Silver Age

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Iris-Winter Flower ***
Capitolo 2: *** C'est ma faute ***
Capitolo 3: *** Knowledge ***
Capitolo 4: *** Song of Sword ***
Capitolo 5: *** City of Angels ***
Capitolo 6: *** The (true) dragon ***
Capitolo 7: *** Slow ***
Capitolo 8: *** Treasures- Heaven's gate ***



Capitolo 1
*** Iris-Winter Flower ***


Nota, tempo addietro ho scritto delle one-shot, che intendo ampliare, questo primo capitolo è ripreso da “Intermezzo”.

Metà novembre 1762.

Sei andata via nel giugno 1761, è passato un sacco di tempo e mi manchi.
Anche se ho tanto da fare, e vorrei che conoscessi Andrè, è il nipote di Marie, la nostra governante, orfano è venuto ad abitare qui a palazzo ed è mio amico, un compagno di spada, come lo definisco io, non di giochi.
Spartiamo le lezioni, le risate, le marachelle.
Gli ho raccontato di te, che sei  nata dal primo matrimonio del Generale, hai sposato uno spagnolo e ora siete in viaggio, ma tornerai, spero presto.
A Natale compio sette anni, in molti dicono che sono di una intelligenza precoce e portentosa, con una ottima memoria, accompagnata dalla lingua lunga e da una testardaggine senza pari.
Gradisco meno quando mi chiamano Attila o peste per i tiri che riesco a inventare.
Oggi piove, impossibile uscire, dedichiamoci alla galleria dei ritratti, in genere mi limito a tirare a dritto, ma tanto.
Si parte dagli antenati del XIII secolo, dipinti dai pittori di cento anni fa, poi approdiamo ai giorni nostri, mah. Osservo la targa, leggo le date, non fosse per la pettinatura e il vestito antiquato, giurerei che sei tu.
Oggi mi mancava più del solito, non ricordavo bene la sua faccia, quindi eccomi qui.Già Isabel, sua nonna materna,  me ne ha raccontate di tutte, un pomeriggio ero al laghetto e me la sono ritrovata lì, mi ha invitato da lei, le tenute sono vicine tra di loro, con scorta per il ritorno. Andrè è infilato nelle  cucine, a mangiare (nuova), io a ridere in salotto, pazienza se mi chiamava solo Oscar, era vecchia, però ..
Che caos, inventate, Gabrielle aveva gli occhi scuri, vostra sorella come voi, occhi Jarjayes, però se vedete il ritratto, avete ragione, somiglia alla madre, Gabrielle, cabeza di cabra

- Mia sorella, testa di capra?

Macché sua  madre, povera ragazza, era impossibile, la chiamavo così, va bene, lasciamo correre, la vostra sorellina-
Arrossii- è più alta, sottile, i tratti più marcati, da ragazza la chiamavano rosa rosarum
Rosa delle rose-
Anche il latino, sapete, andiamo bene, va bene, fate sei anni a dicembre ci può stare, insomma era tanto graziosa.
Magari poteva sposare un principe di sangue o della corona.- Fantasticherie, lo sapevo ma perché no?
Fuentes è stato un buon affare, ma … se non resta vedova mica lo può cambiare, marito, dico, sperando poi che mai e poi mai la ripudi, non le converrebbe, inutile quella faccia, le cose per una donna… mica sono semplici. Di rado fa di testa sua … o può scegliere. Anzi, non sceglie mai.Poi lei, sarebbe stata una cattiveria, come tenere una tigre in gabbia, io ero l’ottava figlia Oscar, non mi hanno spedito in convento perché ero carina, le altre mie sorelle chissà dove sono finite e il conte de Saint-Evit era buono con me, anche se era tanto più anziano. Eravamo quattordici figli sopravissuti, lasciamo stare l’erede, ma gli altri si sono arruolati o sono diventati sacerdoti-
Un mezzo sorriso, era giunta giovane dalla Spagna, suo padre imparentato  con l’ambasciatore del tempo, aveva fatto fortuna. Allevata a  Saint-Cyr, aveva poi sposato il conte de Saint-Evit, ufficiale della Guardia Reale Francese, amico di mio nonno il vecchio Generale. Gabrielle e mio padre si erano sposati nel 1738, lei era morta nel 1749, seguita pochi giorni da Luois, loro primogenito, il Generale sposato l’anno dopo, terminato il tempo del lutto stretto con mia madre, che prima di me aveva avuto quattro bambine.
Vero, in seguito, cascasse il mondo ci ritornavo un paio di volte al mese, mi raccontava di tutto un po’, dal vecchio re Sole a quello attuale, Adelaide di Savoia, giochi e canzoni, ogni tanto ricadeva nello spagnolo e meno male che lo sapevo, imparato quando ho soggiornato a casa tua, in Spagna, sennò non ci avrei capito nulla.
Andrè era fisso nelle cucine, lei un servo nel suo salotto non ce lo voleva, ma pace, tranne che diceva che il Generale era loco. Mi aveva offeso, ma lo aveva capito, aggiungendo che non era sempre stato a quel modo, come lo conoscevo, sbagliava a dirlo a me, tranne che perdendo Gabrielle gli si era spezzato il cuore, che l’aveva amata fino al delirio.
Come no, non ci credevo, tranne mia sorella dell’argomento non parlava, LUI neanche ma mi pareva lucida.. Boh.
Dissi che di sicuro era un angelo, come dicevano i sacerdoti, volevo tagliare corto. Sì certo, un angelo irriverente, e mi raccontò di tutti i disastri e i tiri che si inventava.
Forse sbagliava a dire quelle cose, come io ad ascoltare ma capivo da dove fosse arrivata la testardaggine di Cat, l’essere contro ogni regola e buon senso, tranne quello che voleva lei, moltiplicato per venti.

Comunque, mi manchi, sbrigati a tornare, voglio la tua faccia, non un quadro, che le storie me le racconti tu, le ho fatte ripetere tante volte per non sbagliare le parole, ma non credo di azzeccarle sempre.
E gioco con le nuvole, i fiori, sono un pirata, un crociato, un esploratore.
E finalmente un giorno….
  • CAT!!-  il nomignolo con cui ti chiamavo.
  • OSCAR!
  • Sei qui!
(Due figure contro il precoce crepuscolo novembrino, essenza di arancia e rosa, la traccia di un abbraccio).

Tenendole sempre le braccia sul collo, rovescio la testa, ecco il suo viso, amato e sorridente, mi regge per le scapole.
La mia eccezione che fa la regola, Andrè è basito, io NON abbraccio mai nessuno, sono imperscrutabile, amo dire, poi mi sciolgo a malincuore, ma dopo le dico che verrò da lei, annuisce e mi sfiora le spalle, mi appoggio  per un momento e poi andiamo.
Nel giro di poco …
In fondo, è come se non te ne fossi mai andata-
 
 
  • Inutile che metta il broncio, peste, io ti tiro pizzicotti?
  • No.
  • E perché tu devi tirarli a me … comunque, visto che ti infastidisce, non ti chiamo più così, va bene?
Sbuffo e cerco di cambiare argomento, mia sorella è qui a palazzo da poco, di ritorno da un lungo viaggio, e sono felice che ci sia, di nuovo in confidenza, come se ci fosse sempre stata.
Il suo profumo, rose e arancia amara, tutte le storie che mi ha raccontato e mi racconta e..
  • Pensavo una cosa.
  • Sentiamo, avanti- Con un sorriso.
  • Hai sposato uno spagnolo, e non dire che è ovvio, ma anche tua nonna Isabel, la madre di tua madre, la prima moglie del Generale, è di origini spagnole- Socchiude le palpebre, uno spiraglio azzurro e divertito.
  •  Non pensi che sia una specie di cerchio?
  • Forse od una casualità, difficile dirlo.
  • Mmm raccontami della conquista di Granada, è storia ma la racconti come una favola…
In questi infiniti pomeriggi di maltempo, appena posso, vado a cercarla e viceversa, il generale non c’è, mia madre è quasi sempre a Versailles e non è certo una novità.
I suoi racconti sono un portento, ascolta anche Andrè e per un poco ci asteniamo dalle marachelle..

Sembra un fiore in questo salottino, tra i medaglioni con composizioni molteplici di fiori con le cornici dorati a rocaille, i pannelli bianco e oro adesso in voga, con gli stucchi.Anche questi sono dorati,  sembrano facciano sparire il confine tra soffitto e pareti.

È vestita color celeste, come un giacinto od un iris, la schiena curva, è protesa in ascolto verso di me e si riflette nello specchio sopra il camino, la cui cornice è adorna di girandole placcate di bronzo una cosa davvero curiosa e splendida, come i pavimenti ad intarsio dei più svariati legni esotici e francesi.

Al pari delle preziose cineserie, di recente moda, una passione di mia madre, che adora le tappezzerie di seta e le porcellane dell’estremo oriente, le sue stanze private, le poche volte in cui è a casa e non a Versailles, è una dama della regina e non può certo perdere il suo tempo con me, dice il Generale, sono colme di pannelli cinesi di lacca dalle varie forme.
E su questi pannelli sono dipinti uccelli, fiori e paesaggi, e scene, come la coltivazione del riso e del tè, la fabbricazione della seta e della porcellane, scene su cui fantastico, come è là la vita?

Dalle piccole consolle spuntano preziose statuine e vasi pregiati, una volta che per sbaglio ne ho rotto uno … le ho prese tante e non lo avevo fatto apposta, da allora, a ogni convocazione, tengo le mani dietro la schiena e gli occhi per terra, i piedi fermi, osservando gli sfondi azzurri, dipinti con il prezioso colorante azzurrite.
 
Tempo fa, quando ero al castello di Catherine in Spagna, me le spiegò un altro ragazzino, Felipe, il mio primo amico, prima di Andrè, abbiamo trascorso fantastici pomeriggi a giocare con la neve o nei prati, ridendo, dietro al nascondino o giocando a carte o scacchi, la diversità di linguaggi, In principio gli parlavo in francese e lui rispondeva in spagnolo e viceversa, sostituita dai gesti e.. ne rido ancora.

Sapeva tante cose, stava tanto con i grandi e ne ricavava pepite di curioso sapere, che poi condivideva con me e io facevo altrettanto con lui.
  • Guarda che non penso di averti detto io di Granada, Oscar..
  • Allora forse Felipe.
  • Ci sta..
  • Raccontamela tu, invece.
  • Non sono capace..
  • Sì. Invece- Piego le labbra in un piccolo sorrisino, poi raccolgo le idee.
  • .. allora i re di Spagna, Ferdinando e Isabella, cingevano d’assedio Granada, l’ultimo regno arabo della penisola spagnola- mi arrampico sulle sue ginocchia, mi stringe leggermente su una spalla, nessun fastidio, nessuna ingerenza a lei non importa se non sono “perfetto e marziale”- si diceva che il palazzo dell’Alhambra, il forte rosso dalle infinite e sorgive fontane, con stupendi giardini non dovesse mai cadere e invece non fu così, infatti la città si arrese il 6 gennaio 1492 e l’ultimo re arabo, Boabdil,consegnò le chiavi della città su un cuscino di seta. E.. mentre si allontanava a cavallo, si girò a osservare Granada una ultima volta da un passo di montagna sospirando, subito rimproverato dalla madre che vedendolo in quello stato disse: 'Piangi come una donna questo reame che non hai saputo difendere come un uomo' e anche oggi esiste, c'e' un passo chiamato ancora oggi 'il sospiro del moro'… Ma una ragazza, un principessa rimase là, era una esperta e conosceva i segreti su come addestrare i cavalli arabi, sapeva come farli impennare e scalciare e impennare, buttando giù un soldato, con gli zoccoli davanti.. Si convertì, che sennò non  sarebbe potuta rimanere e .. si diede da fare a allenare quei superbi destrieri, che erano come macchine da guerra..
  • La principessa non so se c’era, Catherine, magari ..
  • Va benissimo, lo sai quante volte, partendo da una storia, l’abbiamo arricchita di particolari e ci abbiamo giocato sopra, Oscar? E ora che fai, pietà, perché mi devi sempre smontare lo chignon poveri i miei capelli..e..  vedrai come ti fermo, ora- In tono di finta minaccia e mi avvolge tra le braccia, non protesto, non dico niente e la lascio fare, per una volta almeno.
  • E la regina Isabella di Castiglia si recava a cavallo a sostenere i suoi soldati, lo sai che indossava una corazza e non temeva nulla?
 
 

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Capitolo 2
*** C'est ma faute ***


1762,fine novembre.
 
I cancelli dorati di Versailles, le cui punte acute sono rivolte verso la mattina che avanza,  sono sempre aperti al pubblico.
Sistemo i polsini di pizzo che cadono netti e precisi, ho un completo di satin azzurro, con minuscoli ricami dorati, gilet coordinato, calze bianche, scarpe di pelle nera con le fibbie di argento, il collo seppellito da uno spumoso jabot, oltre le raccomandazioni di stare fermo, non sporcarmi e via così.
E di togliermi il piccolo tricorno nero quando passa il sovrano, guai a me se me ne dimentico.
Ognuno, purché vestito in modo congruo può vedere lo spettacolo del re e dei suoi riti,fatti liturgia dal grande Re Sole, Luigi XIV, che pare abbia detto lo Stato sono io.
La Corte si trasferì definitivamente qui nel 1682, prima era solo un piccolo casino per la caccia usato da Luigi XIII, che buffo.
Ti incuriosisce, Andrè?Spiegami il motivo.

Chiunque può entrare, te lo già spiegato, se un uomo non ha la spada la può noleggiare dagli ambulanti, ai cancelli, e, vestito in modo decente, ripeto, godere dello spettacolo del Re e dei Suoi che mangia, va a messa e poi si corica.


Stupore, perché?Cosa ti meraviglia? Cosa scruti?
 Siamo venuti, che eri curioso, bambini mescolati alla folla, e osservi tutto, basito.
 Che stai citando, “Con un calendario e un orologio, era possibile a trecento leghe di distanza, dire con precisione cosa facesse”, Saint-Simon, riferito al Roi Soleil, “Parallèle des trois premiers rois bourbons”, il precettore ce lo scodella un giorno sì e l’altro pure, è così vecchio  che devo chiedergli quando è nato….
Ti stupisce  quanta gente riesca ad ammassarsi nel salone dell’Occhio di Bue in attesa del Lever du Roi, il nome che deriva dalla grande apertura ogivale nel fregio della volta decorata di stucchi dorati raffiguranti giochi di bambini su uno sfondo a reticolo e rosette.
Giochi di bambini, tranne che, a occhio, qui gli unici bambini tra la folla siamo noi, escludendo quelli della Famiglia Reale, che certo non si mescolano.
Gli affreschi?
Gli specchi? 
I vasi cinesi o quelli di pietre dure e preziosi metalli sistemati su mensole dorate vicino agli specchi?
 Gli opulenti lampadari, lo sai che mi piace imparare sempre nuove e difficili parole?
Le colonne di marmo scanalate che giungono fino a dove può scorgere l’occhio, che finiscono in un delicato, dorato  ventaglio di foglie di acanto?
 
Le statuine di bronzo?
 
Gli specchi, penso tra me e me, adesso riflettono due monelli nella Grande Galleria, che chiamano anche “Galerie des Glaces”, raccolti contro le gonne opulente della mia amata sorellina, Catherine, che ci invita alla calma, per favore non fatemi pentire di avervi portato.
 
Alle otto in punto ogni mattina, sai,  il primo valletto di camera sveglia il sovrano con la frase “Sire, è l'ora”  e, dopo una breve toilette alla quale accudiscono i valletti azzurri, si apre la porta ed entrano i personaggi di alto rango per le cosiddette grandi entrate.
 Poco dopo, hanno inizio le seconde entrate, dopodiché il re si veste, e, nel salone ad occhio di bue e nella galleria, tutti aspettano l'annuncio dell'usciere che, scandendo un colpo sul pavimento con l'asta dell'alabarda, esclama, “Signori, indietro, passa il re” e “Signori, il re”.
 
O percepisci il puzzo tremendo, noi ci laviamo, tranne che qui usa poco, Luigi XV,  non ha questo modo di fare.
 
Ha abolito le vasche da bagno e il lavarsi è per pochi, le fogne della Reggia non funzionano e ognuno fa i suoi bisogni dove può.
Che puzzo, non è come a casa.
Tua nonna, Marie, fa bruciare gli incensieri nelle stanze e le pasticche di profumo, tutto  è lindo  e profumato, accompagnato da bei mazzi di fiori.
 
Ci laviamo le mani, sempre.
 
Anche se alla Reggia i mobili sono belli, intarsiati di ceramica e madreperla, i gatti e i cani li devastano, usando i preziosi legni come affila artigli o  poco altro.
Sono sporchi e puzzano.
Aspetta, ora il Re va a messa e osserviamo il corteo che naviga verso la cappella, ogni giorno la famiglia reale assiste ad un servizio, il sovrano di Francia e Navarra è chiamato anche “Cristianissima Maestà”.
Osservo il passo scivolato delle Mesdames, le signore appaiono sfiorare appena il pavimento, maneggiando con grazia il pesante abito di corte con l’ampia crinolina e un lungo strascico, come non si pestino tra loro è un mistero.
Annuso il profumo di cipria e pomata sui capelli, poi mi verrebbe da ridere guardando i cerchi di rosso belletto che sottolineano il viso delle dame, indice di rango e precisione, mi pare un rosso scarlatto.
  • Guarda, Oscar, c’ è tua madre.- Battendomi leggermente il gomito con  il gomito.
Vado leggermente in avanti, ma lei non guarda né a destra né a sinistra, continua a andare verso la cappella, dietro alla regina Maria, la consorte polacca di Luigi XV.
Neanche un cenno.
Uno sguardo.
Fisso il parquet intarsiato davanti ai miei piedi.
  • Diamo un’occhiata ai giardini, dai.- Mia sorella ha visto tutto e mi propone un diversivo, giro la testa sopra la spalla, il suo viso è neutro, il passo scivolato come quello delle altre dame.
(Ma tu non sei così)
Sul grande Parterre osservo in basso, la progressiva geometria dei viali e dei boschi e delle fontane, il vento vibra, non fa troppo freddo.
Il Grand Canal luccica come uno specchio di puro argento.
Mi sento…
Non lo so.
Neanche mi ha guardato.
Alzo il braccio, Catherine mi sfiora un polso.
  • Guarda, quella è la fontana di ..
  • …..
  • Cat.
  • Guarda meglio, che fai il vento ti fa lacrimare.. Aspetta, ti prendo in braccio per farti vedere, mica altro, non hai bisogno di annuire, lo so ..
  • Non mi interessa vedere il Re che mangia..
  • Va bene.
 
 
  • Bambini, siete stati troppo bravi- Ironizza, mia sorella, sulla via del ritorno, abbiamo appena finito di far a botte, ho cominciato io, chissà perchè.
Non credo che per un pezzo ci torneremo, ci divide con un solo gesto imperioso, come una zarina, forse, nel giugno di questo 1762 è salita sul trono di Russia Caterina II.
Bambini, appunto, che sono complici nelle marachelle come nei litigi.
  • Oscar.
  • Andrè.
  • Catherine - Dico io e le sue braccia mi circondano, gli occhi azzurri come i miei mi scrutano, ci scrutano, intenti.
Non mi importa, ora, come ora, che mia madre, dama della regina polacca, Maria, non ci abbia considerato.
 
Abbiamo lei.
Ho lei.
E lei c’è , fine.

Non se se lo abbia fatto apposta, ma quando rientriamo a casa, sul tavolo usato per le lezioni vi è una specie di centrotavola di dorato argento, colmo di coppe ripiene di frutta secca, prugne e ciliegie e arance candite, filetti di scorze di arancia, biscotti e marzapane, con un vassoio di frutta fresca, l’orto e il frutteto di casa Jarjayes danno in ogni stagione le verdure e la frutta più insolite, valutando clima e stagione, come hanno fatto Quintinie e i suoi discendenti, già direttori generali dei “Frutteti e degli Orti reali” di Luigi XIV..
Andrè si fionda sulle prelibatezze, io aspetto, sfilo la giacca preziosa di satin, il tricorno appoggiato da qualche parte all’ingresso.
  • Cat.
  • Dimmi.
  • Oggi .. io …
  • Tua madre ti vuole bene Oscar, lo sai, tranne che… ha molti doveri e..
  • Non mi ha guardato.- lo so che ha dei doveri ma così..
  • Presto sarà a casa e allora..
  • Allora che cambia ?- Con sfida. Come se non sapessi che sguardi e gesti di affetto tra nobili non usano, sono da “plebei”pure…
  • Cambia che sono tornata io. Non sarà tanto – si butta su una chaise luoge, di seta marezzata a righe verdi e crema, sottili le caviglie e i polsi che mi afferrano.
  • No … che fai ..
  • Nulla, ti tengo qui e..
  • Non .. il Generale…
  • Lui non c’è, mio marito è il figlio di un marchese e.. – Mi salda contro il busto, intenta.
  • Comandi tu.
  • Come no, accomodati, Oscar.
Fammi stare qui, chiudo le palpebre e aspetto tuoni e fulmini, come promette il Generale, in caso di un mio abbandono alle tenerezze, un abbraccio.
Non succede nulla.
Ti circondo con le braccia, una stretta ricambiata, io borbotto che fa freddo e non ti scomponi.
Stanotte mi sa che dormirò con te.
Maman.
 

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Capitolo 3
*** Knowledge ***


Winter 1762- Spring 1763.
Mio padre racconta che nel prossimo mese di febbraio, 1763, sarà finalmente firmata la pace, la guerra cominciata nel 1756 ha avuto termine.
Nel maggio 1756, osserva ancora mio padre, Austria e Francia si sono alleate insieme, una tradizione infranta dopo secoli di inimicizia e le ostilità sono scoppiate poco dopo.
Ai più, alla Reggia, questa alleanza è apparsa contro natura, una forzatura, tranne che, alla lunga, apparirà naturale, riportando la battuta di Voltaire, come pure il rilievo che Luigi XV appare il burattino della sua amante, Madame Pompadour, e del suo ministro degli esteri, Choiseul.
Scontri anche a Versailles.
Io questi pettegolezzi non dovrei saperli o  che, tranne che non ho perso il vizio di origliare per raccogliere informazioni.
Il  Generale, ancora, sostiene che i prussiani a combattere sono diavoli incarnati, è  tutto un pettegolezzo e un mormorio, quando è  a casa (poco, eh) sono di piantone nella missione di cui sopra.
Mia  madre  c’è ancora meno, in compenso mia sorella è rimasta, infine non sto combinando troppi disastri.
Comunque, ci sto provando, a essere meno terribile.
E che sarà mai sostituire l’inchiostro con la salsa alle olive, scambiare  il sale con lo zucchero e viceversa, infilare qualche vermetto tra le lenzuola e così via.. per me nulla, gli altri si vede che sono permalosi e le punizioni fioccano.
Attila.
Peste.
Che noia, possibile che usino solo questi due epiteti, in segreto, oltre a Monsieur Oscar o solo Oscar?
Quando ti ci metti sei una scocciatura, lo sai, vero, ha osservato Catherine, hai l’argento vivo addosso, non ti si para.
Non ho replicato, scoccandole una occhiata offesa e  mi ha sollevato il mento.
È una constatazione, Oscar, vuoi sempre fare a modo tuo, tutto, il più possibile.
E tu no?, ho replicato.
Chissà da chi hai preso, eh, ridendo.
E dai, che fai, il solletico non vale…
Sei bella, Catherine, non è un complimento, è una constatazione, hai un sorriso bellissimo e sei più serena,anche se alle volte  sei pensierosa, persa in tuo mondo, credo, di fantasticherie, un palmo sul ventre.
Poi ti riscuoti e mi chiedi che voglio, di straforo, quando posso, cerco sempre di stare con te.
Ho le giornate piene, lezioni e scherma e equitazione, i giochi con Andrè ma tu sei sempre tu.
Come fai a capire che sono io, osservo una volta, mi muovo a piedi scalzi, senza scarpe, faccio poco rumore  e tu mi individui sempre.
Il tuo profumo, Oscar, osservi ridendo, ho naso per gli odori e il tuo lo riconosco a occhi chiusi, lavanda, sapone, i tuoi passi sono quelli di un grillo.
Che dici, sei seria o mi prendi in giro?
Chiudi gli occhi, concentrati e annusami, di che profumo?
Sapone, rosa e arancia e …
Calore.  Quello di un tuo abbraccio.
E cioccolata, quella che bevi il pomeriggio, limone per profumare l’alito, tanto altro, mi sa che anche io potrei riconoscerti a occhi chiusi.
Come a occhi chiusi, alle volte, dormo con te, stringendoti, sei mia e solo mia, un possesso che mi lasci fare, rammentando che tua  madre, troppo amata e persa tanto presto, te lo concedeva.
Dovevi fare otto anni, non eri tanto più grande di me.
Ogni tanto hai il vizio di sparire mezza giornata da tua nonna, due volte sei stata a un ballo alla reggia, però da quando  ho raccontato cosa facevo quando mi mancavi, sei  diventata più quieta e non ti adonti se ti faccio compagnia.
Pian piano,  ho preso l’abitudine di  accompagnarti quando passeggi nel parco, inventando le formule per le nuvole e le coordinate, i rami spogli nella perfetta geometria dei vialetti e della grande fontana.
Di passare a salutarti e bere una tazza di cioccolata.
I giorni sono diventati settimane, la brina disegna i suoi complicati arabeschi sui prati e sui vetri, il fuoco brilla come oro dentro ai camini, mescolandosi alle bucce di arancia gettate tra le fiamme.
Un poca di neve, e da febbraio crochi e bucaneve, l’aroma gradevole e leggero.
I libri.
Le storie.
Continuo a dormire con te, quando posso, e mi piace che tu mi faccia addormentare con le storie dei miti, sono le mie favole, come i racconti che inventi, un drago e il capriolo, la principessa senza regno, Granada, Camelot e re Artù.
E i profumi, osservo, sgranando gli occhi, la distillazione delle essenze, i vari attrezzi, mia sorella che  declina dei nomi, storte, alambicchi e bruciatori, fornelli,  i nomi delle erbe, indicando ogni oggetto, le erbe e i fiori no, li conosco, alcune cose le abbiamo raccolte insieme, questo autunno.
Mischia insieme dei petali di rosa, li mescola assieme alla scorza d’arancia, al limone e non so cosa altro, pare un laboratorio di magia, ma non credo tu sappia distillare l’oro e l’incenso e la mirra, non sei  un alchimista-
  • Guarda Oscar questo l’abbiamo fatto noi
  • Essenze per il bagno e sali e saponi.. brava Catherine.
  • E tu no?
  • Insomma …
  • .. mi spieghi il paradosso di Achille e della tartaruga?Sai tante cose, forse più del precettore, pensa quanto è scemo, devo imparare la  geografia e quando ho chiesto parchè dovevo sapere tutti quei luoghi, c'era mai stato ed ha detto di no, si è arrabbiato  e mi ha punito, me lo spieghi poi di Achille e della tartaruga.. ?
  •  
  • .. boh, non ho capito tanto, che ridi Catherine, non so che è un paradosso..
 
Non vai più a cavallo, credo che tu stia ingrassando per questo, sulla pancia, ma quando te lo dico, ridi come se avessi detto una battuta di incredibile, volontaria comicità.
  • Dico, ma che hai? Ti fa male stare senza Xavier, che è andato  a casa vostra, tu perché sei rimasta qui?
  • Aspetto un bambino, Oscar, mica sono grassa perché mangio troppi arrosti e a cavallo.. sarei idiota ad andarci, dovrei passare dei valichi di montagna con la neve, lascia stare, riprenderò a cavalcare quando avrò partorito.
  • Oscar? Ehi, prima che cominci con le domande, è stato Xavier..
  • Tesoro? Oscar, che hai?-
  • ….- Ho un nodo in gola che non scende né sale.
  • Vorrei che non nascesse.
Sei sbiancata, il viso candido come la cera, le braccia contro il ventre.
  • Oscar, togliti dalla mia vista, subito.- Un tono secco, duro, come il rullio di un tamburo.
  • No. E lo ripeto..- e l’ho ridetto che non volevo che quel bambino arrivasse.
Non era il tonfo di un ramo spezzato dal freddo, ma lo schiocco di uno schiaffo contro la mia guancia.
Non mi hai mai picchiato, mai, tranne che ora ti sono saltati inervi.
Resti ferma, il palmo contro il mio viso, gelata.
Ti mordo le dita e ti ritrai.
  • Vattene subito, prima che continui. Ripetilo e sono sulla buona strada.. Cattiveria peggiore non potevi dirmela. Anzi, me ne vado io.
Girandoti con uno scatto agile, a prescindere dal gonfiore, dei polsi e delle caviglie,mi ignori completamente, i passi lunghi e veloci come se ti facesse orrore restare con me un momento in più.
Capisco, all’improvviso, di avere passato un limite, ho compiuto da poco sette anni, ma ci arrivo.
 
Osservo la tappezzeria damascata sul muro, è un prezioso e leggero broccato, come se fosse il Santo Graal od un arazzo del Catai, fingendo la sordità, non parlando
–Oscar, continua così e non ti vorrà più nessuno, sei un pezzo avanti. Hai fatto ammattire tutti tra dispetti e cattiverie, le hai prese da tuo padre, dal maestro e …-
-E da mia  sorella- Aggiungo alla lista di Andrè.
-Che le avevi fatto?- Sbalordito.
–Nulla, le ho morso una mano e detto … - Sento le guance sempre più rosse, non oso ripertelo.

-Ecco, siamo a posto, non è un animale, Oscar, è tua sorella, magari avrai detto una cattiveria e si è arrabbiata-
Scuoti la testa e ti allontani, a volte è inutile starmi dietro, quando faccio in questo modo.
Se non aveva fame, stesse a digiuno, se non voleva parlare, pace, se aveva la luna storta inutile insistere, era tre giorni che andava avanti così, mi pareva di sentire la voce del Generale.
Cat.
Perché?
  •  
  •  
    Un colpo di tosse e faccio un salto, chi è sveglio a quest’ora? Mi giro e scorgo una grande pancia, mi impongo di non fermarmi.
    Cosa vuoi, esordisco, lei risponde, dove vai.

    Via, come se fosse normale, è prestissimo, un aprile radioso, Proserpina e Cerere distribuiscono i loro doni opulenti, i fiori è l’erba che spunta, come ho imparato bene i miti, vado via e non torno più, come tua madre.
    Già, ho delle monete, un cavallino e..
    Mia sorella sbuffa, Isabel sua nonna mi ha narrato che Gabrielle de Saint-Evit, sua figlia, prima moglie del Generale e madre di Catherine, evase dal convento nascondendosi in una cesta di biancheria, tornando poi a casa, uno scandalo senza precedenti.
    Un sospiro. -Guarda, Oscar, che lei voleva tornare a casa sua, quando scappò dal collegio, comunque, fai come credi-
    Si allontana di tre passi e io baratterei il mondo per abbracciarla ma non piango, un soldato, un monello non piange, io sono Attila, una peste, figuriamoci.
    - Scusami per l’altro giorno, non dovevo picchiarti.- E mette tre monete per terra, ti serviranno, aggiunge.
    Resto immobile per lo stupore.

    – Non mi dici altro?-
    Pausa.
    – Ho sbagliato a morderti e a dire che..-
    - Fermati, non dire altro, ho preferito dimenticare- Pausa
    - Magari ti sbagli, quando sarà nato, potresti vedere se avessi o meno cura di te. Tranne che così.. se te vai, non lo verrai di certo a sapere. Pensaci.-
    - Come no, dici tanto per dire-
    ti sfido e pure hai compreso.
    hai dato voce al mio timore.
  •  
  • Gelosia, quel tuo figlio avrebbe avuto per diritto quello che mi davi e .. non ci sarebbe stato più posto per me.
    Mi schizzava dentro come un veleno…
    E sapevo che non era giusto, in fondo lo sapevo, senza sapere dei precedenti.
     
    Comunque, una tregua precaria, ero in collera e per un pezzo le proibii di toccarmi né volli toccarla, tanto sarebbe arrivato il suo bambino e per non ci sarebbe stato posto, tanto valeva abituarsi e dimostrare che avevo ragione..


    Amazzoni, Diana cacciatrice, Atena, Giovanna d’Arco, ma il rogo non mi piace,sono tutte storie che adoro e te le faccio raccontare fino allo sfinimento.
    E ti chiedo se tuo suocero, don Juan Fuentes, giungerà presto, in questa primavera, accompagnato da Felipe, che sarà il suo valletto.

    - FELIPE!
    Un ragazzino di dieci anni contro il tramonto, alto e dinoccolato, con gli occhi scuri, come il miele di castano, che amo mangiare, che mi abbraccia, al diavolo tutto, facendomi roteare in aria, il mio primo amico.
    • Sono qui,
    • Vedo. Giochiamo?- Non indietreggio e ti stringo, una mano ancorata al gilet, l’altra alle costole. Ti guardo, con incertezza, sei tu ma non sei tu, mi sembri più grande e maturo, anche se ci separano solo tre anni, tu sei nato nel dicembre 1752, io nel 1755.
    • Certo, ma ti racconto del castello e del tuo capriolo, lo so che era tuo, me lo hai affidato che era un cucciolo ma credo che ancora ti aspetti.
    • Come no, Felipe, non dire scemenze- E osservo che i tuoi occhi hanno la consistenza dell’onice scuro, le ombre che cadono, almeno tra me ho di questi pensieri.
     Ogni tanto ti aggiorno su Felipe, Juan, allenamenti, marachelle, tranne che ti giro al largo, la confidenza che c’era prima pare essere morta, intravedo il movimento delle mani che vorrebbero stringermi ma non oso.


    Ci troviamo ogni pomeriggio, verso le tre, ci alleniamo e giochiamo, pirati, nomadi, conquistatori del nuovo mondo, comando io, Oscar, chè siamo a casa mia, poco mi importa che Andrè e Felipe regni più la sopportazione  o il divertimento per i miei modi,
    – Ti ho trovato, devi contare tu, dove vai?- Mi ha buttato per terra, senza complimenti, schizzando subito via, dico, è scemo?, eppure il nascondino gli piace.
    -Cosa è successo?-Torno da un giro solitario, sono le sei, Felipe mi appare stralunato. E in giro ci sono poche persone, in cortile, dico.
    – Che è una stupida-
    In spagnolo, come se non sapesse che lo comprendo, come a chi si riferisce. Anche se giro al largo e lei non deve essere nulla per me.
    –Perché?-
    Chiedo ora, dopo avergli fatto un occhio nero, ma lui mi blocca la mani, una torsione delicata e decisa.
     – Finiscila, Oscar, non è aria, il bambino sta arrivando, è presto e c’è da preoccuparsi, è in anticipo di un paio di settimane, stupida perché vuole fare sempre di testa sua, lo sai. Se ti interessa, si può anche morire di parto e.. in caso di problemi, ha detto che la precedenza va al bambino.- 
    Toglie le mani
    -Tanto.. lasciamo perdere.- Poi capisce di avere esagerato e mi passa un braccio sulle spalle. Lo lascio fare, nemmeno protesto.
    - Non ti preoccupare, andrà bene, ma potevi essere … meno rude. Le donne incinte sono suscettibili. Dai, Oscar, andrà tutto bene, tua sorella si è scocciata di buttare boccioli di rose bianche nella corrente-
    -Sicuro?- Che dici delle rose, che ti è scappato di bocca?
    -Sicuro-
    Una mezz’ora,credo, poi la porta sbatte sui cardini e compare mio cognato Xavier, sorride e gesticola.
    Felipe lo abbraccia, dice che è un maschio.
    Li vedo appannati, strano, ma non piove.
    Aggiungono ancora delle cose in spagnolo, ma capisco.....
    – Stasera no, che è stanca. Ora vieni a dare un’occhiata a tuo fratello, sta bene, aveva solo una grande fretta.-
    -Padre, è tutto a posto, vero?- -
    - Sì, mi hijo- .
    Mi sento di un’idiozia fulminante, oltre che di una cattiveria senza fine.
    Quella sera, Felipe mi chiese scusa a modo suo, inventando una balla per l’occhio nero, non disse che glielo avevo fatto io, poi, atteso che nessuno ci badava, mi venne a spiegare.

    Già, tua sorella non ti ha detto balle, lo sapevi che mio padre era un nobile, te lo ha detto, no, ( sì, tranne che mi sentivo un perfetto imbecille a non capire chi), mi hanno dato un’opzione, potevo finire in orfanotrofio o essere tormentato fino alla morte da quegli imbecilli, come ben ti ricordi, ora ti spiego del mio cognome, Moguer. 

    Dunque, fu il primo appellativo dei signori di Ahumada, poi due fratelli, sotto Carlo Magno, combatterono con valore e lui assegnò al primo il titolo di marchese, il secondo ne ebbe un altro, ebbe poi delle terre, ma scelse di chiamarsi Fuentes, per differenziare. Verso il Mille, il ramo di Ahumada aveva una ragazza Moguer, la sola erede, che sposò un Fuentes, ricongiungendo i due rami, da allora ci sono stati solo i Fuentes..

    … ma quando sarai grande torneranno i Moguer-
    Avevo capito, ma a me non importava, era mio AMICO e glielo dissi,
    Felipe fece una smorfia amara, in fondo anche io sono un Fuentes a metà, peccato che mia madre sia una contadina, e io un bastardo, comunque, se vuoi un consiglio fai pace con tua sorella, per te stravede.

    Feci cenno di no con la testa, poi gli chiesi perché il bambino si chiamava Xavier Francisco.
    Lui si mise a ridere come se avessi detto una spiritosaggine, poi mi fece riflettere. Il mio secondo nome è Francois, appunto, Francisco è la versione spagnola, sfiorandomi una spalla, mentre traduceva, se era una bimba Francisca era il primo appellativo.
    Mi sentii orribile per la seconda volta in quella giornata.

    Mi affaccio di malavoglia nella stanza, le mie sorelle in estasi davanti a un prodigio, un neonato che pesa circa tre chili, paonazzo in volto, che Cat scruta come se fosse un tesoro, una meraviglia, che custodisce gelosa  tra le braccia, nemmeno fosse un tesoro, appunto, senza fine, come il rosso oro dei Nibelunghi.
    Come no.

    Ci ho provato, ma non credo che per me ci sia posto, però, in fondo mi manca, ma tutti pensano al bambino, a me pare solo una ranocchia.
    Quando si alza dal letto, dopo circa una settimana, per una passeggiata, la seguo in giardino.
    – Dai, Oscar, finiamola, vuoi fare pace?-
    Strinsi le spalle.
    – A me sono saltati i nervi…-
    -Io ti ho detto una cosa orribile-
    - Ti ho dato una sberla, magari abbiamo pareggiato, no? Comunque, scusami-
    -Eh????
    –Ti posso toccare? Se non vuoi, no-
    L’abbracciai, stretta, poi dissi che era mia.
    – Non funziona proprio così, ma se serve a tranquillizzarti, va bene. –
    Annuii.
    - Ora hai più di sette anni, magari possiamo fare un patto… Io non alzo le mani o la voce con te, MAI PIU’,o ci provo, le mani mai più, per le arrabbiature bisogna lavorarci parecchio, però Tu se qualcosa non ti torna prova a dirmelo, a voce, in maniera calma, senza calci o morsi. Ti va?-
    -SI’- 
    Poi- Perché? Io ci guadagno in ogni caso-
    - Perché ti voglio bene e non sbuffare, questo è quanto, e so che me ne vuoi anche tu, inutile che scuoti la testa ed arrossisci, anche se a parole penso proprio che non me lo dirai-
    Feci una risatina imbarazzata, contro il suo collo, quanto mi sei mancata, torno a casa dopo un esilio, Cat-
    -Chi lo sa-
    Poi- Cat, una cosa, il tuo bambino sta bene, vero?-
    - Sì-
    Contro la  spalla - Fagli un  fratellino o una sorellina con cui giocare, Felipe per lui è un po’ troppo grande-
    Mi fissi stralunata
    – Così possono giocare insieme e qualche volta Tu puoi giocare con me- -
    Non è una cattiva idea, ma serve un po’ di tempo-
    Ridi.
    • Ci penseremo, va bene, amore mio?
    • Io amore?
    • Sì. Sei il mio amore, Oscar, va bene?
    Non replico.
    • Vieni qui, dai.
    • Non va bene … io…
    • Tu sei come sei, va bene?
    • Cat.
    Nessuna differenza, mi raccogli in grembo,circondandomi con le braccia, ti sfioro, sai di rosa e di arancia.
    Poi capisco.
    Mi vorrai sempre bene.
    Anche se hai un figlio.
    E ne avrai altri.
    Io per te sarò sempre importante, mi guarderai sempre a prescindere. 
    Maman.
     

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    Capitolo 4
    *** Song of Sword ***


    Summer 1763
    -E’ caldo.
    - Ottima constatazione.- la camicia appiccicata alla schiena per il sudore, i movimenti fiacchi, un lungo dopo pranzo estivo. Tutto fermo o quasi, tranne il frinire ossessivo delle cicale.
    - Ho sete. - Scosto una ciocca dalla fronte di mia sorella, che mi invita a fare un pisolino, per far passare il tempo.
    - Bevi.
    Lei si sdraia di fianco, sul divano, i movimenti agili e sciolti, il busto non le porta quasi mai se non nelle occasioni ufficiali, vestita alla Creola, alla fine fa come vuole a prescindere.
    Suo figlio è nato questo aprile e nel giro di poco è tornata snella, anche se ha rilevato che la gravidanza le ha allargato la vita ed i fianchi.
    Ha fatto anche un gran petto, che, in barba a ogni tradizione e costume, allatta il bambino, almeno di giorno, di notte una balia.
    Io lo chiamo Xavier II per distinguerlo da suo padre, mio cognato.
    Non rispetta regole o prescrizioni, se non quelle che decide lei, altro esempio quando si è alzata dal letto trascorsa appena una settimana dopo il parto, quando dovrebbe essere almeno venti giorni.
    Come promesso, ha riniziato a cavalcare Tintagel, il suo possente cavallo nel giro di un battito, tranne che qui non ribatto, visto che spesso andiamo insieme.
    • E ora che fai?
    • Dormo, no, tanto c’è posto.
    • Che ridi?
    • Dici di avere caldo e poi mi vieni addosso, aspetta, hai una chiacchiera che porti via –
    Fa scivolare un braccio sulle mie spalle per trattenermi e si gira, mettendosi supina, io sopra, l’aria soddisfatta di un gatto che ha mangiato la panna.
    Allaccio le braccia intorno al suo collo e mi rilasso.
    Il frinire delle cicale mi sembra quasi un concerto. Idea..
    • Catherine ?
    • Sì?
    • Mozart.
    • Che? Che vai dicendo?
    • Ha la mia età, quasi, è nato nel gennaio del 1756 e nel 1762 ha scritto il suo primo minuetto e un Allegro in si bemolle, che è un vero primo tempo di sonata in miniatura.- Mi fissa perplessa, potrei parlare di formule alchemiche e non mi seguirebbe, è stonata, ammettiamolo e negata a suonare ogni tipo di strumento, ricamare non le piace, pazienza.
    • Si lo suoni, hai molto orecchio per la musica e predisposizione.
    • Sai che si è distinto a suonare a sette anni dinanzi  alla regina d’Austria,  senza se e senza ma, mi piacciono le sue sonate estemporanee, composte sui due piedi, almeno si dice.

      In quella occasione era poi salito in grembo alla sovrana, fredda e severa con tutti, avvolto in una giamberga di moire e pizzi bianchi e  lilla, sbuffanti, con i galloni dorati, delicato e invadente, le  aveva dato un bacio e confessato di voler sposare la sua figlia più piccola, la principessa Maria Antonia, detta in famiglia Toinette, che era tanto cara e affascinate.
    Maria Teresa d’Austria si era messa a ridere.
     
    Il bambino prodigio aveva continuato i suoi viaggi musicali, con la famiglia, e si era esibito qui a Parigi, lamentandosi poi che la principessa Vittoria, figlia di Luigi XV non gli ha dato la stessa accoglienza di cui sopra.

    Dicono che sappia disegnare note in un batter d’occhio, come io so muovermi, una  spada in mano, con esatta armonia, netta e precisa.
    Chissà.
    • Oscar, che vuoi?
    • Ti prego, ti prego. – tanto con te sfondo sempre una porta aperta.
    • Informiamoci se sono sempre a Parigi e se fa qualche concerto, va bene?
    • E mi porti?ci porti?
    • Intanto informiamoci, d’accordo? E ora taci per un minuto?- In un tono fintamente severo.
    • Come fai a sapere tutte queste cose? – Osserva poi e io resto in silenzio.
    • Hai un talento strategico nell’origliare.- Ancora silenzio,  chiudo gli occhi e fingo di dormire.
    Quel pomeriggio, con Andrè ci siamo messi a costruire un aquilone, trafficando con le assicelle di bambù, la costruzione di carta di riso.
    A sera è salito il vento e, con uno strattone, ho liberato il mio uccello di carta verso l’orizzonte, che aveva i colori dell’ametista e dello zaffiro.
    I Mozart sono sempre a Parigi, sono rimasti per lunghi mesi e questo è uno degli ultimi concerti, annota Catherine, prima che passino in Inghilterra, dove risiede il grande concertista, Bach.
    Il padre, Leopold, è vice maestro di cappella del principe vescovo di Salisburgo, ha chiesto una lunga aspettativa.
    Anche la sorella maggiore ha un grande talento musicale e i due bambini prodigio si esibiscono spesso assieme, riscuotendo un grande successo.
    A tre anni batteva i tasti del clavicembalo, a quattro suonava brevi pezzi, a cinque componeva, tutte informazioni che aumentano la mia curiosità e la mia aspettativa.
    Il Generale, attualmente in visita presso le guarnigioni della costa, non avrebbe nulla da ridire, anche a lui piace la musica e …
    Diciamo che quando non ci sono lui e mia madre, riferimenti sono mia sorella grande e mio cognato, XavierI, e nessuno eccepisce nulla.
     
    Seta azzurra di Lione con lievi applicazioni di merletto di Alençon, le maniche suntuose, che terminano con ricche ruches di pizzi, che sembrano onde marine, perle tra i capelli scuri, intrecciati e rialzati sulla nuca, con appena una traccia di cipria, una piccola concessione dalla mia irriverente preferita.
    Per il resto, niente trucco o belletto, non siamo alla Reggia.
    Il ventaglio smuove l’aria.
    Per me, un completo verde, tutto coordinato, con una preziosa spilla di smeraldo a trattenere lo jabot, mio cognato è vestito di scuro, l’altezza che risalta ancora di più, che sorride osservando che è proprio curioso di sentire questo genio bambino.
    Andrè spera che i dolci del rinfresco siano buoni e, segretamente, alzo gli occhi al cielo, auguriamoci sia così.
    Il concerto si tiene nel pomeriggio, nella dimora parigina, in Rue Saint Honorè della contessa Tessè, una parente alla lontana dei Saint-Evit, la famiglia della mamma di Catherine, la prima moglie di mio padre.
    Pare che la Tessè voglia avere dedicata una suonata del piccolo genio, la modestia non è il suo principale talento.
    Una sala informale, come no, i lampadari sono di cristallo con le decorazioni di oro, nei tavoli sono inseriti preziosi intarsi di pietre dure, rocaille e rocaille dorate, specchi che riflettono trompe-l’oeil di uccelli e nuvole e ghirlande sul soffitto.
    Alle pareti scene di campagna, contornate da verdi tralicci di edere rampicanti e svariate sedie di seta preziosa, occupati da solenni inviatati e un clavicembalo e un violino devono essere suonati.
    • Signori e signori, ecco a voi…
    Pura e semplice meraviglia.
    Mi pare di volare, la testa appoggiata contro lo schienale.
    È più giovane di me di un mese solo e guarda che inventa.
     
    • Bravo.
    • Grazie. Tu come ti chiami? Mica si vedono tanti bambini ai concerti.
    • Oscar François de Jarjayes. Mi piace come suoni, davvero, Mozart.
    • Mmm. Io sarei Wolfgangus, come mio nonno materno,  e Theophilus, il nome del padrino, che poi sarebbe Amadeus, tradotto dal latino. Quindi Wolfgangus Amadeus Mozartus- Rido adesso, è in corso un rinfresco a base di dolci, ananas, cioccolato e altre rarità, il concerto è in pausa. Ha gli occhi castani, il parrucchino che gl ballonzola sulla testa e gli mancano due denti davanti, è buffo.
    I calici di cristallo tintinnano vicini.
    Siamo in un piccolo salottino, il vizio di esplorare non l’ho perso.
    • Mio padre mi chiama anche  Wolferl.- parla bene il francese, giusto l’accento è abbastanza buffo.-
    • Anche lui fa musica, è il mio maestro.
    • Il mio è generale e mi insegna a fare il soldato. Me la cavo, sai, con la spada.-
    • Fammi vedere.- mi passa l’archetto per il violino, fingo che sia un’arma.
    • Base di partenza e..
    Applaude e batte le mani. Gli spiego giusto due cose e annuisce, entusiasta.
    • Dove abiti?
    • In un palazzo poco distante dalla reggia, tu?
    • Ora in albergo, a Salisburgo in un appartamento in città…
    • La pausa è finita, ciao Oscar.
    E scappa ridendo, in sala l’esibizione continua e, un panno di velluto buttato sui tasti, suona veloce, con un ritmo travolgente, mentre vengono girate le pagine degli spartiti.
    Poi brandisce un archetto e suona il violino.
    Tutti applaudono e battono le mani.
    Questa è una magia.
     
    • Oscar, hai parlato con Mozart?
    • E tu come lo sai.
    • Ho visto che sparivi in un salottino e lui dietro.
    • Non ho fatto nulla e non ho fatto caso che mi osservavi.
    • Ti conosco, è una matematica certezza che vai in esplorazione.
    • A proposito di matematica, lo sai che lascia perplessi? Che viviamo su una sfera, come è possibile che ai Poli la gente non sia schiacciata?
    • Eh? Che ti vai inventando…
    Si accendono i primi lampioni e le prime stelle, la dolce notte estiva ha inizio, valuto osservando dal finestrino.
     
    Il giorno dopo è arrivata una consegna, per “Oscar François de Jarjayes”, un foglio legato da un nastro azzurro e un breve biglietto di accompagnamento, sigillato.
    -Per me?
    - Lo hai aperto? Te lo hanno consegnato.
    - E’ per te, Oscar, vai.
    - OH.
    Una breve composizione di W. A. Mozart, intitolata “Suonata della spada”, le note nette e precise.
    • Hai avuto in regalo quello per cui la Tessè ha pagato o pagherà, una sonata dedicata.
    • La puoi suonare sia al violino che al clavicembalo- annuncio poi, realizzando che i tempi e i movimenti paiono quelli della base della scherma, è una composizione veloce, molto vivace, come i movimenti che gli ho mostrato ieri. OH per davvero.
     
     

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    Capitolo 5
    *** City of Angels ***


    1763, late Summer .
     
    Fa ancora così caldo che sudiamo anche a respirare, annoto tra me, tu, Andrè, invece, sei perso a contemplare il paesaggio e vuoi che ti faccia il riassunto.
    Da capo.
    Marly venne fatta costruire dal Re Sole, una piccola dimora per sfuggire al protocollo della reggia, Mansart e Le Brun  i progettisti di questo capolavoro.

    Viali ordinati e edifici perfetti, aiuole variopinte e vasche d’acqua spettacolari fino agli ombrosi boschetti sono disposti con geometrica precisione dalla cima della vallata fino al grand abreuvoir à chevaux.

    Il castello ha la forma di quadrato, un solo piano, una terrazza all’italiana, piatte facciate dipinte con trompe-l’oeil con pilastri, corpi aggettanti, bassorilievi e quanto altro.

    Poi i famosi specchi d’acqua, fino all’abbeveratoio di cui sopra, sei a destra e sei a sinistra, ecco i dodici  padiglioni per gli ospiti, come i segni dello Zodiaco, al centro il castello, come il Sole, una idea scontata, visto che Luigi XIV era il RE Sole, o almeno così suole dirsi.

    Fisso le ruote delle quattordici grandi pale della Machine di Marly, il loro rumore giunge fino a qui.

    Possono pompare fino a quattro milioni di litri d’acqua dalla Senna non solo per il castello di Marly, ma anche per le fontane di Versailles, mi pare di avere capito.

    Un capolavoro di ingegneria, annoti, cercando l’ombra.

    Già, ribatto, riflettendo che a Marly morì il padre di Luigi XV, pochi giorni dopo il decesso di Adelaide di Borgogna, nata principessa di Savoia, erano stati delfini per un breve periodo, dopo la morte del Grand Dauphin, il figlio del re Sole, che fu figlio di un re e padre di un re, senza essere mai un re a sua volta.
    La nonna materna di mia sorella Catherine era stata sua dama di compagnia, di Adelaide di Savoia,che prima la Savoia era un ducato, poi è diventata un regno,  ma mica tutti lo sanno, e mi ha raccontato di questo e tanto altro.
    La duchessa amava ridere e scherzare, era arguta e divertente, osava salire in grembo al re a dodici anni come a venti, incantevole come una piccola ninfa dai capelli castani e le piaceva vestirsi di rosso.
    Amava la caccia, il teatro e le passeggiate a Marly.
    Era spirata con cristiana rassegnazione a ventisei anni, seguita una settimana dopo dal marito, lasciando un piccolo orfano di due anni, il futuro Luigi XV, sopravvissto alla madre, al padre e al fratello maggiore.

    Strappo un filo d’erba, con impazienza, l'aria colma del profumo di lamburni e gelsomino e lillà.

    Siamo stati a Versailles svariate volte, con fedele precisione mia madre non mi ha mai gettato  una occhiata, diciamo che non doveva inciampare nello strascico della dama che la precedeva, come no.
    Io ho imparato a memoria a guardare fuori dalle alte  finestre della Galleria degli Specchi, a più luci, divise da sottili colonne, a contare le fontane e gli alberi sempre verdi fuori dai vetri.
    I tamburi rullano quando il re e i suoi familiari si recano a messa, per tutto il tempo della celebrazione i coristi cantano, tutti guardano tutti, mentre il sacerdote officia la cerimonia e ben pochi lo ascoltano, quando solleva l’Ostia ognuno lancia occhiate al sovrano.
    Lo stesso a pranzo, in piedi ho osservato la tavola sontuosamente apparecchiata con le stoviglie in oro massiccio, tovaglia e tovaglioli sono in ricco damasco.
    Invece, la nef in argento è posta a lato della tavola regale ed ha una curiosa forma allungata. Contiene posate e salse e condimenti per il sovrano, è stata portata con cura e cerimonia e il maggiordomo vi  si è inchinato davanti, cosa che succede dai tempi di Luigi XIV, o che ne so, quando la Corte si trasferì a Versailles dalle Tuileries nel 1682 non vi ero di certo.
    Quando il maitrè d’hotel entra nella sala tiene in mano un bastone alto due metri, incorniciato da una corona di fiordalisi, ha quindi inizio il pasto, con il corteo dei vari vassoi con portate a non finire.
    L’appetito del Re Sole era leggendario rievoco tra me, per far passare il tempo riepilogo i suoi menù, giunti fino a noi, un esercizio di memoria per la posterità.
    Quattro zuppe ricche di spezie, pasticci vari, tartufi, fagiani, insalate, uova sode, frutta e  dolci a non finire, aveva un appetito da re, appunto, nonostante la mancanza di un pezzo di palato e di molti denti.

    A Parigi, accompagnati, a vedere Notre-Dame, con i suoi pinnacoli e le cascate di edera, i superbi rosoni, la Saint-Chapelle, dalle splendide vetrate, che raccoglie le sacre reliquie della croce, costruita da Luigi IX, a Piazza Saint-Ovidie, con le sue bancarelle dalle infinite mercanzie.

    Al Cafè Procope, abbiamo preso la cioccolata spolverata di cannella e panna, gelato in piccole coppe, una lieta merenda, una piccola digressione.

    Su Mont Saint-Genevieve, abbiamo contemplato la distesa della capitale, un tappeto sotto di noi, le costruzioni, le chiese e i campanili, il luccicare della Senna, eravamo in cima al mondo. Come dei navigatori in rotta sull’oceano.
    L’epoca dei cavalieri e dei pirati è finita, è possibile ricrearla?
    Cortesia e pazienza, pure mi devi spiegare il senso di questa veduta prolungata, che, poi conoscendoti, vorrai vedere le carte, i progetti, comprendere il funzionamento, ti piace costruire, usare le mani, capire in una parola.
    Chissà che ti inventerai, tu, hai davvero una grande pazienza, riesci a costruire un castello di carte come pochi,non hai mai fretta.
    Resto in attesa, fammi sapere.
    Almeno per ora.
    È la cinquantesima volta che fisso le pale e faccio la spola tra te e mia sorella.
    • Catherine.
    • Cosa vuoi,Oscar.
    • C’è troppo caldo.- Osservo il braccialetto che porta al polso destro, di oro e smalto azzurro, su cui battono i raggi del sole, creando una specie di danza di arcobaleni.
    • Mi spiace per te.
    • Dove è tuo marito?
    • È andato a fare una passeggiata …
    • A piedi..
    • Se i cavalli sono legati qui, che dici..
    • Meglio venire qui a cavallo che in carrozza.. – Annuisce e, con un piccolo scatto, un luccichio birichino negli occhi, mi butta sull’erba e comincia a farmi il solletico, favore che ricambio con devozione, poco importa di macchiare la chemise di lino, un braccio sotto la mia testa a giusa di cuscino.
    • Sei peggio di una bambina, Cat.
    • Ti stavi annoiando e ti ho dato un diversivo.
    • Già..
    • Al solito, perché mi devi smontare i capelli..
    • Perché sì.
    • Ottima ragione, tesoro.
    • Poi sei mia.- vorrei poter dire mia e basta, tranne che non è così. Annoto che ora si è inginocchiata e mi circonda leggera con le braccia, mentre io gioco con le sue  ciocche scomposte, venate da rossi riflessi, le tocco la spalla, il viso.
    • Sono fortunata, lo so- Semmai, è il contrario, la mia è una forma di stupidità, credo, i nobili delegano la cura dei propri figli a nutrici, governanti e istitutori, questo è l’uso, la regola e la prassi, tranne che con lei non è così.
    Mia madre è una dama di compagnia della regina, ha precisi doveri, altro che badare a me, come rileva il Generale.
    E guai se sapesse, o immaginasse, che mia sorella mi abbraccia, mi racconta le storie e via dicendo- non che mi faccia mancare i rimproveri se mi comporto male…
    È roba da smidollati, ma Catherine è testarda, cocciuta, irriverente, una spina del fianco, quando vuole, non si cura della moda e dei pettegolezzi.
    Un maschiaccio, ha chiosato più di una volta Marie, la nostra governante, quando era piccola era un tornado, sempre in giro, in movimento, si arrampicava sugli alberi, calmandosi in apparenza solo nella prima adolescenza.
    E sa tante cose, sfido chiunque a farsi raccontare i miti e le storie come fiabe della buonanotte, come fa lei con me.
    • Vuoi salire un momento su Tintagel?
    • Sì- Un cavallo di squisita potenza e velocità, un metro e settanta al garrese, che cavalca a uomo, che è da femminucce avere questa capacità?
    • Cat, che fa ora Felipe?
    • Penso che ormai sia arrivato al castello con mio suocero, farà la guardia al tuo capriolo, seguirà le lezioni, magari scriverà una lettera per raccontare le novità..
    • Non mi prendere in giro.
    • Io penso che farà queste cose.
    • Cat.- In tono esitante che precede una domanda inoppurtuna.
    • Sì, ti rispondo, chiedi pure, non mi arrabbio.
    • Come mai sei così buona con Felipe?
    • Buona, io?- alza le spalle, perplessa. I suoi occhi chiari sono sinceramente sorpresi, poi diventano freddi come un cielo di marzo.
    • Per alcuni è uno scandalo, invece tu..
    • Senti, Oscar, è una situazione di cui ho preso atto, inutile negare la realtà. Lui  è nato anni prima del mio matrimonio con suo padre, Xavier, prima ancora che ci fidanzassimo.. Lo so che sono discorsi da grandi, ma lui è tuo amico, giusto, è logico che domandi.. O forse no, per tante cose sei un veramente precoce, che arrossisci, è vero, mi sembra … giusto così.
    • Per il Generale è uno scandalo …
    • Oscar, nostro padre ha la sua opinione su tante cose, come io ho la mia, è un fatto, non una critica, bada bene, non mi permetterei.. tranne che ritengo equo fare così. Ho preso un cucciolo di capriolo orfano, predico tanto di compiere la carità cristiana, porto doni e aiuti agli indigenti e dovrei essere cattiva con lui? Ho tanti difetti, ma non sono un mostro.
    • Lo so- Il figlio che ha avuto questa primavera, dopo circa sette anni di matrimonio, visto che si è sposata nel settembre 1756, credo che sia stato atteso e desiderato, ma senza troppe ansie.. Mio cognato le vuole bene, ci arrivo anche io, e, in ogni caso, aveva già una sua discendenza cui tramandare il proprio titolo e patrimonio, Felipe, che, in ogni caso, non sarà lasciato indietro.
    Sono cose da grandi, giusto, tranne che lui è stato il mio primo amico e mi pare giusto sapere, fine.
    Mia sorella sorride, in punta di labbra, poi mi ripete da capo un discorso che mi ha fatto qualche volta, che ognuno è fatto a suo modo, non è una critica, solo una constatazione, appunto, che se lei è molto affettuosa con me, non mi devo offendere o restare male se non tutti lo sono, giusto.
    Annuisco, intanto si è rifatta una treccia veloce e io vado a distogliere Andrè dalla sua contemplazione.
     
    Mousse di fragole, bignè alla crema, frutta fresca chiudono la cena, con lentezza mi inchino e mi congedo e vado a riprendere il mio libro.
    Ne è valsa la pena, anche se nel secondo per me c’era troppo prezzemolo che mi si infilava tra i denti, Cat e Xavier hanno trattenuto a stento le risate, insistendo diplomaticamente, i sorrisi nascosti dal tovagliolo di fine lino con il raffinato monogramma di famiglia, ricamato in filo dorato.
    Nella luce ambrata della sera estiva, scorgo due amate figure vicino alla fontana, lei dice qualcosa, il lampo candido dei denti che balena per un momento, lui ride e le bacia una mano, accarezzando una manica del vestito di satin, di un pallido celeste che sfuma nel grigio.
    Lei si china in avanti e gli sfiora le labbra con un bacio leggero, le perle al collo e ai polsi che paiono piccoli frammenti di luna.
    Torno indietro, mi sembra di spiare.
     

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    Capitolo 6
    *** The (true) dragon ***


    Ottobre 1763.
     
    • Catherine, raccontami una storia di quando te e Luois eravate piccoli.
    • Perché, Oscar?
    • Per favore.
    Nostro fratello, nato nel 1739, di aprile, spirato di malattia nel novembre 1749, che hai amato e venerato, eri la minore, se voglio sapere qualcosa di lui posso chiedere solo a te, che racconti e non imbellisci.
    Ti raccogli, nel passato.
    Ecco Luois, tiratore di fionda, il biondo erede, il tuo prediletto, fosse vissuto io ci sarei? Scrolli le spalle, mi stringi forte.
    • Bilancia meglio il peso, così!- le mostrò il movimento, le luci  e le ombre che battevano sui visi, lui aveva i capelli dorati come il padre, erano vicini al laghetto a confine delle tenuta dei Saint-Evit e dei Jarjayes, rispettivamente, le famiglie del loro padre e della loro madre.
      - Divertita?A posto?-La canzonò
      –Tu continueresti fino a  domani, ma le bambole no?
      - Mi annoiano, vedi il lato positivo, signor fratello, ti affini, monsieur le Comte Luois Regnier Augustin de Jarjayes-
      Peggio di un maschio, era da un anno e coda che andavano avanti, un loro segreto, lui aveva ceduto, come sempre, stufo di richieste e piagnistei, salvo scoprire che era infaticabile.
      –Louis-
      -CAT-
      -Per te questo ed altro-
      Poi- Tanto ti diverti e ti sei evitato una punizione-
      Era quasi affogata per andargli dietro quella primavera, e lo aveva coperto, barattando il segreto con quello.
      “Va bene, ma poi non devi piangere o andare a lamentarti….Devi combattere, come un drago, meglio un dragone, intesi, Cat…

      E lei aveva mantenuto, incredibile come, quando voleva qualcosa, puntasse sul bersaglio, taceva  e non si lamentava, anche se la prendeva in giro, era davvero brava, una piccola Amazzone in fieri, un drago, una tigre.
      ….Quando eravamo piccoli, io cinque anni, lui andava per gli otto, ci arrampicavamo sugli alberi, lui tirava sassi con una fionda, ad un cane una mucca o all’orizzonte, non voleva, io insistevo, alla fine diceva sempre di sì, la mia preferenza per lui era quasi scontata, la sorpresa era come non si scocciasse di avermi sempre dietro.

      “Cat, ecoute una storia”, se le inventava, o riprendeva quelle di nostra madre …

      Quando si scocciava o litigavamo,non esistevano santi, me le dava quante ne reggevo e io ricambiavo con alacre solerzia, peccato perdessi quasi  sempre,  le gambe e le braccia piene di lividi, lui nero per i morsi e i calci tributati, magari mi aveva strappato una ciocca di capelli … Io sparivo per un po’, lui uguale, poi bastava un sorriso, una parola, giocare a scacchi o toccare il suo cavallo, Zephyre per passare sopra la questione. I nostri genitori si amavano, altro che, tranne che mia madre era una “ribelle”, lui un soldato, gli faceva sì sì, poi agiva come reputava più opportuno e lui … dipendeva.
    • Spesso si metteva a ridere, sennò si incupiva e lei lo portava nelle loro stanze.. mia madre era una ribelle nata, la pensava a modo suo su tanti argomenti, i difetti compensati dai pregi.

      Non sempre, non comunque, dopo me erano nati altri due fratellini maschi, Leon era morto a tre mesi, Nicholas ad un anno, lei  ci sorrideva  sempre vedendoci, apriva le braccia, ma spesso e volentieri era  Papa a stare con lei, io stavo con Luois. Diceva che ero un uragano, una scocciatura, tranne che ero la sua migliore amica, eh?, il reciproco affetto era un sostegno…

      Una bambina, colma di grazia, con nuovi ardimenti e antiche paure, ogni stagione aveva i suoi riti e le sue meraviglie.
      In primavera le corse sui prati, disboscando poi le aiuole di rose e narcisi per sua madre.  Con il fratello gareggiavano a chi resisteva il più a lungo possibile su un muretto, a braccia aperte.  In estate (per evitare altri accidenti, le aveva insegnato a nuotare), in Normandia  era il gusto del sale sulla pelle, contare le barche che rientravano le sera, le stelle. In autunno affidava messaggi agli stormi di uccelli migratori, in inverno osservavano le fiamma che guizzavano, rabbia alla rabbia e cenere alla cenere. Intanto, come  volevasi dimostrare, Catherine continuò ad esercitarsi con la scherma (e dopo ho continuato, per anni, in segreto le mosse).
      E la curiosità di conoscere, avida e golosa, l’amore per i libri di viaggi e le lingue straniere. E…-
      - TU SEI UN MASCHIO MANCATO!Altro che storie, aveva arrotolato le gonne e montava ad uomo….

      -Poi non ti venire a lamentare se cadi e ti fai male
      —Va bene, ma ti risulta l’abbia fatto ultimamente?- Con sufficienza.
      Novembre 1749, i lutti e le sciagure toccarono il Generale, perse moglie e figlio per la difterite, una  catastrofe che lo svuotò, facendolo diventare di ghiaccio e pietra, un morto vivente, senza veri sorrisi o tenerezza.
      .”…Basta  chiedere, non torneranno più, capito, vuoi capire?
      ”NO”
      ”Sei stupida o cosa, ai funerali c’eri..”
      ”BASTA!” Questa era Isabel, l a nonna materna, la madre di Gabrielle, la prese per mano, preoccupata che la bambina non piangesse, fosse fredda e  muta dopo quei discorsi…

    … Nei tempi remoti, viveva nelle terre di Tule, che dicevano essere l’ultimo confine conosciuto degli antichi regni, viveva, appunto un drago, verdi come smeraldi le sue scaglie, rossi gli occhi, una coda lunga venti metri, con ali per volare da un confine all’altro del regno, ne era il custode, un guardiano. Era immenso, forse il più grande esistito in quei luoghi, e nel passato e nel futuro..

    - La storia del dragone l’avevi già inventata ..
    •  La inventammo io e lui, Oscar, poi te l’ho regalata e hai deciso tu delle cose, come il capriolo- La voce sottile come la punta di un diamante.  Le palpebre socchiuse, che andavi rievocando? Taci, sei nelle ombre.

      … un novembre da in incubo, il generale aveva pianto, spaccato non so quanti mobili in biblioteca, dopo avere sfilato la fede dalle dita gelide della contessa, straziato, impotente, per sempre fedele a Gabrielle, in quella vita e in quelle che sarebbero venute. Avevo approfittato del caos per andare da lui.

      -Ehi-
      Sfiorandogli un braccio segnato dai salassi, la stanza puzzava di malattia, il tavolo vicino alla finestre era pieno di medicinali, ampolle e bacinelle, il fuoco così caldo da svenire, nell'aria resti di pestiferi infusi. Era dimagrito da fare paura, il viso bianco come cera, carta, un petalo di camelia contro i candidi cuscini.

      -Vuoi che apra le tende? Vuoi dell’acqua?-
      Due cenni di assenso, i capelli biondi intrisi di sudore contro la mia spalla, mi permetteva di aiutarlo, era davvero messo male.

      -Che è successo? Non mi hanno mollato un momento, poi eccoti qui. La mamma? Come sta? MAMAN.

      - Si sta rimettendo-
      Gli servii la balla, pronta, diretta, ma lui non era stupido, osservò che ero vestita di grigio, il colore del lutto per un bambino e inventai che era morta una parente, era lucido e ci credette, o finse di crederci, non mi chiese specificazioni.

      Luois si stava imbarcando sulla leggendaria nave degli Argonauti, non verso il regno di Colchide, verso il ello d'oro, ma verso l'Ade, verso il fiume Lete, un sorso delle sue acque tuto fa scordare.
      - Cosa che devi fare anche tu, mi annoio senza di te- quel peccato l’avrei riscontato dopo, decisi, con gli interessi, le penitenze del prete e le sue bastonate, che importava.

      -Anche io mi annoio-
      Un piccolo sorriso - Almeno quando sono sveglio.. E dormo tanto.

      - Ti racconto una storia-
      Le dita intrecciate, avevo scalciato le scarpe e mi ero stesa accanto a lui, sul fianco,la testa contro la mia spalla.

      - Anche se in genere è il contrario-
      Sorrise.

      - Dunque, nei tempi remoti, nelle terre di Tule, che dicevano essere l’ultimo confine conosciuto degli antichi regni, o nel Catai, decidi tu, vivevano un re ed una regina, lui si chiamava Regnier e lei Gabrielle-
      Annuì, gli carezzai una ciocca fradicia di sudore, asciugando quello sul viso con la manica.

      - Lui domava i cavalli, come Ettore di Troia, combatteva tutte le guerre, vincendole sempre, mentre la regina ….-
      Parole su parole, tutte le avventure di questa vita così lunga le ho vissute per te? Volevamo vedere il mondo, conoscere nuovi posti, essere  parte del tutto, uniti come due foglie su uno stesso ramo.... ci sono riuscita, un poco?
      -I principi erano due, un maschio ed una ragazzina che a sentire lui era un maschio mancato, ehi, che ridi, comunque l’erede si chiamava Luois come te, era inimitabile, uno spadaccino di primo rango, nessuno lo batteva con la fionda, tirava i sassi come un …. Mito e aveva un grande coraggio-
      Che mi inventavo?
      - Cioè, quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, però almeno a quelle cose badava lei- Una pausa, intanto voleva un altro bicchiere d’acqua e glielo diedi, poi mi strinse, da capo, avrei giurato che capisse più di quanto volesse ammettere, e viceversa,per me- Comunque, alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. Ti piace lo so, quindi che è quello sguardo?

      - Hai scordato una cosa, questa la preciso io. – Le parole roche, mi sfiorò la guancia.
      - La principessa, Catherine, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era brava-

      -No-
      Allora mi stava davvero dicendo addio ….

      - Sai, magari, il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, alla fine diventerai il dragone della leggenda, IL VERO DRAGONE -

      Un cenno, era stanco e non ne poteva più, ma dai rumori capii che non potevo filarmela  e mi nascosi sotto il letto, sparendo per ore, approfittando di un cambio per andare via

      - Muoviti o ti beccano-
      Era ancora più diafano nello scarto di poche ore, ancora lo salassavano e stava sempre peggio.

      – Ciao a presto, rimettiti, ti voglio bene-

      -Ciao, ti voglio bene, a presto … dragone-

      Chiaramente, ne presi per quella sparizione, frustate, dato che non riferivo dove mi fossi infilata, tanto … se ne andò quattro giorni dopo, la febbre alta ed in delirio, quando ero in procinto di andarmene, novella sposa, il discorso cadde su quei giorni e Isabel mi raccontò che parlava di un dragone combattente.
    Di scenari incantati e regni lontani.

    Quando seppi delle segrete qualità di Xavier e Juan, mio marito e mio suocero, nessun dubbio, nessuna esitazione nel scegliere il mio epiteto, dragone, quando dissero che ero pronta. Sapendo, allora come poi ed adesso, nella distanza, che avrebbe definito quella storia una pazzia assurda, tranne che mi avrebbe seguito. Alla fine, l’ho sempre portato dentro di me. Lui era un combattente nato, non aveva paura di battersi e solo la marte lo ha sconfitto, nessun rimpianto, devo ricordarmelo, mio prediletto eroe.

    Ripresi a parlare dopo venti giorni, giusto un po’, per non far diventare matta Isabel,  mia nonna materna, che era venuta a stare da noi, lui era andato a fare un giro delle guarnigioni, mentre io mi abituavo, si fa per dire..il risveglio era una tortura, li sognavo e li rivolevo, poi smisi di piangere, a che mi serviva? Mio padre era sempre in caserma o alla  reggia, vedermi lo riempiva di dolore, però che colpa avevo, di somigliare a mia madre, tranne che negli occhi, che erano i suoi?  SOLA, e avevo otto anni…

    Sentivo che il generale beveva fino a stordirsi, cercando conforto in altre braccia, altre storie, avventure mercenarie, le era sempre stato fedele e ora?Definirmi silenziosa, scorbutica e lunatica era un eufemismo, lui invece era impeccabile nel gestirsi la carriera e la vita a corte. Presi tutto quello che potevo, sia di lui che di lei, oggetti, temevo che li avrebbe fatti sparire, come avrebbe voluto fare con me. Zephyre divenne il mio cavallo.

    Tuttavia, gli occorreva un figlio maschio e doveva risposarsi, impegno che lo entusiasmava poco, in quel novembre 1750, appena il tempo di finire il lutto stretto.

    E mia madre è stato il suo primo e ultimo amore.
    Gabrielle Marie de Saint Evit, la sua amatissima, la sua immortale, mito immutabile e perfettibile, visto che non era perfetta.

    - Catherine – Torniamo al presente, ci ho capito il giusto, eri con me ma lontano da me, insieme, nel passato.
    Allora questa storia viene da lontano e me ne hai fatto dono.
    La stanza è immersa nella luce del tardo pomeriggio, le foglie che battono contro i vetri hanno le sfumature di un caldo color bronzo e del lucido rame, sul tavolo un mazzo di fiori autunnali raccolto nei giardini, i petali tenui e delicati, la boiserie delicata nei colori chiari del bianco e dell'oro.
    Scruto un prezioso objet d’art giunto da poco, tanto per essere in tema.
    • Cosa è?
    • Un manufatto giapponese.
    • E’ rotto  ma come lo hanno rimesso a posto?
    • Vedi Oscar, in Giappone quando qualcosa di prezioso si rompe, riparano il danno, con l’oro, come questo piccolo tesoro comprato dall’antiquario, infilandolo nelle sbrecciature.
    Mah.
    È un DRAGO di giada verde, prezioso e fragile, con sottili rotture,  colmate di oro, un coccio, non è perfetto come i manufatti ospitati nelle stanze di mia madre, quando ci vado, devo sempre tenere le braccia dietro la schiena per non  rompere nulla, guai se lacche perdono di lucidità, eppure…

    Pelle di seta, ossa di cristallo, capelli di fumo, resta.
    Mia sorella, la mia incrinatura ..

     MAMAN


    Stai leggendo, pardon rileggendo l’Odissea, su un divanetto di damasco blu, quando ne esco con una delle mie.

    – Ah il viaggio di Ulisse, che torna a casa, giusto, dopo la guerra di Ilio-
    Prendo un sorso di cioccolata, spolverandola di cannella
    - Sai, i bambini spartani iniziavano l’allenamento vero per addestrarsi come prodi guerrieri verso i dodici anni, una variazione di Plutarco-
    Una panzana colossale, ma taci,me lo hai detto una volta che eravamo insieme, di questa storia, ma l’età sono sette anni, li ho compiuti, adesso a dicembre sono otto, ma .. vorrei una estensione.

    - Facciamo così anche noi?- 
    - Sì-

    Era l’ansia, Oscar, dicevi sei mia per rassicurarti, un senso di possesso, appena potevi venivi da me e viceversa, le dita sul polso, uno strattone alla manica.

      Insieme, restavi impertinente, cocciuta, impetuosa, un tuo nomignolo (non di mia invenzione, chiariamo) era Attila, e non lo gradivi.


    Pazienza, meglio quello delle maschere che rivestivi, dovevi diventare un perfetto “soldato” e la scuola del Generale era dura, rigore, disciplina, mai un lamento.
    Sapevi anche tante cose, ci rimasi quando mi raccontasti dei giardini dei semplici nei conventi, nel Medioevo, le erbe officinali ti piacevano e ci siamo divertite un mondo a fabbricare pomate per i lividi, qualche volta, tanto te ne procuravi in quantità esponenziale, come le essenze, per il bagno, non sia mai che ti venisse in testa altro. E mi volevi bene e viceversa, un amore immenso

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    Capitolo 7
    *** Slow ***


    Novembre 1763
     
    • Ti ho fatto qualcosa?
    • No, perché?
    • Mi rispondi male e io non ti ho fatto nulla, mi pare, lo hai detto tu pure.- Guardandoti da sotto in su.
    • Cose mie. Oscar, non mi scocciare-
    • Quali?
    • Cose mie.- quando era così, non davi retta, eri chiusa nel tuo mondo.
    • Non ti rispondo male, Oscar.
    • Non mi consideri.
    • E rispondi a scatti.
    • Vedi di fartela passare, preferisco le botte.
    • Sai che ..
    • Il motivo non mi interessa.
    Non è come mi hai abituato, ecco, anche se mi scoccia ammetterlo, ed è un magra consolazione che tu lo sia con tutti.
    Torno a fissarti, la tua treccia scura che balla e oscilla sulla spalla come un acrobata, gli occhi scuri, mi sottraggo alla tua carezza e vado a prendere un libro.
     
    Leggerei anche a tavola, il naso buttato dentro ai libri.
    La regina dette alla luce un figlio e lo chiamò Asterione, mi viene in mente questa frase di Apollodoro, mi pare sul leggendario Minotauro, e ..
    Un uomo con la testa di toro, od un toro con la testa umana?
    Boh.
    Ogni tanto la mia sorella preferita mi confonde le idee, credo che uno dei suoi divertimenti principali sia raccontarmi le storie e confondere come in un labirinto, appunto,  la regina si chiamava Parsifae e Asterione era il nome del lusus..
    Rido tra me, mi diverto a stare con lei, è un portento, riesce a cacciarmi le lingue in testa raccontando passo le storie in francese, poi passa all’inglese, parola per parola e traduce, l’ascolterei per ore.
    Come per lo spagnolo, anche se questo l’ho imparato quando avevo cinque anni o giù di lì, soggiornando al suo castello, cioè il castello di suo marito, sui Pirenei spagnoli
    Cioè il suocero di Cat è un marchese di quelle terre al confine, amico di gioventù del Generale mio padre, e i due ragazzi si sono piaciuti, racconta Marie, la governante di casa, un sussurro piccolo piccolo, erano vicini per età, poco importa che il matrimonio sia stato combinato.
    Li conobbi, due ragazzi contro un tramonto, senza strepiti o fanfare, che stavano bene insieme.
    Piaciuti, in principio, forse, ma ci arrivo anche io a decodificare che si vogliono bene sul serio, si sorridono e parlano tra di loro, mentre .. Il Generale è sempre cortese con mia madre, ma sorridono poco e lei è sempre a Versailles.
    Cat forse è l’eccezione, pure ..
    Torno sui libri, non ci voglio pensare, va bene così..

    Amore e Psiche.
    Dafne e Apollo.
    Tutti miti che mi piacciono, senza essere sdolcinati, un soldato, quale io devo essere non ha tempo per le mollezze.
    Appunto.
    Superbo è il mito della nascita della dea Atena, che uscì dalla testa di Zeus tonante, suo padre, già adulta e armata, pronta a combattere, l’ho fatta ripetere a Cat fino allo sfinimento, come la storia del dragone, la prima che mi raccontò..
    Cat, un nomignolo che le ho dato tanto tempo fa, un vezzeggiativo, Catherine era troppo lungo, forse, salvo scoprire che in inglese significa gatto.
    Ne ride, sostenendo che una persona che adorava la chiamava così.
    Già nostro fratello, biondo, leggiadro, un figlio perfetto e amato, una meta inarrivabile.

    E Cat, lei mia e soltanto mia, mi ha raccontato della fondazione di Atene.
    Atena era in competizione con il dio del mare, Poseidone, per diventare la divinità protettrice della città che, all'epoca in cui si svolge questa leggenda, ancora non aveva un nome.
    Si accordarono in questo modo: ciascuno dei due avrebbe fatto un dono agli Ateniesi e questi avrebbero scelto quale fosse il migliore, decidendo così la disputa.
    Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente. Questa avrebbe dato loro sia nuove opportunità nel commercio che una fonte d'acqua, ma l'acqua era salmastra e non molto buona da bere. Atena invece offrì il primo albero di olivo,adatto a essere coltivato. Gli Ateniesi scelsero l'ulivo e quindi Atena come patrona della città, perché l'ulivo avrebbe procurato loro legname, olio e cibo.
    Atena ha spesso con sé la sua civetta, indossa un mantello, realizzato con la pelle della capra Amantea,  chiamato egida, oppure era lo scudo?
    Da Omero in poi,mi racconta Cat,  l'epiteto di Atena più comunemente usato in poesia è “glaukopis”, solitamente tradotto come con lo sguardo scintillante o dagli occhi lampeggianti.
    Il termine è una combinazione di glaukos (lucente", "argenteo", oppure"blu-verdognolo" e "grigio") e ops (ώψ, "occhio" o talvolta "viso").
    Mi piace, come quando dicono che i nostri occhi sono dotati di un marchio atavico, distintivo, una particolare combinazione di azzurro.
    Una sensazione di  fierezza e libertà, un momento di requie, come quando contemplo le rose che, delicate, si inclinano sugli steli, appena percosse dalle gocce di rugiada in frementi albe, forse sono lacrime, buffo che ci pensi, io non piango mai, un soldato non deve piangere, vero, padre, un soldato non piange mai?.
    La lingua batte dove duole il dente, torno a mia sorella, quando ha questi umori è remota e distante, non ne ho l’abitudine.
    Che pretendo, poi?
    Dovrei stare lontano dalle smancerie, non ècomme il faut…., questa confidenza tra nobili non usa, lascia stare,,,
     
    • Aspetto un bambino, Xavier.
    • Che bello, mon amour..
    • Ho aspettato di essere sicura e ..
    • Quando arriva?
    • Dalla metà di giugno.
    •  
    Non era mia intenzione spiare, giuro, se mia sorella parla in cortile è logico che uno possa sentire.
    Loro nemmeno si accorgono di nulla, quindi continuo la mia rotta verso le stalle.
    NO.
    Però glielo avevo detto, di fabbricare un fratellino ouna sorellina per il suo bimbo, non credevo che fosse così… veloce.
    O no.
    Il bambino (ora non è più tanto una ranocchia) è nato ad aprile di questo anno e ora siamo a novembre inoltrato.
    Diciamo che la cicogna è un eufemismo, Oscar, ci vogliono circa nove mesi e la pancia cresce, una volta, a una mia osservazione.
    Idiota io, quella volta, a pensare che fosse ingrassata, a mia discolpa posso dire di non avere mai visto una donna incinta, nemmeno tra un a cameriera o una paparente, e né mai nessuno mi ha intrattenuto a spiegare questi misteri.
    Matematica, francese, storia, araldica, letteratura, chi più ne ha ne metta, la scherma, l’equitazione e la disciplina sono importanti, certo, ma i fatti della vita … a loro volta no?
     
    • Oscar, ehi.
    • Che ci fai qui?
    • Sono venuta  a farti un saluto…- siamo nella casa sull’albero, è stata costruita per dei bambini e lei deve stare leggermente piegata per non sbattere la fronte.
    • E poi?
    • Prima eri in cortile.
    • Non ti stavo spiando, bada, se tu racconti le cose tue all’aperto, è logico che qualcuno senta …
    • Oscar, Oscar, vieni qui, dai, non mettere il broncio.
    • Non mi devi coccolare.
    • Quando mai.- appoggia la schiena alla sottile parete di legno, io a mia volta mi metto contro di lei, giocando con il pizzo della sua manica. Nel mezzo del giorno si sta relativamente bene, non è troppo freddo.
    • Infatti, non è il caso.
    • E perché la luna brilla?
    • Che ripeti le domande che ti faccio?
    • Mi raccomando, fagli un fratellino o una sorellina con cui poter giocare.
    • L’ho detto, va bene.- però forse non lo pensavo sul serio. Ma non oserò più dirti le cose cattive che ti ho detto, mai più, è stata la sola volta che hai alzato le mani. Di punizioni dal Generale, dal precettore, da Marie, ne ho prese tante, più o  meno gravi, fino a perderne il conto o ricordare il motivo, come di schiaffi e tanto altro, invece …
    • Oscar, non ci pensare dai, a quello che mi hai detto, siamo a posto, va bene?
     
     

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    Capitolo 8
    *** Treasures- Heaven's gate ***


    Nota, il filosofo Hume visitò effettivamente Versailles durante il regno di Luigi XV, colloco qui la sua visita per mie esigenze narrative.
    Per la descrizione di Versailles come pozzo nero e dei suoi camini faccio riferimento alla biografia di Castelot, su Maria Antonietta, edizione Rizzoli, 1954, pag. 83 salvo refusi di cui mi scuso in anticipo.

    Dicembre 1763
     
    • Sta bene- Enuncio in tono compassato, da comando.
    • Usa così.
    • Appunto.
    • È il bambino più piccolo della casa che deve accendere la candela
    • Certo, tocca al piccolo Xavier, è il bimbo più piccolo della casa che accende la candela alla finestra, per guidare la Santa Vergine…
    • Un prezioso aiuto.
    Come no.
    Le varie usanze.
    I nastri rossi, intrecciati al vischio e all’agrifoglio, le preghieresussurrate, ma io ho una mia personale idea.
    Scruto l’albero, decorato da cristalli, festoni, preziosi decori, una profumata isola resinosa al centro della sala grande.
    A Natale si festeggia anche il mio compleanno, doppia festa e doppio regalo.
    Dico l’idea e si mette a ridere, se va bene a te, va bene anche a me, mi pare molto dolce.
    Non esageriamo.
    Mi chino sui talloni e appoggio il mento sopra la spalla do Oscar, che mi stringe una mano mentre con l’altra accende una candela, la fronte corrugata per lo sforzo.
    Intorno il fluire delle mie gonne di prezioso satin verde acqua, è stata davvero dolce, in un dato senso ha ragione a sostenere che il bambino più piccolo della casa è il mio quello che ho in grembo, anche se ancora non si vede.
    O non tanto, se mi metto di profilo, davanti a uno specchio, noto il ventre più arrotondato e i seni più pieni.
    Sto bene, anche se mi viene spesso sonno, nei momenti e nelle ore più impensate.
    • Era una idea, ma non dire che era dolce.
    • No, le tradizioni vanno rispettate.
    • Appunto.
    • E non mi prendere in giro.
    • Non oso, piccola tigre.- Un angolo della bocca si solleva  e  sbuffo, con le ginocchia a terra abbiamo i visi più o meno sullo stesso livello.
    • Invece stai osando, ma tu puoi.
    • Va bene, io mi metto un attimo seduta, Oscar, fai come credi.
    • Come voglio, allora…
    • Mi pareva strano.
    Le sciolgo i capelli, ridendo, sono scuri come onice, con rossi riflessi, mi piace immaginarla bella come una regina delle antiche leggende, dei miti.
    Le mie storie della buonanotte sono miti, e leggende e una miriade di fiabe, appunto, o le storie su bucanieri e pirati.
    Ha un suo modo splendido di raccontare, tutta luce e bellezza.
    La scruto, con intenzione, sfiorando con un dito la fascia di piccole perle che le adorna la scollatura.
    • Sei bella, sai.
    • Scura di capelli, con la pelle non perfettamente chiara, però..
    • Non sei leziosa, lo sai.
    • E poi è una constatazione.
    • La mia piccola tigre preferita, nonché unica- Precisa.
    • Che ha potenti artigli, mangia il cioccolato e adora le rose bianche, che quando vuole … fa le fusa come un gattino.
    Scruto gli iris dipinti in un quadro, sembrano piccoli araldi della primavera che deve tornare.
    È possibile riprodurre un prato fiorito con i fiori artificiali o la cartapesta,o tante altre forme ancora, come a volte fanno ai balli alla reggia.
    Catherine conserva una incisione, riferita a uno di quelli più famosi, dei Tassi, tenutasi nel 1745, come tanti altri per festeggiare le nozze del delfino, Luigi Ferdinando, con Maria Raffaella, Infanta di Spagna.
    Nome dato perché il Re e alcuni suoi inservienti erano giunti vestiti in guisa di cespugli sagomati da quelli animali, e il sovrano aveva parlato per buona parte della sovrana con una giovane donna, poi diventata la marchesa di Pompadour.
    Una scena divertente, credo, ma su quella incisione vi è una giovane donna, sul lato destro, che le somiglia, sua madre, la prima moglie del Generale.
    Le sfioro una guancia, mi informo se si è divertita, l’ultima volta che è stata alla Reggia, e ride.
    Ha pranzato al Grand Commun, la sala da pranzo comune del palazzo, ove si riunisce chi non ha il privilegio di vedere mangiare il Re o altri grandi personaggi.
    Mangi bene e la conversazione è stimolate, vi sono artisti, studiosi e scrittori, si discute di tutto e ha incontrato una persona interessante, un filosofo che si chiama Hume.
    • Perché interessante?
    • Perché non ha naso, ma meglio chiacchierare con lui che sentire le lagne più diverse, comunque mi ha detto che non mangia altro che ambrosia, beve nettare, respira incenso e poggia il piede che sui fiori.
    • È scemo- decido.
    • Versailles lo ha stupito, ma ..
    Versailles è una specie di pozzo nero, che profuma di sudicio e altre poco piacevoli amenità.
    I contadini dei villaggi intorno scaricano nei giardini la loro immondizie, dentro il palazzo i camini non tirano bene ed il puzzo di fuliggine si attacca addosso, ma, cosa peggiore, la gente fa i suoi bisogni dappertutto.
    Splendore e trascuratezza insieme, ecco.
     
    Ho disegnato una ipotetica mappa del tesoro, una mia coerenza personale, come quella di avere sotterrato i miei tesori, una trottola e un coltellino, questa primavera.
    Scruto uno dei regali ricevuto per Natale, un piccolo galeone di legno, con le vele di seta leggera, marinai, cannoncini di ottone, posato sul tappeto Savonnerie azzurro pare davvero sulla rotta dei sette mari..
    La luce combinata del fuoco e delle candele getta bagliori color ambra sulla mia nave …
    L’aria profuma del miele di cui sono composte le candele.
    Vediamo, dove andiamo?
    Ai Caraibi?
    Nel Nord America?
    Nel Mar Mediterraneo, come i pirati turchi …
     
    Prendo un sorso di infuso di rosa canina, è amaro ma mette forza, semplice ma di effetto, come questo fiore dai semplici petali rosa, che poi si trasforma in una bella bacca rossa.. Plinio il vecchio racconta che un soldato romano venne guarito dalla rabbia grazie a un infuso delle sue radici, da qui il nome …
    Tornando alle navi.. la cena della Vigilia è stata suntuosa, portate infinite, non se ne poteva più, antipasti, primi, secondi, carne di cervo ripiena di formaggio e castagne, timballi e via così, ma il dolce è stato un galeone, splendidamente modellato, che navigava su un mare di pistacchio bordato da spuma di zucchero..
    Sbadiglio e mi butto sul letto, dopo avere seminato tutti i vestiti, nei giorni di festa vige una piccola eccezione, vi è meno controllo.
    • Sei tu
    • Sì, Oscar, lo so che ti fa piacere.
    Appoggia una mano contro la mia fronte, poi si stende vicino a me.
    • Cat..
    • Mi piace il nome Nicholas, per il tuo bambino che arriva.
    • Potrebbe essere una bambina.
    • Va bene,  Nicolette, la versione femminile, ha acceso la candela …
    • Natale … San Nicola ..
    • Ti piace?
    • Sì, ma la candela la hai accesa tu.
    • Nicholas. O Nicolette.
    • Se un maschio … Nicky…
    • Ti voglio bene Oscar, davvero.- Sbadiglio e mi accocolo tra le sue braccia, buonanotte a tutti i piccoli.                                                                MAMAN.

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