Long live the lioness di Lukeee (/viewuser.php?uid=845786)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo l ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 1 *** Capitolo l ***
Long live the lioness
PREMESSA (o meglio, sfogo)
Questa storia più che una storia è una dichiarazione di guerra. Una dichiarazione di guerra agli sceneggiatori. Perché ciò che hanno fatto negli ultimi episodi è semplicemente orribile. Capisco far progredire la storia, dinamizzare il tutto ma soprattutto con questo ultimo 5X10 hanno superato ogni limite. Scrivo queste righe a caldo e sono sospeso a metà tra l’incredulità e la rabbia. Sono partiti con l’infliggere a Sansa l’ennesimo ragazzino sadico, per continuare poi con il crudele e a questo punto inutile sacrificio di Shireen. Molti si sono incazzati di brutto per questi episodi, io sono riuscito a stento a sopportare tutto, sperando in un finale che mi avrebbe davvero emozionato.
Ma evidentemente non era abbastanza. No di certo, devi far finire rovinosamente Staniss (oddio non che sia uno dei miei preferiti ma dopo aver subito un tale lutto non puoi distruggerlo definitivamente in un episodio) e tenere in vita il cane Bolton…
E poi quello che sinceramente mi ha fatto andare su tutte le furie. Veramente non credevo ai miei occhi. La scena di Jaime e Myrcella è a dir poco perfetta, molto simile a come l’avevo immaginata io. Davvero mi sembrava un sogno, non credevo fosse possibile che avessero riunito così padre e figlia.
Ma bisogna essere stronzi evidentemente. Cos’è i bastardi biondi attirano veleno come calamite? Ho pregato che non fosse vero quando ho visto il sangue colarle dal naso. “No, non potete farmi questo”. Penso di aver svegliato tutto il palazzo urlandolo.
E poi il colpo di coda, Jon. Sinceramente ero impressionato a tal punto da non poter essere più colpito da nulla. Ma di certo questa è la morte che avrà maggior impatto, quella che più di ogni altra cosa sarà un fiammifero lanciato in una polveriera.
Ma uccidermi così Myrcella no. Non so chi di voi abbia letto le mie storie ma questo personaggio mi aveva davvero colpito, non so bene il perché. Forse il suo atteggiamento, forse il suo unico mix di insicurezza e orgoglio, forse il fatto che sia Cersei senza i difetti di questa. Non lo so. Forse è una somma di tutto questo. Mi hanno fatto affezionare a questo personaggio, hanno creato quello che per troppi pochi istanti mi è sembrato l’epilogo perfetto e poi hanno brutalmente distrutto tutto.
No, non me lo potete fare. Non potete far trovare a questa povera ragazza suo padre, farle provare la più grande gioia della sua vita, darle finalmente l’opportunità di abbandonarsi sicura senza pensieri a qualcuno di cui si può fidare ciecamente, che ci sarà sempre per lei, che sempre la amerà e poi ucciderla in questo modo. Poi sarebbe Twin quello stronzo.
Il nord non dimentica. Neanche io.
Scriverò su di lei perché davvero non accetto ciò che hanno fatto, anche ciò che hanno fatto a Jon è davvero troppo cattivo, ma molti altri scriveranno di lui.
Penso che la piccola Lannister meriti tutta la mia attenzione
Questo sfogo è durato fin troppo, scusate ma mi ci voleva. Ora comincio con il primo breve spezzone della storia, ovviamente sarà solo un assaggio. Un assaggio di felicità. In questa what if la giovane leonessa non muore. In questa what if, almeno per adesso, la giovane leonessa è felice. Felice più di come lo sia mai stata.
Questa qui sotto è solo la prima goccia, ma proverò a scrivere un oceano. Voglio rendere giustizia a questo personaggio, voglio darle ciò che davvero merita.
Spero davvero di riuscire a scrivere qualcosa di adeguato, di essere all’altezza e di renderle il giusto tributo. E di piacere anche a voi ovviamente.
Buona lettura e, sopratutto, long live the lioness.
Non ci credeva ancora.
Solo pochi giorni prima vedeva allontanarsi le sottili torri di Dorne all’orizzonte, mentre la nave scorreva veloce sulle chiare acque del sud.
E ora invece vedeva l’immessa mole della Fortezza Rossa avvicinarsi.
Lo spaventoso castello eretto dai draghi si faceva sempre più imponente e lei sempre più piccola di fronte a quella città che da così tanto non vedeva.
Sbatté gli occhi. Non poteva essere vero. Non poteva essere vero che lei fosse lì.
Girò leggermente la testa.
A fianco a lei gli occhi di Trystane sembravano persi nell’orizzonte, come se neanche quella gigantesca città riuscisse a distoglierlo dai sui pensieri.
Sorrise.
Non poteva essere vero che lui era lì con lei.
Si rese conto che tremava. Un misto di impazienza, incredulità, gioia, eccitazione, timore la attraversava.
Ma non si sentiva così bene da molto tempo.
Forse non si era mai sentita così bene.
Il capitano urlava ordini in un dialetto incomprensibile all’equipaggio mentre la nave filava liscia sulle acque nere della baia.
Guardò per pochi istanti gli spruzzi che si abbattevano sulla chiglia di legno chiaro della nave.
Ripensò a quei giorni di viaggio. Erano passati in un lampo, vissuti in trepidante attesa.
Quell’attesa l’aveva resa impaziente, ma l’aveva anche resa felice.
Non come ciò che era successo però.
Il suo pensiero ricadde su quel dialogo. Non ci credeva ancora.
Ma finalmente era riuscita a dirglielo, ad aprirsi con lui. A fare ciò che da tanto, troppo, sentiva di dover fare
Ad avere conferma di tutto ciò che da sempre, da quando aveva ricordi, l’aveva accompagnata. Quella parte di lei che le diceva che quelle voci non erano tali. Quella parte di lei che le diceva che il cavaliere biondo non era suo zio, era suo padre.
Ciò che aveva provato nel dirgli quelle parole e nell’abbracciarlo era nuovo, intenso, speciale. Per la prima volta aveva potuto abbandonarsi su di lui lasciando indietro tutto e tutti, senza pensieri e preoccupazioni, qualcosa di così comune per tutti eppure di così raro per lei. Per la prima volta in quindici anni si era sentita veramente serena, piena, protetta. Per la prima volta avevano potuto comportarsi per ciò che erano, non per ciò che dovevano sembrare agli occhi altrui.
Per la prima volta era stata davvero felice. Pienamente, totalmente, veramente felice.
E questo non aveva prezzo né misura.
Sorrise ancora.
L’uomo che amava era lì con lei e lo sarebbe stato per sempre.
Aveva finalmente trovato suo padre.
Ed era tornata lì, dove così a lungo aveva vissuto. Tornava profondamente cambiata, nel corpo, nel carattere, nei pensieri. Ma soprattutto tornava felice.
Le preoccupazioni per ciò che sarebbe accaduto dopo non avevano posto nei suoi pensieri. Ciò che sua madre avrebbe fatto o detto non contava in quel momento.
Si prese una ciocca di capelli tra le dita.
Il suo volto esprimeva serenità, calma, gioia.
Smise per un secondo di guardare la città che si faceva sempre più grande davanti a lei.
“Se la vita è un viaggio, in questo momento sono sulla strada migliore da percorrere”
Pensando questo uno spensierato sorriso le si dipinse sul volto.
E con questa convinzione in mente si preparò a ciò che sarebbe venuto dopo.
Nulla avrebbe potuto abbatterla, rattristarla, privarla di ciò che sentiva.
Nulla avrebbe potuto renderla triste.
Nulla le avrebbe impedito di assaporare ancora e ancora quella felicità tanto a lungo bramata e finalmente ottenuto.
Nulla avrebbe potuto impedirle di essere felice.
Long live the lioness
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Cap 2
Long live the lioness
“If
there is a light you can't always see
And there is a
world we can't always be
If there is a
kiss I stole from your mouth
And there is a
light, don't let it go out”
U2,
Song for Someone
L'impazienza si era
trasformata in frenesia appena avevano varcato le mura della Fortezza
Rossa. Tutti gli schemi, tutto quello che si era preparata in mente,
tutte quelle fatidiche frasi soppesate in quelle ore, giorni, mesi
erano svanite dalla sua testa. Si era promessa cento, mille volte di
non arrivare a trovarsi davanti a sua madre senza sapere cosa dire, con
ogni parola che le moriva in gola nel tentativo di dirle tutto ciò che
voleva dire.
Mentre percorreva quei corridoi
così carichi di ricordi troppo a lungo dimenticati ogni idea precedente
sembrava svanita come acqua al sole. Nulla di quei discorsi così lunghi
ed esaustivi che aveva scritto mentalmente era rimasto.
Ma nonostante questo non si
preoccupò. Ciò che sentiva dentro da giorni era troppo bello, troppo
nuovo, troppo speciale per permetterle di preoccuparsi.
"Quello che le devo dire è
importante e, essendo tale, mi verrà in mente."
Pensare questo rinforzò
ulteriormente le sue sicurezze. Si potevano dire molte cose su di lei,
positive o negative che fossero. Ma di certo non si poteva negare che
avesse ereditato la fine intelligenza dei Lannister, che tanto era
stata evidente in suo nonno.
Sorridendo leggermente continuò a
seguire il leggero e svolazzante mantello dorato della guardia che la
stava conducendo lungo quegli interminabili corridoi. Li conosceva così
bene un tempo, eppure ora le parevano così estranei, diversi e quasi
ostili.
Scalate le ultime ripide scale e
passate le ultime svolte il soldato si arrestò in un istante, seguito
da un tintinnio metallico. La cappa dorata la indicò al cavaliere dal
mantello candido che sostava fuori dalla porta di legno massiccio e
scuro. Non riuscì a riconoscere quella guardia reale, ma non era
necessario. L’uomo bussò energicamente alla porta, la aprì con un gesto
fluido ed elegante e, dopo aver guardato all’interno, le fece un cenno
con il capo.
Prese un lungo respiro mentre il
cuore accelerava e, guidata da una forza interiore inarrestabile, mosse
pochi passi e varcò la soglia.
La luce accecante del sole di
mezzogiorno entrava prepotentemente dalla finestra e la colpì in piena
faccia. La stanza era calda, molto calda. A quell’ora non tirava un
filo d’aria, eppure lei parve non accorgersene. Con gli occhi socchiusi
per riuscire a sopportare una tale luce distinse a malapena una figura
rossa di spalle al centro della stanza. Avanzò ancora, quanto bastava
per riuscire a vedere con chiarezza.
Nel vederla finalmente le mancò il
respiro. Il tempo sembrò arrestarsi, in un unico interminabile ed
incredibile istante.
Non ci credeva, eppure era vero.
Era lì per davvero, non stava sognando.
Ma non riuscì nemmeno a pensare
cosa fare, se avvicinarsi, parlare, restare immobile, che lei si voltò.
La coppa di vino che teneva in mano
finì a terra con uno schianto metallico.
Gli occhi si spalancarono.
Il viso si contrasse nella sorpresa
più totale.
Rimase immobile per istanti che
durarono secoli.
Il momento tanto a lungo sognato e
aspettato era finalmente giunto.
Si guardarono negli occhi.
Occhi verdissimi e pronti a lasciar
andare lacrime troppo a lungo trattenute.
La regina provò dire qualcosa, ma
dalla sua bocca non fuoriuscì alcun suono.
Con il viso già rigato da un pianto
liberatorio rimandato troppe volte Myrcella mosse pochi rapidi passi
verso quelle braccia pronte, ora come sempre, ad accoglierla.
Si strinsero l'un altra, decise a
dimenticare, anche se solo per poco, tutto il resto, tutti gli altri.
I loro capelli si mischiavano
indistintamente nascondendo quei volti che erano finestre su ciò che
stavano provando.
Rimasero così a lungo, senza
bisogno di parlare. Abbracciarsi, dopo così tanto tempo, gli bastava.
Ma poi, dopo aver trovato un briciolo di forza per parlare, poche
smozzicate parole fuoriuscirono dalla bocca della madre.
"Non mi ero mai resa conto di
quanto mi fossi veramente mancata fino a poco fa"
Dicendo questo, la strinse ancora
più a sé.
"Ho avuto tanta, troppa paura di
perderti. Quando è arrivata quella testa di vipera..."
Le lacrime continuavano a scendere
lungo le sue guance, mentre accarezzava dolcemente la schiena della
figlia.
Le idee che accompagnavano Cersei
fin da quando era una ragazzina, quella che le donne fossero esseri
deboli, completamente inermi e che lei fosse l'unica eccezione passò in
secondo piano. I suoi figli erano la cosa più importante e qualsiasi
altra cosa non contava nulla in confronto.
Myrcella giaceva silenziosa sulla
spalla della madre, con la faccia affondata nel suo vestito e gli occhi
lucidi di felicità ed emozione.
Quando era a Dorne, superati i
primi difficili mesi, era riuscita a convivere con la separazione da
sua madre. Si era sentita libera, senza qualcuno che la assillasse
continuamente. E si era resa conto di tutti i difetti della regina, di
quell’odio che si portava sempre dentro. Non la capiva e si era
promessa che sarebbe stata diversa. Molto diversa.
Ma ora, stretta a lei, capiva di
aver fatto molti errori. Sua madre di certo non era perfetta, ma di
certo la amava con tutta sé stessa e sapeva benissimo quando fosse e
sarebbe stata importante per lei.
“Eviterò di togliermi ancora quel
ciondolo…” disse con una punta di ironia.
Riuscì a strappare un sorriso alla
regina.
“Ma quello che conta è che ora sono
qui. E sono felice di essere tornata”
Si staccarono lentamente. Ripresero
a guardarsi negli occhi.
Sua madre la fissava con uno
sguardo che lasciava trasparire tutta la sua incredulità, meraviglia,
sconcerto. Probabilmente le sembrava di rivedere sé stessa vent’anni
prima, come se un fantasma fosse tornato dal suo passato.
Le prese le mani, tornando a
guardarla negli occhi. Inghiottì a fatica gli ultimi residui di quel
lungo pianto liberatorio e trovò nuovamente la forza di parlare.
“Ho mandato a Dorne una bambina…”
Fece un lungo respiro, carico di
nostalgia ma anche di felicità.
“E mi vedo tornare indietro una
donna”
Myrcella abbassò lo sguardo e
sorrise, cancellando così le lacrime che le avevano rigato il volto.
“Sei davvero bellissima”
La figlia rialzò lo sguardo e con
quella sua unica e inimitabile voce carica di sottile ironia le
rispose.
“Non ho proprio idea da chi io
abbia preso…”
Cersei non colse ciò che lei aveva
nascosto dietro quella battuta e si limitò a sorriderle.
“Sei tornata portandoti dietro
anche qualcos’altro” aggiunse la regina, senza però dare nessun carico
alle parole. Non sapeva nulla di quel giovane dorniano a cui suo
fratello, quell’essere schifoso,
aveva promesso Myrcella anni prima. E
di certo non avrebbe voluto farsi fraintendere dando un tono polemico
alla frase, non aveva ancora delle idee precise su quel ragazzo e di
certo non voleva far credere di avere già dei pregiudizi su di lui.
Le condizioni per riaverla indietro
le sapeva dalla lettera di Jaime, non le importava sapere cose del
genere. Desiderava sapere da lei, da lei sola, chi e come era Trystane
Martell, iniziare a conoscere quel giovane uomo, non solo perché da lui
dipendeva la felicità della figlia e perché ben presto si sarebbe
trovata imparentata con lui, ma anche perché se lo sarebbe trovato tra
i piedi nel concilio ristretto. Voleva la felicità di Myrcella più di
ogni altra cosa, ma la sua parte asseta di potere non dormiva mai e
desiderava tutto fuorché un altro nemico in casa, qualcuno che si
mettesse tra lei, Tommen e il regno. Bastava e avanzava la puttanella
Tyrell come problema in famiglia, non ne voleva assolutamente un altro.
“Potrei dilungarmi ore a parlarti
di lui. Ma direi solo una montagna inutile di formalità e cose senza
importanza. Cose che saprai da altri o che vedrai tu stessa.”
Sospirò, passandosi una ciocca di
capelli tra le mani e riprese a parlare.
“Fin dalla prima volta che lo vidi
sentì cambiare qualcosa dentro di me. Allora non avevo la minima
idea di cosa fosse. Ci ho messo mesi, forse anni a capire cosa fosse.
Non saprei dire quando mi sono resa conto di essermi innamorata di lui.
Ma non importa. L’unica cosa che conta è che lo amo, lo amo più di ogni
altra cosa al mondo. Quando siamo insieme…”
Si sforzò di trovare delle parole,
ma non era affatto facile.
“Quando sono con lui sono…”
Non riusciva a descriverlo, ad
esprimerlo. Abbassò la testa mordendosi il labbro.
“Felice…”
Aveva detto quella parola con un
tono dubbioso, del resto non ne era affatto convinta. Felice era a dir
poco riduttivo, ciò che provava quando erano insieme era unico,
speciale ma soprattutto indescrivibile.
Osservò gli occhi della madre, in
cerca di qualche reazione. E, contrariamente a quanto si sarebbe
aspettata, non riuscì a cogliervi nulla. Lo sguardo della regina le
sembrava stranamente privo di reazioni e distaccato. Come se non
credesse a quello che aveva appena detto, come se non lo ritenesse
possibile. “Forse non mi ritiene capace di una cosa del genere. Non mi
ritiene capace di amare” pensò. Ma del resto erano passati anni e non
poteva aspettarsi che lei cogliesse e accettasse tutti i suoi
cambiamenti all’istante. Ed era proprio così. Cersei non credeva
possibile ciò che aveva appena sentito. Le sembrò che quegli anni di
lontananza fossero passati in pochi istanti. Sua figlia era cambiata,
tanto, e lei si sarebbe dovuta adattare, anche se in quel momento non
ci riusciva.
Myrcella decise di continuare,
senza badare al fatto che lei la stesse ascoltando immobile.
"Una persona mi ha detto che sono
stata molto fortunata. Mi sono innamorata dell’uomo a cui ero stata
promessa."
Si fermò ancora per un istante.
Cersei pendeva oramai dalle sue labbra.
Decise che il modo migliore per
continuare era quello che lui le aveva detto.
“We
don't choose whom we love”
Un lieve sorriso si allargò sulla
faccia della regina. Quella frase le era molto familiare, forse troppo.
E proprio per questa ragione un’agghiacciante sospetto cominciò a farsi
strada dentro il suo animo. Ma non volle credere a quella voce che si
insinuava tra i suoi pensieri, mettendole addosso un gelido terrore.
“Parole davvero bellissime…”
Ricacciò ancora indietro
quell’orrendo sospetto e si sforzò di fare quella domanda.
“Chi te le ha dette?”
Myrcella sentiva che doveva dirle
la verità, tutta la verità. Avrebbe passato il punto di non ritorno con
le prossime parole. Poteva tranquillamente mentire e nascondersi dietro
quella forte e sicura menzogna che l’aveva protetta così a lungo. Ma
una voce imperiosa le rimbombò nella mente. “Non sei una bambina. Not
more.” Voleva rinstaurare un rapporto forte e indistruttibile
con sua
madre e mentirle non sarebbe stato certo un grande inizio. E
soprattutto l’idea che lei lo venisse a sapere da qualcun altro, magari
da lui stesso, che lei era a conoscenza di tutto la
terrorizzava, si
sentiva gelare il sangue solo al pensiero.
La sincerità non era di sicuro una
delle virtù per cui i Lannister erano famosi, anzi, ma sentiva che
quella era la cosa giusta da fare.
Prese un lungo respiro, si morse
leggermente il labbro e, in un attimo in cui si mischiavano sincerità,
sollievo e terrore, parlò.
"Mio padre"
Cersei si pietrificò, rimase
immobile, con gli occhi sbarrati di sconcerto e terrore nel vedere che
quello che fino a pochi istanti prima era solo un sospetto si era
trasformato in una sconvolgente realtà.
Si aspettava una reazione del
genere di sua madre, ma rimase ugualmente impressionata; strinse i
denti e andò avanti, del resto aveva oltrepassato il limite...
"Stavamo parlando e..."
Si morse ancora il labbro, sentendo
la gola stringersi sempre di più, mentre gli occhi erano incapaci di
mettere a fuoco.
"e siamo arrivati a questo"
La guardò, mentre sentiva gli occhi
inumidirsi, e riprese a parlare.
"è come se una parte di me l'abbia
sempre saputo... "
Prese un lungo respiro.
"E come ho già detto a lui...sono
felice. "
Abbassò lo sguardo intrecciando le
mani e salì quell'ultimo immaginario e decisivo gradino.
"Sono felice che lui sia mio padre"
Queste parole furono come un sasso
lanciato in un lago piatto nell'animo di Cersei.
Troppe
cose, troppi cambiamenti, troppo in fretta.
Era allo stesso tempo felice e
confusa, terrorizzata e sollevata, sorpresa e sospettosa.
Non si era mai sentita così.
Sentì le mani della figlia
stringerle la vita, la sua testa posarsi dolcemente sul suo seno,
l'odore dei suoi capelli. Non poté trattenere le lacrime. Not longer.
La strinse a sé come da troppo non
faceva. Il segreto che tanto a lungo aveva nascosto così abilmente era
stato scoperto, proprio da chi lei aveva voluto proteggere con quel
silenzio. Eppure, al contrario di quello che per anni aveva pensato nel
terrore più nero, non era affatto preoccupata o sconvolta. Si sentiva libera.
Non avrebbe più dovuto mentirle, avrebbe potuto finalmente amarla senza
più segreti. Iniziò solo ora a rendersi conto di chi davvero aveva di
fronte, di quanto fosse cambiata, di
quanto lei la conoscesse poco. Ma
avrebbe rimediato. Che si fottessero le alleanze, i sette regni, le
casate, tutti gli altri. Tutti
quelli che avevano provato a
portargliela via. Sentì ancora la voce carica di commozione
della sua
bambina. Ormai non era più tale, ma
per lei lo sarebbe stata per sempre.
"Non importa perché, quando, come...i'm just glad"
Le strinse la testa con le braccia.
"And
i'm glad you're back"
E dopo queste parole non tacquero
per ore. Avevano così tanto da dirsi. Anni di lontananza, di
sofferenze, di felicità, di cambiamenti. Le parole fluirono per ore
accompagnate da vino, sorrisi e lacrime. Ma alla fine, mentre il sole
moriva sulla Baia delle Acque Nere il discorso volse al termine e
rimasero una di fronte all’altra, in un magico silenzio.
La notte era oramai scesa. Cersei
decise di interrompere quel silenzio. “Devo vedere Jaime”. Guardò la
figlia. Le sorrideva spensierata e felice. Che lei fosse sempre così,
ecco quello che voleva. Sapeva che non sarebbe stato possibile, eppure
si illudeva che insieme ce l’avrebbero potuta fare. Si avvicinò a lei.
Si abbracciarono un’ultima volta. E
poi, lentamente, lei fece per uscire.
La regina avrebbe voluto fermarla,
dirle quanto era importante per lei, dirle che lei ci sarebbe sempre
stata, che avrebbe sempre potuto fidarsi di lei. Avrebbe voluto dirle
quanto l’amava.
Ma bastò un ultimo sguardo. Mentre
passava dalla porta si girò. I loro occhi si incontrarono per un
istante. E in quello sguardo erano racchiuse mille, diecimila, un
milione di parole.
La giovane leonessa aveva capito
che non poteva e non avrebbe mai potuto fare a meno del sostegno e
della fiducia di sua madre.
E quest'ultima aveva capito di non
dover più proteggerla, di aver di fronte una persona nuova e forte, e
che poteva contare su di lei come contava su sé stessa.
Note dell’autore:
eccomi di nuovo
qui con un nuovo capitolo, scusate l’attesa, di solito
io pubblico con un alta frequenza ma questo incontro così delicato ha
richiesto tutta la mia attenzione e impegno e per questo motivo esco
dopo una settimana. Spero tanto di essere riuscito a trasmettere come
volevo questo pazzesco ricongiungimento: una svolta per entrambe, una
presa di coscienza di quanto il loro rapporto sia e allo stesso tempo
debba cambiare. Da una parte abbiamo una Cersei che si rende conto di
non aver di fronte più una bambina da proteggere con le unghie e con i
denti, ma una giovane donna su cui può fare davvero affidamento. E
dall’altra la giovane leonessa che trova una madre diversa da quella
che ricordava, una persona che darebbe cento volte la vita per lei e di
cui si può fidare ad occhi chiusi.
Ma non temete:
questa storia non sarà esclusivamente su loro due. Di
certo Myrcella ne è la protagonista indiscussa, ma questo non vuol dire
che vedrete tutto dal suo punto di vista e che tutti gli eventi la
coinvolgeranno in prima persona.
Ho intenzione
di tirare in ballo personaggi che con gli intrighi di
Approdo del Re fino ad ora non hanno avuto minimamente a che fare e di
inserire eventi di cui da tempo pensavo di scrivere.
Ultima piccola
nota stilistica: ditemi cosa pensate degli elementi in
inglese che ho inserito. L’ho fatto un po’ per richiamare i dialoghi
originali (l’adattamento italiano e soprattutto la doppiatrice di
Myrcella sono a mio parere completamente sbagliati, non sono in linea
con il personaggio e non rendono appieno l’originale) sia perché adoro
molte potenzialità stilistiche di questa lingua. Fatemi sapere se li
apprezzate oppure non li gradite, nel caso cercherò di trattenermi nel
loro uso.
Che dire, stay
tuned!
Long
live the lioness
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Cap 3
Long live the lioness
“Tearing me apart with words you wouldn’t say…”
Final Masquerade, Linkin Park
Approdo del Re, qualche giorno dopo
Da quando le piaceva così tanto il rumore dell’acqua? Non ne aveva idea…
I pensieri iniziarono ad affollarsi nella sua mente. Forse erano stati i giardini di Dorne? O forse…
Non aveva importanza. Non in quel momento almeno.
Sospirò. Allontanò con la mano i
capelli bagnati dal viso. Odiava quando si incollavano alla pelle,
dandole quella interminabile sensazione viscida che tanto detestava.
Decise che ora di porre fine a quel bagno, forse era in acqua da fin
troppo tempo.
Uscì dalla vasca alzandosi
lentamente, prese l’esagerato telo che era stato appoggiato su uno
sgabello, lo usò per avvolgersi e andò a sedersi alla finestra, a
guardare le prime luci del sole che tornava a splendere su Approdo del
Re.
L’aria fresca del mattino la fece rabbrividire, bagnata com’era, ma non abbastanza da permetterle di rinunciare a quel momento.
Poteva finalmente abbandonare tutti i pensieri e le preoccupazioni, stare da sola.
Aveva bisogno di momenti come
quelli, specie dopo quei giorni di estenuanti formalità e assurdità di
corte. Probabilmente nessuno alla Fortezza Rossa aveva sentito la sua
mancanza, eppure erano tutti così ansiosi di salutarla, di rivederla.
Che si fottessero tutti quanti, dal primo all’ultimo, lord, cavalieri, dame, scudieri che fossero. A lei non importava niente di loro e a loro niente di lei.
Un insistente rumore proveniente dalla porta la distrasse da quei pensieri.
“Di nuovo qui a tormentarmi”
pensò. Sembrava che una forza superiore ci si fosse messa davvero
d’impegno per rendere la sua vita impossibile, trasformare il suo
ritorno in un inferno.
Non sopportava quella cameriera,
che pensava solo ai formalismi, a dettagli irrilevanti, a rimproverala
per il minimo errore. Avrebbe potuto lamentarsi e mandarla via,
liberarsi di lei. “Ci fosse ancora Joffrey avrei la sua testa su una
picca in mezz’ora”. Sorrise amaramente nel pensare questo.
Scosse la testa come per
allontanare quei pensieri e si diresse verso la porta, che sembrava
dover venir giù a momenti dall’insistenza con cui la serva bussava.
Senza troppa tatto le ordinò di andarsene e quella di certo non la prese bene.
Sentì imprecazioni sommesse
dall’altra parte della porta. La megera pestò ancora qualche volta ma
poi, dopo aver capito che non avrebbe ottenuto nulla, si rassegnò.
Myrcella udì i passi di lei che si allontanava e riuscì finalmente a
calmarsi.
“Non è possibile dover lottare così ogni giorno per poter vivere” pensò sconsolata.
Si girò e il suo sguardo spaziò
inconsapevolmente su tutta la stanza. Ripensò al suo ingresso qualche
giorno prima, a quanto fosse rimasta sconcertata. La stanza era rimasta
identica in ogni dettaglio a come l’aveva lasciata anni prima. Non un
particolare era cambiato, tutto era uguale in un atmosfera fuori dal
tempo. E questo l’aveva lasciata senza fiato, non credeva potesse
essere vero. Le era sembrato di rivedere sé stessa anni prima girare
per quella stanza, una sorta di fantasma. Aveva quasi pianto, ma poi
era stata risoluta. Il passato era passato. E non voleva rimanerci imprigionata. “Portate tutto via”.
Questo aveva detto ai servitori. Ora niente di tutto ciò era rimasto, a
parte i muri. Mobili, bauli, sedie, letto. Un letto che ora poteva
accogliere lei e non solo.
Sospirò e iniziò a prepararsi. Era
sì presto, ma sapeva che ci avrebbe messo molto. Finì infatti quando il
sole ormai era già alto e segnava quasi la metà della mattina. Era
riuscita a nascondere i segni della profonda stanchezza che si portava
dentro e appariva esattamente come al solito. Forse anche meglio del solito.
La aspettavano ore di noia mortale
nella sala grande. Era la prima volta che Tommen riuniva il concilio
ristretto da quando Trystane aveva ottenuto il seggio che era stato di
suo zio. Avrebbe fatto bella figura quel giorno? Se lo augurava.
Uscì dalla stanza. Sapeva di essere in anticipo e sedere ad aspettare nella galleria, da sola o peggio, non era certo un idea piacevole. Decise di allungare la strada.
Percorse a lungo, a vuoto quegli
interminabili e spogli corridoi che un tempo erano stati la sua casa. E
che lo sarebbero stati di nuovo a quanto pareva.
La priorità era quella di sposarlo. E poi…e poi…
Non fece tempo a terminare il discorso.
Una mano le afferrò da dietro un angolo il braccio, trascinandola in un buio corridoio secondario.
Fu colta di sorpresa e, in preda al panico, stava per urlare.
Ma poi vide il suo aggressore.
Un sorriso divertito e arrabbiato allo stesso tempo le si impresse sul volto. Scosse la testa.
“Trystane...” cominciò a dire, guardandolo in faccia. “Non dovresti essere...”
Ma non poté finire la frase. Lui le prese le braccia. Le sorrise.
E poi, lentamente, come solo lui sapeva fare, si avvicinò a lei. Le posò una mano sul collo. Poi la baciò.
Lei chiuse gli occhi, ricambiando
il suo gesto. Non avrebbe dovuto, una parte di lei doveva parlare al
suo uomo. Ma del resto quel discorso poteva anche aspettare qualche
minuto.
Continuarono a baciarsi nella penombra di quell’angolo dimenticato della Fortezza.
Soli, finalmente.
Poi lei si staccò. Lo prese da parte con parole che non avrebbe mai voluto dire.
“Trystane…”
Lui la interruppe sorridendo.
“We can’t…not yet?” disse con un
tono interrogativo che non riusciva per niente a nascondere l’ironia.
Lei quasi si arrabbiò. Ma del resto non poteva avercela con lui. Quelle
parole le aveva pronunciate lei stessa qualche settimana prima. A
ripensarci sembravano passati anni… “No, stai perdendo ancora il filo. Concentrati” si ordinò mentalmente.
“Sto parlando sul serio. Ascoltami, mio lord.”
Nello sguardo di lui ogni traccia di divertimento si spense e stette immobile ad ascoltarla.
“Sai benissimo ciò che provo per te. Non voglio certo nascondermi dietro un dito…
E comportarci così, amarci in segreto, è stato stupendo.”
Prese un lungo respiro.
“Ma non siamo più a Dorne, non
siamo più liberi di nasconderci, liberi di fare ciò che vogliamo. Lì
era tutto permesso, tutto accettato.”
Sorrise con amarezza.
“Qui è diverso. Tanto tempo fa una
persona mi disse che la Fortezza Rossa ha occhi e orecchie. Occhi
pronti a spiarci. Orecchie pronte a origliarci. Ma soprattutto è piena
di persone pronte a giudicarci. Il male di questa città sono le parole
che scorrono sullo sfondo, senza quasi permetterti di accorgertene.
Dico quasi perché te ne puoi accorgere, ma solo quando è troppo tardi.”
Sentiva la gola stringersi sempre di più in una morsa letale.
“Non posso e soprattutto non voglio
veder circolare cattiverie e verità distorte su noi due. Qui purtroppo
una parola può diventare tradimento, un incontro segreto una
cospirazione, un bacio…scandalo”
Lo guardava con gli lucidi di lacrime pronte a scorrere.
“Vogliamo davvero questo? Lo so,
non è affatto giusto. Non smetterò mai di chiedermi perché non ci
lascino liberi di fare ciò che vogliamo, ciò che sentiamo. Non capirò mai perché non ci permettano di amarci. Ma dobbiamo farlo.”
Cercò una reazione in lui, ma tutta la sua attenzione era focalizzata sulle sue parole.
“Dovremo indossare una maschera.
Una maschera per lord, lady, guardie, servitori, cortigiani. Per loro.
La potremo togliere solo quando saremo davvero soli. Ossia molto
raramente. Questo è l’unico modo. Altrimenti i fiumi sotterranei di
parole si ingrosserebbero fino a farci annegare. Se tutto andrà bene e
con un pizzico di fortuna potremo porre fine alla farsa quando saremo
sposati, quando non saremo più possibili interessanti argomenti per
pettegolezzi. Ma fino ad allora…”
Aveva oramai le lacrime agli occhi
“Fino ad allora dovremo nasconderci, come dei criminali”
Sentì le braccia di lui cingerle le spalle e allora si lasciò andare.
Mentre lui la abbracciava trovò la forza di pronunciare quelle domande.
“Trystane, sei disposto a farlo? A indossare con me questa maschera?”
Lui lasciò passare qualche secondo, accarezzandole i capelli, e poi le rispose.
“Se sono disposto a farlo? Se
potrei nascondere ciò che provo per te per mettere a tacere i luridi
sussurratori di questa città? Non vorrei, non voglio farlo. Noi
vogliamo vivere, ma qui siamo costretti a sopravvivere. Ma hai ragione,
non abbiamo altro modo. Sono pronto a farlo. Per noi. Per il nostro futuro.”
Sentì Myrcella sciogliersi tra le sue braccia.
Riprese a parlare con una voce carica di ironia e malizia.
“Ma non sarà affatto facile. E io esigo una ricompensa. Una ricompensa che solo tu puoi darmi…”
Lei si sciolse dall’abbraccio, con un rinnovato sorriso sul volto.
“Un Lannister paga sempre i propri debiti…”
Poi lo baciò ancora.
Tornarono a guardarsi negli occhi, ma un rumore sempre più vicino interruppe quel momento magico.
“È già ora di indossare la maschera…” disse lei, con voce carica di amarezza.
Un guizzo momentaneo le illuminò
gli occhi, segno inconfondibile che la sua mente aveva appena concepito
un’idea, un piano. Riprese a parlare.
“Sarà senz'altro una guardia, dille
che ti sei perso e che ti deve portare nella grande sala. Io prendo
un’altra via e con un po’ di fortuna nessuno potrà mai pensare che
eravamo qui.”
Lasciò le sue mani e scivolò nell’ombra, verso la fine del corridoio.
Sentì Trystane andare incontro al
soldato e chiedergli con falso imbarazzo “Ehm dovrei prendere parte al
concilio del re. Ma credo di aver sbagliato strada…”
I loro passi si allontanarono. Uscì
guardinga dall’ombra, imboccò il corridoio in direzione opposta e fece
di tutto per sembrare normale.
Ma niente avrebbe potuto toglierle quel leggero ma sincero sorriso dal volto.
- - - -
L’udienza era esattamente come se l’era immaginata. Una noia mortale.
Non che Tommen ci mettesse scarso impegno, ma sentir discutere di tasse
non pagate, castelli da ricostruire e altre mille cose del genere la
annoiava a morte.
Guardò il fratello seduto sul
massiccio, e secondo lei orrendo, ammasso di spade contorte. Solo un
folle avrebbe potuto amare una sedia del genere. Del resto, era stato un Targaryen a costruirla…
Non credeva ancora che Tommen fosse diventato re. Non le sembrava possibile…
Ma del resto era passato così tanto tempo. Così come era cambiata lei quasi sicuramente era cambiato lui. Eppure…
Il suo sguardo cadde sulla donna seduta di fianco a sua fratello. “Eccola dunque”. Quella che sua madre odiava tanto. La puttanella Tyrell. Lei non aveva idea di chi fosse, e la cosa era reciproca. Si chiese se fosse il caso di conoscerla…
Lasciò lo sguardo vagare per la sala.
Il tizio al centro catturò
all’improvviso la sua attenzione. Era impossibile non riconoscerlo:
mantello, giubba, pantaloni, cintura, elsa, pelliccia, stivali erano di
un unico colore. Nero. Il guardiano della notte aveva chiesto udienza
al re ed era lì per essere ascoltato.
Guardò per un attimo il lungo
tavolo del concilio ristretto. Tutti parevano distratti o assenti.
Trystane sembrava pensieroso, ma non troppo distaccato. Pregò ancora
che andasse tutto bene.
Il confratello iniziò a parlare, con una voce profonda e rauca. Era abbastanza sgradevole, ma almeno si capiva ciò che diceva.
“Vostra Maestà, grazie di avermi
concesso questa opportunità. Non sono qui per perdermi in idiozie senza
fine. Vengo a portarvi un messaggio molto importante.”
“Non potevate mandare un corvo?”
urlò qualcuno dalla platea, seguito da risate sommesse. Il guardiano
della notte non stette ad ascoltarlo. Il tono della sua voce si fece
più cupo, come se volesse rendere più terribile ciò che stava per dire.
“Ciò che più temevamo è realtà. Ciò che fino a ieri erano solo storie di vecchie per bambini esiste tanto questa sala.”
Squadrò i presenti.
Dall’alto della galleria Myrcella
era concentrata ad ascoltare ciò che quell’uomo stava dicendo e non si
accorse delle espressioni spaventate che le altre donne si scambiavano.
“La morte marcia sulla barriera.”
Il suo tono era freddo e tragico ma risoluto, come se volesse dire questa è la realtà, non giriamoci attorno. Riprese a parlare
“L’inverno è arrivato, la lunga
notte anche. E con loro i morti. Gli estranei marciano verso sud con un
esercito di morti. Il loro numero non è misurabile. Secondo alcuni
confratelli sono cinquantamila, secondo altri duecentomila, c'è chi
sostiene un milione di soldati, perché uomini non si possono più
chiamare. E di certo noi, da soli, non potremo fermarli.”
Il silenzio più assoluto era calato
sulla sala. Ma ben presto fu rotto da un vociare sottile, parole
sussurrate sottovoce da chi era scettico.
“Se desideri vedere delle prove, ho
qui fuori corpi di morti che abbiamo visto camminare. Carne senza più
sangue né vita, che però non marcisce e si muove. Vasi con dentro mani
mozzate che continuano ad agitarsi senza sosta.”
Lanciò altre occhiate, forse per capire come stavano reagendo i suoi uditori.
“I guardiani della notte giurano di
proteggere i domini degli uomini. Lo faremo. Ma non siamo abbastanza
numerosi né forti. E soprattutto non abbiamo un mezzo per sconfiggere
gli estranei.”
La voce di Tommen ruppe il silenzio.
“Dunque cosa proponi di fare? Cosa domandi al tuo re?”
L’uomo fece per rispondere.
“Sono qui per annunciare ciò che
accade a nord della barriera. E per domandare aiuto. Uomini, cavalli,
cibo, spade, armature, operai, vettovaglie, tutto sarà ben accetto. Ma
non sarà sufficiente. Ciò di cui abbiamo bisogno è un arma. Un modo per
sconfiggere il più grande dei nostri nemici. Noi non abbiamo trovato
una risposta. Vengo a chiedere a voi, sperando che possiate darmela.”
Tommen si alzò in piedi,
chiaramente trascinato dalla foga di quella discussione. Probabilmente
era riuscito a cogliere quanto fosse grave la situazione e pretendeva
di risolverla velocemente. "In questo assomiglia tanto, forse troppo, a Joffrey" pensò lei.
“Qualcuno qui dentro ha per caso un’arma che uccida gli estranei?” urlò.
Il silenzio assoluto calò sulla sala, mentre il re rimaneva in piedi sulla sommità della gradinata.
Quel silenzio faceva male alle orecchie e pareva non avere fine.
Ma poi, all’improvviso si udì uno schianto.
La porta della grande sala era
stata sbattuta con violenza inaudita, come a voler richiamare
l’attenzione. E se quello era lo scopo, era stato raggiunto alla
perfezione. Tutti si voltarono verso l’ingresso.
Un giovane stava ritto sulla
soglia. Dimostrava circa vent’anni, era alto e aveva un corpo slanciato
e robusto, con spalle larghe. Un portamento a dir poco regale.
L’armatura che portava scintillava
di acciaio lucente e pietre preziose e al suo fianco aveva un
gigantesco fodero che celava una spada altrettanto lunga.
Il suo volto era celato da un ampio cappuccio rosso scarlatto che lasciava intravedere solo la bocca.
Mentre avanzava lungo la sala la folla radunatasi si aprì in due ali per lasciarlo passare.
L’uomo si fermò a circa dieci metri dalla gradinata, in modo che tutti potessero vederlo e sentirlo.
Guardò per alcuni istanti Tommen e poi, rompendo un’atmosfera che era quasi divenuta sovrannaturale, parlò.
“Io”
Lo sconcerto era già grande e, a questa parola, aumentò ancora.
Il re lo guardò perplesso, quasi irritato.
“Cosa dici, chi sei e come osi interrompere così un’udienza reale?”
Il giovane sorrise e riprese a parlare.
“Mi sembrava doveroso rispondere alla domanda fatta ai presenti…”
Tommen lo squadrava, sorpreso e sospettoso.
“Non hai forse domandato chi avesse un’arma per uccidere gli estranei?”
Si guardò attorno.
“Mi pare di essere l’unico a possederla qui dentro… e sembra che ne abbiate un gran bisogno, oppure ho capito male?”
Il misterioso nuovo arrivato spostò lo sguardo sul guardiano della
notte. Questo era sorpreso e non nascondeva una certa fiducia, mista
però a una buona dose di sospetto.
“Quale sarebbe quest’arma straniero?” chiese Tommen con incredulità mista a timore.
Il ragazzo sogghignò.
“Calma, calma. Qui corriamo
decisamente troppo. Come ho detto ho un’arma in grado di uccidere un
estraneo. Ma nessuno mi ha obbligato a venire qui. Quindi voglio
qualcosa in cambio di quest’arma” aggiunse lui, con un tono perentorio
che non lasciava spazio a repliche
“Il tuo re ti ordina di mostragli quest’arma” rispose Tommen, sempre più arrabbiato.
“Ho mai detto di averla con me?” disse lo straniero ironicamente.
Il re sbuffò spazientito “Parla straniero. Cosa vuoi in cambio? Terre? Titoli? Denaro?”
Al tavolo del consiglio i lord si
scambiavano sguardi raggelati, che svelavano tutta la loro
preoccupazione per il comportamento avventato del re.
Il giovane rialzò lo sguardo e tornò a parlare “Nulla di tutto ciò”
Nella sala si diffuse un sommesso mormorio.
“Ciò che voglio è qualcosa di molto
antico. Penso non venga fatto da decenni. Ma era una grande tradizione
di chi sedette tempo fa su quella sedia.”
Fece una breve pausa per prendere fiato.
“Voglio il Giuramento di Baelor.
Voglio che giuri davanti agli dei che, qualunque cosa io dica o faccia,
non potrò essere perseguito, che tutto quello che ho fatto non valga
più nulla, che io sia totalmente immune dalla giurisdizione reale.”
Nella sala esplosero le grida. Le cappe dorate le calmarono rapidamente agitando le picche.
Il gran maestro salì la scalinata
dal lato e porse un rotolo al re. Tommen lesse la pergamena
contenete il testo del giuramento che gli era stata portata. Scosse la
testa, contrariato. “Solo una marea di vuote parole” pensò. Del resto
quel tizio prometteva un’arma in grado di risolvere quel nuovo e
terribile problema. E, nella sua ingenuità non ancora del tutto
estinta, sentiva di doversi fidare di lui. Non aveva nulla da perdere,
solo un mucchio di parole da dire.
“Vuoi questo straniero?” aggiunse con una voce che voleva sembrare calma, ma che trasudava impazienza.
“Sì. Il tuo impegno davanti agli
dei e agli uomini. E sappi che quando quel giuramento è stato infranto,
il traditore è sempre morto per cause mai scoperte. Gli dei non amano i
traditori.” Il tono del misterioso uomo era solenne, duro, perentorio.
Di certo non stava mentendo.
“E se non lo facessi? Del resto
cosa so di te e di cosa vuoi fare? Perché dovrei concederti questa
immunità totale?” Queste parole rispecchiavano alcuni dubbi che avevano
iniziato ad affollarsi nella sua mente.
“Fai come vuoi…nel caso però, tanti auguri con gli estranei.”
Si voltò e iniziò a camminare verso l’uscita.
Tommen fu in preda per un attimo
alla paura più totale. Stava lasciando andare l’unica speranza di
salvezza per il regno. Come aveva fatto a essere così stupido? Decise
di fidarsi del tutto di quell’uomo tanto misterioso quanto convincente.
“Aspetta.” Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un ordine, ma tutti udirono una richiesta disperata.
Il giovane si fermò, senza però girarsi.
“Avrai quello che chiedi. Ma poi voglio quella maledetta arma.”
Il cavaliere misterioso tornò sorridendo al posto di prima.
Aveva ottenuto ciò che voleva.
“Certo, l’accordo è questo. Che gli dei mi maledicano se non lo manterrò”
Tommen, soddisfatto per il risultato ottenuto, prese nuovamente la pergamena e lesse ad alta voce il giuramento.
“Io Tommen Baratheon, primo del mio
nome, Re degli Andali e dei Primi Uomini, mi impegno davanti agli dei e
agli uomini di difendere sempre e comunque quest’uomo, di concedergli
l’immunità totale da ogni mia forma di giustizia, di non nuocere a lui
o a suoi protetti e compagni. Possano gli uomini tradirmi, non
obbedirmi, imprigionarmi, uccidermi se violerò questo giuramento.
Possano gli dei maledirmi, possano rendere la mia vita breve e
dolorosa, possano spargere sale sulla mia famiglia e discendenza,
possano condurre alla rovina me e chiunque a me è legato se non
manterrò fede a questa promessa.”
Un sorriso compiaciuto comparve in faccia al re dopo aver pronunciato quelle che lui riteneva banali parole.
Lo straniero appariva davvero soddisfatto.
“Bene. Ora l’arma.” La voce di Tommen era carica di impazienza.
Il giovane schioccò le dita.
Due uomini avanzarono dal fondo della sala reggendo due scrigni in mano e li posarono sulla scalinata.
Poi anche lui venne avanti ed
estrasse dal fodero la spada. Quella scintillò alla luce che entrava
dalle finestre, rivelando un filo perfetto e un arma a dir poco
incredibile. Lentamente la appoggiò sui gradini, in mezzo ai due
scrigni.
Alcuni uomini iniziarono a scambiarsi sguardi sospettosi.
Il giovane aprì gli scrigni.
“Questa è la mia arma. Questo è il modo in cui ritengo di sconfiggere gli estranei”
Tommen appariva furioso alla vista di quello che gli era stato posato davanti.
“Un libro, un’ampolla, una spada? Mi prendi in giro?”
La voce dello straniero risuonò potente e regale per tutta la sala.
“Quello non è un libro, è magia
dell’antica Valyria. Quella non è un’ampolla, è altofuoco, respiro di
drago. Quella non è una spada.”
Prese un lungo respiro.
“Quella è Blackfyre”
Sguardi raggelati volarono tra i
più anziani, ma Tommen non parve accorgersene. Era come estraniato in
un dialogo a due con il misterioso uomo, il resto della sala non
esisteva per lui. Non colse il significato di quelle ultime parole e,
in preda all’ira più totale, iniziò a gridare.
“Per i sette inferi, chi diavolo sei straniero?!”
Per tutta risposta quello rise leggermente.
La mano del giovane si portò sul lungo cappuccio e con un gesto lentissimo lo scostò dalla testa.
Tutti i presenti rimasero senza fiato.
La sua bellezza era indescrivibile, inaudita, inumana.
Il volto aveva lineamenti regali,
gli occhi brillavano di un intenso color ossidiana, i capelli
splendevano nel loro bianco platino.
Molte dame rimasero senza fiato, e
Myrcella era una di loro. La bellezza di quell’uomo l’aveva
letteralmente fulminata, non le pareva possibile. Si chiese ancora chi
diamine fosse quel cavaliere. Altri però erano come pietrificati, come
se il loro sangue si fosse congelato nelle vene. Come se non volessero credere a ciò che stavano vedendo.
Tommen non aveva ancora idea di chi
fosse l’uomo davanti a lui e stava per ripetere ancora quella domanda,
sempre più fuori di sé, ma il cavaliere lo precedette.
La sua voce era chiara e forte e nessuno poté astenersi dall’ascoltarsi.
“Aegon della casa Targaryen, sesto
del mio nome, signore di Roccia del Drago, figlio di Rhaegar Targaryen
e Elia Martell, sangue del drago, discendente dell’antica Valyria e di
Aegon il Conquistatore.”
La sala parve diventare un unico
insieme di statue. Myrcella sentì un brivido di terrore risalirle la
schiena e rimase immobile, come pietrificata.
Non era possibile. Le avevano ripetuto una infinità di volte che i
draghi erano morti. Eppure uno di loro era lì, davanti a lei, in tutta
la sua sfolgorante bellezza.
Sul viso di Aegon si allargò un
sorriso che ben esprimeva tutta la soddisfazione raccolta da quella
reazione. I sui occhi d’ossidiana brillavano nella sala. Lentamente
raccolse la sua spada, mentre centinaia di occhi erano fissati su di
lui.
Poi rialzò la testa. E ghignando, con un tono provocatorio e autorevole, aggiunse.
“E anche legittimo proprietario di quella sedia di ferro.”
Note dell’autore:
avevo promesso colpi di scena e così è stato…e di certo non mi fermerò qui.
Piccola nota che si
ricollega allo sfogo che ho scritto all’inizio: non so quanti di voi
l’abbiano visto, ma HBO mette sempre un video su Facebook con i
“migliori” momenti della puntata, commentati da Benioff e l’altro
tizio. Il commento dell’autore sulla scena di Myrcella e Jaime è a mio
parere bellissimo…viene però da pensare "Perché diamine hai scritto
così la scena?!?"…davvero io sono ancora senza parole, non so cosa
passi per la testa agli autori.
Ultima cosa: scusate per
la formattazione che continua a cambiare, ma certi font che avevo usato
non mi convincevano appieno e sopratutto sto continuando a provare
nuovi programmi e ancora non ne ho trovato uno che mi va a genio al
100%.
Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno letto i primi due capitoli e spero che anche questo vi possa piacere.
Che dire, fatemi sapere le vostre opinioni.
Come sempre stay tuned e long live the lioness
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Cap 4
Long live the lioness
“It’s gonna take a lot to
drag me away from you
There’s nothing that a hundred
men or more could ever do”
Africa, Toto
La tensione
nella sala era tanto palpabile che si sarebbe potuta tagliare col coltello.Gli occhi
di tutti erano increduli e rivelavano un profondo terrore interiore.
Myrcella si
sentiva pietrificata, come se avesse appena visto un fantasma. Un fantasma di un magnifico drago.
E nello
sgomento generale Aegon stava ancora nel centro della sala, con quel suo
sorriso tanto fiero quanto ammaliatore. Forse
nemmeno lui si aspettava una tale reazione.
Alle
guardie reali non era concesso però il privilegio di rimanere sorpresi. Tre
mantelli bianchi circondarono il giovane drago, aiutati da una dozzina di cappe
dorate.
Jaime si pose davanti al trono, con la spada sguainata, frapponendosi fra il
re, suo figlio, e il Targaryen.
E mentre
tutti si lanciavano occhiate terrorizzate e pensavano alla via di fuga più
breve, la voce dello straniero non più misterioso risuonò ancora in quel
silenzio sovrannaturale.
“Ho davanti
forse il re dei traditori?” chiese con voce carica di disprezzo. I suoi occhi
brillavano come se dentro di lui le fiamme stessero divampando incontrollate. E forse era veramente così. Lui era un
drago. Posò quegli occhi su Tommen.
“Hai già
dimenticato il giuramento che hai fatto poco fa?”
Fece una
pausa, alzando lo sguardo.
“Forse tu
sì, ma gli dei di certo no…”
Nella
galleria l’aria era fetida di quell’odore inconfondibile. L’odore della paura. Lei però sentiva qualcos’altro. Insieme allo
sconcerto e all’incredulità avvertiva qualcosa di diverso. Le sembrava di
essere sospesa fuori dal tempo, con un lieve ma costante freddo che le toccava
la pelle. Una sensazione simile a quella dei sogni. Ma quello, purtroppo, non
era un sogno. Guardò suo fratello. I suoi occhi erano persi, vuoti, spaventati
come quelli di un bambino. Le fece quasi tenerezza.
Chissà cosa stava provando…
Ma la voce
che risuonò per la sala non era decisamente quella di un bambino.
“Tutti
fuori. Subito!” Quello era un grido da re…autorevole e forte, ma non irato o tracotante.
Tutti uscirono con una lentezza esasperante, senza mai smettere di guardare
Tommen e Aegon.
Solo le
guardie e i lord del concilio ristretto rimasero.
Lei lanciò un
ultima occhiata preoccupata verso Trystane. Era visibilmente teso e focalizzato
su quello che stava accadendo, ma non nascondeva anche un certo nervosismo. Si
sforzò di distogliere lo sguardo, si voltò e si accodò alle altre per andare
verso la porta. “Andrà tutto bene. Sa
badare a sé stesso” si disse. E con una strana sensazione, come se stesse
camminando sulle nuvole, tornò nella sua stanza.
Si sedette
e cominciò ad aspettare.
Stette lì
immobile, mentre le ore passavano e lei si perdeva nei pensieri.
- - - - - -
ue
Era
pomeriggio inoltrato e sulla Fortezza Rossa regnava un silenzio surreale. “La quiete prima della tempesta” pensò,
appoggiata alla finestra.
Sentì
bussare alla porta. Con il cuore che accelerava mosse passi veloci, aprì la
porta e se lo ritrovò di fronte. Tutte le preoccupazioni che l’avevano
assillata in quelle interminabili ore si fecero da parte, almeno per
quell’istante.
Lo fece
entrare, richiuse la porta e si avvicinò a lui. Lo baciò, ma subito avvertì che qualcosa non andava. Sentiva che lui era teso,
anzi, era… Non trovò un termine per definirlo.
Trystane si
passò una mano sulla faccia. Avrebbe tanto voluto trovare qualcosa di speciale,
di confortante da dirgli. Ma niente le veniva in mente. E forse l’ovvietà era
la migliore via.
“Cosa è successo?”
gli chiese, con un tono che lasciava trasparire la sua brama di sapere e allo
stesso tempo timore per ciò che lui avrebbe potuto dirle.
“Che cosa è
successo?!” rispose lui mentre nella sua voce si mischiavano sconcerto e rabbia.
Subito però la guardò spaventato. Lei non
aveva nulla a che fare con quello. Non era giusto trattarla così…
Riprese a
parlare con voce più calma.
“Hai visto tu stessa chi si è presentato
oggi…e…”
Sospirò e
si sedette. Myrcella pendeva dalle sue labbra
“Diciamo
che se non fosse stato per me e lord Kevan sarebbe successo…non ho idea di cosa sarebbe successo.”
Scosse la
testa. “Vieni qui” le chiese gentilmente. Lei, senza smettere di fissarlo
incuriosita e timorosa, andò a sedersi di fronte a lui.
“Ma forse…è
stato meglio così…che sia successo”
disse lui, con un sorriso quasi disperato sulla faccia. Lei non capiva ciò che
stava dicendo, ma non osò interromperlo.
“Ti rendi
conto che quell’uomo…quell’uomo è…”
I suoi
occhi erano una finestra su quella incredulità senza fine.
“Che quell’uomo è mio cugino”
Myrcella
gli sorrise, prendendogli una mano. Aveva capito quanto lui fosse sconcertato
e…e quello che aveva sentito prima. Si
chiese cosa avrebbe fatto se fosse stata al suo posto. A mala pena si era
capacitata della situazione, figurarsi se fosse stato coinvolto un parente
sempre creduto morto e se avesse dovuto affrontare una delicatissima
trattativa. “Non ce l’avrei mai fatta”
Doveva aiutarlo. Lo amava troppo, non
poteva vederlo ridotto così. Lasciò che il suo cuore parlasse.
“Trystane
sono qui, qui per aiutarti. Ma devi dirmi cosa è successo.”
Lui le
strinse le mani e poi cominciò a parlare.
“È successo
tutto troppo velocemente e troppo lentamente allo stesso tempo…dopo che tutti
sono usciti tuo fratello era come dire…fuori dal mondo?” Dal tono poco convinto
della sua voce si capiva quanta fatica facesse a trovare le parole per
raccontarle ciò che era successo.
“Tutti
percepivano benissimo quanto fosse incredulo e, soprattutto, terribilmente
spaventato. Del resto…non possiamo
biasimarlo. Non oso immaginare come si stesse sentendo in quei momenti. A
un certo punto però lord Kevan ha rotto il silenzio. Alla faccia di chi diceva
non fosse come tuo nonno… Comunque, ha chiesto a Tommen se avevamo alternative.
Non so dove abbia trovato la forza di parlare, ma vabbè, non è questo il punto.”
Si fermò un
istante per prendere fiato
“Il re è
rimasto ancora zitto. Ho deciso di aiutare il tuo prozio e così…ho chiesto che
ci fossero mostrate le prove che il guardiano della notte aveva menzionato
prima. Devo dire che l’effetto è stato a dir poco devastante.”
Scosse la
testa, mentre nella sua mente affioravano ancora quei ricordi.
“Penso sia lo spettacolo più terrificante che
un uomo possa mai vedere.”
I suoi
occhi erano vuoti, la sua voce spenta, come quando si ricorda un defunto o una
tragedia. Deglutì e riprese a parlare.
“E,
fortunatamente, è bastato a convincere Tommen. Ha chiesto al drago cosa
volesse. La discussione è stata interminabile, una marea di discorsi e
trattative per dettagli irrilevanti. Quelli che tua madre ha messo nel concilio
saranno anche fedelissimi adulatori dei Lannister, ma sono dei grandissimi
idioti. Sta di fatto che tuo fratello ha deciso di lasciare almeno per il
momento perdere il fatto che si chiama Aegon Targaryen e gli ha fatto giurare
di sconfiggere per il reame gli estranei. Mi è sembrato tanto irreale quanto
ridicolo…insomma…”
Il principe
sospirò e riprese a parlare
“Lui avrà
un esercito di esigue dimensioni per andare a nord. Sufficienti per completare
la missione dice lui. Ma comunque troppi pochi per poter costituire una
minaccia. Almeno per ora…”
Myrcella
colse lo strano tono di quelle ultime parole. Sentì un brivido risalirle lungo
la schiena. Cosa diavolo voleva fare…
“Cosa vuoi dire?”
gli chiese, quasi spaventata.
Lui colse
il tono della sua voce, capì come si sentiva. Era ora di dirle tutta la verità.
“Ciò che
sto per dirti è…non dovrei dirtelo. E ciò che ho in mente…potrebbe essere
pericoloso. Ma ciò che temo è molto probabile e…e non voglio ritrovarmi
impreparato.”
Lei lo
guardava, sempre più confusa e spaventata.
Il tono
della sua voce era cupo e serio come la morte.
“Myrcella,
tuo fratello è malato. Molto malato. Il gran maestro mi ha confidato che ha
continui dolori ai polmoni e alla gola, non riesce a mangiare, dorme a stento.
Ha attacchi di tosse incontrollabili e…e perde molto sangue. Il problema è
che…”
La fissò
negli occhi e vide quanto fosse preoccupata e tesa. Riprese a parlare, anche se
non avrebbe mai voluto dirglielo. Non
voleva che lei soffrisse. Ma non poteva mentirle, nemmeno per proteggerla. Non
su questo almeno.
“Il maestro
non ha idea di che malattia si tratti. E di conseguenza non sa come curarlo.”
Lei era
sempre più spaventata “Quindi…” disse con un filo di voce.
Trystane
annuì. “Si…potrebbe…”
Gli occhi
le si sbarrano. Le orecchie cominciarono a fischiarle. Sentì la gola stringersi
sempre di più. Nella sua mente i più terribili pensieri si susseguivano.
Tommen…no non ci voleva credere, pensare…non un’altra
volta, non ancora…
Non a lui soprattutto. Nonostante tutto quello che
aveva fatto, nonostante quello che era, voleva bene a Joffrey ma…ma a Tommen…con
lui c’era sempre stato molto molto di più…non potevano farle questo. Non glielo
potevano portare via.
Le lacrime
cominciarono a rigarle le guance. Le sembrava di rivivere un incubo, ma quella
era la realtà ed era cento volte più spaventosa.
Lui la
abbracciò. Avrebbe tanto voluto potersi abbandonare a lui, sfogare quella
preoccupazione. Ma sapeva di non poterlo fare. Non in quel momento almeno. Era
solo una possibilità del resto. “Forte,
devi essere forte. Non piangere, non ora. Forte.” Asciugò le lacrime con il
dorso della mano. Si staccò da lui, sforzandosi di non piangere. “Tommen è ancora qui…qui con me. Conta solo questo.”
Sentì di
nuovo la sua voce, molto più raddolcita. Lui le prese con una mano il mento e
delicatamente le rialzò la testa, rialzò quello sguardo così vuoto.
“Ora, fosse
tutto normale non mi preoccuperei così tanto. Tommen può guarire…e guarirà senz’altro.” Il suo sguardo e
le sue parole erano proprio quello di cui aveva bisogno. Conforto. Sicurezza. Riuscì a sorridergli. Lo amava anche per questo. Per come solo lui sapeva consolarla.
“Ma abbiamo
un Targaryen a piede libero per il regno con un’armata…che ha una zia al di là
del mare con tre draghi.”
Il tono
della sua voce si fece più cupo e serio. Non
l’aveva mai sentito parlare così.
Prese un
lungo respiro.
“Ora pensa,
so che è difficile, ma pensa solo per un’istante che Tommen non ce la faccia.” Lui
le prese le mani. Si ripeté ancora di
essere forte.
“Hai idea
di cosa succederebbe?”
Nella sua
mente balenarono mille pensieri. E in una gelida realizzazione finale…
“Beh…ora
come ora…” Non trovava la forza di dirlo.
Trystane la
guardava sorridendo. Disse le parole che lei non era riuscita a dire.
“Ora come
ora…tu avresti quella sedia di spade.”
Myrcella
sentì la terra mancarle sotto i piedi “Io non… Noi non…”
“Noi cosa?”
le disse, mettendole una mano tra i capelli.
“Beh noi
dovremmo…non lo so Trystane. È così
nuovo, così stano.” Il suo tono era confuso. “Non l’ho mai pensato,
sognato, voluto. Non lo voglio…”
Sospirò. “E mai lo vorrò.”
Lui
trattenne a stento una risata. Le sorrise con dolcezza.
“Credi
davvero che lei te lo permetterà?”
Le
accarezzò il volto perplesso con il palmo della mano. Quel viso che amava così tanto…
“Non
capisco…chi non me lo permetterà?” gli rispose.
“La regina. La tanto magnifica quanto scaltra
moglie di tuo fratello.”
Come aveva
fatto a non pensarci prima? Eppure… Aveva potuto intuire quanto Margaery fosse
attaccata alla posizione conquistata e sicuramente non l’avrebbe lasciata
volentieri. Ma dubitava fortemente che avrebbe potuto avvallare pretese. Del
resto…
“Perché
lei? Tommen non ha ancora…”
Nel dire
questo sentì qualcosa. Era così strano
parlare così di suo fratello. Tanto strano. Ma si ripeté ancora quella frase. "Come era cambiata lei sicuramente era
cambiato anche lui."
Lui le
troncò la frase e la sua voce aveva una strana nota maliziosa.
“Non ancora. Ma dubiti delle capacità di
tuo fratello?”
Queste
parole la fecero sorridere nuovamente “Non stavo dicendo questo…ma fino a prova
contraria, lui non ha un erede.” Nel dire questo quella sensazione di stranezza
di prima era svanita. E aveva lasciato posto a un’intuizione.
Abbassò la
testa mentre il volto le si incupiva seguendo il ragionamento di Trystane.
“Ho capito
dove vuoi arrivare. Se mio fratello dovesse…dovesse
lasciarci e prima avesse un figlio da Margaery…”
Trystane la
fissava immobile.
“Beh mio nipote sarebbe…”
Non credeva
a ciò a cui era arrivata ragionando, ma sentiva che sarebbe andata sicuramente
così.
“Sarebbe
nient’altro che un Tyrell. Crescerebbe come tale, si atteggerebbe come tale, governerebbe come tale.” La sua voce era
gelida, carica di repulsione e sconcerto.
Lui la
guardava, sorridendo leggermente nel vederla arrivare alle sue conclusioni.
“Tua madre ha una degna sostituta per quando lascerà la corte…” le disse
con quel suo unico tono ironico.
Non poté fare a meno che ridere. “Trystane, ti prego…”
“Non c’è
niente da far, voi leoni non sapete proprio stare lontani dal potere…” le
rispose lui.
Myrcella
sorrise. “Non è questo ma…i Tyrell sono nostri alleati solo per convenienza
momentanea. I leoni non hanno mai amato
le rose e mai le ameranno.”
Lo fissò
negli occhi.
“Nessuno
vorrebbe un re Tyrell. Nessuno.”
“Ma non
sarà solo un Tyrell…avrà sangue Baratheon e…e Lannister.”
Lui era al corrente di tutto. Del resto non avrebbe
mai potuto mentirgli…
“No
Trystane” riprese lei “sarà un Tyrell e farà solo gli interessi dei Tyrell”
Per tutta risposta
lui sorrise e le prese le mani. Tornò a parlare con quel suo tono unico e
inimitabile, carico di quella ironia sottile che tanto le piaceva.
“Allora
speriamo che tuo fratello non sia in grado…ma se è un dono di famiglia…”
Provava a
rendere seria la sua espressione del volto mentre la fissava, ma stava fallendo
miseramente.
“Avremo un re Tyrell” sentenziò, con voce carica di finto rammarico.
Lei scosse la testa. “Ecco il
vero Trystane” pensò sorridendo.
“Credi di aver abbastanza esperienza per dirlo? Per definirlo un dono di famiglia?” gli rispose, cercando di
sembrare seria. Ma non lo era affatto,
anzi. Voleva provocarlo.
“Beh…tu cosa dici” chiese lui, con voce carica di curiosità e
impazienza. Ce l’aveva in pugno. Era
stato così facile…
“L’esperienza non è mai
troppa…”
Lui sorrise a queste parole, compiaciuto. “Non potrei essere più
d’accordo”
Le si avvicinò, prendendole una ciocca di capelli tra le dita. La fece
scorrere delicatamente, mentre il suo sguardo era perso nel vuoto. Arrivato in
fondo tornò a guardarla. Le portò una mano dietro la schiena e lentamente la
baciò.
Myrcella chiuse gli occhi, ricambiando il suo gesto. Soli, finalmente.
Sentì la mano di lui risalire, arrivarle al collo. E poi, sempre lentamente, iniziò a sfilarle la
spallina del vestito.
Si staccò dalle sue labbra e appoggiò la testa sulla sua spalla,
sfiorandogli il collo con il volto.
Le mani di lui continuarono ad accarezzarle il corpo.
La spinse piano piano verso il letto. Si adagiarono entrambi.
Ripresero a baciarsi.
“È da quando abbiamo lasciato
Dorne che non abbiamo più…” Ma non fece in tempo a completare questo
pensiero. Non era più tempo di pensare, di parlare.
Chiuse gli occhi.
Erano finalmente soli.
Potevano dimenticare tutto e tutti.
Potevano finalmente togliere
la maschera.
Note dell’autore:
Eccoci dunque al quarto capitolo…spero vi sia piaciuto! Ho deciso di
inserire nel gioco del trono che era fermo da troppo tempo un personaggio
nuovo. In questo capitolo avete potuto vedere le prime reazioni e di certo non
si fermeranno qui.
Avevo anche promesso personaggi “normalmente” estranei ad Approdo del
Re e i suoi intrighi e Aegon non sarà di certo il solo. Mi scuso ancora
per la formattazione, ma evidetemente o sono io incapace o i programmi
open source fanno schifo.
Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno lasciato feedback e
fantastiche recensioni, lo apprezzo tantissimo.
Come sempre stay tuned e long live the lioness
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
cap 5
Long live the lioness
“'Cause nothin' lasts forever
And we both know hearts can change
And it's hard to hold a candle
In the cold November rain”
November Rain, Guns N’roses
Un tenue e delicato raggio di luce mattutina squarciava la penombra
della stanza filtrando dalla finestra, formando un cono di luce in cui
fluttuavano mille e mille inconsistenti granelli di polvere.
Quanto era stata a guardare quello spettacolo tanto insignificante e
banale quanto straordinario? Secondi? Minuti? Ore? Non avrebbe saputo
dirlo.
Al risveglio quella piccola magia aveva catturato la sua attenzione e
non era più riuscita a staccarvici gli occhi. Per quel poco che era
durato era riuscita a dimenticare tutti i pensieri, a fare finta che
non esistesse nient’altro.
Ma sapeva fin dall’inizio che non sarebbe durato a lungo, anche se si era illusa del contrario.
Sospirò, tornando ad appoggiare la testa sul cuscino. Doveva tornare al
mondo reale. Si morse leggermente il labbro, mentre i suoi occhi erano
persi nel vuoto. Sentiva un leggerissimo ma oramai inconfondibile
sibilo, che si ripeteva ancora e ancora senza fine. Inclinò la testa
quanto bastava per vederlo. Stava ancora dormendo, e non c’era motivo
di svegliarlo.
Senza volerlo tornò a pensare a quella notte. Istintivamente si portò
la mano in grembo. Non potevano assolutamente continuare così.
Continuare a correre quel rischio. Fino ad allora lo avevano ignorato e
nulla era successo, ma era ben consapevole che non sarebbero stati così
fortunati ancora a lungo. La natura avrebbe fatto il suo corso. Ed era
troppo, troppo presto. E loro erano troppo giovani.
Scosse la testa. Mise da parte quei pensieri. Doveva parlargliene
assolutamente, ma non in quel momento. C’erano tanti altri pensieri ad
assillarla.
Delicatamente scivolò fuori dal letto, facendo attenzione a non svegliarlo.
Lanciò un veloce sguardo verso la finestra, intravedendo la Fortezza
Rossa e la città intente a svegliarsi sovrastate da una coltre di nubi
che andava a infittirsi.
Cominciò a prepararsi. Non si faceva aspettare un re.
Oramai riusciva a fare tutto da sola. Non sopportava nessuna delle
tante cameriere che le erano state mandate. Erano tutte incapaci oppure
erano delle spie. Alcune addirittura riuscivano a essere tutte e due le
cose assieme. “Avrei dovuto portarmi qualcuno da Dorne…” pensò
amaramente.
Aveva praticamente finito quando Trystane si svegliò. La sua
espressione era ancora intontita e addormentata, i suoi occhi a mala
pena riuscivano a stare aperti.
“Mi lasci di già?” gli chiese, con la voce impastata di sonno.
Lei gli sorrise. Si avvicinò e si sedette sulla sponda del letto.
“Mio fratello mi ha degnato dell’onore di un’udienza privata. Non
voglio certo fare tardi…” Avrebbe voluto dire quelle parole con tono
più graffiante e sarcastico, ma le era impossibile. Tommen era il re e
poi…non stava di certo bene.
“E allora vai, per il bene del reame…” aggiunse lui sorridendole, mentre la voce aveva ripreso la sua tipica sfumatura ironica.
Myrcella scosse la testa. “Per il bene del reame è meglio che tu non ti faccia trovare qui dentro da qualcuno…altrimenti…”
“Altrimenti?” chiese lui, in tono di finta sfida. Solo Trystane era
capace di ironizzare tutte le situazioni. L’occhiata di lei gli bastò
come risposta. La guardò uscire, seguita dallo svolazzare leggero del
lungo vestito. Gli sorrise un’ultima volta mentre lei chiudeva la
porta. Sbadigliò alzandosi, pronto a cancellare in pochi minuti ogni
segno della sua presenza.
Pronto a indossare nuovamente la maschera.
- -
- - -
- -
Aveva dovuto anche attendere prima di poterlo vedere. E ora, sentendosi
stranamente leggera, come in un sogno, stava varcando la porta degli
appartamenti reali. Suo fratello era in fondo al solarium, nella parte
rialzata di qualche gradino rispetto al resto. Dava le spalle alla
porta e sembrava intendo a osservare fuori dalla finestra. Al rumore
dei suoi passi veloci Tommen si girò.
Il suo fisico si era di molto irrobustito, era decisamente più alto, ma
il suo volto non era cambiato per nulla in tutti quegli anni. O almeno
questo le suggerivano i ricordi. Ricordi che ora entravano numerosi e
prepotenti nella sua mente come la grandine in un tetto bucato. Si
sforzò di trattenere le lacrime avvinandosi. Suo fratello rimaneva
immobile, guardandola con occhi gelidi. C’era stato un lampo in quegli
occhi quando l’aveva vista, ma era stato subito represso da
qualcos’altro… Da qualcosa che si portava dentro…e lei non aveva idea
di cosa fosse.
Continuò a guardarlo incredula. Il silenzio che c’era nella sala faceva male alle orecchie. Pensò lui a romperlo.
“Cosa hai da sottopormi?” le chiese, con voce autorevole e distaccata.
Cosa? Cosa aveva detto? No, non era possibile. Non poteva andare così. Stava finalmente accadendo e non voleva andasse così.
Continuò a fissarlo immobile, mentre su suo volto si dipingeva un’espressione di sconcerto.
Lui attendeva una sua risposta e presto si stancò di aspettarla. Riprese a parlare con tono quasi seccato.
“Non si chiede forse udienza a un re per sottop…” Ma non poté
completare la frase. La sua faccia si contrasse in una smorfia di
dolore, si piegò in avanti e cominciò a tossire. Ogni colpo di tosse lo
scuoteva violentemente, mentre il suo volto era una finestra su quanto
stesse soffrendo.
Sapeva che era malato, ma vedere tutto dal vero… Era sconcertata, impietosita, incredula e…quante altre cose.
Istintivamente mosse pochi passi, salì i gradini e gli si avvicinò. I
suoi occhi lucidi erano pronti a esplodere, ma si sforzò di
trattenerli. Restò a guardarlo soffrire in quel modo, senza poter fare
nulla. Si sentiva così impotente. Non era affatto una bella sensazione.
Dopo un interminabile minuto lui riuscì a smettere di tossire e provò a
parlare. La sua voce era incredibilmente rauca e flebile.
“Myrcella io…” Non riusciva a trovare le parole per dirglielo, o forse
le aveva ma non riusciva a pronunciarle. Il suo volto poco prima le era
sembrato così uguale e familiare, ma ora che lo guardava bene era
scavato, segnato da segni di profondo dolore e stanchezza.
“I know…” gli disse, cercando di essere il più dolce possibile.
Vide lui rialzare la testa e guardarla negli occhi. E in quegli occhi
vide finalmente ciò che voleva vedere. Aprì le braccia e lui venne
verso di lei.
Si strinsero finalmente in un abbraccio troppo a lungo aspettato,
troppo a lungo sognato. Un abbraccio forte, come se l’uno non volesse
lasciare scappare l’altra, come se si volessero sincerare che fosse
tutto vero e non un sogno.
Con tutte le sue forze si impose di non piangere, non lì, non in quel
momento, non davanti a lui. Lei e il fratello avevano solo un anno di
differenza, eppure in quel momento lei sembrava molto più grande. Sentiva
sul collo le sue lacrime, e si sforzò ancora di trattenere le proprie.
Rimasero così a lungo, senza bisogno di dirsi nulla. Poi lui riprese a
parlare.
“Quel giorno…prima di partire mi dicesti che dovevo essere forte.
Forte. Che saresti tornata…” la sua voce era ancora flebile come prima,
carica di amarezza e portava i segni indistinguibili del pianto.
Lei stava rivivendo quel momento, il ricordo della sua partenza era
rimasto scolpito nella sua mente. Si sentiva in colpa, anche se non
sapeva bene perché. L’aveva lasciato lì, da solo. Da solo in una città
di mostri travestiti da agnelli. Da solo con Joffrey. Ma le era stato
imposto, non era di certo una sua scelta. E per fortuna era stata una
scelta giusta. Aveva sconvolto completamente la sua vita. Come aveva
sconvolto quella di suo fratello.
Udì nuovamente la voce di lui.
“Ci ho provato. Ti giuro che ci ho provato. Sono successe così tante
cose senza che io potessi rendermene conto, capire, reagire. Senza di
te sono stato…”
Sospirò. Un respiro che pareva più un lamento.
“Solo è riduttivo. Guerra, congiure, intrighi, morti. Tutto mi accadeva
intorno, mi sfiorava, mi era così vicino, ma non mi toccava e non
potevo capire. Poi…poi è morto Joff…”
La sua voce era piatta, senza alcun tipo di coinvolgimento. Riportava una notizia, senza soffrirne. Continuò a parlare.
“E allora tutti si sono concentrati su di me. Ma di me non importava a
nessuno. Tutti volevano qualcosa. Approvazioni, terre, denaro, titoli,
consensi, firme… Quel trono non mi è mai piaciuto, non l’ho mai voluto.
Era di Joff, non mio.”
Pendeva oramai dalle sue labbra.
“Ho cercato disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi...e ho ricordato
le tue parole. Ho provato a essere forte. A mostrare agli altri un re
deciso. Ho fatto tutto quello che mi hanno detto di fare, facendo finta
di capirli. Prima lord Twin, poi la mamma, poi Margaery… Ho seguito
quello che mi dicevano di fare, sperando che poi mi permettessero di
essere me stesso. ”
Sentì la sua voce commuoversi sempre di più.
“Myrcella perché? Perché non ci hanno lasciato insieme, perché Joff è
dovuto morire, perché sono dovuto andare su quel trono? Perché non ci
hanno lasciato vivere la nostra vita? Perché non ci hanno lasciato
essere ciò che eravamo?”
Non aveva una risposta a questa domanda. Avrebbe tanto voluta averla, per lui…
Provò a trovare delle parole, ma ogni pensiero le moriva in gola.
“So benissimo che non hai una risposta. Non esiste una risposta. Mi
sono illuso per tutto questo tempo che sarebbe bastato riaverti qui
per…perché tutto magicamente tornasse come prima…”
Si staccò da lei.
“Quanto sono stato sciocco a pensarlo?”
Sentì quelle parole risalirle dal cuore alle labbra. Parlò lentamente, scandendo ogni parola con voce carica di commozione.
“Non sei stato per niente sciocco Tommen. Nessuno potrà mai separarci.
Potranno allontanarci, imporci cosa fare, ma mai e poi potranno rompere
quello che fra noi, perché è indistruttibile…”
Con queste parole riuscì finalmente a far tornare un’espressione sicura
sul volto di suo fratello. Doveva continuare così. Un sorriso le si
dipinse sulle labbra quando le venne in mente cosa dire. Il suo tono si
fece inevitabilmente ironico.
“Indistruttibile come la porta del magazzino dei corvi…”
Tommen tornò a sorridere mentre quel ricordo riaffiorava nella sua memoria. Era passato così tanto tempo…
“Mi auguro proprio di no…” disse, mentre nei suoi occhi la figura di sua sorella veniva sostituita da quel ricordo.
Aveva sempre adorato i gatti…solo che loro non amavano tanto lui.
L’unico modo di farseli amici era dare loro da mangiare. Ma farsi
portare qualcosa da qualche servitore avrebbe cancellato parte della
soddisfazione finale, così decise di rubarlo. Quale miglior obbiettivo
se non la stanza in cui veniva custodita la riserva di cibo per i
corvi? Myrcella aveva provato a dissuaderlo, dicendogli che la porta
era troppo spessa, troppo resistente e che non ce l’avrebbe mai fatta.
Si era rassegnato quindi a provare a forzare la serratura. Armato di
qualsiasi pezzo di ferro avesse a disposizione a lungo aveva tentato di
scassinarla, senza però ottenere alcun risultato, mentre la sorella lo
guardava divertita. Alla fine si era rassegnato. E quando lei se ne
stava già andando, lui aveva provato a fare ciò che fin dall’inizio
aveva in mente, ossia abbattere la porta. Una spallata di un bambino
era stata sufficiente a sfondare quel sottilissimo legno.
In quel momento dentro di lui si erano mischiati soddisfazione e
rancore verso la sorella, che aveva detto che era impossibile. Ma alla
fine aveva avuto il suo cibo per i gatti e qui si era concluso tutto.
Ripensare a questo li fece sorridere entrambi. E per un po’ non ci fu più bisogno di parole, bastava guardarsi negli occhi.
Ma poi lo sguardo di Tommen si incupì sempre di più, mentre quell’orrenda smorfia di dolore tornava prepotente sul suo volto.
“Myrcella…” le chiese in tono di implorazione, indicando con la mano qualcosa dietro di lei.
Si girò e in raggiunse in fretta il tavolo, mentre i suoi colpi di
tosse esplodevano ancora più forti e violenti di prima. C’era solo un
capannello lì, così lo prese e si mise a suonarlo, con lo sguardo che
non si poteva staccare dal fratello.
Cosa ha fatto per meritarsi questo?
Un vecchio entrò da una porta sul lato a soccorrerlo. E mentre spariva
con il re appoggiato su di sé le fece cenno di andarsene.
Con il viso e gli occhi che le bruciavano uscì dalla stanza,
percorrendo senza meta i corridoi. Senza sapere come si ritrovò in cima
a una torre, con il cielo nero che incombeva sopra la città.
E poi, dapprima lentamente, la pioggia cominciò a cadere.
Solo poche gocce all’inizio. Ma ad ogni istante aumentavano e aumentavano.
Alzò gli occhi al cielo.
La pioggia era oramai molto intensa. Ma non le importava.
Sentiva l’acqua caderle sui capelli, scorrere giù, lungo la fronte, le
palpebre, le labbra, il mento, il collo. Infradiciarle i vestiti,
colare in veloci e fresche gocce sulle spalle, sul seno, sul ventre,
sulle gambe.
Quelle gocce avevano il sapore dolce delle pianure.
E si mischiavano a quello salato come il mare delle sue lacrime.
Poteva finalmente lasciarsi andare.
Buttare fuori tutto ciò che si portava dentro.
E lasciare che la pioggia lo trascinasse via con sé.
Vedere suo fratello in quello stato…e quello che aveva detto…le avevano fatto più male di quanto avesse mai potuto immaginare.
A Dorne si era sentita a lungo terribilmente sola. E solo Trystane era
riuscito a colmare quel vuoto. Ma Tommen non aveva nessuno, nessuno al
di fuori di lei.
Erano sempre stati insieme…perché tra loro c’era sempre stato un legame
forte. Forse era perché avevano quasi la stessa età, forse era perché
Joff era molto più grande ed era…diverso.
Tutti l’avrebbero ricordato come un mostro psicopatico, uno dei re
peggiori che i sette regni avessero mai conosciuto. Lei invece…
Joffrey era stato crudele con tante, troppe persone. Perfino con
Tommen. Eppure con lei…a lei non aveva mai fatto nulla. E quando i loro
sguardi si incrociavano…ricordava benissimo ciò che vedeva nei suoi
occhi, ma non era capace di descriverlo, di concretizzarlo. Suo
fratello in quegli istanti tornava a essere umano, come se la sua
indole crudele non fosse altro che una menzogna e a lei non potesse
mentire. O forse era qualcosa di più. Forse…
Non sapeva cosa realmente Joffrey provasse per lei…e non l’avrebbe mai saputo.
Ma di una cosa era certa. Non era il mostro che tutti credevano, almeno
non completamente. Lei gli aveva sempre voluto bene e a modo suo lui
aveva ricambiato.
Uno dei suoi primi ricordi era di Joff che la caricava sul suo cavallo
e girava con lei per il cortile della Fortezza Rossa. Un bambino
sincero, affettuoso, normale…
Lo avrebbe sempre ricordato così.
Abbassò la testa. Dopo tanti pensieri tristi aveva ritrovato un sorriso.
Aveva sfogato tutto e quelle numerose lacrime avevano trascinato via
tutta l’incertezza e lo sconcerto. Ciò che stava accadendo a Tommen era
reale, tremendamente reale. E lo doveva accettare.
La pioggia andava affievolendosi.
Si chiese quanto a lungo fosse stata lì. Minuti? Ore? Non ne aveva idea.
Mandò giù i residui di quel lungo pianto liberatorio e si voltò, pronta
a tornare alla sua stanza. Ma non riuscì a muovere nemmeno un passo.
Appena si fu voltata rimase immobile come una statua.
Non era possibile. Cosa diavolo ci faceva…
Davanti a lei, su quella terrazza di pietra rossa, c’era un drago.
Aegon Targaryen stava lì in piedi, a pochi passi da lei.
Già dall’alto della galleria le era sembrato spaventosamente, irrealmente, bello.
Ma vederlo da quella prospettiva…
Il platino dei suoi capelli risplendevano ancora di più dopo che alcune
gocce di pioggia li avevano inumiditi. I suoi lineamenti regali ed
eleganti davano vita a un’espressione composta ma non seria, serena ma
malinconica. I suoi occhi erano un misto di viola e ossidiana, profondi
e limpidi come il mare di Dorne, e anche in essi traspariva serenità
con un alone di quella malinconia così particolare. Erano una finestra
sul suo animo, un animo che in quel momento era privo di preoccupazioni.
Un lungo mantello cadeva dalle sue spalle. Sulla sua corazza si
potevano scorgere tre draghi, l’emblema dei discendenti dell’antica
Valyria, che si stagliavano lucidi contro il metallo opaco
dell’armatura.
Dalla cintura pendeva ancora l’enorme spada mostrata il giorno precedente.
Myrcella era senza parole.
Sentiva che dentro di lei stava nascendo qualcosa di nuovo. Non era
paura, non era felicità, non era preoccupazione, non era amore, non era
curiosità.
Era qualcosa di strano, di speciale, di mai provato prima.
E mentre si sforzava di trovare un senso e un nome a quella sensazione i suoi occhi videro le labbra del drago muoversi.
Formarono un sorriso appena abbozzato. Sereno e malinconico anch’esso.
E con quel leggero sorriso stampato sulle labbra il drago fece per parlare.
Note dell’autore:
alcuni bramavano un incontro tra Myrcella e Aegon…quindi eccovi accontentati.
Già da quando ho inserito Aegon nella storia pensavo di farli
incontrare e quando ho risentito qualche giorno fa November Rain mi è
venuta l’illuminazione.
Questa è di certo solo la premessa di questo incontro, che svilupperò nel prossimo capitolo.
Ho anche voluto approfondire il rapporto di Myrcella con i fratelli.
La realtà è dura a volte da digerire…così è stato per la malattia di Tommen.
Sono il primo a sostenere che Joffrey fosse un maniaco psicopatico e
quant’altro e che si sia meritato una fine del genere, ma nonostante
ciò mi riesce impossibile immaginarlo tale con la sorella. Lo sguardo
che lui le lancia durante il torneo per il suo tredicesimo compleanno
dice molto sul loro rapporto. Un rapporto che non è mai stato
(purtroppo) esplicitato.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e come sempre fatemi sapere le vostre opinioni.
Grazie ancora a tutti quelli che lasciano feedback!
Stay tuned.
E, naturalmente, long live the lioness.
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Cap 6
Long live the lioness
“Non
avrei mai immaginato di trovarti qui…”
Le
parole di Aegon avevano un suono assai diverso da quello che si aspettava. Pensava
che sarebbero state parole dure, distaccate, ostili. Del resto lui aveva tutte le ragioni del mondo per odiarla...un
tradimento come quello dei Lannister era impossibile da dimenticare. E
invece udì un tono calmo, quasi amichevole e da cui traspariva ancora una volta
quella regalità e malinconia che caratterizzavano il giovane drago.
Quella
strana sensazione che aveva avuto prima e a cui non aveva saputo dare un nome
si fece più forte, quasi a prendere il controllo di lei. Avrebbe dovuto avere paura di lui eppure…sentiva qualcos’altro. E
quel qualcosa prese la parola al suo posto.
“Potrei
dire la medesima cosa” rispose con un filo di voce.
Sul
volto di lui tornò quel leggero e malinconico sorriso, mentre il suo sguardo
spiazzava sull’orizzonte. Approdo del Re non era certo una magnifica città. Eppure Aegon ne pareva affascinato.
La
pioggia continuava a cadere leggerissima, quasi impalpabile.
Il
drago riprese a parlarle.
“Qualcuno
mi ha detto che dovevo assolutamente conoscerti”
Sul
volto le si dipinse un’espressione di sorpresa.
Che cosa? Chi era stato? E mentre si sforzava di pensare, di
ipotizzare, un gelido dubbio cominciò a farsi strada nella sua testa. Che fosse
stato… No, non era possibile. Eppure più ci pensava più sentiva che la verità
era quella. Era stato Trystane. Ma quando? Come? E soprattutto, perché?
Rimandò
quelle domande a dopo e si concentrò su quello che doveva dire.
“Avrai
già un idea” aggiunse, con tono riluttante. Adesso aveva veramente timore di
cosa lui avrebbe risposto.
Nello
sguardo di Aegon ci fu un lampo. Non era esattamente rabbia, era qualcosa di
simile. Come se lei avesse detto qualcosa che andava contro le sue convinzioni,
le sue idee.
La sua
espressione si fece più seria. E, cogliendola di sorpresa, le appoggiò le mani
sulle spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.
“So
cosa stai pensando. E sei totalmente fuori strada.” La sua voce era carica,
forte, ma non colma d’incontrollata ira.
“Non
sono qui per giudicarti in base al nome che porti. Per quanto tu possa temerlo,
non ho nulla contro di te.” Fece una pausa. E poi, quasi sibilando e con gli
occhi persi nell’orizzonte, ripeté parole che così tante volte l’avevano
aiutato.
“Past is past, dead are dead.”
Il suo
sguardo era una spirale senza fine, un oceano senza fondo né confini. Bastava
guardarlo negli occhi per rimanerne completamente catturati. Le sue parole erano così...
“Chi
sei è più importante di cosa sei.” Il suo tono era divenuto quasi solenne, come
se le stesse insegnando una lezione di vita da non dimenticare. Mai.
“Cosa sono io? Un Targaryen. Ma potrei chiamarmi Dayne, oppure Arryn, oppure Sand e sarei sempre me stesso. Lo
stesso vale per te”
Finalmente
cominciò ad intuire il significato di tutto il suo discorso. E quello che lui
stava dicendo, beh, le piaceva. Riuscì a sorridere. Lui sembrò apprezzare. Riprese
a parlare, con rinnovata energia.
“Quel
sorriso, quello che pensi, quello che provi per gli altri, tutto quello che
porti e senti dentro di te, i tuoi ricordi, le tue idee, tutto questo è quello
che ti rende te stessa. Non un nome.”
Non si
sentiva sorpresa. Sorpresa era riduttivo. Era completamente senza parole. Si
era immaginata Aegon in tutt’altro modo. Ciò che aveva detto era…terribilmente bello e terribilmente vero. E
nonostante non sapesse praticamente nulla di lui, qualcosa le diceva che
poteva, che doveva, fidarsi.
“But we have them…” aggiunse con un filo
di voce. Era d’accordo con quello che lui aveva detto, pensava la stessa cosa,
anche se non era mai riuscita davvero a concretizzarla. Ma lui con quelle
parole c’era riuscito. E dopo averle udite, questa domanda le era venuta
istintivamente.
La
malinconia si fece nuovamente strada sul volto di Aegon. I suoi lineamenti si
distesero. Le sue erano parole
bellissime, ma la realtà purtroppo era un’altra. Proprio lui che amava così
tanto la filosofia era costretto a occuparsi di mera politica. Era un amaro
controsenso, ma purtroppo era così.
“Yes, we have” disse lentamente. I suoi
occhi si persero per qualche istante nel vuoto. “E nomi comi i nostri
comportano soprattutto responsabilità…grandi responsabilità.”
Myrcella
annuì leggermente. Non poté trattenersi da fare quella domanda.
“Sconfiggere
gli estranei è una di queste?”
Il
drago prese un lungo sospiro. Il fatto di essersi immaginato l’altro in modo
completamente sbagliato era reciproco. “Trystane
aveva decisamente ragione” pensò lui. “Delicata
e candida come la neve, ma intelligente e astuta come una volpe” Quel mix
era davvero temibile. I Lannister erano sempre stati terribilmente astuti, ma
la loro eterna arroganza e superbia aveva sempre fortunatamente
controbilanciato, evitando di renderli invincibili.
Ma lei…lei aveva qualcosa di diverso. E per
questo gli piaceva. Poteva essere una nemica temibile, cosi come una
formidabile alleata.
“Per
quanto tu possa credere, ho ancora qualche amico nei Sette Regni. E quanto mi è
giunta la notizia…beh non potevo stare a guardare.”
La sua
voce si fece più forte.
“Non
potevo stare a guardare gli estranei trasformare la mia terra in una distesa di
morti non del tutto tali…non avendo nelle mani le armi per sconfiggerli.”
Tornò a
guardarla negli occhi. Erano arrivati a parlare di quello. Purtroppo o finalmente. Non avrebbe saputo scegliere tra i due.
“Ti
sarai già chiesta un miliardo di volte se sono tornato per…per quella sedia di
spade.”
Lo
sguardo di lei si abbassò. Non sapeva
mentire. Almeno non così bene. Questo tipo di risposta gli bastò. Riprese a
parlare.
“Che
razza di re sarei a lasciar morire il mio popolo?”
Il suo
tono ora era quasi irato.
“Fin
troppi re, anche miei antenati, sono saliti su quel trono e poi non si sono presi le loro
responsabilità. Io intendo fare esattamente il contrario…”
Prese
fiato, mentre i suoi occhi si perdevano nel vuoto, segno che stava riportando
alla memoria qualcosa.
“Non
sono però qui per discutere diritti dinastici…né tantomeno per rubare il trono
a qualcun altro.”
Tutto
in lui, lo sguardo, la voce, l’espressione erano la determinazione divenuta
persona. Myrcella ne rimase profondamente colpita.
“Aegon
il Conquistatore venne trecento anni fa a unire sette regni in unico grande
reame.”
Si
fermò un istante che parve non avere fine.
“Intendo
fare lo stesso.”
La sua
espressione si alleggerì, come se si fosse liberato di un peso.
Si
voltò ed andò ad appoggiarsi a uno dei merli della torre.
Dopo
alcuni secondi lei lo seguì.
Stettero
in silenzio, osservando lo spettacolo che avevano davanti agli occhi.
Le
nuvole si stava lentamente diradando, lasciando squarci nella coltre nera da
cui il sole riusciva a filtrare.
Le gocce si mischiavano a questi coni di luce in una danza sfavillante di
arcobaleni.
Sopra
ad Approdo del Re aleggiava una finissima e quasi indistinguibile nebbia, che
pareva il respiro della terra, rendendo il tutto straordinariamente surreale. E
la Baia delle Acque Nere, solcata da una sequenza infinita di onde, rifletteva
il sole in mille punti, come un cielo stellato.
La pioggia
era quasi cessata ed era tanto fine da essere impercettibile.
Lei non
riusciva a smettere a pensare alle sue parole. Intendo fare come Aegon il Conquistatore. Voleva dire guerra? Aveva
detto che li avrebbe nuovamente riuniti. Quindi prima avrebbero dovuto
dividersi… Oppure intendeva dire draghi? Ma i draghi erano morti… Scosse la
testa. Avrebbe avuto così tanto tempo per ripensare a quelle parole. E sebbene
sembrasse l’unica cosa sensata da fare, non chiese direttamente a lui cosa
intendesse dire. Altre parole le vennero in mente. Sorrise. E poi ruppe il
silenzio.
“Dovrai
assolutamente asciugarti. Un drago
bagnato non fa paura a nessuno."
E Aegon
non poté fare a meno di ridere. Il malinconico giovane non si trattenne, non
questa volta. Quelle parole…erano
esattamente ciò che ci voleva in quel momento. E lei era riuscita a trovarle.
Le sue intuizioni erano vere. Aveva ragione su di lei.
“Sei
molto più bagnata di me”
Dicendo
questo si tolse la cappa dalle spalle e la pose su quelle di lei.
Myrcella
sorrise. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma bastò uno sguardo.
Poi lui
riprese a parlare.
“Trystane
si chiederà dove sei finita…”
Ecco. Aveva ragione. Era stato lui a…
“Spero
di rivedervi entrambi presto. Molto
presto.”
Non
capì cosa lui volesse dire. Ma non importava. Non in quel momento.
Lui le
si avvicinò. La baciò sulla fronte.
La colse decisamente di sorpresa. Non sapeva
cosa dire. Bastò però uno sguardo.
Aegon,
con quella sua inconfondibile espressione, si stagliava contro il cielo mezzo
grigio e mezzo nero. Un drago
malinconico. Un drago magnifico. Un drago che l’aveva colpita come mai si
sarebbe aspettata.
Lei
lentamente si voltò e stringendo la cappa di lui si avviò verso le scale.
Quella
sensazione che era nata fin da quando l’aveva visto e che non sapeva definire
aveva finalmente un senso. Non era paura, non era felicità, non era
preoccupazione, non era amore, non era curiosità. Era ammirazione mista consapevolezza,
fiducia mista a sicurezza.
Consapevolezza
che nessuno quanto lui fosse adatto e meritasse di divenire re.
E sicurezza
che Aegon della casa Targaryen, sesto del suo nome, sangue del drago,
discendente dell’Antica Valyria e signore di Roccia del Drago era il re che i
Sette Regni aspettavano da tanto, troppo tempo.
Note
dell’autore:
Ammetto
che questo capitolo mi ha creato parecchi grattacapi. Prima non
riuscivo a
scriverlo, una volta ingranata la marcia ho scritto decisamente troppo
(più di
4000 parole) quindi ho deciso di spezzare in due il capitolo.
L’incontro con
Aegon è la prima parte, la seconda costituirà il capitolo VII e,
essendo praticamente già scritta, arriverà prima rispetto alla mia
solita frequenza.
Aspetto
le vostre opinioni, il giovane drago che immagino io è molto simile al
padre,
un principe malinconico, amante della poesia e della filosofia, non di
certo un ragno tessitore di intrighi politici. Ma in lui vedo tanto
anche dell’antenato,
il cavaliere di Balerion il terrore nero, dall’indole decisa,
determinata,
implacabile. Spero davvero di essere riuscito a renderlo come nelle mie
intenzioni e che possiate apprezzare questo primo incontro.
Per il
resto che dire? Le speranze di rivedere Myrcella nella prossima serie sono
diventate prossime allo zero. Perché dico questo? Quello che ha scritto
l’attrice sui social direi che lascia davvero poco spazio a ipotesi e teorie…e
poi Jon Snow è stato “avvistato” all’incontro che precede le riprese della
nuova stagione (che dovrebbero iniziare tra circa dieci giorni) e dubito che
sia lì per impersonare un cadavere per trenta secondi…mentre di Nell nessuna
traccia. A quanto pare dovrò farmene una ragione.
Grazie
ancora a tutti quelli che lasciano feedback, è davvero molto importante per me
sapere le vostre opinioni.
Ho
scritto fin troppo, quindi alla prossima.
E, ora
come sempre, long live the lioness.
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Cap 7
Long live the lioness
"Unbowed, Unbent, Unbroken"
House Martell
Era
oramai il tramonto e il sole morente lanciava mille sfumature diverse di luce
sulla terrazza. Sull’orizzonte permaneva qualche nube, unica traccia rimasta del
temporale della mattina. L’urlo del fiume delle Rapide Nere, ingrossato dalla
pioggia, era l’unico rumore che rompeva quel silenzio così magico e rilassante.
Posò
sul tavolo la coppa. Quel vino era decisamente troppo dolce per i suoi gusti. Tanto
dolce da essere quasi nauseante. Ne tessessero pure le loro mille lodi i
mercanti, ma quello di Arbor non era minimamente all’altezza di quello di
Dorne. Ma forse era solo questione di abitudine. O di eccessivo patriottismo.
Alzò
gli occhi dal tavolo.
Myrcella
era appoggiata al parapetto della terrazza e fissava il sole sprofondare nella
baia, assorta in chissà quali pensieri.
La sua
coppa giaceva vuota sul tavolo. Evidentemente
a lei quel vino non dispiaceva. Si chiese cosa stesse pensando. E per
qualche istante provò davvero a immaginarlo. Scosse la testa. Non poteva stare
lì a pensare. Non era più il tempo di pensare. Era tempo di parlare e poi,
insieme, di agire. Mai avrebbe voluto dover parlare di quell’argomento, ma non
poteva continuare a girarci attorno. Era molto, troppo importante e non
potevano continuare a scappare come due bambini. Inghiottì, sperando di
liberarsi la bocca di quel sapore esageratamente dolciastro.
“Myrcella.”
Lei si voltò. Quel vestito le stava a dir poco d’incanto. Sarà stato il
contrasto di quell’azzurro con i suoi capelli dorati, sarà stata la leggerezza
intuibile anche ad occhio del tessuto, sarà stato che la copriva davvero poco… Si
sforzò di non rimanerne completamente rapito. Era molto, molto difficile. Lei
stava per aprire bocca, ma lui la precedette.
“Com’è
andata con Tommen” chiese, cercando di essere più dolce e comprensivo
possibile. Sapeva quanto la sua leonessa fosse legata al fratello. Un tipo di rapporto, un legame fraterno che
lui aveva solo potuto sognare… No, non era quello il momento di pensarci.
Sembrava che tutto quanto si stesse mettendo di impegno per distrarlo, per
fargli perdere il filo e la concentrazione.
La voce
di lei era chiaramente triste, ma non disperata. Tutto quello che doveva sfogare l’aveva sfogato, tutte le lacrime che
poteva piangere le aveva piante. E ora, sebbene triste, si sentiva serena. Quella
era la realtà. E come tale, bisognava accettarla. “Non avevo di certo
grandi aspettative, eppure…mi ha sconvolto comunque quanto stia male. Per il
resto…è cambiato, ma non come e quanto mi aspettassi. In molte cose è…è sempre
lo stesso.” C’era una vaga nota nostalgica nella sua voce.
Lui si
alzò e le andò vicino. Le passò una mano attorno alla vita. Lei gli sorrise.
E poi,
con voce più distesa, riprese a parlare.
“La
regina questo pomeriggio è venuta al concilio a informarci di quello che
intende fare per il re.”
Lei lo
guardò speranzosa e timorosa insieme. “Margaery che si preoccupa per la salute
di mio fratello?” gli chiese, con tono che lasciava trasparire tutti i suoi
dubbi in merito.
A
stento lui trattenne una risata.
“Sinceramente
non la trovo una cattiva proposta.”
Lo
sguardo di lei era carico di curiosità.
“Ha
detto di averne a lungo discusso con lui. Non so quanto questo sia vero, ma
comunque… Nel caso continuasse a peggiorare, partirà per Vecchia Città. Se ci
sono delle persone in grado di curarlo, non vedo dove altro le potrebbe
trovare.”
Myrcella
abbassò lo sguardo. Non era una brutta soluzione, anzi. Ma si sarebbe dovuta
separare da lui. E, soprattutto, dubitava che Cersei lo lasciasse andare via
così.
“Mia
madre non si separerà da lui…”
Lui le
prese una mano. La sua voce era carica di dolcezza e forza allo stesso tempo e
di…e di qualcos’altro. Qualcosa di
strano.
“È
l’unico modo in cui può guarire, e lei lo sa. Lo lascerà andare, sa che non c’è
altro modo. Tiene a te e a lui più che alla sua stessa vita.”
Gli
sorrise. Era vero. Lei e Tommen erano le
uniche ragioni per cui lei viveva le aveva detto. Sentì di nuovo la sua
voce. Ma molto più malinconia, più carica di quel qualcosa di misterioso.
“Siete
stati fortunati…”
Non
capì subito queste parole. Vedeva gli occhi di lui persi, vuoti, spenti. La
testa piegata verso il basso e il volto inerme. Stava ricordando qualcosa.
Qualcosa di brutto. Un brivido gelido le risalì la schiena. In un istante si
rese conto di cosa lui volesse dire. Si maledisse per non aver capito prima.
Voleva
dirgli qualcosa, ma non sapeva cosa.
“Trystane…”
La storia la conosceva a grandi linee. Gliel’avevano
raccontata varie persone a Dorne…e una volta Arianne ci aveva accennato. Ma
fino ad allora non ne aveva mai parlato con lui. Di come sua madre li avesse
lasciati. Poteva solamente immaginare quanto e come avesse sofferto.
I loro
occhi si incrociarono. In quello sguardo erano racchiuse mille e mille parole.
Cercò di trasmettergli che lei sapeva e che era lì, pronta ad aiutarlo, pronta ad ascoltarlo. Ci riuscì. Gli occhi di
lui erano lucidi e sul viso aveva un leggero e triste sorriso.
“È
strano…nonostante tutto, non rimpiango il fatto che lei ci abbia lasciato.”
Dal suo
sguardo si poteva capire che cosa stesse accadendo dentro di lui. Una vera battaglia di ricordi, dolore e
sofferenze. Nonostante questo, continuava a parlare.
“Lei e
mio padre sì, si amavano ma…erano troppo, troppo diversi. Perfino Dorne dove
tutto è concesso era troppo severa per lei. Non ha mai compreso la nostra
cultura.”
Inghiottì
a fatica e riprese a parlare.
“Quando
mio fratello dovette partire come protetto…beh, fu la goccia che fece
traboccare il vaso.”
Per un
istante sorrise, un sorriso amaro e malinconico.
“Capisco
da chi mia sorella abbia preso il suo invincibile orgoglio…litigò un’ultima
volta con mio padre e poi…non tornò più indietro.”
Le
strinse ancora di più la mano.
“Mio
fratello mi raccontò anni dopo di come lei gli avesse di osservare ogni notte
la croce di Braavos, una stella visibile anche al di là del mare stretto. E che
anche lei lo avrebbe fatto. Così sarebbero stati per sempre assieme.”
Scosse
la testa, riprendendo a guardala negli occhi.
“Questo
rimpiango Myrcella. Il fatto che tutto mi
sia stato raccontato. Che io non ne abbia alcun ricordo, a parte qualche
confusa immagine. Mi sono chiesto troppe volte perché non ero io al posto di
mio fratello…”
Una
strettissima morsa gli attanagliava la gola, rendendogli difficile parlare.
“Non ho
mai odiato nessuno per questo, nemmeno
lei. Mai nemmeno ho provato invidia verso i miei fratelli per come era
andata, per il fatto che loro abbiano dei
ricordi… Ma solo gli dei sanno quante volte mi sono dannato con infiniti “e
se…?””
Alzò
gli occhi al cielo.
“Ho
passato non so quante notti a fissare quella stella, sognando che lei
comparisse e che scendesse da me. Mi facevo tante, troppe illusioni. E non so nemmeno se lei abbia tenuto fede a
quella promessa…”
Abbassò
il capo, chiudendo gli occhi. Ricacciò in un angolo della memoria quei ricordi
e lo fece con tanta forza che quasi lei poté avvertirlo. Si era promesso, molto
tempo prima, che non avrebbe permesso a quella donna a lui sconosciuta di farlo
soffrire ancora. Sentì la morsa che gli attanagliava la gola allentarsi pian
piano. E un sorriso tornò sulle sue labbra.
“Ma
poi…un’altra stella è entrata nella mia vita. Più bella, più luminosa e
soprattutto più reale. Non era più in alto nel cielo della notte, era sulla
terra di fianco a me, ogni giorno.”
Rialzò
lo sguardo. Avrebbe voluto continuare, ma non poteva. Lei si avvicinò,
sfiorandogli le labbra. E in quel bacio che li portò fuori dal tempo i problemi
e le sofferenze del passato, del presente e del futuro cessarono di esistere. Almeno per breve ma lunghissimo istante.
Myrcella
si staccò lentamente. Appoggiò la sua fronte contro di la sua.
“Past is past…” sussurrò.
Lui le sorrise. Oramai riusciva a riconoscere quando lei usava parole di
qualcun altro. La voce le si caricava di una sfumatura particolare, segno
inconfondibile che la sua mente andava a rivivere il momento in cui quelle
parole erano state precedentemente dette.
“Aegon?”
le chiese con un filo di voce, anche se era più un’affermazione che una
domanda.
Lei
annuì.
“Cosa
ne pensi?” Quella domanda aveva mille possibili interpretazioni…e lei avrebbe
voluto dare una risposta all’altezza. Ma le parole le uscirono istintivamente.
“È l’esatto
opposto dell’uomo che mi ero immaginata. Eppure ha un qualcosa…”
Sospirò.
“Qualcosa che è riuscito a convincermi. È
quello giusto.”
Non
poté fare a meno di pensare ai suoi fratelli
“Una
persona come lui manca da troppo tempo. I sette regni lo meritano, tutti noi lo
meritiamo.”
Trystane
sorrise. E con voce quasi solenne riprese a parlare.
“Il suo
destino è stato scritto migliaia e migliaia di anni fa. E da migliaia di anni
il mondo il mondo intero lo attende.”
Lei non
capiva. Di cosa diavolo stava parlando.
Il mondo lo stava attendendo?
“Quando
mio padre provò a trovarlo nelle città libere, raccolse tutto quello che sapeva
su di lui e tra questo c’erano delle vecchissime lettere di Elia…”
La
guardò, per sincerarsi che lo stesse seguendo.
“E in
queste ricorre molto, oserei dire troppo,
che Rhaegar era come ossessionato da quella profezia. Lei stava tutt’altro
che bene, è vero, ma…in ogni lettera era riportato questo fatto. Lui ne
parlava, ne scriveva, ne farneticava nel sonno. E data la sua natura capisco perché ne fosse così preso…”
Continuava
a non capire a cosa lui si riferisse. Rhaegar, Elia…nomi che aveva sentito solo
nei racconti, nei libri. Quella profezia
poi…di cosa stava parlando?
“He is the prince that was promised”
Tutto
cominciò ad aver un senso. Un brivido
le risalì lungo la schiena. Quelle parole
erano così… Che Trystane avesse davvero ragione? Ripensando a Aegon in
quella chiave tutto le sembrava coincidere, tutto sembrava perfetto, eppure…
“Sei
davvero sicuro di questo?”
Lui
sospirò.
“Il
principe Rhaegar ne era convinto. E tutti quelli che hanno parlato di lui in
canzoni, libri, racconti l’hanno definito in tanti modi. Ma mai è stato detto
che fosse pazzo come suo padre o una persona dalla scarsa intelligenza.”
Nei
suoi occhi traspariva innata sicurezza.
“È
venuto per sconfiggere gli estranei. Quale altro segno pretendiamo? “
Aveva ragione. Era davvero così. La sua mente
iniziò a galoppare e i ragionamenti si susseguivano senza fine.
“E
sconfiggerà gli estranei per poi vedere un Tyrell sul trono?”
Lui
sorrise. Del resto, il gioco del trono
non si fermava mai.
“Non
usurperò il trono. Questo mi ha detto. Tornerà
a unire i sette regni come fece Aegon il Conquistare.”
“Lo
stesso ha detto a me. Vuol dire che prima…”
Trystane
annuì.
“Che
prima i sette regni dovranno frammentarsi. E poi ha continuato a ripetere che…”
I suoi
occhi erano persi nel vuoto, come se stesse cercando di dare un senso a
qualcosa ma non ci riuscisse in alcun modo.
“The dragon must have three heads”
aggiunse, con tono che lasciava trasparire ogni suo dubbio in merito.
Lo
stesso dubbio cominciò ad assillare lei. Il simbolo dei Targaryen era un drago
a tre teste, a simboleggiare Aegon il Conquistatore e le sue sorelle. Che lui intendesse fare lo stesso. Che i
Targaryen non fossero uno, ma tre? Non era possibile.
“Aegon
è da solo…” iniziò a dire, senza smettere di pensare. Ma lui la interruppe.
“Da
solo no. Daenerys, sua zia, governa tre delle città libere. E soprattutto ha
tre draghi…non so però se siano in rapporto o meno”
Un
pensiero la fulminò.
“Che
lui allora per draghi intendesse effettivamente i…draghi?” gli chiese.
Trystane
scosse la testa.
“No. Dal modo in cui lo diceva non stava parlando
di draghi...”
“E
allora di chi? Chi è il terzo drago?”
Lui
chinò il capo, pensieroso. Quel dilemma pareva non avere soluzione.
“Non ne
ho la più pallida idea. Forse…” Il
suo tono, i suoi occhi, quel forse suscitarono la sua curiosità. Di chi stava parlando?
Lui
sospirò.
“Ricordo
una voce, una teoria che circolava…secondo la quale…beh, qualcuno sosteneva che
tuo zio Tyrion…sarebbe stato…”
Tyrion?
Cosa stava dicendo?
“Che
lui fosse un bastardo di Aerys”
Cosa? Aveva sentito bene? No, non era
possibile. Lui era un Lannister. Però…questo avrebbe spiegato tutto. L’odio che
sua madre covava per lui, il fatto che Twin l’avesse sempre trattato in quel
modo. Ma era troppo, troppo improbabile.
Trystane
condivideva il suo disappunto. Non ci fu bisogno di ulteriori parole. E,
scartata questa ipotesi, rimanevano solamente dubbi.
“Chi
allora?” chiese lei con un filo di voce.
“Non ne
ho proprio idea. Ma non conta.” La sua voce si era fatta improvvisamente seria.
“Quello
che conta è la posizione che prenderemo. Se Aegon sconfiggerà gli estranei e
tornerà a conquistare il trono, non potremo stare qui a guardare.”
In un
gelido istante si rese conto di quanto fosse vero ciò che lui stava dicendo. Lo
guardò negli occhi. Era il momento di
entrare nella mischia. Di schierarsi nel gioco del trono. Si sentiva
insicura, ma avvertiva anche una nuova sensazione.
“Unbowed, Unbent, Unbroken”
sussurrò lui.
Conosceva
bene quelle parole, forse fin troppo bene. Mai inchinati, mai piegati, mai
spezzati. I Martell erano a dir poco gelosi della loro indipendenza e non
perdevano occasione di sottolinearlo. Ma del resto era la verità. Stava davvero difendendo quel motto? Che in
fondo in fondo stesse davvero diventando davvero una di loro? Respinse quei
pensieri. Sapeva che era vero, ma non era quello il momento per pensarci.
“Per
duecento anni Dorne rimase indipendente. Nessun principe si inginocchiò
dinnanzi a un drago, né tantomeno ne venne soffitto. Ci alleammo con i
Targaryen solo con un matrimonio.”
Prese
un lungo respiro.
“Aegon
intende ripetere ciò che fece il suo antenato. Perché io dovrei fare
diversamente?” il suo tono traspariva sicurezza. Probabilmente aveva già
pensato a tutto.
“Solo
che non abbiamo duecento anni da attendere.” aggiunse
Capì in
un istante quello che voleva fare. E quell’idea…faceva aumentare ancora e
ancora quella nuova sensazione di prima.
“Arianne”
gli sussurrò. Lui annuì. Non era così convinta. Avrebbe davvero
potuto... Decise di chiederglielo. "Tuo padre permetterà una cosa del
genere?"
Negli occhi di lui ci fu un lampo improvviso. Quasi si metté a ridere.
"Da anni mio padre sogna e progetta di far sposare uno di noi a un
Targaryen. Non penso proprio che riufitierà un'occasione del
genere." La sua voce si fece di colpo più seria. "Ma queste sono
decisioni che oramai non spettano più a lui. La sua epoca è passata da
tempo, è ora che si faccia da parte. Questi sono i nostri giorni, le
nostre scelte, le nostre alleanze." Stettero in silenzio per qualche
istante, entrambi
consapevoli di cosa stessero parlando. Alla
fine le prese le mani nelle sue.
“Non ti
voglio promettere menzogne. Non sarà affatto facile, né sicuro. Dovremo
rischiare, mettere in gioco tutti noi stessi, abbandonare le nostre sicurezze e
certezze, lasciarci alle spalle tante, troppe cose.”
Sospirò.
“Ma non
possiamo fare altrimenti. Se i Tyrell si impadronissero del trono prima che
Aegon abbia finito oltre la barriera…”
Lei
copletò la frase. “Vorranno sottomissione da tutti e si atteggeranno come
padroni assoluti. Ma molti non lo accetteranno…”
Trystane
annuì. Non si aspettava che lei lo seguisse in quel modo. “È figlia di Cersei del resto” pensò. E come tale, non sarebbe di
certo rimasta lì ad ascoltare. Per quanto non se lo aspettasse, ne era decisamente
felice. Riprese a parlare. “Noi per primi non ci piegheremo a loro. La vipera non si sottomette alla rosa. E
dubito che Castel Granito farà diversamente…”
Aveva
ragione. Sua madre non avrebbe mai permesso che Lannister si lasciassero
comandare dalla puttanella Tyrell… E poi, quanti altri…
“Anche
tutti gli orgogliosi alfieri del nord…non si inginocchieranno mai davanti a una
donna del sud…”
La
situazione era molto più delicata di quanto avesse mai potuto pensare. Di lì a
breve, le loro scelte potevano significare vita o morte. Vittoria o sconfitta.
Potere o prigionia. Non si stava più scherzando. Si faceva sul serio. E al
gioco del trono…you win or you die.
Quella
nuova sensazione la pervadeva completamente. Era ambizione mista a timore, brama
di potere mista a freddezza nelle decisioni, orgoglio misto a scatrezza. Molti la chiamavano l’ebrezza del potere. Ma
non tutti ne erano davvero dotati. Troppi si lasciavano trasportare da
eccessivo orgoglio e ambizione, rimanendo ciechi davanti all’evidenza. Altri
erano troppo calcolatori e non osavano mai, altri ancora rischiavano
decisamente troppo. Solo in pochi riuscivano a bilanciare alla perfezione tutti
gli elementi. E quei pochi, erano praticamente invincibili.
Si
lasciò trasportare da questa nuova sensazione. La scelta le fu finalmente
chiara. E sapeva di aver deciso ciò che era giusto, ciò che era meglio.
Anche
lui era assorto in ragionamenti simili. Poi rialzò lo sguardo. Si prese un
attimo per preparare quelle parole. I pensieri che gli ronzavano in testa
stavano finalmente trovando compimento.
“Sei
pronta a seguirmi? Sarà una via oscura e…e molto difficile. Sei pronta a
mettere in gioco tutta te stessa?”
Per un
istante che durò millenni si fermò.
“Noi…noi danzeremo coi draghi”
Non
sapeva se prenderla come un’affermazione o una domanda. Ma era sicura della
scelta che aveva preso. E decise che era la seconda opzione.
Trovò
la forza di parlare, mentre il cuore accelerava.
La
notte era oramai scesa e le stelle assistevano a quello che forse sarebbe stato
ricordato come il principio di una nuova era.
Lei gli
sorrise sinceramente. E poi, lentamente, le sue labbra articolarono poche ma
inequivocabili parole.
“Yes Trystane.
We will dance with dragons”
Note
dell’autore:
il
passato è tale, ma spesso, troppo spesso, torna a tormentarci. Così succede
anche a Trystane. Per la prima volta ho scritto un po’ dal suo punto di vista e
non potevo certo ignorare un passato come il suo. Un passato di estrema
solitudine, con una madre mai conosciuta, un padre che soffre ancora in
silenzio la morte della sorella e che cova odio e vendetta, fratelli troppo
grandi e troppo spesso distanti per essere un punto di riferimento per lui. Undici
anni di vuoto quasi totale, fino a che…fino a che Myrcella non arriva a Dorne.
Spero davvero che possiate apprezzare questa parentesi su di lui, è la prima ma
non sarà di certo l’ultima.
Ma
contemporaneamente il gioco del trono non si ferma e avete sicuramente potuto
intuire la posizione che loro prenderanno. Siamo solo agli inizi ovviamente.
Ancora tanto deve succedere.
Il prossimo
capitolo sarà un tantino diverso, cambieremo per la prima volta località, ci
sarà anche qui un nuovo punto di vista e potrebbe essere molto lungo. Inoltre
entreranno nella storia due nuovi personaggi, uno molto conosciuto e amato da
tutti, l’altro invece è l’esatto opposto, non si è mai visto, né nei libri, né tantomeno
nella serie.
Vi ho
messo curiosità addosso? Beh mi dispiace, ma causa viaggio all’estero non avrò
connettività/pc per scrivere, quindi per 2-3 settimane non aggiornerò. Forse
dopodomani uscirà qualcosa, ma è un esperimento che non centre nulla con questa
storia. Se avete tempo, lasciatemi un’opinione anche su quello.
Che
dire, grazie ancora una volta a tutti i recensori, vi invito a essere pazienti,
la vostra attesa sarà ben ripagata.
Come sempre stay tuned e long live the lioness
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Cap 8
Long
live the lioness
"We waited long enough. Now, it’s time..."
Quaranta
giorni dopo
La neve cadeva leggera e
l'implacabile e gelido vento del nord la faceva vorticare nell'aria,
creando
turbini che ostacolavano la vista e il passo. Tutto era immerso nelle
tenebre,
la luce o il fumo erano celati dalla tempesta e anche tutti i rumori
venivano
ovattati fino a essere inudibili. Ma a lui questo non importava. Lui era fuoco. E il fuoco scioglie la
neve.
Continuava ad avanzare in mezzo nella
tormenta che le torri del castello non riuscivano in nessun modo a
fermare. Il
freddo era talmente tale da essere quasi irreale, impossibile. L’inverno era davvero arrivato.
Calò ancora di più il cappuccio
della lunghissima cappa sul volto per impedire ai fiocchi di entrargli
negli
occhi. Si voltò per un istante, per controllare che il suo compagno lo
stesse
ancora seguendo. Il basso uomo arrancava tra la neve, ma non
dava alcun
segno di debolezza o cedimento. Questo lo sorprese non poco. Non era di
certo
vecchio, ma gli anni per lui cominciavano a farsi sentire. Ma del resto
aveva
una grandissima tempra. Quando lui era andato a cercarlo e, dopo mille
peripezie, era finalmente riuscito a trovarlo e porgli la sua
richiesta, non si
era tirato indietro. In nome dell’onore e di una vecchia amicizia era
stato
subito pronto a intraprendere quel viaggio tutt’altro che facile.
"Avrei e avrò bisogno di uomini come lui. Ma non sarà affatto facile
trovarli" pensò amaramente.
Oramai avevano attraversato tutto il cortile ed erano finalmente ai
piedi della
torre verso la quale erano diretti. I corvi avevano portato ai loro
omonimi la
notizia del suo arrivo e della sua missione molto tempo prima e loro
avevano
aspettato con pazienza e speranza assieme. Il viaggio era stato
tutt’altro che
agevole. Cavalcate a ritmo serratissimo, più di una settimana a
impazzire nelle
paludi e poi una nuova corsa indiavolata verso nord.
Ma ora era finalmente arrivato.
Fece un cenno all’uomo apostato dietro la feritoia. La porta
venne
aperta quanto bastava e i due visitatori furono ammessi nella torre.
Posarono
le loro cappe fradice vicino a un braciere ardente, unica fonte di
calore nella
piccola e spoglia stanza del corpo di guardia.
Fuori era così buio che non si sarebbe potuto dire se fosse giorno o
notte.
Distolse lo sguardo dalla stretta finestra e cominciò a salire le
scale,
seguito a ruota dal tarchiato compagno.
Giunsero in cima alla stretta e ripida scalinata. Si scambiarono un
ultimo
sguardo, come per confermare definitivamente quello che stavano per
fare.
La nocche del giovane batterono con gentile decisione sulla porta,
producendo
un suono secco e potente.
Sentirono un corvo gracchiare al di là della porta, coprendo la voce
che gli
diceva di entrare.
Con un gesto fluido aprì la porta e si fermò sulla soglia.
La stanza era sì grande, ma anche molto tetra e disordinata. Lungo i
muri erano
disposti un infinità di oggetti, dagli scaffali colmi di pesanti volumi
a
foderi di spade, da un paio di bracieri sostenuti da quelle che
parevano lance
fuse assieme a scudi di legno. Sul pavimento erano ammucchiati alla
rinfusa
bauli, mantelli, montagne di scartoffie, fagotti non ben identificabili
e anche
un enorme ascia bipenne.
In fondo alla sala, dietro la scrivania e alla ampia sedia
si
estendeva un gigantesco camino.
Per combattere quella gelida e quasi perenne notte vi era stato acceso
un
grande fuoco, le cui fiamme si contorcevano e sibilavano, assetate
d'aria. Quella
visione lo fece sentire quasi a casa.
Ma davanti a quel fuoco troneggiava un uomo. Giubbino in cuoio
trattato, farsetto
da cavaliere, cinturone da spada, brache di lana, robusti stivali.
Tutto nero,
dalla testa ai piedi. Era appoggiato con una mano alla mensola che
stava sopra
il camino, intendo a scrutare pensieroso le fiamme.
Il loro ingresso non lo fece distogliere dalla sua posizione per
qualche
secondo. Poi si voltò verso di loro.
Il suo lieve sorriso era cordiale quanto serio.
Si sistemò dietro alla scrivania, rimanendo in piedi e gli fece cenno
di
avvicinarsi.
La sua voce risuonò seria e al contempo stanca nella stanza.
"Vi aspettavo con impazienza."
Intanto il giovane aveva preso posto.
Sorrise leggermente e poi rispose.
"Questo lo sapevo. Direi che possiamo saltare i convenevoli"
Gli porse il braccio.
"Aegon Targaryen"
Il Lord Comandante rispose al gesto del principe.
"Jon Snow"
Per qualche istante si fissarono negli occhi. Ci fu un
breve lampo, tanto breve che nessuno dei due riuscì a
coglierlo. Fu qualcosa di strano, di tremendamente strano. Come se… Ma
fu
troppo breve. Distolsero poi lo
sguardo. Il compagno di viaggio del giovane drago rimase in disparte,
in fondo
alla stanza, senza mai alzare gli occhi da terra.
Jon si chiese il motivo di un tale atteggiamento. Scosse la testa.
Probabilmente era solo uno scudiero timido o un armigero molto
discreto. Niente
che valesse la sua attenzione. Non in
quel momento almeno.
Con le mani provò a cercare le scartoffie che aveva preparato e
raccolto per
l’occasione in precedenza, ma fallì miseramente. Il mucchio di lettere,
mappe e
quant’altro che dominava la scrivania era troppo caotico per poter
trovare
qualcosa.
Rassegnato si lasciò cadere sulla
sedia.
Tornò a guardare il suo ospite.
“Dunque…sei la soluzione a tutti i
nostri problemi.”
Aegon si lasciò scappare una risata.
Poi sospirò. Il fuoco illuminava il suo volto, lanciando sfumature
sinistramente e follemente belle nei suoi occhi viola e sui lunghi
capelli
argentei.
“Pare proprio di sì…” Lasciò vagare
per un istante lo sguardo nel vuoto. Scosse lievemente la testa, come
per
scacciare via pensieri indesiderati. Portò una mano alla vita, a
destra. Cinse
l’elsa della spada. E con un movimento incredibilmente rapido e
controllato,
come se l’arma fosse la naturale estensione del suo braccio, estrasse
la lama
scintillante dal fodero.
L’acciaio di Valyria mozzava sempre
il fiato a chiunque lo vedesse, ma lì, in quella stanza, tra le tenebre
e la
luce sfolgorante delle fiamme, lo spettacolo offerto era cento, mille
volte più
straordinario.
La lunghissima spada era percorsa da
continui bagliori, riflessi, sfavillii. Mille e mille sfumature di ogni
colore
si rincorrevano sulla lama.
Jon rimase senza parole. Certo,
conosceva le proprietà dell’acciaio forgiato nella città dei draghi e
Lungo
Artiglio ne era un esempio tutt’altro che di poco conto. Ma quell’arma…
Era
semplicemente leggenda. Una spada che tutti avevano creduto perduta per
decine,
centinaia di anni. E ora era lì, di fronte a lui.
“Mi è stato riferito che già
conoscete il potere dell’acciaio di Valyria” disse il principe,
rompendo il
silenzio. Il lord comandante riportò la sua attenzione sulla
conversazione. “E
anche quello del vetro di drago” continuò Aegon.
Lui annuì. “Si…io stesso e alcuni
confratelli hanno avuto modo di provarne l’efficacia.”
Il giovane drago riprese a parlare
“Saprai tuttavia meglio di me che non potremo andare all’assalto degli
estranei
armati di spade e daghe…”
Sorrise leggermente. Poi si morse il
labbro e continuò. “Anche se riuscissimo a raccogliere tutto l’acciaio
di
Valyria dell’occidente e avere sufficiente vetro di drago per tutti i
tuoi e i
miei uomini…beh, ci sono sempre centinaia
di migliaia di morti tra noi e loro…”
Una considerazione che il giovane
comandante si era posto troppe volte, mentre sconsolato si prendeva la
testa
tra le mani, in quella stessa stanza. Un pensiero, un problema che fino
a quel
momento non aveva avuto soluzione.
“Sappiamo che solo il fuoco può
fermare il loro esercito…”
Aegon annuì. “Ed è quello che
intendo dargli...fuoco…un grandissimo fuoco”
I suoi occhi scintillavano mentre
pronunciava quelle parole ed erano persi nelle fiamme che ardevano nel
camino.
A Jon fece quasi paura. Tanti, troppi
Targaryen erano stati ossessionati dal fuoco, diventando pazzi. Aerys
era solo
l’ultimo di una lunga serie. Che anche questo giovane…
Non ebbe modo di completare il
sinistro ragionamento.
“Ma non basterà. Servirà anche
qualcos’altro…”
Dicendo questo il principe portò una
mano sotto gli abiti, cercando qualcosa. Estrasse un oggetto e lo
lanciò sul
tavolo.
Era una sorta di pendente, un
oggetto appeso a una lunga e sottile catenina di metallo. Ma le
somiglianze con
i gioielli comuni finivano lì. Persino definirlo era difficile. La sua
forma
era quella di una stella a cinque punte, solo che era tridimensionale.
Assomigliava vagamente a una mazza ferrata, anche se al centro non era
sferica,
le appendici erano molto più grandi e la massa complessiva decisamente
minore.
Ogni punta era di un colore diverso e lanciava continui e sfavillanti
bagliori
riflettendo la luce del fuoco.
Stava per chiedere cosa diavolo
fosse ciò che aveva davanti, ma il giovane drago lo precedette.
“Un amuleto. Un tempo, più di
trecento anni fa, quello era il simbolo di una gerarchia di stregoni. A
Valyria
erano conosciuti come i signori delle ombre. Amavano dire che loro…giocavano con la morte. Non avevano
potere effettivo come gli altri, ma quello di cui si occupavano, beh…”
Fissò Jon, provando a cogliere una
sua reazione. Si sarebbe aspettato paura, invece…trovò solo curiosità e
sicurezza. Un ennesima prova che….
“Gli estranei usano senz’ombra di
dubbio la magia per risvegliare i morti. Magia oscura, vecchia come il
mondo,
arcana e dimenticata da millenni dagli uomini.”
Il lord comandante annuì. Anche lui era
giunto alla stessa conclusione.
“Ma per quanto una magia possa
essere potente, può essere distrutta. Valyria si fondava su potenti
sortilegi.
Ma il disastro li cancellò come se fossero stati castelli di sabbia…”
Il silenzio che seguì fu tanto
intenso e forte che si sarebbe potuto toccare. L’incessante urlo del
fuoco e
del vento all’esterno erano gli unici suoni.
Le menti di entrambi i giovani si
persero in infiniti ragionamenti, supposizioni, ricordi.
Aegon alla fine si alzò,
avvicinandosi al fuoco. Prese distrattamente un pezzo di pergamena, lo
piegò,
lo lanciò sopra il fuoco.
Il sottile foglio volteggiò in una
magnifica danza sopra le lingue delle fiamme per qualche secondo. Ma
poi,
inevitabilmente, smise di danzare. Il fuoco lo inghiottì, lo prese con
sé, lo
accolse nelle sue incandescenti braccia. Uno spettacolo banale, che
però
riportò altro alla sua memoria. E quasi istintivamente le sue labbra
articolarono parole udite tante volte. Parole di una canzone che
narrava la
fine della patria dei suoi antenati.
“The flames that shot so high and hot
that even dragons burned” Un sussurro inudibile a tutti, meno che a
lui.
Il principe sorrise. Sul suo volto,
dopo tante serie e tetre parole, tornò quella inconfondibile pennellata
di
malinconia.
“Avremo tanto tempo per parlare di
strategia e quant’altro. È molto tardi oramai.”
Il lord comandante annuì. Non era
poi così tardi, ma si sentiva anche lui terribilmente stanco.
“Sarete mie graditi ospiti a cena,
tu e il tuo…scudiero?” chiese con tono dubbioso.
L’uomo era rimasto in fono alla
stanza, senza mai alzare il cappuccio del suo mantello. Il fatto di
essere
stato nominato lo fece avanzare leggermente.
Intanto il giovane drago aveva
ripreso a scrutare le fiamme. Fece un lungo sospiro. “It’s
time…” disse con tono solenne.
Il misterioso ospite si fece ancora
più avanti. Con le mani scostò lentamente il cappuccio dalla testa.
Aveva capelli bianchi, in parte
ancora grigiastri. Il volto era scavato dagli anni e dalle fatiche, ma
lasciava
trasparire un’innata forza e tempra. Lo sguardo era deciso, carico,
coraggioso.
“Lieto di vederti finalmente. Ma
purtroppo non ho mai avuto occasione di conoscerti.”
L’uomo sorrise, un sorriso a metà
tra il divertito e l’amaro. E poi parlò.
“Invece l’hai avuta. Ma sono io
l’unico a ricordare…” Il sospiro che seguì era il più triste che avesse
mai
udito.
Nonostante queste parole, il lord
comandante continuava a non capire.
“Quando è avvenuto questo incontro?”
Gli occhi dello sconosciuto erano
persi nel vuoto mentre nella sua mente i ricordi tornavano ad affiorare.
“Sono stato tra i primi a
conoscerti, Jon. Ero tra i più fedeli alfieri e amici di Eddard Stark.”
Nemmeno questo era sufficiente. Chi diavolo era quell’uomo?
Stava per ripetere per l’ennesima
volta quella domanda, ma venne preceduto. L’uomo gli tese la mano.
“Abbiamo tanto, tantissimo di cui
parlare.”
Prese una pausa di qualche istante,
che però parve durare secoli. Poi parlò nuovamente. Ma questa volta,
due parole
furono sufficienti.
“Howland Reed”
-
- - - - -
Approdo del Re
Il sapore di quel bevanda, se tale
la si poteva definire, era qualcosa di atroce. Si morse la lingua per
costringersi a mandare giù quel sorso. Appoggiò sul tavolo la coppa,
ancora
semipiena.
“Un
sapore vagamente dolciastro” questo le aveva promesso quando gli
aveva dato
le ampolle. “Sì, come no” pensò, a metà tra l’essere sconsolata o
divertita.
Sospirò. Per un momento sognò di
lasciar perdere. Nessuno la obbligava del
resto. Ma era meglio berla ora, senza appunto nessuno che la
obbligasse.
Aveva pensato tanto, forse troppo,
prima di andare a chiederla. Sapeva che non era certo una botta di
salute
prenderla. Quando andava bene la pozione portava con sé nausea e
emicranie, se
andava male… Ma era anche l’unico modo che aveva. Niente
avrebbe potuto separarla da Trystane. Ma non potevano correre
ancora e ancora il rischio di…
Svariati piccoli colpi alla porta la
distolsero dai suoi pensieri. “Eccolo” pensò sollevata.
In fretta e furia bevve quel che
rimaneva della dose di tè della luna e si affrettò alla porta. Mentre
ingoiava
quell’ultima sorsata, si promise di mischiarlo con qualcos’altro la
volta
seguente. Magari sarebbe stato più
facile.
Spalancò la porta della stanza. Lui
era lì fuori, sorridente come sempre.
Si scostò leggermente per farlo
entrare. Richiuse la porta. Ma quando si voltò verso di lui, non ebbe
modo di
parlare.
Lo vide avvicinarsi. Chiuse gli
occhi, mentre un ansioso e piacevole fremito la attraversava. Sentì le
la
labbra di lui sfiorarla. Ricambiò il gesto.
Avvertì una mano che le si posava
dietro alla spalla e subito dopo anche l’altra, che andava ad
intrecciarsi tra
i suoi capelli.
Le era mancato. Quella
dannata ambasceria aveva impegnato lui e mezzo
concilio ristretto per più di dieci giorni. Da sola tutto le era parso
più
triste, più cupo, più banale, più faticoso. Le giornate più lunghe, le
notti
più fredde. E dall’intensità dei suoi baci, lei gli era mancata
altrettanto. Ma
ora era finalmente tornato. In verità era rientrato il pomeriggio
precedente,
ma non avevano avuto neanche un secondo per stare soli fino ad allora.
Si staccò lentamente. Le fu
inevitabile sorridere. Lui si morse un labbro, come se qualcosa lo
turbasse.
“Myrcella…questo sapore…ancora tè
della luna?”
Ancora? Ne avevano discusso
insieme…
“Si…meglio dosi più regolari che
dosi troppo forti…”
Lui abbassò la testa. Non era ancora
riuscita a capire il perché, ma lui aveva un qualche tipo di avversione
verso
pozioni, medicine e quant’altro. Più che verso le sostanze stesse, era
un
sospetto, una sfiducia negli uomini che le preparavano fossero maestri,
sacerdoti, stregoni. Qualcosa del suo passato?
“Vorrei tanto che tu non fossi
costretta a prenderlo…”
Lei sospirò. Gli prese le mani,
costringendolo a guardarla negli occhi.
“Nemmeno io sono entusiasta…ma non c’è un’altra possibilità”
“E se…”
Scosse la testa. Perché era così
testardo?
“Non ci sono e se…è così e basta. Se
non lo prendessi…”
Inghiottì a fatica al pensiero di
quello che stava per dire. Si portò una mano sul ventre. Strinse ancora
di più
le sue mani.
“Quanto ancora prima di ritrovarmi con
un piccolo Martell in grembo?”
Lui provò a dire qualcosa, ma oramai
nulla poteva fermarla.
“Siamo…anzi, diciamo pure sono, troppo
giovane…saremmo dei pazzi
a…”
Non avrebbe voluto, ma aveva alzato
la voce. Era la forza della disperazione a renderla così. L’ultima
volta era
stata Dorne quando…quando suo padre era
venuto a complicare tutto. Ora sentiva che aveva lacrime pronte a
cadere.
Trystane chiuse gli occhi. Prese un
lungo respiro.
“Siamo.”
Una precisazione che sarebbe potuta
sembrare superflua, inutile, anche quasi impertinente. Ma con quella
decisa e
istintiva correzione disse più di mille parole. Non ti
lascerò mai sola. Hai ragione. Siamo una cosa sola. Questo e
molto molto altro. Abbassò per un istante lo sguardo e poi riprese a
parlare.
“Hai ragione, è troppo presto. Per
noi e per…per tutto. Così tanto deve ancora accadere, che noi lo
vogliamo o
meno…”
Il suo tono si fece amaro,
malinconico.
“Potrebbero passare giorni…così come
anni. Non sappiamo quando e se Aegon tornerà, non sappiamo quando la
Tyrell si
impossesserà del potere, non sappiamo quando…”
Scosse la testa.
“Non dobbiamo pensarci. Finiremmo
solo con impazzire a contare quante cose non dipendono da nostre scelte”
Myrcella sorrise. Stava ripensando a
quello che avevano deciso prima che lui partisse.
“Qualcosa possiamo decidere.
Dobbiamo solo andare da loro e convincerli…” disse, guardando verso la
porta.
“Pensi che sarà facile?” le chiese,
dubbioso.
L’espressione che le si tratteggiò
sul viso lasciava trasparire quanto era sorpresa e indispettita. Non si aspettava una risposta del genere.
“Dovevamo essere il sigillo di
un’alleanza…la guerra è finita, Dorne ha appoggiato il trono, eppure…sono sei anni che aspettiamo. No, non
oseranno negarcelo. Abbiamo aspettato abbastanza, forse anche troppo.
Ora è
tempo…”
“Hai ragione. Ma…”
Sospirò.
“Pensavo lo stesso quando…”
“Quando mi promettesti con un bacio
che gliel’avresti chiesto domani?”
Trystane non riuscì a trattenere una
risata
“Sì. Diciamo che…venimmo
interrotti…”
Lei sorrise. Strinse ancora di più
le mani di lui.
“Speriamo che questa volta vada
tutto come vogliamo”
Avrebbe voluto aggiungere
qualcos’altro, ma non riuscì a parlare. I loro occhi si catturarono a
vicenda
in una magica attrazione.
Non ci fu bisogno di altre
parole. Passarono secondi,
minuti, ore. Loro non avrebbero saputo dirlo.
Senza rendersene conto si
avvicinarono sempre di più.
Le loro labbra si sfiorarono ancora.
E questa volta lei non
chiuse gli occhi.
Uscirono dalla stanza, sicuri di
dove andare e di cosa fare.
La leonessa e il cavaliere bianco li
stavano aspettando.
E loro avevano qualcosa di molto
importante da chiedere.
Note dell’autore:
citando una grande canzone, (i’m)
back in black…
Ok, a parte questi giochi di parole
mi scuso per il grande gap tra questo capitolo e quello precedente, ma
tra
impossibilità materiale di scrivere e mancanza di ispirazione sono
volate oltre
tre settimane.
Vi avevo fatto delle promesse che
sicuramente vi hanno creato delle aspettative…spero di averle
soddisfatte. Un
personaggio amatissimo e uno invece mai apparso prima (e su cui
esistono
tonnellate di teorie). Ero consapevole che introdurre un personaggio
come Jon
non sarebbe stato facile, ma non ho potuto fare a meno di farlo
perché…beh, lo
saprete nel prossimo capitolo. Mentre Howland….penso abbiate intuito a
quale
scopo l’ho inserito. Un personaggio che proprio per tutto il mistero
che lo
avvolge mi ha sempre affascinato e…ancora una volta, presto saprete di
più.
Rinnovo i miei ringraziamenti a
quelli che seguono la storia e lasciano feedback, mi scuso ancora per
l’attesa
e spero che anche questo nuovo capitolo possa piacervi.
Che dire quindi, al prossimo
capitolo (che sarà profondamente legato a questo) e, come sempre, long live the lioness.
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
Cap 9
Long live the lioness
“We are not now that strength which in old days
moved earth and heaven, that which we are, we
are;
one equal temper of heroic hearts,
made weak by time and fate, but strong in will
to strive, to seek, to find, and not to yield.”
Ulysses,
Alfred Tennyson
“Che differenza c’è tra un eunuco e
un Tyrell?” aggiunse, con la solita malizia e ironia.
L’ennesima battuta sulle tanto odiate rose. Ne sarebbero mai venuti fuori?
Questa volta non provò nemmeno a indovinare
a cosa alludesse. Di certo era un modo azzeccato per iniziare il discorso e
rompere il ghiaccio…ma stava diventando esagerato. O forse no? Forse era lei
l’unica a esserne stanca?
Trystane lasciò passare la solita
manciata di secondi aspettando una risposta. Lo sguardo della regina era divertito.
Tirò a indovinare.
“L’odore? A no, quella è un
analogia…”
Il giovane dorniano scosse la
testa, comunque compiaciuto dalla risposta.
Quanto a Jaime, era in disparte,
in un angolo, a versarsi del vino. Dal suo sorriso si poteva intuire che
apprezzava quelle provocazioni.
Il tempo scadde e lui riprese
nuovamente a parlare.
“L’eunuco almeno si atteggia per
quello che è”
Questa era davvero forte. Ma
proprio per questo era una delle più divertenti.
Cersei non si trattenne.
Dal fondo della stanza, il
fratello tornò stringendo il vino nella mano. In quella sana.
“Questa si adatta perfetta a Ser
Loras…” disse ridacchiando il cavaliere in bianco.
Solo a sentirlo nominare, la
sorella si incupì. Le promesse di Twin
Lannister erano difficili da rompere. Ma da morto, non poteva di certo
impedirle di temporeggiare.
Trystane riprese a parlare.
“Moltissimi anni fa un Tyrell
propose un trattato di pace al principe…”
Sorrise mentre rievocava quel
ricordo.
“Offriva la mano della sua quarta,
quinta figlia…oppure era una nipote? Comunque, una donna di poco peso reale.”
Si portò alle labbra la coppa,
bevendo un piccolo sorso.
“La proponeva allo zio del
principe, noto anche, per la sua armatura da battaglia, come la serpe nera.
Chiedeva la fine delle ostilità e…aiuto nello strappare il potere al Tyrell
legittimo.”
Fece una pausa, come per studiare
le migliori parole.
“La risposta gli fu presentata
durante un banchetto di corte. Il principe gli aveva mandato un baule
bellissimo, tanto che, credendo che fosse un dono per confermare la promessa,
lo volle aprire di fronte a tutti.”
Sorrise ancora.
“Dentro al baule c’era un
gigantesco serpente nero. Si scatenò il caos e molti rimasero a terra. Avevano chiesto la serpe nera…ed era
stato accontentato…” concluse ridacchiando.
“Non conoscevo questa storia…”
disse Jaime, divertito.
Trystane sospirò.
“Le rose non ne vanno
particolarmente orgogliose…il complotto fu represso nel sangue e tutta la
faccenda secretata. Per i Tyrell, quel
matrimonio e quell’alleanza non fu nemmeno mai proposta”
Seguì un silenzio disteso. Il
primo, da quando quella conversazione era cominciato.
Ma la voce di lui lo ruppe ancora.
“Un'altra alleanza è invece
forte…quella tra Martell e Lannister.”
“Ecco” pensò lei. Ci siamo. Il giro che Trystane aveva fatto per giungere a quell’argomento era stato
molto lungo, ma era sensato.
“Quando venne accordata, la pace
venne preservata a Dorne e presto riportata in tutti i sette regni”
Appoggiò la coppa sul tavolo.
“La pace è bellissima e sembra
solida, imperturbabile. Ma in realtà, è debole e precaria. Basta poco per
rovesciarla.”
Dicendo questo, urtò la coppa con
la mano. Questa si rovesciò sul tavolo e un rigagnolo di vino rosso colò sulla
superfice.
“Qualcosa di grande, di
importante, di terribile è all’orizzonte.”
Se si parlava di politica, si
trasformava. Tutta la sua ironia, allegria, malignità scomparivano, per
lasciare posto a un solenne e deciso uomo. “Due
volti della stessa medaglia” pensò Myrcella. Una medaglia che amava in ogni
caso.
La faccia di Cersei, dai sorrisi e
risate di prima, era ora diventata una maschera di marmo.
“Non sappiamo esattamente quanto
sia distante. Ma quando arriverà, dovremo essere pronti. I piani stesi, la
fiducie verificate, le alleanze rafforzate.”
Si fermò un istante.
“E le promesse mantenute”
A questo punto, si alzò in piedi.
“Dovevamo essere il sigillo di questa alleanza. E invece…”
Venne a porsi dietro di lei.
“Sei anni di rinvii, temporeggiamenti, imprevisti. È ora di porre la parola
fine. È ora di porre il sigillo a questa alleanza.”
Cersei aspettò un paio di secondi,
come per accertarsi che avesse finito, e poi prese la parola.
“Il sigillo? Sposarvi?” chiese. Si
fermò un istante
“Perché tutta questa fretta? Per
cosa dobbiamo essere pronti?” il suo tono era confuso, sorpreso.
Forse Trystane era stato troppo impetuoso. Ma per affrontare sua madre ci
voleva una forza del genere. Trovò lei ora la forza di parlare.
“La pace è durata, fino ad ora. Ma le amicizie cominciano a
scricchiolare. E mio fratello…”
Non avrebbe mai e poi mai voluto
dover finire a parlare di quello, ma era inevitabile.
“Questa malattia lo sta…lo sta sfinendo, corrodendo, sbriciolando.
Oramai fa fatica anche a parlarmi.”
Ripensare a questo le fece male, molto male. Soprattutto ripensare a come
fosse peggiorato nelle ultime settimane. Ma si sforzò di andare avanti.
“Quanto prima che la Tyrell mandi
Tommen alla Cittadella e si impossessi del trono?” Il tono della sua voce era
oramai quasi disperato.
“Forte. Sì forte” si ripeté mentalmente.
“E non oso immaginare che ordini
daranno ai maestri…lo faranno impazzire, lo faranno peggiorare ancora,
qualsiasi cosa pur di dire che non è più in grado di essere il re. E a quel
punto?”
Raccolse ogni briciolo di energia
che aveva dentro per imporsi di non lasciar cadere nemmeno una lacrima, non lì, non ancora.
Voleva dire qualcos’altro, ma le
parole le morirono in gola.
La voce di sua madre ruppe il
silenzio lanciato dalla sua domanda. Ma il
tono non era decisamente quello che si sarebbe aspettata.
“Myrcella, parlare così di tuo
fratello…” parole ostili, inviperite.
Cosa? Questo era davvero troppo… No, non poteva averla fraintesa. Come
poteva aver capito che a lei non importava niente di lui? Era assurdo.
Una parte di lei voleva urlare, urlare, urlare. Urlare la verità, ciò che
aveva represso, quel dolore smisurato per quanto Tommen stesse subendo. Avrebbe
voluto urlare ciò che loro due erano, ciò che li legava e che lei mai e poi mai
lo avrebbe abbandonato.
Avrebbe voluto urlare contro sua madre, per quello che aveva detto, per
quello di cui l’aveva incolpata.
Ma senza sapere come riuscì a
reprimere questa voglia, questa rabbia furiosa.
E mentre ricacciava tutto
indietro, si morse il labbro per trattenere quelle parole rabbiose.Si morse tanto forte che una
goccia di sangue scarlatto le scese lungo il mento. Sentiva
quell’inconfondibile sapore metallico in bocca.
La forza che prima la stava
spingendo a urlare guidò ora le sue parole.
“Quello che mi lega a Tommen…non lo posso descrivere. E vederlo così…”
Una mano invisibile le stringeva
la gola, rendendole difficile parlare.
“Mi ha fatto tanto, tantissimo male. Essere qui, impotenti, mentre lui
soffre…”
Sentiva gli occhi lucidi, colmi di
lacrime pronte a cadere. Ma non lo
avrebbe permesso.
“Ciò che mi lega a lui però…non mi
impedisce di guardare la realtà per quella che è. Questa realtà…mi spaventa
terribilmente.”
Passò la lingua sulle labbra,
portando via il sangue che continuava a uscire dal taglio che si era fatta.
“Ma come sono la prima a guardare in faccia la realtà, sarò l’ultima a
smettere di sperare…”
Abbassò la testa. Il sapore del
sangue in bocca aveva un che di dolce, di confortante.
Il silenzio che seguì le sue
parole faceva male alle orecchie.
“Myrcella…” sua madre provò a parlare, molto più cauta e affranta di
prima.
Ma fu subito stroncata da una voce
forte e decisa.
“Taci Cersei. Lei ha ragione…hanno
fottutamente ragione…”
Il cavaliere bianco batté un pugno
sul tavolo
“Tutte le follie e gli smacchi che
hai fatto subire ai Tyrell...credi che li abbiano dimenticati? Ti, anzi ci ripagheranno
cento volte con la stessa moneta…”
L’espressione della regina era
terribilmente sorpresa…e…inviperita, inviperita per essere stata scavalcata
così.
“Come?! Dimmi come quella troietta
si impossesserà del trono?!” urlò piena di rabbia contro il fratello.
Jaime provò a rispondere, ma il
giovane dorniano fu più rapido.
“Con un erede in grembo sarà tutto
dannatamente facile…”
Cersei lo guardò, colta in
contropiede…che davvero non ci avesse mai
pensato?
Trystane riprese a parlare “E
anche se il re non facesse tempo a darglielo…”
Il comandante della guardia reale
completò la frase.
“Si trascinerà a letto ogni uomo
di Approdo del Re…e a quel punto, con Tommen tra le grinfie degli arcimaestri,
chi oserà mai sostenere che quello non è figlio suo?”
A questo punto gli scappò una
risata, una risata disperata. “Ride per
non piangere” pensò Myrcella.
“Sedici anni di reggenza
assicurati per i Tyrell…un concilio ristretto pieno di alfieri dell’Altopiano…e
un principe cresciuto per essere unicamente una rosa”
La prospettiva era a dir poco agghiacciante. E il fatto che loro potessero
fare praticamente nulla per evitarla lo era anche di più. La faccia di Cersei
rispecchiava alla perfezione questa sensazione.
Con la voce spezzata provò a
rispondere.
“E allora cosa dobbiamo fare
Jaime?”
Lui per tutta risposta strinse
forte il braccio della sorella.
“Noi? Non siamo più noi a dover
agire…”
Il suo sguardo cadde sulla figlia
e su Trystane.
“Guarda in faccia i nostri nemici Cersei…Margaery,
Loras, Ramsay…e tutti gli altri”
Prese un lungo respiro.
Tornò a guardare negli occhi la
sorella.
“Questa non è più la nostra guerra. Questa è la loro guerra... Il nostro tempo è finito. È tempo di farci da parte. Noi tramontiamo, loro sorgono”
Sospirò, con un sorriso amaro sul
viso.
“Noi non siamo più ora la forza
che nei giorni lontani muoveva la terra e il cielo: noi siamo ciò che siamo,
un'uguale tempra di eroici cuori, infiacchiti dal tempo e dal fato, ma forti
nella volontà di combattere, cercare, trovare e non cedere mai.”
Nulla avrebbe potuto fermalo. Le parole fluivano come un fiume in piena.
“Combatteremo allo stenuo come
abbiamo sempre fatto, non cederemo, mai. Ma non saremo più noi a decidere. Questo è il loro presente e quello che da scrivere
è il loro futuro.”
Tornò a rivolgersi verso di loro.
“Abbiamo solo un’ultima cosa da
fare. Avete ragione, dobbiamo mantenere una promessa.”
Fece un lungo sospiro.
“Questo matrimonio s’ha da fare.”
- - - - - - - -
Castello Nero
“Howland Reed?” chiese Jon, quasi
più deluso che stupito.
Riportò alla memoria tutto quello
che sapeva su quell’uomo.
“Lord dell’Incollatura…la Torre
delle Acque Grigie”
L’altro annuì, sorridendo
leggermente.
“Mio padre mi disse una volta
che…”
Si portò una mano alla fronte,
cercando di distinguere tra i ricordi.
“Che ti doveva la vita…che l’avevi
salvato da…”
Howland abbassò il capo.
“È molto più complicato di così…fu
un combattimento terribile e bellissimo allo stesso tempo…affrontammo le
migliori spade al mondo. E tanti compagni rimasero a terra.”
Il suo volto, nel riportare alla
memoria quei ricordi, si fece malinconico e sofferente.
“Comunque si, Arthur Dayne lo
stava per uccidere e io glielo impedì... E poi…”
Prese un lungo sospiro.
“Ned andò a riportare Alba a
Stelle al Tramonto, alla sorella di Arthur, Ashara Dayne.”
All’udire quel nome Jon si sentì
gelare. Quelle vecchie voci. Sussurrate
da cameriere, servette, popolino. Che avevano fatto prima infuriare prima
Catelyn e poi…
Il lord dell’Incollatura percepì
il suo disagio. Gli lanciò uno sguardo.
“La notizia della morte del
fratello la sconvolse a tal punto che…si
uccise.”
Senza sapere dove e come, trovò la
forza per continuare a parlare.
“A Grande Inverno…c’era chi
mormorava che lei…”
Inghiottì a fatica.
“Che lei
fosse mia madre”
La reazione che vide in Howland
fu…indescrivibile. Sembrava commosso…commosso da cosa però? Dalla sua ingenuità?
Ma era qualcosa di più. Sconcerto, compassione, una punta di
divertimento, comprensione…
Scosse la testa.
“Questo è il motivo per cui sono,
anzi siamo, qui.”
Guardò un istante Aegon. Il
giovane drago annuì.
“È ora che tu sappia la verità.”
Sospirò ancora.
“Cosa ti ha detto Eddard ti tua
madre?”
Quella domanda era forse uno scherzo?
“Niente…assolutamente niente…”
Mentre pronunciava queste parole rivide quella scena. Ned Stark sul cavallo,
pronto a partire per il sud. E quella frase. “Al mio ritorno, parleremo di tua madre.” Ma da Approdo
del Re, il protettore del nord non era più tornato.
Nello sguardo dell’uomo delle
paludi ci fu un lampo.
“E invece ti avrà parlato
sicuramente di lei…in altra chiave però…”
Che cosa? Cosa andava blaterando questo perfetto sconosciuto? Era forse
matto?
L’espressione di Howland però era
tirata, seria e segnata da…da quel qualcosa che si prova quando si è sicuri di
fare la cosa giusta.
“Sai perché eravamo tanto a sud?” gli
chiese.
Non attese però una sua risposta.
“Finita la guerra, Ned prese me e
altri uomini a lui fedeli e andammo a cercare sua sorella”
Una strana sensazione invase il
lord comandante.
Lyanna Stark? La sorella minore rapita…
“Era scomparsa dopo il torneo di Harrenhal.
Rapita, pensarono subito gli Stark e i Baratheon, dal principe Rhaegar. Fuggita, direi io, col senno di poi…”
Lo sguardo di Jon andò un attimo a
Aegon. Il principe sembrava...assorto.
“Il combattimento di cui ti ho
parlato prima avvenne dove Lyanna era stata portata…”
Il sospiro che seguì queste parole
fu… solenne.
“Eddard assistette impotente mentre
la sorella moriva tra le sue braccia. E le promise…”
Oramai il lord comandante pendeva
dalle labbra del crannogmen.
“Le promise che avrebbe nascosto e
cresciuto il figlio che lei aveva avuto come se fosse…un suo bastardo.”
Jon sentì il cuore fermarsi. Il
respiro gli si mozzò. Il tempo stesso parve arrestarsi. Le sue pupille si
dilatarono. Gli arti si immobilizzarono.
E nella sua mente…alla gelida
sorpresa seguì il caos più totale.
Mentre i pensieri si
sovrapponevano, si incrociavano, si combattevano dentro di lui perse ogni
cognizione del tempo.
Potevano essere passati secondi
così come ore quando tornò lucido. Anche se lucido era una parola grossa. Senza
sapere in che modo, era riuscito miracolosamente a rimanere in piedi.
Una morsa invisibile gli
attanagliava la gola.
Con uno sforzo enorme riuscì a
parlare.
“Lyanna Stark…”
Howland gli sorrideva, un sorriso
sincero, comprensivo.
“Si Jon. Era tua madre.”
Il caos di ricordi che l’aveva
attanagliato fino a qualche istante prima riguardava tutti quella donna che non
aveva mai potuto conoscere.
Ora invece un nuovo pensiero lo
fulminò. Da quando era sulla barriera,
aveva conosciuto il freddo più estremo.
Eppure quello, se comparato alla gelida realizzazione che lo attraversò, pareva
tepore di primavera.
Se Lyanna era sua madre…
Non lo ordinò, ma il suo corpo lo
fece per lui.
Lo sguardo andò a cadere su Aegon.
Uno sguardo in cui era racchiusa
una domanda che mai e poi mai aveva pensato di poter mai porre in vita sua.
Il principe carpì ciò che era
racchiuso in quell’occhiata.
E con quell’inconfondibile
malinconico sorriso stampato sul volto, annuì.
Non era possibile. No, stava sognando. Lo stavano prendendo in giro…
Si prese la testa tra le mani,
mentre si arrendeva definitivamente al conflitto interiore che lo dilaniava
dentro.
Lyanna…ma soprattutto Rhaegar. E per tutta la vita aveva creduto che…
Pensieri come questo si
riproponevano in continuazione, insieme a nuove ed agghiaccianti realizzazioni,
constatazioni, deduzioni. Tutte le sicurezze, tutto quello che fino ad allora
era stato per lui un punto fermo, spazzato via.
Ogni certezza, messa in
discussione.
Ma c’era anche posto per Ned. E
nel ripensare a lui, non gli pareva possibile ciò che aveva fatto. Nonostante
quello che provava per la moglie, l’aveva spacciato per il suo bastardo.
Nonostante l’amicizia che lo legava a Robert, aveva nascosto in casa sua il
figlio del nemico. Nonostante la devastante guerra che aveva dovuto combattere,
aveva cresciuto e protetto il frutto dell’unione proibita che aveva scatenato
il conflitto.
Una domanda gli sorse spontanea.
Perché?
Con questa domanda che gli ronzava
nella mente, rialzò il capo.
Guardò Howland, che gli lesse nel
pensiero.
“Per lei. Per sua sorella. Per tua
madre” sussurrò.
Si, tutto aveva un senso. Era qualcosa di terribilmente folle, rischioso e
soprattutto…
Quello che sentiva ora era…nuovo, strano, indescrivibile. Quello che
provava verso Eddard Stark, l’uomo che per vent’anni aveva chiamato padre, era…dire
rispetto, ammirazione, gratitudine era riduttivo.
Ma una voce lo distolse dai suoi
pensieri.
“The dragon must have three heads…”
I suoi occhi viola tornarono a
incrociarsi con quelli di Jon. Quel lampo
di prima si ripeté. Ma ora entrambi riuscirono a coglierlo. Ed era qualcosa che
Jon non aveva mai sentito, mai provato prima. Era qualcosa che solo…
La voce di Aegon risuonò solenne,
potente e incredibilmente amichevole.
“So che questa proposta ti è già
stata e l’hai rifiutata per onore. Per rispetto del giuramento fatto”
I loro sguardi erano stretti in
una indissolubile attrazione magnetica.
“Sono lo scudo che protegge i domini degli uomini…”
Prese fiato.
“Un giuramento fatto da Jon Snow. Che impegna
Jon Snow. Non te… Non più…”
Sospirò.
“Non sono qui per importi nulla. Sono
qui a farti un’offerta. Se vorrai potrai uscire da questa stanza per ciò che
veramente sei.”
Si fermò a prendere fiato per
un’ultima volta.
“Jon delle case Targaryen e Stark,
lord di Grande Inverno, Protettore del Nord e…”
Inghiottì a fatica, mentre i suoi
occhi viola brillavano, al pensiero di
cosa stava per dire. Un sorriso tornò a dipingersi sul suo volto. E questa volta, oltre all'infondibile malinconia, c'era davvero felicità.
“E mio fratello”
Note dell’autore:
Questo capitolo…aspettavo da tanto
di scriverlo. Immaginare come Jon venga a sapere la verità…
È oramai scontato che Jon non sia
figlio di Eddard e una donna qualunque…le teorie sono numerose come i debiti
della Grecia.
Quella di Rhaegar e Lyanna è la più
probabile, sensata e con i maggiori sostegni, oltre a essere la più bella. Per
questi motivi e per lo sviluppo che volevo dar alla storia l’ho scelta.
Del resto, ne sapremo presto di
più. È quasi sicuro che in The Winds Of Winter (il prossimo libro) avremo la
rivelazione “ufficiale”, da parte probabilmente di Bran o di Melisandre. Anche
dalla prossima stagione mi aspetto qualcosa, hanno scelto l’attore per interpretare
un flashback di Ned. L’età (13-14 anni) mi lascia supporre che probabilmente
vedremo anche Lyanna a Winterfell.
Piccola nota: per chi avesse un
déjà-vu, la poesia in alto è la stessa che M cita al processo in Skyfall. Ok,
forse ho esagerato nel metterla in bocca a Jaime, ma mi sembrava perfetta per
trasmettere ciò che volevo. Non sono poi per niente un amante di Manzoni, ma
quella frase dei Promessi Sposi calzava troppo bene per chiudere...(anche se
andava modificata ovviamente)
Ho già scritto fin troppo, quindi
chiudo ringraziando tutti quelli che lasciano feedback e spero che questo nono
capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere come sempre cosa pensate a proposito di
come sto sviluppando la trama.
Per chi sente già odore di
confetti e torta nuziale…beh, vi posso dire che manca davvero poco.
Al prossimo capitolo dunque e, ora
come sempre, long live the lioness.
Moved earth and heaven, that which we are, we are;
One equal temper of heroic hearts,
Made weak by time and fate, but strong in
will
To strive, to seek, to find, and not to
yield.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
Cap 10
Long live the lioness
"Nobody said it was easy,
oh it's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be so hard."
The Scientist,
Coldplay
Approdo
del Re, tre settimane dopo
Era dall’alba che le campane di tutta la città
suonavano a festa. Da ogni tempio, torre, collina si levava l’eco di quella
chiassosa e gioiosa melodia. Campane che
suonavano per loro.
Nonostante l’altezza delle Fortezza Rossa e le
finestre quasi del tutto chiuse, il frastuono penetrava anche nella sua stanza.
Quel suono la accompagnava fin dal risveglio ed era
oramai familiare, non ci prestava quasi più attenzione. Ogni tanto però tornava
a udirlo tutto d’un colpo. Ed era sempre una gradita e rassicurante conferma
che non stava sognando, che era tutto
vero.
Si guardò ancora allo specchio. Aveva oramai finito
di prepararsi. Sorrise a sé stessa. Quel
giorno era finalmente arrivato. Ancora qualche ora e…
Qualche colpo alla porta la distolse dai suoi
pensieri. Con il flusso interminabile di servette, cameriere e quant’altro di
quella mattina aveva evitato di chiuderla.
Si limitò quindi a dire un avanti distratto. Il modo in cui le avevano sistemato i
capelli…non la convinceva appieno. Era un lavoro ben fatto eppure…c’era
qualcosa che…
Non aveva prestato troppa attenzione a chi era
entrato, era troppo concentrata su sé stessa. Ma quando vide l’immagine riflessa nello specchio…
Stava per parlare, ma sua madre la precedette.
“Per i sette inferi” disse, con gli occhi sbarrati.
“Myrcella, sei stupenda…”
Lei non poté fare a meno di sorridere, mentre
arrossiva leggermente.
Vide però comparire sul volto di lei una sottile
smorfia. La voce della regina tornò nuovamente a coprire le campane.
“Chi ti ha sistemato così i capelli?” Il tono era
decisamente diverso. Lasciava a intendere il resto della frase “se non sei
soddisfatta, dimmi il nome e gli farò mozzare le mani”. Cersei Lannister non
smetteva mai di essere la regina, mai.
“Lo so…” provò a dire, a metà tra l’essere
dispiaciuta e divertita, ma non ebbe modo di continuare.
Sentiva le mani della madre tra i suoi lunghi
capelli biondi, a sistemare ciò che non la convinceva. Rimase senza parole. Lo stava veramente facendo? Non era
possibile…
“Per me, lo
sta facendo per me” pensò. Ed era
vero. Provò a dire qualcosa, ma non le veniva in mente niente. In testa aveva solo quello che sarebbe
successo di lì a poche ore. Nemmeno lei stessa sapeva come riuscisse a stare
ferma e tranquilla.
Un pensiero le balenò improvvisamente in testa.
“Tutto bene con Tommen?” chiese.
Cersei sorrise. “Si…tuo fratello è entusiasta
all’idea di accompagnarti all’altare.”
In qualità di
re, quel compito spettava a lui dal momento che non c’era… No, non sarebbe
dovuta andare così. Lui sarebbe stato lì, nel tempio, a guardarla. Lui avrebbe
dovuto accompagnarla. Ma il segreto andava preservato. Non riusciva a
immaginare quanto questo potesse fare male a suo padre.
Tenne questi pensieri per sé. Di sicuro sua madre ci
aveva già pensato e…non era decisamente il caso di rigirare il coltello nella
piaga. Al suo posto ci sarebbe stato
Tommen del resto. Non poteva certo lamentarsi.
Non se era resa conto, assorta com’era nei suoi
pensieri, ma la regina aveva finito con i suoi capelli. Si guardò allo
specchio.
Ecco, così era
perfetto. Sembrava che le avesse letto nel pensiero.
Rivolse a sua madre un sorriso per ringraziarla,
mentre lei le si sedeva affianco. Gli occhi di Cersei erano lucidi, il suo sorriso
dolce. Prese le mani della figlia tra le sue.
“Non ci credo ancora…” la voce della regina era
carica di emozione. Strinse ancora più forte le mani.
“La mia
bambina oggi si sposa…” Quasi rideva mentre pronunciava queste parole, quella
risata un po’ folle di quando si è in preda alla felicità.
“Come ti senti?” le chiese.
Myrcella sorrise. Soppesò le parole.
“Non mi sembra
vero. Ho questa sensazione sulla pelle, come se…come se stessi sognando, come
se camminassi un metro sopra terra.”
Sospirò.
“Ma
evidentemente è tutto vero. Dire che sono felice è…”
Trattenne a stento una risata.
“È riduttivo…non
so come potrò aspettare altre tre ore…”
Cersei continuava a sorriderle, ma sul suo viso era
comparsa una sfumatura nuova…una sfumatura di…malizia? Davvero?
“Sei impaziente anche per…questa notte?”
Myrcella si morse il labbro, abbassando lo sguardo.
La regina ne fu sorpresa, ma continuò a parlare.
“It will be your first…” disse, quasi
sussurrandole.
La figlia scosse la testa, interrompendola.
“No”
Sospirò.
“It won’t...” il suo tono era deciso, sicuro. Ma
nonostante questo, non riusciva che a sussurrare. Rialzò nuovamente il capo.
“It won’t be…the
first”
Abbozzò un timido ma sincero sorriso.
La reazione di Cersei fu…indescrivibile. La sorpresa
divenne incredulità, l’incredulità divenne sconcerto, lo sconcerto…
Era davvero senza parole questa volta.
Myrcella temeva tanto, troppo, di trovare
rimprovero, addirittura rabbia negli occhi di sua madre. Ma non ce n’era la
benché minima traccia.
Alla fine, dopo istanti interminabili, la regina riuscì
a parlare.
“You did it
because…” sussurrò, con gli occhi persi in quelli della figlia. Lei chinò
un istante il capo, mordendosi lievemente il labbro. Con voce sicura, decisa e
limpidamente sincera completò la frase lasciata incompleta. Non doveva che dire la verità.
“Because i
love him…” un nuovo sorriso le si dipinse sul volto. “Because i love him…” sussurrò nuovamente, quasi più per sé stessa.
Non c’era altra
ragione, altra verità.
Aveva fatto per un'unico
motivo quel passo.
Perché lo amava, lo amava
più di ogni altra cosa.
- - - - - -
L’atrio del tempio era piuttosto freddo, abbastanza
da farle venire la pelle d’oca sulle braccia e sulle spalle scoperte. Ma ben
presto il mantello avrebbe coperto quelle e anche la schiena quasi per metà
nuda, tenendola un po’ più al caldo. Era sicura che quell’abito avrebbe
suscitato mille discorsi e piccoli scandali, ma non le importava. Non le pareva anche solo concepibile l’idea di
sposarsi con un abito che non rispecchiasse…casa.
Sentiva dentro di sé di appartenere a Dorne e…e ne sarebbe stata la principessa
in poche decine di minuti. Che i Tyrell e tutti gli altri facessero pure tutti
i loro pettegolezzi.
Nonostante questi pensieri tutt’altri che allegri,
non riusciva a smettere di sorridere. Ancora
poco e…
Il rumore di passi concitati e veloci la distolse
dai suoi pensieri. Si voltò verso la porta.
Il re degli Andali e dei Primi Uomini era lì, di
fronte a lei. Con gli occhi spalancati e sul viso un’espressione di stupore e....
“È mio
fratello, ma è pur sempre un uomo…” pensò. Questo innescò una breve risata.
Tommen annaspò un paio di secondi, alla ricerca
disperata di qualcosa da dire.
“Myrcella sei…davvero…magnifica…” Non riusciva a staccarle
gli occhi di dosso.
Lei gli si avvicinò, posandogli un leggero bacio
sulla guancia. Rimase ferma, sussurrandogli all’orecchio.
“Se continui a guardarmi così, qui scoppia una
guerra con Dorne…” gli disse, con tono divertito e malizioso. Il fratello
scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
“Vorrei
vederlo sempre così. Sorridente, felice. Senza arpie intorno, senza che la
malattia lo perseguiti...” sognò per un istante. Ma sapeva che non poteva
andare così. L’effetto del dolcesonno
era a dir poco miracoloso. Peccato che lui non lo potesse prendere che un paio
volte l’anno. E se…
Scacciò via quei pensieri così dolorosi.
Intanto il re non aveva perso tempo. Brandiva tra le
mani il colossale mantello nuziale.
Lei chinò il capo, per agevolarlo. Con delicatezza
lui le affibbiò il laccio. Le accarezzò per un istante il collo e il volto.
Si voltò. Tommen la prese sottobraccio e sospirò.
“Andiamo a consegnarti a questo dorniano…” disse,
con tono quanto mai ironico.
Myrcella gli restituì una gomitata più scherzosa che
veramente stizzita.
E poi, insieme, cominciarono a camminare.
Attraversarono il breve corridoio e si ritrovarono
nella sala centrale del Grande Tempio di Baleor. C’era molta più gente di
quanto si aspettasse.
In modo tutt’altro che casuale i Tyrell erano stati
sistemati sui due lati del tempio esattamente opposti a dove si trovavano i
dorniani giunti per l’occasione.
Mentre scendevano la lunga scalinata provò a
riconoscere gli ospiti.
La maggior parte erano alfieri che conosceva solo di
nome e di vista.
Riconobbe tra le persone di Stelle al Tramonto tre
dei Dayne, seduti abbastanza in basso.
Poi, nella delegazione più importante, c’era Lord Anders
Yronwood, accompagnato dalle figlie, Ynys e Gwyneth.
Infine c’era quasi tutta la corte di Lancia del
Sole. Conosceva praticamente tutti.
Spiccavano su tutti, poste a due passi dall’altare
Elia Sand, la quinta figlia del principe Oberyn, e, soprattutto, la Principessa
di Dorne, Arianne Martell. Vedendola la salutò con un cenno del capo. Myrcella
ricambiò il gesto con un sorriso.
Tornò ad alzare lo sguardo verso l’altare. Lei e
Tommen avevano oramai percorso tutta la scalinata ed erano a metà della grande
sala ettagonale.
Non degnò i Tyrell nemmeno di uno sguardo. Ma del
resto, anche se Aegon il Conquistatore fosse entrato in quel momento cavalcando
Balerion il Terrore Nero, non avrebbe mai e poi spostato gli occhi.
Il suo principe stava lì, ai piedi dell’altare. E
l’espressione che aveva sul viso beh…rispecchiava tutto quello anche lei stava
provando. A parte ovviamente lo sguardo.
Trystane pareva ancora più…compiaciuto di Tommen nel vederla.
Percorse gli ultimi passi mentre una sensazione
nuova, forte e bellissima la pervadeva, insieme a quella costante impressione
di leggerezza.
Pose fine al dubbio di stare solamente sognando quel
momento stringendo la mano di Trystane. Era
tutto fantasticamente reale.
Stringendosi forte le mani andarono a porsi davanti
all’alto septon.
Quello fece un cenno e musica cominciò a levarsi.
La cerimonia ebbe inizio.
Non ascoltò una sola parola di quello che il
sacerdote disse. Non riusciva a staccare
gli occhi da lui. Se con lo sguardo
si può parlare, quella fu una delle discussioni più lunghe che avessero mai fatto. Ricordi, progetti, idee,
propositi, opinioni, piani, promesse… Mentre centinaia di persone
invocavano e pregavano, a loro sembrava di essere soli. Soli come prima, soli come a Dorne.
Il tempo le parve volare. Pensava che fossero trascorsi
solo pochi istanti, invece erano passati quaranta minuti. Lui le suggerì con
un’occhiata di tornare a prestare attenzione a quanto stesse dicendo il
sacerdote.
Colse giusto qualche parola, ma fu sufficiente.
Un paggio si fece avanti, porgendo un mantello
piegato al principe. Anche Tommen venne avanti nuovamente, pronto a toglierle
il colossale mantello dei Baratheon.
Tutto d’un tratto l’enorme drappo con il cervo
incoronato che portava sulle spalle le parve incredibilmente pesante,
opprimente, soffocante. Non vedeva l’ora
di liberarsene.
Sentì le mani del fratello attorno al suo collo
allentare il nodo fatto poco prima.
E poi il lungo e pesantissimo mantello fu sollevato.
Una carezza fresca le toccò improvvisamente le
spalle e la schiena, ora scoperte.
Avvertì un brivido percorrerla dalla testa ai piedi.
Ma non era il freddo. Una sensazione
tanto forte da mozzarle il fiato e fermarle il cuore la percorse.
“Sta per
accadere” pensò. Era felice e incredula, eccitata e calma, tutto allo
stesso tempo.
Trystane le posò il suo mantello sulle spalle.
Il sorriso che aveva sul volto mentre lo faceva…era
felicità pura, incontaminata, sincera.
Il drappo dei Martell le parve cento e cento volte
più leggero. Era decisamente più corto e soprattutto era di una seta leggera,
liscissima. Un gigantesco sole dorato occupava gran parte della sua schiena,
attraversato da una lancia composta da centinaia di piccoli rubini.
Tornò a guardarlo. Sussurrò ciò che le era appena
venuto in mente.
“Ho il sole
sulle spalle, eppure non sento affatto caldo…basta, sono diventata davvero una
di voi…”
Trystane udì appena quelle parole, ma riuscì a
carpirle. E dovette sforzarsi molto per non mettersi a ridere.
Myrcella abbassò un ultima volta il capo, mordendosi
il labbro.
Si era promessa
che non sarebbe rimasta senza voce per l’emozione in quel momento, eppure successe.
Dovette cercare ogni briciolo di forza per poter pronunciare quelle parole.
Tutto quello che stava provando le attanagliava con
forza la gola.
“Con questo bacio io ti prometto amore eterno, e ti
prendo come mio principe e marito”
Gli occhi le brillavano mentre recitava la formula.
La voce di lui non era affatto strozzata. Era serena,
limpida e rimbombò con forza per tutto il tempio.
“Con questo bacio giuro di proteggerti, e prometto,
ora e sempre, di amarti, e ti prendo come mia principessa e moglie”
Si avvicinarono l’uno all’altra come decine, anzi,
centinaia di volte avevano fatto.
Tutte le persone presenti cessarono di esistere,
almeno per un istante.
Trystane le portò una mano dietro la testa,
lasciando che si perdesse tra i suoi lunghi capelli dorati. Si avvicinò ancora.
Le loro labbra si sfiorarono.
E il tempo parve realmente fermarsi.
Per un unico, magico e interminabile istanti furono
soli, come lo erano stati tanto tempo prima. Soli e liberi. Liberi di amarsi, liberi di essere ciò che
realmente erano, liberi da responsabilità, pesi, preoccupazioni.
Fu magnifico, fu solo un istante, ma fu incredibile.
Lui si staccò lentamente, sorridendo ancora.
Il septon sollevò il cristallo sacro sopra le loro
teste, diffondendo su di loro i sette colori dell’arcobaleno. Poi a riprese a
parlare.
“Qui, alla vista degli dei e degli uomini, io
solennemente dichiaro Trystane della Casa Martell e Myrcella delle Case
Baratheon e Lannister marito e moglie, un corpo, un cuore, un’anima, ora e
sempre, e maledetto sia chiunque verrà a frapporsi fra loro”
Questa volta lei l’aveva ascoltato.
Ora e sempre.
Ora e sempre. Ora e sempre. Queste parole le risuonavano senza fine in testa.
Era vero. Era davvero appena successo. Erano
finalmente…
Si avvicinò nuovamente al viso di Trystane.
“Husband”
sussurrò con un filo di voce.
Lui sorrise. Si portò la mano al petto. Fino a quel
momento lei non l’aveva notato, ma sul suo farsetto era appuntato un giglio
bianco. Lo prese e, delicatamente, glielo pose tra i capelli. Scostò poi con la
mano la ciocca che le copriva in parte il viso. Sussurrò anche lui.
“Wife”
La baciò di nuovo. Tutto era cambiato rispetto a pochi istanti prima. Non erano più
promessi, erano marito e moglie. Eppure quel bacio aveva lo stesso dolce e
inebriante sapore di prima. Da quel momento tutto cambiava, e al tempo stesso,
tutto rimaneva come prima.
- - - - -
Guardò per un istante la coppa. Aveva già bevuto parecchio al banchetto. E, soprattutto, non aveva
praticamente toccato cibo. Alzò le spalle. Una in più non avrebbe di certo
fatto la differenza.
Se la portò alla bocca. La mandò già tutta d’un
fiato. Il vino l’aveva aiutata a contenere durante i festeggiamenti
l’impazienza per…per quello che stava per
succedere.
Si voltò, dopo aver appoggiato la coppa sul tavolo.
Trystane era a pochi metri da lei. Si era già tolto il farsetto, rimanendo a
petto scoperto. Le venne vicino.
Myrcella si strinse a lui. A suo marito. Il suo odore la faceva impazzire, un misto di olio
termale, sudore e profumi esotici tipici dei dorniani.
Appoggiata a lui con il volto, sentì le sue mani accarezzarle
la schiena, passarle tra i capelli, infilarsi sotto il tessuto dall’apertura
dell’abito.
Alzò la testa dalla sua spalla, la inclinò
leggermente a destra, per guardarlo negli occhi.
“Grazie…” gli sussurrò.
L’espressione di lui era leggermente confusa. Per quale ragione lo stava ringraziando?
Ma prima che potesse chiederglielo, le labbra di lei
vennero a sfiorare le sue.
La strinse ancora di più a sé, per sentirla vicina, per sentirla unita. “Un solo corpo, un solo cuore,
un solo spirito.” Mai avrebbe dimenticato quelle parole.
Myrcella era meno timida del solito. Sentiva la
lingua di lei accarezzargli il palato. Di
solito non si spingeva a tanto. Pensò che fosse l’effetto di tutto quel vino
oppure...di certo non solo lui era tremendamente elettrizzato ed eccitato per
quello che stava per accadere.
Quando si staccarono, stava per porre la domanda. Ma
lei lo precedette.
“Grazie per avermi risparmiato la…” Si fermò. Faceva
fatica persino a dirlo “la messa a letto”
Trystane le sorrise teneramente. Le prese con
delicatezza il mento nel palmo della mano.
“A Dorne la consideriamo un’usanza barbara…ma
soprattutto…”
Sospirò
“Non permetterei
mai a nessuno di alzare anche un solo dito su di te…figuriamoci a delle rose”
L’aveva anche urlato davanti a tutti quando uno dei
cavalieri dell’Altopiano aveva lanciato l’idea di metterli a letto. Nella sala
c’era stato un attimo di grande tensione. Ma era bastato porre una mano
sull’elsa della spada mentre uscivano, soli,
dalla Sala del Trono, mentre qualcuno continuava a berciare alle loro spalle.
“E poi non mi
potevano togliere il privilegio di spogliare mia moglie…” aggiunse con
malizia. E con altrettanta lei gli sorrise.
Tornarono a baciarsi. Le mani di lui andarono a indugiare
sulle le spalline dell’abito.
Con delicatezza innata ne fece scivolare via prima
una, poi l’altra.
Il vestito scivolò a terra. Mentre continuava a
sfiorarle le labbra e a giocare con le dita tra i suoi capelli, le accarezzò
con il palmo della mano il seno.
Myrcella si staccò, lentamente, e, dopo essersi
stretta ancora un po’ alla sua spalla, andò a sdraiarsi sul letto. Mentre lui
armeggiava con le brache, lei si toglieva quel poco che portava sotto all’abito.
Chiuse gli occhi. E per un momento le sembrò di vedere
il soffitto della sua stanza ai Giardini dell’Acqua dove…dove qualche mese prima avevano consumato la loro prima notte.
Sospirò. Sembravano passati secoli…
Percepì un movimento. Aprì le palpebre. Trystane era
sopra di lei. Con le dita scostò le ciocche di capelli che le erano finite sul
volto.
Le posò un bacio sulla fronte. Andò poi a sfiorarle
le labbra.
Mentre si baciavano, una sensazione cominciò a
pervaderla. Era da parecchio che non la provava.
Quella voglia profonda e inarrestabile di lui, voglia di lui solamente.
Lui la accarezzò con una mano tra le gambe. Un
brivido di eccitazione la percorse. Percepì due dita insinuarsi tra la sua
carni. Si lasciò sfuggire un gemito soffocato. Trystane sentì ciò che lei già
sapeva. Era fradicia. Non c’era
bisogno di nient’altro, era già pronta. La mano destra di lui si parò dietro
alla sua nuca. Le posò un delicato bacio sul seno.
Myrcella chiuse gli occhi un’ultima volta. Solo per un paio di secondi.
Allargò le gambe.
Con entrambe le braccia si strinse alla schiena del
suo uomo. Non desiderava altro che lui…
Il principe scivolò dentro di lei.
E poi…il mondo cessò di esistere. Ogni percezione di
tempo, realtà, spazio smise di essere tale. Qualsiasi cosa oltre a loro due non
aveva più nessuna importanza. Tra tutte le fortissime, inebrianti, contrastanti
e bellissime sensazioni che provavano non c’era spazio per altro. Myrcella
sentiva scosse attraversarla, i baci di lui sul collo, sulla bocca, sul mento,
sui seni. Ridusse con le labbra il collo del suo uomo a una distesa di piccoli
lividi circolari, tanto numerosi da essere degni di una battaglia.
Non avrebbero saputo dire quanto fossero andati
avanti.
A un certo punto, senza sapere bene come, si ritrovò
sdraiata, con la testa appoggiata sul petto di lui. Il suo respiro ritmico la
cullava. Sentiva ancora dentro di sé il lieve tepore del seme del principe. Del suo principe.
Trystane continuava a giocare con i suoi capelli
biondi. La sua mano sinistra era appoggiata sul grembo di lei. Il silenzio era
rotto solo dai loro respiri che si andavano via via a calmarsi. Si aggiunse poi
la voce di lui.
“Allora, è stato magico come la prima volta?” le
chiese con tono ironico.
Lei non poté fare a meno di sorridere. Un sorriso
divertito, diverso da quello sincero, calmo, disteso che da quella mattina non
aveva mai lasciato il suo volto.
“Tanto…speciale…no.
Ma è stato molto più…bello” rispose.
“Sei sicura di ricordare bene?” sussurrò ancora lui.
“Certo…” sospirò “potrei mai dimenticare?”
Sorrise nuovamente per ciò che le era venuto in
mente.
“Ti ricordi invece la prima volta che mi baciasti?” chiese,
nostalgica.
Udì Trystane ridacchiare. Lo prese per un sì. Lui
tornò a sussurrarle all’orecchio.
“Una volta tanto riuscì a batterti a cyvasse…e dissi
che per questo meritavo un premio…”
Myrcella scosse la testa, divertita.
“Un quattordicenne in preda a chissà quali
pensieri…io ne avevo da poco dodici…dèi, non voglio ricordare come mi sentì…”
Lui le accarezzò il fianco con la mano destra.
“Non feci nemmeno tempo a guardarti negli occhi dopo
averti baciata che scappasti via…e non ti facesti vedere per una settimana…” il
suo tono si fece via via più malizioso.
“Eppure, qualche mese dopo, ti fiondasti tra mie
braccia, a chiederne altri di baci…”
Lei gli tirò un debole pugno al costato.
“Sai benissimo cos’era successo…era cambiato tutto…” Sospirò ancora. “non ero più una bambina…”
Trystane la interruppe.
“Era la prima volta che ti vidi con i capelli come
li porti ora…” la sua voce aveva la tipica nota di quando si va a scavare tra i
ricordi “non che tutti quei ricci mi dispiacessero ma…mi sembrò di vedere
un’altra persona”
Quei ricordi invasero anche a lei la mente, mentre
sorrideva.
La voce del principe era lievemente carica di
rimpianto.
“Quanto non è stato bello amarci così, in segreto,
nascondendoci da tutti, scappando, cercando di fingere di essere normali, due innamorati qualunque…”
Sentì gli occhi inumidirsi. Si, aveva ragione. Era stato bellissimo.
E si lasciarono così sommergere dai ricordi. Qualche
mese, al massimo pochi anni erano passati. Eppure tutto ciò che riportavano
alla memoria pareva accaduto un’eternità prima.
Mancava oramai poco all’alba quando si le loro
rievocazioni si ridussero a silenzio. L’alba di un nuovo giorno, e che ne
chiudeva uno segnato da sorrisi, cambiamenti e felicità pura.
Trystane sospirò.
“Sembra passato così tanto…e invece abbiamo che soltanto
appena cominciato…”
Strinse le mani della sua principessa nelle sue.
“E ci sono tante, tantissime difficoltà sulla nostra
strada…”
Si fermò un istante.
“Te l’ho già detto tante volte e te lo ripeto
ancora: non sarà affatto facile.”
Sospirò.
“Ma sarà molto meno dura se affronteremo tutto uniti, insieme…”
Il vento fresco delle ultime ore della notte entrava
dalle finestra e accarezzava la loro pelle.
“Tanto tempo fa mi chiedesti quante altre ragazze
avessi portato a passeggiare nei giardini…” disse in un sussurro. Non attese
però una conferma.
“Dovendo fare gli onori di casa, molte” aggiunse,
diventando quasi serio.
“Tra tutte,
ne ho baciata qualcuna…” ammise.
Prese un lungo respiro
“Con un paio sono andato oltre….”
Il sospiro che seguì fu…quasi liberatorio. Si alzò
sopra di lei, per guardarla negli occhi.
Soppesò a lungo quelle parole. E con voce serena e
sincera parlò nuovamente.
“Ma ne ho amata
una e una soltanto”
Note dell’autore:
Un solo corpo,
un solo cuore, un solo spirito. Ci
siamo finalmente.
Devo dire che mi è davvero piaciuto scrivere questo
capitolo anche se…beh, la prima stesura, per colpa di quello che
stavo ascoltando, non era diciamo “appropriata” (non è che Martin Garrix ispiri
esattamente romanticismo). Così ho attaccato Coldplay a manetta e ho rifatto il
tutto. Non mi sbilancio mai di solito, anzi, sono sempre abbastanza scettico e cauto,
ma devo dire che mi sento soddisfatto. Per questo ho deciso di aprire con una (anzi
direi “la”) canzone dei Coldplay. Di solito la cit centra con il capitolo, ma
qui ho voluto fare un piccolo tributo.
Qualcuno avrà già notato il personaggio “nuovo” a
cui avevo accennato, nel prossimo capitolo lo, o meglio la, vedrete. Per il
resto, ho evitato di scrivere del banchetto perché sennò sfondavo quota cinquemila
parole… Ma qualcosa saprete nel prossimo capitolo, da un altro POV e…e no, come
al solito non vi voglio anticipare troppo.
Ringrazio tantissimo i (sempre più numerosi)
recensori, il vostro feedback è sempre un riferimento preziosissimo. Siete come un faro, un punto di riferimento che mi fa capire se la storia è sulla rotta giusta o meno.
Come al solito stay tuned e fatemi sapere cosa ne
pensate di queste nozze.
E, ovviamente, long
live the lioness
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Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
Cap 11
Long live the lioness
It's dangerous, so dangerous
I wanna do it again
It's dangerous, so dangerous
I wanna do it again
Dangerous, David Guetta
Fu il rumore di grida e scalpicci lontani a
svegliarla. Probabilmente persone che uscivano a cavallo o… No, non le
importava. Si rigirò nel letto. Non aveva alcuna voglia di alzarsi. Però… Sentiva che qualcosa mancava. Mancava quel
calore, quella presenza. Senza nemmeno aver aperto gli occhi, sapeva che
Trystane non era più nel letto. E stare lì, senza di lui…non aveva senso.
Quando riaprì le palpebre, brillanti lame di luce
filtravano tra le lunghe tende. Doveva mancare poco alla metà della mattina. Lanciò
via le coperte.
Si alzò. Trystane era in piedi in mezzo alla stanza,
con lo sguardo perso oltre la finestra. Prese
distrattamente la vestaglia e se la mise addosso. Fece per andare verso di lui
e, nel farlo, lanciò un ultima occhiata al letto.
Stava per muovere un altro passo, ma rimase
pietrificata.
Che cosa? No, no,
stava ancora sognando. Sbatté nuovamente le palpebre. Niente, era davvero
sveglia. Ma…non era possibile.
Altro non era
che una chiazza di sangue. Ma lei, quel sangue, lo aveva lasciato a Dorne sei
mesi prima insieme…insieme a molto, molto altro. Era sconvolta. Non poteva
accadere. Non di nuovo…not twice… Che fosse…no, mancavano ancora almeno un paio
di settimane al prossimo ciclo.
Mentre i pensieri si rincorrevano senza fine e lo
sconcerto non diminuiva, sentì due mani posarsi sui suoi fianchi. Il principe
si perse tra i suoi capelli con il volto. Andò poi a sussurrarle all’orecchio.
“Scusa…avrei
dovuto dirtelo” disse, in tono
dispiaciuto. Ma era anche incredibilmente serio. Percepì lei rilassarsi
un’istante. Sapeva però di doverle della spiegazioni.
“Quello è…” sussurrò, guardando il letto e la
macchia scarlatta. “Quello che si aspettano, quello che vogliono vedere. Diamoglielo, e ci lasceranno in pace...”
Prese un lungo e quasi triste respiro.
“Myrcella…” sospirò “non avrei potuto sopportare
mille e mille chiacchere alle nostre spalle. Che dicessero calunnie senza motivo su di te.”
Si, anche questa
volta, aveva ragione. E gli era incredibilmente grata per ciò che aveva fatto.
Si voltò, sorridendogli.
Andò a sfiorare le labbra di Trystane. Si abbandonò
a lui. Alla soluzione di ogni suo
problema, al conforto di ogni suo dolore, al rimedio per ogni tristezza, al
faro in ogni oscurità. All’unica persona di cui aveva davvero bisogno per
vivere. Non poteva nemmeno concepire l’idea di una vita senza di lui…senza di
lui…sarebbe stato semplicemente impossibile vivere.
Si staccarono, entrambi senza fiato. Nello sguardo
di lui…era sorpreso per quel bacio così lungo e inteso…ma ne era anche
decisamente compiaciuto.
E con il suo inconfondibile sorriso leggermente
ironico e sicuro di sé riprese a parlare.
“Poi non sarà del tutto una menzogna…” aggiunse
sospirando.
La principessa lo guardò incuriosita. Cosa intendeva
dire?
“Ieri sera…non so se te ne sei accorta, ma tra le
mille farse hanno…” Si dovette trattenere dal ridere. Oramai Myrcella pendeva
dalle sue labbra.
“Hanno servito carne di leone…”
“E quindi?” gli
stava per chiedere, fissandolo a metà tra il sorpresa e il divertita. Ma
Trystane la precedette.
“L’ho saputo prima così…” disse, mentre le passava
le dita tra i capelli.
“Mi sono procurato un po’ di…di sangue di leone.”
Spostò una sottile ciocca dorata dalla sua faccia.
“Lion…lioness…”
Alzò le spalle ironicamente.
“Non penso si
noti la differenza…”.
Sospirò, avvicinandosi a pochi centimetri dal volto
di lei.
“You are my lioness…” le sussurrò.
Passò la mano dietro la testa di lei. Della sua leonessa. La tirò a sé,
spingendo le labbra di lei contro le sue.
Myrcella si strinse a lui con le braccia.
Vedeva riflesse negli occhi del principe le stesse
emozioni che stava provando anche lei. La mano sinistra di lui scivolò nella
sottile apertura della vestaglia.
La sua mano era calda, la sua pelle fredda sotto il
sottile tessuto.
Riprese a baciarlo con rinnovata energia.
Non potevano
vivere l’uno senza l’altro.
- - - - -
Era esattamente
come la ricordava. La stessa voce, la stessa espressione sul viso, lo stesso
riflesso negli occhi. Ma forse…c’era più familiarità, più attenzione negli
sguardi che lei le lanciava. Dipendeva da…
Ciò che stavano dicendo distolse la sua attenzione.
Trystane pareva…decisamente divertito.
“Ma si, oramai penso di essere di famiglia” disse,
guardandola.
Lei sorrise, perplessa. Aveva perso il filo del
discorso. Di che diamine stavano parlando
quei due?
“Ieri mattina, andando al tempio, tua madre…beh, in
tre frasi mi avrà minacciato di morte quattro volte se…se avessi osato farti del male”
Non riuscì a trattenere una risata.
“Invece al banchetto…in mezz’ora ha citato la mia
testa solo una volta...miglioramento
incredibile” disse ironicamente.
La sua espressione assunse una falsissima aria
dubbiosa.
“Forse tra vent’anni riuscirò pure a esserle
simpatico…”
Myrcella abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro.
Sapeva che
sarebbe successo. Sua madre era fatta così, non c’era nient’altro da fare.
La voce di Arianne ruppe quel silenzio imbarazzato.
“Avreste dovuto rimanere di più ieri sera al
banchetto…” disse, con tono decisamente divertito. Trystane la fissò
incuriosito.
“Le tue parole fratellino beh…hanno decisamente
offeso i Tyrell…”
La principessa sorrise ancora, con gli occhi persi a
rivivere quel momento.
“Non potevo
perdere l’occasione…”
Lo sguardo del fratello era ora…quasi impaurito.
Lei continuò, con tono innocente.
“Ho pensato che una delle nostre canzoni avrebbe
potuto tirarli su di morale...così…”
Trystane sgranò gli occhi, mentre un gelido brivido
lo attraversava.
“Dèi, Arianne, non avrai mica…”
Lei annuì, sempre con fare fintamente innocente.
“Sì…” disse, con un sorriso divertito, quasi folle,
sul volto “ho fatto cantare Il cavaliere
e la vipera…”
Myrcella si sentì gelare per un istante. Quella canzone…l’aveva udita qualche volta a
Dorne. Sotto un racconto apparentemente astratto, ironico ed esageratamente
volgare si celava, tramite mille allusioni, il racconto del torneo in cui la
Vipera Rossa, il principe Oberyn, aveva disarcionato, rendendo storpio, l’erede
di Alto Giardino, Willas Tyrell.
Il racconto era
tutt’altro che oggettivo e super partis. Parlava di un caliere altezzoso,
spavaldo, sbruffone, che aveva osato prendersi gioco del deserto e di chi lo
abitava…e nella storia ne pagava a caro prezzo le conseguenze. Non osava
immaginare la reazione delle rose a quella storia. Quella canzone non era mai
uscita da Dorne prima di allora. Era stata un’idea folle, assurdamente
rischiosa…eppure, una parte di lei ne era tremendamente divertita e…soddisfatta.
Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma…
“Arianne, sei impazzita?” tuonò il fratello.
Lei sospirò, facendo l’offesa e la dispiaciuta
insieme.
“Lo ammetto, sono stata avventata e irrispettosa. It’s been dangerous, so dangerous…” ammise,
con tono quasi pentito. Lo stava
prendendo in giro. Il sorriso di prima tornò però a troneggiare sul suo
volto.
“Ma lo rifarei
mille e mille volte” aggiunse, divertita.
Trystane stava per ribattere ma…una parte di lui lo fermò. Era sì infuriato con la sorella, non c’era
certo bisogno di stuzzicare ancora di più i Tyrell. Eppure…una parte di lui era
divertita e soddisfatta per quella pazzia.
Si limitò a rimanere in silenzio, con un leggero
sorriso sul volto. Senza nemmeno rendersene
conto, l’aveva perdonata.
I suoi pensieri ripresero a vagare e…il principe
sospirò, mentre il suo volto si rattristava. Parlò di nuovo, tornando
tristemente serio, rivolgendosi alla sorella.
“Come sta nostro padre?” chiese, fissando la coppa
davanti a lui.
Arianne scosse la testa, con un sorriso amaro sul
volto.
“Trys, come vuoi che stia? Come al solito…continua a
dire che tutto va bene, a nascondere tutte le sue sofferenze ma…”
Sospirò amaramente.
“Ultimamente poi…si è ostinato ancora di più nel
suo…pensare”
Rise, una risata colma di…rammarico e quasi disprezzo.
“Pensare…ossia
non fare nulla. Assolutamente nulla. Come sempre del resto. È il migliore in
questo.” Lo sguardo di lei era perso nel vuoto, la sua voce colma di triste
rammarico. Tornò però a farsi più seria.
“Da quanto so, ha anche ricevuto delle lettere
importanti…ma probabilmente ne saprà di più l’ultimo dei mendicanti di Lancia
del Sole di me…”
Sbuffò, quasi arrabbiata.
“Dopo quanto successe con Arys…”
Il suo sguardo cadde inevitabilmente su Myrcella.
Arrossì lievemente al ricordo, ma continuò a parlare
“Ho sempre obbedito senza discutere, non ho preteso
o rischiato nulla. Ma comincio a essere nuovamente stanca di questa immobilità totale…”
Stava per continuare ancora, ma il fratello la
interruppe.
“Arianne…quelle lettere…erano mie” disse lui, lentamente.
Sospirò.
“Quello che nostro padre aspetta da vent’anni…beh, è
arrivato” disse, fermandosi un istante. Lasciò vagare lo sguardo nel vuoto.
“The dragons
are back…” sussurrò.
La reazione di lei… Myrcella l’aveva mai vista così.
Era…sorpresa, spiazzata e in lei vide
anche…un fulmine di speranza.
“Daenerys?” chiese, con un filo di voce.
Trystane scosse la testa. Aveva colto anche la parte
nascosta della domanda. Quella che diceva “Almeno
Quentyn non è morto invano” Si, aveva… No. No, non era quello il momento di
pensarci. Inghiottì a fatica per andare avanti.
“No. Aegon…nostro…nostro cugino…”
Gli occhi di Arianne si spalancarono ancora di più.
“Si è presentato davanti a tutta la corte…e ha
giurato a suo fratello…” disse, guardando sua moglie. Lei chiuse un istante gli
occhi, rivivendo tutta la sorpresa di quel momento.
“Di andare a
sconfiggere gli estranei…” Si alzò dalla sedia, nervoso.
“Ma solo gli dei sanno cosa accadrà dopo…” Sospirò
ancora.
“Anche perché…no, ti ho già scritto tutto il resto. Di cosa stanno architettando i Tyrell”
Lasciò cadere queste parole e poi rimase per un po’
in silenzio.
Si girò all’improvviso verso Myrcella. Le lanciò uno
sguardo che lei ricambiò. Era ora di
dirle tutto.
“Ho…” si fermò immediatamente, mordendosi la lingua
“Abbiamo, un piano…sarà difficile,
rischioso, complicato.”
Prese fiato.
“È la cosa
giusta da fare…oppure, tradimento. Dipende dai punti di vista.”
Arianne era senza parole. Lo fissava sconcertata,
sorpresa…mai e poi mai si sarebbe aspettata una cosa del genere…non da lui soprattutto.
Annaspò alla ricerca delle parole. E mentre
rifletteva, una strana sensazione la percorse. Lei aveva provato a ordire qualcosa di simile e…
“Credi davvero che nostro padre ti lascerà fare?”
chiese, ancora sconcertata e quasi arrabbiata.
Trystane sorrise, soddisfatto.
“Vediamo…suo nipote sul trono, sua sorella
vendicata, pace e prosperità nel reame, le rose annientate, il titolo di
protettore del sud…”
Si fermò un istante.
“Vuole tutto
questo da tanto. Ma soprattutto...vuole lasciare Dorne a suo figlio…”
SLa reazione della sorella fu…la sua espressione
virò. Era stata colta in fallo e…e
in un gelido istante realizzò quanto quel piano fosse ben orchestrato,
organizzato, preciso nei minimi dettagli. Fin
troppo anche… Ma certo… Aveva già l’appoggio indiscusso del padre. Ancora una
volta avevano fatto tutto alle sue spalle, come quando aveva mandato Quent in
oriente. Ma no, non la potevano mettere da parte così. Non di nuovo, non
Trystane. E soprattutto…
Il suo volto virò, diventando rosso d’ira. I suoi
occhi neri si strinsero a due invisibili fessure. Rispose sibilando.
“Dorne è
mia…non gli permetterò mai di portarmela via. Ci ha già provato una volta e,
dèi, se ci sono stata male. Ma non accadrà di nuovo. No. Io sono la sua erede…”
la sua voce era colma di cieca rabbia e non ammetteva repliche.
Trystane riuscì a rimanere calmo. Addirittura
sorrideva dopo aver buttato giù l’ultimo sorso di vino.
“Non ci rinunceresti per nulla al mondo?” chiese con
tono fin troppo gentile e quasi canzonatorio. Se lei non fosse stata tanto
inviperita e cieca di rabbia se ne sarebbe accorda immediatamente. Ma era
tutt’altro che calma.
“No” gridò in risposta, furibonda.
Myrcella si sentiva estranea a questa conversazione.
A questo scontro. Uno scontro tra titani.
Ma sapeva che Trystane ne sarebbe uscito vincitore. Perché…beh, per la sua
stessa natura, Arianne non avrebbe mai potuto rifiutare. Forse avrebbe potuto
essere restia per qualche tempo, mostrarsi diffidente. Ma dentro di sé si
sarebbe innamorata all’istante di quella proposta.
E quelle parole arrivarono. Il principe le pronunciò
rilassato, disteso.
“Nemmeno
per…per un drago e per una corona?”
Per un’istante la sorella stava per urlare di nuovo
no, senza nemmeno ascoltare ciò che lui aveva detto. Ma quelle parole le
risuonarono una seconda volta nella testa. Rimase pietrificata per un
interminabile secondo.
Passò di nuovo in rassegna mentalmente quelle
parole, una per una. Una parte di lei
avrebbe voluto gridare lo stesso no, no, no e mille volte ancora no. Dorne era
sua. Non gliela potevano portare via.
Ma dentro di sé…sentiva qualcos’altro. Un drago e una corona. Un drago e una
corona. Non avrebbe mai e poi voluto ammetterlo e cercava in ogni modo di
negarlo a sé stessa, ma quell’idea…l’aveva stregata. Con tutta la sua forza di
volontà provò a opporsi, ma la sua mente viaggiava, immaginando tutto…era una
lotta vana.
Trystane sorrise. Sapeva di avere fatto centro. Ciò
che lo univa alla sorella…beh, la grande differenza di età non aveva certo contribuito
a legarli, anzi. Ma ciò di cui lei l’aveva accusato…non avrebbe mai e poi
tramato contro di lei, nemmeno se la posta fosse stata Dorne. Ora…lui e il
padre le stavano offrendo qualcosa di migliore, di più grande, di decisamente
più allettante. Ed era convinto che in futuro lontano, voltandosi indietro,
avrebbero entrambi considerato quella una scelta giusta, decisiva.
Rispose allo sguardo dubbioso di Arianne con uno
sicuro, rassicurante. Non le stava affatto mentendo. Sarebbe stata la sposa del drago oppure…cibo per corvi, come tutti loro
del resto.
Lei impegnò tutte le sue forze per mascherare il
conflitto che aveva dentro. Provò a cercare qualche parola per rispondere. Ma
non gli veniva in mente nulla. Ripiegò infine su una misera controbattuta.
“Scriverò a nostro padre. Voglio anche la sua di parola.”
Trystane sorrise, soddisfatto del risultato
ottenuto. Sapeva di non averla piegata. Quello…non sarebbe mai e poi mai stato
possibile. Del resto era pur sempre una
Martell...Unbent, unbowed, unbroken. Sospirò. Ma almeno ora l’aveva portata
dalla sua parte. Le aveva dimostrato che su di lui poteva contare e che poteva,
anzi doveva, fidarsi.
“Evitiamo di far volare un corvo a vuoto…mandagli
anche i miei saluti.”
Si staccò dal tavolo.
La sorella tuttavia non era
convinta. Non del tutto. Quella proposta
l’aveva sedotta nel profondo ma…era il resto a preoccuparla. Se…
“Trys…” disse, con tono quasi
spaventato. “sei davvero sicuro?” Non gli lasciò però il tempo di rispondere.
“A danzare coi draghi…ho già perso un fratello. Non potrei mai…” gli
occhi le divennero lucidi. Il principe poi la interruppe.
“Lo so. Non ti posso e non ti
voglio promettere che sarà facile, sicuro, indolore, perché…perché non lo sarà affatto… Ma…”
Sospirò.
“È quello che dobbiamo fare…quello che è giusto da fare.” La sua
voce si fece incredibilmente decisa e risoluta.
“Rimetteremo i draghi al posto che gli spetta oppure…moriremo nel farlo”
Lasciò cadere in un silenzio quelle ultime parole. Non si aspettava che sarebbe stato così
difficile affrontare quel discorso. Con Myrcella era stato tutto più facile…ma
del resto, vedere, sentire, conoscere Aegon…bastava a convincerti che era
quella la cosa giusta da fare. E poi, l’intesa che c’era tra loro…
Si accorse all’improvviso di quanto tempo fosse
passato.
“Mi dispiace lasciarvi ma…si riunisce il consiglio.
Non posso mancare” disse, in tono dispiaciuto.
La sorella si alzò, con ancora sul volto i segni di
tutto quello che l’aveva attraversata durante quel dialogo. Abbracciò il
fratello e andò verso la finestra spalancata, uscendo sul terrazzo.
Myrcella si avvicinò a lui. Inclinò leggermente la
testa, guardandolo di traverso. Andò a cercare le sue labbra. Lui ricambio il
gesto solo per pochi secondi. Rimase vicino a lei, sussurrandole.
“Pensi di poter resisterle da sola?” le chiese con
dolcezza.
“I’m the blood
of lion…” rispose, ruggendo scherzosamente. Trystane sorrise. Le sfiorò
nuovamente le labbra. Lei chiuse gli occhi, dimenticando per un istante tutto. Poi
lui si staccò.
“Devo scappare…a
dopo”
Lei lo guardò uscire. Poi si voltò, dirigendosi
lentamente verso il balcone.
Trovò Arianne lì, appoggiata, o meglio abbandonata,
sul parapetto. Fissava l’orizzonte con lo sguardo assente, pensieroso, quasi
stanco. Ma c’era anche una punta di…felicità?
O era…orgoglio?
Andò di fianco a lei, sforando il parapetto con il
fianco.
Senza nemmeno pensarci, in un gesto che le venne
istintivo, intrecciò le mani fra loro in grembo. Mentre anche lei stava per
cominciare a perdersi fra i pensieri, Arianne parlò.
“Dèi, se non
lo sapessi per certo…non direi mai che fossero fratelli.”
Sospirò tristemente.
“L’uno l’opposto dell’altro. Uno cauto e obbediente,
l’altro coraggioso e intraprendente. Uno serio, rispettoso, sensibile, un gran
bravo ragazzo, l’altro sempre pronto a ironizzare, con un sorriso indelebile
sulla faccia. Uno la copia perfetta di suo padre, l’altro…ha così tanto di Oberyn…”
Un sorriso le si allargò sul volto, mentre tornava a
guardare Myrcella.
“Uno innamorato perso per quasi dieci anni della
figlia del suo protettore…ma sempre troppo imbarazzato, mai audace abbastanza
da farsi avanti. L’altro invece…”
La giovane leonessa sorrise divertita, mentre
l’altra continuava a parlare.
“Lascio a te questa parte…” disse, con tono
finalmente disteso.
Lei abbassò il capo, in parte divertita e
stuzzicata, in parte seria e… Tornò a guardare Arianne negli occhi.
“Non ho avuto occasione di conoscerlo…” disse, con
tono rispettosamente triste.
Gli occhi della principessa erano persi nel vuoto.
“Saresti rimasta…senza parole. Davvero…erano…uno l’opposto dell’altro. Anche
fisicamente.”
Scosse la testa, mentre i suoi occhi neri ora lucidi
riflettevano la luce del sole.
“Ma il passato
è passato” disse, decisa. Non voleva assolutamente riaprire quelle ferite,
ricordare quanto avesse pianto in silenzio quando avevano ricevuto quel misso
dall’oriente. Una paura l’aveva
attraversata quando Trystane le aveva svelato le sue intenzioni. Già un
fratello aveva danzato coi draghi e…e ne era rimasto bruciato. E ora anche
l’altro voleva lanciarsi in quella danza follemente bella e pericolosa allo
stesso tempo. Non avrebbe mai potuto perdere… No, no, no. Non era il
momento di pensare a quello. Di
assillarsi con passato e futuro, di farsi male da sola.
Tornò a guardarla. Quella postura…le mani
intrecciate così…era parte dell’immagine indelebile nella sua mente della
bambina arrivata a Dorne sei anni prima.
“Dèi Myrcella, mi sembra ieri quando scendesti da
quella nave…”
Sorrise.
“E ora…sei sposata con Trystane…”
La giovane leonessa abbassò leggermente lo sguardo.
Disintrecciò le mani. Le abitudini non
erano facili da perdere. Non poteva cancellare anni e anni di insegnamenti in
un giorno… Un pensiero le fece allargare un sorriso malizioso sulla faccia.
“Davvero quel giorno guardavi me…e non qualcun altro…”
Arianne si sentì colta di sorpresa. Lei che insinuava…
Sospirò, a metà tra l’essere divertita e offesa allo
stesso tempo.
“Non avevo ancora posto la mie…attenzioni…su di lui” disse, quasi timidamente. Prese fiato.
“Arys è stato…un
bellissimo ma terribile errore. Lui si era davvero innamorato di me…io…”
Scosse la testa. Si rivolse nuovamente a lei.
“Ma non sono io quella che, oggi, deve essere interrogata…”
La guardò con aria divertita e curiosa.
“Allora…com’è stato?
A giudicare dal collo di Trys..." sorrise maliziosamente. "A lui invece devo rimproverare qualcosa?”
Myrcella arrossì, mordendosi un labbro. Era come parlare…no, non a un’amica, forse
più…una sorella maggiore? Non avrebbe saputo definire con precisione il loro
rapporto…
“No, assolutamente…è stato tutto…perfetto” aggiunse, mentre i ricordi di quella notte
le invadevano la mente. Quella frase le balenò in mente e non poté trattenersi
dal dirlo.
“Oberyn ha avuto otto figlie…beh, hai ragione a dire che Trystane gli assomiglia”
Il sorriso di Arianne si fece più lieve e sincero.
“Devo
quindi…aspettarmi un nipote?” chiese, guardandola.
Myrcella sospirò. Il solito imbarazzo e timidezza incredibilmente
svanirono. Riuscì a parlare serenamente.
“No, è…” disse,
scuotendo la testa “è troppo presto.
Non…non sono pronta per questo.”
Si morse leggermente il labbro, lasciando che il suo
sguardo si perdesse nell’orizzonte.
“E poi hai
appena sentito tutto quello che dovremo fare e…è già tutto abbastanza
complicato, figuriamoci se…” concluse, sicura.
Dallo sguardo che Arianne le restituì colse che
condivideva le sue ragioni e le capiva. Rimasero un attimo in silenzio. Poi
l’altra tornò a porle una domanda.
“Come…” chiese, con tono molto più…curioso?
Lei non la lasciò finire.
“Ho chiesto al maestro Qyburn del tè della luna”
Arianne sembrava conoscere già la risposta. Scosse leggermente
la testa.
“Dèi…quella roba che insegnano a preparare alla
Cittadella…è qualcosa di orribile, sia come sapore, che come efficacia”
Myrcella la fissava, sorpresa e impaurita. Non era efficace?
Gli occhi di Arianne erano persi nei ricordi.
“Avevo la tua età quando andai a cercare nei
bassifondi quella donna di cui tutti parlavano…una strega dei boschi. Quello che preparano loro...è uno scherzo da
fare, è insapore e soprattutto…fa quello
che deve fare”
La giovane leonessa la guardava stupita e
incuriosita. Che avesse ragione? Beh, di
certo la principessa ne sapeva molto più di lei. La voce di lei interruppe
nuovamente i suoi pensieri.
“Giusto una mistura d’erbe in acqua calda…se ne hai bisogno, non hai che da chiedere.”
Lei non
sapeva che dire. Si sentiva…accettata? A casa?
Arianne era tornata a guardare verso la porta, come
se il fratello non fosse mai uscito. Sospirò, tornando a guardare l’altra.
“Myrcella…grazie...”
le sussurrò, con gli occhi lucidi.
Perché la stava
ringraziando? Nonostante non capisse,
il suo volto si illuminò di sincera gioia.
“Trys…in vita sua
non era mai stato davvero felice. Io e Quentyn…eravamo sempre troppo grandi,
troppo distanti, troppo diversi. È stato solo, tremendamente solo…”
Prese un lungo respiro.
“Fino a quando
non sei arrivata tu. Hai cambiato la sua vita...dèi, i primi tempi…”
Arianne sorrideva, nostalgica.
“Me lo ricordo…ebbro, ubriaco di…di felicità.”
Sospirò.
“Non ti sarò
mai grata abbastanza per quanto hai fatto Myrcella…hai sconvolto in meglio la
sua vita. Sei l’unica che…che è riuscita a renderlo davvero felice”
Note dell’autore:
citando qualsiasi programma, hello world!
A parte queste aperture pessime, sono davvero
contento che lo scorso capitolo vi sia piaciuto così tanto.
Questo capitolo invece…mi ha dato parecchi
grattacapi. Mi scuso in primis per la lunghezza, ma ci diciamo che era
necessaria. Poi il personaggio di Arianne, i suoi rapporti con il
potere, con il
padre e soprattutto i fratelli…beh, sono parecchio complicati. Spero
davvero di
essere riuscito a renderla nella sua vera natura… La
proposta che Trystane le fa...diciamo che lei è sì orogogliosa e non
si farebbe mai portare via Dorne, ma essendo una donna...a una proposta
così allettante non può resistere.
Per il resto, la storia è quasi immobile da un po’
di capitoli, ma tranquilli, dal prossimo ci sarà una scossa e da quello dopo
ancora… No, come mio solito, non anticipo nulla di più.
Non so quanti abbiano visto, ma i social stanno
impazzendo perché Nell e Dean (gli attori che interpretano Myrcella e Tommen)
sembrerebbe che stiano insieme…che dire, calandosi nella parte hanno mantenuto
la tradizione di famiglia…ok la smetto, sono solo futili gossip.
Vi invito sempre a lasciare qui sotto le vostre
opinioni, ripeto, il personaggio di Arianne (essendo già caratterizzato in modo
tutt’altro che sommario) è quello che fino ad ora mi ha richiesto più sforzi…fatemi
sapere come l’avete trovata, ho cercato di mantenerla più IC possibile ma al
contempo inserire elementi nuovi. Spero davvero che questo capitolo vi sia
piaciuto.
Chiudo dicendo ancora grazie tutti quelli che lasciano
feedback e, ovviamente, long live the
lioness
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Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
Cap 12
Long live the lioness
“Through the strom we reach the shore
You give it all, but I want more
And I'm waiting for you
With or without you
I can't live
With or without you”
With or Without You, U2
Il vento le accarezzava la pelle, un vento stranamente caldo e piacevole. Un vento di primavera. Il profumo era quello inconfondibile del parco degli dei del nord. Un
grosso ammasso di alberi, nulla più. Eppure in quel luogo, in
quell’angolo della Fortezza Rossa, c’era sempre una pace, un’atmosfera
magica, surreale.
Si ritrovò a camminare
tra gli alberi, su un soffice manto di foglie rosse che ricoprivano
ogni cosa, mentre il vento le faceva volteggiare la gonna.
L’albero diga si parò
davanti a lei. Aveva immense radici che si dipanavano per metri, anche
sopra la superfice. E sopra una di queste radici, era seduto un
ragazzo. O meglio, un uomo.
Fino a qualche secondo
prima le era sembrato di non fare alcun rumore camminando, eppure
avvicinandosi allo sconosciuto questo parve accorgersi della sua
presenza.
Si voltò e fece per venirle incontro.
Cosa?
Il cuore le si arrestò, il respiro si troncò. Gli occhi si
spalancarono. No, non era possibile. Non era dannatamente possibile.
Lui era…
Il suo volto tipicamente
carnoso e pieno si era allungato e smagrito, conferendogli
un’espressione molto più regale e matura. Era decisamente più alto di
come lo ricordava ma del resto…
Ad occhio dimostrava poco meno di vent’anni, e anche questo era giusto, tutto combaciava in una perfezione che la atterriva ancora di più.
Ma no, il tutto era impossibile. Lui era…
I capelli biondi erano
però gli stessi e, soprattutto, lo erano anche gli occhi. Due piccoli
smeraldi verdi, sempre pronti a schizzare da una parte all’altra.
Ciò che stava provando…era indescrivibile. Sconcerto misto a paura, incredulità unita a gelido terrore. Del resto, lui era…
Nonostante questo, riuscì, da qualche parte, la forza per parlare. Vinse la morsa che le attanagliava la gola.
“Joff…” quasi sussurrò all’uomo che oramai era a meno di un metro da lei.
A suo fratello.
Il sorriso di lui…era
qualcosa di impagabile. Nemmeno nei suoi migliori ricordi c’era
qualcosa di comparabile. E c’era qualcos’altro…lui non era affatto
sorpreso di vederla.
“Myrcella…” rispose lui.
La sua voce era decisamente più profonda di come la ricordava. Allungò
una mano, per accarezzarle il volto.
Quel contatto aumentò
ancora di più il caos emotivo che aveva dentro. I pensieri si
rincorrevano all’impazzata, senza inizio né fine, senza senso né scopo. Del resto, lui era…
A quel punto niente avrebbe potuto sconvolgerla ancora di più. E invece le parole che arrivarono alle sue orecchie…ci riuscirono. Ci riuscirono eccome.
“Come sta il nostro principe?” le chiese, con tono curioso e impaziente.
Cosa? Le orecchie le fischiarono per un interminabile istante.
No, no, no…non era dannatamente possibile.
Le dita che pochi istanti
prima le avevano sfiorato la guancia andarono ora a posarsi sul suo
grembo. Istintivamente lei abbassò lo sguardo.
E ciò che vide…
Smise di respirare, di pensare, di udire, per un istante forse anche di vivere per la sorpresa, per lo sconcerto. Per i sette inferi, che cosa stava succedendo? Non era dannatamente possibile. Lui era…
Ancora incredula e allibita mosse la sua di mano. Le dita seguirono la leggera ma indistinguibile curva del suo ventre.
Non si era sbagliata.
Ma
no, no, no, no, non era possibile. L’evidenza lo confermava, ma ogni
parte di lei, ogni suo pensiero si rifiutava di crederlo.
Annaspò qualche secondo alla ricerca di parole. Ciò
che la stava attraversando in quegli istanti era sorpresa devastante,
dirompente, che travolgeva e volatilizzava ogni sua sicurezza e
certezza.
“When…how…what…what I am?”
chiese, con tono che nonostante tutto riusciva a non essere spaventato.
Sconcertato sì, ma la paura…nella sua testa c’era talmente tanta
confusione e caos che non c’era più spazio per la paura.
Questa volta Joffrey rimase un istante sorpreso. Come se gli stesse facendo una domanda incredibilmente ovvia, banale.
Guardandola negli occhi, rispose.
“My sister. My wife. My queen.” disse, con incredibile naturalezza.
Dopo queste parole si avvicinò.
Le sue labbra andarono a sfiorare quelle di sua sorella, quelle della sua regina.
Per un attimo Myrcella fu sul punto di rifiutarlo, di respingerlo. Non
era possibile che lei fosse…la sua regina. Quello che aveva sempre
provato per Joffrey…beh, era speciale, unico, forte, ma di certo non
arrivava fin lì…
Ma nell’istante
seguente…quel contattato, quel bacio riuscì a farle dimenticare tutte
le assurdità, tutto il caos, tutti i suoi ragionamenti. Per un istante riuscì a essere libera da quei pensieri, di come fosse possibile tutto quello.
E in quella chiarezza e calma momentanea, cominciò a percepire qualcosa di strano. Un sentore amaro, amarissimo, che si faceva sempre più forte. E poi quel sapore inconfondibilmente metallico. Sapore di sangue.
Il re si staccò da lei e…
Tutto cominciò a vorticare, a sfumare, a perdere consistenza.
La faccia di Joff era
sconvolta dal dolore, rivoli di sangue gli colavano dal naso e dalle
estremità della labbra, il suo colorito era divenuto paonazzo, gli
occhi si stavano orrendamente rimpicciolendo. Con le mani si artigliava
la gola. Si piegò in avanti, tossendo in modo straziante.
Ma quando si rialzò...non era più Joff.
Provò a chiamarlo, disperata, ma nessun suono uscì dalla sua gola.
Tommen si dibatteva, si
contorceva, soffriva terribilmente sotto quella incessante tosse. Il
senso d’impotenza davanti a quella scena…
Allungò il braccio, ma il fratello si allontanava, si allontanava sempre e sempre di più.
La sua vista sulla scena
si annebbiò. Immagini vorticavano in un vuoto a tratti verde, a tratti
rossastro. Le sembrò per un istante di scorgere i ricci neri e i
lineamenti di Trystane, poi una scia argentata e due punti violacei.
Aegon? Non ne era certa.
E poi…tutto cominciò a girare, girare, girare. Le sembrò di cadere nel vuoto per istanti che parvero non avere fine.
Si svegliò di soprassalto. La penombra notturna della stanza le diede il benvenuto.
Istintivamente si alzò, fino a mettersi a sedere sul letto.
Aveva il respiro affannato come se avesse corso per miglia e miglia.
Chiuse un istante gli occhi. Era stato solo un sogno. Un sogno strano quanto terrificante.
Sentiva qualche goccia di sudore freddo scenderle lungo la schiena.
Provò a fare ordine tra i pensieri, ma era impossibile. Quello
che aveva appena visto…ricordi, sensazioni, pensieri si alternavano in
una danza logorante e senza fine. Non c’erano risposte alle sue
domande, spiegazioni ai suoi dubbi, senso in quello che aveva visto. Tutto
d’un tratto, i suoi sensi tornarono a funzionare. All’improvviso si
rese conto di quanto fosse gelida la stanza. Le coperte erano scivolate
via quando si era alzata e ora aveva la pelle d’oca. L’aria fredda
della notte che le accarezzava le spalle, le braccia, il seno e la
riempiva di brividi.
Percepì una mano sul fianco. Si girò di scatto.
Trystane si era svegliato. E la guardava con occhi pieni di curiosità e stupore allo stesso tempo.
Senza nemmeno doverlo ordinare al suo corpo, si gettò tra le sue braccia, stringendosi contro il petto del principe.
Lui la cinse a sé. Aspettò che il respiro di lei si calmasse, mentre le accarezzava i capelli.
Lei…non riusciva a togliersi dagli occhi l’immagine del fratello morente. Si,
tutto combaciava. Quella tragica lettera ricevuta oramai cinque anni
prima parlava di avvelenamento e quello che aveva appena visto… Come
diamine era possibile? E tutto il resto? Lei…la regina di Joff? Con un
suo principe in grembo? No, era una follia. Come sarebbe stato
possibile? Anche se lei non fosse partita per Dorne… No, non sarebbe
mai e poi mai potuto accadere. Non erano dei Targaryen. Nessuno avrebbe
né permesso né accettato una cosa simile.
E mentre mille simili pensieri si rincorrevano in un cerchio senza fine, una domanda le sorse dentro. Lei,
lei stessa, lo avrebbe mai permesso, mai accettato? Aveva una tremenda
paura della risposta che sentiva dentro di sé. Avrebbe mai
potuto…amarlo? No, non almeno nel modo in cui amava…non nel modo in cui
lui…
Lui…tutti
lo ricordavano come una persona orribile, dal carattere folle,
spietato, arrogante, crudele. Ma con lei non era mai e poi mai stato
così. Era l’unica che poteva controbattergli, ribellarsi, rispondergli.
Non era mai stata vicina a lui come lo era con Tommen, e non avrebbe
saputo definire esattamente cosa li unisse. Non aveva memoria di
momenti in cui loro due erano stati davvero soli. E poi…era troppo
piccola, per… Quando lei avrebbe potuto iniziare a comprendere, a
capirlo, a cogliere ciò che lui provava…lui già non era altro che
cenere.
Ma quella visione…
“No. No. No. Era solo un
sogno” urlò dentro di sé per porre fine a tutti quei pensieri. Lei era
sangue del leone. Non avrebbe mai lasciato che un incubo sì
terrificante ma irreale la terrorizzasse così. E poi…
Sentiva le braccia di lui intorno al corpo che la stringevano forte. Per
proteggerla, anche se lui non aveva idea da cosa. Sorrise. Per
l’ennesima volta si sentì incredibilmente fortunata. Niente poteva
spaventarla, intimorirla con lui di fianco.
Il suo respiro si era finalmente calmato. Riaprì gli occhi.
“Grazie…e scusa. Io…” cominciò a sussurrare. Ma lui la interruppe, passandole ancora il palmo sulla testa.
“Ssssssss…”
disse in tono rassicurante, rimanendo a sua volta in silenzio
per…secondi? Minuti? Ore? Non avrebbe saputo dirlo. La voce del
principe tornò a risuonare, poco più di un sussurro a dire il vero. Ma
era un sussurro rassicurante, premuroso, dolce.
“Cosa è successo? Dèi, non ti ho mai vista così sconvolta…”
“Un incubo…” Scosse leggermente la testa, mentre rivedeva ancora il veleno fare effetto su Joff. “Fantasmi del passato…”
Si morse per un istante
il labbro, come per rafforzare ulteriormente lo scudo interiore che
aveva creato contro quell’esercito di dubbi e ricordi.
“È tutto finito. Non è nemmeno reale, non lascerò che mi spaventi. E poi…”
Prese un lungo respiro, ritrovando nuovamente un sorriso sereno.
“Ho qui con me la miglior protezione che possa mai desiderare…”
Trystane sospirò divertito. La baciò sulla fronte.
“Davvero è tutto finito?” le chiese.
Myrcella annuì. Si staccò un istante da lui. Gli sorrise, guardandolo negli occhi. Scese a sfiorare le labbra del suo principe. Del suo unico principe.
Solo
così riuscì davvero a mettere da parte tutto. A dimenticare quelle
orrende immagini sognate poco prima. Non aveva bisogno di nient’altro.
Di nessun altro conforto, sostegno, rimedio. Solo di lui. Senza di lui…
semplicemente non avrebbe potuto vivere.
Trystane ricambiò il suo
gesto. Lei si staccò, senza fiato. Finalmente serena tornò a
sprofondare tra le sue braccia. Sentiva la mano di lui accarezzarle la
bianca schiena, scorrerle tra i capelli.
Non si sentiva stanca, eppure l’idea di dormire aveva un che di confortante.
Stretta al suo principe scivolò nuovamente nel sonno, un sonno leggero e senza sogni.
- - - - -
Un sibilo lo avvertì del
pericolo. Fece in tempo ad alzare la lama, in una parata più
improvvisata che elegante. Lo stridio del metallo risuonò per
l’ennesima volta tra le mura del forte.
Decine di uomini si erano riuniti sui camminamenti, ai lati del cortile, in cima alle torri.
Quello di certo non era uno spettacolo frequente.
Arretrò per l’ennesima volta, prendendosi un paio di metri di spazio.
Chiuse un istante gli
occhi, espirando deciso. Cercò di riportare ordine tra i pensieri, di
cancellare la paura. Provò a ricordare tutti gli insegnamenti di Ser
Rodrick, tutte le volte che aveva duellato con Rob.
Ma qui era decisamente diverso.
Aegon non aveva certo una forza sovraumana, conosceva guerrieri molto più brutali.
Non era la potenza il problema.
Il giovane drago era
spaventosamente, incredibilmente, dannatamente veloce. Blackfyre non
era di certo una spada maneggevole, anzi. Era immensamente lunga e,
nonostante fosse del miglior acciaio di Valyria, era anche molto
pesante.
Ma lui la brandiva come se fosse un bastone. E la sua rapidità…
Il movimento improvviso del principe lo distolse dai pensieri.
Questa volta lo attaccò
al fianco destro con un fendente basso. Jon non fece a tempo ad
abbassare la spada per parare che lui già vibrava un colpo a sinistra,
all’altezza del collo. Con un enorme colpo di reni e di polmoni riuscì
goffamente ad alzare lo scudo. Ma non sentì nemmeno il colpo cadere su
esso. La spada di Aegon si abbatté sul suo fianco destro, in basso,
facendo tintinnare la spessissima cotta a maglia.
Blackfyre si abbassò, perpendicolare al terreno.
“Morto. Per la quattordicesima volta.” disse il fratello, con tono ironico.
Con la mano libera scostò le ciocche di lunghi capelli argentei che gli erano finiti davanti al volto.
Sospirò, mentre qualche goccia di sudore che gli imperlava la fronte colava lungo la faccia. Rinfoderò la spada.
A quel gesto, dagli spalti improvvisati cominciò a levarsi qualche applauso.
Un ragazzino corse verso di loro, pronto a portare via i loro armamenti.
Il principe gli consegnò la leggera corazza, l’unica protezione che indossava.
Aveva combattuto persino senza scudo.
Jon era rimasto un po’
sorpreso quando gli aveva proposto un duello, ma aveva accettato di
buon grado. Ma quando il fratello aveva sancito di combattere con il
loro acciaio di Valyria, lui era rimasto senza parole.
La spiegazione di Aegon era stata…eloquente.
“Fratello, non posso
combattere con una spada che non sia Blackfyre. È come…” qui aveva riso
“bere del rosso di Dorne e poi quel piscio giallognolo che producono ad
Essos. Oppure…”
L’altro paragone…beh, non se lo sarebbe aspettato, non da lui almeno.
Ma del resto, cosa ne
voleva sapere? Il fratello era di un anno e mezzo più vecchio di lui. E
chissà quante fanciulle erano cadute vittime dell’incredibile e
sovraumano fascino del giovane drago.
Scosse la testa,
divertito, mentre consegnava scudo, gomitiere e gambali al ragazzo.
Ripose Lungo Artiglio nel fodero di traverso sulla schiena.
“Forse ho sbagliato a
usare lo scudo. La mano è di nuovo forte, è vero ma…impugnando la spada
con due mani sarei stato più rapido e veloce” pensò, mentre si avviava
verso un angolo del cortile.
Quello del Forte
Orientale era decisamente più piccolo di quello del Castello Nero, ma
del resto c’erano anche un terzo degli uomini…
“Jon!” urlò il principe, facendogli cenno di venire verso di lui.
Quando il fratello lo
raggiunse, entrambi avevano riassorbito l’affanno del combattimento. In
un silenzio che nessuno dei due sentiva di dover rompere, uscirono
dalla cinta muraria, dirigendosi verso il porto.
Una nave era arrivata da
oriente quella mattina. Era una lunghissima e snella galea
volantiana, con due file di remi. Quelle navi avevano un unico
scopo: la velocità. Erano l’evoluzione delle vecchie navi postali dei
valyriani, che trasportavano in tempi ridottissimi messaggi e
funzionari da una parte all’altra dell’impero.
Aegon fece strada verso la torre che dominava il porto.
L’interno era umido e cupo, sebbene venisse illuminato da numerose candele.
Due uomini erano già lì.
Uno era seduto al tavolo, intento a sorseggiare del vino fissando le
fiamme che ardevano nel piccolo camino. Dimostrava non più di trenta,
trentacinque anni. Aveva capelli di un biondo chiarissimo, tanto chiaro
che erano quasi bianchi. Erano tagliati cortissimi sulle tempie e sui
lati, mentre sulla sommità del capo erano molto più folti. La barba era
dello stesso colore, ma era decisamente più curata, sebbene molto rada.
L’altro ospite
invece…un’armatura di un blu tanto scuro da parere nero lo ricopriva
dalla testa ai piedi, senza lasciare spiragli. L’unica nota colorata
era un emblema, anche leggermente sbiadito, sul pettorale della corazza.
Raffigurava uno scudo,
per metà bianco e per metà rosso, in cui due strani e grossi uccelli,
dipinti a contrasto con lo sfondo, si fronteggiavano.
Non riuscì ad associarlo a nessuna casata che ricordava.
Il respiro stesso di
quell’uomo…era forte, basso, quasi lugubre. Era appoggiato con una
spalla alla parete, mentre con le mani, avvolte a loro volta in guanti
di maglia di ferro, affilava la spada.
All’ingesso del principe si voltarono.
Aegon lo introdusse a loro.
“Jon, questi sono i miei due più fedeli alleati e consiglieri.”
Sorrise, malinconico come sempre. Indicò l’uomo seduto al tavolo.
“Lord Mark Ramius, grandissimo ammiraglio e politico…”
Sospirò.
“E futuro Primo Cavaliere del Re”
Jon si fece avanti, per stringere la mano allo sconosciuto non più tale.
Di sicuro quei due già sapevano tutto su di lui.
Il fratello tornò a parlare. Nella sua voce ora c’era qualcosa di più…nostalgico? Dispiaciuto? Non riuscì a stabilirlo.
“Ser Stone Temple, combattente di grande valore e…”
Esitò un istante, mentre nei suoi occhi comparve un lampo di rimpianto.
Aegon scosse la testa, facendosi più serio. Non era il momento di affrontare quell’argomento. Avevano altro di cui parlare.
“Siamo venuti al Forte Orientale…perché ci aspetta un lungo viaggio”
Con la mano indicò la nave attraverso la finestra.
L’espressione di Jon si accigliò.
Via mare? Ma cosa… Parlò, pieno di disappunto.
“Non avevamo stabilito
che solo una piccola pattuglia sarebbe andata via nave ad Aspra
Dimora…mentre noi giungevamo via terra e…”
Il principe lo
interruppe. Il suo sguardo era perso oltre l’orizzonte, mentre la mente
vagava nei ricordi di pochi mesi prima. Quella frase riaffiorò nella
sua memoria. Era perfetta. Scandì lentamente le parole, distaccato.
“To
go north, you must go south. To reach the west, you must go east. To go
forward, you must go back, and to touch the light you must pass beneath
the shadow."
Sospirò, mentre quella sua unica serenità malinconica tornava a comporglisi sul volto.
“Jon, we are dragons”
I suoi occhi, perle di
ossidiana, incontrarono quelli del fratello. E nello sguardo che il
principe lanciò, c’era un’innata e fortissima sicurezza.
“But the dragon must have three heads…”
Note dell’autore:
capitolo che come avevo
preannunciato è di passaggio, di transazione…almeno per la storyline di
Aegon. Vorrei evitarli, ma sono necessari. Ho provato a dare un po’ di
movimento inserendo i primi due tra i personaggi creati da zero, in
questo caso due consiglieri del principe.
Non credo che molti
l’abbiano notato, il nome di uno dei due è un piccolo omaggio
all’ammiraglio Marko Ramius, interpretato da Sean Connery in Caccia a Ottobre Rosso.
L’altro…beh, diciamo che non è proprio nuovo nuovo. Una cosa alla
Robert Strong ecco. Ho lasciato qualche indizio, credo proprio che ci
arriverete presto anche voi.
Per quanto riguarda
Myrcella…questa realtà alternativa, questo sogno…beh, è un po’ fuori
contesto, ma immaginarmi qualcosa del genere…non lo so, l’idea mi
piaceva. Sarebbe andata così se lei non fosse stata mandata a Dorne?
Ho già inserito qualche
accenno qua e là del rapporto di Myrcella con Joffrey, che non è stato
mai chiarito. La mia idea a proposito…beh, certo non nego che Joff
fosse un mostro e tutto, ma…a costo di ripetere parole già dette, è
come se la parte del ragazzino crudele, sadico ecc. fosse solo una
colossale finzione (per apparire forte agli altri e a sé stesso? Per
compensare la mancanza di una figura paterna?) e che alla sorella però
non possa mentire. Un esempio chiaro mi pare quello del torneo per il
suo compleanno, sia nei libri che nella serie. Nel primo caso la
sorella si oppone a lui, per difendere Tommen, e Joff…beh, alla fine fa
quello che gli dice lei. Nella serie invece…c’è quello sguardo che… Non
so. Purtroppo non c’è mai stata occasione in cui lui potesse davvero
aprirsi e lei davvero capirlo. E…e forse sono solo paranoico su questo
aspetto.
Tornando a noi, nel prossimo capitolo avremo un bel salto temporale e geografico e…no, non anticipo nient’altro.
Non so quando riuscirò a
uscire, sto lavorando a un’altra storia che…diciamo che è un progetto
molto ambizioso, mi frulla in testa sin da quando scrivevo su altri
portali. Solo che…fatico a trovare uno stile adeguato.
Basta, ho scritto fin troppo.
Ringrazio ancora tantissimo tutti quelli che lasciano feedback, siete un punto di riferimento importantissimo.
Come sempre stay tuned e, ovviamente, long live the lioness.
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
Cap 13
Long live the lioness
“Drive until
you lose the road
Or break with
the ones you've followed
He will do
one of two things
He will admit
to everything
Or he'll say
he's just not the same”
How to Save a
Life, The Fray
Meereen, sei mesi dopo
Il tanfo di quella città era qualcosa
di…allucinante. E combinato con il
caldo, era davvero micidiale.
Quanto gli mancava il clima
dell’occidente. Ma se tutto sarebbe
andato per il verso giusto, presto…
Sospirò. Troppe, troppe questioni gli affollavano i pensieri. Mille cose da
fare, da sistemare, da pianificare, da prevedere in ogni minimo dettaglio.
Se quello, che altro non era che
preparativi, richiedeva tutto ciò, non osava immaginare cosa fosse governare i
Sette Regni…No, non voleva pensarci.
In mezzo a quel caos di pensieri, gli
balenò per un istane un pensiero.
Doveva assolutamente mandare notizie a
Trystane. Dèi, erano passati quasi due mesi dall’ultima lettera che aveva
spedito da Tyrosh.
Loro…beh, dovevano essersi finalmente
sposati. Suo cugino e…la principessa.
Sospirò al ricordo. Era mai stato più sorpreso e spiazzato in vita sua di
quando aveva conosciuto Myrcella? Era completamente diversa, l’esatto opposto
di come se l’era immaginata, di come l’aveva configurata dalle parole di
Trystane. La cosa probabilmente era stata
reciproca. Lei si aspettava un drago pieno di rancore, assetato di sangue e
vendetta, con in mente solo il passato. Ma per quanto le fosse rimasta
visibilmente sconvolta nello scoprire che non era così…aveva reagito subito, si
era immediatamente adattata alla nuova situazione, era riuscita a parlare con
lui senza complessi o pregiudizi, liberamente. Era…
Suo cugino…aveva trovato una donna
eccezionale, un sostegno, un punto di riferimento, un aiuto costante e che non
sarebbe mai e poi mai venuto meno. E poi era anche bellissima. Il principe di Dorne non poteva
assolutamente lamentarsi.
Questi pensieri lo fecero finalmente
sorridere. Un sorriso in cui, come sempre, la parte malinconia della sua indole
volle porre una sfumatura.
Sospirò.
Aveva anche bisogno di notizie dalla
capitale. Come stavano andando i preparativi, cosa stavano facendo i Tyrell, se
qualcuno sospettava qualcosa. E voleva anche novità dalla barriera. Aveva
intrapreso quel viaggio sapendo che gli estranei erano ancora troppo, troppo a
nord.
Ser Stone era rimasto a dirigere e
comandare gli uomini, a preparare…il
caldo benvenuto che loro, i
draghi, avrebbero dato agli estranei e al loro esercito di morti.
Si chiese se fosse stata una scelta
saggia lasciarlo là. La sua fedeltà di certo non era in dubbio e nemmeno la sua
abilità di comando e militare. Tuttavia…quello che aveva passato…l’aveva minato
nel profondo.
Scosse la testa. Era già impazzito abbastanza su quell’argomento. E non voleva dedicarci
altro tempo o energie. Sapeva di avere fatto la scelta migliore. O forse…la
meno peggiore. No, no, no. Non doveva pensarci.
Lui e Jon erano giunti in città un paio di
settimane prima. Ma Daenerys non era a Meereen. L’avevano raggiunta lungo il corso
del fiume. E questo era il primo vero concilio che si teneva da quando erano
rientrati in città.
Avevano già perso abbastanza tempo. Il
viaggio era stato più lungo del previsto, e quell’inconveniente… Ma del resto,
non poteva farci molto.
Tutto quello che doveva fare ora era…riportarla a casa.
“The
dragon must have three heads…” si ripetè mentalmente per l’ennesima volta.
La sala del trono era ora gremita da
tutti i membri del concilio della regina.
Un
ammasso di incapaci che non riuscivano nemmeno a mantenere l’ordine e la pace
all’interno della città.
Attorno al tavolo si susseguivano alcuni
nobili meerenensi. Arpie. Certo,
vestite bene, profumate, gentili, amichevoli, collaborative, reverenziali. Anche troppo. Erano schifosamente falsi.
Non aveva davvero idea di come Daenerys
riuscisse a sopportarli. Lui era il primo ad essere pronto a lasciarsi le
spalle il passato, a tendere la mano verso i vecchi nemici, a rimettere tutto
in gioco. Ma dall’altra parte dovevano
essere altrettanto volenterosi e determinati a dare una svolta, a cambiare.
Altrimenti…
Il
drago non accettava di essere preso in giro. Era tanto pronto a tendere una
mano quando a lanciare un affondo di spada.
“Un re deve saper valutare e soppesare
ogni decisione nei minimi particolari. Ma deve anche essere risoluto e
inflessibile nell’applicarla” si ripeté mentalmente. Fin da bambino gli avevano
impresso in mente quella frase. Era un
ottimo consiglio. E mai e poi mai avrebbe potuto dimenticarlo.
Seguivano i vari capitani delle
compagnie libere, il comandante degli immacolati…Verme Grigio? Si, si chiamava così, se la memoria non lo ingannava.
Veniva poi…una leggenda. In armatura scintillante e impeccabile come al
solito, la spada al fianco, un leggero e candido drappo bianco sulle spalle e
un ordinato ciuffo di capelli altrettanto candidi e bianchi sul capo.
Barristan Selmy aveva servito una regina
e quattro re fino ad ora. E Aegon si
augurava potesse servire abbastanza a lungo anche un quinto.
La regina era seduta a capotavola, nel
punto più lontano rispetto alla porta.
E di fianco a lei c’era… “Eccolo” pensò il principe con disprezzo.
Doveva
occuparsi di quell’uomo il prima possibile. Daenerys non aveva la più pallida
idea del pericolo che stava correndo. Già quando l’aveva conosciuto, prima di
partire per l’occidente, c’era stato qualcosa… Come se un sesto senso gli
dicesse già di diffidare di quell’uomo. E nei Sette Regni…aveva avuto
un’agghiacciante confessione che aveva confermato la sua diffidenza. Ora doveva
dirlo a lei. Ma non sarebbe stato facile convincerla…
Si portò in disparte su un lato della
sala, non troppo lontano da lei.
Stavano discutendo di questioni interne
e lui non aveva la benché minima intenzione né tantomeno voglia di
interromperli.
Quella discussione, o meglio, quel
delirio, sembrava non avere mai fine
Alla fine sembrarono riuscire a trovare
una precaria e momentanea soluzione. Continuavano
a rappezzare, ma l’enorme buco non si sarebbe mai e poi mai potuto chiudere.
Lei finalmente lo degnò di uno sguardo.
E comprese all’istante che qualcosa non andava. Che doveva dirle qualcosa.
Con un gesto della mano invitò tutti ad
uscire dalla sala.
Quando finalmente furono soli osò
avvicinarsi a lei.
“Daenerys…dèi,
perché deve essere tutto così complicato?”
Prese un lunghissimo respiro.
“Non
vorrei farti così male. Ma non posso nasconderti la verità, nemmeno per proteggerti.”
La regina lo fissava stupita,
incuriosita e forse, dentro di sé, anche un po’ preoccupata e intimorita.
Aegon sospirò e lasciò che le parole tanto a
lungo cercate e soppesate fluissero lente e solenni come un grande fiume.
La
reazione di lei fu…ovviamente si aspettava che rimanesse incredula,
sconcertata, distrutta, che si sentisse tradita, abbandonata, debole, stupida.
Ci
fu tanta, tanta incredulità negli sguardi che Daenerys gli restituiva. Ma
quando riuscì finalmente a convincersi che lui non le stava mentendo…vide
rabbia, rabbia e furore cieco divampare come un incendio incontrollato insieme
a…dèi, non osava immaginare come si dovesse sentire.
Ma lei era il sangue del drago. Non
poteva soffrire per quello. Non poteva versare lacrime per…per quell’uomo.
Non avrebbe mai e poi mai voluto dirle
così, ma doveva.
“Puoi
perdonarlo, dargli un’altra opportunità, continuare a seguirlo, a fidarti di
lui. Ma ti guiderà fino a farti smarrire la strada. E a quel punto…”
Le si avvicinò, andando a stringerle i
polsi con le mani.
“Oppure
rompere, distruggere tutto. Abbandonare questa via, non mostrare neanche un
briciolo di pietà per questo...”
Non ebbe modo di finire la frase. La
voce di lei risuonò, forte, decisa, determinata, carica di furore e solo
leggermente incrinata dalla morsa che le attanagliav la gola.
“Per
questo lurido traditore…si è approfittato di me, mi ha ingannata dopo che io
avevo riposto la mia fiducia in lui. Recitava…non era altro che una farsa per
raggiungere i suoi meri obbiettivi. Ha persino finto di…di amarmi per…”
Abbassò per un istante il capo.
“Per
portarmi via i miei figli…”
Scosse la testa, con gli occhi violetti
persi in un orizzonte immaginario, persi tra mille e mille pensieri di rabbia,
di dolore, di sconforto, di vendetta.
Non una singola lacrima cadde da quegli
occhi.
“Se
spera di potersi appellare a ciò che siamo stati per…per avere clemenza, si
sbaglia di grosso.”
Quegli stessi occhi violetti andarono a
incrociare quelli, le perle di ossidiana, di Aegon.
“Siamo
draghi. E i traditori conosceranno sempre la nostra furia”
Un ennesimo sorriso malinconico gli si
dipinse sul volto. Le parole di Daenerys erano forti, determinate, furiose.
Stava imponendo a sé stessa di essere forte, stava reprimendo in un angolo di
sé stessa tutto il dolore che quella verità l’aveva causata. Ma sapeva meglio di chiunque altro che prima
o poi quella barriera interiore sarebbe caduta.
Riprese a sussurrarle, confortante.
“Negherà, proverà ad ammorbidire tutto,
a fare leva su quello che tu provavi per lui…”
Sospirò
amaramente.
“He will do one of two things…he will admit to
everything…or he'll say he's just not the same…” le sussurrò.
Lo sguardo di lei non era cambiato di
una virgola. La sua forza di volontà era
qualcosa di straordinario. Quasi la invidiava per questo. Ma Daenerys era pur
sempre una donna. Lui sapeva benissimo che prima o poi quella forza sarebbe
venuta meno.
“Non
lo posso perdonare. No, non avrà nessuna pietà” ripeté ancora, distaccata,
furiosa.
Si scambiarono un ultimo sguardo.
Daenerys si voltò verso l’ingresso,
ordinando di farlo entrare.
Passarono solo pochi secondi e l’uomo
varcò la soglia.
Venne rapidamente avanti e si pose a
pochi metri da lui.
“Mi hai chiamato, mia regina?” chiese. Sembrò contrariato e sorpreso dalla gelida
occhiata che Daenerys gli restituì.
Certamente si aspettava una risposta da
lei, ma fu Aegon a parlare. Soppesò le parole, unendo al disprezzo e alla
rabbia solennità e distacco.
“Finalmente ci conosciamo, Daario
Naharis.”
Si fermò per un istante.
“O forse dovrei dire…Euron Greyjoy”
- - - - - -
Approdo del Re
Chiuse gli occhi, ansimando.
Sentiva la pelle bollente, come in fiamme.
Lanciò via le coperte, lasciando che l’aria fresca della notte le accarezzasse
la pelle. Le braccia e le gambe erano intorpidite, leggermente doloranti. Trystane non si era certo trattenuto…
Ma
non poteva certo dire che questo le era dispiaciuto. Sorrise.
Il respiro poco a poco le si calmò.
Avvertì una mano che andava a perdersi
tra i suoi capelli.
Riaprì lentamente le palpebre,
voltandosi verso di lui.
Lo sguardo del principe era rivolto
verso di lei, ma in realtà era perso come lui tra i pensieri.
“Trystane…” gli sussurrò.
Lui tornò a mettere a fuoco,
sorridendole. La sua mano si spostò dai capelli al volto, ad accarezzarle la
guancia cerea.
“Stavo pensando che…” cominciò a dire,
con voce quasi malinconica.
“Non
sarebbe bello se…se fosse sempre così” sussurrò fantasticando, fissandola
negli occhi.
“Tu, io e…nessun altro…”
Myrcella sospirò, divertita. Per un
attimo si fece catturare da quell’idea.
Sì,
sarebbe stato…
“Sarebbe
stupendo…sarebbe fantastico…” disse, sognando ad occhi aperti. Sapeva che però non sarebbe mai stato… Stava
per aggiungere quel “ma” terribilmente triste e soprattutto reale, ma lui la
interruppe.
"Let's do it..." sussurrò quasi follemente, fermandosi un istante per farle capire che non
scherzava. Riprese a parlare, trascinato dall’immaginazione.
“Abbandoniamo tutto, prendiamo la prima
nave in partenza per Essos e poi…” disse, con occhi che brillavano di sogni e
di leggera follia
“E poi vivremo come persone normali
nelle città libere… Lys, Volantis, Braavos… Saremo
liberi di…”
Si avvicinò a lei.
“Liberi di essere due qualunque, senza
pesi, senza responsabilità, senza nessuno a chiederci e ad aspettarsi nulla da
noi… liberi di poter fare ciò che più vogliamo…liberi di amarci e nient’altro”
Senza darle il tempo di replicare, andò
a sfiorarle le labbra. Lei chiuse gli occhi, abbandonandosi al principe.
Lui si staccò, scendendo a baciarle il
collo. Myrcella gemette.
No,
doveva parlargli. Non potevano…non di nuovo.
“Trys…” sussurrò, mentre si lasciava
sfuggire l’ennesimo gemito.
Si morse forte il labbro. “Dì quello che devi dire” si ordinò.
“Mi hai chiesto se sarebbe bello. Certo che lo sarebbe. Ma non possiamo…”
Alzò la schiena, appoggiandosi alla
testata del letto. Lui rimase sdraiato di traverso, con il capo appoggiato sul
grembo di lei.
“Non
possiamo…abbiamo delle responsabilità, dei doveri…”
Sorrise malinconicamente.
“Non
siamo due qualunque…”
Sospirò, scuotendo la testa. Si gustò il
silenzio che era caduto per un po’. Ma
dovevano parlare di…
“Novità da Dorne?” gli chiese, quasi
distaccata. I suoi occhi andavano a perdersi tra la penombra della stanza,
mente i pensieri cominciavano ad affollarsi nella sua testa.
Regnava una calma surreale. Il silenzio
più totale, interrotto solo da un sottile e appena udibile soffio di vento. La magia della notte.
La voce di Trystane tornò a farsi
sentire.
“Gli alfieri sono stati allertati…i
mercenari dorati già in posizione. Al mio
segnale…sarà guerra.”
Le tamburellò dolcemente con le dita
sulla coscia.
“I Tyrell però…non se stanno rimanendo con le mano…”
La sua voce era poco più che un
sussurro. Sembrava…stanco. Era
abbandonato su di lei, rilassato, calmo.
“La navi ad Arbor si moltiplicano come
topi, le spie sui nostri passi montuosi altrettanto…”
Si fermò un istante.
“E più o meno dichiaratamente Margaery
ha fatto arrivare in città quasi altri ottocento, mille soldati delle rose…”
Sospirò stancamente. Myrcella completò
la sua frase, con la voce che vibrava di una sottile sfumatura di rancore e
tristezza.
“Appena
quella cagna spedirà via Tommen, ce ne dovremo andare di corsa da qua”
Lui annuì.
Stettero così, immobili, in silenzio.
Il flebile sussurro di lui arrivò
nuovamente alle sue orecchie.
“La regina ha convocato un concilio per
domani…e c’è qualcosa di grosso in ballo”
disse, con gli occhi neri che scintillavano dei raggi di luna che entravano dal
lucernario.
Rispose all’occhiata interrogativa di
lei.
“Ha preteso che tutti i membri
tornassero per essere presenti…ha bisogno
di ufficializzare qualcosa di importante”
Myrcella sospirò.
“Perché
deve essere tutto così complicato?” gli chiese. Sapevano entrambi che a quella domanda però non esisteva risposta.
Trystane le accarezzò il fianco con il
palmo della mano.
La guardò negli occhi.
“Domani sarà un giorno tutt’altro che
facile. Ma la notte è ancora lunga…”
aggiunse con malizia, mettendosi a sedere.
Lei sorrise, abbassando per un istante
lo sguardo. Andò a sfiorare il volto di lui.
“E allora fino al concilio, il Principe
di Dorne sarà mio. Mio e di nessun
altro…” gli sussurrò a un orecchio.
Chiuse gli occhi, e andò a cercare le
sue labbra.
E quella notte sembrò davvero non avere
mai fine.
Note dell’autore:
mi scuso innanzitutto per il ritardo di
questo capitolo, sarebbe dovuto uscire prima ma…beh, ho avuto il compleanno in
mezzo e più che altro mi ci è voluto un po’ per riprendermi dalla nottata. Citando
Il Pagante…sboccing like not tomorrow.
No, a parte queste parentesi, eccomi qui
con questo nuovo capitolo.
Lo so, lo so. È una scelta folle. Daario
e Euron. Lo so. Ma questa teoria…ha un qualcosa di stupendo e poi…è una delle
più plausibili, delle più probabili.
Insomma, guardiamo i personaggi:
entrambi sono violenti, sanguinari, non si fanno alcuno scrupolo, pensano di
risolvere tutti i problemi ammazzando qualcuno. Sono entrambi un po’ folli, ma
molto astuti e dei grandissimi oratori che sanno portare le masse dalla loro
parte. E poi…ci sono delle “coincidenze” troppo in stile Martin per non essere
espressamente volute. Il nome della compagnia di Daario per esempio: Secondi
Figli nella serie (e Euron è il secondo figlio, dopo Balon) o Corvi della
Tempesta nei libri (e ancora Euron è anche chiamato occhio di corvo).
Spero di aver chiarito ogni dubbio. Fatemi sapere le vostre opinioni in
merito, ho fatto questa scelta per dare una svolta alla storia.
E fatemi come sempre sapere anche cosa ne
pensate di questo capitolo. Lo so, le parti di Myrcella stanno
diventando un filo noiose, forse sto trascinando troppo la scia mielosa
post matrimonio, ma qui ho voluto riprendere un tema già trattato
prima, la loro voglia di essere normali, di essere lasciati soli, di
essere liberi di amarsi e niente altro. Nonostante questo desiderio di
normalità però, sanno di avere delle responsabilità. Diciamo che ho
voluto reinserire questo dubbio per non renderli due fredde macchine
focalizzate solo sul dovere, sono pur sempre due ragazzi.
Tranquilli comunque, la prossima volta che vedremo lei e Trystane la situazione sarà diversa.
Ringrazio ancora tantissimo tutti quelli
che lasciano feedback, siete un aiuto impagabile e un punto di riferimento importantissimo.
Al prossimo capitolo quindi…Ah, a
proposito, vi preannuncio che sarà Aegon-centrico.
Stay
tuned e, come sempre, long live the
lioness.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo XXIV ***
Cap 14
Long live the lioness
“Don't look down
Up this high, we'll never hit the ground
Don't look down
See that sky?
We're gonna reach it
now”
Don’t Look Down, Martin
Garrix
Meereen
Sebbene non fosse nemmeno
mezzogiorno, il sole batteva crudele, cocente e implacabile sui mattoni di
mille colori della grande piazza. L’inferno
sceso in terra. L’aria era talmente densa e spessa che si sarebbe potuta
tagliare con un coltello.
Stringendo l’elsa di Blackfyre
poteva percepire quanto il metallo si stesse scaldando sotto quei raggi
roventi.
Almeno
sarebbe stato un caldo addio.
Questo pensiero lo fece quasi
sorridere. Era rassicurato e allo stesso tempo anche un po’ irrequieto per
quell’incarico.
Ma non aveva potuto fare a meno
di accettarlo quando lei gliel’aveva proposto. Si era fidata di lui. Non poteva deluderla. Doveva sostenerla in questo
tragico…epilogo.
Sospirò. Sebbene avesse dormito
poco e niente quella notte, non si sentiva stanco. Quella notte…
Dopo quello che aveva visto, non
se lo aspettava. Il mercenario, o meglio, il re di ferro, aveva provato a
spiegarsi, a giustificarsi, a fornire ragioni, motivazioni. E il suo potere
dissuasivo era straordinario. Aveva fatto leva su ogni cosa, esaltato e gonfiato
ogni vittoria, ogni aiuto, ogni gesto fedele verso quella che lui continuava a
chiamare la sua regina.
E
alla fine aveva anche ripiegato suo quello che Daenerys provava per lui.
Lei era rimasta in silenzio,
impassibile, con lo sguardo perso, gli occhi vuoti.
Il suo volto era una maschera di
gelido acciaio, imperturbabile e…costante in una leggerissima ma
indistinguibile pennellata d’ira.
Alla fine la piovra aveva
esaurito le parole e, con il suo usuale sorriso beffardo alterato solo
leggermente da quell’incertezza, aveva mosso un paio di passi verso di lei.
L’espressione di Daenerys si era rilassata
in un sorriso quasi compiaciuto per un istante. Gli occhi del mercenario erano
brillati, astuti, crudeli, sicuri. Non
aveva dubitato nemmeno per un attimo di poterla convincere, sedurre, ingannare
ancora.
Ma la voce di lei era risuonata
potente, furibonda, selvaggia per la sala. Ogni
parola trasudava collera, era uno scorcio su ciò che si portava dentro. L’odio,
il ribrezzo, il disprezzo che provava per quell’uomo…
“Tu…tu hai…” la sua voce indugiò per un istante, mentre sul viso...quasi le si componeva una risata folle.
“Tutto
quello che noi…hai…hai sempre e solo provato a portarmi via i miei figli”
Aveva scosso la testa, mandando
giù a fatica.
“I don’t want to forgive you…I can’t forgive you…I
will never forgive you”
Si era voltata, non volendo mai e
mai più vederlo.
Aegon era rimasto impressionato da
tanta sicurezza, determinazione, forza.
Ma
in fondo non la conosceva così bene. E lei era sangue del drago, interamente,
sangue del drago. Eppure…si aspettava che la sua indole cedesse.
E infatti , alla fine, era andata proprio così.
Era ormai notte fonda quando
l’ancella era venuta a bussare alla sua porta.
Si era sentito quasi sorpreso ma
anche un po’…soddisfatto. Se lo aspettava
del resto.
La salita verso la cima della
piramide gli era parsa lunghissima e dannatamente breve allo stesso tempo. Era
curioso, sicuro, soddisfatto, ma anche dubbioso, diffidente e...un po’ impaurito
Daenerys l’aveva accolto nel suo
letto, tra le sue lenzuola. Si era stretta a lui, con il volto schiacciato
contro il suo petto e i capelli argentei che le coprivano la faccia. In quella notte tanto gelida per lei, aveva
bisogno del calore che solo lui, che solo un altro drago poteva darle. In lui
aveva cercato quel calore e...l’aveva trovato. Il suo respiro così lento,
regolare, ritmico, forte, quasi familiare, la rassicurava.
Una
parte di lei si sentiva gelare, dal capo fino ai piedi. Brividi le risalivano
la pelle, a tratti perdeva le sensazioni agli arti, avvertiva il freddo
penetrarle fin nelle ossa. Eppure un’altra parte di lei non desiderava altro
che buttare via tutte quelle coperte e la leggerissima tunica che portava.
L’unico calore di cui aveva bisogno era quello dell’altro drago che giaceva di
fianco a lei.
Istintivamente Aegon l’aveva
cinta con le braccia, portando le mani dietro la schiena di lei.
Non
sapeva cosa dire…qualsiasi cosa che gli veniva in mente pareva così poco
adatta, idiota, priva di ogni senso o conforto.
Ma alla fine si era, si erano, resi conto che quel silenzio
bastava a entrambi.
Erano
draghi. Senza saperlo, avevano così tanto in comune. Una vita passata lontani
da casa, nascosti, in una continua e infinita lotta per rimanere al sicuro e
soprattutto vivi. Tanti problemi, dilemmi, difficoltà superate stringendo i
denti, tendendo duro, tutto al pensiero di quello che un giorno sarebbe
accaduto.
Ma
soprattutto erano stati soli, tremendamente, dannatamente soli. Aegon aveva
sempre saputo di lei, ma per lui non era stata che un’immagine lontana,
sfuocata, quasi irreale. Come l’occidente del resto…
E
lei invece…non osava immaginare come si fosse sentita quando Viserys era stato
ucciso. La sola idea lo atterriva, lo sconcertava, lo mandava a perdersi tra
mille ragionamenti e supposizioni che non avevano né capo né coda. E poi…
No, no, no. Non poteva perdersi
in tali assurdi pensieri lì, in quel momento.
Daenerys era stata forte per così
tanto, si era portata una tale responsabilità sulle spalle, aveva combattuto
quella solitudine. E insieme a quello aveva conquistato tre città, aveva
liberato decine di migliaia di schiavi e si era lanciata nella folle impresa di
portare e mantenere la pace in quella società follemente barbara, diseguale e
incapace di trovare un nuovo ordine.
E
insieme a tutto questo aveva anche provato ad allevare i suoi tre figli.
Ora era lui a dover essere forte,
come lo era sempre stato del resto, e sostenerla in questo momento di caos, di
confusione, di sconforto.
Di sicuro non era il primo per
lei. Ma era la prima volta che c’era un altro drago lì con lei, su cui fare
affidamento, di cui fidarsi.
Lui…si
era mai sentito così? Perdere una persona a cui era tanto legato…
Beh,
non era stata una vera perdita ma quando…quando Jon si era tolto il guanto e…
Dèi,
non voleva ricordare come si era sentito. Quella pietra grigia voleva dire una
sola cosa: morte…
Aveva
già superato tanti traumi, problemi, scelte difficili…ma quello. Non aveva mai
affrontato qualcosa di simile prima. Del resto, non aveva mai avuto
nessuno…nessuno a cui legarsi, nessuno che fosse indispensabile, nessuno senza
il quale la sua vita non sarebbe potuta più essere la stessa. Ma Jon…
Era
stato l’unico che c’era sempre, sempre stato, l’unico modello, l’unica figura
familiare e costante che aveva avuto.
Jon aveva sempre fatto di tutto
per non sembrarlo, non aveva mai preteso di esserlo, non si era mai atteggiato
come tale…
Ma
era stata la cosa più vicina a un padre che avesse mai avuto…e una parte di
lui, per molto, forse troppo tempo, l’aveva considerato davvero come tale.
Aveva superato quella fase da
tanto quando lui aveva finalmente rivelato il terribile morbo che lo aveva
colpito…ma Jon rimaneva comunque la
persona che più di ogni altra gli era stata vicino, l’aveva sostenuto, l’aveva
cresciuto, l’aveva preparato per il difficile e incerto futuro.
La sola idea di perderlo…non
riusciva ad ammetterlo a sé stesso, non voleva ammetterlo a sé stesso, ma non
poteva nemmeno concepire quell’idea…di non avere il vecchio cavaliere al suo
fianco.
Ma per fortuna si era risolto
tutto…più o meno, ma si era risolto.
Quello che si diceva su quel guaritore di Braavos era vero. Era riuscito a
salvargli la vita. Nulla sarebbe più stato come prima per Jon, ma al cavaliere
andava bene così. E lui…beh, si era sentito enormemente sollevato per questo.
Avrebbe avuto al suo fianco il suo più grande sostenitore fino alla fine.
Sospirò.
I ricordi di quella notte si
avvicendavano nella sua mente, in una spirale senza fine. No. Quello che aveva provato quando Jon…non era paragonabile. Quello
che stava distruggendo Daenerys era qualcosa di diverso. E lui non l’aveva mai…
Un pensiero che non avrebbe mai
voluto avere, un ricordo che aveva sepolto in un angolo remoto della memoria
gli balenò in testa.
“No, no, no” si comandò, si ordinò, urlando mentalmente.
Alys era stata solo un errore…certo, il miglior errore che avesse mai
fatto, ma era pur sempre un errore.
Non poté fare a meno di
sorridere, con la solita malinconia.
Aveva tanto voluto dimenticare, dimenticare così ostinatamente, che aveva
persino scordato quanto fossero belli quei ricordi.
Sembravano
passati secoli…beh, in effetti…aveva quanto all’epoca? Quattordici anni? Chissà
dov’era ora lei…gli interminabili viaggi del padre l’avevano portata
probabilmente dall’altro capo del mondo. L’avrebbe mai più rivista? E se…
“No, no, no” si comandò ancora. Lui era il sangue del drago, il
principe dei Sette Regni, l’eroe profetizzato, aveva delle responsabilità, dei
doveri. Non poteva farsi trasportare,
dominare, corrompere da quegli stupidi e inutili ricordi. Sognare ad occhi
aperti non gli era più concesso. Non era più un ragazzino.
Aveva dei doveri. E in quel
preciso momento, ne aveva uno verso Daenerys. Dopo sussurri infiniti, timidi e
senza fine né scopo fine, lei gliel’aveva finalmente chiesto.
E
lui non aveva potuto rifiutare.
Riportò a fuoco gli occhi.
Avevano portato il prigioniero,
il vile, l’orrendo traditore davanti a suoi piedi. Il collo della piovra era
già appoggiato sul ceppo.
Lo
guardò un’ultima volta in faccia.
“Hai delle ultime parole, traditore?” gli chiese, con voce carica
di distacco, repulsione e disprezzo. La sua mano andò meccanicamente a ripetere
il gesto oramai istintivo. Con un fulmineo movimento Blackfyre volteggiò
fendendo l’aria e creando mille e mille bagliori.
La voce di Euron risuonò
nell’aria, sempre con quella nota beffarda e presuntuosa.
“What is dead
may never die”
Aegon sorrise,
quasi caparbiamente.
“What is dead may never die” sussurrò
divertito. Lo ripetè quasi più per sé
stesso.
“Che motto stupido” disse,
scuotendo la testa.
Il sole era oramai allo zenit.
Nella piazza regnava un silenzio surreale.
Blackfyre sibilò come un fulmine
nell’aria densa e torrida.
E un attimo dopo ciò che è morto…era morto.
- - - - - -
Perle
di oro e bronzo fuso. Ecco cos’erano quei giganteschi occhi.
Un ondata di caldo lo investì. E
un istante dopo arrivò il fragoroso, feroce, primordiale e terrificante
ruggito.
Vedeva un bagliore accecante tra
le fauci spalancate, tra le lunghissime e affilate zanne vermiglie di sangue. Fuoco. E lui era altrettanto.
Allungò una mano verso quel muso
gigantesco.
La sua pelle sfregò contro le
squame ruvide, rugose, ma soprattutto…roventi.
Un sibilo acuto e lugubre allo
stesso tempo si levò, facendo vibrare l’aria.
Il sole era oramai morto quasi
completamente dietro l’orizzonte, dentro al mare del tramonto. Il solo andava a casa, a occidente.
Mentre lui…no, non ci voleva pensare.
A poco a poco il drago aveva
avvicinato il muso a lui, arrivando all’altezza delle sue spalle.
Quei movimenti gli vennero
istintivamente. Non ordinò nulla alle sue gambe, eppure si mosse. Assisteva
quasi da spettatore a quella scena, mentre il suo corpo agiva da solo. Tutto pareva andare alla velocità della luce
e al rallentatore insieme.
Gli sembrava di sognare ad occhi
aperti, di non essere veramente lì, in sé.
Ma
invece lo era.
Una sensazione strana, nuova,
forte lo attraversava. Gli mozzava il respiro…era qualcosa di fantasticamente, incredibilmente, follemente bello.
Improvvisamente si ritrovò a
vedere il collo dell’animale…da sopra.
Parole che non aveva mai
pronunciato né imparato uscirono dalla sue labbra.
Il drago reagì incarnando la
schiena, sibilando e ruggendo assieme.
Dispiegò le ali bronzee nell’aria.
Con un movimento lento e quasi solenne si levò dalla cima della grande
piramide.
In una corsa a folle velocità
sorvolarono a bassissima quota la città, lasciandosela presto alle spalle.
Ad Aegon pareva sempre di stare
vivendo un sogno, si sentiva così
estraniato, così…
Ma quella sensazione di prima si
era fatta sempre più forte. E poco a poco tornò a percepire i sensi.
L’aria gli accarezzava il volto,
fresca, leggera, scompigliandogli i capelli argentei. Le sue mani si
stringevano sul dorso del drago, così ruvido eppure…quasi familiare, confortante. E quell’odore, quel misto di zolfo,
carne e…e di sangue e fuoco era selvaggiamente
e follemente inebriante.
Ma più di ogni altra cosa, più di
ogni altra sensazione…quello che
percepiva sotto di sé, tra le sue gambe, che cingeva coi polpacci e le cosce…
Aveva sentito tante volte dire
che un drago era fuoco divenuto carne.
E
in quel momento niente gli pareva più vero. Il calore che la bestia emanava…era
qualcosa di spaventoso. Non gli faceva certo male, ma era impressionante, unico,
inimitabile. Poteva terrorizzare, ma per lui non era così.
Quella
sensazione…era straordinaria. E l’insieme di tutto quello che stava provando,
ora, lì, pienamente cosciente era…
Non
riusciva nemmeno a concretizzare cosa lo attraversava, era troppo forte, troppo
bello per essere descritto.
Si chiedeva come avesse fatto a
vivere fino ad allora senza fare quello…
Niente e nessuno avrebbe potuto
togliergli in quel momento il sorriso dal volto, il sorriso più sincero, più
vero che avesse mai avuto.
Agendo di istinto, come se
l’avesse sempre saputo fare, si chinò in avanti, lungo il collo della bestia.
“Dracarys” sussurrò al drago verde che portava il nome di suo padre.
I suoi occhi viola ossidiana
brillarono riflettendo la luce della colossale nube di fuoco che l’animale
aveva eruttato.
Soffiò fiamme nel cielo,
volandoci poi attraverso. Le lingue di fuoco accarezzarono il volto del
principe, solleticandolo appena.
Lui
era il sangue del drago. Il fuoco era parte di lui, non poteva esserne bruciato.
Continuarono a volare, a salire,
a lanciarsi in picchiata senza apparente meta né scopo. Aegon oramai si sentiva parte di Rhaegal, e Rhaegal era parte di lui.
Passarono ore, giorni, settimane.
Il sole era sembra stato lì, oltre l’orizzonte, era sempre la stessa notte, o
forse era sorto e tramontato decine e decine di volte. Il principe non avrebbe
saputo dirlo.
All’improvviso si rese conto di
dove erano arrivati.
Ma
certo. Avevano seguito entrambi il loro istinto più recondito, più profondo,
più selvaggio. E questo li aveva portati…
A
casa.
Nubi di fumo aleggiavano sulle
acque sotto di lui. Rovine scheletriche si erigevano precarie all’orizzonte,
sempre immerse in quella nebbia surreale.
Anche l’aria aveva un sapore, una
consistenza diversa.
Rhaegal sibilò, qualcosa che
poteva essere paura. O felicità.
“Whe are at home…” sussurrò al drago, mentre una nuova sensazione lo
pervadeva.
Quella folle e magnifica
cavalcata aveva fatto svanire ogni suo dubbio, ogni suo pensiero negativo, ogni
problema. Tutto ora gli appariva limpido e chiaro. La testa gli scoppiava a
Meereen, mentre qui…
Qualcosa
gli diceva che era veramente a casa. E che lì avrebbe trovato le risposte alle
domande che portava dentro di sé da tutta la vita, e a che non aveva mai avuto
il coraggio di affrontare.
Sentiva nascere dentro di sé una
nuova forza, una nuova carica, una nuova determinazione, che rinvigoriva la sua
indole e sconfiggeva ogni dubbio.
Ma soprattutto sentiva nascere la
consapevolezza di…
Guardò il drago, e guardò sé
stesso.
Non
sapeva come avesse potuto farne a meno fino ad allora, ma in futuro…
Sentiva
che la sua vita era quello, quello e niente altro. Sentiva…
Sospirò, mentre una nuova nota di
malinconia si faceva strada sul suo volto.
Sentiva,
anzi sapeva, di essere nato per fare quello, quello e niente altro.
Note dell’autore:
here, i’m back.
Pardon un'altra volta il ritardo,
ma tra studio, routine ripresa e l'azienda con cui collaboro in cui il lavoro va puramente a caso oramai mi
rimane davvero poco pochissimo tempo per scrivere (maledetta Xiaomi).
No a parte questi scleri contro i
mie pazzi “capi”, eccoci a un nuovo capitolo.
Come avevo preannunciato,
Aegon-centrico. Ero partito dall’idea del suo primo volo, ma poi…
La parte sulle reazioni di Daenerys...l’ho fatta e
cancellata, fatta e cancellata, non mi piaceva mai, non rendeva bene quello che
volevo trasmettere. Spero di esserci riuscito in questa ultima stesura. Parlare poi
di un personaggio complicato e già
caratterizzato in modo tutt’altro che approssimativo come Dany non è
mai
facile. "Giocare" con lei non è semplice, e qui la sto affrontando
dagli occhi di qualcuno che le è estremamente simile ma al contempo
estramente diverso ed estraneo. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Per il resto...caraterizzare Aegon mi sta piacendo davvero tanto, qui
ho cercato di approfondire il suo rapporto con Jon, Connighton
ovviamente (che comunque vedremo meglio in futuro...) e poi...diciamo
che l'accenno a questo nuovo personaggio, Alys...potrei chiarire, ma
non lo faccio. Vedrò di continuare il discorso in futuro...
Il volo con Rhaegal è stato il nucleo originario del capitolo e...beh,
lascio a voi commentare. Dato il tema, non mi sono potuto astenere da
citare Don't Look Down...Martin Garrix è il migliore e...nada, spero
che questa canzone possa piacere anche a voi.
Penso che abbiate capito dove ho
fatto arrivare Aegon ma…non lo vedremo nel prossimo capitolo.
Ripetendomi ancora, questo suo viaggio/esperienza avrà un impatto
importante, ma la vedremo meglio poi.
Il prossimo capitolo...stavolta davvero
anticipazioni zero.
È un nodo
importante della storia e voglio davvero che il capitolo sia all’altezza di quello che
accadrà, quindi ci potrebbe volere un po' più del solito.
Nel caso, mi scuso in anticipo.
Ancora grazie tantissime ai
recensori, non smetterò mai di ripetere quanto il vostro feedback sia importante.
Quindi stay tuned e alla prossima.
E, ora come sempre, long live the lioness.
Luke
|
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Capitolo 15 *** Capitolo XV ***
Cap 15
Long live the lioness
"Be my mirror, my sword and shield,
My missionaries in foreign field
For some reason I can't explain
Once you go there was never
Never an honest word
And that was when I ruled the world"
Viva la Vida, Coldplay
Approdo del Re, due mesi dopo
“Unbowed,
unbent, unbroken” si ripeté mentalmente, per farsi forza, serrando ancora di più
le dita. Continuando così sarebbe finita
per ferirsi. Ma non le importava.
Sospirò, mettendosi a sedere.
Aprì le dita, tornando a fissare per l’ennesima volta il piccolo sole di giada.
Tre settimane. Dèi, non ce la faceva più.
Il monile sembrava quasi
sorriderle, nella sua immobilità eterna.
Avrebbe tanto voluto che il sole
non fosse nel suo palmo, ma nel cielo, nel
cielo di Dorne. E che splendesse su loro. Su entrambi.
E invece…era lì, sola.
Non c’era stata altra soluzione…
Del resto questioni di eredità minori, tasse e simili non richiedeva certo la
sua presenza. Le rose si sarebbero fatte non poche domande se fosse andata con
lui. E non c’era bisogno di richiamare ed attirare ulteriore curiosità,
sguardi, sospetti.
Tutti
gli alfieri si sarebbero riuniti in segreto attorno al loro principe e a Cletus
Yronwood, tornato dall’oriente. Trystane non voleva farsi trovare impreparato
quando…quando ciò che doveva succedere sarebbe successo.
Si alzò dal letto, avvicinandosi
alla finestra.
Le stelle la accolsero sulla
terrazza, insieme all’aria fresca e pungente della notte autunnale. Sentì la
brezza accarezzarle le braccia, la schiena, il ventre.
L’abito che portava…beh, non si
poteva nemmeno definire tale.
Due lacci di cuoio, ricoperti di
minuscoli anelli metallici, uno attorno alla base del collo, l’altro intorno
alla vita, reggevano ognuno sei lembi di leggerissima seta di un ocra pallido.
Era qualcosa di tipicamente
dorniano, e la faceva sentire quasi a casa.
Casa…dèi,
quanto le mancava Dorne. Ma presto…presto ci sarebbe tornata.
Con
lui.
Sospirò.
In quelle settimane, in quelle
notti, si era ritrovata più e più volte a chiedersi cosa davvero la unisse a
Trystane. Lo amava, certo. Ma…in che modo?
Non aveva mai davvero pensato a
cosa fosse, a come definire il loro rapporto.
E riflettendoci sopra, era
arrivata a pensare che…
Beh, il loro rapporto, senza che
mai loro se ne accorgessero davvero, era mutato molto nel corso degli anni.
Quello che sentiva, quello che provava per lui, da quando era tornata ad
Approdo del Re…si era…evoluto?
Gli anni a Dorne erano stati qualcosa
di follemente, di magicamente, di stupendamente bello, dolce, innocente,
spensierato. Lo stare insieme…li rendeva
felici. Stare insieme era l’unica cosa che volevano, ed erano liberi di farlo.
Aveva a lungo vissuto con il costante pensiero di lui, con un’inestinguibile
voglia di passare ogni momento con lui. Lui era la felicità, la spensieratezza,
l’unico che la faceva sentire speciale, l’unico che, alla fine, davvero
contava.
Ma poi…erano stati, o forse si erano, scaraventati all’improvviso nel gioco
del trono.
E quello che fino ad allora erano
stati…non poteva sopravvivere. Non erano
più due ragazzini soli, liberi di fare ciò che volevano, senza preoccuparsi di
nulla al di fuori di loro.
Aveva iniziato inconsapevolmente
a rendersi conto, in modo più maturo, più sincero, più interiore, di quanto lo
amasse. Non era più solo quella folle felicità interiore, quella voglia, quel
desiderio inarrestabile di passare ogni istante insieme.
Era
davvero difficile spiegare quel cambiamento. Dentro di sé ora ne era pianamente
consapevole. Lo sentiva. Ma trasformare quella consapevolezza, quella
percezione, quella certezza in parole era impossibile.
Forse…avevano iniziato ad amarsi per quello che erano, marito e moglie, e non
più come due ragazzini che giocavano, assaporavano, si riempivano di quella
straordinaria e dolce felicità nel conoscersi, nello stare insieme, nell’essere
innamorati.
Le stelle, quando alzò lo sguardo
al cielo, parvero quasi lanciarle un’occhiata di dolce comprensione.
All’improvviso si rese conto di
avere freddo. Era oramai notte fonda, e l’aria si era fatta alquanto pungente.
L’abito poi…era tanto leggero che era come non indossarlo.
Fece per voltarsi, decisa a
rientrare, sdraiarsi, provare a dimenticare tutto e scivolare nel sonno. Sapeva
già benissimo che tutti quei pensieri, l’assenza di lui, del suo calore, e quello che sarebbe accaduto il giorno dopo non le
avrebbero permesso di chiudere occhio.
Si voltò, ma non poté muovere
nemmeno un passo di più.
Per un lungo e interminabile
istante si sentì come pietrificata, nella sorpresa più totale. “Cosa? Come? Domani…” pensò confusa e
attonita.
Ma subito una forza interiore
spense, o meglio attenuò, tutti quei dubbi.
Smise di chiedersi perché.
“Tommen…” sussurrò con un filo di voce, guardando il fratello. Come
aveva fatto ad arrivare fin lì?
Lui mosse qualche passo verso di
lei, con lo sguardo fisso sulla sorella.
“Dèi, Myrcella…” rispose lui,
quasi…meravigliato?
La luna la illuminava, mentre
sorrideva sincera al fratello e una leggerissima brezza animava di vita le
frange dell’abito.
“Sembri un angelo...sei...sei la cosa più bella che abbia mai visto…” le sussurrò, senza
riuscire a staccare gli occhi dai lei.
Fece scivolare una mano tra le
fessure del vestito. Accarezzò il fianco della sorella, andandosi a perdere con
il volto tra i suoi lunghi capelli dorati.
Quel profumo…riusciva sempre a
estraniarlo, a staccarlo dal mondo, a fargli dimenticare tutto e tutti. Ogni altre
cosa cessava di esistere. Per quei
brevissimi ma interminabili, malinconici ma dolcissimi momenti poteva credere
di essere tornato indietro nel tempo e che quando avrebbe riaperto gli occhi
avrebbe trovato di fronte a sé quella bambina, quel viso che era scolpito in
maniera indelebile nella sua memoria.
Quando li riaprì invece…ritrovò davanti a sé sua sorella, la donna
che era diventata.
“Come…come stai?” gli chiese lei, con voce nervosa per l’emozione e al
contempo straordinariamente dolce, come le veniva sempre naturale quando
parlava con il fratello.
“Sono
qui insieme a te…non potrei stare meglio…” rispose
lui sospirando.
Myrcella si morse un istante il
labbro. Aveva di nuovo… Perché? Gli
sarebbe servito molto in futuro…
“Ancora dolcesonno? Ne avrai bisogno in…”
Lui la interruppe, prendendole
una mano tra le sue.
“Avrò un milione di occasioni in cui potrò stringere i denti e rinunciarci.
“
Sospirò, sorridendole. La guardò
negli occhi, serio e sincero allo stesso tempo.
“But I have only one sister.”
Si strinse a lei, cingendola con
le braccia, sfiorandole il collo con il viso.
Lei lo abbracciò, appoggiandosi
alla testa del fratello. Serrò le labbra. Sentiva già quell’inconfondibile
percezione, gli occhi che le diventavano lucidi.
Il dolcesonno era capace di veri
e propri miracoli. La malattia era
peggiorata terribilmente negli ultimi mesi, tanto che… Il re oramai faceva
fatica a lasciare le sue stanze. L’ultima volta che gli aveva fatto
visita…erano passate settimane oramai. I maestri erano molto restrittivi sugli
incontri e poi…le faceva troppo, troppo,
troppo male vederlo in quello stato. Avrebbe voluto tantissimo poterlo
confortare, dargli forza, sostenerlo ma…non ce l’aveva fatta.
La voce del fratello interruppe i
suoi tristi pensieri.
“Myrcella, stai tremando…qui fa
troppo freddo”.
Dicendo questo, la prese per
mano, quasi trascinandola all’interno. Lei si lasciò guidare, mentre una nuova
sensazione la pervadeva. Era leggerezza, sollievo e…felicità. Era con suo fratello. Non poteva essere triste.
Si sedettero entrambi sul bordo
del letto.
Tommen le stringeva le mani tra
le sue, e per un po’ non ci fu bisogno di parole.
Volevano solo stare insieme. Il giorno dopo si sarebbero dovuti…
“Sapevo che ti avrei trovata
sveglia…” disse lui, rompendo il silenzio.
Myrcella rialzò lo sguardo da
terra, tornando a posarlo sul fratello.
“Sarei venuto anche prima, ma
Margaery ha voluto…”
Esitò qualche secondo, cercando
le parole.s
“Dato che avevo già preso il
dolcesonno…mi ha chiesto di…”
Sospirò, a metà tra l’imbarazzato
e il divertito.
“Vuole
un principe…”
Abbassò un istante lo sguardo,
mentre gli occhi gli si intristivano.
“Nel caso in cui io...non dovessi…”
Un lampo la attraversò. No. Non doveva nemmeno pensarlo.
Pronunciò d’impeto, d’istinto,
con una forza e sicurezza che le vennero dal profondo.
“Non dirlo nemmeno Tommen” sussurrò al fratello.
I loro occhi verdi si catturarono
in uno sguardo magnetico.
“Siamo
il sangue del leone. Niente e nessuno può imporci qualcosa che non vogliamo.”
Sentiva ogni istante di più
lacrime sul punto di cadere, ma non avrebbe pianto. Non lì.
“Questo
è un momento difficile, molto difficile. Ma se tu…”
Si morse il labbro con forza, per
imporsi di continuare.
“Se
metterai ogni tua forza in questa lotta, ogni tua energia, ogni
determinazione…ce la farai. Ne sono certa.”
La vista le si annebbiò per un
interminabile istante, mentre cercava di radunare ogni briciolo di forza rimastole.
“Giura
che lo farai. Giuralo a me, ma soprattutto…a te stesso.”
Chiuse gli occhi, ringraziando
per essere riuscita a trattenere le lacrime.
Sentì il fratello avvicinarsi,
prenderla tra le sue braccia.
Si abbandonò completamente a
quell’abbraccio, lasciando che finalmente le lacrime le rigassero il viso.
Percepì anche quelle di lui
caderle sul collo.
Lo strinse a sé con ancora più
forza, per sentirlo vicino, per non
lasciarlo scappare, per non permettergli di lasciarla.
Sapeva benissimo che non era
possibile, che quella era l’unica
soluzione possibile, l’unica che dava un ultimo briciolo di speranza. Eppure in
quegli interminabili istanti pensò davvero che il giorno dopo non avrebbe
permesso che glielo portassero via.
Non se ne erano nemmeno accorti,
ma in quell’abbraccio erano lentamente scivolati sul letto, ritrovandosi ora
sdraiati.
La voce di lui ruppe quel
silenzio magico, immobile, surreale, quasi dolce.
“Quando…quando partitisti per Dorne…mi promettesti che saresti tornata.”
Ingoiò a fatica, con la voce resa
pesante dalla malinconia e dai ricordi.
“I promise the same. I swear to you that I
will give it all for come…for come back to you”
Myrcella lo strinse nuovamente a sé,
posandogli un bacio sulla fronte. Gli accarezzò la testa con la mano, un gesto
che le venne istintivo. Quante volte lo
aveva fatto in passato?
“We still have this night…” gli sussurrò all’orecchio.
Tommen tornò a guardarla, occhi
verdi in occhi verdi, entrambi lucidi di commozione e malinconia.
“What
do you want?” le chiese, con voce quasi… Forse era stata solo la sua immaginazione a
fargliela udire così, ma alle sue orecchie giunse la voce inconfondibile del
bambino che aveva lasciato anni prima ad Approdo del Re.
E quella domanda…cosa voleva davvero? Voleva che quella notte
non avesse mai fine. Voleva che il giorno seguente non giungesse mai, in modo
che lui… Voleva che lui non partisse. Voleva non doversi separarsi da lui. Voleva
che la malattia non fosse peggiorata fino a quel punto. Voleva che lui non si
fosse mai ammalato.
E
voleva…
“No, no, no” si ordinò. Non
poteva stare lì a sognare ciò che era impossibile, irrealizzabile. Sarebbe stato bello, certo. Ma erano solo
stupide, inulti e soprattutto pericolose illusioni.
“I don’t know. And you?” gli rispose
d’istinto. Mai e poi si sarebbe sognata di
dare una risposta del genere…eppure…le sembrava di non poter trovare parole
migliori. Voleva tanto e al contempo
poco.
Il fratello tornò a stringerle le
mani nelle sue.
“Me lo chiedi anche?” replicò,
quasi divertito. Si fece però più serio, nostalgico, malinconico.
“Voglio te, te e nessun altro. Voglio
stare con te, averti qui, vicino. Voglio lasciare tutto, voglio scappare,
voglio tornare indietro e fermare il tempo.”
La guardò negli occhi, tanto in
profondità che quasi avvertì lui entrare nei suoi pensieri.
“Voglio di nuovo quegli anni.
Voglio essere felice, in pace, spensierato. Voglio rivivere tutto quello che
abbiamo vissuto assieme. Voglio quella vita, quel mondo.”
Gli occhi del giovane re si persero
con lui nei ricordi. E lei non poté non seguirlo in quel tuffo indietro nel
tempo.
Rivissero insieme gli anni
passati, in un’intesa, in una sincronia che forse scorreva sotto la loro pelle,
incrociandosi e passando da uno all’altro attraverso le loro mani. O forse era
telepatia. O forse…
“Gods, they’ve been amazing years…” sussurrò lui, con un’espressione
finalmente serena. C’era tanta nostalgia nei suoi occhi, ma anche…il solo ripensare a quei momenti aveva
infuso felicità nel suo animo.
Myrcella gli sorrise, come
milioni di volte aveva fatto in passato.
“Yes…they were beautiful”
Tommen le strinse forte le mani,
mente sorrideva, un sorriso malinconico e a tratti…un po’ folle.
“Non
smetterò mai di chiedermi perché...perché ci hanno divisi…”
Lei sospirò, cercando parole che
sapeva di non poter trovare. Non c’era
davvero una risposta. Certo che per lei…
“Lo so che per te Dorne…che lui…è stato…”
D’istinto lo interruppe, con voce
dolce e sicura insieme. Non voleva che
pensasse quello. Nonostante tutto, lei non aveva mai e poi mai…
“I
know what you are thinking…and…you’re wrong”
Strinse con forza la mano destra
di lui tra le sue.
“Non
ti ho mai dimenticato. Non c’era giorno che non pensassi a te. Ma soprattutto…”
Chiuse gli occhi, andandosi ad
appoggiare alla fronte del fratello con la sua.
“Tommen…quello che ci unisce…nessuno, nessuno, nessuno potrai mai
distruggerlo. E quello che provo per te, quello che sei stato, quello che sei e
quello che sempre sarai per me…”
Un sorriso sincero le si dipinse
nuovamente sul volto, mentre sentiva gli occhi tornare a farsi lucidi, quasi
più di felicità che di amarezza.
“Nessun altro lo è mai stato, lo è e mai lo sarà…”
La reazione di lui fu…seppe in un istante di avere fatto centro.
Di avere colmato un dubbio, un vuoto, una domanda che il fratello si portava
dentro da tanto, troppo tempo.
Lui provò a replicare, ma…
Chinò il capo, avvicinandosi alla
sorella.
Myrcella lo strinse a sé, contro
il suo seno, accarezzandogli la testa.
In quell’istante le pareva di
rivedere il bambino di tanti anni prima, di stringere tra le sue braccia il
fratello che aveva dovuto lasciare…per
compiere il suo dovere.
Quella parte di Tommen…non era
mai davvero morta. Era rimasta sepolta per tanto, nascosta, chiusa in un
angolo. E solo lei ne aveva la chiave.
In quegli istanti le pareva
impossibile pensare al peggio. Eppure…
No. No. No.
Quelle parole…quella
notte…quell’occasione…era grata per aver
potuto passare quel tempo insieme a lui. Questo contava. Il ricordo di quello
che si erano detti quella notte, di quello che realmente erano li avrebbe
accompagnati per sempre.
Sorrise, tornando a sussurrare al
fratello.
“Quando dovetti partire mi dissero che ero nata per questo…per sposarmi
e suggellare così un’alleanza”
Abbassò un istante lo sguardo,
arrossendo leggermente.
“E gli dèi non mi avrebbero potuto concedere marito migliore…” aggiunse,
con gli occhi che andavano a perdere fuoco, mentre un’ondata di ricordi le
invadeva i pensieri.
“Ma
soprattutto…non mi avrebbero potuto concedere un fratello a cui mi sarei potuta
legare, fidare, ritrovarmi di più.”
Il silenzio anelò per qualche
interminabile secondo. La voce di lui lo spezzò.
“Gli dèi fanno strani doni…”
Si fermò un instante, tirando su
col naso, eliminando gli ultimi residui di quel pianto liberatorio.
“A me hanno concesso un trono che non avrei mai voluto…”
Tommen si staccò da lei.
“Te
l’ho già raccontato così tante volte…ho provato a reagire ma…”
Sospirò amaramente, tornando a
fissarla negli occhi.
“For some reason I can't explain, once you go
there was never…”
Si fermò un istante, a soppesare
quelle parole.
“Never
an honest word.”
I loro occhi verdi erano
catturati in un’attrazzione magnetica indisolubile, indistruttibile,
inalienabile. Come quello che li univa.
“And that was when I ruled the world”
Myrcella capiva, comprendeva quello
che lui sentiva. Era poco più di un bambino quando l’avevano gettato in mezzo a
quel nido di serpenti che era il potere.
E lui aveva perso lei, il suo più grande punto di riferimento.
Dovevano essere stati tempi terribili per lui.
Ma non era quello il momento di
avere rimpianti per ciò che li aveva fatti soffrire in passato. In quella c’era
posto solo per i loro ricordi migliori, per quella cosa speciale che li aveva
sempre e che sempre li avrebbe uniti, e per…per
la speranza, ora come mai forte, di poter tornare insieme, un giorno.
Mancavano oramai poche ore all’alba,
che avrebbe portato il fatidico giorno.
Ma
per qualche strana ragione il tempo rallentò, come per dargli il tempo di dirsi
un ultimo addio.
E
a loro, quella notte, parve non avere mai fine.
Note dell’autore:
Rieccoci di nuovo
Per questo capitolo devo ancora
ringraziare tantissimo i Coldplay, ho risentito Viva la Vida dopo un sacco di
tempo e…beh sembrava fatta apposta per quello che volevo scrivere. Quando Chris
Martin e compagni parlano di vita, morte, amore, destino…non c’è niente da
fare, sono insuperabili.
Ok, dopo questo ringraziamento
speciale, vi annuncio che ho perso ogni tipo di fiducia nel genere umano. No,
non mi riferisco a Miss Italia.
Ragioniamo due secondi. Essere
stronzi è brutto, ma essere premiati perché si è stronzi è ancora peggio. Ora
io mi chiedo: i giurati che hanno assegnato a Benioff & socio l’Emmy Award
per miglior sceneggiatura o sono degli incompetenti totali, o hanno preso
qualche sostanza prima di guardare la 5X10 oppure è tutto un complotto. Quando
ho letto la notizia…
No vabbè lasciamo perdere.
Parliamo di quello che
veramente conta: il capitolo. Sapete che il rapporto di Myrcella con i fratelli
è uno degli argomenti che mi piace di più e quindi…ho voluto scrivere questo
addio. Forse è un filo troppo mieloso ma...ciò che unisce lei e Tommen...beh, spero di averlo reso a dovere.
Qualcuno di voi forse voleva più progress nella storia ma…ma sentivo di
dover scrivere così questo capitolo.
Spero davvero che vi possa piacere.
Ringrazio ancora tantissimo i
recensori, siete davvero un punto di riferimento importantissimo.
Che altro dire? Mi scuso in
anticipo, sto facendo davvero tanta fatica a trovare tempo per scrivere, se il
prossimo capitolo dovesse arrivare un po’ in ritardo.
Ho lasciato giusto qualche
indizio qua e là con cui potete capire cosa vi aspetta.
Non dico nient’altro.
Alla prossima quindi e,
ovviamente, long live the lioness.
Luke
|
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Capitolo 16 *** Capitolo XVI ***
Cap 16
Long live the lioness
“And I know it’s hard when you’re falling down
And it’s a long way up when you hit the ground
Get up now, get up, get up now.”
On The Top Of The World, Imagine Dragons
La barca scivolò leggera
sull’acqua, spinta dal movimento quasi magicamente sincronizzato dei vogatori.
Ogni volta che i lunghi remi si immergevano, lasciandosi dietro sottilissime
scie di schiuma, l’imbarcazione subiva un leggero strattone in avanti.
E ad ogni istante si allontanava ancora
di più dal molo, diventando via via un puntino sempre più piccolo, sempre più
lontano, sempre più indistinto contro l’orizzonte e l’immensità del mare colore
del vino.
Chiuse gli occhi, prendendo un
lungo, lunghissimo respiro.
Era
successo. Era davvero successo. Tutto era accaduto troppo velocemente e troppo
lentamente insieme, mentre una strana, un’orribile sensazione l’aveva pervasa,
un orrendo misto di frustrazione e soprattutto…impotenza.
Abbassò il capo, mentre lo
sguardo si annebbiava e perdendosi tra i pensieri si estraniava da ciò che la
circondava.
Prima
non aveva mai nemmeno osato immaginare come si sarebbe sentita quando ciò che
era appena accaduto fosse successo. La sola idea la faceva stare male.
In
qualche modo però…si aspettava tristezza, malinconia, sconforto.
E
invece…
Con
in bocca un sapore amaro e metallico non sentiva altro che il vuoto.
Vuoto
assoluto, totale, senza limiti né confini.
Le
sembrava di cadere, cadere, cadere…una caduta che pareva non avere mai fine.
Percepiva ciò che la circondava
come…come se tutto non avesse la giusta consistenza, fosse troppo sfuocato,
troppo flebile, che…che tutto fosse solo
un incubo.
Ma sapeva che era tutto vero. Era
davvero successo. E…
E
basta. Era successo. E ora lei…doveva in qualche modo andare avanti, voltare
pagina.
Le
speranze che aveva covato nel profondo, le illusioni della notte
precedente…erano follemente affascinanti, confortanti, rassicuranti. Quelle
false illusioni erano riuscite a restituire a entrambi un po’ di felicità e
serenità, almeno per poche ore.
La realtà era un’altra però…
Lo
sapeva, lo aveva sempre saputo, che lui…che lui non sarebbe mai più tornato.
Certo, le promesse che le aveva
fatto…
Tommen le avrebbe mantenute. Era
certa che lui ce l’avrebbe davvero messa tutta. Ma anche se fosse riuscito a
sconfiggere il misterioso morbo…
Loro
non avrebbero mai permesso che tornasse. Che tornasse al suo posto, che
tornasse nella sua città, che tornasse da lei.
Eppure ora erano lì, a pochi
metri di distanza, impegnati a piangere la partenza del re. Margaret poi…sembrava davvero distrutta.
Ma Myrcella si rifiutava di
credere che lo fosse davvero, stava solamente fingendo, fingendo molto bene, ma
fingendo…
Si era impossessata di lui,
interessata solo a quella sedia di spade, niente di più. L’aveva piegato, usato
per ottenere ciò che voleva. E ora che non gli serviva più, se n’era
sbarazzata, come se fosse un vecchio tappeto. Per lei Tommen non contava assolutamente nulla.
Si morse il labbro.
Quello
che covava nei loro confronti…
I movimenti di tutti interruppero
i suoi pensieri. La colossale delegazione venuta a salutare il re si apprestava
a rientrare nella Fortezza Rossa.
Tutti le passarono di fianco, e
nessuno si astenette dal lanciarle un’occhiata.
Radunò ogni forza che trovò
dentro di sé per imporsi di non versare nemmeno una lacrima, non davanti a
tutti quegli…estranei.
No,
non avrebbe pianto. Lei era il sangue del leone.
In quel vuoto senza fine cominciava ad
avvertire i primi segni di quello che l’avrebbe tormentata nelle ore seguenti.
Ma represse tutto in un angolo del suo animo.
Quasi sette anni prima aveva detto a
Tommen, su quello stesso molo, di continuare a vivere, di farsi coraggio, di
aspettare con fiducia il suo ritorno.
Di essere forte.
E in quel momento doveva esserlo lei.
Il
ritorno alla Fortezza Rossa fu lungo, breve, caotico, silenzioso. Anche se
fosse piovuto oro liquido, non se ne sarebbe accorta.
Era
persa, completamente persa dentro di sé, troppo persa per poter percepire la
realtà che la circondava.
Scese
dalla portantina sentendosi leggera, come se camminasse a un metro da terra. Ma
in quel momento, al contrario di molte altre volte, non era affatto una bella
sensazione.
Nel
cortile del castello regnava il caos assoluto.
Decine
e decine di cavalli, carri, carrozze, e centinaia di cavalieri, scudieri,
servitori, dame, soldati affollavano lo spazio all’ombra delle mura rosse.
All’improvviso
tra tutta quella confusione si aprì un varco.
E
quello che vide…
No, no, no. Stava sognando. Stava solo
sognando. Ma nemmeno gli incubi peggiori erano come quello che stava vivendo. E
quindi…
Non ebbe il tempo di finire il pensiero.
Trystane
le venne incontro, con dipinta sul volto un’espressione…era quello di cui aveva bisogno.
Ancora
incredula, sentì le mani di lui sfiorarle la pelle.
No, non era un sogno.
Si
abbandonò completamente tra le braccia di lui.
Forse
il suo principe aveva detto qualcosa, ma lei non era nella condizione di
ascoltarlo, di prestare attenzione, di poter replicare, di poter fare qualsiasi
cosa. Non in quel momento.
In quel
momento…
Non chiedeva altro che
lui Non aveva bisogno d’altro che lui. Non voleva altro che lui.
- - - - - - -
Meereen
"Il consiglio si scioglie”
urlò l’araldo.
Tutti si alzarono in piedi.
“Lunga vita ai draghi” tuonò
ancora l’uomo.
“Lunga vita ai draghi” ripeté lui insieme agli altri, con tono
stanco e distaccato.
Socchiuse gli occhi, avviandosi
verso la scalinata esterna.
Aveva
un disperato bisogno di staccarsi dal mondo, di svuotarsi la testa da tutte
quelle preoccupazioni, di stare da solo.
Sentì una voce chiamarlo da
dietro. Si fermò, voltando il capo verso chi l’aveva chiamato.
Incrociò lo sguardo di Ser Barristan.
Di sicuro voleva parlare di qualcosa di importante.
Ma in quel momento non aveva la
forza mentale per affrontare una simile conversazione.
Con un cenno del capo fece capire
a Selmy di non potere. Non ora.
Tornò sulla sua strada,
percorrendo a passi veloci la distanza che lo separava dalla porta.
Uscì, facendosi investire dal
calore del tardo pomeriggio.
Sovrappensiero scese la
lunghissima scalinata, raggiungendo le scuderie.
Con gesti meccanici sellò il
cavallo, montò e partì al galoppo, lasciandosi in pochi minuti la polverosa e
chiassosa città alle spalle.
Cavalcò per mezzo miglio, o forse
più di un paio, oppure…per decine e decine. Non avrebbe saputo dirlo.
Lanciando il cavallo a folle
velocità riuscì finalmente a staccarsi dalla realtà, da quella situazione così
precaria e fonte infinita di preoccupazioni.
Solo quando sia lui sia l’animale
furono senza fiato pose fine alla corsa sulla cima di un colle.
Smontò, andandosi a sedere su un
masso.
Lasciò che il suo sguardo si
perdesse nell’orizzonte.
Si portò una mano al volto,
stringendosi le tempie nel palmo.
Due
mesi. Due dannatissimi mesi.
Ogni
giorno diventava sempre più difficile, più insicuro, più imbarazzante, più
disarmante.
Aegon
era volato via in groppa a Rhaegal e non aveva più fatto ritorno.
Si
fidava ciecamente del giovane drago, ogni parte di lui si rifiutava di credere
che fosse scappato, sapeva, era certo, che sarebbe tornato.
Aveva
anche impedito che lo andassero a cercare, aveva imposto che tutto continuasse
a funzionare normalmente. Il principe poteva fare ciò che riteneva più giusto e
il loro dovere era quello di servirlo.
Ma ogni giorno di assenza non
faceva che aumentare gli sguardi vuoti, scettici, carichi di disapprovazione che
tutti gli rivolgevano e…ultimamente cominciavano
a riempirsi di rancore. Dapprima tutto si era trascinato in un clima
speranzoso, in un’attesa impaziente del ritorno del principe. Poco a poco però
quella speranza si era incrinata, lasciando posto a vuoto silenzio, finta
normalità, fastidiose formalità.
Tutti avevano perso la fiducia, ma
nessuno aveva avuto il coraggio o la follia di proporre un’alternativa. Non ancora almeno. Ma quanto tempo ancora
prima che… E allora lui cosa avrebbe fatto? Del resto reagire, intraprendere
una nuova via non era così…
No, non doveva neppure pensarci. Non
avrebbe mai e poi mai tradito Aegon, mai.
Sentiva tantissimo la mancanza
del principe come suo primo cavaliere. Ma soprattutto…
Sentiva la sua mancanza di lui come
sé stesso, come Marko Ramius, come…come amico,
come…fratello.
Perché
in fondo in fondo, quello erano stati.
Quando si erano conosciuti erano
poco più che ragazzini e…
Era
stata intesa perfetta fin dal primo istante.
Ciò
che erano l’uno per l’altro...lui era per Aegon il fratello che non aveva mai
avuto, e lo stesso valeva per lui.
Avevano
condiviso tutto. Bei periodi, brutti momenti, esperienze di ogni tipo, pazzie
che ancora stentava a credere di aver potuto fare…
Non
c’erano limiti quando erano insieme, nessuno poteva fermarli, dissuaderli da ciò
che avevano in mente.
Il
serio, responsabile e malinconico principe si trasformava, si lasciava andare.
Questi pensieri lo fecero
sorridere. Dèi, erano stati anni
magnifici.
Erano
cresciuti, erano diventati più responsabili. Non si lasciavano più andare in
pazzie tanto spesso. Dividere sbronze, avventure, fughe pazze…donne. Gli
mancavano quei tempi.
Ma
soprattutto gli mancava Aegon.
Sospirò amaramente.
Il sole stava oramai tramontando.
Si alzò, pronto a rimettersi in
sella e tornare in città.
Stava armeggiando con i finimenti
quando…
Tutto
all’improvviso si oscurò.
In primo momento quasi non ci
fece caso. Poi però…il sole stava sì tramontando, ma non così in fretta. Da dove veniva quel buio quasi totale?
Stava per voltarsi quando…
Un sibilo penetrante lacerò
l’aria.
Rimase paralizzato per
un’interminabile istante, mentre un gelido brivido lo attraversava dalla testa
ai piedi.
Con il cuore e il respiro
troncati dall’emozione, si voltò, mentre tutto era incredibilmente lento.
Ciò che rimaneva de sole lo
accecò per pochi attimi e poi…
Una gigantesca sagoma scura si
stagliava contro il cielo rossastro.
E ad ogni istante si faceva più
grande, più imponente, più vicino.
Il respiro gli si mozzò
nuovamente.
Un drago aveva sempre
quell’effetto. Ma quel drago…
Era
verde, questo era vero, ma… Non era l’animale che aveva lasciato Meereen due mesi
prima. Era…cinque, dieci, venti volte grande.
Rheagal
era diventato veramente enorme.
Le
ali verdi e bronzee si dispiegarono completamente nell’aria, accompagnando
l’animale a terra in una lenta ed elegante planata.
Marko era paralizzato a fissare
il drago, ma…
Quando il cavaliere smontò, una
scossa lo attraversò da capo a piedi.
Ancora non del tutto certo di
essere sveglio, mosse qualche passo verso di lui. Passi sempre più veloci, che
in pochi istanti divennero corsa.
Lui sorrideva come al solito,
quell’inconfondibile pennellata malinconica sul suo viso dai lineamenti così
regali e unici.
Furono finalmente a un metro
l’uno dall’altro, rimanendo per un attimo immobili.
Si fissarono negli occhi.
Quasi scoppiarono a ridere
insieme.
Marko lo abbracciò,
tempestandogli di pacche la schiena.
“Sono tornato” gli sussurrò Aegon,
con voce stranamente felice e rilassata.
Lui si staccò dal principe,
sorridendo.
Gli tirò un’altra scherzosa
manata sulla spalla.
“Non farlo mai più…” gli disse,
cercando di sembrare imperioso e serio.
Il giovane drago lo fissò, a metà
tra l’accigliato e il dispiaciuto.
“Una fuga così…lasciando tutti a
chiedersi dove diamine sei finito…e scappare chissà dove a fare…”
Scosse la testa. Stava provando a
sembrare arrabbiato, ma non ci riusciva.
“È nel nostro stile…dovevamo farlo insieme…”
Aegon sorrise, un sorriso in cui
tornò a prevalere la malinconia. I suoi occhi si persero per un istante tra i
pensieri.
Marko lo guardò con più
attenzione.
E
dèi, non era solo Rhaegal a essere cambiato. Il principe era…non
riusciva quasi
a definirlo. Il suo aspetto era cambiato e allo stesso tempo era lo
stesso. Aveva un qualcosa di…trasmetteva ancora più regalità,
soggezione, potere, aveva
quasi un’aura…magica?
Forse
era solo un’impressione, ma i suoi capelli erano ancora più argentati, i suoi
lineamenti ancora più regali e tanto perfetti ed insoliti da sembrare
sovraumani, i suoi occhi di un viola ossidiana ancora più profondo e intenso.
Una domanda gli sorse spontanea.
“Dove sei stato?” gli chiese, con
curiosità vera.
Aegon sospirò, abbassando per un
attimo lo sguardo a terra.
I suoi occhi risplendevano ancora
di più, in maniera quasi soprannaturale, come se dietro, dentro di essi stesse
divampando un incendio.
Soppesò tante parole. Ma decise
che ne bastavano davvero poche.
Fissò il suo cavaliere più fedele,
il suo consigliere più affidabile, il suo migliore amico, il fratello maggiore che non aveva mai avuto.
Le sue labbra articolarono
lentamente poche e sincere parole.
“A casa…”
- - - - - - -
Approdo del Re
L’aria della notte che entrava
dalle finestre era gelida, tagliente come un coltello e sembrava nutrire,
accentuare, fomentare lo sconforto che si portava dentro.
Ma
lui era così caldo. Le sue braccia, il suo petto, le sue mani.
Quel
calore riusciva a compensare, a sconfiggere, a farle dimenticare il gelo che
sentiva fuori, ma soprattutto…dentro.
Era come se la sua pelle bronzea
di lui avesse assorbito, raccolto, catturato i raggi del sole di Dorne e li
stesse liberando nuovamente ora.
Si stinse ancora di più al suo
principe, desiderando ogni raggio che lui le poteva dare. Fino al più recondito
angolo del suo animo non voleva altro che lui, non desiderava altro, non aveva
bisogno d’altro.
Trystane avvertì questo movimento.
La cinse a sé con le braccia, ancora più forte. Non l’avrebbe mai e poi mai lasciata andare. Avrebbe tanto voluto poter
fare di più in quel momento così difficile per lei…eppure qualsiasi
espressione, qualsiasi frase gli venisse in mente pareva così sciocca, banale,
inadeguata. Era maledettamente frustrante.
Era
il principe di Dorne, eppure non poteva fare nulla di più per aiutarla. Ma a
Myrcella la sola sua presenza pareva bastare.
Andò a perdersi col volto tra i
capelli dorati della sua giovane sposa. In sua assenza era tornata a portarli
come tanti anni prima. Un folto ammasso di riccioli dorati. Gli ricordavano
tantissimo la bambina che era scesa spaesata e confusa dalla nave a Dorne,
tanti anni prima. Le davano un aspetto diverso. Ma in fondo tutti quei ricci non gli dispiacevano affatto.
La baciò delicatamente sulla
fronte.
Lei alzò leggermente la testa,
incrociando lo sguardo con quello di lui.
Gli occhi verdi erano lievemente
venati di rosso e gonfi di pianto, ma anche straordinariamente sinceri.
Sul volto si distinguevano
chiaramente le sottili righe delle lacrime che come minuscole perle le erano
corse giù per le guance.
Un sorriso le si allargava sul
viso, un’incredibile e inaspettato sorriso.
Malinconico, tirato, ancora
sconvolto, un po’ folle, ma era sincero, ed
era un sorriso.
Trystane lo ricambiò,
accarezzandole la schiena con il palmo della mano. Provò a dire qualcosa, ma le
parole gli morivano in gola…e poi…
Myrcella si avvicinò, andando a
cercare le sue labbra.
Chiuse gli occhi, sfiorandolo.
Lui le prese il capo tra le mani,
tenendola stretta a sé.
Le labbra di lei avevano
quell’inconfondibile sapore salato delle lacrime. Era strano, ma era…inebriante.
La principessa si staccò, senza
fiato.
Con le palpebre socchiuse sentì
le labbra di lui sfiorarle il collo.
Si adagiò lentamente sopra di lui,
sdraiandosi e appoggiando la testa sul petto del principe.
Passarono pochi attimi, qualche
minuto, o forse ore. Non avrebbe saputo dirlo. Ma in fondo, non le importava.
Sentiva dentro di sé i resti, le
conseguenze, gli strascichi di quella furiosa battaglia che si era combattuta
nel suo animo.
Ma ora finalmente percepiva un
po’ di calma, di pace, di serenità. Forse era solo quiete prima di un’altra
tempesta, o forse…
La voce di Trystane la riportò
alla realtà.
“Myrcella…” disse “vorrei
tanto poter dire di poterti capire…”
Le strinse forte una mano tra le
sue.
“Ma anche quando Quentyn…è stato diverso”
Scosse la testa. No, non era quello che voleva dire.
“Non posso sapere come ti senti
ora ma…”
Sospirò.
“Ma so quanto faccia male cadere,
cadere da così in alto…e che rialzarsi non è facile”
Per un istante interminabile si fermò,
cercando, soppesando le parole.
“Ma non c’è altro modo…rimetterti in piedi, risalire, riprenderti…”
Si morse il labbro, cercando di
dire ciò che davvero voleva dirle.
“Non dovrai mai, mai, mai dimenticarlo. Ma devi, dobbiamo, voltare
pagina. Alzati ora, più forte di prima.”
Le strinse ancora e ancora più
forte le mani.
“Ti prometto che…non dimenticherò nemmeno io. Pagheranno per quello che
gli hanno fatto…”
La principessa rispose alla sua
stretta.
“Non lo dimenticherò mai…” sussurrò lei, con gli occhi persi nel
vuoto.
“Potremmo…” iniziò
a dire lui, a metà tra il serio e il divertito.
Lei riuscì a riemergere dai
pensieri, chiedendosi cosa stesse dicendo.
Trystane sorrise all’idea. Andò
ad intrecciare le mani le sue sul grembo di lei. Scandì lentamente ogni parola
con tono quasi solenne.
“Prince
Tommen Nymerios Martell…doesn’t sounds bad…”
Myrcella sorrise, sospirando. Quell’idea…l’aveva presa in contropiede.
Ma…ma le piaceva.
“It sounds very good…” gli rispose con un filo di voce.
Quell’idea…non la spaventava più
come prima. Qualcosa dentro di lei era cambiato. Un paio di mesi prima il suo
ciclo di luna era in ritardo. E per qualche giorno aveva vissuto nel terrore
di…
Eppure
qualcosa di nuovo aveva cominciato a farsi strada tra i suoi pensieri…
Quell’idea…
Anche quando il sangue alla fine
era arrivato, quella nuova consapevolezza,
quella nuova sensazione, quel nuovo…quel
nuovo… desiderio…non l’avevano più abbandonata.
Certo, era ancora troppo presto. Non voleva assolutamente mettere a rischio
sé stessa, né tantomeno…
Non
erano pronti, e presto, dannatamente presto, si sarebbe scatenato il caos.
Ed Approdo del Re ne sarebbe
stato l’epicentro.
Dovevano
andarsene, al più presto possibile. E poi semmai pensare a un...
Sospirò.
Tornare
nella sua città era stato bello. Rivedere, riavvicinarsi, rispolverare la sua
vecchia vita in fondo le era piaciuto.
Erano oramai dieci mesi che era
lì. E Dorne le mancava…da impazzire.
Sollevò la testa, si alzò sulle
mani, girandosi per tornare a guardarlo in faccia. Si appoggiò con i gomiti sul
petto di lui, fissandolo negli occhi.
Trystane le sorrise. Lei abbassò
un istante lo sguardo.
“Quando…quando torneremo a casa?” chiese al marito.
Lui sollevò una mano, scostandole
i ricci che erano caduti a coprirle il volto.
“Presto. Molto presto…”
La sua espressione si fece più
seria, ma anche comprensiva.
“You know Dorne. But Dorne has to know you…”
Sorrise, quasi in segno d’incoraggiamento.
“Has to know us…”
Myrcella lo fissò compiaciuta. Aveva ragione. Non avrebbero mai e poi mai potuto
governare delle genti che non li conoscevano, non li stimavano, che non si
fidavano di loro.
Solleticò il petto di lui con la
punta del dito
“And they will know us…”
Note dell'autore:
Perdonate il ritardo, ma come avete
potuto vedere questo capitolo è più lungo del solito e questo, insieme a un po’
di blocco e indecisione, ha allungato i tempi.
Siamo a un nodo abbastanza
importante e…e spero davvero di essere riuscito a scriverlo come l’avevo in
mente, di essere stato chiaro e di non aver scritto qualcosa di troppo
sbilanciato.
Ho deciso di dare una leggera
accelerata alla storia generale, nei prossimi due-tre capitoli progrediremo
ancora parecchio…ma non vi voglio anticipare nulla.
Fatemi sapere cosa ne pensate
di questo capitolo, come avete trovato il POV di Marko. Era da un po’ che
volevo scrivere dal suo punto di vista, sia per avere la libertà di un
personaggio nuovo, sia per delineare meglio il suo rapporto con Aegon.
Spero di esserci riuscito.
Che dire, alla prossima.
E, ovviamente,
long live the lioness.
Luke
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Capitolo 17 *** Capitolo XVII ***
Cap 17
Long live the lioness
"And we’re gonna be alright
Dry your tears and hold tight
Can’t you tell I got news for you
Sun is shining and so are you”
Sun is Shining, Axwell
Giardini
dell’Acqua, tre settimane dopo
Quel profumo...o
meglio, quell’atmosfera…
Casa.
C’era e non c’era
allo stesso tempo, pareva solo qualcosa immaginario e contemporaneamente così
evidente da non poter essere negato. Lo sentiva e non lo sentiva.
Ma in fondo, cosa
importava?
Era a casa. Finalmente a casa. E contava solo e soltanto
quello.
In un gesto oramai
abituale, la sua mano andò a perdersi tra i lunghi capelli dorati.
Attorcigliò una
ciocca attorno al dito, mentre continuava a perdersi tra pensieri finalmente
sereni, distaccati, a tratti anche senza senso né scopo. Ma era proprio questo
che desiderava. E Dorne aveva, aveva sempre avuto, il potere di farle
dimenticare ogni problema, ogni dilemma, ogni questione irrisolta.
Solo lì, solo a casa, poteva sentirsi finalmente così,
spensierata, libera, in pace.
Era così bello essere tornati…
Sospirò.
Tutt’a d’un tratto
tornò a udire le parole degli altri. E i loro discorsi la riportarono alla
realtà.
“Non sai cosa
faranno i Dayne…” diceva una voce, dubbiosa ma misurata e calma.
Quella di Trystane
interruppe bruscamente la frase.
“La stella nera…non è più un problema…”
Abbassò lo sguardo,
riordinando e mettendo a fuoco i pensieri.
“Edric è riuscito a
conciliare le parti. Starfall ci sarà fedele, fino in fondo…”
Il principe Doran
scosse la testa.
“Ti fidi così
ciecamente di loro?”
La voce del marito
si fece ora quasi irata.
“Dèi, se non mi
posso fidare dei miei alfieri…cosa dovrei
fare?”
Appoggiò il pugno
sul tavolino.
“Non possiamo
continuare a vivere nel sospetto, nell’inquietudine…non posso fare come hai fatto negli ultimi vent’anni”
Il padre lo
interruppe.
“Trystane…”
Ma non ebbe modo di
finire la frase.
“Sedersi a un tavolo, sentire le loro
ragioni, discuterci assieme…non apparire come un punto di riferimento vago, non
essere una figura assente, silenziosa, che si chiude in sé stessa, che è troppo
distante, lontana…questo fa la differenza” disse, scandendo le parole.
Puntò un dito sul
tavolo.
“Questo fa la
differenza…mi fido di loro, e loro si
fidano di me”
Doran Martell fu
sul punto di replicare, ma poi…
Si era protratto in
avanti nel dialogo, ma si lasciò ora ricadere sul divano.
Myrcella allungò la
mano, andando a stringere quella del marito.
Forse era stato troppo brusco. Ma del resto quella non
era altro che la verità. La linea politica che il principe di Dorne aveva
tenuto negli ultimi anni era a dir poco…discutibile.
Certo, ciò che i lui, che i Martell avevano subito…ma
quell’isolamento totale, quel silenzio, quel temporeggiamento senza fine erano
davvero eccessivi.
La voce di Trystane
interruppe nuovamente i suoi pensieri.
“Avrò bisogno di
tutto ciò che potranno darmi, di tutto il loro appoggio e aiuto in ciò che si
scatenerà tra poco…”
Solo il pensiero di
cosa stava per dire lo faceva sorridere, sorridere amaramente.
“Hai passato anni
ad architettare piani, mosse, strategie per ottenere ciò che volevi…giustizia…ma non hai mai voluto trascinare Dorne in una guerra”
La voce del padre, quasi gelida, tornò a riecheggiare.
“Cosa vuoi dunque tu?”
Trystane abbassò
per un istante il capo, e tornò a fissare il padre negli occhi. Indugiò per un
istante. Ma poi riprese a parlare con rinnovata sicurezza.
“Mettere Aegon su quel
trono è quello che voglio…ciò che giusto, ciò che è meglio per noi, per Dorne,
per il regno intero. E nemmeno io vorrei maitrascinare Dorne in una guerra
infernale
Rise, una risata amara, quasi folle.
“Ma purtroppo non
c’è altro modo..."
I suoi occhi si strinsero di nuovo in quella determinazione così ferrea.
Il tempo di
temporeggiare e di pianificare è finito…dobbiamo mettere tutto in gioco,
buttarci nella mischia, dare tutto ciò che abbiamo per...”
Non poté finire la frase. La voce del padre venne a sovrastare la sua.
“You…you are right”
Sospirò, un sospiro stanco, amaro, quasi carico di rimpianto.
momento giusto…e ora…”
Scosse la testa.
“Everything is changed”
"Mi guardo intorno, e i nemici che vedo....il mio tempo è oramai passato. Mi guardo intorno e vedo i tuoi…”
Il suo sguardo si soffermò sul figlio e sulla principessa.
“I vostri nemici…”
Abbassò il capo, mentre gli occhi perdevano fuoco.
“This is your time…those are your choices…this is your war”
Cadde un silenzio quasi surreale.
A Trystane non pareva vero ciò che era appena successo. E quel silenzio…non faceva altro che contribuire alla sua incredulità.
Nell’aria della
veranda aleggiava l’aura carica di ciò che era appena successo, e di ciò che
stava per accadere.
Ogni suo muscolo,
ogni suo nervo, ogni suo respiro era teso, irrequieto, incredulo, impaziente. Stava davvero per…
Sentì le dita di
Myrcella sfiorare le sue, per dargli e al contempo cercare sicurezza, per rendersi entrambi conto che no, non
stavano sognando.
Come in un sogno,
vide il padre tornare alla realtà.
Alzò la mano destra
all’altezza del viso, quasi in contemplazione di…
Sorrise,
malinconico e sicuro assieme.
Lentamente, molto
lentamente si sfilò l’anello dal dito.
Lo pose sul palmo
della mano, contemplandolo ancora.
Dopo istanti che
parvero infiniti, allungò la mano verso il figlio.
Trystane se lo
aspettava, era la logica successione
delle parole dette in precedenza dal padre. Eppure il respiro gli si mozzo ugualmente.
Smise di udire, di percepire tutto ciò che c’era intorno. La vista si annebbiò,
tutto tranne la mano che reggeva l’anello, che a ogni istante si faceva più
luminoso e sfavillante, divenne un alone indistinto.
Sentiva riecheggiargli nelle orecchie un fischio, un
ronzio costante, che era allo stesso tempo assordante e lontano. La sua pelle
sembrava diventare più calda ad ogni istante. Quando le sue dita sfiorarono
l’anello, sembrò la cosa più fresca che avesse mai toccato.
Forse ci sarebbe stato
bisogno di parole, parole come “Ora Dorne è tua. Questo onore, ma anche questa
responsabilità enorme è tua.”
Ma quell’anello era
un simbolo, un simbolo potente, chiarissimo, inequivocabile.
E nessuno sentì il
bisogno di usare parole.
Ancora incredulo
Trystane se lo fece scivolare sul dito.
Ciò che
provava…non sapeva se ridere o piangere, se sorridere orgoglioso e felice o
rimanere freddo e impassibile nella consapevolezza del peso di quella enorme
nuova responsabilità.
Sapeva che
ciò che lo aspettava, ciò che li
aspettava, era…
Chiuse gli
occhi, prendendo un lungo respiro. Cercò dentro di sé ogni briciolo di determinazione,
forza, coraggio.
Da tanto
tempo sapeva che quel momento, prima o poi, sarebbe arrivato. Era arrivato a
volerlo con tutto sé stesso, non per sé, non per loro, ma per il padre, per
Dorne. Bisognava cambiare. Cambiare. E
lui, anzi, loro, sarebbero stati l’inizio, ma anche il fulcro di quel
cambiamento. Già, loro.
Tornò a
concentrarsi sul mondo reale, ponendo momentaneamente freno a tutto ciò che gli
ronzava incessantemente nella testa.
Il principe Doran
sporse in avanti, verso il tavolo, scostando il sottile velo che copriva la
piccola scatola.
Le dita indugiarono
tra i lembi delle tasche di velluto della scatola.
Sollevò le mani,
stringendo tra le mani…
Era un cerchio
d’oro sottile, esile, minimalista, spesso pochi millimetri.
Decine, centinaia, forse
migliaia di minuscoli rubini erano stati incastonati nell’oro.
Le era capitato di
vedere quel leggendario simbolo in un paio di occasioni. La tradizione voleva
che fosse il dono fatto dal capostipite dei Martell alla regina Nymeria. Era il
simbolo della discendenza femminile di quella coppia che si perdeva nei meandri
della storia di Dorne. Il simbolo della
principessa di Dorne.
Un raggio di sole investì la corona, che parve brillare
di luce propria. Lame di luce si sprigionarono dal metallo e dalle pietre,
creando uno spettacolo magnifico e quasi abbagliante.
Myrcella capì in un unico istante cosa stava per
accadere. Non poteva dire di non averci mai pensato. L’idea le aveva sfiorato
la mente più di una volta.
Ma non ci aveva mai davvero ragionato troppo sopra.
Pareva sempre qualcosa di così lontano, di così impossibile, una visione tanto
remota da essere irrealizzabile.
Eppure stava accadendo.
Un’emozione
le risalì dentro, la percorse dalla testa ai piedi, divampò in lei come un
incendio senza controllo.
Gli occhi le brillavano.
Il padre appoggiò il diadema sui palmi del figlio.
Trystane alzò lo sguardo. I loro occhi si incrociarono.
Riuscirono quasi a percepire ognuno l’emozione, la
tensione, l’incredulità dell’altro.
Lui le sorrise ancora, un sorriso di felicità pura, un
sorriso sicuro, come per confermarle che
stava tutto succedendo davvero.
Con un gesto lento le pose la corona sul capo.
Già alla vista il diadema d’orato era parso leggero, e
sentirlo tra i capelli non fece altro che aumentare questa sensazione.
Ma capì subito che quel peso, seppur leggero in sé, non
era altro che un simbolo.
Un simbolo di ciò che era, di ciò che erano, ora.
La terra in cui sette anni anni prima era arrivata come
estranea l’avrebbe d’ora in poi chiamata principessa.
La sola idea la faceva andare fuori di testa in tutti i
sensi, la entusiasmava e la terrorizzava insieme, la riempiva di orgoglio e
allo stesso tempo le metteva i brividi.
Senza rendersene conto le sue dita stavano stringendo la
mano del principe. Del suo principe.
Lo sguardo le tornò a fuoco, dopo che aveva passato
attimi, secondi, o magari minuti assorta nei pensieri. Era stata la voce di…di Doran a riportarla alla realtà.
Possibile? Aveva davvero sentito bene?
Con un gesto della mano la chiamò a sé.
Che cosa?
Non credeva ai suoi occhi. Davvero il principe…
Ma il sorriso di lui era davvero sincero.
Si alzò, muovendosi un po’ incerta verso di lui, ancora dubbiosa
e sorpresa.
Arrivò di fronte a lui, incocciando lo sguardo con quello
del vecchioprincipe.
Ma in qualche modo, per qualche strana ragione, le dava fastidio guardarlo così, dall’alto
in basso.
Senza sapere davvero cosa stesse facendo, si inginocchiò
di fronte a lui.
Sostenere uno sguardo con lui era davvero difficile.
Si sentiva in soggezione e allo stesso tempo le veniva da
sorridere.
Il principe Doran le posò le mani sulle spalle.
"Dorne fortunata…è stata troppo, troppo a lungo
senza una principessa”
Si fermò un istante. Il suo volto vecchio e stanco si irrigidì
leggermente, mente gli occhi si perdevano tra ricordi troppo sbiaditi e
consunti per poter essere chiari.
“Mio figlio è un uomo fortunato…fortunato ad avere te al
suo fianco. So benissimo che sotto questo…”
Sollevò la mano, come per indicarla.
“Aspetto
così angelico…si nasconde ben altro…”
Non poté trattenere una leggera risata, che gli riportò
un sorriso sul volto. Scosse ironicamente la testa.
“Lo battevi a Cyvasse a dieci anni…posso solo immaginare
chi realmente governerà Dorne…” aggiunse.
Il tono era sincero, non accettava repliche.
Ma contemporaneamente era anche ironico, scherzoso,
disteso. Non era di certo un insulto o
un’accusa.
Myrcella gli restituì il sorriso migliore che riuscì a
inventarsi, mentre si sentiva…non era
propriamente imbarazzo, ma ricevere tanti complimenti…
La voce di lui tornò a farsi sentire.
“Per me è
come se avere una nuova figlia…”
Lei sentì gli occhi diventare lucidi, mentre la gola le
si stringeva. Provò a dire qualcosa. Ma
di fronte a tanta…a tanta fiducia, tanto…affetto?
Era tutto
così nuovo che…
La principessa si morse il labbro, cercando parole che
erano troppo difficili da trovare.
“Queste parole…mi rendono un grande onore e…”
Il principe Doran fu sul punto di replicare, ma…lei non gliene diede il tempo.
“Io sono stata
fortunata. Fortunata trovare un marito così”
Abbassò il capo, mentre i ricordi le invadevano i
pensieri.
“Mi hanno detto non so quante volte che…che ero nata per
questo. Per essere il sigillo di un’alleanza. E…”
Quei ricordi la fecero sorridere amaramente.
“E in qualche modo
mi avevano anche preparata…preparata ad
un futuro infelice, in una terra lontana, a fianco di un freddo sconosciuto, di
un estraneo a cui importava solo del mio nome”
Scosse la testa, mentre sentiva gli occhi diventare
sempre più lucidi.
“Non dico che ero pronta, pronta a subire, pronta ad accettare qualcosa del genere, ero…non estranea all’idea. Ma mai e poi mai
avrei pensato di poter trovare…ciò che ho
ora.”
Non riuscì più a trattenere le lacrime, che scesero come
due minuscole e perfette perle di cristallo lungo il suo viso.
“Qualcuno
che mi accogliesse a braccia a aperte, qualcuno che davvero tenesse a me e di
cui mi potessi…innamorare”
Si morse ancora il labbro, cercando di sconfiggere la
mano invisibile che le stringeva la gola.
“E non avrei
mai pensato di poter trovare…un posto che sentissi essere, che diventasse…casa”
-
- -
- -
- -
Meereen
“Magia…” disse, mentre le dita giocherellavano
distrattamente con l’elsa di Blackfyre.
“Magia, Daenerys. Il potere dei nostri antenati…”
Sospirò, divertito e serio allo stesso tempo.
“Non si è affatto estinto. Valyria stessa è impregnata di
un qualcosa…di qualcosa di misterioso, ma soprattutto, di incredibilmente
potente…ancora oggi”
Scosse la testa, mentre i suoi occhi d’ossidiana
smettevano di mettere a fuoco e si trasformavano in spirali in cui ci si poteva
perdere.
Tutto quello
che aveva visto…l’atmosfera stessa che regnava là, l’aveva temprato,
rinvigorito, motivato ancora e ancora di più nella sua ferrea volontà, nel suo
disegno, nei suoi piani e progetti per il futuro. Ciò che ancora trasudava da,
a Valyria aveva un potere straordinario. L’aveva aiutato enormemente, eppure,
era tanto misterioso e potente che lo affascinava e lo intimoriva allo stesso
tempo.
“Hai visto gli effetti su Rhegal…” aggiunse, tornando a
guardare la regina.
“È cresciuto in maniera incredibile…” disse lei,
distaccata, mentre mille ricordi del suo drago verde tornavano ad affiorare
nella sua mente.
“Daenerys…” continuò lui, sospirando.
“Quando…quando volo su di lui…”
Si fermò un istante, cercando le parole per esprimere ciò
che sentiva. Ma non ce n’erano di adatte.
“Solo in quei momenti…mi
sento davvero vivo, davvero completo, davvero me stesso…sento come se tutto il
resto non avesse senso…”
Parlarne era davvero difficile, quasi impossibile.
Daenerys lo guardò sorridendo. Sapeva benissimo quello che lui stava provando a descrivere.
“Aegon…è quello per
cui esistiamo. Fare questo, i draghi stessi…sono parte di noi...”
Indugiò un istante, mentre centinaia di ricordi e
pensieri le bombardavano la mente.
“It’s what we are born for…”
Forse ci sarebbe stato bisogno di alter parole, ma loro
non ne avevano più. Non avevano più la forza per dirle, o forse…non gliene
servivano altre.
Rimasero in silenzio, uno a fianco all’altra, a guardare
il sole sprofondare nel mare del tramonto, raggiungere
le terre del tramonto.
Presto lo avrebbero seguito in quel viaggio a occidente…
Aegon sorrise malinconicamente. Era paradossale, quasi ridicolo,
che stessero mettendo in gioco tutti loro stessi, tutte le loro certezze per
riprendere ciò che era loro, per conquistare una terra che…che non conoscevano, di cui non avevano alcun ricordo.
Questi pensieri gli fecero tornare in mente un…un dubbio, una domanda, una questione che
fino ad allora era riuscito ad evitare, ad accantonare.
Ma ora non riusciva a mettere da parte quel pensiero.
Daenerys percepì la sua inquietudine.
Gli prese la mano, pronta a chiedere cosa non andasse.
Lui però la precedette.
“Mi stavo chiedendo…se
ce la facessimo, cosa…”
Abbassò lo sguardo, ancora incerto se condividere o meno
quel dubbio con lei. Ma non poteva
portare quel peso ancora da solo, voleva…la sua opinione, voleva porre fine a
quel dubbio.
“Cosa
succederà dopo? Cosa…cosa faremo?”
Socchiuse, gli occhi, cercando le parole migliori. Ma lei
lo precedette.
“So cosa vuoi dire Aegon…”
Si avvicinò a lui, prendendogli una mano tra le sue.
“So che quando…riavremo
ciò che ci spetta…”
Incrociò lo sguardo con quello di lui, catturandolo
magneticamente.
“Sono pronta a…a
perseguire la tradizione. A mandare avanti la stirpe dei draghi.”
Indugiò per un solo istante.
“Sono pronta a
essere…la tua regina”
Gli occhi di Aegon avevano perso ogni traccia di
resistenza, di dubbio.
Erano completamente concentrati su di lei, e trasparivano
la fiducia e l’abbandono totale a lei che pervadevano il principe.
Sembrava
quasi un bambino…
Daenerys sorrise.
Senza davvero volerlo, si perse in quegli occhi, in
quegli oceani violetti e d’ossidiana e…
Era da tantissimo
tempo che non pensava a…a come sarebbe stato essere la regina avendo…avendo un
altro drago al suo fianco.
Del resto,
era stata sola, dannatamente, immensamente sola per così tanto tempo che…
Certo,
quando ancora Viserys era vivo…si era ritrovata a pensare a quello ben più di
una volta. Ma erano pensieri così astratti, così lontani, così sfuocati e
irraggiungibili che…che non ci aveva mai creduto troppo. E poi, era soltanto
una bambina al tempo.
“Daenerys…” sussurrò Aegon con un filo di voce.
Lei rialzò lo sguardo, avvicinandosi leggermente a lui.
Il principe, senza davvero ordinarlo al suo corpo,
abbassò il capo verso di lei.
Si avvicinò al suo volto, mosso da qualcosa che non era
precisamente la sua volontà. O forse, sì.
Arrivò a pochi centimetri da lei e…non si era mai sentito così impacciato. Aveva ripetuto quel…quel gesto
centinaia, forse migliaia di volte. Eppure ora…
La regina comprese…dove
lui volesse arrivare. Chiuse gli occhi.
Aegon le sfiorò timidamente le labbra. Fu leggero, e solo
per un breve istante. Ma bastò a
entrambi.
Daenerys lo sentì scostarsi. Tenendo gli occhi chiusi, si
appoggiò al petto di lui.
Sentì una mano del principe posarsi sulla nuca, e l’altro
braccio avvolgerle la schiena. Si strinsero l’una all’altro, drago contro drago.
Il principe si sentiva…beh, c’era stato tanto caos fino
ad allora nei suoi pensieri. Quel dubbio, quell’incognita di cosa sarebbe
accaduto una volta ripreso il trono…l’aveva tormentato fin troppo a lungo. La
sola idea di doverla costringere a…no, non riusciva nemmeno a concepirla.
Come avrebbe potuto essere un re rispettato, giusto, che
ispirava fiducia, a cui tutti obbedivano senza esitare, se lui stesso aveva
sposato una donna contro la volontà di lei?
Sospirò. Era stato davvero orribile avere quel pensiero
in testa per così tanto.
Ma ora
finalmente Daenerys aveva fugato ogni suo dubbio.
C’erano ancora tante emozioni, tante sensazioni, domande,
che si rincorrevano nella sua mente…per
quello che era appena successo.
Ma al contempo, sentiva dentro di sé una sorta di pace,
di calma, di sicurezza ritrovata.
Sfiorò con il mento la fronte di lei, sentendo i suoi
capelli argentei solleticargli il collo.
In quei mesi aveva sentito tante, forse troppe opinioni,
valutazioni sulla regina. E molte contrastavano fra loro. Chi la vedeva giusta
e compassionevole, altri spietata e assetata di sangue come i suoi draghi.
Ma di certo nessuno osava negare che…che fosse veramente bellissima.
Era il suo, il
loro, sangue valyriano a determinare quei lineamenti, quei capelli, quegli
occhi, quell’aura, quell’atmosfera così regali, così sovraumani, così unici.
Di certo non era una donna che ti lasciava…indifferente.
Non poteva
negare di essere attratto da lei. Ma chi lo poteva negare?
Per il resto però…non sapeva come definire ciò che
sentiva per lei. Era ancora qualcosa di strano, di indefinito…non era debole,
questo no. Teneva a lei, ma in un modo nuovo, a lui sconosciuto…le voleva bene come…come se fosse una
sorella.
Il solito sorriso malinconico tornò ad allargarglisi sul
volto.
Cosa ne
sapeva lui per definire così ciò che provava? Poi era tutto ancora così
confuso…
Ma forse col tempo...forse col tempo le cose sarebbero
cambiate.
Forse sarebbe persino riuscito a…ad amarla.
Mentre non credeva di starci davvero pesando, tornò a
udire la voce di lei.
“Ho pensato per tanto tempo che…che sarei diventata la regina di Viserys”
Daenerys sorrise amaramente.
“Lui…mi ha cresciuta nell’ottica di…”
Sospirò.
“Di essere una regina, una moglie…sottomessa in tutto…”
Aegon la interruppe, con tono deciso, quasi arrabbiato.
“Non ti obbligherò
mai, mai a essere così, sottomessa, subordinata a me in tutto”
Le strinse con forza le mani tra le sue.
“Se vorrai, potrai esserlo ma…ma vorrei tanto una regina,
una compagna, una moglie che possa essere un sostegno, un aiuto, una motivazione
che mi faccia andare avanti”
Lei annuì, senza aggiungere altro.
Il principe sorrise, malinconico e divertito insieme.
“Conquistare i sette regni sarà uno scherzo in confronto
a ciò che ci aspetta dopo…”
Daenerys ricambiò il suo sorriso.
“Non sarebbe meglio cominciare allora?”
Lui abbassò per un istante lo sguardo.
“Hai ragione”
disse.
Aegon tornò a guardarla negli occhi.
“Presto Westeros
tornerà a conoscere i draghi…”
Note dell’autore:
ok, non so come scusarmi per questo ritardo. Davvero
pardon, ma sono strapreso da mille cose e oltre al tempo mi è mancata anche un
pelo la voglia di scrivere.
Ma ora eccomi qui.
Spero che questo capitolo possa essere una consolazione
adeguata.
Ho dovuto fare una transizione, ma ho comunque voluto
inserire elementi importanti.
Sono stato molto molto simbolico, nella prima parte
soprattutto, spero si sia capito ciò che volevo trasmettere: il tempo di Doran
è oramai finito, e lui in primis se n’è accorto, e lascia ora spazio al figlio
e a Myrcella.
Come ho detto, ho usato questi simboli, quali l’anello e
la corona per trasmettere proprio “fisicamente” il passaggio tra il vecchio e
il nuovo.
Forse ho esagerato con questo simbolismo, ma mi pareva il
modo migliore e più originale per descriverlo.
Per il resto…allora, so già che molti si staranno facendo
film mentali su Daenerys e Aegon. Chiarimento: come spero si sia capito Aegon
non è assolutamente sicuro di ciò che sente per lei, e la cosa è reciproca.
Non è un’altra coppia perfetta, non per ora almeno.
Sono entrambi però consapevoli che essendo dei Targaryen
se riusciranno a riprendere il trono dovranno per forza perseguire le
tradizioni.
Spero di essere stato chiaro, e che il capitolo vi sia
piaciuto.
Come al solito lasciatemi qui sotto tutte le vostre
opinioni, per me è davvero importantissimo sapere cosa ne pensate.
Concludendo, mi sto dannando per una foto caricata
dall’attrice che interpreta Myrcella…ebbene, foto di tipo un camerino con tanto
di nome sopra. Ora, o è una foto vecchia delle riprese della quinta stagione e quindi si sta divertendo a perdere tutti in
giro, oppure…beh sapete bene quanto spero sia ancora viva. Ma in Benioff e socio ripongo davvero poca speranza.
Ho scritto fin troppo.
Alla prossima
E ovviamente, long
live the lioness
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Capitolo 18 *** Capitolo XVIII ***
Cap 18
Long live the lioness
“There's no fate but what we make for
ourselves”
John Connor, Terminator
Roccia del Drago, un mese e mezzo dopo
La nebbia aleggiava
dappertutto, copriva, offuscava ogni cosa, creando un’atmosfera magica, quasi
spettrale, soprannaturale. Quel fumo biancastro era allo stesso tempo
impalpabile e tanto spesso e pesante da poter essere toccato, raccolto, fatto
scorrere fra le dita e…annusato,
assaporato…
Un sapore acre,
salato, sulfureo…eppure…aveva un che di…che
metteva in soggezione, che infondeva un senso di piccolezza, che trasmetteva
potenza e…
Quella
nebbia…pareva trasudare dalla roccia stessa, come se fosse…il respiro della terra.
Il vento soffiava
forte, sibilava prepotente tra i faraglioni, le scogliere, i vulcani. Era potente, gelido.
Ma lei, protetta
nell’anfratto tra le due alte e nere statue dei draghi, non sentiva freddo. Forse
era quel fumo, quel respiro dell’isola, a
tenerla calda…
Intrecciò le dita
in grembo, facendo scivolare le mani nelle maniche del vestito.
Sospirò, lasciando
che il suo sguardo si perdesse sull’orizzonte oltre le onde del mare in
tempesta. Le creste bianche dei cavalloni si infrangevano con violenza contro
le nere scogliere a picco sulla baia, in un’eterna lotta tra la terra e il
mare.
Tutto ciò non avveniva in silenzio. Il rumore di tutto
ciò...chiudendo gli occhi e affidandosi solo all’udito, si percepiva comunque
appieno tutta la potenza di quella lotta.
Il rombo potente
delle onde, l’urlo del vento…
Eppure tutto questo rumore aveva un che di…confortante.
Aiutava quasi a pensare, a perdersi fra ricordi e idee.
Un fruscio dietro
di lei la distolse dai suoi pensieri.
Non fece nemmeno in
tempo a voltarsi.
Sentì due mani
posarlesi sulle spalle. Non ebbe bisogno di vederlo. Sapeva che era lui. L'aura
che il giovane drago portava sempre con sé era inconfondibile.
Non si guardarono
nemmeno, non si parlarono nemmeno. Eppure, dopo un istante solamente, si era
già creata tra loro un’atmosfera perfetta, come se fossero lì da ore.
In modo surreale,
quasi ironico, sospirarono all’unisono. E non poterono fare a meno di
sorridere.
“Quanto…quanto è
passato?” chiese, lui, rompendo finalmente quel silenzio surreale. La sua voce
era distesa, nostalgica, quasi stanca…e
malinconica.
Lei si voltò,
facendo per parlare.
Si ritrovò faccia a
faccia col principe. Dèi, se ne era
passato di tempo.
Alzò lo sguardo.
Il volto di lui la
colpì esattamente come la prima volta.
I lineamenti
regali, i capelli argentei che ricadevano lunghi fino al collo coprendo in
parte le guance, e quegli occhi, quelle perle viola scuro, tenebrose e luminose
allo stesso tempo, specchi sull’anima, sulla natura malinconica del principe.
E quel sorriso…era inconfondibile. Unico. Racchiudeva in sé…malinconia, calma, poesia, amarezza,
serenità…e quante altre cose ancora.
I capelli
ricadevano sulle spalle larghe e distese, coperte da pesante mantello lungo
fino a terra. Da quest’ultimo, all’altezza della vita, sporgeva la massiccia e
regale elsa di Blackfyre, monito inequivocabile che ricordava che, nonostante
tutta quella calma, tutta quella serenità, tutta quella bellezza, si stava
combattendo una guerra.
Tutto d’un tratto
le tornò in mente che lui le aveva fatto una domanda.
Nel concepire la
risposta, scosse la testa, incredula a ciò che aveva appena realizzato.
“Quasi…quasi un
anno” disse lei con un filo di voce.
Aegon fu
altrettanto stupito e, nel rendersi conto che era effettivamente vero, quasi
contrariato di quella risposta.
“Un anno” rispose,
con voce lievemente nostalgica “È successo così tanto…”
Scosse la testa,
abbassando per un istante gli occhi. “Ma ciò che è più importante deve ancora
accadere…”
Si fermò qualche
istante a guardarla, a soppesarla come anche lei aveva fatto.
“E dèi, non pensavo
fosse possibile ma…sei diventata ancora più bella…”
Myrcella abbassò
leggermente il capo, sorridendo e arrossendo lievemente insieme. Era qualcosa
che le veniva meccanico, reagire così ai complimenti.
Sentì nuovamente le
mani del principe posarlesi sulle spalle.
Riportò a fuoco lo
sguardo su di lui.
I palmi di Aegon
però non rimasero fermi. Li sentì scendere lungo le braccia, strusciare sul
velluto rosso, la presa delle dita poi allargarsi leggermente.
Sussultò nel
percepire i pollici di lui sfiorarle lentamente il seno.
Per qualche motivo
in un’inconsapevolezza leggerezza lei lo lasciò fare. Forse perché si sentiva
in quel modo, forse per la situazione che si era creata, forse per
quell’atmosfera unica e surreale… Forse
perché era Aegon. Se fosse stato qualcun altro…
Intanto le mani di
lui erano scese fino a stringerle i fianchi, e lo sguardo del giovane drago era
paralizzato su di lei. Myrcella lo fissava negli occhi e riusciva quasi a
carpire ciò che passava per la testa di lui.
Per un paio di
secondi, o forse decine di minuti, rimasero così, come pietrificati.
“Mi sei mancata…”
disse lui con un filo di voce.
Ricadde un breve
silenzio, rotto solo dal fischiare incessante del vento.
La principessa era
sorpresa, in positivo, di ciò che stava accadendo. Trovare un Aegon così…beh,
l’aveva stupita, ma ne era felice, colpita, quasi…affascinata. Ma proprio
questo nuovo atteggiamento del giovane drago le accendeva qualcosa dentro, le
faceva nascere un dubbio, che si faceva sempre più incessante. Che lui si fosse… No, no, sarebbe stato
troppo assurdo. Ma allora perché? Perché tutto questo?
Non sapeva davvero
come decifrare il comportamento del principe, non riusciva a interpretarlo e
questo la rendeva insicura su come porsi.
Voleva dire
qualcosa, ma qualsiasi cosa che le veniva in mente le sembrava…inadeguata. Queste parole però le
vennero da dentro, e nonostante l’incertezza, non si poté trattenere dal pronunciarle.
“Ora…ora sono spostata”
Sorrise
ironicamente.
“Guardandomi così…rischi di perdere l’alleanza con Dorne…”
La reazione di lui
fu… Forse lei vide le cose più lentamente di come effettivamente accaddero,
ma…per un instante interminabile Aegon rimase immobile, come se fosse stato
completamente preso alla sprovvista, come
se non avesse nemmeno tenuto in conto che lei arrivasse, anche ironicamente, a
insinuare una cosa simile. Insinuare oppure…scoprire?
Il principe annaspò
per qualche secondo, provò a controbattere ma…qualsiasi risposta provasse a
formulare, pareva giusto un istante dopo alla sua mente troppo azzardata, sembrava
portalo a muoversi in un territorio troppo pericoloso, a scoprire troppo le
carte. E poi...anche ciò che sentiva, ciò
che era maturato durante tutti quei mesi ripensando a lei, che aveva prevaricato
il suo solito io prudente dal momento in cui l’aveva rivista…questa sensazione
non gli era esattamente chiara…e nonostante questo sentimento ancora indefinito
avesse così tanta forza su di lui, non aveva mai nemmeno pensato seriamente di
mettere tutto in gioco per questo… ”Per questo cosa Aegon?” si urlò
mentalmente. “no, no, no” si ripeté
con forza “cosa pensi di fare? Ciò che
senti…dèi, e anche se fosse davvero…anche se tu fossi davvero…cosa pensi di
fare? Cosa vuoi fare? Non potresti mai e poi averl…”
Prese un lungo
respiro. Non era assolutamente il momento di pensare a quello. Avrebbe dovuto
riflettere su questo…nuovo sentimento più
tardi. Aveva già un milione di problemi che richiedevano di essere risolti e
non c’era di sicuro bisogno di crearne degli altri per…per cosa poi? Perché sentiva qualcosa…
No, non si sarebbe
mai e poi mai comportarsi così. Non era giusto già di per sé, figurarsi se lui,
legittimo re, avesse compiuto una prevaricazione del genere, nei suoi, nei loro, confronti. “Ma mio padre…” No, no, no. Questi
pensieri erano…pericolosi. Dannatamente
pericolosi. Di certo prevaricazioni compiute nel passato non lo
autorizzavano, anzi. Ciò che aveva fatto suo padre…era un chiaro, chiarissimo monito. I draghi erano caduti per…per la
follia in cui lui si era lanciato.
E no, non avrebbe
commesso un errore simile.
Messi a tacere,
almeno per il momento, quei pensieri che tanto lo turbavano, si accorse di
dover rispondere.
Sospirò.
La principessa era
stata ironica. Quale modo migliore di quello per controbatterle?
Myrcella lo vide
tornare a sorridere, sempre carico di quella sua unica malinconia. C’era però
qualcos’altro. Qualcosa di nuovo. Lui era tornato a guardarla con dipinta sul
volto…sfida?
Ma…ma credi che…credi che sarei
disposto a farlo?” chiese il principe con tono carico, graffiante e…ironico? Ma lo era davvero?
Per un
interminabile istante Myrcella si sentì gelare. Per un infinito e agghiacciante secondo pensò che…che non stesse
scherzando.
Aegon, sforzandosi
ancora e ancora di lasciare da parte quei pensieri, provò ancora a rimanere
solo ironico. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa, e distogliendo finalmente
lo sguardo.
Lei si sentì
incredibilmente sollevata, liberata da quel dubbio…no, non voleva nemmeno pensare a come definirlo.
Anche se…nella risata di lui c’era qualcosa di…di
strano. Era quasi amara, come…come se non fosse sincera. Come se lui pensasse
davvero ciò che aveva detto. Come se lui… No. Non era possibile. Aegon che… Le
faceva quasi paura pensarlo. Ma nonostante ciò…non riusciva a convincere
appieno sé stessa che stesse davvero scherzando e…
Tornò a guardarlo,
e vide il solito sorriso malinconico.
E tutto d’un tratto
si chiese perché si stava facendo tanti problemi, tante domande.
Aegon era cambiato,
non poteva negarlo, ma se davvero ciò che le pareva di aver colto era vero…beh, lui l’avrebbe mostrato apertamente.
Certo, sarebbe stato folle e…impossibile da realizzare
ma…era sicura che lui non lo avrebbe gliel’avrebbe nascosto. Se il principe avesse
provato davvero ciò che lei pensava, se fosse stato davvero sicuro di provarlo,
gliel’avrebbe rivelato.
Sbatté le palpebre
come per tornare alla realtà dopo tutti quei pensieri nei quali aveva
finalmente messo ordine.
Aegon se ne
accorse, e tornò a parlare.
“Basta parlare di noi. Sei, siete, qui per un motivo…”
Sospirò, come per
dare solennità alla frase.
“Sei pronta a
vedere come i Sette Regni cambieranno?”
Che domande…certo.
Era lì per quello. Erano tutti lì per
quello. Come il suo antenato, Aegon aveva riunito i suoi, seppur poco
numerosi, alleati nella fortezza dei Targaryen, per progettare in ogni dettaglio
l’invasione e spartirsene a tavolino i frutti.
Tanto, tantissimo
potere, potere presente ma soprattutto futuro, era raccolto in concilio lì…a due passi dalla meta finale.
Era quasi
paradossale…Approdo del Re e i Tyrell erano così vicini, ma del tutto ignari
che a poche decine di miglia da loro un nuovo conquistatore della stirpe del
drago stava preparando una guerra per spazzarli via.
Ma questo paradosso
era…fantastico. Solo pensarci la faceva sorridere.
Già, Approdo del
Re.
Una città che in
quel momento era completamente in mano alle rose.
Era stata la scelta
migliore, ed era anche l’unica via sensata.
Dopo che Tommen era
stato mandato a Vecchia Città e lei e Trystane tornati a Dorne, tutta la
delegazione del leone aveva fatto ritorno a Castel Granito. Avevano dominato la
capitale per quasi vent’anni e ora la lasciavano nelle mani del nemico. Ma era
meglio così. Sua madre sarebbe stata più al sicuro, il potere totale avrebbe
accecato ancora di più i Tyrell e, insieme alla mole enorme di lavoro che il
governo del regno richiedeva, li avrebbe resi totalmente ciechi e incapaci di accorgersi
e di scoprire le trame del principe del drago.
E poi con i
Lannister e i Martell così mansueti e sottomessi nelle loro terre, nessuno
avrebbe mai sospettato che le due casate stessero preparando una guerra insieme
ad un nuovo conquistatore Targaryen.
“Che la puttanella si goda per un po’ quel trono…” pensò. Ben presto la giustizia spietata del drago si
sarebbe abbattuta sulle rose, che avrebbero pagato per tutto ciò che avevano
fatto…che le avevano fatto.
Sospirò, quasi
soddisfatta.
All’improvviso si
rese conto di non aver ancora risposto alla domanda del principe.
Annuì con il capo,
senza aggiungere altro.
Lui sorrise, con la
solita malinconia. Lasciò passare qualche istante prima di rompere nuovamente
il silenzio.
“E mio cugino? È
pronto?” chiese, con un pizzico d’ironia velata. Il tono della sua voce
era…lasciava la domanda come in sospeso, generale, indefinita. E aveva un
pizzico di…malizia.
“Pronto per cosa?”
rispose lei, presa in contropiede.
“Lo dovrei sapere
io? Non sei tu quella che lo…conosce
meglio di chiunque altro?”
Myrcella abbassò lo sguardo, divertita e imbarazzata
assieme. Mentre metteva insieme una risposta, mandò le sue dita a perdersi tra
i capelli.
“È pronto
Aegon…pronto a seguirti fino alla fine. Siamo
pronti a seguirti fino alla fine. Qualunque essa sia.”
QQuesto“Questo è ciò che vuole?” le chiese,
come rinvigorito, rafforzato dalla sua risposta.
La principessa
annuì.
“Sì. È ciò che vuole” rispose, con limpida
sicurezza.
Il giovane drago
sorrise maliziosamente. I suoi occhi viola erano finalmente puri, sinceri,
spensierati.
“Non lo metto in
dubbio…ma scommetto che voglia più qualcos…qualcun
altro…”
Lei abbassò il
capo, arrossendo leggermente.
“Diciamo che…vinceresti questa scommessa.”
Aegon sospirò.
“Ciò che si è
creato tra voi…mi sembra così incredibile, così speciale, così…perfetto” aggiunse, mentre pensieri,
ricordi dimenticati, anzi, messi da parte per troppo tempo tornarono ad
affiorare nella sua mente. Con Alys…era
stato così. E…no, no, no. Si era promesso di non pensarci più.
“Vorrei davvero poterlo
trovare con Daenerys…o con Arianne…”
Myrcella sentì
quelle parole risalirle dal cuore. Parlò d’impulso, con una sincerità che le
veniva da dentro.
“Sono sicura
che…che ce la farai, che ce la farete, Aegon…del resto noi…”
Sospirò, mentre in
le tornavano in mente tanti momenti unici, bellissimi, che parevano ora così
lontani, così passati.
“Noi…quante
probabilità avevamo di innamorarci?”
Sorrise nostalgica,
stringendosi le mani in grembo.
“L’ha voluto il destino…” concluse, quasi
sentenziando, mentre nella sua memoria i ricordi continuavano a fluire.
Per un
interminabile istante il silenzio assoluto regnò tra le gigantesche statue dei
draghi. Ma poi…
La reazione di
Aegon fu…forte.
Le prese le mani
tra le sue e parlò con decisione, sicurezza, ma anche comprensione
“Destino…predestinazione…”
Scosse la testa.
“Sono solo fantasie. Il futuro non è scritto Myrcella” le disse, scandendo le parole.
La guardò negli
occhi, come a volerla guidare.
“Io stesso ero
convinto che il mio sangue, il mio nome, la mia discendenza mi dessero il
diritto di regnare. Che il mio destino
fosse quello, che fosse già stato scritto in partenza e che…beh, che in quanto
tale si sarebbe prima o poi compiuto da solo.”
Si morse il labbro,
come se provasse tenerezza per quel vecchio sé stesso così stupido, o meglio, ingenuo.
“Aegon il Conquistatore
e le sue sorelle non avevano alcun diritto sul Continente Occidentale. Eppure
per trecento anni la loro stirpe lo dominò, fino
a che fu sufficientemente forte per farlo. Si conquistarono, si costruirono da soli, col fuoco e col
sangue, il loro destino.”
Dopo tanta
convinzione, energia e passione la sua voce tornò a distendersi, solenne.
“L'unico destino è quello che ci creiamo con
le nostre mani.”
La principessa
rimase per qualche istante stupita, sconvolta, ammutolita. Ma la frase del
principe le risuonò ancora e ancora in testa.
E gradualmente,
ripensando a quelle parole, ripensando a ciò che era successo e ciò che doveva
ancora succedere, ripensando alla sua stessa vita si convinse sempre di più
che…
Aveva ragione.
Tornò a sorridere
mentre annuiva leggermente.
Sentì la mano di
Aegon sfiorare le sue dita. Ricambiò istintivamente la stretta.
Il principe la tirò
a sé, cingendole con il braccio la vita.
Myrcella sorrise di
nuovo, lasciandolo nuovamente fare, mentre entrambi, inconsapevolmente, si
avvicinarono al parapetto.
La sera stava scendendo
e di lì a poche ore tra le mura della rocca il drago e i suoi alleati avrebbero
steso i piani finali.
Ma lì, insieme,
guardando quello spettacolo, quella natura tanto selvaggia quanto magnifica,
riuscivano incredibilmente a ignorare tutto ciò, tutto ciò che di oscuro e di
tragico doveva ancora accadere.
- - - - - - -
Nord. Ovest. Est. Sud.
C’erano tutti.
Tutti dipinti su quel tavolo.
E attorno a quel
tavolo erano raccolti…
Coloro che
avrebbero dominato il nord, l’ovest, l’est, il sud…
Se avessero vinto, ovviamente.
Nonostante fossero
passati più di trecento anni, la gigantesca mappa dei sette regni era ancora in
stato perfetto. Coste, pianure, fiumi, strade, foreste, città, golfi, montagne,
laghi, fortezze. Tutto era ancora straordinariamente nitido, dettagliato,
preciso.
Lo sguardo le cadde
subito sulla capitale.
L’unica variazione
nella mappa era stata apportata proprio in quel punto, per volere di Re Maegor
I.
La Fortezza Rossa
era riprodotta imponente e magnifica in cima all’alta collina di Aegon, mentre
sulla sommità di quella intitolata a Rhaenys si erigeva ancora una piccola
cupola, ad indicare l’ormai leggendaria Fossa del Drago, il luogo in cui i
Targaryen crescevano e custodivano i loro draghi.
Istintivamente il
suo sguardo dalla capitale si spostò a nord est, verso Braavos e da lì verso sud,
verso Dorne.
Quello era stato un
lungo viaggio. Ma nonostante ciò, ne ricordava davvero poco. Forse perché erano
passati sette anni, forse perché durante quel viaggio…aveva decisamente pensato
ad altro. Tutto d’un tratto, quei pensieri le riemersero nella memoria. “Stai facendo il tuo dovere.” Quante
volte se lo era ripetuta? “Anche se ti fossi
opposta, sarebbe accaduto lo stesso.” Scosse la testa. Parole che le
avevano messo in testa, e che da lì non erano più uscite. Ma queste non erano di
certo state sufficienti a placare i suoi dubbi. Anzi. Certo era il suo dovere, era ciò a cui era destinata ma…ma queste spiegazioni, seppur forti, non
potevano certo bastare a una bambina.
Nonostante tutto,
non aveva pianto. Non molto, almeno da quanto si ricordava. Forse perché aveva
finito le lacrime, forse perché non aveva semplicemente senso. Era stata giorni
interi a guardare il mare, con gli occhi persi nel vuoto, spenti, mentre nella
sua mente si succedevano domande troppo grandi perché lei potesse dargli una
risposta, ma soprattutto paure, insicurezze, nostalgia di ciò che aveva
lasciato. E ciò che l’aspettava…ne era impaziente e timorosa assieme. Era una bambina,
ma non era di certo cieca. Si ricordava perfettamente come suo fratello aveva
trattato la giovane Stark, la sua
promessa sposa.
Ma per fortuna poteva dire che per lei non era andata
così, anzi.
Si era prima
innamorata di Dorne, e poi…
Istintivamente girò
il capo verso…verso di lui…
Cercò la sua mano,
e trovandola intrecciò le sue dita con quelle di lui.
Trystane le
sorrise, ricambiando la stretta.
Come si erano detti
tante volte, avrebbero affrontato questa sfida insieme.
Un cigolio della
porta la distolse dai suoi pensieri.
Il principe fece il
suo ingresso, con sul volto un’espressione pensosa, distaccata e anche leggermente
provata, stanca.
Immediatamente
tutti i discorsi che i presenti stavano intrattenendo sottovoce tra loro cessarono
e il silenzio assoluto cadde nella sala.
Il giovane drago si
avvicinò al gigantesco tavolo dipinto, prendendo in mano una sottile asta
d’avorio che era appoggiata al bordo.
Si prese un paio di
secondi per radunare le idee, sbatté le palpebre ripetutamente, come per
svegliarsi, e poi prese la parola.
“Penso non ci sia
bisogno di convenevoli. Sappiamo tutti perché siamo qui e qual è la posta in
gioco.”
Per un istante si
fermò a raccogliere gli sguardi di approvazione e assenso da ogni parte della
sala.
“Io e Marko abbiamo
trascorso notti, giorni, settimane a preparare questo…piano, se così lo
possiamo chiamare. Siamo tornati tante volte sui nostri passi, abbiamo
soppesato ogni aspetto, abbiamo valutato le reazioni più probabili, riunito
informazioni ottenute da nostri inviati in tutti i sette regni.”
Prese un lungo
respiro, quasi a voler dare solennità al momento.
“E siamo giunti
alla conclusione che un attacco frontale porterebbe a ben poco, anzi. Abbiamo
deciso che la guerra si scatenerà prima ancora che io metta piede nel
continente. E che fino alla fine terremo da parte la nostra arma più temibile.”
Lasciò spaziare lo
sguardo su tutto il tavolo.
“Da Dorne alla
Barriera moltissimi lord, cavalieri, persone comuni sono insoddisfatti della
situazione attuale. Il popolo soprattutto rimpiange i tempi dei miei antenati, mentre
i lord mal tollerano il governo dei Tyrell.”
Il suo sguardo ora
passò in rassegna tutti i presenti.
“Voi stessi siete
qui presenti per questo motivo. Il malcontento sarà la chiave dell’inizio di
questa conquista. E il nord è la chiave del malcontento.”
Dicendo questo,
rivolse un’occhiata al fratello, facendo un passo indietro.
Jon gliela restituì
e prese la parola.
“Il Nord è stanco.
Stanco di essere dominato da burattini del sud. E il nord non dimentica. Non ha dimenticato ciò che i Bolton hanno
fatto. Il vaso è a un passo dal traboccare…”
I suoi occhi
andarono a cercare i rappresentati del nord venuti con lui.
“Propositi e
progetti di ribellione si fanno sempre più frequenti alle corti di tutti i
lord. Non accettano di essere oppressi e governati da empi traditori. E poi…”
Si fermò un
istante, fissando con occhi vuoti e pensierosi il tavolo dipinto.
“Ci deve
essere sempre uno Stark a grande inverno…”
Dicendo questo
rimase come incantato, con lo sguardo perso, mentre mille ricordi riaffioravano
alla sua memoria.
Aegon lo guardò, e
vedendolo così, riprese la parola con decisione.
“Sfrutteremo
appunto questo malcontento. Dovrai muoverti in fretta, ma comunque con cautela
e soprattutto nel segreto più assoluto…convincere gli alfieri stanchi, i clan
delle montagne, la gente comune. Raccogliere attorno a te quanti più soldati
possibili. Quando attaccherai Grande Inverno…”
Tornò a puntare l’asta d’avorio verso il
tavolo.
“Ramsay è troppo
arrogante e borioso per chiudersi in un castello ad aspettare i rinforzi. Ti
attaccherà. Ma il grosso dell’esercito dei Bolton è già a svernare a Forte
Terrore. Le sue forze non saranno in grado di competere con le tue in campo
aperto.”
La sicurezza con
cui parlava, il carisma che le sue parole trasmettevano erano straordinari.
“Dopo averlo
battuto sul campo, prenderai con facilità la fortezza. Farai riparare lì tutte
le tue truppe, mentre ne recluterai quante più possibili a est e ovest.” continuò,
indicando con l’asta il territorio limitrofo a Grande Inverno.
“A questo
punto…beh, sarà inevitabile che la corona si muova. Soprattutto dopo che tu ti
dichiarerai re del nord, richiamando la legittimità Stark e ciò che aveva fatto
tuo cugino Rob. I Tyrell agiranno, ma sicuramente non in prima persona.
Manderanno un comandante, probabilmente un cavaliere della guardia reale, a
radunare un esercito nelle terre del Tridente che andrà a congiungersi alle
forze di Forte Terrore. Pronti a sedare
ciò che sembrerà loro solo l’ennesima ribellione…”
Sul volto di Aegon
comparve un ghigno compiaciuto.
“Ma tu e Howland
farete in modo che tra l’Incollatura e Grande Inverno trovino solo terra
bruciata. E quando, congiuntisi coi Bolton, giungeranno vicini alla fortezza…”
Batté il bastone
sul tavolo.
“Li attaccherai. Tu
da nord con tutte le forze raccolte e Howland Reed da sud, con gli uomini
dell’Incollatura, di Porto Bianco e delle terre adiacenti. Si troveranno tutt’ad un tratto tra l’incudine e il martello.”
Lo sguardo di lui
si fece ora ancora più concentrato.
“Dubito che i
nemici saranno più numerosi di voi, e comunque avrete la sorpresa dalla vostra.
Sconfitti i Bolton, avanzerete poi verso sud, arrivando appena a nord del
Tridente. Voglio però che vengano lasciate guarnigioni a controllare il nord. Diciamo come incentivo alla fedeltà.”
Si scambiò un’occhiata
d’intesa con Jon.
“I Tyrell dovranno
allora muovere il loro stesso esercito…da Approdo del Re ma soprattutto
dall’Altopiano…marceranno a nord, per congiungersi con le forze della Valle e
con quelle rimanenti delle Terre dei Fiumi. E a questo punto…”
L’asta si spostò
all’improvviso, sorvolando mezzo continente e arrivando alle Montagne Rosse.
“A questo punto, quando
loro saranno impegnati a guadare le forche del Tridente, l’esercito di Dorne
valicherà le Montagne Rosse e invaderà le Terre Basse, puntando dritto al cuore
dell’Altopiano.”
Lo sguardo di lui
si fece ora ancora più concentrato.
“Vedendo
Altogiardino stessa in pericolo, richiameranno subito tutte le loro truppe
partite dall’Altopiano per il nord. Ma così l’esercito mandato a sedare la
rivolta rimarrebbe troppo poco numeroso. Avranno un solo modo di compensare
questo richiamo…” L’asta d’avorio finì a puntare dritta sulla capitale. “Non
potranno fare alto che spedire al nord ogni soldato rimasto ad Approdo del Re.”
L'asta fluttuò
veloce, da nord a sud.
“Queste truppe di
rimpiazzo ci metteranno parecchio a raggiungere il Tridente. Ma tu Jon dovrai
aspettare che l’esercito nemico si formi prima di attaccare. Mentre a sud
agiremo diversamente.”
Il giovane drago si
scambiò un’occhiata con Trystane.
“Tu invece non dovrai
dare il tempo alle truppe di rientrare dal nord. Avanzando rapidamente, i
Tyrell ti manderanno di sicuro un piccolo esercito contro, per rallentarti più
che altro. E tu dovrai impegnare in questo combattimento solo una parte dei
tuoi soldati, in modo che loro sottostimino le tue forze.”
Aegon sorrise.
“Ma ciò che conta
di più, è che la capitale rimarrà sguarnita. Proprio come venticinque anni fa.
E sarà chi l’ha tolta ai draghi a riconsegnarcela.”
Dicendo questo, lo
sguardo cadde un secondo su Myrcella e sulla delegazione dei Lannister
presente.
“Sono pronto a
scommettere che i pochissimi difensori rimasti spalancheranno le porte ai
Lannister. E solo a quel punto sbarcheremo.”
Un sorriso
compiaciuto gli si dipinse sul volto. Subito dopo però tornò a concentrarsi
sulla mappa.
“Con Approdo del Re
in mano nostra, le rose si rintaneranno ad Altogiardino, richiamando indietro
ogni soldato. Ma sarà già troppo tardi.”
La bacchetta
volteggiò rapida.
“L’esercito diretto
a nord sarà a questo punto riunito sul Tridente. Quando inizieranno a tornare
indietro…tu e Howland li attaccherete Jon. Mentre tu Trystane, marcerai
direttamente su Altogiardino. In entrambi i casi, gli eserciti nemici con cui
dovrete scendere in battaglia saranno molto più numerosi dei vostri ma…”
Un ghigno di
soddisfazione comparve sulla sua faccia.
“Ma a questo punto…il Continente Occidentale
tornerà a conoscere cosa succede a chi si oppone a noi. Tornerà a conoscere la
furia dei draghi…”
Note dell’autore:
che dire, sono
davvero imperdonabile.
Questo ritardo
colossale è dovuto principalmente alla mancanza di tempo e anche alla mia
genialità indiscussa, che mi ha fatto dimenticare l’hard disk portatile su cui
salvo tutti i file (capitoli compresi) sul frecciarossa.
Ho dovuto di
conseguenza riscrivere il tutto e spero davvero che il capitolo sia almeno
venuto bene.
Diciamo che è una
svolta importante nella storia: però, sapendo che le fasi di pianificazione sono
noiose, ho cercato di liquidare abbastanza in fretta queste ultime, provando
però anche a rimanere preciso e a renderle interessante. Per il resto io adoro
scrivere introspezione e dialoghi e infatti la gran parte del capitolo è
costituita proprio da questo. Non voglio fare commenti, dico soltanto che a una
prima lettura potrebbe sembrarvi un po’ confusionario e potreste non capire
subito tutto, ma ho lasciato qua e là ben più di un indizio e accenno che vi
può aiutare a comprendere tutte le allusioni e a farvi un’idea di cosa sta
succedendo.
Spero proprio che
questo diciottesimo capitolo vi sia piaciuto e spero soprattutto di uscire con
il prossimo in tempi più accettabili.
Ringrazio ancora
tutti i recensori, e vi invito come sempre a lasciare le vostre opinioni qui
sotto.
Alla prossima
dunque, e ah, buon 2016.
E, ovviamente, long live the lioness.
Luke
|
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Capitolo 19 *** Capitolo XIX ***
Cap 19
Long live the lioness
“I still believe in your eyes
I just don’t care what
You’ve done in your life
And I’ll fly with you
I’ll fly with you”
L’Amour Toujours – Dzeko
& Torres (Tiësto Edit)
Roccia del Drago, due giorni dopo
Draghi.
Dèi, era stato…incredibile.
Non si era mai sentita così in
vita sua. Davvero, mai.
Tanto stupore e…no. Non era stato
stupore, perché sapeva che sarebbero arrivati.
Era stata un’attesa impaziente,
spasmodica, mentre la sua mente volava nell’immaginarsi come sarebbero stati. Aveva mai provato così tanta impazienza?
No.
Anzi…sì. Sulla nave per Dorne era stato…beh, però era stato diverso.
Ciò che le era rimasto più
impresso in assoluto quando quelle tre gigantesche bestie erano apparse all’orizzonte…era stata la potenza, la regalità, il timore
che incutevano. Ma avevano anche un lontano che di familiare, di rassicurante,
come se con il loro potere potessero…proteggerla. Quasi come Aegon del resto.
Sorrise, lasciando spiazzare lo
sguardo oltre la finestra della torre, che dava sull’entroterra roccioso e
aspro della Roccia del Drago.
La musica e le grida continuavano
a salire dalla tromba delle scale. La festa del resto era cominciata da non
molto tempo e sarebbe durata ancora a lungo.
Il principe non era troppo d’accordo,
ma l’arrivo della regina, della madre dei draghi, andava festeggiata.
Ma tutta quell’aria calda e
stantia, quel chiasso, quella massa di persone e tutto quel vino le avevano fatto
venire la nausea.Era salita lì sopra nella
speranza che si placasse, ma permaneva.
Non aveva quasi toccato vino,
come era possibile?
Ricontò rapidamente a mente i giorni.
Si. Quella nausea…anche per quel mese, il
suo ciclo stava arrivando.
Sospirò. Era l’ennesima ma sempre confortante conferma che il tè della luna funzionava
a dovere. E proprio a proposito di quello…doveva parlarne a Trystane. Seriamente questa volta. Senza farsi deviare
su altri discorsi. Era ora di decidere qualcosa, qualsiasi cosa essa fosse,
senza continuare a far finta di nulla, senza più temporeggiare.
Un rumore alle sue spalle la
distolse da questi pensieri.
Si voltò lentamente, mentre
metteva del tutto da parte quei ragionamenti.
In un primo momento il suo
sguardo non incrociò niente.
Ma poi i suoi occhi si
abbassarono e…
Aveva scelto di non partecipare
alla festa poiché…beh, di certo l’idea di tutto quel vino non gli dispiaceva,
anzi…
Ma il lunghissimo viaggio per
mare l’aveva completamente distrutto, nonostante fosse stato sobrio per ben
poco tempo durante la traversata.
Ora che erano lì però, non poteva
permettersi questi…gozzovigli. La
regina aveva bisogno di lui. Per quanto quel giovane principe e il suo strano
amico fossero tanto sicuri di sé, innegabilmente ambiziosi, ma anche molto
competenti, svegli, preparati, e soprattutto, pronti a rischiare tutto e a
mettere in gioco tutto ciò che avevano, lei aveva bisogno di lui. Loro…dèi, erano così giovani…avevano quella forza
così unica, quel sentirsi inarrestabili, quel credere di poter fare tutto, di
aver il potere, la forza per superare quegli ostacoli.
Scosse la testa, mentre
sovrappensiero saliva le scale.
Daenerys aveva voluto essere
lasciata sola, e lui aveva immediatamente ubbidito. Nonostante la profonda
fiducia che la giovane regina riponeva in lui, aveva imparato subito che era
meglio non opporsi mai, in modo diretto almeno, a lei.
E così, con una coppa di vino in
una mano e tante domande, ricordi e rimpianti nell’altra, si era avventurato
tra le mura della rocca dei draghi.
Inconsapevolmente, aveva
imboccato una rampa di scale che portava in cima a una delle torri.
Giunse sulla sommità, entrando in
una stanza avvolta nella penombra.
Si accorse all’improvviso di non
essere solo.
Una alta figura femminile,
avvolta in un lungo abito rosso cremisi, si stagliava di fronte all’ampia
finestra dalla parte opposta della stanza. Una lunga cascata capelli dorati ricadeva
ordinata sulle spalle e sulla schiena, le braccia strette ai fianchi.
All’improvviso un brivido lo
attraversò. Una strana sensazione lo pervase…come se fosse un…déjà-vu.
E mentre cercava di dare un nome
a questa sensazione, la misteriosa figura si voltò.
Dèi.
Dèi.
Dèi.
Non credeva ai suoi occhi.
Come
diavolo era possibile? Che fosse…
Il suo sguardo cadde dapprima
sulla coppa, poi sulla quantità di vino rimasta e dopo ancora sulla sua
immagine riflessa del vermiglio liquido.
No,
non aveva affatto bevuto troppo. E allora come era possibile…
Tornò a guardarla.
E questo non fece che
moltiplicare nuovamente i sui dubbi.
No,
no, non era dannatamente possibile. Quella vista…era possibile che, che…che
fosse tornato indietro nel tempo? No, no. Cos’era? Forse un fantasma? Uno
scherz della sua memoria?
La sua faccia era l’esatta
rappresentazione dello sconcerto più assoluto, come…come se avesse davvero visto un fantasma.
Quei lineamenti, quei capelli,
quel corpo, quegli occhi…
“Cersei?” chiese, con voce a dir poco dubbiosa e incredula.
Nel vedere, nel realizzare chi
era quello di fronte a lei, era rimasta altrettanto sorpresa, altrettanto senza
fiato. Era passato così tanto tempo.
All’udire quel nome…beh, non poté
far altro che sorridere.
Scosse la testa divertita.
“Zio…ne è passato di tempo…” rispose con un filo di voce.
La reazione di Tyrion Lannister
fu…incredibile.
In un unico istante realizzò,
comprese, collegò mille pensieri diversi.
“Myrcella…?” chiese nuovamente, con tono non molto meno sconcertato,
sorpreso e incredulo di prima.
Lei annuì dolcemente in risposta,
altrettanto attonita al pensiero di quanto era passato, di quanto erano
cambiate le cose.
“Sei…dèi le assomigli in modo…”
Vaneggiò per un paio di secondi,
in cerca di parole per esprimere quello sconcerto.
“Spaventoso…sei…sei
bellissima…”
La principessa arrossì
lievemente, mentre intrecciava nuovamente le dita
Lo sconcerto non diminuiva.
“Sei
identica a tua madre”
Tyrion si bloccò. Stava per
aggiungere “e a tuo padre…”, ma si
trattenne. Tuttavia il suo sguardo, la sua espressione, lo tradirono.
E lei…e lei oramai sapeva.
“So…so di loro…” disse lei, abbassando lo sguardo.
Lui a momenti strabuzzò gli occhi,
a metà tra lo stupito e il grato…grato di
non dover continuarle a mentire sul quel fronte. Provò ad aggiungere qualcosa,
ma…
Myrcella mandò giù a fatica,
provando ad andare avanti.
“Penso che una parte di me
l’abbia sempre saputo…and i’m glad of
that…”
E mentre lui rimaneva nuovamente
senza parole, la principessa continuò, dando forma e suono a quelle parole che
aveva tenuto dentro di sé per troppo tempo.
“E soprattutto sento di doverti
ringraziare…ti sono grata…grata per la
promessa, per l’alleanza che stringesti con il principe Doran…”
Tornò ad intrecciare le mani in
grembo, senza poter fare a meno di sorridere.
“A Dorne ho trovato…molto più di quanto potessi mai immaginare…”
Stava per continuare, ma si
accorse che in fondo non ci volevano altre parole.
“Grazie…” sussurrò con un filo di voce.
Tryrion era a dir poco senza
parole. Ancora una volta.
“Davvero mi stai ringraziando…anche dopo che ti…” chiese, incredulo.
Ingoiò a fatica, ripensando a
quella colossale menzogna, quel colossale film mentale che Cersei aveva
costruito per il regno ma soprattutto per sé stessa. Quas gli venne da
sorridere, un sorriso malinconico, ironico, quasi a ridere di tutte le sue
sventure.
“Ti avranno detto che sono stato io a uccidere tuo fratello. Ma per
quanto odiassi Joff…non sono stato io.
Sospirò, un sospiro che gli venne
dritto dalla coscienza. Ricordava come Myrcella fosse sempre stata molto legata
al fratello più grande, di come fosse l’unica a cui lui non avesse mai torto in
alcun modo un capello. Sarebbe di certo stato meglio mentire in quella
situazione, in quella circostanza, e un abile manipolatore come Tyrion
Lannister lo sapeva benissimo. Eppure di fronte a quella…creatura angelica, che trasmetteva tanta innocenza, non…non se la sentì
di mentire.
“Ammetto che…che avrei voluto essere stato io. Ma non è stato così…diciamo che sono stato accusato poiché ero
il capro espiatorio perfetto.”
Sorrise al pensiero, mentre con
la mano faceva roteare il vino all’interno della coppa.
“La mia dolce sorellina voleva liberarsi di me…”
Myrcella era rimasta immobile a
quelle parole, paralizzata, con gli occhi sbarrati. Cosa stava dicendo? Nelle lettere che aveva ricevuto dopo il matrimonio
reale, dopo la tragedia…beh, l’accusa era chiara, perentoria. All’epoca
aveva stentato a crederci, e in seguito aveva fatto una fatica enorme ad
accettarlo. Del resto, aveva sempre voluto bene a suo zio. E vederlo come un assassino…non era facile. In fondo in fondo, non
aveva mai davvero creduto a quella versione
E
ora lui stava rimettendo tutto in discussione.
Provò a mettere ordine tra la
miriade di pensieri che le affollavano la testa, in un caos senza capo né coda,
fallendo però miseramente. Si arrese, e decise che domandare era meglio che
tirare a indovinare.
“Ma allora…” chiese, lasciando in sospeso in sospeso la domanda.
Tyrion sospirò.
“Beh, essendo stato prima
imprigionato e poi dall’altra parte del mondo…non ho potuto difendermi e indagare come avrei voluto.”
Si guardò i piedi, cercando le
parole giuste.
“Ma avendo ancora alcuni amici
nel continente occidentale…qualche informazione l’ho potuta ottenere.”
Myrcella oramai pendeva dalle sue
labbra, incuriosita e allo stesso tempo leggermente impaurita da quella che
poteva essere la sua risposta.
“Ho avuto delle soffiate, delle
dicerie…i moventi poi non mancavano a
nessuno. Ho considerato le occasioni
e…e poi ho semplicemente unito tutti puntini.”
Si fermò per un interminabile
istante.
“Non so esattamente come e con
l’aiuto di chi, ma…sono stati i Tyrell.”
La principessa inizialmente
rimase bloccata, immobile, sconvolta.
Cosa?
Aveva davvero sentito bene?
Potevano davvero averle fatto anche quello? E pensandoci, si rese
conto…che era vero. Che aveva senso. Del
resto…del resto Joff non sarebbe stato affatto facile da controllare, da
manipolare, da sottomettere. Mentre Tommen… Dèi, e quello che avevano fatto a Tommen
poi...non era altro che il secondo atto. Quindi…quindi erano stati loro in
entrambi, i casi.
Certo…
Come aveva fatto a non arrivarci
prima?
Senza rendersene conto, aveva
detto tutti questi pensieri ad alta voce.
Tyrion sorrise, un sorriso a metà
tra l’addolorato e l’orgoglioso.
Mentre nella mente della
principessa i ragionamenti ordinati lasciavano spazio a confuse, dolorose
immagini, ricordi e propositi di vendetta, lacrime corsero come minuscole perle
lungo le sue guance.
Myrcella sentì esplodere dentro
di sé un sentimento nuovo, forse già avvertito in passato, ma mai con tale
intensità. Una parte di lei ne ebbe quasi
paura. Non pensava di poter concepire…un simile odio. Ma ciò che loro le
avevano fatto... Entrambi. Glieli avevano portati via entrambi. Avevano
risvegliato qualcosa in lei, qualcosa che in fondo in fondo c’era sempre stato
ma che solo ora era venuto alla luce, in tutta la sua prorompente e
inarrestabile potenza emotiva.
“Pagheranno per questo…e per tutto il resto…” sussurrò lei, con un
filo di voce incrinata ma quanto mai in vita sua decisa e irremovibile.
Tyrion annuì, facendosi tutto
d’un tratto più serio.
“Pagheranno…tutti loro pagheranno per ciò che hanno fatto, durante
questa guerra dei draghi. Giustizia sarà fatta…” continuò lei, con la
medesima determinazione.
In risposta lui sospirò malinconicamente,
mentre cento ricordi gli ritornavano alla memoria. Si sentì improvvisamente
vecchio. L’idea che Tyrion Lannister aveva della giustizia…beh, era il
risultato del soprapporsi di tante esperienze, troppe delle quali tutt’altro
che piacevoli da rimembrare.
“La giustizia ha sempre un prezzo…” aggiunse lui, con fare
perentorio.
Myrcella questa volta rispose
d’impulso, senza nemmeno pensarci.“Qualunque esso sia, sono disposta a pagarlo…”
Tyrion scosse il capo, sorridendo
amaramente mentre abbassava lo sguardo.
“Anche in questo, sei esattamente come tua madre.”
Riformulò
i pensieri, per continuare il discorso.
"Non
mette in dubbio che tu voglia giustizia…però…” aggiunse, con il suo tipico tono
discorsivo, ragionato, logico.
Ma alla principessa sorse a
questo punto spontanea una domanda. Il riferimento fatto a da lui a sua madre
l’aveva innescata e per quanto fosse fuori contesto, non poté trattenersi dal
porla.
“Mi chiedo perché siate così…così diversi tra voi…”
Lui fu ulteriormente preso in
contropiede da questa domanda. Dèi, non
finiva di stupirlo, di sorprenderlo. Sospirò, mentre si chiedeva se fosse
davvero il caso di rivelarle anche quello. Un nuovo sguardo alla nipote gli
bastò come risposta. Non aveva più senso
continuare a mentirle, seppur per proteggerla. Quel tempo era passato.
“Non sai quanti se lo siano
chiesti…quanto io me lo sia chiesto…” aggiunse
sorridendo amaramente.
Avrebbe potuto fare un discorso
lungo, articolato, esauriente, che coprisse ogni punto. Indubbiamente Tyrion
Lannister ne era capace. Ma decise di lasciare per una volta da parte le sue doti
di oratore e di persuasore, e di andare dritto alla verità.
“Siamo così diversi perché in
fondo…il nostro sangue è diverso…”
Myrcella lo fissò esterrefatta,
chiedendosi cosa volesse dire. Sangue
diverso?
Tyrion prese un lungo respiro,
facendo cadere per un secondo lo sguardo.
“Twin Lannister” cominciò, con
tono ironicamente solenne “mi ha sempre odiato…sono sempre stato…inopportuno. Inopportuno al nome dei
Lannister, al grande condottiero del leone, a tutto. Avevo ucciso sua moglie
nascendo, ero così…orrendamente diverso. Scaricò la colpa di tutto ciò su…su un
immaginario tradimento di mia madre. Non poteva che essere andata così del
resto…”
Mentre pronunciava quelle parole
gli si poteva chiaramente leggere in faccia tutto il disprezzo, il risentimento
e il…senso di rivincita? Ma come...?
Lui continuò.
“Il
sangue leone, il sangue di Twin Lannister non poteva aver generato un tale
mostro. Di certo…di certo era frutto di un tradimento, di un altro uomo.”
La risata di Tyrion a questo
punto fu quasi vendicativa. Una risata soddisfatta, piena, che esprimeva in
pieno ciò che sentiva. Una sensazione
magnifica, che riusciva quasi a controbilanciare tutti quegli anni di
soggezione psicologica, di continue, infinite crudeli critiche. Quasi come si
stesse finalmente prendendo una vendetta, o meglio, una rivincita sul padre che
l’aveva trattato come un abominio per tanti anni.
“La
verità a volte è paradossale, come in questo caso.
E in fondo in fondo, sono certo che anche lui ha sempre saputo…che io ero il suo unico vero figlio.”
Si morse il labbro, mentre la
medesima espressione continuava a troneggiargli sul volto.
“Dev’è essere stato incredibilmente
abile a mentire a sé stesso, così bene, per così tanti anni…crescere i figli del suo peggior nemico come
i suoi, e disprezzare con tale atroce ferocia, rifiutare con tutte le sue
forze l’unico vero frutto del suo matrimonio.”
Fece una breve pausa, mandando
giù il vino rimasto nella coppa.
"E dèi…forse alla fine si era davvero riuscito a convincere che Jaime e Cersei
non fossero figli di Aerys…”
Mentre lui rigirava la coppa
vuota nella mano, con fare incredibilmente rilassato e quasi…soddisfatto, lei…
Le parole di lui erano state così
veloci e così incredibili da non lasciarle il tempo di rimanere sconcertata. E
ora…una serie di rapidi e consequenziali pensieri si susseguirono nella sua
mente.
Aveva da sempre percepito la
colossale ostilità che tutti mostravano nei confronti di suo zio. Twin, sua
madre, persino Joff. Non era certo cieca ed ingenua. Ma era pur sempre una bambina all’epoca…
Ma era stato ciò che lui aveva
detto dopo che… I gemelli del leone non erano figli di Twin, ma del re Aerys? I
suoi…i suoi genitori frutto del
tradimento di sua nonna con il re folle?
Tutto le sembrava così assurdo,
così sconvolgente. Eppure non mise in dubbio nemmeno per un secondo le parole
dello zio. Tyrion Lannister aveva tanti difetti, ma non si poteva dire che
mancasse di astuzia, ingegno, intelligenza. In questo era proprio…figlio di Twin Lannister. Mentre sua
madre…beh, per quanto impegno ci mettesse, nel gestire il regno non aveva mai
brillato. E…
Dèi,
era tutto vero. Tutto combaciava, tutto aveva senso
E se quello era vero…
In un unico, interminabile
istante, la principessa di Dorne si sentì gelare. Un brivido la percorse dalla
testa ai piedi. Aveva quasi paura a formulare il pensiero, a concepire il fine
logico del suo ragionamento.
Se
loro erano…
Senza sapere dove o come, trovò
un filo di voce per porre quella domanda, la cui risposta le faceva incredibilmente
paura.
“Quindi
io sono…” ogni ulteriore suono le morì in
gola, mentre metà di lei bramava ardentemente la risposta, e l’altra metà era
letteralmente terrorizzata dalla possibile risposta.
La voce di Tyrion Lannister venne
a risolvere quel conflitto interiore.
“Sì.
Hai in te tanto sangue del leone quanto…quanto
sangue del drago.”
Per un interminabile istante lui si
fermò, a prendere fiato mentre soppesava quelle incredibili quanto vere parole.
“Sei
tanto Lannister…quanto Targaryen.”
- - - - - -
Stoccata.
Taglio basso. Recupero a destra. Parata ascendente. Diagonale di piatto al
fianco sinistro. Schivata bassa. Affondo dritto al centro petto.
L’acqua nera della baia e le
mille stelle del cielo guardavano lui e la spada volteggiare armoniosi,
fendendo l’aria della notte, come una
sola cosa, un solo corpo.
Stoccata.
Taglio basso. Recupero a destra. Parata ascendente. Diagonale di piatto al
fianco sinistro. Schivata bassa. Affondo dritto al centro petto.
Quante volte aveva ripetuto
quella sequenza? Forse milioni…
Connington gliel’aveva insegnata
mettendogli in mano a sette anni la sua prima spada. E da allora, non aveva mai
smesso di ripeterla.
Oramai non doveva neppure più
concentrarsi, prestarci attenzione. Il suo corpo eseguiva meccanicamente quei
movimenti. E ripetere all’infinito quei colpi, sempre più armoniosamente,
sempre più velocemente, lo aiutava a staccarsi dal mondo, a liberare la mente.
E
in quei giorni, ne aveva davvero bisogno.
Prese un lungo sospiro, scostando
con la mano libera i capelli argentei che erano caduti a coprirgli il viso.
Stoccata.
Taglio basso. Recupero a destra. Parata ascendente. Diagonale di piatto al
fianco sinistro. Schivata bassa. Affondo dritto al centro petto.
Andò avanti così a lungo,
immaginando di colpire i suoi nemici, disegnando i loro volti, le loro
sembianze nella sua mente.
Loras
Tyrell. Affondo dritto al cuore.
Ramsay
Bolton. Diagonale al costato.
Robert
Baratheon.
Per l’uomo che aveva ucciso suo
padre, per quell’usurpatore di cui tanto aveva sentito parlare e narrare,
immaginava sempre le fini più atroci.
Colpi
bassi, diagonali veloci. Lo sbilancio. Lui avanza. Mi scosto a sinistra.
Sgambetto con il ginocchio. Cade a terra. Si apre una fessura tra l’elmo e la
placca dorsale. Blackfyre si infila rapida e spietata in quella sottile
apertura.
E
la testa del cervo usurpatore cade per terra, in una cascata di sangue nero.
E…
Applausi? Che diamine?
Il principe del drago scosse la
testa, scacciando tutti quelle
immagini fantastiche e uscendo repentinamente da quel combattimento immaginario...
Si, era davvero un applauso. Ma chi diavolo...
Di scatto si girò.
Nella penombra della notte, rotta
solo dalla flebile luce del firmamento, ci mise qualche secondo per mettere a
fuoco la figura che l’aveva raggiunto sul molo.
E rimase non poco stupito quando
finalmente i suoi occhi riuscirono a distinguerla.
Arianne.
Il giovane drago rimase
inizialmente sorpreso, molto sorpreso. Cosa
ci faceva lì? Ancora incredulo mosse un paio di passi verso di lei, con
fare confuso e incerto.
E in tutto questo il principe si
era dimenticato di abbassare la spada, che brandiva ancora in posizione
d’attacco.
“Mi arrendo” disse lei alzando le mani, con tono ironicamente
spaventato.
Aegon scosse la testa divertito,
rilassando e distendendo finalmente i muscoli, abbassando Blackfyre e andando a
riporla nel fodero sul suo fianco.
“Milady” disse lui, cercando di rimanere serio
e abbozzando un inchino appoggiando un ginocchio a terra.
La principessa di Dorne sorrise,
a metà tra il compiaciuto e il divertito.
“Cosa fate in giro da sola nel
cuore della notte?” chiese il giovane drago, con lo stesso tono, che tentava di
sembrare serio e quasi moralista, ma falliva miseramente.
"La Roccia del Drago è…suggestiva a quest’ora…quasi soprannaturale, magica” rispose
Arianne.
Il principe annuì, guardandosi
per un istante attorno.
“Come
te del resto…” aggiunse lei, quasi
maliziosamente.
Aegon sorrise, scostandosi con la
mano una ciocca di capelli che gli era finita sul volto durante il
combattimento. Questo gesto catturò l’attenzione di lei, e le riportò alla
memoria…
"Questi capelli…tutto
questo…argento…”
Cominciò a dire, mentre quei
lontani ricordi le riaffluivano alla memoria.
“Non ricordo molto…anzi, quasi
nulla. Però…”
Aegon la fissava stupito e
incuriosito allo stesso tempo, chiedendosi di cosa stesse parlando.
“Il mio prozio Lewyn mi portò insieme
a lui con una delegazione da Dorne alla capitale. All’epoca non lo sapevo, ma
la guerra era alle porte…e quella missione…beh, serviva a rassicurare Aerys
della fedeltà di Dorne…”
Sospirò, cercando di discernere
quei ricordi confusi.
“Ufficialmente ci recammo nella
capitale per far visita a tua madre e…a
te”
Il principe abbozzò un sorriso,
insieme a un’espressione accigliata, ancora confuso da quello che lei stava
raccontando.
“Ti ripeto, ricordo poco. Ma uno
delle poche immagini che rimembro è quella di…”
Prese fiato, preparando quelle
parole.
“Tua sorella…”
Aegon sussultò, spalancando gli
occhi. Ogni sua reazione fu però bloccata dallo stupore, dallo stupore più
totale. Di certo non era ciò che si aspettava quando l’aveva vista giungere sul
molo.
"Non
so bene perché questa immagine, la sua immagine mi sia rimasta tanto impressa
in mente…”
Abbassò un istante lo sguardo,
tornando poi a fissare il giovane drago in volto.
“Fin da subito mi fece la tua stessa
impressione…tanto perfetta, tanto regale, tanto…soprannaturale da parere…al di sopra del mondo, fuori dalla realtà.
Come un angelo”
Anelò per qualche interminabile
istante, in cerca delle parole adatte a esprimere quell’immagine, quel ricordo.
"E poi quei capelli
chiarissimi, fili sottilissimi che sembravano d’argento puro…e quegli occhi
viola, così piccoli, ma così…profondi,
infiniti”
Sorrise nostalgicamente,
accavallando le labbra.
“Io avevo sei anni, lei forse cinque…e la sua
immagine è forse l’unica cosa che mi ricordo davvero di quel viaggio, tutto il
resto non è altro che un’opaca e confusa memoria…”
La voce quasi si fece commossa,
si incrinò leggermente mentre pronunciava quelle parole.
"E
ora io rivedo, rivedo in te, rivedo nel tuo volto i suoi tratti, rivedo lei in
questi occhi viola, in questi capelli argentei…in te rivedo lei”
Lo sguardo le si perse
involontariamente nel vuoto per un istante, e quando tornò a fuoco…
Era solo la prima che si trovava
così vicina, sola, a faccia faccia con il principe del drago, eppure vide i
suoi occhi farsi lucidi, cosa che accadeva tutt’altro che spesso.
Quella
era una cosa che gli bruciavano, o meglio, per cui si dannava di più, che
rimpiangeva maggiormente. Non averla mai conosciuta.
E se questo racconto gli aveva
fornito almeno un’opinione diretta, qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa da
ricordare, qualcosa da custodire dentro di sé, da fare suo, dall’altra parte
era un’ulteriore motivo di sofferenza e di rimpianto, che innescava domande,
ipotesi e ragionamenti senza senso né fine.
Se
solo… E se invece… Se fosse andata così… Ma se…
Quante, quante volte si era posto
quelle domande? Quante volte aveva sognato la vita, l’esistenza che la guerra
innescata dalla follia di suo padre gli aveva portato via? Quante volte aveva
provato a immaginare, a disegnare nella sua mente i tratti, i lineamenti, il
volto di quella sorella che mai aveva e avrebbe conosciuto?
E ora aveva una, seppur confusa e
incompleta, testimonianza, un, seppur precario, appiglio, una, seppur flebile,
luce che poteva guidare quei suoi sogni. E…
“No.
No. No.” Si urlò da solo in testa,
chiudendo gli occhi e inghiottendo a fatica.
Davvero
voleva continuare così? Portarsi dietro per tutta la vita quei sogni di
bambino, quelle fantasie che mai e poi mai gli avrebbero procurato altro che
sofferenza. Non voleva, non poteva, continuare così. Non ora che stava per dare
inizio a una guerra, non ora che si stava lanciando in una conquista tanto
audace quanto folle…
Non
ora che avrebbe avuto, che aveva, due magnifiche regine al suo fianco.
Pensando questo tornò a guardare
Arianne, che era rimasta immobile di fronte a lui, con gli occhi persi oltre
l’orizzonte, lasciandolo libero di sfogarsi nei suoi pensieri.
L’istinto gli suggerì queste
parole, che uscirono spontanee.
“Grazie Arianne…”
Lei tornò a guardarlo addolcita,
quasi imbarazzata da quel ringraziamento di cui non colse subito il
significato, la grandezza.
“Grazie per questo, grazie per…tutto”
Gli occhi di lei parvero domandargli
“Tutto cosa?”
Aegon scosse la testa, provando a
esprimere tutta la gratitudine che sentiva.
“Per questo racconto, per…”
La sua voce si commosse,
ripensando al rischio, alla sfida che lei aveva accettato senza alcun timore. Ripensò alla fiducia che fin da subito la
principessa di Dorne aveva riposto in lui.
“Ti sei posta come base dell’alleanza tra il drago e la vipera,
accentando di sposare un uomo che non avevi mai conosciuto…”
Arianne sorrise, quasi sorpresa
da tanta gratitudine.
“Credo, crediamo che sostenerti
nel riprenderti ciò che è tua…sia la cosa in assoluto più giusta…lo dobbiamo, lo devo al sangue del mio sangue.”
Aegon sospirò
Si fissarono per un interminabile
istante.
Forse inconsapevolmente, o forse no, la mano del principe andò a cercare
quella di lei.
E così, per mano, si
rincamminarono verso il castello, mentre le parole fluivano copiose, limpide,
sincere.
Da quel momento in poi, avrebbero
lentamente imparato a conoscersi, a fidarsi l’uno dell’altra: Aegon a fare
affidamento sull’esperienza e l’astuzia di lei, Arianne a seguire, ad assecondare,
a consigliare, a tenere a bada l’ambizione e l’indole del principe del drago.
Avrebbero cercato rifugio, sicurezza, certezze l’uno nell’altra, in un rapporto
che fin da subito ebbe qualcosa di più…una
fiducia stretta, inscindibile, indiscutibile.
Spesso nel passato del continente
occidentale, i periodi migliori erano stati quelli in cui un re e una regina
avevano regnato uniti, concordi, facendo affidamento l’uno sull’altra.
E facendo fede a ciò, il regno di
Aegon Targaryen, sesto del suo nome, si prospettava come il migliore che i
Sette Regni avessero conosciuto negli ultimi decenni.
Note dell’autore:
eccomi nuovamente qui.
Perdonato per l’ennesima volta
il ritardo, ma gli impegni non mi danno tregua.
Dunque, ho (follemente)
accettato questo rischio. Inserire Tyrion. Un “rischio” vista la difficoltà,
l’indole, le mille sfaccettature del personaggio, che non è affatto facile da
“piegare” alle mie intenzioni narrative. Ma soprattutto, so di rischiare con…voi. Sarei anche io il primo a dare di
matto per un Tyrion reso male, rovinato, poco fedele all’originale. Spero davvero
di non aver commesso tali errori.
Per il resto…Rhaenys. Diciamo
che ho un po’ cambiato le cose. Dai libri sappiamo che Rhaenys era molto più
dorniana che Targaryen e che non arrivò mai l’età a cui ho “ambientato” questo
incontro. Ma rimanendo fedele all’originale non sarei riuscito a rendere come
volevo questo incontro, che sarebbe risultato meno “poetico”, non so se capite…mi
piaceva troppo l’idea di questo incontro, e soprattutto di far “conoscere” in
questo modo ad Aegon la sorella.
E niente, dopo tutte queste
spiegazioni, fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto. Ribadisco che sono
apertissimo al feedback e ringrazio ancora tutti i recensori abituali e non.
Per quanto riguarda il prossimo
capitolo, vi preannuncio che sarà al 100% Aegon-centrico, con un po’ di
passato, presente e futuro.
Alla prossima quindi.
E ovviamente, long live the lioness
Luke
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