui si acciambellava. “Sono offeso” disse, coprendosi la testa con la coperta. “Fu così che il grande eroe Luke sprofondò nei bui e profondi antri di quel posto magico che tutti chiamano letto” lo canzonai, cercando di scoprirlo. “Dai, Coco!” fece lui, ridacchiando. “Dai niente, voglio un bacio e non ti lascio in pace fino a che non lo ottengo!” lui smise di dimenarsi, tanto che credei che fosse morto. Lo scoprii fino al busto, trovandolo immobile, con gli occhi chiusi. “Luke?” lo chiamai. Vidi che si tratteneva dal ridere – senza molto successo – e sospirai. Mi misi a cavalcioni su di lui, decisa ad ottenere il mio bacio ad ogni costo. Mi sdraiai sul suo busto – ancora, decisamente troppo caldo – e gli lasciai un bacio sotto il lobo dell’orecchio. Notando che lui non faceva una piega, lo baciai di nuovo, ancora e ancora, fino a che, non so come, mi scappò un piccolo morso. Lui sgranò gli occhi. “Ma che…?!” fece, basito. Io ridacchiai. “Tu sei pazza” mi disse lui ridendo. Io annuii e lui mi prese il viso con le mani, avvicinandomi al suo e facendo incontrare le nostre labbra in un bacio dolce e allo stesso tempo intenso. Mi mordicchiò un poco il labbro inferiore, giustificandosi con un: “Ti dovevo un morso”. Io alzai gli occhi al cielo, tornando a baciarlo. Iniziavo ad avere troppo caldo ma mi dispiaceva staccarmi da lui nonostante fosse una fornace. Non capivo perché fosse così.

Quando si staccò, tentò di farmi tornare al mio posto – eravamo venuti lì per dormire, non per baciarci in maniera così poco casta – ma io mi opposi. Presi fra i denti il suo piercing, trascinando il suo labbro con me. “Ahi, Coco, mi fai male” mugolò lui, incomprensibile. Io ridacchiai ma lo lasciai. Stavo esagerando, decisamente, ma volevo giocare, ed ero pericolosa quando volevo giocare. Decisi di smetterla prima di farmi insultare e mi coricai di fianco a lui. Luke cercò le mie dita e quando le trovò le intrecciò alle sue. Così, anche se non potevo dormire accoccolata contro di lui come al solito per quella strana sensazione di calore soffocante, mi addormentai con la mano nella sua.

 

Mi svegliai da quel tentativo fallito di sonno circa un quarto d’ora dopo, esasperata. Luke non faceva altro che divincolarsi e non capivo sinceramente cos’avesse. Rinunciai con un sospiro alla mia bella dormita e presi il mio portatile, decisa ad andare avanti con il mio libro, in qualche modo oscuro.

 

Quando Luke si svegliò, mi trovò seduta, a gambe incrociate, con il computer di fronte a me e la testa fra le mani. "Cosa c'è, amore?" mi chiese. "Io ci rinuncio" dissi. Lui si alzò a sedere, improvvisamente serio. "A far cosa?" domandò. "A scrivere. Sono una fallita. Il mio libro è stato pubblicato per pietà e non riesco ad andare avanti con questo. Non sono capace!" esclamai. Era da un'ora che provavo a scrivere una sola parola, ma niente, non riuscivo ad andare avanti. Ero in un momento di sconforto, con le lacrime agli occhi. Luke mi fissò. "Vestiti" mi intimò poi, alzandosi. Io lo guardai. "Luke..."

"Non volevo arrivare a tanto perché stavo progettando tutto da tempo e non volevo che tu lo sapessi così, ma vieni con me" mi disse, togliendosi la maglietta e cambiandosi. Io sbuffai, spensi il computer e lo imitai. Non c'era più vergogna fra di noi per quelle cose dopo che ci eravamo visti in costume, anche se, lo ammetto, vederlo in boxer mi faceva un certo effetto. Arrossii lievemente mentre mi infilavo nei primi vestiti che presi dalla valigia.

Avvertimmo gli altri che stavamo uscendo e prendemmo la macchina di Ashton. "Se succede qualcosa alla mia bambina vi strozzo!" ci urlò dietro Ashton, mentre Carol lo prendeva per il colletto della t-shirt dei Nirvana e lo portava dentro.

Luke guidò fino in città, dove chiese le indicazioni per una libreria. Io ero sempre più curiosa. Quando parcheggiammo, lui mi fece scendere. "Ora vieni con me. E se non cambi idea sul tuo talento te la vedi con me" mi disse. Io non fiatai e lo seguii fino alla reception della libreria. "Mi scusi, ha un minuto da dedicarmi?" chiese all'anziana commessa. Lei sorrise e annuì. "Potrebbe dirmi qualcosa del libro Look into my eyes?"

"Oh, un vero caso editoriale. Fino a qualche mese fa non lo comprava nessuno anche se a mio parere meritava molto di più. L'ho letto ed è geniale, soprattutto per un'autrice così giovane... Il suo segreto sta nella semplicità e nella spontaneità. Comunque, non so perché, ultimamente ha fatto un boom di vendite. Guardi, ne è arrivato un carico ieri, l'ultimo è finito in una settimana" ci disse, alzandosi per prendere il mio libro. Io ero a bocca aperta. Basita. Stupita. Sorpresa. Incredula.

Luke mi guardò sorridente. "Tu non c'entri niente, vero?" chiesi. "Oh, piccola, c'entro eccome. Non hai idea di quanto potere abbia il passaparola, un'inserzione sul giornale e la pubblicità" disse. Io rimasi di sasso. "Cosa..."

"Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Me lo hai fatto leggere e ti ho chiesto se avresti continuato. Tu mi hai detto di sì ma che il tuo libro non vendeva e io ti ho promesso che ci avrei pensato io. E io, amore mio, mantengo sempre le promesse" mi disse baciandomi sul naso. La mia bocca, da "O" perfetta, divenne una "D" capottata. Gli saltai al collo, entusiasta, proprio mentre la signora tornava con il libro, il mio libro, in mano. "Guardi, la trama è proprio qui. È semplice, ma scritto davvero col cuore. E se vuole qui c'è anche la foto dell'autrice" fece la signora, aprendo alla pagina giusta. Diede un'occhiata alla foto, poi a me e di nuovo alla foto. "Ma lei è..." iniziò. Io sorrisi - ma non stavo già sorridendo? - e annuii. La signora rimase immobile, sorpresa. "Potrei comprare quella copia?" feci. La mia ce l'aveva Luke e quando avevo detto di averne un'altra, beh, avevo mentito. La signora annuì, poi si guardò attorno come una spia e mi fece segno di avvicinarmi. Io, cercando di non ridere, mi accostai a lei. “Se mi fa l’autografo e mi promette che pubblicherà un seguito, glielo regalo” sussurrò con fare da cospiratrice. Io ridacchiai. “Non posso accettare, davvero” feci. Lei mi guardò scandalizzata. “Ma lei deve accettare! E chi me l’assicura più un autografo e il seguito di un libro geniale?!” chiese. Io e Luke ci mettemmo a ridere. La signora – quanti anni avrà avuto? Ottanta? – mi fece segno di seguirla dietro al bancone della reception e io obbedii. Facendolo, però, urtai uno scatolone. Sentii una specie di squittio stizzito e sussultai. La signora si chinò verso lo scatolone. “Silenzio, Stracciatella, non fare rumore!” fece. Io la guardai basita. “Stracciatella?” chiesi. Lei annuì e tirò fuori dallo scatolone l’essere più tenero che avevo mai visto: un coniglietto, così piccolo che stava tranquillamente nelle mani chiuse a coppa della signora, bianco, con gli occhietti tondi che sembravano due giade, le orecchie e una macchia attorno all’occhio nere, più tanti piccoli puntini neri sul manto che doveva essere morbidissimo. Il nasino rosa fremeva a tempo dei respiri veloci del coniglietto.

“È un amore!” esclamai. “Lo so, l’ho adottato da una famiglia che non poteva più tenerlo, ma non posso più farlo rimanere in negozio, purtroppo. Ha bisogno di una casa vera e io non posso portarlo a casa mia, perché mio marito è allergico” disse lei dispiaciuta. Io e Luke ci guardammo. “Non possiamo tenerlo, vero?” chiesi, disillusa. Luke scosse la testa. “Lo so che è tenero, ma non siamo in casa nostra, e da noi abbiamo comunque i gatti e voi avete Tabitha. Riusciamo ad occuparci a malapena di loro, non ce la faremmo anche con un coniglio” disse. Io sospirai, poi ebbi un’illuminazione. Presi il telefono e composi il numero di Emmaline.

Mi ero riavvicinata molto a lei, in quelle settimane, ed ero molto contenta di quello. Cristine e Daniel le avevano proposto di tornare in Francia e lei, dopo diverse pressioni anche da parte mia, aveva accettato. Era il posto migliore, per lei, così vicina ai ricordi che la tenevano salda sui suoi piedi e così lontana dal posto che era stata la sua prigione dorata. Ci chiamavamo spesso, anche se lei era sempre occupata nel lavoro che Cristine le aveva faticosamente procurato: adesso le due si alternavano i turni in un ristorante italiano con vista torre Eiffel. Daniel, che peraltro lavorava come cuoco nello stesso ristorante, mi aveva detto che fra i camerieri ce n’era uno davvero carino – e ci aveva tenuto a specificare che erano parole di Emmaline e non sue – che le faceva una corte spietata. Io avevo sorriso all’idea, poi avevo chiesto a Daniel di dirmi tutto il possibile sul cameriere. Se mia sorella doveva innamorarsi, il fortunato doveva avere le carte in regola. Perché sì, l’amore può battere ogni cosa, ma non me quando mi impunto.

“Coco mi piacerebbe molto parlare ma sono in servizio quindi eliminiamo i giri di parole e subito dritti al punto” disse lei frettolosa. Io ridacchiai. “C’è un coniglietto adorabile e bisognoso di casa qui con me, quando vieni per ritirare le carte dall’ospedale non è che potresti prenderlo?” chiesi. La sentii urlare. “Oddio sì! Amo i conigli!” esclamò elettrizzata. Io scoppiai a ridere e la ringraziai. “Ti ringrazia anche Stracciatella!”

“Non può chiamarsi Stracciatella, dimmi che stai parlando con il gelato!”

“No, no, tesoro, si chiama proprio Stracciatella, e quando lo vedrai capirai il perché!”

“Oddio, ho adottato un coniglio al cioccolato.”

“Vogliamo parlare dei conigli di cioccolato? Vuoi davvero che ti ricordi quando ne hai lasciato uno in macchina e quando l’hai ripreso era irrimediabilmente sciolto?”

“Ehi, quello era cioccolato. Questo è un coniglio. Perché è un coniglio normale, vero?”

“Sì, tranquilla.”

“Oh, bene, iniziavo a spaventarmi.”

Io mi misi a ridere e la salutai. “Abbiamo trovato la casa per Stracciatella!” esclamai gongolante quando misi giù. La signora mi guardò sorpresa. “Le chiedo solo di tenerlo altre tre settimane, poi torneremo a prenderlo e lo porteremo a casa nostra, dove verrà la sua futura padrona per portarlo a vivere in Francia” spiegai. “Oh, cara, non sai quanto ti sono riconoscente” disse. Io sorrisi, poi carezzai il coniglio. Come immaginavo, era un velluto. “A questo punto, se non accetta il libro mi offendo” disse la commessa, perentoria. Io mi misi a ridere di nuovo e accettai, non potendo fare altro.

 

Quando uscimmo dalla libreria, decidemmo di non tornare subito a casa. Prima passammo per una gelateria, dove prendemmo una granita enorme da dividere, dato che ci sembrò più conveniente. Quando vidi il gelato alla stracciatella, per poco non risi. Luke scosse la testa, borbottando qualcosa sulla mia pazzia. Fuori dalla gelateria, feci per prendere una cucchiaiata della granita, ma lui me la tolse da sotto il naso, alzandola sopra la mia testa. “Tu sei davvero crudele” feci imbronciata. Lui ridacchiò e io decisi di vendicarmi. Certo, avrei potuto scegliere un modo più intelligente del solletico. Forse, e dico forse, ci saremmo risparmiati la granita in testa.

“Sei un genio!” esclamò Luke ridendo, mentre cercavamo di pulirci alla bell’e meglio dal liquido appiccicoso, dolciastro e soprattutto gelido. Mi annusai i capelli. “So di arancia” dissi. “Vedi, se non avessi fatto questa bravata non sarebbe successo.”

“Non sarebbe successo se tu non mi avessi tolto la granita!” ribattei io. Ci guardammo per poi scoppiare a ridere. “Vieni qui, genio” mi disse solo, attirandomi a lui e unendo le nostre labbra in un bacio dolce, appiccicoso, che sapeva di arancia.

 

Tornammo a casa dopo esserci puliti ad una fontana. I miei capelli grondavano, i suoi erano praticamente asciutti. Ingiustizia divina. Forse, però, me lo meritavo.

Quando Ashton ci vide, sbiancò. “Voi non siete tornati in quelle condizioni con la mia bimba, vero?” chiese. “Ehm, no, certo che no!” rispose con un’aria angelica Luke. Lui ci guardò malissimo, tanto che noi decidemmo di scappare in camera nostra. Chiusi a chiave, mentre Luke si toglieva la maglietta per cambiarsi. Io lo imitai e mi misi leggera, era comunque estate. Mi voltai e lo vidi con una maglietta a maniche lunghe. “E tu hai il coraggio di dare a me della pazza?!” chiesi. “Non so, ho freddo” disse lui. Aveva le guance arrossate.

Alt, fermi tutti.

Guance rosse, freddo, temperatura corporea alta, sonno agitato, poca fame.

“Sono una deficiente” feci, mentre chiamavo Calum. “Sai dove posso trovare un termometro?” gli chiesi. Lui me lo portò in poco e io obbligai Luke a sedersi sul letto. Gli provai la febbre, mentre entrambi pregavamo che fosse solo una mia impressione. Quando presi il termometro da sotto il suo braccio, però, sbuffai. “Trentotto e mezzo. Un buon modo per mandare le vacanze a quel paese” feci. Luke mi guardò perso. “Sono stato sano tutto l’anno, e mi ammalo il primo giorno di vacanza?! Sono da uccidere!” esclamò. Io, tanto per sicurezza, provai la febbre, in fin dei conti ero rimasta con Luke fino a quel momento. Quasi trentasette, mi ero salvata. Andai al piano di sotto per dare la notizia, ma quando vidi che Luke si alzava per seguirmi, lo bloccai. “Tu non vai da nessuna parte, mio caro. Mettiti il pigiama e fila a letto, subito!” gli intimai. Lui alzò gli occhi al cielo, ma obbedì. “Torno fra due minuti” dissi, chiudendomi la porta alle spalle.

“Ragazzi, Luke ha la febbre!” urlai per farmi sentire. “Scherzi, dimmi di sì!” esclamò Manuela. Io scossi la testa, avvilita, e Manuela si sporse dalle scale per gridare un: “Sei un fenomeno!” molto ironico.

 

La sera, gli portai la cena a letto. Lo trovai che giocava ai videogiochi sul cellulare, un’espressione assorta sul viso. “Ti ho mai detto che odio la febbre?” chiese. Io scossi la testa, posando il piatto e il bicchiere sul comodino. In tasca tenevo le posate e il tovagliolo. Luke gettò un’occhiata al piatto: prosciutto cotto, formaggio, insalata scondita. Mi guardò implorante. “Non so se sono più triste io o loro” disse. Io ridacchiai. “Bevi questo, Carol ci ha messo dentro la tachipirina” dissi, porgendogli il bicchiere. Lui lo buttò giù tutto d’un colpo, schifato. “Ripeto, odio la febbre” sentenziò. Io gli scoccai un bacio sul naso, non osando altro per non ammalarmi a mia volta. Lui piagnucolò un qualche lamento, del quale compresi solo: “E ora come faccio?” lo guardai confusa. “Ho detto, ora che ho la febbre, come faccio? Non potrai più avvicinarti a me per un po’ e io potrei andare in crisi di astinenza da baci!” disse, volutamente melodrammatico. Io feci un mezzo sorriso. “Ehi, io sono qui. Anche se per una settimana non stiamo sempre appiccicati non è la fine del mondo, no? Non sto partendo, sarò qui tutto il tempo. E poi, chi sa, un bacino ogni tanto potrebbe scappare” dissi, accarezzandogli la mano. Lui sporse il labbro, per niente consolato. “Vedila come una prova. La supereremo e saremo di nuovo inseparabili” dissi poi, cercando di convincerlo. Lui sbuffò. “Passami il piatto che se no ti scoppio a piangere qui davanti” disse, tutto contrito. Io ridacchiai nel vederlo così indifeso e gli porsi il piatto. Rimasi di fianco a lui per tutto il tempo, senza mettergli fretta, con gli occhi a mezz’asta. Avevo davvero troppo sonno. Quando finì, sbadigliai. “Vado a dormire di sotto, dato che il mio coinquilino ha avuto la bella idea di ammalarsi” dissi. Lui storse la bocca in una smorfia. “Fammelo pesare pure, eh?” si lamentò. Io risi e gli lasciai un bacio sulla fronte, ma lui non ne volle sapere e alzò la testa, facendo incontrare per un attimo le nostre labbra. Si separò subito. “Scusa, era più forte di me” disse. Io non risposi, raccogliendo tutto e portandolo in cucina. “Notte, amore” dissi, uscendo dalla camera. “Notte, piccola” rispose lui.

Venti minuti dopo, finalmente, mi coricai sul divano che da quel momento in poi diventò il mio letto. Mi sentivo stupida per non aver collegato prima i pezzi, e anche distrutta dal sonno accumulato. Cercai di prendere sonno, senza successo, così presi la copia del mio libro.

Non riuscivo a credere che Luke avesse fatto tutto quello per me. Era incredibile.

Lo aprii e lo sfogliai fino a trovare il capitolo giusto. A bassa voce, lessi: “Fra ogni bacio c’è un intervallo che racchiude il passato, il presente e il futuro. Il passato è il ricordo del bacio, ancora impresso a fuoco nella mente. Il presente è il sapore di lui sulle labbra, che non vuole saperne di sparire. Il futuro è lo sperare un altro bacio e immaginarlo, sempre uguale a sé stesso ma in qualche modo sempre migliore.”

Ricordavo a memoria quelle parole. A volte mi venivano quelle frasi così strane, che nascevano confuse, per poi prendere forma, cambiare e rivoltarsi nella mia mente, acquisire un senso mano a mano che aggiungevo le parole. E dopo tanto lavoro, era un peccato non scriverle.

Quella frase era adatta per quel momento. sorrisi, mentre mi addormentavo e nella mia testa si ripetevano le immagini di quel pomeriggio.

“Cosa vuoi essere, in un futuro non tanto lontano?”

“Felice.”

“Oltre a quello?”

“Cosa voglio essere? Una scrittrice. E una sognatrice. Una romantica, malinconica sognatrice.”

Luke sorrise. “Ecco la mia Coco. Non dire più che non vali niente, come scrittrice, perché non è vero” disse poi. Io ricambiai il sorriso, stringendomi a lui. Senza rendermene conto, iniziai a canticchiare:

I will be

All that you want

And get myself together

Cause you keep me from falling apart

All my life

I’ll be with you forever

To get you through the day

And make everything okay…

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Capitolo 21
*** Welcome to my life ***


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Welcome to my life

Era passata una settimana da quando eravamo arrivati a casa Hood. Una settimana da quando, grazie alla nostra mente geniale e alle moltissime precauzioni che prendevamo sempre, Luke si era ammalato. Una settimana in cui ero rimasta di fianco a lui ad accudirlo, mentre fuori sentivo il rumore del mare. Luke si era pure arrabbiato, più con se stesso che con me. Mi diceva che per colpa sua mi stavo perdendo le vacanze e che non era giusto. Quindi, aveva corrotto Manuela e Ashton per portarmi fuori di casa e non farmi entrare se non dopo un bagno.

“Con cosa vi ha comprato, si può sapere?!” chiesi io, stesa a terra, i piedi ancorati saldamente agli stipiti della porta di camera nostra e le braccia tenute da Ashton e Manuela. Luke, sul letto, rideva come un matto. “Con un barattolo di Nutella, con che altro poteva comprarmi, secondo te?” fece Manuela. Io cercai ancora di liberarmi dalla morsa di quei due pazzi. “Posso offrirvene due se mi lasciate!” esclamai. Loro mi mollarono subito ed io caddi a terra, come se prima non lo fossi già. “Eh no, non ci provare. Tre barattoli a testa!” ribatté Luke. Io sgranai gli occhi, sapendo già cosa mi aspettava. Infatti, in poco mi presero di nuovo per i polsi, tirando ancora più forte di prima. Manuela iniziò a farmi il solletico ed io mollai la presa sugli stipiti urlando. I due esultarono, trascinandomi via lungo il corridoio. “Divertiti, amore!” sentii Luke urlare ridendo. “Questa me la paghi!” gridai invece io. Poi mi guardai avanti e sbarrai gli occhi. “No, no, no, ragazzi, mi alzo, ma non trascinatemi giù dalle scale, che mi ammazzo!” esclamai terrorizzata. Loro fecero spallucce e mi issarono, scendendo le scale senza lasciarmi modo di scappare. “Dai, vi prego, perché lo fate?!” chiesi disperata. “Perché tu sei l’unica cosa fra noi e tre barattoli di Nutella, molto semplice” rispose Ashton. Io alzai gli occhi al cielo, mentre mi portavano fuori di casa. “Non ho il costume!” tentai. Manuela mi consegnò ad Ashton, che mi bloccò abbracciandomi, e tornò in casa a prendere il mio costume. “Visto? Ci vuole poco.”

“Se mi lasciavate, andavo io!”

“Certo, così poi ancora tre quarti d’ora a tirarti per farti scollare da quella stanza!”

“Non è colpa mia se Luke ha la febbre e voglio aiutarlo!”

“Luke sta bene! Ha trentasei, provata stamattina! È solo per sicurezza che oggi sta in casa!”

Io mi bloccai. “E me lo dici ora?!” esclamai. Manuela fece un sorriso imbarazzato. “Potrei essermene dimenticata, sai com’è, la mia mente era sintonizzata solo su: avrete un pagamento in Nutella” confessò. “Anzi, ti ringraziamo per aver alzato la posta in gioco” disse Ashton con un sorriso da Stregatto. Io scossi la testa. “Siete impossibili. Andiamo” dissi, rassegnata. “E dai, via il dente, via il dolore” fece Ashton gongolante. “Non capisco! Prima adoravi il mare!” esclamò invece Manuela. “Sì, ma c’è Luke a casa da solo e mi dispiace!”

“Ricordati che è stato lui a pagarci”

“Sono solo futili dettagli!” Manuela, a quelle parole, mi si parò davanti sbalordita. “Cioè, fermi tutti. Se l’avessi fatto io, ti saresti trasformata in Nadir, ma se lo fa Luke dici che sono solo futili dettagli?!” fece, sconvolta. “Chi è Nadir?” chiese Ashton. “È un suo personaggio. Praticamente, per farti un riassunto: è la figlia di Satana, Demone, vampira, perennemente affamata di sangue, perfida, cattiva, e tutti gli aggettivi negativi che ti vengono in mente” spiegò Manuela. “Ehi, non è colpa sua se è così!” la difesi io. Mi ero affezionata troppo a quel personaggio, quasi fosse una figlia, e per me era difficile scrivere le scene in cui doveva far la parte della cattiva, perché si sarebbe tirata addosso solo altro male… invece, adoravo scrivere delle scene d’amore fra lei e il suo “nemico”. Avevo in mente tutta la storia, tranne quelle dannatissime parti in cui lei doveva respingere tutti col suo carattere orribile, che alla fine era solo la sua maschera.

Ashton mi guardò storto. “Dopo fammi leggere qualcosa, che mi incuriosisce e ora non ho capito nulla” disse solo. Io ridacchiai e annuii, mentre andavamo in spiaggia a raggiungere gli altri.

 

Certo, l’intenzione di divertirmi c’era. Poi avevo visto gli scogli e mi ero arrampicata, arrivando fino in punta saltellando allegramente. E lì, il rumore del mare, il non sentire gli schiamazzi degli altri, il cielo occupato da una coltre di nubi spaventosamente scure, il mare blu, l’essere da sola, diedero spazio alla malinconia. Mi sedetti sullo scoglio, con le gambe raccolte contro il petto e gli auricolari nelle orecchie. Welcome to my life, dei Simple Plan. Non c’era canzone migliore, in quel momento.

 

Do you every feel like breaking down?

Do you ever feel out of space?

Like somehow you just stop belong and no one understands you

 

Certo, il testo non c’entrava molto, ma la melodia era bellissima, perfetta per quella situazione.

 

Do you ever wanna run away?

Do you lock yourself in your room?

With the radio on turned up so loud

So that no one hears you screaming

 

Quella parte mi faceva tremare. Quelle parole così giuste, non so spiegarlo, andavano dritte al cuore, alla mia parte più sensibile e, diciamolo, talvolta più depressa.

 

No, you don't know what it’s like

When nothing feels alright

No, you don't know what it’s like to be like me

To be hurt

 to feel lost

to be left out in the dark

To be kicked

when you're down

you feel like you've been pushed around

To be on the edge of breaking down

and no one's there to save you

No you don't know what it’s like

Welcome to my life.

 

A volte mi chiedevo perché mi facevo male da sola, ad ascoltare quelle parole. Per quanto cercassi di ignorarle, erano loro ad aprire uno spazio in me per lasciare le note entrare in circolo, come fossero una droga. Perché la musica era proprio quello per me: una bellissima droga.

 

Do you wanna be somebody else?

Are you sick of feeling so left out?

Are you desperate to find something more

before your life is over?

Are you stuck inside a world you hate?

Are you sick of everyone around?

With the big fake smiles and stupid lies

 while deep inside you're bleeding

 

Senza accorgermene, iniziai a cantare. Piano, prima impercettibilmente, con voce flebile, quasi avessi paura di poter essere sentita, poi sempre più forte. Il mio era un amore non corrisposto: per quanto io fossi pazza del canto, non ottenevo nulla dalla mia voce. Solo note orribilmente stonate. Non so con che forza continuavo a cantare. Battevo il tempo con le unghie sugli scogli.

No, you don't know what it’s like

when nothing feels alright

No, you don't know what it’s like to be like me

To be hurt

 to feel lost

to be left out in the dark

To be kicked

when you're down

you feel like you've been pushed around

To be on the edge of breaking down

and no one's there to save you

No you don't know what it’s like

Welcome to my life.

Avevo iniziato a muovere la testa a tempo, sempre più presa dalle note di quella canzone. Era bellissima. L’avevo scoperta a dieci anni e me l’ero segnata sul computer, insieme a My happy ending di Avril. Poi, a quindici, avevo ritrovato il file, finito nel dimenticatoio, e prima di cancellarlo ci avevo dato un’occhiata. Dato che My happy ending era bellissima, mi dissi che forse anche Welcome to my life mi sarebbe piaciuta, e l’avevo scaricata. Ero felice di averlo fatto.

No one ever lies straight to your face

And no one stabbed you in the back

You might think I’m happy

But I’m not gonna be ok

Everybody always gave you what you wanted

You never had to work, it was always there

You don’t know what it’s like

What it’s like

To be hurt

 to feel lost

to be left out in the dark

To be kicked

when you're down

you feel like you've been pushed around

To be on the edge of breaking down

and no one's there to save you

No you don't know what it’s like

What it’s like

To be hurt

 to feel lost

to be left out in the dark

To be kicked

when you're down

you feel like you've been pushed around

To be on the edge of breaking down

and no one's there to save you

No you don't know what it’s like

Welcome to my life.            

Welcome to my life.

Ero pronta a cantare l’ultimo verso, quello che mi piaceva di più, quando qualcuno, dietro di me, mi precedette:

Welcome to my life.

Mi voltai, incrociando lo sguardo color cielo di Luke, che mi guardava sorridente. “E tu che ci fai qui?! Torna in casa, subito!” esclamai allarmata. “Stai tranquilla, non ho niente da ieri mattina, e ho corrotto Manuela per non dirtelo e quindi farti una sorpresa. Ma tu hai una testa dura come il cemento e io ora dovrò procurarmi sei vasetti di Nutella” disse lui, sedendosi di fianco a me. Lo guardai a bocca aperta. “Sei un idiota, lo sai?” chiesi. “Lo so. E tu sai che ti amo?” rispose lui. Io sorrisi e abbassai lo sguardo, appoggiando la mia testa alla sua spalla. Lui, però, mi prese il mento fra le dita e fece incontrare le nostre labbra, in un bacio che desideravo da troppo tempo. Chiusi gli occhi, mentre lui chiedeva un accesso che non tardai a consentire. Mi trattenne fra i denti il labbro superiore, cosa che sapeva farmi impazzire. Ci baciammo per un po’, poi lui mi stampò un bacio umido sul naso. “Mi piace troppo quando mi dai dell’idiota.”

“Perché?”

“Non lo so, se devo essere sincero. Forse sono masochista, o forse sei tu che lo dici con un tono adorabile” commentò lui.

 

Un’ora dopo, ero con i capelli bagnati sulle ginocchia di Luke, a gocciolargli sul corpo bollente per il sole. Lui rabbrividiva ad ogni gocciolina gelida: nonostante fossi asciutta, i miei capelli erano una spugna e continuavano a perdere acqua nonostante li tamponassi ogni due secondi.

“Attacchiamo tre contro uno dall’Ucraina all’Europa meridionale” disse Luke, muovendo il carro armato giallo sulla mappa di Risiko. Dato che c’era spazio per quattro giocatori, giocavamo a coppie. Io e lui dovevamo distruggere le armate rosse, ovvero Ashton e Carol. Loro l’avevano capito subito, non avevamo fatto nulla per nasconderlo, quindi fuggivano e intanto distruggevano Madison e Calum, che casualmente erano sempre sulla loro strada.

Io tirai i dadi blu, mentre Carol mi guardava truce e ribatteva con l’unico dado rosso. Cinque, tre e uno contro cinque. I due esultarono, mentre Luke ed io attaccavamo di nuovo e stavolta vincevamo, due e sei contro quattro. Passammo il turno e pescammo una carta. Mi stavo appassionando a Risiko, gioco cui mi aveva iniziato Michael.

Continuammo a giocare, sempre più agguerritamente. Io stavo attenta agli spostamenti del team Cashton, Luke a quelli del team Madilum. Nomi orribili ma fa niente, noi eravamo i Corake. Gli unici ad avere un nome umano erano i Manuel.

Fermi tutti.

Erano passati diversi turni, e la guerra aperta era fra i Corake, Madilum e Cashton. E chi curava i Manuel?!

Infatti, in quel turno, vinsero, conquistando l’Oceania e il Nord America. Accidenti alla nostra disattenzione. “Così imparate a non considerarci” esclamò Michael ridacchiando malefico. Manuela gli fece eco, risentita e divertita. Non dicemmo niente, troppo impegnati a roderci il fegato per essere stati così stupidi.

“Che cosa facciamo stasera?” chiese Carol. “Io pretendo di uscire, siamo rimasti una settimana in casa per colpa di un biondino che ancora mi deve tre barattoli di Nutella” fece Manuela. Luke fece un sorriso talmente angelico che non mi sarei sorpresa se gli fosse spuntata l’aureola. Io mi alzai da Luke, che si asciugò il petto per l’ennesima volta, e mi diressi a passo lento verso gli scogli. “No, Coco, ti sei appena…” tentò di fermarmi Madison. io non l’ascoltai e mi misi a correre, tuffandomi dove sapevo non esserci pietre. Quando uscii dall’acqua, mi dovetti sistemare il costume, che si era sfilato mentre mi tuffavo di testa. “…Asciugata” completò Madison. Io ridacchiai. “Scappa, che se ti prendo ti affogo!” esclamò lei, iniziando a prendere la rincorsa. Io mi misi a nuotare più che potevo, mentre gli altri partivano all’inseguimento, abbandonando i carri armati colorati al loro destino.

Iniziammo a giocare a rincorrerci in acqua, tutti contro uno. Quell’uno, ovviamente, ero io, chi altro? Scivolai dalla presa di Ashton, passai sotto Carol, evitai anche Calum. Poi, mi si parò davanti Luke. “Ok, mi arrendo” dissi subito, col fiatone, mentre gli altri stavano per raggiungerci. Lui mi guardò sorridente. “Sul più bello?!” chiese. Io lo guardai di traverso, aveva in mente qualcosa. “Nuota, nuota, dai!” esclamò, prendendomi un polso e portandomi verso riva. Cos’aveva in mente? Io obbedii e iniziammo a scappare dagli altri, che si fermarono un attimo, confusi, per poi inseguirci di nuovo. Avevamo un distacco di una decina di metri se non di più. Arrivammo sulla spiaggia e Luke prese al volo i nostri vestiti e la mia borsa, iniziando a correre verso casa. Forse avevo capito il suo gioco.

“Dai, corri, in fretta!” esclamò, mentre correvamo verso casa. Io annuii col fiatone, mentre lui cercava nella mia borsa la chiavi di casa. Me le porse. “Apri la porta di casa, io li rallento!” esclamò ridendo. Io annuii e presi tutti i nostri bagagli, correndo verso casa Hood, che dava proprio sul mare. Luke chiuse il cancello del vialetto e lo sprangò con la vanga per non farlo aprire per poi venire da me, che avevo appena aperto la porta di casa. Gli altri, dietro di noi, ci gridavano insulti a tutto spiano, avendo capito il nostro progetto. Riuscii a chiudere a chiave giusto in tempo: Michael era già contro la porta. Ci sdraiammo sul divano, per riprendere fiato. “Che non ti venga più in mente, chiaro?” feci. Lui si mise a ridere. “Dillo, che ti sei divertita.”

“Certo. È stato uno spasso.” Scoppiammo a ridere e ci alzammo giusto per sentire dei pugni contro il vetro della sala. Era Manuela, col naso schiacciato contro la porta-finestra. Io e Luke ci guardammo. “Bastardi fino in fondo?” chiese. Io annuii e tirai la tenda, ridacchiando e mimando uno: “Scusa” alla mia migliore amica. “Controlla le altre finestre, non sia mai che entrino da lì” dissi poi. Facemmo il giro di ricognizione, chiudendo ogni accesso alla casa. Improvvisamente, qualcuno si attaccò al campanello di casa, perforandoci i timpani con il suo triiiiin impazzito. Io mi coprii le orecchie, mentre Luke metteva un cd. Partirono le note di Welcome to my life. Accidenti a lui, già non riuscivo a togliermela dalla testa!

Luke alzò il volume al massimo e ci mettemmo a cantare a squarciagola per coprire il rumore del campanello.

Mi sentivo malvagia, anzi di più. Sapevo che, una volta aperta la porta, gli altri ci avrebbero ammazzati, quindi tanto valeva godersi lo scherzo, no?

Continuammo a fare i pazzi, fino a che Luke, di fronte a me, non sbiancò. Cercò di avvertirmi di qualcosa, ma mi era già arrivato un cuscino in testa. Mi voltai, sorpresa, vedendo Manuela di fronte a me, imbufalita, che reggeva un cuscino. Gli altri erano dietro di lei, armati di qualsiasi cosa potesse essere utile. Calum aveva addirittura una spada laser giocattolo, che si illuminava e faceva bip in continuazione. Tutti grondavano acqua salata, come noi. Madison tolse la musica, con aria truce. “Come avete fatto ad entrare?!” chiesi. “Il lucernario in mansarda, brutto pezzo di…”

“È troppo tardi per chiedere scusa e dire che vi vogliamo bene?” Luke interruppe così Manuela, che stava iniziando con i suoi insulti. Gli altri annuirono. Noi eravamo con le spalle al muro, ci eravamo tolti ogni via di fuga da soli. “Si apre la stagione di caccia” esclamò Carol, mentre mi arrivava una cuscinata. Iniziò una rissa impari, con me e Luke che non potevamo far altro che stare rannicchiati sul pavimento a subire la furia motivata dei nostri amici. Intanto, ridevamo. “Questo è perché ci avete chiuso fuori – mi arrivò una cuscinata in faccia –, questo è per la corsa assurda – cuscinata in pancia –, questo perché siamo fradici – cuscinata sulla schiena – e questo perché avete cantato malissimo Welcome to my life!”  esclamò Manuela, furibonda e divertita, mentre i capelli bagnati le si appiccicavano al viso e fendevano l’aria come fruste.

Ho già detto che amavo avere diciassette anni e degli amici come loro?




*Angolo autrice*
scusate i continui ritardi ma non ho mai un minuto libero... e poi sono in un posto che ha il wifi solo al bar, quindi non riesco mai ad aggiornare. Scusatemi :( a presto!
Ranya

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Capitolo 22
*** kiss me kiss me ***


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Kiss me kiss me

“Blu o nero?”

“Non fa differenza, Coco!”

“Blu o nero?!”

“Coco, dai, dopo facciamo tardi!”

“Luke! Blu. O. nero?!”

“Non lo so! Blu?”

“Ci voleva tanto?!” esclamai esasperata, riponendo il vestito nero nell’armadio. Luke, disperato, si seppellì sotto le coperte. “Ti prego, non mettermi più di fronte ad una scelta così ardua” mi prese in giro. Io feci una risata sarcastica. “Fila in doccia, mi hai messo tanta fretta per niente se no” disse poi. “Vorrei solo che la giornata finisse in fretta. Si può chiedere questo piccolo miracolo?” implorò lui. Non era proprio la sua giornata. Già dal risveglio avrebbe dovuto capirlo, che era uno di quei giorni in cui era meglio sparire sotto le coperte, con un libro in mano, la musica nelle orecchie e cibo a volontà, ma lui aveva voluto ignorare i segni premonitori. Iniziando dal mattino: si era svegliato cadendo dal letto e fortunatamente non aveva battuto la testa contro il comodino. In compenso, essendo avvolto nella coperta e io con lui, mi aveva trascinato giù e gli ero caduta addosso, mozzandogli il respiro per un buon quarto d’ora. E già lì, io avrei detto di arrendersi all’evidenza. Invece no, lui aveva voluto continuare. E gli si era rovesciata la camomilla – fortunatamente calda, ma non da ustione – addosso. Due, nel giro di dieci minuti. Durante il giorno, ne aveva combinate di tutti i colori, come andare a sbattere contro ogni mobile della casa, ad esempio. Ormai non sapevo che dirgli per farlo stare fermo, immobile a letto. Di sicuro sarebbe riuscito a farsi male pure lì. Continuava a voler vedere il lato positivo in tutto. Sono caduto ma non ho battuto la testa, la camomilla non era bollente e non mi sono ustionato, e cose del genere. Stupido ottimismo. Certo, era una cosa importante, ma perché Luke non voleva capire che non si può vincere sempre?!

“Amore mio, ricordati una cosa. I vincitori sono quelli che non mollano mai” mi aveva detto dopo aver preso una testata.

Nonostante tutto, dopo una giornata all’insegna della sfortuna, anche il più caparbio avrebbe iniziato a cedere.

Avevamo deciso di uscire, la sera. Avremmo mangiato in un ristorante sulla spiaggia, molto romantico, ma sulla spiaggia. Quello significava pazzia pura, e a quel paese il romanticismo.

 

Mi infilai il vestito in fretta, approfittando del fatto di essere da sola, tentando di non sciogliere il turbante che raccoglieva i miei capelli fradici. Luke ci mise poco a lavarsi, accidenti ai maschi e la loro fortuna di non avere i capelli troppo lunghi a cui badare. Beh, quasi sempre.

Per lui non era tanto difficile scegliere come vestirsi. Camicia blu, casualmente in tinta col mio vestito, jeans attillati per smorzare l’effetto elegante, scarpe. Stop. Io, aveva ancora una massa non indifferente di capelli annodati da mettere in ordine, dovevo truccarmi, scegliere borsa, scarpe, collana e bracciale. E il mio odio per il genere maschile aumentava a dismisura.

Nonostante tutto, feci piuttosto in fretta. Luke si stava addormentando, ma ipotizzai si trattasse solo di stanchezza dovuta alla giornata troppo pesante. Povero il mio pinguino. Quando finii, mi sdraiai di fianco a lui, lasciandogli un lieve bacio sul collo. “Sicuro di voler uscire ad ogni costo?” chiesi. Lui annuì. “Il destino ha un conto in sospeso con me, dopo tutte le bravate che mi ha combinato oggi. Voglio vedere se avrà il coraggio di farmi andare male pure questa cena.” Io mi misi a ridere. “Coraggioso” dissi solo, appoggiandomi alla sua spalla. Era rilassante in una maniera assurda. Stavo quasi per addormentarmi a mia volta, quando qualcuno bussò freneticamente alla porta. “Piccioncini, se mi sentite, svegliatevi, e se siete svegli, muovetevi, e se vi state muovendo, fatelo più in fretta! Siamo in ritardo!” fece la voce di Ashton dall’altra parte. Dannatissimo guastafeste. Io e Luke ci alzammo, accusando acciacchi degni di un ultranovantenne, e uscimmo dalla stanza, lasciando il caos alle nostre spalle. Erano tutti pronti e noi, come al solito, gli ultimi. Manuela indossava un vestitino celeste senza maniche, con lo scollo a cuore e la gonna a fiore. La borsetta era dello stesso colore. I capelli, leggermente mossi, le ricadevano ai lati del viso, coprendo i piccoli orecchini argentati uguali alla collana. L’argento spiccava anche sulle scarpe col tacco alto e le unghie. Madison indossava un vestito morbido, del colore “dello sciroppo di menta nel latte”, come diceva lei. Lo stesso colore lo avevano le zeppe e la borsa. I capelli, arricciati, erano trattenuti da un cerchietto dorato come il bracciale. Carol era la meno formale: il suo vestito era a vita alta, con la gonna arancione e il corpetto bianco a righe nere. La borsa era a righe a sua volta – Carol si era dannata per trovarne una così – mentre zeppe e bracciale erano arancioni. La collana, invece, argentata. I capelli biondi erano raccolti in una coda sfatta, anche loro ricci. Io, al contrario di lei, sembravo un’impiegata ad una cena di affari: vestito blu con le spalle basse, pochette e scarpe dello stesso colore. La chiusura dorata della pochette mi aveva dato un suggerimento per collana e bracciale, anch’essi molto eleganti. L’unica cosa che smorzava l’effetto adulto era la treccia sfatta che ricadeva su una spalla. “Wow, formali!” fece Ashton quando mi vide. “Non infierire che già mi sento ridicola” dissi. Accidenti a lui, che con il suo cappello era tutt’altro che formale.

Quella sera non avrei mandato il genere maschile al rogo, figurarsi. Ero in pace col mondo.

Vidi gli sguardi di tutti puntati su di me e mi sentii a disagio. “Beh?” chiesi. “Piccola, quello nervoso oggi dovrei essere io, non tu” mi disse Luke ridacchiando e avvicinandosi al mio orecchio. Io arrossii. “Scusate ragazzi, non so cosa mi sia preso. Ho un brutto presentimento, non so” mi giustificai. “E di nuovo mi stai rubando il ruolo” fece Luke ridacchiando. Io alzai gli occhi al cielo. “Chi lo sa, forse riguarda te!” lo schernii prima di prendere la mia giacca di jeans. “Ok, ok, ho capito, devo stare zitto” fece lui ridacchiando e seguendomi. “Ma io no!” cantilenò Ashton con voce acuta, saltellandoci accanto, mentre Carol lo guardava come a dire: “Ma che cosa si è fumato questo?!”

 

Eravamo al ristorante, tranquilli per una volta, a mangiare in religioso silenzio. Improvvisamente, Luke prese un bicchiere. “Propongo un brindisi” fece. Gli altri lo guardarono stranito, mentre io sorridevo sotto i baffi, sapendo dove lui volesse andare a parare. “Per l’anniversario dell’espatriata del tuo cervello?” chiese Calum. “Primo, no, secondo, molto simpatico. Oggi è il tre agosto. Esattamente sette mesi fa ci siamo incontrati tutti insieme per la prima volta. Ma, a quanto pare, solo io e Coco ce ne siamo ricordati” finì, con un tono a metà fra l’altezzoso, lo scherzoso e l’offeso. Gli altri esultarono e presero i bicchieri, mentre io e Luke ci guardavamo ridendo. “Per l’occasione, dopo vogliamo un concerto privato!” fece Madison, elettrizzata. I ragazzi accettarono – tanto gli strumenti erano in macchina, come ogni volta – e brindammo. “Ad un’amicizia che durerà fino a che morte non ci separi!” fece solennemente Michael. “Sai che ti dico, Mikey? La morte dovrà lavorare sodo per separare ciò che pazzia e amore hanno unito!” fece Luke, facendomi un occhiolino. “Aw, che tenero!” disse Manuela ridendo. “Com’è che mi viene in mente un nostro verso, con questa frase?” fece Calum. “E di cosa?” I ragazzi si guardarono e, al tre di Luke, iniziarono:

So kiss me, kiss me, kiss me,

And tell me that I’ll see you again

‘Cause I don’t know

If I can let you go

Noi ci affrettammo a zittirli. “Ma vi siete rincretiniti?! Siamo al ristorante!” esclamai. Ci guardammo e poi scoppiammo a ridere. Eh sì. La vicinanza della spiaggia ci faceva male.

“Ash, non voltarti, un tipo ti sta fissando” fece improvvisamente Carol, continuando a mangiare come nulla fosse. Io guardai con la coda dell’occhio e notai che effettivamente, c’era un uomo sulla trentina con lo sguardo fisso su di noi. Era inquietante, ma attribuii quella sua attenzione al coretto di prima. “Sembra molto uno stalker” cantilenò Manuela. “Mi state spaventando” fece Ashton, con la forchetta a mezz’aria, gli spaghetti che penzolavano. “Parliamo d’altro. Quella canzone di prima, da dove viene fuori?” chiesi io, curiosa. Loro fecero sorrisi da Stregatto. “Nuova, tesoro. Non la conoscete, è una sorpresa per il concerto di dopo!” fece Luke. “Oh, dai, e questa storia da dove viene fuori?! Abbiamo sempre saputo delle vostre canzoni!!”

“Si, ma vogliamo farvi una sorpresa. D’ora in poi, le canzoni più piene di significato saranno nascoste.”

“Siete crudeli.”

“No, siamo romantici.”

“Si può dire anche questo, sì” feci io ridacchiando malefica. Lui mi fece una linguaccia, ma io mi affrettai a mordergli piano la lingua, scherzo che si trasformò in un bacio. “Ragazzi, queste cose fatele in bagno” ci richiamò Ashton ridacchiando. Lo guardammo malissimo, mentre tutti gli altri si voltavano. “Siete insopportabili, accidenti, come se solo noi facessimo ‘ste cose in pubblico!” fece Luke, piccato.

 

Un’ora dopo, eravamo per le vie del mercatino, tutti a braccetto, così da occupare il più spazio possibile. Volevamo essere fastidiosi e ce l’avremmo fatta ad ogni costo. Stavamo guardando le bancarelle, quando improvvisamente Manuela ci tirò verso una di esse, facendo sbilanciare tutta la catena umana. “Manu?!”

“Zitti e marciate, caramelle in vista a ore undici!” esclamò lei ad alta voce. Non ci saremmo messi a correre così nemmeno con un branco di leoni dietro di noi. Facemmo mente locale per capire il nostro budget, poi ci fiondammo sulla nostra preda indifesa. Sussultai quando notai le caramelle che cercavo ovunque ma nessuno aveva. “Luke! Quelle che si appiccicano ai denti!” esclamai. Lui guardò nella mi direzione e sgranò gli occhi. “Prendine quante più puoi!” fece. Quelle caramelle erano state il mio sostegno per anni di pallavolo, durante le partite passate in panchina. Erano zucchero allo stato puro, si attaccavano ai denti e per finirne una dovevi ruminare mucca-style per un’ora, ma le adoravo, e Luke con me.

Breve calcolo matematico. Quanto fa: bancarella di caramelle + otto ragazzi zucchero-dipendenti? Semplice, un conto di quaranta euro. Ci guardammo basiti, prima di fare una colletta. “Accidenti ragazzi, quaranta euro per dello zucchero. Questi competono con lo spaccio di droga” fece Ashton. “La prossima volta, ci regoliamo. Ora, però, mangiamo!” fece Madison.

La morale della serata fu che uscimmo dal mercatino cantando a squarciagola Voodoo doll. Dato che la canzone era pensata per loro quattro, io cantavo con Luke, Manuela con Michael, e così via.

Sapete quando nelle storie le persone dicono di sentire qualcuno che le fissa e quindi si voltano, incrociando casualmente lo sguardo dell’altro? Ecco, io non sono d’accordo. Credo sia più una cosa casuale. Ti volti perché ti viene naturale, come camminare, e ti accorgi che ti stanno fissando. È tutto a livello del subconscio.

Fatto sta che io, casualmente, mi voltai, e incontrai lo sguardo dell’uomo del ristorante. Accidenti, non aveva niente di meglio da fare? Iniziava a preoccuparmi, e molto. Cercai di tranquillizzarmi, poteva essere una coincidenza, d’altronde noi non è che stessimo facendo di tutto per non farci notare. Magari lui stava pensando proprio questo di noi. Mentre rimuginavo su queste cose, uscimmo dal mercatino. “Ragazze, mi pare che abbiamo un concerto in sospeso con voi, no?” fece Calum. Noi esultammo e annuimmo, mentre raggiungevamo il furgoncino.

Mezz’ora dopo, eravamo sulla spiaggia, seduti su sedie prese in prestito al bar. Ashton, invece, sedeva sulla sua fedele cassa che fungeva da batteria. “Allora, dobbiamo farvi sentire Kiss me Kiss me, o sbaglio?” fece Ashton. Noi eravamo entusiaste, non capitava tutti i giorni una nuova canzone. Io guardai i ragazzi negli occhi e capii la loro prossima mossa, si notava troppo bene dagli sguardi divertiti e dispettosi. “Adesso la suonerete per ultima” dissi, disillusa. Loro mi guardarono torvi. “Evita di rovinare la sorpresa, uffa, ci stavamo divertendo a tenervi sulle spine!” fece Michael ridacchiando. Le tre al mio fianco spalancarono le bocche in tre “o” perfette. “Siete davvero, davvero crudeli!” esclamò Madison. Di comune accordo, ci voltammo, dando loro le spalle, nella brutta copia di quattro ragazze offese. Li sentimmo ridacchiare e sussurrare qualcosa, poi Luke iniziò a strimpellare le note di Gotta get out. Quanto li odiavo! Luke sapeva bene quanto amassi quella canzone e non si faceva scrupoli ad usarla contro di me. accidenti a lui e ai suoi compari.

Non potei fare altro che voltarmi e stare ad ascoltare quella bellissima canzone. Le ragazze fecero lo stesso, ma gliel’avremmo fatta pagare, eccome.

Cantarono Gotta get out, Heartbreak girl, She looks so perfect e Amnesia. Ci volevano morte, era un dato di fatto. “Ora, care ragazze, vi accontenteremo. Ecco a voi Kiss me kiss me, in esclusiva” fece Calum ridacchiando sornione. Noi finalmente esultammo, ma io, tanto per sicurezza, li guardai negli occhi e capii che avevano ancora qualcosa in mente. E infatti: “Ma prima, pubblicità!” fece Ashton. Passarono venti minuti buoni ad inscenare parodie di pubblicità assurde, mentre noi ridevamo come matte. Dicevano cose senza senso e scherzavano su tutto, tanto che capimmo quanto a lungo si fossero preparati per quella messinscena. “Fine pubblicità!” annunciò poi Luke, anche lui sorridendo divertito. Ripresero li strumenti e iniziarono a cantare. Here’s to teenage memories

Can I call wake you up on a Sunday?
Late night I think we need to get away
Headlights hold tight turn the radio loud
(turn the radio loud)
Let me know where to go and I’ll get you there
Tell the truth and I’ll show you how to dare
Flash lights held tight we can all move down
Never say goodbye

So kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go

So kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)

Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories

Close your eyes you’ll be mine and it’s alright
Take a breath no rest til the sunrise
Heartbeat so sweet when your lips touch mine
We don’t have to go home right now
We’re never gonna stop cause we’re dreaming out loud
We know what we want, we know we’re gonna get it somehow
Never say goodbye

So kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go
So kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)

Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories

So kiss me kiss me kiss me
And tell me that I’ll see you again
Cause I don’t know if I can let you go
So kiss me kiss me kiss me
I’m dying just to see you again
Let’s make tonight the best of our lives (yeah)

Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories
Here’s to teenage memories

Quando finirono, noi saltammo in piedi e iniziammo a rimbalzare da una parte all’altra della spiaggia come molle impazzite. “Che bella!” continuavamo a dire senza sosta. “Ok, ok, dobbiamo dedurre che vi è piaciuta!” esclamò Ashton ridendo. Noi annuimmo. E, nel nostro scroscio di applausi ammattiti, se ne distinse uno lento e costante. Ammutolimmo e tutti ci voltammo verso la fonte di quel battito. Era l’uomo del ristorante, e del mercatino. “Davvero bravi, ragazzi, complimenti” disse lui impressionato. “Chi è lei?”

“Una persona che vi ha sentiti cantare ed è rimasta molto colpita, al punto di voler capire fino a dove arriva la vostra bravura.”

“Capisce che è parecchio inquietante quello che sta facendo, vero?” fece Luke, per nulla scortese ma allo stesso tempo diretto. I ragazzi si erano alzati e si erano avvicinati a noi, quasi avvertissero pericolo. “Oh, che sciocco, scusate, non mi sono presentato. Sono il manager di un gruppo musicale che di sicuro conoscerete.”

“Ovvero?”

“Gli One Direction.”

“Oddio non ci credo!” esclamammo noi ragazze in coro. I ragazzi erano semplicemente basiti. “E quindi, lei ci ha origliati per…”

“Vi ho sentiti al ristorante mentre cantavate. La band deve partire per un tour ma il gruppo che doveva aprire i concerti ci ha dato buca all’ultimo, diciamo. Ero alla ricerca di nuovi talenti da lanciare in alto, se mi spiego” fece il manager, sicuro di sé. Noi eravamo increduli. “Sta dicendo che…” fece Ashton, ma non riuscì a terminare la frase. “Voi per caso avete intenzione di fare carriera in musica?”

“Sì, cioè, no, cioè, non lo so…” fecero loro. Carol sbuffò. “Sì, ne hanno intenzione, ma non hanno ancora un manager ufficiale, diciamo che per ora io ne faccio le veci” improvvisò. La guardammo storto, ma decidemmo di reggere il suo gioco.

“Perfetto. Posso proporvi un tour in cui aprirete i concerti della band più famosa del momento. Si tratta di un’occasione unica, capite?” fece lui. Noi, ormai, eravamo senza parole. “Che ne dite?”

“Può darci qualche tempo per pensarci? Dobbiamo metterci d’accordo” fece Michael dopo un lungo e interminabile silenzio. L’altro annuì sorridente e si avvicinò a Carol, porgendole un biglietto da visita. “Chiamatemi entro le prossime quarantott’ore. Il tempo fugge e se accettaste avremmo molto lavoro da fare” disse. Lei annuì. “Beh, ragazzi, a presto, allora! Spero in una vostra risposta affermativa!” fece andandosene.

 

“Ragazzi, è un’occasione unica! Non potete farvela scappare!” esclamò Manuela. Eravamo seduti attorno al tavolo in casa Hood. Erano le due di pomeriggio, la giornata era passata in un clima incredibilmente surreale, in cui tutti riflettevano su cosa fosse la cosa migliore. Il pomeriggio, ci eravamo seduti attorno al tavolo, decisi a deciderci, per così dire.

“Lo so, amore, ma è complicato…” fece Michael, dubbioso. Carol aveva fatto un paio di ricerche e aveva visto che sì, effettivamente non era una truffa: il manager era proprio lui, come scritto sul cartellino, e il numero e l’indirizzo e-mail coincidevano.

“Non è complicato! È la vostra occasione!” fece Madison, sconvolta. “Maddy, cerca di capire, noi qui abbiamo vita, famiglie e voi. Non possiamo mettere tutto a repentaglio così, da un giorno all’altro, per seguire il nostro sogno” fece Ashton. Luke, io e Carol eravamo in silenzio da tutto il tempo. “Certo che una cosa del genere non ci capiterà mai più” fece Calum. Gli schieramenti erano piuttosto chiari: Calum, Madison e Manuela erano per il sì. Ashton e Michael propendevano verso il no. Luke, Carol e io eravamo in mezzo.

“Cos’è che non vi convince, si può sapere?!” fece Manuela. “Innanzi tutto, niente manager” rispose Michael. “Abbiamo visto che Carol sa gestire bene la situazione, e poi aprireste i concerti degli One Direction, un manager lo trovereste subito!”

“Ci ha sentito canticchiare qui e là! Come fa a dire che siamo bravi?!”

“Proprio perché non avete dato il vostro meglio possiamo dire che ce la fareste!”

“Manu, non lo so.”

“Lo sappiamo noi, allora!” si intromise Calum. “Vogliamo fare una cosa civile? Votiamo. Ognuno dirà perché è favorevole o no e il motivo, poi si deciderà” disse Carol, riemergendo dal mutismo.

“Perché è un’occasione che non capiterà mai più!”

“Perché è quello che avete sempre aspettato!”

“Perché sono gli One Direction, accidenti!!” fecero rispettivamente Calum, Manuela e Madison. Io ridacchiai al tono straziato di quest’ultima.

“Perché è troppo presto per noi per intraprendere un tour mondiale.”

“Perché non abbiamo nessuna garanzia che vada tutto bene” ribatterono invece Ashton e Michael. erano due contro tre. “Carol?” chiese Ashton. Lei sospirò. “Anche io credo che sia troppo presto. Insomma, chi vogliamo prendere in giro? A parte Ashton siamo tutti minorenni. Io mi sono improvvisata manager, ma non reggerà a lungo. Eppure è vero, è un’occasione incredibilmente fortunata e irripetibile” disse. “Luke?” chiese Calum, fiducioso. “Ho paura, ragazzi. paura che non vada come pensiamo. Adesso, non mentite: abbiamo già immaginato tutti bagni di fama e folle impazzite. E se non dovessimo piacere? Se sfigurassimo in confronto agli One Direction? Insomma, sono i cantanti più famosi del momento. Resta il fatto che comunque, o ci muoviamo adesso, o potremmo rimanere sempre al livello dei concertini in locali minuscoli” disse. Tutti sospirammo. Nessuno l’aveva messa così. “Coco?” fece Manuela. Sapevo che le mie parole avrebbero potuto fare la differenza.

“Allora. Io non so cosa ci sia preso. Tutti quanti. Già il fatto che siamo qui a pensarci non è giusto. Non avremmo dovuto avere dubbi, o no?” feci, ad alta voce. Tutti mi guardarono. “Cosa intendi?”

“Intendo che, accidenti, è il vostro sogno! Se sapeste che potete fare qualcosa per farlo avverare, non vi buttereste a testa bassa?!  Tutti dobbiamo correre rischi nella vita, fa parte del percorso. Ok, può andare male. Si ricomincerà da capo. Ma se andasse bene?! Vi sottovalutate, ragazzi, siete davvero fantastici, e non lo dico perché vi voglio bene, ma perché ho subito adorato la vostra musica, fin da quel 2 gennaio dove queste due pazze mi hanno portato ad un vostro concerto! Ho capito il vostro valore dalla prima volta che ho incrociato i vostri sguardi e anche quel manager l’ha capito, e se non ha fiuto lui chi ne può avere?! Io non credo proprio che qualcuno, lì fuori, abbia il coraggio di dire che la vostra musica non è fatta bene. Può non piacere il genere ma tutti dovranno ammettere che siete bravi. Scrivete la vostra musica da sempre e le vostre canzoni per questo hanno uno spirito! Non vi basta il concorso del mese scorso?! O che i bar vi vogliono per fare concerti?! O che gli One Direction sono disposti a far avverare il vostro sogno?! Da quando avete paura di seguire i vostri sogni, si può sapere?!” esclamai, alzando la voce. Tutti mi guardarono stupiti. Ashton, dopo un silenzio tombale di quelle che sembrarono ore, si alzò. “Dove vai?” chiese Michael. “A prendere il biglietto da visita di quel manager. Coralie ha ragione, ragazzi. Siamo i 5 Seconds of Summer e abbiamo lavorato tanto per arrivare fino a qui. E ora che facciamo? Molliamo per paura? No, a me non va bene. So che ero il primo a dire di no, ma grazie al cielo qui c’è una benedetta ragazza che sa leggere gli occhi – e a mio parere pure le anime – che mi ha riscosso dalla codardia e mi ha fatto capire qual è la cosa giusta da fare. Che ne dite?”

Tutti si aprirono in sorrisi entusiasti, tranne Michael. Lui guardava il centro del tavolo. Manuela gli si avvicinò. “Michael, so che puoi avere paura. È normale. Ma è quello che aspettavi da una vita, lo capisci? Ti prego” fece. Michael sospirò. “Carol, penso che tu debba fare una telefonata” disse dopo qualche secondo, sorridente.

Tutti esultammo, mentre Carol prendeva il telefono, improvvisamente euforica, e il biglietto da visita. Tutti ci radunammo attorno a lei.

In quel momento realizzai che, oddio, stava succedendo davvero.

“Pronto, parlo col manager degli One Direction? Sì, salve, sono Carol Lemaire, la manager del gruppo di ieri sera. Volevamo avvertirla che abbiamo deciso. È un sì.”

































*Angolo autrice*
sono una persona orribile, scusate tantissimo il ritardo! spero che il capitolo mi faccia perdonare :,(
ecco i vestiti di Coralie, Madison, Manuela e Carol.
solo una domanda:
che ne pensate del capitolo?
davvero, per me è molto importante saperlo. vi prego di dirmelo, non sapete quanto ho rimuginato su tutto questo ammasso di parole senza senso!!
grazie in anticipo
Ranyadel

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Capitolo 23
*** I miss you ***


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I miss you

“Quella di oggi si tratta di una prova. Dovete mostrarci cosa siete in grado di fare solo con strumenti acustici, come vi ho visti fare in spiaggia. Registreremo il tutto e lo invieremo ai ragazzi in concerto. Io sono il manager, ma sono gli One Direction che hanno l’ultima parola in questo campo” spiegò il manager, guidandoci attraverso i corridoi della casa discografica.

Era passata un’ora dal nostro arrivo a New York, e una settimana dalla Chiamata, a.k.a. “Il-primo-sì-che-aveva-cambiato-la-nostra-vita-ma-poteva-benissimo-distruggere-i-nostri-sogni-anziché-realizzarli”. Da quel giorno, ci eravamo messi d’accordo per andare a New York per due settimane, così da permettere ai ragazzi di fare il loro provino. La Columbia Records ci aveva pagato tutto e a noi non rimaneva che goderci quella che era la città dei nostri sogni. Insomma, chi non ha mai desiderato di vedere New York?!

Appena sbarcati, avevamo fatto appena in tempo a portare tutti i nostri bagagli in hotel, che il manager – di cui non avevo ancora ben capito il nome – era venuto a prenderci. Somigliava tanto al presentatore degli Hunger Games, come atteggiamento, non so se mi spiego.

Carol aveva definitivamente preso il ruolo di manager dei ragazzi, e parlottava con l’altro, per mettersi d’accordo su tutto. Vedevo Ashton leggermente geloso, ma che ci potevo fare, era normale.

“Quindi, posso sapere il nome della cover che canterete?” chiese infine il manager. Vidi i ragazzi impallidire. “Cover?” chiese Luke. “Certo. Non ce la sentiamo ancora di farvi registrare una vostra canzone.”

I ragazzi si interrogarono qualche secondo, poi Ashton si rivolse all’uomo: “I miss you, dei Blink 182” fece. L’uomo annuì e aprì la porta della sala d’incisione. Fece accomodare noi ragazze in una camera piena di cavi, lucette, bottoni e leve, mentre i ragazzi si sedettero nella stanza adiacente, separata da una parete di vetro da quella in cui eravamo noi. C’erano due o tre tecnici con noi, che tramite un altoparlante spiegarono ai ragazzi cosa dovevano fare. Al via di uno di loro, i quattro iniziarono a suonare.

 

Hello there, the angel from my nightmare

The shadow in the background of the morgue

The unsuspecting victim of darkness in the valley

We can live like Jack and Sally if we want

Where you can always find me

We'll have Halloween on Christmas

And in the night we'll wish this never ends

We'll wish this never ends

I miss you, I miss you

I miss you, I miss you

Where are you and I'm so sorry

I cannot sleep I cannot dream tonight

I need somebody and always

This sick strange darkness

Comes creeping on so haunting every time

And as I stared I counted

The webs from all the spiders

Catching things and eating their insides

Like indecision to call you

and hear your voice of treason

Will you come home and stop this pain tonight

Stop this pain tonight

 

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head (I miss you, I miss you)

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head (I miss you, I miss you)

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head  

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head (I miss you, I miss you)

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head (I miss you, I miss you)

Don't waste your time on me you're already

The voice inside my head (I miss you, I miss you)

 

Mi aspettavo chissà quanti effetti speciali, invece era come ascoltarli dal vivo, ma vedevo i tecnici lavorare al computer, quindi immaginai che stessero ancora aggiustando il tutto. I ragazzi finirono in poco e poterono uscire subito dalla stanza. Erano ansiosi ed emozionati. “Allora, com’è venuta?” chiese subito Luke, esaltato come un bambino. Io gli feci una faccia come a dire: “E che ne so” e lui mi guardò stranito. “Tranquilli, dobbiamo ancora lavorarci. Ci vorranno un’oretta… intanto, se volete, potete fare un giro per New York. Venite da Milano, no? Dovrebbe piacervi” rispose un tecnico, cui feci fatica a capire le parole. Io e l’inglese, già, andavamo molto d’accordo, figurarsi l’accento americano e la velocità con cui parlava. Fortunatamente, le origini australiane dei ragazzi mi salvarono la vita.

Uscendo dalla sala d’incisione, non sapevamo cosa dire. “Ehm, che facciamo?” chiese Ashton. Eravamo tutti scossi. Ci serviva qualcosa di familiare a scuoterci e a caricarci le pile, che avevano sprecato tutte le loro energie per quei pochi minuti. Forse, avevo un’idea.

Vidi che stava arrivando un inserviente e mi preparai cosa dire, pensandoci, riflettendo su ogni parola, cercando di ottimizzare la pronuncia per non fare figure del cavolo. Quando ci passò di fianco, lo fermai. “Scusi, c’è un accesso al tetto?” chiesi nervosa. Lui mi guardò ridacchiando. “Sei italiana, vero? Si sente dall’accento” disse nella nostra lingua. E tutti i propositi di non fare figuracce finirono nello sciacquone inesorabilmente. Io arrossii all’istante, mentre gli altri dietro di me ridacchiavano. “Comunque, sì, l’accesso al tetto c’è, basta che fate tutte le scale, siamo al quarantottesimo piano, dovete arrivare al cinquantacinquesimo, il cinquantasei è quello che cercate” mi disse cordiale. Probabilmente notò le nostre espressioni terrorizzate, perché aggiunse: “Oppure, c’è l’ascensore.” Noi sospirammo di sollievo, l’idea di tante rampe di scale ci stava per uccidere sul colpo. Ringraziai l’altro e ci infilammo in ascensore. Ovviamente, nessuno mi avvertì del gradino e io inciampai, finendo lunga distesa sulla moquette dell’ascensore. “Oddio, Coco, stai bene?!” chiese Luke preoccupato. Io annuii e loro scoppiarono a ridere, dal primo all’ultimo. Sbuffai rialzandomi. “Io l’ho sempre detto, che gli amici ti aiutano sempre, ma solo quando hanno finito di ridere” feci, con atteggiamento offeso. Luke si avvicinò a me e mi diede un bacio del tutto innocente, ma Manuela ci rimbeccò: “Ragazzi, fatevi le scale se dovete stare a sbaciucchiarvi, non voglio fare la – contò sulle dita delle mani quanti eravamo – ottava incomoda!!” la guardai come a dire se era seria e lei si esibì nel suo più angelico e quindi diabolico sorriso.

Arrivammo al tetto e la vista ci lasciò senza fiato. Eravamo in alto, molto in alto, ed era uno spettacolo da mozzare il fiato, non tanto per la bellezza del paesaggio, ma perché eravamo a New York, a fare uno dei primi passi per realizzare il sogno del mio ragazzo e dei suoi migliori amici.

Ma che sto dicendo?!

Ormai era il nostro sogno, punto e basta.

 

“Allora, come vi sentite?” chiesi, trepidante. Eravamo seduti in cerchio al centro del tetto, a fare una specie di confessionale. Ashton fece una smorfia. “Non so spiegarlo. Ho le gambe molli. Mi sembra di aver dormito per tanto e di essere ancora rintontito. Insomma, non capisco, credevo di dover essere euforico, e invece sono solo tanto, tanto spaventato” disse. Luke e Michael annuirono. “Io invece sono al settimo cielo, in tutti i sensi. Primo, perché siamo a non so quanti fottutissimi metri da terra e ho paura di cadere anche se so che è impossibile. Secondo, siamo a New York! Terzo, siamo qui per iniziare il resto della nostra vita!! Insomma, comunque vada, si deciderà il tutto e per tutto in quest’ora” disse Calum. “Potevi pure evitare il riferimento all’altezza, ora sto molto meglio” lo schernii io, intimorita. Luke si voltò verso di me e sorrise piano, mordicchiandosi il piercing. “No, non morderlo! Mi fai impazzire!” esclamai, coprendomi gli occhi. “Come? Così?” fece lui, e dal suo tono strascicato capii che gli mancava poco dal staccarsi il labbro a morsi. Gli altri risero nel vedere come cercavo di resistere ai suoi assalti. Cosa ci potevo fare? Era adorabile quando sovrappensiero si mordicchiava quell’anellino di metallo che doveva dargli un tocco di grinta, e invece lo faceva sembrare solo tanto cucciolo. “Ragazzi, dai, era un discorso serio!” sbottò divertita Carol. Noi ci mettemmo composti, fingendoci mortificati. “Scusa mamma” disse lui con una vocetta sottile che per poco non mi fece tornare a ridere. Ashton si illuminò. “Aspetta, allora io sono il tuo papà! Che bella cosa, non vedevo l’ora di poterti dire cosa fare quando voglio!!” esclamò esaltato. “A cuccia pure te!” rise Carol, e Ashton imitò la nostra posizione. “Scusa, amore” fece allo stesso modo di Luke. “Ladro di battute” sussurrò lui, fulminandolo con lo sguardo. “Ok, ok, torniamo seri. Carol ha ragione. Michael, che ne pensi?” chiese Manuela. “Sinceramente, ho una fottuta paura che gli One Direction possano riderci in faccia. Non potevamo iniziare da qualcuno di meno famoso, no? No, puntiamo subito alla vetta!” fece. Io ridacchiai. “E dai, ormai siamo qui, e non siamo stati noi a prendere l’iniziativa. Questo vorrà pur dir qualcosa” risposi. Lui ci pensò su, poi annuì. Mancava Luke, che si ritrovò con sette paia di occhi puntati addosso. “Ok, siete inquietanti così” fece. “Tu cosa dici?” chiese Madison. “Io dico che non m’importa come andrà – o meglio, m’importa, ma se andasse male potrei farmene una ragione – perché sono felice di essere arrivato fino a qui, ora, con tutti voi” disse lui.

Potevo quasi vedere come parlava col cuore in mano e questo mi fece sorridere.

“Vogliamo essere ancora più felici?” chiese Madison. La guardammo interrogativi e lei sorrise furba, frugando nella borsa e tirandone fuori, meraviglia delle meraviglie, una scatola di ciambelle. Esultammo, facendo a gara per avere quelle con più glassa. “Io quella col buco!” urlò Manuela, avventandosi sull’ultima ciambella bucata. Mi fermai a riflettere, per poi esporre il mio dubbio filosofico agli altri. “Perché tutti vogliamo quelle col buco?”

“Perché sono più buone.”

“Sì, ma avete mai pensato che vogliamo l’unica cosa che non si mangia?” chiesi. Loro mi guardarono basiti, non ci avevano mai pensato. “Zitta e mangia, questi brutti pensieri sono sintomi di un calo di zuccheri” fece Michael, ancora strabiliato dalla mia brillante quanto inutile scoperta.

 

Passammo il pomeriggio a ridere, dimenticandoci dell’ora passata da molto. Improvvisamente, il cellulare di Carol squillò. Era il manager. “Pronto?” fece lei, mentre improvvisamente tutti ammutolivamo. “Sì, ok, arriviamo” fece, chiudendo la chiamata. “Allora?” chiese Ashton. “Andiamo, hanno finito e hanno una grande notizia!” disse lei elettrizzata. Noi esultammo con grida di gioia e scendemmo al piano di sotto, correndo. Quando ci vide, il manager sorrise. “Ecco qui i miei piccoli prodigi!” fece. Decisamente, era uguale al presentatore degli Hunger Games. “Quindi? Com’è andata la registrazione?” chiese subito Luke, in ansia. L’altro sorrise. “È fantastica. Se volete sentirla, venire pure di qui” disse, indicandoci una saletta. Noi ci tuffammo sui divanetti, mentre alla radio partivano le note della canzone.

Quando finì, eravamo a bocche aperte. “Siamo davvero noi?” chiese Calum. “Cioè, so che siamo noi, ma fa così strano, e poi è tutta messa a posto, le voci sono giuste, e tutto quanto…” si corresse subito. Il manager scoppiò a ridere. “È normale questa reazione. Volevo darvi una grande, grandissima notizia: non solo ho fatto sentire la cover agli One Direction, ma l’ho diffusa fra molti altri cantanti e band. Sono tutti molto sorpresi. La notizia è questa” fece, porgendo ai ragazzi quattro lettere diverse. Ashton aprì per primo la sua e iniziò a leggere ad alta voce. “Gentile mr. Irwin, la informiamo che, date le sue grandi doti alla batteria, è invitato a prendere il posto del precedente batterista della band di supporto dei Paramore. Saluti, Hayley Williams.”

Fu la volta di Luke: “Gentile mr. Hemmings, data la sua grande voce, è stato richiesto come spalla dal sottoscritto. Saluti, Evan Taubenfeld.”

Calum: “Gentile mr. Hood, date le sue capacità di bassista e cantante, è stato notato dalla cantante sottoscritta, che sarebbe felice di poter organizzare qualche concerto con lei. Saluti, Katy Perry.”

Michael: “Gentile mr. Clifford, grazie alla sua voce e alle sue doti di chitarrista, è stato invitato a far parte del gruppo di supporto dei Green Day. Saluti, Billie Joe Armstrong.”

Stavamo per avere un infarto di gruppo. “Ditemi che non è vero” fece Ashton, pietrificato. Rimanemmo in silenzio a lungo, fino a quando il manager non si schiarì la voce. “Ragazzi, so che è un bel colpo, ma ho bisogno di risposte ora. Cosa volete fare? Sciogliere la vostra band e accettare gli inviti o seguire gli One Direction in tour?” chiese. Noi ci guardammo. È proprio vero che le strade migliori hanno i bivi più ardui.

Non so cosa successe fra noi. Ci fissammo tutti, dal primo all’ultimo. E scoppiò una scintilla di rabbia. “Scusate, ma noi siamo arrivati qui come gruppo. Non saranno certo dei cantanti famosi a farci uscire da qui divisi” sbottò Luke, strappando la sua lettera. Calum lo seguì subito, così come Michael. Ashton rilesse ancora la lettera. “Ashton?!” chiese Carol, preoccupata. Lui ci fissò di nuovo, sorrise e divise la lettera a metà. “Scusa, Hayley, anche se sei il mio idolo non ci penso proprio ad abbandonare i miei migliori amici e il sogno che condividiamo” fece. Ci voltammo tutti verso il manager e notammo che sorrideva. Anzi, rideva.

“Cosa trova di tanto divertente?” chiese Manuela. “Avete superato la prova, ragazzi. Siete uno dei pochi gruppi che ce l’ha fatta” spiegò lui. Noi ci fissammo confusi. “Che intende?”

“La Columbia Records non ha l’abitudine di lanciare gruppi troppo deboli per rimanere insieme e seguire il sogno che si erano prefissati. Tutti gli artisti che escono da qui sono stati sottoposti a questa prova e hanno dato la risposta corretta. Le lettere erano finte, e chi le ha accettate è stato subito scartato. Quindi, complimenti. Il posto di spalla per gli One Direction è tutto vostro, così come la registrazione del vostro primo brano domani, alla stessa ora di oggi, e di tre EP nel giro dei prossimi due mesi. Davvero bravi, ragazzi.”

Noi ci guardammo a bocca aperta.

Non potevamo crederci.

Eravamo dentro.

 

 

 

 

*Angolo autrice*

ATTENZIONE! D’ora in poi, la storia sarà un po’ meno PWP e inizierà la trama vera e propria. Siamo più o meno a metà storia, o forse a due terzi, qualcosa del genere. Tutto quello che succede qui è creazione solo della mia mente malata, che ha voluto dare un’interpretazione tutta sua del “Pre-successo”. Ci sono moltissime incongruenze con la storia vera, anzi, se mi trovate una congruenza siete bravi.

Oltre a questo avviso… davvero, solo una recensione? Avevo chiesto di farmi sapere cosa ne pensavate, e mi è arrivato un messaggio e una recensione… davvero è così orribile? Non nego di esserci rimasta un po’ male… però boh, io ci ho provato…

Alla prossima

Baci

Ranya

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Capitolo 24
*** the only reason - parte 1 ***


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The only reason

Parte 1

“Cioè, tu sei a New York, e non mi dici nulla?!” esclamò Emmaline dall’altra parte dello schermo. Io feci la faccia più angelica del mondo. “Volevo farti una sorpresa!” mi giustificai. La realtà? Con tutti i pensieri che avevo per la testa, me l’ero completamente dimenticata. Era impressionante la mia capacità di cestinare le informazioni ancora prima di averle immagazzinate. Lei dovette intuire qualcosa, perché mi guardò torva, come a dire, so che hai un segreto e costi quel che costi lo scoprirò.

Eravamo tornati in hotel dopo quel pomeriggio che ci aveva cambiato la vita. I ragazzi erano sfiniti, troppa tensione, e anche noi non eravamo messe bene. Avevo passato un pomeriggio piuttosto strano, con i ragazzi che facevano a turno per non farmi raggiungere la mia camera. Prima Carol mi aveva chiesto aiuto per smontare la sua valigia, poi Calum mi aveva dovuto far leggere a tutti i costi un testo, e così via… morale? Non avevo visto Luke tutto il pomeriggio, se non la sera tardi, quando eravamo rientrati in camera per crollare sul letto, come gli altri, del resto. Tutti dormivano, ma chi era l’unica che ancora soffriva per il jet lag?? Che cosa brutta vedere tutti che dormono e avere gli occhi spalancati. Mi ero svegliata alle cinque di mattina, troppo scombussolata per dormire ancora, e mi ero messa sul balcone per guardare l’alba e, chissà, magari trarne qualche ispirazione. Non avrei saputo dire per quanto fossi rimasta a scrivere, sapevo solo che avevo steso ben più di una decina di pagine. New York mi faceva bene.

Avevo deciso di infilarmi sotto la doccia, ma mi era arrivata all’ultimo la chiamata di Emmaline su Skype, e mi mancava parlarle. Già che ero sul balcone, aveva capito dove mi trovavo.

“Ma che ci fai lì?!” fece poi mia sorella, scandalizzata. Io le spiegai tutto dall’inizio, e lei era una maschera di stupore ad ogni mia parola. “Ok, decisamente, ho bisogno di fare un giro. Lavorare troppo mi ha fatto tornare le allucinazioni. Il tuo ragazzo non sta per diventare una star, me lo sto solo immaginando” cercò di farfugliare lei. Io scoppiai a ridere. “Tesoro, è tutto vero. Forse non diventerà una star, ma siamo sulla strada buona.”

“Oddio non ci credo! E QUANDO VOLEVI DIRMELO?!”

“Voleva essere una sorpresa!”

“Ma vattene a quel paese, te e la tua sorpresa, dimmelo piuttosto che te ne sei dimenticata!”

Ups, beccata.

“Ma lo sai che ti voglio bene?” chiesi con un faccino adorabile. “Ti conviene essere così lontana da me, che a questo punto ti avevo già strangolato” mi ammonì lei. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Ok, senti, io devo andare. Salutami tutti, eh?”

“No, aspetta! Mi serve un favore!!”

“Cosa?”

“Ti ricordi i bracciali a mezzi nodi che facevi sempre??”

“Certo.”

“Non è che puoi farmene uno???”

“Perché?”

“Diciamo che ho ridotto molto male quello che mi avevi fatto da piccola…”

“Ok, ok, mi metto al lavoro, capo!” feci. Lei mi ringraziò in tutte le lingue del mondo a lei conosciute (inglese, italiano, francese, Emmalinese) e chiudemmo la chiamata. Se volevo un modo per passare il tempo, l’avevo trovato alla grande: i bracciali a mezzi nodi erano una cosa lunghissima da fare. Intanto, però, mi infilai sotto la doccia. Misi la musica alta e iniziai a cantare, mentre l’acqua calda mi rilassava subito. Una particolarità di me era che, anche con quaranta gradi, la mia doccia doveva essere calda, al massimo tiepida. Non ricordavo di aver mai fatto una doccia fredda. Un’altra particolarità era che gestivo i tempi a ritmo di musica: due canzoni per lo shampoo, una per il balsamo, una per il corpo. Era un mio rituale personale. Mi piaceva cantare sotto la doccia, alla faccia di chi dice che è un terribile cliché.

Ci misi un po’ più del dovuto (cinque canzoni) e mi avvolsi in un grande asciugamano. Tamponai un poco i capelli, giusto per non gocciolare, e li lasciai all’aria ad asciugare. Uscii poi dalla doccia e trovai Luke che si stiracchiava. “Da quanto sei sveglio?” chiesi sorridente. “Più o meno alla orribile stonata che hai fatto mentre cantavi Best song ever” mi prese in giro lui ridacchiando. “Ehi, tu sei il cantante, io la scrittrice. Io non giudico i tuoi scritti, tu non giudicare le mie stonature” feci io, sorridendo. “Ok, ok, ma la prossima volta, gli acuti di Zayn, lasciali a Zayn” fece, avvicinandosi a me e dandomi un bacio a stampo. Io alzai gli occhi al cielo.

Come al solito, avevamo le camere separate, e io e Luke eravamo in quella più piccola, ma con la vista migliore. “Vai tu in doccia, ora?” chiesi. Lui annuì e prese il cambio dalla valigia che ancora dovevamo disfare. Sì, come organizzazione eravamo messi male, e no, non ci importava. “Stasera che facciamo?” chiesi ad alta voce, perché lui mi potesse sentire. “Non prendere impegni, amore, oggi ho organizzato una cosa speciale!” urlò lui in risposta. Io sorrisi raggiante e saltellando mi fiondai sulla mia valigia. Mi cambiai in fretta, mettendomi solo una maglia XXL e dei pantaloncini da pallavolo. Notai che erano le nove di mattina. “Che mi metto? Elegante o che altro?”

“Ti prego, non mettermi di fronte ad altre scelte di moda!”

“Solo per sapere come devo vestirmi!”

“Non fare niente, ci penso io!” urlò lui. Io feci spallucce e tirai fuori dalla valigia il mio set di ago e cucito. Presi otto spilli e li piantai in una scatola di scarpe, creando il telaio per il braccialetto. Annodai poi i fili colorati agli spilli e iniziai a intrecciare il bracciale. Era rilassante e mi aiutava a concentrarmi, in più, potevo capire di che stato d’animo ero: più i nodi erano stretti, più ero nervosa. Nonostante tutto, mi sforzai di stringerli per far venire bene il bracciale. Dieci minuti dopo, avevo fatto solo quattro righe di nodi quando Luke uscì dalla doccia. In boxer. Io lo guardai sorpresa. “Amore mio, mi vuoi mandare in tilt? Ci stai riuscendo” dissi solo, scrutando il corpo di Luke alla stregua di una pervertita. Lui si mise a ridere. “Scusa, scusa, mi copro subito”

“No no, fai pure!” dissi invece io, ridacchiando. A parte gli scherzi, non volevo sembrare una pervertita per davvero, quindi gli porsi il mio asciugamano. Lui ci si avvolse e si avvicinò a me, chinandosi alla mia altezza. “Dillo di nuovo” mi sussurrò. “Cosa?”

“Amore mio.”

“Perché?”

“Perché mi piace sentirtelo dire” rispose con il più innocente dei sorrisi. Rischiavo davvero di sciogliermi. Feci incontrare le nostre labbra e, come al solito, iniziai a giocherellare col piercing. Quanto lo amavo.

Ci separammo quando entrambi avevamo troppo bisogno d’aria per andare avanti. “Allora, che ti metti oggi?” chiesi. “Sai la camicia a scacchi per cui tu vai matta?”

“Quella rossa e nera?”

“Già.”

“No, volevo fregartela io!” piagnucolai. Lui sorrise. “Penso che non avrai bisogno di fregarmela” disse, frugando nella valigia e porgendomi un pacco regalo. Io sgranai gli occhi dalla sorpresa e scartai il pacco, emozionata come una bambina a Natale. Era una camicia uguale alla sua, solo chiusa sul davanti e più femminile. “Grazie, grazie, grazie!” esclamai con voce acuta, saltandogli addosso e travolgendolo con un mega abbraccio stile koala. Lui si mise a ridere, soffocato dalla mia stretta micidiale. “Piccola, la giornata è appena iniziata, non uccidermi subito, ti prego!” esclamò poi, mentre nonostante le sue parole ricambiava la stretta, ma in modo più delicato. Io mi tolsi la giga maglia per cambiarla con la camicia e mi parai davanti allo specchio. “È bellissima!” esclamai emozionata. Lui si affiancò a me e sorrise. “No, tu sei bellissima” rispose dandomi un piccolo bacio sulla tempia. Poi, s’immobilizzò e impallidì. Si fiondò sul bordo della camicia, dove notai sventolare il cartellino del prezzo. Solo lui poteva essere così genio da lasciarlo. Scoppiai a ridere, mentre lui litigava con il cartellino per staccarlo senza farmelo vedere. “Ce n’è di gente stupida in giro, ma accidenti, io li batto tutti!” esclamò lui, borbottando, facendomi ridere ancora di più. Alla fine, si chinò per strappare il cartellino coi denti. Sbuffò soddisfatto quando riuscì a vincere la sua guerra. “Accidenti, la prossima volta mi porto dietro un machete” fece poi, strappando il cartellino in tanti minuscoli pezzi e buttandolo. Io, intanto, avevo mal di pancia dal ridere. “Ok, facciamo finta che tutto questo non sia mai accaduto” disse lui, pulendosi le mani. Io gli presi un dito e glielo feci vedere: era segnato da una riga rossa, che indicava il punto dove aveva forzato il filo di plastica. Lui guardò truce il segno, borbottando un: “Maledetto cartellino” e massaggiando il polpastrello per far circolare il sangue. Io, intanto, ridevo di nuovo. “Ok, ci sono. Dai, prepariamoci che la giornata ha solo ventiquattro ore e me ne servirebbero quarantotto” disse poi frettoloso. Io presi un paio di Jeans neri stretti e li infilai, mentre lui faceva lo stesso con un paio suo. “Ok, no, stiamo esagerando con la storia dei gemelli” disse poi, ridacchiando e cambiandosi i pantaloni, mettendo dei jeans più larghi, sdruciti e pallidi. S’infilò la camicia – che mai e poi mai avrei smesso di rubargli – e le scarpe, mentre io lo imitavo e lottavo con le All Stars nere. Mi infilai il mio berretto e presi al volo la borsa, mentre lui metteva portafoglio e cellulare nelle tasche, e uscimmo.

Rimanemmo cinque minuti buoni ad aspettare l’ascensore del grattacielo/hotel. In quel lasso di tempo, non so come, mi ritrovai con le spalle al muro e le labbra di Luke premute prepotentemente sulle mie. Le sue mani vagavano liberamente sui miei fianchi, stringendoli, avvicinandomi a lui. Io, invece, lo tenevo stretto a me, con le mani intrecciate sulla sua nuca. “Hemmings! Lemaire! Un po’ di contegno, vi prego! Almeno non in mezzo al corridoio!” esclamò Ashton alle nostre spalle, scandalizzato. Noi ci voltammo ridacchiando e lo vedemmo sulla soglia della porta che condivideva con Carol, in pigiama. Scoppiammo a ridere e lui ci guardò malissimo, prima di notare le camicie coordinate. “Bello il regalo, le hai detto di oggi?” chiese, rivolto a Luke. L’altro lo fulminò con lo sguardo e Ashton capì di non dover dire nulla. “Ok, ok, me ne vado, buona giornata, ragazzi!” trillò il maggiore, chiudendo la porta. “Di cosa parlava?” chiesi curiosa. “Niente di che. Andiamo?” fece lui, ansioso, indicando l’ascensore che si era appena aperto. Io alzai gli occhi al cielo e presi lo zaino che aveva lasciato appoggiato al muro. Lui sgranò gli occhi.”Ok, basta, oggi il mio cervello è in ferie” fece, prendendo lo zaino, mentre io ridevo e lo seguivo.

Nell’ascensore, ci scambiammo un altro paio di baci, più tranquilli del precedente. Per poco non dimenticammo di nuovo lo zaino, ma riuscimmo a uscire dall’hotel senza lasciare la scia di Hansel e Gretel dietro di noi. Luke fermò un taxi e salimmo nella classica auto gialla, mentre lui sussurrava la destinazione al tassista. Lui annuì e sfrecciammo lungo le vie fortunatamente poco trafficate di New York. Il tassista ci guardò nello specchietto retrovisore e sorrise nel vederci abbracciati. Disse qualcosa che io non capii, aveva parlato troppo veloce. Guardai interrogativa Luke, che stava ringraziando il tassista. “Che ha detto?”

“Che siamo teneri con la camicia uguale e che coppie come noi non si vedono spesso in giro, solo la loro brutta copia, quelli che si mollano dopo tre giorni e in poco sono pronti a nuove storielle.”

Io sorrisi, affondando di più nella sua stretta. Lui mi guardò e ridacchiò. “Sei arrossita, cucciola” mi disse, dandomi un bacio sul naso. Io alzai gli occhi al cielo e risi sotto i baffi, mentre cercavo di capire la destinazione. Quando vidi che stavamo accostando di fianco ad un immenso parco, saltai a sedere, appiccicando il naso alla finestra, scatenando le risate di Luke. “Central Park!” esclamai, elettrizzata come una bambina. Quando scendemmo dal taxi, non esitai un momento a buttarmi nell’erba mentre Luke pagava il tassista. Decisi che avrei diviso il conto con lui più tardi, ero troppo impegnata a fare angeli d’erba. Ridacchiavo come una cretina, ma ero sempre stata attratta da quel parco immenso. “Ti piace?” chiese lui, chinandosi di fianco a me. Io, in tutta risposta, gli saltai addosso, facendolo cadere. Rotolammo per un metro circa, ridendo, e ci fermammo quando io ero sopra di lui. “Allora?” chiese di nuovo. Io annuii frenetica, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Sono felice di averti fatto sorridere così” fece poi, con quella sua faccia da cucciolo che mi aveva fatta innamorare al primo sguardo. Appoggiai piano le labbra sulle sue, in un leggerissimo bacio a stampo, e lui mi prese il viso fra le mani. Sembravamo due bambini, o almeno, l’innocenza era la stessa, poi che io avessi diciassette anni e lui diciotto, non cambiava nulla.

Oddio, aveva già diciotto anni. Eppure c’ero anch’io alla festa che abbiamo fatto. Festa a sorpresa venuta molto bene, dato che Luke ci aveva scoperti tre giorni prima. Aveva fatto finta di essere sorpreso solo perché aveva visto quanto ci stavamo impegnando. Il mio Luke era diciottenne da poco più di un mese, accidenti, mi suonava così strano!

“A cosa pensi, piccola?” mi chiese, vedendomi distratta con un piccolo sorriso sulle labbra. “A quanto il tempo passa in fretta” feci a bassa voce. Lui ridacchiò. “Piccola filosofa, possiamo goderci la giornata e far finta che l’orologio si sia fermato?” mi chiese. Io sorrisi e annuii. Ci alzammo e lui si buttò lo zaino in spalla, poi ci ripensò e me lo consegnò. Io lo guardai confusa, prima che lui mi prendesse in braccio stile principessa. Risi e capii perché mi aveva dato lo zaino. “Dove la porto, signorina?” fece, con voce leggermente strozzata per la fatica. “Verso l’infinito e oltre?” chiesi. “Non so se reggo fino a lì, inizio ad avere un languorino.”

“Abbiamo appena fatto colazione! Sono le dieci!”

“Ho detto languorino, non fame. Languorino sta per merenda, fame sta per pranzo” spiegò lui con fare saccente. Io risi di nuovo. “Ok, che ne dici se cerchiamo un bar?”

“Ci sto.”

“Mi metti giù?”

“Nemmeno per sogno” rispose lui con fare ovvio, cercando con lo sguardo un qualche punto dove mangiare.

 

Mezz’ora dopo, eravamo seduti ad un tavolo all’ombra di alti alberi, con due bicchieri di succo d’arancia davanti e un vassoio con due brioches e un muffin al cioccolato. Non sapevo perché Luke non avesse pensato a portarsi dietro uno spuntino nello zaino, ma mi aveva impedito di sbirciare il contenuto, classificandolo come sorpresa. Non ci feci caso più di tanto e bevvi un altro sorso di succo d’arancia, che personalmente adoravo. Finiva sempre troppo presto, così avevo preso l’abitudine di mangiare prima e poi bere, per non ritrovarmi a bocca asciutta, letteralmente.

Mangiammo parlando del più e del meno, ridendo con la bocca piena e rischiando di affogarci non so quante volte. Improvvisamente, un flash ci accecò per un attimo. Era una ragazzina gracile, minuta, che reggeva una macchina fotografica troppo grande per lei, con un cordino attorno al collo per non farla cadere. “Scusate, non volevo disturbarvi, non credevo avesse il flash…” fece mortificata, lasciando rimbalzare la macchina fotografica sulla sua pancia. Noi sgranammo gli occhi sorpresi. “Tranquilla, ma perché l’hai fatto?” chiese Luke poi, con un sorriso che aveva lo scopo di mettere a proprio agio la ragazzina. Doveva avere dodici anni all’incirca. “Niente, niente, è un motivo stupido” fece in fretta lei, paonazza. Mi venne da sorridere nel vedere quanto le lentiggini risaltavano sulla pelle rosso fuoco. “Noi siamo stupidi, secondo me ti capiremmo” ribatté Luke ridacchiando. Lei si avvicinò al nostro tavolo a piccoli passi, torturandosi una ciocca di capelli biondo chiaro. “È che… st-sto provando a-a scrivere una fan fiction… e no-non volevo prendere una f-foto di Internet per l-la copertina. Stavo cercando qualcosa da fotografare e-e… voi eravate così giusti per la storia…” fece balbettando. Noi sorridemmo. “Mi fa piacere. È bello che tu voglia scrivere. Ci vuole pazienza, determinazione e passione, e in giro non ci sono molte persone disposte a dare via un pezzetto della loro vita per ottenerne in cambio tanti altri” dissi. Lei mi guardò finalmente negli occhi e notai quanto fossero chiari, un nocciola flebile, molto strano e di sicuro diverso da qualsiasi altro paio di occhi che avessi mai visto. “Tu scrivi?” chiese poi. Io annuii e lei, finalmente, mi sorrise, quel sorriso che solo i bambini sanno fare, che mostra tutti i denti. “Ti piace leggere?” mi chiese. Io annuii di nuovo. “Leggi tanto?” Ancora risposta affermativa. “Anche io. Ho molto tempo libero perché gli altri non vogliono giocare con me, solo perché ho un nome strano.”

“Come ti chiami?”

“Vanilla.”

“Io invece lo trovo un nome molto bello” si intromise Luke. Vanilla sorrise di nuovo, mentre il rossore spariva dalle sue guance rotonde. “Comunque credo che da grande lo cambierò. Non mi piace che mi prendano tutti in giro.”

“Io invece lo terrei, solo per far vedere agli altri che sono più forte di loro” risposi. Lei mi guardò di nuovo e mi ritrovai ad ammirare i suoi occhioni chiari. “Ma io non voglio rimanere da sola.”

“Non rimarrai sola, tranquilla. Prima o poi cresciamo tutti, e un nome non avrà più importanza. E poi, Vanilla ha tanti bei soprannomi. Vany, Vaniglia, cose del genere. Io invece sono Corallo da quando ho messo piede a scuola!”

“Come ti chiami?”

“Coralie.” Lei si mise a ridere. “Perché ridi?”

“Perché ti chiami come l’autrice del libro che sto leggendo” fece lei, tirando fuori dal suo zainetto il libro in questione. Io e Luke cercammo di mascherare la sorpresa mentre Vanilla ci mostrava Look into my eyes. “E ti piace?” chiese Luke con un sorriso enorme. Lei annuì frenetica. “Da grande voglio essere come la protagonista” fece poi. Io mi aprii in un sorriso raggiante, ero al settimo cielo. Poi ripensai alle parole di Vanilla. “Non devi essere come lei. Non è giusto vivere cercando di imitare qualcun altro. Capirai cosa diventare mano a mano che passa il tempo, l’unica cosa da imparare è che non bisogna indossare nessuna maschera” dissi. Lei mi guardò stupita. “Pensi questo del libro?” mi chiese poi, gli occhi da cerbiatto puntati nei miei. Io annuii. “Penso anche che l’autrice abbia scritto il libro immaginando quella che sarebbe stata la sua vita. E sono sicura che niente è andato come nei piani, ma lei non potrebbe essere più felice di così” dissi poi, lanciando un’occhiata a Luke, che ricambiò. La sua mano cercò la mia sotto il tavolino e la strinse una volta trovata. “Pensi che ci sarà un seguito?” chiese di nuovo Vanilla. Luke mi guardò e: “Sì, Coco, ci sarà un seguito?” mi chiese ridacchiando. Io mi trattenni dal ridere. “Secondo me ci sta già lavorando. Però bisogna tenere conto che magari, dico magari, può avere cose più importanti a cui pensare. Che so, magari il ragazzo di cui è innamorata sta per diventare una grande rockstar e lei gli vuole stare vicina ad ogni costo” dissi poi. Vanilla rise. “Hai tanta fantasia” mi disse poi. Io sarei scoppiata a ridere. “Sai, credo che questa mia ipotesi sia la meno fantasiosa di tutte” commentai, mentre Luke si tratteneva dal ridere. “Io ora devo andare, la mamma mi sta aspettando. È stato bello parlare con voi. Grazie, Coralie e…?”

“Luke.”

“Grazie, Coralie e Luke. Spero di rivedervi, un giorno.”

“Anche noi, Vanilla.”

Vanilla fece di nuovo quel suo sorriso enorme e ci salutò con la mano, mentre correva via. Rimanemmo a guardarla per qualche secondo, poi io sospirai. “Mi piacerebbe davvero rivederla” dissi. “Forse non è così improbabile, sai?”

“Luke, è di New York. Noi siamo qui in vacanza.”

“Non hai notato che parlava benissimo l’italiano? E che non ha nemmeno provato a parlare in americano?” chiese lui. Io sgranai gli occhi. “Hai ragione! Ecco perché non ho fatto fatica a capirla!! Se parlava americano mica la capivo!” esclamai. Non ci avevo fatto caso, troppo presa dalla situazione. Lui rise e: “Lo mangi quel muffin?”

 

Stavamo camminando lungo i vialetti, abbracciati, quando passammo davanti ad un fioraio. Era così pieno di colori! Mi avvicinai subito ai lilium, i miei fiori preferiti, osservando quanto fossero belli. Lilium rosa, bianchi, arancioni… il mio sguardo incontrò una macchia blu. Erano rose, bellissime. “Luke, guarda!” feci, distogliendolo da un vaso di orchidee. “Che belle” fece lui. “Scusi, quanto vengono?” chiesi al fioraio, indicando le rose. “Tre dollari a rosa” fece lui, potando un piccolo bonsai. Io sgranai gli occhi. Feci un gesto a Luke per dire che era un prezzo esagerato e ce ne andammo, salutando il venditore, che stavolta era americano. “Ti piacevano?” mi chiese Luke. Io annuii. “Ma costavano troppo” dissi poi, prima che potesse tornare indietro. Il mio problema era che i fiori singoli non mi piacevano. Dovevano essere tre, o cinque, o sette, o un qualsiasi numero dispari. Quindi, spendere nove, quindici, o ventuno dollari, non mi andava molto bene.

Vagammo fino a trovare un posticino tranquillo, praticamente disabitato. Era mezzogiorno, più o meno, e il jet lag ci aveva scombussolato, quindi non sapevamo più se per noi era una colazione, un pranzo o una cena. Nessuno di noi due era un asso in geografia e non ci ricordavamo come funzionassero i fusi orari.

“Hai fame?” mi chiese lui. Io annuii e ci sedemmo nel prato. Lui aprì finalmente il misterioso zaino e ne tirò fuori una tovaglia a grandi quadrati bianchi e blu. Io mi misi a ridere. “Un pic-nic classico, eh?” chiesi. “Sì, ma questa tovaglia è originale” fece lui. “Ah, davvero?” continuai io. Lui annuì. “Innanzitutto, non è rossa e bianca, ma blu e bianca. E poi è personalizzata” fece, sentendola a terra. Io notai solo in quel momento che su ogni quadrato era scritta una frase diversa. Sui quadrati blu era scritta in bianco e viceversa. Mi bastò un’occhiata per capire che erano frasi di canzoni d’amore. Sorrisi a trecentosessanta gradi, commossa, e lo guardai. “Ti piace?” mi chiese. Io risposi allo stesso modo in cui avevo risposto prima e lui si ritrovò steso a terra, con me sopra di lui, che lo abbracciavo più forte che potevo. “Coco, mi stai soffocando!” soffiò lui, di nuovo, con un filo di voce. Stavolta non lo lasciai andare subito, solo quando lo sentii tossire e capii che stavo esagerando. Mi scusai per l’irruenza in mille modi, ma lui sorrise e mi chiuse le labbra con un dito. “Se farti felice costa solo un po’ di fiato, sono pronto a soffocare” mi disse dolcemente, prima di darmi un bacio sulla punta del naso.

Tornammo a sedere e lui indicò la tovaglia. “Vediamo se riesci ad indovinare i titoli” mi sfidò poi, tirando fuori dallo zaino due pennarelli indelebili,uno blu e uno bianco. Mi chinai sul primo.

Everybody wanna steal my girl

Everybody want to take her heart away

Couple billion in the whole wide world

Find another one, ‘cause she belongs to me.

Steal my girl degli One direction” dissi sicura. Lui annuì e stappò il pennarello bianco con I denti, per poi scrivere sotto i versi il titolo. Mi spostai al riquadro successivo.

You’re so beautiful

But that’s not why I love you

I’m not sure you know

That the reason I love you

Is you, been you, just you

Yeah, the reason I love you

It’s all we’ve been trough

And that’s why I love you

I love you di Avril” feci di nuovo. Lui ridacchiò e scrisse il titolo. Riquadro successivo.

Torn in two

And I know I shouldn’t tell you

But I just can’t stop thinking of you

Wherever you are

You, wherever you are

Every night I almost call you

Just to say it always will be you

Wherever you are.

Wherever you are, della mia band preferita, che ospita il mio cantante preferito, ovvero il ragazzo che amo” feci ridacchiando. Lui sbuffò. “Cioè, io sono stato tutto il pomeriggio a cercare canzoni d’amore, a selezionarle così meticolosamente, e tu mi smonti così, indovinandole subito?! Almeno fai finta di pensarci su!” fece esasperato, scrivendo il titolo.

Andammo avanti così per mezz’ora circa. I riquadri contenevano canzoni bellissime, come “Heartbreak girl”, “Wherever you will go”, “Nobody compares”, “Last first kiss”, e molte altre. Mancava l’ultimo riquadro. Mi chinai su di esso, concentrata.

When I close my eyes and try to sleep

I fall apart, I find it hard to breathe

Yoy’re the reason, the only reason

Even though my dizzy head is numb

I swear, my heart is never giving up

You’re the reason, the only reason

“Allora, premetto che non la conosco, ma second me si chiama The only reason” dissi. Lui fece gesto di infilzarsi con il pennarello. “Cioè, non la conosci, e pure indovini?! Ok, basta, questi giochi non li faccio più con te” si arrese. Io risi. “Di chi è?” chiesi poi. Lui si indicò con un sorriso gongolante, quasi fosse un bambino. “Non l’avevo mai sentita!” esclamai. “L’abbiamo stesa molto tempo fa, prima di conoscervi, e prima di partire l’abbiamo rispolverata. Non avevamo mai provato a finirla, poi ci è tornata la voglia di creare ed eccoci qui” spiegò. Io mi aggrappai al suo braccio. “Me la fai sentire!?” chiesi trepidante. Lui rise e tirò fuori il cellulare, facendo partire una traccia musicale. “È solo la base” mi avvertì. “Allora canta tu” feci convinta. Lui sorrise e si schiarì la voce, prima di offrirmi un piccolissimo concerto privato.

Quando finì, avevo gli occhi a cuore. “È bellissima!” urlai elettrizzata. “Siamo sicuri che non lo dici solo perché sono io?” mi chiese lui, titubante. Lo fissai scioccata. “Ma come ti viene in mente, scusa?! Credi che potrei farlo? Cioè, sì, potrei farlo, ma te ne renderesti conto subito!” esclamai. Lui rise e mi abbracciò. “Ok, allora.”

Dopo aver fatto quello strano gioco, Luke tirò fuori dallo zaino tutto il necessario per un pic nic alquanto romantico. Mangiammo senza stare un attimo zitti, continuando a ridere e a parlare, anche a bocca piena. Non ci importava nulla del galateo, eravamo io e lui, da soli, senza bisogno di regole, in una libertà difficile da provare con altre persone.

Finimmo di mangiare e ci sdraiammo sulla tovaglia, abbracciati. Iniziò ad accarezzarmi i capelli e io chiusi subito gli occhi, rilassata. Ci misi poco ad addormentarmi, come al solito.

Quando mi svegliai, realizzai di essere da sola. “Ma che cavolo…?!” feci, confusa. Dov’era finito Luke?! Lo avevano rapito?! Esclusi subito l’idea che mi avesse abbandonato al mio destino. Sentii un trillo fastidioso e ricordai di essermi svegliata a causa di quello. Era la sveglia del mio cellulare. Io non l’avevo impostata! Guardai il messaggio: “guarda nella tasca davanti dello zaino” diceva. Io obbedii e notai un biglietto blu a forma di cuore, piegato a metà. Sorrisi e lo aprii.

Ciao piccola,

innanzitutto mi scuso per averti abbandonato in mezzo al parco. Scusami! Era l’unico modo! Ti prego, non prendertela!

Ti chiederai che sto combinando. Diciamo che ho organizzato una minuscola caccia al tesoro. Mi sto nascondendo da qualche parte con il tesoro, in questo parco immenso, tanto che ho paura che mi perderò. Tocca a te trovarmi! Trovi il primo indizio sotto il ponte davanti a te! In bocca al lupo e divertiti!

Ti amo

Luke

Io scoppiai a ridere. Solo a lui potevano venire in mente queste idee pazze! Alzai lo sguardo e incontrai il ponte di cui mi aveva parlato. Misi via le mie cose nello zaino, me lo buttai in spalla e corsi verso il ponte.

“Che la caccia al tesoro inizi!” esclamai da sola, ridendo come una ritardata.

 

 

*Angolo autrice*

Aiutooo sono in ritardo cosmico!! Mi scuso tantissimo!! Sono settimane che ho questo dannatissimo capitolo in testa!! E non è nemmeno finito, infatti siamo solo a metà giornata, solo che se stavo qui a scriverlo tutto non finivo più, e veniva fuori un papiro. Devo darmi una mossa! Sono fortunata che ho la febbre, almeno non ho nulla da fare!!

Mi scuso di nuovo per il ritardo!!

Detto questo… davvero fa così schifo la storia?? Se ha preso una piega che non piace, basta dirlo! Devo pagare oro per un parere… :,(

Boh, a (spero) presto, mi scuso di nuovo, ciaoo

Ranya

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Capitolo 25
*** the only reason - parte 2 ***


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Corsi fino a quando non raggiunsi il ponte. Già avevo il fiatone, potevo dire di iniziare bene. andai sotto di esso e cercai con lo sguardo una macchia di colore sulla pietra. Non tardai a trovarla: era dall’altra parte del ponte. Fortuna che era rosa shocking, o non l’avrei mai vista, con i miei occhi che mi facevano brutti scherzi. Corsi sopra al ponte, evitando per un pelo una bicicletta che stava per investirmi, fino a raggiungere il primo biglietto. Lo aprii trepidante.

“Se sei arrivata qui, significa che forse ho una possibilità di rimanere in vita. Non mi ammazzerai per averti lasciata sola, vero? Ti prego!

Comunque, questo non è una vera e propria mappa, ma l’indizio che porterà alla prima mappa. Eh, sì, me la sono studiata bene. comunque, devi cercare sotto qualcosa di grande, forte e tenero. Mi faresti un favore se non cercassi sotto tutti i pastori tedeschi del parco, grazie.

Ci vediamo al prossimo posto!

Ti amo

Luke”

Io mi misi a ridere da sola, prima di pormi il problema di dove cercare. Qualcosa di grande, forte e tenero? Aiuto, togliendomi i pastori tedeschi aveva eliminato la mia scorta di idee. “E adesso?” chiesi al biglietto. Tornai sul ponte, cercando di capire cosa volesse dire Luke. Quelle tre parole mi rimbalzavano nella mente. Grande, forte e tenero. Non aveva senso, nel mio cervello ancora addormentato. Forse un altro cane? Un lupo? Un cane lupo? Un…

“Balto!” urlai improvvisamente. Una famiglia che mi passava di fianco mi guardò malissimo, ma li ignorai e mi misi a correre. Poi feci dietrofront, rendendomi conto di un minuscolo particolare. “Scusi, saprebbe indicarmi la statua di Balto?” chiesi. Loro mi guardarono di nuovo in un modo strano e mi resi conto di aver parlato in italiano. Riformulai la domanda in inglese e loro mi diedero mille informazioni, che avevo già dimenticato mentre me le dicevano. Li ringraziai e, voltandomi, sbuffai. Facevo meglio a procurarmi una piantina del parco.

 

Mezz’ora dopo, finalmente, armata di mappa, bigliettino con indizio, zaino e fiato per camminare a lungo, raggiunsi la statua di Balto. Era molto bella, ma in quel momento non mi fermai a guardarla. Mi chinai e raggiunsi il livello della statua, prima di impallidire. Il biglietto c’era, certo, ma solo in parte. Qualcuno lo aveva strappato e a me rimaneva solo la parte attaccata con lo scotch. Mi guardai intorno, con occhi sgranati, fino a che non vidi dei bambini giocare con una pallina verde acceso, dello stesso colore del bigliettino. Mi avvicinai a loro e notai che sì, era il mio bigliettino. “Scusatemi, posso chiedervi di darmi quel biglietto?” chiesi. Loro mi guardarono male, come avevo immaginato. “Per favore, devo solo farci una foto” proposi. Una bimba – l’unica – si avvicinò a me. “Perché ne hai bisogno?”

“Me l’ha lasciato il mio ragazzo.”

“Come ti chiami? E come si chiama il tuo ragazzo? Di dove siete?”

“Perché lo vuoi sapere?”

“Rispondi e basta.”

“Mi chiamo Coralie, si chiama Luke, veniamo dall’Italia.” La bimba spiegò il biglietto e lo lesse piano. “Ok, è tuo. Facci una foto, poi però ce lo ridai!” disse, porgendomelo. Io la ringraziai soffocando in gola un commento sulla sua acidità, presi il cellulare e scattai una foto al biglietto, prima di riconsegnarlo al gruppo di bambini. Scrutai la foto, cercando di capirci qualcosa.

“Ciao Coco,

vedo che sei arrivata fino a qui. Accidenti, non ti ferma nessuno, eh? Comunque, ora arriva il divertente. Lo vedi il boschetto di fianco a te? Su una quercia ho inciso un simbolo particolare, che dovresti riconoscere. Su un ramo di quella quercia è attaccata la prossima parte della mappa. Buona fortuna!

Ti amo

Luke”

Decisamente, mi voleva morta. Come facevo a trovare un simbolo su un albero in un bosco?! Altro che ago in un pagliaio. Sotto la scritta, era disegnato uno schizzo abbozzato. Un particolare di qualcosa. Ecco cosa intendeva con mappa. Dovevo ricostruire il disegnino e capire dove mi portava. Alzai lo sguardo, cercando il boschetto. Notai in quel momento la gente che bisbigliava, gettando occhiate ad un sacchetto di plastica, chiuso e pieno di qualcosa. Aguzzai la vista e notai un corpo di fianco alla busta, un corpo che si nascondeva sull’erba, nonostante spiccasse con la camicia a quadri neri e rossi. Mi nascosi il viso fra le mani, rifiutandomi di crederci. Non poteva essere così genio da passarmi davanti mentre lo stavo cercando. Composi il suo numero e avvicinai il cellulare all’orecchio. La suoneria che sentii in lontananza – era ad una decina di metri da me – mi tolse ogni dubbio: era Luke.

“Pronto, piccola?” chiese con nonchalance. “Mi spieghi che ci fai sull’erba?”

“Tu non mi hai mai visto! Continua la tua caccia al tesoro! Io sono un ologramma! Non ti sono mai passato di fianco! E tu non hai mai visto questo sacchetto! Chiaro?!” fece lui, gesticolando. Io scoppiai a ridere. “Passo sopra questa tua geniale entrata in scena solo se mi dici qual è il simbolo.”

“Coco!”

“Luke!”

“Non posso dirtelo!”

“Guarda che vengo lì, eh?!”

“Ok, ok. È il simbolo della nostra band, le quattro linee verticali con una in diagonale. Uffa, però!” Io scoppiai a ridere, prima di realizzare che tutti ci stavano guardando malissimo. “Adesso mi lasci scappare via?” chiese Luke. Io acconsentii e lo vidi rialzarsi e correre via, nemmeno fosse alle olimpiadi. Con le gambe lunghe che aveva, ogni falcata erano dieci metri. Continuai a ridere da sola per qualche secondo, prima di dirigermi nel boschetto. Avevo un simbolo da cercare.

 

Per fortuna che mi aveva detto cosa cercare, se no col cavolo che lo trovavo. Tutti gli alberi erano pieni di incisioni! Quanta gente girava con i coltellini?! C’erano anche diversi L + C o viceversa, ma potevano essere qualsiasi cosa. Fortunatamente, sapevo che non era quello che cercavo, o mi sarei arrampicata ovunque. Avevo bisogno di una quercia.

Improvvisamente, vidi un qualcosa di giallo spiccare su un tronco. Mi avvicinai curiosa ed esultai. Era lui. Guardai verso l’alto e vidi il biglietto, giallo fluo. Lasciai lo zaino a terra e mi aggrappai al primo ramo, issandomi, fino a raggiungere il biglietto. Litigai con lo scotch che Luke aveva usato per assicurare la carta al ramo, tanto che rischiai di cadere, ma alla fine tornai vittoriosa a terra. Mi stiracchiai e lessi il biglietto.

“Ciao Coco,

a quanto pare sei arrivata pure qui. Sto finendo i nascondigli! Beh, fortunatamente non manca tanto. Sei a metà. Allora, il prossimo biglietto…

Ti dico subito dov’è. L’ho consegnato ad un mimo vestito da statua della libertà. Non mi odiare, ma c’è una piccola sfida. Dovrai essere la mima del mimo per dieci minuti. Se ce la farai, ti darà il biglietto. Non dovrai ridere!!

Con tanto, tanto amore,

Il ragazzo che fra un po’ morirà, alias Luke”

Io mi lasciai andare ad un lamento. Mi voltai verso la quercia e iniziai a prenderla a testate leggere, prima di convincermi a cercare il mimo. Presi il bigliettino, feci una foto, tagliai l’immagine abbozzata e la incollai sulla foto del bigliettino precedente. Sembrava una bancarella. Mi mancavano due frammenti, e uno era in possesso di un mimo. Significava guerra, no?

 

Dopo aver cercato per non so quanto tempo, finalmente trovai il mimo. Era fermo immobile su un piedistallo. La sua pelle era grigio-verde, impiastrata di pittura. Ai suoi piedi, un cappello rivoltato, con qualche spicciolo dentro. Lui si distolse dalla sua posizione per guardarmi. Mi fece un breve inchino, indicandomi un piedistallo al suo fianco che prima non avevo notato, e poi fece sventolare davanti ai miei occhi un biglietto viola, a mo’ di sfida. “Ok, ci sto. Avrò quel biglietto” dissi, salendo sul piedistallo.

Doveva essere facile. Morale? Passai una mezz’ora buona a imitare quel pagliaccio. Ogni momento mi veniva da ridere, e la folla incuriosita che si era radunata attorno a noi non aiutava per nulla. La gente provava un piacere sadico nel gettare una monetina ai piedi del mimo per farlo muovere, e far muovere anche me. Decisi di seppellirmi quando vidi passare anche Ashton, Carol, e tutti gli altri. Scoppiarono a ridere quando mi videro, e iniziarono a gettare monete peggio di una mitragliatrice. Intanto, l’orologio del mimo ticchettava. Aveva messo il timer, e lo aveva resettato sei volte a causa delle mie risate.

Una moneta da dieci centesimi. “Ti vogliamo bene, Coco!” fece Manuela, facendomi una linguaccia, mentre il mimo iniziava a muoversi e io dovevo imitarlo.

Venti centesimi. Di nuovo le risate dei miei migliori amici.

Un euro. Intanto, mi chiedevo quando il mimo si sarebbe accorto che stavano buttando monete europee.

Io sorridevo, perché loro erano arrivati da poco più di due minuti, ma io sapevo che il tempo stava per finire. Avrei ucciso tutti e sei nel giro di quanto? Circa un minuto?

Il timer suonò dopo un tempo che mi sembrò infinito. I sei guardarono prima il mimo, poi me, per capire cosa stava succedendo e impallidire. Io mi voltai verso il mimo che, sorridendo con quel suo fare affettato, mi consegnò il biglietto viola. Io lo ringraziai e mi voltai verso i miei amici. “Correte, ora” feci. Loro non esitarono e schizzarono via, mentre io saltavo giù dal piedistallo e li inseguivo. Presi il polso di Madison, che urlò divertita. Notando che non riuscivo a fermarla, mi buttai di peso su di lei, spingendola ai lati della strada, sull’erba. “Maddy!” urlò Calum. Il gruppetto si fermò, col fiatone. “Lasciatemi qui! Andate avanti senza di me!” urlò lei, melodrammatica. “Ok!” fece Ashton, mentre i cinque correvano via. Madison ci rimase di sasso. “Io stavo scherzando!” strillò, mentre io scoppiavo a ridere. “Tornate a prendermi, vigliacchi che non siete altro! Avete paura di una bionda?!”

“Tu no?”

“Se la bionda sei tu, certo che ne ho!”

“Allora perché li biasimi?”

“Perché io sono incoerente, non te ne eri accorta?!”

Ci guardammo e scoppiammo a ridere di nuovo. “Come facevate a sapere che ero qui?” chiesi. “Luke si stava sentendo con Ash, e gli ha parlato della caccia al tesoro. Si stavano mettendo d’accordo, credo. Quando gli ha detto di questa fase, Ash ci ha fatto preparare in fretta e furia, sperando che fossi ancora qui.”

“Ma quanto è simpatico Ash.”

“Vero? Intanto però ci siamo divertiti!” fece lei. Io annuii, non potevo negare di essermi divertita molto. “Ok, ora ti lascio andare, devi continuare con la caccia al tesoro. Buona fortuna!” fece lei, rialzandosi. “No, aspetta! Dimmi la tappa finale!” esclamai, stanca di correre da una parte all’altra del parco. “Ma sei scema?!”

“No, ho sonno!”

“Non posso dirtelo!”

“Ti prego!”

“No!”

“Maddy!”

“Uff, posso dirti solo che non ti aspetteresti il posto finale. Ciao Coco!” fece lei, correndo via. Io crollai a terra. Ero distrutta. Ripensai a quello che avevo detto. No, non avrei mai saltato le tappe. La disperazione mi aveva fatto parlare. Mi tirai su e contemplai il nuovo biglietto.

“Ciao Coco,

spero tu ti sia divertita molto con il mimo. Io avrei riso tutto il tempo! Oltre a questo, ti manca solo un indizio, che ti porterà all’indicazione finale! Mi troverai fra poco, spero!

Passiamo all’indizio. Capisco che tu sia distrutta, quindi ti aiuto. È in una fontana vicino a te. Anzi, diciamo sotto. Non voglio stancarti troppo, sono stato bravo stavolta.

Ti amo,

Luke”

Io sorrisi. Ripetei l’operazione della foto e notai l’immagine di una bancarella. L’insegna era a metà, c’era scritto solo “-os!” e mancava la parte finale per capire dove cercare l’ultimo indizio. Presi fiato, ripetendomi che avevo quasi finito: la fontana era vicina a me, la vedevo da lontano. Camminai a grandi falcate – ero troppo stanca per correre – fino alla fontana, ispezionando tutti i pertugi. Trovai il biglietto bianco sotto un sasso, in un angolino della fontana. Elettrizzata, lo aprii.

“Ciao Coco,

sei arrivata all’indizio finale! Ora che hai i quattro pezzi del puzzle, puoi capire dove ti ho indirizzato. Vai lì e chiedi di me, ti daranno una cosa che ti dirà dove trovarmi!

Complimenti amore mio, ti amo!

Luke”

Ricostruii il puzzle. L’insegna diceva: “Photos!”

Io feci un salto di gioia, mi mancava poco. Chiesi a dei passanti dove potessi trovare una bancarella di foto e loro mi indicarono un punto sulla mappa. Mi sentii male quando vidi che era a un quarto d’ora da me. Luke se l’era escogitata bene per farmi morire.

Mentre camminavo, sentivo l’adrenalina scorrermi nelle vene. Guardai l’orologio e impallidii nel rendermi conto che erano già le sei. Presi il cellulare e inviai un messaggio a Luke:

“Non so nemmeno da quante ore ti sto cercando. Se tu fossi stato un altro ti avrei già insultato.”

La risposta non tardò ad arrivare:

“Beh, allora fortuna che sono io! Comunque posso capirti, mi sto insultando da solo, anche perché non ho niente da fare e inizio ad avere freddino. Il mio compagno di attesa è un videogioco che non solo fa schifo ma mi sta fagocitando la batteria. A che punto sei, amore?”

“Sto cercando lo stand delle fotografie”

“Ah, wow, già lì? Allora forse il mio telefono ha la possibilità di rimanere vivo!”

“Manca tanto?”

“No, anzi, sei quasi alla fine, piccola”

“Sapevi che i ragazzi hanno avuto un bello spettacolo oggi, gratis?”

“Me l’ha detto Ash… scusa cucciola, non credevo l’avrebbe fatto sul serio :( se l’avessi saputo gliel’avrei impedito”

“Mai sottovalutare Ashton… comunque nessun problema :D”

“Sicura?”

“Certo!”

“Ok…”

“Sono quasi allo stand, sai?”

“Allora faccio meglio a nascondermi! Ciao cucciola, a tra poco!”

“Aspetta, no, non lasciarmi da sola! Luke! Lukeyyyy :,(“

Luke non rispose più, mentre io sporsi il labbro all’infuori. Come se lui avesse potuto vedermi. Mentre camminavo, avevo schivato all’ultimo molti passanti, ma non avevo fatto caso a come fossi andata fuori traiettoria. Mano a mano che camminavo, giravo verso sinistra, tanto che lo stand – visibile in lontananza – era ormai sulla mia destra. Aggrottai le sopracciglia e mi guardai i piedi, chiedendomi se fosse possibile che fossero storti. Non trovando nessun difetto, feci spallucce, mi diedi della stupida per aver dovuto controllare di non aver due piedi a banana, e mi misi a correre verso lo stand. L’uomo che stava dietro al bancone, quando mi vide, sembrò riconoscermi; guardò in una foto che aveva di fianco, poi me e ancora la foto. Quando, con il fiatone, gli chiesi: “Buongiorno, per caso ha visto un biondino con un piercing al labbro, occhi azzurri, camicia a quadri, orrendamente alto?” lui scosse la testa. “So chi sei, ma non so chi sia il tipo che mi hai descritto. Qui è venuto solo un ragazzo riccio, con i capelli lunghi e gli occhi verdi, vestito da rockettaro dannato. Mi ha detto di darti queste a nome di un suo amico” fece poi, porgendomi due foto. Com’è che il rockettaro dannato mi sembrava tanto Ashton?

La prima era una foto che mi aveva fatto Luke qualche mese prima ed era la stessa che l’uomo aveva usato per riconoscermi; probabilmente Luke gliel’aveva lasciata per evitargli di chiedere a tutte le ragazze: “Scusa, sei tu Coralie?”. La seconda era la foto di un posto che conoscevo già. Mi venne da ridere: era il lago dove mi ero svegliata da sola, dove era partita la caccia al tesoro. Nella foto, c’era una barca a remi minuscola in mezzo al lago. Dietro la foto c’era scritto con un pennarello indelebile:

“Ciao Coco. Mi dispiace deluderti, ma questo messaggio non è di Luke, bensì mio. Diciamo che era troppo occupato per fare quest’ultima commissione, quindi mi ha pregato in ginocchio di aiutarlo. Dal suo nascondiglio non poteva più lasciarti un messaggio, così a chiesto a me di scrivere qualcosa, perché non gli sembrava giusto lasciare la foto in bianco. Beh, devo dire qualcosa, quindi? L’unica cosa che mi viene in mente è che lui è di un romantico che fa vomitare e tu sei così innamorata di lui da stare dietro alle sue trovate. Guardandovi, penso che siate pazzi, poi però mi viene da sorridere, perché insieme siete anche bellissimi. Non so che altro dire, il mio messaggio l’ho lasciato. Ti auguro buona fortuna, anche se ora non è che devi trovare qualche indizio, dato che la meta finale – dove troverai quel malato del tuo ragazzo – è il lago. E non so che altro dire, anche perché ho finito lo spazio sulla foto, quindi ciao, ci vediamo dopo, e ricordati che ti voglio bene, eh?

Ash ;)”

Finii di leggere con un sorriso sulle labbra che non voleva saperne di andarsene. Anche il mio migliore amico sapeva essere dolce con qualcuno che non fosse Carol, quindi.

Esaltata, ringraziai l’uomo dietro al bancone e mi guardai attorno. Vedevo il laghetto in lontananza. Non potevo credere di essere così vicina alla fine! Facendo appello a tutte le mie energie, ringraziai l’uomo e corsi verso il lago. Mi fermai dove ancora c’era l’erba schiacciata, l’impronta dei nostri corpi. Ero da sola, la strada più vicina era a trecento metri da qui. In mezzo al lago, c’era ancora la barca abbandonata. Guardai di nuovo la foto. Dov’era Luke?

“Lukey!” urlai a squarciagola, guardandomi intorno. “Luke! Dove sei?”

Dalla barca, vidi spuntare un ciuffo biondo e mi venne da sorridere. Luke mise i remi in acqua e, remando verso di me, iniziò a cantare: “I’m siiiiiinging in the laaaake! I’m siiiiiiinging in the laaaaake!” io scoppiai a ridere, mentre lui incagliava la prua della barca nel fondo sabbioso. “Buongiorno principessa!” esclamò voltandosi verso di me. La barca oscillò pericolosamente e lui fece una faccia spaventata che mi fece ridere ancora di più. “Cosa ridi?!” fece lui, imitandomi. “Quanto ci hai messo a escogitare tutto?” chiesi. “Ci sto lavorando da quando siamo arrivati qui. Ashton mi ha dato una mano” spiegò, porgendomi la mano. “Salta su, bellissima!” fece poi. Io sorrisi e cercai di capire come salire senza dover entrare in acqua. Prima gli passai lo zaino, dove misi il cellulare e tutto ciò che occupava le mie tasche, e lui lo poggiò in fondo alla barca, di fianco al sacchetto che avevo visto quando lo avevo beccato in mezzo all’erba. Poi, afferrai la sua mano tesa e poggiai il piede sul bordo della barca. Lui mi tirò verso di sé, ma mi sbilanciai e con un urlo caddi in acqua. La barca quasi si ribaltò, ma questo bastò a trascinare anche Luke in acqua. Il sacchetto e lo zaino, però, rimasero all’asciutto. Riemergemmo e ci guardammo, prima di scoppiare a ridere. “Sei un disastro” mi disse fra le risate. “Pure tu” risposi. Mi guardò qualche secondo, prima di posarmi una mano dietro la nuca e avvicinarmi a lui. Mi baciò piano, dolcemente, mentre i nostri capelli gocciolavano e i vestiti ci si incollavano addosso, gelidi. Rabbrividimmo. “Che facciamo?” chiesi. “Chiamiamo Ash? Gli chiediamo se ci porta anche un cambio?”

“Anche?”

“Sì, è in hotel, gli ho chiesto di portarmi la cena per stasera.”

“Mangiamo qui??”

“In mezzo al lago, piccola” disse con un sorriso irresistibile, che gli scavò le solite adorabili fossette agli angoli della bocca. Io ricambiai entusiasta. Risalimmo sulla barca, mentre brividi freddi ci investivano. “E fu così che due cretini si ammalarono di broncopolmonite acuta” commentai, incrociando le braccia per scaldarmi. Lui mi guardò qualche secondo, nella mia stessa posizione, poi venne a sedersi di fianco a me, sul fondo umido della barca, mentre io ero su uno dei due sedili. Mi tirò sulle sue gambe e mi abbracciò, facendo aderire la mia schiena al suo petto e affondando il viso nella curva del mio collo. Mi lasciò un piccolo bacio sulla pelle gelida. “Sai di lago” sussurrò pulendosi le labbra. Io ridacchiai, rimuginando sulla pulizia di quel laghetto. Poteva essere stupendo, ma le sue acque – ci scommettevo – non erano così pulite. “Perché, sai che sapore ha un lago?” lo presi in giro, voltandomi leggermente per poterlo guardare negli occhi. Lui era appoggiato al bordo con la schiena, quindi eravamo praticamente sdraiati. Lui inarcò le sopracciglia. “Vedi te, ho appena bevuto quantità industriali di questa acqua così tersa e pura per colpa di questa bella bravata, me la sento tutta nel naso e mi brucia la gola” fece, massaggiandosi la radice del naso, come se potesse aiutarlo ad eliminare l’acqua. Anche io sentivo quel fastidio terribile di quando si ha bevuto troppa acqua involontariamente. Risi e lui mi imitò, poi appoggiai il viso alla sua spalla e intrecciai le mani alle sue. “Ti amo, cucciola” sussurrò, scoccandomi un bacio sulla fronte. Cercò di non farsi vedere mentre cercava di pulirsi le labbra e questo mi fece sorridere intenerita.

“Perché hai organizzato tutto questo?” chiesi ad un certo punto. Lui fece spallucce. “Ci sarebbero tanti motivi. Il primo, è che sono matto. Il secondo, è che sono innamorato di te come non credevo che sarei mai potuto essere. Metti insieme queste due cose, aggiungi un Ashton che mi prende in giro ma alla fine è sempre il primo ad aiutarmi, e infine ambienta il tutto nella città che ho scoperto essere una delle tue tre mete da sogno. Dovevo farlo, quest’idea mi allettava troppo. Sembrava chiamarmi. Sento ancora la sua vocina malefica, che mi ricorda che non abbiamo ancora finito” mi spiegò. Io lo guardai sorpresa ed elettrizzata. “Davvero?!” chiesi. Lui ridacchiò e annuì, poi mi indicò il sacchetto bianco, di cui francamente mi ero completamente dimenticata. “Lo vedi quello? Fra un po’, quando arriva Ashton, potrai sapere cos’è.” Io guardai il sacchetto; non sapevo come avrei fatto a resistere. Fortunatamente, ci si mise Luke a intrattenermi. “Voglio farmi un tatuaggio” disse. Io tornai a guardarlo, con occhi sgranati. “Che?!” lui scoppiò a ridere. “Scherzavo. Era solo per distrarti.”

“Mi hai fatto prendere un infarto, lo sai?”

“Non ti piacerei più, con un tatuaggio?”

“Non ho detto questo.”

“Non parlo Coraliano… cosa intendevi?”

“Che vederti uguale a tutti gli altri mi spezzerebbe il cuore.” Lui sorrise, di nuovo. “Tranquilla, non corri il rischio. La massa è normale e la normalità mi spaventa. Non voglio diventare un altro codice a barre della società” mi disse. “Ehi, si potrebbe fare una canzone” feci notare io. “Già!”

“Una cosa tipo: non voglio essere un altro caso sociale.”

“Abbiamo un po’ di tempo, no? Possiamo mettere giù un paio di idee.”

 

Tre quarti d’ora dopo, avevamo deciso il ritornello:

So save me from who I'm supposed to be

Don't wanna be a victim of authority, I'll always be a part of the minority

Save me from who I'm supposed to be

So tell me tell me tell me what you want from me,

I don't wanna be another social casualty

“Si chiamerà Social Casualty, vero?” chiesi. Lui annuì. “Dovremmo metterci a scrivere testi più spesso. È divertente.”

“Già. E poi è utile. State per diventare famosi, serve qualche brano in repertorio” dissi. Volevo essere giocosa, ma non so come mi uscì una nota amara. Lui se ne accorse e mi guardò. “Va tutto bene?” mi chiese. Io annuii. “Non è vero. Riformulo la domanda: cosa c’è che non va?” fece lui. “Non lo so. A volte sembro pazza, ho reazioni strane che nemmeno io capisco e so giustificare.”

“Lo so. E so anche cosa succede nel giro di tre giorni dopo che hai queste reazioni.”

“Ovvero?”

“Piangi tutto quello che non hai saputo esprimere a parole.” Io rimasi immobile. Mi ero sempre assicurata di non essere vista, durante le mie crisi, come… “Non credere che solo perché non ti ho mai detto niente, non me ne sia mai accorto. Lo so che piangi spesso. E so anche che non ti piace farti vedere così, quindi stai chiusa in camera tua, e io non intervengo. So che sei come una fenice, rinasci dalle tue lacrime, ogni volta più sorridente di prima. So che è il tuo modo di superare il dolore. So che l’hai sempre fatto da sola e non vuoi che questo tuo equilibrio si spezzi. So che quando ti ho sentita piangere in camera tua per la prima volta, volevo entrare e sapere cosa stesse succedendo, ma Manu me lo ha impedito. So che ha fatto bene.

So tante cose, ma sto zitto. Ora capisci di cosa parlo, quando dico che amo tutto di te, anche questa parte che soffre così tanto?” chiese. Io rimasi senza parole, mentre le lacrime si accumulavano ai lati dei miei occhi. “Hai sempre un motivo per cui piangere, anche se a volte non te ne rendi conto. Quello che ti sto chiedendo è: sapresti capire qual è il problema?” mi chiese. Io abbassai lo sguardo, cercando una risposta. Con voce rotta, balbettai: “No-on lo so bene. Cre-Credo sia perché ho-ho paura della distanza che ci sarà fra-a di noi.” Lui mi strinse più forte. “Non devi preoccuparti di questo, cucciola. Tranquilla…” sussurrò al mio orecchio. Io tirai su col naso, affondando il viso nella sua spalla. Rimanemmo così qualche minuto, mentre io singhiozzavo di tanto in tanto, poi una voce ci interruppe: “Luke, che succede? Perché piange? Sei stato tu?” alzammo lo sguardo e incontrammo gli occhi di Ashton, che mi guardavano preoccupati. “Va tutto bene, tranquillo” dissi io subito. Ashton si sporse per lasciare il sacchetto che aveva in mano nella barca, poi salì a bordo, facendola oscillare. Io e Luke ci aggrappammo ai bordi, al solo pensiero di fare di nuovo un bel tuffo ci venne la pelle d’oca. Ashton ci guardò e ridacchiò. “Com’era l’acqua?”

“Fredda.”

“Immagino” disse, porgendoci il sacchetto. Dentro c’erano due grandi asciugamani e i cambi di vestiti, oltre alla loro cena. “Grazie, Ash” feci, seguita da Luke. “Allora, cosa succede?” chiese di nuovo l’altro. “Niente di particolare” risposi, ma Luke ci pensò subito a ribattere: “Stavamo pensando a quando dovremo andare via, noi ragazzi.” Ashton mi guardò. “Non è detto che non veniate con noi, eh?”

“Emmaline non me lo permetterebbe mai.”

“Coco, sei abbastanza grande da vivere da sola, lo sarai anche per fare un viaggio, no?”

“Sì, ma dobbiamo anche pensare al negozio… è sempre chiuso ultimamente…”

“Vero, non ci avevo pensato.”

“E quindi, pensavo ai chilometri che ci saranno fra di noi.” Ashton mi sorrise. Fregandosene dei vestiti bagnati, mi abbracciò, un abbraccio da fratello maggiore. “Che tenera che sei, Coco” mi disse. “Ehi, e io? Che sono, un fantasma?” fece Luke col broncio. Ashton rise e unì anche lui all’abbraccio. “Vi voglio bene, sapete?” chiese poi. “Anche noi te ne vogliamo” dissi. Lui strinse più forte e noi emettemmo un gemito strozzato, ci stava ammazzando. Ashton se ne accorse e ci lasciò. “Scusate, merito della batteria” disse. Ci mettemmo a ridere. “Scusate, ragazzi, ma Carol mi aspetta. Devo tornare all’hotel. Ci vediamo stasera, o domani mattina, vedete voi” disse ad un certo punto, rialzandosi. Lo salutammo e lui scese dalla barca, facendola dondolare di nuovo. “Ci vediamo dopo, papà!” gli urlai dietro. Lui rise di nuovo – che bella risata aveva? Era contagiosa – e ci salutò con la mano. “Quando tornate a casa, papà vi regala le caramelle!” ci prese in giro. “Ehi, noi le vogliamo davvero!” esclamò Luke, mentre io annuivo frenetica. Ashton si lasciò sfuggire qualcosa come: “Santa pazienza aiutami tu” e se ne andò.

Luke frugò nel sacchetto e tirò fuori uno dei due asciugamani e i cambi, appoggiandoli su uno dei due sedili. “Ingegniamoci per cambiarci” disse. Io mi misi l’asciugamano attorno al corpo e gli tesi i due lembi. “Non guardare” feci. Lui annuì e si voltò, mentre io mi cambiavo più in fretta che potevo. Ci scambiammo i ruoli e, quando anche Luke fu vestito, usai l’asciugamano per tamponarmi i capelli, mentre lui faceva lo stesso. Mettemmo poi i vestiti bagnati nell’asciugamano, lo appallottolammo e, tirando prima fuori la cena, lo ficcammo nel sacchetto. Intanto, si stava facendo buio. Guardai il cellulare – grazie al cielo avevo avuto l’idea di metterlo nello zaino prima del tuffo – e notai che erano le otto passate. “Ok, abbiamo ancora una mezz’oretta scarsa per mangiare” fece Luke. Io lo guardai interrogativa. “Manca l’ultima parte della sorpresa, ricordi?” mi chiese ammiccando. Io sorrisi di nuovo, raggiante. Luke si sedette su uno dei due sedili e prese in mano i remi. “Facciamo una scena stile Rapunzel?” chiesi ridacchiando. “Oh, certo che sì” rispose lui con un sorriso enigmatico, mentre si mordicchiava il piercing.

 

Mangiammo in mezzo al lago la cena che ci aveva portato Ash, che consisteva molto semplicemente in gnocchi fritti e una pizza. Alla faccia della leggerezza, oggi. Fortuna che ci aveva portato pure un recipiente pieno di cubetti d’anguria. “Sono le ultime della stagione, godetevele” recitava il biglietto sopra di esso. “Davvero, Ashton potrebbe essere nostro padre” fece notare Luke. Io annuii ridacchiando. Guardavo ogni dieci secondi l’orologio del telefono, impaziente. Luke lo notò e ridacchiò. “Mancano tre minuti, principessa” mi disse. Mise da parte il suo piatto e mi prese le mani. “Coco, prima stavamo parlando del perché ho organizzato tutto questo. Le ragioni te le ho dette sommariamente. Quello che ti voglio dire è che sei la persona più importante della mia vita. Non mi importa se ho solo diciotto anni, o se dentro sono un bambino, o di qualsiasi altra cosa. Quando ti ho vista per la prima volta, su quel marciapiede, mi hai stregato. Nei quattro mesi passati dopo che ti ho vista, accidenti, continuavo a ripensare a quel sorriso che mi hai fatto. Cercavo di dimenticarti, credevo che non ti avrei più rivista, o anche se lo avessi fatto non ti saresti mai accorta di me. Quella sera, quando siete venute a vedere il nostro concerto, non sapevo nulla, come te. Poi Ash ti ha indicato nella folla e, Dio, eri bellissima. Mi guardavi stupita e io mi sono sentito morire di felicità, perché significava che ti ricordavi di me, che mi avevi riconosciuto. Mentre cantavamo She looks so perfect, non riuscivo a smettere di guardarti, e mi veniva da sorridere perché ti vedevo arrossire. Mentre mangiavamo insieme, e poi al negozio, quando mi hai fatto leggere il tuo libro, continuavo ad avere i brividi, perché, wow, tu eri davvero lì con me. Poi al bar, quando sei scappata via, e ti ho vista che piangevi per la prima volta… avevo paura di essere stato io. Di aver sbagliato qualcosa. Ero terrorizzato. Quando mi hai detto che avevi paura di allontanare anche me, ho sperato che un giorno, tu potessi ricambiare. E quando ci siamo baciati la prima volta, è vero, eravamo un po’ brilli, ma ricordo tutto alla perfezione, è stato bellissimo; e tutto quello che ho provato continuo a provarlo ogni volta che ti guardo, ti abbraccio o ti bacio. Non credevo che qualcuno come te potesse esistere realmente, e invece sono qui, adesso – così dicendo, prese il cellulare e scrisse un messaggio, inviandolo subito, tanto che non capii dove voleva andare a parare – a dirti che sei la persona più importante del mondo. Del mio mondo, perlomeno. Quello che ti voglio dire è, molto riassunto…” Fece un piccolo sorriso e mi indicò il cielo. Sentii un fischio familiare e nel cielo esplosero tre fuochi d’artificio. Io sussultai, prima di leggere le parole che avevano disegnato: “Ti amo, Coco.” Sentii le lacrime agli occhi. “Lo so che te lo dico spesso, ma mi sembrava giusto fartelo sapere anche così” mi disse, guardandomi con un sorriso. Io non avevo parole. Aveva scritto quella frase in cielo… Per dimostrarmi ancora di più quanto mi amasse… Lo guardai, commossa, e gli gettai le braccia al collo. “Grazie” sussurrai solo. Lui mi carezzò la schiena e mi baciò piano, facendomi sentire in quel bacio tutto quello che aveva detto. “Ti amo” sussurrai sulle sue labbra, prima di baciarlo di nuovo. “Ragazzi, vi porto un preservativo, se volete!” urlò una voce dalla spiaggia. Ci voltammo verso la riva, guardando malissimo Ashton. “Davvero, se volete ne ho uno qui nel portafoglio!” urlò di nuovo Ashton, ridendo. Forse avevo capito perché era lì: aveva fatto partire lui i fuochi, dopo il messaggio di Luke. Si spiegava anche come mai Luke avesse interrotto tutto per mandare un messaggio.
“No, Ash, non ci serve, grazie” urlò Luke torvo. “E tu perché hai i preservativi nel portafoglio?!” gridai io invece. Ashton rimase in silenzio. “Possono sempre servire!” fece poi imbarazzato. “Ashton!”

“Coco, ho vent’anni, Carol ne ha diciassette. Credo che siamo liberi di decidere, no?”

“Giuro che se mia cugina rimane incinta a diciassette anni, ti ammazzo!”

“Non succederà! Proprio per questo abbiamo i preservativi!” rispose Ashton ridacchiando. Io alzai gli occhi al cielo. “Il suo ragionamento non fa una piega” fece Luke con un sorriso divertito e imbarazzato. “Non ti ci mettere anche te, ho appena scoperto che mia cugina non è più vergine!” feci scandalizzata. “Non lo sapevi?”

“No!”

“Non ti ha detto niente Carol?”

“Ti ho detto di no! Perché, a te Ashton ha detto qualcosa?”

“Mi sono scampato per un pelo la descrizione nei dettagli.”

“Oddio.”

“Già” fece Luke ridendo. “Ragazzi, io sono ancora qui!” urlò Ashton. “E con ciò?”

“E con ciò, volete pagarvi il viaggio in taxi, o approfittate della mia bambina e venite a casa in macchina con me?”

“Ok, ok, arriviamo” fece Luke, prendendo i remi. “Come minimo, dopo oggi ho dei bicipiti grossi così” fece sbuffando dalla fatica. In due minuti, sbarcammo. Mi sembrò un miracolo avere ancora la terra sotto i piedi, ormai mi ero abituata al lieve sciabordio della barchetta. Ashton aiutò Luke ad ancorarla al bordo del lago, mentre io tenevo lo zaino e i due sacchetti. Luke mi guardò e sgranò gli occhi. “Non ti ho ancora dato il tuo regalo!” esclamò. Io non dissi niente, per non confessare che me ne ero dimenticata. Luke mi prese il sacchetto dei vestiti e lo zaino dalle mani, lasciandomi quello del regalo. “Il premio per la caccia al tesoro” mi disse con un gran sorriso. Io lo aprii elettrizzata e rimasi a bocca aperta: dentro c’era un mazzo di rose blu, le stesse che avevo visto di mattina ma che avevo lasciato perché troppo costose. Con un’esclamazione entusiasta, saltai al collo di Luke, di nuovo. “Grazie, grazie, grazie!” esclamai. Ashton, forse sentendosi escluso, ci abbracciò a sua volta, stritolandoci di nuovo. “Che c’è? Non posso esultare con i miei bambini?” fece quando noi cercammo di divincolarci dalla presa stile Hulk. “Certo che puoi, ma non ci ammazzare, papà” fece Luke. Nonostante la forza di Ashton e il suo istinto paterno, Luke era più alto, quindi lo scherzo padre/figlio non funzionava bene, o almeno non come con me.

 

Ci mettemmo un po’ per arrivare alla macchina: alle nove, finalmente, riuscii a sdraiarmi sui sedili della macchina di Ashton, o meglio della sua bambina. Appoggiai la testa alle gambe di Luke, che cercò una posizione comoda sul sedile morbido. Mi venne in mente solo in quel momento una domanda: “Ehi, aspetta un momento, come mai la tua macchina è qui?!” chiesi. “Me la sono fatta spedire via nave. Col cavolo che la lasciavo a casa.”

“Tu sei pazzo.”

“No, sono innamorato di questa macchina, ok? L’unica cosa al di sopra di lei è Carol.”

“E noi, i tuoi poveri figli?!”

“Vedremo. Ora, la domanda è: chi dice a Carol che è madre?”

“Ah, il danno lo hai fatto te, mister uso-il-preservativo.”

“Coco, è abbastanza imbarazzante come argomento, possiamo evitare?” mi chiese guardandomi dallo specchietto. Io feci spallucce per dargliela vinta e mi accoccolai meglio contro Luke. Lui iniziò a carezzarmi piano i capelli, mandandomi in estasi. Iniziai a fare le fusa per dimostrargli quanto quel gesto mi piacesse e lui ridacchiò, mentre Ashton metteva in moto.

Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentata; me ne resi conto quando Ashton mi svegliò con una mano sul braccio, scuotendomi piano. “Coco, svegliati, siamo arrivati” mi disse. Io mugolai una protesta, come facevo quando ero piccola e non volevo svegliarmi. “Coralie, ti prego, mi stai facendo passare la voglia di avere figli per davvero” mi implorò. “Non oseresti mai. Carol ha già deciso che sua figlia si chiamerà Aubrey, da quando eravamo piccole.”

“Wow, si è organizzata bene.”

“Già.”

“Se invece fosse un maschio?”

“Non lo ha scelto.”

“Allora lo sceglierò io, nel caso.”

“Ok” mugolai, stiracchiandomi. Mi voltai e vidi che anche Luke dormiva, la testa piegata di lato. Gli sarebbe venuto male al collo per quella posizione innaturale. Ashton sorrise. “Dillo, che con tutto quel discorso, ti aspettavi una proposta di matrimonio” fece ridacchiando. Io lo imitai e feci spallucce. “Iniziavo a temerla, sì” ammisi. “Temerla?”

“Ho diciassette anni. Anche se tu e Carol vi sentite abbastanza grandi per poterti portare dietro i preservativi – e no, non smetterò mai di ricordartelo – io a quest’età mi sento ancora troppo piccola, per ora, anche solo per pensare ad un matrimonio.”

“Fai bene. Anche Luke è di questo parere. Non potevi trovare ragazzo migliore per te.”

“Lo so.”

“E lui non poteva trovare ragazza migliore per sé” aggiunse poi. Io arrossii con un sorriso e lo abbracciai. “Grazie, Ash, di tutto” dissi. Lui ricambiò l’abbraccio, ma stavolta – inaspettatamente – non mi ammazzò. “Ti voglio bene, Coco”

“Anche io.” Quando ci separammo, lui mi indicò Luke. “Sveglialo tu, vado ad aprire il cancello del parcheggio” mi disse. Io annuii e, mentre il cancello scivolava piano sulla rotaia, posai un bacio sul collo di Luke, che, al contrario di me, si svegliò subito, anche se molto assonnato. “Siamo arrivati?” chiese. Io annuii di nuovo e lui si stiracchiò un paio di volte, prima di uscire dalla macchina. “Iniziate ad andare di sopra, io parcheggio la mia bimba e arrivo” disse. Noi obbedimmo e ciondolammo fino all’entrata dell’hotel. Il ragazzo dietro il bancone della reception nascose un sorriso quando ci vide così assonnati. Rischiammo di addormentarci di nuovo davanti all’ascensore, ma quando finalmente arrivò, decidemmo di imporci un ultimo sforzo. Aspettammo Ashton e salimmo fino al nostro piano. La stanza mia e di Luke era in fondo al corridoio, mentre quella di Ashton e Carol era la prima. Ci salutammo davanti alla loro porta, con un super abbraccio. Era il nostro migliore amico/papà, e aveva fatto tantissimo per noi quel giorno. Non sarei mai riuscita a ringraziarlo abbastanza, così come no sarei mai riuscita a ringraziare abbastanza Luke.

“Anche se è presto, noi andiamo a dormire. Siamo esausti” disse Luke. Ashton annuì. Io mi avvicinai a lui e gli sfilai il portafoglio dalla tasca. “Che…” non fece in tempo a chiedermi quali fossero le mie intenzioni, che io gli avevo ripulito il portafogli dai preservativi. Erano tre. “Giusto per essere sicuri che non lo facciate anche stasera” dissi con un occhiolino.

“Sai che non ci fermerebbe questo, se solo lo volessimo?”

“Sento già Aubrey piangere nella culla…”

“Ok, ok, mi hai convinto.”

“Bravo” feci con un gran sorriso. Lui scosse la testa, esasperato. “Dai, andate a dormire, che se no mi tocca portarvi in braccio fino alla vostra camera” aggiunse poi. Noi annuimmo e lo salutammo di nuovo con un abbraccio, prima di andare in camera nostra. Mentre la porta di Ashton si chiudeva dietro di lui, lo sentii sussurrare un: “Tanto gli altri tre ce li ha Carol” che mi fece voglia di tornare indietro e rubargli pure quelli, ma alla fine ci ripensai. Se erano sicuri, se si amavano così tanto da sentirsi pronti, chi ero io per impedirlo?

Entrammo in camera e notammo sul letto un sacchettino di carta, con sopra un biglietto: “Buon appetito, bambini ;)” diceva. Noi lo scartammo e le nostre mascelle caddero al suolo: era pieno di caramelle. Dentro c’era un secondo biglietto: “Ve lo dovevo, no? Vi voglio bene, scemi. Occhio a non finirle tutte subito che poi vostra madre mi ammazza ;) buonanotte ragazzi! Papà.”

“Ok, questo gioco mi piace troppo” sentenziai. Luke annuì frenetico, d’accordo con me. “Com’è che non ci è venuto in mente prima?”

“Non ne ho idea, ma è una cosa geniale.”

“Già” fece lui con la bocca piena.

Nonostante la golosità, non le divorammo tutte: eravamo troppo stanchi e volevamo tenercele buone per un po’. Ci cambiammo e ci preparammo per andare a letto in poco. Quando mi sdraiai nel letto, Luke si affiancò a me e ci coprì. “Buonanotte, piccola” mi disse abbracciandomi da dietro e lasciandomi un bacio sul collo. Io mi voltai e feci combaciare le nostre labbra. “Buonanotte” sussurrai, assonnata. “Ti amo.”

“Anche io.”

Mi addormentai in poco, sperando di sognare quella giornata: era stata così bella che non me ne volevo separare; anche se qualcosa mi diceva che un sogno non avrebbe retto il confronto.








*Angolo autrice*
SCUSATEMIIIII
scusate tantissimo il ritardo, davvero, ma è un periodo orribile, ho toccato il computer tre volte in croce :'( scusatemiii ho un ritardo assurdo!!
comunque: che ne pensate? in questo capitolo Asthton è importante. come vi è sembrato? e Luke, con la sua nuova dichiarazione? Mi sono impegnata tanto per questa seconda parte, mi piacerebbe sapere i vostri pareri!!
che dire, scusatemi ancora il ritardo...
alla prossima (proverò ad essere più puntuale, promesso!)
Ranya

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Capitolo 26
*** Shut up! ***


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Shut up!

Due settimane dopo, eravamo a casa nostra, finalmente. Il manager aveva deciso che i ragazzi avrebbero potuto svolgere il loro lavoro anche da casa: c’era una casa discografica appena aperta in una città non molto lontana, o perlomeno più vicina di New York. Essendo una “filiale”, avremmo registrato il tutto lì e poi loro lo avrebbero inviato a New York, alla casa madre. Era molto più facile così.

Erano le otto e mezza di mattina, il che significava che io ero dietro al mio bancone al negozio, dopo tanto tempo. Fortuna che avevamo degli amici che ogni tanto ci sostituivano, o avremmo dovuto chiudere da tempo. Avevo la musica nelle orecchie – The only reason, che ormai associavo a quella giornata pazzesca a Central Park – e stavo leggendo un libro, leggermente diverso dai miei standard: si chiamava Acciaio ed era un libro vintage piuttosto crudo, basato sulla vita di diversi ragazzi nella città di Piombino, dove la loro esistenza era imperniata attorno alla fabbrica di, appunto, acciaio. Poteva anche essere interessante, ma le troppe parolacce mi infastidivano. Ero sempre stata del parere che le parole volgari devono trovarsi solo nella lingua parlata, e non in quella scritta. La scrittura è una cosa troppo pura e elevata per essere contaminata dalla volgarità, non importa quale sia il tema.

Nella stanza accanto alla mia, Carol era al telefono con Ashton. Non ero riuscita a farmi dire se avessero usato i tre famosi preservativi, ma avevo cercato nella sua borsa e ne avevo trovati sei. A parte il fatto che stavo per avere un infarto – il mio sonno doveva essere parecchio pesante, oppure loro dovevano essere molto discreti – non avevo capito se ne avessero già usati o meno, dato che non sapevo quanti ce ne fossero normalmente in una confezione.

Dall’altra parte, Manuela era al computer, a girovagare su siti come EFP. Anche lei scriveva, ed era davvero brava a mio parere.

Madison era alla clinica veterinaria: non voleva perdere il suo posto di assistente.

Eravamo impegnate tutte a farci gli affari nostri, quando dalla porta entrò una ragazza. Aveva i capelli lunghi e rossi, la pelle pallida e perfetta, nemmeno fosse porcellana. Gli occhi erano grandi e di un morbido color nocciola e le labbra carnosissime. Poteva sembrare una modella. Indossava una camicetta bianca attillata, con una giacchetta rossa chiusa con soli due bottoni. I leggins stampati con la fantasia dei jeans avvolgevano perfettamente le sue gambe magre, mentre un paio di scarpe con il tacco e il plateau alto la slanciavano. Carol si avvicinò a me e mi sussurrò all'orecchio: "Ecco, questa è una di quelle ragazze per cui sarei felice di essere lesbica." Io soffocai una risata, strozzata subito dalla seconda figura che entrò nel negozio: una donna bassa, in carne, con la pelle rugosa e butterata, piena di macchie, il viso arcigno. Aveva i capelli rosso smorto e gli occhi di un insulso marrone. Qualcosa mi diceva - anche se lo credevo impossibile - che lei era la madre. "Come fa ad essere uscita così bellina con un avvoltoio del genere come madre?" chiese Manuela, anche lei al mio fianco. Non ero stata solo io ad avere quell'intuizione, allora. Entrambe mi avevano raggiunto quando le due avevano aperto la porta, e noi ora eravamo barricate dietro al mio bancone. La ragazza si avvicinò a noi, seguita dalla madre. "Ciao, cercavo una persona..." iniziò a dire, titubante. La madre si frappose fra noi e lei e disse: "Cercavamo Coralie Lemaire." Io impallidii leggermente e Carol e Manuela mi guardarono. Chi l'aveva mai vista, questa? Come mi conosceva?! "Sono io" dissi esitante. La ragazza mi guardò e, da dietro le spalle della madre, mimò uno: "Scusa". La madre non la vide e si rivolse di nuovo a me: "Sei la ragazza di Lucas, vero?"

"Luke? Certo, perché?"

"Siamo amiche di famiglia."

"E quindi...?"

"Siamo andate a trovarlo e ci ha chiesto di venirti a prendere insieme alle tue amiche, perché loro sono troppo occupati per dirvelo." Io e le ragazze rimanemmo basite e la ragazza sbuffò piano. "Scusi, posso chiamare Ashton per chiederlo?" fece Carol, piuttosto dura. Non aveva mai sopportato le persone come quella donna. L'altra la guardò male. Io lanciai un'occhiata alla ragazza e vidi che stava componendo in fretta un numero al cellulare. Pochi secondi dopo, il cellulare della madre squillò. La donna non disse nulla e uscì dal negozio per rispondere al telefono. La ragazza si avvicinò in fretta a noi e mi venne da ridere. "Quante volte hai fregato tua madre così?" chiesi ridacchiando. L'altra mi sorrise piano. "Scusatemi. Mia madre è una donna così rude... Mi dispiace che vi abbia traumatizzato. Mi chiamo Diana."

"Non preoccuparti. Noi siamo Coralie, Manuela e Carol."

"Sì lo so, siamo state a casa di Luke e dei ragazzi."

"Quindi siete davvero amiche di famiglia? Non volete rapirci per stuprarci?" chiese Manuela. Diana rise. “Tranquille, non è nei nostri piani più prossimi” fece. Carol, intanto, stava componendo il numero di Ashton. “Quanto ci metterà tua madre a capire che non c’è nessuno dall’altra parte della cornetta?” chiesi. “Oh, a volte ci mette mezz’ora. Inizia a urlare contro il telefono perché dice che dall’altra parte la stanno prendendo in giro, il che è vero, in un certo senso. Quando avrà finito di fare la ramanzina al telefono, tornerà” disse Diana sorridente. Io ricambiai il sorriso. Mi piaceva, al contrario della madre. “Intanto, mi spieghi perché dobbiamo tornare a casa?” chiese Manuela. “Io e mia madre siamo venute fino a qui per fare una visita a Luke e i suoi amici, o almeno così mi ha detto.”

“Vi conoscete?”

“Eravamo vicini di casa prima che venisse a vivere qui. Siamo praticamente cresciuti insieme” fece Diana con un sorriso enorme. Intanto, Carol si allontanò di qualche passo. “Ciao amore, come stai? Sì, bene. Senti, volevo chiederti, sono arrivate in negozio una ragazza con la madre, lei si chiama Diana. La conoscete, no? Sì? Ok, e perché non potevate venirci a prendere voi? O avvertirci? Ah… Ma come, quando avete...? Ah, hanno organizzato loro tutto… Ok, allora torniamo a casa subito. Ci vediamo dopo, ciao” fece, prima di mettere giù. “Siamo pulite?” scherzò Diana. Carol annuì. “I ragazzi si stanno preparando per un concerto” ci disse poi. “Concerto?! Ma non avevamo detto che il più vicino era fra un mese?” fece Manuela. “Sì, ma la madre di Diana ha conoscenze e ne ha organizzato uno stasera.”

“Molto preavviso, mi dicono.”

“Appunto” fece Carol, dura. Io la guardai. Decisamente, né Diana né tantomeno la madre le stavano a genio. Diana intervenne: “Avete ragione, non abbiamo molto preavviso, ma siamo arrivate oggi qui. E poi, il locale dove è organizzato è sempre molto affollato, se il problema sono gli spettatori” ci informò. Io stavo per rispondere, quando la madre, visibilmente alterata, tornò nel negozio. “Maledetti scherzi telefonici. Allora, ci seguite? O dovete farci aspettare ancora tanto?” chiese. Diana si morse le labbra. “Sì, arriviamo” disse Carol duramente. Noi ci preparammo in fretta. Mentre Carol andava a spegnere il suo computer, io la raggiunsi. “Carol, che c’è?”

“C’è che quella mi sta altamente sulle ovaie.”

“Diana o la madre?”

“Entrambe, ma soprattutto la madre.”

“Per la madre ti capisco, ma cosa ha fatto Diana?”

“È in combutta con quel gargoyle.”

“Non mi sembra che sia così cattiva, anzi, mi sta molto simpatica, ispira fiducia.”

“Allora perché non ha detto in faccia alla madre di darsi una calmata?”

“Avrà avuto le sue ragioni, no?”

“Ovviamente.”

“Ma perché sei così furiosa?”

“Luke non sa nulla di questa visita, è una sorpresa, lo sapevi? Te l’avevano detto? Ti avevano detto che avrebbero fatto un concerto? No! Non ci hanno detto niente e io appena torno a casa strozzo Ash, perché non è da lui comportarsi così. Oltre a questo, sono furiosa perché non reggo quelle due.”

“Puoi evitare di scannarle ogni volta che le guardi?”

“Con Diana mi posso sforzare. Il gargoyle è già fortunato se non l’ho cacciato di qui.”

“Non farti sentire da lei, per favore!”

“Che mi senta pure! Io non voglio aver paura di dirle le cose in faccia come sua figlia!” esclamò Carol, prima di mettersi la giacca e raggiungere la porta. Io alzai gli occhi al cielo, prima di scambiare uno sguardo con Manuela, che ci aveva raggiunte all’ultimo. Lei mi fece gesto di non preoccuparmi, come a dire: “La passerà.” Lo sperai vivamente.

 

Arrivammo a casa dei ragazzi in poco, la nostra macchina dietro a quella di Diana e della madre. Vedevo il riflesso di Diana nello specchietto retrovisore della loro auto: guardava fuori dal finestrino e a volte si voltava per parlare. Sembrava arrabbiata. Non ero mai stata un asso a leggere le labbra. Carol, di fianco a me, era più nera di prima. Stringeva il volante così forte da farsi sbiancare le nocche. Manuela era in mezzo a noi, con i gomiti appoggiati ai nostri schienali, seduta sui sedili posteriori. “Qualcuno ha avvertito Maddy?” chiese ad un certo punto, allarmata. Io presi subito il cellulare e inviai un messaggio a Madison:

“Ciao Maddy, sapevi di stasera?”

Non aspettai nemmeno un minuto, che la suoneria del mio cellulare si diffuse nell’abitacolo. Io risposi e misi il vivavoce. “Ciao Maddy!”

“Ciao ragazze, cosa succede? Cosa c’è stasera?” Carol scoppiò a ridere. “Non ti hanno nemmeno avvertito?! Vedi, Coco, perché mi stanno sulle ovaie?!” esclamò. “Ma di chi state parlando?!” chiese Madison, confusa. “Adesso ti spiego io cosa succede. Nemmeno venti minuti fa sono arrivate in negozio un gargoyle e una bambolina di ceramica che ci hanno praticamente costretto a tornare a casa. Dicono di essere amiche di Luke ma Luke non sa ancora nulla del fatto che sono qui. Hanno organizzato un concerto per stasera e i ragazzi non ce lo hanno detto, lo ho scoperto perché sono andata io a chiedere ad Ashton. E io sono nevrotica perché il gargoyle lo affogherei sotto una colata di cemento a presa rapida e la bambolina la prenderei a schiaffi per farla reagire, perché è una marionetta” sbottò Carol. Io e Manuela la guardammo basite, mentre lei teneva lo sguardo fisso sulla strada. “Senti, Carol… sto tornando dalla clinica veterinaria, se vuoi ti porto un sedativo…” fece Madison. “Ma perché vi comportate come se fossi pazza?!” sbottò lei. “Carol, non vorrei fartelo notare, ma io e te siamo pazze” dissi. Lei mi guardò come a volermi uccidere. “Questi sono solo futili dettagli” sibilò. “Non ho una delle mie crisi, ok? Non sto parlando da sola, non ho i miei attacchi da metto tutto in un ordine che non è ordine ma è disordine, sono solamente molto, molto arrabbiata.”

“E si nota.”

“Senti, voglio vedere te come reagiresti se fossi nel mio corpo, con la mia testa e i miei trascorsi.”

“Non so come reagirei. So che da fuori sembri piuttosto schizzata.”

“Bene” Terminò Carol. Io e Manuela ci guardammo, mentre anche Madison ammutoliva. Rimanemmo così fino a che non parcheggiammo davanti a casa dei ragazzi. “Sentite, sono quasi arrivata, ci vediamo lì” fece Madison prima di mettere giù. Noi scendemmo dall’auto e vedemmo Calum e Ashton impegnati a caricare la batteria sul furgoncino che usavano per spostarsi con gli strumenti. “Ciao, amore!” fece Ashton con voce strozzata dallo sforzo. Io e Manuela ci sbracciammo per fargli capire che non era un buon momento, ma forse lui lo aveva capito da solo. “Mikey, tieni qui” fece, porgendogli il bordo della valigia che conteneva una parte della batteria. Michael caricò l’amplificatore sul furgoncino e obbedì, mentre Ashton raggiungeva Carol. “Tutto bene, piccola?” chiese, vedendola così contrariata. Cercò di abbracciarla ma Carol non ricambiò, anzi, rimase a fissare un punto nel vuoto. “Carol?”

“Dobbiamo parlare” disse lei solo. Ashton annuì e i due si allontanarono, entrando in casa. Diana si accostò a noi. “Mi odia proprio, eh?” mi chiese. “Tranquilla, le passerà. Il ciclo fa brutti scherzi” rispose Manuela. Io la guardai interrogativa, mentre Michael si schiariva la voce imbarazzato. “Che c’è? È una cosa naturale! Una volta al mese ci sembra di morire dissanguate mentre qualcuno ci infila un tacco a spillo nell’utero e ci passa sotto uno schiacciasassi le ovaie. Vorrei vedere voi uomini quanto sareste in pace col mondo, con un cantiere di demolizione che va dallo sterno alle ginocchia!” esclamò Manuela. “Avrei preferito evitare i dettagli” fece Calum. “Vi da fastidio?”

“Un po’.”

“Bene, non vedo l’ora che mi arrivi il ciclo allora” gongolò Manuela. Io e Diana ridacchiammo, mentre Calum e Michael rabbrividivano. “Tanto per sapere, a voi due stanno per arrivare?” ci chiese Calum. Io scossi la testa, mentre Diana ridacchiava. “Ci vorrà un po’ per me, mi sa” disse a bassissima voce. “Di cosa parlate?” chiese torva la madre di Diana, scendendo dall’auto. Diana si irrigidì subito. Io lanciai un’occhiata alla madre, mentre nella mia mente l’idea di Carol di chiamarla Gargoyle non era più così assurda. Non si era nemmeno presentata, in fin dei conti.

“Buongiorno” fecero Michael e Calum sorridenti. “Ci siamo visti prima” li spense subito Gargoyle. “Sì, ma… ok” fece Michael, demoralizzato. Io guardai verso casa dei ragazzi e vidi Carol che cercava di non esplodere. Proprio in quel momento doveva uscire? Aiuto. Fortunatamente, l’arrivo di Madison distrasse tutti da quella guerra di sguardi fra Gargoyle e Carol.

Eravamo seduti in casa, sui divani attorno al tavolino, quando sentimmo la serratura scattare. Luke entrò in casa, senza sapere minimamente di quella visita a sorpresa. Appena si voltò verso il salone, si ritrovò con le braccia di Diana attorno al collo. Urlò dallo spavento e io ridacchiai. “Ma che…?!” fece, separandosi da Diana. Ci mise qualche istante a riconoscerla, ma quando lo fece, il suo viso si illuminò. “Diana!” esclamò, abbracciandola a sua volta, mentre Diana rideva. “Oddio, che ci fai qui?!”

“Sorpresa!”

“Non puoi capire quanto sono felice di vederti!” esclamò Luke, raggiante. Io sorrisi alla scena, ma sentii accanto a me il lievissimo sbuffo di Carol. Le diedi una gomitata nelle costole e le si mozzò il fiato. Gargoyle si alzò e con un grande, grandissimo, innaturale sorriso andò ad abbracciare Luke. “Oh, caro, quanto mi sei mancato!” fece melensa. Io e gli altri ci guardammo straniti, mentre Carol esultava lievemente. "Godo, hai capito? Godo" mi disse nell'orecchio. Io trattenni una risata. "Vado a preparare un tè, chi lo vuole?" chiese Carol ad alta voce. "Ti aiuto io" si offrì Gargoyle, gentile. Carol la guardò come se stesse per vomitare, poi rifiutò cordiale. "Vengo a prendere qualcosa da mangiare" feci come scusa, seguendola in cucina. Ashton ci raggiunse. Ci chiudemmo in cucina e Carol esultò. "Vedete che non sono scema?! Quella è una serpe! Una doppia faccia! La odio, la odio, la odio! E non pensate che anche la figlioletta potrebbe avere questa sua amabilissima caratteristica?! Ci stanno pigliando tutte e due per il culo, ve lo dico io!" sbottò. "Ok, avevi ragione sulla madre" ammettemmo io e Ashton. "E anche sulla figlia!" esclamò Carol. "Su Diana non sono convinta. Per me è a posto" ribattei. Carol mi uccise con lo sguardo. "Per me è troppo appiccicata a Luke, comunque."

"Carol, sono cresciuti insieme!"

"Appunto! Chi ti dice che non siano stati insieme?!"

"Non me lo dice nessuno!"

"Vedi?!"

"Allora, Carol, io non ho problemi a chiederglielo. E anche se fosse la sua ex, non mi darebbe fastidio." Carol mi guardò scettica. "Ok, non così tanto" corressi il tiro. "Ecco."

"Senti, Caroline Annabeth Lemaire. Oggi hai davvero esagerato, ok?" feci, dura. Ashton ci guardò stranito. "Ti chiami Caroline Annabeth Lemaire?" chiese alla sua ragazza. Noi lo ignorammo. "Non ho esagerato. Non mi fido di loro e francamente mi fanno salire il nazismo."

"Non le conosci!!"

"E allora?! Perché tu puoi essere l'unica a giudicare una persona appena l'hai vista?!"

"Ti chiami come la coprotagonista di Percy Jackson!" si intromise Ashton, esaltato. Noi lo ignorammo, di nuovo.

"Perché io so leggere gli occhi! E poi non è vero che giudico sempre! Anche io sbaglio!"

"Ragazze..."

"Proprio per questo! Anche tu sbagli!"

"Ragazze!" esclamò Ashton alzando un po' la voce. "Che vuoi?!" facemmo in coro io e Carol, voltandoci verso di lui. Lui ci indicò la porta e vedemmo Luke, che ci guardava confuso. "Ragazze, va tutto bene?" ci chiese. Aveva una voce da cucciolo che faceva somigliare la scena a quella di un film: il bambino che assiste alla litigata dei genitori. "Sì... tranquillo" feci. Anche Carol annuì. Luke guardò Ashton, che alzò il pollice. "Ok, allora torno di lì" fece Luke dubbioso. Alle sue spalle, vidi Diana che ci guardava con quei suoi occhi da cerbiatto.

Avevo detto che Diana non mi dava fastidio, ma Carol mi aveva messo il tarlo nell'orecchio.

 

Io e Luke eravamo seduti vicini sul divano, a sorseggiare il tè che alla fine Ashton aveva preparato. Di fianco a Luke, c'era Diana. Ogni volta che cercavo di parlare con Luke, lo trovavo voltato verso di lei. Cercai di non prendermela, in fin dei conti non si vedevano da quanto? Anni?

“Luke?” feci ad un certo punto. “Arrivo subito” rispose lui, prima di tornare a rivolgere l’attenzione a Diana. Io incrociai lo sguardo di Carol e la vidi che si passava un’unghia sotto la gola, come a volersi tagliare la testa. Rabbrividii. Quando Luke si voltò verso di me – ci mise poco, in fin dei conti – con un gran sorriso, io esitai un secondo, che Gargoyle sfruttò benissimo. “Allora, Lucas, sei felice di suonare stasera?” chiese affettata. Luke la guardò stranito. “Stasera?”

“Ma certo! La tua ragazza non ti ha detto niente? Pensavo ci tenesse ad avvertirti!” fece di nuovo Gargoyle. Carol la guardò con occhi sgranati, come un po’ tutti nella sala. “Mamma” sussurrò Diana. “Cosa c’è? Ho solo detto quello che pensavo” disse candidamente Gargoyle. “Non fa niente, non credo mi abbia tenuto all’oscuro apposta” mi difese Luke. Io mi rilassai leggermente, rincuorata, mentre Gargoyle sembrava infastidita. “Certo, certo” disse poi. Luke la guardò prima di aggiungere: “Hellen, guarda che Coco non è quel genere di persona.” Hellen? Decisamente su di lei suonava meglio Gargoyle. “Sì, tranquillo, non intendevo questo” fece subito Hellen. Sentii il mio cellulare vibrare e ci diedi un’occhiata: era Carol. “Oh, sì che lo intendevi, brutta bertuccia” recitava il messaggio. Luke annuì come a chiudere il discorso e mi guardò. “Scusa piccola, stavi dicendo?” chiese. Io rimasi immobile qualche secondo, poi ammisi: “Non me lo ricordo.” Luke fece un mezzo sorriso e mi diede un piccolo bacio. “Ok, chiamami quando ti viene in mente” fece, prima di tornare a parlare con Diana. “Coco, mi accompagni di sopra un attimo, per favore? Devo andare a vedere se le mie bacchette sono pronte per stasera” fece Ashton. Calum lo guardò stranito. “Ci vuole una preparazione speciale per le bacchette?” chiese. “Sì” lo zittì subito Ashton, alzandosi dal divano e dirigendosi al piano di sopra, mentre io lo seguivo. Salimmo di corsa le scale, mentre sentivo il commentino acido di Hellen: “Certo che la tua ragazza è molto desiderata da tutti.” Ashton si voltò quando lo sentì, infastidito. “Sempre meglio essere desiderati che essere odiati, no?” buttò lì, come se fosse casuale la battuta. Io sorrisi piano mentre finivo di salire le scale.

“Non te ne frega niente delle bacchette, no?” chiesi, una volta che arrivammo nella sua camera. Mi guardai attorno e la trovai piena di poster dei Paramore, soprattutto di Hayley Williams. “Non dire a Carol che sono così perso di Hayley” mi chiese. Io risi e annuii. “Devi aiutarmi” fece lui. “A fare che cosa?”

“Carol ha ragione, la madre di Diana è insopportabile, ma non voglio che anche Diana risenta di questo.”

“Sono d’accordo, e quindi…”

“Loro non hanno un posto dove stare, me lo ha detto Diana prima. La loro idea era di stare qui.”

“Ma voi avete solo una camera per gli ospiti!”

“Appunto.”

“Beh, non credo sia un problema… Luke potrebbe venire a stare da me e…”

“Non era quella la mia idea.”

“E quindi, qual’era?”

“Diana da voi.”

“Tu sei pazzo. Carol la ammazza nel sonno.”

“Credo che la convivenza forzata possa aiutarla a superare questo suo problema.”

“Come fai ad esserne sicuro?”

“Perché io e lei ci detestavamo prima di passare del tempo insieme da soli.”

“Stai scherzando.”

“No, è la pura verità.”

“Oddio, non ci credo! E il bello è che né io né Manuela ci siamo rese conto di niente per mesi!”

“Nemmeno i vostri baldi fidanzati, se è per questo.”

“Quindi voi siete stati molto bravi a nasconderlo.”

“Oppure voi siete stati molto stupidi” fece lui ridacchiando. Io gli diedi un pugno leggero sul braccio. “Grazie, eh?”

“Prego, tesoro. Comunque, dicevo. Convivenza forzata per Carol e Diana. A costo di chiuderle in casa, voglio che Carol accetti Diana, oppure che ci dimostri con solidi basi che ha ragione.”

“E come intendi fare per non farle scannare?”

“Diana non è il tipo, o almeno credo. Mi sembra molto tranquilla. Carol… beh, forse potrei avere bisogno di un sedativo.”

“Prima Maddy gliene ha proposto uno.”

“Vedi? Io carpisco tutti i vostri pensieri.”

“Ma stai zitto, che è meglio” feci ridendo. Ci alzammo dal letto, ma all’ultimo lui mi bloccò. “Coco, devo chiederti una cosa davvero importante” fece, terribilmente serio. “Ovvero…?” Mi stava mettendo in ansia. Lui prolungò quel silenzio che si era creato, per poi infrangerlo con: “Davvero Carol si chiama Caroline Annabeth Lemaire?” Io scoppiai a ridere. “Pensavo fossi serio!”

“Io sono serissimo! Non me l’aveva mai detto!”

“Comunque sì, si chiama Caroline.”

“Oddio, quante cose mi tiene nascoste” fece con tono drammatico. Io gli diedi uno scappellotto. “Scendiamo, che è meglio” feci, esasperata. Lui ridacchiò e tornammo al piano di sotto.

 

“Noi dovremmo andare a casa a prepararci” fece Manuela ad un certo punto, quando erano già le sette. Io e Ashton ci scambiammo uno sguardo d’intesa. “Diana, hai un posto dove stare, no?” fece appunto Luke, come previsto. “In realtà, speravamo che poteste ospitarci voi. Dovremmo essere solo di passaggio” fece Hellen. Diana guardò la madre sorpresa. Qualcosa mi diceva che lei era all’oscuro dei piani. “Non c’è problema, abbiamo una camera degli ospiti, però è solo per una persona” fece Calum. “Ne abbiamo una anche noi” disse invece Manuela, mentre Carol la uccideva con lo sguardo. “Allora Diana può rimanere da voi ragazzi, mentre io vado a casa delle signorine” tentò Hellen. “Io invece credo sia meglio il contrario” ribatté Ashton, mentre io mi affrettavo a dargli ragione. “Anche per me va bene. Si potrebbero fare belle cose. Sai, Coco, quel programma che stiamo seguendo? Come trucidare la tua coinquilina? Secondo me potrebbe piacerle” fece Carol, guardandomi furiosa. Sapevo benissimo cosa intendeva, soprattutto dato il fatto che non esisteva nemmeno quel programma. “Forse può piacere anche ad Hellen, no?” chiesi, per le rime. “No no, non le piacerebbe mai” si affrettò a rispondere Carol. Sotto la nostra conversazione ce n’era un’altra, nascosta: “Non la voglio in casa, ti uccido se lo proponi!”

“Preferisci Hellen?”

“No, meglio Diana, ma ti odio lo stesso.”

Quello era il succo di quel breve scambio. Di tutto il gruppo, solo Ash aveva capito, e ridacchiava sotto i baffi, con quella sua risatina contagiosa che mi fece accennare un mezzo sorriso. “Anche secondo me sarebbe meglio che tu, mamma, rimanga qui” fece Diana. Hellen non sembrava per niente contenta, ma dovette accettare per non incrinare la sua maschera di fronte a Luke. “Le tue valige sono in macchina. Ti accompagno” fece poi. “Non ce n’è bisogno, abbiamo spazio in macchina” rispose Carol. Il suo tono era chiaro: non la voleva fra i piedi. “Sì, mamma, tranquilla, così ti prepari meglio per stasera” convenne Diana. Gargoyle ci uccise tutte e tre con lo sguardo prima di cedere.

 

Mezz’ora dopo, eravamo a casa. Diana aveva scaricato i bagagli e li aveva parcheggiati nella camera degli ospiti. Io ero nella mia stanza, pronta a scegliere cosa mettermi, quando mi arrivò un messaggio. Numero sconosciuto.

“Sono Hellen. Stasera farà freddo. Avverti le altre, io avverto Diana.”

“Mai freddo quanto lo sei tu” dissi fra me e me, mentre la ringraziavo. Non capivo lo scopo di quel messaggio. Magari, e dico magari, Hellen non era un mostro così mostro. Magari si preoccupava per noi. Misi giù il telefono e osservai l’armadio. Avrebbe fatto freddo, no? Tanto valeva mettersi quel vestito di lana che non vedevo l’ora di rispolverare dall’armadio.

Un’altra mezz’ora dopo, eravamo tutte pronte tranne Diana, e i ragazzi stavano per arrivare. “Diana, è tardi!” urlò Manuela dal piano di sotto. “Arrivo!” fece lei, frettolosa. Madison – che dopo essersi cambiata era venuta da noi – alzò gli occhi al cielo. “Dieci volte che lo dice…” fece. Io sospirai e feci spallucce, mentre Madison si lisciava per l’ennesima volta la gonna di pelle nera. Indossava una maglia color verde petrolio, come le scarpe chiuse con il tacco e le cuffie attorno al collo, che le davano un’aria diversa dalla ragazza innocente che sembrava. I collant grigio scuro erano pesanti, di lana, mentre il giubbotto di pelle la teneva al caldo.

Manuela aveva scelto un look più comodo: pantaloni attillati neri a stelle bianche, felpa con su scritto “Wild hearts can’t be broken”, converse nere, un cappello con lo stemma di Batman, un bracciale con la stella satanica. I capelli erano raccolti in una particolare treccia che sembrava una corona.

Carol, nonostante l’avvertimento di Hellen, aveva fatto di testa sua: camicia color panna, cravatta nera, leggins di pelle nera a vita alta, stivaletti bassi con tacco vertiginoso per i miei standard, guanti di pelle nera senza dita e bucati in corrispondenza delle nocche, un cappello alla Ashton che, anzi, doveva appartenere proprio a lui.

Io avevo dei pantaloni neri pesanti, coperti in parte da un lungo maglione color panna, in tinta con il cappello che mi teneva al caldo la testa. Gli anfibi erano dello stesso colore, mentre l’unica cosa che staccava erano gli orecchini: due ghiandaie imitatrici color ottone. Una treccia alla francese completava il tutto.

Sentimmo il clacson del camioncino dei ragazzi suonare e ci allarmammo. “Diana!” urlò Carol, nevrotica. “Ci sono!” fece la ragazza, scendendo in fretta le scale sui tacchi alti. Io rabbrividii, mentre me la immaginavo inciampare. Che volo che avrebbe fatto… E invece no, era lì, in perfetto equilibrio sui tacchi delle scarpe… aperte? Le gambe erano nude, sbucavano da sotto il giaccone lungo. “Non avrai freddo?” chiesi. Lei mi guardò stranita. “Tu, piuttosto, non avrai caldo? Mamma ha detto che ci sono trenta gradi in quel locale.” Io rimasi a bocca aperta, imitata da Carol. Un altro suono di clacson interruppe la nostra conversazione e noi ci fiondammo fuori di casa. Il furgone era già aperto e Luke ci aspettava. “Dai, ragazze, è tardi!” fece. “Dillo alla rossa qui dietro!” rispose scocciata Carol. “Mea culpa” ammise Diana. “Tranquilla, può capitare” disse Luke con un gran sorriso. Io salii agilmente sul retro del camion, vuoto per nostra fortuna: gli strumenti erano già al locale. Trovai Mike e Calum ad aspettarci, seduti su delle coperte che dovevano essere dei sedili rudimentali. “Fate spazio” feci, sedendomi fra di loro. “Tesoro, te lo puoi scordare, ho scaldato quel posto fino ad ora, non puoi venire qui e fregarmelo” mi disse Michael, spingendomi via. Occupai il posto di Calum, che ebbe la stessa reazione. “Simpatici come un manico di scopa in quel posto” mugugnai, alzandomi. Loro mi mandarono prima dei dolci baci, poi a quel paese. Io ricambiai. “Ti vogliamo bene, scema” fece Michael con un sorriso. Io sorrisi a mia volta e li abbracciai, poi mi andai a sedere su un’altra coperta. Diana era ferma davanti all’entrata del camion, cercando di capire come fare ad entrare senza cadere. I tacchi erano troppo alti per lei. “Facci spazio, guarda come entrano nei furgoni le ragazze delle future rockstar” fece Carol, con un pizzico di presunzione scherzosa che suonò tanto come disprezzo. Diana si spostò e Carol e Madison presero la rincorsa, saltando nel furgone. Madison, appena salì, si sedette fra le gambe di Calum, che la abbracciò da dietro, mentre Carol si voltò. “Ta-daa!” fece ridacchiando. Diana sorrise. “Voglio provarci anche io” fece. “Diana, guarda che Carol è allenata, ti ammazzi se cadi di naso” fece Manuela, salendo tranquilla sul furgone. Alla fine, le più furbe eravamo io e lei, con le nostre scarpe piatte. Luke la seguì, mentre Diana si allontanava per prendere la rincorsa. “Diana…” cercai di ammonirla. Troppo tardi: lei stava già correndo. Saltò ma prese male le misure e scivolò, cadendo dritta distesa a terra e trascinando Luke con lei. Erano una sopra l’altro e questo mi provocò un leggero moto di fastidio, mentre ripensavo a tutte le volte che era successo con me al posto di Diana; soprattutto perché tutte quelle volte erano andate a finire con noi che ci baciavamo. Carol mi guardò come se fosse sconvolta. Sembrava che volesse trovare ogni difetto di Diana, ogni cosa che potesse giustificare il suo odio incondizionato.

Luke e Diana risero e si rialzarono. “Scusami, oddio, che cretina che sono” fece lei. Luke fece spallucce. “Non preoccuparti, solo, la prossima volta stai più attenta” disse. “Se ci avessi ascoltato non sarebbe successo” borbottò Carol. “Ragazzi, mi sto perdendo la festa?” chiese Ashton, guardandoci dallo specchietto retrovisore. “Ecco dov’eri!” fece Carol, abbassando il vetro che divideva l’abitacolo dal retro del furgone e stampando un bacio sulla guancia del suo ragazzo.

“Allacciate le cinture, ragazzi, si parte” fece Ashton quando Michael richiuse le porte del furgone. Luke era fra me e Diana, di nuovo. Come durante il pomeriggio, Luke rivolgeva tutte le attenzioni a lei. Io sbuffai mesta, cercando di ignorare quella brutta sensazione che si faceva largo in me. Guardai Carol di fronte a me, che scosse la testa, sospirando. Ci scambiammo una serie di sguardi talmente dettagliata da non avere bisogno di parole, il cui contenuto era piuttosto semplice: “Non so cosa fare.”

“Fai qualsiasi cosa! Fatti valere! È il tuo ragazzo, accidenti!”

Quando abbassai lo sguardo, sconfitta, Carol si alzò e si infilò con il busto nell’abitacolo. “Che fai, amore?” chiese Ashton, vedendola armeggiare con il porta CD. Carol inserì nella radio un CD dei Simple Plan. Saltò un paio di canzoni e finalmente nel furgoncino si diffusero le note di Shut up. “Amo questa canzone!” esclamò Manuela, iniziando a cantare. Tutti la seguimmo:

There you go, you're always so right

it's all a big show, it’s all about you

you think you know what everyone needs

you always take time to criticize me

it seems like everyday I make mistakes

I just can’t get it right

it's like I’m the one you love to hate

but not today

Carol alzò il volume fino a che Diana, per parlare, non fu costretta ad urlare. Allora, Carol si avvicinò a lei e iniziò a cantare il ritornello, gridando e agitando la testa come se stesse ballando in un video musicale:

So shut up, shut up, shut up,

don't wanna hear it

Get out, get out, get out,

get out of my way

Step up, step up, step up,

you'll never stop me

Nothing you say today

is gonna bring me down

Diana, davanti a quella furia travestita da cantante, si azzittì subito e io sorrisi. Shut up non era stata scelta a caso, nonostante potesse sembrare il contrario. Guardai Carol e mimai un “Grazie” con le labbra. Lei mi sorrise e mi fece l’occhiolino, mentre continuava a cantare. Diana rimase in silenzio tutto il viaggio, mentre Luke si univa al coro. Quando la canzone finì, Diana fece per aprire bocca, ma Carol la bloccò: “Aspetta, sta arrivando You suck at love!” Il suo tono era assolutamente innocente, ma il messaggio era chiaro: tappati la bocca.

In quel momento, sorrisi e ringraziai il cielo di avere amici così.







*Angolo autrice*
Eeehi, eccomi qui! Dai, stavolta non ci ho messo così tanto. Mi sono impegnata!!
Che ne dite?? Entrano in campo due nuovi personaggi e state certi che non se ne andranno via in fretta. Ecco Diana e Hellen. No, scherzo, Hellen non è lei, è che non ho proprio pensato ad una prestavolto per lei, quindi rimarrà la brutta arpia senza volto, ok? Anche perché, diciamocelo, è meglio il Gargoyle nella mia mente. PS, Diana è interpretata da Holland Roden.
Ora: il vestito di Coco, Manuela, Carol e Madison. Poi nel prossimo capitolo ci sarà la descrizione di quello di Diana, ma intanto eccolo qui.
E che dire? Grazie di essere arrivati fino a qui!
A presto!
Ranya

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Capitolo 27
*** Rock 'n' roll ***


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Rock ‘n’ roll

ATTENZIONE: in questo capitolo ci sarà un riferimento ad un’altra mia storia: “Fake, lie or truth?”. Per chi non l’avesse letta, il link è qui. Sono solo cinque capitoli, niente di impossibile, ma per capirci qualcosa potrebbe aiutare leggerla prima! :D

Arrivammo al locale appena in tempo: c’era già la coda fuori. O era un posto gettonato, oppure i ragazzi iniziavano ad ottenere fama.

Gargoyle era già fuori ad aspettare, appoggiata alla sua macchina. Se fossimo stati in un cartone animato, le sue orecchie avrebbero iniziato a fumare da un po’. “Si può sapere dove eravate?” chiese. “Colpa mia” fece subito Diana. Carol la guardò con un odio immane, mentre anche io iniziavo a vederla in modo diverso. Vidi che anche Manuela le lanciava uno sguardo strano.

“Mamma, perché hai detto a Coralie che dentro sarebbe stato freddo e a me il contrario?” chiese Diana. “Devo essermi confusa” fece Gargoyle. “Oh, e scommetto di sapere con chi si è confusa” fece Carol al mio orecchio. Quella ragazza zampillava odio peggio di una fontana. Madison alzò gli occhi al cielo dopo la risposta di Gargoyle e si tolse la giacca di pelle mentre Manuela si tirava su le maniche della felpa. Avevano capito anche loro. “Ok, andiamo, siamo in ritardo” fece Ashton. Prese me e Carol e ci trascinò avanti, mentre gli altri ci seguivano. “Ti ricordo che dobbiamo fare in modo di non farle litigare” fece nel mio orecchio. Carol non se ne accorse e io annuii.

Arrivammo davanti all’entrata sul retro, dove una guardia del corpo fece entrare i ragazzi e noi. “Ci vediamo dopo” fece Luke sorridente, mentre aiutava a portare sul palco gli strumenti. Noi li salutammo e andammo a prendere un posto. In prima fila, c’era un tavolo, riservato a due persone. Gargoyle si sedette lì dopo aver parlato con un cameriere e fece cenno alla figlia di accomodarsi. “Scusa, e loro?” chiese Diana. Gargoyle ci squadrò. “Quando ho prenotato non sapevo nemmeno della vostra esistenza.”

“Mamma…”

“Non è colpa mia se Lucas non si è più fatto sentire.”

“Sì, ma non puoi lasciarle qui in piedi…”

“Affatto. Che si cerchino un tavolo, no? Le gambe ce le hanno.”

La guardammo basite. “Mamma!” esclamò Diana. “Cosa? La prossima volta non arrivate così in ritardo. È colpa vostra, se ci pensate.”

“Sì, ma…”

“Lascia stare” fece Manuela, dura, voltandosi e andandosene. Noi la seguimmo, ignorando i tentativi di Diana di richiamarci. Ci radunammo in cerchio in un angolo. “Ok, questo è un colpo molto basso” fece Manuela.

“Già.”

“Esattamente.”

“Estremamente scorretto.”

“Io direi di trovare il modo di far vedere a quella donna che non ci può abbattere così” propose Carol. Noi annuimmo. “E come intendi fare?” chiesi. “A quello ci penseremo.”

“Non vuoi vendicarti anche di Diana, vero?”

“Coco, io ti voglio bene e lo sai, ma a volte sei così stupida…”

“Grazie, eh?”

“Di niente, tesoro.”

“Vai avanti, che è meglio.”

“Quella ti vuole fuori dai giochi! Quanto scommetti che in poco tempo farà di tutto per prendere il tuo posto?!” chiese Carol. “Carol!” esclamai. “Coco, secondo me ha ragione Carol” fece Manuela. Madison annuì. Carol le guardò stupefatta ed esultò. “Wow! Qualcuno che mi crede! Allora non sono pazza!!”

“Tecnicamente, sì.”

“Tecnicamente, dovresti stare zitta in questo momento di gloria e autocelebrazione, Coralie.”

“Scusa.”

“Brava.”

Ci mettemmo a ridere per qualche secondo, poi: “Quindi, che intendi fare per stasera?” chiesi. “A questo ci pensiamo noi” fece Manuela sorridendomi. Prese Madison per il polso e andarono dietro le quinte. Seguendole con lo sguardo, le vidi parlare con Michael e Calum. Carol mi circondò le spalle con un braccio. “Non capisco perché che l’abbiate tanto con Diana, se a vostro parere il problema è mio.”

“Mia cara, è così che funziona un gruppo. Odiamo a prescindere chi mina a ciò che è di una nostra carissima amica, e facciamo di tutto per difenderla. Può sembrare una cosa crudele, malata e da stronze, ma lo facciamo perché ti vogliamo bene e non vogliamo vederti stare male. Lo sai, vero?”

“Certo che lo so, anche se a volte mi preoccupate.”

“Ci preoccupiamo da sole, tranquilla.”

“Mi viene da chiedere cosa succederebbe se due di noi litigassero.”

“Le altre due le prenderebbero a sberle fino a farle tornare normali.”

“Ah, molto semplice, eh?”

“Ovvio. Niente faide fra di noi, o non potremmo essere le quattro ragazze che siamo ora.”

Io sorrisi e la abbracciai. “Ti voglio bene, cuginetta.”

“Anche io, nonostante tu sia tremendamente ingenua.”

Stavo per rispondere a tono, quando Manuela e Madison tornarono con Calum e Michael. “Ragazze, davvero non avete trovato nemmeno un posto?” chiese Calum sorpreso. Noi annuimmo. “Non possiamo permettervi di stare in fondo alla sala. Vi va bene un posto sul palco?” chiese Michael con un gran sorriso. Noi esultammo e Michael si voltò verso il palco. “Ash! Luke! Tirate indietro di un po’ gli strumenti, le principesse stanno sul palco con noi!” urlò. Luke e Ashton mostrarono i pollici alzati e guardarono rassegnati la batteria. “Un aiuto?” chiese Luke. Michael e Calum si misero a ridere e li raggiunsero sul palco. “Andiamo anche noi, su!” esclamò Madison, esaltata. Salimmo sul palco e guardammo indietro, verso la sala, verso le persone che ci guardavano corrucciate, come a chiedersi che cavolo stessimo facendo. Diana, in prima fila, rideva scuotendo la testa, mentre Gargoyle ci guardava torva, livida. Manuela, con un piccolo urlo di entusiasmo, alzò il dito medio alla sala. Poteva sembrare un gesto fatto per esultare, ma conoscendola sapevo a chi era rivolto. Poi si voltò verso di noi e si mise a cantare:

When it’s you and me

We don’t need

No one to tell us who to be

We’ll keep turning up the radio

What if you and I

Just put up

A middle finger to the sky

Let ‘em know that we’re still rock ‘n’ roll!

In poco, la seguimmo tutti e formammo uno strano coro. La gente ci guardava malissimo ma a noi non importava, non importava se eravamo stonati, o se tutti parevano non sopportarci più. Quando finimmo, ci mettemmo a ridere, ma ci fermammo quando, dal fondo della sala, sentimmo esultare una ragazza. La guardammo: era piccola, minuta e bionda. Indossava un grande paio di occhiali neri e una felpa con un cappuccio. Era seduta ad un tavolo in fondo alla sala, con cinque ragazzi, che si affrettarono subito a farla sedere. “Non fate caso a lei!” fece uno. Anche lui aveva occhiali da sole neri, e non capivo proprio a cosa potessero servire. Erano tutti così, a dire il vero. “Sono un po’ strani” fece Madison. “Già, ma mi ricordano qualcuno” ribatté Ashton. Non potevo dire lo stesso: la mia vista prodigiosa mi aveva tradito di nuovo.

Si avvicinò a noi il cameriere che aveva fatto sedere Diana e Hellen. “Ragazzi, potete cominciare, siete pronti?” chiese. I ragazzi annuirono e noi ci sedemmo a gambe incrociate sul bordo del palco, eccitate. “Guarda caso copriamo la vista a quelle due” fece Carol nel mio orecchio. Ridacchiai esasperata e mi voltai verso Luke. “Auguri, amore!” esclamai ad alta voce per coprire il rumore del sound check. Lui mi sorrise, staccò la chitarra dall’amplificatore e venne verso di me. Si inginocchiò e mi sollevò il mento con due dita, facendo incontrare le nostre labbra. Assaporai quel bacio e mi resi conto che era uno dei primi da quando era arrivata Diana. Questo pensiero, anziché farmi godere il sapore delle labbra di Luke, mi fece chiudere la bocca dello stomaco. Cercai di non farlo notare e quando lui si separò gli sorrisi. Lui mi guardò e fece un mezzo sorriso, socchiudendo gli occhi, come se stesse cercando di capire qualcosa. “Va tutto bene?” chiese. “Ehm, certo, perché?”

“Non stai sorridendo con gli occhi.”

“In che senso?”

“Nel senso che di solito sembra che anche i tuoi occhi ridano, se sei felice. Ora no. Cosa succede?”

Io mi sorpresi nel sentirgli dire quelle cose. Davvero mi conosceva così bene? Mi venne da sorridere quando mi venne in mente una cosa: io sapevo leggere gli occhi di tutti, mentre Luke riusciva a leggere solo i miei, ma il modo in cui lo faceva era unico.

“Va tutto bene, davvero. Stavo solo pensando.”

“Dopo mi racconti tutto, ok?” mi chiese sorridente. Io annuii e lui corse al suo posto. Riattaccò la chitarra all’amplificatore e sistemò il microfono, che fischiò in maniera assordante. Mi tappai le orecchie, essere così vicina alle casse era una tortura. Luke si affrettò a far smettere il fischio e fece nel microfono, con un sorriso timido: “Scusate, problema tecnico!” Io gli sorrisi di rimando e lui ammiccò. “Ok, ragazzi, siete pronti?” chiese Calum. I tre annuirono e Ashton prese il microfono. “Ehm, ok, buonasera a tutti, scusate il ritardo e il casino che abbiamo fatto fino ad ora. So che probabilmente non siete tutti qui per sentire la musica di quattro cretini, ma cretini forte, di quelli che decidono di fare le prove e poi si ritrovano a giocare alla playstation, di quelli che ridono sempre, di quelli che ti viene da chiederti quale tipo di grosso problema abbiano, di quelli che durante i concerti fanno stare le loro ragazze sul palco. So che forse vi trapaneremo le orecchie con musica che nemmeno vi piace, ma noi ci vogliamo provare. Anche se facciamo schifo, ci impegneremo.” Fece con un sorriso enorme e imbarazzato, di quelli che fanno tenerezza. “Come fate a fare schifo se gli One Direction vi hanno scelto per aprire i loro concerti?” urlò una voce dal fondo della sala. Noi ci voltammo e notammo che era la stessa ragazza di prima. Come faceva a saperlo? Anche i ragazzi sembravano sorpresi, tutti tranne Michael, che cercava di coprire una risata. Manuela lo guardò storto, come a cercare di capire perché stesse ridendo. Ashton riprese il microfono e: “Che ci abbiano scelti, è stato un caso molto fortunato. È successo in un modo molto strano e insolito. Ma perché ne sto parlando, scusate? Quello che basta sapere è che per ora non se ne fa niente, non si sono fatti più sentire e punto, noi aspettiamo, e intanto facciamo piccoli concertini come questo.”

“Ok, grazie, ero curiosa” rispose la ragazza, sempre ad alto volume. Manuela si sporse per vedere meglio. “Accidenti, non riesco a vederla bene” sussurrò. “Vogliamo parlarne?” feci ironica. “Scusi, talpa, non volevo farla sentire tirata in causa” rispose lei con una linguaccia. Ridacchiammo e tornammo a voltarci verso i ragazzi. “Ci sono altre domande?” chiese Calum, visibilmente sorpreso di averne ricevuto una. Passarono un paio di secondi di silenzio tombale, poi, sempre la stessa ragazza: “Siete liberi stasera?” A quel punto, il ragazzo accanto a lei le mise una mano sulla bocca per costringerla a stare zitta, mentre lei si dimenava. “Nessuna domanda, continuate pure!” urlò poi. Ashton e i ragazzi si misero a ridere. “Se rispondiamo, ci fai continuare?” chiese Michael ridendo. L’altra alzò un pollice, ancora incapace di parlare a causa della mano del suo amico sulla bocca. “Sì, siamo liberi tecnicamente, anche se ci sarebbe piaciuto passare la sera con le nostre ragazze.”

“Grazie mille, non vi interrompo più!” fece la ragazza, finalmente libera. Noi ridacchiammo ancora e Luke prese il microfono. “Ok, dopo questa grandiosa conversazione con una ragazza di cui non sappiamo nemmeno il nome, credo che possiamo continuare. La prima canzone si chiama eighteen.

 

Il concerto andò alla grande. I ragazzi suonarono canzone scritte da loro, come eighteen, She looks so perfect, amnesia, heartache on the big screen, social casualty e end up here, oppure cover, come Teenage dream e American idiot. Non mi ero mai divertita tanto ad un loro concerto, era bellissimo, soprattutto perché noi eravamo sul palco e loro si divertivano a saltarci intorno. Quando cantarono amnesia, si sedettero accanto a noi. Ashton, essendo bloccato dietro alla batteria, aveva approfittato della pausa fra Heartache on the big screen e Social casualty per correre da noi e rapire Carol, prendendola in braccio a mo’ di principessa. Lei aveva urlato divertita e si era seduta accanto a lui, non senza prima vedersi rubare un bacio.

Il pubblico era davvero in delirio. I ragazzi erano piaciuti un sacco, soprattutto a una certa ragazza seduta in fondo alla sala. Non capivo se stesse facendo apposta la parte della pazza per provocare gli altri cinque o se fosse davvero schizzata. A mio parere, la verità oscillava a metà fra le due opzioni.

Quando il concerto finì, erano le undici e mezza. Nonostante l’ora, non avevo sonno, ed era strano, dato che di solito mi veniva sempre l’abbiocco attorno alle undici. Diedi la colpa all’adrenalina che il concerto mi aveva infuso. Mi alzai e andai ad abbracciare Luke. “Sono sudato marcio” fece lui ridacchiando. “Non m’importa” risposi, mentre lui mi sollevava di peso. Mi fece roteare un paio di volte, facendomi ridere. Venimmo interrotti da una pallina di carta stropicciata, che mi colpì sulla schiena. “Ma che…?” feci, raccogliendola. La srotolai, confusa, e lessi ad alta voce per gli altri, che intanto si erano radunati attorno a noi: “All’uscita sul retro!” Alzai lo sguardo e vidi la ragazza che si sbracciava per farsi notare. Dietro di lei, i cinque sembravano rassegnati. “Non è che quelli ci vogliono rapire, no?” chiese Madison. “Non credo che si sarebbero fatti notare così.”

“Infatti, i ragazzi non si volevano fare notare. Ha fatto tutto lei!”

“Maddy…”

“Dai, hanno anche i vestiti adatti!”

“Madison!”

“Ok, la smetto.” Ci mettemmo a ridere tutti e otto e andammo all’uscita sul retro. I sei ci fecero aspettare un paio di minuti. Quando arrivarono, la ragazza sorrideva raggiante e applaudiva. “Davvero complimenti. Siete stati bravissimi.” Io sentii il cuore fare una capriola quando riuscii a guardarla in faccia. Mi aggrappai al polso di Manuela, che non sembrava essere messa meglio di me. “Oddio, non è possibile.” La ragazza si mise a ridere e si sfilò gli occhiali, mentre anche gli altri cinque facevano lo stesso. Lei mi porse la mano. “Piacere, tu sei…?”

“Co-Coralie Lemaire.”

“Piacere, Coralie Lemaire. Io sono Avril Lavigne, ma qualcosa mi dice che te ne sei già accorta” fece con un sorriso. Si voltò poi verso Manuela e la scena si ripeté, così come per Madison e Carol. Poi, fu il turno dei cinque dietro di lei. Il primo si avvicinò a Manuela e: “Ciao, sono…”

HARRY STYLES!!” urlò lei, saltandogli al collo. Harry e gli altri si misero a ridere, mentre Michael guardava truce Harry. “Guarda che sono geloso” fece. Manuela lo guardò scandalizzata. “Michael, è Harry Styles! Sono gli One Direction! È Avril Lavigne! Non sei nemmeno un po’ sorpreso?!”

“No, dato che ho chiesto io a Harry di venirci a vedere.”

“Che cosa?!”

“Sì, tesoro, ci scriviamo da un po’.”

“Hai il numero di Harry Styles e non me lo hai mai detto?!”

“L’ho fatto per una buona causa.”

Ashton, Luke e Calum erano troppo basiti per parlare. Manuela, invece, era troppo basita per stare zitta. “Oddio Harry, non puoi capire, non puoi essere tu, oddio, non ci credo, aiuto, datemi un ceffone che un pizzicotto non basta, Harry sei il mio idolo, ho scritto una fan fiction con te e me insieme, oddio santissimo non riesco a dire nulla di senso compiuto!” Harry scoppiò a ridere, mentre Michael prendeva Manuela da dietro e la portava via. “Abbiamo fatto abbastanza figure per oggi, okay?” chiese. “Non me ne può fregar di meno! Michael, i miei idoli sono tutti insieme nella stessa stanza, e ci sono anche io! Quando mi ricapita?!” chiese Manuela. Avril rise, insieme ai cinque dietro di lei. “A-Avril…” chiesi io, boccheggiando. Lei si voltò verso di me. “Sì?”

“Lo so che può sembrare una cosa stupida ma… puoi farmi un autografo?” chiesi. Lei ridacchiò e annuì. “Lo voglio anche io!” esclamò Manuela. “Ehi, ci sono anche io!” fecero Madison e Carol.

Dopo Avril, toccò anche ai 1D. Sembravano tutti troppo divertiti dal nostro comportamento da teenager per annoiarsi. “Ragazze, siete uno spettacolo così emozionate, davvero, ma potremmo rimandare a dopo le foto? Dobbiamo parlare con i nuovi cantanti” fece Louis sorridente. Noi annuimmo e ci mettemmo da parte, tremanti. Harry si avvicinò a Michael. “Mikey, è un vero piacere vederti di persona” fece con un gran sorriso. “Piacere mio, amico” fece Michael, battendo il pugno contro il suo. “Oddio santo il mio ragazzo è amico di Harry Styles. Non so se sclerare o ucciderlo perché non me l’ha detto!” esclamò Manuela sottovoce. Io ridacchiai, mentre notavo Avril che si avvicinava a noi. “Avril, posso chiederti perché sei con i 1D?” chiesi. “Sono in tour con loro. La mia casa discografica ha bisogno di soldi e hanno pensato che un tour in comune avrebbe dimezzato i costi e raddoppiato i guadagni. Capisci? Siamo solo pedine per fare soldi!” fece lei ridacchiando. “Posso dirti una cosa?”

“Certo.”

“Sei il mio mito da sempre anche se non lo sapevo.”

“Eh?”

“Nel senso che ti ascoltavo da quando ero piccolissima ma non ho mai fatto caso al titolo delle canzoni. Poi quando ho sentito Complicated alla radio sono andata a cercare altre canzoni su Youtube e mi sono resa conto che altre due canzoni di cui andavo matta, Girlfriend e Smile, erano tue. Da lì è partita la passione, o ossessione.”

Avril scoppiò a ridere. “Beh, sono onorata che la mia musica ti piaccia. Non sono tante le persone che mi seguono, qui” fece con un occhiolino. “Noi ti seguiamo! Ti idolatriamo! Ti amiamo!” esclamò Manuela. Aveva completamente perso la testa. Avril rise di nuovo. “Ti senti bene?” chiese. “Nemmeno un po’!” fece Manuela, con un’espressione esaltata.

Intanto, i ragazzi avevano continuato a parlare. Mi concentrai su di loro. “Siamo qui perché volevamo vedervi dal vivo e soprattutto volevamo sapere che tipo di persone foste. Non volevamo con noi un gruppo che se la tira troppo. Di ragazzi stronzi ce ne sono fin troppi in giro” fece Liam. “Il piano era di starcene buoni a guardarvi. Poi però Brontolo ha avuto l’idea di parlare con voi, di stuzzicarvi per vedere la vostra reazione. Per quanto sia stata stupida, perché ha rischiato di farci scoprire, ci ha dimostrato che siete ragazzi a posto. Anche il fatto che abbiate lasciato le ragazze sul palco ci ha fatto sorridere. Se solo anche noi fossimo fidanzati lo faremmo volentieri” aggiunse. Manuela sembrò drizzare le orecchie. “Non siete fidanzati?!” chiese. I cinque scossero la testa. “Manu, non…” cercai di dire io. Troppo tardi, lei era già saltata in braccio ad Harry. “Sposami, ti prego!” esclamò. Harry ridacchiò imbarazzato, cercando di non far cadere Manuela. Per farlo, la prese a mo’ di principessa. “Manuela!” fece Michael, imbronciato. “Mikey, lo sai che ti amo. Dovresti conoscermi. Lasciami a questo momento di pazzia!”

“Fosse solo un momento…”

“Mi preferivi come Carol?”

“No no, resta così come sei, che sei perfetta!” esclamò Michael, avvicinandosi a lei e baciandola. “Ehi, cos’ho che non va?!” fece Carol, imbronciata. Ashton se la rideva sotto i baffi, mentre potevo vedere Carol che aggrottava le sopracciglia. “Ash!”

“Non sto ridendo, te lo giuro.”

“Già, sei diversamente serio.”

“… Ti prego, la scena era troppo comica! Come fai a non ridere?!” cedette Ashton. Avril e Louis, intanto, ridevano di gusto. Sembravano molto amici e magari lo erano pure, chissà. Mentre Ashton cercava di riparare alla figuraccia, Harry consegnò Manuela a Michael. “Ragazzi, ci dispiace molto dover scappare così, ma abbiamo una tabella di marcia rigidissima. È già tanto che siamo riusciti a venire qui a vedervi. Complimenti ancora, comunque, siete stati grandiosi!” fece Niall ad un certo punto. “No, vi prego! Non ve ne andate! Abbiamo ancora tante cose da chiedervi!” Fece Madison implorante. “Ci dispiace… vorremmo tanto rimanere. Ma un tour ha impegni davvero incredibili, non riusciamo a trovare nemmeno il tempo per respirare… ve ne renderete conto anche voi, quando sarete con noi, fra esattamente ventisei giorni!” fece Zayn. Avril tirò fuori dalla sua borsa un blocco di fogli e lo consegnò a Luke. “Sono tutte le date del prossimo tour. Non so perché l’avevo io, dato che non ci sarò. Inizierà fra un bel po’, prima deve finire questo, ma intanto avrete tempo per abituarvi alla vita che vi aspetta. Inoltre, dovrete incidere molte canzoni e non potrete farlo qui” spiegò. “Co-cosa?! Fra ventisei giorni?!” fece Calum, sconvolto. “Sì, ragazzi. Ormai è ufficiale. Fra ventisei giorni precisi sarete su un aereo diretto a Londra. Vi manderemo i biglietti via e-mail domani mattina, ci saranno tutti i dettagli. Ci dispiace di avervi avvisato con così poco preavviso, ma dovevamo prima vedervi e Michael ci aveva invitato a questa serata. Dato che eravamo nei paraggi, ne abbiamo approfittato. Per non portarci dietro anche i bodyguard abbiamo sfruttato i travestimenti di Avril, che si sono già rivelati efficaci. Non potete capire quanto ci siamo divertiti la scorsa volta… Ma questa è un’altra storia, che vi racconteremo più avanti, se avremo l’onore di essere ancora tutti insieme” fece Harry.

Mentre i ragazzi finivano di mettersi d’accordo, Avril si avvicinò a me, fino ad essere a pochissimo dal mio orecchio. “Non abbiamo molto tempo. Giura su te stessa che non diffonderai il mio numero.”

“Cosa?! Il tuo numero?!”

“Sì. Giuralo!”

“Lo giuro! Ovvio che lo giuro!”

“Ok. Dammi il tuo, ti scrivo quando siamo in bus. Poi mi darai i vostri e io ti darò quelli dei ragazzi. Ci stai?”

“… Davvero mi stai chiedendo se mi sta bene ottenere i numeri di telefono dei miei idoli?!”

“È un sì?”

“È molto più che un sì!”

Avril sorrise e mi porse il suo telefono. Io composi il mio numero e lei lo salvò in rubrica. Appena in tempo, i 1D avevano appena finito di parlare. Liam si avvicinò a noi e mise un braccio attorno alle spalle di Avril. “Andiamo, Brontolo. Abbiamo molte cose da fare”

“Ehi, lascia la maniaca, sembrate una coppietta!” fece Louis ridendo. Avril e Liam si guardarono e con un verso schifato saltarono ai due lati del corridoio, facendoci scoppiare a ridere. “D’accordo, ragazzi. Davvero, è stato un piacere conoscervi, ma ora dobbiamo andare. Speriamo di rivederci, eh? Non è così improbabile. Magari verrete anche voi ragazze in tour con loro, chi lo sa? Così potremo finire la storia dei travestimenti di Avril” fece Zayn con un gran sorriso. “Ovvio che veniamo pure noi! Figurati se li lasciamo andare da soli, questi qui!” fece Madison. Calum le fece una linguaccia e Madison ricambiò.

“Quindi, alla prossima, ok?” fece Louis. Noi annuimmo e Manuela saltò un’ultima volta al collo di Harry. “Oggi è il giorno più bello della mia vita, ragazzi!” esclamò. Michael si avvicinò a me e, nel mio orecchio, sussurrò: “Speriamo sia il secondo più bello. Non ho intenzione di arrivare all’altare senza darle emozioni sufficienti a battere dieci volte questa serata.” Io lo guardai a bocca aperta. “Tranquilla, dovrà passare ancora un po’ di tempo, siamo troppo giovani. Ma se continua così, e lo spero tanto, l’intenzione è quella” fece lui ammiccando. Io mi trattenni dall’esultare come una bambina. “Sai qual è il tuo problema? Vuoi tanto fare il duro, ma alla fine sei solo un tenero essere bisognoso di coccole che si tinge i capelli per sembrare più punk rock” feci. Lui rise piano e: “Sì. Sono un essere bisognoso di coccole. Mi abbracci?” fece con un faccino da cucciolo. Ridacchiai a mia volta e lo accontentai. Lui mi sollevò da terra, stringendomi troppo forte. Emisi un gemito strozzato mentre sorridevo. “Ti voglio bene, Mickey”

“Anche io, Coco.”

Da dietro di noi, sentii Luke dire: “Ah, la mettete così?” Andò da Manuela, che capì dove lui volesse andare a parare e gli saltò addosso, aggrappandosi a lui a koala. Madison, Carol, Calum e Ashton si guardarono, fecero spallucce e ci imitarono. Così, Calum si ritrovò a tenere in braccio Carol, mentre Madison si teneva stretta ad Ashton. Avril e i 1D decisero di stare al gioco. Avril, ridendo, saltò sulle spalle di Louis, che iniziò a correre intorno alle coppie, mentre Avril urlava divertita. Harry e Liam si guardarono. “Ah, no, caro, io la ragazza non la faccio” fece Liam risoluto, prima di prendere in braccio Harry, che scoppiò a ridere, portando indietro la testa e battendo le mani. Zayn e Niall stavano in disparte, a ridacchiare delle nostre stranezze, ognuno con un braccio attorno alla spalla dell’altro. “Ehi, non vorrete mica passarla liscia così, voi due! Dai, un po’ d’affetto!” fece Avril. Loro risero e Niall prese una sola gamba di Zayn. “Wow, viva lo sforzo!” commentò Louis. “Rinunciamoci. Sono troppo seri per noi” disse Avril. “Ehi, chi l’ha detto?” fece Zayn, abbassandosi. Niall si sedette sulle sue spalle. Il pakistano, quindi, con qualche difficoltà si rialzò. Noi esultammo. “Spettacolo!” urlò Ashton, esaltato. Continuammo a ridere per un po’, fino a quando il cellulare di Niall non squillò. Lui, cercando di non cadere, rispose al telefono. “Pronto? Oh, certo. Sì, siamo ancora qui. Che cosa?! No, no, stiamo arrivando, aspettateci, ci mettiamo un minuto!” esclamò concitato, prima di mettere giù. “Ragazzi, è l’autista! Ha detto che se non siamo lì nel giro di tre minuti parte senza di noi, ordini del manager!” esclamò. Ci guardammo preoccupati. “Cosa ci fate ancora qui?! Correte!” esclamò Calum. Loro annuirono. “Ciao, grazie di tutto, speriamo di rivedervi!” fecero frettolosi, mentre Louis apriva la porta sul retro, con ancora Avril in braccio. Corsero via così, una a cavalcioni dell’altro, imitati da Liam, al quale non venne in mente di mettere giù Harry e li rincorse. “Alla prossima!” esclamò Zayn, seguendoli a ruota. “No, no, no, aspetta!” esclamò Niall terrorizzato, ancora sulle sue spalle, quando si vide arrivare contro la parete: la porta era abbastanza alta da far passare Zayn, infatti, ma non Niall. Zayn cercò di fermarsi in tempo, ma non ci riuscì e Niall prese una facciata da record. “Scusami, Nì!” fece Zayn mortificato. “Mettimi giù!” tuonò l’altro con voce nasale. “Stai bene?” chiese Ashton preoccupato. “Sì, sì. Ora dobbiamo correre! Ciao ragazzi, è stato bello conoscervi!” fece Niall, una volta con i piedi per terra.

I due corsero via e noi rimanemmo da soli, nel retro del locale, ancora sconvolti. Ci guardammo in faccia per qualche secondo, a bocca aperta. “Sono… ragazzi come noi” fece Ashton. Non riuscivo a crederci. Avril Lavigne era una ragazza pazza come noi. I One Direction erano dei ragazzi pazzi come noi. Erano divertenti, giovani, matti, stravaganti, simpatici e alla mano. “Non credo che ci dimenticheremo questa giornata tanto presto” commentò Carol. Noi annuimmo, guardando ancora fuori dalla porta, nonostante non ci fosse più nessuno.

In quel momento, ci raggiunse Diana. “Ragazzi, cosa succede? Siete qui da molto…” fece. Io mi voltai verso di lei e quel sorriso entusiasta che mi aveva accompagnata durante tutta la sera sfumò. Mi ero quasi scordata della sua esistenza ed ero molto più felice. “Sì, abbiamo avuto un incontro inaspettato. Peccato che tu non fossi qui. Ti piace Avril Lavigne?” chiese Carol. “No, non la trovo una grande cantante. Inoltre mi sa tanto di smorfiosa. Però i gusti son gusti” rispose Diana storcendo la bocca. Vedevo Carol fumare di rabbia. “E i One Direction?” chiese Madison. “Mamma mia, loro poi… dei bambini. Delle scimmiette ammaestrate. Da come li vedo io sono delle persone talmente insopportabili che non so come abbiano fatto ad arrivare dove sono ora. Fanno musica orribile!” fece Diana. “Da come la vedo io, invece, avresti bisogno di un bel paio di occhiali e, perché no, un Amplifon” rispose furente Carol. “Beh? Non puoi biasimarmi se ho detto che la loro musica non vale tanto… I gusti son gusti, no?”

“Allora di’ che ti fanno schifo. Non che fanno schifo. Perché c’è gente per cui sono davvero delle persone importanti. Che credono che loro siano delle persone vere. E se vuoi saperlo, tutti noi siamo di questo parere” sbottò Carol. Diana ci guardò uno per uno. “Mi dispiace, ragazzi. non intendevo offendere nessuno” fece poi. “Tranquilla, Diana. Carol è molto sensibile su questo argomento” fece Luke. “E vorrei ben vedere” aggiunse rabbiosa Carol. “Carol…” la ammonì Ashton. “Carol un corno! Non può giudicare senza conoscere!”

“Come stai facendo tu ora?” chiese Ashton duro. Carol trasalì. “Potete lasciarci un attimo da soli, per favore?” chiese Ashton. Noi obbedimmo velocemente e tornammo nella sala del locale. “Non volevo che litigassero per colpa mia…” fece Diana, mortificata. “Capita. La prossima volta, però, cerca di evitare di offendere gli altri” fece Manuela, piuttosto nervosa. Anche io lo ero, e la causa era il litigio di Ashton e Carol. Diana era arrivata come un uragano e senza volerlo ci stava sconvolgendo tutti, dal primo all’ultimo.

 

Dopo mezz’ora che eravamo seduti ai tavoli senza dire nulla, arrivò un cameriere. “Ragazzi, mi dispiace, ma dovete andare. Stiamo chiudendo” fece. Noi ci guardammo. “Vado a chiamarli” decisi. Gli altri annuirono e io presi coraggio. Mi incamminai verso il retro e già da qualche metro di distanza li sentii litigare. A quanto pareva, erano usciti.

“Non puoi pretendere di avere sempre ragione!”

“Non puoi pretendere che io sia perfetta!”

“Non lo sto pretendendo! Ti sto chiedendo solo di tornare a usare la testa! So che sei capace!”

“Quindi per te io ora sono stupida?!”

“Per me ora sei ingiusta. Non ti ha fatto nulla di male!”

“Sta rovinando il rapporto fra Coralie e Luke!”

“E tu così stai rovinando il nostro!” urlò Ashton. Io trasalii nel sentirgli dire quelle parole e dal silenzio che ne seguì potei capire che anche Carol avesse avuto la stessa reazione. Approfittai del silenzio per intervenire. “Ragazzi…” feci, a bassa voce. Loro mi guardarono. “Coralie… quanto hai sentito?” chiese Ashton. “Solo l’ultima parte. Sono qui per avvertirvi che stanno per chiudere…”

“Ok. Voi iniziate ad andare, vi raggiungiamo quando abbiamo finito.”

“Le auto le avete solo voi…” feci notare timidamente. Loro mi lanciarono le chiavi. “Ci vediamo dopo” fece poi Carol, con la voce che tremava. Io annuii e me ne andai. Tornai al tavolo e i ragazzi mi guardarono, carichi di ansia e aspettativa. “Come sta andando?” mi chiese Diana. “Male” feci io secca. Lei abbassò lo sguardo. “Mi dispiace, davvero…” sussurrò. Luke le circondò le spalle con un braccio. “Tranquilla, non è colpa tua. Vedrai che passerà” tentò di rassicurarla. Io sentii una stretta al cuore.

 

Un quarto d’ora dopo, eravamo a casa nostra. I ragazzi avevano deciso di andare a dormire a casa loro, anche perché non era “carino” lasciare Hellen da sola. Diana si era chiusa in camera sua, mentre io, Manu e Maddy eravamo sedute attorno al tavolo, tese come corde di violino. Avevo un bruttissimo presentimento.

Dopo non so quanto tempo, sentimmo la porta aprirsi e richiudersi. Schizzammo in piedi e ci precipitammo all’ingresso. Carol era lì, con le guance sporche di trucco colato e gli occhi rossi. “Carol…” feci. Lei ci guardò e scoppiò a piangere di nuovo. Senza dire nulla, la abbracciammo, ma lei si divincolò e corse in camera sua. Sentimmo la porta sbattere. Ci guardammo e sospirammo. “Non è andata bene.”

“Nemmeno un po’.”

“Accidenti…”

“Coco, vai tu di sopra. Sai leggere gli occhi ed è tua cugina. Credo sia meglio che sia tu a parlarle” fece Manuela. Io annuii e mi preparai mentalmente ed emotivamente. Salii le scale lentamente, mentre Manuela e Madison mi guardavano intimorite. Anche loro avevano paura di quello che Carol avrebbe detto.

“Carol?”

“Vai via.”

Io ignorai le sue parole ed entrai. La vidi rannicchiata sul letto, che singhiozzava. Mi sedetti accanto a lei. “Cosa vi siete detti?”

“È meglio che tu non lo sappia.”

“Carol…”

“No, basta. Basta Carol. Lasciatemi in pace.”

“Almeno dimmi perché piangi…” insistei io. Lei alzò lo sguardo e io incontrai i suoi occhi. Rossi, lacrimanti, carichi di tristezza e rassegnazione. Sentii un bruttissimo presentimento farsi strada nella mia mente, ma non volevo ascoltarlo. Non poteva essere vero…

“Mi ha lasciata, Coralie” sussurrò Carol.

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Capitolo 28
*** The last night ***


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The last night

Questo capitolo è strettamente collegato (almeno l’ultima parte) alla canzone “The last night” di Skillet. Quindi, sarebbe un’ottima cosa ascoltarla durante la lettura. Grazie per l’attenzione! E, chi volesse fare un piccolo sforzo, potrebbe leggere anche il testo della canzone, dato che è davvero stupendo. Graazie e buona lettura <3

Andava sempre peggio. Carol e Ashton non si parlavano da sei giorni, non si guardavano, non accettavano nemmeno di uscire con noi. Rimanevano in casa, tutto il tempo. O almeno, questo era quello che mi aveva detto Michael riguardo ad Ashton. Io ero troppo occupata con Carol, che si rifiutava di mangiare, di fare qualsiasi cosa. Andava male, fin troppo male, considerando che Carol era molto fragile mentalmente. Un difetto di famiglia. Avevamo paura che la sua malattia potesse degenerare, ora che aveva un motivo per farlo.

Quando Carol mi aveva detto che Ashton l’aveva lasciata, mi ero sentita crollare il mondo addosso. Non potevo crederci. Ashton e Carol? Davvero? Me lo sarei aspettata da tutti, ma non da loro, soprattutto non da Ashton. Poteva fare lo stupido quanto voleva, poteva prenderla in giro per ore, scherzarci, farla rimanere male, ma ogni sguardo che le rivolgeva era intriso di amore. Ogni volta che la abbracciava sembrava che fosse la persona più fortunata del mondo, sia dal piccolo sorriso che faceva, che dal modo in cui i suoi occhi sorridevano. Ogni bacio per loro sembrava il primo. Ogni ti amo veniva dritto dal cuore come, immaginavo, fosse venuto la prima volta. Non avrei mai creduto che avrebbe potuto lasciarla. E non ne capivo nemmeno il senso: anche lui stava così male, no? Perché lo aveva fatto?

Carol mi aveva raccontato come si era svolta la discussione, a grandi linee, dal punto in cui li avevo lasciati. Dopo che Ashton l’aveva accusata di rovinare il loro rapporto, lei era andata su tutte le furie, non che prima non lo fosse. Aveva iniziato a gesticolare, dicendo che sarebbe stato meglio non conoscere mai Diana, e lui aveva risposto che sarebbe stato meglio non lasciarle mai da sole insieme, o Carol l’avrebbe uccisa. Le aveva rivelato del piccolo piano che avevamo escogitato, ma aveva detto di averlo abbandonato, dopo aver visto quanto lei fosse ingiusta e incallita nel suo sbagliare, così Carol gli aveva fatto notare di nuovo quanto stesse rovinando tutto, dicendo che non sarebbero mai arrivati a quel punto se non fosse stato per lei. A quel punto, Ashton aveva detto di essere felice che Diana fosse arrivata, perché magari avrebbe scoperto questo lato orribile di Carol troppo tardi. Carol si era sentita pugnalare. Gli aveva chiesto se lui pensasse davvero che questo suo lato fosse orribile e lui le aveva risposto che sì, era odioso, e stava contagiando tutto il resto, la stava cambiando. Le aveva detto che l’odio per Diana e Hellen la stava facendo diventare una ragazza come tutte le altre oche che si vedono in giro, e aveva detto di non voler stare con una persona così. Quando Carol gli aveva chiesto se la stesse lasciando, lui aveva annuito, solamente.

Diana si era trasferita a casa dei ragazzi dopo che Manuela le aveva fatto capire di non essere una presenza gradita. Le sue testuali parole?

 

"Senti, guarda. Non voglio dire che è colpa tua, ma è successo questo casino. Sarebbe meglio per Carol se non ti facessi vedere da lei, anche perché il litigio è partito dopo che hai insultato i nostri idoli. Ti sto chiedendo di trasferirti a casa dei ragazzi."

"Ma..."

"Niente ma. Non ci tengo a vedere una delle mie migliori amiche così distrutta. Ho già parlato con Michael, ti presterà la sua stanza. Non sia mai che tu debba dormire su un divano."

"Ma, aspetta..."

"Cosa c'è ancora?"

"Mi dispiace, lo sapete. Non avevo intenzione di provocare tutto questo..."

"Sai, Carol ti aveva consigliato un paio di occhiali. Te li consiglio anche io. Non ti sto chiedendo di essere come Coralie, a cui basta un'occhiata per capire tutto. Dico solo che quando Carol è arrabbiata si nota, e molto. Forse dovresti imparare a usare un po' di tatto."

"Io non..."

"Oddio, ma sei dura di comprendonio?! Vai a fare i bagagli e sparisci da questa casa!" aveva esclamato Manuela.

 

Diana se n'era andata un'ora e mezza dopo, portando con sé l'ultimo avvertimento di Manuela: "Non so dove tu voglia andare a parare. So che da quando sei qui sta andando male. Carol e Ashton si sono lasciati e tu sei così appiccicata a Luke che stai facendo star male Coralie. Ci scommetto che fra poco succederà qualcosa anche a Mickey e me, oppure a Maddy e Cal. Ti dico solo di stare molto attenta, perché posso sembrare dolce e coccolosa, ma se tocchi i miei amici mi tramuto subito in Hitler. Ok?" Diana, con le lacrime agli occhi, aveva annuito e se n'era andata.

Mi sentivo in colpa per come stavano andando le cose. Noi non eravamo quel tipo di ragazze, ma in quel momento Diana non doveva incrociare Carol, e io non avrei avuto il cuore di mandare via Diana. Così, lo aveva fatto Manuela, a modo suo.

 

Salii piano le scale con un vassoio in mano. Conteneva poco, dato che Carol non mangiava praticamente niente. Aprii la porta di camera sua e la trovai, come sempre, rannicchiata sul letto. "Coralie, è colpa mia?" mi chiese. Io rimasi sorpresa. Era da un po' che non pronunciava altro che monosillabi. "No, Carol, non è colpa tua. Non... Non solo, ecco" feci. Lei tirò su col naso. "Grazie per essere stata sincera" sussurrò poi. Io mi sedetti accanto a lei e posai il vassoio sul comodino. "Come stai?" chiesi cauta. "Come tutte le volte che me lo hai chiesto" rispose lei facendo spallucce. Il suo stomaco brontolò rumorosamente. "Carol, ti prego, mangia qualcosa..."

"Non capisci? Me lo merito."

"No, non te lo meriti. Non ti meriti nulla di tutto questo. Non ti meriti di soffrire così, e non dirò che lo stai facendo per uno stronzo, perché Ashton è il mio migliore amico e so com'è. Ti sto solo dicendo che potresti mettere a posto le cose con facilità. Basterebbe parlare con lui... E lo sai. Sai com'è fatto. Siete tutti e due troppo orgogliosi per fare il primo passo" dissi. Lei non rispose. "Posso rimanere sola, per favore??" chiese. Io sospirai. "Va bene. Però mangia qualcosa, ok?"

"Ci penserò."

Tanto non l'avrebbe fatto. Rassegnata, uscii dalla stanza e tornai al piano di sotto. Madison e Manuela mi guardarono, in attesa di una risposta. Io scossi la testa e loro abbassarono lo sguardo. Madison mi porse una tazza piena di liquido rosso. Sorrisi piano, mentre sorseggiavo il tè di karkadè ancora caldo. "Grazie."

"Figurati. Se non ci aiutiamo fra di noi chi lo farà?" Io ridacchiai. Manuela era silenziosa. Rigirava continuamente il suo tè con il cucchiaino, ci aggiungeva qualche granello di zucchero e ricominciava. Rimanemmo in silenzio per quelle che sembravano ore. Improvvisamente, Manuela sbatté un pugno sul tavolo, facendoci sussultare. "Mi sono altamente rotta le ovaie di questa situazione" esclamò alterata. "Anche noi, ma..."

"Niente ma. Se quei due sono troppo scemi per fare il primo passo, dovremo spingerli noi. E non me ne frega niente se è una situazione in cui non dovremmo entrare. Sappiamo tutte e tre quanto si amino quei due."

"Cosa intendi fare?"

"Coralie, mettiti la giacca. Vai a parlare ad Ashton. Sei la sua migliore amica, forse ti ascolterà. Madison, vai di sopra a cercare qualche foto di quei due insieme."

"E tu, cosa farai?"

"Come prima cosa fatemi buttare via questo tè. È così dolce che mi viene da vomitare."

Ci guardammo un attimo e sorridemmo. "Possiamo farcela" esclamò Manuela. Noi annuimmo e io corsi in anticamera a vestirmi.

Stavo per uscire, quando Manuela mi bloccò. "Coralie, ricordati una cosa. Non stai andando da lui per essere gentile. Stai andando da lui per fargli capire cosa si sta perdendo a stare lì in camera sua. Devi scuoterlo. Devi farlo ritornare in sé. Prendilo a randellate nelle gengive se può aiutare. Usa le sue stesse bacchette per picchiarlo. Qualsiasi cosa che lo risvegli, ok?" fece. Io sorrisi e annuii. Manuela si sfregò le mani. "Inizia la missione, ragazze!" esclamò. "Ehi, non ha ancora un nome, questa operazione!" fece notare Madison. "Che ne dite di 'operazione 007'?" chiesi. "Che ne dite di 'operazione vi-schiaffo-sotto-un-tir-se-non-vi-muovete'?" fece Manuela. "Ok, capito" feci io, uscendo di corsa.

 

Arrivai a casa dei ragazzi in poco. Suonai il campanello frenetica fino a che non venne ad aprirmi qualcuno. Era Michael. "Coco, ma che..." fece confuso. "Scusa, non ho tempo per spiegare, sono qui in missione" feci, superandolo. Lui mi prese per il polso per bloccarmi. "Come sta Carol?" mi chiese preoccupato. "È proprio per questo che sono qui" risposi risoluta. "D'accordo, ma non ammazzare Ashton. Anche lui sta male, cosa credi?"

"Lo so. Ed è per questo che sono qui, ripeto."

"Ah, ok. Pensavo volessi picchiarlo a sangue."

"La tua ragazza mi ha incaricato di farlo."

"No, ma che...?!" fece lui sgranando gli occhi allarmato. Io risi e mi divincolai. "Tranquillo, scherzavo" lo rassicurai. Lui sospirò sollevato. "Te e Manu insieme mi fate paura" confessò poi. Io risi. "Dai, vai. Ha bisogno della sua migliore amica" mi disse con un sorriso. Io ricambiai e lo abbracciai. "Ci vediamo dopo" feci. "Ah, Coco, stavo preparando un caffè. Vuoi favorire?"

"Lo sai che non mi piace."

"Vero, sei strana come il tuo ragazzo. Come fate senza caffè?!"

"È terribile!"

"Non insultare l'unica cosa che mi mantiene attivo, eh? Nelle mie vene scorre caffeina, altro che sangue" mi ammonì Michael sorridendo. Risi ancora prima di salutarlo e di andare al piano di sopra.

La camera di Ashton era la prima a destra. Davanti alla porta, c'era Calum. "Oh, ciao Coco. Senti, parlaci tu con questo, sta facendo deprimere pure me" mi disse. "Siamo messi così male?"

"Oh, è molto peggio di quanto tu possa pensare. Come sta Carol?"

"Molto peggio di quanto tu possa pensare." Lui fece un mezzo sorriso. Sembrava esausto. "Ti passo il testimone, allora."

"Perfetto. Ci vediamo dopo?"

"A meno che tu non esca dalla finestra..."

"Molto divertente."

"Lo so, era pessima. Ash sta facendo calare di molto il livello delle mie battute."

"Non è che prima fosse altissimo..."

"Aspetta, che rido" mi canzonò. Ridacchiammo e lui scese le scale. "In bocca al lupo" fece. Io lo ringraziai e mi ritrovai da sola in corridoio. Presi un gran respiro per farmi forza e aprii la porta. Ashton era sdraiato sul letto, raggomitolato, mi dava le spalle. "Vi ho detto di piantarla, ragazzi. Lasciatemi in pace!" esclamò quando sentì la porta chiudersi alle mie spalle. "Oh, no, tesoro. Non mi sono fatta tutta questa strada a piedi per vedermi rifiutata così" feci. Lui si voltò. "Ah. Sei tu."

"Ti aspettavi qualcun altro?"

"Speravo di starmene un po' da solo."

"E io speravo di poterti parlare."

"Non sono dell'umore giusto, Coco."

"Allora fai finta di esserlo e ascoltami."

Lui sbuffò mentre io mi sedevo di fianco a lui. Ne approfittai per guardarlo in faccia. Sembrava stravolto. Aveva delle occhiaie da far paura e l'incarnato grigiastro. "Come stai?" chiesi. Lui mi guardò inarcando le sopracciglia. "Davvero me lo stai chiedendo?"

"Certo."

"Beh, wow. Credo tu sia la prima."

"In che senso?"

"Nel senso che tutti sono troppo impegnati a consolarmi per capire cosa davvero fa male. Mi dicono tutti che passerà, ma io non voglio che passi."

"Perché?"

"Perché il giorno in cui non starò più così male per Carol sarà lo stesso giorno in cui smetterò di amarla."

Io sospirai. "Alzati, per favore. Non mi piace parlare così, non ti sento" feci. Lui non disse niente e si mise a gambe incrociate. Io lo imitai e ci ritrovammo faccia a faccia. "Sai perché sono qui?"

"Non lo so."

"Perfetto."

Lui mi guardò storta. "Cosa senti in questo momento?" chiesi. "Oddio, ti prego, non sarai qui per psicanalizzarmi?!"

"Tu rispondi e basta." Lui sbuffò. "Niente. Non sento niente."

"Sei così sicuro di non sentire niente?"

"Sì, Coralie. Non sento più nulla."

A quelle parole, io sussurrai uno: "Scusami, davvero" prima di tirargli uno schiaffo. "Ahi!" esclamò lui, sorpreso e dolorante. Si portò una mano sulla guancia, già arrossata. "Perché l'hai fatto?!" esclamò. "Ora senti qualcosa?"

"Ovvio che sento qualcosa! Fa un male cane, accidenti! Potevi toglierti gli anelli prima!"

"Visto? Il confine fra 'non sento niente' e 'sento eccome' è lieve. Basta poco a superarlo."

"Dovevi farmi male per farmelo capire?!"

"Tu e Carol siete fatti così" feci. Lui rimase in silenzio appena sentì nominare il nome dell'altra. "È bastato poco per tornare a sentire qualcosa. Ora che aspetti a tornare a sentire anche con lei?" chiesi dopo qualche secondo di silenzio. Lui abbassò lo sguardo. "Non è così semplice."

"Invece lo è!"

"Coralie... Con che coraggio posso andare da lei dopo averle detto quelle cose?" mi chiese. Io lo guardai a lungo. "Io mi chiedo invece con che coraggio puoi lasciarla nello stato in cui è ora. Se la ami, e so che la ami, tu adesso vieni con me."

"Coralie, non sei stupida. Anche tu conosci Carol. Sai che mi sbatterebbe la porta in faccia."

"Ah, guarda, lei non l'ho ancora presa a schiaffi, ma potrei iniziare. Nessuno fa del male al mio migliore amico." Lui sorrise piano. "Davvero dopo tutto quello che ho fatto mi consideri ancora il tuo migliore amico?" chiese. "Ash, ci vuole ben altro per farmi tagliare i rapporti con una persona. Sei ancora il ragazzo a cui voglio un bene dell'anima, non è cambiato nulla. Se non il fatto che la voglia di prenderti a schiaffi sale ad ogni secondo che stiamo qui." Lui rise piano, prima di tornare a guardare le sue mani. "Vieni qui" feci, saltandogli addosso all'improvviso e abbracciandolo. Lui perse l'equilibrio e ci ritrovammo sdraiati, stretti l'una all'altro. Lui mi circondò con le braccia subito e affondò il viso nella curva del mio collo. Sembrava un bambino, un cucciolo che cercava protezione. Sentii qualcosa di caldo colare lungo il mio collo. Stava... Piangendo?!

Ashton singhiozzò mentre mi stringeva di più. Ci volle poco perché scoppiasse a piangere. Io non dissi niente, mi limitai a stringerlo. Non aveva bisogno di parole in quel momento.

 

Passò un tempo che a me sembrò lunghissimo oppure troppo corto. Finalmente, lui tirò su col naso l'ultima volta. "Grazie. Ne avevo bisogno" mi disse. Io gli sorrisi. "Ti senti meglio?" chiesi. Lui esitò qualche secondo prima di annuire. "Te la senti di venire con me da Carol?"

"Non uccidermi ma... Non ancora."

"Ashton..."

"Non ancora, Coco."

Io sospirai. Stavo per dire qualcos'altro, quando il mio cellulare squillò. Era Manuela. Risposi: "Pronto?"

"Coco, dove sono le siringhe per Carol?!"

"Cosa succede?!"

"Ha un altro dei suoi attacchi. Stavolta è peggio però, sembra davvero fuori di sé!"

"Sono nel mio armadio. Arrivo subito."

"Fai in fretta!"

Misi giù e Ashton mi guardò interrogativo. "Carol ha uno dei suoi attacchi" feci solo. Lui sgranò gli occhi e trattenne il fiato. Lo osservai e: "Vuoi venire con me?"

"N-no. Peggiorerei solo la situazione."

"Forse hai ragione. Ma verrai, più avanti?"

"Non lo so."

"Ashton!" esclamai. Lui voltò la testa. Si chinò per prendere una cosa sul comodino e me la porse: erano le chiavi della sua auto. "Vai, corri, ha bisogno di te adesso. Non di me."

"Ash..."

"Corri, ti ho detto!"

Io non ribattei più e mi alzai dal letto. Uscii dalla stanza correndo e scesi le scale a due a due. Non salutai nessuno - mi sarei scusata dopo - e uscii dalla casa dei ragazzi.

Stavo per entrare in macchina quando mi venne in mente un piccolo particolare: non avevo la patente. E non ero nemmeno sicura di poter guidare bene in quelle condizioni. Così, tornai in casa. Aprii la porta e andai a sbattere contro l'ultima persona che volevo vedere in quel momento: Diana. "Coralie... Cosa succede?" chiese cauta. Io la guardai dubbiosa. Potevo fidarmi?

"Carol sta male, ho bisogno di Michael."

"P-perché?"

"Non ho la patente."

"S-se vuoi posso accompagnarti io" fece lei.

Io la guardai qualche secondo, prima di ricordarmi l’urgenza della situazione. “D’accordo” feci, senza altra scelta. Lei fece un piccolo sorriso incredulo, quasi non potesse credere che davvero stavo accettando il suo aiuto, e corse alla porta, dove si mise solamente la giacca pesante. Era in tuta e ciabatte. “Esci così?” chiesi.

“Siamo di fretta, no?”

Sorrisi piano. Forse, non era così cattiva come la descriveva Carol.

Usammo la macchina di Ash, in fin dei conti avevamo già le chiavi. Mentre guidava, Diana sembrava tesa. “Coralie, mi dispiace.”

“Lo hai già detto e non…”

“No, aspetta. Fammi finire. Mi dispiace. Non avrei mai voluto che succedesse questo. Non voglio che voi stiate male per colpa mia, e Manuela mi ha detto che anche tu ci stai male. Se vuoi che smetta di parlare con Luke, dimmelo, non voglio che succeda una cosa del genere anche fra voi.”

Io la guardai. Davvero avrebbe smesso di parlare a Luke per un mio capriccio? “Diana, è un bel gesto da parte tua, ma per me accettarlo significherebbe essere schifosamente egoista. Non voglio separare due amici. Perché questo siete, no?”

“Ovvio. Coco, non ci proverei mai con lui.”

“Sì, lo so” risposi incerta. Lei mi guardò un attimo, prima di tornare a fissare la strada. “Non mi credi, eh?” fece sconsolata.

“Mi dispiace. Sono fatta così. Terribilmente sospettosa e terribilmente gelosa e terribilmente insicura.”

“Ipotizziamo per assurdo che io ci stia provando. Cosa ti fa credere che lui preferirebbe me a te?”

“Non lo so. Vi conoscete da più tempo, siete cresciuti insieme.”

“Siamo anche stati insieme, se lo vuoi sapere.”

“Ah.”

“Ma ora non lo siamo più. Non siamo durati due mesi. Tu e lui, invece, da quanto state insieme?”

“Un bel po’.”

“Appunto. Coco, tu forse sei troppo occupata con le tue paranoie per accorgerti di quanto Luke non abbia occhi che per te. E fidati quando ti dico che è una persona fedele e sincera. Ti ama da impazzire e io non potrei essere più felice per voi.”

“Grazie.” Lei mi rivolse un piccolo sorriso, prima di accostare. Mi resi conto solo in quel momento che eravamo già a casa. “Grazie del passaggio” dissi in fretta. “Di nulla.”

“Scusa, ma non credo sia il caso di…”

“Tranquilla, non avevo nemmeno intenzione di chiedertelo.” Io annuii come a rimettere a posto le idee. “Ok, vado, ciao” feci poi, correndo verso casa. Lei mise in moto prima che io potessi arrivare alla porta.

Infilai le chiavi nella toppa e le girai velocemente, per entrare in casa e vedermi travolgere da Madison. “Dio, Coralie, per fortuna che sei qui! Corri, ti prego!” fece. Era sull’orlo delle lacrime. Cercai di tranquillizzarmi e la seguii fino a… camera mia?!

“Perché siamo qui?” chiesi. Lei mi indicò la finestra aperta e vidi che sul cornicione, largo circa venti centimetri, c’era Manuela. “Manuela, che fai?!” esclamai terrorizzata. “Zitta e dammi qualcosa di duro!” fece lei. “Cosa vuole fare?!”

“Carol è chiusa in camera sua a chiave e non ci vuole aprire. Manuela dice che è in crisi e che ha bisogno di quella siringa. L’unico modo per arrivare alla camera è rompere la finestra” mi disse Madison, indicandomi la siringa che Manuela teneva in mano. “Fai andare me!” feci subito. “Coco, sono già qui!”

“Ha visto me durante questi giorni, forse riesco a calmarla!” cercai di convincere Manuela. La verità? Avevo il terrore che si sbilanciasse e cadesse. Se qualcuno doveva fare un volo, preferivo essere io. Lei mi guardò qualche secondo, prima di tornare in camera con un balzo e porgermi la siringa. “Fai in fretta” disse. Io annuii e salii sul cornicione. Nonostante fossimo solo al primo piano, credetemi, avevo il cuore in gola. Mi tolsi le scarpe con un paio di centimetri di tacco: una la tenni in mano, l’altra la buttai giù, l’avrei ripresa dopo. “Che fai?” chiese Madison quando mi vide fare così. “Per stare meglio in equilibrio e per rompere la finestra” risposi, camminando piano verso la finestra di Carol. Fortunatamente, la trovai accostata, così riuscii ad aprire. “Chiamo Ashton” sentii dire a Madison. “No!” feci subito. “Perché?!”

“Te lo spiego io” rispose Manuela, mentre io entravo. Tirai un sospiro di sollievo prima di sentire un singhiozzo provenire dal bagno di Carol. Costeggiai il letto e aprii la porta piano. Carol era lì, con grandi lacrime che le rigavano il viso, seduta a terra, e… oddio, no. No.

“Carol!” scattai verso di lei e le allontanai la mano dal polso. “Lasciami!” esclamò lei. Io cercai di prendere la lametta, con cui si stava incidendo lunghi graffi, fortunatamente poco profondi. “Dammela, Carol!”

“No!”

Riuscii a sfilargliela dalla mano, tagliandomi le dita. Non ci feci caso e cercai di farla sdraiare con la pancia a terra, poi mi misi su di lei per tenerla ferma mentre cercavo il suo braccio per la siringa.

 

Ci volle un po’ perché il farmaco facesse effetto. In quell’arco di tempo, presi la lametta, la buttai fuori dal bagno e chiusi a chiave la porta, poi l’aiutai a rialzarsi. Lei rimase stordita un po’ e io ne approfittai per pulirle il polso.

Mi accorsi di tremare mentre con un asciugamano le tamponavo il braccio. Aveva tracciato due tagli obliqui e uno che li attraversava quasi in verticale. Non erano molto profondi ma perdevano un po’ di sangue. Lo aveva fatto per il puro piacere di farsi del male. Non sapevo se fosse peggio questo o l’idea del suicidio.

“Carol?”

“Mhm?”

“Riesci a capire quello che sto dicendo?”

“Più o meno.”

“Perché l’hai fatto?”

“Fatto cosa?” mi chiese con occhi leggermente stralunati, ancora rossi dal pianto. “Non ti ricordi niente?”

“Dovrei ricordarmi qualcosa?”

“Hai avuto una delle tue crisi.”

“Ah. E con cosa avrei fatto casino, stavolta?”

“Il tuo braccio.”

“Cosa?!” fece Carol, guardando finalmente il polso. Imprecò quando vide i tagli che ancora sanguinavano. Mi guardò con sguardo perso. “Coco, ti giuro che non ero in me.”

“Lo so, lo so.”

Stava per piangere di nuovo, si vedeva. La abbracciai più forte che potevo, ma lei rimase immobile. “Io non… Non so perché l’ho fatto. Ricordo solo che ho chiuso la porta a chiave e che sono andata sul letto. Credevo di essermi addormentata ma a quanto pare non è così.” Mi guardò un attimo e: “Ma, aspetta… io ho chiuso la porta a chiave, ne sono sicura. Come sei entrata?”

“Fidati, è meglio che tu non lo sappia” feci con un mezzo sorriso. L’aiutai ad alzarsi e l’accompagnai sul suo letto, poi andai ad aprire la porta. Madison e Manuela erano fuori, ad aspettare. Appena videro Carol tirarono un sospiro di sollievo. “Come stai?” fece subito Madison. Carol rimase in silenzio qualche secondo prima di scoppiare di nuovo a piangere. Madison sbiancò, ma non disse niente. Si limitò a chiudere la porta, facendomi gesto di fare qualcosa. “Per oggi sono stata abbastanza inutile” disse mortificata. Manuela le prese la mano e: “Non è vero. Dai, torniamo di sotto, stavamo lavorando. Poi, Coco, ci spieghi tutto” fece con un filo di voce. Io annuii e accostai la porta. “Carol…”

“Mi ricordo una cosa.”

“Cosa?”

“Vedi questi? Se non fossi arrivata tu avrei fatto altri due tagli obliqui. Il loro simbolo. Dio, Coralie, mi manca così tanto…” fece, coprendosi il viso con una mano per singhiozzare di meno. Io mi sedetti accanto a lei sul letto e l’abbracciai di nuovo. Lei si lasciò andare sulla mia spalla, singhiozzando rumorosamente. “Oggi sono andata a parlarci” dissi solo. Lei s’immobilizzò. “Non voglio sapere cosa ha detto” fece con voce rotta. “Carol…”

“Ci starei troppo male.”

“Perché non provi a parlarci tu?”

“Come posso parlarci dopo che mi sono comportata così male con lui?”

Mi venne da sorridere mesta nel notare quanto il copione si stesse ripetendo. “Tu non hai idea di quanto siate uguali” sussurrai. Lei tirò su col naso. “Non dire a Maddy e Manu che mi sono tagliata.”

“D’accordo.”

“Nemmeno ai ragazzi.”

“Ok.”

“Soprattutto Ashton.”

“Quello dovrai dirglielo tu.”

“No, Coco. Non posso. Si arrabbierebbe ancora di più.”

“Perché dovrebbe?”

“Tutti si arrabbiano sempre quando vengono a sapere che qualcuno si taglia.”

“Oh, io sono arrabbiatissima.”

“Ok, tutti eccetto te.”

“Basterebbe poco per scoprire che anche Ashton fa parte delle eccezioni. E anche Manu, Maddy e i ragazzi.”

“Ho troppa paura.”

Io sospirai. “Carol, ti vogliamo troppo bene per arrabbiarci con te per questo” dissi. Lei non rispose e io cercai qualcosa da dire, quel silenzio stava diventando pesante. Mi guardai intorno e notai un poster, che c’era sempre stato e che adoravo, ma che in quel momento diceva più verità di quanta potessi dirne io:

My advice is don’t spend your money on therapy. Spend it in a record store. – Wim Wenders.

Mi face venire in mente un’idea. A un soffio dall’orecchio di Carol, sussurrai: “You come to me with scars on your wrist, you tell me this will be the last night feeling like this.” Lei si staccò e mi guardò. Si asciugò una lacrima e mi rispose: “I just came to say goodbye, didn’t want you to see me cry, I’m fine.”

But I know it’s a lie.”

C’ero riuscita, le avevo strappato un mezzo sorriso. Dopo una settimana di apatia, era una vittoria. Quella canzone era forse una delle sue preferite. The last night, Skillet. Diciamo che era una delle canzoni preferite di tutte e quattro. Manuela e io eravamo proprio fissate con Skillet, tutta colpa di un mio amico che mi aveva fatto sentire una sola canzone, Hero. Mi aveva contagiato irrimediabilmente e io avevo contagiato Manuela, e un po’ di meno Carol e Maddy.

Carol mi abbracciò. “Grazie di essere qui” sussurrò. Io ricambiai la stretta.

Era un bel momento, più o meno. Un bel momento dopo sei giorni di ansia e tristezza.

Un bel momento che perse tutta la sua atmosfera quando lo stomaco di Carol brontolò rumorosamente.

Ci guardammo e ridacchiammo. “Ti prendo qualcosa da mangiare” decisi. Lei non si oppose. “Cambiati, io arrivo subito” feci dandole un bacio sulla gota. Lei mi rivolse un piccolissimo sorriso.

Io andai al piano di sotto, trovandomi davanti Manuela e Madison, che lavoravano ad un video, con le cuffie nelle orecchie. “Coco, come è andata?” mi chiese Manuela. “Meglio di tutte le altre volte. È un po’ incasinata, come situazione.”

“Ma no, non l’avrei mai detto, ma proprio mai.”

Io ridacchiai. “Senti, secondo te posso usare questa canzone?” mi chiese poi Madison. io mi avvicinai allo schermo e lessi il titolo. Sorrisi. “In questo momento credo sia perfetta, per quello che volete fare” dissi. “Oh, finalmente, ne faccio una giusta!” esclamò Madison a metà fra l’esasperato e il sollevato. Ridacchiammo e io presi qualcosa dal frigo che Carol potesse sbocconcellare. “Vuole mangiare?”

“Sì.”

Madison e Manuela esultarono. “Domani si festeggia, si apre la barretta di cioccolato Milka con dentro i pezzetti di Oreo” fece Manuela. “Hai il Milka Oreo?!” esclamai scandalizzata. “Stacci lontana! L’ho preso per Carol!”

“Io mi fidavo di te!”

“Sai che ti voglio bene, Coco” fece Manuela con un sorrisetto. Io la guardai truce, prima di mettere tutto sul vassoio che usavo da una settimana. “Coco, dai un’occhiata a questo” fece Manuela, passandomi l’auricolare. Io obbedii e lei fece partire il video.

Quando finì, io rimasi a bocca aperta. Avevo gli occhi lucidi. “Ragazze, mi volete far piangere? Ditemelo. Mi preparo.” Imprecai e mi asciugai una lacrima traditrice. Loro ridacchiarono. “Io vado di sopra, allora. Ci vediamo dopo. E, Manuela, facciamo i conti quando torno. Mi hai nascosto il Milka Oreo” la avvertii truce. Lei rise e mi mandò un bacio volante, mentre io andavo al piano di sopra. Entrai in camera di Carol. La vidi senza la maglietta, davanti allo specchio, che si esaminava il braccio tagliato e l’incarnato pallidissimo dal suo mangiare così poco. Sembrava dimagrita, nonostante non credevo fosse possibile dimagrire in sei giorni. Forse ero io che mi stavo suggestionando. Una cosa era certa: il viso era stravolto.

Carol si voltò verso di me, cercando di non far notare le sue lacrime. Tirò su col naso e tentò di farmi un lieve sorriso. Io lasciai il vassoio sulla scrivania e andai ad abbracciarla. Lei scoppiò a piangere, di nuovo. “Fa male, Coco.”

“Passeranno. Sono solo tagli.”

“Sai che non intendevo questo.”

Io la strinsi più forte. “Carol, te lo giuro. Questa è l’ultima notte che passi da sola.”

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Capitolo 29
*** Yours to hold. ***


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Yours to hold.

Le avevo giurato che quella sarebbe stata la sua ultima notte da sola.

Ora, vedendola sdraiata nel letto, sotto le coperte, col viso stravolto, appoggiato al braccio tagliato, caduta in un sonno leggero e agitato, non ne ero più così sicura.

Cercai di togliermi quei pensieri dalla mente.

Dovevamo farcela ad ogni costo.

Perché io, di vedere Carol così a pezzi, ero stanca.

Presi il cellulare e aprii la chat con Ashton. L’ultimo accesso risaliva a una settimana prima, così come l’ultimo messaggio. Era una foto che avevo inviato io e ritraeva Carol e Ashton abbracciati, li avevo sorpresi in quella posa e non avevo resistito. Lui non mi aveva più risposto, anche perché era esattamente di fianco a me, e il suo: “Sei proprio tremenda!” me lo aveva detto a voce ridendo.

Guardai la foto per un paio di secondi, poi gli inviai The last night.

La sua risposta non si fece tardare.

“Coralie, sono le due di notte.”

“Lo so.”

“Perché sei ancora sveglia?”

“Indovina.”

“… Come sta?”

“È successo un casino, Ash.”

“…”

“Ha bisogno di te.”

“…”

“Basta fare i tre puntini, puntinaro. Sono odiosi dopo un po’.”

“…”

“-.-”

“Cos’è la canzone?”

“Ascoltala. Se sei una persona intelligente, e so che lo sei, capirai cos’è successo e cosa devi farci.”

“Aspetta, ma è The last night… Cosa è successo?!”

“Buonanotte, Ash. A domani.”

“Coralie! No, ti prego!”

Io non gli risposi più.

 

Il mattino dopo, andai a casa dei ragazzi, verso le nove. Mi venne ad aprire Michael, come il giorno prima. “Adesso tu mi dici che è successo ieri, che cosa gli hai detto” fece. Io lo guardai sorpresa. “Mikey, ho troppo sonno per capirci qualcosa. Che è successo?”

“Vieni dentro, ti racconto tutto.”

Io obbedii e entrai in casa. La prima cosa che vidi fu Luke, addormentato sul divano. “Perché è qui?” chiesi. “Diana dorme in camera sua. Facciamo a turno.” Io non risposi e mi avvicinai a Luke. Gli posai un bacio leggerissimo sulla guancia per non svegliarlo e seguii Michael in cucina. “Dicevi?”

“Dicevo che ieri notte, alle tre, e ripeto alle tre, ho sentito dei rumori al piano di sotto. Paranoico come sono pensavo fosse un ladro, quindi sono andato di sotto con la prima cosa che mi è venuta sotto mano, il che ovviamente significa che stavo brandendo la spada laser di Star Wars. Può sembrare una cretinata ma è resistente. Secondo te, non stavo per ammazzare Ashton a furia di spade in testa?”

Io trattenni una risata. “Coco, non so se hai realizzato quel che ho detto. Era Ash. Non è uscito da camera sua per sei giorni. Quando l’ho visto ho pensato che mi sarei preso un infarto meno potente se fosse stato il ladro.”

“Mikey, se stai provando ad essere serio, ci stai riuscendo davvero poco.”

“Coralie!”

“Ok, la smetto.”

“Era ora. Dicevo, era Ashton. Ci siamo presi un colpo tutti e due e lui mi ha guardato malissimo perché stavo per picchiarlo con una spada laser. Gli ho detto che non poteva biasimarmi e gli ho chiesto che ci facesse al piano di sotto. Lui mi ha detto che era colpa tua se era uscito dalla sua camera e che stava cercando qualcosa da mangiare. Non ha mangiato praticamente niente per tutta la settimana!”

“Come Carol.”

“Ecco, ha detto qualcosa riguardo a Carol che stava male. Ti giuro, era terrorizzato, nonostante cercasse di nasconderlo.”

“E allora perché non è venuto da noi?!”

“Primo, perché erano le tre di notte, e lui è una persona più o meno sana di mente. Secondo, perché ha paura. Coco, hanno paura entrambi.”

Io abbassai lo sguardo. “Già” feci solo. “Come sta Carol?”

“Ieri sera ha toccato il fondo. Spero.”

“Cosa è successo?”

“Un’altra crisi, ma stavolta molto peggiore.”

“Oh.” Io non aggiunsi altro e lui non fece altre domande. Lo avrei ringraziato per questo, se non fossimo stati interrotti da Luke. “Coco? Piccola, che ci fai qui?” mi chiese confuso. “Sono appena arrivata. Sono venuta a parlare con Ash.”

“Ok” fece lui prima di sedersi accanto a me. Mi diede un bacio a stampo e mi tirò sulle sue ginocchia. Io mi appoggiai al suo petto e lui mi circondò la vita con le braccia, iniziando a baciarmi piano il collo. Michael sbuffò. “Mi manca Manuela” borbottò. Noi ridacchiammo, mentre io sentivo un brivido percorrermi la spina dorsale mano a mano che lui raggiungeva il mio punto debole, poco dietro l’orecchio. “Stamattina Luke è famelico” mormorò ridacchiando Michael. Io continuavo a sistemarmi meglio sulle sue gambe per trovare una posizione comoda. Lo sentii grugnire. “Piccola, ti prego, smettila di muoverti” fece con voce roca, in un sussurro a malapena accennato, nel mio orecchio. Io arrossii violentemente e obbedii, capendo dove volesse andare a parare.

“Tu non eri qui per parlare con Ashton?” mi chiese Michael divertito. Non sembrava per niente imbarazzato. “Starà ancora dormendo” fece subito Luke. Non sembrava particolarmente voglioso di lasciarmi andare tanto facilmente.

Tornò a concentrarsi su quella piccola zona di pelle proprio dietro al mio orecchio e io rabbrividii. Mi faceva impazzire quando mi baciava lì, in quel modo così diverso dal suo solito, con quei baci famelici e bagnati. Improvvisamente sentii i denti di Luke e trasalii, mentre lui sussurrava uno: "Scusa, non ho resistito" nel mio orecchio e tornava a occuparsi del lembo di pelle, stavolta con dolcezza. "Ragazzi, avvertitemi se devo voltarmi" ci disse Michael, che sembrava enormemente divertito dalla situazione. Luke sbuffò impercettibilmente, mentre giocherellava con le mie mani, strette fra le sue. Ancora una volta, diede un altro paio di baci al punto della pelle che stava martoriando, succhiando un po'. Io mugolai chiudendo gli occhi. Era piacevole.

"Ragazzi, facciamo così, vado a vedere se Ash è sveglio" disse Michael. Io annuii piano mentre Luke emise un verso di assenso. Lui ci guardò qualche secondo, ridacchiando sotto i baffi, prima di alzarsi con un: "Questi giovani, quanta pazienza ci vuole" e andare molto lentamente al piano di sopra. "Comunque, se avete bisogno di preservativi, Ash è pieno, e non credo li userà a breve" fece. "Mikey!" esclamai io. Anche Luke distolse l'attenzione dal suo lavoro per guardarlo male. Lui rise di nuovo e sparì al piano di sopra. Io abbandonai di nuovo la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Sentii il respiro caldo di lui solleticarmi il collo, prima di sentire la lieve pressione delle labbra. "Vuoi che smetta?" mi chiese. Io scossi la testa leggermente e lui mi strinse più forte. "Scusa se prima ti ho messo in imbarazzo" sussurrò. "Capita" risposi io facendo spallucce. La verità? Se prima mi aveva messo a disagio, ora bramavo il tocco di quelle labbra. Lui sembrò accorgersene e ridacchiò, tornando a baciare la pelle. Mi mordicchiò di nuovo, insistente, ma senza troppa forza, per non farmi male. Io gemetti impercettibilmente e lui soffiò piano sul punto di pelle bagnato, facendomi rabbrividire, di nuovo. Mi spostai ancora e lui mugugnò. "Scusa."

"Tranquilla, piccola."

Intanto, continuava a lasciare baci bagnati, tanto che mi chiesi fino a quando sarebbe andato avanti. Baci bagnati, alternati a morsi e a momenti in cui succhiava piano. Io, intanto, avevo gli occhi chiusi e mi godevo ogni sensazione.

Sentimmo dei passi dal piano di sopra e Michael riapparve. "Ora è sveglio" fece con un sorrisetto innocente. Dieci a uno che lo aveva svegliato lui.

Luke mi morsicò e mi baciò un'ultima volta. "Dai, vai a parlarci" mi esortò. Io annuii e mi alzai. Lui mi catturò di nuovo e mi diede un piccolo bacio a stampo, stavolta sulle labbra, prima di lasciarmi.

Io percorsi la strada dalla cucina alla camera di Ashton con un sorriso ebete. Prima di bussare, mi asciugai la pelle bagnata dietro l'orecchio. Aprii piano la porta e mi trovai davanti una scena strana: Ashton era in mezzo ad un mucchio di coperte, per metà sul pavimento, per metà che lo coprivano scompostamente. Lui aveva il viso affondato nel cuscino, tanto che mi chiedevo come facesse a respirare.

"Ash, sei sveglio?"

"Per colpa di Michael" mugugnò lui assonnato. "Ok, puoi svegliarti completamente?"

"Chiedi tanto per uno che non ha dormito fino alle cinque a causa di un tuo messaggio."

"Ops."

Lui si alzò e si stiracchiò. Aveva il viso stravolto, ma stavolta dal sonno. "Come stai?" gli chiesi, sedendomi sul letto a gambe incrociate. "Assonnato. tu?"

"Assonnata."

"... E Carol?"

"Pensa alla canzone."

"Dio, ho paura di aver fatto un casino."

"Il casino lo avete fatto in due, ma potresti risolverlo anche da solo."

"Coco..."

"Coco un bel niente. Sarebbe facile, Ash, e lo sai."

"Non sarebbe facile."

"In che senso?" chiesi. "Con Carol non è mai stato facile. Con Carol era un continuo inizio. Con lei non puoi sederti sugli allori. Carol è una di quelle ragazze che ha bisogno di essere conquistata ogni giorno. E anche per questo sono così innamorato di lei. Mi manca lottare ogni giorno per vederla sorridere, e sapere che quel sorriso era merito mio."

Io non dissi niente per qualche secondo. Mi chiesi perché due persone così innamorate fossero costrette a stare lontane da una cosa insulsa come la paura.

La gente è stupida, pensai.

"Se potessi tornare con lei oggi, lo faresti?"

"Sì, ma non mi dimenticherei quello che è successo."

"Perché?" So che potevo sembrare stupida ma mi ero resa conto di una cosa: spesso, per realizzare qualcosa bisogna dirlo ad alta voce. Ero abituata a fare domande dementi per chiarire le cose più semplici nella mente degli altri, per districare almeno un po' la matassa dei pensieri confusi.

"Terrei l'esperienza, così, la prossima volta che mi viene da dire qualche altra cretinata, ci penserei due volte. Penserei a come mi sento perso in questo momento e a tutti i problemi che le mie parole hanno causato. Penserei a quanto sto male. Penserei a quanto è stato difficile conquistarla, e a quanto è stato facile perderla. Penserei a tutte le volte che mi sono detto che ne vale la pena. Penserei a questo, e smetterei di urlare. La prenderei e la bacerei, come se fosse la prima o l'ultima volta, per farle capire quanta paura ho di perderla, per farle capire quanto vale per me, per farle capire che senza di lei non potrei essere felice. Se avessi l'opportunità di riaverla e stessimo litigando, farei così."

Io sorrisi piano, prima di notare il luccichio nei suoi occhi. Respirava a scatti. Stava per piangere. "No, no, ehi, non piangere, non ti azzardare a piangere, che dopo piango pure io" feci. Lui ridacchiò ma questo non bastò a fermare la lacrima che rotolò sulla sua guancia, seguita da molte altre. Io lo abbracciai e lui si strinse a me, appena prima di iniziare a singhiozzare. "Fa male da morire" sussurrò con voce rotta.

 

Quando riuscì a calmarsi, gli proposi di parlare d’altro. Lui tirò su col naso. “Sicura al cento per cento di voler parlare d’altro?” mi chiese. Io annuii e lui: “Bene. Allora parliamo di questo: da quando Luke fa succhiotti?”

Io arrossii di botto e istintivamente mi portai una mano al collo. “Si nota così tanto?”

“Coco, sei un semaforo. Come minimo domani è viola. Ci è andato giù di denti, eh?”

“Solo un po’. Si vede tanto?”

“L’ho notato quando sei entrata.”

“Oh, ok. Carino.”

Lui ridacchiò nel vedere il mio disappunto. “Carol non mi ha permesso di farne uno, durante i mesi che ci incontravamo di nascosto. Non voleva che tu e Manu sospettaste qualcosa. Però mi ha morsicato il labbro a sangue, e io ho fatto la figura del cretino, perché ai ragazzi ho detto di essere inciampato ed essermi morso il labbro. Mi hanno preso in giro per due settimane.” Io mi lasciai andare ad una risatina. “Ma alla fine, non ci avete mai raccontato come vi siete incontrati.”

“E non lo racconteremo mai.”

“Ash, ti prego!”

“È un segreto!”

“È così scandaloso?! Vi siete incontrati in un bordello, per caso?!”

“Può darsi…”

Io sgranai gli occhi e lui rise. “Sto scherzando, scema.”

“Mi hai fatto prendere ventisette infarti di fila.” Gli scappò un’altra risata. Era bello vederlo ridere, ma era un piccolo raggio di sole che filtrava da una coltre di nuvole grigiastre e subito veniva soffocato.

“Ash, vado un attimo in bagno. Per quando torno, tu devi aver organizzato il discorso: mi racconterai tutto.”

“Contaci.”

Io alzai gli occhi al cielo e uscii dalla stanza. Mi diressi verso il bagno, proprio per vedere Diana che ne usciva. Mi salutò piano, quasi avesse paura di sbagliare. Io ricambiai e entrai in bagno, ma lei mi bloccò un attimo prima che io chiudessi la porta. “Come sta Carol?”

“Meglio.”

“Sono felice.”

Io feci un sorriso tirato, non ero proprio dell’umore di parlare con lei. Diana mi prese una ciocca di capelli e me la portò sulle spalle. “Così quelli che ti vedono non ti chiederanno tutti la stessa cosa” fece con un mezzo sorriso. Io arrossii, prima di chiudere la porta, salutandola.

Mi guardai allo specchio, per esaminare il succhiotto. Era rosso eccome. Mi sistemai i capelli per evitare che si notasse troppo e mi feci una treccia sfatta, di lato, che lo copriva più o meno completamente. In quel momento, il mio cellulare squillò. Numero sconosciuto. Mi chiesi chi potesse essere. “Pronto?”

“Coralie?”

“Sì, chi parla?”

The motherfucking princess.”

“Avril!” urlai nella cornetta. Lei rise sonoramente. “Sì, sono io. Scusa se non mi sono fatta sentire prima ma ho fatto un casino e non trovavo più il tuo numero, non chiedermi come. Alla fine ho minacciato di morte chiunque non riuscisse a ritrovare il tuo numero e casualmente Liam l’ha ritrovato. Allora? Che racconti??”

“… Tu non puoi capire il casino che è successo.”

“Oh, wow, manchiamo noi e succedono casini?”

“È iniziato tutto da una discussione su di voi, pensa.”

“No, cara, tu adesso mi racconti tutto.”

Ridacchiai un attimo prima di raccontarle ogni cosa. Avril rimase in silenzio per tutto il tempo. Ci misi un po’ di tempo, ma quando finii, lei si schiarì la voce.

“Allora. Diana non ha sbagliato ad esprimere la sua opinione, ma per tutti quelli che insultano la musica altrui, fidati, c’è un girone all’Inferno riservato e particolarmente cruento. Quindi, c’è un girone all’Inferno anche per lei. Dillo a Carol, che magari la fai sorridere un po’. Mi dispiace molto che stiano entrambi così male, e hai ragione, le persone innamorate sono proprio stupide. Mi dispiace molto per tutto.”

“Dispiace a tutti, anche a Diana.”

“Ok, il girone sarà meno spaventoso.”

Io ridacchiai. “Abbiamo avuto un’idea, comunque. Anzi, Manu l’ha avuta.”

“Sono tutta orecchie!”

Le raccontai cosa avremmo fatto durante il pomeriggio. “Ti rendi conto che è un’idea grandiosa e che di amici come voi non ce ne sono molti?” mi chiese. Io sorrisi. “Grazie, ma potrebbe essere ancora meglio.”

“In che modo?”

“Mi serve sapere come si sono conosciuti.”

“Non lo sai?”

“No. Si sono frequentati in segreto per due, tre mesi, e non ci hanno mai raccontato nulla.”

“Forse è proprio questa la chiave.”

“Non ti seguo.”

Lei mi spiegò la sua idea, facendo alcuni esempi che mi fecero ridere. “Secondo te, ci può stare?”

“Certamente! Lo dirò subito a Manu e Maddy!”

“Sono felice di avervi aiutato!”

Io sorrisi nel sentire la spontaneità di Avril. Stavo parlando con il mio idolo come se fosse una mia cara amica. Non riuscivo a crederci. Avevo sognato quel momento troppo a lungo, ci avevo fantasticato così tanto, che ora era così strano…

“Coralie, ora devo andare, ho un chihuahua isterico che rompe le ovaie.” Sentii Liam lamentarsi e Avril urlare di fare silenzio, perché era al telefono e stava parlando di una cosa importante. Non riuscii a trattenermi e urlai: “Ciao Liam!”

Seguì un secondo di silenzio imbarazzante, poi Avril tornò al telefono: “Mi hai fatto perdere l’uso di un timpano.”

“Ops.”

“Vuoi salutare l’essere schizzato? Te lo passo?”

Avrei voluto urlare di nuovo, ma mi limitai ad un: “Va bene!”

 

La telefonata sarebbe dovuta durare poco, ma mi ritrovai a fare il giro di tutti i ragazzi e a perderci una decina di minuti buoni con ognuno di loro. Alla fine, ero stata al telefono un’ora. Avril si era ripresa il telefono e mi aveva detto che stava finendo il credito, grazie ai ragazzi, e che le dispiaceva ma doveva mettere giù.

Quando misi giù il telefono, mi arrivò un suo messaggio, con tutti i numeri, e in cui mi chiedeva i nostri. Passai una decina di secondi a cercare di non urlare dalla gioia, poi uscii dal bagno. Andai a sbattere contro Luke, che probabilmente aspettava lì da un po’. “Sei qui da tanto?”

“Non parliamone, ti prego.”

“Scusa…”

“Tranquilla, piccola. Con chi eri al telefono?”

“Con Avril e i ragazzi!”

Lui si aprì in un sorriso entusiasta. “Alla fine, ti ha dato tutti i numeri?”

“Sì, li vuoi?”

“E me lo chiedi?!”

Scoppiammo a ridere, ma a poco a poco lui si fermò, con lo sguardo posato sul lato del mio collo. Mi spostò i capelli e fece una faccia stupita, che sembrava dire: “Aiuto.”

“Ti giuro che non so cosa mi sia preso” fece arrossendo. Io sorrisi nel notare come il vecchio Luke fosse tornato alla carica. “Spero che non lo notino troppo le ragazze, farebbero troppe domande.”

“Non è nemmeno tanto grande, dai.”

“Se lo dici tu… Comunque, darebbero di matto per molto meno.”

Lui si morse le labbra e fece un mezzo sorriso. “Allora diamo loro una buona ragione per cui dare di matto” fece, avvicinandosi a me e sollevandomi il viso con un dito. Fece incontrare le nostre labbra in un bacio dolce ma allo stesso tempo famelico. Io chiusi gli occhi e ricambiai, mentre lui mi spingeva delicato contro il muro. Scivolammo contro la parete, fino a ritrovarci accovacciati a terra, e lui invertì le posizioni: mi ritrovai seduta a cavalcioni sulle sue cosce, mentre lui era con la schiena appoggiata al muro. Continuammo a baciarci, mentre lui disegnava piccoli cerchi sulle mie guance con i pollici e mi carezzava i capelli con delicatezza, sapendo quanto quel semplice e tenero gesto mi facesse impazzire. “Ti amo” sussurrai sulle sue labbra. Lui stava per rispondere, quando fummo interrotti da qualcuno che esclamava ad alta voce: “Santo cielo!”

Ci prendemmo un infarto entrambi, chiunque fosse aveva i passi molto leggeri. Ci voltammo verso le scale e notammo la figura di Hellen, che ci guardava scandalizzata. Ci alzammo subito e notai che Luke era diventato viola. Perché si vergognava così?

“Vi sembra il modo, qui, dove possono vedervi tutti?!” fece isterica Hellen. Io inarcai scettica un sopracciglio, ma rimasi in silenzio. “Scusa” fece mortificato Luke. Mi voltai a guardarlo, sorpresa, ma lui non rispose al mio sguardo. Hellen si avvicinò a me e: “E tu, non eri mica con la tua amichetta nevrotica?!” fece con voce stridula. Io non risposi e trattenni un sorriso, perché avevo visto benissimo chi c’era dietro di lei: Ashton era uscito da camera sua, attirato dalle urla, e ora la guardava assassino. “Hellen, qui l’unica nevrotica sei tu. Per prima cosa, non dare mai più della nevrotica a Carol, o a nessuno dei miei amici. Ho litigato con lei per difendere te e Diana, ma mi sto pentendo molto del primo motivo. Secondo, la prossima volta che vedi due che si baciano, li lasci in pace. Ok?” fece duro. Hellen si voltò verso di lui, rossa in viso dalla rabbia. “Ma erano per terra, sembrava che ci fosse molto più di un bacio, e lei ha quel segno rosso sul collo!” fece come una bimba capricciosa. “Saranno affari loro di quello che fanno, no? Se Luke le vuole lasciare un segno sul collo, che ne lasci quanti ne vuole. Se si vogliono baciare, sono liberissimi di farlo. E se volessero andare oltre al bacio, sai che ti dico? Sarebbe anche ora che lo facessero. E sarebbe anche ora che tu la smettessi di mettere quel naso adunco che ti ritrovi nelle nostre faccende. Sei la benvenuta, qui, insieme a tua figlia, ma fino ad un certo punto. Sto perdendo la pazienza e ti giuro che ce ne vuole, per farla perdere a me. Quando l’avrò persa completamente, sarai già fuori da questa casa. Sono stato chiaro?!” sbottò. Rimanemmo tutti immobili nel vedere la rabbia con cui aveva sputato quelle parole. “Ma, loro…” balbettò di nuovo Hellen. “Ma loro un corno. Luke, Coco, venite qui per favore” fece Ashton, indicandoci la sua stanza. Luke ed io ci infilammo nella camera in fretta e furia e Ash chiuse la porta dietro di noi. Sentimmo i passi di Hellen che si allontanavano e Ashton tirò un sospiro per calmarsi. “Ma è sempre stata così?” chiese a Luke. Lui annuì. “Beh, in questo momento la trovo proprio odiosa. Ora riesco a capire Carol, sapete?” Io sorrisi piano, ma Luke no. “Non siate così cattivi con lei, sa essere molto buona, anche se ora non sembra. È solo scombussolata da questa sua specie di trasferimento”  la difese. “Ok, ma non deve scombussolare anche noi” disse Ashton risoluto. “Non essere egoista…”

“Non sono egoista a vuoto. Mi hanno strappato il cuore, me l’hanno frantumato e hanno rimesso i frammenti in modo sparso nel buco che li ospitava. Mi hanno spezzato, e permetti se ti dico che non voglio che questo succeda anche a voi” disse. “Questo non succederà” fece subito Luke, stringendomi una mano. “Facile dirlo quando sei dentro. Ma guarda da fuori, e poi riparliamone” ribatté Ashton, lanciandomi una minuscola occhiata. “E con questo, cosa intendi?”

“Che se fossi furbo, arriveresti a capire quello che Carol aveva previsto da subito.”

“Ok, ragazzi, basta” feci io. Loro si guardarono un attimo, prima di acconsentire. “Vado a preparare qualcosa da mangiare” fece poi Luke, uscendo dalla stanza. Non riuscii a fermarlo e rimasi sola in stanza con Ashton. “Ma si può sapere che ti è preso?!” sbottai subito. “Senti, Coralie, non negarlo. Anche tu sopporti poco Diana e non sopporti per niente Hellen.”

“E con questo?”

“Secondo te non ho visto quanto ci stavi male, quel pomeriggio prima del concerto, quando Luke aveva occhi solo per Diana? L’abbiamo visto tutti. Abbiamo visto tutti quanto cercavi la sua attenzione, ma lui non ti ascoltava, troppo impegnato a prestarla all’affascinante amica dell’infanzia.”

“Stai parlando proprio come Carol!”

“Perché mi rendo conto solo ora che aveva ragione a temere per la vostra incolumità!”

“Non riusciranno a separarci.”

“Non dovevano riuscirci nemmeno con noi, eppure guardaci.”

Io deglutii. “Coco, lo sto facendo per te. Non voglio vederti soffrire. Non come sto facendo io. Non voglio che Luke spezzi il tuo cuore senza nemmeno saperlo. Non come è successo con Matt.”

Io sbiancai. “Come sai di Matt?!” chiesi. “Carol mi ha raccontato tutto un mesetto fa; mi aveva pregato di non dire niente ma in questo momento mi serve. Ti ha spezzato il cuore per così tanto tempo, e tu non hai fatto altro che permetterglielo! Sei troppo innocente e buona per dire quando qualcosa ti fa male, ma dovresti urlare in faccia a Luke quanto Diana ti faccia sentire messa da parte! Dovresti dirglielo e trovereste una soluzione insieme! Ma non puoi rimanere zitta, perché a tenerti tutto dentro prima o poi soffochi, così come stavi soffocando con Matt! Non gli hai detto niente quando ti sentivi messa da parte. Non gli hai detto niente quando lui era sempre più distante. E non gli hai detto nulla nemmeno quando li hai trovati insieme, nel suo letto! Ma non capisci?! Coralie, devi parlare con Luke, stavolta! Devi scuoterlo, perché lui non lo capirà mai da solo! È troppo innocente e buono pure lui per capire quanto questo suo essere amico con Diana ti faccia male. E tu diglielo! Perché se no, stavolta, l’errore sarà tuo, non di uno stronzo che ti ha tradito con una prostituta!” urlò Ashton. Io mi sentii schiaffeggiata da quelle parole. I miei occhi iniziarono a pizzicare e sentii un nodo alla gola e alla bocca dello stomaco. Lui mi guardò per qualche secondo, ancora furioso, prima di accorgersi di quello che aveva detto. “No, Coco, io… non piangere” fece a bassa voce, quando la prima lacrima scese lungo la mia guancia. Ashton mi abbracciò ma io non ricambiai, troppo a pezzi per quello che aveva appena detto. “Scusami, Coco, non volevo essere così duro” disse, cercando di farmi smettere di piangere. Io singhiozzai. “No-non è colpa mia se mi tengo tu-tutto dentro… Non voglio che Lu-Luke soffra…”

“Ma non devi soffrire nemmeno tu.”

“Sa-sai, Ash? Tutte le persone che mi cir-circondavano, mi hanno fatto capire una cosa: è meglio che stia male io, anziché far star male qualcun altro.”

“Beh, allora eri circondata proprio da persone del cavolo, che non meritano nemmeno una tua unghia.”

Io non risposi. Mi limitai a singhiozzare di nuovo contro il suo petto. “Coco, mi dispiace se ti ho urlato contro. Ma l’ho fatto per te. Dovrei essere il tuo migliore amico, in teoria, e non voglio essere uno come quelli che ti hanno fatto credere di essere meno importante di chiunque altro. Tu sei importante. Sei importante per noi, sei importante per me, sei importante per Luke. Cavolo, se sei importante per Luke. Una volta mi ha detto che per farti felice farebbe qualsiasi cosa, perché a lui basta un tuo sorriso per esserlo. Fidati di me quando ti dico che era sincero. Non sta bene nemmeno lui nel vederti così triste. Credimi, io lo so.”

“E come fai a saperlo?”

“In questa settimana, quando pensava che dormissi, veniva in camera mia e parlava. A bassa voce, per non svegliarmi, diceva tutto quello che pensava. Ogni sera. Poi se ne andava, dicendo che era bello avere qualcuno con cui parlare, anche se quel qualcuno era addormentato. Non sa che in quei momenti ero più vigile che in tutto il resto della giornata. E una sera, sai che mi ha detto?”

“Cosa?”

Lui tirò fuori il suo cellulare e mi fece vedere una registrazione, prima di farla partire. Riconobbi subito la voce di Luke.

“Sai, Ash, non capisco cosa stia sbagliando. Vedo Coco sempre più giù ultimamente. Non so cosa stia succedendo, ma ogni volta che provo a farla sorridere, c’è sempre quell’ombra, come se stesse pensando a qualcos’altro, qualcosa che la rende triste. Non ho il coraggio di chiederle di cosa si tratti. Ma fa male sapere che un’ombra riesce a portare via tutto quello per cui stai lavorando. Mi manca la mia piccola Coco, a cui bastava un niente per sorridere. Mi manca la Coco spensierata. Forse è normale per una ragazza avere questi momenti, ma per me è difficile sapere che non basto più per farla felice. Mi sento inadeguato, capisci? Fa male. E mentre cerco di farla sorridere e la vedo sempre più giù, mi devo trattenere per non scoppiarle a piangere davanti. Vorrei buttarmi in ginocchio e chiederle cosa non va, se sono io, se è colpa mia, perché se così fosse farei di tutto per rimediare. Non voglio essere la causa della sua tristezza. Mi ucciderebbe sapere che l’ho fatta piangere. È un fiore troppo bello e fragile per un mondo del genere, sai? A volte mi dimentico che sa difendersi, che non è così piccola e indifesa come la vedo io, ma poi, quando la guardo, vedo la stessa Coralie che è crollata davanti a sua sorella, la stessa Coralie che è scoppiata a piangere davanti a me così poche volte per paura di essere debole, la stessa Coralie che quando ha incrociato il mio sguardo la prima volta ha sorriso timida ed è tornata a guardare per terra. Lei potrà sempre contare su di me. Speravo che i miei gesti riuscissero a farglielo capire – sai come dico sempre, un ragazzo dirà alla sua ragazza di amarla, un uomo lo dimostrerà, e io voglio essere un uomo, almeno in questo – ma a quanto pare non è così. Forse dovrei dirglielo a voce. Forse servirebbe un po’ di più, in questo momento. Ogni giorno che passa, però, sembra sempre più difficile dirle che sarò sempre lì a sostenerla. Lei mi sembra sempre più lontana. Non posso farci niente. Quando la vedo che si nasconde dietro ai suoi capelli, mi chiedo sempre cosa la faccia stare male. Vorrei avere un modo per dirle tutto questo. Eppure, ogni cosa che faccia, sembra che io stia sbagliando. Sto sbagliando, Ash? Sono un ragazzo così orribile da non saper dimostrare alla ragazza che ama con tutto sé stesso quanto lei sia importante?”

La registrazione si interruppe e io sentii le lacrime premere ancora una volta per uscire. “Ora capisci quello che intendo?” mi chiese Ashton. Io annuii piano. “Dai, vai di sotto. Chiedigli scusa da parte mia e non dirgli che ho questa registrazione. Perderei l’effetto sorpresa, dato che dopo le prime due notti ho registrato tutti i suoi monologhi.” Io ridacchiai fra le lacrime e abbracciai Ashton. Lui ricambiò e: “Accidenti, si sono invertiti i ruoli.”

“Già.”

“Quindi posso prenderti a schiaffi come hai fatto con me??”

“Provaci, giuro che ti eviro.”

“D’accordo scherzavo” fece lui con fare angelico. Ridacchiai e lui mi stampò un bacio sulla fronte. “Piccola Coco, la gente si comporta da stupida quando è innamorata. Io per primo sto facendo lo stupido, per non dire qualcos’altro. ma, come hai detto tu, ci vorrebbe poco. Nel tuo caso, solo una ventina di scalini.” Io sorrisi piano e gli diedi un bacio sulla guancia. “Che ci fai ancora qui?! Ti muovi?!” fece lui. Io annuii e lo ringraziai, prima di uscire dalla camera.

Feci di corsa gli scalini, ma mi fermai quando vidi la figura di Luke in cucina. Aguzzai la vista e notai che aveva gli auricolari nelle orecchie. Stava cantando. Mi feci piccola piccola contro il muro per capire cosa stesse canticchiando senza essere notata.

I see you standing here, but you're so far away

Starving for your attention, you don't even know my name

You're going through so much, but I know that I could be the one to hold you

Every single day I find it hard to say I could be yours alone

You will see someday That all along the way I was yours to hold

I was yours to hold

I see you walking by, your hair always hiding your face

I wonder why you've been hurting, I wish I had some way to say

You're going through so much, don't you know that I could be the one to hold you?

Every single day I find it hard to say I could be yours alone

You will see someday that all along the way I was yours to hold

I was yours to hold

I'm stretching but you're just out of reach

You should know, I'm ready when you're ready for me

And I'm waiting for the right time for the day I catch your eye

To let you know that I'm yours to hold

Every single day I find it hard to say I could be yours alone

You will see someday that all along the way I was yours to hold

I was yours to hold

Every single day I find it hard to say I could be yours alone

You will see someday that all along the way I was yours to hold

I was yours to hold

I'm stretching but you're just out of reach

I'm ready when you're ready for me…

Sentii le lacrime salire di nuovo. Yours to hold, una delle canzoni più dolci e tristi che conoscessi. Quelle parole rappresentavano tutto quello che Luke voleva dire? Ero davvero così concentrata sul mio dolore da non accorgermi del suo?

Senza dire nulla, corsi giù dagli ultimi scalini e lo raggiunsi in cucina. Prima che lui potesse accorgersi della mia presenza, lo abbracciai. Lui sussultò prima di capire che ero io e circondarmi con le braccia. “Piccola, mi hai spaventato” sussurrò. Io trattenni le lacrime. “Ti amo, Luke.”

“Anche io, piccola, anche io.”

Rimanemmo così per un tempo che mi sembrò infinito, mentre sentivo dagli auricolari che erano caduti la canzone che finiva.

I’m ready when you’re ready for me…

 

 

 

 

*Angolo Autrice*

No, ok, ragazzi. Vi prego, ditemelo se c’è qualcosa che non vi piace. Vi prego. Non recensisce mai nessuno (a parte la mia splendida Miss One Direction)… Sapete, è frustrante, perché comunque la storia è anche abbastanza seguita (per me è un record). Questa è la storia in cui mi sto buttando anima e corpo, per me è importante, è nata come uno scherzo ma è importantissima, ora. E mi dispiace vedere che non piace, o comunque non abbastanza da lasciarmi due parole. È frustrante, deprimente e mi viene in mente che forse devo smetterla, anche di andare avanti, perché tanto non mi caga nessuno.

No. Che sto dicendo. Non abbandonerei mai questi personaggi. Sono troppo importanti per me. E anche se non andassi avanti per me, andrei avanti per le uniche due persone a cui piace questa storia. Le due persone che sanno già come andrà a finire, quanto manca, cosa ci sarà dopo.

Scrivo così male da non poter ricevere due parole in croce? Davvero? Ditemelo, perché io non so più cosa fare. Ditemi che mi devo ritirare. Perché stare in silenzio è peggio.

Vi prego.

Detto questo, grazie a chi è arrivato fino a qui, se ci è arrivato qualcuno.

Alla prossima… tanto, non durerà ancora così tanto, credo…

Ranya

E, PS: grazie mille, Miss One Direction, per esserci sempre. <3 E grazie anche a Giorgia, che però non leggerà mai questo spazio autrice, perché le invierò il capitolo per email, dato che non ha modo di  leggere qui su EFP. Maa, grazie comunque. <3

 

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Capitolo 30
*** forgiven ***


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Forgiven.

Eravamo sul letto, abbracciati. Erano circa le tre e avevamo finito da poco di mangiare. Durante il pranzo c'era stato un silenzio di tomba, con Hellen che mi guardava assassina, io che tenevo lo sguardo sul mio piatto per non risponderle, Luke che fissava il suo perché era ancora imbarazzato per lo "spettacolo" che avevamo dato prima, Ashton in camera sua e Calum, Michael e Diana che non capivano niente, ma preferivano rimanere zitti.

Non era previsto che rimanessi con i ragazzi, ma avevo mandato un messaggio a Manuela, in cui le avevo scritto quello che era successo, e lei mi aveva bandita da casa fino alle quattro di pomeriggio. Così, ero rimasta con Luke. Ci eravamo sdraiati sul suo letto e lui mi aveva circondato la vita con le braccia, affondando il viso nel mio collo, come se avesse paura che io potessi scappare. Sentii una morsa alla bocca dello stomaco nel pensare a quell'eventualità.

"Coco?"

"Sì?"

"... Niente."

Io trattenni un sospiro. Dovevamo parlare, era ovvio, ma in quel momento non riuscivo a dire niente. Mi limitai ad accoccolarmi contro il suo petto, cercando di dimenticarmi del mondo attorno a noi. Luke tirò la coperta sopra di noi e mi diede un bacio sulla tempia, a fior di labbra, prima di tornare ad abbracciarmi piano. Io sentii gli occhi chiudersi, mentre lui mi carezzava delicatamente i capelli e passava le dita sulla nuca. Quei gesti mi facevano rilassare in una maniera incredibile e lui lo sapeva. Così, mentre io scivolavo piano nel sonno, lui mi sussurrò: "Ti amo, cucciola."

Non so perché, ma in quel momento sembrava tutto così precario che una morsa allo stomaco mi accompagnò tutto il tempo.

 

Quando mi svegliai, erano le quattro e mezza. Trasalii nel rendermi conto che sarei dovuta essere a casa da mezz’ora. Luke era ancora di fianco a me ed era sveglio. Stava leggendo Look into my eyes. Quando vide che ero sveglia, chiuse il libro e lo posò sul comodino. “Va tutto bene, Coco?” mi chiese. Io feci una faccia stranita, ma risposi che stavo bene, per poi chiedergli il motivo. “Mentre dormivi, stavi piangendo” fece lui. Io rimasi sconcertata. Mi capitava spesso, ma non mi era mai piaciuto che qualcuno lo notasse. “Niente, a volte mi capita senza motivo” mi giustificai. Lui si mordicchiò il labbro e tornò a guardare le coperte fra di noi. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi mi alzai. “Devo andare a casa, le ragazze mi aspettano” feci. Lui annuì. “Ah, prima Ashton è venuto a cercarti, ma ha visto che stavi dormendo, quindi ti ha lasciato stare. Mi ha detto di avvertirti di passare un attimo da lui, dopo, questione di due minuti” mi disse. Io annuii. “Arrivo subito” feci, uscendo da camera sua e dirigendomi verso quella di Ashton. Bussai piano e aprii. Lui era davanti alla finestra, guardava fuori, mi dava le spalle. Di fianco a lui, il suo cellulare, aperto su una chat di whatsapp. Mi avvicinai e vidi che era con Carol. Speranzosa, lo presi in mano e diedi un’occhiata ai messaggi, ma rimasi delusa: l’ultimo risaliva a prima del litigio. Sospirai. “Ash, volevi parlarmi?” chiesi. Lui si voltò verso di me e notai che aveva ancora le guance rigate di lacrime. “Cosa devo fare, Coco?” mi chiese con voce rotta. Io gli porsi il cellulare, guardandolo eloquente. “Non posso.”

“Sì che puoi!”

“Coralie, non accetterebbe mai un messaggio.”

“Bene, io sto tornando a casa. Vieni con me.”

“Non… non ci riesco.”

“Perché no?!”

“Ho paura, Coralie, ho paura! Come fai a non arrivarci?! Sono terrorizzato!”

“E da quando in qua la paura ha così effetto su di te?!”

“Quando c’entra lei, ho sempre un po’ di paura.”

“Hai paura di lei?”

“No.”

“E di cosa, allora?!”

“Ho paura di deluderla. Avevo, anzi, paura di deluderla. Ora ho paura di farlo di nuovo.” Io rimasi in silenzio. Non avevo una risposta pronta. Lui sospirò. “Volevo chiederti solo perché mi hai inviato The last night.”

“Dovrai capirlo da solo.”

“E se non volessi?”

“Saresti più vigliacco di quanto io abbia mai immaginato” feci fra i denti. Lui mi fissò. “Non sono vigliacco.”

“Disse il ragazzo che per paura non si muoveva dalla sua stanza.” Lui si morse l’interno della guancia. “Parla la ragazza che non sa dire le cose in faccia” fece poi. Io lo fissai con sguardo di fuoco. “Non serve a nulla guardarmi così. Diciamoci la verità: in due, abbiamo meno coraggio di un passerotto. Non siamo proprio fatti per dirci che dovremmo aver coraggio.”

“Non mi piace seguire il mio copione.”

“Lo so.”

Rimanemmo in silenzio qualche secondo, poi: “Devo andare. Spero che un giorno tu riesca a capire che il danno maggiore lo fai standotene qui” feci. Lui non mi rispose e io girai i tacchi, uscendo dalla stanza.

Tornai da Luke e lo trovai sul bordo del letto, che teneva in mano un foglio di carta verde. “Cos’è?” chiesi. “Un invito. Una festa in maschera. Il tema è a scelta fra questi” fece, indicandomi un elenco. Io scorsi piano la lista e inarcai un sopracciglio. “Beh, diciamo che è una cosa abbastanza stravagante” feci. “Già. L’unico obbligo sono le ragazze in lungo.” Io sgranai gli occhi con un'espressione estasiata. Lui mi guardò e sorrise intenerito. "Chi ti ha invitato?" chiesi. "Un mio vecchio amico del liceo. Ci sentiamo qualche volta. È ricco sfondato, ma non è diventato presuntuoso. Gli piace dare queste feste in maschera. Ci sono andato solo una volta, ed era una cosa molto maestosa, simile alle feste antiche, di quelle che vedi nei film storici. Sono affascinanti. Non ci sono più andato."

"Perché?"

"Non avevo una dama." Mi guardò con un piccolo sorriso e io ricambiai. Lui si alzò, solo per cadere in ginocchio davanti a me. Mi prese la mano e mi guardò con un sorriso divertito e imbarazzato allo stesso tempo. "Coralie Alyssa Lemaire, potrei avere l'onore di accompagnarti a questa festa antiquata come tuo cavaliere?" mi chiese. Io ridacchiai e mi abbassai, fino a raggiungere la sua altezza. Gli presi il viso fra le mani e lo baciai piano, dimenticando per un attimo tutti i miei pensieri. Lui mise le mani sui miei fianchi e ci alzammo. Mi sollevò e io mi aggrappai a koala a lui. Ridacchiammo e Luke ci fece sedere sul letto, continuando a baciarmi. "Mi mancavano questi momenti" sussurrò piano. Io sentii una morsa allo stomaco a queste parole. "Anche a me" dissi solo.

 

Quando uscimmo dalla stanza, vidi che anche Ashton era appena sbucato da camera sua. I nostri sguardi si incrociarono e, sospirando, mi voltai, pronta a scendere le scale. Luke ci guardò confuso, ma non disse nulla, si limitò a seguirmi. “No, Coralie, aspetta” fece Ashton dietro di me. Io mi fermai e Luke mi rivolse un’occhiata spaesata. “Luke, posso parlarle un attimo da solo?” chiese Ashton. Luke annuì e scese le scale in fretta. “Coco…”

Io non dissi nulla, non mi voltai nemmeno. Non feci altro che chiudere gli occhi, sospirando. “So che sei arrabbiata con me.”

“Non dovrei esserlo?”

“No, fai bene.”

“E quindi mi hai fermato per dirmi che…?”

“Mi dispiace.”

Io mi voltai verso di lui e lo vidi appoggiato contro il muro. Respirava pianissimo e le sue labbra tremavano, quasi stesse cercando di non piangere. “Mi… mi dispiace. Sono un casino. Non faccio altro che allontanare le persone a cui tengo di più. Non lo faccio apposta. È come se… mi volessi punire per aver fatto del male Carol. Come se allontanandovi tutti, stando solo, potessi scontare una qualche specie di pena che mi sono assegnato. Credi che se non avessi questa strana forma di odio per me stesso me ne starei ancora qui? La verità è che mi odio così tanto, in questo momento, che mi viene naturale pensare che anche Carol mi odi. Che anche tu mi odi. Perché è più facile odiare. E in questo momento, mi sto odiando in una maniera indicibile, perché sono riuscito a far scappare prima la persona che amo più di qualsiasi altra cosa, e ora anche la mia migliore amica, quella che c’è sempre stata per me, anche quando non lo meritavo. Quella che non ha paura di prendermi a schiaffi se crede che possa farmi bene, e che ora, quando avrebbe mille motivi per andarsene, è qui ad ascoltarmi, e magari starà già pensando a cosa dire. Lo so che sono stato una persona davvero pessima, prima, quando ti ho detto quelle cose, quando ti ho rivoltato contro la storia di Matt, o quando ti ho incolpato del tuo stesso silenzio. Non volevo, mi dispiace. Divento una persona orribile quando ho paura. E in questo momento ho paura, paura da morire. Nonostante stia facendo di tutto per tenervi lontani da me, ho paura che voi lo facciate veramente. Non ha senso, lo so. Vi sto allontanando ma ho paura che voi possiate andarvene davvero. Forse sono pazzo, o forse l’unica cosa di cui ho bisogno, quando mi dico che voglio stare solo, è qualcuno che mi dica che non è vero, che non cerco la solitudine. Cerco solo qualcuno che mi possa salvare da me stesso. Perché qui, il mostro più grande, è nella mia testa, e mi dice cose orribili ogni giorno. Mi ricorda continuamente cosa vi ho fatto e mi dice che farei meglio a lasciarvi andare, prima di farvi ancora male. Quello di cui ho bisogno, però, è qualcuno che mi insegni a eliminare questo mostro. Ho bisogno di persone come Carol nella mia vita. Ho bisogno di persone come Carol, Luke, e te. Siete voi che tenete lontano il mio mostro. Siete voi che mi fate stare bene. E mi dispiace di averlo capito solo ora, che rischio di perdervi tutti.”

Mentre parlava, grandi lacrime avevano iniziato a bagnargli le guance. Si tratteneva dal singhiozzare solo per farsi capire, ma quando finì, si lasciò andare. Provò ad asciugarsi il viso mentre veniva scosso dai singulti. Io mi avvicinai a lui piano, fino ad arrivare di fronte a lui. Lui tirò su col naso. “Vuoi darmi un altro schiaffo?” chiese, guardandomi con sguardo quasi rassegnato. Io scossi la testa e lui sembrò confuso. “Non… non voglio darti uno schiaffo” feci con voce rotta. “Però me lo meriterei” disse lui. Io scossi la testa, mentre i miei occhi pizzicavano. “E allora, cosa…”

Lo interruppi, prima di abbracciarlo più forte che potevo. Lui emise un gemito sorpreso nel vedere l’irruenza del mio gesto. Sembrò quasi non crederci, tanto che rimase immobile qualche secondo, come a capire cosa stesse succedendo. Poi ricambiò l’abbraccio, stringendomi fino a farmi male, ma non mi importava.

In quel momento non riuscivo a vedere l’Ashton forte, divertente, sempre con un sorriso sulle labbra e una risata contagiosa. Non avevo davanti a me l’Ashton che avrebbe potuto stritolarmi se avesse stretto ancora un po’.

In quel momento, vedevo solo l’Ashton che piangeva nella curva del mio collo. L’Ashton fragile, indifeso, che sembrava un passerotto spaventato, che tremava nel mio abbraccio e singhiozzava. L’Ashton che con le parole di poco prima sembrava implorare aiuto.

“Mi dispiace, Coco, scusami.”

“Va tutto bene.”

“No, non va…”

“Shh.”

Rimanemmo così per un po’, fino a quando non ci calmammo entrambi. “Ash, prima ero arrabbiata, per questo non avevo voglia di parlarti. Ma sappi una cosa: non mi perderai così in fretta. Non ti liberi tanto facilmente di una come me” dissi. Lui fece un mezzo sorriso e mi diede un bacio sulla guancia. “Grazie” disse solo. Io gli sorrisi piano e annuii, come a sancire quelle parole.

“Ora devo andare. Le ragazze mi aspettano. Ci vediamo stasera?”

“Vieni da noi?”

“No, vieni tu da noi.”

“Coco…”

“Ash, l’hai detto tu stesso che Carol ti fa stare bene.”

“E ho detto anche che ho troppa paura che mi odi.”

“A questo penso io.”

“Non verrò, lo sai.”

Io sospirai. “Non posso costringerti” dissi solo, prima di salutarlo e scendere le scale. Lui mi seguì con lo sguardo fino a che non girai l’angolo.

“Tutto bene?” mi chiese Luke appena mi vide. Era seduto sul divano e giocava alla playstation con Michael. Io annuii, prima di ripensarci e correggermi: “Più o meno.” Lui annuì una volta sola, prima di prendermi per un polso e tirarmi piano fino a che non fui seduta di fianco a lui. “Luke, sono in ritardo” dissi solo. “Oh, aspetta un momento. Mi manca poco e ho stracciato il tuo ragazzo 11-8” fece Michael, concentrato sullo schermo. Ridacchiai prima di vederlo esultare. “Ho vinto!” esclamò scattando in piedi e correndo intorno al divano, urlando come un matto. Io e Luke lo guardammo, straniti e divertiti, prima che Luke lo prendesse al volo per la maglietta e lo facesse cadere sul divano. Michael mugugnò una protesta, prima di sedersi di nuovo. “Ora puoi andare” mi disse poi, prendendo di nuovo il telecomando. “D’accordo, grazie, capo” esclamai, facendo il saluto militare e avvicinandomi alla porta. Luke mi seguì, abbandonando Michael da solo. “Ehi, e io chi sono?!” esclamò contrariato. “Arrivo subito” lo rassicurò Luke. Arrivammo nel corridoio davanti alla porta e lui mi prese per i fianchi, facendomi aderire al muro con la solita delicatezza che lo contraddistingueva. Prima che io potessi dire qualcosa, premette le labbra sulle mie, disegnando piccoli cerchi con le dita sui miei fianchi. “Quand’è che avremo un po’ di tempo per parlare?” mi chiese. “Non lo so. Spero presto.”

“Prima dobbiamo risolvere la questione di Ash e Carol, vero?”

“Sarebbe meglio.”

“D’accordo.”

“Tranquillo. Oggi io e le ragazze daremo la stoccata finale. Se non basterà nemmeno quella, ci arrenderemo all’evidenza che serve ancora un po’ di tempo.”

“Cosa volete fare?”

“Sarà una sorpresa, ma dopo ti scrivo, serve un aiuto da parte vostra.”

“D’accordo.” Mi diede ancora un piccolo bacio, prima di lasciarmi andare. Mi infilai le scarpe e, quando mi rialzai, lui mi diede un bacio leggero sul segno rosso che mi aveva lasciato la mattina. Io sorrisi e gliene stampai uno sulle labbra. “Ciao Lukey” feci, uscendo. “Ciao, piccola.”

 

Arrivai a casa verso le cinque. Quando entrai in casa, sentii un forte odore di caffè accogliermi. “Ragazze, quanto ne avete fatto??” chiesi storcendo il naso. Non mi era mai piaciuto. “Senti, siamo in piedi da un po’, ne avevamo bisogno” fece Madison guardandomi con gli occhi a mezz’asta. “Hai sonno, Maddy?”

“No. Ti pare? Sono solo alla quinta tazza.”

“Sono in ritardo?”

“Quinta tazza, dico solo questo. Dovevamo darci il cambio un’ora fa.”

“Maddy, lasciala in pace! Anche lei sta passando un brutto periodo con Luke!” ci interruppe Manuela. Madison mi guardò come a valutare le parole dell’altra, poi alzò gli occhi al cielo. “D’accordo, però ora vieni” disse. “A che punto siete arrivate?” chiesi, togliendomi la giacca. “Non siamo nemmeno a metà e… aiuto, non sta venendo come speravamo.”

“Maddy, vai a sdraiarti, ora ci pensiamo noi” dissi, osservando come Madison stesse dormendo in piedi. Manuela, al contrario, era sveglissima. Madison ci ringraziò e andò al piano di sopra. Manuela voltò il computer verso di me e mi passò gli auricolari. “Siamo arrivati a questo punto, nel video. Idee?” mi chiese. Io annuii. “Carol dorme?”

“Dovrebbe.”

“Allora dammi un attimo, arrivo subito.”

Manuela annuì e io sgattaiolai al piano di sopra, in camera di Carol. La trovai stesa sul letto, caduta in un sonno leggero, esausto. Presi il suo cellulare dal comodino senza far rumore e corsi via. Quando raggiunsi la mia migliore amica, lei mi guardò confusa. “Carol mi odierà” dissi, sbloccando il suo telefono e cercando nella galleria, mentre collegavo il cellulare al computer. “Intanto, prendi due fogli. E mi servono due loro foto” dissi.

 

Lavorammo un’ora intera, ma ne valse la pena. Manuela corse a chiamare Madison e le fece vedere il video. “Ragazze, se fosse successo fra me e Cal, vi giuro che adesso sarei già da lui, in ginocchio, a chiedere il suo perdono” disse. Noi ridacchiammo. “L’idea è quella.”

“Con me e Cal?”

“No, scema, con Carol e Ash.”

“Ah, ok.”

“Buongiorno, Maddy.”

“Ehi, sono ancora mezza addormentata.”

“Si nota.”

Ridemmo e io riportai il cellulare di Carol in camera sua, mentre Manuela scaricava il video sui nostri cellulari. Quando tornai al piano di sotto, chiamai Luke.

“Pronto?”

“Luke, è pronta la sorpresa. È un video. Adesso lo invieremo sia a Carol che Ash, puoi assicurarti che Ashton lo veda esattamente alle sette?”

“D’accordo, piccola, nessun problema.”

“Grazie, sei la nostra salvezza.”

Lui ridacchiò. “Lo inviate anche a me?” mi chiese poi. Io assentii e lo salutai. Quando mise giù, gli inviai il video, aspettando una sua risposta, che arrivò quattro minuti dopo: “Ragazze… voi siete pazze.”

“È così brutto?”

“Al contrario, è bellissimo.”

“Secondo te funzionerà?”

“Se non funziona porto io Ash da voi, a calci.”

“E noi ti raggiungiamo a metà strada con Carol.”

“Andata!”

“Quindi, ci sentiamo dopo?”

“Certo amore <3”

“Ricordati che lo deve vedere alle sette! Impediscigli di vederlo prima!”

“D’accordo!”

“Ti amo.”

“Anche io.”

Abbandonai il telefono con un sorriso sulle labbra. “Hai finito? Abbiamo solo tre quarti d’ora per far sì che Carol non ci uccida quando le chiederemo di vedere il video” disse Manuela. Io sospirai e lo inviai anche ad Ashton e Carol. “Inizia il secondo passo della missione” dissi.

Arrivammo in camera di Carol giusto per vederla prendere il telefono. Io la fermai appena in tempo. “Stai ferma, quel messaggio dovrai vederlo fra un po’.”

“Cosa stai dicendo?” mi chiese Carol confusa. “Tranquilla, abbiamo pianificato tutto quanto. Fidati di noi.”

“Mi state confondendo ancora di più.”

“Forse non devi capire ora.”

“Mi fate paura.” Io, Manuela e Madison ridacchiammo e ci sedemmo sul suo letto. “Mi sento invasa, siete troppe, non sono più abituata a vedervi in massa” fece lei, ritirandosi in un angolino. “Se vuoi ce ne andiamo, eh?”

“Non intendevo questo.”

“Lo sappiamo bene” gongolò Manuela. Vidi che Carol si copriva il braccio e sentii una stretta allo stomaco. Mi voltai verso Maddy e Manu e le guardai implorante. “Non mi odiate se vi chiedo di lasciarci sole un attimo, vero?” chiesi. Loro sbuffarono prima di andarsene. “Scusatemi! È una cosa privata!” urlai dietro di loro.

Quando non ottenni risposte, mi voltai verso Carol. Aveva un timido sorriso sulle labbra e guardava la porta. “Carol?”

“Sì?”

“Come stai?”

Lei si rabbuiò subito. “Come vuoi che stia?” chiese. “Non lo so, me lo devi dire tu.”

“Coralie, mi sono svegliata e ho visto tre dannatissimi tagli sul braccio. Pensavo fosse tutto un sogno, invece è vero. È una settimana che sto male. E tu mi chiedi come sto?”

“Io ci ho provato.”

Lei sospirò. Poi esitò e: “Lui… come sta?” mi chiese. Io la guardai negli occhi. “È la stessa cosa che mi ha chiesto subito lui, sai?”

“Ok.”

“Comunque, anche lui è nelle tue condizioni.”

Lei sospirò guardandosi le mani. “Sai, forse dovrei finirlo” mi disse, indicandosi il braccio. “Non ci pensare nemmeno.”

“Così sono solo tre graffi.”

“Perché vuoi farti del male?”

“Perché è un male che ha significato.”

“Quale significato può avere?”

“Coralie, è il loro simbolo. Il suo.”

“Proprio per questo non vorrebbe mai che fosse usato così.”

Lei sbuffò sconsolata e io mi alzai. Presi un pennarello dalla sua scrivania e glielo porsi. “Se proprio vuoi finirlo” dissi. Lei ridacchiò mesta. “Tu sei matta” fece, prendendo il pennarello e togliendo il tappo coi denti. Completò il disegno, prima di passarmi di nuovo il pennarello.

“Gli hai detto di questi?” mi chiese poi. “No. Gli ho lasciato un indizio, ma poi ci siamo persi a litigare e non l’ha più colto.”

“Avete litigato?!”

“Fa bene qualche volta.”

“Ma… avete risolto?”

“Sì.”

“Sono l’unica che non saprebbe da dove iniziare?”

“Allora lascia che inizi lui.” Lei mi guardò, aveva le lacrime agli occhi. “Non inizierebbe mai.”

“Invece sì.”

“Coco, l’ho deluso. Tu non eri lì mentre litigavamo. Non hai visto come mi guardava.”

“E tu non hai visto come guardava me mentre parlava di te.”

“Parla di me?”

“Praticamente ogni cosa che dice è riferita a te.”

“Praticamente?”

“Già, abbiamo parlato anche di altre cose.”

“Ad esempio?”

“Di quanto lui non sopporti Hellen.”

Carol scoppiò a ridere. “Scherzi, vero?!”

“No. Dopo che ha salvato me e Luke dalle sue grinfie, credo abbia cambiato parere su di lei.”

“Incredibile.”

“E… abbiamo parlato anche di Matt.”

Lei mi guardò intimorita. “Coco… Scusa, lo so che non dovevo dirlo a nessuno, ma…”

“Va tutto bene. Ne è venuta fuori una gran bella discussione.”

“Mi dispiace.”

“Non preoccuparti.”

Rimanemmo in silenzio a lungo, mentre io sbirciavo l’orologio. Ancora trentacinque minuti. Dovevo temporeggiare, non sapevo più che dire. “Hai fame?” chiesi. Lei esitò, prima di annuire. “Ti porto qualcosa da mangiare” mi offrii subito, prendendole il cellulare. “Ehi, quello lascialo lì!” fece. “Lo useresti per contattare Ash?”

“Coralie!”

“Perfetto, allora me lo tengo.”

Carol sbuffò, mentre io uscivo dalla camera. Andai al piano di sotto e cercai di perdere un po’ di tempo, mentre le prendevo un qualche affettato dal frigo. Avevo abbastanza tempo per permettermi di fare con calma, ma non ne avevo abbastanza per prepararle una cena vera. Madison e Manuela erano al tavolo e giocavano a carte. “Capo, possiamo venire al piano di sopra, o siamo bandite dalla sua camera a vita? Ricordati che l’idea del video è stata nostra, e che siamo anche noi sue amiche!” fece Madison. Io sbuffai divertita. “Scusatemi, ma dovevamo parlare di una cosa che mi aveva pregato di non dire a nessuno.”

“Ora avete finito?”

“Sì.”

“A posto!” esclamò Manuela, alzandosi di scatto. Madison la seguì e corsero in camera di Carol, mentre io le raggiungevo con calma per non rovesciare il vassoio.

 

In qualche modo, riuscimmo a intrattenerla. Io continuavo a lanciare occhiate inquiete all’orologio. Il tempo sembrava non passare mai.

 

Finalmente, arrivò l’ora che stavamo aspettando tutte e tre con così tanta trepidazione. Io guardai l'orologio un'ultima volta, prima di sorridere. Carol sembrava confusa. "Perché continui a guardare l'ora?" mi chiese. "Perché sono le sei e cinquantanove minuti" feci. "E quindi?" 

"E quindi, ora mettiamo da parte il nostro discorso" risposi, dandole il cellulare. Lei aprì whatsapp, ancora più confusa, mentre Manuela, Madison gongolavamo. "Cos'è?" mi chiese Carol. "Tu guardalo, ne parliamo dopo" le rispose Manuela.

Carol fece partire il video e le note di Forgiven si diffusero nella stanza. Dal nero del video, emerse la figura di Manuela, su sfondo azzurro tenue. Aveva una maschera chiaramente artigianale: il viso di Ashton, ritagliato da una foto, assicurata al viso di lei con un elastico. Aveva dei cartelli in mano. Il primo era bianco. Carol ci guardò con gli occhi strabuzzati. "Ragazze, ma che cavolo è?" 

"Zitta e guarda!"

Lo schermo si restrinse e affianco a lei apparve un'altra schermata, con la mia immagine. Anche io avevo una maschera, ma di Carol, ed era su sfondo lilla. Carol sembrava troppo confusa per dire qualcosa. Avevamo girato quelle riprese appena Madison era andata a dormire, seguendo il suggerimento di Avril.

Manuela, nel video, girò il primo cartello, svelando una scritta blu. Io feci lo stesso, un secondo dopo, con le scritte rosse. Continuarono a girare i cartelli.

"Ciao! Mi chiamo Ashton Fletcher Irwin."

"Ciao! Io sono Carol Annabeth Lemaire!"

"Ho vent'anni."

"Io quasi diciotto."

"E condividiamo una bellissima..."

"... Storia d'amore."

"Non sappiamo come ci siamo conosciuti..."

"…Non lo abbiamo detto a nessuno..."

"Forse l'ho incontrata in un bar!"

"O forse mi ha beccata mentre stalkeravo Luke per conto di Coralie!"

"Fatto sta che quando ci siamo conosciuti..."

".... Deve essere stato amore a prima vista."

"O forse no."

"Chi lo sa?"

Manuela e io mettemmo giù i cartelli e lo schermo si oscurò. La musica, che fino a quel momento era stata flebile, invase di nuovo la stanza, mentre sullo schermo appariva un video nuovo. Era Ashton che teneva di fronte a sé il cellulare e teneva abbracciata Carol. Ridevano, lei si nascondeva nel suo collo, mentre lui cercava di farle una foto. "Dai, piccola, una sola!"

"No, ti prego! Non mi piacciono le foto!"

"Ma se sei bellissima?!"

Il video si oscurò di nuovo e tornarono i cartelli. 

"Sapete, abbiamo sempre avuto una storia particolare."

"Ashton si diverte a prendermi in giro..."

"... E lei fa sempre l'offesa, così mi devo far perdonare in ogni modo..."

"... E la maggior parte delle volte ce la fa."

Un nuovo video: stavolta, era Carol a tenere il telefono, mentre Ashton era nel letto, sotto le coperte. "Amore, ti svegli???

"È presto, piccola..."

"Ma io ho fame."

Ashton si alzò di scatto e la prese, facendola cadere sul letto, mentre Carol urlava divertita. Ashton iniziò a farle il solletico. Il video era confuso: Carol si dimenava e con lei il cellulare. Il video si oscurò su un'ultima scena: loro due che si baciavano.

Dopo di quello, un sacco di altre foto: loro due insieme al parco, Ashton vestito da supereroe che la prendeva in braccio, loro che si baciavano nel letto... 

Di nuovo i cartelli. 

"Di solito basta un bacio per tranquillizzarla..."

"... Ma..."

"… L'ultima volta è stata peggiore."

"Già."

"L'ho accusata di odiare senza motivo una ragazza."

"E io l'ho accusato di non capire."

"Abbiamo pensato solo a urlarci contro..."

"... E non abbiamo ascoltato le nostre ragioni."

"Per una settimana siamo rimasti in camera nostra..."

"... Troppo impauriti e orgogliosi per parlarci."

"Ora, la mia canzone è Sad song..."

"... E la mia è The last night."

Altre foto. L'ultima risaliva al concerto: loro due dietro la batteria, che si baciavano.

"La verità è che abbiamo troppa paura..."

"… Di sbagliare di nuovo."

"Io ho paura di deluderla ancora."

"Anche io. E ho paura di vedermi rifiutata."

"Anche io."

Un nuovo video. Stavolta, risaliva alla festa di Luke, dove loro avevano improvvisato uno spettacolino di cinque minuti scarsi. Ashton era in ginocchio e lei in piedi su una sedia. 
"Oh, Carol, Carol, perché sei tu Carol?"

"Scemo, era la mia battuta!"

"Ma è l'unica che conosco!"

Carol scoppiò a ridere, prima di schiarirsi la voce. "Oh, Ashton, Ashton, perché sei tu Ashton?"

"Preferivi qualcun altro?" fece Ashton alzandosi in piedi. "Non pensarci nemmeno, che il mio principe sei tu, e nessun altro" disse Carol, prima di abbassarsi al suo livello e baciandolo.
Di nuovo i cartelli. 

"E il bello è che siamo così bacati..."

"... Da non capire che siamo entrambi nella stessa condizione..."

"… E che mancherebbe davvero pochissimo..."

"... Per tornare come prima."

Un'altra moltitudine di foto, mentre la canzone finiva. 

Ci fu un attimo di silenzio, poi si sentirono le flebili note di Lego House. 

"Sapete, abbiamo anche una canzone!"

"Già una volta ci ha fatti chiarire..."

"... E ci ha fatti pure conoscere!"

"O forse no."

"E chi lo sa?"

"Si chiama Lego House..."

"... E credo che anche questa volta si possa dire che è la nostra canzone."

"Perché…”

“… Dopo tutto quello che abbiamo passato..."

"... E al pensiero di tutto quello che passeremo..."

In quel momento, mentre anche la voce di Ed Sheeran cantava quelle parole, apparve una frase che occupava tutto lo schermo:

I think I love you better now.

 

Quando Carol finì di guardare il video, si portò una mano alla bocca. Ci guardò con le lacrime agli occhi. "Siete state voi a pensare a tutto?" chiese. Noi sorridemmo e annuimmo. "Ci abbiamo messo una vita" fece Manuela. Lei guardò ancora una volta il cellulare. "Vai da lui, su!" esclamai.

"E se questo non fosse bastato a convincere anche lui?" 

"Ha convinto te?" 

"Certo che lo ha fatto..." 

"Tu eri l'osso più duro. Dai, vai da lui. Se non l'avesse convinto il video, lo farai tu." 

Lei ci guardò. "Ho paura..." fece a bassa voce. Noi sorridemmo e la abbracciammo. "Andrà tutto bene. Fidati di noi." Lei ci sorrise e si alzò. “Grazie” disse solo. Noi ci aprimmo in sorrisi entusiasti e la catturammo di nuovo in una stretta da spezzarle le ossa, prima di ricordarci che doveva fare in fretta. “Aspettate, devo fare una cosa!” esclamò prendendo un foglio e un pennarello. Scrisse sul foglio, a caratteri cubitali: “Without you, I feel broken, like I’m half a whole. Without you, I’ve got no hand to hold. Without you, I feel torn, like a sail in a storm. I’m just a sad song.” Piegò il foglio in quattro e se lo mise in tasca. “Mi avete dato voi l’idea” fece, sorridendoci.

Si infilò in fretta le scarpe e una giacca a caso. Si pettinò alla bell'e meglio e corse giù dalle scale, inseguita da noi. "Dove ho messo le chiavi?!" esclamò, frugando nella sua borsa. Sembrava che il tempo passasse troppo in fretta, mentre lei cercava le chiavi di casa e dell'auto. Le trovò, finalmente, dopo un’infinità di tempo, e gettò la borsa a terra. Fece scattare la serratura della porta di casa, la aprì... E si bloccò, davanti alla figura di lui.

Ashton aveva il fiatone, la sua macchina era parcheggiata di traverso sul vialetto di casa. Si guardarono per qualche secondo, poi, contemporaneamente, si gettarono le braccia al collo. Noi, da dietro di loro, ci coprimmo la bocca con una mano: non avremmo mai creduto che un video creato per iniziare ad appianare i conflitti potesse invece risolvere tutto. Carol e Ashton si tennero stretti a lungo, mentre qualche singhiozzo scappava loro. Vidi come Ashton affondava la testa nei capelli di lei, senza trattenere le lacrime. Come se avesse ritrovato la sua cosa più preziosa. "Dio, scusami... Non volevo, sono stato uno stupido. Perdonami, ti prego" sussurrò lui. "Ash, io... Mi dispiace. Davvero, ho sbagliato, scusami. Scusami se sono stata così cattiva, scusami... Non so essere nient'altro che questo..." rispose Carol piangendo. Lui si separò dall'abbraccio e la guardò: "Nient'altro che questo? Guardati, Carol: sei tutto quello che ho e che abbia mai potuto desiderare. Ti pare poco, questo?" le chiese mentre una lacrima rotolava giù dal suo viso.

Il mio cellulare vibrò fra le mie mani. Era un messaggio di Luke.

“Coco! L’ha visto due minuti prima! È un problema?!”

Io sorrisi e gli inviai una loro foto. “Non direi proprio.”

“Sì! Ha funzionato! Non ci credo! Aspettateci, stiamo arrivando!”

Io misi da parte il cellulare e li guardai di nuovo. Non si erano lasciati andare un secondo. Sembravano non crederci nemmeno loro. Manuela ci prese per i polsi e ci indicò la sala con un’occhiata. Il messaggio era chiaro: dovevamo lasciarli soli.

***

P.o.v. Carol

Non riuscivo a crederci. Dopo una settimana passata a stare così male ero di nuovo fra le sue braccia. Erano solo sette giorni? Sembravano passati secoli. Mi era mancato così tanto… E io ero stata così stupida da non capire che tutto il male che sentivo al cuore non era dovuto al risentimento e alla paura, ma al senso di vuoto che c’era senza di lui.

Non avrei mai ringraziato abbastanza le ragazze per quel video. Detto sinceramente, a mio parere saremmo andati avanti così ancora un bel po’, se non ci avessero ricordato ogni cosa.

Le persone si comportano da stupide quando sono innamorate, ma sono ancora più stupide quando soffrono per amore.

Averlo di fronte a me era un sogno. Non riuscivo a crederci. Avevo paura di potermi svegliare da un momento all’altro e rendermi conto che era tutto nella mia mente. Come avevo desiderato fare con quei tre tagli.

I tagli, quei maledetti tagli.

Dovevo dirglielo, ma non sapevo come. Non volevo ritrovarmi a litigare con lui perché gli avevo nascosto una cosa così.

Fortunatamente, ci pensò lui. “Carol… Coralie mi ha inviato The last night, dicendomi di arrivare a capire il perché del suo gesto. Cosa intendeva? Cosa è successo?” mi chiese. Io esitai, prima di guardarmi il braccio. Lui seguì il mio sguardo. Sussurrò fra sé e sé: “You come to me with scars on your wrist…”

Mi guardò perso quando capì e mi alzò piano la manica. Una lacrima scivolò lungo il suo viso nel rendersi conto cosa c’era disegnato. “Non… non ero in me.”

“Lo so.”

“Come fai a saperlo?”

“Coralie era con me quando Manuela l’ha chiamata per dirle che eri in crisi. Mi ha chiesto di venire con lei e… ho detto di no. Avevo troppa paura di peggiorare la situazione. È colpa mia se ora hai tre tagli sul braccio. Sarei potuto venire da te e fermarti, ma ho preferito starmene in camera mia. Mi dispiace così tanto. Scusami.” Mentre diceva quelle parole, altre lacrime raggiunsero la prima, mentre anche i miei occhi pizzicavano. Ashton mi prese il polso e lo baciò piano, mentre il mio cuore tremava al suo gesto. Lui si frugò in tasca e mi consegnò un foglio piegato in quattro. Io lo aprii, mentre il mio battuto accelerava. D’entro c’era scritto, con una calligrafia disordinata:

This is the last night you spend alone, I’ll wrap you in my arms and I won’t let go. I’m everything you need me to be.”

“Carol, ti prego, perdonami. Non ce la faccio più a stare senza di te. Ho sbagliato, sono stato sciocco a trattarti così e sono stato una persona orribile quando… ti ho lasciata. Lo so che forse mi chiuderai la porta in faccia, ma devo dirtelo. Ti amo. Non ho smesso un attimo. Ero solo troppo preso dalla mia crociata come difensore di Diana e Hellen per rendermi conto di quanto ti abbia fatta stare male. Ho capito quello che ho fatto solo dopo che ti ho vista andare via. Te lo giuro, non mi sono mai sentito peggio in vita mia. Ho bisogno di te. Sono rimasto una settimana lontano da te e già sarei voluto morire, non riesco a immaginarmi un’intera vita così. Ti amo troppo per lasciarti andare e ti amo troppo per sapere che te ne sei andata a causa mia. Non so nemmeno come chiederti quello che voglio dirti…”

Io lo interruppi, prendendo il mio foglio e consegnandoglielo. Lui lo lesse con un mezzo sorriso offuscato da lacrime, mentre mi scappava un singhiozzo.

“Anche io ho bisogno di te. Anche io ti amo troppo per riuscire a vivere in un mondo in cui tu non ci sei. Mi dispiace se ci ho messo così tanto a capirlo” sussurrai solo, non sapendo che altro dire. Lui si aprì in un altro lieve sorriso timido e mi posò una mano sulla guancia, asciugandomi le lacrime e ignorando le sue. Mi guardò qualche momento le labbra, poi tornò a guardarmi negli occhi, insicuro. Sembrava voler chiedere il permesso.

Io sorrisi lievemente, accarezzandogli piano, a mia volta, la guancia, e sentendo il lieve velo di barba pungermi le dita. “Posso?” fece lui con un filo di voce. Io annuii e lui fece un sorriso incredulo, prima di baciarmi piano, premendo piano le sue labbra sulle mie. “Dio, non sai quanto mi sei mancata” sussurrò prima di far combaciare di nuovo le nostre labbra. Io sentii le lacrime rigarmi di nuovo le guance. “Ash?”

“Sì?”

“Ti amo.”

Lui mi sorrise, con gli occhi che sembravano illuminarsi di gioia. “Anche io, Carol. Anche io.”

***

p.o.v. Coralie

Eravamo in sala, sedute sul divano, con un sorriso indelebile sulle labbra. Finalmente, sentivo un peso allontanarsi dal cuore. Mi sentivo leggera e felice, dopo una settimana di tensioni continue. Certo, avevo ancora tanti altri problemi da risolvere, ma quello era il più importante al momento, ed era andato tutto bene. Non riuscivo ancora a credere che Carol e Ashton fossero a pochi metri da noi, finalmente insieme.

Il mio cellulare vibrò ancora e io lo guardai. Ancora un messaggio di Luke.

“Amore, Carol e Ash sono uno spettacolo, ma sono sulla porta. Non abbiamo il cuore di interromperli… Non è che ci aprireste la finestra della cucina, per favore?”

Io mi misi a ridere sommessamente, facendo leggere il messaggio a Manuela e Madison. Loro si trattennero dal ridere per non disturbare i due nel corridoio. Ci alzammo e corremmo in cucina, aprendo la finestra. Michael e Calum ci salutarono ed entrarono silenziosamente. Michael prese subito in braccio Manuela a koala. “Mi sei mancata così tanto, piccola cupcake. Questi due non facevano altro che starsene appiccicati e io non potevo uscire di casa per stare con Ash… Non puoi capire la tortura” disse sulle sue labbra, mentre Manuela rideva sommessamente. Si baciarono a lungo, con baci quasi infuocati. Madison e Calum erano in un angolo, lui le teneva le mani sui fianchi mentre la baciava piano, dolcemente. Madison sembrava al settimo cielo.

Io guardai fuori dalla finestra giusto per veder Luke che arrivava trafelato. “Scusa, amore, quei due sono troppo belli insieme. Mi sono perso. Sono felicissimo” fece con un sorriso raggiante, che avrebbe illuminato a giorno la città. Io sorrisi con lui e mi sporsi per incontrare le sue labbra. Lui mise le sue mani sulle spalle per sorreggermi, ero in bilico. “Sono euforica.”

“Anche io.”

Ti ho già detto che ti amo?” feci con un sorriso. Lo vidi ricambiare, ma non rispose. Semplicemente, mi baciò di nuovo.

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Capitolo 31
*** what makes you beautiful ***


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What makes you beautiful

Carol e Ashton erano in sala, sul divano, ed erano gli unici immobili. Io e Manuela stavamo mettendo la tavola davanti ai loro occhi, sul tavolo basso in sala. Michael e Luke erano gli addetti alle schifezze, ovvero erano andati al supermercato per prendere qualsiasi cosa riuscissero a prendere prima che il negozio chiudesse. Madison stava chiamando le pizze e Calum stava parlando al telefono con Diana per spiegarle che questa sera non sarebbero tornati a casa. Stavamo per cenare da soli, il gruppo originale, per la prima volta da quando Diana era arrivata nelle nostre vite. In quelle di tutte, tranne in quella di Luke. Quel particolare continuava a rimbombare nella mia mente, ma in quel momento ero troppo felice per Carol e Ashton per rendermene conto. Appena potevo, li guardavo, cercando di non farmi notare per non farli sentire osservati.

Erano sdraiati sul divano, sotto un plaid leggero, e guardavano uno stupido programma alla televisione senza nemmeno prestarci troppa attenzione. Ashton si era tolto la bandana che, bene o male, lo accompagnava sempre. Ci misi un po’ a capire dove fosse finita, ma quando la vidi annodata al polso di Carol mi sentii scoppiare il cuore. Lui teneva un braccio attorno alla sua vita mentre lei era rannicchiata contro il suo petto. Avevano le mani intrecciate e Carol continuava a disegnare cerchi leggeri con i pollici sul palmo di lui. Ashton ignorava la televisione: era ad occhi chiusi, col viso vicinissimo ai capelli di Carol, come se non potesse fare a meno di respirare il suo profumo.

Non si erano lasciati un attimo da quando lui era apparso alla porta. Non avevano interrotto il contatto nemmeno un secondo, come se avessero paura di essere divisi di nuovo.

 

Quando tornarono Michael e Luke, eravamo tutti sul tappeto della sala, per lasciare il divano a Carol e Ash. Erano arrivati un minuto dopo le pizze, che in quel momento erano impilate sul tavolo. “Grazie di averci aspettato!” fece subito Luke, appoggiando sul tavolo il sacchetto che teneva in mano. Michael, invece, ebbe bisogno dell’aiuto di Calum per posare le sei bottiglie di coca-cola. Li guardammo basiti. “Ragazzi, siamo in otto. Avete preso da mangiare per venti!” fece Madison. “Fai prima a contare sette” fece subito Ashton. Madison alzò un sopracciglio. “Ash, lo so che ora siete inseparabili e tutto il resto, ma…”

“Non intendevo quello. Intendevo che per una settimana abbiamo mangiato tutti e due poco e niente. Se ora ci abbuffassimo, staremmo male.” Madison arrossì, scusandosi per la figura che aveva fatto. Ashton ridacchiò e le disse di stare tranquilla.

Io sorrisi. Vederli così era bellissimo, mi parevano passati secoli.

Guardai Luke e vidi che anche lui stava sorridendo intenerito. Io mi portai i capelli dietro l’orecchio… prima di sentire l’urlo di Manuela. Saltammo tutti per lo spavento. “Cosa succede?!”

“Cosa hai dietro all’orecchio?!” fece lei con voce acuta. Io e Luke sgranammo gli occhi, mentre Michael e Ashton scoppiavano a ridere. “Non ve ne eravate ancora accorte?!” chiese Michael. “Credi che se me fossi già accorta starei qui a gridare?!” fece Manuela. “In effetti…”

“Dimmi che non è quello che penso!” esclamò Manuela, guardando a bocca aperta sia me che Luke, che eravamo arrossiti. Carol era troppo strabiliata per dire qualcosa, un po’ come Madison. “Luke. Davvero le hai fatto un succhiotto?”

“Ehm…”

“Oddio, non ci posso credere! I più innocenti del gruppo! Non me lo sarei mai aspettato!”

“Non è la fine del mondo!” feci io ridacchiando. “Zitta, tu, che tanto lo so che qui mi rimani incinta per prima” fece Manuela. Io e Luke diventammo viola di botto e il le tirai un cuscino in testa. “Manuela!”

“Cosa c’è?! Ormai mi aspetto tutto da voi due!”

“Mi ha fatto solo questo!”

“E dovevate vedere com’erano presi entrambi!” intervenne Michael sghignazzando. “Non aiuti!” esclamò Luke. “Invece sì! È un testimone oculare! Siete stati beccati con le mani nel sacco, ragazzi!” fece Manuela con la stessa foga di... non saprei nemmeno dire cosa. “Possiamo mangiare e basta?” tentai. “La trovo un’ottima idea!” fece subito Luke, sedendosi sulla sedia accanto alla mia. Manuela ci guardò con occhi socchiusi, sussurrando un: "Vi tengo d'occhio."

 

Dopo quell'episodio piuttosto imbarazzante, riuscimmo a mangiare più o meno in pace. Luke continuava a rubarmi le patatine, ignorando il fatto che continuavo a dargli forchettate di piatto sulle nocche. Urlava ogni volta, ma non desisteva. "Luke, prendimene ancora una e giuro che ti tolgo la capacità di avere figli!"

Scoppiarono tutti a ridere nel sentire il mio urlo stizzito. "E poi come fai tu?" mi chiese Michael. "Ci sono tanti modi per rimanere incinta oggi" dissi a denti stretti. "Sì, ma non vorresti una figlia bionda, con gli occhi azzurri, e un faccino angelico?"

“Anche io sono bionda, con gli occhi azzurri, e un faccino angelico.”

“Sì, ma mai quanto Luke. Come faresti senza i suoi preziosi geni ad avere una figlioletta tale e quale a voi?”

"Ripeto, ci sono tanti modi."

"A volte mi chiedo se tieni più al tuo futuro o al tuo cibo."

"In questo momento credo tu abbia già capito la risposta."

Ridemmo tutti di nuovo e Luke mi posò un bacio sul segno rosso dietro al mio orecchio. "Avete finito di farmelo notare?!" esclamò Manuela. "Manu, credo che sarebbe anche ora che uscissero dall'imbarazzo con noi" fece Ashton ridacchiando. "Ashton è saggio" disse subito Michael con un sorriso sornione. "Saggio qui, saggio là, e intanto lui e Carol seminano le buste dei preservativi ovunque" fece Calum ridacchiando. "Ma vi fate gli affari vostri?!" esclamò Carol. Ridemmo di nuovo. "Dato che ormai siamo in un argomento scomodo, passiamo a questo: come chiamereste i vostri figli?" chiese Madison. "Aubrey" fece subito Carol. "E se fosse un maschio?"

"Nathan" rispose Ashton. Si guardarono un attimo prima di sorridersi e baciarsi a stampo. "Guarda te questi due, sono tornati insieme da un'ora e già pensano ai figli" mugugnò Manuela ridacchiando. "Tu che non hai di questi problemi, invece, come chiamerai i tuoi figli?" chiesi. Michael provò a prendere la parola, ma Manuela lo zittì. "Si chiameranno Austin e Diamond" disse orgogliosa. "E se io non fossi d'accordo?" tentò Michael. Manuela lo guardò assassina. "Mikey, mio grandissimo amore, mio dolcissimo cupcake. Tu per caso ti svegli in una pozza del tuo stesso sangue una settimana ogni mese? Tu per caso soffri ogni mese come se stessi per essere dilaniato? Sei tu che avrai il pancione nove mesi? Sei tu quello che partorirà un bambino, il che implica qualcosa di enorme che ti esce da hai capito dove? Sei tu che urlerai come un matto e insulterai il mondo in preda ad un dolore allucinante? No. Tu farai solo la parte iniziale, e godrai pure. Quindi, almeno i nomi, lasciali a me." Noi rimanemmo basiti nel notare il suo sguardo, ma Michael scoppiò a ridere. “D’accordo, cupcake. Stavo scherzando” fece dandole un bacio sul naso. “A volte mi chiedo come tu faccia a non aver paura di svegliarti con un coltello in schiena” fece Calum. “Naah. Fa tanto la dura, ma se sai come prenderla diventa tutto più facile” fece Michael ammiccando. “Oh, e tu sapresti come prendermi?” lo sfidò Manuela con un sorriso divertito. “Ma certo, piccola.”

“Dimostralo.”

“Stanotte.”

“Contaci, Clifford.”

“Ci conto eccome, tesoro” sussurrò lui sulle sue labbra. Ridacchiarono prima di baciarsi piano. “Comunque…” provò a dire Manuela, ma Michael la zittì. “Zitta, piccola, tieni il fiato per dopo.”

“Ah sì?”

“Già, ne avrai bisogno.”

“Sono proprio curiosa.”

“È un sì?”

“Vedremo.”

Michael scoppiò a ridere esultando. “Ottengo sempre quello che voglio” si vantò. “Ho detto vedremo.”

“Ma intendevi sì.”

“Vedremo anche questo.”

“Ehm, ragazzi, non vorrei disturbarvi, ma noi siamo ancora qui. Sempre qui. Tutti qui. Capito?” chiese Madison a bocca aperta. Lei, Carol e Calum sembravano sconvolti, Ashton se la rideva come un matto, io e Luke eravamo troppo in imbarazzo per dire qualcosa. Manuela e Michael non sembrarono curarsene tanto e tornarono a mangiare la pizza, come se non fosse successo nulla. Luke scosse la testa, sussurrando un: “Voi siete completamente matti” con tono rassegnato. “Esattamente! È questo il segreto per vivere bene!” rispose Michael con un sorriso divertito. Mi chiesi come facesse ad essere sempre così tranquillo e a suo agio e… imbarazzante. Perché in quel momento era imbarazzante, anzi, di più.

***

Passammo la serata a non far niente di particolare: ridemmo, scherzammo, e facemmo una lunghissima partita a Monopoli.

“Ashton Fletcher Irwin.”

“Sì, tesoro?”

“Sei l’essere più immondo che abbia mai conosciuto.”

“Oh, e dai, non fare così per un solo contratto. Via Accademia non vale nemmeno tanto.”

“Mi appartiene di diritto!” esclamai. Stavamo giocando a Monopoli e la squadra Ashton+Carol sembrava determinata a farmi impazzire. Carol sapeva quanto la società arancione mi stesse a cuore e lo aveva detto subito ad Ashton. Fortunatamente, un contratto lo avevamo noi, e uno Michael e Manuela, che sembravano piuttosto felici di poter scambiare un nostro contatto blu. Bene o male, tutti i contratti erano stati presi, mancava solo il più importante, e non parlo di Parco della Vittoria, ma…

“Coco, dobbiamo avere Vicolo Corto” fece Luke agguerrito. Io annuii e presi i dadi. Contai le caselle che separavano la nostra pedina dal nostro obiettivo. Quattro. “Sei sicuro di voler far tirare me? Non ho fortuna con queste cose.”

“Confermo, Coco è più fortunata in amore” fece Manuela ridacchiando. Luke ignorò i nostri avvertimenti e mi mise i dadi in mano. “Se finisco su qualcosa di sbagliato è colpa tua” lo avvertii. Lui annuì, mentre lo sentivo sussurrare: “Ti prego, fai quattro, fai quattro, fai quattro…”

Tirai i dadi e, cosa più unica che rara, le nostre preghiere si avverarono. “Sei bellissima!” esclamò Luke in preda alla gioia, mentre io ridevo e guardavo Calum e Madison rodersi il fegato, stringendo in mano Vicolo Stretto.

Alla fine, si era fatta mezzanotte. Avevano vinto Calum e Maddy, grazie a quei due maledettissimi contratti, Vicolo Corto e Vicolo stretto. Luke aveva fatto notare che avevamo lasciato sole Diana e Hellen e che non era una cosa esattamente carina farle dormire da sole. Così, avevamo deciso di andare a dormire tutti a casa loro, dato che almeno quella sera non avevamo intenzione di separarci.

Ci preparammo piano, senza nessuna fretta, ma quando feci per uscire, prima di tutti gli altri, notai che Manuela e Michael non erano ancora pronti, anzi, non ci stavano nemmeno provando. Sgranai gli occhi e la presi da parte. “Manu, dimmi che non stai facendo quello che penso.”

“Cosa pensi, di preciso?”

“Che tu stia cedendo alle sue provocazioni.”

Lei mi guardò con un sorriso furbo e gettò un’occhiata a Michael, in corridoio con gli altri. “Questo è quello che voglio fargli credere. Vediamo se sarà tanto bravo da vincere anche questa volta.”

“Manuela!”

“Tanto lo sai che ho la testa dura. Non ce la farà, vedrai.”

“Ti ricordo solo che hai diciassette anni.”

“Sono più grande di Carol.”

“Sì, ma Ashton ne ha venti, Michael ne ha diciotto solo fra poco.”

“Pensavo si parlasse di noi ragazze.”

“Non so più come controbattere, lasciami parlare a caso!”

Manuela scoppiò a ridere e mi abbracciò. “Coco, non gli concederei nemmeno il lusso del dubbio se non fossi sicura di poter gestire ogni eventuale strada. Tranquilla.” Io sospirai e annuii. “D’accordo. Però in camera tua.”

“Ho detto che non ce la farà!”

“L’importante è esserne convinti” fece Michael, apparendo dal nulla e posandole un bacio sul collo, prima di tornare al suo posto. “Hai sentito tutto?” chiese Manuela ad alta voce per farsi sentire. “Certo, cupcake. Sono peggio di un licantropo. Ho un udito migliore di Scott McCall.”

“Se avessi anche la sua faccia sarebbe perfetto.”

“Mi spezzi il cuore con queste parole, tesoro.”

“Hai detto di essere come un licantropo, no? Guarisci anche da questo” fece Manuela ridacchiando. “Credo di non potere fino a che continui a girare il coltello nella piaga” rispose Michael, tornando verso di noi e spingendola al muro. “Siamo ancora in casa!” esclamai. “E allora?”

“Potreste aspettare qualcosa, tipo, cinque minuti?!”

“Solo perché lo chiedi con questa faccia così scandalizzata.”

Sbuffai una protesta e raggiunsi gli altri. Luke mi guardò sorridendo imbarazzato. “Quindi rimarremo solo io e te?” mi chiese. “In che senso?”

“Nel senso che Maddy e Cal sembrano tanto innocenti, ma stanno insieme da anni e… ho il timore che siano arrivati a quel punto da un po’.” Io arrossii furiosamente e abbassai lo sguardo. “Sì, mi sa che rimaniamo solo io e te.”

“Sembri terrorizzata.”

“Si nota tanto che la sola idea mi mette a disagio?”

Lui mi sorrise e mi stampò un bacio sulla fronte. “Piccola, vorrei dire una frase classica come: quando sarai pronta io ci sarò; ma non lo farò ancora, perché la verità e che a solo pensarci mi viene un attacco di cuore. È una fortuna che tu non ti senta ancora pronta, perché non lo sono nemmeno io. Non m’importa se posso sembrare uno stupido, è la verità e con te non voglio avere segreti. E comunque, sono anche io a disagio nel lasciare quei due qui. Spero tanto che sappiano cosa stanno facendo.” Io sorrisi piano. “Cosa ho fatto per meritarmi una persona fantastica come te?” chiesi. “Mi stavo domandando la stessa cosa” fece, prima di baciarmi piano.

***

A casa dei ragazzi, Ashton mi prese un attimo da parte, chiedendomi di intrattenere Carol: voleva dare una parvenza d’umanità alla camera. Io ridacchiai e annuii, mentre lui mi ringraziava e volava al piano di sopra con gli altri ragazzi. Nonostante questo, non mi fu necessario trovare un contrattempo: era già lì che ci aspettava, sulla porta della cucina, coi capelli rossi spettinati, anche detta Diana.

Carol, appena la vide, si irrigidì. Diana mi guardò come a chiedermi se se ne doveva andare o meno. Io non dissi nulla. Mi sarebbe servito in quel momento un parere di Manuela, ma lei non era con noi e Madison era utile quanto me. Diana, non ricevendo risposta, indicò la cucina alle sue spalle. “Ho… ho pensato che avrebbe potuto farvi piacere un caffè” fece esitante. Vide la mia espressione a disagio e aggiunse: “Oppure una camomilla per Coralie. So che non ti piace, Luke me l’ha detto.”

Io e Madison ci guardammo e cercammo di capire cose avesse in mente Carol, ma lei era immobile. Fissava Diana e Diana fissava lei. La rossa si schiarì la voce. “Lo… lo so che mi odi. Ma per favore, non volevo. Non avrei mai fatto nulla di tutto quello che ho fatto se avessi saputo a cosa avrebbe portato. Mi dispiace. Carol, non puoi capire quanto mi dispiace. Vorrei solamente poter parlare con te. Permettimi di ricominciare da capo. Permettimi di dimostrarti che non sono la ragazza che odi” fece Diana con voce tremante. Per un attimo, rimanemmo tutte immobili, congelate in quell’attimo di tensione. Poi, Carol si avvicinò a Diana e le porse una mano. Con voce rotta, le disse: “Ciao, mi chiamo Carol Annabeth Lemaire. Ho diciassette anni e soffro di una malattia mentale che mi fa perdere il controllo, durante le rare volte in cui si manifesta. Sono estremamente suscettibile.”

Diana la guardò per un attimo come se dovesse capire bene quello che stava succedendo, poi fece un sorriso incredulo e le strinse la mano. “Sono Diana Moore. Ho diciassette anni e soffro di una gravissima carenza di tatto, che mi porta a dire cose completamente insensibili, di cui mi pento subito dopo. Possiamo provare ad essere amiche?”

Carol rimase in silenzio qualche secondo, prima di annuire.

***

Mi sdraiai nel letto di Luke, stremata, nonostante ci avessi dormito solo quel pomeriggio. Erano passate solo poche ore? Sembravano giorni. Luke si sedette di fianco a me e prese un foglio dal comodino. "Dormi, cucciola?"

"Più o meno."

"Ce la fai ad ascoltarmi ancora quindici secondi?" chiese ridacchiando. Io annuii e mi misi a sedere. Notai che il foglio che teneva in mano era l'invito di cui avevamo parlato quel pomeriggio. "Dato che Carol e Ash hanno chiarito, possiamo chiedere a tutti di venire. Ho evitato di proporlo prima perché non mi sembrava giusto escludere solo loro, soprattutto in un momento così, ma ora possiamo, no?" fece con un piccolo sorriso. Io annuii entusiasta e lui mi mostrò di nuovo l'invito. "Allora, quale tema scegliamo?" chiese. Io indicai l'ultimo e lui rise. "Ovviamente. Ti conosco troppo bene, ci avrei scommesso." Io gli sorrisi di rimando e gli diedi un bacio a stampo. Lui mi trattenne posandomi una mano dietro al collo e appoggiò le labbra sulla mia fronte. "Quando è, a proposito, la festa?" chiesi poi. "Fra tre giorni."

"... Non ti pare ce ci sia poco preavviso?"

"In realtà me l'ha inviato un mese fa, ma me l'ero dimenticato."

Io ridacchiai prima di sbadigliare e coprirmi la bocca con la mano. Lui mi prese per i fianchi, mi voltò e mi fece sedere sulle sue gambe incrociate, coperte dai pantaloni della tuta, come le mie. Mi abbracciò da dietro e affondò il viso nella curva del mio collo. Ci sdraiammo così e lui ci coprì, prima di darmi un bacio sulla fronte. "Buonanotte, amore" sussurrò. Io feci appena in tempo a rispondergli; subito dopo, mi si chiusero gli occhi e mi addormentai.

***

Il mattino dopo, mi svegliai da sola nel letto. Rimasi perplessa qualche secondo prima di accorgermi del rumore dell’acqua che scorreva nel bagnetto della camera, segno che Luke era in doccia. Mi stiracchiai e il mio sguardo cadde di fianco alla scrivania, dove Luke teneva le sue chitarre. Mi alzai e presi quella acustica, cercando di ricordarmi le volte in cui aveva provato a insegnarmi a suonare. Stavo ancora guardando perplessa il manico, quando davanti alla camera si fermò Michael. mi guardò un attimo e sorrise nel vedermi così, poi si avvicinò a me e si inginocchiò. “Facciamo una sorpresa a Luke” sussurrò, prendendomi le dita e posizionandole su tre corde diverse. Io cercai di non perdere la posizione, mentre lui mi diceva il tempo e l’ordine in cui suonarle. “Ma che cos’è?” chiesi assonnata. “Appena la suonerai la riconoscerai” fece lui ammiccando, prima di uscire dalla stanza. Io rimasi immobile qualche secondo. Di sicuro c’era qualcosa di cui mi stavo dimenticando, ce l’avevo sulla punta della lingua ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Così, decisi di lasciar perdere e provai a suonare. Nonostante quello che uscì fosse simile ad un lamento straziante di un animale in procinto di morire, riconobbi le note: Amnesia. Ridacchiai e mi ripromisi di ringraziare Michael. Ci riprovai ancora e sentii l’acqua spegnersi. “Coco?” fece Luke ad alta voce per farsi sentire. “Sì?”

“Stai provando a suonare Amnesia?”

“Sì!”

“Me la fai sentire di nuovo??”

Io mi concentrai e feci un profondo respiro. A quanto pare ci misi troppo, perché Luke si affacciò dalla porta del bagno avvolto in un accappatoio con il cappuccio decorato come se fosse la testa di un pinguino, che fra parentesi gli avevo regalato io. “Piccola?”

“Sto cercando di non fare troppa pena.”

Lui scoppiò a ridere. “Amore, ci vuole tempo. Non puoi diventare già bravissima dopo tre volte che suoni. Come minimo ti ci vorranno due settimane.”

“E allora perché mi vuoi sentire?”

“Perché mi piace sapere che non ti arrendi.” Io sorrisi piano e tornai a concentrarmi sulla chitarra, mentre lui continuava: “Dove hai trovato gli spartiti?”

“Non li ho trovati.”

“Da qualche parte l’avrai imparata.”

“Me l’ha insegnata Michael.”

“Quando?”

“Adesso.”

“Ma non era rimasto con Manuela a casa vostra?!” fece stupito Luke. Io rimasi immobile. “Ma io mi chiedo, si può essere più rincretiniti di così?” feci poi. “Te n’eri dimenticata?” chiese soffocando un sorriso. Io annuii, prima di posare la chitarra sul letto. “Amore, arrivo subito” feci risoluta, prima di correre al piano di sotto. “Michael! Vieni subito qui!” feci. Quando arrivai in sala, però, trovai Manuela sdraiata sul divano, che sonnecchiava. Mi fiondai su di lei veloce, esclamando: “Manu!” Lei si svegliò sussultando e urlò dallo spavento. “Ah, ma sei tu. Mi hai fatto prendere un dannato infarto, anche perché stavo facendo un sogno non molto simpatico.”

“Della serie?”

“Un Nogitsune.”

“Allora sei fortunata che ti abbia svegliata, no?”

Lei non rispose subito e si guardò le mani. “Che fai?” chiesi. “Otto, nove… Sì, sono dieci dita, sono sveglia” fece con un sorriso soddisfatto. Io scoppiai a ridere. “Siamo decisamente troppo drogate di Teen Wolf.”

“Già.”

“Dovremmo smettere?”

“Ma nemmeno per sogno.”

“Dopo ci guardiamo di nuovo la terza serie?”

“Sono pronta, tesoro!”

Scoppiammo a ridere di nuovo. “Piuttosto, com’è andata?” chiesi trepidante. Lei prese fiato per parlare, ma io la interruppi: “Comunque, prima che tu possa dire qualsiasi cosa, ieri ho parlato con Ash e Luke e mi sono resa conto che forse ho fatto troppo la mamma iperprotettiva, mi dispiace se ho esagerato ma ero davvero tanto a disagio. Scusa.” Lei sorrise. “Tranquilla, Coco. Tutto ok. E scusa per la scenata sul succhiotto.”

“Perfetto. Allora, dicevi?”

“Dicevo che per i primi venti minuti ho tenuto le redini del gioco e mi sono anche divertita molto… Poi lui ha deciso di cambiare le regole e… mi ha colto alla sprovvista.”

“Quindi…?”

“Sì, Coco. Ha vinto lui, per quanto mi costi ammetterlo.”

“E com’è stato?”

Lei sorrise quasi sognante. “Bellissimo.” Io la abbracciai. “Allora avete vinto in due” feci. Lei rise e ricambiò il mio abbraccio.

***

Verso le dieci, io e Luke decidemmo di uscire. Avevamo spiegato a tutti dell’invito e i ragazzi erano entusiasti. Con mia sorpresa, Carol lo aveva proposto subito a Diana, che aveva accettato di buon grado nonostante non avesse un accompagnatore. I temi – validi per le ragazze, dato che un ragazzo era a posto con giacca e cravatta - erano tutti molto fantasy: principessa, fata, sirena, e cose del genere. Luke ci aveva spiegato che era una festa in maschera e che questo suo amico era particolarmente fissato con quel genere di cose.

“Mi sa che dovrò fare la sirena, ragazzi. Senza accompagnatore sarei una principessa ben triste” fece Diana ridacchiando. “Dillo, che non vedi l’ora” fece Luke ammiccando. “Perché?” fece Madison curiosa. “Da piccoli, quando giocavamo insieme, lei voleva sempre fare la Sirenetta. Quando non la chiamavo Ariel diceva che mi avrebbe tirato addosso la conchiglia che usava sempre come collana.”

“Ero una bambina, Luke!” fece Diana ridendo. “Era una cosa adorabile” rispose lui con un sorriso enorme. “E tu cosa facevi?” chiesi ridacchiando. “Ovviamente, il pinguino” rispose Luke ridendo.

“Non so voi, ma a me piace tantissimo il tema principessa” fece Manuela emozionata. Michael scorse di nuovo la lista. “Non c’è il tema cupcake?” chiese. “Mike, non lo sceglierei comunque. Tutte le ragazze sognano una notte per poter essere delle principesse.”

“Confermo” fece subito Carol, mentre io, Diana e Madison annuivamo. “Siete un po’ scontate, eh?” commentò Calum. “No, siamo sognatrici.”

Così, Luke mi aveva proposto di accompagnarmi a cercare un vestito, e avevamo passato così due ore. In quel momento era fuori dal camerino di un negozio su tre piani specializzato in vestiti da sera, praticamente sdraiato su una poltrona che qualche anima buona aveva messo per gli uomini. Di fianco a lui, tutti i miei scarti, ovvero sei vestiti che mi ero provata. Io ero nel camerino, con la mia settima preda. Mi guardai allo specchio, non ero per niente convinta. “Coco? A che punto sei?” chiese Luke con voce straziata. “Non mi piace…” feci io con voce contrita. “Ma sulla stampella ti sembrava così bello…”

“Sì, ma io sono un po’ più spessa di una stampella.”

“Vieni fuori?” chiese. Io sospirai. Luke aveva già bocciato le prime sei scelte, dicendo che non mi rendevano giustizia. Avevo paura che bocciasse anche questo, nonostante lo avesse visto prima lui e me l’avesse proposto. Tirai la tenda rossa del camerino e lo vidi di fronte a me, che sgranava gli occhi. Gli cadde la mascella e mi guardò sbattendo velocemente le palpebre. Io arrossii e feci un mezzo sorriso. “Lo devo prendere come un…?”

“Sei bellissima, Coco. Cioè, sei sempre bellissima, ma così sei… hai capito cosa intendo, no?” Io ridacchiai piano e mi voltai di nuovo verso lo specchio, mentre lui mi raggiungeva. “Non mi convince” feci. Era un vestito nero, con una sola spallina ricoperta di piccoli strass argentati, la gonna morbida e un particolare ancora di strass sul fianco. Visto sulla stampella era davvero bellissimo, ma su di me c’era qualcosa che non mi convinceva. “Cosa c’è che non va, cucciola?” mi chiese lui, lasciandomi un bacio dietro l’orecchio, sul punto rosso. Io rabbrividii alla sensazione. “Beh, innanzitutto mi fa i fianchi grossi” feci. Lui si mise a ridere. “Coco, non hai i fianchi grossi.”

“Ma io mi sento così.”

“Coco…”

“Non potrai cambiare il mio parere, sai?”

Luke mi voltò verso di lui e disse: “Ok, proviamo così.” Mi mise le mani sui fianchi, delicatamente, e poggiò la fronte contro la mia. “Lì saremo così. I tuoi bellissimi fianchi non si vedranno neppure, ok?” Io sorrisi e lo ringraziai a bassa voce. “Poi, cos’altro non ti convince?” chiese. Io guardai di nuovo lo specchio, stavolta con le sue mani sui fianchi, e con mia grande sorpresa riuscii a trovarmi bella, forse una delle poche volte in cui potevo dirlo. Mi aprii in un piccolo sorriso incredulo, mentre lui faceva scivolare quasi impercettibilmente le mani verso la mia schiena. “Luke…”

“Piccola, aspetta. Guardati.”

“Ma te l’ho detto…”

“Coco, vorrei che tu riuscissi a vederti attraverso i miei occhi. Forse così riusciresti a renderti conto quanto tu in realtà sia… eccezionale. Perché non riesci ad amarti nemmeno la metà di quanto ti ami io?” Mentre diceva questo, tolse le mani dai miei fianchi e le intrecciò alle mie. Mi lasciò un piccolo bacio sul collo e mi guardò dallo specchio. Sentii gli occhi lucidi mentre mi guardavo così, senza le sue mani sui fianchi, e riuscivo comunque a piacermi. “Ti piace?” mi chiese. Io annuii senza dire niente, mentre sentivo una piccola lacrima commossa lungo il viso. “Però è completamente nero…”

“A te il nero sta d’incanto, piccola.”

“Sì, ma non sarò troppo tetra?”

“Non preoccuparti.”

“E la tua camicia bianca?”

“Ne metterò una nera.”

Ridacchiammo. “Perché è così facile per voi ragazzi?”

“Per permetterci di dedicarci completamente a voi ragazze.”

“Oh, ma smettila.”

“È vero, cucciola.” Mi girò il viso con un dito e mi baciò piano. “Quindi prendiamo questo?” chiese. Io annuii e lui mi sorrise felice. “Dai, mi cambio.”

“Aspetta un momento!” Luke tornò alla poltrona e prese una cosa, che nascose dietro la schiena. “Chiudi gli occhi” fece ammiccando. Io obbedii e sentii le sue dita delicate ai lati della mia testa. “Guardati” fece poi trepidante. Io aprii gli occhi e vidi che mi aveva messo una tiara argentata. Non era come quelle classiche delle principesse, avvolgeva come una fascia la fronte, con tre angoli verso il basso e quattro piccolissimi riccioli ai lati. Era bellissima. “Dovete essere principesse, no? Che principessa sei senza la corona?” mi chiese. Io risi e lui aggiunse, avvolgendomi la vita con le braccia: “Oh, già. Sei la mia principessa.”

***

Dopo le ore passate fra gli abiti, andammo a mangiare al Burger Club, decisamente più economico del negozio di vestiti. Eravamo seduti uno di fronte all’altra sugli sgabelli alti e stavamo divorando, affamati, i due panini e la quantità spropositata di patatine. Il mio era decisamente più piccolo del suo, che già dal nome, Godzilla, mi saziava. “Come fai a mangiare così tanto?” chiesi ridacchiando. “Ehi, vivo con tre pazzi, ci vuole energia” rispose scherzando lui.

Continuammo a scherzare e parlare, fino a quando dalla radio non sentii le note di What makes you beautiful. “Amo questa canzone!” esclamai. Lui rise mentre mi vide canticchiare. “Sei uno spettacolo così presa, amore” fece. Io non risposi e continuai a cantare:

Baby, you light up my world like nobody else

The way that you flip your hair gets me overwhelmed

But when you smile at the ground, it ain’t hard to tell

You don’t know you’re beautiful

Luke mi prese una mano e si sporse sul tavolo. Questo suo gesto mi fece ammutolire, mentre lui continuava:

If only you saw what I can see

You’ll understand why I want you so desperately

Right now I’m looking at you and I can’t believe

You don’t know you’re beautiful

That’s what makes you beautiful.

Io sorrisi piano e scossi la testa. “Non riuscirò mai a convincerti di quello che vedo, eh?” chiese. Io diedi una risposta negativa. “Beh, non mi arrendo. Coco, tu mi hai insegnato ad amare e ora io ti voglio insegnare ad amarti. So che è una delle cose più difficili del mondo, soprattutto per una ragazza, ma mi si stringe il cuore quando vedo come ti guardi. Mi fa male quando non riesci a perdonarti niente, quando non dici nulla per paura di sbagliare, quando non riesci ad avere fiducia in te stessa, quando non ti reputi abbastanza, quando pensi di non valerne la pena. Coralie, dal primo momento in cui ti ho visto ho pensato che ne valessi la pena. Quando il giorno dopo al concerto sei scappata al parco, mentre ti cercavo continuavo a ripetermi che ne valeva la pena. Ogni volta che ti guardo, continuo a dirmi che ne vale la pena. Ho pensato che questo dipendesse dal fatto che sono innamorato pazzo di te, così ho chiesto anche agli altri. Coco, per ognuno di noi ne vali la pena mille volte. Perché per te no? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio?” Io abbassai lo sguardo. “Vedo la Coralie in un letto d’ospedale, troppo debole mentalmente per sopportare quello che ha fatto alla sorella. Vedo la Coralie che piange facilmente, la Coralie che sbaglia, la Coralie che non ne fa una giusta. Luke, non so cosa vedi tu di me, ma io vedo questo” sussurrai con le lacrime agli occhi. “Coralie, ascoltami, va bene? Quando ti guardo e vedo la Coralie in un letto d’ospedale, vedo anche la Coralie che ha sopportato per mesi il ricordo di non essere stata riconosciuta dalla sorella, e che è andata a cercarla appena le ho detto che era in città. Quando vedo la Coralie che piange, vedo anche la Coralie che sa riasciugarsi le lacrime e alzarsi. Quando vedo la Coralie che sbaglia, riesco a vedere anche quella che fa la cosa giusta. E mille altre cose. Coco, ho visto tutto di te e mi sono innamorato di ogni parte. Tu saprai leggere gli occhi delle altre persone ma io so leggere i tuoi, e se riuscissi a trascrivere quello che leggo, ogni parola, ogni punto, ogni virgola, verrebbe fuori un tomo enorme che con le sue cancellature, gli spazi bianchi, le macchie, è ancora il libro più bello del mondo. Credo che amare sia questo e me l’hai insegnato tu. Come fa una persona come te a non vedere quello che è davvero, Coralie?”

Io rimasi in silenzio qualche secondo, prima che le lacrime cominciassero a rotolare giù dal mio viso. Lui scese dallo sgabello e mi raggiunse, aggirando il tavolo. Mi abbracciò, stringendomi forte, cullandomi delicatamente mentre io scoppiavo a piangere. “Sai, Luke? Qualche anno fa riuscivo a vedere le stesse cose che vedevi tu. Poi è arrivata una persona, che mi ha convinto della visione che ho adesso, e… è molto più difficile tornare a vedere come prima.”

“Ti giuro che se mi trovo faccia a faccia con quella persona, le arriva un pugno. È Matt, vero?”

“Sì.”

“Allora facciamo pure due pugni, per tutto il resto.”

Io ridacchiai fra le lacrime e lui mi strinse più forte. “Coco, ti prometto che non dovrai mai più sentirti così. Mi credi?” mi chiese dandomi un piccolo bacio sulla fronte. Io tirai su col naso, prima di annuire. Davvero, speravo di potergli credere.

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Capitolo 32
*** How to save a life ***


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How to save a life

"Ti ricordi com'erano le cose, prima che accadesse, per te e per me? Eravamo... Eravamo nullità. Non eravamo popolari, non eravamo bravi a lacrosse, non eravamo importanti. Non eravamo niente. Forse dovrei tornare ad esserlo ancora. Assolutamente niente." La voce di Scott era rotta, intervallata da singhiozzi. I suoi capelli gocciolavano benzina e il bengala nella sua mano emetteva un costante sibilo minaccioso. Allison, Stiles e Lydia ascoltavano in silenzio le sue parole, appena al di fuori della pozza di benzina. I loro occhi erano lucidi.

Scott sollevò il bengala, quasi fosse pronto a lasciarlo cadere, a darsi fuoco. Stiles si avvicinò a lui con passi lenti, non interrompendo mai il contatto con i suoi occhi.

"Scott, ascoltami, va bene? Tu non sei 'niente'. Per me sei qualcosa. Scott, sei il mio migliore amico. E io ho bisogno di te."

Stiles continuava ad avanzare, mentre la sua voce si incrinava. rimase un attimo in silenzio, prima di dire: "Scott, sei mio fratello."

Scott gli rivolse uno sguardo offuscato da lacrime disperate. Non era in sé.

Stiles guardò un attimo per terra, poi continuò: "Bene, quindi... Puoi fare questa cosa."

Entrò nella pozzanghera di benzina, lentamente, cauto.

"Credo che tu debba portarmi con te."

Impugnò il bengala appena sopra Scott e, sotto lo sguardo di Allison e Lydia, lo sfilò dalla mano di lui, gettandolo lontano.

Tirai su col naso e sentii Manuela di fianco a me fare lo stesso. Eravamo davanti allo schermo del televisore, affondate nelle coperte, con una ciotola di pop-corn in mezzo a noi. Il DVD della terza stagione di Teen Wolf, ormai, doveva essere bollente, ma a noi non interessava. Eravamo nel bel mezzo di una maratona e avevamo già finito le provviste di fazzoletti.

Sentii qualcuno appoggiarsi al divano dietro di me e un paio di labbra si premettero sulla mia fronte. "Cosa guardi, piccola?" mi chiese Luke da sopra le spalle. Non feci in tempo a rispondere, che sullo schermo comparve il Darach. Luke fece un balzo all'indietro. "Cosa cavolo è quell'affare? Di che morte è morto e da quale tomba è uscito?!" esclamò. Io e Manuela scoppiammo a ridere. "Sai che è una donna?"

"Oh, molto bella come donna, mi dicono. Sembra un cadavere!"

"E ti fa paura?" chiese Manuela ridacchiando. Luke annuì e io ridacchiai divertita e con tenerezza. "Beh, allora non ti consiglio di rimanere ancora qui. Ci vogliamo vedere tutta la serie e ciò comprende molte cose poco carine” fece Manuela.

"Più paurose di questo?"

"Luke, ma che uomo sei?"

"Io non sono un uomo. Sono un pinguino codardo."

"Ora si spiega tutto."

"Vero?"

"E se un Darach volesse uccidere Coco? Scapperesti?"

"Combatterei la nausea, la voglia di vomitare, la voglia di scappare e la voglia di svenire, e lo ammazzerei di botte. Nessuno tocca la mia piccola Coco."

Io sorrisi intenerita mentre lui tornava ad abbracciarmi. "Vuoi fare la prova di coraggio, allora?" chiese Manuela. Luke esitò un attimo. In quel momento, arrivò dal piano di sopra un urlo di Michael: "Luke, torna qui! Devi aiutarmi per la festa di domani!"

"Fatemi spazio, ragazze!" fece subito Luke, scavalcando il divano e mettendosi in mezzo a noi. Io e Manuela scoppiammo a ridere, mentre Luke mi tirava fra le sue gambe. Mi accoccolai contro di lui e ci avvolsi nella leggera coperta, mentre Manuela si prendeva l’insalatiera di pop-corn. “Cosa combina Mike?” chiese poi. “Non potete capire il delirio… Mentre voi vi guardavate belle tranquille Teen Wolf, di sopra è scoppiato il finimondo. Maddy, Carol e Michael sono impazziti per domani, non sanno cosa mettersi, non sanno cosa fare, le ragazze non hanno nemmeno un vestito adatto, a detta loro… Credo che più tardi Ash e Cal le accompagneranno in negozio.”

“Uh, a me serve la tiara. A chi posso chiedere?”

“Fidati, fra tutti, voi due e Ashton siete i più tranquilli. Se vuoi una cosa fatta senza ansia, chiedi a lui.”

“Perfetto, gli parlo dopo.”

“E comunque, non avrei mai creduto che il tuo ragazzo potesse andare in crisi isterica per una camicia che non si abbina al pantalone.”

“Ti prego, dimmi che stai scherzando…”

“No, purtroppo sono serissimo.”

Manuela affondò il viso fra le mani in un gesto di disperazione. “Non posso crederci” mugolò poi. Io ridacchiai mentre facevo ripartire il DVD. “Adesso, piccolo Lukey, fai attenzione, non abbiamo idea di cosa ci sia nel prossimo episodio” fece Manuela. “Ma non l’avete già visto?”

“Sì, ma abbiamo la memoria di due pesci rossi con l’alzheimer, quindi…”

“Capito.”

Ridacchiammo mentre lo sentivo sospirare. Mi voltai verso di lui. “Sei sicuro? Se ti fa paura non devi.”

“Amore, non è possibile che sia così vigliacco. Devo farmi un po’ le ossa o davvero, rischio di svenire in ogni momento” disse, stampandomi un bacio sulla fronte, di nuovo. Tornammo a guardare l’episodio, ma dovemmo fermarci subito perché Luke non capiva nulla. Così, dopo qualche tentativo di spiegargli tre stagioni in cinque minuti, decidemmo di cambiare DVD e rimettere il primo.

 

La sera passò in fretta, con Luke, Manuela e me in disparte a parlare di Teen Wolf, Madison, Carol e Michael che si mettevano d’accordo sugli ultimi particolari per il giorno seguente, e Calum e Ashton, che sembravano non poterne proprio più.

***

Venni svegliata alle sette dal sibilo fastidioso della sveglia. Sentii Luke, accoccolato contro la mia schiena, mugugnare qualcosa come: “Spegni quel coso malefico!” Ancora con gli occhi chiusi, cercai il pulsante – minuscolo, giustamente – per spegnere la sveglia, ma non lo trovai. Così, come da cliché, staccai la spina. Sbuffando, provai ad alzarmi, ma Luke mi attirò piano a sé con il braccio che aveva tenuto per tutta la notte attorno ai miei fianchi. Affondò il viso nella curva del mio collo, sussurrando un leggero: “Ancora cinque minuti, piccola, ti prego.” Io non mi ribellai e gli presi la mano, disegnandoci cerchi immaginari con il pollice. Lo sentii sospirare sulla mia pelle e questo mi fece rabbrividire.

“Sei pronta per oggi?”

“Diciamo che a quest’ora del mattino non capisco bene il motivo per cui dobbiamo stare lì tutto il giorno.”

“Piccola, sarà divertente, te lo prometto. Questo mio amico è un appassionato di video musicali e alle sue feste si diverte a riprodurli. Mi ha detto che ha cercato diversi video di feste come questa o di balli e ha raccolto un bel po’ di materiale. Fidati, ti piacerà molto. Non ti accorgerai nemmeno del tempo che passa. E poi, ti prometto che se ti annoierai, ti porterò via. D’accordo, amore?”

Io sorrisi e mi voltai verso di lui. “D’accordo” dissi solo dandogli un lieve bacio a stampo. Lui si aprì in un sorriso raggiante e si alzò. “Vado in doccia, o fai prima tu?” chiese. “Tranquillo, vai, io mi devo ancora svegliare bene” feci ridacchiando. Lui rise piano e si chiuse nel bagnetto della mia camera.

Presi il cellulare dal comodino e inviai un messaggio a Manuela: “Ehi, sei sveglia??” La risposta non si fece attendere. “Lemaire. Sono le sette di mattina.”

“Sette e un minuto, se vogliamo tanto fare le precise.”

“Non potevi alzarti e venirmi a svegliare, anziché farmi suonare questo squillo nelle orecchie?!”

“Troppo sonno per alzarmi.”

“Però per svegliare la mia ragazza non hai mai sonno, eh??”

Ci misi un po’ a capire quello che stava succedendo.

“Clifford, molla subito il cellulare di Manu!”

“Tecnicamente, lei sarà la signorina Clifford, quindi non so a chi tu ti stia riferendo dei due.”

“Ma sei scemo o cosa?”

“Ma lo sai che voi ragazze siete uno spasso quando vi arrabbiate??”

“Hai tre secondi per ridare il cellulare a Manuela, oppure vengo lì e ti ammazzo.”

“Non lo faresti mai.”

“Uno.”

“Ma dai, sta dormendo!”

“Due.”

“Uff, sei cattiva.”

“Mi fai così pena quando sai di avere le spalle al muro, che uso anche il due e mezzo.”

“Va bene, va bene! La sto svegliando!”

“Bravo.”

Passò circa un minuto, poi mi arrivò un altro messaggio.

“Buongiorno, tesoro! Scusa se ci ho messo tanto ma il mio amorevolissimo e bellissimo fidanzatino voleva svegliarmi nel modo migliore possibile, come fa sempre… mi ama così tanto!”

“Michael, non sei divertente.”

“Ma tesorino, cosa stai dicendo?! Sono Manuela!”

“Michael, a quest’ora del mattino se svegli Manu ricevi insulti. Quindi, fatti insultare e passamela. Non farmi alzare.”

“Ti giuro che ho provato a svegliarla, ma come hai detto tu, mi ha mandato a quel paese ed è tornata a dormire. Potrebbe essere più perfetta di così? È la mia anima gemella! La mia piccola cupcake!”

Sentii un urletto venire dalla camera accanto alla mia, seguito da una grossa, grassa risata. Poi mi arrivò un messaggio.

“Prima cosa, scusami se questo adorabile cretino ti ha fatto fare questa sceneggiata. Dovrà farsi perdonare. Seconda cosa, pure tu ti dovrai far perdonare, per avermi svegliato così presto. Ma che ti salta in mente?!”

“Buongiorno, Manu.”

“Buongiorno anche a te, Coco.”

“Hai intenzione di prepararti per la festa cinque minuti prima?”

“A che ora dobbiamo uscire di casa?”

“Alle undici e mezza.”

“E allora perché mi hai svegliato a quest’ora maledetta?! È sabato!”

“Ti ricordi che ieri ci siamo messe d’accordo tutte per le sette? Maddy e Carol avevano proposto le sei… Siamo riuscite a strappare un’altra ora…”

Manuela non rispose più. Invece, urlò: “C’è un girone all’inferno anche per voi mattiniere!!”

Sussultai, prima di scoppiare a ridere. Sentii che Michael mi imitava e questo mi fece ridere ancora di più. Ad un certo punto, la porta di camera mia si aprì e Michael e Manuela entrarono. Manuela si lanciò sotto le coperte, seguita da Michael. Io risi, mentre cercavo di non cadere dal letto. Manuela, in mezzo a noi, lanciò un piccolo urlo. “Chi di voi due maledetti ha i piedi freddi?!” fece. Io e Michael, intanto, eravamo piegati in due dal ridere. “No, ragazzi, sono seria, togliete queste ghiacciaie da me o vi arriva un pugno.” Altre risate. “Ma la smettete di ridere?! Giuro che non sto scherzando, sono seria da morire, ho ucciso per molto meno!”

In quel momento, qualcuno bussò alla porta di camera mia. “Vieni pure!” feci. Era Calum, e ci stava uccidendo con lo sguardo. Dietro di lui, Ashton. “Stringetevi, fateci spazio.”

“Cosa? Perché?!”

“Avete svegliato le due matte. Adesso stanno correndo da una camera all’altra per prepararsi. Come minimo, ci ospitate qui, esseri malefici.”

Altre risate. Davvero, non credevo di poter resistere a lungo. Ashton si infilò sotto le coperte dalla mia parte e Calum da quella di Michael. Non durammo nemmeno dieci secondi.

“Calum, smettila di tirare la coperta.”

“Non sono io! È Coralie!”

“Io?! Ma se sono immobile?!”

“Non è vero, e comunque tu hai più coperta di tutti!”

“Vorrei ben vedere, è il mio letto, razza di usurpatori che non siete altro!”

“Ehi, io sono la tua migliore amica, condividi! E togli quei tuoi dannati piedi gelati!”

“Io ce li ho bollenti!”

“Allora sei tu, Michael!”

“Beccato!”

“Siamo in cinque in un letto matrimoniale, ragazzi, ce la facciamo a starcene buoni?!”

“Giuro che adesso vi stermino tutti se non mi lasciate dormire almeno un’ora o due.”

In quel momento, uscì Luke dalla doccia, avvolto nel suo accappatoio con il cappuccio a forma di pinguino. Ci guardò un attimo, a metà fra il confuso e lo sconvolto. “Sinceramente, ho paura a chiedere cosa sta succedendo qui.” Ridemmo tutti e Michael rispose: “Anche io avrei paura. Sei sexy in quel completino, sai?”

“Avrei preferito non sentire questo ultimo commento, ma grazie.”

“Ma come, Coco non ti dice queste cose?”

Io arrossii e Luke fece lo stesso. Michael ci guardò un attimo, sorpreso, e alzò gli occhi al cielo. “Aiuto, quanto siete indietro.”

“Michael, lasciali in pace, brutto pervertito. È una cosa tenera!” fece Manuela. Luke, intanto, aveva aperto la cassettiera. In due cassetti, avevo spinto la mia roba di lato per lasciare spazio a qualche suo cambio, così prese una maglietta a caso, dei boxer e dei pantaloni della tuta, prima di tornare in bagno. Ci mise un paio di minuti, poi mi chiamò per lasciarmi fare la doccia. Mi liberai a fatica dalle coperte e, cercando invano di non schiacciare nessuno, lo raggiunsi. Mi chinai sul lavandino e bevvi un lungo sorso d’acqua. Nello stesso momento, sentii la porta chiudersi e Luke posò le mani sui miei fianchi. Mi alzai e lui mi voltò. Senza nemmeno darmi il tempo di asciugarmi, mi baciò, quasi con prepotenza. Sembrava così diverso dal Luke che arrossiva per ogni cosa, che non riuscivo nemmeno a capire come queste sue due parti potessero coesistere. Anche se, ad essere sincera, non mi dispiaceva. Luke mi sollevò e mi fece sedere sul mobile di fianco al lavandino, mentre io gli passavo una mano fra i capelli ancora fradici. Lui prese un bordo della sua maglia e lo passò sul mio mento, per asciugare la goccia d’acqua rimasta da prima; notai solo in quel momento che non aveva il piercing e questo mi fece sorridere, cosa che aveva poco senso, considerato il fatto che lo toglieva ogni notte. Non avrei saputo dire il motivo di quell’improvviso moto di tenerezza; magari era dovuto al fatto che, senza il piercing a dargli una leggerissima aria da duro, rimaneva solo un dolcissimo cucciolo, che mal si accostava al comportamento che aveva in quel momento. Luke mi spinse contro il muro e mi baciò di nuovo, mentre giocherellava con il bordo della mia maglietta. Dopo un tempo che mi parve infinito, me la sfilò, lasciandomi in intimo. Arrossii prepotentemente, ma cercai di non darlo a vedere. Inutile dire che se ne accorse, e mi sorrise. “Piccola, sei bellissima” mi disse solo. Mi baciò qualche altro secondo, poi mi lasciò andare. “O-ora devo andare in doccia” dissi, ancora rossa in viso. Lui annuì e mi stampò un altro bacio sulla fronte. Quando mi lasciò, io mi infilai nel box doccia, tirai la tenda di plastica e chiusi la porta di vetro. Con il tempo, avevo deciso di mettere quella tenda, perché spesso le ragazze entravano in bagno mentre mi facevo la doccia e, nonostante volessi loro un bene dell’anima, mi metteva sempre a disagio l’idea. Mi spogliai in doccia e buttai fuori l’intimo. “Coco, posso rimanere? Mi devo asciugare i capelli. Giuro che non guardo” fece Luke. Io acconsentii e lo sentii armeggiare con la spina del phon, mentre iniziavo a lavarmi.

Rimasi sotto l’acqua bollente venti minuti. Dopo i primi cinque, Luke aveva finito, ma aveva deciso di sedersi sull’asse del water e aspettarmi. Aveva iniziato a parlarmi della festa, di quello che avremmo trovato e del suo amico. Mi piaceva ascoltare la sua voce mentre raccontava tutto senza aspettarsi una mia risposta. Dopo un po’, finì gli argomenti, così iniziò semplicemente a canticchiare. Ci misi un po’ a riconoscere le parole, ma quando lo feci, sorrisi.

Where did I go wrong? I lost a friend

Somewhere along in the bitterness

And I would have stayed up with you all night

Had I known how to save a life…

Adoravo quella canzone. Non dissi nulla per non disturbarlo, ma diminuii il getto dell’acqua per sentirlo meglio. Finii di lavarmi ascoltandolo cantare How to save a life e How you remind me, due canzoni della mia infanzia. Quando interruppi il getto d’acqua, lui smise di cantare e mi passò l’accappatoio da sopra la doccia. Lo ringraziai e uscii, avvolgendomi i capelli in un turbante. “Comunque non è giusto che tu sai cantare e io no” mugugnai. Lui si mise a ridere e mi abbracciò. “E non è giusto nemmeno che tu sai scrivere e io no, se la vogliamo mettere così. Vogliamo continuare in questo modo tutta la mattina?” mi chiese ammiccando. Io risi piano e lui mi stampò un bacio sulla fronte. “Dai, piccola, vado di là, ti lascio cambiare in pace. Fai con calma, non abbiamo fretta. Ti aspetto di sotto per la colazione, ok? Cosa ti preparo?” Io sorrisi nel sentire la dolcezza con cui lo aveva detto. “Tranquillo, aspettami soltanto. Ci metto poco” risposi. Lui annuì e aprì la porta per uscire, ma quando si affacciò tornò subito dentro. Mi fece segno di fare silenzio e di seguirlo. Io, confusa, obbedii. La scena che mi si presentò davanti mi aprì un sorriso intenerito: Michael, Manuela, Calum e Ashton erano addormentati sul letto. Michael stringeva piano i fianchi di Manuela; Calum era raggomitolato sul bordo; Ashton era seppellito nelle coperte fino al naso. Sentii Luke stringermi una mano, prima di andare verso Calum e tirargli le coperte sulle spalle. Non so perché, ma in quel momento me lo immaginai mentre faceva la stessa cosa con un nostro futuro, ipotetico figlio. Un pensiero del tutto fuori luogo che mi fece esplodere il cuore.

***

Verso le dieci, avevamo fatto tutti colazione. Manuela, Maddy ed io eravamo in camera di Carol, mentre i ragazzi erano in quella di Manuela. Nel giro di qualche minuto sarebbe arrivata anche Diana. I nostri vestiti erano tutti stesi sul letto, in attesa di essere indossati.

Quello di Carol aveva la gonna blu scuro, a vita alta, morbida, e con il corpetto argentato, dalle spalline sottili. Sopra la gonna era posizionata la tiara: semplice, che come la mia fasciava la fronte, con una gemma verde petrolio in mezzo ma che non infastidiva con il colore diverso da tutto il resto. Una collana argentata con un’altra gemma – stavolta blu – come ciondolo e diversi bracciali grigi e blu erano di fianco ad essa. A terra, le scarpe, alte, che fasciavano tutto il piede, rigorosamente in blu.

Il vestito di Madison era, a detta sua, ispirato alle dee greche: color cipria, con il corpetto formato da due lembi sovrapposti che si intrecciavano a formare una scollatura a cuore, senza maniche; sotto di esso, la gonna cadeva morbidissima e leggera. La tiara era un semplice cerchio dorato ricoperto di perle; Madison aveva deciso di usarla come cerchietto, per non essere uguale a noi. Le scarpe erano decorate da ghirigori neri, quasi fossero di macramè. Sul vestito erano posati cinque bracciali, tutti diversi, tutti neri.

Quello di Manuela era il più particolare: azzurro chiarissimo, diviso in due, con la gonna unita al corpetto solo da una decorazione di perline argentate, che si allungavano sui bordi del corpetto e del pezzo inferiore, fasciavano la schiena in due incroci e si riunivano sul retro della gonna, creando una coda che si apriva verso la fine. La collana era una gemma a forma di cuore dello stesso colore del vestito. Le scarpe avevano una decorazione che in qualche modo ricordava un paio di ali. La tiara era la più elaborata fra tutte; l’aveva scelta Ashton e aveva sbagliato il colore, ma andava bene lo stesso: formata da volute color argento, con tre pietre celesti incastonate. Era bellissimo.

Maddy e Carol, dopo il panico della prima ora, avevano capito che non serviva agitarsi tanto, e si erano calmate. Fortunatamente, direi. In quel momento, Manuela era in doccia, mentre noi eravamo in intimo, sul letto. Carol aveva l’unico phon e io e Maddy stavamo aspettando il nostro turno. Eravamo intente a parlottare, quando qualcuno bussò alla porta. Subito dopo, Diana fece capolino con un gran sorriso. “Ciao ragazze! Tutto bene?”

“Cosa hai fatto ai capelli?!”

“Anche io sto bene, grazie” fece Diana ridendo. Io la osservai basita mentre si portava dietro le orecchie un ciuffo di capelli tinti di rosso ciliegia. “Me l’ha prestata Michael, per la storia di Ariel. Ci sto così male?”

“No, anzi, ti sta benissimo, solo che non ce l’aspettavamo!”

“Sì, Mike mi ha ordinato di non dirvelo, voleva vedere la vostra reazione.” Sorrise un attimo, e poi disse: “Buone notizie, mia madre è tornata a casa nostra per il fine settimana!” Inutile dire che questo scatenò le nostre ovazioni. Nostre e di Ashton, che stava passando davanti alla porta in quel momento.

Diana tirò fuori dal sacchetto il suo vestito e ce lo mostrò, chiedendoci emozionata: “Che ne pensate?” Io, Maddy e Carol rimanemmo in silenzio qualche secondo, proprio mentre Manuela usciva dalla doccia e esclamava un: “Accidenti, è strepitoso!”

Il vestito era senza maniche, color verde petrolio chiaro – non avrei saputo spiegarlo in altro modo –, a sirena – giustamente – con il corpetto e la prima parte della gonna ricoperti di brillantini che ricordavano le squame di un pesce. La parte restante della gonna si apriva, più larga, di chiffon.

“Che scarpe metti? Come minimo devono essere dello stesso colore.”

“Questa è una delle parti più belle. Da quando in qua le sirene hanno piedi a cui mettere scarpe??”

“Vuoi dire che verrai a piedi nudi?!”

“L’idea è esattamente quella. Ho due cavigliere di perle che fanno anche da infradito. Senza suola, ovviamente. Se devo entrare nel personaggio, devo farlo bene.”

“Ma questo non è un cosplay.”

“Ma non è nemmeno una festa dove c’è divieto di cosplay. L’amico di Luke mi ha offerto su un piatto d’argento l’occasione di tornare bambina e non la sprecherò. Anche perché ormai ho comprato il vestito, quindi sarebbe anche da stupidi” finì ridacchiando. Notai solo in quel momento che stava stringendo qualcosa nella mano sinistra. Quando le chiesi di cosa si trattasse, lei diede un’occhiata, quasi non si rendesse conto di avere la mano chiusa a pugno, e sorrise. Mise giù il vestito e impugnò con due mani quella che mi resi conto essere una conchiglia, con incollate sopra delle piccole perle che sembravano bolle. Aveva gli occhi lucidi. “È un regalo di mio padre. Amava viaggiare e ogni volta che tornava dalle sue gite mi portava un regalo.” Il fatto che stesse parlando al passato non prometteva nulla di buono. “Quando ero piccola, mi ricordo che passavo le ore al telefono con lui. Mi divertivo, mi faceva ridere, e mi raccontava ogni cosa del posto in cui era. Mi diceva di chiudere gli occhi e di immaginare il paesaggio, mentre lui me lo descriveva nei minimi dettagli. Poi mi diceva di immaginare lui di fianco a me. Ero troppo piccola per fare quei lunghi viaggi, a detta di mia madre. Lei non era per niente contenta quando papà le diceva che stava per partire, anzi, si infuriava ogni volta. Non capivo il motivo. So che dopo ogni litigata risolta, papà veniva da me e mi diceva: ‘Sto partendo all’avventura, sirenetta. Vuoi seguirmi con la tua fantasia?’ Aspettavo sempre le sue telefonate. Mi chiamava ogni giorno, alle nove di sera, non importava che fuso orario ci fosse nel posto in cui era lui. Sapeva che dovevo andare a dormire alle dieci, così mi faceva compagnia fino a quando non mi addormentavo. I suoi viaggi duravano qualche settimana, un mese; poi tornava con quello che a detta sua era un tesoro inestimabile, e che dovevo tenere al sicuro in uno scrigno che mi aveva regalato quando ho compiuto sei anni. Era uno di quelli che, quando li apri, hanno un carillon che suona e la bambolina che gira. Solo che questa era una sirena. Papà ha sempre saputo quanto le adorassi. Così, quando poteva, mi portava queste cose. Mi faceva vedere le foto che scattava durante il viaggio e mi chiedeva se erano uguali a quelle che mi immaginavo io mentre me le raccontava. Ogni volta che tornava, gli chiedevo se potevo seguirlo davvero, nel viaggio successivo. Quando mi ha portato questa, era appena tornato dalle isole Fiji. Mi ha detto di aver visto una sirena, che gliel’ha data apposta per me. Avevo nove anni. Quella notizia mi aveva resa felicissima, e continuavo a chiedergli se poteva portarmi lì, a conoscere la sirena. Lui mi disse che ero abbastanza grande e che mi avrebbe portata lì appena fosse tornato dal suo ultimo viaggio. Quando lo vidi partire, mi dissi che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei salutato da casa. Nel mio pensiero, stava a significare che la volta successiva sarei andata con lui, ma purtroppo ebbi ragione in un altro modo. Quella sera, rimasi sveglia fino a mezzanotte ad aspettare una sua chiamata. E anche la sera successiva, e per altre tre notti di fila. Mi sentivo quasi tradita e allo stesso tempo tremendamente in colpa, anche se per entrambe le sensazioni non c’era motivo. Non capivo perché non mi chiamasse. Mi chiedevo se avessi sbagliato qualcosa, se lo avessi fatto arrabbiare. Un giorno, sentii suonare al campanello. Sperai che fosse lui, che fosse tornato prima, che volesse farmi una sorpresa. Mi ricordo che per un momento sperai davvero che non mi avesse chiamato perché stava cercando la sirena. Quando aprii, rimasi delusa: non era lui, era mio zio. Aveva gli occhi rossi, ma quando mi vide tirò un sorriso. Gli chiesi: ‘Papà è a cercare la sirena?’ Lui mi sorrise e, abbassandosi per guardarmi in faccia, annuì. Mi ricordo benissimo cosa mi rispose: ‘Sì, papà è andato a cercare la sirena per te. Ma lei è molto timida e non si vuole far trovare. Non so quando tornerà papà. Ma mentre la cercava nel mare, ha chiesto a un granchietto di dirmi che lui sta bene, e che ti pensa ogni sera. Quindi, sono corso subito qui per dirtelo, e per dirti di non preoccuparti, perché rimarrà assente per un po’, ma quando tornerà, lo farà con la tua sirena. Va bene, piccolina?’ Io ero un po’ triste, ma entusiasta del fatto che stesse cercando la sirena per me. Lo zio mi disse di andare in camera mia a giocare, così lo feci. Stavo giocando con la bambola di Ariel, quando mi ricordai che non gli avevo ancora fatto vedere la conchiglia che mi aveva regalato la sirena. Così decisi di portargliela. Quando sentii mamma piangere, però, mi fermai. Ascoltai dietro la porta della cucina quello che mio zio stava dicendo. Mio padre era morto, l’aereo su cui viaggiava era andato in avaria mentre viaggiava sopra l’oceano ed era affondato. Non si era salvato nessuno. Non poteva essere vero, papà non poteva essere morto. Guardai la conchiglia e la strinsi. In qualche modo, ero convinta che se lo avessi desiderato abbastanza, la sirena avrebbe sentito la mia preghiera. La stavo implorando di trovare papà e di portarlo nel suo castello di perle, e curarlo, in modo che poi potesse tornare da me. Da quel momento, non mi separai mai più da questa conchiglia. Anche quando capii che era una cosa stupida e che mio padre non sarebbe mai tornato.” Mentre parlava, aveva iniziato a piangere, ma cercava di non interrompersi. Io stessa sentivo un groppo alla gola.

Quando finì di parlare, rimanemmo tutte in silenzio. Lei si asciugò una lacrima e tirò un sorriso. “Scusate, con questa sceneggiata potrei avervi rovinato la mattina. Mi dispiace se non so stare zitta” disse. Si voltò per chiudere la porta ma in quel momento passò Luke e la vide con gli occhi rossi. “Diana, che succede?” chiese. Diede un’occhiata dentro e vide che eravamo tutte nelle stesse condizioni. “Diana? Cosa sta succedendo? Riguarda…” Non finì la frase ma le lanciò un’occhiata eloquente e terrorizzata. Lei scosse la testa. “No. Coco mi ha chiesto cosa stessi tenendo in mano, ed era la conchiglia. Non ce l’ho fatta a tenermi tutto per me. Ho l’assurda mania di dire tutto a tutti, forse cerco sempre di essere al centro dell’attenzione. Non so perché ho sempre il bisogno di parlare. – Si voltò verso di noi e: – Mi dispiace se sono sembrata patetica.”

Luke scosse la testa e la abbracciò. “Diana, non sei patetica, d’accordo? Smettila di pensarlo. Sono anni che cerco di fartelo capire. Se senti il bisogno di raccontare, racconta. A loro puoi dire tutto e anche a me.” Carol si avvicinò e le disse: “Esatto, Diana. Sei capitata nella casa che fa per te. Qui tutti hanno problemi strani o un episodio strappalacrime alle spalle, e tutti ci psicanalizziamo a vicenda. Io ho questa mia carinissima malattia mentale; Coco ha Matt; Manuela ha una visione molto distorta di sé stessa; e Maddy ha vissuto il divorzio non troppo simpatico dei suoi genitori ed è scappata di casa. Siamo tutti dei pastelli rotti ma che sanno colorare ancora. Vuoi aggiungerti al disegno?” Diana sorrise mentre un’altra lacrima le scendeva dagli occhi. Era ancora abbracciata a Luke e in poco anche Carol si aggiunse, imitata poi da tutte noi. Non avrei mai immaginato, fino a qualche giorno prima, che sarebbe potuta accadere una cosa del genere.

Rimanemmo così per un po’, fino a quando Michael passò davanti alla porta e ci vide tutti stretti l’uno all’altro. “Ehi, qui fate un abbraccio di gruppo e non ci invitate?! Siete davvero dei pessimi amici e una pessima fidanzata! Ash, Cal! Questi qui fanno le coccole di gruppo e non ci dicono niente! Venite qui, facciamo vedere a questi ingrati come si abbraccia qualcuno!!” Così dicendo, si tuffò fra di noi, fino a stringersi attorno a tutti e soprattutto a Manuela, che era dietro di me. Li sentii sussurrare:

“Michael, brutta testa vuota decolorata, era un momento toccante.”

“Amore, non sono cieco, l’ho visto benissimo. Ma oggi niente lacrime e cosa c’è di meglio di un bell’abbraccio e un povero essere che fa il pagliaccio ogni volta per farvi ridere??”

“Forse non avevamo bisogno di ridere.”

“E di sicuro oggi non avete nemmeno bisogno di piangere. Quindi, ora fai un bel sorriso a centocinquanta denti, piccolo, amorevole squalo che non sei altro, e dammi subito un bacio.”

“Ti stacco quelle labbra impertinenti che ti ritrovi.”

“Ne varrebbe la pena, no?”

Ridacchiai mentre nell’abbraccio arrivavano anche Calum e Ashton, che non fecero domande, esattamente come Michael, ma si limitarono a fare il possibile per farci stare meglio, esattamente come Michael.

***

Dopo un'altra ora di pazzia per prepararci, noi ragazze eravamo pronte, e strano a dirsi eravamo in tempo. Eravamo sul letto, a guardarci in faccia, senza sapere cosa fare. "E ora?" chiese Diana. "Chiediamo ai ragazzi a che punto sono??"

"D'accordo" feci io, prendendo il cellulare. Composi il numero di Luke, ma rispose Ashton. "Coco, mi cercavi??"

"Non cercavo precisamente te, se no avrei chiamato sul tuo cellulare, no?"

"Ah, grazie, eh? Sono il tuo migliore amico e non mi vuoi!"

"Certo che ti voglio, ma non in questo momento!"

"Questa me la lego al dito, piccola ingrata!"

"Ash!"

"Sto scherzando, stupida. Ti passo Luke?"

"Metti il vivavoce a questo punto, dobbiamo parlare tutte con tutti." Lui rise e lo sentii armeggiare col telefono, prima che nella stanza si diffondesse la voce di tutti e quattro. Nel miscuglio di domande e risposte non riuscivo più a capire chi stesse parlando.

"Ragazze, siete pronte?"

"Sì!"

"Allora è tragico, noi non ancora!"

"E cosa dovete fare?"

"Dobbiamo ancora metterci in tiro! Ci manca il trucco, vero, ragazze?"

"Sei molto spiritoso, Michael, ma intanto noi ci siamo truccate e voi, che non dovete farlo, no!"

"Ci vuole tanto ad abbinare i vestiti!"

"Ma non dire cretinate, ci abbiamo messo meno tempo noi che siamo femmine!"

"Eh, niente, i ruoli si sono invertiti."

"Allora ho una grande idea."

"Le tue grandi idee mi spaventano, Cal."

"Amore, abbi un po' di fede in me!!"

"L'ultima volta, con la tua grande idea volevi diminuire il tragitto per arrivare a casa e ci siamo ritrovati sull'autostrada per Venezia!"

"Non è colpa mia se avevano chiuso l'uscita che ci serviva!"

"Maddy, lascialo parlare!"

"Grazie, Manu. Quello che volevo dire è: dato che oggi le ragazze sembriamo noi, perchè non lo facciamo diventare una regola? Oggi i ragazzi siete voi, e noi le ragazze."

"Se ti piacciono queste cose, so dove si trova un bel localino scambista."

"No, ehi, non intendo in ambito sessuale, o di vestiario. Intendo che, ad esempio, prendiamo la classica scena di un film, in cui le ragazze fanno la loro comparsa giù dalle scale e i ragazzi stanno lì a guardarle. Facciamo il contrario. Eliminiamo tutte le convenzioni. Siamo abbastanza strani da non farci problemi, sfruttiamo questa occasione!"

"Sai che è un'idea così pazza da essere grandiosa?"

"E io che vi avevo detto?!"

"Ok, ok, siamo d'accordo, adesso andiamo di sotto ad aspettarvi!"

"Ok! Proviamo a metterci poco!"

"D'accordo, ciao!"

Misero giù e noi ragazze ci guardammo un attimo, prima di scoppiare a ridere. “Davvero stiamo per fare questa cosa?” chiese Diana, stranita e divertita. “Non hai mai provato a divertirti in questo modo?”

“No, a dire il vero con mia madre appresso non posso fare più di tanto. È una delle poche volte in cui mi lascia da sola per qualche giorno e me la sto godendo fino in fondo. Mi piace stare qui con voi. Nonostante la settimana di… tensione, non ero così spensierata da anni.”

Noi le sorridemmo di rimando e Manuela si alzò. “Andiamo di sotto ad aspettarli. Voglio proprio vedere se la loro entrata trionfale potrà essere meglio di quella che avremmo fatto noi” fece con aria di sfida.

 

Un quarto d’ora dopo, eravamo davanti alla televisione, stravaccate come se non fossimo vestite di tutto punto con degli abiti lunghi, ma come se fossimo in pigiama. Sentimmo qualcuno schiarirsi la voce con esagerata potenza e ci voltammo verso le scale. “Siete pronte, signorine?” chiese la voce di Ashton dal piano di sopra. “Quando lo siete voi, signorine” rispose Manuela. “Manu, aspetta che arrivo di sotto e ti rovino di solletico” la minacciò Michael. “Amore mio, ho i tacchi a spillo. davvero vuoi metterti contro di me??”

“Questa però è cattiveria.”

“Questo è essere ragazza e sfruttare questo enorme vantaggio anche in modo fisico.”

“Anche?”

“Certo, anche. Sai com’è, il vantaggio mentale lo davo per scontato.”

“Che femminista.”

“Non sono femminista, sono solo sicura di essere più furba e intelligente di te.”

“Fammi un solo esempio.”

“D’accordo. Sai il videogioco che ti è sparito un mese fa?”

 

 

 

 

“Sì. Se mi dici che l’hai preso tu…”

“Esattamente. Avevo previsto che si sarebbe giunti ad una conversazione del genere così mi sono preparata. Ammetti che le ragazze hanno una marcia in più e lo riavrai.”

“Ma questo non è essere più intelligente!”

“Oh, no. È solo essere più lungimirante, furba, attenta e geniale.”

“Sei solo una spietata ricattatrice.”

“Ho messo in atto un ricatto perfetto e lo sai, e senza cervello non ce l’avrei mai fatta. E tu? Hai qualche ricatto per me?”

Il silenzio da parte di Michael mi fece trattenere una risata. Mi guardai intorno e vidi che anche le altre stavano cercando di non farsi scappare nulla. Sentimmo il brontolio contrariato di Michael dire: “D’accordo, hai vinto” e Manuela fece un sorriso vittorioso. “Vuoi ridere?” chiese poi. “Non esattamente.”

“L’hai solamente dimenticato a casa di tua madre l’ultima volta che siamo andati da lei. Ha chiamato qui per dirtelo ma ho risposto io, e anche se mi ha chiesto di riferirtelo potrebbe essermi puramente passato dalla testa.”

“Giuro che ti uccido.”

“Prima supera la forza soverchiante dei miei tacchi e della mia spietatezza.”

“Però non è giusto…”

“Lo sai che ti amo, Mikey?”

“Anche io, nonostante tu a volte sia davvero esasperante.”

“Disse lui, chiariamoci.”

“Questi sono solo dettagli” rispose Michael ridendo.

“D’accordo, adesso scendete, non mi va di arrivare tardi per colpa di un battibecco fra piccioncini” fece Carol ridacchiando. “D’accordo, d’accordo.”

Così dicendo, scese per primo Michael. Aveva il mento alto e si teneva le mani strette al bavero della giacca elegante, di un blu scurissimo come i pantaloni. Aveva la camicia azzurro pallido – probabilmente si era messo d’accordo con Manuela – e, per la gioia della sua dama, un papillon bianco. Aveva addirittura cambiato tinta, tingendosi di blu, il che era dire poco.

Ashton aveva a sua volta lo smoking blu, ma più in chiaro, dello stesso colore della cravatta. La camicia era bianca e fra i capelli aveva la sua immancabile bandana. Camminava anche lui a testa alta, con gli occhi socchiusi, come se fosse sua maestà in persona.

Calum fece la stessa entrata in scena. La camicia era un pelo più chiara del rosa antico del vestito di Madison, ma lo ricordava molto. Giacca e pantaloni neri completavano il tutto, ma esattamente come Michael, aveva aggiunto il suo tocco con una tinta biondo platino sul ciuffo. Anche lui sembrava voler imitare in malo modo tutti i modelli che si vedevano in TV e ci provava con uno sguardo che doveva essere provocante, ma che sembrava quello scrauso di un cartone animato. Mi venne da ridere nel vederlo così, ma cercai di trattenermi per rispetto di Madison. Mi voltai verso di lei e vidi che, ad ogni modo, stava ridendo anche lei, così non mi feci problemi.

Luke fu l’ultimo. Come mi aveva detto al negozio, aveva la camicia nera. La cravatta e il revèrs della giacca erano di raso, lucidi, e si staccavano dal cotone della camicia. Aveva i capelli tirati su nel suo solito ciuffo e, nonostante anche lui cercasse di fare il superbo come tutti gli altri, si vedeva lontano un miglio che stava cercando in ogni modo di non ridere. Aveva, con mia grande sorpresa, ancora il piercing. Era bello vedere come, nonostante il vestito elegante, fossero tutti esattamente uguali a come erano prima.

Appena tutti arrivarono sul nostro piano, noi ragazze ci mettemmo ad applaudire ed esultare. Michael e Ashton si esibirono in un esageratissimo inchino, mentre Luke e Calum scoppiavano a ridere. Michael si avvicinò alla sua dama e la fece alzare. Manuela, con un sopracciglio alzato e un sorriso divertito, lo seguì, mentre io ero curiosa di vedere dove sarebbe andato a parare. Michael si voltò di lato e fece finta di spruzzarsi qualcosa in bocca, imitandone addirittura il rumore, poi si girò di nuovo verso di lei. “È arrivato il suo principe azzurro, mia signora. Azzurro nel vero senso della parola” fece poi. Manuela scoppiò a ridere, mentre noi ci limitavamo a scuotere la testa, esasperatamente divertite. “Ehi, mi sono tinto apposta per fare questa battuta, me la sono studiata nei dettagli tutta la mattina, fatemi il favore di ridere” ci rimbeccò Michael. Provammo a trattenerci solo per fargli un dispetto, ma alla fine scoppiammo. “Allora non scherzavi quando hai detto che ti saresti messo il papillon” fece Manuela. “Tesoro, su queste cose non scherzo.”

“Tu scherzi sempre.”

“Uff, mi fai sembrare poco serio.”

“Tu sei serio?”

“La pianti di farmi domande delle cui sai già la risposta e che mi mettono solo in difficoltà?!” fece lui con un sorriso esasperato, mentre Manu rideva, ancora.

Luke si avvicinò a me e mi sollevò. “Siete così allegri in nero, ragazzi” fece Ashton ridacchiando. “Ehi, le avevo promesso che non l’avrei lasciata da sola in nero, e così ho fatto. Questo e altro se può aiutarla ad accettarsi” fece lui. Io sorrisi piano mentre lui mi circondava la vita con un braccio, carezzandomi piano il fianco. “Ragazzi, non vorrei turbare questo amorevole quadro, ma dobbiamo proprio andare. Dov’è la limousine di cui mi avevi parlato, Ash?” chiese Carol. Lui fece un sorriso raggiante e compiaciuto mentre noi lo guardavamo sorpresi. “Hai noleggiato una limousine?!” facemmo, andando verso la porta. “Oh, certamente. Sapete, è stata meno costosa di quanto voi possiate immaginare…” Noi aprimmo la porta, giusto per ritrovarci con il furgone dei ragazzi davanti. Sulla fiancata, aveva un grande cartellone: ‘Immaginate che sia una limousine’.

“… Giusto i soldi per il cartellone, l’indelebile e lo scotch grosso per appiccicarlo sul furgone.”

Lo guardammo tutti basiti, prima di scoppiare a ridere. “D’accordo, questo è divertente” ammise Diana. Carol, nonostante cercasse di fare l’arrabbiata, non riuscì a resistere. “Sei un cretino, Irwin” fece. “Perché devo spendere centinaia per una cosa così, quando con sei euro mi sono comprato le vostre ridate?? Non credi che sia molto meglio questo? Personalmente, preferisco divertirmi con voi, che sedermi in un’auto lussuosa” fece lui. Sorridemmo tutti a 360 gradi. "Tutti addosso a Fletcher!" fece Michael, buttandosi di peso su di lui. Ashton fece fatica a sostenerlo e barcollò indietreggiando, ma non riuscì a reggersi in piedi quando anche io e Carol li raggiungemmo. Cademmo sul divano, mentre con un urlo Manuela si buttava su di noi. In un attimo ci raggiunsero tutti, aggiungendosi a quella specie di abbraccio più simile ad una rissa. Ashton, sotto di noi, stava soffocando. "Maledetti, alzatevi subito, non respiro!!"

"No! È un abbraccio tenero!"

"Siete degli schiacciasassi!"

"Stai dicendo che sono grassa?!"

"Carol, prima di tutto, non l'ho mai detto; secondo, siete in otto su di me!! Permetti che anche se pesaste venti chili a testa non sareste comunque una piuma, tutti insieme!"

Scoppiammo tutti a ridere mentre Ashton cercava di far leva con i piedi per alzarci. Quando lo sentimmo tossire, decidemmo che ci eravamo spinti troppo oltre e ci alzammo. Lui si prese un minuto per fare dei lunghi respiri, fulminandoci con lo sguardo ogni volta che uno di noi rideva. "Vi odio, sto sudando e vi assicuro che non è che questa giacca sia leggera" mugugnò quando si rialzò, stiracchiandosi. Noi ci scusammo ridacchiando e lui ci guardò divertito. "Maledetto il giorno in cui ho pensato che fare da babysitter a dei piccoletti di diciassette e diciotto anni sarebbe stata una buona idea" fece. "Ehi, io ne ho diciannove!" ribatterono Michael e Diana. "Diana, non parlavo di te, non sei al loro livello, per fortuna. E Mikey, avrai anche diciannove anni, ma ne dimostri nove."

"Non è vero!"

"Chi ha detto: 'Tutti addosso a Fletcher'?!"

"E chi ha detto che a diciannove anni devo essere maturo?! Hai attaccato un cartellone al nostro furgoncino con su scritto: 'Immaginate che sia una limousine'!!"

"Volevo farvi ridere!"

"Volevo mostrarti tutto il mio affetto, ma mi hai brutalmente snobbato!" fece Michael, facendo finta di asciugarsi una lacrima con tono disperato. "Mi hai spezzato il cuore, Fletcher."

"E tu la schiena, Gordon."

"Odio quel nome!"

"E io odio Fletcher!"

"Basta!" fece Calum. Era una scena divertente e mi dispiaceva doverli interrompere, ma Calum aveva ragione, stavamo facendo tardi. Luke si sistemò la giacca, che si era stropicciata sulle spalle, prima di tornare a circondare il mio fianco. Si chinò fino ad essere abbastanza vicino a me per sussurrare: “Iniziamo ad andare, forse seguiranno il nostro esempio.”

“E se non lo fanno?”

“Andiamo da soli.”

Mi misi a ridere mentre lui mi portava verso la macchina. “Dimenticavo un particolare, non ho la patente” commentò Luke. “Io sì, però” fece Diana da dietro di noi. Salimmo in macchina, Diana al posto del guidatore e noi dove di solito stavano gli strumenti, vano che avevamo trasformato in un enorme divano, con quattro strati di coperte sul fondo e tanti cuscini. In un angolo c’era una scatola dove mettevamo le scarpe, per non sporcare il posto in cui ci saremmo seduti poi. Nell’angolo opposto, ci eravamo ingegnati e avevamo trovato un modo per mettere un mini frigo portatile, che andava a batteria e si ricaricava mentre la macchina andava. Quando avevo chiesto a Luke dove l’avessero trovato, mi aveva risposto con un vago: “L’ha portato Ashton quando è tornato dall’Australia.” I finestrini erano stati schermati con una pellicola colorata, che da fuori dava l’impressione di uno specchio (anche quella volta, una trovata di Ash in Australia). Aveva portato quattro colori: rosso, giallo, blu e verde; a quel punto, noi avevamo usato i vari colori per decorare i finestrini a mo’ di mosaico. L’interno, ora, era un coloratissimo e morbido ambiente.

Io e Luke ci togliemmo le scarpe e le buttammo nella scatola, prima di prenderci i posti migliori, ovvero quelli che davano la schiena ai sedili davanti. Ci sdraiammo e aspettammo, comodi, l’arrivo degli altri. “Dai loro dieci minuti. Se non arrivano, beh, l’invito era per me, Blake si farà una ragione della loro assenza” scherzò Luke. Diana acconsentì. “Blake è il tuo amico, no?” chiesi. Lui annuì. “È un tipo piuttosto eccentrico. Conoscendolo, avrà fatto venire tutti vestiti eleganti e lui si sarà messo comodo. – Si rivolse a Diana – Sai, anche lui ha una fissa per la Sirenetta.”

“Ma non mi dire!” fece lei con tono divertito. “Magari andate d’accordo! Chissà, forse ti trovi un fidanzato!” feci io. Luke scoppiò a ridere e sentii Diana che ridacchiava a sua volta. “Io, trovare un fidanzato? Non fa per me, ho di meglio a cui pensare ora” fece Diana. “E anche se volesse, non potrebbe con Blake. È già occupato con una mia amica, stanno insieme da due anni e sono felicissimi, anche se è una relazione a distanza. Anzi, sai che credo che oggi li vedremo insieme??”

“Oh, wow, dovrò vedere un’altra coppietta felice mentre io sono single senza speranza?” chiese Diana. “No. Non amano essere visti in pubblico” rispose Luke con un sorrisetto che non capii. Passarono due minuti, cinque, dieci. Improvvisamente, Diana suonò il clacson, facendomi sussultare. “E andiamo, lumache! Avete dieci secondi per salire o giuro che vi lascio qui!” esclamò, affacciata al finestrino. In un fuggi fuggi generale, il furgoncino si riempì e Ashton chiuse le grandi porte dietro di sé. “Mi lasciate da sola davanti?! Siete antipatici forte!” si lamentò Diana. Carol e Ashton scesero e la raggiunsero ai posti davanti. “Ehi, ora siamo troppo stretti!”

“Da sola, troppo stretti… Finito di lamentarti?” scherzò Manuela ridendo.

***

Arrivammo alla villa di Blake seguendo le indicazioni di Luke. Quando Diana posteggiò nell’ampio parcheggio di ghiaia, mi resi conto che forse non sarebbe stato così tranquillo. Il parcheggio, molto ampio, era pieno. Mi chiesi quanto posto avesse in casa questo Blake e soprattutto quanta voglia avesse di mettere in ordine tutto dopo. Anche se, a dirla tutta, ero praticamente sicura che in una casa del genere non potessero mancare i domestici. Scendemmo dal furgoncino rimettendoci le scarpe all’ultimo e ci guardammo intorno. “Wow, Blake vive proprio nella miseria” commentò Michael. “Non me lo ricordavo così schifosamente ricco” disse Calum. “Lo conoscete?” chiesi curiosa. “Lo conoscete?” chiese Ashton stranito. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Com’è che non me l’avete mai presentato?” fece poi. “Abbiamo perso un po’ i contatti, era soprattutto amico di Luke” spiegò Calum. “Com’è che ha invitato così tanta gente?”

“Nah, di solito invita relativamente poche persone. Però, ad esempio, ha invitato me e io ho portato voi. Non sono l’unico che fa così. Certa gente non la conosce nemmeno.”

“E non ha paura che succeda qualcosa in casa?”

“A quanto pare no.”

“Contento lui.”

“Già… Solo una cosa, fatemi il favore di non accennare mai a questo suo essere benestante. È il padre che ha un mucchio di soldi e lui odia questa cosa, lo hanno educato come un principino mentre se fosse stato per lui avrebbe girato il mondo. I suoi genitori gliel’hanno impedito.”

“Mi dispiace.”

“Dispiace un po’ a tutti. Ora entriamo, dai, ci tengo a presentarvelo” fece Luke, intrecciando le sue dita alle mie e dandomi un bacio sulla fronte. Ci incamminammo verso l’ingresso e quando raggiungemmo il grande portone, dovemmo mostrare l’invito. Il tizio all’ingresso ci fece passare dopo aver guardato male Diana, che era da sola, e Michael, con i capelli tinti. Appena lo superammo, Michael si voltò e gli fece una linguaccia.

L’interno era a dir poco meraviglioso, mi sembrava di essere stata catapultata in un film. Il colore predominante era il bianco del marmo di cui era composta la sala, dalle lesene alla scalinata che portava al piano di sopra, chiuso alla folla da un nastro rosso e un bodyguard che controllava. Come da cliché, sulla scalinata c’era un tappeto rosso, che arrivava fino a terra, attraversava il salone e raggiungeva l’ingresso. Il resto del pavimento – a giudicare da Diana, che essendo a piedi scalzi aveva i brividi – doveva essere piuttosto freddo, dato che era di marmo a sua volta, con sfumature grigie. Grandi finestre a ogiva si aprivano su tutta la parete della porta e la sala era illuminata anche da un enorme lampadario. Davvero, mi pareva di essere in un castello da film.

Il salone era stracolmo di gente, la maggior parte persone in maschera. Lungo i due lati della sala correvano due tavoli ricoperti con tovaglie rosse, che ospitavano ogni ben di Dio che si potesse immaginare. In mezzo alla stanza, poi, c’era quello che all’inizio scambiai per un sogno: un tavolo rotondo, pieno di frutta varia, con al centro un’enorme fontana di cioccolato. Le persone immergevano la frutta nel cioccolato fuso con l’aiuto di quelle che sembravano lunghe forchette e la posavano sul piatto che prendevano lì di fianco. Avevo l’acquolina in bocca.

“Secondo voi si può prendere un bicchiere e derubare la fontana di cioccolato?” chiese Manuela, leggendomi nel pensiero. “Lo spero proprio, ma anche se non si potesse lo farei lo stesso” rispose il suo ragazzo. Ridemmo tutti, mentre i due andavano verso la fontana. “Ci vediamo dopo!” esclamò Manuela.

In poco, il gruppo si disgregò. Rimanemmo solo io e Luke. “Hai fame?” mi chiese. Io scossi la testa. “Bene, allora seguimi” disse, prendendomi la mano e portandomi oltre la scalinata, verso una porta che prima, nella folla, non avevo notato. Portava ad un giardino lussureggiante e magnifico, che mi fece restare a bocca aperta. Guardandomi attorno notai che c’era un’altra porta uguale a quella, probabilmente all’altro lato della scala. “Dove stiamo andando?” chiesi. “Vedrai, ti piacerà. Hai letto The maze runner, no?”

“Se mi dici che è un labirinto, muoio.”

“No, non morire, amore, non riuscirei a vivere senza di te.”

Sempre tenendomi la mano, mi portò fino a quella che da lontano sembrava solo una lunga siepe, ma da vicino mi accorsi che aveva un’apertura. Luke ci entrò senza esitare, facendo svolte sicure, tanto che capii che non era la sua prima volta lì dentro.

Il labirinto era più grande di quanto pensassi; le pareti erano formate da siepi verde scuro e la ghiaia che segnava il percorso era bianchissima. Non vedevo l’ora di sapere dove mi stava portando. Quando si fermò, io rimasi a bocca aperta. Era un piccolo pezzo di paradiso. Eravamo al centro del labirinto, un grande quadrato delimitato dalle siepi. Al centro esatto c’era un gazebo rotondo, con tende bianche tirate di lato a chiuderlo, l’impalcatura di ferro battuto e con le stesse decorazioni delle otto panchine che costeggiavano i lati del quadrato. La cosa più bella del gazebo erano le quattro piante di glicine che, partendo dai quattro pilastri che lo sorreggevano, si intrecciavano e salivano fino a creare una bellissima cupola verde e lilla. Copriva un enorme divano circolare, pieno di cuscini decorati con screziature dello stesso colore del glicine sopra di loro. Ai piedi di ogni siepe c’erano una ventina di centimetri di prato costellato di margherite. Il resto era ghiaia. C’erano quattro entrate, poste esattamente al centro di ogni lato, con due panchine ai fianchi. Era un posto magico.

“Cucciola, benvenuta nel mio giardino segreto.”

***

Luke ed io eravamo seduti su una delle panchine. Sotto i miei piedi sentivo i sassolini della ghiaia, tiepidi per il sole. Le mie scarpe erano sotto la panchina mentre la giacca di Luke era appoggiata, con la sua cravatta, sullo schienale. Ero sdraiata con la testa sulle sue gambe, gli occhi chiusi, e Luke, con lo stelo di una margherita, disegnava figure immaginarie sul mio viso. Passava sul naso, disegnava spirali sulle guance, sfiorava le palpebre chiuse e vagava sulla fronte. Capii che era intenzionato a farmi addormentare quando iniziò a passarmi le dita fra i capelli, continuando a disegnare. “Luke…”

“Shh, piccola, stai tranquilla.”

Non risposi più, godendomi il tepore del sole e le coccole di Luke.

 

Mi stavo per addormentare, quando sentii dei passi smuovere la ghiaia. Non aprii nemmeno gli occhi: chiunque fosse, sperai tanto che, vedendoci, se ne andasse. Invece, Luke smise di disegnare con lo stelo della margherita. "Luke, quanto tempo!" fece una voce maschile. Sentii Luke fare: "Shh" e l'altro si avvicinò a noi con passo leggero. Non riuscii nemmeno ad aprire gli occhi, ma non me ne feci un problema: tanto pensavano già che fossi addormentata. Così, rimasi solo ad ascoltare. "È un piacere rivederti, Blake. Sei sparito dalla circolazione, piccolo snob ricco sfondato, eh?" fece, con mia sorpresa, Luke. L'altro ridacchiò. "Per te sono il signorino Lucian Blake, chiaro?" disse. "Dimmi che scherzi."

"Ovvio che scherzo, genio."

"Per un attimo ci ho creduto davvero."

"Non potrei mai diventare il signorino Lucian Blake. Io sono solo Blake, per te."

“Non ti sei ancora arreso ai tuoi, eh?”

"Già. È lei?"

Sentii Luke stare in silenzio qualche secondo, mentre la sua mano tornava ad accarezzarmi i capelli. "Sì."

"Quando si sveglia, me la presenti, vero?"

"Certo."

"Come hai detto che si chiama? Ho una memoria pessima."

"Coralie."

"È un bel nome, sarebbe stato adatto per una sirena, oggi."

"Sì, ma lei è la mia principessa. E non lo è solo oggi."

Blake ridacchiò. "Ti capisco benissimo. E invece, hai visto la mia, di principessa?"

"La tua sirena, al massimo."

"Davvero ha scelto la sirena?"

"Certo."

"Non vedo l'ora di vederla... Davvero, è impossibile starle lontano così tanto. E poi ora che è qui, mi viene male a sapere che comunque dobbiamo fingere di non conoscerci."

"Beh, se non vi vede nessuno, non dovrete fingere."

"Ed è per questo che la cercavo nel labirinto. Però ci sono due ragazzi che l'hanno occupato, due biondini, uno con gli occhi azzurri e l'altra che dorme. Quindi mi sa che dovrò cercare un altro posticino."

"Riferimenti puramente casuali, vero?"

"Esattamente, Hemmo."

"Viva i vecchi soprannomi, Blackie!"

"Aiuto, quanto lo odio."

Luke rise insieme a Blake, mentre provavano a non fare troppo rumore. Blake prese di nuovo la parola: "Sai dove posso trovare la mia sirenetta?"

"No, purtroppo, l'ho vista di sfuggita all'inizio."

"In mezzo a tutte quelle altre sirene... Come la trovo?"

"E come la trovi se rimani qui?"

"Sei simpatico come al solito, eh?"

"Ti sto solamente dicendo che il tempo che avete è davvero poco. Potrebbe tornare a Roma da un giorno all'altro. Quindi, davvero, fossi in te io sarei già andato via."

Blake ridacchiò. "Sai cosa? Hai perfettamente ragione. Ciao Lukey, ci vediamo dopo, forse. Divertiti con Claire."

"Coralie."

"È lo stesso."

"Non esattamente, pesce rosso che non sei altro."

Risero entrambi e Blake, salutandolo, se ne andò.

Attesi di non sentire più i suoi passi prima di aprire gli occhi. Vidi Luke che mi guardava. “Ti abbiamo svegliata?” chiese apprensivo. “Sì e no” feci. “Preferivo più no che sì, ma meglio che un sì completo” rispose lui. Io ridacchiai, prima di sentire il suo stomaco brontolare. Scoppiammo a ridere. “Hai già fame?”

“Amore, mentre dormicchiavi è passata un’ora e passa, è l’una.”

Impallidii a quella notizia. “Beh, allora torniamo dentro. E, mi dispiace se l’autonomia delle mie batterie è così scarsa.”

“Non preoccuparti, cucciola. Amo vederti dormire.”

Sorrisi e mi chinai per mettermi di nuovo le scarpe, mentre Luke si infilava la giacca. Gemette disperato. “Che c’è?”

“È caldissima, sto soffocando.”

Io risi ma mi dovetti fermare subito, mi faceva male la pelle sotto gli occhi. “No, ti prego…” feci, sfiorandomela. “Cosa succede, amore?”

“Mi sono bruciata stando al sole…”

“Ma ci sei stata solo un’oretta!”

“Lo so bene… Ma mi bastano dieci minuti per bruciarmi qui… Quanto mi odio in questo momento, fa male quando rido.”

Luke scoppiò a ridere e mi baciò piano. “Allora proviamo a fare i seri, per una volta” fece. “Non posso nemmeno sorridere!”

“Beh, allora questa è una tragedia.”

“Non sei spiritoso.”

“Non volevo esserlo. Come faccio io, senza il tuo sorriso?” mi chiese, prima di stamparmi un bacio sul naso. “Quando vedo Blake gli chiedo se può fare qualcosa, se ha una crema, qualsiasi cosa. Non voglio che peggiori.”

“D’accordo, grazie” feci, sinceramente sollevata.

Tornammo dentro giusto per notare che i piatti sui tavoli erano cambiati, gli stuzzichini vari avevano lasciato il posto a veri e propri primi e secondi, ma per la mia gioia, il tavolo con la fontana c’era ancora. In quel momento, tutte le persone erano sedute a dei tavoli che prima non avevo visto da nessuna parte. Vidi Manuela che si sbracciava per farsi notare, indicando tre posti liberi accanto a lei, al tavolo dei ‘nostri’. “Vado a sedermi un attimo, devo parlare con Diana. Tu intanto inizia a prendere quello che vuoi, ti raggiungo subito” mi disse Luke, dandomi un bacio sulla guancia e andando verso il nostro tavolo. Io non dissi niente e mi diressi al buffet.

Stavo mettendo nel piatto un paio di fette di pizza – non m’importava se era un posto così elegante, la pizza avrebbe sempre vinto – quando sentii qualcuno picchiettare un dito sulla mia spalla. Mi voltai e incontrai il viso sorridente di un ragazzo, con i capelli lunghi neri e incredibili occhi azzurri. “Ti piace proprio la pizza, eh? Me ne lasci una fetta, per favore?” mi chiese. Io arrossii – a quel punto dovevo essere proprio viola, dato che quando mi scottavo le guance ero rossa per giorni – e mi scansai. Lui rise e si servì. “Non ti ho mai vista da queste parti. Sei un’amica di un invitato?” mi chiese. Io annuii. “Sono la ragazza di un invitato, Luke Hemmings” feci timidamente. “Viva le coincidenze. Mi chiamo Luke” disse lui sorridendo raggiante, mostrando i denti bianchissimi che risaltavano sulla pelle abbronzata. Al contrario di tutti gli altri, aveva ignorato la regola di Blake, ovvero vestirsi in modo elegante: aveva una camicia quasi medievale, o da marinaio, di cotone grezzo con le maniche larghe che si stringevano solo ai polsi. I pantaloni, almeno, erano quelli di un completo. “Ti piace qui?” mi chiese. Io annuii. “Anche se a dire il vero speravo di incontrare il padrone di casa” aggiunsi poi. “Luke te ne ha parlato?”

“Oh, sì.”

“E che ti ha detto di lui?”

“Che è una persona eccentrica, che vuole girare il mondo ma i genitori lo hanno bloccato qui, che ha una fissa per la Sirenetta e che vive una relazione a distanza. Ha parlato soprattutto della fissa per la Sirenetta.” Luke scoppiò a ridere e io non capii il motivo. “beh, diciamo che è un buon modo per riassumermi” disse. Io lo guardai interrogativa. “Forse non mi sono presentato bene” spiegò, pulendosi la mano destra su un tovagliolo. “Ciao, mi chiamo Lucian Blake, detto Luke o, come mi chiama il tuo ragazzo, solo Blake. Ero curioso di sapere se ti aveva detto di me e ho fatto tutto questo teatrino, mi dispiace se ti ho messa a disagio. Ti ho vista prima con lui ma stavi dormendo. Sei Claire, no?”

“Coralie.”

“Insultami, ho una memoria pessima con i nomi.”

Io gli strinsi la mano mentre lui ancora rideva. Ripensai a quello che gli avevo detto riguardo la Sirenetta e arrossii di nuovo.

Viva le gaffe.

 

 

 

 

 

 

*Angolo autrice*

Scusatemi in ginocchio, davvero, miei dieci lettori… mi dispiace tantissimo se ci ho messo più di un mese ad aggiornare… Questo capitolo è stato un parto ma spero di essermi fatta perdonare con ventitré pagine… Scusatemi, davvero, chiedo umilmente perdono. Però, dai, sono qui all’una di notte a scrivere, ho scritto di getto sette pagine oggi perché non volevo ritardare oltre, quindi vi prego, siate clementi con me, non condannatemi. È un periodo orribile. E inizio già a dire che anche il prossimo capitolo sarà molto ritardatario, perché da mercoledì inizio a provare con la compagnia di teatro per mettere in piedi lo spettacolo, ho mille prove lunghe (dalle due alle otto) e devo anche andare avanti con la scuola, quindi davvero non so come aggiornerò… io giuro però che ci provo! Intanto, vi ho avvertito, quindi vi prego non abbandonatemi.

Dopo queste suppliche, vi saluto, grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui e scusatemi ancora!! Sono una persona orribile!

Bacioni e altre scuse

Ranya

PS: che ne pensate del nuovo banner? Meglio questo o quello vecchio? Ditemelo please, ci tengo tanto a saperlo!

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Capitolo 33
*** thinking out loud ***


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Thinking out loud

 

“Spero di non aver detto cose compromettenti” feci imbarazzata. Lucian rise ancora di più. “Tranquilla. Non me la prendo. Luke è uno dei miei migliori amici e sa che può dire ogni cosa di me, anche se devo ammettere che è stato piuttosto giusto nei miei confronti con questa descrizione” disse. Proprio in quel momento, arrivò Luke. “Si parla del diavolo” fece Lucian ridacchiando. “Ehi, non importunare la mia ragazza, maniaco” scherzò Luke, cingendomi la vita con fare protettivo. Ridemmo tutti e Luke adocchiò la pizza nel mio piatto. “Mhm, amore, la mangi tutta?” mi chiese, con un tono che in un cartone animato avrebbe accompagnato una leccata di baffi. “Sì” dissi subito, schermando il mio pranzo – e sottolineo, il mio – con il corpo. Lui mise su un broncio adorabile che mi rese difficile rimanere sulla mia decisione. “Luke, se vuoi una fetta di pizza, basta che la prendi da lì” fece Lucian perplesso. “No, voglio la sua. Se mi ama me ne darà una fetta.”

“Che cosa?!” chiesi io sconvolta. “Certo.”

“Le prove d’amore sono la cosa più insulsa che esista!” esclamai. Luke rise e mi diede un bacio sulla fronte. “Lo so, piccola, non te ne chiederei mai una. Stavo scherzando. So cosa ne pensi.”

“Oh, siete stomachevoli, ragazzi” ci punzecchiò divertito Lucian. Luke lo guardò male, prima di avvicinarsi al tavolo e servirsi. “Andiamo dai ragazzi, piccola?” mi chiese poi. Io annuii e Lucian ci salutò, lasciandoci raggiungere il tavolo dove si erano sistemati gli altri. Manuela, quando mi vide arrivare, si sbracciò, quasi avesse paura che non l’avessi vista. Mi sedetti accanto a lei. “Manu, guarda che sono talpa, ma non fino a questo punto.”

“Non si sa mai, con una persona che non saluta nessuno a meno che non sia a due metri di distanza, date le continue gaffe.”

“Ma me lo devi ricordare ogni volta?”

“Non è colpa tua se non porti mai gli occhiali!!”

Michael ci interruppe. “Allora, Coco, a quanto pare hai conosciuto Lucian” disse con un sorrisetto. Io annuii. “E ho fatto pure una bellissima figura da cretina, se è per questo” aggiunsi. Loro si misero a ridere. “Non è la prima volta, comunque” sussurrò Manuela. Io le diedi un calcio sul piede e lei soffocò una risata, rispondendo al fuoco con uno schiaffo sul braccio. “State buone” ci rimbeccò, da brava mamma, Carol, con un ghigno divertito, che fu subito coperto dal bicchiere che lei si avvicinò alle labbra.

Mangiammo in poco tempo, facendo i turni per i rifornimenti, che puntualmente finivano nel giro di cinque minuti. Ad un certo punto, si avvicinò a noi Lucian, che si appoggiò coi gomiti sugli schienali delle sedie di Luke e Diana. “Ragazzi, ho bisogno di un favore” disse. Noi ci voltammo verso di lui. “Non sta andando al massimo. Avevo programmato uno spettacolo di qualche minuto come pezzo forte ma i ballerini sono bloccati nel traffico, così credo che dovrò anticipare il karaoke. E dato che un uccellino qui mi ha detto che qualcuno sta per diventare parte di una band famosa, mi chiedevo – casualmente – se vi andrebbe di dare una mano ad una povera anima in pena” fece, sottolineando la parola ‘ qualcuno’. Ashton fece una smorfia. “Amico, ti aiuterei pure, ma vestiti così significa buttarsi via. Già uno smoking è pesante per conto suo, pensa se dobbiamo pure suonare. Mi ci vedi, dietro una batteria in giacca e cravatta?” fece. Luke e Calum annuirono dispiaciuti, d’accordo con Ashton. Michael e Manuela, invece, si alzarono subito in piedi. “Io vado” fece Manuela, decisa. “Io pure” aggiunse Michael. Lucian esultò piano. “Grazie, ragazzi, davvero. Mi avete salvato” disse, indicando loro prima la sala gremita di persone, poi un palchetto a cui prima non avevo fatto caso, che era stato messo all’inizio della scalinata. “Quali strumenti vi servono? Vedo cosa posso procurare” disse. Michael e Manuela si misero di spalle a noi e iniziarono a discutere animatamente, probabilmente riguardo alla canzone da fare. Riuscii a sentire poco.

“Dai, cupcake, ti prego!”

“No! Mi rifiuto di fare ‘pizza’ qui dentro!”

“Ma è  la mia canzone preferita!”

“Parla di te!”

“Lo so! Non sono ancora del tutto scemo, quando sento ‘Michael wants another slice’ capisco che si riferisce a me!”

“Nemmeno per sogno.”

“Dai!”

“No!”

“E tu quale proponi allora, mhm?”

Manuela non rispose e si voltò verso Lucian. “Hai una tastiera?”

***

Ed eccoli lì, dopo una decina di minuti in cui i due si erano preparati e avevano collegato la tastiera in posti a me sconosciuti. Lucian salì sul palchetto – che già aveva attirato qualche sguardo curioso – e iniziò: “Ciao a tutti, scusatemi il disturbo, ma come sapevate dovevamo avere dei ballerini qui, che però sono in madornale ritardo. Quindi, per ingannare un po’ l’attesa, avevo pensato ad un karaoke. Lo so, è un’idea vista, e rivista, e rivista ancora, ma – si voltò verso Michael e Manuela – ragazzi, voi non li avete ancora sentiti cantare, questi due” fece con un sorriso. I due sul palco sorrisero a loro volta e Lucian si dileguò dal palco in fretta. Da qualche parte – non dal nostro tavolo, figuriamoci – qualcuno iniziò ad applaudire – non fu Ashton, no! – e tutti gli altri lo seguirono. Nel rumore, cercai di farmi sentire urlando: “In bocca al lupo, Manu!” La mia migliore amica mi guardò riconoscente. Nonostante sembrasse tranquilla, ero certa che stesse morendo dalla paura, dato che quella era una delle prime volte in cui cantava in pubblico, e anche se aveva una voce bellissima, a mio parere, lei era sempre terrorizzata dal fattore ‘brutte figure’, in cui si riteneva esperta.

Manuela fece un profondo respiro da dietro la tastiera, mentre Michael si voltava verso di lei e le sorrideva, facendole l’occhiolino. Era seduto su uno sgabello alto e la chitarra era in equilibrio sulle sue gambe. Sembrava tranquillissimo, ma la mano che impugnava il manico – non avrei saputo come meglio definirlo – era bianca, dato che tutto il sangue se n’era andato quando lui aveva deciso di stringere troppo per il nervosismo. Luke si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: “Sai, Michael è uno di quelli che si fanno prendere molto dall’emozione prima del concerto. La prima volta che abbiamo fatto una cosa del genere, è scappato via e Calum è andato a riprenderlo nel bagno delle ragazze, dove si era chiuso sperando di non essere ritrovato mai più, citando le sue esatte parole.” Io scoppiai a ridere e lui mi fece segno di fare silenzio, aggiungendo poi: “Mi ha pregato di non dirvelo mai, ma era troppo comico per tenertelo nascosto.” Io annuii, perfettamente d’accordo. “Anche Manuela, per me, adesso si sotterrerebbe volentieri” dissi poi. “Poi non facciamoci domande se sono la coppia perfetta” commentò Luke. Io ridacchiai e Luke mi prese il mento fra due dita, delicato, per dirigermi verso le sue labbra. Mi baciò piano, dolcemente, facendomi sorridere. Poi, mi fece alzare e sedere sulle sue gambe. “Ho bisogno di contatto fisico, lo sai” fece poi con un tono da cucciolo a mo’ di giustificazione. Io sorrisi e mi accoccolai contro di lui, mentre Luke mi accarezzava le braccia conserte. Mi diede un piccolo bacio sul succhiotto che mi aveva lasciato qualche giorno prima, per poi appoggiare il mento alla mia spalla e accoccolarsi lì. “Sai che non sparirà mai se continui così?” chiesi ridacchiando. “Lo so benissimo, ma non permetterò mai che se ne vada” disse lui con una risatina malefica. Io risi a mia volta, mentre lui tornava a torturare per qualche secondo la pelle martoriata. “Ahi, fa male” mugolai. Lui smise subito e mi lasciò un bacio leggero. “Scusa” sussurrò, tornando ad appoggiarsi su di me.

Stavo per dire ancora qualcosa, quando Michael e Manuela richiamarono l’attenzione. Poi si scambiarono qualche parola, di cui riuscii a leggere il labiale: “Parla tu.”

“No, tu!”

“Tu sei matto, sono troppe persone!”

Andarono avanti così per qualche secondo, poi Michael si arrese e posò la sua chitarra a terra. Si avvicinò di più al microfono che aveva davanti a sé e, schiarendosi la voce, disse: “Ehm, ciao a tutti. Mi chiamo Michael e lei è Manuela. Volevamo iniziare questa piccola esibizione di karaoke con una canzone che per noi è molto importante. Si chiama Sad song e, beh, ha un significato bellissimo. Spero vi piaccia.”

Ci fu un brevissimo applauso – di nuovo, l’input fu dal nostro tavolo – e poi un lungo silenzio. Riuscii addirittura a sentire Manuela che prendeva un lungo respiro, prima di iniziare a suonare le note di quella che sembrava una ninnananna. Poi, Michael iniziò.

You and I, we’re like fireworks and symphonies exploding in the sky.

With you, I’m alive, like all the missing pieces of my heart, they finally collide.

So stop time right here in the moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my eyes…

Without you, I feel broken, like I’m half of a whole.

Without you, I’ve got no hand to hold.

Without you, I feel torn, like a sail in the storm…

Without you, I’m just a sad song.

Fu il turno di Manuela.

With you, I fall. It’s like I’m leaving all my past and silhouettes up on the wall.

With you, I’m a beautiful mess. It’s like we’re standing hand in hand with all our fears upon the edge.

So stop time right here in the moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my eyes.

Continuarono a cantare, nonostante il nervosismo. Manuela era concentrata sulle sue dita che si muovevano sulla tastiera, ma Michael, non avendo nessuno strumento in mano, aveva scelto qualcos’altro su cui concentrarsi. I suoi occhi erano fissi su Manuela, la guardava con la coda dell’occhio come se non volesse farsi notare. Quando lei cantava, lui sorrideva leggermente. La guardava come ogni ragazza sogna di essere guardata, e anche se lei non poteva vederlo, pensai che fosse una delle cose più dolci del mondo.

Mentre suonava e cantavano, la sala era in un silenzio di tomba, tanto che anche io stavo iniziando a innervosirmi. Luke notò che continuavo a sistemarmi sulle sue gambe, così mi diede un piccolo bacio sulla curva del collo. “Scricciola, tranquilla. Stanno andando benissimo.”

“Lo so, lo so, è che sono tutti in silenzio, e magari non piace la canzone…”

Luke mi mise le mani sui fianchi e mi fece voltare verso di lui. “Amore, calmati. Non è umanamente possibile che a cento persone non piaccia una canzone, anche perché molte delle persone qui dentro sono miei vecchi compagni di scuola, e so che è un genere che piace. Tranquilla” sussurrò con un sorriso rassicurante. Io gli credei e tornai ad appoggiarmi su di lui, giusto in tempo per sentire la canzone che finiva. Ci fu un attimo interminabile di silenzio, insopportabilmente dilatato. Poi, qualcuno iniziò ad applaudire, e stavolta non fu uno al nostro tavolo. In poco, tutti lo seguirono e io mi aprii in un sorriso entusiasta. Manuela e Michael sembravano al settimo cielo, con dei sorrisi enormi e sinceri a illuminare i loro visi.

Quando, dopo un po’, scesero dal palco, ci fu un attimo di esitazione da parte di tutti. Michael si guardò intorno ed esclamò: "Ehi, ragazzi, niente scherzi! Ora tocca a qualcun altro!" Ci furono delle risatine, poi una ragazza dai capelli tinti di rosso ciliegia si alzò. Aveva un bellissimo vestito a sirena verde petrolio chiaro. "Canto io" disse Diana con un mezzo sorrisetto di sfida. Michael le passò di fianco e batté il pugno chiuso contro il suo. "Brava, sorella di tinta" fece soddisfatto. Io ridacchiai mentre Manuela si sedeva di fianco a me e Diana saliva sul palco. Prese in mano il microfono, prima di allontanarlo dalla bocca. "Lucian?" chiamò. Io mi sorpresi del fatto che lo conoscesse, prima di ricordarmi che, essendo la migliore amica di Luke e essendo stata la sua ragazza, sarebbe stato strano se non l'avesse conosciuto. Lui si avvicinò a lei e si appoggiò al bordo del palco. "Sì, Ariel?" Questo confermò le mie ipotesi. Diana sorrise e si chinò. "Karaoke senza computer? Molto furbo."

"Oh, ma io ho un computer, e anche le casse."

"Posso chiedertele? La mia canzone non è esattamente acustica."

"Certamente" fece Lucian ammiccando e andando dietro al palco, mentre Diana lo seguiva con lo sguardo. Io inclinai la testa da un lato, non riuscendo a interpretare lo sguardo di Diana mentre lei si sistemava i capelli prima di portare entrambe le mani sulla pancia. Mentre stava in quella posizione rilassata, mi sembrò quasi che fosse gonfia, ma poi guardai verso il basso per rendermi conto che anche io lo ero. Probabilmente, la pizza ci aveva riempite troppo.

Lucian tornò da lei porgendole un computer. "Tutto già collegato. Scrivi solamente il nome della canzone, e partirà la base."

"Hai il programma apposta?"

"Ehi, sono schifosamente ricco. In qualche modo devo godermi questa situazione assolutamente fuori posto per il mio spirito vagabondo."

Si sorrisero e Diana scrisse velocemente il nome della canzone, che io non riuscii a cogliere. Anche quando partirono le prime note, non la riconobbi. Madison, però, si drizzò subito sull'attenti. "Ehi, ma io la conosco!" fece, voltandosi verso il palco. Intanto, Diana portò il microfono alle labbra. Sembrava così sicura di sé che mi chiesi se non avesse già cantato. Il fatto che avesse una bella voce e dimostrò di saperla usare non fece altro che farmi rimanere sulla mia idea.

Era una canzone carina, ritmata e simpatica. Mi ritrovai a canticchiare le note e a battere il pollice a tempo sul palmo di Luke. Manuela e Calum, invece, sembravano proprio presi, dato che stavano imitando un ballo solamente con braccia e spalle. "Ragazzi, vi sentite bene?" chiese Ashton ridendo. "Sì, sì, è che è una canzone di Just dance che balliamo sempre quando siamo a casa mia!" rispose Madison, senza fermarsi. "Ecco dove l'avevo sentita!" esclamò Michael. "Piccolina, dopo vado io, ho deciso" disse Calum, guardando Madison, che ancora ballava da ferma. "Va bene, cosa canti?"

"Sorpresa" fece lui con un sorriso.

"Maddy, non ci hai detto una cosa: come si chiama la canzone?" chiesi, curiosa. "Satellite, di Lena Meyer" rispose lei mentre la canzone finiva e Diana scendeva dal palco fra gli applausi. Tornò a sedersi e fu sommersa dai complimenti di tutto il tavolo. "Non sapevo che cantassi" fece Lucian appoggiandosi allo schienale della sua schiena. "Non sai molte cose di me" rispose Diana ammiccando. "Già. Ci siamo persi di vista, eh?"

"Forse per un po' troppo tempo."

Si parlavano con una confidenza che mi fece capire quanto in passato fossero stati amici.

Calum si guardò intorno per vedere se qualcuno si sarebbe offerto, ma tutti quanti avevano lo sguardo puntato sul nostro tavolo. “Siamo il tavolo cantanti?” chiese Ashton. “Sì” rispose Lucian ridacchiando. così, Calum salì sul palco. “Ragazzi, dopo avete intenzione di cantare ancora?” chiese, rivolgendosi a noi. Io scossi la testa subito. “Non mi sentirete mai cantare” esclamai risoluta. “Mi aggrego” disse Carol. “Idem” fece Madison. “Io rimango sulla mia decisione” fece invece Ashton, mentre anche Luke annuiva. “Noi abbiamo già dato, grazie e arrivederci” dissero infine Diana, Manuela e Michael. “Sentito? Dopo di me, il tavolo cantanti ha finito la sua offerta! Quindi iniziate a scaldare la voce, voi altri!” fece Calum rivolgendosi alla sala, prima di sedersi sullo sgabello prima occupato da Michael. prese la chitarra e: “Maddy, vieni un attimo, per favore?” Lei, perplessa, obbedì e salì a passi veloci sul palco. “Ti ricordi quella volta al parco? Quando finalmente ti ho detto quanto fossi pazzo di te?” chiese. Madison fece un sorriso enorme. “Come potrei dimenticarlo?”

“E quel bacio a testa in giù?”

“Ricordo anche quello, amore - fece Madison - ma perché me lo stai chiedendo?”

“Perché la terza domanda è: ti ricordi anche quella canzone?”

Madison si illuminò e annuì, così Calum si rivolse alla folla. “Questa canzone l’ho scritta due anni fa per lei. Spero vi piaccia” disse. Madison si chinò, gli lasciò un bacio sulla guancia e fece per andarsene, ma lui la riacchiappò tenendola per un polso. “Dove credi di andare, tu?” chiese. “A sedermi?”

“Siediti qui” fece Calum, indicandogli speranzoso lo sgabello dietro alla tastiera. Lei annuì felice e avvicinò lo sgabello a Calum, che sorrise entusiasta. “Arrivo subito” fece, rivolto alla sala. Diede un bacio sulle labbra a Madison e le sussurrò qualcosa che io non capii, ma che la fece ridacchiare. Poi, si voltò di nuovo verso di noi. “Scusatemi, ora comincio, giuro” disse ridacchiando. Si schiarì la voce e iniziò a suonare la chitarra che non aveva mai lasciato.

You look so beautiful, no one but me knows you’re insane,

I feel so damn pathetic, my friends just don’t get it…

‘Cause you’ve got me under oath, before you I was in a fucking rut.

One day you’re in the past, that night I ask you back.

It started out just harmless fun, now you’ve got me thinking you’re the one…

‘Cause if you wanna take me home, you know I’m ready to leave,

You’ve got me under your spell, please don’t set me free!

‘Cause I’ve been having all these nightmares, seeing you is my only way

Of feeling so defenseless, but I’m telling you I wouldn’t change a thing!

Quando la canzone finì, io saltai in piedi, facendo trasalire Luke per lo spavento, ma m'importò poco: ero entusiasta, quella canzone era una cosa bellissima e sapere che Calum l'aveva dedicata a Madison come dichiarazione mi faceva quasi commuovere. Non fui l'unica ad avere quella reazione: un po' tutta la sala era nelle mie condizioni. Mi voltai verso il mio tavolo, incontrando gli sguardi felici di tutti... Tranne di Carol e Ashton. Carol era torva, con le braccia incrociate, mentre Ashton si era fatto piccolo piccolo sul bordo della sedia, il più lontano possibile da Carol, e aveva una faccia a metà fra il divertito e il 'ora sono fottuto'. "Carol? Ash? Che succede?" chiesi. "Succede che questo bandanaro non solo è un bugiardo, è anche una bella faccia di tolla."

"Ma che è successo?"

"Succede che quando mi ha conosciuta mi ha detto di aver scritto una canzone per me. Guarda caso, era proprio questa."

"Beh, amore - intervenne Ashton - tecnicamente non ho mentito... Ho scritto questa canzone per te su un bel foglio con i bordi dorati e te l'ho consegnato... Ho solo omesso il fatto che l'autore è Calum, ma tecnicamente non hai motivo di essere così arrabbiata."

"Bandanaro, stai zitto, stai solamente facendo risvegliare il mio istinto omicida."

"Tu lo sai che ti amo, vero?"

"Ti amo anche io, ma ti ucciderò lo stesso."

***

Cantarono ancora più o meno cinque persone, poi nessuno ebbe più il coraggio di andare sul palco, oppure nessuno trovò la canzone adatta; così, Lucian interruppe il karaoke: “I ballerini sono a pochissimo da qui. Vi consiglio di non andarvene, se non volete perderli!” Mentre diceva questo, qualcuno lo aiutò a spostare i tavoli dal centro. Io feci per mettermi in un angolino della stanza per non intralciare il lavoro, ma Luke mi prese per una mano e mi trascinò delicatamente via. “Vieni” disse, “Vieni.” Io lo seguii, non sapendo dove mi stesse portando. Quando vidi che stavamo salendo su per le scale, però, mi allarmai. “     Luke?! Non possiamo!”

“Tranquilla, non ci vedrà nessuno.”

Io sperai che fosse vero. Lanciai un’occhiata alla fine delle scale, chiuse dal nastro rosso, e notai che non c’era traccia dell’uomo che Lucian aveva messo come sentinella. Sentii l’ansia smorzarsi lievemente mentre superavamo il nastro e ci nascondevamo dietro al primo angolo. “Togliti le scarpe, o ci sentiranno subito” mi sussurrò lui. Io obbedii. “Dove stiamo andando?” chiesi curiosa. “Lo vedrai, ma sono sicuro che ti piacerà” rispose lui, prendendomi di nuovo la mano e portandomi verso la fine del corridoio buio. Ci fermammo davanti ad una porta bianca, lucida. Sul muro accanto c’era una targa dorata. La lessi e mi venne da sorridere:

My advice is: don’t spend your money on therapy. Spend it in a record store. – Wim Wenders.

“È la stessa cosa che Carol ha scritto in camera sua, sai?” chiesi. Lui annuì, poi si posizionò dietro di me e mi mise una mano sugli occhi. “Apri la porta” mi sussurrò piano nell’orecchio. Io lo feci e lui mi guidò nella stanza. Sentii il cigolio della porta che si richiudeva, poi lui mi lasciò. “Non guardare ancora” mi disse. Si sentì uno scatto e vidi attraverso le palpebre che aveva acceso la luce. Ero così curiosa che non sapevo come avevo fatto a non sbirciare ancora. Lo sentii rovistare alla mia destra e mi chiesi cosa stesse combinando, poi sentii delle note di chitarra inconfondibili. Dei passi si avvicinarono a me e Luke mi prese le mani da dietro. “Ora puoi guardare” mi disse, lasciandomi un piccolo bacio sul collo, mentre nella stanza si sentivano le prime parole di Wherever you will go.

So lately, I’ve been wondering, who will be there to take my place?

When I’m gone, you’ll need love to light the shadows on your face

Rimasi a bocca aperta. La stanza non era enorme, illuminata da una luce calda e soffusa, con le pareti colorate di un pallido color pesca. Il pavimento era di marmo bianco, immacolato, lucido come uno specchio.

If a great wave shall fall, and fall upon us all,

Then between the sand and stone, could you make it on your own?

La parete destra era completamente coperta da una libreria imponente; gli scaffali superiori contenevano cd, quelli inferiori vinili. Una scala mobile permetteva di arrivare ai cd più in alto. Il mezzo alla libreria stessa, un ripiano era lasciato allo stereo, che in quel momento era acceso.

If I could, then I would, I’ll go wherever you will go

Way up high, or down low, I’ll go wherever you will go

Ai quattro angoli della stanza, in alto, c’erano delle casse, che diffondevano quella dolce canzone.

And maybe, I’ll find out a way to make it back someday

To watch you, to guide you, through the darkest of your days

All’angolo fra la parete sinistra e la parete frontale c’era un pianoforte a coda nero. Sul muro sinistro, poi, c’erano diverse mensole, tutte occupate da uno strumento diverso: una chitarra, un flauto traverso, un violino, un tamburello, un’arpa in miniatura; di fianco al pianoforte, un’arpa a dimensioni reali.

If a great wave shall fall, and fall upon us all,

Well, then I hope there’s someone out there who can bring me back to you

La parete alle mie spalle era decorate come se fosse un grande foglio pentagrammato, ma non c’erano note, nemmeno le chiavi all’inizio di ogni riga. Su un tavolino nell’angolo con la libreria erano appoggiati diversi contenitori, ognuno contenente un tipo di nota diverso: c’erano quarti, ottavi, interi, e poi pause, corone, chiavi… Di fianco, una piccola targa, che recitava così: “Non avrai mai una sola canzone in testa. La musica è bella perché è libera e volubile. Quindi, anche queste note saranno libere. Libere di essere tutto quello che vorrai.”

If I could, then I would, I’ll go wherever you will go

Way up high, or down low, I’ll go wherever you will go

La parete di fronte a noi era occupata da una serie di finestre a ogiva, con vetri colorati che proiettavano disegni immaginari sul marmo bianco, che grazie a loro diventava di ogni colore possibile.

Runaway with my heart,

Runaway with my hope,

Runaway with my love…

Dal soffitto scendevano fili invisibili, a cui erano appesi foglietti di ogni sfumatura dell’arancione, del giallo, del rosa e del rosso. Mi avvicinai ad uno di essi e lessi: “La musica esprime ciò che è impossibile dire e su cui è impossibile tacere.”

I know now, just quite how, my life and love may still go on

In your heart, in your mind

I’ll stay with you for all the time

Mi voltai verso Luke, che mi guardava con un sorriso. “Ti piace?” mi chiese. Io annuii, incapace di dire altro.

If I could, then I would, I’ll go wherever you will go

Way up high, or down low, I’ll go wherever you will go

Il suo sorriso si aprì ancora di più. “Ci speravo, sai? Anche se, conoscendoti, sapevo che una cosa del genere avrebbe avuto solo un effetto del genere su di te, così come lo ha avuto su di me.”

If I could turn back time, I’ll go wherever you will go

If I could make you mine, I’ll go wherever you will go

Mi prese il viso fra le mani e mi posò piano un bacio sulle labbra, lentamente, dolce, senza alcuna fretta.

I’ll go wherever you will go.

Quando si staccò da me, fece un mezzo sorriso. “Coco, a costo di fare la figura peggiore della mia vita…” Mentre diceva questo, partirono le note di Iris. “Posso chiederti un ballo?” Io sorrisi. “Non so ballare, Luke.”

“Nemmeno io.”

“E allora perché me lo chiedi?”

“Perché so che ogni ragazza vorrebbe essere una principessa almeno per un giorno. Tu sei la mia principessa ogni giorno, e voglio dimostrartelo.”

Queste parole fecero sorgere sul mio viso un sorriso intenerito, mentre lui mi prendeva la mano e la portava sul proprio braccio. “Tanto per chiedere, cosa si balla?”

“Ehm, sulla musica di Iris, forse?”

“Sì, ma cosa?”

Lui mi guardò perso. “Devo anche dirti il nome? Perché non lo so.” Io scoppiai a ridere. “Vogliamo davvero sottoporci a tale umiliazione?” chiesi. “Sinceramente, non sapendo ballare, sarebbe solo meglio se smettessimo. Tu non hai visto che casino è successo stamattina mentre Calum provava a insegnarmi le cose basilari, e spero che nessuno di quei tre maledetti ti faccia vedere il video che hanno fatto. Solo, mi dispiace aver fatto un discorso semi-bello e poi non aver saputo mantenere la parola.”

“Luke?”

“Sì?”

“Non ho bisogno di un ballo per sentirmi fortunata di fianco a te.”

Lui fece prima un mezzo sorriso, che poi si aprì in uno di quelli enormi e contagiosi, facendomi sorridere a mia volta. “Ti amo, Coco, non hai idea quanto” sussurrò prima di baciarmi piano. Io ricambiai dolcemente, mentre lui giocherellava con un ciuffo di capelli al lato del mio viso.

“Voi due – ci interruppe una voce scocciata – siete dei piccoli maledetti, sapete?” Ci voltammo verso la porta e incontrammo lo sguardo irritato di Lucian. “Se volete, la prossima volta ci metto un cartello alla fine delle scale: vietato passare. Ma credevo che un nastro rosso e un omone potessero essere sufficienti. A quanto pare, non basta a fermarvi.”

“Lucian…”

“Non dire nulla, Luke. Cosa significa: non andate via, o vi perderete i ballerini?”

“Sappi solo che è stata una mia idea, non prendertela con Coralie.”

Lucian ridacchiò. “Non sono arrabbiato, stupido. O meglio, forse un po’ lo sono, però avrei fatto la stessa cosa se fossi stato in te, quindi non posso rimproverarti. Mi dispiace solo che vi siate persi due esibizioni. Ora, mi fate il favore di scendere a guardare almeno l’ultima?”

Io e Luke, veloci, sgattaiolammo via dalla stanza, che Lucian chiuse a chiave dietro di noi. “Questa la prendo io” disse poi, mettendosi la chiave in tasca. Scendemmo tutti e tre in fretta, per trovare la stanza immersa nella penombra. “Andate a sedervi sugli ultimi gradini, bestiacce” fece Lucian sospingendoci piano mentre si lasciava scappare una risatina. Noi obbedimmo, non ci tenevamo a fare arrabbiare il padrone di casa. Appena in tempo: un occhio di bue si posò sui due angoli della “pista”, illuminando due figure; il ragazzo era vestito elegantemente, con camicia bianca, pantaloni e gilet neri; La ragazza aveva un vestito bianco e i capelli mori raccolti in una treccia, ed era scalza. Rimasi a bocca aperta. “Ehi, ma loro non sono amici tuoi?” mi chiese Luke sussurrando. Io annuii, guardando basita Giorgia e Francesco che iniziavano a ballare sulle note di Thinking out loud. “Lui è il batterista di quel concorso, vero? Quello di End up here? E lei la tua amica di scuola? Non mi sto confondendo, vero?” mi chiese lui di nuovo. “No, no, sono loro” risposi scioccata. “Non sapevo che ballassero.”

“Non sapevo che lui ballasse” dissi io. “Magari ha imparato per lei. Cosa che io, ehm, non sono stato in grado di fare” fece lui con un tono imbarazzato. Quando vide che io non rispondevo, troppo stupita e presa, non disse più niente e intrecciò le dita delle sue mani alle mie. Poi, mi attirò verso di lui.

Intanto, sulla pista, Giorgia e Francesco continuavano a ballare. Spesso sussultavo mentre vedevo Giorgia esibirsi in salti, piroette e acrobazie che, se avessi provato a imitarle, mi avrebbero ucciso seduta stante. Mi immaginai la testata di un giornale: ‘Foca ritardata cerca di imitare l’amica e cade di collo, prognosi riservata’. Per poco non scoppiai a ridere nel silenzio affascinato in cui risuonava la voce di Ed Sheeran. Così, per evitare altre figure orribili, mi concentrai sui due.

Non avrei saputo come descrivere i loro passi, ma una cosa la sapevo: il gioco di sguardi fra loro era incredibile. Ogni volta che potevano si scambiavano sguardi carichi di messaggi. Mi veniva da sorridere mentre vedevo quanto i loro occhi si cercavano in ogni momento. Sembravano comunicare solo così. Quasi potevo sentire ciò che si dicevano:

“Sto andando bene?”

“Non preoccuparti, stai andando benissimo.”

Erano così belli insieme, che quasi mi dimenticai di respirare, tanto ero impegnata a guardarli. “Su una scala da uno a dieci, quanto si amano quei due?” mi chiese Luke in un orecchio. “Fortuna che i numeri sono infiniti, a questo punto” risposi a bassissima voce. Luke sorrise e mi strinse a sé.

Ero così presa, che quasi ci rimase male quando loro si sdraiarono, sulle ultime parole di Ed. Ci fu un attimo di silenzio attonito, poi la sala risuonò di applausi, fischi, ovazioni. Io stessa mi unii al coro: “Siete stati fenomenali!” urlai. Giorgia, mentre si guardava intorno con un sorriso enorme, incontrò il mio sguardo e i suoi occhi sembrarono illuminarsi ancora di più. Prese la mano di Francesco e insieme fecero un inchino, poi le luci si spensero e Giorgia, come al suo solito, volò via dal palco, lasciando l’altro quasi basito dalla rapidità con cui lei si era dileguata. Scoppiai a ridere e mi alzai per seguire la mia amica, mentre le luci si riaccendevano. “Luke, vieni anche tu?”

“No, ti raggiungo dopo, fammi parlare con lui, che, poverino, ci è rimasto malissimo, guarda che faccia che ha” fece lui ridendo. Io mi voltai verso Francesco e lo vidi quasi sconvolto. Scoppiai a ridere e lo chiamai. “Ehi, tu, batterista!”

Lui si voltò verso di me e mi riconobbe con un sorriso. “Ma buonasera, lei!”

“Sei stato bravissimo!”

“Grazie, ma ha fatto tutto lei! Ero solo un accompagnatore!”

“E che accompagnatore, se permetti!”

Lui scoppiò a ridere e io lo salutai, mentre Luke si avvicinava a lui per parlarci. Mi voltai e cercai nella folla quella pazza di Giorgia. La trovai grazie ad un urlo, che identificai come quello di Manuela: “Siete stati eccezionali!” In poco, trovai le due. Insieme a loro, c’era anche Carol. Mi buttai di peso in mezzo a loro, urlando felice. Per poco non le ammazzai, ma nessuna delle tre ci fece caso. “Ti faceva schifo dirci che avresti ballato qui?!” chiese Carol. “Non sapevo che sareste venute!”

“Saremmo venute comunque per te!”

“Ma non potevate imbucarvi!”

Manuela inarcò un sopracciglio. “Tesoro, sai con chi stai parlando, vero? Sono riuscita a infiltrarmi alla festa di pensionamento della vicepreside due anni fa. Se posso fare questo, posso imbucarmi a qualsiasi festa possibile.”

“Poi ti ha beccato con la torta e tu le hai detto che eri stata assunta come assaggiatrice, per evitare che qualcuno la avvelenasse. Non so come chiamare questo tuo aspetto, se pazzia o prontezza di spirito.”

“Si chiama genialità!”

Tutte scoppiammo a ridere al ricordo del selfie che Manuela ci aveva mandato con la vicepreside, in cui entrambe avevano le guance sporche della crema della torta. Quella donna era adorabile.

Ricordavo il suo racconto come se fosse stato riferito quello stesso giorno:

“Sapete, è stata una cosa epica. Alla faccia di voi fifone che avevate paura di mettervi nei guai! Allora, sono entrata dalla finestra sul retro. Era un po’ in alto, avreste dovuto vedere la scena… ‘ce la faccio, ce la faccio!’ sono caduta di faccia sul parquet, era una scena da registrare per le generazioni future. Non volevo farmi beccare dagli altri prof, dato che ce n’erano anche alcuni, come quello d’informatica, che non avevo voglia di vedere. Così, mi sono nascosta nell’armadio all’ingresso, e sbirciavo per trovare la vicepreside. Stava andando tutto bene, ve lo giuro… Poi hanno tirato fuori quella torta enorme, e non ho saputo resistere. Sono andata a prendere una fetta e stavo per tornare a nascondermi, quando sono andata a sbattere contro la vicepreside. È stato bellissimo. Mi guardava a metà fra il sorpreso e il rassegnato. ‘Manuela – ha detto – dovevo immaginare che fossi tu.’ Al che, io: ‘Lei mi conosce, prof. Non me ne sarei andata senza salutarla.’ Lei ha alzato gli occhi al cielo perché voleva fare la scocciata, ma non le è venuta bene. ‘ E che ci fai qui?’ mi ha chiesto. ‘Prof, sono la sua assaggiatrice personale. La torta è buona.’ A quel punto ha smesso di essere scocciata e mi ha detto: ‘Sai che ci sono quasi rimasta male quando non ti sei presentata all’ingresso? Pensavo che te ne fossi dimenticata’ ha detto. E a quel punto le ho risposto: ‘Doveva aspettarsi una mia entrata in scena spettacolare. Ah e, tanto per avvisarla, la serratura della finestra sul retro è molto debole. Vuole un pezzo di torta?’ È così che ho guadagnato un selfie con la vicepreside, e un’altra fetta di torta.”

***

Passammo una buona mezz’ora a parlare con Giorgia. Ad un certo punto, Lucian si intromise. “Scusate, ragazze. Coralie, posso parlarti un momento?”

“Solo perché hai ricordato il mio nome.”

“Molto divertente” fece lui ridendo. Io salutai Giorgia con un abbraccio spacca-costole e seguii Lucian. “Posso chiamarti Coco, vero?”

“Certo.”

“Perfetto. Coco, Luke ti ha parlato del fatto che vivo una storia a distanza. Mi chiedevo, ti andrebbe di conoscere la mia ragazza?”

“Certamente! Ma perché me lo chiedi?”

“Perché sei la ragazza dei uno dei miei migliori amici, e perché penso che possiate andare d’accordo.”

Mentre diceva questo, si era fermato davanti a un gruppetto di persone che reggevano fra le dita dei flute di champagne. Lucian picchiettò il dito sulla spalla di una ragazza completamente vestita di bianco e quella si voltò. “Lucian, ecco dov’eri! Ti avevo perso di vista!”

“Scusami, stavo cercando una persona. Marceline, ti ricordi Luke?”

“Il tuo amico del liceo?”

“Sì, il biondino discretamente figo.”

“Sì, sì, me lo ricordo.”

“Bene. Lei è la sua ragazza, Coralie. Ci tenevo a presentartela, sai, dato che Luke è come uno di famiglia.”

L’altra mi guardò con un sorriso cordiale. “Mi chiamo Marceline. È un piacere conoscerti, Coralie.”

“Il piacere è tutto mio” feci ricambiando il sorriso. Marceline era una bellissima ragazza: bionda, con occhi azzurri dolcissimi e il viso ovale, il naso a punta e le labbra carnose. I capelli a boccoli erano sciolti, tranne due ciocche che dai lati del viso arrivavano fin dietro la testa. Prima che Lucian me la presentasse, avevo visto che all’incontro fra i due ciuffi era infilato un fiore di velo da sposa, quei fiorellini bianchi minuscoli usati come riempitivo nei bouquet. Il vestito era bianco, con una scollatura a cuore e il corpetto stretto. Marceline indossava una collana di perle abbinata al bracciale.

Era una bellissima ragazza, sì, ma mi sembrava quasi troppo raffinata per un tipo come Lucian. Che so, lui l’avrei visto, in quell’occasione, con una come Diana. Anzi, i due sembravano proprio aver scelto il tema ‘Sirenetta’ insieme. 

“Ti piace lo champagne, Coralie?” mi chiese Marceline, porgendomi un flute identico al suo in cui ribollivano le bollicine del liquido, dorato come le sue unghie. “Mi dispiace, alla mia Coco non piacciono queste cose, e nemmeno a me” disse la voce di Luke dietro di me. Luke si affiancò a me e sorrise in direzione di Marceline. “Ehi, ne è passato di tempo, vero?” fece. Lei annuì, sempre con quel suo sorriso cordiale. “Ci siamo visti quando, l’ultima volta? Uno, due anni fa?”

“Sì, più o meno, l’ultima volta che sei venuta a fare visita a Lucian è stato prima che compissi i diciassette anni.”

“Purtroppo sono sempre impegnata, sapete come sono fatta, e come è fatta la mia famiglia.”

“Sì, sì, capisco, e non ti invidio per niente, se devo essere sincero.”

“Ragazzi – fece Lucian – io mi sento tanto un pesce fuor d’acqua qui, siete tutti biondi con occhi azzurri e poi ci sono io, quindi credo che me ne andrò a parlare con un’altra persona non bionda.”

“Lì c’è Diana, se vuoi” disse Luke, indicando con un cenno della testa il tavolo vicino a noi. “Ecco, andrò da Diana, lei sì che mi capisce” fece lui con un broncio offeso. Noi ci mettemmo a ridere, mentre Lucian raggiungeva la nostra amica.

Rimanemmo a parlare ancora un po’, poi un ragazzo del gruppo dove prima era Marceline la chiamò. “Scusatemi tanto, devo tornare da loro. È stato un piacere conoscerti, Coralie, ed è stato altrettanto un piacere rivederti, Luke. Spero che la prossima volta non passi ancora un anno. Devo andare, grazie per la chiacchierata e buona serata!” disse lei, voltandosi di nuovo. “Serata?” chiesi io voltandomi verso Luke. Lui annuì. “Sono le sette, piccolina” mi disse, facendomi rimanere a bocca aperta. “Davvero il tempo è volato così in fretta?” chiesi. “Già. Senti, ti va di tornare a casa?”

“Perché? Non ti diverti?”

“No, al contrario, mi piace molto… È che vorrei passare del tempo da solo con te. Ci abbiamo provato qui, ma non sembra esistere un posto in cui possiamo starcene tranquilli” spiegò lui con un faccino adorabile da cane bastonato. Non riuscii a resistere. “Va bene, andiamo a casa” dissi. Ci voltammo per avvertire almeno Lucian, ma, non trovandolo, chiedemmo a Marceline di riferirgli il nostro chilometrico messaggio su come quella festa fosse stata magnifica, su quanto ci fossimo divertiti e su quanto ci dispiacesse scappare così, ma inventammo una scusa e dicemmo di dover andare via. Lei annuì e ci salutò con un abbraccio. Poco dopo, uscimmo dalla casa di Lucian, per scoprire che fuori c’era già buio. Non potevamo prendere il furgone, sia perché non avevamo la patente che perché non avevamo il cuore di lasciare gli altri a piedi, così: “Cerchiamo un taxi?” chiesi. Lui annuì. “C’è una fermata a un paio di isolati da qui” mi disse poi.

Ci incamminammo, mano nella mano, lungo il marciapiede illuminato da lampioni gialli. Continuavamo a parlare e ridere, raccontandoci ogni impressione su quella giornata memorabile. Luke, ad un certo punto, prese a camminare giù dal marciapiede, così io lo superavo in altezza, ma solo grazie ai tacchi, diciamocelo. Non vedevo l’ora di togliermeli, mi stavano uccidendo lentamente. Luke sembrò accorgersi del fatto che stavo rallentando, così si fermò. “Metti un braccio attorno alle mie spalle” mi disse. Io lo guardai confusa, ma obbedii. Lui, a quel punto, mi sollevò stile principessa. “Luke, dai, mettimi giù! Peso!”

“Ma non dire stupidate!” fece lui ridacchiando, con la voce tremolante per lo sforzo. Non servirono a nulla le mie lamentele: Luke mi portò in braccio fino alla fermata.

Non dovemmo aspettare molto: un taxi passò di lì nel giro di dieci minuti.

***

Arrivati a casa, ci cambiammo in fretta. Con un sospiro di sollievo, scalciai le scarpe lontano da me, per poi togliermi anche il vestito e sostituirlo con la maglietta di Luke che usavo come pigiama. Appoggiai i piedi a terra e fu come non aver mai camminato senza scarpe prima: una rivelazione. “Fanno malissimo” gemetti. Luke, dopo essersi messo a sua volta una tuta comoda, si avvicinò a me da dietro e mi posò un bacio sul collo. “Andiamo a mangiare qualcosa? Cucino io” mugolò nel mio orecchio. “Non se ne parla, cuciniamo insieme” dissi risoluta. Lui alzò gli occhi al cielo e rise. “Va bene, va bene” accettò. Mi prese per i fianchi e mi voltò. “Vieni, ti porto in braccio io.”

“Luke, ti ho già schiavizzato per strada…”

“Non mi hai schiavizzato, sono stato io a decidere di farti questo favore, e lo decido anche ora. Sali?”

Io scossi la testa e lui mise il broncio. “Bene, allora non mi schiodo da qui” disse, sedendosi sul bordo del mio letto. “Luke!” feci, ridendo. “Non c’è Luke che tenga, tesoro. Stavolta non mollo” disse lui con aria di superiorità. Io gli presi i polsi e provai a farlo alzare, ma senza risultato. A lui, al contrario, bastò un semplice strattone per attirarmi a sé. “Non puoi battermi, cucciola” disse a un soffio dalle mie labbra, prima di baciarmi quasi con prepotenza. Mi fece sedere sulle sue gambe mentre continuavamo a baciarci. Ad un certo punto, si alzò, tenendomi ben stretta. “Luke, mettimi giù!” feci ridendo. “Ti avevo avvertito, con me non puoi vincere in questo caso” fece risoluto. Io non potei fare altro che allacciare le gambe attorno alla sua vita. Lui fece un sorrisino soddisfatto che mi fece ridere. “Hai proprio una bella faccia da schiaffi” sussurrai, prima di appoggiare la testa sulla sua spalla. Iniziai a lasciare baci umidi a caso, giusto per distrarlo mentre scendeva le scale, nonostante sapessi che fosse una pessima idea.

Arrivati in sala, Luke mi lanciò di peso sul divano, facendomi urlare divertita. “Cosa le va di mangiare, signorina?” mi chiese lui. “Mi stupisca” feci, reggendo il suo gioco. “Oggi lo chef propone un raffinato piatto di pasta lunga condita con olio d’oliva e scagliette di parmigiano.”

“Eh?”

“Spaghetti con formaggio grattugiato.”

“Ah, ora ho capito” feci ridendo. “Tu sei pazzo” aggiunsi poi. “La vuoi una bella frase da cliché?” mi chiese. Io annuii curiosa e lui si inginocchiò davanti a me. Mi prese una mano e ci lasciò un bacio leggero, poi sussurrò: “Sì, sono pazzo, ma di te.”

“Avevi ragione, è da cliché.”

“Fin troppo.”

“Andiamo a cucinare?”

“Io faccio gli spaghetti.”

“E io che faccio?”

“Guardi il tuo chef preferito mentre cerca di non far scuocere la pasta, ovvio” rispose lui. Io risi, di nuovo. Quella serata stava andando di bene in meglio.

Luke mi fece alzare e mi attirò a sé. Iniziò a canticchiare, mentre andavamo in cucina:

Oh, is something about,

Just something about the way she move.

I can't figure it out,

Is something about her…

Iniziammo a cantare Miss independent, mentre Luke metteva su l’acqua per la pasta. Cantammo di tutto, da Miss Independent a Why don’t we go there. In poche parole, ricostruimmo quel karaoke che ci eravamo negati da soli quel pomeriggio.

***

Dopo mangiato, eravamo sdraiati sul divano a guardare un film molto mascolino, un thriller di quelli difficili da sopportare: Big Hero 6. Al diavolo le persone che pensano che i cartoni sono da bambini: in quel cartone – ve lo garantisco – c’era molto più di una semplice storiella.

“Amore, mi regali un Baymax?” chiese Luke adorante. Io risi. “Lo voglio anche io” aggiunsi poi. Luke mi offrì il suo pugno chiuso, a cui io feci combaciare il mio. “Balalalalla!” facemmo insieme, per poi scoppiare a ridere. “Oh, quanto amo questo film” sussurrai ridacchiando e stringendomi di più a Luke. “Oh, io amo di più te” sussurrò lui nel mio orecchio, prima di baciarmi piano, con dolcezza. Io ricambiai. Poco a poco, in esso si infilò sempre più foga, tanto che, quando sentimmo il rumore del telecomando che cadeva a terra, non ce ne curammo.

Però, ci curammo di un altro rumore, che avvertimmo una decina di minuti più tardi: il rumore sordo di una chiave che girava nella serratura. Scattammo a sedere e tentammo di ricomporci. Appena in tempo: Michael entrò in casa, ridendo come un matto. “Ecco dove eravate! Non si sparisce senza avvisare!” fece Calum da dietro di lui. “Almeno ci hanno lasciato il furgone” disse Michael, mentre anche tutti gli altri entravano. “Ah, sapete, ragazzi? Il furgone ha ricevuto qualche critica. C’erano queste due tipe con la puzza sotto il naso che guardavano male il cartello, così io… Ragazzi, abbiamo interrotto qualcosa?” chiese poi. Noi scuotemmo la testa veementemente. Così, lui ricominciò: “Bene. Dicevo, io le ho guardate male a mia volta e ho detto loro: ‘sapete, non tutti hanno soldi per permettersi una limousine. Ma presumo che voi li abbiate… Altrimenti come vi sareste pagate il silicone che avete nei reggi-”

“Michael, piantala!” fece Manuela ridendo e tappandogli la bocca. Tutti scoppiarono a ridere, e noi con loro. “Sono tornati i pazzi, baby!” esclamò Michael, alzando al cielo una bottiglia di… champagne?

“Scusateci, ragazzi. Siamo un po’ tocchi” fece Madison ridendo e seguendo Carol e Diana, barcollanti, su per le scale. Poco a poco, tutti si incamminarono sugli scalini. Rimase solo Ashton, che vedendoci così sconvolti si mise a ridere. “Sì, diciamo che Lucian ha avuto la cattiva idea di offrire da bere a Michael… E da quel momento sono degenerati. Sono brilli, di brutto.”

“Tu no?”

“Ho bevuto solo mezzo bicchiere. Dovevo riportarli a casa in qualche modo.”

“Bravo papà Ash” feci soddisfatta. Lui si mise a ridere. “Papà Ash?”

“E come ti dovrei chiamare?”

“Mhm, va bene papà Ash” rispose lui ridacchiando. Io e Luke ridemmo con lui e Luke mi fece appoggiare su di lui, come eravamo all’inizio del film. Ashton ci guardò intenerito. “Ragazzi, godeteveli, questi momenti. Fra quattordici giorni, vi potrete vedere solo via Skype” disse con un mezzo sorriso triste, mentre se ne andava. Me n’ero completamente dimenticata.

Mancavano solo quattordici giorni alla loro partenza per Londra. Quattordici giorni, prima che il loro sogno prendesse il via, finalmente. Quattordici giorni… e poi chissà quando avrei rivisto Luke.

In quel momento, quella consapevolezza mi colpì come uno schiaffo in faccia.

Quattordici giorni. Sembrava il conto alla rovescia di un condannato a morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

SONO TORNATA DALLE PROFONDITÀ DELL’INFERNO, BUAHAHAH. DITELO, CHE ORMAI NON CI SPERAVATE PIÙ. No, aspettate, così è strano. Un attimo, ricomincio.

Ehiii, ciao a tutti! Mi scuso per l’immenso ritardo ma – una volta tanto – avevo avvertito. Record, wow! Uhm, allora, scrivo questo spazio autrice per sei motivi:

1-      Fun fact: la storia del “pugno Balalalalla” è venuta fuori da un dietro le quinte di uno degli spettacoli che ho fatto qualche settimana fa. Siamo io e questa mia amica, sedute, ci guardiamo; lei mi dice: “Questa è la prima replica con un pubblico decente”, e mi porge un pugno. Non so che cosa è successo, giuro. So che, una volta fatto combaciare il pugno, ci guardiamo, e insieme: “Balalalalla!” Vi giuro che è stata una cosa epica. E SE NON SAPETE PERCHÉ ABBIAMO DETTO BALALALALLA, SIGNIFICA CHE NON AVETE GUARDATO QUEL CARTONE. QUINDI, USATE INTERNET PER VEDERVELO IN STREAMING, PERCHÉ È UNA COSA SENSAZIONALE.

2-      La prestavolto di Marceline è Rachel McAdams in biondo, e indossava questo.

3-      Volevo dire che ho pubblicato una storia che non è propriamente una storia, ma una raccolta di One shot che riguardano Look into my eyes e i suoi retroscena. Si chiama photographs e per ora ha un solo capitolo, ma ne ho altri due pronti da pubblicare (purtroppo, deve essere finita la storia perché possano essere letti).

4-      Sempre legato a Photographs: volevo scrivere di come Ashton e Carol si sono incontrati, ma sinceramente ho glissato sull’argomento così tanto perché non so nemmeno io come si incontrano. Ho dato solo un indizio. Qualche suggerimento? Sì? Beh, vi prego, ditemelo. Che qui non ho idee. Graazie.

5-      Se a qualcuno interessa (lol, no) potete trovarmi anche su questi altri social: tumblr, instagram, polyvore, youtube, weheartit. Sono anche su Facebook, ma non accetto amicizie di sconosciuti, quindi sarebbe inutile. 

6-      Spazio pubblicità: vi sentite annoiati? La vostra estate è ridotta (come la mia) a un costante dormire, leggere, guardare film e lamentarsi per il caldo? Avete voglia di ridere? Avete voglia di innamorarvi di una storia? Bene, ho la fanfiction che fa per voi. Si chiama “Amore, odio… E un paio di Converse” ed è scritta da quella che è la persona con cui condivido un’amicizia strepitosa ma a distanza, la bellissima Miss One Direction. È anche una delle mia autrici preferite, ma questi sono dettagli, no? NO. È fottutamente (ops, sorry il termine) brava, okay? Quindi, se avete voglia di ridere e innamorarvi, passate da lei, che è la persona adatta. Avrei troppe cose da dire su di lei, ma purtroppo il mio limite di spazio autrice è di una pagina (me lo sono dato da sola, okay? Non voglio rompere troppo) e lo sto pericolosamente raggiungendo. Vi dico solo che ne vale la pena.

Beh, dopo questo avviso/appello disperato riguardante Photographs, vi saluto, sperando di aggiornare prima la prossima volta!! Ciauuu

Ranyadel

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Capitolo 34
*** bad dreams ***


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Bad dreams

 

“Ciao Diana, che stai facendo?”

“Oh, ciao, Coralie. Aspetto Luke.”

“Cosa dovete fare?”

“Mi porta a cena fuori, non lo sapevi?”

Rimasi di stucco. No, non lo sapevo. Lei mi fissava con tutta la tranquillità del mondo, come se avesse detto una cosa ovvia. “Ti senti bene? Sei pallida” fece. Io stavo per rispondere, quando Luke entrò nella stanza. “Ciao, piccola!” fece. Io stavo per salutarlo a mia volta, quando lui si avvicinò a Diana con un gran sorriso. Si chinò su di lei e le stampò un bacio sulle labbra. “Andiamo, amore?” le chiese.

Rimasi lì, immobile, mentre sentivo il mondo crollarmi sotto i piedi. “Che cosa…” tentai di articolare. Diana mi guardò ancora. “Oh, andiamo, non dirmi che non te l’aspettavi” disse solo.

***

Mi svegliai di soprassalto, scattando a sedere. Avevo il respiro corto, mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. Me le asciugai con un gesto secco, prima di tornare a sdraiarmi.

Luke, di fianco a me, si mosse. Mugolò qualcosa che somigliava molto a un: “Tutto okay, piccola?” Io non risposi e lui si stropicciò gli occhi. “Brutto sogno?” mi chiese. Io annuii e lui si avvicinò a me. “Vieni qui” fece. Io obbedii e mi accoccolai vicino a lui, con la schiena contro il suo petto. Lui mi circondò la vita con un braccio. “È finito, amore. Era solo un incubo. Ci sono io qui, ora” sussurrò con voce impastata. Io non dissi niente, mentre sentivo il suo respiro tornare regolare. Capii che si era riaddormentato dopo qualche minuto. Solo dopo un tempo che mi parve interminabile riuscii a riacquistare il sonno, sperando di non rivivere quell’incubo che, per quanto potesse sembrare stupido, mi aveva spezzato il cuore.

***

Il mattino dopo, eravamo tutti attorno al tavolo, a far colazione. Dire mattino era piuttosto forzato, dato che erano già le undici e mezza. Calum e Luke litigavano per un biscotto, mentre davanti a loro ce n’era un pacco intero; Ashton faceva ridere Carol, mettendosi un biscotto intero in bocca, in verticale; Manuela e Michael avevano preso possesso del barattolo di Nutella, lanciando sguardi infuocati a chiunque tentasse di avvicinarsi al vasetto; Madison era più addormentata che sveglia, e doveva fare qualche tentativo prima di centrare la tazza con il biscotto. Diana, invece, si era trasferita dal letto alla cucina solo per riaddormentarsi con la fronte sul bordo del tavolo e le braccia penzoloni.

Tutto normale, insomma. Io ero inquieta. Avevo dormito poco e male, in seguito a quell’incubo. Più cercavo di dimenticarlo, più quello tornava con insistenza nella mia testa. L’ultima frase di Diana rimbombava dentro di me con assurda precisione ogni momento. “Oh, andiamo, non dirmi che non te l’aspettavi.” Se non fosse che mi ero svegliata di soprassalto, avrei fatto fatica a dire se quella scena facesse parte di un sogno o no. Era così reale che mi veniva male al cuore.

Mi voltai e guardai Luke con la coda dell’occhio. Stava ancora litigando con Calum, scherzando. All’improvviso, la voce di lui risuonò nella mia mente: “Oh, beh, non ne è mai valsa la pena veramente.” Ci misi un po’ a rendermi conto da dove venisse: era una delle frasi con cui Matt mi aveva liquidata. Mi chiesi cosa stesse succedendo nella mia testa. Perché sentivo le parole di Matt, pronunciate dalla voce di Luke? Non aveva senso. Cercai di scacciare quei pensieri e mi scappò un gemito. Luke si voltò subito verso di me. “Tutto okay, piccola?” chiese, lasciando andare il biscotto. Calum, nella foga di tirarlo a sé, per poco non cadde dalla sedia. Io annuii distrattamente. “Ho solo un po’ di mal di testa” mentii. Lui mi attirò a sé e mi stampò un bacio sulla fronte. “È perché hai dormito poco?”

Spero di no. “Credo di sì.”

“Ti prendo qualcosa” disse, mentre faceva per alzarsi. Io lo bloccai subito. “Tranquillo, passerà in fretta” dissi velocemente. Lui si sedette di nuovo e mi avvicinò a sé. “Se peggiora, però, mi avverti, d’accordo?”

“D’accordo.”

Lui sorrise soddisfatto e mi diede un bacio a stampo, prima di attirarmi a sé e farmi sedere sulle sue gambe.

Lì, nella sua stretta, riuscii quasi ad azzittire quelle voci che non volevano saperne di lasciarmi in pace.

***

Qualche ora dopo pranzo, finalmente eravamo tutti completamente svegli – persino Diana, il che era tutto dire. Fuori, si sentivano tuoni sporadici, mentre lo scroscio della pioggia era costante. Non mi sarei sorpresa se avessimo trovato l’Arca di Noè parcheggiata in doppia fila davanti a casa.

Ashton e Carol erano spariti in camera di lei e, dai rumori che sentii passando di fianco alla porta, decisamente non stavano guardando un film. Michael, quando li sentì, si gasò così tanto che Luke e Calum dovettero portarlo via da lì davanti: progettava già di aprire la porta. “Per vedere chi sta sopra”, diceva. Io, intanto, mi chiedevo come mai avessero scelto proprio quel momento per dare sfogo ai loro bisogni di coppia. Intendo, eravamo tutti svegli e in circolazione per casa, a nessuno dei due era venuto in mente che poteva essere una cattiva idea? Non li avrei mai capiti.

***

“No.”

“Ti prego, amore, ne va della mia dignità di uomo!”

“No, Michael, non intendo chiudermi in camera con te e cercare di far più rumore di quei due.”

Manuela e Michael andavano avanti così già da qualche minuto. Io e Luke, intanto, eravamo sul divano a guardarli divertiti. Calum si avvicinò a noi e sussurrò: “Scommetto una pizza che Mikey la convince.”

“Io dico che non ce la fa” replicò Luke, risoluto. “E io scommetto che riesce a convincerla, ma troppo tardi” dissi io. Calum e Luke mi guardarono basiti. “Beh? Perché mi fissate?”

“Perché sei così pura e casta che pensavo ci avresti preso a pugni.”

“Pura e casta quanto vuoi, ma mi so divertire anche io con queste scommesse. E poi, Manuela è la mia migliore amica, direi di conoscerla abbastanza bene. Preparatevi a pagarmi una pizza, perdenti!”

“Oh, ma io te ne pago cento, di pizze, se ceni fuori con me” fece Luke, baciandomi piano. “Devo scommettere anche su voi due?” chiese Calum scocciato e divertito allo stesso tempo. Io gli tirai un pugno sul braccio e lui gemette, ridendo. “Ecco la Coralie che conosco” fece soddisfatto. Sentimmo in lontananza il rumore di una porta che si apriva, così tornammo a concentrarci sui due di fronte a noi.

Manuela aveva un sorrisetto diabolico in viso. “E va bene” fece, con un tono esageratamente esasperato. Michael esultò e la prese in braccio come una sposa, dirigendosi verso le scale… E trovandosi faccia a faccia con Ashton e Carol. Scoppiammo tutti a ridere, tranne Ashton e Carol, che non capivano, e Michael, che aveva un’espressione di puro orrore in viso. “La mia povera dignità!” fece, con tono straziato. “Io ve l’avevo detto, che la conosco” mi vantai con sussiego. Manuela mi fece un occhiolino, mentre si divincolava per essere messa giù. “Cosa ci siamo persi?” chiese Ashton, curioso. “Un giro di scommesse” rispose Calum, storcendo la bocca al pensiero di dovermi offrire una pizza. “E che avete scommesso?”

“Credo che Michael e la sua dignità oltraggiata non sarebbero felici se te lo dicessi” feci io ridacchiando. “Esatto, non dirglielo” rispose lui, ancora disperato. Manuela gli stampò un bacio sulle labbra. “Andiamo, ti rifarai la prossima volta” fece. Lui mugugnò qualcosa che non capimmo e scese le scale, per ciondolare mesto fino alla cucina. Manuela lo seguì ridacchiando.

Calum, che era in vena di scommesse, si voltò verso Ashton e: “Scommetto che uno di questi giorni ti si rompe un preservativo.” Carol impallidì e si fece il segno della croce. “Non sia mai” fece, mentre Ashton se la rideva alla grande. “Ma come, piccola, non sei ansiosa di accogliere la piccola Aubrey in famiglia?”

No.”

“E come mai?”

“Ho diciassette anni, Ashton!” fece lei scandalizzata. Ashton rise di nuovo. “Sto scherzando, amore. Ti pare che io sia pronto? Non so badare a me stesso, credi che possa badare a qualcun altro?” chiese. “Però non avete avuto problemi ad adottare me e Luke!” feci notare io. “Silenzio, mamma e papà si stanno confrontando” fece Carol ridendo. “Comunque, secondo me, la prima a rimanere incinta sarai tu, Carol” feci con nonchalance. Tutti mi guardarono come se avessi detto di essere incinta io stessa. “Che c’è? Non intendevo che rimarrà incinta ora. Intendevo che, anche fra dieci anni, sarà lei la prima.”

“E cosa te lo fa pensare?” chiese Ashton. “Mi devi far rispondere?” feci io, inarcando un sopracciglio. Lui scese le scale e si appoggiò allo schienale del divano. “Io, invece, scommetto che sarai tu la prima, Coco” disse con un sorriso furbo. Io e Luke, per poco, non avemmo un attacco di cuore. “Cosa?! Io?!” feci, sconvolta. “Proprio tu.”

“Ma se sono ancora…”

“Non importa, sai? Datevi ancora un paio di mesi, Madre Natura chiamerà e puff! Vedremo come andrà a finire.”

“Sei uno scemo, Ash.”

“Lo so, tesoro. Anche per questo sono il tuo migliore amico.”

Io scossi la testa, ridacchiando. “E va bene. Ci sto.”

“Eh?”

“Stavamo scommettendo, no?”

“Ah, sì” fece Ashton, mentre Luke mi guardava stranito. “Piccola, ma che…”

“Scommetto quello che vuoi che Carol rimarrà incinta per prima.”

“Grazie per la fiducia, eh!” fece l’interessata, ancora sulle scale. Io le mandai un bacio volante e lei mi guardò truce. “E io scommetto che la prima sarai tu, oppure Manuela” rispose Ashton. “Vi abbiamo sentiti!” esclamò Manuela dalla cucina, mentre la risata di Michael invadeva la casa. “E su Maddy e me? Non scommette nessuno?” fece Calum, quasi risentito. “Scommetto io!” fece Michael. “Andata!” rispose lui, più contento. “Voi siete tutti fuori di testa” fece Luke, sconvolto. Diana passò in sala velocemente, rossa come un semaforo, mentre Luke la seguiva con lo sguardo e ridacchiava. Ashton corse su per le scale e si fermò all’ultimo gradino. “Luke, dove tieni i preservativi?”

“Primo, io non ho preservativi; secondo, se anche li avessi, cosa vorresti fare?!”

“Uff, volevo bucarteli. Tanto per assicurarmi una vittoria.”

“Caschi male, caro.”

“Peccato. Te ne do uno io, non si sa mai.”

“Bucato?”

“Certo che sì! Per chi mi hai preso?!”

Scoppiammo a ridere tutti, mentre Ashton correva al piano di sopra. Stavo per urlargli contro qualcosa che sarebbe risultato poco fine, quando il citofono mi interruppe. Ci guardammo perplessi. “E mo’ chi è, a quest’ora di notte?” chiese Calum. “Cal, sono le sei” feci perplessa. “Diana, mica sarà tua madre, vero?” chiese Carol con gli occhi sgranati. “Prego il cielo che sia un no” rispose lei dalla cucina. “Oddio, no, ti prego” fece Ashton, dal piano di sopra. “Sì, okay, ma qualcuno risponda” urlò Manuela. Io mi alzai e risposi al citofono. “Chi è?”

“Coralie! Ti prego, apri, si gela!”

“Emma?!”

“Sì, sono tua sorella, ora ci apri?!”

Non esitai a obbedire, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “È lei?!” chiese Manuela strabiliata. Io annuii e andai ad aprire la porta. Mentre giravo la chiave nella serratura, ripensai a ciò che aveva detto mia sorella. Parlava al plurale. Ciò significava che c’erano anche Cristine e Daniel?! Sarei stata al settimo cielo. Quando aprii la porta, però, non si fiondò in casa mia cugina, né suo marito, no. Un’altra persona accompagnava mia sorella. Era un uomo sulla ventina, forse trentina, con straordinari occhi azzurri e i capelli neri, non lunghi ma nemmeno corti. Non si faceva la barba da un po’, ma gli stava benissimo sulla mascella squadrata. Aveva un sorriso furbo, da canaglia. Rimasi con la bocca socchiusa per qualche istante, prima che mia sorella mi abbracciasse. “Coco! Sono così felice di vederti!” fece. Io ricambiai l’abbraccio calorosamente, prima di rendermi conto di quanto mia sorella fosse gelida. E fradicia. Lei si accorse della mia rigidità e si staccò subito. “Scusami, abbiamo preso in pieno l’acquazzone” si giustificò, mentre tutti ci raggiungevano in anticamera. Manuela, quando vide l’accompagnatore di Emmaline, ebbe la mia stessa reazione. “Oh sante ovaie, non scoppiatemi ora” la sentii sussurrare. Trattenni una risata, mentre Michael la guardava torvo. Emmaline attese che ci fossimo radunati tutti, prima di fare le presentazioni. “Ragazzi, lui è Balthazar, il mio ragazzo. Lavora con me al ristorante. Balthazar, loro sono Coralie, mia sorella, Carol, Manuela, Luke, Ashton, Madison, Calum, Michael, e… Credo di non aver mai visto lei” finì, indicando perplessa Diana. Lei ridacchiò e le porse la mano. “Mi chiamo Diana, piacere” fece. Gli occhi di Emmaline si illuminarono. “Ah, sei tu! Vedi che testa che ho? Avrei dovuto immaginarlo. Scusami tanto, Diana. È un piacere conoscerti, io sono Emmaline, e lui è Balthazar” fece, stringendole la mano. Balthazar fece il giro di strette di mano, fino ad arrivare a me, l’ultima. Appena ci separammo, presi Emmaline per una mano. “Arriviamo subito” dissi frettolosa. Ci rifugiammo in cucina e le chiesi: “E questa notizia, quando intendevi darmela?!”

“Sorpresa?”

“Beh, ci sei riuscita. E devo dire che hai anche buoni gusti. Mica male il ragazzo.”

“Sì, sospettavo lo avresti detto da quando ti sei imbambolata davanti a lui. Ormai ci ho fatto l’abitudine, tutte le ragazze fanno così. Pure io, all’inizio, se devo essere sincera.”

“E vorrei ben dire, accidenti.”

Emmaline scoppiò a ridere e mi abbracciò di nuovo. “Mi sei mancata tantissimo, sorellina” sussurrò. “Anche tu, sorellona.”

Rimanemmo così qualche istante, prima di separarci. “Emma, ti devo parlare. È una cosa molto importante, sono preoccupata.”

“Cosa succede?” chiese lei, perdendo immediatamente il sorriso. “Ecco, sento delle voci ne-”

“Piccola, Emma, dove siete?” chiese la voce di Luke, prima che lui si affacciasse alla porta della cucina e ci sorridesse. “Arriviamo” fece mia sorella tirando un sorriso e seguendolo. Si voltò verso di me e mimò un: “Dopo mi spieghi tutto”, prima di uscire dalla cucina, e io con lei. Trovammo una scena alquanto strana in salotto: Erano tutti seduti sui divani, Balthazar era all’estremità di uno di essi. Manuela, di fianco a lui, lo tempestava di domande, a cui lui non rispondeva, mentre Michael sbuffava, tutto corrucciato. “Tranquillo, Mikey, fa sempre così, ma alla fine è di te che è innamorata, o no?” feci, passandogli di fianco. Lui annuì distrattamente, mentre noi tre ci sedevamo. Intanto, mi chiesi come mai Balthazar avesse quello sguardo perplesso in viso, o perché non avesse ancora detto una parola.

“Allora, per quanto state qui?” chiesi. “Oh, non molto: domani mattina dobbiamo partire. Siamo passati solo a fare un saluto, stasera dormiamo in un Bed and Breakfast. E no, Coco – mi precedette, notando che stavo per interromperla – non ci ospitate voi, abbiamo già prenotato. Non volevamo disturbarvi troppo. E no – di nuovo mi interruppe – avremmo disturbato, perché so che in questa casa non ci sono posti liberi e non ho intenzione di far tornare i ragazzi a casa loro. e no, Michael, non ti ci mettere anche tu – aveva alzato la mano – non andiamo noi a dormire da voi, ci sentiremmo degli sporchi sfruttatori” concluse Emmaline. Michael rimase con la mano alzata e la bocca semiaperta, come se l’avessero pietrificato mentre stava per parlare. “Io in realtà volevo chiedere se stasera vi andava di mangiare fuori con noi, ma dato che non posso parlare ritiro tutto” fece piccato. Emmaline ridacchiò e si scusò con lui. “E da quando avremmo deciso di mangiare fuori?” chiese Carol confusa. “L’ho proposto io adesso, va bene?! Uffa!” fece Michael, sempre più scocciato. Manuela lo guardò sorpresa. “Amore, guarda che dovrei essere io quella con la crisi premestruale” disse incredula. Lui si guardò intorno e notò che lo stavamo fissando tutti. “Scusate, sono nervoso, non so perché” fece, per poi evitare il contatto visivo con ognuno di noi. Diana intervenne in fretta: “Comunque è bella l’idea di uscire stasera, no?” fece speranzosa. Noi annuimmo subito, e non solo per distrarre Michael. “Già, anzi, se usciamo ora possiamo anche fare un giro in centro” fece Madison. “Maddy, mi spiace contraddirti, ma l’unico giro che potresti fare sarebbe sotto il gazebo che avete in giardino. Fuori è scoppiato il diluvio universale” fece Emma. “Ci sono ancora i tuoni?” chiese Manuela. “Quando siamo arrivati noi, sì.”

“Allora io non esco. Ho paura e lo sapete.”

“Ma dai, non è nulla di pericoloso! E poi non si sente più niente!” feci io. Le mi guardò truce. “Coralie, ti ho mai costretta ad affrontare un ragno? No, perché so che hai paura. Non puoi ricambiare il favore?” fece. Io sospirai, mentre Luke si alzava e andava a sbirciare fuori dalla finestra. “Emma, mi spiace contraddirti, ma ha smesso di piovere. Il diluvio universale si è spostato” disse. Emmaline e Balthazar rimasero interdetti. “Vuoi dire che se avessimo aspettato dieci minuti ci saremmo risparmiati l’acquazzone?!” fece lei, sconvolta. Balthazar alzò gli occhi al cielo, esasperato, e Manuela inarcò un sopracciglio. “Ora che ci penso, non hai ancora spiccicato parola, Balthazar. Che succede? Ti mettiamo ansia?” chiese. Lui la guardò un attimo, mentre Madison aggiungeva: “Già, perché non parli con noi?” Balthazar si voltò verso Emmaline, guardandola in maniera così eloquente che quasi lo sentii ripetere la domanda di Madison: “Già, Emmaline, perché non parlo?” Emmaline sgranò gli occhi. “Oddio, scusami, non gliel’ho detto – disse, prima di rivolgersi a noi – Balthazar è muto.” Rimanemmo di sasso, mentre Manuela e Madison arrossivano fino alla radice dei capelli. “Scusa, scusa, scusa! Non ne avevo idea!” fece Manuela. Lui fece un mezzo sorriso e scosse la testa, come a dire: “Non importa.”

“Sei nato muto, oppure in seguito ad un trauma?” chiese Diana. Balthazar mostrò due dita alzate e il silenzio tornò a piombare nella stanza. “Che cosa ti è successo? Sempre che ti vada di parlarne” fece Ashton. Balthazar lo guardò storto e Ashton si rese conto dell’errore. “Scusa, intendevo, se ti va di farcelo sapere.” Balthazar annuì e guardò Emmaline, che prese la parola, cauta: “Quando aveva dieci anni è rimasto coinvolto in un incidente stradale e ha visto morire sua madre. Da allora non ha più detto una parola. I dottori non si spiegano come mai lui non riesca ancora a parlare, dato che sembra aver superato il trauma. Non dice una parola da quindici anni” spiegò. Guardò Balthazar in tralice, ma lui non sembrava turbato, anzi, era perfettamente tranquillo. Noi rimanemmo in silenzio qualche secondo, prima che Balthazar si mettesse a fare gesti frenetici e a indicare la porta della cucina. Ci voltammo verso di essa, ma non vedemmo nulla, così tornammo a concentrarci su di lui, che mimava delle parole con le labbra e intanto si grattava il braccio. Emmaline annuì. “Sì, hanno un gatto, si chiama Tabitha” disse. Un coro di “Aaah” di comprensione si diffuse nella sala: evidentemente, Balthazar aveva visto Tabitha dalla porta della cucina. Ormai era un miracolo vedere quella gatta: tornava a casa pochissimo, dato che la maggior parte del tempo la passava dalla vicina.

“Ragazzi, dato che non piove, andiamo a fare un giro, come aveva proposto Mikey? Poi ci fermiamo in una pizzeria, dato che è da un po’ che non mangiamo una bella, sana pizza?” chiese Calum. Incontrai gli sguardi entusiasti di tutti quanti e intuii che non c’era nemmeno bisogno di rispondere. “Chi arriva per ultimo di sopra non mangia!” fece Manuela, schizzando in piedi e fiondandosi su per le scale. In un attimo, noi ci alzammo e iniziammo una corsa simile a quella dei tributi di Hunger Games verso le scale. Per ultima arrivò – in qualche maniera occulta – proprio Manuela: qualcuno doveva averla trattenuta. Si guardò attorno con occhi sgranati, prima di lanciare un’occhiata in sala. Quando si rese conto che sui divani erano rimasti solo Balthazar e Emmaline, si voltò verso di noi. “Però io avevo lanciato la sfida, quindi sono immune alla penitenza” fece come una bambina, con un sorrisetto soddisfatto. Noi scoppiammo a ridere. “Vatti a cambiare, che è meglio” dissi, spingendola in camera sua. Michael, ancora imbronciato, la seguì. Mi ripromisi di chiedergli cosa gli stesse succedendo una volta pronta.

Mi chiusi in camera mia con Luke e lui si tolse la maglietta, mentre io aprivo l’armadio. Dopo aver scelto cosa mettermi, mi tolsi la maglietta che usavo come pigiama – rigorosamente rubata a Luke, ovviamente – rimanendo in intimo. Mi voltai per posare il pigiama sul comodino, ma Luke mi prese per i fianchi da dietro e iniziò a posarmi baci umidi sul collo, fino a scendere verso la schiena. Per ultima cosa, mi lasciò un bacio in mezzo alle scapole, dove sapeva farmi impazzire: infatti, sentii un brivido percorrermi. Mi voltai e lui mi attirò a sé, facendo combaciare i nostri corpi. Barcollammo fino al letto e lui ci si sedette, per poi farmi appoggiare su di lui. Mi baciò con foga, facendo scivolare le sue mani sui fianchi, e mi fece sdraiare. Continuò con la sua scia di baci, arrivando all’incavo fra i miei seni. Sospirai, mentre lui tornava a baciarmi sulle labbra. Io mi fermai un attimo e lui mi guardò. “Tutto bene?” chiese. Io feci un mezzo sorriso, prima di piegare la testa e iniziare a lasciare baci sul collo. “Vendetta” sussurrai nel suo orecchio, prima di mordicchiarlo esattamente dove lui aveva lasciato un succhiotto su di me. Lui capì cosa intendevo fare e scoppiò a ridere, ma non mi fermò. Incerta su come fare – era la prima volta – provai a imitare gli stessi gesti che avevo sentito fare a Luke. Lui inclinò la testa per scoprire meglio il punto che mi interessava e mi sorrise incoraggiante. Io ridacchiai, prima di lasciare un morso leggero sul punto che già si stava arrossando. Lo sentii soffocare un’esclamazione di sorpresa, ma lo ignorai e continuai. Se si chiama succhiotto, pensai, un motivo ci sarà. Così, provai a seguire il consiglio di quella vocina che avevo nella mente. Dopo nemmeno dieci secondi, avevo lasciato un inconfondibile segno rosso. Sgranai gli occhi, sorpresa e un po’ intimorita. “Oh, accidenti.”

“Cosa, amore?”

“Credo di aver fatto un casino.”

“Che è successo?”

“Quanto ci vuole perché rimanga il segno?”

“Pochissimo, perché?”

“Oh, santissimo cielo, grazie” feci, mentre il sollievo mi investiva peggio di un camion. Lui rise e io gli tirai un cuscino in faccia. “Per un attimo ho creduto di aver sbagliato qualcosa, accidenti! Credevo di averti fatto male! Che faccio, io, se non va più via?! E poi, mi spieghi perché quando l’hai fatto tu ci sei stato su un quarto d’ora?!” Luke rise ancora più forte. “Piccola, tranquilla. Ci sono stato su tanto perché piaceva a entrambi, e volevo lasciare un segno che non sparisse dopo solo qualche giorno.”

“Mi hai fatto prendere un infarto.”

“Ma io non ho fatto nulla.”

“Allora mi sono presa un infarto da sola.”

Luke rise di nuovo, e io con lui. Mi diede un bacio a stampo sul naso, prima di sorridere. Stava per dire qualcosa, quando fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. “Coco, non vorrei sembrare inopportuna, ma sono fradicia e sto congelando. Non è che potresti prestarmi qualcosa da mettermi? Ti prego!” fece Emmaline dall’altra parte della porta. Luke ridacchiò e scosse la testa rassegnato, prima di alzarsi. Andò ad aprire la porta e ci si nascose dietro, facendo entrare mia sorella. Lei vide prima me, poi la testa di Luke che sbucava da dietro la porta, e ci guardò perplessa. “Cosa stavate combinando?” chiese inquisitoria. “Niente” facemmo in coro, come due perfetti angioletti. Lei mi lanciò un’occhiata così scettica che mi fece scoppiare a ridere. “Farò finta di crederci – e di non aver visto quel succhiotto – solo perché ho troppo freddo. Coco, mi passi qualcosa a caso? Mi va bene tutto, basta che sia asciutto” disse. Io mi alzai e frugai nell’armadio, prima di porgerle una maglietta blu con lo scudo di Capitan America stampato sopra e un paio di jeans attillati neri. Lei li prese e si chiuse nel bagnetto della mia camera; subito dopo Luke richiuse la porta. “Piccola, per favore, mi lanci un paio di pantaloni? Per non dovermi nascondere sotto il letto quando Emma uscirà dal bagno” fece. Io, ridacchiando, annuii e gli lanciai un paio dei suoi skinny. Lui li indossò in fretta, saltellando sul posto mentre infilava una gamba alla volta. “Adesso cado, me lo sento” disse. Io risi, mentre la porta si apriva di nuovo, mostrando Carol. “Coco, volevo solo dirti: non osare vestirti elegante, oggi è la giornata del ruba-qualcosa-al-tuo-ragazzo. Va bene?” chiese. Io feci spallucce e annuii, mentre lei, soddisfatta, richiudeva la porta. Mi voltai verso Luke. “Hai sentito, no? Devo rubarti qualcosa. Hai preferenze?” chiesi. Lui scosse la testa. “Puoi prendere quello che vuoi, amore” disse sorridendomi. Io ricambiai e frugai nella sua parte dell’armadio. “E questa?!” chiesi, prendendo una felpa nera con le maniche bianche e i polsini a strisce. “Non te l’ho mai vista addosso” feci. “Perché me l’ha regalata Diana l’altro giorno e non l’ho ancora usata. Mi dispiace dirglielo in faccia, ma non è esattamente il genere di felpe che uso… A te piace?” mi domandò lui, avvicinandosi. Io annuii piano, ancora concentrata sulla frase ‘Me l’ha regalata Diana’. Quando? Quando ancora Ashton e Carol non si parlavano? Quanto tempo erano rimasti da soli, lui e Diana?

Luke mi riscosse dai miei pensieri: “Bene, allora è tua.” Io lo guardai. “Sei sicuro?”

“Sì. Sempre meglio che riportarla in negozio. Credo che lei abbia completamente frainteso la situazione: la stavo guardando per te, così lei, quando siamo usciti, è tornata un attimo dentro e me l’ha presa, dicendomi che sembrava piacermi tanto. Aveva un sorriso così fiducioso che non ho avuto il cuore di dirle che non l’avrei mai messa.” Mentre parlava, sembrava a metà fra il divertito e il dispiaciuto. Io feci un mezzo sorriso – aveva detto che la stava guardando per me, no? Mi avrebbe dovuto rassicurare.

Però era fuori con lei.

Tentai di scacciare quella vocina fastidiosa e mi infilai la felpa, che si rivelò comodissima e morbida. “Sicuro che lei non se la prenda?”

“Figurati. Non se la prende mica per queste cose. E poi, non potrebbe dirmi nulla” fece con un sorriso. Io ricambiai, prima di andare a frugare nella mia parte d’armadio per il resto; d’altronde, avevo già rubato qualcosa a Luke, no?

“Ehi, piccola” mi chiamò Luke. Io mi voltai, giusto in tempo per prendere al volo una maglietta che mi aveva lanciato. “Non dovevi prendere qualcosa di mio?”

“Sì, appunto, ho preso la felpa.”

“Ma quella ora è tua, non vale.”

Io ridacchiai e guardai la maglietta: era una delle sue preferite, la canotta nera con su scritto ‘YOU COMPLETE MEss’. Raramente se ne separava. “Luke, i ragazzi non sapranno mai che mi hai regalato la felpa. Perché vuoi che prenda anche questa?” chiesi dubbiosa. Lui alzò gli occhi al cielo, ridacchiando. “Mi hai smascherato. La realtà è che adoro quando i miei vestiti hanno il tuo profumo.”

Io scoppiai a ridere, intenerita. “e vuoi ti regalo il flacone di profumo che uso. È al lampone, sai?”

“Lampone? E perché questa scelta?”

“È il preferito di Giorgia e mi ci ha fatta affezionare.”

“Capito” disse Luke, tornando ad avvicinarsi a me. “Comunque non voglio un profumo al lampone, sui miei vestiti. Non è quello che cerco. Io voglio il profumo di te.”

Io arrossii e abbassai lo sguardo, così lui ne approfittò per appoggiare le labbra sulla mia fronte. “Dai, vestiti. Saranno già tutti pronti, scommetto che avranno di nuovo da dire” mi sussurrò poi. Io annuii e mi vestii in fretta, mentre Luke faceva lo stesso. Intanto, mia sorella uscì dal bagno e sgattaiolò via, ringraziandomi ancora.

Cinque minuti dopo, eravamo tutti giù, tranne Michael e Manuela. Era strano, dato che loro di solito erano i primi; facevano di tutto per prepararsi in fretta e mettere ansia a chi ancora non era pronto. Perciò, era strano che Carol e Ashton li avessero battuti di ben cinque minuti. Mi sorprendevo di loro.

Calum si avvicinò a me e Luke. “Non è che alla fine Michael è riuscito a convincerla, vero?” chiese. “No, idiota” fece la voce di Michael dal piano di sopra. I due stavano scendendo le scale con lentezza esasperante. Balthazar, sul divano, fece segno di spararsi. Poi, si rivolse a Emmaline, facendo una serie di gesti frenetici. “Michael, Manuela, vi sta pregando di muovervi, dice che ha una fame da lupi. In effetti, non abbiamo fatto un pranzo decente in auto” tradusse mia sorella. I due obbedirono e, quando Manuela mi passò di fianco, io le presi un polso. Ci fu una conversazione di sguardi che avrebbe fatto invidia a Balthazar, in cui le chiedevo cosa fosse successo, dato che Michael era così nero prima di salire; lei mi fece capire con un gesto che ne avremmo parlato dopo, così la lasciai andare. Mi feci scappare un sorriso quando notai che indossava una delle magliette preferite di Michael: bianca, maniche nere, con la scritta ‘IDIOT’ in rosso stampata sul petto. Se indossava la sua maglietta, non doveva andare poi così male, no?

***

Eravamo in pizzeria, seduti al tavolo più grande e, grazie a noi, anche il più rumoroso. Eravamo la disperazione dei camerieri e dei vicini di posto, ma non sembrava interessarci: eravamo immersi in una fitta conversazione riguardante i libri.

“Amico, ti assicuro che Harry Potter è il capolavoro dei capolavori. Non lo batte nulla” diceva Manuela, convinta. Io mi astenevo solo perché non avrei potuto sostenere un’opinione senza andare in tilt: Manuela e Ashton sostenevano Harry Potter (ed erano gli unici che si trovavano d’accordo su qualcosa), Balthazar sosteneva The Maze Runner, Emmaline Hunger Games, Michael Percy Jackson, Calum Shadowhunters, Madison Divergent… Insomma, i libri più famosi del momento. Non sapevo cosa dire di Percy Jackson, in quanto ancora sulla mia lista di libri da leggere, ma se mi avessero chiesto di scegliere un libro preferito fra gli altri… Avrei fatto prima a suicidarmi. Magari saltando da un tetto, all’Intrepida; oppure un bell’Avada Kedavra…

“E tu, Coco, che libro preferisci?” chiese Diana. Io rivolsi a tutti uno sguardo completamente indeciso, prima di dire: “Raccontami di un giorno perfetto.”

“Eh?”

“Il libro.”

“Ma non ti piacevano tanto i libri come Harry Potter?!” chiese Ashton. “Sì, mi piacciono tutti i libri che avete nominato, proprio per questo non ho scelto nessuno di loro; avrei fatto un torto agli altri. E Raccontami di un giorno perfetto è assolutamente fra i miei libri preferiti” dissi. Manuela mi rivolse uno sguardo che, conoscendola, voleva significare: “Complimenti per non esserti messa contro nessuno; ma ti farò pagare il fatto di non esserti messa dalla mia parte, tesoro.” Mi venne da ridere e dovetti voltarmi da un’altra parte.

“Abbandoniamo un attimo questa disputa – fece Ashton – devo farvi una domanda per confermare una mia teoria. In Harry Potter – un coro di sbuffi si levò dal tavolo – e non fate quelle facce, che se no vi lascio a piedi stasera; dicevo, in Harry Potter, qual è il vostro personaggio preferito? Perché non ho mai sentito nessuno dire che preferisce Harry. Voi, chi preferite?”

“La McGonagall” feci subito. Mi guardarono straniti. “La chi?”

“McGonagall, McGranitt, La-Donna-Che-Merita-Una-Statua, chiamatela come volete.”

“Perché la chiami col nome inglese?”

“Ho letto una versione in cui i nomi erano diversi. Ad esempio, Neville Longbottom al posto di Neville Paciock, Argus Filch al posto di Gazza, Quirrell al posto di Raptor…”

Ashton mi guardava con muto orrore. “E dove l’hai trovata una versione del genere?!” chiese, sconvolto. “In libreria?”

“Non scherzare, sei un mostro! Filch… Filch?! E la gatta?! Come si chiama la gatta?!”

“Mrs Norris?”

Ashton lanciò un urlo di raccapriccio. “Via da questo tavolo, mostro!” fece, con la voce intrisa di sofferenza completamente esagerata. Emmaline si alzò. “Perfetto, mi hai offerto la scusa per rubarvela dieci minuti, torniamo subito!” fece. Io e mia sorella ci allontanammo dal tavolo, mentre sentivo ancora i gemiti plateali di Ashton, che singhiozzava: “Mrs Purr… come avete osato cambiare nome a Mrs Purr…”

Emmaline mi guidò fino al giardinetto sul retro del locale, che era deserto, data la recente pioggia. Tutti i tavoli erano stati spostati e coperti con teli di plastica per non rovinarli.

Ci sedemmo sul muretto di marmo di una fontana. Lei inviò un messaggio a qualcuno, o almeno, così mi sembrò, perché armeggiò col telefono qualche secondo, prima di posarlo in mezzo a noi. “Scusa se oggi non abbiamo finito di parlare. Doveva essere importante, vero?” mi chiese. Io annuii, grave. Per qualche ora, ero riuscita a dimenticarmi di quella vocina che mi sussurrava cose a cui non volevo credere. “È come l’altra volta?” mi chiese lei. Io annuii di nuovo. Lei esitò qualche istante, poi: “E c’entro io di nuovo? C’entra il fatto che sono tornata?” Io alzai subito lo sguardo. “No!” feci, quasi con veemenza. L’espressione colpevole di mia sorella parve sciogliersi e lei sospirò come di sollievo. “E cosa ti dice?” chiese poi. “Per ora niente di particolare. Ho fatto un incubo, ma credo che quello sia normale. E stamattina l’ho sentita una sola volta, diceva una frase di Matt con la voce di Luke, ma credo sia stata colpa di quell’incubo. Non so nemmeno perché te lo sto dicendo, è una cosa stupida, no?” feci. Speravo mi desse ragione.

“Che frase ha detto?”

“Non la ricordo bene – mentii – una cosa come ‘tanto non era così importante’.” Oh, beh, non ne è mai valsa la pena veramente. Il ricordo di quelle parole echeggiava ancora nella mia mente. E come poteva essere il contrario? Erano state le parole che mi avevano fatta crollare, quando mi erano state dette da Matt. Le parole che mi avevano fatto capire che non significavo nulla per lui.

“Ti riferisci a quando ti ha detto che non ne era mai valsa la pena veramente?” chiese Emmaline. Lei conosceva già la risposta, quindi rimasi in silenzio. “Perché hai sentito la voce di Luke? Cosa sta succedendo, Coco?”

“Nulla. Sono io che mi faccio mille paranoie, e…”

“Sei gelosa di Diana.”

Ci misi un po’ a rispondere, ma alla fine sussurrai: “Sì, molto.”

“Hai paura che possa portarti via Luke?”

Io non risposi, mentre sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi. Non piangere, mi ripetevo nella mente. Lei dovette prendere il mio silenzio come un sì. “Coco, perché Luke dovrebbe preferire lei a te?”

Sentii un moto di rabbia. “E perché non dovrebbe? Adesso dimmi, con tutta la sincerità di questo mondo: perché non dovrei avere paura? Diana è migliore di me in qualsiasi cosa. Perché Luke dovrebbe preferire me a lei?” mentre dicevo questo, mi ero alzata e mi ero messa di fronte a mia sorella, che mi guardava tranquilla. Aspettò che io finissi, poi disse: “Coco, pensa quello che vuoi di Diana; ma sei tu la ragazza che Luke guarda, con quello sguardo inconfondibile che sembra urlare quanto tu sia perfetta per lui.”

Io sospirai, cercando di mandare giù il nodo che mi si era formato in gola. “È questa la mia paura. Ho paura che un giorno si svegli, e decida, o capisca, che io non sono mai stata abbastanza per lui. È una delle mie paure peggiori. Anche perché nella mia testa, poi, ci sarebbe questa dannata voce, che mi ripeterebbe: Oh, andiamo, non dirmi che non te lo aspettavi! E quello sarà uno dei momenti peggiori, perché io me lo aspetto ogni giorno. Perché so di non essere mai stata abbastanza per nessuno. Ed è questo che fa male. Provarci, riprovarci, riprovarci di nuovo, fallire ogni volta. E vedere che poi qualcun altro arriva senza difficoltà a quel traguardo che ti eri imposta, e ti ruba tutto, e ti ricaccia in quel baratro del ‘ci sei quasi’. Sono una maledetta sufficienza, Emmaline. Non sono un brutto voto, e non sono un’eccellenza. Sono sempre stata una sufficienza. E fa male, sapere che per quanto ti sforzi, non supererai mai quel sei, sei e mezzo. Ora capisci perché sono gelosa di Diana? Perché lei è un’assoluta eccellenza, un dieci e lode in tutto quello che fa. E io sono il sei e mezzo.” Mentre buttavo fuori anni di insicurezze, la mia voce aveva iniziato a incrinarsi e, nonostante la sua apparente calma, anche Emmaline aveva gli occhi lucidi.

“Coralie, renditi conto che quello che stai dicendo fa male anche a chi ti circonda. A quelli che, come me, farebbero di tutto per farti capire che ti sbagli. Per alcuni sarai anche la sufficienza, Coco. Lo ammetto. Non puoi essere perfetta per tutti. Ma pensa a me. Pensa a Luke, a Manuela, a Carol, e a tutti quei matti lì dentro, che ci aspettano, e magari stanno pensando a cosa diavolo io ti stia dicendo, immaginando gli scenari più strani e cercando di capire cosa sta dicendo Balthazar. Pensa a noi, pensa a loro. Pensa a Cristine, pensa ai nostri genitori. Per noi non sei una sufficienza, Coralie. Per noi sei importante. Non sei rimpiazzabile, accidenti, per nessuno di noi! Come puoi pensare una cosa del genere?! Sono tua sorella! E loro sono i tuoi migliori amici! Luke è la persona che ti ama in una maniera che non puoi nemmeno immaginare. Coralie, erano tutti lì mentre tu eri in ospedale, te ne rendi conto, vero? Non si sono scollati da quelle sedie nemmeno un attimo. E da quanto ti conoscevano, i ragazzi? Qualche mese? Ti ostini a vedere la parte peggiore di te, ma le persone che ti circondano vedono altro, e quell’altro ti entra dentro, e non ne puoi più fare a meno, dopo. Sai, mentre dormivi, su quel letto d’ospedale, ho parlato molto con Luke, e lui mi ha raccontato tante cose. Compreso il fatto che gli hai fatto leggere Look into my eyes, e che quando sei corsa via lui è venuto a riprenderti, e ti ha promesso che non ti avrebbe lasciata andare. Mi ha detto che gli eri già entrata dentro così tanto, che non ti avrebbe più lasciata, per nessun motivo. Sono bastati uno, due giorni. E tu non riesci a renderti conto di questo potere, perché sei troppo impegnata a rimuginare sulle persone che hanno ignorato questo tuo lato, e se ne sono andate. Smettila di pensare a Matt, Coralie. Ti sta rovinando la vita. Devi superarlo, e superare tutto ciò che ti ha messo in testa. Smettila di credere di non essere abbastanza solo perché uno stronzo non era abbastanza per te. Diana potrà anche sembrarti migliore di te, ma Luke non ama lei, capito? Luke è innamorato perso di te. Cavolo, lo so io, che vi ho visti insieme pochissime volte! Come puoi dubitarne? Quante volte ti è stato vicino quando qualcun altro sarebbe scappato? Quando Matt sarebbe scappato?”

“Ora che c’entra Matt?”

“C’entra più di quanto tu possa credere.”

“Stiamo parlando di Luke.”

“No. Stiamo parlando di te, e di ciò che ti ha lasciato quell’altro.”

Stavo per ribattere, quando sentimmo la porta aprirsi. Ci voltammo verso di essa, giusto in tempo per vedere Balthazar e Luke che uscivano. “Va tutto bene, ragazze?” chiese Luke, mentre Bathazar ci guardava confuso. Noi annuimmo, mentre ci asciugavamo in fretta le lacrime. Nessuno dei due sembrò crederci, ma ci passarono sopra. “Sono arrivate le pizze, se volete entrare…”

“Sì, sì, arriviamo subito.”

Seguimmo i ragazzi nel ristorante, giusto per vedere che tutti ci stavano aspettando, famelici. “Ragazze, ho fame, vi prego!” fece Michael sofferente.

Quando fummo sedute, ci guardarono tutti in modo strano. Luke, di fianco a me, mi prese una mano e mi sussurrò nell’orecchio: “Sei sicura che vada tutto bene, piccola? Sembri sconvolta.”

“Sì, sto bene” mentii. Lui non era convinto, ma non insistette, e lo ringraziai per questo. Alzai lo sguardo e notai quello di Ashton e Manuela puntato su di me. Ashton prese il suo bicchiere, lo riempì con la prima cosa che trovò – in quel caso, il vino bianco di Balthazar, che lo guardò storto – e lo alzò, in un gesto inconfondibile. Lo guardammo tutti, confusi, chiedendoci a cosa volesse brindare.

Lui mi guardò di nuovo e mi sorrise. “A Coralie e Emmaline, che sembra proprio abbiano bisogno di un bel brindisi.”

Sorridenti, tutti alzarono i bicchieri, e rimasero così fino a che anche io e lei non ci unimmo.

Balthazar fece dei gesti veloci e noi guardammo Emmaline, che sorrideva. “Dice che gli piacerebbe molto avere amici come voi.” Mentre riferiva le parole, mi lanciò un’occhiata. Io riuscii a stirare un mezzo sorriso, prima di ascoltare ciò che aveva da dire Michael: “Dovevi solo chiederlo, Balthy caro! Benvenuto nella combriccola!”

Scoppiammo a ridere tutti quanti a quel soprannome, e io sentii un po’ di quel peso che mi schiacciava lo stomaco andarsene. Luke mi strinse la mano e, con un sorriso, mi resi conto che non l’aveva lasciata andare da prima, e non sembrava intenzionato a farlo nemmeno in quel momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

*Spazio autrice*

Ian Somerhalder as Balthazar

E, mi sembra di non averlo mai detto, quindi lo faccio adesso: Freya Mavor as Emmaline (se ho mai detto qualcos’altro, dimenticatelo, lei è Emmaline. Punto.)

Questi sono i completi: Coco, Maddy, Manu, Carol, Diana e Emma.

Scusatemi tanto il ritardo, ma:

--     1. Ero concentrata sulla scrittura del capitolo 36 (e di una One shot collegata; la OS è finita, il capitolo no. Ups. C’è da aggiungere che il capitolo 35 sarà cortissimo, dovevo inserirlo qui ma non sapevo come fare).

-          2. Ogni momento libero lo dedicavo alla lettura di Harry Potter

-        3.   Ho pure un botto di compiti

-          4. Sono al mare.

Una cosa: non so da dove sia nato il Balthy muto. Ma è andata così. Ho notato che non parlava mai, così mi son detta: perché non renderla una sua caratteristica?

Dopo questa piccola cosa, arriva un innocuo avviso. Avete presente Coco e Luke? I due tenerosi esseri che si amano incondizionatamente? Ecco. Prendete questo ricordo e gettatelo da parte. Dimenticateli. Stooop. Passerà un po’, prima che ritornino.

Ah e, dato che nel capitolo siamo in tema… secondo voi chi vince la scommessa che fanno tutti quanti? Chi rimane incinta per prima? E TU, MISS ONE DIRECTION, NON DIRLO. E NEMMENO TU, RAELEEN, CHIARO?! CHE GIÀ SONO PREVEDIBILE DI MIO. Vi voglio bene <3 °u° *w* :3 e chi più ne ha più ne metta.

Ancora ho da dire? Sì. LA STORIA HA IL SECONDO TRAILER, SIGNORE E SIGNORI. SEMPRE GRAZIE ALLA STESSA PERSONA SPECIALE CHE HA FATTO IL PRIMO, OVVIAMENTE. TUTTI IN CORO: GRAZIE, MANUELA! *Cantilena “grazie Manuela” da sola perché nessuno la caga, e si mette ad applaudire, perché non le interessa poi molto essere l'unica*.

Ecco il link!!!!

Un’ultima cosa: vorrei festeggiare. E sapete perché? Perché ora questa storia ha raggiunto le 100 recensioni tonde tonde. So che non dovrei essere così elettrizzata, dato che la metà sono delle sopracitate migliori amiche, però ehi, sono sempre 100 recensioni, di cui 50 di persone che non conosco. Quindi, graaazie!!!

Ragazzi, questo capitolo è stato un parto. L’ultima parte soprattutto, perché ho dovuto tirare fuori molte cose che mi fanno male. Perché se qualcuno se lo stesse chiedendo (nessuno), il monologo di Coralie parla di me, e delle mie paure. Ho il terrore che un giorno le persone che per me significano così tanto si rendano conto che non sono niente di speciale, che sono un casino, e che se ne vadano. Non credo che reggerei il colpo, anche perché per me, loro, sono tutto. Sono le quattro persone al di fuori della mia famiglia che significano di più per me, e due di loro sono le sempre sopracitate Manuela e Giorgia.

Allo stesso tempo, nella risposta di Emmaline ho messo tutto ciò che vorrei sentirmi dire, e tutto ciò che vorrei dire a chi si sente come me. Quindi sì, è stato un bel casino scrivere tutto bene. Anche perchè mi veniva da piangere, e ascoltare Good enough delle Little mix non aiutava per niente. Fra parentesi, è una canzone stupenda, la consiglio a tutti.

Grazie per la pazienza, davvero. Come ringraziamento, vi lascio un piccolo spoiler:

Ormai avevo l’orecchio attaccato al legno della porta, quando la sentii dire: “Certo che lo amo ancora!”, con un tono divertito che sembrava chiedersi come fosse possibile mettere in dubbio quella verità. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime.

Ciao a tutti!!

Ranya

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Capitolo 35
*** Your love is a lie. ***


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Attenzione! Questo capitolo sarà moooolto, mooooooooooooolto corto; è solamente di passaggio e mi scuso in anticipo. Per capire meglio, sarebbe preferibile aver visto High School Musical 3 (sì, ho sedici anni e mi piace HSM. Problemi?); se così non fosse, sarebbe opportuno cercare su Youtube il video di “Can I have this dance?”. Seconda cosa: importante leggere il testo della canzone “Your love is a lie”, dei Simple Plan; se non si ha voglia di cercarlo, le parti salienti sono nel capitolo, IMPORTANTE LEGGERLE. Dopo questi avvisi, buona lettura!!

Your love is a lie.

Il mattino dopo, Emmaline ed io eravamo in giardino. Ci eravamo svegliate prima di tutti gli altri – perché sì, alla fine ero riuscita a convincere i due a dormire da noi: Diana si era offerta di trasferirsi sul divano per una notte, lasciando a loro la stanza degli ospiti – desiderose di passare un po’ di tempo insieme e di risolvere la questione del giorno prima.

“Scusami se mi sono messa a urlare contro di te. So che mi volevi solo aiutare.”

“Tranquilla, hai fatto bene. Almeno ti sei sfogata. Da quanto volevi dire tutte quelle cose?”

“Un bel po’.”

“E ora, come ti senti?”

“Meglio.”

“Visto?” fece lei con un sorriso. Rimase un attimo in silenzio, poi continuò: “Comunque, se dovessi sentire di nuovo quella voce – e non guardarmi così, sai che è possibile – chiamami subito, va bene?” Io annuii e lei sorrise di nuovo. “Ti ricordi le tre lettere che ti ho spedito quando ancora ero in ospedale?” chiese. Io, con una morsa allo stomaco, confermai e lei continuò: “Ricordi come dicevo che il passato mi aiutava a restare coi piedi per terra?”

“Dovrei ancorarmi al mio passato, quando sai che è il motivo per cui sto così male?”

“Io non intendevo quel passato; più indietro. Ricordi felici, sai? Ho vissuto con te più della metà della tua vita, posso assicurarti che hai molti ricordi felici.” Il tono con cui lo disse mi fece scoppiare a ridere. “Va bene, va bene. Hai qualche suggerimento?” chiesi poi. Lei annuì vigorosamente. “Oltre a quelli che ti ho scritto, ce n’era uno a cui mi aggrappavo spesso” disse, sbloccando il cellulare. Mi impedì di vedere cosa stava combinando, sorridendomi. “Emma, mi fai paura.”

“Non devi avere paura della tua sorellona. Sono perfettamente innocua, quando voglio.”

“E ora vuoi?”

“Certo.”

“Allora sono tranquilla.”

Ci mettemmo a ridere e lei posò il cellulare, alzandosi in piedi e porgendomi una mano. Contemporaneamente, sentii delle note inconfondibili sprigionarsi dal cellulare. “Mi concedi questo ballo? Come quando eravamo piccole” mi chiese Emma con un sorriso enorme. Io sorrisi a mia volta al ricordo: avevo dieci anni la prima volta che avevamo ballato quel valzer, e lei tredici.

“No, Coco, aspetta, è il contrario!” fece Emmaline ridendo. “Ma non ho capito!” mi lamentai. “È facile: tu devi ballare come se fossi Gabriella e io ballo come se fossi Troy, però tu canti come se fossi Troy e io canto come se fossi Gabriella!” mi spiegò. Avevamo appena finito di vedere High School Musical 3 per l’ennesima volta, un film che ci piaceva tantissimo; tanto da voler imparare il valzer di ‘Can I have this dance?’. Stavamo provando da tanto, ma continuavo a inciampare. Emmaline, però, non si dava per vinta: mi faceva rialzare, diceva: “Da capo! Stavolta ce la facciamo, ne sono sicura!” e ricominciava. Io non conoscevo bene le parole, così canticchiavo a caso, al contrario di lei, che si era studiata bene tutto il testo e la coreografia. “Emma, non ce la faremo mai!” feci mesta all’ultima caduta. Lei scosse al testa. “Io dico di sì. Dobbiamo solo impegnarci al massimo. Siamo o non siamo Wildcats?!”

E ce l’avevamo fatta. Dopo un anno di tentativi, ce l’avevamo fatta. Emmaline aveva imparato a sollevarmi come faceva Troy con Gabriella perché io ero più leggera di lei, e io avevo imparato la parte della canzone di Troy perché lei aveva la voce più acuta. Da quel momento, avevamo provato così tanto che ancora ricordavo tutto.

“E dai, Coco. Come quando eravamo bambine” disse Emmaline, ancora con la mano tesa. Io mi alzai e: “Se mi fai cadere giuro che faccio di tutto per atterrarti addosso.”

“Ehi, guarda che non hai più dieci anni. Sei discretamente pesante.”

“Mi stai dando della grassa?!” feci con voce stridula e isterica. Lei mi mandò a quel paese con lo sguardo e scoppiammo a ridere. “Allora, mi concedi questo ballo?” chiese di nuovo lei, impaziente. Io annuii e lei, raggiante, fece ripartire la canzone. Si posizionò di fronte a me e prese la mia mano tesa, iniziando a cantare, proprio come quando eravamo piccole. Ci mettemmo a ballare l’unica coreografia che avessi mai imparato, l’unica che aveva un risultato che mi soddisfacesse. E mentre volteggiavamo per il giardino, facendo attenzione a evitare tutti gli ostacoli – portava lei – non riuscii a fare a meno di ricordare tutti i momenti migliori passati con mia sorella, prima che lei avesse avuto il crollo. Mi chiesi come avevo fatto, in quegli anni in cui lei era chiusa in ospedale, a fare a meno della sua presenza.

Quando finimmo, ero carica di una nuova energia e di una malinconica felicità. “Mi era mancato tantissimo ballare così” disse lei con gli occhi lucidi, prima di abbracciarmi. Io ricambiai, stringendola più forte che potevo.

Sentimmo qualcuno che batteva le mani dalla porta sul retro e ci voltammo: Balthazar e Luke ci guardavano con dei sorrisi inteneriti, mentre il primo batteva piano le mani. Ragazze, siete fenomenali” fece Luke per tutti e due. “Vi abbiamo svegliato?” chiesi io. Balthazar rispose e Emmaline tradusse: “Ha detto che si sono svegliati perché avevano freddo, dato che noi non eravamo più nei nostri letti, così si sono alzati e ci hanno trovato qui.”

“Piccola, mi avevi detto che non sai ballare” fece Luke avvicinandosi a me. “È così. Questo è l’unica coreografia che so fare.”

“Beh, eravate bellissime.”

“Grazie” rispondemmo in coro io e mia sorella.

***

Più tardi, quella mattina, eravamo tutti riuniti – e stretti – attorno al tavolo della cucina per fare colazione. Manuela si stiracchiò assonnata. “Ho fatto un sogno strano” biascicò. “Cosa, cupcake?”

“Ho sognato il valzer di High School Musical. La musica sembrava così reale…”

Io, Emma, Balthazar e Luke ci guardammo complici: la finestra di Manuela dava proprio sul giardino. “Devo aver mangiato pesante ieri” liquidò la questione lei. “Sì, probabilmente.”

“Credo sia una cosa ovvia.”

“Sono sicura che sia andata così” facemmo noi tre, mentre Balthazar annuiva con nonchalance. Manuela ci guardò perplessa. “Va bene” fece, affondando un Pan di Stelle nel barattolo di Nutella. “Comunque sciete stani” aggiunse, con la bocca piena. Noi annuimmo di nuovo, prima di scoppiare a ridere.

“Allora, a che ora partite, oggi?” chiese Calum. “Appena finita la colazione dobbiamo metterci in auto.”

“Di già?!”

“Sì, abbiamo il traghetto e non possiamo fare tardi.”

“Peccato…”

“Dai, quando torniamo restiamo qui una settimana. Vi facciamo pentire di aver sentito la nostra mancanza.”

“Quando tornate?”

“Fra tre settimane.”

“Allora non troverete la metà di noi.”

“Eh?”

“Fra dodici giorni partiamo. Inizia il tour.”

“Che cosa?!”

“Coco non ti ha detto nulla?”

“Sì che me l’ha detto, mi ha raccontato tutto, ma… CHE COSA?!”

Scoppiammo a ridere. “Oddio, sarò amica di quattro cantanti famosi” fece Emmaline. “Vero che mi presenterete Dylan O’brien quando sarete famosi?! E Tyler Hoechlin?! E Avril Lavigne?!”

“Quella posso già presentartela io” dissi. “Eh?”

“Ho il suo numero.”

Emmaline mi guardò basita per qualche secondo. “Tu… tu hai il…”

“Sì.”

“E QUANDO INTENDEVI DIRMELO?!”

Scoppiammo a ridere tutti; persino Balthazar si esibì in una silenziosissima risata. “Se non me lo invii giuro che ti scomunico, ti diseredo, ti stermino!” fece lei. “Abbiamo anche quello degli One Direction.”

“Qualcuno mi regga, sto per svenire.”

***

Una mezzoretta dopo, la coppia partì, come promesso, ma non prima di una lunga sessione di commossi saluti. Passammo il resto della giornata a non fare nulla e il pranzo si svolse in una monotonia assurda. Già ci mancava quella botta di energia che ci avevano portato Emma e Balthazar.

Il pomeriggio, Diana uscì. “Vado a trovare Evie” disse a Luke, che a quanto pareva conosceva la famosa Evie. Eravamo sul divano, quando gli chiesi: “Chi è?”

“La sua migliore amica. Non si vedono da tanto.”

“Ah, capito. Ma dove abita ora Diana?”

“A un paio d’ore da qui, però è sempre un’impresa per lei venire qua.”

“Capisco.”

“Sai, credo che fra un po’ uscirò anche io.”

“E dove vai?”

“A… a trovare Lucian. Sì, ecco. Credo che mi dovrò scusare per essere scappato dalla sua festa in quel modo.”

“Vengo anch’io, allora!”

“No, è meglio di no.”

Il mio sorriso si spense. “Perché?” chiesi. Lui evitò il mio sguardo e, in difficoltà, rispose: “Sai com’è, potrebbe esserci sua zia, e la sua famiglia non è proprio un bijou, e…”

“Va bene” feci io, un po’ abbattuta. Luke mi stampò un bacio sulle labbra, senza approfondirlo. “Scusami. Torno in un paio d’ore, okay?” chiese. Io annuii e lui mi fece un mezzo sorriso, prima di alzarsi, prendere la giacca, salutare tutti con un urlo e uscire.

Rimasi qualche secondo in silenzio, poi sentii dei passi sulle scale. Manuela sembrò sorpresa di vedermi. “Ehi, ma… Luke non è appena uscito?”

“Sì.”

“Pensavo che fossi con lui. Di solito non vi mollate un attimo.”

“Di solito.”

“Ehi, perché quella voce triste?”

“Perché mi ha propinato quella che è evidentemente una scusa. Avrei preferito che mi avesse detto che non voleva dirmi dove andava.”

Manuela si sedette di fianco a me, in silenzio e pensierosa. Poi, batté una mano sulla mia coscia. “So io cosa ci vuole qui” disse, prima di farmi alzare e trascinarmi di peso al piano di sopra. “Manu, ma che…”

“Mettiti in pigiama. Niente vestiti stretti, questo pomeriggio.”

“Cosa vuoi fare?”

“Tu fidati di me!”

Io obbedii, mentre lei usciva. La sentii dire, sulla porta – chiusa – della stanza di fianco: “Carol, smettila di accoppiarti con Ashton come se foste due conigli, ho bisogno di te.” Un paio di secondi, e la porta cigolò. “Per tua informazione, non ci stiamo accoppiando. Ci stavamo per addormentare.”

“Bene, allora svegliati. E caccia Ashton, per favore.”

“Eh?!” fece la voce del mio migliore amico da dentro la stanza. Io mi alzai per osservare la scena: I tre erano sulla porta e Ashton aveva uno sguardo perplesso. “Perché dovrebbe cacciarmi?”

“Perché prima che vi conoscessimo, spesso facevamo dei pomeriggi nerd, di sole ragazze. E ora dobbiamo assolutamente farne uno.”

“Perché?”

“Perché ne ho voglia, va bene?!” la ringraziai mentalmente del fatto che non avesse detto la verità. Ashton sbuffò. “Va bene. Andrò a fare una partita a calcio con Luke, che ti devo dire?”

“Luke è uscito prima” disse Carol. Ashton fece una faccia sorpresa, prima di guardarmi. “E Coco è ancora qui?”

“Già.”

“Ma di solito sono inseparabili!”

“Già” ripeté Manuela torva, guardandolo in maniera così eloquente che mi sorpresi della lentezza con cui Ashton capì tutto. “Va bene, va bene. Allora porterò via Mikey e Cal.”

“Grazie.”

“E Maddy?”

“Da quel che mi risulta, lei non ha i pendagli fra le gambe, quindi è ben accetta.”

“Comunque non è valido.”

“Lo so bene. Ora vai a fare i capricci in un campo da calcetto, per favore?”

“Ma…”

“Scusate la rudezza, ma primo, sapete che sono fatta così; secondo, so quando una persona ha bisogno di un pomeriggio nerd.”

Ashton non ribatté più e sbuffò, tornando in camera per prepararsi.

Nel giro di venti minuti, eravamo tutte in sala. Madison era perplessa: era la prima volta che partecipava ad un pomeriggio nerd, e non aveva nemmeno idea di cosa si trattasse. Manuela aveva preparato ogni cosa: il tavolo era ingombro di patatine, pop-corn, Nutella e cose del genere; il divano era stato spostato in mezzo alla sala, proprio davanti al televisore; su di esso, quattro telecomandi della Wii. “Si gioca a Mario Kart, ragazze!” disse allegra.

“Ma cosa sta succedendo?” chiese Madison ridacchiando. “Ti spiego: quando una di noi era triste, o arrabbiata, facevamo questi pomeriggi nerd, giocando alla wii. Ti assicuro che ti diverti molto, e inoltre sfoghi tutte le tensioni. Dovresti sentire gli insulti che partivano… alcuni non hanno nessun senso logico, ed è proprio quello che fa ridere. Fidati, ti piacerà.”

“Va bene, mi fido” fece Madison allegra. Eravamo solo noi in casa: questo significava nuovi insulti a gogò.

“Io sto in squadra con Coco!” esclamò Manuela, sedendosi di fianco a me. Madison e Carol si guardarono. “Tu sai giocare?” chiese Carol. “Forse” rispose Madison con un sorriso furbo.

***

“No, accidenti a te, non mi superi, brutta tartaruga scheletrica! No! Ma sei infame forte, lasciami in pace! No, no, no!” urlò Manuela, mentre il suo personaggio – Mario – cadeva nel precipizio, spinto da Tartosso. Manuela mi guardò oltraggiata. “Mi ha spinto giù!” strepitò. “Ho visto” commentai, concentrata. “Ti vendicherò!” aggiunsi poi, sorridendo maligna: avevo appena ottenuto uno strumento, il guscio alato blu, e dato che Tartosso era il primo della squadra avvesaria… Manuela mi guardò e fece un sorriso malvagio. “Fallo saltare in aria, quello stronzo!” esultò. Io obbedii e in pochi secondi Carol urlò. “Ehi, io ero lì vicina! Non vale, hai fatto saltare in aria pure me, ero seconda!”

“Così impari a stare in squadra con uno scheletro che si diverte a buttare giù dal precipizio le tue coinquiline!”

“Siete delle pesti! Vai, Maddy, sei in testa, tu, fai vedere a queste due cosa significa vincere!”

“Lo farò, ormai sono arrivata!”

“Ah, no, mia cara!” dissi io, prendendo una scorciatoia che avevo scoperto tempo prima e trovandomi davanti a Madison. Tagliai il traguardo poco prima di lei, lasciandola di stucco. Manuela esultò. “Abbiamo vinto, abbiamo vinto!”

“Finisci la gara, Manu, sei ancora quinta!”

“Oh, giusto, giusto!”

Alla fine, Madison arrivò seconda, Manuela terza e Carol quinta. Io mi stiracchiai. “Quante corse mancano?” chiesi. “Dodici” rispose pronta Madison, che alla fine si era rivelata un’esperta. Stavamo correndo da  diverse ore: avevamo fatto prima un torneo di sedici corse – vinto da Maddy e Carol, per un punteggio di 334 a 298 – e avevamo cominciato un torneo da trentadue corse. Eravamo in testa io e Manuela, per un punteggio di 714 a 679; nonostante il distacco notevole, avrebbero potuto recuperare in poco tempo. Guardai l’orologio: erano passate quattro ore, fra pause e altro.

Stavamo per cominciare la ventunesima corsa, quando il campanello suonò. Io schizzai in piedi e andai ad aprire, speranzosa, ma mi ritrovai davanti Ash, Cal e Mikey, grondanti di sudore, e Diana. “Possiamo entrare? Per favore, il campo ha chiuso un’ora fa, abbiamo giocato qui davanti a casa tutto questo tempo… abbiamo bisogno di una doccia!” fece Calum implorante. “Falli entrare” urlò Manuela. Io obbedii e loro sospirarono di sollievo, schizzando dentro prima che il grande capo potesse cambiare idea. “E tu, Diana?” chiesi. “Io ero da Evie, ve l’ho detto” fece con un sorriso sognante, entrando e sparendo al piano di sopra. Manuela mi raggiunse. “Io non ce la faccio più” dissi. “A chi lo dici. Sto iniziando ad avere le allucinazioni” ribatté lei. “Andiamo a fare due passi?”

“Ci sto.”

“Andiamo a prepararci.”

“Vengono anche le altre?”

“Non so – mi sporsi per parlare con le due – ragazze, andiamo a fare un giro, venite?”

“No! Dobbiamo finire la corsa!”

“Ma non potete finirla senza di noi…”

“Invece sì. Sarà una gioia vedere i vostri personaggi fermi al traguardo!”

“Vi piace vincere facile, eh?”

“Sì, molto.”

Io tornai a voltarmi verso Manuela. “D’accordo, allora andiamo noi” disse lei. Andammo al piano di sopra e ci cambiammo in pochi minuti, trovandoci davanti alla porta. “Andiamo?” chiese lei. Io annuii e uscimmo. “Ho bisogno di cantare” dissi subito. Lei non si fece pregare: “Ho in mente questa canzone da tutto il giorno” disse, prima di iniziare a canticchiare:

I fall asleep by the telephone,

It’s two o’clock and I’m waiting up alone.

Tell me, where have you been?

Io mi unii a lei:

I found a note with another name,

You blow a kiss, but it just don’t feel the same,

‘Cause I can feel that you’re gone…

I can’t bite my tongue forever

While you try to play it cool

You can hide behind your stories,

But don’t take me for a fool…

You can tell me that there’s nobody else, but I feel it…

You can tell me that you’re home by yourself, but I see it…

You can look into my eyes and pretend all you want,

But I know, I know your love is just a lie!

It’s nothing but a lie!

Una sferzata di vento mi fece ricordare una cosa: avevo dimenticato il cappello. Lo dissi a Manuela, che annuì, e tornai in casa, mentre la sentivo continuare:

You look so innocent,

But the guilt in your voice gives you away,

Yeah, you know what I mean…

Chiusi la porta alle mie spalle. “Già di ritorno?” fece Madison, concentrata. “Ho solo dimenticato una cosa” dissi io, andando al piano di sopra. Intanto, continuavo a canticchiare.

How does it feel when you kiss,

When you know that I trust you?

And do you think about me when he fucks you?

And could you be more obscene?

So don’t try to say you’re sorry,

Or try to make it right,

And don’t waste your breath,

Because it’s too late, it’s too late…

Sentii un urletto felice provenire dalla stanza degli ospiti, che aveva la porta chiusa. Era Diana. Mi chiesi perché stesse esultando; nonostante non fosse una cosa bella da fare, avvicinai l’orecchio alla porta. La sentii subito parlare, doveva essere al telefono. “Oh, Evie, non puoi immaginare che pomeriggio da favola ho passato!” stava dicendo. Io assunsi una smorfia perplessa: se fosse stata davvero con lei, l’amica avrebbe dovuto sapere di cosa stava parlando, no?

“Sì, tranquilla, posso parlare liberamente. Non c’è nessuno sul piano. Sì, sì, ero con lui oggi, che domande fai?!”

Con lui? Ero confusa. Con chi era stata tutto il pomeriggio?

Pensaci, Coco: chi è stato fuori tutto il pomeriggio, senza dirti dove andava e, anzi, propinandoti una scusa orribile? Fece una vocina nella mia mente. Sentii una morsa all’altezza dello stomaco. È solo una coincidenza, pensai. Ormai, però, avevo il tarlo del dubbio nella mente, così tornai ad ascoltare. Diana era rimasta in silenzio qualche secondo, ma quando ricominciò sentii ogni sua parola: “No, non lo sa nessuno… Sai che non possiamo dirlo in giro! Succederebbe un casino assurdo… Evie, te ne ho parlato altre volte, non fare la finta tonta! E no, non chiamarlo Loulou, è terrificante! Solo Luke!”

Quelle parole mi colpirono come un pugno in pancia. Visto? Avevo ragione! Si vantò la voce nella mia mente. Ormai avevo paura a tornare ad ascoltare, ma strinsi i denti e lo feci: Diana era appena scoppiata in una risata divertita, e, con un tono che sembrava sorpreso per una domanda, fece: “Certo che lo amo ancora, che domande!”

Basta. Era troppo. Mi staccai dalla porta e corsi al piano di sotto, uscendo di corsa. Manuela era seduta sul marciapiede, e canticchiava: “Your love is just a lie… You’re nothing but a lie… Your love is – Coco, che succede?!” chiese alzandosi, vedendomi con le lacrime agli occhi. Io non dissi niente e la abbracciai, mentre scoppiavo a piangere. “Coco, ma cosa…”

“Avevo ragione, Manu. Avevo ragione ad aver paura.”

“Ma che cos’è successo?!”

“Diana.”

Lei non disse più niente: si limitò a stringermi più forte che poteva, e per questo le fui grata. Singhiozzai sulla sua spalla a lungo, mentre nella mia testa si ripetevano sempre e solo le stesse dannate parole:

Oh, andiamo, non dirmi che non te lo aspettavi!

 

 

*Angolo autrice*

Eeeeeehi! Ciao a tutti!

Wow, sono stata veloce stavolta! Sì, lo so, il capitolo è corto e bla, bla, bla… Ma sono stata veloce!

È solo un capitolo di passaggio: sì, passaggio dalla relazione facile al difficile. Perché Luke fa il doppio gioco, signore e signori! Ve lo aspettavate? Coco no. Come credete che andrà avanti? Luke glielo dirà? Coco rivelerà ciò che ha sentito? Chiariranno? Romperanno? E soprattutto, lo faranno prima dei famosi dodici giorni? Fatemi sapere i vostri pareri in una recensione!

Beh, io vi saluto. Alla prossima!!!

Ranya

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Capitolo 36
*** The moment I knew ***


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The moment I knew. 


“Non saltiamo a conclusioni affrettate, va bene?!” fece Manuela. Io annuii, abbassando lo sguardo. Lei mi fissò, prima di dire: “Senti un po’, conosco quello sguardo, e tu stai decisamente saltando a conclusioni affrettate. Stai facendo bunjee jumping in un mare di ipotesi, salto con l’asta fra quelle peggiori, e tutte le altre discipline che comprendono un salto. Mi hai capito?” Questo mi fece scappare un mezzo sorriso. 

Io e Manuela eravamo rimaste fuori tutta la sera: non avevo voglia di vedere nessuno. Eravamo andate a mangiare in piazza, in una piadineria che era stata nostra alleata durante tutto il periodo scolastico: trovandosi di fianco alla biblioteca e a un tiro di schioppo dalla scuola, era il posto perfetto per mangiare fuori e poi mettersi a studiare. Eravamo sedute ad un tavolino rotondo molto in disparte, con le sedie arancioni che sprizzavano un’allegria che non avevo voglia di condividere. 

Avevo raccontato tutto a Manuela: dai miei sospetti, iniziati appena Diana era arrivata, alle voci, fino ad arrivare a quella telefonata. Lei non aveva detto molto durante tutto il racconto, ascoltandomi, come faceva sempre. Quando avevo finito, avevo ancora le lacrime agli occhi. 
Lei si sporse sul tavolino e mi prese le mani. “Coco, lo so che il doppio gioco può sembrare l’unica spiegazione, ma io davvero non riesco a credere che Luke si stia comportando così. Non è il tipo, capisci?” 

“Lo pensavo anche io.” 

“E non iniziare a parlare così, che se no ti raddrizzo il profilo a furia di sprangate sulle gengive. Che ne so, magari Diana è solo una stronzetta frustrata sessualmente che si inventa una storia del genere per far rodere d’invidia la sua migliore amica, anche lei frustrata.” 

“Tu lo faresti con me?” 

“Mai. Sei la mia migliore amica, non si fanno queste cose!” 

“Allora non riesco a capire come Diana sia davvero la migliore amica di questa Evie.”

“O forse è lei che ha frainteso tutto. Magari Luke è uscito con lei da amico, chi lo sa. Magari dovevano dirsi qualcosa di importante e privato.” 

“E allora perché inventarsi quella scusa?” chiesi io, sempre più avvilita. Manuela sospirò, cercando una soluzione. “Senti, io chiamo Lucian. Vediamo se Luke era davvero lì.” 

“Hai il numero?” 

“No, ma ce l’ha Calum. Me lo faccio inviare in un baleno.” 

Così fece, e in poco era al telefono con l’amico di Luke. Mise il vivavoce.  “Pronto?” 

“Ciao Lucian, sono Manuela.” 

“Manuela…?” 

“La ragazza di Michael Clifford, abbiamo cantato Sad Song alla tua festa.” 

“Ah, ecco! Scusami, conosco tante persone e i nomi non sono proprio il mio forte. Pensa che continuavo a sbagliare il nome della tua amica Corinne.” Io e Manuela ridacchiammo. “Sì, abbiamo notato che non sei esattamente un asso di memoria. Potresti farmi un piacere?” 

“Certo, di cosa si tratta?” 

“Potresti impiegare il tuo cervello smemorino in un relativamente immane sforzo mnemonico per ricordare se oggi Luke è passato da te?” 

"Ehi, quanti paroloni, mi metti in confusione. Comunque sì, è stato qui una mezz’oretta. Anzi, è appena andato via” fece lui, quasi… evasivo? 

“Quindi non era con te, oggi pomeriggio?” 

“No.” 

“D’accordo, grazie mille. Ah, ti saluta Coralie.” 

“Coralie?” 

“Corinne.” 

“Ah. Ops.” 

“Lasciamo perdere, guarda” feci io sogghignando. “Scusa!” disse lui, prima di salutarci e mettere giù. 

Io e Manuela ci guardammo. “E va bene, era con Diana” cedette lei. 

***

Tornammo dopo un’ora. Manuela continuava a lanciare occhiate tese al cellulare, armeggiava un attimo e lo rimetteva in tasca; ormai lo aveva fatto una trentina di volte, prima di decidere che era ora di tornare a casa. Non avevo assolutamente voglia di affrontare la realtà, ma Manuela mi aveva costretta, minacciando di correre a casa e bruciare tutti i miei libri. A partire da Harry Potter e Raccontami di un giorno perfetto. Eh no, accidenti. 

Entrammo in casa che erano le dieci. I ragazzi erano seduti sul divano e guardavano una partita di calcio. “Wow, guardate chi si fa vivo! Non pensavo di rivedervi oggi!” fece Calum sarcastico. “E io che speravo di non rivedere il tuo muso fino a domani, pensa” fece Manuela con lo stesso tono. Calum ci rimase male e tornò a guardare la partita, mentre Manuela gli scompigliava i capelli. “Sto scherzando, amico” disse ridendo. “Luke è in doccia se ti interessa, Coco. È tornato poco dopo che ve ne siete andate” fece Michael. Io annuii e Manuela mi lanciò uno sguardo, indicando poi con un gesto il piano di sopra. 

Non andare. 

Ignorai quella vocina fastidiosa e, anzi, mi ripromisi di chiamare Emmaline più tardi, come le avevo promesso di fare nel caso l'avessi sentita ancora. 

Davvero credi che questa sia la priorità, mentre il ragazzo di cui sei innamorata ti tradisce con la sua migliore amica, che è mille volte meglio di te? 

Sentii un peso allo stomaco, mentre ero costretta a dargli ragione. Salii le scale lentamente, quasi stessi andando al patibolo, e arrivai in camera mia. Luke era appena uscito dal bagno, con un asciugamano attorno alla vita, mentre si asciugava i capelli con un altro. Mi vide dallo specchio e si voltò sorridendomi. “Ehi, piccola, eccoti! Dov’eri finita?” 

Se si fosse preoccupato di chiamarti, lo avrebbe saputo. 

“Avevi lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse. 

Avrebbe potuto chiamarti su quello di Manuela. 

“Non potevi chiamare su quello di Manuela?” 

“Ci ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica. Sembrava quasi che rifiutasse la chiamata ogni volta. Ho tentato una cosa come trenta volte, stavo iniziando a preoccuparmi” disse lui. Improvvisamente capii il motivo delle occhiate furtive di Manu al cellulare: stava rifiutando le chiamate di Luke. La voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente sconfitta, e la cosa mi diede sollievo. 

Luke si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulle labbra, allegro. “A cosa devo tutta questa spensieratezza?” chiesi con un mezzo sorriso. Lui fece spallucce. “Una bella giornata” disse, vago e sorridente. Ah, già. 

Chissà come si è divertito con Diana. 

“Basta, ti prego…” sussurrai, mentre Luke tornava in bagno. “Hai detto qualcosa, piccola?” mi chiese. “No” dissi subito. Non volevo che sapesse delle voci, anche se forse parlarne con lui sarebbe stata la cosa giusta. 

Lui ha i suoi segreti, tu tieniti stretti i tuoi. 

Non potei che dar loro ragione. 

***

Il mattino dopo, mi svegliai che erano le undici. Non avevo dormito bene, nemmeno un po'. Aprii gli occhi e sentii il braccio di Luke attorno ai miei fianchi. In un mattino normale, quel tocco mi avrebbe fatta sorridere, ma in quel momento no. Sapevo che era tutta una bugia. Mi chiesi quanto a lungo mi avesse preso in giro, mentre mi sentivo soffocare da quella stretta. Gli presi il braccio e lo spostai piano, per non svegliarlo, prima di alzarmi e andare in bagno. Mi stavo lavando la faccia, quando sentii delle mani sui miei fianchi. Sussultai, mentre Luke sussurrava alle mie spalle: "Buongiorno, piccola." 

"Giorno" dissi io, laconica. 

Si diverte a prenderti in giro. 

"Posso proporti una cosa?" mi chiese lui. Io annuii, senza guardarlo in faccia, concentrandomi invece sull'acqua che c'era ancora nel lavandino. "Stasera, io e te, cena fuori. Da soli. Ti porto alla Rosa dei Venti. Ti piace l'idea?" mi chiese lui, abbracciandomi da dietro.  

Non accettare, è un inganno. 

"Ne devo parlare con Manuela" dissi io. Lui mi guardò sorpreso: era la prima volta che non accettavo un suo invito all'istante. "Perché?" 

"Ieri mi ha chiesto di mangiare fuori con lei stasera, sai... Voleva andare a trovare sua sorella Teagan" mentii. Lui fece una faccia confusa. "Ma Manuela è figlia unica" disse. Azz. "Cugina, volevo dire cugina." 

"Va bene. Se vuoi glielo chiedo io. Non ti avrà stasera, sei mia" disse con un sorriso, lasciandomi un bacio sul collo. 

"Manuela è un osso duro. Non cederà." 

"Fidati, sfodero gli occhi dolci. È un overkill." 

"Overche cosa?" 

"Overkill. Significa fare più di quel che serve per sconfiggere l'avversario, fino a sfiorare l'umiliazione." 

"E sei sicuro che con gli occhi dolci puoi sconfiggerla?" 

"Al centouno per cento." 

Chissà quanta altra gente ha sconfitto con i suoi occhi dolci... Chissà con quante persone li sfodera... 

"Le parlo io, ad ogni modo" decisi. Lui scosse la testa e scappò. "Vedrai!" fece. Io rimasi paralizzata. Sperai che Manuela capisse al volo.  

***

"Coco, posso parlarti? Riguardo alla visita a Teagan" disse Manuela dopo venti minuti. Io annuii e Manuela chiuse a chiave la porta, lasciandoci sole in camera mia. "Solo una domanda: chi è Teagan?" mi chiese ridendo. "Ho dovuto improvvisare!" mi giustificai. Lei si sedette accanto a me. "So come ti senti. Cioè, non lo so, lo immagino. Però prendi questa cena come un bivio: se va bene, non dovrai temere nulla. Se invece va male... Beh, forse due domande inizierei a farmele." 

"Cosa intendi per 'andare male'?" 

"Che so, lui che parla spesso di Diana, lui che sembra distratto, lui sempre al telefono... Dai, hai capito." 

"Sì, sì, ho capito." 

"Ci andrai?" 

"Non lo so." 

"Perché?" 

"Ho paura, Manu. Ho paura che possa andare male. Se... Se fosse distante, se fosse sempre al telefono, se non si presentasse nemmeno... Significherebbe che davvero non gli interessa, e che mi ha presa in giro. E io non sono pronta a sopportare un'altra beffa." Manuela mi abbracciò. “Andrà tutto bene, Coco. Vedrai che è solo un grande malinteso. E se qualcosa va male, c’è la vecchia Manu che ti difende, va bene? Se davvero va male, si pentirà di aver anche solo pensato al doppio gioco.” Io ridacchiai mentre la mia vista si appannava per via delle lacrime. Nonostante sapessi che qualcosa non andava, e che Luke mi tradiva con Diana, non riuscivo a fare a meno di aver bisogno di lui. 

Patetica. 

***

Durante il primo pomeriggio non sembrava essere cambiato nulla e, anzi, facevo fatica a credere di aver scoperto davvero il segreto di Diana e Luke. Alla fine, avevo accettato la cena con lui, che mi era sembrato piuttosto entusiasta. 

Eravamo seduti sul divano a guardare un film, quando sentimmo un urlo dal piano di sopra. “Carol?!” chiamò Ashton, allarmato, dato che la sua ragazza era l’unica a non guardare il film con noi. “L’ho visto mille volte, devo mettere a posto camera mia” si era giustificata. 
La vedemmo correre giù per le scale con una scatola in mano, trafelata. “Ragazzi, guardate cosa ho trovato!” disse esaltata, mostrandoci la confezione del Twister. “Dov’era?! Pensavo lo avessi perso!” fece Manuela. “Era nell’armadietto di fianco alla scrivania, quello che non apro mai!” spiegò Carol. “Ci giochiamo? Vi prego!” aggiunse poi. “Fra cinque minuti finisce il film!” disse Calum. Carol si voltò. “Muoiono tutti” disse solo. “Ma è una commedia romantica!” protestò lui, sconvolto. “Muoiono tutti lo stesso.” 

“Spero tu stia scherzando.” 

“Forse sì, forse no, la verità io la so e tu no” cantilenò lei. “È una frase di Koda fratello orso 2?” 

“Forse sì, forse no, la verità io la so e tu no.” 

“Sì, è una frase di quel cartone, la dice un procione” disse Ashton ridendo. “La prociona qui presente vuole giocare! Possiamo? Per favore!” 

“Ci lasci finire il film?!” 

“Uff, va bene” fece Carol con il broncio. Ashton – che era di fianco a me, e teneva un braccio attorno alle mie spalle – le porse una mano. “Vieni qui, prociona” disse ridacchiando. Lei obbedì e si sedette sulle sue gambe, accoccolandosi contro di lui e lasciando la scatola a terra. Lui le circondò la vita con un braccio, le stampò un bacio sulla fronte e appoggiò il mento sulla sua testa. 
Appena il film finì, Carol balzò in piedi, sbattendo contro il naso di Ashton, che gemette. “Scusa!” fece subito, mentre lui si portava le mani sul viso. “Mi sciono morscio la lingua, ascidenti!” esclamò dolorante. “E come va il naso?” 

“Fa male pure quello.” 

“Scusami tanto!” disse Carol mortificata. Quando Ashton si riprese, lei tornò a farci vedere la scatola del Twister. “Ora giochiamo, per favore?” fece impaziente e trepidante come una bambina. 

Mezz’ora dopo, eravamo in sei su un tappeto per quattro. Io e Manuela eravamo una cosa sola, non si capiva più dove iniziava una finiva l’altra. Dal groviglio, sbucava una mano o una gamba, e nessuno avrebbe saputo dire a chi appartenessero. Michael era il più tranquillo di tutti: piede sinistro sul blu, piede destro sul verde, mani staccate; in poche parole, era in piedi a braccia incrociate e ci guardava divertito, mentre io e Manuela cercavamo di non cadere. Diana era relativamente comoda, appoggiata di fianco a me su tutti e quattro gli arti e a pancia in su. Calum aveva una gamba che scivolava sotto la schiena di lei e la mano da qualche parte sotto di noi: nemmeno lui se la stava passando bene. Carol, la più furba, si era messa in un angolo, così da non venirci addosso, ed era in equilibrio su due mani e un piede. Ashton, Madison – che era stata eliminata - e Luke si godevano la scena dal divano, mentre il bandanaro girava l’ago sul tabellone. “Ashton, muoviti, non mi sento più la gamba” disse Carol sofferente. “E perché? È così bello vedere l’ago che gira!” 

“Datti una mossa, o ti infilo le bacchette tu sai dove e te le faccio uscire dalla bocca” lo minacciò, con la solita grazia, Manuela, che aveva appoggiato la testa sul mio ginocchio, stremata. “Carol, mannaggia a te e alla tua idea di giocare a Twister” disse. “Ti vuoi ritirare, tesoro?” 

“Io?! Ma sei matta?! Col cavolo che lascio vincere te!” 

“Allora risparmia fiato e energie, ne hai bisogno a quanto vedo.” 

“Giuro che prima o poi ti ammazzo nel sonno.” 

“Coco – le interruppe Ashton, divertito – Mano sinistra sul rosso.” Io mi guardai intorno. “Sono tutti occupati!” mi lamentai. “Ce n’è uno libero dietro di me!” disse Diana. Io presi un gran respiro per farmi forza, districai la mano sinistra dal groviglio di corpi che eravamo io e Manu e scavalcai Diana, che si abbassò per permettermi di fare meno fatica. “Ahi, la gamba!” disse Calum. Fu un attimo: lui ritrasse in fretta la gamba, nello slancio andò a sbattere contro Manuela, lei travolse Carol e me e io crollai su Diana, assestandole una gomitata in pancia. 

In mezzo alle risate generali e all’esultare di Michael, che aveva vinto, vidi Luke venirmi incontro. Gli rivolsi uno sguardo felice… prima che lui mi scavalcasse e raggiungesse Diana. Il mio sorriso morì all’istante. 

Che ti aspettavi? Non sei più la sua priorità. Hai fatto male alla ragazza di cui è innamorato. La ragazza con cui ti tradisce. 

“Stai bene?” lo sentii chiedere a bassa voce. “Mi fa male” rispose Diana. Non potevo vederla, era nascosta dietro Luke, ma sentii allarme nella sua voce. Ci fu un istante di silenzio, poi: “Vieni” fece lui, aiutandola ad alzarsi e portandola in cucina, nel silenzio attonito di tutti quanti. Io avevo lo sguardo perso nel vuoto. Improvvisamente, una mano pallida, con un tatuaggio a X sul dito medio, occupò la mia visuale. “Ti sei fatta male?” mi chiese Michael. Io scossi la testa e afferrai la sua mano, mentre lui mi issava. “Ma che succede fra quei due, si può sapere?” chiese Calum, confuso. 

Origlia. Fatti ancora del male. 

No. Non lo volevo sapere. 

Forse avevo fatto davvero male a Diana, chissà. Magari aveva una rara malattia alla pancia di cui solo Luke era a conoscenza, e così si era preoccupato subito. Questione di priorità, no? La salute viene prima di tutto, giusto? 

Ma chi vuoi prendere in giro? Sei patetica. 

Già. 

“Mettiamo via, ragazzi” disse Madison a bassa voce. Noi obbedimmo e Calum e Ashton si misero a piegare il tappeto colorato, mentre Carol porgeva a Manuela la scatola. In meno di trenta secondi, eravamo tutti seduti sul divano, tesi, con il Twister sul tavolino. Poco meno di un minuto dopo, i due uscirono dalla cucina, frettolosi. Diana si diresse al piano di sopra, mentre Luke prendeva il giubbotto dall’appendiabiti e diceva: “Ragazzi, esco un attimo, ho una commissione da fare.” Commissione? Cosa doveva fare a quell’ora? 

Non ti vuole vedere, genio. 

Non riuscii a trattenermi: mi alzai e lo raggiunsi in anticamera, dove non eravamo visibili da tutti gli altri. “Ho fatto qualcosa di male? Sei arrabbiato con me?” chiesi insicura. Lui mi rivolse un sorriso visibilmente forzato. “No, piccina, no. Tranquilla. Non sono arrabbiato. Perché dovrei?” Io non dissi nulla, poi guardai il giubbotto che si stava infilando. 

Guardalo, come scappa! Metterà un bel po’ di chilometri fra di voi. Tutto pur di non esserci stasera. 

La cena! Me ne ero quasi dimenticata… sperai che la vocina nella mia mente si sbagliasse. “Stasera… Stasera ci sarai, vero?” chiesi titubante. Lui mi sorrise e mi stampò un bacio sulla fronte. “Tranquilla, piccola – mi disse – ci sarò. Non so a che ora torno, okay? Però ti vengo a prendere alle otto qui. Ho prenotato per le otto e mezza a La rosa dei venti. Se alle otto non arrivo, inizia ad andare lì. Ti prometto che ti raggiungerò” Fece con lo sguardo fisso nei miei occhi. “Ci conto, eh?” scherzai. Lui ridacchiò e annuì. “Tranquilla, tranquilla. Verrò. Non permetterò a nulla di mettersi fra me e questa cena.” 

È una bugia. 

***

Erano passate quattro ore, di nuovo, e ormai erano le otto. Io ero pronta da mezz’ora, ormai: mi ero messa un vestito nero senza maniche e con la gonna che arrivava fin poco sopra il ginocchio, un paio di parigine nere, un paio di stivaletti che arrivavano alla caviglia, un cappello e un giaccone, tutto rigorosamente nero. Continuavo a giocherellare con la mia collana, una chiave dorata appesa ad una lunga catenella dello stesso colore. Carol era sdraiata di fianco a me, sul divano. “Sono le otto, Coco. Ti porto lì, va bene?” disse guardando l’orologio. Io annuii, con le lacrime agli occhi. Fino all’ultimo avevo sperato che si presentasse alla porta, scusandosi dell’attesa. Carol mi guardò e mi abbracciò. “Coco, stai tranquilla. Andrà tutto bene.” 

“Perché non riesco mai a tenere vicino a me le persone a cui tengo?” chiesi con voce tremante. “Non dire cretinate, Coco. È solo un periodo no. State insieme da quasi un anno, avresti dovuto sapere che prima o poi sarebbe arrivato un momento difficile. Passerà.” 

“Parla quella che al primo litigio è stata mollata” dissi fredda. Mi accorsi solo dopo di quello che avevo detto, solo quando Carol mi lasciò andare e mi guardò ferita. “Scusami, io… non so cosa mi sia preso. Ti chiedo scusa” dissi mortificata. Non capivo, era come se le voci nella mia mente avessero parlato al posto mio… non avrei mai detto una cosa del genere, men che meno a Carol… 

Lei annuì, assente. “Senti, ti dispiace se chiedo ad Asthon di accompagnarti?” fece poi con voce flebile. Fu come una porta in faccia, sapere di averle fatto tanto male. 

Visto? Nessuno ti vuole con sé. Sei buona solo a far male alle persone. Presto rimarrai da sola. 

***

Ashton mi lasciò all’ingresso dell’isola pedonale, stampandomi un bacio sulla guancia. “Chiamami se qualcosa va storto, va bene? Lo conosco da una vita, non ho problemi a prenderlo a pugni.” Io ridacchiai e lo ringraziai per il passaggio. Lo guardai ripartire e mi incamminai verso il ristorante, al centro dell’isola pedonale. “Andiamo, Luke… dove sei?” mi chiesi. 

***

Ero seduta al tavolo che aveva prenotato Luke quella mattina, da sola. Mi chiedevo dove fosse lui. Gli avevo inviato già tanti messaggi… 

8.10: “Luke, io sono fuori dal ristorante. Non arrivavi a casa, quindi ho pensato che magari fossi già qui. Sei dentro?” 

8.12: “No, non sei dentro. Beh, ti aspetto qui davanti.” 

8.40: “Luke, sono dentro, avevo troppo freddo. Dove sei finito? Avevi detto che saresti stato qui dieci minuti fa…” 

8.55: “Luke… puoi rispondermi al telefono?” 

8.59: “Guarda che se non volevi venire bastava dirmelo, anziché farmi stare qui tanto tempo…” 

9.01: “Luke, mi stai facendo preoccupare… dove sei finito? Perché non rispondi?” 

Li rilessi tutti, mentre sentivo gli occhi farsi lucidi. “Avevi detto che saresti venuto” sussurrai, come se potesse sentirmi. 

Aveva detto che ci sarebbe stato. Mi sentivo così stupida, lì, da sola, seduta a un tavolo per due, con il cameriere che mi lanciava occhiate scocciate ad ogni mio: “Aspetto ancora un pochino.” Speravo che arrivasse. 

You should’ve been here, 

Should’ve burst through the door with that “Baby, I’m right here” smile 

And it would’ve felt like a million little shining stars that just aligned 

And I would have been so happy... 

Christmas lights glisten 

I’ve got my eye on the door, just waiting for you to walk in, 

But the time is ticking, people ask me how I’ve been 

As I come back through my memory 

How you said you’d be here, 

You said you’d be here… 

Lanciai un’ultima occhiata al cellulare. Intanto, il cameriere si avvicinò a me. “Signorina, devo chiederle di andarsene. Non può occupare il tavolo senza ordinare” fece. Io abbassai lo sguardo e mi alzai. “Mi scusi per il disturbo” dissi con voce tremante, mentre uscivo dal ristorante. Il vento freddo di inizio inverno mi investì e io mi strinsi nelle spalle, mentre mi infilavo il giubbotto lungo e nero. Cercai di stringermi il più possibile nel tessuto pesante, mentre le mie gambe rabbrividivano, coperte solo da parigine nere. Inviai l’ultimo messaggio a Luke: 

9.03: “Luke, sono qui fuori. Mi hanno fatta uscire dal ristorante. Ho freddo. Starò qui ancora dieci minuti, poi tornerò a casa.” 

Ci pensai un attimo, indecisa se sbilanciarmi o no, poi aggiunsi: 

9.04: “Ti prego, vieni. O almeno scrivimi, o chiamami. Vanno bene anche i segnali di fumo. Qualsiasi cosa. Ti prego.” 

Mi sedetti sul marciapiede di fronte al ristorante, dato che non c’erano panchine. La gelida roccia mi fece rabbrividire, ma strinsi i denti. Ancora dieci minuti, mi dissi. 

And it was like slow motion 

Standing there in my party dress, 

In red lipstick, and with one to impress… 

And they’re all laughing as I’m looking around the room 

But there’s one thing missing… 

And that was the moment I knew. 

***

Venti minuti dopo… 

Sentii una lacrima scivolare sul mio viso, lasciando una riga gelata. La asciugai in fretta e mi alzai. Di Luke, ancora nessuna traccia. Scrissi l’ultimo – stavolta per davvero – messaggio: 

9.22: “Me ne vado. Grazie della serata.” 

Mi stavo incamminando, quando il cellulare squillò. Era lui. Rifiutai la chiamata, ma pochi istanti dopo il cellulare squillò ancora. Andammo avanti così per qualche secondo, fino a quando non mi decisi a rispondere. Non dissi nulla, avvicinai solo la cornetta all’orecchio. Lui, però, dovette capire che ero in ascolto. “Coralie, grazie al cielo hai risposto… Ti prego, perdonami, mi dispiace tantissimo, è che… È successo un casino assurdo, il cellulare era morto, la macchina era in panne…” 

“Con chi eri?” 

“Eh?” 

“Ti ho chiesto con chi eri. Con che macchina eri?” 

“Con Diana, ma…” 

“Mi basta sapere questo.” 

“No, Coralie, aspetta! Te lo giuro, sto arrivando…” 

“Ho aspettato più di un’ora, Luke. È tardi.” 

“Ma…” 

“A domani.” 

“No, Coco, ti prego…” 

“Non venire nemmeno. S-sto tornando a casa.” 

“Coralie, piccola… ti prego, non piangere…” 

“Te l’ho detto, è tardi.” 

Così dicendo, mentre le lacrime rigavano il mio viso, interruppi la chiamata. Il telefono squillò di nuovo, subito dopo, così tolsi la batteria. “Mi basta così” sussurrai, facendola scivolare in tasca, mentre camminavo lentamente lungo il viale alberato verso casa. 

Avevo fatto poco più di cento metri, quando sentii un clacson suonare all’impazzata poco lontano da me. Mi voltai e vidi la macchina di Ashton fermarsi in mezzo alla strada. Come aveva fatto ad arrivare fino a lì? Era un’isola pedonale… 

Mi voltai di nuovo e affrettai il passo, mentre sentivo la voce di Luke chiamarmi. Lo ignorai fino a che lui non mi fermò, parandosi davanti a me. Aveva il fiatone e i capelli arruffati, sembrava che avesse corso una maratona. Notai che era a maniche corte e il mio primo pensiero fu quello di dirgli di tornare in macchina per non prendersi un accidente, ma dalle mie labbra serrate non uscì nulla, mentre gli occhi tornavano a riempirsi di lacrime. “Coco, piccola, mi dispiace così tanto di non essere riuscito ad arrivare…” 

“Dispiace anche a me” dissi amaramente, tirando su col naso. 

“Ti giuro che non volevo lasciarti qui…” 

“Avresti potuto chiamarmi.” 

“Avevo il cellulare scarico, e anche Diana!” 

“Spero almeno vi siate divertiti.” 

“Ma che… Coco, io non…” 

“Lasciami sola, per favore.” 

“No.” 

“Per favore, Luke.” 

“No. Non ti lascio qui.” 

“Arrivi solo ora con questi pensieri galanti, eh? Ripeto, è troppo tardi.” 

“Ma che cosa ti prende, Coco? Era solo una cena!” 

Gli rivolsi un’occhiata che lo fece ammutolire. Perché, per me, quella non era solo una cena. E forse, non avrei avuto quella reazione, se avessi saputo che era da solo; però era con Diana. 

Era quello che faceva male. 

“Come ci si sente, secondo te, ad aspettare una persona, e sapere che quella non verrà?” chiesi duramente. Lui non fece in tempo a rispondere, che io continuai: “E come ci si sente, secondo te, a sapere che l’unica persona con cui vorresti sfogarti, che vorresti stringere, che vorresti di fianco, è proprio la persona che non si è presentata?” 

“Coralie, puoi sfogarti con me, lo sai…” 

“Non capiresti.” 

“Ma…” 

“Ti ho detto che non capiresti, va bene?! Non capisco nemmeno io. Non so cosa stia succedendo nella mia testa, non so perché stia reagendo così male. Tanto era solo una cena, no? Forse ho sbagliato io ad aspettarti così tanto. Forse ho sbagliato io a sperarci fino alla fine. Forse sono stata io a sbagliare a considerarla un’occasione importante. Era solo una cena. Avremo tanto tempo per farne un’altra, no? Oh, aspetta, dimenticavo: fra undici giorni sarai su un aereo. Scusa se speravo di stare un po’ con te. Scusa se so che mi mancherai da morire. Scusa se so che starò male senza di te. Scusa se sono così debole, così dalla lacrima facile. Scusa se do importanza alle piccole cose. È colpa mia. Come sempre.” Mentre dicevo questo, le lacrime tornarono a solcare il mio volto. Vidi che anche Luke stava piangendo silenzioso e questo mi fece stare ancora peggio. 

“N-Non è colpa tua, Coralie. Non devi dire così, va bene? Non è colpa tua. Ho sbagliato io. Sono stato stupido a non presentarmi, e ti giuro che sarei venuto. Era importante anche per me, sai? Era fottutamente importante. Ci tenevo davvero ad essere lì. Accidenti, da stamattina non vedevo l’ora. Continuavo a pensare a come fare per non sfigurare di fianco a te, perché non te l’ho ancora detto, ma sei bellissima. Anche mentre piangi. E ci tenevo così tanto ad essere qui, a fare questa cosa insieme a te… Mi dispiace, Coralie, mi dispiace. Sono un idiota. Ti prego, scusami” fece con voce rotta. 

And the hours pass by, now I just wanna be alone 

But your close friends always seem to know when there’s something really wrong 

So they follow me down the hall 

And there in the bathroom, I try not to fall apart 

And the sinking feeling starts 

As I say hopelessly “He said he’d be here…” 

Scossi la testa lentamente. “Voglio solo andare a casa, ora. Va bene? Ne parleremo domani” feci. Lui abbassò lo sguardo. “Va bene. Però torna a casa con noi.” 

“No. Preferisco fare la strada da sola.” 

“Ma, Coralie, fa freddo…” 

“Ho passato fuori un sacco di tempo, sopravvivrò ancora mezz’oretta.” 

Lui rimase in silenzio un attimo, prima di dire: “So che non vuoi stare con me, ora, e ti capisco. Nemmeno io vorrei stare con me stesso. Vai tu con Ashton. Vi raggiungo a casa.” 

“Ma…” 

“Ti prego, Coco. Sono stato abbastanza pessimo, per oggi, per permetterti di fare tutta quella strada da sola” fece risoluto, con quella tranquilla determinazione che arriva dopo le lacrime e grida lontano un miglio che non hai nulla da perdere. Io non risposi più, e lui prese il mio silenzio per un consenso. Così, lui mi riaccompagnò all’auto, da Ashton, che aspettava paziente. Ci fermammo davanti alla portiera del sedile del passeggero e Luke, prima che potessi fare altro, mi abbracciò. Mi strinse a sé più forte che poteva e lo sentii singhiozzare. E anche nel calore che mi offriva il suo corpo, quello fu l’abbraccio più gelido che condivisi. 

What do you say when tears are streaming down your face 

In front of everyone you know? 

And what do you do when the one who means the most to you 

Is the one who didn’t show? 

“Coco, ti amo. Ti amo con tutto me stesso. Lo sai, vero?” chiese con voce tremante. Io annuii solamente e lui mi lasciò un bacio sulla fronte. Non si spinse oltre e in qualche modo gliene fui grata. “Ci vediamo dopo, va bene?” fece. Annuii di nuovo, mentre lui mi apriva la portiera e io entravo in macchina. Quando la richiuse, Ashton aspettò che anche Luke salisse, ma l’altro gli fece cenno di andare. Ci fu una muta conversazione di sguardi, e alla fine, Ashton, sospirando, aprì la portiera. Si tolse il giubbotto che aveva addosso e lo lanciò a Luke, che lo ringraziò a bassa voce. Ashton gli fece un mezzo sorriso, prima di tornare in macchina e mettere in moto. Prima di partire, mi prese una mano e la strinse forte. Gli fui grata per quel gesto, mentre le lacrime tornavano a rigare le mie guance. “È come se lo stessi perdendo, Ash” dissi solo a bassa voce. Lui sospirò. “O forse è lui che sta perdendo te” sussurrò, guardandomi qualche istante. Io non risposi e guardai fuori dal finestrino, nello specchietto retrovisore, la figura di Luke che si faceva più piccola mano a mano che ci allontanavamo. 

You call me later, and say “I’m sorry I didn’t make it”, 

And I say “I’m sorry too”. 

And that was the moment I knew… 

***

“Non so più cosa pensare, Coralie” mi disse mesta Manuela. Io scossi la testa. Eravamo sul letto in camera sua; Michael se n’era andato appena mi aveva vista con le lacrime agli occhi sulla soglia della porta. 

“Senti, parlagli. Non fare come al solito. Se sta succedendo qualcosa, è giusto che tu lo sappia da lui. Parlagli ora, appena arriva a casa. Vedrai che si risolverà tutto, va bene?” aggiunse la mia migliore amica. 

Non è vero. 

“Va bene, gli parlerò” dissi solo. Manuela mi catturò in uno dei suoi abbracci spacca-ossa, che quasi riuscì a tirarmi su il morale, come se, stringendomi così, riuscisse a tenere insieme i pezzi che si stavano sfaldando poco a poco. 

Fummo interrotte da Calum, che entrò in camera. “Ragazze, avete sentito Diana, per caso? Non si fa vedere da tutto il pomeriggio” disse. Io mi irrigidii e Manuela se ne accorse. “No, non l’abbiamo vista, né sentita” disse frettolosa. “Va bene” fece Calum dubbioso, prima di volatilizzarsi. Lo sentii comunque dire: “Adesso è sparito pure Luke…” 

Sono insieme, cosa ti aspettavi? Sei stata tu a spingerlo fra le sue braccia. L’hai rifiutato stasera, e lui si è rifugiato dalla sua migliore amica. È colpa tua. 

Cercai di ignorare quel pensiero, nonostante fosse l’unica cosa a cui riuscivo a pensare. “Senti, vado in camera mia. Lo aspetto lì, va bene?” dissi, sciogliendomi dall’abbraccio. Lei mi squadrò un secondo, prima di annuire e lasciarmi andare. “Arriverà, Coco” mi disse con fare rassicurante. 

No, non arriverà. 

“Basta…” feci, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Entrai in camera mia e mi cambiai, infilandomi nel mio solito pigiama, ovvero la maglietta di Luke. Sentivo un peso sullo stomaco, ma mi costrinsi ad ignorarlo. Mi sdraiai sul letto, preparandomi un discorso nella mente e aspettando che Luke tornasse. 

Aspettai così tanto, che alla fine mi addormentai. 

***

Stavo camminando in un corridoio. Non era casa mia, ma era comunque conosciuta. Riconobbi i quadri appesi alla parete e cercai di fermarmi, capendo dove avevo già visto quella scena. Doveva essere un sogno, lo era per forza. “Dai, svegliati” pensai, sapendo che non avrei retto la vista di ciò che sarebbe successo dopo. Avevo già vissuto tutto quello, e mi era bastato per cento vite. 

Passai davanti ad uno specchio e vidi il mio riflesso di quando avevo sedici anni, quasi diciassette. Non ero cambiata molto, nessuno avrebbe potuto indovinare la differenza; ma io sapevo bene quando quella scena si era svolta. 

“No, no, ti prego” pensai, mentre il panico mi invadeva. Sapevo bene cosa avrei visto: sarei entrata in camera mia, in camera nostra, e lo avrei visto nel letto insieme ad una ragazza. Non volevo rivederlo. 

Eppure non riuscivo a fermarmi. 

Entrai in stanza e li vidi: erano sotto le coperte, lei a cavalcioni di lui, con i capelli ricci e neri attaccati alla schiena e le mani di lui sui suoi fianchi, mentre lui la incitava a fare più in fretta. Lui, che mi aveva segnata, che in quel momento aveva i capelli tinti davanti agli occhi, appiccicati alla pelle dal sudore. Sentii le lacrime agli occhi. Era esattamente uguale a ciò che avevo già visto. 

Appena pensai quelle parole, però, qualcosa cambiò. I capelli di lei sembrarono farsi lisci, di un rosso ciliegia, mentre la sua pelle diventava diafana e lattea. Sotto di lei, i capelli rossicci di Matt divennero biondi e si alzarono dal suo viso, fino a creare un ciuffo disordinato. Davanti a me, ora, c’erano Diana e Luke. Lui mi guardò con lo stesso sguardo di Matt, vedendo le mie lacrime. E si mise a ridere. “Oh, andiamo, non dirmi che non te lo aspettavi!” disse solo. 

***

Mi svegliai di soprassalto e mi scoprii in lacrime. Non riuscii a trattenere un singhiozzo: mi portai una mano alla bocca, per soffocarlo, e non svegliare Luke. Eppure, era stato così vero, così reale, che avevo bisogno di sentirgli dire, come faceva sempre, che era solo un brutto sogno. Avevo bisogno che lui mi dicesse che non era vero. Così, mi voltai verso di lui. 

E non lo trovai. 

Le coperte erano ancora tirate sopra il cuscino ed erano fredde; non ci aveva dormito nessuno. 

Ricordai con estrema precisione tutto ciò che era successo quella sera. Forse non era ancora arrivato, forse si era perso. Ogni scusa per me era buona. Mi voltai verso il comodino e diedi un’occhiata alla sveglia. Erano le 4:17. 

Non verrà, che ti avevo detto? 

Sentii altre lacrime scorrermi lungo il viso e tornai a sdraiarmi. Mi chiesi dove fosse. 

È con lei, stupida. Esattamente come in quel sogno. 

Speravo ardentemente di sbagliarmi. 

Hai sempre saputo di non essere nulla in confronto a lei. 

Tirai su col naso. Volevo ignorare quella voce, ma non ci riuscivo. 

Andiamo, lo sapevi. Nemmeno tu ti sceglieresti, tanto. 

E aveva ragione. 






*Angolo autrice* 

Ecco qui l’inizio della fine, signore e signori. Ecco a voi il nuovo personaggio: le voci nella testa di Coco. Non se ne andranno mai più, sapete? E non è un bluff, lo giuro. Cosa ne pensate?? 

Vi prego, fatemelo sapere. Ditemi cosa ne pensate. Vi prego. 

Una cosa devo dirla, mi è piaciuto un sacco scrivere questa parte: 

“Ehi, piccola, eccoti! Dov’eri finita?”

Se si fosse preoccupato di chiamarti, lo avrebbe saputo.

“Avevi lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse.

Avrebbe potuto chiamarti su quello di Manuela.

“Non potevi chiamare su quello di Manuela?”

“Ci ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica. Sembrava quasi che rifiutasse la chiamata ogni volta. L’ho chiamata una cosa come trenta volte, stavo iniziando a preoccuparmi” disse lui. Improvvisamente capii il motivo delle occhiate furtive al cellulare: stava rifiutando le chiamate di Luke. La voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente sconfitta, e la cosa mi diede sollievo.

È stato fantastico fargli azzittire quelle voci. Facevo il tifo per lui. Quasi mi vedo la faccia delle voci, una cosa tipo: “Ah.” Il disappunto. Buahahahah. 

Comunque Luke è il cretino che è, perché per colpa di un suo errore sta succedendo tutto questo. Uff. 

Okay, facciamo un gioco. Scrivetemi ciò che fareste se foste in una stanza da soli con: 

-          1. Coco 

-          2. Manu (personalmente le farei una statua, anche per come si comporterà nei prossimi capitoli) 

-          3. Diana 

-          4. Luke 

-          5. Le voci (facciamo finta che abbiano un corpo e che questo non sia in relazione con quello di Coralie) 

Sono curiosa, duh. 

Momento spoiler? Ma sì, non fa mai male. 

Fra qualche capitolo entrerà in gioco un altro personaggio (una ragazza) ma ci rimarrà per davvero poco, e non combinerà nulla di male, ANZI. E poi, si faranno vedere e rivedere due personaggi già citati (un maschio e una femmina). Si aprono le scommesse. RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, NO SPOILER PER FAVORE, VOI LO SAPETE GIÀ. SAPETE TUTTO. Scommetto che la femmina non la indovina nessuno, eheh. 

Momento spoiler due? Ma sì. 

Luke le prende. Indovinate da chi. 

Vi prego, ho bisogno di sapere il vostro parere. Ne ho bisogno fisico. 

Dopo questa... Ehm... Supplica, vi saluto, alla prossima! Ciauu 

Ranya

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Capitolo 37
*** Everything has changed ***


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Everything has changed

Stavo camminando in mezzo alla strada. Io ero in pigiama, ma tutte le persone attorno a me erano coperte con giubbotti pesanti; doveva essere inverno, probabilmente verso gennaio. Decisamente, stavo sognando di nuovo: nella vita reale – si può dire così? – era il 19 ottobre. Non riuscivo a capire cosa ci facessi lì, in una strada come le altre della mia città, all’ingresso del parco. Provai a fare un passo, ma una figura bionda mi tagliò la strada. Per poco non mi presi un infarto, non l’avevo proprio vista arrivare. La seguii con lo sguardo e mi resi conto di quanto fosse familiare, nel modo di muoversi e nell’abbigliamento. La seguii per curiosità e, quando si lasciò cadere sulla panchina, mi resi conto del motivo della sua familiarità: ero io. Mi diedi della stupida. “Complimenti, ragazza, non ti sai nemmeno riconoscere” pensai sarcasticamente. Osservai attentamente la me di quella notte, cercando di capire se fosse un ricordo o no. Non riuscivo a capire il motivo, ma stava piangendo.

“La protagonista. Sei tu” disse solo. Non era una domanda. Annuii piano. “Cosa ne pensi? Ti ho praticamente consegnato tutto quello che sono su pagine e pagine di sogni infranti e storie impossibili. Devo sembrarti abbastanza patetica” commentai. Lui mi guardò qualche secondo. “In realtà mi sembri dolcissima” sussurrò.

Mi allontanai di scatto dalla panchina, come se scottasse, capendo dove ero finita. Ero appena scappata da quel bar della nostra prima uscita di gruppo al completo. Mi guardai intorno, ma tutto era sfocato, tutto tranne la panchina e la Coralie del sogno, come se dovessi concentrarmi solo su quello. Poi sentii un’eco lontana di una voce inconfondibile. Con un colpo al cuore mi voltai e vidi in lontananza Luke, che parlava al telefono. Anche lui era a fuoco. Mi avvicinai a lui lentamente, come se avessi paura che potesse accorgersi di me. Mi avvicinai abbastanza per distinguere il sorriso sulle sue labbra.

“Sì, sono fuori con i ragazzi e le tre di ieri. Sì, c’è anche la ragazza di Calum. Come si chiamano le altre? Una è Carol, la nuova fiamma di Ashton. Non credo che durerà molto fra loro, sai? Poi c’è Manuela; Michael già ci sbava dietro, figurati. Non aspetta altro, quello, era in astinenza da un po’; credo che se la porterà a letto entro poco, conoscendolo, oppure la lascerà perdere. Poi, questa te la devo proprio raccontare, piccola… ce n’è una che è assolutamente fissata con me. Pazzesco, no? E crede anche di avere qualche possibilità! Pensa che Carol mi ha dovuto stalkerare per suo conto! È proprio fissata… e poi è strana forte, sai? Bella? È accettabile, diciamo. Di sicuro non bella come te, amore. Sai che nessuno può competere con te. E comunque quella è completamente matta. Il nome? Coralie, credo. Forse Coraline. Che nome assurdo, però quella è tutta assurda. Pensa che ha insistito per farmi leggere il libro che ha scritto… sì, scrive, ma non è brava. Credo glielo abbiano pubblicato per pietà. E io, per pietà, ho dovuto leggerlo. Avrei preferito mettermi due dita in gola, davvero. Poi, per farla felice, le ho detto che da quel libro mi sembrava una persona dolcissima… ed è scappata! Adesso la sto cercando… solo per non fare la parte dell’insensibile… sì, credo che abbia qualche problema mentale, come Carol… sono tutti matti in famiglia… Oh, aspetta, eccola. Sta piangendo, Diana, ti rendi conto? È patetica, quella bambina. Senti, devo andare, fammela riportare sana e salva dagli altri. Vediamo se le lezioni di teatro sono servite a qualcosa. Ti scrivo più tardi, va bene? Sì, lo so, ti amo anche io.” Dicendo questo, chiuse la chiamata, guardò la mia copia esasperato e mi superò senza nemmeno vedermi. Io, intanto, dovevo lottare per non scoppiare a piangere.

Luke chiamò il mio nome e si sedette di fianco alla me del sogno. “Coralie, cosa succede? Perché sei scappata così?” chiese con falsa confusione. Le sollevò il viso con un dito. “Perché stai piangendo? Coco, cosa c’è?” fece, dolce. Io scossi la testa, piangendo, mentre la mia copia tirava su col naso e rispondeva: “È che ho paura. Tutti quelli a cui ho permesso di conoscermi davvero sono scappati. Ho aperto loro il mio cuore e loro mi hanno lasciata da sola. Ho paura che possa essere così anche con voi. Ho paura che possa essere così… con te. Non voglio che succeda come con tutti gli altri.” Luke non fece niente per un attimo, poi la abbracciò. “Io non voglio essere come tutti gli altri. Non ti lascerò andare, promesso” disse. Io aggirai la panchina per vederlo in faccia, e vidi che stava alzando gli occhi al cielo, scocciato. Poi sollevò lo sguardo e incrociò il mio, lasciandomi sorpresa: non credevo che potesse vedermi. Fece un sorriso cattivo e indicò la schiena della me del sogno. Io seguii la direzione indicata dal suo indice e vidi, proprio come nell’altro sogno, che i capelli biondi stavano diventando rosso ciliegia e lisci. Quando si separarono dall’abbraccio, non fui sorpresa di vedere Diana al posto di quella che ero io. Luke le posò una mano sulla nuca e l’avvicinò a sé, in un bacio bagnato e famelico, quasi animalesco. Mentre la baciava, mi guardò. Sentii il gorgoglio inconfondibile di quella che era una risata, soffocata nella gola di Diana. Si separarono e lui si voltò verso di me. “Facci l’abitudine, bambolina. Presto lo vedrai anche nella realtà” disse solo, facendo scivolare una mano sotto la gonna di Diana.

***

 Mi svegliai quando ormai doveva essere molto tardi. Non guardai nemmeno l’ora: a occhi chiusi staccai la spina della sveglia, per non sapere quanto era durato il mio stato comatoso. Dovevo tenere le palpebre serrate ad ogni costo, o sarei scoppiata a piangere. Non potevo lasciar vincere le lacrime.

Spero ti sia piaciuto il buongiorno.

No, nemmeno un po’. Mi alzai e finalmente riuscii ad aprire gli occhi, ricacciando indietro tutti i sentimenti che premevano per uscire. Uscii da camera mia in fretta, alla ricerca dell’unica persona che sembrava farmi stare meglio: Manuela. In camera sua non c’era, ma trovai il suo cellulare, sbloccato e fermo su una schermata di whatsapp. Era la chat con Luke. Non riuscii a trattenermi e lessi i messaggi: risalivano alla sera prima, ed erano tutti di Manuela.

"Luke, guarda che sei in ritardo, io mi muoverei se fossi in te!"

"Luke? Non sto scherzando. Sono passati venti minuti."

"Luke, dove minchia sei?"

"Testa di cazzo, è passata un'ora. Ti muovi?!"

"Giuro che se entro dieci minuti non sei da lei ti castro."

"È IMPORTANTE QUESTA CENA, LUKE, PORCA MISERIA!"

"Coco è qui. È appena arrivata, sta piangendo. Giuro che appena torni ti ammazzo."

"Se non torni entro dieci minuti esco, ti trovo e ti riporto a casa io al mio modo: ti attacco alla macchina per il piercing e ti faccio correre."

"Luke, cazzo, è mezzanotte. Dove sei finito?!"

"Mi stai facendo preoccupare."

"SENTI UN PO', BRUTTA TESTA DI MINCHIA, O VIENI QUI SUBITO, O TI CACCIO DI CASA."

"Ho parlato con Coralie. Ti conviene venire subito qui e spiegarle perché non ti sei presentato."

"Luke, non sto scherzando."

"NON STO FOTTUTAMENTE SCHERZANDO. PORTA IL TUO CULO FLACCIDO IN QUESTA CASA ENTRO CINQUE MINUTI, O TE LO TAGLIO A MO' DI PROSCIUTTO E TE LO FACCIO MANGIARE."

"Sono le due. Coco si è addormentata. Spero tu sia soddisfatto."

"Ultima cosa, poi non ti rompo più i coglioni, anche se mi stai ignorando tranquillamente. Prima di tutto, quando torni a casa ti arriva uno schiaffo che ti fa tornare di corsa da dove sei venuto, e non sto scherzando. Seconda cosa, spero tu sia soddisfatto: Coco ha pianto tutto questo tempo."

"Ah e, divertiti pure con Diana, ma la prossima volta comprati un'agenda, così sai quando organizzare gli appuntamenti."

"Ultimissima cosa: vaffanculo."

Se non fossi stata così a terra, sarei anche scoppiata a ridere. Sentii il rumore di una maniglia alle mie spalle e mi voltai, vedendo la porta del bagnetto che si apriva. “Amore, non mi risponde ancora al ce- Ah, Coco, sei tu” fece Michael, sedendosi di fianco a me. Era ancora in pigiama. Vide i miei occhi rossi e inclinò la testa. “Va tutto bene?” chiese, cauto. Io scossi la testa. “Senti, non voglio fare lo gnorri come tutti gli altri. So che c’entra Luke. Non capisco cosa stia succedendo, Coco. Manuela e lui non mi vogliono dire niente, ma io voglio aiutare, mi sento inutile a stare qui a guardare, mentre tu stai sempre peggio e lui non si rende conto di nulla. Cosa sta succedendo?” chiese, incrociando le gambe. Io scossi la testa. “Non lo so nemmeno io” mentii. “Beh, allora cosa ti sta succedendo?”

“Eh?”

“Non sono uno stupido, Coralie. So che sembra che ormai le tinte mi siano arrivate al cervello e mi abbiano rincoglionito del tutto, ma sotto i capelli colorati c’è ancora una testa in grado di pensare, c’è ancora un diciassettenne che vuole aiutare una delle sue migliori amiche. Ti sto osservando e ti vedo sempre più assente, come se ormai vivessi solo nella tua testa. Voglio sapere cosa c’è lì dentro che ti tiene così lontana da qui fuori.”

Non dirglielo.

“Non c’è nulla” dissi soltanto, guardandolo.

Brava.

Lui sospirò. “Vuoi sapere qual è una delle tue caratteristiche?” mi chiese. Io lo guardai in attesa e lui continuò: “Non sai proprio mentire. È pazzesco, riesco a rendermene conto anche io, il che è un record. Quando dici che stai bene e invece non è vero, soprattutto. Sai come me ne accorgo, anzi, ce ne accorgiamo tutti? Mentre lo dici guardi dritto negli occhi, e hai uno sguardo che urla quanto tu abbia bisogno di aiuto, come se sperassi che qualcuno si accorgesse che è una bugia. Credo che tu ci abbia trasmesso un po’ della tua capacità di leggere gli occhi, Coco, e tu sei estremamente facile da leggere. Lo vediamo tutti che non stai bene, ma nessuno si intromette. Lo fa solo Manuela, e ora io. Gli altri sperano sia solo un periodo no, sai, magari è dovuto al fatto che fra poco andremo via e non ci vedrete fino a Natale. Accidenti, sarà lunga, quasi due mesi… Non lo avevo realizzato fino a questo momento. Comunque, tornando a noi: io non voglio che tu stia male. So che non lo dimostro spesso, ma voi sette siete le persone a cui tengo di più al mondo, al primo posto Manuela. Voglio aiutarti, Coco. Ti prego, permettimi di capire cosa sta succedendo. Possiamo parlarne tutti insieme, oppure puoi parlarne solo con me, o con Manu, o scriverlo da qualche parte. Ma non tenerti tutto dentro, perché so quanto fa male. Quando devi sfogarti e non puoi, e senti male alla gola, senti come se qualcosa volesse uscire ad ogni costo, e gli occhi ti bruciano, e fai fatica a respirare, e hai le lacrime agli occhi perché quei sentimenti vogliono uscire ad ogni costo. Se non li tiri fuori ti soffocano.” disse lui, stringendomi una mano. Io rimasi in silenzio qualche istante, mentre la precisione di quella descrizione mi sorprendeva. “Come fai a sapere tutte queste cose?” chiesi stupidamente. “Diciamo che ho vissuto in apnea per qualche mese” fece lui. “Cosa ti è successo?”

“Non è il momento, ora.”

“Invece sì, magari devi ancora…”

Lui mi interruppe mettendomi due dita sulla bocca. “Posso farti una domanda?” mi chiese poi. Io annuii e lui proseguì: “Se potessi salvare una sola persona in questa casa, chi salveresti?” Io lo guardai, confusa da quella domanda fuori luogo. Poi abbassai lo sguardo, mentre la mia risposta si faceva strada fra le labbra quasi con ovvietà. “Lui.”

Lui ridacchiò e io lo fissai. “Vedi qual è il tuo problema?”

“Non ti seguo.”

“Fra tutte le persone in questa casa, hai scelto lui. Non Manuela, non Carol, non Ashton, nemmeno me – grazie mille, tra l’altro, me ne ricorderò – o Calum o Maddy. Hai scelto lui. E hai trascurato te stessa. È questo quello che volevo dimostrarti. La mia domanda è, quindi: perché non ti ami abbastanza da essere la tua prima scelta?”

Perché non sei la prima scelta di nessuno.

“E tu, chi avresti salvato?”

“Manuela.”

“Allora vale la stessa cosa per te. Perché non ti ami abbastanza da essere la tua prima scelta?”

“No, tesoro, non funziona. Io mi amo abbastanza, anzi, mi idolatro. Sono esattamente la persona che da piccolo sognavo di essere. Non potrei essere più soddisfatto di me stesso. Però amo di più lei. Mi capisci, no? Mi ha salvato da quello che ero e mi salva ogni giorno. È la mia scelta naturale, salvare lei. E adesso non osare dire che ti ami, ma ami di più lui, perché non mi fai fesso, tesoro. Voglio sapere cosa c’è nella tua testa che ti impedisce di vederti per come davvero sei, e di amarti. Voglio sapere cosa scatta nella tua mente quando ti guardi allo specchio; voglio sapere cosa ti fa rimanere zitta quando invece vorresti parlare; voglio sapere cosa ti fa credere di non essere all’altezza di qualcun altro. So che non dovrei essere io a farti questo discorso, dovrebbe essere lui, ma io non intendo lasciarti andare alla deriva solo perché Luke è così svampito da aver allentato la presa. Sai, voi non c’eravate, ma abbiamo deciso qual è la politica da tenere con voi due: non intromettersi e aspettare almeno che vi parliate. Abbiamo fatto a voti; quattro favorevoli, due sfavorevoli. Indovina chi erano quei due?”

“Tu e Manuela?”

“Esatto. Comunque, eravamo in minoranza, ma io e lei siamo troppo testardi per non fare di testa nostra. Quindi, eccoci qui.”

“Siete incorreggibili, sai?”

“E per fortuna. Avresti preferito che nessuno ti parlasse, ti lasciassero marcire nel tuo brodo?”

Io scossi piano la testa, prima di dire: “Tanto ci marcirò lo stesso. Questa è solo una piccola pausa.”

“E allora ringraziami, perché le pause sono rare.” Ridacchiai, e lui con me. “Coralie, tu non conosci la mia storia. Sai solo come sono ora. Il Michael di qualche anno fa non l’hai mai incontrato, non hai idea di quanto fosse simile a te. Non hai idea di quanto quel periodo mi abbia fatto stare male. Sai qual è stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con i ragazzi, e poi venire a vivere qui con voi. Siamo in otto – ora in nove – e si sta stretti, accidenti, ma è proprio questa la nostra fortuna. Siamo tutti un po’ rotti, è normale; ma siamo così stretti, in questa casa, che ci teniamo uniti a vicenda. Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’. Sai al mattino, quando ci stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo tutti con le spalle attaccate perché il tavolo è troppo piccolo, e a volte siamo in due su una sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che senza di voi io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto. Mi ricordano che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in questa casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia. Sgangherata, e un po’ fuori dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se mi è possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison; però la mia certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È questo che mi fa sentire al mio posto. Quindi, ora so che non sono la tua prima scelta in caso di sfoghi, perché magari sono pochi i momenti in cui siamo da soli a parlare senza fare i cretini – ora che ci penso, credo che questo sia il primo – però è una questione di priorità; la tua priorità e trovare qualcuno che ti ascolti e la mia priorità è che non ci siano fratture nella mia famiglia. È un bene che si incontrino, no? E non osare dire di no. Io ora voglio sapere cosa ti sta succedendo.”

Io rimasi in silenzio qualche secondo, e lui andò avanti: “Non sai da dove cominciare. Bene. Allora, facciamo così: un pezzetto alla volta. Io ti faccio una domanda, e tu rispondi, e vediamo se bisogna sistemare qualcosa. Iniziamo, ti va?” Io annuii.

Vattene.

No, non me ne sarei andata. Forse Michael aveva ragione, forse avevo solo bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che mediasse. Presi un gran respiro. “Devo dirti una cosa.”

“Cosa?”

Rimasi in silenzio qualche istante.

Non osare dirglielo. Non ti aiuterebbe.

“Luke mi sta tr-” fui interrotta dal suono del citofono, che ci fece trasalire. Ci guardammo. “È lui” dissi solo, mentre le lacrime salivano agli occhi. Lui annuì e mi abbracciò. “Ne parliamo dopo, va bene?” fece. Io annuii sulla sua spalla e ci alzammo, per andare al piano di sotto. Intanto, qualcuno aveva risposto, e Manuela era alla porta. La sua espressione non prometteva nulla di buono. “Manuela?” chiesi, dalle scale. Lei mi ignorò e aprì la porta a Luke, che fece per entrare, ma fu fermato. Il rumore dello schiaffo si sentì in tutta la casa e io rimasi allibita, ma mai quanto Luke. “Ma che…?!”

“Ti avevo detto che ti sarebbe arrivato uno schiaffo” rispose Manuela duramente. “Non mi avevi detto niente! Sono entrato ora!” fece lui, sconvolto. “Ah, e vuoi dirmi che tutti i messaggi di stanotte non sono nulla, eh?”

“Non ho letto i tuoi messaggi, va bene?! Ho spento il telefono!”

“Bene.” Lo spinse fuori e lo seguì, chiudendosi la porta alle spalle. Io e Michael ci guardammo. “La finestra di Carol dà sull’ingresso” dissi solo. Lui annuì e corremmo su per le scale, facendo irruzione nella camera che Ashton e Carol condividevano. Fortunatamente, era vuota. Aprimmo la finestra, facendo attenzione a fare silenzio, e ci sporgemmo di quel poco che bastava per sbirciare senza essere visti.

Luke e Manuela erano sui gradini dell’ingresso. Lui stava guardando il cellulare, probabilmente stava leggendo i messaggi di Manuela.

“Non capisco.”

“Nemmeno io, Luke. Non capisco nemmeno io.”

“Io non ho fatto niente!”

“Esatto! Non hai fatto niente, e lei aveva bisogno che tu facessi qualcosa! Qualsiasi cosa, Luke! Aveva bisogno di parlarti!”

“E allora fammi entrare! Fammi parlare con lei!”

“Sai, di solito non faccio così, ma tu risvegli l’omicida che c’è in me. Dimmi dove sei stato stanotte.”

“Ero a casa mia, va bene?! Non volevo imporre la mia presenza a Coralie.”

“E Diana?”

“Diana? Mi dici cosa c’entra?! Mi dici perché c’entra sempre?!”

“Diccelo tu.”

“Non la sento da ieri. L’ultima volta che l’ho vista, era in mezzo alla strada, con l’auto in panne. Probabilmente avrà trovato un hotel in cui passare la notte.”

“Dove eravate?”

“Non sono affari tuoi.”

“Bene.” Così dicendo, Manuela ritornò in casa e si chiuse la porta alle spalle, lasciando Luke fuori. Sentii la chiave che girava nella toppa, mentre Luke era troppo basito per fare qualsiasi cosa. Poi, si buttò contro la porta e ci sbatté contro i pugni. “Perché siete tutti contro di me?!” urlò, prendendo a pugni il legno. Continuava a gridare, ad ogni pugno corrispondeva un urlo.

“Ehi, tu” disse una voce anziana dal cancello. Io, Michael e Luke ci voltammo: era uno dei vicini. “Senti, ragazzo, devo chiederti di andare via.”

“Cosa?”

“Non so cosa tu sia, se uno stalker o una cosa del genere, ma non ti voglio nel mio quartiere.”

“Io qui ci abito!”

“Ah, davvero? Perché dal citofono sembra che questa sia la casa di tre ragazze.”

“Andiamo, lei mi vede ogni giorno, non…”

“Se non abiti qui, e la padrona di casa non ti vuole far entrare, è meglio che te ne vada.”

“Io… io non…” non riuscì a finire la frase: scoppiò a piangere, un pianto isterico, sconfitto, di chi non aveva più parole. “Devo chiederti dei andartene, giovanotto, se non vuoi che chiami la polizia” continuò l’altro, perentorio. “Coco, dobbiamo fare qualcosa” disse Michael. Io non risposi, mentre Luke iniziava a incamminarsi, a testa bassa, lungo il vialetto. Michael mi fece voltare verso di lui. “Andiamo, Coco. Hai appena detto che, fra tutti noi, salveresti lui. Sii coerente!” fece. Quando vide che non rispondevo, sbuffò e si alzò in piedi, mostrando la sua figura dalla finestra. “Aspetti, signor Smith! Luke abita qui per davvero!” urlò. “Non mi sembri una delle tre ragazze che vivono qui.”

“Sì, ma…”

“Se una di loro tre mi dirà che può rimanere, me ne andrò.”

“Coralie è in casa?” chiese Luke, ancora con voce rotta. Alzai lo sguardo e vidi che Michael annuiva, per poi indicarmi con un gesto del capo. “Non odiarmi, Coco” sussurrò poi. Io mi sedetti contro il muro, mentre le lacrime mi rigavano il viso. Luke dovette capire che ero lì, perché con voce spezzata disse: “Coralie… so che puoi sentirmi. So che non vuoi vedermi. Ma mi dispiace. Te l’ho già detto. Non volevo lasciarti lì. Non avrei mai voluto, te lo giuro! Io non… Ieri sera non sono tornato a casa perché… perché quell’abbraccio mi ha fatto capire che non avresti voluto. Non volevo costringerti a stare con me. per questo non sono tornato. È solo questo il motivo, te lo posso giurare qui e ora, su tutto quello che vuoi. Però a quanto pare ho sbagliato. Ho sbagliato ancora, Coralie. Mi dispiace. La verità è che ultimamente non riesco a farne una giusta, e più cerco di rimediare ai miei errori, più ne commetto. Scusami se non sono in grado di rimediare ai miei sbagli, scusa se ti stai sentendo male per colpa mia. Scusami di tutto. Ti prego, permettimi di parlare con te. Voglio chiarire, non ce la faccio più a stare così. Mi sento inutile, mi sento sbagliato. Ti prego. Sai che non ti avrei mai fatto del male, sai che non ne sono capace! Coralie, tu mi conosci, io… non ci riuscirei. Non potrei, sarebbe come fare del male a me stesso. Se non mi vorrai più vedere me ne andrò. Tornerò a casa mia, anche se ormai questa era casa mia. Tornerò dove ho dormito stanotte. Se non mi vorrai più vedere, non mi vedrai più. Ma ti prego, ti prego in ginocchio. Permettimi di rimediare.” Ormai né io né lui ci curavamo di fermare le lacrime. Rimasi ferma qualche secondo, non sapendo cosa fare. “Coralie” fece la voce ferma di Michael. Alzai lo sguardo e incontrai il suo, un po’ lucido. Si stava mordendo le labbra. “Coralie, fallo entrare” fece perentorio. Io non risposi e lui alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, non aspettavi solo questo?!”

“Ho paura.”

“Anche io ho paura!” Michael si accovacciò accanto a me e iniziò a sussurrare per non farsi sentire da Luke. “Cosa credi, che io sia tranquillo?! Che non mi senta male mentre vi vedo fare così?”

“Perché dovresti sentirti male?”

“Tu come ti sei sentita quando Carol e Ashton hanno litigato?”

“Volevo fare qualcosa per rimediare.”

“Bene. Io sono come te, chiaro? Dannazione, Coralie, è qui sotto! Ti vuole parlare! Tutto quello che ha detto adesso, l’ha detto col cuore in mano! Non l’ho mai visto così, accidenti! Dagli una possibilità!”

“Se ne vada, figliolo” intimò ancora il signor Smith. “Sì, sto andando” sentii Luke rispondere, sconfitto. “Sai, Coco, questo sarebbe il momento perfetto per uno slancio di eroismo. So che c’è una persona coraggiosa dentro di te. Tirala fuori, sii abbastanza coraggiosa per affrontarlo. Hai detto che lo salveresti, no? E allora fallo. Perché sono sicuro che lui farebbe lo stesso” disse Michael.

Non starai davvero pensando di farlo, vero?

Al diavolo. Mi alzai in piedi di scatto, voltandomi verso la finestra. Luke stava già chiudendo il cancello dietro di sé. “Luke!” lo chiamai. Lui si voltò e sembrò che il tempo si fermasse, mentre mi guardava con gli occhi rossi. Sentii le lacrime montare, mentre dicevo: “Non andare, per favore.” Suonò più come una supplica, ma non m’importò. Lui non mi sorrise: annuì soltanto e abbassò lo sguardo, tornando dentro. “È tutto a posto, signorina?” chiese il signor Smith, dubbioso. Io annuii in fretta e lui sembrò rilassarsi. “Allora buona giornata” fece, incamminandosi lontano lungo la sua strada. Intanto, Luke era arrivato sotto la porta. “Mi apri, per favore?” chiese ad alta voce, per farsi sentire da me. Io annuii e feci per scendere al piano di sotto, ma Michael mi fermò, tenendomi per un polso. “Coco?”

“Sì?”

“Grazie.” Io rimasi sorpresa mentre lui mi abbracciava. “Sai, ho avuto il terrore che lo avresti lasciato andare.”

“Anche io” dissi solo, senza pensarci.

Avresti fatto bene.

***

Aprii la porta e mi ritrovai Luke davanti. “Ciao” disse solo. Io lo salutai a mia volta e ci guardammo per un po’. “Intendi farmi entrare, o deve tornare il vicino?” chiese dopo quello che mi sembrò un secolo. Io scossi la testa e mi scansai, mentre lui superava la soglia. “Hai già fatto colazione?” chiese. Io scossi di nuovo la testa. “Bene, perché non l’ho fatta nemmeno io. Andiamo?” si sforzò di rivolgermi un mezzo sorriso, come se volesse fingere che fosse tutto normale, anche se non era così.

Andammo in cucina e io mi lasciai cadere sulla sedia, mentre lui apriva la credenza. Sentii il rumore di una busta di plastica aperta e in pochi secondi mi arrivò addosso una zaffata di profumo di lampone. Non dovetti nemmeno voltarmi per capire da dove veniva: Luke stava preparando un infuso che sapeva essere il mio preferito. Ricordai con un mezzo sorriso un episodio in cui lui me ne aveva preparato una pentola intera, solo per tirarmi su il morale. Era il nostro tè del buonumore.

In qualche modo, quel piccolo gesto riuscì davvero ad avere un effetto positivo su di me.

Dopo otto minuti esatti, si sedette di fronte a me, porgendomi la tazza di vetro che sapeva piacermi tanto. “Zucchero?” chiesi. “Già messo. Tre cucchiaini.”

“Grazie.” Era esattamente la mia dose solita. Non sapevo perché, ma quel suo comportamento mi scaldava il cuore. Come se davvero ci tenesse a me.

Sai che ti sta illudendo.

Allora avrei accettato l’illusione. Tutto, pur di dimenticare quello che stava succedendo.

“Ti va di parlare?” mi chiese a bassa voce. E tanti saluti al piano di dimenticare. Perché mi voleva parlare? Aveva fatto tutto quello per dirmi che in fondo ero meglio io di Diana?

Assurdo.

Già. Probabilmente aveva intenzione di dire che aveva sempre preferito lei, e mi stava lasciando.

Vedo che inizi a ragionare come dovresti.

“Va bene. Ma non so di cosa dovremmo parlare.”

“Che ne dici di iniziare da ieri sera?”

Mandalo via. Dagli ragione, liquidalo. Umiliati. Tanto sei abituata.

“Non c’è niente da dire. Sei arrivato in ritardo, non è colpa tua. Sono io che probabilmente sono vicina al ciclo, e ho poca pazienza. Forse era il freddo, o il fatto che quel cameriere mi aveva proprio scocciata. Ma davvero, non hai fatto nulla.” Dire quelle cose faceva un male cane. “Ieri non eri di questo parere.”

“Sì, beh… si cambia idea.”

“Coralie…” si sporse sul tavolo e mi prese le mani. “Non fare finta che non ti importi. Ti prego. Mi ricordo quello che hai detto. So anche io che mancano solo dieci giorni. Davvero credi che io non ci stia male?”

Bugiardo.

“No, non credo questo” mi sforzai di dire. Ricordai quello che mi aveva detto Michael e evitai di guardarlo negli occhi. Lui rimase in silenzio qualche istante. “Ti amo. Lo sai, vero?” chiese poi.

No, non è vero.

“Anche io” mi costrinsi a non piangere. Luke si alzò e mi raggiunse. Mi fece alzare a mia volta e mi abbracciò, stringendomi e affondando il viso nel mio collo. Io ricambiai automaticamente, ormai abituata a restituire quel gesto. Tutto era così familiare, con lui… come avrei fatto a rinunciarci?

Dovrai farlo.

Sì, lo sapevo. Ed era quello che mi faceva male.

“Mi dispiace, Coco. Cercherò di essere migliore, la prossima volta, okay?” fece. Io annuii senza dire nulla e lui tornò ad abbracciarmi. “Grazie per aver capito” sussurrò solo.

***

Era passata qualche ora, e di Diana ancora nessuna traccia. Nessuno l’aveva vista o sentita, in casa.

Diciamo che non avevano visto o sentito nemmeno me. Il motivo? Mi ero nascosta. Avevo detto a Manuela che sarei andata a fare un giro, mentre in realtà ero sdraiata sul tetto. Ero piuttosto scomoda, a dire il vero, con la schiena appoggiata alle tegole, e avevo freddo, ma non ci volevo fare caso: mi stringevo nel giubbotto pesante e pensavo ad altro. Di fianco a me, ormai, il cellulare si stava scaricando, mentre ripeteva per l’ennesima volta le note di Everything has changed, di Taylor Swift e Ed Sheraan. Quando avevo trovato per la prima volta quella canzone, ero sicura che qualcuno volesse uccidermi. Insomma, mettere insieme due dei miei cantanti preferiti? Brutto scherzo, davvero un brutto scherzo per le mie emozioni instabili.

Come back and tell me why

I’m feeling like I’ve missed you all this time

And meet me there tonight

And let me know it’s not all in my mind…

Quella canzone parlava di un cambiamento in meglio, ma io riuscivo solo a sentire il lato negativo delle tre parole che componevano il titolo.

Everything has changed.

All’improvviso, sentii il rumore da dentro casa di un citofono che suonava. Che fosse tornata?

Mi voltai sulla pancia e strisciai fino al bordo del tetto, spiando la scena sotto di me. Sì, i capelli rossi erano inconfondibili. Qualcuno aprì il cancello e lei entrò. A metà strada, però, la porta si aprì e qualcuno corse fuori. Diana si ritrovò fra le braccia di Luke. “Eccoti, finalmente! Non hai idea della paura che mi hai fatto prendere… perché non rispondevi al telefono? Stai bene? È successo qualcosa?” chiese Luke apprensivo. Diana non disse niente, ma indicò con un gesto un punto dietro di lei. Io seguii il suo sguardo e mi sentii quasi male alla vista: lei era lì, in piedi, in tutto il suo metro e sessanta di cattiveria arcigna.

Gargoyle.

“Hellen, che… che piacere vederti!” fece Luke, chiaramente contento di vederla quanto me. “Anche io sono molto felice di vederti, Lucas. Oh, vedo che tu e Diana andate ancora molto d’accordo… dov’è la tua ragazza? La tipa stramba?” Digrignai i denti, mentre sentivo la voglia di staccare una tegola e tirargliela in testa. Ahimè, non avevo mai avuto buona mira. Avrei potuto colpire Diana, o Luke. O Diana.

Improvvisamente, l’idea era molto allettante.

“Coco è uscita, non so quando tornerà” fece Luke, fingendo un tono gioviale per mascherare il suo nervosismo. “Oh, ma davvero? Allora credo proprio che quello sul tetto sia un ladro” fece con nonchalance Hellen. Mi scappò un’imprecazione, mentre mi tiravo indietro velocemente; troppo tardi; Luke e Diana mi avevano già vista. “Coralie? Che ci fai lassù?” chiese Diana.

Sei ancora in tempo per lanciare una tegola, sai?

“Non tentarmi”, pensai solo. “Aspettate, vado a prenderla” sentii Luke dire.

Forse se ti butti tu fai prima.

Già.

Passò qualche secondo, poi la finestra della mansarda si aprì, mostrando Luke. “Coco? Perché sei quassù, piccola? Non avevi detto che saresti uscita?” mi chiese. “Non voglio tornare in casa se c’è anche l’arpia” dissi decisa, mettendomi a sedere. “Nemmeno io la vorrei intorno, ma non possiamo farci più di tanto. Spero solo che se ne vada in fretta.”

“Lasciando qui Diana?”

“Beh, possibilmente.”

“Già” feci, abbassando lo sguardo.

Che ti aspettavi?

“Piccola, vieni dentro, si gela” mi chiamò Luke. “No, sto bene” feci perentoria. Luke sospirò mi raggiunse. “Non mi convincerai a rientrare” lo ammonii. “Io non voglio convincerti, voglio trascinarti” fece lui tranquillo, prendendomi un polso. “Non è esattamente il posto migliore per giocare, sai?”

“E allora non opporre resistenza, no?” fece con un sorrisetto. Alzai gli occhi al cielo. “Andiamo, piccola, hai le mani gelate. Sei stata fuori un’ora e mezza, come fai a non essere ancora congelata? Vieni dentro, devi scaldarti. Sei in pigiama, hai solo un giubbotto!” protestò. Io non mi mossi e lui si sedette di fianco a me. Mi mise una mano sulla guancia e mi costrinse a guardarlo. “Piccola, io… aspetta un momento” fece, spostando velocemente la mano dalla guancia alla fronte. Scosse la testa e appoggiò le labbra dove un attimo prima c’era la sua mano. “Adesso tu vieni dentro senza fare storie, d’accordo?” disse, senza l’inflessione giocosa di prima. “Perché?”

“Perché spero di sbagliarmi, ma credo tu abbia la febbre.”

“Oh, grandioso” sbottai.

***

Luke mi aveva praticamente portata di peso fino in camera mia, mi aveva tolto il giubbotto e mi aveva infilata sotto le coperte. “Non muoverti, va bene?” aveva detto, mentre andava a cercare un termometro. In quel momento, eravamo entrambi ad aspettare, mentre io tenevo stretto il termometro sotto il braccio. “Perché sei salita sul tetto?” mi chiese lui. Feci spallucce. “Non avevo voglia di vedere gente.”

“E perché non ci hai detto che eri sul tetto?”

“Perché avreste saputo dove trovarmi.”

“Touché” fece lui. Aspettammo ancora qualche secondo, poi lui mi scostò gentilmente la mano dal braccio e prese il piccolo termometro rosso. Lo guardò con fare critico qualche secondo, prima di dire, scocciato: “Perfetto. Sei proprio un fenomeno, sai?”

“Quanto ho?”

“Quasi trentanove.”

Sbuffai sonoramente. “È inutile che sbuffi, te la sei cercata” disse lui, mettendo via il termometro. “Non è colpa mia!”

“E di chi è, allora?”

Io non risposi e incrociai le braccia. Lui si voltò verso di me e mi vide così. “Piccola, dai, non fare così… scusa se mi sono arrabbiato” disse dolcemente, prendendomi una mano e stringendomela. “Vedrai che ti passerà in fretta. Però promettimi una cosa.”

“Cosa?”

“Niente più escursioni pomeridiane sul tetto quando c’è vento freddo.”

“E se fossero mattutine?”

“Coralie!”

“Okay, okay. Prometto.”

“Brava.” Lui mi sorrise e mi lasciò un bacio sulla fronte, prima di uscire. Mi lasciai sfuggire un piccolo sorriso. Il fatto che si stesse comportando in quel modo mi faceva quasi sentire come prima. Come se fossi importante, per lui.

Ma non è così.

 

 

 

*Angolo autrice*

Mhm, okay, capitolo corto e tutto quello che volete, però sono stata veloce, no? Non ho molto da dire, se non una cosa: qualche teoria su come andranno a finire le cose? RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, SAPETE GIÀ COSA STO PER DIRVI.

Non ho nient’altro da dire. Poco loquace, alle due meno venti di notte.

Alla prossima!

Ranya

 

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Capitolo 38
*** Armor. ***


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Armor.

“Coco?”

“Sì?”

“Ti capita mai di tenerti qualcosa dentro, qualcosa che vorresti gridare al mondo ma hai paura di sapere come potrebbe reagire?” mi chiese Luke. Io trasalii impercettibilmente, prima di annuire. “E cosa fai, quando non riesci più a tenerlo dentro?” mi chiese di nuovo. Io feci spallucce. “Diventa inchiostro su un foglio bianco” dissi io. “Quante pagine hai scritto, così?”

“Tante. Circa sette quaderni di sfoghi.”

“E dopo ti senti meglio?”

“Non del tutto… rimane sempre qualcosa, di cui non riesci a liberarti” risposi. Luke rimase in silenzio un attimo. “Che ne dici se adesso lo urliamo al mondo?” mi domandò poi. Io annuii e ci alzammo. Sapevo già cosa volevo urlare: quanto mi mancava mia sorella, quanto sentivo un pezzo di cuore sbriciolato da quando non mi aveva riconosciuta. Volevo gridare tutto questo, ma avevo bisogno di trovare le parole giuste. Alla fine, mi sporsi, presi fiato e urlai semplicemente: “Mi manchi, Emma!”

Luke mi guardò e mi strinse una mano. “Questo volevo dirlo da un po’. Ma non ne ho mai trovato il coraggio.” Si sporse, fece per prendere fiato… ma si bloccò. Sembrava paralizzato.

“Oh, al diavolo questa idea!” sbottò poi, avvicinandosi a me. “Devo dirti la verità, questa recita mi sta facendo impazzire.”

“Di cosa stai parlando?”

“Non significhi nulla per me, Coralie. Te l’ho fatto credere per non cacciarmi nei guai con le tue amiche, anzi, i mastini. La verità è che sono innamorato perso di una ragazza che non conosci. Si chiama Diana ed è bellissima, intelligente, simpatica, divertente… mille volte migliore di te. Vorrei dire che mi dispiace, ma non sarebbe vero. Sei stata solo un riempitivo, in attesa che lei arrivasse, e non è stato bello. Insomma, non sarai mai alla sua altezza, è stato un po’ come andare dalle stelle alle stalle con te. Più mi costringevo a stringere i denti e a resistere, più avevo un vuoto allo stomaco pensando quanto mi mancava Diana. E allora ti baciavo, cercavo di immaginare lei nella mia testa, ma tu… non sei lei. E non lo sarai mai. Mettiti l’anima in pace.”

***

Ormai avevo smesso di svegliarmi di soprassalto con quegli incubi. Loro arrivavano, io li vivevo e mi svegliavo piano, con le lacrime agli occhi e il desiderio di non alzarmi dal letto per tutto il giorno. Avevo smesso anche di cercare Luke di fianco a me, perché lui dormiva sul divano, da tre giorni ormai, ovvero da quando mi ero ammalata.

Era uno strazio stare tutto il giorno a letto, non avevo nulla da fare e se osavo mettere un piede a terra c’era sempre qualcuno pronto a spingermi di nuovo sul materasso. Ero pervasa da una sonnolenza malsana e annoiata, come se mi avessero svuotata di ogni energia. Non dormivo bene da tre giorni, sia per la febbre – che non accennava a scendere – sia per gli incubi.

Sette giorni. Mancavano sette giorni alla partenza dei ragazzi, ed io ero bloccata lì nel letto. Poteva andare peggio? Sì, Diana e Luke erano sempre insieme. Poteva andare ancora peggio? Già. Gargoyle non mi lasciava in pace. Mi ero resa conto di quanto non mi fosse mancata per niente e, a dire il vero, non sapevo nemmeno perché fosse sparita. Fatto sta che passava tutto il giorno sul bordo del mio letto, lontana da me come se avessi la lebbra, ma abbastanza vicina da farsi sentire mentre decantava tutte le doti fantastiche di Diana. Ancora un po’ e mi sarei impiccata con le lenzuola.

Ha ragione, però.

“Questo già lo so, grazie tante” pensavo ogni volta. Intanto, davanti a me si prospettava una settimana terribile.

***

“Coralie, o mangi o chiamo il lupo cattivo.”

“E cosa mi dovrebbe fare il lupo cattivo?”

“Ti divora senza pietà, sbranandoti voracemente, rosicchiandoti le ossa. Decidi, mangiare o essere mangiata.”

“Sai, vero, che traumatizzerai i tuoi figli facendo così, un giorno?”

“Il mondo è un posto molto brutto.”

“Già. Comunque, non funzionano con me queste minacce. Ho smesso di credere ai lupi parlanti grandi e cattivi.”

“Stai bestemmiando davanti ad una fan di Teen Wolf, ti ricordo.”

“Sono io stessa fan, ma purtroppo mi pare difficile credere all’esistenza di quei gran pezzi di fighi al di fuori del mondo di Beacon Hills.”

“D’accordo. Devo usare le maniere forti. Non volevo arrivare a tanto, mi dispiace, mi ci hai costretta.”

“Vediamo.”

“Mangia, o chiamo Gargoyle.”

“Dammi subito quel piatto” feci terrorizzata, strappando il suddetto piatto dalle mani di Manuela, che scoppiò a ridere. “Non sia mai”, biascicai a bocca piena. “Te l’avevo detto che sarei passata alle maniere forti, ma tu no, non mi credi mai” mi canzonò lei, ancora divertita. Io feci fatica a deglutire – il boccone era troppo grande – ma quando ci riuscii, tirai un sospiro di sollievo. “Sai chi mangiava questa roba?” chiesi, indicando il pesce lessato. “Chi?”

“Tabitha, quando finivamo le scatolette.”

“Oh, non fare la melodrammatica. È solo pesce lessato.”

“Non sa di niente.”

“Perché sei malata. Ti assicuro che l’ho affogato nel limone e ci ho messo sopra tanto sale, come fai sempre tu.”

“Non sa di niente lo stesso.”

“Eh, che ci posso fare?” chiese lei storcendo la bocca. “Niente, credo” ammisi. Lei sospirò. “Ti ho già detto che quando sei malata non ti si può reggere?”

“Anch’io ti voglio bene.”

“Sentimento reciproco, anche se a volte ti ucciderei.” Ridacchiai nel vedere la sua faccia esasperata. Improvvisamente, però, lei si fece seria. “Ci hai parlato?” mi chiese, per l’ennesima volta. Io scossi la testa. “Come ti ho appena detto, a volte sei da uccidere brutalmente. Accidenti a te. Guarda che se parte senza che voi vi siate chiariti, ti faccio qualcosa che ora non mi viene in mente, ma non fare quella faccia, non osare ridere, perché ti assicuro che sarà molto brutto. Moltissimo!” Io non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere. Lei si sdraiò di fianco a me, nel posto che di solito occupava Luke, e guardò il soffitto. “Ma ci pensi, che fra sette giorni quegli stronzetti andranno a realizzare il loro sogno? Non posso crederci. Sono così felice per loro…” fece con un mezzo sorriso. “Però mi mancheranno tantissimo. Ormai mi ero abituata alla loro presenza. È bello averli in giro per casa, nonostante qualche volta lascino i boxer usati in giro, cosa piuttosto rivoltante.”

“Già.”

“Già che è una cosa rivoltante, o già che ti mancheranno?”

“Già che mi mancheranno.”

“Già.”

Ridacchiammo. “Sai una cosa?” fece lei poi. “Cosa?”

“So che è una cosa stupida da dire, infatti la sto dicendo solo a te, prima che gli altri mi ridano in faccia, però… era bello averli qui, davvero, anche perché in qualche modo sembrava che… ecco, che ci tenessimo insieme i pezzi a vicenda. Come se essere troppo stretti fisicamente si fosse trasformato in un essere troppo stretti metaforicamente. Capisci cosa intendo?” chiese, voltandosi verso di me. Io la guardai e sorrisi.

“Sai qual è stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con i ragazzi, e poi venire a vivere qui con voi. Siamo in otto – ora in nove – e si sta stretti, accidenti, ma è proprio questa la nostra fortuna. Siamo tutti un po’ rotti, è normale; ma siamo così stretti, in questa casa, che ci teniamo uniti a vicenda. Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’. Sai al mattino, quando ci stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo tutti con le spalle attaccate perché il tavolo è troppo piccolo, e a volte siamo in due su una sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che senza di voi io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto. Mi ricordano che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in questa casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia. Sgangherata, e un po’ fuori dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se mi è possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison; però la mia certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È questo che mi fa sentire al mio posto.”

“Ho capito” dissi solo, tornando a guardare il soffitto. Sentii gli occhi di Manuela fissati su di me. “A che cosa pensi?” mi chiese poi. “Penso che tu e Michael siate proprio fatti l’uno per l’altra.”

“E questo cosa c’entra?”

“Niente, è solo una cosa che ho notato.”

“Va beh, non ti seguo” si arrese lei.

Rimanemmo in silenzio qualche secondo. “Tu cosa hai preso per Maddy?” chiesi poi. “Non ho ancora preso nulla, non ho proprio idea di cosa regalarle. Accidenti, per i diciotto servirebbe qualcosa di spettacolare, tipo un’auto o cose del genere, ma non ce la possiamo permettere” rifletté Manuela. Tre giorni dopo sarebbe stato il compleanno di Madison; fortuna che i ragazzi sarebbero partiti più tardi. “Dici che con una colletta ci arriviamo?”

“Tesoro, viviamo sotto lo stesso tetto, il nostro negozio ha chiuso e dipendiamo dagli assegni di mantenimento che ci passa tua zia; a proposito, che sia benedetta, lei con i suoi milioni. Che fortuna avere in famiglia una donna così, e pensare che Carol è sua figlia. Insomma, la generosità se l’è tenuta tutta per lei, tua zia.” Ridacchiammo. “Dai, non dire così di Carol. Povera” la difesi all’ultimo. Lei fece spallucce e aggiunse: “Sai che le voglio bene e non parlerei mai male di lei, se non per scherzare.”

“Sì, lo so.”

“Comunque non cambiamo discorso, non sappiamo ancora cosa regalare a Maddy.”

“Chiederemo a Calum indicazioni più precise.”

“Ci sto.”

Ci fu ancora silenzio, poi il mio cellulare squillò, segnalando l’arrivo di un messaggio. “E chi è? Siamo tutti in casa” fece Manuela confusa. Io mi allungai per prendere il telefono sul comodino. “È Avril” feci perplessa. “Avril? Ma Avril Avril?”

“Avril Avril.”

“Avril Avril Avril?”

“Dobbiamo continuare ancora tanto?”

“Ok, la pianto. Cosa ti ha scritto?”

Io sbloccai il telefono e entrai nei messaggi, aprendo quello di Avril. Era strano che mi scrivesse: non si era fatta sentire per un po’, e io nemmeno.

Wow, stavo davvero pensando a una cantante di fama mondiale come se pensassi ad una persona normale?

“Non ce l’abbiate con loro per quello che stanno per dirvi; non è colpa loro.”

Manuela ed io ci scambiammo un’occhiata perplessa e anche un filino preoccupata.

“Che cosa intendi?” scrissi velocemente. Lei non si fece attendere. “Fra qualche minuto vi arriverà una mail. Non ce l’abbiate con i ragazzi, non sono loro che decidono.”

“Continuo a non capire” disse Manuela. Io decisi di tagliare la testa al toro e composi il suo numero. Uno, due squilli.

“Coralie, non posso parlare ora, scusami.”

“No, ti prego, non mettere giù. Cosa intendi? Perché hai scritto quel messaggio?”

“Ve l’ho detto, fra poco vi arriverà una mail con quella che probabilmente sarà presa come una cattiva notizia. Ma non prendetevela con i ragazzi.”

“Ma quali ragazzi?!”

“Gli One Direction, Coralie, gli One Direction!” sbottò lei, frettolosa e a bassa voce. “Che cosa…”

“Devo andare, scusa. Non avrei dovuto dirvi nemmeno questo. Se lo sa il mio manager mi ammazza, ma non potevo rischiare che ve la prendeste con loro. Non c’entrano niente.”

“Ma…”

“Ciao Coralie, mi spiace, ci sentiremo un’altra volta.” E così mise giù. Manuela ed io ci guardammo preoccupate. “Di cosa stava parlando, secondo te?” chiese. Io avevo un dubbio atroce, che mi stava facendo impaurire. “E se… avessero deciso di annullare tutto?” Manuela impallidì. “No, ti prego, non può essere così” disse terrorizzata. “Chiamiamo gli altri” dissi io, il che significava: “Ti prego, chiama gli altri, io non mi posso muovere da questo letto.” Lei capì e corse fuori dalla stanza. La sentii gridare i nomi dei nostri coinquilini e in poco erano tutti radunati nella mia stanza, tutti eccetto Gargoyle, che: “Sto facendo il mio riposino con maschera antirughe!” aveva esclamato indignata.

“Che succede, Coco?” chiese Diana. Luke, di fianco a lei, mi guardava col fiato sospeso. Io presi un gran respiro e dissi: “Mi ha chiamato Avril” iniziai. Michael m’interruppe subito: “Avril? Ma Avril Avril?”

“Avril Avril.”

“Avril Avril Avril?”

“Non ricominciamo, eh?” feci, mentre Manuela scoppiava a ridere, una risatina nervosa. Michael fece spallucce, mentre Calum m’incitava a continuare. “Mi ha detto che gli One Direction ci invieranno una mail che potrebbe farci restare male, e di non prendercela con loro, perché non ne hanno colpa.” Un silenzio teso calò sulla stanza: bene o male, tutti erano arrivati alla mia stessa conclusione. Il cellulare di Carol squillò e noi trasalimmo: dato che lei si era improvvisata manager, probabilmente quella era la mail. Ci radunammo tutti attorno a lei, compresa me: quando mi alzai, ebbi un giramento, ma Luke mi sorresse e mi avvicinò al gruppo, tenendomi un braccio attorno alla vita. Carol iniziò a leggere:

Gentili signori L. R. Hemmings, C. T. Hood, M. G. Clifford e A. F. Irwin, con la presente siete invitati a presentarvi domani alle 12:47 al volo per l’aereoporto Heatrow di Londra, partenza l’aereoporto di Linate, a Milano. A causa d’imprevisti, siamo stati costretti ad anticipare la data della vostra partenza per il tour della band One Direction. Sperando che ciò non vi causi problemi, vi auguriamo una buona continuazione di giornata. Arrivederci,

L. W. Tomlinson, N. J. Horan, L. J. Payne, H. E. Styles, Z. J. Malik.

“Decisamente, non l’hanno scritta loro” disse Carol sicura. Noi annuimmo. Un senso di sollievo si diffuse nella stanza: il tour non era stato annullato, e loro non erano stati nemmeno cacciati. Insomma, sarebbero solo dovuti partire il giorno dopo, no?

Un momento. Sarebbero dovuti partire il giorno dopo?

Proprio come c’eravamo sentiti rassicurati, cademmo nello sconforto più totale. “Come, domani?” chiese Manuela, con un’espressione così ferita e confusa che mi sembrò una bambina; la stessa espressione che trovai anche sui visi di Carol e Madison e che immaginai condividere. Diana era solo basita, mentre i ragazzi sembravano non capire cosa fosse successo. Io mi liberai dalla presa di Luke e tornai sul letto, avvolgendomi nelle coperte. “Preferivo non saperlo” mormorai, ricacciando indietro le lacrime. Mi ero ripromessa di parlare con Luke il giorno dopo, o due giorni dopo, ma non avremmo più potuto: saremmo stati tutti impegnanti con la partenza. Non volevo parlargli tramite un telefono.

Improvvisamente, però, tutti i miei pensieri si fecero da parte, lasciando spazio a un’altra cosa: non ero io quella che ci sarebbe stata peggio, forse. Mi misi a sedere di scatto e vidi Madison che cercava di ricacciare indietro le lacrime. Calum se n’era accorto e la stava abbracciando, stretta che lei non condivideva, paralizzata nel suo sforzo di non lasciarsi sfuggire nemmeno una lacrima. “Non è giusto” disse solo, prima di scoppiare a piangere sulla spalla del suo ragazzo e avvolgerlo in un abbraccio stretto. “Maddy, mi dispiace tanto” disse solo lui. “Questo è il regalo di compleanno più brutto che qualcuno potesse farmi” singhiozzò lei. “Oh, tesoro” fece Manuela, abbracciandola a sua volta. Io non esitai e mi unii, mentre anche gli altri mi imitavano. “E quando tornereste?” chiese Diana. “A Natale. È la prima data che ci hanno concesso, più una settimana per le emergenze.”

“Non può essere considerata un’emergenza, questa?”

“Deve c’entrare la salute di qualcuno.”

“Io sono gravemente malata, potrei non superare le prossime tre notti” dissi. “Non credo se la berrebbero, Coco” fece Ashton con un mezzo sorriso triste. “Avete una settimana a testa che potete trascorrere indipendentemente, o una settimana come band?”

“Come band. Non potremmo suonare senza uno di noi.”

“Quindi chiedervi di rimanere qui per il suo compleanno è…”

“Non possiamo. Non all’inizio. Rischieremmo di venir rimpiazzati” fece Ashton mesto. Madison tirò su col naso. “Fa niente, ragazzi. Sto bene. È solo il diciottesimo compleanno, in fondo, no? Non è niente di così grave” fece, tirando un sorriso che non le riuscì nemmeno un po’. Calum scosse la testa e le diede un bacio sulla fronte. “Amore, se solo ci fosse un modo sai che rimarremmo, ma non possiamo” lo sentii sussurrare. Madison annuì e si asciugò le lacrime. “Lo so, lo so. Non è colpa vostra. Non è neanche colpa loro. Non è colpa di nessuno” riuscì a dire. “Colpa per che cosa?” Fece una voce gracchiante alle nostre spalle. Ci voltammo e incontrammo, a malincuore, lo sguardo arcigno come sempre di Gargoyle. Mi resi conto con sgomento divertito che ci avevo messo qualche secondo a ricordare il suo vero nome, ormai troppo abituata a chiamarla così. “I ragazzi dovranno partire prima, e non ci saranno per il mio diciottesimo compleanno. Ci sono rimasta un po’ male” spiegò Madison. “Solo per questo?! Ragazzina, quanto sei sensibile. Quando ero bambina io si piangeva per molto di più. È solo un compleanno, insomma! Non fare la bimba capricciosa!” fece, oltraggiata, prima di andarsene via, come se le lacrime di Madison l’avessero offesa nel profondo. Rimanemmo a bocca aperta qualche istante. “Tua madre è proprio un bijou, vero?” fece Carol, rivolta a Diana, che annuì. Manuela sbuffò. “Quando era piccola lei, si piangeva per molto di più… peccato che quando lei era piccola era ancora nell’età della pietra, si piangeva solo se si era stati sbranati da una tigre dai denti a sciabola.”

“Wow, possiamo chiederle se ha incontrato un branco di animali bizzarro, secondo voi?” chiese Ashton. “Bizzarro in che senso?”

“Nel senso che è composto da tre mammuth, due opossum, due bradipi, due tigri e una talpa. Il branco originario era composto solo da un mammuth, una tigre e un bradipo. Notare che uno dei due bradipi del branco finale dovrebbe avere circa la sua età.”

“Solo tu puoi pensare all’Era Glaciale quando si parla di queste cose” fece Carol ridacchiando. “Veramente l’ho pensato anche io” aggiunsi timidamente. “Anche io.”

“Io pure.”

“Idem.”

“Mi associo.”

E così via, fino a che non rimase solo Carol, che si guardò intorno. “Rettifico: solo io posso non pensare all’Era Glaciale quando si parla di queste cose” fece ridacchiando. “Sarà anche la brutta imitazione di un avvoltoio, però ci ha offerto su un piatto d’argento delle battute che ci hanno tirato su il morale” fece Michael. Noi annuimmo. “E brava Gargoyle” disse solo Diana, lasciandoci a bocca aperta. “Davvero l’hai chiamata Gargoyle?” chiese Madison. Lei annuì. “Non potevo?”

“In realtà non aspettavamo altro” fece Ashton ridendo. “Una di noi! Una di noi!” scandì Calum imitando i cori degli stadi, coro a cui si unirono tutti, poco a poco. Solo io, in disparte, evitai di aggiungermi; con la coda dell’occhio, vidi che anche Manuela si limitava a sorridere, ma mi lanciò uno sguardo e ammiccò, come a dire: “Tranquilla, sono dalla tua parte. Sempre e comunque.”

***

Qualche ora dopo, io mi ero fatta piccola piccola sul letto, per lasciare spazio alla valigia che Luke stava preparando. Lui aveva insistito per lasciarla per terra, ma non c’era abbastanza spazio per tenerla aperta, così l’avevo obbligato a lasciarla sul letto. Lui, dal canto suo, mi aveva obbligato a rimanere sotto le coperte. “Piccola, già sei malata e non potrò salutarti come vorrei; almeno non peggiorare la situazione” aveva detto. Io avevo annuito e basta.

Volevo parlargli, ma non riuscivo a decidermi. Come avrei potuto iniziare? “Luke, so che mi tradisci con Diana perché ho sentito che lei diceva di amarti al telefono”? Era un discorso accettabile?

No.

Perfetto, opzione scartata. Intanto, Luke continuava a fare la valigia, all’oscuro di tutto.

“Piccola, posso farti sentire una canzone?” chiese lui a un certo punto. Io annuii e lui collegò il suo cellulare al mio stereo. In poco, nella stanza si diffusero le note di un pianoforte.

I’m not bulletproof when it comes to you

Don’t know what to say when you made me the enemy

After the war is won, there’s always the next one

I’m not bulletproof when it comes to you

Maybe I’ll crash into you

Maybe we would open up these wounds

 We’re only alive if we bruise

So I lay down this armor

I will surrender tonight

Before we both lose this fight

Take my defenses, all my defenses

I lay down this armor

“È bellissima” dissi, mentre un sorriso ammirato si apriva sul mio volto. “Ti piace? Io la adoro. La sto ascoltando senza tregua da due giorni quando sono da solo. Sai, un po’ mi fa pensare a te” disse sorridendomi. Io ricambiai debolmente, mentre lui tornava a canticchiare.

Non ti fidare.

Non ce l’avrei fatta comunque.

I lay down this armor for you.

“Luke, posso parlarti?” chiesi alla fine. Lui annuì. “Dimmi tutto” fece, tornando a impilare tutte le sue magliette nella valigia. “Ecco, riguarda…”

“Scusatemi, vi disturbo?” fece Diana, affacciandosi sulla soglia di camera mia. Non sembrava tranquilla. “No” dissi io di riflesso, prima di darmi della stupida; certo che disturbava, eccome. “Luke, ti posso parlare? In privato” fece lei, seria. Lui si raddrizzò. “È importante? Perché stavo per…”

“È molto importante.”

“D’accordo, arrivo” disse Luke, posando l’ultima maglietta. “Ma…” provai a protestare. “Scusa, Coco, torno subito” mi disse, prima di seguire Diana fuori dalla stanza. Io rimasi con la bocca socchiusa, un’espressione basita in faccia. “No, prego, fa’ pure” sussurrai contrariata.

Davvero credevi di poter essere la priorità di Luke?

Ci speravo.

***

Venti minuti dopo, Luke tornò in camera. “Scusa piccola, questione di massima importanza. Dicevi?” fece. “Non mi ricordo” feci con un sorrisetto imbarazzato.

Bugiarda.

La verità? Non avevo proprio intenzione di affrontare quel discorso, non dopo che lui mi aveva sbattuto in faccia come la pensava su chi delle due fosse più importante. Lui mi sorrise di rimando. “Beh, se ti viene in mente, io sono qui” disse, tornando a mettere a posto la valigia.

Certo, così la prossima volta che attacchi bottone tornerà Diana a rubartelo. Anzi, rubare è il termine sbagliato: non è mai stato tuo. Riprenderselo, ecco, questo è il termine esatto.

Mi portai la testa fra le mani, sperando che lui non lo notasse.

Come se potesse notare qualcosa che ti riguarda.

A volte faceva male sapere quanto quella voce avesse ragione.

Luke finì di preparare la valigia e la chiuse, togliendola dal letto; si sedette al suo solito posto e mi abbracciò. “Non voglio andarmene” sussurrò, stringendomi piano e accoccolandosi contro il mio fianco. Io non riuscii a fare a meno di appoggiare la tempia contro la sua spalla, come facevamo sempre. Una sensazione di calore, tanto familiare quanto dolorosa, mi pervase al ricordo di tutte le volte in cui c’eravamo sdraiati così.

Rimanemmo in silenzio per molto, e a me andava bene così. Luke sembrava perso nel suo mondo, con lo sguardo fisso su un punto indefinito della coperta; qualche volta, gli scappavano dei sospiri. Sembrava preoccupato, e non ero sicura del fatto che riguardasse solo la sua partenza. Io presi coraggio e gli chiesi: “Va tutto bene?” Ti prego, fa’ che dica di sì, pensai. Lui, però, scosse la testa. Ci fu un altro attimo di silenzio, poi lui si alzò e mi si sedette di fronte. “Coco, devo dirti una cosa importante” fece con sguardo grave e colpevole.

Pronta a tutta la verità?

Io trattenni il respiro. “Cosa?”

“Riguarda Diana, e il motivo per cui ultimamente sto sempre con lei.”

Fu quando sentii quelle parole che mi resi conto di quanto non fossi pronta a quel discorso. Mi alzai di scatto, facendolo sussultare. “Coco?”

“Po-possiamo parlarne fra un attimo? Devo andare in bagno” dissi nel panico. Lui mi guardò con la sua espressione da cucciolo smarrito che mi fece sentire ancora peggio. “Va… va bene” disse, mentre mi guardava sparire nel bagnetto. Cercando di non farmi notare, presi il cellulare dal comodino e mi chiusi a chiave. Aprii subito Whatsapp e cercai la chat che mi interessava.

“Manuela, ti prego, aiutami. Fai qualsiasi cosa, ma impedisci a me e Luke di rimanere da soli.”

La risposta non tardò ad arrivare, con la solita finezza di Manuela:

“Che minchia succede?”

“Vuole parlarmi di lui e Diana.”

“E…? Qual è il problema? Non è quello che aspettavi da quando l’hai scoperto?”

“Sì, ma…”

“Non sei pronta, vero?”

“Assolutamente.”

“Okay. Dove sei?”

“Chiusa in bagno.”

“D’accordo. Mettici un po’, faccio quello che posso.”

“Hai un’idea?”

“Sì, fidati di me.”

“Grazie.”

“Di nulla, tesoro.”

Feci un sospiro di sollievo, prima di sentire gli occhi bruciare per le lacrime. Mi sedetti contro la porta, aspettando un segno di vita di Manuela, nonostante sapessi che ci sarebbe voluto un po’.

Passarono diversi minuti, poi sentii un bussare leggero alla porta. “Coralie? Va tutto bene?” chiese Luke con voce flebile. “I-io… no” dissi. “Che succede?”

“Mi viene da vomitare.” Appena lo dissi – forse per autosuggestione, forse per la paura, forse per tutto quello che stava succedendo – sentii un conato. “Fammi entrare, piccola, ti prego” disse lui. “Non… non credo sia un buon momento per parlare” dissi, gattonando verso il water. “Lo so, lo so. Voglio solo aiutarti. Per favore, Coco… aprimi.”

Io rimasi immobile qualche istante, con gli occhi gonfi di lacrime. Il suo tono era implorante, sembrava che stesse per piangere a sua volta. Mi stava facendo scoppiare il cuore.

Mi alzai e girai la chiave nella toppa, prima di tornare al mio posto. Lui aprì la porta piano e mi raggiunse, inginocchiandosi di fianco a me. Mi mise una mano sulla fronte, sorreggendomi la testa. “È per la febbre?”

“Credo di sì.”

“Va bene.” Non aggiunse altro: continuò a sorreggere la mia fronte, mentre con l’altra mano mi accarezzava piano la schiena, come a confortarmi. Io singhiozzai e lui mi guardò confuso. “Coco?”

“Niente, è che… è da quando ero bambina che vomitare mi spaventa. Da piccola scoppiavo a piangere, credo che mi sia rimasta questa cosa.” Era la verità: un’altra delle mie stranezze.

Un’altra stranezza che rende Diana la scelta migliore.

“Oh, piccola” fece lui, scuotendo la testa. “Va tutto bene, tranquilla. Ci sono io qui” sussurrò.

È tutta una bugia.

***

Rimanemmo così qualche minuto. Vomitai, ma lui non si spostò. Mi chiese più volte come mi sentissi, senza impazienza, anzi: c’era una dolcezza cauta nella sua voce, come se stesse cercando di tranquillizzare una bambina.

Sentimmo il citofono suonare e Luke si voltò verso la porta. “Aspettavamo visite?” chiese incerto, sempre tenendomi la fronte. Io scossi piano la testa, quanto bastava perché lui capisse. “E allora chi è?” fece confuso. Sentimmo dei passi veloci su per le scale e la porta del bagno si spalancò, facendoci sussultare. Manuela era sulla soglia della porta, con tre cartoni fumanti di pizza in mano. “È arrivata la pizz… ah” disse, mentre il suo entusiasmo si sgonfiava come un palloncino bucato. “Che diavolo succede?” chiese, lasciando le pizze sul lavandino e inginocchiandosi accanto a noi. “Non si è sentita bene e ha vomitato” spiegò Luke. Manuela fece una faccia perplessa. “Quindi devo dedurre che chiamare la pizza non sia stata una buona idea?”

“No. La voglio mangiare, ho fame” dissi io tossicchiando. “Sei sicura?” chiesero in coro Manuela e Luke. Io annuii e mi alzai traballante, mentre i due scattavano in piedi. Manuela mi porse un bicchiere d’acqua, che aveva riempito nel giro di due secondi, ed io la ringraziai, sciacquandomi la bocca da quel sapore orribile. “Andiamo di sotto, gli altri ci stanno aspettando” disse poi la mia migliore amica. Noi annuimmo e Luke prese le pizze, andando avanti. “Va tutto bene?” mi sussurrò Manuela in un orecchio. Io annuii incerta e lei mi strinse una mano. “Venite, ragazze?” chiese Luke dal corridoio. Noi lo raggiungemmo e scendemmo le scale. Quando arrivai al piano di sotto, non potei evitare di sorridere debolmente: i divani erano stati spostati per far posto ai ragazzi, così come il tavolino. La televisione era accesa, con la schermata del menu principale di Aladdin che lampeggiava. I ragazzi erano seduti in cerchio sul tappeto, con i cartoni delle pizze in mezzo. Era esattamente come una delle prime sere… la stessa sera in cui Luke ed io ci eravamo baciati la prima volta. Mi guardai intorno e notai che era fin troppo uguale a quella scena avvenuta tanti mesi fa. “Dov’è Diana?” chiesi confusa. “Sua madre l’ha portata fuori a mangiare. Abbiamo cercato di farla rimanere, ma è stata inflessibile” spiegò Madison. Manuela mi strinse la mano piano e sussurrò nel mio orecchio: “Indovina chi ha messo la pulce nell’orecchio di Gargoyle” con tono scherzoso. Io mi voltai verso di lei e sorrisi, per la prima volta in tutta la sera. “Grazie” sussurrai, mentre Luke si sedeva e appoggiava le pizze in mezzo. Io e la mia migliore amica raggiungemmo gli altri, sedendoci nell’unico spazio libero: io ero di fianco a Luke e Manuela, e lei era di fianco a Michael, che le stampò un bacio sulla guancia appena lei si accovacciò accanto a lui. “Bella idea, quella delle pizze, piccola cupcake” lo sentii dire. Manuela ridacchiò e gli diede un piccolo bacio sulle labbra, prima di prendere un cartone di pizza e aprirlo. “Chi ha preso questa… cosa?!” chiese, tappandosi il naso davanti alla pizza con kebab, cipolle, aringhe, fagioli e altri ingredienti non meglio identificati. Michael scoppiò a ridere, prima di dire: “È mia, amore”. Manuela lo guardò atterrita. “Sai, vero, che stanotte dormi sul divano? E che la tua bocca dovrà stare ad almeno tre metri da me per tutta la sera?”

“Oh, amore, suvvia!”

“Suvvia ‘sta minchia! Mi vuoi ammazzare?! Santo cielo, esiste davvero una cosa del genere?”

“No, l’ho chiesta apposta io. Il tipo che ha preso le ordinazioni era abbastanza sconvolto.”

“E vorrei ben vedere! Dio, l’ultima sera dovrò davvero ricordarmela così?!”

Michael continuava a ridere, come se fosse la cosa più divertente del mondo, mentre Manuela sembrava alquanto demoralizzata. Luke mi sussurrò all’orecchio: “Stai tranquilla, piccola, la mia è innocua.” Ridacchiai al pensiero, mentre Carol premeva il tasto play del DVD. In pochi secondi, iniziò la canzone che apriva il film. Senza che nemmeno ci fossimo messi d’accordo, ci mettemmo tutti a cantare: “La mia terra di fiabe e magie, credi a me, ha i cammelli che van su e giù. E ti trovi in galera anche senza un perché… Che barbarie, ma è la mia tribù!” ci guardammo, ridendo della nostra sincronizzazione, per poi continuare: “Brilla il sole da sud, soffia il vento da nord, c'è un'intensa complicità. Sul tappeto ora va, dove andare lo sa, nelle notti d'oriente andrà!”

Michael balzò in piedi e, a braccia spalancate e a occhi chiusi, iniziò a urlare: “Le notti d'Orieeeeeente, fra le spezie e i bazaaaaaaaar, son calde lo sai, più calde che mai, ti potranno incantaaaaaaar! Le notti d'Orieeeeeeente, con la luna nel bluuuuuuu… Non farti abbagliar, potresti bruciar di passione anche tuuuuuu…”

Quando finì, ci mettemmo ad applaudire divertiti. “Grazie, grazie” fece lui inchinandosi con aria di sussiego. “Questo è il ragazzo che aprirà il concerto degli One Direction, ragazzi!” lo prese in giro Manuela, ridendo. “Mi avresti preferito se fossi stato un piccolo snob che disprezza la Disney?”

“In realtà ti avrei ripudiato da qualche mese, se tu avessi odiato quella che è stata la mia infanzia e che ora è la mia adolescenza.”

“E allora sono il tuo principe azzurro!”

“Sposiamoci domani!” fece Manuela con il tono sognante di una principessa dei cartoni animati. “Certo, amore mio!” rispose lui con lo stesso tono. La prese in braccio e iniziò a saltellare per la sala, facendoci ridere. “Ragazzi, abbiamo fame, venite qui!”

“No! Noi dobbiamo sposarci e vivere per sempre felici e contenti nel nostro castello incantato!” protestò Manuela. “Immaginate quanto sarà perfetta la nostra vita! Iniziare a cantare canzoni mai sentite prima, inventate sul momento, e come per magia sapremo entrambi il testo, e ci innamoreremo sempre di più, in mezzo agli animali del bosco che cantano con noi e parlano e ci portano ghirlande di fiori! La forza del nostro amore sconfiggerà qualsiasi male!” rincarò la dose Michael. “Se non venite qua a sedervi giuro che mi trasformo in un drago e vi stacco la testa a morsi. O venite a mangiare, o sarete mangiati!” disse Carol, mentre il suo stomaco brontolava. Michael fece un verso oltraggiato, portandosi la mano sul petto e lasciando cadere Manuela a terra, che urlò un paio d’insulti decisamente poco fiabeschi. Michael però non ci fece caso e urlò: “Amore, abbiamo trovato Malefica!”

"Io non sono Malefica!" protestò Carol. "Hai appena detto che ti trasformeresti in un drago! Chi sei, se non lei?"

"Se io sono Malefica, tu cosa saresti?!"

Michael sembrò pensarci su qualche istante; poi, all'improvviso, si gettò in ginocchio e camminò goffamente verso Carol, con un sorriso enorme sul viso e gli occhi sgranati. "Ciao! Mi chiamo Olaf e amo i caldi abbracci!" scoppiammo tutti a ridere. "Manuela, tu chi sei?"

"Oh, io ho già le idee molto chiare" fece Manuela, prima di alzarsi e saltare sul divano. Si schiarì la voce e iniziò a esclamare: "Disonore! Disonore! Disonore su di te, disonore sulla tua famiglia, disonore sulla tua mucca!"

"Mushu!" esclamò Calum ridendo. "Mi piace questo gioco!" fece Luke ridendo. "Okay, okay, ora tocca a me!" disse Calum di nuovo. Si guardò intorno e prese i cartoni di pizza, impilandoli e tenendoli fermi col mento. iniziò a girare per la stanza così, barcollando vistosamente. "Gas-gas!" feci io. "Sì!" rispose Calum, battendo con me il cinque. "Tocca a me. Manuela, vieni qui, devi ricordare questo cartone" dissi poi, alzandomi e allontanandomi dal gruppo con lei. Le sussurrai qualche parola nell'orecchio e lei s’illuminò. “Scherzi? Certo che lo ricordo, è il mio cartone preferito!” Mi disse entusiasta. Io sorrisi e tornammo in mezzo alla sala. Mi schiarii la voce e iniziai a cantare con la mia bellissima e melodiosissima voce: “Che strazio stare insieme a lei d'estate...” Lei intervenne: “Non sa cacciare, né tirar di boxe! È vanitoso...”

“Quanto non mi piace!”

Insieme, continuammo: “Se ci sto insieme il morbillo avrò!”

Toccò di nuovo a me: “Fremevo ad aspettar!”

“Felice d'esser qui!”

Ancora insieme: “Ma vorrei scappar!”

Lei mi voltò le spalle e, con sguardo sdegnoso, fece: “Con lui non potrò...”

“Con lei io non potrò...”

Insieme, per ultima cosa, incrociammo le braccia, esclamando: “Giocar!”

Dopo la nostra bellissima interpretazione, ci voltammo verso gli altri, che ci guardavano in panico. “La conosco, ve lo giuro, ma non ricordo di che film sia!” esclamò Madison, con le mani sulle tempie. Michael lanciò un urlo frustrato. “Perché non me lo ricordo?!” esclamò poi. “Continuate!” ci incitò invece Ashton. Manuela ed io ridacchiammo e lei si schiarì la voce con fare teatrale, prima di lanciarsi nell'imitazione di una voce semi-lirica. “Van già d'accordo, amico mio, che affare!” Io le presi la mano entusiasta e con voce profondissima, fino a essere ridicola, risposi: “I regni uniremo noi così!”

“È proprio a questo che dobbiamo puntare!”

“Anche genitori...”

“Siam politici. Felice son per voi!”

“D'accordo siamo noi!”

“Derek sposerà!”

“Dico che potrà...”

“Sì che lei potrà!”

Insieme: “Cederà!” Lei ridacchiò e: “Oh, divertente!” Ci voltammo di nuovo verso il nostro pubblico, trovandolo più confuso di prima. “Dai, ragazzi, siete delle vergogne!” si lamentò Manuela. Io mi guardai intorno, ridendo, prima di vedere Luke: era a terra, con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi sgranati; la sua testa ondeggiava a tempo, mentre lui canticchiava. A un certo punto, schioccò le dita più volte, vicino alla soluzione, prima di esclamare: “L'Incantesimo del Lago!”

“Grande!” fece Manuela, mentre gli altri si abbandonavano a esclamazioni di sconfitta molto simili al gracchiare di uno stormo di cornacchie. “Tocca a me, tocca a me!” fece Luke, radioso come un bambino, alzandosi per sedersi al nostro posto. Manuela ed io tornammo a sederci, mentre Luke si schiariva la gola. “Messere Michael, la mia persona necessiterebbe delle tue gargantuesche capacità vocali. Accetti la mia proposta?”

“Oh, santo cielo, parla in termini che io possa capire” disse Michael ridendo, alzandosi e affiancando l’altro, che ridacchiava in quel suo modo adorabile. “Allora, cosa dobbiamo fare?” chiese Michael, strofinandosi le mani. Luke gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e dall’espressione entusiasta di Michael capimmo che aveva compreso bene il cartone da imitare. S’inginocchiò e si affiancò a Luke, prima di guardarlo in cagnesco, sguardo che Luke ricambiò. “Io potrei fare un sacco di cose!” esclamò Michael, mentre Luke lo guardava scettico. “Sarei un re se mi staccassi da te!” continuò il più grande, spingendo Luke lontano, che per caso si voltò verso di noi e mi vide saltellare sul posto: avevo già capito di quale cartone si trattasse. Lui però mi fece segno di non dirlo, ridacchiando, prima di voltarsi verso Michael, che andò avanti: “Sarei stato un gran solista, ma anche un bel rockista, draghizzando con un gesto la mia vita… Cornelius, proprio me! Dei draghi il vero grande re! Con il mondo intero fra le dita… ma con me ci sei tu!” così dicendo, puntò un dito contro Luke, che fece una faccia oltraggiata. “E che succederebbe se invece non ci fossi tu, mhm?!” fece, con voce acuta e la r moscia. S’interruppero un attimo e videro me, Manuela e Carol impazienti di rispondere. “Dai, Coco lo sapeva per prima” disse Luke, rivolgendomi un piccolo sorriso. “La spada magica!” esclamai trepidante. I due annuirono e tornarono a sedersi, mentre io mi alzavo di nuovo. “Ash, vieni?”

“Finalmente, credevo non mi avrebbe mai scelto nessuno!” fece lui, schizzando in piedi al mio fianco. Io usai una mano per appoggiarmi a lui e mi tolsi un calzino. “Dobby” disse lui immediatamente. Io lo guardai torva. “No. Dammi il tempo di fare quello che devo.” La verità? Dobby era esattamente quello che volevo fare, e lui mi aveva tolto il divertimento. Dovevo inventare in fretta qualcosa che implicasse un calzino… ma certo!

Feci voltare Ashton e gli misi la calza sulla spalla. Poi feci un sussulto di paura e orrore, urlando: “Ventitré-diciannove! Abbiamo un ventitré-diciannove!”

“Monsters & Co.!” urlò Madison, mentre tutti scoppiavano a ridere.

Continuammo così tutta la sera, fermandoci di tanto in tanto a dare un morso alle pizze – che in poco diventarono fredde – mentre Aladdin, in sottofondo, veniva ignorato. Le ore passarono in un attimo, così, quando il citofono squillò, rimanemmo tutti basiti. “Sono già tornate? Ma sono appena… le undici?!” Manuela, guardando l’orologio, rimase esterrefatta. “Wow” fece solo Carol, mentre Madison rispondeva al citofono.

 

***

 

Verso mezzanotte, Luke ed io tornammo in camera nostra. Lui si chiuse in bagno, mentre io mi cambiavo e mi mettevo il pigiama, ovvero una maglietta di Luke e un paio di pantaloni della tuta estremamente grandi. Quando lui uscì dal bagno, io presi il suo posto; nel giro di cinque minuti, mi infilai sotto le coperte, al suo fianco. Gli davo le spalle, ma lui non ci fece caso: mi abbracciò e mi attirò a sé, ignorando la resistenza – troppo lieve per essere notata, troppo presente per dire che non ce ne fosse – che stavo opponendo. “Dio, non voglio pensare a quanto mi mancherai” sussurrò.

Forse perché non gli mancherai nemmeno un po’.

Io serrai la mascella. Fino a che eravamo rimasti con gli altri, quel senso d’impotenza e tristezza che ormai mi contraddistingueva se n’era andato, ma ora che eravamo da soli era tornato in tutta la sua magnificenza, e mi stava schiacciando. “Coco?”

“Sì?”

“Io… io ti mancherò, vero?” mi chiese con voce incerta. Io sentii una stretta al cuore. “Sì, Luke, mi mancherai. Tantissimo.”

È triste il fatto che sia ancora la verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice

Chiedo. Umilmente. Perdono. Non avete idea di quanto questo capitolo sia stato un parto. Non so nemmeno cosa dire per scusarmi, perché non ci sono scusanti.

Alloora… sorpresa! I ragazzi se ne vanno via! E Coco e Luke – ormai si è capito – non parleranno. Triste, no? Ad ogni modo, cosa ne pensate?

Vi lascio con il titolo della prossima canzone, quindi del prossimo capitolo: These four walls.

Ciauuuu

Ranya

 

 

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Capitolo 39
*** The memory ***


The memory
“E questa è l’ultima” fece Calum, issando la sua valigia nel retro pieno zeppo del furgone. Michael ci sbirciò dentro, scoraggiato. “Credo che io e te dovremo stare sul tetto, amico” disse poi, rivolgendosi al primo. “Fortuna che ho scritto il mio nome sul sedile del passeggero” commentò Luke ridacchiando, mentre i due lo guardavano torvi. Ashton rise. “Che bello vedervi mentre battibeccate come delle galline. È un sollievo, a volte, essere l’unico con la patente: ti assicura un posto fisso in macchina, che non sia sul tetto.”
“Sì, sì, divertiti finché puoi: sto per compiere diciotto anni anch’io, stronzetto, e non aspetterò come Calum e Luke per farmi la patente” replicò Michael, chiudendo le ante del retro del furgone. Manuela gli si avvicinò e gli mise un braccio attorno alle spalle. “Non vedo l’ora di farmi portar per negozi da te. Che dici, andiamo in centro a fare shopping, appena prendi la patente?” chiese. Michael sgranò gli occhi. “Ora che ci penso, non avete avuto tutti i torti: aspettare è un’idea molto allettante. Anzi, credo che andrò in bicicletta per il resto della mia vita” disse con un sorriso angelico. Manuela mise il broncio e Michael ridacchiò, dandole un bacio sulla fronte. “Scherzo, cupcake. Ti prometto che una volta finito questo benedetto tour, ti porterò a girar per negozi per un giorno intero.”
“Ricordati di queste parole, quando saremo in giro.”
“So già che me ne farai pentire.”
“Oh, sì, amaramente.”
“Beh, ho un intero tour per prepararmi.”
“Non ti preoccupare, ti aspetterò. Ora che anche Coralie guarda Once upon a time, avremo molto da fare per i prossimi quattro giorni, cinque al massimo.”
“Rinfrescami la memoria: quante puntate ci sono?”
“Un centinaio, ma cinque giorni basteranno.”
“A volte ho come l’impressione che tu sia ossessionata.”
“Io? Davvero? Noo, ma come ti viene in mente?!”
“Dimmi la verità: questa ossessione deriva da Uncino?”
“Cinquanta e cinquanta” fece lei, ammiccando. Io, che avevo origliato nonostante fossi lontana, intervenni: “Beh, fortunata te: la mia ossessione per Once upon a time è formata all’ottanta per cento da quel gran pezzo di pirata.”
Luke mi si avvicinò e, con un sorriso da canaglia, mi prese per un fianco e mi attirò a sé. “Posso diventare anch’io un cattivo ragazzo, se ti va” fece. Diana ridacchiò e gli batté una mano sulla spalla. “Vai benissimo così” commentò, prima di superarci. Luke la seguì con lo sguardo, ridendo a sua volta; i suoi occhi indugiarono su di lei quel secondo di troppo che bastò a farmi male.
Distolsi lo sguardo, incapace di reggere il suo quando esso si posò su di me. Guardare quegli occhi azzurri che mi conoscevano meglio di chiunque altro mi era insopportabile, in quel momento. Lui, questa volta, sembrò farci caso.
Era ora, sussurrò la vocina nella mia testa.
Mi allontanai senza dire una parola, giusto per essere intercettata da Manuela, che mi passò davanti e, a denti stretti, sussurrò un piccolo “Parlaci” seguito da una marea di insulti. Io però scossi la testa.
Ormai è tardi.
***
“Ormai è tardi” fece Madison, guardando l’orologio. “Dovete essere in aeroporto fra quaranta minuti, dovete sbrigarvi!”
Luke si avvicinò a me e mi si sedette di fianco, sul gradino che avevo occupato. “Coralie, cosa ti succede?”
“Niente.”
“No, non è vero. Parlami.”
Io sospirai e mi voltai verso di lui. “Va tutto bene, Luke.”
Lui mi si avvicinò ancora di più e mi appoggiò una mano sul viso. “Guardami negli occhi” mi intimò. Io, riluttante, obbedii; riuscii anche a tirare un sorriso, con non so quale forza.
“Che cosa ti succede, Coco?”
Lo sai. Non fare il finto tonto.
“Non mi succede niente.”
“Coralie.”
“È la verità.”
Lui sospirò. “Davvero credi che io non ti conosca per niente?”
“Cosa vuoi dire?”
“Mi sono innamorato di te guardandoti negli occhi. Ci vedevo una persona bellissima, la persona migliore che avessi mai incontrato. Ora ti guardo, e sono vuoti. Non c’è più quella scintilla che una volta bruciava, e che mi ero illuso di alimentare. Cosa ti succede? Perché sei spenta?”
“Io non…”
“Coralie, voglio aiutarti. Ma tu devi permettermelo.”
Abbassai lo sguardo. “Non c’è niente che tu possa fare, se non essere sincero.”
Lui mi guardò confuso. “Sincero? E su cosa?”
“Lo sai.”
“No, non lo so!” esplose lui, facendomi trasalire. Io lo guardai con espressione ferita e lui si congelò sul posto. “Io… Davvero? Parli di Diana?” fece confuso.
C’è arrivato, eh?
“Coco, non potevo dirtelo. Non riguarda me. Devi credermi: non c’è niente di me che io ti tenga nascosto.”
Come no.
“Ne parliamo quando torni, okay?” feci, senza più energie per ribattere, mentre mi mettevo in piedi. Lui, però, si alzò di scatto e mi sbarrò la strada. “No, ne parliamo adesso.”
“Siete in ritardo.”
“Non m’importa.”
“A me sì.”
“Non sei tu quella che deve partire. Non voglio lasciarti qui, così.”
“Luke, ne parliamo quando torni. Sai che non mi caverai una parola di bocca, ora.”
“Ma…”
“Fidati, è meglio così.”
Lui sembrò sgonfiarsi di ogni energia: le spalle caddero verso il basso, così come il suo sguardo. Senza dire una parola, mi tirò a sé, stringendomi contro il suo petto. Io ricambiai debolmente, in silenzio.
Improvvisamente, lo sentii singhiozzare. “Coco?”
“Sì?”
“Perché questo abbraccio sa d’addio?”
Perché lo è.
 
***
 
Li guardai allontanarsi, mentre con loro si allontanava anche una parte di me. Non avevo più le forze di oppormi, di ribellarmi, nemmeno di piangere. Ero lì: un guscio vuoto che si vede portare via tutto ciò in cui credeva.
Walk away, I’m barely breathing as I’m lying on the floor.
Take my heart as you’re leaving… I don’t need it anymore.
Quando il furgone girò l’angolo, sentii i passi di due persone – probabilmente Madison e Carol – dirigersi in casa. Io rimasi immobile: non riuscivo nemmeno a muovere un passo.
Manuela mi strinse una mano. “Andiamo” disse solo, con dolcezza, tirandomi piano. Io la seguii, o meglio, mi lasciai trascinare. Quasi a forza, poi, Manuela mi fece sedere sul divano.
Diana fece per sedersi di fianco a me, ma Manuela la precedette, infilandosi a forza fra noi due. Poi, scoccò alla rossa un’occhiata feroce. Stupendo tutti – prima fra tutti me – però, quella volta lei reagì.
“Si può sapere cosa vi ho fatto?! Pensavo che finalmente stessimo iniziando ad andare d’accordo, e ora non posso nemmeno avvicinarmi a voi! Qual è la mia colpa? Cosa vi ho fatto di così grave da meritare solo odio?!” urlò. Madison e Carol la guardarono basite, Manuela sconvolta, io vacua.
La mia migliore amica si alzò, pronta probabilmente a uccidere Diana, ma io la bloccai. “Non ne vale la pena” dissi solo in un soffio.
Manuela mi guardò, come se non potesse credere a quello che stavo dicendo. Si inginocchiò di fronte a me. “Non puoi arrenderti, va bene?”
“Per cosa sto lottando?”
“Per te stessa, per voi! Non ti ricordi?!”
“Ricordo tutto benissimo. È questo il peggio.”
Someone help me, ‘cause the memory convinced itself to tear me apart
And it’s gonna succeed before long.
“Non ci credo. Non ci voglio credere, okay? Che fine hanno fatto tutti i vostri sogni, tutte le vostre promesse?!”
“A quanto pare erano solo miei.”
Carol e Madison si scambiarono un’occhiata e si alzarono. Carol posò una mano sul braccio di Diana e le indicò la porta con un cenno della testa. La rossa provò a resistere, ma alla fine si arrese e seguì le due fino in giardino, lasciandoci sole. Appena in tempo: iniziai a singhiozzare senza ritegno e appoggiai la testa alla spalla di Manuela, che non esitò a stringermi a sé. “Fa così male” sussurrai.
This is the memory
This is the curse of having
Too much time to think about it
It’s killing me.
“Devi dirlo a Diana.”
“Non voglio farlo.”
“Senti, non intendo più ascoltare questa tua nenia autocommiserativa. Se sei così sicura di aver perso tutto, cos’altro potrai perdere, nel parlare con lei?”
“Significherebbe confermare quello che già so.”
Manuela si alzò di nuovo in piedi. La sua frustrazione era palese, ma non potevo farci niente.
Mi prese un polso, come per scuotermi dalla mia apatia, e esclamò con rabbia: “Senti, tu, mi hai stancata. Cosa devo fare per riavere la mia migliore amica?! Un esorcismo? Va bene, farò anche quello. Rivoglio la vecchia Coralie! La Coralie che non aveva paura di mettersi in gioco! Cosa mi sta a significare il ‘non voglio confermare quello che già so’?! Davvero sei disposta a vivere così, appesa?! Sei impiccata, Coco. Ogni secondo senza ossigeno ti sta riducendo a quella che sei ora. Sei la copia sbiadita della mia migliore amica, e a me non sta più bene. Non mi sta più bene, hai sentito?! Quindi ora muovi quel culo pesante che ti ritrovi, e vai a fare qualcosa per risolvere la situazione! Di cos’hai paura, eh?!”
Io alzai lo sguardo, mentre le lacrime iniziavano a ostruirmi la vista. Questo, sorprendentemente, sembrò farla arrabbiare ancora di più. Mi spinse con la schiena contro il divano, lasciandomi di stucco. Poi, prese un cuscino e, con rabbia, me lo lanciò in faccia. Sapevo benissimo che lo stava facendo per non picchiarmi sul serio.
La lasciai fare. Magari quelle botte mi avrebbero riscossa.
Quando si fermò, aveva il fiatone. Mi guardò un istante, per cercare un accenno di segno di vita. Quando non ne trovò, quando vide che non era cambiato nulla, cadde in ginocchio, improvvisamente distrutta quasi quanto me.
“Di cos’hai paura, Coralie?” chiese di nuovo, stavolta a bassa voce, implorante: mi supplicava di darle una spiegazione, di renderla partecipe.
Io ci pensai qualche secondo, cercando la risposta nella matassa senza capo né coda che avevo al posto dei pensieri e del cuore. “Penso che la mia paura più grande, adesso, sia di dover fare a meno di una persona che consideravo – che considero – essenziale.”
Manuela mi guardò in silenzio, incitandomi implicitamente a continuare; così, sospirai e andai avanti. “So che è stupido, e che ho solo diciassette anni, ma… penso di aver imparato cosa sia l’Amore, quello vero. Mi sono resa conto di amarlo nel vero senso della parola solo quando lo stavo perdendo. L’ho realizzato soltanto quando l’ho visto andare via, oggi. Io non… sono cresciuta – siamo cresciute – con un’ideologia, quella del Vero Amore di cui la Disney si è fatta portavoce… so che è infantile, ma io ci credo. E credo che il Vero Amore sia una cosa rarissima nella vita di una persona. Io so, lo sento: lui era il mio Vero Amore. A quanto pare io non ero il suo.
“Sono sempre stata un po’ un disastro, lo sai. Un sacco di macerie ovunque. Quando lui è entrato nella mia vita, pensavo di poter contare su di lui come muro su cui costruire l’impalcatura. Poco a poco, da muretto esterno, è diventato un muro portante. E adesso che se n’è andato, mi sono trovata di nuovo con i piedi all’aria, e un sacco di macerie in giro. Come se non fosse cambiato nulla in questi mesi.
“Ho paura, Manuela. Ho paura di non essere in grado di costruire di nuovo una struttura bella come quella che avevo prima. Ho paura di non riuscire a creare una vita meravigliosa come quella che mi vedevo prima con lui. Ho paura, tantissima.”
Manuela, stavolta, sorrise comprensiva. Mi abbracciò di nuovo. “Oh, Coco.”
“Cosa devo fare?”
“Devi solo aspettare. Col tempo passerà, te lo prometto. Datti tre mesi, e vedrai che starai meglio.”
“Mi sembra impossibile, adesso.”
“Lo so che sembra impossibile. Ma tu sei una forza della natura, va bene? Sei invincibile, io lo so. Questa cosa non ti ucciderà, anzi, ti renderà ancora più forte. Lo supererai, e senza nemmeno accorgertene la tua vita e il tuo futuro diventeranno ancora più belli di quelli che avevi prima. In quanto alle macerie, le rimetterai a posto. Troverai un’altra combinazione, più resistente e duratura, che ti piaccia di più. E stavolta non avrai muri portanti al di fuori di te stessa.”
“Neanche tu?”
“No, neanche io. Mi fa male dirlo, lo sai, ma devi essere indipendente. Io ci sarò sempre per te, te lo giuro, ma potrebbe succedere qualsiasi cosa, e io non voglio che tu non sappia vivere senza di me. Per stare bene dovrai essere capace di stare in piedi da sola, sapendo che il tuo grattacielo sarà spalla a spalla contro il mio per tutto il tempo. Okay?”
A quelle parole, le lacrime iniziarono a rigarmi il viso. “Come farei senza di te?”
“Allora non hai capito proprio niente del mio discorso, eh?”
Sapevo benissimo che la risatina che mi strappò valeva come dieci vittorie per lei.
“Manuela?”
“Sì?”
“Come farò a credere ancora nel Vero Amore? Come farò a sapere che esiste, e che non è tutta un’illusione?”
“Oh, tesoro, il Vero Amore esiste.”
“Come fai a dirlo con così tanta certezza?”
“Perché tu l’hai provato. Non lasciare che ciò che sta succedendo adesso cancelli ciò che è accaduto fino ad ora. E comunque, non affidarti troppo alla Disney per rappresentare il Vero Amore. Mi fa male dirlo, ma la vita vera è diversa. Tu sai che il tuo è Amore, no? Hai qualche dubbio?”
“No. Credo che lo sia.”
“E allora la tua risposta è tutta qui. Le risposte alle domande più grandi sono sempre dentro di te. Devi solo rendertene conto.”
Io annuii piano e Manuela mi scoccò un bacio in fronte. “Vedrai, supereremo anche questo. Insieme.”
 
 
 
 
*Angolo Autrice*
Io non oso mostrarmi in pubblico perché so che le tre persone che seguono questa storia potrebbero linciarmi. Scusate, scusate tantissimo.
Non mi dilungherò nel descrivere COME MAI questo ritardo, sappiate solo che è successo un casino e che io sono una veggente e mi sono trovata quasi nella stessa situazione di Coralie (nuova ispirazione, yay!)
Scusatemi ancora, spero di essere più puntuale per il prossimo…
 
PS: più di un anno fa avevo detto che il nuovo capitolo si sarebbe chiamato “These four walls”. La verità? Non so più perché avessi scelto questo titolo, quindi nisba. Il nuovo titolo è The memory (ma va’?); dei Mayday Parade – che, per inciso, dovete ascoltare almeno una volta perché sono grandiosi.

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