Old, sad memories

di Hogwarts_Is_My_Home
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Newt è morto ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-L'arrivo alla WCKD ***



Capitolo 1
*** Prologo-Newt è morto ***


NOTE AUTRICE:
Salve a tutti, è la mia prima storia in questo fandom, e ovviamente non poteva essere che Minewt.
Anche se, sinceramente, la parte Newt è in nettissima minoranza.
Chiariamoci: li amo entrambi, soprattutto insieme, e li amo ugualmente. Ma in modo diverso.
Newt è un personaggio che, come a molte altre sarà successo, mi ha rubato il cuore dalla prima frase. E che ovviamente mi ha fatto piangere lacrime amare. Newt è il mio cupcake al cioccolato, dolce fuori e ancora più tenero all'interno, insomma, avete capito che non mi dispiace affatto e che se continuassi riempirei una pagina intera vomitando arcobaleni, unicorni e coroncine di fiori rosa. (Cosa che tra l'altro non è da me, ma Newt ha quest'effetto anche sul Signore Oscuro <3 )
E poi c'è Minho...
Lo ammetto, Minho non mi è piaciuto da subito. Non dalla prima riga, ecco. E neanche dalla seconda pagina. Diciamo dal secondo capitolo in cui compare in gran classe, preceduto dall'odore di gel per capelli che si sente da dieci chilometri e dalla propria aura sassy. Ma poi, una volta letto un po' di questo personaggio, una volta entrata nella sua testa...wow. Complice il ruolarlo in un GDR su Maze Runner, c'erano giorni in cui mi svegliavo e mi sentivo identica a questo personaggio. Totalmente. (Va bene, lo ammetto. Un po' meno fab.) Mentre leggevo, era come se fossi dentro la sua testa (Ma non come Thomas con Newt...Prometto che questa è l'ultima parentesi di battute peggio di quelle del soggetto di cui stiamo parlando e che da ora faccio la seria), come se capissi tutto quello che diceva e faceva. Come una sorta di connessione cerebrare. Una sola mente in due corpi, in due universi. Quindi lo amo in un modo in cui non amerò mai il mio cupcake, la cui psicologia e introspezione mi è più che altro sconosciuta. E quindi la storia è dal suo punto di vista, e può darsi che in giro ci siano dei miei headcanon su di lui o sul suo modo di essere e di ragionare...in tal caso, non fateci caso. (Oh, che bello! Ho fatto la rima. Ora niente più parentesi. Prometto. Stavolta davvero) Se vi sembra OOC nel modo di comportarsi, fatemelo notare: le critiche costruttive sono molto gradite. Ma se qualche suo pensiero non vi sembra tanto da Minho, non preoccupatevi della sanità mentale e della babbanaggine dell'autrice. È tutto parte di uno studio più grande, e vi giuro che-cosa insolita per me-ha tutto un senso.
Chiarito questo, vorrei avvertirvi che la storia è molto Angst. Io SONO l'Angst in persona. Tutto quello che scrivo-o almeno un buon 90%, è Angst o comunque ha un accenno di Angst. Role Angst. Long Angst. One-shot Angst. Storielle scritte ad avanzatempo Angst. Compiti in classe Angst. Liste della spesa Angst. E poi la cosa più Angst di tutte: i compiti di matematica.
Insomma, se non vi piace l'Angst, se volete qualcosa di più rilassante e tranquillo, non è la storia giusta. 
Per quanto riguarda la coppia, è una Minewt. So che questo significa che almeno un 99,9 percento di questo già non troppo vasto fandom eviterà la storia perché non è Newmas, ma niente da fare. Non tollero proprio la Newmas. Primo perché è sempre stata la mia NOTP-anche se ho dovuto sempre far finta di shipparla per non farmi segnalare dalle Newmas shipper inferocite-secondo per altri motivi che non è il caso di raccontare. Quindi, anche se so che dopo quello che ho detto molte di voi chiuderanno la pagina e che poi le peggiori mi segnaleranno all'amministrazione per qualche motivo assurdo- chessò, omofobia, nonostante la ship della storia sia Slash e io sia bisessuale- io dico la mia opinione. Non vieto a nessuno di shippare Newmas né sono "razzista" verso le shippers, purché restino educate e rispettose come tutti, nel fandom, dovrebbero essere, ma mi prendo la libertà di non shipparli e vorrei che evitaste di linciarmi. Detto questo, ripeto chiaramente: non troverete Newmas in questa storia.
E adesso, finalmente, smetto di tediarvi con queste chilometriche note e vi lascio alla lettura.
Recensite!


Prologo-Newt è morto.

Dodici anni dalle Eruzioni Solari
Porto Sicuro

Sono passati sei giorni da quando gli Immuni sono arrivati a quello che chiamano Porto Sicuro. 
Minho credeva di poter finalmente essere felice, adesso che poteva vivere la vita e non un esperimento. Di essere felice con Thomas, con Newt, con Brenda, con Teresa. Con la sua Sonya. Ma non è stato così. C'è qualcosa che oscura tutto il sole che avrebbe dovuto attenderli nella loro nuova vita. C'è una macchia che oscura quella felicità che in fondo Minho non credeva davvero di poter trovare. E questa macchia ha un nome: Newt.
Non può immaginarlo tra gli spaccati, non può immaginare qualcuno col suo cuore in mezzo a quei pazzi disperati, a morire a poco a poco, a sentire la propria sanità andare via. Senza cura. Minho non è stupido, non è illuso. Sa che anche se avessero continuato ad aiutare la C.A.T.T.I.V.O. npn ne sarebbe venuto fuori niente che non fossero le loro morti. Ma non può immaginare Newt che muore poco a poco mentre lui è al sicuro.
Questo pensa, mentre siede sull'erba di fronte all'abitazione di fortuna che hanno costruito. È solo e cupo, come i suoi pensieri. Lui che una volta sorrideva sempre.
Sente il fruscio dei passi di qualcun altro avvicinarsi. Si volta: è Thomas che viene verso di lui, ancora più cupo, lo sguardo basso. Thomas è forse l'unico che sta peggio di lui. Probabilmente per Teresa, che è morta per salvarlo, oltre che per l'abbandono di Newt. Minho lo sente urlare, la notte. Lo sente svegliarsi gridando e singhiozzando dai suoi incubi. Minho non ha incubi, dato che non riesce mai addormentarsi. Passa tutta la notte a piangere in silenzio, stringendo il cuscino, sperando che nessuno lo senta, finché, per sfinimento, cade in un torpore semi vigile senza sogni. Thomas è diverso. Lui dorme, sogna, geme di disperazione dal giaciglio poco lontano dal suo, e poi si sveglia urlante, terrorizzato, in un bagno di sudore. Singhiozzando, si guarda intorno per capire se Minho lo ha sentito, sicuro che lo prenderà in giro.  E Minho fa finta di niente, cercando di fermare le proprie lacrime. Sa che dovrebbe andare da Thomas, confortarlo, dirgli che lo capisce. Ma non ce la fa. Se lo facesse, dovrebbe dirgli che lo capisce. Dovrebbe fargli vedere che è debole, che soffre, che piange tutte le notti. E non ci riesce. E continua a fingere di dormire, divorato dal senso di colpa, finché il respiro di Thomas torna regolare e il ragazzo si riaddormenta.
Il suo amico gli si siede accanto, e Minho riesce a fargli un sorriso stirato, tirando fuori la sua maschera di finta forza e sarcasmo. -Allora, caspione, tu e Brenda vi state già dando da fare per ripopolare il mondo?-chiede.
Thomas si limita a guardarlo, forse chiedendosi come faccia a essere così tranquillo, forse invidiandolo, forse disprezzandolo. E Minho si sente morire dentro ancora un altro po'.
Si siede accanto a lui, in silenzio. Per una volta, anche Minho non dice niente.
Restano così, in silenzio, per molto tempo. Ma Minho non sopporta il silenzio. Anzi, lo odia proprio.
Così, dopo un sospiro colmo di tutta la disperazione che li avvolge come una cappa, riesce a dire:-Mi dispiace, Thomas. Ma...ma non è colpa tua.- Spera davvero che il suo amico non la pensi così riguardo alla morte di Teresa.
-Sì, Minho...è colpa mia. Sono stato io.-dice Thomas con voce rotta.
Minho lo guarda e vede che i suoi occhi sono pieni di lacrime. Gli si avvicina e, cosa del tutto insolita per lui, lo abbraccia. -Oh, dio, Thomas! Ma che dici! Non è colpa tua. Non sei stato tu. Non metterti in testa certe caspiate.-lo rimprovera dolcemente.
Thomas lo respinge. -Tu non capisci.-geme. -Oh, Minho, tu non capisci!-ripete urlando. Le lacrime cominciano a colare silenziose lumgo le sue guance.
-Va bene, magari non capisco. Ma ho visto tutto e non è stata colpa tua, chiaro?-
-Hai visto tutto?-Thomas sembra smarrito.
-Sì, c'ero anch'io all'entrata del Pass Verticale che ci ha portato qui. Quando Teresa...-non finisce la frase.
-Teresa.-singhiozza Thomas. -Anche lei è stata colpa mia.-
-Anche lei? Perchè, di cosa stavi parlando prima?-
-Newt...-poi Thomas non riesce a dire più niente. Inizia a singhiozzare disperatamente.
-Neanche l'abbandono di Newt...lì, al Palazzo degli Spaccati...è stata colpa tua. Non potevi più salvarlo, Thomas. È inutile che tu tenti di salvare tutti quanti: non puoi farlo.-tenta di consolarlo. I suoi occhi bruciano per colpa delle lacrime che tentavano di uscire. Passa di nuovo un braccio intorno alle spalle dell'amico.
-Minho...no...tu non sai...-Thomas tenta di dire qualcosa, tra i singhiozzi che si fanno sempre più violenti. Poi, finalmente, si placano, e tutto quel che resta della sua disperazione è un pianto lento.
-Minho, so che non potrai mai perdonarmi...neanch'io potrò...oh, caspio, Minho. L'ho ucciso.-Thomas geme. -L'ho ucciso io...con queste mani...me l'ha chiesto lui, era il suo ultimo desiderio. Voleva che fosse indolore, non voleva passare mesi di agonia a impazzire poco a poco...e me l'ha chiesto per favore. E io...io l'ho fatto.-Poi riparte a singhiozzare.
Minho si alza, atterrito. Guarda Thomas. Guarda le sue mani che hanno stretto la pistola, le sue dita che hanno premuto il grilletto, i suoi occhi che hanno guardato in quelli di Newt prima che la vita li abbandonasse. 
Non riesce a dire niente. Non riesce a consolare Thomas. Sa che è distrutto, sa che, in fondo, non è colpa sua e che ha fatto il meglio. La sua parte razionale lo sa. Ma quando si prova tanto dolore, la parte razionale ha poca voce in capitolo. E le emozioni che Minho ha represso per tre maledetti anni esplodono, come se il dolore avesse acceso una miccia. E Minho corre. Corre via, verso il bosco, lontano da Thomas, lontano dalla casetta che condividono con un'altra mezza dozzina di Immuni. Corre tra gli alberi, i rovi gli graffiano la faccia e le braccia, le foglie e i rami si impigliano nei suoi capelli e nei suoi vestiti, ma lui non se ne accorge. I suoi piedi incespicano in una radice che i suoi occhi oscurati dalle lacrime non hanno visto, e cade. Cade a terra e non ha la forza di rialzarsi. Resta lì, il volto appoggiato sulle braccia, e piange, urla, lascia che tutte le sue emozioni troppo forti, troppo violente lo travolgano.
È morto.
Non riesce ad accettarlo. La sua mente non riesce a formulare quella frase.
È morto...chi? Chi è morto? Dillo, Minho, forza. Affronta la realtà. Finiscila di mettere da parte qualsiasi cosa non siano le tue battute, la tua stretta sopravvivenza e la tua bellezza. Affronta le tue emozioni. Senti il dolore, per una volta nella vita. Newt.
Newt è...
Newt è m...
Non ce la fai, Minho. Sei il più debole. Il più debole di tutti, di tutti i Radurai, di tutti gli Immuni, di tutti gli esseri umani. Sei bravo solo a gestire il dolore altrui, i sentimenti degli stupidi che ti prendono come leader. E quando sei tu, in prima persona, a soffrire? Sei bravo a resistere al dolore fisico. Sì, sei bravo a offrirti di morire al posto degli altri. Ma che forza c'è in questo? Ammetti con te stesso che il dolore più forte è quello dei sopravvissuti.
Newt è morto. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-L'arrivo alla WCKD ***


Capitolo 1-L'arrivo alla WCKD

Due anni dalle Eruzioni Solari
Quartier Generale della WCKD


Era triste, nella mattina piovosa in cui vide per la prima volta la sede della C.A.T.T.I.V.O.
Sua madre era morta da poco, dopo tutti i suoi fratelli e suo padre. Lui era l'unico sopravvissuto. L'unico immune.
Questo lo aveva accertato il mese precedente l'odioso parente-di cui ancora non conosce il nome-che adesso stava guidando la macchina della quale era a bordo.
Aveva sei anni. Era solo un bambino, ma già si chiedeva come corazzarsi contro il mondo.
Con gli occhi seguiva le gocce di pioggia che cadevano sul finestrino e poi colavano lentamente, trasparenti ed effimere. Ma non le vedeva davvero. Era troppo preso dai suoi pensieri, pensieri del nero più profondo. Sua madre era morta. Come Jill. Come Micheal. Come Sophia. Come suo padre e la piccola Hilary. Era solo. Solo con l'uomo che sedeva sul sedile accanto, austero nel suo completo bianco. Gli ultimi mesi erano stati un inferno. Da quando lui era arrivato in casa, la vita del bambino era stata un test. Era riuscito a fuggire la prima volta: aveva corso come mai aveva fatto prima, si era rifugiato due o tre isolati più in là finchè sua madre non lo aveva ritrovato in lacrime. La volta dopo non aveva potuto sottrarsi. Era stato meno doloroso di quanto avesse pensato, e il risultato era stato che era Immune. E poi da lì l'uomo aveva iniziato a fargli altri mille tipi di test. Test del QI, test di resistenza fisica, test caratteriali e logici. Sua madre gli chiedeva cosa sarebbe successo a suo figlio. L'uomo le rispondeva che non gli sarebbe successo niente di male. E poi diceva una cosa strana: C.A.T.T.I.V.O. è buono. Così il bambino aveva iniziato a chiamarlo il Cattivo. E aveva iniziato a odiarlo per il modo in cui lo trattava: come una cavia, un esperimemto. A volte lo aveva chiamato "Soggetto". Ma soprattutto, odiava il Cattivo per come trattava sua madre. Quando lei urlava, strillava e si lamentava delle cose nella sua testa, la legava e la sedava. Ma il bambino aveva anche imparato che, mentre al Cattivo non importava niente se piangeva, vederlo ridere e prendersi gioco di lui lo irritava molto. E perciò rideva, trovava un lato buffo, un gioco di parole stupido, una storpiatura in tutto quello che faceva e diceva. Finchè un giorno, sua madre aveva avuto una crisi peggiore. Aveva urlato contro il Cattivo, gli aveva detto che non credeva alle sue fandonie e che non gli avrebbe lasciato torturare suo figlio. E poi aveva tentato di strappare i suoi fogli. Il Cattivo glieli aveva strappati di mano e la aveva spinta contro una parete. Poi aveva preso il telefono, aveva digitato un numero e pronunciato poche parole: -È allo Stadio Finale.- Dopo cinque minuti, due persone vestite da capo a piedi con delle tute verdi erano entrate nella loro casa e avevano preso sua mamma, ancora urlante, e l'avevano portata fuori mentre si divincolava. Il bambino tentava di restare aggrappato a lei, ma le Tute Verdi li avevano separati bruscamente e uno di loro lo aveva buttato a terra con un calcio. Lui si era subito rialzato e aveva battuto i pugni fino a scorticarseli sulla porta che si era appena chiusa su sua madre per l'ultima volta, finché, stremato, non era crollato a terra. Nel frattempo, il Cattivo era rimasto calmo e tranquillo, senza fare niente, osservandolo con attenzione e prendendo appunti sulle sue reazioni.
Da allora, il suo odio era cresciuto, così come il suo dolore. Ma invece di intristirsi, aveva fatto quello che sapeva che avrebbe irritato il Cattivo: aveva iniziato a ridere, prenderlo in giro e fare battute ancora più spesso. 
Dopo altri due giorni, il Cattivo aveva smesso di fargli test. Sembrava essere soddisfatto, infatti gli disse:-Per quanto tu sia irritante e infantile, i risultati dei test sono ottimi. Combaciano con tutti i parametri. Adesso dovrai venire con me, dove ti faranno altri test più specifici e alla fine diventerai parte del progetto della C.A.T.T.I.V.O.-
-Figurati se io dò retta a uno che neanche sa la grammatica.-aveva risposto lui, sfrontato.-Si dice il Cattivo, non la Cattivo.-
-Non perdo neanche tempo a spiegarti cose che non sei abbastanza intelligente per capire.-
-Ma nei test di intelligenza ho avuto un punteggio alto. È perché sono intelligente.-
-Magari hai barato.-
-Bisogna essere molto intelligenti per barare in un test di intelligenza. E in quel caso, non c'è busogno di barare. Ma non preoccuparti se non ci avevi pensato, bisogna essere molto intelligenti per arrivarci.-aveva ribattuto, sorridendo angelicamente.
A quel punto, il Cattivo aveva ringhiato, lo aveva preso per un orecchio e lo aveva caricato in macchina. 
Per questo, pur sotto il suo dolore, dentro di sé il bambino esultava. Il Cattivo non aveva saputo ribattere alle sue non troppo velate offese. 
In quel momento la macchina si fermò, e il Cattivo scese dalla macchina, facendogli segno di fare altrettanto. Il bambino obbedì, sapendo che se non l'avesse fatto l'avrebbe trascinato fuori di forza.
-Questa è la sede della C.A.T.T.I.V.O. E per favore, piccolo spocchioso, risparmiami le tue leazioni sugli articoli. Mi riferisco all'associazione chiamata C.A.T.T.I.V.O.-spiegò il Cattivo, indicando l'edificio davanti a sé. Era un grattacielo di un biancore splendido, anche se del tutto anonimo, quasi sfolgorante in mezzo a quella città in rovina. Guardandosi intorno, il bambino vide sangue e morte ovunque. C'erano persone ridotte in condizioni pietose, ferite, mutilate e purulente, e branchi di uomini inselvatichiti che se ne andavano in giro come cani randagi. In tutto questo, una minoranza di persone ancora normali si muoveva furtiva e impaurita, tenendo fazzoletti sulla bocca e sul naso, camminando lungo i muri oer non attirare l'attenzione.
-Muoviti.-lo chiamò il Cattivo. Dopodiché suonò un piccolo campanello sul portone di ferro del grattacielo. Non ci si metteva molto a capire perché non avevano una normale porta di legno o vetri, con tutti quei pazzi che andavano in giro. 
Dal citofono risuonò una dura e fredda voce femminile.-Identificarsi, prego.-
-Sono Joseph Lee. Ho con me il nuovo soggetto.-disse il Cattivo.
-Può passare.-rispose la voce. Poi la serratura scattò e il portone si aprì.
I due entrarono: l'atrio aveva le pareti dipinte di bianco, sulle quali si aprivano tre corridoi.
-Bene, ragazzino. Adesso io ho cose più importanti di te da fare, perciò ti porterò dove tengono tutti i soggetti che devono fare i test e me ne andrò. Ma ho un'ultima cosa da dirti: devi dimenticare il nome che ti hanno dato i tuoi genitori e il tuo cognome. Da oggi sarai Minho, il soggetto A7.-spiegò Joseph. Dolodiché si avviò a passo spedito verso il corridoio di destra.
-Minho? Ma che razza di nome è? È un diminuitivo di Minotauro? Avete intenzione di chiudermi in un Labirinto?-
Joseph si bloccò e lo guardò con uno strano lampo negli occhi. Fece un mezzo sorrisetto che "Minho" non seppe decifrare, poi scosse la testa, si voltò e proseguì.
Minho sospirò, esasperato. Poi fece una breve corsetta oer tenere dietro a Joseph. Non aveva motivo di ribellarsi. Dove sarebbe andato, dopo?
Camminarono lungo tutto il corridoio, poi svoltarono a sinistra e infine fecero una rampa di scale. Percorsero pochi altri metri di un corridoio e finalmente arrivarono davanti a una porta di legno con una targhetta d'ottone che recitava: SALA D'ATTESA SOGGETTI.
Joseph spinse la maniglia. La stanzetta era piccolina, con arredi moderni: due divanetti in pelle bianca e un tavolino basso di vetro, con sopra libri, riviste, delle bottiglie d'acqua e bicchieri di carta. Era vuota, tranne che per un bambino biondo all'incirca della stessa età di Minho che se ne stava rannicchiato all'angolo di un divanetto, a leggere un libro.
-Addio, Minho. Non credo che ci rivedremo mai più.-disse Joseph. Non sembrava che la cosa lo turbasse.
-Io spero che non succederà mai più.-ribattè Minho.-E se succederà, voglio essere abbastanza grande e forte da poterti spaccare quel muso schifoso.-ringhiò.
-Con te gli studi sulla Zona della Violenza funzioneranno alla perfezione.-si limitò a commentare l'uomo con tono distaccato. Poi si strinse nelle spalle e, dopo averlo spinto dentro, uscì.
Minho emise un gemito di rabbia. Che diavolo era quella Zona della Violenza?
Si voltò verso il bambino biondo. I suoi vispi occhi scuri li avevano osservati fino a quel momento, ma appena vide che Minho si voltava verso di lui subito si nascose di nuovo dietro il libro.
Minho rise. Forse era il caso di fare amicizia, anche solo per avere un alleato in quel posto.
-Guarda che ti ho visto.-disse, sedendosi accanto a lui.
-Parli con me?-fece lo gnorri il biondino.
-No, col tavolino. Dice cose molto interessanti.-lo prese in giro.
Il bambino chiuse il libro e lo guardò con gli occhi spalancati. -Davvero?-chiese.
Minho ridacchiò di nuovo.-No, stavo scherzando. Certo che parlavo con te, sei l'unica persona nella stanza.-
-Ah.-il bambino sembrava deluso dal fatto che il tavolino non parlasse.-Ma cosa mi hai visto fare?-
-Guardare me e il Cattivo che litigavamo.-disse Minho.
-Il Cattivo? Si chiama così? Pensavo fosse...non so, tuo zio. Vi somigliate.-
-È qualcosa di simile a uno zio. Insomma, un parente. Ma è cattivo, e poi dice continuamente che Cattivo è buono, quindi io lo chiamo il Cattivo.-
-Non sembra molto simpatico, no.-concordò il bambino.
-Tu hai idea di cosa sia quella cosa che ha detto? La Zona della Violenza o come si chiama...-
-No, ma anche un amico di mio padre la nomina sempre. Sai, lavora qui.-rispose scuotendo la testa.
-Sei anche tu un...Soggetto? È così che ci chiamano, no?-chiese Minho.
-No.-il bambino fece una risatina molto forzata.-Non posso essere un soggetto, neanche sono Immune. Ma mio padre dice che se sto a contatto con Immuni è più difficile che la prenda...sai, l'Eruzione. Quindi mi ha dato al suo amico, che mi tiene qui con sé.-
-Oh. Beato tu, almeno non hai dovuto fare tutti quei test odiosi!-esclamò Minho.
Il bambino biondo sorrise.-Non l'avevo mai vista così.-ammise.
-Non mi hai ancora detto come ti chiami.-cambiò argomento Minho.-Io sono...-esitò un attimo. -Minho.-disse infine.-O almeno, questo è il mio nuovo nome.-
-Papà non vuole che io dica il mio nome. Dice che se sanno come mi chiamo io poi possono arrivare a lui.-si scusò il biondino.
-Chi può arrivare a lui?-chiese Minho. Il padre di quel bambino e le sue fissazioni paranoiche iniziavano ad annoiarlo.
-Questo non lo dice mai...ma credo che intenda gli Spaccati. Gli Anti-Immuni. Quelli che odiano la C.A.T.T.I.V.O.-
-Ma a me puoi dirlo. Io sono Immune, e non direi mai il tuo nome a nessuno.-
Il biondino sospirò, e lo guardò a lungo. Poi, alla fine sembrò reputarlo sicuro.-E va bene. Mi chiamo Alexander.-
In quel momento, la porta si aprì, ed entrò un uomo alto, che ricordava vagamente un roditore.
-Soggetto A7, dobbiamo farti alcuni test.-disse.
-Ho un nome, sai.-rispose Minho con arroganza.
-Se preferisci...Minho, dobbiamo farti alcuni test.-l'Uomo Ratto non si scompose, e si limitò a mettere su un sorrisino odioso.
-Ho anche un nome vero.-
-Non più. Seguimi.-gli disse.-Tu invece finisci quel libro, aspetta qua. Presto dovrebbero arrivare i soggetti B4 e B6.-intimò ad Alexander.
-Sì, Janson.-rispose lui.
-Janson?-chiese Minho, incredulo.-Conosci l'Uomo Ratto?- 
-Sì, è l'amico di mio padre.-spiegò Alexander.
-Giusto, quello paranoico.-ghignò.
L'Uomo Ratto lo guardò con velato disprezzo e sbuffò.-Preferirei essere chiamato Janson.-
-E io preferirei essere chiamato con il mio vero nome. Quindi, per essere pari, per me sarai il Ratto Paranoico.-rispose Minho.
-Dovresti imparare il rispetto per i più anziani.-
-Se la smetti di chiamarmi soggetto, forse...ma no, uno con la tua faccia neanche in quel caso.-
A quel punto, sempre facendo finta di nulla, Janson posò una mano tra le spalle di Minho e lo spinse in avanti. Richiuse la porta alle proprie spalle, poi attraversò metà corridoio e lo condusse in un'altra saletta per i test.

NOTE
Sì, Alexander è Newt. Sì, Newt all'inizio non era un soggetto...non scandalizzatevi, lo diventerà. Ho aggiunto questo mio piccolo headcanon perché successivamente mi servirà per aggiungere una cosa che aumenta il phatos.
In quanto al nome "reale" di Newt, mi sembra che il caro zio Dashner lo abbia rivelato in un'intervista...se così non fosse, vuol dire che Alexander è un nome prodotto dal mio inconscio, così come, in parte, tutta la storia. Quindi who cares?
A presto, e recensite!

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