L'essenza di un sogno

di Katris_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Ricordi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- Lui ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3- Promessa ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- Provocazioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5- Lo Sfregiato e il biondo ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6- Il primo e unico pensiero ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7- Conoscersi ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8- Rivali ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Ricordi ***


            Capitolo 1- Ricordi

* * * * *                                                                     

Per essere luglio l'acqua era gelida, tanto che il bagnino negava severamente di nuotare, in parte perché era interessato alle vite dei bagnanti, ma soprattutto per il terrore di dover tuffarsi in quella fredda acqua fangosa.

Io e la mamma avevamo atteso circa un'ora e quando, finalmente, il bagnino si prese una pausa, sgattaiolammo in acqua trattenendo i gridolini dovuti allo sbalzo di temperatura.

L'umidità rendeva i capelli della mamma più vaporosi del solito, facendoli assomigliare a lunghi tentacoli.

Prendemmo un bel respiro e ci immergemmo, tenendo a stento gli occhi aperti.

Riuscii a vedere il bianco sorriso della mamma che riusciva a contrastare il verde acquoso del mare.

L'acqua fredda mi solleticava le narici, provocando dei piacevoli brividi.

La sabbia sotto i nostri piedi era morbida, soffice.

La corrente era forte, così tanto che dovetti aggrapparmi a una boa per restare a galla.

Non ero una nuotatrice esperta, ma amavo il mare.

Mi piaceva provare la sensazione di libertà che questo mi trasmetteva.

La sensazione di non avere catene legate al corpo che obbligavano a restare sulla terraferma.

“Hermione!”

Mi voltai verso la direzione da cui era giunta la voce, ma non vidi nessuno.

Anche la mamma non c'era più. Un'attimo prima era proprio lì, accanto a me.

“Mamma! Mamma, dove sei?” urlai non appena tornai in superficie.

Nessuna risposta.

“Hermione, tesoro.” ripeté di nuovo la voce.

Una voce familiare.

Ma non era quella della mamma.

Una mano fredda mi strinse la caviglia.

Le dita lunghe e affusolate tenevano saldamente la presa.

Urlai a squarciagola.

Stavo ancora urlando quando mi svegliai e vidi mio padre accanto al letto.

“Calma, sono io. È ora di alzarsi. Vado a prepararti la colazione. Preparati.” disse lui sbadigliando.

“O-okay.” mugolai.

Quando sentii la porta chiudersi, girai la testa di lato per guardare la sveglia: 7:00

Un ricciolo ribelle fece capolino sulla fronte, tutta bagnata per il sudore.

Era stato tutto un sogno, anzi, un ricordo.

Un orribile ricordo.

Il mio sguardo cadde sulla foto appoggiata sul comodino accanto alla sveglia.

La sua foto.

Avevo promesso a mio padre che l'avrei spostata.

Diceva che era per il mio bene.

Ma come potevo farlo? Era una delle poche cose che mi rimanevano di lei.

Che mi ricordavano lei, che mi facevano venire alla mente un sacco di bei ricordi.

Asciugai una lacrima solitaria con il dorso della mano destra, mentre con la sinistra lanciavo la coperta rossa sul parquet. 

Avevo abbastanza tempo per farmi una doccia veloce dato che mio padre, essendo un pessimo cuoco, avrebbe dovuto fare i pancakes per ben due volte prima di riuscire a tirarne fuori qualcosa di mangiabile.

Così mi diressi in bagno e aprì il rubinetto della doccia, aspettando di ottenere la temperatura giusta.

Quando finì di lavarmi, mi avvolsi nel morbido accappatoio blu e con il pettine iniziai a districare i nodi dei capelli.

Scesi in cucina dieci minuti dopo, con addosso un paio di jeans aderenti e una maglietta bianca a maniche lunghe.

Come previsto, papà aveva appena tolto i pancakes dal fornello e li stava servendo a tavola.

Mi sedetti al mio solito posto e aspettai che anche lui facesse lo stesso.

“Così è arrivato il grande giorno! Non sei contenta?” disse lui dandomi una pacca sulla spalla.

Mi limitai ad accennare un sorriso, anche se in realtà volevo urlare.

Il grande giorno! Il ritorno a scuola! Un evento davvero imperdibile!

Mi aspettava soltanto un altro anno da schifo in quello schifo di scuola superiore.

Un altro anno di prese in giro.

Un altro anno di insulti.

Eh sì, era proprio un grande giorno.

Avevo chiesto varie volte a mio padre di cambiare scuola, ma lui sosteneva che l'ostacolo bisognasse abbatterlo, non deviarlo.

“Credi davvero che nelle altre scuole andrebbe meglio? Che non ci sarebbero bulli, o ragazze in preda a crisi ormonali?” mi aveva detto un giorno, quando per l'ennesima volta gli avevo chiesto il trasferimento.

E quest'anno non ci sarebbe stata nemmeno la mamma ad aiutarmi con le mie sfuriate adolescenziali.

Dovevo vedermela da sola.

Eravamo io e loro, i ragazzi della London High School.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- Lui ***


Capitolo 2- Lui

 

Mentre percorrevo il largo cortile che portava a scuola, feci mente locale sul da farsi.

Era l'ultimo anno di liceo e se volevo sopravvivere non dovevo fare niente di temerario.

La parola d'ordine era non rispondere alle provocazioni.

Non importa quanto crudeli queste potevano essere, bastava soltanto non farci caso.

Ero ancora persa nei miei pensieri, quanto urtai con la spalla quella di un ragazzo.

“Oh, ehm...scusi” dissi raccogliendo un libro che mi era caduto.

Alzai lo sguardo per incrociare il suo.

Conoscevo quel ragazzo.

Quegli inconfondibili capelli arruffati, caratterizzati da un colore molto vicino a quello delle carote.

Un'eredità di famiglia, la definivo io.

Sin da bambino, infatti, tutti lo chiamavano “Pel di Carota”.

“Hermione! Scusa, colpa mia, non stavo guardando dove stavo andando.” un sorriso imbarazzato comparve sul suo viso.

Era cresciuto molto dall'ultima volta che l'avevo visto.

Ormai era più alto di me – anche se non ci voleva molto – di almeno venti centimetri.

Le spalle erano molto larghe, come quelle di un nuotatore. La voce era molto più grave, ma allo stesso tempo dolce.

Uno strato quasi impercettibile di barba delineava la mascella, le labbra carnose erano di un colore abbastanza insolito, fra il rosa e il rosso.

Le lentiggini, però, erano sempre le stesse.

Abbozzai un sorriso e gli chiesi scusa a mia volta.

“Miseriaccia, è da un po' di tempo che non ci si vede, eh? Ti sei murata in casa o cosa?”disse lui sarcastico.

“Cosa hai fatto di bello durante le vacanze? Sicuramente tu ne avrai fatte delle migliori rispetto alle mie! Sai, un'estate alla Tana non la auguro a nessuno!”

La Tana era il nome che aveva dato a casa sua un giorno, per scherzo.

Da allora era diventato il nome ufficiale per descrivere quella catapecchia gremita di teste arancioni.

Oh, quanto avrei voluto che avesse ragione.

Deglutii rumorosamente, cercando di reprimere il groppo in gola.

Non avevo voglia di parlare con nessuno, soprattutto con Ronald.

Era un bravo ragazzo, niente da ridire, ma a volte non sopportavo il suo troppo ottimismo, la sua voglia di vivere, come se la vita fosse un dono meraviglioso.

Beh, dopo quell'ultima estate, avevo avuto vari motivi per pensare che la vita fosse tutt'altro che meravigliosa.

Così decisi di mentire per togliermelo dai piedi.

“Sono rimasta in città per tutta l'estate, perché i miei...genitori erano impegnati con il lavoro. Scusami, ma devo andare a scuola, non voglio fare tardi il primo giorno."

Mi ero sforzata di sembrare più convincente possibile, ma ero una pessima bugiarda.

Papà me lo diceva sempre.

Infatti Ron parve confuso e con la mano mi sollevò il mento.

“Va tutto bene, Herm?”

Ecco, l'aveva fatto!

Mi aveva chiamata Herm.

Solo mia madre mi chiamava così, e non volevo che nessuno a parte lei usasse questo soprannome.

Bene, era una ragione in più per tirargli uno schiaffo e andarmene.

Non lo feci solo per buon senso.

Non potevo iniziare l'anno picchiando uno studente della mia stessa scuola.

E poi, che ne sapeva lui?

Come poteva soltanto immaginare che la ragazza che aveva davanti era rimasta orfana di madre, che voleva morire, che ogni giorno cercava di non far trasparire la sofferenza che la corrodeva nel profondo ogni secondo di più?

“Sì, tutto okay. Però se non ci muoviamo arriveremo in ritardo tutti e due.”

“Oh, sì certo. Andiamo allora!” Di nuovo un sorriso sghembo gli attraversò il viso.

Camminammo per dieci interminabili minuti, durante i quali mi parlò delle sue orribili vacanze trascorse aiutando la madre a casa.

Io annuivo e abbozzavo sorrisi, anche se ero totalmente immersa nei miei pensieri.

Stava parlando di un certo Harry lo “Sfregiato”, chiamato così per via di una strana cicatrice presente sulla fronte, quando arrivammo davanti al maestoso portone del liceo.

“Beh, chiamami qualche volta, se ti va. Ci vediamo in corridoio!” Mi salutò accarezzandomi la guancia. Io arrossii all'istante, ma per fortuna lui stava già salendo la scalinata.

Presi un bel respiro per farmi forza e lo imitai.

Ricordati: se non reagisci, andrà tutto bene

Però potrei anche rispondergli, no?

Hermione, non fare la stupida. Ti beccheresti solo un pugno in pancia. Non potresti farcela

Sei la peggior coscienza che ci possa essere

Quando uscirai da qua tutta intera mi ringrazierai

Attraversai il corridoio con gli occhi di tutti addosso, schivando sgambetti e ignorando commenti minuziosi.

Mi accorsi che stavo correndo solo quando arrivai di fronte all'ingresso della classe.

La campana non era ancora suonata, ma entrai lo stesso, sicura di avere almeno cinque minuti a disposizione per stare da sola.

Mi sbagliavo.

Si era messo in fondo alla classe, vicino alla finestra, pensando di passare inosservato.

Ma era impossibile non notarlo.

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto.

I capelli biondo cenere gli ricadevano delicati sul viso pallido.

Gli occhi color tempesta mi scrutavano guardinghi.

Sembrava quasi...stupito.

Le labbra erano sottili e in perfetta sincronia con il resto del corpo.

E che corpo!

Passò una mano fra i capelli per sistemarli e girò la testa verso la finestra.

Non c'era nessun'altro in classe.

Eravamo io e lui.

Senza staccargli gli occhi di dosso mi sedetti anch'io in ultima fila, ma esattamente dall'altro lato della classe.

Hermione, se non la smetti di guardarlo penserà che tu sia pazza

Ma coscienza, hai visto quanto è bello? È impossibile non guardarlo!

Smettila subito! Non ci serve un'altra persona che ci prenda in giro. Direi che ce ne sono già abbastanza, no?

Non ebbi tempo di ribattere, perché all'improvviso sentii una fitta lancinante alla gamba.

“Così Granger, anche quest'anno sei con noi!”

Distolsi lo sguardo dal ragazzo per guardare la Parkinson.

Non risposi e mi limitai a guardare l'orologio.

Cavolo, mancavano ancora due minuti all'inizio della lezione.

“Non reagire, non reagire” continuai a ripetermi.

La mia indifferenza, però, urtò particolarmente la Parkinson, che diede un calcio all'altra gamba, mentre l'altra gridava pietà.

Trattenni un gemito di dolore.

“Sai Granger, non sopporto gli indifferenti. Quindi, se non ti da particolarmente disturbo, vorrei che rispondessi quando ti parlo. Non vorrei mandarti in infermeria già il primo giorno. Chissà cosa penserebbero i professori! Non sei d'accordo con me?”

Una lacrima solcò la guancia arrossata.

“Oh, quindi adesso piangiamo? Perché non vai a piangere dalla mamma, eh? Oh, già dimenticavo, è morta.”

Quello era troppo.

Non ci vedevo più dalla rabbia.

Come osava soltanto parlare di lei?

Hermione, no.

Zitta coscienza.

Mi alzai di scatto dalla sedia.

Ero proprio sul punto di tirarle un pugno in faccia, quando la campanella suonò.

Con una puntualità impressionante il professor Piton entrò in classe e la porta alle sue spalle si chiuse con un colpo secco.

La Parkinson si sedette velocemente accanto al ragazzo nuovo, il quale aveva osservato tutta la scena in silenzio.

“Granger, che cosa ci fai in piedi?” Il tono piatto di Piton mi fece ricordare che ero ancora in piedi con le mani serrate lungo i fianchi.

“Niente, Professore.” Mi sedetti velocemente, fra le risatine dei miei compagni.

“Bene, dopo questa spiacevole interruzione possiamo iniziare la lezione.”

“E quel bocconcino là giù professore, non ce lo presenta?” disse maliziosa Astoria Greengass.

“Credo che sia abbastanza grande da presentarsi da solo, signorina Greengass.” rispose lui prima di sedersi e aprire il registro.

Il ragazzo in questione si alzò elegantemente dal banco e rivolgendosi alla classe disse:

“Io sono Malfoy, Draco Malfoy.”

Draco.

Che nome meraviglioso.

Gli donava perfettamente.

Anche la sua voce era perfetta.

Cinque semplici parole e metà classe era già cotta di lui.

Non ti mettere strane idee in testa, Hermione

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Capitolo 3
*** Capitolo 3- Promessa ***


Capitolo 3- Promessa

 

* * * *

 

Quella mattina uscii di casa abbastanza presto, così da non dovermi sorbire le occhiate degli studenti.

Speravo che almeno il primo giorno mi avrebbero lasciato in pace, sia me sia la mia Porsche.

Era un regalo di mia madre, fatto per il mio diciottesimo compleanno, ed era sempre soggetto ad occhiate invidiose.

Non conoscendo bene il posto, impiegai più del dovuto per arrivare a scuola.

Era una struttura modesta, niente a che vedere con quella di New York.

Come l'edificio, anche il cortile che lo contornava era molto modesto, con piccoli cespugli ben potati alle estremità.

Uno stretto sentiero collegava la scuola alla via principale.

Guardai l'orologio.

Mancavano venti minuti all'inizio delle lezioni.

Così, dopo aver parcheggiato la macchina, presi lo zaino ed entrai in un bar.

Dopo aver ordinato un cappuccino, mi sedetti a un tavolo.

E fu là che la vidi.

Era un angelo caduto dal cielo.

Indossava semplici vestiti - un paio di jeans aderenti e una maglietta bianca a maniche lunghe- che le valorizzavano le delicate curve.

I vaporosi capelli ricci le ricadevano dolcemente sul viso, il più perfetto che avessi mai visto.

Camminava a testa bassa, ignorando il ragazzo che le stava accanto.

Che poi, più che un ragazzo sembrava una carota gigante.

Bramavo di sapere il suo nome.

Bramavo lei.

Volevo chiamarla.

Uscire da quel bar e andare a presentarmi.

Volevo averla solo per me.

Volevo che lei fosse mia,

per sempre.

Ma non ebbi nemmeno il tempo di immaginare quale sarebbe stata la sua reazione, che il cellulare nella mia tasca vibrò.

Sbuffando risposi alla chiamata, senza neanche guardare il nome apparso sullo schermo luminoso.

“Pronto?” dissi scocciato.

“Ma tu ti alzi sempre incazzato la mattina?”

“Zabini!” distolsi solo un attimo lo sguardo dalla ragazza per dare la mancia alla cameriera.

“E chi poteva essere, scusa?” disse ridendo il mio migliore amico.

“Beh, cosa spinge il miglior dormiglione di sempre a telefonare alle sette e mezza di mattina?”

“Volevo sapere come andava, com'è l'Inghilterra?”

“Sinceramente non ne ho idea! Sono stato tutto il weekend fra scatoloni e polvere.”

“Draco Malfoy che lavora? Serio? E io che pensavo che avessi già girato tutte le discoteche del Paese!”

“Ehm, beh no.”

“Allora qual è il problema? Niente fighe? Gli inglesi sono a corto di femmine?”

Decisi di aggirare l'argomento.

“E tu? Come vanno le cose? La tua di situazione sentimentale?” dissi in modo provocatorio.

“Stai cercando di sviare l'argomento, Malfoy eh? Beh, ce lo si può aspettare da una serpe come te! Per tua fortuna adesso devo andare, ma la prossima volta non la passerai liscia, capito?” Sentì uno sghignazzo provenire dall'altro capo del telefono.

“Come vuoi, Blaise. Salutami Theodore.”

Riagganciai senza nemmeno aspettare la sua risposta.

Mi accorsi solo allora che la ragazza di prima se ne era andata.

Cazzo! Pensai sbattendo la mano sul tavolo, che per poco non cadde.

Pagai in fretta e furia.

Ero un Malfoy.

Non mi arrendevo facilmente.

Appena uscii dal bar, guardai intorno a me.

Ma niente, era svanita nel nulla.

Il cortile, però, stava iniziando ad affollarsi di studenti.

La conversazione con Zabini, infatti, era durata più del previsto e avevo perso il mio buon vantaggio di tempo.

Così corsi fino a scuola pregando che la campana non fosse già suonata.

Quando arrivai davanti alla scalinata di marmo mi fermai per riprendere fiato.

Riuscii ad entrare senza attirare l'attenzione di molti e guardando la cartina della scuola appesa in bacheca, raggiunsi la classe dove si sarebbe tenuta la prima ora di lezione.

L'aula – per fortuna – era vuota.

Così mi andai a sedere in ultima fila, vicino alla finestra.

L'ho persa. L'ho persa per sempre.

Non è mai stata tua, Draco.

Lo so, ma...

E probabilmente la carota accanto a lei era il fidanzato.

Veramente lo stava completamente ignorando.

Ma che importa? Tu sei Draco Malfoy, sai quante te ne trovi di quelle?

Ma lei era speciale...

D'improvviso la porta si aprì.

Una ragazza entrò dubitante in classe.

La osservai bene.

Jeans, maglietta bianca, capelli ricci.

Non ci potevo credere.

Era lei!

L'avevo ritrovata!

Continuai a guardarla, ancora sbalordito.

Anche lei mi guardava.

Mi sta guardando!

Ricordati che sei il ragazzo nuovo. Non ti ha mai visto, certo che ti guarda.

Oh, giusto.

Distolsi subito lo sguardo, un po' imbarazzato.

Dovevo sembrare proprio un maniaco.

Chi si mette a guardare una sconosciuta in quel modo?

Sentivo, però, che lei non era una sconosciuta.

Non lo era mai stata.

E non lo sarebbe mai stata.

Avrei fatto di tutto per averla.

Con la coda dell'occhio vidi che si sedeva dall'altra parte dell'aula, ancora guardandomi.

Non passò molto tempo prima che un'altra ragazza – bassa, con capelli neri – entrò dalla porta.

Mi rivolse uno sguardo malizioso e si diresse verso la ragazza.

Prima che potessi fermarla, le diede un calcio negli stinchi.

“Così Granger, anche quest'anno sei con noi!” disse in modo canzonatorio.

Un secondo calcio rese gli occhi della Granger lucidi.

Senza nemmeno rendermene conto, avevo chiuso la mano a mo' di pugno.

“Sai Granger, non sopporto gli indifferenti. Quindi, se non ti da particolarmente disturbo, vorrei che rispondessi quando ti parlo. Non vorrei mandarti in infermeria già il primo giorno. Chissà cosa penserebbero i professori! Non sei d'accordo con me?”

Come osava parlarle in quel modo?

Mandarla in infermeria? Ma di cosa diavolo stava parlando?

Se solo avesse provato a toccarla, gliel'avrei fatta pagare io.

Un lucido bagliore scivolò dalla sua guancia.

Non piangere, nessuno ti farà più del male adesso che ci sono io.

Nessuno.

È una promessa.

E i Malfoy mantengono sempre le promesse.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- Provocazioni ***


Capitolo 4- Provocazioni

* * * *

Sentivo i suoi occhi addosso continuamente.

A volte lo guardavo anch'io a mia volta, di sottecchi.

Lui sosteneva lo sguardo, con aria pensierosa.

Nessuno dei due prestava attenzione alla lezione, ma a nessuno dei due importava.

Non ero l'unica ad aver notato il suo comportamento, infatti anche la Parkinson a volte si girava per guardarci.

“Guarda quei due.” aveva detto alla Greengass, che a sua volta si era girata per osservarci.

Ma lui non sembrava rendersene conto.

Probabilmente era abituato ad essere guardato, bello come era.

Ma io? Non ero nemmeno paragonabile.

Ero solo la secchiona che veniva presa in giro. Punto.

Finalmente la campanella suonò.

Senza nemmeno aspettare il consenso del professore, uscii di corsa dalla classe.

Non che mi dispiacesse essere guardata da lui.

Ma non ero abituata ad avere così tante attenzioni, almeno non in quel senso.

Schizzai in corridoio.

“Ehi, Granger!”

Oh, no.

Ti pareva che non mi potevano lasciare in pace almeno fino alla fine della giornata.

“Granger, perché non mi fai vedere come ti ha fatto tua madre?”

Dudley Dursley era a pochi metri di distanza da me, fiancheggiato dalla sua combriccola di idioti.

“Oh, mi dispiace signora Granger, ovunque lei sia.”

Sentii le dita della mano irrigidirsi. Il sangue ribolliva nelle vene.

Fallo Hermione, ne hai tutto il diritto.

Bene coscienza, per una volta siamo d'accordo.

Il corridoio era semi deserto.

Avrei potuto dargli un bel pugno in faccia e correre via prima che i suoi scagnozzi mi raggiungessero.

D'altronde ero abbastanza veloce per seminarli.

Ma se poi mi fossi fatta male?

Non avevo mai menato qualcuno, non ne avevo mai avuto l'occasione.

E se Dudley lo avesse schivato? Se fossero stati loro a menarmi?

Come avrei spiegato a mio padre un occhio nero?

Uno strano rumore interruppe i miei ragionamenti.

Era uno scricchiolio, molto simile a quel rumore che produce un osso quando si rompe.

Girai la testa di scatto e vidi Dudley a terra.

Ma più importante, accanto ad un Dudley frignante, c'era lui.

Lui.

Aveva le nocche insanguinate.

Distese la mano dolorante mentre intimava agli altri due di andarsene.

Questi obbedirono, compreso Dudley che intanto con la mano si copriva il naso sanguinante.

Non sapevo cosa dire.

Mi metteva a disagio sapere che lui era lì, vicino a me, sapere che mi aveva difesa.

“G-Grazie” sussurrai.

Abbassò lo sguardo.

Sembrava imbarazzato quasi quanto me.

“Forse è meglio se vai in infermeria” dissi indicando la sua mano.

“Già. Mi potresti accompagnare? Sai, non mi oriento ancora bene” si grattò la testa con la mano sana, mostrando un sorriso sghembo.

“Ehm, sì certo”

Così dicendo gli feci cenno di seguirmi.

“Comunque, io sono Draco” mi porse la mano sana.

“Hermione Granger” dissi facendo lo stesso.

“Hermione...come la regina d'inverno di Shakespeare, vero?”

“Ehm, già”

“Mi piace” sfoderò di nuovo il sorriso sghembo.

“G-Grazie” dissi imitandolo.

Arrivammo di fronte all'ingresso dell'infermeria.

“Grazie ancora per prima. Se hai bisogno di qualcosa, conta pure su di me.”

“E se tu hai bisogno di un pugile, fai un fischio che arrivo.”

Mi scappò una risata.

Era da tempo che non ridevo.

Avevo dimenticato com'era bella la sensazione di felicità.

Avevo dimenticato molte cose.

Quando lui appoggiò delicatamente le sue labbra sulla mia fronte, dimenticai perfino di respirare.

Rimasi impietrita.

Ci doveva essere stato un errore.

Probabilmente avevo cercato di dare un pugno a Dudley, ma quest'ultimo lo aveva bloccato senza difficoltà.

E probabilmente ne avevo prese così tante che ero svenuta.

Ed adesso stavo facendo un bellissimo sogno.

Un meraviglioso sogno.

Non ne facevo da tanto tempo.

Da mesi mi assillava sempre lo stesso ricordo.

Mi svegliavo sempre urlando.

Così anche la mia mente si era stancata, e aveva deciso di illudermi inutilmente.

Sei un'illusa continuavo a ripetermi.

Il sogno, però, continuava.

Draco era ancora lì, ad occhi chiusi, con le labbra attaccate alla mia fronte.

Si mosse quasi impercettibilmente verso le mie labbra, ma poi sembrò ripensarci e, come se non fosse successo niente, entrò in infermeria con passo spedito.

* * * *

Stupido!

Sei proprio uno stupido!

Cosa ti è passato in mente?

L'hai appena conosciuta!

Baciarla e poi andartene?

Senza dire niente?

È stato più forte di me!

Complimenti! Bella mossa.

Non si avvicinerà mai più a te.

Avevi una sola possibilità e l'hai sprecata stupidamente.

Bastava che aspettassi qualche giorno, per conoscerla meglio.

E poi avresti potuto baciarla quanto volevi.

Stavi anche andando bene.

Hai fatto l'eroe, difendendola da quei tre idioti.

E domani, quando la vedrai?

Che cosa le dirai?

Che è stato uno sbaglio?

Che non volevi?

Avevi promesso che non l'avresti fatta piangere.

La mano pulsava dal dolore.

Raggiunsi una scrivania, sulla quale era seduta una signora dagli occhi stanchi.

“Posso aiutarti, dolcezza?”

“Sì, grazie”

Le mostrai la mano.

Lei si alzò velocemente e mi invitò a sedere su un lettino di ospedale.

“Santo cielo, ma come hai fatto, giovanotto?”

“Ho cercato di fare la cosa giusta”

Sì, e poi come un coglione hai rovinato tutto.

“Potrebbe c'entrare forse una ragazza?” chiese lei con tono disinvolto.

“Uhm, beh sì, a dire il vero sì.” Non sapeva neppure il mio nome, ma aveva già individuato la causa del problema.

La guardai perplesso, mentre era indaffarata a tagliare delle garze.

“Ah, voi ragazzi! Sempre in cerca di avventura e poi, guarda dove si finisce!” indicò con lo sguardo la mia mano, che intanto era stata fasciata.

“Sai, ho avuto modo di osservare voi giovani maschi. I miei sei figli hanno sempre fatto i paladini della giustizia per difendere delle ragazze innocenti. Siete, come dire...abbastanza prevedibili direi.”

“Prevedibili? Non riesco ancora a capacitarmi di averlo fatto!”

“Almeno ne è valsa la pena, caro? Perché sai, un'aspetto positivo c'è. Nella maggior parte dei casi, infatti, si trova l'amore. Prendi mio figlio Percy: anche lui si è rotto un polso per dare un pugno ad un liceale che importunava una povera ragazza, ed alla fine quest'ultima è diventata la sua fidanzata. Può essere scomodo un'occhio nero, o nel tuo caso una contusione alla mano, ma ne vale la pena se il premio è l'amore, non credi?”

Ci riflettei su.

“E se uno avesse rovinato tutto?” dissi infine.

“Oh, zuccherino, non credo proprio sia possibile. Qualsiasi ragazza cadrebbe ai tuoi piedi, figuriamoci dopo averla salvata!”

Così dicendo si recò alla scrivania, facendomi l'occhiolino.

“Puoi andare, giovanotto. Niente di rotto, almeno fisicamente. Non so se posso dire la stessa cosa sul tuo cuore.”

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5- Lo Sfregiato e il biondo ***


Capitolo 5- Lo sfregiato e il biondo

* * * *

Quel pomeriggio ripensai molto all'accaduto.

Non riuscivo ancora a capire perché l'avesse fatto.

E non mi riferivo al pugno.

No.

Quello non era un problema.

Era stato un gesto gentile da parte sua, ma che avrebbero potuto fare tutti.

Mi riferivo al dopo.

Perché mi aveva baciata?

Non era stato proprio un bacio.

Magari ero io che gli davo un significato più importante di quello che era in realtà.

Sì, probabilmente è così continuavo a ripetermi, per convincere me stessa più che altro.

Quando ritornai a casa trovai un biglietto appoggiato sul tavolo della sala da pranzo.

Hermione,

mi dispiace di non poterti avvertire di persona, ma sono dovuto partire per l'Italia stamattina presto. Questioni di lavoro.

Starò via solo per un giorno.

Ti voglio bene,

                                                                                                                                                                                                                                                                   Papà

P.S. Ho tolto le chiavi da sotto lo zerbino. Quindi se esci ricordati di prendere le tue.

“Non c'è problema, tanto dove vuoi che vada?” mormorai a bassa voce.

Era tipico di papà partire per un'altro Paese un giorno e tornare quello seguente, perciò non era una novità. Probabilmente sarebbe tornato la sera seguente.

Quella volta, però, sarei stata veramente da sola, dato che la mamma non c'era più.

Mi dirigetti in camera mia e mollai lo zaino sulla scrivania.

Mi distesi sul letto, con gli occhi chiusi.

Ero così stanca, che mi addormentai dopo pochi minuti.

Venni svegliata dal suono del campanello della porta.

Ancora mezza addormentata, mi alzai lentamente.

Quando aprì la porta, la prima cosa che vidi fu una vaporosa chioma di capelli rossi.

Ginny.

“Lo sai da quanto sono qua fuori?” disse lei spazientita.

Ma non mantenne il broncio per molto.

Infatti, appena entrata a casa mi dette un abbraccio fortissimo.

“Ginny, non...riesco...a...respirare!”

“Era proprio quello l'obiettivo!” scherzò lei.

“Allora, a cosa devo questa visita inaspettata?” dissi appena mi lasciò andare.

“Da quando uno non può fare una sorpresa alla sua migliore amica?”

Ci sedemmo sul morbido divano del salotto.

La guardai con sguardo indagatore.

Sapeva che odiavo le sorprese.

Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata.

“Okay, hai vinto tu! Avrei bisogno di un favore.”

Poi, osservando la mia espressione, aggiunse:

“Non sono soldi, tranquilla. È proprio una cosa da niente e alla fine faccio un favore anche a te...e a Ron.”

“Ginny?! Non avrai per caso...”

“No, non vi ho organizzato un'appuntamento. Diciamo che ho bisogno...di un accompagnatore.”

“Un accompagnatore?”

“Ho conosciuto un tipo e mi ha chiesto di uscire. Ma, dato che è la prima volta, avevo pensato ad un appuntamento..a quattro. Lo so benissimo che mio fratello non ti interessa, ma davvero non so a chi rivolgermi, se non te!” Incrociò le mani per pregarmi.

“No, Ginny!”

“Ti prego, ti prego, ti prego! Ti sarò debitrice a vita!”

“Pff, e va bene! Ma niente cinema o cose così, okay? Niente posti bui. E dì a tuo fratello di stare buono!”

“Sicuramente! Grazie, sei la migliore amica del mondo! Una semplice pizzeria va bene?”

Annuii sbuffando.

Facevo di tutto per stare lontana da Ronald e Ginny cosa faceva? Mi organizzava un quasi-appuntamento con lui?

“Okay, allora io vado a casa per avvertire mio fratello. Ti prego, sii carina con lui!”

La accompagnai alla porta mostrando un sorriso angelico per rassicurarla.

“Ricorda, l'appuntamento è fra un'ora. Ti passiamo a prendere noi!”

Mi stampò un bacio sulla guancia.

“E tu ricordati che mi devi un favore” dissi appoggiandomi allo stipite della porta.

“Il più grosso di tutti!”

Così dicendo chiusi la porta alle mie spalle.

Non le avevo nemmeno chiesto chi fosse il ragazzo che l'aveva invitata ad uscire.

L'avrei scoperto quella sera.

Ripensai alle parole di Ginny.

Mi sarebbero venuti a prendere un'ora dopo.

È impossibile! Che ore sono, scusa?

Osservando l'orologio appeso alla parete della cucina, mi resi conto che avevo dormito circa tre ore.

Erano, infatti, quasi le sette di sera.

Corsi velocemente su per le scale e mentre aspettavo che l'acqua della doccia fosse pronta, svolsi i compiti dati.

Mi feci una rilassante doccia calda e finita di asciugarmi, frugai nel mio armadio.

Non sapevo esattamente cosa indossare.

Non era un vero e proprio appuntamento, ma per lo più un appoggio morale per la mia amica.

Indossare qualcosa di elegante o qualcosa di più informale?

Alla fine optai per una semplice vestito blu.

Puntuale come un orologio, Ginny bussò alla porta di casa mia alle otto precise.

Lei, in confronto a me, era elegantissima.

Indossava un meraviglioso tubino nero, che le risaltava meravigliosamente gli occhi marroni.

Guardai le sue scarpe.

“Tacco 10, eh?” mi sfuggì una risata.

“Prova a dirlo a mia madre e ti ammazzo!” disse prendendomi a braccetto.

Ad aspettarci fuori dal vialetto c'erano Ron e il ragazzo sconosciuto.

Era alto più o meno quanto Ronald, quindi dovetti alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi. Anch'esso aveva i capelli arruffati, ma di un nero acceso. Gli occhi erano di un verde intenso e facevano capolino dietro la montatura degli occhiali.

“Hermione, questo è Harry Potter. Harry, lei è Hermione Granger” ci presentò Ginny.

“Piacere di conoscerti, Hermione” mi fece il baciamano.

Capii perché veniva chiamato “lo Sfregiato”.

Aveva, infatti, una cicatrice a forma di saetta sulla fronte, che cercava di nascondere dietro la folta frangia.

Arrossii all'istante e lui rise per la mia reazione.

Ronald mi rivolse un sorriso e io ricambiai per gentilezza.

“Beh, se siamo pronti, possiamo andare. La macchina è parcheggiata qua vicino.” La voce di Harry era abbastanza acuta e giuliva.

“La macchina?” chiesi sorpresa a Ginny.

“Già. Ti divertirai, vedrai.” Detto questo raggiunse Harry e gli prese la mano.

Svoltato l'angolo, vidi una lussuosa limousine.

“Ma noi..saliamo su quella?!”

Ginny rise divertita, seguita a ruota dal fratello.

Mentre salimmo sull'automobile, rivolsi un'occhiata incuriosita ad Harry, il quale se ne accorse.

“Tranquilla, non l'ho rubata. È in perfetta regola, comprata un anno fa con i soldi dei miei genitori. E, se ti può rassicurare, non ho mai fatto un incidente.”

“E i tuoi genitori...sono d'accordo?”

Che razza di genitori lasciano andare in giro un figlio – probabilmente della mia stessa età - con una lussuosissima limousine come se ne niente fosse?

Credo di sì, non lo so.”

Come non lo sapeva?

Poi, osservando la mia espressione confusa, chiarì:

“Sono morti, perciò non posso sapere se sono d'accordo.”

“Oh, scusa, non volevo intromettermi. Mi dispiace.” Abbassai lo sguardo.

“Oh, no non farlo. Sono morti appena dopo la mia nascita, quindi non mi ricordo niente di loro. Ma per fortuna c'era Sirius, il mio padrino, a prendersi cura di me.”

Quanto lo invidiavo!

Almeno lui non si dispiaceva della morte dei genitori, non avendoli mai praticamente conosciuti.

“Beato te.” mormorai.

Harry probabilmente sentì, perché era proprio sul punto di dire qualcos'altro, quando Ginny esclamò:

“Allora, andiamo? Non so voi, ma io ho una fame da lupi!”

“Certo.” disse Harry accendendo il motore.

Ron stette in silenzio per tutto il tragitto, guardando distrattamente fuori dal finestrino.

Dopo un quarto d'ora, giungemmo davanti l'ingresso di un ristorante.

Diedi un pizzicotto al braccio di Ginny.

“Ahi! E questo per cos'era?” disse lei massaggiandosi il braccio.

“Non doveva essere una semplice pizzeria?” Incrociai le braccia, spazientita.

Ero davvero arrabbiata.

Lo conoscevo bene quel ristorante, dato che era uno dei più costosi della città.

E io non avevo molti soldi a disposizione.

“È stato Harry a insistere! Io non ho potuto fare niente!”

Più il tempo passava, più questo Harry mi stava antipatico.

Mi era sembrato soltanto uno che avendo molti soldi pensava di poter ottenere tutto.

E la mia povera Ginny era la sua piccola marionetta.

Entrai nel ristorante con gli occhi di tutti addosso, proprio come a scuola.

Pensando di andare in una modestissima pizzeria, non ero elegante come Ginny, o come i due ragazzi, vestiti appositamente in smoking.

Sedemmo a un tavolo per quattro apparecchiato perfettamente, nemmeno una forchetta fuori posto.

Appurai che Harry era un cliente abituale, dato che sia i clienti che i camerieri lo riconoscevano e lo salutavano cordialmente.

Quando un cameriere mi porse il menù, diedi un'occhiata veloce ai primi.

L'unica cosa che potevo permettermi era un contorno di patate.

Io ti ammazzo Ginny, lo giuro.

Non mi azzardai nemmeno a guardare i secondi. Sapevo già che non me li sarei potuta permettere.

Io e la piccola di casa Weasley ci lanciammo un'occhiata disperata.

Probabilmente nemmeno lei aveva abbastanza soldi.

“Ovviamente offro io, ragazze!” esclamò Harry.

L'aveva fatto apposta. Ne ero sicura.

Voleva abbindolare anche me, così come aveva fatto con la mia amica.

Ma purtroppo non potei fare altro che accettare.

“Grazie.” dissi serrando i denti.

Sorrise compiaciuto.

Oh, non credere di averla fatta franca, spocchiosetto.

Farò di tutto per smascherarti.

 I piatti arrivarono pochi minuti dopo aver ordinato.

“Allora Harry, esattamente quanti anni hai?” Era la domanda più banale che mi fosse venuta in mente.

“Ne faccio diciannove il 31 luglio, Hermione.”

Cavolo, ha soltanto un anno in più di Ginny!

Non posso nemmeno dirle di lasciarlo perché è troppo grande.

“E dove vai a scuola?”

Fa più lontano possibile da Ginny, ti prego.

“Herm, veramente non te ne sei mai accorta?” disse Ron sghignazzando.

“Accorgermi di cosa?”

“Frequenta la nostra stessa scuola da circa un anno, Herm!”

Quasi mi andò di traverso il boccone di pesce che avevo in bocca.

Possibile che non me ne fossi mai accorta?

D'altronde come si fa a non notare un ragazzo che viene a scuola in limousine?

“Ah.” Non sapevo cosa altro dire.

“Ho cambiato quartiere della città un anno fa, per trasferirmi da Sirius. Prima vivevo con i miei zii, i Dursley.”

“I Dursley? Conosci per caso un Dudley Dursley?” chiesi io sbigottita.

“Sì, è mio cugino. E tu, come mai lo conosci?”

Ecco, un'altro punto a sfavore per Harry.

Soltanto perché anche lui frequenta la nostra scuola.”

“Purtroppo sì.”

Ginny mi guardò stranita.

Non le avevo raccontato niente su cosa era successo quel giorno a scuola.

Tirò fuori il cellulare e iniziò a scrivere un messaggio, mentre Harry mi porgeva altre domande.

“E i tuoi genitori, Hermione, che lavoro fanno?”

“Ehm, mio padre è un dentista.” mi affrettai a dire.

“E tua madre?” chiese incuriosito.

Non volevo parlare della mia vita privata con un perfetto sconosciuto.

Avrei tanto voluto rispondergli che non erano affari suoi, ma non mi sembrava carino nei confronti di Ginny.

Era pur sempre il suo ragazzo.

Non sapevo cosa dire.

Per fortuna arrivò una notifica dal mio cellulare, e io ebbi una scusa per interrompere la conversazione.

 

Ginny

 

Mi dici cosa diavolo hai in mente?

Stai facendo così tante domande che

sembri un'ispettore di polizia!

Sto solo cercando di conoscerlo meglio.

E questo implica metterlo a disagio?

Io non sto mettendo a disagio nessuno!

Semmai è lui che sta mettendo a disagio me!

Ma tu sei proprio sicura di aver fatto la scelta giusta?

E tu sei sicura di non essere gelosa?

Gelosa?

Di chi, di quello?

Credo che sia meglio se tu ritorni a casa.

Lo credo anch'io.

 

Ecco, è riuscito anche a farmi litigare con la mia migliore amica.

Me la pagherai, Potter.

Fosse l'ultima cosa che faccio.

“Scusate, ma non mi sento molto bene. Ho bisogno di andare a casa.” dissi alzandomi dal tavolo.

“Di già?” disse Ron deluso.

Era triste perché quella era l'unica occasione in cui lui poteva stare con me, in modo più intimo del normale.

“Vuoi che ti accompagni?” chiese Harry in tono allarmato.

Per carità! avrei voluto rispondergli, ma mi limitai ad un semplice No grazie

“Posso accompagnarti almeno fino all'incrocio, Herm?” chiese Ron speranzoso.

“Tutto, basta che la smetti di chiamarmi Herm!” dissi alla fine esasperata.

Così, senza salutare né Ginny né Harry, uscii dal locale, fiancheggiata da Ron.

“È successo qualcosa, non è vero?” disse appena uscimmo.

“No Ron, tranquillo.”

“Non è stata colpa mia, vero?”

Con il dorso della mano mi accarezzò il viso.

"Non è stata colpa di nessuno Ron, davvero.”

“Non ne sono sicuro. È da un po' di tempo che mi eviti. Credo...di aver fatto qualcosa di sbagliato.”

Non risposi.

Non sapevo cosa dire.

In fondo, non aveva tutti i torti.

“Anzi, sono sicuro di aver fatto qualcosa di male. Perché so che tu provi qualcosa per me, ed è assolutamente insensato che tu mi eviti.”

La sua mano scivolò dietro la mia schiena, accarezzandomi i fianchi.

“No, Ron! Cosa ti passa per la testa? Io non ti amo, non ti ho mai amato, e mai ti amerò!”

Era impazzito.

“Shh. Basta fingere. Fai solo del male a te stessa.” Così dicendo mi afferrò con forza il viso e lo avvicinò al suo.

Le sue labbra toccarono avide le mie.

Non mi diede nemmeno il tempo di respirare.

“Lasciami subito!” urlai appena mollò la presa.

“Tu sei pazzo! Pazzo e malato!”

Prima di andarmene, gli diedi uno schiaffo.

La mia pelle bruciò a contatto con la sua.

“Non provare ad avvicinarti mai più a me, hai capito?!” dissi prima di svoltare l'angolo.

Iniziai a correre.

Solo quando fui sicura che non mi avesse seguita mi fermai a riprendere fiato.

Iniziai a piangere.

Avevo dato il mio primo bacio ad una persona che odiavo.

Avevo perso la mia migliore amica per colpa di un cretino.

E quello era quello che mi era successo soltanto negli ultimi venti minuti.

E mi ero anche persa.

Guardando attorno a me, infatti, mi accorsi di essere in una via mai vista prima.

Una goccia di pioggia mi bagnò la guancia.

“Perfetto! Ci mancava solo questa! Grazie, grazie davvero!” dissi rivolgendomi al cielo.

“Posso offrirle un passaggio, signorina?”

Non avevo per niente notato la macchina nera parcheggiata accanto a me.

Non riconobbi la voce.

Per fortuna non era quella di Ronald.

Nemmeno quella di Harry.

“Non salgo sulla macchina di uno sconosciuto” risposi prontamente allontanandomi.

“E da quando io sarei uno sconosciuto?”

Un ragazzo biondo dall'aria divertita uscì dalla vettura avvicinandosi a me.

“Allora, ti sembro ancora uno sconosciuto Granger?”

“Cosa ci fai qui, Draco?” avevo ancora la voce rauca per il pianto.

“Potrei farti la stessa domanda” rispose spavaldo.

Nessuno dei due parlò.

“Allora, ti serve un passaggio o preferisci andare sotto la pioggia?”

Mi schiarii la voce, per renderla più ferma.

“Sì, grazie.”

Entrai in macchina, mentre lui mi teneva la portiera aperta.

“Dove la porto allora, madame?” disse lui appena entrò.

Dopo avergli detto il nome della via di casa mia, ingranò la marcia e partì.

“Mi puoi spiegare che cosa stavi facendo lì alle nove e mezza di sera?”

“Supporto morale per un’amica.” Suonava così patetico detto ad alta voce.

“Supporto morale?” ripeté lui divertito.

“Sì, proprio così. È una cosa da ragazze, non mi aspetto che tu capisca.”

“Non mi sembra che abbia funzionato, però” mi guardò di sottecchi.

“No” dissi mordendomi il labbro inferiore.

“Per favore, non fare altre domande. Mi sento già uno schifo per ciò che è successo.”

Sembrò ascoltarmi, perché non proferì parola fino a quando non fummo arrivati vicino a casa mia.

“E tu abiti qua vicino?” chiesi per cambiare argomento.

Si passò una mano tra i capelli bagnati.

“Non esattamente. Abito al 25 di Carnaby Street.”

Strabuzzai gli occhi.

Non era per niente vicino a dove abitavo io.

“Grazie ancora per il passaggio.” dissi quando lui accostò vicino a casa mia.

“Non ti dà fastidio questa cosa?” chiese lui guardandomi.

“Questa cosa cosa?”

“Continui a dovermi favori. Sembra quasi che io sia il tuo eroe personale.” rise divertito.

“Ehm, già.”

Non ci avevo pensato.

Era già la seconda volta che mi aiutava.

“Si vede che un giorno sarai tu a dovermi tirare fuori da una brutta situazione.”

Aprii la portiera della Porsche e uscii.

“Ci vediamo a scuola, allora.”

“Ciao” mormorai prima che partisse.

Percorsi il vialetto mentre mille pensieri aleggiavano nella mia testa.

Era stata davvero una giornata assurda.

E non era ancora finita.

Quando, infatti, mi chinai per prendere le chiavi da sotto lo zerbino quasi non caddi a terra per lo stupore.

Non c'erano.

“Cavolo, no!” dissi prendendo a calci il portone per la frustrazione.

Mi ero completamente dimenticata del biglietto di mio padre, sul quale diceva che aveva tolto le chiavi da sotto lo zerbino.

E adesso che cosa faccio?!

L'opzione più affrontabile e concreta era aspettare il ritorno di mio padre.

Ma proprio non mi andava di dormire sul cemento e soprattutto sotto la pioggia.

Potevo andare a casa Weasley.

Molly mi avrebbe sicuramente accolta, ma Ginny?

Avrebbe sopportato la mia presenza?

E sulla questione Ron?

No, no, è una pessima idea.

A un certo punto mi venne persino in mente di spaccare una finestra del soggiorno per entrare.

Ma non avevo nessun oggetto a disposizione.

Iniziai a piangere dalla disperazione.

Quando non ebbi più lacrime da versare, mi alzai da terra.

Ricomponiti, Hermione.

Che cosa direbbe la mamma se ti vedesse adesso?

Fai come tuo solito, ragiona.

E subito mi venne in mente l'unica soluzione.

Sapevo esattamente dove andare.

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6- Il primo e unico pensiero ***


Capitolo 6- Il primo e unico pensiero

* * * *

Fu una grande sorpresa quando la vidii in quel vicolo che piangeva.

Si vedeva benissimo che si era persa.

Così, senza pensarci due volte, accorsi in suo aiuto.

Ma fui ancora più sorpreso quando la ritrovai davanti all'uscio di casa mia.

“Hermione?” dissi sbalordito.

“Draco, per fortuna. Pensavo di aver sbagliato indirizzo” sospirò sollevata.

“Non per essere indiscreto, ma cosa ci fai qua?”

Non che mi dispiacesse la sua presenza.

“Ehm, sì giusto” disse contorcendosi le mani.

Era a disagio quanto me.

“Sono rimasta fuori di casa dato che mio padre è fuori per lavoro. E mi chiedevo se...no, niente. Lascia stare. Non so che cosa mi sia passato per la mente”.

Così dicendo si girò e fece per andarsene, ma io le afferrai un polso avvicinandola a me.

Il contatto con la sua pelle – morbida e delicata come una rosa – mi provocò un leggero brivido.

“No, per me non c'è problema se resti”.

I suoi meravigliosi occhi color cioccolato si accesero di felicità.

“Scusami Draco, veramente. Continuo ad approfittare della tua gentilezza”.

“E con questo siamo a tre! Quando la smetterai di attrarre disgrazie?” dissi con finto tono scocciato.

Rise e con la mano ancora stretta alla mia, entrammo.

Si guardò attorno e rimase letteralmente a bocca aperta.

“Questa casa...è meravigliosa! Non ho mai visto niente di più bello”.

“Non ti sei mai guardata allo specchio, allora” dissi facendola arrossire.

“È un'eredità di famiglia, comunque”.

“A tal proposito, sei sicuro che non crei problemi ai tuoi genitori?”

La donna dei miei sogni viene a casa mia e si preoccupa pure di recare disturbo?

“Io vivo qua da solo”.

“Da solo? Alla tua età?”

“Mi sono trasferito a Londra da poco. Prima abitavo in America, con mia madre, ma avevo bisogno di starmene un po' per i fatti miei. E visto che questa casa apparteneva a mio padre, ho pensato di stabilirmi qui”.

“E tuo padre?”

Non avevo mai parlato con nessuno di lui.

Era una cosa di cui mi vergognavo profondamente.

Ma con lei era diverso.

Sapevo di potermi fidare di lei.

Non avevo motivo di mentirle.

“Non ho...proprio un buon rapporto con lui. Credo neanche sappia che sono in Inghilterra. È da anni che non ci parliamo”.

Ci fu un momento di silenzio, che venne coperto da un lieve mormorio.

Era lei che continuava a ripetere Stupida, sei una stupida.

Mi misi di fronte a lei, prendendole il viso con le mani.

“È successo qualcosa?”

Scosse la testa.

“Dimmelo, ti prego”.

“È già la seconda volta in un giorno che mi intrometto in questioni personali. Ti prego, perdonami. Non è mio solito essere così invadente”. Sembrava davvero mortificata.

Io ti amo, Hermione.

E sono sicuro che tu sia una persona meravigliosa.

E anche se così non fosse, amerei i tuoi piccoli difetti.

Ti prometto che amerò tutto di te.

Tutto.

Un timido starnuto interruppe il silenzio che ci avvolgeva.

La guardai.

Era completamente bagnata.

Probabilmente era arrivata fino a casa mia a piedi, sotto la pioggia.

“Ti andrebbe di..fare una doccia?” chiesi esitante.

Bravo Draco, suona proprio come un invito a letto.

Ma, con mia grande sorpresa, lei accettò sorridendo.

Le feci cenno di seguirmi e l'accompagnai al bagno del piano superiore.

“Io vado a prenderti dei vestiti asciutti. Te li lascio qua fuori”.

“Grazie” disse prima di chiudersi la porta alle spalle.

Dopodiché andai in camera da letto e presi la maglietta e i pantaloni più stretti che avevo.

Come promesso, depositai i vestiti fuori dalla stanza, dalla quale proveniva un rumore scrosciante di acqua.

Feci per andarmene, ma mi fermai di colpo.

SBAM!

Un rumore secco sostituì quello che precedentemente proveniva dalla doccia.

“Hermione?”

Aspettai una risposta che non arrivò mai.

“Hermione?” ripetei alzando la voce.

Mi sembrò di sentire un gemito di dolore.

“Posso entrare?”

Finalmente udii la sua voce.

“No, sto bene. Non ti preoccupare, sono solo...caduta”.

Come facevo a non preoccuparmi sapendo che lei si era fatta male?

“Per favore, lasciami entrare. Devo solo vedere se stai bene” aprii di qualche centimetro la porta.

“Draco, sono completamente nuda. Aspetta almeno che mi metta qualcosa addosso”.

“Oh...” riuscii a dire soltanto. Chiusi velocemente la porta e dopo quelle che mi sembrarono ore, sentii finalmente un leggero “avanti”.

Aprii la porta con irruenza, sospirando sollevato quando la vidi in piedi, davanti allo specchio, che si massaggiava le tempie con la mano destra, mentre con l'altra si reggeva l'asciugamano attorno al corpo.

“Tutto bene? Cos'è successo? Ho sentito un rumore forte e...”

Mi fece cenno con la mano di stare in silenzio.

Solo allora notai che aveva un enorme bernoccolo dietro la nuca, che cercava disperatamente di coprire con i capelli.

“Draco...” sussurrò.

“Sì?” mi apprestai a dire avvicinandomi.

“Ho bisogno...di stendermi”.

Senza nemmeno pensarci due volte le cinsi la vita con le braccia, mentre lei si divincolava inutilmente.

“Hermione, non riesci nemmeno a stare in piedi!”

“Ce la faccio benissimo, invece!” sembrò aver ritrovato la sua familiare testardaggine.

“Lascia da parte l’orgoglio solo per un momento e lasciati aiutare” le rivolsi uno sguardo severo, anche se era impossibile arrabbiarsi di fronte a lei, una delle creature più eleganti e perfette di tutto il pianeta.

“Sei davvero una serpe, Malfoy!” disse sbuffando, mentre allacciava le braccia attorno al mio collo.

La sollevai delicatamente da terra, ridacchiando.

“Lo so, Granger. Lo so”.

La portai nella camera da letto degli ospiti, avente il balcone in comune con quello della mia.

Dopo averla adagiata sul letto, mi preoccupai di metterle quanti più cuscini avevo sotto la testa.

“Va meglio?”

“Mh mh”mugolò massaggiandosi la testa.

Poi, resasi conto dell’abbigliamento che indossava, aggiunse imbarazzata:

“Ehm, non è che potresti darmi dei vestiti?” teneva lo sguardo basso, mentre con le lenzuola verdi dell’enorme letto matrimoniale cercava disperatamente di non far trasparire niente del suo corpo.

Adoro vedere come in mia presenza tu sia sempre a disagio.

“Perché dovrei farlo? Sei bellissima così” dissi con un sorriso malizioso.

Le sue guance si colorarono di un rosso porpora.

“Draco...”

Alzai le mani in segno di resa.

“Okay, okay. Mi hanno solo insegnato a dire sempre la verità”.

Prima di uscire dalla stanza, riuscii chiaramente a sentire una lieve risata.

Amavo sentirla ridere, era un suono bellissimo.

Raggiunto il bagno, raccolsi la lunga maglietta bianca e i pantaloni grigi da terra e dopo averglieli portati e averle dato la buonanotte, ritornai in camera mia.

Mi lasciai cadere sul letto.

Ti sei rammollito, Malfoy.

Riuscivo a sentire la voce di Blaise che mi criticava per quello che avevo appena fatto.

Non è niente in confronto a ciò che ha fatto lei per me.

Lei mi ha salvato.

È la mia luce.

Il mio sole.

La mia luna.

La mia felicità.

Il mio primo pensiero.

Il mio unico pensiero.

È la mia persona.

Quella notte mi rigirai varie volte nel letto.

Non riuscivo a dormire sapendo che lei era lì, nella stanza accanto alla mia.

“Beh, non ha senso stare qua a tormentarsi” mi dissi a un certo punto.

Così, cercando di fare meno rumore possibile, sgattaiolai in cucina per preparare una tazza di tè.

Ma quando passai davanti alla porta della camera degli ospiti, udii Hermione piangere.

Era un pianto soffocato.

Bussai piano alla porta.

“Aspetta un attimo, Draco” disse tirando su con il naso.

Cosa fai Draco? Ti ha chiesto di aspettare.

Avevo, infatti, appoggiato la mano sulla maniglia della porta.

“Scusa Herm, ma proprio non posso farlo” mormorai a bassa voce prima di entrare.

La vidi seduta sull'estremità del letto, con le ginocchia al petto.

I capelli ricci le ricadevano di lato, lasciando il volto illuminato dal bagliore argenteo della luna, unica fonte di luce.

“Ti avevo chiesto di aspettare” disse girandosi verso di me.

Solo quando mi rivolse un'occhiata imbarazzata mi ricordai che indossavo solamente dei boxer.

“Scusa” dissi sedendomi sull'altro capo del letto.

“Non sei tu quello che si deve scusare”.

Un debole singhiozzo riecheggiò nella stanza.

“Tutto bene? Ti fa male la testa?”

Mi avvicinai di poco.

“Sono...un tale...disastro” disse fra un singhiozzo e l'altro.

La cinsi con le mie braccia, fregandomene del buon senso.

Restammo in quella posizione per diversi minuti: io che la abbracciavo mentre lei piangeva, la testa appoggiata sulla mia spalla.

Non le chiesi altro.

Non volevo vederla soffrire ancora.

“Draco?” sussurrò vicino al mio orecchio.

“Sì?”

“Questo non conta, vero? Come favore intendo”.

Sorrisi.

“No, sta tranquilla. Siamo ancora a tre per adesso”.

“Dovrai proprio finire una brutta situazione allora”.

“Ci proverò”.

Un debole sorriso apparve sul suo viso.

“Era mia madre”.

“Cosa?” chiesi confuso.

Passò un minuto prima che lei rispondesse.

“Prima. Ho sognato mia madre” disse con voce flebile, asciugandosi una lacrima.

“È da mesi che sogno sempre la stessa cosa. Anzi, ricordo. Non ce la faccio più. Ormai ho paura della notte, perché so che non riuscirò a superarla senza svegliarmi gridando o piangendo. Non riuscirò mai a superarla così come so che non riuscirò mai a perdonare me stessa. Mia madre è morta...e io sto qua a pensare che un giorno tutto questo dolore sparirà, o almeno sarà sopportabile. Come se fosse possibile. E non riesco a smettere di piangere, per quanto mi impegni. E non ho nessuno con cui sfogarmi. Con chi dovrei farlo? Con mio padre, che maschera la sua tristezza facendo finta che vada tutto bene?”

Alzò la testa per guardarmi.

Gli occhi erano offuscati dalle lacrime.

“Beh, non sta andando tutto bene. NIENTE va bene, nemmeno io! Io non sono mai andata bene. Sono sempre stata inadatta a ogni situazione. E continuo ad esserlo”.

Si alzò in piedi.

“Devo sembrare proprio un'idiota, non è vero?”

Mi alzai dal letto e la raggiunsi.

“A quanto pare, l'hai sbattuta proprio forte la testa. Tu, un'idiota? Sei solo la ragazza più coraggiosa che abbia mai conosciuto”.

Si prese la testa fra le mani, toccandosi per sbaglio il punto in cui aveva sbattuto poco prima.

Fece una smorfia per il dolore.

“La più coraggiosa, ma anche la più masochista”.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7- Conoscersi ***


Capitolo 7- Conoscersi

* * * *

“Okay, allora ciao. Grazie ancora, anche...per quello”.

La brezza mattutina mi scompigliava delicatamente i capelli.

Draco era appoggiato allo stipite della porta con una tazza di caffè in mano.

“Sicura di voler passare a casa tua prima di andare a scuola? Possiamo andarci insieme, se vuoi”.

“Mi farebbe molto piacere, ma prima devo vedere se mio padre è ritornato. Si sarà preso un colpo non vedendomi tornare a casa” dissi mordendomi il labbro inferiore.

Conoscevo mio padre.

Era un tipo molto ansioso e in più non usava mai il cellulare.

Quindi poteva benissimo essere tornato a casa quella mattina presto senza avvisarmi.

“Sarà meglio andare a controllare che sia ancora tutto intero” dissi chiudendo il cancello alle mie spalle.

“Ci vediamo dopo, Herm”.

Sentirmi chiamare così non mi dava più fastidio.

Poteva, però, farlo soltanto lui.

Solo la sua voce mi provocava delle incessanti farfalle nello stomaco.

Avevo avuto modo di ascoltarla molto, quella notte.

Quando, infatti, mi aveva sentita piangere era venuto a consolarmi.

Il che non è così banale come sembra, dato che nemmeno mio padre era capace di farlo.

Sapevo che riusciva a sentirmi la notte.

Capiva che stavo piangendo, eppure non faceva niente.

Ma non ce l'avevo con lui.

Sapevo che non lo faceva perché se lo avesse fatto, se mi avesse ascoltato, sarebbe caduto anche lui in depressione.

Non si sarebbe più ripreso.

Avrebbe vissuto in totale solitudine, chiuso in se stesso, mentre il dolore lo mangiava dentro.

Quindi alla fine era meglio così.

Erano appena le sette di mattina.

Intorno a me aleggiava il silenzio assoluto.

I tram erano vuoti.

Lungo la strada c'era soltanto un anziano signore che portava a passeggio il cane.

Era un tipo assai strano.

Aveva una barba molto lunga, di color argento, ed indossava degli occhiali a mezzaluna.

Anche i capelli e i baffi fluenti erano argentei.

Osservandolo bene, mi resi conto che non portava a spasso un cane, bensì un gatto.

E in più, sembrava anche discuterci.

Come se si potesse conversare con un animale!

“Minerva, è inutile insistere. Ha detto di no, non ne vuole più sapere. Non è più un ragazzino, è maggiorenne adesso. Lasciamolo stare, per una buona volta”.

Il gatto sembrò aver capito quel che gli aveva detto il vecchio e sembrò pure scuotere il capo in segno di disapprovazione.

Strabuzzai gli occhi.

Te lo sei immaginato, Hermione.

Da quando i gatti rispondono?

L'anziano signore distolse lo sguardo dall'animale e lo posò su di me, facendomi l'occhiolino.

Guardandomi attorno, mi accertai che si stesse rivolgendo a me.

“Quel tipo è proprio matto” mormorai dirigendomi verso la fermata dell'autobus.

Questo arrivò cinque minuti dopo.

Durante il tragitto, iniziai a pensare che fosse solo una perdita di tempo.

E se è ancora in Italia?

Potevi benissimo accettare l'invito di Draco.

Ma no, tu devi sempre fare l'orgogliosa.

No, assolutamente no.

Ha già fatto troppo per me.

Non sopporto l'idea di essere debitrice a qualcuno.

Quindi, se posso, meglio fare le cose per conto mio.

Scesi dall'autobus venti minuti dopo.

Per fortuna, casa mia era a pochi isolati di distanza.

Quando arrivai, cercai in giro segni dell'arrivo di mio padre.

La cassetta delle lettere era vuota, ma non fu quello a preoccuparmi.

Il giornale giaceva sul prato umido.

Cattivo segno.

Suonai il campanello color argento e aspettai.

“Per favore, per favore!” continuai a ripetere a bassa voce.

Tirai un sospiro si sollievo quando sentii lo scatto della porta.

Dietro di questa, sbucava un uomo alto e grosso.

“Non sarà mica lei, signor Granger?” chiese indicandomi.

Da dietro la porta fece capolino la testa di mio padre.

“Oh, santo cielo!”

Senza nemmeno darmi il tempo di fare domande, per esempio su chi fosse l'uomo che era in casa mia, venni avvolta dalle sue lunghe braccia.

“Grazie al cielo sei viva! Mi hai fatto morire di paura!”

“Papà, cosa...?”

D'un tratto l'espressione di mio padre cambiò, indurendosi.

“Si può sapere dove sei stata? Non sai quanta paura mi hai fatto prendere quando sono tornato a casa e non ti ho trovato!”

Era infuriato.

E adesso?

Non posso dirgli che sono stata a casa di Draco.

Non ho idea di cosa penserebbe se sapesse che ho dormito a casa di una persona che non conosce.

E in più del sesso opposto.

“Ginny ha organizzato un pigiama party” mentii.

Mi guardò accigliato.

“E dove sarebbero le tue cose?”

“Ehm..”

Cavolo!

Ero una pessima bugiarda.

“Beh, allora io non servo più. Posso anche andare”.

Per fortuna, mio padre venne distratto dall'uomo, che aveva osservato tutta la scena in silenzio.

“Oh, certo. Grazie ancora dell'aiuto”.

“Dovere” disse facendo un cenno col capo.

Quando se ne fu andato chiesi a mio padre:

“Papà, chi era quello?”

Quello era il povero poliziotto che ho chiamato questa mattina appena non ti ho trovato a casa”.

Presi il mio telefono dalla tasca e glielo mostrai.

“Questi non servono per spaventare i piccioni, lo sai vero?”

Spazientito – e anche offeso – mi accompagnò dentro casa.

“Hai altre sorprese per oggi, o posso mandarti a scuola con il cuore tranquillo?”

“Vado a prepararmi” dissi salendo le scale.

Arrivata in camera, preparai velocemente lo zaino.

Guardandomi allo specchio appeso alla parete, mi ricordai che indossavo ancora il vestito della sera precedente.

Così, dopo essermi cambiata, andai in bagno, dato che avevo già fatto colazione a casa di Draco.

Dopo aver salutato mio padre – che era ancora abbastanza scosso – uscii di casa pochi minuti dopo.

La città si stava iniziando a svegliare.

Le strade iniziavano a riempirsi.

Speriamo che almeno oggi Ron mi lasci in pace.

Ero ancora vicino a casa, quando scorsi un'elegante limousine.

Subito mi ricordai che anche Harry frequentava la mia scuola e sicuramente l'avrei incontrato.

E l'avrei anche dovuto sopportare.

“Quel Potter non la lascia mai la sua macchina?” dissi con un tono di voce più alto di quello che volevo.

“Eh, già. Questi ricconi!”

Per poco non caddi a terra per lo spavento.

Parli del diavolo, ed ecco che spuntano le corna.

Harry Potter era, infatti, accanto a me, con un'espressione divertita dipinta sul volto.

“Ha-Harry? Mi hai fatto prendere un colpo!” dissi appena il mio cuore finì di scalpitare.

Rise.

“Pensavi fossi lì, vero?” chiese indicando la limousine.

Arrossii.

Aveva sentito tutto.

“In verità, sì. Pensavo...che dato che possedevi una macchina – una bellissima macchina – la usassi per andare dappertutto, perfino a scuola”.

“Nah, non sono cose che fanno per me. Spero non mi giudichi vanitoso, ma credo di non essere quel tipo di ricco. Intendo, quello snob. I soldi che i miei genitori mi hanno lasciato sono fin troppi per un ragazzo di soli diciotto anni. E poi, mi sembrerebbe un insulto nei loro confronti. Spenderli per ogni singolo capriccio è una cosa da bambini viziati”.

Senza rendermene conto avevamo iniziato a camminare.

“Come Dudley” aggiunse con una risatina.

“Oh”.

Ero a dir poco allibita.

Lo avevo giudicato male.

In fondo, era solo un ragazzo.

“Pensavo...”

“Sì, lo so. Pensavi che fossi un “so-tutto-io” che dato che ha i soldi può fare qualsiasi cosa. Ma ti posso giurare che non è assolutamente così. La macchina è stata un'idea di Sirius, ma solo perché non voleva più accompagnarmi ogni volta che uscivo. È solo un mezzo di trasporto”.

“Un po' appariscente aggiungerei”.

“Già” disse sorridendo “Un po' appariscente”.

“Mi dispiace per ieri sera” aggiunse dopo un po'.

“Non volevo sembrarti quello che ti porta via tutto, compresa la tua migliore amica. Devo essere sembrato proprio un ingrato”.

Lo guardai negli occhi.

Sembrava sincero.

Forse Ginny era stata davvero fortunata a trovare un ragazzo come lui.

Adesso che ci pensavo, non era per niente male.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8- Rivali ***


Capitolo 8- Rivali

* * * *

Ero appena arrivato davanti alla scalinata della scuola, quando una ragazza bionda mi fermò con irruenza.

“Tu sei Draco, vero?”

Aveva una voce troppo stridula, fastidiosa all'udito.

“Sì. Posso esserti d'aiuto?” chiesi freddo.

Non avevo nessuna intenzione di parlare con lei, quindi cercai di essere il più diretto possibile.

“Vado di fretta”.

Da quando se ne era andata, sentivo tantissimo la mancanza di Hermione.

Volevo rivederla il più presto possibile.

E non avrei permesso che qualche ragazza troppo curiosa mi ostacolasse.

“Io sono Astoria. Mi chiedevo se...” disse avvicinandosi sempre di più a me, il suo petto attaccato al mio.

Fino a qualche tempo prima, mi avrebbe fatto piacere.

Ma adesso la guardavo disgustato, cercando di allontanarmi da lei.

Sentivo gli occhi di tutti addosso.

“...fossi disponibile” aggiunse in modo seducente.

Mi allontanai scansandola, senza nemmeno risponderle.

“Oh, davvero? Beh, sai quanti me ne trovo di quelli come te?”

Bene, allora vatteli a cercare.

“Non come la Granger. Persino sua madre non la sopportava più!” aggiunse sghignazzando.

“Cosa hai detto?” Mi girai verso di lei, il volto scolpito dalla rabbia.

“Perché, non lo sapevi?” chiese lei in modo innocente.

“Non osare mai più parlare di lei. Né di Hermione né di sua madre. Tu non sai niente di loro”.

Così dicendo, mi diressi verso l'uscita della scuola, pronto ad accoglierla.

Come ha fatto Hermione a stare in questo orribile posto per ben quattro anni?

Ed eccola lì.

Bella come sempre.

Elegante nella sua semplicità.

Il viso angelico.

La sua risata cristallina.

Aspetta, cosa? Sta ridendo?

Sì, stava proprio ridendo.

E non era sola.

Accanto a lei, un ragazzo dai capelli corvini le stava sorridendo.

Un fremito percorse tutto il mio corpo.

Calmati, Draco.

Come posso stare calmo?

Quell'idiota la sta letteralmente mangiando con gli occhi!

Quanto vorrei andare lì e...

Sì ma non puoi. Quindi vedi di darti una calmata.

Stavo ancora decidendo cosa fare, quando Hermione mi guardò e sorrise.

Quel sorriso eliminò tutti i miei dubbi.

Sapevo di essere importante per lei.

Più importante di lui.

Non dovevo dubitare di Hermione.

La mia Hermione.

Ma sapevo benissimo che dovevo sbrigarmi.

Dovevo dirle che l'amavo.

O per lei sarei rimasto solo un amico, un confidente.

E io non volevo assolutamente che fosse così.

Le sorrisi di rimando e la raggiunsi.

Quando fui davanti a lei, il ragazzo mi guardò accigliato.

Io lo fulminai con lo sguardo.

“Ciao” dissi rivolto ad Hermione.

“Ciao” rispose lei sorridendo.

Il ragazzo si schiarì la voce per attirare l'attenzione.

Egocentrico.

“Oh, sì certo. Draco – quanto suonava bene il mio nome pronunciato da lei – questo è Harry Potter. Harry, ti presento Draco Malfoy”.

Gli strinsi la mano con forza, mentre lui si sistemava gli occhiali.

Prova solo a farci un pensierino e vedi cosa ti faccio.

“Beh, io devo andare. Ci vediamo presto, Herm”.

Non ne sarei così sicuro, Potter.

Fece un cenno di saluto e se ne andò.

Smisi di guardare Potter per osservare Hermione.

“Sei bellissima”.

“G-Grazie” balbettò arrossendo, agganciando dietro l'orecchio una ciocca ribelle.

Sorrisi.

Perfetto.

Devi capire che non ti lascerò andare molto facilmente.

E che quel moretto non può nemmeno competere contro di me.

“Come va la testa?”

“Meglio. Non sento quasi più dolore”.

Sentimmo il suono della campanella che annunciava l'inizio delle lezioni.

“Andiamo?”

“Certo” dissi prendendola per mano.

Avevo bisogno disperatamente di un contatto fisico con lei.

Attraversammo velocemente il corridoio vuoto.

Entrammo in classe proprio quando la professoressa McGonagall stava facendo l'appello.

“Granger! Malfoy! Siete in ritardo”.

Quando mi sedetti al mio posto, vidi Astoria che guardava accigliata Hermione, anche se veniva completamente ignorata da quest’ultima.

“Cosa stavo dicendo? Ah, sì. Noi insegnanti abbiamo deciso che quest'anno faremo una gita di apprendimento ad Oxford. Resteremo soltanto per due giorni, dato che la nostra scuola non ha abbastanza fondi per permetterci di sostare una settimana. Troverete tutte le informazioni sul foglio che si trova davanti a voi”.

Sopra ogni banco, infatti, era posto un foglio gremito di informazioni.

Gli diedi un'occhiata.

GITA DI APPRENDIMENTO

Si informa le famiglie degli studenti di tutte le classi quinte della London High School che è stata organizzata una gita scolastica a scopo formativo presso la città di Oxford, Regno Unito.

Il giorno fissato per la partenza è la mattina di venerdì 12 novembre.

Il ritorno è fissato per il pomeriggio del 13 novembre.

Gli alunni saranno accompagnati dalla vicepreside professoressa McGonagall e dal professor Piton.

Si prega i genitori di fornire agli studenti carta d'identità e passaporto.

Gli studenti dovranno portare tutto il necessario per una notte in albergo.

La quota necessaria (che comprende la sosta in hotel) è di sessanta sterline.

Grazie per la collaborazione,

Professoressa McGonagall.

 * * * * *

Gridolini di gioia riecheggiarono nella classe.

“Evviva! Sai questo che significa, Pansy?” chiese Astoria alla sua compagna di banco.

“Shopping!” gridarono insieme eccitate.

“Non credo proprio, signorine. Si chiama “gita di apprendimento” per un motivo. E questo non implica certamente svago. Le nostre mete saranno biblioteche e college.”

“Ma prof...” si lamentarono alcuni.

“Niente da fare, ragazzi. Ed ora, aprite i vostri libri a pagina 394”.

La lezione passò abbastanza velocemente, anche se io non prestavo attenzione.

Avevo occhi solo per Hermione, che era seduta a pochi banchi di distanza da me.

Non indossava più il vestito blu che aveva ieri sera, bensì una semplice gonna stile uniforme scolastica ed una camicetta bianca.

Mi ero dimenticato di chiederle con chi fosse uscita.

E mi ero dimenticato anche di chiederle come mai conosceva quel Potter.

Harry Potter.

Il nome più banale che esistesse sulla terra.

Sorrisi ripensando alla faccia che aveva fatto quando mi aveva visto.

Speriamo abbia capito che non vale nemmeno la pena provarci.

Quando i Malfoy si mettono in testa qualcosa, non si arrendono fino a che non la ottengono.

Non vedo l'ora che sia novembre.

Se non sbaglio, Potter ha la nostra stessa età, quindi andrà in gita con noi.

Per quel giorno, io e Hermione staremo già insieme.

Sarà così.

Finite le lezioni, raggiunsi Hermione in corridoio.

“Tu ci vieni in gita, vero?” chiesi speranzoso.

“Credo...di sì. Non lo so, devo chiedere a mio padre. Forse è meglio se non lo lascio da solo, in questo momento. Sai, ha bisogno di una mano per conciliare lavoro e famiglia”.

“Sono sicuro che tuo padre potrà resistere senza di te per due giorni. Io non so se riuscirò a fare lo stesso”.

“Non lo so, Draco...”

Mi misi in ginocchio davanti a lei.

“Ti prego, ti prego, ti prego!” la implorai.

Un Malfoy che implora qualcuno? Inaudito!

“Okay, okay. Basta che ti alzi. Ci stanno guardando tutti”.

“E cosa c'è di strano? Come si fa a non guardare una bellezza come te? È semplicemente impossibile” dissi rimettendomi in piedi affianco a lei.

Le sue guance divennero di un rosa paonazzo.

“Draco! Potresti finirla di dire sciocchezze, per favore?”

“Io? Quando mai ho detto sciocchezze?”

Scosse la testa ridendo.

“Beh, sarà una bella avventura condividere l'hotel con le altre classi!”

Si fermò di colpo.

“Che c'è? Hai dimenticato qualcosa in classe?” chiesi preoccupato.

Era completamente pietrificata.

Come sotto incantesimo.

“Con...le...altre classi?” scandì lentamente.

“Sì Herm, c'è qualche problema?”

“Ronald...” sussurrò.

Ronald?

Chi era questo Ronald?

E soprattutto, perché Hermione aveva così tanta paura di lui?

“Non sarà per caso...il tuo...ex fidanzato?”

O peggio.

Il suo attuale ragazzo.

Ma lei non rispose alla mia domanda e continuò a camminare nervosa.

“Forse...è meglio se non vengo in gita. Troppe complicazioni”.

“Ma...” tentai di replicare, invano.

Corse via con i libri in mano.

“Si può sapere che cosa le hai fatto?” chiese una voce accanto a me.

“Niente, Potter. Niente”.

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